Wikiquote itwikiquote https://it.wikiquote.org/wiki/Pagina_principale MediaWiki 1.45.0-wmf.8 first-letter Media Speciale Discussione Utente Discussioni utente Wikiquote Discussioni Wikiquote File Discussioni file MediaWiki Discussioni MediaWiki Template Discussioni template Aiuto Discussioni aiuto Categoria Discussioni categoria Portale Discussioni portale TimedText TimedText talk Modulo Discussioni modulo Indro Montanelli 0 188 1381939 1377369 2025-07-01T20:05:59Z ~2025-110542 103361 /* Citazioni tratte dai giornali */ 1381939 wikitext text/x-wiki [[File:IndroMontanelliLettera22.jpg|thumb|upright=1.5|Indro Montanelli alla sede del ''Corriere della Sera'']] '''Indro Montanelli''' (1909 – 2001), giornalista, saggista e commediografo italiano. ==Citazioni di Indro Montanelli== [[File:Indro Montanelli 1936.jpg|miniatura|Indro Montanelli, ufficiale del Regio Esercito, 1936]] *[[Gianni Agnelli|Agnelli]] ha detto che non siamo nella repubblica delle banane, però qualche banana in Italia c'è, perché avvengono cose veramente singolari.<ref>Citato in Marco Travaglio, ''Bananas'', Garzanti, Milano, 5 maggio 2001.</ref> *Al [[conformismo]] l'[[ironia]] fa più paura d'ogni [[Argomentazione|argomentato ragionamento]].<ref>Da ''Controcorrente'', Editoriale Nuova, Milano, 1978.</ref> *{{NDR|[[Ferdinando I delle Due Sicilie]]}} Aveva sulla coscienza la vita di migliaia d'infelici, morti sulla forca e nelle galere solo per aver voluto un po' di libertà. Era stato spergiuro. Non aveva conosciuto che disfatte e fughe ignominiose di fronte al nemico. Politicamente, era rimasto fermo alla concezione settecentesca del più retrivo assolutismo. Non aveva fatto che i propri interessi, e più ancora i propri comodi, della regalità prendendosi solo i piaceri. Non aveva saputo che incrementare l'ignoranza di cui egli stesso era campione. Eppure, il cordoglio popolare per la sua morte non ci stupisce, perché un dono lo aveva avuto: la genuinità. Questo Re fellone e fannullone non aveva mai cercato di apparire diverso da quel che era: uno scugnizzo dei «bassi», prepotente, ridanciano e sboccato, nato per caso con una corona in testa e che aveva sempre concepito la sua parte come quella di un buon capo-camorra. Non aveva interpretato che i caratteri deteriori del popolo napoletano, ma anche i più appariscenti e riconoscibili.<ref>Da ''L'Italia unita. {{small|Da Napoleone alla svolta del Novecento}}'', Rizzoli BUR, Milano, 2015, [https://books.google.it/books?id=8J7tCgAAQBAJ&lpg=PT206&dq=&pg=PT206#v=onepage&q&f=false p. 206]. eISBN 978-88-58-68272-2</ref> *Avevo capito fin dal primo incontro che l'aggressività di [[Anna Magnani|Anna {{NDR|Magnani}}]] era solo la maschera della sua insicurezza. Era una donna difficile e sempre agli estremi di tutto: della dolcezza come del furore, e non si capiva mai bene, forse non lo capiva nemmeno lei, quanto l'uno e l'altra fossero veri, o soltanto scena. Certo è che dall'uno all'altra passava con fulminea velocità e tenendo chiunque in stato di fibrillazione. <ref>Da ''Anna Magnani, la più grande attrice del nostro cinema'', 23 ottobre 1999, in ''Le Nuove stanze'', a cura di Michele Brambilla, RCS Libri, Milano, 2002, p. 280.</ref> *{{NDR|[[Walter Chiari]]}} Avrebbe meritato 30 anni di prigione per lo spreco del suo talento.<ref>Citato in Luciano Giannini, ''[https://www.ilmattino.it/AMP/cultura/walter_chiari_100_walter_sottotitolo_chiari_biografia_di_un_genio_irregolare-7954361.html Walter Chiari genio irregolare che confessava di aver vissuto]'', ''Il Mattino'', 24 febbraio 2024</ref> *[[Silvio Berlusconi|Berlusconi]] è una persona intelligente finché riesce a ragionare col suo cervello: il suo cervello è valido. Ma lui, oltre al cervello, ha le viscere, e molto spesso le viscere prendono la prevalenza sul cervello. E quando lui si abbandona alle viscere, secondo me, diventa uomo pericoloso. Questo lo dico a lei perché l'ho detto a lui, perché gliel'ho anche scritto.<ref name="milano">Dal programma televisivo ''Milano, Italia'', Rai 3, 11 gennaio 1994.</ref> *[[Silvio Berlusconi|Berlusconi]] ha straordinarie qualità di imprenditore – coraggio, fantasia, forza di lavoro – che gli hanno valso il successo in tutti i campi in cui si è cimentato. Una sola cosa non gli riesce di fare, il presidente di una società di calcio.<ref>Da ''[http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/1987/01/20/ora-montanelli-critica-berlusconi.html Ora Montanelli critica Berlusconi]'', ''la Repubblica'', 20 gennaio 1987.</ref> *[[Silvio Berlusconi|Berlusconi]] non ha idee: ha solo interessi.<ref>2001; citato in [[Marco Travaglio]], ''Ad personam'', Chiarelettere, Milano, 2010, p. 39, ISBN 978-88-6190-104-9.</ref> *{{NDR|Su [[Aldo Moro]]}} Calvinista a rovescio, invece che nella predestinazione della [[Grazia divina|grazia]], credeva in quella della [[disgrazia]].<ref>Citato in [[Roberto Gervaso]], ''Ve li racconto io'', Mondadori, Milano, 2006, pp. 310-311, ISBN 88-04-54931-9.</ref> *Certo, per un direttore di giornale, avere sottomano un [[Marco Travaglio|Travaglio]], che su qualsiasi protagonista, comprimario e figurante della vita politica italiana è pronto a fornirti su due piedi una istruttoria rifinita nel minimo dettaglio è un bel conforto. Ma anche una bella inquietudine. Il giorno in cui gli chiesi se in quel suo archivio, in cui non consente a nessuno di ficcare il naso, ci fosse anche un fascicolo intitolato al mio nome, Marco cambiò discorso.<ref>Dalla prefazione a Marco Travaglio, ''Il Pollaio delle Libertà'', Vallecchi, Firenze, 1995.</ref> *Chi di voi vorrà fare il [[giornalista]], si ricordi di scegliere il proprio padrone: il [[lettore]].<ref>Dalla lezione di giornalismo all'Università di Torino, 12 maggio 1997; citato in ''La Stampa'', 14 aprile 2009.</ref> *Conosco molti furfanti che non fanno i [[Morale|moralisti]], ma non conosco nessun moralista che non sia un furfante. Senza, per carità, allusione a [[Eugenio Scalfari|Scalfari]]. Solo come promemoria.<ref>Citato in [[Eugenio Scalfari]], ''Incontro con io'', Rizzoli, Milano, 1994, ISBN 8806200747.</ref> *Cosa c'è meglio di [[Romano Prodi|Prodi]]? Governa fra compromessi e imbroglietti. I nostri soci sanno benissimo che siamo imbroglioni, che sui conti che portiamo all'Europa s'è un po' imbrogliato. Accettano lo stesso, purché non s'esageri. E [[Carlo Azeglio Ciampi|Ciampi]] non esagera, è un economista serio e vero. [...] {{NDR|Romano Prodi}} Con la faccia da mortadella, l'ottimismo inossidabile e l'eterno sorriso, ci porterà in Europa: ringraziamo Dio, e anche [[Massimo D'Alema|D'Alema]], che ci hanno dato Prodi.<ref name=Montanelli>Citato in Francesco Battistini ''[https://web.archive.org/web/20160101000000/http://archiviostorico.corriere.it/1997/dicembre/19/Montanelli_ragazzi_rifate_68_co_0_97121914987.shtml Montanelli: ragazzi, rifate il '68]'', ''Corriere della Sera'', 19 dicembre 1997.</ref> *Dicono che [[Ciriaco De Mita|De Mita]] sia un intellettuale della Magna Grecia. Io però non capisco cosa c'entri la Grecia...<ref>Citato in ''Liberazione'', 22 febbraio 2008.</ref> *{{NDR|Su [[Giulia Maria Crespi]]}} Dispotica guatemalteca.<ref> Citato in Paolo Martini, ''[https://www.adnkronos.com/crespi-la-zarina-del-corriere-della-sera-che-fondo-il-fai_4YA2lu93AIXTzgMw0Wj65x Crespi, la 'zarina' del Corriere della Sera che fondò il Fai]'', adnkronos.com, 19 luglio 2020.</ref> *{{NDR|Su [[Gad Lerner]], nel 2000}} È bravissimo, son contento l'abbian messo al ''Tg1'', è un buon conduttore, buonissimo giornalista. Ma sarà un bravo direttore?<ref>Citato in Antonella Rampino, ''[http://www.archiviolastampa.it/component/option,com_lastampa/task,search/mod,libera/action,viewer/Itemid,3/page,3/articleid,0428_01_2000_0162_0003_4349235/ Il rischio? Una missione impossibile]'', ''La Stampa'', 17 giugno 2000.</ref> *{{NDR|Su [[Concetto Lo Bello]]}} Entra in campo col passo del padrone che ispeziona il proprio podere.<ref>Citato in Marco Innocenti, ''[https://st.ilsole24ore.com/art/SoleOnLine4/dossier/Tempo%20libero%20e%20Cultura/storie-della-storia/archivio-2009/storie-storia-9-settembre-muore-lo-bello.shtml?uuid=4327f496-881f-11de-873c-ca3137183d57&DocRulesView=Libero&refresh_ce=1 9 settembre 1991: se ne va il re degli arbitri, Concetto Lo Bello]'', ''ilsole24ore.com'', 8 settembre 2009.</ref> *{{NDR|Su [[Gaio Giulio Cesare|Giulio Cesare]]}} Grande soldato, grande statista, grande scrittore, grande avventuriero. E grande amatore. C'era di tutto. [...] In questa epoca di Mani Pulite Cesare sarebbe rimasto sicuramente "intangentato". Di tangenti lui ne prese parecchie. Ma a differenza dei mariuoli di oggi era anche un grande legislatore, un grande generale, un uomo di un'efficienza straordinaria. I nostri sono dei ladri. Ladri e basta.<ref>Citato in Mauro Anselmo, ''[http://www.archiviolastampa.it/component/option,com_lastampa/task,search/mod,libera/action,viewer/Itemid,3/page,7/articleid,0797_01_1993_0212_0009_11229316/ Montanelli: così ho finito la mia Storia d'Italia]'', ''La Stampa'', 4 agosto 1993.</ref> *{{NDR|Su [[Clare Boothe Luce]]}} Ha la mentalità schematica di una maestra di scuola.<ref>Citato in Massimo Gaggi, ''Quando il giornale del Pci pensò di pubblicare il nudo dell'ambasciatrice Usa'', ''Corriere della Sera'', 18 dicembre 2022.</ref> *{{NDR|Su [[Lucio Battisti]]}} Ho amato molto le sue canzoni e il suo desiderio di vivere appartato.<ref>Citato in [[Leo Turrini]], ''Lucio Battisti: la vita, le canzoni, il mistero'', Mondadori, 2008, retrocopertina.</ref> *I mariti italiani, per comprar la pelliccia alle mogli, spendono più di tutti i loro colleghi europei. Poveri, ma pelli.<ref name=Controcorrente>Da ''Controcorrente, 1974–1986'', Mondadori, Milano, 1987.</ref> *I nostri uomini politici non fanno che chiederci, a ogni scadenza di legislatura, «un atto di fiducia». Ma qui la fiducia non basta; ci vuole l'atto di fede.<ref name=Controcorrente/> *I [[Ricordo|ricordi]] vanno messi sotto teca, appesi a una parete e guardati. Senza tentare di rinnovarli. Mai.<ref>Da un'intervista di [[Ferruccio de Bortoli]], 1999; in ''[http://www.rai.it/dl/Rai5/programma.html?ContentItem-f04f3982-e954-471e-8242-78f92423550d Indro Montanelli, gli anni della televisione]'', puntata 8, di Nevio Casadio, Rai Premium, 2013.</ref> *Il bello dei [[politologi]] è che, quando rispondono, uno non capisce più cosa gli aveva domandato.<ref name=Controcorrente/> *{{NDR|Su [[Carlo Sforza]]}} Il conte si piega sulle gambe come se volesse saltare in arcione. E io dico: è veramente un bell'uomo.<ref>Citato da Guido Russo Perez nella [https://documenti.camera.it/_dati/leg01/lavori/stenografici/sed0331/sed0331.pdf Seduta pomeridiana del 31 ottobre 1949] della Camera dei deputati.</ref> *Il fascismo privilegiava i somari in divisa. La democrazia privilegia quelli in tuta. In Italia, i regimi politici passano. I somari restano. Trionfanti.<ref name=Controcorrente/> *Il guaio di [[Eugenio Scalfari|Scalfari]] non è che dice quel che pensa. Il guaio di Scalfari è che pensa quel che dice.<ref>Citato in Paolo Granzotto, ''Montanelli'', p. 173.</ref> *In [[Italia]] a fare la dittatura non è tanto il dittatore quanto la paura degli italiani e una certa smania di avere, perché è più comodo, un padrone da servire. Lo diceva [[Benito Mussolini|Mussolini]]: «Come si fa a non diventare padroni di un paese di servitori?».<ref>Dall'intervista di Pasquale Cascella, ''Montanelli: «Il regime? È alle porte, inutile aspettare il dittatore»'', ''l'Unità'', 25 ottobre 1994, p. 5.</ref> *In Italia c'è una frangia d'imbecilli tali che credono si possa resuscitare il comunismo. Seppellire il cadavere del marxismo non è facile, anche perché per molti significa rinnegare l'intera esistenza. Ma certo [[Fausto Bertinotti|Bertinotti]] non è di questi: lui non sa un corno di marxismo, non gl'importa niente, è un piccolo pagliaccio, un populista all'italiana che scalda in piazza maree di poveri diavoli e parla ancora delle masse operaie, che vede solo lui.<ref name=Montanelli></ref> *In Italia non c'è una coscienza civile, non c'è un'identità nazionale che tenga insieme uno Stato federale e garantisca la civile convivenza delle sue parti. Invece io vedo solo nell'Italia Cisalpina qualche barlume di coscienza civile e una vocazione europea. Altrove, invece, è un disastro difficile, se non impossibile, da rimediare. Spero proprio di sbagliarmi.<ref name=Italia>Citato in ''Il grande vecchio del giornalismo rilegge gli ultimi anni della nostra storia'', ''L'Indipendente'', 25 luglio 1995.</ref> *In Italia si può cambiare soltanto la Costituzione. Il resto rimane com'è.<ref>Dall'articolo di Polaczek, ''Teile und sende'', in ''Frankfurter Allgemeine Zeitung'', 15 agosto 1996, p. 29.</ref> *In Italia un colpo di piccone alle [[Casa di tolleranza|case chiuse]] fa crollare l'intero edificio, basato su tre fondamentali puntelli, la Fede cattolica, la Patria e la Famiglia. Perché era nei cosiddetti postriboli che queste tre istituzioni trovavano la più sicura garanzia.<ref>Citato in Daniele Abbiati, [http://www.ilgiornale.it/news/tresse-indro-nella-repubblica-delle-marchette.html ''La maîtresse di Indro nella Prima Repubblica delle marchette''], ''il Giornale.it'', 22 ottobre 2010.</ref> *In nome di quale razza noi faremmo del razzismo? Se c'è un paese (adesso non voglio offendere, perché io sono italiano come tutti gli altri), ma se c'è un paese bastardo è l'Italia, cioè a dire una confluenza di razze diverse.<ref>Dal programma televisivo di Rai 3 ''Eppur si muove'', 20 marzo 1994.</ref> *Io non mi sono mai sognato di contestare alla [[Chiesa (comunità)|Chiesa]] il suo diritto a restare fedele a se stessa, cioè ai comandamenti che le vengono dalla Dottrina... ma che essa pretenda d'imporre questi comandamenti anche a me che non ho la fortuna di essere un credente, cercando di travasarli nella legge civile in modo che diventi obbligatorio anche per noi non credenti, è giusto? A me sembra di no.<ref>Citato in [[Umberto Veronesi]], ''[http://www.repubblica.it/2008/10/sezioni/cronaca/eluana-eutanasia-3/comm-veronesi/comm-veronesi.html Non vince la scienza]'', ''la Repubblica'', 14 novembre 2008.</ref> *Io il giornale urlato non è che non glielo voglio dare, non lo so fare! La clava non è nel mio armamentario! Non lo posso fare e non credo che sia un buon segno di civiltà politica l'uso della clava.<ref name="milano" /> *Io non sono napoletano, ma di fronte a [[Peppino De Filippo|Peppino]], non so come, mi capita sempre di diventarlo.<ref name=Pappagone>Citato in ''Pappagone e non solo'', a cura di Marco Giusti, Mondadori, Milano, 2003.</ref> *{{NDR|Alla nipote Letizia Moizzi}} Io sarò il tuo Jukebox. Tu metti una monetina e io ti racconto un ricordo.<ref>Citato in Elvira Serra, «Scoprii che era importante quando le Br gli spararono. Lo convinsi io a prendere i farmaci per la depressione», ''Corriere della Sera'', 20 gennaio 2025.</ref> *Io non voglio soffrire, io non ho della sofferenza un'idea cristiana. Ci dicono che la sofferenza eleva lo spirito; no la sofferenza è una cosa che fa male e basta, non eleva niente. E quindi io ho paura della sofferenza. Perché nei confronti della morte, io, che in tutto il resto credo di essere un moderato, sono assolutamente radicale. Se noi abbiamo un diritto alla vita, abbiamo anche un diritto alla morte. Sta a noi, deve essere riconosciuto a noi il diritto di scegliere il quando e il come della nostra morte.<ref>Citato in Carlo A. Martigli, ''[http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2002/04/25/sul-diritto-alla-morte-si-discute-su.html Sul diritto alla morte si discute su Internet]'', ''la Repubblica'', 25 aprile 2002.</ref> *Kipling diceva: "un italiano, un bel tipo; due italiani, una discussione; tre italiani, tre partiti politici". I suoi concittadini, invece, li definiva così: "un inglese, un cretino; due inglesi due cretini; tre inglesi, un popolo". Vorrei avere a che fare con dei cretini che, insieme, facessero un popolo.<ref>Citato in Cristina Taglietti, ''[https://web.archive.org/web/20160101000000/http://archiviostorico.corriere.it/1998/dicembre/17/Montanelli_cari_studenti_volete_spaccate_co_0_98121712510.shtml Montanelli: cari studenti, se volete spaccate tutto ma è inutile]'', ''Corriere della Sera'', 17 dicembre 1998.</ref> *{{NDR|Riguardo all'approvazione della legge elettorale nota come mattarellum}} L'unico modello a cui possiamo rifarci è quello francese, non quello inglese. In un paese dove ci sono venti-venticinque partiti, come si fa l'uninominale a turno unico? Qui rischia di vincere un partito che ottiene il dieci percento, perché gli altri hanno ottenuto il sette, il sei. Ma le pare giusto questo? Io non so se è stata una follia o un atto criminale questa riforma elettorale. Io sono per la traduzione in processo dei legislatori, da [[Sergio Mattarella|Mattarella]] agli altri - non è stato il solo - i quali hanno fatto, come al solito, o creduto di fare gli interessi del proprio partito. Hanno fatto questa legge prima che venisse il diluvio universale di [[Mani pulite|Tangentopoli]], convinti che siccome loro erano il partito di maggioranza relativa spazzavano via l'Italia. Poi è venuta tangentopoli e ora piangono. Dovrebbero suicidarsi se avessero un minimo di dignità. Suicidarsi. Perché in nome degli interessi di partito hanno completamente rovinato l'Italia. [...] Questi legislatori che hanno truffato con questa legge - perché questa legge è una truffa - io vorrei sapere come mai non vengono processati. Dovrebbero essere processati per lesa patria.<ref name=conferenza>[https://www.youtube.com/watch?v=snbg12DCPSM Indro Montanelli presenta "La Voce", conferenza stampa integrale], 1994.</ref> *La cosa curiosa di [[Antonino Caponnetto|Caponnetto]] è che si va a schierare con [[Leoluca Orlando|Orlando]] che è stato il peggior denigratore di [[Giovanni Falcone|Falcone]]. E poi dice che fa l'antimafia, io vorrei sapere i voti a Orlando chi glieli ha dati.<ref>Citato in Riccardo Chiaberge ''[https://web.archive.org/web/20160101000000/http://archiviostorico.corriere.it/1994/marzo/21/Montanelli_voce_controcorrente_co_0_94032115801.shtml Montanelli la voce controcorrente]'', ''Corriere della Sera'', 21 marzo 1994.</ref> *La [[cultura]], per un giornalista, è come una puttana: la puoi frequentare ma non devi ostentarla. La cultura si tiene nel cassetto. Il lettore non va trattato dall'alto in basso, ma preso per mano come un amico e portato dove vuoi.<ref>Citato in [[Roberto Gervaso]], ''Ve li racconto io'', Mondadori, Milano, 2006, p. 294, ISBN 88-04-54931-9.</ref> *La cultura si è chiusa nella torre eburnea. Rimane lì, arroccata in sé stessa, perché ha orrore dei contatti col pubblico, si crede diminuita dai contatti col pubblico. Questa è la cultura italiana. È una cultura di cretini.<ref name="montecarlo">Radio Montecarlo, [https://www.youtube.com/watch?v=A77mrwIjSSs Intervista a Indro Montanelli], di Roberto Arnaldi, 1973.</ref> *La [[depressione]] è una malattia democratica: colpisce tutti.<ref>Citato nel programma televisivo ''Ippocrate'', Rai News, 13 giugno 2010.</ref> *La devolution mi preoccupa molto, perché la decomposizione della [[Repubblica Socialista Federale di Jugoslavia|Jugoslavia]] cominciò esattamente così: reclamata e imposta dai due grandi compari Tudjiman e [[Slobodan Milošević|Milosevic]] che distrussero l'unità del Paese per restare padroni in casa propria...<ref>Citato in Gian Guido Vecchi, ''[https://web.archive.org/web/20160101000000/http://archiviostorico.corriere.it/2001/aprile/08/Devolution_traffico_voto_rebus_co_7_0104088547.shtml Devolution e traffico, il voto è un rebus]'', ''Corriere della Sera'', 8 aprile 2001.</ref> *La guerra contro il [[brigantaggio]], insorto contro lo Stato unitario, costò piú morti di tutti quelli del [[Risorgimento]]. Abbiamo sempre vissuto dei falsi: il falso del Risorgimento che assomiglia ben poco a quello che ci fanno studiare a scuola.<ref>Citato in Stefano Preite, ''Il Risorgimento, ovvero, Un passato che pesa sul presente'', Piero Lacaita, 2009.</ref> *La lettura del ''[[Adolf Hitler#Mein Kampf|Mein Kampf]]'' io la renderei, per legge, obbligatoria. Fuori dal contesto in cui fu concepito e scritto, quel libro è un caciucco di coglionerie.<ref>Citato in Cesare Medail, ''Il «Mein Kampf» torna nelle librerie italiane. Grazie a un editore cossuttiano'', ''Corriere della Sera'', 6 maggio 2000.</ref> *La nostra classe politica ha fatto del [[partito]] una specie di totem intoccabile e gli ha attribuito tutti i poteri, con in più un diritto: il diritto di abusarne.<ref name=Dovere>Dal programma televisivo ''Dovere di cronaca'', Rete 4, 1988, [https://www.youtube.com/watch?v=caQgyvTKZS8 visibile su YouTube].</ref> *Le cose non sono importanti per quello che sono, ma per quello che uno ci mette.<ref name="cento">intervista di Enzo Biagi a Indro Montanelli, (1982), da "Cento anni", Fabbri video, 1993.</ref> *Le mie idee sono sempre al vaglio dell'[[esperienza]] e l'esperienza mi impone di rivederle continuamente.<ref name="IIIB">Da un'intervista del 1971, tratta da ''III B, Facciamo l'appello'' di Enzo Biagi; anche in ''[http://www.rai.it/dl/Rai5/programma.html?ContentItem-f04f3982-e954-471e-8242-78f92423550d Indro Montanelli, gli anni della televisione]'', puntata 7, di Nevio Casadio, Rai Premium, 2013.</ref> *[[Leo Longanesi]] che amava [[Marcello Marchesi]] rabbiosamente per lo spreco che faceva del suo talento, quando lo incontrava, gli diceva: "Devo fare una telefonata, mi dai un gettone di intelligenza?". E un giorno mi ordinò un epitaffio per lui. Eccolo: "Qui giace un nessuno — che se avesse voluto — avrebbe potuto diventare — Marcello Marchesi —. Purtroppo o per fortuna — non lo seppe mai —. Come tutti i geni — era un cretino".<ref>Citato in Paola Fallai, ''Marchesi, l'umorista che creò un'atmosfera'', ''La lettura'', ''Corriere della Sera'', 25 marzo 2012; riportato in ''[http://www.cinquantamila.it/storyTellerArticolo.php?storyId=0000001549183 Cinquantamila.it]''.</ref> *Mi accusano molto spesso di avere inventato degli aneddoti. È verissimo. Io ogni tanto invento quando devo descrivere un personaggio, specialmente negli incontri, io invento qualche aneddoto. Però sono sempre aneddoti funzionali, che servono a dimostrare quel certo carattere che mi sembra vero e di dover dimostrare.<ref name="IIIB" /> *Mi avvio verso il mio capolinea con l'angoscia di portare con me le cose che ho più amato: il mio paese e il mio mestiere, temo che non mi sopravviveranno.<ref>Da un'intervista del 1996, tratta da ''Tablet Italiani'', puntata 2, "Montanelli/Bocca", Rai Storia, 25 agosto 2013.</ref> *{{NDR|Su [[Vittorio Mangili]], in riferimento all'[[rivoluzione ungherese del 1956|insurrezione antisovietica in Ungheria nel 1956]]}} Ne ha combinate di tutti i colori. Ha fatto perfino il portaordini dei patrioti, a bordo di una delle loro automobili di collegamento.<ref>Citato in Roberta Scorranese, ''[https://www.corriere.it/cronache/22_ottobre_09/vittorio-mangili-cento-anni-dell-inviato-rai-io-budapest-madre-teresa-1efd76ca-473a-11ed-8ee2-07ab17a2d97d.shtml Vittorio Mangili, i cento anni dell’inviato Rai «Io, da Budapest a Madre Teresa»]'', ''corriere.it'', 8 ottobre 2022.</ref> *Nei grandi [[giornale|giornali]] di oggi, che non possono farne a meno, chi comanda non è più nemmeno il [[direttore]]: è l'ufficio [[marketing]].<ref name="giornalista">Da: ''Repertorio della Fondazione Montanelli'', in ''Indro Montanelli - Gli anni della televisione 4: Io sono soltanto un giornalista'', a cura di Nevio Casadio, Rai Sat, 2009</ref> *{{NDR|Rivolto a [[Silvio Berlusconi|Berlusconi]] che voleva imporsi sulla linea editoriale de ''il Giornale''}} Nell'arte dell'imprenditoria, tu sei di certo un genio, ed io un coglione. Ma nell'arte della polemica il genio sono io, e tu il coglione.<ref name=Travaglio2004>Citato in Marco Travaglio, ''Montanelli e il Cavaliere'', Garzanti, Milano, 2004.</ref> *Nessuno di noi la strada della ribellione la batté sino in fondo, come voleva [[Berto Ricci|Ricci]]: per la semplice ragione che si trattava di una strada che fondi non ne aveva. Qualcuno poi scantonò in questo o in quello dei sette o otto partiti che aprirono le porte a questa generazione perduta. E forse si illuse di aver trovato un’altra bandiera. Io sono tra i rassegnati: so benissimo che di bandiere non posso averne altre e che l'unica che seguiterà a sventolare sulla mia vita è quella che disertai, prima che cadesse.<ref>Citato in Mario Bernardi Guardi, ''La giovinezza di Montanelli ebbe un nome: Berto Ricci'', ''Il Primato Nazionale'', 3 maggio 2016.</ref> *No, [[Marco Travaglio|Travaglio]] non uccide nessuno. Col coltello. Usa un'arma molto più raffinata e non perseguibile penalmente: l'archivio.<ref name=Travaglio2004/> *Noi italiani non crediamo in nulla e tanto meno nelle virtù che qualcuno ci attribuisce. Ma tra di esse ce n'è una nella quale riponiamo una fede incorruttibile: quella della nostra capacità di corrompere tutto.<ref>Citato in Mario Cervi, ''Ti ricordi Indro?'', Società europea di edizioni, Milano, 2017, p. 57. ISBN 9778118178454</ref> *Noi qui buttiamo tutte le colpe addosso agli altri. Ma bisogna fare i conti anche col popolo italiano. Siamo noi che li abbiamo eletti questi signori. Sono mica piovuti dalla luna. E allora non accaniamoci soltanto sulla classe politica. Noi siamo un elettorato disposto a ogni sorta di transazione, quando ci fa comodo.<ref name=conferenza /> *Non credo alle feste comandate. La memoria dovrebbe essere spontanea. L'unica cosa che si dovrebbe fare è raccontare veramente e in maniera spassionata ai giovani, che non lo sanno, cosa è stata la Shoah, senza fare mobilitazioni di folle.<ref>Citato in Marco Cremonesi, ''[https://web.archive.org/web/20160101000000/http://archiviostorico.corriere.it/2001/gennaio/28/Diecimila_piazza_con_nomi_dei_co_0_0101282160.shtml Diecimila in piazza con i nomi dei lager]'', ''Corriere della Sera'', 28 gennaio 2001, p. 31.</ref> *Non do più nessun significato a queste due parole {{NDR|destra e sinistra}}, le ritengo un cascame, un residuato di situazioni oramai defunte. [[Destra e sinistra]] non hanno più nessun significato e credo che noi ci stiamo attardando su una terminologia arcaica, oramai da seppellire.<ref>Radio Radicale, [https://www.radioradicale.it/scheda/598/599-elezioni Elezioni], 38:58-39:26, 25 maggio 1979.</ref> *Non mi si portino i soliti argomenti astratti, tipo la sacralità della vita: nessuno contesta il diritto di ognuno a disporre della sua vita, non vedo perché gli si debba contestare il diritto a scegliere la propria morte.<ref>Citato in Enrico Bonerandi, ''[http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2000/12/13/montanelli-pronto-morire.html Montanelli: pronto a morire]'', '' la Repubblica'', 13 dicembre 2000, p. 36.</ref> *{{NDR|Il Polo delle Libertà}} Non venga a farci credere che è costretto all'[[Aventino (espressione)|Aventino]] dal clima di violenza creato dall'Ulivo. Dove diavolo la vede questa violenza? Mi basta guardare la faccia di [[Romano Prodi|Prodi]] 1996 per metterla a confronto con quella di Mussolini 1924 per escludere che in Italia corriamo il pericolo di una dittatura. Per fare una dittatura ci vuole un dittatore.<ref>Citato in Alessandro Longo, ''[https://rep.repubblica.it/pwa/generale/2018/03/17/news/aventino-191559602/?ref=pwa-rep-hp-2-1-1 Perché si dice Aventino]'', ''Rep.repubblica.it'', 17 marzo 2018.</ref> *{{ndr|su [[Gianni Agnelli]]}} Parla con la propria bocca, pensa con il cervello di Valletta, col cuore di Giulio De Benedetti e con gli interessi polivalenti della Fiat.<ref>Citato in Paolo Granzotto, ''Montanelli'', p. 129.</ref> *{{ndr|su [[Mariano Rumor]]}} Personaggio da commedia [[Carlo Goldoni|goldoniana]] più che da tragedia contemporanea.<ref>Citato in Paolo Granzotto, ''Montanelli'', p. 145.</ref> *Posso solo dire che l'Italia del Cattaneo è quella che conserva qualche probabilità di salvarsi da questo degrado politico, culturale, morale, economico. E l'Italia del Cattaneo è quella Cisalpina. A nord del Po, e forse anche in Emilia, esistono tracce di coscienza civile e anche di classi dirigenti sane. Poi c'è un'Italia centrale, quella toscana e umbra e marchigiana, che conserva le sue peculiarità, i suoi caratteri spiccati che affondano le radici nell'Italia comunale e rinascimentale. Il resto è un disastro che non saprei come salvare. Del resto Cattaneo ci tentò, andò a Napoli e resistette qualche giorno. Poi si arrese e se ne tornò nella sua Lugano, nella sua Svizzera.<ref name=Italia>Citato in ''Il grande vecchio del giornalismo rilegge gli ultimi anni della nostra storia'', ''L'Indipendente'', 25 luglio 1995.</ref> *Pur ricordandovi che la nostra regola è quella di non tener conto delle intemperanze altrui, specie dei politici, e di dire sempre la verità, tutta la verità, senza partito preso né animosità verso nessuno, vi autorizzo a comunicare al [[Bobo Craxi|suddetto signore]], se ve ne capita l'occasione, che l'unica «testa» in pericolo di cadere dopo il 5 aprile non è la vostra ma, casomai, la sua. E potete aggiungere, da parte mia, che non la considererei una gran perdita.<ref>Citato in [[Federico Orlando]], ''Il sabato andavamo ad Arcore'', Larus, Bergamo, 1995.</ref> *[[Sandro Pertini|Pertini]] ha interpretato al meglio il peggio degli italiani.<ref>Citato in Franco Fontanini, ''Piccola antologia del pensiero breve'', Liguori Editore, Napoli, 2007, p. 12.</ref> *Quando mi viene in mente un bell'aforisma, lo metto in conto a [[Montesquieu]], od a [[François de La Rochefoucauld|La Rochefoucauld]]. Non si sono mai lamentati.<ref>Citato in Luigi Mascheroni, ''[http://www.ilgiornale.it/news/mai-dette-ripetiamo-sempre-ecco-frasi-fantasma-storia.html Mai dette, ma le ripetiamo sempre. Ecco le frasi fantasma della storia]'', ''il Giornale'', 21 marzo 2009, p. 22.</ref> *Quello che ci ripugna è che, per mettere un controllo all'autorità politica, ci sia bisogno di ricorrere all'autorità giudiziaria. Cioè che, alla fine, noi avremo le riforme istituzionali non per via politica, ma per via giudiziaria e processuale. Questo ci allarma anche perché, come avrete ben capito, la mia opinione dei politici è molto bassa, ma quella dei giudici non è migliore. Perché anche i giudici sono stati corrotti dalla partitocrazia. Lo dimostra il semplice fatto che molti di loro ostentano la tessera di partito. Un giudice che ha venduto la propria imparzialità ai partiti è un giudice che, prima di processare gli altri, dovrebbe essere processato lui e cacciato in galera. Lo so che a dire queste cose si possono avere dei dispiaceri, ma io di dispiaceri in vita mia ne ho avuti tanti che, uno più o uno meno, non mi fa nessunissimo effetto.<ref name=Dovere/> *{{NDR|[[Carmen Lasorella]]}} Richiama tanta attenzione non solo per la sua bravura ma anche per quel che possiede dal cervello in giù.<ref>Citato in Luigi Mascheroni, ''[https://books.google.it/books?id=gtg7AQAAIAAJ&q=%22Richiama+tanta+attenzione+non+solo+per+la+sua+bravura+ma+anche+per+quel+che+possiede+dal+cervello+in+gi%C3%B9+%22&dq=%22Richiama+tanta+attenzione+non+solo+per+la+sua+bravura+ma+anche+per+quel+che+possiede+dal+cervello+in+gi%C3%B9+%22&hl=it&newbks=1&newbks_redir=0&sa=X&ved=2ahUKEwiC2PXRl5WDAxVs4AIHHazPCd4Q6AF6BAgHEAI Sette, settimanale del Corriere della sera, Edizioni 1-9]'', 1996.</ref> *Sfido io che {{NDR|''il Giornale''}} non va bene come vendite. Non va bene come vendite perché noi siamo ancora alla macchina Olivetti. Qui non è stato fatto mai nessun investimento ed è stato detto chiaro che gli investimenti non sarebbero venuti finché io ne fossi il direttore. Questa è la situazione.<ref name="milano" /> *Siamo un paese cattolico, che nella [[Provvidenza]] ci crede o almeno ne è affascinato. Il pericolo è questo: gli [[italia]]ni sentendo aria di provvidenza sono sempre pronti a mettersi in fila speranzosi.<ref name=Provvidenza>Citato in ''[http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/1994/02/24/rivogliono-uomo-della-provvidenza.html?ref=search Rivogliono l'uomo della provvidenza]'', ''la Repubblica'', 24 febbraio 1994, p. 11.</ref> *Se avessi potuto immaginare come sarebbe stata distrutta la vecchia classe politica italiana - che meritava la distruzione, sia chiaro - se avessi potuto immaginare che la distruzione della vecchia classe politica italiana, in gran parte marcia, avrebbe dischiuso una situazione come quella attuale e che la vecchia legge proporzionale sarebbe stata sostituita dall'attuale legge maggioritaria così come è stata compilata, io avrei forse difeso la vecchia classe. Per lo meno non mi sarei battuto con tanta asprezza e con tanto vigore contro quella classe politica, che meritava di finire, ma a cui si stanno dando dei successori che, ricordatevelo bene, ci faranno rimpiangere quella vecchia. È il peggio che si può dire. Ma io lo dico. Perché non riesco proprio a vedere cosa sta venendo fuori da questo rimescolio di carte.<ref name=conferenza /> *{{NDR|«Se dovesse fondare un giornale a novant'anni, che giornale farebbe?»}} Se io dovessi oggi fare un giornale, farei un ''Foglio'' un po' più grande: invece che di 4 facciate di 10 o di 12. Non di più. Con una redazione ridottissima e facendo un preventivo che mi mettesse al riparo dalle delusioni. Mirerei ad avere non più di venti/trentamila lettori e non avere pubblicità. Su queste basi, forse, riuscirei a fare un [[giornale]] di alto prestigio, ma purtroppo destinato a una élite.<ref name="giornalista" /> *Sta arrivando l'uomo della provvidenza. E io, in vita mia, di questi personaggi ne ho già conosciuto uno. Mi è bastato. Per sempre.<ref name=Provvidenza></ref> *Una cultura che perde i contatti col pubblico si sterilisce e muore. Questa è la verità. E la nostra cultura è assolutamente sterile. Noi culturalmente non contiamo più nulla nel mondo. Perché? Perché è chiusa in sé stessa, la cultura, ha perso i contatti col pubblico, con la vita. Non c'è più. Sono mummie. Non è più cultura: è mafia.<ref name="montecarlo" /> *{{NDR|Su [[Aldo Moro]]}} Un generale che, sfiduciato del proprio esercito, credeva che l'unico modo di combattere il nemico fosse quello di abbracciarlo.<ref>Citato in [[Roberto Gervaso]], ''Ve li racconto io'', Mondadori, Milano, 2006, p. 310, ISBN 88-04-54931-9.</ref> *Un giorno fui convocato a Palazzo Venezia, era il 1932 e avevo 23 anni, perché il duce voleva vedermi. Ero emozionatissimo, entrai e mi misi sull'attenti, e il duce che faceva finta di scrivere mi lasciò lì per un quarto d'ora e alla fine mi disse: "Ho letto il vostro articolo sul razzismo (avevo scritto un articolo contro il razzismo). Bravo, vi elogio. Il razzismo è roba da biondi (non si era accorto che ero biondo), continuate così. Sei anni dopo fece le leggi razziali. Perché questo era [[Benito Mussolini|Mussolini]], diceva una cosa e ne faceva un'altra, secondo il vento del momento. Non creava il vento, vi si accodava da buon italiano.<ref>Citato in Gianna Fregonara, ''[https://web.archive.org/web/20160101000000/http://archiviostorico.corriere.it/2010/gennaio/24/Dal_balcone_Mussolini_bianco_sorriso_co_9_100124324.shtml Dal balcone di Mussolini al bianco sorriso di Belen]'', 24 gennaio 2010, p. 34.</ref> *{{NDR|Su [[Giorgio La Pira]]}} Un pasticcione ben intenzionato che, nel nome del Signore, appoggia le peggiori cause appellandosi ai migliori sentimenti.<ref>Citato in [[Roberto Gervaso]], ''Ve li racconto io'', Mondadori, Milano, 2006, p. 236, ISBN 88-04-54931-9.</ref> ===Citazioni tratte da suoi libri=== *{{NDR|Sul funerale di [[Leo Longanesi]]}} Al cimitero ci si ritrovò in una decina di persone, non di più. Non ci furono cerimonie né discorsi. Solo la piccola Virginia, che avrà avuto quattordici anni, mentre la bara di suo padre calava nella tomba, mormorò: «E dire che gli orfani mi sono sempre stati così antipatici...» Una frase che sarebbe piaciuta moltissimo a Leo.<ref>Dalla presentazione a [[Leo Longanesi]], ''In piedi e seduti'', Longanesi & C., Milano, 1968.</ref> ====''Caro Indro...''==== *L'aureola di martire a Craxi nessuno è disposto a riconoscergliela, proprio perché inconciliabile con l'arroganza con cui si comporta. Nessun paragone col contegno di Andreotti, davvero ineccepibile. Sul banco degli imputati ci sta da imputato, dimentico di essere stato per ben sette volte capo del governo. Parla solo se interrogato, e a bassa voce. Non rinuncia alla propria dignità, ma non la ostenta. Eppoi, le colpe che gli si addebitano saranno anche più gravi di quelle che si addebitano a Craxi, ma meno spregevoli. Potrà anche aver baciato Riina (sebbene a me questo appaia poco credibile). Ma del pubblico denaro non risulta che gli sia scivolata in tasca nemmeno una lira. Forse merita la fucilazione. Lo spregio, no. (31.1.1996) (p. 9) *Non ho mai conosciuto [[Yasser Arafat|Arafat]], né mai ho cercato di conoscerlo: non mi pare che il suo aspetto inviti alla simpatia. Però non l'ho mai considerato un criminale anche se si trovava alla testa di un'[[Organizzazione per la Liberazione della Palestina|organizzazione]] in cui di criminali ce ne sono molti. E oggi non lo considero affatto un eroe, ma un uomo coraggioso sì, perché lo ritengo in costante pericolo di vita. La lotta per il potere, dentro l'Olp, è a coltello: e i nemici di Arafat sono quelli che il coltello lo maneggiano meglio di tutti. Stringendo la mano a [[Yitzhak Rabin|Rabin]], Arafat ha moltiplicato i suoi nemici e li ha resi ancora più rabbiosi. È un uomo a rischio, non c'è dubbio. E se muore lui, addio pace in Medio Oriente. (4.10.1993) (p. 11) *Certo che il passato dell'Olp, carico di bombe e di sangue, non è la migliore referenza per un Nobel, ma Arafat è però anche l'unico interlocutore palestinese: dopo di lui c'è il nulla, o meglio soltanto gruppi di fanatici votati alla violenza e alla distruzione di [[Israele]]. Una volta presa la decisione di premiare i protagonisti del tormentato processodi pace in Medioriente [...] si è dovuto fare di necessità virtù e dare il riconoscimento anche all'uomo che per molti anni è stato un simbolo del terrorismo, nonché l'ispiratore di tante altre «lotte armate»: premiare solo Rabin e [[Shimon Peres|Peres]] sarebbe stato uno schiaffo ai palestinesi, un'iniziativa controproducente. [...] Forse più che il Nobel per la pace meriterebbe quello per il ravvedimento... (30.10.1994) (p. 12) *«Libera Chiesa in libero Stato» è una formula più d'effetto che di sostanza. Potrebbe anche significare che Chiesa e Stato si ignorano a vicenda e ognuno dei due si attribuisce i poteri che più gli aggradono: che è il modo più sicuro per litigare, non certo per convivere. Fra i due ci deve essere un patto improntato al reciproco rispetto: condizione più facile da formulare che da realizzare. Ma sembra che lo sviluppo di questo rapporto negli ultimi anni abbia fatto più passi indietro che avanti. E mi pare che dello stesso parere sia il capo dello Stato, Carlo Azeglio Ciampi. Meno male (7.3.2001) (p. 30) *Ho fiducia in [[Massimo D'Alema|D'alema]], anche se non voterò mai per lui. Ho fiducia per due motivi. Prima di tutto perché, fra i leader di oggi, è l'unico vero professionista della politica. Eppoi perché non ho dubbi sulla sua intenzione di fare del Pds un partito socialdemocratico o laburista. Se non fosse così, non solo Prodi ma nemmeno Veltroni sarebbero al suo fianco. E appunto perché è così, sono convinto che consumerà fino in fondo il divorzio da Rifondazione. Lo consumerà cercando di non farsene portar via molti elettori. Ma lo consumerà per conquistare i moderati: altra strada non può battere. E proprio in questi giorni lo ha dimostrato sacrificando anche quella piccola falce e martello che tuttora sopravviveva nel simbolo del suo partito ai piedi della Quercia. Non era che un «segno», dirà qualcuno. Sì, ma che segno! (17.5.1995) (p. 42) *Anch'io sono stato in passato un fautore dell'elezione diretta, cioè per consultazione popolare, del Capo dello Stato. Mi pareva il mezzo più efficace per sottrarre almeno il Quirinale agl'intrallazzi dei partiti e per avere un garante al di sopra di essi. Ma poi ho dovuto cambiare idea di fronte alle prove di balordaggine, d'ignoranza, di totale mancanza di consapevolezza morale e civile dell'elettorato italiano, o almeno della sua maggioranza. È un elettorato sempre pronto a correre dietro a qualche ciarlatano che sappia vendere bene la sua merce e a lasciarsene trascinare nelle imprese più insensate. Insomma considero la stupidità più pericolosa degl'intrallazzi. (23.12.1998) (p. 47) *Non credo che [[Diana Spencer|Diana]] rimarrà nella memoria dei posteri. Era una bella e simpatica ragazza, che avrebbe anche potuto essere una buona moglie e una buona madre, ma che non aveva certamente la stoffa e le dimensioni umane, comportamentali di una regina. Più e meglio che sul trono, il suo personaggio avrebbe figurato in un romanzo di Liala. Non riesco ad accostarla a figure storiche (17.9.1997) (p. 72) *Mussolini non aveva la stoffa del criminale né di guerra né di pace. Dicendolo, so di espormi alle contumelie della cosiddetta intellighenzia. Ma ne ho già ricevute tante che non mi fanno più nessun effetto. Tuttavia mi rendo conto che alla condanna a morte non avrebbe potuto sfuggire perché almeno un responsabile delle catastrofi che si erano abbattute sull'Italia si doveva pur trovare, e non poteva essere che lui. Però c'è da ringraziare Dio, e per esso, il Comitato di liberazione nazionale che ne ordinò (o avallò) la fucilazione sul posto perché un processo a Mussolini avrebbe ancora più spaccato un Paese già spaccato dalla guerra civile (per chiamare col suo vero nome, la Resistenza). E credo che anche gli Alleati trassero un respiro di sollievo dal venirne esentati. Un processo avrebbe messo in imbarazzo anche loro per le indulgenze che avevano avuto verso di lui e quella parodia di totalitarismo ch'era stata il suo regime. Una Norimberga italiana sarebbe stata anch'essa una parodia. La fucilazione sul posto di Mussolini era un atto dovuto. Quello che non era dovuto, e che per gl'italiani provvisti di qualche senso dell'onore e della decenza rimarrà una indelebile vergogna, fu la scena di piazzale Loreto (30.6.1999) (pp. 89-90) *{{NDR|«Poni che ti regalino una telecamera, con il diritto di spiare per un mese, non visto, un potente della Terra, a tua scelta, dalla regina Elisabetta a Gheddafi, da Saddam a Clinton. Quale personaggio ti incuriosirebbe di più?»}} [[Vladimir Putin|Putin]]. Credo che sia una canaglia perché solo le canaglie potevano arruolarsi e fare carriera in un corpo di polizia come il Kgb. Ma è proprio di una canaglia che la [[Russia]] ha bisogno per ricompattarsi all'interno, risollevarsi dal caos in cui l'ha precipitata il crollo di un regime totalitario durato settant'anni, e riprendere nel gioco delle potenze mondiali il posto che spetta a un Paese di 250 milioni di abitanti, di grandi tradizioni e d'inesauribili risorse naturali. L'Occidente ha bisogno della Russia: è il suo antemurale verso un Oriente che può riservarci amare sorprese. [...] Non facciamoci illusioni sull'avvenire di una democrazia in Russia. Essa ha bisogno [...] di una mano forte e spregiudicata, di una canaglia insomma. [...] Ecco perché mi piacerebbe conoscere Putin: per vedere se è la canaglia di cui mi pare abbia bisogno la Russia in questo momento: un «momento» destinato a durare parecchi decenni. (18.10.2000) (pp. 104-105) ====''Il testimone''==== *[[Corrado Carnevale|Carnevale]] ha dichiarato in un'intervista che la notte non ha bisogno di sonniferi per dormire perché, nei confronti della Legge, la sua coscienza è a posto. Ci crediamo senz'altro. Ma se si ponesse la stessa domanda nei confronti della Giustizia, mi domando se i suoi sogni sarebbero altrettanto tranquilli. E ci rendiamo tuttavia conto che questa domanda non se la porrà mai, e anzi gli sembrerà del tutto stravagante. Perché, per un magistrato italiano, la Legge con la Giustizia non ha nulla a che fare. (da p. 386) ====''Il meglio di «Controcorrente» 1974-1992''==== *Il «comitato permanente antifascista» di Milano ha deciso di chiedere un «riconoscimento» per tutti coloro che sono stati «coinvolti direttamente nella strategia della tensione a partire dal 1º gennaio 1969». Ci risiamo. Tutta la nostra vita è stata angosciata e angariata dagli antemarcia: prima quelli del Littorio, poi quelli della Resistenza, ed ecco che ora spuntano quelli della «tensione». Longanesi aveva ragione: in questo Paese, reduci si nasce. (p. 47) *Agli alunni della terza classe (anni otto-nove) della scuola elementare di via Pisani, Milano, è stato assegnato il seguente problema: «Mario, Gino e Beppino sono i capi della banda. Mario dice a Gino che la banda ha quasi esaurito le munizioni: rimangono solo 5 cassette con 130 pallottole per cassetta. Quante pallottole rimangono?». Debolucci come siamo, in aritmetica, non lo sappiamo nemmeno noi. Ma ci pare che una per l'insegnante e una per il ministro Malfatti ci dovrebbero ancora essere. (p. 79) *Il messaggio di addio che il dimissionario capo dello Stato ha detto alla televisione e che anche noi pubblichiamo, è ineccepibile. Esso dà del presidente [[Giovanni Leone|Leone]] un'immagine che non fa una piega: un galantuomo all'antica, padre di una famiglia esemplare, ingiustamente calunniato da una stampa irresponsabile. Siamo sicuri che tutto questo si può dire di Leone. Ha un solo difetto: che a dirlo è stato Leone. (p. 84) *A Roma, nonostante tutte le ricerche fatte, non è stato possibile trovare un locale disponibile per un convegno di radicali. Non ce n'era uno abbastanza piccolo per contenerli tutti. (p. 103) *Qualcuno teme – e qualche altro spera – che l'Afghanistan diventi il Vietnam dei russi. Niente paura, in Afghanistan non ci sono giornalisti. (p. 112) *Quella del ''Corriere'' non è una situazione invidiabile: il direttore in congedo per l'affare della P2, manager ed articolisti contestati per lo stesso motivo, il maggiore azionista in galera, accusato di reati valutari, montagne di debiti, trasparenza della proprietà limpida come un mare in burrasca. Ci sarebbe davvero da mettersi le mani nei capelli. Se non fosse un giornale di [[Roberto Calvi|Calvi]]. (pp. 125-126) *Quando leggiamo «ministro senza portafoglio», ci viene sempre un dubbio. Che glielo abbia rubato qualche collega? (p. 146) *L'[[Organizzazione per la Liberazione della Palestina|Olp, Organizzazione per la liberazione della Palestina]], è stata ammessa con voto unanime, anche se provvisoriamente, nel Comitato olimpico asiatico. Non sapevamo che il lancio della bomba fosse diventato una disciplina atletica. (pp. 171-172) *A suo tempo imprigionato dagl'israeliani per complicità col terrorismo palestinese, e liberato per l'intervento del Vaticano con l'impegno di astenersi dalla politica, l'Arcivescovo libanese di Gerusalemme [[Hilarion Capucci]] ha dichiarato in un'intervista all'''Europeo'' che i rivoltosi di Gaza e della Cisgiordania non ricevono ordini da nessuno: «Li prendono solo da Dio, loro unico leader». Lo abbiamo sempre detto, noi: a grattare un arabo, anche se cristiano e Monsignore, viene fuori un Ayatollah. Ma forse non c'è neanche bisogno di grattare. (p. 184) *Da Praga [[Bettino Craxi]] proclama che «bisogna liberare l'Italia da Falci e Martelli». Benissimo. Ma chi è Falci? (p. 206) *[[Pino Rauti]] è intenzionato a candidare un africano alle elezioni comunali fiorentine. Più che giusto: il nero si addice al Msi. (p. 209) *Per evitare pubblicità attorno al caso di [[Angelo Peruzzi|Peruzzi]] e [[Andrea Carnevale|Carnevale]], i due giocatori giallo-rossi risultati positivi all'antidoping, il presidente della Roma, [[Dino Viola]], ha deciso di portare tutta la squadra in ritiro. A San Patrignano. (p. 216) *Secondo ''La Notte'' di ieri – che riferisce dichiarazioni d'un capo della Jihad islamica, Ibrahim Serbell – i terroristi arabi hanno nel loro mirino, per quanto riguarda l'Italia, «uomini politici, aeroporti e alcuni obiettivi strategici». Siamo molto preoccupati per gli aeroporti e gli obiettivi strategici. (p. 220) *La fantapolitica non è il nostro esercizio preferito. Ma ci chiediamo che cosa succederebbe se, con un colpo alla Moro, i terroristi si impadronissero di Cossiga e lanciassero al governo il ricattatorio ultimatum: «Se non ci date cento miliardi, lo liberiamo». (p. 228) *Malgrado tutto (e per tutto intendiamo proprio tutto), [[Moana Pozzi]] non è riuscita ad entrare a Montecitorio. Peccato. È l'unica Camera che non potrà dire di aver frequentato. (p. 236) *Sull'''Unità'' è comparsa la lettera di un deputato che, pericolosamente sfiorato da un motociclista, invoca drastiche misure penali contro i «teppisti al volante». Ci associamo alla proposta. L'unica cosa che ci sconcerta è la firma del proponente: è quella dell'onorevole [[Mario Gozzini]], autore della famosa legge che in pratica vorrebbe l'indulgenza plenaria per qualsiasi reo e reato. (p. 244) ===Attribuite=== *Berlusconi non delude mai: quando ti aspetti che dica una scempiaggine, la dice.<ref name=Travaglio2004/> :In ''Io e il cavaliere qualche anno fa'', ''Corriere della Sera'', 25 marzo 2001, p. 1, Montanelli attribuisce la citazione a «un'alta personalità della Finanza, nota anche per il suo infallibile fiuto degli uomini». La frase esatta è: «Avrà anche i suoi difetti, ma un merito bisogna riconoscerglielo: quello di non deludere mai. Quando ti aspetti che dica una scempiaggine, la dice». ==Interviste== {{cronologico}} *{{NDR|La guerra coloniale etiopica}} Considerandola oggi, con la mia maturità d'oggi, {{NDR|è}} un'avventura di una stupidità senza fine. Ma immaginiamo un ragazzo di 24 anni messo al comando di una banda indigena, con 100 uomini neri – lui solo bianco – buttato all'avventura in quella guerra che di combattimenti ne ebbe molto pochi – non voglio passare per un gran guerriero, affatto – ma furono un anno e mezzo a cavallo, di cavalcate in questa natura selvaggia (ripeto, combattimenti ben pochi). {{NDR|«Dicono anche che lei aveva una moglie, diciamo indigena, molto bella, che era la più bella di tutte quelle che avevano gli ufficiali d'allora»}} Sì. {{NDR|«Era molto invidiato per questo»}} Pare che avessi scelto bene, era una bellissima ragazza bilena, di 12 anni – {{NDR|sorridendo}} scusatemi, ma in Africa è un'altra cosa – e così l'avevo sposata, nel senso che l'avevo regolarmente comprata dal padre che mi ha accompagnato insieme alle mogli dei miei ascari. Queste mogli degli ascari non è che seguissero la banda, ma ogni 15 giorni raggiungevano la banda: io non ho mai capito come facessero a trovarci in questo infinito dell'Abissinia. Quelle arrivavano e arrivava anche questa mia moglie con la cesta in testa, che mi portava la biancheria pulita. [...] {{NDR|Domanda del pubblico: «Lei ha detto tranquillamente di avere avuto una sposa, diciamo, di 12 anni e a 25 anni lei non si è peritato affatto di violentare una ragazza di 12 anni, dicendo "Ma in Africa queste cose si fanno". Io vorrei chiedere a lui come intende normalmente i suoi rapporti con le donne date queste due affermazioni»}} No signorina guardi, sulla violenza, nessuna violenza perché le ragazze in Abissinia si sposano a 12 anni. Non è questione, Quindi. {{NDR|Domanda del pubblico: «Su un piano di consapevolezza dell'uomo, insomma, il rapporto con una bambina di 12 anni è il rapporto con una bambina di 12 anni. Se lo facesse in Europa rischierebbe di violentare una bambina, vero?»}} Sì, in Europa sì, ma lì no. {{NDR|«Ecco, appunto»}} Lì no. {{NDR|«Quale differenza crede che esista dal punto di vista biologico, o anche psicologico?»}} No, guardi, {{NDR|«Dal punto di vista del costume»}} lì si sposano a 12 anni, non è questione. A 12 anni si sposano. {{NDR|«Ma non è il matrimonio che lei intende, a 12 anni in Africa. Guardi, io ho vissuto in Africa»}} Sì. {{NDR|«Quindi il vostro era veramente il rapporto violento del colonialista che veniva lì e si impossessava della ragazza di 12 anni»}} No... {{NDR|«Ma glielo garantisco, senza assolutamente tener conto di questo tipo di rapporto sul piano umano. Eravate i vincitori, cioè i militari che hanno fatto le stesse cose ovunque sono stati i vincitori, ovunque gli uomini si sono presentati come dei militari. La Storia è piena di queste situazioni»}} {{NDR|sorridendo}} Signorina, non so se lei vuole istruirmi un processo «a posteriori». {{NDR|«No, no, affatto. Guardi, ho soltanto voluto chiederle, per inciso, come lei intende – dopo le due interpretazioni – i rapporti con le donne»}} Dipende da cosa si mette dentro, dipende anche da cosa le donne mettono dentro di noi. È tutto un giuoco di specchi. {{NDR|«Ma lei vede sempre la donna in questa veste passiva di adulatrice, oppure di compagna – che appare e scompare – dell'uomo, non l'ha mai vista in una funzione diretta, attiva e diversa. Questo è un po' il dramma degli uomini della sua generazione»}} {{NDR|sorridendo}} Può darsi. Della mia generazione? Solo? {{NDR|«Credo»}} {{NDR|sorridendo}} Vabbè. Può darsi. (Da ''L'ora della verità'', 22 ottobre 1969) *{{NDR|Domanda del pubblico: «Io vorrei sapere perché lei, che si ritiene un osservatore, non ha mai affrontato il discorso sulla contestazione giovanile, tenendo anche presente il fatto che lei cerca il lettore. Lei ai giovani non dice assolutamente niente come giornalista»}} Come? {{NDR|«Se c'è un pubblico che lei sta perdendo, e forse non ha mai avuto, è proprio quello dei giovani. Vorrei sapere come mai lei non ha mai affrontato il discorso sulla contestazione, sulla realtà giovanile che è esplosa in questi ultimi anni»}} Signorina, io avrei tanto volentieri affrontato il discorso sulla contestazione se fosse possibile agganciare il discorso coi contestatori. Ma coi contestatori io non faccio il [[Alberto Moravia|Moravia]]. No. Non vado a farmi spernacchiare dai giovani, mi dispiace tanto. Né dai giovani, né da nessun altro. {{NDR|«Lei ha paura, scusi, di affrontare un discorso»}} No, io non ho paura, ma non ammetto di essere accolto a quel modo. È proprio un fatto, così, di dignità. {{NDR|«E allora, scusi, lei a questo punto rinuncia a un pubblico come può essere quello dei giovani semplicemente, così, per non avere degli spernacchiamenti, per non compromettere – diciamo – questo suo successo a cui è arrivato»}} Ma scusi, ma che dialogo sono le pernacchie? Me lo vuole spiegare? (ibidem) *Certamente [[Benito Mussolini|Mussolini]] fu un grossissimo politico, un uomo politico di grandissimo fiuto, di tempismo formidabile: lo dimostrò la facilità con cui vinse. Forse dovuta per metà alle sue capacità, alla sua bravura – parlo sempre come politico – e per metà all'insipienza, alla nullaggine dei suoi avversari, perché è tempo oramai di dire anche questo. Non c'è dubbio che il potere assoluto guastò completamente Mussolini: il Mussolini del 1930 non era certamente quello del 1940, il Mussolini di dieci anni dopo l'avvento al potere era diventato una specie di marionetta, la caricatura di sé stesso. Aveva perso proprio il senso della realtà, che era stato invece il suo forte da principio, il contatto col pubblico lo aveva perso, il senso della misura, e lo aveva dimostrato poi con gli errori madornali che ha fatto. Nei primi dieci anni credo che alcune cose buone le abbia fatte. Non credo che abbia ucciso la democrazia, credo che l'abbia soltanto seppellita perché era già morta. Da quel poco che ricordo l'Italia era un grosso carnevale, e anche abbastanza drammatico, perché la situazione interna era addirittura sfasciata: correva sangue, ne correva molto, noi in Toscana ne sapevamo qualcosa [...]. E quindi non è vero che lui... le democrazie non vengono mai uccise, le democrazie muoiono. Dopodiché si dà la colpa a chi le seppellisce, ma la verità è che si suicidano, e credo che la democrazia italiana del '21-22 si sia suicidata. [...] Mussolini capì una cosa fondamentale: che per piacere agli italiani bisognava dare a ciascuno di essi una piccola fetta di potere col diritto di abusarne. Questo era il fascismo. Il fascismo aveva creato una [[gerarchia]] talmente articolata e complessa che ognuno aveva dei galloni: il capofabbricato, il caposettore... tutti avevano una piccola fetta di potere, di cui naturalmente ognuno abusava, come è nel carattere degli italiani. (da ''Questo secolo'', 18 maggio 1982) *Ero all'estero, lavoravo nel giornalismo americano, alla ''United Press''. Chiesi alla mia agenzia di mandarmi come corrispondente in Abissinia. Giustamente mi dissero: «No, perché lei è un italiano, quindi logicamente non fa delle corrispondenze obiettive». Dico: «Avete ragione. Allora io vi lascio e vado volontario». Feci la mia brava domanda (la feci anche raccomandare). La domanda fu accolta, io fui mandato in Abissinia e, cosa un po' strana [...], a questo ragazzo di 23 anni [...] venne affidata una banda. [...] In quei due anni io contribuii a fare una cosa sbagliata, un'autentica fregnaccia qual era costruire un impero nel '35, quando coloro che lo avevano lo stavano già liquidando perché erano cose antistoriche. Ma io a 23 anni, a 24 anni, non potevo capire questo. Ebbi due anni di vita all'aria aperta, bella, di avventura, in cui credetti di essere un personaggio di Kipling, di contribuire a fare qualcosa di importante. Poi mi accorsi che non era vero, ma le cose non sono importanti per quello che sono, ma per quello che uno ci mette. E io in quel momento ci mettevo un grande entusiasmo: ebbi due anni di vita bellissima, a cavallo, con le tende, i miei uomini, libero, solo (perché non rispondevo a nessuno). Eh beh, compiango i giovani che non hanno avuto una simile esperienza. {{NDR|«E anche con una giovane moglie»}} E anche con una giovane moglie, {{NDR|indicando una fotografia}} eccola lì. Regolarmente sposata in quanto regolarmente comprata dal padre. {{NDR|«Quanti anni aveva?»}} Aveva 12 anni, ma non mi prendere per un Girolimoni. {{NDR|«Per un bruto»}} A 12 anni quelle lì erano già donne. {{NDR|«E tu dove l'avevi comperata?»}} L'avevo comprata a Saganèiti, un paese dove avevo mandato il mio emissario [...]. Me la comprò insieme a un cavallo e a un fucile, in tutto 500 lire. {{NDR|«E lei com'era?»}} Un animalino. Docile. Io le misi su un tucul con dei polli e poi, ogni 15 giorni, mi raggiungeva dovunque fossi, insieme alle mogli degli altri ascari. (ibidem) *Io esclusi immediatamente la responsabilità degli [[Anarchia|anarchici]] {{NDR|dalla [[strage di piazza Fontana]]}} per varie ragioni: prima di tutto, forse, per una specie di istinto, di intuizione, ma poi perché conosco gli anarchici. Gli anarchici non è che sono alieni dalla violenza, ma la usano in un altro modo: non sparano mai nel mucchio, non sparano mai nascondendo la mano. L'anarchico spara al bersaglio, in genere al bersaglio simbolico del potere, e di fronte. Assume sempre la responsabilità del suo gesto. Quindi, quell'infame attentato, evidentemente, non era di marca anarchica o anche se era di marca anarchica veniva da qualcuno che usurpava la qualifica di anarchico, ma che non apparteneva certamente alla vera categoria, che io ho conosciuto ben diversa e che credo sia ancora ben diversa. (da ''La notte della Repubblica'', 12 dicembre 1989) *La [[Lega Nord|Lega]] è una cosa sgradevole. Però le Leghe sono un fenomeno di reazione a una provocazione. È la politica nazionale, che fa nascere le Leghe. Questo non vuol dire che io le approvi. La reazione è sbagliata, ma provocazione c'è, le degenerazioni della partitocrazia ci sono. Che il pubblico denaro sia male amministrato e che a farne le spese siano soprattutto i cittadini del Nord non è contestabile. (da ''La Stampa'', 7 novembre 1990) *Ah, quel maledetto [[Toni Negri]], quel maledetto aizzatore dei sentimenti dei giovani che è vigliaccamente scappato dall'Italia per non affrontare il carcere. Per un Paese non c'è nulla di peggio che i cattivi maestri. Come punirli? Bisognerebbe impiccarli. Ripeto, impiccarli. (da ''L'Italia settimanale'', 1995) *Fu una pulizia etnica, bisognava far fuori gli italiani: allora si chiamarono fascisti e si ammazzarono, e si buttarono nelle [[massacri delle foibe|foibe]]. Questo avvenne dopo la fine della guerra, sia chiaro. Perché gli orrori di guerra, non dico che siano giustificabili, ma sono comprensibili, la guerra è di per sé stessa un orrore. No, queste... le foibe furono un'infamia commessa dopo la Liberazione, dopo la fine della guerra, e purtroppo vi hanno collaborato parecchi comunisti italiani, alcuni dei quali non solo sono ancora a piede libero, pur essendo vivi, ma ricevono delle pensioni di Stato. Ricevono delle pensioni di Stato. Però io ti posso dire questo: che come testimone oculare io ho visto anche in Croazia delle cose, da parte degli italiani, su cui è meglio sorvolare. Perché anche noi le abbiamo commesse, perché la guerra le comporta, questo è fatale, ecco. Quindi non facciamo tanto i moralisti. [...] No, questo {{NDR|tesi sloveno-croata sulla pulizia etnico-culturale da parte degli italiani durante il periodo di occupazione fascista}} è assolutamente falso. Pulizie etniche noi non ne abbiamo mai fatte, in nessun Paese occupato. Quando sento dire che noi facemmo anche la pulizia etnica in Etiopia, beh vabbè, mi cascano le braccia. Mi cascano le braccia. Quelle son menzogne infami, di gente o che non sa nulla, o che mente sapendo di mentire. Non è vero. Furono episodi, ma non di pulizia etnica, di rappresaglie. (dall'intervista al TG2, ''[http://www.youtube.com/watch?v=s9UXM_pKpqY Massacri delle foibe]'', 6 settembre 1996) *Tutto questo mi evoca dei ricordi poco simpatici. Era il [[fascismo]] che si conduceva così. Era il Fascismo che proibiva la satira, che in un paese civile e democratico dovrebbe essere assolutamente indenne da controlli politici; perché la satira non ha niente a che fare con la politica, anche se prende in giro la politica, ma si sa che è satira. Ed ogni regime serio e democratico accetta la satira, come si accettano le caricature. Era [[Benito Mussolini|Mussolini]] che non le sopportava. E qui pensano: «Ripuliremo la stalla», «Faremo piazza pulita». Ma questo linguaggio, al signor [[Gianfranco Fini|Fini]], chi glielo ispira? Ci ricorda delle cose che avremmo voluto dimenticare. Questa non è la destra, questo è il manganello. Gli italiani non sanno andare a destra senza finire nel [[manganello]]. [...] Alla Rai faranno piazza pulita, lo hanno già annunziato. Ma come si fa a definire democratico un partito che annunzia «Quando saremo al potere, noi faremo piazza pulita»? Ma questo è un linguaggio del peggiore squadrismo, che loro non sanno cosa fu, ma io me lo ricordo. Questo è il linguaggio con cui {{NDR|i fascisti}} andarono al potere. (da ''La settimana di Montanelli'', 17 marzo 2001) *Io voglio ringraziare Travaglio, perché ha detto l'assoluta e pura verità. Assolutamente. La versione che ha dato degli avvenimenti è quella esatta. [...] Io ho conosciuto due Berlusconi: il Berlusconi imprenditore privato che comprò ''il Giornale'' – e noi fummo felici di venderglielo, perché non sapevamo come andare avanti – su questo patto: tu, Berlusconi, sei il proprietario de ''il Giornale'', io, direttore, sono il padrone del ''Giornale'', nel senso che la linea politica dipende solo da me. Questo fu il patto fra noi due. Quando Berlusconi mi annunziò che si buttava in politica, io capii subito quello che stava per succedere. Cercai di dissuaderlo [...] ma tutto fu inutile. Dal momento in cui lo decise mi disse: «Ora ''il Giornale'' deve fare la politica della mia politica». Ed io gli dissi: «Non ci pensare nemmeno». Allora lui riunì la redazione come ha raccontato Travaglio – e questo lo fece a mia totale insaputa – e disse: «D'ora in poi ''il Giornale'' farà la politica della mia politica». E a quel momento me ne andai, cos'altro potevo fare? [...] Nella mia vita ci sono stati due Berlusconi, completamente opposti [...] questo fa parte del ritratto di Berlusconi. [...] Come capo politico è quello che io ho conosciuto in quei brutti giorni in cui scorrettamente, nella maniera più scorretta e più volgare, saltandomi, radunò la redazione de ''il Giornale'' per dirgli «Qui si cambia tutto» all'insaputa del direttore. Se questo sembra a Feltri un modo di procedere democratico e civile, è affar suo. (risposta telefonica a [[Marco Travaglio]] e [[Vittorio Feltri]] durante la trasmissione ''Il Raggio Verde'', 23 marzo 2001) *{{NDR|Silvio Berlusconi}} È il bugiardo più sincero che ci sia, è il primo a credere alle proprie menzogne. [...] È questo che lo rende così pericoloso. Non ha nessun pudore. (dall'intervista di Sophie Gherardi, ''L'Europa deve trattare il sig. Berlusconi con sdegno e disprezzo, non con ostilità'', ''Le Monde'', 8 maggio 2001<ref name=Travaglio2004/>) *Spero che l'Europa adotterà nei confronti di Berlusconi l'atteggiamento di indignazione e di disprezzo che merita. (dall'intervista di Sophie Gherardi, ''L'Europa deve trattare il sig. Berlusconi con sdegno e disprezzo, non con ostilità'', ''Le Monde'', 8 maggio 2001<ref name=Travaglio2004/>) {{Int|''Match''|a cura di Arnaldo Bagnasco, Alberto Arbasino e Maria Gefter Cervi, Rete 2, 18 gennaio 1978.}} *Io non stavo con Longanesi per ragioni ideologiche, anche perché io non ho mai capito quale ideologia avesse Longanesi. Longanesi non lo si poteva misurare sul piano ideologico, era sempre contro tutto e contro tutti. Era il frondista principe: lo è stato sotto il fascismo – e in fondo fece il più bel settimanale, forse, che abbia avuto l'Italia in questi ultimi decenni, credo: ''Omnibus'', che fu chiuso dal regime – e si è trovato sempre male con tutti i regimi. Che cosa pensasse in realtà Longanesi io, dopo un'amicizia di trent'anni, non sono mai riuscito a capirlo. Quello che mi affascinava di Longanesi, e che continua ancora oggi ad affascinarmi, è lo straordinario talento, l'inventiva, l'intuito, l'eleganza di Longanesi. Per cui io non consideravo le posizioni ideologiche di Longanesi, questo non m'interessava affatto. Per me era un fatto di vecchia amicizia: io sono un po' cresciuto con Longanesi, l'avrei seguito anche all'inferno perché con Longanesi si poteva andare anche all'inferno, diventava l'eden. *{{NDR|Sull'appello di votare DC nel 1976}} Questa può sembrare una contraddizione, ma che cosa avrei dovuto dire ai miei lettori? Di votare per chi? Questo è il punto. Oggi [...] i partiti laici ai quali io ideologicamente farei capo – liberale, repubblicano, socialdemocratico – fanno i pifferi di accompagnamento a un patto a sei, e questo era già nell'aria, prima del 20 giugno. Che cosa dovevo dire io ai miei lettori, «Votate per i pifferi di accompagnamento»? Francamente non me la sentivo. [...] Nonostante la mia etichetta di destra, io per i partiti di destra non mi schiererò mai. Io vorrei un centro: non lo trovo, non c'è. Un centro di opposizione democratica al regime che è già in atto non c'è. E allora che debbo fare? È colpa mia se la politica italiana non mi offre un centro? Io continuo a battermi per la costituzione di questo centro. *{{NDR|Domanda del pubblico: «Come mai in Italia non ci sono giornali indipendenti?»}} Io, per esempio, ho la presunzione – sarà infondata – di dirigere un giornale indipendente, perché vorrei sapere da chi prendo gli ordini. Me lo dica lei, Padre. {{NDR|«No, beh...»}} E allora, se non potete indicare qualcuno che mi dà gli ordini, io sono indipendente. {{NDR|«Rispondo anch'io da giornalista: è chiaro che un giornale non si sostiene con le idee sull'indipendenza, si sostiene con dei quattrini»}} Certo. {{NDR|«Allora io parlavo di un'indipendenza che, in quanto dipende da chi paga, è comunque una dipendenza ideologica. Questa era la domanda»}} Sì, l'ha scritto molto bene ''Repubblica'' [...] credendo di offendermi. Ha detto: «Il ''Giornale nuovo'' vive di collette». È vero, noi viviamo di collette, e io ne sono fiero perché le collette mi lasciano libero. {{Int|''Mixer''|a cura di Giovanni Minoli, Rete 2, 6 aprile 1981.}} *{{NDR|«Perché fu fascista fino al '37?»}} Questa è la storia della mia generazione, tutta la mia generazione è stata fascista fino al '35, al '36 o al '43. *{{NDR|«E perché smise di esserlo?»}} Perché noi credevamo che il fascismo fosse una cosa, e poi ci accorgemmo che era un'altra. *{{NDR|«Lei ha detto: "Buffoni, cafoni di natura, ''parvenus'', tutta gente in malafede, il bassettume, il pirellume, il cedernismo". Si riferiva alla Milano radical chic, ma che cosa voleva dire, esattamente?»}} Quello che ho detto. Veramente, io ne ho il più profondo disprezzo. Io accetto benissimo i comunisti: i comunisti sono gente seria, pericolosissimi, ma seri. I [[radical chic]] no. *{{NDR|«È sempre convinto del suicidio dell'anarchico Pinelli?»}} Assolutamente. *{{NDR|«Lei a Catanzaro, al processo per la strage di piazza Fontana, ha dichiarato: "Secondo me, il commissario Calabresi fu vittima di una campagna di stampa". Cioè?»}} No, non l'ho dichiarato a Catanzaro, lo dissi molto prima. Basta rileggere i giornali di quei tempi, e soprattutto i rotocalchi: veramente, Calabresi fu vittima di una campagna stampa infame e ingiusta, perché era uno dei funzionari più corretti che ci fossero. *{{NDR|«Pietro Valpreda, qui a ''Mixer'', ha definito Calabresi come "un tecnocrate del potere". Lei che cosa ne pensa?»}} Ma che significa «un tecnocrate del potere»? Un commissario di polizia serve il potere, chi diavolo deve servire? Valpreda? {{Int|''Faccia a Faccia: intervista a Indro Montanelli''|''Mixer'', a cura di Giovanni Minoli, Rai 2, 5 maggio 1985.}} *[[Renato Curcio|Curcio]] non sparava alle spalle, sparava di fronte, andava di persona a sparare. Naturalmente siamo su delle barricate opposte, ma io stimo Curcio. Lo stimo. È un uomo che secondo me ha delle idee sbagliate ma le serve, le serve da soldato vero. Con un suo galateo. Col suo coraggio. Senza mai rinnegarsi. Non si è pentito! *Io sono convinto che la magistratura debba essere indipendente, però chiedo ed esigo che abbia un autogoverno di controllo, e che soprattutto risponda dei suoi gesti. Oggi noi abbiamo una magistratura che non risponde a nessuno dei suoi errori spesso catastrofici, perché hanno distrutto uomini, hanno distrutto aziende per delle cose che poi si son rilevate insussistenti. Mai un magistrato ha pagato per questo. Io voglio che i magistrati paghino. Non dico a dei poteri esterni, ma perlomeno al potere a cui viene affidata la disciplina nella categoria. *Tutta l'intellighenzia italiana ha una vecchia tradizione di servilità, com'è logico, perché si è sviluppata in un Paese analfabeta, per secoli e secoli analfabeta. Non avendo il lettore doveva per forza procurarsi il protettore. Scriveva per il protettore. *{{NDR|«Il suo peggior difetto qual è, Montanelli?»}} Quello di non riconoscermene nessuno. *{{NDR|«[[Leo Longanesi|Longanesi]], parlando di lei, un giorno disse che lei capiva le cose con dieci mesi di anticipo rispetto a tutti gli altri. Ecco, tra dieci mesi cosa vede in [[Italia]]?»}} Queste erano le cose di Longanesi, ma in realtà io non riesco a vedere tra dieci giorni. {{Int|''[http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/1991/11/16/giangi-feltrinelli-io-non-ti-perdono.html 'Giangi' Feltrinelli io non ti perdono]''|''la Repubblica'', 16 novembre 1991, p. 33.}} *[[Giangiacomo Feltrinelli|Lui]] fu l'emblema di tutto quanto accadde in quegli anni {{NDR|Anni della contestazione}}. A differenza della [[Francia]], eravamo un paese da burletta, con una contestazione da burletta e rivoluzionari da burletta. E Feltrinelli ne fu l'esponente più qualificato. *Era il 1940 e a quel tempo Giangi aveva quattordici anni e seguiva i corsi scolastici con pessimo profitto. Giangiacomo era un ragazzetto che voleva a tutti i costi cavalcare qualcosa di rivoluzionario. Non importava il colore. Tanto è vero che il suo sogno fu prima il fascismo e poi Che Guevara. *{{NDR|«L'importante è stare in prima linea il fascismo?»}} Ma sì, negli anni Quaranta lui era fascista. Era talmente fascista che nel 1943, dopo l'8 settembre, voleva denunciare sia me che Barzini per alcune cose che avevamo detto contro i fascisti. Allora pensava di aderire a Salò. La sua dedizione a una causa quale che sia, purché rivoluzionaria, lo spingeva a questi atti pazzeschi. *Generoso? Lo chieda ai suoi collaboratori. Era una specie di padrone delle ferriere che spendeva generosamente solo per soddisfare il suo vizio principale: la rivoluzione. Con chi era in difficoltà non si dimostrò mai particolarmente generoso. *{{NDR|«Perché allora lei è così implacabilmente critico nei suoi riguardi?»}} Non ce l'ho neppure tanto con lui, quanto con tutti coloro che di Feltrinelli hanno fatto un mito. In realtà era un povero uomo. Un ingenuo divorato dall'esibizionismo. *{{NDR|«Come può ridurre tutto alla convinzione che fosse solo un ingenuo e un esibizionista?»}} Anche Starace segnò un decennio della nostra vita. Mica per questo era meno cretino. Se Feltrinelli sia stato qualcosa di più complesso, io non riesco a vederlo. Posso aggiungere questo: quella sua mania di ostentazione, quella voglia di primeggiare su tutte le cose lo ha condotto anche a degli atti di eroismo. Perché uno che sale su un traliccio, con la dinamite che non sa maneggiare e salta per aria, beh almeno il coraggio gli va riconosciuto. O forse chiamiamola incoscienza. {{Int|''[http://www.archiviolastampa.it/component/option,com_lastampa/task,search/mod,libera/action,viewer/Itemid,3/page,15/articleid,0824_01_1992_0072_0015_25082247/ Montanelli e il sacco di Milano]''|''La Stampa'', 14 marzo 1992, p. 14.}} *{{NDR|Il regime corrotto}} C'è ancora. Ma la rivolta non era tanto contro la corruzione e la partitocrazia, che erano senza dubbio un grosso male, ma che non erano il male più letale. In quel momento era proprio la società che si disfaceva, le condizioni della scuola, la predicazione del nulla, insomma la contestazione globale, l'ubriacatura degli Anni Settanta, che fu l'ubriacatura del terrorismo, e quella acquiescenza di una certa borghesia, salottiera, radical chic, che amoreggiava con queste cose, che aveva le smanie maotsetunghiste, che poi parlavano tutti di cose che non sapevano. La corruzione dei partiti invece è quasi immanente. La partitocrazia è destinata a durare almeno finché non si riforma la legge elettorale. Ma questa è la battaglia che noi cerchiamo di fare oggi. *{{NDR|«Ma gli Anni Settanta non hanno anche prodotto qualcosa di positivo nella società italiana?»}} No. Non vedo fatti positivi nel lascito degli [[anni di piombo]]. Vorrei sapere veramente quali. Quando dicono per esempio il divorzio. Ma il divorzio c'era già prima. Quelle sono conquiste sociali. C'era bisogno dei pistoleros per il divorzio? Ma andiamo! *{{NDR|«Però lei difendeva Pannella»}} Sì. A [[Marco Pannella|Pannella]] dobbiamo veramente due cose, malgrado le sue mattane. Effettivamente riuscì a impedire a una certa aliquota di giovani di finire in braccio al terrorismo, cioè gli dette un'altra bandiera. E alcune battaglie sue furono sacrosante, come quella del divorzio che appoggiammo. Poi verso Pannella io ho una certa simpatia, dovuta al mio vecchio fondo anarchico, libertario, che ritrovo in lui. È una simpatia genetica. Ritrovo in lui quello che io sono stato a vent'anni. *{{NDR|«Ma che fine ha fatto quella borghesia, che fine hanno fatto quei salotti buoni? Le sue battaglie contro la Crespi o contro la Cederna sono cosa Passata? Sono cambiati loro, oppure è cambiato lei?»}} Vabbè, con la [[Camilla Cederna|Camilla]] poi siamo ridiventati amici. Con la Crespi no, mai. Ma non ho più rancori, non ho più animosità. Però è un mondo che disprezzo un po', perché è un mondo di pecore che seguono sempre il filo del vento, santoiddio, sono proprio personcine, personcine inconsistenti, pronte ad andare con chiunque. E poi sempre per salvare i propri interessi, non è che abbiano delle idealità, no? Oggi è cambiato il vento, quindi sono cambiati anche loro. Ma non è che sia cambiato il mio giudizio. Quel mondo lì io non lo amo. *La crisi rimane e si riflette nell'amministrazione cittadina. L'amministrazione era sempre stata un autentico specchio. Fino a Bucalossi il Comune di Milano era retto da specchiati galantuomini, che finivano tutti poveri, in miseria, finivano alla Baggina. Gente davvero di una correttezza esemplare. Poi sono venuti gli Aniasi e compagni e guardi qui dove siamo arrivati: siamo arrivati a [[Mario Chiesa|Chiesa]]. {{Int|''[https://web.archive.org/web/20121107180200/http://archiviostorico.corriere.it/1993/giugno/06/Montanelli_tura_naso_come_nel_co_0_93060610816.shtml Montanelli si tura il naso come nel '76: voto l'uomo della Lega]''|''Corriere della Sera'', 6 giugno 1993, p. 3.}} *Mi sono dannato l'anima perché il centro avesse un ''suo'' candidato. Avrei voluto Locatelli: era la persona giusta per portare la bandiera referendaria e raccogliere gli elettori moderati. Era quello il mio sogno. *Segni non ha capito nulla, è arrivato in ritardo, ha candidato una persona che nessuno conosce. Non abbiamo ''un'' rappresentante del centro, ma tre surrogati che si elimineranno a vicenda. E ci toccherà scegliere fra [[Nando dalla Chiesa|Dalla Chiesa]] e Formentini. *{{NDR|«Di qui il suo suggerimento: turarsi il naso e votare Lega»}} No, non dico "Votiamo Lega", dico "Votiamo Formentini". E nel suo caso non ci si deve neppure turare il naso: è modesto, anche mediocre se vogliamo, ma è onesto. Non credo sia marcio. Insomma: è il male minore. *{{NDR|«E Dalla Chiesa?»}} No, il mio voto non lo avrà. Perché io non voto per la sinistra e per un sinistro come quello lì. *{{NDR|«Ma che cosa la preoccupa nella coalizione di Dalla Chiesa?»}} Questi reperti di un mondo fallito vogliono ora governare l'Italia. E io con loro non ci sto. La storia gli ha dato torto, la realtà li svergogna e noi dovremmo fidarci? È stata l'apertura a sinistra a dare inizio alla putredine. {{Int|''Eppur si muove''|a cura di Indro Montanelli e Beniamino Placido, Rai 3, 1994.}} *Ogni italiano è insieme furbo e fesso. L'italiano è furbissimo nella gestione dei suoi affari privati, può ricorrere a tutte le astuzie, è attento, è accorto, ed è assolutamente fesso nel non rendersi conto che se i suoi affari privati rimangono immessi in una società che non funziona – cioè dove gli interessi generali vengono trascurati e negletti – i suoi interessi privati finiscono col soffrirne e col condurlo al fallimento. Questo, a noi italiani, non entra in testa. (6 febbraio 1994) *È probabile che molti stranieri mandino i loro figli, a Roma, a scuola. Ma quali scuole? Alle loro. Gli americani mandano i loro figli alla scuola americana, i tedeschi alla scuola tedesca, i francesi alla scuola francese. Non li mandano mica alla scuola italiana, se ne guardano bene e hanno ragione, visto il modo in cui si insegna in Italia. (ibidem) *Da noi prima uscivano dei ragazzi che sapevano abbastanza di greco, di latino, ma che il carattere non lo avevano formato a scuola: o se lo formavano da soli, oppure non se lo formavano mai. (ibidem) *Lo [[Zingari|zingaro]] che fa tranquillamente la sua vita non dà noia a nessuno, è quando ruba che, naturalmente, suscita qualche perplessità (uso un eufemismo). Diciamo la verità, in Italia il razzismo non c'è. Per inventare una questione razziale ci volle una legge, e una legge fatta da un regime totalitario perché il Paese non la sentiva. Non poteva sentirla perché non è nella nostra tradizione. [...] L'Italiano non ha dei risentimenti razziali. [...] {{NDR|Sugli episodi di intolleranza e di paura per il diverso}} È un fatto di piccolissime minoranze, diciamo la verità. Non inventiamo adesso una questione {{NDR|razziale}}. Io ho vissuto nelle società veramente razziste, è tutta un'altra faccenda. (con [[Serena Dandini]], 20 marzo 1994) *Io ebbi una moglie etiopica, nel senso che la comprai secondo l'uso locale. {{NDR|«Come, scusi?»}} Eh beh, ma gli usi locali erano questi. Tutti, anche gli etiopici, compravano la moglie. {{NDR|«Quanto costava una moglie?»}} Poco. Costava poco, mi pare che mi costò – allora, però (anno 1935) – 500 lire e un tucul {{NDR|trattando}} col suocero. Perché queste furono transazioni fatte dal mio emissario, che era il più anziano graduato della mia banda, col padre della ragazza. [...] Questo matrimonio durò finché noi stemmo di stanza a Saganèiti, cioè a dire prima che scoppiasse la guerra con l'Abissinia (che non fu precisamente una guerra, fu una specie di avventura). [...] Poi questa mia moglie, perché era considerata tale, quando io partii sposò un mio graduato e al primo figlio – è vivo tuttora, mi hanno detto – diede il mio nome, per cui alcuni credettero che fosse figlio mio. Non era figlio mio. Soltanto che per deferenza... {{NDR|«Lei non pensò mai di portarla con se in Italia?»}} Beh, no. No, anche perché era molto difficile strapparla ai suoi costumi. Lei stessa, in fondo, non voleva venire. Lei apparteneva alla sua terra, io le feci una piccola dote e quindi andò tutto regolarmente. Era molto bellina. (ibidem) *Gran parte delle forze leghiste, quelle che accennano a qualche razzismo nei confronti del meridionale, sono composte da meridionali che si sono milanesizzati e ci si trovano talmente bene a Milano che non vogliono che altri arrivino dal sud. (ibidem) *Per me la [[destra]] non è una [[ideologia]]: è un modello di comportamento. Si può essere di destra anche a sinistra. Questo comportamento è il criterio rigoroso del servizio della vita pubblica. (con [[Arnoldo Foà]], 17 aprile 1994) *Nella storia della [[Italia|nazione italiana]] io vedo pochi uomini all'altezza della qualifica di una destra illuminata che non solo accetta ma vuole le [[Riformismo|riforme]]. Un uomo di destra certamente io non credo che fosse [[Camillo Benso, conte di Cavour|Cavour]], del resto il suo connubio lo dimostra, la sua disinvoltura nelle alleanze politiche lo dimostra. Certamente di destra era [[Bettino Ricasoli|Ricasoli]]. Certamente era [[Quintino Sella|Sella]]. Certamente era [[Giovanni Giolitti|Giolitti]]: uomo che dette il suffragio universale, e che riconobbe il diritto di [[sciopero]]. Questo è un uomo di destra. Certamente un uomo di destra era [[Alcide De Gasperi|De Gasperi]], senza dubbio. E, adesso non vorrei scandalizzare la gente, ma direi che uomo di destra per il concetto che aveva dello [[Stato]] e del [[potere]] era anche [[Palmiro Togliatti|Togliatti]]. E questo dimostra che si può essere uomini di destra anche a [[sinistra]]. La destra è una regola di comportamento, una regola [[morale]] di comportamento. (ibidem) {{Int|''[https://web.archive.org/web/20101005073648/http://archiviostorico.corriere.it/1997/novembre/09/Montanelli_gambizzato_cinque_mesi_prima_co_0_9711098446.shtml Montanelli "gambizzato" cinque mesi prima: "Mi salvò una promessa a Mussolini"]''|''Corriere della Sera'', 9 novembre 1997, p. 29.}} *Quella mattina {{NDR|2 giugno 1977}} sono in due nei giardini di piazza Cavour, a Milano. Uno mi spara alle gambe. L'altro mi tiene nel mirino della sua pistola. I primi due – tre proiettili entrano nelle mie lunghe zampe di pollo. Non devastano né ossa né arterie. Ma sarebbero sufficienti per far cadere a terra qualsiasi cristiano. In quegli attimi ricordo la promessa che avevo fatto a Mussolini, e a me stesso, quando, bambino, mi ritrovai intruppato nei balilla: "Se devi morire, muori in piedi!" Davanti a questi vigliacchi che non hanno il coraggio di affrontarmi in faccia, penso, non posso morire in ginocchio. E mi aggrappo alla cancellata dei giardini. Non sto in piedi sulle gambe, ma mi reggo dritto con la forza delle braccia. E quello continua a sparare e a centrare le mie zampe di pollo. Se mi fossi accasciato, se mi fossi inginocchiato davanti a lui, a quell'ora sarei morto. *Per [[Renato Curcio|lui]] ho sempre avuto rispetto. Penso che la sua autoemarginazione dalla società prima e l'emarginazione che la società gli ha imposto poi ci abbiano privato di un uomo di valore. Non lo conosco di persona, ma lo stimo, anche se poteva essere lui quello che ha mandato i due ragazzi a spararmi. Non ho rancore: quando la guerra è finita gli avversari si devono stringere la mano e devono brindare alla pace ritrovata. *Apprezzo il coraggio di chi non si pente per ricavarne un utile, di chi non denuncia il compagno di errori ma riconosce i propri torti. Almeno i brigatisti lottavano per ideali diversi da quelli dello stalinismo e del comunismo sovietico. I terroristi neri, invece, volevano soltanto restaurare un regime sepolto dalla storia. I rossi non sapevano bene cosa ma avevano in mente qualcosa di nuovo. *{{NDR|«E se avessero vinto loro?»}} Impossibile. L'esistenza del terrorismo ha soltanto ribadito le manchevolezze del nostro Paese: uno Stato inefficiente e un popolo codardo e conformista. *{{NDR|Sui burattinai, i Grandi Vecchi, la Cia, i Servizi segreti}} Fregnacce: che gliene poteva importare alla Cia di fucilare gente come il buon Casalegno o quel galantuomo di Emilio Rossi, vent'anni fa direttore del Tg Uno, o quel bischero di Montanelli? La dietrologia era una divagazione di intellettuali perditempo. Il vero problema era ed è un altro: finché non ci decideremo a riconoscere la mancanza negli italiani di una coscienza nazionale e civile questo pericolo del terrorismo lo correremo sempre. E questa fabbrica di una coscienza nazionale e civile io non la vedo nascere. *{{NDR|Sul dolore che il tempo non ha cancellato nei parenti delle vittime}} Anche noi italiani dobbiamo imparare a pagare gli inevitabili tributi dovuti alla Storia come hanno saputo fare tutti i Paesi occidentali. Il dolore resta, ma la piaga va ricucita. Una volta per tutte. {{Int|''[http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/1998/07/25/borghesia-vile-deludente.html Borghesia vile e deludente]''|''la Repubblica'', 25 luglio 1998, p. 8.}} *È la solita bruciante delusione, questa nostra borghesia. Non cambia mai, è sempre la stessa: la più vile di tutto l'Occidente. Gente portata a correr dietro a chi alza la voce, a chi minaccia, al primo manganello che passa per la strada. Questo sono i nostri borghesi: tutti fascisti sotto il fascismo, poi tutti antifascisti fin dall'indomani. Quando il comunismo era forte e faceva paura, e io fondai ''il Giornale'', mi lasciarono solo e senza un soldo. Ai tempi del terrorismo, amoreggiavano con gli estremisti nella speranza che quelli – andati al potere – gli risparmiassero la villa e il portafoglio. E ora che il comunismo non c'è più, si scoprono tutti anticomunisti, questi sedicenti liberaloni. *Il loro eroe è sempre chi brandisce il [[manganello]]. Ieri, il manganello vero. Oggi, quello catodico delle televisioni. Il liberalismo vero l'hanno sempre tradito, anzi non hanno mai saputo che cosa sia. Non vogliono le regole, detestano le leggi, vogliono avere le mani libere per fare quello che gli pare, in nome della loro cosiddetta «[[efficienza]]». Quando abbiamo fondato ''la Voce'' l'abbiamo toccato con mano: parlare di regole e di legalità a questa gente è peggio di un insulto, una bestemmia in chiesa. *L'ho sempre detto che fu un errore, quattro anni fa, defenestrarlo. Bisognava lasciarlo lì ancora un bel po', così tutti avrebbero capito quanto vale, che razza di statista è... Magari adesso non saremmo in Europa, ma non avremmo così tante gente che si lascia ubriacare dalla sua propaganda, che prova nostalgia per lui. *{{NDR|«E se un giorno si andasse a votare per il suo referendum, quello per abolire i reati del Cavaliere?»}} In quella forma, mi pare difficile che si arrivi, anche se in Italia non si sa mai. Comunque, se si votasse, credo che anche lì vincerebbe lui. Perché è quello che vuole questa nostra borghesia. Ormai è ufficiale: Berlusconi ce lo meritiamo. {{Int|''[http://www.repubblica.it/online/politica/satiquattro/montanelli/montanelli.html L'Italia di Berlusconi è la peggiore mai vista]''|''la Repubblica'', 26 marzo 2001.}} *Io voglio che vinca, faccio voti e faccio fioretti alla Madonna perché lui vinca, in modo che gli italiani vedano chi è questo signore. [[Silvio Berlusconi|Berlusconi]] è una malattia che si cura soltanto con il vaccino, con una bella iniezione di Berlusconi a Palazzo Chigi, Berlusconi anche al Quirinale, Berlusconi dove vuole, Berlusconi al Vaticano. Soltanto dopo saremo immuni. L'immunità che si ottiene col vaccino. *È strano: io non avevo mai preso parte alla campagna di demonizzazione: tutt'al più lo avevo definito un pagliaccio, un burattino. Però tutte queste storie su Berlusconi uomo della mafia mi lasciavano molto incerto. Adesso invece qualsiasi cosa è possibile: non per quello che succede a me, a me non succede nulla, non è che io rischi qualcosa, è chiaro. Quello che fa male è vedere questo berlusconismo in cui purtroppo è coinvolta l'Italia e anche tante persone perbene. *La scoperta che c'è un'Italia berlusconiana mi colpisce molto: è la peggiore delle Italie che io ho mai visto, e dire che di Italie brutte nella mia lunga vita ne ho viste moltissime. L'Italia della [[marcia su Roma]], becera e violenta, animata però forse anche da belle speranze. L'Italia del 25 luglio, l'Italia dell'8 settembre, e anche l'Italia di piazzale Loreto, animata dalla voglia di vendetta. Però la volgarità, la bassezza di questa Italia qui non l'avevo vista né sentita mai. Il berlusconismo è veramente la feccia che risale il pozzo. {{Int|''La Storia d'Italia di Indro Montanelli''|a cura di Mario Cervi, interviste di Alain Elkann, ''Cecchi Gori Editoria Elettronica Home Video'', 1999.}} *Il silenzio mantenuto finora {{NDR|sui massacri delle foibe}}, o quasi silenzio, si spiega facilissimamente: tutta la storiografia italiana del dopoguerra era di sinistra, apparteneva all'intellighenzia di sinistra, la quale era completamente succuba del Partito Comunista. Quindi non si poteva parlare delle foibe, che non appartenevano al comunismo italiano, ma appartenevano certamente al comunismo slavo, di cui però il comunismo italiano era alleato e faceva gli interessi. Quindi di questo non si poteva parlare, e non si poteva parlare delle stragi del triangolo della morte, perché anche queste ricadevano sulla coscienza – ammesso che ce ne sia una – del Partito Comunista, il che sta a dimostrare quello che dicevo prima, cioè che la Resistenza non fu una resistenza, fu una guerra civile tra italiani che continuò anche dopo il 25 aprile. [...] {{NDR|Sull'eccidio dei conti Manzoni}} Andai come giornalista [...] per appurare com'era andata la strage dei conti Manzoni, dopo la fine della guerra. [...] Una famiglia di persone che col fascismo non aveva niente a che fare, ci aveva convissuto come tutti gli italiani. Bene, nessuno mi voleva parlare di questa faccenda. [...] Nessuno ne aveva parlato, né dei Carabinieri né della Polizia e tantomeno della magistratura, eppure lo sapevano. [...] C'era una complicità assoluta, una complicità dannata. [...] Se ne parla ora perché il Muro di Berlino è crollato, ma si ricordi che trent'anni fa, quando [[Renzo De Felice|De Felice]] annunziò di mettere allo studio il ventennio fascista per sapere com'era andata, fu proposta la sua estromissione dalla cattedra universitaria, solo perché metteva allo studio un ventennio di storia italiana che, bella o brutta, c'era stata. [...] Non era possibile inquadrare storicamente il fascismo: chi lo faceva, cercando di spiegare i perché della sua durata, ed anche i perché della sua catastrofe, veniva accusato di fascismo. (da ''Dalla Monarchia alla Repubblica'') *È difficile sapere che cosa fu [[Palmiro Togliatti|Togliatti]], perché Togliatti non ha lasciato memoriali, non ha lasciato diario, che cosa pensasse Togliatti non lo sapeva nessuno, credo nemmeno la sua compagna Nilde Iotti. Si può dire che è stato un esecutore fedele degli ordini di [[Stalin]]. Lo è stato sempre, e per questo godeva la fiducia di Stalin. [...] Era un diplomatico per sé, soprattutto, perché é un uomo sopravvissuto a venticinque o trent'anni anni di Mosca, senza finire in galera, processato o contro il muro. Beh, questo è uno dei grandi personaggi. Sono pochi. {{NDR|«Non era uno statista, per esempio?»}} Non poteva essere uno statista perché i comunisti non hanno lo Stato nel sangue, i comunisti hanno il partito. Stalin non è mai stato Capo dello Stato, e nemmeno Capo del Governo, era capo del partito. Il potere nei regimi comunisti non sta né nello Stato né nel governo, sta nel partito. (da ''Dalla proclamazione della Repubblica al Trattato di pace'') *Questa [[Costituzione della Repubblica italiana|Costituzione]] porta male gli anni da quando aveva un giorno, perché fu subito chiaro quali erano i suoi difetti. Del resto furono anche denunciati da uomini come, per esempio, [[Piero Calamandrei|Calamandrei]], come Mario Paggi. (da ''Dall'assemblea costituente alla vigilia delle elezioni del 1948'') *I difetti furono soprattutto due. Il primo difetto fu di ripartizione dei lavori. La Costituente era formata da 600 membri eletti di passaggio. Voglio {{NDR|far}} notare che quella fu la prima elezione che si tenne in Italia – per la Costituente, non per il Parlamento – ma dove ci fu lo spiegamento dei partiti. Ogni partito portò i suoi candidati, cioè dei giuristi che facevano capo alla propria ideologia. Bene, in quella prima elezione il 35% dei voti andò ai democristiani, il 21% andò ai socialisti di [[Pietro Nenni|Nenni]], il 19% ai comunisti. Quindi in quel momento... non c'era ancora il Fronte ma in quel momento i socialisti facevano premio sui comunisti. Erano di poco, ma un po' più forti dei comunisti. [...] Questi 600 costituenti non potevano lavorare tutti insieme, era impossibile mandare avanti 600 persone a dibattere all'infinto le stesse cose, e allora i lavori furono devoluti a una commissione che si chiamò la ''Commissione dei Settantacinque'', perché erano 75 membri della Costituente che venivano incaricati per le loro competenze specifiche di redigere il testo. Ma anche 75 erano troppi, e allora anche i 75 si frazionarono in sotto-commissioni, ognuna delle quali lavorò per conto suo. Non ci fu un piano di insieme. {{NDR|«Quindi non fu un vero lavoro collettivo»}} Non fu un vero lavoro collettivo. Calamandrei lo disse subito: «Noi stiamo montando una macchina, che magari pezzo per pezzo sarà anche ben fatta, ma le cui giunture non coincidono con le giunture di altri pezzi». [...] Fu lasciata così perché nessuno volle rinunziare al proprio elaborato, e questo è tipico degli italiani. (da ''Dall'assemblea costituente alla vigilia delle elezioni del 1948'') *Il secondo motivo che rese questa Costituzione veramente impalatabile e nociva per il regime che ne doveva nascere, fu che i nostri costituenti partirono dal punto di vista opposto a quello da cui sarebbero partiti i costituenti tedeschi quando la Germania fu libera di elaborare una sua Costituzione. Da che cosa partirono i costituenti tedeschi? Da questo ragionamento: il nazismo fu il frutto della Repubblica di Weimar. Cos'era la Repubblica di Weimar? Era l'impotenza del potere esecutivo, cioè del Governo. [...] La Germania rimase nel disordine, nel caos, nella Babele dei partiti che non riuscivano a trovare mai delle maggioranze stabili, quindi dei governi efficaci. Ecco perché Hitler vinse, perché il nazismo vinse. I costituenti nostri partirono dal presupposto contrario, cioè dissero: «Cos'era il fascismo? Il fascismo era il premio dato a un potere esecutivo che governava senza i partiti, senza controlli eccetera. Quindi noi dobbiamo esautorare completamente il potere esecutivo, {{NDR|negando}} la possibilità di dare ai governi una stabilità, eccetera». Per rifare che cosa? Weimar. Cioè, mentre i tedeschi partivano dalla negazione di Weimar, noi arrivavamo {{NDR|a Weimar}} senza dirlo. Nessuno lo disse, ma questo fu il risultato. [...] Non fu possibile nemmeno introdurre quella solita linea di sbarramento che invece fu introdotta in Germania, per cui i partiti che non raggiungevano non ricordo se il 5 o il 3%, non avevano diritto a una rappresentanza. No, tutti i partiti dovevano esserci e tutti avevano un potere di ricatto sulle maggioranze, che erano per forza di cose di coalizioni. (da ''Dall'assemblea costituente alla vigilia delle elezioni del 1948'') *Gli italiani non imparano niente dalla Storia, anche perché non la sanno. {{NDR|«Forse non amano la Storia»}} Non la amano, non la leggono, non se ne interessano, ma questo anche le classi dirigenti: sono uguali, intendiamoci. {{NDR|«Lei auspica che venga rifatta questa Costituzione»}} Sì, ma che venga rifatta secondo criteri logici, non {{NDR|secondo}} criteri illogici. Tutte le volte che si diceva «Ma qui bisogna restituire un po' di autorità al potere esecutivo, bisogna mettere i governi in condizione di governare» si diceva: «Fascista! Fascista!». Con questo ricatto qui abbiamo fatto le più grosse scempiaggini che si potesse immaginare. (da ''Dall'assemblea costituente alla vigilia delle elezioni del 1948'') *La fine di [[Alcide De Gasperi|De Gasperi]] è la fine di un'epoca: con lui finisce un'epoca e ne comincia un'altra non certamente migliore. [...] C'è una bella pagina della figlia di De Gasperi, Maria Romana, che ha scritto un bel libro sul padre. Un libro tutto vero in cui racconta anche i funerali su in Val Sugana: c'era naturalmente tutta la nomenclatura democristiana che accompagnava la bara. Oramai De Gasperi era morto, si poteva anche fingere il compianto, e a un certo momento un passante che era lì – uno che guardava, che non aveva niente a che fare con la politica, con la Democrazia Cristiana eccetera eccetera – si avvicinò al feretro e scansando questi turiferari della DC disse: «No, non è vostro! De Gasperi è nostro! Era un italiano!». E aveva ragione. De Gasperi era nostro, non un democristiano. (da ''Gli anni di Alcide De Gasperi'') *{{NDR|[[Giovanni Gronchi]]}} Era un uomo molto abile, brillante parlatore, molto abile anche negli affari. Era molto più libertino di [[Carlo Sforza|Sforza]], quindi la Democrazia Cristiana [...] era cambiata, evidentemente, e Gronchi fu eletto per una faida interna della Democrazia Cristiana, perché [[Amintore Fanfani|Fanfani]] voleva [[Cesare Merzagora|Merzagora]]. Allora per fare dispetto a Fanfani, invece gli buttarono fra i piedi [[Giovanni Gronchi|Gronchi]], il quale seppe benissimo tessere la sua trama fra Sinistra, Destra eccetera e far diventare gronchiani anche quelli degli altri partiti. Dicendosi agli uni uomo di Destra e agli altri uomo di Sinistra, facendo insomma il giuoco personale di Gronchi, con cui entrò in Quirinale il vero grande corruttore della vita politica italiana. [...] Dopo l'onestissimo [[Luigi Einaudi|Einaudi]] viene Gronchi, che è l'indulgenza plenaria verso tutte le deviazioni e i deviazionisti d'Italia. (da ''La rivolta in Ungheria e l'elezione di Giovannni XXIII'') *Questa storia dell'MSI è una delle grandi truffe della Prima Repubblica: nella Costituzione c'è un articolo che proibisce la rinascita di un partito fascista. Ecco. Ora, l'MSI era chiaramente un partito fascista. Non lo negava, anzi si faceva gloria del fatto di essere l'erede eccetera. Perché lo avevano messo, allora? Lo avevano messo perché questo partito fascista, che avrebbe dovuto essere escluso dalla vita politica, serviva a captare un certo numero di voti che, senza questo partito, sarebbero andati a dei partiti moderati di Centro e soprattutto, forse, alla Democrazia Cristiana. Quindi quale fu il gioco delle Sinistre, a cui la Democrazia Cristiana però si piegò e si rassegnò: è consentito di esistere all'MSI, però l'MSI quando è in Parlamento è escluso dal gioco parlamentare. Così si mettevano i voti dell'MSI in ''frigidaire'', e così non andavano alla Democrazia Cristiana e ai partiti {{NDR|di Centro}}. È una delle peggiori truffe che è stata inventata dalla classe politica che ci ha governato per cinquant'anni. (da ''I successori di De Gasperi e la politica italiana fino alla morte di Togliatti'') *Io vorrei sapere quali furono le crescite... di civiltà che il [[Sessantotto]] pretende di averci lasciato. Io vedo tutt'altra cosa: io vidi nascere, dal Sessantotto, una bella torma di analfabeti che poi invasero la vita pubblica italiana, e anche quella privata, portando dovunque i segni della propria ignoranza. Io ho visto questo. Può darsi che sia affetto da sordità o da cecità ma io non ho visto altro, come frutti del Sessantotto. (da ''Il Sessantotto e la politica di Berlinguer'') *{{NDR|La differenza tra il Sessantotto francese e quello italiano è}} La differenza che passa fra l'originale e il fac simile perché il Sessantotto nacque in [[Francia]] e in [[Italia]] fu un fatto di riporto, di imitazione. {{NDR|«Che vi fu in tutto il mondo, però, questo»}} Un po' in tutto il mondo ma particolarmente in Italia dove non nasce mai niente, è sempre qualcosa di imitato dagli altri. Bene o male, insomma, i francesi ebbero... anche una certa cultura del Sessantotto, ebbero [[Jean-Paul Sartre|Sartre]]. Oddio, Sartre rivisto con gli occhi di oggi naturalmente scende molto dal suo mitico piedestallo. [...] In Italia non ci fu neanche un Sartre. (da ''Il Sessantotto e la politica di Berlinguer'') *Credo che su [[Pier Paolo Pasolini|Pasolini]] si sia preso un grosso abbaglio: Pasolini è passato per uno scrittore di sinistra perché aveva preso come sfondo dei suoi racconti – bellissimi del resto – il sottoproletariato delle borgate romane, i ragazzi di vita, insomma, la schiuma della società. Ma lo aveva fatto per dei gusti e dei motivi del tutto personali sui quali è inutile tornare a far commenti. Questo lo aveva fatto considerare come uno scrittore, un difensore del proletariato, ma non era una scelta politica quella che aveva fatto Pasolini. Non c'entrava niente, assolutamente nulla. Quindi quello che lui disse era assolutamente vero, cioè dire che nei tafferugli, dove spesso ci scappava il morto, tra quei dilettanti delle barricate che erano {{NDR|dei borghesi}}, i veri proletari erano i poliziotti, tutti figli di famiglie povere, eccetera eccetera. I dilettanti delle barricate erano tutti o quasi tutti figli di papà: aveva ragione Pasolini! Ma come no! E questo fu considerato un tradimento all'ideologia di sinistra. (da ''Il Sessantotto e la politica di Berlinguer'') *Il primo fenomeno fu il Sessantotto, e il Sessantotto partorì poi il terrorismo, il brigatismo rosso eccetera eccetera. Su questo non ci son dubbi, insomma. Dirò di più: i più seri, e forse gli unici seri, furono quelli che poi diventarono dei terroristi e che quindi rischiarono la loro vita, almeno. Gli altri erano quello che diceva Pasolini, dei figli di papà. (da ''Il Sessantotto e la politica di Berlinguer'') *{{NDR|La figura del Grande Vecchio}} È una di quelle fandonie, di quelle stupidaggini che piacciono tanto a noi italiani: l'idea di un Grande Vecchio che organizzasse tutte queste stragi, attentati eccetera eccetera. È un affare da Simenon di borgata insomma – no? Piaceva l'idea che ci fosse dietro tutta una strategia. Sennonché poi non si sapeva chi fosse il Grande Vecchio. {{NDR|«Aveva un volto questo grande vecchio?»}} Ne ha avuti molti: naturalmente [[Giulio Andreotti|Andreotti]] – quello non manca mai, quando si cerca un ''deus ex macchina'' di tutto ciò che di più criminale è avvenuto in questo Paese {{NDR|c'è}} Andreotti. {{NDR|«Però in quel momento non era tanto vecchio»}} In quel momento non era tanto vecchio, ma il Grande Vecchio non ha nulla di anagrafico, è il Grande Vecchio così – poi Gelli, poi Sindona. Ha avuto varie raffigurazioni che sono tutte di fantasia. (da ''Piazza Fontana e dintorni'') *Se c'era un funzionario corretto, che veniva portato come esempio da tutti i suoi colleghi, era Calabresi. Per quale motivo si scatenò questa campagna contro di lui non lo so. È vero che aveva interrogato [[Giuseppe Pinelli|Pinelli]], ma gli interrogatori di Calabresi facevano testo per la loro correttezza. Sempre. [...] Non so per quale motivo, a un certo momento, la stampa s'incendiò e cominciò ad additare Calabresi come «il bruto», come «lo scherano del potere sopraffattore e assassino». Questo si lesse in vari giornali. Ora, il potere sopraffattore assassino in quel momento era rappresentato da [[Mariano Rumor|Rumor]] e da [[Emilio Colombo|Colombo]]: mi dica lei se hanno il viso dei sopraffattori assassini. Magari lo fossero stati un po', ma immaginiamoci. E questa campagna fu implacabile, assolutamente implacabile. (da ''Piazza Fontana e dintorni'') *Come in tutti i processi italiani anche questi, che poi volevano arrivare all'identificazione dei responsabili e non ci arrivarono quasi mai, erano dominati dal cosiddetto «teorema»: si partiva dal presupposto... a un certo momento si mise di parlare degli anarchici – si smise quasi subito di parlare {{NDR|degli anarchici}} – e tutte le lampadine furono rivolte ai partiti e alle forze di Destra. Erano quelle le forze stragiste. [...] I nostri bravi giudici, salvo alcuni, partivano dal presupposto che {{NDR|i colpevoli}} certamente venivano di lì, venivano dalle Destre, dalle Destre più violente. Alle quali si attribuiva, sempre per «teorema», questa idea: creare una tensione nel Paese in modo da impaurire gli italiani e metterli alla scelta «o la libertà o l'ordine», perché insieme non potevano andare. Nella libertà era chiaro che non si poteva mantenere l'ordine, e loro dicevano: «Qualunque popolo messo a questa scelta sceglie l'ordine». Ecco. È un teorema. È un teorema che ha sempre cercato dimostrazione e non l'ha trovata mai. (da ''Piazza Fontana e dintorni'') *[[Bettino Craxi|Craxi]] era un uomo di partito certamente molto accorto, era un uomo valido di governo perché sapeva decidere. Che cosa fosse lo Stato, da buon socialista, non lo sapeva. (da ''Il terrorismo fino al sequestro e all'uccisione di Aldo Moro'') *Quelle lettere erano tutte farina del sacco di [[Aldo Moro|Moro]], e questa farina non è molto encomiabile perché, vede, tutti gli uomini hanno diritto ad avere paura. Tutti. Però quando un uomo sceglie la politica, e nella politica emerge a [[Statista|uomo di Stato]] – a uomo rappresentativo dello Stato – non perde il diritto a avere paura, ma perde il diritto a mostrarla. Questo sì. Questo è uno dei principi che dovrebbe essere affermato. L'incidente, tipo quello di Moro, fa parte del mestiere. Chi affronta quel mestiere deve sapere che può incorrere in quell'incidente e deve avere i nervi, e diciamo gli altri attributi, per resistere. Moro era lo Stato. Lo Stato si raccomandava, implorava, minacciava la classe politica che facesse di tutto, anche che si prostituisse, per salvargli la vita: eh, no. No. Moro era certamente un politico a modo suo, estremamente abile – era anche un galantuomo, credo – ma uomo di Stato non era nemmeno lui. [...] Anch'io mi sono posto questa domanda molto spesso: «Ma se Moro fosse tornato in politica dopo aver costretto lo Stato a prostituirsi, a inginocchiarsi di fronte ai terroristi, avrebbe potuto restarci?». Avrebbe potuto restare? Con che faccia? Vabbè che siamo in Italia. {{NDR|«Forse lo Stato sarebbe stato un altro perché i terroristi avrebbero vinto»}} Appunto. I terroristi avrebbero vinto. Quindi lui che cosa diventava, il braccio politico del terrorismo? Che cosa diventava? Come poteva ripresentarsi? Va bene, gli italiani hanno lo stomaco forte, inghiottono tutto – noi italiani abbiamo lo stomaco forte e inghiottiamo tutto – ma, insomma, di fronte a un uomo la cui vita, la cui sopravvivenza, aveva avuto quel prezzo per noi non credo che avrebbe potuto ripresentarsi all'opinione pubblica italiana. (da ''Il terrorismo fino al sequestro e all'uccisione di Aldo Moro'') *Noi naturalmente abbiamo il dovere di ringraziare [[Michail Gorbačëv|Gorbačëv]] per quello che ha fatto, però se lei mi chiede se lo ha fatto bene o lo ha fatto male io debbo rispondere che lo ha fatto malissimo. Io non so se lui... che lui volesse salvare la Patria sovietica questo non lo metto in dubbio. Che lui volesse salvare il comunismo... io debbo risponderle di no, perché quello che lui ha fatto per affossare il comunismo lo ha fatto. (da ''Giovanni Paolo II e la fine dell'URSS'') *Anche i cinesi si erano accorti che il sistema comunista era arrivato al capolinea, era fallito. Fallito perché non regge, assolutamente non regge. {{NDR|Il sistema comunista}} Aveva portato il Paese, e i Paesi che lo avevano adottato, al fallimento. Anche i cinesi si erano accorti di questo, però avevano capito che per trasformare un sistema oramai ancestralmente totalitario, statalizzato, che aveva tolto ogni libertà a tutti, che aveva disabituato tutti da ogni spirito di iniziativa e di impresa... per trasformare un'economia basata su questi principi fallimentari in un'economia capitalista basata sul libero mercato, sulla libera concorrenza eccetera, bisognava tenere in mano il potere politico per controllare questo passaggio. I cinesi lo fecero. Quando gli studenti di Pechino credettero di potergli {{NDR|al governo cinese}} prendere la mano scendendo in [[Protesta di piazza Tienanmen|piazza Tienanmen]] i cinesi non esitarono a mitragliarli e, per quanto un massacro non possa che essere esecrato, io dico questo: i cinesi erano obbligati a farlo. Se non lo facevano la Cina si dissolveva, ritornava quella di [[Chiang Kai-shek]]: ritornava quella dei signori della guerra, cioè il Paese si disfaceva. Il Paese che bene o male [[Mao Tse-tung]] aveva unificato e a cui aveva dato un'anima di Nazione si sarebbe disfatto. (da ''Giovanni Paolo II e la fine dell'URSS'') *{{NDR|Su [[Licio Gelli]]}} L'avevo visto una volta e questo [...] rendeva ancora più grande la mia sorpresa. Io avevo un giornale, ''il Giornale'', che non aveva patroni, non aveva pubblicità, che quindi aveva delle grosse difficoltà di tirare avanti. La proprietà era divisa fra me e una trentina di altri redattori, e non avevamo niente in mano. Io non trovavo una banca che mi facesse un fido, non trovavo una società pubblicitaria che mi garantisse un minimo decente delle cose [...]. A un certo momento il capo del nostro ufficio romano, Trionfera – che era massone, ma non P2 – mi disse «Senti, vieni a Roma perché so che c'è un signore che sta diventando il padrone della stampa italiana». Dico «Come? Il padrone della stampa italiana?» «Sì, c'è un signore che, a quanto pare, ha assunto un potere straordinario nel mondo dell’editoria e forse lui può anche aiutarci». [...] Andai a Roma e allora {{NDR|Renzo Trionfera}} mi disse che lui aveva appuntamento con questo signor Gelli, di cui io sentivo il nome per la prima volta [...], però dovevamo andarci quasi di nascosto. [...] Andammo [...] e così vidi Gelli per la prima e unica volta. Gli esposi la situazione e lui mi disse: «Ma questi sono dettagli, queste sono piccolezze, non sono problemi gravi perché qui, oramai, bisogna procedere a ben altro. Bisogna chiamare a raccolta tutta questa stampa italiana che è litigiosa, che è settaria. Bisogna darle un indirizzo unico». Allora io lì lo fermai. Dissi: «Come fa a darle un indirizzo unico? La stampa segue criteri diversi, i giornalisti...». «Macché giornalisti – disse lui – qui ci vuole un padrone della stampa!». Dico «Ma non esiste un padrone della stampa, a meno che non rifacciamo il Minculpop fascista, allora c'era un padrone perché c'era un regime che faceva il padrone». {{NDR|Licio Gelli}} Dice «Basta comprare la proprietà dei giornali». Dissi «Ma scusi, ci sono degli editori che non vendono» [...] «Questione di prezzo». Il discorso andò avanti su questi binari, quando uscimmo io dissi a Trionfera: «Senti, ma questo qui è il più grosso farabolano con cui abbiamo avuto a che fare, uno che si immagina di comprare tutta la stampa e di ridurla ai suoi ordini, va be', o è un matto, o è un matto, oppure è proprio un piazzista, un fregnacciaro qualsiasi insomma». Questo fu l'unico incontro. [...] Uno che faceva questi discorsi naturalmente mi sembrava inutile continuare a frequentarlo. Di lì a poco venne fuori la lista degli iscritti alla P2 e venne fuori l'identificazione di Gelli col Grande Vecchio, col famoso Grande Vecchio. {{NDR|«Finalmente si era trovato»}} Finalmente si era trovato il Grande Vecchio autore di tutte le stragi, le cose..., {{NDR|«Il vero Grande Vecchio»}} il bieco Grande Vecchio. Naturalmente non credetti nemmeno a questo. (da ''Il caso Sindona e la P2'') *Per istinto, e per come avevo visto e conosciuto [[Licio Gelli|Gelli]], io sono convinto che {{NDR|la [[P2|Loggia P2]]}} era una cricca di affaristi e basta. Era una cricca di affaristi condotta da un uomo che, evidentemente, come intrallazzatore doveva essere geniale. Era un pataccaro, indiscutibilmente era un pataccaro, ma che a tutto pensava fuorché a un ''golpe''. Non ci pensava nemmeno. Lui procurava affari e soprattutto fomentava carriere. Lui aveva capito qual è la struttura del potere in Italia, sempre, non soltanto allora, sempre: è una struttura mafiosa. Bisogna far parte di una cricca, di una conventicola in cui ognuno aiuta l'altro, e questo era la P2. [...] Ma che interesse poteva avere Gelli a rovesciare un sistema che gli consentiva di influire sino a quel punto? Quale interesse poteva avere? E poi, Gelli era un farabolano ma non doveva essere del tutto sprovveduto, doveva sapere che l'[[Italia]] non è terra da ''golpe''. Ma chi lo fa il ''golpe''? E anche se qualcuno lo fa, come fa a resistere? Che cos'ha dalla sua per fare il ''golpe''? Non ho mai creduto al golpismo di Gelli. (da ''Il caso Sindona e la P2'') *Il caso Chiesa era un caso modestissimo. Fece da detonatore perché il momento era maturo per arrivare a ''Tangentopoli'', che era dovuto a una cosa molto più complessa che era questa: che ci fosse la corruzione in Italia si è sempre saputo, la classe dominante promanava questo puzzo di fogna che tutti sentivano, il famoso «turarsi il naso». Soltanto che fin quando l'alternativa di questa classe politica allora al potere era un Partito comunista, che era un fac-simile di quello sovietico, basato sui carri armati, sulla polizia segreta, sulle delazioni, sui processi, [...] finché c'era questo spettro noi non potevamo prenderci il lusso di mettere sotto processo e mandare in galera la classe politica dirigente allora. Fu quando, col Muro di Berlino, crollò questo incubo che i tempi furono maturi perché questo avvenisse. (da ''Tangentopoli'') *Che {{NDR|la [[corruzione]]}} sia inestirpabile, di questo sono sicuro perché dura da 2000 anni. La corruzione non è soltanto nella politica: è nella società italiana! Noi italiani abbiamo sempre corrotto tutti! Tutti coloro che sono venuti in Italia a fare i padroni li abbiamo corrotti. [...] Noi dobbiamo metterci in testa che la lotta alla corruzione la si fa in un modo solo: cambiando gli italiani, non cambiando le classi politiche. Le classi politiche, anche quelle nuove, si corrompono. È inevitabile. (da ''Tangentopoli'') *[[Silvio Berlusconi|Berlusconi]] ha un sacco di qualità. C'è da dire, ha una grande immaginazione, una grande fantasia; ha un coraggio leonino nel buttarsi nelle imprese; sa trascinare molto bene; è un comunicatore eccezionale, sa accendere i suoi seguaci di entusiasmi eccetera eccetera, mi ricordo che una volta gli dissi: «Io sono sicuro che se tu ti mettessi a fabbricare dei vasi da notte, faresti venire la voglia di fare pipì a tutta l'Italia». (da ''Verso il bipolarismo'') *[[Silvio Berlusconi|Lui]] è un uomo d'attacco: se avesse fatto la carriera militare lui non sarebbe diventato né un [[Gerd von Rundstedt|Rundstedt]] né un [[Erich von Manstein|Manstein]], che furono i grandi strateghi tedeschi dell'ultima guerra. [...] Lui sarebbe diventato un [[Erwin Rommel|Rommel]] o un [[George Smith Patton|Patton]]. Cioè dire: è un generale di straccio e di rottura che, appunto, sullo slancio può compiere qualsiasi cosa. Se lo metti poi a difendere le posizioni conquistate con lo slancio, eh no, lì non ci sta. Come Rommel: Rommel finché poté attaccare in Libia e in Egitto attaccò. Quando dovette mettersi sulla difensiva chiese il rimpatrio. [...] Non sarebbe uomo di Curia e non è un uomo di pazienza, non è un uomo da guerra di posizione e di logoramento. (da ''Verso il bipolarismo'') *Lui Arrivò a Palazzo Chigi credendo, e facendo credere, che uno Stato si poteva condurre con gli stessi criteri di un'azienda privata. Io su questo avevo avuto serie discussioni con lui – non litigi, non ho mai litigato con Berlusconi – gli avevo detto: «Guarda che lo Stato non è un'azienda privata». [...] Lui credeva di potersi comportare a Palazzo Chigi, e con la macchina dello Stato, come si comportava con la sua organizzazione, dove la gente frullava e, se non frullava, lui la cacciava via, com'è giusto che faccia un imprenditore. Ma lui non poteva applicare questi metodi e sistemi allo Stato. Quando si trovò di fronte alla muraglia grigia, sorda e ottusa della burocrazia italiana, che è la peggiore, ma anche la più resistente del mondo, lui rimase senz'armi: non poteva licenziare neanche un usciere. Nel gioco parlamentare lui naufraga perché non è abituato a queste cose. La politica – non dico che sia solo un mestiere – ma è anche un mestiere. Questo mestiere lui non lo aveva. (da ''Verso il bipolarismo'') *Che gli italiani siano capaci di emanare leggi di riforma, ci credo senz'altro. L'Italia è la più grande produttrice di regole, ognuna delle quali è una riforma, è la riforma di un'altra regola. Gli stessi esperti pare che abbiano perso il conteggio delle leggi, dei regolamenti che vigono in Italia: c'è qualcuno che parla di 200.000, altri di 250.000. Ora, quando si pensa che la [[Germania]] ha in tutto 5.000 leggi, la [[Francia]] pare 7.000, l'[[Inghilterra]] nessuna, quasi nessuna – ha dei principi, così stabiliti. A cosa ha portato tutta questa proliferazione? A riempire gli scantinati dei nostri pubblici uffici, dove ci sono questi mucchi di legge che nessuno va nemmeno a consultare perché ognuna di queste leggi poi offre il modo di evaderle. Questa è la grande abilità dei legislatori italiani. I legislatori italiani sono quasi tutti degli avvocati. E gli avvocati a che cosa pensano? A ingarbugliare le leggi in modo da restarne loro i supremi e unici depositari. [...] Riforme: hai voglia se ne faremo, continuiamo a farne, è la nostra vocazione, questa. Quanto poi all'attuazione, allora è un altro discorso: le leggi in Italia non vengono osservate, anche perché sono formulate in modo che si possano non osservare. Ed è questo che spiega l'abbondanza, la prodigalità delle nostre classi politiche, delle nostre classi dirigenti, nello sfornarne di continuo. (da ''Dal Governo Dini all'Ulivo'') *Un Paese che ignora il proprio Ieri, di cui non sa assolutamente nulla e non si cura di sapere nulla, non può avere un Domani. Io mi ricordo una definizione dell'Italia che mi dette in tempi lontanissimi un mio maestro e anche benefattore, che fu un grande giornalista, [[Ugo Ojetti]], il quale mi disse: «Ma tu non hai ancora capito che l'Italia è un Paese di contemporanei, senza antenati né posteri perché senza memoria». Io avevo 25-26 anni e la presi per una ''boutade'', per una battuta, un paradosso. Mi sono accorto che aveva assolutamente ragione. Questo è un Paese che {{NDR|«È un Paese che non ama la Storia»}} ha una storia straordinaria, {{NDR|«Ma non la ama»}} ma non la studia, non la sa. È un Paese assolutamente ignaro di se stesso. Se tu mi dici cosa sarà un domani per gli italiani, forse sarà un domani brillantissimo. Per gli italiani, non per l'Italia. Perché gli italiani sono i meglio qualificati a entrare in un calderone multinazionale perché non hanno resistenze nazionali. Intanto hanno dei mestieri in cui sono insuperabili. [...] Voglio dirlo senza intonazioni spregiative, nei mestieri servili noi siamo imbattibili, assolutamente imbattibili. Ma non lo siamo soltanto in quelli. L'individualità italiana si può benissimo affermare in tutti i campi, anche scientifici. Io sono sicuro che gli scienziati italiani, i medici italiani, gli specialisti italiani, i chimici, i fisici italiani quando avranno a disposizione dei gabinetti europei veramente attrezzati brilleranno. Gli italiani, l'Italia no. L'Italia non ci sarà, non c'è. Perché gli italiani che vanno in Germania diventeranno tedeschi. [...] Alla seconda generazione sono assimilati. Dovunque vadano, sono assimilati. {{NDR|«Ma questo è un difetto?»}} No... è un difetto... è un difetto ed è anche una virtù. È una qualità. Voglio dire: per l'Italia non vedo un futuro, per gli italiani ne vedo uno brillante. (da ''Dal Governo Dini all'Ulivo'') ==Citazioni tratte dai giornali== ===''Corriere della Sera''=== <!--ordine cronologico--> *Gli eroi sono sempre immortali, agli occhi di chi in essi crede. E così crederanno, i ragazzi, che il «[[Grande Torino|Torino]]» non è morto: è soltanto «in trasferta». (7 maggio 1949) *{{NDR|A proposito di [[Maratea]]}} Forse in Italia non c'è paesaggio e panorama più superbi. Immaginate decine e decine di chilometri di scogliera frastagliata di grotte, faraglioni, strapiombi e morbide spiagge davanti al più spettacoloso dei mari, ora spalancato e aperto, ora chiuso in rade piccole come darsene. (4 ottobre 1957) *{{NDR|Su ''[[La dolce vita]]''}} Ma non c'è dubbio che qui ci si trova di fronte a qualcosa di eccezione (sic!) non perché rappresenti un meglio o un di più di ciò che finora si è fatto sullo schermo, ma perché ne va nettamente al di là, violando tutte le regole e convenzioni, a cominciare da quelle della durata, che supera le tre ore di spettacolo, per finire a quelle della trama, o meglio della non trama, perché non c'è. (''[http://cinquantamila.corriere.it/storyTellerArticolo.php?storyId=4d44ab344c050 Montanelli vede La Dolce Vita]'', 22 gennaio 1960) *{{NDR|Su ''[[La dolce vita]]''}} Non siamo più nel cinematografo, qui. Siamo nel grande affresco. Fellini secondo me non vi tocca vette meno alte di quelle che Goya toccò in pittura, come potenza di requisitoria contro la sua e la nostra società. (''ibidem'') *Il suo reportage non è una "patacca". Il poco – oh, molto poco! – che vi luce è proprio oro. E il molto che vi puzza è proprio fogna. Del resto, se così non fosse, il film sarebbe fallito come falliscono i reportages quando eludono la verità o non riescono a centrarla. Quindi, amici, vi prevengo se domani ''[[La dolce vita]]'' vi farà inorridire, non confutàtela dicendo: "Non è vero". Perché per esser vero, tutto ciò che qui è raccontato, lo è. D'altronde Fellini è ricorso al mezzo più spicciativo (e più diabolico) per dimostrarlo. (''ibidem'') *Ma mi affretto subito ad aggiungere che ''[[La dolce vita]]'' non è una polemica a sfondo giustizialista, che appunta i suoi strali sulle cosiddette classi alte. Non convincerebbe, in questo caso, o convincerebbe meno. Gli altri ambienti, che si srotolano giù giù negli appunti di questo reporter d'eccezione, sono descritti con la identica spietatezza, convalidata dalla stessa tecnica di rappresentare ciascuno nei propri panni. Lasciatemi testimoniare in tutta onestà che raramente ho visto qualcosa di più vero di quel salotto intellettuale. Esso ha dato perfino a me, che non ne frequento nessuno, un senso profondo di mortificazione, un vago anelito a cambiar mestiere e a iscrivermi, fo' per dire, ai coltivatori diretti. (''ibidem'') *Non è necessario essere socialisti per amare e stimare [[Sandro Pertini|Pertini]]. Qualunque cosa egli dica o faccia, odora di pulizia, di lealtà e di sincerità. (27 ottobre 1963) *Che i [[Rifugiati palestinesi|profughi palestinesi]] siano delle povere vittime, non c'è dubbio. Ma lo sono degli Stati arabi, non d'[[Israele]]. Quanto ai loro diritti sulla casa dei padri, non ne hanno nessuno perché i loro padri erano dei senzatetto. Il tetto apparteneva solo a una piccola categoria di sceicchi, che se lo vendettero allegramente e di loro propria scelta. Oggi, ubriacato da una propaganda di stampo razzista e nazionalsocialista, lo sciagurato ''fedain'' scarica su Israele l'odio che dovrebbe rivolgere contro coloro che lo mandarono allo sbaraglio. E il suo pietoso caso, in un modo o nell'altro, bisognerà pure risolverlo. Ma non ci si venga a dire che i responsabili di questa sua miseranda condizione sono gli «usurpatori» ebrei. Questo è storicamente, politicamente e giuridicamente falso. (16 settembre 1972) *[[Alexis de Tocqueville|Tocqueville]] diceva che «è nel sonno della pubblica coscienza che maturano le dittature». (da ''[https://web.archive.org/web/20160101000000/http://archiviostorico.corriere.it/1996/gennaio/13/platea_resta_assente_co_0_9601133631.shtml La platea resta assente]'', 13 gennaio 1996, p. 1) *Se si mettono a raffronto i due rivali come faccia, come presenza, come eloquio, come cordialità, insomma come simpatia umana, non c'è dubbio che Albertini ne ispira molto meno di Fumagalli, anzi diciamo la verità tutta intera: non ne ispira punta. Ed io, cittadino ed elettore milanese, proprio di questo sentivo il bisogno: di un sindaco antipatico, di faccia arcigna e poco invogliante alla pacca sulla spalla, al confidenziale «tu» e al pappecciccia coi sottoposti, e poco, anzi punto disponibile a quelle benevolenze, condiscendenze e indulgenze che rappresentano le supposte di glicerina di tutte le corruzioni. [...] Con Albertini ho parlato una sola volta. Ma mi è bastata per capire che, per rendersi antipatico, non ha bisogno di fare sforzi. Basta che si mostri com'è e come spero che rimanga: una specie di Molotov di Palazzo Marino, chiuso nei suoi caparbi ''niet'', diffidente, scostante e culdipietra. Che abbia una compagna fermamente decisa a non partecipare alla vita pubblica del compagno, anche questo ci va bene. [...] Si ricordi, signor Sindaco, che noi abbiamo votato per lei, non per questi papponi. (da ''[https://web.archive.org/web/20160101000000/http://archiviostorico.corriere.it/1997/maggio/13/tradito_Ulivo_co_0_9705136733.shtml Sì, ho tradito l'Ulivo]'', 13 maggio 1997, p. 1) *Non vorremmo, dopo averne deplorato il brutto vezzo, contribuire alle polemiche nel momento in cui bisogna invece accantonarle per fare compatto fronte per il salvataggio del salvabile. Ma basta con le «regole» che servono soltanto a rendere impenetrabili le responsabilità dei disastri quando i disastri si possono ricondurre a delle responsabilità umane (come non accade, per esempio, nei terremoti). Ma quando verrà l'ora della ricostruzione, ricordiamoci che l'[[urbanistica]] e il paesaggio italiani hanno bisogno non di altre, ma di meno «regole». E, più che di cemento, di dinamite. (da ''[https://web.archive.org/web/20160101000000/http://archiviostorico.corriere.it/1998/maggio/09/licenze_facili_leggi_oscure_co_0_9805099009.shtml Le licenze facili e le leggi oscure]'', 9 maggio 1998, p. 1) *Qualche dichiarazione meno infuocata contro la Giustizia di regime, come il [[Silvio Berlusconi|Cavaliere]] si ostina a definirla, avrebbe meglio aiutato la politica italiana a rimuovere il macigno che la paralizza, e che è lui, Berlusconi. (da ''[https://web.archive.org/web/20160101000000/http://archiviostorico.corriere.it/1998/luglio/14/RESTO_SIA_SILENZIO_co_0_9807143775.shtml E il resto sia silenzio]'', 14 luglio 1998, p. 1) *L'Italia sarà anche, come dicono i nostri tromboni universitari, «la culla del diritto». Ma è anche il sepolcro di una giustizia che, per decidere se un imputato è innocente o colpevole, aspetta il suo certificato di morte che la esenta dal dirlo. Il secondo problema è il reclutamento e la selezione [[magistratura|del personale]]. Come in tutte le altre pubbliche attività, anche nella giustizia c'è un dieci per cento di autentici eroi pronti a sacrificarle carriera e vita, ma senza voce in un coro di «gaglioffi» che c'è da ringraziare Dio quando sono mossi soltanto da smania di protagonismo. (da ''[https://web.archive.org/web/20160101000000/http://archiviostorico.corriere.it/1998/agosto/24/CARDINALE_MAGISTRATO_co_0_9808244892.shtml Il Cardinale e il Magistrato]'', 24 agosto 1998, p. 1) *Tutto si è risolto in un colpo solo, non si sa con precisione quando e come combinato, che ha tagliato la strada alla bagarre prima che cominciasse. E che, per quanto mi riguarda, mi ha liberato dall'incubo che turbava i miei inquieti sonni, e in cui mi vedevo in fuga da un mostro senza volto, ma che m'incalzava con la logorrea del presidente uscente, aggravata dall'accento irpino di Mancino e dalle corde vocali della signora Jervolino. [...] Siamo sicuri che il popolo, chiamato a pronunciarsi fra un [[Carlo Azeglio Ciampi|Ciampi]] e – faccio per dire – un [[Antonio Di Pietro|Di Pietro]], si sarebbe pronunciato per Ciampi? È una domanda che non aspetta risposta, ma che mi permetto di proporre ai lettori. Gran bella parola «il Popolo». E riconosciamogli pure l'attributo, che gli spetta, di «Sovrano». Ma insomma, meditate gente, meditate. (da ''[https://web.archive.org/web/20160101000000/http://archiviostorico.corriere.it/1999/maggio/14/QUASI_NON_CREDO_co_0_9905146643.shtml Quasi non ci credo]'', 14 maggio 1999, p. 1) *Tutti coloro che hanno svolto pubbliche funzioni in Sicilia sono rimasti e sono tuttora in qualche modo «collusi» con la mafia. Lo furono quotidianamente, e per secoli, il governo e la polizia borbonica. Lo fu [[Giuseppe Garibaldi|Garibaldi]] che in essa trovò, dopo lo sbarco, la sua prima alleata. Lo furono i governi nazionali sia di destra che di sinistra. Lo fu [[Giovanni Giolitti|Giolitti]] che pure non scese mai, a ch'io sappia, a sud di Napoli. Lo fu il presidente della vittoria, [[Vittorio Emanuele Orlando|Orlando]], che quando tornava a Palermo, la prima visita che rendeva non era al prefetto né all'arcivescovo, ma al capomafia. Tentò di non esserlo Mori che aveva licenza di uccidere garantita da un regime totalitario, e ci rimise il posto. Lo sono stati tutti i politiconi e politicastri della Prima Repubblica. Anche il cautissimo [[Giulio Andreotti|Andreotti]]? Può darsi, attraverso i suoi proconsoli ''in loco''. Ma il Tribunale deve aver capito che l'imputato non era lui. Era il costume morale e politico della nostra vita pubblica, sul quale un Tribunale non ha, né può né deve avere competenza. [...] E il problema, secondo me, è questo: che fin quando noi italiani crederemo di salvarci dalla peste mandando sul rogo una strega o un untore, dalla peste non ci libereremo mai. (da ''[https://web.archive.org/web/20160101000000/http://archiviostorico.corriere.it/1999/ottobre/24/TRIBUNALE_DELLA_STORIA_co_0_991024441.shtml Il tribunale della storia]'', 24 ottobre 1999, p. 1) *Ci dicano chiaro e tondo perché hanno smembrato il Ros, e hanno ridimensionato l'attività di Sco e Gico. Non ci raccontino che hanno voluto mettere al riparo il capitano Ultimo e i suoi uomini dalle possibili vendette della malavita. E soprattutto non vengano a ripeterci che il ''modus operandi'' dei servizi segreti, per impedirne le «deviazioni», dev'essere «trasparente». Questa, che un segreto possa essere trasparente, è un'idea da primato della cretineria. E, se non della cretineria, lo è della retorica virtuista o della menzogna truffaldina. (da ''[https://web.archive.org/web/20160101000000/http://archiviostorico.corriere.it/1999/novembre/02/PROCURATORE_BATTA_PUGNO_co_0_9911021451.shtml Procuratore batta il pugno]'', 2 novembre 1999, p. 1) *Era la prima volta che il partito socialista italiano aveva trovato un uomo {{NDR|Bettino Craxi}}, se non di Stato, almeno di governo, che lo aveva liberato dalla subalternanza al Pci, e condotto su posizioni democratiche, europeistiche e atlantiche. Lo avrà anche fatto con metodi alquanto spicciativi e disinvolti, più da padrino che da ''leader''. Ma mi chiedo se avrebbe potuto usarne di diversi per avere ragione dei vecchi tromboni del massimalismo populista e piazzaiolo con le loro clientele incrostate da decenni. E mi chiedo anche quanto contribuirono alla sua crocefissione i rancori e le acredini che si era lasciato dietro. Ma nella difesa si perse, e non per mancanza, ma forse per eccesso di coraggio. (da ''[https://web.archive.org/web/20160101000000/http://archiviostorico.corriere.it/2000/gennaio/20/STATISTA_LATITANTE_co_0_0001201104.shtml Lo statista latitante]'', 20 gennaio 2000, p. 1) *Anche noi siamo convinti che il Paese ha il diritto di conoscere la verità (che non riguarda soltanto quella di Piazza Fontana). Ma non ci riusciamo. Anche perché se la pista rimane, come sembra accertato, quella del terrorismo nero, non sappiamo quali nomi l'accusa potrà tirar fuori dal suo cappello. I tre maggiori indiziati sono già stati assolti con sentenza passata in giudicato che non consente di richiamarli sul banco degli imputati. Gli altri di cui si fa il nome non sarebbero che comparse, la più importante delle quali, Delfo Zorzi, risiede a Tokio con passaporto giapponese che lo mette al riparo da ogni pericolo di estradizione. Vale la pena ricominciare? L'''ouverture'' dei dibattimenti non è stata incoraggiante. Il proscenio era occupato da Capanna, Valpreda, [[Dario Fo]] e altri reduci sessantottini, cui si era aggiunto anche Sergio Cusani, l'intangentato convertitosi (lo diciamo senza nessuna ironia) al missionarismo. [...] Invano i portaparola della parte lesa, cioè dei familiari delle vittime, si sono dichiarati estranei e contrari a ogni tentativo di politicizzare il processo. Una parola. Non ci riescono nemmeno [[Jovanotti]] e [[Teo Teocoli|Teocoli]] con le loro filastrocche dal palcoscenico di Sanremo. Figuriamoci se potranno riuscirci i registi di questo processo ''rouge et noir'', se mai ve ne furono. [...] Ecco a cosa servono i processi come questo: non a cercare la verità, ma a fornire argomenti al ''rouge'' o al ''noir''. (da ''[https://web.archive.org/web/20160101000000/http://archiviostorico.corriere.it/2000/febbraio/26/QUELLA_VERITA_CHE_CERCHIAMO_co_0_0002264627.shtml Quella verità che cerchiamo]'', 26 febbraio 2000, p. 1) *Cosa c'entri la giustizia italiana in fatti e misfatti capitati trent'anni fa in un Paese {{NDR|l'[[Argentina]]}} di cui la metà della popolazione è di origine italiana, non riusciamo a capire. Ma ci pareva impossibile che l'iniziativa del giudice spagnolo Garzon per trascinare l'ex dittatore cileno [[Augusto Pinochet|Pinochet]] sul banco degli accusati di un tribunale madrileno non trovasse imitatori in un Paese di scimmie come il nostro. Grazie ad essa, il nome e il volto di Garzon sono noti in tutto il mondo. Ed è probabile che tra poco lo siano anche quelli del pubblico ministero Caporale. Vi pare poco in un'era dell'effimero come quella in cui stiamo vivendo, e che vede l'infittirsi di processi ai defunti, su cui le nuove leve della [[storiografia]] vorrebbero riscrivere il passato? (da ''[https://web.archive.org/web/20160101000000/http://archiviostorico.corriere.it/2000/aprile/03/QUEI_PROCESSI_CARO_ESTINTO_co_0_0004033275.shtml Quei processi al caro estinto]'', 3 aprile 2000, p. 1) *Dobbiamo avere la modestia di riconoscere che noi, come venditori, non leghiamo nemmeno le scarpe a un piazzista che se un giorno si mettesse a produrre vasi da notte, farebbe scappare la voglia di urinare a tutta l'Italia. (da ''[https://web.archive.org/web/20130619122825/http://archiviostorico.corriere.it/2001/febbraio/15/PREDICATORI_COMPARSE_co_0_0102158858.shtml I predicatori e le comparse]'', 15 febbraio 2001, p. 1) *Non sono mai venuto meno all'impegno, preso non con il Cavaliere, ma con me stesso, di non associarmi mai alla sua demonizzazione. Ma non posso sottacere ai lettori i pericoli che si nascondono sotto questa sua allergia alla verità, questa sua voluttuaria e voluttuosa propensione alle menzogne, la naturalezza con cui riesce a pronunziarle. (da ''Io e il cavaliere qualche anno fa'', 25 marzo 2001, p. 1) *Berlusconi, cui nulla riesce tanto bene quanto la parte di vittima e perseguitato. «[[Chiagne e fotte]]» dicono a Napoli dei tipi come lui. E si prepara a farlo per cinque anni di seguito. (da ''Io e il cavaliere qualche anno fa'', 25 marzo 2001, p. 1) ====''La stanza di Montanelli – rubrica''==== {{cronologico}} *{{NDR|[[Vittorio Sgarbi]]}} È un volgare calunniatore, che non disonora se stesso, ma anche il suo committente e padrone (tutti sappiamo chi è) che si serve di un simile scherano. (8 novembre 1995) *I [[Riformismo|riformatori]] italiani, quando si tratta di riformare ciò che non ha bisogno di essere riformato, sono instancabili. L'attività dell'Ucas, Ufficio complicazioni affari semplici, come ricordava un altro lettore esasperato, è frenetica. ([https://web.archive.org/web/20160101000000/http://archiviostorico.corriere.it/1995/dicembre/13/Ufficio_complicazioni_affari_semplici_co_0_9512139920.shtml 13 dicembre 1995]) *Io credo che il miglior omaggio che si può rendere a [[Aldo Moro|Moro]] sia quello di archiviare l'episodio che ne segnò la fine e dal quale, diciamo la verità, la sua immagine esce tutt'altro che bene. Quando sento dire che, oltre a quelle conosciute, ci sono anche altre lettere di Moro, prego Iddio che non vengano trovate. So già cosa contengono, e preferisco non leggerlo. (21 dicembre 1995) *È assolutamente impossibile istillare negli [[zingari]] il concetto di proprietà e quindi educarli al lavoro come mezzo per conquistarsela. Ma temo che sia altrettanto impossibile far capire tutto questo ai nostri pietisti, religiosi e laici, che farneticano di «integrarli». ([https://web.archive.org/web/20160101000000/http://archiviostorico.corriere.it/1995/dicembre/30/Viaggiai_sul_carrozzone_degli_zingari_co_0_95123012229.shtml 30 dicembre 1995]) *A me, invece, [[Beppe Grillo|Grillo]] piace. Lo considero il più efficace comico in circolazione. Anzi: «comico» non è la parola giusta. Grillo non è un comico, non è un moralista, non è un predicatore: è tutte queste cose insieme. Nel panorama dello spettacolo italiano, dove abbonda il bollito misto, è un'eccezione ambulante (e urlante). Lei ha ragione quando dice che Grillo esagera. Non soltanto esagera; provoca anche, e insulta, e offende. Ma tutte le categorie di giudizio, con un tipo così, risultano inadeguate. Grillo appartiene ad una specie animale particolare, formata da un solo esemplare: lui. O lo strozziamo o lo applaudiamo. Io, appena posso, lo applaudo. Perché i suoi eccessi, a differenza di quelli di [[Vittorio Sgarbi|Sgarbi]], odorano di bucato. ([https://web.archive.org/web/20160101000000/http://archiviostorico.corriere.it/1996/gennaio/11/Beppe_Grillo_incubo_esilarante_co_0_9601114281.shtml 11 gennaio 1996]) *Una delle eterne regole italiane: nel settore pubblico, tutto è difficile; la buona volontà è sgradita; la correttezza, sospetta. Per questo, le persone capaci continueranno a tenersi a distanza di sicurezza dalla «cosa pubblica», lasciando il posto ai furbastri (magari bravi) e alle mezze cartucce (magari oneste). Così, purtroppo, vanno le cose in questo bizzarro paese. ([https://web.archive.org/web/20160101000000/http://archiviostorico.corriere.it/1996/gennaio/26/Impegno_politico_caduta_delle_illusioni_co_0_9601261298.shtml 26 gennaio 1996]) *In una società libera il compito dei media non è «edificare la morale»; è informare, denunciare, stimolare, far riflettere, occasionalmente divertire. (28 gennaio 1996) *L'unico incoraggiamento che posso dare ai giovani, e che regolarmente gli do, è questo: «Battetevi sempre per le cose in cui credete. Perderete, come le ho perse io, tutte le battaglie. Una sola potete vincerne: quella che s'ingaggia ogni mattina, quando ci si fa la barba, davanti allo [[specchio]]. Se vi ci potete guardare senza arrossire, contentatevi». (20 febbraio 1996) *Non so se il Pci sia sotterraneamente sceso a trattative con le Br per convincerle a secondare questo piano. So soltanto che le Br, le quali invece la rivoluzione la volevano sul serio, lo rifiutarono, e fu proprio per farlo naufragare che rapirono e poi uccisero colui che doveva esserne lo strumento. [...] Fu il risoluto e quasi furibondo (oltre che sacrosanto) no dei comunisti che fece naufragare il tentativo {{NDR|Trattativa Stato-BR durante il sequestro [[Aldo Moro|Moro]]}}, che invece in seno alla Dc aveva parecchi sostenitori, anche se non osavano dirlo apertamente. Di qui le accuse e le insinuazioni contro i suoi compagni di partito, lanciate da Moro in quelle famose lettere, che avrebbe fatto meglio a non scrivere perché indegne di un vero uomo di Stato, anzi di un uomo tout court, e che ancor oggi forniscono materia al sospetto di una congiura fra democristiani – con l'aiuto dei soliti servizi segreti «deviati» – per sbarazzarsi di lui. Vero nulla. Forse nella Dc le forze «trattativiste», praticamente disposte alla resa alle Br, avrebbero vinto, se non ne fossero state impedite dalla risolutezza del Pci, che di un brigatismo assurto ad interlocutore dello Stato non voleva sentir parlare e di un Moro salvato al prezzo di una simile capitolazione non avrebbe più saputo che farsi. (26 marzo 1996) *No, è stata la persecuzione che ha costretto gli ebrei, per resisterle, a tendere ed affinare tutte le loro risorse intellettuali. Ecco il segreto dei loro primati. In tutto. E talvolta anche nella cretineria. (3 aprile 1996) *L'[[Allargamento della NATO|allargamento della Nato]] è una cosa maledettamente seria, e decisamente complessa. Parlarne prima delle elezioni presidenziali russe vuol dire buttare benzina sul fuoco; non parlarne oggi significa, forse, non parlarne più. [...] Innanzitutto, dobbiamo renderci conto che la Nato è un'organizzazione basata sul consenso: se si estende verso Oriente [...], la compattezza dell'alleanza rischia di incrinarsi. Ancor più delicata è una seconda questione. Governi e opinione pubblica occidentali devono capire le implicazioni della loro decisione. In seguito all'allargamento, i nuovi membri orientali della Nato (che siano solo Repubblica Ceca e Ungheria; o anche Polonia e Paesi Baltici) diventano nostri alleati, a tutti gli effetti. Questo vuol dire che, se venissero attaccati, dovremmo correre a difenderli. Domanda: siamo disposti a morire per Varsavia e Tallin? Se la risposta è «sì», allarghiamo pure la Nato. Se la risposta è «ma, forse...» – e in Italia sarebbe sicuramente «ma, forse...» – è meglio che lasciamo perdere. In quella parte del mondo hanno già sofferto abbastanza. Non è il caso che ci mettiamo anche noi. ([https://web.archive.org/web/20151025020316/http://archiviostorico.corriere.it/1996/aprile/20/Allargamento_della_Nato_Lasciamo_perdere_co_0_960420535.shtml 20 aprile 1996]) *Io non mi considero affatto ateo e non capisco come si possa esserlo. ([https://web.archive.org/web/20160101000000/http://archiviostorico.corriere.it/1996/maggio/23/dove_comincia_grande_mistero_Dio_co_0_9605235872.shtml 23 maggio 1996]) *{{NDR|Riferito alla [[crisi di Sigonella]]}} Ho sempre considerato il rilascio di Abu Abbas un gesto semplicemente criminale o almeno di complicità col crimine. ([https://web.archive.org/web/20151107235857/http://archiviostorico.corriere.it/1996/luglio/07/Caro_Ottiero_Ottieri_diamoci_del_co_0_9607072658.shtml 7 luglio 1996]) *Quanto scrivi {{NDR|riferito a una lettrice}} sull'insegnamento della Storia nelle nostre scuole è sacrosantamente vero. I testi su cui ve la fanno studiare sono o reticenti o faziosi, ma più spesso l'una cosa e l'altra, e soprattutto scritti coi piedi. (4 settembre 1996) *No, caro N***, non mi basta che il Pool abbia perseguito e persegua una buona Causa. Doveva farlo anche con buoni mezzi e criteri. E il caso Di Pietro basta a dimostrare che questo non è sempre avvenuto. (24 ottobre 1996) *È dalla piazza e dai cosiddetti «bagni di folla» che nascono i dittatori e vengono consacrati i fanatismi più orrendi, fra cui il più orrendo di tutti: il razzismo. ([https://www.fondazionemontanelli.it/sito/pagina.php?IDarticolo=432 24 novembre 1996]) *Io non ho titoli culturali che mi qualifichino a lezioni su una tematica come quella del [[calvinismo]]. Ma credo di averne afferrato l'essenziale: la concezione della Ricchezza come segno della Grazia, di cui quindi non si è proprietari, ma amministratori per conto del Signore col compito di moltiplicarla per il bene di tutti. (21 dicembre 1996) *[[Daniele Vimercati|Vimercati]] è un leghista antemarcia. Lo era anche quando lavorava con me al ''Giornale''. Ma è soprattutto un signor giornalista, che conosce perfettamente la linea di demarcazione fra l'opinione personale e il dovere professionale, e non c'è interesse né calcolo di opportunità che possa indurlo a varcarla. Per questo godeva di tutta la mia fiducia, né mai ho avuto occasione di pentirmi di avergliela concessa. (1996).<ref>Citato in Pierluigi Saurgnani, ''[https://www.ecodibergamo.it/stories/Cronaca/274325_vimercati_gran_borghese_il_giornalista_che_scopr_bossi/ Vimercati, gran borghese. Il giornalista che scoprì Bossi]'', ''ecodibergamo.it'', 13 marzo 2012.</ref> *Di commissioni d'inchiesta il nostro parlamento ne ha partorite a dozzine. Me ne citi una sola che abbia raggiunto dei risultati, anche semplicemente conoscitivi. Per un Parlamento come il nostro (e mi trattengo a fatica dal qualificarlo) anche la ricerca della verità è materia di lottizzazione. ([https://web.archive.org/web/20151118213258/http://archiviostorico.corriere.it/1996/dicembre/23/Ormai_non_resta_che_amnistia_co_0_96122312669.shtml 23 dicembre 1996]) *Quando ebbi, fra i tanti, un processo non con un magistrato, ma con un politico del rango di De Mita che avevo coinvolto nella mala amministrazione dei fondi stanziati per l'Irpinia dopo il [[Terremoto dell'Irpinia del 1980|terremoto]], non trovai, in tutta quella vasta regione, una toga che venisse a testimoniare in mio favore. L'unico che mi difese fu colui che avrebbe dovuto accusarmi: il pubblico ministero del tribunale di Monza, Mariconda: non sul merito delle mie accuse, ch'egli non aveva elementi per valutare, ma sul diritto che mi riconosceva di lanciarle. Anche l'uso dei cinquanta–sessantamila miliardi stanziati per l'Irpinia rimase un porto delle nebbie. ([https://web.archive.org/web/20160101000000/http://archiviostorico.corriere.it/1997/gennaio/12/Magistratura_porti_delle_nebbie_co_0_9701123652.shtml 12 gennaio 1997]) *La sola parola «ingegneria genetica» mi mette i brividi. (14 marzo 1997) *Io non mi sono mai [[Impiccagione|impiccato]]. Ma a Norimberga assistetti a diciassette impiccagioni, compresa quella di un cadavere, il cadavere di Göring che si era suicidato il giorno prima. Be', mi resi conto [...] che ficcare la testa nel nodo scorsoio di una corda non è un esercizio da mezzetacche o quacquaracquà. (15 maggio 1997) *{{NDR|Gladio}} Era stato istituito in quasi tutti i Paesi che facevano parte della Nato, e per volontà della Nato, consapevole che i suoi soci europei non avrebbero potuto resistere all'attacco di una Potenza superarmata qual era l'[[Unione Sovietica]]: avrebbero dovuto aspettare, per la riscossa, l'intervento dell'[[Stati Uniti d'America|America]]. Lo dimostra il fatto che quando questo piano fu rivelato, nessun altro Paese trovò nulla da ridirne. Solo noi italiani – i soliti romanzieri imbecilli e peggio che imbecilli – ne facemmo materia di scandalo e pretesto di «gialli» che tuttora trovano credito, come la sua lettera dimostra. Anch'io mi sento scandalizzato, e un poco offeso. Ma solo dal fatto che nessuno mi abbia sollecitato l'adesione al [[Organizzazione Gladio|Gladio]]: l'avrei data con entusiasmo. ([https://web.archive.org/web/20150623163829/http://archiviostorico.corriere.it/1997/giugno/07/Avrei_dato_con_entusiasmo_adesione_co_0_97060710388.shtml 7 giugno 1997]) *A fare l'Italia alcuni pochi italiani ci sono, senza e contro i più, riusciti. A fare gl'italiani, l'Italia, in centocinquant'anni, non c'è riuscita; anzi non ci s'è nemmeno provata. (19 giugno 1997). *Il vero cacciatore ama gli animali a cui dà la caccia, forse anche perché li considera complici di questo gioco in cui ritrova la sua origine esistenziale. Non spara, per esempio, sul bersaglio fermo: lo considera sleale. (9 luglio 1997) *Al matrimonio misto, che dell'integrazione razziale è la condizione genetica, sono i neri, molto più dei bianchi, che si rifiutano. Non è quindi colpa degl'italiani, o almeno non tutta questa colpa è degl'italiani, se anche da noi l'integrazione con gl'immigrati africani incontra degli ostacoli. Quella con gli oriundi dei Paesi europei non ne incontra nessuno, salvo quelli che frappone la burocrazia, la quale ne pone tanti anche a noi, e anzi campa solo di questo. Non ho mai sentito un francese, o un inglese, o un tedesco, o un bulgaro o un ukraino lamentarsi di una apartheid italiana. Ci sono anche da noi, purtroppo, delle manifestazioni di razzismo. Ma queste sono dovunque, e in Italia meno violente che altrove. L'Italia è un Paese che va a catafascio. Ma non buttiamogli addosso anche delle croci che non merita. Quelle che merita bastano, e ne avanza. (24 agosto 1997) *Io sono un italiano, fra i pochi rimasti che nei confronti dell'Italia s'ispirano all'adagio inglese: «Che abbia ragione o torto, sto col mio Paese». Anch'io sto col mio paese quando ha torto, ma senza pretendere che il suo torto sia considerato ragione. (23 settembre 1997) *Sono e rimango convinto che fin quando noi italiani ci affideremo soltanto alla Legge – o, come ora usa chiamarla, alle «regole» –, rimarremo quello che siamo, coi vizi che abbiamo, fra cui quello di accatastare regole su regole al solo scopo di metterle in contraddizione l'una con l'altra per poterle meglio evadere. (16 ottobre 1997) *Forse farebbe meglio ad astenersi a dare lezioni di liberalismo a me che sono stato, in tutto il giornalismo italiano, l'unico a difenderlo negli anni Settanta e Ottanta, quando difenderlo era difficile e poteva anche costar caro. Non me ne faccio un vanto perché, quando alla fine ha vinto, ho visto di che liberalismo si trattava, ed è per questo che ho votato Ulivo. (23 ottobre 1997) *Le confesso che il suo piglio perentorio e inquisitorio mi disturba alquanto, anche perché mi lascia capire che lei parte da convinzioni così granitiche da rendere vano ogni tentativo d'insinuarvi almeno un dubbio. (23 ottobre 1997) *È importante tutto questo? No. Non lo è per me né per lei, che sappiamo cosa è accaduto. E non lo è per i leghisti doc, secondo cui qualunque cosa propone il capo è Vangelo. Se Bossi decide di andare in Bicamerale, applaudono. Se decide di abbandonare la Bicamerale, esultano. Se va con Berlusconi, assentono. Se lascia Berlusconi, approvano. E se un giorno si sveglia e cambia i confini della Padania, accettano i nuovi confini. Tempo fa, rispondendo a un lettore, scrissi che «i leghisti sono pronti a inneggiare anche all'annessione della Yakuzia, e non solo perché non sanno dove sta». Arrivarono molte lettere indispettite. Ma nessuna contro l'annessione della Yakuzia. (29 ottobre 1997) *Se sono – come sono – uno di quegli uomini di Destra che ultimamente hanno votato, sia pure controvoglia, per la Sinistra (annacquata) dell'Ulivo, è perché da questa, che non è mai stata la mia bandiera, non mi sento tradito. Essa sta facendo ciò che prometteva di fare, ma lo fa con molta moderazione, e con una squadra di uomini che magari non saranno (meno qualcuno, come per esempio Ciampi) di serie A, ma da cui non temo, e credo che nessuna persona ragionevole possa temere, l'instaurazione di un regime. (10 dicembre 1997) *E lo specchio non vi giudica dai successi che avrete ottenuto nella corsa al denaro, al potere, agli onori; ma soltanto dalla Causa che avrete servito. Tenendo bene a mente il motto degli ''hidalgos'' spagnoli: «La sconfitta è il blasone delle anime nobili». (31 dicembre 1997) *Che cosa io pensi dell'onorevole Previti mi pare di averlo detto in termini talmente espliciti da apparire – a più d'uno – brutali: un personaggio che solo a guardarlo in faccia verrebbe voglia di applicargli le manette ai polsi prima ancora di sapere chi è e cosa ha fatto. (31 gennaio 1998) *Infine, c'è quello che io considero il vero, grande vantaggio dell'euro: una volta dentro, non potremo tornare all'allegra finanza pubblica d'un tempo. ([https://web.archive.org/web/20151203232056/http://archiviostorico.corriere.it/1998/febbraio/20/Che_cosa_succedera_quando_avremo_co_0_9802206445.shtml 20 febbraio 1998]) *Tutti hanno diritto di credere nel miracolo, quando non c'è altro a cui aggrapparsi. La scienza no: se lo ricordi anche il Papa. (23 febbraio 1998) *I conti col passato, si capisce, bisogna farli. Ma a un certo punto bisogna chiuderli. Perché nella Storia non ce n'è mai stato uno che, protratto all'infinito, non ne abbia innescato un altro. (10 marzo 1998) *Perché, caro B***? Perché la vocazione a dividerci sempre e su tutto per il nostro «particulare», come lo chiamava Guicciardini, noi italiani ce la portiamo nel sangue, e non c'è legge che possa estirparla. (18 aprile 1998) *Vero che nei ricordi sui quali vengo sollecitato, il nome di [[Cesco Tomaselli|Tomaselli]] ricorre meno frequentemente di quelli di Longanesi, di Buzzati, di Piovene, di Barzini ecc. Ma ciò dipende solo dal fatto che costoro appartenevano alla mia leva, e in comune con loro avevo avuto tante esperienze, perfino la stanza di lavoro. Tomaselli, quando io entrai al ''Corriere'', apparteneva già alla sua vecchia guardia, e come notorietà ne aveva raggiunto il tetto proprio grazie alle sue corrispondenze sull'impresa del dirigibile «Italia» di Umberto Nobile, di cui fu dal principio alla fine lo scrupoloso cronista. A salvargli la vita dalla catastrofe fu soltanto la sorte, contro cui egli imprecò considerandola avversa. Per l'ultima tappa, quella che avrebbe dovuto sorvolare il Polo, dei due giornalisti aggregati a quella spedizione — Tomaselli per il ''Corriere'', e Ugo Lago per il ''Popolo d'Italia'' di Mussolini —, c'era posto, sulla navicella, per uno solo. Lago e Tomaselli se lo giocarono a testa o croce. Con gran dispetto di Tomaselli, che non smise mai di considerarsene tradito, vinse e partì Lago, che non tornò più: quando l'aeromobile precipitò sul pack, lui rimase aggrappato insieme ad altri compagni al cordame dell'involucro col quale scomparve nel deserto bianco. Ma tutte le volte che se ne parlava, Tomaselli seguitava ad inveire contro la scalogna che lo aveva escluso da quel drammatico finale, come se gli avesse tolto la fortuna di descriverlo. Questo era Tomaselli, l'inviato speciale che nel suo mestiere di giornalista portava lo stesso spirito che aveva fatto di lui, nella Prima Guerra Mondiale, un superdecorato ufficiale di artiglieria alpina e gli ispirava una concezione quasi religiosa del «servizio». Non era un «brillante» né come scrittore né come parlatore. Ma di tutto quello che diceva, sia con la bocca che con la penna, si poteva stare sicuri che di inesatto o di inventato non c'era nemmeno una virgola. [...] Se raramente mi capita di parlare di lui, è perché l'ho conosciuto e frequentato sul declino della sua intemerata e ineccepibile carriera di testimone, e perché lui, nel raccontarla, non l'animava mai di aneddoti o di battute come, per esempio, il suo coetaneo Monelli. Ma se ai giovani che si avviano (poveretti!) a questo mestiere dovessi indicare un modello di dignità, serietà, dedizione e correttezza professionale non avrei dubbi sulla scelta: Cesco Tomaselli. ([https://web.archive.org/web/20151009153047/http://archiviostorico.corriere.it/1998/maggio/07/Cesco_Tomaselli_inviato_speciale_Polo_co_0_9805078688.shtml 7 maggio 1998]) *Che un giudice spagnolo in vena di protagonismo abbia chiesto all'[[Inghilterra]] la consegna di un ospite straniero andato a Londra in forma privatissima per ragioni di salute, non mi stupisce: un [[Antonio Di Pietro|Di Pietro]] può nascere dovunque. Ma che l'Inghilterra si proponga di consentire, non mi stupisce. Mi sbalordisce, come ha sbalordito e indignato la signora Thatcher che aveva ospitato in casa il Generale. Ma ancora di più mi sbalordirebbe che la Giustizia spagnola, cioè di un Paese che non solo ha accettato per quarant'anni il potere di un Generale, ma gli ha consentito (per sua fortuna) di disporne anche dopo morto, portasse davanti a una Corte di Giustizia quello cileno. Per non parlare delle conseguenze che tutto questo potrebbe provocare in [[Cile]] dove, nel caso che il governo Frei si mostrasse esitante e accomodante, le Forze Armate potrebbero riprendere il potere per rompere i rapporti diplomatici con [[Spagna]] e Inghilterra e dimostrare al mondo che i processi alla Norimberga hanno fatto il loro tempo. Se a qualcuno il Generale cileno Pinochet deve rendere conto del suo operato, è soltanto al Cile e ai suoi tribunali. E se io fossi un cileno che ha votato Frei (come certamente avrei fatto se fossi stato un cileno), in questa occasione mi schiererei con le Forze Armate. Con tanti saluti a tutto il sinistrume italiano passato, presente e futuro. (24 ottobre 1998) *Che gli [[Stati Uniti d'America|Usa]] siano in tutto il mondo odiati dagli uomini come lei {{NDR|riferito a un lettore}}, è verosimile, e quindi più che credibile. Un po' meno credibile è che gli uomini di tutto il mondo siano e la pensino come lei. Comunque, il giorno in cui quel Paese venisse chiamato (ma da chi?) sul banco degl'imputati come il nemico dell'umanità, io chiederò di essere ascoltato come testimone. Per dire alla Corte dei Vecchio di turno che io, uomo qualunque, mi considero graziato tre volte da questo grande nemico dell'umanità. La prima fu quando mi strappò al pericolo di diventare – per bene che mi fosse andata – l'attendente di un colonnello tedesco. La seconda fu quando mi sottrasse a quello di finire i miei giorni in un kolkos siberiano. La terza fu quando, invece di rimettermi la parcella di questi favori, mi aiutò a rifarmi la casa senza contestarmi il diritto di invitarvi anche coloro che pensano (si fa per dire) e parlano (o meglio sbraitano) come lei. ([https://web.archive.org/web/20160101000000/http://archiviostorico.corriere.it/1999/aprile/10/Fermare_genocidio_Kosovo_co_0_9904103314.shtml 10 aprile 1999]) *Tradotto in politica, non c'è nulla di più intollerante e fazioso, e quindi di meno pacifico, del [[pacifismo]] in generale, e di quello italiano in particolare. È un pacifismo a fasi alterne, e che si sveglia soprattutto, anzi quasi esclusivamente, quando a fare la guerra sono gli americani. Furioso e devastatore imperversò, non soltanto in Europa, ma nella stessa America, al tempo del Vietnam: al punto che quando [[Richard Nixon|Nixon]] venne in visita in Italia (quell'Italia che poteva fare ciò che voleva grazie agli americani) dovettero mandarlo a prendere a Fiumicino con un elicottero e trasportarlo via aria in Quirinale perché via terra avrebbe rischiato la pelle. Ma questo stesso pacifismo rimase impassibile quando i carri armati sovietici schiacciarono l'Ungheria (e a Montecitorio risuonò il grido: «Viva l'[[Armata Rossa]]!»), e poco dopo la Cecoslovacchia e da ultimo l'Afghanistan. Sono sempre gli stessi, i pacifisti italiani. Con una bandiera in mano come quella della pace (chi può infatti invocare la guerra?), si sentono invulnerabili. Ma la sventolano solo per il povero Milosevic; il genocidio del Kosovo li lascia del tutto indifferenti. (5 maggio 1999) *Non sempre condivido le opinioni di [[Giovanni Sartori|Sartori]]. Qualche volta, anzi spesso, abbiamo litigato, anche perché a lui litigare piace moltissimo: da buon toscano, è nella polemica che lui, e forse anch'io, diamo il meglio di noi. E anche sull'articolo del 25 maggio non siamo in tutto e per tutto d'accordo. Lo siamo nel respingere la qualifica di «pacifista», che entrambi lasciamo in esclusiva alle «anime belle» che, sventolando la bandiera della [[pace]], sperano di raccogliere intorno a essa tutti gl'ipocriti e gl'imbecilli che, sommati insieme, costituiscono certamente la stragrande maggioranza degl'italiani. (29 maggio 1999) *Lo Stato di [[Platone]], quello che lui chiamava la polis, e che poi era Atene, aveva, al tempo di Platone, cioè nel momento del suo massimo splendore, ventimila abitanti, di cui solo cinquemila avevano diritto al voto. E veda un po' come quei civilissimi cittadini lo usarono nelle assemblee dell'Acropoli: mettendo sotto processo [[Pericle]] e [[Aspasia di Mileto|Aspasia]], condannando a morte [[Socrate]] e provocando la guerra del Peloponneso, che fu la rovina non solo di Atene, ma di tutta la Grecia e della sua civiltà. Ora se il sistema della «democrazia diretta» o, come lei la chiama, «partecipatoria», non funzionò nemmeno in una polis di ventimila abitanti, s'immagini un po' cosa diventerebbe nei formicai umani cui si sono ridotte le polis attuali, e non soltanto quelle italiane. [...] Lei ha tutte le ragioni del mondo a dire che l'attuale sistema di democrazia «rappresentativa» o «delegata» ha dei vizi gravissimi e spesso provoca disastri, compresa quella americana, che pure è una di quelle che meglio funzionano. Ma, mi creda, quella «diretta» o «di piazza» è ancora molto più pericolosa perché continuamente a rischio di cadere in balia di qualche ciarlatano che sappia soltanto vendere bene la sua merce. Certo, quella indiretta esige, da parte del cittadino, una partecipazione che in Italia manca. Ma non è certo coi referendum che si può sostituirla. Almeno questo mi ha insegnato l'esperienza. (22 agosto 1999) *Quello di [[Francisco Franco|Franco]], se proprio vogliamo chiamarlo regime, fu un regime di polizia, di una polizia molto più dura di quella fascista, ma un totalitarismo no. Ecco perché, quando sentì avvicinarsi il momento della fine, Franco poté liquidare il franchismo con relativa facilità: perché di totalitario non aveva altro che le galere. Però bisogna anche riconoscere che questo soldataccio squallido e ottuso (sul piano umano era repellente), il ritorno al regime democratico seppe compierlo da maestro, facendosi consegnare dal pretendente al trono, Don Juan, ch'egli considerava (non a torto) poco affidabile, il figlio Juan Carlos per prepararlo – operazione riuscitissima – ai suoi compiti di Re, e mettendogli accanto un uomo di primissimo ordine come Suarez. ([https://web.archive.org/web/20130331034046/http://archiviostorico.corriere.it/1999/ottobre/24/differenza_fra_regimi_totalitari_dittature_co_0_991024459.shtml 24 ottobre 1999]) *La servitù, in molti casi, non è una violenza dei padroni, ma una tentazione dei servi. (2 gennaio 2000) *Non conosco Haider, e quindi nemmeno i fondamenti della sua ideologia, ammesso che ne abbia una. A occhio e croce, più che un nazista, mi sembra un qualunquista che interpreta, o cerca d'interpretare i sentimenti e i risentimenti di una pubblica opinione di livello bossiano, scontenta di tante cose, e a cui l'Austria attuale va stretta. [...] Non so se anche Haider – ripeto: non lo conosco – sia un omuncolo. Ma penso che l'Europa, ponendo il veto a un suo eventuale governo, costringerà gli austriaci ad affidargliene l'incarico, come avvenne per Waldheim. Io al pericolo di un rigurgito nazista non ci credo. Come ho letto in un articolo (mi pare di Enzo Bettiza, ma potrei sbagliarmi) penso che Jorg Haider somigli più a un Poujade che a un Le Pen, cioè più a una miscela di [[Umberto Bossi|Bossi]] e di Giannini che a un [[Pino Rauti]]. Ciò che mi allarma è l'incapacità dell'Europa a riflettere sulle sue proprie esperienze a trarne qualche insegnamento. Questo, sì, mi fa paura. (3 febbraio 2000) *Li conosco e riconosco, quei regimi {{NDR|di dittatura e di censura}}. Ne avverto il passo anche di lontano, e convengo che in Italia il pericolo di vederne arrivare qualcuno c'è. Ma sa quando si realizzerà? L'anno venturo, dopo la vittoria – che io do per certa – del Polo alle Politiche. Vedrà. La prima cosa che farà Berlusconi, come la fece nel '94, sarà di spazzare via l'attuale dirigenza Rai per omologarne le tre Reti a quelle sue. (26 febbraio 2000) *Quando s'accendono i [[Morte sul rogo|roghi]], mettiti dalla parte della strega, anche a costo di bruciare con lei. ([https://www.corriere.it/solferino/montanelli/00-05-31/02.spm 31 maggio 2000]) *Una Giustizia che per istruire un processo impiega sei o sette anni e poi non riesce a chiuderlo con una sentenza che non si presti a rimetterlo, con qualche marchingegno, in gioco, è un meccanismo di cui bisogna assolutamente rivedere e rifare gl'ingranaggi: «Giustizia ritardata – dice [[Montesquieu]] – è Giustizia negata». ([http://www.corriere.it/solferino/montanelli/00-06-07/01.spm 7 giugno 2000]) *Il [[revisionismo]] è la materia prima della [[storiografia]] che, senza di esso, sarebbe una disciplina morta. ([http://www.corriere.it/solferino/montanelli/00-06-16/01.spm 16 giugno 2000]) *Il mio giudizio su [[Baltasar Garzón|Garzón]] resta quello di prima, solo un po' rinforzato: un garzoncello smanioso soltanto di leggere il proprio nome sulle prime pagine di tutti i giornali e di vedere la propria effigie sugli schermi televisivi di tutto il mondo: il che rafforza la mia ipotesi che si tratti di un italiano nato per sbaglio in Spagna. ([http://www.corriere.it/solferino/montanelli/00-06-30/01.spm 30 giugno 2000]) *La pena di morte americana esiste e resiste in America perché fu un elemento base e costitutivo della sua nascita e sviluppo. Dei famosi 102 «Padri Pellegrini» che per primi sbarcarono dal «Mayflower» in quel Continente non per saccheggiare le ricchezze come facevano spagnoli e portoghesi in Messico e nell'America del Sud, ma per costruirvi una società nuova e libera, circa i due terzi erano avanzi di galera che fuggivano la Giustizia e le prigioni dell'Europa, e un terzo erano uomini che cercavano la libertà, e soprattutto quella religiosa. I primi avevano in tasca la pistola, i secondi la Bibbia, ma nella sua versione calvinista quella del taglione, basata sulla concezione di un Dio giustiziere che esige la morte di chi senza giusto motivo la dà. (9 luglio 2000) *A Rimini, cioè in casa propria (ma anche nostra, almeno per il momento), questi signorini {{NDR|di [[Comunione e Liberazione]]}} non hanno fatto altro che fischiare tutto ciò che è italiano, acclamare al nuovo beato [[Pio IX]], il Papa-Re che pretendeva di impedire il processo di unificazione nazionale, ed esaltare come i veri eroi del risorgimento i Borboni e i briganti del Cardinale Ruffo. A lei, tutto questo va bene? A me, dà il vomito. ([http://www.corriere.it/solferino/montanelli/00-09-13/02.spm 13 settembre 2000]). *Il mio parere è rimasto quello che espressi sul mio ''Giornale'' l'indomani del fattaccio {{NDR|l'[[agguato di via Fani]]}}. «Se lo Stato, piegandosi al ricatto, tratta con la violenza che ha già lasciato sul selciato i cinque cadaveri della scorta, in tal modo riconoscendo il crimine come suo legittimo interlocutore, non ha più ragione, come Stato, di esistere». Questa fu la posizione che prendemmo sin dal primo giorno e che per fortuna trovò in Parlamento due patroni risoluti (il Pci di [[Enrico Berlinguer|Berlinguer]] e il Pri di [[Ugo La Malfa|La Malfa]]) e uno riluttante fra lacrime e singhiozzi (la Dc del moroteo [[Benigno Zaccagnini|Zaccagnini]]). Fu questa la «trama» che condusse al tentennante «no» dello Stato, alla conseguente morte di Moro, ma poco dopo anche alla resa delle Brigate rosse. Delle chiacchiere e sospetti che vi sono stati ricamati intorno, e che ogni tanto tuttora affiorano, non è stato mai portato uno straccio di prova, e sono soltanto il frutto del mammismo piagnone di questo popolo imbelle, incapace perfino di concepire che uno Stato possa reagire, a chi ne offende la legge, da Stato. ([http://www.corriere.it/solferino/montanelli/00-09-22/03.spm 22 settembre 2000]) *La Serbia ha perduto la guerra e ha vinto la pace: ora deve voltar pagina. Sarà la storia – un giudice non imparziale, ma efficace – a decidere cos'è stato giusto e cos'è stato sbagliato. Tuttavia, una ritorsione serba verso l'Occidente avverrà. E ci troverà disarmati. Sa di cosa parlo? Delle rivendicazioni sul Kosovo, che è amministrato dalla Nazioni Unite ma è ancora Jugoslavia (lo dice la risoluzione dell'Onu). I serbi chiederanno di tornare a controllarne le frontiere, per esempio. E dire no a un Kostunica buono è più difficile che dire sì a un Milosevic cattivo. Gli albanesi del Kosovo, sono certo, lo hanno già capito. ([http://www.corriere.it/solferino/montanelli/00-10-08/01.spm 8 ottobre 2000]) *È un dimenticato, [[Ugo Ojetti|Ojetti]], come in questo Paese lo sono quasi tutti coloro che valgono. Se io dirigessi una scuola di giornalismo, renderei obbligatori per i miei allievi i testi di tre Maestri: [[Luigi Barzini (1908-1984)|Barzini]], per il grande reportage; [[Benito Mussolini|Mussolini]] (non trasalire!), quello dell'''Avanti!'' e del primo ''Popolo d'Italia'', per l'editoriale politico; e Ojetti, per il ritratto e l'articolo di arte e di cultura. ([http://www.corriere.it/solferino/montanelli/00-11-13/01.spm 13 novembre 2000]) *In Italia fu il potere temporale a soffocare negl'italiani la voce della coscienza e a spegnere in loro ogni senso di responsabilità. Ma fu la Controriforma a fornire al prete le armi per accaparrarsi l'una e l'altra: il Sant'Uffizio, le scomuniche e, nei casi estremi, il patibolo. Con questo risultato: l'aborto del «cittadino» e la trasformazione di quello che avrebbe dovuto e potuto diventare un «popolo» in un gregge (come con inconsapevole spudoratezza i preti lo chiamano), e in un gregge di pecore indisciplinate che credono di affermare il loro ribelle individualismo non rispettando il semaforo rosso. ([http://www.corriere.it/solferino/montanelli/00-11-20/01.spm 20 novembre 2000]) *{{NDR|Su [[Slobodan Milošević]]}} Oltre che un despota, lo ritengo anche un satrapo della razza dei [[Nicolae Ceaușescu|Ceausescu]], avido non solo di potere, ma anche di denaro, e credo che la sorte che si merita sia un bel plotone di esecuzione. Purché composto da serbi, al comando di un serbo, e in esecuzione di una sentenza emessa da un tribunale serbo e motivata non tanto da generici crimini contro l'umanità, che sono sempre – salvo casi di monumenti all'orrore come l'[[Olocausto]] – oggetto di discussione e dissensi; ma dal più grande e imperdonabile delitto di cui Milosevic si è macchiato nei confronti non soltanto dei serbi: la distruzione della Nazione Jugoslava, che la Monarchia serba aveva fondato dopo la prima guerra mondiale; che il croato [[Josip Broz Tito|Tito]] aveva difeso coi denti e restaurato dopo la seconda, dando alla Balcania un esempio e un puntello di stabilità; e che Milosevic e il suo compare croato [[Franjo Tuđman|Tudjman]] distrussero per poter restare ciascuno padrone in casa sua; e sulle cui macerie si scatenarono tutte le violenze (Bosnia, [[Kosovo]]) che hanno insanguinato e continuano a insanguinare quel povero Paese. ([http://www.corriere.it/solferino/montanelli/01-04-29/01.spm 29 aprile 2001]) *Questo mondo materialista, edonista ed esibizionista non entusiasma neanche me; e, visto che mi legge, dovrebbe saperlo. Ma vorrei conoscere il sistema che voi avete in mente, e non avete il coraggio, o la capacità, di proporre. Un mondo francescano? Bello: ma guardatevi intorno, e ditemi se vedete un saio. Un comunismo riveduto e corretto? Farebbe la fine dell'altro, anche se non riuscirà a ripeterne i disastri. Mi creda, G.: l'unico sistema sociale ed economico oggi accettabile, in Occidente, è quello basato sul mercato: un capitalismo controllato e temperato, per intenderci. È auspicabile che sia anche corretto: e questo non sempre accade, è vero. Il guaio è che il capitalismo è fatto dai capitalisti – e quelli, devo ammettere, sono spesso difficili da digerire. Non cerchi di confondermi le idee, quindi. Non ci riuscirà. Probabilmente ho tre volte i suoi anni, e ho visto dove conducono queste generiche tirate contro «le multinazionali»: prima o poi, qualcuno deporrà la spranga e prenderà la pistola. Dimenticavo: io firmo le mie opinioni, lei tira il sasso e nasconde la mano. Tutti coraggiosi così, voi ragazzi di Seattle? ([http://www.corriere.it/solferino/montanelli/01-06-09/01.spm 9 giugno 2001]) *Non erano, le mie, parole di circostanza. Erano – e rimangono – quelle di un conservatore abbastanza spassionato e nutrito di Storia da capire che non c'è, per la conservazione di ciò che va conservato, nemico più mortale dei conservatori che vogliono conservare tutto; e che un sistema capitalistico senza un correttivo socialista diventa una jungla che conduce pari pari a [[Karl Marx|Carlo Marx]]. Di qui il mio amore per uno dei personaggi meno amabili, sul piano umano, della nostra Storia, [[Giovanni Giolitti|Giolitti]], che sempre cercò l'accordo con [[Filippo Turati|Turati]], a cui il cretinume massimalista – che nel vostro partito ha sempre dominato – lo impedì. Il vedervi – sbriciolati in gruppi, gruppetti e gruppuscoli – annaspare nell'attuale centro-sinistra in cui nessuno riesce a recitare la parte di se stesso, fa male al cuore di un vecchio autentico liberal-conservatore come me. Cosa aspettate, caro Tamburrano, a ridarci il socialismo, ma che sia quello e quello solo: ''il'' socialismo di Turati e di Massarenti? [...] Credo che come forza politica siate abbastanza mal messi. Ma in compenso avete in mano una grande bandiera che prima o poi un esercito la ritroverà. Arrivederci, al primo settembre, cari lettori. ([http://www.corriere.it/solferino/montanelli/01-07-04/01.spm?refresh_ce-cp 4 luglio 2001]) ===''il Giornale''=== <!--ordine cronologico--> *Chi sarà il nostro lettore noi non lo sappiamo perché non siamo un giornale di parte, e tanto meno di partito, e nemmeno di classi o di ceti. In compenso, sappiamo benissimo chi non lo sarà. Non lo sarà chi dal giornale vuole soltanto la «sensazione» [...] Non lo sarà chi crede che un gol di Riva sia più importante di una crisi di governo. E infine non lo sarà chi concepisce il giornale come una fonte inesauribile di scandali fine a se stessi. Di scandali purtroppo la vita del nostro Paese è gremita, e noi non mancheremo di denunciarli con quella franchezza di cui crediamo che i nostri nomi bastino a fornire garanzia. Ma non lo faremo per metterci al rimorchio di quella insensata e cupa frenesia di dissoluzione in cui si sfoga un certo qualunquismo, non importa se di destra o di sinistra. [...] Vogliamo creare, o ricreare un certo costume giornalistico di serietà e di rigore. E soprattutto aspiriamo al grande onore di venire riconosciuti come il volto e la voce di quell'Italia laboriosa e produttiva che non è soltanto Milano e la Lombardia, ma che in Milano e nella Lombardia ha la sua roccaforte e la sua guida. [...] A questo lettore non abbiamo «messaggi» da lanciare. Una cosa sola vogliamo dirgli: questo giornale non ha padroni perché nemmeno noi lo siamo. Tu solo, lettore, puoi esserlo, se lo vuoi. Noi te l'offriamo. (25 giugno 1974) *Checché ne dicano gli agiografi della Resistenza, la guerra l'abbiamo persa, e c'è un conto da pagare. Che l'Italia lo saldi a spese dei suoi figli minori – i Dalmati e gli Istriani – è un ghigno del destino. Ma in compenso può considerarsi miracolata. Quando si pensa a cosa ha pagato la sua sconfitta la Germania, amputata d'intere province e dimezzata in due nazioni diverse e ostili, e quando si pensa a cosa ha pagato l'Inghilterra, precipitata dalla condizione di massimo impero mondiale a quella di piccola isola alla periferia d'Europa; non possiamo lamentarci del trattamento che gli alleati ci fecero. (30 settembre 1975) *Siamo stati accusati di aver fatto, nei confronti dei comunisti, il processo alle intenzioni. Non vediamo su cos'altro avremmo dovuto giudicarli, visto che sono sempre rimasti all'opposizione, ed è di lì che ancora si affannano a dire che cosa si propongono di fare se andassero al potere, anzi quando andranno al potere (perché ormai lo danno per scontato). E cosa sono, queste, se non intenzioni? (19 giugno 1976) *Che cerchino di eliminarmi perché sono un avversario, questo lo posso anche capire; ma perché – a quanto mi riferiscono – hanno detto che io sono un servo delle [[Multinazionale|multinazionali]], allora questo sta a dimostrare la confusione di idee di questi poveretti che, evidentemente, non sanno cosa sono le multinazionali. (3 giugno 1977) *I giuochi sono fatti. E sono fatti non soltanto per [[Aldo Moro|Moro]], cui va tutta la nostra più fraterna e rispettiva pietà. Sono fatti anche per una politica da ''belle époque'', che la distruzione – fisica o morale – di Moro chiude e conclude. La Storia sta riprendendo i suoi connotati di tragedia, e costringe coloro che la fanno, o ambiscono o s'illudono di farla, ad adeguarsi al repertorio. Stiamo entrando in una di quelle «età di ferro» in cui il potere si paga, o si può pagarlo col ferro. Nessuno è obbligato a sfidare questo rischio. Chi lo fa, sappia che oggi è toccato a Moro, domani può toccare a lui. Solo se si rende conto di questo e lo accetta, la classe politica troverà la forza di archiviare il caso Moro. Ed è tempo che lo faccia. (7 maggio 1978) *Quattr'anni e mezzo orsono, quando questo giornale nacque, un «ragazzo del '68» (con tante scuse a quelli veri, del '99), [[Mario Capanna]], oggi gerarchetto regionale (che belle carriere, questi rivoluzionari!), dichiarò che, come nemici del «pubblico» e del «sociale» e come assertori del «privato», e quindi della reazione, noi saremmo diventati il più bel museo della città, dove babbi e mamme avrebbero potuto condurre in gita ricreativa i loro figlioletti per mostrargli, dal vivo, com'erano buffi i loro nonni e bisnonni: noi. Bene. Se il vento seguita a soffiare come soffia, saremo noi che di qui a un po' condurremo i nostri figlioletti dal signor Capanna per mostrargli com'erano buffi i loro nonni e bisnonni di dieci anni fa. Ma non lo faremo. Lo spettacolo di questi ragazzi-prodigio abortiti, di questi barricadieri con pancia e cellulite che credevano di camminare con la Storia, e invece camminavano solo con la moda, non ha nulla di edificante. (16 gennaio 1979) *In una sua memorabile inchiesta un giornalista d'incrollabile fede sinistrorsa, ma di esemplare onestà, [[Giampaolo Pansa]], mise benissimo in luce questo contrasto fra i due atteggiamenti e mentalità, che ieri ha trovato una eloquente conferma nella manifestazione di Torino. Niente chiasso, niente sceneggiate, niente slogans, niente insomma che appartenga al repertorio del buffonismo nazionale. Nessuno ha rotto le righe per andare a rovesciare auto o a fracassar vetrine. Questa, sì, era Danzica, sia pure senza Madonne; non i picchettaggi e i pestaggi di Mirafiori, sia pure con le Madonne. Ora sappiamo già cosa diranno gli altri, oggi e domani. Diranno che gli operai non c'erano. Infatti. Doveva trattarsi di quarantamila presidenti, consiglieri delegati, ingegneri: insomma, la solita «[[maggioranza silenziosa]]»: termine che soltanto nella lingua italiana ha significato spregiativo. La maggioranza silenziosa esiste in tutti i Paesi del mondo, dove nessuno si vergogna di appartenervi perché è essa, in definitiva, che ristabilisce gli equilibri. Fu la maggioranza silenziosa – autoqualificatasi come tale – di seicentomila parigini che dodici anni fa pose fine al carnevale sessantottesco, riportò [[Charles de Gaulle|De Gaulle]] all'Eliseo e restituì alla Francia la stabilità di cui tuttora essa gode. [...] Il motivo vero che farà i dimostranti bersaglio delle peggiori critiche e accuse è ch'essi rappresentano la rivolta delle persone serie contro gli arruffoni della «conflittualità permanente», dei «modelli di sviluppo» e via baggianando. E in questo Paese nulla fa più paura, perché nulla è più rivoluzionario, della serietà. (15 ottobre 1980) *[[Anwar al-Sadat|Sadat]] non era popolare. Gli mancava quel tocco di magia, o di cialtronismo, che consentiva a [[Gamal Abd el-Nasser|Nasser]] di bandire guerre come crociate e di annunciare disfatte come trionfi. [...] Sadat amava il popolo, il popolo contadino del profondo Sud nubiano, di cui era egli stesso originario. Ma non amava le masse, e le masse lo sentivano. [...] Sapeva, quando andò a Gerusalemme, di lanciare a quelle arabe una sfida più pericolosa di quella che lanciava a Begin. [...] Ma all'impopolarità di Sadat contribuiva anche un altro elemento: il fatto di essere un vero riformatore. [...] [[Mohammad Reza Pahlavi|Rehza Pahlevi]] volle applicare gli stessi metodi di [[Mustafa Kemal Atatürk|Atatürk]] senz'averne l'autorità e il prestigio, e per questo lo cacciarono. Ma dopo due anni di [[Ruhollah Khomeyni|Khomeini]], anche i più ciechi e idioti fra i progressisti occidentali, che ne avevano salutato l'avvento come quello del Redentore, si saranno accorti che il progresso, sia pure a forza di polizia segreta e di plotoni di esecuzione, era lo Scià. L'''ayatollah'' è il medioevo. Sadat non seguì i metodi satrapeschi del suo amico Pahlevi, ma ne condivise i fini. [...] Il Rais che ha restituito all'Egitto l'integrità territoriale, l'indipendenza politica, il prestigio militare e il rilancio della sua più proficua industria, il canale di Suez, è giusto che susciti meno rimpianto di chi tutto questo all'Egitto fece perdere. Nasser era un «personaggio», Sadat una «personalità». Il personaggio fa colore e diverte, la personalità incute rispetto e disturba. (9 ottobre 1981) *Nessuna parentela, né vicina né lontana, con l'altro grande d'Israele, [[David Ben Gurion|Ben Gurion]], il Fondatore. [...] {{NDR|David Ben Gurion}} Faceva tutto a caldo, anche la guerra. [[Menachem Begin|Begin]] fa tutto a freddo: anche l'amore, credo, ammesso che lo faccia. Non riuscì a commuoverlo nemmeno [[Anwar al-Sadat|Sadat]], quando gli piombò, da nemico tuttora belligerante, a Gerusalemme, per chiedergli la pace. Il mondo, che vide in televisione la scena, quel giorno fu tutto per l'egiziano che, per la pace, firmava la propria condanna a morte, contro l'israeliano che lo accoglieva senza un sorriso e con visibile fastidio. [...] È l'uomo che non ha esitato un istante [...] a distruggere in pochi minuti tutto l'armamento corazzato, aereo e missilistico siriano sotto l'occhio stupefatto degli osservatori e «consiglieri» russi che lo avevano fornito. È l'uomo che ha messo alla porta l'ambasciatore di Mosca respingendone la nota di protesta addirittura con disprezzo, come se fosse stato lui la Grande Potenza che parlava a un subalterno. È l'uomo che ha picchiato i pugni sul tavolo di [[Ronald Reagan|Reagan]], e a un certo punto aveva rotto anche con lui. Se avesse perso, sarebbe finito al muro e passato ai posteri come il distruttore d'Israele. Ma ha vinto. E la Storia, iscrivendolo nei suoi registri come «Il Salvatore», dirà che solo un uomo come lui, «antipatico» come lui, e come lui disposto anche a scatenare un'altra ondata di antisemitismo, poteva vincere. E avrà ragione di dirlo. Perché è così. Alla fine lo diranno, vedrete, anche gli antisemiti. E forse perfino i semiti. (27 agosto 1982) *L'idea che domani potremmo incontrare per strada, a piede libero e magari oggetti di compassione, gli assassini di [[Walter Tobagi]], ci riempie, più che di furore, di orrore. [...] Avevano scelto lui non per la sua tessera socialista, ma perché era una di quelle prede più facili: indifeso e abitudinario, e quindi bersaglio di facilissima mira, quasi da fermo. Tutto qui il movente del delitto: tutto nella fregola di protagonismo di due coccolatissimi giovanotti della Milano bene che giuocavano a fare i terroristi. [...] Che ora dobbiamo prendere per vero il loro pentimento e assolverli, ci rivolta lo stomaco. Ma è la legge: iniqua, infame, infamante. Ma è la legge. Noi stessi l'abbiamo auspicata e voluta. Il magistrato deve applicarla. E noi [...] accettarla. Ma una cosa reclamiamo, e ci spetta: di essere liberati dall'incubo d'incontrare questi figuri per strada per non veder riflessa nei loro occhi la nostra vergogna di aver avuto bisogno di loro e di aver risposto al loro falso rimorso con un perdono altrettanto falso. Un Curcio, se tornasse in circolazione, ci farebbe forse più paura, ma meno, anzi punto disgusto. [...] Ma i Barbone e i Morandini non li vogliamo tra i piedi. Se ne vadano. E soprattutto ci risparmino memoriali. La speranza di farci dimenticare i loro delitti, gliela passiamo. La pretesa di camparci sopra, no. (29 novembre 1983) *Per i falchi del Pci, [[Enrico Berlinguer|Berlinguer]] era ormai un personaggio scomodo e pericoloso, specie da quando aveva cominciato ad allentare gli ormeggi che lo legavano a Mosca. Gli era perfino scappato di dire (a [[Giampaolo Pansa|Pansa]]) che voleva per l'Italia un regime comunista, ma sotto l'ombrello della Nato che la tenesse al riparo dalle soperchierie del padrone sovietico: la più grave e blasfema di tutte le eresie in cui un capo comunista possa incorrere. (12 giugno 1984) *Se fino a che punto i piduisti – a parte il manipolatore Gelli, e forse qualche altro – fossero un branco di delinquenti golpisti, non siamo riusciti a capirlo. Abbiamo capito soltanto che gran parte di essi occupavano, forse grazie alla P2, posizioni di rilievo, e quindi parecchio ambite, ma ambite anche da molte persone che, per il fatto di non appartenere alla P2, avevano ora, grazie anch'esse alla P2, la possibilità di occuparle. Di fatti accertati e meno ancora di crimini provati, siamo andati invano alla ricerca delle 34.847 pagine della commissione. Vi abbiamo trovato soltanto ipotesi, illazioni, accostamenti di nomi e di episodi. Tutta roba che in mano a Le Carré poteva fruttare chissà quali affascinanti trame. In mano alla signorina [[Tina Anselmi|Anselmi]], resta cicaleccio di portineria. Ma questa è un'altra storia. (19 marzo 1985) *Quanto al moribondo [[Michele Sindona|Sindona]] [...] se fossi stato uno dei giudici popolari che l'altro giorno gli comminarono l'ergastolo, anche io avrei votato come loro pur sapendo che la mia endemica insonnia non ne avrebbe avuto giovamento. Comunque mi sembra che con questa fine, preceduta da quasi un decennio di rovine, umiliazioni, fughe e galere, egli abbia abbondantemente scontato, quali che siano, i suoi delitti. Che ora lo lascino riposare in pace e che pace sia all'anima sua. (22 marzo 1986) *I dieci giorni che sconvolsero il mondo furono in realtà dieci ore: quante ne bastarono alle poche «guardie rosse» reclutate in fretta e furia dai bolscevichi per occupare, senza nessuna resistenza, la Centrale delle poste e telefoni, la stazione ferroviaria, la Banca di Stato, e per spostare l'incrociatore ''Aurora'' di fronte al palazzo d'Inverno, dove ancora si trova, cimelio e monumento al fatidico evento, e dove il governo sedeva [...]. Non fu un assalto. Fu una «retata». L'''Aurora'' non sparò che una dozzina di colpi, di cui solo tre andarono a segno. In tutto, la conquista di questa Bastiglia russa costò, da ambo le parti, un morto, anzi una morta – perché fu una soldatessa che, pare, si suicidò – e diciotto feriti. Il [[Rivoluzione russa|Fasto]] [...] è un falso in atto pubblico. Si dirà che una rivoluzione non si misura dal numero dei morti. Certo: l'abbiamo detto anche noi. La rivoluzione poi venne, e che rivoluzione! Ma venne dall'alto, e per mano di despoti che di morti ne fecero in pochi anni più di quanti lo zarismo ne avesse fatti in secoli. (6 novembre 1987) *Tutto pensavo che potesse capitarmi, fuorché di essere un giorno tentato di spendere qualche parola, per poco che valga, in difesa di Togliatti. [...] Un processo a Togliatti per stalinismo, se glielo intentano i socialisti, che nell'era dello Stalinismo gli fecero da mosca cocchiera, è una burletta. Se lo intentano i comunisti – come sembra che qualcuno di loro voglia fare –, oltre che oltraggio al pudore, diventa quiescenza alla voce del nuovo padrone, cioè stalinismo della più brutt'acqua, anzi una parodia dello Stalinismo. Per la caccia alle streghe, anche dello Stalinismo, ci vogliono degli stalinisti doc, qual era Togliatti. Non è roba da dilettanti, quali sono i suoi pallidi epigoni. (3 marzo 1988) *La fine del Muro è una cosa buona, la fine di una vergogna: non possiamo che salutarla con soddisfazione. Ma guardiamoci dal prendere abbaglio sui suoi moventi. Ulbricht concepì e Honecker realizzò il muro per impedire che i tedeschi dell'Est fuggissero in massa nella Germania dell'Ovest: già 9 (diconsi nove) milioni lo avevano fatto fin allora. E il rimedio fu, come tutti quelli che escogitano nei regimi totalitari, drastico e semplicistico: murare viva la gente dietro una colata di cemento, senza pertugi. [...] Abbiamo in uggia le astrazioni. Ma ciò che distingueva le due Germanie è l'idea morale e giuridica dell'uomo: che a Ovest è padrone di se stesso, e quindi può andarsene dove vuole: ad Est è proprietà dello Stato che ne regola i movimenti. Per chi non ricorda questo, il [[Muro di Berlino]] era, oltre che barbaro, incomprensibile e irrazionale: mentre invece ha obbedito a una sua logica. Nel momento in cui il bunker si affloscia e sopravvive come mero ammasso di cemento ricordandoci un altro bunker, quello che fece da fossa di [[Adolf Hitler|Hitler]] (anche questo pare impossibile: ma i regimi in Germania muoiono nei bunker), il Muro va ricordato per ciò che è stato: non un'aberrazione del comunismo, ma una sua conseguente applicazione. E se crolla così, nel silenzio assordante di un giornale-radio, è perché è crollata, prima, l'ideologia che lo aveva eretto. (11 novembre 1989) *Negli anni Trenta, per le strade di Berlino, risuonava il grido: ''ein Volk, ein Reich, ein Führer'': un popolo, uno Stato, un capo. Stavolta si sono contentati di scandire ''ein Volk, ein Reich''. Non potevano aggiungere, checché ne dica il sig. Ridley, ''ein Kohl'', che fra l'altro significa «cavolo». Ma {{NDR|ai tedeschi}} per diventare i padroni dell'Europa anche un cavolo gli basta. (3 ottobre 1990) *Abbiamo fatto poco: il poco che il Paese dei [[Roberto Formigoni|Formigoni]], dei Cristofori, degli Sbardella, dei [[Ernesto Balducci|Balducci]], dei [[Antonio Bello|vescovi di Molfetta]] poteva fare. Non lamentiamoci se il posto che ci verrà assegnato nel ristabilimento dell'ordine internazionale sarà nell'anticamera, non nella camera dei bottoni. Però sia chiara una cosa: che a gridare «Viva la pace!» siamo qualificati oggi soltanto noi che abbiamo auspicato la guerra contro chi la pace l'aveva turbata e, se lo si lasciava fare (non è un ipotesi, è una constatazione), avrebbe continuato a turbarla in un crescendo di colpi e di aggressioni. (1º marzo 1991) *I voti dei democristiani novaresi non sono andati al partito; sono andati a [[Oscar Luigi Scalfaro|Scalfaro]], democristiano talmente anomalo, che si permette persino di credere in Dio. [...] Il vecchio magistrato conosce il suo mestiere, e sa benissimo di operare in un Paese in cui la mamma dei Casson è sempre incinta. In nome della Legge, le leggi le farà funzionare. Insomma siamo sicuri che starà in Quirinale come un italiano deve starci: da straniero. Unico pericolo: le prediche. Anche [[Luigi Einaudi|Einaudi]] le faceva. Ma le chiamava «inutili». (26 maggio 1992) *Da dove siano venuti tutti i «no» non lo sapremo mai con precisione, ma una cosa è certa. Questo è il colpo di grazia al sistema dei partiti e della classe politica che lo rappresenta, e un colpo durissimo all'immagine del Paese pronto a fare pulizia che l'Italia si stava faticosamente costruendo all'estero. Senza giovare nemmeno a [[Bettino Craxi|Craxi]], che non potrà certo ricostruire la sua carriera sulla votazione di ieri, anzi. Se c'è ancora qualcuno che dubita sulla necessità di un pubblico processo, non solo a lui, ma a tutta la corte di faccendieri che lo circondava, alzi la mano, o meglio nasconda la faccia. (30 aprile 1993) *Questo è l'ultimo articolo che compare a mia firma sul giornale da me fondato e diretto per vent'anni. Per vent'anni esso è stato – i miei compagni di lavoro possono testimoniarlo – la mia passione, il mio orgoglio, il mio tormento, la mia vita. Ma ciò che provo a lasciarlo riguarda solo me: i toni patetici non sono nelle mie corde e nulla mi riesce più insopportabile del piagnisteo. [...] A presto dunque, cari lettori. Anche a costo di ridurlo, per i primi numeri, a poche pagine, riavrete il nostro e vostro giornale. Si chiamerà ''La Voce''. In ricordo non di quella di [[Frank Sinatra|Sinatra]]. Ma di quella del mio vecchio maestro – maestro soprattutto di libertà e indipendenza – [[Giuseppe Prezzolini|Prezzolini]]. (12 gennaio 1994) {{Int|''Rituale barbarico''|Articolo su ''il Giornale nuovo'', 10 maggio 1978.|h=4}} *La fine di [[Aldo Moro]] ci rende sgomenti, il fanatismo di chi lo ha ucciso lentamente, togliendogli la speranza prima di toglierli la vita, ci riempie di orrore. Speriamo ancora che la tracotanza dei criminali sia un giorno punita. L'importante, adesso, è che il Paese, proprio per rendere omaggio a Moro, e proprio in memoria di lui, sappia trarre da questa tragedia l'amara lezione che essa comporta. La democrazia non deve, anzi non può essere debole. La libertà, che la rende superiore a qualsiasi altro regime, ma anche più vulnerabile, non va conclusa con la indulgenza verso i nemici, la imprevidenza, la leggerezza. *Lo Stato italiano ha superato con onore questa prova difficile, ma la magistratura e gli organi di polizia hanno denunciato, nella loro azione, una desolante inefficienza, che ha permesso alle brigate rosse di operare con irridente spavalderia. Ne va data colpa non tanto alle forze dell'ordine quanto a chi ha voluto, per demagogia, per compiacere le sinistre, per acquistare facile popolarità, smobilitare i servizi segreti, rimuovere i funzionari più ligi al dovere, trasformare le carceri in alloggi con libera uscita quotidiana. Gli eversori della democrazia, i contestatori della legalità hanno potuto predicare e demolire senza ostacoli. Ci auguriamo di non vederli ora associati ipocritamente al compianto per un delitto del quale sono, ideologicamente se non materialmente, corresponsabili. Le loro non erano soltanto parole. Un giovane sfracellato da un ordigno sulla ferrovia Trapani-Palermo – l'episodio è di ieri – apparteneva a Democrazia proletaria. I banditi che hanno assalito a Bologna un grande magazzino venivano dal Movimento studentesco. È inutile che questi gruppi ostentino adesso costernazione e stupore per le belluine imprese delle brigate rosse. Il terrorismo è figlio loro. *All'annuncio della fine di Aldo Moro i sindacati si sono mossi, hanno indetto manifestazioni e proclamato uno sciopero generale. Siamo certi della loro profonda esecrazione, e della loro sincera partecipazione al cordoglio nazionale. Pensiamo tuttavia che i lavoratori e i loro rappresentanti darebbero un apporto più costruttivo alla lotta contro i terroristi tenendo d'occhio gli estremisti delle fabbriche, troppe volte protetti e difesi. Così pure gli studenti «impegnati», se proprio vogliono dissociarsi dalle brigate rosse, devono estromettere dalle loro file gli agitatori deliranti, e dinamitardi che nascondono bottiglie molotov e armi negli scantinati delle facoltà. Chi ha chiuso gli occhi di fronte alla ''escalation'' di violenza degli anni scorsi, li chiuda oggi per non lasciar scorrere lagrime di coccodrillo. {{Int|''Poveri morti poveri vivi''|Articolo su ''il Giornale'', 31 maggio 1985.|h=4}} *L'[[Inghilterra]] non sono i forsennati che abbiamo visto all'opera nello stadio di Bruxelles. L'Inghilterra sono la [[Margaret Thatcher|Thatcher]], i politici, i commentatori di stampa, radio e televisione, la gente intervistata per strada, che hanno confessato la loro vergogna a una voce, con una sola stecca: quella del ministro dello Sport che con le sue dichiarazioni si è messo sullo stesso piano degl'imbestialiti. Comunque, Dio ci guardi ora dai soliti sproloqui e dibattiti dei sociologi sui motivi di «tifo» e sui mezzi d'impedirne gli eccessi. Non ce ne sono, se non nel controllo che ognuno può e deve esercitare su di sé. *La strega non è il «tifo» che dallo sport è inseparabile. E non siamo nemmeno noi, come vogliono i cantautori del «siamo tutti colpevoli» che ieri giornali e radio hanno intitolato. Perché, se di qualcosa siamo colpevoli, è di aver sempre secondato la corruttrice e demagogica tendenza a scaricare l'individuo di ogni responsabilità, rigettandola regolarmente e interamente sulla società. È la società che ci obbliga a rubare, è la società che ci obbliga ad uccidere. E si capisce che quando si offrono alla gente di questi alibi, c'è sempre qualcuno che ne approfitta. Stamane leggevo su un giornale francese un dotto articolo in cui si spiegava che la furia dei tifosi del [[Liverpool Football Club|Liverpool]] era dovuta al fatto che, essendo quasi tutti minatori, per un anno erano rimasti senza lavoro a causa dello sciopero: il che gli aveva fatto accumulare la rabbia che poi era scoppiata a Bruxelles. Insomma, senza dirlo, l'articolo induceva alla conclusione che il vero responsabile del massacro era la signora Thatcher. Ecco in che senso siamo tutti colpevoli. Siamo colpevoli di assolvere tutti come vittime innocenti di una società iniqua che, a furia di essere tutti noi, non è nessuno. È un giuoco a cui non ci stiamo. I responsabili di Bruxelles sappiamo chi sono: sono i delinquenti che abbiamo visto avventarsi, prima che la partita cominciasse, e quindi senza alcuna provocazione, contro i tifosi italiani con sbarre e coltelli di cui erano accorsi armati, con l'evidente intenzione di farne l'uso che ne hanno fatto. Delinquenti, non vittime. La società non c'entra, non c'entrano le miniere. Casomai l'alcol. Ma ne avevano ingerito per delinquere meglio. Speriamo che la polizia li identifichi e li consegni a quella inglese. Della quale possiamo fidarci. {{Int|''I rieccoli''|Articolo su ''il Giornale'', 20 gennaio 1990.|h=4}} *Scorrendo le cronache delle agitazioni studentesche di questi giorni avevo avuto per un momento l'impressione, o l'illusione, che esse si fondassero sui problemi concreti dell'università, e che fossero qualcosa di diverso, e di migliore della grottesca ubriacatura sessantottina. Ma quando giovedì sera, nella trasmissione televisiva ''Samarcanda'', è stato lanciato contro [[Mario Cervi]] il rituale e vile epiteto «fascista!» (e questo solo perché aveva mosso obiezioni agli sproloqui assembleari di Roma e di Palermo), ho capito che vent'anni dopo è come vent'anni prima. La protesta è un pretesto, il legittimo scontento diventa arma politica, gli appelli al dialogo si risolvono in volontà di sopraffazione, di discussione su ciò che nell'università deve essere cambiato sfocia in un attacco globale al governo, alla società, al sistema. L'unica connotazione sessantottina che ancora manca è la violenza fisica. Ma temo che non tarderà ad arrivare se chi dissente è bollato come fascista e chi governa (è capitato ad [[Giulio Andreotti|Andreotti]], a Palermo) come mafioso. *Quanto alla legge Ruberti, Cervi ha osservato che viene presa di mira perché consentirebbe un limitato ingresso dei privati nella gestione delle università: e al solo sentir parlare di «privato» – che le folle e i giovani dell'Est chiedono con slancio entusiastico – gli epigoni nostrani del [[marxismo-leninismo]] sono presi da convulsioni. [...] La legge Ruberti è passata in sott'ordine, il punto centrale del dibattito – o piuttosto della successione di sproloqui, intimazioni e insulti – è diventato il degrado di questa povera Italia privatizzata, che invece conoscerebbe fulgidi destini se fosse tutta pubblica e stabilizzata. Gli ''slogans'', le utopie, le bugie e le dissennatezze sessantottine o settantasettine riemergevano dalle pagine dei libri e dalla polvere degli archivi, per imitazione o per transfert generazionale. *Tirava aria romena o cecoslovacca in quelle assemblee: ma della Romania e della Cecoslovacchia di [[Nicolae Ceaușescu|Ceausescu]] e di Husak, con l'idolatria dello Stato, con gli applausi unanimi, con la riduzione al silenzio degli oppositori. S'è sentito, a proposito sempre di Cervi, il sinistro termine «provocazione» con cui tutti gli oppressori legittimano i loro soprusi. Qualcuno di quei ragazzi pretende che esistano parentele tra questo movimento e quelli dell'Est, dimenticando che là ci si batte, a rischio della pelle, per instaurare non il regime dello statalismo, ma al contrario per abbatterlo e introdurre o reintrodurre quello di iniziativa privata in tutti i campi, compreso quello della cultura e della scuola. Che siano diventati, gli studenti di Berlino, di Praga, di Bucarest, fascisti anche loro? ====''Controcorrente – rubrica''==== {{cronologico}} *La cosa che più ci turba, delle nostre sconfitte sportive, è il grande, alluvionale bisticcio che si scatena fra i «tecnici» per giustificarle. Per quella di Stoccarda, che ci ha eliminato dal campionato del mondo, ne avremo – temiamo – per tutta l'estate: se ne parlerà più che di Caporetto. Noi tecnici non siamo, ma abbiamo la nostra idea. È questa: che non si possono mandare dei polli di batteria a competere con quelli ruspanti. Resta da capire perché noialtri non sappiamo allevare che polli di batteria. Ma ci sembra che questo sia sufficientemente spiegato da un piccolo episodio occorso a Roma, dove un gruppo di tifosi ha creduto di «vendicare» i suoi campioni (si fa per dire) assalendo con pomodori e uova l'ambasciata di Polonia. Ecco. Per un paese in cui la «sana passione sportiva» si effonde in simili manifestazioni, quegli undici mammozzi dalle gambe molli sono fin troppo, e fin troppo misericordiose le disfatte che subiscono. (25 giugno 1974) *Noi, di [[Fascismo|fascismi]] ne conosciamo e ne esacriamo uno solo: quello di chi appiccica questa etichetta a qualunque idea o opinione che non corrisponde alle sue. Di questo giuoco, la nostra [[sinistra in Italia|sinistra]] è spesso maestra. Non per nulla lo stesso [[Benito Mussolini|Mussolini]] veniva dai suoi ranghi. (10 luglio 1974) *In una conferenza stampa a Nuova Delhi, [[Henry Kissinger]] ha dichiarato che verrà a Roma e andrà a pranzo dal presidente Leone, ma non parlerà di politica perché quella italiana è, per lui, troppo difficile da capire. È la prima volta che Kissinger riconosce i limiti della propria intelligenza. Ma vogliamo rassicurarlo. A non capire la politica italiana ci sono anche cinquantacinque milioni di italiani, compresi coloro che la fanno. (31 ottobre 1974) *[[Dario Fo]], poeta di corte dell'ultrasinistra, flagella nella sua ultima fatica teatrale il senatore [[Amintore Fanfani]], responsabile di ogni nequizia passata, presente e futura. I sarcasmi più grevi hanno però come bersaglio il metraggio del notabile democristiano che, come tutti sanno, non è quello di un granatiere. [[Henri de Toulouse-Lautrec|Toulouse-Lautrec]], che per gli stessi motivi dovette per tutta la vita subire analoghe canzonature, disse una volta, giocando sulla lunghezza del suo doppio casato: «Ho la statura del mio nome». Non sappiamo se questo discorso si possa applicare a Fanfani. Certo, si applica a Fo. (11 giugno 1975) *[[Winston Churchill|Churchill]] diceva che «i panni dei servizi segreti si possono, anzi si devono lavare più spesso degli altri; ma, a differenza degli altri, non si possono mettere ad asciugare alla finestra». Dello stesso parere era [[Stalin]] che regolarmente, ogni tre o quattro anni, il lavaggio lo praticava facendo accoppare al buio i capi della sua polizia, nel presupposto – probabilmente fondato – che a far quel mestiere non potevano essere che arnesi da forca, e quindi era giusto che ci finissero. Gli [[Stati Uniti d'America|americani]] seguono tutt'altro criterio. Essi hanno trascinato la ''[[Central Intelligence Agency|Cia]]'' in televisione denunciandone ''coram populo'' fatti e misfatti. I suoi capi ne hanno commessi, dicono, di grossi. Ma il più grosso è forse quello di non aver capito che l'America non li paga per svolgere servizi segreti, ma per offrire agli americani il pretesto per vergognarsene. È l'unico popolo che goda più nel pentimento che nel peccato. (28 novembre 1975) *Non sempre, per redigere questa piccola rubrica, occorre forzare la fantasia. Qualche volta basta lasciare la parola alle agenzie di stampa ufficiali. Eccone un caso. L'agenzia Adn Kronos comunica: «Due giorni di sciopero sono stati dichiarati dai sindacati postelegrafonici milanesi per il 28 gennaio e per il 6 febbraio per protesta contro gli scioperi e i disservizi». (25 gennaio 1976) *L'Unità ci rimprovera di aver pubblicato il manifesto degl'intellettuali in favore della libertà. E ha ragione. Si tratta infatti di una illecita concorrenza perché finora i manifesti, gli appelli, le «veglie» e tutto il resto sono stati monopolio del Pci, unico partito capace di far cantare la gente in coro. Ma appunto per questo non vediamo di che si preoccupi. Gl'[[intellettuale|intellettuali]] italiani che preferiscono aver ragione da soli piuttosto che torto con gli altri, sono pochi. I più seguono la massima di [[Paul-Jean Toulet|Toulet]]: «Quando i lupi urlano, urla con loro». (1º giugno 1976) *Ieri [[Mario Melloni|Fortebraccio]], dalle colonne dell'«[[l'Unità|Unità]]», ha invocato per noi, previa qualche iniezione, il ricovero immediato, e a titolo definitivo, in manicomio. La cosa non ci stupisce: sappiamo benissimo che di manicomi e di iniezioni nessuno s'intende più dei comunisti: chi c'è passato giura che ci hanno fatto una mano da maestri. Ci stupisce però che Fortebraccio lo abbia implicitamente – e un po' anzitempo – riconosciuto. Forse gli è scappata. Alla sua età, succede. (10 dicembre 1976) *Cadendo oggi il trigesimo della scomparsa di Pietro Valdoni, vogliamo rievocare un episodio del grande chirurgo. Come tutti ricorderanno, fu lui ad operare, salvandogli la vita, [[Palmiro Togliatti]], ferito alla testa dalla rivoltella di Pallante. Quando ricevette la parcella, Togliatti la trovò salata, e accompagnò il pagamento con queste parole: «Eccole il saldo, ma è denaro rubato». Valdoni rispose: «Grazie per l'assegno. La provenienza non mi interessa» (23 dicembre 1976) *«Dio non è un maschio» assicura alle femministe Civiltà Cattolica, l'autorevole rivista dei gesuiti, scusandosi «delle tracce di antifemminismo che ancora sono nella Chiesa». Brutto segno quando i teologi si mettono a discutere di sesso. Fu mentre i bizantini si accapigliavano su quello degli angeli che arrivarono i turchi. (21 giugno 1977) *Riferiscono le cronache che l'America è in subbuglio per la morte di [[Elvis Presley]]. Oltre centomila persone si sono riversate a Memphis, sua ultima dimora, due donne sono rimaste uccise nella calca che si stringeva intorno alle spoglie del cantante. Il sindaco ha fatto abbrunare le bandiere in tutta la città, il presidente [[Jimmy Carter|Carter]] è stato flagellato di proteste perché non aveva proclamato il lutto nazionale e uno gli ha gridato al microfono: «Noi americani dobbiamo più a Presley che a [[George Washington|Washington]] e a [[Abraham Lincoln|Lincoln]] sommati insieme». Anche noi italiani dobbiamo qualcosa a Presley: una delle rare occasioni in cui preferiamo essere italiani piuttosto che americani. (20 agosto 1977) *È in corso una iniziativa per l'abolizione, nelle aule scolastiche, della pedana su cui si eleva la cattedra. Il perché lo avrete già capito: l'insegnante deve mettersi, anche materialmente, a livello degli alunni per non lederne la dignità e dimostrare con l'esempio che siamo tutti uguali. Giusto. «La via dell'uguaglianza – dice Rivarol – si percorre solo in discesa: all'altezza dei somari è facilissimo instaurarla». (29 ottobre 1977) *Fra gli annunci economici di Lotta Continua, ne è comparso uno che dice: «Compero a L. 100.000 una tesi di laurea, anche già presentata, purché tratti un argomento attinente all'[[Inghilterra]], o alla lingua, storia, letteratura inglese. Meglio se con una impostazione femminista». Curioso. Questi grandi [[Rivoluzione|rivoluzionari]], che dicono di battersi per costruire una società nuova di zecca, quando si tratta di lauree, si contentano anche di quelle usate e di seconda mano. (3 marzo 1978) *Credevamo che l'assassinio di Aldo Moro, così come è stato eseguito, fosse il colmo dell'infamia. Abbiamo dovuto ricrederci. Al comizio di protesta svoltosi in piazza Duomo a Milano subito dopo la macabra scoperta in via Caetani a Roma, un gruppo di ultrà ha gridato: «Moro fascista!». Preferiamo le [[zanne]] delle belve alla [[bava]] degli [[Sciacallo|sciacalli]]. (10 maggio 1978) *Ecco il nostro telegramma di congratulazioni e auguri a Pertini: «Che Dio le conceda il coraggio, Presidente, di fare le cose che si possono e che si debbono fare; l'umiltà di rinunziare a quelle che si possono ma non si debbono, e a quelle che si debbono ma non si possono fare; e la saggezza di distinguere sempre le une dalle altre». (9 luglio 1978) *Dall'indagine svolta da uno dei più seri istituti di ricerche demografiche, lo svizzero Scope, risulta che la professione più ammirata e rispettata, nel mondo, è quella dei medici. I giornalisti sono al penultimo posto. Ce ne sentiremmo profondamente avviliti se all'ultimo non vedessimo catalogati gli editori. (29 novembre 1978) *In un convegno su «Terrorismo e informazione», a Roma, è stato unanimemente riconosciuto che il [[segreto istruttorio]] in Italia non esiste. Lo trasgrediscono tutti. Non solo giornalisti e avvocati – e ancora passi – ma perfino magistrati che anticipano e propalano, il più delle volte per farne strumento politico, notizie riservate. «È il segreto di Pulcinella» si è lamentato il procuratore capo della Capitale, De Matteo. È vero. Ma Pulcinella non era giudice. E i giudici non dovrebbero essere Pulcinella. (25 aprile 1979<ref>Da ''Il meglio di "Controcorrente": {{small|1974-1992}}'', Fabbri Editori-Corriere della Sera, La biblioteca del Corriere della sera, Milano, 1995, p. 104.</ref>) *Solo il tempo non perde tempo, diceva [[Jules Renard|Renard]]. E così, a furia di annunciarne i cambiamenti, il tempo è passato anche per il colonnello [[Edmondo Bernacca|Bernacca]], che ora deve rassegnarsi alla pensione. Peccato. Gli dobbiamo parecchi raffreddori e reumatismi. Ma nessuno riuscirà meglio e con più grazia di lui a farci capire ed accettare l'inutilità della meteorologia. (10 luglio 1979<ref>Citato in ''Il meglio di controcorrente'', p. 108.</ref>) *Prima di partire per Vienna, il presidente {{NDR|degli Stati Uniti}} [[Jimmy Carter|Carter]] ha fatto due dichiarazioni. La prima: «Ci auguriamo che il signor Breznev {{NDR|allora presidente dell'Unione Sovietica e Primo Segretario del PCUS}} abbia per le nostre ragioni la stessa comprensione che noi abbiamo per le sue». La seconda: «Se Ted Kennedy si presenta contro di me alle elezioni presidenziali, gli faccio un c.o così» Il triviale [[Richard Nixon|Nixon]] avrebbe potuto dire le stesse cose, ma certamente ne avrebbe invertito l'ordine di priorità riservando la comprensione a Kennedy ed il c.o a Breznev. La differenza fra i due è tutta qui. (16 giugno 1979) *Avvicinandosi il 25 dicembre, decine di migliaia di teneri [[abete|abeti]] vengono strappati dai boschi della Penisola per allestire il tradizionale albero di Natale. Ogni anno lo scempio si ripete, tra la generale indifferenza. Soppresso l'Ente protezione animali, figuriamoci se qualcuno ha voglia di proteggere gli alberi. Diciamo la verità: la sola pianta che interessi all'[[italiano medio]] è la pianta stabile. (19 dicembre 1979) *Nel Manifesto di domenica scorsa tale K.S. Karol faceva considerazioni amare sulla rivoluzione cubana e sui suoi fallimenti: «[[Fidel Castro|Fidél]] – ha ricordato il commentatore, uno dei tanti orfani delle illusioni di sinistra – prometteva ai cubani per il 1965 un tenore di vita pari a quello svedese». Certo Fidél si è sbagliato di grosso; non per cattiva volontà, ma per mancanza di uomini, anzi di un uomo. Sarebbe bastato che anche la Svezia avesse uno suo Castro al potere per ritrovarsi in pochissimi anni con un tenore di vita pari a quello cubano. (15 aprile 1980) *Riferiscono le cronache che quando è giunta in tribunale la notizia dell'assassinio di Walter Tobagi, il brigatista Corrado Alunni l'ha accolta con una sghignazzata di tripudio. Abbiamo sempre combattuto la pena di morte sul presupposto che l'uomo non ha il diritto di uccidere l'uomo. Il presupposto lo confermiamo. Ciò di cui cominciamo a dubitare è che gli Alunni e quelli come lui siano uomini. Sui cadaveri sghignazzano le jene. (30 maggio 1980) *A Mirafiori, parlando agli operai della Fiat in sciopero, il sindaco di Torino, Novelli, se l'è presa coi giornalisti e li ha additati all'uditorio come falsari che ricalcano i loro resoconti non sui fatti, ma sulle «veline» distribuite loro dai «padroni». Anche Novelli ha fatto il giornalista in un foglio comunista, e quindi di veline e di padroni è certamente un intenditore. Ma se dopo questa denuncia ci scappa un altro Casalegno, sarà molto gradita la sua assenza ai funerali. (8 ottobre 1980) *Grandi elogi – dopo il successo del blitz di Trani – alle «teste di cuoio» italiane. La loro azione ha dimostrato quanto poco valesse la strategia della flessione propugnata di alcuni personaggi. Teste anche loro: ma di che? (31 dicembre 1980) *Fra i tanti slogans che il partito socialista francese ha lanciato in occasione delle elezioni presidenziali per rassicurare i bravi borghesi sottolineando il proprio carattere moderato e riformista, abbiamo letto anche questo: «Il socialismo può fare di chiunque un milionario». Ci crediamo senz'altro. A patto che quel chiunque fosse prima un miliardario. (8 maggio 1981) *Per gl'italiani, finora, il nome di Gelli era quello dell'autore del più famoso e autorevole codice cavalleresco. Anche oggi rimane legato a un codice. Quello penale. (9 maggio 1981) *L'elenco degli affiliati alla P2 comprende, dicono, 953 nomi, cui corrispondono i più alti gradi della politica, della magistratura, delle forze armate, della burocrazia, dell'industria, della finanza. Tutti «fratelli». È la riprova che, in questo Paese, guai ai figli unici. (11 maggio 1981) *Macché pazzo! L'attentatore del Papa deve essere un furbo matricolato. Dichiarandosi seguace di George Habbas e della causa palestinese, ha cercato di procurarsi la solidarietà dei molti, dei moltissimi, che non battono ciglio quando un terrorista cerca di spedire qualcuno all'altro mondo. Purché il terrorista appartenga al terzo. (16 maggio 1981) *Studiosi cinesi, mettendo a confronto reperti di ominidi dissimili tra loro tanto da far pensare che l'uomo discenda anche da animali diversi dalla [[scimmia]], sono arrivati alla conclusione che i nostri progenitori erano comunque scimmie, ancorché di specie differenti. Ci pare logico. Quale altro animale avrebbe potuto imitare la scimmia che ha dato l'avvio alla razza umana se non un'altra scimmia priva di senso critico? (19 maggio 1981) *Una nostra redattrice andata per una sua cronaca sul femminismo alla «libreria delle donne» in via Dogana a Milano, è stata accolta da una di loro con queste parole: «Con te non parlo perché sei di un giornale fascista, e anche tu hai la faccia da fascista». La nostra redattrice, che ha ventun anni, probabilmente non sapeva bene cosa fosse il fascismo. Ora lo sa: lo ha imparato in quella libreria. (4 novembre 1981) *Come previsto, la Juventus ha conquistato il [[Serie A 1981-1982|ventesimo scudetto]] battendo il Catanzaro. Una vittoria di rigore. (17 maggio 1982) *Socialisti e comunisti si sono opposti alle sanzioni economiche contro l'Argentina perché, hanno detto, una buona metà degli argentini sono di origine italiana, e molti di loro conservano tutt'ora la nostra nazionalità. Vero. Ma non ci eravamo accorti che queste sinistre spasimassero tanto d'amore per i nostri connazionali di laggiù quando si trattava di riconoscergli il diritto di voto. (22 maggio 1982) *Se si va avanti di questo passo, la [[guerra delle Falkland]] (o Malvine) finirà quando l'ultimo aereo argentino sarà abbattuto col suo carico di bombe sull'ultima nave inglese. E dire che questa lotta di leoni si svolge per un'isola di Pecore. (27 maggio 1982) *Tutti abbiamo trepidato ieri, davanti al televisore, per le sorti della squadra azzurra, tutti ci siamo entusiasmati alle sue gesta, tutti abbiamo salutato con orgoglio la sua vittoria. Ma il tipo di patriottismo che questa ha suscitato nelle strade delle nostre città, messe a soqquadro dai tifosi scalmanati che usavano il tricolore a copertura del peggior teppismo, ci ha fatto rimpiangere di non essere nati brasiliani. (6 luglio 1982) *Mai visto così tanto entusiasmo patriottico, tanti tricolori per le strade come per la finale degli azzurri al Mundial. Nella tomba di Caprera, le ossa di [[Giuseppe Garibaldi|Garibaldi]] fremono di invidia. Per unificare l'Italia «in un solo grido, in una sola passione» gli erano accorsi mille uomini. A [[Enzo Bearzot|Bearzot]] ne sono bastati undici. (12 luglio 1982) *Gli scrittori [[Mario Soldati]] (Psi) e [[Gianni Brera]] (Psi) sono stati trombati {{NDR|non sono stati eletti}}. Peccato. Il Parlamento era l'unico posto in cui, dovendo parlare per gli altri, forse avrebbero finalmente taciuto. (1º luglio 1983) *Che [[Bettino Craxi|Craxi]] sia uomo di grandi capacità e ambizioni, lo si sapeva. Che sia anche uomo di grande coraggio, lo si è visto ieri, quando pronunciava alla Camera il suo discorso di replica. Per due volte si è interrotto alla ricerca di un bicchier d'acqua. Per due volte [[Giulio Andreotti|Andreotti]] glielo ha riempito o porto. E per due volte lui lo ha bevuto. (13 agosto 1983) *Condannato dal tribunale di Reggio Emilia per bestemmie e turpiloquio contro la Chiesa, [[Roberto Benigni]] avrebbe qualche ragione di considerarsi vittima di un'ingiustizia. Proprio il giorno prima la Chiesa riabilitava [[Martin Lutero]], scomunicato ai suoi tempi pressappoco per gli stessi motivi. Come cambia, coi tempi, la sorte degli uomini! È inquietante pensare che Benigni, se fosse vissuto cinquecent'anni fa, sarebbe forse diventato Lutero. Ma addirittura sconvolgente è che Lutero, se fosse nato cinquecent'anni dopo, sarebbe forse diventato Benigni! (8 novembre 1983) *Il più autorevole giornale americano di economia e finanza, il Wall Street Journal di martedì 10 gennaio, è incorso in un curioso lapsus. Parlando del concordato fra lo Stato italiano e la Santa Sede, scrive che esso «venne firmato nel 1929 da Bettino Mussolini». Chissà, se lo legge, come si arrabbia Benito Craxi. (12 gennaio 1984) *È comparsa sui giornali la pubblicità di una nuova opera di Fanfani, intitolata «La Dc e la svolta degli anni 80». L'editore avverte che si tratta di un libro formato «tascabile». Dato l'autore, poteva andare diversamente? (16 gennaio 1984) *È vero: la [[Juventus Football Club|Juventus]], a Basilea, non ha fatto una gran figura. Giocando con più cervello, poteva vincere comodamente 4-0. Ma attenti a non giudicare troppo severamente il Porto. Quello di Genova va molto peggio. (18 maggio 1984) *Il trentanovenne James Nelson, condannato da un tribunale di Londra a quindici anni per avere ucciso la madre a colpi di mattone, ha sentito, chiuso in cella, la vocazione sacerdotale: si è messo a studiare teologia, e ora sta per diventare prete nella chiesa scozzese. «È mia intenzione – ha dichiarato – contribuire alla edificazione di una nuova società». Si può credergli: i mattoni ha dimostrato di saperli usare. (25 maggio 1984) *L'agenzia Agi informa, con un drammatico flash, che il ministro [[Giulio Andreotti|Andreotti]], «impegnato in una riunione superistretta con gli altri 15 ministri degli esteri della Nato, perderà la partita [[Associazione Sportiva Roma|Roma]]-[[Liverpool Football Club|Liverpool]]». È giusto il fatto che faccia notizia: è la prima volta che Andreotti perde qualcosa. (31 maggio 1984) *Presso la Presidenza del Consiglio, a palazzo Chigi, è stata istituita una commissione di giuristi per la completa parificazione dei diritti fra i due sessi. Finalmente! Era ora che ce la riconoscessero, a noi uomini. (16 ottobre 1984) *La riforma dei programmi della scuola elementare, cui sta lavorando il Ministro Falcucci, introdurrà nella terza, quarta e quinta classe l'insegnamento di una lingua straniera. Non è specificato quale. Speriamo che si tratti dell'italiano. (21 gennaio 1985) *Un certo [[Nichi Vendola]], dirigente della Federazione giovanile comunista, ha lanciato l'idea di riconoscere formalmente un «diritto dei bambini ad avere rapporti sessuali tra loro o con gli adulti». Vendola ha detto di aver attinto questa idea all'esperienza di molti padri. A conferma di quanto scrive [[Georges Courteline|Courteline]] nella sua «Filosofia»: «Uno dei più chiari effetti della presenza di un bambino in una casa è di rendere completamente idioti dei genitori che forse, senza di lui, sarebbero stati degl'imbecilli comuni». (26 marzo 1985) *I tecnici di calcio sono rimasti stupiti dalla prova del [[Real Madrid Club de Fútbol|Real Madrid]] che nella semifinale della coppa Uefa ha letteralmente travolto i modesti giocatori dell'[[Football Club Internazionale Milano|Inter]]. I madrileni hanno proprio vinto a biglia sciolta. (26 aprile 1985) *Quando [[Sandro Pertini]] è apparso sul video di Raiuno che trasmetteva la premiazione del concorso ippico di Roma, il cronista ha commentato: «Anche i cavalli, come vedete, sono gentili col Presidente». Era vero. Forse meritano di essere fatti cavalieri. (5 maggio 1985) *I tifosi rossoneri sono in festa per la notizia che Berlusconi sta per acquistare il loro Milan. Sono convinti che in un battibaleno ne farà una squadra da scudetto, da coppa delle coppe, da tutto, e forse hanno ragione. C'è un solo pericolo: che il neo-presidente voglia fare anche il direttore tecnico, l'allenatore, il massaggiatore, il capitano e il centrattacco. Il che potrebbe andar anche bene. Ma ad una condizione: che possa fare anche l'arbitro. (27 dicembre 1985) *Rete Quattro e Italia 1 sono state multate per violazione del decreto che proibisce la propaganda al consumo del tabacco. Lo spot incriminato è quello che, parlando del «Camel Trophy», ostentava un pacchetto di sigarette della ditta sponsorizzatrice. Strano Paese, il nostro. Colpisce i venditori di sigarette, ma premia i venditori di fumo. (13 marzo 1986) *Molti lettori ci chiedono quale missione sta svolgendo l'on. Capanna a Tripoli, quali motivi l'hanno spinto da Gheddafi. Non ne sappiamo granché: non siamo abituati a ficcare il naso nelle altrui questioni di famiglia. (1º giugno 1986) *Oggi Paolo Pillitteri sarà designato alla successione di Tognoli come sindaco di Milano. Lo dipingono come uomo intelligente, efficace, insomma pieno di qualità. Purtroppo, gli manca quella fondamentale: il celibato. (5 dicembre 1986) *Finalmente, dopo sette anni di esilio a Gorky, l'impavido Andrei Sacharov è tornato a Mosca. Speriamo che Gorbaciov ci resti. (24 dicembre 1986) *L'agenzia Ansa riferisce che da un sondaggio operato in Francia su un pubblico internazionale, risulterebbe che il maschio italiano detiene ancora il primato mondiale della seduzione. Speriamo che i giornali non riportino la notizia: gl'italiani sarebbero capaci di crederci. (15 marzo 1987) *Per la prima volta nella storia della Corte Costituzionale, il nuovo presidente, Francesco Saja, è stato eletto al primo scrutinio. Ma il rivale sconfitto, Ferrari, ha sollevato eccezione accusando il vincitore di averlo battuto grazie a un «compromesso storico» fra elettori democristiani e comunisti, aggravato da un intrallazzo fra siciliani. Vero o falso, dalla Corte al cortile. (5 giugno 1987) *Ieri tutti i telegiornali ci hanno martellato negli occhi le immagini dei capibastone – Craxi, De Mita, Spadolini, Altissimo ecc. – che infilavano la scheda nell'urna. I loro volti raggiavano di soddisfazione. Erano gli unici elettori matematicamente sicuri di aver dato il voto al candidato ideale. (15 giugno 1987) *In una scuola di Chattanooga, nel Tennesse (Usa), due sedicenni, approfittando dell'assenza dell'insegnante, si sono baciati e hanno fatto l'amore davanti a una decina di compagni, niente affatto scandalizzati. Dato il lassismo di certe scuole americane, gli esami in cui gli studenti riescono meglio sono proprio queste prove orali. (4 giugno 1988) *Diciannove persone hanno dichiarato d'aver visto aggirarsi, tra le quinte della Scala, il fantasma di [[Maria Callas]]. Non ci meravigliamo, anche perché migliaia di altri frequentatori del massimo teatro lirico italiano sostengono da tempo di vedere, alla Scala, il fantasma della Scala. (28 giugno 1988) *Scoprendo le istituzioni britanniche con un secolo e mezzo di ritardo, i comunisti sembrano fermamente intenzionati a formare il loro «shadow Cabinet». Ma onestamente non ne afferriamo la ragione. Non c'è nessun bisogno di un governo ombra per contrastare quest'ombra di governo. (5 maggio 1989) *Da un sondaggio condotto tra i francesi risulta che il personaggio più noto d'Oltralpe è [[Marcello Mastroianni]], conosciuto dall'83 per cento degli intervistati. Il 97 per cento dei francesi invece confessa di non sapere chi sia [[Ciriaco de Mita|Ciriaco De Mita]]. Quando si dice un Paese fortunato... (20 maggio 1989) *Gerardo Iglesias, che fu segretario generale del partito comunista spagnolo dall'82 all'88, ha lasciato l'attività politica per riprendere il suo lavoro di minatore di carbone, «l'unico modo in cui posso guadagnarmi degnamente la vita». Alcuni dirigenti del Pci, a quanto risulta, vorrebbero imitarne l'esempio, tornando al vecchio lavoro. Il difficile è trovare chi ne aveva uno. (1º giugno 1990) *Durante la festosa «notte del mondiale», la polizia romana ha arrestato, nelle vicinanze dello stadio olimpico, 29 borsaioli e scippatori. Il signor [[Edgardo Codesal Méndez|Codesal Mendez]], arbitro della partita [[Nazionale di calcio della Germania|Germania]]-[[Nazionale di calcio dell'Argentina|Argentina]], non figura nell'elenco. (10 luglio 1990) *Il giudice veneziano Casson ha convocato, per la storia del Gladio, il presidente [[Francesco Cossiga|Cossiga]], e l'Italia leguleia è in subbuglio: la Costituzione, pure, si è dimenticata di precisare se il Capo di Stato può essere chiamato a rispondere, sia pure da testimone, a un qualunque magistrato. Il quale però ha ora la fotografia su tutti i giornali. E tutti possono ammirarla chiedendosi che cosa passa in quella testa, la testa di Casson. (10 novembre 1990) *Gli studenti italiani manifestano rumorosamente per la [[pace e guerra|pace]] e contro la [[pace e guerra|guerra]]. La guerra, diceva [[Georges Clemenceau|Clemenceau]], è una cosa troppo seria per lasciarla fare ai militari. Ma anche la pace è una cosa troppo seria per lasciarla fare ai pacifisti. (20 gennaio 1991) *Occupandosi – tra tanto Golfo – del Festival di Sanremo il Tg3 ci ha dato, finalmente, ieri sera, una notizia credibile: il livello delle canzoni, ha detto, è destinato a salire. Infatti: sentite le prime è impossibile che scenda. (1º marzo 1991) *Da un'indagine risulta che il 41,9% degli italiani non considera illecito l'assenteismo dal lavoro e che il 41,3% non considera peccato le infedeltà coniugali. La coincidenza delle due cifre spiega in che modo gli statali impiegano il tempo che dovrebbero dedicare all'ufficio. (3 ottobre 1991) *A quest'ora [[Ernesto Balducci|Padre Balducci]] è di fronte al Supremo Giudice, nel quale affermava di credere. Almeno a Lui dovrà spiegare non ciò che diceva contro la Chiesa, ma perché lo diceva travestito da frate. (26 aprile 1992) *Nell'ultima tornata presidenziale è emerso, con un bel pacchetto di 20 voti, Aldo Aniasi. Finalmente. In questo imperversare di tangenti e bustarelle, era ora che qualcuno si ricordasse di lui. (24 maggio 1992) *Per sfatare le malevole dicerie su certe bestie, il presidente degli «animalisti» italiani ha offerto un premio di 200 milioni a chi potrà dimostrare che i corvi scrivono lettere anonime e che le talpe fanno le spie. È vero: di simili casi non ne conosciamo. Ma di somari che fanno i presidenti, ne conosciamo parecchi. (5 luglio 1992) *Dopo le invettive e i clamori da cui il presidente del consiglio [[Giuliano Amato|Amato]] è stato accolto in Senato per la sua insensibilità alla crisi morale che investe il Paese, il dibattito sulla medesima si è svolto, a Montecitorio, in un'aula deserta. Sì, una crisi morale, per la nostra classe politica esiste: lo dimostra il vuoto in cui l'ha lasciata cadere. (14 marzo 1993) *«I socialisti – ha detto l'ex ministro della Difesa Salvo Andò – devono andare tutti nudi verso la meta di un nuovo sistema politico». Come faranno senza le tasche? (24 maggio 1993) *Il candidato del Psi per le elezioni a sindaco di Roma sarà Niccolò Amato. Assennata scelta. Ex direttore delle carceri, Amato è certamente il più qualificato a rappresentare quel partito. (23 settembre 1993) *Giovedì sera annuncio a sorpresa di [[Emilio Fede]] nel suo Tg4: «Adesso – ha detto – voglio parlarvi di informazione». C'è sempre una prima volta. (8 gennaio 1994) *Secondo un sondaggio della Diacron (gruppo Fininvest), l'82 per cento dei lettori del «Giornale» sarebbe schierato con Berlusconi. Vero. Almeno com'è vero che Berlusconi diventerà presidente del Consiglio. (12 gennaio 1994) ====''La parola ai lettori – rubrica''==== *I tennisti italiani hanno disputato la finalissima di Coppa Davis a Praga, e nessuno ha battuto ciglio. Le squadre di calcio italiane frequentano gli stadi dell'Est, a cominciare da quelli russi, e i puristi della democrazia non ci trovano nulla a ridire. Ma per l'[[Uruguay]] – che con i suoi tre milioni di abitanti e la sua posizione geografica non mi pare possa essere considerato una minaccia troppo grave alla libertà dei Paesi democratici – c'è puntuale la protesta. Come se l'Uruguay potesse invadere, espandersi, insidiare, inviare – direttamente o indirettamente – eserciti di mercenari in mezzo mondo, e l'[[Unione Sovietica]] no. Possiamo capire gli intransigenti della democrazia: ma possiamo soltanto disprezzare i farisei che hanno l'indignazione dimezzata. Si calmino Bruno Conti e Pruzzo. Né l'Uruguay, né il suo regime, meritano tante ansie e tanta ostilità. Mosca è più vicina – lo sanno bene i polacchi – e Kabul anche. (31 dicembre 1980) *Non abbiamo mai «coperto», come si usa dire, questo nostro socio (che ha il 37, non il 36% del Giornale), anche perché non vediamo da cosa dovremmo coprirlo. [[Silvio Berlusconi|Berlusconi]] non è né un politico né un gerarca civile o militare, e non svolge nessuna pubblica funzione incompatibile con l'appartenenza alla massoneria. È un privato imprenditore e cittadino che quando fa una balordaggine (e l'iscrizione alla P2 lo è) la fa a proprio rischio e pericolo. Come lei avrà visto, il suo coinvolgimento nella P2 non ci ha impedito di dire, di Gelli e della sua banda, tutto il male che ne pensiamo. (31 maggio 1981) *In tutti questi anni che è stato con noi, {{NDR|Silvio Berlusconi}} si è sempre comportato nella maniera più signorile, ed anche in questa circostanza ci ha dato le più ampie garanzie. (14 aprile 1987) *Nel panorama sudamericano il [[Cile]] è oggi uno di quei paesi economicamente più solidi e con maggior progresso, tanto da meritare gli elogi del Fondo monetario internazionale. Ma la postilla impone a sua volta una precisazione. È più facile fare il risanamento economico monetario in Cile, dove i sindacati sono inesistenti o impotenti, che non in [[Argentina]], dove il sindacato incalza il governo e pretende aumenti salariali il cui ritmo sia adeguato al ritmo dell'inflazione. [...] Pinochet è quello che è. Il suo plebiscito per la Costituzione del 1980 fu indetto in circostanze che gli tolgono ogni valore. E gli inizi del regime militare furono sanguinari. Però il Cile di oggi ha un livello di libertà e di dialettica politica – nonostante Pinochet – che tanti paesi del Terzo mondo vezzeggiati dai nostri democratici dovrebbero invidiargli. Come ha osservato un lettore, né l'Etiopia né lo Zaire né la Siria, né il Nicaragua avrebbero tollerato corrispondenze come quelle che gli inviati della Rai diffondono, in diretta dal Cile. (16 aprile 1987) *Mai le nostre prese di posizione su problemi e personaggi sono state non dico condizionate, ma influenzate dalle personali amicizie o preferenze di Berlusconi. Per la verità, l'editore chiese una volta a titolo di favore, un «occhio di riguardo» per la sua creatura prediletta. Non la televisione, come i lettori saranno stati forse indotti a pensare, ma il [[Associazione Calcio Milan|Milan]]. Sottoposi questa sommessa istanza alla redazione sportiva. La risposta fu una lettera collettiva di dimissioni. Caso chiuso. Da allora rinuncio a leggere le cronache delle partite del Milan, per non dovermi dispiacere del dispiacere che ne prova probabilmente Berlusconi. (17 aprile 1988) *Come già ho scritto, e qui mi piace ripetere, la designazione di [[Francesco Cossiga|Cossiga]] al Quirinale fu la scelta dell'uomo giusto al posto sbagliato. Sappiamo benissimo chi la volle. Ma sappiamo altrettanto bene che fu avallata anche da quegli uomini e partiti che ora si scagliano contro di lui e lo accusano, apertamente o copertamente, di fellonia. La classe politica, nella quale egli ha militato da sempre e che quindi da sempre lo conosceva, doveva sapere che l'onesto (perché tale è) Cossiga non era uomo da Quirinale. Eppure, per i suoi sporchi giochi di potere, ce lo mandò. Ora dovrebbe sentire il dovere di difenderlo dagli sciacalli che lo attaccano da tutte le parti. (22 dicembre 1990) ===''La Stampa''=== <!--ordine cronologico--> *Intorno alle «cattedrali nel deserto» impiantatevi dalla cosiddetta mano pubblica, [...] o trasferitevi dal Nord con l'adescamento degli «incentivi», e sotto la nuvolaglia di fumo che sgorga dalle loro ciminiere, si gonfiano alla carlona e selvaggiamente dirompono, senza nessun criterio urbanistico, senza piano regolatore, senza servizi, spesso anche senza acquedotto e senza fogna, degli agglomerati urbani che solo per il numero degli abitanti si possono chiamare città. [...] È nata soltanto, insieme a una forsennata speculazione edilizia che per sfruttare all'osso l'area fabbricabile accumula con cattivo cemento un piano sull'altro finché crollano sulla testa degl'inquilini, la sorda rabbia contro la città di un contadiname analfabeta che se n'è visto succhiare la linfa vitale, e quando vi cala, lo fa da nemico e vandalo. Questo è il panorama del Mezzogiorno dopo vent'anni e più di Cassa, che hanno raschiato dalle tasche dei contribuenti migliaia di miliardi. ([http://www.archiviolastampa.it/component/option,com_lastampa/task,search/mod,libera/action,viewer/Itemid,3/page,3/articleid,1118_01_1973_0272_0003_16218908/ 18 novembre 1973]) *La politica meridionalistica è tutta dominata da questo sottofondo psicologico. Essa vuole l'industrializzazione di Stato non soltanto perché [...] l'industrializzazione può essere fatta soltanto dallo Stato o da imprese al servizio dello Stato; ma anche perché più queste imprese si sviluppano, e più si riduce il margine di quell'imprenditoria privata che i meridionali, non riuscendo a emularla, mirano a ostacolare e ridurre, sottraendole il pubblico risparmio. Con l'agricoltura non avrebbero potuto perseguire questi scopi punitivi. L'unica arma per mortificare e battere l'industria privata è l'industria statale o parastatale. Questa, intendiamoci, esisteva digià: è un portato dei tempi moderni. Ma non c'è dubbio che la politica meridionalistica, come la si è praticata finora e tutto lascia credere che si seguiterà a praticarla, le ha offerto un'ideale occasione. ([http://www.archiviolastampa.it/component/option,com_lastampa/task,search/mod,libera/action,viewer/Itemid,3/page,3/articleid,1118_01_1973_0284_0003_16222766/ 2 dicembre 1973]) *Lo Stato, con [[Venezia]], ha contratto un solo impegno: di destinare al suo risanamento 300 miliardi di lire in cinque anni. Di dove li prenda, non ha nessun interesse. Può darsi che una parte li attinga proprio a quel prestito. Ma non vi è tenuto, né si vede perché dovrebbe esserlo. Ciò che da esso si può e si deve esigere è che eroghi effettivamente quei 300 miliardi alle scadenze per le quali si è impegnato: 25 miliardi per il '73, 60 nel '74, 90 nel '75, e su su fino alla chiusura dei conti nel '77. Due sole cose restano da dire. Primo. All'origine dell'equivoco c'è di certo quello che i francesi chiamano l'''esprit mal tourné'', cioè la diffidenza degl'italiani nei confronti dello Stato. Ma all'origine di questa diffidenza c'è altrettanto certamente l'incapacità o la renitenza dei nostri governanti a spiegare [...] ciò che fanno. Secondo. I soldi [...] stavolta ci sono. E diamo pure per scontato che saranno erogati con puntualità. Ma dove sono gli strumenti per spenderli, specie quelli affidati in gestione a degli Enti locali, che fin qui non sono stati capaci di dragare un canale né di riparare la spalletta d'un ponte? Non vorremmo che anche tutti questi miliardi andassero ad alimentare l'immenso deposito di «residui passivi», cioè di somme stanziate ma non impiegate, che già affligge il nostro Paese. Non lo vorremmo. Ma lo temiamo. ([http://www.archiviolastampa.it/component/option,com_lastampa/task,search/mod,libera/action,viewer/Itemid,3/page,1/articleid,1111_01_1974_0009_0001_21345708/ 11 gennaio 1974]) *E ora addio, caro lettore, e grazie dell’ospitalità. Ti confesso che, entrando in casa tua, ero molto imbarazzato. Ma mi bastò poco per accorgermi che di questo imbarazzo voi soffrite quasi quanto coloro a cui lo incutete. Esentàtemi da una dichiarazione di amore perché a gente come voi è difficile farne. Ma in questo pudore mi sento vostro pari e vostro complice. Avrò un giornale a Milano e, e cercherò di farlo molto bello, bellissimo. Ma anche se ci sarò riuscito, seguiterò a rimpiangere il vostro. Mi dicevano che ci avrei sofferto il freddo. Ci ho trovato, sotto una coltre di silenzio, il caldo. ([http://www.archiviolastampa.it/component/option,com_lastampa/task,search/mod,libera/action,viewer/Itemid,3/page,3/articleid,1112_01_1974_0087_0003_16390798/ 21 aprile 1974]) {{Int|''[http://www.archiviolastampa.it/component/option,com_lastampa/task,search/mod,libera/action,viewer/Itemid,3/page,9/articleid,1118_01_1973_0284_0009_16222725/ Chi era il vecchio leone del deserto]''|Articolo su ''La Stampa'', 2 dicembre 1973.|h=4}} *Senza Ben Gurion, non so se Israele sarebbe stato migliore o peggiore di quel che è. Certo, sarebbe stato diverso. Il titolo di «Padre della Patria» non può contestarglielo nessuno. [...] Egli stesso mi raccontò lo sgomento da cui fu còlto quando, non ancora ventenne, sbarcò a Giaffa dopo un lungo periplo a bordo d'un cargo. A procurarglielo non furono i funzionari turchi che allora governavano il Paese, e nemmeno gli arabi che formavano il grosso della popolazione; ma gli ebrei, quasi tutti latifondisti e mercanti perfettamente inseriti nel «sistema» e unicamente intesi ai propri affari. Erano dunque quelli i depositari della Terra Promessa, che non sapevano neanche l'ebraico, o comunque si rifiutavano di parlarlo? Forse ne sarebbe fuggito, se nell'interno non avesse scoperto alcune isolate fattorie collettive, dove i nuovi immigrati lavoravano la terra con le proprie mani e di notte montavano la guardia, uomini e donne, per difendere le loro vite e i loro raccolti dalle razzie degli arabi. *Egli fu sin da principio organizzatore sindacale e propagandista politico, ma ciò non toglie che la sua ideologia si sia sviluppata da questa esperienza pionieristica. Non era uomo di studio e di cultura. Ma, pur combattendolo, era rimasto influenzato dal socialismo tolstoiano che aveva respirato a Plonsk. [...] Comprese subito che solo redimendo la terra col loro lavoro manuale e contrapponendo al latifondismo arabo la fattoria collettiva, gli ebrei potevano legittimare la riconquista dei loro antico «focolare». Militarmente, egli non attaccò mai gli arabi. Aspettò che il loro sistema si disgregasse da sé, e ci volle poco. Battuti sul mercato dai prodotti del ''kibbutz'', i latifondisti arabi vendettero i loro feudi al «Fondo Nazionale Ebraico» per andare a sperperare l'incasso nei ''Casinos'' di Beirut e della Costa Azzurra, e i braccianti rimasero senza lavoro perché i nuovi padroni usavano le braccia proprie. Il conflitto è tutto qui: nell'impossibilità di coabitazione di una scalcagnata economia feudale con un'efficientissima economia socialista. I motivi religiosi e razziali li ha aggiunti la propaganda. Prima del ''kibbutz'', arabi ed ebrei avevano pacificamente convissuto in un avanzo di mondo medievale, garantito dal satrapesco governo turco, coi suoi privilegi e le sue glebe. Il ''kibbutz'' fu una rovina anche per il latifondo ebraico. [...] Il suo programma era questo: conquistare la Palestina «pertica dopo pertica, capra dopo capra», ma senza costituirla in uno Stato, un po' perché a questo si sarebbe opposta l'Inghilterra […] un po' per non provocare un «fronte» di nazioni arabe, come poi in realtà avvenne. Ma la rivelazione del [[Olocausto|genocidio]] gl'ispirò il famoso ''mai più''. E mai più significava questo: che d'allora in poi gli ebrei dovevano avere un rifugio sicuro, pronto ad accoglierli e in grado di farlo, cioè uno Stato. *Gli rimproverano anche di non aver mai svolto una coerente politica araba, cioè di intesa con gli arabi. E anche in questo c'è del vero, ma ha il suo perché. Come tutti i veri politici, Ben Gurion era un pragmatista, cioè un uomo che attingeva le idee dalla pratica delle «cose», non viceversa. E l'esperienza fatta nella lotta per la manodopera ebraica lo aveva persuaso che con gli arabi non c'era [...] possibilità di compromesso. Uno Stato palestinese misto di arabi e di ebrei, lo considerò sempre una chimera per il semplice motivo che in poche generazioni, col loro potenziale demografico quattro volte superiore, gli arabi avrebbero mangiato gli ebrei. Questo scrupolo [...] sa un po' di razzismo. Ma l'unico rimprovero che si può muovere a Ben Gurion è di non averlo abbastanza mascherato. Già nella guerra del '48 egli avrebbe potuto annettersi la Cisgiordania: ci rinunziò per non mettersi in corpo seicentomila arabi. L'anno dopo rifiutò per lo stesso motivo la cosiddetta «striscia di Ghaza» che il suo brillante generale Allon aveva sforbiciato dall'Egitto. E dopo la guerra dei sei giorni, sebbene ormai lontano dal potere, non ha fatto che ammonire contro una politica di annessioni territoriali disgiunta da un adeguato incremento di popolazione ebraica. Non ha mai dialogato che con l'Occidente. Con gli arabi, non ha seguito che una diplomazia: quella dei confini. *Le nuove esigenze della produzione e della guerra imponevano un altro «rovesciamento della piramide»: il miracolo della guerra dei sei giorni fu dovuto a un esercito di tecnici altamente specializzati, in cui anche il semplice aviere era un ingegnere. Il posto del ''kibbutz'' [...] veniva preso dall'Università che riconvertiva il contadino in professore. Ben Gurion non poteva interpretare questo nuovo corso. Era troppo vecchio e legato all'altro. Ma non lo comprese, non poteva comprenderlo, per conservare il potere ricorse a tutte le armi del suo repertorio, anche le meno regolamentari, giunse a rinnegare e a rompere il proprio ribelle partito. E neppure a battaglia persa si rassegnò. Dal fondo del suo rifugio alle soglie del deserto ha continuato tutti questi anni ad alluvionare di ammonimenti, maledizioni, anatemi i suoi vecchi amici trattandoli da nemici. [...] Quello che si chiude con Ben Gurion è il capitolo del pionierismo: il più eroico e glorioso, quello destinato, via via che si allontanerà nel tempo, ad essere ricordato dagl'israeliani con sempre più struggente nostalgia. {{Int|''[http://www.archiviolastampa.it/component/option,com_lastampa/task,search/mod,libera/action,viewer/Itemid,3/page,3/articleid,1112_01_1974_0081_0003_16388814/ La strada lunga di Golda]''|Articolo su ''La Stampa'', 14 aprile 1974.|h=4}} *{{NDR|[[Golda Meir]]}} Aveva poco più di vent'anni quando approdò in Israele, frammista ai «padri pellegrini» della «seconda ondata» che subito dopo la [[prima guerra mondiale]] vennero a riprendere possesso della loro antica terra con la ferma intenzione non d'insabbiarcisi com'era successo ai loro predecessori della fine dell'Ottocento, ma di riscattarla e di farne il «focolare» degli ebrei. Tutta la sua visione politica [...] era condizionata da questa esperienza di oltre mezzo secolo di sacrifici e di lotte. Tecnicamente, non so se si possa catalogarla fra i «falchi». Anzi, mi sembra che abbia fatto tutto il possibile per non confondersi con essi e per presentarsi come mediatrice fra loro e le «colombe». Ma, cresciuta nell'accampamento, ne aveva acquisito la mentalità guerriera. Oggi molti in Israele si domandano se a questi pionieri non restava davvero altra strada che quella dell'urto frontale con la popolazione araba della Palestina. Ma questi dubbi sono un lusso ch'essi si possono concedere solo perché i loro babbi e nonni non ne ebbero. Costoro fecero quello che fecero perché non potevano far altro. Ciò che rendeva impossibile la coabitazione fra le due popolazioni non era la incompatibilità razziale e religiosa, ma quella economica e sociale. Il latifondo sceiccale non poteva convivere col ''kibbutz'' socialista. È qui l'origine di un conflitto che nessuna diplomazia poteva sanare. Una pace fra israeliani e arabi è possibile; una simbiosi, no. Ancor oggi chi parla di «Stato misto» si gingilla con le astrazioni. *Fu lei che, mentre la lotta infuriava e il sangue correva, raggiunse travestita da cammelliere l'emiro Abdullah di Giordania – il nonno di [[Husayn di Giordania|Hussein]] –, e da nemico se lo fece amico, o almeno neutrale. Non sono mai riuscito ad appurare se [[David Ben Gurion|Ben Gurion]] ebbe una parte, e quale, in questo «giallo» fra il diplomatico e lo spionistico. Ma molte cose m'inducono a credere che a programmarlo fu proprio lei, Golda, anch'essa ben decisa a innalzare, fra arabi ed ebrei, una cortina di ferro, ma con qualche porta che consentisse all'occorrenza il dialogo. [...] I due furono amici e compari per decenni. [...] Per entrambi, la unica e vera ragione di vita era la politica, una passione che esclude tutte le altre, e alla quale chi ne è tocco tutto sacrifica, a cominciare proprio dai sentimenti. Ciò non vuol dire che i loro rapporti siano stati dominati unicamente dal calcolo [...] e che Golda si sia tenuta stretta a Ben per spiarlo, controllarlo e, al momento opportuno, divorarlo. Io ho visto alcuni scampoli della loro corrispondenza privata, quando l'amicizia era diventata aperta inimicizia. Roba da far impallidire un caporale degli alpini. Ma proprio da questo vocabolario si capiva quanto profonda e indistruttibile [...] fosse la loro solidarietà. Probabilmente anche al tempo in cui facevano coppia nel partito e nel governo si parlavano tra loro in quel linguaggio da fureria. Quanto a imperiosità e autoritarismo, si valevano. [...] Non era, come Ben Gurion, un'incantatrice, non aveva mai una immagine colorita, un paradosso, una battuta a effetto. Con la sua voce arrugginita dalle sigarette (ne fuma una settantina al giorno, e di tabacco nero), diceva piattamente e banalmente delle cose piatte e banali, solo ravvivate da qualche squarcio d'un umorismo massiccio come una scarpa di soldato; ma senza mai togliere di dosso all'interlocutore il suo vigile sguardo cilestrino alla fiamma ossidrica. E da quella specie di sporta per la spesa che, adibita a borsa, essa tiene al braccio anche nei ricevimenti ufficiali, ci si aspettava sempre di veder saltar fuori, oltre a qualche mazzo d'agli e di cipolle, una pistola o una fiala di veleno. *Di Golda si può dire tutto il male che si vuole: la materia non manca. Non c'è dubbio che sapeva odiare e che anche quando amava lo faceva da mantide, soffocando e stritolando. Ma Israele non troverà mai più una madre come lei, che sapeva anche fargli da padre. Nella sua tenacia, nel suo coraggio, nella sua volontà d'acciaio, essa riassumeva la storia di questo piccolo grande Paese. Lo ha dimostrato col suo ritiro. Quando si è trattato di pagare, essa si è offerta in sacrificio pur sapendo che per lei la rinunzia al potere è la rinunzia alla vita. «''Sono giunta al termine della mia strada''», ha detto. Ma che strada! Nessuno ne ha mai percorsa una più ripida e accidentata, più paurosamente librata tra abissi e strapiombi. Sono sicuro che Golda non si volterà indietro a guardarla, e non ce ne dirà nulla. Come tutti i grandi costruttori, essa sa soltanto costruire. Il resto, per lei, è silenzio. ===''la Voce''=== <!--ordine cronologico--> *Uscendo dal ''Giornale'', io feci a me stesso, ma pubblicamente, un giuramento: «Mai più un padrone». Qui padroni non ce ne sono. La proprietà è ripartita fra alcune centinaia di azionisti, di cui nessuno può, per statuto detenere più del 4 per cento. Fra di essi, e per primi, ci siamo stati tutti noi: redattori, impiegati, fattorini, autisti. [...] Per questa sua pulviscolarità, il nostro azionariato è stato definito, nei quartieri alti della Finanza, «straccione». La qualifica non ci dispiace: coi tempi che corrono, meglio stare tra gli stracci che tra le tangenti. (22 marzo 1994) *Di insurrezione generale non c'era bisogno, il 25 aprile, perché il Terzo Reich non esisteva più. Se l'insurrezione generale fosse avvenuta avrebbe dovuto avere come primo obiettivo, a Milano, il quartier generale delle SS all'Hotel Regina. Le SS furono invece lasciate del tutto tranquille, mentre si provvedeva a trascinare in piazzale Loreto, per la fucilazione Achille Starace [...]. Non sono contro la Resistenza, anzi: sono contro la retorica, inguaribile vizio italiano. Proprio questa retorica ha fatto sì che un sindaco democristiano di Roma, in un manifesto dedicato anni or sono alla liberazione della città non accennasse nemmeno con una parola agli Alleati. Ed ha fatto sì che in quest'ultimo 25 aprile si sia parlato ai giovani che affollavano piazza del Duomo a Milano o che stavano davanti ai televisori, ingannandoli – ossia raccontando loro che i tedeschi erano stati sconfitti dai partigiani, e che da questi l'Italia era stata liberata. Se questa è la «memoria storica» evocata da tanti commentatori, stiamo freschi. (28 aprile 1994) *Intorno a Berlusconi vedo agitarsi una falange di Starace, convinti non meno di Achille che il padrone (e con lui, si capisce, la carriera) si serve sbattendo i talloni e gridando: «Forza, Italia!». Di tutto questo, intendiamoci, Berlusconi non può essere tenuto responsabile. Gli Starace – a differenza di Mussolini che si scelse il suo vedendolo com'era – gli sono germinati e gli pullulano intorno d'irresistibile forza propria cercando di sopraffarsi in una gara di servilismo, che trova soprattutto nel video la propria arena. E per ora la gente pensa: «Povero Cavaliere, da chi è circondato». Ma prima o poi – forse più prima che poi – comincerà a dire anche di lui: «Vedi un po' di chi si circonda». (18 giugno 1994) *Dobbiamo prepararci a presentare le nostre scuse a [[Emilio Fede]]. L'abbiamo sempre dipinto come un leccapiedi, anzi come l'archetipo di questa giullaresca fauna, con l'aggravante del gaudio. Spesso i [[leccapiedi]], dopo aver leccato, e quando il padrone non li vede, fanno la faccia schifata e diventano malmostosi. Fede no. Assolta la bisogna, ne sorride e se ne estasia, da oco giulivo. Ma temo che di qui a un po' dovremo ricrederci sul suo conto, rimpiangere i suoi interventi e additarli a modello di obiettività. (26 novembre 1994) *Il presidente della Repubblica non può contrattare. Ma deve trovare qualcuno che abbia l'autorità morale di farlo. Un ''kamikaze''. E di ''kamikaze'' ne vediamo uno solo che, non avendo veste politica, né alcuna ambizione di indossarla, può anche affrontare una simile responsabilità: [[Antonio Di Pietro|Di Pietro]]. Ma temiamo che l'idea sia soltanto nostra. [...] Una delle pochissime cose che nella presente situazione ci confortano è di vedere in Quirinale un difensore delle Regole come [[Oscar Luigi Scalfaro|lui]]. Vorremmo solo sommessamente avvertirlo che l'Italia che noi conosciamo somiglia poco all'immagine angelica ch'egli ce ne ha fornito la sera di Capodanno, e che anche quando vi avremo messo a posto tutte le Regole, ne mancherà sempre una: quella che dall'interno della sua coscienza fa obbligo ad ogni cittadino di regolarsi secondo le regole. (3 gennaio 1995) *Noi volevamo fare, da uomini di [[Destra]], il quotidiano di una Destra veramente liberale, ancorata ai suoi storici valori: lo spirito di servizio (quello vero, taciuto e praticato), il senso dello Stato, il rigoroso codice di comportamento che furono appannaggio dei suoi rari campioni da Giolitti a Einaudi a De Gasperi. Insomma, l'organo di una Destra che oggi si sente oltraggiata dall'abuso che ne fanno gli attuali contraffattori. Questa Destra fedele a se stessa in Italia c'è. Ma è un'élite troppo esigua per nutrire un quotidiano. (12 aprile 1995) {{Int|''Il realista inviso agli snob''|Articolo su ''la Voce'', 24 aprile 1994.|h=4}} *Fino ad una decina di anni orsono, la maggioranza degli americani erano convinti che, se [[Richard Nixon|Nixon]] fosse rimasto nella Storia del loro Paese – cosa che al loro orecchio suonava come un obbrobrio – vi sarebbe rimasto solo per il [[Scandalo Watergate|Watergate]], cioè appunto per l'obbrobrio. Negli ultimi tempi tutto si è rovesciato: l'obbrobrio non è stato più il Watergate, ma la campagna scandalistica che lo aveva provocato. Gli stessi protagonisti che l'avevano montata – [[Bob Woodward]] e [[Carl Bernstein]] del ''Washington Post'' – ne riconobbero le forzature e fecero atto di contrizione. Non avevano inventato nulla, ma avevano deformato tutto. [...] La sorte è stata, tutto sommato, clemente con Nixon dandogli il tempo di vedere questo capovolgimento. *Ultimamente era ricevuto, ed anzi continuamente sollecitato alla Casa Bianca, dove lo si accoglieva come lo ''Elder Statesman'', lo statista anziano da consultare come un vecchio saggio sui problemi difficili. Fu a lui che [[George H. W. Bush|Bush]] si rivolse per riallacciare un dialogo con Pechino dopo la rottura seguita al fattaccio di Tienanmen. E lui a Pechino lo riallacciò: i cinesi non avevano dimenticato che quel dialogo erano stati Nixon e [[Henry Kissinger|Kissinger]] ad aprirlo, quando l'America aveva deciso di chiudere l'avventura del Vietnam in cui [[John Fitzgerald Kennedy|Kennedy]] e [[Lyndon B. Johnson|Johnson]] l'avevano malaccortamente cacciata. Ma anche [[Bill Clinton|Clinton]] è ricorso alla sua esperienza per capire cosa succedeva in Russia e trarne qualche insegnamento. Nixon andò a Mosca, e ne tornò con cattivi presagi sulla sorte di [[Boris Nikolaevič El'cin|Eltsin]] che i successivi avvenimenti hanno confermato. *Non era un uomo «simpatico», e soprattutto non aveva nulla che potesse sedurre l'America dei salotti e della ''intellighenzia'', che gli uomini politici li misurano a modo loro, mai quello giusto. Scambiarono per un grande intellettuale Kennedy, che in vita sua aveva visto migliaia di film, ma mai letto un libro. E prendevano Nixon, che di libri ne ha letti ed ha continuato a leggerne (ed a scriverne, niente male), fino all'ultimo giorno per una specie di Bossi californiano, rozzo e triviale. [...] Ma forse quello che più infastidiva gli americani era la renitenza di Nixon ad appelli e richiami tanto più sonori quanto più vacui, come «la nuova frontiera» e simili. Nixon era un professionista della politica, uno dei pochissimi che l'America abbia mandato alla Casa Bianca. Non andava per sogni e per versetti del Vangelo. Conosceva il suo [[Otto von Bismarck|Bismarck]], il suo [[Benjamin Disraeli|Disraeli]], e credo anche il suo [[Niccolò Machiavelli|Machiavelli]] che in America basta nominarli per finire scomunicati. Per questo lo consideravano un mestierante, e per questo si era scelto come consigliere un altro mestierante, l'ebreo tedesco Kissinger. Furono questi due uomini che ridiedero all'America la ''leadership'' nella politica estera coinvolgendo nel gioco la Cina e scavandone il solco da Mosca. I successori di Nixon, e specialmente [[Ronald Reagan|Reagan]], vissero in gran parte di questa eredità. ===''Oggi''=== <!--ordine cronologico--> *Mi confermo in due mie vecchie opinioni. Il guaio del socialismo è il socialismo, cioè sta proprio nel suo sistema statalistico. Il guaio del capitalismo sono i capitalisti che, quasi sempre bravissimi all'interno della loro azienda, fuori di lì sono spesso degli ottusi e noiosi imbecilli, e talvolta anche peggio.<ref>Citato in ''Dizionario delle citazioni'', a cura di Italo Sordi, BUR, 1992. ISBN 88-17-14603-X</ref> (n. 22, 1983) *{{NDR|Sull'offerta di [[Massimo D'Alema]] a concedere, come «atto dovuto», i funerali di Stato a [[Bettino Craxi]]}} "Atto dovuto"? Ma dovuto a chi? Anche a un latitante: quale, dal punto di vista legale, era Craxi? Concedere i funerali di Stato a un latitante significa sconfessare la Giustizia che lo ha condannato. [...] Ma può lo Stato sconfessare la propria Giustizia senza sconfessare se stesso? Mi sembra di vivere in un Paese che di senso dello Stato ne ha meno di una tribù del Ghana.<ref>Citato in ''La morte incute rispetto, ma su Craxi non cambio idea''-</ref> (2 febbraio 2000) *La [[democrazia]] è sempre, per sua natura e costituzione, il trionfo della mediocrità. (11 ottobre 2000) ==''Dante e il suo secolo''== ===[[Incipit]]=== Uno dei tanti meriti che si suole attribuire a [[Dante Alighieri|Dante]] è quello di essere stato il primo italiano ad avere una «coscienza nazionale». Noi non vorremmo cominciare questo libro con una detrazione, ma non ci sembra che a dimostrare questa coscienza basti l'allusione che Dante fa a una entità geografica italiana, di cui egli fissava i punti terminali al Brennero e al Carnaro. E non vediamo del resto cosa aggiunga alla sua grandezza questa specie d'irredentismo avanti lettera. Se per qualcuno Dante spasimò fu, caso mai, per un Imperatore tedesco. ===Citazioni=== *[[Roma]] era stata la capitale di un impero cosmopolita, non di una Nazione. (Parte prima. Capitolo primo, p. 12) *Non è necessario essere degli adepti del "materialismo storico" per attribuire il risveglio delle inquietudini intellettuali, fra il Millecento e il Milleduecento, al progresso economico e al generale miglioramento delle condizioni i di vita. È a stomaco pieno che si comincia a pensare a qualcosa che non sia soltanto lo stomaco. (Parte prima. Capitolo terzo, p. 131) *Il [[pudore]] femminile non è mai stato altro che un incentivo alla civetteria. (Parte seconda, Capitolo quarto, p. 174) *Da consumato giurista qual era, {{NDR|[[papa Bonifacio VIII]]}} prese a rimaneggiare tutti i precedenti storici, su cui poteva basare le sue pretese di dominio universale. E trovò un valido aiuto nel canonista [[Egidio Romano|Egidio Colonna]] il quale scrisse un trattato, ''De ecclesiastica potestate'', per avvalorare queste tesi. Egli sostenne che la Chiesa era padrona e proprietaria non soltanto delle anime, ma di tutto. Era solo per bontà e condiscendenza che metteva le cose a disposizione dei fedeli, ma conservando il diritto di ritorgliele quando voleva. Quindi anche i troni appartenevano ad essa, che li lasciava ai Re solo in momentaneo appalto. Questa teoria tanto piacque a Bonifacio, che ne ricompensò l'autore con la nomina ad arcivescovo di Bourges. (Parte seconda, Capitolo nono, p. 312) *Peccato che un simile uomo {{NDR|papa Bonifacio VIII}} avesse così clamorosamente sbagliato generazione e carriera. Fosse nato cinquant'anni dopo sarebbe stato un magnifico Principe del [[Rinascimento]]: avido, crudele e gagliardo. (Parte seconda, Capitolo undicesimo, p. 372) *Dante qui {{NDR|nel ''De vulgari eloquentia''}} ha visto ciò che molti filòlogi ancora oggi non vedono. Egli difende il "volgare", cioè la lingua viva, quella parlata dal popolo, fatalmente destinata a soppiantare il latino. Ma ne vorrebbe una illustre e aulica, al di sopra di quelle "municipali", cioè dei dialetti, contro i quali si scaglia con furore. In Italia ne classifica quattordici e li detesta tutti, compreso il toscano che chiama "turpiloquio". Ma il più orrendo gli sembra il romano, "e non deve fare meraviglia dacché i romani, anche per deformità di costumi e abiti, appaiono i più fetidi di tutti". Chissà cosa direbbe, povero Dante, se tornasse fra noi e andasse al cinematografo. (Parte seconda, Capitolo quindicesimo, p. 483) ==''Gli incontri''== *[[Giovanni Porzio|Porzio]] non è alto di statura, ma diritto come un fuso nonostante i settantaquattro anni suonati e porta, sui pantaloni a righe stretti e lunghi come quelli degli antichi ufficiali in grande uniforme, una giacca nera che l'alta bottonatura fa simile a una ''redingote''. Il volto è bello, di colore olivastro, e aristocratico nella modellatura del naso e nel taglio breve dei baffi e della barbetta ancora pepe e sale. (Porzio, p. 91) *Non avevo mai visto da vicino [[Cécile Sorel]], quando essa mi apparve, per la prima volta, di lontano, sul palcoscenico allestito nella corte d'onore degli Invalides per le feste celebrative del bimillenario di Parigi. [...] Drappeggiata in una sontuosa cappa di [[Elsa Schiaparelli|Schiaparelli]] a strascico di ''lamé'' d'argento e porpora, dritta su un podio sotto la statua di [[Napoleone Bonaparte|Bonaparte]], accolse a braccia spalancate lo scrosciante omaggio, sincopato dalle salve di artiglieria, dei cinquemila spettatori ammassati nell'immenso cortile. Sorrise. Sfiorò con uno sguardo altero le teste della folla, lo alzò verso l'imperatore, ma senza implorazione né umiltà, da pari a pari. Poi, in un silenzio di tomba, prese a modulare l'ode di Bruyez: "''Vous qui êtes morts pieusement pour la patrie...''". Ed era una voce incredibilmente limpida e squillante, senza traccia di ruggine. (Cècile, pp. 226-227) *[[Saul Steinberg|Steinberg]] ha la faccia dei suoi pupazzi: una faccia malinconica, lunga e triangolare, di cavallo tirato su a paglia soltanto, senza biada, e condannato a trascinare un carretto su per un'erta interminabile, in cima alla quale non si sa cosa ci aspetta, ma certo un'altra condanna, forse più pesante del carretto. Anche i baffi ha, come i suoi pupazzi: a doppia virgola orizzontale, sebbene meno lunghi e senza le intenzioni esibizionistiche di quelli di Dalì; e anche le lenti a stanghetta traverso cui ti fissano intensamente, di sotto in su, due occhi azzurri e mortificati, di uomo che non si è reso conto di essere Saul Steinberg; o essendosene reso conto, non ci prova alcun piacere. (Steinberg, p. 289) *[[Harukichi Shimoi]] è uno di quei giapponesi che gli altri giapponesi considerano di statura piccola. Tanto piccola che [[Gabriele D'Annunzio|D'Annunzio]], per abbracciarlo, dovette curvarsi (lui!) e, dopo essergli andato incontro gridando, con le braccia alzate: "Fratello!... Fratello mio!..." lo guardò, ci ripensò e aggiunse: "Sebbene non di sangue...". (Shimoi, p. 389) *Quanti anni avrà, ora, Harukichi Shimoi? Forse cinquanta, forse centocinquanta. Come per [[Guelfo Civinini]], suo amico, anche per lui il problema dell'età non si pone. Quale che essa sia, egli la porta esattamente come deve averla portata mezzo secolo fa. Il suo corpo è stortignaccolo, ma diritto, e i suoi capelli son nerissimi. Ma il tratto che più lo caratterizza sono le sopracciglia, che madre natura gli ha piantato a mezza strada, come due ciuffi di foltissimo bosco, tra gli occhi e la chioma, in modo che, per quanto vasti i suoi occhiali, esse li sormontano e risucchiano come se fossero due monocoli. (Shimoi, pp. 389-390) *Il più favoloso e colorito personaggio del [[Brasile]] è [[Assis Chateaubriand]], proprietario di ventun giornali, diciotto stazioni radiotrasmittenti, di una flotta aerea, di alcune ''fazendas'' vaste come l'intera Sicilia, di un museo che vale venti milioni di dollari, di una Compagnia nazionale per la puericoltura, e di un'ambizione pari soltanto al suo coraggio, alla sua insolenza e alla sua spavalderia. (Chateaubriand, p. 495) *Assis {{NDR|Chateaubriand}} ha un debole per i tedeschi e per gli italiani. Come faccia a conciliare questi due amori, non si sa; ma le sue pene, durante la guerra, furono grandi, anche se irreprensibile fu la sua condotta<ref>Dal 1942, nel corso della seconda guerra mondiale, il Brasile fu in stato di guerra con Germania e Italia.</ref>. Quando però il governo comminò l'arresto a chiunque parlasse italiano, scese in lotta con i suoi giornali contro l'assurda disposizione. Scrisse che quello non era patriottismo, ma un nazionalismo di bassa lega, degno soltanto di una colonia, e che lui si vergognava d'esser brasiliano. Fece un tale baccano, che alla fine dovettero revocare il provvedimento e quello del sequestro dei beni dei nostri compatrioti. (Chateaubriand, p. 502) *Quando nacque sessantadue anni orsono, ne aveva già a dir poco settecento. Perché [[Ottone Rosai|Rosai]] veniva dritto dritto dal Medioevo, dopo aver saltato a piè pari Rinascimento ed età moderna, e nei momenti di sincerità confessava che Giotto gli pareva un "deviazionista" rispetto a Cimabue, il quale gli andava molto più a sangue. (Rosai, p. 544) *Dopo essere stato fascista della prima ora, nella seconda col fascismo {{NDR|Ottone Rosai}} s'era trovato male, e si capiva benissimo che era sempre per via delle mani. Tornato dalla guerra, lo squadrismo gli aveva consentito di menarle, come a lui piaceva, e ci aveva dato dentro senza risparmio. Forse l'unico momento felice della vita di Rosai fu quello: quando a gambe larghe di traverso alla strada aspettava, col giornale aperto davanti agli occhi in un gesto di sfida ribalda, il corteo rosso in arrivo da San Frediano, che alla vista di quelle manacce aggrappate ai bordi del foglio e pesanti come macigni, esitava. (Rosai, p. 547) *[[Paolo Monelli|Monelli]], se seguisse le proprie inclinazioni, andrebbe a letto coi polli. Ma cosa direbbe la gente, se non lo vedesse più vagabondare nei vari ritrovi frequentati dai nottambuli della città? Direbbe senza dubbio: "Comincia a invecchiare". E a questa idea Monelli balza dalla sua poltrona e si attacca al telefono per mobilitare qualche amica che lo accompagni nei suoi vagabondaggi. Giovani colleghe come Livia Serini, attrici giovanissime come Lea Massari sono state ridotte sull'orlo dell'esaurimento nervoso da queste prolungate ronde notturne senz'altro costrutto che quello di ribadire agli occhi di tutti l'intramontabilità di Monelli. Egli non le porta a spasso. Le porta all'occhiello, come gardenie. (Monelli al girarrosto, p. 592) *{{NDR|Paolo Monelli}} Fuma la pipa come Churchill il sigaro, cioè soltanto quando lo guardano. (Monelli al girarrosto, p. 593) ==''I conti con me stesso''== ===[[Incipit]]=== Una telefonata da Milano m'informa che Longanesi è morto. È stato colpito dall'infarto davanti al suo tavolo di lavoro, su cui era spiegata una mia lettera di dieci giorni fa, che cominciava così: «Caro Leo, stanotte ho sognato ch'eri morto...». (27 settembre 1957) ===Citazioni=== *Tutta la mia vita è stata contesa fra la noia di vivere insieme e la paura di vivere [[Solitudine|solo]]. (4 ottobre 1957) *Di nuovo il Polesine. Pare impossibile: durante le inondazioni, la prima cosa che viene a mancare è l'acqua. (dicembre 1957) *[[Colette Rosselli|Colette]]. Invecchia gentilmente, senza catastrofi. Ha su tutte le altre donne un vantaggio incolmabile: quello di essere stata il mio ultimo e più grande amore. Così grande che possiamo camparci di rendita, comodamente, tutti e due per il resto dei nostri giorni. (gennaio 1958) *Il destino di [[Riccardo Bacchelli|Bacchelli]] sarà l'opposto di quello del maiale: di lui, dopo morto, ci sarà da buttar via tutto. (gennaio 1958) *[[Olga Villi]]. Non è punto grata alla sua bellezza che le ha consentito di diventare principessa di Trabia. Punta solo sul talento che non ha. Ma è talmente priva di ''sense of humour'' che forse diventerà una buona attrice. (gennaio 1958) *[[Gaston Palewski|Palewski]]. L'ambasciata a Roma è per lui soltanto uno dei più importanti capitoli del libro di memorie che scriverà. (gennaio 1958) *Non è che [[Luigi Barzini (1908-1984)|Barzini]] abbia un'altissima opinione di sé. Ne ha una bassissima degli altri. (gennaio 1958) *Piccolo incidente d'auto. La nostra, per evitare un ciclista, picchia contro un muro e resta piuttosto acciaccata. [[Colette Rosselli|Colette]], che la guida, dice: «Meglio così. Dovevo farla revisionare, e non mi decidevo mai...». (gennaio 1958) *[[Razzismo]]: pensarci sempre, parlarne mai. [[Risorgimento]]: parlarne sempre, pensarci mai. (gennaio 1958) *[[Fascismo]]. Il più comico tentativo per instaurare la serietà. (gennaio 1958) *Il guaio più grosso della Repubblica è che, mentre il Re poteva essere di sangue straniero e di solito lo era, il presidente bisogna sceglierlo fra gl'italiani. (gennaio 1958) *Bacchelli lavora infaticabilmente, da sessant'anni, alla costruzione di un piedestallo su cui, alla sua morte, non sapremo cosa posare. (gennaio 1958) *A pranzo da [[Vittorio Cini]] con una ventina di altri invitati. A colazione ne aveva avuti altrettanti. E così ieri. E così avantieri. E così sempre. A ottantadue anni suonati, è fresco, roseo, insaziabilmente voglioso di intrattenere e di essere intrattenuto. A conclusione della serata, mi sfida a una gara di canto. Scegliamo come banco di prova ''Vecchia zimarra'', e stoniamo maledettamente entrambi, ma io meno di lui. I presenti mi assegnano la vittoria. Di colpo, Vittorio perde il suo buon umore. È talmente abituato a vincere, che non accetta di perdere nemmeno nel canto. (7 settembre 1966) *{{NDR|Su [[Nicola Bombacci]]}} Io l'ho conosciuto soltanto cadavere, quando penzolava accanto a quello di Mussolini, in piazza Loreto, e una folla messicana lo bersagliava bestialmente di sputi. Anni dopo, volli tentarne la riabilitazione ritracciandone la patetica vicenda, ma non riuscii a trovarne gli elementi biografici. Compaesano e compagno di scuola di Mussolini, maestro elementare e autodidatta come lui, ne era stato il grande amico quando entrambi militavano nel socialismo. Eppoi il suo nemico giurato, la bestia nera degli squadristi. Esule con la famiglia prima in Francia, poi (credo) in Russia, rimpatria col permesso del Duce, si affida alla sua generosità, per ricambiarla gli resta al fianco anche a Salò, e lo accompagna fin nell'ultimo viaggio verso la morte. (23 ottobre 1966) *Colloquio segreto con l'ex comunista [[Giulio Seniga|Seniga]] per una storia del [[PCI|Pci]] che devo scrivere con [[Roberto Gervaso|Gervaso]] per la «Domenica». Ė un uomo piuttosto affascinante, dallo sguardo chiaro, freddo e innocente: lo sguardo del fanatico. Mi ha detto che sua moglie, cresciuta in Russia dove suo padre era fuoruscito, e autrice di un interessante libro – ''I figli del partito'' –, nel partito è rimasta, non ha trovato il coraggio di uscirne, sebbene approvi e condivida la secessione del marito, con cui è sentimentalmente unitissima. Non riesco a capire questa gente. Cioè capisco soltanto che è diversa da noi non sul piano ideologico, ma su quello umano. (25 novembre 1966) *È morto [[Uguccione Ranieri di Sorbello]]. Era venuto a Roma da sua suocera. Stava benissimo. Era anzi particolarmente sereno e contento perché aveva finito un suo lavoro di ricerca storica cui attendeva da anni. A fine pranzo ha detto: «Non mi sento bene». Si è alzato, ed è crollato a terra. Stecchito. (29 maggio 1969) *{{NDR|Su Uguccione Ranieri di Sorbello}} Era un gran signore e un gran galantuomo che ha trascorso la sua vita in crociate nelle quali non aveva nulla da guadagnare. L'ultima è stata la campagna propagandista negli Usa per convincere gli americani a dare il nome [[Giovanni da Verrazzano|Da Verrazzano]] al grande ponte sull'Hudson. Nel suo perfetto inglese (lo scriveva meglio dell'italiano) inondò l'America di articoli e conferenze (parlava benissimo, con molto humor e senza enfasi oratorie) cercando i familiarizzare gli ascoltatori col nome Da Verrazzano, la cui pronuncia rappresentava per essi la difficoltà più grossa all'adozione di quel nome. Questa smania missionaria credo che l'avesse ereditata da sua madre americana. E per seguirla aveva trascurato le sue proprietà terriere. Le sue campagne erano in uno stato pietoso, la sua bella villa sul Trasimeno mezza disunta. (29 maggio 1969) *{{NDR|Su Uguccione Ranieri di Sorbello}} Era un buon scrittore, un infaticabile sommozzatore di articoli, un ricercatore attento e scrupoloso di curiosità storiche, un umanista moderno che aveva allargato i suoi orizzonti a tutta la cultura contemporanea, specie anglo-sassone: un uomo insomma che ha realizzato un centesimo di quello che poteva per via di quel suo dispersivo correre dietro a un'infinità di altri interessi. Era stato anche un autentico combattente della [[Resistenza italiana|Resistenza]]: per ben sedici volte si era fatto paracadutare dagli Alleati dietro le linee tedesche: impresa che chiunque altro si sarebbe fatto ripagare con altrettante medaglie. Lui non aveva ricevuto nemmeno una citazione, e di questi episodi non ha mai parlato. (29 maggio 1969) *Anche [[Irene Brin]] se n'è andata. Mi avevano detto che era malata di un cancro; ma era una notizia vaga e incerta, ch'essa aveva fatto di tutto per smentire. Fino in fondo ha lavorato e ha partecipato ai riti della mondanità: sfilate di moda, ricevimenti, eccetera. (1 giugno 1969) *{{NDR|Su Irene Brin}} Quando [[Giovanni Ansaldo|Ansaldo]] la scovò e cominciò a farla scrivere sul «Lavoro» di Genova, sua città natale, era soltanto Mariù Rossi: una ragazza timida e incerta, molto provinciale, figlia di un Generale e di un'ebrea austriaca. L'unica fama di cui godeva era quella, equivoca e velata sotto un nome d'accatto, che le aveva procurato [[Elio Vittorini|Vittorini]] prendendola a protagonista, con sua sorella, di un racconto: ''Le figlie del Generale'' in cui entrambe erano presentate come lesbiche. Se lo fossero veramente, non so. Il sesso è uno dei tanti capitoli misteriosi di questa donna. (1 giugno 1969) *In mano a [[Leo Longanesi|Longanesi]], che le aveva regalato anche lo pseudonimo d'Irene Brin, aveva rivelato autentiche qualità di scrittrice. I profili che pubblicò su «Omnibus» erano deliziosi. Fosse rimasta fra biografia e memorialismo, poteva diventare qualcosa di mezzo fra [[Henri de Saint-Simon|Saint-Simon]] e [[Lytton Strachey|Strachey]] con un tocco alla [[Madame de Sévigné|Sévigné]]. Altro che la [[Maria Bellonci|Bellonci]]! Era un'osservatrice attenta (sebbene non ci vedesse da qui a lì) e penetrante, nutrita di vastissime letture: la sua prosa aveva ritmo, calore, l'aggettivazione precisa, l'ironia tagliente. Ma era un cavallo che aveva bisogno del fantino. Chiuso «Omnibus» e cessata la regia di Longanesi, Irene infilò la pista sbagliata – quella della cronista mondana –, e non è più uscita. (1 giugno 1969) *Finito di scrivere il capitolo sull'[[Giulio Alberoni|Alberoni]] per ''L'Italia del Settecento''. Ho riprodotto la pagina di [[Henri de Saint-Simon|Saint-Simon]], che lo descrive mentre assiste impavido alle evacuazioni corporali di Vendôme per guadagnarsene i favori, eppoi inginocchiandosi davanti a lui gli grida estasiato: «Oh, culo d'angelo!», e glielo bacia. Come inizio di "carriera" italiana, mi sembra esemplare. Poi mi torna a mente un'osservazione di [[Jules Renard|Renard]]: «Se in un periodo c'è la parola culo, il lettore non si ricorderà che di quella dimenticando tutto il resto, anche se è sublime». Renard ha ragione. Ma io, a un culo autenticato da Saint-Simon, non rinuncio. (3 luglio 1969) *Le Soroptimists hanno dato un pranzo a [[Colette Rosselli|Colette]], in qualità di "Donna Letizia". Colette ha accettato dopo molti rifiuti. Il suo fastidio per queste cose di donne, lo so, è sincero. Ma, una volta preso l'impegno, ha trascorso la giornata a preparare il suo discorsino col puntiglio che la distingue. Non è per nulla ambiziosa, non tiene affatto a reclamizzare il proprio talento, sottovaluta quello che mette nella sua rubrica di «Grazia» (ma se lo fa pagare profumatamente), rifiuta di fare una mostra dei suoi deliziosi quadri. Ma il suo suscettibilissimo amor proprio non le consente di rischiare una brutta figura nemmeno nelle cose che disprezza. Infatti anche stasera ne ha fatta una eccellente, leggendo con molto garbo le due paginette che aveva preparato con un sapiente dosaggio di humour autentico, e di pathos e di umiltà fasulli. Ha avuto gran successo. Per la prima volta mi son visto guardato come un personaggio-satellite, una specie di principe consorte. Cosa che a me non dispiace affatto, ma a lei moltissimo. In questo, è proprio femmina. (13 agosto 1969) *Mi riferiscono, di [[Giorgio Bocca|Bocca]], questo giudizio su di me: «Sempre il più bravo di tutti. Bravissimo. Troppo bravo. Ma mettendo lo stesso impegno a scrivere gli articoli su Venezia e quello sull'arbitro [[Concetto Lo Bello|Lo Bello]], dimostra che in realtà non è impegnato in nulla». È vero. Non sono impegnato in nulla. In nulla, meno che nel mio mestiere. Fiorentina-Bari 3-0. E Chiarugi capo-cannoniere! (16 novembre 1969) *Sciopero generale per il caro-case. Un pretesto da nulla. Ma è bastato per immergere Milano in un'atmosfera da 8 settembre. Strade vuote. Saracinesche abbassate. Enorme spiegamento di polizia. Mentre pranzo con [[Giovanni Spadolini|Spadolini]], [[Mario Cervi|Cervi]] e Zappulli, giunge notizia che in un tafferuglio al Lirico un agente è stato ucciso dai "cinesi". «Meno male che è toccata a un agente» diciamo in coro, eppoi non osiamo guardarci negli occhi. Anche noi apparteniamo a questa borghesia codarda che pretende appaltare alle forze dell'ordine il compito di farsi sputacchiare, pestare e ammazzare per tenerne al riparo se stessa. E non vuole nemmeno pagargli uno stipendio decente. (19 novembre 1969) *[[Alberto Moravia|Moravia]] ha fondato, insieme a [[Pier Paolo Pasolini|Pasolini]] e a [[Dacia Maraini]], un "comitato contro la repressione". È la riprova che la repressione non c'è. Se ci fosse, Moravia sarebbe coi repressori, come ha dimostrato avallando col suo silenzio la persecuzione di [[Aleksandr Isaevič Solženicyn|Solženicyn]] in Russia. (28 dicembre 1969) *Moravia si è ritirato dal comitato che lui stesso aveva fondato. Ma non per i silenzi di [[Giovanni Spadolini|Spadolini]]. Si è ritirato perché «l'Unità» ha disapprovato. Gl'italiani sono sempre pronti a fare la rivoluzione, purché i carabinieri siano d'accordo. E Moravia è sempre pronto a battersi per la libertà, purché sia d'accordo il piccì. (2 gennaio 1970) *Arrivati i rendiconti dei miei diritti d'autore: 28 milioni nell'ultimo semestre. Supero dunque i 50 milioni annui. Anche ammettendo che l'editore non ci faccia sopra punta cresta (il che mi sembra, a dir poco, improbabile), non c'è male. Credo di essere l'autore italiano che più guadagna, anche perché sono l'unico che questa cifra la guadagna ogni anno, e senz'aiuto di premi letterari. Non ne sono contento per il denaro, di cui non so che farmi e che serve solo a pagare i capricci di Colette (ne ha tanti!). Ne sono contento, anzi felice, per il mio status da autore stipendiato unicamente dal pubblico. C'è chi vive di partito. C'è chi vive di Eni. C'è chi vive di Agnelli, o di Perrone, o di Crespi. Io vivo di [[lettore|lettori]]. I lettori non m'impongono altra servitù che la sincerità: l'unica che non pesi. (3 marzo 1970) *Più che comunanza di vedute, fra [[Denis Mack Smith|Mack Smith]] e me c'è comunanza di nemici: quegl'insopportabili pedanti accademici che a Palermo lo hanno violentemente attaccato qualificandolo «il Montanelli di Oxford». Implicitamente egli accetta di far fronte con me contro di loro. Credo che facciamo entrambi un buon affare, e anche un affare buono: se riusciamo a squalificare agli occhi del pubblico la [[storiografia]] accademica (e coi nostri libri ci stiamo riuscendo), avremo reso un grosso servigio alla cultura italiana. (2 maggio 1970) *Sosta a Venezia, dopo il voto a Cortina. Visita d'obbligo a Vittorio Cini, e passeggiata con lui sulle Zattere. Vedendolo, un vecchietto sdrucito, ma dignitoso, si leva il cappello e gli tende la mano, evidentemente per mendicare. Vittorio gliel'afferra e gliela stringe con effusione dicendogli: «Caro!... Caro!... Caro!... Coma la va?» È in perfetta buona fede: la buona fede di un doge lontanissimo dalle afflizioni della miseria e perfino incapace di immaginare che ce ne siano. (8 giugno 1970) *Leggo in [[Giorgio Candeloro|Candeloro]]: «... Nel processo generale di sviluppo della Storia, il carattere dei personaggi, anche dei più grandi, ha un peso limitato...». Ah, sì? E cosa dunque se non il carattere di Alessandro, cioè la sua follia, può spiegare la conquista macedone fino all'India e la diaspora dell'ellenismo che ne deriva? L'Islam è concepibile senza il "carattere" di [[Maometto]]? E cosa divise la Riforma se non i diversi "caratteri" di [[Martin Lutero|Lutero]] e di Calvino? I nostri storici odiano i caratteri e i personaggi, perché questi richiedono immaginazione e intuito, cioè doti di scrittore, di cui essi sono disperatamente vedovi. Non sono storici. Sono soltanto degli archivisti, e molto spesso disonesti. (10 novembre 1970) *Milano è in fiamme per l'affare Feltrinelli, e [[Piero Ottone|Ottone]] mi chiede un articolo contro la [[Camilla Cederna|Cederna]], firmatario di un manifesto in cui, a due ore di distanza dal rinvenimento del cadavere e prima ancora che esso sia ufficialmente riconosciuto, proclama che Feltrinelli è rimasto vittima della «reazione internazionale». Se la Cederna avesse una testa, direi che l'ha persa. Ma perché Ottone vuole un articolo contro di lei, intima amica e direttrice di coscienza di [[Giulia Maria Crespi|Giulia Maria]], nonché regina del suo sinistrorso salotto? Comunque, a mettere una zeppa fra direttore e proprietaria, è doveroso collaborare. E faccio l'articolo in forma di "lettera a Camilla". (25 marzo 1972) *Pare che l'articolo abbia rimesso fuoco a Milano, creandovi una irreparabile frattura fra montanellisti e cedernisti. I primi sono più numerosi, ma i secondi più rumorosi. Ricevo pacchi di telegrammi di plauso e altrettanti d'insulti. Il giornale è sommerso di lettere, e io prego Ottone di pubblicare anche quelle di protesta. Ha scritto anche la Cederna annunziando una replica sull'«Espresso» (Ottone ha cancellato il titolo del settimanale, commettendo una meschineria). Quanto a Giulia Maria, mi dicono che schiuma di rabbia. Se è vero, devo riconoscere che il giornalismo qualche soddisfazione la dà. [[Umberto Eco]] mi attacca sul «manifesto» riproducendo una mia frase di ammirazione per Mussolini scritta quando avevo ventidue anni (in dieci anni di giornalismo sotto il defunto regime, non sono mai riusciti a trovare, di mio, altre prove di zelo fascista) e accusandomi di mancanza di cavalleria verso una donna. O bella! Come se una donna, quando si mette a far politica – e che politica! – come un uomo, potesse ancora accampare l'impunità! Anche la [[Maria Callas|Callas]] è una donna. Eppure, quando stona, la si fischia. (27 marzo 1972) *Ho scritto un fondo in difesa della Cederna, incriminata dal magistrato per aver diffuso notizie false e tendenziose. Che abbia commesso questo peccato, ho detto, è vero. Ma si tratta di peccato, non di reato. E a giudicarne dev'essere il lettore, non il tribunale. Verità lapalissiane. Dice che è sempre stata molto più impegnata e coraggiosa di me perché con le sue campagne in favore di Valpreda e di [[Giuseppe Pinelli|Pinelli]], tiene fronte alla polizia. Potrei incenerirla chiedendole dov'era e cosa faceva quando io ero in galera per aver tenuto fronte non alla polizia d'oggi, ma a quella fascista e nazista. Ma non ne vale la pena. (28 marzo 1972) *Più approfondisco questo tema delle regioni (sono a Milano per questo), e più mi sgomenta il doverne scrivere. Ci vuol poco a capire che questi regionalisti lombardi perseguono, consapevolmente o inconsapevolmente, un piano secessionista cisalpino. E, una volta che ne abbiano lo strumento, riusciranno a realizzarlo. Non per nulla Bassetti parla già non più di «regione lombarda», ma di «[[Padania|regione padana]]», di cui il resto d'Italia non sarebbe che un'appendice. Se ce la fanno (e ce la faranno), addio Risorgimento! Non era che una finzione, d'accordo, e in pratica ha fallito. Ma con che lo sostituiremo? (26 settembre 1972) *Volo a Lussemburgo sul solito bireattore di Berlusconi, che ci accompagna, felice di esibirsi e di esibire il suo status in una cerimonia internazionale. La medaglia d'oro (ma è proprio d'oro?) me la consegna Gaston Thorn, capo del governo lussemburghese. Berlusconi riempie il suo taccuino di indirizzi: quelli di tutte le personalità che ha incontrato. È il vero ''climber'' che approfitta di tutto e non butta via nulla. (23 maggio 1977) *Kappler è fuggito. Ha fatto bene. Ma ora chi ci salverà dai conculcati "valori della Resistenza"? (15 agosto 1977) *A colazione da [[Vittorio Cini|Cini]]. Ha avuto un brutto crollo, ma ha ancora risorse. Le tira fuori quando è in compagnia. Ma quando è solo, mi dice sua moglie, sprofonda in quei tetri silenzi che sono i colloqui di un uomo con la morte. (19 agosto 1977) *De Carolis m'informa che il vero autore della operazione «Corriere» è un certo [[Licio Gelli|Gelli]], misterioso personaggio massonico, di Arezzo (Fanfani), che vuole incontrarmi per un accordo fra i due giornali. (24 settembre 1977) *Secondo quanto mi era stato raccomandato, dovevo salire direttamente alla camera 219 dell'Excelsior. Ma alla camera 219 non c'era nessuno, e così dovetti chiedere al portiere del signor Gelli. Poi Gelli arrivò, mi condusse furtivamente nel suo appartamento e mi fece un lungo discorso pieno di allusioni, dal quale dovevo comprendere che lui è un pezzo grosso – forse il più grosso – della massoneria (Palazzo Giustiniani), che come tale era stato il vero padrino della operazione Rizzoli, e che in questa operazione potevamo rientrare anche noi. Mi ha detto che quattro ministri dell'attuale governo, otto sottosegretari e centoquaranta parlamentari dipendono da lui. Questi massoni sono tutti uguali: credono che la loro potenza sia direttamente proporzionale al mistero di cui si circondano e prendono per cose fatte quelle per le quali complottano. (4 ottobre 1977) *Da Fanfani, al Senato. È talmente infuriato che diventa perfino sincero. «Dica al suo amico che è un traditore!» «Perché non glielo dice lei?» Mi spiega che Forlani non mira alla segreteria del partito, come io credevo, ma alla presidenza del Consiglio, quando Andreotti sarà consumato. Mi dice anche che condivide l'idea di Donat-Cattin di lasciare il Quirinale a un laico. «Altrimenti fra noi democristiani ci sbraniamo e ci sbrachiamo nella corsa a chi concede di più ai comunisti.» È sincero anche stavolta, o lo dice perché, avendo perso ogni speranza per sé, vuole prepararsi un buon argomento per Maria Pia («Stavolta toccava ai laici»)? (29 ottobre 1977) *A cena da Gervaso con Cossiga. Non si lamenta dei nostri attacchi, ma sono io a dirgli: «Noi esprimiamo lo scontento, e talvolta la rabbia, della pubblica opinione. La gente vuole un ministro degl'Interni che agisca e che faccia agire la polizia». «Ma lei sa com'è ridotta la polizia?» «In qualunque modo sia ridotta, siete voi che l'avete ridotta così. E quindi sta a voi rimediare.» Mi dice che non c'è da farsi illusioni: la situazione si aggraverà. Il terrorismo è finanziato coi sequestri, ha solidi agganci internazionali, e segue una tattica ben studiata. «L'attentato a lei fu un errore. Se a essere colpite fossero le personalità di rilievo, la gente media, cioè la grande massa della popolazione, sarebbe tranquilla. Invece hanno deciso di colpire i gradi subalterni – consiglieri comunali della Dc, capireparto della Fiat eccetera – per togliere il sonno a tutti.» Forse è vero. (29 ottobre 1977) *Quattro revolverate in faccia a [[Carlo Casalegno|Casalegno]], che ora è grave. Alzano la mira. (16 novembre 1977) *«La Stampa» riporta tutti gli articoli di solidarietà per Casalegno apparsi sugli altri giornali. Ma omette il mio, ch'era forse il più caldo: la solidarietà nostra la imbarazza. (18 novembre 1977) *Casalegno è morto. Ho telegrafato alla vedova, ma non al figlio – iscritto a [[Lotta Continua|Lotta continua]] –, né a [[Arrigo Levi|Levi]] e ai colleghi della «Stampa». Purtroppo, la loro faziosità condiziona la nostra solidarietà. Al funerale andrà Biazzi. (29 novembre 1977) *Incontro risolutivo a Roma tra Ferrauto e quelli della Sipra. Affare fatto e a condizioni molto più favorevoli di quelle sperate. Sei miliardi e settecento milioni come minimo annuo garantito, per cinque anni. Firmeremo il compromesso martedì 16. (10 maggio 1978) *Vista in tv la cerimonia funebre per Moro in San Giovanni Laterano. Dentro la basilica, tutti i dignitari Dc e quelli Pci inginocchiati sotto la mano benedicente del papa. E, fuori, la piazza sventolante di bandiere bianche e rosse. Non ho potuto fare a meno di rilevarlo in un "Controcorrente". (13 maggio 1978) *Batosta comunista alle amministrative parziali di ieri (4.000.000 di elettori). La Dc sale dal 38 al 42 per cento, il Pci scende dal 35 al 26. Successo dei socialisti che guadagnano il 4 per cento. Un risultato sconvolgente (in positivo). Uniche delusioni: il guadagno – sia pur minimo – del Pri, e la mancata rianimazione del Pli. (15 maggio 1978) *Firmato oggi l'accordo con la Sipra. Minimo garantito: 6.800.000.000 all'anno per cinque anni. Il presidente, D'Amico, è un ex operaio della Fiat, ora deputato comunista: un uomo concreto, franco, di poche parole. Era più soddisfatto lui dell'accordo con noi, che il direttore generale, il democristiano Pasquarelli. Io ho fatto la mia parte, da buon attore. Arrivato all'ultimo momento, ho detto: «Per impedire ripensamenti ed equivoci, trasformiamo il compromesso in vero e proprio contratto, e firmiamo subito». Lo champagne era già pronto. (16 maggio 1978) ==''I protagonisti''== *Nel settembre di quell'anno {{NDR|1956}} il partito lo spedì {{NDR|[[Gian Carlo Pajetta]]}} a Mosca insieme a Pellegrini e a [[Celeste Negarville|Negarville]] per sentire direttamente da [[Nikita Sergeevič Chruščёv|Kruscev]] come ci si doveva comportare nella crisi, ormai aperta, dell'antistalinismo. Kruscev li accolse affabilmente, li invitò a cena. E qui, trascinato da bocconi e libagioni ad una espansiva euforia come spesso gli capita, a un certo punto disse: «Beh, ora vi voglio raccontare come strangolammo [[Lavrentij Pavlovič Berija|Beria]]». E descrisse l'agguato che gli avevano teso al Cremlino, come gli erano saltati addosso e come gli avevano serrato la gola con le mani fino alla soffocazione. Lo descrisse ridendo allegramente, forse senz'accorgersi del pallore che soffondeva il volto dei suoi ospiti, o per lo meno quelli di Pajetta e di Negarville.<br />L'indomani li convocò nuovamente e, come non ricordando affatto ciò che gli aveva raccontato la sera prima, disse loro in tono solenne: «Beh, ora vi farò sentire il processo di Beria registrato sul nastro». E glielo fece sentire davvero come lo avevano inventato ''post mortem'', con la voce del defunto falsificata.<br />Quando si ritrovarono fra loro, Negarville e Pajetta si guardarono con gli occhi pieni di lacrime. «Ma allora – dissero –. Ma allora...». E non aggiunsero altro. (pp. 66-67) *{{NDR|Su [[Anna Magnani]]}} Ci sarebbe da scrivere un trattato sul modo di usare Anna. La prima precauzione da prendere è quella di non farla ritrovare in mezzo a estranei. Timida com'è, pur dopo un'esistenza trascorsa sotto i ''flashes'', la gente la raggela e la chiude in un mutismo ostile o l'aizza ad atteggiamenti protervi. Delle poche persone che le ho presentato, l'unica che la sedusse immediatamente fu il mio collega [[Augusto Guerriero]], perché il discorso cadde sui cani e sui gatti: e questo è un argomento su cui il cuore di Anna si scioglie e la mente le si ottenebra. Si mise in testa che noi due, con un articolo, potevamo far riformare la legge sulla protezione degli animali. E invano cercammo di dimostrarle che il problema non era di leggi, ma di costume. Non sentì ragioni. Dovemmo prometterle l'articolo (che poi infatti scrivemmo). (pp. 177-178) *{{NDR|Su [[Ignazio Silone]]}} Leggendo i suoi primi romanzi, ''Fontamara'', ''Pane e vino'', ''Il seme sotto la neve'', e pur ammirandoli, ero caduto in abbaglio sull'autore. Lo avevo preso per uno di quegl'industriali dell'antifascismo che, riparati all'estero, avevano trovato nella universale avversione alla dittatura una comoda scorciatoia al successo dei libri di denunzia. Lo consideravo insomma un profittatore del regime a rovescio (come del resto ce ne sono stati). E una conferma mi era parso di vederla nel fatto che finito, col fascismo, l'antifascismo, parve finito anche il narratore Silone.<br />Poi vennero ''Una manciata di more'', ''Il segreto di Luca'', ''La volpe e le camelie''. Ma vennero soprattutto alcuni saggi politici che mi costrinsero a ricredermi. Ed era proprio questo che non riuscivo a perdonargli. Mi era antipatico non per i suoi, ma per i miei errori. Più lo conoscevo attraverso i suoi scritti, e più dovevo constatare che non solo egli non somiglia affatto al personaggio che m'ero immaginato, ma che anzi ne rappresenta la flagrante contraddizione. (pp. 180-181) *{{NDR|Su ''[[Ignazio Silone#Uscita di sicurezza|Uscita di sicurezza]]''}} Come documento umano, non ne conosco di più alti, nobili e appassionati. Fenomeno unico, o quasi unico, fra gli sconsacrati del comunismo che di solito non superano mai più il trauma e trascorrono il resto della loro vita a ritorcere l'anatema, Silone non recrimina. Egli rifiuta i grintosi e uggiosi atteggiamenti del moralista, o meglio ne è incapace. Domenicano con se stesso, è francescano con gli altri, e quindi restio a coinvolgerli nella propria autocritica. Cerca di metterne al riparo persino [[Palmiro Togliatti|Togliatti]]; e se non ci riesce che in parte, non è certo colpa sua. Qui non c'è che un accusato: Silone. E non c'è che un giudice: la sua coscienza. (pp. 186-187) *Noi crediamo di scoprire dei modelli. In realtà non scopriamo che degli antenati. [[Carlo Cassola|Cassola]] s'illude di aver imparato da [[James Joyce|Joyce]] quello che già sapeva. Joyce gli avrà fornito, al massimo, qualche mezzo tecnico per esprimerlo. Uno [[scrittore]] vero (e Cassola lo è) non cerca in un altro scrittore che se stesso. (p. 207) *{{NDR|Su [[Enrico Mattei]]}} Egli amava solo il [[potere]], e l'amore del potere esclude tutti gli altri. (p. 265) *{{NDR|Su [[Giulio Andreotti]]}} Andava anche, mi dicono, a messa insieme a lui {{NDR|[[Alcide De Gasperi|De Gasperi]]}}, e tutti credevano che facessero la stessa cosa. Ma non era così. In chiesa, De Gasperi parlava con Dio; Andreotti col prete. Era una divisione di compiti perfetta. (pp. 271-272) ==''Indro al Giro''== ===[[Incipit]]=== Il destino è stampato sulla carta d'identità e scritto nelle stelle. Indro Montanelli nasce il 22 aprile 1909, il primo Giro d'Italia prende il via il 13 maggio 1909. Stesso anno, stesso segno zodiacale: Toro. Potevano, queste due creature quasi gemelle, non percorrere un tratto di strada insieme? Potevano ignorarsi? ===Citazioni=== *Come i bersaglieri quando smettono di correre, così i ciclisti, quando cessano di pedalare ingrassano. *Il [[Giro d'Italia]] parla milanese, anche se poi, a vincerlo, è qualche toscano o qualche romagnolo. *I corridori sono come [[Anteo]]: il contatto con la loro terra gli dà forza. *Ma sapete voi con precisione che cosa sia una fuga, lo sapete? Non lo sapevo nemmeno io prima di vederla. Credevo che fosse l'uomo che, a un certo punto, si mette a pedalare più forte degli altri e li semina per via. Errattissima nozione. La fuga è invece un grande urlo e un gesto disperato che mettono d'improvviso in confusione tutta la carovana del Giro. *Quello della bicicletta è un mondo buono: e credo sinceramente che venga da questa bontà il fascino ch'esso esercita sulle folle. *Lasciatelo com'è questo Giro provinciale e festoso: lo sport di un popolo che, nella corsa verso il progresso meccanico, è rimasto alla bicicletta, tappa intermedia fra il cavallo e l'automobile, ritrovato artigiano e arnese di famiglia. *Se Parigi avesse il mare sarebbe una piccola Bari, ma non saprebbe accogliere i forestieri con tanto calore e sportiva cordialità. *Leoni, che oltre a tutto è un bellissimo ragazzo, ha una fidanzata la quale gli scrive raccomandandogli di non vincere, altrimenti troppe ragazze lo abbracciano porgendogli i fiori. Leoni è innamoratissimo della sua fidanzata ma non è certo per obbedire a lei che non vince. È solo per obbedire a [[Fausto Coppi|Coppi]] e restargli a fianco. *Gli assi possono permettersi di arrivare ultimi. E lo fanno senza risparmio. Possono permettersi di disprezzare i loro adoratori e lo fanno senza ritegno. L'adorazione rimane. *I corridori di bicicletta sono gente semplice, che non è mai stata in collegio. [...] Nessuno ha insegnato loro i dettami dello stile e della cavalleria. Li posseggono per natura. Difficilmente essi cercano di sminuire la vittoria dell'avversario e non gliene serbano rancore. Sono capaci di delicatezze che non credo esistano negli altri sport. *I corridori non si dovrebbero sposare; e, quando lo fanno, dovrebbero scegliere delle donne brutte. *È la specialità dei padri quella di sognare per i figli i trofei che loro non convengono, ed è la specialità dei figli quella di procurarsi trofei che ai loro padri non piacciono. ==''Le nuove Stanze''== *Ribadisco la mia avversione alla pena di morte. Ma non me la sento d'impartire lezioni a chi tuttora la pratica. Non mi pare che, con la Giustizia che ci troviamo in casa, noi italiani possiamo impartire lezioni agli altri. (p. 46) *Toglietevi la parrucca, cari storici italiani. E invece di continuare a parlarvi tra voi, parlate, andando incontro alle sue curiosità, alla gente comune, quella che ha più bisogno del vostro sapere, e che sa benissimo distinguere il volgare pettegolezzo dall'aneddoto illuminante, di cui gli storici stranieri, soprattutto inglesi, compreso [[Denis Mack Smith|Mack Smith]], sanno fare buono e largo uso. (p. 81) *Io non sono piemontese né savoiardo, e la tradizione della mia famiglia è, caso mai, repubblicana. Ma la verità sono abituato a rispettarla, e non ad accomodarmela secondo i miei gusti e pregiudizi. Nel '46 votai monarchico non perché ero amico di Umberto e di Maria José, che sarebbero stati un Re e una Regina esemplari. Ma perché capivo ch'essi rappresentavano l'unico filo che ci legava all'unica nostra tradizione nazionale: il Risorgimento. La rigiri come vuole [...] ma la verità è questa: che senza Risorgimento non esiste una Storia nazionale italiana, e senza i Savoia non esiste Risorgimento. Ecco perché io dico e ripeto che la Repubblica italiana può tenere i Savoia [...] fuori dal territorio italiano. Ma chi tenta di estrometterli dalla Storia d'Italia, se non è un analfabeta è certamente un falsario. (pp. 112-113) *{{NDR|[[Luigi Cadorna]]}} Fu un generale di grande e inflessibile carattere, ma non un grande stratega. La sua fu dal primo all'ultimo giorno una guerra «di posizione», e quindi di logoramento, muro contro muro. Una «manovra» non la tentò mai, anzi non la concepì nemmeno. Stava [...] al «Regolamento», secondo il quale «le battaglie si vincono sulle cime». Sicché quando arrivò un battaglione tedesco al comando di un giovane capitano di nome Rommel che [...] s'insinuò nottetempo nelle valli, tutto il nostro schieramento ne venne preso alle spalle, e si liquefece, consentendo a Rommel di arrivare fino al Piave, dove si fermò: non per la resistenza dei nostri [...] ma per la mancanza di rifornimenti e di munizioni, che non avevano fatto in tempo a seguirlo. (pp. 118-119). *Quanto alla somiglianza fra noi e gli spagnoli, sì, c'è. Io, in Spagna, mi sento come a casa mia. Una sola cosa ci trovo in più: una dimestichezza con la morte che dà ai valori della Vita (la Dignità, il Coraggio, l'Onore) un peso ben diverso da quello che hanno da noi. E glielo invidio tanto. (p. 157) *Quanto alla sua supposizione che, se non ci fossero stati i russi, gli Alleati non avrebbero potuto sbarcare in Normandia e salvare i loro regimi democratici, mi permetta di sorriderne. Hitler perse la [[Seconda guerra mondiale|guerra]] prima ancora di dichiararla, quando scatenò la persecuzione razziale, che mise il mondo di fronte alla pretesa della sua «razza eletta» al dominio del pianeta e costrinse alla fuga il fior fiore della Scienza ebraica, che diede all'America la bomba atomica, la quale avrebbe reso superfluo anche lo sbarco in Normandia. (pp. 177-178) *In [[Alessandro Pavolini|Pavolini]] [...] è riassunto il dramma di una generazione che nel fascismo era cresciuta [...] e si sentiva impegnata a crederci anche in quell'ultima disperata fase. In lui ritrovo un po' di quel [[Berto Ricci]] [...] che, partendo volontario per la Libia, mi disse: «Una volta, nella vita, ci si può convertire. Io già lo feci rinnegando, per il fascismo, il mio passato di anarchico. Ora col fascismo devo morire». E morì. (p. 192) *Come lei certamente sa, furono i russi a giungere per primi sul famoso bunker di Berlino, fra le cui macerie si diedero subito a cercare il cadavere del Fuhrer, e lo trovarono, ma quasi completamente carbonizzato (egli aveva lasciato ai suoi l'ordine di bruciarlo con una tanica di benzina). D'intatto era rimasto solo il teschio con la sua dentatura costellata di ponti e protesi. Immediatamente fu ricercato e trascinato sul posto l'odontoiatra che glieli aveva sistemati. Dapprima gli fu chiesto in cosa erano consistiti i suoi interventi. Poi vi fu messo davanti, e lui li riconobbe senza esitazioni. Quel giorno il poveretto non tornò a casa. Dopo alcuni anni si seppe che esercitava il suo mestiere in non so quale città di provincia russa, ma sotto stretto controllo della polizia. Dopo qualche altro anno poté tornare in Germania, ma in [[Repubblica Democratica Tedesca|quella comunista]], sotto il controllo di una polizia ancora più efficiente di quella sovietica, e lì morì, non so quando. Perché i sovietici vollero sempre mantenere quel segreto? Perché alla loro propaganda [...] faceva comodo accreditare la favola di un Hitler salvato dagli americani, che lo tenevano sotto naftalina in qualche loro dorato ripostiglio per poterlo un giorno utilizzare in una nuova guerra contro la Russia. (pp. 257-258) *Da anticomunista, oserei dire «storico» quale mi considero, io sono pieno di rispetto sia per i Nagy nostrani quali i D'Alema e i Veltroni, che per i Kádár, quali i Cossutta e i Diliberto. Non so se come classe dirigente siano il meglio. Ma come sincerità di conversione democratica, ci credo (come credo, intendiamoci, a quella di un Fini, anche se viene da un passato molto meno intenso, drammatico e dilacerante di quello comunista). (p. 306) *{{NDR|A [[Mario Tuti]]}} Ho ben presente [...] il suo nome e il suo volto, e le azioni terribili che lei ha compiuto. [...] Da come scrive [...], lei è in grado di capire [...] quello che dico. È vero che «sul nemico vinto non si infierisce»: ma il sangue non si cancella con la gomma delle parole. Solo le vittime possono concedere il perdono; e io non sono stato, fortunatamente, davanti al mirino della sua pistola. Solo la giustizia può concedere sconti: e io non sono un magistrato. Non ho invece difficoltà a condividere una sua osservazione: alcuni disgraziati [...] sono più disgraziati di altri. E [...] i disgraziati di destra se la passano peggio dei disgraziati di sinistra, che hanno di solito qualche amico di gioventù ben piazzato, in grado di dare una mano. Ma il perdonismo peloso di alcuni non può giustificare la distrazione di tutti. (p. 322) *[[Yasser Arafat|Arafat]] non ha mai avuto né uno Stato, né un esercito, né un titolo che lo qualificassero a parlare a nome del suo popolo. Erano il carisma, l'autorità, il prestigio suoi personali che gli permettevano di svolgere questo compito. Ma questo dipendeva dal fatto che il suo popolo glieli riconosce in quanto si sente da lui «rappresentato». [...] Io sono e mi sento profondamente filo-israeliano perché negli ebrei riconosco i miei fratelli e in molte cose anche i miei maestri (anche se non sempre facili). Ma appunto per questo apprezzo ed ammiro gli Hussein, i Sadat e gli Arafat. Ai quali si possono anche rimproverare degli errori nella conduzione della loro politica. Ma non certo le intenzioni e il coraggio. Arafat è brutto [...] e non so come facciano i suoi amici (e i suoi nemici) [...] a ricambiarne i baci. Ma di quelli suoi credo proprio che ci si possa fidare. Che Dio, anzi Allah, ce lo mantenga ancora per molti anni. (pp. 387-389) *Come veterano del ''Corriere'' e un po' depositario della tradizione di una certa civiltà nei rapporti fra i suoi uomini, io rimasi offeso non dal licenziamento di Spadolini [...] ma dall'insolito modo – che io definii appunto «guatemalteco» – in cui era stato trattato e da cui trapelava la mano di un [[Giulia Maria Crespi|editore]] che, anche se portava il nome di quello vecchio [...], intendeva introdurre nuove regole nella gestione del giornale, di cui era praticamente diventata [...] la titolare. E lo dissi, e lo scrissi, e lo ripetei in varie interviste. Forse tuttavia questo strappo si sarebbe potuto rammendare se il cambiamento del direttore non avesse comportato anche un cambiamento di linea politica che saltava agli occhi di chiunque non volesse tenerli chiusi. [...] Quando dal ''Giornale'' uscii per ragioni abbastanza analoghe a quelle che mi avevano spinto fuori da via Solferino, il primo a venirmi incontro fu il direttore del ''Corriere'', Paolo Mieli, che [...] mi offrì il suo posto: un gesto che non dimenticherò mai. Avrei potuto [...] accettarlo solo a titolo onorario. Ma non potevo abbandonare gli uomini che ancora una volta mi avevano seguito. Da quel momento però fu chiaro che il ''Corriere'' era ridiventato quello che noi, vent'anni prima, avremmo voluto che restasse. Ecco perché, al termine delle mie battaglie e delle mie sconfitte (che considero il mio blasone), sono tornato al ''Corriere''. (pp. 406-408) *I politici della Sinistra, compresi i componenti dell'attuale «squadra» governativa sono dieci, venti, cento volte meglio della loro ''intellighenzia''. Anche se dicono fregnacce, le dicono a bassa voce, senza salire in cattedra, di dove l'''intellighenzia'' invece non scende mai, nemmeno per andare in bagno. (pp. 477-478) *Spero che ora avrai capito cos'è la mia dichiarazione di voto: non un sì all'Ulivo, da cui spero poco, ma in compenso non temo niente; ma il no a un Polo che, se riportasse davvero la schiacciante vittoria che si aspetta il suo ''Caudillo'', potrebbe creare nel nostro Paese una situazione davvero inquietante. Un voto di difesa sarà dunque il mio, come lo è sempre stato da oltre cinquant'anni a questa parte. (p. 496) *Sappi soltanto che, passato per una ventina di anni – quelli del ''Giornale'' – per «fascista» e negli ultimi dieci per «comunista», me la rido di entrambe le etichette. (p. 536) ==''Le Stanze''== ===[[Incipit]]=== Di tutta la mia attività giornalistica [...] considero questi colloqui col lettore come l'impegno che mi è riuscito meglio, o meno peggio. Se qualcuno mi chiedesse: «Cosa vorresti che, dopo di te, di te rimanesse?», risponderei senza esitare: «Questi colloqui». Mi rendo conto che un'affermazione del genere può apparire demagogica: in fondo, perché dovrei preferire queste risposte quotidiane [...] alla ''Storia d'Italia'' o agli ''Incontri''? È presto detto: perché, grazie a lettere e risposte, ho potuto restare vicino ai miei lettori, che mi hanno ricordato – con più o meno garbo, ma sempre con affetto – quello che un giornalista non deve mai scordare: che i padroni sono loro. ===Citazioni=== *Io non ho mai conosciuto un conservatore inglese che abbia mosso a Churchill il rimprovero di essersi alleato con Stalin – altro che il naso dovette strizzarsi! – quando le armate di Hitler spazzavano tutta l'Europa. Ma trovo ancora degl'italiani [...] che danno la colpa a me dello stato di necessità in cui ci trovammo nel '48 e nel '76 e che rendeva obbligata la nostra scelta. Oggi che il muro di Berlino ci ha liberato dall'incubo del comunismo [...], è facile fare processi a chi non aveva in mano altra arma elettorale che il voto alla Dc. Ed una cosa mi chiedo: tutti questi intransigenti eroi dell'anticomunismo, che oggi mi scrivono lettere d'insulti accusandomi di averlo tradito, dov'erano al tempo del comunismo vero, quando io ero uno dei pochissimi a combatterlo di fronte [...], e loro, incontrandomi per strada, fingevano di non conoscermi? (p. 12) *Hiroshima, se fossi americano, non porrebbe [...] nessun caso di coscienza. L'arma atomica era in fase di studio e di preparazione sia in Germania che in America, e si poteva supporre che lo fosse anche in Russia e in Giappone. Avrebbe vinto la guerra e deciso le sorti del mondo chi ci fosse arrivato per primo. Hiroshima fece della popolazione civile, dicono, duecentocinquantamila vittime. Quante ne risparmiò inducendo alla resa i giapponesi che sembravano vicini all'olocausto? E quanto servì a smorzare la pretesa sovietica d'imporre il suo «diktat» a tutta l'Europa? [...] Essa a tal punto sorprese Stalin che dapprincipio non ci volle credere [...]. Nessuno può applaudire un massacro come quello di Hiroshima né andarne fiero. E posso capire come coloro che vi hanno partecipato dandone l'ordine o eseguendolo possano aver avuto dei problemi di coscienza. Ma gli aviatori inglesi che rasero al suolo l'inerme Dresda abitata solo da civili, facendo tra di loro pressappoco lo stesso numero di vittime che a Hiroshima, questi problemi, da quanto se ne sa, non li ebbero. Forse che la guerra all'atomo è più crudele di quella al fosforo? (p. 62) *De Gasperi non fu mai uomo di partito. E fu proprio per questo che riuscirono ad emarginarlo con tanta facilità, relegandolo in una Presidenza grondante omaggi ed ex voto, ma priva di qualunque potere reale. È vero che lui non lottò, anche perché era ormai a corto di fiato. Glielo toglieva non solo l'azotemia, ma anche il fallimento della Ced, la Comunità Europea di Difesa su cui De Gasperi fondava [...] i suoi sogni di salvezza e di grandezza europea, che i francesi di Mendès-France condannarono al naufragio. [...] De Gasperi era uomo di Stato, l'ultimo che l'Italia ha avuto dopo Giolitti. Ecco perché [...] non ha né può avere eredi. (p. 86) *{{NDR|[[Che Guevara]]}} Era uomo di Rivoluzione, che mai si sarebbe rassegnato ad una comoda esistenza di ben pasciuto gerarca. Doveva tornare alla Rivoluzione, pur consapevole della sua impossibilità in Paesi che lui ben conosceva, ma appunto proprio per questo: per cercare una morte coerente con la sua vita. [...] Avessi trenta o quarant'anni di meno, anch'io forse avrei nel mio modesto appartamento una stanza attrezzata a mausoleo del Che, e lo conserverei come souvenir di un Sogno sbagliato, ma pulito, e comunque pagato. È a coloro che non vogliono mai pagare nulla che va tutto il mio disprezzo. (p. 121) *Non mi stupirei [...] se il ragazzotto Clinton, nei suoi anni da governatore, avesse ingannato la noia dell'Arkansas inseguendo le minigonne di passaggio. [...] Il paragone con Berlusconi mi sembra un po' stiracchiato. Se Clinton venisse trovato colpevole, sapremmo che è un adultero (affari suoi); se Berlusconi venisse condannato, sapremmo che è un corruttore non occasionale (affari anche nostri, dal momento che s'atteggia a statista). (p. 154) *Mi permetto solo di aggiungervi qualcosa sull'imbecillità, l'ipocrisia e i vaniloqui delle nostre «anime belle» pronte a cadere in deliquio e a mobilitare le piazze per un O'Dell che, anche se qualche tenue dubbio sulla sua colpevolezza poteva sussistere, uno stinco di santo certamente non era, e per una Karla Tucker, rea confessa, anche se poi arcipentita e sinceramente convertita al credo della carità cristiana (e, sia chiaro, anch'io avrei per entrambi preferito la revoca della pena di morte); ma sono rimaste impassibili o quasi di fronte alla proposta condanna di lapidazione (di lapidazione!) di un cittadino tedesco e della sua compagna iraniana, rei di aver fatto l'amore (soltanto l'amore). Queste sono le nostre «anime belle» laiche ed ecclesiastiche, pronte a commuoversi e a sproloquiare contro la sedia elettrica americana [...], ma indifferenti alla lapidazione [...] per una «contaminazione» di lenzuola cristiane e musulmane. Io [...] queste anime belle – che oltre tutto hanno quasi sempre delle facce bruttissime e jettatorie – le odio di un odio viscerale. (p. 206) *Sul nemico vinto e che si riconosce vinto non s'infierisce. In fondo questi brigatisti hanno avuto, nella sconfitta, una loro dignità. Non sono dei «pentiti» al modo dei mafiosi e camorristi che si pentono per procurarsi dei vantaggi e denunziano i propri ex compari. Non sono dei delatori. Sono, a loro modo, dei prigionieri di guerra, di una guerra grazie a Dio finita con la nostra vittoria, e che quindi, sia pure con le debite precauzioni, possiamo rimandare a casa. Non è vero che non hanno pagato: me ne citi uno che non abbia scontato quindici o vent'anni di galera e che non ne abbia distrutta la vita. Qualche sconto possiamo farglielo: la generosità è segno di forza, non di debolezza. (pp. 283-284) *In una società «aperta» come la nostra, che rende impossibile qualsiasi controllo e in cui il sequestro è un'industria di antica tradizione che dispone di un personale altamente specializzato; e con una Giustizia che invece di affibbiare un ergastolo senza indulgenza ai colpevoli, si accontenta di infliggergli qualche anno alleviato dai permessi di libera uscita; cosa possono fare le forze dell'ordine? Starebbe a noi cittadini trovare quella di resistere al ricatto. Da noi italiani tenerelli non si può pretendere tanto? E sia. Ma allora abroghiamo la legge. Perché, come italiano, nulla mi ha mortificato di più che sentire [...] [[Giovanni Maria Flick|un ministro della Giustizia]] e alcuni dei più alti dignitari della toga proporne un'interpretazione che costituiva un chiaro invito a evaderla suggerendo il cavillo a cui ci si poteva aggrappare per legalizzare la contravvenzione. [...] No, a questo non ci sto. Cerchiamo almeno di avere il coraggio della nostra vigliaccheria riconoscendo che, dati i pericoli che possono comportare, i risoluti «No!» al sopruso non appartengono al nostro armamentario caratteriale, e aboliamo la legge. Ma non perché è sbagliata: in sé quella legge è sacrosanta. Ma perché noi cittadini non abbiamo la forza di adeguarcisi e coloro che dovrebbero imporcerne l'osservanza [...] ci suggeriscono il modo di evaderla. Questo è il cosiddetto «Paese reale». (p. 286) *Che un processo possa essere oggetto di revisione è, per il cittadino, una garanzia irrinunciabile, specie quando si tratta di processi indiziari, e quindi rimessi a valutazioni soggettive e pertanto sempre discutibili. Nessuno è infallibile, nemmeno i giudici, e quindi il diritto di appello è sacrosanto. Quello che sacrosanto non è, sono gl'interminabili tempi che questa operazione solitamente richiede, dovuti a due motivi chiaramente visibili: i grovigli procedurali in cui il processo è avvolto, delizia del genio cavillesco italiano, e l'inefficienza del personale che vi è addetto. (p. 327) *Che cosa io pensi dell'onorevole [[Cesare Previti|Previti]] mi pare di averlo detto in termini talmente espliciti da apparire – a più d'uno – brutali: un personaggio che solo a guardarlo in faccia verrebbe voglia di applicargli le manette ai polsi prima ancora di sapere chi è e cosa ha fatto. (p. 356) *Non credo che, all'apertura totale delle frontiere, avremo un Parma composto soltanto di irlandesi, o una Cremonese modello ellenico. Avremo invece un vero mercato, dove il costo e lo stipendio di un professionista verranno stabiliti in base alla domanda e all'offerta. È questo ridimensionamento, mi sa, che non piace ai calciatori nostrani. Non la «sottoutilizzazione delle risorse sportive nazionali e locali». Non penso che i nostri calciatori abbiano altri motivi di preoccuparsi. Perché mai dovrebbero venire accantonati? Sono tra i più bravi del mondo, e la bravura, per un professionista (che calci una palla o calchi una scena), è la garanzia migliore. (p. 379) *Le mie dimissioni da italiano sono soltanto quelle da una grande illusione: quella che l'Italia fosse una Patria da potere in qualche modo servire. Io, pur commettendo parecchi errori, ho cercato di farlo. Ma forse, di questi errori, il più grosso è stato quello di credere che fare si potesse. A consolarmene c'è una cosa sola: che questo errore lo hanno commesso tutti i migliori uomini che l'Italia ha avuto nel suo secolo e mezzo di vita unitaria. (pp. 410-411) ==''Pantheon minore''== ===[[Incipit]]=== '''Einaudi'''<br>Avendo saputo che sollecitavo l'onore e il piacere di incontrarlo, il Presidente, che non mi aveva mai visto, trovò del tutto naturale invitarmi a colazione. «Quando vuol venire?» mi fece chiedere, «giovedì mattina, per esempio?» Giovedì voglio stappare una nuova bottiglia del mio 'barolo' e ci sarà anche la signorina Barbara Ward dell{{'}}''Economist''. Vino piemontese, giornalismo ed economia politica, pensa: sarebbe difficile sorprendere [[Luigi Einaudi|Einaudi]] in una cornice più einaudiana di questa. ===Citazioni=== *{{NDR|Luigi Einaudi}} E in quei pochi minuti aveva ancora tante cose da dire a due giornalisti per ricordare loro, [[Alessandro Manzoni|manzonianamente]], che l'[[uomo]] è «buono», come dice [[Jean-Jacques Rousseau|Rousseau]], ma tale può diventare solo in grazia delle buone istituzioni (in ciò consiste la sua posizione conservatrice e cattolicamente pessimistica). *[[Ingrid Bergman]] è forse la sola persona al mondo che non consideri Ingrid Bergman un'attrice completamente riuscita e definitivamente arrivata. (p. 195) *Non ho mai visto in vita mia, nemmeno nei film di cui la Bergman è protagonista, una donna così trasparentemente pulita. (p. 195) *Ogni buon [[padre]] di [[famiglia]] deve, al principio della giornata, sapere quanto la famiglia ha in cassa e quanto può spendere.<br>Einaudi conosce a memoria le cifre dell'economia italiana, come i re che lo precedettero conoscevano a memoria i nomi e i motti dei reggimenti. *«''Venez, mademoiselle, venez''», disse [[Anatole France]] a [[Emma Gramatica]] che, poco più che ventenne, si trovò un giorno a viaggiare con lui in automobile a Palermo, e aveva paura di essere troppo ingombrante sul sedile. «''Vous êtes comme les anges, qui n'ont pas de derrière!''»<br>Qualcosa come mezzo secolo dev'esser trascorso da allora, ed Emma somiglia un po' meno a un angelo, ma grassa non la si può dire nemmeno adesso. La vita che mena, d'altronde, non lo consentirebbe di diventarlo. Alla sua età, ha girato per tre anni consecutivi, tutti i teatri dell'America del Sud, volando da Buenos Aires a Santiago, da Santiago a Lima, da Lima a Caracas, e recitando una sera in italiano e la sera dopo in spagnolo, lingua che, sino al momento di partire, ignorava totalmente. Ora è tornata per girare un film con [[Vittorio De Sica|De Sica]], e sono fatiche a cui molti giovani non resistono. *Il [[fascismo]] trovò, tra i suoi oppositori più accaniti, [[Mario Missiroli]], che si batté a duello con [[Benito Mussolini|Mussolini]]. Egli non credette alla [[forza]] e al successo delle «camicie nere» fino al [[giorno]] in cui, mentre cercava faticosamente di salire sul tram, uno squadrista che lo incalzava, dopo avergli inflitto una serie di spintoni, non gli ebbe affibbiato, in risposta alle sue proteste, due sonori schiaffi che gli fecero volar via gli occhiali cerchiati d'[[oro]]. Mario li raccolse con [[dignità]], vi fiatò sopra, li ripulì col fazzoletto e concluse in tono ammirativo: «Però!... Picchiano bene, veh!...» ==''Qui non riposano''== *{{NDR|Sulla [[guerra d'Etiopia]]}} Quella fu una guerra ideale, la guerra-tipo della borghesia italiana: con pochi morti e molte medaglie. Io presi a capirne la miseria solo all'ultimo capitolo: quando, per la marcia su Addis Abeba, cominciarono a piovere dall'Italia e da Asmara gerarchi e aspiranti gerarchi, smaniosi di gloria a buon mercato: e Badoglio dovette emanare un ordine per cui solo chi presentava "un biglietto di autorizzazione" poteva marciare sulla capitale nemica. Solo in tempo fascista si poteva escogitare un finale di guerra con un biglietto per la capitale nemica. (pp. 107-108) *Io non volevo far politica. Ha il diritto un uomo della strada di non far politica? Ha il diritto un uomo della strada a dire che il governo ha fatto bene a far questo e male a far quest'altro? Ha diritto un giornalista, che è un uomo della strada, il quale va a vedere e riferire le cose per conto degli altri uomini della strada, ha il diritto di riferire che i fatti si svolsero così e così, e che in essi c'era tanto il bello e tanto il brutto, tanto di giusto e tanto d'ingiusto? No, il [[fascismo]] disse che un uomo della strada non ha tutti questi diritti. Ecco perché diventai antifascista. Non perché al posto di [[Benito Mussolini|Mussolini]] ci volevo un altro, ma perché non ci volevo nessuno. Io volevo stare alla finestra, come stanno i giornalisti, mestiere di spettatore e non di attore.<ref>Citato in Paolo Granzotto, ''Indro Montanelli'', p. 92.</ref> (p. 189) *[...] volevo avere il diritto di non pensare alla [[politica]], di disinteressarmi della politica, perché la politica la gente dabbene non la fa. La gente dabbene lavora in ufficio, viaggia, commercia, produce, ama una donna che può anche essere sua moglie (come è il mio caso), ama i suoi figli, ama la sua casa, paga le tasse, e di politica ne parla un quarto d'ora al giorno. (p. 190) == ''Ricordi sott'odio'' == *''Non piangete | per | [[Cesare Zavattini]] | ha già pianto | lui per tutti noi.''<ref name=ricordi>Il libro raccoglie gli "epitaffi" scritti su personaggi al momento viventi (talvolta insieme a [[Leo Longanesi]]) e quasi tutti inediti.</ref> (p. IV dell'Introduzione di Marcello Staglieno) *''Qui | per la prima volta | [[Alida Valli]] | giace | sola''.<ref name=ricordi/> (p. 11) *''Qui | riposa | [[Amintore Fanfani]] | amico | dei nemici | nemico | degli amici | figlio | di [[Alcide De Gasperi|De Gasperi]] | padre | di nessuno.''<ref name=ricordi/> (p. 31) *''Qui | riposa | [[Mario Melloni]] | inquieto | transfugo | di sé stesso | momentaneamente | scomparso | a sinistra | in cerca | di una croce | su cui | inchiodarsi.''<ref name=ricordi/> (p. 65) *''Qui giace | Alba {{ndr|[[Alba de Céspedes]]}} | scrittrice scialba. | Divorò uomini e gloria | La Boria | la divorò''.<ref name=ricordi/> (p. 95) *''Qui | riposa | [[Mario Soldati]] | padre | figlio | autore | regista | interprete | di | Mario Soldati.''<ref name=ricordi/> (p. 123) *''Qui giace | [[Davide Lajolo]] | Segretario federale | Legionario di Spagna | Repubblichino di Salò | chiese | di passare all'anilina | la sua camicia nera. | E com'era | Rimase.''<ref name=ricordi/> (p. 179) *''In pace | qui giace | orbato | d'orbace | [[Achille Starace]].''<ref name=ricordi/> (p. 181) ==''Soltanto un giornalista''== *Da quando ho cominciato a pensare, ho pensato che sarei stato un giornalista. Non è stata una scelta. Non ho deciso nulla. Il giornalismo ha deciso per me. E questa è stata una delle mie tante fortune, posto che tutto quel che ho fatto lo debbo soprattutto a un alleato ch'è sempre rimasto al mio fianco: il caso. (p. 5) *Per sua disgrazia, [[Massimo Bontempelli|Bontempelli]] fu nominato accademico d'Italia da un fascismo che puzzava già di morto. Eletto senatore nelle liste del Fronte popolare dopo la guerra, non esitò a pronunziare giudizi brucianti su chi aveva collaborato col regime. Quel voltafaccia gli costò caro, perché a un certo punto saltarono fuori le lettere che aveva scritto a Mussolini per impetrare la sua nomina: i comunisti lo scaricarono e lui cadde in un tale stato di prostrazione da morirne. (p. 26) *A Salò ci fu di tutto. Ci furono le squadracce assetate di vendetta e di saccheggio che provocarono il disgusto agli stessi tedeschi. Ma anche uomini per i quali quello fu il banco di prova d'una coerenza e d'una lealtà che non possono non incuter rispetto. E l'unica ragione per la quale benedico le mie cosiddette benemerenze antifasciste è che mi han dato il diritto di difenderle. (p. 119) *Il 2 giugno del '46, giorno del referendum istituzionale, votai per la monarchia. Lo feci perché ritenevo fosse pericoloso recidere il tenue filo che legava l'Italia all'unica sua tradizione nazionale: quella monarchica, appunto. L'Italia non s'era "fatta da sé", come pretendeva la nostra storiografia ufficiale. Era stata fatta dalla monarchia sabauda guidata dal genio diplomatico d'un suo diplomatico, Cavour, che voleva estendere il Regno di Sardegna al Lombardo-Veneto. Se poi ci scappò fuori l'Italia, non fu grazie al contributo degl'italiani, che non ne diedero punto. Fu perché la storia dell'Europa andava verso la costituzione degli Stati nazionali, e condannava a morte quelli plurinazionali come l'Impero austriaco. [...] Al posto di quel patrimonio, sia pure modesto, cosa prometteva la Repubblica? Si presentava come depositaria dei valori della Resistenza, un mito ancora più falso di quello del Risorgimento. Che non era stata affatto, come pretendeva d'essere, la lotta d'un popolo in armi contro l'invasore, bensì una lotta fratricida tra i residuati fascisti della Repubblica di Salò e le forze partigiane, di cui l'80 per cento si batteva (quasi mai contro i tedeschi) sotto le bandiere d'un partito a sua volta al servizio d'una potenza straniera. (pp. 125-126) *Un'altra scelta s'era imposta, quella delle elezioni del '48. Per l'Italia era una scelta vitale: o con l'Est o con l'Ovest, ossia con i totalitarismi rossi oppure con le democrazie occidentali. Ergo, o con il Fronte popolare oppure con la Dc. E lì ebbe inizio il mio dramma, ch'è poi quello eterno del laico italiano: il quale, messo davanti al boia, vede comparire al suo fianco il prete che solo può salvarlo. (pp. 135-136) *Mi proposi due obiettivi, entrambi falliti: il primo era farmi intentare un processo dagli amministratori della città che attirasse l'attenzione sui pericoli che [[Venezia]] stava correndo. Il secondo era rendere pubblica la convinzione che m'ero formato: che per salvare Venezia la prima cosa da fare era sottrarla allo Stato italiano e affidarlo a un organismo internazionale come l'Onu, con le sue cospicue possibilità finanziarie e i suoi agguerriti uffici tecnici. [...] Il Comune di Venezia non aveva più nulla di veneziano, salvo la sede. A dominarlo erano gli elettori di Mestre e Marghera, che con quelli di Venezia si trovavano nella proporzione di tre a uno, e dalla loro avevano tutto: i soldi delle industrie, i sindacati e quindi anche i partiti. Decidendo di restare amministrativamente unita, Venezia ha preferito mettersi al rimorchio delle ciminiere e petroliere di Marghera, alle quali ha sacrificato il suo delicatissimo sistema idraulico. Fu allora che, con grande amarezza, feci atto di rinunzia a Venezia, convinto come ero, e come son rimasto, che una città si può salvare solo se sono i suoi abitanti a volerlo. (pp. 216-217) *Una sera, uscendo solo soletto dal «Giornale», mi trovai davanti il solito muro di folla tumultuante con le bandiere rosse spiegate. Dalla piazza si levò un urlo: «Tel chi el Muntanel!». In un attimo cinquanta scalmanati mi s'avventarono contro. Temendo il linciaggio, arretrai fino a trovarmi con le spalle al muro. Ma non feci in tempo a dire be' che mi ritrovai issato in spalla a una mezza dozzina d'energumeni, fra salve d'evviva. Erano i tifosi del [[Torino Football Club|Torino]] che quel giorno {{NDR|16 maggio 1976}} aveva vinto lo scudetto, e le bandiere non eran rosse, ma granata. E siccome i cronisti sportivi del «Giornale» erano sempre stati favorevoli al Torino, m'acclamavano come un loro idolo. (p. 241) *La Dc era il partito dei maneggi e dell'inefficienze. Ma se avesse perso il 4 o il 5 per cento dei suoi voti, il partito di maggioranza relativa destinato a formare il nuovo governo sarebbe diventato quello comunista. Ch'era ancora molto pericoloso. Perché è vero che in Italia c'era Berlinguer, ma io sapevo bene che col comunismo d'allora poteva ancora succedere di tutto: bastava un cambiamento al vertice e un Berlinguer poteva diventare un [[Alexander Dubček|Dubček]] come un [[Walter Ulbricht|Ulbricht]]. Il «Giornale» era certamente laico, ma prima di essere laico era italiano, e cercava d'operare con qualche senso di responsabilità. E negli anni Settanta solo gl'irresponsabili potevano augurarsi il crollo della Dc, cui eravamo condannati anche perché la cosiddetta Alleanza laica, l'accordo fra Pli, Pri e Psdi, non sortì mai i numeri per sostituirvisi. (pp. 243-244) *Ci fu un'unica battaglia sulla quale il «Giornale» si trovò allineato con Craxi e il nostro editore: quello per la libertà d'antenna. Battaglia sacrosanta. Berlusconi è tutt'altro che un idealista disinteressato e nessuno sa agire come lui aggirando, quando non calpestando, le regole. Ma i panni nobili coi quali i difensori della Rai rivestivano la loro offensiva politico-giudiziaria erano grotteschi. Se il peccato di Berlusconi stava nell'essere troppo amico del Psi, quello della Rai era d'essere troppo amica di tutti i partiti. A fornirci il destro furono poi i pretori coi loro interventi oscurantisti, peraltro prontamente sventati dai decreti di Craxi. E quindi la crociata dell'etere libero, che rientrava fra l'altro nella nostra tradizione antistatalista, divenne una campagna contro il "pretore selvaggio", che con i suoi abusi toglieva ogni certezza del diritto al cittadino. (pp. 275-276) *Le vere novità erano nate fuori dal Palazzo: come la Lega di [[Umberto Bossi]]. Che all'inizio anche il «Giornale», come molti altri, sottovalutò. Come si faceva a prender sul serio un invasato che nutriva le sue invettive di sfondoni storici e grammaticali da far accapponare la pelle? [...] Che Roma fosse ladrona, era indubitabile. E l'avversione per la burocrazia parassitaria e per il meridionalismo piagnone e sprecone andava a nozze con le tradizioni del «Giornale». Bossi quindi incarnava un sentimento molto diffuso anche fra i nostri lettori, una protesta genuinamente qualunquista che, per certi versi, all'inizio anche noi appoggiammo. Ma dovemmo prenderne le distanze quando Bossi cominciò a condire le sue contumelie contro il Palazzo con propositi secessionisti. (pp. 279-280) *Con Berlusconi, tuttavia, poi feci pace. Fu lui a telefonarmi: forse, aveva captato in qualche mio articolo un'ombra di rimpianto per il vecchio amico. Era il '96 e dopo il ribaltone le cose per lui si mettevano di male in peggio. [...] Così, una sera mi ritrovai di nuovo seduto alla sua mensa ad Arcore. [...] Riparlammo senza rancore dei nostri trascorsi. Gli domandai quale garanzia avesse ricevuto da [[Massimo D'Alema|D'Alema]] sulle sue aziende in cambio dell'opposizione inesistente che gli assicurava. Rise. «Ma perché, ora che hai sistemato i tuoi affari, non ti chiami fuori dalla politica?» gli chiesi. «È una parola» mi rispose rabbuiandosi. «I giudici non obbediscono neppure a D'Alema». E lì capii quale era, ormai, la vera sostanza del suo dramma. (p. 312) *Se anch'io sono diventato europeista, è per disperazione: l'Europa è forse l'unica possibilità di sopravvivere per noi italiani, che come italiani non siamo riusciti a vivere. Questo è sempre stato l'europeismo degl'italiani di più alta coscienza, a partire da [[Alcide De Gasperi|De Gasperi]], che fu il primo a capire i rischi d'un Italia lasciata in balìa degl'italiani. (p. 315) *Pur fra tante fortune, purtroppo a me la sorte ha riservato di portarmi nella tomba le due cose che ho più amato: il mio mestiere e il mio Paese. Che cosa sia diventato il primo, annientato da computer e televisione, è sotto gli occhi di tutti. Quanto al secondo, la cancrena è ormai inarrestabile e la decomposizione sta avvenendo per dissoluzione di quel poco che resta dello Stato. E dico decomposizione, non secessione. La secessione si fa anche con la violenza, e dove lo troviamo oggi un solo plotone di soldati disposto a imbracciare le armi pro o contro l'Unità dello Stato? Che, se resta ancora in piedi, è solo perché non ha neppure la forza di cadere. Quello di rinunziare alla nazione poi, è un sacrificio che non saprei compiere, anche se razionalmente mi rendessi conto ch'è necessario, oppure inevitabile. E ringrazio l'anagrafe che mi esclude dal problema. (p. 316) ==''Storia d'Italia''== {{vedi anche|Indro Montanelli e Roberto Gervaso|Indro Montanelli e Mario Cervi}} ===''L'Italia giacobina e carbonara''=== *I [[cinismo|cinici]] sono tutti moralisti, e spietati per giunta. (cap. 10, p. 144) *[[Francesco Melzi d'Eril|Melzi]] apparteneva a una delle più grandi famiglie dell'aristocrazia lombarda, e ne portava nel sangue le doti migliori: la rettitudine, la cultura, la cortesia, ma anche una certa alterigia, che probabilmente gli veniva dalla madre spagnola. (cap. 11, p. 152) *{{NDR|Francesco Melzi d'Eril}} Aveva fatto parte dei circoli illuministici dei Serbelloni, dei Beccaria e di Pietro Verri, di cui era anche cognato. [[Napoleone Bonaparte|Napoleone]] lo aveva conosciuto al tempo della sua prima campagna d'Italia, dopo la battaglia di Lodi lo aveva invitato a Mombello, e ne aveva fatto il proprio consigliere. Quel signore che portava ancora il costume settecentesco, le calze bianche e la parrucca incipriata, gli piaceva. Gli piaceva perché non era servile, perché non era venale, perché non era nemmeno ambizioso. Una leggera sordità e una salute piuttosto precaria, insidiata da un forte artritismo, l'obbligavano a riguardi incompatibili con l'esercizio del potere. Più che il protagonista, preferiva fare il suggeritore. (cap. 11, p. 152) *L'unico che avesse qualità di uomo di Stato era il ministro delle finanze, [[Giuseppe Prina|Prina]], anche perché era piemontese, cioè veniva da un paese che uno Stato lo era da secoli. Ex procuratore generale della Corte dei Conti di Torino e membro del governo provvisorio del '99<ref>1799.</ref>, si era poi trasferito nella [[Repubblica Cisalpina|Cisalpina]] e ne aveva preso la cittadinanza. Non aveva un carattere che attirasse simpatie. Anzi, chiuso e freddo com'era, le respingeva. Ma era un lavoratore instancabile e scrupoloso, dotato di un acuto senso politico e – diceva [[Stendhal]] – "ha del grande in testa". (cap. 12, p. 164) *Perché non andassero perse neanche le briciole {{NDR|delle entrate della Repubblica Cisalpina}}, Prina riformò tutto il sistema fiscale riducendone il personale e facendone una macchina di straordinaria efficienza. Fu lui a inventare la "tassa di famiglia", o meglio a ripristinarla, perché la sua vera iniziatrice era stata [[Maria Teresa d'Austria|Maria Teresa]]. Ma la maggior pressione la esercitò nel campo delle imposte indirette che colpivano tutti i consumi senza distinguere fra quelli di lusso e quelli di prima necessità. Naturalmente a farne le spese furono soprattutto le classi popolari, che di lì a pochi anni gliel'avrebbero fatta pagare<ref>Prina, dopo l'abdicazione di Napoleone, fu linciato dalla folla a Milano il 20 aprile 1814.</ref>. Ma con questi sistemi riuscì a portare le entrate da settanta a oltre cento milioni e a pareggiare il bilancio. (cap. 12, p. 165) *[[Carlo II di Parma|Carlo Ludovico]] era stato talmente oppresso dalla madre<ref>Maria Luisa di Borbone-Spagna (1782–1824).</ref> che sognava di disfare tutto ciò ch'essa aveva fatto, compreso il proprio matrimonio; e quando le successe nel '24<ref>Come duca di Lucca nel 1824.</ref>, introdusse anche per buona fortuna dei lucchesi, metodi di governo diametralmente opposti a quelli di lei. Ridusse l'appannaggio che Maria Luisa esigeva per alimentare i suoi fasti spagnoli, liberalizzò i commerci, e alla fine si convertì addirittura al luteranesimo, mentre sua moglie diventava Terziaria domenicana. Fu un cattivo marito, ma non un cattivo sovrano. E Lucca, sotto di lui, respirò. (cap. 25, p. 375) *[...], {{NDR|la [[Carboneria]]}} non fu certo una scuola di educazione politica, e probabilmente è anche al suo esempio e modello che sono dovute le malformazioni della nostra democrazia e la sua intrinseca debolezza. Figli e nipoti dei Carbonari furono quei "notabili" che governarono l'Italia fino alla prima guerra mondiale e che, insieme a innegabili virtù, ebbero anche il vizio di considerare il Paese una "clientela" di Apprendisti esclusi dai "sacri travagli". (cap. 26, p. 395) *Fu qui {{NDR|al Teatro alla Scala}} che {{NDR|[[Ugo Foscolo]]}} vide [[Antonietta Fagnani Arese]], già famosa a ventitré anni non soltanto per la sua bellezza, ma anche per lo sfruttamento intensivo che ne aveva fatto. Probabilmente era una frigida, ma che sapeva recitare la sua parte: tutti i giovani più in vista di Milano cadevano nelle reti di questa Circe, e forse fu anche questo a stimolarlo. (cap. 35, p. 510) *Misto di genio e di ciarlatano, [[Domenico Barbaja|Barbaja]] aveva debuttato come sguattero, aveva fatti primi soldi inventando un dolce di panna e cioccolato, la "barbajada", li aveva moltiplicati con la gestione del Ridotto da giuoco della Scala, e ormai tanti ne aveva che quando il San Carlo andò distrutto da un incendio, lo ricostruì a proprie spese. (cap. 39, pp. 608-609) *{{NDR|Domenico Barbaja}} Era semianalfabeta, e di musica non conosceva una nota, ma conosceva il pubblico, era un infallibile scopritore di talenti, e nel 1815 si assicurò quello di un compositore ventitreenne, in cui già aveva identificato la figura più rappresentativa della lirica contemporanea: [[Gioacchino Rossini]]. (cap. 39, p. 609) *{{NDR|[[Ciro Menotti]]}} Uomo onesto, ma di un candore che sconfinava nella sprovvedutezza, [...]. (cap. 40, p. 635) ===''L'Italia del Risorgimento''=== *{{NDR|[[Giuseppe Mazzini]]}} Due mesi d'intenso lavoro gli bastarono a maturare il piano. Più che una setta, la sua organizzazione sarebbe stata un vero e proprio partito, anche se clandestino, senza l'oscura simbologia e i complicati rituali carbonari. Si sarebbe chiamata ''[[Giovine Italia]]'' e lo sarebbe stata anche di fatto perché, salvo casi eccezionali, era preclusa a chi avesse superato i quarant'anni di età. (cap. 4, pp. 54-55) *D'irresolutezza, [[Carlo Alberto di Savoia|Carlo Alberto]] aveva dato prova anche prima di salire sul trono, e lo aveva dimostrato anche il suo contraddittorio atteggiamento nel '21<ref>Nei moti piemontesi del 1821, Carlo Alberto aveva prima dato e poi ritirato il suo appoggio ai congiurati.</ref>. Il coraggio e la volontà non gli mancavano; ma gli mancava il carattere. Nella guerra di Spagna era stato un valoroso combattente<ref>Nel 1823, Carlo Alberto aveva partecipato alla campagna militare per ristabilire l'assolutismo regio in Spagna.</ref>, e la disciplina a cui si sottoponeva era spartana. Ma le responsabilità morali lo sgomentavano. (cap. 9, pp. 135-136) *{{NDR|Carlo Alberto}} Non era né intelligente né colto. Ma certi movimenti di opinione pubblica e orientamenti di pensiero li coglieva e ne restava influenzato. Nel '38 aveva mandato in galera e poi in esilio [[Vincenzo Gioberti|Gioberti]], ma nel '43 ne leggeva con interesse il ''Primato''. Se [[Massimo d'Azeglio|D'Azeglio]] avesse scritto il suo libro<ref>''Degli ultimi casi di Romagna'' (1846).</ref> due anni prima, avrebbe mandato in esilio anche lui. Ora in pratica ne aveva fatto una specie di agente segreto. I tempi insomma li sentiva e con essi andava. (cap. 9, p. 136) *Questo grande soldato {{NDR|[[Josef Radetzky]]}} non aveva mai conosciuto sconfitte, e a ottant'anni suonati conservava intatte prestanza fisica ed energia morale. Come tutti i militari, credeva soltanto nella spada e nella disciplina. Ma non somigliava affatto all'immagine che di lui ci ha tramandato la storiografia risorgimentale: quella del crudele "impiccatore", del caporalaccio ottuso, grossolano e brutale. Era al contrario un grande signore, di tratto ruvido ma generoso, perpetuamente alle prese con problemi di bilancio perché aveva le mani bucate. (cap. 13, p. 194) *{{NDR|Radetzky}} Aveva sposato una Contessa austriaca che viveva a Vienna e gli aveva dato otto figli da cui non gli venivano che dispiaceri. Uno militava ai suoi ordini lì a Milano, ma era un così cattivo arnese che un prete un giorno lo schiaffeggio per strada. Radetzky mandò a chiamare il prete, gli strinse la mano e gli disse: "''{{sic|Crazzie}}''". Per amante si era presa una brava stiratrice lombarda che sapeva cucinare bene gli gnocchi, di cui era ghiottissimo, e dalla quale ebbe altri quattro figli. Non era affatto un odiatore degl'italiani: tant'è vero che, quando andò in pensione, rimase a Milano, e lì morì nel '58. Era soltanto un fedele servitore del suo Paese, di cui non discuteva la causa. E soprattutto era un vecchio lupo di guerra coraggioso, astuto e risoluto. (cap. 13, p. 195) *La notizia si diffuse prima ancora che lo [[Statuto Albertino|Statuto]] fosse firmato, e in un battibaleno le piazze di Torino, eppoi di tutto il Piemonte, eppoi di tutto il Reame, si riempirono di folla esultante. Essa non conosceva il contenuto del documento che introduceva, sì, un regime rappresentativo, ma circondandolo delle maggiori cautele [...]. Più che del suo contenuto, la pubblica opinione era innamorata della parola ''Costituzione'', che aveva finito, per assumere ai suoi occhi magici significati, e la salutava con luminarie, canti e bandiere. (cap. 14, p. 218) *[...] [[Francesco Anzani|Anzani]], il più serio e autorevole degli esuli italiani, che aveva combattuto per la libertà in Grecia e in Spagna. Le sue parole avevano gran peso anche perché fra tutti quei chiacchieroni, ne pronunziava poche. (cap. 18, p. 281) *[...] [[Giuseppe Montanelli|Montanelli]] era così infatuato {{NDR|del progetto di Costituente italiana}} e tanto ne parlava nei suoi discorsi che il popolino – dicono – finì per credere che la Costituente fosse il nome di sua moglie. (cap. 19, p. 298) *[[Pellegrino Rossi|Rossi]] era un toscano della Lunigiana, ma solo all'anagrafe. Come formazione e mentalità, apparteneva ancora a quel tipo di {{sic|apòlidi}} che l'Italia del Settecento sfornava doviziosamente e che, non trovando in patria un terreno per i loro talenti, andavano da mercenari a investirli all'estero. Professore d'Università a poco più di vent'anni, poi commissario di [[Gioacchino Murat|Murat]] al tempo del suo infelice tentativo di unificare l'Italia sotto il suo scettro, era l'unico cattolico cui l'Accademia calvinista di Ginevra avesse mai affidato una cattedra. (cap. 19, p. 301) *{{NDR|Pellegrino Rossi}} Fu sin dal principio un fautore di [[Papa Pio IX|Pio IX]] fino a partecipare di persona alle manifestazioni popolari in suo favore, ma vide subito la pochezza e ambiguità dell'uomo e ne denunziò i pericoli. (cap. 19, pp. 302-303) *Sebbene gli avessero affidato pieni poteri, [[Daniele Manin|Manin]] era un uomo discusso. Molti lo consideravano un malaccorto maneggione, un improvvisatore digiuno di problemi economici e militari, bravo soltanto ad attribuirsi i meriti degli altri. Secondo [[Niccolò Tommaseo|Tommaseo]], ch'era fra i suoi più insidiosi diffamatori, il potere gli aveva dato "una scossa da intorbidargli la mente e far più grave e manifesta la sua inesperienza". (cap. 23, p. 354) *{{NDR|Daniele Manin}} Intellettualmente, non era al livello di un [[Giuseppe Mazzini|Mazzini]] o di un [[Carlo Cattaneo|Cattaneo]]. Ma era, come loro, inattaccabile sul piano morale. E, in mancanza di un vero e proprio potere carismatico, esercitava sulle folle un notevole fascino per la sua gioviale e arguta "venezianità". Parlava sempre in dialetto con battute raccattate sulla bocca dei gondolieri, e anche nel dramma portava un pizzico di [[Carlo Goldoni|Goldoni]]. I suoi limiti li conosceva, e non è vero che l'autorità gli avesse dato alla testa, come diceva Tommaseo che diceva male di tutti. Anzi la esercitava bonariamente e cercava di circondarsi di uomini validi che sopperissero alla sua incompetenza. (cap. 23, pp. 354-355) *Eran trascorsi pochi mesi {{NDR|dal suo matrimonio con Vittorio Emanuele}}, che [[Maria Adelaide d'Asburgo-Lorena|Maria Adelaide]] lo sorprendeva nel giardino di Moncalieri con una diva del teatro, Laura Bon, ma si guardò dal farne un dramma. Perfettamente educata al mestiere di Regina, essa sapeva che la rassegnazione alle infedeltà ne è parte imprescindibile, e le sopportò sempre con garbo e dignità. (cap. 25, p. 390) *Sfruttando la devozione di Carlo Alberto, [[Clemente Solaro della Margarita|Solaro della Margarita]] aveva regolato i rapporti con la Chiesa in modo tale da fare del clero piemontese il più potente d'Italia dopo quello dello [[Stato Pontificio|Stato pontificio]]. Esso aveva ancora i suoi tribunali in concorrenza con quelli dello Stato e poteva concedere il diritto d'asilo ai delinquenti. (cap. 26, p. 410) *[...] {{NDR|Giuseppe}} Montanelli, gran galantuomo e ricco d'ingegno, non lo era altrettanto di carattere. Idee ne aveva, anzi ne aveva troppe; ma, facilmente suggestionabile, finiva sempre per adottare quelle dell'ambiente in cui viveva. (cap. 29, pp. 464-465) *Il primo a trarne le conclusioni {{NDR|dalle tesi favorevoli alla monarchia piemontese esposte nel libro di [[Vincenzo Gioberti|Gioberti]] ''Del rinnovamento civile d'Italia''}} fu [[Giorgio Pallavicino Trivulzio|Pallavicino]], l'ex prigioniero dello Spielberg, da un pezzo rifugiato a Torino. Di scarso cervello politico, impetuoso fino alla leggerezza, teatrale e un po' troppo portato a ostentare i suoi titoli di "martire", aveva fino allora militato sotto bandiera rivoluzionaria. (cap. 32, p. 514) *{{NDR|Tra i Mille di Garibaldi}} C'era il malinconico ex prete [[Giuseppe Sirtori|Sirtori]], che della guerra aveva fatto una mistica e sul campo sembrava che officiasse. (cap. 40, p. 635) ===''L'Italia dei notabili''=== *La [[Convenzione di settembre|Convenzione]], che fu detta "di Settembre" dal mese in cui venne concordata, si componeva di cinque articoli e stabiliva: che l'Italia rinunziava ad ogni atto di ostilità contro il territorio pontificio; che la Francia ne avrebbe ritirato le sue truppe via via che il governo del Papa le avesse rimpiazzate con volontari indigeni e stranieri, e comunque entro due anni; e che questo doppio impegno sarebbe entrato in vigore dal momento in cui il governo italiano avesse decretato il trasferimento della capitale da operarsi nello spazio di sei mesi. (Capitolo quinto, Firenze capitale, p. 76) *Gli sventramenti che furono operati {{NDR|a Firenze, nuova capitale del Regno d'Italia}} per alloggiare i Ministeri e i nuovi quartieri che sorsero alla periferia per ospitare i venticinque o trentamila impiegati che calarono da Torino, lasciarono la città orrendamente sfregiata e carica di debiti. (Capitolo quinto, Firenze capitale, p. 78) *{{NDR|[[Carmine Crocco]]}} [...] condannato per diserzione a vent'anni di carcere, ne era evaso, si era dato alla macchia, e in poco tempo era diventato il più temuto e rispettato capobanda della [[Basilicata|Lucania]] non soltanto per il suo coraggio, ma anche per la sua intelligenza di guerrigliero.</br>[...] Crocco venne riconosciuto Generalissimo non solo per l'autorità che gli conferivano le sue gesta, ma anche, perché, sebbene mezzo analfabeta, possedeva un'oratoria immaginosa e apocalittica. (Capitolo sesto, I briganti, pp. 85-89) *{{NDR|[[Giustino Fortunato]]}} [...] il più grande e illuminato studioso del Meridione. (Capitolo sesto, I briganti, p. 86) *Figlio di un fabbro e medico di professione, [[Giovanni Lanza|Lanza]] incarnava, nella Destra piemontese tradizionalmente formata da nobili, militari e grandi borghesi, un tipo umano del tutto insolito: il nuovo piccolo ceto medio, spartano e puritano, formatosi nelle scuole serali e nell'Università popolare. (Capitolo nono, Gli anni della lesina, p. 133) *L'esercito papalino era un'accozzaglia di mercenari delle più svariate nazionalità (c'erano perfino dei turchi). [...] circa 15.000 uomini, al comando del generale [[Hermann Kanzler|Kanzler]]. Compito gentiluomo, ligio al Regolamento come lo era al Catechismo, questi aveva tuttavia un concetto tedesco dell'onore militare e avrebbe preferito una sconfitta a una resa. Ma {{NDR|Il segretario di Stato}} Antonelli non era di questa opinione. Gli ordinò di ritirare le truppe {{NDR|pontificie}} dentro le mura e di limitarsi a un simulacro di resistenza. (Capitolo decimo, Porta Pia, pp. 141-142) *{{NDR|La duchessa [[Eugenia Attendolo Bolognini Litta|Eugenia Litta]]}} Durante la campagna del '59<ref>Seconda guerra d'indipendenza italiana.</ref> era stata il riposo del guerriero più famoso e importante: [[Napoleone III di Francia|Napoleone III]]. E secondo le malelingue era passata subito dopo in eredità a [[Vittorio Emanuele II di Savoia|Vittorio Emanuele]], che però era il meno adatto ad apprezzare la sua vita di vespa, le sue carni pallide e i suoi raffinatissimi gusti. [[Honoré de Balzac|Balzac]] le aveva reso omaggio. [[Arrigo Boito|Boito]] seguitava a rendergliene. [[Gabriele D'Annunzio|D'Annunzio]] dirà ch'essa "aveva rubato il segreto a Ninon de Lenclos<ref>Scrittrice, cortigiana ed epistolografa francese (1620–1705).</ref>". Insomma come iniziatrice all'amore, il giovane principe {{NDR|il futuro [[Umberto I di Savoia|Umberto I]]}} non poteva desiderarne una più fascinosa ed esperta. Lo fu al punto che, nonostante la differenza d'età, egli le rimase devoto – anche se non fedele – fino alla fine dei suoi giorni. (Capitolo quattordicesimo, Il marito di Margherita, p. 196) *{{NDR|[[Margherita di Savoia]]}} [...] era una vera e seria professionista del trono, e gl'italiani lo sentirono. Essi compresero che, anche se non avessero avuto un gran Re, avrebbero avuto una grande Regina. (Capitolo quattordicesimo, Il marito di Margherita, p. 197) *Il trattato {{NDR|della [[Triplice alleanza (1882)|Triplice alleanza]]}} fu firmato a Vienna nel maggio dell'82<ref>20 maggio 1882.</ref>. Esso impegnava le tre Potenze al reciproco aiuto nel caso in cui una fosse aggredita e alla benevola neutralità nel caso che aggredisse. Inoltre Austria e Germania dichiaravano di disinteressarsi del problema del Papa, considerandolo un affare interno italiano.<br>Quest'ultima clausola fu, insieme alla fine dell'isolamento, il grande vantaggio che l'Italia trasse dal patto, ma nient'altro. Essa non vi era entrata su un piede di parità con le consocie. Aveva semplicemente acceduto all'alleanza che già legava le altre due, le quali restavano per così dire le padrone di casa, e Bismarck non perse occasione di farcelo sentire. (Capitolo diciannovesimo, La Triplice, pp. 276-277) *L'unico Stato che ruppe le relazioni con quello italiano in seguito a [[Presa di Roma|Porta Pia]] fu l'Ecuador. Mai la Chiesa si era trovata in condizioni di più completo isolamento. (Capitolo ventitreesimo, I cattolici, p. 334) *Sindaco di Palermo a ventisette anni, {{NDR|[[Antonio Starabba, marchese di Rudinì|il marchese di Rudinì]]}} aveva affrontato con molto coraggio la rivolta che vi era scoppiata nel '66, e questo lo aveva accreditato come il fanciullo-prodigio del moderatismo, destinato a gloriose imprese. Ma, diceva De Sanctis, col passare del tempo, il prodigio dileguò e rimase solo il fanciullo. Ministro degl'Interni a trent'anni in uno dei governi Menabrea, la sua carriera si era fermata lì. Pure, la fama di "uomo forte" gli era rimasta addosso, suffragata anche dalla sua alta statura, dai lampeggiamenti del monocolo, dalla fluente barba, dalla nobilesca alterigia. Idee, non ne aveva. Ma aveva delle impennate che facevano credere alla sua risolutezza. E questo, in una Destra impoverita di personalità di rilevo, gli era bastato per guadagnarsi i galloni di capo. (Capitolo ventiquattresimo, Giolitti, pp. 348-349) *In realtà, del soldato, [[Oreste Baratieri|Baratieri]] non aveva neanche il fisico. Grasso e sgraziato, con gli occhiali a ''pince-nez'', sembrava molto più vecchio dei suoi cinquant'anni e costruito più per la cattedra che per l'elmo. (Capitolo ventisettesimo, Adua, p. 391) *{{NDR|Dopo le dimissioni del generale [[Luigi Pelloux|Pelloux]]}} A succedergli il Re chiamò il Presidente del Senato [[Giuseppe Saracco|Saracco]], un galantuomo ch'era riuscito a conservare intatta la sua reputazione di democratico pur essendo stato due volte Ministro nei governi di Crispi. Aveva quasi ottant'anni, ma conservava una notevole lucidità di cervello, e ne dette prova formando un governo di coalizione che includeva un po' tutte le forze, meno l'Estrema cui diede tuttavia soddisfazione chiamando parecchi suoi uomini nella commissione incaricata di studiare un nuovo regolamento parlamentare che, senza intaccare la libertà di discussione, impedisse l'ostruzionismo, o per meglio dire lo regolasse. (Capitolo ventottesimo, I cannoni di Bava Beccaris, p. 417) ===''L'Italia di Giolitti''=== *Si è detto che {{NDR|[[Egidio Osio]]}} plagiò il suo pupillo {{NDR|il principe ereditario, futuro re [[Vittorio Emanuele III di Savoia|Vittorio Emanuele III]]}} e ne lesionò definitivamente il carattere terrorizzandolo e mortificandone gli slanci. Si è detto che anche sul suo fisico ebbe pessima influenza costringendolo a penosi e logoranti sforzi. Si è detto che furono i suoi metodi repressivi a creare nel Principe quei complessi d'inferiorità da cui fu sempre afflitto, a traumatizzarlo, a inaridirlo, a riempirne l'animo di sordi rancori.<br>Ma se non proprio di falsità, si tratta di verità contraffatte. (cap. I, Il nuovo Re, p. 15) *Militare dalla testa ai piedi, Osio era un uomo duro, imperioso, abituato al comando. [...] Ma era anche un gran signore, perfetto uomo di mondo, e nutrito di buone letture. Sebbene la sua carriera potesse esserne notevolmente avvantaggiata, esitò molto ad accettare l'incarico {{NDR|di tutore del principe ereditario}}, vi si risolse solo dietro garanzia che nemmeno i genitori avrebbero più interferito nell'educazione del ragazzo, di cui egli diventava unico e assoluto responsabile, e al termine della sua missione non beneficiò di nessuno "scatto di grado". (cap. I, Il nuovo Re, pp. 15-16) *[[Elena del Montenegro|Elena]], che da ragazza dipingeva, suonava il violino, componeva poesie come suo padre<ref>Nicola I del Montenegro.</ref>, e amava il tennis e la danza, rinunziò a questi passatempi appena vide che lui {{NDR|il futuro Vittorio Emanuele III}} li detestava, anzi adottò come ''hobbies'' quelli di lui: la numismatica e l'archeologia. Per il resto fu soltanto una donna di casa, come lo era stata a Cettigne<ref>Capitale del Regno del Montenegro.</ref>. Sapendolo insofferente dei camerieri, era lei che lo serviva a tavola, e per farsi i vestiti si prese in casa una sartina. (cap. I, Il nuovo Re, p. 27) *[[Filippo Meda|Meda]] era un avvocato milanese di spirito pratico, che considerava l'astensione dal voto {{NDR|dei cattolici}} un dovere da osservare finché il Papa lo imponeva, ma un grosso errore strategico di cui occorreva sollecitare la revoca. Lo Stato liberale, diceva, c'è e va accettato. Va soltanto salvato dalle sue tentazioni autoritarie e giacobine. E questo i cattolici possono farlo soltanto inserendocisi e riformandolo in modo da tenerlo al riparo dai pericoli d'involuzione. Lo Stato cioè per lui era un "peccatore da salvare". (cap. IV, Cattolici e socialisti, p. 72) *[...] [[Romolo Murri|Murri]] era un giovane sacerdote marchigiano, che aveva conosciuto la povertà e nel Vangelo vedeva soprattutto un messaggio giustizialista. Introverso e malinconico come tutti i fanatici, egli si considerava molto più "avanzato" di Meda per il carattere rivoluzionario che intendeva imprimere al movimento {{NDR|cattolico}}. In realtà era un uomo del ''[[Sillabo]]'' che, pur partendo anche lui dall'accettazione dello Stato unitario, intendeva tramutarlo in una [[teocrazia]] egalitaria e totalitaria, sul tipo di quella che i Gesuiti avevano fondato un paio di secoli prima nel Paraguay. Se a ispirarlo fosse più l'amore del povero o l'odio del ricco, non sappiamo. (cap. IV, Cattolici e socialisti, pp. 72-73) *Meda e Murri furono dapprincipio alleati. Entrambi volevano un grande partito, popolare indipendente dalla Chiesa. Ma Meda lo concepiva come lo sviluppo della organizzazione tradizionale, cioè dell'''Opera''<ref>"Opera dei congressi e dei comitati cattolici", spesso abbreviata in "Opera dei congressi", organizzazione cattolica italiana, sciolta nel 1904.</ref>, una volta strappatala alla vecchia guardia, mentre Murri lo vedeva come un organismo nuovo, un "Fascio", come quelli che pochi anni prima avevano messo a soqquadro e insanguinato la Sicilia. (cap. IV, Cattolici e socialisti, p. 73) *Lo [[Sciopero generale del 1904|sciopero {{NDR|generale del 1904}}]] [...] non fu un fallimento, ma non fu nemmeno un successo perché si esaurì spontaneamente, e il suo più consistente risultato fu la spaccatura delle forze operaie. Lo si vide pochi mesi dopo, quando i sindacalisti bandirono un altro sciopero, quello delle ferrovie, da cui i sindacalisti uscirono demoralizzati e con la truppa dimezzata. (cap. IV, Cattolici e socialisti, p. 85) *[[Alessandro Fortis|Fortis]] era un tipico notabile romagnolo di lungo e contradditorio corso ideologico. Aveva debuttato come repubblicano intransigente, era andato in galera per complotto rivoluzionario con gli anarchici, poi era stato conquistato da [[Francesco Crispi|Crispi]], era finito {{sic|Ministro}} di [[Luigi Pelloux|Pelloux]], e ora militava sotto la bandiera di [[Giovanni Giolitti|Giolitti]]. Come "trasformista", era tra i più qualificati. Ma questa pecca era abbondantemente compensata dai suoi doni di simpatia umana e da una grande esperienza parlamentare. (cap. VI, Il suffragio universale, p. 107) *Quando [[Enrico Corradini|Corradini]] applicò il vocabolario socialista alla Nazione parlando di una "Italia proletaria" in lotta contro le plutocrazie occidentali, e lanciò l'idea di un "imperialismo operaio" da contrapporre a quello capitalistico, riscosse in campo sindacalista vasti consensi e pose le premesse di un pasticcio ideologico in cui Mussolini avrebbe di lì a poco guazzato. (cap. VII, "Tripoli bel suol d'amore", p. 137) *{{NDR|Giolitti}} Più che la Libia, voleva la [[Guerra italo-turca|guerra]], o meglio qualcosa che desse finalmente agl'italiani l'impressione di farne una e di vincerla. (cap. VII, "Tripoli bel suol d'amore", p. 145) *[...] a Vienna l'imperatore Francesco Giuseppe aveva dovuto intervenire di persona per fermare la mano al Capo di Stato Maggiore [[Franz Conrad von Hötzendorf|Conrad]] che voleva una spedizione punitiva contro l'Italia, ora ch'era impegnata in Africa {{NDR|nella guerra di Libia}}, per metterla in ginocchio "prima che avesse il tempo di perpetrare altri tradimenti". (cap. VII, "Tripoli bel suol d'amore", pp. 149-150) *Non si è mai saputo con certezza come si svolse l'operazione {{NDR|del [[patto Gentiloni]]}} che, ben s'intende, doveva restare segretissima. Giolitti negò sempre di avervi partecipato, e infatti d'impronte digitali non ve ne lasciò. Fu probabilmente senza le sue credenziali, ma certamente non senza il suo beneplacito che qualche esponente liberale prese contatto coi cattolici. Questi avevano una "unione elettorale" di cui era Presidente un Conte marchigiano, [[Vincenzo Ottorino Gentiloni|Gentiloni]], politico abile, ma vanesio e chiacchierone. Egli s'impegnò a mobilitare il voto cattolico in favore dei candidati liberali dovunque questi fossero minacciati dalla Estrema Sinistra; e i liberali s'impegnarono a difendere la parificazione delle scuole confessionali a quelle dello Stato, a ripristinare in queste ultime l'istruzione religiosa, a respingere l'introduzione del divorzio, e – pare – a combattere la Massoneria. (cap. VIII, Il crepuscolo degli dei, p. 163) *Se [[Gaetano Salvemini|Salvemini]] incarnava lo spirito protestatario e la sete giustizialista delle plebi meridionali, [[Antonio Salandra|Salandra]] incarnava lo spirito autoritario e conservatore della borghesia terriera. Proveniva da una famiglia di notabili pugliesi con parecchia roba al sole, e alla politica era approdato dalla cattedra universitaria, di cui conservava molti caratteri: una notevole cultura e finezza intellettuale, ma anche un compassato distacco che rasentava la freddezza. Prima di affrontare un problema lo studiava minuziosamente, e nessuno sapeva prospettarlo con più chiarezza di lui. (cap. IX, Sarajevo, p. 168) *[[Paolo Boselli]] {{NDR|incaricato nel 1916 di formare il nuovo governo dopo le dimissioni di Antonio Salandra}}, che fu chiamato a presiederlo, possedeva tutti i requisiti, meno quelli che occorrono per guidare un Paese in guerra. Deputato ligure da parecchie legislature, era stato varie volte Ministro con Crispi, Pelloux e Sonnino, ma nessuno se n'era accorto. [...]. Passava per un esperto di questioni economiche, e moralmente era un personaggio di tutto rispetto. Ma politicamente era scolorito, e per di più aveva quasi ottant'anni. (cap. XVI, La caduta di Salandra, pp. 293-294) *Quanto [[Luigi Cadorna|Cadorna]] era solitario, monacale ruvido e chiuso in un giro di valori e d'idee tradizionali, tanto [[Luigi Capello|Capello]] era brillante, estroverso, moderno, ricco d'immaginazione e maestro di "pubbliche relazioni". (cap. XVI, La caduta di Salandra, pp. 298-299) *Lucano di Melfi, [[Francesco Saverio Nitti]] incarnava anche nel fisico tozzo e grassottello il tipo del notabile meridionale, colto, brillante, scettico e alquanto egocentrico. [...] la sua specialità era il problema del Mezzogiorno, di cui fu tra i primi seri studiosi e che gli fornì anche la base elettorale. [...]. Sul livello medio della classe politica di allora, egli faceva spicco per preparazione, equilibrio e lucidità, ma anche per una certa propensione ad attribuirsi il monopolio di queste virtù. (cap. XXIII, Versaglia, pp. 420-421) ===''L'Italia in camicia nera''=== *Un altro utile incontro fu per Mussolini quello con [[Angelica Balabanoff]], personaggio già di notevole rilevo nel socialismo internazionale. Era una russa di buona famiglia borghese, che fin da giovanissima si era imbrancata con quella ''intellighenzia'' rivoluzionaria da cui venivano anche i Lenin, i Trotzky, e gli altri futuri grandi del bolscevismo. A spingerla era stata la ribellione contro la meschinità, lo snobismo provinciale, il sussiego di casta, i tabù del suo ceto. (cap. 1, p. 23) *Angelica {{NDR|Balabanoff}} non era bella, non aveva la grazia eterea ed esangue di Anna {{NDR|[[Anna Kuliscioff|Kuliscioff]]}}. Ma non era nemmeno sgradevole, nonostante i fianchi massicci e gli zigomi pronunciati, eppoi era una russa, cosa che faceva un grande effetto al piccolo provinciale di Predappio<ref>Mussolini era nato a Dovia, frazione di Predappio.</ref>. Anche se fra loro non divampò la passione che aveva legato Anna ad [[Andrea Costa]], qualcosa ci fu, ed ebbe la sua importanza. Angelica cercò d'incivilire quel selvaggio trasandato che passava da ostinati mutismi a interminabili sproloqui conditi di orrende bestemmie. Lo sfamava, gli lavava la biancheria, lo iniziava, sia pure con poco successo, al marxismo [...]. (cap. 1, p. 25) *Uno dei tre protagonisti del giuoco {{NDR|[[Gabriele D'Annunzio]]}} era eliminato. La partita ora si riduceva agli altri due: Giolitti e Mussolini. (cap. 1, p. 101) *Mussolini aveva vinto, e la sua vittoria significava che il fascismo, abbandonata la pretesa di presentarsi come un movimento rivoluzionario di sinistra, quale lo avrebbero voluto Grandi, Farinacci e Marsich, presentava la sua candidatura a forza egemonica della destra e infilava la «via parlamentare» al potere.<br>C'era un pericolo, e Mussolini lo capì subito: che questa svolta a destra mettesse il partito alla mercé della sua ala reazionaria incarnata soprattutto dal ''ras'' piemontese [[Cesare Maria De Vecchi|De Vecchi]], uomo di poco cervello, ma tutto Trono e Altare, e che quindi poteva anche tornar comodo per il futuro. (cap. 2, p. 127) *[...], i giolittiani riuscirono a portare al governo uno dei suoi {{NDR|di Giolitti}} «ascari» più fedeli, ma anche dei più sbiaditi: [[Luigi Facta]].<br> Facta era un bravo avvocato di provincia piemontese con tutte le virtù, ma anche con tutti i limiti del suo ambiente: un uomo probo e integro, che dopo trent'anni di vita parlamentare ne aveva ormai una certa esperienza, aveva ricoperto con onore alcune cariche ministeriali, non aveva alcuna ambizione che quella di servire fedelmente il suo capo, né altre idee che quelle di lui. Tutto gli si poteva chiedere fuorché risolutezza ed immaginazione, cioè proprio le qualità che più urgevano. (cap. 2, pp. 143-144) *[...] le sue intenzioni {{NDR|Mussolini}} non le confidava nemmeno al segretario del partito, [[Michele Bianchi|Bianchi]], di cui apprezzava la fedeltà e l'impegno, ma non l'intelligenza: lo considerava angoloso, settario, puntiglioso vendicativo e privo d'intuito politico. L'unico con cui si apriva seguitava ad essere [[Cesare Rossi]], l'uomo che gli era stato accanto dal primo momento, lo aveva seguito in tutte le sue palinodie e gli dava sempre dei consigli che corrispondevano ai suoi desideri. (cap. 4, p. 166) *{{NDR|[[Vittorio Emanuele III]]}} non si fidava completamente di Mussolini, ma si fidava ancora meno dei suoi avversari ed era convinto che costoro, se avessero preso il mestolo in mano, avrebbero ricreato il caos del dopoguerra. Comunque, a una cosa era assolutamente deciso: a non farsi coinvolgere nella lotta politica, come del resto gli dettava la Costituzione di cui, quando gli faceva comodo, sapeva ricordarsi. ====[[Explicit]]==== *Resterebbe solo da sapere con che animo Mussolini s'investì, il 3 gennaio, nella parte di dittatore. Se, come molti sostengono, gli sforzi che fino a quel momento aveva fatto per evitarla erano stati solo un giuoco per dimostrare che non era lui a volerla, ma gli eventi ad imporgliela, bisogna riconoscere che come {{sic|giuocatore}} sapeva il fatto suo. ==''Storia dei Greci''== *Il modo migliore per ripagare il nostro contemporaneo [[Heinrich Schliemann|Enrico Schliemann]] degli enormi servigi che ci ha reso nella ricostruzione della civiltà classica, mi pare sia quello di assumerlo fra i suoi protagonisti, com'egli stesso mostrò di desiderare ardentemente, scegliendosi, in pieno secolo decimonono, [[Zeus]] come dio e a lui indirizzando le sue preghiere, battezzando [[Agamennone]] suo figlio, Andromaca sua figlia, Pélope e Telamone i suoi servitori, e dedicando a [[Omero]] tutta la sua vita e i quattrini. (cap. 2; 2004, p. 17) *{{NDR|Su [[Heinrich Schliemann|Schliemann]]}} Era un matto, ma tedesco, cioè organizzatissimo nella sua follia, che la buona sorte volle ricompensare. La prima storia che gli raccontò suo padre, quando aveva cinque o sei anni, non fu quella di [[Cappuccetto Rosso]], ma quella di [[Ulisse]], di [[Achille]] e di Menelao. Ne aveva otto, quando annunziò solennemente in famiglia che intendeva riscoprire Troia e dimostrare, ai professori di storia che lo negavano, ch'essa era realmente esistita. Ne aveva dieci, quando compose in latino un saggio su questo argomento. E ne aveva sedici, quando sembrò che questa infatuazione gli fosse del tutto passata. Infatti s'era impiegato come garzone di una drogheria, dove scoperte archeologiche non c'era da farne di certo, e di lì a poco s'imbarcò non per l'Ellade, ma per l'America, in cerca di fortuna. (cap. 2; 2004, p. 17) *Di nuovo il buon Dio, che per i matti ha un debole, lo compensò di tanta fede, guidando il suo piccone sugli scantinati del palazzo dei discendenti di re Atreo, nei cui sarcofaghi furono ritrovati gli scheletri, le maschere d'oro, i gioielli e il vasellame che si ritenevano esistiti solo nella fantasia di Omero. E Schliemann telegrafò al re di Grecia: ''Maestà, ho ritrovato i vostri antenati''. Poi, ormai sicuro del fatto suo, volle dare il colpo di grazia agli scettici del mondo intero e, sulle indicazioni di [[Pausania]], andò a Tirinto e vi disseppellì le ciclopiche mura del palazzo di Proteo, di Perseo e di [[Andromeda|Andròmeda]]. (cap. 2; 2004, pp. 19-20) *Schliemann morì quasi settantenne nel 1890, dopo aver sconvolto tutte le tesi e le ipotesi su cui si era basata sino ad allora la ricostruzione della preistoria greca, tesa ad esiliare Omero e Pausania nei cieli della pura fantasia. (cap. 2; 2004, p. 20) *Ma ora, dopo le scoperte del tedesco matto, non abbiamo più il diritto di mettere in dubbio la realtà storica di Agamennone, di Menelao, di [[Elena]], di [[Clitennestra]], di Achille e di Patroclo, di Ettore e di Ulisse, anche se le loro avventure non sono state esattamente quelle che Omero ha descritto, facendoci sopra la cresta. Schliemann ha arricchito la storia e impoverito la leggenda, di alcune decine di personaggi di primissimo piano. Grazie a lui alcuni secoli, che prima erano nel buio, sono entrati nella luce, anche se è quella incerta della primissima alba. Ed è solo per mano a lui che possiamo esplorarla. (cap. 2; 2004, p. 21) *Senza dubbio gli [[achei]], a differenza dei pelasgi, furono terrieri, tant'è vero che fino alla guerra di Troia imprese per mare non ne azzardarono, e ogni volta che lo trovavano si fermavano. Essi non tentarono di mettere il piede nemmeno nelle isole più vicine al continente, e tutte le loro capitali e cittadelle erano nell'interno. La Grecia, sotto di loro, si limitava al Peloponneso, all'Attica e alla Beozia; mentre per le popolazioni pelasgiche della civiltà micenea, ch'erano marinare, essa inglobava anche tutti gli arcipelaghi dell'Egeo. (cap. 3, ''Gli Achei''; 2004, p. 25) *[[Diogene di Sinope|Diogene]], che aveva la lingua lunga, disse che la religione greca era quella cosa per cui un ladro che sapeva bene l'Avemaria e il Paternoster era sicuro di potersela cavar meglio, nell'al di là di un galantuomo che li aveva dimenticati. Non aveva torto. La [[Religione dell'antica Grecia|religione]], in Grecia, era soltanto un fatto di procedura, senza contenuto morale. Ai fedeli non si chiedeva la fede né si proponeva il bene. S'imponeva solo il compimento di certe pratiche burocratiche. E non poteva essere diversamente, visto che di contenuto morale gli stessi {{sic|dèi}} ne avevano ben poco e non si poteva certo dire che fornissero un esempio di virtù. (cap. 7, ''Zeus e famiglia''; 2004, p. 54) *Anche [[Pisistrato]] era aristocratico e di famiglia ricca. Ma aveva capito che la [[democrazia]], una volta instaurata, è irreversibile e va sempre a sinistra. (cap. 15, ''Pisistrato''; 2004, p. 98) *Pisistrato, invece di cinquanta uomini, ne arruolò e armò quattrocento, s'impadronì dell'Acròpoli, e proclamò la dittatura. In nome e per il bene del popolo, si capisce, come tutte le dittature. (cap. 15; 2004, p. 91) *La stragrande maggioranza degli ateniesi, dopo averlo a lungo osteggiato e tenuto in gran sospetto, si erano sinceramente affezionati a Pisistrato che aveva dalla sua un'arma formidabile: la simpatia. (cap. 15; 2004, pp. 92-93) *Il tiranno Pisistrato seppe sfuggire a tutte le tentazioni del potere assoluto, meno una: quella di lasciare il «posto» in eredità ai figli, [[Ippia (tiranno)|Ippia]] e [[Ipparco (tiranno)|Ipparco]]. L'amor paterno gl'impedì di vedere con la consueta chiarezza che i totalitarismi non hanno eredi e che quello suo si giustificava soltanto come una eccezione alla democrazia per assicurarle ordine e stabilità. Peccato. (cap. 15; 2004, p. 95) *Pisistrato era morto nel 527 avanti Cristo. Ventun anni dopo, cioè nel 506, troviamo uno dei suoi due figli, da lui designati a succedergli, Ippia, alla corte del re di Persia, [[Dario I di Persia|Dario]], per suggerirgli l'idea di muover guerra contro Atene e la Grecia tutta. I grandi uomini non dovrebbero mai lasciare né vedove né eredi. Sono pericolosissimi. (cap. 16, ''I persiani alle viste''; 2004, p. 103) *Questo Ippia non aveva debuttato male, dopo che suo padre fu calato nella fossa. Era un giovanotto sveglio che, a furia di stare accanto al babbo, ne aveva imparato molte malizie, e alla politica aveva passione, a differenza di suo fratello Ipparco che invece s'interessava soltanto di poesia e di amore, in modo che fra i due non c'erano nemmeno pericolose rivalità. Eppure, a procurare i guai che condussero alla caduta della dinastia, fu proprio Ipparco. (cap. 16; 2004, p. 96) *Ipparco ebbe la disgrazia d'inciampare in un bellissimo guaglione di nome Armodio, che un certo Aristogitone – aristocratico quarantenne, prepotente e geloso – considerava sua proprietà. Costui concepì l'idea di sbarazzarsi del rivale col pugnale e, per dare all'assassinio un'etichetta più pulita che lo rendesse popolare, pensò di estenderlo anche al fratello Ippia facendolo passare per «delitto politico» in nome della libertà e contro la tirannia. Organizzò in questo senso una congiura con altri nobili latifondisti e, in occasione di una festa, tentò il colpo, che andò bene solo a mezzo: Ipparco ci rimise la pelle, ma Ippia scampò. E da quel momento, un po' per rancore, un po' per paura di altri complotti, il figlio e l'allievo di Pisistrato, dittatore liberale indulgente e illuminato, diventò un ''tiranno'' autentico. (cap. 16; pp. 96-97) *Lo scontento del popolo inferocì Ippia, che a sua volta inferocì il popolo. E quando il divorzio fra i due fu totale, i fuoriusciti, che frattanto si erano concentrati a Delfi, chiamarono in aiuto gli spartani, e insieme marciarono contro Atene. (cap. 16; 2004, p. 97) *Ippia si rifugiò sull'Acròpoli coi suoi sostenitori. Ma, per mettere in salvo i suoi figlioletti, cercò di farli segretamente espatriare. Gli assedianti li catturarono e l'infelice padre, per salvar la vita a loro e a se stesso, capitolò e si avviò in volontario esilio. Non bisogna dimenticare che nelle sue vene scorreva tuttavia il sangue di Pisistrato, cioè di un uomo sempre pronto a sacrificare la posizione alla famiglia, ma mai disposto a rassegnarsi alla sconfitta. (cap. 16; 2004, p. 97) *[[Milziade]] aveva capito qual era il debole dei [[Persia|persiani]]: essi erano bravi soldati individualmente, ma non avevano nessuna idea della manovra collettiva. E su questa puntò. A dar retta agli storici del tempo — che purtroppo erano tutti greci, — Dario perse settemila uomini, Milziade neanche duecento. (cap. 17, ''Milziade e Aristide''; 2004, p. 112) *{{NDR|A Milziade}} sopravvisse [[Aristide]], le cui vicende purtroppo ci dimostrano che l'[[onestà]] in [[politica]] non trova sempre i suoi compensi e che la [[storia]], come le [[donna|donne]], ha un debole per i birbaccioni. (cap. 17, ''Milziade e Aristide''; 2004, p. 112) *Nike, diventata ragazza, porta il [[peplo]] di lana, bianca o colorata, ma questa è l'unica scelta che le si lascia. Siccome è confinata in casa, non può nemmeno far quella di un ragazzo che le piace, e deve aspettare che il padre si metta d'accordo con un altro padre per combinare il matrimonio. (cap. 23, ''Una Nike qualsiasi''; 2004, p. 143) *Quando il grande [[Mirone]], rincorbellito dalla vecchiaia, si vide arrivare in studio come modella Laìde<ref>Etera dell'antica Grecia, celebre per la sua bellezza.</ref>, perse la testa e le offrì tutto ciò che possedeva purché restasse la notte. E siccome essa rifiutò, l'indomani il poveruomo si tagliò la barba, si tinse i capelli, indossò un giovanile [[chitone]] color porpora e si passò una mano di carminio sul viso. «Amico mio», gli disse Laìde, «non sperare di ottenere oggi ciò che ieri rifiutai a tuo padre». (cap. 23, ''Una Nike qualsiasi''; 2004, p. 150) *{{NDR|[[Fidia]]}} Qualcosa, nel suo carattere, doveva farne un nemico degli uomini, visto che nessuno lo amava. Eppure egli non fu soltanto un grande scultore, ma anche un grandissimo maestro, che, oltre ad aver creato uno stile, ne fece anche una scuola, trasmettendone le regole ad allievi come Agoracrito e Alcamene, continuatori del «classico». (cap. 25, ''Fidia sul Partenone''; 2004, p. 165) *Gli uomini non sanno apprezzare e misurare che la [[fortuna]] degli altri. La propria, mai. (cap. 25, ''Fidia sul Partenone''; 2004, p. 166) ==''Storia di Roma''== ===[[Incipit]]=== Non sappiamo con precisione quando a Roma furono istituite le prime scuole regolari, cioè «statali». Plutarco dice che nacquero verso il 250 avanti Cristo, cioè circa cinquecent'anni dopo la fondazione della città. Fino a quel momento i ragazzi romani erano stati educati in casa, i più poveri dai genitori, i più ricchi dai ''magistri'', cioè da maestri, o istruttori, scelti di solito nella categoria dei liberti, gli schiavi liberati, che a loro volta erano scelti fra i prigionieri di guerra, e preferibilmente fra quelli di origine greca, che erano i più colti. ===Citazioni=== <!--segui nel riportare le citazioni l'ordine cronologico del libro--> *Non ho scoperto nulla, con questo libro. Esso non pretende di portare "rivelazioni", nemmeno di dare una interpretazione originale della storia dell'Urbe. Tutto ciò che qui racconto è già stato raccontato. Io spero solo di averlo fatto in maniera più semplice e cordiale, attraverso una serie di ritratti che illuminano i protagonisti in una luce più vera, spogliandoli dei paramenti che fin qui ce li nascondevano. (introduzione) *{{NDR|[[Numa Pompilio]]}} Quelle che più lo interessavano erano le questioni religiose. E siccome in questa materia ci doveva essere una grossa anarchia perché ognuno dei tre popoli {{NDR|etruschi, latini e sabini}} venerava i propri {{sic|dèi}}, fra i quali non si riusciva a capire chi fosse il più importante, Numa decise di mettervi ordine. E per imporlo, questo ordine, ai suoi riottosi sudditi, fece spargere la notizia che ogni notte, mentre dormiva, la ninfa Egeria veniva a visitarlo in sogno dall'Olimpo per trasmettergliene direttamente le istruzioni. Chi vi avesse disobbedito, non era col re, uomo fra gli uomini, che avrebbe dovuto vedersela, ma col Padreterno in persona. (Rizzoli 1959, cap. 3, ''I re agrari'', pp. 37-38) *[[Tarquinio Prisco|Lucio Tarquinio]] e i suoi amici etruschi dovettero veder subito che profitto si poteva trarre da questa massa di gente, per la maggior parte esclusa dai comizi curiati, se si fosse potuta convincerla che solo un re forestiero come lui avrebbe potuto farne valere i diritti. E per questo l'arringò, promettendole chissà cosa, magari ciò che poi fece davvero. [...] Certamente ci riuscirono perché Lucio Tarquinio fu eletto col nome di Tarquinio Prisco, rimase sul trono trentotto anni, e per liberarsi di lui i ''patrizi'', cioè i «terrieri», dovettero farlo assassinare. Ma inutilmente. Prima di tutto perché la corona, dopo di lui, passò al figlio, eppoi a suo [[Tarquinio il Superbo|nipote]]. In secondo luogo perché, più che la causa, l'avvento della dinastia dei Tarquini fu l'effetto di una certa svolta che la storia di Roma aveva subìto e che non le consentiva più di tornare al suo primitivo e arcaico ordinamento sociale e alla politica che ne derivava. (RCS 2004, cap. 4, ''I re mercanti'', pp. 38-39) *Questo secondo [[Tarquinio il Superbo|Tarquinio]], prima di rischiare il colpo, tentò di far deporre lo zio per abuso di potere. Servio si presentò alle centurie che lo riconfermarono re con plebiscitaria acclamazione (lo racconta [[Tito Livio]], gran repubblicano, dunque dev'esser vero). Non restava quindi che il pugnale, e Tarquinio lo usò senza troppi scrupoli. Ma il respiro di sollievo che trassero i senatori, coi quali si era alleato, rimase loro in gola, quando videro l'uccisore sedersi a sua volta sul trono d'avorio senza chieder loro permesso, come avveniva a quei buoni vecchi tempi ch'essi speravano di restaurare. Il nuovo sovrano si mostrò subito più tirannico di quello che aveva spedito all'altro mondo. E infatti lo ribattezzarono «il Superbo» per distinguerlo dal fondatore della dinastia. (RCS 2004, cap. 4, ''I re mercanti'', pp. 42-43) *Non sappiamo quasi nulla di [[Lars Porsenna|Porsenna]]. Ma dal modo come si condusse, dobbiamo dedurre che alle doti del bravo generale doveva accoppiare quelle del sagace uomo politico. Egli si rese conto che negli argomenti di [[Tarquinio il Superbo|Tarquinio]] c'era del vero. Ma prima d'impegnarsi, volle essere sicuro di due cose: che il Lazio e la Sabina erno davvero pronti a schierarsi dalla sua parte, e che nella stessa Roma c'era una «quinta colonna» monarchica pronta a facilitargli il compito con un'insurrezione. (RCS 2004, cap. 5, ''Porsenna'', p. 49) *Da quell'anno 508 in cui fu fondata la repubblica, tutti i monumenti che i romani innalzarono un po' dappertutto portarono sempre la sigla SPQR che vuol dire: ''Senatus PopuluSque Romanus'', cioè «il Senato e il popolo romano». Cosa fosse il Senato, già lo abbiamo detto. Viceversa non abbiamo ancora detto cos'era il popolo, che non corrispondeva affatto a ciò che noi intendiamo con questa parola. In quei lontani giorni di Roma esso non comprendeva «tutta» la cittadinanza, come avviene oggi, ma soltanto due «ordini», cioè due classi: quella dei «patrizi» e quella degli ''equites'' o «cavalieri». (RCS 2004, cap. 6, ''SPQR'', p. 54) *{{NDR|[[Sacco di Roma (390 a.C.)]]}} Gli storici che lo hanno raccontato a cose fatte hanno avvolto di molte leggende questo capitolo che dovett'essere per l'Urbe molto spiacevole. Dicono che quando i [[galli]] fecero per dare la scalata al [[Campidoglio]], le oche sacre a Giunone cominciarono a stridere risvegliando così [[Marco Manlio Capitolino|Manlio Capitolino]] che, alla testa dei difensori, respinse l'attacco. Sarà. Però i galli in Campidoglio entrarono ugualmente come in tutto il resto della città, donde la popolazione era fuggita in massa per rifugiarsi su monti circostanti. (Rizzoli 1959, cap. 6, ''SPQR'', pp. 81-82) *[...] i galli espugnarono Roma, la misero a sacco, e se ne andarono incalzati dalle legioni, ma carichi di quattrini. Erano predoni gagliardi e zotici, che non seguivano nessuna linea politica e strategica nelle loro conquiste. Assalivano, depredavano e si ritiravano senza punto preoccuparsi del domani. Avessero potuto immaginare che vendetta Roma avrebbe tratto da quella umiliazione, non vi avrebbero lasciato pietra su pietra. (Rizzoli 1959, cap. 6, ''SPQR'', pp. 82-83) *Tutti i dittatori della Roma repubblicana, meno uno, furono patrizi. Tutti, meno due, rispettarono i limiti di tempo che furono loro imposti. Uno di essi, [[Lucio Quinzio Cincinnato|Cincinnato]], che, dopo soli sedici giorni di esercizio della suprema carica, tornò spontaneamente ad arare il campo coi buoi, è passato alla storia coi colori della leggenda. (RCS 2004, cap. 9, ''La carriera'', p. 85) *Negli ultimi tempi {{NDR|[[Cesare]]}} si era spinto anche più in là: aveva imposto che tutte le discussioni che si svolgevano in quel solenne e aristocratico consesso venissero registrate e pubblicate giorno per giorno. Così nacque il primo giornale. Si chiamò ''[[Acta Diurna|Acta diurna]]'', e fu gratuito, perché, invece di venderlo, lo affiggevano ai muri in modo che tutti i cittadini potessero leggerlo e controllare ciò che facevano e dicevano i loro governanti. L'invenzione fu d'immensa portata perché sancì il più democratico di tutti i diritti. Il Senato, che traeva prestigio anche dalla sua segretezza, fu così sottoposto alla pubblica opinione, e non si riebbe mai più da questo colpo. (RCS 2004, cap. 24, ''Cesare'', p. 214) *Se riuscirò ad affezionare alla storia di Roma qualche migliaio di italiani, sin qui respinti dalla sussiegosità di chi gliel'ha raccontata prima di me, mi riterrò un autore utile, fortunato e pienamente riuscito. (introduzione) *Sull'esattezza di quel che [[Tito Livio|Livio]] riferisce facciamo le nostre riserve, specie là dov'egli mette in bocca ai suoi personaggi interi discorsi che somigliano più a Livio che a loro. La sua è una storia di eroi, un immenso affresco a episodi, e serve più a esaltare il lettore che a informarlo. [[Roma]], a dargli retta, sarebbe stata popolata soltanto, come l'Italia di Mussolini, da guerrieri e navigatori assolutamente disinteressati, che conquistarono il mondo per migliorarlo e moralizzarlo. Gli uomini, secondo lui, sono divisi in buoni e cattivi. A Roma c'erano solamente i buoni, e fuori di Roma solamente i cattivi. Anche un grande generale come [[Annibale]] diventa, sotto la sua penna, un comune mariuolo. Ciò non toglie che la storia di Livio, costata cinquant'anni di fatiche a un autore che si dedicò soltanto ad essa, resti un gran monumento letterario. Forse il più grande fra quelli, piuttosto mediocri, eretti sotto il segno di [[Augusto]]. (cap. 30, ''Orazio e Livio'') *Può darsi che [[Dione Cassio]] e [[Svetonio]], nel loro odio per la monarchia, abbiano un po' calcato la mano. Ma matto, [[Caligola]] doveva esserlo davvero. (cap. 31, ''Tiberio e Caligola'') *[[Vitellio]], quando fu catturato nel suo nascondiglio, dove, tanto per cambiare, banchettava, fu trascinato nudo per la città con un laccio al collo, bersagliato di escrementi, torturato con ponderata lentezza, e alla fine gettato nel Tevere.<br>Questa città che si divertiva al fratricidio, questi eserciti che si ribellavano, questi imperatori che venivano subissati di sterco pochi giorni dopo essere stati coperti di osanna: ecco cos'era diventata la capitale dell'Impero. (Rizzoli 1959, cap. 37, ''I Flavi'', pp. 415-416) *Purtroppo la pace, per ottenerla, bisogna essere in due a volerla. (cap. 37, ''I Flavi'') *Era la prima volta, nella storia di Roma, che una guerra si combatteva in nome della religione. Ma fu la Croce che vinse. E il Tevere, trascinando verso la foce i cadaveri di [[Massenzio]] e dei suoi soldati che lo ingombravano, sembrò che spazzasse via i residui del mondo antico. (cap. 46, ''Costantino'') *Il papa che più contribuì a rassodare l'organizzazione in questi primi difficili anni fu [[Papa Callisto I|Callisto]], che molti consideravano un avventuriero. Dicevano che, prima di convertirsi, aveva fatto i quattrini con sistemi piuttosto equivoci, era diventato banchiere, aveva derubato i suoi clienti, era stato condannato ai lavori forzati ed era fuggito con un inganno. Il fatto che, appena diventato papa, proclamasse valido il pentimento per cancellare qualunque peccato, anche mortale, ci fa sospettare che in queste voci un po' di verità c'è. Comunque, fu un gran papa, che stroncò il pericoloso scisma d'[[Ippolito di Roma|Ippolito]] e affermò definitivamente l'autorità del potere centrale. (RCS 2004, cap. 46, ''Costantino'', p. 367) *Le rivoluzioni vincono non in forza delle loro idee, ma quando riescono a confezionare una classe dirigente migliore di quella precedente. E il [[Cristianesimo]] era riuscito proprio in questa impresa. (cap. 47, ''Il trionfo dei cristiani'') *[[Costantino]] fu uno strano e complesso personaggio. Faceva gran scialo di fervore cristiano, ma nei suoi rapporti di famiglia non si mostrò molto ossequente ai precetti di Gesù. Mandò sua madre Elena a Gerusalemme per distruggere il tempio di Afrodite che gli empi governatori romani avevano elevato sulla tomba del Redentore, dove, secondo Eusebio, fu ritrovata la croce su cui era stato suppliziato. Ma subito dopo mise a morte sua moglie, suo figlio e suo nipote. (cap. 47, ''Il trionfo dei cristiani'') *Come tutti i grandi Imperi, quello romano non fu abbattuto dal nemico esterno, ma roso dai suoi mali interni. (cap. 51, ''Conclusione'') *Una religione conta non in quanto costruisce dei templi e svolge certi riti; ma in quanto fornisce una regola morale di condotta. Il [[paganesimo]] questa regola l'aveva fornita. Ma quando Cristo nacque, essa era già in disuso, e gli uomini, consciamente o inconsciamente, ne aspettavano un'altra. Non fu il sorgere della nuova fede a provocare il declino di quella vecchia; anzi, il contrario. (cap. 51, ''Conclusione'') *Il dispotismo è sempre un malanno. Ma ci sono delle situazioni che lo rendono necessario. (cap. 51, ''Conclusione'') ===[[Explicit]]=== Mai città al mondo ebbe più meravigliosa avventura. La sua storia è talmente grande da far sembrare piccolissimi anche i giganteschi delitti di cui è disseminata. Forse uno dei guai dell'Italia è proprio questo: di avere per capitale una città sproporzionata, come nome e passato, alla modestia di un popolo che, quando grida «Forza Roma!», allude soltanto a una [[Associazione Sportiva Roma|squadra di calcio]]. ==''XX Battaglione eritreo''== ===[[Incipit]]=== Sono letterato. E, a parte il brutto e il meschino di quella parola, il mio mestiere m'innamora. Mi sono sforzato tanti anni, per compiacere a qualcuno o a qualcosa, di tradire questo mio istinto. Ma non ce l'ho fatta. E non ce la fo nemmeno ora, soldato in Africa, in piena guerra. Ma non lo dico per presentare il conto. E a chi, poi? Lo dico per un fenomeno di narcisismo: perché mi garba contemplarmi in questo gesto di fedeltà al mestiere, che poi vuol dire fedeltà a me stesso. ===Citazioni=== *Essere [[Àscari|ascaro]] vuol dire, press'a poco, avere un blasone; vuol dire avere tre lire al giorno, più un'indennità vestiario, più un'indennità farina, più un'indennità carne; vuol dire avere un ''tarbush'' e una fascia coi colori del battaglione; vuol dire soprattutto avere un fucile. La gente di questo Paese segue una logica sistematica semplice e dritta: l'umanità si divide in due categorie: gli armati che sono i forti, i disarmati che sono i deboli. Al culmine della gerarchia sociale sta il possessore di fucile, il guerriero: che è tanto più importante quanto più elevato è il suo grado e quanto è maggiore la sua anzianità. (p. 25) *[[Pietro Toselli|Toselli]]. Questo nome non ha in Italia la risonanza che ha qui. Toselli non è un uomo, è una leggenda: non solo alla cronaca, ma sfugge anche alla storia. È rimasto nei canti di questa gente, nelle sue memorie e anche nelle sue speranze. Pur ieri mi diceva il vecchio Sciumbasci, reduce di Adua e ora capopaese di Digsa, che «le cose che si sanno sono molto meno di quelle che non si sanno» e che «il fatto è questo: che il corpo del maggiore Toselli non era più sul campo dopo la battaglia». Su quello che ne sia avvenuto le opinioni sono discordi, ma nessuno crede che il maggiore sia morto. (pp. 35-36) *Appollaiato ai suoi piedi, nascosto fra il verde tenero degli eucalipti, stava [[Alessandro Pirzio Biroli|Pirzio Biroli]]. Il suo nome era mormorato con circospezione dagli [[Àscari|ascari]] disseminati fra le rocce di Mai Egadà a Saganeiti, da Agordar ad Assab, a Cheren, ad Adi Ugri, ad Adi Caieh. Raramente lo si vedeva e sempre a cavallo. Accanto a lui cavalcava Chiarini, la piccola ombra fedele, il fantasma sorto una notte da un roveto della conca di Adua. Chiarini, settantenne, pallido, non scompariva nell'alone magico che Pirzio, il buon gigante, suscitava intorno. (pp. 87-88) *Poi arrivava anche lui, [[Alessandro Pirzio Biroli|Pirzio]] il leone, altissimo, quadrato, col profilo calmo incorniciato dalla folta criniera. Il cavallo, domo dai suoi ginocchi di ferro, caracollava senza un tentativo di ribellione. Dalla sella pendevano, di qua e di là, due aquile colossali, abbattute in volo dal moschetto infallibile di Pirzio. Nessuna tromba sonava l'attenti al suo ingresso. Non ce n'era bisogno. Tutti, nel quartiere, sentivano come per miracolo la sua presenza e restavano ischeletriti. Pirzio non se n'accorgeva: era uno di quegli uomini pei quali gli uomini sentono rispetto per istinto e che passano attraverso la vita come attraverso un'eterna parata, fra due file di bipedi schiaffati meccanicamente sull'attenti. Gli [[Àscari|ascari]] ebbero ragione quando lo battezzarono «il Leone»: non aveva bisogno di ruggire perché il largo gli si facesse automaticamente intorno. (pp. 88-89) ===[[Explicit]]=== Vorremmo ristare dopo la guerra? Il mondo è così visto che nessun limite precisa al desiderio. Italiani, continuate ad aver fame anche dopo aver mangiato. Questa guerra è per noi come una bella lunga vacanza dataci dal Gran Babbo in premio di tredici anni di banco di scuola. E, detto fra noi, era ora. ==Citazioni su Indro Montanelli== *A leggerlo sembrerebbe un disordinatore di professione: sempre pronto a mugugnare, sempre a prendersela con qualcuno. Poi però, quando si tratta di scendere sul pratico, ci consiglia di turarci il naso e di andare a votare per l'Ordine. vallo a capire. ([[Luciano De Crescenzo]]) *Amo Indro Montanelli, ma non i suoi emuli. I polemisti per posa non mi piacciono, non li ritengo utili. Ma lui non era un polemista fine a se stesso, come tanti dei suoi presunti eredi. Era piuttosto, come da titolo di una sua fortunata rubrica, controcorrente. Non si curava delle convenienze, dei vantaggi che gli sarebbero derivati nel seguire l'onda di [[pensiero]] prevalente. Aveva la sua visione delle cose, sempre originale e spesso esatta. Io credo che dire quel che si pensa premi sempre. Montanelli lo faceva, e andava a letto tranquillo. ([[Fabio Genovesi]]) *C'è davvero qualcosa di singolare nel modo in cui è venuta formandosi la memoria della Repubblica, nel modo in cui tale memoria è stata ed è elaborata dalla cultura ufficiale del Paese. Per molti decenni, ad esempio, a quanto accaduto dal 1943 al '45 fu vietato dare il nome che gli spettava, il nome cioè di [[Guerra civile in Italia (1943-1945)|guerra civile]]. Parlare di guerra civile era giudicato fattualmente falso, e ancor di più ideologicamente sospetto. Bisognava dire che quella che c'era stata era la resistenza, non la guerra civile; di guerra civile parlavano e scrivevano, allora, solo i reduci di Salò, i nostalgici del regime e qualche coraggioso giornalista o pubblicista di rango come Indro Montanelli, che mostravano così da che parte ancora stavano. Le cose andarono in questo modo a lungo. Finché, all'inizio degli anni Novanta, come si sa, uno storico di sinistra, [[Claudio Pavone]], scrisse un libro sul periodo 1943-'45 che si intitolava precisamente ''Una guerra civile'': solamente da allora tutti abbiamo potuto usare senza problemi questa espressione, ben inteso non cancellando certo la parola resistenza. ([[Ernesto Galli della Loggia]]) *È uno che riesce a spiegare agli altri quello che non capisce nemmeno lui. ([[Mario Missiroli]]) *È vero che ha cambiato parere politico più volte, ma sempre perché profondamente preoccupato per le sorti del paese. Ma Indro ha cambiato parere sempre meno di quei giornalisti che da Lotta Continua sono passati a Comunione e Liberazione per approdare infine a dirigere quotidiani di Stato. Senza contare tutti coloro che da stalinisti o maoisti sono diventati prima antimarxisti e ora clintoniani: Montanelli ragiona, loro vogliono avere sempre ragione. ([[Fausto Gianfranceschi]]) *Indro è naturalmente inclinato, direi quasi condannato a vedere più i ''tics'' degli uomini che le loro qualità e nessuno come lui fa più uso, nei suoi ritratti, dell'acido prussico. ([[Eugenio Montale]]) *{{maiuscoletto|Indro Montanelli}}. L'Italia dei Luoghi Comuni. ([[Marcello Marchesi]]) *Io mi sono limitato ad adottare la sua formula giornali­stica. Ma l'ho realizzata meglio perché mi sono sempre esposto, ci ho messo la faccia. Lui invece era come Veltroni: "Sì, ma an­che". Non si schierava nettamente, il suo editoriale era così in chiaroscuro che alla fine non capivi mai se fosse chiaro o scuro. Il che non significa che non resti il migliore di tutti noi. Ho venduto più di lui solo perché a me la gente non fa schifo. ([[Vittorio Feltri]]) *Mi sono sentito in imbarazzo per lui, e il mio primo pensiero è stato il rifiuto – «no, povero Montanelli» – quando all'ingresso dei giardini di via Palestro mi sono trovato davanti alla sua statua, al punto che ho pensato che ci sono vandali che distruggono e vandali che costruiscono, e che anzi, per certi aspetti, il vandalismo che crea è ben peggiore, perché tenta di disarmarti con le sue buone intenzioni. Dunque era di mattina, molto presto, e i giardini erano vuoti, al sole. Ebbene in questo vuoto, la statua mi è apparsa all'improvviso: una figurina in gabbia che non ha niente a che fare con Montanelli, se non perché lo offende anche fisicamente, lui che era così "verticale", e che ci invitava a buttare via «il grasso» e la retorica monumentale. Il giornalista che ogni volta si ri-definiva in una frase, in un concetto, in un aforisma, in una citazione, è stato per sempre imprigionato in una scatola di sardine. Perciò ho provato il disagio che sempre suscita il falso, la patacca, la similpelle che non è pelle, perché non solo questo non è Montanelli, come ci ha insegnato Magritte che dipinse una pipa e ci scrisse sotto "questa non è una pipa". Il punto è che questa non è neppure una statuta di Montanelli, ma di un montanelloide in bronzo color oro, che ha la presunzione ingenua e goffa di imprigionare il Montanelli entelechiale, il Montanelli che era invece l'asciuttezza, era il corpo più "instatuabile" del mondo, troppo alto, troppo energico, troppo nervoso, incontenibile nello spazio e nel tempo com'è l'uomo moderno, che è nomade e ha un'identità al futuro. Era il più grande nemico delle statue il Montanelli che sempre ci sorprendeva, fascista ma con la fronda, conservatore ma anarchico, con la sinistra ma di destra, un uomo di forte fascino maschile che tuttavia non amava raccogliere i trofei del fascino maschile, ingombrante ma discreto, il solo che nella storia d' Italia abbia rifiutato la nomina a senatore a vita perché, diceva, «i monumenti sono fatti per essere abbattuti», come quello di Saddam, o di Stalin o di Mussolini. Come si può fare una statua ingombrante e discreta? Come si può fare un monumento all'antimonumento? ([[Francesco Merlo]]) *Montanelli comprò una sposa ragazzina di 11-12 anni. In realtà non possiamo sapere con precisione l'età perché nei villaggi africani non si registravano le nascite. Ma la comprò, questo lo sappiamo. E la violentò più volte. sappiamo anche questo, è stato lui a raccontare che lei non voleva. [...] Da italiano Montanelli avrebbe potuto riconoscere i segni di quella crudeltà e discostarsene. Non lo fece perché condivideva evidentemente quella cultura patriarcale. Perché non mettere al posto della sua statua quella di una donna della Resistenza? In Italia vorrei vedere più statue di donne partigiane. ([[Maaza Mengiste]]) *Montanelli disprezzava la borghesia che difendeva, e ammirava i comunisti che attaccava. Era convinto che la rivolta di Budapest si dovesse a operai che volevano il vero socialismo; mentre fu una rivolta nazionalista e antisovietica. ([[Enzo Bettiza]]) *Montanelli è il campione di indipendenza dalla politica, anche se sono arrabbiato con lui perché mi ha insegnato regole di comportamento anacronistiche, che nel giornalismo odierno non valgono più. ([[Daniele Vimercati]]) *Montanelli ha sempre avuto una componente di destra. È stato un uomo di destra come fascista, uomo di destra come sostenitore dei governi dc sia pure turandosi il naso. [...] Adesso è un uomo di destra qualunquista, ma sempre di destra. ([[Ugo Intini]]) *Montanelli, un misantropo che cerca compagnia per sentirsi più solo. ([[Leo Longanesi]]) *Quanto mi ha insegnato: le parole da non usare, le cose da non dire, la persone da non frequentare. ([[Beppe Severgnini]]) *Recentemente sono stato insignito del Premio Montanelli alla carriera che dovrebbe essermi consegnato a ottobre a Fucecchio, a meno che nel frattempo non mi sia revocato per indegnità, sempre in nome della libertà di informazione. Sono certo che il vecchio Indro non avrebbe condiviso nemmeno un fonema del mio necrologio sul Mullah {{NDR|Omar}}, ma sono altrettanto certo che non si sarebbe mai sognato di bloccarlo. Caso mai ci avrebbe riso su, considerandolo una provocazione, anche se provocazione non era. Perché Montanelli era un vero liberale. Quando i liberali esistevano ancora. ([[Massimo Fini]]) *Sa spalmare una così giusta misura di miele sull'orlo del nappo avvelenato che prepara per questo o per quello, che spesso la vittima muore senza accorgersene, ingannata dai soavi licori. ([[Paolo Monelli]]) *Scalfari e Montanelli direttori all'antica, padroni, mattatori che ricordano gli Scarfoglio, i vecchi direttori dell'ottocento che non solo incrociavano la penna ma anche la spada in una rissa continua con tutt ([[Ugo Intini]]) *Si può raccontare la [[storia]] in forma lieve, senza essere troppo ponderosi, rispettando tuttavia le fonti e la verità storica. Montanelli era molto bravo a scrivere, ma in fondo ne sapeva poco, gli piaceva gigioneggiare, sprofondava nell'anacronismo. Oggi ci si è accorti che, nel raccontare la storia, essere rigorosi ed essere divertenti non è conflittuale. ([[Alessandro Barbero]]) *So solo che Montanelli è fatto così: un maestro di giornalismo che ogni tanto s'impenna con qualcuna delle sue bizzarrie. ([[Giorgio Bocca]]) *Una volta, parecchi anni fa, Indro Montanelli, dicendosi disgustato della morbidezza e della mollezza della [[Democrazia Cristiana]], che ammorbidiva, incorporava, estenuava e alla fine innocuizzava qualsiasi opposizione, togliendole ogni soddisfazione e dignità, mi mostrò una fotografia, incastonata in una cornicetta d'argento, che teneva, a mo' di santino, come altri fanno con le immagini della madre o della moglie e dei figli, sulla sua scrivania, al «Giornale». Con sorpresa vidi che si trattava di Stalin. «Con questo ci sarebbe stato gusto, a battersi», disse. ([[Massimo Fini]]) *Ognuno può pensarla come vuole, ma quando si passa dalla cronaca alla storia è necessario mantenere un giusto approccio ed essere oggettivi sui valori della persona. Indro Montanelli è stato forse il più autorevole giornalista che l’Italia ha avuto nel ventesimo secolo. La Toscana penserà ad azioni per valorizzarlo. ([[Eugenio Giani]]) ===[[Enzo Biagi]]=== *A Indro Montanelli devo molto: intanto, l'idea che chi conta è il pubblico. Poi la necessità di essere chiari, di far anche fatica, perché chi legge non ha voglia di impegnarsi troppo, e solo se uno si chiama [[James Joyce|Joyce]] può essere difficile. *Montanelli se n'è sempre fregato delle critiche, io molto meno, ho un carattere permaloso, spesso non ho resistito alla tentazione di rispondere a chi mi attaccava. Indro mi sgridava, diceva a mia moglie di tenermi calmo, che non ne valeva la pena, che erano tutte bischerate. [...] Per lui il buon risultato era il sorriso di un passante, l'oste che gli trovava il tavolo. Qualcuno si chiedeva che cos'avesse di speciale. A pensarci bene, niente. Scriveva degli articoli che erano letti e dei libri che si vendevano. *Non è una gran notizia che Indro e io non abbiamo mai fatto parte del coro, ma fu una grande notizia la spiegazione che ne diede Berlusconi: "Biagi e Montanelli hanno invidia del mio successo". La prima cosa che mi venne in mente fu: "Sai che risate si starà facendo Indro adesso". Poi mi dissi che c'era poco da ridere. ==Note== <references/> ==Bibliografia== *Indro Montanelli, ''Qui non riposano'', Marsilio, 1982 (1945). *Indro Montanelli, ''Pantheon minore'' (incontri), Longanesi e C., Milano, 1950. {{NoISBN}} *Indro Montanelli, ''Gli incontri'', Rizzoli, Milano, 1967. {{NoISBN}} *Indro Montanelli, ''Storia dei greci'', Rizzoli, Milano, 1992. ISBN 8817115126 *Indro Montanelli, ''Storia dei greci'', RCS Quotidiani, Milano, 2004. ISBN 1-129-08505-8 *Indro Montanelli, ''Storia di Roma'', Longanesi, Milano, 1957; Rizzoli, Milano, 1959. {{NoISBN}} *Indro Montanelli, ''Storia di Roma'', RCS Quotidiani, Milano, 2004. ISBN 1-129-08505-8 *Indro Montanelli, ''L'Italia giacobina e carbonara (1789-1831)'', Rizzoli, Milano, 1971. {{NoISBN}} *Indro Montanelli, ''L'Italia del Risorgimento (1831-1861)'', terza edizione, Rizzoli, Milano, 1972. {{NoISBN}} *Indro Montanelli, ''L'Italia dei notabili (1861-1900)'', Rizzoli, Milano, 1973. {{NoISBN}} *Indro Montanelli, ''L'Italia di Giolitti (1900-1920)'', Rizzoli, Milano, 1974. {{NoISBN}} *Indro Montanelli, ''L'Italia in camicia nera (1919-3 gennaio 1925)'', Rizzoli, Milano, 1976. *Indro Montanelli, ''Dante e il suo secolo'', Rizzoli, Milano, 1974. {{NoISBN}} *Indro Montanelli, ''I protagonisti'', Rizzoli, Milano, 1976. {{NoISBN}} *Indro Montanelli, ''Controcorrente'', Editoriale Nuova, Milano, 1978. {{NoISBN}} *Indro Montanelli, ''Controcorrente 1974-1986'', Arnoldo Mondadori Editore, Milano, 1987. ISBN 8804300558 *Indro Montanelli, ''Il meglio di «Controcorrente». 1974-1992'', Rizzoli, Milano, 1993. ISBN 8817428078 *Indro Montanelli, ''Il testimone'', TEA, Milano, 1993. ISBN 8878194182 *Indro Montanelli, ''Le Stanze. Dialoghi con gli italiani'', Rizzoli, Milano, 1998. ISBN 8817852597 *Indro Montanelli, ''Le nuove Stanze'', Rizzoli, Milano, 2001. ISBN 8817868426 *Indro Montanelli, ''Soltanto un giornalista. Testimonianza resa a Tiziana Abate'', BUR, Milano, 2003. ISBN 8817107042 *Indro Montanelli, ''I conti con me stesso. Diari 1957-1978'', a cura di [[Sergio Romano]], Rizzoli, Milano, 2010. ISBN 8817028202 ([http://books.google.it/books?id=fuh--fZGHMcC&printsec=frontcover Anteprima su Google Libri]) *Indro Montanelli, ''Ricordi sott'odio'', Milano, Rizzoli, 2011, ISBN 978-88-17-04963-4 *Indro Montanelli, ''Indro al Giro. Viaggio nell'Italia di Coppi e Bartali. Cronache del 1947 e 1948'', a cura di Andrea Schianchi, Collana Saggi italiani, Milano, Rizzoli, 2016. ISBN 978-88-1708-969-2 *Paolo Granzotto, ''Montanelli'', Bologna, Il Mulino. ISBN 88-15-09727-9 *Paolo Occhipinti (a cura di), ''Caro Indro... Dialoghi di Montanelli con il direttore di Oggi. 1993-2001. Il meglio di una rubrica di successo durata otto anni'', RCS, Milano, 2002. ==Voci correlate== *[[Colette Rosselli]] *[[Indro Montanelli e Roberto Gervaso]] *[[Indro Montanelli e Mario Cervi]] *[[Indro Montanelli e Marco Nozza]] *''[[Il generale Della Rovere]]'' (film 1959) ==Altri progetti== {{interprogetto}} ===Opere=== {{Pedia|La Voce (quotidiano)|''La Voce''}} {{Pedia|Storia d'Italia (Montanelli)|''Storia d'Italia''}} {{DEFAULTSORT:Montanelli, Indro}} [[Categoria:Drammaturghi italiani]] [[Categoria:Giornalisti italiani]] [[Categoria:Saggisti italiani]] [[Categoria:Commediografi italiani]] oyiys6hy1labz2cs3xlyc76c9q79gb7 1381941 1381939 2025-07-01T20:08:06Z ~2025-110542 103361 /* La Stampa */ 1381941 wikitext text/x-wiki [[File:IndroMontanelliLettera22.jpg|thumb|upright=1.5|Indro Montanelli alla sede del ''Corriere della Sera'']] '''Indro Montanelli''' (1909 – 2001), giornalista, saggista e commediografo italiano. ==Citazioni di Indro Montanelli== [[File:Indro Montanelli 1936.jpg|miniatura|Indro Montanelli, ufficiale del Regio Esercito, 1936]] *[[Gianni Agnelli|Agnelli]] ha detto che non siamo nella repubblica delle banane, però qualche banana in Italia c'è, perché avvengono cose veramente singolari.<ref>Citato in Marco Travaglio, ''Bananas'', Garzanti, Milano, 5 maggio 2001.</ref> *Al [[conformismo]] l'[[ironia]] fa più paura d'ogni [[Argomentazione|argomentato ragionamento]].<ref>Da ''Controcorrente'', Editoriale Nuova, Milano, 1978.</ref> *{{NDR|[[Ferdinando I delle Due Sicilie]]}} Aveva sulla coscienza la vita di migliaia d'infelici, morti sulla forca e nelle galere solo per aver voluto un po' di libertà. Era stato spergiuro. Non aveva conosciuto che disfatte e fughe ignominiose di fronte al nemico. Politicamente, era rimasto fermo alla concezione settecentesca del più retrivo assolutismo. Non aveva fatto che i propri interessi, e più ancora i propri comodi, della regalità prendendosi solo i piaceri. Non aveva saputo che incrementare l'ignoranza di cui egli stesso era campione. Eppure, il cordoglio popolare per la sua morte non ci stupisce, perché un dono lo aveva avuto: la genuinità. Questo Re fellone e fannullone non aveva mai cercato di apparire diverso da quel che era: uno scugnizzo dei «bassi», prepotente, ridanciano e sboccato, nato per caso con una corona in testa e che aveva sempre concepito la sua parte come quella di un buon capo-camorra. Non aveva interpretato che i caratteri deteriori del popolo napoletano, ma anche i più appariscenti e riconoscibili.<ref>Da ''L'Italia unita. {{small|Da Napoleone alla svolta del Novecento}}'', Rizzoli BUR, Milano, 2015, [https://books.google.it/books?id=8J7tCgAAQBAJ&lpg=PT206&dq=&pg=PT206#v=onepage&q&f=false p. 206]. eISBN 978-88-58-68272-2</ref> *Avevo capito fin dal primo incontro che l'aggressività di [[Anna Magnani|Anna {{NDR|Magnani}}]] era solo la maschera della sua insicurezza. Era una donna difficile e sempre agli estremi di tutto: della dolcezza come del furore, e non si capiva mai bene, forse non lo capiva nemmeno lei, quanto l'uno e l'altra fossero veri, o soltanto scena. Certo è che dall'uno all'altra passava con fulminea velocità e tenendo chiunque in stato di fibrillazione. <ref>Da ''Anna Magnani, la più grande attrice del nostro cinema'', 23 ottobre 1999, in ''Le Nuove stanze'', a cura di Michele Brambilla, RCS Libri, Milano, 2002, p. 280.</ref> *{{NDR|[[Walter Chiari]]}} Avrebbe meritato 30 anni di prigione per lo spreco del suo talento.<ref>Citato in Luciano Giannini, ''[https://www.ilmattino.it/AMP/cultura/walter_chiari_100_walter_sottotitolo_chiari_biografia_di_un_genio_irregolare-7954361.html Walter Chiari genio irregolare che confessava di aver vissuto]'', ''Il Mattino'', 24 febbraio 2024</ref> *[[Silvio Berlusconi|Berlusconi]] è una persona intelligente finché riesce a ragionare col suo cervello: il suo cervello è valido. Ma lui, oltre al cervello, ha le viscere, e molto spesso le viscere prendono la prevalenza sul cervello. E quando lui si abbandona alle viscere, secondo me, diventa uomo pericoloso. Questo lo dico a lei perché l'ho detto a lui, perché gliel'ho anche scritto.<ref name="milano">Dal programma televisivo ''Milano, Italia'', Rai 3, 11 gennaio 1994.</ref> *[[Silvio Berlusconi|Berlusconi]] ha straordinarie qualità di imprenditore – coraggio, fantasia, forza di lavoro – che gli hanno valso il successo in tutti i campi in cui si è cimentato. Una sola cosa non gli riesce di fare, il presidente di una società di calcio.<ref>Da ''[http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/1987/01/20/ora-montanelli-critica-berlusconi.html Ora Montanelli critica Berlusconi]'', ''la Repubblica'', 20 gennaio 1987.</ref> *[[Silvio Berlusconi|Berlusconi]] non ha idee: ha solo interessi.<ref>2001; citato in [[Marco Travaglio]], ''Ad personam'', Chiarelettere, Milano, 2010, p. 39, ISBN 978-88-6190-104-9.</ref> *{{NDR|Su [[Aldo Moro]]}} Calvinista a rovescio, invece che nella predestinazione della [[Grazia divina|grazia]], credeva in quella della [[disgrazia]].<ref>Citato in [[Roberto Gervaso]], ''Ve li racconto io'', Mondadori, Milano, 2006, pp. 310-311, ISBN 88-04-54931-9.</ref> *Certo, per un direttore di giornale, avere sottomano un [[Marco Travaglio|Travaglio]], che su qualsiasi protagonista, comprimario e figurante della vita politica italiana è pronto a fornirti su due piedi una istruttoria rifinita nel minimo dettaglio è un bel conforto. Ma anche una bella inquietudine. Il giorno in cui gli chiesi se in quel suo archivio, in cui non consente a nessuno di ficcare il naso, ci fosse anche un fascicolo intitolato al mio nome, Marco cambiò discorso.<ref>Dalla prefazione a Marco Travaglio, ''Il Pollaio delle Libertà'', Vallecchi, Firenze, 1995.</ref> *Chi di voi vorrà fare il [[giornalista]], si ricordi di scegliere il proprio padrone: il [[lettore]].<ref>Dalla lezione di giornalismo all'Università di Torino, 12 maggio 1997; citato in ''La Stampa'', 14 aprile 2009.</ref> *Conosco molti furfanti che non fanno i [[Morale|moralisti]], ma non conosco nessun moralista che non sia un furfante. Senza, per carità, allusione a [[Eugenio Scalfari|Scalfari]]. Solo come promemoria.<ref>Citato in [[Eugenio Scalfari]], ''Incontro con io'', Rizzoli, Milano, 1994, ISBN 8806200747.</ref> *Cosa c'è meglio di [[Romano Prodi|Prodi]]? Governa fra compromessi e imbroglietti. I nostri soci sanno benissimo che siamo imbroglioni, che sui conti che portiamo all'Europa s'è un po' imbrogliato. Accettano lo stesso, purché non s'esageri. E [[Carlo Azeglio Ciampi|Ciampi]] non esagera, è un economista serio e vero. [...] {{NDR|Romano Prodi}} Con la faccia da mortadella, l'ottimismo inossidabile e l'eterno sorriso, ci porterà in Europa: ringraziamo Dio, e anche [[Massimo D'Alema|D'Alema]], che ci hanno dato Prodi.<ref name=Montanelli>Citato in Francesco Battistini ''[https://web.archive.org/web/20160101000000/http://archiviostorico.corriere.it/1997/dicembre/19/Montanelli_ragazzi_rifate_68_co_0_97121914987.shtml Montanelli: ragazzi, rifate il '68]'', ''Corriere della Sera'', 19 dicembre 1997.</ref> *Dicono che [[Ciriaco De Mita|De Mita]] sia un intellettuale della Magna Grecia. Io però non capisco cosa c'entri la Grecia...<ref>Citato in ''Liberazione'', 22 febbraio 2008.</ref> *{{NDR|Su [[Giulia Maria Crespi]]}} Dispotica guatemalteca.<ref> Citato in Paolo Martini, ''[https://www.adnkronos.com/crespi-la-zarina-del-corriere-della-sera-che-fondo-il-fai_4YA2lu93AIXTzgMw0Wj65x Crespi, la 'zarina' del Corriere della Sera che fondò il Fai]'', adnkronos.com, 19 luglio 2020.</ref> *{{NDR|Su [[Gad Lerner]], nel 2000}} È bravissimo, son contento l'abbian messo al ''Tg1'', è un buon conduttore, buonissimo giornalista. Ma sarà un bravo direttore?<ref>Citato in Antonella Rampino, ''[http://www.archiviolastampa.it/component/option,com_lastampa/task,search/mod,libera/action,viewer/Itemid,3/page,3/articleid,0428_01_2000_0162_0003_4349235/ Il rischio? Una missione impossibile]'', ''La Stampa'', 17 giugno 2000.</ref> *{{NDR|Su [[Concetto Lo Bello]]}} Entra in campo col passo del padrone che ispeziona il proprio podere.<ref>Citato in Marco Innocenti, ''[https://st.ilsole24ore.com/art/SoleOnLine4/dossier/Tempo%20libero%20e%20Cultura/storie-della-storia/archivio-2009/storie-storia-9-settembre-muore-lo-bello.shtml?uuid=4327f496-881f-11de-873c-ca3137183d57&DocRulesView=Libero&refresh_ce=1 9 settembre 1991: se ne va il re degli arbitri, Concetto Lo Bello]'', ''ilsole24ore.com'', 8 settembre 2009.</ref> *{{NDR|Su [[Gaio Giulio Cesare|Giulio Cesare]]}} Grande soldato, grande statista, grande scrittore, grande avventuriero. E grande amatore. C'era di tutto. [...] In questa epoca di Mani Pulite Cesare sarebbe rimasto sicuramente "intangentato". Di tangenti lui ne prese parecchie. Ma a differenza dei mariuoli di oggi era anche un grande legislatore, un grande generale, un uomo di un'efficienza straordinaria. I nostri sono dei ladri. Ladri e basta.<ref>Citato in Mauro Anselmo, ''[http://www.archiviolastampa.it/component/option,com_lastampa/task,search/mod,libera/action,viewer/Itemid,3/page,7/articleid,0797_01_1993_0212_0009_11229316/ Montanelli: così ho finito la mia Storia d'Italia]'', ''La Stampa'', 4 agosto 1993.</ref> *{{NDR|Su [[Clare Boothe Luce]]}} Ha la mentalità schematica di una maestra di scuola.<ref>Citato in Massimo Gaggi, ''Quando il giornale del Pci pensò di pubblicare il nudo dell'ambasciatrice Usa'', ''Corriere della Sera'', 18 dicembre 2022.</ref> *{{NDR|Su [[Lucio Battisti]]}} Ho amato molto le sue canzoni e il suo desiderio di vivere appartato.<ref>Citato in [[Leo Turrini]], ''Lucio Battisti: la vita, le canzoni, il mistero'', Mondadori, 2008, retrocopertina.</ref> *I mariti italiani, per comprar la pelliccia alle mogli, spendono più di tutti i loro colleghi europei. Poveri, ma pelli.<ref name=Controcorrente>Da ''Controcorrente, 1974–1986'', Mondadori, Milano, 1987.</ref> *I nostri uomini politici non fanno che chiederci, a ogni scadenza di legislatura, «un atto di fiducia». Ma qui la fiducia non basta; ci vuole l'atto di fede.<ref name=Controcorrente/> *I [[Ricordo|ricordi]] vanno messi sotto teca, appesi a una parete e guardati. Senza tentare di rinnovarli. Mai.<ref>Da un'intervista di [[Ferruccio de Bortoli]], 1999; in ''[http://www.rai.it/dl/Rai5/programma.html?ContentItem-f04f3982-e954-471e-8242-78f92423550d Indro Montanelli, gli anni della televisione]'', puntata 8, di Nevio Casadio, Rai Premium, 2013.</ref> *Il bello dei [[politologi]] è che, quando rispondono, uno non capisce più cosa gli aveva domandato.<ref name=Controcorrente/> *{{NDR|Su [[Carlo Sforza]]}} Il conte si piega sulle gambe come se volesse saltare in arcione. E io dico: è veramente un bell'uomo.<ref>Citato da Guido Russo Perez nella [https://documenti.camera.it/_dati/leg01/lavori/stenografici/sed0331/sed0331.pdf Seduta pomeridiana del 31 ottobre 1949] della Camera dei deputati.</ref> *Il fascismo privilegiava i somari in divisa. La democrazia privilegia quelli in tuta. In Italia, i regimi politici passano. I somari restano. Trionfanti.<ref name=Controcorrente/> *Il guaio di [[Eugenio Scalfari|Scalfari]] non è che dice quel che pensa. Il guaio di Scalfari è che pensa quel che dice.<ref>Citato in Paolo Granzotto, ''Montanelli'', p. 173.</ref> *In [[Italia]] a fare la dittatura non è tanto il dittatore quanto la paura degli italiani e una certa smania di avere, perché è più comodo, un padrone da servire. Lo diceva [[Benito Mussolini|Mussolini]]: «Come si fa a non diventare padroni di un paese di servitori?».<ref>Dall'intervista di Pasquale Cascella, ''Montanelli: «Il regime? È alle porte, inutile aspettare il dittatore»'', ''l'Unità'', 25 ottobre 1994, p. 5.</ref> *In Italia c'è una frangia d'imbecilli tali che credono si possa resuscitare il comunismo. Seppellire il cadavere del marxismo non è facile, anche perché per molti significa rinnegare l'intera esistenza. Ma certo [[Fausto Bertinotti|Bertinotti]] non è di questi: lui non sa un corno di marxismo, non gl'importa niente, è un piccolo pagliaccio, un populista all'italiana che scalda in piazza maree di poveri diavoli e parla ancora delle masse operaie, che vede solo lui.<ref name=Montanelli></ref> *In Italia non c'è una coscienza civile, non c'è un'identità nazionale che tenga insieme uno Stato federale e garantisca la civile convivenza delle sue parti. Invece io vedo solo nell'Italia Cisalpina qualche barlume di coscienza civile e una vocazione europea. Altrove, invece, è un disastro difficile, se non impossibile, da rimediare. Spero proprio di sbagliarmi.<ref name=Italia>Citato in ''Il grande vecchio del giornalismo rilegge gli ultimi anni della nostra storia'', ''L'Indipendente'', 25 luglio 1995.</ref> *In Italia si può cambiare soltanto la Costituzione. Il resto rimane com'è.<ref>Dall'articolo di Polaczek, ''Teile und sende'', in ''Frankfurter Allgemeine Zeitung'', 15 agosto 1996, p. 29.</ref> *In Italia un colpo di piccone alle [[Casa di tolleranza|case chiuse]] fa crollare l'intero edificio, basato su tre fondamentali puntelli, la Fede cattolica, la Patria e la Famiglia. Perché era nei cosiddetti postriboli che queste tre istituzioni trovavano la più sicura garanzia.<ref>Citato in Daniele Abbiati, [http://www.ilgiornale.it/news/tresse-indro-nella-repubblica-delle-marchette.html ''La maîtresse di Indro nella Prima Repubblica delle marchette''], ''il Giornale.it'', 22 ottobre 2010.</ref> *In nome di quale razza noi faremmo del razzismo? Se c'è un paese (adesso non voglio offendere, perché io sono italiano come tutti gli altri), ma se c'è un paese bastardo è l'Italia, cioè a dire una confluenza di razze diverse.<ref>Dal programma televisivo di Rai 3 ''Eppur si muove'', 20 marzo 1994.</ref> *Io non mi sono mai sognato di contestare alla [[Chiesa (comunità)|Chiesa]] il suo diritto a restare fedele a se stessa, cioè ai comandamenti che le vengono dalla Dottrina... ma che essa pretenda d'imporre questi comandamenti anche a me che non ho la fortuna di essere un credente, cercando di travasarli nella legge civile in modo che diventi obbligatorio anche per noi non credenti, è giusto? A me sembra di no.<ref>Citato in [[Umberto Veronesi]], ''[http://www.repubblica.it/2008/10/sezioni/cronaca/eluana-eutanasia-3/comm-veronesi/comm-veronesi.html Non vince la scienza]'', ''la Repubblica'', 14 novembre 2008.</ref> *Io il giornale urlato non è che non glielo voglio dare, non lo so fare! La clava non è nel mio armamentario! Non lo posso fare e non credo che sia un buon segno di civiltà politica l'uso della clava.<ref name="milano" /> *Io non sono napoletano, ma di fronte a [[Peppino De Filippo|Peppino]], non so come, mi capita sempre di diventarlo.<ref name=Pappagone>Citato in ''Pappagone e non solo'', a cura di Marco Giusti, Mondadori, Milano, 2003.</ref> *{{NDR|Alla nipote Letizia Moizzi}} Io sarò il tuo Jukebox. Tu metti una monetina e io ti racconto un ricordo.<ref>Citato in Elvira Serra, «Scoprii che era importante quando le Br gli spararono. Lo convinsi io a prendere i farmaci per la depressione», ''Corriere della Sera'', 20 gennaio 2025.</ref> *Io non voglio soffrire, io non ho della sofferenza un'idea cristiana. Ci dicono che la sofferenza eleva lo spirito; no la sofferenza è una cosa che fa male e basta, non eleva niente. E quindi io ho paura della sofferenza. Perché nei confronti della morte, io, che in tutto il resto credo di essere un moderato, sono assolutamente radicale. Se noi abbiamo un diritto alla vita, abbiamo anche un diritto alla morte. Sta a noi, deve essere riconosciuto a noi il diritto di scegliere il quando e il come della nostra morte.<ref>Citato in Carlo A. Martigli, ''[http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2002/04/25/sul-diritto-alla-morte-si-discute-su.html Sul diritto alla morte si discute su Internet]'', ''la Repubblica'', 25 aprile 2002.</ref> *Kipling diceva: "un italiano, un bel tipo; due italiani, una discussione; tre italiani, tre partiti politici". I suoi concittadini, invece, li definiva così: "un inglese, un cretino; due inglesi due cretini; tre inglesi, un popolo". Vorrei avere a che fare con dei cretini che, insieme, facessero un popolo.<ref>Citato in Cristina Taglietti, ''[https://web.archive.org/web/20160101000000/http://archiviostorico.corriere.it/1998/dicembre/17/Montanelli_cari_studenti_volete_spaccate_co_0_98121712510.shtml Montanelli: cari studenti, se volete spaccate tutto ma è inutile]'', ''Corriere della Sera'', 17 dicembre 1998.</ref> *{{NDR|Riguardo all'approvazione della legge elettorale nota come mattarellum}} L'unico modello a cui possiamo rifarci è quello francese, non quello inglese. In un paese dove ci sono venti-venticinque partiti, come si fa l'uninominale a turno unico? Qui rischia di vincere un partito che ottiene il dieci percento, perché gli altri hanno ottenuto il sette, il sei. Ma le pare giusto questo? Io non so se è stata una follia o un atto criminale questa riforma elettorale. Io sono per la traduzione in processo dei legislatori, da [[Sergio Mattarella|Mattarella]] agli altri - non è stato il solo - i quali hanno fatto, come al solito, o creduto di fare gli interessi del proprio partito. Hanno fatto questa legge prima che venisse il diluvio universale di [[Mani pulite|Tangentopoli]], convinti che siccome loro erano il partito di maggioranza relativa spazzavano via l'Italia. Poi è venuta tangentopoli e ora piangono. Dovrebbero suicidarsi se avessero un minimo di dignità. Suicidarsi. Perché in nome degli interessi di partito hanno completamente rovinato l'Italia. [...] Questi legislatori che hanno truffato con questa legge - perché questa legge è una truffa - io vorrei sapere come mai non vengono processati. Dovrebbero essere processati per lesa patria.<ref name=conferenza>[https://www.youtube.com/watch?v=snbg12DCPSM Indro Montanelli presenta "La Voce", conferenza stampa integrale], 1994.</ref> *La cosa curiosa di [[Antonino Caponnetto|Caponnetto]] è che si va a schierare con [[Leoluca Orlando|Orlando]] che è stato il peggior denigratore di [[Giovanni Falcone|Falcone]]. E poi dice che fa l'antimafia, io vorrei sapere i voti a Orlando chi glieli ha dati.<ref>Citato in Riccardo Chiaberge ''[https://web.archive.org/web/20160101000000/http://archiviostorico.corriere.it/1994/marzo/21/Montanelli_voce_controcorrente_co_0_94032115801.shtml Montanelli la voce controcorrente]'', ''Corriere della Sera'', 21 marzo 1994.</ref> *La [[cultura]], per un giornalista, è come una puttana: la puoi frequentare ma non devi ostentarla. La cultura si tiene nel cassetto. Il lettore non va trattato dall'alto in basso, ma preso per mano come un amico e portato dove vuoi.<ref>Citato in [[Roberto Gervaso]], ''Ve li racconto io'', Mondadori, Milano, 2006, p. 294, ISBN 88-04-54931-9.</ref> *La cultura si è chiusa nella torre eburnea. Rimane lì, arroccata in sé stessa, perché ha orrore dei contatti col pubblico, si crede diminuita dai contatti col pubblico. Questa è la cultura italiana. È una cultura di cretini.<ref name="montecarlo">Radio Montecarlo, [https://www.youtube.com/watch?v=A77mrwIjSSs Intervista a Indro Montanelli], di Roberto Arnaldi, 1973.</ref> *La [[depressione]] è una malattia democratica: colpisce tutti.<ref>Citato nel programma televisivo ''Ippocrate'', Rai News, 13 giugno 2010.</ref> *La devolution mi preoccupa molto, perché la decomposizione della [[Repubblica Socialista Federale di Jugoslavia|Jugoslavia]] cominciò esattamente così: reclamata e imposta dai due grandi compari Tudjiman e [[Slobodan Milošević|Milosevic]] che distrussero l'unità del Paese per restare padroni in casa propria...<ref>Citato in Gian Guido Vecchi, ''[https://web.archive.org/web/20160101000000/http://archiviostorico.corriere.it/2001/aprile/08/Devolution_traffico_voto_rebus_co_7_0104088547.shtml Devolution e traffico, il voto è un rebus]'', ''Corriere della Sera'', 8 aprile 2001.</ref> *La guerra contro il [[brigantaggio]], insorto contro lo Stato unitario, costò piú morti di tutti quelli del [[Risorgimento]]. Abbiamo sempre vissuto dei falsi: il falso del Risorgimento che assomiglia ben poco a quello che ci fanno studiare a scuola.<ref>Citato in Stefano Preite, ''Il Risorgimento, ovvero, Un passato che pesa sul presente'', Piero Lacaita, 2009.</ref> *La lettura del ''[[Adolf Hitler#Mein Kampf|Mein Kampf]]'' io la renderei, per legge, obbligatoria. Fuori dal contesto in cui fu concepito e scritto, quel libro è un caciucco di coglionerie.<ref>Citato in Cesare Medail, ''Il «Mein Kampf» torna nelle librerie italiane. Grazie a un editore cossuttiano'', ''Corriere della Sera'', 6 maggio 2000.</ref> *La nostra classe politica ha fatto del [[partito]] una specie di totem intoccabile e gli ha attribuito tutti i poteri, con in più un diritto: il diritto di abusarne.<ref name=Dovere>Dal programma televisivo ''Dovere di cronaca'', Rete 4, 1988, [https://www.youtube.com/watch?v=caQgyvTKZS8 visibile su YouTube].</ref> *Le cose non sono importanti per quello che sono, ma per quello che uno ci mette.<ref name="cento">intervista di Enzo Biagi a Indro Montanelli, (1982), da "Cento anni", Fabbri video, 1993.</ref> *Le mie idee sono sempre al vaglio dell'[[esperienza]] e l'esperienza mi impone di rivederle continuamente.<ref name="IIIB">Da un'intervista del 1971, tratta da ''III B, Facciamo l'appello'' di Enzo Biagi; anche in ''[http://www.rai.it/dl/Rai5/programma.html?ContentItem-f04f3982-e954-471e-8242-78f92423550d Indro Montanelli, gli anni della televisione]'', puntata 7, di Nevio Casadio, Rai Premium, 2013.</ref> *[[Leo Longanesi]] che amava [[Marcello Marchesi]] rabbiosamente per lo spreco che faceva del suo talento, quando lo incontrava, gli diceva: "Devo fare una telefonata, mi dai un gettone di intelligenza?". E un giorno mi ordinò un epitaffio per lui. Eccolo: "Qui giace un nessuno — che se avesse voluto — avrebbe potuto diventare — Marcello Marchesi —. Purtroppo o per fortuna — non lo seppe mai —. Come tutti i geni — era un cretino".<ref>Citato in Paola Fallai, ''Marchesi, l'umorista che creò un'atmosfera'', ''La lettura'', ''Corriere della Sera'', 25 marzo 2012; riportato in ''[http://www.cinquantamila.it/storyTellerArticolo.php?storyId=0000001549183 Cinquantamila.it]''.</ref> *Mi accusano molto spesso di avere inventato degli aneddoti. È verissimo. Io ogni tanto invento quando devo descrivere un personaggio, specialmente negli incontri, io invento qualche aneddoto. Però sono sempre aneddoti funzionali, che servono a dimostrare quel certo carattere che mi sembra vero e di dover dimostrare.<ref name="IIIB" /> *Mi avvio verso il mio capolinea con l'angoscia di portare con me le cose che ho più amato: il mio paese e il mio mestiere, temo che non mi sopravviveranno.<ref>Da un'intervista del 1996, tratta da ''Tablet Italiani'', puntata 2, "Montanelli/Bocca", Rai Storia, 25 agosto 2013.</ref> *{{NDR|Su [[Vittorio Mangili]], in riferimento all'[[rivoluzione ungherese del 1956|insurrezione antisovietica in Ungheria nel 1956]]}} Ne ha combinate di tutti i colori. Ha fatto perfino il portaordini dei patrioti, a bordo di una delle loro automobili di collegamento.<ref>Citato in Roberta Scorranese, ''[https://www.corriere.it/cronache/22_ottobre_09/vittorio-mangili-cento-anni-dell-inviato-rai-io-budapest-madre-teresa-1efd76ca-473a-11ed-8ee2-07ab17a2d97d.shtml Vittorio Mangili, i cento anni dell’inviato Rai «Io, da Budapest a Madre Teresa»]'', ''corriere.it'', 8 ottobre 2022.</ref> *Nei grandi [[giornale|giornali]] di oggi, che non possono farne a meno, chi comanda non è più nemmeno il [[direttore]]: è l'ufficio [[marketing]].<ref name="giornalista">Da: ''Repertorio della Fondazione Montanelli'', in ''Indro Montanelli - Gli anni della televisione 4: Io sono soltanto un giornalista'', a cura di Nevio Casadio, Rai Sat, 2009</ref> *{{NDR|Rivolto a [[Silvio Berlusconi|Berlusconi]] che voleva imporsi sulla linea editoriale de ''il Giornale''}} Nell'arte dell'imprenditoria, tu sei di certo un genio, ed io un coglione. Ma nell'arte della polemica il genio sono io, e tu il coglione.<ref name=Travaglio2004>Citato in Marco Travaglio, ''Montanelli e il Cavaliere'', Garzanti, Milano, 2004.</ref> *Nessuno di noi la strada della ribellione la batté sino in fondo, come voleva [[Berto Ricci|Ricci]]: per la semplice ragione che si trattava di una strada che fondi non ne aveva. Qualcuno poi scantonò in questo o in quello dei sette o otto partiti che aprirono le porte a questa generazione perduta. E forse si illuse di aver trovato un’altra bandiera. Io sono tra i rassegnati: so benissimo che di bandiere non posso averne altre e che l'unica che seguiterà a sventolare sulla mia vita è quella che disertai, prima che cadesse.<ref>Citato in Mario Bernardi Guardi, ''La giovinezza di Montanelli ebbe un nome: Berto Ricci'', ''Il Primato Nazionale'', 3 maggio 2016.</ref> *No, [[Marco Travaglio|Travaglio]] non uccide nessuno. Col coltello. Usa un'arma molto più raffinata e non perseguibile penalmente: l'archivio.<ref name=Travaglio2004/> *Noi italiani non crediamo in nulla e tanto meno nelle virtù che qualcuno ci attribuisce. Ma tra di esse ce n'è una nella quale riponiamo una fede incorruttibile: quella della nostra capacità di corrompere tutto.<ref>Citato in Mario Cervi, ''Ti ricordi Indro?'', Società europea di edizioni, Milano, 2017, p. 57. ISBN 9778118178454</ref> *Noi qui buttiamo tutte le colpe addosso agli altri. Ma bisogna fare i conti anche col popolo italiano. Siamo noi che li abbiamo eletti questi signori. Sono mica piovuti dalla luna. E allora non accaniamoci soltanto sulla classe politica. Noi siamo un elettorato disposto a ogni sorta di transazione, quando ci fa comodo.<ref name=conferenza /> *Non credo alle feste comandate. La memoria dovrebbe essere spontanea. L'unica cosa che si dovrebbe fare è raccontare veramente e in maniera spassionata ai giovani, che non lo sanno, cosa è stata la Shoah, senza fare mobilitazioni di folle.<ref>Citato in Marco Cremonesi, ''[https://web.archive.org/web/20160101000000/http://archiviostorico.corriere.it/2001/gennaio/28/Diecimila_piazza_con_nomi_dei_co_0_0101282160.shtml Diecimila in piazza con i nomi dei lager]'', ''Corriere della Sera'', 28 gennaio 2001, p. 31.</ref> *Non do più nessun significato a queste due parole {{NDR|destra e sinistra}}, le ritengo un cascame, un residuato di situazioni oramai defunte. [[Destra e sinistra]] non hanno più nessun significato e credo che noi ci stiamo attardando su una terminologia arcaica, oramai da seppellire.<ref>Radio Radicale, [https://www.radioradicale.it/scheda/598/599-elezioni Elezioni], 38:58-39:26, 25 maggio 1979.</ref> *Non mi si portino i soliti argomenti astratti, tipo la sacralità della vita: nessuno contesta il diritto di ognuno a disporre della sua vita, non vedo perché gli si debba contestare il diritto a scegliere la propria morte.<ref>Citato in Enrico Bonerandi, ''[http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2000/12/13/montanelli-pronto-morire.html Montanelli: pronto a morire]'', '' la Repubblica'', 13 dicembre 2000, p. 36.</ref> *{{NDR|Il Polo delle Libertà}} Non venga a farci credere che è costretto all'[[Aventino (espressione)|Aventino]] dal clima di violenza creato dall'Ulivo. Dove diavolo la vede questa violenza? Mi basta guardare la faccia di [[Romano Prodi|Prodi]] 1996 per metterla a confronto con quella di Mussolini 1924 per escludere che in Italia corriamo il pericolo di una dittatura. Per fare una dittatura ci vuole un dittatore.<ref>Citato in Alessandro Longo, ''[https://rep.repubblica.it/pwa/generale/2018/03/17/news/aventino-191559602/?ref=pwa-rep-hp-2-1-1 Perché si dice Aventino]'', ''Rep.repubblica.it'', 17 marzo 2018.</ref> *{{ndr|su [[Gianni Agnelli]]}} Parla con la propria bocca, pensa con il cervello di Valletta, col cuore di Giulio De Benedetti e con gli interessi polivalenti della Fiat.<ref>Citato in Paolo Granzotto, ''Montanelli'', p. 129.</ref> *{{ndr|su [[Mariano Rumor]]}} Personaggio da commedia [[Carlo Goldoni|goldoniana]] più che da tragedia contemporanea.<ref>Citato in Paolo Granzotto, ''Montanelli'', p. 145.</ref> *Posso solo dire che l'Italia del Cattaneo è quella che conserva qualche probabilità di salvarsi da questo degrado politico, culturale, morale, economico. E l'Italia del Cattaneo è quella Cisalpina. A nord del Po, e forse anche in Emilia, esistono tracce di coscienza civile e anche di classi dirigenti sane. Poi c'è un'Italia centrale, quella toscana e umbra e marchigiana, che conserva le sue peculiarità, i suoi caratteri spiccati che affondano le radici nell'Italia comunale e rinascimentale. Il resto è un disastro che non saprei come salvare. Del resto Cattaneo ci tentò, andò a Napoli e resistette qualche giorno. Poi si arrese e se ne tornò nella sua Lugano, nella sua Svizzera.<ref name=Italia>Citato in ''Il grande vecchio del giornalismo rilegge gli ultimi anni della nostra storia'', ''L'Indipendente'', 25 luglio 1995.</ref> *Pur ricordandovi che la nostra regola è quella di non tener conto delle intemperanze altrui, specie dei politici, e di dire sempre la verità, tutta la verità, senza partito preso né animosità verso nessuno, vi autorizzo a comunicare al [[Bobo Craxi|suddetto signore]], se ve ne capita l'occasione, che l'unica «testa» in pericolo di cadere dopo il 5 aprile non è la vostra ma, casomai, la sua. E potete aggiungere, da parte mia, che non la considererei una gran perdita.<ref>Citato in [[Federico Orlando]], ''Il sabato andavamo ad Arcore'', Larus, Bergamo, 1995.</ref> *[[Sandro Pertini|Pertini]] ha interpretato al meglio il peggio degli italiani.<ref>Citato in Franco Fontanini, ''Piccola antologia del pensiero breve'', Liguori Editore, Napoli, 2007, p. 12.</ref> *Quando mi viene in mente un bell'aforisma, lo metto in conto a [[Montesquieu]], od a [[François de La Rochefoucauld|La Rochefoucauld]]. Non si sono mai lamentati.<ref>Citato in Luigi Mascheroni, ''[http://www.ilgiornale.it/news/mai-dette-ripetiamo-sempre-ecco-frasi-fantasma-storia.html Mai dette, ma le ripetiamo sempre. Ecco le frasi fantasma della storia]'', ''il Giornale'', 21 marzo 2009, p. 22.</ref> *Quello che ci ripugna è che, per mettere un controllo all'autorità politica, ci sia bisogno di ricorrere all'autorità giudiziaria. Cioè che, alla fine, noi avremo le riforme istituzionali non per via politica, ma per via giudiziaria e processuale. Questo ci allarma anche perché, come avrete ben capito, la mia opinione dei politici è molto bassa, ma quella dei giudici non è migliore. Perché anche i giudici sono stati corrotti dalla partitocrazia. Lo dimostra il semplice fatto che molti di loro ostentano la tessera di partito. Un giudice che ha venduto la propria imparzialità ai partiti è un giudice che, prima di processare gli altri, dovrebbe essere processato lui e cacciato in galera. Lo so che a dire queste cose si possono avere dei dispiaceri, ma io di dispiaceri in vita mia ne ho avuti tanti che, uno più o uno meno, non mi fa nessunissimo effetto.<ref name=Dovere/> *{{NDR|[[Carmen Lasorella]]}} Richiama tanta attenzione non solo per la sua bravura ma anche per quel che possiede dal cervello in giù.<ref>Citato in Luigi Mascheroni, ''[https://books.google.it/books?id=gtg7AQAAIAAJ&q=%22Richiama+tanta+attenzione+non+solo+per+la+sua+bravura+ma+anche+per+quel+che+possiede+dal+cervello+in+gi%C3%B9+%22&dq=%22Richiama+tanta+attenzione+non+solo+per+la+sua+bravura+ma+anche+per+quel+che+possiede+dal+cervello+in+gi%C3%B9+%22&hl=it&newbks=1&newbks_redir=0&sa=X&ved=2ahUKEwiC2PXRl5WDAxVs4AIHHazPCd4Q6AF6BAgHEAI Sette, settimanale del Corriere della sera, Edizioni 1-9]'', 1996.</ref> *Sfido io che {{NDR|''il Giornale''}} non va bene come vendite. Non va bene come vendite perché noi siamo ancora alla macchina Olivetti. Qui non è stato fatto mai nessun investimento ed è stato detto chiaro che gli investimenti non sarebbero venuti finché io ne fossi il direttore. Questa è la situazione.<ref name="milano" /> *Siamo un paese cattolico, che nella [[Provvidenza]] ci crede o almeno ne è affascinato. Il pericolo è questo: gli [[italia]]ni sentendo aria di provvidenza sono sempre pronti a mettersi in fila speranzosi.<ref name=Provvidenza>Citato in ''[http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/1994/02/24/rivogliono-uomo-della-provvidenza.html?ref=search Rivogliono l'uomo della provvidenza]'', ''la Repubblica'', 24 febbraio 1994, p. 11.</ref> *Se avessi potuto immaginare come sarebbe stata distrutta la vecchia classe politica italiana - che meritava la distruzione, sia chiaro - se avessi potuto immaginare che la distruzione della vecchia classe politica italiana, in gran parte marcia, avrebbe dischiuso una situazione come quella attuale e che la vecchia legge proporzionale sarebbe stata sostituita dall'attuale legge maggioritaria così come è stata compilata, io avrei forse difeso la vecchia classe. Per lo meno non mi sarei battuto con tanta asprezza e con tanto vigore contro quella classe politica, che meritava di finire, ma a cui si stanno dando dei successori che, ricordatevelo bene, ci faranno rimpiangere quella vecchia. È il peggio che si può dire. Ma io lo dico. Perché non riesco proprio a vedere cosa sta venendo fuori da questo rimescolio di carte.<ref name=conferenza /> *{{NDR|«Se dovesse fondare un giornale a novant'anni, che giornale farebbe?»}} Se io dovessi oggi fare un giornale, farei un ''Foglio'' un po' più grande: invece che di 4 facciate di 10 o di 12. Non di più. Con una redazione ridottissima e facendo un preventivo che mi mettesse al riparo dalle delusioni. Mirerei ad avere non più di venti/trentamila lettori e non avere pubblicità. Su queste basi, forse, riuscirei a fare un [[giornale]] di alto prestigio, ma purtroppo destinato a una élite.<ref name="giornalista" /> *Sta arrivando l'uomo della provvidenza. E io, in vita mia, di questi personaggi ne ho già conosciuto uno. Mi è bastato. Per sempre.<ref name=Provvidenza></ref> *Una cultura che perde i contatti col pubblico si sterilisce e muore. Questa è la verità. E la nostra cultura è assolutamente sterile. Noi culturalmente non contiamo più nulla nel mondo. Perché? Perché è chiusa in sé stessa, la cultura, ha perso i contatti col pubblico, con la vita. Non c'è più. Sono mummie. Non è più cultura: è mafia.<ref name="montecarlo" /> *{{NDR|Su [[Aldo Moro]]}} Un generale che, sfiduciato del proprio esercito, credeva che l'unico modo di combattere il nemico fosse quello di abbracciarlo.<ref>Citato in [[Roberto Gervaso]], ''Ve li racconto io'', Mondadori, Milano, 2006, p. 310, ISBN 88-04-54931-9.</ref> *Un giorno fui convocato a Palazzo Venezia, era il 1932 e avevo 23 anni, perché il duce voleva vedermi. Ero emozionatissimo, entrai e mi misi sull'attenti, e il duce che faceva finta di scrivere mi lasciò lì per un quarto d'ora e alla fine mi disse: "Ho letto il vostro articolo sul razzismo (avevo scritto un articolo contro il razzismo). Bravo, vi elogio. Il razzismo è roba da biondi (non si era accorto che ero biondo), continuate così. Sei anni dopo fece le leggi razziali. Perché questo era [[Benito Mussolini|Mussolini]], diceva una cosa e ne faceva un'altra, secondo il vento del momento. Non creava il vento, vi si accodava da buon italiano.<ref>Citato in Gianna Fregonara, ''[https://web.archive.org/web/20160101000000/http://archiviostorico.corriere.it/2010/gennaio/24/Dal_balcone_Mussolini_bianco_sorriso_co_9_100124324.shtml Dal balcone di Mussolini al bianco sorriso di Belen]'', 24 gennaio 2010, p. 34.</ref> *{{NDR|Su [[Giorgio La Pira]]}} Un pasticcione ben intenzionato che, nel nome del Signore, appoggia le peggiori cause appellandosi ai migliori sentimenti.<ref>Citato in [[Roberto Gervaso]], ''Ve li racconto io'', Mondadori, Milano, 2006, p. 236, ISBN 88-04-54931-9.</ref> ===Citazioni tratte da suoi libri=== *{{NDR|Sul funerale di [[Leo Longanesi]]}} Al cimitero ci si ritrovò in una decina di persone, non di più. Non ci furono cerimonie né discorsi. Solo la piccola Virginia, che avrà avuto quattordici anni, mentre la bara di suo padre calava nella tomba, mormorò: «E dire che gli orfani mi sono sempre stati così antipatici...» Una frase che sarebbe piaciuta moltissimo a Leo.<ref>Dalla presentazione a [[Leo Longanesi]], ''In piedi e seduti'', Longanesi & C., Milano, 1968.</ref> ====''Caro Indro...''==== *L'aureola di martire a Craxi nessuno è disposto a riconoscergliela, proprio perché inconciliabile con l'arroganza con cui si comporta. Nessun paragone col contegno di Andreotti, davvero ineccepibile. Sul banco degli imputati ci sta da imputato, dimentico di essere stato per ben sette volte capo del governo. Parla solo se interrogato, e a bassa voce. Non rinuncia alla propria dignità, ma non la ostenta. Eppoi, le colpe che gli si addebitano saranno anche più gravi di quelle che si addebitano a Craxi, ma meno spregevoli. Potrà anche aver baciato Riina (sebbene a me questo appaia poco credibile). Ma del pubblico denaro non risulta che gli sia scivolata in tasca nemmeno una lira. Forse merita la fucilazione. Lo spregio, no. (31.1.1996) (p. 9) *Non ho mai conosciuto [[Yasser Arafat|Arafat]], né mai ho cercato di conoscerlo: non mi pare che il suo aspetto inviti alla simpatia. Però non l'ho mai considerato un criminale anche se si trovava alla testa di un'[[Organizzazione per la Liberazione della Palestina|organizzazione]] in cui di criminali ce ne sono molti. E oggi non lo considero affatto un eroe, ma un uomo coraggioso sì, perché lo ritengo in costante pericolo di vita. La lotta per il potere, dentro l'Olp, è a coltello: e i nemici di Arafat sono quelli che il coltello lo maneggiano meglio di tutti. Stringendo la mano a [[Yitzhak Rabin|Rabin]], Arafat ha moltiplicato i suoi nemici e li ha resi ancora più rabbiosi. È un uomo a rischio, non c'è dubbio. E se muore lui, addio pace in Medio Oriente. (4.10.1993) (p. 11) *Certo che il passato dell'Olp, carico di bombe e di sangue, non è la migliore referenza per un Nobel, ma Arafat è però anche l'unico interlocutore palestinese: dopo di lui c'è il nulla, o meglio soltanto gruppi di fanatici votati alla violenza e alla distruzione di [[Israele]]. Una volta presa la decisione di premiare i protagonisti del tormentato processodi pace in Medioriente [...] si è dovuto fare di necessità virtù e dare il riconoscimento anche all'uomo che per molti anni è stato un simbolo del terrorismo, nonché l'ispiratore di tante altre «lotte armate»: premiare solo Rabin e [[Shimon Peres|Peres]] sarebbe stato uno schiaffo ai palestinesi, un'iniziativa controproducente. [...] Forse più che il Nobel per la pace meriterebbe quello per il ravvedimento... (30.10.1994) (p. 12) *«Libera Chiesa in libero Stato» è una formula più d'effetto che di sostanza. Potrebbe anche significare che Chiesa e Stato si ignorano a vicenda e ognuno dei due si attribuisce i poteri che più gli aggradono: che è il modo più sicuro per litigare, non certo per convivere. Fra i due ci deve essere un patto improntato al reciproco rispetto: condizione più facile da formulare che da realizzare. Ma sembra che lo sviluppo di questo rapporto negli ultimi anni abbia fatto più passi indietro che avanti. E mi pare che dello stesso parere sia il capo dello Stato, Carlo Azeglio Ciampi. Meno male (7.3.2001) (p. 30) *Ho fiducia in [[Massimo D'Alema|D'alema]], anche se non voterò mai per lui. Ho fiducia per due motivi. Prima di tutto perché, fra i leader di oggi, è l'unico vero professionista della politica. Eppoi perché non ho dubbi sulla sua intenzione di fare del Pds un partito socialdemocratico o laburista. Se non fosse così, non solo Prodi ma nemmeno Veltroni sarebbero al suo fianco. E appunto perché è così, sono convinto che consumerà fino in fondo il divorzio da Rifondazione. Lo consumerà cercando di non farsene portar via molti elettori. Ma lo consumerà per conquistare i moderati: altra strada non può battere. E proprio in questi giorni lo ha dimostrato sacrificando anche quella piccola falce e martello che tuttora sopravviveva nel simbolo del suo partito ai piedi della Quercia. Non era che un «segno», dirà qualcuno. Sì, ma che segno! (17.5.1995) (p. 42) *Anch'io sono stato in passato un fautore dell'elezione diretta, cioè per consultazione popolare, del Capo dello Stato. Mi pareva il mezzo più efficace per sottrarre almeno il Quirinale agl'intrallazzi dei partiti e per avere un garante al di sopra di essi. Ma poi ho dovuto cambiare idea di fronte alle prove di balordaggine, d'ignoranza, di totale mancanza di consapevolezza morale e civile dell'elettorato italiano, o almeno della sua maggioranza. È un elettorato sempre pronto a correre dietro a qualche ciarlatano che sappia vendere bene la sua merce e a lasciarsene trascinare nelle imprese più insensate. Insomma considero la stupidità più pericolosa degl'intrallazzi. (23.12.1998) (p. 47) *Non credo che [[Diana Spencer|Diana]] rimarrà nella memoria dei posteri. Era una bella e simpatica ragazza, che avrebbe anche potuto essere una buona moglie e una buona madre, ma che non aveva certamente la stoffa e le dimensioni umane, comportamentali di una regina. Più e meglio che sul trono, il suo personaggio avrebbe figurato in un romanzo di Liala. Non riesco ad accostarla a figure storiche (17.9.1997) (p. 72) *Mussolini non aveva la stoffa del criminale né di guerra né di pace. Dicendolo, so di espormi alle contumelie della cosiddetta intellighenzia. Ma ne ho già ricevute tante che non mi fanno più nessun effetto. Tuttavia mi rendo conto che alla condanna a morte non avrebbe potuto sfuggire perché almeno un responsabile delle catastrofi che si erano abbattute sull'Italia si doveva pur trovare, e non poteva essere che lui. Però c'è da ringraziare Dio, e per esso, il Comitato di liberazione nazionale che ne ordinò (o avallò) la fucilazione sul posto perché un processo a Mussolini avrebbe ancora più spaccato un Paese già spaccato dalla guerra civile (per chiamare col suo vero nome, la Resistenza). E credo che anche gli Alleati trassero un respiro di sollievo dal venirne esentati. Un processo avrebbe messo in imbarazzo anche loro per le indulgenze che avevano avuto verso di lui e quella parodia di totalitarismo ch'era stata il suo regime. Una Norimberga italiana sarebbe stata anch'essa una parodia. La fucilazione sul posto di Mussolini era un atto dovuto. Quello che non era dovuto, e che per gl'italiani provvisti di qualche senso dell'onore e della decenza rimarrà una indelebile vergogna, fu la scena di piazzale Loreto (30.6.1999) (pp. 89-90) *{{NDR|«Poni che ti regalino una telecamera, con il diritto di spiare per un mese, non visto, un potente della Terra, a tua scelta, dalla regina Elisabetta a Gheddafi, da Saddam a Clinton. Quale personaggio ti incuriosirebbe di più?»}} [[Vladimir Putin|Putin]]. Credo che sia una canaglia perché solo le canaglie potevano arruolarsi e fare carriera in un corpo di polizia come il Kgb. Ma è proprio di una canaglia che la [[Russia]] ha bisogno per ricompattarsi all'interno, risollevarsi dal caos in cui l'ha precipitata il crollo di un regime totalitario durato settant'anni, e riprendere nel gioco delle potenze mondiali il posto che spetta a un Paese di 250 milioni di abitanti, di grandi tradizioni e d'inesauribili risorse naturali. L'Occidente ha bisogno della Russia: è il suo antemurale verso un Oriente che può riservarci amare sorprese. [...] Non facciamoci illusioni sull'avvenire di una democrazia in Russia. Essa ha bisogno [...] di una mano forte e spregiudicata, di una canaglia insomma. [...] Ecco perché mi piacerebbe conoscere Putin: per vedere se è la canaglia di cui mi pare abbia bisogno la Russia in questo momento: un «momento» destinato a durare parecchi decenni. (18.10.2000) (pp. 104-105) ====''Il testimone''==== *[[Corrado Carnevale|Carnevale]] ha dichiarato in un'intervista che la notte non ha bisogno di sonniferi per dormire perché, nei confronti della Legge, la sua coscienza è a posto. Ci crediamo senz'altro. Ma se si ponesse la stessa domanda nei confronti della Giustizia, mi domando se i suoi sogni sarebbero altrettanto tranquilli. E ci rendiamo tuttavia conto che questa domanda non se la porrà mai, e anzi gli sembrerà del tutto stravagante. Perché, per un magistrato italiano, la Legge con la Giustizia non ha nulla a che fare. (da p. 386) ====''Il meglio di «Controcorrente» 1974-1992''==== *Il «comitato permanente antifascista» di Milano ha deciso di chiedere un «riconoscimento» per tutti coloro che sono stati «coinvolti direttamente nella strategia della tensione a partire dal 1º gennaio 1969». Ci risiamo. Tutta la nostra vita è stata angosciata e angariata dagli antemarcia: prima quelli del Littorio, poi quelli della Resistenza, ed ecco che ora spuntano quelli della «tensione». Longanesi aveva ragione: in questo Paese, reduci si nasce. (p. 47) *Agli alunni della terza classe (anni otto-nove) della scuola elementare di via Pisani, Milano, è stato assegnato il seguente problema: «Mario, Gino e Beppino sono i capi della banda. Mario dice a Gino che la banda ha quasi esaurito le munizioni: rimangono solo 5 cassette con 130 pallottole per cassetta. Quante pallottole rimangono?». Debolucci come siamo, in aritmetica, non lo sappiamo nemmeno noi. Ma ci pare che una per l'insegnante e una per il ministro Malfatti ci dovrebbero ancora essere. (p. 79) *Il messaggio di addio che il dimissionario capo dello Stato ha detto alla televisione e che anche noi pubblichiamo, è ineccepibile. Esso dà del presidente [[Giovanni Leone|Leone]] un'immagine che non fa una piega: un galantuomo all'antica, padre di una famiglia esemplare, ingiustamente calunniato da una stampa irresponsabile. Siamo sicuri che tutto questo si può dire di Leone. Ha un solo difetto: che a dirlo è stato Leone. (p. 84) *A Roma, nonostante tutte le ricerche fatte, non è stato possibile trovare un locale disponibile per un convegno di radicali. Non ce n'era uno abbastanza piccolo per contenerli tutti. (p. 103) *Qualcuno teme – e qualche altro spera – che l'Afghanistan diventi il Vietnam dei russi. Niente paura, in Afghanistan non ci sono giornalisti. (p. 112) *Quella del ''Corriere'' non è una situazione invidiabile: il direttore in congedo per l'affare della P2, manager ed articolisti contestati per lo stesso motivo, il maggiore azionista in galera, accusato di reati valutari, montagne di debiti, trasparenza della proprietà limpida come un mare in burrasca. Ci sarebbe davvero da mettersi le mani nei capelli. Se non fosse un giornale di [[Roberto Calvi|Calvi]]. (pp. 125-126) *Quando leggiamo «ministro senza portafoglio», ci viene sempre un dubbio. Che glielo abbia rubato qualche collega? (p. 146) *L'[[Organizzazione per la Liberazione della Palestina|Olp, Organizzazione per la liberazione della Palestina]], è stata ammessa con voto unanime, anche se provvisoriamente, nel Comitato olimpico asiatico. Non sapevamo che il lancio della bomba fosse diventato una disciplina atletica. (pp. 171-172) *A suo tempo imprigionato dagl'israeliani per complicità col terrorismo palestinese, e liberato per l'intervento del Vaticano con l'impegno di astenersi dalla politica, l'Arcivescovo libanese di Gerusalemme [[Hilarion Capucci]] ha dichiarato in un'intervista all'''Europeo'' che i rivoltosi di Gaza e della Cisgiordania non ricevono ordini da nessuno: «Li prendono solo da Dio, loro unico leader». Lo abbiamo sempre detto, noi: a grattare un arabo, anche se cristiano e Monsignore, viene fuori un Ayatollah. Ma forse non c'è neanche bisogno di grattare. (p. 184) *Da Praga [[Bettino Craxi]] proclama che «bisogna liberare l'Italia da Falci e Martelli». Benissimo. Ma chi è Falci? (p. 206) *[[Pino Rauti]] è intenzionato a candidare un africano alle elezioni comunali fiorentine. Più che giusto: il nero si addice al Msi. (p. 209) *Per evitare pubblicità attorno al caso di [[Angelo Peruzzi|Peruzzi]] e [[Andrea Carnevale|Carnevale]], i due giocatori giallo-rossi risultati positivi all'antidoping, il presidente della Roma, [[Dino Viola]], ha deciso di portare tutta la squadra in ritiro. A San Patrignano. (p. 216) *Secondo ''La Notte'' di ieri – che riferisce dichiarazioni d'un capo della Jihad islamica, Ibrahim Serbell – i terroristi arabi hanno nel loro mirino, per quanto riguarda l'Italia, «uomini politici, aeroporti e alcuni obiettivi strategici». Siamo molto preoccupati per gli aeroporti e gli obiettivi strategici. (p. 220) *La fantapolitica non è il nostro esercizio preferito. Ma ci chiediamo che cosa succederebbe se, con un colpo alla Moro, i terroristi si impadronissero di Cossiga e lanciassero al governo il ricattatorio ultimatum: «Se non ci date cento miliardi, lo liberiamo». (p. 228) *Malgrado tutto (e per tutto intendiamo proprio tutto), [[Moana Pozzi]] non è riuscita ad entrare a Montecitorio. Peccato. È l'unica Camera che non potrà dire di aver frequentato. (p. 236) *Sull'''Unità'' è comparsa la lettera di un deputato che, pericolosamente sfiorato da un motociclista, invoca drastiche misure penali contro i «teppisti al volante». Ci associamo alla proposta. L'unica cosa che ci sconcerta è la firma del proponente: è quella dell'onorevole [[Mario Gozzini]], autore della famosa legge che in pratica vorrebbe l'indulgenza plenaria per qualsiasi reo e reato. (p. 244) ===Attribuite=== *Berlusconi non delude mai: quando ti aspetti che dica una scempiaggine, la dice.<ref name=Travaglio2004/> :In ''Io e il cavaliere qualche anno fa'', ''Corriere della Sera'', 25 marzo 2001, p. 1, Montanelli attribuisce la citazione a «un'alta personalità della Finanza, nota anche per il suo infallibile fiuto degli uomini». La frase esatta è: «Avrà anche i suoi difetti, ma un merito bisogna riconoscerglielo: quello di non deludere mai. Quando ti aspetti che dica una scempiaggine, la dice». ==Interviste== {{cronologico}} *{{NDR|La guerra coloniale etiopica}} Considerandola oggi, con la mia maturità d'oggi, {{NDR|è}} un'avventura di una stupidità senza fine. Ma immaginiamo un ragazzo di 24 anni messo al comando di una banda indigena, con 100 uomini neri – lui solo bianco – buttato all'avventura in quella guerra che di combattimenti ne ebbe molto pochi – non voglio passare per un gran guerriero, affatto – ma furono un anno e mezzo a cavallo, di cavalcate in questa natura selvaggia (ripeto, combattimenti ben pochi). {{NDR|«Dicono anche che lei aveva una moglie, diciamo indigena, molto bella, che era la più bella di tutte quelle che avevano gli ufficiali d'allora»}} Sì. {{NDR|«Era molto invidiato per questo»}} Pare che avessi scelto bene, era una bellissima ragazza bilena, di 12 anni – {{NDR|sorridendo}} scusatemi, ma in Africa è un'altra cosa – e così l'avevo sposata, nel senso che l'avevo regolarmente comprata dal padre che mi ha accompagnato insieme alle mogli dei miei ascari. Queste mogli degli ascari non è che seguissero la banda, ma ogni 15 giorni raggiungevano la banda: io non ho mai capito come facessero a trovarci in questo infinito dell'Abissinia. Quelle arrivavano e arrivava anche questa mia moglie con la cesta in testa, che mi portava la biancheria pulita. [...] {{NDR|Domanda del pubblico: «Lei ha detto tranquillamente di avere avuto una sposa, diciamo, di 12 anni e a 25 anni lei non si è peritato affatto di violentare una ragazza di 12 anni, dicendo "Ma in Africa queste cose si fanno". Io vorrei chiedere a lui come intende normalmente i suoi rapporti con le donne date queste due affermazioni»}} No signorina guardi, sulla violenza, nessuna violenza perché le ragazze in Abissinia si sposano a 12 anni. Non è questione, Quindi. {{NDR|Domanda del pubblico: «Su un piano di consapevolezza dell'uomo, insomma, il rapporto con una bambina di 12 anni è il rapporto con una bambina di 12 anni. Se lo facesse in Europa rischierebbe di violentare una bambina, vero?»}} Sì, in Europa sì, ma lì no. {{NDR|«Ecco, appunto»}} Lì no. {{NDR|«Quale differenza crede che esista dal punto di vista biologico, o anche psicologico?»}} No, guardi, {{NDR|«Dal punto di vista del costume»}} lì si sposano a 12 anni, non è questione. A 12 anni si sposano. {{NDR|«Ma non è il matrimonio che lei intende, a 12 anni in Africa. Guardi, io ho vissuto in Africa»}} Sì. {{NDR|«Quindi il vostro era veramente il rapporto violento del colonialista che veniva lì e si impossessava della ragazza di 12 anni»}} No... {{NDR|«Ma glielo garantisco, senza assolutamente tener conto di questo tipo di rapporto sul piano umano. Eravate i vincitori, cioè i militari che hanno fatto le stesse cose ovunque sono stati i vincitori, ovunque gli uomini si sono presentati come dei militari. La Storia è piena di queste situazioni»}} {{NDR|sorridendo}} Signorina, non so se lei vuole istruirmi un processo «a posteriori». {{NDR|«No, no, affatto. Guardi, ho soltanto voluto chiederle, per inciso, come lei intende – dopo le due interpretazioni – i rapporti con le donne»}} Dipende da cosa si mette dentro, dipende anche da cosa le donne mettono dentro di noi. È tutto un giuoco di specchi. {{NDR|«Ma lei vede sempre la donna in questa veste passiva di adulatrice, oppure di compagna – che appare e scompare – dell'uomo, non l'ha mai vista in una funzione diretta, attiva e diversa. Questo è un po' il dramma degli uomini della sua generazione»}} {{NDR|sorridendo}} Può darsi. Della mia generazione? Solo? {{NDR|«Credo»}} {{NDR|sorridendo}} Vabbè. Può darsi. (Da ''L'ora della verità'', 22 ottobre 1969) *{{NDR|Domanda del pubblico: «Io vorrei sapere perché lei, che si ritiene un osservatore, non ha mai affrontato il discorso sulla contestazione giovanile, tenendo anche presente il fatto che lei cerca il lettore. Lei ai giovani non dice assolutamente niente come giornalista»}} Come? {{NDR|«Se c'è un pubblico che lei sta perdendo, e forse non ha mai avuto, è proprio quello dei giovani. Vorrei sapere come mai lei non ha mai affrontato il discorso sulla contestazione, sulla realtà giovanile che è esplosa in questi ultimi anni»}} Signorina, io avrei tanto volentieri affrontato il discorso sulla contestazione se fosse possibile agganciare il discorso coi contestatori. Ma coi contestatori io non faccio il [[Alberto Moravia|Moravia]]. No. Non vado a farmi spernacchiare dai giovani, mi dispiace tanto. Né dai giovani, né da nessun altro. {{NDR|«Lei ha paura, scusi, di affrontare un discorso»}} No, io non ho paura, ma non ammetto di essere accolto a quel modo. È proprio un fatto, così, di dignità. {{NDR|«E allora, scusi, lei a questo punto rinuncia a un pubblico come può essere quello dei giovani semplicemente, così, per non avere degli spernacchiamenti, per non compromettere – diciamo – questo suo successo a cui è arrivato»}} Ma scusi, ma che dialogo sono le pernacchie? Me lo vuole spiegare? (ibidem) *Certamente [[Benito Mussolini|Mussolini]] fu un grossissimo politico, un uomo politico di grandissimo fiuto, di tempismo formidabile: lo dimostrò la facilità con cui vinse. Forse dovuta per metà alle sue capacità, alla sua bravura – parlo sempre come politico – e per metà all'insipienza, alla nullaggine dei suoi avversari, perché è tempo oramai di dire anche questo. Non c'è dubbio che il potere assoluto guastò completamente Mussolini: il Mussolini del 1930 non era certamente quello del 1940, il Mussolini di dieci anni dopo l'avvento al potere era diventato una specie di marionetta, la caricatura di sé stesso. Aveva perso proprio il senso della realtà, che era stato invece il suo forte da principio, il contatto col pubblico lo aveva perso, il senso della misura, e lo aveva dimostrato poi con gli errori madornali che ha fatto. Nei primi dieci anni credo che alcune cose buone le abbia fatte. Non credo che abbia ucciso la democrazia, credo che l'abbia soltanto seppellita perché era già morta. Da quel poco che ricordo l'Italia era un grosso carnevale, e anche abbastanza drammatico, perché la situazione interna era addirittura sfasciata: correva sangue, ne correva molto, noi in Toscana ne sapevamo qualcosa [...]. E quindi non è vero che lui... le democrazie non vengono mai uccise, le democrazie muoiono. Dopodiché si dà la colpa a chi le seppellisce, ma la verità è che si suicidano, e credo che la democrazia italiana del '21-22 si sia suicidata. [...] Mussolini capì una cosa fondamentale: che per piacere agli italiani bisognava dare a ciascuno di essi una piccola fetta di potere col diritto di abusarne. Questo era il fascismo. Il fascismo aveva creato una [[gerarchia]] talmente articolata e complessa che ognuno aveva dei galloni: il capofabbricato, il caposettore... tutti avevano una piccola fetta di potere, di cui naturalmente ognuno abusava, come è nel carattere degli italiani. (da ''Questo secolo'', 18 maggio 1982) *Ero all'estero, lavoravo nel giornalismo americano, alla ''United Press''. Chiesi alla mia agenzia di mandarmi come corrispondente in Abissinia. Giustamente mi dissero: «No, perché lei è un italiano, quindi logicamente non fa delle corrispondenze obiettive». Dico: «Avete ragione. Allora io vi lascio e vado volontario». Feci la mia brava domanda (la feci anche raccomandare). La domanda fu accolta, io fui mandato in Abissinia e, cosa un po' strana [...], a questo ragazzo di 23 anni [...] venne affidata una banda. [...] In quei due anni io contribuii a fare una cosa sbagliata, un'autentica fregnaccia qual era costruire un impero nel '35, quando coloro che lo avevano lo stavano già liquidando perché erano cose antistoriche. Ma io a 23 anni, a 24 anni, non potevo capire questo. Ebbi due anni di vita all'aria aperta, bella, di avventura, in cui credetti di essere un personaggio di Kipling, di contribuire a fare qualcosa di importante. Poi mi accorsi che non era vero, ma le cose non sono importanti per quello che sono, ma per quello che uno ci mette. E io in quel momento ci mettevo un grande entusiasmo: ebbi due anni di vita bellissima, a cavallo, con le tende, i miei uomini, libero, solo (perché non rispondevo a nessuno). Eh beh, compiango i giovani che non hanno avuto una simile esperienza. {{NDR|«E anche con una giovane moglie»}} E anche con una giovane moglie, {{NDR|indicando una fotografia}} eccola lì. Regolarmente sposata in quanto regolarmente comprata dal padre. {{NDR|«Quanti anni aveva?»}} Aveva 12 anni, ma non mi prendere per un Girolimoni. {{NDR|«Per un bruto»}} A 12 anni quelle lì erano già donne. {{NDR|«E tu dove l'avevi comperata?»}} L'avevo comprata a Saganèiti, un paese dove avevo mandato il mio emissario [...]. Me la comprò insieme a un cavallo e a un fucile, in tutto 500 lire. {{NDR|«E lei com'era?»}} Un animalino. Docile. Io le misi su un tucul con dei polli e poi, ogni 15 giorni, mi raggiungeva dovunque fossi, insieme alle mogli degli altri ascari. (ibidem) *Io esclusi immediatamente la responsabilità degli [[Anarchia|anarchici]] {{NDR|dalla [[strage di piazza Fontana]]}} per varie ragioni: prima di tutto, forse, per una specie di istinto, di intuizione, ma poi perché conosco gli anarchici. Gli anarchici non è che sono alieni dalla violenza, ma la usano in un altro modo: non sparano mai nel mucchio, non sparano mai nascondendo la mano. L'anarchico spara al bersaglio, in genere al bersaglio simbolico del potere, e di fronte. Assume sempre la responsabilità del suo gesto. Quindi, quell'infame attentato, evidentemente, non era di marca anarchica o anche se era di marca anarchica veniva da qualcuno che usurpava la qualifica di anarchico, ma che non apparteneva certamente alla vera categoria, che io ho conosciuto ben diversa e che credo sia ancora ben diversa. (da ''La notte della Repubblica'', 12 dicembre 1989) *La [[Lega Nord|Lega]] è una cosa sgradevole. Però le Leghe sono un fenomeno di reazione a una provocazione. È la politica nazionale, che fa nascere le Leghe. Questo non vuol dire che io le approvi. La reazione è sbagliata, ma provocazione c'è, le degenerazioni della partitocrazia ci sono. Che il pubblico denaro sia male amministrato e che a farne le spese siano soprattutto i cittadini del Nord non è contestabile. (da ''La Stampa'', 7 novembre 1990) *Ah, quel maledetto [[Toni Negri]], quel maledetto aizzatore dei sentimenti dei giovani che è vigliaccamente scappato dall'Italia per non affrontare il carcere. Per un Paese non c'è nulla di peggio che i cattivi maestri. Come punirli? Bisognerebbe impiccarli. Ripeto, impiccarli. (da ''L'Italia settimanale'', 1995) *Fu una pulizia etnica, bisognava far fuori gli italiani: allora si chiamarono fascisti e si ammazzarono, e si buttarono nelle [[massacri delle foibe|foibe]]. Questo avvenne dopo la fine della guerra, sia chiaro. Perché gli orrori di guerra, non dico che siano giustificabili, ma sono comprensibili, la guerra è di per sé stessa un orrore. No, queste... le foibe furono un'infamia commessa dopo la Liberazione, dopo la fine della guerra, e purtroppo vi hanno collaborato parecchi comunisti italiani, alcuni dei quali non solo sono ancora a piede libero, pur essendo vivi, ma ricevono delle pensioni di Stato. Ricevono delle pensioni di Stato. Però io ti posso dire questo: che come testimone oculare io ho visto anche in Croazia delle cose, da parte degli italiani, su cui è meglio sorvolare. Perché anche noi le abbiamo commesse, perché la guerra le comporta, questo è fatale, ecco. Quindi non facciamo tanto i moralisti. [...] No, questo {{NDR|tesi sloveno-croata sulla pulizia etnico-culturale da parte degli italiani durante il periodo di occupazione fascista}} è assolutamente falso. Pulizie etniche noi non ne abbiamo mai fatte, in nessun Paese occupato. Quando sento dire che noi facemmo anche la pulizia etnica in Etiopia, beh vabbè, mi cascano le braccia. Mi cascano le braccia. Quelle son menzogne infami, di gente o che non sa nulla, o che mente sapendo di mentire. Non è vero. Furono episodi, ma non di pulizia etnica, di rappresaglie. (dall'intervista al TG2, ''[http://www.youtube.com/watch?v=s9UXM_pKpqY Massacri delle foibe]'', 6 settembre 1996) *Tutto questo mi evoca dei ricordi poco simpatici. Era il [[fascismo]] che si conduceva così. Era il Fascismo che proibiva la satira, che in un paese civile e democratico dovrebbe essere assolutamente indenne da controlli politici; perché la satira non ha niente a che fare con la politica, anche se prende in giro la politica, ma si sa che è satira. Ed ogni regime serio e democratico accetta la satira, come si accettano le caricature. Era [[Benito Mussolini|Mussolini]] che non le sopportava. E qui pensano: «Ripuliremo la stalla», «Faremo piazza pulita». Ma questo linguaggio, al signor [[Gianfranco Fini|Fini]], chi glielo ispira? Ci ricorda delle cose che avremmo voluto dimenticare. Questa non è la destra, questo è il manganello. Gli italiani non sanno andare a destra senza finire nel [[manganello]]. [...] Alla Rai faranno piazza pulita, lo hanno già annunziato. Ma come si fa a definire democratico un partito che annunzia «Quando saremo al potere, noi faremo piazza pulita»? Ma questo è un linguaggio del peggiore squadrismo, che loro non sanno cosa fu, ma io me lo ricordo. Questo è il linguaggio con cui {{NDR|i fascisti}} andarono al potere. (da ''La settimana di Montanelli'', 17 marzo 2001) *Io voglio ringraziare Travaglio, perché ha detto l'assoluta e pura verità. Assolutamente. La versione che ha dato degli avvenimenti è quella esatta. [...] Io ho conosciuto due Berlusconi: il Berlusconi imprenditore privato che comprò ''il Giornale'' – e noi fummo felici di venderglielo, perché non sapevamo come andare avanti – su questo patto: tu, Berlusconi, sei il proprietario de ''il Giornale'', io, direttore, sono il padrone del ''Giornale'', nel senso che la linea politica dipende solo da me. Questo fu il patto fra noi due. Quando Berlusconi mi annunziò che si buttava in politica, io capii subito quello che stava per succedere. Cercai di dissuaderlo [...] ma tutto fu inutile. Dal momento in cui lo decise mi disse: «Ora ''il Giornale'' deve fare la politica della mia politica». Ed io gli dissi: «Non ci pensare nemmeno». Allora lui riunì la redazione come ha raccontato Travaglio – e questo lo fece a mia totale insaputa – e disse: «D'ora in poi ''il Giornale'' farà la politica della mia politica». E a quel momento me ne andai, cos'altro potevo fare? [...] Nella mia vita ci sono stati due Berlusconi, completamente opposti [...] questo fa parte del ritratto di Berlusconi. [...] Come capo politico è quello che io ho conosciuto in quei brutti giorni in cui scorrettamente, nella maniera più scorretta e più volgare, saltandomi, radunò la redazione de ''il Giornale'' per dirgli «Qui si cambia tutto» all'insaputa del direttore. Se questo sembra a Feltri un modo di procedere democratico e civile, è affar suo. (risposta telefonica a [[Marco Travaglio]] e [[Vittorio Feltri]] durante la trasmissione ''Il Raggio Verde'', 23 marzo 2001) *{{NDR|Silvio Berlusconi}} È il bugiardo più sincero che ci sia, è il primo a credere alle proprie menzogne. [...] È questo che lo rende così pericoloso. Non ha nessun pudore. (dall'intervista di Sophie Gherardi, ''L'Europa deve trattare il sig. Berlusconi con sdegno e disprezzo, non con ostilità'', ''Le Monde'', 8 maggio 2001<ref name=Travaglio2004/>) *Spero che l'Europa adotterà nei confronti di Berlusconi l'atteggiamento di indignazione e di disprezzo che merita. (dall'intervista di Sophie Gherardi, ''L'Europa deve trattare il sig. Berlusconi con sdegno e disprezzo, non con ostilità'', ''Le Monde'', 8 maggio 2001<ref name=Travaglio2004/>) {{Int|''Match''|a cura di Arnaldo Bagnasco, Alberto Arbasino e Maria Gefter Cervi, Rete 2, 18 gennaio 1978.}} *Io non stavo con Longanesi per ragioni ideologiche, anche perché io non ho mai capito quale ideologia avesse Longanesi. Longanesi non lo si poteva misurare sul piano ideologico, era sempre contro tutto e contro tutti. Era il frondista principe: lo è stato sotto il fascismo – e in fondo fece il più bel settimanale, forse, che abbia avuto l'Italia in questi ultimi decenni, credo: ''Omnibus'', che fu chiuso dal regime – e si è trovato sempre male con tutti i regimi. Che cosa pensasse in realtà Longanesi io, dopo un'amicizia di trent'anni, non sono mai riuscito a capirlo. Quello che mi affascinava di Longanesi, e che continua ancora oggi ad affascinarmi, è lo straordinario talento, l'inventiva, l'intuito, l'eleganza di Longanesi. Per cui io non consideravo le posizioni ideologiche di Longanesi, questo non m'interessava affatto. Per me era un fatto di vecchia amicizia: io sono un po' cresciuto con Longanesi, l'avrei seguito anche all'inferno perché con Longanesi si poteva andare anche all'inferno, diventava l'eden. *{{NDR|Sull'appello di votare DC nel 1976}} Questa può sembrare una contraddizione, ma che cosa avrei dovuto dire ai miei lettori? Di votare per chi? Questo è il punto. Oggi [...] i partiti laici ai quali io ideologicamente farei capo – liberale, repubblicano, socialdemocratico – fanno i pifferi di accompagnamento a un patto a sei, e questo era già nell'aria, prima del 20 giugno. Che cosa dovevo dire io ai miei lettori, «Votate per i pifferi di accompagnamento»? Francamente non me la sentivo. [...] Nonostante la mia etichetta di destra, io per i partiti di destra non mi schiererò mai. Io vorrei un centro: non lo trovo, non c'è. Un centro di opposizione democratica al regime che è già in atto non c'è. E allora che debbo fare? È colpa mia se la politica italiana non mi offre un centro? Io continuo a battermi per la costituzione di questo centro. *{{NDR|Domanda del pubblico: «Come mai in Italia non ci sono giornali indipendenti?»}} Io, per esempio, ho la presunzione – sarà infondata – di dirigere un giornale indipendente, perché vorrei sapere da chi prendo gli ordini. Me lo dica lei, Padre. {{NDR|«No, beh...»}} E allora, se non potete indicare qualcuno che mi dà gli ordini, io sono indipendente. {{NDR|«Rispondo anch'io da giornalista: è chiaro che un giornale non si sostiene con le idee sull'indipendenza, si sostiene con dei quattrini»}} Certo. {{NDR|«Allora io parlavo di un'indipendenza che, in quanto dipende da chi paga, è comunque una dipendenza ideologica. Questa era la domanda»}} Sì, l'ha scritto molto bene ''Repubblica'' [...] credendo di offendermi. Ha detto: «Il ''Giornale nuovo'' vive di collette». È vero, noi viviamo di collette, e io ne sono fiero perché le collette mi lasciano libero. {{Int|''Mixer''|a cura di Giovanni Minoli, Rete 2, 6 aprile 1981.}} *{{NDR|«Perché fu fascista fino al '37?»}} Questa è la storia della mia generazione, tutta la mia generazione è stata fascista fino al '35, al '36 o al '43. *{{NDR|«E perché smise di esserlo?»}} Perché noi credevamo che il fascismo fosse una cosa, e poi ci accorgemmo che era un'altra. *{{NDR|«Lei ha detto: "Buffoni, cafoni di natura, ''parvenus'', tutta gente in malafede, il bassettume, il pirellume, il cedernismo". Si riferiva alla Milano radical chic, ma che cosa voleva dire, esattamente?»}} Quello che ho detto. Veramente, io ne ho il più profondo disprezzo. Io accetto benissimo i comunisti: i comunisti sono gente seria, pericolosissimi, ma seri. I [[radical chic]] no. *{{NDR|«È sempre convinto del suicidio dell'anarchico Pinelli?»}} Assolutamente. *{{NDR|«Lei a Catanzaro, al processo per la strage di piazza Fontana, ha dichiarato: "Secondo me, il commissario Calabresi fu vittima di una campagna di stampa". Cioè?»}} No, non l'ho dichiarato a Catanzaro, lo dissi molto prima. Basta rileggere i giornali di quei tempi, e soprattutto i rotocalchi: veramente, Calabresi fu vittima di una campagna stampa infame e ingiusta, perché era uno dei funzionari più corretti che ci fossero. *{{NDR|«Pietro Valpreda, qui a ''Mixer'', ha definito Calabresi come "un tecnocrate del potere". Lei che cosa ne pensa?»}} Ma che significa «un tecnocrate del potere»? Un commissario di polizia serve il potere, chi diavolo deve servire? Valpreda? {{Int|''Faccia a Faccia: intervista a Indro Montanelli''|''Mixer'', a cura di Giovanni Minoli, Rai 2, 5 maggio 1985.}} *[[Renato Curcio|Curcio]] non sparava alle spalle, sparava di fronte, andava di persona a sparare. Naturalmente siamo su delle barricate opposte, ma io stimo Curcio. Lo stimo. È un uomo che secondo me ha delle idee sbagliate ma le serve, le serve da soldato vero. Con un suo galateo. Col suo coraggio. Senza mai rinnegarsi. Non si è pentito! *Io sono convinto che la magistratura debba essere indipendente, però chiedo ed esigo che abbia un autogoverno di controllo, e che soprattutto risponda dei suoi gesti. Oggi noi abbiamo una magistratura che non risponde a nessuno dei suoi errori spesso catastrofici, perché hanno distrutto uomini, hanno distrutto aziende per delle cose che poi si son rilevate insussistenti. Mai un magistrato ha pagato per questo. Io voglio che i magistrati paghino. Non dico a dei poteri esterni, ma perlomeno al potere a cui viene affidata la disciplina nella categoria. *Tutta l'intellighenzia italiana ha una vecchia tradizione di servilità, com'è logico, perché si è sviluppata in un Paese analfabeta, per secoli e secoli analfabeta. Non avendo il lettore doveva per forza procurarsi il protettore. Scriveva per il protettore. *{{NDR|«Il suo peggior difetto qual è, Montanelli?»}} Quello di non riconoscermene nessuno. *{{NDR|«[[Leo Longanesi|Longanesi]], parlando di lei, un giorno disse che lei capiva le cose con dieci mesi di anticipo rispetto a tutti gli altri. Ecco, tra dieci mesi cosa vede in [[Italia]]?»}} Queste erano le cose di Longanesi, ma in realtà io non riesco a vedere tra dieci giorni. {{Int|''[http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/1991/11/16/giangi-feltrinelli-io-non-ti-perdono.html 'Giangi' Feltrinelli io non ti perdono]''|''la Repubblica'', 16 novembre 1991, p. 33.}} *[[Giangiacomo Feltrinelli|Lui]] fu l'emblema di tutto quanto accadde in quegli anni {{NDR|Anni della contestazione}}. A differenza della [[Francia]], eravamo un paese da burletta, con una contestazione da burletta e rivoluzionari da burletta. E Feltrinelli ne fu l'esponente più qualificato. *Era il 1940 e a quel tempo Giangi aveva quattordici anni e seguiva i corsi scolastici con pessimo profitto. Giangiacomo era un ragazzetto che voleva a tutti i costi cavalcare qualcosa di rivoluzionario. Non importava il colore. Tanto è vero che il suo sogno fu prima il fascismo e poi Che Guevara. *{{NDR|«L'importante è stare in prima linea il fascismo?»}} Ma sì, negli anni Quaranta lui era fascista. Era talmente fascista che nel 1943, dopo l'8 settembre, voleva denunciare sia me che Barzini per alcune cose che avevamo detto contro i fascisti. Allora pensava di aderire a Salò. La sua dedizione a una causa quale che sia, purché rivoluzionaria, lo spingeva a questi atti pazzeschi. *Generoso? Lo chieda ai suoi collaboratori. Era una specie di padrone delle ferriere che spendeva generosamente solo per soddisfare il suo vizio principale: la rivoluzione. Con chi era in difficoltà non si dimostrò mai particolarmente generoso. *{{NDR|«Perché allora lei è così implacabilmente critico nei suoi riguardi?»}} Non ce l'ho neppure tanto con lui, quanto con tutti coloro che di Feltrinelli hanno fatto un mito. In realtà era un povero uomo. Un ingenuo divorato dall'esibizionismo. *{{NDR|«Come può ridurre tutto alla convinzione che fosse solo un ingenuo e un esibizionista?»}} Anche Starace segnò un decennio della nostra vita. Mica per questo era meno cretino. Se Feltrinelli sia stato qualcosa di più complesso, io non riesco a vederlo. Posso aggiungere questo: quella sua mania di ostentazione, quella voglia di primeggiare su tutte le cose lo ha condotto anche a degli atti di eroismo. Perché uno che sale su un traliccio, con la dinamite che non sa maneggiare e salta per aria, beh almeno il coraggio gli va riconosciuto. O forse chiamiamola incoscienza. {{Int|''[http://www.archiviolastampa.it/component/option,com_lastampa/task,search/mod,libera/action,viewer/Itemid,3/page,15/articleid,0824_01_1992_0072_0015_25082247/ Montanelli e il sacco di Milano]''|''La Stampa'', 14 marzo 1992, p. 14.}} *{{NDR|Il regime corrotto}} C'è ancora. Ma la rivolta non era tanto contro la corruzione e la partitocrazia, che erano senza dubbio un grosso male, ma che non erano il male più letale. In quel momento era proprio la società che si disfaceva, le condizioni della scuola, la predicazione del nulla, insomma la contestazione globale, l'ubriacatura degli Anni Settanta, che fu l'ubriacatura del terrorismo, e quella acquiescenza di una certa borghesia, salottiera, radical chic, che amoreggiava con queste cose, che aveva le smanie maotsetunghiste, che poi parlavano tutti di cose che non sapevano. La corruzione dei partiti invece è quasi immanente. La partitocrazia è destinata a durare almeno finché non si riforma la legge elettorale. Ma questa è la battaglia che noi cerchiamo di fare oggi. *{{NDR|«Ma gli Anni Settanta non hanno anche prodotto qualcosa di positivo nella società italiana?»}} No. Non vedo fatti positivi nel lascito degli [[anni di piombo]]. Vorrei sapere veramente quali. Quando dicono per esempio il divorzio. Ma il divorzio c'era già prima. Quelle sono conquiste sociali. C'era bisogno dei pistoleros per il divorzio? Ma andiamo! *{{NDR|«Però lei difendeva Pannella»}} Sì. A [[Marco Pannella|Pannella]] dobbiamo veramente due cose, malgrado le sue mattane. Effettivamente riuscì a impedire a una certa aliquota di giovani di finire in braccio al terrorismo, cioè gli dette un'altra bandiera. E alcune battaglie sue furono sacrosante, come quella del divorzio che appoggiammo. Poi verso Pannella io ho una certa simpatia, dovuta al mio vecchio fondo anarchico, libertario, che ritrovo in lui. È una simpatia genetica. Ritrovo in lui quello che io sono stato a vent'anni. *{{NDR|«Ma che fine ha fatto quella borghesia, che fine hanno fatto quei salotti buoni? Le sue battaglie contro la Crespi o contro la Cederna sono cosa Passata? Sono cambiati loro, oppure è cambiato lei?»}} Vabbè, con la [[Camilla Cederna|Camilla]] poi siamo ridiventati amici. Con la Crespi no, mai. Ma non ho più rancori, non ho più animosità. Però è un mondo che disprezzo un po', perché è un mondo di pecore che seguono sempre il filo del vento, santoiddio, sono proprio personcine, personcine inconsistenti, pronte ad andare con chiunque. E poi sempre per salvare i propri interessi, non è che abbiano delle idealità, no? Oggi è cambiato il vento, quindi sono cambiati anche loro. Ma non è che sia cambiato il mio giudizio. Quel mondo lì io non lo amo. *La crisi rimane e si riflette nell'amministrazione cittadina. L'amministrazione era sempre stata un autentico specchio. Fino a Bucalossi il Comune di Milano era retto da specchiati galantuomini, che finivano tutti poveri, in miseria, finivano alla Baggina. Gente davvero di una correttezza esemplare. Poi sono venuti gli Aniasi e compagni e guardi qui dove siamo arrivati: siamo arrivati a [[Mario Chiesa|Chiesa]]. {{Int|''[https://web.archive.org/web/20121107180200/http://archiviostorico.corriere.it/1993/giugno/06/Montanelli_tura_naso_come_nel_co_0_93060610816.shtml Montanelli si tura il naso come nel '76: voto l'uomo della Lega]''|''Corriere della Sera'', 6 giugno 1993, p. 3.}} *Mi sono dannato l'anima perché il centro avesse un ''suo'' candidato. Avrei voluto Locatelli: era la persona giusta per portare la bandiera referendaria e raccogliere gli elettori moderati. Era quello il mio sogno. *Segni non ha capito nulla, è arrivato in ritardo, ha candidato una persona che nessuno conosce. Non abbiamo ''un'' rappresentante del centro, ma tre surrogati che si elimineranno a vicenda. E ci toccherà scegliere fra [[Nando dalla Chiesa|Dalla Chiesa]] e Formentini. *{{NDR|«Di qui il suo suggerimento: turarsi il naso e votare Lega»}} No, non dico "Votiamo Lega", dico "Votiamo Formentini". E nel suo caso non ci si deve neppure turare il naso: è modesto, anche mediocre se vogliamo, ma è onesto. Non credo sia marcio. Insomma: è il male minore. *{{NDR|«E Dalla Chiesa?»}} No, il mio voto non lo avrà. Perché io non voto per la sinistra e per un sinistro come quello lì. *{{NDR|«Ma che cosa la preoccupa nella coalizione di Dalla Chiesa?»}} Questi reperti di un mondo fallito vogliono ora governare l'Italia. E io con loro non ci sto. La storia gli ha dato torto, la realtà li svergogna e noi dovremmo fidarci? È stata l'apertura a sinistra a dare inizio alla putredine. {{Int|''Eppur si muove''|a cura di Indro Montanelli e Beniamino Placido, Rai 3, 1994.}} *Ogni italiano è insieme furbo e fesso. L'italiano è furbissimo nella gestione dei suoi affari privati, può ricorrere a tutte le astuzie, è attento, è accorto, ed è assolutamente fesso nel non rendersi conto che se i suoi affari privati rimangono immessi in una società che non funziona – cioè dove gli interessi generali vengono trascurati e negletti – i suoi interessi privati finiscono col soffrirne e col condurlo al fallimento. Questo, a noi italiani, non entra in testa. (6 febbraio 1994) *È probabile che molti stranieri mandino i loro figli, a Roma, a scuola. Ma quali scuole? Alle loro. Gli americani mandano i loro figli alla scuola americana, i tedeschi alla scuola tedesca, i francesi alla scuola francese. Non li mandano mica alla scuola italiana, se ne guardano bene e hanno ragione, visto il modo in cui si insegna in Italia. (ibidem) *Da noi prima uscivano dei ragazzi che sapevano abbastanza di greco, di latino, ma che il carattere non lo avevano formato a scuola: o se lo formavano da soli, oppure non se lo formavano mai. (ibidem) *Lo [[Zingari|zingaro]] che fa tranquillamente la sua vita non dà noia a nessuno, è quando ruba che, naturalmente, suscita qualche perplessità (uso un eufemismo). Diciamo la verità, in Italia il razzismo non c'è. Per inventare una questione razziale ci volle una legge, e una legge fatta da un regime totalitario perché il Paese non la sentiva. Non poteva sentirla perché non è nella nostra tradizione. [...] L'Italiano non ha dei risentimenti razziali. [...] {{NDR|Sugli episodi di intolleranza e di paura per il diverso}} È un fatto di piccolissime minoranze, diciamo la verità. Non inventiamo adesso una questione {{NDR|razziale}}. Io ho vissuto nelle società veramente razziste, è tutta un'altra faccenda. (con [[Serena Dandini]], 20 marzo 1994) *Io ebbi una moglie etiopica, nel senso che la comprai secondo l'uso locale. {{NDR|«Come, scusi?»}} Eh beh, ma gli usi locali erano questi. Tutti, anche gli etiopici, compravano la moglie. {{NDR|«Quanto costava una moglie?»}} Poco. Costava poco, mi pare che mi costò – allora, però (anno 1935) – 500 lire e un tucul {{NDR|trattando}} col suocero. Perché queste furono transazioni fatte dal mio emissario, che era il più anziano graduato della mia banda, col padre della ragazza. [...] Questo matrimonio durò finché noi stemmo di stanza a Saganèiti, cioè a dire prima che scoppiasse la guerra con l'Abissinia (che non fu precisamente una guerra, fu una specie di avventura). [...] Poi questa mia moglie, perché era considerata tale, quando io partii sposò un mio graduato e al primo figlio – è vivo tuttora, mi hanno detto – diede il mio nome, per cui alcuni credettero che fosse figlio mio. Non era figlio mio. Soltanto che per deferenza... {{NDR|«Lei non pensò mai di portarla con se in Italia?»}} Beh, no. No, anche perché era molto difficile strapparla ai suoi costumi. Lei stessa, in fondo, non voleva venire. Lei apparteneva alla sua terra, io le feci una piccola dote e quindi andò tutto regolarmente. Era molto bellina. (ibidem) *Gran parte delle forze leghiste, quelle che accennano a qualche razzismo nei confronti del meridionale, sono composte da meridionali che si sono milanesizzati e ci si trovano talmente bene a Milano che non vogliono che altri arrivino dal sud. (ibidem) *Per me la [[destra]] non è una [[ideologia]]: è un modello di comportamento. Si può essere di destra anche a sinistra. Questo comportamento è il criterio rigoroso del servizio della vita pubblica. (con [[Arnoldo Foà]], 17 aprile 1994) *Nella storia della [[Italia|nazione italiana]] io vedo pochi uomini all'altezza della qualifica di una destra illuminata che non solo accetta ma vuole le [[Riformismo|riforme]]. Un uomo di destra certamente io non credo che fosse [[Camillo Benso, conte di Cavour|Cavour]], del resto il suo connubio lo dimostra, la sua disinvoltura nelle alleanze politiche lo dimostra. Certamente di destra era [[Bettino Ricasoli|Ricasoli]]. Certamente era [[Quintino Sella|Sella]]. Certamente era [[Giovanni Giolitti|Giolitti]]: uomo che dette il suffragio universale, e che riconobbe il diritto di [[sciopero]]. Questo è un uomo di destra. Certamente un uomo di destra era [[Alcide De Gasperi|De Gasperi]], senza dubbio. E, adesso non vorrei scandalizzare la gente, ma direi che uomo di destra per il concetto che aveva dello [[Stato]] e del [[potere]] era anche [[Palmiro Togliatti|Togliatti]]. E questo dimostra che si può essere uomini di destra anche a [[sinistra]]. La destra è una regola di comportamento, una regola [[morale]] di comportamento. (ibidem) {{Int|''[https://web.archive.org/web/20101005073648/http://archiviostorico.corriere.it/1997/novembre/09/Montanelli_gambizzato_cinque_mesi_prima_co_0_9711098446.shtml Montanelli "gambizzato" cinque mesi prima: "Mi salvò una promessa a Mussolini"]''|''Corriere della Sera'', 9 novembre 1997, p. 29.}} *Quella mattina {{NDR|2 giugno 1977}} sono in due nei giardini di piazza Cavour, a Milano. Uno mi spara alle gambe. L'altro mi tiene nel mirino della sua pistola. I primi due – tre proiettili entrano nelle mie lunghe zampe di pollo. Non devastano né ossa né arterie. Ma sarebbero sufficienti per far cadere a terra qualsiasi cristiano. In quegli attimi ricordo la promessa che avevo fatto a Mussolini, e a me stesso, quando, bambino, mi ritrovai intruppato nei balilla: "Se devi morire, muori in piedi!" Davanti a questi vigliacchi che non hanno il coraggio di affrontarmi in faccia, penso, non posso morire in ginocchio. E mi aggrappo alla cancellata dei giardini. Non sto in piedi sulle gambe, ma mi reggo dritto con la forza delle braccia. E quello continua a sparare e a centrare le mie zampe di pollo. Se mi fossi accasciato, se mi fossi inginocchiato davanti a lui, a quell'ora sarei morto. *Per [[Renato Curcio|lui]] ho sempre avuto rispetto. Penso che la sua autoemarginazione dalla società prima e l'emarginazione che la società gli ha imposto poi ci abbiano privato di un uomo di valore. Non lo conosco di persona, ma lo stimo, anche se poteva essere lui quello che ha mandato i due ragazzi a spararmi. Non ho rancore: quando la guerra è finita gli avversari si devono stringere la mano e devono brindare alla pace ritrovata. *Apprezzo il coraggio di chi non si pente per ricavarne un utile, di chi non denuncia il compagno di errori ma riconosce i propri torti. Almeno i brigatisti lottavano per ideali diversi da quelli dello stalinismo e del comunismo sovietico. I terroristi neri, invece, volevano soltanto restaurare un regime sepolto dalla storia. I rossi non sapevano bene cosa ma avevano in mente qualcosa di nuovo. *{{NDR|«E se avessero vinto loro?»}} Impossibile. L'esistenza del terrorismo ha soltanto ribadito le manchevolezze del nostro Paese: uno Stato inefficiente e un popolo codardo e conformista. *{{NDR|Sui burattinai, i Grandi Vecchi, la Cia, i Servizi segreti}} Fregnacce: che gliene poteva importare alla Cia di fucilare gente come il buon Casalegno o quel galantuomo di Emilio Rossi, vent'anni fa direttore del Tg Uno, o quel bischero di Montanelli? La dietrologia era una divagazione di intellettuali perditempo. Il vero problema era ed è un altro: finché non ci decideremo a riconoscere la mancanza negli italiani di una coscienza nazionale e civile questo pericolo del terrorismo lo correremo sempre. E questa fabbrica di una coscienza nazionale e civile io non la vedo nascere. *{{NDR|Sul dolore che il tempo non ha cancellato nei parenti delle vittime}} Anche noi italiani dobbiamo imparare a pagare gli inevitabili tributi dovuti alla Storia come hanno saputo fare tutti i Paesi occidentali. Il dolore resta, ma la piaga va ricucita. Una volta per tutte. {{Int|''[http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/1998/07/25/borghesia-vile-deludente.html Borghesia vile e deludente]''|''la Repubblica'', 25 luglio 1998, p. 8.}} *È la solita bruciante delusione, questa nostra borghesia. Non cambia mai, è sempre la stessa: la più vile di tutto l'Occidente. Gente portata a correr dietro a chi alza la voce, a chi minaccia, al primo manganello che passa per la strada. Questo sono i nostri borghesi: tutti fascisti sotto il fascismo, poi tutti antifascisti fin dall'indomani. Quando il comunismo era forte e faceva paura, e io fondai ''il Giornale'', mi lasciarono solo e senza un soldo. Ai tempi del terrorismo, amoreggiavano con gli estremisti nella speranza che quelli – andati al potere – gli risparmiassero la villa e il portafoglio. E ora che il comunismo non c'è più, si scoprono tutti anticomunisti, questi sedicenti liberaloni. *Il loro eroe è sempre chi brandisce il [[manganello]]. Ieri, il manganello vero. Oggi, quello catodico delle televisioni. Il liberalismo vero l'hanno sempre tradito, anzi non hanno mai saputo che cosa sia. Non vogliono le regole, detestano le leggi, vogliono avere le mani libere per fare quello che gli pare, in nome della loro cosiddetta «[[efficienza]]». Quando abbiamo fondato ''la Voce'' l'abbiamo toccato con mano: parlare di regole e di legalità a questa gente è peggio di un insulto, una bestemmia in chiesa. *L'ho sempre detto che fu un errore, quattro anni fa, defenestrarlo. Bisognava lasciarlo lì ancora un bel po', così tutti avrebbero capito quanto vale, che razza di statista è... Magari adesso non saremmo in Europa, ma non avremmo così tante gente che si lascia ubriacare dalla sua propaganda, che prova nostalgia per lui. *{{NDR|«E se un giorno si andasse a votare per il suo referendum, quello per abolire i reati del Cavaliere?»}} In quella forma, mi pare difficile che si arrivi, anche se in Italia non si sa mai. Comunque, se si votasse, credo che anche lì vincerebbe lui. Perché è quello che vuole questa nostra borghesia. Ormai è ufficiale: Berlusconi ce lo meritiamo. {{Int|''[http://www.repubblica.it/online/politica/satiquattro/montanelli/montanelli.html L'Italia di Berlusconi è la peggiore mai vista]''|''la Repubblica'', 26 marzo 2001.}} *Io voglio che vinca, faccio voti e faccio fioretti alla Madonna perché lui vinca, in modo che gli italiani vedano chi è questo signore. [[Silvio Berlusconi|Berlusconi]] è una malattia che si cura soltanto con il vaccino, con una bella iniezione di Berlusconi a Palazzo Chigi, Berlusconi anche al Quirinale, Berlusconi dove vuole, Berlusconi al Vaticano. Soltanto dopo saremo immuni. L'immunità che si ottiene col vaccino. *È strano: io non avevo mai preso parte alla campagna di demonizzazione: tutt'al più lo avevo definito un pagliaccio, un burattino. Però tutte queste storie su Berlusconi uomo della mafia mi lasciavano molto incerto. Adesso invece qualsiasi cosa è possibile: non per quello che succede a me, a me non succede nulla, non è che io rischi qualcosa, è chiaro. Quello che fa male è vedere questo berlusconismo in cui purtroppo è coinvolta l'Italia e anche tante persone perbene. *La scoperta che c'è un'Italia berlusconiana mi colpisce molto: è la peggiore delle Italie che io ho mai visto, e dire che di Italie brutte nella mia lunga vita ne ho viste moltissime. L'Italia della [[marcia su Roma]], becera e violenta, animata però forse anche da belle speranze. L'Italia del 25 luglio, l'Italia dell'8 settembre, e anche l'Italia di piazzale Loreto, animata dalla voglia di vendetta. Però la volgarità, la bassezza di questa Italia qui non l'avevo vista né sentita mai. Il berlusconismo è veramente la feccia che risale il pozzo. {{Int|''La Storia d'Italia di Indro Montanelli''|a cura di Mario Cervi, interviste di Alain Elkann, ''Cecchi Gori Editoria Elettronica Home Video'', 1999.}} *Il silenzio mantenuto finora {{NDR|sui massacri delle foibe}}, o quasi silenzio, si spiega facilissimamente: tutta la storiografia italiana del dopoguerra era di sinistra, apparteneva all'intellighenzia di sinistra, la quale era completamente succuba del Partito Comunista. Quindi non si poteva parlare delle foibe, che non appartenevano al comunismo italiano, ma appartenevano certamente al comunismo slavo, di cui però il comunismo italiano era alleato e faceva gli interessi. Quindi di questo non si poteva parlare, e non si poteva parlare delle stragi del triangolo della morte, perché anche queste ricadevano sulla coscienza – ammesso che ce ne sia una – del Partito Comunista, il che sta a dimostrare quello che dicevo prima, cioè che la Resistenza non fu una resistenza, fu una guerra civile tra italiani che continuò anche dopo il 25 aprile. [...] {{NDR|Sull'eccidio dei conti Manzoni}} Andai come giornalista [...] per appurare com'era andata la strage dei conti Manzoni, dopo la fine della guerra. [...] Una famiglia di persone che col fascismo non aveva niente a che fare, ci aveva convissuto come tutti gli italiani. Bene, nessuno mi voleva parlare di questa faccenda. [...] Nessuno ne aveva parlato, né dei Carabinieri né della Polizia e tantomeno della magistratura, eppure lo sapevano. [...] C'era una complicità assoluta, una complicità dannata. [...] Se ne parla ora perché il Muro di Berlino è crollato, ma si ricordi che trent'anni fa, quando [[Renzo De Felice|De Felice]] annunziò di mettere allo studio il ventennio fascista per sapere com'era andata, fu proposta la sua estromissione dalla cattedra universitaria, solo perché metteva allo studio un ventennio di storia italiana che, bella o brutta, c'era stata. [...] Non era possibile inquadrare storicamente il fascismo: chi lo faceva, cercando di spiegare i perché della sua durata, ed anche i perché della sua catastrofe, veniva accusato di fascismo. (da ''Dalla Monarchia alla Repubblica'') *È difficile sapere che cosa fu [[Palmiro Togliatti|Togliatti]], perché Togliatti non ha lasciato memoriali, non ha lasciato diario, che cosa pensasse Togliatti non lo sapeva nessuno, credo nemmeno la sua compagna Nilde Iotti. Si può dire che è stato un esecutore fedele degli ordini di [[Stalin]]. Lo è stato sempre, e per questo godeva la fiducia di Stalin. [...] Era un diplomatico per sé, soprattutto, perché é un uomo sopravvissuto a venticinque o trent'anni anni di Mosca, senza finire in galera, processato o contro il muro. Beh, questo è uno dei grandi personaggi. Sono pochi. {{NDR|«Non era uno statista, per esempio?»}} Non poteva essere uno statista perché i comunisti non hanno lo Stato nel sangue, i comunisti hanno il partito. Stalin non è mai stato Capo dello Stato, e nemmeno Capo del Governo, era capo del partito. Il potere nei regimi comunisti non sta né nello Stato né nel governo, sta nel partito. (da ''Dalla proclamazione della Repubblica al Trattato di pace'') *Questa [[Costituzione della Repubblica italiana|Costituzione]] porta male gli anni da quando aveva un giorno, perché fu subito chiaro quali erano i suoi difetti. Del resto furono anche denunciati da uomini come, per esempio, [[Piero Calamandrei|Calamandrei]], come Mario Paggi. (da ''Dall'assemblea costituente alla vigilia delle elezioni del 1948'') *I difetti furono soprattutto due. Il primo difetto fu di ripartizione dei lavori. La Costituente era formata da 600 membri eletti di passaggio. Voglio {{NDR|far}} notare che quella fu la prima elezione che si tenne in Italia – per la Costituente, non per il Parlamento – ma dove ci fu lo spiegamento dei partiti. Ogni partito portò i suoi candidati, cioè dei giuristi che facevano capo alla propria ideologia. Bene, in quella prima elezione il 35% dei voti andò ai democristiani, il 21% andò ai socialisti di [[Pietro Nenni|Nenni]], il 19% ai comunisti. Quindi in quel momento... non c'era ancora il Fronte ma in quel momento i socialisti facevano premio sui comunisti. Erano di poco, ma un po' più forti dei comunisti. [...] Questi 600 costituenti non potevano lavorare tutti insieme, era impossibile mandare avanti 600 persone a dibattere all'infinto le stesse cose, e allora i lavori furono devoluti a una commissione che si chiamò la ''Commissione dei Settantacinque'', perché erano 75 membri della Costituente che venivano incaricati per le loro competenze specifiche di redigere il testo. Ma anche 75 erano troppi, e allora anche i 75 si frazionarono in sotto-commissioni, ognuna delle quali lavorò per conto suo. Non ci fu un piano di insieme. {{NDR|«Quindi non fu un vero lavoro collettivo»}} Non fu un vero lavoro collettivo. Calamandrei lo disse subito: «Noi stiamo montando una macchina, che magari pezzo per pezzo sarà anche ben fatta, ma le cui giunture non coincidono con le giunture di altri pezzi». [...] Fu lasciata così perché nessuno volle rinunziare al proprio elaborato, e questo è tipico degli italiani. (da ''Dall'assemblea costituente alla vigilia delle elezioni del 1948'') *Il secondo motivo che rese questa Costituzione veramente impalatabile e nociva per il regime che ne doveva nascere, fu che i nostri costituenti partirono dal punto di vista opposto a quello da cui sarebbero partiti i costituenti tedeschi quando la Germania fu libera di elaborare una sua Costituzione. Da che cosa partirono i costituenti tedeschi? Da questo ragionamento: il nazismo fu il frutto della Repubblica di Weimar. Cos'era la Repubblica di Weimar? Era l'impotenza del potere esecutivo, cioè del Governo. [...] La Germania rimase nel disordine, nel caos, nella Babele dei partiti che non riuscivano a trovare mai delle maggioranze stabili, quindi dei governi efficaci. Ecco perché Hitler vinse, perché il nazismo vinse. I costituenti nostri partirono dal presupposto contrario, cioè dissero: «Cos'era il fascismo? Il fascismo era il premio dato a un potere esecutivo che governava senza i partiti, senza controlli eccetera. Quindi noi dobbiamo esautorare completamente il potere esecutivo, {{NDR|negando}} la possibilità di dare ai governi una stabilità, eccetera». Per rifare che cosa? Weimar. Cioè, mentre i tedeschi partivano dalla negazione di Weimar, noi arrivavamo {{NDR|a Weimar}} senza dirlo. Nessuno lo disse, ma questo fu il risultato. [...] Non fu possibile nemmeno introdurre quella solita linea di sbarramento che invece fu introdotta in Germania, per cui i partiti che non raggiungevano non ricordo se il 5 o il 3%, non avevano diritto a una rappresentanza. No, tutti i partiti dovevano esserci e tutti avevano un potere di ricatto sulle maggioranze, che erano per forza di cose di coalizioni. (da ''Dall'assemblea costituente alla vigilia delle elezioni del 1948'') *Gli italiani non imparano niente dalla Storia, anche perché non la sanno. {{NDR|«Forse non amano la Storia»}} Non la amano, non la leggono, non se ne interessano, ma questo anche le classi dirigenti: sono uguali, intendiamoci. {{NDR|«Lei auspica che venga rifatta questa Costituzione»}} Sì, ma che venga rifatta secondo criteri logici, non {{NDR|secondo}} criteri illogici. Tutte le volte che si diceva «Ma qui bisogna restituire un po' di autorità al potere esecutivo, bisogna mettere i governi in condizione di governare» si diceva: «Fascista! Fascista!». Con questo ricatto qui abbiamo fatto le più grosse scempiaggini che si potesse immaginare. (da ''Dall'assemblea costituente alla vigilia delle elezioni del 1948'') *La fine di [[Alcide De Gasperi|De Gasperi]] è la fine di un'epoca: con lui finisce un'epoca e ne comincia un'altra non certamente migliore. [...] C'è una bella pagina della figlia di De Gasperi, Maria Romana, che ha scritto un bel libro sul padre. Un libro tutto vero in cui racconta anche i funerali su in Val Sugana: c'era naturalmente tutta la nomenclatura democristiana che accompagnava la bara. Oramai De Gasperi era morto, si poteva anche fingere il compianto, e a un certo momento un passante che era lì – uno che guardava, che non aveva niente a che fare con la politica, con la Democrazia Cristiana eccetera eccetera – si avvicinò al feretro e scansando questi turiferari della DC disse: «No, non è vostro! De Gasperi è nostro! Era un italiano!». E aveva ragione. De Gasperi era nostro, non un democristiano. (da ''Gli anni di Alcide De Gasperi'') *{{NDR|[[Giovanni Gronchi]]}} Era un uomo molto abile, brillante parlatore, molto abile anche negli affari. Era molto più libertino di [[Carlo Sforza|Sforza]], quindi la Democrazia Cristiana [...] era cambiata, evidentemente, e Gronchi fu eletto per una faida interna della Democrazia Cristiana, perché [[Amintore Fanfani|Fanfani]] voleva [[Cesare Merzagora|Merzagora]]. Allora per fare dispetto a Fanfani, invece gli buttarono fra i piedi [[Giovanni Gronchi|Gronchi]], il quale seppe benissimo tessere la sua trama fra Sinistra, Destra eccetera e far diventare gronchiani anche quelli degli altri partiti. Dicendosi agli uni uomo di Destra e agli altri uomo di Sinistra, facendo insomma il giuoco personale di Gronchi, con cui entrò in Quirinale il vero grande corruttore della vita politica italiana. [...] Dopo l'onestissimo [[Luigi Einaudi|Einaudi]] viene Gronchi, che è l'indulgenza plenaria verso tutte le deviazioni e i deviazionisti d'Italia. (da ''La rivolta in Ungheria e l'elezione di Giovannni XXIII'') *Questa storia dell'MSI è una delle grandi truffe della Prima Repubblica: nella Costituzione c'è un articolo che proibisce la rinascita di un partito fascista. Ecco. Ora, l'MSI era chiaramente un partito fascista. Non lo negava, anzi si faceva gloria del fatto di essere l'erede eccetera. Perché lo avevano messo, allora? Lo avevano messo perché questo partito fascista, che avrebbe dovuto essere escluso dalla vita politica, serviva a captare un certo numero di voti che, senza questo partito, sarebbero andati a dei partiti moderati di Centro e soprattutto, forse, alla Democrazia Cristiana. Quindi quale fu il gioco delle Sinistre, a cui la Democrazia Cristiana però si piegò e si rassegnò: è consentito di esistere all'MSI, però l'MSI quando è in Parlamento è escluso dal gioco parlamentare. Così si mettevano i voti dell'MSI in ''frigidaire'', e così non andavano alla Democrazia Cristiana e ai partiti {{NDR|di Centro}}. È una delle peggiori truffe che è stata inventata dalla classe politica che ci ha governato per cinquant'anni. (da ''I successori di De Gasperi e la politica italiana fino alla morte di Togliatti'') *Io vorrei sapere quali furono le crescite... di civiltà che il [[Sessantotto]] pretende di averci lasciato. Io vedo tutt'altra cosa: io vidi nascere, dal Sessantotto, una bella torma di analfabeti che poi invasero la vita pubblica italiana, e anche quella privata, portando dovunque i segni della propria ignoranza. Io ho visto questo. Può darsi che sia affetto da sordità o da cecità ma io non ho visto altro, come frutti del Sessantotto. (da ''Il Sessantotto e la politica di Berlinguer'') *{{NDR|La differenza tra il Sessantotto francese e quello italiano è}} La differenza che passa fra l'originale e il fac simile perché il Sessantotto nacque in [[Francia]] e in [[Italia]] fu un fatto di riporto, di imitazione. {{NDR|«Che vi fu in tutto il mondo, però, questo»}} Un po' in tutto il mondo ma particolarmente in Italia dove non nasce mai niente, è sempre qualcosa di imitato dagli altri. Bene o male, insomma, i francesi ebbero... anche una certa cultura del Sessantotto, ebbero [[Jean-Paul Sartre|Sartre]]. Oddio, Sartre rivisto con gli occhi di oggi naturalmente scende molto dal suo mitico piedestallo. [...] In Italia non ci fu neanche un Sartre. (da ''Il Sessantotto e la politica di Berlinguer'') *Credo che su [[Pier Paolo Pasolini|Pasolini]] si sia preso un grosso abbaglio: Pasolini è passato per uno scrittore di sinistra perché aveva preso come sfondo dei suoi racconti – bellissimi del resto – il sottoproletariato delle borgate romane, i ragazzi di vita, insomma, la schiuma della società. Ma lo aveva fatto per dei gusti e dei motivi del tutto personali sui quali è inutile tornare a far commenti. Questo lo aveva fatto considerare come uno scrittore, un difensore del proletariato, ma non era una scelta politica quella che aveva fatto Pasolini. Non c'entrava niente, assolutamente nulla. Quindi quello che lui disse era assolutamente vero, cioè dire che nei tafferugli, dove spesso ci scappava il morto, tra quei dilettanti delle barricate che erano {{NDR|dei borghesi}}, i veri proletari erano i poliziotti, tutti figli di famiglie povere, eccetera eccetera. I dilettanti delle barricate erano tutti o quasi tutti figli di papà: aveva ragione Pasolini! Ma come no! E questo fu considerato un tradimento all'ideologia di sinistra. (da ''Il Sessantotto e la politica di Berlinguer'') *Il primo fenomeno fu il Sessantotto, e il Sessantotto partorì poi il terrorismo, il brigatismo rosso eccetera eccetera. Su questo non ci son dubbi, insomma. Dirò di più: i più seri, e forse gli unici seri, furono quelli che poi diventarono dei terroristi e che quindi rischiarono la loro vita, almeno. Gli altri erano quello che diceva Pasolini, dei figli di papà. (da ''Il Sessantotto e la politica di Berlinguer'') *{{NDR|La figura del Grande Vecchio}} È una di quelle fandonie, di quelle stupidaggini che piacciono tanto a noi italiani: l'idea di un Grande Vecchio che organizzasse tutte queste stragi, attentati eccetera eccetera. È un affare da Simenon di borgata insomma – no? Piaceva l'idea che ci fosse dietro tutta una strategia. Sennonché poi non si sapeva chi fosse il Grande Vecchio. {{NDR|«Aveva un volto questo grande vecchio?»}} Ne ha avuti molti: naturalmente [[Giulio Andreotti|Andreotti]] – quello non manca mai, quando si cerca un ''deus ex macchina'' di tutto ciò che di più criminale è avvenuto in questo Paese {{NDR|c'è}} Andreotti. {{NDR|«Però in quel momento non era tanto vecchio»}} In quel momento non era tanto vecchio, ma il Grande Vecchio non ha nulla di anagrafico, è il Grande Vecchio così – poi Gelli, poi Sindona. Ha avuto varie raffigurazioni che sono tutte di fantasia. (da ''Piazza Fontana e dintorni'') *Se c'era un funzionario corretto, che veniva portato come esempio da tutti i suoi colleghi, era Calabresi. Per quale motivo si scatenò questa campagna contro di lui non lo so. È vero che aveva interrogato [[Giuseppe Pinelli|Pinelli]], ma gli interrogatori di Calabresi facevano testo per la loro correttezza. Sempre. [...] Non so per quale motivo, a un certo momento, la stampa s'incendiò e cominciò ad additare Calabresi come «il bruto», come «lo scherano del potere sopraffattore e assassino». Questo si lesse in vari giornali. Ora, il potere sopraffattore assassino in quel momento era rappresentato da [[Mariano Rumor|Rumor]] e da [[Emilio Colombo|Colombo]]: mi dica lei se hanno il viso dei sopraffattori assassini. Magari lo fossero stati un po', ma immaginiamoci. E questa campagna fu implacabile, assolutamente implacabile. (da ''Piazza Fontana e dintorni'') *Come in tutti i processi italiani anche questi, che poi volevano arrivare all'identificazione dei responsabili e non ci arrivarono quasi mai, erano dominati dal cosiddetto «teorema»: si partiva dal presupposto... a un certo momento si mise di parlare degli anarchici – si smise quasi subito di parlare {{NDR|degli anarchici}} – e tutte le lampadine furono rivolte ai partiti e alle forze di Destra. Erano quelle le forze stragiste. [...] I nostri bravi giudici, salvo alcuni, partivano dal presupposto che {{NDR|i colpevoli}} certamente venivano di lì, venivano dalle Destre, dalle Destre più violente. Alle quali si attribuiva, sempre per «teorema», questa idea: creare una tensione nel Paese in modo da impaurire gli italiani e metterli alla scelta «o la libertà o l'ordine», perché insieme non potevano andare. Nella libertà era chiaro che non si poteva mantenere l'ordine, e loro dicevano: «Qualunque popolo messo a questa scelta sceglie l'ordine». Ecco. È un teorema. È un teorema che ha sempre cercato dimostrazione e non l'ha trovata mai. (da ''Piazza Fontana e dintorni'') *[[Bettino Craxi|Craxi]] era un uomo di partito certamente molto accorto, era un uomo valido di governo perché sapeva decidere. Che cosa fosse lo Stato, da buon socialista, non lo sapeva. (da ''Il terrorismo fino al sequestro e all'uccisione di Aldo Moro'') *Quelle lettere erano tutte farina del sacco di [[Aldo Moro|Moro]], e questa farina non è molto encomiabile perché, vede, tutti gli uomini hanno diritto ad avere paura. Tutti. Però quando un uomo sceglie la politica, e nella politica emerge a [[Statista|uomo di Stato]] – a uomo rappresentativo dello Stato – non perde il diritto a avere paura, ma perde il diritto a mostrarla. Questo sì. Questo è uno dei principi che dovrebbe essere affermato. L'incidente, tipo quello di Moro, fa parte del mestiere. Chi affronta quel mestiere deve sapere che può incorrere in quell'incidente e deve avere i nervi, e diciamo gli altri attributi, per resistere. Moro era lo Stato. Lo Stato si raccomandava, implorava, minacciava la classe politica che facesse di tutto, anche che si prostituisse, per salvargli la vita: eh, no. No. Moro era certamente un politico a modo suo, estremamente abile – era anche un galantuomo, credo – ma uomo di Stato non era nemmeno lui. [...] Anch'io mi sono posto questa domanda molto spesso: «Ma se Moro fosse tornato in politica dopo aver costretto lo Stato a prostituirsi, a inginocchiarsi di fronte ai terroristi, avrebbe potuto restarci?». Avrebbe potuto restare? Con che faccia? Vabbè che siamo in Italia. {{NDR|«Forse lo Stato sarebbe stato un altro perché i terroristi avrebbero vinto»}} Appunto. I terroristi avrebbero vinto. Quindi lui che cosa diventava, il braccio politico del terrorismo? Che cosa diventava? Come poteva ripresentarsi? Va bene, gli italiani hanno lo stomaco forte, inghiottono tutto – noi italiani abbiamo lo stomaco forte e inghiottiamo tutto – ma, insomma, di fronte a un uomo la cui vita, la cui sopravvivenza, aveva avuto quel prezzo per noi non credo che avrebbe potuto ripresentarsi all'opinione pubblica italiana. (da ''Il terrorismo fino al sequestro e all'uccisione di Aldo Moro'') *Noi naturalmente abbiamo il dovere di ringraziare [[Michail Gorbačëv|Gorbačëv]] per quello che ha fatto, però se lei mi chiede se lo ha fatto bene o lo ha fatto male io debbo rispondere che lo ha fatto malissimo. Io non so se lui... che lui volesse salvare la Patria sovietica questo non lo metto in dubbio. Che lui volesse salvare il comunismo... io debbo risponderle di no, perché quello che lui ha fatto per affossare il comunismo lo ha fatto. (da ''Giovanni Paolo II e la fine dell'URSS'') *Anche i cinesi si erano accorti che il sistema comunista era arrivato al capolinea, era fallito. Fallito perché non regge, assolutamente non regge. {{NDR|Il sistema comunista}} Aveva portato il Paese, e i Paesi che lo avevano adottato, al fallimento. Anche i cinesi si erano accorti di questo, però avevano capito che per trasformare un sistema oramai ancestralmente totalitario, statalizzato, che aveva tolto ogni libertà a tutti, che aveva disabituato tutti da ogni spirito di iniziativa e di impresa... per trasformare un'economia basata su questi principi fallimentari in un'economia capitalista basata sul libero mercato, sulla libera concorrenza eccetera, bisognava tenere in mano il potere politico per controllare questo passaggio. I cinesi lo fecero. Quando gli studenti di Pechino credettero di potergli {{NDR|al governo cinese}} prendere la mano scendendo in [[Protesta di piazza Tienanmen|piazza Tienanmen]] i cinesi non esitarono a mitragliarli e, per quanto un massacro non possa che essere esecrato, io dico questo: i cinesi erano obbligati a farlo. Se non lo facevano la Cina si dissolveva, ritornava quella di [[Chiang Kai-shek]]: ritornava quella dei signori della guerra, cioè il Paese si disfaceva. Il Paese che bene o male [[Mao Tse-tung]] aveva unificato e a cui aveva dato un'anima di Nazione si sarebbe disfatto. (da ''Giovanni Paolo II e la fine dell'URSS'') *{{NDR|Su [[Licio Gelli]]}} L'avevo visto una volta e questo [...] rendeva ancora più grande la mia sorpresa. Io avevo un giornale, ''il Giornale'', che non aveva patroni, non aveva pubblicità, che quindi aveva delle grosse difficoltà di tirare avanti. La proprietà era divisa fra me e una trentina di altri redattori, e non avevamo niente in mano. Io non trovavo una banca che mi facesse un fido, non trovavo una società pubblicitaria che mi garantisse un minimo decente delle cose [...]. A un certo momento il capo del nostro ufficio romano, Trionfera – che era massone, ma non P2 – mi disse «Senti, vieni a Roma perché so che c'è un signore che sta diventando il padrone della stampa italiana». Dico «Come? Il padrone della stampa italiana?» «Sì, c'è un signore che, a quanto pare, ha assunto un potere straordinario nel mondo dell’editoria e forse lui può anche aiutarci». [...] Andai a Roma e allora {{NDR|Renzo Trionfera}} mi disse che lui aveva appuntamento con questo signor Gelli, di cui io sentivo il nome per la prima volta [...], però dovevamo andarci quasi di nascosto. [...] Andammo [...] e così vidi Gelli per la prima e unica volta. Gli esposi la situazione e lui mi disse: «Ma questi sono dettagli, queste sono piccolezze, non sono problemi gravi perché qui, oramai, bisogna procedere a ben altro. Bisogna chiamare a raccolta tutta questa stampa italiana che è litigiosa, che è settaria. Bisogna darle un indirizzo unico». Allora io lì lo fermai. Dissi: «Come fa a darle un indirizzo unico? La stampa segue criteri diversi, i giornalisti...». «Macché giornalisti – disse lui – qui ci vuole un padrone della stampa!». Dico «Ma non esiste un padrone della stampa, a meno che non rifacciamo il Minculpop fascista, allora c'era un padrone perché c'era un regime che faceva il padrone». {{NDR|Licio Gelli}} Dice «Basta comprare la proprietà dei giornali». Dissi «Ma scusi, ci sono degli editori che non vendono» [...] «Questione di prezzo». Il discorso andò avanti su questi binari, quando uscimmo io dissi a Trionfera: «Senti, ma questo qui è il più grosso farabolano con cui abbiamo avuto a che fare, uno che si immagina di comprare tutta la stampa e di ridurla ai suoi ordini, va be', o è un matto, o è un matto, oppure è proprio un piazzista, un fregnacciaro qualsiasi insomma». Questo fu l'unico incontro. [...] Uno che faceva questi discorsi naturalmente mi sembrava inutile continuare a frequentarlo. Di lì a poco venne fuori la lista degli iscritti alla P2 e venne fuori l'identificazione di Gelli col Grande Vecchio, col famoso Grande Vecchio. {{NDR|«Finalmente si era trovato»}} Finalmente si era trovato il Grande Vecchio autore di tutte le stragi, le cose..., {{NDR|«Il vero Grande Vecchio»}} il bieco Grande Vecchio. Naturalmente non credetti nemmeno a questo. (da ''Il caso Sindona e la P2'') *Per istinto, e per come avevo visto e conosciuto [[Licio Gelli|Gelli]], io sono convinto che {{NDR|la [[P2|Loggia P2]]}} era una cricca di affaristi e basta. Era una cricca di affaristi condotta da un uomo che, evidentemente, come intrallazzatore doveva essere geniale. Era un pataccaro, indiscutibilmente era un pataccaro, ma che a tutto pensava fuorché a un ''golpe''. Non ci pensava nemmeno. Lui procurava affari e soprattutto fomentava carriere. Lui aveva capito qual è la struttura del potere in Italia, sempre, non soltanto allora, sempre: è una struttura mafiosa. Bisogna far parte di una cricca, di una conventicola in cui ognuno aiuta l'altro, e questo era la P2. [...] Ma che interesse poteva avere Gelli a rovesciare un sistema che gli consentiva di influire sino a quel punto? Quale interesse poteva avere? E poi, Gelli era un farabolano ma non doveva essere del tutto sprovveduto, doveva sapere che l'[[Italia]] non è terra da ''golpe''. Ma chi lo fa il ''golpe''? E anche se qualcuno lo fa, come fa a resistere? Che cos'ha dalla sua per fare il ''golpe''? Non ho mai creduto al golpismo di Gelli. (da ''Il caso Sindona e la P2'') *Il caso Chiesa era un caso modestissimo. Fece da detonatore perché il momento era maturo per arrivare a ''Tangentopoli'', che era dovuto a una cosa molto più complessa che era questa: che ci fosse la corruzione in Italia si è sempre saputo, la classe dominante promanava questo puzzo di fogna che tutti sentivano, il famoso «turarsi il naso». Soltanto che fin quando l'alternativa di questa classe politica allora al potere era un Partito comunista, che era un fac-simile di quello sovietico, basato sui carri armati, sulla polizia segreta, sulle delazioni, sui processi, [...] finché c'era questo spettro noi non potevamo prenderci il lusso di mettere sotto processo e mandare in galera la classe politica dirigente allora. Fu quando, col Muro di Berlino, crollò questo incubo che i tempi furono maturi perché questo avvenisse. (da ''Tangentopoli'') *Che {{NDR|la [[corruzione]]}} sia inestirpabile, di questo sono sicuro perché dura da 2000 anni. La corruzione non è soltanto nella politica: è nella società italiana! Noi italiani abbiamo sempre corrotto tutti! Tutti coloro che sono venuti in Italia a fare i padroni li abbiamo corrotti. [...] Noi dobbiamo metterci in testa che la lotta alla corruzione la si fa in un modo solo: cambiando gli italiani, non cambiando le classi politiche. Le classi politiche, anche quelle nuove, si corrompono. È inevitabile. (da ''Tangentopoli'') *[[Silvio Berlusconi|Berlusconi]] ha un sacco di qualità. C'è da dire, ha una grande immaginazione, una grande fantasia; ha un coraggio leonino nel buttarsi nelle imprese; sa trascinare molto bene; è un comunicatore eccezionale, sa accendere i suoi seguaci di entusiasmi eccetera eccetera, mi ricordo che una volta gli dissi: «Io sono sicuro che se tu ti mettessi a fabbricare dei vasi da notte, faresti venire la voglia di fare pipì a tutta l'Italia». (da ''Verso il bipolarismo'') *[[Silvio Berlusconi|Lui]] è un uomo d'attacco: se avesse fatto la carriera militare lui non sarebbe diventato né un [[Gerd von Rundstedt|Rundstedt]] né un [[Erich von Manstein|Manstein]], che furono i grandi strateghi tedeschi dell'ultima guerra. [...] Lui sarebbe diventato un [[Erwin Rommel|Rommel]] o un [[George Smith Patton|Patton]]. Cioè dire: è un generale di straccio e di rottura che, appunto, sullo slancio può compiere qualsiasi cosa. Se lo metti poi a difendere le posizioni conquistate con lo slancio, eh no, lì non ci sta. Come Rommel: Rommel finché poté attaccare in Libia e in Egitto attaccò. Quando dovette mettersi sulla difensiva chiese il rimpatrio. [...] Non sarebbe uomo di Curia e non è un uomo di pazienza, non è un uomo da guerra di posizione e di logoramento. (da ''Verso il bipolarismo'') *Lui Arrivò a Palazzo Chigi credendo, e facendo credere, che uno Stato si poteva condurre con gli stessi criteri di un'azienda privata. Io su questo avevo avuto serie discussioni con lui – non litigi, non ho mai litigato con Berlusconi – gli avevo detto: «Guarda che lo Stato non è un'azienda privata». [...] Lui credeva di potersi comportare a Palazzo Chigi, e con la macchina dello Stato, come si comportava con la sua organizzazione, dove la gente frullava e, se non frullava, lui la cacciava via, com'è giusto che faccia un imprenditore. Ma lui non poteva applicare questi metodi e sistemi allo Stato. Quando si trovò di fronte alla muraglia grigia, sorda e ottusa della burocrazia italiana, che è la peggiore, ma anche la più resistente del mondo, lui rimase senz'armi: non poteva licenziare neanche un usciere. Nel gioco parlamentare lui naufraga perché non è abituato a queste cose. La politica – non dico che sia solo un mestiere – ma è anche un mestiere. Questo mestiere lui non lo aveva. (da ''Verso il bipolarismo'') *Che gli italiani siano capaci di emanare leggi di riforma, ci credo senz'altro. L'Italia è la più grande produttrice di regole, ognuna delle quali è una riforma, è la riforma di un'altra regola. Gli stessi esperti pare che abbiano perso il conteggio delle leggi, dei regolamenti che vigono in Italia: c'è qualcuno che parla di 200.000, altri di 250.000. Ora, quando si pensa che la [[Germania]] ha in tutto 5.000 leggi, la [[Francia]] pare 7.000, l'[[Inghilterra]] nessuna, quasi nessuna – ha dei principi, così stabiliti. A cosa ha portato tutta questa proliferazione? A riempire gli scantinati dei nostri pubblici uffici, dove ci sono questi mucchi di legge che nessuno va nemmeno a consultare perché ognuna di queste leggi poi offre il modo di evaderle. Questa è la grande abilità dei legislatori italiani. I legislatori italiani sono quasi tutti degli avvocati. E gli avvocati a che cosa pensano? A ingarbugliare le leggi in modo da restarne loro i supremi e unici depositari. [...] Riforme: hai voglia se ne faremo, continuiamo a farne, è la nostra vocazione, questa. Quanto poi all'attuazione, allora è un altro discorso: le leggi in Italia non vengono osservate, anche perché sono formulate in modo che si possano non osservare. Ed è questo che spiega l'abbondanza, la prodigalità delle nostre classi politiche, delle nostre classi dirigenti, nello sfornarne di continuo. (da ''Dal Governo Dini all'Ulivo'') *Un Paese che ignora il proprio Ieri, di cui non sa assolutamente nulla e non si cura di sapere nulla, non può avere un Domani. Io mi ricordo una definizione dell'Italia che mi dette in tempi lontanissimi un mio maestro e anche benefattore, che fu un grande giornalista, [[Ugo Ojetti]], il quale mi disse: «Ma tu non hai ancora capito che l'Italia è un Paese di contemporanei, senza antenati né posteri perché senza memoria». Io avevo 25-26 anni e la presi per una ''boutade'', per una battuta, un paradosso. Mi sono accorto che aveva assolutamente ragione. Questo è un Paese che {{NDR|«È un Paese che non ama la Storia»}} ha una storia straordinaria, {{NDR|«Ma non la ama»}} ma non la studia, non la sa. È un Paese assolutamente ignaro di se stesso. Se tu mi dici cosa sarà un domani per gli italiani, forse sarà un domani brillantissimo. Per gli italiani, non per l'Italia. Perché gli italiani sono i meglio qualificati a entrare in un calderone multinazionale perché non hanno resistenze nazionali. Intanto hanno dei mestieri in cui sono insuperabili. [...] Voglio dirlo senza intonazioni spregiative, nei mestieri servili noi siamo imbattibili, assolutamente imbattibili. Ma non lo siamo soltanto in quelli. L'individualità italiana si può benissimo affermare in tutti i campi, anche scientifici. Io sono sicuro che gli scienziati italiani, i medici italiani, gli specialisti italiani, i chimici, i fisici italiani quando avranno a disposizione dei gabinetti europei veramente attrezzati brilleranno. Gli italiani, l'Italia no. L'Italia non ci sarà, non c'è. Perché gli italiani che vanno in Germania diventeranno tedeschi. [...] Alla seconda generazione sono assimilati. Dovunque vadano, sono assimilati. {{NDR|«Ma questo è un difetto?»}} No... è un difetto... è un difetto ed è anche una virtù. È una qualità. Voglio dire: per l'Italia non vedo un futuro, per gli italiani ne vedo uno brillante. (da ''Dal Governo Dini all'Ulivo'') ==Citazioni tratte dai giornali== ===''Corriere della Sera''=== <!--ordine cronologico--> *Gli eroi sono sempre immortali, agli occhi di chi in essi crede. E così crederanno, i ragazzi, che il «[[Grande Torino|Torino]]» non è morto: è soltanto «in trasferta». (7 maggio 1949) *{{NDR|A proposito di [[Maratea]]}} Forse in Italia non c'è paesaggio e panorama più superbi. Immaginate decine e decine di chilometri di scogliera frastagliata di grotte, faraglioni, strapiombi e morbide spiagge davanti al più spettacoloso dei mari, ora spalancato e aperto, ora chiuso in rade piccole come darsene. (4 ottobre 1957) *{{NDR|Su ''[[La dolce vita]]''}} Ma non c'è dubbio che qui ci si trova di fronte a qualcosa di eccezione (sic!) non perché rappresenti un meglio o un di più di ciò che finora si è fatto sullo schermo, ma perché ne va nettamente al di là, violando tutte le regole e convenzioni, a cominciare da quelle della durata, che supera le tre ore di spettacolo, per finire a quelle della trama, o meglio della non trama, perché non c'è. (''[http://cinquantamila.corriere.it/storyTellerArticolo.php?storyId=4d44ab344c050 Montanelli vede La Dolce Vita]'', 22 gennaio 1960) *{{NDR|Su ''[[La dolce vita]]''}} Non siamo più nel cinematografo, qui. Siamo nel grande affresco. Fellini secondo me non vi tocca vette meno alte di quelle che Goya toccò in pittura, come potenza di requisitoria contro la sua e la nostra società. (''ibidem'') *Il suo reportage non è una "patacca". Il poco – oh, molto poco! – che vi luce è proprio oro. E il molto che vi puzza è proprio fogna. Del resto, se così non fosse, il film sarebbe fallito come falliscono i reportages quando eludono la verità o non riescono a centrarla. Quindi, amici, vi prevengo se domani ''[[La dolce vita]]'' vi farà inorridire, non confutàtela dicendo: "Non è vero". Perché per esser vero, tutto ciò che qui è raccontato, lo è. D'altronde Fellini è ricorso al mezzo più spicciativo (e più diabolico) per dimostrarlo. (''ibidem'') *Ma mi affretto subito ad aggiungere che ''[[La dolce vita]]'' non è una polemica a sfondo giustizialista, che appunta i suoi strali sulle cosiddette classi alte. Non convincerebbe, in questo caso, o convincerebbe meno. Gli altri ambienti, che si srotolano giù giù negli appunti di questo reporter d'eccezione, sono descritti con la identica spietatezza, convalidata dalla stessa tecnica di rappresentare ciascuno nei propri panni. Lasciatemi testimoniare in tutta onestà che raramente ho visto qualcosa di più vero di quel salotto intellettuale. Esso ha dato perfino a me, che non ne frequento nessuno, un senso profondo di mortificazione, un vago anelito a cambiar mestiere e a iscrivermi, fo' per dire, ai coltivatori diretti. (''ibidem'') *Non è necessario essere socialisti per amare e stimare [[Sandro Pertini|Pertini]]. Qualunque cosa egli dica o faccia, odora di pulizia, di lealtà e di sincerità. (27 ottobre 1963) *Che i [[Rifugiati palestinesi|profughi palestinesi]] siano delle povere vittime, non c'è dubbio. Ma lo sono degli Stati arabi, non d'[[Israele]]. Quanto ai loro diritti sulla casa dei padri, non ne hanno nessuno perché i loro padri erano dei senzatetto. Il tetto apparteneva solo a una piccola categoria di sceicchi, che se lo vendettero allegramente e di loro propria scelta. Oggi, ubriacato da una propaganda di stampo razzista e nazionalsocialista, lo sciagurato ''fedain'' scarica su Israele l'odio che dovrebbe rivolgere contro coloro che lo mandarono allo sbaraglio. E il suo pietoso caso, in un modo o nell'altro, bisognerà pure risolverlo. Ma non ci si venga a dire che i responsabili di questa sua miseranda condizione sono gli «usurpatori» ebrei. Questo è storicamente, politicamente e giuridicamente falso. (16 settembre 1972) *[[Alexis de Tocqueville|Tocqueville]] diceva che «è nel sonno della pubblica coscienza che maturano le dittature». (da ''[https://web.archive.org/web/20160101000000/http://archiviostorico.corriere.it/1996/gennaio/13/platea_resta_assente_co_0_9601133631.shtml La platea resta assente]'', 13 gennaio 1996, p. 1) *Se si mettono a raffronto i due rivali come faccia, come presenza, come eloquio, come cordialità, insomma come simpatia umana, non c'è dubbio che Albertini ne ispira molto meno di Fumagalli, anzi diciamo la verità tutta intera: non ne ispira punta. Ed io, cittadino ed elettore milanese, proprio di questo sentivo il bisogno: di un sindaco antipatico, di faccia arcigna e poco invogliante alla pacca sulla spalla, al confidenziale «tu» e al pappecciccia coi sottoposti, e poco, anzi punto disponibile a quelle benevolenze, condiscendenze e indulgenze che rappresentano le supposte di glicerina di tutte le corruzioni. [...] Con Albertini ho parlato una sola volta. Ma mi è bastata per capire che, per rendersi antipatico, non ha bisogno di fare sforzi. Basta che si mostri com'è e come spero che rimanga: una specie di Molotov di Palazzo Marino, chiuso nei suoi caparbi ''niet'', diffidente, scostante e culdipietra. Che abbia una compagna fermamente decisa a non partecipare alla vita pubblica del compagno, anche questo ci va bene. [...] Si ricordi, signor Sindaco, che noi abbiamo votato per lei, non per questi papponi. (da ''[https://web.archive.org/web/20160101000000/http://archiviostorico.corriere.it/1997/maggio/13/tradito_Ulivo_co_0_9705136733.shtml Sì, ho tradito l'Ulivo]'', 13 maggio 1997, p. 1) *Non vorremmo, dopo averne deplorato il brutto vezzo, contribuire alle polemiche nel momento in cui bisogna invece accantonarle per fare compatto fronte per il salvataggio del salvabile. Ma basta con le «regole» che servono soltanto a rendere impenetrabili le responsabilità dei disastri quando i disastri si possono ricondurre a delle responsabilità umane (come non accade, per esempio, nei terremoti). Ma quando verrà l'ora della ricostruzione, ricordiamoci che l'[[urbanistica]] e il paesaggio italiani hanno bisogno non di altre, ma di meno «regole». E, più che di cemento, di dinamite. (da ''[https://web.archive.org/web/20160101000000/http://archiviostorico.corriere.it/1998/maggio/09/licenze_facili_leggi_oscure_co_0_9805099009.shtml Le licenze facili e le leggi oscure]'', 9 maggio 1998, p. 1) *Qualche dichiarazione meno infuocata contro la Giustizia di regime, come il [[Silvio Berlusconi|Cavaliere]] si ostina a definirla, avrebbe meglio aiutato la politica italiana a rimuovere il macigno che la paralizza, e che è lui, Berlusconi. (da ''[https://web.archive.org/web/20160101000000/http://archiviostorico.corriere.it/1998/luglio/14/RESTO_SIA_SILENZIO_co_0_9807143775.shtml E il resto sia silenzio]'', 14 luglio 1998, p. 1) *L'Italia sarà anche, come dicono i nostri tromboni universitari, «la culla del diritto». Ma è anche il sepolcro di una giustizia che, per decidere se un imputato è innocente o colpevole, aspetta il suo certificato di morte che la esenta dal dirlo. Il secondo problema è il reclutamento e la selezione [[magistratura|del personale]]. Come in tutte le altre pubbliche attività, anche nella giustizia c'è un dieci per cento di autentici eroi pronti a sacrificarle carriera e vita, ma senza voce in un coro di «gaglioffi» che c'è da ringraziare Dio quando sono mossi soltanto da smania di protagonismo. (da ''[https://web.archive.org/web/20160101000000/http://archiviostorico.corriere.it/1998/agosto/24/CARDINALE_MAGISTRATO_co_0_9808244892.shtml Il Cardinale e il Magistrato]'', 24 agosto 1998, p. 1) *Tutto si è risolto in un colpo solo, non si sa con precisione quando e come combinato, che ha tagliato la strada alla bagarre prima che cominciasse. E che, per quanto mi riguarda, mi ha liberato dall'incubo che turbava i miei inquieti sonni, e in cui mi vedevo in fuga da un mostro senza volto, ma che m'incalzava con la logorrea del presidente uscente, aggravata dall'accento irpino di Mancino e dalle corde vocali della signora Jervolino. [...] Siamo sicuri che il popolo, chiamato a pronunciarsi fra un [[Carlo Azeglio Ciampi|Ciampi]] e – faccio per dire – un [[Antonio Di Pietro|Di Pietro]], si sarebbe pronunciato per Ciampi? È una domanda che non aspetta risposta, ma che mi permetto di proporre ai lettori. Gran bella parola «il Popolo». E riconosciamogli pure l'attributo, che gli spetta, di «Sovrano». Ma insomma, meditate gente, meditate. (da ''[https://web.archive.org/web/20160101000000/http://archiviostorico.corriere.it/1999/maggio/14/QUASI_NON_CREDO_co_0_9905146643.shtml Quasi non ci credo]'', 14 maggio 1999, p. 1) *Tutti coloro che hanno svolto pubbliche funzioni in Sicilia sono rimasti e sono tuttora in qualche modo «collusi» con la mafia. Lo furono quotidianamente, e per secoli, il governo e la polizia borbonica. Lo fu [[Giuseppe Garibaldi|Garibaldi]] che in essa trovò, dopo lo sbarco, la sua prima alleata. Lo furono i governi nazionali sia di destra che di sinistra. Lo fu [[Giovanni Giolitti|Giolitti]] che pure non scese mai, a ch'io sappia, a sud di Napoli. Lo fu il presidente della vittoria, [[Vittorio Emanuele Orlando|Orlando]], che quando tornava a Palermo, la prima visita che rendeva non era al prefetto né all'arcivescovo, ma al capomafia. Tentò di non esserlo Mori che aveva licenza di uccidere garantita da un regime totalitario, e ci rimise il posto. Lo sono stati tutti i politiconi e politicastri della Prima Repubblica. Anche il cautissimo [[Giulio Andreotti|Andreotti]]? Può darsi, attraverso i suoi proconsoli ''in loco''. Ma il Tribunale deve aver capito che l'imputato non era lui. Era il costume morale e politico della nostra vita pubblica, sul quale un Tribunale non ha, né può né deve avere competenza. [...] E il problema, secondo me, è questo: che fin quando noi italiani crederemo di salvarci dalla peste mandando sul rogo una strega o un untore, dalla peste non ci libereremo mai. (da ''[https://web.archive.org/web/20160101000000/http://archiviostorico.corriere.it/1999/ottobre/24/TRIBUNALE_DELLA_STORIA_co_0_991024441.shtml Il tribunale della storia]'', 24 ottobre 1999, p. 1) *Ci dicano chiaro e tondo perché hanno smembrato il Ros, e hanno ridimensionato l'attività di Sco e Gico. Non ci raccontino che hanno voluto mettere al riparo il capitano Ultimo e i suoi uomini dalle possibili vendette della malavita. E soprattutto non vengano a ripeterci che il ''modus operandi'' dei servizi segreti, per impedirne le «deviazioni», dev'essere «trasparente». Questa, che un segreto possa essere trasparente, è un'idea da primato della cretineria. E, se non della cretineria, lo è della retorica virtuista o della menzogna truffaldina. (da ''[https://web.archive.org/web/20160101000000/http://archiviostorico.corriere.it/1999/novembre/02/PROCURATORE_BATTA_PUGNO_co_0_9911021451.shtml Procuratore batta il pugno]'', 2 novembre 1999, p. 1) *Era la prima volta che il partito socialista italiano aveva trovato un uomo {{NDR|Bettino Craxi}}, se non di Stato, almeno di governo, che lo aveva liberato dalla subalternanza al Pci, e condotto su posizioni democratiche, europeistiche e atlantiche. Lo avrà anche fatto con metodi alquanto spicciativi e disinvolti, più da padrino che da ''leader''. Ma mi chiedo se avrebbe potuto usarne di diversi per avere ragione dei vecchi tromboni del massimalismo populista e piazzaiolo con le loro clientele incrostate da decenni. E mi chiedo anche quanto contribuirono alla sua crocefissione i rancori e le acredini che si era lasciato dietro. Ma nella difesa si perse, e non per mancanza, ma forse per eccesso di coraggio. (da ''[https://web.archive.org/web/20160101000000/http://archiviostorico.corriere.it/2000/gennaio/20/STATISTA_LATITANTE_co_0_0001201104.shtml Lo statista latitante]'', 20 gennaio 2000, p. 1) *Anche noi siamo convinti che il Paese ha il diritto di conoscere la verità (che non riguarda soltanto quella di Piazza Fontana). Ma non ci riusciamo. Anche perché se la pista rimane, come sembra accertato, quella del terrorismo nero, non sappiamo quali nomi l'accusa potrà tirar fuori dal suo cappello. I tre maggiori indiziati sono già stati assolti con sentenza passata in giudicato che non consente di richiamarli sul banco degli imputati. Gli altri di cui si fa il nome non sarebbero che comparse, la più importante delle quali, Delfo Zorzi, risiede a Tokio con passaporto giapponese che lo mette al riparo da ogni pericolo di estradizione. Vale la pena ricominciare? L'''ouverture'' dei dibattimenti non è stata incoraggiante. Il proscenio era occupato da Capanna, Valpreda, [[Dario Fo]] e altri reduci sessantottini, cui si era aggiunto anche Sergio Cusani, l'intangentato convertitosi (lo diciamo senza nessuna ironia) al missionarismo. [...] Invano i portaparola della parte lesa, cioè dei familiari delle vittime, si sono dichiarati estranei e contrari a ogni tentativo di politicizzare il processo. Una parola. Non ci riescono nemmeno [[Jovanotti]] e [[Teo Teocoli|Teocoli]] con le loro filastrocche dal palcoscenico di Sanremo. Figuriamoci se potranno riuscirci i registi di questo processo ''rouge et noir'', se mai ve ne furono. [...] Ecco a cosa servono i processi come questo: non a cercare la verità, ma a fornire argomenti al ''rouge'' o al ''noir''. (da ''[https://web.archive.org/web/20160101000000/http://archiviostorico.corriere.it/2000/febbraio/26/QUELLA_VERITA_CHE_CERCHIAMO_co_0_0002264627.shtml Quella verità che cerchiamo]'', 26 febbraio 2000, p. 1) *Cosa c'entri la giustizia italiana in fatti e misfatti capitati trent'anni fa in un Paese {{NDR|l'[[Argentina]]}} di cui la metà della popolazione è di origine italiana, non riusciamo a capire. Ma ci pareva impossibile che l'iniziativa del giudice spagnolo Garzon per trascinare l'ex dittatore cileno [[Augusto Pinochet|Pinochet]] sul banco degli accusati di un tribunale madrileno non trovasse imitatori in un Paese di scimmie come il nostro. Grazie ad essa, il nome e il volto di Garzon sono noti in tutto il mondo. Ed è probabile che tra poco lo siano anche quelli del pubblico ministero Caporale. Vi pare poco in un'era dell'effimero come quella in cui stiamo vivendo, e che vede l'infittirsi di processi ai defunti, su cui le nuove leve della [[storiografia]] vorrebbero riscrivere il passato? (da ''[https://web.archive.org/web/20160101000000/http://archiviostorico.corriere.it/2000/aprile/03/QUEI_PROCESSI_CARO_ESTINTO_co_0_0004033275.shtml Quei processi al caro estinto]'', 3 aprile 2000, p. 1) *Dobbiamo avere la modestia di riconoscere che noi, come venditori, non leghiamo nemmeno le scarpe a un piazzista che se un giorno si mettesse a produrre vasi da notte, farebbe scappare la voglia di urinare a tutta l'Italia. (da ''[https://web.archive.org/web/20130619122825/http://archiviostorico.corriere.it/2001/febbraio/15/PREDICATORI_COMPARSE_co_0_0102158858.shtml I predicatori e le comparse]'', 15 febbraio 2001, p. 1) *Non sono mai venuto meno all'impegno, preso non con il Cavaliere, ma con me stesso, di non associarmi mai alla sua demonizzazione. Ma non posso sottacere ai lettori i pericoli che si nascondono sotto questa sua allergia alla verità, questa sua voluttuaria e voluttuosa propensione alle menzogne, la naturalezza con cui riesce a pronunziarle. (da ''Io e il cavaliere qualche anno fa'', 25 marzo 2001, p. 1) *Berlusconi, cui nulla riesce tanto bene quanto la parte di vittima e perseguitato. «[[Chiagne e fotte]]» dicono a Napoli dei tipi come lui. E si prepara a farlo per cinque anni di seguito. (da ''Io e il cavaliere qualche anno fa'', 25 marzo 2001, p. 1) ====''La stanza di Montanelli – rubrica''==== {{cronologico}} *{{NDR|[[Vittorio Sgarbi]]}} È un volgare calunniatore, che non disonora se stesso, ma anche il suo committente e padrone (tutti sappiamo chi è) che si serve di un simile scherano. (8 novembre 1995) *I [[Riformismo|riformatori]] italiani, quando si tratta di riformare ciò che non ha bisogno di essere riformato, sono instancabili. L'attività dell'Ucas, Ufficio complicazioni affari semplici, come ricordava un altro lettore esasperato, è frenetica. ([https://web.archive.org/web/20160101000000/http://archiviostorico.corriere.it/1995/dicembre/13/Ufficio_complicazioni_affari_semplici_co_0_9512139920.shtml 13 dicembre 1995]) *Io credo che il miglior omaggio che si può rendere a [[Aldo Moro|Moro]] sia quello di archiviare l'episodio che ne segnò la fine e dal quale, diciamo la verità, la sua immagine esce tutt'altro che bene. Quando sento dire che, oltre a quelle conosciute, ci sono anche altre lettere di Moro, prego Iddio che non vengano trovate. So già cosa contengono, e preferisco non leggerlo. (21 dicembre 1995) *È assolutamente impossibile istillare negli [[zingari]] il concetto di proprietà e quindi educarli al lavoro come mezzo per conquistarsela. Ma temo che sia altrettanto impossibile far capire tutto questo ai nostri pietisti, religiosi e laici, che farneticano di «integrarli». ([https://web.archive.org/web/20160101000000/http://archiviostorico.corriere.it/1995/dicembre/30/Viaggiai_sul_carrozzone_degli_zingari_co_0_95123012229.shtml 30 dicembre 1995]) *A me, invece, [[Beppe Grillo|Grillo]] piace. Lo considero il più efficace comico in circolazione. Anzi: «comico» non è la parola giusta. Grillo non è un comico, non è un moralista, non è un predicatore: è tutte queste cose insieme. Nel panorama dello spettacolo italiano, dove abbonda il bollito misto, è un'eccezione ambulante (e urlante). Lei ha ragione quando dice che Grillo esagera. Non soltanto esagera; provoca anche, e insulta, e offende. Ma tutte le categorie di giudizio, con un tipo così, risultano inadeguate. Grillo appartiene ad una specie animale particolare, formata da un solo esemplare: lui. O lo strozziamo o lo applaudiamo. Io, appena posso, lo applaudo. Perché i suoi eccessi, a differenza di quelli di [[Vittorio Sgarbi|Sgarbi]], odorano di bucato. ([https://web.archive.org/web/20160101000000/http://archiviostorico.corriere.it/1996/gennaio/11/Beppe_Grillo_incubo_esilarante_co_0_9601114281.shtml 11 gennaio 1996]) *Una delle eterne regole italiane: nel settore pubblico, tutto è difficile; la buona volontà è sgradita; la correttezza, sospetta. Per questo, le persone capaci continueranno a tenersi a distanza di sicurezza dalla «cosa pubblica», lasciando il posto ai furbastri (magari bravi) e alle mezze cartucce (magari oneste). Così, purtroppo, vanno le cose in questo bizzarro paese. ([https://web.archive.org/web/20160101000000/http://archiviostorico.corriere.it/1996/gennaio/26/Impegno_politico_caduta_delle_illusioni_co_0_9601261298.shtml 26 gennaio 1996]) *In una società libera il compito dei media non è «edificare la morale»; è informare, denunciare, stimolare, far riflettere, occasionalmente divertire. (28 gennaio 1996) *L'unico incoraggiamento che posso dare ai giovani, e che regolarmente gli do, è questo: «Battetevi sempre per le cose in cui credete. Perderete, come le ho perse io, tutte le battaglie. Una sola potete vincerne: quella che s'ingaggia ogni mattina, quando ci si fa la barba, davanti allo [[specchio]]. Se vi ci potete guardare senza arrossire, contentatevi». (20 febbraio 1996) *Non so se il Pci sia sotterraneamente sceso a trattative con le Br per convincerle a secondare questo piano. So soltanto che le Br, le quali invece la rivoluzione la volevano sul serio, lo rifiutarono, e fu proprio per farlo naufragare che rapirono e poi uccisero colui che doveva esserne lo strumento. [...] Fu il risoluto e quasi furibondo (oltre che sacrosanto) no dei comunisti che fece naufragare il tentativo {{NDR|Trattativa Stato-BR durante il sequestro [[Aldo Moro|Moro]]}}, che invece in seno alla Dc aveva parecchi sostenitori, anche se non osavano dirlo apertamente. Di qui le accuse e le insinuazioni contro i suoi compagni di partito, lanciate da Moro in quelle famose lettere, che avrebbe fatto meglio a non scrivere perché indegne di un vero uomo di Stato, anzi di un uomo tout court, e che ancor oggi forniscono materia al sospetto di una congiura fra democristiani – con l'aiuto dei soliti servizi segreti «deviati» – per sbarazzarsi di lui. Vero nulla. Forse nella Dc le forze «trattativiste», praticamente disposte alla resa alle Br, avrebbero vinto, se non ne fossero state impedite dalla risolutezza del Pci, che di un brigatismo assurto ad interlocutore dello Stato non voleva sentir parlare e di un Moro salvato al prezzo di una simile capitolazione non avrebbe più saputo che farsi. (26 marzo 1996) *No, è stata la persecuzione che ha costretto gli ebrei, per resisterle, a tendere ed affinare tutte le loro risorse intellettuali. Ecco il segreto dei loro primati. In tutto. E talvolta anche nella cretineria. (3 aprile 1996) *L'[[Allargamento della NATO|allargamento della Nato]] è una cosa maledettamente seria, e decisamente complessa. Parlarne prima delle elezioni presidenziali russe vuol dire buttare benzina sul fuoco; non parlarne oggi significa, forse, non parlarne più. [...] Innanzitutto, dobbiamo renderci conto che la Nato è un'organizzazione basata sul consenso: se si estende verso Oriente [...], la compattezza dell'alleanza rischia di incrinarsi. Ancor più delicata è una seconda questione. Governi e opinione pubblica occidentali devono capire le implicazioni della loro decisione. In seguito all'allargamento, i nuovi membri orientali della Nato (che siano solo Repubblica Ceca e Ungheria; o anche Polonia e Paesi Baltici) diventano nostri alleati, a tutti gli effetti. Questo vuol dire che, se venissero attaccati, dovremmo correre a difenderli. Domanda: siamo disposti a morire per Varsavia e Tallin? Se la risposta è «sì», allarghiamo pure la Nato. Se la risposta è «ma, forse...» – e in Italia sarebbe sicuramente «ma, forse...» – è meglio che lasciamo perdere. In quella parte del mondo hanno già sofferto abbastanza. Non è il caso che ci mettiamo anche noi. ([https://web.archive.org/web/20151025020316/http://archiviostorico.corriere.it/1996/aprile/20/Allargamento_della_Nato_Lasciamo_perdere_co_0_960420535.shtml 20 aprile 1996]) *Io non mi considero affatto ateo e non capisco come si possa esserlo. ([https://web.archive.org/web/20160101000000/http://archiviostorico.corriere.it/1996/maggio/23/dove_comincia_grande_mistero_Dio_co_0_9605235872.shtml 23 maggio 1996]) *{{NDR|Riferito alla [[crisi di Sigonella]]}} Ho sempre considerato il rilascio di Abu Abbas un gesto semplicemente criminale o almeno di complicità col crimine. ([https://web.archive.org/web/20151107235857/http://archiviostorico.corriere.it/1996/luglio/07/Caro_Ottiero_Ottieri_diamoci_del_co_0_9607072658.shtml 7 luglio 1996]) *Quanto scrivi {{NDR|riferito a una lettrice}} sull'insegnamento della Storia nelle nostre scuole è sacrosantamente vero. I testi su cui ve la fanno studiare sono o reticenti o faziosi, ma più spesso l'una cosa e l'altra, e soprattutto scritti coi piedi. (4 settembre 1996) *No, caro N***, non mi basta che il Pool abbia perseguito e persegua una buona Causa. Doveva farlo anche con buoni mezzi e criteri. E il caso Di Pietro basta a dimostrare che questo non è sempre avvenuto. (24 ottobre 1996) *È dalla piazza e dai cosiddetti «bagni di folla» che nascono i dittatori e vengono consacrati i fanatismi più orrendi, fra cui il più orrendo di tutti: il razzismo. ([https://www.fondazionemontanelli.it/sito/pagina.php?IDarticolo=432 24 novembre 1996]) *Io non ho titoli culturali che mi qualifichino a lezioni su una tematica come quella del [[calvinismo]]. Ma credo di averne afferrato l'essenziale: la concezione della Ricchezza come segno della Grazia, di cui quindi non si è proprietari, ma amministratori per conto del Signore col compito di moltiplicarla per il bene di tutti. (21 dicembre 1996) *[[Daniele Vimercati|Vimercati]] è un leghista antemarcia. Lo era anche quando lavorava con me al ''Giornale''. Ma è soprattutto un signor giornalista, che conosce perfettamente la linea di demarcazione fra l'opinione personale e il dovere professionale, e non c'è interesse né calcolo di opportunità che possa indurlo a varcarla. Per questo godeva di tutta la mia fiducia, né mai ho avuto occasione di pentirmi di avergliela concessa. (1996).<ref>Citato in Pierluigi Saurgnani, ''[https://www.ecodibergamo.it/stories/Cronaca/274325_vimercati_gran_borghese_il_giornalista_che_scopr_bossi/ Vimercati, gran borghese. Il giornalista che scoprì Bossi]'', ''ecodibergamo.it'', 13 marzo 2012.</ref> *Di commissioni d'inchiesta il nostro parlamento ne ha partorite a dozzine. Me ne citi una sola che abbia raggiunto dei risultati, anche semplicemente conoscitivi. Per un Parlamento come il nostro (e mi trattengo a fatica dal qualificarlo) anche la ricerca della verità è materia di lottizzazione. ([https://web.archive.org/web/20151118213258/http://archiviostorico.corriere.it/1996/dicembre/23/Ormai_non_resta_che_amnistia_co_0_96122312669.shtml 23 dicembre 1996]) *Quando ebbi, fra i tanti, un processo non con un magistrato, ma con un politico del rango di De Mita che avevo coinvolto nella mala amministrazione dei fondi stanziati per l'Irpinia dopo il [[Terremoto dell'Irpinia del 1980|terremoto]], non trovai, in tutta quella vasta regione, una toga che venisse a testimoniare in mio favore. L'unico che mi difese fu colui che avrebbe dovuto accusarmi: il pubblico ministero del tribunale di Monza, Mariconda: non sul merito delle mie accuse, ch'egli non aveva elementi per valutare, ma sul diritto che mi riconosceva di lanciarle. Anche l'uso dei cinquanta–sessantamila miliardi stanziati per l'Irpinia rimase un porto delle nebbie. ([https://web.archive.org/web/20160101000000/http://archiviostorico.corriere.it/1997/gennaio/12/Magistratura_porti_delle_nebbie_co_0_9701123652.shtml 12 gennaio 1997]) *La sola parola «ingegneria genetica» mi mette i brividi. (14 marzo 1997) *Io non mi sono mai [[Impiccagione|impiccato]]. Ma a Norimberga assistetti a diciassette impiccagioni, compresa quella di un cadavere, il cadavere di Göring che si era suicidato il giorno prima. Be', mi resi conto [...] che ficcare la testa nel nodo scorsoio di una corda non è un esercizio da mezzetacche o quacquaracquà. (15 maggio 1997) *{{NDR|Gladio}} Era stato istituito in quasi tutti i Paesi che facevano parte della Nato, e per volontà della Nato, consapevole che i suoi soci europei non avrebbero potuto resistere all'attacco di una Potenza superarmata qual era l'[[Unione Sovietica]]: avrebbero dovuto aspettare, per la riscossa, l'intervento dell'[[Stati Uniti d'America|America]]. Lo dimostra il fatto che quando questo piano fu rivelato, nessun altro Paese trovò nulla da ridirne. Solo noi italiani – i soliti romanzieri imbecilli e peggio che imbecilli – ne facemmo materia di scandalo e pretesto di «gialli» che tuttora trovano credito, come la sua lettera dimostra. Anch'io mi sento scandalizzato, e un poco offeso. Ma solo dal fatto che nessuno mi abbia sollecitato l'adesione al [[Organizzazione Gladio|Gladio]]: l'avrei data con entusiasmo. ([https://web.archive.org/web/20150623163829/http://archiviostorico.corriere.it/1997/giugno/07/Avrei_dato_con_entusiasmo_adesione_co_0_97060710388.shtml 7 giugno 1997]) *A fare l'Italia alcuni pochi italiani ci sono, senza e contro i più, riusciti. A fare gl'italiani, l'Italia, in centocinquant'anni, non c'è riuscita; anzi non ci s'è nemmeno provata. (19 giugno 1997). *Il vero cacciatore ama gli animali a cui dà la caccia, forse anche perché li considera complici di questo gioco in cui ritrova la sua origine esistenziale. Non spara, per esempio, sul bersaglio fermo: lo considera sleale. (9 luglio 1997) *Al matrimonio misto, che dell'integrazione razziale è la condizione genetica, sono i neri, molto più dei bianchi, che si rifiutano. Non è quindi colpa degl'italiani, o almeno non tutta questa colpa è degl'italiani, se anche da noi l'integrazione con gl'immigrati africani incontra degli ostacoli. Quella con gli oriundi dei Paesi europei non ne incontra nessuno, salvo quelli che frappone la burocrazia, la quale ne pone tanti anche a noi, e anzi campa solo di questo. Non ho mai sentito un francese, o un inglese, o un tedesco, o un bulgaro o un ukraino lamentarsi di una apartheid italiana. Ci sono anche da noi, purtroppo, delle manifestazioni di razzismo. Ma queste sono dovunque, e in Italia meno violente che altrove. L'Italia è un Paese che va a catafascio. Ma non buttiamogli addosso anche delle croci che non merita. Quelle che merita bastano, e ne avanza. (24 agosto 1997) *Io sono un italiano, fra i pochi rimasti che nei confronti dell'Italia s'ispirano all'adagio inglese: «Che abbia ragione o torto, sto col mio Paese». Anch'io sto col mio paese quando ha torto, ma senza pretendere che il suo torto sia considerato ragione. (23 settembre 1997) *Sono e rimango convinto che fin quando noi italiani ci affideremo soltanto alla Legge – o, come ora usa chiamarla, alle «regole» –, rimarremo quello che siamo, coi vizi che abbiamo, fra cui quello di accatastare regole su regole al solo scopo di metterle in contraddizione l'una con l'altra per poterle meglio evadere. (16 ottobre 1997) *Forse farebbe meglio ad astenersi a dare lezioni di liberalismo a me che sono stato, in tutto il giornalismo italiano, l'unico a difenderlo negli anni Settanta e Ottanta, quando difenderlo era difficile e poteva anche costar caro. Non me ne faccio un vanto perché, quando alla fine ha vinto, ho visto di che liberalismo si trattava, ed è per questo che ho votato Ulivo. (23 ottobre 1997) *Le confesso che il suo piglio perentorio e inquisitorio mi disturba alquanto, anche perché mi lascia capire che lei parte da convinzioni così granitiche da rendere vano ogni tentativo d'insinuarvi almeno un dubbio. (23 ottobre 1997) *È importante tutto questo? No. Non lo è per me né per lei, che sappiamo cosa è accaduto. E non lo è per i leghisti doc, secondo cui qualunque cosa propone il capo è Vangelo. Se Bossi decide di andare in Bicamerale, applaudono. Se decide di abbandonare la Bicamerale, esultano. Se va con Berlusconi, assentono. Se lascia Berlusconi, approvano. E se un giorno si sveglia e cambia i confini della Padania, accettano i nuovi confini. Tempo fa, rispondendo a un lettore, scrissi che «i leghisti sono pronti a inneggiare anche all'annessione della Yakuzia, e non solo perché non sanno dove sta». Arrivarono molte lettere indispettite. Ma nessuna contro l'annessione della Yakuzia. (29 ottobre 1997) *Se sono – come sono – uno di quegli uomini di Destra che ultimamente hanno votato, sia pure controvoglia, per la Sinistra (annacquata) dell'Ulivo, è perché da questa, che non è mai stata la mia bandiera, non mi sento tradito. Essa sta facendo ciò che prometteva di fare, ma lo fa con molta moderazione, e con una squadra di uomini che magari non saranno (meno qualcuno, come per esempio Ciampi) di serie A, ma da cui non temo, e credo che nessuna persona ragionevole possa temere, l'instaurazione di un regime. (10 dicembre 1997) *E lo specchio non vi giudica dai successi che avrete ottenuto nella corsa al denaro, al potere, agli onori; ma soltanto dalla Causa che avrete servito. Tenendo bene a mente il motto degli ''hidalgos'' spagnoli: «La sconfitta è il blasone delle anime nobili». (31 dicembre 1997) *Che cosa io pensi dell'onorevole Previti mi pare di averlo detto in termini talmente espliciti da apparire – a più d'uno – brutali: un personaggio che solo a guardarlo in faccia verrebbe voglia di applicargli le manette ai polsi prima ancora di sapere chi è e cosa ha fatto. (31 gennaio 1998) *Infine, c'è quello che io considero il vero, grande vantaggio dell'euro: una volta dentro, non potremo tornare all'allegra finanza pubblica d'un tempo. ([https://web.archive.org/web/20151203232056/http://archiviostorico.corriere.it/1998/febbraio/20/Che_cosa_succedera_quando_avremo_co_0_9802206445.shtml 20 febbraio 1998]) *Tutti hanno diritto di credere nel miracolo, quando non c'è altro a cui aggrapparsi. La scienza no: se lo ricordi anche il Papa. (23 febbraio 1998) *I conti col passato, si capisce, bisogna farli. Ma a un certo punto bisogna chiuderli. Perché nella Storia non ce n'è mai stato uno che, protratto all'infinito, non ne abbia innescato un altro. (10 marzo 1998) *Perché, caro B***? Perché la vocazione a dividerci sempre e su tutto per il nostro «particulare», come lo chiamava Guicciardini, noi italiani ce la portiamo nel sangue, e non c'è legge che possa estirparla. (18 aprile 1998) *Vero che nei ricordi sui quali vengo sollecitato, il nome di [[Cesco Tomaselli|Tomaselli]] ricorre meno frequentemente di quelli di Longanesi, di Buzzati, di Piovene, di Barzini ecc. Ma ciò dipende solo dal fatto che costoro appartenevano alla mia leva, e in comune con loro avevo avuto tante esperienze, perfino la stanza di lavoro. Tomaselli, quando io entrai al ''Corriere'', apparteneva già alla sua vecchia guardia, e come notorietà ne aveva raggiunto il tetto proprio grazie alle sue corrispondenze sull'impresa del dirigibile «Italia» di Umberto Nobile, di cui fu dal principio alla fine lo scrupoloso cronista. A salvargli la vita dalla catastrofe fu soltanto la sorte, contro cui egli imprecò considerandola avversa. Per l'ultima tappa, quella che avrebbe dovuto sorvolare il Polo, dei due giornalisti aggregati a quella spedizione — Tomaselli per il ''Corriere'', e Ugo Lago per il ''Popolo d'Italia'' di Mussolini —, c'era posto, sulla navicella, per uno solo. Lago e Tomaselli se lo giocarono a testa o croce. Con gran dispetto di Tomaselli, che non smise mai di considerarsene tradito, vinse e partì Lago, che non tornò più: quando l'aeromobile precipitò sul pack, lui rimase aggrappato insieme ad altri compagni al cordame dell'involucro col quale scomparve nel deserto bianco. Ma tutte le volte che se ne parlava, Tomaselli seguitava ad inveire contro la scalogna che lo aveva escluso da quel drammatico finale, come se gli avesse tolto la fortuna di descriverlo. Questo era Tomaselli, l'inviato speciale che nel suo mestiere di giornalista portava lo stesso spirito che aveva fatto di lui, nella Prima Guerra Mondiale, un superdecorato ufficiale di artiglieria alpina e gli ispirava una concezione quasi religiosa del «servizio». Non era un «brillante» né come scrittore né come parlatore. Ma di tutto quello che diceva, sia con la bocca che con la penna, si poteva stare sicuri che di inesatto o di inventato non c'era nemmeno una virgola. [...] Se raramente mi capita di parlare di lui, è perché l'ho conosciuto e frequentato sul declino della sua intemerata e ineccepibile carriera di testimone, e perché lui, nel raccontarla, non l'animava mai di aneddoti o di battute come, per esempio, il suo coetaneo Monelli. Ma se ai giovani che si avviano (poveretti!) a questo mestiere dovessi indicare un modello di dignità, serietà, dedizione e correttezza professionale non avrei dubbi sulla scelta: Cesco Tomaselli. ([https://web.archive.org/web/20151009153047/http://archiviostorico.corriere.it/1998/maggio/07/Cesco_Tomaselli_inviato_speciale_Polo_co_0_9805078688.shtml 7 maggio 1998]) *Che un giudice spagnolo in vena di protagonismo abbia chiesto all'[[Inghilterra]] la consegna di un ospite straniero andato a Londra in forma privatissima per ragioni di salute, non mi stupisce: un [[Antonio Di Pietro|Di Pietro]] può nascere dovunque. Ma che l'Inghilterra si proponga di consentire, non mi stupisce. Mi sbalordisce, come ha sbalordito e indignato la signora Thatcher che aveva ospitato in casa il Generale. Ma ancora di più mi sbalordirebbe che la Giustizia spagnola, cioè di un Paese che non solo ha accettato per quarant'anni il potere di un Generale, ma gli ha consentito (per sua fortuna) di disporne anche dopo morto, portasse davanti a una Corte di Giustizia quello cileno. Per non parlare delle conseguenze che tutto questo potrebbe provocare in [[Cile]] dove, nel caso che il governo Frei si mostrasse esitante e accomodante, le Forze Armate potrebbero riprendere il potere per rompere i rapporti diplomatici con [[Spagna]] e Inghilterra e dimostrare al mondo che i processi alla Norimberga hanno fatto il loro tempo. Se a qualcuno il Generale cileno Pinochet deve rendere conto del suo operato, è soltanto al Cile e ai suoi tribunali. E se io fossi un cileno che ha votato Frei (come certamente avrei fatto se fossi stato un cileno), in questa occasione mi schiererei con le Forze Armate. Con tanti saluti a tutto il sinistrume italiano passato, presente e futuro. (24 ottobre 1998) *Che gli [[Stati Uniti d'America|Usa]] siano in tutto il mondo odiati dagli uomini come lei {{NDR|riferito a un lettore}}, è verosimile, e quindi più che credibile. Un po' meno credibile è che gli uomini di tutto il mondo siano e la pensino come lei. Comunque, il giorno in cui quel Paese venisse chiamato (ma da chi?) sul banco degl'imputati come il nemico dell'umanità, io chiederò di essere ascoltato come testimone. Per dire alla Corte dei Vecchio di turno che io, uomo qualunque, mi considero graziato tre volte da questo grande nemico dell'umanità. La prima fu quando mi strappò al pericolo di diventare – per bene che mi fosse andata – l'attendente di un colonnello tedesco. La seconda fu quando mi sottrasse a quello di finire i miei giorni in un kolkos siberiano. La terza fu quando, invece di rimettermi la parcella di questi favori, mi aiutò a rifarmi la casa senza contestarmi il diritto di invitarvi anche coloro che pensano (si fa per dire) e parlano (o meglio sbraitano) come lei. ([https://web.archive.org/web/20160101000000/http://archiviostorico.corriere.it/1999/aprile/10/Fermare_genocidio_Kosovo_co_0_9904103314.shtml 10 aprile 1999]) *Tradotto in politica, non c'è nulla di più intollerante e fazioso, e quindi di meno pacifico, del [[pacifismo]] in generale, e di quello italiano in particolare. È un pacifismo a fasi alterne, e che si sveglia soprattutto, anzi quasi esclusivamente, quando a fare la guerra sono gli americani. Furioso e devastatore imperversò, non soltanto in Europa, ma nella stessa America, al tempo del Vietnam: al punto che quando [[Richard Nixon|Nixon]] venne in visita in Italia (quell'Italia che poteva fare ciò che voleva grazie agli americani) dovettero mandarlo a prendere a Fiumicino con un elicottero e trasportarlo via aria in Quirinale perché via terra avrebbe rischiato la pelle. Ma questo stesso pacifismo rimase impassibile quando i carri armati sovietici schiacciarono l'Ungheria (e a Montecitorio risuonò il grido: «Viva l'[[Armata Rossa]]!»), e poco dopo la Cecoslovacchia e da ultimo l'Afghanistan. Sono sempre gli stessi, i pacifisti italiani. Con una bandiera in mano come quella della pace (chi può infatti invocare la guerra?), si sentono invulnerabili. Ma la sventolano solo per il povero Milosevic; il genocidio del Kosovo li lascia del tutto indifferenti. (5 maggio 1999) *Non sempre condivido le opinioni di [[Giovanni Sartori|Sartori]]. Qualche volta, anzi spesso, abbiamo litigato, anche perché a lui litigare piace moltissimo: da buon toscano, è nella polemica che lui, e forse anch'io, diamo il meglio di noi. E anche sull'articolo del 25 maggio non siamo in tutto e per tutto d'accordo. Lo siamo nel respingere la qualifica di «pacifista», che entrambi lasciamo in esclusiva alle «anime belle» che, sventolando la bandiera della [[pace]], sperano di raccogliere intorno a essa tutti gl'ipocriti e gl'imbecilli che, sommati insieme, costituiscono certamente la stragrande maggioranza degl'italiani. (29 maggio 1999) *Lo Stato di [[Platone]], quello che lui chiamava la polis, e che poi era Atene, aveva, al tempo di Platone, cioè nel momento del suo massimo splendore, ventimila abitanti, di cui solo cinquemila avevano diritto al voto. E veda un po' come quei civilissimi cittadini lo usarono nelle assemblee dell'Acropoli: mettendo sotto processo [[Pericle]] e [[Aspasia di Mileto|Aspasia]], condannando a morte [[Socrate]] e provocando la guerra del Peloponneso, che fu la rovina non solo di Atene, ma di tutta la Grecia e della sua civiltà. Ora se il sistema della «democrazia diretta» o, come lei la chiama, «partecipatoria», non funzionò nemmeno in una polis di ventimila abitanti, s'immagini un po' cosa diventerebbe nei formicai umani cui si sono ridotte le polis attuali, e non soltanto quelle italiane. [...] Lei ha tutte le ragioni del mondo a dire che l'attuale sistema di democrazia «rappresentativa» o «delegata» ha dei vizi gravissimi e spesso provoca disastri, compresa quella americana, che pure è una di quelle che meglio funzionano. Ma, mi creda, quella «diretta» o «di piazza» è ancora molto più pericolosa perché continuamente a rischio di cadere in balia di qualche ciarlatano che sappia soltanto vendere bene la sua merce. Certo, quella indiretta esige, da parte del cittadino, una partecipazione che in Italia manca. Ma non è certo coi referendum che si può sostituirla. Almeno questo mi ha insegnato l'esperienza. (22 agosto 1999) *Quello di [[Francisco Franco|Franco]], se proprio vogliamo chiamarlo regime, fu un regime di polizia, di una polizia molto più dura di quella fascista, ma un totalitarismo no. Ecco perché, quando sentì avvicinarsi il momento della fine, Franco poté liquidare il franchismo con relativa facilità: perché di totalitario non aveva altro che le galere. Però bisogna anche riconoscere che questo soldataccio squallido e ottuso (sul piano umano era repellente), il ritorno al regime democratico seppe compierlo da maestro, facendosi consegnare dal pretendente al trono, Don Juan, ch'egli considerava (non a torto) poco affidabile, il figlio Juan Carlos per prepararlo – operazione riuscitissima – ai suoi compiti di Re, e mettendogli accanto un uomo di primissimo ordine come Suarez. ([https://web.archive.org/web/20130331034046/http://archiviostorico.corriere.it/1999/ottobre/24/differenza_fra_regimi_totalitari_dittature_co_0_991024459.shtml 24 ottobre 1999]) *La servitù, in molti casi, non è una violenza dei padroni, ma una tentazione dei servi. (2 gennaio 2000) *Non conosco Haider, e quindi nemmeno i fondamenti della sua ideologia, ammesso che ne abbia una. A occhio e croce, più che un nazista, mi sembra un qualunquista che interpreta, o cerca d'interpretare i sentimenti e i risentimenti di una pubblica opinione di livello bossiano, scontenta di tante cose, e a cui l'Austria attuale va stretta. [...] Non so se anche Haider – ripeto: non lo conosco – sia un omuncolo. Ma penso che l'Europa, ponendo il veto a un suo eventuale governo, costringerà gli austriaci ad affidargliene l'incarico, come avvenne per Waldheim. Io al pericolo di un rigurgito nazista non ci credo. Come ho letto in un articolo (mi pare di Enzo Bettiza, ma potrei sbagliarmi) penso che Jorg Haider somigli più a un Poujade che a un Le Pen, cioè più a una miscela di [[Umberto Bossi|Bossi]] e di Giannini che a un [[Pino Rauti]]. Ciò che mi allarma è l'incapacità dell'Europa a riflettere sulle sue proprie esperienze a trarne qualche insegnamento. Questo, sì, mi fa paura. (3 febbraio 2000) *Li conosco e riconosco, quei regimi {{NDR|di dittatura e di censura}}. Ne avverto il passo anche di lontano, e convengo che in Italia il pericolo di vederne arrivare qualcuno c'è. Ma sa quando si realizzerà? L'anno venturo, dopo la vittoria – che io do per certa – del Polo alle Politiche. Vedrà. La prima cosa che farà Berlusconi, come la fece nel '94, sarà di spazzare via l'attuale dirigenza Rai per omologarne le tre Reti a quelle sue. (26 febbraio 2000) *Quando s'accendono i [[Morte sul rogo|roghi]], mettiti dalla parte della strega, anche a costo di bruciare con lei. ([https://www.corriere.it/solferino/montanelli/00-05-31/02.spm 31 maggio 2000]) *Una Giustizia che per istruire un processo impiega sei o sette anni e poi non riesce a chiuderlo con una sentenza che non si presti a rimetterlo, con qualche marchingegno, in gioco, è un meccanismo di cui bisogna assolutamente rivedere e rifare gl'ingranaggi: «Giustizia ritardata – dice [[Montesquieu]] – è Giustizia negata». ([http://www.corriere.it/solferino/montanelli/00-06-07/01.spm 7 giugno 2000]) *Il [[revisionismo]] è la materia prima della [[storiografia]] che, senza di esso, sarebbe una disciplina morta. ([http://www.corriere.it/solferino/montanelli/00-06-16/01.spm 16 giugno 2000]) *Il mio giudizio su [[Baltasar Garzón|Garzón]] resta quello di prima, solo un po' rinforzato: un garzoncello smanioso soltanto di leggere il proprio nome sulle prime pagine di tutti i giornali e di vedere la propria effigie sugli schermi televisivi di tutto il mondo: il che rafforza la mia ipotesi che si tratti di un italiano nato per sbaglio in Spagna. ([http://www.corriere.it/solferino/montanelli/00-06-30/01.spm 30 giugno 2000]) *La pena di morte americana esiste e resiste in America perché fu un elemento base e costitutivo della sua nascita e sviluppo. Dei famosi 102 «Padri Pellegrini» che per primi sbarcarono dal «Mayflower» in quel Continente non per saccheggiare le ricchezze come facevano spagnoli e portoghesi in Messico e nell'America del Sud, ma per costruirvi una società nuova e libera, circa i due terzi erano avanzi di galera che fuggivano la Giustizia e le prigioni dell'Europa, e un terzo erano uomini che cercavano la libertà, e soprattutto quella religiosa. I primi avevano in tasca la pistola, i secondi la Bibbia, ma nella sua versione calvinista quella del taglione, basata sulla concezione di un Dio giustiziere che esige la morte di chi senza giusto motivo la dà. (9 luglio 2000) *A Rimini, cioè in casa propria (ma anche nostra, almeno per il momento), questi signorini {{NDR|di [[Comunione e Liberazione]]}} non hanno fatto altro che fischiare tutto ciò che è italiano, acclamare al nuovo beato [[Pio IX]], il Papa-Re che pretendeva di impedire il processo di unificazione nazionale, ed esaltare come i veri eroi del risorgimento i Borboni e i briganti del Cardinale Ruffo. A lei, tutto questo va bene? A me, dà il vomito. ([http://www.corriere.it/solferino/montanelli/00-09-13/02.spm 13 settembre 2000]). *Il mio parere è rimasto quello che espressi sul mio ''Giornale'' l'indomani del fattaccio {{NDR|l'[[agguato di via Fani]]}}. «Se lo Stato, piegandosi al ricatto, tratta con la violenza che ha già lasciato sul selciato i cinque cadaveri della scorta, in tal modo riconoscendo il crimine come suo legittimo interlocutore, non ha più ragione, come Stato, di esistere». Questa fu la posizione che prendemmo sin dal primo giorno e che per fortuna trovò in Parlamento due patroni risoluti (il Pci di [[Enrico Berlinguer|Berlinguer]] e il Pri di [[Ugo La Malfa|La Malfa]]) e uno riluttante fra lacrime e singhiozzi (la Dc del moroteo [[Benigno Zaccagnini|Zaccagnini]]). Fu questa la «trama» che condusse al tentennante «no» dello Stato, alla conseguente morte di Moro, ma poco dopo anche alla resa delle Brigate rosse. Delle chiacchiere e sospetti che vi sono stati ricamati intorno, e che ogni tanto tuttora affiorano, non è stato mai portato uno straccio di prova, e sono soltanto il frutto del mammismo piagnone di questo popolo imbelle, incapace perfino di concepire che uno Stato possa reagire, a chi ne offende la legge, da Stato. ([http://www.corriere.it/solferino/montanelli/00-09-22/03.spm 22 settembre 2000]) *La Serbia ha perduto la guerra e ha vinto la pace: ora deve voltar pagina. Sarà la storia – un giudice non imparziale, ma efficace – a decidere cos'è stato giusto e cos'è stato sbagliato. Tuttavia, una ritorsione serba verso l'Occidente avverrà. E ci troverà disarmati. Sa di cosa parlo? Delle rivendicazioni sul Kosovo, che è amministrato dalla Nazioni Unite ma è ancora Jugoslavia (lo dice la risoluzione dell'Onu). I serbi chiederanno di tornare a controllarne le frontiere, per esempio. E dire no a un Kostunica buono è più difficile che dire sì a un Milosevic cattivo. Gli albanesi del Kosovo, sono certo, lo hanno già capito. ([http://www.corriere.it/solferino/montanelli/00-10-08/01.spm 8 ottobre 2000]) *È un dimenticato, [[Ugo Ojetti|Ojetti]], come in questo Paese lo sono quasi tutti coloro che valgono. Se io dirigessi una scuola di giornalismo, renderei obbligatori per i miei allievi i testi di tre Maestri: [[Luigi Barzini (1908-1984)|Barzini]], per il grande reportage; [[Benito Mussolini|Mussolini]] (non trasalire!), quello dell'''Avanti!'' e del primo ''Popolo d'Italia'', per l'editoriale politico; e Ojetti, per il ritratto e l'articolo di arte e di cultura. ([http://www.corriere.it/solferino/montanelli/00-11-13/01.spm 13 novembre 2000]) *In Italia fu il potere temporale a soffocare negl'italiani la voce della coscienza e a spegnere in loro ogni senso di responsabilità. Ma fu la Controriforma a fornire al prete le armi per accaparrarsi l'una e l'altra: il Sant'Uffizio, le scomuniche e, nei casi estremi, il patibolo. Con questo risultato: l'aborto del «cittadino» e la trasformazione di quello che avrebbe dovuto e potuto diventare un «popolo» in un gregge (come con inconsapevole spudoratezza i preti lo chiamano), e in un gregge di pecore indisciplinate che credono di affermare il loro ribelle individualismo non rispettando il semaforo rosso. ([http://www.corriere.it/solferino/montanelli/00-11-20/01.spm 20 novembre 2000]) *{{NDR|Su [[Slobodan Milošević]]}} Oltre che un despota, lo ritengo anche un satrapo della razza dei [[Nicolae Ceaușescu|Ceausescu]], avido non solo di potere, ma anche di denaro, e credo che la sorte che si merita sia un bel plotone di esecuzione. Purché composto da serbi, al comando di un serbo, e in esecuzione di una sentenza emessa da un tribunale serbo e motivata non tanto da generici crimini contro l'umanità, che sono sempre – salvo casi di monumenti all'orrore come l'[[Olocausto]] – oggetto di discussione e dissensi; ma dal più grande e imperdonabile delitto di cui Milosevic si è macchiato nei confronti non soltanto dei serbi: la distruzione della Nazione Jugoslava, che la Monarchia serba aveva fondato dopo la prima guerra mondiale; che il croato [[Josip Broz Tito|Tito]] aveva difeso coi denti e restaurato dopo la seconda, dando alla Balcania un esempio e un puntello di stabilità; e che Milosevic e il suo compare croato [[Franjo Tuđman|Tudjman]] distrussero per poter restare ciascuno padrone in casa sua; e sulle cui macerie si scatenarono tutte le violenze (Bosnia, [[Kosovo]]) che hanno insanguinato e continuano a insanguinare quel povero Paese. ([http://www.corriere.it/solferino/montanelli/01-04-29/01.spm 29 aprile 2001]) *Questo mondo materialista, edonista ed esibizionista non entusiasma neanche me; e, visto che mi legge, dovrebbe saperlo. Ma vorrei conoscere il sistema che voi avete in mente, e non avete il coraggio, o la capacità, di proporre. Un mondo francescano? Bello: ma guardatevi intorno, e ditemi se vedete un saio. Un comunismo riveduto e corretto? Farebbe la fine dell'altro, anche se non riuscirà a ripeterne i disastri. Mi creda, G.: l'unico sistema sociale ed economico oggi accettabile, in Occidente, è quello basato sul mercato: un capitalismo controllato e temperato, per intenderci. È auspicabile che sia anche corretto: e questo non sempre accade, è vero. Il guaio è che il capitalismo è fatto dai capitalisti – e quelli, devo ammettere, sono spesso difficili da digerire. Non cerchi di confondermi le idee, quindi. Non ci riuscirà. Probabilmente ho tre volte i suoi anni, e ho visto dove conducono queste generiche tirate contro «le multinazionali»: prima o poi, qualcuno deporrà la spranga e prenderà la pistola. Dimenticavo: io firmo le mie opinioni, lei tira il sasso e nasconde la mano. Tutti coraggiosi così, voi ragazzi di Seattle? ([http://www.corriere.it/solferino/montanelli/01-06-09/01.spm 9 giugno 2001]) *Non erano, le mie, parole di circostanza. Erano – e rimangono – quelle di un conservatore abbastanza spassionato e nutrito di Storia da capire che non c'è, per la conservazione di ciò che va conservato, nemico più mortale dei conservatori che vogliono conservare tutto; e che un sistema capitalistico senza un correttivo socialista diventa una jungla che conduce pari pari a [[Karl Marx|Carlo Marx]]. Di qui il mio amore per uno dei personaggi meno amabili, sul piano umano, della nostra Storia, [[Giovanni Giolitti|Giolitti]], che sempre cercò l'accordo con [[Filippo Turati|Turati]], a cui il cretinume massimalista – che nel vostro partito ha sempre dominato – lo impedì. Il vedervi – sbriciolati in gruppi, gruppetti e gruppuscoli – annaspare nell'attuale centro-sinistra in cui nessuno riesce a recitare la parte di se stesso, fa male al cuore di un vecchio autentico liberal-conservatore come me. Cosa aspettate, caro Tamburrano, a ridarci il socialismo, ma che sia quello e quello solo: ''il'' socialismo di Turati e di Massarenti? [...] Credo che come forza politica siate abbastanza mal messi. Ma in compenso avete in mano una grande bandiera che prima o poi un esercito la ritroverà. Arrivederci, al primo settembre, cari lettori. ([http://www.corriere.it/solferino/montanelli/01-07-04/01.spm?refresh_ce-cp 4 luglio 2001]) ===''il Giornale''=== <!--ordine cronologico--> *Chi sarà il nostro lettore noi non lo sappiamo perché non siamo un giornale di parte, e tanto meno di partito, e nemmeno di classi o di ceti. In compenso, sappiamo benissimo chi non lo sarà. Non lo sarà chi dal giornale vuole soltanto la «sensazione» [...] Non lo sarà chi crede che un gol di Riva sia più importante di una crisi di governo. E infine non lo sarà chi concepisce il giornale come una fonte inesauribile di scandali fine a se stessi. Di scandali purtroppo la vita del nostro Paese è gremita, e noi non mancheremo di denunciarli con quella franchezza di cui crediamo che i nostri nomi bastino a fornire garanzia. Ma non lo faremo per metterci al rimorchio di quella insensata e cupa frenesia di dissoluzione in cui si sfoga un certo qualunquismo, non importa se di destra o di sinistra. [...] Vogliamo creare, o ricreare un certo costume giornalistico di serietà e di rigore. E soprattutto aspiriamo al grande onore di venire riconosciuti come il volto e la voce di quell'Italia laboriosa e produttiva che non è soltanto Milano e la Lombardia, ma che in Milano e nella Lombardia ha la sua roccaforte e la sua guida. [...] A questo lettore non abbiamo «messaggi» da lanciare. Una cosa sola vogliamo dirgli: questo giornale non ha padroni perché nemmeno noi lo siamo. Tu solo, lettore, puoi esserlo, se lo vuoi. Noi te l'offriamo. (25 giugno 1974) *Checché ne dicano gli agiografi della Resistenza, la guerra l'abbiamo persa, e c'è un conto da pagare. Che l'Italia lo saldi a spese dei suoi figli minori – i Dalmati e gli Istriani – è un ghigno del destino. Ma in compenso può considerarsi miracolata. Quando si pensa a cosa ha pagato la sua sconfitta la Germania, amputata d'intere province e dimezzata in due nazioni diverse e ostili, e quando si pensa a cosa ha pagato l'Inghilterra, precipitata dalla condizione di massimo impero mondiale a quella di piccola isola alla periferia d'Europa; non possiamo lamentarci del trattamento che gli alleati ci fecero. (30 settembre 1975) *Siamo stati accusati di aver fatto, nei confronti dei comunisti, il processo alle intenzioni. Non vediamo su cos'altro avremmo dovuto giudicarli, visto che sono sempre rimasti all'opposizione, ed è di lì che ancora si affannano a dire che cosa si propongono di fare se andassero al potere, anzi quando andranno al potere (perché ormai lo danno per scontato). E cosa sono, queste, se non intenzioni? (19 giugno 1976) *Che cerchino di eliminarmi perché sono un avversario, questo lo posso anche capire; ma perché – a quanto mi riferiscono – hanno detto che io sono un servo delle [[Multinazionale|multinazionali]], allora questo sta a dimostrare la confusione di idee di questi poveretti che, evidentemente, non sanno cosa sono le multinazionali. (3 giugno 1977) *I giuochi sono fatti. E sono fatti non soltanto per [[Aldo Moro|Moro]], cui va tutta la nostra più fraterna e rispettiva pietà. Sono fatti anche per una politica da ''belle époque'', che la distruzione – fisica o morale – di Moro chiude e conclude. La Storia sta riprendendo i suoi connotati di tragedia, e costringe coloro che la fanno, o ambiscono o s'illudono di farla, ad adeguarsi al repertorio. Stiamo entrando in una di quelle «età di ferro» in cui il potere si paga, o si può pagarlo col ferro. Nessuno è obbligato a sfidare questo rischio. Chi lo fa, sappia che oggi è toccato a Moro, domani può toccare a lui. Solo se si rende conto di questo e lo accetta, la classe politica troverà la forza di archiviare il caso Moro. Ed è tempo che lo faccia. (7 maggio 1978) *Quattr'anni e mezzo orsono, quando questo giornale nacque, un «ragazzo del '68» (con tante scuse a quelli veri, del '99), [[Mario Capanna]], oggi gerarchetto regionale (che belle carriere, questi rivoluzionari!), dichiarò che, come nemici del «pubblico» e del «sociale» e come assertori del «privato», e quindi della reazione, noi saremmo diventati il più bel museo della città, dove babbi e mamme avrebbero potuto condurre in gita ricreativa i loro figlioletti per mostrargli, dal vivo, com'erano buffi i loro nonni e bisnonni: noi. Bene. Se il vento seguita a soffiare come soffia, saremo noi che di qui a un po' condurremo i nostri figlioletti dal signor Capanna per mostrargli com'erano buffi i loro nonni e bisnonni di dieci anni fa. Ma non lo faremo. Lo spettacolo di questi ragazzi-prodigio abortiti, di questi barricadieri con pancia e cellulite che credevano di camminare con la Storia, e invece camminavano solo con la moda, non ha nulla di edificante. (16 gennaio 1979) *In una sua memorabile inchiesta un giornalista d'incrollabile fede sinistrorsa, ma di esemplare onestà, [[Giampaolo Pansa]], mise benissimo in luce questo contrasto fra i due atteggiamenti e mentalità, che ieri ha trovato una eloquente conferma nella manifestazione di Torino. Niente chiasso, niente sceneggiate, niente slogans, niente insomma che appartenga al repertorio del buffonismo nazionale. Nessuno ha rotto le righe per andare a rovesciare auto o a fracassar vetrine. Questa, sì, era Danzica, sia pure senza Madonne; non i picchettaggi e i pestaggi di Mirafiori, sia pure con le Madonne. Ora sappiamo già cosa diranno gli altri, oggi e domani. Diranno che gli operai non c'erano. Infatti. Doveva trattarsi di quarantamila presidenti, consiglieri delegati, ingegneri: insomma, la solita «[[maggioranza silenziosa]]»: termine che soltanto nella lingua italiana ha significato spregiativo. La maggioranza silenziosa esiste in tutti i Paesi del mondo, dove nessuno si vergogna di appartenervi perché è essa, in definitiva, che ristabilisce gli equilibri. Fu la maggioranza silenziosa – autoqualificatasi come tale – di seicentomila parigini che dodici anni fa pose fine al carnevale sessantottesco, riportò [[Charles de Gaulle|De Gaulle]] all'Eliseo e restituì alla Francia la stabilità di cui tuttora essa gode. [...] Il motivo vero che farà i dimostranti bersaglio delle peggiori critiche e accuse è ch'essi rappresentano la rivolta delle persone serie contro gli arruffoni della «conflittualità permanente», dei «modelli di sviluppo» e via baggianando. E in questo Paese nulla fa più paura, perché nulla è più rivoluzionario, della serietà. (15 ottobre 1980) *[[Anwar al-Sadat|Sadat]] non era popolare. Gli mancava quel tocco di magia, o di cialtronismo, che consentiva a [[Gamal Abd el-Nasser|Nasser]] di bandire guerre come crociate e di annunciare disfatte come trionfi. [...] Sadat amava il popolo, il popolo contadino del profondo Sud nubiano, di cui era egli stesso originario. Ma non amava le masse, e le masse lo sentivano. [...] Sapeva, quando andò a Gerusalemme, di lanciare a quelle arabe una sfida più pericolosa di quella che lanciava a Begin. [...] Ma all'impopolarità di Sadat contribuiva anche un altro elemento: il fatto di essere un vero riformatore. [...] [[Mohammad Reza Pahlavi|Rehza Pahlevi]] volle applicare gli stessi metodi di [[Mustafa Kemal Atatürk|Atatürk]] senz'averne l'autorità e il prestigio, e per questo lo cacciarono. Ma dopo due anni di [[Ruhollah Khomeyni|Khomeini]], anche i più ciechi e idioti fra i progressisti occidentali, che ne avevano salutato l'avvento come quello del Redentore, si saranno accorti che il progresso, sia pure a forza di polizia segreta e di plotoni di esecuzione, era lo Scià. L'''ayatollah'' è il medioevo. Sadat non seguì i metodi satrapeschi del suo amico Pahlevi, ma ne condivise i fini. [...] Il Rais che ha restituito all'Egitto l'integrità territoriale, l'indipendenza politica, il prestigio militare e il rilancio della sua più proficua industria, il canale di Suez, è giusto che susciti meno rimpianto di chi tutto questo all'Egitto fece perdere. Nasser era un «personaggio», Sadat una «personalità». Il personaggio fa colore e diverte, la personalità incute rispetto e disturba. (9 ottobre 1981) *Nessuna parentela, né vicina né lontana, con l'altro grande d'Israele, [[David Ben Gurion|Ben Gurion]], il Fondatore. [...] {{NDR|David Ben Gurion}} Faceva tutto a caldo, anche la guerra. [[Menachem Begin|Begin]] fa tutto a freddo: anche l'amore, credo, ammesso che lo faccia. Non riuscì a commuoverlo nemmeno [[Anwar al-Sadat|Sadat]], quando gli piombò, da nemico tuttora belligerante, a Gerusalemme, per chiedergli la pace. Il mondo, che vide in televisione la scena, quel giorno fu tutto per l'egiziano che, per la pace, firmava la propria condanna a morte, contro l'israeliano che lo accoglieva senza un sorriso e con visibile fastidio. [...] È l'uomo che non ha esitato un istante [...] a distruggere in pochi minuti tutto l'armamento corazzato, aereo e missilistico siriano sotto l'occhio stupefatto degli osservatori e «consiglieri» russi che lo avevano fornito. È l'uomo che ha messo alla porta l'ambasciatore di Mosca respingendone la nota di protesta addirittura con disprezzo, come se fosse stato lui la Grande Potenza che parlava a un subalterno. È l'uomo che ha picchiato i pugni sul tavolo di [[Ronald Reagan|Reagan]], e a un certo punto aveva rotto anche con lui. Se avesse perso, sarebbe finito al muro e passato ai posteri come il distruttore d'Israele. Ma ha vinto. E la Storia, iscrivendolo nei suoi registri come «Il Salvatore», dirà che solo un uomo come lui, «antipatico» come lui, e come lui disposto anche a scatenare un'altra ondata di antisemitismo, poteva vincere. E avrà ragione di dirlo. Perché è così. Alla fine lo diranno, vedrete, anche gli antisemiti. E forse perfino i semiti. (27 agosto 1982) *L'idea che domani potremmo incontrare per strada, a piede libero e magari oggetti di compassione, gli assassini di [[Walter Tobagi]], ci riempie, più che di furore, di orrore. [...] Avevano scelto lui non per la sua tessera socialista, ma perché era una di quelle prede più facili: indifeso e abitudinario, e quindi bersaglio di facilissima mira, quasi da fermo. Tutto qui il movente del delitto: tutto nella fregola di protagonismo di due coccolatissimi giovanotti della Milano bene che giuocavano a fare i terroristi. [...] Che ora dobbiamo prendere per vero il loro pentimento e assolverli, ci rivolta lo stomaco. Ma è la legge: iniqua, infame, infamante. Ma è la legge. Noi stessi l'abbiamo auspicata e voluta. Il magistrato deve applicarla. E noi [...] accettarla. Ma una cosa reclamiamo, e ci spetta: di essere liberati dall'incubo d'incontrare questi figuri per strada per non veder riflessa nei loro occhi la nostra vergogna di aver avuto bisogno di loro e di aver risposto al loro falso rimorso con un perdono altrettanto falso. Un Curcio, se tornasse in circolazione, ci farebbe forse più paura, ma meno, anzi punto disgusto. [...] Ma i Barbone e i Morandini non li vogliamo tra i piedi. Se ne vadano. E soprattutto ci risparmino memoriali. La speranza di farci dimenticare i loro delitti, gliela passiamo. La pretesa di camparci sopra, no. (29 novembre 1983) *Per i falchi del Pci, [[Enrico Berlinguer|Berlinguer]] era ormai un personaggio scomodo e pericoloso, specie da quando aveva cominciato ad allentare gli ormeggi che lo legavano a Mosca. Gli era perfino scappato di dire (a [[Giampaolo Pansa|Pansa]]) che voleva per l'Italia un regime comunista, ma sotto l'ombrello della Nato che la tenesse al riparo dalle soperchierie del padrone sovietico: la più grave e blasfema di tutte le eresie in cui un capo comunista possa incorrere. (12 giugno 1984) *Se fino a che punto i piduisti – a parte il manipolatore Gelli, e forse qualche altro – fossero un branco di delinquenti golpisti, non siamo riusciti a capirlo. Abbiamo capito soltanto che gran parte di essi occupavano, forse grazie alla P2, posizioni di rilievo, e quindi parecchio ambite, ma ambite anche da molte persone che, per il fatto di non appartenere alla P2, avevano ora, grazie anch'esse alla P2, la possibilità di occuparle. Di fatti accertati e meno ancora di crimini provati, siamo andati invano alla ricerca delle 34.847 pagine della commissione. Vi abbiamo trovato soltanto ipotesi, illazioni, accostamenti di nomi e di episodi. Tutta roba che in mano a Le Carré poteva fruttare chissà quali affascinanti trame. In mano alla signorina [[Tina Anselmi|Anselmi]], resta cicaleccio di portineria. Ma questa è un'altra storia. (19 marzo 1985) *Quanto al moribondo [[Michele Sindona|Sindona]] [...] se fossi stato uno dei giudici popolari che l'altro giorno gli comminarono l'ergastolo, anche io avrei votato come loro pur sapendo che la mia endemica insonnia non ne avrebbe avuto giovamento. Comunque mi sembra che con questa fine, preceduta da quasi un decennio di rovine, umiliazioni, fughe e galere, egli abbia abbondantemente scontato, quali che siano, i suoi delitti. Che ora lo lascino riposare in pace e che pace sia all'anima sua. (22 marzo 1986) *I dieci giorni che sconvolsero il mondo furono in realtà dieci ore: quante ne bastarono alle poche «guardie rosse» reclutate in fretta e furia dai bolscevichi per occupare, senza nessuna resistenza, la Centrale delle poste e telefoni, la stazione ferroviaria, la Banca di Stato, e per spostare l'incrociatore ''Aurora'' di fronte al palazzo d'Inverno, dove ancora si trova, cimelio e monumento al fatidico evento, e dove il governo sedeva [...]. Non fu un assalto. Fu una «retata». L'''Aurora'' non sparò che una dozzina di colpi, di cui solo tre andarono a segno. In tutto, la conquista di questa Bastiglia russa costò, da ambo le parti, un morto, anzi una morta – perché fu una soldatessa che, pare, si suicidò – e diciotto feriti. Il [[Rivoluzione russa|Fasto]] [...] è un falso in atto pubblico. Si dirà che una rivoluzione non si misura dal numero dei morti. Certo: l'abbiamo detto anche noi. La rivoluzione poi venne, e che rivoluzione! Ma venne dall'alto, e per mano di despoti che di morti ne fecero in pochi anni più di quanti lo zarismo ne avesse fatti in secoli. (6 novembre 1987) *Tutto pensavo che potesse capitarmi, fuorché di essere un giorno tentato di spendere qualche parola, per poco che valga, in difesa di Togliatti. [...] Un processo a Togliatti per stalinismo, se glielo intentano i socialisti, che nell'era dello Stalinismo gli fecero da mosca cocchiera, è una burletta. Se lo intentano i comunisti – come sembra che qualcuno di loro voglia fare –, oltre che oltraggio al pudore, diventa quiescenza alla voce del nuovo padrone, cioè stalinismo della più brutt'acqua, anzi una parodia dello Stalinismo. Per la caccia alle streghe, anche dello Stalinismo, ci vogliono degli stalinisti doc, qual era Togliatti. Non è roba da dilettanti, quali sono i suoi pallidi epigoni. (3 marzo 1988) *La fine del Muro è una cosa buona, la fine di una vergogna: non possiamo che salutarla con soddisfazione. Ma guardiamoci dal prendere abbaglio sui suoi moventi. Ulbricht concepì e Honecker realizzò il muro per impedire che i tedeschi dell'Est fuggissero in massa nella Germania dell'Ovest: già 9 (diconsi nove) milioni lo avevano fatto fin allora. E il rimedio fu, come tutti quelli che escogitano nei regimi totalitari, drastico e semplicistico: murare viva la gente dietro una colata di cemento, senza pertugi. [...] Abbiamo in uggia le astrazioni. Ma ciò che distingueva le due Germanie è l'idea morale e giuridica dell'uomo: che a Ovest è padrone di se stesso, e quindi può andarsene dove vuole: ad Est è proprietà dello Stato che ne regola i movimenti. Per chi non ricorda questo, il [[Muro di Berlino]] era, oltre che barbaro, incomprensibile e irrazionale: mentre invece ha obbedito a una sua logica. Nel momento in cui il bunker si affloscia e sopravvive come mero ammasso di cemento ricordandoci un altro bunker, quello che fece da fossa di [[Adolf Hitler|Hitler]] (anche questo pare impossibile: ma i regimi in Germania muoiono nei bunker), il Muro va ricordato per ciò che è stato: non un'aberrazione del comunismo, ma una sua conseguente applicazione. E se crolla così, nel silenzio assordante di un giornale-radio, è perché è crollata, prima, l'ideologia che lo aveva eretto. (11 novembre 1989) *Negli anni Trenta, per le strade di Berlino, risuonava il grido: ''ein Volk, ein Reich, ein Führer'': un popolo, uno Stato, un capo. Stavolta si sono contentati di scandire ''ein Volk, ein Reich''. Non potevano aggiungere, checché ne dica il sig. Ridley, ''ein Kohl'', che fra l'altro significa «cavolo». Ma {{NDR|ai tedeschi}} per diventare i padroni dell'Europa anche un cavolo gli basta. (3 ottobre 1990) *Abbiamo fatto poco: il poco che il Paese dei [[Roberto Formigoni|Formigoni]], dei Cristofori, degli Sbardella, dei [[Ernesto Balducci|Balducci]], dei [[Antonio Bello|vescovi di Molfetta]] poteva fare. Non lamentiamoci se il posto che ci verrà assegnato nel ristabilimento dell'ordine internazionale sarà nell'anticamera, non nella camera dei bottoni. Però sia chiara una cosa: che a gridare «Viva la pace!» siamo qualificati oggi soltanto noi che abbiamo auspicato la guerra contro chi la pace l'aveva turbata e, se lo si lasciava fare (non è un ipotesi, è una constatazione), avrebbe continuato a turbarla in un crescendo di colpi e di aggressioni. (1º marzo 1991) *I voti dei democristiani novaresi non sono andati al partito; sono andati a [[Oscar Luigi Scalfaro|Scalfaro]], democristiano talmente anomalo, che si permette persino di credere in Dio. [...] Il vecchio magistrato conosce il suo mestiere, e sa benissimo di operare in un Paese in cui la mamma dei Casson è sempre incinta. In nome della Legge, le leggi le farà funzionare. Insomma siamo sicuri che starà in Quirinale come un italiano deve starci: da straniero. Unico pericolo: le prediche. Anche [[Luigi Einaudi|Einaudi]] le faceva. Ma le chiamava «inutili». (26 maggio 1992) *Da dove siano venuti tutti i «no» non lo sapremo mai con precisione, ma una cosa è certa. Questo è il colpo di grazia al sistema dei partiti e della classe politica che lo rappresenta, e un colpo durissimo all'immagine del Paese pronto a fare pulizia che l'Italia si stava faticosamente costruendo all'estero. Senza giovare nemmeno a [[Bettino Craxi|Craxi]], che non potrà certo ricostruire la sua carriera sulla votazione di ieri, anzi. Se c'è ancora qualcuno che dubita sulla necessità di un pubblico processo, non solo a lui, ma a tutta la corte di faccendieri che lo circondava, alzi la mano, o meglio nasconda la faccia. (30 aprile 1993) *Questo è l'ultimo articolo che compare a mia firma sul giornale da me fondato e diretto per vent'anni. Per vent'anni esso è stato – i miei compagni di lavoro possono testimoniarlo – la mia passione, il mio orgoglio, il mio tormento, la mia vita. Ma ciò che provo a lasciarlo riguarda solo me: i toni patetici non sono nelle mie corde e nulla mi riesce più insopportabile del piagnisteo. [...] A presto dunque, cari lettori. Anche a costo di ridurlo, per i primi numeri, a poche pagine, riavrete il nostro e vostro giornale. Si chiamerà ''La Voce''. In ricordo non di quella di [[Frank Sinatra|Sinatra]]. Ma di quella del mio vecchio maestro – maestro soprattutto di libertà e indipendenza – [[Giuseppe Prezzolini|Prezzolini]]. (12 gennaio 1994) {{Int|''Rituale barbarico''|Articolo su ''il Giornale nuovo'', 10 maggio 1978.|h=4}} *La fine di [[Aldo Moro]] ci rende sgomenti, il fanatismo di chi lo ha ucciso lentamente, togliendogli la speranza prima di toglierli la vita, ci riempie di orrore. Speriamo ancora che la tracotanza dei criminali sia un giorno punita. L'importante, adesso, è che il Paese, proprio per rendere omaggio a Moro, e proprio in memoria di lui, sappia trarre da questa tragedia l'amara lezione che essa comporta. La democrazia non deve, anzi non può essere debole. La libertà, che la rende superiore a qualsiasi altro regime, ma anche più vulnerabile, non va conclusa con la indulgenza verso i nemici, la imprevidenza, la leggerezza. *Lo Stato italiano ha superato con onore questa prova difficile, ma la magistratura e gli organi di polizia hanno denunciato, nella loro azione, una desolante inefficienza, che ha permesso alle brigate rosse di operare con irridente spavalderia. Ne va data colpa non tanto alle forze dell'ordine quanto a chi ha voluto, per demagogia, per compiacere le sinistre, per acquistare facile popolarità, smobilitare i servizi segreti, rimuovere i funzionari più ligi al dovere, trasformare le carceri in alloggi con libera uscita quotidiana. Gli eversori della democrazia, i contestatori della legalità hanno potuto predicare e demolire senza ostacoli. Ci auguriamo di non vederli ora associati ipocritamente al compianto per un delitto del quale sono, ideologicamente se non materialmente, corresponsabili. Le loro non erano soltanto parole. Un giovane sfracellato da un ordigno sulla ferrovia Trapani-Palermo – l'episodio è di ieri – apparteneva a Democrazia proletaria. I banditi che hanno assalito a Bologna un grande magazzino venivano dal Movimento studentesco. È inutile che questi gruppi ostentino adesso costernazione e stupore per le belluine imprese delle brigate rosse. Il terrorismo è figlio loro. *All'annuncio della fine di Aldo Moro i sindacati si sono mossi, hanno indetto manifestazioni e proclamato uno sciopero generale. Siamo certi della loro profonda esecrazione, e della loro sincera partecipazione al cordoglio nazionale. Pensiamo tuttavia che i lavoratori e i loro rappresentanti darebbero un apporto più costruttivo alla lotta contro i terroristi tenendo d'occhio gli estremisti delle fabbriche, troppe volte protetti e difesi. Così pure gli studenti «impegnati», se proprio vogliono dissociarsi dalle brigate rosse, devono estromettere dalle loro file gli agitatori deliranti, e dinamitardi che nascondono bottiglie molotov e armi negli scantinati delle facoltà. Chi ha chiuso gli occhi di fronte alla ''escalation'' di violenza degli anni scorsi, li chiuda oggi per non lasciar scorrere lagrime di coccodrillo. {{Int|''Poveri morti poveri vivi''|Articolo su ''il Giornale'', 31 maggio 1985.|h=4}} *L'[[Inghilterra]] non sono i forsennati che abbiamo visto all'opera nello stadio di Bruxelles. L'Inghilterra sono la [[Margaret Thatcher|Thatcher]], i politici, i commentatori di stampa, radio e televisione, la gente intervistata per strada, che hanno confessato la loro vergogna a una voce, con una sola stecca: quella del ministro dello Sport che con le sue dichiarazioni si è messo sullo stesso piano degl'imbestialiti. Comunque, Dio ci guardi ora dai soliti sproloqui e dibattiti dei sociologi sui motivi di «tifo» e sui mezzi d'impedirne gli eccessi. Non ce ne sono, se non nel controllo che ognuno può e deve esercitare su di sé. *La strega non è il «tifo» che dallo sport è inseparabile. E non siamo nemmeno noi, come vogliono i cantautori del «siamo tutti colpevoli» che ieri giornali e radio hanno intitolato. Perché, se di qualcosa siamo colpevoli, è di aver sempre secondato la corruttrice e demagogica tendenza a scaricare l'individuo di ogni responsabilità, rigettandola regolarmente e interamente sulla società. È la società che ci obbliga a rubare, è la società che ci obbliga ad uccidere. E si capisce che quando si offrono alla gente di questi alibi, c'è sempre qualcuno che ne approfitta. Stamane leggevo su un giornale francese un dotto articolo in cui si spiegava che la furia dei tifosi del [[Liverpool Football Club|Liverpool]] era dovuta al fatto che, essendo quasi tutti minatori, per un anno erano rimasti senza lavoro a causa dello sciopero: il che gli aveva fatto accumulare la rabbia che poi era scoppiata a Bruxelles. Insomma, senza dirlo, l'articolo induceva alla conclusione che il vero responsabile del massacro era la signora Thatcher. Ecco in che senso siamo tutti colpevoli. Siamo colpevoli di assolvere tutti come vittime innocenti di una società iniqua che, a furia di essere tutti noi, non è nessuno. È un giuoco a cui non ci stiamo. I responsabili di Bruxelles sappiamo chi sono: sono i delinquenti che abbiamo visto avventarsi, prima che la partita cominciasse, e quindi senza alcuna provocazione, contro i tifosi italiani con sbarre e coltelli di cui erano accorsi armati, con l'evidente intenzione di farne l'uso che ne hanno fatto. Delinquenti, non vittime. La società non c'entra, non c'entrano le miniere. Casomai l'alcol. Ma ne avevano ingerito per delinquere meglio. Speriamo che la polizia li identifichi e li consegni a quella inglese. Della quale possiamo fidarci. {{Int|''I rieccoli''|Articolo su ''il Giornale'', 20 gennaio 1990.|h=4}} *Scorrendo le cronache delle agitazioni studentesche di questi giorni avevo avuto per un momento l'impressione, o l'illusione, che esse si fondassero sui problemi concreti dell'università, e che fossero qualcosa di diverso, e di migliore della grottesca ubriacatura sessantottina. Ma quando giovedì sera, nella trasmissione televisiva ''Samarcanda'', è stato lanciato contro [[Mario Cervi]] il rituale e vile epiteto «fascista!» (e questo solo perché aveva mosso obiezioni agli sproloqui assembleari di Roma e di Palermo), ho capito che vent'anni dopo è come vent'anni prima. La protesta è un pretesto, il legittimo scontento diventa arma politica, gli appelli al dialogo si risolvono in volontà di sopraffazione, di discussione su ciò che nell'università deve essere cambiato sfocia in un attacco globale al governo, alla società, al sistema. L'unica connotazione sessantottina che ancora manca è la violenza fisica. Ma temo che non tarderà ad arrivare se chi dissente è bollato come fascista e chi governa (è capitato ad [[Giulio Andreotti|Andreotti]], a Palermo) come mafioso. *Quanto alla legge Ruberti, Cervi ha osservato che viene presa di mira perché consentirebbe un limitato ingresso dei privati nella gestione delle università: e al solo sentir parlare di «privato» – che le folle e i giovani dell'Est chiedono con slancio entusiastico – gli epigoni nostrani del [[marxismo-leninismo]] sono presi da convulsioni. [...] La legge Ruberti è passata in sott'ordine, il punto centrale del dibattito – o piuttosto della successione di sproloqui, intimazioni e insulti – è diventato il degrado di questa povera Italia privatizzata, che invece conoscerebbe fulgidi destini se fosse tutta pubblica e stabilizzata. Gli ''slogans'', le utopie, le bugie e le dissennatezze sessantottine o settantasettine riemergevano dalle pagine dei libri e dalla polvere degli archivi, per imitazione o per transfert generazionale. *Tirava aria romena o cecoslovacca in quelle assemblee: ma della Romania e della Cecoslovacchia di [[Nicolae Ceaușescu|Ceausescu]] e di Husak, con l'idolatria dello Stato, con gli applausi unanimi, con la riduzione al silenzio degli oppositori. S'è sentito, a proposito sempre di Cervi, il sinistro termine «provocazione» con cui tutti gli oppressori legittimano i loro soprusi. Qualcuno di quei ragazzi pretende che esistano parentele tra questo movimento e quelli dell'Est, dimenticando che là ci si batte, a rischio della pelle, per instaurare non il regime dello statalismo, ma al contrario per abbatterlo e introdurre o reintrodurre quello di iniziativa privata in tutti i campi, compreso quello della cultura e della scuola. Che siano diventati, gli studenti di Berlino, di Praga, di Bucarest, fascisti anche loro? ====''Controcorrente – rubrica''==== {{cronologico}} *La cosa che più ci turba, delle nostre sconfitte sportive, è il grande, alluvionale bisticcio che si scatena fra i «tecnici» per giustificarle. Per quella di Stoccarda, che ci ha eliminato dal campionato del mondo, ne avremo – temiamo – per tutta l'estate: se ne parlerà più che di Caporetto. Noi tecnici non siamo, ma abbiamo la nostra idea. È questa: che non si possono mandare dei polli di batteria a competere con quelli ruspanti. Resta da capire perché noialtri non sappiamo allevare che polli di batteria. Ma ci sembra che questo sia sufficientemente spiegato da un piccolo episodio occorso a Roma, dove un gruppo di tifosi ha creduto di «vendicare» i suoi campioni (si fa per dire) assalendo con pomodori e uova l'ambasciata di Polonia. Ecco. Per un paese in cui la «sana passione sportiva» si effonde in simili manifestazioni, quegli undici mammozzi dalle gambe molli sono fin troppo, e fin troppo misericordiose le disfatte che subiscono. (25 giugno 1974) *Noi, di [[Fascismo|fascismi]] ne conosciamo e ne esacriamo uno solo: quello di chi appiccica questa etichetta a qualunque idea o opinione che non corrisponde alle sue. Di questo giuoco, la nostra [[sinistra in Italia|sinistra]] è spesso maestra. Non per nulla lo stesso [[Benito Mussolini|Mussolini]] veniva dai suoi ranghi. (10 luglio 1974) *In una conferenza stampa a Nuova Delhi, [[Henry Kissinger]] ha dichiarato che verrà a Roma e andrà a pranzo dal presidente Leone, ma non parlerà di politica perché quella italiana è, per lui, troppo difficile da capire. È la prima volta che Kissinger riconosce i limiti della propria intelligenza. Ma vogliamo rassicurarlo. A non capire la politica italiana ci sono anche cinquantacinque milioni di italiani, compresi coloro che la fanno. (31 ottobre 1974) *[[Dario Fo]], poeta di corte dell'ultrasinistra, flagella nella sua ultima fatica teatrale il senatore [[Amintore Fanfani]], responsabile di ogni nequizia passata, presente e futura. I sarcasmi più grevi hanno però come bersaglio il metraggio del notabile democristiano che, come tutti sanno, non è quello di un granatiere. [[Henri de Toulouse-Lautrec|Toulouse-Lautrec]], che per gli stessi motivi dovette per tutta la vita subire analoghe canzonature, disse una volta, giocando sulla lunghezza del suo doppio casato: «Ho la statura del mio nome». Non sappiamo se questo discorso si possa applicare a Fanfani. Certo, si applica a Fo. (11 giugno 1975) *[[Winston Churchill|Churchill]] diceva che «i panni dei servizi segreti si possono, anzi si devono lavare più spesso degli altri; ma, a differenza degli altri, non si possono mettere ad asciugare alla finestra». Dello stesso parere era [[Stalin]] che regolarmente, ogni tre o quattro anni, il lavaggio lo praticava facendo accoppare al buio i capi della sua polizia, nel presupposto – probabilmente fondato – che a far quel mestiere non potevano essere che arnesi da forca, e quindi era giusto che ci finissero. Gli [[Stati Uniti d'America|americani]] seguono tutt'altro criterio. Essi hanno trascinato la ''[[Central Intelligence Agency|Cia]]'' in televisione denunciandone ''coram populo'' fatti e misfatti. I suoi capi ne hanno commessi, dicono, di grossi. Ma il più grosso è forse quello di non aver capito che l'America non li paga per svolgere servizi segreti, ma per offrire agli americani il pretesto per vergognarsene. È l'unico popolo che goda più nel pentimento che nel peccato. (28 novembre 1975) *Non sempre, per redigere questa piccola rubrica, occorre forzare la fantasia. Qualche volta basta lasciare la parola alle agenzie di stampa ufficiali. Eccone un caso. L'agenzia Adn Kronos comunica: «Due giorni di sciopero sono stati dichiarati dai sindacati postelegrafonici milanesi per il 28 gennaio e per il 6 febbraio per protesta contro gli scioperi e i disservizi». (25 gennaio 1976) *L'Unità ci rimprovera di aver pubblicato il manifesto degl'intellettuali in favore della libertà. E ha ragione. Si tratta infatti di una illecita concorrenza perché finora i manifesti, gli appelli, le «veglie» e tutto il resto sono stati monopolio del Pci, unico partito capace di far cantare la gente in coro. Ma appunto per questo non vediamo di che si preoccupi. Gl'[[intellettuale|intellettuali]] italiani che preferiscono aver ragione da soli piuttosto che torto con gli altri, sono pochi. I più seguono la massima di [[Paul-Jean Toulet|Toulet]]: «Quando i lupi urlano, urla con loro». (1º giugno 1976) *Ieri [[Mario Melloni|Fortebraccio]], dalle colonne dell'«[[l'Unità|Unità]]», ha invocato per noi, previa qualche iniezione, il ricovero immediato, e a titolo definitivo, in manicomio. La cosa non ci stupisce: sappiamo benissimo che di manicomi e di iniezioni nessuno s'intende più dei comunisti: chi c'è passato giura che ci hanno fatto una mano da maestri. Ci stupisce però che Fortebraccio lo abbia implicitamente – e un po' anzitempo – riconosciuto. Forse gli è scappata. Alla sua età, succede. (10 dicembre 1976) *Cadendo oggi il trigesimo della scomparsa di Pietro Valdoni, vogliamo rievocare un episodio del grande chirurgo. Come tutti ricorderanno, fu lui ad operare, salvandogli la vita, [[Palmiro Togliatti]], ferito alla testa dalla rivoltella di Pallante. Quando ricevette la parcella, Togliatti la trovò salata, e accompagnò il pagamento con queste parole: «Eccole il saldo, ma è denaro rubato». Valdoni rispose: «Grazie per l'assegno. La provenienza non mi interessa» (23 dicembre 1976) *«Dio non è un maschio» assicura alle femministe Civiltà Cattolica, l'autorevole rivista dei gesuiti, scusandosi «delle tracce di antifemminismo che ancora sono nella Chiesa». Brutto segno quando i teologi si mettono a discutere di sesso. Fu mentre i bizantini si accapigliavano su quello degli angeli che arrivarono i turchi. (21 giugno 1977) *Riferiscono le cronache che l'America è in subbuglio per la morte di [[Elvis Presley]]. Oltre centomila persone si sono riversate a Memphis, sua ultima dimora, due donne sono rimaste uccise nella calca che si stringeva intorno alle spoglie del cantante. Il sindaco ha fatto abbrunare le bandiere in tutta la città, il presidente [[Jimmy Carter|Carter]] è stato flagellato di proteste perché non aveva proclamato il lutto nazionale e uno gli ha gridato al microfono: «Noi americani dobbiamo più a Presley che a [[George Washington|Washington]] e a [[Abraham Lincoln|Lincoln]] sommati insieme». Anche noi italiani dobbiamo qualcosa a Presley: una delle rare occasioni in cui preferiamo essere italiani piuttosto che americani. (20 agosto 1977) *È in corso una iniziativa per l'abolizione, nelle aule scolastiche, della pedana su cui si eleva la cattedra. Il perché lo avrete già capito: l'insegnante deve mettersi, anche materialmente, a livello degli alunni per non lederne la dignità e dimostrare con l'esempio che siamo tutti uguali. Giusto. «La via dell'uguaglianza – dice Rivarol – si percorre solo in discesa: all'altezza dei somari è facilissimo instaurarla». (29 ottobre 1977) *Fra gli annunci economici di Lotta Continua, ne è comparso uno che dice: «Compero a L. 100.000 una tesi di laurea, anche già presentata, purché tratti un argomento attinente all'[[Inghilterra]], o alla lingua, storia, letteratura inglese. Meglio se con una impostazione femminista». Curioso. Questi grandi [[Rivoluzione|rivoluzionari]], che dicono di battersi per costruire una società nuova di zecca, quando si tratta di lauree, si contentano anche di quelle usate e di seconda mano. (3 marzo 1978) *Credevamo che l'assassinio di Aldo Moro, così come è stato eseguito, fosse il colmo dell'infamia. Abbiamo dovuto ricrederci. Al comizio di protesta svoltosi in piazza Duomo a Milano subito dopo la macabra scoperta in via Caetani a Roma, un gruppo di ultrà ha gridato: «Moro fascista!». Preferiamo le [[zanne]] delle belve alla [[bava]] degli [[Sciacallo|sciacalli]]. (10 maggio 1978) *Ecco il nostro telegramma di congratulazioni e auguri a Pertini: «Che Dio le conceda il coraggio, Presidente, di fare le cose che si possono e che si debbono fare; l'umiltà di rinunziare a quelle che si possono ma non si debbono, e a quelle che si debbono ma non si possono fare; e la saggezza di distinguere sempre le une dalle altre». (9 luglio 1978) *Dall'indagine svolta da uno dei più seri istituti di ricerche demografiche, lo svizzero Scope, risulta che la professione più ammirata e rispettata, nel mondo, è quella dei medici. I giornalisti sono al penultimo posto. Ce ne sentiremmo profondamente avviliti se all'ultimo non vedessimo catalogati gli editori. (29 novembre 1978) *In un convegno su «Terrorismo e informazione», a Roma, è stato unanimemente riconosciuto che il [[segreto istruttorio]] in Italia non esiste. Lo trasgrediscono tutti. Non solo giornalisti e avvocati – e ancora passi – ma perfino magistrati che anticipano e propalano, il più delle volte per farne strumento politico, notizie riservate. «È il segreto di Pulcinella» si è lamentato il procuratore capo della Capitale, De Matteo. È vero. Ma Pulcinella non era giudice. E i giudici non dovrebbero essere Pulcinella. (25 aprile 1979<ref>Da ''Il meglio di "Controcorrente": {{small|1974-1992}}'', Fabbri Editori-Corriere della Sera, La biblioteca del Corriere della sera, Milano, 1995, p. 104.</ref>) *Solo il tempo non perde tempo, diceva [[Jules Renard|Renard]]. E così, a furia di annunciarne i cambiamenti, il tempo è passato anche per il colonnello [[Edmondo Bernacca|Bernacca]], che ora deve rassegnarsi alla pensione. Peccato. Gli dobbiamo parecchi raffreddori e reumatismi. Ma nessuno riuscirà meglio e con più grazia di lui a farci capire ed accettare l'inutilità della meteorologia. (10 luglio 1979<ref>Citato in ''Il meglio di controcorrente'', p. 108.</ref>) *Prima di partire per Vienna, il presidente {{NDR|degli Stati Uniti}} [[Jimmy Carter|Carter]] ha fatto due dichiarazioni. La prima: «Ci auguriamo che il signor Breznev {{NDR|allora presidente dell'Unione Sovietica e Primo Segretario del PCUS}} abbia per le nostre ragioni la stessa comprensione che noi abbiamo per le sue». La seconda: «Se Ted Kennedy si presenta contro di me alle elezioni presidenziali, gli faccio un c.o così» Il triviale [[Richard Nixon|Nixon]] avrebbe potuto dire le stesse cose, ma certamente ne avrebbe invertito l'ordine di priorità riservando la comprensione a Kennedy ed il c.o a Breznev. La differenza fra i due è tutta qui. (16 giugno 1979) *Avvicinandosi il 25 dicembre, decine di migliaia di teneri [[abete|abeti]] vengono strappati dai boschi della Penisola per allestire il tradizionale albero di Natale. Ogni anno lo scempio si ripete, tra la generale indifferenza. Soppresso l'Ente protezione animali, figuriamoci se qualcuno ha voglia di proteggere gli alberi. Diciamo la verità: la sola pianta che interessi all'[[italiano medio]] è la pianta stabile. (19 dicembre 1979) *Nel Manifesto di domenica scorsa tale K.S. Karol faceva considerazioni amare sulla rivoluzione cubana e sui suoi fallimenti: «[[Fidel Castro|Fidél]] – ha ricordato il commentatore, uno dei tanti orfani delle illusioni di sinistra – prometteva ai cubani per il 1965 un tenore di vita pari a quello svedese». Certo Fidél si è sbagliato di grosso; non per cattiva volontà, ma per mancanza di uomini, anzi di un uomo. Sarebbe bastato che anche la Svezia avesse uno suo Castro al potere per ritrovarsi in pochissimi anni con un tenore di vita pari a quello cubano. (15 aprile 1980) *Riferiscono le cronache che quando è giunta in tribunale la notizia dell'assassinio di Walter Tobagi, il brigatista Corrado Alunni l'ha accolta con una sghignazzata di tripudio. Abbiamo sempre combattuto la pena di morte sul presupposto che l'uomo non ha il diritto di uccidere l'uomo. Il presupposto lo confermiamo. Ciò di cui cominciamo a dubitare è che gli Alunni e quelli come lui siano uomini. Sui cadaveri sghignazzano le jene. (30 maggio 1980) *A Mirafiori, parlando agli operai della Fiat in sciopero, il sindaco di Torino, Novelli, se l'è presa coi giornalisti e li ha additati all'uditorio come falsari che ricalcano i loro resoconti non sui fatti, ma sulle «veline» distribuite loro dai «padroni». Anche Novelli ha fatto il giornalista in un foglio comunista, e quindi di veline e di padroni è certamente un intenditore. Ma se dopo questa denuncia ci scappa un altro Casalegno, sarà molto gradita la sua assenza ai funerali. (8 ottobre 1980) *Grandi elogi – dopo il successo del blitz di Trani – alle «teste di cuoio» italiane. La loro azione ha dimostrato quanto poco valesse la strategia della flessione propugnata di alcuni personaggi. Teste anche loro: ma di che? (31 dicembre 1980) *Fra i tanti slogans che il partito socialista francese ha lanciato in occasione delle elezioni presidenziali per rassicurare i bravi borghesi sottolineando il proprio carattere moderato e riformista, abbiamo letto anche questo: «Il socialismo può fare di chiunque un milionario». Ci crediamo senz'altro. A patto che quel chiunque fosse prima un miliardario. (8 maggio 1981) *Per gl'italiani, finora, il nome di Gelli era quello dell'autore del più famoso e autorevole codice cavalleresco. Anche oggi rimane legato a un codice. Quello penale. (9 maggio 1981) *L'elenco degli affiliati alla P2 comprende, dicono, 953 nomi, cui corrispondono i più alti gradi della politica, della magistratura, delle forze armate, della burocrazia, dell'industria, della finanza. Tutti «fratelli». È la riprova che, in questo Paese, guai ai figli unici. (11 maggio 1981) *Macché pazzo! L'attentatore del Papa deve essere un furbo matricolato. Dichiarandosi seguace di George Habbas e della causa palestinese, ha cercato di procurarsi la solidarietà dei molti, dei moltissimi, che non battono ciglio quando un terrorista cerca di spedire qualcuno all'altro mondo. Purché il terrorista appartenga al terzo. (16 maggio 1981) *Studiosi cinesi, mettendo a confronto reperti di ominidi dissimili tra loro tanto da far pensare che l'uomo discenda anche da animali diversi dalla [[scimmia]], sono arrivati alla conclusione che i nostri progenitori erano comunque scimmie, ancorché di specie differenti. Ci pare logico. Quale altro animale avrebbe potuto imitare la scimmia che ha dato l'avvio alla razza umana se non un'altra scimmia priva di senso critico? (19 maggio 1981) *Una nostra redattrice andata per una sua cronaca sul femminismo alla «libreria delle donne» in via Dogana a Milano, è stata accolta da una di loro con queste parole: «Con te non parlo perché sei di un giornale fascista, e anche tu hai la faccia da fascista». La nostra redattrice, che ha ventun anni, probabilmente non sapeva bene cosa fosse il fascismo. Ora lo sa: lo ha imparato in quella libreria. (4 novembre 1981) *Come previsto, la Juventus ha conquistato il [[Serie A 1981-1982|ventesimo scudetto]] battendo il Catanzaro. Una vittoria di rigore. (17 maggio 1982) *Socialisti e comunisti si sono opposti alle sanzioni economiche contro l'Argentina perché, hanno detto, una buona metà degli argentini sono di origine italiana, e molti di loro conservano tutt'ora la nostra nazionalità. Vero. Ma non ci eravamo accorti che queste sinistre spasimassero tanto d'amore per i nostri connazionali di laggiù quando si trattava di riconoscergli il diritto di voto. (22 maggio 1982) *Se si va avanti di questo passo, la [[guerra delle Falkland]] (o Malvine) finirà quando l'ultimo aereo argentino sarà abbattuto col suo carico di bombe sull'ultima nave inglese. E dire che questa lotta di leoni si svolge per un'isola di Pecore. (27 maggio 1982) *Tutti abbiamo trepidato ieri, davanti al televisore, per le sorti della squadra azzurra, tutti ci siamo entusiasmati alle sue gesta, tutti abbiamo salutato con orgoglio la sua vittoria. Ma il tipo di patriottismo che questa ha suscitato nelle strade delle nostre città, messe a soqquadro dai tifosi scalmanati che usavano il tricolore a copertura del peggior teppismo, ci ha fatto rimpiangere di non essere nati brasiliani. (6 luglio 1982) *Mai visto così tanto entusiasmo patriottico, tanti tricolori per le strade come per la finale degli azzurri al Mundial. Nella tomba di Caprera, le ossa di [[Giuseppe Garibaldi|Garibaldi]] fremono di invidia. Per unificare l'Italia «in un solo grido, in una sola passione» gli erano accorsi mille uomini. A [[Enzo Bearzot|Bearzot]] ne sono bastati undici. (12 luglio 1982) *Gli scrittori [[Mario Soldati]] (Psi) e [[Gianni Brera]] (Psi) sono stati trombati {{NDR|non sono stati eletti}}. Peccato. Il Parlamento era l'unico posto in cui, dovendo parlare per gli altri, forse avrebbero finalmente taciuto. (1º luglio 1983) *Che [[Bettino Craxi|Craxi]] sia uomo di grandi capacità e ambizioni, lo si sapeva. Che sia anche uomo di grande coraggio, lo si è visto ieri, quando pronunciava alla Camera il suo discorso di replica. Per due volte si è interrotto alla ricerca di un bicchier d'acqua. Per due volte [[Giulio Andreotti|Andreotti]] glielo ha riempito o porto. E per due volte lui lo ha bevuto. (13 agosto 1983) *Condannato dal tribunale di Reggio Emilia per bestemmie e turpiloquio contro la Chiesa, [[Roberto Benigni]] avrebbe qualche ragione di considerarsi vittima di un'ingiustizia. Proprio il giorno prima la Chiesa riabilitava [[Martin Lutero]], scomunicato ai suoi tempi pressappoco per gli stessi motivi. Come cambia, coi tempi, la sorte degli uomini! È inquietante pensare che Benigni, se fosse vissuto cinquecent'anni fa, sarebbe forse diventato Lutero. Ma addirittura sconvolgente è che Lutero, se fosse nato cinquecent'anni dopo, sarebbe forse diventato Benigni! (8 novembre 1983) *Il più autorevole giornale americano di economia e finanza, il Wall Street Journal di martedì 10 gennaio, è incorso in un curioso lapsus. Parlando del concordato fra lo Stato italiano e la Santa Sede, scrive che esso «venne firmato nel 1929 da Bettino Mussolini». Chissà, se lo legge, come si arrabbia Benito Craxi. (12 gennaio 1984) *È comparsa sui giornali la pubblicità di una nuova opera di Fanfani, intitolata «La Dc e la svolta degli anni 80». L'editore avverte che si tratta di un libro formato «tascabile». Dato l'autore, poteva andare diversamente? (16 gennaio 1984) *È vero: la [[Juventus Football Club|Juventus]], a Basilea, non ha fatto una gran figura. Giocando con più cervello, poteva vincere comodamente 4-0. Ma attenti a non giudicare troppo severamente il Porto. Quello di Genova va molto peggio. (18 maggio 1984) *Il trentanovenne James Nelson, condannato da un tribunale di Londra a quindici anni per avere ucciso la madre a colpi di mattone, ha sentito, chiuso in cella, la vocazione sacerdotale: si è messo a studiare teologia, e ora sta per diventare prete nella chiesa scozzese. «È mia intenzione – ha dichiarato – contribuire alla edificazione di una nuova società». Si può credergli: i mattoni ha dimostrato di saperli usare. (25 maggio 1984) *L'agenzia Agi informa, con un drammatico flash, che il ministro [[Giulio Andreotti|Andreotti]], «impegnato in una riunione superistretta con gli altri 15 ministri degli esteri della Nato, perderà la partita [[Associazione Sportiva Roma|Roma]]-[[Liverpool Football Club|Liverpool]]». È giusto il fatto che faccia notizia: è la prima volta che Andreotti perde qualcosa. (31 maggio 1984) *Presso la Presidenza del Consiglio, a palazzo Chigi, è stata istituita una commissione di giuristi per la completa parificazione dei diritti fra i due sessi. Finalmente! Era ora che ce la riconoscessero, a noi uomini. (16 ottobre 1984) *La riforma dei programmi della scuola elementare, cui sta lavorando il Ministro Falcucci, introdurrà nella terza, quarta e quinta classe l'insegnamento di una lingua straniera. Non è specificato quale. Speriamo che si tratti dell'italiano. (21 gennaio 1985) *Un certo [[Nichi Vendola]], dirigente della Federazione giovanile comunista, ha lanciato l'idea di riconoscere formalmente un «diritto dei bambini ad avere rapporti sessuali tra loro o con gli adulti». Vendola ha detto di aver attinto questa idea all'esperienza di molti padri. A conferma di quanto scrive [[Georges Courteline|Courteline]] nella sua «Filosofia»: «Uno dei più chiari effetti della presenza di un bambino in una casa è di rendere completamente idioti dei genitori che forse, senza di lui, sarebbero stati degl'imbecilli comuni». (26 marzo 1985) *I tecnici di calcio sono rimasti stupiti dalla prova del [[Real Madrid Club de Fútbol|Real Madrid]] che nella semifinale della coppa Uefa ha letteralmente travolto i modesti giocatori dell'[[Football Club Internazionale Milano|Inter]]. I madrileni hanno proprio vinto a biglia sciolta. (26 aprile 1985) *Quando [[Sandro Pertini]] è apparso sul video di Raiuno che trasmetteva la premiazione del concorso ippico di Roma, il cronista ha commentato: «Anche i cavalli, come vedete, sono gentili col Presidente». Era vero. Forse meritano di essere fatti cavalieri. (5 maggio 1985) *I tifosi rossoneri sono in festa per la notizia che Berlusconi sta per acquistare il loro Milan. Sono convinti che in un battibaleno ne farà una squadra da scudetto, da coppa delle coppe, da tutto, e forse hanno ragione. C'è un solo pericolo: che il neo-presidente voglia fare anche il direttore tecnico, l'allenatore, il massaggiatore, il capitano e il centrattacco. Il che potrebbe andar anche bene. Ma ad una condizione: che possa fare anche l'arbitro. (27 dicembre 1985) *Rete Quattro e Italia 1 sono state multate per violazione del decreto che proibisce la propaganda al consumo del tabacco. Lo spot incriminato è quello che, parlando del «Camel Trophy», ostentava un pacchetto di sigarette della ditta sponsorizzatrice. Strano Paese, il nostro. Colpisce i venditori di sigarette, ma premia i venditori di fumo. (13 marzo 1986) *Molti lettori ci chiedono quale missione sta svolgendo l'on. Capanna a Tripoli, quali motivi l'hanno spinto da Gheddafi. Non ne sappiamo granché: non siamo abituati a ficcare il naso nelle altrui questioni di famiglia. (1º giugno 1986) *Oggi Paolo Pillitteri sarà designato alla successione di Tognoli come sindaco di Milano. Lo dipingono come uomo intelligente, efficace, insomma pieno di qualità. Purtroppo, gli manca quella fondamentale: il celibato. (5 dicembre 1986) *Finalmente, dopo sette anni di esilio a Gorky, l'impavido Andrei Sacharov è tornato a Mosca. Speriamo che Gorbaciov ci resti. (24 dicembre 1986) *L'agenzia Ansa riferisce che da un sondaggio operato in Francia su un pubblico internazionale, risulterebbe che il maschio italiano detiene ancora il primato mondiale della seduzione. Speriamo che i giornali non riportino la notizia: gl'italiani sarebbero capaci di crederci. (15 marzo 1987) *Per la prima volta nella storia della Corte Costituzionale, il nuovo presidente, Francesco Saja, è stato eletto al primo scrutinio. Ma il rivale sconfitto, Ferrari, ha sollevato eccezione accusando il vincitore di averlo battuto grazie a un «compromesso storico» fra elettori democristiani e comunisti, aggravato da un intrallazzo fra siciliani. Vero o falso, dalla Corte al cortile. (5 giugno 1987) *Ieri tutti i telegiornali ci hanno martellato negli occhi le immagini dei capibastone – Craxi, De Mita, Spadolini, Altissimo ecc. – che infilavano la scheda nell'urna. I loro volti raggiavano di soddisfazione. Erano gli unici elettori matematicamente sicuri di aver dato il voto al candidato ideale. (15 giugno 1987) *In una scuola di Chattanooga, nel Tennesse (Usa), due sedicenni, approfittando dell'assenza dell'insegnante, si sono baciati e hanno fatto l'amore davanti a una decina di compagni, niente affatto scandalizzati. Dato il lassismo di certe scuole americane, gli esami in cui gli studenti riescono meglio sono proprio queste prove orali. (4 giugno 1988) *Diciannove persone hanno dichiarato d'aver visto aggirarsi, tra le quinte della Scala, il fantasma di [[Maria Callas]]. Non ci meravigliamo, anche perché migliaia di altri frequentatori del massimo teatro lirico italiano sostengono da tempo di vedere, alla Scala, il fantasma della Scala. (28 giugno 1988) *Scoprendo le istituzioni britanniche con un secolo e mezzo di ritardo, i comunisti sembrano fermamente intenzionati a formare il loro «shadow Cabinet». Ma onestamente non ne afferriamo la ragione. Non c'è nessun bisogno di un governo ombra per contrastare quest'ombra di governo. (5 maggio 1989) *Da un sondaggio condotto tra i francesi risulta che il personaggio più noto d'Oltralpe è [[Marcello Mastroianni]], conosciuto dall'83 per cento degli intervistati. Il 97 per cento dei francesi invece confessa di non sapere chi sia [[Ciriaco de Mita|Ciriaco De Mita]]. Quando si dice un Paese fortunato... (20 maggio 1989) *Gerardo Iglesias, che fu segretario generale del partito comunista spagnolo dall'82 all'88, ha lasciato l'attività politica per riprendere il suo lavoro di minatore di carbone, «l'unico modo in cui posso guadagnarmi degnamente la vita». Alcuni dirigenti del Pci, a quanto risulta, vorrebbero imitarne l'esempio, tornando al vecchio lavoro. Il difficile è trovare chi ne aveva uno. (1º giugno 1990) *Durante la festosa «notte del mondiale», la polizia romana ha arrestato, nelle vicinanze dello stadio olimpico, 29 borsaioli e scippatori. Il signor [[Edgardo Codesal Méndez|Codesal Mendez]], arbitro della partita [[Nazionale di calcio della Germania|Germania]]-[[Nazionale di calcio dell'Argentina|Argentina]], non figura nell'elenco. (10 luglio 1990) *Il giudice veneziano Casson ha convocato, per la storia del Gladio, il presidente [[Francesco Cossiga|Cossiga]], e l'Italia leguleia è in subbuglio: la Costituzione, pure, si è dimenticata di precisare se il Capo di Stato può essere chiamato a rispondere, sia pure da testimone, a un qualunque magistrato. Il quale però ha ora la fotografia su tutti i giornali. E tutti possono ammirarla chiedendosi che cosa passa in quella testa, la testa di Casson. (10 novembre 1990) *Gli studenti italiani manifestano rumorosamente per la [[pace e guerra|pace]] e contro la [[pace e guerra|guerra]]. La guerra, diceva [[Georges Clemenceau|Clemenceau]], è una cosa troppo seria per lasciarla fare ai militari. Ma anche la pace è una cosa troppo seria per lasciarla fare ai pacifisti. (20 gennaio 1991) *Occupandosi – tra tanto Golfo – del Festival di Sanremo il Tg3 ci ha dato, finalmente, ieri sera, una notizia credibile: il livello delle canzoni, ha detto, è destinato a salire. Infatti: sentite le prime è impossibile che scenda. (1º marzo 1991) *Da un'indagine risulta che il 41,9% degli italiani non considera illecito l'assenteismo dal lavoro e che il 41,3% non considera peccato le infedeltà coniugali. La coincidenza delle due cifre spiega in che modo gli statali impiegano il tempo che dovrebbero dedicare all'ufficio. (3 ottobre 1991) *A quest'ora [[Ernesto Balducci|Padre Balducci]] è di fronte al Supremo Giudice, nel quale affermava di credere. Almeno a Lui dovrà spiegare non ciò che diceva contro la Chiesa, ma perché lo diceva travestito da frate. (26 aprile 1992) *Nell'ultima tornata presidenziale è emerso, con un bel pacchetto di 20 voti, Aldo Aniasi. Finalmente. In questo imperversare di tangenti e bustarelle, era ora che qualcuno si ricordasse di lui. (24 maggio 1992) *Per sfatare le malevole dicerie su certe bestie, il presidente degli «animalisti» italiani ha offerto un premio di 200 milioni a chi potrà dimostrare che i corvi scrivono lettere anonime e che le talpe fanno le spie. È vero: di simili casi non ne conosciamo. Ma di somari che fanno i presidenti, ne conosciamo parecchi. (5 luglio 1992) *Dopo le invettive e i clamori da cui il presidente del consiglio [[Giuliano Amato|Amato]] è stato accolto in Senato per la sua insensibilità alla crisi morale che investe il Paese, il dibattito sulla medesima si è svolto, a Montecitorio, in un'aula deserta. Sì, una crisi morale, per la nostra classe politica esiste: lo dimostra il vuoto in cui l'ha lasciata cadere. (14 marzo 1993) *«I socialisti – ha detto l'ex ministro della Difesa Salvo Andò – devono andare tutti nudi verso la meta di un nuovo sistema politico». Come faranno senza le tasche? (24 maggio 1993) *Il candidato del Psi per le elezioni a sindaco di Roma sarà Niccolò Amato. Assennata scelta. Ex direttore delle carceri, Amato è certamente il più qualificato a rappresentare quel partito. (23 settembre 1993) *Giovedì sera annuncio a sorpresa di [[Emilio Fede]] nel suo Tg4: «Adesso – ha detto – voglio parlarvi di informazione». C'è sempre una prima volta. (8 gennaio 1994) *Secondo un sondaggio della Diacron (gruppo Fininvest), l'82 per cento dei lettori del «Giornale» sarebbe schierato con Berlusconi. Vero. Almeno com'è vero che Berlusconi diventerà presidente del Consiglio. (12 gennaio 1994) ====''La parola ai lettori – rubrica''==== *I tennisti italiani hanno disputato la finalissima di Coppa Davis a Praga, e nessuno ha battuto ciglio. Le squadre di calcio italiane frequentano gli stadi dell'Est, a cominciare da quelli russi, e i puristi della democrazia non ci trovano nulla a ridire. Ma per l'[[Uruguay]] – che con i suoi tre milioni di abitanti e la sua posizione geografica non mi pare possa essere considerato una minaccia troppo grave alla libertà dei Paesi democratici – c'è puntuale la protesta. Come se l'Uruguay potesse invadere, espandersi, insidiare, inviare – direttamente o indirettamente – eserciti di mercenari in mezzo mondo, e l'[[Unione Sovietica]] no. Possiamo capire gli intransigenti della democrazia: ma possiamo soltanto disprezzare i farisei che hanno l'indignazione dimezzata. Si calmino Bruno Conti e Pruzzo. Né l'Uruguay, né il suo regime, meritano tante ansie e tanta ostilità. Mosca è più vicina – lo sanno bene i polacchi – e Kabul anche. (31 dicembre 1980) *Non abbiamo mai «coperto», come si usa dire, questo nostro socio (che ha il 37, non il 36% del Giornale), anche perché non vediamo da cosa dovremmo coprirlo. [[Silvio Berlusconi|Berlusconi]] non è né un politico né un gerarca civile o militare, e non svolge nessuna pubblica funzione incompatibile con l'appartenenza alla massoneria. È un privato imprenditore e cittadino che quando fa una balordaggine (e l'iscrizione alla P2 lo è) la fa a proprio rischio e pericolo. Come lei avrà visto, il suo coinvolgimento nella P2 non ci ha impedito di dire, di Gelli e della sua banda, tutto il male che ne pensiamo. (31 maggio 1981) *In tutti questi anni che è stato con noi, {{NDR|Silvio Berlusconi}} si è sempre comportato nella maniera più signorile, ed anche in questa circostanza ci ha dato le più ampie garanzie. (14 aprile 1987) *Nel panorama sudamericano il [[Cile]] è oggi uno di quei paesi economicamente più solidi e con maggior progresso, tanto da meritare gli elogi del Fondo monetario internazionale. Ma la postilla impone a sua volta una precisazione. È più facile fare il risanamento economico monetario in Cile, dove i sindacati sono inesistenti o impotenti, che non in [[Argentina]], dove il sindacato incalza il governo e pretende aumenti salariali il cui ritmo sia adeguato al ritmo dell'inflazione. [...] Pinochet è quello che è. Il suo plebiscito per la Costituzione del 1980 fu indetto in circostanze che gli tolgono ogni valore. E gli inizi del regime militare furono sanguinari. Però il Cile di oggi ha un livello di libertà e di dialettica politica – nonostante Pinochet – che tanti paesi del Terzo mondo vezzeggiati dai nostri democratici dovrebbero invidiargli. Come ha osservato un lettore, né l'Etiopia né lo Zaire né la Siria, né il Nicaragua avrebbero tollerato corrispondenze come quelle che gli inviati della Rai diffondono, in diretta dal Cile. (16 aprile 1987) *Mai le nostre prese di posizione su problemi e personaggi sono state non dico condizionate, ma influenzate dalle personali amicizie o preferenze di Berlusconi. Per la verità, l'editore chiese una volta a titolo di favore, un «occhio di riguardo» per la sua creatura prediletta. Non la televisione, come i lettori saranno stati forse indotti a pensare, ma il [[Associazione Calcio Milan|Milan]]. Sottoposi questa sommessa istanza alla redazione sportiva. La risposta fu una lettera collettiva di dimissioni. Caso chiuso. Da allora rinuncio a leggere le cronache delle partite del Milan, per non dovermi dispiacere del dispiacere che ne prova probabilmente Berlusconi. (17 aprile 1988) *Come già ho scritto, e qui mi piace ripetere, la designazione di [[Francesco Cossiga|Cossiga]] al Quirinale fu la scelta dell'uomo giusto al posto sbagliato. Sappiamo benissimo chi la volle. Ma sappiamo altrettanto bene che fu avallata anche da quegli uomini e partiti che ora si scagliano contro di lui e lo accusano, apertamente o copertamente, di fellonia. La classe politica, nella quale egli ha militato da sempre e che quindi da sempre lo conosceva, doveva sapere che l'onesto (perché tale è) Cossiga non era uomo da Quirinale. Eppure, per i suoi sporchi giochi di potere, ce lo mandò. Ora dovrebbe sentire il dovere di difenderlo dagli sciacalli che lo attaccano da tutte le parti. (22 dicembre 1990) ===''La Stampa''=== *Intorno alle «cattedrali nel deserto» impiantatevi dalla cosiddetta mano pubblica, [...] o trasferitevi dal Nord con l'adescamento degli «incentivi», e sotto la nuvolaglia di fumo che sgorga dalle loro ciminiere, si gonfiano alla carlona e selvaggiamente dirompono, senza nessun criterio urbanistico, senza piano regolatore, senza servizi, spesso anche senza acquedotto e senza fogna, degli agglomerati urbani che solo per il numero degli abitanti si possono chiamare città. [...] È nata soltanto, insieme a una forsennata speculazione edilizia che per sfruttare all'osso l'area fabbricabile accumula con cattivo cemento un piano sull'altro finché crollano sulla testa degl'inquilini, la sorda rabbia contro la città di un contadiname analfabeta che se n'è visto succhiare la linfa vitale, e quando vi cala, lo fa da nemico e vandalo. Questo è il panorama del Mezzogiorno dopo vent'anni e più di Cassa, che hanno raschiato dalle tasche dei contribuenti migliaia di miliardi. ([http://www.archiviolastampa.it/component/option,com_lastampa/task,search/mod,libera/action,viewer/Itemid,3/page,3/articleid,1118_01_1973_0272_0003_16218908/ 18 novembre 1973]) *La politica meridionalistica è tutta dominata da questo sottofondo psicologico. Essa vuole l'industrializzazione di Stato non soltanto perché [...] l'industrializzazione può essere fatta soltanto dallo Stato o da imprese al servizio dello Stato; ma anche perché più queste imprese si sviluppano, e più si riduce il margine di quell'imprenditoria privata che i meridionali, non riuscendo a emularla, mirano a ostacolare e ridurre, sottraendole il pubblico risparmio. Con l'agricoltura non avrebbero potuto perseguire questi scopi punitivi. L'unica arma per mortificare e battere l'industria privata è l'industria statale o parastatale. Questa, intendiamoci, esisteva digià: è un portato dei tempi moderni. Ma non c'è dubbio che la politica meridionalistica, come la si è praticata finora e tutto lascia credere che si seguiterà a praticarla, le ha offerto un'ideale occasione. ([http://www.archiviolastampa.it/component/option,com_lastampa/task,search/mod,libera/action,viewer/Itemid,3/page,3/articleid,1118_01_1973_0284_0003_16222766/ 2 dicembre 1973]) *Lo Stato, con [[Venezia]], ha contratto un solo impegno: di destinare al suo risanamento 300 miliardi di lire in cinque anni. Di dove li prenda, non ha nessun interesse. Può darsi che una parte li attinga proprio a quel prestito. Ma non vi è tenuto, né si vede perché dovrebbe esserlo. Ciò che da esso si può e si deve esigere è che eroghi effettivamente quei 300 miliardi alle scadenze per le quali si è impegnato: 25 miliardi per il '73, 60 nel '74, 90 nel '75, e su su fino alla chiusura dei conti nel '77. Due sole cose restano da dire. Primo. All'origine dell'equivoco c'è di certo quello che i francesi chiamano l'''esprit mal tourné'', cioè la diffidenza degl'italiani nei confronti dello Stato. Ma all'origine di questa diffidenza c'è altrettanto certamente l'incapacità o la renitenza dei nostri governanti a spiegare [...] ciò che fanno. Secondo. I soldi [...] stavolta ci sono. E diamo pure per scontato che saranno erogati con puntualità. Ma dove sono gli strumenti per spenderli, specie quelli affidati in gestione a degli Enti locali, che fin qui non sono stati capaci di dragare un canale né di riparare la spalletta d'un ponte? Non vorremmo che anche tutti questi miliardi andassero ad alimentare l'immenso deposito di «residui passivi», cioè di somme stanziate ma non impiegate, che già affligge il nostro Paese. Non lo vorremmo. Ma lo temiamo. ([http://www.archiviolastampa.it/component/option,com_lastampa/task,search/mod,libera/action,viewer/Itemid,3/page,1/articleid,1111_01_1974_0009_0001_21345708/ 11 gennaio 1974]) *E ora addio, caro lettore, e grazie dell’ospitalità. Ti confesso che, entrando in casa tua, ero molto imbarazzato. Ma mi bastò poco per accorgermi che di questo imbarazzo voi soffrite quasi quanto coloro a cui lo incutete. Esentàtemi da una dichiarazione di amore perché a gente come voi è difficile farne. Ma in questo pudore mi sento vostro pari e vostro complice. Avrò un giornale a Milano e, e cercherò di farlo molto bello, bellissimo. Ma anche se ci sarò riuscito, seguiterò a rimpiangere il vostro. Mi dicevano che ci avrei sofferto il freddo. Ci ho trovato, sotto una coltre di silenzio, il caldo. ([http://www.archiviolastampa.it/component/option,com_lastampa/task,search/mod,libera/action,viewer/Itemid,3/page,3/articleid,1112_01_1974_0087_0003_16390798/ 21 aprile 1974]) {{Int|''[http://www.archiviolastampa.it/component/option,com_lastampa/task,search/mod,libera/action,viewer/Itemid,3/page,9/articleid,1118_01_1973_0284_0009_16222725/ Chi era il vecchio leone del deserto]''|Articolo su ''La Stampa'', 2 dicembre 1973.|h=4}} *Senza Ben Gurion, non so se Israele sarebbe stato migliore o peggiore di quel che è. Certo, sarebbe stato diverso. Il titolo di «Padre della Patria» non può contestarglielo nessuno. [...] Egli stesso mi raccontò lo sgomento da cui fu còlto quando, non ancora ventenne, sbarcò a Giaffa dopo un lungo periplo a bordo d'un cargo. A procurarglielo non furono i funzionari turchi che allora governavano il Paese, e nemmeno gli arabi che formavano il grosso della popolazione; ma gli ebrei, quasi tutti latifondisti e mercanti perfettamente inseriti nel «sistema» e unicamente intesi ai propri affari. Erano dunque quelli i depositari della Terra Promessa, che non sapevano neanche l'ebraico, o comunque si rifiutavano di parlarlo? Forse ne sarebbe fuggito, se nell'interno non avesse scoperto alcune isolate fattorie collettive, dove i nuovi immigrati lavoravano la terra con le proprie mani e di notte montavano la guardia, uomini e donne, per difendere le loro vite e i loro raccolti dalle razzie degli arabi. *Egli fu sin da principio organizzatore sindacale e propagandista politico, ma ciò non toglie che la sua ideologia si sia sviluppata da questa esperienza pionieristica. Non era uomo di studio e di cultura. Ma, pur combattendolo, era rimasto influenzato dal socialismo tolstoiano che aveva respirato a Plonsk. [...] Comprese subito che solo redimendo la terra col loro lavoro manuale e contrapponendo al latifondismo arabo la fattoria collettiva, gli ebrei potevano legittimare la riconquista dei loro antico «focolare». Militarmente, egli non attaccò mai gli arabi. Aspettò che il loro sistema si disgregasse da sé, e ci volle poco. Battuti sul mercato dai prodotti del ''kibbutz'', i latifondisti arabi vendettero i loro feudi al «Fondo Nazionale Ebraico» per andare a sperperare l'incasso nei ''Casinos'' di Beirut e della Costa Azzurra, e i braccianti rimasero senza lavoro perché i nuovi padroni usavano le braccia proprie. Il conflitto è tutto qui: nell'impossibilità di coabitazione di una scalcagnata economia feudale con un'efficientissima economia socialista. I motivi religiosi e razziali li ha aggiunti la propaganda. Prima del ''kibbutz'', arabi ed ebrei avevano pacificamente convissuto in un avanzo di mondo medievale, garantito dal satrapesco governo turco, coi suoi privilegi e le sue glebe. Il ''kibbutz'' fu una rovina anche per il latifondo ebraico. [...] Il suo programma era questo: conquistare la Palestina «pertica dopo pertica, capra dopo capra», ma senza costituirla in uno Stato, un po' perché a questo si sarebbe opposta l'Inghilterra […] un po' per non provocare un «fronte» di nazioni arabe, come poi in realtà avvenne. Ma la rivelazione del [[Olocausto|genocidio]] gl'ispirò il famoso ''mai più''. E mai più significava questo: che d'allora in poi gli ebrei dovevano avere un rifugio sicuro, pronto ad accoglierli e in grado di farlo, cioè uno Stato. *Gli rimproverano anche di non aver mai svolto una coerente politica araba, cioè di intesa con gli arabi. E anche in questo c'è del vero, ma ha il suo perché. Come tutti i veri politici, Ben Gurion era un pragmatista, cioè un uomo che attingeva le idee dalla pratica delle «cose», non viceversa. E l'esperienza fatta nella lotta per la manodopera ebraica lo aveva persuaso che con gli arabi non c'era [...] possibilità di compromesso. Uno Stato palestinese misto di arabi e di ebrei, lo considerò sempre una chimera per il semplice motivo che in poche generazioni, col loro potenziale demografico quattro volte superiore, gli arabi avrebbero mangiato gli ebrei. Questo scrupolo [...] sa un po' di razzismo. Ma l'unico rimprovero che si può muovere a Ben Gurion è di non averlo abbastanza mascherato. Già nella guerra del '48 egli avrebbe potuto annettersi la Cisgiordania: ci rinunziò per non mettersi in corpo seicentomila arabi. L'anno dopo rifiutò per lo stesso motivo la cosiddetta «striscia di Ghaza» che il suo brillante generale Allon aveva sforbiciato dall'Egitto. E dopo la guerra dei sei giorni, sebbene ormai lontano dal potere, non ha fatto che ammonire contro una politica di annessioni territoriali disgiunta da un adeguato incremento di popolazione ebraica. Non ha mai dialogato che con l'Occidente. Con gli arabi, non ha seguito che una diplomazia: quella dei confini. *Le nuove esigenze della produzione e della guerra imponevano un altro «rovesciamento della piramide»: il miracolo della guerra dei sei giorni fu dovuto a un esercito di tecnici altamente specializzati, in cui anche il semplice aviere era un ingegnere. Il posto del ''kibbutz'' [...] veniva preso dall'Università che riconvertiva il contadino in professore. Ben Gurion non poteva interpretare questo nuovo corso. Era troppo vecchio e legato all'altro. Ma non lo comprese, non poteva comprenderlo, per conservare il potere ricorse a tutte le armi del suo repertorio, anche le meno regolamentari, giunse a rinnegare e a rompere il proprio ribelle partito. E neppure a battaglia persa si rassegnò. Dal fondo del suo rifugio alle soglie del deserto ha continuato tutti questi anni ad alluvionare di ammonimenti, maledizioni, anatemi i suoi vecchi amici trattandoli da nemici. [...] Quello che si chiude con Ben Gurion è il capitolo del pionierismo: il più eroico e glorioso, quello destinato, via via che si allontanerà nel tempo, ad essere ricordato dagl'israeliani con sempre più struggente nostalgia. {{Int|''[http://www.archiviolastampa.it/component/option,com_lastampa/task,search/mod,libera/action,viewer/Itemid,3/page,3/articleid,1112_01_1974_0081_0003_16388814/ La strada lunga di Golda]''|Articolo su ''La Stampa'', 14 aprile 1974.|h=4}} *{{NDR|[[Golda Meir]]}} Aveva poco più di vent'anni quando approdò in Israele, frammista ai «padri pellegrini» della «seconda ondata» che subito dopo la [[prima guerra mondiale]] vennero a riprendere possesso della loro antica terra con la ferma intenzione non d'insabbiarcisi com'era successo ai loro predecessori della fine dell'Ottocento, ma di riscattarla e di farne il «focolare» degli ebrei. Tutta la sua visione politica [...] era condizionata da questa esperienza di oltre mezzo secolo di sacrifici e di lotte. Tecnicamente, non so se si possa catalogarla fra i «falchi». Anzi, mi sembra che abbia fatto tutto il possibile per non confondersi con essi e per presentarsi come mediatrice fra loro e le «colombe». Ma, cresciuta nell'accampamento, ne aveva acquisito la mentalità guerriera. Oggi molti in Israele si domandano se a questi pionieri non restava davvero altra strada che quella dell'urto frontale con la popolazione araba della Palestina. Ma questi dubbi sono un lusso ch'essi si possono concedere solo perché i loro babbi e nonni non ne ebbero. Costoro fecero quello che fecero perché non potevano far altro. Ciò che rendeva impossibile la coabitazione fra le due popolazioni non era la incompatibilità razziale e religiosa, ma quella economica e sociale. Il latifondo sceiccale non poteva convivere col ''kibbutz'' socialista. È qui l'origine di un conflitto che nessuna diplomazia poteva sanare. Una pace fra israeliani e arabi è possibile; una simbiosi, no. Ancor oggi chi parla di «Stato misto» si gingilla con le astrazioni. *Fu lei che, mentre la lotta infuriava e il sangue correva, raggiunse travestita da cammelliere l'emiro Abdullah di Giordania – il nonno di [[Husayn di Giordania|Hussein]] –, e da nemico se lo fece amico, o almeno neutrale. Non sono mai riuscito ad appurare se [[David Ben Gurion|Ben Gurion]] ebbe una parte, e quale, in questo «giallo» fra il diplomatico e lo spionistico. Ma molte cose m'inducono a credere che a programmarlo fu proprio lei, Golda, anch'essa ben decisa a innalzare, fra arabi ed ebrei, una cortina di ferro, ma con qualche porta che consentisse all'occorrenza il dialogo. [...] I due furono amici e compari per decenni. [...] Per entrambi, la unica e vera ragione di vita era la politica, una passione che esclude tutte le altre, e alla quale chi ne è tocco tutto sacrifica, a cominciare proprio dai sentimenti. Ciò non vuol dire che i loro rapporti siano stati dominati unicamente dal calcolo [...] e che Golda si sia tenuta stretta a Ben per spiarlo, controllarlo e, al momento opportuno, divorarlo. Io ho visto alcuni scampoli della loro corrispondenza privata, quando l'amicizia era diventata aperta inimicizia. Roba da far impallidire un caporale degli alpini. Ma proprio da questo vocabolario si capiva quanto profonda e indistruttibile [...] fosse la loro solidarietà. Probabilmente anche al tempo in cui facevano coppia nel partito e nel governo si parlavano tra loro in quel linguaggio da fureria. Quanto a imperiosità e autoritarismo, si valevano. [...] Non era, come Ben Gurion, un'incantatrice, non aveva mai una immagine colorita, un paradosso, una battuta a effetto. Con la sua voce arrugginita dalle sigarette (ne fuma una settantina al giorno, e di tabacco nero), diceva piattamente e banalmente delle cose piatte e banali, solo ravvivate da qualche squarcio d'un umorismo massiccio come una scarpa di soldato; ma senza mai togliere di dosso all'interlocutore il suo vigile sguardo cilestrino alla fiamma ossidrica. E da quella specie di sporta per la spesa che, adibita a borsa, essa tiene al braccio anche nei ricevimenti ufficiali, ci si aspettava sempre di veder saltar fuori, oltre a qualche mazzo d'agli e di cipolle, una pistola o una fiala di veleno. *Di Golda si può dire tutto il male che si vuole: la materia non manca. Non c'è dubbio che sapeva odiare e che anche quando amava lo faceva da mantide, soffocando e stritolando. Ma Israele non troverà mai più una madre come lei, che sapeva anche fargli da padre. Nella sua tenacia, nel suo coraggio, nella sua volontà d'acciaio, essa riassumeva la storia di questo piccolo grande Paese. Lo ha dimostrato col suo ritiro. Quando si è trattato di pagare, essa si è offerta in sacrificio pur sapendo che per lei la rinunzia al potere è la rinunzia alla vita. «''Sono giunta al termine della mia strada''», ha detto. Ma che strada! Nessuno ne ha mai percorsa una più ripida e accidentata, più paurosamente librata tra abissi e strapiombi. Sono sicuro che Golda non si volterà indietro a guardarla, e non ce ne dirà nulla. Come tutti i grandi costruttori, essa sa soltanto costruire. Il resto, per lei, è silenzio. ===''la Voce''=== <!--ordine cronologico--> *Uscendo dal ''Giornale'', io feci a me stesso, ma pubblicamente, un giuramento: «Mai più un padrone». Qui padroni non ce ne sono. La proprietà è ripartita fra alcune centinaia di azionisti, di cui nessuno può, per statuto detenere più del 4 per cento. Fra di essi, e per primi, ci siamo stati tutti noi: redattori, impiegati, fattorini, autisti. [...] Per questa sua pulviscolarità, il nostro azionariato è stato definito, nei quartieri alti della Finanza, «straccione». La qualifica non ci dispiace: coi tempi che corrono, meglio stare tra gli stracci che tra le tangenti. (22 marzo 1994) *Di insurrezione generale non c'era bisogno, il 25 aprile, perché il Terzo Reich non esisteva più. Se l'insurrezione generale fosse avvenuta avrebbe dovuto avere come primo obiettivo, a Milano, il quartier generale delle SS all'Hotel Regina. Le SS furono invece lasciate del tutto tranquille, mentre si provvedeva a trascinare in piazzale Loreto, per la fucilazione Achille Starace [...]. Non sono contro la Resistenza, anzi: sono contro la retorica, inguaribile vizio italiano. Proprio questa retorica ha fatto sì che un sindaco democristiano di Roma, in un manifesto dedicato anni or sono alla liberazione della città non accennasse nemmeno con una parola agli Alleati. Ed ha fatto sì che in quest'ultimo 25 aprile si sia parlato ai giovani che affollavano piazza del Duomo a Milano o che stavano davanti ai televisori, ingannandoli – ossia raccontando loro che i tedeschi erano stati sconfitti dai partigiani, e che da questi l'Italia era stata liberata. Se questa è la «memoria storica» evocata da tanti commentatori, stiamo freschi. (28 aprile 1994) *Intorno a Berlusconi vedo agitarsi una falange di Starace, convinti non meno di Achille che il padrone (e con lui, si capisce, la carriera) si serve sbattendo i talloni e gridando: «Forza, Italia!». Di tutto questo, intendiamoci, Berlusconi non può essere tenuto responsabile. Gli Starace – a differenza di Mussolini che si scelse il suo vedendolo com'era – gli sono germinati e gli pullulano intorno d'irresistibile forza propria cercando di sopraffarsi in una gara di servilismo, che trova soprattutto nel video la propria arena. E per ora la gente pensa: «Povero Cavaliere, da chi è circondato». Ma prima o poi – forse più prima che poi – comincerà a dire anche di lui: «Vedi un po' di chi si circonda». (18 giugno 1994) *Dobbiamo prepararci a presentare le nostre scuse a [[Emilio Fede]]. L'abbiamo sempre dipinto come un leccapiedi, anzi come l'archetipo di questa giullaresca fauna, con l'aggravante del gaudio. Spesso i [[leccapiedi]], dopo aver leccato, e quando il padrone non li vede, fanno la faccia schifata e diventano malmostosi. Fede no. Assolta la bisogna, ne sorride e se ne estasia, da oco giulivo. Ma temo che di qui a un po' dovremo ricrederci sul suo conto, rimpiangere i suoi interventi e additarli a modello di obiettività. (26 novembre 1994) *Il presidente della Repubblica non può contrattare. Ma deve trovare qualcuno che abbia l'autorità morale di farlo. Un ''kamikaze''. E di ''kamikaze'' ne vediamo uno solo che, non avendo veste politica, né alcuna ambizione di indossarla, può anche affrontare una simile responsabilità: [[Antonio Di Pietro|Di Pietro]]. Ma temiamo che l'idea sia soltanto nostra. [...] Una delle pochissime cose che nella presente situazione ci confortano è di vedere in Quirinale un difensore delle Regole come [[Oscar Luigi Scalfaro|lui]]. Vorremmo solo sommessamente avvertirlo che l'Italia che noi conosciamo somiglia poco all'immagine angelica ch'egli ce ne ha fornito la sera di Capodanno, e che anche quando vi avremo messo a posto tutte le Regole, ne mancherà sempre una: quella che dall'interno della sua coscienza fa obbligo ad ogni cittadino di regolarsi secondo le regole. (3 gennaio 1995) *Noi volevamo fare, da uomini di [[Destra]], il quotidiano di una Destra veramente liberale, ancorata ai suoi storici valori: lo spirito di servizio (quello vero, taciuto e praticato), il senso dello Stato, il rigoroso codice di comportamento che furono appannaggio dei suoi rari campioni da Giolitti a Einaudi a De Gasperi. Insomma, l'organo di una Destra che oggi si sente oltraggiata dall'abuso che ne fanno gli attuali contraffattori. Questa Destra fedele a se stessa in Italia c'è. Ma è un'élite troppo esigua per nutrire un quotidiano. (12 aprile 1995) {{Int|''Il realista inviso agli snob''|Articolo su ''la Voce'', 24 aprile 1994.|h=4}} *Fino ad una decina di anni orsono, la maggioranza degli americani erano convinti che, se [[Richard Nixon|Nixon]] fosse rimasto nella Storia del loro Paese – cosa che al loro orecchio suonava come un obbrobrio – vi sarebbe rimasto solo per il [[Scandalo Watergate|Watergate]], cioè appunto per l'obbrobrio. Negli ultimi tempi tutto si è rovesciato: l'obbrobrio non è stato più il Watergate, ma la campagna scandalistica che lo aveva provocato. Gli stessi protagonisti che l'avevano montata – [[Bob Woodward]] e [[Carl Bernstein]] del ''Washington Post'' – ne riconobbero le forzature e fecero atto di contrizione. Non avevano inventato nulla, ma avevano deformato tutto. [...] La sorte è stata, tutto sommato, clemente con Nixon dandogli il tempo di vedere questo capovolgimento. *Ultimamente era ricevuto, ed anzi continuamente sollecitato alla Casa Bianca, dove lo si accoglieva come lo ''Elder Statesman'', lo statista anziano da consultare come un vecchio saggio sui problemi difficili. Fu a lui che [[George H. W. Bush|Bush]] si rivolse per riallacciare un dialogo con Pechino dopo la rottura seguita al fattaccio di Tienanmen. E lui a Pechino lo riallacciò: i cinesi non avevano dimenticato che quel dialogo erano stati Nixon e [[Henry Kissinger|Kissinger]] ad aprirlo, quando l'America aveva deciso di chiudere l'avventura del Vietnam in cui [[John Fitzgerald Kennedy|Kennedy]] e [[Lyndon B. Johnson|Johnson]] l'avevano malaccortamente cacciata. Ma anche [[Bill Clinton|Clinton]] è ricorso alla sua esperienza per capire cosa succedeva in Russia e trarne qualche insegnamento. Nixon andò a Mosca, e ne tornò con cattivi presagi sulla sorte di [[Boris Nikolaevič El'cin|Eltsin]] che i successivi avvenimenti hanno confermato. *Non era un uomo «simpatico», e soprattutto non aveva nulla che potesse sedurre l'America dei salotti e della ''intellighenzia'', che gli uomini politici li misurano a modo loro, mai quello giusto. Scambiarono per un grande intellettuale Kennedy, che in vita sua aveva visto migliaia di film, ma mai letto un libro. E prendevano Nixon, che di libri ne ha letti ed ha continuato a leggerne (ed a scriverne, niente male), fino all'ultimo giorno per una specie di Bossi californiano, rozzo e triviale. [...] Ma forse quello che più infastidiva gli americani era la renitenza di Nixon ad appelli e richiami tanto più sonori quanto più vacui, come «la nuova frontiera» e simili. Nixon era un professionista della politica, uno dei pochissimi che l'America abbia mandato alla Casa Bianca. Non andava per sogni e per versetti del Vangelo. Conosceva il suo [[Otto von Bismarck|Bismarck]], il suo [[Benjamin Disraeli|Disraeli]], e credo anche il suo [[Niccolò Machiavelli|Machiavelli]] che in America basta nominarli per finire scomunicati. Per questo lo consideravano un mestierante, e per questo si era scelto come consigliere un altro mestierante, l'ebreo tedesco Kissinger. Furono questi due uomini che ridiedero all'America la ''leadership'' nella politica estera coinvolgendo nel gioco la Cina e scavandone il solco da Mosca. I successori di Nixon, e specialmente [[Ronald Reagan|Reagan]], vissero in gran parte di questa eredità. ===''Oggi''=== <!--ordine cronologico--> *Mi confermo in due mie vecchie opinioni. Il guaio del socialismo è il socialismo, cioè sta proprio nel suo sistema statalistico. Il guaio del capitalismo sono i capitalisti che, quasi sempre bravissimi all'interno della loro azienda, fuori di lì sono spesso degli ottusi e noiosi imbecilli, e talvolta anche peggio.<ref>Citato in ''Dizionario delle citazioni'', a cura di Italo Sordi, BUR, 1992. ISBN 88-17-14603-X</ref> (n. 22, 1983) *{{NDR|Sull'offerta di [[Massimo D'Alema]] a concedere, come «atto dovuto», i funerali di Stato a [[Bettino Craxi]]}} "Atto dovuto"? Ma dovuto a chi? Anche a un latitante: quale, dal punto di vista legale, era Craxi? Concedere i funerali di Stato a un latitante significa sconfessare la Giustizia che lo ha condannato. [...] Ma può lo Stato sconfessare la propria Giustizia senza sconfessare se stesso? Mi sembra di vivere in un Paese che di senso dello Stato ne ha meno di una tribù del Ghana.<ref>Citato in ''La morte incute rispetto, ma su Craxi non cambio idea''-</ref> (2 febbraio 2000) *La [[democrazia]] è sempre, per sua natura e costituzione, il trionfo della mediocrità. (11 ottobre 2000) ==''Dante e il suo secolo''== ===[[Incipit]]=== Uno dei tanti meriti che si suole attribuire a [[Dante Alighieri|Dante]] è quello di essere stato il primo italiano ad avere una «coscienza nazionale». Noi non vorremmo cominciare questo libro con una detrazione, ma non ci sembra che a dimostrare questa coscienza basti l'allusione che Dante fa a una entità geografica italiana, di cui egli fissava i punti terminali al Brennero e al Carnaro. E non vediamo del resto cosa aggiunga alla sua grandezza questa specie d'irredentismo avanti lettera. Se per qualcuno Dante spasimò fu, caso mai, per un Imperatore tedesco. ===Citazioni=== *[[Roma]] era stata la capitale di un impero cosmopolita, non di una Nazione. (Parte prima. Capitolo primo, p. 12) *Non è necessario essere degli adepti del "materialismo storico" per attribuire il risveglio delle inquietudini intellettuali, fra il Millecento e il Milleduecento, al progresso economico e al generale miglioramento delle condizioni i di vita. È a stomaco pieno che si comincia a pensare a qualcosa che non sia soltanto lo stomaco. (Parte prima. Capitolo terzo, p. 131) *Il [[pudore]] femminile non è mai stato altro che un incentivo alla civetteria. (Parte seconda, Capitolo quarto, p. 174) *Da consumato giurista qual era, {{NDR|[[papa Bonifacio VIII]]}} prese a rimaneggiare tutti i precedenti storici, su cui poteva basare le sue pretese di dominio universale. E trovò un valido aiuto nel canonista [[Egidio Romano|Egidio Colonna]] il quale scrisse un trattato, ''De ecclesiastica potestate'', per avvalorare queste tesi. Egli sostenne che la Chiesa era padrona e proprietaria non soltanto delle anime, ma di tutto. Era solo per bontà e condiscendenza che metteva le cose a disposizione dei fedeli, ma conservando il diritto di ritorgliele quando voleva. Quindi anche i troni appartenevano ad essa, che li lasciava ai Re solo in momentaneo appalto. Questa teoria tanto piacque a Bonifacio, che ne ricompensò l'autore con la nomina ad arcivescovo di Bourges. (Parte seconda, Capitolo nono, p. 312) *Peccato che un simile uomo {{NDR|papa Bonifacio VIII}} avesse così clamorosamente sbagliato generazione e carriera. Fosse nato cinquant'anni dopo sarebbe stato un magnifico Principe del [[Rinascimento]]: avido, crudele e gagliardo. (Parte seconda, Capitolo undicesimo, p. 372) *Dante qui {{NDR|nel ''De vulgari eloquentia''}} ha visto ciò che molti filòlogi ancora oggi non vedono. Egli difende il "volgare", cioè la lingua viva, quella parlata dal popolo, fatalmente destinata a soppiantare il latino. Ma ne vorrebbe una illustre e aulica, al di sopra di quelle "municipali", cioè dei dialetti, contro i quali si scaglia con furore. In Italia ne classifica quattordici e li detesta tutti, compreso il toscano che chiama "turpiloquio". Ma il più orrendo gli sembra il romano, "e non deve fare meraviglia dacché i romani, anche per deformità di costumi e abiti, appaiono i più fetidi di tutti". Chissà cosa direbbe, povero Dante, se tornasse fra noi e andasse al cinematografo. (Parte seconda, Capitolo quindicesimo, p. 483) ==''Gli incontri''== *[[Giovanni Porzio|Porzio]] non è alto di statura, ma diritto come un fuso nonostante i settantaquattro anni suonati e porta, sui pantaloni a righe stretti e lunghi come quelli degli antichi ufficiali in grande uniforme, una giacca nera che l'alta bottonatura fa simile a una ''redingote''. Il volto è bello, di colore olivastro, e aristocratico nella modellatura del naso e nel taglio breve dei baffi e della barbetta ancora pepe e sale. (Porzio, p. 91) *Non avevo mai visto da vicino [[Cécile Sorel]], quando essa mi apparve, per la prima volta, di lontano, sul palcoscenico allestito nella corte d'onore degli Invalides per le feste celebrative del bimillenario di Parigi. [...] Drappeggiata in una sontuosa cappa di [[Elsa Schiaparelli|Schiaparelli]] a strascico di ''lamé'' d'argento e porpora, dritta su un podio sotto la statua di [[Napoleone Bonaparte|Bonaparte]], accolse a braccia spalancate lo scrosciante omaggio, sincopato dalle salve di artiglieria, dei cinquemila spettatori ammassati nell'immenso cortile. Sorrise. Sfiorò con uno sguardo altero le teste della folla, lo alzò verso l'imperatore, ma senza implorazione né umiltà, da pari a pari. Poi, in un silenzio di tomba, prese a modulare l'ode di Bruyez: "''Vous qui êtes morts pieusement pour la patrie...''". Ed era una voce incredibilmente limpida e squillante, senza traccia di ruggine. (Cècile, pp. 226-227) *[[Saul Steinberg|Steinberg]] ha la faccia dei suoi pupazzi: una faccia malinconica, lunga e triangolare, di cavallo tirato su a paglia soltanto, senza biada, e condannato a trascinare un carretto su per un'erta interminabile, in cima alla quale non si sa cosa ci aspetta, ma certo un'altra condanna, forse più pesante del carretto. Anche i baffi ha, come i suoi pupazzi: a doppia virgola orizzontale, sebbene meno lunghi e senza le intenzioni esibizionistiche di quelli di Dalì; e anche le lenti a stanghetta traverso cui ti fissano intensamente, di sotto in su, due occhi azzurri e mortificati, di uomo che non si è reso conto di essere Saul Steinberg; o essendosene reso conto, non ci prova alcun piacere. (Steinberg, p. 289) *[[Harukichi Shimoi]] è uno di quei giapponesi che gli altri giapponesi considerano di statura piccola. Tanto piccola che [[Gabriele D'Annunzio|D'Annunzio]], per abbracciarlo, dovette curvarsi (lui!) e, dopo essergli andato incontro gridando, con le braccia alzate: "Fratello!... Fratello mio!..." lo guardò, ci ripensò e aggiunse: "Sebbene non di sangue...". (Shimoi, p. 389) *Quanti anni avrà, ora, Harukichi Shimoi? Forse cinquanta, forse centocinquanta. Come per [[Guelfo Civinini]], suo amico, anche per lui il problema dell'età non si pone. Quale che essa sia, egli la porta esattamente come deve averla portata mezzo secolo fa. Il suo corpo è stortignaccolo, ma diritto, e i suoi capelli son nerissimi. Ma il tratto che più lo caratterizza sono le sopracciglia, che madre natura gli ha piantato a mezza strada, come due ciuffi di foltissimo bosco, tra gli occhi e la chioma, in modo che, per quanto vasti i suoi occhiali, esse li sormontano e risucchiano come se fossero due monocoli. (Shimoi, pp. 389-390) *Il più favoloso e colorito personaggio del [[Brasile]] è [[Assis Chateaubriand]], proprietario di ventun giornali, diciotto stazioni radiotrasmittenti, di una flotta aerea, di alcune ''fazendas'' vaste come l'intera Sicilia, di un museo che vale venti milioni di dollari, di una Compagnia nazionale per la puericoltura, e di un'ambizione pari soltanto al suo coraggio, alla sua insolenza e alla sua spavalderia. (Chateaubriand, p. 495) *Assis {{NDR|Chateaubriand}} ha un debole per i tedeschi e per gli italiani. Come faccia a conciliare questi due amori, non si sa; ma le sue pene, durante la guerra, furono grandi, anche se irreprensibile fu la sua condotta<ref>Dal 1942, nel corso della seconda guerra mondiale, il Brasile fu in stato di guerra con Germania e Italia.</ref>. Quando però il governo comminò l'arresto a chiunque parlasse italiano, scese in lotta con i suoi giornali contro l'assurda disposizione. Scrisse che quello non era patriottismo, ma un nazionalismo di bassa lega, degno soltanto di una colonia, e che lui si vergognava d'esser brasiliano. Fece un tale baccano, che alla fine dovettero revocare il provvedimento e quello del sequestro dei beni dei nostri compatrioti. (Chateaubriand, p. 502) *Quando nacque sessantadue anni orsono, ne aveva già a dir poco settecento. Perché [[Ottone Rosai|Rosai]] veniva dritto dritto dal Medioevo, dopo aver saltato a piè pari Rinascimento ed età moderna, e nei momenti di sincerità confessava che Giotto gli pareva un "deviazionista" rispetto a Cimabue, il quale gli andava molto più a sangue. (Rosai, p. 544) *Dopo essere stato fascista della prima ora, nella seconda col fascismo {{NDR|Ottone Rosai}} s'era trovato male, e si capiva benissimo che era sempre per via delle mani. Tornato dalla guerra, lo squadrismo gli aveva consentito di menarle, come a lui piaceva, e ci aveva dato dentro senza risparmio. Forse l'unico momento felice della vita di Rosai fu quello: quando a gambe larghe di traverso alla strada aspettava, col giornale aperto davanti agli occhi in un gesto di sfida ribalda, il corteo rosso in arrivo da San Frediano, che alla vista di quelle manacce aggrappate ai bordi del foglio e pesanti come macigni, esitava. (Rosai, p. 547) *[[Paolo Monelli|Monelli]], se seguisse le proprie inclinazioni, andrebbe a letto coi polli. Ma cosa direbbe la gente, se non lo vedesse più vagabondare nei vari ritrovi frequentati dai nottambuli della città? Direbbe senza dubbio: "Comincia a invecchiare". E a questa idea Monelli balza dalla sua poltrona e si attacca al telefono per mobilitare qualche amica che lo accompagni nei suoi vagabondaggi. Giovani colleghe come Livia Serini, attrici giovanissime come Lea Massari sono state ridotte sull'orlo dell'esaurimento nervoso da queste prolungate ronde notturne senz'altro costrutto che quello di ribadire agli occhi di tutti l'intramontabilità di Monelli. Egli non le porta a spasso. Le porta all'occhiello, come gardenie. (Monelli al girarrosto, p. 592) *{{NDR|Paolo Monelli}} Fuma la pipa come Churchill il sigaro, cioè soltanto quando lo guardano. (Monelli al girarrosto, p. 593) ==''I conti con me stesso''== ===[[Incipit]]=== Una telefonata da Milano m'informa che Longanesi è morto. È stato colpito dall'infarto davanti al suo tavolo di lavoro, su cui era spiegata una mia lettera di dieci giorni fa, che cominciava così: «Caro Leo, stanotte ho sognato ch'eri morto...». (27 settembre 1957) ===Citazioni=== *Tutta la mia vita è stata contesa fra la noia di vivere insieme e la paura di vivere [[Solitudine|solo]]. (4 ottobre 1957) *Di nuovo il Polesine. Pare impossibile: durante le inondazioni, la prima cosa che viene a mancare è l'acqua. (dicembre 1957) *[[Colette Rosselli|Colette]]. Invecchia gentilmente, senza catastrofi. Ha su tutte le altre donne un vantaggio incolmabile: quello di essere stata il mio ultimo e più grande amore. Così grande che possiamo camparci di rendita, comodamente, tutti e due per il resto dei nostri giorni. (gennaio 1958) *Il destino di [[Riccardo Bacchelli|Bacchelli]] sarà l'opposto di quello del maiale: di lui, dopo morto, ci sarà da buttar via tutto. (gennaio 1958) *[[Olga Villi]]. Non è punto grata alla sua bellezza che le ha consentito di diventare principessa di Trabia. Punta solo sul talento che non ha. Ma è talmente priva di ''sense of humour'' che forse diventerà una buona attrice. (gennaio 1958) *[[Gaston Palewski|Palewski]]. L'ambasciata a Roma è per lui soltanto uno dei più importanti capitoli del libro di memorie che scriverà. (gennaio 1958) *Non è che [[Luigi Barzini (1908-1984)|Barzini]] abbia un'altissima opinione di sé. Ne ha una bassissima degli altri. (gennaio 1958) *Piccolo incidente d'auto. La nostra, per evitare un ciclista, picchia contro un muro e resta piuttosto acciaccata. [[Colette Rosselli|Colette]], che la guida, dice: «Meglio così. Dovevo farla revisionare, e non mi decidevo mai...». (gennaio 1958) *[[Razzismo]]: pensarci sempre, parlarne mai. [[Risorgimento]]: parlarne sempre, pensarci mai. (gennaio 1958) *[[Fascismo]]. Il più comico tentativo per instaurare la serietà. (gennaio 1958) *Il guaio più grosso della Repubblica è che, mentre il Re poteva essere di sangue straniero e di solito lo era, il presidente bisogna sceglierlo fra gl'italiani. (gennaio 1958) *Bacchelli lavora infaticabilmente, da sessant'anni, alla costruzione di un piedestallo su cui, alla sua morte, non sapremo cosa posare. (gennaio 1958) *A pranzo da [[Vittorio Cini]] con una ventina di altri invitati. A colazione ne aveva avuti altrettanti. E così ieri. E così avantieri. E così sempre. A ottantadue anni suonati, è fresco, roseo, insaziabilmente voglioso di intrattenere e di essere intrattenuto. A conclusione della serata, mi sfida a una gara di canto. Scegliamo come banco di prova ''Vecchia zimarra'', e stoniamo maledettamente entrambi, ma io meno di lui. I presenti mi assegnano la vittoria. Di colpo, Vittorio perde il suo buon umore. È talmente abituato a vincere, che non accetta di perdere nemmeno nel canto. (7 settembre 1966) *{{NDR|Su [[Nicola Bombacci]]}} Io l'ho conosciuto soltanto cadavere, quando penzolava accanto a quello di Mussolini, in piazza Loreto, e una folla messicana lo bersagliava bestialmente di sputi. Anni dopo, volli tentarne la riabilitazione ritracciandone la patetica vicenda, ma non riuscii a trovarne gli elementi biografici. Compaesano e compagno di scuola di Mussolini, maestro elementare e autodidatta come lui, ne era stato il grande amico quando entrambi militavano nel socialismo. Eppoi il suo nemico giurato, la bestia nera degli squadristi. Esule con la famiglia prima in Francia, poi (credo) in Russia, rimpatria col permesso del Duce, si affida alla sua generosità, per ricambiarla gli resta al fianco anche a Salò, e lo accompagna fin nell'ultimo viaggio verso la morte. (23 ottobre 1966) *Colloquio segreto con l'ex comunista [[Giulio Seniga|Seniga]] per una storia del [[PCI|Pci]] che devo scrivere con [[Roberto Gervaso|Gervaso]] per la «Domenica». Ė un uomo piuttosto affascinante, dallo sguardo chiaro, freddo e innocente: lo sguardo del fanatico. Mi ha detto che sua moglie, cresciuta in Russia dove suo padre era fuoruscito, e autrice di un interessante libro – ''I figli del partito'' –, nel partito è rimasta, non ha trovato il coraggio di uscirne, sebbene approvi e condivida la secessione del marito, con cui è sentimentalmente unitissima. Non riesco a capire questa gente. Cioè capisco soltanto che è diversa da noi non sul piano ideologico, ma su quello umano. (25 novembre 1966) *È morto [[Uguccione Ranieri di Sorbello]]. Era venuto a Roma da sua suocera. Stava benissimo. Era anzi particolarmente sereno e contento perché aveva finito un suo lavoro di ricerca storica cui attendeva da anni. A fine pranzo ha detto: «Non mi sento bene». Si è alzato, ed è crollato a terra. Stecchito. (29 maggio 1969) *{{NDR|Su Uguccione Ranieri di Sorbello}} Era un gran signore e un gran galantuomo che ha trascorso la sua vita in crociate nelle quali non aveva nulla da guadagnare. L'ultima è stata la campagna propagandista negli Usa per convincere gli americani a dare il nome [[Giovanni da Verrazzano|Da Verrazzano]] al grande ponte sull'Hudson. Nel suo perfetto inglese (lo scriveva meglio dell'italiano) inondò l'America di articoli e conferenze (parlava benissimo, con molto humor e senza enfasi oratorie) cercando i familiarizzare gli ascoltatori col nome Da Verrazzano, la cui pronuncia rappresentava per essi la difficoltà più grossa all'adozione di quel nome. Questa smania missionaria credo che l'avesse ereditata da sua madre americana. E per seguirla aveva trascurato le sue proprietà terriere. Le sue campagne erano in uno stato pietoso, la sua bella villa sul Trasimeno mezza disunta. (29 maggio 1969) *{{NDR|Su Uguccione Ranieri di Sorbello}} Era un buon scrittore, un infaticabile sommozzatore di articoli, un ricercatore attento e scrupoloso di curiosità storiche, un umanista moderno che aveva allargato i suoi orizzonti a tutta la cultura contemporanea, specie anglo-sassone: un uomo insomma che ha realizzato un centesimo di quello che poteva per via di quel suo dispersivo correre dietro a un'infinità di altri interessi. Era stato anche un autentico combattente della [[Resistenza italiana|Resistenza]]: per ben sedici volte si era fatto paracadutare dagli Alleati dietro le linee tedesche: impresa che chiunque altro si sarebbe fatto ripagare con altrettante medaglie. Lui non aveva ricevuto nemmeno una citazione, e di questi episodi non ha mai parlato. (29 maggio 1969) *Anche [[Irene Brin]] se n'è andata. Mi avevano detto che era malata di un cancro; ma era una notizia vaga e incerta, ch'essa aveva fatto di tutto per smentire. Fino in fondo ha lavorato e ha partecipato ai riti della mondanità: sfilate di moda, ricevimenti, eccetera. (1 giugno 1969) *{{NDR|Su Irene Brin}} Quando [[Giovanni Ansaldo|Ansaldo]] la scovò e cominciò a farla scrivere sul «Lavoro» di Genova, sua città natale, era soltanto Mariù Rossi: una ragazza timida e incerta, molto provinciale, figlia di un Generale e di un'ebrea austriaca. L'unica fama di cui godeva era quella, equivoca e velata sotto un nome d'accatto, che le aveva procurato [[Elio Vittorini|Vittorini]] prendendola a protagonista, con sua sorella, di un racconto: ''Le figlie del Generale'' in cui entrambe erano presentate come lesbiche. Se lo fossero veramente, non so. Il sesso è uno dei tanti capitoli misteriosi di questa donna. (1 giugno 1969) *In mano a [[Leo Longanesi|Longanesi]], che le aveva regalato anche lo pseudonimo d'Irene Brin, aveva rivelato autentiche qualità di scrittrice. I profili che pubblicò su «Omnibus» erano deliziosi. Fosse rimasta fra biografia e memorialismo, poteva diventare qualcosa di mezzo fra [[Henri de Saint-Simon|Saint-Simon]] e [[Lytton Strachey|Strachey]] con un tocco alla [[Madame de Sévigné|Sévigné]]. Altro che la [[Maria Bellonci|Bellonci]]! Era un'osservatrice attenta (sebbene non ci vedesse da qui a lì) e penetrante, nutrita di vastissime letture: la sua prosa aveva ritmo, calore, l'aggettivazione precisa, l'ironia tagliente. Ma era un cavallo che aveva bisogno del fantino. Chiuso «Omnibus» e cessata la regia di Longanesi, Irene infilò la pista sbagliata – quella della cronista mondana –, e non è più uscita. (1 giugno 1969) *Finito di scrivere il capitolo sull'[[Giulio Alberoni|Alberoni]] per ''L'Italia del Settecento''. Ho riprodotto la pagina di [[Henri de Saint-Simon|Saint-Simon]], che lo descrive mentre assiste impavido alle evacuazioni corporali di Vendôme per guadagnarsene i favori, eppoi inginocchiandosi davanti a lui gli grida estasiato: «Oh, culo d'angelo!», e glielo bacia. Come inizio di "carriera" italiana, mi sembra esemplare. Poi mi torna a mente un'osservazione di [[Jules Renard|Renard]]: «Se in un periodo c'è la parola culo, il lettore non si ricorderà che di quella dimenticando tutto il resto, anche se è sublime». Renard ha ragione. Ma io, a un culo autenticato da Saint-Simon, non rinuncio. (3 luglio 1969) *Le Soroptimists hanno dato un pranzo a [[Colette Rosselli|Colette]], in qualità di "Donna Letizia". Colette ha accettato dopo molti rifiuti. Il suo fastidio per queste cose di donne, lo so, è sincero. Ma, una volta preso l'impegno, ha trascorso la giornata a preparare il suo discorsino col puntiglio che la distingue. Non è per nulla ambiziosa, non tiene affatto a reclamizzare il proprio talento, sottovaluta quello che mette nella sua rubrica di «Grazia» (ma se lo fa pagare profumatamente), rifiuta di fare una mostra dei suoi deliziosi quadri. Ma il suo suscettibilissimo amor proprio non le consente di rischiare una brutta figura nemmeno nelle cose che disprezza. Infatti anche stasera ne ha fatta una eccellente, leggendo con molto garbo le due paginette che aveva preparato con un sapiente dosaggio di humour autentico, e di pathos e di umiltà fasulli. Ha avuto gran successo. Per la prima volta mi son visto guardato come un personaggio-satellite, una specie di principe consorte. Cosa che a me non dispiace affatto, ma a lei moltissimo. In questo, è proprio femmina. (13 agosto 1969) *Mi riferiscono, di [[Giorgio Bocca|Bocca]], questo giudizio su di me: «Sempre il più bravo di tutti. Bravissimo. Troppo bravo. Ma mettendo lo stesso impegno a scrivere gli articoli su Venezia e quello sull'arbitro [[Concetto Lo Bello|Lo Bello]], dimostra che in realtà non è impegnato in nulla». È vero. Non sono impegnato in nulla. In nulla, meno che nel mio mestiere. Fiorentina-Bari 3-0. E Chiarugi capo-cannoniere! (16 novembre 1969) *Sciopero generale per il caro-case. Un pretesto da nulla. Ma è bastato per immergere Milano in un'atmosfera da 8 settembre. Strade vuote. Saracinesche abbassate. Enorme spiegamento di polizia. Mentre pranzo con [[Giovanni Spadolini|Spadolini]], [[Mario Cervi|Cervi]] e Zappulli, giunge notizia che in un tafferuglio al Lirico un agente è stato ucciso dai "cinesi". «Meno male che è toccata a un agente» diciamo in coro, eppoi non osiamo guardarci negli occhi. Anche noi apparteniamo a questa borghesia codarda che pretende appaltare alle forze dell'ordine il compito di farsi sputacchiare, pestare e ammazzare per tenerne al riparo se stessa. E non vuole nemmeno pagargli uno stipendio decente. (19 novembre 1969) *[[Alberto Moravia|Moravia]] ha fondato, insieme a [[Pier Paolo Pasolini|Pasolini]] e a [[Dacia Maraini]], un "comitato contro la repressione". È la riprova che la repressione non c'è. Se ci fosse, Moravia sarebbe coi repressori, come ha dimostrato avallando col suo silenzio la persecuzione di [[Aleksandr Isaevič Solženicyn|Solženicyn]] in Russia. (28 dicembre 1969) *Moravia si è ritirato dal comitato che lui stesso aveva fondato. Ma non per i silenzi di [[Giovanni Spadolini|Spadolini]]. Si è ritirato perché «l'Unità» ha disapprovato. Gl'italiani sono sempre pronti a fare la rivoluzione, purché i carabinieri siano d'accordo. E Moravia è sempre pronto a battersi per la libertà, purché sia d'accordo il piccì. (2 gennaio 1970) *Arrivati i rendiconti dei miei diritti d'autore: 28 milioni nell'ultimo semestre. Supero dunque i 50 milioni annui. Anche ammettendo che l'editore non ci faccia sopra punta cresta (il che mi sembra, a dir poco, improbabile), non c'è male. Credo di essere l'autore italiano che più guadagna, anche perché sono l'unico che questa cifra la guadagna ogni anno, e senz'aiuto di premi letterari. Non ne sono contento per il denaro, di cui non so che farmi e che serve solo a pagare i capricci di Colette (ne ha tanti!). Ne sono contento, anzi felice, per il mio status da autore stipendiato unicamente dal pubblico. C'è chi vive di partito. C'è chi vive di Eni. C'è chi vive di Agnelli, o di Perrone, o di Crespi. Io vivo di [[lettore|lettori]]. I lettori non m'impongono altra servitù che la sincerità: l'unica che non pesi. (3 marzo 1970) *Più che comunanza di vedute, fra [[Denis Mack Smith|Mack Smith]] e me c'è comunanza di nemici: quegl'insopportabili pedanti accademici che a Palermo lo hanno violentemente attaccato qualificandolo «il Montanelli di Oxford». Implicitamente egli accetta di far fronte con me contro di loro. Credo che facciamo entrambi un buon affare, e anche un affare buono: se riusciamo a squalificare agli occhi del pubblico la [[storiografia]] accademica (e coi nostri libri ci stiamo riuscendo), avremo reso un grosso servigio alla cultura italiana. (2 maggio 1970) *Sosta a Venezia, dopo il voto a Cortina. Visita d'obbligo a Vittorio Cini, e passeggiata con lui sulle Zattere. Vedendolo, un vecchietto sdrucito, ma dignitoso, si leva il cappello e gli tende la mano, evidentemente per mendicare. Vittorio gliel'afferra e gliela stringe con effusione dicendogli: «Caro!... Caro!... Caro!... Coma la va?» È in perfetta buona fede: la buona fede di un doge lontanissimo dalle afflizioni della miseria e perfino incapace di immaginare che ce ne siano. (8 giugno 1970) *Leggo in [[Giorgio Candeloro|Candeloro]]: «... Nel processo generale di sviluppo della Storia, il carattere dei personaggi, anche dei più grandi, ha un peso limitato...». Ah, sì? E cosa dunque se non il carattere di Alessandro, cioè la sua follia, può spiegare la conquista macedone fino all'India e la diaspora dell'ellenismo che ne deriva? L'Islam è concepibile senza il "carattere" di [[Maometto]]? E cosa divise la Riforma se non i diversi "caratteri" di [[Martin Lutero|Lutero]] e di Calvino? I nostri storici odiano i caratteri e i personaggi, perché questi richiedono immaginazione e intuito, cioè doti di scrittore, di cui essi sono disperatamente vedovi. Non sono storici. Sono soltanto degli archivisti, e molto spesso disonesti. (10 novembre 1970) *Milano è in fiamme per l'affare Feltrinelli, e [[Piero Ottone|Ottone]] mi chiede un articolo contro la [[Camilla Cederna|Cederna]], firmatario di un manifesto in cui, a due ore di distanza dal rinvenimento del cadavere e prima ancora che esso sia ufficialmente riconosciuto, proclama che Feltrinelli è rimasto vittima della «reazione internazionale». Se la Cederna avesse una testa, direi che l'ha persa. Ma perché Ottone vuole un articolo contro di lei, intima amica e direttrice di coscienza di [[Giulia Maria Crespi|Giulia Maria]], nonché regina del suo sinistrorso salotto? Comunque, a mettere una zeppa fra direttore e proprietaria, è doveroso collaborare. E faccio l'articolo in forma di "lettera a Camilla". (25 marzo 1972) *Pare che l'articolo abbia rimesso fuoco a Milano, creandovi una irreparabile frattura fra montanellisti e cedernisti. I primi sono più numerosi, ma i secondi più rumorosi. Ricevo pacchi di telegrammi di plauso e altrettanti d'insulti. Il giornale è sommerso di lettere, e io prego Ottone di pubblicare anche quelle di protesta. Ha scritto anche la Cederna annunziando una replica sull'«Espresso» (Ottone ha cancellato il titolo del settimanale, commettendo una meschineria). Quanto a Giulia Maria, mi dicono che schiuma di rabbia. Se è vero, devo riconoscere che il giornalismo qualche soddisfazione la dà. [[Umberto Eco]] mi attacca sul «manifesto» riproducendo una mia frase di ammirazione per Mussolini scritta quando avevo ventidue anni (in dieci anni di giornalismo sotto il defunto regime, non sono mai riusciti a trovare, di mio, altre prove di zelo fascista) e accusandomi di mancanza di cavalleria verso una donna. O bella! Come se una donna, quando si mette a far politica – e che politica! – come un uomo, potesse ancora accampare l'impunità! Anche la [[Maria Callas|Callas]] è una donna. Eppure, quando stona, la si fischia. (27 marzo 1972) *Ho scritto un fondo in difesa della Cederna, incriminata dal magistrato per aver diffuso notizie false e tendenziose. Che abbia commesso questo peccato, ho detto, è vero. Ma si tratta di peccato, non di reato. E a giudicarne dev'essere il lettore, non il tribunale. Verità lapalissiane. Dice che è sempre stata molto più impegnata e coraggiosa di me perché con le sue campagne in favore di Valpreda e di [[Giuseppe Pinelli|Pinelli]], tiene fronte alla polizia. Potrei incenerirla chiedendole dov'era e cosa faceva quando io ero in galera per aver tenuto fronte non alla polizia d'oggi, ma a quella fascista e nazista. Ma non ne vale la pena. (28 marzo 1972) *Più approfondisco questo tema delle regioni (sono a Milano per questo), e più mi sgomenta il doverne scrivere. Ci vuol poco a capire che questi regionalisti lombardi perseguono, consapevolmente o inconsapevolmente, un piano secessionista cisalpino. E, una volta che ne abbiano lo strumento, riusciranno a realizzarlo. Non per nulla Bassetti parla già non più di «regione lombarda», ma di «[[Padania|regione padana]]», di cui il resto d'Italia non sarebbe che un'appendice. Se ce la fanno (e ce la faranno), addio Risorgimento! Non era che una finzione, d'accordo, e in pratica ha fallito. Ma con che lo sostituiremo? (26 settembre 1972) *Volo a Lussemburgo sul solito bireattore di Berlusconi, che ci accompagna, felice di esibirsi e di esibire il suo status in una cerimonia internazionale. La medaglia d'oro (ma è proprio d'oro?) me la consegna Gaston Thorn, capo del governo lussemburghese. Berlusconi riempie il suo taccuino di indirizzi: quelli di tutte le personalità che ha incontrato. È il vero ''climber'' che approfitta di tutto e non butta via nulla. (23 maggio 1977) *Kappler è fuggito. Ha fatto bene. Ma ora chi ci salverà dai conculcati "valori della Resistenza"? (15 agosto 1977) *A colazione da [[Vittorio Cini|Cini]]. Ha avuto un brutto crollo, ma ha ancora risorse. Le tira fuori quando è in compagnia. Ma quando è solo, mi dice sua moglie, sprofonda in quei tetri silenzi che sono i colloqui di un uomo con la morte. (19 agosto 1977) *De Carolis m'informa che il vero autore della operazione «Corriere» è un certo [[Licio Gelli|Gelli]], misterioso personaggio massonico, di Arezzo (Fanfani), che vuole incontrarmi per un accordo fra i due giornali. (24 settembre 1977) *Secondo quanto mi era stato raccomandato, dovevo salire direttamente alla camera 219 dell'Excelsior. Ma alla camera 219 non c'era nessuno, e così dovetti chiedere al portiere del signor Gelli. Poi Gelli arrivò, mi condusse furtivamente nel suo appartamento e mi fece un lungo discorso pieno di allusioni, dal quale dovevo comprendere che lui è un pezzo grosso – forse il più grosso – della massoneria (Palazzo Giustiniani), che come tale era stato il vero padrino della operazione Rizzoli, e che in questa operazione potevamo rientrare anche noi. Mi ha detto che quattro ministri dell'attuale governo, otto sottosegretari e centoquaranta parlamentari dipendono da lui. Questi massoni sono tutti uguali: credono che la loro potenza sia direttamente proporzionale al mistero di cui si circondano e prendono per cose fatte quelle per le quali complottano. (4 ottobre 1977) *Da Fanfani, al Senato. È talmente infuriato che diventa perfino sincero. «Dica al suo amico che è un traditore!» «Perché non glielo dice lei?» Mi spiega che Forlani non mira alla segreteria del partito, come io credevo, ma alla presidenza del Consiglio, quando Andreotti sarà consumato. Mi dice anche che condivide l'idea di Donat-Cattin di lasciare il Quirinale a un laico. «Altrimenti fra noi democristiani ci sbraniamo e ci sbrachiamo nella corsa a chi concede di più ai comunisti.» È sincero anche stavolta, o lo dice perché, avendo perso ogni speranza per sé, vuole prepararsi un buon argomento per Maria Pia («Stavolta toccava ai laici»)? (29 ottobre 1977) *A cena da Gervaso con Cossiga. Non si lamenta dei nostri attacchi, ma sono io a dirgli: «Noi esprimiamo lo scontento, e talvolta la rabbia, della pubblica opinione. La gente vuole un ministro degl'Interni che agisca e che faccia agire la polizia». «Ma lei sa com'è ridotta la polizia?» «In qualunque modo sia ridotta, siete voi che l'avete ridotta così. E quindi sta a voi rimediare.» Mi dice che non c'è da farsi illusioni: la situazione si aggraverà. Il terrorismo è finanziato coi sequestri, ha solidi agganci internazionali, e segue una tattica ben studiata. «L'attentato a lei fu un errore. Se a essere colpite fossero le personalità di rilievo, la gente media, cioè la grande massa della popolazione, sarebbe tranquilla. Invece hanno deciso di colpire i gradi subalterni – consiglieri comunali della Dc, capireparto della Fiat eccetera – per togliere il sonno a tutti.» Forse è vero. (29 ottobre 1977) *Quattro revolverate in faccia a [[Carlo Casalegno|Casalegno]], che ora è grave. Alzano la mira. (16 novembre 1977) *«La Stampa» riporta tutti gli articoli di solidarietà per Casalegno apparsi sugli altri giornali. Ma omette il mio, ch'era forse il più caldo: la solidarietà nostra la imbarazza. (18 novembre 1977) *Casalegno è morto. Ho telegrafato alla vedova, ma non al figlio – iscritto a [[Lotta Continua|Lotta continua]] –, né a [[Arrigo Levi|Levi]] e ai colleghi della «Stampa». Purtroppo, la loro faziosità condiziona la nostra solidarietà. Al funerale andrà Biazzi. (29 novembre 1977) *Incontro risolutivo a Roma tra Ferrauto e quelli della Sipra. Affare fatto e a condizioni molto più favorevoli di quelle sperate. Sei miliardi e settecento milioni come minimo annuo garantito, per cinque anni. Firmeremo il compromesso martedì 16. (10 maggio 1978) *Vista in tv la cerimonia funebre per Moro in San Giovanni Laterano. Dentro la basilica, tutti i dignitari Dc e quelli Pci inginocchiati sotto la mano benedicente del papa. E, fuori, la piazza sventolante di bandiere bianche e rosse. Non ho potuto fare a meno di rilevarlo in un "Controcorrente". (13 maggio 1978) *Batosta comunista alle amministrative parziali di ieri (4.000.000 di elettori). La Dc sale dal 38 al 42 per cento, il Pci scende dal 35 al 26. Successo dei socialisti che guadagnano il 4 per cento. Un risultato sconvolgente (in positivo). Uniche delusioni: il guadagno – sia pur minimo – del Pri, e la mancata rianimazione del Pli. (15 maggio 1978) *Firmato oggi l'accordo con la Sipra. Minimo garantito: 6.800.000.000 all'anno per cinque anni. Il presidente, D'Amico, è un ex operaio della Fiat, ora deputato comunista: un uomo concreto, franco, di poche parole. Era più soddisfatto lui dell'accordo con noi, che il direttore generale, il democristiano Pasquarelli. Io ho fatto la mia parte, da buon attore. Arrivato all'ultimo momento, ho detto: «Per impedire ripensamenti ed equivoci, trasformiamo il compromesso in vero e proprio contratto, e firmiamo subito». Lo champagne era già pronto. (16 maggio 1978) ==''I protagonisti''== *Nel settembre di quell'anno {{NDR|1956}} il partito lo spedì {{NDR|[[Gian Carlo Pajetta]]}} a Mosca insieme a Pellegrini e a [[Celeste Negarville|Negarville]] per sentire direttamente da [[Nikita Sergeevič Chruščёv|Kruscev]] come ci si doveva comportare nella crisi, ormai aperta, dell'antistalinismo. Kruscev li accolse affabilmente, li invitò a cena. E qui, trascinato da bocconi e libagioni ad una espansiva euforia come spesso gli capita, a un certo punto disse: «Beh, ora vi voglio raccontare come strangolammo [[Lavrentij Pavlovič Berija|Beria]]». E descrisse l'agguato che gli avevano teso al Cremlino, come gli erano saltati addosso e come gli avevano serrato la gola con le mani fino alla soffocazione. Lo descrisse ridendo allegramente, forse senz'accorgersi del pallore che soffondeva il volto dei suoi ospiti, o per lo meno quelli di Pajetta e di Negarville.<br />L'indomani li convocò nuovamente e, come non ricordando affatto ciò che gli aveva raccontato la sera prima, disse loro in tono solenne: «Beh, ora vi farò sentire il processo di Beria registrato sul nastro». E glielo fece sentire davvero come lo avevano inventato ''post mortem'', con la voce del defunto falsificata.<br />Quando si ritrovarono fra loro, Negarville e Pajetta si guardarono con gli occhi pieni di lacrime. «Ma allora – dissero –. Ma allora...». E non aggiunsero altro. (pp. 66-67) *{{NDR|Su [[Anna Magnani]]}} Ci sarebbe da scrivere un trattato sul modo di usare Anna. La prima precauzione da prendere è quella di non farla ritrovare in mezzo a estranei. Timida com'è, pur dopo un'esistenza trascorsa sotto i ''flashes'', la gente la raggela e la chiude in un mutismo ostile o l'aizza ad atteggiamenti protervi. Delle poche persone che le ho presentato, l'unica che la sedusse immediatamente fu il mio collega [[Augusto Guerriero]], perché il discorso cadde sui cani e sui gatti: e questo è un argomento su cui il cuore di Anna si scioglie e la mente le si ottenebra. Si mise in testa che noi due, con un articolo, potevamo far riformare la legge sulla protezione degli animali. E invano cercammo di dimostrarle che il problema non era di leggi, ma di costume. Non sentì ragioni. Dovemmo prometterle l'articolo (che poi infatti scrivemmo). (pp. 177-178) *{{NDR|Su [[Ignazio Silone]]}} Leggendo i suoi primi romanzi, ''Fontamara'', ''Pane e vino'', ''Il seme sotto la neve'', e pur ammirandoli, ero caduto in abbaglio sull'autore. Lo avevo preso per uno di quegl'industriali dell'antifascismo che, riparati all'estero, avevano trovato nella universale avversione alla dittatura una comoda scorciatoia al successo dei libri di denunzia. Lo consideravo insomma un profittatore del regime a rovescio (come del resto ce ne sono stati). E una conferma mi era parso di vederla nel fatto che finito, col fascismo, l'antifascismo, parve finito anche il narratore Silone.<br />Poi vennero ''Una manciata di more'', ''Il segreto di Luca'', ''La volpe e le camelie''. Ma vennero soprattutto alcuni saggi politici che mi costrinsero a ricredermi. Ed era proprio questo che non riuscivo a perdonargli. Mi era antipatico non per i suoi, ma per i miei errori. Più lo conoscevo attraverso i suoi scritti, e più dovevo constatare che non solo egli non somiglia affatto al personaggio che m'ero immaginato, ma che anzi ne rappresenta la flagrante contraddizione. (pp. 180-181) *{{NDR|Su ''[[Ignazio Silone#Uscita di sicurezza|Uscita di sicurezza]]''}} Come documento umano, non ne conosco di più alti, nobili e appassionati. Fenomeno unico, o quasi unico, fra gli sconsacrati del comunismo che di solito non superano mai più il trauma e trascorrono il resto della loro vita a ritorcere l'anatema, Silone non recrimina. Egli rifiuta i grintosi e uggiosi atteggiamenti del moralista, o meglio ne è incapace. Domenicano con se stesso, è francescano con gli altri, e quindi restio a coinvolgerli nella propria autocritica. Cerca di metterne al riparo persino [[Palmiro Togliatti|Togliatti]]; e se non ci riesce che in parte, non è certo colpa sua. Qui non c'è che un accusato: Silone. E non c'è che un giudice: la sua coscienza. (pp. 186-187) *Noi crediamo di scoprire dei modelli. In realtà non scopriamo che degli antenati. [[Carlo Cassola|Cassola]] s'illude di aver imparato da [[James Joyce|Joyce]] quello che già sapeva. Joyce gli avrà fornito, al massimo, qualche mezzo tecnico per esprimerlo. Uno [[scrittore]] vero (e Cassola lo è) non cerca in un altro scrittore che se stesso. (p. 207) *{{NDR|Su [[Enrico Mattei]]}} Egli amava solo il [[potere]], e l'amore del potere esclude tutti gli altri. (p. 265) *{{NDR|Su [[Giulio Andreotti]]}} Andava anche, mi dicono, a messa insieme a lui {{NDR|[[Alcide De Gasperi|De Gasperi]]}}, e tutti credevano che facessero la stessa cosa. Ma non era così. In chiesa, De Gasperi parlava con Dio; Andreotti col prete. Era una divisione di compiti perfetta. (pp. 271-272) ==''Indro al Giro''== ===[[Incipit]]=== Il destino è stampato sulla carta d'identità e scritto nelle stelle. Indro Montanelli nasce il 22 aprile 1909, il primo Giro d'Italia prende il via il 13 maggio 1909. Stesso anno, stesso segno zodiacale: Toro. Potevano, queste due creature quasi gemelle, non percorrere un tratto di strada insieme? Potevano ignorarsi? ===Citazioni=== *Come i bersaglieri quando smettono di correre, così i ciclisti, quando cessano di pedalare ingrassano. *Il [[Giro d'Italia]] parla milanese, anche se poi, a vincerlo, è qualche toscano o qualche romagnolo. *I corridori sono come [[Anteo]]: il contatto con la loro terra gli dà forza. *Ma sapete voi con precisione che cosa sia una fuga, lo sapete? Non lo sapevo nemmeno io prima di vederla. Credevo che fosse l'uomo che, a un certo punto, si mette a pedalare più forte degli altri e li semina per via. Errattissima nozione. La fuga è invece un grande urlo e un gesto disperato che mettono d'improvviso in confusione tutta la carovana del Giro. *Quello della bicicletta è un mondo buono: e credo sinceramente che venga da questa bontà il fascino ch'esso esercita sulle folle. *Lasciatelo com'è questo Giro provinciale e festoso: lo sport di un popolo che, nella corsa verso il progresso meccanico, è rimasto alla bicicletta, tappa intermedia fra il cavallo e l'automobile, ritrovato artigiano e arnese di famiglia. *Se Parigi avesse il mare sarebbe una piccola Bari, ma non saprebbe accogliere i forestieri con tanto calore e sportiva cordialità. *Leoni, che oltre a tutto è un bellissimo ragazzo, ha una fidanzata la quale gli scrive raccomandandogli di non vincere, altrimenti troppe ragazze lo abbracciano porgendogli i fiori. Leoni è innamoratissimo della sua fidanzata ma non è certo per obbedire a lei che non vince. È solo per obbedire a [[Fausto Coppi|Coppi]] e restargli a fianco. *Gli assi possono permettersi di arrivare ultimi. E lo fanno senza risparmio. Possono permettersi di disprezzare i loro adoratori e lo fanno senza ritegno. L'adorazione rimane. *I corridori di bicicletta sono gente semplice, che non è mai stata in collegio. [...] Nessuno ha insegnato loro i dettami dello stile e della cavalleria. Li posseggono per natura. Difficilmente essi cercano di sminuire la vittoria dell'avversario e non gliene serbano rancore. Sono capaci di delicatezze che non credo esistano negli altri sport. *I corridori non si dovrebbero sposare; e, quando lo fanno, dovrebbero scegliere delle donne brutte. *È la specialità dei padri quella di sognare per i figli i trofei che loro non convengono, ed è la specialità dei figli quella di procurarsi trofei che ai loro padri non piacciono. ==''Le nuove Stanze''== *Ribadisco la mia avversione alla pena di morte. Ma non me la sento d'impartire lezioni a chi tuttora la pratica. Non mi pare che, con la Giustizia che ci troviamo in casa, noi italiani possiamo impartire lezioni agli altri. (p. 46) *Toglietevi la parrucca, cari storici italiani. E invece di continuare a parlarvi tra voi, parlate, andando incontro alle sue curiosità, alla gente comune, quella che ha più bisogno del vostro sapere, e che sa benissimo distinguere il volgare pettegolezzo dall'aneddoto illuminante, di cui gli storici stranieri, soprattutto inglesi, compreso [[Denis Mack Smith|Mack Smith]], sanno fare buono e largo uso. (p. 81) *Io non sono piemontese né savoiardo, e la tradizione della mia famiglia è, caso mai, repubblicana. Ma la verità sono abituato a rispettarla, e non ad accomodarmela secondo i miei gusti e pregiudizi. Nel '46 votai monarchico non perché ero amico di Umberto e di Maria José, che sarebbero stati un Re e una Regina esemplari. Ma perché capivo ch'essi rappresentavano l'unico filo che ci legava all'unica nostra tradizione nazionale: il Risorgimento. La rigiri come vuole [...] ma la verità è questa: che senza Risorgimento non esiste una Storia nazionale italiana, e senza i Savoia non esiste Risorgimento. Ecco perché io dico e ripeto che la Repubblica italiana può tenere i Savoia [...] fuori dal territorio italiano. Ma chi tenta di estrometterli dalla Storia d'Italia, se non è un analfabeta è certamente un falsario. (pp. 112-113) *{{NDR|[[Luigi Cadorna]]}} Fu un generale di grande e inflessibile carattere, ma non un grande stratega. La sua fu dal primo all'ultimo giorno una guerra «di posizione», e quindi di logoramento, muro contro muro. Una «manovra» non la tentò mai, anzi non la concepì nemmeno. Stava [...] al «Regolamento», secondo il quale «le battaglie si vincono sulle cime». Sicché quando arrivò un battaglione tedesco al comando di un giovane capitano di nome Rommel che [...] s'insinuò nottetempo nelle valli, tutto il nostro schieramento ne venne preso alle spalle, e si liquefece, consentendo a Rommel di arrivare fino al Piave, dove si fermò: non per la resistenza dei nostri [...] ma per la mancanza di rifornimenti e di munizioni, che non avevano fatto in tempo a seguirlo. (pp. 118-119). *Quanto alla somiglianza fra noi e gli spagnoli, sì, c'è. Io, in Spagna, mi sento come a casa mia. Una sola cosa ci trovo in più: una dimestichezza con la morte che dà ai valori della Vita (la Dignità, il Coraggio, l'Onore) un peso ben diverso da quello che hanno da noi. E glielo invidio tanto. (p. 157) *Quanto alla sua supposizione che, se non ci fossero stati i russi, gli Alleati non avrebbero potuto sbarcare in Normandia e salvare i loro regimi democratici, mi permetta di sorriderne. Hitler perse la [[Seconda guerra mondiale|guerra]] prima ancora di dichiararla, quando scatenò la persecuzione razziale, che mise il mondo di fronte alla pretesa della sua «razza eletta» al dominio del pianeta e costrinse alla fuga il fior fiore della Scienza ebraica, che diede all'America la bomba atomica, la quale avrebbe reso superfluo anche lo sbarco in Normandia. (pp. 177-178) *In [[Alessandro Pavolini|Pavolini]] [...] è riassunto il dramma di una generazione che nel fascismo era cresciuta [...] e si sentiva impegnata a crederci anche in quell'ultima disperata fase. In lui ritrovo un po' di quel [[Berto Ricci]] [...] che, partendo volontario per la Libia, mi disse: «Una volta, nella vita, ci si può convertire. Io già lo feci rinnegando, per il fascismo, il mio passato di anarchico. Ora col fascismo devo morire». E morì. (p. 192) *Come lei certamente sa, furono i russi a giungere per primi sul famoso bunker di Berlino, fra le cui macerie si diedero subito a cercare il cadavere del Fuhrer, e lo trovarono, ma quasi completamente carbonizzato (egli aveva lasciato ai suoi l'ordine di bruciarlo con una tanica di benzina). D'intatto era rimasto solo il teschio con la sua dentatura costellata di ponti e protesi. Immediatamente fu ricercato e trascinato sul posto l'odontoiatra che glieli aveva sistemati. Dapprima gli fu chiesto in cosa erano consistiti i suoi interventi. Poi vi fu messo davanti, e lui li riconobbe senza esitazioni. Quel giorno il poveretto non tornò a casa. Dopo alcuni anni si seppe che esercitava il suo mestiere in non so quale città di provincia russa, ma sotto stretto controllo della polizia. Dopo qualche altro anno poté tornare in Germania, ma in [[Repubblica Democratica Tedesca|quella comunista]], sotto il controllo di una polizia ancora più efficiente di quella sovietica, e lì morì, non so quando. Perché i sovietici vollero sempre mantenere quel segreto? Perché alla loro propaganda [...] faceva comodo accreditare la favola di un Hitler salvato dagli americani, che lo tenevano sotto naftalina in qualche loro dorato ripostiglio per poterlo un giorno utilizzare in una nuova guerra contro la Russia. (pp. 257-258) *Da anticomunista, oserei dire «storico» quale mi considero, io sono pieno di rispetto sia per i Nagy nostrani quali i D'Alema e i Veltroni, che per i Kádár, quali i Cossutta e i Diliberto. Non so se come classe dirigente siano il meglio. Ma come sincerità di conversione democratica, ci credo (come credo, intendiamoci, a quella di un Fini, anche se viene da un passato molto meno intenso, drammatico e dilacerante di quello comunista). (p. 306) *{{NDR|A [[Mario Tuti]]}} Ho ben presente [...] il suo nome e il suo volto, e le azioni terribili che lei ha compiuto. [...] Da come scrive [...], lei è in grado di capire [...] quello che dico. È vero che «sul nemico vinto non si infierisce»: ma il sangue non si cancella con la gomma delle parole. Solo le vittime possono concedere il perdono; e io non sono stato, fortunatamente, davanti al mirino della sua pistola. Solo la giustizia può concedere sconti: e io non sono un magistrato. Non ho invece difficoltà a condividere una sua osservazione: alcuni disgraziati [...] sono più disgraziati di altri. E [...] i disgraziati di destra se la passano peggio dei disgraziati di sinistra, che hanno di solito qualche amico di gioventù ben piazzato, in grado di dare una mano. Ma il perdonismo peloso di alcuni non può giustificare la distrazione di tutti. (p. 322) *[[Yasser Arafat|Arafat]] non ha mai avuto né uno Stato, né un esercito, né un titolo che lo qualificassero a parlare a nome del suo popolo. Erano il carisma, l'autorità, il prestigio suoi personali che gli permettevano di svolgere questo compito. Ma questo dipendeva dal fatto che il suo popolo glieli riconosce in quanto si sente da lui «rappresentato». [...] Io sono e mi sento profondamente filo-israeliano perché negli ebrei riconosco i miei fratelli e in molte cose anche i miei maestri (anche se non sempre facili). Ma appunto per questo apprezzo ed ammiro gli Hussein, i Sadat e gli Arafat. Ai quali si possono anche rimproverare degli errori nella conduzione della loro politica. Ma non certo le intenzioni e il coraggio. Arafat è brutto [...] e non so come facciano i suoi amici (e i suoi nemici) [...] a ricambiarne i baci. Ma di quelli suoi credo proprio che ci si possa fidare. Che Dio, anzi Allah, ce lo mantenga ancora per molti anni. (pp. 387-389) *Come veterano del ''Corriere'' e un po' depositario della tradizione di una certa civiltà nei rapporti fra i suoi uomini, io rimasi offeso non dal licenziamento di Spadolini [...] ma dall'insolito modo – che io definii appunto «guatemalteco» – in cui era stato trattato e da cui trapelava la mano di un [[Giulia Maria Crespi|editore]] che, anche se portava il nome di quello vecchio [...], intendeva introdurre nuove regole nella gestione del giornale, di cui era praticamente diventata [...] la titolare. E lo dissi, e lo scrissi, e lo ripetei in varie interviste. Forse tuttavia questo strappo si sarebbe potuto rammendare se il cambiamento del direttore non avesse comportato anche un cambiamento di linea politica che saltava agli occhi di chiunque non volesse tenerli chiusi. [...] Quando dal ''Giornale'' uscii per ragioni abbastanza analoghe a quelle che mi avevano spinto fuori da via Solferino, il primo a venirmi incontro fu il direttore del ''Corriere'', Paolo Mieli, che [...] mi offrì il suo posto: un gesto che non dimenticherò mai. Avrei potuto [...] accettarlo solo a titolo onorario. Ma non potevo abbandonare gli uomini che ancora una volta mi avevano seguito. Da quel momento però fu chiaro che il ''Corriere'' era ridiventato quello che noi, vent'anni prima, avremmo voluto che restasse. Ecco perché, al termine delle mie battaglie e delle mie sconfitte (che considero il mio blasone), sono tornato al ''Corriere''. (pp. 406-408) *I politici della Sinistra, compresi i componenti dell'attuale «squadra» governativa sono dieci, venti, cento volte meglio della loro ''intellighenzia''. Anche se dicono fregnacce, le dicono a bassa voce, senza salire in cattedra, di dove l'''intellighenzia'' invece non scende mai, nemmeno per andare in bagno. (pp. 477-478) *Spero che ora avrai capito cos'è la mia dichiarazione di voto: non un sì all'Ulivo, da cui spero poco, ma in compenso non temo niente; ma il no a un Polo che, se riportasse davvero la schiacciante vittoria che si aspetta il suo ''Caudillo'', potrebbe creare nel nostro Paese una situazione davvero inquietante. Un voto di difesa sarà dunque il mio, come lo è sempre stato da oltre cinquant'anni a questa parte. (p. 496) *Sappi soltanto che, passato per una ventina di anni – quelli del ''Giornale'' – per «fascista» e negli ultimi dieci per «comunista», me la rido di entrambe le etichette. (p. 536) ==''Le Stanze''== ===[[Incipit]]=== Di tutta la mia attività giornalistica [...] considero questi colloqui col lettore come l'impegno che mi è riuscito meglio, o meno peggio. Se qualcuno mi chiedesse: «Cosa vorresti che, dopo di te, di te rimanesse?», risponderei senza esitare: «Questi colloqui». Mi rendo conto che un'affermazione del genere può apparire demagogica: in fondo, perché dovrei preferire queste risposte quotidiane [...] alla ''Storia d'Italia'' o agli ''Incontri''? È presto detto: perché, grazie a lettere e risposte, ho potuto restare vicino ai miei lettori, che mi hanno ricordato – con più o meno garbo, ma sempre con affetto – quello che un giornalista non deve mai scordare: che i padroni sono loro. ===Citazioni=== *Io non ho mai conosciuto un conservatore inglese che abbia mosso a Churchill il rimprovero di essersi alleato con Stalin – altro che il naso dovette strizzarsi! – quando le armate di Hitler spazzavano tutta l'Europa. Ma trovo ancora degl'italiani [...] che danno la colpa a me dello stato di necessità in cui ci trovammo nel '48 e nel '76 e che rendeva obbligata la nostra scelta. Oggi che il muro di Berlino ci ha liberato dall'incubo del comunismo [...], è facile fare processi a chi non aveva in mano altra arma elettorale che il voto alla Dc. Ed una cosa mi chiedo: tutti questi intransigenti eroi dell'anticomunismo, che oggi mi scrivono lettere d'insulti accusandomi di averlo tradito, dov'erano al tempo del comunismo vero, quando io ero uno dei pochissimi a combatterlo di fronte [...], e loro, incontrandomi per strada, fingevano di non conoscermi? (p. 12) *Hiroshima, se fossi americano, non porrebbe [...] nessun caso di coscienza. L'arma atomica era in fase di studio e di preparazione sia in Germania che in America, e si poteva supporre che lo fosse anche in Russia e in Giappone. Avrebbe vinto la guerra e deciso le sorti del mondo chi ci fosse arrivato per primo. Hiroshima fece della popolazione civile, dicono, duecentocinquantamila vittime. Quante ne risparmiò inducendo alla resa i giapponesi che sembravano vicini all'olocausto? E quanto servì a smorzare la pretesa sovietica d'imporre il suo «diktat» a tutta l'Europa? [...] Essa a tal punto sorprese Stalin che dapprincipio non ci volle credere [...]. Nessuno può applaudire un massacro come quello di Hiroshima né andarne fiero. E posso capire come coloro che vi hanno partecipato dandone l'ordine o eseguendolo possano aver avuto dei problemi di coscienza. Ma gli aviatori inglesi che rasero al suolo l'inerme Dresda abitata solo da civili, facendo tra di loro pressappoco lo stesso numero di vittime che a Hiroshima, questi problemi, da quanto se ne sa, non li ebbero. Forse che la guerra all'atomo è più crudele di quella al fosforo? (p. 62) *De Gasperi non fu mai uomo di partito. E fu proprio per questo che riuscirono ad emarginarlo con tanta facilità, relegandolo in una Presidenza grondante omaggi ed ex voto, ma priva di qualunque potere reale. È vero che lui non lottò, anche perché era ormai a corto di fiato. Glielo toglieva non solo l'azotemia, ma anche il fallimento della Ced, la Comunità Europea di Difesa su cui De Gasperi fondava [...] i suoi sogni di salvezza e di grandezza europea, che i francesi di Mendès-France condannarono al naufragio. [...] De Gasperi era uomo di Stato, l'ultimo che l'Italia ha avuto dopo Giolitti. Ecco perché [...] non ha né può avere eredi. (p. 86) *{{NDR|[[Che Guevara]]}} Era uomo di Rivoluzione, che mai si sarebbe rassegnato ad una comoda esistenza di ben pasciuto gerarca. Doveva tornare alla Rivoluzione, pur consapevole della sua impossibilità in Paesi che lui ben conosceva, ma appunto proprio per questo: per cercare una morte coerente con la sua vita. [...] Avessi trenta o quarant'anni di meno, anch'io forse avrei nel mio modesto appartamento una stanza attrezzata a mausoleo del Che, e lo conserverei come souvenir di un Sogno sbagliato, ma pulito, e comunque pagato. È a coloro che non vogliono mai pagare nulla che va tutto il mio disprezzo. (p. 121) *Non mi stupirei [...] se il ragazzotto Clinton, nei suoi anni da governatore, avesse ingannato la noia dell'Arkansas inseguendo le minigonne di passaggio. [...] Il paragone con Berlusconi mi sembra un po' stiracchiato. Se Clinton venisse trovato colpevole, sapremmo che è un adultero (affari suoi); se Berlusconi venisse condannato, sapremmo che è un corruttore non occasionale (affari anche nostri, dal momento che s'atteggia a statista). (p. 154) *Mi permetto solo di aggiungervi qualcosa sull'imbecillità, l'ipocrisia e i vaniloqui delle nostre «anime belle» pronte a cadere in deliquio e a mobilitare le piazze per un O'Dell che, anche se qualche tenue dubbio sulla sua colpevolezza poteva sussistere, uno stinco di santo certamente non era, e per una Karla Tucker, rea confessa, anche se poi arcipentita e sinceramente convertita al credo della carità cristiana (e, sia chiaro, anch'io avrei per entrambi preferito la revoca della pena di morte); ma sono rimaste impassibili o quasi di fronte alla proposta condanna di lapidazione (di lapidazione!) di un cittadino tedesco e della sua compagna iraniana, rei di aver fatto l'amore (soltanto l'amore). Queste sono le nostre «anime belle» laiche ed ecclesiastiche, pronte a commuoversi e a sproloquiare contro la sedia elettrica americana [...], ma indifferenti alla lapidazione [...] per una «contaminazione» di lenzuola cristiane e musulmane. Io [...] queste anime belle – che oltre tutto hanno quasi sempre delle facce bruttissime e jettatorie – le odio di un odio viscerale. (p. 206) *Sul nemico vinto e che si riconosce vinto non s'infierisce. In fondo questi brigatisti hanno avuto, nella sconfitta, una loro dignità. Non sono dei «pentiti» al modo dei mafiosi e camorristi che si pentono per procurarsi dei vantaggi e denunziano i propri ex compari. Non sono dei delatori. Sono, a loro modo, dei prigionieri di guerra, di una guerra grazie a Dio finita con la nostra vittoria, e che quindi, sia pure con le debite precauzioni, possiamo rimandare a casa. Non è vero che non hanno pagato: me ne citi uno che non abbia scontato quindici o vent'anni di galera e che non ne abbia distrutta la vita. Qualche sconto possiamo farglielo: la generosità è segno di forza, non di debolezza. (pp. 283-284) *In una società «aperta» come la nostra, che rende impossibile qualsiasi controllo e in cui il sequestro è un'industria di antica tradizione che dispone di un personale altamente specializzato; e con una Giustizia che invece di affibbiare un ergastolo senza indulgenza ai colpevoli, si accontenta di infliggergli qualche anno alleviato dai permessi di libera uscita; cosa possono fare le forze dell'ordine? Starebbe a noi cittadini trovare quella di resistere al ricatto. Da noi italiani tenerelli non si può pretendere tanto? E sia. Ma allora abroghiamo la legge. Perché, come italiano, nulla mi ha mortificato di più che sentire [...] [[Giovanni Maria Flick|un ministro della Giustizia]] e alcuni dei più alti dignitari della toga proporne un'interpretazione che costituiva un chiaro invito a evaderla suggerendo il cavillo a cui ci si poteva aggrappare per legalizzare la contravvenzione. [...] No, a questo non ci sto. Cerchiamo almeno di avere il coraggio della nostra vigliaccheria riconoscendo che, dati i pericoli che possono comportare, i risoluti «No!» al sopruso non appartengono al nostro armamentario caratteriale, e aboliamo la legge. Ma non perché è sbagliata: in sé quella legge è sacrosanta. Ma perché noi cittadini non abbiamo la forza di adeguarcisi e coloro che dovrebbero imporcerne l'osservanza [...] ci suggeriscono il modo di evaderla. Questo è il cosiddetto «Paese reale». (p. 286) *Che un processo possa essere oggetto di revisione è, per il cittadino, una garanzia irrinunciabile, specie quando si tratta di processi indiziari, e quindi rimessi a valutazioni soggettive e pertanto sempre discutibili. Nessuno è infallibile, nemmeno i giudici, e quindi il diritto di appello è sacrosanto. Quello che sacrosanto non è, sono gl'interminabili tempi che questa operazione solitamente richiede, dovuti a due motivi chiaramente visibili: i grovigli procedurali in cui il processo è avvolto, delizia del genio cavillesco italiano, e l'inefficienza del personale che vi è addetto. (p. 327) *Che cosa io pensi dell'onorevole [[Cesare Previti|Previti]] mi pare di averlo detto in termini talmente espliciti da apparire – a più d'uno – brutali: un personaggio che solo a guardarlo in faccia verrebbe voglia di applicargli le manette ai polsi prima ancora di sapere chi è e cosa ha fatto. (p. 356) *Non credo che, all'apertura totale delle frontiere, avremo un Parma composto soltanto di irlandesi, o una Cremonese modello ellenico. Avremo invece un vero mercato, dove il costo e lo stipendio di un professionista verranno stabiliti in base alla domanda e all'offerta. È questo ridimensionamento, mi sa, che non piace ai calciatori nostrani. Non la «sottoutilizzazione delle risorse sportive nazionali e locali». Non penso che i nostri calciatori abbiano altri motivi di preoccuparsi. Perché mai dovrebbero venire accantonati? Sono tra i più bravi del mondo, e la bravura, per un professionista (che calci una palla o calchi una scena), è la garanzia migliore. (p. 379) *Le mie dimissioni da italiano sono soltanto quelle da una grande illusione: quella che l'Italia fosse una Patria da potere in qualche modo servire. Io, pur commettendo parecchi errori, ho cercato di farlo. Ma forse, di questi errori, il più grosso è stato quello di credere che fare si potesse. A consolarmene c'è una cosa sola: che questo errore lo hanno commesso tutti i migliori uomini che l'Italia ha avuto nel suo secolo e mezzo di vita unitaria. (pp. 410-411) ==''Pantheon minore''== ===[[Incipit]]=== '''Einaudi'''<br>Avendo saputo che sollecitavo l'onore e il piacere di incontrarlo, il Presidente, che non mi aveva mai visto, trovò del tutto naturale invitarmi a colazione. «Quando vuol venire?» mi fece chiedere, «giovedì mattina, per esempio?» Giovedì voglio stappare una nuova bottiglia del mio 'barolo' e ci sarà anche la signorina Barbara Ward dell{{'}}''Economist''. Vino piemontese, giornalismo ed economia politica, pensa: sarebbe difficile sorprendere [[Luigi Einaudi|Einaudi]] in una cornice più einaudiana di questa. ===Citazioni=== *{{NDR|Luigi Einaudi}} E in quei pochi minuti aveva ancora tante cose da dire a due giornalisti per ricordare loro, [[Alessandro Manzoni|manzonianamente]], che l'[[uomo]] è «buono», come dice [[Jean-Jacques Rousseau|Rousseau]], ma tale può diventare solo in grazia delle buone istituzioni (in ciò consiste la sua posizione conservatrice e cattolicamente pessimistica). *[[Ingrid Bergman]] è forse la sola persona al mondo che non consideri Ingrid Bergman un'attrice completamente riuscita e definitivamente arrivata. (p. 195) *Non ho mai visto in vita mia, nemmeno nei film di cui la Bergman è protagonista, una donna così trasparentemente pulita. (p. 195) *Ogni buon [[padre]] di [[famiglia]] deve, al principio della giornata, sapere quanto la famiglia ha in cassa e quanto può spendere.<br>Einaudi conosce a memoria le cifre dell'economia italiana, come i re che lo precedettero conoscevano a memoria i nomi e i motti dei reggimenti. *«''Venez, mademoiselle, venez''», disse [[Anatole France]] a [[Emma Gramatica]] che, poco più che ventenne, si trovò un giorno a viaggiare con lui in automobile a Palermo, e aveva paura di essere troppo ingombrante sul sedile. «''Vous êtes comme les anges, qui n'ont pas de derrière!''»<br>Qualcosa come mezzo secolo dev'esser trascorso da allora, ed Emma somiglia un po' meno a un angelo, ma grassa non la si può dire nemmeno adesso. La vita che mena, d'altronde, non lo consentirebbe di diventarlo. Alla sua età, ha girato per tre anni consecutivi, tutti i teatri dell'America del Sud, volando da Buenos Aires a Santiago, da Santiago a Lima, da Lima a Caracas, e recitando una sera in italiano e la sera dopo in spagnolo, lingua che, sino al momento di partire, ignorava totalmente. Ora è tornata per girare un film con [[Vittorio De Sica|De Sica]], e sono fatiche a cui molti giovani non resistono. *Il [[fascismo]] trovò, tra i suoi oppositori più accaniti, [[Mario Missiroli]], che si batté a duello con [[Benito Mussolini|Mussolini]]. Egli non credette alla [[forza]] e al successo delle «camicie nere» fino al [[giorno]] in cui, mentre cercava faticosamente di salire sul tram, uno squadrista che lo incalzava, dopo avergli inflitto una serie di spintoni, non gli ebbe affibbiato, in risposta alle sue proteste, due sonori schiaffi che gli fecero volar via gli occhiali cerchiati d'[[oro]]. Mario li raccolse con [[dignità]], vi fiatò sopra, li ripulì col fazzoletto e concluse in tono ammirativo: «Però!... Picchiano bene, veh!...» ==''Qui non riposano''== *{{NDR|Sulla [[guerra d'Etiopia]]}} Quella fu una guerra ideale, la guerra-tipo della borghesia italiana: con pochi morti e molte medaglie. Io presi a capirne la miseria solo all'ultimo capitolo: quando, per la marcia su Addis Abeba, cominciarono a piovere dall'Italia e da Asmara gerarchi e aspiranti gerarchi, smaniosi di gloria a buon mercato: e Badoglio dovette emanare un ordine per cui solo chi presentava "un biglietto di autorizzazione" poteva marciare sulla capitale nemica. Solo in tempo fascista si poteva escogitare un finale di guerra con un biglietto per la capitale nemica. (pp. 107-108) *Io non volevo far politica. Ha il diritto un uomo della strada di non far politica? Ha il diritto un uomo della strada a dire che il governo ha fatto bene a far questo e male a far quest'altro? Ha diritto un giornalista, che è un uomo della strada, il quale va a vedere e riferire le cose per conto degli altri uomini della strada, ha il diritto di riferire che i fatti si svolsero così e così, e che in essi c'era tanto il bello e tanto il brutto, tanto di giusto e tanto d'ingiusto? No, il [[fascismo]] disse che un uomo della strada non ha tutti questi diritti. Ecco perché diventai antifascista. Non perché al posto di [[Benito Mussolini|Mussolini]] ci volevo un altro, ma perché non ci volevo nessuno. Io volevo stare alla finestra, come stanno i giornalisti, mestiere di spettatore e non di attore.<ref>Citato in Paolo Granzotto, ''Indro Montanelli'', p. 92.</ref> (p. 189) *[...] volevo avere il diritto di non pensare alla [[politica]], di disinteressarmi della politica, perché la politica la gente dabbene non la fa. La gente dabbene lavora in ufficio, viaggia, commercia, produce, ama una donna che può anche essere sua moglie (come è il mio caso), ama i suoi figli, ama la sua casa, paga le tasse, e di politica ne parla un quarto d'ora al giorno. (p. 190) == ''Ricordi sott'odio'' == *''Non piangete | per | [[Cesare Zavattini]] | ha già pianto | lui per tutti noi.''<ref name=ricordi>Il libro raccoglie gli "epitaffi" scritti su personaggi al momento viventi (talvolta insieme a [[Leo Longanesi]]) e quasi tutti inediti.</ref> (p. IV dell'Introduzione di Marcello Staglieno) *''Qui | per la prima volta | [[Alida Valli]] | giace | sola''.<ref name=ricordi/> (p. 11) *''Qui | riposa | [[Amintore Fanfani]] | amico | dei nemici | nemico | degli amici | figlio | di [[Alcide De Gasperi|De Gasperi]] | padre | di nessuno.''<ref name=ricordi/> (p. 31) *''Qui | riposa | [[Mario Melloni]] | inquieto | transfugo | di sé stesso | momentaneamente | scomparso | a sinistra | in cerca | di una croce | su cui | inchiodarsi.''<ref name=ricordi/> (p. 65) *''Qui giace | Alba {{ndr|[[Alba de Céspedes]]}} | scrittrice scialba. | Divorò uomini e gloria | La Boria | la divorò''.<ref name=ricordi/> (p. 95) *''Qui | riposa | [[Mario Soldati]] | padre | figlio | autore | regista | interprete | di | Mario Soldati.''<ref name=ricordi/> (p. 123) *''Qui giace | [[Davide Lajolo]] | Segretario federale | Legionario di Spagna | Repubblichino di Salò | chiese | di passare all'anilina | la sua camicia nera. | E com'era | Rimase.''<ref name=ricordi/> (p. 179) *''In pace | qui giace | orbato | d'orbace | [[Achille Starace]].''<ref name=ricordi/> (p. 181) ==''Soltanto un giornalista''== *Da quando ho cominciato a pensare, ho pensato che sarei stato un giornalista. Non è stata una scelta. Non ho deciso nulla. Il giornalismo ha deciso per me. E questa è stata una delle mie tante fortune, posto che tutto quel che ho fatto lo debbo soprattutto a un alleato ch'è sempre rimasto al mio fianco: il caso. (p. 5) *Per sua disgrazia, [[Massimo Bontempelli|Bontempelli]] fu nominato accademico d'Italia da un fascismo che puzzava già di morto. Eletto senatore nelle liste del Fronte popolare dopo la guerra, non esitò a pronunziare giudizi brucianti su chi aveva collaborato col regime. Quel voltafaccia gli costò caro, perché a un certo punto saltarono fuori le lettere che aveva scritto a Mussolini per impetrare la sua nomina: i comunisti lo scaricarono e lui cadde in un tale stato di prostrazione da morirne. (p. 26) *A Salò ci fu di tutto. Ci furono le squadracce assetate di vendetta e di saccheggio che provocarono il disgusto agli stessi tedeschi. Ma anche uomini per i quali quello fu il banco di prova d'una coerenza e d'una lealtà che non possono non incuter rispetto. E l'unica ragione per la quale benedico le mie cosiddette benemerenze antifasciste è che mi han dato il diritto di difenderle. (p. 119) *Il 2 giugno del '46, giorno del referendum istituzionale, votai per la monarchia. Lo feci perché ritenevo fosse pericoloso recidere il tenue filo che legava l'Italia all'unica sua tradizione nazionale: quella monarchica, appunto. L'Italia non s'era "fatta da sé", come pretendeva la nostra storiografia ufficiale. Era stata fatta dalla monarchia sabauda guidata dal genio diplomatico d'un suo diplomatico, Cavour, che voleva estendere il Regno di Sardegna al Lombardo-Veneto. Se poi ci scappò fuori l'Italia, non fu grazie al contributo degl'italiani, che non ne diedero punto. Fu perché la storia dell'Europa andava verso la costituzione degli Stati nazionali, e condannava a morte quelli plurinazionali come l'Impero austriaco. [...] Al posto di quel patrimonio, sia pure modesto, cosa prometteva la Repubblica? Si presentava come depositaria dei valori della Resistenza, un mito ancora più falso di quello del Risorgimento. Che non era stata affatto, come pretendeva d'essere, la lotta d'un popolo in armi contro l'invasore, bensì una lotta fratricida tra i residuati fascisti della Repubblica di Salò e le forze partigiane, di cui l'80 per cento si batteva (quasi mai contro i tedeschi) sotto le bandiere d'un partito a sua volta al servizio d'una potenza straniera. (pp. 125-126) *Un'altra scelta s'era imposta, quella delle elezioni del '48. Per l'Italia era una scelta vitale: o con l'Est o con l'Ovest, ossia con i totalitarismi rossi oppure con le democrazie occidentali. Ergo, o con il Fronte popolare oppure con la Dc. E lì ebbe inizio il mio dramma, ch'è poi quello eterno del laico italiano: il quale, messo davanti al boia, vede comparire al suo fianco il prete che solo può salvarlo. (pp. 135-136) *Mi proposi due obiettivi, entrambi falliti: il primo era farmi intentare un processo dagli amministratori della città che attirasse l'attenzione sui pericoli che [[Venezia]] stava correndo. Il secondo era rendere pubblica la convinzione che m'ero formato: che per salvare Venezia la prima cosa da fare era sottrarla allo Stato italiano e affidarlo a un organismo internazionale come l'Onu, con le sue cospicue possibilità finanziarie e i suoi agguerriti uffici tecnici. [...] Il Comune di Venezia non aveva più nulla di veneziano, salvo la sede. A dominarlo erano gli elettori di Mestre e Marghera, che con quelli di Venezia si trovavano nella proporzione di tre a uno, e dalla loro avevano tutto: i soldi delle industrie, i sindacati e quindi anche i partiti. Decidendo di restare amministrativamente unita, Venezia ha preferito mettersi al rimorchio delle ciminiere e petroliere di Marghera, alle quali ha sacrificato il suo delicatissimo sistema idraulico. Fu allora che, con grande amarezza, feci atto di rinunzia a Venezia, convinto come ero, e come son rimasto, che una città si può salvare solo se sono i suoi abitanti a volerlo. (pp. 216-217) *Una sera, uscendo solo soletto dal «Giornale», mi trovai davanti il solito muro di folla tumultuante con le bandiere rosse spiegate. Dalla piazza si levò un urlo: «Tel chi el Muntanel!». In un attimo cinquanta scalmanati mi s'avventarono contro. Temendo il linciaggio, arretrai fino a trovarmi con le spalle al muro. Ma non feci in tempo a dire be' che mi ritrovai issato in spalla a una mezza dozzina d'energumeni, fra salve d'evviva. Erano i tifosi del [[Torino Football Club|Torino]] che quel giorno {{NDR|16 maggio 1976}} aveva vinto lo scudetto, e le bandiere non eran rosse, ma granata. E siccome i cronisti sportivi del «Giornale» erano sempre stati favorevoli al Torino, m'acclamavano come un loro idolo. (p. 241) *La Dc era il partito dei maneggi e dell'inefficienze. Ma se avesse perso il 4 o il 5 per cento dei suoi voti, il partito di maggioranza relativa destinato a formare il nuovo governo sarebbe diventato quello comunista. Ch'era ancora molto pericoloso. Perché è vero che in Italia c'era Berlinguer, ma io sapevo bene che col comunismo d'allora poteva ancora succedere di tutto: bastava un cambiamento al vertice e un Berlinguer poteva diventare un [[Alexander Dubček|Dubček]] come un [[Walter Ulbricht|Ulbricht]]. Il «Giornale» era certamente laico, ma prima di essere laico era italiano, e cercava d'operare con qualche senso di responsabilità. E negli anni Settanta solo gl'irresponsabili potevano augurarsi il crollo della Dc, cui eravamo condannati anche perché la cosiddetta Alleanza laica, l'accordo fra Pli, Pri e Psdi, non sortì mai i numeri per sostituirvisi. (pp. 243-244) *Ci fu un'unica battaglia sulla quale il «Giornale» si trovò allineato con Craxi e il nostro editore: quello per la libertà d'antenna. Battaglia sacrosanta. Berlusconi è tutt'altro che un idealista disinteressato e nessuno sa agire come lui aggirando, quando non calpestando, le regole. Ma i panni nobili coi quali i difensori della Rai rivestivano la loro offensiva politico-giudiziaria erano grotteschi. Se il peccato di Berlusconi stava nell'essere troppo amico del Psi, quello della Rai era d'essere troppo amica di tutti i partiti. A fornirci il destro furono poi i pretori coi loro interventi oscurantisti, peraltro prontamente sventati dai decreti di Craxi. E quindi la crociata dell'etere libero, che rientrava fra l'altro nella nostra tradizione antistatalista, divenne una campagna contro il "pretore selvaggio", che con i suoi abusi toglieva ogni certezza del diritto al cittadino. (pp. 275-276) *Le vere novità erano nate fuori dal Palazzo: come la Lega di [[Umberto Bossi]]. Che all'inizio anche il «Giornale», come molti altri, sottovalutò. Come si faceva a prender sul serio un invasato che nutriva le sue invettive di sfondoni storici e grammaticali da far accapponare la pelle? [...] Che Roma fosse ladrona, era indubitabile. E l'avversione per la burocrazia parassitaria e per il meridionalismo piagnone e sprecone andava a nozze con le tradizioni del «Giornale». Bossi quindi incarnava un sentimento molto diffuso anche fra i nostri lettori, una protesta genuinamente qualunquista che, per certi versi, all'inizio anche noi appoggiammo. Ma dovemmo prenderne le distanze quando Bossi cominciò a condire le sue contumelie contro il Palazzo con propositi secessionisti. (pp. 279-280) *Con Berlusconi, tuttavia, poi feci pace. Fu lui a telefonarmi: forse, aveva captato in qualche mio articolo un'ombra di rimpianto per il vecchio amico. Era il '96 e dopo il ribaltone le cose per lui si mettevano di male in peggio. [...] Così, una sera mi ritrovai di nuovo seduto alla sua mensa ad Arcore. [...] Riparlammo senza rancore dei nostri trascorsi. Gli domandai quale garanzia avesse ricevuto da [[Massimo D'Alema|D'Alema]] sulle sue aziende in cambio dell'opposizione inesistente che gli assicurava. Rise. «Ma perché, ora che hai sistemato i tuoi affari, non ti chiami fuori dalla politica?» gli chiesi. «È una parola» mi rispose rabbuiandosi. «I giudici non obbediscono neppure a D'Alema». E lì capii quale era, ormai, la vera sostanza del suo dramma. (p. 312) *Se anch'io sono diventato europeista, è per disperazione: l'Europa è forse l'unica possibilità di sopravvivere per noi italiani, che come italiani non siamo riusciti a vivere. Questo è sempre stato l'europeismo degl'italiani di più alta coscienza, a partire da [[Alcide De Gasperi|De Gasperi]], che fu il primo a capire i rischi d'un Italia lasciata in balìa degl'italiani. (p. 315) *Pur fra tante fortune, purtroppo a me la sorte ha riservato di portarmi nella tomba le due cose che ho più amato: il mio mestiere e il mio Paese. Che cosa sia diventato il primo, annientato da computer e televisione, è sotto gli occhi di tutti. Quanto al secondo, la cancrena è ormai inarrestabile e la decomposizione sta avvenendo per dissoluzione di quel poco che resta dello Stato. E dico decomposizione, non secessione. La secessione si fa anche con la violenza, e dove lo troviamo oggi un solo plotone di soldati disposto a imbracciare le armi pro o contro l'Unità dello Stato? Che, se resta ancora in piedi, è solo perché non ha neppure la forza di cadere. Quello di rinunziare alla nazione poi, è un sacrificio che non saprei compiere, anche se razionalmente mi rendessi conto ch'è necessario, oppure inevitabile. E ringrazio l'anagrafe che mi esclude dal problema. (p. 316) ==''Storia d'Italia''== {{vedi anche|Indro Montanelli e Roberto Gervaso|Indro Montanelli e Mario Cervi}} ===''L'Italia giacobina e carbonara''=== *I [[cinismo|cinici]] sono tutti moralisti, e spietati per giunta. (cap. 10, p. 144) *[[Francesco Melzi d'Eril|Melzi]] apparteneva a una delle più grandi famiglie dell'aristocrazia lombarda, e ne portava nel sangue le doti migliori: la rettitudine, la cultura, la cortesia, ma anche una certa alterigia, che probabilmente gli veniva dalla madre spagnola. (cap. 11, p. 152) *{{NDR|Francesco Melzi d'Eril}} Aveva fatto parte dei circoli illuministici dei Serbelloni, dei Beccaria e di Pietro Verri, di cui era anche cognato. [[Napoleone Bonaparte|Napoleone]] lo aveva conosciuto al tempo della sua prima campagna d'Italia, dopo la battaglia di Lodi lo aveva invitato a Mombello, e ne aveva fatto il proprio consigliere. Quel signore che portava ancora il costume settecentesco, le calze bianche e la parrucca incipriata, gli piaceva. Gli piaceva perché non era servile, perché non era venale, perché non era nemmeno ambizioso. Una leggera sordità e una salute piuttosto precaria, insidiata da un forte artritismo, l'obbligavano a riguardi incompatibili con l'esercizio del potere. Più che il protagonista, preferiva fare il suggeritore. (cap. 11, p. 152) *L'unico che avesse qualità di uomo di Stato era il ministro delle finanze, [[Giuseppe Prina|Prina]], anche perché era piemontese, cioè veniva da un paese che uno Stato lo era da secoli. Ex procuratore generale della Corte dei Conti di Torino e membro del governo provvisorio del '99<ref>1799.</ref>, si era poi trasferito nella [[Repubblica Cisalpina|Cisalpina]] e ne aveva preso la cittadinanza. Non aveva un carattere che attirasse simpatie. Anzi, chiuso e freddo com'era, le respingeva. Ma era un lavoratore instancabile e scrupoloso, dotato di un acuto senso politico e – diceva [[Stendhal]] – "ha del grande in testa". (cap. 12, p. 164) *Perché non andassero perse neanche le briciole {{NDR|delle entrate della Repubblica Cisalpina}}, Prina riformò tutto il sistema fiscale riducendone il personale e facendone una macchina di straordinaria efficienza. Fu lui a inventare la "tassa di famiglia", o meglio a ripristinarla, perché la sua vera iniziatrice era stata [[Maria Teresa d'Austria|Maria Teresa]]. Ma la maggior pressione la esercitò nel campo delle imposte indirette che colpivano tutti i consumi senza distinguere fra quelli di lusso e quelli di prima necessità. Naturalmente a farne le spese furono soprattutto le classi popolari, che di lì a pochi anni gliel'avrebbero fatta pagare<ref>Prina, dopo l'abdicazione di Napoleone, fu linciato dalla folla a Milano il 20 aprile 1814.</ref>. Ma con questi sistemi riuscì a portare le entrate da settanta a oltre cento milioni e a pareggiare il bilancio. (cap. 12, p. 165) *[[Carlo II di Parma|Carlo Ludovico]] era stato talmente oppresso dalla madre<ref>Maria Luisa di Borbone-Spagna (1782–1824).</ref> che sognava di disfare tutto ciò ch'essa aveva fatto, compreso il proprio matrimonio; e quando le successe nel '24<ref>Come duca di Lucca nel 1824.</ref>, introdusse anche per buona fortuna dei lucchesi, metodi di governo diametralmente opposti a quelli di lei. Ridusse l'appannaggio che Maria Luisa esigeva per alimentare i suoi fasti spagnoli, liberalizzò i commerci, e alla fine si convertì addirittura al luteranesimo, mentre sua moglie diventava Terziaria domenicana. Fu un cattivo marito, ma non un cattivo sovrano. E Lucca, sotto di lui, respirò. (cap. 25, p. 375) *[...], {{NDR|la [[Carboneria]]}} non fu certo una scuola di educazione politica, e probabilmente è anche al suo esempio e modello che sono dovute le malformazioni della nostra democrazia e la sua intrinseca debolezza. Figli e nipoti dei Carbonari furono quei "notabili" che governarono l'Italia fino alla prima guerra mondiale e che, insieme a innegabili virtù, ebbero anche il vizio di considerare il Paese una "clientela" di Apprendisti esclusi dai "sacri travagli". (cap. 26, p. 395) *Fu qui {{NDR|al Teatro alla Scala}} che {{NDR|[[Ugo Foscolo]]}} vide [[Antonietta Fagnani Arese]], già famosa a ventitré anni non soltanto per la sua bellezza, ma anche per lo sfruttamento intensivo che ne aveva fatto. Probabilmente era una frigida, ma che sapeva recitare la sua parte: tutti i giovani più in vista di Milano cadevano nelle reti di questa Circe, e forse fu anche questo a stimolarlo. (cap. 35, p. 510) *Misto di genio e di ciarlatano, [[Domenico Barbaja|Barbaja]] aveva debuttato come sguattero, aveva fatti primi soldi inventando un dolce di panna e cioccolato, la "barbajada", li aveva moltiplicati con la gestione del Ridotto da giuoco della Scala, e ormai tanti ne aveva che quando il San Carlo andò distrutto da un incendio, lo ricostruì a proprie spese. (cap. 39, pp. 608-609) *{{NDR|Domenico Barbaja}} Era semianalfabeta, e di musica non conosceva una nota, ma conosceva il pubblico, era un infallibile scopritore di talenti, e nel 1815 si assicurò quello di un compositore ventitreenne, in cui già aveva identificato la figura più rappresentativa della lirica contemporanea: [[Gioacchino Rossini]]. (cap. 39, p. 609) *{{NDR|[[Ciro Menotti]]}} Uomo onesto, ma di un candore che sconfinava nella sprovvedutezza, [...]. (cap. 40, p. 635) ===''L'Italia del Risorgimento''=== *{{NDR|[[Giuseppe Mazzini]]}} Due mesi d'intenso lavoro gli bastarono a maturare il piano. Più che una setta, la sua organizzazione sarebbe stata un vero e proprio partito, anche se clandestino, senza l'oscura simbologia e i complicati rituali carbonari. Si sarebbe chiamata ''[[Giovine Italia]]'' e lo sarebbe stata anche di fatto perché, salvo casi eccezionali, era preclusa a chi avesse superato i quarant'anni di età. (cap. 4, pp. 54-55) *D'irresolutezza, [[Carlo Alberto di Savoia|Carlo Alberto]] aveva dato prova anche prima di salire sul trono, e lo aveva dimostrato anche il suo contraddittorio atteggiamento nel '21<ref>Nei moti piemontesi del 1821, Carlo Alberto aveva prima dato e poi ritirato il suo appoggio ai congiurati.</ref>. Il coraggio e la volontà non gli mancavano; ma gli mancava il carattere. Nella guerra di Spagna era stato un valoroso combattente<ref>Nel 1823, Carlo Alberto aveva partecipato alla campagna militare per ristabilire l'assolutismo regio in Spagna.</ref>, e la disciplina a cui si sottoponeva era spartana. Ma le responsabilità morali lo sgomentavano. (cap. 9, pp. 135-136) *{{NDR|Carlo Alberto}} Non era né intelligente né colto. Ma certi movimenti di opinione pubblica e orientamenti di pensiero li coglieva e ne restava influenzato. Nel '38 aveva mandato in galera e poi in esilio [[Vincenzo Gioberti|Gioberti]], ma nel '43 ne leggeva con interesse il ''Primato''. Se [[Massimo d'Azeglio|D'Azeglio]] avesse scritto il suo libro<ref>''Degli ultimi casi di Romagna'' (1846).</ref> due anni prima, avrebbe mandato in esilio anche lui. Ora in pratica ne aveva fatto una specie di agente segreto. I tempi insomma li sentiva e con essi andava. (cap. 9, p. 136) *Questo grande soldato {{NDR|[[Josef Radetzky]]}} non aveva mai conosciuto sconfitte, e a ottant'anni suonati conservava intatte prestanza fisica ed energia morale. Come tutti i militari, credeva soltanto nella spada e nella disciplina. Ma non somigliava affatto all'immagine che di lui ci ha tramandato la storiografia risorgimentale: quella del crudele "impiccatore", del caporalaccio ottuso, grossolano e brutale. Era al contrario un grande signore, di tratto ruvido ma generoso, perpetuamente alle prese con problemi di bilancio perché aveva le mani bucate. (cap. 13, p. 194) *{{NDR|Radetzky}} Aveva sposato una Contessa austriaca che viveva a Vienna e gli aveva dato otto figli da cui non gli venivano che dispiaceri. Uno militava ai suoi ordini lì a Milano, ma era un così cattivo arnese che un prete un giorno lo schiaffeggio per strada. Radetzky mandò a chiamare il prete, gli strinse la mano e gli disse: "''{{sic|Crazzie}}''". Per amante si era presa una brava stiratrice lombarda che sapeva cucinare bene gli gnocchi, di cui era ghiottissimo, e dalla quale ebbe altri quattro figli. Non era affatto un odiatore degl'italiani: tant'è vero che, quando andò in pensione, rimase a Milano, e lì morì nel '58. Era soltanto un fedele servitore del suo Paese, di cui non discuteva la causa. E soprattutto era un vecchio lupo di guerra coraggioso, astuto e risoluto. (cap. 13, p. 195) *La notizia si diffuse prima ancora che lo [[Statuto Albertino|Statuto]] fosse firmato, e in un battibaleno le piazze di Torino, eppoi di tutto il Piemonte, eppoi di tutto il Reame, si riempirono di folla esultante. Essa non conosceva il contenuto del documento che introduceva, sì, un regime rappresentativo, ma circondandolo delle maggiori cautele [...]. Più che del suo contenuto, la pubblica opinione era innamorata della parola ''Costituzione'', che aveva finito, per assumere ai suoi occhi magici significati, e la salutava con luminarie, canti e bandiere. (cap. 14, p. 218) *[...] [[Francesco Anzani|Anzani]], il più serio e autorevole degli esuli italiani, che aveva combattuto per la libertà in Grecia e in Spagna. Le sue parole avevano gran peso anche perché fra tutti quei chiacchieroni, ne pronunziava poche. (cap. 18, p. 281) *[...] [[Giuseppe Montanelli|Montanelli]] era così infatuato {{NDR|del progetto di Costituente italiana}} e tanto ne parlava nei suoi discorsi che il popolino – dicono – finì per credere che la Costituente fosse il nome di sua moglie. (cap. 19, p. 298) *[[Pellegrino Rossi|Rossi]] era un toscano della Lunigiana, ma solo all'anagrafe. Come formazione e mentalità, apparteneva ancora a quel tipo di {{sic|apòlidi}} che l'Italia del Settecento sfornava doviziosamente e che, non trovando in patria un terreno per i loro talenti, andavano da mercenari a investirli all'estero. Professore d'Università a poco più di vent'anni, poi commissario di [[Gioacchino Murat|Murat]] al tempo del suo infelice tentativo di unificare l'Italia sotto il suo scettro, era l'unico cattolico cui l'Accademia calvinista di Ginevra avesse mai affidato una cattedra. (cap. 19, p. 301) *{{NDR|Pellegrino Rossi}} Fu sin dal principio un fautore di [[Papa Pio IX|Pio IX]] fino a partecipare di persona alle manifestazioni popolari in suo favore, ma vide subito la pochezza e ambiguità dell'uomo e ne denunziò i pericoli. (cap. 19, pp. 302-303) *Sebbene gli avessero affidato pieni poteri, [[Daniele Manin|Manin]] era un uomo discusso. Molti lo consideravano un malaccorto maneggione, un improvvisatore digiuno di problemi economici e militari, bravo soltanto ad attribuirsi i meriti degli altri. Secondo [[Niccolò Tommaseo|Tommaseo]], ch'era fra i suoi più insidiosi diffamatori, il potere gli aveva dato "una scossa da intorbidargli la mente e far più grave e manifesta la sua inesperienza". (cap. 23, p. 354) *{{NDR|Daniele Manin}} Intellettualmente, non era al livello di un [[Giuseppe Mazzini|Mazzini]] o di un [[Carlo Cattaneo|Cattaneo]]. Ma era, come loro, inattaccabile sul piano morale. E, in mancanza di un vero e proprio potere carismatico, esercitava sulle folle un notevole fascino per la sua gioviale e arguta "venezianità". Parlava sempre in dialetto con battute raccattate sulla bocca dei gondolieri, e anche nel dramma portava un pizzico di [[Carlo Goldoni|Goldoni]]. I suoi limiti li conosceva, e non è vero che l'autorità gli avesse dato alla testa, come diceva Tommaseo che diceva male di tutti. Anzi la esercitava bonariamente e cercava di circondarsi di uomini validi che sopperissero alla sua incompetenza. (cap. 23, pp. 354-355) *Eran trascorsi pochi mesi {{NDR|dal suo matrimonio con Vittorio Emanuele}}, che [[Maria Adelaide d'Asburgo-Lorena|Maria Adelaide]] lo sorprendeva nel giardino di Moncalieri con una diva del teatro, Laura Bon, ma si guardò dal farne un dramma. Perfettamente educata al mestiere di Regina, essa sapeva che la rassegnazione alle infedeltà ne è parte imprescindibile, e le sopportò sempre con garbo e dignità. (cap. 25, p. 390) *Sfruttando la devozione di Carlo Alberto, [[Clemente Solaro della Margarita|Solaro della Margarita]] aveva regolato i rapporti con la Chiesa in modo tale da fare del clero piemontese il più potente d'Italia dopo quello dello [[Stato Pontificio|Stato pontificio]]. Esso aveva ancora i suoi tribunali in concorrenza con quelli dello Stato e poteva concedere il diritto d'asilo ai delinquenti. (cap. 26, p. 410) *[...] {{NDR|Giuseppe}} Montanelli, gran galantuomo e ricco d'ingegno, non lo era altrettanto di carattere. Idee ne aveva, anzi ne aveva troppe; ma, facilmente suggestionabile, finiva sempre per adottare quelle dell'ambiente in cui viveva. (cap. 29, pp. 464-465) *Il primo a trarne le conclusioni {{NDR|dalle tesi favorevoli alla monarchia piemontese esposte nel libro di [[Vincenzo Gioberti|Gioberti]] ''Del rinnovamento civile d'Italia''}} fu [[Giorgio Pallavicino Trivulzio|Pallavicino]], l'ex prigioniero dello Spielberg, da un pezzo rifugiato a Torino. Di scarso cervello politico, impetuoso fino alla leggerezza, teatrale e un po' troppo portato a ostentare i suoi titoli di "martire", aveva fino allora militato sotto bandiera rivoluzionaria. (cap. 32, p. 514) *{{NDR|Tra i Mille di Garibaldi}} C'era il malinconico ex prete [[Giuseppe Sirtori|Sirtori]], che della guerra aveva fatto una mistica e sul campo sembrava che officiasse. (cap. 40, p. 635) ===''L'Italia dei notabili''=== *La [[Convenzione di settembre|Convenzione]], che fu detta "di Settembre" dal mese in cui venne concordata, si componeva di cinque articoli e stabiliva: che l'Italia rinunziava ad ogni atto di ostilità contro il territorio pontificio; che la Francia ne avrebbe ritirato le sue truppe via via che il governo del Papa le avesse rimpiazzate con volontari indigeni e stranieri, e comunque entro due anni; e che questo doppio impegno sarebbe entrato in vigore dal momento in cui il governo italiano avesse decretato il trasferimento della capitale da operarsi nello spazio di sei mesi. (Capitolo quinto, Firenze capitale, p. 76) *Gli sventramenti che furono operati {{NDR|a Firenze, nuova capitale del Regno d'Italia}} per alloggiare i Ministeri e i nuovi quartieri che sorsero alla periferia per ospitare i venticinque o trentamila impiegati che calarono da Torino, lasciarono la città orrendamente sfregiata e carica di debiti. (Capitolo quinto, Firenze capitale, p. 78) *{{NDR|[[Carmine Crocco]]}} [...] condannato per diserzione a vent'anni di carcere, ne era evaso, si era dato alla macchia, e in poco tempo era diventato il più temuto e rispettato capobanda della [[Basilicata|Lucania]] non soltanto per il suo coraggio, ma anche per la sua intelligenza di guerrigliero.</br>[...] Crocco venne riconosciuto Generalissimo non solo per l'autorità che gli conferivano le sue gesta, ma anche, perché, sebbene mezzo analfabeta, possedeva un'oratoria immaginosa e apocalittica. (Capitolo sesto, I briganti, pp. 85-89) *{{NDR|[[Giustino Fortunato]]}} [...] il più grande e illuminato studioso del Meridione. (Capitolo sesto, I briganti, p. 86) *Figlio di un fabbro e medico di professione, [[Giovanni Lanza|Lanza]] incarnava, nella Destra piemontese tradizionalmente formata da nobili, militari e grandi borghesi, un tipo umano del tutto insolito: il nuovo piccolo ceto medio, spartano e puritano, formatosi nelle scuole serali e nell'Università popolare. (Capitolo nono, Gli anni della lesina, p. 133) *L'esercito papalino era un'accozzaglia di mercenari delle più svariate nazionalità (c'erano perfino dei turchi). [...] circa 15.000 uomini, al comando del generale [[Hermann Kanzler|Kanzler]]. Compito gentiluomo, ligio al Regolamento come lo era al Catechismo, questi aveva tuttavia un concetto tedesco dell'onore militare e avrebbe preferito una sconfitta a una resa. Ma {{NDR|Il segretario di Stato}} Antonelli non era di questa opinione. Gli ordinò di ritirare le truppe {{NDR|pontificie}} dentro le mura e di limitarsi a un simulacro di resistenza. (Capitolo decimo, Porta Pia, pp. 141-142) *{{NDR|La duchessa [[Eugenia Attendolo Bolognini Litta|Eugenia Litta]]}} Durante la campagna del '59<ref>Seconda guerra d'indipendenza italiana.</ref> era stata il riposo del guerriero più famoso e importante: [[Napoleone III di Francia|Napoleone III]]. E secondo le malelingue era passata subito dopo in eredità a [[Vittorio Emanuele II di Savoia|Vittorio Emanuele]], che però era il meno adatto ad apprezzare la sua vita di vespa, le sue carni pallide e i suoi raffinatissimi gusti. [[Honoré de Balzac|Balzac]] le aveva reso omaggio. [[Arrigo Boito|Boito]] seguitava a rendergliene. [[Gabriele D'Annunzio|D'Annunzio]] dirà ch'essa "aveva rubato il segreto a Ninon de Lenclos<ref>Scrittrice, cortigiana ed epistolografa francese (1620–1705).</ref>". Insomma come iniziatrice all'amore, il giovane principe {{NDR|il futuro [[Umberto I di Savoia|Umberto I]]}} non poteva desiderarne una più fascinosa ed esperta. Lo fu al punto che, nonostante la differenza d'età, egli le rimase devoto – anche se non fedele – fino alla fine dei suoi giorni. (Capitolo quattordicesimo, Il marito di Margherita, p. 196) *{{NDR|[[Margherita di Savoia]]}} [...] era una vera e seria professionista del trono, e gl'italiani lo sentirono. Essi compresero che, anche se non avessero avuto un gran Re, avrebbero avuto una grande Regina. (Capitolo quattordicesimo, Il marito di Margherita, p. 197) *Il trattato {{NDR|della [[Triplice alleanza (1882)|Triplice alleanza]]}} fu firmato a Vienna nel maggio dell'82<ref>20 maggio 1882.</ref>. Esso impegnava le tre Potenze al reciproco aiuto nel caso in cui una fosse aggredita e alla benevola neutralità nel caso che aggredisse. Inoltre Austria e Germania dichiaravano di disinteressarsi del problema del Papa, considerandolo un affare interno italiano.<br>Quest'ultima clausola fu, insieme alla fine dell'isolamento, il grande vantaggio che l'Italia trasse dal patto, ma nient'altro. Essa non vi era entrata su un piede di parità con le consocie. Aveva semplicemente acceduto all'alleanza che già legava le altre due, le quali restavano per così dire le padrone di casa, e Bismarck non perse occasione di farcelo sentire. (Capitolo diciannovesimo, La Triplice, pp. 276-277) *L'unico Stato che ruppe le relazioni con quello italiano in seguito a [[Presa di Roma|Porta Pia]] fu l'Ecuador. Mai la Chiesa si era trovata in condizioni di più completo isolamento. (Capitolo ventitreesimo, I cattolici, p. 334) *Sindaco di Palermo a ventisette anni, {{NDR|[[Antonio Starabba, marchese di Rudinì|il marchese di Rudinì]]}} aveva affrontato con molto coraggio la rivolta che vi era scoppiata nel '66, e questo lo aveva accreditato come il fanciullo-prodigio del moderatismo, destinato a gloriose imprese. Ma, diceva De Sanctis, col passare del tempo, il prodigio dileguò e rimase solo il fanciullo. Ministro degl'Interni a trent'anni in uno dei governi Menabrea, la sua carriera si era fermata lì. Pure, la fama di "uomo forte" gli era rimasta addosso, suffragata anche dalla sua alta statura, dai lampeggiamenti del monocolo, dalla fluente barba, dalla nobilesca alterigia. Idee, non ne aveva. Ma aveva delle impennate che facevano credere alla sua risolutezza. E questo, in una Destra impoverita di personalità di rilevo, gli era bastato per guadagnarsi i galloni di capo. (Capitolo ventiquattresimo, Giolitti, pp. 348-349) *In realtà, del soldato, [[Oreste Baratieri|Baratieri]] non aveva neanche il fisico. Grasso e sgraziato, con gli occhiali a ''pince-nez'', sembrava molto più vecchio dei suoi cinquant'anni e costruito più per la cattedra che per l'elmo. (Capitolo ventisettesimo, Adua, p. 391) *{{NDR|Dopo le dimissioni del generale [[Luigi Pelloux|Pelloux]]}} A succedergli il Re chiamò il Presidente del Senato [[Giuseppe Saracco|Saracco]], un galantuomo ch'era riuscito a conservare intatta la sua reputazione di democratico pur essendo stato due volte Ministro nei governi di Crispi. Aveva quasi ottant'anni, ma conservava una notevole lucidità di cervello, e ne dette prova formando un governo di coalizione che includeva un po' tutte le forze, meno l'Estrema cui diede tuttavia soddisfazione chiamando parecchi suoi uomini nella commissione incaricata di studiare un nuovo regolamento parlamentare che, senza intaccare la libertà di discussione, impedisse l'ostruzionismo, o per meglio dire lo regolasse. (Capitolo ventottesimo, I cannoni di Bava Beccaris, p. 417) ===''L'Italia di Giolitti''=== *Si è detto che {{NDR|[[Egidio Osio]]}} plagiò il suo pupillo {{NDR|il principe ereditario, futuro re [[Vittorio Emanuele III di Savoia|Vittorio Emanuele III]]}} e ne lesionò definitivamente il carattere terrorizzandolo e mortificandone gli slanci. Si è detto che anche sul suo fisico ebbe pessima influenza costringendolo a penosi e logoranti sforzi. Si è detto che furono i suoi metodi repressivi a creare nel Principe quei complessi d'inferiorità da cui fu sempre afflitto, a traumatizzarlo, a inaridirlo, a riempirne l'animo di sordi rancori.<br>Ma se non proprio di falsità, si tratta di verità contraffatte. (cap. I, Il nuovo Re, p. 15) *Militare dalla testa ai piedi, Osio era un uomo duro, imperioso, abituato al comando. [...] Ma era anche un gran signore, perfetto uomo di mondo, e nutrito di buone letture. Sebbene la sua carriera potesse esserne notevolmente avvantaggiata, esitò molto ad accettare l'incarico {{NDR|di tutore del principe ereditario}}, vi si risolse solo dietro garanzia che nemmeno i genitori avrebbero più interferito nell'educazione del ragazzo, di cui egli diventava unico e assoluto responsabile, e al termine della sua missione non beneficiò di nessuno "scatto di grado". (cap. I, Il nuovo Re, pp. 15-16) *[[Elena del Montenegro|Elena]], che da ragazza dipingeva, suonava il violino, componeva poesie come suo padre<ref>Nicola I del Montenegro.</ref>, e amava il tennis e la danza, rinunziò a questi passatempi appena vide che lui {{NDR|il futuro Vittorio Emanuele III}} li detestava, anzi adottò come ''hobbies'' quelli di lui: la numismatica e l'archeologia. Per il resto fu soltanto una donna di casa, come lo era stata a Cettigne<ref>Capitale del Regno del Montenegro.</ref>. Sapendolo insofferente dei camerieri, era lei che lo serviva a tavola, e per farsi i vestiti si prese in casa una sartina. (cap. I, Il nuovo Re, p. 27) *[[Filippo Meda|Meda]] era un avvocato milanese di spirito pratico, che considerava l'astensione dal voto {{NDR|dei cattolici}} un dovere da osservare finché il Papa lo imponeva, ma un grosso errore strategico di cui occorreva sollecitare la revoca. Lo Stato liberale, diceva, c'è e va accettato. Va soltanto salvato dalle sue tentazioni autoritarie e giacobine. E questo i cattolici possono farlo soltanto inserendocisi e riformandolo in modo da tenerlo al riparo dai pericoli d'involuzione. Lo Stato cioè per lui era un "peccatore da salvare". (cap. IV, Cattolici e socialisti, p. 72) *[...] [[Romolo Murri|Murri]] era un giovane sacerdote marchigiano, che aveva conosciuto la povertà e nel Vangelo vedeva soprattutto un messaggio giustizialista. Introverso e malinconico come tutti i fanatici, egli si considerava molto più "avanzato" di Meda per il carattere rivoluzionario che intendeva imprimere al movimento {{NDR|cattolico}}. In realtà era un uomo del ''[[Sillabo]]'' che, pur partendo anche lui dall'accettazione dello Stato unitario, intendeva tramutarlo in una [[teocrazia]] egalitaria e totalitaria, sul tipo di quella che i Gesuiti avevano fondato un paio di secoli prima nel Paraguay. Se a ispirarlo fosse più l'amore del povero o l'odio del ricco, non sappiamo. (cap. IV, Cattolici e socialisti, pp. 72-73) *Meda e Murri furono dapprincipio alleati. Entrambi volevano un grande partito, popolare indipendente dalla Chiesa. Ma Meda lo concepiva come lo sviluppo della organizzazione tradizionale, cioè dell'''Opera''<ref>"Opera dei congressi e dei comitati cattolici", spesso abbreviata in "Opera dei congressi", organizzazione cattolica italiana, sciolta nel 1904.</ref>, una volta strappatala alla vecchia guardia, mentre Murri lo vedeva come un organismo nuovo, un "Fascio", come quelli che pochi anni prima avevano messo a soqquadro e insanguinato la Sicilia. (cap. IV, Cattolici e socialisti, p. 73) *Lo [[Sciopero generale del 1904|sciopero {{NDR|generale del 1904}}]] [...] non fu un fallimento, ma non fu nemmeno un successo perché si esaurì spontaneamente, e il suo più consistente risultato fu la spaccatura delle forze operaie. Lo si vide pochi mesi dopo, quando i sindacalisti bandirono un altro sciopero, quello delle ferrovie, da cui i sindacalisti uscirono demoralizzati e con la truppa dimezzata. (cap. IV, Cattolici e socialisti, p. 85) *[[Alessandro Fortis|Fortis]] era un tipico notabile romagnolo di lungo e contradditorio corso ideologico. Aveva debuttato come repubblicano intransigente, era andato in galera per complotto rivoluzionario con gli anarchici, poi era stato conquistato da [[Francesco Crispi|Crispi]], era finito {{sic|Ministro}} di [[Luigi Pelloux|Pelloux]], e ora militava sotto la bandiera di [[Giovanni Giolitti|Giolitti]]. Come "trasformista", era tra i più qualificati. Ma questa pecca era abbondantemente compensata dai suoi doni di simpatia umana e da una grande esperienza parlamentare. (cap. VI, Il suffragio universale, p. 107) *Quando [[Enrico Corradini|Corradini]] applicò il vocabolario socialista alla Nazione parlando di una "Italia proletaria" in lotta contro le plutocrazie occidentali, e lanciò l'idea di un "imperialismo operaio" da contrapporre a quello capitalistico, riscosse in campo sindacalista vasti consensi e pose le premesse di un pasticcio ideologico in cui Mussolini avrebbe di lì a poco guazzato. (cap. VII, "Tripoli bel suol d'amore", p. 137) *{{NDR|Giolitti}} Più che la Libia, voleva la [[Guerra italo-turca|guerra]], o meglio qualcosa che desse finalmente agl'italiani l'impressione di farne una e di vincerla. (cap. VII, "Tripoli bel suol d'amore", p. 145) *[...] a Vienna l'imperatore Francesco Giuseppe aveva dovuto intervenire di persona per fermare la mano al Capo di Stato Maggiore [[Franz Conrad von Hötzendorf|Conrad]] che voleva una spedizione punitiva contro l'Italia, ora ch'era impegnata in Africa {{NDR|nella guerra di Libia}}, per metterla in ginocchio "prima che avesse il tempo di perpetrare altri tradimenti". (cap. VII, "Tripoli bel suol d'amore", pp. 149-150) *Non si è mai saputo con certezza come si svolse l'operazione {{NDR|del [[patto Gentiloni]]}} che, ben s'intende, doveva restare segretissima. Giolitti negò sempre di avervi partecipato, e infatti d'impronte digitali non ve ne lasciò. Fu probabilmente senza le sue credenziali, ma certamente non senza il suo beneplacito che qualche esponente liberale prese contatto coi cattolici. Questi avevano una "unione elettorale" di cui era Presidente un Conte marchigiano, [[Vincenzo Ottorino Gentiloni|Gentiloni]], politico abile, ma vanesio e chiacchierone. Egli s'impegnò a mobilitare il voto cattolico in favore dei candidati liberali dovunque questi fossero minacciati dalla Estrema Sinistra; e i liberali s'impegnarono a difendere la parificazione delle scuole confessionali a quelle dello Stato, a ripristinare in queste ultime l'istruzione religiosa, a respingere l'introduzione del divorzio, e – pare – a combattere la Massoneria. (cap. VIII, Il crepuscolo degli dei, p. 163) *Se [[Gaetano Salvemini|Salvemini]] incarnava lo spirito protestatario e la sete giustizialista delle plebi meridionali, [[Antonio Salandra|Salandra]] incarnava lo spirito autoritario e conservatore della borghesia terriera. Proveniva da una famiglia di notabili pugliesi con parecchia roba al sole, e alla politica era approdato dalla cattedra universitaria, di cui conservava molti caratteri: una notevole cultura e finezza intellettuale, ma anche un compassato distacco che rasentava la freddezza. Prima di affrontare un problema lo studiava minuziosamente, e nessuno sapeva prospettarlo con più chiarezza di lui. (cap. IX, Sarajevo, p. 168) *[[Paolo Boselli]] {{NDR|incaricato nel 1916 di formare il nuovo governo dopo le dimissioni di Antonio Salandra}}, che fu chiamato a presiederlo, possedeva tutti i requisiti, meno quelli che occorrono per guidare un Paese in guerra. Deputato ligure da parecchie legislature, era stato varie volte Ministro con Crispi, Pelloux e Sonnino, ma nessuno se n'era accorto. [...]. Passava per un esperto di questioni economiche, e moralmente era un personaggio di tutto rispetto. Ma politicamente era scolorito, e per di più aveva quasi ottant'anni. (cap. XVI, La caduta di Salandra, pp. 293-294) *Quanto [[Luigi Cadorna|Cadorna]] era solitario, monacale ruvido e chiuso in un giro di valori e d'idee tradizionali, tanto [[Luigi Capello|Capello]] era brillante, estroverso, moderno, ricco d'immaginazione e maestro di "pubbliche relazioni". (cap. XVI, La caduta di Salandra, pp. 298-299) *Lucano di Melfi, [[Francesco Saverio Nitti]] incarnava anche nel fisico tozzo e grassottello il tipo del notabile meridionale, colto, brillante, scettico e alquanto egocentrico. [...] la sua specialità era il problema del Mezzogiorno, di cui fu tra i primi seri studiosi e che gli fornì anche la base elettorale. [...]. Sul livello medio della classe politica di allora, egli faceva spicco per preparazione, equilibrio e lucidità, ma anche per una certa propensione ad attribuirsi il monopolio di queste virtù. (cap. XXIII, Versaglia, pp. 420-421) ===''L'Italia in camicia nera''=== *Un altro utile incontro fu per Mussolini quello con [[Angelica Balabanoff]], personaggio già di notevole rilevo nel socialismo internazionale. Era una russa di buona famiglia borghese, che fin da giovanissima si era imbrancata con quella ''intellighenzia'' rivoluzionaria da cui venivano anche i Lenin, i Trotzky, e gli altri futuri grandi del bolscevismo. A spingerla era stata la ribellione contro la meschinità, lo snobismo provinciale, il sussiego di casta, i tabù del suo ceto. (cap. 1, p. 23) *Angelica {{NDR|Balabanoff}} non era bella, non aveva la grazia eterea ed esangue di Anna {{NDR|[[Anna Kuliscioff|Kuliscioff]]}}. Ma non era nemmeno sgradevole, nonostante i fianchi massicci e gli zigomi pronunciati, eppoi era una russa, cosa che faceva un grande effetto al piccolo provinciale di Predappio<ref>Mussolini era nato a Dovia, frazione di Predappio.</ref>. Anche se fra loro non divampò la passione che aveva legato Anna ad [[Andrea Costa]], qualcosa ci fu, ed ebbe la sua importanza. Angelica cercò d'incivilire quel selvaggio trasandato che passava da ostinati mutismi a interminabili sproloqui conditi di orrende bestemmie. Lo sfamava, gli lavava la biancheria, lo iniziava, sia pure con poco successo, al marxismo [...]. (cap. 1, p. 25) *Uno dei tre protagonisti del giuoco {{NDR|[[Gabriele D'Annunzio]]}} era eliminato. La partita ora si riduceva agli altri due: Giolitti e Mussolini. (cap. 1, p. 101) *Mussolini aveva vinto, e la sua vittoria significava che il fascismo, abbandonata la pretesa di presentarsi come un movimento rivoluzionario di sinistra, quale lo avrebbero voluto Grandi, Farinacci e Marsich, presentava la sua candidatura a forza egemonica della destra e infilava la «via parlamentare» al potere.<br>C'era un pericolo, e Mussolini lo capì subito: che questa svolta a destra mettesse il partito alla mercé della sua ala reazionaria incarnata soprattutto dal ''ras'' piemontese [[Cesare Maria De Vecchi|De Vecchi]], uomo di poco cervello, ma tutto Trono e Altare, e che quindi poteva anche tornar comodo per il futuro. (cap. 2, p. 127) *[...], i giolittiani riuscirono a portare al governo uno dei suoi {{NDR|di Giolitti}} «ascari» più fedeli, ma anche dei più sbiaditi: [[Luigi Facta]].<br> Facta era un bravo avvocato di provincia piemontese con tutte le virtù, ma anche con tutti i limiti del suo ambiente: un uomo probo e integro, che dopo trent'anni di vita parlamentare ne aveva ormai una certa esperienza, aveva ricoperto con onore alcune cariche ministeriali, non aveva alcuna ambizione che quella di servire fedelmente il suo capo, né altre idee che quelle di lui. Tutto gli si poteva chiedere fuorché risolutezza ed immaginazione, cioè proprio le qualità che più urgevano. (cap. 2, pp. 143-144) *[...] le sue intenzioni {{NDR|Mussolini}} non le confidava nemmeno al segretario del partito, [[Michele Bianchi|Bianchi]], di cui apprezzava la fedeltà e l'impegno, ma non l'intelligenza: lo considerava angoloso, settario, puntiglioso vendicativo e privo d'intuito politico. L'unico con cui si apriva seguitava ad essere [[Cesare Rossi]], l'uomo che gli era stato accanto dal primo momento, lo aveva seguito in tutte le sue palinodie e gli dava sempre dei consigli che corrispondevano ai suoi desideri. (cap. 4, p. 166) *{{NDR|[[Vittorio Emanuele III]]}} non si fidava completamente di Mussolini, ma si fidava ancora meno dei suoi avversari ed era convinto che costoro, se avessero preso il mestolo in mano, avrebbero ricreato il caos del dopoguerra. Comunque, a una cosa era assolutamente deciso: a non farsi coinvolgere nella lotta politica, come del resto gli dettava la Costituzione di cui, quando gli faceva comodo, sapeva ricordarsi. ====[[Explicit]]==== *Resterebbe solo da sapere con che animo Mussolini s'investì, il 3 gennaio, nella parte di dittatore. Se, come molti sostengono, gli sforzi che fino a quel momento aveva fatto per evitarla erano stati solo un giuoco per dimostrare che non era lui a volerla, ma gli eventi ad imporgliela, bisogna riconoscere che come {{sic|giuocatore}} sapeva il fatto suo. ==''Storia dei Greci''== *Il modo migliore per ripagare il nostro contemporaneo [[Heinrich Schliemann|Enrico Schliemann]] degli enormi servigi che ci ha reso nella ricostruzione della civiltà classica, mi pare sia quello di assumerlo fra i suoi protagonisti, com'egli stesso mostrò di desiderare ardentemente, scegliendosi, in pieno secolo decimonono, [[Zeus]] come dio e a lui indirizzando le sue preghiere, battezzando [[Agamennone]] suo figlio, Andromaca sua figlia, Pélope e Telamone i suoi servitori, e dedicando a [[Omero]] tutta la sua vita e i quattrini. (cap. 2; 2004, p. 17) *{{NDR|Su [[Heinrich Schliemann|Schliemann]]}} Era un matto, ma tedesco, cioè organizzatissimo nella sua follia, che la buona sorte volle ricompensare. La prima storia che gli raccontò suo padre, quando aveva cinque o sei anni, non fu quella di [[Cappuccetto Rosso]], ma quella di [[Ulisse]], di [[Achille]] e di Menelao. Ne aveva otto, quando annunziò solennemente in famiglia che intendeva riscoprire Troia e dimostrare, ai professori di storia che lo negavano, ch'essa era realmente esistita. Ne aveva dieci, quando compose in latino un saggio su questo argomento. E ne aveva sedici, quando sembrò che questa infatuazione gli fosse del tutto passata. Infatti s'era impiegato come garzone di una drogheria, dove scoperte archeologiche non c'era da farne di certo, e di lì a poco s'imbarcò non per l'Ellade, ma per l'America, in cerca di fortuna. (cap. 2; 2004, p. 17) *Di nuovo il buon Dio, che per i matti ha un debole, lo compensò di tanta fede, guidando il suo piccone sugli scantinati del palazzo dei discendenti di re Atreo, nei cui sarcofaghi furono ritrovati gli scheletri, le maschere d'oro, i gioielli e il vasellame che si ritenevano esistiti solo nella fantasia di Omero. E Schliemann telegrafò al re di Grecia: ''Maestà, ho ritrovato i vostri antenati''. Poi, ormai sicuro del fatto suo, volle dare il colpo di grazia agli scettici del mondo intero e, sulle indicazioni di [[Pausania]], andò a Tirinto e vi disseppellì le ciclopiche mura del palazzo di Proteo, di Perseo e di [[Andromeda|Andròmeda]]. (cap. 2; 2004, pp. 19-20) *Schliemann morì quasi settantenne nel 1890, dopo aver sconvolto tutte le tesi e le ipotesi su cui si era basata sino ad allora la ricostruzione della preistoria greca, tesa ad esiliare Omero e Pausania nei cieli della pura fantasia. (cap. 2; 2004, p. 20) *Ma ora, dopo le scoperte del tedesco matto, non abbiamo più il diritto di mettere in dubbio la realtà storica di Agamennone, di Menelao, di [[Elena]], di [[Clitennestra]], di Achille e di Patroclo, di Ettore e di Ulisse, anche se le loro avventure non sono state esattamente quelle che Omero ha descritto, facendoci sopra la cresta. Schliemann ha arricchito la storia e impoverito la leggenda, di alcune decine di personaggi di primissimo piano. Grazie a lui alcuni secoli, che prima erano nel buio, sono entrati nella luce, anche se è quella incerta della primissima alba. Ed è solo per mano a lui che possiamo esplorarla. (cap. 2; 2004, p. 21) *Senza dubbio gli [[achei]], a differenza dei pelasgi, furono terrieri, tant'è vero che fino alla guerra di Troia imprese per mare non ne azzardarono, e ogni volta che lo trovavano si fermavano. Essi non tentarono di mettere il piede nemmeno nelle isole più vicine al continente, e tutte le loro capitali e cittadelle erano nell'interno. La Grecia, sotto di loro, si limitava al Peloponneso, all'Attica e alla Beozia; mentre per le popolazioni pelasgiche della civiltà micenea, ch'erano marinare, essa inglobava anche tutti gli arcipelaghi dell'Egeo. (cap. 3, ''Gli Achei''; 2004, p. 25) *[[Diogene di Sinope|Diogene]], che aveva la lingua lunga, disse che la religione greca era quella cosa per cui un ladro che sapeva bene l'Avemaria e il Paternoster era sicuro di potersela cavar meglio, nell'al di là di un galantuomo che li aveva dimenticati. Non aveva torto. La [[Religione dell'antica Grecia|religione]], in Grecia, era soltanto un fatto di procedura, senza contenuto morale. Ai fedeli non si chiedeva la fede né si proponeva il bene. S'imponeva solo il compimento di certe pratiche burocratiche. E non poteva essere diversamente, visto che di contenuto morale gli stessi {{sic|dèi}} ne avevano ben poco e non si poteva certo dire che fornissero un esempio di virtù. (cap. 7, ''Zeus e famiglia''; 2004, p. 54) *Anche [[Pisistrato]] era aristocratico e di famiglia ricca. Ma aveva capito che la [[democrazia]], una volta instaurata, è irreversibile e va sempre a sinistra. (cap. 15, ''Pisistrato''; 2004, p. 98) *Pisistrato, invece di cinquanta uomini, ne arruolò e armò quattrocento, s'impadronì dell'Acròpoli, e proclamò la dittatura. In nome e per il bene del popolo, si capisce, come tutte le dittature. (cap. 15; 2004, p. 91) *La stragrande maggioranza degli ateniesi, dopo averlo a lungo osteggiato e tenuto in gran sospetto, si erano sinceramente affezionati a Pisistrato che aveva dalla sua un'arma formidabile: la simpatia. (cap. 15; 2004, pp. 92-93) *Il tiranno Pisistrato seppe sfuggire a tutte le tentazioni del potere assoluto, meno una: quella di lasciare il «posto» in eredità ai figli, [[Ippia (tiranno)|Ippia]] e [[Ipparco (tiranno)|Ipparco]]. L'amor paterno gl'impedì di vedere con la consueta chiarezza che i totalitarismi non hanno eredi e che quello suo si giustificava soltanto come una eccezione alla democrazia per assicurarle ordine e stabilità. Peccato. (cap. 15; 2004, p. 95) *Pisistrato era morto nel 527 avanti Cristo. Ventun anni dopo, cioè nel 506, troviamo uno dei suoi due figli, da lui designati a succedergli, Ippia, alla corte del re di Persia, [[Dario I di Persia|Dario]], per suggerirgli l'idea di muover guerra contro Atene e la Grecia tutta. I grandi uomini non dovrebbero mai lasciare né vedove né eredi. Sono pericolosissimi. (cap. 16, ''I persiani alle viste''; 2004, p. 103) *Questo Ippia non aveva debuttato male, dopo che suo padre fu calato nella fossa. Era un giovanotto sveglio che, a furia di stare accanto al babbo, ne aveva imparato molte malizie, e alla politica aveva passione, a differenza di suo fratello Ipparco che invece s'interessava soltanto di poesia e di amore, in modo che fra i due non c'erano nemmeno pericolose rivalità. Eppure, a procurare i guai che condussero alla caduta della dinastia, fu proprio Ipparco. (cap. 16; 2004, p. 96) *Ipparco ebbe la disgrazia d'inciampare in un bellissimo guaglione di nome Armodio, che un certo Aristogitone – aristocratico quarantenne, prepotente e geloso – considerava sua proprietà. Costui concepì l'idea di sbarazzarsi del rivale col pugnale e, per dare all'assassinio un'etichetta più pulita che lo rendesse popolare, pensò di estenderlo anche al fratello Ippia facendolo passare per «delitto politico» in nome della libertà e contro la tirannia. Organizzò in questo senso una congiura con altri nobili latifondisti e, in occasione di una festa, tentò il colpo, che andò bene solo a mezzo: Ipparco ci rimise la pelle, ma Ippia scampò. E da quel momento, un po' per rancore, un po' per paura di altri complotti, il figlio e l'allievo di Pisistrato, dittatore liberale indulgente e illuminato, diventò un ''tiranno'' autentico. (cap. 16; pp. 96-97) *Lo scontento del popolo inferocì Ippia, che a sua volta inferocì il popolo. E quando il divorzio fra i due fu totale, i fuoriusciti, che frattanto si erano concentrati a Delfi, chiamarono in aiuto gli spartani, e insieme marciarono contro Atene. (cap. 16; 2004, p. 97) *Ippia si rifugiò sull'Acròpoli coi suoi sostenitori. Ma, per mettere in salvo i suoi figlioletti, cercò di farli segretamente espatriare. Gli assedianti li catturarono e l'infelice padre, per salvar la vita a loro e a se stesso, capitolò e si avviò in volontario esilio. Non bisogna dimenticare che nelle sue vene scorreva tuttavia il sangue di Pisistrato, cioè di un uomo sempre pronto a sacrificare la posizione alla famiglia, ma mai disposto a rassegnarsi alla sconfitta. (cap. 16; 2004, p. 97) *[[Milziade]] aveva capito qual era il debole dei [[Persia|persiani]]: essi erano bravi soldati individualmente, ma non avevano nessuna idea della manovra collettiva. E su questa puntò. A dar retta agli storici del tempo — che purtroppo erano tutti greci, — Dario perse settemila uomini, Milziade neanche duecento. (cap. 17, ''Milziade e Aristide''; 2004, p. 112) *{{NDR|A Milziade}} sopravvisse [[Aristide]], le cui vicende purtroppo ci dimostrano che l'[[onestà]] in [[politica]] non trova sempre i suoi compensi e che la [[storia]], come le [[donna|donne]], ha un debole per i birbaccioni. (cap. 17, ''Milziade e Aristide''; 2004, p. 112) *Nike, diventata ragazza, porta il [[peplo]] di lana, bianca o colorata, ma questa è l'unica scelta che le si lascia. Siccome è confinata in casa, non può nemmeno far quella di un ragazzo che le piace, e deve aspettare che il padre si metta d'accordo con un altro padre per combinare il matrimonio. (cap. 23, ''Una Nike qualsiasi''; 2004, p. 143) *Quando il grande [[Mirone]], rincorbellito dalla vecchiaia, si vide arrivare in studio come modella Laìde<ref>Etera dell'antica Grecia, celebre per la sua bellezza.</ref>, perse la testa e le offrì tutto ciò che possedeva purché restasse la notte. E siccome essa rifiutò, l'indomani il poveruomo si tagliò la barba, si tinse i capelli, indossò un giovanile [[chitone]] color porpora e si passò una mano di carminio sul viso. «Amico mio», gli disse Laìde, «non sperare di ottenere oggi ciò che ieri rifiutai a tuo padre». (cap. 23, ''Una Nike qualsiasi''; 2004, p. 150) *{{NDR|[[Fidia]]}} Qualcosa, nel suo carattere, doveva farne un nemico degli uomini, visto che nessuno lo amava. Eppure egli non fu soltanto un grande scultore, ma anche un grandissimo maestro, che, oltre ad aver creato uno stile, ne fece anche una scuola, trasmettendone le regole ad allievi come Agoracrito e Alcamene, continuatori del «classico». (cap. 25, ''Fidia sul Partenone''; 2004, p. 165) *Gli uomini non sanno apprezzare e misurare che la [[fortuna]] degli altri. La propria, mai. (cap. 25, ''Fidia sul Partenone''; 2004, p. 166) ==''Storia di Roma''== ===[[Incipit]]=== Non sappiamo con precisione quando a Roma furono istituite le prime scuole regolari, cioè «statali». Plutarco dice che nacquero verso il 250 avanti Cristo, cioè circa cinquecent'anni dopo la fondazione della città. Fino a quel momento i ragazzi romani erano stati educati in casa, i più poveri dai genitori, i più ricchi dai ''magistri'', cioè da maestri, o istruttori, scelti di solito nella categoria dei liberti, gli schiavi liberati, che a loro volta erano scelti fra i prigionieri di guerra, e preferibilmente fra quelli di origine greca, che erano i più colti. ===Citazioni=== <!--segui nel riportare le citazioni l'ordine cronologico del libro--> *Non ho scoperto nulla, con questo libro. Esso non pretende di portare "rivelazioni", nemmeno di dare una interpretazione originale della storia dell'Urbe. Tutto ciò che qui racconto è già stato raccontato. Io spero solo di averlo fatto in maniera più semplice e cordiale, attraverso una serie di ritratti che illuminano i protagonisti in una luce più vera, spogliandoli dei paramenti che fin qui ce li nascondevano. (introduzione) *{{NDR|[[Numa Pompilio]]}} Quelle che più lo interessavano erano le questioni religiose. E siccome in questa materia ci doveva essere una grossa anarchia perché ognuno dei tre popoli {{NDR|etruschi, latini e sabini}} venerava i propri {{sic|dèi}}, fra i quali non si riusciva a capire chi fosse il più importante, Numa decise di mettervi ordine. E per imporlo, questo ordine, ai suoi riottosi sudditi, fece spargere la notizia che ogni notte, mentre dormiva, la ninfa Egeria veniva a visitarlo in sogno dall'Olimpo per trasmettergliene direttamente le istruzioni. Chi vi avesse disobbedito, non era col re, uomo fra gli uomini, che avrebbe dovuto vedersela, ma col Padreterno in persona. (Rizzoli 1959, cap. 3, ''I re agrari'', pp. 37-38) *[[Tarquinio Prisco|Lucio Tarquinio]] e i suoi amici etruschi dovettero veder subito che profitto si poteva trarre da questa massa di gente, per la maggior parte esclusa dai comizi curiati, se si fosse potuta convincerla che solo un re forestiero come lui avrebbe potuto farne valere i diritti. E per questo l'arringò, promettendole chissà cosa, magari ciò che poi fece davvero. [...] Certamente ci riuscirono perché Lucio Tarquinio fu eletto col nome di Tarquinio Prisco, rimase sul trono trentotto anni, e per liberarsi di lui i ''patrizi'', cioè i «terrieri», dovettero farlo assassinare. Ma inutilmente. Prima di tutto perché la corona, dopo di lui, passò al figlio, eppoi a suo [[Tarquinio il Superbo|nipote]]. In secondo luogo perché, più che la causa, l'avvento della dinastia dei Tarquini fu l'effetto di una certa svolta che la storia di Roma aveva subìto e che non le consentiva più di tornare al suo primitivo e arcaico ordinamento sociale e alla politica che ne derivava. (RCS 2004, cap. 4, ''I re mercanti'', pp. 38-39) *Questo secondo [[Tarquinio il Superbo|Tarquinio]], prima di rischiare il colpo, tentò di far deporre lo zio per abuso di potere. Servio si presentò alle centurie che lo riconfermarono re con plebiscitaria acclamazione (lo racconta [[Tito Livio]], gran repubblicano, dunque dev'esser vero). Non restava quindi che il pugnale, e Tarquinio lo usò senza troppi scrupoli. Ma il respiro di sollievo che trassero i senatori, coi quali si era alleato, rimase loro in gola, quando videro l'uccisore sedersi a sua volta sul trono d'avorio senza chieder loro permesso, come avveniva a quei buoni vecchi tempi ch'essi speravano di restaurare. Il nuovo sovrano si mostrò subito più tirannico di quello che aveva spedito all'altro mondo. E infatti lo ribattezzarono «il Superbo» per distinguerlo dal fondatore della dinastia. (RCS 2004, cap. 4, ''I re mercanti'', pp. 42-43) *Non sappiamo quasi nulla di [[Lars Porsenna|Porsenna]]. Ma dal modo come si condusse, dobbiamo dedurre che alle doti del bravo generale doveva accoppiare quelle del sagace uomo politico. Egli si rese conto che negli argomenti di [[Tarquinio il Superbo|Tarquinio]] c'era del vero. Ma prima d'impegnarsi, volle essere sicuro di due cose: che il Lazio e la Sabina erno davvero pronti a schierarsi dalla sua parte, e che nella stessa Roma c'era una «quinta colonna» monarchica pronta a facilitargli il compito con un'insurrezione. (RCS 2004, cap. 5, ''Porsenna'', p. 49) *Da quell'anno 508 in cui fu fondata la repubblica, tutti i monumenti che i romani innalzarono un po' dappertutto portarono sempre la sigla SPQR che vuol dire: ''Senatus PopuluSque Romanus'', cioè «il Senato e il popolo romano». Cosa fosse il Senato, già lo abbiamo detto. Viceversa non abbiamo ancora detto cos'era il popolo, che non corrispondeva affatto a ciò che noi intendiamo con questa parola. In quei lontani giorni di Roma esso non comprendeva «tutta» la cittadinanza, come avviene oggi, ma soltanto due «ordini», cioè due classi: quella dei «patrizi» e quella degli ''equites'' o «cavalieri». (RCS 2004, cap. 6, ''SPQR'', p. 54) *{{NDR|[[Sacco di Roma (390 a.C.)]]}} Gli storici che lo hanno raccontato a cose fatte hanno avvolto di molte leggende questo capitolo che dovett'essere per l'Urbe molto spiacevole. Dicono che quando i [[galli]] fecero per dare la scalata al [[Campidoglio]], le oche sacre a Giunone cominciarono a stridere risvegliando così [[Marco Manlio Capitolino|Manlio Capitolino]] che, alla testa dei difensori, respinse l'attacco. Sarà. Però i galli in Campidoglio entrarono ugualmente come in tutto il resto della città, donde la popolazione era fuggita in massa per rifugiarsi su monti circostanti. (Rizzoli 1959, cap. 6, ''SPQR'', pp. 81-82) *[...] i galli espugnarono Roma, la misero a sacco, e se ne andarono incalzati dalle legioni, ma carichi di quattrini. Erano predoni gagliardi e zotici, che non seguivano nessuna linea politica e strategica nelle loro conquiste. Assalivano, depredavano e si ritiravano senza punto preoccuparsi del domani. Avessero potuto immaginare che vendetta Roma avrebbe tratto da quella umiliazione, non vi avrebbero lasciato pietra su pietra. (Rizzoli 1959, cap. 6, ''SPQR'', pp. 82-83) *Tutti i dittatori della Roma repubblicana, meno uno, furono patrizi. Tutti, meno due, rispettarono i limiti di tempo che furono loro imposti. Uno di essi, [[Lucio Quinzio Cincinnato|Cincinnato]], che, dopo soli sedici giorni di esercizio della suprema carica, tornò spontaneamente ad arare il campo coi buoi, è passato alla storia coi colori della leggenda. (RCS 2004, cap. 9, ''La carriera'', p. 85) *Negli ultimi tempi {{NDR|[[Cesare]]}} si era spinto anche più in là: aveva imposto che tutte le discussioni che si svolgevano in quel solenne e aristocratico consesso venissero registrate e pubblicate giorno per giorno. Così nacque il primo giornale. Si chiamò ''[[Acta Diurna|Acta diurna]]'', e fu gratuito, perché, invece di venderlo, lo affiggevano ai muri in modo che tutti i cittadini potessero leggerlo e controllare ciò che facevano e dicevano i loro governanti. L'invenzione fu d'immensa portata perché sancì il più democratico di tutti i diritti. Il Senato, che traeva prestigio anche dalla sua segretezza, fu così sottoposto alla pubblica opinione, e non si riebbe mai più da questo colpo. (RCS 2004, cap. 24, ''Cesare'', p. 214) *Se riuscirò ad affezionare alla storia di Roma qualche migliaio di italiani, sin qui respinti dalla sussiegosità di chi gliel'ha raccontata prima di me, mi riterrò un autore utile, fortunato e pienamente riuscito. (introduzione) *Sull'esattezza di quel che [[Tito Livio|Livio]] riferisce facciamo le nostre riserve, specie là dov'egli mette in bocca ai suoi personaggi interi discorsi che somigliano più a Livio che a loro. La sua è una storia di eroi, un immenso affresco a episodi, e serve più a esaltare il lettore che a informarlo. [[Roma]], a dargli retta, sarebbe stata popolata soltanto, come l'Italia di Mussolini, da guerrieri e navigatori assolutamente disinteressati, che conquistarono il mondo per migliorarlo e moralizzarlo. Gli uomini, secondo lui, sono divisi in buoni e cattivi. A Roma c'erano solamente i buoni, e fuori di Roma solamente i cattivi. Anche un grande generale come [[Annibale]] diventa, sotto la sua penna, un comune mariuolo. Ciò non toglie che la storia di Livio, costata cinquant'anni di fatiche a un autore che si dedicò soltanto ad essa, resti un gran monumento letterario. Forse il più grande fra quelli, piuttosto mediocri, eretti sotto il segno di [[Augusto]]. (cap. 30, ''Orazio e Livio'') *Può darsi che [[Dione Cassio]] e [[Svetonio]], nel loro odio per la monarchia, abbiano un po' calcato la mano. Ma matto, [[Caligola]] doveva esserlo davvero. (cap. 31, ''Tiberio e Caligola'') *[[Vitellio]], quando fu catturato nel suo nascondiglio, dove, tanto per cambiare, banchettava, fu trascinato nudo per la città con un laccio al collo, bersagliato di escrementi, torturato con ponderata lentezza, e alla fine gettato nel Tevere.<br>Questa città che si divertiva al fratricidio, questi eserciti che si ribellavano, questi imperatori che venivano subissati di sterco pochi giorni dopo essere stati coperti di osanna: ecco cos'era diventata la capitale dell'Impero. (Rizzoli 1959, cap. 37, ''I Flavi'', pp. 415-416) *Purtroppo la pace, per ottenerla, bisogna essere in due a volerla. (cap. 37, ''I Flavi'') *Era la prima volta, nella storia di Roma, che una guerra si combatteva in nome della religione. Ma fu la Croce che vinse. E il Tevere, trascinando verso la foce i cadaveri di [[Massenzio]] e dei suoi soldati che lo ingombravano, sembrò che spazzasse via i residui del mondo antico. (cap. 46, ''Costantino'') *Il papa che più contribuì a rassodare l'organizzazione in questi primi difficili anni fu [[Papa Callisto I|Callisto]], che molti consideravano un avventuriero. Dicevano che, prima di convertirsi, aveva fatto i quattrini con sistemi piuttosto equivoci, era diventato banchiere, aveva derubato i suoi clienti, era stato condannato ai lavori forzati ed era fuggito con un inganno. Il fatto che, appena diventato papa, proclamasse valido il pentimento per cancellare qualunque peccato, anche mortale, ci fa sospettare che in queste voci un po' di verità c'è. Comunque, fu un gran papa, che stroncò il pericoloso scisma d'[[Ippolito di Roma|Ippolito]] e affermò definitivamente l'autorità del potere centrale. (RCS 2004, cap. 46, ''Costantino'', p. 367) *Le rivoluzioni vincono non in forza delle loro idee, ma quando riescono a confezionare una classe dirigente migliore di quella precedente. E il [[Cristianesimo]] era riuscito proprio in questa impresa. (cap. 47, ''Il trionfo dei cristiani'') *[[Costantino]] fu uno strano e complesso personaggio. Faceva gran scialo di fervore cristiano, ma nei suoi rapporti di famiglia non si mostrò molto ossequente ai precetti di Gesù. Mandò sua madre Elena a Gerusalemme per distruggere il tempio di Afrodite che gli empi governatori romani avevano elevato sulla tomba del Redentore, dove, secondo Eusebio, fu ritrovata la croce su cui era stato suppliziato. Ma subito dopo mise a morte sua moglie, suo figlio e suo nipote. (cap. 47, ''Il trionfo dei cristiani'') *Come tutti i grandi Imperi, quello romano non fu abbattuto dal nemico esterno, ma roso dai suoi mali interni. (cap. 51, ''Conclusione'') *Una religione conta non in quanto costruisce dei templi e svolge certi riti; ma in quanto fornisce una regola morale di condotta. Il [[paganesimo]] questa regola l'aveva fornita. Ma quando Cristo nacque, essa era già in disuso, e gli uomini, consciamente o inconsciamente, ne aspettavano un'altra. Non fu il sorgere della nuova fede a provocare il declino di quella vecchia; anzi, il contrario. (cap. 51, ''Conclusione'') *Il dispotismo è sempre un malanno. Ma ci sono delle situazioni che lo rendono necessario. (cap. 51, ''Conclusione'') ===[[Explicit]]=== Mai città al mondo ebbe più meravigliosa avventura. La sua storia è talmente grande da far sembrare piccolissimi anche i giganteschi delitti di cui è disseminata. Forse uno dei guai dell'Italia è proprio questo: di avere per capitale una città sproporzionata, come nome e passato, alla modestia di un popolo che, quando grida «Forza Roma!», allude soltanto a una [[Associazione Sportiva Roma|squadra di calcio]]. ==''XX Battaglione eritreo''== ===[[Incipit]]=== Sono letterato. E, a parte il brutto e il meschino di quella parola, il mio mestiere m'innamora. Mi sono sforzato tanti anni, per compiacere a qualcuno o a qualcosa, di tradire questo mio istinto. Ma non ce l'ho fatta. E non ce la fo nemmeno ora, soldato in Africa, in piena guerra. Ma non lo dico per presentare il conto. E a chi, poi? Lo dico per un fenomeno di narcisismo: perché mi garba contemplarmi in questo gesto di fedeltà al mestiere, che poi vuol dire fedeltà a me stesso. ===Citazioni=== *Essere [[Àscari|ascaro]] vuol dire, press'a poco, avere un blasone; vuol dire avere tre lire al giorno, più un'indennità vestiario, più un'indennità farina, più un'indennità carne; vuol dire avere un ''tarbush'' e una fascia coi colori del battaglione; vuol dire soprattutto avere un fucile. La gente di questo Paese segue una logica sistematica semplice e dritta: l'umanità si divide in due categorie: gli armati che sono i forti, i disarmati che sono i deboli. Al culmine della gerarchia sociale sta il possessore di fucile, il guerriero: che è tanto più importante quanto più elevato è il suo grado e quanto è maggiore la sua anzianità. (p. 25) *[[Pietro Toselli|Toselli]]. Questo nome non ha in Italia la risonanza che ha qui. Toselli non è un uomo, è una leggenda: non solo alla cronaca, ma sfugge anche alla storia. È rimasto nei canti di questa gente, nelle sue memorie e anche nelle sue speranze. Pur ieri mi diceva il vecchio Sciumbasci, reduce di Adua e ora capopaese di Digsa, che «le cose che si sanno sono molto meno di quelle che non si sanno» e che «il fatto è questo: che il corpo del maggiore Toselli non era più sul campo dopo la battaglia». Su quello che ne sia avvenuto le opinioni sono discordi, ma nessuno crede che il maggiore sia morto. (pp. 35-36) *Appollaiato ai suoi piedi, nascosto fra il verde tenero degli eucalipti, stava [[Alessandro Pirzio Biroli|Pirzio Biroli]]. Il suo nome era mormorato con circospezione dagli [[Àscari|ascari]] disseminati fra le rocce di Mai Egadà a Saganeiti, da Agordar ad Assab, a Cheren, ad Adi Ugri, ad Adi Caieh. Raramente lo si vedeva e sempre a cavallo. Accanto a lui cavalcava Chiarini, la piccola ombra fedele, il fantasma sorto una notte da un roveto della conca di Adua. Chiarini, settantenne, pallido, non scompariva nell'alone magico che Pirzio, il buon gigante, suscitava intorno. (pp. 87-88) *Poi arrivava anche lui, [[Alessandro Pirzio Biroli|Pirzio]] il leone, altissimo, quadrato, col profilo calmo incorniciato dalla folta criniera. Il cavallo, domo dai suoi ginocchi di ferro, caracollava senza un tentativo di ribellione. Dalla sella pendevano, di qua e di là, due aquile colossali, abbattute in volo dal moschetto infallibile di Pirzio. Nessuna tromba sonava l'attenti al suo ingresso. Non ce n'era bisogno. Tutti, nel quartiere, sentivano come per miracolo la sua presenza e restavano ischeletriti. Pirzio non se n'accorgeva: era uno di quegli uomini pei quali gli uomini sentono rispetto per istinto e che passano attraverso la vita come attraverso un'eterna parata, fra due file di bipedi schiaffati meccanicamente sull'attenti. Gli [[Àscari|ascari]] ebbero ragione quando lo battezzarono «il Leone»: non aveva bisogno di ruggire perché il largo gli si facesse automaticamente intorno. (pp. 88-89) ===[[Explicit]]=== Vorremmo ristare dopo la guerra? Il mondo è così visto che nessun limite precisa al desiderio. Italiani, continuate ad aver fame anche dopo aver mangiato. Questa guerra è per noi come una bella lunga vacanza dataci dal Gran Babbo in premio di tredici anni di banco di scuola. E, detto fra noi, era ora. ==Citazioni su Indro Montanelli== *A leggerlo sembrerebbe un disordinatore di professione: sempre pronto a mugugnare, sempre a prendersela con qualcuno. Poi però, quando si tratta di scendere sul pratico, ci consiglia di turarci il naso e di andare a votare per l'Ordine. vallo a capire. ([[Luciano De Crescenzo]]) *Amo Indro Montanelli, ma non i suoi emuli. I polemisti per posa non mi piacciono, non li ritengo utili. Ma lui non era un polemista fine a se stesso, come tanti dei suoi presunti eredi. Era piuttosto, come da titolo di una sua fortunata rubrica, controcorrente. Non si curava delle convenienze, dei vantaggi che gli sarebbero derivati nel seguire l'onda di [[pensiero]] prevalente. Aveva la sua visione delle cose, sempre originale e spesso esatta. Io credo che dire quel che si pensa premi sempre. Montanelli lo faceva, e andava a letto tranquillo. ([[Fabio Genovesi]]) *C'è davvero qualcosa di singolare nel modo in cui è venuta formandosi la memoria della Repubblica, nel modo in cui tale memoria è stata ed è elaborata dalla cultura ufficiale del Paese. Per molti decenni, ad esempio, a quanto accaduto dal 1943 al '45 fu vietato dare il nome che gli spettava, il nome cioè di [[Guerra civile in Italia (1943-1945)|guerra civile]]. Parlare di guerra civile era giudicato fattualmente falso, e ancor di più ideologicamente sospetto. Bisognava dire che quella che c'era stata era la resistenza, non la guerra civile; di guerra civile parlavano e scrivevano, allora, solo i reduci di Salò, i nostalgici del regime e qualche coraggioso giornalista o pubblicista di rango come Indro Montanelli, che mostravano così da che parte ancora stavano. Le cose andarono in questo modo a lungo. Finché, all'inizio degli anni Novanta, come si sa, uno storico di sinistra, [[Claudio Pavone]], scrisse un libro sul periodo 1943-'45 che si intitolava precisamente ''Una guerra civile'': solamente da allora tutti abbiamo potuto usare senza problemi questa espressione, ben inteso non cancellando certo la parola resistenza. ([[Ernesto Galli della Loggia]]) *È uno che riesce a spiegare agli altri quello che non capisce nemmeno lui. ([[Mario Missiroli]]) *È vero che ha cambiato parere politico più volte, ma sempre perché profondamente preoccupato per le sorti del paese. Ma Indro ha cambiato parere sempre meno di quei giornalisti che da Lotta Continua sono passati a Comunione e Liberazione per approdare infine a dirigere quotidiani di Stato. Senza contare tutti coloro che da stalinisti o maoisti sono diventati prima antimarxisti e ora clintoniani: Montanelli ragiona, loro vogliono avere sempre ragione. ([[Fausto Gianfranceschi]]) *Indro è naturalmente inclinato, direi quasi condannato a vedere più i ''tics'' degli uomini che le loro qualità e nessuno come lui fa più uso, nei suoi ritratti, dell'acido prussico. ([[Eugenio Montale]]) *{{maiuscoletto|Indro Montanelli}}. L'Italia dei Luoghi Comuni. ([[Marcello Marchesi]]) *Io mi sono limitato ad adottare la sua formula giornali­stica. Ma l'ho realizzata meglio perché mi sono sempre esposto, ci ho messo la faccia. Lui invece era come Veltroni: "Sì, ma an­che". Non si schierava nettamente, il suo editoriale era così in chiaroscuro che alla fine non capivi mai se fosse chiaro o scuro. Il che non significa che non resti il migliore di tutti noi. Ho venduto più di lui solo perché a me la gente non fa schifo. ([[Vittorio Feltri]]) *Mi sono sentito in imbarazzo per lui, e il mio primo pensiero è stato il rifiuto – «no, povero Montanelli» – quando all'ingresso dei giardini di via Palestro mi sono trovato davanti alla sua statua, al punto che ho pensato che ci sono vandali che distruggono e vandali che costruiscono, e che anzi, per certi aspetti, il vandalismo che crea è ben peggiore, perché tenta di disarmarti con le sue buone intenzioni. Dunque era di mattina, molto presto, e i giardini erano vuoti, al sole. Ebbene in questo vuoto, la statua mi è apparsa all'improvviso: una figurina in gabbia che non ha niente a che fare con Montanelli, se non perché lo offende anche fisicamente, lui che era così "verticale", e che ci invitava a buttare via «il grasso» e la retorica monumentale. Il giornalista che ogni volta si ri-definiva in una frase, in un concetto, in un aforisma, in una citazione, è stato per sempre imprigionato in una scatola di sardine. Perciò ho provato il disagio che sempre suscita il falso, la patacca, la similpelle che non è pelle, perché non solo questo non è Montanelli, come ci ha insegnato Magritte che dipinse una pipa e ci scrisse sotto "questa non è una pipa". Il punto è che questa non è neppure una statuta di Montanelli, ma di un montanelloide in bronzo color oro, che ha la presunzione ingenua e goffa di imprigionare il Montanelli entelechiale, il Montanelli che era invece l'asciuttezza, era il corpo più "instatuabile" del mondo, troppo alto, troppo energico, troppo nervoso, incontenibile nello spazio e nel tempo com'è l'uomo moderno, che è nomade e ha un'identità al futuro. Era il più grande nemico delle statue il Montanelli che sempre ci sorprendeva, fascista ma con la fronda, conservatore ma anarchico, con la sinistra ma di destra, un uomo di forte fascino maschile che tuttavia non amava raccogliere i trofei del fascino maschile, ingombrante ma discreto, il solo che nella storia d' Italia abbia rifiutato la nomina a senatore a vita perché, diceva, «i monumenti sono fatti per essere abbattuti», come quello di Saddam, o di Stalin o di Mussolini. Come si può fare una statua ingombrante e discreta? Come si può fare un monumento all'antimonumento? ([[Francesco Merlo]]) *Montanelli comprò una sposa ragazzina di 11-12 anni. In realtà non possiamo sapere con precisione l'età perché nei villaggi africani non si registravano le nascite. Ma la comprò, questo lo sappiamo. E la violentò più volte. sappiamo anche questo, è stato lui a raccontare che lei non voleva. [...] Da italiano Montanelli avrebbe potuto riconoscere i segni di quella crudeltà e discostarsene. Non lo fece perché condivideva evidentemente quella cultura patriarcale. Perché non mettere al posto della sua statua quella di una donna della Resistenza? In Italia vorrei vedere più statue di donne partigiane. ([[Maaza Mengiste]]) *Montanelli disprezzava la borghesia che difendeva, e ammirava i comunisti che attaccava. Era convinto che la rivolta di Budapest si dovesse a operai che volevano il vero socialismo; mentre fu una rivolta nazionalista e antisovietica. ([[Enzo Bettiza]]) *Montanelli è il campione di indipendenza dalla politica, anche se sono arrabbiato con lui perché mi ha insegnato regole di comportamento anacronistiche, che nel giornalismo odierno non valgono più. ([[Daniele Vimercati]]) *Montanelli ha sempre avuto una componente di destra. È stato un uomo di destra come fascista, uomo di destra come sostenitore dei governi dc sia pure turandosi il naso. [...] Adesso è un uomo di destra qualunquista, ma sempre di destra. ([[Ugo Intini]]) *Montanelli, un misantropo che cerca compagnia per sentirsi più solo. ([[Leo Longanesi]]) *Quanto mi ha insegnato: le parole da non usare, le cose da non dire, la persone da non frequentare. ([[Beppe Severgnini]]) *Recentemente sono stato insignito del Premio Montanelli alla carriera che dovrebbe essermi consegnato a ottobre a Fucecchio, a meno che nel frattempo non mi sia revocato per indegnità, sempre in nome della libertà di informazione. Sono certo che il vecchio Indro non avrebbe condiviso nemmeno un fonema del mio necrologio sul Mullah {{NDR|Omar}}, ma sono altrettanto certo che non si sarebbe mai sognato di bloccarlo. Caso mai ci avrebbe riso su, considerandolo una provocazione, anche se provocazione non era. Perché Montanelli era un vero liberale. Quando i liberali esistevano ancora. ([[Massimo Fini]]) *Sa spalmare una così giusta misura di miele sull'orlo del nappo avvelenato che prepara per questo o per quello, che spesso la vittima muore senza accorgersene, ingannata dai soavi licori. ([[Paolo Monelli]]) *Scalfari e Montanelli direttori all'antica, padroni, mattatori che ricordano gli Scarfoglio, i vecchi direttori dell'ottocento che non solo incrociavano la penna ma anche la spada in una rissa continua con tutt ([[Ugo Intini]]) *Si può raccontare la [[storia]] in forma lieve, senza essere troppo ponderosi, rispettando tuttavia le fonti e la verità storica. Montanelli era molto bravo a scrivere, ma in fondo ne sapeva poco, gli piaceva gigioneggiare, sprofondava nell'anacronismo. Oggi ci si è accorti che, nel raccontare la storia, essere rigorosi ed essere divertenti non è conflittuale. ([[Alessandro Barbero]]) *So solo che Montanelli è fatto così: un maestro di giornalismo che ogni tanto s'impenna con qualcuna delle sue bizzarrie. ([[Giorgio Bocca]]) *Una volta, parecchi anni fa, Indro Montanelli, dicendosi disgustato della morbidezza e della mollezza della [[Democrazia Cristiana]], che ammorbidiva, incorporava, estenuava e alla fine innocuizzava qualsiasi opposizione, togliendole ogni soddisfazione e dignità, mi mostrò una fotografia, incastonata in una cornicetta d'argento, che teneva, a mo' di santino, come altri fanno con le immagini della madre o della moglie e dei figli, sulla sua scrivania, al «Giornale». Con sorpresa vidi che si trattava di Stalin. «Con questo ci sarebbe stato gusto, a battersi», disse. ([[Massimo Fini]]) *Ognuno può pensarla come vuole, ma quando si passa dalla cronaca alla storia è necessario mantenere un giusto approccio ed essere oggettivi sui valori della persona. Indro Montanelli è stato forse il più autorevole giornalista che l’Italia ha avuto nel ventesimo secolo. La Toscana penserà ad azioni per valorizzarlo. ([[Eugenio Giani]]) ===[[Enzo Biagi]]=== *A Indro Montanelli devo molto: intanto, l'idea che chi conta è il pubblico. Poi la necessità di essere chiari, di far anche fatica, perché chi legge non ha voglia di impegnarsi troppo, e solo se uno si chiama [[James Joyce|Joyce]] può essere difficile. *Montanelli se n'è sempre fregato delle critiche, io molto meno, ho un carattere permaloso, spesso non ho resistito alla tentazione di rispondere a chi mi attaccava. Indro mi sgridava, diceva a mia moglie di tenermi calmo, che non ne valeva la pena, che erano tutte bischerate. [...] Per lui il buon risultato era il sorriso di un passante, l'oste che gli trovava il tavolo. Qualcuno si chiedeva che cos'avesse di speciale. A pensarci bene, niente. Scriveva degli articoli che erano letti e dei libri che si vendevano. *Non è una gran notizia che Indro e io non abbiamo mai fatto parte del coro, ma fu una grande notizia la spiegazione che ne diede Berlusconi: "Biagi e Montanelli hanno invidia del mio successo". La prima cosa che mi venne in mente fu: "Sai che risate si starà facendo Indro adesso". Poi mi dissi che c'era poco da ridere. ==Note== <references/> ==Bibliografia== *Indro Montanelli, ''Qui non riposano'', Marsilio, 1982 (1945). *Indro Montanelli, ''Pantheon minore'' (incontri), Longanesi e C., Milano, 1950. {{NoISBN}} *Indro Montanelli, ''Gli incontri'', Rizzoli, Milano, 1967. {{NoISBN}} *Indro Montanelli, ''Storia dei greci'', Rizzoli, Milano, 1992. ISBN 8817115126 *Indro Montanelli, ''Storia dei greci'', RCS Quotidiani, Milano, 2004. ISBN 1-129-08505-8 *Indro Montanelli, ''Storia di Roma'', Longanesi, Milano, 1957; Rizzoli, Milano, 1959. {{NoISBN}} *Indro Montanelli, ''Storia di Roma'', RCS Quotidiani, Milano, 2004. ISBN 1-129-08505-8 *Indro Montanelli, ''L'Italia giacobina e carbonara (1789-1831)'', Rizzoli, Milano, 1971. {{NoISBN}} *Indro Montanelli, ''L'Italia del Risorgimento (1831-1861)'', terza edizione, Rizzoli, Milano, 1972. {{NoISBN}} *Indro Montanelli, ''L'Italia dei notabili (1861-1900)'', Rizzoli, Milano, 1973. {{NoISBN}} *Indro Montanelli, ''L'Italia di Giolitti (1900-1920)'', Rizzoli, Milano, 1974. {{NoISBN}} *Indro Montanelli, ''L'Italia in camicia nera (1919-3 gennaio 1925)'', Rizzoli, Milano, 1976. *Indro Montanelli, ''Dante e il suo secolo'', Rizzoli, Milano, 1974. {{NoISBN}} *Indro Montanelli, ''I protagonisti'', Rizzoli, Milano, 1976. {{NoISBN}} *Indro Montanelli, ''Controcorrente'', Editoriale Nuova, Milano, 1978. {{NoISBN}} *Indro Montanelli, ''Controcorrente 1974-1986'', Arnoldo Mondadori Editore, Milano, 1987. ISBN 8804300558 *Indro Montanelli, ''Il meglio di «Controcorrente». 1974-1992'', Rizzoli, Milano, 1993. ISBN 8817428078 *Indro Montanelli, ''Il testimone'', TEA, Milano, 1993. ISBN 8878194182 *Indro Montanelli, ''Le Stanze. Dialoghi con gli italiani'', Rizzoli, Milano, 1998. ISBN 8817852597 *Indro Montanelli, ''Le nuove Stanze'', Rizzoli, Milano, 2001. ISBN 8817868426 *Indro Montanelli, ''Soltanto un giornalista. Testimonianza resa a Tiziana Abate'', BUR, Milano, 2003. ISBN 8817107042 *Indro Montanelli, ''I conti con me stesso. Diari 1957-1978'', a cura di [[Sergio Romano]], Rizzoli, Milano, 2010. ISBN 8817028202 ([http://books.google.it/books?id=fuh--fZGHMcC&printsec=frontcover Anteprima su Google Libri]) *Indro Montanelli, ''Ricordi sott'odio'', Milano, Rizzoli, 2011, ISBN 978-88-17-04963-4 *Indro Montanelli, ''Indro al Giro. Viaggio nell'Italia di Coppi e Bartali. Cronache del 1947 e 1948'', a cura di Andrea Schianchi, Collana Saggi italiani, Milano, Rizzoli, 2016. ISBN 978-88-1708-969-2 *Paolo Granzotto, ''Montanelli'', Bologna, Il Mulino. ISBN 88-15-09727-9 *Paolo Occhipinti (a cura di), ''Caro Indro... Dialoghi di Montanelli con il direttore di Oggi. 1993-2001. Il meglio di una rubrica di successo durata otto anni'', RCS, Milano, 2002. ==Voci correlate== *[[Colette Rosselli]] *[[Indro Montanelli e Roberto Gervaso]] *[[Indro Montanelli e Mario Cervi]] *[[Indro Montanelli e Marco Nozza]] *''[[Il generale Della Rovere]]'' (film 1959) ==Altri progetti== {{interprogetto}} ===Opere=== {{Pedia|La Voce (quotidiano)|''La Voce''}} {{Pedia|Storia d'Italia (Montanelli)|''Storia d'Italia''}} {{DEFAULTSORT:Montanelli, Indro}} [[Categoria:Drammaturghi italiani]] [[Categoria:Giornalisti italiani]] [[Categoria:Saggisti italiani]] [[Categoria:Commediografi italiani]] gnoxyprdedu6j40byxalf92fpz7hf9l 1381943 1381941 2025-07-01T20:10:13Z ~2025-110542 103361 /* La Stampa */ 1381943 wikitext text/x-wiki [[File:IndroMontanelliLettera22.jpg|thumb|upright=1.5|Indro Montanelli alla sede del ''Corriere della Sera'']] '''Indro Montanelli''' (1909 – 2001), giornalista, saggista e commediografo italiano. ==Citazioni di Indro Montanelli== [[File:Indro Montanelli 1936.jpg|miniatura|Indro Montanelli, ufficiale del Regio Esercito, 1936]] *[[Gianni Agnelli|Agnelli]] ha detto che non siamo nella repubblica delle banane, però qualche banana in Italia c'è, perché avvengono cose veramente singolari.<ref>Citato in Marco Travaglio, ''Bananas'', Garzanti, Milano, 5 maggio 2001.</ref> *Al [[conformismo]] l'[[ironia]] fa più paura d'ogni [[Argomentazione|argomentato ragionamento]].<ref>Da ''Controcorrente'', Editoriale Nuova, Milano, 1978.</ref> *{{NDR|[[Ferdinando I delle Due Sicilie]]}} Aveva sulla coscienza la vita di migliaia d'infelici, morti sulla forca e nelle galere solo per aver voluto un po' di libertà. Era stato spergiuro. Non aveva conosciuto che disfatte e fughe ignominiose di fronte al nemico. Politicamente, era rimasto fermo alla concezione settecentesca del più retrivo assolutismo. Non aveva fatto che i propri interessi, e più ancora i propri comodi, della regalità prendendosi solo i piaceri. Non aveva saputo che incrementare l'ignoranza di cui egli stesso era campione. Eppure, il cordoglio popolare per la sua morte non ci stupisce, perché un dono lo aveva avuto: la genuinità. Questo Re fellone e fannullone non aveva mai cercato di apparire diverso da quel che era: uno scugnizzo dei «bassi», prepotente, ridanciano e sboccato, nato per caso con una corona in testa e che aveva sempre concepito la sua parte come quella di un buon capo-camorra. Non aveva interpretato che i caratteri deteriori del popolo napoletano, ma anche i più appariscenti e riconoscibili.<ref>Da ''L'Italia unita. {{small|Da Napoleone alla svolta del Novecento}}'', Rizzoli BUR, Milano, 2015, [https://books.google.it/books?id=8J7tCgAAQBAJ&lpg=PT206&dq=&pg=PT206#v=onepage&q&f=false p. 206]. eISBN 978-88-58-68272-2</ref> *Avevo capito fin dal primo incontro che l'aggressività di [[Anna Magnani|Anna {{NDR|Magnani}}]] era solo la maschera della sua insicurezza. Era una donna difficile e sempre agli estremi di tutto: della dolcezza come del furore, e non si capiva mai bene, forse non lo capiva nemmeno lei, quanto l'uno e l'altra fossero veri, o soltanto scena. Certo è che dall'uno all'altra passava con fulminea velocità e tenendo chiunque in stato di fibrillazione. <ref>Da ''Anna Magnani, la più grande attrice del nostro cinema'', 23 ottobre 1999, in ''Le Nuove stanze'', a cura di Michele Brambilla, RCS Libri, Milano, 2002, p. 280.</ref> *{{NDR|[[Walter Chiari]]}} Avrebbe meritato 30 anni di prigione per lo spreco del suo talento.<ref>Citato in Luciano Giannini, ''[https://www.ilmattino.it/AMP/cultura/walter_chiari_100_walter_sottotitolo_chiari_biografia_di_un_genio_irregolare-7954361.html Walter Chiari genio irregolare che confessava di aver vissuto]'', ''Il Mattino'', 24 febbraio 2024</ref> *[[Silvio Berlusconi|Berlusconi]] è una persona intelligente finché riesce a ragionare col suo cervello: il suo cervello è valido. Ma lui, oltre al cervello, ha le viscere, e molto spesso le viscere prendono la prevalenza sul cervello. E quando lui si abbandona alle viscere, secondo me, diventa uomo pericoloso. Questo lo dico a lei perché l'ho detto a lui, perché gliel'ho anche scritto.<ref name="milano">Dal programma televisivo ''Milano, Italia'', Rai 3, 11 gennaio 1994.</ref> *[[Silvio Berlusconi|Berlusconi]] ha straordinarie qualità di imprenditore – coraggio, fantasia, forza di lavoro – che gli hanno valso il successo in tutti i campi in cui si è cimentato. Una sola cosa non gli riesce di fare, il presidente di una società di calcio.<ref>Da ''[http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/1987/01/20/ora-montanelli-critica-berlusconi.html Ora Montanelli critica Berlusconi]'', ''la Repubblica'', 20 gennaio 1987.</ref> *[[Silvio Berlusconi|Berlusconi]] non ha idee: ha solo interessi.<ref>2001; citato in [[Marco Travaglio]], ''Ad personam'', Chiarelettere, Milano, 2010, p. 39, ISBN 978-88-6190-104-9.</ref> *{{NDR|Su [[Aldo Moro]]}} Calvinista a rovescio, invece che nella predestinazione della [[Grazia divina|grazia]], credeva in quella della [[disgrazia]].<ref>Citato in [[Roberto Gervaso]], ''Ve li racconto io'', Mondadori, Milano, 2006, pp. 310-311, ISBN 88-04-54931-9.</ref> *Certo, per un direttore di giornale, avere sottomano un [[Marco Travaglio|Travaglio]], che su qualsiasi protagonista, comprimario e figurante della vita politica italiana è pronto a fornirti su due piedi una istruttoria rifinita nel minimo dettaglio è un bel conforto. Ma anche una bella inquietudine. Il giorno in cui gli chiesi se in quel suo archivio, in cui non consente a nessuno di ficcare il naso, ci fosse anche un fascicolo intitolato al mio nome, Marco cambiò discorso.<ref>Dalla prefazione a Marco Travaglio, ''Il Pollaio delle Libertà'', Vallecchi, Firenze, 1995.</ref> *Chi di voi vorrà fare il [[giornalista]], si ricordi di scegliere il proprio padrone: il [[lettore]].<ref>Dalla lezione di giornalismo all'Università di Torino, 12 maggio 1997; citato in ''La Stampa'', 14 aprile 2009.</ref> *Conosco molti furfanti che non fanno i [[Morale|moralisti]], ma non conosco nessun moralista che non sia un furfante. Senza, per carità, allusione a [[Eugenio Scalfari|Scalfari]]. Solo come promemoria.<ref>Citato in [[Eugenio Scalfari]], ''Incontro con io'', Rizzoli, Milano, 1994, ISBN 8806200747.</ref> *Cosa c'è meglio di [[Romano Prodi|Prodi]]? Governa fra compromessi e imbroglietti. I nostri soci sanno benissimo che siamo imbroglioni, che sui conti che portiamo all'Europa s'è un po' imbrogliato. Accettano lo stesso, purché non s'esageri. E [[Carlo Azeglio Ciampi|Ciampi]] non esagera, è un economista serio e vero. [...] {{NDR|Romano Prodi}} Con la faccia da mortadella, l'ottimismo inossidabile e l'eterno sorriso, ci porterà in Europa: ringraziamo Dio, e anche [[Massimo D'Alema|D'Alema]], che ci hanno dato Prodi.<ref name=Montanelli>Citato in Francesco Battistini ''[https://web.archive.org/web/20160101000000/http://archiviostorico.corriere.it/1997/dicembre/19/Montanelli_ragazzi_rifate_68_co_0_97121914987.shtml Montanelli: ragazzi, rifate il '68]'', ''Corriere della Sera'', 19 dicembre 1997.</ref> *Dicono che [[Ciriaco De Mita|De Mita]] sia un intellettuale della Magna Grecia. Io però non capisco cosa c'entri la Grecia...<ref>Citato in ''Liberazione'', 22 febbraio 2008.</ref> *{{NDR|Su [[Giulia Maria Crespi]]}} Dispotica guatemalteca.<ref> Citato in Paolo Martini, ''[https://www.adnkronos.com/crespi-la-zarina-del-corriere-della-sera-che-fondo-il-fai_4YA2lu93AIXTzgMw0Wj65x Crespi, la 'zarina' del Corriere della Sera che fondò il Fai]'', adnkronos.com, 19 luglio 2020.</ref> *{{NDR|Su [[Gad Lerner]], nel 2000}} È bravissimo, son contento l'abbian messo al ''Tg1'', è un buon conduttore, buonissimo giornalista. Ma sarà un bravo direttore?<ref>Citato in Antonella Rampino, ''[http://www.archiviolastampa.it/component/option,com_lastampa/task,search/mod,libera/action,viewer/Itemid,3/page,3/articleid,0428_01_2000_0162_0003_4349235/ Il rischio? Una missione impossibile]'', ''La Stampa'', 17 giugno 2000.</ref> *{{NDR|Su [[Concetto Lo Bello]]}} Entra in campo col passo del padrone che ispeziona il proprio podere.<ref>Citato in Marco Innocenti, ''[https://st.ilsole24ore.com/art/SoleOnLine4/dossier/Tempo%20libero%20e%20Cultura/storie-della-storia/archivio-2009/storie-storia-9-settembre-muore-lo-bello.shtml?uuid=4327f496-881f-11de-873c-ca3137183d57&DocRulesView=Libero&refresh_ce=1 9 settembre 1991: se ne va il re degli arbitri, Concetto Lo Bello]'', ''ilsole24ore.com'', 8 settembre 2009.</ref> *{{NDR|Su [[Gaio Giulio Cesare|Giulio Cesare]]}} Grande soldato, grande statista, grande scrittore, grande avventuriero. E grande amatore. C'era di tutto. [...] In questa epoca di Mani Pulite Cesare sarebbe rimasto sicuramente "intangentato". Di tangenti lui ne prese parecchie. Ma a differenza dei mariuoli di oggi era anche un grande legislatore, un grande generale, un uomo di un'efficienza straordinaria. I nostri sono dei ladri. Ladri e basta.<ref>Citato in Mauro Anselmo, ''[http://www.archiviolastampa.it/component/option,com_lastampa/task,search/mod,libera/action,viewer/Itemid,3/page,7/articleid,0797_01_1993_0212_0009_11229316/ Montanelli: così ho finito la mia Storia d'Italia]'', ''La Stampa'', 4 agosto 1993.</ref> *{{NDR|Su [[Clare Boothe Luce]]}} Ha la mentalità schematica di una maestra di scuola.<ref>Citato in Massimo Gaggi, ''Quando il giornale del Pci pensò di pubblicare il nudo dell'ambasciatrice Usa'', ''Corriere della Sera'', 18 dicembre 2022.</ref> *{{NDR|Su [[Lucio Battisti]]}} Ho amato molto le sue canzoni e il suo desiderio di vivere appartato.<ref>Citato in [[Leo Turrini]], ''Lucio Battisti: la vita, le canzoni, il mistero'', Mondadori, 2008, retrocopertina.</ref> *I mariti italiani, per comprar la pelliccia alle mogli, spendono più di tutti i loro colleghi europei. Poveri, ma pelli.<ref name=Controcorrente>Da ''Controcorrente, 1974–1986'', Mondadori, Milano, 1987.</ref> *I nostri uomini politici non fanno che chiederci, a ogni scadenza di legislatura, «un atto di fiducia». Ma qui la fiducia non basta; ci vuole l'atto di fede.<ref name=Controcorrente/> *I [[Ricordo|ricordi]] vanno messi sotto teca, appesi a una parete e guardati. Senza tentare di rinnovarli. Mai.<ref>Da un'intervista di [[Ferruccio de Bortoli]], 1999; in ''[http://www.rai.it/dl/Rai5/programma.html?ContentItem-f04f3982-e954-471e-8242-78f92423550d Indro Montanelli, gli anni della televisione]'', puntata 8, di Nevio Casadio, Rai Premium, 2013.</ref> *Il bello dei [[politologi]] è che, quando rispondono, uno non capisce più cosa gli aveva domandato.<ref name=Controcorrente/> *{{NDR|Su [[Carlo Sforza]]}} Il conte si piega sulle gambe come se volesse saltare in arcione. E io dico: è veramente un bell'uomo.<ref>Citato da Guido Russo Perez nella [https://documenti.camera.it/_dati/leg01/lavori/stenografici/sed0331/sed0331.pdf Seduta pomeridiana del 31 ottobre 1949] della Camera dei deputati.</ref> *Il fascismo privilegiava i somari in divisa. La democrazia privilegia quelli in tuta. In Italia, i regimi politici passano. I somari restano. Trionfanti.<ref name=Controcorrente/> *Il guaio di [[Eugenio Scalfari|Scalfari]] non è che dice quel che pensa. Il guaio di Scalfari è che pensa quel che dice.<ref>Citato in Paolo Granzotto, ''Montanelli'', p. 173.</ref> *In [[Italia]] a fare la dittatura non è tanto il dittatore quanto la paura degli italiani e una certa smania di avere, perché è più comodo, un padrone da servire. Lo diceva [[Benito Mussolini|Mussolini]]: «Come si fa a non diventare padroni di un paese di servitori?».<ref>Dall'intervista di Pasquale Cascella, ''Montanelli: «Il regime? È alle porte, inutile aspettare il dittatore»'', ''l'Unità'', 25 ottobre 1994, p. 5.</ref> *In Italia c'è una frangia d'imbecilli tali che credono si possa resuscitare il comunismo. Seppellire il cadavere del marxismo non è facile, anche perché per molti significa rinnegare l'intera esistenza. Ma certo [[Fausto Bertinotti|Bertinotti]] non è di questi: lui non sa un corno di marxismo, non gl'importa niente, è un piccolo pagliaccio, un populista all'italiana che scalda in piazza maree di poveri diavoli e parla ancora delle masse operaie, che vede solo lui.<ref name=Montanelli></ref> *In Italia non c'è una coscienza civile, non c'è un'identità nazionale che tenga insieme uno Stato federale e garantisca la civile convivenza delle sue parti. Invece io vedo solo nell'Italia Cisalpina qualche barlume di coscienza civile e una vocazione europea. Altrove, invece, è un disastro difficile, se non impossibile, da rimediare. Spero proprio di sbagliarmi.<ref name=Italia>Citato in ''Il grande vecchio del giornalismo rilegge gli ultimi anni della nostra storia'', ''L'Indipendente'', 25 luglio 1995.</ref> *In Italia si può cambiare soltanto la Costituzione. Il resto rimane com'è.<ref>Dall'articolo di Polaczek, ''Teile und sende'', in ''Frankfurter Allgemeine Zeitung'', 15 agosto 1996, p. 29.</ref> *In Italia un colpo di piccone alle [[Casa di tolleranza|case chiuse]] fa crollare l'intero edificio, basato su tre fondamentali puntelli, la Fede cattolica, la Patria e la Famiglia. Perché era nei cosiddetti postriboli che queste tre istituzioni trovavano la più sicura garanzia.<ref>Citato in Daniele Abbiati, [http://www.ilgiornale.it/news/tresse-indro-nella-repubblica-delle-marchette.html ''La maîtresse di Indro nella Prima Repubblica delle marchette''], ''il Giornale.it'', 22 ottobre 2010.</ref> *In nome di quale razza noi faremmo del razzismo? Se c'è un paese (adesso non voglio offendere, perché io sono italiano come tutti gli altri), ma se c'è un paese bastardo è l'Italia, cioè a dire una confluenza di razze diverse.<ref>Dal programma televisivo di Rai 3 ''Eppur si muove'', 20 marzo 1994.</ref> *Io non mi sono mai sognato di contestare alla [[Chiesa (comunità)|Chiesa]] il suo diritto a restare fedele a se stessa, cioè ai comandamenti che le vengono dalla Dottrina... ma che essa pretenda d'imporre questi comandamenti anche a me che non ho la fortuna di essere un credente, cercando di travasarli nella legge civile in modo che diventi obbligatorio anche per noi non credenti, è giusto? A me sembra di no.<ref>Citato in [[Umberto Veronesi]], ''[http://www.repubblica.it/2008/10/sezioni/cronaca/eluana-eutanasia-3/comm-veronesi/comm-veronesi.html Non vince la scienza]'', ''la Repubblica'', 14 novembre 2008.</ref> *Io il giornale urlato non è che non glielo voglio dare, non lo so fare! La clava non è nel mio armamentario! Non lo posso fare e non credo che sia un buon segno di civiltà politica l'uso della clava.<ref name="milano" /> *Io non sono napoletano, ma di fronte a [[Peppino De Filippo|Peppino]], non so come, mi capita sempre di diventarlo.<ref name=Pappagone>Citato in ''Pappagone e non solo'', a cura di Marco Giusti, Mondadori, Milano, 2003.</ref> *{{NDR|Alla nipote Letizia Moizzi}} Io sarò il tuo Jukebox. Tu metti una monetina e io ti racconto un ricordo.<ref>Citato in Elvira Serra, «Scoprii che era importante quando le Br gli spararono. Lo convinsi io a prendere i farmaci per la depressione», ''Corriere della Sera'', 20 gennaio 2025.</ref> *Io non voglio soffrire, io non ho della sofferenza un'idea cristiana. Ci dicono che la sofferenza eleva lo spirito; no la sofferenza è una cosa che fa male e basta, non eleva niente. E quindi io ho paura della sofferenza. Perché nei confronti della morte, io, che in tutto il resto credo di essere un moderato, sono assolutamente radicale. Se noi abbiamo un diritto alla vita, abbiamo anche un diritto alla morte. Sta a noi, deve essere riconosciuto a noi il diritto di scegliere il quando e il come della nostra morte.<ref>Citato in Carlo A. Martigli, ''[http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2002/04/25/sul-diritto-alla-morte-si-discute-su.html Sul diritto alla morte si discute su Internet]'', ''la Repubblica'', 25 aprile 2002.</ref> *Kipling diceva: "un italiano, un bel tipo; due italiani, una discussione; tre italiani, tre partiti politici". I suoi concittadini, invece, li definiva così: "un inglese, un cretino; due inglesi due cretini; tre inglesi, un popolo". Vorrei avere a che fare con dei cretini che, insieme, facessero un popolo.<ref>Citato in Cristina Taglietti, ''[https://web.archive.org/web/20160101000000/http://archiviostorico.corriere.it/1998/dicembre/17/Montanelli_cari_studenti_volete_spaccate_co_0_98121712510.shtml Montanelli: cari studenti, se volete spaccate tutto ma è inutile]'', ''Corriere della Sera'', 17 dicembre 1998.</ref> *{{NDR|Riguardo all'approvazione della legge elettorale nota come mattarellum}} L'unico modello a cui possiamo rifarci è quello francese, non quello inglese. In un paese dove ci sono venti-venticinque partiti, come si fa l'uninominale a turno unico? Qui rischia di vincere un partito che ottiene il dieci percento, perché gli altri hanno ottenuto il sette, il sei. Ma le pare giusto questo? Io non so se è stata una follia o un atto criminale questa riforma elettorale. Io sono per la traduzione in processo dei legislatori, da [[Sergio Mattarella|Mattarella]] agli altri - non è stato il solo - i quali hanno fatto, come al solito, o creduto di fare gli interessi del proprio partito. Hanno fatto questa legge prima che venisse il diluvio universale di [[Mani pulite|Tangentopoli]], convinti che siccome loro erano il partito di maggioranza relativa spazzavano via l'Italia. Poi è venuta tangentopoli e ora piangono. Dovrebbero suicidarsi se avessero un minimo di dignità. Suicidarsi. Perché in nome degli interessi di partito hanno completamente rovinato l'Italia. [...] Questi legislatori che hanno truffato con questa legge - perché questa legge è una truffa - io vorrei sapere come mai non vengono processati. Dovrebbero essere processati per lesa patria.<ref name=conferenza>[https://www.youtube.com/watch?v=snbg12DCPSM Indro Montanelli presenta "La Voce", conferenza stampa integrale], 1994.</ref> *La cosa curiosa di [[Antonino Caponnetto|Caponnetto]] è che si va a schierare con [[Leoluca Orlando|Orlando]] che è stato il peggior denigratore di [[Giovanni Falcone|Falcone]]. E poi dice che fa l'antimafia, io vorrei sapere i voti a Orlando chi glieli ha dati.<ref>Citato in Riccardo Chiaberge ''[https://web.archive.org/web/20160101000000/http://archiviostorico.corriere.it/1994/marzo/21/Montanelli_voce_controcorrente_co_0_94032115801.shtml Montanelli la voce controcorrente]'', ''Corriere della Sera'', 21 marzo 1994.</ref> *La [[cultura]], per un giornalista, è come una puttana: la puoi frequentare ma non devi ostentarla. La cultura si tiene nel cassetto. Il lettore non va trattato dall'alto in basso, ma preso per mano come un amico e portato dove vuoi.<ref>Citato in [[Roberto Gervaso]], ''Ve li racconto io'', Mondadori, Milano, 2006, p. 294, ISBN 88-04-54931-9.</ref> *La cultura si è chiusa nella torre eburnea. Rimane lì, arroccata in sé stessa, perché ha orrore dei contatti col pubblico, si crede diminuita dai contatti col pubblico. Questa è la cultura italiana. È una cultura di cretini.<ref name="montecarlo">Radio Montecarlo, [https://www.youtube.com/watch?v=A77mrwIjSSs Intervista a Indro Montanelli], di Roberto Arnaldi, 1973.</ref> *La [[depressione]] è una malattia democratica: colpisce tutti.<ref>Citato nel programma televisivo ''Ippocrate'', Rai News, 13 giugno 2010.</ref> *La devolution mi preoccupa molto, perché la decomposizione della [[Repubblica Socialista Federale di Jugoslavia|Jugoslavia]] cominciò esattamente così: reclamata e imposta dai due grandi compari Tudjiman e [[Slobodan Milošević|Milosevic]] che distrussero l'unità del Paese per restare padroni in casa propria...<ref>Citato in Gian Guido Vecchi, ''[https://web.archive.org/web/20160101000000/http://archiviostorico.corriere.it/2001/aprile/08/Devolution_traffico_voto_rebus_co_7_0104088547.shtml Devolution e traffico, il voto è un rebus]'', ''Corriere della Sera'', 8 aprile 2001.</ref> *La guerra contro il [[brigantaggio]], insorto contro lo Stato unitario, costò piú morti di tutti quelli del [[Risorgimento]]. Abbiamo sempre vissuto dei falsi: il falso del Risorgimento che assomiglia ben poco a quello che ci fanno studiare a scuola.<ref>Citato in Stefano Preite, ''Il Risorgimento, ovvero, Un passato che pesa sul presente'', Piero Lacaita, 2009.</ref> *La lettura del ''[[Adolf Hitler#Mein Kampf|Mein Kampf]]'' io la renderei, per legge, obbligatoria. Fuori dal contesto in cui fu concepito e scritto, quel libro è un caciucco di coglionerie.<ref>Citato in Cesare Medail, ''Il «Mein Kampf» torna nelle librerie italiane. Grazie a un editore cossuttiano'', ''Corriere della Sera'', 6 maggio 2000.</ref> *La nostra classe politica ha fatto del [[partito]] una specie di totem intoccabile e gli ha attribuito tutti i poteri, con in più un diritto: il diritto di abusarne.<ref name=Dovere>Dal programma televisivo ''Dovere di cronaca'', Rete 4, 1988, [https://www.youtube.com/watch?v=caQgyvTKZS8 visibile su YouTube].</ref> *Le cose non sono importanti per quello che sono, ma per quello che uno ci mette.<ref name="cento">intervista di Enzo Biagi a Indro Montanelli, (1982), da "Cento anni", Fabbri video, 1993.</ref> *Le mie idee sono sempre al vaglio dell'[[esperienza]] e l'esperienza mi impone di rivederle continuamente.<ref name="IIIB">Da un'intervista del 1971, tratta da ''III B, Facciamo l'appello'' di Enzo Biagi; anche in ''[http://www.rai.it/dl/Rai5/programma.html?ContentItem-f04f3982-e954-471e-8242-78f92423550d Indro Montanelli, gli anni della televisione]'', puntata 7, di Nevio Casadio, Rai Premium, 2013.</ref> *[[Leo Longanesi]] che amava [[Marcello Marchesi]] rabbiosamente per lo spreco che faceva del suo talento, quando lo incontrava, gli diceva: "Devo fare una telefonata, mi dai un gettone di intelligenza?". E un giorno mi ordinò un epitaffio per lui. Eccolo: "Qui giace un nessuno — che se avesse voluto — avrebbe potuto diventare — Marcello Marchesi —. Purtroppo o per fortuna — non lo seppe mai —. Come tutti i geni — era un cretino".<ref>Citato in Paola Fallai, ''Marchesi, l'umorista che creò un'atmosfera'', ''La lettura'', ''Corriere della Sera'', 25 marzo 2012; riportato in ''[http://www.cinquantamila.it/storyTellerArticolo.php?storyId=0000001549183 Cinquantamila.it]''.</ref> *Mi accusano molto spesso di avere inventato degli aneddoti. È verissimo. Io ogni tanto invento quando devo descrivere un personaggio, specialmente negli incontri, io invento qualche aneddoto. Però sono sempre aneddoti funzionali, che servono a dimostrare quel certo carattere che mi sembra vero e di dover dimostrare.<ref name="IIIB" /> *Mi avvio verso il mio capolinea con l'angoscia di portare con me le cose che ho più amato: il mio paese e il mio mestiere, temo che non mi sopravviveranno.<ref>Da un'intervista del 1996, tratta da ''Tablet Italiani'', puntata 2, "Montanelli/Bocca", Rai Storia, 25 agosto 2013.</ref> *{{NDR|Su [[Vittorio Mangili]], in riferimento all'[[rivoluzione ungherese del 1956|insurrezione antisovietica in Ungheria nel 1956]]}} Ne ha combinate di tutti i colori. Ha fatto perfino il portaordini dei patrioti, a bordo di una delle loro automobili di collegamento.<ref>Citato in Roberta Scorranese, ''[https://www.corriere.it/cronache/22_ottobre_09/vittorio-mangili-cento-anni-dell-inviato-rai-io-budapest-madre-teresa-1efd76ca-473a-11ed-8ee2-07ab17a2d97d.shtml Vittorio Mangili, i cento anni dell’inviato Rai «Io, da Budapest a Madre Teresa»]'', ''corriere.it'', 8 ottobre 2022.</ref> *Nei grandi [[giornale|giornali]] di oggi, che non possono farne a meno, chi comanda non è più nemmeno il [[direttore]]: è l'ufficio [[marketing]].<ref name="giornalista">Da: ''Repertorio della Fondazione Montanelli'', in ''Indro Montanelli - Gli anni della televisione 4: Io sono soltanto un giornalista'', a cura di Nevio Casadio, Rai Sat, 2009</ref> *{{NDR|Rivolto a [[Silvio Berlusconi|Berlusconi]] che voleva imporsi sulla linea editoriale de ''il Giornale''}} Nell'arte dell'imprenditoria, tu sei di certo un genio, ed io un coglione. Ma nell'arte della polemica il genio sono io, e tu il coglione.<ref name=Travaglio2004>Citato in Marco Travaglio, ''Montanelli e il Cavaliere'', Garzanti, Milano, 2004.</ref> *Nessuno di noi la strada della ribellione la batté sino in fondo, come voleva [[Berto Ricci|Ricci]]: per la semplice ragione che si trattava di una strada che fondi non ne aveva. Qualcuno poi scantonò in questo o in quello dei sette o otto partiti che aprirono le porte a questa generazione perduta. E forse si illuse di aver trovato un’altra bandiera. Io sono tra i rassegnati: so benissimo che di bandiere non posso averne altre e che l'unica che seguiterà a sventolare sulla mia vita è quella che disertai, prima che cadesse.<ref>Citato in Mario Bernardi Guardi, ''La giovinezza di Montanelli ebbe un nome: Berto Ricci'', ''Il Primato Nazionale'', 3 maggio 2016.</ref> *No, [[Marco Travaglio|Travaglio]] non uccide nessuno. Col coltello. Usa un'arma molto più raffinata e non perseguibile penalmente: l'archivio.<ref name=Travaglio2004/> *Noi italiani non crediamo in nulla e tanto meno nelle virtù che qualcuno ci attribuisce. Ma tra di esse ce n'è una nella quale riponiamo una fede incorruttibile: quella della nostra capacità di corrompere tutto.<ref>Citato in Mario Cervi, ''Ti ricordi Indro?'', Società europea di edizioni, Milano, 2017, p. 57. ISBN 9778118178454</ref> *Noi qui buttiamo tutte le colpe addosso agli altri. Ma bisogna fare i conti anche col popolo italiano. Siamo noi che li abbiamo eletti questi signori. Sono mica piovuti dalla luna. E allora non accaniamoci soltanto sulla classe politica. Noi siamo un elettorato disposto a ogni sorta di transazione, quando ci fa comodo.<ref name=conferenza /> *Non credo alle feste comandate. La memoria dovrebbe essere spontanea. L'unica cosa che si dovrebbe fare è raccontare veramente e in maniera spassionata ai giovani, che non lo sanno, cosa è stata la Shoah, senza fare mobilitazioni di folle.<ref>Citato in Marco Cremonesi, ''[https://web.archive.org/web/20160101000000/http://archiviostorico.corriere.it/2001/gennaio/28/Diecimila_piazza_con_nomi_dei_co_0_0101282160.shtml Diecimila in piazza con i nomi dei lager]'', ''Corriere della Sera'', 28 gennaio 2001, p. 31.</ref> *Non do più nessun significato a queste due parole {{NDR|destra e sinistra}}, le ritengo un cascame, un residuato di situazioni oramai defunte. [[Destra e sinistra]] non hanno più nessun significato e credo che noi ci stiamo attardando su una terminologia arcaica, oramai da seppellire.<ref>Radio Radicale, [https://www.radioradicale.it/scheda/598/599-elezioni Elezioni], 38:58-39:26, 25 maggio 1979.</ref> *Non mi si portino i soliti argomenti astratti, tipo la sacralità della vita: nessuno contesta il diritto di ognuno a disporre della sua vita, non vedo perché gli si debba contestare il diritto a scegliere la propria morte.<ref>Citato in Enrico Bonerandi, ''[http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2000/12/13/montanelli-pronto-morire.html Montanelli: pronto a morire]'', '' la Repubblica'', 13 dicembre 2000, p. 36.</ref> *{{NDR|Il Polo delle Libertà}} Non venga a farci credere che è costretto all'[[Aventino (espressione)|Aventino]] dal clima di violenza creato dall'Ulivo. Dove diavolo la vede questa violenza? Mi basta guardare la faccia di [[Romano Prodi|Prodi]] 1996 per metterla a confronto con quella di Mussolini 1924 per escludere che in Italia corriamo il pericolo di una dittatura. Per fare una dittatura ci vuole un dittatore.<ref>Citato in Alessandro Longo, ''[https://rep.repubblica.it/pwa/generale/2018/03/17/news/aventino-191559602/?ref=pwa-rep-hp-2-1-1 Perché si dice Aventino]'', ''Rep.repubblica.it'', 17 marzo 2018.</ref> *{{ndr|su [[Gianni Agnelli]]}} Parla con la propria bocca, pensa con il cervello di Valletta, col cuore di Giulio De Benedetti e con gli interessi polivalenti della Fiat.<ref>Citato in Paolo Granzotto, ''Montanelli'', p. 129.</ref> *{{ndr|su [[Mariano Rumor]]}} Personaggio da commedia [[Carlo Goldoni|goldoniana]] più che da tragedia contemporanea.<ref>Citato in Paolo Granzotto, ''Montanelli'', p. 145.</ref> *Posso solo dire che l'Italia del Cattaneo è quella che conserva qualche probabilità di salvarsi da questo degrado politico, culturale, morale, economico. E l'Italia del Cattaneo è quella Cisalpina. A nord del Po, e forse anche in Emilia, esistono tracce di coscienza civile e anche di classi dirigenti sane. Poi c'è un'Italia centrale, quella toscana e umbra e marchigiana, che conserva le sue peculiarità, i suoi caratteri spiccati che affondano le radici nell'Italia comunale e rinascimentale. Il resto è un disastro che non saprei come salvare. Del resto Cattaneo ci tentò, andò a Napoli e resistette qualche giorno. Poi si arrese e se ne tornò nella sua Lugano, nella sua Svizzera.<ref name=Italia>Citato in ''Il grande vecchio del giornalismo rilegge gli ultimi anni della nostra storia'', ''L'Indipendente'', 25 luglio 1995.</ref> *Pur ricordandovi che la nostra regola è quella di non tener conto delle intemperanze altrui, specie dei politici, e di dire sempre la verità, tutta la verità, senza partito preso né animosità verso nessuno, vi autorizzo a comunicare al [[Bobo Craxi|suddetto signore]], se ve ne capita l'occasione, che l'unica «testa» in pericolo di cadere dopo il 5 aprile non è la vostra ma, casomai, la sua. E potete aggiungere, da parte mia, che non la considererei una gran perdita.<ref>Citato in [[Federico Orlando]], ''Il sabato andavamo ad Arcore'', Larus, Bergamo, 1995.</ref> *[[Sandro Pertini|Pertini]] ha interpretato al meglio il peggio degli italiani.<ref>Citato in Franco Fontanini, ''Piccola antologia del pensiero breve'', Liguori Editore, Napoli, 2007, p. 12.</ref> *Quando mi viene in mente un bell'aforisma, lo metto in conto a [[Montesquieu]], od a [[François de La Rochefoucauld|La Rochefoucauld]]. Non si sono mai lamentati.<ref>Citato in Luigi Mascheroni, ''[http://www.ilgiornale.it/news/mai-dette-ripetiamo-sempre-ecco-frasi-fantasma-storia.html Mai dette, ma le ripetiamo sempre. Ecco le frasi fantasma della storia]'', ''il Giornale'', 21 marzo 2009, p. 22.</ref> *Quello che ci ripugna è che, per mettere un controllo all'autorità politica, ci sia bisogno di ricorrere all'autorità giudiziaria. Cioè che, alla fine, noi avremo le riforme istituzionali non per via politica, ma per via giudiziaria e processuale. Questo ci allarma anche perché, come avrete ben capito, la mia opinione dei politici è molto bassa, ma quella dei giudici non è migliore. Perché anche i giudici sono stati corrotti dalla partitocrazia. Lo dimostra il semplice fatto che molti di loro ostentano la tessera di partito. Un giudice che ha venduto la propria imparzialità ai partiti è un giudice che, prima di processare gli altri, dovrebbe essere processato lui e cacciato in galera. Lo so che a dire queste cose si possono avere dei dispiaceri, ma io di dispiaceri in vita mia ne ho avuti tanti che, uno più o uno meno, non mi fa nessunissimo effetto.<ref name=Dovere/> *{{NDR|[[Carmen Lasorella]]}} Richiama tanta attenzione non solo per la sua bravura ma anche per quel che possiede dal cervello in giù.<ref>Citato in Luigi Mascheroni, ''[https://books.google.it/books?id=gtg7AQAAIAAJ&q=%22Richiama+tanta+attenzione+non+solo+per+la+sua+bravura+ma+anche+per+quel+che+possiede+dal+cervello+in+gi%C3%B9+%22&dq=%22Richiama+tanta+attenzione+non+solo+per+la+sua+bravura+ma+anche+per+quel+che+possiede+dal+cervello+in+gi%C3%B9+%22&hl=it&newbks=1&newbks_redir=0&sa=X&ved=2ahUKEwiC2PXRl5WDAxVs4AIHHazPCd4Q6AF6BAgHEAI Sette, settimanale del Corriere della sera, Edizioni 1-9]'', 1996.</ref> *Sfido io che {{NDR|''il Giornale''}} non va bene come vendite. Non va bene come vendite perché noi siamo ancora alla macchina Olivetti. Qui non è stato fatto mai nessun investimento ed è stato detto chiaro che gli investimenti non sarebbero venuti finché io ne fossi il direttore. Questa è la situazione.<ref name="milano" /> *Siamo un paese cattolico, che nella [[Provvidenza]] ci crede o almeno ne è affascinato. Il pericolo è questo: gli [[italia]]ni sentendo aria di provvidenza sono sempre pronti a mettersi in fila speranzosi.<ref name=Provvidenza>Citato in ''[http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/1994/02/24/rivogliono-uomo-della-provvidenza.html?ref=search Rivogliono l'uomo della provvidenza]'', ''la Repubblica'', 24 febbraio 1994, p. 11.</ref> *Se avessi potuto immaginare come sarebbe stata distrutta la vecchia classe politica italiana - che meritava la distruzione, sia chiaro - se avessi potuto immaginare che la distruzione della vecchia classe politica italiana, in gran parte marcia, avrebbe dischiuso una situazione come quella attuale e che la vecchia legge proporzionale sarebbe stata sostituita dall'attuale legge maggioritaria così come è stata compilata, io avrei forse difeso la vecchia classe. Per lo meno non mi sarei battuto con tanta asprezza e con tanto vigore contro quella classe politica, che meritava di finire, ma a cui si stanno dando dei successori che, ricordatevelo bene, ci faranno rimpiangere quella vecchia. È il peggio che si può dire. Ma io lo dico. Perché non riesco proprio a vedere cosa sta venendo fuori da questo rimescolio di carte.<ref name=conferenza /> *{{NDR|«Se dovesse fondare un giornale a novant'anni, che giornale farebbe?»}} Se io dovessi oggi fare un giornale, farei un ''Foglio'' un po' più grande: invece che di 4 facciate di 10 o di 12. Non di più. Con una redazione ridottissima e facendo un preventivo che mi mettesse al riparo dalle delusioni. Mirerei ad avere non più di venti/trentamila lettori e non avere pubblicità. Su queste basi, forse, riuscirei a fare un [[giornale]] di alto prestigio, ma purtroppo destinato a una élite.<ref name="giornalista" /> *Sta arrivando l'uomo della provvidenza. E io, in vita mia, di questi personaggi ne ho già conosciuto uno. Mi è bastato. Per sempre.<ref name=Provvidenza></ref> *Una cultura che perde i contatti col pubblico si sterilisce e muore. Questa è la verità. E la nostra cultura è assolutamente sterile. Noi culturalmente non contiamo più nulla nel mondo. Perché? Perché è chiusa in sé stessa, la cultura, ha perso i contatti col pubblico, con la vita. Non c'è più. Sono mummie. Non è più cultura: è mafia.<ref name="montecarlo" /> *{{NDR|Su [[Aldo Moro]]}} Un generale che, sfiduciato del proprio esercito, credeva che l'unico modo di combattere il nemico fosse quello di abbracciarlo.<ref>Citato in [[Roberto Gervaso]], ''Ve li racconto io'', Mondadori, Milano, 2006, p. 310, ISBN 88-04-54931-9.</ref> *Un giorno fui convocato a Palazzo Venezia, era il 1932 e avevo 23 anni, perché il duce voleva vedermi. Ero emozionatissimo, entrai e mi misi sull'attenti, e il duce che faceva finta di scrivere mi lasciò lì per un quarto d'ora e alla fine mi disse: "Ho letto il vostro articolo sul razzismo (avevo scritto un articolo contro il razzismo). Bravo, vi elogio. Il razzismo è roba da biondi (non si era accorto che ero biondo), continuate così. Sei anni dopo fece le leggi razziali. Perché questo era [[Benito Mussolini|Mussolini]], diceva una cosa e ne faceva un'altra, secondo il vento del momento. Non creava il vento, vi si accodava da buon italiano.<ref>Citato in Gianna Fregonara, ''[https://web.archive.org/web/20160101000000/http://archiviostorico.corriere.it/2010/gennaio/24/Dal_balcone_Mussolini_bianco_sorriso_co_9_100124324.shtml Dal balcone di Mussolini al bianco sorriso di Belen]'', 24 gennaio 2010, p. 34.</ref> *{{NDR|Su [[Giorgio La Pira]]}} Un pasticcione ben intenzionato che, nel nome del Signore, appoggia le peggiori cause appellandosi ai migliori sentimenti.<ref>Citato in [[Roberto Gervaso]], ''Ve li racconto io'', Mondadori, Milano, 2006, p. 236, ISBN 88-04-54931-9.</ref> ===Citazioni tratte da suoi libri=== *{{NDR|Sul funerale di [[Leo Longanesi]]}} Al cimitero ci si ritrovò in una decina di persone, non di più. Non ci furono cerimonie né discorsi. Solo la piccola Virginia, che avrà avuto quattordici anni, mentre la bara di suo padre calava nella tomba, mormorò: «E dire che gli orfani mi sono sempre stati così antipatici...» Una frase che sarebbe piaciuta moltissimo a Leo.<ref>Dalla presentazione a [[Leo Longanesi]], ''In piedi e seduti'', Longanesi & C., Milano, 1968.</ref> ====''Caro Indro...''==== *L'aureola di martire a Craxi nessuno è disposto a riconoscergliela, proprio perché inconciliabile con l'arroganza con cui si comporta. Nessun paragone col contegno di Andreotti, davvero ineccepibile. Sul banco degli imputati ci sta da imputato, dimentico di essere stato per ben sette volte capo del governo. Parla solo se interrogato, e a bassa voce. Non rinuncia alla propria dignità, ma non la ostenta. Eppoi, le colpe che gli si addebitano saranno anche più gravi di quelle che si addebitano a Craxi, ma meno spregevoli. Potrà anche aver baciato Riina (sebbene a me questo appaia poco credibile). Ma del pubblico denaro non risulta che gli sia scivolata in tasca nemmeno una lira. Forse merita la fucilazione. Lo spregio, no. (31.1.1996) (p. 9) *Non ho mai conosciuto [[Yasser Arafat|Arafat]], né mai ho cercato di conoscerlo: non mi pare che il suo aspetto inviti alla simpatia. Però non l'ho mai considerato un criminale anche se si trovava alla testa di un'[[Organizzazione per la Liberazione della Palestina|organizzazione]] in cui di criminali ce ne sono molti. E oggi non lo considero affatto un eroe, ma un uomo coraggioso sì, perché lo ritengo in costante pericolo di vita. La lotta per il potere, dentro l'Olp, è a coltello: e i nemici di Arafat sono quelli che il coltello lo maneggiano meglio di tutti. Stringendo la mano a [[Yitzhak Rabin|Rabin]], Arafat ha moltiplicato i suoi nemici e li ha resi ancora più rabbiosi. È un uomo a rischio, non c'è dubbio. E se muore lui, addio pace in Medio Oriente. (4.10.1993) (p. 11) *Certo che il passato dell'Olp, carico di bombe e di sangue, non è la migliore referenza per un Nobel, ma Arafat è però anche l'unico interlocutore palestinese: dopo di lui c'è il nulla, o meglio soltanto gruppi di fanatici votati alla violenza e alla distruzione di [[Israele]]. Una volta presa la decisione di premiare i protagonisti del tormentato processodi pace in Medioriente [...] si è dovuto fare di necessità virtù e dare il riconoscimento anche all'uomo che per molti anni è stato un simbolo del terrorismo, nonché l'ispiratore di tante altre «lotte armate»: premiare solo Rabin e [[Shimon Peres|Peres]] sarebbe stato uno schiaffo ai palestinesi, un'iniziativa controproducente. [...] Forse più che il Nobel per la pace meriterebbe quello per il ravvedimento... (30.10.1994) (p. 12) *«Libera Chiesa in libero Stato» è una formula più d'effetto che di sostanza. Potrebbe anche significare che Chiesa e Stato si ignorano a vicenda e ognuno dei due si attribuisce i poteri che più gli aggradono: che è il modo più sicuro per litigare, non certo per convivere. Fra i due ci deve essere un patto improntato al reciproco rispetto: condizione più facile da formulare che da realizzare. Ma sembra che lo sviluppo di questo rapporto negli ultimi anni abbia fatto più passi indietro che avanti. E mi pare che dello stesso parere sia il capo dello Stato, Carlo Azeglio Ciampi. Meno male (7.3.2001) (p. 30) *Ho fiducia in [[Massimo D'Alema|D'alema]], anche se non voterò mai per lui. Ho fiducia per due motivi. Prima di tutto perché, fra i leader di oggi, è l'unico vero professionista della politica. Eppoi perché non ho dubbi sulla sua intenzione di fare del Pds un partito socialdemocratico o laburista. Se non fosse così, non solo Prodi ma nemmeno Veltroni sarebbero al suo fianco. E appunto perché è così, sono convinto che consumerà fino in fondo il divorzio da Rifondazione. Lo consumerà cercando di non farsene portar via molti elettori. Ma lo consumerà per conquistare i moderati: altra strada non può battere. E proprio in questi giorni lo ha dimostrato sacrificando anche quella piccola falce e martello che tuttora sopravviveva nel simbolo del suo partito ai piedi della Quercia. Non era che un «segno», dirà qualcuno. Sì, ma che segno! (17.5.1995) (p. 42) *Anch'io sono stato in passato un fautore dell'elezione diretta, cioè per consultazione popolare, del Capo dello Stato. Mi pareva il mezzo più efficace per sottrarre almeno il Quirinale agl'intrallazzi dei partiti e per avere un garante al di sopra di essi. Ma poi ho dovuto cambiare idea di fronte alle prove di balordaggine, d'ignoranza, di totale mancanza di consapevolezza morale e civile dell'elettorato italiano, o almeno della sua maggioranza. È un elettorato sempre pronto a correre dietro a qualche ciarlatano che sappia vendere bene la sua merce e a lasciarsene trascinare nelle imprese più insensate. Insomma considero la stupidità più pericolosa degl'intrallazzi. (23.12.1998) (p. 47) *Non credo che [[Diana Spencer|Diana]] rimarrà nella memoria dei posteri. Era una bella e simpatica ragazza, che avrebbe anche potuto essere una buona moglie e una buona madre, ma che non aveva certamente la stoffa e le dimensioni umane, comportamentali di una regina. Più e meglio che sul trono, il suo personaggio avrebbe figurato in un romanzo di Liala. Non riesco ad accostarla a figure storiche (17.9.1997) (p. 72) *Mussolini non aveva la stoffa del criminale né di guerra né di pace. Dicendolo, so di espormi alle contumelie della cosiddetta intellighenzia. Ma ne ho già ricevute tante che non mi fanno più nessun effetto. Tuttavia mi rendo conto che alla condanna a morte non avrebbe potuto sfuggire perché almeno un responsabile delle catastrofi che si erano abbattute sull'Italia si doveva pur trovare, e non poteva essere che lui. Però c'è da ringraziare Dio, e per esso, il Comitato di liberazione nazionale che ne ordinò (o avallò) la fucilazione sul posto perché un processo a Mussolini avrebbe ancora più spaccato un Paese già spaccato dalla guerra civile (per chiamare col suo vero nome, la Resistenza). E credo che anche gli Alleati trassero un respiro di sollievo dal venirne esentati. Un processo avrebbe messo in imbarazzo anche loro per le indulgenze che avevano avuto verso di lui e quella parodia di totalitarismo ch'era stata il suo regime. Una Norimberga italiana sarebbe stata anch'essa una parodia. La fucilazione sul posto di Mussolini era un atto dovuto. Quello che non era dovuto, e che per gl'italiani provvisti di qualche senso dell'onore e della decenza rimarrà una indelebile vergogna, fu la scena di piazzale Loreto (30.6.1999) (pp. 89-90) *{{NDR|«Poni che ti regalino una telecamera, con il diritto di spiare per un mese, non visto, un potente della Terra, a tua scelta, dalla regina Elisabetta a Gheddafi, da Saddam a Clinton. Quale personaggio ti incuriosirebbe di più?»}} [[Vladimir Putin|Putin]]. Credo che sia una canaglia perché solo le canaglie potevano arruolarsi e fare carriera in un corpo di polizia come il Kgb. Ma è proprio di una canaglia che la [[Russia]] ha bisogno per ricompattarsi all'interno, risollevarsi dal caos in cui l'ha precipitata il crollo di un regime totalitario durato settant'anni, e riprendere nel gioco delle potenze mondiali il posto che spetta a un Paese di 250 milioni di abitanti, di grandi tradizioni e d'inesauribili risorse naturali. L'Occidente ha bisogno della Russia: è il suo antemurale verso un Oriente che può riservarci amare sorprese. [...] Non facciamoci illusioni sull'avvenire di una democrazia in Russia. Essa ha bisogno [...] di una mano forte e spregiudicata, di una canaglia insomma. [...] Ecco perché mi piacerebbe conoscere Putin: per vedere se è la canaglia di cui mi pare abbia bisogno la Russia in questo momento: un «momento» destinato a durare parecchi decenni. (18.10.2000) (pp. 104-105) ====''Il testimone''==== *[[Corrado Carnevale|Carnevale]] ha dichiarato in un'intervista che la notte non ha bisogno di sonniferi per dormire perché, nei confronti della Legge, la sua coscienza è a posto. Ci crediamo senz'altro. Ma se si ponesse la stessa domanda nei confronti della Giustizia, mi domando se i suoi sogni sarebbero altrettanto tranquilli. E ci rendiamo tuttavia conto che questa domanda non se la porrà mai, e anzi gli sembrerà del tutto stravagante. Perché, per un magistrato italiano, la Legge con la Giustizia non ha nulla a che fare. (da p. 386) ====''Il meglio di «Controcorrente» 1974-1992''==== *Il «comitato permanente antifascista» di Milano ha deciso di chiedere un «riconoscimento» per tutti coloro che sono stati «coinvolti direttamente nella strategia della tensione a partire dal 1º gennaio 1969». Ci risiamo. Tutta la nostra vita è stata angosciata e angariata dagli antemarcia: prima quelli del Littorio, poi quelli della Resistenza, ed ecco che ora spuntano quelli della «tensione». Longanesi aveva ragione: in questo Paese, reduci si nasce. (p. 47) *Agli alunni della terza classe (anni otto-nove) della scuola elementare di via Pisani, Milano, è stato assegnato il seguente problema: «Mario, Gino e Beppino sono i capi della banda. Mario dice a Gino che la banda ha quasi esaurito le munizioni: rimangono solo 5 cassette con 130 pallottole per cassetta. Quante pallottole rimangono?». Debolucci come siamo, in aritmetica, non lo sappiamo nemmeno noi. Ma ci pare che una per l'insegnante e una per il ministro Malfatti ci dovrebbero ancora essere. (p. 79) *Il messaggio di addio che il dimissionario capo dello Stato ha detto alla televisione e che anche noi pubblichiamo, è ineccepibile. Esso dà del presidente [[Giovanni Leone|Leone]] un'immagine che non fa una piega: un galantuomo all'antica, padre di una famiglia esemplare, ingiustamente calunniato da una stampa irresponsabile. Siamo sicuri che tutto questo si può dire di Leone. Ha un solo difetto: che a dirlo è stato Leone. (p. 84) *A Roma, nonostante tutte le ricerche fatte, non è stato possibile trovare un locale disponibile per un convegno di radicali. Non ce n'era uno abbastanza piccolo per contenerli tutti. (p. 103) *Qualcuno teme – e qualche altro spera – che l'Afghanistan diventi il Vietnam dei russi. Niente paura, in Afghanistan non ci sono giornalisti. (p. 112) *Quella del ''Corriere'' non è una situazione invidiabile: il direttore in congedo per l'affare della P2, manager ed articolisti contestati per lo stesso motivo, il maggiore azionista in galera, accusato di reati valutari, montagne di debiti, trasparenza della proprietà limpida come un mare in burrasca. Ci sarebbe davvero da mettersi le mani nei capelli. Se non fosse un giornale di [[Roberto Calvi|Calvi]]. (pp. 125-126) *Quando leggiamo «ministro senza portafoglio», ci viene sempre un dubbio. Che glielo abbia rubato qualche collega? (p. 146) *L'[[Organizzazione per la Liberazione della Palestina|Olp, Organizzazione per la liberazione della Palestina]], è stata ammessa con voto unanime, anche se provvisoriamente, nel Comitato olimpico asiatico. Non sapevamo che il lancio della bomba fosse diventato una disciplina atletica. (pp. 171-172) *A suo tempo imprigionato dagl'israeliani per complicità col terrorismo palestinese, e liberato per l'intervento del Vaticano con l'impegno di astenersi dalla politica, l'Arcivescovo libanese di Gerusalemme [[Hilarion Capucci]] ha dichiarato in un'intervista all'''Europeo'' che i rivoltosi di Gaza e della Cisgiordania non ricevono ordini da nessuno: «Li prendono solo da Dio, loro unico leader». Lo abbiamo sempre detto, noi: a grattare un arabo, anche se cristiano e Monsignore, viene fuori un Ayatollah. Ma forse non c'è neanche bisogno di grattare. (p. 184) *Da Praga [[Bettino Craxi]] proclama che «bisogna liberare l'Italia da Falci e Martelli». Benissimo. Ma chi è Falci? (p. 206) *[[Pino Rauti]] è intenzionato a candidare un africano alle elezioni comunali fiorentine. Più che giusto: il nero si addice al Msi. (p. 209) *Per evitare pubblicità attorno al caso di [[Angelo Peruzzi|Peruzzi]] e [[Andrea Carnevale|Carnevale]], i due giocatori giallo-rossi risultati positivi all'antidoping, il presidente della Roma, [[Dino Viola]], ha deciso di portare tutta la squadra in ritiro. A San Patrignano. (p. 216) *Secondo ''La Notte'' di ieri – che riferisce dichiarazioni d'un capo della Jihad islamica, Ibrahim Serbell – i terroristi arabi hanno nel loro mirino, per quanto riguarda l'Italia, «uomini politici, aeroporti e alcuni obiettivi strategici». Siamo molto preoccupati per gli aeroporti e gli obiettivi strategici. (p. 220) *La fantapolitica non è il nostro esercizio preferito. Ma ci chiediamo che cosa succederebbe se, con un colpo alla Moro, i terroristi si impadronissero di Cossiga e lanciassero al governo il ricattatorio ultimatum: «Se non ci date cento miliardi, lo liberiamo». (p. 228) *Malgrado tutto (e per tutto intendiamo proprio tutto), [[Moana Pozzi]] non è riuscita ad entrare a Montecitorio. Peccato. È l'unica Camera che non potrà dire di aver frequentato. (p. 236) *Sull'''Unità'' è comparsa la lettera di un deputato che, pericolosamente sfiorato da un motociclista, invoca drastiche misure penali contro i «teppisti al volante». Ci associamo alla proposta. L'unica cosa che ci sconcerta è la firma del proponente: è quella dell'onorevole [[Mario Gozzini]], autore della famosa legge che in pratica vorrebbe l'indulgenza plenaria per qualsiasi reo e reato. (p. 244) ===Attribuite=== *Berlusconi non delude mai: quando ti aspetti che dica una scempiaggine, la dice.<ref name=Travaglio2004/> :In ''Io e il cavaliere qualche anno fa'', ''Corriere della Sera'', 25 marzo 2001, p. 1, Montanelli attribuisce la citazione a «un'alta personalità della Finanza, nota anche per il suo infallibile fiuto degli uomini». La frase esatta è: «Avrà anche i suoi difetti, ma un merito bisogna riconoscerglielo: quello di non deludere mai. Quando ti aspetti che dica una scempiaggine, la dice». ==Interviste== {{cronologico}} *{{NDR|La guerra coloniale etiopica}} Considerandola oggi, con la mia maturità d'oggi, {{NDR|è}} un'avventura di una stupidità senza fine. Ma immaginiamo un ragazzo di 24 anni messo al comando di una banda indigena, con 100 uomini neri – lui solo bianco – buttato all'avventura in quella guerra che di combattimenti ne ebbe molto pochi – non voglio passare per un gran guerriero, affatto – ma furono un anno e mezzo a cavallo, di cavalcate in questa natura selvaggia (ripeto, combattimenti ben pochi). {{NDR|«Dicono anche che lei aveva una moglie, diciamo indigena, molto bella, che era la più bella di tutte quelle che avevano gli ufficiali d'allora»}} Sì. {{NDR|«Era molto invidiato per questo»}} Pare che avessi scelto bene, era una bellissima ragazza bilena, di 12 anni – {{NDR|sorridendo}} scusatemi, ma in Africa è un'altra cosa – e così l'avevo sposata, nel senso che l'avevo regolarmente comprata dal padre che mi ha accompagnato insieme alle mogli dei miei ascari. Queste mogli degli ascari non è che seguissero la banda, ma ogni 15 giorni raggiungevano la banda: io non ho mai capito come facessero a trovarci in questo infinito dell'Abissinia. Quelle arrivavano e arrivava anche questa mia moglie con la cesta in testa, che mi portava la biancheria pulita. [...] {{NDR|Domanda del pubblico: «Lei ha detto tranquillamente di avere avuto una sposa, diciamo, di 12 anni e a 25 anni lei non si è peritato affatto di violentare una ragazza di 12 anni, dicendo "Ma in Africa queste cose si fanno". Io vorrei chiedere a lui come intende normalmente i suoi rapporti con le donne date queste due affermazioni»}} No signorina guardi, sulla violenza, nessuna violenza perché le ragazze in Abissinia si sposano a 12 anni. Non è questione, Quindi. {{NDR|Domanda del pubblico: «Su un piano di consapevolezza dell'uomo, insomma, il rapporto con una bambina di 12 anni è il rapporto con una bambina di 12 anni. Se lo facesse in Europa rischierebbe di violentare una bambina, vero?»}} Sì, in Europa sì, ma lì no. {{NDR|«Ecco, appunto»}} Lì no. {{NDR|«Quale differenza crede che esista dal punto di vista biologico, o anche psicologico?»}} No, guardi, {{NDR|«Dal punto di vista del costume»}} lì si sposano a 12 anni, non è questione. A 12 anni si sposano. {{NDR|«Ma non è il matrimonio che lei intende, a 12 anni in Africa. Guardi, io ho vissuto in Africa»}} Sì. {{NDR|«Quindi il vostro era veramente il rapporto violento del colonialista che veniva lì e si impossessava della ragazza di 12 anni»}} No... {{NDR|«Ma glielo garantisco, senza assolutamente tener conto di questo tipo di rapporto sul piano umano. Eravate i vincitori, cioè i militari che hanno fatto le stesse cose ovunque sono stati i vincitori, ovunque gli uomini si sono presentati come dei militari. La Storia è piena di queste situazioni»}} {{NDR|sorridendo}} Signorina, non so se lei vuole istruirmi un processo «a posteriori». {{NDR|«No, no, affatto. Guardi, ho soltanto voluto chiederle, per inciso, come lei intende – dopo le due interpretazioni – i rapporti con le donne»}} Dipende da cosa si mette dentro, dipende anche da cosa le donne mettono dentro di noi. È tutto un giuoco di specchi. {{NDR|«Ma lei vede sempre la donna in questa veste passiva di adulatrice, oppure di compagna – che appare e scompare – dell'uomo, non l'ha mai vista in una funzione diretta, attiva e diversa. Questo è un po' il dramma degli uomini della sua generazione»}} {{NDR|sorridendo}} Può darsi. Della mia generazione? Solo? {{NDR|«Credo»}} {{NDR|sorridendo}} Vabbè. Può darsi. (Da ''L'ora della verità'', 22 ottobre 1969) *{{NDR|Domanda del pubblico: «Io vorrei sapere perché lei, che si ritiene un osservatore, non ha mai affrontato il discorso sulla contestazione giovanile, tenendo anche presente il fatto che lei cerca il lettore. Lei ai giovani non dice assolutamente niente come giornalista»}} Come? {{NDR|«Se c'è un pubblico che lei sta perdendo, e forse non ha mai avuto, è proprio quello dei giovani. Vorrei sapere come mai lei non ha mai affrontato il discorso sulla contestazione, sulla realtà giovanile che è esplosa in questi ultimi anni»}} Signorina, io avrei tanto volentieri affrontato il discorso sulla contestazione se fosse possibile agganciare il discorso coi contestatori. Ma coi contestatori io non faccio il [[Alberto Moravia|Moravia]]. No. Non vado a farmi spernacchiare dai giovani, mi dispiace tanto. Né dai giovani, né da nessun altro. {{NDR|«Lei ha paura, scusi, di affrontare un discorso»}} No, io non ho paura, ma non ammetto di essere accolto a quel modo. È proprio un fatto, così, di dignità. {{NDR|«E allora, scusi, lei a questo punto rinuncia a un pubblico come può essere quello dei giovani semplicemente, così, per non avere degli spernacchiamenti, per non compromettere – diciamo – questo suo successo a cui è arrivato»}} Ma scusi, ma che dialogo sono le pernacchie? Me lo vuole spiegare? (ibidem) *Certamente [[Benito Mussolini|Mussolini]] fu un grossissimo politico, un uomo politico di grandissimo fiuto, di tempismo formidabile: lo dimostrò la facilità con cui vinse. Forse dovuta per metà alle sue capacità, alla sua bravura – parlo sempre come politico – e per metà all'insipienza, alla nullaggine dei suoi avversari, perché è tempo oramai di dire anche questo. Non c'è dubbio che il potere assoluto guastò completamente Mussolini: il Mussolini del 1930 non era certamente quello del 1940, il Mussolini di dieci anni dopo l'avvento al potere era diventato una specie di marionetta, la caricatura di sé stesso. Aveva perso proprio il senso della realtà, che era stato invece il suo forte da principio, il contatto col pubblico lo aveva perso, il senso della misura, e lo aveva dimostrato poi con gli errori madornali che ha fatto. Nei primi dieci anni credo che alcune cose buone le abbia fatte. Non credo che abbia ucciso la democrazia, credo che l'abbia soltanto seppellita perché era già morta. Da quel poco che ricordo l'Italia era un grosso carnevale, e anche abbastanza drammatico, perché la situazione interna era addirittura sfasciata: correva sangue, ne correva molto, noi in Toscana ne sapevamo qualcosa [...]. E quindi non è vero che lui... le democrazie non vengono mai uccise, le democrazie muoiono. Dopodiché si dà la colpa a chi le seppellisce, ma la verità è che si suicidano, e credo che la democrazia italiana del '21-22 si sia suicidata. [...] Mussolini capì una cosa fondamentale: che per piacere agli italiani bisognava dare a ciascuno di essi una piccola fetta di potere col diritto di abusarne. Questo era il fascismo. Il fascismo aveva creato una [[gerarchia]] talmente articolata e complessa che ognuno aveva dei galloni: il capofabbricato, il caposettore... tutti avevano una piccola fetta di potere, di cui naturalmente ognuno abusava, come è nel carattere degli italiani. (da ''Questo secolo'', 18 maggio 1982) *Ero all'estero, lavoravo nel giornalismo americano, alla ''United Press''. Chiesi alla mia agenzia di mandarmi come corrispondente in Abissinia. Giustamente mi dissero: «No, perché lei è un italiano, quindi logicamente non fa delle corrispondenze obiettive». Dico: «Avete ragione. Allora io vi lascio e vado volontario». Feci la mia brava domanda (la feci anche raccomandare). La domanda fu accolta, io fui mandato in Abissinia e, cosa un po' strana [...], a questo ragazzo di 23 anni [...] venne affidata una banda. [...] In quei due anni io contribuii a fare una cosa sbagliata, un'autentica fregnaccia qual era costruire un impero nel '35, quando coloro che lo avevano lo stavano già liquidando perché erano cose antistoriche. Ma io a 23 anni, a 24 anni, non potevo capire questo. Ebbi due anni di vita all'aria aperta, bella, di avventura, in cui credetti di essere un personaggio di Kipling, di contribuire a fare qualcosa di importante. Poi mi accorsi che non era vero, ma le cose non sono importanti per quello che sono, ma per quello che uno ci mette. E io in quel momento ci mettevo un grande entusiasmo: ebbi due anni di vita bellissima, a cavallo, con le tende, i miei uomini, libero, solo (perché non rispondevo a nessuno). Eh beh, compiango i giovani che non hanno avuto una simile esperienza. {{NDR|«E anche con una giovane moglie»}} E anche con una giovane moglie, {{NDR|indicando una fotografia}} eccola lì. Regolarmente sposata in quanto regolarmente comprata dal padre. {{NDR|«Quanti anni aveva?»}} Aveva 12 anni, ma non mi prendere per un Girolimoni. {{NDR|«Per un bruto»}} A 12 anni quelle lì erano già donne. {{NDR|«E tu dove l'avevi comperata?»}} L'avevo comprata a Saganèiti, un paese dove avevo mandato il mio emissario [...]. Me la comprò insieme a un cavallo e a un fucile, in tutto 500 lire. {{NDR|«E lei com'era?»}} Un animalino. Docile. Io le misi su un tucul con dei polli e poi, ogni 15 giorni, mi raggiungeva dovunque fossi, insieme alle mogli degli altri ascari. (ibidem) *Io esclusi immediatamente la responsabilità degli [[Anarchia|anarchici]] {{NDR|dalla [[strage di piazza Fontana]]}} per varie ragioni: prima di tutto, forse, per una specie di istinto, di intuizione, ma poi perché conosco gli anarchici. Gli anarchici non è che sono alieni dalla violenza, ma la usano in un altro modo: non sparano mai nel mucchio, non sparano mai nascondendo la mano. L'anarchico spara al bersaglio, in genere al bersaglio simbolico del potere, e di fronte. Assume sempre la responsabilità del suo gesto. Quindi, quell'infame attentato, evidentemente, non era di marca anarchica o anche se era di marca anarchica veniva da qualcuno che usurpava la qualifica di anarchico, ma che non apparteneva certamente alla vera categoria, che io ho conosciuto ben diversa e che credo sia ancora ben diversa. (da ''La notte della Repubblica'', 12 dicembre 1989) *La [[Lega Nord|Lega]] è una cosa sgradevole. Però le Leghe sono un fenomeno di reazione a una provocazione. È la politica nazionale, che fa nascere le Leghe. Questo non vuol dire che io le approvi. La reazione è sbagliata, ma provocazione c'è, le degenerazioni della partitocrazia ci sono. Che il pubblico denaro sia male amministrato e che a farne le spese siano soprattutto i cittadini del Nord non è contestabile. (da ''La Stampa'', 7 novembre 1990) *Ah, quel maledetto [[Toni Negri]], quel maledetto aizzatore dei sentimenti dei giovani che è vigliaccamente scappato dall'Italia per non affrontare il carcere. Per un Paese non c'è nulla di peggio che i cattivi maestri. Come punirli? Bisognerebbe impiccarli. Ripeto, impiccarli. (da ''L'Italia settimanale'', 1995) *Fu una pulizia etnica, bisognava far fuori gli italiani: allora si chiamarono fascisti e si ammazzarono, e si buttarono nelle [[massacri delle foibe|foibe]]. Questo avvenne dopo la fine della guerra, sia chiaro. Perché gli orrori di guerra, non dico che siano giustificabili, ma sono comprensibili, la guerra è di per sé stessa un orrore. No, queste... le foibe furono un'infamia commessa dopo la Liberazione, dopo la fine della guerra, e purtroppo vi hanno collaborato parecchi comunisti italiani, alcuni dei quali non solo sono ancora a piede libero, pur essendo vivi, ma ricevono delle pensioni di Stato. Ricevono delle pensioni di Stato. Però io ti posso dire questo: che come testimone oculare io ho visto anche in Croazia delle cose, da parte degli italiani, su cui è meglio sorvolare. Perché anche noi le abbiamo commesse, perché la guerra le comporta, questo è fatale, ecco. Quindi non facciamo tanto i moralisti. [...] No, questo {{NDR|tesi sloveno-croata sulla pulizia etnico-culturale da parte degli italiani durante il periodo di occupazione fascista}} è assolutamente falso. Pulizie etniche noi non ne abbiamo mai fatte, in nessun Paese occupato. Quando sento dire che noi facemmo anche la pulizia etnica in Etiopia, beh vabbè, mi cascano le braccia. Mi cascano le braccia. Quelle son menzogne infami, di gente o che non sa nulla, o che mente sapendo di mentire. Non è vero. Furono episodi, ma non di pulizia etnica, di rappresaglie. (dall'intervista al TG2, ''[http://www.youtube.com/watch?v=s9UXM_pKpqY Massacri delle foibe]'', 6 settembre 1996) *Tutto questo mi evoca dei ricordi poco simpatici. Era il [[fascismo]] che si conduceva così. Era il Fascismo che proibiva la satira, che in un paese civile e democratico dovrebbe essere assolutamente indenne da controlli politici; perché la satira non ha niente a che fare con la politica, anche se prende in giro la politica, ma si sa che è satira. Ed ogni regime serio e democratico accetta la satira, come si accettano le caricature. Era [[Benito Mussolini|Mussolini]] che non le sopportava. E qui pensano: «Ripuliremo la stalla», «Faremo piazza pulita». Ma questo linguaggio, al signor [[Gianfranco Fini|Fini]], chi glielo ispira? Ci ricorda delle cose che avremmo voluto dimenticare. Questa non è la destra, questo è il manganello. Gli italiani non sanno andare a destra senza finire nel [[manganello]]. [...] Alla Rai faranno piazza pulita, lo hanno già annunziato. Ma come si fa a definire democratico un partito che annunzia «Quando saremo al potere, noi faremo piazza pulita»? Ma questo è un linguaggio del peggiore squadrismo, che loro non sanno cosa fu, ma io me lo ricordo. Questo è il linguaggio con cui {{NDR|i fascisti}} andarono al potere. (da ''La settimana di Montanelli'', 17 marzo 2001) *Io voglio ringraziare Travaglio, perché ha detto l'assoluta e pura verità. Assolutamente. La versione che ha dato degli avvenimenti è quella esatta. [...] Io ho conosciuto due Berlusconi: il Berlusconi imprenditore privato che comprò ''il Giornale'' – e noi fummo felici di venderglielo, perché non sapevamo come andare avanti – su questo patto: tu, Berlusconi, sei il proprietario de ''il Giornale'', io, direttore, sono il padrone del ''Giornale'', nel senso che la linea politica dipende solo da me. Questo fu il patto fra noi due. Quando Berlusconi mi annunziò che si buttava in politica, io capii subito quello che stava per succedere. Cercai di dissuaderlo [...] ma tutto fu inutile. Dal momento in cui lo decise mi disse: «Ora ''il Giornale'' deve fare la politica della mia politica». Ed io gli dissi: «Non ci pensare nemmeno». Allora lui riunì la redazione come ha raccontato Travaglio – e questo lo fece a mia totale insaputa – e disse: «D'ora in poi ''il Giornale'' farà la politica della mia politica». E a quel momento me ne andai, cos'altro potevo fare? [...] Nella mia vita ci sono stati due Berlusconi, completamente opposti [...] questo fa parte del ritratto di Berlusconi. [...] Come capo politico è quello che io ho conosciuto in quei brutti giorni in cui scorrettamente, nella maniera più scorretta e più volgare, saltandomi, radunò la redazione de ''il Giornale'' per dirgli «Qui si cambia tutto» all'insaputa del direttore. Se questo sembra a Feltri un modo di procedere democratico e civile, è affar suo. (risposta telefonica a [[Marco Travaglio]] e [[Vittorio Feltri]] durante la trasmissione ''Il Raggio Verde'', 23 marzo 2001) *{{NDR|Silvio Berlusconi}} È il bugiardo più sincero che ci sia, è il primo a credere alle proprie menzogne. [...] È questo che lo rende così pericoloso. Non ha nessun pudore. (dall'intervista di Sophie Gherardi, ''L'Europa deve trattare il sig. Berlusconi con sdegno e disprezzo, non con ostilità'', ''Le Monde'', 8 maggio 2001<ref name=Travaglio2004/>) *Spero che l'Europa adotterà nei confronti di Berlusconi l'atteggiamento di indignazione e di disprezzo che merita. (dall'intervista di Sophie Gherardi, ''L'Europa deve trattare il sig. Berlusconi con sdegno e disprezzo, non con ostilità'', ''Le Monde'', 8 maggio 2001<ref name=Travaglio2004/>) {{Int|''Match''|a cura di Arnaldo Bagnasco, Alberto Arbasino e Maria Gefter Cervi, Rete 2, 18 gennaio 1978.}} *Io non stavo con Longanesi per ragioni ideologiche, anche perché io non ho mai capito quale ideologia avesse Longanesi. Longanesi non lo si poteva misurare sul piano ideologico, era sempre contro tutto e contro tutti. Era il frondista principe: lo è stato sotto il fascismo – e in fondo fece il più bel settimanale, forse, che abbia avuto l'Italia in questi ultimi decenni, credo: ''Omnibus'', che fu chiuso dal regime – e si è trovato sempre male con tutti i regimi. Che cosa pensasse in realtà Longanesi io, dopo un'amicizia di trent'anni, non sono mai riuscito a capirlo. Quello che mi affascinava di Longanesi, e che continua ancora oggi ad affascinarmi, è lo straordinario talento, l'inventiva, l'intuito, l'eleganza di Longanesi. Per cui io non consideravo le posizioni ideologiche di Longanesi, questo non m'interessava affatto. Per me era un fatto di vecchia amicizia: io sono un po' cresciuto con Longanesi, l'avrei seguito anche all'inferno perché con Longanesi si poteva andare anche all'inferno, diventava l'eden. *{{NDR|Sull'appello di votare DC nel 1976}} Questa può sembrare una contraddizione, ma che cosa avrei dovuto dire ai miei lettori? Di votare per chi? Questo è il punto. Oggi [...] i partiti laici ai quali io ideologicamente farei capo – liberale, repubblicano, socialdemocratico – fanno i pifferi di accompagnamento a un patto a sei, e questo era già nell'aria, prima del 20 giugno. Che cosa dovevo dire io ai miei lettori, «Votate per i pifferi di accompagnamento»? Francamente non me la sentivo. [...] Nonostante la mia etichetta di destra, io per i partiti di destra non mi schiererò mai. Io vorrei un centro: non lo trovo, non c'è. Un centro di opposizione democratica al regime che è già in atto non c'è. E allora che debbo fare? È colpa mia se la politica italiana non mi offre un centro? Io continuo a battermi per la costituzione di questo centro. *{{NDR|Domanda del pubblico: «Come mai in Italia non ci sono giornali indipendenti?»}} Io, per esempio, ho la presunzione – sarà infondata – di dirigere un giornale indipendente, perché vorrei sapere da chi prendo gli ordini. Me lo dica lei, Padre. {{NDR|«No, beh...»}} E allora, se non potete indicare qualcuno che mi dà gli ordini, io sono indipendente. {{NDR|«Rispondo anch'io da giornalista: è chiaro che un giornale non si sostiene con le idee sull'indipendenza, si sostiene con dei quattrini»}} Certo. {{NDR|«Allora io parlavo di un'indipendenza che, in quanto dipende da chi paga, è comunque una dipendenza ideologica. Questa era la domanda»}} Sì, l'ha scritto molto bene ''Repubblica'' [...] credendo di offendermi. Ha detto: «Il ''Giornale nuovo'' vive di collette». È vero, noi viviamo di collette, e io ne sono fiero perché le collette mi lasciano libero. {{Int|''Mixer''|a cura di Giovanni Minoli, Rete 2, 6 aprile 1981.}} *{{NDR|«Perché fu fascista fino al '37?»}} Questa è la storia della mia generazione, tutta la mia generazione è stata fascista fino al '35, al '36 o al '43. *{{NDR|«E perché smise di esserlo?»}} Perché noi credevamo che il fascismo fosse una cosa, e poi ci accorgemmo che era un'altra. *{{NDR|«Lei ha detto: "Buffoni, cafoni di natura, ''parvenus'', tutta gente in malafede, il bassettume, il pirellume, il cedernismo". Si riferiva alla Milano radical chic, ma che cosa voleva dire, esattamente?»}} Quello che ho detto. Veramente, io ne ho il più profondo disprezzo. Io accetto benissimo i comunisti: i comunisti sono gente seria, pericolosissimi, ma seri. I [[radical chic]] no. *{{NDR|«È sempre convinto del suicidio dell'anarchico Pinelli?»}} Assolutamente. *{{NDR|«Lei a Catanzaro, al processo per la strage di piazza Fontana, ha dichiarato: "Secondo me, il commissario Calabresi fu vittima di una campagna di stampa". Cioè?»}} No, non l'ho dichiarato a Catanzaro, lo dissi molto prima. Basta rileggere i giornali di quei tempi, e soprattutto i rotocalchi: veramente, Calabresi fu vittima di una campagna stampa infame e ingiusta, perché era uno dei funzionari più corretti che ci fossero. *{{NDR|«Pietro Valpreda, qui a ''Mixer'', ha definito Calabresi come "un tecnocrate del potere". Lei che cosa ne pensa?»}} Ma che significa «un tecnocrate del potere»? Un commissario di polizia serve il potere, chi diavolo deve servire? Valpreda? {{Int|''Faccia a Faccia: intervista a Indro Montanelli''|''Mixer'', a cura di Giovanni Minoli, Rai 2, 5 maggio 1985.}} *[[Renato Curcio|Curcio]] non sparava alle spalle, sparava di fronte, andava di persona a sparare. Naturalmente siamo su delle barricate opposte, ma io stimo Curcio. Lo stimo. È un uomo che secondo me ha delle idee sbagliate ma le serve, le serve da soldato vero. Con un suo galateo. Col suo coraggio. Senza mai rinnegarsi. Non si è pentito! *Io sono convinto che la magistratura debba essere indipendente, però chiedo ed esigo che abbia un autogoverno di controllo, e che soprattutto risponda dei suoi gesti. Oggi noi abbiamo una magistratura che non risponde a nessuno dei suoi errori spesso catastrofici, perché hanno distrutto uomini, hanno distrutto aziende per delle cose che poi si son rilevate insussistenti. Mai un magistrato ha pagato per questo. Io voglio che i magistrati paghino. Non dico a dei poteri esterni, ma perlomeno al potere a cui viene affidata la disciplina nella categoria. *Tutta l'intellighenzia italiana ha una vecchia tradizione di servilità, com'è logico, perché si è sviluppata in un Paese analfabeta, per secoli e secoli analfabeta. Non avendo il lettore doveva per forza procurarsi il protettore. Scriveva per il protettore. *{{NDR|«Il suo peggior difetto qual è, Montanelli?»}} Quello di non riconoscermene nessuno. *{{NDR|«[[Leo Longanesi|Longanesi]], parlando di lei, un giorno disse che lei capiva le cose con dieci mesi di anticipo rispetto a tutti gli altri. Ecco, tra dieci mesi cosa vede in [[Italia]]?»}} Queste erano le cose di Longanesi, ma in realtà io non riesco a vedere tra dieci giorni. {{Int|''[http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/1991/11/16/giangi-feltrinelli-io-non-ti-perdono.html 'Giangi' Feltrinelli io non ti perdono]''|''la Repubblica'', 16 novembre 1991, p. 33.}} *[[Giangiacomo Feltrinelli|Lui]] fu l'emblema di tutto quanto accadde in quegli anni {{NDR|Anni della contestazione}}. A differenza della [[Francia]], eravamo un paese da burletta, con una contestazione da burletta e rivoluzionari da burletta. E Feltrinelli ne fu l'esponente più qualificato. *Era il 1940 e a quel tempo Giangi aveva quattordici anni e seguiva i corsi scolastici con pessimo profitto. Giangiacomo era un ragazzetto che voleva a tutti i costi cavalcare qualcosa di rivoluzionario. Non importava il colore. Tanto è vero che il suo sogno fu prima il fascismo e poi Che Guevara. *{{NDR|«L'importante è stare in prima linea il fascismo?»}} Ma sì, negli anni Quaranta lui era fascista. Era talmente fascista che nel 1943, dopo l'8 settembre, voleva denunciare sia me che Barzini per alcune cose che avevamo detto contro i fascisti. Allora pensava di aderire a Salò. La sua dedizione a una causa quale che sia, purché rivoluzionaria, lo spingeva a questi atti pazzeschi. *Generoso? Lo chieda ai suoi collaboratori. Era una specie di padrone delle ferriere che spendeva generosamente solo per soddisfare il suo vizio principale: la rivoluzione. Con chi era in difficoltà non si dimostrò mai particolarmente generoso. *{{NDR|«Perché allora lei è così implacabilmente critico nei suoi riguardi?»}} Non ce l'ho neppure tanto con lui, quanto con tutti coloro che di Feltrinelli hanno fatto un mito. In realtà era un povero uomo. Un ingenuo divorato dall'esibizionismo. *{{NDR|«Come può ridurre tutto alla convinzione che fosse solo un ingenuo e un esibizionista?»}} Anche Starace segnò un decennio della nostra vita. Mica per questo era meno cretino. Se Feltrinelli sia stato qualcosa di più complesso, io non riesco a vederlo. Posso aggiungere questo: quella sua mania di ostentazione, quella voglia di primeggiare su tutte le cose lo ha condotto anche a degli atti di eroismo. Perché uno che sale su un traliccio, con la dinamite che non sa maneggiare e salta per aria, beh almeno il coraggio gli va riconosciuto. O forse chiamiamola incoscienza. {{Int|''[http://www.archiviolastampa.it/component/option,com_lastampa/task,search/mod,libera/action,viewer/Itemid,3/page,15/articleid,0824_01_1992_0072_0015_25082247/ Montanelli e il sacco di Milano]''|''La Stampa'', 14 marzo 1992, p. 14.}} *{{NDR|Il regime corrotto}} C'è ancora. Ma la rivolta non era tanto contro la corruzione e la partitocrazia, che erano senza dubbio un grosso male, ma che non erano il male più letale. In quel momento era proprio la società che si disfaceva, le condizioni della scuola, la predicazione del nulla, insomma la contestazione globale, l'ubriacatura degli Anni Settanta, che fu l'ubriacatura del terrorismo, e quella acquiescenza di una certa borghesia, salottiera, radical chic, che amoreggiava con queste cose, che aveva le smanie maotsetunghiste, che poi parlavano tutti di cose che non sapevano. La corruzione dei partiti invece è quasi immanente. La partitocrazia è destinata a durare almeno finché non si riforma la legge elettorale. Ma questa è la battaglia che noi cerchiamo di fare oggi. *{{NDR|«Ma gli Anni Settanta non hanno anche prodotto qualcosa di positivo nella società italiana?»}} No. Non vedo fatti positivi nel lascito degli [[anni di piombo]]. Vorrei sapere veramente quali. Quando dicono per esempio il divorzio. Ma il divorzio c'era già prima. Quelle sono conquiste sociali. C'era bisogno dei pistoleros per il divorzio? Ma andiamo! *{{NDR|«Però lei difendeva Pannella»}} Sì. A [[Marco Pannella|Pannella]] dobbiamo veramente due cose, malgrado le sue mattane. Effettivamente riuscì a impedire a una certa aliquota di giovani di finire in braccio al terrorismo, cioè gli dette un'altra bandiera. E alcune battaglie sue furono sacrosante, come quella del divorzio che appoggiammo. Poi verso Pannella io ho una certa simpatia, dovuta al mio vecchio fondo anarchico, libertario, che ritrovo in lui. È una simpatia genetica. Ritrovo in lui quello che io sono stato a vent'anni. *{{NDR|«Ma che fine ha fatto quella borghesia, che fine hanno fatto quei salotti buoni? Le sue battaglie contro la Crespi o contro la Cederna sono cosa Passata? Sono cambiati loro, oppure è cambiato lei?»}} Vabbè, con la [[Camilla Cederna|Camilla]] poi siamo ridiventati amici. Con la Crespi no, mai. Ma non ho più rancori, non ho più animosità. Però è un mondo che disprezzo un po', perché è un mondo di pecore che seguono sempre il filo del vento, santoiddio, sono proprio personcine, personcine inconsistenti, pronte ad andare con chiunque. E poi sempre per salvare i propri interessi, non è che abbiano delle idealità, no? Oggi è cambiato il vento, quindi sono cambiati anche loro. Ma non è che sia cambiato il mio giudizio. Quel mondo lì io non lo amo. *La crisi rimane e si riflette nell'amministrazione cittadina. L'amministrazione era sempre stata un autentico specchio. Fino a Bucalossi il Comune di Milano era retto da specchiati galantuomini, che finivano tutti poveri, in miseria, finivano alla Baggina. Gente davvero di una correttezza esemplare. Poi sono venuti gli Aniasi e compagni e guardi qui dove siamo arrivati: siamo arrivati a [[Mario Chiesa|Chiesa]]. {{Int|''[https://web.archive.org/web/20121107180200/http://archiviostorico.corriere.it/1993/giugno/06/Montanelli_tura_naso_come_nel_co_0_93060610816.shtml Montanelli si tura il naso come nel '76: voto l'uomo della Lega]''|''Corriere della Sera'', 6 giugno 1993, p. 3.}} *Mi sono dannato l'anima perché il centro avesse un ''suo'' candidato. Avrei voluto Locatelli: era la persona giusta per portare la bandiera referendaria e raccogliere gli elettori moderati. Era quello il mio sogno. *Segni non ha capito nulla, è arrivato in ritardo, ha candidato una persona che nessuno conosce. Non abbiamo ''un'' rappresentante del centro, ma tre surrogati che si elimineranno a vicenda. E ci toccherà scegliere fra [[Nando dalla Chiesa|Dalla Chiesa]] e Formentini. *{{NDR|«Di qui il suo suggerimento: turarsi il naso e votare Lega»}} No, non dico "Votiamo Lega", dico "Votiamo Formentini". E nel suo caso non ci si deve neppure turare il naso: è modesto, anche mediocre se vogliamo, ma è onesto. Non credo sia marcio. Insomma: è il male minore. *{{NDR|«E Dalla Chiesa?»}} No, il mio voto non lo avrà. Perché io non voto per la sinistra e per un sinistro come quello lì. *{{NDR|«Ma che cosa la preoccupa nella coalizione di Dalla Chiesa?»}} Questi reperti di un mondo fallito vogliono ora governare l'Italia. E io con loro non ci sto. La storia gli ha dato torto, la realtà li svergogna e noi dovremmo fidarci? È stata l'apertura a sinistra a dare inizio alla putredine. {{Int|''Eppur si muove''|a cura di Indro Montanelli e Beniamino Placido, Rai 3, 1994.}} *Ogni italiano è insieme furbo e fesso. L'italiano è furbissimo nella gestione dei suoi affari privati, può ricorrere a tutte le astuzie, è attento, è accorto, ed è assolutamente fesso nel non rendersi conto che se i suoi affari privati rimangono immessi in una società che non funziona – cioè dove gli interessi generali vengono trascurati e negletti – i suoi interessi privati finiscono col soffrirne e col condurlo al fallimento. Questo, a noi italiani, non entra in testa. (6 febbraio 1994) *È probabile che molti stranieri mandino i loro figli, a Roma, a scuola. Ma quali scuole? Alle loro. Gli americani mandano i loro figli alla scuola americana, i tedeschi alla scuola tedesca, i francesi alla scuola francese. Non li mandano mica alla scuola italiana, se ne guardano bene e hanno ragione, visto il modo in cui si insegna in Italia. (ibidem) *Da noi prima uscivano dei ragazzi che sapevano abbastanza di greco, di latino, ma che il carattere non lo avevano formato a scuola: o se lo formavano da soli, oppure non se lo formavano mai. (ibidem) *Lo [[Zingari|zingaro]] che fa tranquillamente la sua vita non dà noia a nessuno, è quando ruba che, naturalmente, suscita qualche perplessità (uso un eufemismo). Diciamo la verità, in Italia il razzismo non c'è. Per inventare una questione razziale ci volle una legge, e una legge fatta da un regime totalitario perché il Paese non la sentiva. Non poteva sentirla perché non è nella nostra tradizione. [...] L'Italiano non ha dei risentimenti razziali. [...] {{NDR|Sugli episodi di intolleranza e di paura per il diverso}} È un fatto di piccolissime minoranze, diciamo la verità. Non inventiamo adesso una questione {{NDR|razziale}}. Io ho vissuto nelle società veramente razziste, è tutta un'altra faccenda. (con [[Serena Dandini]], 20 marzo 1994) *Io ebbi una moglie etiopica, nel senso che la comprai secondo l'uso locale. {{NDR|«Come, scusi?»}} Eh beh, ma gli usi locali erano questi. Tutti, anche gli etiopici, compravano la moglie. {{NDR|«Quanto costava una moglie?»}} Poco. Costava poco, mi pare che mi costò – allora, però (anno 1935) – 500 lire e un tucul {{NDR|trattando}} col suocero. Perché queste furono transazioni fatte dal mio emissario, che era il più anziano graduato della mia banda, col padre della ragazza. [...] Questo matrimonio durò finché noi stemmo di stanza a Saganèiti, cioè a dire prima che scoppiasse la guerra con l'Abissinia (che non fu precisamente una guerra, fu una specie di avventura). [...] Poi questa mia moglie, perché era considerata tale, quando io partii sposò un mio graduato e al primo figlio – è vivo tuttora, mi hanno detto – diede il mio nome, per cui alcuni credettero che fosse figlio mio. Non era figlio mio. Soltanto che per deferenza... {{NDR|«Lei non pensò mai di portarla con se in Italia?»}} Beh, no. No, anche perché era molto difficile strapparla ai suoi costumi. Lei stessa, in fondo, non voleva venire. Lei apparteneva alla sua terra, io le feci una piccola dote e quindi andò tutto regolarmente. Era molto bellina. (ibidem) *Gran parte delle forze leghiste, quelle che accennano a qualche razzismo nei confronti del meridionale, sono composte da meridionali che si sono milanesizzati e ci si trovano talmente bene a Milano che non vogliono che altri arrivino dal sud. (ibidem) *Per me la [[destra]] non è una [[ideologia]]: è un modello di comportamento. Si può essere di destra anche a sinistra. Questo comportamento è il criterio rigoroso del servizio della vita pubblica. (con [[Arnoldo Foà]], 17 aprile 1994) *Nella storia della [[Italia|nazione italiana]] io vedo pochi uomini all'altezza della qualifica di una destra illuminata che non solo accetta ma vuole le [[Riformismo|riforme]]. Un uomo di destra certamente io non credo che fosse [[Camillo Benso, conte di Cavour|Cavour]], del resto il suo connubio lo dimostra, la sua disinvoltura nelle alleanze politiche lo dimostra. Certamente di destra era [[Bettino Ricasoli|Ricasoli]]. Certamente era [[Quintino Sella|Sella]]. Certamente era [[Giovanni Giolitti|Giolitti]]: uomo che dette il suffragio universale, e che riconobbe il diritto di [[sciopero]]. Questo è un uomo di destra. Certamente un uomo di destra era [[Alcide De Gasperi|De Gasperi]], senza dubbio. E, adesso non vorrei scandalizzare la gente, ma direi che uomo di destra per il concetto che aveva dello [[Stato]] e del [[potere]] era anche [[Palmiro Togliatti|Togliatti]]. E questo dimostra che si può essere uomini di destra anche a [[sinistra]]. La destra è una regola di comportamento, una regola [[morale]] di comportamento. (ibidem) {{Int|''[https://web.archive.org/web/20101005073648/http://archiviostorico.corriere.it/1997/novembre/09/Montanelli_gambizzato_cinque_mesi_prima_co_0_9711098446.shtml Montanelli "gambizzato" cinque mesi prima: "Mi salvò una promessa a Mussolini"]''|''Corriere della Sera'', 9 novembre 1997, p. 29.}} *Quella mattina {{NDR|2 giugno 1977}} sono in due nei giardini di piazza Cavour, a Milano. Uno mi spara alle gambe. L'altro mi tiene nel mirino della sua pistola. I primi due – tre proiettili entrano nelle mie lunghe zampe di pollo. Non devastano né ossa né arterie. Ma sarebbero sufficienti per far cadere a terra qualsiasi cristiano. In quegli attimi ricordo la promessa che avevo fatto a Mussolini, e a me stesso, quando, bambino, mi ritrovai intruppato nei balilla: "Se devi morire, muori in piedi!" Davanti a questi vigliacchi che non hanno il coraggio di affrontarmi in faccia, penso, non posso morire in ginocchio. E mi aggrappo alla cancellata dei giardini. Non sto in piedi sulle gambe, ma mi reggo dritto con la forza delle braccia. E quello continua a sparare e a centrare le mie zampe di pollo. Se mi fossi accasciato, se mi fossi inginocchiato davanti a lui, a quell'ora sarei morto. *Per [[Renato Curcio|lui]] ho sempre avuto rispetto. Penso che la sua autoemarginazione dalla società prima e l'emarginazione che la società gli ha imposto poi ci abbiano privato di un uomo di valore. Non lo conosco di persona, ma lo stimo, anche se poteva essere lui quello che ha mandato i due ragazzi a spararmi. Non ho rancore: quando la guerra è finita gli avversari si devono stringere la mano e devono brindare alla pace ritrovata. *Apprezzo il coraggio di chi non si pente per ricavarne un utile, di chi non denuncia il compagno di errori ma riconosce i propri torti. Almeno i brigatisti lottavano per ideali diversi da quelli dello stalinismo e del comunismo sovietico. I terroristi neri, invece, volevano soltanto restaurare un regime sepolto dalla storia. I rossi non sapevano bene cosa ma avevano in mente qualcosa di nuovo. *{{NDR|«E se avessero vinto loro?»}} Impossibile. L'esistenza del terrorismo ha soltanto ribadito le manchevolezze del nostro Paese: uno Stato inefficiente e un popolo codardo e conformista. *{{NDR|Sui burattinai, i Grandi Vecchi, la Cia, i Servizi segreti}} Fregnacce: che gliene poteva importare alla Cia di fucilare gente come il buon Casalegno o quel galantuomo di Emilio Rossi, vent'anni fa direttore del Tg Uno, o quel bischero di Montanelli? La dietrologia era una divagazione di intellettuali perditempo. Il vero problema era ed è un altro: finché non ci decideremo a riconoscere la mancanza negli italiani di una coscienza nazionale e civile questo pericolo del terrorismo lo correremo sempre. E questa fabbrica di una coscienza nazionale e civile io non la vedo nascere. *{{NDR|Sul dolore che il tempo non ha cancellato nei parenti delle vittime}} Anche noi italiani dobbiamo imparare a pagare gli inevitabili tributi dovuti alla Storia come hanno saputo fare tutti i Paesi occidentali. Il dolore resta, ma la piaga va ricucita. Una volta per tutte. {{Int|''[http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/1998/07/25/borghesia-vile-deludente.html Borghesia vile e deludente]''|''la Repubblica'', 25 luglio 1998, p. 8.}} *È la solita bruciante delusione, questa nostra borghesia. Non cambia mai, è sempre la stessa: la più vile di tutto l'Occidente. Gente portata a correr dietro a chi alza la voce, a chi minaccia, al primo manganello che passa per la strada. Questo sono i nostri borghesi: tutti fascisti sotto il fascismo, poi tutti antifascisti fin dall'indomani. Quando il comunismo era forte e faceva paura, e io fondai ''il Giornale'', mi lasciarono solo e senza un soldo. Ai tempi del terrorismo, amoreggiavano con gli estremisti nella speranza che quelli – andati al potere – gli risparmiassero la villa e il portafoglio. E ora che il comunismo non c'è più, si scoprono tutti anticomunisti, questi sedicenti liberaloni. *Il loro eroe è sempre chi brandisce il [[manganello]]. Ieri, il manganello vero. Oggi, quello catodico delle televisioni. Il liberalismo vero l'hanno sempre tradito, anzi non hanno mai saputo che cosa sia. Non vogliono le regole, detestano le leggi, vogliono avere le mani libere per fare quello che gli pare, in nome della loro cosiddetta «[[efficienza]]». Quando abbiamo fondato ''la Voce'' l'abbiamo toccato con mano: parlare di regole e di legalità a questa gente è peggio di un insulto, una bestemmia in chiesa. *L'ho sempre detto che fu un errore, quattro anni fa, defenestrarlo. Bisognava lasciarlo lì ancora un bel po', così tutti avrebbero capito quanto vale, che razza di statista è... Magari adesso non saremmo in Europa, ma non avremmo così tante gente che si lascia ubriacare dalla sua propaganda, che prova nostalgia per lui. *{{NDR|«E se un giorno si andasse a votare per il suo referendum, quello per abolire i reati del Cavaliere?»}} In quella forma, mi pare difficile che si arrivi, anche se in Italia non si sa mai. Comunque, se si votasse, credo che anche lì vincerebbe lui. Perché è quello che vuole questa nostra borghesia. Ormai è ufficiale: Berlusconi ce lo meritiamo. {{Int|''[http://www.repubblica.it/online/politica/satiquattro/montanelli/montanelli.html L'Italia di Berlusconi è la peggiore mai vista]''|''la Repubblica'', 26 marzo 2001.}} *Io voglio che vinca, faccio voti e faccio fioretti alla Madonna perché lui vinca, in modo che gli italiani vedano chi è questo signore. [[Silvio Berlusconi|Berlusconi]] è una malattia che si cura soltanto con il vaccino, con una bella iniezione di Berlusconi a Palazzo Chigi, Berlusconi anche al Quirinale, Berlusconi dove vuole, Berlusconi al Vaticano. Soltanto dopo saremo immuni. L'immunità che si ottiene col vaccino. *È strano: io non avevo mai preso parte alla campagna di demonizzazione: tutt'al più lo avevo definito un pagliaccio, un burattino. Però tutte queste storie su Berlusconi uomo della mafia mi lasciavano molto incerto. Adesso invece qualsiasi cosa è possibile: non per quello che succede a me, a me non succede nulla, non è che io rischi qualcosa, è chiaro. Quello che fa male è vedere questo berlusconismo in cui purtroppo è coinvolta l'Italia e anche tante persone perbene. *La scoperta che c'è un'Italia berlusconiana mi colpisce molto: è la peggiore delle Italie che io ho mai visto, e dire che di Italie brutte nella mia lunga vita ne ho viste moltissime. L'Italia della [[marcia su Roma]], becera e violenta, animata però forse anche da belle speranze. L'Italia del 25 luglio, l'Italia dell'8 settembre, e anche l'Italia di piazzale Loreto, animata dalla voglia di vendetta. Però la volgarità, la bassezza di questa Italia qui non l'avevo vista né sentita mai. Il berlusconismo è veramente la feccia che risale il pozzo. {{Int|''La Storia d'Italia di Indro Montanelli''|a cura di Mario Cervi, interviste di Alain Elkann, ''Cecchi Gori Editoria Elettronica Home Video'', 1999.}} *Il silenzio mantenuto finora {{NDR|sui massacri delle foibe}}, o quasi silenzio, si spiega facilissimamente: tutta la storiografia italiana del dopoguerra era di sinistra, apparteneva all'intellighenzia di sinistra, la quale era completamente succuba del Partito Comunista. Quindi non si poteva parlare delle foibe, che non appartenevano al comunismo italiano, ma appartenevano certamente al comunismo slavo, di cui però il comunismo italiano era alleato e faceva gli interessi. Quindi di questo non si poteva parlare, e non si poteva parlare delle stragi del triangolo della morte, perché anche queste ricadevano sulla coscienza – ammesso che ce ne sia una – del Partito Comunista, il che sta a dimostrare quello che dicevo prima, cioè che la Resistenza non fu una resistenza, fu una guerra civile tra italiani che continuò anche dopo il 25 aprile. [...] {{NDR|Sull'eccidio dei conti Manzoni}} Andai come giornalista [...] per appurare com'era andata la strage dei conti Manzoni, dopo la fine della guerra. [...] Una famiglia di persone che col fascismo non aveva niente a che fare, ci aveva convissuto come tutti gli italiani. Bene, nessuno mi voleva parlare di questa faccenda. [...] Nessuno ne aveva parlato, né dei Carabinieri né della Polizia e tantomeno della magistratura, eppure lo sapevano. [...] C'era una complicità assoluta, una complicità dannata. [...] Se ne parla ora perché il Muro di Berlino è crollato, ma si ricordi che trent'anni fa, quando [[Renzo De Felice|De Felice]] annunziò di mettere allo studio il ventennio fascista per sapere com'era andata, fu proposta la sua estromissione dalla cattedra universitaria, solo perché metteva allo studio un ventennio di storia italiana che, bella o brutta, c'era stata. [...] Non era possibile inquadrare storicamente il fascismo: chi lo faceva, cercando di spiegare i perché della sua durata, ed anche i perché della sua catastrofe, veniva accusato di fascismo. (da ''Dalla Monarchia alla Repubblica'') *È difficile sapere che cosa fu [[Palmiro Togliatti|Togliatti]], perché Togliatti non ha lasciato memoriali, non ha lasciato diario, che cosa pensasse Togliatti non lo sapeva nessuno, credo nemmeno la sua compagna Nilde Iotti. Si può dire che è stato un esecutore fedele degli ordini di [[Stalin]]. Lo è stato sempre, e per questo godeva la fiducia di Stalin. [...] Era un diplomatico per sé, soprattutto, perché é un uomo sopravvissuto a venticinque o trent'anni anni di Mosca, senza finire in galera, processato o contro il muro. Beh, questo è uno dei grandi personaggi. Sono pochi. {{NDR|«Non era uno statista, per esempio?»}} Non poteva essere uno statista perché i comunisti non hanno lo Stato nel sangue, i comunisti hanno il partito. Stalin non è mai stato Capo dello Stato, e nemmeno Capo del Governo, era capo del partito. Il potere nei regimi comunisti non sta né nello Stato né nel governo, sta nel partito. (da ''Dalla proclamazione della Repubblica al Trattato di pace'') *Questa [[Costituzione della Repubblica italiana|Costituzione]] porta male gli anni da quando aveva un giorno, perché fu subito chiaro quali erano i suoi difetti. Del resto furono anche denunciati da uomini come, per esempio, [[Piero Calamandrei|Calamandrei]], come Mario Paggi. (da ''Dall'assemblea costituente alla vigilia delle elezioni del 1948'') *I difetti furono soprattutto due. Il primo difetto fu di ripartizione dei lavori. La Costituente era formata da 600 membri eletti di passaggio. Voglio {{NDR|far}} notare che quella fu la prima elezione che si tenne in Italia – per la Costituente, non per il Parlamento – ma dove ci fu lo spiegamento dei partiti. Ogni partito portò i suoi candidati, cioè dei giuristi che facevano capo alla propria ideologia. Bene, in quella prima elezione il 35% dei voti andò ai democristiani, il 21% andò ai socialisti di [[Pietro Nenni|Nenni]], il 19% ai comunisti. Quindi in quel momento... non c'era ancora il Fronte ma in quel momento i socialisti facevano premio sui comunisti. Erano di poco, ma un po' più forti dei comunisti. [...] Questi 600 costituenti non potevano lavorare tutti insieme, era impossibile mandare avanti 600 persone a dibattere all'infinto le stesse cose, e allora i lavori furono devoluti a una commissione che si chiamò la ''Commissione dei Settantacinque'', perché erano 75 membri della Costituente che venivano incaricati per le loro competenze specifiche di redigere il testo. Ma anche 75 erano troppi, e allora anche i 75 si frazionarono in sotto-commissioni, ognuna delle quali lavorò per conto suo. Non ci fu un piano di insieme. {{NDR|«Quindi non fu un vero lavoro collettivo»}} Non fu un vero lavoro collettivo. Calamandrei lo disse subito: «Noi stiamo montando una macchina, che magari pezzo per pezzo sarà anche ben fatta, ma le cui giunture non coincidono con le giunture di altri pezzi». [...] Fu lasciata così perché nessuno volle rinunziare al proprio elaborato, e questo è tipico degli italiani. (da ''Dall'assemblea costituente alla vigilia delle elezioni del 1948'') *Il secondo motivo che rese questa Costituzione veramente impalatabile e nociva per il regime che ne doveva nascere, fu che i nostri costituenti partirono dal punto di vista opposto a quello da cui sarebbero partiti i costituenti tedeschi quando la Germania fu libera di elaborare una sua Costituzione. Da che cosa partirono i costituenti tedeschi? Da questo ragionamento: il nazismo fu il frutto della Repubblica di Weimar. Cos'era la Repubblica di Weimar? Era l'impotenza del potere esecutivo, cioè del Governo. [...] La Germania rimase nel disordine, nel caos, nella Babele dei partiti che non riuscivano a trovare mai delle maggioranze stabili, quindi dei governi efficaci. Ecco perché Hitler vinse, perché il nazismo vinse. I costituenti nostri partirono dal presupposto contrario, cioè dissero: «Cos'era il fascismo? Il fascismo era il premio dato a un potere esecutivo che governava senza i partiti, senza controlli eccetera. Quindi noi dobbiamo esautorare completamente il potere esecutivo, {{NDR|negando}} la possibilità di dare ai governi una stabilità, eccetera». Per rifare che cosa? Weimar. Cioè, mentre i tedeschi partivano dalla negazione di Weimar, noi arrivavamo {{NDR|a Weimar}} senza dirlo. Nessuno lo disse, ma questo fu il risultato. [...] Non fu possibile nemmeno introdurre quella solita linea di sbarramento che invece fu introdotta in Germania, per cui i partiti che non raggiungevano non ricordo se il 5 o il 3%, non avevano diritto a una rappresentanza. No, tutti i partiti dovevano esserci e tutti avevano un potere di ricatto sulle maggioranze, che erano per forza di cose di coalizioni. (da ''Dall'assemblea costituente alla vigilia delle elezioni del 1948'') *Gli italiani non imparano niente dalla Storia, anche perché non la sanno. {{NDR|«Forse non amano la Storia»}} Non la amano, non la leggono, non se ne interessano, ma questo anche le classi dirigenti: sono uguali, intendiamoci. {{NDR|«Lei auspica che venga rifatta questa Costituzione»}} Sì, ma che venga rifatta secondo criteri logici, non {{NDR|secondo}} criteri illogici. Tutte le volte che si diceva «Ma qui bisogna restituire un po' di autorità al potere esecutivo, bisogna mettere i governi in condizione di governare» si diceva: «Fascista! Fascista!». Con questo ricatto qui abbiamo fatto le più grosse scempiaggini che si potesse immaginare. (da ''Dall'assemblea costituente alla vigilia delle elezioni del 1948'') *La fine di [[Alcide De Gasperi|De Gasperi]] è la fine di un'epoca: con lui finisce un'epoca e ne comincia un'altra non certamente migliore. [...] C'è una bella pagina della figlia di De Gasperi, Maria Romana, che ha scritto un bel libro sul padre. Un libro tutto vero in cui racconta anche i funerali su in Val Sugana: c'era naturalmente tutta la nomenclatura democristiana che accompagnava la bara. Oramai De Gasperi era morto, si poteva anche fingere il compianto, e a un certo momento un passante che era lì – uno che guardava, che non aveva niente a che fare con la politica, con la Democrazia Cristiana eccetera eccetera – si avvicinò al feretro e scansando questi turiferari della DC disse: «No, non è vostro! De Gasperi è nostro! Era un italiano!». E aveva ragione. De Gasperi era nostro, non un democristiano. (da ''Gli anni di Alcide De Gasperi'') *{{NDR|[[Giovanni Gronchi]]}} Era un uomo molto abile, brillante parlatore, molto abile anche negli affari. Era molto più libertino di [[Carlo Sforza|Sforza]], quindi la Democrazia Cristiana [...] era cambiata, evidentemente, e Gronchi fu eletto per una faida interna della Democrazia Cristiana, perché [[Amintore Fanfani|Fanfani]] voleva [[Cesare Merzagora|Merzagora]]. Allora per fare dispetto a Fanfani, invece gli buttarono fra i piedi [[Giovanni Gronchi|Gronchi]], il quale seppe benissimo tessere la sua trama fra Sinistra, Destra eccetera e far diventare gronchiani anche quelli degli altri partiti. Dicendosi agli uni uomo di Destra e agli altri uomo di Sinistra, facendo insomma il giuoco personale di Gronchi, con cui entrò in Quirinale il vero grande corruttore della vita politica italiana. [...] Dopo l'onestissimo [[Luigi Einaudi|Einaudi]] viene Gronchi, che è l'indulgenza plenaria verso tutte le deviazioni e i deviazionisti d'Italia. (da ''La rivolta in Ungheria e l'elezione di Giovannni XXIII'') *Questa storia dell'MSI è una delle grandi truffe della Prima Repubblica: nella Costituzione c'è un articolo che proibisce la rinascita di un partito fascista. Ecco. Ora, l'MSI era chiaramente un partito fascista. Non lo negava, anzi si faceva gloria del fatto di essere l'erede eccetera. Perché lo avevano messo, allora? Lo avevano messo perché questo partito fascista, che avrebbe dovuto essere escluso dalla vita politica, serviva a captare un certo numero di voti che, senza questo partito, sarebbero andati a dei partiti moderati di Centro e soprattutto, forse, alla Democrazia Cristiana. Quindi quale fu il gioco delle Sinistre, a cui la Democrazia Cristiana però si piegò e si rassegnò: è consentito di esistere all'MSI, però l'MSI quando è in Parlamento è escluso dal gioco parlamentare. Così si mettevano i voti dell'MSI in ''frigidaire'', e così non andavano alla Democrazia Cristiana e ai partiti {{NDR|di Centro}}. È una delle peggiori truffe che è stata inventata dalla classe politica che ci ha governato per cinquant'anni. (da ''I successori di De Gasperi e la politica italiana fino alla morte di Togliatti'') *Io vorrei sapere quali furono le crescite... di civiltà che il [[Sessantotto]] pretende di averci lasciato. Io vedo tutt'altra cosa: io vidi nascere, dal Sessantotto, una bella torma di analfabeti che poi invasero la vita pubblica italiana, e anche quella privata, portando dovunque i segni della propria ignoranza. Io ho visto questo. Può darsi che sia affetto da sordità o da cecità ma io non ho visto altro, come frutti del Sessantotto. (da ''Il Sessantotto e la politica di Berlinguer'') *{{NDR|La differenza tra il Sessantotto francese e quello italiano è}} La differenza che passa fra l'originale e il fac simile perché il Sessantotto nacque in [[Francia]] e in [[Italia]] fu un fatto di riporto, di imitazione. {{NDR|«Che vi fu in tutto il mondo, però, questo»}} Un po' in tutto il mondo ma particolarmente in Italia dove non nasce mai niente, è sempre qualcosa di imitato dagli altri. Bene o male, insomma, i francesi ebbero... anche una certa cultura del Sessantotto, ebbero [[Jean-Paul Sartre|Sartre]]. Oddio, Sartre rivisto con gli occhi di oggi naturalmente scende molto dal suo mitico piedestallo. [...] In Italia non ci fu neanche un Sartre. (da ''Il Sessantotto e la politica di Berlinguer'') *Credo che su [[Pier Paolo Pasolini|Pasolini]] si sia preso un grosso abbaglio: Pasolini è passato per uno scrittore di sinistra perché aveva preso come sfondo dei suoi racconti – bellissimi del resto – il sottoproletariato delle borgate romane, i ragazzi di vita, insomma, la schiuma della società. Ma lo aveva fatto per dei gusti e dei motivi del tutto personali sui quali è inutile tornare a far commenti. Questo lo aveva fatto considerare come uno scrittore, un difensore del proletariato, ma non era una scelta politica quella che aveva fatto Pasolini. Non c'entrava niente, assolutamente nulla. Quindi quello che lui disse era assolutamente vero, cioè dire che nei tafferugli, dove spesso ci scappava il morto, tra quei dilettanti delle barricate che erano {{NDR|dei borghesi}}, i veri proletari erano i poliziotti, tutti figli di famiglie povere, eccetera eccetera. I dilettanti delle barricate erano tutti o quasi tutti figli di papà: aveva ragione Pasolini! Ma come no! E questo fu considerato un tradimento all'ideologia di sinistra. (da ''Il Sessantotto e la politica di Berlinguer'') *Il primo fenomeno fu il Sessantotto, e il Sessantotto partorì poi il terrorismo, il brigatismo rosso eccetera eccetera. Su questo non ci son dubbi, insomma. Dirò di più: i più seri, e forse gli unici seri, furono quelli che poi diventarono dei terroristi e che quindi rischiarono la loro vita, almeno. Gli altri erano quello che diceva Pasolini, dei figli di papà. (da ''Il Sessantotto e la politica di Berlinguer'') *{{NDR|La figura del Grande Vecchio}} È una di quelle fandonie, di quelle stupidaggini che piacciono tanto a noi italiani: l'idea di un Grande Vecchio che organizzasse tutte queste stragi, attentati eccetera eccetera. È un affare da Simenon di borgata insomma – no? Piaceva l'idea che ci fosse dietro tutta una strategia. Sennonché poi non si sapeva chi fosse il Grande Vecchio. {{NDR|«Aveva un volto questo grande vecchio?»}} Ne ha avuti molti: naturalmente [[Giulio Andreotti|Andreotti]] – quello non manca mai, quando si cerca un ''deus ex macchina'' di tutto ciò che di più criminale è avvenuto in questo Paese {{NDR|c'è}} Andreotti. {{NDR|«Però in quel momento non era tanto vecchio»}} In quel momento non era tanto vecchio, ma il Grande Vecchio non ha nulla di anagrafico, è il Grande Vecchio così – poi Gelli, poi Sindona. Ha avuto varie raffigurazioni che sono tutte di fantasia. (da ''Piazza Fontana e dintorni'') *Se c'era un funzionario corretto, che veniva portato come esempio da tutti i suoi colleghi, era Calabresi. Per quale motivo si scatenò questa campagna contro di lui non lo so. È vero che aveva interrogato [[Giuseppe Pinelli|Pinelli]], ma gli interrogatori di Calabresi facevano testo per la loro correttezza. Sempre. [...] Non so per quale motivo, a un certo momento, la stampa s'incendiò e cominciò ad additare Calabresi come «il bruto», come «lo scherano del potere sopraffattore e assassino». Questo si lesse in vari giornali. Ora, il potere sopraffattore assassino in quel momento era rappresentato da [[Mariano Rumor|Rumor]] e da [[Emilio Colombo|Colombo]]: mi dica lei se hanno il viso dei sopraffattori assassini. Magari lo fossero stati un po', ma immaginiamoci. E questa campagna fu implacabile, assolutamente implacabile. (da ''Piazza Fontana e dintorni'') *Come in tutti i processi italiani anche questi, che poi volevano arrivare all'identificazione dei responsabili e non ci arrivarono quasi mai, erano dominati dal cosiddetto «teorema»: si partiva dal presupposto... a un certo momento si mise di parlare degli anarchici – si smise quasi subito di parlare {{NDR|degli anarchici}} – e tutte le lampadine furono rivolte ai partiti e alle forze di Destra. Erano quelle le forze stragiste. [...] I nostri bravi giudici, salvo alcuni, partivano dal presupposto che {{NDR|i colpevoli}} certamente venivano di lì, venivano dalle Destre, dalle Destre più violente. Alle quali si attribuiva, sempre per «teorema», questa idea: creare una tensione nel Paese in modo da impaurire gli italiani e metterli alla scelta «o la libertà o l'ordine», perché insieme non potevano andare. Nella libertà era chiaro che non si poteva mantenere l'ordine, e loro dicevano: «Qualunque popolo messo a questa scelta sceglie l'ordine». Ecco. È un teorema. È un teorema che ha sempre cercato dimostrazione e non l'ha trovata mai. (da ''Piazza Fontana e dintorni'') *[[Bettino Craxi|Craxi]] era un uomo di partito certamente molto accorto, era un uomo valido di governo perché sapeva decidere. Che cosa fosse lo Stato, da buon socialista, non lo sapeva. (da ''Il terrorismo fino al sequestro e all'uccisione di Aldo Moro'') *Quelle lettere erano tutte farina del sacco di [[Aldo Moro|Moro]], e questa farina non è molto encomiabile perché, vede, tutti gli uomini hanno diritto ad avere paura. Tutti. Però quando un uomo sceglie la politica, e nella politica emerge a [[Statista|uomo di Stato]] – a uomo rappresentativo dello Stato – non perde il diritto a avere paura, ma perde il diritto a mostrarla. Questo sì. Questo è uno dei principi che dovrebbe essere affermato. L'incidente, tipo quello di Moro, fa parte del mestiere. Chi affronta quel mestiere deve sapere che può incorrere in quell'incidente e deve avere i nervi, e diciamo gli altri attributi, per resistere. Moro era lo Stato. Lo Stato si raccomandava, implorava, minacciava la classe politica che facesse di tutto, anche che si prostituisse, per salvargli la vita: eh, no. No. Moro era certamente un politico a modo suo, estremamente abile – era anche un galantuomo, credo – ma uomo di Stato non era nemmeno lui. [...] Anch'io mi sono posto questa domanda molto spesso: «Ma se Moro fosse tornato in politica dopo aver costretto lo Stato a prostituirsi, a inginocchiarsi di fronte ai terroristi, avrebbe potuto restarci?». Avrebbe potuto restare? Con che faccia? Vabbè che siamo in Italia. {{NDR|«Forse lo Stato sarebbe stato un altro perché i terroristi avrebbero vinto»}} Appunto. I terroristi avrebbero vinto. Quindi lui che cosa diventava, il braccio politico del terrorismo? Che cosa diventava? Come poteva ripresentarsi? Va bene, gli italiani hanno lo stomaco forte, inghiottono tutto – noi italiani abbiamo lo stomaco forte e inghiottiamo tutto – ma, insomma, di fronte a un uomo la cui vita, la cui sopravvivenza, aveva avuto quel prezzo per noi non credo che avrebbe potuto ripresentarsi all'opinione pubblica italiana. (da ''Il terrorismo fino al sequestro e all'uccisione di Aldo Moro'') *Noi naturalmente abbiamo il dovere di ringraziare [[Michail Gorbačëv|Gorbačëv]] per quello che ha fatto, però se lei mi chiede se lo ha fatto bene o lo ha fatto male io debbo rispondere che lo ha fatto malissimo. Io non so se lui... che lui volesse salvare la Patria sovietica questo non lo metto in dubbio. Che lui volesse salvare il comunismo... io debbo risponderle di no, perché quello che lui ha fatto per affossare il comunismo lo ha fatto. (da ''Giovanni Paolo II e la fine dell'URSS'') *Anche i cinesi si erano accorti che il sistema comunista era arrivato al capolinea, era fallito. Fallito perché non regge, assolutamente non regge. {{NDR|Il sistema comunista}} Aveva portato il Paese, e i Paesi che lo avevano adottato, al fallimento. Anche i cinesi si erano accorti di questo, però avevano capito che per trasformare un sistema oramai ancestralmente totalitario, statalizzato, che aveva tolto ogni libertà a tutti, che aveva disabituato tutti da ogni spirito di iniziativa e di impresa... per trasformare un'economia basata su questi principi fallimentari in un'economia capitalista basata sul libero mercato, sulla libera concorrenza eccetera, bisognava tenere in mano il potere politico per controllare questo passaggio. I cinesi lo fecero. Quando gli studenti di Pechino credettero di potergli {{NDR|al governo cinese}} prendere la mano scendendo in [[Protesta di piazza Tienanmen|piazza Tienanmen]] i cinesi non esitarono a mitragliarli e, per quanto un massacro non possa che essere esecrato, io dico questo: i cinesi erano obbligati a farlo. Se non lo facevano la Cina si dissolveva, ritornava quella di [[Chiang Kai-shek]]: ritornava quella dei signori della guerra, cioè il Paese si disfaceva. Il Paese che bene o male [[Mao Tse-tung]] aveva unificato e a cui aveva dato un'anima di Nazione si sarebbe disfatto. (da ''Giovanni Paolo II e la fine dell'URSS'') *{{NDR|Su [[Licio Gelli]]}} L'avevo visto una volta e questo [...] rendeva ancora più grande la mia sorpresa. Io avevo un giornale, ''il Giornale'', che non aveva patroni, non aveva pubblicità, che quindi aveva delle grosse difficoltà di tirare avanti. La proprietà era divisa fra me e una trentina di altri redattori, e non avevamo niente in mano. Io non trovavo una banca che mi facesse un fido, non trovavo una società pubblicitaria che mi garantisse un minimo decente delle cose [...]. A un certo momento il capo del nostro ufficio romano, Trionfera – che era massone, ma non P2 – mi disse «Senti, vieni a Roma perché so che c'è un signore che sta diventando il padrone della stampa italiana». Dico «Come? Il padrone della stampa italiana?» «Sì, c'è un signore che, a quanto pare, ha assunto un potere straordinario nel mondo dell’editoria e forse lui può anche aiutarci». [...] Andai a Roma e allora {{NDR|Renzo Trionfera}} mi disse che lui aveva appuntamento con questo signor Gelli, di cui io sentivo il nome per la prima volta [...], però dovevamo andarci quasi di nascosto. [...] Andammo [...] e così vidi Gelli per la prima e unica volta. Gli esposi la situazione e lui mi disse: «Ma questi sono dettagli, queste sono piccolezze, non sono problemi gravi perché qui, oramai, bisogna procedere a ben altro. Bisogna chiamare a raccolta tutta questa stampa italiana che è litigiosa, che è settaria. Bisogna darle un indirizzo unico». Allora io lì lo fermai. Dissi: «Come fa a darle un indirizzo unico? La stampa segue criteri diversi, i giornalisti...». «Macché giornalisti – disse lui – qui ci vuole un padrone della stampa!». Dico «Ma non esiste un padrone della stampa, a meno che non rifacciamo il Minculpop fascista, allora c'era un padrone perché c'era un regime che faceva il padrone». {{NDR|Licio Gelli}} Dice «Basta comprare la proprietà dei giornali». Dissi «Ma scusi, ci sono degli editori che non vendono» [...] «Questione di prezzo». Il discorso andò avanti su questi binari, quando uscimmo io dissi a Trionfera: «Senti, ma questo qui è il più grosso farabolano con cui abbiamo avuto a che fare, uno che si immagina di comprare tutta la stampa e di ridurla ai suoi ordini, va be', o è un matto, o è un matto, oppure è proprio un piazzista, un fregnacciaro qualsiasi insomma». Questo fu l'unico incontro. [...] Uno che faceva questi discorsi naturalmente mi sembrava inutile continuare a frequentarlo. Di lì a poco venne fuori la lista degli iscritti alla P2 e venne fuori l'identificazione di Gelli col Grande Vecchio, col famoso Grande Vecchio. {{NDR|«Finalmente si era trovato»}} Finalmente si era trovato il Grande Vecchio autore di tutte le stragi, le cose..., {{NDR|«Il vero Grande Vecchio»}} il bieco Grande Vecchio. Naturalmente non credetti nemmeno a questo. (da ''Il caso Sindona e la P2'') *Per istinto, e per come avevo visto e conosciuto [[Licio Gelli|Gelli]], io sono convinto che {{NDR|la [[P2|Loggia P2]]}} era una cricca di affaristi e basta. Era una cricca di affaristi condotta da un uomo che, evidentemente, come intrallazzatore doveva essere geniale. Era un pataccaro, indiscutibilmente era un pataccaro, ma che a tutto pensava fuorché a un ''golpe''. Non ci pensava nemmeno. Lui procurava affari e soprattutto fomentava carriere. Lui aveva capito qual è la struttura del potere in Italia, sempre, non soltanto allora, sempre: è una struttura mafiosa. Bisogna far parte di una cricca, di una conventicola in cui ognuno aiuta l'altro, e questo era la P2. [...] Ma che interesse poteva avere Gelli a rovesciare un sistema che gli consentiva di influire sino a quel punto? Quale interesse poteva avere? E poi, Gelli era un farabolano ma non doveva essere del tutto sprovveduto, doveva sapere che l'[[Italia]] non è terra da ''golpe''. Ma chi lo fa il ''golpe''? E anche se qualcuno lo fa, come fa a resistere? Che cos'ha dalla sua per fare il ''golpe''? Non ho mai creduto al golpismo di Gelli. (da ''Il caso Sindona e la P2'') *Il caso Chiesa era un caso modestissimo. Fece da detonatore perché il momento era maturo per arrivare a ''Tangentopoli'', che era dovuto a una cosa molto più complessa che era questa: che ci fosse la corruzione in Italia si è sempre saputo, la classe dominante promanava questo puzzo di fogna che tutti sentivano, il famoso «turarsi il naso». Soltanto che fin quando l'alternativa di questa classe politica allora al potere era un Partito comunista, che era un fac-simile di quello sovietico, basato sui carri armati, sulla polizia segreta, sulle delazioni, sui processi, [...] finché c'era questo spettro noi non potevamo prenderci il lusso di mettere sotto processo e mandare in galera la classe politica dirigente allora. Fu quando, col Muro di Berlino, crollò questo incubo che i tempi furono maturi perché questo avvenisse. (da ''Tangentopoli'') *Che {{NDR|la [[corruzione]]}} sia inestirpabile, di questo sono sicuro perché dura da 2000 anni. La corruzione non è soltanto nella politica: è nella società italiana! Noi italiani abbiamo sempre corrotto tutti! Tutti coloro che sono venuti in Italia a fare i padroni li abbiamo corrotti. [...] Noi dobbiamo metterci in testa che la lotta alla corruzione la si fa in un modo solo: cambiando gli italiani, non cambiando le classi politiche. Le classi politiche, anche quelle nuove, si corrompono. È inevitabile. (da ''Tangentopoli'') *[[Silvio Berlusconi|Berlusconi]] ha un sacco di qualità. C'è da dire, ha una grande immaginazione, una grande fantasia; ha un coraggio leonino nel buttarsi nelle imprese; sa trascinare molto bene; è un comunicatore eccezionale, sa accendere i suoi seguaci di entusiasmi eccetera eccetera, mi ricordo che una volta gli dissi: «Io sono sicuro che se tu ti mettessi a fabbricare dei vasi da notte, faresti venire la voglia di fare pipì a tutta l'Italia». (da ''Verso il bipolarismo'') *[[Silvio Berlusconi|Lui]] è un uomo d'attacco: se avesse fatto la carriera militare lui non sarebbe diventato né un [[Gerd von Rundstedt|Rundstedt]] né un [[Erich von Manstein|Manstein]], che furono i grandi strateghi tedeschi dell'ultima guerra. [...] Lui sarebbe diventato un [[Erwin Rommel|Rommel]] o un [[George Smith Patton|Patton]]. Cioè dire: è un generale di straccio e di rottura che, appunto, sullo slancio può compiere qualsiasi cosa. Se lo metti poi a difendere le posizioni conquistate con lo slancio, eh no, lì non ci sta. Come Rommel: Rommel finché poté attaccare in Libia e in Egitto attaccò. Quando dovette mettersi sulla difensiva chiese il rimpatrio. [...] Non sarebbe uomo di Curia e non è un uomo di pazienza, non è un uomo da guerra di posizione e di logoramento. (da ''Verso il bipolarismo'') *Lui Arrivò a Palazzo Chigi credendo, e facendo credere, che uno Stato si poteva condurre con gli stessi criteri di un'azienda privata. Io su questo avevo avuto serie discussioni con lui – non litigi, non ho mai litigato con Berlusconi – gli avevo detto: «Guarda che lo Stato non è un'azienda privata». [...] Lui credeva di potersi comportare a Palazzo Chigi, e con la macchina dello Stato, come si comportava con la sua organizzazione, dove la gente frullava e, se non frullava, lui la cacciava via, com'è giusto che faccia un imprenditore. Ma lui non poteva applicare questi metodi e sistemi allo Stato. Quando si trovò di fronte alla muraglia grigia, sorda e ottusa della burocrazia italiana, che è la peggiore, ma anche la più resistente del mondo, lui rimase senz'armi: non poteva licenziare neanche un usciere. Nel gioco parlamentare lui naufraga perché non è abituato a queste cose. La politica – non dico che sia solo un mestiere – ma è anche un mestiere. Questo mestiere lui non lo aveva. (da ''Verso il bipolarismo'') *Che gli italiani siano capaci di emanare leggi di riforma, ci credo senz'altro. L'Italia è la più grande produttrice di regole, ognuna delle quali è una riforma, è la riforma di un'altra regola. Gli stessi esperti pare che abbiano perso il conteggio delle leggi, dei regolamenti che vigono in Italia: c'è qualcuno che parla di 200.000, altri di 250.000. Ora, quando si pensa che la [[Germania]] ha in tutto 5.000 leggi, la [[Francia]] pare 7.000, l'[[Inghilterra]] nessuna, quasi nessuna – ha dei principi, così stabiliti. A cosa ha portato tutta questa proliferazione? A riempire gli scantinati dei nostri pubblici uffici, dove ci sono questi mucchi di legge che nessuno va nemmeno a consultare perché ognuna di queste leggi poi offre il modo di evaderle. Questa è la grande abilità dei legislatori italiani. I legislatori italiani sono quasi tutti degli avvocati. E gli avvocati a che cosa pensano? A ingarbugliare le leggi in modo da restarne loro i supremi e unici depositari. [...] Riforme: hai voglia se ne faremo, continuiamo a farne, è la nostra vocazione, questa. Quanto poi all'attuazione, allora è un altro discorso: le leggi in Italia non vengono osservate, anche perché sono formulate in modo che si possano non osservare. Ed è questo che spiega l'abbondanza, la prodigalità delle nostre classi politiche, delle nostre classi dirigenti, nello sfornarne di continuo. (da ''Dal Governo Dini all'Ulivo'') *Un Paese che ignora il proprio Ieri, di cui non sa assolutamente nulla e non si cura di sapere nulla, non può avere un Domani. Io mi ricordo una definizione dell'Italia che mi dette in tempi lontanissimi un mio maestro e anche benefattore, che fu un grande giornalista, [[Ugo Ojetti]], il quale mi disse: «Ma tu non hai ancora capito che l'Italia è un Paese di contemporanei, senza antenati né posteri perché senza memoria». Io avevo 25-26 anni e la presi per una ''boutade'', per una battuta, un paradosso. Mi sono accorto che aveva assolutamente ragione. Questo è un Paese che {{NDR|«È un Paese che non ama la Storia»}} ha una storia straordinaria, {{NDR|«Ma non la ama»}} ma non la studia, non la sa. È un Paese assolutamente ignaro di se stesso. Se tu mi dici cosa sarà un domani per gli italiani, forse sarà un domani brillantissimo. Per gli italiani, non per l'Italia. Perché gli italiani sono i meglio qualificati a entrare in un calderone multinazionale perché non hanno resistenze nazionali. Intanto hanno dei mestieri in cui sono insuperabili. [...] Voglio dirlo senza intonazioni spregiative, nei mestieri servili noi siamo imbattibili, assolutamente imbattibili. Ma non lo siamo soltanto in quelli. L'individualità italiana si può benissimo affermare in tutti i campi, anche scientifici. Io sono sicuro che gli scienziati italiani, i medici italiani, gli specialisti italiani, i chimici, i fisici italiani quando avranno a disposizione dei gabinetti europei veramente attrezzati brilleranno. Gli italiani, l'Italia no. L'Italia non ci sarà, non c'è. Perché gli italiani che vanno in Germania diventeranno tedeschi. [...] Alla seconda generazione sono assimilati. Dovunque vadano, sono assimilati. {{NDR|«Ma questo è un difetto?»}} No... è un difetto... è un difetto ed è anche una virtù. È una qualità. Voglio dire: per l'Italia non vedo un futuro, per gli italiani ne vedo uno brillante. (da ''Dal Governo Dini all'Ulivo'') ==Citazioni tratte dai giornali== ===''Corriere della Sera''=== <!--ordine cronologico--> *Gli eroi sono sempre immortali, agli occhi di chi in essi crede. E così crederanno, i ragazzi, che il «[[Grande Torino|Torino]]» non è morto: è soltanto «in trasferta». (7 maggio 1949) *{{NDR|A proposito di [[Maratea]]}} Forse in Italia non c'è paesaggio e panorama più superbi. Immaginate decine e decine di chilometri di scogliera frastagliata di grotte, faraglioni, strapiombi e morbide spiagge davanti al più spettacoloso dei mari, ora spalancato e aperto, ora chiuso in rade piccole come darsene. (4 ottobre 1957) *{{NDR|Su ''[[La dolce vita]]''}} Ma non c'è dubbio che qui ci si trova di fronte a qualcosa di eccezione (sic!) non perché rappresenti un meglio o un di più di ciò che finora si è fatto sullo schermo, ma perché ne va nettamente al di là, violando tutte le regole e convenzioni, a cominciare da quelle della durata, che supera le tre ore di spettacolo, per finire a quelle della trama, o meglio della non trama, perché non c'è. (''[http://cinquantamila.corriere.it/storyTellerArticolo.php?storyId=4d44ab344c050 Montanelli vede La Dolce Vita]'', 22 gennaio 1960) *{{NDR|Su ''[[La dolce vita]]''}} Non siamo più nel cinematografo, qui. Siamo nel grande affresco. Fellini secondo me non vi tocca vette meno alte di quelle che Goya toccò in pittura, come potenza di requisitoria contro la sua e la nostra società. (''ibidem'') *Il suo reportage non è una "patacca". Il poco – oh, molto poco! – che vi luce è proprio oro. E il molto che vi puzza è proprio fogna. Del resto, se così non fosse, il film sarebbe fallito come falliscono i reportages quando eludono la verità o non riescono a centrarla. Quindi, amici, vi prevengo se domani ''[[La dolce vita]]'' vi farà inorridire, non confutàtela dicendo: "Non è vero". Perché per esser vero, tutto ciò che qui è raccontato, lo è. D'altronde Fellini è ricorso al mezzo più spicciativo (e più diabolico) per dimostrarlo. (''ibidem'') *Ma mi affretto subito ad aggiungere che ''[[La dolce vita]]'' non è una polemica a sfondo giustizialista, che appunta i suoi strali sulle cosiddette classi alte. Non convincerebbe, in questo caso, o convincerebbe meno. Gli altri ambienti, che si srotolano giù giù negli appunti di questo reporter d'eccezione, sono descritti con la identica spietatezza, convalidata dalla stessa tecnica di rappresentare ciascuno nei propri panni. Lasciatemi testimoniare in tutta onestà che raramente ho visto qualcosa di più vero di quel salotto intellettuale. Esso ha dato perfino a me, che non ne frequento nessuno, un senso profondo di mortificazione, un vago anelito a cambiar mestiere e a iscrivermi, fo' per dire, ai coltivatori diretti. (''ibidem'') *Non è necessario essere socialisti per amare e stimare [[Sandro Pertini|Pertini]]. Qualunque cosa egli dica o faccia, odora di pulizia, di lealtà e di sincerità. (27 ottobre 1963) *Che i [[Rifugiati palestinesi|profughi palestinesi]] siano delle povere vittime, non c'è dubbio. Ma lo sono degli Stati arabi, non d'[[Israele]]. Quanto ai loro diritti sulla casa dei padri, non ne hanno nessuno perché i loro padri erano dei senzatetto. Il tetto apparteneva solo a una piccola categoria di sceicchi, che se lo vendettero allegramente e di loro propria scelta. Oggi, ubriacato da una propaganda di stampo razzista e nazionalsocialista, lo sciagurato ''fedain'' scarica su Israele l'odio che dovrebbe rivolgere contro coloro che lo mandarono allo sbaraglio. E il suo pietoso caso, in un modo o nell'altro, bisognerà pure risolverlo. Ma non ci si venga a dire che i responsabili di questa sua miseranda condizione sono gli «usurpatori» ebrei. Questo è storicamente, politicamente e giuridicamente falso. (16 settembre 1972) *[[Alexis de Tocqueville|Tocqueville]] diceva che «è nel sonno della pubblica coscienza che maturano le dittature». (da ''[https://web.archive.org/web/20160101000000/http://archiviostorico.corriere.it/1996/gennaio/13/platea_resta_assente_co_0_9601133631.shtml La platea resta assente]'', 13 gennaio 1996, p. 1) *Se si mettono a raffronto i due rivali come faccia, come presenza, come eloquio, come cordialità, insomma come simpatia umana, non c'è dubbio che Albertini ne ispira molto meno di Fumagalli, anzi diciamo la verità tutta intera: non ne ispira punta. Ed io, cittadino ed elettore milanese, proprio di questo sentivo il bisogno: di un sindaco antipatico, di faccia arcigna e poco invogliante alla pacca sulla spalla, al confidenziale «tu» e al pappecciccia coi sottoposti, e poco, anzi punto disponibile a quelle benevolenze, condiscendenze e indulgenze che rappresentano le supposte di glicerina di tutte le corruzioni. [...] Con Albertini ho parlato una sola volta. Ma mi è bastata per capire che, per rendersi antipatico, non ha bisogno di fare sforzi. Basta che si mostri com'è e come spero che rimanga: una specie di Molotov di Palazzo Marino, chiuso nei suoi caparbi ''niet'', diffidente, scostante e culdipietra. Che abbia una compagna fermamente decisa a non partecipare alla vita pubblica del compagno, anche questo ci va bene. [...] Si ricordi, signor Sindaco, che noi abbiamo votato per lei, non per questi papponi. (da ''[https://web.archive.org/web/20160101000000/http://archiviostorico.corriere.it/1997/maggio/13/tradito_Ulivo_co_0_9705136733.shtml Sì, ho tradito l'Ulivo]'', 13 maggio 1997, p. 1) *Non vorremmo, dopo averne deplorato il brutto vezzo, contribuire alle polemiche nel momento in cui bisogna invece accantonarle per fare compatto fronte per il salvataggio del salvabile. Ma basta con le «regole» che servono soltanto a rendere impenetrabili le responsabilità dei disastri quando i disastri si possono ricondurre a delle responsabilità umane (come non accade, per esempio, nei terremoti). Ma quando verrà l'ora della ricostruzione, ricordiamoci che l'[[urbanistica]] e il paesaggio italiani hanno bisogno non di altre, ma di meno «regole». E, più che di cemento, di dinamite. (da ''[https://web.archive.org/web/20160101000000/http://archiviostorico.corriere.it/1998/maggio/09/licenze_facili_leggi_oscure_co_0_9805099009.shtml Le licenze facili e le leggi oscure]'', 9 maggio 1998, p. 1) *Qualche dichiarazione meno infuocata contro la Giustizia di regime, come il [[Silvio Berlusconi|Cavaliere]] si ostina a definirla, avrebbe meglio aiutato la politica italiana a rimuovere il macigno che la paralizza, e che è lui, Berlusconi. (da ''[https://web.archive.org/web/20160101000000/http://archiviostorico.corriere.it/1998/luglio/14/RESTO_SIA_SILENZIO_co_0_9807143775.shtml E il resto sia silenzio]'', 14 luglio 1998, p. 1) *L'Italia sarà anche, come dicono i nostri tromboni universitari, «la culla del diritto». Ma è anche il sepolcro di una giustizia che, per decidere se un imputato è innocente o colpevole, aspetta il suo certificato di morte che la esenta dal dirlo. Il secondo problema è il reclutamento e la selezione [[magistratura|del personale]]. Come in tutte le altre pubbliche attività, anche nella giustizia c'è un dieci per cento di autentici eroi pronti a sacrificarle carriera e vita, ma senza voce in un coro di «gaglioffi» che c'è da ringraziare Dio quando sono mossi soltanto da smania di protagonismo. (da ''[https://web.archive.org/web/20160101000000/http://archiviostorico.corriere.it/1998/agosto/24/CARDINALE_MAGISTRATO_co_0_9808244892.shtml Il Cardinale e il Magistrato]'', 24 agosto 1998, p. 1) *Tutto si è risolto in un colpo solo, non si sa con precisione quando e come combinato, che ha tagliato la strada alla bagarre prima che cominciasse. E che, per quanto mi riguarda, mi ha liberato dall'incubo che turbava i miei inquieti sonni, e in cui mi vedevo in fuga da un mostro senza volto, ma che m'incalzava con la logorrea del presidente uscente, aggravata dall'accento irpino di Mancino e dalle corde vocali della signora Jervolino. [...] Siamo sicuri che il popolo, chiamato a pronunciarsi fra un [[Carlo Azeglio Ciampi|Ciampi]] e – faccio per dire – un [[Antonio Di Pietro|Di Pietro]], si sarebbe pronunciato per Ciampi? È una domanda che non aspetta risposta, ma che mi permetto di proporre ai lettori. Gran bella parola «il Popolo». E riconosciamogli pure l'attributo, che gli spetta, di «Sovrano». Ma insomma, meditate gente, meditate. (da ''[https://web.archive.org/web/20160101000000/http://archiviostorico.corriere.it/1999/maggio/14/QUASI_NON_CREDO_co_0_9905146643.shtml Quasi non ci credo]'', 14 maggio 1999, p. 1) *Tutti coloro che hanno svolto pubbliche funzioni in Sicilia sono rimasti e sono tuttora in qualche modo «collusi» con la mafia. Lo furono quotidianamente, e per secoli, il governo e la polizia borbonica. Lo fu [[Giuseppe Garibaldi|Garibaldi]] che in essa trovò, dopo lo sbarco, la sua prima alleata. Lo furono i governi nazionali sia di destra che di sinistra. Lo fu [[Giovanni Giolitti|Giolitti]] che pure non scese mai, a ch'io sappia, a sud di Napoli. Lo fu il presidente della vittoria, [[Vittorio Emanuele Orlando|Orlando]], che quando tornava a Palermo, la prima visita che rendeva non era al prefetto né all'arcivescovo, ma al capomafia. Tentò di non esserlo Mori che aveva licenza di uccidere garantita da un regime totalitario, e ci rimise il posto. Lo sono stati tutti i politiconi e politicastri della Prima Repubblica. Anche il cautissimo [[Giulio Andreotti|Andreotti]]? Può darsi, attraverso i suoi proconsoli ''in loco''. Ma il Tribunale deve aver capito che l'imputato non era lui. Era il costume morale e politico della nostra vita pubblica, sul quale un Tribunale non ha, né può né deve avere competenza. [...] E il problema, secondo me, è questo: che fin quando noi italiani crederemo di salvarci dalla peste mandando sul rogo una strega o un untore, dalla peste non ci libereremo mai. (da ''[https://web.archive.org/web/20160101000000/http://archiviostorico.corriere.it/1999/ottobre/24/TRIBUNALE_DELLA_STORIA_co_0_991024441.shtml Il tribunale della storia]'', 24 ottobre 1999, p. 1) *Ci dicano chiaro e tondo perché hanno smembrato il Ros, e hanno ridimensionato l'attività di Sco e Gico. Non ci raccontino che hanno voluto mettere al riparo il capitano Ultimo e i suoi uomini dalle possibili vendette della malavita. E soprattutto non vengano a ripeterci che il ''modus operandi'' dei servizi segreti, per impedirne le «deviazioni», dev'essere «trasparente». Questa, che un segreto possa essere trasparente, è un'idea da primato della cretineria. E, se non della cretineria, lo è della retorica virtuista o della menzogna truffaldina. (da ''[https://web.archive.org/web/20160101000000/http://archiviostorico.corriere.it/1999/novembre/02/PROCURATORE_BATTA_PUGNO_co_0_9911021451.shtml Procuratore batta il pugno]'', 2 novembre 1999, p. 1) *Era la prima volta che il partito socialista italiano aveva trovato un uomo {{NDR|Bettino Craxi}}, se non di Stato, almeno di governo, che lo aveva liberato dalla subalternanza al Pci, e condotto su posizioni democratiche, europeistiche e atlantiche. Lo avrà anche fatto con metodi alquanto spicciativi e disinvolti, più da padrino che da ''leader''. Ma mi chiedo se avrebbe potuto usarne di diversi per avere ragione dei vecchi tromboni del massimalismo populista e piazzaiolo con le loro clientele incrostate da decenni. E mi chiedo anche quanto contribuirono alla sua crocefissione i rancori e le acredini che si era lasciato dietro. Ma nella difesa si perse, e non per mancanza, ma forse per eccesso di coraggio. (da ''[https://web.archive.org/web/20160101000000/http://archiviostorico.corriere.it/2000/gennaio/20/STATISTA_LATITANTE_co_0_0001201104.shtml Lo statista latitante]'', 20 gennaio 2000, p. 1) *Anche noi siamo convinti che il Paese ha il diritto di conoscere la verità (che non riguarda soltanto quella di Piazza Fontana). Ma non ci riusciamo. Anche perché se la pista rimane, come sembra accertato, quella del terrorismo nero, non sappiamo quali nomi l'accusa potrà tirar fuori dal suo cappello. I tre maggiori indiziati sono già stati assolti con sentenza passata in giudicato che non consente di richiamarli sul banco degli imputati. Gli altri di cui si fa il nome non sarebbero che comparse, la più importante delle quali, Delfo Zorzi, risiede a Tokio con passaporto giapponese che lo mette al riparo da ogni pericolo di estradizione. Vale la pena ricominciare? L'''ouverture'' dei dibattimenti non è stata incoraggiante. Il proscenio era occupato da Capanna, Valpreda, [[Dario Fo]] e altri reduci sessantottini, cui si era aggiunto anche Sergio Cusani, l'intangentato convertitosi (lo diciamo senza nessuna ironia) al missionarismo. [...] Invano i portaparola della parte lesa, cioè dei familiari delle vittime, si sono dichiarati estranei e contrari a ogni tentativo di politicizzare il processo. Una parola. Non ci riescono nemmeno [[Jovanotti]] e [[Teo Teocoli|Teocoli]] con le loro filastrocche dal palcoscenico di Sanremo. Figuriamoci se potranno riuscirci i registi di questo processo ''rouge et noir'', se mai ve ne furono. [...] Ecco a cosa servono i processi come questo: non a cercare la verità, ma a fornire argomenti al ''rouge'' o al ''noir''. (da ''[https://web.archive.org/web/20160101000000/http://archiviostorico.corriere.it/2000/febbraio/26/QUELLA_VERITA_CHE_CERCHIAMO_co_0_0002264627.shtml Quella verità che cerchiamo]'', 26 febbraio 2000, p. 1) *Cosa c'entri la giustizia italiana in fatti e misfatti capitati trent'anni fa in un Paese {{NDR|l'[[Argentina]]}} di cui la metà della popolazione è di origine italiana, non riusciamo a capire. Ma ci pareva impossibile che l'iniziativa del giudice spagnolo Garzon per trascinare l'ex dittatore cileno [[Augusto Pinochet|Pinochet]] sul banco degli accusati di un tribunale madrileno non trovasse imitatori in un Paese di scimmie come il nostro. Grazie ad essa, il nome e il volto di Garzon sono noti in tutto il mondo. Ed è probabile che tra poco lo siano anche quelli del pubblico ministero Caporale. Vi pare poco in un'era dell'effimero come quella in cui stiamo vivendo, e che vede l'infittirsi di processi ai defunti, su cui le nuove leve della [[storiografia]] vorrebbero riscrivere il passato? (da ''[https://web.archive.org/web/20160101000000/http://archiviostorico.corriere.it/2000/aprile/03/QUEI_PROCESSI_CARO_ESTINTO_co_0_0004033275.shtml Quei processi al caro estinto]'', 3 aprile 2000, p. 1) *Dobbiamo avere la modestia di riconoscere che noi, come venditori, non leghiamo nemmeno le scarpe a un piazzista che se un giorno si mettesse a produrre vasi da notte, farebbe scappare la voglia di urinare a tutta l'Italia. (da ''[https://web.archive.org/web/20130619122825/http://archiviostorico.corriere.it/2001/febbraio/15/PREDICATORI_COMPARSE_co_0_0102158858.shtml I predicatori e le comparse]'', 15 febbraio 2001, p. 1) *Non sono mai venuto meno all'impegno, preso non con il Cavaliere, ma con me stesso, di non associarmi mai alla sua demonizzazione. Ma non posso sottacere ai lettori i pericoli che si nascondono sotto questa sua allergia alla verità, questa sua voluttuaria e voluttuosa propensione alle menzogne, la naturalezza con cui riesce a pronunziarle. (da ''Io e il cavaliere qualche anno fa'', 25 marzo 2001, p. 1) *Berlusconi, cui nulla riesce tanto bene quanto la parte di vittima e perseguitato. «[[Chiagne e fotte]]» dicono a Napoli dei tipi come lui. E si prepara a farlo per cinque anni di seguito. (da ''Io e il cavaliere qualche anno fa'', 25 marzo 2001, p. 1) ====''La stanza di Montanelli – rubrica''==== {{cronologico}} *{{NDR|[[Vittorio Sgarbi]]}} È un volgare calunniatore, che non disonora se stesso, ma anche il suo committente e padrone (tutti sappiamo chi è) che si serve di un simile scherano. (8 novembre 1995) *I [[Riformismo|riformatori]] italiani, quando si tratta di riformare ciò che non ha bisogno di essere riformato, sono instancabili. L'attività dell'Ucas, Ufficio complicazioni affari semplici, come ricordava un altro lettore esasperato, è frenetica. ([https://web.archive.org/web/20160101000000/http://archiviostorico.corriere.it/1995/dicembre/13/Ufficio_complicazioni_affari_semplici_co_0_9512139920.shtml 13 dicembre 1995]) *Io credo che il miglior omaggio che si può rendere a [[Aldo Moro|Moro]] sia quello di archiviare l'episodio che ne segnò la fine e dal quale, diciamo la verità, la sua immagine esce tutt'altro che bene. Quando sento dire che, oltre a quelle conosciute, ci sono anche altre lettere di Moro, prego Iddio che non vengano trovate. So già cosa contengono, e preferisco non leggerlo. (21 dicembre 1995) *È assolutamente impossibile istillare negli [[zingari]] il concetto di proprietà e quindi educarli al lavoro come mezzo per conquistarsela. Ma temo che sia altrettanto impossibile far capire tutto questo ai nostri pietisti, religiosi e laici, che farneticano di «integrarli». ([https://web.archive.org/web/20160101000000/http://archiviostorico.corriere.it/1995/dicembre/30/Viaggiai_sul_carrozzone_degli_zingari_co_0_95123012229.shtml 30 dicembre 1995]) *A me, invece, [[Beppe Grillo|Grillo]] piace. Lo considero il più efficace comico in circolazione. Anzi: «comico» non è la parola giusta. Grillo non è un comico, non è un moralista, non è un predicatore: è tutte queste cose insieme. Nel panorama dello spettacolo italiano, dove abbonda il bollito misto, è un'eccezione ambulante (e urlante). Lei ha ragione quando dice che Grillo esagera. Non soltanto esagera; provoca anche, e insulta, e offende. Ma tutte le categorie di giudizio, con un tipo così, risultano inadeguate. Grillo appartiene ad una specie animale particolare, formata da un solo esemplare: lui. O lo strozziamo o lo applaudiamo. Io, appena posso, lo applaudo. Perché i suoi eccessi, a differenza di quelli di [[Vittorio Sgarbi|Sgarbi]], odorano di bucato. ([https://web.archive.org/web/20160101000000/http://archiviostorico.corriere.it/1996/gennaio/11/Beppe_Grillo_incubo_esilarante_co_0_9601114281.shtml 11 gennaio 1996]) *Una delle eterne regole italiane: nel settore pubblico, tutto è difficile; la buona volontà è sgradita; la correttezza, sospetta. Per questo, le persone capaci continueranno a tenersi a distanza di sicurezza dalla «cosa pubblica», lasciando il posto ai furbastri (magari bravi) e alle mezze cartucce (magari oneste). Così, purtroppo, vanno le cose in questo bizzarro paese. ([https://web.archive.org/web/20160101000000/http://archiviostorico.corriere.it/1996/gennaio/26/Impegno_politico_caduta_delle_illusioni_co_0_9601261298.shtml 26 gennaio 1996]) *In una società libera il compito dei media non è «edificare la morale»; è informare, denunciare, stimolare, far riflettere, occasionalmente divertire. (28 gennaio 1996) *L'unico incoraggiamento che posso dare ai giovani, e che regolarmente gli do, è questo: «Battetevi sempre per le cose in cui credete. Perderete, come le ho perse io, tutte le battaglie. Una sola potete vincerne: quella che s'ingaggia ogni mattina, quando ci si fa la barba, davanti allo [[specchio]]. Se vi ci potete guardare senza arrossire, contentatevi». (20 febbraio 1996) *Non so se il Pci sia sotterraneamente sceso a trattative con le Br per convincerle a secondare questo piano. So soltanto che le Br, le quali invece la rivoluzione la volevano sul serio, lo rifiutarono, e fu proprio per farlo naufragare che rapirono e poi uccisero colui che doveva esserne lo strumento. [...] Fu il risoluto e quasi furibondo (oltre che sacrosanto) no dei comunisti che fece naufragare il tentativo {{NDR|Trattativa Stato-BR durante il sequestro [[Aldo Moro|Moro]]}}, che invece in seno alla Dc aveva parecchi sostenitori, anche se non osavano dirlo apertamente. Di qui le accuse e le insinuazioni contro i suoi compagni di partito, lanciate da Moro in quelle famose lettere, che avrebbe fatto meglio a non scrivere perché indegne di un vero uomo di Stato, anzi di un uomo tout court, e che ancor oggi forniscono materia al sospetto di una congiura fra democristiani – con l'aiuto dei soliti servizi segreti «deviati» – per sbarazzarsi di lui. Vero nulla. Forse nella Dc le forze «trattativiste», praticamente disposte alla resa alle Br, avrebbero vinto, se non ne fossero state impedite dalla risolutezza del Pci, che di un brigatismo assurto ad interlocutore dello Stato non voleva sentir parlare e di un Moro salvato al prezzo di una simile capitolazione non avrebbe più saputo che farsi. (26 marzo 1996) *No, è stata la persecuzione che ha costretto gli ebrei, per resisterle, a tendere ed affinare tutte le loro risorse intellettuali. Ecco il segreto dei loro primati. In tutto. E talvolta anche nella cretineria. (3 aprile 1996) *L'[[Allargamento della NATO|allargamento della Nato]] è una cosa maledettamente seria, e decisamente complessa. Parlarne prima delle elezioni presidenziali russe vuol dire buttare benzina sul fuoco; non parlarne oggi significa, forse, non parlarne più. [...] Innanzitutto, dobbiamo renderci conto che la Nato è un'organizzazione basata sul consenso: se si estende verso Oriente [...], la compattezza dell'alleanza rischia di incrinarsi. Ancor più delicata è una seconda questione. Governi e opinione pubblica occidentali devono capire le implicazioni della loro decisione. In seguito all'allargamento, i nuovi membri orientali della Nato (che siano solo Repubblica Ceca e Ungheria; o anche Polonia e Paesi Baltici) diventano nostri alleati, a tutti gli effetti. Questo vuol dire che, se venissero attaccati, dovremmo correre a difenderli. Domanda: siamo disposti a morire per Varsavia e Tallin? Se la risposta è «sì», allarghiamo pure la Nato. Se la risposta è «ma, forse...» – e in Italia sarebbe sicuramente «ma, forse...» – è meglio che lasciamo perdere. In quella parte del mondo hanno già sofferto abbastanza. Non è il caso che ci mettiamo anche noi. ([https://web.archive.org/web/20151025020316/http://archiviostorico.corriere.it/1996/aprile/20/Allargamento_della_Nato_Lasciamo_perdere_co_0_960420535.shtml 20 aprile 1996]) *Io non mi considero affatto ateo e non capisco come si possa esserlo. ([https://web.archive.org/web/20160101000000/http://archiviostorico.corriere.it/1996/maggio/23/dove_comincia_grande_mistero_Dio_co_0_9605235872.shtml 23 maggio 1996]) *{{NDR|Riferito alla [[crisi di Sigonella]]}} Ho sempre considerato il rilascio di Abu Abbas un gesto semplicemente criminale o almeno di complicità col crimine. ([https://web.archive.org/web/20151107235857/http://archiviostorico.corriere.it/1996/luglio/07/Caro_Ottiero_Ottieri_diamoci_del_co_0_9607072658.shtml 7 luglio 1996]) *Quanto scrivi {{NDR|riferito a una lettrice}} sull'insegnamento della Storia nelle nostre scuole è sacrosantamente vero. I testi su cui ve la fanno studiare sono o reticenti o faziosi, ma più spesso l'una cosa e l'altra, e soprattutto scritti coi piedi. (4 settembre 1996) *No, caro N***, non mi basta che il Pool abbia perseguito e persegua una buona Causa. Doveva farlo anche con buoni mezzi e criteri. E il caso Di Pietro basta a dimostrare che questo non è sempre avvenuto. (24 ottobre 1996) *È dalla piazza e dai cosiddetti «bagni di folla» che nascono i dittatori e vengono consacrati i fanatismi più orrendi, fra cui il più orrendo di tutti: il razzismo. ([https://www.fondazionemontanelli.it/sito/pagina.php?IDarticolo=432 24 novembre 1996]) *Io non ho titoli culturali che mi qualifichino a lezioni su una tematica come quella del [[calvinismo]]. Ma credo di averne afferrato l'essenziale: la concezione della Ricchezza come segno della Grazia, di cui quindi non si è proprietari, ma amministratori per conto del Signore col compito di moltiplicarla per il bene di tutti. (21 dicembre 1996) *[[Daniele Vimercati|Vimercati]] è un leghista antemarcia. Lo era anche quando lavorava con me al ''Giornale''. Ma è soprattutto un signor giornalista, che conosce perfettamente la linea di demarcazione fra l'opinione personale e il dovere professionale, e non c'è interesse né calcolo di opportunità che possa indurlo a varcarla. Per questo godeva di tutta la mia fiducia, né mai ho avuto occasione di pentirmi di avergliela concessa. (1996).<ref>Citato in Pierluigi Saurgnani, ''[https://www.ecodibergamo.it/stories/Cronaca/274325_vimercati_gran_borghese_il_giornalista_che_scopr_bossi/ Vimercati, gran borghese. Il giornalista che scoprì Bossi]'', ''ecodibergamo.it'', 13 marzo 2012.</ref> *Di commissioni d'inchiesta il nostro parlamento ne ha partorite a dozzine. Me ne citi una sola che abbia raggiunto dei risultati, anche semplicemente conoscitivi. Per un Parlamento come il nostro (e mi trattengo a fatica dal qualificarlo) anche la ricerca della verità è materia di lottizzazione. ([https://web.archive.org/web/20151118213258/http://archiviostorico.corriere.it/1996/dicembre/23/Ormai_non_resta_che_amnistia_co_0_96122312669.shtml 23 dicembre 1996]) *Quando ebbi, fra i tanti, un processo non con un magistrato, ma con un politico del rango di De Mita che avevo coinvolto nella mala amministrazione dei fondi stanziati per l'Irpinia dopo il [[Terremoto dell'Irpinia del 1980|terremoto]], non trovai, in tutta quella vasta regione, una toga che venisse a testimoniare in mio favore. L'unico che mi difese fu colui che avrebbe dovuto accusarmi: il pubblico ministero del tribunale di Monza, Mariconda: non sul merito delle mie accuse, ch'egli non aveva elementi per valutare, ma sul diritto che mi riconosceva di lanciarle. Anche l'uso dei cinquanta–sessantamila miliardi stanziati per l'Irpinia rimase un porto delle nebbie. ([https://web.archive.org/web/20160101000000/http://archiviostorico.corriere.it/1997/gennaio/12/Magistratura_porti_delle_nebbie_co_0_9701123652.shtml 12 gennaio 1997]) *La sola parola «ingegneria genetica» mi mette i brividi. (14 marzo 1997) *Io non mi sono mai [[Impiccagione|impiccato]]. Ma a Norimberga assistetti a diciassette impiccagioni, compresa quella di un cadavere, il cadavere di Göring che si era suicidato il giorno prima. Be', mi resi conto [...] che ficcare la testa nel nodo scorsoio di una corda non è un esercizio da mezzetacche o quacquaracquà. (15 maggio 1997) *{{NDR|Gladio}} Era stato istituito in quasi tutti i Paesi che facevano parte della Nato, e per volontà della Nato, consapevole che i suoi soci europei non avrebbero potuto resistere all'attacco di una Potenza superarmata qual era l'[[Unione Sovietica]]: avrebbero dovuto aspettare, per la riscossa, l'intervento dell'[[Stati Uniti d'America|America]]. Lo dimostra il fatto che quando questo piano fu rivelato, nessun altro Paese trovò nulla da ridirne. Solo noi italiani – i soliti romanzieri imbecilli e peggio che imbecilli – ne facemmo materia di scandalo e pretesto di «gialli» che tuttora trovano credito, come la sua lettera dimostra. Anch'io mi sento scandalizzato, e un poco offeso. Ma solo dal fatto che nessuno mi abbia sollecitato l'adesione al [[Organizzazione Gladio|Gladio]]: l'avrei data con entusiasmo. ([https://web.archive.org/web/20150623163829/http://archiviostorico.corriere.it/1997/giugno/07/Avrei_dato_con_entusiasmo_adesione_co_0_97060710388.shtml 7 giugno 1997]) *A fare l'Italia alcuni pochi italiani ci sono, senza e contro i più, riusciti. A fare gl'italiani, l'Italia, in centocinquant'anni, non c'è riuscita; anzi non ci s'è nemmeno provata. (19 giugno 1997). *Il vero cacciatore ama gli animali a cui dà la caccia, forse anche perché li considera complici di questo gioco in cui ritrova la sua origine esistenziale. Non spara, per esempio, sul bersaglio fermo: lo considera sleale. (9 luglio 1997) *Al matrimonio misto, che dell'integrazione razziale è la condizione genetica, sono i neri, molto più dei bianchi, che si rifiutano. Non è quindi colpa degl'italiani, o almeno non tutta questa colpa è degl'italiani, se anche da noi l'integrazione con gl'immigrati africani incontra degli ostacoli. Quella con gli oriundi dei Paesi europei non ne incontra nessuno, salvo quelli che frappone la burocrazia, la quale ne pone tanti anche a noi, e anzi campa solo di questo. Non ho mai sentito un francese, o un inglese, o un tedesco, o un bulgaro o un ukraino lamentarsi di una apartheid italiana. Ci sono anche da noi, purtroppo, delle manifestazioni di razzismo. Ma queste sono dovunque, e in Italia meno violente che altrove. L'Italia è un Paese che va a catafascio. Ma non buttiamogli addosso anche delle croci che non merita. Quelle che merita bastano, e ne avanza. (24 agosto 1997) *Io sono un italiano, fra i pochi rimasti che nei confronti dell'Italia s'ispirano all'adagio inglese: «Che abbia ragione o torto, sto col mio Paese». Anch'io sto col mio paese quando ha torto, ma senza pretendere che il suo torto sia considerato ragione. (23 settembre 1997) *Sono e rimango convinto che fin quando noi italiani ci affideremo soltanto alla Legge – o, come ora usa chiamarla, alle «regole» –, rimarremo quello che siamo, coi vizi che abbiamo, fra cui quello di accatastare regole su regole al solo scopo di metterle in contraddizione l'una con l'altra per poterle meglio evadere. (16 ottobre 1997) *Forse farebbe meglio ad astenersi a dare lezioni di liberalismo a me che sono stato, in tutto il giornalismo italiano, l'unico a difenderlo negli anni Settanta e Ottanta, quando difenderlo era difficile e poteva anche costar caro. Non me ne faccio un vanto perché, quando alla fine ha vinto, ho visto di che liberalismo si trattava, ed è per questo che ho votato Ulivo. (23 ottobre 1997) *Le confesso che il suo piglio perentorio e inquisitorio mi disturba alquanto, anche perché mi lascia capire che lei parte da convinzioni così granitiche da rendere vano ogni tentativo d'insinuarvi almeno un dubbio. (23 ottobre 1997) *È importante tutto questo? No. Non lo è per me né per lei, che sappiamo cosa è accaduto. E non lo è per i leghisti doc, secondo cui qualunque cosa propone il capo è Vangelo. Se Bossi decide di andare in Bicamerale, applaudono. Se decide di abbandonare la Bicamerale, esultano. Se va con Berlusconi, assentono. Se lascia Berlusconi, approvano. E se un giorno si sveglia e cambia i confini della Padania, accettano i nuovi confini. Tempo fa, rispondendo a un lettore, scrissi che «i leghisti sono pronti a inneggiare anche all'annessione della Yakuzia, e non solo perché non sanno dove sta». Arrivarono molte lettere indispettite. Ma nessuna contro l'annessione della Yakuzia. (29 ottobre 1997) *Se sono – come sono – uno di quegli uomini di Destra che ultimamente hanno votato, sia pure controvoglia, per la Sinistra (annacquata) dell'Ulivo, è perché da questa, che non è mai stata la mia bandiera, non mi sento tradito. Essa sta facendo ciò che prometteva di fare, ma lo fa con molta moderazione, e con una squadra di uomini che magari non saranno (meno qualcuno, come per esempio Ciampi) di serie A, ma da cui non temo, e credo che nessuna persona ragionevole possa temere, l'instaurazione di un regime. (10 dicembre 1997) *E lo specchio non vi giudica dai successi che avrete ottenuto nella corsa al denaro, al potere, agli onori; ma soltanto dalla Causa che avrete servito. Tenendo bene a mente il motto degli ''hidalgos'' spagnoli: «La sconfitta è il blasone delle anime nobili». (31 dicembre 1997) *Che cosa io pensi dell'onorevole Previti mi pare di averlo detto in termini talmente espliciti da apparire – a più d'uno – brutali: un personaggio che solo a guardarlo in faccia verrebbe voglia di applicargli le manette ai polsi prima ancora di sapere chi è e cosa ha fatto. (31 gennaio 1998) *Infine, c'è quello che io considero il vero, grande vantaggio dell'euro: una volta dentro, non potremo tornare all'allegra finanza pubblica d'un tempo. ([https://web.archive.org/web/20151203232056/http://archiviostorico.corriere.it/1998/febbraio/20/Che_cosa_succedera_quando_avremo_co_0_9802206445.shtml 20 febbraio 1998]) *Tutti hanno diritto di credere nel miracolo, quando non c'è altro a cui aggrapparsi. La scienza no: se lo ricordi anche il Papa. (23 febbraio 1998) *I conti col passato, si capisce, bisogna farli. Ma a un certo punto bisogna chiuderli. Perché nella Storia non ce n'è mai stato uno che, protratto all'infinito, non ne abbia innescato un altro. (10 marzo 1998) *Perché, caro B***? Perché la vocazione a dividerci sempre e su tutto per il nostro «particulare», come lo chiamava Guicciardini, noi italiani ce la portiamo nel sangue, e non c'è legge che possa estirparla. (18 aprile 1998) *Vero che nei ricordi sui quali vengo sollecitato, il nome di [[Cesco Tomaselli|Tomaselli]] ricorre meno frequentemente di quelli di Longanesi, di Buzzati, di Piovene, di Barzini ecc. Ma ciò dipende solo dal fatto che costoro appartenevano alla mia leva, e in comune con loro avevo avuto tante esperienze, perfino la stanza di lavoro. Tomaselli, quando io entrai al ''Corriere'', apparteneva già alla sua vecchia guardia, e come notorietà ne aveva raggiunto il tetto proprio grazie alle sue corrispondenze sull'impresa del dirigibile «Italia» di Umberto Nobile, di cui fu dal principio alla fine lo scrupoloso cronista. A salvargli la vita dalla catastrofe fu soltanto la sorte, contro cui egli imprecò considerandola avversa. Per l'ultima tappa, quella che avrebbe dovuto sorvolare il Polo, dei due giornalisti aggregati a quella spedizione — Tomaselli per il ''Corriere'', e Ugo Lago per il ''Popolo d'Italia'' di Mussolini —, c'era posto, sulla navicella, per uno solo. Lago e Tomaselli se lo giocarono a testa o croce. Con gran dispetto di Tomaselli, che non smise mai di considerarsene tradito, vinse e partì Lago, che non tornò più: quando l'aeromobile precipitò sul pack, lui rimase aggrappato insieme ad altri compagni al cordame dell'involucro col quale scomparve nel deserto bianco. Ma tutte le volte che se ne parlava, Tomaselli seguitava ad inveire contro la scalogna che lo aveva escluso da quel drammatico finale, come se gli avesse tolto la fortuna di descriverlo. Questo era Tomaselli, l'inviato speciale che nel suo mestiere di giornalista portava lo stesso spirito che aveva fatto di lui, nella Prima Guerra Mondiale, un superdecorato ufficiale di artiglieria alpina e gli ispirava una concezione quasi religiosa del «servizio». Non era un «brillante» né come scrittore né come parlatore. Ma di tutto quello che diceva, sia con la bocca che con la penna, si poteva stare sicuri che di inesatto o di inventato non c'era nemmeno una virgola. [...] Se raramente mi capita di parlare di lui, è perché l'ho conosciuto e frequentato sul declino della sua intemerata e ineccepibile carriera di testimone, e perché lui, nel raccontarla, non l'animava mai di aneddoti o di battute come, per esempio, il suo coetaneo Monelli. Ma se ai giovani che si avviano (poveretti!) a questo mestiere dovessi indicare un modello di dignità, serietà, dedizione e correttezza professionale non avrei dubbi sulla scelta: Cesco Tomaselli. ([https://web.archive.org/web/20151009153047/http://archiviostorico.corriere.it/1998/maggio/07/Cesco_Tomaselli_inviato_speciale_Polo_co_0_9805078688.shtml 7 maggio 1998]) *Che un giudice spagnolo in vena di protagonismo abbia chiesto all'[[Inghilterra]] la consegna di un ospite straniero andato a Londra in forma privatissima per ragioni di salute, non mi stupisce: un [[Antonio Di Pietro|Di Pietro]] può nascere dovunque. Ma che l'Inghilterra si proponga di consentire, non mi stupisce. Mi sbalordisce, come ha sbalordito e indignato la signora Thatcher che aveva ospitato in casa il Generale. Ma ancora di più mi sbalordirebbe che la Giustizia spagnola, cioè di un Paese che non solo ha accettato per quarant'anni il potere di un Generale, ma gli ha consentito (per sua fortuna) di disporne anche dopo morto, portasse davanti a una Corte di Giustizia quello cileno. Per non parlare delle conseguenze che tutto questo potrebbe provocare in [[Cile]] dove, nel caso che il governo Frei si mostrasse esitante e accomodante, le Forze Armate potrebbero riprendere il potere per rompere i rapporti diplomatici con [[Spagna]] e Inghilterra e dimostrare al mondo che i processi alla Norimberga hanno fatto il loro tempo. Se a qualcuno il Generale cileno Pinochet deve rendere conto del suo operato, è soltanto al Cile e ai suoi tribunali. E se io fossi un cileno che ha votato Frei (come certamente avrei fatto se fossi stato un cileno), in questa occasione mi schiererei con le Forze Armate. Con tanti saluti a tutto il sinistrume italiano passato, presente e futuro. (24 ottobre 1998) *Che gli [[Stati Uniti d'America|Usa]] siano in tutto il mondo odiati dagli uomini come lei {{NDR|riferito a un lettore}}, è verosimile, e quindi più che credibile. Un po' meno credibile è che gli uomini di tutto il mondo siano e la pensino come lei. Comunque, il giorno in cui quel Paese venisse chiamato (ma da chi?) sul banco degl'imputati come il nemico dell'umanità, io chiederò di essere ascoltato come testimone. Per dire alla Corte dei Vecchio di turno che io, uomo qualunque, mi considero graziato tre volte da questo grande nemico dell'umanità. La prima fu quando mi strappò al pericolo di diventare – per bene che mi fosse andata – l'attendente di un colonnello tedesco. La seconda fu quando mi sottrasse a quello di finire i miei giorni in un kolkos siberiano. La terza fu quando, invece di rimettermi la parcella di questi favori, mi aiutò a rifarmi la casa senza contestarmi il diritto di invitarvi anche coloro che pensano (si fa per dire) e parlano (o meglio sbraitano) come lei. ([https://web.archive.org/web/20160101000000/http://archiviostorico.corriere.it/1999/aprile/10/Fermare_genocidio_Kosovo_co_0_9904103314.shtml 10 aprile 1999]) *Tradotto in politica, non c'è nulla di più intollerante e fazioso, e quindi di meno pacifico, del [[pacifismo]] in generale, e di quello italiano in particolare. È un pacifismo a fasi alterne, e che si sveglia soprattutto, anzi quasi esclusivamente, quando a fare la guerra sono gli americani. Furioso e devastatore imperversò, non soltanto in Europa, ma nella stessa America, al tempo del Vietnam: al punto che quando [[Richard Nixon|Nixon]] venne in visita in Italia (quell'Italia che poteva fare ciò che voleva grazie agli americani) dovettero mandarlo a prendere a Fiumicino con un elicottero e trasportarlo via aria in Quirinale perché via terra avrebbe rischiato la pelle. Ma questo stesso pacifismo rimase impassibile quando i carri armati sovietici schiacciarono l'Ungheria (e a Montecitorio risuonò il grido: «Viva l'[[Armata Rossa]]!»), e poco dopo la Cecoslovacchia e da ultimo l'Afghanistan. Sono sempre gli stessi, i pacifisti italiani. Con una bandiera in mano come quella della pace (chi può infatti invocare la guerra?), si sentono invulnerabili. Ma la sventolano solo per il povero Milosevic; il genocidio del Kosovo li lascia del tutto indifferenti. (5 maggio 1999) *Non sempre condivido le opinioni di [[Giovanni Sartori|Sartori]]. Qualche volta, anzi spesso, abbiamo litigato, anche perché a lui litigare piace moltissimo: da buon toscano, è nella polemica che lui, e forse anch'io, diamo il meglio di noi. E anche sull'articolo del 25 maggio non siamo in tutto e per tutto d'accordo. Lo siamo nel respingere la qualifica di «pacifista», che entrambi lasciamo in esclusiva alle «anime belle» che, sventolando la bandiera della [[pace]], sperano di raccogliere intorno a essa tutti gl'ipocriti e gl'imbecilli che, sommati insieme, costituiscono certamente la stragrande maggioranza degl'italiani. (29 maggio 1999) *Lo Stato di [[Platone]], quello che lui chiamava la polis, e che poi era Atene, aveva, al tempo di Platone, cioè nel momento del suo massimo splendore, ventimila abitanti, di cui solo cinquemila avevano diritto al voto. E veda un po' come quei civilissimi cittadini lo usarono nelle assemblee dell'Acropoli: mettendo sotto processo [[Pericle]] e [[Aspasia di Mileto|Aspasia]], condannando a morte [[Socrate]] e provocando la guerra del Peloponneso, che fu la rovina non solo di Atene, ma di tutta la Grecia e della sua civiltà. Ora se il sistema della «democrazia diretta» o, come lei la chiama, «partecipatoria», non funzionò nemmeno in una polis di ventimila abitanti, s'immagini un po' cosa diventerebbe nei formicai umani cui si sono ridotte le polis attuali, e non soltanto quelle italiane. [...] Lei ha tutte le ragioni del mondo a dire che l'attuale sistema di democrazia «rappresentativa» o «delegata» ha dei vizi gravissimi e spesso provoca disastri, compresa quella americana, che pure è una di quelle che meglio funzionano. Ma, mi creda, quella «diretta» o «di piazza» è ancora molto più pericolosa perché continuamente a rischio di cadere in balia di qualche ciarlatano che sappia soltanto vendere bene la sua merce. Certo, quella indiretta esige, da parte del cittadino, una partecipazione che in Italia manca. Ma non è certo coi referendum che si può sostituirla. Almeno questo mi ha insegnato l'esperienza. (22 agosto 1999) *Quello di [[Francisco Franco|Franco]], se proprio vogliamo chiamarlo regime, fu un regime di polizia, di una polizia molto più dura di quella fascista, ma un totalitarismo no. Ecco perché, quando sentì avvicinarsi il momento della fine, Franco poté liquidare il franchismo con relativa facilità: perché di totalitario non aveva altro che le galere. Però bisogna anche riconoscere che questo soldataccio squallido e ottuso (sul piano umano era repellente), il ritorno al regime democratico seppe compierlo da maestro, facendosi consegnare dal pretendente al trono, Don Juan, ch'egli considerava (non a torto) poco affidabile, il figlio Juan Carlos per prepararlo – operazione riuscitissima – ai suoi compiti di Re, e mettendogli accanto un uomo di primissimo ordine come Suarez. ([https://web.archive.org/web/20130331034046/http://archiviostorico.corriere.it/1999/ottobre/24/differenza_fra_regimi_totalitari_dittature_co_0_991024459.shtml 24 ottobre 1999]) *La servitù, in molti casi, non è una violenza dei padroni, ma una tentazione dei servi. (2 gennaio 2000) *Non conosco Haider, e quindi nemmeno i fondamenti della sua ideologia, ammesso che ne abbia una. A occhio e croce, più che un nazista, mi sembra un qualunquista che interpreta, o cerca d'interpretare i sentimenti e i risentimenti di una pubblica opinione di livello bossiano, scontenta di tante cose, e a cui l'Austria attuale va stretta. [...] Non so se anche Haider – ripeto: non lo conosco – sia un omuncolo. Ma penso che l'Europa, ponendo il veto a un suo eventuale governo, costringerà gli austriaci ad affidargliene l'incarico, come avvenne per Waldheim. Io al pericolo di un rigurgito nazista non ci credo. Come ho letto in un articolo (mi pare di Enzo Bettiza, ma potrei sbagliarmi) penso che Jorg Haider somigli più a un Poujade che a un Le Pen, cioè più a una miscela di [[Umberto Bossi|Bossi]] e di Giannini che a un [[Pino Rauti]]. Ciò che mi allarma è l'incapacità dell'Europa a riflettere sulle sue proprie esperienze a trarne qualche insegnamento. Questo, sì, mi fa paura. (3 febbraio 2000) *Li conosco e riconosco, quei regimi {{NDR|di dittatura e di censura}}. Ne avverto il passo anche di lontano, e convengo che in Italia il pericolo di vederne arrivare qualcuno c'è. Ma sa quando si realizzerà? L'anno venturo, dopo la vittoria – che io do per certa – del Polo alle Politiche. Vedrà. La prima cosa che farà Berlusconi, come la fece nel '94, sarà di spazzare via l'attuale dirigenza Rai per omologarne le tre Reti a quelle sue. (26 febbraio 2000) *Quando s'accendono i [[Morte sul rogo|roghi]], mettiti dalla parte della strega, anche a costo di bruciare con lei. ([https://www.corriere.it/solferino/montanelli/00-05-31/02.spm 31 maggio 2000]) *Una Giustizia che per istruire un processo impiega sei o sette anni e poi non riesce a chiuderlo con una sentenza che non si presti a rimetterlo, con qualche marchingegno, in gioco, è un meccanismo di cui bisogna assolutamente rivedere e rifare gl'ingranaggi: «Giustizia ritardata – dice [[Montesquieu]] – è Giustizia negata». ([http://www.corriere.it/solferino/montanelli/00-06-07/01.spm 7 giugno 2000]) *Il [[revisionismo]] è la materia prima della [[storiografia]] che, senza di esso, sarebbe una disciplina morta. ([http://www.corriere.it/solferino/montanelli/00-06-16/01.spm 16 giugno 2000]) *Il mio giudizio su [[Baltasar Garzón|Garzón]] resta quello di prima, solo un po' rinforzato: un garzoncello smanioso soltanto di leggere il proprio nome sulle prime pagine di tutti i giornali e di vedere la propria effigie sugli schermi televisivi di tutto il mondo: il che rafforza la mia ipotesi che si tratti di un italiano nato per sbaglio in Spagna. ([http://www.corriere.it/solferino/montanelli/00-06-30/01.spm 30 giugno 2000]) *La pena di morte americana esiste e resiste in America perché fu un elemento base e costitutivo della sua nascita e sviluppo. Dei famosi 102 «Padri Pellegrini» che per primi sbarcarono dal «Mayflower» in quel Continente non per saccheggiare le ricchezze come facevano spagnoli e portoghesi in Messico e nell'America del Sud, ma per costruirvi una società nuova e libera, circa i due terzi erano avanzi di galera che fuggivano la Giustizia e le prigioni dell'Europa, e un terzo erano uomini che cercavano la libertà, e soprattutto quella religiosa. I primi avevano in tasca la pistola, i secondi la Bibbia, ma nella sua versione calvinista quella del taglione, basata sulla concezione di un Dio giustiziere che esige la morte di chi senza giusto motivo la dà. (9 luglio 2000) *A Rimini, cioè in casa propria (ma anche nostra, almeno per il momento), questi signorini {{NDR|di [[Comunione e Liberazione]]}} non hanno fatto altro che fischiare tutto ciò che è italiano, acclamare al nuovo beato [[Pio IX]], il Papa-Re che pretendeva di impedire il processo di unificazione nazionale, ed esaltare come i veri eroi del risorgimento i Borboni e i briganti del Cardinale Ruffo. A lei, tutto questo va bene? A me, dà il vomito. ([http://www.corriere.it/solferino/montanelli/00-09-13/02.spm 13 settembre 2000]). *Il mio parere è rimasto quello che espressi sul mio ''Giornale'' l'indomani del fattaccio {{NDR|l'[[agguato di via Fani]]}}. «Se lo Stato, piegandosi al ricatto, tratta con la violenza che ha già lasciato sul selciato i cinque cadaveri della scorta, in tal modo riconoscendo il crimine come suo legittimo interlocutore, non ha più ragione, come Stato, di esistere». Questa fu la posizione che prendemmo sin dal primo giorno e che per fortuna trovò in Parlamento due patroni risoluti (il Pci di [[Enrico Berlinguer|Berlinguer]] e il Pri di [[Ugo La Malfa|La Malfa]]) e uno riluttante fra lacrime e singhiozzi (la Dc del moroteo [[Benigno Zaccagnini|Zaccagnini]]). Fu questa la «trama» che condusse al tentennante «no» dello Stato, alla conseguente morte di Moro, ma poco dopo anche alla resa delle Brigate rosse. Delle chiacchiere e sospetti che vi sono stati ricamati intorno, e che ogni tanto tuttora affiorano, non è stato mai portato uno straccio di prova, e sono soltanto il frutto del mammismo piagnone di questo popolo imbelle, incapace perfino di concepire che uno Stato possa reagire, a chi ne offende la legge, da Stato. ([http://www.corriere.it/solferino/montanelli/00-09-22/03.spm 22 settembre 2000]) *La Serbia ha perduto la guerra e ha vinto la pace: ora deve voltar pagina. Sarà la storia – un giudice non imparziale, ma efficace – a decidere cos'è stato giusto e cos'è stato sbagliato. Tuttavia, una ritorsione serba verso l'Occidente avverrà. E ci troverà disarmati. Sa di cosa parlo? Delle rivendicazioni sul Kosovo, che è amministrato dalla Nazioni Unite ma è ancora Jugoslavia (lo dice la risoluzione dell'Onu). I serbi chiederanno di tornare a controllarne le frontiere, per esempio. E dire no a un Kostunica buono è più difficile che dire sì a un Milosevic cattivo. Gli albanesi del Kosovo, sono certo, lo hanno già capito. ([http://www.corriere.it/solferino/montanelli/00-10-08/01.spm 8 ottobre 2000]) *È un dimenticato, [[Ugo Ojetti|Ojetti]], come in questo Paese lo sono quasi tutti coloro che valgono. Se io dirigessi una scuola di giornalismo, renderei obbligatori per i miei allievi i testi di tre Maestri: [[Luigi Barzini (1908-1984)|Barzini]], per il grande reportage; [[Benito Mussolini|Mussolini]] (non trasalire!), quello dell'''Avanti!'' e del primo ''Popolo d'Italia'', per l'editoriale politico; e Ojetti, per il ritratto e l'articolo di arte e di cultura. ([http://www.corriere.it/solferino/montanelli/00-11-13/01.spm 13 novembre 2000]) *In Italia fu il potere temporale a soffocare negl'italiani la voce della coscienza e a spegnere in loro ogni senso di responsabilità. Ma fu la Controriforma a fornire al prete le armi per accaparrarsi l'una e l'altra: il Sant'Uffizio, le scomuniche e, nei casi estremi, il patibolo. Con questo risultato: l'aborto del «cittadino» e la trasformazione di quello che avrebbe dovuto e potuto diventare un «popolo» in un gregge (come con inconsapevole spudoratezza i preti lo chiamano), e in un gregge di pecore indisciplinate che credono di affermare il loro ribelle individualismo non rispettando il semaforo rosso. ([http://www.corriere.it/solferino/montanelli/00-11-20/01.spm 20 novembre 2000]) *{{NDR|Su [[Slobodan Milošević]]}} Oltre che un despota, lo ritengo anche un satrapo della razza dei [[Nicolae Ceaușescu|Ceausescu]], avido non solo di potere, ma anche di denaro, e credo che la sorte che si merita sia un bel plotone di esecuzione. Purché composto da serbi, al comando di un serbo, e in esecuzione di una sentenza emessa da un tribunale serbo e motivata non tanto da generici crimini contro l'umanità, che sono sempre – salvo casi di monumenti all'orrore come l'[[Olocausto]] – oggetto di discussione e dissensi; ma dal più grande e imperdonabile delitto di cui Milosevic si è macchiato nei confronti non soltanto dei serbi: la distruzione della Nazione Jugoslava, che la Monarchia serba aveva fondato dopo la prima guerra mondiale; che il croato [[Josip Broz Tito|Tito]] aveva difeso coi denti e restaurato dopo la seconda, dando alla Balcania un esempio e un puntello di stabilità; e che Milosevic e il suo compare croato [[Franjo Tuđman|Tudjman]] distrussero per poter restare ciascuno padrone in casa sua; e sulle cui macerie si scatenarono tutte le violenze (Bosnia, [[Kosovo]]) che hanno insanguinato e continuano a insanguinare quel povero Paese. ([http://www.corriere.it/solferino/montanelli/01-04-29/01.spm 29 aprile 2001]) *Questo mondo materialista, edonista ed esibizionista non entusiasma neanche me; e, visto che mi legge, dovrebbe saperlo. Ma vorrei conoscere il sistema che voi avete in mente, e non avete il coraggio, o la capacità, di proporre. Un mondo francescano? Bello: ma guardatevi intorno, e ditemi se vedete un saio. Un comunismo riveduto e corretto? Farebbe la fine dell'altro, anche se non riuscirà a ripeterne i disastri. Mi creda, G.: l'unico sistema sociale ed economico oggi accettabile, in Occidente, è quello basato sul mercato: un capitalismo controllato e temperato, per intenderci. È auspicabile che sia anche corretto: e questo non sempre accade, è vero. Il guaio è che il capitalismo è fatto dai capitalisti – e quelli, devo ammettere, sono spesso difficili da digerire. Non cerchi di confondermi le idee, quindi. Non ci riuscirà. Probabilmente ho tre volte i suoi anni, e ho visto dove conducono queste generiche tirate contro «le multinazionali»: prima o poi, qualcuno deporrà la spranga e prenderà la pistola. Dimenticavo: io firmo le mie opinioni, lei tira il sasso e nasconde la mano. Tutti coraggiosi così, voi ragazzi di Seattle? ([http://www.corriere.it/solferino/montanelli/01-06-09/01.spm 9 giugno 2001]) *Non erano, le mie, parole di circostanza. Erano – e rimangono – quelle di un conservatore abbastanza spassionato e nutrito di Storia da capire che non c'è, per la conservazione di ciò che va conservato, nemico più mortale dei conservatori che vogliono conservare tutto; e che un sistema capitalistico senza un correttivo socialista diventa una jungla che conduce pari pari a [[Karl Marx|Carlo Marx]]. Di qui il mio amore per uno dei personaggi meno amabili, sul piano umano, della nostra Storia, [[Giovanni Giolitti|Giolitti]], che sempre cercò l'accordo con [[Filippo Turati|Turati]], a cui il cretinume massimalista – che nel vostro partito ha sempre dominato – lo impedì. Il vedervi – sbriciolati in gruppi, gruppetti e gruppuscoli – annaspare nell'attuale centro-sinistra in cui nessuno riesce a recitare la parte di se stesso, fa male al cuore di un vecchio autentico liberal-conservatore come me. Cosa aspettate, caro Tamburrano, a ridarci il socialismo, ma che sia quello e quello solo: ''il'' socialismo di Turati e di Massarenti? [...] Credo che come forza politica siate abbastanza mal messi. Ma in compenso avete in mano una grande bandiera che prima o poi un esercito la ritroverà. Arrivederci, al primo settembre, cari lettori. ([http://www.corriere.it/solferino/montanelli/01-07-04/01.spm?refresh_ce-cp 4 luglio 2001]) ===''il Giornale''=== <!--ordine cronologico--> *Chi sarà il nostro lettore noi non lo sappiamo perché non siamo un giornale di parte, e tanto meno di partito, e nemmeno di classi o di ceti. In compenso, sappiamo benissimo chi non lo sarà. Non lo sarà chi dal giornale vuole soltanto la «sensazione» [...] Non lo sarà chi crede che un gol di Riva sia più importante di una crisi di governo. E infine non lo sarà chi concepisce il giornale come una fonte inesauribile di scandali fine a se stessi. Di scandali purtroppo la vita del nostro Paese è gremita, e noi non mancheremo di denunciarli con quella franchezza di cui crediamo che i nostri nomi bastino a fornire garanzia. Ma non lo faremo per metterci al rimorchio di quella insensata e cupa frenesia di dissoluzione in cui si sfoga un certo qualunquismo, non importa se di destra o di sinistra. [...] Vogliamo creare, o ricreare un certo costume giornalistico di serietà e di rigore. E soprattutto aspiriamo al grande onore di venire riconosciuti come il volto e la voce di quell'Italia laboriosa e produttiva che non è soltanto Milano e la Lombardia, ma che in Milano e nella Lombardia ha la sua roccaforte e la sua guida. [...] A questo lettore non abbiamo «messaggi» da lanciare. Una cosa sola vogliamo dirgli: questo giornale non ha padroni perché nemmeno noi lo siamo. Tu solo, lettore, puoi esserlo, se lo vuoi. Noi te l'offriamo. (25 giugno 1974) *Checché ne dicano gli agiografi della Resistenza, la guerra l'abbiamo persa, e c'è un conto da pagare. Che l'Italia lo saldi a spese dei suoi figli minori – i Dalmati e gli Istriani – è un ghigno del destino. Ma in compenso può considerarsi miracolata. Quando si pensa a cosa ha pagato la sua sconfitta la Germania, amputata d'intere province e dimezzata in due nazioni diverse e ostili, e quando si pensa a cosa ha pagato l'Inghilterra, precipitata dalla condizione di massimo impero mondiale a quella di piccola isola alla periferia d'Europa; non possiamo lamentarci del trattamento che gli alleati ci fecero. (30 settembre 1975) *Siamo stati accusati di aver fatto, nei confronti dei comunisti, il processo alle intenzioni. Non vediamo su cos'altro avremmo dovuto giudicarli, visto che sono sempre rimasti all'opposizione, ed è di lì che ancora si affannano a dire che cosa si propongono di fare se andassero al potere, anzi quando andranno al potere (perché ormai lo danno per scontato). E cosa sono, queste, se non intenzioni? (19 giugno 1976) *Che cerchino di eliminarmi perché sono un avversario, questo lo posso anche capire; ma perché – a quanto mi riferiscono – hanno detto che io sono un servo delle [[Multinazionale|multinazionali]], allora questo sta a dimostrare la confusione di idee di questi poveretti che, evidentemente, non sanno cosa sono le multinazionali. (3 giugno 1977) *I giuochi sono fatti. E sono fatti non soltanto per [[Aldo Moro|Moro]], cui va tutta la nostra più fraterna e rispettiva pietà. Sono fatti anche per una politica da ''belle époque'', che la distruzione – fisica o morale – di Moro chiude e conclude. La Storia sta riprendendo i suoi connotati di tragedia, e costringe coloro che la fanno, o ambiscono o s'illudono di farla, ad adeguarsi al repertorio. Stiamo entrando in una di quelle «età di ferro» in cui il potere si paga, o si può pagarlo col ferro. Nessuno è obbligato a sfidare questo rischio. Chi lo fa, sappia che oggi è toccato a Moro, domani può toccare a lui. Solo se si rende conto di questo e lo accetta, la classe politica troverà la forza di archiviare il caso Moro. Ed è tempo che lo faccia. (7 maggio 1978) *Quattr'anni e mezzo orsono, quando questo giornale nacque, un «ragazzo del '68» (con tante scuse a quelli veri, del '99), [[Mario Capanna]], oggi gerarchetto regionale (che belle carriere, questi rivoluzionari!), dichiarò che, come nemici del «pubblico» e del «sociale» e come assertori del «privato», e quindi della reazione, noi saremmo diventati il più bel museo della città, dove babbi e mamme avrebbero potuto condurre in gita ricreativa i loro figlioletti per mostrargli, dal vivo, com'erano buffi i loro nonni e bisnonni: noi. Bene. Se il vento seguita a soffiare come soffia, saremo noi che di qui a un po' condurremo i nostri figlioletti dal signor Capanna per mostrargli com'erano buffi i loro nonni e bisnonni di dieci anni fa. Ma non lo faremo. Lo spettacolo di questi ragazzi-prodigio abortiti, di questi barricadieri con pancia e cellulite che credevano di camminare con la Storia, e invece camminavano solo con la moda, non ha nulla di edificante. (16 gennaio 1979) *In una sua memorabile inchiesta un giornalista d'incrollabile fede sinistrorsa, ma di esemplare onestà, [[Giampaolo Pansa]], mise benissimo in luce questo contrasto fra i due atteggiamenti e mentalità, che ieri ha trovato una eloquente conferma nella manifestazione di Torino. Niente chiasso, niente sceneggiate, niente slogans, niente insomma che appartenga al repertorio del buffonismo nazionale. Nessuno ha rotto le righe per andare a rovesciare auto o a fracassar vetrine. Questa, sì, era Danzica, sia pure senza Madonne; non i picchettaggi e i pestaggi di Mirafiori, sia pure con le Madonne. Ora sappiamo già cosa diranno gli altri, oggi e domani. Diranno che gli operai non c'erano. Infatti. Doveva trattarsi di quarantamila presidenti, consiglieri delegati, ingegneri: insomma, la solita «[[maggioranza silenziosa]]»: termine che soltanto nella lingua italiana ha significato spregiativo. La maggioranza silenziosa esiste in tutti i Paesi del mondo, dove nessuno si vergogna di appartenervi perché è essa, in definitiva, che ristabilisce gli equilibri. Fu la maggioranza silenziosa – autoqualificatasi come tale – di seicentomila parigini che dodici anni fa pose fine al carnevale sessantottesco, riportò [[Charles de Gaulle|De Gaulle]] all'Eliseo e restituì alla Francia la stabilità di cui tuttora essa gode. [...] Il motivo vero che farà i dimostranti bersaglio delle peggiori critiche e accuse è ch'essi rappresentano la rivolta delle persone serie contro gli arruffoni della «conflittualità permanente», dei «modelli di sviluppo» e via baggianando. E in questo Paese nulla fa più paura, perché nulla è più rivoluzionario, della serietà. (15 ottobre 1980) *[[Anwar al-Sadat|Sadat]] non era popolare. Gli mancava quel tocco di magia, o di cialtronismo, che consentiva a [[Gamal Abd el-Nasser|Nasser]] di bandire guerre come crociate e di annunciare disfatte come trionfi. [...] Sadat amava il popolo, il popolo contadino del profondo Sud nubiano, di cui era egli stesso originario. Ma non amava le masse, e le masse lo sentivano. [...] Sapeva, quando andò a Gerusalemme, di lanciare a quelle arabe una sfida più pericolosa di quella che lanciava a Begin. [...] Ma all'impopolarità di Sadat contribuiva anche un altro elemento: il fatto di essere un vero riformatore. [...] [[Mohammad Reza Pahlavi|Rehza Pahlevi]] volle applicare gli stessi metodi di [[Mustafa Kemal Atatürk|Atatürk]] senz'averne l'autorità e il prestigio, e per questo lo cacciarono. Ma dopo due anni di [[Ruhollah Khomeyni|Khomeini]], anche i più ciechi e idioti fra i progressisti occidentali, che ne avevano salutato l'avvento come quello del Redentore, si saranno accorti che il progresso, sia pure a forza di polizia segreta e di plotoni di esecuzione, era lo Scià. L'''ayatollah'' è il medioevo. Sadat non seguì i metodi satrapeschi del suo amico Pahlevi, ma ne condivise i fini. [...] Il Rais che ha restituito all'Egitto l'integrità territoriale, l'indipendenza politica, il prestigio militare e il rilancio della sua più proficua industria, il canale di Suez, è giusto che susciti meno rimpianto di chi tutto questo all'Egitto fece perdere. Nasser era un «personaggio», Sadat una «personalità». Il personaggio fa colore e diverte, la personalità incute rispetto e disturba. (9 ottobre 1981) *Nessuna parentela, né vicina né lontana, con l'altro grande d'Israele, [[David Ben Gurion|Ben Gurion]], il Fondatore. [...] {{NDR|David Ben Gurion}} Faceva tutto a caldo, anche la guerra. [[Menachem Begin|Begin]] fa tutto a freddo: anche l'amore, credo, ammesso che lo faccia. Non riuscì a commuoverlo nemmeno [[Anwar al-Sadat|Sadat]], quando gli piombò, da nemico tuttora belligerante, a Gerusalemme, per chiedergli la pace. Il mondo, che vide in televisione la scena, quel giorno fu tutto per l'egiziano che, per la pace, firmava la propria condanna a morte, contro l'israeliano che lo accoglieva senza un sorriso e con visibile fastidio. [...] È l'uomo che non ha esitato un istante [...] a distruggere in pochi minuti tutto l'armamento corazzato, aereo e missilistico siriano sotto l'occhio stupefatto degli osservatori e «consiglieri» russi che lo avevano fornito. È l'uomo che ha messo alla porta l'ambasciatore di Mosca respingendone la nota di protesta addirittura con disprezzo, come se fosse stato lui la Grande Potenza che parlava a un subalterno. È l'uomo che ha picchiato i pugni sul tavolo di [[Ronald Reagan|Reagan]], e a un certo punto aveva rotto anche con lui. Se avesse perso, sarebbe finito al muro e passato ai posteri come il distruttore d'Israele. Ma ha vinto. E la Storia, iscrivendolo nei suoi registri come «Il Salvatore», dirà che solo un uomo come lui, «antipatico» come lui, e come lui disposto anche a scatenare un'altra ondata di antisemitismo, poteva vincere. E avrà ragione di dirlo. Perché è così. Alla fine lo diranno, vedrete, anche gli antisemiti. E forse perfino i semiti. (27 agosto 1982) *L'idea che domani potremmo incontrare per strada, a piede libero e magari oggetti di compassione, gli assassini di [[Walter Tobagi]], ci riempie, più che di furore, di orrore. [...] Avevano scelto lui non per la sua tessera socialista, ma perché era una di quelle prede più facili: indifeso e abitudinario, e quindi bersaglio di facilissima mira, quasi da fermo. Tutto qui il movente del delitto: tutto nella fregola di protagonismo di due coccolatissimi giovanotti della Milano bene che giuocavano a fare i terroristi. [...] Che ora dobbiamo prendere per vero il loro pentimento e assolverli, ci rivolta lo stomaco. Ma è la legge: iniqua, infame, infamante. Ma è la legge. Noi stessi l'abbiamo auspicata e voluta. Il magistrato deve applicarla. E noi [...] accettarla. Ma una cosa reclamiamo, e ci spetta: di essere liberati dall'incubo d'incontrare questi figuri per strada per non veder riflessa nei loro occhi la nostra vergogna di aver avuto bisogno di loro e di aver risposto al loro falso rimorso con un perdono altrettanto falso. Un Curcio, se tornasse in circolazione, ci farebbe forse più paura, ma meno, anzi punto disgusto. [...] Ma i Barbone e i Morandini non li vogliamo tra i piedi. Se ne vadano. E soprattutto ci risparmino memoriali. La speranza di farci dimenticare i loro delitti, gliela passiamo. La pretesa di camparci sopra, no. (29 novembre 1983) *Per i falchi del Pci, [[Enrico Berlinguer|Berlinguer]] era ormai un personaggio scomodo e pericoloso, specie da quando aveva cominciato ad allentare gli ormeggi che lo legavano a Mosca. Gli era perfino scappato di dire (a [[Giampaolo Pansa|Pansa]]) che voleva per l'Italia un regime comunista, ma sotto l'ombrello della Nato che la tenesse al riparo dalle soperchierie del padrone sovietico: la più grave e blasfema di tutte le eresie in cui un capo comunista possa incorrere. (12 giugno 1984) *Se fino a che punto i piduisti – a parte il manipolatore Gelli, e forse qualche altro – fossero un branco di delinquenti golpisti, non siamo riusciti a capirlo. Abbiamo capito soltanto che gran parte di essi occupavano, forse grazie alla P2, posizioni di rilievo, e quindi parecchio ambite, ma ambite anche da molte persone che, per il fatto di non appartenere alla P2, avevano ora, grazie anch'esse alla P2, la possibilità di occuparle. Di fatti accertati e meno ancora di crimini provati, siamo andati invano alla ricerca delle 34.847 pagine della commissione. Vi abbiamo trovato soltanto ipotesi, illazioni, accostamenti di nomi e di episodi. Tutta roba che in mano a Le Carré poteva fruttare chissà quali affascinanti trame. In mano alla signorina [[Tina Anselmi|Anselmi]], resta cicaleccio di portineria. Ma questa è un'altra storia. (19 marzo 1985) *Quanto al moribondo [[Michele Sindona|Sindona]] [...] se fossi stato uno dei giudici popolari che l'altro giorno gli comminarono l'ergastolo, anche io avrei votato come loro pur sapendo che la mia endemica insonnia non ne avrebbe avuto giovamento. Comunque mi sembra che con questa fine, preceduta da quasi un decennio di rovine, umiliazioni, fughe e galere, egli abbia abbondantemente scontato, quali che siano, i suoi delitti. Che ora lo lascino riposare in pace e che pace sia all'anima sua. (22 marzo 1986) *I dieci giorni che sconvolsero il mondo furono in realtà dieci ore: quante ne bastarono alle poche «guardie rosse» reclutate in fretta e furia dai bolscevichi per occupare, senza nessuna resistenza, la Centrale delle poste e telefoni, la stazione ferroviaria, la Banca di Stato, e per spostare l'incrociatore ''Aurora'' di fronte al palazzo d'Inverno, dove ancora si trova, cimelio e monumento al fatidico evento, e dove il governo sedeva [...]. Non fu un assalto. Fu una «retata». L'''Aurora'' non sparò che una dozzina di colpi, di cui solo tre andarono a segno. In tutto, la conquista di questa Bastiglia russa costò, da ambo le parti, un morto, anzi una morta – perché fu una soldatessa che, pare, si suicidò – e diciotto feriti. Il [[Rivoluzione russa|Fasto]] [...] è un falso in atto pubblico. Si dirà che una rivoluzione non si misura dal numero dei morti. Certo: l'abbiamo detto anche noi. La rivoluzione poi venne, e che rivoluzione! Ma venne dall'alto, e per mano di despoti che di morti ne fecero in pochi anni più di quanti lo zarismo ne avesse fatti in secoli. (6 novembre 1987) *Tutto pensavo che potesse capitarmi, fuorché di essere un giorno tentato di spendere qualche parola, per poco che valga, in difesa di Togliatti. [...] Un processo a Togliatti per stalinismo, se glielo intentano i socialisti, che nell'era dello Stalinismo gli fecero da mosca cocchiera, è una burletta. Se lo intentano i comunisti – come sembra che qualcuno di loro voglia fare –, oltre che oltraggio al pudore, diventa quiescenza alla voce del nuovo padrone, cioè stalinismo della più brutt'acqua, anzi una parodia dello Stalinismo. Per la caccia alle streghe, anche dello Stalinismo, ci vogliono degli stalinisti doc, qual era Togliatti. Non è roba da dilettanti, quali sono i suoi pallidi epigoni. (3 marzo 1988) *La fine del Muro è una cosa buona, la fine di una vergogna: non possiamo che salutarla con soddisfazione. Ma guardiamoci dal prendere abbaglio sui suoi moventi. Ulbricht concepì e Honecker realizzò il muro per impedire che i tedeschi dell'Est fuggissero in massa nella Germania dell'Ovest: già 9 (diconsi nove) milioni lo avevano fatto fin allora. E il rimedio fu, come tutti quelli che escogitano nei regimi totalitari, drastico e semplicistico: murare viva la gente dietro una colata di cemento, senza pertugi. [...] Abbiamo in uggia le astrazioni. Ma ciò che distingueva le due Germanie è l'idea morale e giuridica dell'uomo: che a Ovest è padrone di se stesso, e quindi può andarsene dove vuole: ad Est è proprietà dello Stato che ne regola i movimenti. Per chi non ricorda questo, il [[Muro di Berlino]] era, oltre che barbaro, incomprensibile e irrazionale: mentre invece ha obbedito a una sua logica. Nel momento in cui il bunker si affloscia e sopravvive come mero ammasso di cemento ricordandoci un altro bunker, quello che fece da fossa di [[Adolf Hitler|Hitler]] (anche questo pare impossibile: ma i regimi in Germania muoiono nei bunker), il Muro va ricordato per ciò che è stato: non un'aberrazione del comunismo, ma una sua conseguente applicazione. E se crolla così, nel silenzio assordante di un giornale-radio, è perché è crollata, prima, l'ideologia che lo aveva eretto. (11 novembre 1989) *Negli anni Trenta, per le strade di Berlino, risuonava il grido: ''ein Volk, ein Reich, ein Führer'': un popolo, uno Stato, un capo. Stavolta si sono contentati di scandire ''ein Volk, ein Reich''. Non potevano aggiungere, checché ne dica il sig. Ridley, ''ein Kohl'', che fra l'altro significa «cavolo». Ma {{NDR|ai tedeschi}} per diventare i padroni dell'Europa anche un cavolo gli basta. (3 ottobre 1990) *Abbiamo fatto poco: il poco che il Paese dei [[Roberto Formigoni|Formigoni]], dei Cristofori, degli Sbardella, dei [[Ernesto Balducci|Balducci]], dei [[Antonio Bello|vescovi di Molfetta]] poteva fare. Non lamentiamoci se il posto che ci verrà assegnato nel ristabilimento dell'ordine internazionale sarà nell'anticamera, non nella camera dei bottoni. Però sia chiara una cosa: che a gridare «Viva la pace!» siamo qualificati oggi soltanto noi che abbiamo auspicato la guerra contro chi la pace l'aveva turbata e, se lo si lasciava fare (non è un ipotesi, è una constatazione), avrebbe continuato a turbarla in un crescendo di colpi e di aggressioni. (1º marzo 1991) *I voti dei democristiani novaresi non sono andati al partito; sono andati a [[Oscar Luigi Scalfaro|Scalfaro]], democristiano talmente anomalo, che si permette persino di credere in Dio. [...] Il vecchio magistrato conosce il suo mestiere, e sa benissimo di operare in un Paese in cui la mamma dei Casson è sempre incinta. In nome della Legge, le leggi le farà funzionare. Insomma siamo sicuri che starà in Quirinale come un italiano deve starci: da straniero. Unico pericolo: le prediche. Anche [[Luigi Einaudi|Einaudi]] le faceva. Ma le chiamava «inutili». (26 maggio 1992) *Da dove siano venuti tutti i «no» non lo sapremo mai con precisione, ma una cosa è certa. Questo è il colpo di grazia al sistema dei partiti e della classe politica che lo rappresenta, e un colpo durissimo all'immagine del Paese pronto a fare pulizia che l'Italia si stava faticosamente costruendo all'estero. Senza giovare nemmeno a [[Bettino Craxi|Craxi]], che non potrà certo ricostruire la sua carriera sulla votazione di ieri, anzi. Se c'è ancora qualcuno che dubita sulla necessità di un pubblico processo, non solo a lui, ma a tutta la corte di faccendieri che lo circondava, alzi la mano, o meglio nasconda la faccia. (30 aprile 1993) *Questo è l'ultimo articolo che compare a mia firma sul giornale da me fondato e diretto per vent'anni. Per vent'anni esso è stato – i miei compagni di lavoro possono testimoniarlo – la mia passione, il mio orgoglio, il mio tormento, la mia vita. Ma ciò che provo a lasciarlo riguarda solo me: i toni patetici non sono nelle mie corde e nulla mi riesce più insopportabile del piagnisteo. [...] A presto dunque, cari lettori. Anche a costo di ridurlo, per i primi numeri, a poche pagine, riavrete il nostro e vostro giornale. Si chiamerà ''La Voce''. In ricordo non di quella di [[Frank Sinatra|Sinatra]]. Ma di quella del mio vecchio maestro – maestro soprattutto di libertà e indipendenza – [[Giuseppe Prezzolini|Prezzolini]]. (12 gennaio 1994) {{Int|''Rituale barbarico''|Articolo su ''il Giornale nuovo'', 10 maggio 1978.|h=4}} *La fine di [[Aldo Moro]] ci rende sgomenti, il fanatismo di chi lo ha ucciso lentamente, togliendogli la speranza prima di toglierli la vita, ci riempie di orrore. Speriamo ancora che la tracotanza dei criminali sia un giorno punita. L'importante, adesso, è che il Paese, proprio per rendere omaggio a Moro, e proprio in memoria di lui, sappia trarre da questa tragedia l'amara lezione che essa comporta. La democrazia non deve, anzi non può essere debole. La libertà, che la rende superiore a qualsiasi altro regime, ma anche più vulnerabile, non va conclusa con la indulgenza verso i nemici, la imprevidenza, la leggerezza. *Lo Stato italiano ha superato con onore questa prova difficile, ma la magistratura e gli organi di polizia hanno denunciato, nella loro azione, una desolante inefficienza, che ha permesso alle brigate rosse di operare con irridente spavalderia. Ne va data colpa non tanto alle forze dell'ordine quanto a chi ha voluto, per demagogia, per compiacere le sinistre, per acquistare facile popolarità, smobilitare i servizi segreti, rimuovere i funzionari più ligi al dovere, trasformare le carceri in alloggi con libera uscita quotidiana. Gli eversori della democrazia, i contestatori della legalità hanno potuto predicare e demolire senza ostacoli. Ci auguriamo di non vederli ora associati ipocritamente al compianto per un delitto del quale sono, ideologicamente se non materialmente, corresponsabili. Le loro non erano soltanto parole. Un giovane sfracellato da un ordigno sulla ferrovia Trapani-Palermo – l'episodio è di ieri – apparteneva a Democrazia proletaria. I banditi che hanno assalito a Bologna un grande magazzino venivano dal Movimento studentesco. È inutile che questi gruppi ostentino adesso costernazione e stupore per le belluine imprese delle brigate rosse. Il terrorismo è figlio loro. *All'annuncio della fine di Aldo Moro i sindacati si sono mossi, hanno indetto manifestazioni e proclamato uno sciopero generale. Siamo certi della loro profonda esecrazione, e della loro sincera partecipazione al cordoglio nazionale. Pensiamo tuttavia che i lavoratori e i loro rappresentanti darebbero un apporto più costruttivo alla lotta contro i terroristi tenendo d'occhio gli estremisti delle fabbriche, troppe volte protetti e difesi. Così pure gli studenti «impegnati», se proprio vogliono dissociarsi dalle brigate rosse, devono estromettere dalle loro file gli agitatori deliranti, e dinamitardi che nascondono bottiglie molotov e armi negli scantinati delle facoltà. Chi ha chiuso gli occhi di fronte alla ''escalation'' di violenza degli anni scorsi, li chiuda oggi per non lasciar scorrere lagrime di coccodrillo. {{Int|''Poveri morti poveri vivi''|Articolo su ''il Giornale'', 31 maggio 1985.|h=4}} *L'[[Inghilterra]] non sono i forsennati che abbiamo visto all'opera nello stadio di Bruxelles. L'Inghilterra sono la [[Margaret Thatcher|Thatcher]], i politici, i commentatori di stampa, radio e televisione, la gente intervistata per strada, che hanno confessato la loro vergogna a una voce, con una sola stecca: quella del ministro dello Sport che con le sue dichiarazioni si è messo sullo stesso piano degl'imbestialiti. Comunque, Dio ci guardi ora dai soliti sproloqui e dibattiti dei sociologi sui motivi di «tifo» e sui mezzi d'impedirne gli eccessi. Non ce ne sono, se non nel controllo che ognuno può e deve esercitare su di sé. *La strega non è il «tifo» che dallo sport è inseparabile. E non siamo nemmeno noi, come vogliono i cantautori del «siamo tutti colpevoli» che ieri giornali e radio hanno intitolato. Perché, se di qualcosa siamo colpevoli, è di aver sempre secondato la corruttrice e demagogica tendenza a scaricare l'individuo di ogni responsabilità, rigettandola regolarmente e interamente sulla società. È la società che ci obbliga a rubare, è la società che ci obbliga ad uccidere. E si capisce che quando si offrono alla gente di questi alibi, c'è sempre qualcuno che ne approfitta. Stamane leggevo su un giornale francese un dotto articolo in cui si spiegava che la furia dei tifosi del [[Liverpool Football Club|Liverpool]] era dovuta al fatto che, essendo quasi tutti minatori, per un anno erano rimasti senza lavoro a causa dello sciopero: il che gli aveva fatto accumulare la rabbia che poi era scoppiata a Bruxelles. Insomma, senza dirlo, l'articolo induceva alla conclusione che il vero responsabile del massacro era la signora Thatcher. Ecco in che senso siamo tutti colpevoli. Siamo colpevoli di assolvere tutti come vittime innocenti di una società iniqua che, a furia di essere tutti noi, non è nessuno. È un giuoco a cui non ci stiamo. I responsabili di Bruxelles sappiamo chi sono: sono i delinquenti che abbiamo visto avventarsi, prima che la partita cominciasse, e quindi senza alcuna provocazione, contro i tifosi italiani con sbarre e coltelli di cui erano accorsi armati, con l'evidente intenzione di farne l'uso che ne hanno fatto. Delinquenti, non vittime. La società non c'entra, non c'entrano le miniere. Casomai l'alcol. Ma ne avevano ingerito per delinquere meglio. Speriamo che la polizia li identifichi e li consegni a quella inglese. Della quale possiamo fidarci. {{Int|''I rieccoli''|Articolo su ''il Giornale'', 20 gennaio 1990.|h=4}} *Scorrendo le cronache delle agitazioni studentesche di questi giorni avevo avuto per un momento l'impressione, o l'illusione, che esse si fondassero sui problemi concreti dell'università, e che fossero qualcosa di diverso, e di migliore della grottesca ubriacatura sessantottina. Ma quando giovedì sera, nella trasmissione televisiva ''Samarcanda'', è stato lanciato contro [[Mario Cervi]] il rituale e vile epiteto «fascista!» (e questo solo perché aveva mosso obiezioni agli sproloqui assembleari di Roma e di Palermo), ho capito che vent'anni dopo è come vent'anni prima. La protesta è un pretesto, il legittimo scontento diventa arma politica, gli appelli al dialogo si risolvono in volontà di sopraffazione, di discussione su ciò che nell'università deve essere cambiato sfocia in un attacco globale al governo, alla società, al sistema. L'unica connotazione sessantottina che ancora manca è la violenza fisica. Ma temo che non tarderà ad arrivare se chi dissente è bollato come fascista e chi governa (è capitato ad [[Giulio Andreotti|Andreotti]], a Palermo) come mafioso. *Quanto alla legge Ruberti, Cervi ha osservato che viene presa di mira perché consentirebbe un limitato ingresso dei privati nella gestione delle università: e al solo sentir parlare di «privato» – che le folle e i giovani dell'Est chiedono con slancio entusiastico – gli epigoni nostrani del [[marxismo-leninismo]] sono presi da convulsioni. [...] La legge Ruberti è passata in sott'ordine, il punto centrale del dibattito – o piuttosto della successione di sproloqui, intimazioni e insulti – è diventato il degrado di questa povera Italia privatizzata, che invece conoscerebbe fulgidi destini se fosse tutta pubblica e stabilizzata. Gli ''slogans'', le utopie, le bugie e le dissennatezze sessantottine o settantasettine riemergevano dalle pagine dei libri e dalla polvere degli archivi, per imitazione o per transfert generazionale. *Tirava aria romena o cecoslovacca in quelle assemblee: ma della Romania e della Cecoslovacchia di [[Nicolae Ceaușescu|Ceausescu]] e di Husak, con l'idolatria dello Stato, con gli applausi unanimi, con la riduzione al silenzio degli oppositori. S'è sentito, a proposito sempre di Cervi, il sinistro termine «provocazione» con cui tutti gli oppressori legittimano i loro soprusi. Qualcuno di quei ragazzi pretende che esistano parentele tra questo movimento e quelli dell'Est, dimenticando che là ci si batte, a rischio della pelle, per instaurare non il regime dello statalismo, ma al contrario per abbatterlo e introdurre o reintrodurre quello di iniziativa privata in tutti i campi, compreso quello della cultura e della scuola. Che siano diventati, gli studenti di Berlino, di Praga, di Bucarest, fascisti anche loro? ====''Controcorrente – rubrica''==== {{cronologico}} *La cosa che più ci turba, delle nostre sconfitte sportive, è il grande, alluvionale bisticcio che si scatena fra i «tecnici» per giustificarle. Per quella di Stoccarda, che ci ha eliminato dal campionato del mondo, ne avremo – temiamo – per tutta l'estate: se ne parlerà più che di Caporetto. Noi tecnici non siamo, ma abbiamo la nostra idea. È questa: che non si possono mandare dei polli di batteria a competere con quelli ruspanti. Resta da capire perché noialtri non sappiamo allevare che polli di batteria. Ma ci sembra che questo sia sufficientemente spiegato da un piccolo episodio occorso a Roma, dove un gruppo di tifosi ha creduto di «vendicare» i suoi campioni (si fa per dire) assalendo con pomodori e uova l'ambasciata di Polonia. Ecco. Per un paese in cui la «sana passione sportiva» si effonde in simili manifestazioni, quegli undici mammozzi dalle gambe molli sono fin troppo, e fin troppo misericordiose le disfatte che subiscono. (25 giugno 1974) *Noi, di [[Fascismo|fascismi]] ne conosciamo e ne esacriamo uno solo: quello di chi appiccica questa etichetta a qualunque idea o opinione che non corrisponde alle sue. Di questo giuoco, la nostra [[sinistra in Italia|sinistra]] è spesso maestra. Non per nulla lo stesso [[Benito Mussolini|Mussolini]] veniva dai suoi ranghi. (10 luglio 1974) *In una conferenza stampa a Nuova Delhi, [[Henry Kissinger]] ha dichiarato che verrà a Roma e andrà a pranzo dal presidente Leone, ma non parlerà di politica perché quella italiana è, per lui, troppo difficile da capire. È la prima volta che Kissinger riconosce i limiti della propria intelligenza. Ma vogliamo rassicurarlo. A non capire la politica italiana ci sono anche cinquantacinque milioni di italiani, compresi coloro che la fanno. (31 ottobre 1974) *[[Dario Fo]], poeta di corte dell'ultrasinistra, flagella nella sua ultima fatica teatrale il senatore [[Amintore Fanfani]], responsabile di ogni nequizia passata, presente e futura. I sarcasmi più grevi hanno però come bersaglio il metraggio del notabile democristiano che, come tutti sanno, non è quello di un granatiere. [[Henri de Toulouse-Lautrec|Toulouse-Lautrec]], che per gli stessi motivi dovette per tutta la vita subire analoghe canzonature, disse una volta, giocando sulla lunghezza del suo doppio casato: «Ho la statura del mio nome». Non sappiamo se questo discorso si possa applicare a Fanfani. Certo, si applica a Fo. (11 giugno 1975) *[[Winston Churchill|Churchill]] diceva che «i panni dei servizi segreti si possono, anzi si devono lavare più spesso degli altri; ma, a differenza degli altri, non si possono mettere ad asciugare alla finestra». Dello stesso parere era [[Stalin]] che regolarmente, ogni tre o quattro anni, il lavaggio lo praticava facendo accoppare al buio i capi della sua polizia, nel presupposto – probabilmente fondato – che a far quel mestiere non potevano essere che arnesi da forca, e quindi era giusto che ci finissero. Gli [[Stati Uniti d'America|americani]] seguono tutt'altro criterio. Essi hanno trascinato la ''[[Central Intelligence Agency|Cia]]'' in televisione denunciandone ''coram populo'' fatti e misfatti. I suoi capi ne hanno commessi, dicono, di grossi. Ma il più grosso è forse quello di non aver capito che l'America non li paga per svolgere servizi segreti, ma per offrire agli americani il pretesto per vergognarsene. È l'unico popolo che goda più nel pentimento che nel peccato. (28 novembre 1975) *Non sempre, per redigere questa piccola rubrica, occorre forzare la fantasia. Qualche volta basta lasciare la parola alle agenzie di stampa ufficiali. Eccone un caso. L'agenzia Adn Kronos comunica: «Due giorni di sciopero sono stati dichiarati dai sindacati postelegrafonici milanesi per il 28 gennaio e per il 6 febbraio per protesta contro gli scioperi e i disservizi». (25 gennaio 1976) *L'Unità ci rimprovera di aver pubblicato il manifesto degl'intellettuali in favore della libertà. E ha ragione. Si tratta infatti di una illecita concorrenza perché finora i manifesti, gli appelli, le «veglie» e tutto il resto sono stati monopolio del Pci, unico partito capace di far cantare la gente in coro. Ma appunto per questo non vediamo di che si preoccupi. Gl'[[intellettuale|intellettuali]] italiani che preferiscono aver ragione da soli piuttosto che torto con gli altri, sono pochi. I più seguono la massima di [[Paul-Jean Toulet|Toulet]]: «Quando i lupi urlano, urla con loro». (1º giugno 1976) *Ieri [[Mario Melloni|Fortebraccio]], dalle colonne dell'«[[l'Unità|Unità]]», ha invocato per noi, previa qualche iniezione, il ricovero immediato, e a titolo definitivo, in manicomio. La cosa non ci stupisce: sappiamo benissimo che di manicomi e di iniezioni nessuno s'intende più dei comunisti: chi c'è passato giura che ci hanno fatto una mano da maestri. Ci stupisce però che Fortebraccio lo abbia implicitamente – e un po' anzitempo – riconosciuto. Forse gli è scappata. Alla sua età, succede. (10 dicembre 1976) *Cadendo oggi il trigesimo della scomparsa di Pietro Valdoni, vogliamo rievocare un episodio del grande chirurgo. Come tutti ricorderanno, fu lui ad operare, salvandogli la vita, [[Palmiro Togliatti]], ferito alla testa dalla rivoltella di Pallante. Quando ricevette la parcella, Togliatti la trovò salata, e accompagnò il pagamento con queste parole: «Eccole il saldo, ma è denaro rubato». Valdoni rispose: «Grazie per l'assegno. La provenienza non mi interessa» (23 dicembre 1976) *«Dio non è un maschio» assicura alle femministe Civiltà Cattolica, l'autorevole rivista dei gesuiti, scusandosi «delle tracce di antifemminismo che ancora sono nella Chiesa». Brutto segno quando i teologi si mettono a discutere di sesso. Fu mentre i bizantini si accapigliavano su quello degli angeli che arrivarono i turchi. (21 giugno 1977) *Riferiscono le cronache che l'America è in subbuglio per la morte di [[Elvis Presley]]. Oltre centomila persone si sono riversate a Memphis, sua ultima dimora, due donne sono rimaste uccise nella calca che si stringeva intorno alle spoglie del cantante. Il sindaco ha fatto abbrunare le bandiere in tutta la città, il presidente [[Jimmy Carter|Carter]] è stato flagellato di proteste perché non aveva proclamato il lutto nazionale e uno gli ha gridato al microfono: «Noi americani dobbiamo più a Presley che a [[George Washington|Washington]] e a [[Abraham Lincoln|Lincoln]] sommati insieme». Anche noi italiani dobbiamo qualcosa a Presley: una delle rare occasioni in cui preferiamo essere italiani piuttosto che americani. (20 agosto 1977) *È in corso una iniziativa per l'abolizione, nelle aule scolastiche, della pedana su cui si eleva la cattedra. Il perché lo avrete già capito: l'insegnante deve mettersi, anche materialmente, a livello degli alunni per non lederne la dignità e dimostrare con l'esempio che siamo tutti uguali. Giusto. «La via dell'uguaglianza – dice Rivarol – si percorre solo in discesa: all'altezza dei somari è facilissimo instaurarla». (29 ottobre 1977) *Fra gli annunci economici di Lotta Continua, ne è comparso uno che dice: «Compero a L. 100.000 una tesi di laurea, anche già presentata, purché tratti un argomento attinente all'[[Inghilterra]], o alla lingua, storia, letteratura inglese. Meglio se con una impostazione femminista». Curioso. Questi grandi [[Rivoluzione|rivoluzionari]], che dicono di battersi per costruire una società nuova di zecca, quando si tratta di lauree, si contentano anche di quelle usate e di seconda mano. (3 marzo 1978) *Credevamo che l'assassinio di Aldo Moro, così come è stato eseguito, fosse il colmo dell'infamia. Abbiamo dovuto ricrederci. Al comizio di protesta svoltosi in piazza Duomo a Milano subito dopo la macabra scoperta in via Caetani a Roma, un gruppo di ultrà ha gridato: «Moro fascista!». Preferiamo le [[zanne]] delle belve alla [[bava]] degli [[Sciacallo|sciacalli]]. (10 maggio 1978) *Ecco il nostro telegramma di congratulazioni e auguri a Pertini: «Che Dio le conceda il coraggio, Presidente, di fare le cose che si possono e che si debbono fare; l'umiltà di rinunziare a quelle che si possono ma non si debbono, e a quelle che si debbono ma non si possono fare; e la saggezza di distinguere sempre le une dalle altre». (9 luglio 1978) *Dall'indagine svolta da uno dei più seri istituti di ricerche demografiche, lo svizzero Scope, risulta che la professione più ammirata e rispettata, nel mondo, è quella dei medici. I giornalisti sono al penultimo posto. Ce ne sentiremmo profondamente avviliti se all'ultimo non vedessimo catalogati gli editori. (29 novembre 1978) *In un convegno su «Terrorismo e informazione», a Roma, è stato unanimemente riconosciuto che il [[segreto istruttorio]] in Italia non esiste. Lo trasgrediscono tutti. Non solo giornalisti e avvocati – e ancora passi – ma perfino magistrati che anticipano e propalano, il più delle volte per farne strumento politico, notizie riservate. «È il segreto di Pulcinella» si è lamentato il procuratore capo della Capitale, De Matteo. È vero. Ma Pulcinella non era giudice. E i giudici non dovrebbero essere Pulcinella. (25 aprile 1979<ref>Da ''Il meglio di "Controcorrente": {{small|1974-1992}}'', Fabbri Editori-Corriere della Sera, La biblioteca del Corriere della sera, Milano, 1995, p. 104.</ref>) *Solo il tempo non perde tempo, diceva [[Jules Renard|Renard]]. E così, a furia di annunciarne i cambiamenti, il tempo è passato anche per il colonnello [[Edmondo Bernacca|Bernacca]], che ora deve rassegnarsi alla pensione. Peccato. Gli dobbiamo parecchi raffreddori e reumatismi. Ma nessuno riuscirà meglio e con più grazia di lui a farci capire ed accettare l'inutilità della meteorologia. (10 luglio 1979<ref>Citato in ''Il meglio di controcorrente'', p. 108.</ref>) *Prima di partire per Vienna, il presidente {{NDR|degli Stati Uniti}} [[Jimmy Carter|Carter]] ha fatto due dichiarazioni. La prima: «Ci auguriamo che il signor Breznev {{NDR|allora presidente dell'Unione Sovietica e Primo Segretario del PCUS}} abbia per le nostre ragioni la stessa comprensione che noi abbiamo per le sue». La seconda: «Se Ted Kennedy si presenta contro di me alle elezioni presidenziali, gli faccio un c.o così» Il triviale [[Richard Nixon|Nixon]] avrebbe potuto dire le stesse cose, ma certamente ne avrebbe invertito l'ordine di priorità riservando la comprensione a Kennedy ed il c.o a Breznev. La differenza fra i due è tutta qui. (16 giugno 1979) *Avvicinandosi il 25 dicembre, decine di migliaia di teneri [[abete|abeti]] vengono strappati dai boschi della Penisola per allestire il tradizionale albero di Natale. Ogni anno lo scempio si ripete, tra la generale indifferenza. Soppresso l'Ente protezione animali, figuriamoci se qualcuno ha voglia di proteggere gli alberi. Diciamo la verità: la sola pianta che interessi all'[[italiano medio]] è la pianta stabile. (19 dicembre 1979) *Nel Manifesto di domenica scorsa tale K.S. Karol faceva considerazioni amare sulla rivoluzione cubana e sui suoi fallimenti: «[[Fidel Castro|Fidél]] – ha ricordato il commentatore, uno dei tanti orfani delle illusioni di sinistra – prometteva ai cubani per il 1965 un tenore di vita pari a quello svedese». Certo Fidél si è sbagliato di grosso; non per cattiva volontà, ma per mancanza di uomini, anzi di un uomo. Sarebbe bastato che anche la Svezia avesse uno suo Castro al potere per ritrovarsi in pochissimi anni con un tenore di vita pari a quello cubano. (15 aprile 1980) *Riferiscono le cronache che quando è giunta in tribunale la notizia dell'assassinio di Walter Tobagi, il brigatista Corrado Alunni l'ha accolta con una sghignazzata di tripudio. Abbiamo sempre combattuto la pena di morte sul presupposto che l'uomo non ha il diritto di uccidere l'uomo. Il presupposto lo confermiamo. Ciò di cui cominciamo a dubitare è che gli Alunni e quelli come lui siano uomini. Sui cadaveri sghignazzano le jene. (30 maggio 1980) *A Mirafiori, parlando agli operai della Fiat in sciopero, il sindaco di Torino, Novelli, se l'è presa coi giornalisti e li ha additati all'uditorio come falsari che ricalcano i loro resoconti non sui fatti, ma sulle «veline» distribuite loro dai «padroni». Anche Novelli ha fatto il giornalista in un foglio comunista, e quindi di veline e di padroni è certamente un intenditore. Ma se dopo questa denuncia ci scappa un altro Casalegno, sarà molto gradita la sua assenza ai funerali. (8 ottobre 1980) *Grandi elogi – dopo il successo del blitz di Trani – alle «teste di cuoio» italiane. La loro azione ha dimostrato quanto poco valesse la strategia della flessione propugnata di alcuni personaggi. Teste anche loro: ma di che? (31 dicembre 1980) *Fra i tanti slogans che il partito socialista francese ha lanciato in occasione delle elezioni presidenziali per rassicurare i bravi borghesi sottolineando il proprio carattere moderato e riformista, abbiamo letto anche questo: «Il socialismo può fare di chiunque un milionario». Ci crediamo senz'altro. A patto che quel chiunque fosse prima un miliardario. (8 maggio 1981) *Per gl'italiani, finora, il nome di Gelli era quello dell'autore del più famoso e autorevole codice cavalleresco. Anche oggi rimane legato a un codice. Quello penale. (9 maggio 1981) *L'elenco degli affiliati alla P2 comprende, dicono, 953 nomi, cui corrispondono i più alti gradi della politica, della magistratura, delle forze armate, della burocrazia, dell'industria, della finanza. Tutti «fratelli». È la riprova che, in questo Paese, guai ai figli unici. (11 maggio 1981) *Macché pazzo! L'attentatore del Papa deve essere un furbo matricolato. Dichiarandosi seguace di George Habbas e della causa palestinese, ha cercato di procurarsi la solidarietà dei molti, dei moltissimi, che non battono ciglio quando un terrorista cerca di spedire qualcuno all'altro mondo. Purché il terrorista appartenga al terzo. (16 maggio 1981) *Studiosi cinesi, mettendo a confronto reperti di ominidi dissimili tra loro tanto da far pensare che l'uomo discenda anche da animali diversi dalla [[scimmia]], sono arrivati alla conclusione che i nostri progenitori erano comunque scimmie, ancorché di specie differenti. Ci pare logico. Quale altro animale avrebbe potuto imitare la scimmia che ha dato l'avvio alla razza umana se non un'altra scimmia priva di senso critico? (19 maggio 1981) *Una nostra redattrice andata per una sua cronaca sul femminismo alla «libreria delle donne» in via Dogana a Milano, è stata accolta da una di loro con queste parole: «Con te non parlo perché sei di un giornale fascista, e anche tu hai la faccia da fascista». La nostra redattrice, che ha ventun anni, probabilmente non sapeva bene cosa fosse il fascismo. Ora lo sa: lo ha imparato in quella libreria. (4 novembre 1981) *Come previsto, la Juventus ha conquistato il [[Serie A 1981-1982|ventesimo scudetto]] battendo il Catanzaro. Una vittoria di rigore. (17 maggio 1982) *Socialisti e comunisti si sono opposti alle sanzioni economiche contro l'Argentina perché, hanno detto, una buona metà degli argentini sono di origine italiana, e molti di loro conservano tutt'ora la nostra nazionalità. Vero. Ma non ci eravamo accorti che queste sinistre spasimassero tanto d'amore per i nostri connazionali di laggiù quando si trattava di riconoscergli il diritto di voto. (22 maggio 1982) *Se si va avanti di questo passo, la [[guerra delle Falkland]] (o Malvine) finirà quando l'ultimo aereo argentino sarà abbattuto col suo carico di bombe sull'ultima nave inglese. E dire che questa lotta di leoni si svolge per un'isola di Pecore. (27 maggio 1982) *Tutti abbiamo trepidato ieri, davanti al televisore, per le sorti della squadra azzurra, tutti ci siamo entusiasmati alle sue gesta, tutti abbiamo salutato con orgoglio la sua vittoria. Ma il tipo di patriottismo che questa ha suscitato nelle strade delle nostre città, messe a soqquadro dai tifosi scalmanati che usavano il tricolore a copertura del peggior teppismo, ci ha fatto rimpiangere di non essere nati brasiliani. (6 luglio 1982) *Mai visto così tanto entusiasmo patriottico, tanti tricolori per le strade come per la finale degli azzurri al Mundial. Nella tomba di Caprera, le ossa di [[Giuseppe Garibaldi|Garibaldi]] fremono di invidia. Per unificare l'Italia «in un solo grido, in una sola passione» gli erano accorsi mille uomini. A [[Enzo Bearzot|Bearzot]] ne sono bastati undici. (12 luglio 1982) *Gli scrittori [[Mario Soldati]] (Psi) e [[Gianni Brera]] (Psi) sono stati trombati {{NDR|non sono stati eletti}}. Peccato. Il Parlamento era l'unico posto in cui, dovendo parlare per gli altri, forse avrebbero finalmente taciuto. (1º luglio 1983) *Che [[Bettino Craxi|Craxi]] sia uomo di grandi capacità e ambizioni, lo si sapeva. Che sia anche uomo di grande coraggio, lo si è visto ieri, quando pronunciava alla Camera il suo discorso di replica. Per due volte si è interrotto alla ricerca di un bicchier d'acqua. Per due volte [[Giulio Andreotti|Andreotti]] glielo ha riempito o porto. E per due volte lui lo ha bevuto. (13 agosto 1983) *Condannato dal tribunale di Reggio Emilia per bestemmie e turpiloquio contro la Chiesa, [[Roberto Benigni]] avrebbe qualche ragione di considerarsi vittima di un'ingiustizia. Proprio il giorno prima la Chiesa riabilitava [[Martin Lutero]], scomunicato ai suoi tempi pressappoco per gli stessi motivi. Come cambia, coi tempi, la sorte degli uomini! È inquietante pensare che Benigni, se fosse vissuto cinquecent'anni fa, sarebbe forse diventato Lutero. Ma addirittura sconvolgente è che Lutero, se fosse nato cinquecent'anni dopo, sarebbe forse diventato Benigni! (8 novembre 1983) *Il più autorevole giornale americano di economia e finanza, il Wall Street Journal di martedì 10 gennaio, è incorso in un curioso lapsus. Parlando del concordato fra lo Stato italiano e la Santa Sede, scrive che esso «venne firmato nel 1929 da Bettino Mussolini». Chissà, se lo legge, come si arrabbia Benito Craxi. (12 gennaio 1984) *È comparsa sui giornali la pubblicità di una nuova opera di Fanfani, intitolata «La Dc e la svolta degli anni 80». L'editore avverte che si tratta di un libro formato «tascabile». Dato l'autore, poteva andare diversamente? (16 gennaio 1984) *È vero: la [[Juventus Football Club|Juventus]], a Basilea, non ha fatto una gran figura. Giocando con più cervello, poteva vincere comodamente 4-0. Ma attenti a non giudicare troppo severamente il Porto. Quello di Genova va molto peggio. (18 maggio 1984) *Il trentanovenne James Nelson, condannato da un tribunale di Londra a quindici anni per avere ucciso la madre a colpi di mattone, ha sentito, chiuso in cella, la vocazione sacerdotale: si è messo a studiare teologia, e ora sta per diventare prete nella chiesa scozzese. «È mia intenzione – ha dichiarato – contribuire alla edificazione di una nuova società». Si può credergli: i mattoni ha dimostrato di saperli usare. (25 maggio 1984) *L'agenzia Agi informa, con un drammatico flash, che il ministro [[Giulio Andreotti|Andreotti]], «impegnato in una riunione superistretta con gli altri 15 ministri degli esteri della Nato, perderà la partita [[Associazione Sportiva Roma|Roma]]-[[Liverpool Football Club|Liverpool]]». È giusto il fatto che faccia notizia: è la prima volta che Andreotti perde qualcosa. (31 maggio 1984) *Presso la Presidenza del Consiglio, a palazzo Chigi, è stata istituita una commissione di giuristi per la completa parificazione dei diritti fra i due sessi. Finalmente! Era ora che ce la riconoscessero, a noi uomini. (16 ottobre 1984) *La riforma dei programmi della scuola elementare, cui sta lavorando il Ministro Falcucci, introdurrà nella terza, quarta e quinta classe l'insegnamento di una lingua straniera. Non è specificato quale. Speriamo che si tratti dell'italiano. (21 gennaio 1985) *Un certo [[Nichi Vendola]], dirigente della Federazione giovanile comunista, ha lanciato l'idea di riconoscere formalmente un «diritto dei bambini ad avere rapporti sessuali tra loro o con gli adulti». Vendola ha detto di aver attinto questa idea all'esperienza di molti padri. A conferma di quanto scrive [[Georges Courteline|Courteline]] nella sua «Filosofia»: «Uno dei più chiari effetti della presenza di un bambino in una casa è di rendere completamente idioti dei genitori che forse, senza di lui, sarebbero stati degl'imbecilli comuni». (26 marzo 1985) *I tecnici di calcio sono rimasti stupiti dalla prova del [[Real Madrid Club de Fútbol|Real Madrid]] che nella semifinale della coppa Uefa ha letteralmente travolto i modesti giocatori dell'[[Football Club Internazionale Milano|Inter]]. I madrileni hanno proprio vinto a biglia sciolta. (26 aprile 1985) *Quando [[Sandro Pertini]] è apparso sul video di Raiuno che trasmetteva la premiazione del concorso ippico di Roma, il cronista ha commentato: «Anche i cavalli, come vedete, sono gentili col Presidente». Era vero. Forse meritano di essere fatti cavalieri. (5 maggio 1985) *I tifosi rossoneri sono in festa per la notizia che Berlusconi sta per acquistare il loro Milan. Sono convinti che in un battibaleno ne farà una squadra da scudetto, da coppa delle coppe, da tutto, e forse hanno ragione. C'è un solo pericolo: che il neo-presidente voglia fare anche il direttore tecnico, l'allenatore, il massaggiatore, il capitano e il centrattacco. Il che potrebbe andar anche bene. Ma ad una condizione: che possa fare anche l'arbitro. (27 dicembre 1985) *Rete Quattro e Italia 1 sono state multate per violazione del decreto che proibisce la propaganda al consumo del tabacco. Lo spot incriminato è quello che, parlando del «Camel Trophy», ostentava un pacchetto di sigarette della ditta sponsorizzatrice. Strano Paese, il nostro. Colpisce i venditori di sigarette, ma premia i venditori di fumo. (13 marzo 1986) *Molti lettori ci chiedono quale missione sta svolgendo l'on. Capanna a Tripoli, quali motivi l'hanno spinto da Gheddafi. Non ne sappiamo granché: non siamo abituati a ficcare il naso nelle altrui questioni di famiglia. (1º giugno 1986) *Oggi Paolo Pillitteri sarà designato alla successione di Tognoli come sindaco di Milano. Lo dipingono come uomo intelligente, efficace, insomma pieno di qualità. Purtroppo, gli manca quella fondamentale: il celibato. (5 dicembre 1986) *Finalmente, dopo sette anni di esilio a Gorky, l'impavido Andrei Sacharov è tornato a Mosca. Speriamo che Gorbaciov ci resti. (24 dicembre 1986) *L'agenzia Ansa riferisce che da un sondaggio operato in Francia su un pubblico internazionale, risulterebbe che il maschio italiano detiene ancora il primato mondiale della seduzione. Speriamo che i giornali non riportino la notizia: gl'italiani sarebbero capaci di crederci. (15 marzo 1987) *Per la prima volta nella storia della Corte Costituzionale, il nuovo presidente, Francesco Saja, è stato eletto al primo scrutinio. Ma il rivale sconfitto, Ferrari, ha sollevato eccezione accusando il vincitore di averlo battuto grazie a un «compromesso storico» fra elettori democristiani e comunisti, aggravato da un intrallazzo fra siciliani. Vero o falso, dalla Corte al cortile. (5 giugno 1987) *Ieri tutti i telegiornali ci hanno martellato negli occhi le immagini dei capibastone – Craxi, De Mita, Spadolini, Altissimo ecc. – che infilavano la scheda nell'urna. I loro volti raggiavano di soddisfazione. Erano gli unici elettori matematicamente sicuri di aver dato il voto al candidato ideale. (15 giugno 1987) *In una scuola di Chattanooga, nel Tennesse (Usa), due sedicenni, approfittando dell'assenza dell'insegnante, si sono baciati e hanno fatto l'amore davanti a una decina di compagni, niente affatto scandalizzati. Dato il lassismo di certe scuole americane, gli esami in cui gli studenti riescono meglio sono proprio queste prove orali. (4 giugno 1988) *Diciannove persone hanno dichiarato d'aver visto aggirarsi, tra le quinte della Scala, il fantasma di [[Maria Callas]]. Non ci meravigliamo, anche perché migliaia di altri frequentatori del massimo teatro lirico italiano sostengono da tempo di vedere, alla Scala, il fantasma della Scala. (28 giugno 1988) *Scoprendo le istituzioni britanniche con un secolo e mezzo di ritardo, i comunisti sembrano fermamente intenzionati a formare il loro «shadow Cabinet». Ma onestamente non ne afferriamo la ragione. Non c'è nessun bisogno di un governo ombra per contrastare quest'ombra di governo. (5 maggio 1989) *Da un sondaggio condotto tra i francesi risulta che il personaggio più noto d'Oltralpe è [[Marcello Mastroianni]], conosciuto dall'83 per cento degli intervistati. Il 97 per cento dei francesi invece confessa di non sapere chi sia [[Ciriaco de Mita|Ciriaco De Mita]]. Quando si dice un Paese fortunato... (20 maggio 1989) *Gerardo Iglesias, che fu segretario generale del partito comunista spagnolo dall'82 all'88, ha lasciato l'attività politica per riprendere il suo lavoro di minatore di carbone, «l'unico modo in cui posso guadagnarmi degnamente la vita». Alcuni dirigenti del Pci, a quanto risulta, vorrebbero imitarne l'esempio, tornando al vecchio lavoro. Il difficile è trovare chi ne aveva uno. (1º giugno 1990) *Durante la festosa «notte del mondiale», la polizia romana ha arrestato, nelle vicinanze dello stadio olimpico, 29 borsaioli e scippatori. Il signor [[Edgardo Codesal Méndez|Codesal Mendez]], arbitro della partita [[Nazionale di calcio della Germania|Germania]]-[[Nazionale di calcio dell'Argentina|Argentina]], non figura nell'elenco. (10 luglio 1990) *Il giudice veneziano Casson ha convocato, per la storia del Gladio, il presidente [[Francesco Cossiga|Cossiga]], e l'Italia leguleia è in subbuglio: la Costituzione, pure, si è dimenticata di precisare se il Capo di Stato può essere chiamato a rispondere, sia pure da testimone, a un qualunque magistrato. Il quale però ha ora la fotografia su tutti i giornali. E tutti possono ammirarla chiedendosi che cosa passa in quella testa, la testa di Casson. (10 novembre 1990) *Gli studenti italiani manifestano rumorosamente per la [[pace e guerra|pace]] e contro la [[pace e guerra|guerra]]. La guerra, diceva [[Georges Clemenceau|Clemenceau]], è una cosa troppo seria per lasciarla fare ai militari. Ma anche la pace è una cosa troppo seria per lasciarla fare ai pacifisti. (20 gennaio 1991) *Occupandosi – tra tanto Golfo – del Festival di Sanremo il Tg3 ci ha dato, finalmente, ieri sera, una notizia credibile: il livello delle canzoni, ha detto, è destinato a salire. Infatti: sentite le prime è impossibile che scenda. (1º marzo 1991) *Da un'indagine risulta che il 41,9% degli italiani non considera illecito l'assenteismo dal lavoro e che il 41,3% non considera peccato le infedeltà coniugali. La coincidenza delle due cifre spiega in che modo gli statali impiegano il tempo che dovrebbero dedicare all'ufficio. (3 ottobre 1991) *A quest'ora [[Ernesto Balducci|Padre Balducci]] è di fronte al Supremo Giudice, nel quale affermava di credere. Almeno a Lui dovrà spiegare non ciò che diceva contro la Chiesa, ma perché lo diceva travestito da frate. (26 aprile 1992) *Nell'ultima tornata presidenziale è emerso, con un bel pacchetto di 20 voti, Aldo Aniasi. Finalmente. In questo imperversare di tangenti e bustarelle, era ora che qualcuno si ricordasse di lui. (24 maggio 1992) *Per sfatare le malevole dicerie su certe bestie, il presidente degli «animalisti» italiani ha offerto un premio di 200 milioni a chi potrà dimostrare che i corvi scrivono lettere anonime e che le talpe fanno le spie. È vero: di simili casi non ne conosciamo. Ma di somari che fanno i presidenti, ne conosciamo parecchi. (5 luglio 1992) *Dopo le invettive e i clamori da cui il presidente del consiglio [[Giuliano Amato|Amato]] è stato accolto in Senato per la sua insensibilità alla crisi morale che investe il Paese, il dibattito sulla medesima si è svolto, a Montecitorio, in un'aula deserta. Sì, una crisi morale, per la nostra classe politica esiste: lo dimostra il vuoto in cui l'ha lasciata cadere. (14 marzo 1993) *«I socialisti – ha detto l'ex ministro della Difesa Salvo Andò – devono andare tutti nudi verso la meta di un nuovo sistema politico». Come faranno senza le tasche? (24 maggio 1993) *Il candidato del Psi per le elezioni a sindaco di Roma sarà Niccolò Amato. Assennata scelta. Ex direttore delle carceri, Amato è certamente il più qualificato a rappresentare quel partito. (23 settembre 1993) *Giovedì sera annuncio a sorpresa di [[Emilio Fede]] nel suo Tg4: «Adesso – ha detto – voglio parlarvi di informazione». C'è sempre una prima volta. (8 gennaio 1994) *Secondo un sondaggio della Diacron (gruppo Fininvest), l'82 per cento dei lettori del «Giornale» sarebbe schierato con Berlusconi. Vero. Almeno com'è vero che Berlusconi diventerà presidente del Consiglio. (12 gennaio 1994) ====''La parola ai lettori – rubrica''==== *I tennisti italiani hanno disputato la finalissima di Coppa Davis a Praga, e nessuno ha battuto ciglio. Le squadre di calcio italiane frequentano gli stadi dell'Est, a cominciare da quelli russi, e i puristi della democrazia non ci trovano nulla a ridire. Ma per l'[[Uruguay]] – che con i suoi tre milioni di abitanti e la sua posizione geografica non mi pare possa essere considerato una minaccia troppo grave alla libertà dei Paesi democratici – c'è puntuale la protesta. Come se l'Uruguay potesse invadere, espandersi, insidiare, inviare – direttamente o indirettamente – eserciti di mercenari in mezzo mondo, e l'[[Unione Sovietica]] no. Possiamo capire gli intransigenti della democrazia: ma possiamo soltanto disprezzare i farisei che hanno l'indignazione dimezzata. Si calmino Bruno Conti e Pruzzo. Né l'Uruguay, né il suo regime, meritano tante ansie e tanta ostilità. Mosca è più vicina – lo sanno bene i polacchi – e Kabul anche. (31 dicembre 1980) *Non abbiamo mai «coperto», come si usa dire, questo nostro socio (che ha il 37, non il 36% del Giornale), anche perché non vediamo da cosa dovremmo coprirlo. [[Silvio Berlusconi|Berlusconi]] non è né un politico né un gerarca civile o militare, e non svolge nessuna pubblica funzione incompatibile con l'appartenenza alla massoneria. È un privato imprenditore e cittadino che quando fa una balordaggine (e l'iscrizione alla P2 lo è) la fa a proprio rischio e pericolo. Come lei avrà visto, il suo coinvolgimento nella P2 non ci ha impedito di dire, di Gelli e della sua banda, tutto il male che ne pensiamo. (31 maggio 1981) *In tutti questi anni che è stato con noi, {{NDR|Silvio Berlusconi}} si è sempre comportato nella maniera più signorile, ed anche in questa circostanza ci ha dato le più ampie garanzie. (14 aprile 1987) *Nel panorama sudamericano il [[Cile]] è oggi uno di quei paesi economicamente più solidi e con maggior progresso, tanto da meritare gli elogi del Fondo monetario internazionale. Ma la postilla impone a sua volta una precisazione. È più facile fare il risanamento economico monetario in Cile, dove i sindacati sono inesistenti o impotenti, che non in [[Argentina]], dove il sindacato incalza il governo e pretende aumenti salariali il cui ritmo sia adeguato al ritmo dell'inflazione. [...] Pinochet è quello che è. Il suo plebiscito per la Costituzione del 1980 fu indetto in circostanze che gli tolgono ogni valore. E gli inizi del regime militare furono sanguinari. Però il Cile di oggi ha un livello di libertà e di dialettica politica – nonostante Pinochet – che tanti paesi del Terzo mondo vezzeggiati dai nostri democratici dovrebbero invidiargli. Come ha osservato un lettore, né l'Etiopia né lo Zaire né la Siria, né il Nicaragua avrebbero tollerato corrispondenze come quelle che gli inviati della Rai diffondono, in diretta dal Cile. (16 aprile 1987) *Mai le nostre prese di posizione su problemi e personaggi sono state non dico condizionate, ma influenzate dalle personali amicizie o preferenze di Berlusconi. Per la verità, l'editore chiese una volta a titolo di favore, un «occhio di riguardo» per la sua creatura prediletta. Non la televisione, come i lettori saranno stati forse indotti a pensare, ma il [[Associazione Calcio Milan|Milan]]. Sottoposi questa sommessa istanza alla redazione sportiva. La risposta fu una lettera collettiva di dimissioni. Caso chiuso. Da allora rinuncio a leggere le cronache delle partite del Milan, per non dovermi dispiacere del dispiacere che ne prova probabilmente Berlusconi. (17 aprile 1988) *Come già ho scritto, e qui mi piace ripetere, la designazione di [[Francesco Cossiga|Cossiga]] al Quirinale fu la scelta dell'uomo giusto al posto sbagliato. Sappiamo benissimo chi la volle. Ma sappiamo altrettanto bene che fu avallata anche da quegli uomini e partiti che ora si scagliano contro di lui e lo accusano, apertamente o copertamente, di fellonia. La classe politica, nella quale egli ha militato da sempre e che quindi da sempre lo conosceva, doveva sapere che l'onesto (perché tale è) Cossiga non era uomo da Quirinale. Eppure, per i suoi sporchi giochi di potere, ce lo mandò. Ora dovrebbe sentire il dovere di difenderlo dagli sciacalli che lo attaccano da tutte le parti. (22 dicembre 1990) ===''La Stampa''=== *Intorno alle «cattedrali nel deserto» impiantatevi dalla cosiddetta mano pubblica, [...] o trasferitevi dal Nord con l'adescamento degli «incentivi», e sotto la nuvolaglia di fumo che sgorga dalle loro ciminiere, si gonfiano alla carlona e selvaggiamente dirompono, senza nessun criterio urbanistico, senza piano regolatore, senza servizi, spesso anche senza acquedotto e senza fogna, degli agglomerati urbani che solo per il numero degli abitanti si possono chiamare città. [...] È nata soltanto, insieme a una forsennata speculazione edilizia che per sfruttare all'osso l'area fabbricabile accumula con cattivo cemento un piano sull'altro finché crollano sulla testa degl'inquilini, la sorda rabbia contro la città di un contadiname analfabeta che se n'è visto succhiare la linfa vitale, e quando vi cala, lo fa da nemico e vandalo. Questo è il panorama del Mezzogiorno dopo vent'anni e più di Cassa, che hanno raschiato dalle tasche dei contribuenti migliaia di miliardi. (da ''[http://www.archiviolastampa.it/component/option,com_lastampa/task,search/mod,libera/action,viewer/Itemid,3/page,3/articleid,1118_01_1973_0272_0003_16218908/ La protesta contadina]'', 18 npvembre 1973) *La politica meridionalistica è tutta dominata da questo sottofondo psicologico. Essa vuole l'industrializzazione di Stato non soltanto perché [...] l'industrializzazione può essere fatta soltanto dallo Stato o da imprese al servizio dello Stato; ma anche perché più queste imprese si sviluppano, e più si riduce il margine di quell'imprenditoria privata che i meridionali, non riuscendo a emularla, mirano a ostacolare e ridurre, sottraendole il pubblico risparmio. Con l'agricoltura non avrebbero potuto perseguire questi scopi punitivi. L'unica arma per mortificare e battere l'industria privata è l'industria statale o parastatale. Questa, intendiamoci, esisteva digià: è un portato dei tempi moderni. Ma non c'è dubbio che la politica meridionalistica, come la si è praticata finora e tutto lascia credere che si seguiterà a praticarla, le ha offerto un'ideale occasione. (da ''[http://www.archiviolastampa.it/component/option,com_lastampa/task,search/mod,libera/action,viewer/Itemid,3/page,3/articleid,1118_01_1973_0284_0003_16222766/ Le industrie "in colonia"]'', 2 dicembre 1973) *Lo Stato, con [[Venezia]], ha contratto un solo impegno: di destinare al suo risanamento 300 miliardi di lire in cinque anni. Di dove li prenda, non ha nessun interesse. Può darsi che una parte li attinga proprio a quel prestito. Ma non vi è tenuto, né si vede perché dovrebbe esserlo. Ciò che da esso si può e si deve esigere è che eroghi effettivamente quei 300 miliardi alle scadenze per le quali si è impegnato: 25 miliardi per il '73, 60 nel '74, 90 nel '75, e su su fino alla chiusura dei conti nel '77. Due sole cose restano da dire. Primo. All'origine dell'equivoco c'è di certo quello che i francesi chiamano l'''esprit mal tourné'', cioè la diffidenza degl'italiani nei confronti dello Stato. Ma all'origine di questa diffidenza c'è altrettanto certamente l'incapacità o la renitenza dei nostri governanti a spiegare [...] ciò che fanno. Secondo. I soldi [...] stavolta ci sono. E diamo pure per scontato che saranno erogati con puntualità. Ma dove sono gli strumenti per spenderli, specie quelli affidati in gestione a degli Enti locali, che fin qui non sono stati capaci di dragare un canale né di riparare la spalletta d'un ponte? Non vorremmo che anche tutti questi miliardi andassero ad alimentare l'immenso deposito di «residui passivi», cioè di somme stanziate ma non impiegate, che già affligge il nostro Paese. Non lo vorremmo. Ma lo temiamo. ([http://www.archiviolastampa.it/component/option,com_lastampa/task,search/mod,libera/action,viewer/Itemid,3/page,1/articleid,1111_01_1974_0009_0001_21345708/ 11 gennaio 1974]) *E ora addio, caro lettore, e grazie dell’ospitalità. Ti confesso che, entrando in casa tua, ero molto imbarazzato. Ma mi bastò poco per accorgermi che di questo imbarazzo voi soffrite quasi quanto coloro a cui lo incutete. Esentàtemi da una dichiarazione di amore perché a gente come voi è difficile farne. Ma in questo pudore mi sento vostro pari e vostro complice. Avrò un giornale a Milano e, e cercherò di farlo molto bello, bellissimo. Ma anche se ci sarò riuscito, seguiterò a rimpiangere il vostro. Mi dicevano che ci avrei sofferto il freddo. Ci ho trovato, sotto una coltre di silenzio, il caldo. ([http://www.archiviolastampa.it/component/option,com_lastampa/task,search/mod,libera/action,viewer/Itemid,3/page,3/articleid,1112_01_1974_0087_0003_16390798/ 21 aprile 1974]) {{Int|''[http://www.archiviolastampa.it/component/option,com_lastampa/task,search/mod,libera/action,viewer/Itemid,3/page,9/articleid,1118_01_1973_0284_0009_16222725/ Chi era il vecchio leone del deserto]''|Articolo su ''La Stampa'', 2 dicembre 1973.|h=4}} *Senza Ben Gurion, non so se Israele sarebbe stato migliore o peggiore di quel che è. Certo, sarebbe stato diverso. Il titolo di «Padre della Patria» non può contestarglielo nessuno. [...] Egli stesso mi raccontò lo sgomento da cui fu còlto quando, non ancora ventenne, sbarcò a Giaffa dopo un lungo periplo a bordo d'un cargo. A procurarglielo non furono i funzionari turchi che allora governavano il Paese, e nemmeno gli arabi che formavano il grosso della popolazione; ma gli ebrei, quasi tutti latifondisti e mercanti perfettamente inseriti nel «sistema» e unicamente intesi ai propri affari. Erano dunque quelli i depositari della Terra Promessa, che non sapevano neanche l'ebraico, o comunque si rifiutavano di parlarlo? Forse ne sarebbe fuggito, se nell'interno non avesse scoperto alcune isolate fattorie collettive, dove i nuovi immigrati lavoravano la terra con le proprie mani e di notte montavano la guardia, uomini e donne, per difendere le loro vite e i loro raccolti dalle razzie degli arabi. *Egli fu sin da principio organizzatore sindacale e propagandista politico, ma ciò non toglie che la sua ideologia si sia sviluppata da questa esperienza pionieristica. Non era uomo di studio e di cultura. Ma, pur combattendolo, era rimasto influenzato dal socialismo tolstoiano che aveva respirato a Plonsk. [...] Comprese subito che solo redimendo la terra col loro lavoro manuale e contrapponendo al latifondismo arabo la fattoria collettiva, gli ebrei potevano legittimare la riconquista dei loro antico «focolare». Militarmente, egli non attaccò mai gli arabi. Aspettò che il loro sistema si disgregasse da sé, e ci volle poco. Battuti sul mercato dai prodotti del ''kibbutz'', i latifondisti arabi vendettero i loro feudi al «Fondo Nazionale Ebraico» per andare a sperperare l'incasso nei ''Casinos'' di Beirut e della Costa Azzurra, e i braccianti rimasero senza lavoro perché i nuovi padroni usavano le braccia proprie. Il conflitto è tutto qui: nell'impossibilità di coabitazione di una scalcagnata economia feudale con un'efficientissima economia socialista. I motivi religiosi e razziali li ha aggiunti la propaganda. Prima del ''kibbutz'', arabi ed ebrei avevano pacificamente convissuto in un avanzo di mondo medievale, garantito dal satrapesco governo turco, coi suoi privilegi e le sue glebe. Il ''kibbutz'' fu una rovina anche per il latifondo ebraico. [...] Il suo programma era questo: conquistare la Palestina «pertica dopo pertica, capra dopo capra», ma senza costituirla in uno Stato, un po' perché a questo si sarebbe opposta l'Inghilterra […] un po' per non provocare un «fronte» di nazioni arabe, come poi in realtà avvenne. Ma la rivelazione del [[Olocausto|genocidio]] gl'ispirò il famoso ''mai più''. E mai più significava questo: che d'allora in poi gli ebrei dovevano avere un rifugio sicuro, pronto ad accoglierli e in grado di farlo, cioè uno Stato. *Gli rimproverano anche di non aver mai svolto una coerente politica araba, cioè di intesa con gli arabi. E anche in questo c'è del vero, ma ha il suo perché. Come tutti i veri politici, Ben Gurion era un pragmatista, cioè un uomo che attingeva le idee dalla pratica delle «cose», non viceversa. E l'esperienza fatta nella lotta per la manodopera ebraica lo aveva persuaso che con gli arabi non c'era [...] possibilità di compromesso. Uno Stato palestinese misto di arabi e di ebrei, lo considerò sempre una chimera per il semplice motivo che in poche generazioni, col loro potenziale demografico quattro volte superiore, gli arabi avrebbero mangiato gli ebrei. Questo scrupolo [...] sa un po' di razzismo. Ma l'unico rimprovero che si può muovere a Ben Gurion è di non averlo abbastanza mascherato. Già nella guerra del '48 egli avrebbe potuto annettersi la Cisgiordania: ci rinunziò per non mettersi in corpo seicentomila arabi. L'anno dopo rifiutò per lo stesso motivo la cosiddetta «striscia di Ghaza» che il suo brillante generale Allon aveva sforbiciato dall'Egitto. E dopo la guerra dei sei giorni, sebbene ormai lontano dal potere, non ha fatto che ammonire contro una politica di annessioni territoriali disgiunta da un adeguato incremento di popolazione ebraica. Non ha mai dialogato che con l'Occidente. Con gli arabi, non ha seguito che una diplomazia: quella dei confini. *Le nuove esigenze della produzione e della guerra imponevano un altro «rovesciamento della piramide»: il miracolo della guerra dei sei giorni fu dovuto a un esercito di tecnici altamente specializzati, in cui anche il semplice aviere era un ingegnere. Il posto del ''kibbutz'' [...] veniva preso dall'Università che riconvertiva il contadino in professore. Ben Gurion non poteva interpretare questo nuovo corso. Era troppo vecchio e legato all'altro. Ma non lo comprese, non poteva comprenderlo, per conservare il potere ricorse a tutte le armi del suo repertorio, anche le meno regolamentari, giunse a rinnegare e a rompere il proprio ribelle partito. E neppure a battaglia persa si rassegnò. Dal fondo del suo rifugio alle soglie del deserto ha continuato tutti questi anni ad alluvionare di ammonimenti, maledizioni, anatemi i suoi vecchi amici trattandoli da nemici. [...] Quello che si chiude con Ben Gurion è il capitolo del pionierismo: il più eroico e glorioso, quello destinato, via via che si allontanerà nel tempo, ad essere ricordato dagl'israeliani con sempre più struggente nostalgia. {{Int|''[http://www.archiviolastampa.it/component/option,com_lastampa/task,search/mod,libera/action,viewer/Itemid,3/page,3/articleid,1112_01_1974_0081_0003_16388814/ La strada lunga di Golda]''|Articolo su ''La Stampa'', 14 aprile 1974.|h=4}} *{{NDR|[[Golda Meir]]}} Aveva poco più di vent'anni quando approdò in Israele, frammista ai «padri pellegrini» della «seconda ondata» che subito dopo la [[prima guerra mondiale]] vennero a riprendere possesso della loro antica terra con la ferma intenzione non d'insabbiarcisi com'era successo ai loro predecessori della fine dell'Ottocento, ma di riscattarla e di farne il «focolare» degli ebrei. Tutta la sua visione politica [...] era condizionata da questa esperienza di oltre mezzo secolo di sacrifici e di lotte. Tecnicamente, non so se si possa catalogarla fra i «falchi». Anzi, mi sembra che abbia fatto tutto il possibile per non confondersi con essi e per presentarsi come mediatrice fra loro e le «colombe». Ma, cresciuta nell'accampamento, ne aveva acquisito la mentalità guerriera. Oggi molti in Israele si domandano se a questi pionieri non restava davvero altra strada che quella dell'urto frontale con la popolazione araba della Palestina. Ma questi dubbi sono un lusso ch'essi si possono concedere solo perché i loro babbi e nonni non ne ebbero. Costoro fecero quello che fecero perché non potevano far altro. Ciò che rendeva impossibile la coabitazione fra le due popolazioni non era la incompatibilità razziale e religiosa, ma quella economica e sociale. Il latifondo sceiccale non poteva convivere col ''kibbutz'' socialista. È qui l'origine di un conflitto che nessuna diplomazia poteva sanare. Una pace fra israeliani e arabi è possibile; una simbiosi, no. Ancor oggi chi parla di «Stato misto» si gingilla con le astrazioni. *Fu lei che, mentre la lotta infuriava e il sangue correva, raggiunse travestita da cammelliere l'emiro Abdullah di Giordania – il nonno di [[Husayn di Giordania|Hussein]] –, e da nemico se lo fece amico, o almeno neutrale. Non sono mai riuscito ad appurare se [[David Ben Gurion|Ben Gurion]] ebbe una parte, e quale, in questo «giallo» fra il diplomatico e lo spionistico. Ma molte cose m'inducono a credere che a programmarlo fu proprio lei, Golda, anch'essa ben decisa a innalzare, fra arabi ed ebrei, una cortina di ferro, ma con qualche porta che consentisse all'occorrenza il dialogo. [...] I due furono amici e compari per decenni. [...] Per entrambi, la unica e vera ragione di vita era la politica, una passione che esclude tutte le altre, e alla quale chi ne è tocco tutto sacrifica, a cominciare proprio dai sentimenti. Ciò non vuol dire che i loro rapporti siano stati dominati unicamente dal calcolo [...] e che Golda si sia tenuta stretta a Ben per spiarlo, controllarlo e, al momento opportuno, divorarlo. Io ho visto alcuni scampoli della loro corrispondenza privata, quando l'amicizia era diventata aperta inimicizia. Roba da far impallidire un caporale degli alpini. Ma proprio da questo vocabolario si capiva quanto profonda e indistruttibile [...] fosse la loro solidarietà. Probabilmente anche al tempo in cui facevano coppia nel partito e nel governo si parlavano tra loro in quel linguaggio da fureria. Quanto a imperiosità e autoritarismo, si valevano. [...] Non era, come Ben Gurion, un'incantatrice, non aveva mai una immagine colorita, un paradosso, una battuta a effetto. Con la sua voce arrugginita dalle sigarette (ne fuma una settantina al giorno, e di tabacco nero), diceva piattamente e banalmente delle cose piatte e banali, solo ravvivate da qualche squarcio d'un umorismo massiccio come una scarpa di soldato; ma senza mai togliere di dosso all'interlocutore il suo vigile sguardo cilestrino alla fiamma ossidrica. E da quella specie di sporta per la spesa che, adibita a borsa, essa tiene al braccio anche nei ricevimenti ufficiali, ci si aspettava sempre di veder saltar fuori, oltre a qualche mazzo d'agli e di cipolle, una pistola o una fiala di veleno. *Di Golda si può dire tutto il male che si vuole: la materia non manca. Non c'è dubbio che sapeva odiare e che anche quando amava lo faceva da mantide, soffocando e stritolando. Ma Israele non troverà mai più una madre come lei, che sapeva anche fargli da padre. Nella sua tenacia, nel suo coraggio, nella sua volontà d'acciaio, essa riassumeva la storia di questo piccolo grande Paese. Lo ha dimostrato col suo ritiro. Quando si è trattato di pagare, essa si è offerta in sacrificio pur sapendo che per lei la rinunzia al potere è la rinunzia alla vita. «''Sono giunta al termine della mia strada''», ha detto. Ma che strada! Nessuno ne ha mai percorsa una più ripida e accidentata, più paurosamente librata tra abissi e strapiombi. Sono sicuro che Golda non si volterà indietro a guardarla, e non ce ne dirà nulla. Come tutti i grandi costruttori, essa sa soltanto costruire. Il resto, per lei, è silenzio. ===''la Voce''=== <!--ordine cronologico--> *Uscendo dal ''Giornale'', io feci a me stesso, ma pubblicamente, un giuramento: «Mai più un padrone». Qui padroni non ce ne sono. La proprietà è ripartita fra alcune centinaia di azionisti, di cui nessuno può, per statuto detenere più del 4 per cento. Fra di essi, e per primi, ci siamo stati tutti noi: redattori, impiegati, fattorini, autisti. [...] Per questa sua pulviscolarità, il nostro azionariato è stato definito, nei quartieri alti della Finanza, «straccione». La qualifica non ci dispiace: coi tempi che corrono, meglio stare tra gli stracci che tra le tangenti. (22 marzo 1994) *Di insurrezione generale non c'era bisogno, il 25 aprile, perché il Terzo Reich non esisteva più. Se l'insurrezione generale fosse avvenuta avrebbe dovuto avere come primo obiettivo, a Milano, il quartier generale delle SS all'Hotel Regina. Le SS furono invece lasciate del tutto tranquille, mentre si provvedeva a trascinare in piazzale Loreto, per la fucilazione Achille Starace [...]. Non sono contro la Resistenza, anzi: sono contro la retorica, inguaribile vizio italiano. Proprio questa retorica ha fatto sì che un sindaco democristiano di Roma, in un manifesto dedicato anni or sono alla liberazione della città non accennasse nemmeno con una parola agli Alleati. Ed ha fatto sì che in quest'ultimo 25 aprile si sia parlato ai giovani che affollavano piazza del Duomo a Milano o che stavano davanti ai televisori, ingannandoli – ossia raccontando loro che i tedeschi erano stati sconfitti dai partigiani, e che da questi l'Italia era stata liberata. Se questa è la «memoria storica» evocata da tanti commentatori, stiamo freschi. (28 aprile 1994) *Intorno a Berlusconi vedo agitarsi una falange di Starace, convinti non meno di Achille che il padrone (e con lui, si capisce, la carriera) si serve sbattendo i talloni e gridando: «Forza, Italia!». Di tutto questo, intendiamoci, Berlusconi non può essere tenuto responsabile. Gli Starace – a differenza di Mussolini che si scelse il suo vedendolo com'era – gli sono germinati e gli pullulano intorno d'irresistibile forza propria cercando di sopraffarsi in una gara di servilismo, che trova soprattutto nel video la propria arena. E per ora la gente pensa: «Povero Cavaliere, da chi è circondato». Ma prima o poi – forse più prima che poi – comincerà a dire anche di lui: «Vedi un po' di chi si circonda». (18 giugno 1994) *Dobbiamo prepararci a presentare le nostre scuse a [[Emilio Fede]]. L'abbiamo sempre dipinto come un leccapiedi, anzi come l'archetipo di questa giullaresca fauna, con l'aggravante del gaudio. Spesso i [[leccapiedi]], dopo aver leccato, e quando il padrone non li vede, fanno la faccia schifata e diventano malmostosi. Fede no. Assolta la bisogna, ne sorride e se ne estasia, da oco giulivo. Ma temo che di qui a un po' dovremo ricrederci sul suo conto, rimpiangere i suoi interventi e additarli a modello di obiettività. (26 novembre 1994) *Il presidente della Repubblica non può contrattare. Ma deve trovare qualcuno che abbia l'autorità morale di farlo. Un ''kamikaze''. E di ''kamikaze'' ne vediamo uno solo che, non avendo veste politica, né alcuna ambizione di indossarla, può anche affrontare una simile responsabilità: [[Antonio Di Pietro|Di Pietro]]. Ma temiamo che l'idea sia soltanto nostra. [...] Una delle pochissime cose che nella presente situazione ci confortano è di vedere in Quirinale un difensore delle Regole come [[Oscar Luigi Scalfaro|lui]]. Vorremmo solo sommessamente avvertirlo che l'Italia che noi conosciamo somiglia poco all'immagine angelica ch'egli ce ne ha fornito la sera di Capodanno, e che anche quando vi avremo messo a posto tutte le Regole, ne mancherà sempre una: quella che dall'interno della sua coscienza fa obbligo ad ogni cittadino di regolarsi secondo le regole. (3 gennaio 1995) *Noi volevamo fare, da uomini di [[Destra]], il quotidiano di una Destra veramente liberale, ancorata ai suoi storici valori: lo spirito di servizio (quello vero, taciuto e praticato), il senso dello Stato, il rigoroso codice di comportamento che furono appannaggio dei suoi rari campioni da Giolitti a Einaudi a De Gasperi. Insomma, l'organo di una Destra che oggi si sente oltraggiata dall'abuso che ne fanno gli attuali contraffattori. Questa Destra fedele a se stessa in Italia c'è. Ma è un'élite troppo esigua per nutrire un quotidiano. (12 aprile 1995) {{Int|''Il realista inviso agli snob''|Articolo su ''la Voce'', 24 aprile 1994.|h=4}} *Fino ad una decina di anni orsono, la maggioranza degli americani erano convinti che, se [[Richard Nixon|Nixon]] fosse rimasto nella Storia del loro Paese – cosa che al loro orecchio suonava come un obbrobrio – vi sarebbe rimasto solo per il [[Scandalo Watergate|Watergate]], cioè appunto per l'obbrobrio. Negli ultimi tempi tutto si è rovesciato: l'obbrobrio non è stato più il Watergate, ma la campagna scandalistica che lo aveva provocato. Gli stessi protagonisti che l'avevano montata – [[Bob Woodward]] e [[Carl Bernstein]] del ''Washington Post'' – ne riconobbero le forzature e fecero atto di contrizione. Non avevano inventato nulla, ma avevano deformato tutto. [...] La sorte è stata, tutto sommato, clemente con Nixon dandogli il tempo di vedere questo capovolgimento. *Ultimamente era ricevuto, ed anzi continuamente sollecitato alla Casa Bianca, dove lo si accoglieva come lo ''Elder Statesman'', lo statista anziano da consultare come un vecchio saggio sui problemi difficili. Fu a lui che [[George H. W. Bush|Bush]] si rivolse per riallacciare un dialogo con Pechino dopo la rottura seguita al fattaccio di Tienanmen. E lui a Pechino lo riallacciò: i cinesi non avevano dimenticato che quel dialogo erano stati Nixon e [[Henry Kissinger|Kissinger]] ad aprirlo, quando l'America aveva deciso di chiudere l'avventura del Vietnam in cui [[John Fitzgerald Kennedy|Kennedy]] e [[Lyndon B. Johnson|Johnson]] l'avevano malaccortamente cacciata. Ma anche [[Bill Clinton|Clinton]] è ricorso alla sua esperienza per capire cosa succedeva in Russia e trarne qualche insegnamento. Nixon andò a Mosca, e ne tornò con cattivi presagi sulla sorte di [[Boris Nikolaevič El'cin|Eltsin]] che i successivi avvenimenti hanno confermato. *Non era un uomo «simpatico», e soprattutto non aveva nulla che potesse sedurre l'America dei salotti e della ''intellighenzia'', che gli uomini politici li misurano a modo loro, mai quello giusto. Scambiarono per un grande intellettuale Kennedy, che in vita sua aveva visto migliaia di film, ma mai letto un libro. E prendevano Nixon, che di libri ne ha letti ed ha continuato a leggerne (ed a scriverne, niente male), fino all'ultimo giorno per una specie di Bossi californiano, rozzo e triviale. [...] Ma forse quello che più infastidiva gli americani era la renitenza di Nixon ad appelli e richiami tanto più sonori quanto più vacui, come «la nuova frontiera» e simili. Nixon era un professionista della politica, uno dei pochissimi che l'America abbia mandato alla Casa Bianca. Non andava per sogni e per versetti del Vangelo. Conosceva il suo [[Otto von Bismarck|Bismarck]], il suo [[Benjamin Disraeli|Disraeli]], e credo anche il suo [[Niccolò Machiavelli|Machiavelli]] che in America basta nominarli per finire scomunicati. Per questo lo consideravano un mestierante, e per questo si era scelto come consigliere un altro mestierante, l'ebreo tedesco Kissinger. Furono questi due uomini che ridiedero all'America la ''leadership'' nella politica estera coinvolgendo nel gioco la Cina e scavandone il solco da Mosca. I successori di Nixon, e specialmente [[Ronald Reagan|Reagan]], vissero in gran parte di questa eredità. ===''Oggi''=== <!--ordine cronologico--> *Mi confermo in due mie vecchie opinioni. Il guaio del socialismo è il socialismo, cioè sta proprio nel suo sistema statalistico. Il guaio del capitalismo sono i capitalisti che, quasi sempre bravissimi all'interno della loro azienda, fuori di lì sono spesso degli ottusi e noiosi imbecilli, e talvolta anche peggio.<ref>Citato in ''Dizionario delle citazioni'', a cura di Italo Sordi, BUR, 1992. ISBN 88-17-14603-X</ref> (n. 22, 1983) *{{NDR|Sull'offerta di [[Massimo D'Alema]] a concedere, come «atto dovuto», i funerali di Stato a [[Bettino Craxi]]}} "Atto dovuto"? Ma dovuto a chi? Anche a un latitante: quale, dal punto di vista legale, era Craxi? Concedere i funerali di Stato a un latitante significa sconfessare la Giustizia che lo ha condannato. [...] Ma può lo Stato sconfessare la propria Giustizia senza sconfessare se stesso? Mi sembra di vivere in un Paese che di senso dello Stato ne ha meno di una tribù del Ghana.<ref>Citato in ''La morte incute rispetto, ma su Craxi non cambio idea''-</ref> (2 febbraio 2000) *La [[democrazia]] è sempre, per sua natura e costituzione, il trionfo della mediocrità. (11 ottobre 2000) ==''Dante e il suo secolo''== ===[[Incipit]]=== Uno dei tanti meriti che si suole attribuire a [[Dante Alighieri|Dante]] è quello di essere stato il primo italiano ad avere una «coscienza nazionale». Noi non vorremmo cominciare questo libro con una detrazione, ma non ci sembra che a dimostrare questa coscienza basti l'allusione che Dante fa a una entità geografica italiana, di cui egli fissava i punti terminali al Brennero e al Carnaro. E non vediamo del resto cosa aggiunga alla sua grandezza questa specie d'irredentismo avanti lettera. Se per qualcuno Dante spasimò fu, caso mai, per un Imperatore tedesco. ===Citazioni=== *[[Roma]] era stata la capitale di un impero cosmopolita, non di una Nazione. (Parte prima. Capitolo primo, p. 12) *Non è necessario essere degli adepti del "materialismo storico" per attribuire il risveglio delle inquietudini intellettuali, fra il Millecento e il Milleduecento, al progresso economico e al generale miglioramento delle condizioni i di vita. È a stomaco pieno che si comincia a pensare a qualcosa che non sia soltanto lo stomaco. (Parte prima. Capitolo terzo, p. 131) *Il [[pudore]] femminile non è mai stato altro che un incentivo alla civetteria. (Parte seconda, Capitolo quarto, p. 174) *Da consumato giurista qual era, {{NDR|[[papa Bonifacio VIII]]}} prese a rimaneggiare tutti i precedenti storici, su cui poteva basare le sue pretese di dominio universale. E trovò un valido aiuto nel canonista [[Egidio Romano|Egidio Colonna]] il quale scrisse un trattato, ''De ecclesiastica potestate'', per avvalorare queste tesi. Egli sostenne che la Chiesa era padrona e proprietaria non soltanto delle anime, ma di tutto. Era solo per bontà e condiscendenza che metteva le cose a disposizione dei fedeli, ma conservando il diritto di ritorgliele quando voleva. Quindi anche i troni appartenevano ad essa, che li lasciava ai Re solo in momentaneo appalto. Questa teoria tanto piacque a Bonifacio, che ne ricompensò l'autore con la nomina ad arcivescovo di Bourges. (Parte seconda, Capitolo nono, p. 312) *Peccato che un simile uomo {{NDR|papa Bonifacio VIII}} avesse così clamorosamente sbagliato generazione e carriera. Fosse nato cinquant'anni dopo sarebbe stato un magnifico Principe del [[Rinascimento]]: avido, crudele e gagliardo. (Parte seconda, Capitolo undicesimo, p. 372) *Dante qui {{NDR|nel ''De vulgari eloquentia''}} ha visto ciò che molti filòlogi ancora oggi non vedono. Egli difende il "volgare", cioè la lingua viva, quella parlata dal popolo, fatalmente destinata a soppiantare il latino. Ma ne vorrebbe una illustre e aulica, al di sopra di quelle "municipali", cioè dei dialetti, contro i quali si scaglia con furore. In Italia ne classifica quattordici e li detesta tutti, compreso il toscano che chiama "turpiloquio". Ma il più orrendo gli sembra il romano, "e non deve fare meraviglia dacché i romani, anche per deformità di costumi e abiti, appaiono i più fetidi di tutti". Chissà cosa direbbe, povero Dante, se tornasse fra noi e andasse al cinematografo. (Parte seconda, Capitolo quindicesimo, p. 483) ==''Gli incontri''== *[[Giovanni Porzio|Porzio]] non è alto di statura, ma diritto come un fuso nonostante i settantaquattro anni suonati e porta, sui pantaloni a righe stretti e lunghi come quelli degli antichi ufficiali in grande uniforme, una giacca nera che l'alta bottonatura fa simile a una ''redingote''. Il volto è bello, di colore olivastro, e aristocratico nella modellatura del naso e nel taglio breve dei baffi e della barbetta ancora pepe e sale. (Porzio, p. 91) *Non avevo mai visto da vicino [[Cécile Sorel]], quando essa mi apparve, per la prima volta, di lontano, sul palcoscenico allestito nella corte d'onore degli Invalides per le feste celebrative del bimillenario di Parigi. [...] Drappeggiata in una sontuosa cappa di [[Elsa Schiaparelli|Schiaparelli]] a strascico di ''lamé'' d'argento e porpora, dritta su un podio sotto la statua di [[Napoleone Bonaparte|Bonaparte]], accolse a braccia spalancate lo scrosciante omaggio, sincopato dalle salve di artiglieria, dei cinquemila spettatori ammassati nell'immenso cortile. Sorrise. Sfiorò con uno sguardo altero le teste della folla, lo alzò verso l'imperatore, ma senza implorazione né umiltà, da pari a pari. Poi, in un silenzio di tomba, prese a modulare l'ode di Bruyez: "''Vous qui êtes morts pieusement pour la patrie...''". Ed era una voce incredibilmente limpida e squillante, senza traccia di ruggine. (Cècile, pp. 226-227) *[[Saul Steinberg|Steinberg]] ha la faccia dei suoi pupazzi: una faccia malinconica, lunga e triangolare, di cavallo tirato su a paglia soltanto, senza biada, e condannato a trascinare un carretto su per un'erta interminabile, in cima alla quale non si sa cosa ci aspetta, ma certo un'altra condanna, forse più pesante del carretto. Anche i baffi ha, come i suoi pupazzi: a doppia virgola orizzontale, sebbene meno lunghi e senza le intenzioni esibizionistiche di quelli di Dalì; e anche le lenti a stanghetta traverso cui ti fissano intensamente, di sotto in su, due occhi azzurri e mortificati, di uomo che non si è reso conto di essere Saul Steinberg; o essendosene reso conto, non ci prova alcun piacere. (Steinberg, p. 289) *[[Harukichi Shimoi]] è uno di quei giapponesi che gli altri giapponesi considerano di statura piccola. Tanto piccola che [[Gabriele D'Annunzio|D'Annunzio]], per abbracciarlo, dovette curvarsi (lui!) e, dopo essergli andato incontro gridando, con le braccia alzate: "Fratello!... Fratello mio!..." lo guardò, ci ripensò e aggiunse: "Sebbene non di sangue...". (Shimoi, p. 389) *Quanti anni avrà, ora, Harukichi Shimoi? Forse cinquanta, forse centocinquanta. Come per [[Guelfo Civinini]], suo amico, anche per lui il problema dell'età non si pone. Quale che essa sia, egli la porta esattamente come deve averla portata mezzo secolo fa. Il suo corpo è stortignaccolo, ma diritto, e i suoi capelli son nerissimi. Ma il tratto che più lo caratterizza sono le sopracciglia, che madre natura gli ha piantato a mezza strada, come due ciuffi di foltissimo bosco, tra gli occhi e la chioma, in modo che, per quanto vasti i suoi occhiali, esse li sormontano e risucchiano come se fossero due monocoli. (Shimoi, pp. 389-390) *Il più favoloso e colorito personaggio del [[Brasile]] è [[Assis Chateaubriand]], proprietario di ventun giornali, diciotto stazioni radiotrasmittenti, di una flotta aerea, di alcune ''fazendas'' vaste come l'intera Sicilia, di un museo che vale venti milioni di dollari, di una Compagnia nazionale per la puericoltura, e di un'ambizione pari soltanto al suo coraggio, alla sua insolenza e alla sua spavalderia. (Chateaubriand, p. 495) *Assis {{NDR|Chateaubriand}} ha un debole per i tedeschi e per gli italiani. Come faccia a conciliare questi due amori, non si sa; ma le sue pene, durante la guerra, furono grandi, anche se irreprensibile fu la sua condotta<ref>Dal 1942, nel corso della seconda guerra mondiale, il Brasile fu in stato di guerra con Germania e Italia.</ref>. Quando però il governo comminò l'arresto a chiunque parlasse italiano, scese in lotta con i suoi giornali contro l'assurda disposizione. Scrisse che quello non era patriottismo, ma un nazionalismo di bassa lega, degno soltanto di una colonia, e che lui si vergognava d'esser brasiliano. Fece un tale baccano, che alla fine dovettero revocare il provvedimento e quello del sequestro dei beni dei nostri compatrioti. (Chateaubriand, p. 502) *Quando nacque sessantadue anni orsono, ne aveva già a dir poco settecento. Perché [[Ottone Rosai|Rosai]] veniva dritto dritto dal Medioevo, dopo aver saltato a piè pari Rinascimento ed età moderna, e nei momenti di sincerità confessava che Giotto gli pareva un "deviazionista" rispetto a Cimabue, il quale gli andava molto più a sangue. (Rosai, p. 544) *Dopo essere stato fascista della prima ora, nella seconda col fascismo {{NDR|Ottone Rosai}} s'era trovato male, e si capiva benissimo che era sempre per via delle mani. Tornato dalla guerra, lo squadrismo gli aveva consentito di menarle, come a lui piaceva, e ci aveva dato dentro senza risparmio. Forse l'unico momento felice della vita di Rosai fu quello: quando a gambe larghe di traverso alla strada aspettava, col giornale aperto davanti agli occhi in un gesto di sfida ribalda, il corteo rosso in arrivo da San Frediano, che alla vista di quelle manacce aggrappate ai bordi del foglio e pesanti come macigni, esitava. (Rosai, p. 547) *[[Paolo Monelli|Monelli]], se seguisse le proprie inclinazioni, andrebbe a letto coi polli. Ma cosa direbbe la gente, se non lo vedesse più vagabondare nei vari ritrovi frequentati dai nottambuli della città? Direbbe senza dubbio: "Comincia a invecchiare". E a questa idea Monelli balza dalla sua poltrona e si attacca al telefono per mobilitare qualche amica che lo accompagni nei suoi vagabondaggi. Giovani colleghe come Livia Serini, attrici giovanissime come Lea Massari sono state ridotte sull'orlo dell'esaurimento nervoso da queste prolungate ronde notturne senz'altro costrutto che quello di ribadire agli occhi di tutti l'intramontabilità di Monelli. Egli non le porta a spasso. Le porta all'occhiello, come gardenie. (Monelli al girarrosto, p. 592) *{{NDR|Paolo Monelli}} Fuma la pipa come Churchill il sigaro, cioè soltanto quando lo guardano. (Monelli al girarrosto, p. 593) ==''I conti con me stesso''== ===[[Incipit]]=== Una telefonata da Milano m'informa che Longanesi è morto. È stato colpito dall'infarto davanti al suo tavolo di lavoro, su cui era spiegata una mia lettera di dieci giorni fa, che cominciava così: «Caro Leo, stanotte ho sognato ch'eri morto...». (27 settembre 1957) ===Citazioni=== *Tutta la mia vita è stata contesa fra la noia di vivere insieme e la paura di vivere [[Solitudine|solo]]. (4 ottobre 1957) *Di nuovo il Polesine. Pare impossibile: durante le inondazioni, la prima cosa che viene a mancare è l'acqua. (dicembre 1957) *[[Colette Rosselli|Colette]]. Invecchia gentilmente, senza catastrofi. Ha su tutte le altre donne un vantaggio incolmabile: quello di essere stata il mio ultimo e più grande amore. Così grande che possiamo camparci di rendita, comodamente, tutti e due per il resto dei nostri giorni. (gennaio 1958) *Il destino di [[Riccardo Bacchelli|Bacchelli]] sarà l'opposto di quello del maiale: di lui, dopo morto, ci sarà da buttar via tutto. (gennaio 1958) *[[Olga Villi]]. Non è punto grata alla sua bellezza che le ha consentito di diventare principessa di Trabia. Punta solo sul talento che non ha. Ma è talmente priva di ''sense of humour'' che forse diventerà una buona attrice. (gennaio 1958) *[[Gaston Palewski|Palewski]]. L'ambasciata a Roma è per lui soltanto uno dei più importanti capitoli del libro di memorie che scriverà. (gennaio 1958) *Non è che [[Luigi Barzini (1908-1984)|Barzini]] abbia un'altissima opinione di sé. Ne ha una bassissima degli altri. (gennaio 1958) *Piccolo incidente d'auto. La nostra, per evitare un ciclista, picchia contro un muro e resta piuttosto acciaccata. [[Colette Rosselli|Colette]], che la guida, dice: «Meglio così. Dovevo farla revisionare, e non mi decidevo mai...». (gennaio 1958) *[[Razzismo]]: pensarci sempre, parlarne mai. [[Risorgimento]]: parlarne sempre, pensarci mai. (gennaio 1958) *[[Fascismo]]. Il più comico tentativo per instaurare la serietà. (gennaio 1958) *Il guaio più grosso della Repubblica è che, mentre il Re poteva essere di sangue straniero e di solito lo era, il presidente bisogna sceglierlo fra gl'italiani. (gennaio 1958) *Bacchelli lavora infaticabilmente, da sessant'anni, alla costruzione di un piedestallo su cui, alla sua morte, non sapremo cosa posare. (gennaio 1958) *A pranzo da [[Vittorio Cini]] con una ventina di altri invitati. A colazione ne aveva avuti altrettanti. E così ieri. E così avantieri. E così sempre. A ottantadue anni suonati, è fresco, roseo, insaziabilmente voglioso di intrattenere e di essere intrattenuto. A conclusione della serata, mi sfida a una gara di canto. Scegliamo come banco di prova ''Vecchia zimarra'', e stoniamo maledettamente entrambi, ma io meno di lui. I presenti mi assegnano la vittoria. Di colpo, Vittorio perde il suo buon umore. È talmente abituato a vincere, che non accetta di perdere nemmeno nel canto. (7 settembre 1966) *{{NDR|Su [[Nicola Bombacci]]}} Io l'ho conosciuto soltanto cadavere, quando penzolava accanto a quello di Mussolini, in piazza Loreto, e una folla messicana lo bersagliava bestialmente di sputi. Anni dopo, volli tentarne la riabilitazione ritracciandone la patetica vicenda, ma non riuscii a trovarne gli elementi biografici. Compaesano e compagno di scuola di Mussolini, maestro elementare e autodidatta come lui, ne era stato il grande amico quando entrambi militavano nel socialismo. Eppoi il suo nemico giurato, la bestia nera degli squadristi. Esule con la famiglia prima in Francia, poi (credo) in Russia, rimpatria col permesso del Duce, si affida alla sua generosità, per ricambiarla gli resta al fianco anche a Salò, e lo accompagna fin nell'ultimo viaggio verso la morte. (23 ottobre 1966) *Colloquio segreto con l'ex comunista [[Giulio Seniga|Seniga]] per una storia del [[PCI|Pci]] che devo scrivere con [[Roberto Gervaso|Gervaso]] per la «Domenica». Ė un uomo piuttosto affascinante, dallo sguardo chiaro, freddo e innocente: lo sguardo del fanatico. Mi ha detto che sua moglie, cresciuta in Russia dove suo padre era fuoruscito, e autrice di un interessante libro – ''I figli del partito'' –, nel partito è rimasta, non ha trovato il coraggio di uscirne, sebbene approvi e condivida la secessione del marito, con cui è sentimentalmente unitissima. Non riesco a capire questa gente. Cioè capisco soltanto che è diversa da noi non sul piano ideologico, ma su quello umano. (25 novembre 1966) *È morto [[Uguccione Ranieri di Sorbello]]. Era venuto a Roma da sua suocera. Stava benissimo. Era anzi particolarmente sereno e contento perché aveva finito un suo lavoro di ricerca storica cui attendeva da anni. A fine pranzo ha detto: «Non mi sento bene». Si è alzato, ed è crollato a terra. Stecchito. (29 maggio 1969) *{{NDR|Su Uguccione Ranieri di Sorbello}} Era un gran signore e un gran galantuomo che ha trascorso la sua vita in crociate nelle quali non aveva nulla da guadagnare. L'ultima è stata la campagna propagandista negli Usa per convincere gli americani a dare il nome [[Giovanni da Verrazzano|Da Verrazzano]] al grande ponte sull'Hudson. Nel suo perfetto inglese (lo scriveva meglio dell'italiano) inondò l'America di articoli e conferenze (parlava benissimo, con molto humor e senza enfasi oratorie) cercando i familiarizzare gli ascoltatori col nome Da Verrazzano, la cui pronuncia rappresentava per essi la difficoltà più grossa all'adozione di quel nome. Questa smania missionaria credo che l'avesse ereditata da sua madre americana. E per seguirla aveva trascurato le sue proprietà terriere. Le sue campagne erano in uno stato pietoso, la sua bella villa sul Trasimeno mezza disunta. (29 maggio 1969) *{{NDR|Su Uguccione Ranieri di Sorbello}} Era un buon scrittore, un infaticabile sommozzatore di articoli, un ricercatore attento e scrupoloso di curiosità storiche, un umanista moderno che aveva allargato i suoi orizzonti a tutta la cultura contemporanea, specie anglo-sassone: un uomo insomma che ha realizzato un centesimo di quello che poteva per via di quel suo dispersivo correre dietro a un'infinità di altri interessi. Era stato anche un autentico combattente della [[Resistenza italiana|Resistenza]]: per ben sedici volte si era fatto paracadutare dagli Alleati dietro le linee tedesche: impresa che chiunque altro si sarebbe fatto ripagare con altrettante medaglie. Lui non aveva ricevuto nemmeno una citazione, e di questi episodi non ha mai parlato. (29 maggio 1969) *Anche [[Irene Brin]] se n'è andata. Mi avevano detto che era malata di un cancro; ma era una notizia vaga e incerta, ch'essa aveva fatto di tutto per smentire. Fino in fondo ha lavorato e ha partecipato ai riti della mondanità: sfilate di moda, ricevimenti, eccetera. (1 giugno 1969) *{{NDR|Su Irene Brin}} Quando [[Giovanni Ansaldo|Ansaldo]] la scovò e cominciò a farla scrivere sul «Lavoro» di Genova, sua città natale, era soltanto Mariù Rossi: una ragazza timida e incerta, molto provinciale, figlia di un Generale e di un'ebrea austriaca. L'unica fama di cui godeva era quella, equivoca e velata sotto un nome d'accatto, che le aveva procurato [[Elio Vittorini|Vittorini]] prendendola a protagonista, con sua sorella, di un racconto: ''Le figlie del Generale'' in cui entrambe erano presentate come lesbiche. Se lo fossero veramente, non so. Il sesso è uno dei tanti capitoli misteriosi di questa donna. (1 giugno 1969) *In mano a [[Leo Longanesi|Longanesi]], che le aveva regalato anche lo pseudonimo d'Irene Brin, aveva rivelato autentiche qualità di scrittrice. I profili che pubblicò su «Omnibus» erano deliziosi. Fosse rimasta fra biografia e memorialismo, poteva diventare qualcosa di mezzo fra [[Henri de Saint-Simon|Saint-Simon]] e [[Lytton Strachey|Strachey]] con un tocco alla [[Madame de Sévigné|Sévigné]]. Altro che la [[Maria Bellonci|Bellonci]]! Era un'osservatrice attenta (sebbene non ci vedesse da qui a lì) e penetrante, nutrita di vastissime letture: la sua prosa aveva ritmo, calore, l'aggettivazione precisa, l'ironia tagliente. Ma era un cavallo che aveva bisogno del fantino. Chiuso «Omnibus» e cessata la regia di Longanesi, Irene infilò la pista sbagliata – quella della cronista mondana –, e non è più uscita. (1 giugno 1969) *Finito di scrivere il capitolo sull'[[Giulio Alberoni|Alberoni]] per ''L'Italia del Settecento''. Ho riprodotto la pagina di [[Henri de Saint-Simon|Saint-Simon]], che lo descrive mentre assiste impavido alle evacuazioni corporali di Vendôme per guadagnarsene i favori, eppoi inginocchiandosi davanti a lui gli grida estasiato: «Oh, culo d'angelo!», e glielo bacia. Come inizio di "carriera" italiana, mi sembra esemplare. Poi mi torna a mente un'osservazione di [[Jules Renard|Renard]]: «Se in un periodo c'è la parola culo, il lettore non si ricorderà che di quella dimenticando tutto il resto, anche se è sublime». Renard ha ragione. Ma io, a un culo autenticato da Saint-Simon, non rinuncio. (3 luglio 1969) *Le Soroptimists hanno dato un pranzo a [[Colette Rosselli|Colette]], in qualità di "Donna Letizia". Colette ha accettato dopo molti rifiuti. Il suo fastidio per queste cose di donne, lo so, è sincero. Ma, una volta preso l'impegno, ha trascorso la giornata a preparare il suo discorsino col puntiglio che la distingue. Non è per nulla ambiziosa, non tiene affatto a reclamizzare il proprio talento, sottovaluta quello che mette nella sua rubrica di «Grazia» (ma se lo fa pagare profumatamente), rifiuta di fare una mostra dei suoi deliziosi quadri. Ma il suo suscettibilissimo amor proprio non le consente di rischiare una brutta figura nemmeno nelle cose che disprezza. Infatti anche stasera ne ha fatta una eccellente, leggendo con molto garbo le due paginette che aveva preparato con un sapiente dosaggio di humour autentico, e di pathos e di umiltà fasulli. Ha avuto gran successo. Per la prima volta mi son visto guardato come un personaggio-satellite, una specie di principe consorte. Cosa che a me non dispiace affatto, ma a lei moltissimo. In questo, è proprio femmina. (13 agosto 1969) *Mi riferiscono, di [[Giorgio Bocca|Bocca]], questo giudizio su di me: «Sempre il più bravo di tutti. Bravissimo. Troppo bravo. Ma mettendo lo stesso impegno a scrivere gli articoli su Venezia e quello sull'arbitro [[Concetto Lo Bello|Lo Bello]], dimostra che in realtà non è impegnato in nulla». È vero. Non sono impegnato in nulla. In nulla, meno che nel mio mestiere. Fiorentina-Bari 3-0. E Chiarugi capo-cannoniere! (16 novembre 1969) *Sciopero generale per il caro-case. Un pretesto da nulla. Ma è bastato per immergere Milano in un'atmosfera da 8 settembre. Strade vuote. Saracinesche abbassate. Enorme spiegamento di polizia. Mentre pranzo con [[Giovanni Spadolini|Spadolini]], [[Mario Cervi|Cervi]] e Zappulli, giunge notizia che in un tafferuglio al Lirico un agente è stato ucciso dai "cinesi". «Meno male che è toccata a un agente» diciamo in coro, eppoi non osiamo guardarci negli occhi. Anche noi apparteniamo a questa borghesia codarda che pretende appaltare alle forze dell'ordine il compito di farsi sputacchiare, pestare e ammazzare per tenerne al riparo se stessa. E non vuole nemmeno pagargli uno stipendio decente. (19 novembre 1969) *[[Alberto Moravia|Moravia]] ha fondato, insieme a [[Pier Paolo Pasolini|Pasolini]] e a [[Dacia Maraini]], un "comitato contro la repressione". È la riprova che la repressione non c'è. Se ci fosse, Moravia sarebbe coi repressori, come ha dimostrato avallando col suo silenzio la persecuzione di [[Aleksandr Isaevič Solženicyn|Solženicyn]] in Russia. (28 dicembre 1969) *Moravia si è ritirato dal comitato che lui stesso aveva fondato. Ma non per i silenzi di [[Giovanni Spadolini|Spadolini]]. Si è ritirato perché «l'Unità» ha disapprovato. Gl'italiani sono sempre pronti a fare la rivoluzione, purché i carabinieri siano d'accordo. E Moravia è sempre pronto a battersi per la libertà, purché sia d'accordo il piccì. (2 gennaio 1970) *Arrivati i rendiconti dei miei diritti d'autore: 28 milioni nell'ultimo semestre. Supero dunque i 50 milioni annui. Anche ammettendo che l'editore non ci faccia sopra punta cresta (il che mi sembra, a dir poco, improbabile), non c'è male. Credo di essere l'autore italiano che più guadagna, anche perché sono l'unico che questa cifra la guadagna ogni anno, e senz'aiuto di premi letterari. Non ne sono contento per il denaro, di cui non so che farmi e che serve solo a pagare i capricci di Colette (ne ha tanti!). Ne sono contento, anzi felice, per il mio status da autore stipendiato unicamente dal pubblico. C'è chi vive di partito. C'è chi vive di Eni. C'è chi vive di Agnelli, o di Perrone, o di Crespi. Io vivo di [[lettore|lettori]]. I lettori non m'impongono altra servitù che la sincerità: l'unica che non pesi. (3 marzo 1970) *Più che comunanza di vedute, fra [[Denis Mack Smith|Mack Smith]] e me c'è comunanza di nemici: quegl'insopportabili pedanti accademici che a Palermo lo hanno violentemente attaccato qualificandolo «il Montanelli di Oxford». Implicitamente egli accetta di far fronte con me contro di loro. Credo che facciamo entrambi un buon affare, e anche un affare buono: se riusciamo a squalificare agli occhi del pubblico la [[storiografia]] accademica (e coi nostri libri ci stiamo riuscendo), avremo reso un grosso servigio alla cultura italiana. (2 maggio 1970) *Sosta a Venezia, dopo il voto a Cortina. Visita d'obbligo a Vittorio Cini, e passeggiata con lui sulle Zattere. Vedendolo, un vecchietto sdrucito, ma dignitoso, si leva il cappello e gli tende la mano, evidentemente per mendicare. Vittorio gliel'afferra e gliela stringe con effusione dicendogli: «Caro!... Caro!... Caro!... Coma la va?» È in perfetta buona fede: la buona fede di un doge lontanissimo dalle afflizioni della miseria e perfino incapace di immaginare che ce ne siano. (8 giugno 1970) *Leggo in [[Giorgio Candeloro|Candeloro]]: «... Nel processo generale di sviluppo della Storia, il carattere dei personaggi, anche dei più grandi, ha un peso limitato...». Ah, sì? E cosa dunque se non il carattere di Alessandro, cioè la sua follia, può spiegare la conquista macedone fino all'India e la diaspora dell'ellenismo che ne deriva? L'Islam è concepibile senza il "carattere" di [[Maometto]]? E cosa divise la Riforma se non i diversi "caratteri" di [[Martin Lutero|Lutero]] e di Calvino? I nostri storici odiano i caratteri e i personaggi, perché questi richiedono immaginazione e intuito, cioè doti di scrittore, di cui essi sono disperatamente vedovi. Non sono storici. Sono soltanto degli archivisti, e molto spesso disonesti. (10 novembre 1970) *Milano è in fiamme per l'affare Feltrinelli, e [[Piero Ottone|Ottone]] mi chiede un articolo contro la [[Camilla Cederna|Cederna]], firmatario di un manifesto in cui, a due ore di distanza dal rinvenimento del cadavere e prima ancora che esso sia ufficialmente riconosciuto, proclama che Feltrinelli è rimasto vittima della «reazione internazionale». Se la Cederna avesse una testa, direi che l'ha persa. Ma perché Ottone vuole un articolo contro di lei, intima amica e direttrice di coscienza di [[Giulia Maria Crespi|Giulia Maria]], nonché regina del suo sinistrorso salotto? Comunque, a mettere una zeppa fra direttore e proprietaria, è doveroso collaborare. E faccio l'articolo in forma di "lettera a Camilla". (25 marzo 1972) *Pare che l'articolo abbia rimesso fuoco a Milano, creandovi una irreparabile frattura fra montanellisti e cedernisti. I primi sono più numerosi, ma i secondi più rumorosi. Ricevo pacchi di telegrammi di plauso e altrettanti d'insulti. Il giornale è sommerso di lettere, e io prego Ottone di pubblicare anche quelle di protesta. Ha scritto anche la Cederna annunziando una replica sull'«Espresso» (Ottone ha cancellato il titolo del settimanale, commettendo una meschineria). Quanto a Giulia Maria, mi dicono che schiuma di rabbia. Se è vero, devo riconoscere che il giornalismo qualche soddisfazione la dà. [[Umberto Eco]] mi attacca sul «manifesto» riproducendo una mia frase di ammirazione per Mussolini scritta quando avevo ventidue anni (in dieci anni di giornalismo sotto il defunto regime, non sono mai riusciti a trovare, di mio, altre prove di zelo fascista) e accusandomi di mancanza di cavalleria verso una donna. O bella! Come se una donna, quando si mette a far politica – e che politica! – come un uomo, potesse ancora accampare l'impunità! Anche la [[Maria Callas|Callas]] è una donna. Eppure, quando stona, la si fischia. (27 marzo 1972) *Ho scritto un fondo in difesa della Cederna, incriminata dal magistrato per aver diffuso notizie false e tendenziose. Che abbia commesso questo peccato, ho detto, è vero. Ma si tratta di peccato, non di reato. E a giudicarne dev'essere il lettore, non il tribunale. Verità lapalissiane. Dice che è sempre stata molto più impegnata e coraggiosa di me perché con le sue campagne in favore di Valpreda e di [[Giuseppe Pinelli|Pinelli]], tiene fronte alla polizia. Potrei incenerirla chiedendole dov'era e cosa faceva quando io ero in galera per aver tenuto fronte non alla polizia d'oggi, ma a quella fascista e nazista. Ma non ne vale la pena. (28 marzo 1972) *Più approfondisco questo tema delle regioni (sono a Milano per questo), e più mi sgomenta il doverne scrivere. Ci vuol poco a capire che questi regionalisti lombardi perseguono, consapevolmente o inconsapevolmente, un piano secessionista cisalpino. E, una volta che ne abbiano lo strumento, riusciranno a realizzarlo. Non per nulla Bassetti parla già non più di «regione lombarda», ma di «[[Padania|regione padana]]», di cui il resto d'Italia non sarebbe che un'appendice. Se ce la fanno (e ce la faranno), addio Risorgimento! Non era che una finzione, d'accordo, e in pratica ha fallito. Ma con che lo sostituiremo? (26 settembre 1972) *Volo a Lussemburgo sul solito bireattore di Berlusconi, che ci accompagna, felice di esibirsi e di esibire il suo status in una cerimonia internazionale. La medaglia d'oro (ma è proprio d'oro?) me la consegna Gaston Thorn, capo del governo lussemburghese. Berlusconi riempie il suo taccuino di indirizzi: quelli di tutte le personalità che ha incontrato. È il vero ''climber'' che approfitta di tutto e non butta via nulla. (23 maggio 1977) *Kappler è fuggito. Ha fatto bene. Ma ora chi ci salverà dai conculcati "valori della Resistenza"? (15 agosto 1977) *A colazione da [[Vittorio Cini|Cini]]. Ha avuto un brutto crollo, ma ha ancora risorse. Le tira fuori quando è in compagnia. Ma quando è solo, mi dice sua moglie, sprofonda in quei tetri silenzi che sono i colloqui di un uomo con la morte. (19 agosto 1977) *De Carolis m'informa che il vero autore della operazione «Corriere» è un certo [[Licio Gelli|Gelli]], misterioso personaggio massonico, di Arezzo (Fanfani), che vuole incontrarmi per un accordo fra i due giornali. (24 settembre 1977) *Secondo quanto mi era stato raccomandato, dovevo salire direttamente alla camera 219 dell'Excelsior. Ma alla camera 219 non c'era nessuno, e così dovetti chiedere al portiere del signor Gelli. Poi Gelli arrivò, mi condusse furtivamente nel suo appartamento e mi fece un lungo discorso pieno di allusioni, dal quale dovevo comprendere che lui è un pezzo grosso – forse il più grosso – della massoneria (Palazzo Giustiniani), che come tale era stato il vero padrino della operazione Rizzoli, e che in questa operazione potevamo rientrare anche noi. Mi ha detto che quattro ministri dell'attuale governo, otto sottosegretari e centoquaranta parlamentari dipendono da lui. Questi massoni sono tutti uguali: credono che la loro potenza sia direttamente proporzionale al mistero di cui si circondano e prendono per cose fatte quelle per le quali complottano. (4 ottobre 1977) *Da Fanfani, al Senato. È talmente infuriato che diventa perfino sincero. «Dica al suo amico che è un traditore!» «Perché non glielo dice lei?» Mi spiega che Forlani non mira alla segreteria del partito, come io credevo, ma alla presidenza del Consiglio, quando Andreotti sarà consumato. Mi dice anche che condivide l'idea di Donat-Cattin di lasciare il Quirinale a un laico. «Altrimenti fra noi democristiani ci sbraniamo e ci sbrachiamo nella corsa a chi concede di più ai comunisti.» È sincero anche stavolta, o lo dice perché, avendo perso ogni speranza per sé, vuole prepararsi un buon argomento per Maria Pia («Stavolta toccava ai laici»)? (29 ottobre 1977) *A cena da Gervaso con Cossiga. Non si lamenta dei nostri attacchi, ma sono io a dirgli: «Noi esprimiamo lo scontento, e talvolta la rabbia, della pubblica opinione. La gente vuole un ministro degl'Interni che agisca e che faccia agire la polizia». «Ma lei sa com'è ridotta la polizia?» «In qualunque modo sia ridotta, siete voi che l'avete ridotta così. E quindi sta a voi rimediare.» Mi dice che non c'è da farsi illusioni: la situazione si aggraverà. Il terrorismo è finanziato coi sequestri, ha solidi agganci internazionali, e segue una tattica ben studiata. «L'attentato a lei fu un errore. Se a essere colpite fossero le personalità di rilievo, la gente media, cioè la grande massa della popolazione, sarebbe tranquilla. Invece hanno deciso di colpire i gradi subalterni – consiglieri comunali della Dc, capireparto della Fiat eccetera – per togliere il sonno a tutti.» Forse è vero. (29 ottobre 1977) *Quattro revolverate in faccia a [[Carlo Casalegno|Casalegno]], che ora è grave. Alzano la mira. (16 novembre 1977) *«La Stampa» riporta tutti gli articoli di solidarietà per Casalegno apparsi sugli altri giornali. Ma omette il mio, ch'era forse il più caldo: la solidarietà nostra la imbarazza. (18 novembre 1977) *Casalegno è morto. Ho telegrafato alla vedova, ma non al figlio – iscritto a [[Lotta Continua|Lotta continua]] –, né a [[Arrigo Levi|Levi]] e ai colleghi della «Stampa». Purtroppo, la loro faziosità condiziona la nostra solidarietà. Al funerale andrà Biazzi. (29 novembre 1977) *Incontro risolutivo a Roma tra Ferrauto e quelli della Sipra. Affare fatto e a condizioni molto più favorevoli di quelle sperate. Sei miliardi e settecento milioni come minimo annuo garantito, per cinque anni. Firmeremo il compromesso martedì 16. (10 maggio 1978) *Vista in tv la cerimonia funebre per Moro in San Giovanni Laterano. Dentro la basilica, tutti i dignitari Dc e quelli Pci inginocchiati sotto la mano benedicente del papa. E, fuori, la piazza sventolante di bandiere bianche e rosse. Non ho potuto fare a meno di rilevarlo in un "Controcorrente". (13 maggio 1978) *Batosta comunista alle amministrative parziali di ieri (4.000.000 di elettori). La Dc sale dal 38 al 42 per cento, il Pci scende dal 35 al 26. Successo dei socialisti che guadagnano il 4 per cento. Un risultato sconvolgente (in positivo). Uniche delusioni: il guadagno – sia pur minimo – del Pri, e la mancata rianimazione del Pli. (15 maggio 1978) *Firmato oggi l'accordo con la Sipra. Minimo garantito: 6.800.000.000 all'anno per cinque anni. Il presidente, D'Amico, è un ex operaio della Fiat, ora deputato comunista: un uomo concreto, franco, di poche parole. Era più soddisfatto lui dell'accordo con noi, che il direttore generale, il democristiano Pasquarelli. Io ho fatto la mia parte, da buon attore. Arrivato all'ultimo momento, ho detto: «Per impedire ripensamenti ed equivoci, trasformiamo il compromesso in vero e proprio contratto, e firmiamo subito». Lo champagne era già pronto. (16 maggio 1978) ==''I protagonisti''== *Nel settembre di quell'anno {{NDR|1956}} il partito lo spedì {{NDR|[[Gian Carlo Pajetta]]}} a Mosca insieme a Pellegrini e a [[Celeste Negarville|Negarville]] per sentire direttamente da [[Nikita Sergeevič Chruščёv|Kruscev]] come ci si doveva comportare nella crisi, ormai aperta, dell'antistalinismo. Kruscev li accolse affabilmente, li invitò a cena. E qui, trascinato da bocconi e libagioni ad una espansiva euforia come spesso gli capita, a un certo punto disse: «Beh, ora vi voglio raccontare come strangolammo [[Lavrentij Pavlovič Berija|Beria]]». E descrisse l'agguato che gli avevano teso al Cremlino, come gli erano saltati addosso e come gli avevano serrato la gola con le mani fino alla soffocazione. Lo descrisse ridendo allegramente, forse senz'accorgersi del pallore che soffondeva il volto dei suoi ospiti, o per lo meno quelli di Pajetta e di Negarville.<br />L'indomani li convocò nuovamente e, come non ricordando affatto ciò che gli aveva raccontato la sera prima, disse loro in tono solenne: «Beh, ora vi farò sentire il processo di Beria registrato sul nastro». E glielo fece sentire davvero come lo avevano inventato ''post mortem'', con la voce del defunto falsificata.<br />Quando si ritrovarono fra loro, Negarville e Pajetta si guardarono con gli occhi pieni di lacrime. «Ma allora – dissero –. Ma allora...». E non aggiunsero altro. (pp. 66-67) *{{NDR|Su [[Anna Magnani]]}} Ci sarebbe da scrivere un trattato sul modo di usare Anna. La prima precauzione da prendere è quella di non farla ritrovare in mezzo a estranei. Timida com'è, pur dopo un'esistenza trascorsa sotto i ''flashes'', la gente la raggela e la chiude in un mutismo ostile o l'aizza ad atteggiamenti protervi. Delle poche persone che le ho presentato, l'unica che la sedusse immediatamente fu il mio collega [[Augusto Guerriero]], perché il discorso cadde sui cani e sui gatti: e questo è un argomento su cui il cuore di Anna si scioglie e la mente le si ottenebra. Si mise in testa che noi due, con un articolo, potevamo far riformare la legge sulla protezione degli animali. E invano cercammo di dimostrarle che il problema non era di leggi, ma di costume. Non sentì ragioni. Dovemmo prometterle l'articolo (che poi infatti scrivemmo). (pp. 177-178) *{{NDR|Su [[Ignazio Silone]]}} Leggendo i suoi primi romanzi, ''Fontamara'', ''Pane e vino'', ''Il seme sotto la neve'', e pur ammirandoli, ero caduto in abbaglio sull'autore. Lo avevo preso per uno di quegl'industriali dell'antifascismo che, riparati all'estero, avevano trovato nella universale avversione alla dittatura una comoda scorciatoia al successo dei libri di denunzia. Lo consideravo insomma un profittatore del regime a rovescio (come del resto ce ne sono stati). E una conferma mi era parso di vederla nel fatto che finito, col fascismo, l'antifascismo, parve finito anche il narratore Silone.<br />Poi vennero ''Una manciata di more'', ''Il segreto di Luca'', ''La volpe e le camelie''. Ma vennero soprattutto alcuni saggi politici che mi costrinsero a ricredermi. Ed era proprio questo che non riuscivo a perdonargli. Mi era antipatico non per i suoi, ma per i miei errori. Più lo conoscevo attraverso i suoi scritti, e più dovevo constatare che non solo egli non somiglia affatto al personaggio che m'ero immaginato, ma che anzi ne rappresenta la flagrante contraddizione. (pp. 180-181) *{{NDR|Su ''[[Ignazio Silone#Uscita di sicurezza|Uscita di sicurezza]]''}} Come documento umano, non ne conosco di più alti, nobili e appassionati. Fenomeno unico, o quasi unico, fra gli sconsacrati del comunismo che di solito non superano mai più il trauma e trascorrono il resto della loro vita a ritorcere l'anatema, Silone non recrimina. Egli rifiuta i grintosi e uggiosi atteggiamenti del moralista, o meglio ne è incapace. Domenicano con se stesso, è francescano con gli altri, e quindi restio a coinvolgerli nella propria autocritica. Cerca di metterne al riparo persino [[Palmiro Togliatti|Togliatti]]; e se non ci riesce che in parte, non è certo colpa sua. Qui non c'è che un accusato: Silone. E non c'è che un giudice: la sua coscienza. (pp. 186-187) *Noi crediamo di scoprire dei modelli. In realtà non scopriamo che degli antenati. [[Carlo Cassola|Cassola]] s'illude di aver imparato da [[James Joyce|Joyce]] quello che già sapeva. Joyce gli avrà fornito, al massimo, qualche mezzo tecnico per esprimerlo. Uno [[scrittore]] vero (e Cassola lo è) non cerca in un altro scrittore che se stesso. (p. 207) *{{NDR|Su [[Enrico Mattei]]}} Egli amava solo il [[potere]], e l'amore del potere esclude tutti gli altri. (p. 265) *{{NDR|Su [[Giulio Andreotti]]}} Andava anche, mi dicono, a messa insieme a lui {{NDR|[[Alcide De Gasperi|De Gasperi]]}}, e tutti credevano che facessero la stessa cosa. Ma non era così. In chiesa, De Gasperi parlava con Dio; Andreotti col prete. Era una divisione di compiti perfetta. (pp. 271-272) ==''Indro al Giro''== ===[[Incipit]]=== Il destino è stampato sulla carta d'identità e scritto nelle stelle. Indro Montanelli nasce il 22 aprile 1909, il primo Giro d'Italia prende il via il 13 maggio 1909. Stesso anno, stesso segno zodiacale: Toro. Potevano, queste due creature quasi gemelle, non percorrere un tratto di strada insieme? Potevano ignorarsi? ===Citazioni=== *Come i bersaglieri quando smettono di correre, così i ciclisti, quando cessano di pedalare ingrassano. *Il [[Giro d'Italia]] parla milanese, anche se poi, a vincerlo, è qualche toscano o qualche romagnolo. *I corridori sono come [[Anteo]]: il contatto con la loro terra gli dà forza. *Ma sapete voi con precisione che cosa sia una fuga, lo sapete? Non lo sapevo nemmeno io prima di vederla. Credevo che fosse l'uomo che, a un certo punto, si mette a pedalare più forte degli altri e li semina per via. Errattissima nozione. La fuga è invece un grande urlo e un gesto disperato che mettono d'improvviso in confusione tutta la carovana del Giro. *Quello della bicicletta è un mondo buono: e credo sinceramente che venga da questa bontà il fascino ch'esso esercita sulle folle. *Lasciatelo com'è questo Giro provinciale e festoso: lo sport di un popolo che, nella corsa verso il progresso meccanico, è rimasto alla bicicletta, tappa intermedia fra il cavallo e l'automobile, ritrovato artigiano e arnese di famiglia. *Se Parigi avesse il mare sarebbe una piccola Bari, ma non saprebbe accogliere i forestieri con tanto calore e sportiva cordialità. *Leoni, che oltre a tutto è un bellissimo ragazzo, ha una fidanzata la quale gli scrive raccomandandogli di non vincere, altrimenti troppe ragazze lo abbracciano porgendogli i fiori. Leoni è innamoratissimo della sua fidanzata ma non è certo per obbedire a lei che non vince. È solo per obbedire a [[Fausto Coppi|Coppi]] e restargli a fianco. *Gli assi possono permettersi di arrivare ultimi. E lo fanno senza risparmio. Possono permettersi di disprezzare i loro adoratori e lo fanno senza ritegno. L'adorazione rimane. *I corridori di bicicletta sono gente semplice, che non è mai stata in collegio. [...] Nessuno ha insegnato loro i dettami dello stile e della cavalleria. Li posseggono per natura. Difficilmente essi cercano di sminuire la vittoria dell'avversario e non gliene serbano rancore. Sono capaci di delicatezze che non credo esistano negli altri sport. *I corridori non si dovrebbero sposare; e, quando lo fanno, dovrebbero scegliere delle donne brutte. *È la specialità dei padri quella di sognare per i figli i trofei che loro non convengono, ed è la specialità dei figli quella di procurarsi trofei che ai loro padri non piacciono. ==''Le nuove Stanze''== *Ribadisco la mia avversione alla pena di morte. Ma non me la sento d'impartire lezioni a chi tuttora la pratica. Non mi pare che, con la Giustizia che ci troviamo in casa, noi italiani possiamo impartire lezioni agli altri. (p. 46) *Toglietevi la parrucca, cari storici italiani. E invece di continuare a parlarvi tra voi, parlate, andando incontro alle sue curiosità, alla gente comune, quella che ha più bisogno del vostro sapere, e che sa benissimo distinguere il volgare pettegolezzo dall'aneddoto illuminante, di cui gli storici stranieri, soprattutto inglesi, compreso [[Denis Mack Smith|Mack Smith]], sanno fare buono e largo uso. (p. 81) *Io non sono piemontese né savoiardo, e la tradizione della mia famiglia è, caso mai, repubblicana. Ma la verità sono abituato a rispettarla, e non ad accomodarmela secondo i miei gusti e pregiudizi. Nel '46 votai monarchico non perché ero amico di Umberto e di Maria José, che sarebbero stati un Re e una Regina esemplari. Ma perché capivo ch'essi rappresentavano l'unico filo che ci legava all'unica nostra tradizione nazionale: il Risorgimento. La rigiri come vuole [...] ma la verità è questa: che senza Risorgimento non esiste una Storia nazionale italiana, e senza i Savoia non esiste Risorgimento. Ecco perché io dico e ripeto che la Repubblica italiana può tenere i Savoia [...] fuori dal territorio italiano. Ma chi tenta di estrometterli dalla Storia d'Italia, se non è un analfabeta è certamente un falsario. (pp. 112-113) *{{NDR|[[Luigi Cadorna]]}} Fu un generale di grande e inflessibile carattere, ma non un grande stratega. La sua fu dal primo all'ultimo giorno una guerra «di posizione», e quindi di logoramento, muro contro muro. Una «manovra» non la tentò mai, anzi non la concepì nemmeno. Stava [...] al «Regolamento», secondo il quale «le battaglie si vincono sulle cime». Sicché quando arrivò un battaglione tedesco al comando di un giovane capitano di nome Rommel che [...] s'insinuò nottetempo nelle valli, tutto il nostro schieramento ne venne preso alle spalle, e si liquefece, consentendo a Rommel di arrivare fino al Piave, dove si fermò: non per la resistenza dei nostri [...] ma per la mancanza di rifornimenti e di munizioni, che non avevano fatto in tempo a seguirlo. (pp. 118-119). *Quanto alla somiglianza fra noi e gli spagnoli, sì, c'è. Io, in Spagna, mi sento come a casa mia. Una sola cosa ci trovo in più: una dimestichezza con la morte che dà ai valori della Vita (la Dignità, il Coraggio, l'Onore) un peso ben diverso da quello che hanno da noi. E glielo invidio tanto. (p. 157) *Quanto alla sua supposizione che, se non ci fossero stati i russi, gli Alleati non avrebbero potuto sbarcare in Normandia e salvare i loro regimi democratici, mi permetta di sorriderne. Hitler perse la [[Seconda guerra mondiale|guerra]] prima ancora di dichiararla, quando scatenò la persecuzione razziale, che mise il mondo di fronte alla pretesa della sua «razza eletta» al dominio del pianeta e costrinse alla fuga il fior fiore della Scienza ebraica, che diede all'America la bomba atomica, la quale avrebbe reso superfluo anche lo sbarco in Normandia. (pp. 177-178) *In [[Alessandro Pavolini|Pavolini]] [...] è riassunto il dramma di una generazione che nel fascismo era cresciuta [...] e si sentiva impegnata a crederci anche in quell'ultima disperata fase. In lui ritrovo un po' di quel [[Berto Ricci]] [...] che, partendo volontario per la Libia, mi disse: «Una volta, nella vita, ci si può convertire. Io già lo feci rinnegando, per il fascismo, il mio passato di anarchico. Ora col fascismo devo morire». E morì. (p. 192) *Come lei certamente sa, furono i russi a giungere per primi sul famoso bunker di Berlino, fra le cui macerie si diedero subito a cercare il cadavere del Fuhrer, e lo trovarono, ma quasi completamente carbonizzato (egli aveva lasciato ai suoi l'ordine di bruciarlo con una tanica di benzina). D'intatto era rimasto solo il teschio con la sua dentatura costellata di ponti e protesi. Immediatamente fu ricercato e trascinato sul posto l'odontoiatra che glieli aveva sistemati. Dapprima gli fu chiesto in cosa erano consistiti i suoi interventi. Poi vi fu messo davanti, e lui li riconobbe senza esitazioni. Quel giorno il poveretto non tornò a casa. Dopo alcuni anni si seppe che esercitava il suo mestiere in non so quale città di provincia russa, ma sotto stretto controllo della polizia. Dopo qualche altro anno poté tornare in Germania, ma in [[Repubblica Democratica Tedesca|quella comunista]], sotto il controllo di una polizia ancora più efficiente di quella sovietica, e lì morì, non so quando. Perché i sovietici vollero sempre mantenere quel segreto? Perché alla loro propaganda [...] faceva comodo accreditare la favola di un Hitler salvato dagli americani, che lo tenevano sotto naftalina in qualche loro dorato ripostiglio per poterlo un giorno utilizzare in una nuova guerra contro la Russia. (pp. 257-258) *Da anticomunista, oserei dire «storico» quale mi considero, io sono pieno di rispetto sia per i Nagy nostrani quali i D'Alema e i Veltroni, che per i Kádár, quali i Cossutta e i Diliberto. Non so se come classe dirigente siano il meglio. Ma come sincerità di conversione democratica, ci credo (come credo, intendiamoci, a quella di un Fini, anche se viene da un passato molto meno intenso, drammatico e dilacerante di quello comunista). (p. 306) *{{NDR|A [[Mario Tuti]]}} Ho ben presente [...] il suo nome e il suo volto, e le azioni terribili che lei ha compiuto. [...] Da come scrive [...], lei è in grado di capire [...] quello che dico. È vero che «sul nemico vinto non si infierisce»: ma il sangue non si cancella con la gomma delle parole. Solo le vittime possono concedere il perdono; e io non sono stato, fortunatamente, davanti al mirino della sua pistola. Solo la giustizia può concedere sconti: e io non sono un magistrato. Non ho invece difficoltà a condividere una sua osservazione: alcuni disgraziati [...] sono più disgraziati di altri. E [...] i disgraziati di destra se la passano peggio dei disgraziati di sinistra, che hanno di solito qualche amico di gioventù ben piazzato, in grado di dare una mano. Ma il perdonismo peloso di alcuni non può giustificare la distrazione di tutti. (p. 322) *[[Yasser Arafat|Arafat]] non ha mai avuto né uno Stato, né un esercito, né un titolo che lo qualificassero a parlare a nome del suo popolo. Erano il carisma, l'autorità, il prestigio suoi personali che gli permettevano di svolgere questo compito. Ma questo dipendeva dal fatto che il suo popolo glieli riconosce in quanto si sente da lui «rappresentato». [...] Io sono e mi sento profondamente filo-israeliano perché negli ebrei riconosco i miei fratelli e in molte cose anche i miei maestri (anche se non sempre facili). Ma appunto per questo apprezzo ed ammiro gli Hussein, i Sadat e gli Arafat. Ai quali si possono anche rimproverare degli errori nella conduzione della loro politica. Ma non certo le intenzioni e il coraggio. Arafat è brutto [...] e non so come facciano i suoi amici (e i suoi nemici) [...] a ricambiarne i baci. Ma di quelli suoi credo proprio che ci si possa fidare. Che Dio, anzi Allah, ce lo mantenga ancora per molti anni. (pp. 387-389) *Come veterano del ''Corriere'' e un po' depositario della tradizione di una certa civiltà nei rapporti fra i suoi uomini, io rimasi offeso non dal licenziamento di Spadolini [...] ma dall'insolito modo – che io definii appunto «guatemalteco» – in cui era stato trattato e da cui trapelava la mano di un [[Giulia Maria Crespi|editore]] che, anche se portava il nome di quello vecchio [...], intendeva introdurre nuove regole nella gestione del giornale, di cui era praticamente diventata [...] la titolare. E lo dissi, e lo scrissi, e lo ripetei in varie interviste. Forse tuttavia questo strappo si sarebbe potuto rammendare se il cambiamento del direttore non avesse comportato anche un cambiamento di linea politica che saltava agli occhi di chiunque non volesse tenerli chiusi. [...] Quando dal ''Giornale'' uscii per ragioni abbastanza analoghe a quelle che mi avevano spinto fuori da via Solferino, il primo a venirmi incontro fu il direttore del ''Corriere'', Paolo Mieli, che [...] mi offrì il suo posto: un gesto che non dimenticherò mai. Avrei potuto [...] accettarlo solo a titolo onorario. Ma non potevo abbandonare gli uomini che ancora una volta mi avevano seguito. Da quel momento però fu chiaro che il ''Corriere'' era ridiventato quello che noi, vent'anni prima, avremmo voluto che restasse. Ecco perché, al termine delle mie battaglie e delle mie sconfitte (che considero il mio blasone), sono tornato al ''Corriere''. (pp. 406-408) *I politici della Sinistra, compresi i componenti dell'attuale «squadra» governativa sono dieci, venti, cento volte meglio della loro ''intellighenzia''. Anche se dicono fregnacce, le dicono a bassa voce, senza salire in cattedra, di dove l'''intellighenzia'' invece non scende mai, nemmeno per andare in bagno. (pp. 477-478) *Spero che ora avrai capito cos'è la mia dichiarazione di voto: non un sì all'Ulivo, da cui spero poco, ma in compenso non temo niente; ma il no a un Polo che, se riportasse davvero la schiacciante vittoria che si aspetta il suo ''Caudillo'', potrebbe creare nel nostro Paese una situazione davvero inquietante. Un voto di difesa sarà dunque il mio, come lo è sempre stato da oltre cinquant'anni a questa parte. (p. 496) *Sappi soltanto che, passato per una ventina di anni – quelli del ''Giornale'' – per «fascista» e negli ultimi dieci per «comunista», me la rido di entrambe le etichette. (p. 536) ==''Le Stanze''== ===[[Incipit]]=== Di tutta la mia attività giornalistica [...] considero questi colloqui col lettore come l'impegno che mi è riuscito meglio, o meno peggio. Se qualcuno mi chiedesse: «Cosa vorresti che, dopo di te, di te rimanesse?», risponderei senza esitare: «Questi colloqui». Mi rendo conto che un'affermazione del genere può apparire demagogica: in fondo, perché dovrei preferire queste risposte quotidiane [...] alla ''Storia d'Italia'' o agli ''Incontri''? È presto detto: perché, grazie a lettere e risposte, ho potuto restare vicino ai miei lettori, che mi hanno ricordato – con più o meno garbo, ma sempre con affetto – quello che un giornalista non deve mai scordare: che i padroni sono loro. ===Citazioni=== *Io non ho mai conosciuto un conservatore inglese che abbia mosso a Churchill il rimprovero di essersi alleato con Stalin – altro che il naso dovette strizzarsi! – quando le armate di Hitler spazzavano tutta l'Europa. Ma trovo ancora degl'italiani [...] che danno la colpa a me dello stato di necessità in cui ci trovammo nel '48 e nel '76 e che rendeva obbligata la nostra scelta. Oggi che il muro di Berlino ci ha liberato dall'incubo del comunismo [...], è facile fare processi a chi non aveva in mano altra arma elettorale che il voto alla Dc. Ed una cosa mi chiedo: tutti questi intransigenti eroi dell'anticomunismo, che oggi mi scrivono lettere d'insulti accusandomi di averlo tradito, dov'erano al tempo del comunismo vero, quando io ero uno dei pochissimi a combatterlo di fronte [...], e loro, incontrandomi per strada, fingevano di non conoscermi? (p. 12) *Hiroshima, se fossi americano, non porrebbe [...] nessun caso di coscienza. L'arma atomica era in fase di studio e di preparazione sia in Germania che in America, e si poteva supporre che lo fosse anche in Russia e in Giappone. Avrebbe vinto la guerra e deciso le sorti del mondo chi ci fosse arrivato per primo. Hiroshima fece della popolazione civile, dicono, duecentocinquantamila vittime. Quante ne risparmiò inducendo alla resa i giapponesi che sembravano vicini all'olocausto? E quanto servì a smorzare la pretesa sovietica d'imporre il suo «diktat» a tutta l'Europa? [...] Essa a tal punto sorprese Stalin che dapprincipio non ci volle credere [...]. Nessuno può applaudire un massacro come quello di Hiroshima né andarne fiero. E posso capire come coloro che vi hanno partecipato dandone l'ordine o eseguendolo possano aver avuto dei problemi di coscienza. Ma gli aviatori inglesi che rasero al suolo l'inerme Dresda abitata solo da civili, facendo tra di loro pressappoco lo stesso numero di vittime che a Hiroshima, questi problemi, da quanto se ne sa, non li ebbero. Forse che la guerra all'atomo è più crudele di quella al fosforo? (p. 62) *De Gasperi non fu mai uomo di partito. E fu proprio per questo che riuscirono ad emarginarlo con tanta facilità, relegandolo in una Presidenza grondante omaggi ed ex voto, ma priva di qualunque potere reale. È vero che lui non lottò, anche perché era ormai a corto di fiato. Glielo toglieva non solo l'azotemia, ma anche il fallimento della Ced, la Comunità Europea di Difesa su cui De Gasperi fondava [...] i suoi sogni di salvezza e di grandezza europea, che i francesi di Mendès-France condannarono al naufragio. [...] De Gasperi era uomo di Stato, l'ultimo che l'Italia ha avuto dopo Giolitti. Ecco perché [...] non ha né può avere eredi. (p. 86) *{{NDR|[[Che Guevara]]}} Era uomo di Rivoluzione, che mai si sarebbe rassegnato ad una comoda esistenza di ben pasciuto gerarca. Doveva tornare alla Rivoluzione, pur consapevole della sua impossibilità in Paesi che lui ben conosceva, ma appunto proprio per questo: per cercare una morte coerente con la sua vita. [...] Avessi trenta o quarant'anni di meno, anch'io forse avrei nel mio modesto appartamento una stanza attrezzata a mausoleo del Che, e lo conserverei come souvenir di un Sogno sbagliato, ma pulito, e comunque pagato. È a coloro che non vogliono mai pagare nulla che va tutto il mio disprezzo. (p. 121) *Non mi stupirei [...] se il ragazzotto Clinton, nei suoi anni da governatore, avesse ingannato la noia dell'Arkansas inseguendo le minigonne di passaggio. [...] Il paragone con Berlusconi mi sembra un po' stiracchiato. Se Clinton venisse trovato colpevole, sapremmo che è un adultero (affari suoi); se Berlusconi venisse condannato, sapremmo che è un corruttore non occasionale (affari anche nostri, dal momento che s'atteggia a statista). (p. 154) *Mi permetto solo di aggiungervi qualcosa sull'imbecillità, l'ipocrisia e i vaniloqui delle nostre «anime belle» pronte a cadere in deliquio e a mobilitare le piazze per un O'Dell che, anche se qualche tenue dubbio sulla sua colpevolezza poteva sussistere, uno stinco di santo certamente non era, e per una Karla Tucker, rea confessa, anche se poi arcipentita e sinceramente convertita al credo della carità cristiana (e, sia chiaro, anch'io avrei per entrambi preferito la revoca della pena di morte); ma sono rimaste impassibili o quasi di fronte alla proposta condanna di lapidazione (di lapidazione!) di un cittadino tedesco e della sua compagna iraniana, rei di aver fatto l'amore (soltanto l'amore). Queste sono le nostre «anime belle» laiche ed ecclesiastiche, pronte a commuoversi e a sproloquiare contro la sedia elettrica americana [...], ma indifferenti alla lapidazione [...] per una «contaminazione» di lenzuola cristiane e musulmane. Io [...] queste anime belle – che oltre tutto hanno quasi sempre delle facce bruttissime e jettatorie – le odio di un odio viscerale. (p. 206) *Sul nemico vinto e che si riconosce vinto non s'infierisce. In fondo questi brigatisti hanno avuto, nella sconfitta, una loro dignità. Non sono dei «pentiti» al modo dei mafiosi e camorristi che si pentono per procurarsi dei vantaggi e denunziano i propri ex compari. Non sono dei delatori. Sono, a loro modo, dei prigionieri di guerra, di una guerra grazie a Dio finita con la nostra vittoria, e che quindi, sia pure con le debite precauzioni, possiamo rimandare a casa. Non è vero che non hanno pagato: me ne citi uno che non abbia scontato quindici o vent'anni di galera e che non ne abbia distrutta la vita. Qualche sconto possiamo farglielo: la generosità è segno di forza, non di debolezza. (pp. 283-284) *In una società «aperta» come la nostra, che rende impossibile qualsiasi controllo e in cui il sequestro è un'industria di antica tradizione che dispone di un personale altamente specializzato; e con una Giustizia che invece di affibbiare un ergastolo senza indulgenza ai colpevoli, si accontenta di infliggergli qualche anno alleviato dai permessi di libera uscita; cosa possono fare le forze dell'ordine? Starebbe a noi cittadini trovare quella di resistere al ricatto. Da noi italiani tenerelli non si può pretendere tanto? E sia. Ma allora abroghiamo la legge. Perché, come italiano, nulla mi ha mortificato di più che sentire [...] [[Giovanni Maria Flick|un ministro della Giustizia]] e alcuni dei più alti dignitari della toga proporne un'interpretazione che costituiva un chiaro invito a evaderla suggerendo il cavillo a cui ci si poteva aggrappare per legalizzare la contravvenzione. [...] No, a questo non ci sto. Cerchiamo almeno di avere il coraggio della nostra vigliaccheria riconoscendo che, dati i pericoli che possono comportare, i risoluti «No!» al sopruso non appartengono al nostro armamentario caratteriale, e aboliamo la legge. Ma non perché è sbagliata: in sé quella legge è sacrosanta. Ma perché noi cittadini non abbiamo la forza di adeguarcisi e coloro che dovrebbero imporcerne l'osservanza [...] ci suggeriscono il modo di evaderla. Questo è il cosiddetto «Paese reale». (p. 286) *Che un processo possa essere oggetto di revisione è, per il cittadino, una garanzia irrinunciabile, specie quando si tratta di processi indiziari, e quindi rimessi a valutazioni soggettive e pertanto sempre discutibili. Nessuno è infallibile, nemmeno i giudici, e quindi il diritto di appello è sacrosanto. Quello che sacrosanto non è, sono gl'interminabili tempi che questa operazione solitamente richiede, dovuti a due motivi chiaramente visibili: i grovigli procedurali in cui il processo è avvolto, delizia del genio cavillesco italiano, e l'inefficienza del personale che vi è addetto. (p. 327) *Che cosa io pensi dell'onorevole [[Cesare Previti|Previti]] mi pare di averlo detto in termini talmente espliciti da apparire – a più d'uno – brutali: un personaggio che solo a guardarlo in faccia verrebbe voglia di applicargli le manette ai polsi prima ancora di sapere chi è e cosa ha fatto. (p. 356) *Non credo che, all'apertura totale delle frontiere, avremo un Parma composto soltanto di irlandesi, o una Cremonese modello ellenico. Avremo invece un vero mercato, dove il costo e lo stipendio di un professionista verranno stabiliti in base alla domanda e all'offerta. È questo ridimensionamento, mi sa, che non piace ai calciatori nostrani. Non la «sottoutilizzazione delle risorse sportive nazionali e locali». Non penso che i nostri calciatori abbiano altri motivi di preoccuparsi. Perché mai dovrebbero venire accantonati? Sono tra i più bravi del mondo, e la bravura, per un professionista (che calci una palla o calchi una scena), è la garanzia migliore. (p. 379) *Le mie dimissioni da italiano sono soltanto quelle da una grande illusione: quella che l'Italia fosse una Patria da potere in qualche modo servire. Io, pur commettendo parecchi errori, ho cercato di farlo. Ma forse, di questi errori, il più grosso è stato quello di credere che fare si potesse. A consolarmene c'è una cosa sola: che questo errore lo hanno commesso tutti i migliori uomini che l'Italia ha avuto nel suo secolo e mezzo di vita unitaria. (pp. 410-411) ==''Pantheon minore''== ===[[Incipit]]=== '''Einaudi'''<br>Avendo saputo che sollecitavo l'onore e il piacere di incontrarlo, il Presidente, che non mi aveva mai visto, trovò del tutto naturale invitarmi a colazione. «Quando vuol venire?» mi fece chiedere, «giovedì mattina, per esempio?» Giovedì voglio stappare una nuova bottiglia del mio 'barolo' e ci sarà anche la signorina Barbara Ward dell{{'}}''Economist''. Vino piemontese, giornalismo ed economia politica, pensa: sarebbe difficile sorprendere [[Luigi Einaudi|Einaudi]] in una cornice più einaudiana di questa. ===Citazioni=== *{{NDR|Luigi Einaudi}} E in quei pochi minuti aveva ancora tante cose da dire a due giornalisti per ricordare loro, [[Alessandro Manzoni|manzonianamente]], che l'[[uomo]] è «buono», come dice [[Jean-Jacques Rousseau|Rousseau]], ma tale può diventare solo in grazia delle buone istituzioni (in ciò consiste la sua posizione conservatrice e cattolicamente pessimistica). *[[Ingrid Bergman]] è forse la sola persona al mondo che non consideri Ingrid Bergman un'attrice completamente riuscita e definitivamente arrivata. (p. 195) *Non ho mai visto in vita mia, nemmeno nei film di cui la Bergman è protagonista, una donna così trasparentemente pulita. (p. 195) *Ogni buon [[padre]] di [[famiglia]] deve, al principio della giornata, sapere quanto la famiglia ha in cassa e quanto può spendere.<br>Einaudi conosce a memoria le cifre dell'economia italiana, come i re che lo precedettero conoscevano a memoria i nomi e i motti dei reggimenti. *«''Venez, mademoiselle, venez''», disse [[Anatole France]] a [[Emma Gramatica]] che, poco più che ventenne, si trovò un giorno a viaggiare con lui in automobile a Palermo, e aveva paura di essere troppo ingombrante sul sedile. «''Vous êtes comme les anges, qui n'ont pas de derrière!''»<br>Qualcosa come mezzo secolo dev'esser trascorso da allora, ed Emma somiglia un po' meno a un angelo, ma grassa non la si può dire nemmeno adesso. La vita che mena, d'altronde, non lo consentirebbe di diventarlo. Alla sua età, ha girato per tre anni consecutivi, tutti i teatri dell'America del Sud, volando da Buenos Aires a Santiago, da Santiago a Lima, da Lima a Caracas, e recitando una sera in italiano e la sera dopo in spagnolo, lingua che, sino al momento di partire, ignorava totalmente. Ora è tornata per girare un film con [[Vittorio De Sica|De Sica]], e sono fatiche a cui molti giovani non resistono. *Il [[fascismo]] trovò, tra i suoi oppositori più accaniti, [[Mario Missiroli]], che si batté a duello con [[Benito Mussolini|Mussolini]]. Egli non credette alla [[forza]] e al successo delle «camicie nere» fino al [[giorno]] in cui, mentre cercava faticosamente di salire sul tram, uno squadrista che lo incalzava, dopo avergli inflitto una serie di spintoni, non gli ebbe affibbiato, in risposta alle sue proteste, due sonori schiaffi che gli fecero volar via gli occhiali cerchiati d'[[oro]]. Mario li raccolse con [[dignità]], vi fiatò sopra, li ripulì col fazzoletto e concluse in tono ammirativo: «Però!... Picchiano bene, veh!...» ==''Qui non riposano''== *{{NDR|Sulla [[guerra d'Etiopia]]}} Quella fu una guerra ideale, la guerra-tipo della borghesia italiana: con pochi morti e molte medaglie. Io presi a capirne la miseria solo all'ultimo capitolo: quando, per la marcia su Addis Abeba, cominciarono a piovere dall'Italia e da Asmara gerarchi e aspiranti gerarchi, smaniosi di gloria a buon mercato: e Badoglio dovette emanare un ordine per cui solo chi presentava "un biglietto di autorizzazione" poteva marciare sulla capitale nemica. Solo in tempo fascista si poteva escogitare un finale di guerra con un biglietto per la capitale nemica. (pp. 107-108) *Io non volevo far politica. Ha il diritto un uomo della strada di non far politica? Ha il diritto un uomo della strada a dire che il governo ha fatto bene a far questo e male a far quest'altro? Ha diritto un giornalista, che è un uomo della strada, il quale va a vedere e riferire le cose per conto degli altri uomini della strada, ha il diritto di riferire che i fatti si svolsero così e così, e che in essi c'era tanto il bello e tanto il brutto, tanto di giusto e tanto d'ingiusto? No, il [[fascismo]] disse che un uomo della strada non ha tutti questi diritti. Ecco perché diventai antifascista. Non perché al posto di [[Benito Mussolini|Mussolini]] ci volevo un altro, ma perché non ci volevo nessuno. Io volevo stare alla finestra, come stanno i giornalisti, mestiere di spettatore e non di attore.<ref>Citato in Paolo Granzotto, ''Indro Montanelli'', p. 92.</ref> (p. 189) *[...] volevo avere il diritto di non pensare alla [[politica]], di disinteressarmi della politica, perché la politica la gente dabbene non la fa. La gente dabbene lavora in ufficio, viaggia, commercia, produce, ama una donna che può anche essere sua moglie (come è il mio caso), ama i suoi figli, ama la sua casa, paga le tasse, e di politica ne parla un quarto d'ora al giorno. (p. 190) == ''Ricordi sott'odio'' == *''Non piangete | per | [[Cesare Zavattini]] | ha già pianto | lui per tutti noi.''<ref name=ricordi>Il libro raccoglie gli "epitaffi" scritti su personaggi al momento viventi (talvolta insieme a [[Leo Longanesi]]) e quasi tutti inediti.</ref> (p. IV dell'Introduzione di Marcello Staglieno) *''Qui | per la prima volta | [[Alida Valli]] | giace | sola''.<ref name=ricordi/> (p. 11) *''Qui | riposa | [[Amintore Fanfani]] | amico | dei nemici | nemico | degli amici | figlio | di [[Alcide De Gasperi|De Gasperi]] | padre | di nessuno.''<ref name=ricordi/> (p. 31) *''Qui | riposa | [[Mario Melloni]] | inquieto | transfugo | di sé stesso | momentaneamente | scomparso | a sinistra | in cerca | di una croce | su cui | inchiodarsi.''<ref name=ricordi/> (p. 65) *''Qui giace | Alba {{ndr|[[Alba de Céspedes]]}} | scrittrice scialba. | Divorò uomini e gloria | La Boria | la divorò''.<ref name=ricordi/> (p. 95) *''Qui | riposa | [[Mario Soldati]] | padre | figlio | autore | regista | interprete | di | Mario Soldati.''<ref name=ricordi/> (p. 123) *''Qui giace | [[Davide Lajolo]] | Segretario federale | Legionario di Spagna | Repubblichino di Salò | chiese | di passare all'anilina | la sua camicia nera. | E com'era | Rimase.''<ref name=ricordi/> (p. 179) *''In pace | qui giace | orbato | d'orbace | [[Achille Starace]].''<ref name=ricordi/> (p. 181) ==''Soltanto un giornalista''== *Da quando ho cominciato a pensare, ho pensato che sarei stato un giornalista. Non è stata una scelta. Non ho deciso nulla. Il giornalismo ha deciso per me. E questa è stata una delle mie tante fortune, posto che tutto quel che ho fatto lo debbo soprattutto a un alleato ch'è sempre rimasto al mio fianco: il caso. (p. 5) *Per sua disgrazia, [[Massimo Bontempelli|Bontempelli]] fu nominato accademico d'Italia da un fascismo che puzzava già di morto. Eletto senatore nelle liste del Fronte popolare dopo la guerra, non esitò a pronunziare giudizi brucianti su chi aveva collaborato col regime. Quel voltafaccia gli costò caro, perché a un certo punto saltarono fuori le lettere che aveva scritto a Mussolini per impetrare la sua nomina: i comunisti lo scaricarono e lui cadde in un tale stato di prostrazione da morirne. (p. 26) *A Salò ci fu di tutto. Ci furono le squadracce assetate di vendetta e di saccheggio che provocarono il disgusto agli stessi tedeschi. Ma anche uomini per i quali quello fu il banco di prova d'una coerenza e d'una lealtà che non possono non incuter rispetto. E l'unica ragione per la quale benedico le mie cosiddette benemerenze antifasciste è che mi han dato il diritto di difenderle. (p. 119) *Il 2 giugno del '46, giorno del referendum istituzionale, votai per la monarchia. Lo feci perché ritenevo fosse pericoloso recidere il tenue filo che legava l'Italia all'unica sua tradizione nazionale: quella monarchica, appunto. L'Italia non s'era "fatta da sé", come pretendeva la nostra storiografia ufficiale. Era stata fatta dalla monarchia sabauda guidata dal genio diplomatico d'un suo diplomatico, Cavour, che voleva estendere il Regno di Sardegna al Lombardo-Veneto. Se poi ci scappò fuori l'Italia, non fu grazie al contributo degl'italiani, che non ne diedero punto. Fu perché la storia dell'Europa andava verso la costituzione degli Stati nazionali, e condannava a morte quelli plurinazionali come l'Impero austriaco. [...] Al posto di quel patrimonio, sia pure modesto, cosa prometteva la Repubblica? Si presentava come depositaria dei valori della Resistenza, un mito ancora più falso di quello del Risorgimento. Che non era stata affatto, come pretendeva d'essere, la lotta d'un popolo in armi contro l'invasore, bensì una lotta fratricida tra i residuati fascisti della Repubblica di Salò e le forze partigiane, di cui l'80 per cento si batteva (quasi mai contro i tedeschi) sotto le bandiere d'un partito a sua volta al servizio d'una potenza straniera. (pp. 125-126) *Un'altra scelta s'era imposta, quella delle elezioni del '48. Per l'Italia era una scelta vitale: o con l'Est o con l'Ovest, ossia con i totalitarismi rossi oppure con le democrazie occidentali. Ergo, o con il Fronte popolare oppure con la Dc. E lì ebbe inizio il mio dramma, ch'è poi quello eterno del laico italiano: il quale, messo davanti al boia, vede comparire al suo fianco il prete che solo può salvarlo. (pp. 135-136) *Mi proposi due obiettivi, entrambi falliti: il primo era farmi intentare un processo dagli amministratori della città che attirasse l'attenzione sui pericoli che [[Venezia]] stava correndo. Il secondo era rendere pubblica la convinzione che m'ero formato: che per salvare Venezia la prima cosa da fare era sottrarla allo Stato italiano e affidarlo a un organismo internazionale come l'Onu, con le sue cospicue possibilità finanziarie e i suoi agguerriti uffici tecnici. [...] Il Comune di Venezia non aveva più nulla di veneziano, salvo la sede. A dominarlo erano gli elettori di Mestre e Marghera, che con quelli di Venezia si trovavano nella proporzione di tre a uno, e dalla loro avevano tutto: i soldi delle industrie, i sindacati e quindi anche i partiti. Decidendo di restare amministrativamente unita, Venezia ha preferito mettersi al rimorchio delle ciminiere e petroliere di Marghera, alle quali ha sacrificato il suo delicatissimo sistema idraulico. Fu allora che, con grande amarezza, feci atto di rinunzia a Venezia, convinto come ero, e come son rimasto, che una città si può salvare solo se sono i suoi abitanti a volerlo. (pp. 216-217) *Una sera, uscendo solo soletto dal «Giornale», mi trovai davanti il solito muro di folla tumultuante con le bandiere rosse spiegate. Dalla piazza si levò un urlo: «Tel chi el Muntanel!». In un attimo cinquanta scalmanati mi s'avventarono contro. Temendo il linciaggio, arretrai fino a trovarmi con le spalle al muro. Ma non feci in tempo a dire be' che mi ritrovai issato in spalla a una mezza dozzina d'energumeni, fra salve d'evviva. Erano i tifosi del [[Torino Football Club|Torino]] che quel giorno {{NDR|16 maggio 1976}} aveva vinto lo scudetto, e le bandiere non eran rosse, ma granata. E siccome i cronisti sportivi del «Giornale» erano sempre stati favorevoli al Torino, m'acclamavano come un loro idolo. (p. 241) *La Dc era il partito dei maneggi e dell'inefficienze. Ma se avesse perso il 4 o il 5 per cento dei suoi voti, il partito di maggioranza relativa destinato a formare il nuovo governo sarebbe diventato quello comunista. Ch'era ancora molto pericoloso. Perché è vero che in Italia c'era Berlinguer, ma io sapevo bene che col comunismo d'allora poteva ancora succedere di tutto: bastava un cambiamento al vertice e un Berlinguer poteva diventare un [[Alexander Dubček|Dubček]] come un [[Walter Ulbricht|Ulbricht]]. Il «Giornale» era certamente laico, ma prima di essere laico era italiano, e cercava d'operare con qualche senso di responsabilità. E negli anni Settanta solo gl'irresponsabili potevano augurarsi il crollo della Dc, cui eravamo condannati anche perché la cosiddetta Alleanza laica, l'accordo fra Pli, Pri e Psdi, non sortì mai i numeri per sostituirvisi. (pp. 243-244) *Ci fu un'unica battaglia sulla quale il «Giornale» si trovò allineato con Craxi e il nostro editore: quello per la libertà d'antenna. Battaglia sacrosanta. Berlusconi è tutt'altro che un idealista disinteressato e nessuno sa agire come lui aggirando, quando non calpestando, le regole. Ma i panni nobili coi quali i difensori della Rai rivestivano la loro offensiva politico-giudiziaria erano grotteschi. Se il peccato di Berlusconi stava nell'essere troppo amico del Psi, quello della Rai era d'essere troppo amica di tutti i partiti. A fornirci il destro furono poi i pretori coi loro interventi oscurantisti, peraltro prontamente sventati dai decreti di Craxi. E quindi la crociata dell'etere libero, che rientrava fra l'altro nella nostra tradizione antistatalista, divenne una campagna contro il "pretore selvaggio", che con i suoi abusi toglieva ogni certezza del diritto al cittadino. (pp. 275-276) *Le vere novità erano nate fuori dal Palazzo: come la Lega di [[Umberto Bossi]]. Che all'inizio anche il «Giornale», come molti altri, sottovalutò. Come si faceva a prender sul serio un invasato che nutriva le sue invettive di sfondoni storici e grammaticali da far accapponare la pelle? [...] Che Roma fosse ladrona, era indubitabile. E l'avversione per la burocrazia parassitaria e per il meridionalismo piagnone e sprecone andava a nozze con le tradizioni del «Giornale». Bossi quindi incarnava un sentimento molto diffuso anche fra i nostri lettori, una protesta genuinamente qualunquista che, per certi versi, all'inizio anche noi appoggiammo. Ma dovemmo prenderne le distanze quando Bossi cominciò a condire le sue contumelie contro il Palazzo con propositi secessionisti. (pp. 279-280) *Con Berlusconi, tuttavia, poi feci pace. Fu lui a telefonarmi: forse, aveva captato in qualche mio articolo un'ombra di rimpianto per il vecchio amico. Era il '96 e dopo il ribaltone le cose per lui si mettevano di male in peggio. [...] Così, una sera mi ritrovai di nuovo seduto alla sua mensa ad Arcore. [...] Riparlammo senza rancore dei nostri trascorsi. Gli domandai quale garanzia avesse ricevuto da [[Massimo D'Alema|D'Alema]] sulle sue aziende in cambio dell'opposizione inesistente che gli assicurava. Rise. «Ma perché, ora che hai sistemato i tuoi affari, non ti chiami fuori dalla politica?» gli chiesi. «È una parola» mi rispose rabbuiandosi. «I giudici non obbediscono neppure a D'Alema». E lì capii quale era, ormai, la vera sostanza del suo dramma. (p. 312) *Se anch'io sono diventato europeista, è per disperazione: l'Europa è forse l'unica possibilità di sopravvivere per noi italiani, che come italiani non siamo riusciti a vivere. Questo è sempre stato l'europeismo degl'italiani di più alta coscienza, a partire da [[Alcide De Gasperi|De Gasperi]], che fu il primo a capire i rischi d'un Italia lasciata in balìa degl'italiani. (p. 315) *Pur fra tante fortune, purtroppo a me la sorte ha riservato di portarmi nella tomba le due cose che ho più amato: il mio mestiere e il mio Paese. Che cosa sia diventato il primo, annientato da computer e televisione, è sotto gli occhi di tutti. Quanto al secondo, la cancrena è ormai inarrestabile e la decomposizione sta avvenendo per dissoluzione di quel poco che resta dello Stato. E dico decomposizione, non secessione. La secessione si fa anche con la violenza, e dove lo troviamo oggi un solo plotone di soldati disposto a imbracciare le armi pro o contro l'Unità dello Stato? Che, se resta ancora in piedi, è solo perché non ha neppure la forza di cadere. Quello di rinunziare alla nazione poi, è un sacrificio che non saprei compiere, anche se razionalmente mi rendessi conto ch'è necessario, oppure inevitabile. E ringrazio l'anagrafe che mi esclude dal problema. (p. 316) ==''Storia d'Italia''== {{vedi anche|Indro Montanelli e Roberto Gervaso|Indro Montanelli e Mario Cervi}} ===''L'Italia giacobina e carbonara''=== *I [[cinismo|cinici]] sono tutti moralisti, e spietati per giunta. (cap. 10, p. 144) *[[Francesco Melzi d'Eril|Melzi]] apparteneva a una delle più grandi famiglie dell'aristocrazia lombarda, e ne portava nel sangue le doti migliori: la rettitudine, la cultura, la cortesia, ma anche una certa alterigia, che probabilmente gli veniva dalla madre spagnola. (cap. 11, p. 152) *{{NDR|Francesco Melzi d'Eril}} Aveva fatto parte dei circoli illuministici dei Serbelloni, dei Beccaria e di Pietro Verri, di cui era anche cognato. [[Napoleone Bonaparte|Napoleone]] lo aveva conosciuto al tempo della sua prima campagna d'Italia, dopo la battaglia di Lodi lo aveva invitato a Mombello, e ne aveva fatto il proprio consigliere. Quel signore che portava ancora il costume settecentesco, le calze bianche e la parrucca incipriata, gli piaceva. Gli piaceva perché non era servile, perché non era venale, perché non era nemmeno ambizioso. Una leggera sordità e una salute piuttosto precaria, insidiata da un forte artritismo, l'obbligavano a riguardi incompatibili con l'esercizio del potere. Più che il protagonista, preferiva fare il suggeritore. (cap. 11, p. 152) *L'unico che avesse qualità di uomo di Stato era il ministro delle finanze, [[Giuseppe Prina|Prina]], anche perché era piemontese, cioè veniva da un paese che uno Stato lo era da secoli. Ex procuratore generale della Corte dei Conti di Torino e membro del governo provvisorio del '99<ref>1799.</ref>, si era poi trasferito nella [[Repubblica Cisalpina|Cisalpina]] e ne aveva preso la cittadinanza. Non aveva un carattere che attirasse simpatie. Anzi, chiuso e freddo com'era, le respingeva. Ma era un lavoratore instancabile e scrupoloso, dotato di un acuto senso politico e – diceva [[Stendhal]] – "ha del grande in testa". (cap. 12, p. 164) *Perché non andassero perse neanche le briciole {{NDR|delle entrate della Repubblica Cisalpina}}, Prina riformò tutto il sistema fiscale riducendone il personale e facendone una macchina di straordinaria efficienza. Fu lui a inventare la "tassa di famiglia", o meglio a ripristinarla, perché la sua vera iniziatrice era stata [[Maria Teresa d'Austria|Maria Teresa]]. Ma la maggior pressione la esercitò nel campo delle imposte indirette che colpivano tutti i consumi senza distinguere fra quelli di lusso e quelli di prima necessità. Naturalmente a farne le spese furono soprattutto le classi popolari, che di lì a pochi anni gliel'avrebbero fatta pagare<ref>Prina, dopo l'abdicazione di Napoleone, fu linciato dalla folla a Milano il 20 aprile 1814.</ref>. Ma con questi sistemi riuscì a portare le entrate da settanta a oltre cento milioni e a pareggiare il bilancio. (cap. 12, p. 165) *[[Carlo II di Parma|Carlo Ludovico]] era stato talmente oppresso dalla madre<ref>Maria Luisa di Borbone-Spagna (1782–1824).</ref> che sognava di disfare tutto ciò ch'essa aveva fatto, compreso il proprio matrimonio; e quando le successe nel '24<ref>Come duca di Lucca nel 1824.</ref>, introdusse anche per buona fortuna dei lucchesi, metodi di governo diametralmente opposti a quelli di lei. Ridusse l'appannaggio che Maria Luisa esigeva per alimentare i suoi fasti spagnoli, liberalizzò i commerci, e alla fine si convertì addirittura al luteranesimo, mentre sua moglie diventava Terziaria domenicana. Fu un cattivo marito, ma non un cattivo sovrano. E Lucca, sotto di lui, respirò. (cap. 25, p. 375) *[...], {{NDR|la [[Carboneria]]}} non fu certo una scuola di educazione politica, e probabilmente è anche al suo esempio e modello che sono dovute le malformazioni della nostra democrazia e la sua intrinseca debolezza. Figli e nipoti dei Carbonari furono quei "notabili" che governarono l'Italia fino alla prima guerra mondiale e che, insieme a innegabili virtù, ebbero anche il vizio di considerare il Paese una "clientela" di Apprendisti esclusi dai "sacri travagli". (cap. 26, p. 395) *Fu qui {{NDR|al Teatro alla Scala}} che {{NDR|[[Ugo Foscolo]]}} vide [[Antonietta Fagnani Arese]], già famosa a ventitré anni non soltanto per la sua bellezza, ma anche per lo sfruttamento intensivo che ne aveva fatto. Probabilmente era una frigida, ma che sapeva recitare la sua parte: tutti i giovani più in vista di Milano cadevano nelle reti di questa Circe, e forse fu anche questo a stimolarlo. (cap. 35, p. 510) *Misto di genio e di ciarlatano, [[Domenico Barbaja|Barbaja]] aveva debuttato come sguattero, aveva fatti primi soldi inventando un dolce di panna e cioccolato, la "barbajada", li aveva moltiplicati con la gestione del Ridotto da giuoco della Scala, e ormai tanti ne aveva che quando il San Carlo andò distrutto da un incendio, lo ricostruì a proprie spese. (cap. 39, pp. 608-609) *{{NDR|Domenico Barbaja}} Era semianalfabeta, e di musica non conosceva una nota, ma conosceva il pubblico, era un infallibile scopritore di talenti, e nel 1815 si assicurò quello di un compositore ventitreenne, in cui già aveva identificato la figura più rappresentativa della lirica contemporanea: [[Gioacchino Rossini]]. (cap. 39, p. 609) *{{NDR|[[Ciro Menotti]]}} Uomo onesto, ma di un candore che sconfinava nella sprovvedutezza, [...]. (cap. 40, p. 635) ===''L'Italia del Risorgimento''=== *{{NDR|[[Giuseppe Mazzini]]}} Due mesi d'intenso lavoro gli bastarono a maturare il piano. Più che una setta, la sua organizzazione sarebbe stata un vero e proprio partito, anche se clandestino, senza l'oscura simbologia e i complicati rituali carbonari. Si sarebbe chiamata ''[[Giovine Italia]]'' e lo sarebbe stata anche di fatto perché, salvo casi eccezionali, era preclusa a chi avesse superato i quarant'anni di età. (cap. 4, pp. 54-55) *D'irresolutezza, [[Carlo Alberto di Savoia|Carlo Alberto]] aveva dato prova anche prima di salire sul trono, e lo aveva dimostrato anche il suo contraddittorio atteggiamento nel '21<ref>Nei moti piemontesi del 1821, Carlo Alberto aveva prima dato e poi ritirato il suo appoggio ai congiurati.</ref>. Il coraggio e la volontà non gli mancavano; ma gli mancava il carattere. Nella guerra di Spagna era stato un valoroso combattente<ref>Nel 1823, Carlo Alberto aveva partecipato alla campagna militare per ristabilire l'assolutismo regio in Spagna.</ref>, e la disciplina a cui si sottoponeva era spartana. Ma le responsabilità morali lo sgomentavano. (cap. 9, pp. 135-136) *{{NDR|Carlo Alberto}} Non era né intelligente né colto. Ma certi movimenti di opinione pubblica e orientamenti di pensiero li coglieva e ne restava influenzato. Nel '38 aveva mandato in galera e poi in esilio [[Vincenzo Gioberti|Gioberti]], ma nel '43 ne leggeva con interesse il ''Primato''. Se [[Massimo d'Azeglio|D'Azeglio]] avesse scritto il suo libro<ref>''Degli ultimi casi di Romagna'' (1846).</ref> due anni prima, avrebbe mandato in esilio anche lui. Ora in pratica ne aveva fatto una specie di agente segreto. I tempi insomma li sentiva e con essi andava. (cap. 9, p. 136) *Questo grande soldato {{NDR|[[Josef Radetzky]]}} non aveva mai conosciuto sconfitte, e a ottant'anni suonati conservava intatte prestanza fisica ed energia morale. Come tutti i militari, credeva soltanto nella spada e nella disciplina. Ma non somigliava affatto all'immagine che di lui ci ha tramandato la storiografia risorgimentale: quella del crudele "impiccatore", del caporalaccio ottuso, grossolano e brutale. Era al contrario un grande signore, di tratto ruvido ma generoso, perpetuamente alle prese con problemi di bilancio perché aveva le mani bucate. (cap. 13, p. 194) *{{NDR|Radetzky}} Aveva sposato una Contessa austriaca che viveva a Vienna e gli aveva dato otto figli da cui non gli venivano che dispiaceri. Uno militava ai suoi ordini lì a Milano, ma era un così cattivo arnese che un prete un giorno lo schiaffeggio per strada. Radetzky mandò a chiamare il prete, gli strinse la mano e gli disse: "''{{sic|Crazzie}}''". Per amante si era presa una brava stiratrice lombarda che sapeva cucinare bene gli gnocchi, di cui era ghiottissimo, e dalla quale ebbe altri quattro figli. Non era affatto un odiatore degl'italiani: tant'è vero che, quando andò in pensione, rimase a Milano, e lì morì nel '58. Era soltanto un fedele servitore del suo Paese, di cui non discuteva la causa. E soprattutto era un vecchio lupo di guerra coraggioso, astuto e risoluto. (cap. 13, p. 195) *La notizia si diffuse prima ancora che lo [[Statuto Albertino|Statuto]] fosse firmato, e in un battibaleno le piazze di Torino, eppoi di tutto il Piemonte, eppoi di tutto il Reame, si riempirono di folla esultante. Essa non conosceva il contenuto del documento che introduceva, sì, un regime rappresentativo, ma circondandolo delle maggiori cautele [...]. Più che del suo contenuto, la pubblica opinione era innamorata della parola ''Costituzione'', che aveva finito, per assumere ai suoi occhi magici significati, e la salutava con luminarie, canti e bandiere. (cap. 14, p. 218) *[...] [[Francesco Anzani|Anzani]], il più serio e autorevole degli esuli italiani, che aveva combattuto per la libertà in Grecia e in Spagna. Le sue parole avevano gran peso anche perché fra tutti quei chiacchieroni, ne pronunziava poche. (cap. 18, p. 281) *[...] [[Giuseppe Montanelli|Montanelli]] era così infatuato {{NDR|del progetto di Costituente italiana}} e tanto ne parlava nei suoi discorsi che il popolino – dicono – finì per credere che la Costituente fosse il nome di sua moglie. (cap. 19, p. 298) *[[Pellegrino Rossi|Rossi]] era un toscano della Lunigiana, ma solo all'anagrafe. Come formazione e mentalità, apparteneva ancora a quel tipo di {{sic|apòlidi}} che l'Italia del Settecento sfornava doviziosamente e che, non trovando in patria un terreno per i loro talenti, andavano da mercenari a investirli all'estero. Professore d'Università a poco più di vent'anni, poi commissario di [[Gioacchino Murat|Murat]] al tempo del suo infelice tentativo di unificare l'Italia sotto il suo scettro, era l'unico cattolico cui l'Accademia calvinista di Ginevra avesse mai affidato una cattedra. (cap. 19, p. 301) *{{NDR|Pellegrino Rossi}} Fu sin dal principio un fautore di [[Papa Pio IX|Pio IX]] fino a partecipare di persona alle manifestazioni popolari in suo favore, ma vide subito la pochezza e ambiguità dell'uomo e ne denunziò i pericoli. (cap. 19, pp. 302-303) *Sebbene gli avessero affidato pieni poteri, [[Daniele Manin|Manin]] era un uomo discusso. Molti lo consideravano un malaccorto maneggione, un improvvisatore digiuno di problemi economici e militari, bravo soltanto ad attribuirsi i meriti degli altri. Secondo [[Niccolò Tommaseo|Tommaseo]], ch'era fra i suoi più insidiosi diffamatori, il potere gli aveva dato "una scossa da intorbidargli la mente e far più grave e manifesta la sua inesperienza". (cap. 23, p. 354) *{{NDR|Daniele Manin}} Intellettualmente, non era al livello di un [[Giuseppe Mazzini|Mazzini]] o di un [[Carlo Cattaneo|Cattaneo]]. Ma era, come loro, inattaccabile sul piano morale. E, in mancanza di un vero e proprio potere carismatico, esercitava sulle folle un notevole fascino per la sua gioviale e arguta "venezianità". Parlava sempre in dialetto con battute raccattate sulla bocca dei gondolieri, e anche nel dramma portava un pizzico di [[Carlo Goldoni|Goldoni]]. I suoi limiti li conosceva, e non è vero che l'autorità gli avesse dato alla testa, come diceva Tommaseo che diceva male di tutti. Anzi la esercitava bonariamente e cercava di circondarsi di uomini validi che sopperissero alla sua incompetenza. (cap. 23, pp. 354-355) *Eran trascorsi pochi mesi {{NDR|dal suo matrimonio con Vittorio Emanuele}}, che [[Maria Adelaide d'Asburgo-Lorena|Maria Adelaide]] lo sorprendeva nel giardino di Moncalieri con una diva del teatro, Laura Bon, ma si guardò dal farne un dramma. Perfettamente educata al mestiere di Regina, essa sapeva che la rassegnazione alle infedeltà ne è parte imprescindibile, e le sopportò sempre con garbo e dignità. (cap. 25, p. 390) *Sfruttando la devozione di Carlo Alberto, [[Clemente Solaro della Margarita|Solaro della Margarita]] aveva regolato i rapporti con la Chiesa in modo tale da fare del clero piemontese il più potente d'Italia dopo quello dello [[Stato Pontificio|Stato pontificio]]. Esso aveva ancora i suoi tribunali in concorrenza con quelli dello Stato e poteva concedere il diritto d'asilo ai delinquenti. (cap. 26, p. 410) *[...] {{NDR|Giuseppe}} Montanelli, gran galantuomo e ricco d'ingegno, non lo era altrettanto di carattere. Idee ne aveva, anzi ne aveva troppe; ma, facilmente suggestionabile, finiva sempre per adottare quelle dell'ambiente in cui viveva. (cap. 29, pp. 464-465) *Il primo a trarne le conclusioni {{NDR|dalle tesi favorevoli alla monarchia piemontese esposte nel libro di [[Vincenzo Gioberti|Gioberti]] ''Del rinnovamento civile d'Italia''}} fu [[Giorgio Pallavicino Trivulzio|Pallavicino]], l'ex prigioniero dello Spielberg, da un pezzo rifugiato a Torino. Di scarso cervello politico, impetuoso fino alla leggerezza, teatrale e un po' troppo portato a ostentare i suoi titoli di "martire", aveva fino allora militato sotto bandiera rivoluzionaria. (cap. 32, p. 514) *{{NDR|Tra i Mille di Garibaldi}} C'era il malinconico ex prete [[Giuseppe Sirtori|Sirtori]], che della guerra aveva fatto una mistica e sul campo sembrava che officiasse. (cap. 40, p. 635) ===''L'Italia dei notabili''=== *La [[Convenzione di settembre|Convenzione]], che fu detta "di Settembre" dal mese in cui venne concordata, si componeva di cinque articoli e stabiliva: che l'Italia rinunziava ad ogni atto di ostilità contro il territorio pontificio; che la Francia ne avrebbe ritirato le sue truppe via via che il governo del Papa le avesse rimpiazzate con volontari indigeni e stranieri, e comunque entro due anni; e che questo doppio impegno sarebbe entrato in vigore dal momento in cui il governo italiano avesse decretato il trasferimento della capitale da operarsi nello spazio di sei mesi. (Capitolo quinto, Firenze capitale, p. 76) *Gli sventramenti che furono operati {{NDR|a Firenze, nuova capitale del Regno d'Italia}} per alloggiare i Ministeri e i nuovi quartieri che sorsero alla periferia per ospitare i venticinque o trentamila impiegati che calarono da Torino, lasciarono la città orrendamente sfregiata e carica di debiti. (Capitolo quinto, Firenze capitale, p. 78) *{{NDR|[[Carmine Crocco]]}} [...] condannato per diserzione a vent'anni di carcere, ne era evaso, si era dato alla macchia, e in poco tempo era diventato il più temuto e rispettato capobanda della [[Basilicata|Lucania]] non soltanto per il suo coraggio, ma anche per la sua intelligenza di guerrigliero.</br>[...] Crocco venne riconosciuto Generalissimo non solo per l'autorità che gli conferivano le sue gesta, ma anche, perché, sebbene mezzo analfabeta, possedeva un'oratoria immaginosa e apocalittica. (Capitolo sesto, I briganti, pp. 85-89) *{{NDR|[[Giustino Fortunato]]}} [...] il più grande e illuminato studioso del Meridione. (Capitolo sesto, I briganti, p. 86) *Figlio di un fabbro e medico di professione, [[Giovanni Lanza|Lanza]] incarnava, nella Destra piemontese tradizionalmente formata da nobili, militari e grandi borghesi, un tipo umano del tutto insolito: il nuovo piccolo ceto medio, spartano e puritano, formatosi nelle scuole serali e nell'Università popolare. (Capitolo nono, Gli anni della lesina, p. 133) *L'esercito papalino era un'accozzaglia di mercenari delle più svariate nazionalità (c'erano perfino dei turchi). [...] circa 15.000 uomini, al comando del generale [[Hermann Kanzler|Kanzler]]. Compito gentiluomo, ligio al Regolamento come lo era al Catechismo, questi aveva tuttavia un concetto tedesco dell'onore militare e avrebbe preferito una sconfitta a una resa. Ma {{NDR|Il segretario di Stato}} Antonelli non era di questa opinione. Gli ordinò di ritirare le truppe {{NDR|pontificie}} dentro le mura e di limitarsi a un simulacro di resistenza. (Capitolo decimo, Porta Pia, pp. 141-142) *{{NDR|La duchessa [[Eugenia Attendolo Bolognini Litta|Eugenia Litta]]}} Durante la campagna del '59<ref>Seconda guerra d'indipendenza italiana.</ref> era stata il riposo del guerriero più famoso e importante: [[Napoleone III di Francia|Napoleone III]]. E secondo le malelingue era passata subito dopo in eredità a [[Vittorio Emanuele II di Savoia|Vittorio Emanuele]], che però era il meno adatto ad apprezzare la sua vita di vespa, le sue carni pallide e i suoi raffinatissimi gusti. [[Honoré de Balzac|Balzac]] le aveva reso omaggio. [[Arrigo Boito|Boito]] seguitava a rendergliene. [[Gabriele D'Annunzio|D'Annunzio]] dirà ch'essa "aveva rubato il segreto a Ninon de Lenclos<ref>Scrittrice, cortigiana ed epistolografa francese (1620–1705).</ref>". Insomma come iniziatrice all'amore, il giovane principe {{NDR|il futuro [[Umberto I di Savoia|Umberto I]]}} non poteva desiderarne una più fascinosa ed esperta. Lo fu al punto che, nonostante la differenza d'età, egli le rimase devoto – anche se non fedele – fino alla fine dei suoi giorni. (Capitolo quattordicesimo, Il marito di Margherita, p. 196) *{{NDR|[[Margherita di Savoia]]}} [...] era una vera e seria professionista del trono, e gl'italiani lo sentirono. Essi compresero che, anche se non avessero avuto un gran Re, avrebbero avuto una grande Regina. (Capitolo quattordicesimo, Il marito di Margherita, p. 197) *Il trattato {{NDR|della [[Triplice alleanza (1882)|Triplice alleanza]]}} fu firmato a Vienna nel maggio dell'82<ref>20 maggio 1882.</ref>. Esso impegnava le tre Potenze al reciproco aiuto nel caso in cui una fosse aggredita e alla benevola neutralità nel caso che aggredisse. Inoltre Austria e Germania dichiaravano di disinteressarsi del problema del Papa, considerandolo un affare interno italiano.<br>Quest'ultima clausola fu, insieme alla fine dell'isolamento, il grande vantaggio che l'Italia trasse dal patto, ma nient'altro. Essa non vi era entrata su un piede di parità con le consocie. Aveva semplicemente acceduto all'alleanza che già legava le altre due, le quali restavano per così dire le padrone di casa, e Bismarck non perse occasione di farcelo sentire. (Capitolo diciannovesimo, La Triplice, pp. 276-277) *L'unico Stato che ruppe le relazioni con quello italiano in seguito a [[Presa di Roma|Porta Pia]] fu l'Ecuador. Mai la Chiesa si era trovata in condizioni di più completo isolamento. (Capitolo ventitreesimo, I cattolici, p. 334) *Sindaco di Palermo a ventisette anni, {{NDR|[[Antonio Starabba, marchese di Rudinì|il marchese di Rudinì]]}} aveva affrontato con molto coraggio la rivolta che vi era scoppiata nel '66, e questo lo aveva accreditato come il fanciullo-prodigio del moderatismo, destinato a gloriose imprese. Ma, diceva De Sanctis, col passare del tempo, il prodigio dileguò e rimase solo il fanciullo. Ministro degl'Interni a trent'anni in uno dei governi Menabrea, la sua carriera si era fermata lì. Pure, la fama di "uomo forte" gli era rimasta addosso, suffragata anche dalla sua alta statura, dai lampeggiamenti del monocolo, dalla fluente barba, dalla nobilesca alterigia. Idee, non ne aveva. Ma aveva delle impennate che facevano credere alla sua risolutezza. E questo, in una Destra impoverita di personalità di rilevo, gli era bastato per guadagnarsi i galloni di capo. (Capitolo ventiquattresimo, Giolitti, pp. 348-349) *In realtà, del soldato, [[Oreste Baratieri|Baratieri]] non aveva neanche il fisico. Grasso e sgraziato, con gli occhiali a ''pince-nez'', sembrava molto più vecchio dei suoi cinquant'anni e costruito più per la cattedra che per l'elmo. (Capitolo ventisettesimo, Adua, p. 391) *{{NDR|Dopo le dimissioni del generale [[Luigi Pelloux|Pelloux]]}} A succedergli il Re chiamò il Presidente del Senato [[Giuseppe Saracco|Saracco]], un galantuomo ch'era riuscito a conservare intatta la sua reputazione di democratico pur essendo stato due volte Ministro nei governi di Crispi. Aveva quasi ottant'anni, ma conservava una notevole lucidità di cervello, e ne dette prova formando un governo di coalizione che includeva un po' tutte le forze, meno l'Estrema cui diede tuttavia soddisfazione chiamando parecchi suoi uomini nella commissione incaricata di studiare un nuovo regolamento parlamentare che, senza intaccare la libertà di discussione, impedisse l'ostruzionismo, o per meglio dire lo regolasse. (Capitolo ventottesimo, I cannoni di Bava Beccaris, p. 417) ===''L'Italia di Giolitti''=== *Si è detto che {{NDR|[[Egidio Osio]]}} plagiò il suo pupillo {{NDR|il principe ereditario, futuro re [[Vittorio Emanuele III di Savoia|Vittorio Emanuele III]]}} e ne lesionò definitivamente il carattere terrorizzandolo e mortificandone gli slanci. Si è detto che anche sul suo fisico ebbe pessima influenza costringendolo a penosi e logoranti sforzi. Si è detto che furono i suoi metodi repressivi a creare nel Principe quei complessi d'inferiorità da cui fu sempre afflitto, a traumatizzarlo, a inaridirlo, a riempirne l'animo di sordi rancori.<br>Ma se non proprio di falsità, si tratta di verità contraffatte. (cap. I, Il nuovo Re, p. 15) *Militare dalla testa ai piedi, Osio era un uomo duro, imperioso, abituato al comando. [...] Ma era anche un gran signore, perfetto uomo di mondo, e nutrito di buone letture. Sebbene la sua carriera potesse esserne notevolmente avvantaggiata, esitò molto ad accettare l'incarico {{NDR|di tutore del principe ereditario}}, vi si risolse solo dietro garanzia che nemmeno i genitori avrebbero più interferito nell'educazione del ragazzo, di cui egli diventava unico e assoluto responsabile, e al termine della sua missione non beneficiò di nessuno "scatto di grado". (cap. I, Il nuovo Re, pp. 15-16) *[[Elena del Montenegro|Elena]], che da ragazza dipingeva, suonava il violino, componeva poesie come suo padre<ref>Nicola I del Montenegro.</ref>, e amava il tennis e la danza, rinunziò a questi passatempi appena vide che lui {{NDR|il futuro Vittorio Emanuele III}} li detestava, anzi adottò come ''hobbies'' quelli di lui: la numismatica e l'archeologia. Per il resto fu soltanto una donna di casa, come lo era stata a Cettigne<ref>Capitale del Regno del Montenegro.</ref>. Sapendolo insofferente dei camerieri, era lei che lo serviva a tavola, e per farsi i vestiti si prese in casa una sartina. (cap. I, Il nuovo Re, p. 27) *[[Filippo Meda|Meda]] era un avvocato milanese di spirito pratico, che considerava l'astensione dal voto {{NDR|dei cattolici}} un dovere da osservare finché il Papa lo imponeva, ma un grosso errore strategico di cui occorreva sollecitare la revoca. Lo Stato liberale, diceva, c'è e va accettato. Va soltanto salvato dalle sue tentazioni autoritarie e giacobine. E questo i cattolici possono farlo soltanto inserendocisi e riformandolo in modo da tenerlo al riparo dai pericoli d'involuzione. Lo Stato cioè per lui era un "peccatore da salvare". (cap. IV, Cattolici e socialisti, p. 72) *[...] [[Romolo Murri|Murri]] era un giovane sacerdote marchigiano, che aveva conosciuto la povertà e nel Vangelo vedeva soprattutto un messaggio giustizialista. Introverso e malinconico come tutti i fanatici, egli si considerava molto più "avanzato" di Meda per il carattere rivoluzionario che intendeva imprimere al movimento {{NDR|cattolico}}. In realtà era un uomo del ''[[Sillabo]]'' che, pur partendo anche lui dall'accettazione dello Stato unitario, intendeva tramutarlo in una [[teocrazia]] egalitaria e totalitaria, sul tipo di quella che i Gesuiti avevano fondato un paio di secoli prima nel Paraguay. Se a ispirarlo fosse più l'amore del povero o l'odio del ricco, non sappiamo. (cap. IV, Cattolici e socialisti, pp. 72-73) *Meda e Murri furono dapprincipio alleati. Entrambi volevano un grande partito, popolare indipendente dalla Chiesa. Ma Meda lo concepiva come lo sviluppo della organizzazione tradizionale, cioè dell'''Opera''<ref>"Opera dei congressi e dei comitati cattolici", spesso abbreviata in "Opera dei congressi", organizzazione cattolica italiana, sciolta nel 1904.</ref>, una volta strappatala alla vecchia guardia, mentre Murri lo vedeva come un organismo nuovo, un "Fascio", come quelli che pochi anni prima avevano messo a soqquadro e insanguinato la Sicilia. (cap. IV, Cattolici e socialisti, p. 73) *Lo [[Sciopero generale del 1904|sciopero {{NDR|generale del 1904}}]] [...] non fu un fallimento, ma non fu nemmeno un successo perché si esaurì spontaneamente, e il suo più consistente risultato fu la spaccatura delle forze operaie. Lo si vide pochi mesi dopo, quando i sindacalisti bandirono un altro sciopero, quello delle ferrovie, da cui i sindacalisti uscirono demoralizzati e con la truppa dimezzata. (cap. IV, Cattolici e socialisti, p. 85) *[[Alessandro Fortis|Fortis]] era un tipico notabile romagnolo di lungo e contradditorio corso ideologico. Aveva debuttato come repubblicano intransigente, era andato in galera per complotto rivoluzionario con gli anarchici, poi era stato conquistato da [[Francesco Crispi|Crispi]], era finito {{sic|Ministro}} di [[Luigi Pelloux|Pelloux]], e ora militava sotto la bandiera di [[Giovanni Giolitti|Giolitti]]. Come "trasformista", era tra i più qualificati. Ma questa pecca era abbondantemente compensata dai suoi doni di simpatia umana e da una grande esperienza parlamentare. (cap. VI, Il suffragio universale, p. 107) *Quando [[Enrico Corradini|Corradini]] applicò il vocabolario socialista alla Nazione parlando di una "Italia proletaria" in lotta contro le plutocrazie occidentali, e lanciò l'idea di un "imperialismo operaio" da contrapporre a quello capitalistico, riscosse in campo sindacalista vasti consensi e pose le premesse di un pasticcio ideologico in cui Mussolini avrebbe di lì a poco guazzato. (cap. VII, "Tripoli bel suol d'amore", p. 137) *{{NDR|Giolitti}} Più che la Libia, voleva la [[Guerra italo-turca|guerra]], o meglio qualcosa che desse finalmente agl'italiani l'impressione di farne una e di vincerla. (cap. VII, "Tripoli bel suol d'amore", p. 145) *[...] a Vienna l'imperatore Francesco Giuseppe aveva dovuto intervenire di persona per fermare la mano al Capo di Stato Maggiore [[Franz Conrad von Hötzendorf|Conrad]] che voleva una spedizione punitiva contro l'Italia, ora ch'era impegnata in Africa {{NDR|nella guerra di Libia}}, per metterla in ginocchio "prima che avesse il tempo di perpetrare altri tradimenti". (cap. VII, "Tripoli bel suol d'amore", pp. 149-150) *Non si è mai saputo con certezza come si svolse l'operazione {{NDR|del [[patto Gentiloni]]}} che, ben s'intende, doveva restare segretissima. Giolitti negò sempre di avervi partecipato, e infatti d'impronte digitali non ve ne lasciò. Fu probabilmente senza le sue credenziali, ma certamente non senza il suo beneplacito che qualche esponente liberale prese contatto coi cattolici. Questi avevano una "unione elettorale" di cui era Presidente un Conte marchigiano, [[Vincenzo Ottorino Gentiloni|Gentiloni]], politico abile, ma vanesio e chiacchierone. Egli s'impegnò a mobilitare il voto cattolico in favore dei candidati liberali dovunque questi fossero minacciati dalla Estrema Sinistra; e i liberali s'impegnarono a difendere la parificazione delle scuole confessionali a quelle dello Stato, a ripristinare in queste ultime l'istruzione religiosa, a respingere l'introduzione del divorzio, e – pare – a combattere la Massoneria. (cap. VIII, Il crepuscolo degli dei, p. 163) *Se [[Gaetano Salvemini|Salvemini]] incarnava lo spirito protestatario e la sete giustizialista delle plebi meridionali, [[Antonio Salandra|Salandra]] incarnava lo spirito autoritario e conservatore della borghesia terriera. Proveniva da una famiglia di notabili pugliesi con parecchia roba al sole, e alla politica era approdato dalla cattedra universitaria, di cui conservava molti caratteri: una notevole cultura e finezza intellettuale, ma anche un compassato distacco che rasentava la freddezza. Prima di affrontare un problema lo studiava minuziosamente, e nessuno sapeva prospettarlo con più chiarezza di lui. (cap. IX, Sarajevo, p. 168) *[[Paolo Boselli]] {{NDR|incaricato nel 1916 di formare il nuovo governo dopo le dimissioni di Antonio Salandra}}, che fu chiamato a presiederlo, possedeva tutti i requisiti, meno quelli che occorrono per guidare un Paese in guerra. Deputato ligure da parecchie legislature, era stato varie volte Ministro con Crispi, Pelloux e Sonnino, ma nessuno se n'era accorto. [...]. Passava per un esperto di questioni economiche, e moralmente era un personaggio di tutto rispetto. Ma politicamente era scolorito, e per di più aveva quasi ottant'anni. (cap. XVI, La caduta di Salandra, pp. 293-294) *Quanto [[Luigi Cadorna|Cadorna]] era solitario, monacale ruvido e chiuso in un giro di valori e d'idee tradizionali, tanto [[Luigi Capello|Capello]] era brillante, estroverso, moderno, ricco d'immaginazione e maestro di "pubbliche relazioni". (cap. XVI, La caduta di Salandra, pp. 298-299) *Lucano di Melfi, [[Francesco Saverio Nitti]] incarnava anche nel fisico tozzo e grassottello il tipo del notabile meridionale, colto, brillante, scettico e alquanto egocentrico. [...] la sua specialità era il problema del Mezzogiorno, di cui fu tra i primi seri studiosi e che gli fornì anche la base elettorale. [...]. Sul livello medio della classe politica di allora, egli faceva spicco per preparazione, equilibrio e lucidità, ma anche per una certa propensione ad attribuirsi il monopolio di queste virtù. (cap. XXIII, Versaglia, pp. 420-421) ===''L'Italia in camicia nera''=== *Un altro utile incontro fu per Mussolini quello con [[Angelica Balabanoff]], personaggio già di notevole rilevo nel socialismo internazionale. Era una russa di buona famiglia borghese, che fin da giovanissima si era imbrancata con quella ''intellighenzia'' rivoluzionaria da cui venivano anche i Lenin, i Trotzky, e gli altri futuri grandi del bolscevismo. A spingerla era stata la ribellione contro la meschinità, lo snobismo provinciale, il sussiego di casta, i tabù del suo ceto. (cap. 1, p. 23) *Angelica {{NDR|Balabanoff}} non era bella, non aveva la grazia eterea ed esangue di Anna {{NDR|[[Anna Kuliscioff|Kuliscioff]]}}. Ma non era nemmeno sgradevole, nonostante i fianchi massicci e gli zigomi pronunciati, eppoi era una russa, cosa che faceva un grande effetto al piccolo provinciale di Predappio<ref>Mussolini era nato a Dovia, frazione di Predappio.</ref>. Anche se fra loro non divampò la passione che aveva legato Anna ad [[Andrea Costa]], qualcosa ci fu, ed ebbe la sua importanza. Angelica cercò d'incivilire quel selvaggio trasandato che passava da ostinati mutismi a interminabili sproloqui conditi di orrende bestemmie. Lo sfamava, gli lavava la biancheria, lo iniziava, sia pure con poco successo, al marxismo [...]. (cap. 1, p. 25) *Uno dei tre protagonisti del giuoco {{NDR|[[Gabriele D'Annunzio]]}} era eliminato. La partita ora si riduceva agli altri due: Giolitti e Mussolini. (cap. 1, p. 101) *Mussolini aveva vinto, e la sua vittoria significava che il fascismo, abbandonata la pretesa di presentarsi come un movimento rivoluzionario di sinistra, quale lo avrebbero voluto Grandi, Farinacci e Marsich, presentava la sua candidatura a forza egemonica della destra e infilava la «via parlamentare» al potere.<br>C'era un pericolo, e Mussolini lo capì subito: che questa svolta a destra mettesse il partito alla mercé della sua ala reazionaria incarnata soprattutto dal ''ras'' piemontese [[Cesare Maria De Vecchi|De Vecchi]], uomo di poco cervello, ma tutto Trono e Altare, e che quindi poteva anche tornar comodo per il futuro. (cap. 2, p. 127) *[...], i giolittiani riuscirono a portare al governo uno dei suoi {{NDR|di Giolitti}} «ascari» più fedeli, ma anche dei più sbiaditi: [[Luigi Facta]].<br> Facta era un bravo avvocato di provincia piemontese con tutte le virtù, ma anche con tutti i limiti del suo ambiente: un uomo probo e integro, che dopo trent'anni di vita parlamentare ne aveva ormai una certa esperienza, aveva ricoperto con onore alcune cariche ministeriali, non aveva alcuna ambizione che quella di servire fedelmente il suo capo, né altre idee che quelle di lui. Tutto gli si poteva chiedere fuorché risolutezza ed immaginazione, cioè proprio le qualità che più urgevano. (cap. 2, pp. 143-144) *[...] le sue intenzioni {{NDR|Mussolini}} non le confidava nemmeno al segretario del partito, [[Michele Bianchi|Bianchi]], di cui apprezzava la fedeltà e l'impegno, ma non l'intelligenza: lo considerava angoloso, settario, puntiglioso vendicativo e privo d'intuito politico. L'unico con cui si apriva seguitava ad essere [[Cesare Rossi]], l'uomo che gli era stato accanto dal primo momento, lo aveva seguito in tutte le sue palinodie e gli dava sempre dei consigli che corrispondevano ai suoi desideri. (cap. 4, p. 166) *{{NDR|[[Vittorio Emanuele III]]}} non si fidava completamente di Mussolini, ma si fidava ancora meno dei suoi avversari ed era convinto che costoro, se avessero preso il mestolo in mano, avrebbero ricreato il caos del dopoguerra. Comunque, a una cosa era assolutamente deciso: a non farsi coinvolgere nella lotta politica, come del resto gli dettava la Costituzione di cui, quando gli faceva comodo, sapeva ricordarsi. ====[[Explicit]]==== *Resterebbe solo da sapere con che animo Mussolini s'investì, il 3 gennaio, nella parte di dittatore. Se, come molti sostengono, gli sforzi che fino a quel momento aveva fatto per evitarla erano stati solo un giuoco per dimostrare che non era lui a volerla, ma gli eventi ad imporgliela, bisogna riconoscere che come {{sic|giuocatore}} sapeva il fatto suo. ==''Storia dei Greci''== *Il modo migliore per ripagare il nostro contemporaneo [[Heinrich Schliemann|Enrico Schliemann]] degli enormi servigi che ci ha reso nella ricostruzione della civiltà classica, mi pare sia quello di assumerlo fra i suoi protagonisti, com'egli stesso mostrò di desiderare ardentemente, scegliendosi, in pieno secolo decimonono, [[Zeus]] come dio e a lui indirizzando le sue preghiere, battezzando [[Agamennone]] suo figlio, Andromaca sua figlia, Pélope e Telamone i suoi servitori, e dedicando a [[Omero]] tutta la sua vita e i quattrini. (cap. 2; 2004, p. 17) *{{NDR|Su [[Heinrich Schliemann|Schliemann]]}} Era un matto, ma tedesco, cioè organizzatissimo nella sua follia, che la buona sorte volle ricompensare. La prima storia che gli raccontò suo padre, quando aveva cinque o sei anni, non fu quella di [[Cappuccetto Rosso]], ma quella di [[Ulisse]], di [[Achille]] e di Menelao. Ne aveva otto, quando annunziò solennemente in famiglia che intendeva riscoprire Troia e dimostrare, ai professori di storia che lo negavano, ch'essa era realmente esistita. Ne aveva dieci, quando compose in latino un saggio su questo argomento. E ne aveva sedici, quando sembrò che questa infatuazione gli fosse del tutto passata. Infatti s'era impiegato come garzone di una drogheria, dove scoperte archeologiche non c'era da farne di certo, e di lì a poco s'imbarcò non per l'Ellade, ma per l'America, in cerca di fortuna. (cap. 2; 2004, p. 17) *Di nuovo il buon Dio, che per i matti ha un debole, lo compensò di tanta fede, guidando il suo piccone sugli scantinati del palazzo dei discendenti di re Atreo, nei cui sarcofaghi furono ritrovati gli scheletri, le maschere d'oro, i gioielli e il vasellame che si ritenevano esistiti solo nella fantasia di Omero. E Schliemann telegrafò al re di Grecia: ''Maestà, ho ritrovato i vostri antenati''. Poi, ormai sicuro del fatto suo, volle dare il colpo di grazia agli scettici del mondo intero e, sulle indicazioni di [[Pausania]], andò a Tirinto e vi disseppellì le ciclopiche mura del palazzo di Proteo, di Perseo e di [[Andromeda|Andròmeda]]. (cap. 2; 2004, pp. 19-20) *Schliemann morì quasi settantenne nel 1890, dopo aver sconvolto tutte le tesi e le ipotesi su cui si era basata sino ad allora la ricostruzione della preistoria greca, tesa ad esiliare Omero e Pausania nei cieli della pura fantasia. (cap. 2; 2004, p. 20) *Ma ora, dopo le scoperte del tedesco matto, non abbiamo più il diritto di mettere in dubbio la realtà storica di Agamennone, di Menelao, di [[Elena]], di [[Clitennestra]], di Achille e di Patroclo, di Ettore e di Ulisse, anche se le loro avventure non sono state esattamente quelle che Omero ha descritto, facendoci sopra la cresta. Schliemann ha arricchito la storia e impoverito la leggenda, di alcune decine di personaggi di primissimo piano. Grazie a lui alcuni secoli, che prima erano nel buio, sono entrati nella luce, anche se è quella incerta della primissima alba. Ed è solo per mano a lui che possiamo esplorarla. (cap. 2; 2004, p. 21) *Senza dubbio gli [[achei]], a differenza dei pelasgi, furono terrieri, tant'è vero che fino alla guerra di Troia imprese per mare non ne azzardarono, e ogni volta che lo trovavano si fermavano. Essi non tentarono di mettere il piede nemmeno nelle isole più vicine al continente, e tutte le loro capitali e cittadelle erano nell'interno. La Grecia, sotto di loro, si limitava al Peloponneso, all'Attica e alla Beozia; mentre per le popolazioni pelasgiche della civiltà micenea, ch'erano marinare, essa inglobava anche tutti gli arcipelaghi dell'Egeo. (cap. 3, ''Gli Achei''; 2004, p. 25) *[[Diogene di Sinope|Diogene]], che aveva la lingua lunga, disse che la religione greca era quella cosa per cui un ladro che sapeva bene l'Avemaria e il Paternoster era sicuro di potersela cavar meglio, nell'al di là di un galantuomo che li aveva dimenticati. Non aveva torto. La [[Religione dell'antica Grecia|religione]], in Grecia, era soltanto un fatto di procedura, senza contenuto morale. Ai fedeli non si chiedeva la fede né si proponeva il bene. S'imponeva solo il compimento di certe pratiche burocratiche. E non poteva essere diversamente, visto che di contenuto morale gli stessi {{sic|dèi}} ne avevano ben poco e non si poteva certo dire che fornissero un esempio di virtù. (cap. 7, ''Zeus e famiglia''; 2004, p. 54) *Anche [[Pisistrato]] era aristocratico e di famiglia ricca. Ma aveva capito che la [[democrazia]], una volta instaurata, è irreversibile e va sempre a sinistra. (cap. 15, ''Pisistrato''; 2004, p. 98) *Pisistrato, invece di cinquanta uomini, ne arruolò e armò quattrocento, s'impadronì dell'Acròpoli, e proclamò la dittatura. In nome e per il bene del popolo, si capisce, come tutte le dittature. (cap. 15; 2004, p. 91) *La stragrande maggioranza degli ateniesi, dopo averlo a lungo osteggiato e tenuto in gran sospetto, si erano sinceramente affezionati a Pisistrato che aveva dalla sua un'arma formidabile: la simpatia. (cap. 15; 2004, pp. 92-93) *Il tiranno Pisistrato seppe sfuggire a tutte le tentazioni del potere assoluto, meno una: quella di lasciare il «posto» in eredità ai figli, [[Ippia (tiranno)|Ippia]] e [[Ipparco (tiranno)|Ipparco]]. L'amor paterno gl'impedì di vedere con la consueta chiarezza che i totalitarismi non hanno eredi e che quello suo si giustificava soltanto come una eccezione alla democrazia per assicurarle ordine e stabilità. Peccato. (cap. 15; 2004, p. 95) *Pisistrato era morto nel 527 avanti Cristo. Ventun anni dopo, cioè nel 506, troviamo uno dei suoi due figli, da lui designati a succedergli, Ippia, alla corte del re di Persia, [[Dario I di Persia|Dario]], per suggerirgli l'idea di muover guerra contro Atene e la Grecia tutta. I grandi uomini non dovrebbero mai lasciare né vedove né eredi. Sono pericolosissimi. (cap. 16, ''I persiani alle viste''; 2004, p. 103) *Questo Ippia non aveva debuttato male, dopo che suo padre fu calato nella fossa. Era un giovanotto sveglio che, a furia di stare accanto al babbo, ne aveva imparato molte malizie, e alla politica aveva passione, a differenza di suo fratello Ipparco che invece s'interessava soltanto di poesia e di amore, in modo che fra i due non c'erano nemmeno pericolose rivalità. Eppure, a procurare i guai che condussero alla caduta della dinastia, fu proprio Ipparco. (cap. 16; 2004, p. 96) *Ipparco ebbe la disgrazia d'inciampare in un bellissimo guaglione di nome Armodio, che un certo Aristogitone – aristocratico quarantenne, prepotente e geloso – considerava sua proprietà. Costui concepì l'idea di sbarazzarsi del rivale col pugnale e, per dare all'assassinio un'etichetta più pulita che lo rendesse popolare, pensò di estenderlo anche al fratello Ippia facendolo passare per «delitto politico» in nome della libertà e contro la tirannia. Organizzò in questo senso una congiura con altri nobili latifondisti e, in occasione di una festa, tentò il colpo, che andò bene solo a mezzo: Ipparco ci rimise la pelle, ma Ippia scampò. E da quel momento, un po' per rancore, un po' per paura di altri complotti, il figlio e l'allievo di Pisistrato, dittatore liberale indulgente e illuminato, diventò un ''tiranno'' autentico. (cap. 16; pp. 96-97) *Lo scontento del popolo inferocì Ippia, che a sua volta inferocì il popolo. E quando il divorzio fra i due fu totale, i fuoriusciti, che frattanto si erano concentrati a Delfi, chiamarono in aiuto gli spartani, e insieme marciarono contro Atene. (cap. 16; 2004, p. 97) *Ippia si rifugiò sull'Acròpoli coi suoi sostenitori. Ma, per mettere in salvo i suoi figlioletti, cercò di farli segretamente espatriare. Gli assedianti li catturarono e l'infelice padre, per salvar la vita a loro e a se stesso, capitolò e si avviò in volontario esilio. Non bisogna dimenticare che nelle sue vene scorreva tuttavia il sangue di Pisistrato, cioè di un uomo sempre pronto a sacrificare la posizione alla famiglia, ma mai disposto a rassegnarsi alla sconfitta. (cap. 16; 2004, p. 97) *[[Milziade]] aveva capito qual era il debole dei [[Persia|persiani]]: essi erano bravi soldati individualmente, ma non avevano nessuna idea della manovra collettiva. E su questa puntò. A dar retta agli storici del tempo — che purtroppo erano tutti greci, — Dario perse settemila uomini, Milziade neanche duecento. (cap. 17, ''Milziade e Aristide''; 2004, p. 112) *{{NDR|A Milziade}} sopravvisse [[Aristide]], le cui vicende purtroppo ci dimostrano che l'[[onestà]] in [[politica]] non trova sempre i suoi compensi e che la [[storia]], come le [[donna|donne]], ha un debole per i birbaccioni. (cap. 17, ''Milziade e Aristide''; 2004, p. 112) *Nike, diventata ragazza, porta il [[peplo]] di lana, bianca o colorata, ma questa è l'unica scelta che le si lascia. Siccome è confinata in casa, non può nemmeno far quella di un ragazzo che le piace, e deve aspettare che il padre si metta d'accordo con un altro padre per combinare il matrimonio. (cap. 23, ''Una Nike qualsiasi''; 2004, p. 143) *Quando il grande [[Mirone]], rincorbellito dalla vecchiaia, si vide arrivare in studio come modella Laìde<ref>Etera dell'antica Grecia, celebre per la sua bellezza.</ref>, perse la testa e le offrì tutto ciò che possedeva purché restasse la notte. E siccome essa rifiutò, l'indomani il poveruomo si tagliò la barba, si tinse i capelli, indossò un giovanile [[chitone]] color porpora e si passò una mano di carminio sul viso. «Amico mio», gli disse Laìde, «non sperare di ottenere oggi ciò che ieri rifiutai a tuo padre». (cap. 23, ''Una Nike qualsiasi''; 2004, p. 150) *{{NDR|[[Fidia]]}} Qualcosa, nel suo carattere, doveva farne un nemico degli uomini, visto che nessuno lo amava. Eppure egli non fu soltanto un grande scultore, ma anche un grandissimo maestro, che, oltre ad aver creato uno stile, ne fece anche una scuola, trasmettendone le regole ad allievi come Agoracrito e Alcamene, continuatori del «classico». (cap. 25, ''Fidia sul Partenone''; 2004, p. 165) *Gli uomini non sanno apprezzare e misurare che la [[fortuna]] degli altri. La propria, mai. (cap. 25, ''Fidia sul Partenone''; 2004, p. 166) ==''Storia di Roma''== ===[[Incipit]]=== Non sappiamo con precisione quando a Roma furono istituite le prime scuole regolari, cioè «statali». Plutarco dice che nacquero verso il 250 avanti Cristo, cioè circa cinquecent'anni dopo la fondazione della città. Fino a quel momento i ragazzi romani erano stati educati in casa, i più poveri dai genitori, i più ricchi dai ''magistri'', cioè da maestri, o istruttori, scelti di solito nella categoria dei liberti, gli schiavi liberati, che a loro volta erano scelti fra i prigionieri di guerra, e preferibilmente fra quelli di origine greca, che erano i più colti. ===Citazioni=== <!--segui nel riportare le citazioni l'ordine cronologico del libro--> *Non ho scoperto nulla, con questo libro. Esso non pretende di portare "rivelazioni", nemmeno di dare una interpretazione originale della storia dell'Urbe. Tutto ciò che qui racconto è già stato raccontato. Io spero solo di averlo fatto in maniera più semplice e cordiale, attraverso una serie di ritratti che illuminano i protagonisti in una luce più vera, spogliandoli dei paramenti che fin qui ce li nascondevano. (introduzione) *{{NDR|[[Numa Pompilio]]}} Quelle che più lo interessavano erano le questioni religiose. E siccome in questa materia ci doveva essere una grossa anarchia perché ognuno dei tre popoli {{NDR|etruschi, latini e sabini}} venerava i propri {{sic|dèi}}, fra i quali non si riusciva a capire chi fosse il più importante, Numa decise di mettervi ordine. E per imporlo, questo ordine, ai suoi riottosi sudditi, fece spargere la notizia che ogni notte, mentre dormiva, la ninfa Egeria veniva a visitarlo in sogno dall'Olimpo per trasmettergliene direttamente le istruzioni. Chi vi avesse disobbedito, non era col re, uomo fra gli uomini, che avrebbe dovuto vedersela, ma col Padreterno in persona. (Rizzoli 1959, cap. 3, ''I re agrari'', pp. 37-38) *[[Tarquinio Prisco|Lucio Tarquinio]] e i suoi amici etruschi dovettero veder subito che profitto si poteva trarre da questa massa di gente, per la maggior parte esclusa dai comizi curiati, se si fosse potuta convincerla che solo un re forestiero come lui avrebbe potuto farne valere i diritti. E per questo l'arringò, promettendole chissà cosa, magari ciò che poi fece davvero. [...] Certamente ci riuscirono perché Lucio Tarquinio fu eletto col nome di Tarquinio Prisco, rimase sul trono trentotto anni, e per liberarsi di lui i ''patrizi'', cioè i «terrieri», dovettero farlo assassinare. Ma inutilmente. Prima di tutto perché la corona, dopo di lui, passò al figlio, eppoi a suo [[Tarquinio il Superbo|nipote]]. In secondo luogo perché, più che la causa, l'avvento della dinastia dei Tarquini fu l'effetto di una certa svolta che la storia di Roma aveva subìto e che non le consentiva più di tornare al suo primitivo e arcaico ordinamento sociale e alla politica che ne derivava. (RCS 2004, cap. 4, ''I re mercanti'', pp. 38-39) *Questo secondo [[Tarquinio il Superbo|Tarquinio]], prima di rischiare il colpo, tentò di far deporre lo zio per abuso di potere. Servio si presentò alle centurie che lo riconfermarono re con plebiscitaria acclamazione (lo racconta [[Tito Livio]], gran repubblicano, dunque dev'esser vero). Non restava quindi che il pugnale, e Tarquinio lo usò senza troppi scrupoli. Ma il respiro di sollievo che trassero i senatori, coi quali si era alleato, rimase loro in gola, quando videro l'uccisore sedersi a sua volta sul trono d'avorio senza chieder loro permesso, come avveniva a quei buoni vecchi tempi ch'essi speravano di restaurare. Il nuovo sovrano si mostrò subito più tirannico di quello che aveva spedito all'altro mondo. E infatti lo ribattezzarono «il Superbo» per distinguerlo dal fondatore della dinastia. (RCS 2004, cap. 4, ''I re mercanti'', pp. 42-43) *Non sappiamo quasi nulla di [[Lars Porsenna|Porsenna]]. Ma dal modo come si condusse, dobbiamo dedurre che alle doti del bravo generale doveva accoppiare quelle del sagace uomo politico. Egli si rese conto che negli argomenti di [[Tarquinio il Superbo|Tarquinio]] c'era del vero. Ma prima d'impegnarsi, volle essere sicuro di due cose: che il Lazio e la Sabina erno davvero pronti a schierarsi dalla sua parte, e che nella stessa Roma c'era una «quinta colonna» monarchica pronta a facilitargli il compito con un'insurrezione. (RCS 2004, cap. 5, ''Porsenna'', p. 49) *Da quell'anno 508 in cui fu fondata la repubblica, tutti i monumenti che i romani innalzarono un po' dappertutto portarono sempre la sigla SPQR che vuol dire: ''Senatus PopuluSque Romanus'', cioè «il Senato e il popolo romano». Cosa fosse il Senato, già lo abbiamo detto. Viceversa non abbiamo ancora detto cos'era il popolo, che non corrispondeva affatto a ciò che noi intendiamo con questa parola. In quei lontani giorni di Roma esso non comprendeva «tutta» la cittadinanza, come avviene oggi, ma soltanto due «ordini», cioè due classi: quella dei «patrizi» e quella degli ''equites'' o «cavalieri». (RCS 2004, cap. 6, ''SPQR'', p. 54) *{{NDR|[[Sacco di Roma (390 a.C.)]]}} Gli storici che lo hanno raccontato a cose fatte hanno avvolto di molte leggende questo capitolo che dovett'essere per l'Urbe molto spiacevole. Dicono che quando i [[galli]] fecero per dare la scalata al [[Campidoglio]], le oche sacre a Giunone cominciarono a stridere risvegliando così [[Marco Manlio Capitolino|Manlio Capitolino]] che, alla testa dei difensori, respinse l'attacco. Sarà. Però i galli in Campidoglio entrarono ugualmente come in tutto il resto della città, donde la popolazione era fuggita in massa per rifugiarsi su monti circostanti. (Rizzoli 1959, cap. 6, ''SPQR'', pp. 81-82) *[...] i galli espugnarono Roma, la misero a sacco, e se ne andarono incalzati dalle legioni, ma carichi di quattrini. Erano predoni gagliardi e zotici, che non seguivano nessuna linea politica e strategica nelle loro conquiste. Assalivano, depredavano e si ritiravano senza punto preoccuparsi del domani. Avessero potuto immaginare che vendetta Roma avrebbe tratto da quella umiliazione, non vi avrebbero lasciato pietra su pietra. (Rizzoli 1959, cap. 6, ''SPQR'', pp. 82-83) *Tutti i dittatori della Roma repubblicana, meno uno, furono patrizi. Tutti, meno due, rispettarono i limiti di tempo che furono loro imposti. Uno di essi, [[Lucio Quinzio Cincinnato|Cincinnato]], che, dopo soli sedici giorni di esercizio della suprema carica, tornò spontaneamente ad arare il campo coi buoi, è passato alla storia coi colori della leggenda. (RCS 2004, cap. 9, ''La carriera'', p. 85) *Negli ultimi tempi {{NDR|[[Cesare]]}} si era spinto anche più in là: aveva imposto che tutte le discussioni che si svolgevano in quel solenne e aristocratico consesso venissero registrate e pubblicate giorno per giorno. Così nacque il primo giornale. Si chiamò ''[[Acta Diurna|Acta diurna]]'', e fu gratuito, perché, invece di venderlo, lo affiggevano ai muri in modo che tutti i cittadini potessero leggerlo e controllare ciò che facevano e dicevano i loro governanti. L'invenzione fu d'immensa portata perché sancì il più democratico di tutti i diritti. Il Senato, che traeva prestigio anche dalla sua segretezza, fu così sottoposto alla pubblica opinione, e non si riebbe mai più da questo colpo. (RCS 2004, cap. 24, ''Cesare'', p. 214) *Se riuscirò ad affezionare alla storia di Roma qualche migliaio di italiani, sin qui respinti dalla sussiegosità di chi gliel'ha raccontata prima di me, mi riterrò un autore utile, fortunato e pienamente riuscito. (introduzione) *Sull'esattezza di quel che [[Tito Livio|Livio]] riferisce facciamo le nostre riserve, specie là dov'egli mette in bocca ai suoi personaggi interi discorsi che somigliano più a Livio che a loro. La sua è una storia di eroi, un immenso affresco a episodi, e serve più a esaltare il lettore che a informarlo. [[Roma]], a dargli retta, sarebbe stata popolata soltanto, come l'Italia di Mussolini, da guerrieri e navigatori assolutamente disinteressati, che conquistarono il mondo per migliorarlo e moralizzarlo. Gli uomini, secondo lui, sono divisi in buoni e cattivi. A Roma c'erano solamente i buoni, e fuori di Roma solamente i cattivi. Anche un grande generale come [[Annibale]] diventa, sotto la sua penna, un comune mariuolo. Ciò non toglie che la storia di Livio, costata cinquant'anni di fatiche a un autore che si dedicò soltanto ad essa, resti un gran monumento letterario. Forse il più grande fra quelli, piuttosto mediocri, eretti sotto il segno di [[Augusto]]. (cap. 30, ''Orazio e Livio'') *Può darsi che [[Dione Cassio]] e [[Svetonio]], nel loro odio per la monarchia, abbiano un po' calcato la mano. Ma matto, [[Caligola]] doveva esserlo davvero. (cap. 31, ''Tiberio e Caligola'') *[[Vitellio]], quando fu catturato nel suo nascondiglio, dove, tanto per cambiare, banchettava, fu trascinato nudo per la città con un laccio al collo, bersagliato di escrementi, torturato con ponderata lentezza, e alla fine gettato nel Tevere.<br>Questa città che si divertiva al fratricidio, questi eserciti che si ribellavano, questi imperatori che venivano subissati di sterco pochi giorni dopo essere stati coperti di osanna: ecco cos'era diventata la capitale dell'Impero. (Rizzoli 1959, cap. 37, ''I Flavi'', pp. 415-416) *Purtroppo la pace, per ottenerla, bisogna essere in due a volerla. (cap. 37, ''I Flavi'') *Era la prima volta, nella storia di Roma, che una guerra si combatteva in nome della religione. Ma fu la Croce che vinse. E il Tevere, trascinando verso la foce i cadaveri di [[Massenzio]] e dei suoi soldati che lo ingombravano, sembrò che spazzasse via i residui del mondo antico. (cap. 46, ''Costantino'') *Il papa che più contribuì a rassodare l'organizzazione in questi primi difficili anni fu [[Papa Callisto I|Callisto]], che molti consideravano un avventuriero. Dicevano che, prima di convertirsi, aveva fatto i quattrini con sistemi piuttosto equivoci, era diventato banchiere, aveva derubato i suoi clienti, era stato condannato ai lavori forzati ed era fuggito con un inganno. Il fatto che, appena diventato papa, proclamasse valido il pentimento per cancellare qualunque peccato, anche mortale, ci fa sospettare che in queste voci un po' di verità c'è. Comunque, fu un gran papa, che stroncò il pericoloso scisma d'[[Ippolito di Roma|Ippolito]] e affermò definitivamente l'autorità del potere centrale. (RCS 2004, cap. 46, ''Costantino'', p. 367) *Le rivoluzioni vincono non in forza delle loro idee, ma quando riescono a confezionare una classe dirigente migliore di quella precedente. E il [[Cristianesimo]] era riuscito proprio in questa impresa. (cap. 47, ''Il trionfo dei cristiani'') *[[Costantino]] fu uno strano e complesso personaggio. Faceva gran scialo di fervore cristiano, ma nei suoi rapporti di famiglia non si mostrò molto ossequente ai precetti di Gesù. Mandò sua madre Elena a Gerusalemme per distruggere il tempio di Afrodite che gli empi governatori romani avevano elevato sulla tomba del Redentore, dove, secondo Eusebio, fu ritrovata la croce su cui era stato suppliziato. Ma subito dopo mise a morte sua moglie, suo figlio e suo nipote. (cap. 47, ''Il trionfo dei cristiani'') *Come tutti i grandi Imperi, quello romano non fu abbattuto dal nemico esterno, ma roso dai suoi mali interni. (cap. 51, ''Conclusione'') *Una religione conta non in quanto costruisce dei templi e svolge certi riti; ma in quanto fornisce una regola morale di condotta. Il [[paganesimo]] questa regola l'aveva fornita. Ma quando Cristo nacque, essa era già in disuso, e gli uomini, consciamente o inconsciamente, ne aspettavano un'altra. Non fu il sorgere della nuova fede a provocare il declino di quella vecchia; anzi, il contrario. (cap. 51, ''Conclusione'') *Il dispotismo è sempre un malanno. Ma ci sono delle situazioni che lo rendono necessario. (cap. 51, ''Conclusione'') ===[[Explicit]]=== Mai città al mondo ebbe più meravigliosa avventura. La sua storia è talmente grande da far sembrare piccolissimi anche i giganteschi delitti di cui è disseminata. Forse uno dei guai dell'Italia è proprio questo: di avere per capitale una città sproporzionata, come nome e passato, alla modestia di un popolo che, quando grida «Forza Roma!», allude soltanto a una [[Associazione Sportiva Roma|squadra di calcio]]. ==''XX Battaglione eritreo''== ===[[Incipit]]=== Sono letterato. E, a parte il brutto e il meschino di quella parola, il mio mestiere m'innamora. Mi sono sforzato tanti anni, per compiacere a qualcuno o a qualcosa, di tradire questo mio istinto. Ma non ce l'ho fatta. E non ce la fo nemmeno ora, soldato in Africa, in piena guerra. Ma non lo dico per presentare il conto. E a chi, poi? Lo dico per un fenomeno di narcisismo: perché mi garba contemplarmi in questo gesto di fedeltà al mestiere, che poi vuol dire fedeltà a me stesso. ===Citazioni=== *Essere [[Àscari|ascaro]] vuol dire, press'a poco, avere un blasone; vuol dire avere tre lire al giorno, più un'indennità vestiario, più un'indennità farina, più un'indennità carne; vuol dire avere un ''tarbush'' e una fascia coi colori del battaglione; vuol dire soprattutto avere un fucile. La gente di questo Paese segue una logica sistematica semplice e dritta: l'umanità si divide in due categorie: gli armati che sono i forti, i disarmati che sono i deboli. Al culmine della gerarchia sociale sta il possessore di fucile, il guerriero: che è tanto più importante quanto più elevato è il suo grado e quanto è maggiore la sua anzianità. (p. 25) *[[Pietro Toselli|Toselli]]. Questo nome non ha in Italia la risonanza che ha qui. Toselli non è un uomo, è una leggenda: non solo alla cronaca, ma sfugge anche alla storia. È rimasto nei canti di questa gente, nelle sue memorie e anche nelle sue speranze. Pur ieri mi diceva il vecchio Sciumbasci, reduce di Adua e ora capopaese di Digsa, che «le cose che si sanno sono molto meno di quelle che non si sanno» e che «il fatto è questo: che il corpo del maggiore Toselli non era più sul campo dopo la battaglia». Su quello che ne sia avvenuto le opinioni sono discordi, ma nessuno crede che il maggiore sia morto. (pp. 35-36) *Appollaiato ai suoi piedi, nascosto fra il verde tenero degli eucalipti, stava [[Alessandro Pirzio Biroli|Pirzio Biroli]]. Il suo nome era mormorato con circospezione dagli [[Àscari|ascari]] disseminati fra le rocce di Mai Egadà a Saganeiti, da Agordar ad Assab, a Cheren, ad Adi Ugri, ad Adi Caieh. Raramente lo si vedeva e sempre a cavallo. Accanto a lui cavalcava Chiarini, la piccola ombra fedele, il fantasma sorto una notte da un roveto della conca di Adua. Chiarini, settantenne, pallido, non scompariva nell'alone magico che Pirzio, il buon gigante, suscitava intorno. (pp. 87-88) *Poi arrivava anche lui, [[Alessandro Pirzio Biroli|Pirzio]] il leone, altissimo, quadrato, col profilo calmo incorniciato dalla folta criniera. Il cavallo, domo dai suoi ginocchi di ferro, caracollava senza un tentativo di ribellione. Dalla sella pendevano, di qua e di là, due aquile colossali, abbattute in volo dal moschetto infallibile di Pirzio. Nessuna tromba sonava l'attenti al suo ingresso. Non ce n'era bisogno. Tutti, nel quartiere, sentivano come per miracolo la sua presenza e restavano ischeletriti. Pirzio non se n'accorgeva: era uno di quegli uomini pei quali gli uomini sentono rispetto per istinto e che passano attraverso la vita come attraverso un'eterna parata, fra due file di bipedi schiaffati meccanicamente sull'attenti. Gli [[Àscari|ascari]] ebbero ragione quando lo battezzarono «il Leone»: non aveva bisogno di ruggire perché il largo gli si facesse automaticamente intorno. (pp. 88-89) ===[[Explicit]]=== Vorremmo ristare dopo la guerra? Il mondo è così visto che nessun limite precisa al desiderio. Italiani, continuate ad aver fame anche dopo aver mangiato. Questa guerra è per noi come una bella lunga vacanza dataci dal Gran Babbo in premio di tredici anni di banco di scuola. E, detto fra noi, era ora. ==Citazioni su Indro Montanelli== *A leggerlo sembrerebbe un disordinatore di professione: sempre pronto a mugugnare, sempre a prendersela con qualcuno. Poi però, quando si tratta di scendere sul pratico, ci consiglia di turarci il naso e di andare a votare per l'Ordine. vallo a capire. ([[Luciano De Crescenzo]]) *Amo Indro Montanelli, ma non i suoi emuli. I polemisti per posa non mi piacciono, non li ritengo utili. Ma lui non era un polemista fine a se stesso, come tanti dei suoi presunti eredi. Era piuttosto, come da titolo di una sua fortunata rubrica, controcorrente. Non si curava delle convenienze, dei vantaggi che gli sarebbero derivati nel seguire l'onda di [[pensiero]] prevalente. Aveva la sua visione delle cose, sempre originale e spesso esatta. Io credo che dire quel che si pensa premi sempre. Montanelli lo faceva, e andava a letto tranquillo. ([[Fabio Genovesi]]) *C'è davvero qualcosa di singolare nel modo in cui è venuta formandosi la memoria della Repubblica, nel modo in cui tale memoria è stata ed è elaborata dalla cultura ufficiale del Paese. Per molti decenni, ad esempio, a quanto accaduto dal 1943 al '45 fu vietato dare il nome che gli spettava, il nome cioè di [[Guerra civile in Italia (1943-1945)|guerra civile]]. Parlare di guerra civile era giudicato fattualmente falso, e ancor di più ideologicamente sospetto. Bisognava dire che quella che c'era stata era la resistenza, non la guerra civile; di guerra civile parlavano e scrivevano, allora, solo i reduci di Salò, i nostalgici del regime e qualche coraggioso giornalista o pubblicista di rango come Indro Montanelli, che mostravano così da che parte ancora stavano. Le cose andarono in questo modo a lungo. Finché, all'inizio degli anni Novanta, come si sa, uno storico di sinistra, [[Claudio Pavone]], scrisse un libro sul periodo 1943-'45 che si intitolava precisamente ''Una guerra civile'': solamente da allora tutti abbiamo potuto usare senza problemi questa espressione, ben inteso non cancellando certo la parola resistenza. ([[Ernesto Galli della Loggia]]) *È uno che riesce a spiegare agli altri quello che non capisce nemmeno lui. ([[Mario Missiroli]]) *È vero che ha cambiato parere politico più volte, ma sempre perché profondamente preoccupato per le sorti del paese. Ma Indro ha cambiato parere sempre meno di quei giornalisti che da Lotta Continua sono passati a Comunione e Liberazione per approdare infine a dirigere quotidiani di Stato. Senza contare tutti coloro che da stalinisti o maoisti sono diventati prima antimarxisti e ora clintoniani: Montanelli ragiona, loro vogliono avere sempre ragione. ([[Fausto Gianfranceschi]]) *Indro è naturalmente inclinato, direi quasi condannato a vedere più i ''tics'' degli uomini che le loro qualità e nessuno come lui fa più uso, nei suoi ritratti, dell'acido prussico. ([[Eugenio Montale]]) *{{maiuscoletto|Indro Montanelli}}. L'Italia dei Luoghi Comuni. ([[Marcello Marchesi]]) *Io mi sono limitato ad adottare la sua formula giornali­stica. Ma l'ho realizzata meglio perché mi sono sempre esposto, ci ho messo la faccia. Lui invece era come Veltroni: "Sì, ma an­che". Non si schierava nettamente, il suo editoriale era così in chiaroscuro che alla fine non capivi mai se fosse chiaro o scuro. Il che non significa che non resti il migliore di tutti noi. Ho venduto più di lui solo perché a me la gente non fa schifo. ([[Vittorio Feltri]]) *Mi sono sentito in imbarazzo per lui, e il mio primo pensiero è stato il rifiuto – «no, povero Montanelli» – quando all'ingresso dei giardini di via Palestro mi sono trovato davanti alla sua statua, al punto che ho pensato che ci sono vandali che distruggono e vandali che costruiscono, e che anzi, per certi aspetti, il vandalismo che crea è ben peggiore, perché tenta di disarmarti con le sue buone intenzioni. Dunque era di mattina, molto presto, e i giardini erano vuoti, al sole. Ebbene in questo vuoto, la statua mi è apparsa all'improvviso: una figurina in gabbia che non ha niente a che fare con Montanelli, se non perché lo offende anche fisicamente, lui che era così "verticale", e che ci invitava a buttare via «il grasso» e la retorica monumentale. Il giornalista che ogni volta si ri-definiva in una frase, in un concetto, in un aforisma, in una citazione, è stato per sempre imprigionato in una scatola di sardine. Perciò ho provato il disagio che sempre suscita il falso, la patacca, la similpelle che non è pelle, perché non solo questo non è Montanelli, come ci ha insegnato Magritte che dipinse una pipa e ci scrisse sotto "questa non è una pipa". Il punto è che questa non è neppure una statuta di Montanelli, ma di un montanelloide in bronzo color oro, che ha la presunzione ingenua e goffa di imprigionare il Montanelli entelechiale, il Montanelli che era invece l'asciuttezza, era il corpo più "instatuabile" del mondo, troppo alto, troppo energico, troppo nervoso, incontenibile nello spazio e nel tempo com'è l'uomo moderno, che è nomade e ha un'identità al futuro. Era il più grande nemico delle statue il Montanelli che sempre ci sorprendeva, fascista ma con la fronda, conservatore ma anarchico, con la sinistra ma di destra, un uomo di forte fascino maschile che tuttavia non amava raccogliere i trofei del fascino maschile, ingombrante ma discreto, il solo che nella storia d' Italia abbia rifiutato la nomina a senatore a vita perché, diceva, «i monumenti sono fatti per essere abbattuti», come quello di Saddam, o di Stalin o di Mussolini. Come si può fare una statua ingombrante e discreta? Come si può fare un monumento all'antimonumento? ([[Francesco Merlo]]) *Montanelli comprò una sposa ragazzina di 11-12 anni. In realtà non possiamo sapere con precisione l'età perché nei villaggi africani non si registravano le nascite. Ma la comprò, questo lo sappiamo. E la violentò più volte. sappiamo anche questo, è stato lui a raccontare che lei non voleva. [...] Da italiano Montanelli avrebbe potuto riconoscere i segni di quella crudeltà e discostarsene. Non lo fece perché condivideva evidentemente quella cultura patriarcale. Perché non mettere al posto della sua statua quella di una donna della Resistenza? In Italia vorrei vedere più statue di donne partigiane. ([[Maaza Mengiste]]) *Montanelli disprezzava la borghesia che difendeva, e ammirava i comunisti che attaccava. Era convinto che la rivolta di Budapest si dovesse a operai che volevano il vero socialismo; mentre fu una rivolta nazionalista e antisovietica. ([[Enzo Bettiza]]) *Montanelli è il campione di indipendenza dalla politica, anche se sono arrabbiato con lui perché mi ha insegnato regole di comportamento anacronistiche, che nel giornalismo odierno non valgono più. ([[Daniele Vimercati]]) *Montanelli ha sempre avuto una componente di destra. È stato un uomo di destra come fascista, uomo di destra come sostenitore dei governi dc sia pure turandosi il naso. [...] Adesso è un uomo di destra qualunquista, ma sempre di destra. ([[Ugo Intini]]) *Montanelli, un misantropo che cerca compagnia per sentirsi più solo. ([[Leo Longanesi]]) *Quanto mi ha insegnato: le parole da non usare, le cose da non dire, la persone da non frequentare. ([[Beppe Severgnini]]) *Recentemente sono stato insignito del Premio Montanelli alla carriera che dovrebbe essermi consegnato a ottobre a Fucecchio, a meno che nel frattempo non mi sia revocato per indegnità, sempre in nome della libertà di informazione. Sono certo che il vecchio Indro non avrebbe condiviso nemmeno un fonema del mio necrologio sul Mullah {{NDR|Omar}}, ma sono altrettanto certo che non si sarebbe mai sognato di bloccarlo. Caso mai ci avrebbe riso su, considerandolo una provocazione, anche se provocazione non era. Perché Montanelli era un vero liberale. Quando i liberali esistevano ancora. ([[Massimo Fini]]) *Sa spalmare una così giusta misura di miele sull'orlo del nappo avvelenato che prepara per questo o per quello, che spesso la vittima muore senza accorgersene, ingannata dai soavi licori. ([[Paolo Monelli]]) *Scalfari e Montanelli direttori all'antica, padroni, mattatori che ricordano gli Scarfoglio, i vecchi direttori dell'ottocento che non solo incrociavano la penna ma anche la spada in una rissa continua con tutt ([[Ugo Intini]]) *Si può raccontare la [[storia]] in forma lieve, senza essere troppo ponderosi, rispettando tuttavia le fonti e la verità storica. Montanelli era molto bravo a scrivere, ma in fondo ne sapeva poco, gli piaceva gigioneggiare, sprofondava nell'anacronismo. Oggi ci si è accorti che, nel raccontare la storia, essere rigorosi ed essere divertenti non è conflittuale. ([[Alessandro Barbero]]) *So solo che Montanelli è fatto così: un maestro di giornalismo che ogni tanto s'impenna con qualcuna delle sue bizzarrie. ([[Giorgio Bocca]]) *Una volta, parecchi anni fa, Indro Montanelli, dicendosi disgustato della morbidezza e della mollezza della [[Democrazia Cristiana]], che ammorbidiva, incorporava, estenuava e alla fine innocuizzava qualsiasi opposizione, togliendole ogni soddisfazione e dignità, mi mostrò una fotografia, incastonata in una cornicetta d'argento, che teneva, a mo' di santino, come altri fanno con le immagini della madre o della moglie e dei figli, sulla sua scrivania, al «Giornale». Con sorpresa vidi che si trattava di Stalin. «Con questo ci sarebbe stato gusto, a battersi», disse. ([[Massimo Fini]]) *Ognuno può pensarla come vuole, ma quando si passa dalla cronaca alla storia è necessario mantenere un giusto approccio ed essere oggettivi sui valori della persona. Indro Montanelli è stato forse il più autorevole giornalista che l’Italia ha avuto nel ventesimo secolo. La Toscana penserà ad azioni per valorizzarlo. ([[Eugenio Giani]]) ===[[Enzo Biagi]]=== *A Indro Montanelli devo molto: intanto, l'idea che chi conta è il pubblico. Poi la necessità di essere chiari, di far anche fatica, perché chi legge non ha voglia di impegnarsi troppo, e solo se uno si chiama [[James Joyce|Joyce]] può essere difficile. *Montanelli se n'è sempre fregato delle critiche, io molto meno, ho un carattere permaloso, spesso non ho resistito alla tentazione di rispondere a chi mi attaccava. Indro mi sgridava, diceva a mia moglie di tenermi calmo, che non ne valeva la pena, che erano tutte bischerate. [...] Per lui il buon risultato era il sorriso di un passante, l'oste che gli trovava il tavolo. Qualcuno si chiedeva che cos'avesse di speciale. A pensarci bene, niente. Scriveva degli articoli che erano letti e dei libri che si vendevano. *Non è una gran notizia che Indro e io non abbiamo mai fatto parte del coro, ma fu una grande notizia la spiegazione che ne diede Berlusconi: "Biagi e Montanelli hanno invidia del mio successo". La prima cosa che mi venne in mente fu: "Sai che risate si starà facendo Indro adesso". Poi mi dissi che c'era poco da ridere. ==Note== <references/> ==Bibliografia== *Indro Montanelli, ''Qui non riposano'', Marsilio, 1982 (1945). *Indro Montanelli, ''Pantheon minore'' (incontri), Longanesi e C., Milano, 1950. {{NoISBN}} *Indro Montanelli, ''Gli incontri'', Rizzoli, Milano, 1967. {{NoISBN}} *Indro Montanelli, ''Storia dei greci'', Rizzoli, Milano, 1992. ISBN 8817115126 *Indro Montanelli, ''Storia dei greci'', RCS Quotidiani, Milano, 2004. ISBN 1-129-08505-8 *Indro Montanelli, ''Storia di Roma'', Longanesi, Milano, 1957; Rizzoli, Milano, 1959. {{NoISBN}} *Indro Montanelli, ''Storia di Roma'', RCS Quotidiani, Milano, 2004. ISBN 1-129-08505-8 *Indro Montanelli, ''L'Italia giacobina e carbonara (1789-1831)'', Rizzoli, Milano, 1971. {{NoISBN}} *Indro Montanelli, ''L'Italia del Risorgimento (1831-1861)'', terza edizione, Rizzoli, Milano, 1972. {{NoISBN}} *Indro Montanelli, ''L'Italia dei notabili (1861-1900)'', Rizzoli, Milano, 1973. {{NoISBN}} *Indro Montanelli, ''L'Italia di Giolitti (1900-1920)'', Rizzoli, Milano, 1974. {{NoISBN}} *Indro Montanelli, ''L'Italia in camicia nera (1919-3 gennaio 1925)'', Rizzoli, Milano, 1976. *Indro Montanelli, ''Dante e il suo secolo'', Rizzoli, Milano, 1974. {{NoISBN}} *Indro Montanelli, ''I protagonisti'', Rizzoli, Milano, 1976. {{NoISBN}} *Indro Montanelli, ''Controcorrente'', Editoriale Nuova, Milano, 1978. {{NoISBN}} *Indro Montanelli, ''Controcorrente 1974-1986'', Arnoldo Mondadori Editore, Milano, 1987. ISBN 8804300558 *Indro Montanelli, ''Il meglio di «Controcorrente». 1974-1992'', Rizzoli, Milano, 1993. ISBN 8817428078 *Indro Montanelli, ''Il testimone'', TEA, Milano, 1993. ISBN 8878194182 *Indro Montanelli, ''Le Stanze. Dialoghi con gli italiani'', Rizzoli, Milano, 1998. ISBN 8817852597 *Indro Montanelli, ''Le nuove Stanze'', Rizzoli, Milano, 2001. ISBN 8817868426 *Indro Montanelli, ''Soltanto un giornalista. Testimonianza resa a Tiziana Abate'', BUR, Milano, 2003. ISBN 8817107042 *Indro Montanelli, ''I conti con me stesso. Diari 1957-1978'', a cura di [[Sergio Romano]], Rizzoli, Milano, 2010. ISBN 8817028202 ([http://books.google.it/books?id=fuh--fZGHMcC&printsec=frontcover Anteprima su Google Libri]) *Indro Montanelli, ''Ricordi sott'odio'', Milano, Rizzoli, 2011, ISBN 978-88-17-04963-4 *Indro Montanelli, ''Indro al Giro. Viaggio nell'Italia di Coppi e Bartali. Cronache del 1947 e 1948'', a cura di Andrea Schianchi, Collana Saggi italiani, Milano, Rizzoli, 2016. ISBN 978-88-1708-969-2 *Paolo Granzotto, ''Montanelli'', Bologna, Il Mulino. ISBN 88-15-09727-9 *Paolo Occhipinti (a cura di), ''Caro Indro... Dialoghi di Montanelli con il direttore di Oggi. 1993-2001. Il meglio di una rubrica di successo durata otto anni'', RCS, Milano, 2002. ==Voci correlate== *[[Colette Rosselli]] *[[Indro Montanelli e Roberto Gervaso]] *[[Indro Montanelli e Mario Cervi]] *[[Indro Montanelli e Marco Nozza]] *''[[Il generale Della Rovere]]'' (film 1959) ==Altri progetti== {{interprogetto}} ===Opere=== {{Pedia|La Voce (quotidiano)|''La Voce''}} {{Pedia|Storia d'Italia (Montanelli)|''Storia d'Italia''}} {{DEFAULTSORT:Montanelli, Indro}} [[Categoria:Drammaturghi italiani]] [[Categoria:Giornalisti italiani]] [[Categoria:Saggisti italiani]] [[Categoria:Commediografi italiani]] a12fb5mhud7qt5jxogpw3eaems580kj 1381944 1381943 2025-07-01T20:10:38Z ~2025-110542 103361 /* La Stampa */ 1381944 wikitext text/x-wiki [[File:IndroMontanelliLettera22.jpg|thumb|upright=1.5|Indro Montanelli alla sede del ''Corriere della Sera'']] '''Indro Montanelli''' (1909 – 2001), giornalista, saggista e commediografo italiano. ==Citazioni di Indro Montanelli== [[File:Indro Montanelli 1936.jpg|miniatura|Indro Montanelli, ufficiale del Regio Esercito, 1936]] *[[Gianni Agnelli|Agnelli]] ha detto che non siamo nella repubblica delle banane, però qualche banana in Italia c'è, perché avvengono cose veramente singolari.<ref>Citato in Marco Travaglio, ''Bananas'', Garzanti, Milano, 5 maggio 2001.</ref> *Al [[conformismo]] l'[[ironia]] fa più paura d'ogni [[Argomentazione|argomentato ragionamento]].<ref>Da ''Controcorrente'', Editoriale Nuova, Milano, 1978.</ref> *{{NDR|[[Ferdinando I delle Due Sicilie]]}} Aveva sulla coscienza la vita di migliaia d'infelici, morti sulla forca e nelle galere solo per aver voluto un po' di libertà. Era stato spergiuro. Non aveva conosciuto che disfatte e fughe ignominiose di fronte al nemico. Politicamente, era rimasto fermo alla concezione settecentesca del più retrivo assolutismo. Non aveva fatto che i propri interessi, e più ancora i propri comodi, della regalità prendendosi solo i piaceri. Non aveva saputo che incrementare l'ignoranza di cui egli stesso era campione. Eppure, il cordoglio popolare per la sua morte non ci stupisce, perché un dono lo aveva avuto: la genuinità. Questo Re fellone e fannullone non aveva mai cercato di apparire diverso da quel che era: uno scugnizzo dei «bassi», prepotente, ridanciano e sboccato, nato per caso con una corona in testa e che aveva sempre concepito la sua parte come quella di un buon capo-camorra. Non aveva interpretato che i caratteri deteriori del popolo napoletano, ma anche i più appariscenti e riconoscibili.<ref>Da ''L'Italia unita. {{small|Da Napoleone alla svolta del Novecento}}'', Rizzoli BUR, Milano, 2015, [https://books.google.it/books?id=8J7tCgAAQBAJ&lpg=PT206&dq=&pg=PT206#v=onepage&q&f=false p. 206]. eISBN 978-88-58-68272-2</ref> *Avevo capito fin dal primo incontro che l'aggressività di [[Anna Magnani|Anna {{NDR|Magnani}}]] era solo la maschera della sua insicurezza. Era una donna difficile e sempre agli estremi di tutto: della dolcezza come del furore, e non si capiva mai bene, forse non lo capiva nemmeno lei, quanto l'uno e l'altra fossero veri, o soltanto scena. Certo è che dall'uno all'altra passava con fulminea velocità e tenendo chiunque in stato di fibrillazione. <ref>Da ''Anna Magnani, la più grande attrice del nostro cinema'', 23 ottobre 1999, in ''Le Nuove stanze'', a cura di Michele Brambilla, RCS Libri, Milano, 2002, p. 280.</ref> *{{NDR|[[Walter Chiari]]}} Avrebbe meritato 30 anni di prigione per lo spreco del suo talento.<ref>Citato in Luciano Giannini, ''[https://www.ilmattino.it/AMP/cultura/walter_chiari_100_walter_sottotitolo_chiari_biografia_di_un_genio_irregolare-7954361.html Walter Chiari genio irregolare che confessava di aver vissuto]'', ''Il Mattino'', 24 febbraio 2024</ref> *[[Silvio Berlusconi|Berlusconi]] è una persona intelligente finché riesce a ragionare col suo cervello: il suo cervello è valido. Ma lui, oltre al cervello, ha le viscere, e molto spesso le viscere prendono la prevalenza sul cervello. E quando lui si abbandona alle viscere, secondo me, diventa uomo pericoloso. Questo lo dico a lei perché l'ho detto a lui, perché gliel'ho anche scritto.<ref name="milano">Dal programma televisivo ''Milano, Italia'', Rai 3, 11 gennaio 1994.</ref> *[[Silvio Berlusconi|Berlusconi]] ha straordinarie qualità di imprenditore – coraggio, fantasia, forza di lavoro – che gli hanno valso il successo in tutti i campi in cui si è cimentato. Una sola cosa non gli riesce di fare, il presidente di una società di calcio.<ref>Da ''[http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/1987/01/20/ora-montanelli-critica-berlusconi.html Ora Montanelli critica Berlusconi]'', ''la Repubblica'', 20 gennaio 1987.</ref> *[[Silvio Berlusconi|Berlusconi]] non ha idee: ha solo interessi.<ref>2001; citato in [[Marco Travaglio]], ''Ad personam'', Chiarelettere, Milano, 2010, p. 39, ISBN 978-88-6190-104-9.</ref> *{{NDR|Su [[Aldo Moro]]}} Calvinista a rovescio, invece che nella predestinazione della [[Grazia divina|grazia]], credeva in quella della [[disgrazia]].<ref>Citato in [[Roberto Gervaso]], ''Ve li racconto io'', Mondadori, Milano, 2006, pp. 310-311, ISBN 88-04-54931-9.</ref> *Certo, per un direttore di giornale, avere sottomano un [[Marco Travaglio|Travaglio]], che su qualsiasi protagonista, comprimario e figurante della vita politica italiana è pronto a fornirti su due piedi una istruttoria rifinita nel minimo dettaglio è un bel conforto. Ma anche una bella inquietudine. Il giorno in cui gli chiesi se in quel suo archivio, in cui non consente a nessuno di ficcare il naso, ci fosse anche un fascicolo intitolato al mio nome, Marco cambiò discorso.<ref>Dalla prefazione a Marco Travaglio, ''Il Pollaio delle Libertà'', Vallecchi, Firenze, 1995.</ref> *Chi di voi vorrà fare il [[giornalista]], si ricordi di scegliere il proprio padrone: il [[lettore]].<ref>Dalla lezione di giornalismo all'Università di Torino, 12 maggio 1997; citato in ''La Stampa'', 14 aprile 2009.</ref> *Conosco molti furfanti che non fanno i [[Morale|moralisti]], ma non conosco nessun moralista che non sia un furfante. Senza, per carità, allusione a [[Eugenio Scalfari|Scalfari]]. Solo come promemoria.<ref>Citato in [[Eugenio Scalfari]], ''Incontro con io'', Rizzoli, Milano, 1994, ISBN 8806200747.</ref> *Cosa c'è meglio di [[Romano Prodi|Prodi]]? Governa fra compromessi e imbroglietti. I nostri soci sanno benissimo che siamo imbroglioni, che sui conti che portiamo all'Europa s'è un po' imbrogliato. Accettano lo stesso, purché non s'esageri. E [[Carlo Azeglio Ciampi|Ciampi]] non esagera, è un economista serio e vero. [...] {{NDR|Romano Prodi}} Con la faccia da mortadella, l'ottimismo inossidabile e l'eterno sorriso, ci porterà in Europa: ringraziamo Dio, e anche [[Massimo D'Alema|D'Alema]], che ci hanno dato Prodi.<ref name=Montanelli>Citato in Francesco Battistini ''[https://web.archive.org/web/20160101000000/http://archiviostorico.corriere.it/1997/dicembre/19/Montanelli_ragazzi_rifate_68_co_0_97121914987.shtml Montanelli: ragazzi, rifate il '68]'', ''Corriere della Sera'', 19 dicembre 1997.</ref> *Dicono che [[Ciriaco De Mita|De Mita]] sia un intellettuale della Magna Grecia. Io però non capisco cosa c'entri la Grecia...<ref>Citato in ''Liberazione'', 22 febbraio 2008.</ref> *{{NDR|Su [[Giulia Maria Crespi]]}} Dispotica guatemalteca.<ref> Citato in Paolo Martini, ''[https://www.adnkronos.com/crespi-la-zarina-del-corriere-della-sera-che-fondo-il-fai_4YA2lu93AIXTzgMw0Wj65x Crespi, la 'zarina' del Corriere della Sera che fondò il Fai]'', adnkronos.com, 19 luglio 2020.</ref> *{{NDR|Su [[Gad Lerner]], nel 2000}} È bravissimo, son contento l'abbian messo al ''Tg1'', è un buon conduttore, buonissimo giornalista. Ma sarà un bravo direttore?<ref>Citato in Antonella Rampino, ''[http://www.archiviolastampa.it/component/option,com_lastampa/task,search/mod,libera/action,viewer/Itemid,3/page,3/articleid,0428_01_2000_0162_0003_4349235/ Il rischio? Una missione impossibile]'', ''La Stampa'', 17 giugno 2000.</ref> *{{NDR|Su [[Concetto Lo Bello]]}} Entra in campo col passo del padrone che ispeziona il proprio podere.<ref>Citato in Marco Innocenti, ''[https://st.ilsole24ore.com/art/SoleOnLine4/dossier/Tempo%20libero%20e%20Cultura/storie-della-storia/archivio-2009/storie-storia-9-settembre-muore-lo-bello.shtml?uuid=4327f496-881f-11de-873c-ca3137183d57&DocRulesView=Libero&refresh_ce=1 9 settembre 1991: se ne va il re degli arbitri, Concetto Lo Bello]'', ''ilsole24ore.com'', 8 settembre 2009.</ref> *{{NDR|Su [[Gaio Giulio Cesare|Giulio Cesare]]}} Grande soldato, grande statista, grande scrittore, grande avventuriero. E grande amatore. C'era di tutto. [...] In questa epoca di Mani Pulite Cesare sarebbe rimasto sicuramente "intangentato". Di tangenti lui ne prese parecchie. Ma a differenza dei mariuoli di oggi era anche un grande legislatore, un grande generale, un uomo di un'efficienza straordinaria. I nostri sono dei ladri. Ladri e basta.<ref>Citato in Mauro Anselmo, ''[http://www.archiviolastampa.it/component/option,com_lastampa/task,search/mod,libera/action,viewer/Itemid,3/page,7/articleid,0797_01_1993_0212_0009_11229316/ Montanelli: così ho finito la mia Storia d'Italia]'', ''La Stampa'', 4 agosto 1993.</ref> *{{NDR|Su [[Clare Boothe Luce]]}} Ha la mentalità schematica di una maestra di scuola.<ref>Citato in Massimo Gaggi, ''Quando il giornale del Pci pensò di pubblicare il nudo dell'ambasciatrice Usa'', ''Corriere della Sera'', 18 dicembre 2022.</ref> *{{NDR|Su [[Lucio Battisti]]}} Ho amato molto le sue canzoni e il suo desiderio di vivere appartato.<ref>Citato in [[Leo Turrini]], ''Lucio Battisti: la vita, le canzoni, il mistero'', Mondadori, 2008, retrocopertina.</ref> *I mariti italiani, per comprar la pelliccia alle mogli, spendono più di tutti i loro colleghi europei. Poveri, ma pelli.<ref name=Controcorrente>Da ''Controcorrente, 1974–1986'', Mondadori, Milano, 1987.</ref> *I nostri uomini politici non fanno che chiederci, a ogni scadenza di legislatura, «un atto di fiducia». Ma qui la fiducia non basta; ci vuole l'atto di fede.<ref name=Controcorrente/> *I [[Ricordo|ricordi]] vanno messi sotto teca, appesi a una parete e guardati. Senza tentare di rinnovarli. Mai.<ref>Da un'intervista di [[Ferruccio de Bortoli]], 1999; in ''[http://www.rai.it/dl/Rai5/programma.html?ContentItem-f04f3982-e954-471e-8242-78f92423550d Indro Montanelli, gli anni della televisione]'', puntata 8, di Nevio Casadio, Rai Premium, 2013.</ref> *Il bello dei [[politologi]] è che, quando rispondono, uno non capisce più cosa gli aveva domandato.<ref name=Controcorrente/> *{{NDR|Su [[Carlo Sforza]]}} Il conte si piega sulle gambe come se volesse saltare in arcione. E io dico: è veramente un bell'uomo.<ref>Citato da Guido Russo Perez nella [https://documenti.camera.it/_dati/leg01/lavori/stenografici/sed0331/sed0331.pdf Seduta pomeridiana del 31 ottobre 1949] della Camera dei deputati.</ref> *Il fascismo privilegiava i somari in divisa. La democrazia privilegia quelli in tuta. In Italia, i regimi politici passano. I somari restano. Trionfanti.<ref name=Controcorrente/> *Il guaio di [[Eugenio Scalfari|Scalfari]] non è che dice quel che pensa. Il guaio di Scalfari è che pensa quel che dice.<ref>Citato in Paolo Granzotto, ''Montanelli'', p. 173.</ref> *In [[Italia]] a fare la dittatura non è tanto il dittatore quanto la paura degli italiani e una certa smania di avere, perché è più comodo, un padrone da servire. Lo diceva [[Benito Mussolini|Mussolini]]: «Come si fa a non diventare padroni di un paese di servitori?».<ref>Dall'intervista di Pasquale Cascella, ''Montanelli: «Il regime? È alle porte, inutile aspettare il dittatore»'', ''l'Unità'', 25 ottobre 1994, p. 5.</ref> *In Italia c'è una frangia d'imbecilli tali che credono si possa resuscitare il comunismo. Seppellire il cadavere del marxismo non è facile, anche perché per molti significa rinnegare l'intera esistenza. Ma certo [[Fausto Bertinotti|Bertinotti]] non è di questi: lui non sa un corno di marxismo, non gl'importa niente, è un piccolo pagliaccio, un populista all'italiana che scalda in piazza maree di poveri diavoli e parla ancora delle masse operaie, che vede solo lui.<ref name=Montanelli></ref> *In Italia non c'è una coscienza civile, non c'è un'identità nazionale che tenga insieme uno Stato federale e garantisca la civile convivenza delle sue parti. Invece io vedo solo nell'Italia Cisalpina qualche barlume di coscienza civile e una vocazione europea. Altrove, invece, è un disastro difficile, se non impossibile, da rimediare. Spero proprio di sbagliarmi.<ref name=Italia>Citato in ''Il grande vecchio del giornalismo rilegge gli ultimi anni della nostra storia'', ''L'Indipendente'', 25 luglio 1995.</ref> *In Italia si può cambiare soltanto la Costituzione. Il resto rimane com'è.<ref>Dall'articolo di Polaczek, ''Teile und sende'', in ''Frankfurter Allgemeine Zeitung'', 15 agosto 1996, p. 29.</ref> *In Italia un colpo di piccone alle [[Casa di tolleranza|case chiuse]] fa crollare l'intero edificio, basato su tre fondamentali puntelli, la Fede cattolica, la Patria e la Famiglia. Perché era nei cosiddetti postriboli che queste tre istituzioni trovavano la più sicura garanzia.<ref>Citato in Daniele Abbiati, [http://www.ilgiornale.it/news/tresse-indro-nella-repubblica-delle-marchette.html ''La maîtresse di Indro nella Prima Repubblica delle marchette''], ''il Giornale.it'', 22 ottobre 2010.</ref> *In nome di quale razza noi faremmo del razzismo? Se c'è un paese (adesso non voglio offendere, perché io sono italiano come tutti gli altri), ma se c'è un paese bastardo è l'Italia, cioè a dire una confluenza di razze diverse.<ref>Dal programma televisivo di Rai 3 ''Eppur si muove'', 20 marzo 1994.</ref> *Io non mi sono mai sognato di contestare alla [[Chiesa (comunità)|Chiesa]] il suo diritto a restare fedele a se stessa, cioè ai comandamenti che le vengono dalla Dottrina... ma che essa pretenda d'imporre questi comandamenti anche a me che non ho la fortuna di essere un credente, cercando di travasarli nella legge civile in modo che diventi obbligatorio anche per noi non credenti, è giusto? A me sembra di no.<ref>Citato in [[Umberto Veronesi]], ''[http://www.repubblica.it/2008/10/sezioni/cronaca/eluana-eutanasia-3/comm-veronesi/comm-veronesi.html Non vince la scienza]'', ''la Repubblica'', 14 novembre 2008.</ref> *Io il giornale urlato non è che non glielo voglio dare, non lo so fare! La clava non è nel mio armamentario! Non lo posso fare e non credo che sia un buon segno di civiltà politica l'uso della clava.<ref name="milano" /> *Io non sono napoletano, ma di fronte a [[Peppino De Filippo|Peppino]], non so come, mi capita sempre di diventarlo.<ref name=Pappagone>Citato in ''Pappagone e non solo'', a cura di Marco Giusti, Mondadori, Milano, 2003.</ref> *{{NDR|Alla nipote Letizia Moizzi}} Io sarò il tuo Jukebox. Tu metti una monetina e io ti racconto un ricordo.<ref>Citato in Elvira Serra, «Scoprii che era importante quando le Br gli spararono. Lo convinsi io a prendere i farmaci per la depressione», ''Corriere della Sera'', 20 gennaio 2025.</ref> *Io non voglio soffrire, io non ho della sofferenza un'idea cristiana. Ci dicono che la sofferenza eleva lo spirito; no la sofferenza è una cosa che fa male e basta, non eleva niente. E quindi io ho paura della sofferenza. Perché nei confronti della morte, io, che in tutto il resto credo di essere un moderato, sono assolutamente radicale. Se noi abbiamo un diritto alla vita, abbiamo anche un diritto alla morte. Sta a noi, deve essere riconosciuto a noi il diritto di scegliere il quando e il come della nostra morte.<ref>Citato in Carlo A. Martigli, ''[http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2002/04/25/sul-diritto-alla-morte-si-discute-su.html Sul diritto alla morte si discute su Internet]'', ''la Repubblica'', 25 aprile 2002.</ref> *Kipling diceva: "un italiano, un bel tipo; due italiani, una discussione; tre italiani, tre partiti politici". I suoi concittadini, invece, li definiva così: "un inglese, un cretino; due inglesi due cretini; tre inglesi, un popolo". Vorrei avere a che fare con dei cretini che, insieme, facessero un popolo.<ref>Citato in Cristina Taglietti, ''[https://web.archive.org/web/20160101000000/http://archiviostorico.corriere.it/1998/dicembre/17/Montanelli_cari_studenti_volete_spaccate_co_0_98121712510.shtml Montanelli: cari studenti, se volete spaccate tutto ma è inutile]'', ''Corriere della Sera'', 17 dicembre 1998.</ref> *{{NDR|Riguardo all'approvazione della legge elettorale nota come mattarellum}} L'unico modello a cui possiamo rifarci è quello francese, non quello inglese. In un paese dove ci sono venti-venticinque partiti, come si fa l'uninominale a turno unico? Qui rischia di vincere un partito che ottiene il dieci percento, perché gli altri hanno ottenuto il sette, il sei. Ma le pare giusto questo? Io non so se è stata una follia o un atto criminale questa riforma elettorale. Io sono per la traduzione in processo dei legislatori, da [[Sergio Mattarella|Mattarella]] agli altri - non è stato il solo - i quali hanno fatto, come al solito, o creduto di fare gli interessi del proprio partito. Hanno fatto questa legge prima che venisse il diluvio universale di [[Mani pulite|Tangentopoli]], convinti che siccome loro erano il partito di maggioranza relativa spazzavano via l'Italia. Poi è venuta tangentopoli e ora piangono. Dovrebbero suicidarsi se avessero un minimo di dignità. Suicidarsi. Perché in nome degli interessi di partito hanno completamente rovinato l'Italia. [...] Questi legislatori che hanno truffato con questa legge - perché questa legge è una truffa - io vorrei sapere come mai non vengono processati. Dovrebbero essere processati per lesa patria.<ref name=conferenza>[https://www.youtube.com/watch?v=snbg12DCPSM Indro Montanelli presenta "La Voce", conferenza stampa integrale], 1994.</ref> *La cosa curiosa di [[Antonino Caponnetto|Caponnetto]] è che si va a schierare con [[Leoluca Orlando|Orlando]] che è stato il peggior denigratore di [[Giovanni Falcone|Falcone]]. E poi dice che fa l'antimafia, io vorrei sapere i voti a Orlando chi glieli ha dati.<ref>Citato in Riccardo Chiaberge ''[https://web.archive.org/web/20160101000000/http://archiviostorico.corriere.it/1994/marzo/21/Montanelli_voce_controcorrente_co_0_94032115801.shtml Montanelli la voce controcorrente]'', ''Corriere della Sera'', 21 marzo 1994.</ref> *La [[cultura]], per un giornalista, è come una puttana: la puoi frequentare ma non devi ostentarla. La cultura si tiene nel cassetto. Il lettore non va trattato dall'alto in basso, ma preso per mano come un amico e portato dove vuoi.<ref>Citato in [[Roberto Gervaso]], ''Ve li racconto io'', Mondadori, Milano, 2006, p. 294, ISBN 88-04-54931-9.</ref> *La cultura si è chiusa nella torre eburnea. Rimane lì, arroccata in sé stessa, perché ha orrore dei contatti col pubblico, si crede diminuita dai contatti col pubblico. Questa è la cultura italiana. È una cultura di cretini.<ref name="montecarlo">Radio Montecarlo, [https://www.youtube.com/watch?v=A77mrwIjSSs Intervista a Indro Montanelli], di Roberto Arnaldi, 1973.</ref> *La [[depressione]] è una malattia democratica: colpisce tutti.<ref>Citato nel programma televisivo ''Ippocrate'', Rai News, 13 giugno 2010.</ref> *La devolution mi preoccupa molto, perché la decomposizione della [[Repubblica Socialista Federale di Jugoslavia|Jugoslavia]] cominciò esattamente così: reclamata e imposta dai due grandi compari Tudjiman e [[Slobodan Milošević|Milosevic]] che distrussero l'unità del Paese per restare padroni in casa propria...<ref>Citato in Gian Guido Vecchi, ''[https://web.archive.org/web/20160101000000/http://archiviostorico.corriere.it/2001/aprile/08/Devolution_traffico_voto_rebus_co_7_0104088547.shtml Devolution e traffico, il voto è un rebus]'', ''Corriere della Sera'', 8 aprile 2001.</ref> *La guerra contro il [[brigantaggio]], insorto contro lo Stato unitario, costò piú morti di tutti quelli del [[Risorgimento]]. Abbiamo sempre vissuto dei falsi: il falso del Risorgimento che assomiglia ben poco a quello che ci fanno studiare a scuola.<ref>Citato in Stefano Preite, ''Il Risorgimento, ovvero, Un passato che pesa sul presente'', Piero Lacaita, 2009.</ref> *La lettura del ''[[Adolf Hitler#Mein Kampf|Mein Kampf]]'' io la renderei, per legge, obbligatoria. Fuori dal contesto in cui fu concepito e scritto, quel libro è un caciucco di coglionerie.<ref>Citato in Cesare Medail, ''Il «Mein Kampf» torna nelle librerie italiane. Grazie a un editore cossuttiano'', ''Corriere della Sera'', 6 maggio 2000.</ref> *La nostra classe politica ha fatto del [[partito]] una specie di totem intoccabile e gli ha attribuito tutti i poteri, con in più un diritto: il diritto di abusarne.<ref name=Dovere>Dal programma televisivo ''Dovere di cronaca'', Rete 4, 1988, [https://www.youtube.com/watch?v=caQgyvTKZS8 visibile su YouTube].</ref> *Le cose non sono importanti per quello che sono, ma per quello che uno ci mette.<ref name="cento">intervista di Enzo Biagi a Indro Montanelli, (1982), da "Cento anni", Fabbri video, 1993.</ref> *Le mie idee sono sempre al vaglio dell'[[esperienza]] e l'esperienza mi impone di rivederle continuamente.<ref name="IIIB">Da un'intervista del 1971, tratta da ''III B, Facciamo l'appello'' di Enzo Biagi; anche in ''[http://www.rai.it/dl/Rai5/programma.html?ContentItem-f04f3982-e954-471e-8242-78f92423550d Indro Montanelli, gli anni della televisione]'', puntata 7, di Nevio Casadio, Rai Premium, 2013.</ref> *[[Leo Longanesi]] che amava [[Marcello Marchesi]] rabbiosamente per lo spreco che faceva del suo talento, quando lo incontrava, gli diceva: "Devo fare una telefonata, mi dai un gettone di intelligenza?". E un giorno mi ordinò un epitaffio per lui. Eccolo: "Qui giace un nessuno — che se avesse voluto — avrebbe potuto diventare — Marcello Marchesi —. Purtroppo o per fortuna — non lo seppe mai —. Come tutti i geni — era un cretino".<ref>Citato in Paola Fallai, ''Marchesi, l'umorista che creò un'atmosfera'', ''La lettura'', ''Corriere della Sera'', 25 marzo 2012; riportato in ''[http://www.cinquantamila.it/storyTellerArticolo.php?storyId=0000001549183 Cinquantamila.it]''.</ref> *Mi accusano molto spesso di avere inventato degli aneddoti. È verissimo. Io ogni tanto invento quando devo descrivere un personaggio, specialmente negli incontri, io invento qualche aneddoto. Però sono sempre aneddoti funzionali, che servono a dimostrare quel certo carattere che mi sembra vero e di dover dimostrare.<ref name="IIIB" /> *Mi avvio verso il mio capolinea con l'angoscia di portare con me le cose che ho più amato: il mio paese e il mio mestiere, temo che non mi sopravviveranno.<ref>Da un'intervista del 1996, tratta da ''Tablet Italiani'', puntata 2, "Montanelli/Bocca", Rai Storia, 25 agosto 2013.</ref> *{{NDR|Su [[Vittorio Mangili]], in riferimento all'[[rivoluzione ungherese del 1956|insurrezione antisovietica in Ungheria nel 1956]]}} Ne ha combinate di tutti i colori. Ha fatto perfino il portaordini dei patrioti, a bordo di una delle loro automobili di collegamento.<ref>Citato in Roberta Scorranese, ''[https://www.corriere.it/cronache/22_ottobre_09/vittorio-mangili-cento-anni-dell-inviato-rai-io-budapest-madre-teresa-1efd76ca-473a-11ed-8ee2-07ab17a2d97d.shtml Vittorio Mangili, i cento anni dell’inviato Rai «Io, da Budapest a Madre Teresa»]'', ''corriere.it'', 8 ottobre 2022.</ref> *Nei grandi [[giornale|giornali]] di oggi, che non possono farne a meno, chi comanda non è più nemmeno il [[direttore]]: è l'ufficio [[marketing]].<ref name="giornalista">Da: ''Repertorio della Fondazione Montanelli'', in ''Indro Montanelli - Gli anni della televisione 4: Io sono soltanto un giornalista'', a cura di Nevio Casadio, Rai Sat, 2009</ref> *{{NDR|Rivolto a [[Silvio Berlusconi|Berlusconi]] che voleva imporsi sulla linea editoriale de ''il Giornale''}} Nell'arte dell'imprenditoria, tu sei di certo un genio, ed io un coglione. Ma nell'arte della polemica il genio sono io, e tu il coglione.<ref name=Travaglio2004>Citato in Marco Travaglio, ''Montanelli e il Cavaliere'', Garzanti, Milano, 2004.</ref> *Nessuno di noi la strada della ribellione la batté sino in fondo, come voleva [[Berto Ricci|Ricci]]: per la semplice ragione che si trattava di una strada che fondi non ne aveva. Qualcuno poi scantonò in questo o in quello dei sette o otto partiti che aprirono le porte a questa generazione perduta. E forse si illuse di aver trovato un’altra bandiera. Io sono tra i rassegnati: so benissimo che di bandiere non posso averne altre e che l'unica che seguiterà a sventolare sulla mia vita è quella che disertai, prima che cadesse.<ref>Citato in Mario Bernardi Guardi, ''La giovinezza di Montanelli ebbe un nome: Berto Ricci'', ''Il Primato Nazionale'', 3 maggio 2016.</ref> *No, [[Marco Travaglio|Travaglio]] non uccide nessuno. Col coltello. Usa un'arma molto più raffinata e non perseguibile penalmente: l'archivio.<ref name=Travaglio2004/> *Noi italiani non crediamo in nulla e tanto meno nelle virtù che qualcuno ci attribuisce. Ma tra di esse ce n'è una nella quale riponiamo una fede incorruttibile: quella della nostra capacità di corrompere tutto.<ref>Citato in Mario Cervi, ''Ti ricordi Indro?'', Società europea di edizioni, Milano, 2017, p. 57. ISBN 9778118178454</ref> *Noi qui buttiamo tutte le colpe addosso agli altri. Ma bisogna fare i conti anche col popolo italiano. Siamo noi che li abbiamo eletti questi signori. Sono mica piovuti dalla luna. E allora non accaniamoci soltanto sulla classe politica. Noi siamo un elettorato disposto a ogni sorta di transazione, quando ci fa comodo.<ref name=conferenza /> *Non credo alle feste comandate. La memoria dovrebbe essere spontanea. L'unica cosa che si dovrebbe fare è raccontare veramente e in maniera spassionata ai giovani, che non lo sanno, cosa è stata la Shoah, senza fare mobilitazioni di folle.<ref>Citato in Marco Cremonesi, ''[https://web.archive.org/web/20160101000000/http://archiviostorico.corriere.it/2001/gennaio/28/Diecimila_piazza_con_nomi_dei_co_0_0101282160.shtml Diecimila in piazza con i nomi dei lager]'', ''Corriere della Sera'', 28 gennaio 2001, p. 31.</ref> *Non do più nessun significato a queste due parole {{NDR|destra e sinistra}}, le ritengo un cascame, un residuato di situazioni oramai defunte. [[Destra e sinistra]] non hanno più nessun significato e credo che noi ci stiamo attardando su una terminologia arcaica, oramai da seppellire.<ref>Radio Radicale, [https://www.radioradicale.it/scheda/598/599-elezioni Elezioni], 38:58-39:26, 25 maggio 1979.</ref> *Non mi si portino i soliti argomenti astratti, tipo la sacralità della vita: nessuno contesta il diritto di ognuno a disporre della sua vita, non vedo perché gli si debba contestare il diritto a scegliere la propria morte.<ref>Citato in Enrico Bonerandi, ''[http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2000/12/13/montanelli-pronto-morire.html Montanelli: pronto a morire]'', '' la Repubblica'', 13 dicembre 2000, p. 36.</ref> *{{NDR|Il Polo delle Libertà}} Non venga a farci credere che è costretto all'[[Aventino (espressione)|Aventino]] dal clima di violenza creato dall'Ulivo. Dove diavolo la vede questa violenza? Mi basta guardare la faccia di [[Romano Prodi|Prodi]] 1996 per metterla a confronto con quella di Mussolini 1924 per escludere che in Italia corriamo il pericolo di una dittatura. Per fare una dittatura ci vuole un dittatore.<ref>Citato in Alessandro Longo, ''[https://rep.repubblica.it/pwa/generale/2018/03/17/news/aventino-191559602/?ref=pwa-rep-hp-2-1-1 Perché si dice Aventino]'', ''Rep.repubblica.it'', 17 marzo 2018.</ref> *{{ndr|su [[Gianni Agnelli]]}} Parla con la propria bocca, pensa con il cervello di Valletta, col cuore di Giulio De Benedetti e con gli interessi polivalenti della Fiat.<ref>Citato in Paolo Granzotto, ''Montanelli'', p. 129.</ref> *{{ndr|su [[Mariano Rumor]]}} Personaggio da commedia [[Carlo Goldoni|goldoniana]] più che da tragedia contemporanea.<ref>Citato in Paolo Granzotto, ''Montanelli'', p. 145.</ref> *Posso solo dire che l'Italia del Cattaneo è quella che conserva qualche probabilità di salvarsi da questo degrado politico, culturale, morale, economico. E l'Italia del Cattaneo è quella Cisalpina. A nord del Po, e forse anche in Emilia, esistono tracce di coscienza civile e anche di classi dirigenti sane. Poi c'è un'Italia centrale, quella toscana e umbra e marchigiana, che conserva le sue peculiarità, i suoi caratteri spiccati che affondano le radici nell'Italia comunale e rinascimentale. Il resto è un disastro che non saprei come salvare. Del resto Cattaneo ci tentò, andò a Napoli e resistette qualche giorno. Poi si arrese e se ne tornò nella sua Lugano, nella sua Svizzera.<ref name=Italia>Citato in ''Il grande vecchio del giornalismo rilegge gli ultimi anni della nostra storia'', ''L'Indipendente'', 25 luglio 1995.</ref> *Pur ricordandovi che la nostra regola è quella di non tener conto delle intemperanze altrui, specie dei politici, e di dire sempre la verità, tutta la verità, senza partito preso né animosità verso nessuno, vi autorizzo a comunicare al [[Bobo Craxi|suddetto signore]], se ve ne capita l'occasione, che l'unica «testa» in pericolo di cadere dopo il 5 aprile non è la vostra ma, casomai, la sua. E potete aggiungere, da parte mia, che non la considererei una gran perdita.<ref>Citato in [[Federico Orlando]], ''Il sabato andavamo ad Arcore'', Larus, Bergamo, 1995.</ref> *[[Sandro Pertini|Pertini]] ha interpretato al meglio il peggio degli italiani.<ref>Citato in Franco Fontanini, ''Piccola antologia del pensiero breve'', Liguori Editore, Napoli, 2007, p. 12.</ref> *Quando mi viene in mente un bell'aforisma, lo metto in conto a [[Montesquieu]], od a [[François de La Rochefoucauld|La Rochefoucauld]]. Non si sono mai lamentati.<ref>Citato in Luigi Mascheroni, ''[http://www.ilgiornale.it/news/mai-dette-ripetiamo-sempre-ecco-frasi-fantasma-storia.html Mai dette, ma le ripetiamo sempre. Ecco le frasi fantasma della storia]'', ''il Giornale'', 21 marzo 2009, p. 22.</ref> *Quello che ci ripugna è che, per mettere un controllo all'autorità politica, ci sia bisogno di ricorrere all'autorità giudiziaria. Cioè che, alla fine, noi avremo le riforme istituzionali non per via politica, ma per via giudiziaria e processuale. Questo ci allarma anche perché, come avrete ben capito, la mia opinione dei politici è molto bassa, ma quella dei giudici non è migliore. Perché anche i giudici sono stati corrotti dalla partitocrazia. Lo dimostra il semplice fatto che molti di loro ostentano la tessera di partito. Un giudice che ha venduto la propria imparzialità ai partiti è un giudice che, prima di processare gli altri, dovrebbe essere processato lui e cacciato in galera. Lo so che a dire queste cose si possono avere dei dispiaceri, ma io di dispiaceri in vita mia ne ho avuti tanti che, uno più o uno meno, non mi fa nessunissimo effetto.<ref name=Dovere/> *{{NDR|[[Carmen Lasorella]]}} Richiama tanta attenzione non solo per la sua bravura ma anche per quel che possiede dal cervello in giù.<ref>Citato in Luigi Mascheroni, ''[https://books.google.it/books?id=gtg7AQAAIAAJ&q=%22Richiama+tanta+attenzione+non+solo+per+la+sua+bravura+ma+anche+per+quel+che+possiede+dal+cervello+in+gi%C3%B9+%22&dq=%22Richiama+tanta+attenzione+non+solo+per+la+sua+bravura+ma+anche+per+quel+che+possiede+dal+cervello+in+gi%C3%B9+%22&hl=it&newbks=1&newbks_redir=0&sa=X&ved=2ahUKEwiC2PXRl5WDAxVs4AIHHazPCd4Q6AF6BAgHEAI Sette, settimanale del Corriere della sera, Edizioni 1-9]'', 1996.</ref> *Sfido io che {{NDR|''il Giornale''}} non va bene come vendite. Non va bene come vendite perché noi siamo ancora alla macchina Olivetti. Qui non è stato fatto mai nessun investimento ed è stato detto chiaro che gli investimenti non sarebbero venuti finché io ne fossi il direttore. Questa è la situazione.<ref name="milano" /> *Siamo un paese cattolico, che nella [[Provvidenza]] ci crede o almeno ne è affascinato. Il pericolo è questo: gli [[italia]]ni sentendo aria di provvidenza sono sempre pronti a mettersi in fila speranzosi.<ref name=Provvidenza>Citato in ''[http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/1994/02/24/rivogliono-uomo-della-provvidenza.html?ref=search Rivogliono l'uomo della provvidenza]'', ''la Repubblica'', 24 febbraio 1994, p. 11.</ref> *Se avessi potuto immaginare come sarebbe stata distrutta la vecchia classe politica italiana - che meritava la distruzione, sia chiaro - se avessi potuto immaginare che la distruzione della vecchia classe politica italiana, in gran parte marcia, avrebbe dischiuso una situazione come quella attuale e che la vecchia legge proporzionale sarebbe stata sostituita dall'attuale legge maggioritaria così come è stata compilata, io avrei forse difeso la vecchia classe. Per lo meno non mi sarei battuto con tanta asprezza e con tanto vigore contro quella classe politica, che meritava di finire, ma a cui si stanno dando dei successori che, ricordatevelo bene, ci faranno rimpiangere quella vecchia. È il peggio che si può dire. Ma io lo dico. Perché non riesco proprio a vedere cosa sta venendo fuori da questo rimescolio di carte.<ref name=conferenza /> *{{NDR|«Se dovesse fondare un giornale a novant'anni, che giornale farebbe?»}} Se io dovessi oggi fare un giornale, farei un ''Foglio'' un po' più grande: invece che di 4 facciate di 10 o di 12. Non di più. Con una redazione ridottissima e facendo un preventivo che mi mettesse al riparo dalle delusioni. Mirerei ad avere non più di venti/trentamila lettori e non avere pubblicità. Su queste basi, forse, riuscirei a fare un [[giornale]] di alto prestigio, ma purtroppo destinato a una élite.<ref name="giornalista" /> *Sta arrivando l'uomo della provvidenza. E io, in vita mia, di questi personaggi ne ho già conosciuto uno. Mi è bastato. Per sempre.<ref name=Provvidenza></ref> *Una cultura che perde i contatti col pubblico si sterilisce e muore. Questa è la verità. E la nostra cultura è assolutamente sterile. Noi culturalmente non contiamo più nulla nel mondo. Perché? Perché è chiusa in sé stessa, la cultura, ha perso i contatti col pubblico, con la vita. Non c'è più. Sono mummie. Non è più cultura: è mafia.<ref name="montecarlo" /> *{{NDR|Su [[Aldo Moro]]}} Un generale che, sfiduciato del proprio esercito, credeva che l'unico modo di combattere il nemico fosse quello di abbracciarlo.<ref>Citato in [[Roberto Gervaso]], ''Ve li racconto io'', Mondadori, Milano, 2006, p. 310, ISBN 88-04-54931-9.</ref> *Un giorno fui convocato a Palazzo Venezia, era il 1932 e avevo 23 anni, perché il duce voleva vedermi. Ero emozionatissimo, entrai e mi misi sull'attenti, e il duce che faceva finta di scrivere mi lasciò lì per un quarto d'ora e alla fine mi disse: "Ho letto il vostro articolo sul razzismo (avevo scritto un articolo contro il razzismo). Bravo, vi elogio. Il razzismo è roba da biondi (non si era accorto che ero biondo), continuate così. Sei anni dopo fece le leggi razziali. Perché questo era [[Benito Mussolini|Mussolini]], diceva una cosa e ne faceva un'altra, secondo il vento del momento. Non creava il vento, vi si accodava da buon italiano.<ref>Citato in Gianna Fregonara, ''[https://web.archive.org/web/20160101000000/http://archiviostorico.corriere.it/2010/gennaio/24/Dal_balcone_Mussolini_bianco_sorriso_co_9_100124324.shtml Dal balcone di Mussolini al bianco sorriso di Belen]'', 24 gennaio 2010, p. 34.</ref> *{{NDR|Su [[Giorgio La Pira]]}} Un pasticcione ben intenzionato che, nel nome del Signore, appoggia le peggiori cause appellandosi ai migliori sentimenti.<ref>Citato in [[Roberto Gervaso]], ''Ve li racconto io'', Mondadori, Milano, 2006, p. 236, ISBN 88-04-54931-9.</ref> ===Citazioni tratte da suoi libri=== *{{NDR|Sul funerale di [[Leo Longanesi]]}} Al cimitero ci si ritrovò in una decina di persone, non di più. Non ci furono cerimonie né discorsi. Solo la piccola Virginia, che avrà avuto quattordici anni, mentre la bara di suo padre calava nella tomba, mormorò: «E dire che gli orfani mi sono sempre stati così antipatici...» Una frase che sarebbe piaciuta moltissimo a Leo.<ref>Dalla presentazione a [[Leo Longanesi]], ''In piedi e seduti'', Longanesi & C., Milano, 1968.</ref> ====''Caro Indro...''==== *L'aureola di martire a Craxi nessuno è disposto a riconoscergliela, proprio perché inconciliabile con l'arroganza con cui si comporta. Nessun paragone col contegno di Andreotti, davvero ineccepibile. Sul banco degli imputati ci sta da imputato, dimentico di essere stato per ben sette volte capo del governo. Parla solo se interrogato, e a bassa voce. Non rinuncia alla propria dignità, ma non la ostenta. Eppoi, le colpe che gli si addebitano saranno anche più gravi di quelle che si addebitano a Craxi, ma meno spregevoli. Potrà anche aver baciato Riina (sebbene a me questo appaia poco credibile). Ma del pubblico denaro non risulta che gli sia scivolata in tasca nemmeno una lira. Forse merita la fucilazione. Lo spregio, no. (31.1.1996) (p. 9) *Non ho mai conosciuto [[Yasser Arafat|Arafat]], né mai ho cercato di conoscerlo: non mi pare che il suo aspetto inviti alla simpatia. Però non l'ho mai considerato un criminale anche se si trovava alla testa di un'[[Organizzazione per la Liberazione della Palestina|organizzazione]] in cui di criminali ce ne sono molti. E oggi non lo considero affatto un eroe, ma un uomo coraggioso sì, perché lo ritengo in costante pericolo di vita. La lotta per il potere, dentro l'Olp, è a coltello: e i nemici di Arafat sono quelli che il coltello lo maneggiano meglio di tutti. Stringendo la mano a [[Yitzhak Rabin|Rabin]], Arafat ha moltiplicato i suoi nemici e li ha resi ancora più rabbiosi. È un uomo a rischio, non c'è dubbio. E se muore lui, addio pace in Medio Oriente. (4.10.1993) (p. 11) *Certo che il passato dell'Olp, carico di bombe e di sangue, non è la migliore referenza per un Nobel, ma Arafat è però anche l'unico interlocutore palestinese: dopo di lui c'è il nulla, o meglio soltanto gruppi di fanatici votati alla violenza e alla distruzione di [[Israele]]. Una volta presa la decisione di premiare i protagonisti del tormentato processodi pace in Medioriente [...] si è dovuto fare di necessità virtù e dare il riconoscimento anche all'uomo che per molti anni è stato un simbolo del terrorismo, nonché l'ispiratore di tante altre «lotte armate»: premiare solo Rabin e [[Shimon Peres|Peres]] sarebbe stato uno schiaffo ai palestinesi, un'iniziativa controproducente. [...] Forse più che il Nobel per la pace meriterebbe quello per il ravvedimento... (30.10.1994) (p. 12) *«Libera Chiesa in libero Stato» è una formula più d'effetto che di sostanza. Potrebbe anche significare che Chiesa e Stato si ignorano a vicenda e ognuno dei due si attribuisce i poteri che più gli aggradono: che è il modo più sicuro per litigare, non certo per convivere. Fra i due ci deve essere un patto improntato al reciproco rispetto: condizione più facile da formulare che da realizzare. Ma sembra che lo sviluppo di questo rapporto negli ultimi anni abbia fatto più passi indietro che avanti. E mi pare che dello stesso parere sia il capo dello Stato, Carlo Azeglio Ciampi. Meno male (7.3.2001) (p. 30) *Ho fiducia in [[Massimo D'Alema|D'alema]], anche se non voterò mai per lui. Ho fiducia per due motivi. Prima di tutto perché, fra i leader di oggi, è l'unico vero professionista della politica. Eppoi perché non ho dubbi sulla sua intenzione di fare del Pds un partito socialdemocratico o laburista. Se non fosse così, non solo Prodi ma nemmeno Veltroni sarebbero al suo fianco. E appunto perché è così, sono convinto che consumerà fino in fondo il divorzio da Rifondazione. Lo consumerà cercando di non farsene portar via molti elettori. Ma lo consumerà per conquistare i moderati: altra strada non può battere. E proprio in questi giorni lo ha dimostrato sacrificando anche quella piccola falce e martello che tuttora sopravviveva nel simbolo del suo partito ai piedi della Quercia. Non era che un «segno», dirà qualcuno. Sì, ma che segno! (17.5.1995) (p. 42) *Anch'io sono stato in passato un fautore dell'elezione diretta, cioè per consultazione popolare, del Capo dello Stato. Mi pareva il mezzo più efficace per sottrarre almeno il Quirinale agl'intrallazzi dei partiti e per avere un garante al di sopra di essi. Ma poi ho dovuto cambiare idea di fronte alle prove di balordaggine, d'ignoranza, di totale mancanza di consapevolezza morale e civile dell'elettorato italiano, o almeno della sua maggioranza. È un elettorato sempre pronto a correre dietro a qualche ciarlatano che sappia vendere bene la sua merce e a lasciarsene trascinare nelle imprese più insensate. Insomma considero la stupidità più pericolosa degl'intrallazzi. (23.12.1998) (p. 47) *Non credo che [[Diana Spencer|Diana]] rimarrà nella memoria dei posteri. Era una bella e simpatica ragazza, che avrebbe anche potuto essere una buona moglie e una buona madre, ma che non aveva certamente la stoffa e le dimensioni umane, comportamentali di una regina. Più e meglio che sul trono, il suo personaggio avrebbe figurato in un romanzo di Liala. Non riesco ad accostarla a figure storiche (17.9.1997) (p. 72) *Mussolini non aveva la stoffa del criminale né di guerra né di pace. Dicendolo, so di espormi alle contumelie della cosiddetta intellighenzia. Ma ne ho già ricevute tante che non mi fanno più nessun effetto. Tuttavia mi rendo conto che alla condanna a morte non avrebbe potuto sfuggire perché almeno un responsabile delle catastrofi che si erano abbattute sull'Italia si doveva pur trovare, e non poteva essere che lui. Però c'è da ringraziare Dio, e per esso, il Comitato di liberazione nazionale che ne ordinò (o avallò) la fucilazione sul posto perché un processo a Mussolini avrebbe ancora più spaccato un Paese già spaccato dalla guerra civile (per chiamare col suo vero nome, la Resistenza). E credo che anche gli Alleati trassero un respiro di sollievo dal venirne esentati. Un processo avrebbe messo in imbarazzo anche loro per le indulgenze che avevano avuto verso di lui e quella parodia di totalitarismo ch'era stata il suo regime. Una Norimberga italiana sarebbe stata anch'essa una parodia. La fucilazione sul posto di Mussolini era un atto dovuto. Quello che non era dovuto, e che per gl'italiani provvisti di qualche senso dell'onore e della decenza rimarrà una indelebile vergogna, fu la scena di piazzale Loreto (30.6.1999) (pp. 89-90) *{{NDR|«Poni che ti regalino una telecamera, con il diritto di spiare per un mese, non visto, un potente della Terra, a tua scelta, dalla regina Elisabetta a Gheddafi, da Saddam a Clinton. Quale personaggio ti incuriosirebbe di più?»}} [[Vladimir Putin|Putin]]. Credo che sia una canaglia perché solo le canaglie potevano arruolarsi e fare carriera in un corpo di polizia come il Kgb. Ma è proprio di una canaglia che la [[Russia]] ha bisogno per ricompattarsi all'interno, risollevarsi dal caos in cui l'ha precipitata il crollo di un regime totalitario durato settant'anni, e riprendere nel gioco delle potenze mondiali il posto che spetta a un Paese di 250 milioni di abitanti, di grandi tradizioni e d'inesauribili risorse naturali. L'Occidente ha bisogno della Russia: è il suo antemurale verso un Oriente che può riservarci amare sorprese. [...] Non facciamoci illusioni sull'avvenire di una democrazia in Russia. Essa ha bisogno [...] di una mano forte e spregiudicata, di una canaglia insomma. [...] Ecco perché mi piacerebbe conoscere Putin: per vedere se è la canaglia di cui mi pare abbia bisogno la Russia in questo momento: un «momento» destinato a durare parecchi decenni. (18.10.2000) (pp. 104-105) ====''Il testimone''==== *[[Corrado Carnevale|Carnevale]] ha dichiarato in un'intervista che la notte non ha bisogno di sonniferi per dormire perché, nei confronti della Legge, la sua coscienza è a posto. Ci crediamo senz'altro. Ma se si ponesse la stessa domanda nei confronti della Giustizia, mi domando se i suoi sogni sarebbero altrettanto tranquilli. E ci rendiamo tuttavia conto che questa domanda non se la porrà mai, e anzi gli sembrerà del tutto stravagante. Perché, per un magistrato italiano, la Legge con la Giustizia non ha nulla a che fare. (da p. 386) ====''Il meglio di «Controcorrente» 1974-1992''==== *Il «comitato permanente antifascista» di Milano ha deciso di chiedere un «riconoscimento» per tutti coloro che sono stati «coinvolti direttamente nella strategia della tensione a partire dal 1º gennaio 1969». Ci risiamo. Tutta la nostra vita è stata angosciata e angariata dagli antemarcia: prima quelli del Littorio, poi quelli della Resistenza, ed ecco che ora spuntano quelli della «tensione». Longanesi aveva ragione: in questo Paese, reduci si nasce. (p. 47) *Agli alunni della terza classe (anni otto-nove) della scuola elementare di via Pisani, Milano, è stato assegnato il seguente problema: «Mario, Gino e Beppino sono i capi della banda. Mario dice a Gino che la banda ha quasi esaurito le munizioni: rimangono solo 5 cassette con 130 pallottole per cassetta. Quante pallottole rimangono?». Debolucci come siamo, in aritmetica, non lo sappiamo nemmeno noi. Ma ci pare che una per l'insegnante e una per il ministro Malfatti ci dovrebbero ancora essere. (p. 79) *Il messaggio di addio che il dimissionario capo dello Stato ha detto alla televisione e che anche noi pubblichiamo, è ineccepibile. Esso dà del presidente [[Giovanni Leone|Leone]] un'immagine che non fa una piega: un galantuomo all'antica, padre di una famiglia esemplare, ingiustamente calunniato da una stampa irresponsabile. Siamo sicuri che tutto questo si può dire di Leone. Ha un solo difetto: che a dirlo è stato Leone. (p. 84) *A Roma, nonostante tutte le ricerche fatte, non è stato possibile trovare un locale disponibile per un convegno di radicali. Non ce n'era uno abbastanza piccolo per contenerli tutti. (p. 103) *Qualcuno teme – e qualche altro spera – che l'Afghanistan diventi il Vietnam dei russi. Niente paura, in Afghanistan non ci sono giornalisti. (p. 112) *Quella del ''Corriere'' non è una situazione invidiabile: il direttore in congedo per l'affare della P2, manager ed articolisti contestati per lo stesso motivo, il maggiore azionista in galera, accusato di reati valutari, montagne di debiti, trasparenza della proprietà limpida come un mare in burrasca. Ci sarebbe davvero da mettersi le mani nei capelli. Se non fosse un giornale di [[Roberto Calvi|Calvi]]. (pp. 125-126) *Quando leggiamo «ministro senza portafoglio», ci viene sempre un dubbio. Che glielo abbia rubato qualche collega? (p. 146) *L'[[Organizzazione per la Liberazione della Palestina|Olp, Organizzazione per la liberazione della Palestina]], è stata ammessa con voto unanime, anche se provvisoriamente, nel Comitato olimpico asiatico. Non sapevamo che il lancio della bomba fosse diventato una disciplina atletica. (pp. 171-172) *A suo tempo imprigionato dagl'israeliani per complicità col terrorismo palestinese, e liberato per l'intervento del Vaticano con l'impegno di astenersi dalla politica, l'Arcivescovo libanese di Gerusalemme [[Hilarion Capucci]] ha dichiarato in un'intervista all'''Europeo'' che i rivoltosi di Gaza e della Cisgiordania non ricevono ordini da nessuno: «Li prendono solo da Dio, loro unico leader». Lo abbiamo sempre detto, noi: a grattare un arabo, anche se cristiano e Monsignore, viene fuori un Ayatollah. Ma forse non c'è neanche bisogno di grattare. (p. 184) *Da Praga [[Bettino Craxi]] proclama che «bisogna liberare l'Italia da Falci e Martelli». Benissimo. Ma chi è Falci? (p. 206) *[[Pino Rauti]] è intenzionato a candidare un africano alle elezioni comunali fiorentine. Più che giusto: il nero si addice al Msi. (p. 209) *Per evitare pubblicità attorno al caso di [[Angelo Peruzzi|Peruzzi]] e [[Andrea Carnevale|Carnevale]], i due giocatori giallo-rossi risultati positivi all'antidoping, il presidente della Roma, [[Dino Viola]], ha deciso di portare tutta la squadra in ritiro. A San Patrignano. (p. 216) *Secondo ''La Notte'' di ieri – che riferisce dichiarazioni d'un capo della Jihad islamica, Ibrahim Serbell – i terroristi arabi hanno nel loro mirino, per quanto riguarda l'Italia, «uomini politici, aeroporti e alcuni obiettivi strategici». Siamo molto preoccupati per gli aeroporti e gli obiettivi strategici. (p. 220) *La fantapolitica non è il nostro esercizio preferito. Ma ci chiediamo che cosa succederebbe se, con un colpo alla Moro, i terroristi si impadronissero di Cossiga e lanciassero al governo il ricattatorio ultimatum: «Se non ci date cento miliardi, lo liberiamo». (p. 228) *Malgrado tutto (e per tutto intendiamo proprio tutto), [[Moana Pozzi]] non è riuscita ad entrare a Montecitorio. Peccato. È l'unica Camera che non potrà dire di aver frequentato. (p. 236) *Sull'''Unità'' è comparsa la lettera di un deputato che, pericolosamente sfiorato da un motociclista, invoca drastiche misure penali contro i «teppisti al volante». Ci associamo alla proposta. L'unica cosa che ci sconcerta è la firma del proponente: è quella dell'onorevole [[Mario Gozzini]], autore della famosa legge che in pratica vorrebbe l'indulgenza plenaria per qualsiasi reo e reato. (p. 244) ===Attribuite=== *Berlusconi non delude mai: quando ti aspetti che dica una scempiaggine, la dice.<ref name=Travaglio2004/> :In ''Io e il cavaliere qualche anno fa'', ''Corriere della Sera'', 25 marzo 2001, p. 1, Montanelli attribuisce la citazione a «un'alta personalità della Finanza, nota anche per il suo infallibile fiuto degli uomini». La frase esatta è: «Avrà anche i suoi difetti, ma un merito bisogna riconoscerglielo: quello di non deludere mai. Quando ti aspetti che dica una scempiaggine, la dice». ==Interviste== {{cronologico}} *{{NDR|La guerra coloniale etiopica}} Considerandola oggi, con la mia maturità d'oggi, {{NDR|è}} un'avventura di una stupidità senza fine. Ma immaginiamo un ragazzo di 24 anni messo al comando di una banda indigena, con 100 uomini neri – lui solo bianco – buttato all'avventura in quella guerra che di combattimenti ne ebbe molto pochi – non voglio passare per un gran guerriero, affatto – ma furono un anno e mezzo a cavallo, di cavalcate in questa natura selvaggia (ripeto, combattimenti ben pochi). {{NDR|«Dicono anche che lei aveva una moglie, diciamo indigena, molto bella, che era la più bella di tutte quelle che avevano gli ufficiali d'allora»}} Sì. {{NDR|«Era molto invidiato per questo»}} Pare che avessi scelto bene, era una bellissima ragazza bilena, di 12 anni – {{NDR|sorridendo}} scusatemi, ma in Africa è un'altra cosa – e così l'avevo sposata, nel senso che l'avevo regolarmente comprata dal padre che mi ha accompagnato insieme alle mogli dei miei ascari. Queste mogli degli ascari non è che seguissero la banda, ma ogni 15 giorni raggiungevano la banda: io non ho mai capito come facessero a trovarci in questo infinito dell'Abissinia. Quelle arrivavano e arrivava anche questa mia moglie con la cesta in testa, che mi portava la biancheria pulita. [...] {{NDR|Domanda del pubblico: «Lei ha detto tranquillamente di avere avuto una sposa, diciamo, di 12 anni e a 25 anni lei non si è peritato affatto di violentare una ragazza di 12 anni, dicendo "Ma in Africa queste cose si fanno". Io vorrei chiedere a lui come intende normalmente i suoi rapporti con le donne date queste due affermazioni»}} No signorina guardi, sulla violenza, nessuna violenza perché le ragazze in Abissinia si sposano a 12 anni. Non è questione, Quindi. {{NDR|Domanda del pubblico: «Su un piano di consapevolezza dell'uomo, insomma, il rapporto con una bambina di 12 anni è il rapporto con una bambina di 12 anni. Se lo facesse in Europa rischierebbe di violentare una bambina, vero?»}} Sì, in Europa sì, ma lì no. {{NDR|«Ecco, appunto»}} Lì no. {{NDR|«Quale differenza crede che esista dal punto di vista biologico, o anche psicologico?»}} No, guardi, {{NDR|«Dal punto di vista del costume»}} lì si sposano a 12 anni, non è questione. A 12 anni si sposano. {{NDR|«Ma non è il matrimonio che lei intende, a 12 anni in Africa. Guardi, io ho vissuto in Africa»}} Sì. {{NDR|«Quindi il vostro era veramente il rapporto violento del colonialista che veniva lì e si impossessava della ragazza di 12 anni»}} No... {{NDR|«Ma glielo garantisco, senza assolutamente tener conto di questo tipo di rapporto sul piano umano. Eravate i vincitori, cioè i militari che hanno fatto le stesse cose ovunque sono stati i vincitori, ovunque gli uomini si sono presentati come dei militari. La Storia è piena di queste situazioni»}} {{NDR|sorridendo}} Signorina, non so se lei vuole istruirmi un processo «a posteriori». {{NDR|«No, no, affatto. Guardi, ho soltanto voluto chiederle, per inciso, come lei intende – dopo le due interpretazioni – i rapporti con le donne»}} Dipende da cosa si mette dentro, dipende anche da cosa le donne mettono dentro di noi. È tutto un giuoco di specchi. {{NDR|«Ma lei vede sempre la donna in questa veste passiva di adulatrice, oppure di compagna – che appare e scompare – dell'uomo, non l'ha mai vista in una funzione diretta, attiva e diversa. Questo è un po' il dramma degli uomini della sua generazione»}} {{NDR|sorridendo}} Può darsi. Della mia generazione? Solo? {{NDR|«Credo»}} {{NDR|sorridendo}} Vabbè. Può darsi. (Da ''L'ora della verità'', 22 ottobre 1969) *{{NDR|Domanda del pubblico: «Io vorrei sapere perché lei, che si ritiene un osservatore, non ha mai affrontato il discorso sulla contestazione giovanile, tenendo anche presente il fatto che lei cerca il lettore. Lei ai giovani non dice assolutamente niente come giornalista»}} Come? {{NDR|«Se c'è un pubblico che lei sta perdendo, e forse non ha mai avuto, è proprio quello dei giovani. Vorrei sapere come mai lei non ha mai affrontato il discorso sulla contestazione, sulla realtà giovanile che è esplosa in questi ultimi anni»}} Signorina, io avrei tanto volentieri affrontato il discorso sulla contestazione se fosse possibile agganciare il discorso coi contestatori. Ma coi contestatori io non faccio il [[Alberto Moravia|Moravia]]. No. Non vado a farmi spernacchiare dai giovani, mi dispiace tanto. Né dai giovani, né da nessun altro. {{NDR|«Lei ha paura, scusi, di affrontare un discorso»}} No, io non ho paura, ma non ammetto di essere accolto a quel modo. È proprio un fatto, così, di dignità. {{NDR|«E allora, scusi, lei a questo punto rinuncia a un pubblico come può essere quello dei giovani semplicemente, così, per non avere degli spernacchiamenti, per non compromettere – diciamo – questo suo successo a cui è arrivato»}} Ma scusi, ma che dialogo sono le pernacchie? Me lo vuole spiegare? (ibidem) *Certamente [[Benito Mussolini|Mussolini]] fu un grossissimo politico, un uomo politico di grandissimo fiuto, di tempismo formidabile: lo dimostrò la facilità con cui vinse. Forse dovuta per metà alle sue capacità, alla sua bravura – parlo sempre come politico – e per metà all'insipienza, alla nullaggine dei suoi avversari, perché è tempo oramai di dire anche questo. Non c'è dubbio che il potere assoluto guastò completamente Mussolini: il Mussolini del 1930 non era certamente quello del 1940, il Mussolini di dieci anni dopo l'avvento al potere era diventato una specie di marionetta, la caricatura di sé stesso. Aveva perso proprio il senso della realtà, che era stato invece il suo forte da principio, il contatto col pubblico lo aveva perso, il senso della misura, e lo aveva dimostrato poi con gli errori madornali che ha fatto. Nei primi dieci anni credo che alcune cose buone le abbia fatte. Non credo che abbia ucciso la democrazia, credo che l'abbia soltanto seppellita perché era già morta. Da quel poco che ricordo l'Italia era un grosso carnevale, e anche abbastanza drammatico, perché la situazione interna era addirittura sfasciata: correva sangue, ne correva molto, noi in Toscana ne sapevamo qualcosa [...]. E quindi non è vero che lui... le democrazie non vengono mai uccise, le democrazie muoiono. Dopodiché si dà la colpa a chi le seppellisce, ma la verità è che si suicidano, e credo che la democrazia italiana del '21-22 si sia suicidata. [...] Mussolini capì una cosa fondamentale: che per piacere agli italiani bisognava dare a ciascuno di essi una piccola fetta di potere col diritto di abusarne. Questo era il fascismo. Il fascismo aveva creato una [[gerarchia]] talmente articolata e complessa che ognuno aveva dei galloni: il capofabbricato, il caposettore... tutti avevano una piccola fetta di potere, di cui naturalmente ognuno abusava, come è nel carattere degli italiani. (da ''Questo secolo'', 18 maggio 1982) *Ero all'estero, lavoravo nel giornalismo americano, alla ''United Press''. Chiesi alla mia agenzia di mandarmi come corrispondente in Abissinia. Giustamente mi dissero: «No, perché lei è un italiano, quindi logicamente non fa delle corrispondenze obiettive». Dico: «Avete ragione. Allora io vi lascio e vado volontario». Feci la mia brava domanda (la feci anche raccomandare). La domanda fu accolta, io fui mandato in Abissinia e, cosa un po' strana [...], a questo ragazzo di 23 anni [...] venne affidata una banda. [...] In quei due anni io contribuii a fare una cosa sbagliata, un'autentica fregnaccia qual era costruire un impero nel '35, quando coloro che lo avevano lo stavano già liquidando perché erano cose antistoriche. Ma io a 23 anni, a 24 anni, non potevo capire questo. Ebbi due anni di vita all'aria aperta, bella, di avventura, in cui credetti di essere un personaggio di Kipling, di contribuire a fare qualcosa di importante. Poi mi accorsi che non era vero, ma le cose non sono importanti per quello che sono, ma per quello che uno ci mette. E io in quel momento ci mettevo un grande entusiasmo: ebbi due anni di vita bellissima, a cavallo, con le tende, i miei uomini, libero, solo (perché non rispondevo a nessuno). Eh beh, compiango i giovani che non hanno avuto una simile esperienza. {{NDR|«E anche con una giovane moglie»}} E anche con una giovane moglie, {{NDR|indicando una fotografia}} eccola lì. Regolarmente sposata in quanto regolarmente comprata dal padre. {{NDR|«Quanti anni aveva?»}} Aveva 12 anni, ma non mi prendere per un Girolimoni. {{NDR|«Per un bruto»}} A 12 anni quelle lì erano già donne. {{NDR|«E tu dove l'avevi comperata?»}} L'avevo comprata a Saganèiti, un paese dove avevo mandato il mio emissario [...]. Me la comprò insieme a un cavallo e a un fucile, in tutto 500 lire. {{NDR|«E lei com'era?»}} Un animalino. Docile. Io le misi su un tucul con dei polli e poi, ogni 15 giorni, mi raggiungeva dovunque fossi, insieme alle mogli degli altri ascari. (ibidem) *Io esclusi immediatamente la responsabilità degli [[Anarchia|anarchici]] {{NDR|dalla [[strage di piazza Fontana]]}} per varie ragioni: prima di tutto, forse, per una specie di istinto, di intuizione, ma poi perché conosco gli anarchici. Gli anarchici non è che sono alieni dalla violenza, ma la usano in un altro modo: non sparano mai nel mucchio, non sparano mai nascondendo la mano. L'anarchico spara al bersaglio, in genere al bersaglio simbolico del potere, e di fronte. Assume sempre la responsabilità del suo gesto. Quindi, quell'infame attentato, evidentemente, non era di marca anarchica o anche se era di marca anarchica veniva da qualcuno che usurpava la qualifica di anarchico, ma che non apparteneva certamente alla vera categoria, che io ho conosciuto ben diversa e che credo sia ancora ben diversa. (da ''La notte della Repubblica'', 12 dicembre 1989) *La [[Lega Nord|Lega]] è una cosa sgradevole. Però le Leghe sono un fenomeno di reazione a una provocazione. È la politica nazionale, che fa nascere le Leghe. Questo non vuol dire che io le approvi. La reazione è sbagliata, ma provocazione c'è, le degenerazioni della partitocrazia ci sono. Che il pubblico denaro sia male amministrato e che a farne le spese siano soprattutto i cittadini del Nord non è contestabile. (da ''La Stampa'', 7 novembre 1990) *Ah, quel maledetto [[Toni Negri]], quel maledetto aizzatore dei sentimenti dei giovani che è vigliaccamente scappato dall'Italia per non affrontare il carcere. Per un Paese non c'è nulla di peggio che i cattivi maestri. Come punirli? Bisognerebbe impiccarli. Ripeto, impiccarli. (da ''L'Italia settimanale'', 1995) *Fu una pulizia etnica, bisognava far fuori gli italiani: allora si chiamarono fascisti e si ammazzarono, e si buttarono nelle [[massacri delle foibe|foibe]]. Questo avvenne dopo la fine della guerra, sia chiaro. Perché gli orrori di guerra, non dico che siano giustificabili, ma sono comprensibili, la guerra è di per sé stessa un orrore. No, queste... le foibe furono un'infamia commessa dopo la Liberazione, dopo la fine della guerra, e purtroppo vi hanno collaborato parecchi comunisti italiani, alcuni dei quali non solo sono ancora a piede libero, pur essendo vivi, ma ricevono delle pensioni di Stato. Ricevono delle pensioni di Stato. Però io ti posso dire questo: che come testimone oculare io ho visto anche in Croazia delle cose, da parte degli italiani, su cui è meglio sorvolare. Perché anche noi le abbiamo commesse, perché la guerra le comporta, questo è fatale, ecco. Quindi non facciamo tanto i moralisti. [...] No, questo {{NDR|tesi sloveno-croata sulla pulizia etnico-culturale da parte degli italiani durante il periodo di occupazione fascista}} è assolutamente falso. Pulizie etniche noi non ne abbiamo mai fatte, in nessun Paese occupato. Quando sento dire che noi facemmo anche la pulizia etnica in Etiopia, beh vabbè, mi cascano le braccia. Mi cascano le braccia. Quelle son menzogne infami, di gente o che non sa nulla, o che mente sapendo di mentire. Non è vero. Furono episodi, ma non di pulizia etnica, di rappresaglie. (dall'intervista al TG2, ''[http://www.youtube.com/watch?v=s9UXM_pKpqY Massacri delle foibe]'', 6 settembre 1996) *Tutto questo mi evoca dei ricordi poco simpatici. Era il [[fascismo]] che si conduceva così. Era il Fascismo che proibiva la satira, che in un paese civile e democratico dovrebbe essere assolutamente indenne da controlli politici; perché la satira non ha niente a che fare con la politica, anche se prende in giro la politica, ma si sa che è satira. Ed ogni regime serio e democratico accetta la satira, come si accettano le caricature. Era [[Benito Mussolini|Mussolini]] che non le sopportava. E qui pensano: «Ripuliremo la stalla», «Faremo piazza pulita». Ma questo linguaggio, al signor [[Gianfranco Fini|Fini]], chi glielo ispira? Ci ricorda delle cose che avremmo voluto dimenticare. Questa non è la destra, questo è il manganello. Gli italiani non sanno andare a destra senza finire nel [[manganello]]. [...] Alla Rai faranno piazza pulita, lo hanno già annunziato. Ma come si fa a definire democratico un partito che annunzia «Quando saremo al potere, noi faremo piazza pulita»? Ma questo è un linguaggio del peggiore squadrismo, che loro non sanno cosa fu, ma io me lo ricordo. Questo è il linguaggio con cui {{NDR|i fascisti}} andarono al potere. (da ''La settimana di Montanelli'', 17 marzo 2001) *Io voglio ringraziare Travaglio, perché ha detto l'assoluta e pura verità. Assolutamente. La versione che ha dato degli avvenimenti è quella esatta. [...] Io ho conosciuto due Berlusconi: il Berlusconi imprenditore privato che comprò ''il Giornale'' – e noi fummo felici di venderglielo, perché non sapevamo come andare avanti – su questo patto: tu, Berlusconi, sei il proprietario de ''il Giornale'', io, direttore, sono il padrone del ''Giornale'', nel senso che la linea politica dipende solo da me. Questo fu il patto fra noi due. Quando Berlusconi mi annunziò che si buttava in politica, io capii subito quello che stava per succedere. Cercai di dissuaderlo [...] ma tutto fu inutile. Dal momento in cui lo decise mi disse: «Ora ''il Giornale'' deve fare la politica della mia politica». Ed io gli dissi: «Non ci pensare nemmeno». Allora lui riunì la redazione come ha raccontato Travaglio – e questo lo fece a mia totale insaputa – e disse: «D'ora in poi ''il Giornale'' farà la politica della mia politica». E a quel momento me ne andai, cos'altro potevo fare? [...] Nella mia vita ci sono stati due Berlusconi, completamente opposti [...] questo fa parte del ritratto di Berlusconi. [...] Come capo politico è quello che io ho conosciuto in quei brutti giorni in cui scorrettamente, nella maniera più scorretta e più volgare, saltandomi, radunò la redazione de ''il Giornale'' per dirgli «Qui si cambia tutto» all'insaputa del direttore. Se questo sembra a Feltri un modo di procedere democratico e civile, è affar suo. (risposta telefonica a [[Marco Travaglio]] e [[Vittorio Feltri]] durante la trasmissione ''Il Raggio Verde'', 23 marzo 2001) *{{NDR|Silvio Berlusconi}} È il bugiardo più sincero che ci sia, è il primo a credere alle proprie menzogne. [...] È questo che lo rende così pericoloso. Non ha nessun pudore. (dall'intervista di Sophie Gherardi, ''L'Europa deve trattare il sig. Berlusconi con sdegno e disprezzo, non con ostilità'', ''Le Monde'', 8 maggio 2001<ref name=Travaglio2004/>) *Spero che l'Europa adotterà nei confronti di Berlusconi l'atteggiamento di indignazione e di disprezzo che merita. (dall'intervista di Sophie Gherardi, ''L'Europa deve trattare il sig. Berlusconi con sdegno e disprezzo, non con ostilità'', ''Le Monde'', 8 maggio 2001<ref name=Travaglio2004/>) {{Int|''Match''|a cura di Arnaldo Bagnasco, Alberto Arbasino e Maria Gefter Cervi, Rete 2, 18 gennaio 1978.}} *Io non stavo con Longanesi per ragioni ideologiche, anche perché io non ho mai capito quale ideologia avesse Longanesi. Longanesi non lo si poteva misurare sul piano ideologico, era sempre contro tutto e contro tutti. Era il frondista principe: lo è stato sotto il fascismo – e in fondo fece il più bel settimanale, forse, che abbia avuto l'Italia in questi ultimi decenni, credo: ''Omnibus'', che fu chiuso dal regime – e si è trovato sempre male con tutti i regimi. Che cosa pensasse in realtà Longanesi io, dopo un'amicizia di trent'anni, non sono mai riuscito a capirlo. Quello che mi affascinava di Longanesi, e che continua ancora oggi ad affascinarmi, è lo straordinario talento, l'inventiva, l'intuito, l'eleganza di Longanesi. Per cui io non consideravo le posizioni ideologiche di Longanesi, questo non m'interessava affatto. Per me era un fatto di vecchia amicizia: io sono un po' cresciuto con Longanesi, l'avrei seguito anche all'inferno perché con Longanesi si poteva andare anche all'inferno, diventava l'eden. *{{NDR|Sull'appello di votare DC nel 1976}} Questa può sembrare una contraddizione, ma che cosa avrei dovuto dire ai miei lettori? Di votare per chi? Questo è il punto. Oggi [...] i partiti laici ai quali io ideologicamente farei capo – liberale, repubblicano, socialdemocratico – fanno i pifferi di accompagnamento a un patto a sei, e questo era già nell'aria, prima del 20 giugno. Che cosa dovevo dire io ai miei lettori, «Votate per i pifferi di accompagnamento»? Francamente non me la sentivo. [...] Nonostante la mia etichetta di destra, io per i partiti di destra non mi schiererò mai. Io vorrei un centro: non lo trovo, non c'è. Un centro di opposizione democratica al regime che è già in atto non c'è. E allora che debbo fare? È colpa mia se la politica italiana non mi offre un centro? Io continuo a battermi per la costituzione di questo centro. *{{NDR|Domanda del pubblico: «Come mai in Italia non ci sono giornali indipendenti?»}} Io, per esempio, ho la presunzione – sarà infondata – di dirigere un giornale indipendente, perché vorrei sapere da chi prendo gli ordini. Me lo dica lei, Padre. {{NDR|«No, beh...»}} E allora, se non potete indicare qualcuno che mi dà gli ordini, io sono indipendente. {{NDR|«Rispondo anch'io da giornalista: è chiaro che un giornale non si sostiene con le idee sull'indipendenza, si sostiene con dei quattrini»}} Certo. {{NDR|«Allora io parlavo di un'indipendenza che, in quanto dipende da chi paga, è comunque una dipendenza ideologica. Questa era la domanda»}} Sì, l'ha scritto molto bene ''Repubblica'' [...] credendo di offendermi. Ha detto: «Il ''Giornale nuovo'' vive di collette». È vero, noi viviamo di collette, e io ne sono fiero perché le collette mi lasciano libero. {{Int|''Mixer''|a cura di Giovanni Minoli, Rete 2, 6 aprile 1981.}} *{{NDR|«Perché fu fascista fino al '37?»}} Questa è la storia della mia generazione, tutta la mia generazione è stata fascista fino al '35, al '36 o al '43. *{{NDR|«E perché smise di esserlo?»}} Perché noi credevamo che il fascismo fosse una cosa, e poi ci accorgemmo che era un'altra. *{{NDR|«Lei ha detto: "Buffoni, cafoni di natura, ''parvenus'', tutta gente in malafede, il bassettume, il pirellume, il cedernismo". Si riferiva alla Milano radical chic, ma che cosa voleva dire, esattamente?»}} Quello che ho detto. Veramente, io ne ho il più profondo disprezzo. Io accetto benissimo i comunisti: i comunisti sono gente seria, pericolosissimi, ma seri. I [[radical chic]] no. *{{NDR|«È sempre convinto del suicidio dell'anarchico Pinelli?»}} Assolutamente. *{{NDR|«Lei a Catanzaro, al processo per la strage di piazza Fontana, ha dichiarato: "Secondo me, il commissario Calabresi fu vittima di una campagna di stampa". Cioè?»}} No, non l'ho dichiarato a Catanzaro, lo dissi molto prima. Basta rileggere i giornali di quei tempi, e soprattutto i rotocalchi: veramente, Calabresi fu vittima di una campagna stampa infame e ingiusta, perché era uno dei funzionari più corretti che ci fossero. *{{NDR|«Pietro Valpreda, qui a ''Mixer'', ha definito Calabresi come "un tecnocrate del potere". Lei che cosa ne pensa?»}} Ma che significa «un tecnocrate del potere»? Un commissario di polizia serve il potere, chi diavolo deve servire? Valpreda? {{Int|''Faccia a Faccia: intervista a Indro Montanelli''|''Mixer'', a cura di Giovanni Minoli, Rai 2, 5 maggio 1985.}} *[[Renato Curcio|Curcio]] non sparava alle spalle, sparava di fronte, andava di persona a sparare. Naturalmente siamo su delle barricate opposte, ma io stimo Curcio. Lo stimo. È un uomo che secondo me ha delle idee sbagliate ma le serve, le serve da soldato vero. Con un suo galateo. Col suo coraggio. Senza mai rinnegarsi. Non si è pentito! *Io sono convinto che la magistratura debba essere indipendente, però chiedo ed esigo che abbia un autogoverno di controllo, e che soprattutto risponda dei suoi gesti. Oggi noi abbiamo una magistratura che non risponde a nessuno dei suoi errori spesso catastrofici, perché hanno distrutto uomini, hanno distrutto aziende per delle cose che poi si son rilevate insussistenti. Mai un magistrato ha pagato per questo. Io voglio che i magistrati paghino. Non dico a dei poteri esterni, ma perlomeno al potere a cui viene affidata la disciplina nella categoria. *Tutta l'intellighenzia italiana ha una vecchia tradizione di servilità, com'è logico, perché si è sviluppata in un Paese analfabeta, per secoli e secoli analfabeta. Non avendo il lettore doveva per forza procurarsi il protettore. Scriveva per il protettore. *{{NDR|«Il suo peggior difetto qual è, Montanelli?»}} Quello di non riconoscermene nessuno. *{{NDR|«[[Leo Longanesi|Longanesi]], parlando di lei, un giorno disse che lei capiva le cose con dieci mesi di anticipo rispetto a tutti gli altri. Ecco, tra dieci mesi cosa vede in [[Italia]]?»}} Queste erano le cose di Longanesi, ma in realtà io non riesco a vedere tra dieci giorni. {{Int|''[http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/1991/11/16/giangi-feltrinelli-io-non-ti-perdono.html 'Giangi' Feltrinelli io non ti perdono]''|''la Repubblica'', 16 novembre 1991, p. 33.}} *[[Giangiacomo Feltrinelli|Lui]] fu l'emblema di tutto quanto accadde in quegli anni {{NDR|Anni della contestazione}}. A differenza della [[Francia]], eravamo un paese da burletta, con una contestazione da burletta e rivoluzionari da burletta. E Feltrinelli ne fu l'esponente più qualificato. *Era il 1940 e a quel tempo Giangi aveva quattordici anni e seguiva i corsi scolastici con pessimo profitto. Giangiacomo era un ragazzetto che voleva a tutti i costi cavalcare qualcosa di rivoluzionario. Non importava il colore. Tanto è vero che il suo sogno fu prima il fascismo e poi Che Guevara. *{{NDR|«L'importante è stare in prima linea il fascismo?»}} Ma sì, negli anni Quaranta lui era fascista. Era talmente fascista che nel 1943, dopo l'8 settembre, voleva denunciare sia me che Barzini per alcune cose che avevamo detto contro i fascisti. Allora pensava di aderire a Salò. La sua dedizione a una causa quale che sia, purché rivoluzionaria, lo spingeva a questi atti pazzeschi. *Generoso? Lo chieda ai suoi collaboratori. Era una specie di padrone delle ferriere che spendeva generosamente solo per soddisfare il suo vizio principale: la rivoluzione. Con chi era in difficoltà non si dimostrò mai particolarmente generoso. *{{NDR|«Perché allora lei è così implacabilmente critico nei suoi riguardi?»}} Non ce l'ho neppure tanto con lui, quanto con tutti coloro che di Feltrinelli hanno fatto un mito. In realtà era un povero uomo. Un ingenuo divorato dall'esibizionismo. *{{NDR|«Come può ridurre tutto alla convinzione che fosse solo un ingenuo e un esibizionista?»}} Anche Starace segnò un decennio della nostra vita. Mica per questo era meno cretino. Se Feltrinelli sia stato qualcosa di più complesso, io non riesco a vederlo. Posso aggiungere questo: quella sua mania di ostentazione, quella voglia di primeggiare su tutte le cose lo ha condotto anche a degli atti di eroismo. Perché uno che sale su un traliccio, con la dinamite che non sa maneggiare e salta per aria, beh almeno il coraggio gli va riconosciuto. O forse chiamiamola incoscienza. {{Int|''[http://www.archiviolastampa.it/component/option,com_lastampa/task,search/mod,libera/action,viewer/Itemid,3/page,15/articleid,0824_01_1992_0072_0015_25082247/ Montanelli e il sacco di Milano]''|''La Stampa'', 14 marzo 1992, p. 14.}} *{{NDR|Il regime corrotto}} C'è ancora. Ma la rivolta non era tanto contro la corruzione e la partitocrazia, che erano senza dubbio un grosso male, ma che non erano il male più letale. In quel momento era proprio la società che si disfaceva, le condizioni della scuola, la predicazione del nulla, insomma la contestazione globale, l'ubriacatura degli Anni Settanta, che fu l'ubriacatura del terrorismo, e quella acquiescenza di una certa borghesia, salottiera, radical chic, che amoreggiava con queste cose, che aveva le smanie maotsetunghiste, che poi parlavano tutti di cose che non sapevano. La corruzione dei partiti invece è quasi immanente. La partitocrazia è destinata a durare almeno finché non si riforma la legge elettorale. Ma questa è la battaglia che noi cerchiamo di fare oggi. *{{NDR|«Ma gli Anni Settanta non hanno anche prodotto qualcosa di positivo nella società italiana?»}} No. Non vedo fatti positivi nel lascito degli [[anni di piombo]]. Vorrei sapere veramente quali. Quando dicono per esempio il divorzio. Ma il divorzio c'era già prima. Quelle sono conquiste sociali. C'era bisogno dei pistoleros per il divorzio? Ma andiamo! *{{NDR|«Però lei difendeva Pannella»}} Sì. A [[Marco Pannella|Pannella]] dobbiamo veramente due cose, malgrado le sue mattane. Effettivamente riuscì a impedire a una certa aliquota di giovani di finire in braccio al terrorismo, cioè gli dette un'altra bandiera. E alcune battaglie sue furono sacrosante, come quella del divorzio che appoggiammo. Poi verso Pannella io ho una certa simpatia, dovuta al mio vecchio fondo anarchico, libertario, che ritrovo in lui. È una simpatia genetica. Ritrovo in lui quello che io sono stato a vent'anni. *{{NDR|«Ma che fine ha fatto quella borghesia, che fine hanno fatto quei salotti buoni? Le sue battaglie contro la Crespi o contro la Cederna sono cosa Passata? Sono cambiati loro, oppure è cambiato lei?»}} Vabbè, con la [[Camilla Cederna|Camilla]] poi siamo ridiventati amici. Con la Crespi no, mai. Ma non ho più rancori, non ho più animosità. Però è un mondo che disprezzo un po', perché è un mondo di pecore che seguono sempre il filo del vento, santoiddio, sono proprio personcine, personcine inconsistenti, pronte ad andare con chiunque. E poi sempre per salvare i propri interessi, non è che abbiano delle idealità, no? Oggi è cambiato il vento, quindi sono cambiati anche loro. Ma non è che sia cambiato il mio giudizio. Quel mondo lì io non lo amo. *La crisi rimane e si riflette nell'amministrazione cittadina. L'amministrazione era sempre stata un autentico specchio. Fino a Bucalossi il Comune di Milano era retto da specchiati galantuomini, che finivano tutti poveri, in miseria, finivano alla Baggina. Gente davvero di una correttezza esemplare. Poi sono venuti gli Aniasi e compagni e guardi qui dove siamo arrivati: siamo arrivati a [[Mario Chiesa|Chiesa]]. {{Int|''[https://web.archive.org/web/20121107180200/http://archiviostorico.corriere.it/1993/giugno/06/Montanelli_tura_naso_come_nel_co_0_93060610816.shtml Montanelli si tura il naso come nel '76: voto l'uomo della Lega]''|''Corriere della Sera'', 6 giugno 1993, p. 3.}} *Mi sono dannato l'anima perché il centro avesse un ''suo'' candidato. Avrei voluto Locatelli: era la persona giusta per portare la bandiera referendaria e raccogliere gli elettori moderati. Era quello il mio sogno. *Segni non ha capito nulla, è arrivato in ritardo, ha candidato una persona che nessuno conosce. Non abbiamo ''un'' rappresentante del centro, ma tre surrogati che si elimineranno a vicenda. E ci toccherà scegliere fra [[Nando dalla Chiesa|Dalla Chiesa]] e Formentini. *{{NDR|«Di qui il suo suggerimento: turarsi il naso e votare Lega»}} No, non dico "Votiamo Lega", dico "Votiamo Formentini". E nel suo caso non ci si deve neppure turare il naso: è modesto, anche mediocre se vogliamo, ma è onesto. Non credo sia marcio. Insomma: è il male minore. *{{NDR|«E Dalla Chiesa?»}} No, il mio voto non lo avrà. Perché io non voto per la sinistra e per un sinistro come quello lì. *{{NDR|«Ma che cosa la preoccupa nella coalizione di Dalla Chiesa?»}} Questi reperti di un mondo fallito vogliono ora governare l'Italia. E io con loro non ci sto. La storia gli ha dato torto, la realtà li svergogna e noi dovremmo fidarci? È stata l'apertura a sinistra a dare inizio alla putredine. {{Int|''Eppur si muove''|a cura di Indro Montanelli e Beniamino Placido, Rai 3, 1994.}} *Ogni italiano è insieme furbo e fesso. L'italiano è furbissimo nella gestione dei suoi affari privati, può ricorrere a tutte le astuzie, è attento, è accorto, ed è assolutamente fesso nel non rendersi conto che se i suoi affari privati rimangono immessi in una società che non funziona – cioè dove gli interessi generali vengono trascurati e negletti – i suoi interessi privati finiscono col soffrirne e col condurlo al fallimento. Questo, a noi italiani, non entra in testa. (6 febbraio 1994) *È probabile che molti stranieri mandino i loro figli, a Roma, a scuola. Ma quali scuole? Alle loro. Gli americani mandano i loro figli alla scuola americana, i tedeschi alla scuola tedesca, i francesi alla scuola francese. Non li mandano mica alla scuola italiana, se ne guardano bene e hanno ragione, visto il modo in cui si insegna in Italia. (ibidem) *Da noi prima uscivano dei ragazzi che sapevano abbastanza di greco, di latino, ma che il carattere non lo avevano formato a scuola: o se lo formavano da soli, oppure non se lo formavano mai. (ibidem) *Lo [[Zingari|zingaro]] che fa tranquillamente la sua vita non dà noia a nessuno, è quando ruba che, naturalmente, suscita qualche perplessità (uso un eufemismo). Diciamo la verità, in Italia il razzismo non c'è. Per inventare una questione razziale ci volle una legge, e una legge fatta da un regime totalitario perché il Paese non la sentiva. Non poteva sentirla perché non è nella nostra tradizione. [...] L'Italiano non ha dei risentimenti razziali. [...] {{NDR|Sugli episodi di intolleranza e di paura per il diverso}} È un fatto di piccolissime minoranze, diciamo la verità. Non inventiamo adesso una questione {{NDR|razziale}}. Io ho vissuto nelle società veramente razziste, è tutta un'altra faccenda. (con [[Serena Dandini]], 20 marzo 1994) *Io ebbi una moglie etiopica, nel senso che la comprai secondo l'uso locale. {{NDR|«Come, scusi?»}} Eh beh, ma gli usi locali erano questi. Tutti, anche gli etiopici, compravano la moglie. {{NDR|«Quanto costava una moglie?»}} Poco. Costava poco, mi pare che mi costò – allora, però (anno 1935) – 500 lire e un tucul {{NDR|trattando}} col suocero. Perché queste furono transazioni fatte dal mio emissario, che era il più anziano graduato della mia banda, col padre della ragazza. [...] Questo matrimonio durò finché noi stemmo di stanza a Saganèiti, cioè a dire prima che scoppiasse la guerra con l'Abissinia (che non fu precisamente una guerra, fu una specie di avventura). [...] Poi questa mia moglie, perché era considerata tale, quando io partii sposò un mio graduato e al primo figlio – è vivo tuttora, mi hanno detto – diede il mio nome, per cui alcuni credettero che fosse figlio mio. Non era figlio mio. Soltanto che per deferenza... {{NDR|«Lei non pensò mai di portarla con se in Italia?»}} Beh, no. No, anche perché era molto difficile strapparla ai suoi costumi. Lei stessa, in fondo, non voleva venire. Lei apparteneva alla sua terra, io le feci una piccola dote e quindi andò tutto regolarmente. Era molto bellina. (ibidem) *Gran parte delle forze leghiste, quelle che accennano a qualche razzismo nei confronti del meridionale, sono composte da meridionali che si sono milanesizzati e ci si trovano talmente bene a Milano che non vogliono che altri arrivino dal sud. (ibidem) *Per me la [[destra]] non è una [[ideologia]]: è un modello di comportamento. Si può essere di destra anche a sinistra. Questo comportamento è il criterio rigoroso del servizio della vita pubblica. (con [[Arnoldo Foà]], 17 aprile 1994) *Nella storia della [[Italia|nazione italiana]] io vedo pochi uomini all'altezza della qualifica di una destra illuminata che non solo accetta ma vuole le [[Riformismo|riforme]]. Un uomo di destra certamente io non credo che fosse [[Camillo Benso, conte di Cavour|Cavour]], del resto il suo connubio lo dimostra, la sua disinvoltura nelle alleanze politiche lo dimostra. Certamente di destra era [[Bettino Ricasoli|Ricasoli]]. Certamente era [[Quintino Sella|Sella]]. Certamente era [[Giovanni Giolitti|Giolitti]]: uomo che dette il suffragio universale, e che riconobbe il diritto di [[sciopero]]. Questo è un uomo di destra. Certamente un uomo di destra era [[Alcide De Gasperi|De Gasperi]], senza dubbio. E, adesso non vorrei scandalizzare la gente, ma direi che uomo di destra per il concetto che aveva dello [[Stato]] e del [[potere]] era anche [[Palmiro Togliatti|Togliatti]]. E questo dimostra che si può essere uomini di destra anche a [[sinistra]]. La destra è una regola di comportamento, una regola [[morale]] di comportamento. (ibidem) {{Int|''[https://web.archive.org/web/20101005073648/http://archiviostorico.corriere.it/1997/novembre/09/Montanelli_gambizzato_cinque_mesi_prima_co_0_9711098446.shtml Montanelli "gambizzato" cinque mesi prima: "Mi salvò una promessa a Mussolini"]''|''Corriere della Sera'', 9 novembre 1997, p. 29.}} *Quella mattina {{NDR|2 giugno 1977}} sono in due nei giardini di piazza Cavour, a Milano. Uno mi spara alle gambe. L'altro mi tiene nel mirino della sua pistola. I primi due – tre proiettili entrano nelle mie lunghe zampe di pollo. Non devastano né ossa né arterie. Ma sarebbero sufficienti per far cadere a terra qualsiasi cristiano. In quegli attimi ricordo la promessa che avevo fatto a Mussolini, e a me stesso, quando, bambino, mi ritrovai intruppato nei balilla: "Se devi morire, muori in piedi!" Davanti a questi vigliacchi che non hanno il coraggio di affrontarmi in faccia, penso, non posso morire in ginocchio. E mi aggrappo alla cancellata dei giardini. Non sto in piedi sulle gambe, ma mi reggo dritto con la forza delle braccia. E quello continua a sparare e a centrare le mie zampe di pollo. Se mi fossi accasciato, se mi fossi inginocchiato davanti a lui, a quell'ora sarei morto. *Per [[Renato Curcio|lui]] ho sempre avuto rispetto. Penso che la sua autoemarginazione dalla società prima e l'emarginazione che la società gli ha imposto poi ci abbiano privato di un uomo di valore. Non lo conosco di persona, ma lo stimo, anche se poteva essere lui quello che ha mandato i due ragazzi a spararmi. Non ho rancore: quando la guerra è finita gli avversari si devono stringere la mano e devono brindare alla pace ritrovata. *Apprezzo il coraggio di chi non si pente per ricavarne un utile, di chi non denuncia il compagno di errori ma riconosce i propri torti. Almeno i brigatisti lottavano per ideali diversi da quelli dello stalinismo e del comunismo sovietico. I terroristi neri, invece, volevano soltanto restaurare un regime sepolto dalla storia. I rossi non sapevano bene cosa ma avevano in mente qualcosa di nuovo. *{{NDR|«E se avessero vinto loro?»}} Impossibile. L'esistenza del terrorismo ha soltanto ribadito le manchevolezze del nostro Paese: uno Stato inefficiente e un popolo codardo e conformista. *{{NDR|Sui burattinai, i Grandi Vecchi, la Cia, i Servizi segreti}} Fregnacce: che gliene poteva importare alla Cia di fucilare gente come il buon Casalegno o quel galantuomo di Emilio Rossi, vent'anni fa direttore del Tg Uno, o quel bischero di Montanelli? La dietrologia era una divagazione di intellettuali perditempo. Il vero problema era ed è un altro: finché non ci decideremo a riconoscere la mancanza negli italiani di una coscienza nazionale e civile questo pericolo del terrorismo lo correremo sempre. E questa fabbrica di una coscienza nazionale e civile io non la vedo nascere. *{{NDR|Sul dolore che il tempo non ha cancellato nei parenti delle vittime}} Anche noi italiani dobbiamo imparare a pagare gli inevitabili tributi dovuti alla Storia come hanno saputo fare tutti i Paesi occidentali. Il dolore resta, ma la piaga va ricucita. Una volta per tutte. {{Int|''[http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/1998/07/25/borghesia-vile-deludente.html Borghesia vile e deludente]''|''la Repubblica'', 25 luglio 1998, p. 8.}} *È la solita bruciante delusione, questa nostra borghesia. Non cambia mai, è sempre la stessa: la più vile di tutto l'Occidente. Gente portata a correr dietro a chi alza la voce, a chi minaccia, al primo manganello che passa per la strada. Questo sono i nostri borghesi: tutti fascisti sotto il fascismo, poi tutti antifascisti fin dall'indomani. Quando il comunismo era forte e faceva paura, e io fondai ''il Giornale'', mi lasciarono solo e senza un soldo. Ai tempi del terrorismo, amoreggiavano con gli estremisti nella speranza che quelli – andati al potere – gli risparmiassero la villa e il portafoglio. E ora che il comunismo non c'è più, si scoprono tutti anticomunisti, questi sedicenti liberaloni. *Il loro eroe è sempre chi brandisce il [[manganello]]. Ieri, il manganello vero. Oggi, quello catodico delle televisioni. Il liberalismo vero l'hanno sempre tradito, anzi non hanno mai saputo che cosa sia. Non vogliono le regole, detestano le leggi, vogliono avere le mani libere per fare quello che gli pare, in nome della loro cosiddetta «[[efficienza]]». Quando abbiamo fondato ''la Voce'' l'abbiamo toccato con mano: parlare di regole e di legalità a questa gente è peggio di un insulto, una bestemmia in chiesa. *L'ho sempre detto che fu un errore, quattro anni fa, defenestrarlo. Bisognava lasciarlo lì ancora un bel po', così tutti avrebbero capito quanto vale, che razza di statista è... Magari adesso non saremmo in Europa, ma non avremmo così tante gente che si lascia ubriacare dalla sua propaganda, che prova nostalgia per lui. *{{NDR|«E se un giorno si andasse a votare per il suo referendum, quello per abolire i reati del Cavaliere?»}} In quella forma, mi pare difficile che si arrivi, anche se in Italia non si sa mai. Comunque, se si votasse, credo che anche lì vincerebbe lui. Perché è quello che vuole questa nostra borghesia. Ormai è ufficiale: Berlusconi ce lo meritiamo. {{Int|''[http://www.repubblica.it/online/politica/satiquattro/montanelli/montanelli.html L'Italia di Berlusconi è la peggiore mai vista]''|''la Repubblica'', 26 marzo 2001.}} *Io voglio che vinca, faccio voti e faccio fioretti alla Madonna perché lui vinca, in modo che gli italiani vedano chi è questo signore. [[Silvio Berlusconi|Berlusconi]] è una malattia che si cura soltanto con il vaccino, con una bella iniezione di Berlusconi a Palazzo Chigi, Berlusconi anche al Quirinale, Berlusconi dove vuole, Berlusconi al Vaticano. Soltanto dopo saremo immuni. L'immunità che si ottiene col vaccino. *È strano: io non avevo mai preso parte alla campagna di demonizzazione: tutt'al più lo avevo definito un pagliaccio, un burattino. Però tutte queste storie su Berlusconi uomo della mafia mi lasciavano molto incerto. Adesso invece qualsiasi cosa è possibile: non per quello che succede a me, a me non succede nulla, non è che io rischi qualcosa, è chiaro. Quello che fa male è vedere questo berlusconismo in cui purtroppo è coinvolta l'Italia e anche tante persone perbene. *La scoperta che c'è un'Italia berlusconiana mi colpisce molto: è la peggiore delle Italie che io ho mai visto, e dire che di Italie brutte nella mia lunga vita ne ho viste moltissime. L'Italia della [[marcia su Roma]], becera e violenta, animata però forse anche da belle speranze. L'Italia del 25 luglio, l'Italia dell'8 settembre, e anche l'Italia di piazzale Loreto, animata dalla voglia di vendetta. Però la volgarità, la bassezza di questa Italia qui non l'avevo vista né sentita mai. Il berlusconismo è veramente la feccia che risale il pozzo. {{Int|''La Storia d'Italia di Indro Montanelli''|a cura di Mario Cervi, interviste di Alain Elkann, ''Cecchi Gori Editoria Elettronica Home Video'', 1999.}} *Il silenzio mantenuto finora {{NDR|sui massacri delle foibe}}, o quasi silenzio, si spiega facilissimamente: tutta la storiografia italiana del dopoguerra era di sinistra, apparteneva all'intellighenzia di sinistra, la quale era completamente succuba del Partito Comunista. Quindi non si poteva parlare delle foibe, che non appartenevano al comunismo italiano, ma appartenevano certamente al comunismo slavo, di cui però il comunismo italiano era alleato e faceva gli interessi. Quindi di questo non si poteva parlare, e non si poteva parlare delle stragi del triangolo della morte, perché anche queste ricadevano sulla coscienza – ammesso che ce ne sia una – del Partito Comunista, il che sta a dimostrare quello che dicevo prima, cioè che la Resistenza non fu una resistenza, fu una guerra civile tra italiani che continuò anche dopo il 25 aprile. [...] {{NDR|Sull'eccidio dei conti Manzoni}} Andai come giornalista [...] per appurare com'era andata la strage dei conti Manzoni, dopo la fine della guerra. [...] Una famiglia di persone che col fascismo non aveva niente a che fare, ci aveva convissuto come tutti gli italiani. Bene, nessuno mi voleva parlare di questa faccenda. [...] Nessuno ne aveva parlato, né dei Carabinieri né della Polizia e tantomeno della magistratura, eppure lo sapevano. [...] C'era una complicità assoluta, una complicità dannata. [...] Se ne parla ora perché il Muro di Berlino è crollato, ma si ricordi che trent'anni fa, quando [[Renzo De Felice|De Felice]] annunziò di mettere allo studio il ventennio fascista per sapere com'era andata, fu proposta la sua estromissione dalla cattedra universitaria, solo perché metteva allo studio un ventennio di storia italiana che, bella o brutta, c'era stata. [...] Non era possibile inquadrare storicamente il fascismo: chi lo faceva, cercando di spiegare i perché della sua durata, ed anche i perché della sua catastrofe, veniva accusato di fascismo. (da ''Dalla Monarchia alla Repubblica'') *È difficile sapere che cosa fu [[Palmiro Togliatti|Togliatti]], perché Togliatti non ha lasciato memoriali, non ha lasciato diario, che cosa pensasse Togliatti non lo sapeva nessuno, credo nemmeno la sua compagna Nilde Iotti. Si può dire che è stato un esecutore fedele degli ordini di [[Stalin]]. Lo è stato sempre, e per questo godeva la fiducia di Stalin. [...] Era un diplomatico per sé, soprattutto, perché é un uomo sopravvissuto a venticinque o trent'anni anni di Mosca, senza finire in galera, processato o contro il muro. Beh, questo è uno dei grandi personaggi. Sono pochi. {{NDR|«Non era uno statista, per esempio?»}} Non poteva essere uno statista perché i comunisti non hanno lo Stato nel sangue, i comunisti hanno il partito. Stalin non è mai stato Capo dello Stato, e nemmeno Capo del Governo, era capo del partito. Il potere nei regimi comunisti non sta né nello Stato né nel governo, sta nel partito. (da ''Dalla proclamazione della Repubblica al Trattato di pace'') *Questa [[Costituzione della Repubblica italiana|Costituzione]] porta male gli anni da quando aveva un giorno, perché fu subito chiaro quali erano i suoi difetti. Del resto furono anche denunciati da uomini come, per esempio, [[Piero Calamandrei|Calamandrei]], come Mario Paggi. (da ''Dall'assemblea costituente alla vigilia delle elezioni del 1948'') *I difetti furono soprattutto due. Il primo difetto fu di ripartizione dei lavori. La Costituente era formata da 600 membri eletti di passaggio. Voglio {{NDR|far}} notare che quella fu la prima elezione che si tenne in Italia – per la Costituente, non per il Parlamento – ma dove ci fu lo spiegamento dei partiti. Ogni partito portò i suoi candidati, cioè dei giuristi che facevano capo alla propria ideologia. Bene, in quella prima elezione il 35% dei voti andò ai democristiani, il 21% andò ai socialisti di [[Pietro Nenni|Nenni]], il 19% ai comunisti. Quindi in quel momento... non c'era ancora il Fronte ma in quel momento i socialisti facevano premio sui comunisti. Erano di poco, ma un po' più forti dei comunisti. [...] Questi 600 costituenti non potevano lavorare tutti insieme, era impossibile mandare avanti 600 persone a dibattere all'infinto le stesse cose, e allora i lavori furono devoluti a una commissione che si chiamò la ''Commissione dei Settantacinque'', perché erano 75 membri della Costituente che venivano incaricati per le loro competenze specifiche di redigere il testo. Ma anche 75 erano troppi, e allora anche i 75 si frazionarono in sotto-commissioni, ognuna delle quali lavorò per conto suo. Non ci fu un piano di insieme. {{NDR|«Quindi non fu un vero lavoro collettivo»}} Non fu un vero lavoro collettivo. Calamandrei lo disse subito: «Noi stiamo montando una macchina, che magari pezzo per pezzo sarà anche ben fatta, ma le cui giunture non coincidono con le giunture di altri pezzi». [...] Fu lasciata così perché nessuno volle rinunziare al proprio elaborato, e questo è tipico degli italiani. (da ''Dall'assemblea costituente alla vigilia delle elezioni del 1948'') *Il secondo motivo che rese questa Costituzione veramente impalatabile e nociva per il regime che ne doveva nascere, fu che i nostri costituenti partirono dal punto di vista opposto a quello da cui sarebbero partiti i costituenti tedeschi quando la Germania fu libera di elaborare una sua Costituzione. Da che cosa partirono i costituenti tedeschi? Da questo ragionamento: il nazismo fu il frutto della Repubblica di Weimar. Cos'era la Repubblica di Weimar? Era l'impotenza del potere esecutivo, cioè del Governo. [...] La Germania rimase nel disordine, nel caos, nella Babele dei partiti che non riuscivano a trovare mai delle maggioranze stabili, quindi dei governi efficaci. Ecco perché Hitler vinse, perché il nazismo vinse. I costituenti nostri partirono dal presupposto contrario, cioè dissero: «Cos'era il fascismo? Il fascismo era il premio dato a un potere esecutivo che governava senza i partiti, senza controlli eccetera. Quindi noi dobbiamo esautorare completamente il potere esecutivo, {{NDR|negando}} la possibilità di dare ai governi una stabilità, eccetera». Per rifare che cosa? Weimar. Cioè, mentre i tedeschi partivano dalla negazione di Weimar, noi arrivavamo {{NDR|a Weimar}} senza dirlo. Nessuno lo disse, ma questo fu il risultato. [...] Non fu possibile nemmeno introdurre quella solita linea di sbarramento che invece fu introdotta in Germania, per cui i partiti che non raggiungevano non ricordo se il 5 o il 3%, non avevano diritto a una rappresentanza. No, tutti i partiti dovevano esserci e tutti avevano un potere di ricatto sulle maggioranze, che erano per forza di cose di coalizioni. (da ''Dall'assemblea costituente alla vigilia delle elezioni del 1948'') *Gli italiani non imparano niente dalla Storia, anche perché non la sanno. {{NDR|«Forse non amano la Storia»}} Non la amano, non la leggono, non se ne interessano, ma questo anche le classi dirigenti: sono uguali, intendiamoci. {{NDR|«Lei auspica che venga rifatta questa Costituzione»}} Sì, ma che venga rifatta secondo criteri logici, non {{NDR|secondo}} criteri illogici. Tutte le volte che si diceva «Ma qui bisogna restituire un po' di autorità al potere esecutivo, bisogna mettere i governi in condizione di governare» si diceva: «Fascista! Fascista!». Con questo ricatto qui abbiamo fatto le più grosse scempiaggini che si potesse immaginare. (da ''Dall'assemblea costituente alla vigilia delle elezioni del 1948'') *La fine di [[Alcide De Gasperi|De Gasperi]] è la fine di un'epoca: con lui finisce un'epoca e ne comincia un'altra non certamente migliore. [...] C'è una bella pagina della figlia di De Gasperi, Maria Romana, che ha scritto un bel libro sul padre. Un libro tutto vero in cui racconta anche i funerali su in Val Sugana: c'era naturalmente tutta la nomenclatura democristiana che accompagnava la bara. Oramai De Gasperi era morto, si poteva anche fingere il compianto, e a un certo momento un passante che era lì – uno che guardava, che non aveva niente a che fare con la politica, con la Democrazia Cristiana eccetera eccetera – si avvicinò al feretro e scansando questi turiferari della DC disse: «No, non è vostro! De Gasperi è nostro! Era un italiano!». E aveva ragione. De Gasperi era nostro, non un democristiano. (da ''Gli anni di Alcide De Gasperi'') *{{NDR|[[Giovanni Gronchi]]}} Era un uomo molto abile, brillante parlatore, molto abile anche negli affari. Era molto più libertino di [[Carlo Sforza|Sforza]], quindi la Democrazia Cristiana [...] era cambiata, evidentemente, e Gronchi fu eletto per una faida interna della Democrazia Cristiana, perché [[Amintore Fanfani|Fanfani]] voleva [[Cesare Merzagora|Merzagora]]. Allora per fare dispetto a Fanfani, invece gli buttarono fra i piedi [[Giovanni Gronchi|Gronchi]], il quale seppe benissimo tessere la sua trama fra Sinistra, Destra eccetera e far diventare gronchiani anche quelli degli altri partiti. Dicendosi agli uni uomo di Destra e agli altri uomo di Sinistra, facendo insomma il giuoco personale di Gronchi, con cui entrò in Quirinale il vero grande corruttore della vita politica italiana. [...] Dopo l'onestissimo [[Luigi Einaudi|Einaudi]] viene Gronchi, che è l'indulgenza plenaria verso tutte le deviazioni e i deviazionisti d'Italia. (da ''La rivolta in Ungheria e l'elezione di Giovannni XXIII'') *Questa storia dell'MSI è una delle grandi truffe della Prima Repubblica: nella Costituzione c'è un articolo che proibisce la rinascita di un partito fascista. Ecco. Ora, l'MSI era chiaramente un partito fascista. Non lo negava, anzi si faceva gloria del fatto di essere l'erede eccetera. Perché lo avevano messo, allora? Lo avevano messo perché questo partito fascista, che avrebbe dovuto essere escluso dalla vita politica, serviva a captare un certo numero di voti che, senza questo partito, sarebbero andati a dei partiti moderati di Centro e soprattutto, forse, alla Democrazia Cristiana. Quindi quale fu il gioco delle Sinistre, a cui la Democrazia Cristiana però si piegò e si rassegnò: è consentito di esistere all'MSI, però l'MSI quando è in Parlamento è escluso dal gioco parlamentare. Così si mettevano i voti dell'MSI in ''frigidaire'', e così non andavano alla Democrazia Cristiana e ai partiti {{NDR|di Centro}}. È una delle peggiori truffe che è stata inventata dalla classe politica che ci ha governato per cinquant'anni. (da ''I successori di De Gasperi e la politica italiana fino alla morte di Togliatti'') *Io vorrei sapere quali furono le crescite... di civiltà che il [[Sessantotto]] pretende di averci lasciato. Io vedo tutt'altra cosa: io vidi nascere, dal Sessantotto, una bella torma di analfabeti che poi invasero la vita pubblica italiana, e anche quella privata, portando dovunque i segni della propria ignoranza. Io ho visto questo. Può darsi che sia affetto da sordità o da cecità ma io non ho visto altro, come frutti del Sessantotto. (da ''Il Sessantotto e la politica di Berlinguer'') *{{NDR|La differenza tra il Sessantotto francese e quello italiano è}} La differenza che passa fra l'originale e il fac simile perché il Sessantotto nacque in [[Francia]] e in [[Italia]] fu un fatto di riporto, di imitazione. {{NDR|«Che vi fu in tutto il mondo, però, questo»}} Un po' in tutto il mondo ma particolarmente in Italia dove non nasce mai niente, è sempre qualcosa di imitato dagli altri. Bene o male, insomma, i francesi ebbero... anche una certa cultura del Sessantotto, ebbero [[Jean-Paul Sartre|Sartre]]. Oddio, Sartre rivisto con gli occhi di oggi naturalmente scende molto dal suo mitico piedestallo. [...] In Italia non ci fu neanche un Sartre. (da ''Il Sessantotto e la politica di Berlinguer'') *Credo che su [[Pier Paolo Pasolini|Pasolini]] si sia preso un grosso abbaglio: Pasolini è passato per uno scrittore di sinistra perché aveva preso come sfondo dei suoi racconti – bellissimi del resto – il sottoproletariato delle borgate romane, i ragazzi di vita, insomma, la schiuma della società. Ma lo aveva fatto per dei gusti e dei motivi del tutto personali sui quali è inutile tornare a far commenti. Questo lo aveva fatto considerare come uno scrittore, un difensore del proletariato, ma non era una scelta politica quella che aveva fatto Pasolini. Non c'entrava niente, assolutamente nulla. Quindi quello che lui disse era assolutamente vero, cioè dire che nei tafferugli, dove spesso ci scappava il morto, tra quei dilettanti delle barricate che erano {{NDR|dei borghesi}}, i veri proletari erano i poliziotti, tutti figli di famiglie povere, eccetera eccetera. I dilettanti delle barricate erano tutti o quasi tutti figli di papà: aveva ragione Pasolini! Ma come no! E questo fu considerato un tradimento all'ideologia di sinistra. (da ''Il Sessantotto e la politica di Berlinguer'') *Il primo fenomeno fu il Sessantotto, e il Sessantotto partorì poi il terrorismo, il brigatismo rosso eccetera eccetera. Su questo non ci son dubbi, insomma. Dirò di più: i più seri, e forse gli unici seri, furono quelli che poi diventarono dei terroristi e che quindi rischiarono la loro vita, almeno. Gli altri erano quello che diceva Pasolini, dei figli di papà. (da ''Il Sessantotto e la politica di Berlinguer'') *{{NDR|La figura del Grande Vecchio}} È una di quelle fandonie, di quelle stupidaggini che piacciono tanto a noi italiani: l'idea di un Grande Vecchio che organizzasse tutte queste stragi, attentati eccetera eccetera. È un affare da Simenon di borgata insomma – no? Piaceva l'idea che ci fosse dietro tutta una strategia. Sennonché poi non si sapeva chi fosse il Grande Vecchio. {{NDR|«Aveva un volto questo grande vecchio?»}} Ne ha avuti molti: naturalmente [[Giulio Andreotti|Andreotti]] – quello non manca mai, quando si cerca un ''deus ex macchina'' di tutto ciò che di più criminale è avvenuto in questo Paese {{NDR|c'è}} Andreotti. {{NDR|«Però in quel momento non era tanto vecchio»}} In quel momento non era tanto vecchio, ma il Grande Vecchio non ha nulla di anagrafico, è il Grande Vecchio così – poi Gelli, poi Sindona. Ha avuto varie raffigurazioni che sono tutte di fantasia. (da ''Piazza Fontana e dintorni'') *Se c'era un funzionario corretto, che veniva portato come esempio da tutti i suoi colleghi, era Calabresi. Per quale motivo si scatenò questa campagna contro di lui non lo so. È vero che aveva interrogato [[Giuseppe Pinelli|Pinelli]], ma gli interrogatori di Calabresi facevano testo per la loro correttezza. Sempre. [...] Non so per quale motivo, a un certo momento, la stampa s'incendiò e cominciò ad additare Calabresi come «il bruto», come «lo scherano del potere sopraffattore e assassino». Questo si lesse in vari giornali. Ora, il potere sopraffattore assassino in quel momento era rappresentato da [[Mariano Rumor|Rumor]] e da [[Emilio Colombo|Colombo]]: mi dica lei se hanno il viso dei sopraffattori assassini. Magari lo fossero stati un po', ma immaginiamoci. E questa campagna fu implacabile, assolutamente implacabile. (da ''Piazza Fontana e dintorni'') *Come in tutti i processi italiani anche questi, che poi volevano arrivare all'identificazione dei responsabili e non ci arrivarono quasi mai, erano dominati dal cosiddetto «teorema»: si partiva dal presupposto... a un certo momento si mise di parlare degli anarchici – si smise quasi subito di parlare {{NDR|degli anarchici}} – e tutte le lampadine furono rivolte ai partiti e alle forze di Destra. Erano quelle le forze stragiste. [...] I nostri bravi giudici, salvo alcuni, partivano dal presupposto che {{NDR|i colpevoli}} certamente venivano di lì, venivano dalle Destre, dalle Destre più violente. Alle quali si attribuiva, sempre per «teorema», questa idea: creare una tensione nel Paese in modo da impaurire gli italiani e metterli alla scelta «o la libertà o l'ordine», perché insieme non potevano andare. Nella libertà era chiaro che non si poteva mantenere l'ordine, e loro dicevano: «Qualunque popolo messo a questa scelta sceglie l'ordine». Ecco. È un teorema. È un teorema che ha sempre cercato dimostrazione e non l'ha trovata mai. (da ''Piazza Fontana e dintorni'') *[[Bettino Craxi|Craxi]] era un uomo di partito certamente molto accorto, era un uomo valido di governo perché sapeva decidere. Che cosa fosse lo Stato, da buon socialista, non lo sapeva. (da ''Il terrorismo fino al sequestro e all'uccisione di Aldo Moro'') *Quelle lettere erano tutte farina del sacco di [[Aldo Moro|Moro]], e questa farina non è molto encomiabile perché, vede, tutti gli uomini hanno diritto ad avere paura. Tutti. Però quando un uomo sceglie la politica, e nella politica emerge a [[Statista|uomo di Stato]] – a uomo rappresentativo dello Stato – non perde il diritto a avere paura, ma perde il diritto a mostrarla. Questo sì. Questo è uno dei principi che dovrebbe essere affermato. L'incidente, tipo quello di Moro, fa parte del mestiere. Chi affronta quel mestiere deve sapere che può incorrere in quell'incidente e deve avere i nervi, e diciamo gli altri attributi, per resistere. Moro era lo Stato. Lo Stato si raccomandava, implorava, minacciava la classe politica che facesse di tutto, anche che si prostituisse, per salvargli la vita: eh, no. No. Moro era certamente un politico a modo suo, estremamente abile – era anche un galantuomo, credo – ma uomo di Stato non era nemmeno lui. [...] Anch'io mi sono posto questa domanda molto spesso: «Ma se Moro fosse tornato in politica dopo aver costretto lo Stato a prostituirsi, a inginocchiarsi di fronte ai terroristi, avrebbe potuto restarci?». Avrebbe potuto restare? Con che faccia? Vabbè che siamo in Italia. {{NDR|«Forse lo Stato sarebbe stato un altro perché i terroristi avrebbero vinto»}} Appunto. I terroristi avrebbero vinto. Quindi lui che cosa diventava, il braccio politico del terrorismo? Che cosa diventava? Come poteva ripresentarsi? Va bene, gli italiani hanno lo stomaco forte, inghiottono tutto – noi italiani abbiamo lo stomaco forte e inghiottiamo tutto – ma, insomma, di fronte a un uomo la cui vita, la cui sopravvivenza, aveva avuto quel prezzo per noi non credo che avrebbe potuto ripresentarsi all'opinione pubblica italiana. (da ''Il terrorismo fino al sequestro e all'uccisione di Aldo Moro'') *Noi naturalmente abbiamo il dovere di ringraziare [[Michail Gorbačëv|Gorbačëv]] per quello che ha fatto, però se lei mi chiede se lo ha fatto bene o lo ha fatto male io debbo rispondere che lo ha fatto malissimo. Io non so se lui... che lui volesse salvare la Patria sovietica questo non lo metto in dubbio. Che lui volesse salvare il comunismo... io debbo risponderle di no, perché quello che lui ha fatto per affossare il comunismo lo ha fatto. (da ''Giovanni Paolo II e la fine dell'URSS'') *Anche i cinesi si erano accorti che il sistema comunista era arrivato al capolinea, era fallito. Fallito perché non regge, assolutamente non regge. {{NDR|Il sistema comunista}} Aveva portato il Paese, e i Paesi che lo avevano adottato, al fallimento. Anche i cinesi si erano accorti di questo, però avevano capito che per trasformare un sistema oramai ancestralmente totalitario, statalizzato, che aveva tolto ogni libertà a tutti, che aveva disabituato tutti da ogni spirito di iniziativa e di impresa... per trasformare un'economia basata su questi principi fallimentari in un'economia capitalista basata sul libero mercato, sulla libera concorrenza eccetera, bisognava tenere in mano il potere politico per controllare questo passaggio. I cinesi lo fecero. Quando gli studenti di Pechino credettero di potergli {{NDR|al governo cinese}} prendere la mano scendendo in [[Protesta di piazza Tienanmen|piazza Tienanmen]] i cinesi non esitarono a mitragliarli e, per quanto un massacro non possa che essere esecrato, io dico questo: i cinesi erano obbligati a farlo. Se non lo facevano la Cina si dissolveva, ritornava quella di [[Chiang Kai-shek]]: ritornava quella dei signori della guerra, cioè il Paese si disfaceva. Il Paese che bene o male [[Mao Tse-tung]] aveva unificato e a cui aveva dato un'anima di Nazione si sarebbe disfatto. (da ''Giovanni Paolo II e la fine dell'URSS'') *{{NDR|Su [[Licio Gelli]]}} L'avevo visto una volta e questo [...] rendeva ancora più grande la mia sorpresa. Io avevo un giornale, ''il Giornale'', che non aveva patroni, non aveva pubblicità, che quindi aveva delle grosse difficoltà di tirare avanti. La proprietà era divisa fra me e una trentina di altri redattori, e non avevamo niente in mano. Io non trovavo una banca che mi facesse un fido, non trovavo una società pubblicitaria che mi garantisse un minimo decente delle cose [...]. A un certo momento il capo del nostro ufficio romano, Trionfera – che era massone, ma non P2 – mi disse «Senti, vieni a Roma perché so che c'è un signore che sta diventando il padrone della stampa italiana». Dico «Come? Il padrone della stampa italiana?» «Sì, c'è un signore che, a quanto pare, ha assunto un potere straordinario nel mondo dell’editoria e forse lui può anche aiutarci». [...] Andai a Roma e allora {{NDR|Renzo Trionfera}} mi disse che lui aveva appuntamento con questo signor Gelli, di cui io sentivo il nome per la prima volta [...], però dovevamo andarci quasi di nascosto. [...] Andammo [...] e così vidi Gelli per la prima e unica volta. Gli esposi la situazione e lui mi disse: «Ma questi sono dettagli, queste sono piccolezze, non sono problemi gravi perché qui, oramai, bisogna procedere a ben altro. Bisogna chiamare a raccolta tutta questa stampa italiana che è litigiosa, che è settaria. Bisogna darle un indirizzo unico». Allora io lì lo fermai. Dissi: «Come fa a darle un indirizzo unico? La stampa segue criteri diversi, i giornalisti...». «Macché giornalisti – disse lui – qui ci vuole un padrone della stampa!». Dico «Ma non esiste un padrone della stampa, a meno che non rifacciamo il Minculpop fascista, allora c'era un padrone perché c'era un regime che faceva il padrone». {{NDR|Licio Gelli}} Dice «Basta comprare la proprietà dei giornali». Dissi «Ma scusi, ci sono degli editori che non vendono» [...] «Questione di prezzo». Il discorso andò avanti su questi binari, quando uscimmo io dissi a Trionfera: «Senti, ma questo qui è il più grosso farabolano con cui abbiamo avuto a che fare, uno che si immagina di comprare tutta la stampa e di ridurla ai suoi ordini, va be', o è un matto, o è un matto, oppure è proprio un piazzista, un fregnacciaro qualsiasi insomma». Questo fu l'unico incontro. [...] Uno che faceva questi discorsi naturalmente mi sembrava inutile continuare a frequentarlo. Di lì a poco venne fuori la lista degli iscritti alla P2 e venne fuori l'identificazione di Gelli col Grande Vecchio, col famoso Grande Vecchio. {{NDR|«Finalmente si era trovato»}} Finalmente si era trovato il Grande Vecchio autore di tutte le stragi, le cose..., {{NDR|«Il vero Grande Vecchio»}} il bieco Grande Vecchio. Naturalmente non credetti nemmeno a questo. (da ''Il caso Sindona e la P2'') *Per istinto, e per come avevo visto e conosciuto [[Licio Gelli|Gelli]], io sono convinto che {{NDR|la [[P2|Loggia P2]]}} era una cricca di affaristi e basta. Era una cricca di affaristi condotta da un uomo che, evidentemente, come intrallazzatore doveva essere geniale. Era un pataccaro, indiscutibilmente era un pataccaro, ma che a tutto pensava fuorché a un ''golpe''. Non ci pensava nemmeno. Lui procurava affari e soprattutto fomentava carriere. Lui aveva capito qual è la struttura del potere in Italia, sempre, non soltanto allora, sempre: è una struttura mafiosa. Bisogna far parte di una cricca, di una conventicola in cui ognuno aiuta l'altro, e questo era la P2. [...] Ma che interesse poteva avere Gelli a rovesciare un sistema che gli consentiva di influire sino a quel punto? Quale interesse poteva avere? E poi, Gelli era un farabolano ma non doveva essere del tutto sprovveduto, doveva sapere che l'[[Italia]] non è terra da ''golpe''. Ma chi lo fa il ''golpe''? E anche se qualcuno lo fa, come fa a resistere? Che cos'ha dalla sua per fare il ''golpe''? Non ho mai creduto al golpismo di Gelli. (da ''Il caso Sindona e la P2'') *Il caso Chiesa era un caso modestissimo. Fece da detonatore perché il momento era maturo per arrivare a ''Tangentopoli'', che era dovuto a una cosa molto più complessa che era questa: che ci fosse la corruzione in Italia si è sempre saputo, la classe dominante promanava questo puzzo di fogna che tutti sentivano, il famoso «turarsi il naso». Soltanto che fin quando l'alternativa di questa classe politica allora al potere era un Partito comunista, che era un fac-simile di quello sovietico, basato sui carri armati, sulla polizia segreta, sulle delazioni, sui processi, [...] finché c'era questo spettro noi non potevamo prenderci il lusso di mettere sotto processo e mandare in galera la classe politica dirigente allora. Fu quando, col Muro di Berlino, crollò questo incubo che i tempi furono maturi perché questo avvenisse. (da ''Tangentopoli'') *Che {{NDR|la [[corruzione]]}} sia inestirpabile, di questo sono sicuro perché dura da 2000 anni. La corruzione non è soltanto nella politica: è nella società italiana! Noi italiani abbiamo sempre corrotto tutti! Tutti coloro che sono venuti in Italia a fare i padroni li abbiamo corrotti. [...] Noi dobbiamo metterci in testa che la lotta alla corruzione la si fa in un modo solo: cambiando gli italiani, non cambiando le classi politiche. Le classi politiche, anche quelle nuove, si corrompono. È inevitabile. (da ''Tangentopoli'') *[[Silvio Berlusconi|Berlusconi]] ha un sacco di qualità. C'è da dire, ha una grande immaginazione, una grande fantasia; ha un coraggio leonino nel buttarsi nelle imprese; sa trascinare molto bene; è un comunicatore eccezionale, sa accendere i suoi seguaci di entusiasmi eccetera eccetera, mi ricordo che una volta gli dissi: «Io sono sicuro che se tu ti mettessi a fabbricare dei vasi da notte, faresti venire la voglia di fare pipì a tutta l'Italia». (da ''Verso il bipolarismo'') *[[Silvio Berlusconi|Lui]] è un uomo d'attacco: se avesse fatto la carriera militare lui non sarebbe diventato né un [[Gerd von Rundstedt|Rundstedt]] né un [[Erich von Manstein|Manstein]], che furono i grandi strateghi tedeschi dell'ultima guerra. [...] Lui sarebbe diventato un [[Erwin Rommel|Rommel]] o un [[George Smith Patton|Patton]]. Cioè dire: è un generale di straccio e di rottura che, appunto, sullo slancio può compiere qualsiasi cosa. Se lo metti poi a difendere le posizioni conquistate con lo slancio, eh no, lì non ci sta. Come Rommel: Rommel finché poté attaccare in Libia e in Egitto attaccò. Quando dovette mettersi sulla difensiva chiese il rimpatrio. [...] Non sarebbe uomo di Curia e non è un uomo di pazienza, non è un uomo da guerra di posizione e di logoramento. (da ''Verso il bipolarismo'') *Lui Arrivò a Palazzo Chigi credendo, e facendo credere, che uno Stato si poteva condurre con gli stessi criteri di un'azienda privata. Io su questo avevo avuto serie discussioni con lui – non litigi, non ho mai litigato con Berlusconi – gli avevo detto: «Guarda che lo Stato non è un'azienda privata». [...] Lui credeva di potersi comportare a Palazzo Chigi, e con la macchina dello Stato, come si comportava con la sua organizzazione, dove la gente frullava e, se non frullava, lui la cacciava via, com'è giusto che faccia un imprenditore. Ma lui non poteva applicare questi metodi e sistemi allo Stato. Quando si trovò di fronte alla muraglia grigia, sorda e ottusa della burocrazia italiana, che è la peggiore, ma anche la più resistente del mondo, lui rimase senz'armi: non poteva licenziare neanche un usciere. Nel gioco parlamentare lui naufraga perché non è abituato a queste cose. La politica – non dico che sia solo un mestiere – ma è anche un mestiere. Questo mestiere lui non lo aveva. (da ''Verso il bipolarismo'') *Che gli italiani siano capaci di emanare leggi di riforma, ci credo senz'altro. L'Italia è la più grande produttrice di regole, ognuna delle quali è una riforma, è la riforma di un'altra regola. Gli stessi esperti pare che abbiano perso il conteggio delle leggi, dei regolamenti che vigono in Italia: c'è qualcuno che parla di 200.000, altri di 250.000. Ora, quando si pensa che la [[Germania]] ha in tutto 5.000 leggi, la [[Francia]] pare 7.000, l'[[Inghilterra]] nessuna, quasi nessuna – ha dei principi, così stabiliti. A cosa ha portato tutta questa proliferazione? A riempire gli scantinati dei nostri pubblici uffici, dove ci sono questi mucchi di legge che nessuno va nemmeno a consultare perché ognuna di queste leggi poi offre il modo di evaderle. Questa è la grande abilità dei legislatori italiani. I legislatori italiani sono quasi tutti degli avvocati. E gli avvocati a che cosa pensano? A ingarbugliare le leggi in modo da restarne loro i supremi e unici depositari. [...] Riforme: hai voglia se ne faremo, continuiamo a farne, è la nostra vocazione, questa. Quanto poi all'attuazione, allora è un altro discorso: le leggi in Italia non vengono osservate, anche perché sono formulate in modo che si possano non osservare. Ed è questo che spiega l'abbondanza, la prodigalità delle nostre classi politiche, delle nostre classi dirigenti, nello sfornarne di continuo. (da ''Dal Governo Dini all'Ulivo'') *Un Paese che ignora il proprio Ieri, di cui non sa assolutamente nulla e non si cura di sapere nulla, non può avere un Domani. Io mi ricordo una definizione dell'Italia che mi dette in tempi lontanissimi un mio maestro e anche benefattore, che fu un grande giornalista, [[Ugo Ojetti]], il quale mi disse: «Ma tu non hai ancora capito che l'Italia è un Paese di contemporanei, senza antenati né posteri perché senza memoria». Io avevo 25-26 anni e la presi per una ''boutade'', per una battuta, un paradosso. Mi sono accorto che aveva assolutamente ragione. Questo è un Paese che {{NDR|«È un Paese che non ama la Storia»}} ha una storia straordinaria, {{NDR|«Ma non la ama»}} ma non la studia, non la sa. È un Paese assolutamente ignaro di se stesso. Se tu mi dici cosa sarà un domani per gli italiani, forse sarà un domani brillantissimo. Per gli italiani, non per l'Italia. Perché gli italiani sono i meglio qualificati a entrare in un calderone multinazionale perché non hanno resistenze nazionali. Intanto hanno dei mestieri in cui sono insuperabili. [...] Voglio dirlo senza intonazioni spregiative, nei mestieri servili noi siamo imbattibili, assolutamente imbattibili. Ma non lo siamo soltanto in quelli. L'individualità italiana si può benissimo affermare in tutti i campi, anche scientifici. Io sono sicuro che gli scienziati italiani, i medici italiani, gli specialisti italiani, i chimici, i fisici italiani quando avranno a disposizione dei gabinetti europei veramente attrezzati brilleranno. Gli italiani, l'Italia no. L'Italia non ci sarà, non c'è. Perché gli italiani che vanno in Germania diventeranno tedeschi. [...] Alla seconda generazione sono assimilati. Dovunque vadano, sono assimilati. {{NDR|«Ma questo è un difetto?»}} No... è un difetto... è un difetto ed è anche una virtù. È una qualità. Voglio dire: per l'Italia non vedo un futuro, per gli italiani ne vedo uno brillante. (da ''Dal Governo Dini all'Ulivo'') ==Citazioni tratte dai giornali== ===''Corriere della Sera''=== <!--ordine cronologico--> *Gli eroi sono sempre immortali, agli occhi di chi in essi crede. E così crederanno, i ragazzi, che il «[[Grande Torino|Torino]]» non è morto: è soltanto «in trasferta». (7 maggio 1949) *{{NDR|A proposito di [[Maratea]]}} Forse in Italia non c'è paesaggio e panorama più superbi. Immaginate decine e decine di chilometri di scogliera frastagliata di grotte, faraglioni, strapiombi e morbide spiagge davanti al più spettacoloso dei mari, ora spalancato e aperto, ora chiuso in rade piccole come darsene. (4 ottobre 1957) *{{NDR|Su ''[[La dolce vita]]''}} Ma non c'è dubbio che qui ci si trova di fronte a qualcosa di eccezione (sic!) non perché rappresenti un meglio o un di più di ciò che finora si è fatto sullo schermo, ma perché ne va nettamente al di là, violando tutte le regole e convenzioni, a cominciare da quelle della durata, che supera le tre ore di spettacolo, per finire a quelle della trama, o meglio della non trama, perché non c'è. (''[http://cinquantamila.corriere.it/storyTellerArticolo.php?storyId=4d44ab344c050 Montanelli vede La Dolce Vita]'', 22 gennaio 1960) *{{NDR|Su ''[[La dolce vita]]''}} Non siamo più nel cinematografo, qui. Siamo nel grande affresco. Fellini secondo me non vi tocca vette meno alte di quelle che Goya toccò in pittura, come potenza di requisitoria contro la sua e la nostra società. (''ibidem'') *Il suo reportage non è una "patacca". Il poco – oh, molto poco! – che vi luce è proprio oro. E il molto che vi puzza è proprio fogna. Del resto, se così non fosse, il film sarebbe fallito come falliscono i reportages quando eludono la verità o non riescono a centrarla. Quindi, amici, vi prevengo se domani ''[[La dolce vita]]'' vi farà inorridire, non confutàtela dicendo: "Non è vero". Perché per esser vero, tutto ciò che qui è raccontato, lo è. D'altronde Fellini è ricorso al mezzo più spicciativo (e più diabolico) per dimostrarlo. (''ibidem'') *Ma mi affretto subito ad aggiungere che ''[[La dolce vita]]'' non è una polemica a sfondo giustizialista, che appunta i suoi strali sulle cosiddette classi alte. Non convincerebbe, in questo caso, o convincerebbe meno. Gli altri ambienti, che si srotolano giù giù negli appunti di questo reporter d'eccezione, sono descritti con la identica spietatezza, convalidata dalla stessa tecnica di rappresentare ciascuno nei propri panni. Lasciatemi testimoniare in tutta onestà che raramente ho visto qualcosa di più vero di quel salotto intellettuale. Esso ha dato perfino a me, che non ne frequento nessuno, un senso profondo di mortificazione, un vago anelito a cambiar mestiere e a iscrivermi, fo' per dire, ai coltivatori diretti. (''ibidem'') *Non è necessario essere socialisti per amare e stimare [[Sandro Pertini|Pertini]]. Qualunque cosa egli dica o faccia, odora di pulizia, di lealtà e di sincerità. (27 ottobre 1963) *Che i [[Rifugiati palestinesi|profughi palestinesi]] siano delle povere vittime, non c'è dubbio. Ma lo sono degli Stati arabi, non d'[[Israele]]. Quanto ai loro diritti sulla casa dei padri, non ne hanno nessuno perché i loro padri erano dei senzatetto. Il tetto apparteneva solo a una piccola categoria di sceicchi, che se lo vendettero allegramente e di loro propria scelta. Oggi, ubriacato da una propaganda di stampo razzista e nazionalsocialista, lo sciagurato ''fedain'' scarica su Israele l'odio che dovrebbe rivolgere contro coloro che lo mandarono allo sbaraglio. E il suo pietoso caso, in un modo o nell'altro, bisognerà pure risolverlo. Ma non ci si venga a dire che i responsabili di questa sua miseranda condizione sono gli «usurpatori» ebrei. Questo è storicamente, politicamente e giuridicamente falso. (16 settembre 1972) *[[Alexis de Tocqueville|Tocqueville]] diceva che «è nel sonno della pubblica coscienza che maturano le dittature». (da ''[https://web.archive.org/web/20160101000000/http://archiviostorico.corriere.it/1996/gennaio/13/platea_resta_assente_co_0_9601133631.shtml La platea resta assente]'', 13 gennaio 1996, p. 1) *Se si mettono a raffronto i due rivali come faccia, come presenza, come eloquio, come cordialità, insomma come simpatia umana, non c'è dubbio che Albertini ne ispira molto meno di Fumagalli, anzi diciamo la verità tutta intera: non ne ispira punta. Ed io, cittadino ed elettore milanese, proprio di questo sentivo il bisogno: di un sindaco antipatico, di faccia arcigna e poco invogliante alla pacca sulla spalla, al confidenziale «tu» e al pappecciccia coi sottoposti, e poco, anzi punto disponibile a quelle benevolenze, condiscendenze e indulgenze che rappresentano le supposte di glicerina di tutte le corruzioni. [...] Con Albertini ho parlato una sola volta. Ma mi è bastata per capire che, per rendersi antipatico, non ha bisogno di fare sforzi. Basta che si mostri com'è e come spero che rimanga: una specie di Molotov di Palazzo Marino, chiuso nei suoi caparbi ''niet'', diffidente, scostante e culdipietra. Che abbia una compagna fermamente decisa a non partecipare alla vita pubblica del compagno, anche questo ci va bene. [...] Si ricordi, signor Sindaco, che noi abbiamo votato per lei, non per questi papponi. (da ''[https://web.archive.org/web/20160101000000/http://archiviostorico.corriere.it/1997/maggio/13/tradito_Ulivo_co_0_9705136733.shtml Sì, ho tradito l'Ulivo]'', 13 maggio 1997, p. 1) *Non vorremmo, dopo averne deplorato il brutto vezzo, contribuire alle polemiche nel momento in cui bisogna invece accantonarle per fare compatto fronte per il salvataggio del salvabile. Ma basta con le «regole» che servono soltanto a rendere impenetrabili le responsabilità dei disastri quando i disastri si possono ricondurre a delle responsabilità umane (come non accade, per esempio, nei terremoti). Ma quando verrà l'ora della ricostruzione, ricordiamoci che l'[[urbanistica]] e il paesaggio italiani hanno bisogno non di altre, ma di meno «regole». E, più che di cemento, di dinamite. (da ''[https://web.archive.org/web/20160101000000/http://archiviostorico.corriere.it/1998/maggio/09/licenze_facili_leggi_oscure_co_0_9805099009.shtml Le licenze facili e le leggi oscure]'', 9 maggio 1998, p. 1) *Qualche dichiarazione meno infuocata contro la Giustizia di regime, come il [[Silvio Berlusconi|Cavaliere]] si ostina a definirla, avrebbe meglio aiutato la politica italiana a rimuovere il macigno che la paralizza, e che è lui, Berlusconi. (da ''[https://web.archive.org/web/20160101000000/http://archiviostorico.corriere.it/1998/luglio/14/RESTO_SIA_SILENZIO_co_0_9807143775.shtml E il resto sia silenzio]'', 14 luglio 1998, p. 1) *L'Italia sarà anche, come dicono i nostri tromboni universitari, «la culla del diritto». Ma è anche il sepolcro di una giustizia che, per decidere se un imputato è innocente o colpevole, aspetta il suo certificato di morte che la esenta dal dirlo. Il secondo problema è il reclutamento e la selezione [[magistratura|del personale]]. Come in tutte le altre pubbliche attività, anche nella giustizia c'è un dieci per cento di autentici eroi pronti a sacrificarle carriera e vita, ma senza voce in un coro di «gaglioffi» che c'è da ringraziare Dio quando sono mossi soltanto da smania di protagonismo. (da ''[https://web.archive.org/web/20160101000000/http://archiviostorico.corriere.it/1998/agosto/24/CARDINALE_MAGISTRATO_co_0_9808244892.shtml Il Cardinale e il Magistrato]'', 24 agosto 1998, p. 1) *Tutto si è risolto in un colpo solo, non si sa con precisione quando e come combinato, che ha tagliato la strada alla bagarre prima che cominciasse. E che, per quanto mi riguarda, mi ha liberato dall'incubo che turbava i miei inquieti sonni, e in cui mi vedevo in fuga da un mostro senza volto, ma che m'incalzava con la logorrea del presidente uscente, aggravata dall'accento irpino di Mancino e dalle corde vocali della signora Jervolino. [...] Siamo sicuri che il popolo, chiamato a pronunciarsi fra un [[Carlo Azeglio Ciampi|Ciampi]] e – faccio per dire – un [[Antonio Di Pietro|Di Pietro]], si sarebbe pronunciato per Ciampi? È una domanda che non aspetta risposta, ma che mi permetto di proporre ai lettori. Gran bella parola «il Popolo». E riconosciamogli pure l'attributo, che gli spetta, di «Sovrano». Ma insomma, meditate gente, meditate. (da ''[https://web.archive.org/web/20160101000000/http://archiviostorico.corriere.it/1999/maggio/14/QUASI_NON_CREDO_co_0_9905146643.shtml Quasi non ci credo]'', 14 maggio 1999, p. 1) *Tutti coloro che hanno svolto pubbliche funzioni in Sicilia sono rimasti e sono tuttora in qualche modo «collusi» con la mafia. Lo furono quotidianamente, e per secoli, il governo e la polizia borbonica. Lo fu [[Giuseppe Garibaldi|Garibaldi]] che in essa trovò, dopo lo sbarco, la sua prima alleata. Lo furono i governi nazionali sia di destra che di sinistra. Lo fu [[Giovanni Giolitti|Giolitti]] che pure non scese mai, a ch'io sappia, a sud di Napoli. Lo fu il presidente della vittoria, [[Vittorio Emanuele Orlando|Orlando]], che quando tornava a Palermo, la prima visita che rendeva non era al prefetto né all'arcivescovo, ma al capomafia. Tentò di non esserlo Mori che aveva licenza di uccidere garantita da un regime totalitario, e ci rimise il posto. Lo sono stati tutti i politiconi e politicastri della Prima Repubblica. Anche il cautissimo [[Giulio Andreotti|Andreotti]]? Può darsi, attraverso i suoi proconsoli ''in loco''. Ma il Tribunale deve aver capito che l'imputato non era lui. Era il costume morale e politico della nostra vita pubblica, sul quale un Tribunale non ha, né può né deve avere competenza. [...] E il problema, secondo me, è questo: che fin quando noi italiani crederemo di salvarci dalla peste mandando sul rogo una strega o un untore, dalla peste non ci libereremo mai. (da ''[https://web.archive.org/web/20160101000000/http://archiviostorico.corriere.it/1999/ottobre/24/TRIBUNALE_DELLA_STORIA_co_0_991024441.shtml Il tribunale della storia]'', 24 ottobre 1999, p. 1) *Ci dicano chiaro e tondo perché hanno smembrato il Ros, e hanno ridimensionato l'attività di Sco e Gico. Non ci raccontino che hanno voluto mettere al riparo il capitano Ultimo e i suoi uomini dalle possibili vendette della malavita. E soprattutto non vengano a ripeterci che il ''modus operandi'' dei servizi segreti, per impedirne le «deviazioni», dev'essere «trasparente». Questa, che un segreto possa essere trasparente, è un'idea da primato della cretineria. E, se non della cretineria, lo è della retorica virtuista o della menzogna truffaldina. (da ''[https://web.archive.org/web/20160101000000/http://archiviostorico.corriere.it/1999/novembre/02/PROCURATORE_BATTA_PUGNO_co_0_9911021451.shtml Procuratore batta il pugno]'', 2 novembre 1999, p. 1) *Era la prima volta che il partito socialista italiano aveva trovato un uomo {{NDR|Bettino Craxi}}, se non di Stato, almeno di governo, che lo aveva liberato dalla subalternanza al Pci, e condotto su posizioni democratiche, europeistiche e atlantiche. Lo avrà anche fatto con metodi alquanto spicciativi e disinvolti, più da padrino che da ''leader''. Ma mi chiedo se avrebbe potuto usarne di diversi per avere ragione dei vecchi tromboni del massimalismo populista e piazzaiolo con le loro clientele incrostate da decenni. E mi chiedo anche quanto contribuirono alla sua crocefissione i rancori e le acredini che si era lasciato dietro. Ma nella difesa si perse, e non per mancanza, ma forse per eccesso di coraggio. (da ''[https://web.archive.org/web/20160101000000/http://archiviostorico.corriere.it/2000/gennaio/20/STATISTA_LATITANTE_co_0_0001201104.shtml Lo statista latitante]'', 20 gennaio 2000, p. 1) *Anche noi siamo convinti che il Paese ha il diritto di conoscere la verità (che non riguarda soltanto quella di Piazza Fontana). Ma non ci riusciamo. Anche perché se la pista rimane, come sembra accertato, quella del terrorismo nero, non sappiamo quali nomi l'accusa potrà tirar fuori dal suo cappello. I tre maggiori indiziati sono già stati assolti con sentenza passata in giudicato che non consente di richiamarli sul banco degli imputati. Gli altri di cui si fa il nome non sarebbero che comparse, la più importante delle quali, Delfo Zorzi, risiede a Tokio con passaporto giapponese che lo mette al riparo da ogni pericolo di estradizione. Vale la pena ricominciare? L'''ouverture'' dei dibattimenti non è stata incoraggiante. Il proscenio era occupato da Capanna, Valpreda, [[Dario Fo]] e altri reduci sessantottini, cui si era aggiunto anche Sergio Cusani, l'intangentato convertitosi (lo diciamo senza nessuna ironia) al missionarismo. [...] Invano i portaparola della parte lesa, cioè dei familiari delle vittime, si sono dichiarati estranei e contrari a ogni tentativo di politicizzare il processo. Una parola. Non ci riescono nemmeno [[Jovanotti]] e [[Teo Teocoli|Teocoli]] con le loro filastrocche dal palcoscenico di Sanremo. Figuriamoci se potranno riuscirci i registi di questo processo ''rouge et noir'', se mai ve ne furono. [...] Ecco a cosa servono i processi come questo: non a cercare la verità, ma a fornire argomenti al ''rouge'' o al ''noir''. (da ''[https://web.archive.org/web/20160101000000/http://archiviostorico.corriere.it/2000/febbraio/26/QUELLA_VERITA_CHE_CERCHIAMO_co_0_0002264627.shtml Quella verità che cerchiamo]'', 26 febbraio 2000, p. 1) *Cosa c'entri la giustizia italiana in fatti e misfatti capitati trent'anni fa in un Paese {{NDR|l'[[Argentina]]}} di cui la metà della popolazione è di origine italiana, non riusciamo a capire. Ma ci pareva impossibile che l'iniziativa del giudice spagnolo Garzon per trascinare l'ex dittatore cileno [[Augusto Pinochet|Pinochet]] sul banco degli accusati di un tribunale madrileno non trovasse imitatori in un Paese di scimmie come il nostro. Grazie ad essa, il nome e il volto di Garzon sono noti in tutto il mondo. Ed è probabile che tra poco lo siano anche quelli del pubblico ministero Caporale. Vi pare poco in un'era dell'effimero come quella in cui stiamo vivendo, e che vede l'infittirsi di processi ai defunti, su cui le nuove leve della [[storiografia]] vorrebbero riscrivere il passato? (da ''[https://web.archive.org/web/20160101000000/http://archiviostorico.corriere.it/2000/aprile/03/QUEI_PROCESSI_CARO_ESTINTO_co_0_0004033275.shtml Quei processi al caro estinto]'', 3 aprile 2000, p. 1) *Dobbiamo avere la modestia di riconoscere che noi, come venditori, non leghiamo nemmeno le scarpe a un piazzista che se un giorno si mettesse a produrre vasi da notte, farebbe scappare la voglia di urinare a tutta l'Italia. (da ''[https://web.archive.org/web/20130619122825/http://archiviostorico.corriere.it/2001/febbraio/15/PREDICATORI_COMPARSE_co_0_0102158858.shtml I predicatori e le comparse]'', 15 febbraio 2001, p. 1) *Non sono mai venuto meno all'impegno, preso non con il Cavaliere, ma con me stesso, di non associarmi mai alla sua demonizzazione. Ma non posso sottacere ai lettori i pericoli che si nascondono sotto questa sua allergia alla verità, questa sua voluttuaria e voluttuosa propensione alle menzogne, la naturalezza con cui riesce a pronunziarle. (da ''Io e il cavaliere qualche anno fa'', 25 marzo 2001, p. 1) *Berlusconi, cui nulla riesce tanto bene quanto la parte di vittima e perseguitato. «[[Chiagne e fotte]]» dicono a Napoli dei tipi come lui. E si prepara a farlo per cinque anni di seguito. (da ''Io e il cavaliere qualche anno fa'', 25 marzo 2001, p. 1) ====''La stanza di Montanelli – rubrica''==== {{cronologico}} *{{NDR|[[Vittorio Sgarbi]]}} È un volgare calunniatore, che non disonora se stesso, ma anche il suo committente e padrone (tutti sappiamo chi è) che si serve di un simile scherano. (8 novembre 1995) *I [[Riformismo|riformatori]] italiani, quando si tratta di riformare ciò che non ha bisogno di essere riformato, sono instancabili. L'attività dell'Ucas, Ufficio complicazioni affari semplici, come ricordava un altro lettore esasperato, è frenetica. ([https://web.archive.org/web/20160101000000/http://archiviostorico.corriere.it/1995/dicembre/13/Ufficio_complicazioni_affari_semplici_co_0_9512139920.shtml 13 dicembre 1995]) *Io credo che il miglior omaggio che si può rendere a [[Aldo Moro|Moro]] sia quello di archiviare l'episodio che ne segnò la fine e dal quale, diciamo la verità, la sua immagine esce tutt'altro che bene. Quando sento dire che, oltre a quelle conosciute, ci sono anche altre lettere di Moro, prego Iddio che non vengano trovate. So già cosa contengono, e preferisco non leggerlo. (21 dicembre 1995) *È assolutamente impossibile istillare negli [[zingari]] il concetto di proprietà e quindi educarli al lavoro come mezzo per conquistarsela. Ma temo che sia altrettanto impossibile far capire tutto questo ai nostri pietisti, religiosi e laici, che farneticano di «integrarli». ([https://web.archive.org/web/20160101000000/http://archiviostorico.corriere.it/1995/dicembre/30/Viaggiai_sul_carrozzone_degli_zingari_co_0_95123012229.shtml 30 dicembre 1995]) *A me, invece, [[Beppe Grillo|Grillo]] piace. Lo considero il più efficace comico in circolazione. Anzi: «comico» non è la parola giusta. Grillo non è un comico, non è un moralista, non è un predicatore: è tutte queste cose insieme. Nel panorama dello spettacolo italiano, dove abbonda il bollito misto, è un'eccezione ambulante (e urlante). Lei ha ragione quando dice che Grillo esagera. Non soltanto esagera; provoca anche, e insulta, e offende. Ma tutte le categorie di giudizio, con un tipo così, risultano inadeguate. Grillo appartiene ad una specie animale particolare, formata da un solo esemplare: lui. O lo strozziamo o lo applaudiamo. Io, appena posso, lo applaudo. Perché i suoi eccessi, a differenza di quelli di [[Vittorio Sgarbi|Sgarbi]], odorano di bucato. ([https://web.archive.org/web/20160101000000/http://archiviostorico.corriere.it/1996/gennaio/11/Beppe_Grillo_incubo_esilarante_co_0_9601114281.shtml 11 gennaio 1996]) *Una delle eterne regole italiane: nel settore pubblico, tutto è difficile; la buona volontà è sgradita; la correttezza, sospetta. Per questo, le persone capaci continueranno a tenersi a distanza di sicurezza dalla «cosa pubblica», lasciando il posto ai furbastri (magari bravi) e alle mezze cartucce (magari oneste). Così, purtroppo, vanno le cose in questo bizzarro paese. ([https://web.archive.org/web/20160101000000/http://archiviostorico.corriere.it/1996/gennaio/26/Impegno_politico_caduta_delle_illusioni_co_0_9601261298.shtml 26 gennaio 1996]) *In una società libera il compito dei media non è «edificare la morale»; è informare, denunciare, stimolare, far riflettere, occasionalmente divertire. (28 gennaio 1996) *L'unico incoraggiamento che posso dare ai giovani, e che regolarmente gli do, è questo: «Battetevi sempre per le cose in cui credete. Perderete, come le ho perse io, tutte le battaglie. Una sola potete vincerne: quella che s'ingaggia ogni mattina, quando ci si fa la barba, davanti allo [[specchio]]. Se vi ci potete guardare senza arrossire, contentatevi». (20 febbraio 1996) *Non so se il Pci sia sotterraneamente sceso a trattative con le Br per convincerle a secondare questo piano. So soltanto che le Br, le quali invece la rivoluzione la volevano sul serio, lo rifiutarono, e fu proprio per farlo naufragare che rapirono e poi uccisero colui che doveva esserne lo strumento. [...] Fu il risoluto e quasi furibondo (oltre che sacrosanto) no dei comunisti che fece naufragare il tentativo {{NDR|Trattativa Stato-BR durante il sequestro [[Aldo Moro|Moro]]}}, che invece in seno alla Dc aveva parecchi sostenitori, anche se non osavano dirlo apertamente. Di qui le accuse e le insinuazioni contro i suoi compagni di partito, lanciate da Moro in quelle famose lettere, che avrebbe fatto meglio a non scrivere perché indegne di un vero uomo di Stato, anzi di un uomo tout court, e che ancor oggi forniscono materia al sospetto di una congiura fra democristiani – con l'aiuto dei soliti servizi segreti «deviati» – per sbarazzarsi di lui. Vero nulla. Forse nella Dc le forze «trattativiste», praticamente disposte alla resa alle Br, avrebbero vinto, se non ne fossero state impedite dalla risolutezza del Pci, che di un brigatismo assurto ad interlocutore dello Stato non voleva sentir parlare e di un Moro salvato al prezzo di una simile capitolazione non avrebbe più saputo che farsi. (26 marzo 1996) *No, è stata la persecuzione che ha costretto gli ebrei, per resisterle, a tendere ed affinare tutte le loro risorse intellettuali. Ecco il segreto dei loro primati. In tutto. E talvolta anche nella cretineria. (3 aprile 1996) *L'[[Allargamento della NATO|allargamento della Nato]] è una cosa maledettamente seria, e decisamente complessa. Parlarne prima delle elezioni presidenziali russe vuol dire buttare benzina sul fuoco; non parlarne oggi significa, forse, non parlarne più. [...] Innanzitutto, dobbiamo renderci conto che la Nato è un'organizzazione basata sul consenso: se si estende verso Oriente [...], la compattezza dell'alleanza rischia di incrinarsi. Ancor più delicata è una seconda questione. Governi e opinione pubblica occidentali devono capire le implicazioni della loro decisione. In seguito all'allargamento, i nuovi membri orientali della Nato (che siano solo Repubblica Ceca e Ungheria; o anche Polonia e Paesi Baltici) diventano nostri alleati, a tutti gli effetti. Questo vuol dire che, se venissero attaccati, dovremmo correre a difenderli. Domanda: siamo disposti a morire per Varsavia e Tallin? Se la risposta è «sì», allarghiamo pure la Nato. Se la risposta è «ma, forse...» – e in Italia sarebbe sicuramente «ma, forse...» – è meglio che lasciamo perdere. In quella parte del mondo hanno già sofferto abbastanza. Non è il caso che ci mettiamo anche noi. ([https://web.archive.org/web/20151025020316/http://archiviostorico.corriere.it/1996/aprile/20/Allargamento_della_Nato_Lasciamo_perdere_co_0_960420535.shtml 20 aprile 1996]) *Io non mi considero affatto ateo e non capisco come si possa esserlo. ([https://web.archive.org/web/20160101000000/http://archiviostorico.corriere.it/1996/maggio/23/dove_comincia_grande_mistero_Dio_co_0_9605235872.shtml 23 maggio 1996]) *{{NDR|Riferito alla [[crisi di Sigonella]]}} Ho sempre considerato il rilascio di Abu Abbas un gesto semplicemente criminale o almeno di complicità col crimine. ([https://web.archive.org/web/20151107235857/http://archiviostorico.corriere.it/1996/luglio/07/Caro_Ottiero_Ottieri_diamoci_del_co_0_9607072658.shtml 7 luglio 1996]) *Quanto scrivi {{NDR|riferito a una lettrice}} sull'insegnamento della Storia nelle nostre scuole è sacrosantamente vero. I testi su cui ve la fanno studiare sono o reticenti o faziosi, ma più spesso l'una cosa e l'altra, e soprattutto scritti coi piedi. (4 settembre 1996) *No, caro N***, non mi basta che il Pool abbia perseguito e persegua una buona Causa. Doveva farlo anche con buoni mezzi e criteri. E il caso Di Pietro basta a dimostrare che questo non è sempre avvenuto. (24 ottobre 1996) *È dalla piazza e dai cosiddetti «bagni di folla» che nascono i dittatori e vengono consacrati i fanatismi più orrendi, fra cui il più orrendo di tutti: il razzismo. ([https://www.fondazionemontanelli.it/sito/pagina.php?IDarticolo=432 24 novembre 1996]) *Io non ho titoli culturali che mi qualifichino a lezioni su una tematica come quella del [[calvinismo]]. Ma credo di averne afferrato l'essenziale: la concezione della Ricchezza come segno della Grazia, di cui quindi non si è proprietari, ma amministratori per conto del Signore col compito di moltiplicarla per il bene di tutti. (21 dicembre 1996) *[[Daniele Vimercati|Vimercati]] è un leghista antemarcia. Lo era anche quando lavorava con me al ''Giornale''. Ma è soprattutto un signor giornalista, che conosce perfettamente la linea di demarcazione fra l'opinione personale e il dovere professionale, e non c'è interesse né calcolo di opportunità che possa indurlo a varcarla. Per questo godeva di tutta la mia fiducia, né mai ho avuto occasione di pentirmi di avergliela concessa. (1996).<ref>Citato in Pierluigi Saurgnani, ''[https://www.ecodibergamo.it/stories/Cronaca/274325_vimercati_gran_borghese_il_giornalista_che_scopr_bossi/ Vimercati, gran borghese. Il giornalista che scoprì Bossi]'', ''ecodibergamo.it'', 13 marzo 2012.</ref> *Di commissioni d'inchiesta il nostro parlamento ne ha partorite a dozzine. Me ne citi una sola che abbia raggiunto dei risultati, anche semplicemente conoscitivi. Per un Parlamento come il nostro (e mi trattengo a fatica dal qualificarlo) anche la ricerca della verità è materia di lottizzazione. ([https://web.archive.org/web/20151118213258/http://archiviostorico.corriere.it/1996/dicembre/23/Ormai_non_resta_che_amnistia_co_0_96122312669.shtml 23 dicembre 1996]) *Quando ebbi, fra i tanti, un processo non con un magistrato, ma con un politico del rango di De Mita che avevo coinvolto nella mala amministrazione dei fondi stanziati per l'Irpinia dopo il [[Terremoto dell'Irpinia del 1980|terremoto]], non trovai, in tutta quella vasta regione, una toga che venisse a testimoniare in mio favore. L'unico che mi difese fu colui che avrebbe dovuto accusarmi: il pubblico ministero del tribunale di Monza, Mariconda: non sul merito delle mie accuse, ch'egli non aveva elementi per valutare, ma sul diritto che mi riconosceva di lanciarle. Anche l'uso dei cinquanta–sessantamila miliardi stanziati per l'Irpinia rimase un porto delle nebbie. ([https://web.archive.org/web/20160101000000/http://archiviostorico.corriere.it/1997/gennaio/12/Magistratura_porti_delle_nebbie_co_0_9701123652.shtml 12 gennaio 1997]) *La sola parola «ingegneria genetica» mi mette i brividi. (14 marzo 1997) *Io non mi sono mai [[Impiccagione|impiccato]]. Ma a Norimberga assistetti a diciassette impiccagioni, compresa quella di un cadavere, il cadavere di Göring che si era suicidato il giorno prima. Be', mi resi conto [...] che ficcare la testa nel nodo scorsoio di una corda non è un esercizio da mezzetacche o quacquaracquà. (15 maggio 1997) *{{NDR|Gladio}} Era stato istituito in quasi tutti i Paesi che facevano parte della Nato, e per volontà della Nato, consapevole che i suoi soci europei non avrebbero potuto resistere all'attacco di una Potenza superarmata qual era l'[[Unione Sovietica]]: avrebbero dovuto aspettare, per la riscossa, l'intervento dell'[[Stati Uniti d'America|America]]. Lo dimostra il fatto che quando questo piano fu rivelato, nessun altro Paese trovò nulla da ridirne. Solo noi italiani – i soliti romanzieri imbecilli e peggio che imbecilli – ne facemmo materia di scandalo e pretesto di «gialli» che tuttora trovano credito, come la sua lettera dimostra. Anch'io mi sento scandalizzato, e un poco offeso. Ma solo dal fatto che nessuno mi abbia sollecitato l'adesione al [[Organizzazione Gladio|Gladio]]: l'avrei data con entusiasmo. ([https://web.archive.org/web/20150623163829/http://archiviostorico.corriere.it/1997/giugno/07/Avrei_dato_con_entusiasmo_adesione_co_0_97060710388.shtml 7 giugno 1997]) *A fare l'Italia alcuni pochi italiani ci sono, senza e contro i più, riusciti. A fare gl'italiani, l'Italia, in centocinquant'anni, non c'è riuscita; anzi non ci s'è nemmeno provata. (19 giugno 1997). *Il vero cacciatore ama gli animali a cui dà la caccia, forse anche perché li considera complici di questo gioco in cui ritrova la sua origine esistenziale. Non spara, per esempio, sul bersaglio fermo: lo considera sleale. (9 luglio 1997) *Al matrimonio misto, che dell'integrazione razziale è la condizione genetica, sono i neri, molto più dei bianchi, che si rifiutano. Non è quindi colpa degl'italiani, o almeno non tutta questa colpa è degl'italiani, se anche da noi l'integrazione con gl'immigrati africani incontra degli ostacoli. Quella con gli oriundi dei Paesi europei non ne incontra nessuno, salvo quelli che frappone la burocrazia, la quale ne pone tanti anche a noi, e anzi campa solo di questo. Non ho mai sentito un francese, o un inglese, o un tedesco, o un bulgaro o un ukraino lamentarsi di una apartheid italiana. Ci sono anche da noi, purtroppo, delle manifestazioni di razzismo. Ma queste sono dovunque, e in Italia meno violente che altrove. L'Italia è un Paese che va a catafascio. Ma non buttiamogli addosso anche delle croci che non merita. Quelle che merita bastano, e ne avanza. (24 agosto 1997) *Io sono un italiano, fra i pochi rimasti che nei confronti dell'Italia s'ispirano all'adagio inglese: «Che abbia ragione o torto, sto col mio Paese». Anch'io sto col mio paese quando ha torto, ma senza pretendere che il suo torto sia considerato ragione. (23 settembre 1997) *Sono e rimango convinto che fin quando noi italiani ci affideremo soltanto alla Legge – o, come ora usa chiamarla, alle «regole» –, rimarremo quello che siamo, coi vizi che abbiamo, fra cui quello di accatastare regole su regole al solo scopo di metterle in contraddizione l'una con l'altra per poterle meglio evadere. (16 ottobre 1997) *Forse farebbe meglio ad astenersi a dare lezioni di liberalismo a me che sono stato, in tutto il giornalismo italiano, l'unico a difenderlo negli anni Settanta e Ottanta, quando difenderlo era difficile e poteva anche costar caro. Non me ne faccio un vanto perché, quando alla fine ha vinto, ho visto di che liberalismo si trattava, ed è per questo che ho votato Ulivo. (23 ottobre 1997) *Le confesso che il suo piglio perentorio e inquisitorio mi disturba alquanto, anche perché mi lascia capire che lei parte da convinzioni così granitiche da rendere vano ogni tentativo d'insinuarvi almeno un dubbio. (23 ottobre 1997) *È importante tutto questo? No. Non lo è per me né per lei, che sappiamo cosa è accaduto. E non lo è per i leghisti doc, secondo cui qualunque cosa propone il capo è Vangelo. Se Bossi decide di andare in Bicamerale, applaudono. Se decide di abbandonare la Bicamerale, esultano. Se va con Berlusconi, assentono. Se lascia Berlusconi, approvano. E se un giorno si sveglia e cambia i confini della Padania, accettano i nuovi confini. Tempo fa, rispondendo a un lettore, scrissi che «i leghisti sono pronti a inneggiare anche all'annessione della Yakuzia, e non solo perché non sanno dove sta». Arrivarono molte lettere indispettite. Ma nessuna contro l'annessione della Yakuzia. (29 ottobre 1997) *Se sono – come sono – uno di quegli uomini di Destra che ultimamente hanno votato, sia pure controvoglia, per la Sinistra (annacquata) dell'Ulivo, è perché da questa, che non è mai stata la mia bandiera, non mi sento tradito. Essa sta facendo ciò che prometteva di fare, ma lo fa con molta moderazione, e con una squadra di uomini che magari non saranno (meno qualcuno, come per esempio Ciampi) di serie A, ma da cui non temo, e credo che nessuna persona ragionevole possa temere, l'instaurazione di un regime. (10 dicembre 1997) *E lo specchio non vi giudica dai successi che avrete ottenuto nella corsa al denaro, al potere, agli onori; ma soltanto dalla Causa che avrete servito. Tenendo bene a mente il motto degli ''hidalgos'' spagnoli: «La sconfitta è il blasone delle anime nobili». (31 dicembre 1997) *Che cosa io pensi dell'onorevole Previti mi pare di averlo detto in termini talmente espliciti da apparire – a più d'uno – brutali: un personaggio che solo a guardarlo in faccia verrebbe voglia di applicargli le manette ai polsi prima ancora di sapere chi è e cosa ha fatto. (31 gennaio 1998) *Infine, c'è quello che io considero il vero, grande vantaggio dell'euro: una volta dentro, non potremo tornare all'allegra finanza pubblica d'un tempo. ([https://web.archive.org/web/20151203232056/http://archiviostorico.corriere.it/1998/febbraio/20/Che_cosa_succedera_quando_avremo_co_0_9802206445.shtml 20 febbraio 1998]) *Tutti hanno diritto di credere nel miracolo, quando non c'è altro a cui aggrapparsi. La scienza no: se lo ricordi anche il Papa. (23 febbraio 1998) *I conti col passato, si capisce, bisogna farli. Ma a un certo punto bisogna chiuderli. Perché nella Storia non ce n'è mai stato uno che, protratto all'infinito, non ne abbia innescato un altro. (10 marzo 1998) *Perché, caro B***? Perché la vocazione a dividerci sempre e su tutto per il nostro «particulare», come lo chiamava Guicciardini, noi italiani ce la portiamo nel sangue, e non c'è legge che possa estirparla. (18 aprile 1998) *Vero che nei ricordi sui quali vengo sollecitato, il nome di [[Cesco Tomaselli|Tomaselli]] ricorre meno frequentemente di quelli di Longanesi, di Buzzati, di Piovene, di Barzini ecc. Ma ciò dipende solo dal fatto che costoro appartenevano alla mia leva, e in comune con loro avevo avuto tante esperienze, perfino la stanza di lavoro. Tomaselli, quando io entrai al ''Corriere'', apparteneva già alla sua vecchia guardia, e come notorietà ne aveva raggiunto il tetto proprio grazie alle sue corrispondenze sull'impresa del dirigibile «Italia» di Umberto Nobile, di cui fu dal principio alla fine lo scrupoloso cronista. A salvargli la vita dalla catastrofe fu soltanto la sorte, contro cui egli imprecò considerandola avversa. Per l'ultima tappa, quella che avrebbe dovuto sorvolare il Polo, dei due giornalisti aggregati a quella spedizione — Tomaselli per il ''Corriere'', e Ugo Lago per il ''Popolo d'Italia'' di Mussolini —, c'era posto, sulla navicella, per uno solo. Lago e Tomaselli se lo giocarono a testa o croce. Con gran dispetto di Tomaselli, che non smise mai di considerarsene tradito, vinse e partì Lago, che non tornò più: quando l'aeromobile precipitò sul pack, lui rimase aggrappato insieme ad altri compagni al cordame dell'involucro col quale scomparve nel deserto bianco. Ma tutte le volte che se ne parlava, Tomaselli seguitava ad inveire contro la scalogna che lo aveva escluso da quel drammatico finale, come se gli avesse tolto la fortuna di descriverlo. Questo era Tomaselli, l'inviato speciale che nel suo mestiere di giornalista portava lo stesso spirito che aveva fatto di lui, nella Prima Guerra Mondiale, un superdecorato ufficiale di artiglieria alpina e gli ispirava una concezione quasi religiosa del «servizio». Non era un «brillante» né come scrittore né come parlatore. Ma di tutto quello che diceva, sia con la bocca che con la penna, si poteva stare sicuri che di inesatto o di inventato non c'era nemmeno una virgola. [...] Se raramente mi capita di parlare di lui, è perché l'ho conosciuto e frequentato sul declino della sua intemerata e ineccepibile carriera di testimone, e perché lui, nel raccontarla, non l'animava mai di aneddoti o di battute come, per esempio, il suo coetaneo Monelli. Ma se ai giovani che si avviano (poveretti!) a questo mestiere dovessi indicare un modello di dignità, serietà, dedizione e correttezza professionale non avrei dubbi sulla scelta: Cesco Tomaselli. ([https://web.archive.org/web/20151009153047/http://archiviostorico.corriere.it/1998/maggio/07/Cesco_Tomaselli_inviato_speciale_Polo_co_0_9805078688.shtml 7 maggio 1998]) *Che un giudice spagnolo in vena di protagonismo abbia chiesto all'[[Inghilterra]] la consegna di un ospite straniero andato a Londra in forma privatissima per ragioni di salute, non mi stupisce: un [[Antonio Di Pietro|Di Pietro]] può nascere dovunque. Ma che l'Inghilterra si proponga di consentire, non mi stupisce. Mi sbalordisce, come ha sbalordito e indignato la signora Thatcher che aveva ospitato in casa il Generale. Ma ancora di più mi sbalordirebbe che la Giustizia spagnola, cioè di un Paese che non solo ha accettato per quarant'anni il potere di un Generale, ma gli ha consentito (per sua fortuna) di disporne anche dopo morto, portasse davanti a una Corte di Giustizia quello cileno. Per non parlare delle conseguenze che tutto questo potrebbe provocare in [[Cile]] dove, nel caso che il governo Frei si mostrasse esitante e accomodante, le Forze Armate potrebbero riprendere il potere per rompere i rapporti diplomatici con [[Spagna]] e Inghilterra e dimostrare al mondo che i processi alla Norimberga hanno fatto il loro tempo. Se a qualcuno il Generale cileno Pinochet deve rendere conto del suo operato, è soltanto al Cile e ai suoi tribunali. E se io fossi un cileno che ha votato Frei (come certamente avrei fatto se fossi stato un cileno), in questa occasione mi schiererei con le Forze Armate. Con tanti saluti a tutto il sinistrume italiano passato, presente e futuro. (24 ottobre 1998) *Che gli [[Stati Uniti d'America|Usa]] siano in tutto il mondo odiati dagli uomini come lei {{NDR|riferito a un lettore}}, è verosimile, e quindi più che credibile. Un po' meno credibile è che gli uomini di tutto il mondo siano e la pensino come lei. Comunque, il giorno in cui quel Paese venisse chiamato (ma da chi?) sul banco degl'imputati come il nemico dell'umanità, io chiederò di essere ascoltato come testimone. Per dire alla Corte dei Vecchio di turno che io, uomo qualunque, mi considero graziato tre volte da questo grande nemico dell'umanità. La prima fu quando mi strappò al pericolo di diventare – per bene che mi fosse andata – l'attendente di un colonnello tedesco. La seconda fu quando mi sottrasse a quello di finire i miei giorni in un kolkos siberiano. La terza fu quando, invece di rimettermi la parcella di questi favori, mi aiutò a rifarmi la casa senza contestarmi il diritto di invitarvi anche coloro che pensano (si fa per dire) e parlano (o meglio sbraitano) come lei. ([https://web.archive.org/web/20160101000000/http://archiviostorico.corriere.it/1999/aprile/10/Fermare_genocidio_Kosovo_co_0_9904103314.shtml 10 aprile 1999]) *Tradotto in politica, non c'è nulla di più intollerante e fazioso, e quindi di meno pacifico, del [[pacifismo]] in generale, e di quello italiano in particolare. È un pacifismo a fasi alterne, e che si sveglia soprattutto, anzi quasi esclusivamente, quando a fare la guerra sono gli americani. Furioso e devastatore imperversò, non soltanto in Europa, ma nella stessa America, al tempo del Vietnam: al punto che quando [[Richard Nixon|Nixon]] venne in visita in Italia (quell'Italia che poteva fare ciò che voleva grazie agli americani) dovettero mandarlo a prendere a Fiumicino con un elicottero e trasportarlo via aria in Quirinale perché via terra avrebbe rischiato la pelle. Ma questo stesso pacifismo rimase impassibile quando i carri armati sovietici schiacciarono l'Ungheria (e a Montecitorio risuonò il grido: «Viva l'[[Armata Rossa]]!»), e poco dopo la Cecoslovacchia e da ultimo l'Afghanistan. Sono sempre gli stessi, i pacifisti italiani. Con una bandiera in mano come quella della pace (chi può infatti invocare la guerra?), si sentono invulnerabili. Ma la sventolano solo per il povero Milosevic; il genocidio del Kosovo li lascia del tutto indifferenti. (5 maggio 1999) *Non sempre condivido le opinioni di [[Giovanni Sartori|Sartori]]. Qualche volta, anzi spesso, abbiamo litigato, anche perché a lui litigare piace moltissimo: da buon toscano, è nella polemica che lui, e forse anch'io, diamo il meglio di noi. E anche sull'articolo del 25 maggio non siamo in tutto e per tutto d'accordo. Lo siamo nel respingere la qualifica di «pacifista», che entrambi lasciamo in esclusiva alle «anime belle» che, sventolando la bandiera della [[pace]], sperano di raccogliere intorno a essa tutti gl'ipocriti e gl'imbecilli che, sommati insieme, costituiscono certamente la stragrande maggioranza degl'italiani. (29 maggio 1999) *Lo Stato di [[Platone]], quello che lui chiamava la polis, e che poi era Atene, aveva, al tempo di Platone, cioè nel momento del suo massimo splendore, ventimila abitanti, di cui solo cinquemila avevano diritto al voto. E veda un po' come quei civilissimi cittadini lo usarono nelle assemblee dell'Acropoli: mettendo sotto processo [[Pericle]] e [[Aspasia di Mileto|Aspasia]], condannando a morte [[Socrate]] e provocando la guerra del Peloponneso, che fu la rovina non solo di Atene, ma di tutta la Grecia e della sua civiltà. Ora se il sistema della «democrazia diretta» o, come lei la chiama, «partecipatoria», non funzionò nemmeno in una polis di ventimila abitanti, s'immagini un po' cosa diventerebbe nei formicai umani cui si sono ridotte le polis attuali, e non soltanto quelle italiane. [...] Lei ha tutte le ragioni del mondo a dire che l'attuale sistema di democrazia «rappresentativa» o «delegata» ha dei vizi gravissimi e spesso provoca disastri, compresa quella americana, che pure è una di quelle che meglio funzionano. Ma, mi creda, quella «diretta» o «di piazza» è ancora molto più pericolosa perché continuamente a rischio di cadere in balia di qualche ciarlatano che sappia soltanto vendere bene la sua merce. Certo, quella indiretta esige, da parte del cittadino, una partecipazione che in Italia manca. Ma non è certo coi referendum che si può sostituirla. Almeno questo mi ha insegnato l'esperienza. (22 agosto 1999) *Quello di [[Francisco Franco|Franco]], se proprio vogliamo chiamarlo regime, fu un regime di polizia, di una polizia molto più dura di quella fascista, ma un totalitarismo no. Ecco perché, quando sentì avvicinarsi il momento della fine, Franco poté liquidare il franchismo con relativa facilità: perché di totalitario non aveva altro che le galere. Però bisogna anche riconoscere che questo soldataccio squallido e ottuso (sul piano umano era repellente), il ritorno al regime democratico seppe compierlo da maestro, facendosi consegnare dal pretendente al trono, Don Juan, ch'egli considerava (non a torto) poco affidabile, il figlio Juan Carlos per prepararlo – operazione riuscitissima – ai suoi compiti di Re, e mettendogli accanto un uomo di primissimo ordine come Suarez. ([https://web.archive.org/web/20130331034046/http://archiviostorico.corriere.it/1999/ottobre/24/differenza_fra_regimi_totalitari_dittature_co_0_991024459.shtml 24 ottobre 1999]) *La servitù, in molti casi, non è una violenza dei padroni, ma una tentazione dei servi. (2 gennaio 2000) *Non conosco Haider, e quindi nemmeno i fondamenti della sua ideologia, ammesso che ne abbia una. A occhio e croce, più che un nazista, mi sembra un qualunquista che interpreta, o cerca d'interpretare i sentimenti e i risentimenti di una pubblica opinione di livello bossiano, scontenta di tante cose, e a cui l'Austria attuale va stretta. [...] Non so se anche Haider – ripeto: non lo conosco – sia un omuncolo. Ma penso che l'Europa, ponendo il veto a un suo eventuale governo, costringerà gli austriaci ad affidargliene l'incarico, come avvenne per Waldheim. Io al pericolo di un rigurgito nazista non ci credo. Come ho letto in un articolo (mi pare di Enzo Bettiza, ma potrei sbagliarmi) penso che Jorg Haider somigli più a un Poujade che a un Le Pen, cioè più a una miscela di [[Umberto Bossi|Bossi]] e di Giannini che a un [[Pino Rauti]]. Ciò che mi allarma è l'incapacità dell'Europa a riflettere sulle sue proprie esperienze a trarne qualche insegnamento. Questo, sì, mi fa paura. (3 febbraio 2000) *Li conosco e riconosco, quei regimi {{NDR|di dittatura e di censura}}. Ne avverto il passo anche di lontano, e convengo che in Italia il pericolo di vederne arrivare qualcuno c'è. Ma sa quando si realizzerà? L'anno venturo, dopo la vittoria – che io do per certa – del Polo alle Politiche. Vedrà. La prima cosa che farà Berlusconi, come la fece nel '94, sarà di spazzare via l'attuale dirigenza Rai per omologarne le tre Reti a quelle sue. (26 febbraio 2000) *Quando s'accendono i [[Morte sul rogo|roghi]], mettiti dalla parte della strega, anche a costo di bruciare con lei. ([https://www.corriere.it/solferino/montanelli/00-05-31/02.spm 31 maggio 2000]) *Una Giustizia che per istruire un processo impiega sei o sette anni e poi non riesce a chiuderlo con una sentenza che non si presti a rimetterlo, con qualche marchingegno, in gioco, è un meccanismo di cui bisogna assolutamente rivedere e rifare gl'ingranaggi: «Giustizia ritardata – dice [[Montesquieu]] – è Giustizia negata». ([http://www.corriere.it/solferino/montanelli/00-06-07/01.spm 7 giugno 2000]) *Il [[revisionismo]] è la materia prima della [[storiografia]] che, senza di esso, sarebbe una disciplina morta. ([http://www.corriere.it/solferino/montanelli/00-06-16/01.spm 16 giugno 2000]) *Il mio giudizio su [[Baltasar Garzón|Garzón]] resta quello di prima, solo un po' rinforzato: un garzoncello smanioso soltanto di leggere il proprio nome sulle prime pagine di tutti i giornali e di vedere la propria effigie sugli schermi televisivi di tutto il mondo: il che rafforza la mia ipotesi che si tratti di un italiano nato per sbaglio in Spagna. ([http://www.corriere.it/solferino/montanelli/00-06-30/01.spm 30 giugno 2000]) *La pena di morte americana esiste e resiste in America perché fu un elemento base e costitutivo della sua nascita e sviluppo. Dei famosi 102 «Padri Pellegrini» che per primi sbarcarono dal «Mayflower» in quel Continente non per saccheggiare le ricchezze come facevano spagnoli e portoghesi in Messico e nell'America del Sud, ma per costruirvi una società nuova e libera, circa i due terzi erano avanzi di galera che fuggivano la Giustizia e le prigioni dell'Europa, e un terzo erano uomini che cercavano la libertà, e soprattutto quella religiosa. I primi avevano in tasca la pistola, i secondi la Bibbia, ma nella sua versione calvinista quella del taglione, basata sulla concezione di un Dio giustiziere che esige la morte di chi senza giusto motivo la dà. (9 luglio 2000) *A Rimini, cioè in casa propria (ma anche nostra, almeno per il momento), questi signorini {{NDR|di [[Comunione e Liberazione]]}} non hanno fatto altro che fischiare tutto ciò che è italiano, acclamare al nuovo beato [[Pio IX]], il Papa-Re che pretendeva di impedire il processo di unificazione nazionale, ed esaltare come i veri eroi del risorgimento i Borboni e i briganti del Cardinale Ruffo. A lei, tutto questo va bene? A me, dà il vomito. ([http://www.corriere.it/solferino/montanelli/00-09-13/02.spm 13 settembre 2000]). *Il mio parere è rimasto quello che espressi sul mio ''Giornale'' l'indomani del fattaccio {{NDR|l'[[agguato di via Fani]]}}. «Se lo Stato, piegandosi al ricatto, tratta con la violenza che ha già lasciato sul selciato i cinque cadaveri della scorta, in tal modo riconoscendo il crimine come suo legittimo interlocutore, non ha più ragione, come Stato, di esistere». Questa fu la posizione che prendemmo sin dal primo giorno e che per fortuna trovò in Parlamento due patroni risoluti (il Pci di [[Enrico Berlinguer|Berlinguer]] e il Pri di [[Ugo La Malfa|La Malfa]]) e uno riluttante fra lacrime e singhiozzi (la Dc del moroteo [[Benigno Zaccagnini|Zaccagnini]]). Fu questa la «trama» che condusse al tentennante «no» dello Stato, alla conseguente morte di Moro, ma poco dopo anche alla resa delle Brigate rosse. Delle chiacchiere e sospetti che vi sono stati ricamati intorno, e che ogni tanto tuttora affiorano, non è stato mai portato uno straccio di prova, e sono soltanto il frutto del mammismo piagnone di questo popolo imbelle, incapace perfino di concepire che uno Stato possa reagire, a chi ne offende la legge, da Stato. ([http://www.corriere.it/solferino/montanelli/00-09-22/03.spm 22 settembre 2000]) *La Serbia ha perduto la guerra e ha vinto la pace: ora deve voltar pagina. Sarà la storia – un giudice non imparziale, ma efficace – a decidere cos'è stato giusto e cos'è stato sbagliato. Tuttavia, una ritorsione serba verso l'Occidente avverrà. E ci troverà disarmati. Sa di cosa parlo? Delle rivendicazioni sul Kosovo, che è amministrato dalla Nazioni Unite ma è ancora Jugoslavia (lo dice la risoluzione dell'Onu). I serbi chiederanno di tornare a controllarne le frontiere, per esempio. E dire no a un Kostunica buono è più difficile che dire sì a un Milosevic cattivo. Gli albanesi del Kosovo, sono certo, lo hanno già capito. ([http://www.corriere.it/solferino/montanelli/00-10-08/01.spm 8 ottobre 2000]) *È un dimenticato, [[Ugo Ojetti|Ojetti]], come in questo Paese lo sono quasi tutti coloro che valgono. Se io dirigessi una scuola di giornalismo, renderei obbligatori per i miei allievi i testi di tre Maestri: [[Luigi Barzini (1908-1984)|Barzini]], per il grande reportage; [[Benito Mussolini|Mussolini]] (non trasalire!), quello dell'''Avanti!'' e del primo ''Popolo d'Italia'', per l'editoriale politico; e Ojetti, per il ritratto e l'articolo di arte e di cultura. ([http://www.corriere.it/solferino/montanelli/00-11-13/01.spm 13 novembre 2000]) *In Italia fu il potere temporale a soffocare negl'italiani la voce della coscienza e a spegnere in loro ogni senso di responsabilità. Ma fu la Controriforma a fornire al prete le armi per accaparrarsi l'una e l'altra: il Sant'Uffizio, le scomuniche e, nei casi estremi, il patibolo. Con questo risultato: l'aborto del «cittadino» e la trasformazione di quello che avrebbe dovuto e potuto diventare un «popolo» in un gregge (come con inconsapevole spudoratezza i preti lo chiamano), e in un gregge di pecore indisciplinate che credono di affermare il loro ribelle individualismo non rispettando il semaforo rosso. ([http://www.corriere.it/solferino/montanelli/00-11-20/01.spm 20 novembre 2000]) *{{NDR|Su [[Slobodan Milošević]]}} Oltre che un despota, lo ritengo anche un satrapo della razza dei [[Nicolae Ceaușescu|Ceausescu]], avido non solo di potere, ma anche di denaro, e credo che la sorte che si merita sia un bel plotone di esecuzione. Purché composto da serbi, al comando di un serbo, e in esecuzione di una sentenza emessa da un tribunale serbo e motivata non tanto da generici crimini contro l'umanità, che sono sempre – salvo casi di monumenti all'orrore come l'[[Olocausto]] – oggetto di discussione e dissensi; ma dal più grande e imperdonabile delitto di cui Milosevic si è macchiato nei confronti non soltanto dei serbi: la distruzione della Nazione Jugoslava, che la Monarchia serba aveva fondato dopo la prima guerra mondiale; che il croato [[Josip Broz Tito|Tito]] aveva difeso coi denti e restaurato dopo la seconda, dando alla Balcania un esempio e un puntello di stabilità; e che Milosevic e il suo compare croato [[Franjo Tuđman|Tudjman]] distrussero per poter restare ciascuno padrone in casa sua; e sulle cui macerie si scatenarono tutte le violenze (Bosnia, [[Kosovo]]) che hanno insanguinato e continuano a insanguinare quel povero Paese. ([http://www.corriere.it/solferino/montanelli/01-04-29/01.spm 29 aprile 2001]) *Questo mondo materialista, edonista ed esibizionista non entusiasma neanche me; e, visto che mi legge, dovrebbe saperlo. Ma vorrei conoscere il sistema che voi avete in mente, e non avete il coraggio, o la capacità, di proporre. Un mondo francescano? Bello: ma guardatevi intorno, e ditemi se vedete un saio. Un comunismo riveduto e corretto? Farebbe la fine dell'altro, anche se non riuscirà a ripeterne i disastri. Mi creda, G.: l'unico sistema sociale ed economico oggi accettabile, in Occidente, è quello basato sul mercato: un capitalismo controllato e temperato, per intenderci. È auspicabile che sia anche corretto: e questo non sempre accade, è vero. Il guaio è che il capitalismo è fatto dai capitalisti – e quelli, devo ammettere, sono spesso difficili da digerire. Non cerchi di confondermi le idee, quindi. Non ci riuscirà. Probabilmente ho tre volte i suoi anni, e ho visto dove conducono queste generiche tirate contro «le multinazionali»: prima o poi, qualcuno deporrà la spranga e prenderà la pistola. Dimenticavo: io firmo le mie opinioni, lei tira il sasso e nasconde la mano. Tutti coraggiosi così, voi ragazzi di Seattle? ([http://www.corriere.it/solferino/montanelli/01-06-09/01.spm 9 giugno 2001]) *Non erano, le mie, parole di circostanza. Erano – e rimangono – quelle di un conservatore abbastanza spassionato e nutrito di Storia da capire che non c'è, per la conservazione di ciò che va conservato, nemico più mortale dei conservatori che vogliono conservare tutto; e che un sistema capitalistico senza un correttivo socialista diventa una jungla che conduce pari pari a [[Karl Marx|Carlo Marx]]. Di qui il mio amore per uno dei personaggi meno amabili, sul piano umano, della nostra Storia, [[Giovanni Giolitti|Giolitti]], che sempre cercò l'accordo con [[Filippo Turati|Turati]], a cui il cretinume massimalista – che nel vostro partito ha sempre dominato – lo impedì. Il vedervi – sbriciolati in gruppi, gruppetti e gruppuscoli – annaspare nell'attuale centro-sinistra in cui nessuno riesce a recitare la parte di se stesso, fa male al cuore di un vecchio autentico liberal-conservatore come me. Cosa aspettate, caro Tamburrano, a ridarci il socialismo, ma che sia quello e quello solo: ''il'' socialismo di Turati e di Massarenti? [...] Credo che come forza politica siate abbastanza mal messi. Ma in compenso avete in mano una grande bandiera che prima o poi un esercito la ritroverà. Arrivederci, al primo settembre, cari lettori. ([http://www.corriere.it/solferino/montanelli/01-07-04/01.spm?refresh_ce-cp 4 luglio 2001]) ===''il Giornale''=== <!--ordine cronologico--> *Chi sarà il nostro lettore noi non lo sappiamo perché non siamo un giornale di parte, e tanto meno di partito, e nemmeno di classi o di ceti. In compenso, sappiamo benissimo chi non lo sarà. Non lo sarà chi dal giornale vuole soltanto la «sensazione» [...] Non lo sarà chi crede che un gol di Riva sia più importante di una crisi di governo. E infine non lo sarà chi concepisce il giornale come una fonte inesauribile di scandali fine a se stessi. Di scandali purtroppo la vita del nostro Paese è gremita, e noi non mancheremo di denunciarli con quella franchezza di cui crediamo che i nostri nomi bastino a fornire garanzia. Ma non lo faremo per metterci al rimorchio di quella insensata e cupa frenesia di dissoluzione in cui si sfoga un certo qualunquismo, non importa se di destra o di sinistra. [...] Vogliamo creare, o ricreare un certo costume giornalistico di serietà e di rigore. E soprattutto aspiriamo al grande onore di venire riconosciuti come il volto e la voce di quell'Italia laboriosa e produttiva che non è soltanto Milano e la Lombardia, ma che in Milano e nella Lombardia ha la sua roccaforte e la sua guida. [...] A questo lettore non abbiamo «messaggi» da lanciare. Una cosa sola vogliamo dirgli: questo giornale non ha padroni perché nemmeno noi lo siamo. Tu solo, lettore, puoi esserlo, se lo vuoi. Noi te l'offriamo. (25 giugno 1974) *Checché ne dicano gli agiografi della Resistenza, la guerra l'abbiamo persa, e c'è un conto da pagare. Che l'Italia lo saldi a spese dei suoi figli minori – i Dalmati e gli Istriani – è un ghigno del destino. Ma in compenso può considerarsi miracolata. Quando si pensa a cosa ha pagato la sua sconfitta la Germania, amputata d'intere province e dimezzata in due nazioni diverse e ostili, e quando si pensa a cosa ha pagato l'Inghilterra, precipitata dalla condizione di massimo impero mondiale a quella di piccola isola alla periferia d'Europa; non possiamo lamentarci del trattamento che gli alleati ci fecero. (30 settembre 1975) *Siamo stati accusati di aver fatto, nei confronti dei comunisti, il processo alle intenzioni. Non vediamo su cos'altro avremmo dovuto giudicarli, visto che sono sempre rimasti all'opposizione, ed è di lì che ancora si affannano a dire che cosa si propongono di fare se andassero al potere, anzi quando andranno al potere (perché ormai lo danno per scontato). E cosa sono, queste, se non intenzioni? (19 giugno 1976) *Che cerchino di eliminarmi perché sono un avversario, questo lo posso anche capire; ma perché – a quanto mi riferiscono – hanno detto che io sono un servo delle [[Multinazionale|multinazionali]], allora questo sta a dimostrare la confusione di idee di questi poveretti che, evidentemente, non sanno cosa sono le multinazionali. (3 giugno 1977) *I giuochi sono fatti. E sono fatti non soltanto per [[Aldo Moro|Moro]], cui va tutta la nostra più fraterna e rispettiva pietà. Sono fatti anche per una politica da ''belle époque'', che la distruzione – fisica o morale – di Moro chiude e conclude. La Storia sta riprendendo i suoi connotati di tragedia, e costringe coloro che la fanno, o ambiscono o s'illudono di farla, ad adeguarsi al repertorio. Stiamo entrando in una di quelle «età di ferro» in cui il potere si paga, o si può pagarlo col ferro. Nessuno è obbligato a sfidare questo rischio. Chi lo fa, sappia che oggi è toccato a Moro, domani può toccare a lui. Solo se si rende conto di questo e lo accetta, la classe politica troverà la forza di archiviare il caso Moro. Ed è tempo che lo faccia. (7 maggio 1978) *Quattr'anni e mezzo orsono, quando questo giornale nacque, un «ragazzo del '68» (con tante scuse a quelli veri, del '99), [[Mario Capanna]], oggi gerarchetto regionale (che belle carriere, questi rivoluzionari!), dichiarò che, come nemici del «pubblico» e del «sociale» e come assertori del «privato», e quindi della reazione, noi saremmo diventati il più bel museo della città, dove babbi e mamme avrebbero potuto condurre in gita ricreativa i loro figlioletti per mostrargli, dal vivo, com'erano buffi i loro nonni e bisnonni: noi. Bene. Se il vento seguita a soffiare come soffia, saremo noi che di qui a un po' condurremo i nostri figlioletti dal signor Capanna per mostrargli com'erano buffi i loro nonni e bisnonni di dieci anni fa. Ma non lo faremo. Lo spettacolo di questi ragazzi-prodigio abortiti, di questi barricadieri con pancia e cellulite che credevano di camminare con la Storia, e invece camminavano solo con la moda, non ha nulla di edificante. (16 gennaio 1979) *In una sua memorabile inchiesta un giornalista d'incrollabile fede sinistrorsa, ma di esemplare onestà, [[Giampaolo Pansa]], mise benissimo in luce questo contrasto fra i due atteggiamenti e mentalità, che ieri ha trovato una eloquente conferma nella manifestazione di Torino. Niente chiasso, niente sceneggiate, niente slogans, niente insomma che appartenga al repertorio del buffonismo nazionale. Nessuno ha rotto le righe per andare a rovesciare auto o a fracassar vetrine. Questa, sì, era Danzica, sia pure senza Madonne; non i picchettaggi e i pestaggi di Mirafiori, sia pure con le Madonne. Ora sappiamo già cosa diranno gli altri, oggi e domani. Diranno che gli operai non c'erano. Infatti. Doveva trattarsi di quarantamila presidenti, consiglieri delegati, ingegneri: insomma, la solita «[[maggioranza silenziosa]]»: termine che soltanto nella lingua italiana ha significato spregiativo. La maggioranza silenziosa esiste in tutti i Paesi del mondo, dove nessuno si vergogna di appartenervi perché è essa, in definitiva, che ristabilisce gli equilibri. Fu la maggioranza silenziosa – autoqualificatasi come tale – di seicentomila parigini che dodici anni fa pose fine al carnevale sessantottesco, riportò [[Charles de Gaulle|De Gaulle]] all'Eliseo e restituì alla Francia la stabilità di cui tuttora essa gode. [...] Il motivo vero che farà i dimostranti bersaglio delle peggiori critiche e accuse è ch'essi rappresentano la rivolta delle persone serie contro gli arruffoni della «conflittualità permanente», dei «modelli di sviluppo» e via baggianando. E in questo Paese nulla fa più paura, perché nulla è più rivoluzionario, della serietà. (15 ottobre 1980) *[[Anwar al-Sadat|Sadat]] non era popolare. Gli mancava quel tocco di magia, o di cialtronismo, che consentiva a [[Gamal Abd el-Nasser|Nasser]] di bandire guerre come crociate e di annunciare disfatte come trionfi. [...] Sadat amava il popolo, il popolo contadino del profondo Sud nubiano, di cui era egli stesso originario. Ma non amava le masse, e le masse lo sentivano. [...] Sapeva, quando andò a Gerusalemme, di lanciare a quelle arabe una sfida più pericolosa di quella che lanciava a Begin. [...] Ma all'impopolarità di Sadat contribuiva anche un altro elemento: il fatto di essere un vero riformatore. [...] [[Mohammad Reza Pahlavi|Rehza Pahlevi]] volle applicare gli stessi metodi di [[Mustafa Kemal Atatürk|Atatürk]] senz'averne l'autorità e il prestigio, e per questo lo cacciarono. Ma dopo due anni di [[Ruhollah Khomeyni|Khomeini]], anche i più ciechi e idioti fra i progressisti occidentali, che ne avevano salutato l'avvento come quello del Redentore, si saranno accorti che il progresso, sia pure a forza di polizia segreta e di plotoni di esecuzione, era lo Scià. L'''ayatollah'' è il medioevo. Sadat non seguì i metodi satrapeschi del suo amico Pahlevi, ma ne condivise i fini. [...] Il Rais che ha restituito all'Egitto l'integrità territoriale, l'indipendenza politica, il prestigio militare e il rilancio della sua più proficua industria, il canale di Suez, è giusto che susciti meno rimpianto di chi tutto questo all'Egitto fece perdere. Nasser era un «personaggio», Sadat una «personalità». Il personaggio fa colore e diverte, la personalità incute rispetto e disturba. (9 ottobre 1981) *Nessuna parentela, né vicina né lontana, con l'altro grande d'Israele, [[David Ben Gurion|Ben Gurion]], il Fondatore. [...] {{NDR|David Ben Gurion}} Faceva tutto a caldo, anche la guerra. [[Menachem Begin|Begin]] fa tutto a freddo: anche l'amore, credo, ammesso che lo faccia. Non riuscì a commuoverlo nemmeno [[Anwar al-Sadat|Sadat]], quando gli piombò, da nemico tuttora belligerante, a Gerusalemme, per chiedergli la pace. Il mondo, che vide in televisione la scena, quel giorno fu tutto per l'egiziano che, per la pace, firmava la propria condanna a morte, contro l'israeliano che lo accoglieva senza un sorriso e con visibile fastidio. [...] È l'uomo che non ha esitato un istante [...] a distruggere in pochi minuti tutto l'armamento corazzato, aereo e missilistico siriano sotto l'occhio stupefatto degli osservatori e «consiglieri» russi che lo avevano fornito. È l'uomo che ha messo alla porta l'ambasciatore di Mosca respingendone la nota di protesta addirittura con disprezzo, come se fosse stato lui la Grande Potenza che parlava a un subalterno. È l'uomo che ha picchiato i pugni sul tavolo di [[Ronald Reagan|Reagan]], e a un certo punto aveva rotto anche con lui. Se avesse perso, sarebbe finito al muro e passato ai posteri come il distruttore d'Israele. Ma ha vinto. E la Storia, iscrivendolo nei suoi registri come «Il Salvatore», dirà che solo un uomo come lui, «antipatico» come lui, e come lui disposto anche a scatenare un'altra ondata di antisemitismo, poteva vincere. E avrà ragione di dirlo. Perché è così. Alla fine lo diranno, vedrete, anche gli antisemiti. E forse perfino i semiti. (27 agosto 1982) *L'idea che domani potremmo incontrare per strada, a piede libero e magari oggetti di compassione, gli assassini di [[Walter Tobagi]], ci riempie, più che di furore, di orrore. [...] Avevano scelto lui non per la sua tessera socialista, ma perché era una di quelle prede più facili: indifeso e abitudinario, e quindi bersaglio di facilissima mira, quasi da fermo. Tutto qui il movente del delitto: tutto nella fregola di protagonismo di due coccolatissimi giovanotti della Milano bene che giuocavano a fare i terroristi. [...] Che ora dobbiamo prendere per vero il loro pentimento e assolverli, ci rivolta lo stomaco. Ma è la legge: iniqua, infame, infamante. Ma è la legge. Noi stessi l'abbiamo auspicata e voluta. Il magistrato deve applicarla. E noi [...] accettarla. Ma una cosa reclamiamo, e ci spetta: di essere liberati dall'incubo d'incontrare questi figuri per strada per non veder riflessa nei loro occhi la nostra vergogna di aver avuto bisogno di loro e di aver risposto al loro falso rimorso con un perdono altrettanto falso. Un Curcio, se tornasse in circolazione, ci farebbe forse più paura, ma meno, anzi punto disgusto. [...] Ma i Barbone e i Morandini non li vogliamo tra i piedi. Se ne vadano. E soprattutto ci risparmino memoriali. La speranza di farci dimenticare i loro delitti, gliela passiamo. La pretesa di camparci sopra, no. (29 novembre 1983) *Per i falchi del Pci, [[Enrico Berlinguer|Berlinguer]] era ormai un personaggio scomodo e pericoloso, specie da quando aveva cominciato ad allentare gli ormeggi che lo legavano a Mosca. Gli era perfino scappato di dire (a [[Giampaolo Pansa|Pansa]]) che voleva per l'Italia un regime comunista, ma sotto l'ombrello della Nato che la tenesse al riparo dalle soperchierie del padrone sovietico: la più grave e blasfema di tutte le eresie in cui un capo comunista possa incorrere. (12 giugno 1984) *Se fino a che punto i piduisti – a parte il manipolatore Gelli, e forse qualche altro – fossero un branco di delinquenti golpisti, non siamo riusciti a capirlo. Abbiamo capito soltanto che gran parte di essi occupavano, forse grazie alla P2, posizioni di rilievo, e quindi parecchio ambite, ma ambite anche da molte persone che, per il fatto di non appartenere alla P2, avevano ora, grazie anch'esse alla P2, la possibilità di occuparle. Di fatti accertati e meno ancora di crimini provati, siamo andati invano alla ricerca delle 34.847 pagine della commissione. Vi abbiamo trovato soltanto ipotesi, illazioni, accostamenti di nomi e di episodi. Tutta roba che in mano a Le Carré poteva fruttare chissà quali affascinanti trame. In mano alla signorina [[Tina Anselmi|Anselmi]], resta cicaleccio di portineria. Ma questa è un'altra storia. (19 marzo 1985) *Quanto al moribondo [[Michele Sindona|Sindona]] [...] se fossi stato uno dei giudici popolari che l'altro giorno gli comminarono l'ergastolo, anche io avrei votato come loro pur sapendo che la mia endemica insonnia non ne avrebbe avuto giovamento. Comunque mi sembra che con questa fine, preceduta da quasi un decennio di rovine, umiliazioni, fughe e galere, egli abbia abbondantemente scontato, quali che siano, i suoi delitti. Che ora lo lascino riposare in pace e che pace sia all'anima sua. (22 marzo 1986) *I dieci giorni che sconvolsero il mondo furono in realtà dieci ore: quante ne bastarono alle poche «guardie rosse» reclutate in fretta e furia dai bolscevichi per occupare, senza nessuna resistenza, la Centrale delle poste e telefoni, la stazione ferroviaria, la Banca di Stato, e per spostare l'incrociatore ''Aurora'' di fronte al palazzo d'Inverno, dove ancora si trova, cimelio e monumento al fatidico evento, e dove il governo sedeva [...]. Non fu un assalto. Fu una «retata». L'''Aurora'' non sparò che una dozzina di colpi, di cui solo tre andarono a segno. In tutto, la conquista di questa Bastiglia russa costò, da ambo le parti, un morto, anzi una morta – perché fu una soldatessa che, pare, si suicidò – e diciotto feriti. Il [[Rivoluzione russa|Fasto]] [...] è un falso in atto pubblico. Si dirà che una rivoluzione non si misura dal numero dei morti. Certo: l'abbiamo detto anche noi. La rivoluzione poi venne, e che rivoluzione! Ma venne dall'alto, e per mano di despoti che di morti ne fecero in pochi anni più di quanti lo zarismo ne avesse fatti in secoli. (6 novembre 1987) *Tutto pensavo che potesse capitarmi, fuorché di essere un giorno tentato di spendere qualche parola, per poco che valga, in difesa di Togliatti. [...] Un processo a Togliatti per stalinismo, se glielo intentano i socialisti, che nell'era dello Stalinismo gli fecero da mosca cocchiera, è una burletta. Se lo intentano i comunisti – come sembra che qualcuno di loro voglia fare –, oltre che oltraggio al pudore, diventa quiescenza alla voce del nuovo padrone, cioè stalinismo della più brutt'acqua, anzi una parodia dello Stalinismo. Per la caccia alle streghe, anche dello Stalinismo, ci vogliono degli stalinisti doc, qual era Togliatti. Non è roba da dilettanti, quali sono i suoi pallidi epigoni. (3 marzo 1988) *La fine del Muro è una cosa buona, la fine di una vergogna: non possiamo che salutarla con soddisfazione. Ma guardiamoci dal prendere abbaglio sui suoi moventi. Ulbricht concepì e Honecker realizzò il muro per impedire che i tedeschi dell'Est fuggissero in massa nella Germania dell'Ovest: già 9 (diconsi nove) milioni lo avevano fatto fin allora. E il rimedio fu, come tutti quelli che escogitano nei regimi totalitari, drastico e semplicistico: murare viva la gente dietro una colata di cemento, senza pertugi. [...] Abbiamo in uggia le astrazioni. Ma ciò che distingueva le due Germanie è l'idea morale e giuridica dell'uomo: che a Ovest è padrone di se stesso, e quindi può andarsene dove vuole: ad Est è proprietà dello Stato che ne regola i movimenti. Per chi non ricorda questo, il [[Muro di Berlino]] era, oltre che barbaro, incomprensibile e irrazionale: mentre invece ha obbedito a una sua logica. Nel momento in cui il bunker si affloscia e sopravvive come mero ammasso di cemento ricordandoci un altro bunker, quello che fece da fossa di [[Adolf Hitler|Hitler]] (anche questo pare impossibile: ma i regimi in Germania muoiono nei bunker), il Muro va ricordato per ciò che è stato: non un'aberrazione del comunismo, ma una sua conseguente applicazione. E se crolla così, nel silenzio assordante di un giornale-radio, è perché è crollata, prima, l'ideologia che lo aveva eretto. (11 novembre 1989) *Negli anni Trenta, per le strade di Berlino, risuonava il grido: ''ein Volk, ein Reich, ein Führer'': un popolo, uno Stato, un capo. Stavolta si sono contentati di scandire ''ein Volk, ein Reich''. Non potevano aggiungere, checché ne dica il sig. Ridley, ''ein Kohl'', che fra l'altro significa «cavolo». Ma {{NDR|ai tedeschi}} per diventare i padroni dell'Europa anche un cavolo gli basta. (3 ottobre 1990) *Abbiamo fatto poco: il poco che il Paese dei [[Roberto Formigoni|Formigoni]], dei Cristofori, degli Sbardella, dei [[Ernesto Balducci|Balducci]], dei [[Antonio Bello|vescovi di Molfetta]] poteva fare. Non lamentiamoci se il posto che ci verrà assegnato nel ristabilimento dell'ordine internazionale sarà nell'anticamera, non nella camera dei bottoni. Però sia chiara una cosa: che a gridare «Viva la pace!» siamo qualificati oggi soltanto noi che abbiamo auspicato la guerra contro chi la pace l'aveva turbata e, se lo si lasciava fare (non è un ipotesi, è una constatazione), avrebbe continuato a turbarla in un crescendo di colpi e di aggressioni. (1º marzo 1991) *I voti dei democristiani novaresi non sono andati al partito; sono andati a [[Oscar Luigi Scalfaro|Scalfaro]], democristiano talmente anomalo, che si permette persino di credere in Dio. [...] Il vecchio magistrato conosce il suo mestiere, e sa benissimo di operare in un Paese in cui la mamma dei Casson è sempre incinta. In nome della Legge, le leggi le farà funzionare. Insomma siamo sicuri che starà in Quirinale come un italiano deve starci: da straniero. Unico pericolo: le prediche. Anche [[Luigi Einaudi|Einaudi]] le faceva. Ma le chiamava «inutili». (26 maggio 1992) *Da dove siano venuti tutti i «no» non lo sapremo mai con precisione, ma una cosa è certa. Questo è il colpo di grazia al sistema dei partiti e della classe politica che lo rappresenta, e un colpo durissimo all'immagine del Paese pronto a fare pulizia che l'Italia si stava faticosamente costruendo all'estero. Senza giovare nemmeno a [[Bettino Craxi|Craxi]], che non potrà certo ricostruire la sua carriera sulla votazione di ieri, anzi. Se c'è ancora qualcuno che dubita sulla necessità di un pubblico processo, non solo a lui, ma a tutta la corte di faccendieri che lo circondava, alzi la mano, o meglio nasconda la faccia. (30 aprile 1993) *Questo è l'ultimo articolo che compare a mia firma sul giornale da me fondato e diretto per vent'anni. Per vent'anni esso è stato – i miei compagni di lavoro possono testimoniarlo – la mia passione, il mio orgoglio, il mio tormento, la mia vita. Ma ciò che provo a lasciarlo riguarda solo me: i toni patetici non sono nelle mie corde e nulla mi riesce più insopportabile del piagnisteo. [...] A presto dunque, cari lettori. Anche a costo di ridurlo, per i primi numeri, a poche pagine, riavrete il nostro e vostro giornale. Si chiamerà ''La Voce''. In ricordo non di quella di [[Frank Sinatra|Sinatra]]. Ma di quella del mio vecchio maestro – maestro soprattutto di libertà e indipendenza – [[Giuseppe Prezzolini|Prezzolini]]. (12 gennaio 1994) {{Int|''Rituale barbarico''|Articolo su ''il Giornale nuovo'', 10 maggio 1978.|h=4}} *La fine di [[Aldo Moro]] ci rende sgomenti, il fanatismo di chi lo ha ucciso lentamente, togliendogli la speranza prima di toglierli la vita, ci riempie di orrore. Speriamo ancora che la tracotanza dei criminali sia un giorno punita. L'importante, adesso, è che il Paese, proprio per rendere omaggio a Moro, e proprio in memoria di lui, sappia trarre da questa tragedia l'amara lezione che essa comporta. La democrazia non deve, anzi non può essere debole. La libertà, che la rende superiore a qualsiasi altro regime, ma anche più vulnerabile, non va conclusa con la indulgenza verso i nemici, la imprevidenza, la leggerezza. *Lo Stato italiano ha superato con onore questa prova difficile, ma la magistratura e gli organi di polizia hanno denunciato, nella loro azione, una desolante inefficienza, che ha permesso alle brigate rosse di operare con irridente spavalderia. Ne va data colpa non tanto alle forze dell'ordine quanto a chi ha voluto, per demagogia, per compiacere le sinistre, per acquistare facile popolarità, smobilitare i servizi segreti, rimuovere i funzionari più ligi al dovere, trasformare le carceri in alloggi con libera uscita quotidiana. Gli eversori della democrazia, i contestatori della legalità hanno potuto predicare e demolire senza ostacoli. Ci auguriamo di non vederli ora associati ipocritamente al compianto per un delitto del quale sono, ideologicamente se non materialmente, corresponsabili. Le loro non erano soltanto parole. Un giovane sfracellato da un ordigno sulla ferrovia Trapani-Palermo – l'episodio è di ieri – apparteneva a Democrazia proletaria. I banditi che hanno assalito a Bologna un grande magazzino venivano dal Movimento studentesco. È inutile che questi gruppi ostentino adesso costernazione e stupore per le belluine imprese delle brigate rosse. Il terrorismo è figlio loro. *All'annuncio della fine di Aldo Moro i sindacati si sono mossi, hanno indetto manifestazioni e proclamato uno sciopero generale. Siamo certi della loro profonda esecrazione, e della loro sincera partecipazione al cordoglio nazionale. Pensiamo tuttavia che i lavoratori e i loro rappresentanti darebbero un apporto più costruttivo alla lotta contro i terroristi tenendo d'occhio gli estremisti delle fabbriche, troppe volte protetti e difesi. Così pure gli studenti «impegnati», se proprio vogliono dissociarsi dalle brigate rosse, devono estromettere dalle loro file gli agitatori deliranti, e dinamitardi che nascondono bottiglie molotov e armi negli scantinati delle facoltà. Chi ha chiuso gli occhi di fronte alla ''escalation'' di violenza degli anni scorsi, li chiuda oggi per non lasciar scorrere lagrime di coccodrillo. {{Int|''Poveri morti poveri vivi''|Articolo su ''il Giornale'', 31 maggio 1985.|h=4}} *L'[[Inghilterra]] non sono i forsennati che abbiamo visto all'opera nello stadio di Bruxelles. L'Inghilterra sono la [[Margaret Thatcher|Thatcher]], i politici, i commentatori di stampa, radio e televisione, la gente intervistata per strada, che hanno confessato la loro vergogna a una voce, con una sola stecca: quella del ministro dello Sport che con le sue dichiarazioni si è messo sullo stesso piano degl'imbestialiti. Comunque, Dio ci guardi ora dai soliti sproloqui e dibattiti dei sociologi sui motivi di «tifo» e sui mezzi d'impedirne gli eccessi. Non ce ne sono, se non nel controllo che ognuno può e deve esercitare su di sé. *La strega non è il «tifo» che dallo sport è inseparabile. E non siamo nemmeno noi, come vogliono i cantautori del «siamo tutti colpevoli» che ieri giornali e radio hanno intitolato. Perché, se di qualcosa siamo colpevoli, è di aver sempre secondato la corruttrice e demagogica tendenza a scaricare l'individuo di ogni responsabilità, rigettandola regolarmente e interamente sulla società. È la società che ci obbliga a rubare, è la società che ci obbliga ad uccidere. E si capisce che quando si offrono alla gente di questi alibi, c'è sempre qualcuno che ne approfitta. Stamane leggevo su un giornale francese un dotto articolo in cui si spiegava che la furia dei tifosi del [[Liverpool Football Club|Liverpool]] era dovuta al fatto che, essendo quasi tutti minatori, per un anno erano rimasti senza lavoro a causa dello sciopero: il che gli aveva fatto accumulare la rabbia che poi era scoppiata a Bruxelles. Insomma, senza dirlo, l'articolo induceva alla conclusione che il vero responsabile del massacro era la signora Thatcher. Ecco in che senso siamo tutti colpevoli. Siamo colpevoli di assolvere tutti come vittime innocenti di una società iniqua che, a furia di essere tutti noi, non è nessuno. È un giuoco a cui non ci stiamo. I responsabili di Bruxelles sappiamo chi sono: sono i delinquenti che abbiamo visto avventarsi, prima che la partita cominciasse, e quindi senza alcuna provocazione, contro i tifosi italiani con sbarre e coltelli di cui erano accorsi armati, con l'evidente intenzione di farne l'uso che ne hanno fatto. Delinquenti, non vittime. La società non c'entra, non c'entrano le miniere. Casomai l'alcol. Ma ne avevano ingerito per delinquere meglio. Speriamo che la polizia li identifichi e li consegni a quella inglese. Della quale possiamo fidarci. {{Int|''I rieccoli''|Articolo su ''il Giornale'', 20 gennaio 1990.|h=4}} *Scorrendo le cronache delle agitazioni studentesche di questi giorni avevo avuto per un momento l'impressione, o l'illusione, che esse si fondassero sui problemi concreti dell'università, e che fossero qualcosa di diverso, e di migliore della grottesca ubriacatura sessantottina. Ma quando giovedì sera, nella trasmissione televisiva ''Samarcanda'', è stato lanciato contro [[Mario Cervi]] il rituale e vile epiteto «fascista!» (e questo solo perché aveva mosso obiezioni agli sproloqui assembleari di Roma e di Palermo), ho capito che vent'anni dopo è come vent'anni prima. La protesta è un pretesto, il legittimo scontento diventa arma politica, gli appelli al dialogo si risolvono in volontà di sopraffazione, di discussione su ciò che nell'università deve essere cambiato sfocia in un attacco globale al governo, alla società, al sistema. L'unica connotazione sessantottina che ancora manca è la violenza fisica. Ma temo che non tarderà ad arrivare se chi dissente è bollato come fascista e chi governa (è capitato ad [[Giulio Andreotti|Andreotti]], a Palermo) come mafioso. *Quanto alla legge Ruberti, Cervi ha osservato che viene presa di mira perché consentirebbe un limitato ingresso dei privati nella gestione delle università: e al solo sentir parlare di «privato» – che le folle e i giovani dell'Est chiedono con slancio entusiastico – gli epigoni nostrani del [[marxismo-leninismo]] sono presi da convulsioni. [...] La legge Ruberti è passata in sott'ordine, il punto centrale del dibattito – o piuttosto della successione di sproloqui, intimazioni e insulti – è diventato il degrado di questa povera Italia privatizzata, che invece conoscerebbe fulgidi destini se fosse tutta pubblica e stabilizzata. Gli ''slogans'', le utopie, le bugie e le dissennatezze sessantottine o settantasettine riemergevano dalle pagine dei libri e dalla polvere degli archivi, per imitazione o per transfert generazionale. *Tirava aria romena o cecoslovacca in quelle assemblee: ma della Romania e della Cecoslovacchia di [[Nicolae Ceaușescu|Ceausescu]] e di Husak, con l'idolatria dello Stato, con gli applausi unanimi, con la riduzione al silenzio degli oppositori. S'è sentito, a proposito sempre di Cervi, il sinistro termine «provocazione» con cui tutti gli oppressori legittimano i loro soprusi. Qualcuno di quei ragazzi pretende che esistano parentele tra questo movimento e quelli dell'Est, dimenticando che là ci si batte, a rischio della pelle, per instaurare non il regime dello statalismo, ma al contrario per abbatterlo e introdurre o reintrodurre quello di iniziativa privata in tutti i campi, compreso quello della cultura e della scuola. Che siano diventati, gli studenti di Berlino, di Praga, di Bucarest, fascisti anche loro? ====''Controcorrente – rubrica''==== {{cronologico}} *La cosa che più ci turba, delle nostre sconfitte sportive, è il grande, alluvionale bisticcio che si scatena fra i «tecnici» per giustificarle. Per quella di Stoccarda, che ci ha eliminato dal campionato del mondo, ne avremo – temiamo – per tutta l'estate: se ne parlerà più che di Caporetto. Noi tecnici non siamo, ma abbiamo la nostra idea. È questa: che non si possono mandare dei polli di batteria a competere con quelli ruspanti. Resta da capire perché noialtri non sappiamo allevare che polli di batteria. Ma ci sembra che questo sia sufficientemente spiegato da un piccolo episodio occorso a Roma, dove un gruppo di tifosi ha creduto di «vendicare» i suoi campioni (si fa per dire) assalendo con pomodori e uova l'ambasciata di Polonia. Ecco. Per un paese in cui la «sana passione sportiva» si effonde in simili manifestazioni, quegli undici mammozzi dalle gambe molli sono fin troppo, e fin troppo misericordiose le disfatte che subiscono. (25 giugno 1974) *Noi, di [[Fascismo|fascismi]] ne conosciamo e ne esacriamo uno solo: quello di chi appiccica questa etichetta a qualunque idea o opinione che non corrisponde alle sue. Di questo giuoco, la nostra [[sinistra in Italia|sinistra]] è spesso maestra. Non per nulla lo stesso [[Benito Mussolini|Mussolini]] veniva dai suoi ranghi. (10 luglio 1974) *In una conferenza stampa a Nuova Delhi, [[Henry Kissinger]] ha dichiarato che verrà a Roma e andrà a pranzo dal presidente Leone, ma non parlerà di politica perché quella italiana è, per lui, troppo difficile da capire. È la prima volta che Kissinger riconosce i limiti della propria intelligenza. Ma vogliamo rassicurarlo. A non capire la politica italiana ci sono anche cinquantacinque milioni di italiani, compresi coloro che la fanno. (31 ottobre 1974) *[[Dario Fo]], poeta di corte dell'ultrasinistra, flagella nella sua ultima fatica teatrale il senatore [[Amintore Fanfani]], responsabile di ogni nequizia passata, presente e futura. I sarcasmi più grevi hanno però come bersaglio il metraggio del notabile democristiano che, come tutti sanno, non è quello di un granatiere. [[Henri de Toulouse-Lautrec|Toulouse-Lautrec]], che per gli stessi motivi dovette per tutta la vita subire analoghe canzonature, disse una volta, giocando sulla lunghezza del suo doppio casato: «Ho la statura del mio nome». Non sappiamo se questo discorso si possa applicare a Fanfani. Certo, si applica a Fo. (11 giugno 1975) *[[Winston Churchill|Churchill]] diceva che «i panni dei servizi segreti si possono, anzi si devono lavare più spesso degli altri; ma, a differenza degli altri, non si possono mettere ad asciugare alla finestra». Dello stesso parere era [[Stalin]] che regolarmente, ogni tre o quattro anni, il lavaggio lo praticava facendo accoppare al buio i capi della sua polizia, nel presupposto – probabilmente fondato – che a far quel mestiere non potevano essere che arnesi da forca, e quindi era giusto che ci finissero. Gli [[Stati Uniti d'America|americani]] seguono tutt'altro criterio. Essi hanno trascinato la ''[[Central Intelligence Agency|Cia]]'' in televisione denunciandone ''coram populo'' fatti e misfatti. I suoi capi ne hanno commessi, dicono, di grossi. Ma il più grosso è forse quello di non aver capito che l'America non li paga per svolgere servizi segreti, ma per offrire agli americani il pretesto per vergognarsene. È l'unico popolo che goda più nel pentimento che nel peccato. (28 novembre 1975) *Non sempre, per redigere questa piccola rubrica, occorre forzare la fantasia. Qualche volta basta lasciare la parola alle agenzie di stampa ufficiali. Eccone un caso. L'agenzia Adn Kronos comunica: «Due giorni di sciopero sono stati dichiarati dai sindacati postelegrafonici milanesi per il 28 gennaio e per il 6 febbraio per protesta contro gli scioperi e i disservizi». (25 gennaio 1976) *L'Unità ci rimprovera di aver pubblicato il manifesto degl'intellettuali in favore della libertà. E ha ragione. Si tratta infatti di una illecita concorrenza perché finora i manifesti, gli appelli, le «veglie» e tutto il resto sono stati monopolio del Pci, unico partito capace di far cantare la gente in coro. Ma appunto per questo non vediamo di che si preoccupi. Gl'[[intellettuale|intellettuali]] italiani che preferiscono aver ragione da soli piuttosto che torto con gli altri, sono pochi. I più seguono la massima di [[Paul-Jean Toulet|Toulet]]: «Quando i lupi urlano, urla con loro». (1º giugno 1976) *Ieri [[Mario Melloni|Fortebraccio]], dalle colonne dell'«[[l'Unità|Unità]]», ha invocato per noi, previa qualche iniezione, il ricovero immediato, e a titolo definitivo, in manicomio. La cosa non ci stupisce: sappiamo benissimo che di manicomi e di iniezioni nessuno s'intende più dei comunisti: chi c'è passato giura che ci hanno fatto una mano da maestri. Ci stupisce però che Fortebraccio lo abbia implicitamente – e un po' anzitempo – riconosciuto. Forse gli è scappata. Alla sua età, succede. (10 dicembre 1976) *Cadendo oggi il trigesimo della scomparsa di Pietro Valdoni, vogliamo rievocare un episodio del grande chirurgo. Come tutti ricorderanno, fu lui ad operare, salvandogli la vita, [[Palmiro Togliatti]], ferito alla testa dalla rivoltella di Pallante. Quando ricevette la parcella, Togliatti la trovò salata, e accompagnò il pagamento con queste parole: «Eccole il saldo, ma è denaro rubato». Valdoni rispose: «Grazie per l'assegno. La provenienza non mi interessa» (23 dicembre 1976) *«Dio non è un maschio» assicura alle femministe Civiltà Cattolica, l'autorevole rivista dei gesuiti, scusandosi «delle tracce di antifemminismo che ancora sono nella Chiesa». Brutto segno quando i teologi si mettono a discutere di sesso. Fu mentre i bizantini si accapigliavano su quello degli angeli che arrivarono i turchi. (21 giugno 1977) *Riferiscono le cronache che l'America è in subbuglio per la morte di [[Elvis Presley]]. Oltre centomila persone si sono riversate a Memphis, sua ultima dimora, due donne sono rimaste uccise nella calca che si stringeva intorno alle spoglie del cantante. Il sindaco ha fatto abbrunare le bandiere in tutta la città, il presidente [[Jimmy Carter|Carter]] è stato flagellato di proteste perché non aveva proclamato il lutto nazionale e uno gli ha gridato al microfono: «Noi americani dobbiamo più a Presley che a [[George Washington|Washington]] e a [[Abraham Lincoln|Lincoln]] sommati insieme». Anche noi italiani dobbiamo qualcosa a Presley: una delle rare occasioni in cui preferiamo essere italiani piuttosto che americani. (20 agosto 1977) *È in corso una iniziativa per l'abolizione, nelle aule scolastiche, della pedana su cui si eleva la cattedra. Il perché lo avrete già capito: l'insegnante deve mettersi, anche materialmente, a livello degli alunni per non lederne la dignità e dimostrare con l'esempio che siamo tutti uguali. Giusto. «La via dell'uguaglianza – dice Rivarol – si percorre solo in discesa: all'altezza dei somari è facilissimo instaurarla». (29 ottobre 1977) *Fra gli annunci economici di Lotta Continua, ne è comparso uno che dice: «Compero a L. 100.000 una tesi di laurea, anche già presentata, purché tratti un argomento attinente all'[[Inghilterra]], o alla lingua, storia, letteratura inglese. Meglio se con una impostazione femminista». Curioso. Questi grandi [[Rivoluzione|rivoluzionari]], che dicono di battersi per costruire una società nuova di zecca, quando si tratta di lauree, si contentano anche di quelle usate e di seconda mano. (3 marzo 1978) *Credevamo che l'assassinio di Aldo Moro, così come è stato eseguito, fosse il colmo dell'infamia. Abbiamo dovuto ricrederci. Al comizio di protesta svoltosi in piazza Duomo a Milano subito dopo la macabra scoperta in via Caetani a Roma, un gruppo di ultrà ha gridato: «Moro fascista!». Preferiamo le [[zanne]] delle belve alla [[bava]] degli [[Sciacallo|sciacalli]]. (10 maggio 1978) *Ecco il nostro telegramma di congratulazioni e auguri a Pertini: «Che Dio le conceda il coraggio, Presidente, di fare le cose che si possono e che si debbono fare; l'umiltà di rinunziare a quelle che si possono ma non si debbono, e a quelle che si debbono ma non si possono fare; e la saggezza di distinguere sempre le une dalle altre». (9 luglio 1978) *Dall'indagine svolta da uno dei più seri istituti di ricerche demografiche, lo svizzero Scope, risulta che la professione più ammirata e rispettata, nel mondo, è quella dei medici. I giornalisti sono al penultimo posto. Ce ne sentiremmo profondamente avviliti se all'ultimo non vedessimo catalogati gli editori. (29 novembre 1978) *In un convegno su «Terrorismo e informazione», a Roma, è stato unanimemente riconosciuto che il [[segreto istruttorio]] in Italia non esiste. Lo trasgrediscono tutti. Non solo giornalisti e avvocati – e ancora passi – ma perfino magistrati che anticipano e propalano, il più delle volte per farne strumento politico, notizie riservate. «È il segreto di Pulcinella» si è lamentato il procuratore capo della Capitale, De Matteo. È vero. Ma Pulcinella non era giudice. E i giudici non dovrebbero essere Pulcinella. (25 aprile 1979<ref>Da ''Il meglio di "Controcorrente": {{small|1974-1992}}'', Fabbri Editori-Corriere della Sera, La biblioteca del Corriere della sera, Milano, 1995, p. 104.</ref>) *Solo il tempo non perde tempo, diceva [[Jules Renard|Renard]]. E così, a furia di annunciarne i cambiamenti, il tempo è passato anche per il colonnello [[Edmondo Bernacca|Bernacca]], che ora deve rassegnarsi alla pensione. Peccato. Gli dobbiamo parecchi raffreddori e reumatismi. Ma nessuno riuscirà meglio e con più grazia di lui a farci capire ed accettare l'inutilità della meteorologia. (10 luglio 1979<ref>Citato in ''Il meglio di controcorrente'', p. 108.</ref>) *Prima di partire per Vienna, il presidente {{NDR|degli Stati Uniti}} [[Jimmy Carter|Carter]] ha fatto due dichiarazioni. La prima: «Ci auguriamo che il signor Breznev {{NDR|allora presidente dell'Unione Sovietica e Primo Segretario del PCUS}} abbia per le nostre ragioni la stessa comprensione che noi abbiamo per le sue». La seconda: «Se Ted Kennedy si presenta contro di me alle elezioni presidenziali, gli faccio un c.o così» Il triviale [[Richard Nixon|Nixon]] avrebbe potuto dire le stesse cose, ma certamente ne avrebbe invertito l'ordine di priorità riservando la comprensione a Kennedy ed il c.o a Breznev. La differenza fra i due è tutta qui. (16 giugno 1979) *Avvicinandosi il 25 dicembre, decine di migliaia di teneri [[abete|abeti]] vengono strappati dai boschi della Penisola per allestire il tradizionale albero di Natale. Ogni anno lo scempio si ripete, tra la generale indifferenza. Soppresso l'Ente protezione animali, figuriamoci se qualcuno ha voglia di proteggere gli alberi. Diciamo la verità: la sola pianta che interessi all'[[italiano medio]] è la pianta stabile. (19 dicembre 1979) *Nel Manifesto di domenica scorsa tale K.S. Karol faceva considerazioni amare sulla rivoluzione cubana e sui suoi fallimenti: «[[Fidel Castro|Fidél]] – ha ricordato il commentatore, uno dei tanti orfani delle illusioni di sinistra – prometteva ai cubani per il 1965 un tenore di vita pari a quello svedese». Certo Fidél si è sbagliato di grosso; non per cattiva volontà, ma per mancanza di uomini, anzi di un uomo. Sarebbe bastato che anche la Svezia avesse uno suo Castro al potere per ritrovarsi in pochissimi anni con un tenore di vita pari a quello cubano. (15 aprile 1980) *Riferiscono le cronache che quando è giunta in tribunale la notizia dell'assassinio di Walter Tobagi, il brigatista Corrado Alunni l'ha accolta con una sghignazzata di tripudio. Abbiamo sempre combattuto la pena di morte sul presupposto che l'uomo non ha il diritto di uccidere l'uomo. Il presupposto lo confermiamo. Ciò di cui cominciamo a dubitare è che gli Alunni e quelli come lui siano uomini. Sui cadaveri sghignazzano le jene. (30 maggio 1980) *A Mirafiori, parlando agli operai della Fiat in sciopero, il sindaco di Torino, Novelli, se l'è presa coi giornalisti e li ha additati all'uditorio come falsari che ricalcano i loro resoconti non sui fatti, ma sulle «veline» distribuite loro dai «padroni». Anche Novelli ha fatto il giornalista in un foglio comunista, e quindi di veline e di padroni è certamente un intenditore. Ma se dopo questa denuncia ci scappa un altro Casalegno, sarà molto gradita la sua assenza ai funerali. (8 ottobre 1980) *Grandi elogi – dopo il successo del blitz di Trani – alle «teste di cuoio» italiane. La loro azione ha dimostrato quanto poco valesse la strategia della flessione propugnata di alcuni personaggi. Teste anche loro: ma di che? (31 dicembre 1980) *Fra i tanti slogans che il partito socialista francese ha lanciato in occasione delle elezioni presidenziali per rassicurare i bravi borghesi sottolineando il proprio carattere moderato e riformista, abbiamo letto anche questo: «Il socialismo può fare di chiunque un milionario». Ci crediamo senz'altro. A patto che quel chiunque fosse prima un miliardario. (8 maggio 1981) *Per gl'italiani, finora, il nome di Gelli era quello dell'autore del più famoso e autorevole codice cavalleresco. Anche oggi rimane legato a un codice. Quello penale. (9 maggio 1981) *L'elenco degli affiliati alla P2 comprende, dicono, 953 nomi, cui corrispondono i più alti gradi della politica, della magistratura, delle forze armate, della burocrazia, dell'industria, della finanza. Tutti «fratelli». È la riprova che, in questo Paese, guai ai figli unici. (11 maggio 1981) *Macché pazzo! L'attentatore del Papa deve essere un furbo matricolato. Dichiarandosi seguace di George Habbas e della causa palestinese, ha cercato di procurarsi la solidarietà dei molti, dei moltissimi, che non battono ciglio quando un terrorista cerca di spedire qualcuno all'altro mondo. Purché il terrorista appartenga al terzo. (16 maggio 1981) *Studiosi cinesi, mettendo a confronto reperti di ominidi dissimili tra loro tanto da far pensare che l'uomo discenda anche da animali diversi dalla [[scimmia]], sono arrivati alla conclusione che i nostri progenitori erano comunque scimmie, ancorché di specie differenti. Ci pare logico. Quale altro animale avrebbe potuto imitare la scimmia che ha dato l'avvio alla razza umana se non un'altra scimmia priva di senso critico? (19 maggio 1981) *Una nostra redattrice andata per una sua cronaca sul femminismo alla «libreria delle donne» in via Dogana a Milano, è stata accolta da una di loro con queste parole: «Con te non parlo perché sei di un giornale fascista, e anche tu hai la faccia da fascista». La nostra redattrice, che ha ventun anni, probabilmente non sapeva bene cosa fosse il fascismo. Ora lo sa: lo ha imparato in quella libreria. (4 novembre 1981) *Come previsto, la Juventus ha conquistato il [[Serie A 1981-1982|ventesimo scudetto]] battendo il Catanzaro. Una vittoria di rigore. (17 maggio 1982) *Socialisti e comunisti si sono opposti alle sanzioni economiche contro l'Argentina perché, hanno detto, una buona metà degli argentini sono di origine italiana, e molti di loro conservano tutt'ora la nostra nazionalità. Vero. Ma non ci eravamo accorti che queste sinistre spasimassero tanto d'amore per i nostri connazionali di laggiù quando si trattava di riconoscergli il diritto di voto. (22 maggio 1982) *Se si va avanti di questo passo, la [[guerra delle Falkland]] (o Malvine) finirà quando l'ultimo aereo argentino sarà abbattuto col suo carico di bombe sull'ultima nave inglese. E dire che questa lotta di leoni si svolge per un'isola di Pecore. (27 maggio 1982) *Tutti abbiamo trepidato ieri, davanti al televisore, per le sorti della squadra azzurra, tutti ci siamo entusiasmati alle sue gesta, tutti abbiamo salutato con orgoglio la sua vittoria. Ma il tipo di patriottismo che questa ha suscitato nelle strade delle nostre città, messe a soqquadro dai tifosi scalmanati che usavano il tricolore a copertura del peggior teppismo, ci ha fatto rimpiangere di non essere nati brasiliani. (6 luglio 1982) *Mai visto così tanto entusiasmo patriottico, tanti tricolori per le strade come per la finale degli azzurri al Mundial. Nella tomba di Caprera, le ossa di [[Giuseppe Garibaldi|Garibaldi]] fremono di invidia. Per unificare l'Italia «in un solo grido, in una sola passione» gli erano accorsi mille uomini. A [[Enzo Bearzot|Bearzot]] ne sono bastati undici. (12 luglio 1982) *Gli scrittori [[Mario Soldati]] (Psi) e [[Gianni Brera]] (Psi) sono stati trombati {{NDR|non sono stati eletti}}. Peccato. Il Parlamento era l'unico posto in cui, dovendo parlare per gli altri, forse avrebbero finalmente taciuto. (1º luglio 1983) *Che [[Bettino Craxi|Craxi]] sia uomo di grandi capacità e ambizioni, lo si sapeva. Che sia anche uomo di grande coraggio, lo si è visto ieri, quando pronunciava alla Camera il suo discorso di replica. Per due volte si è interrotto alla ricerca di un bicchier d'acqua. Per due volte [[Giulio Andreotti|Andreotti]] glielo ha riempito o porto. E per due volte lui lo ha bevuto. (13 agosto 1983) *Condannato dal tribunale di Reggio Emilia per bestemmie e turpiloquio contro la Chiesa, [[Roberto Benigni]] avrebbe qualche ragione di considerarsi vittima di un'ingiustizia. Proprio il giorno prima la Chiesa riabilitava [[Martin Lutero]], scomunicato ai suoi tempi pressappoco per gli stessi motivi. Come cambia, coi tempi, la sorte degli uomini! È inquietante pensare che Benigni, se fosse vissuto cinquecent'anni fa, sarebbe forse diventato Lutero. Ma addirittura sconvolgente è che Lutero, se fosse nato cinquecent'anni dopo, sarebbe forse diventato Benigni! (8 novembre 1983) *Il più autorevole giornale americano di economia e finanza, il Wall Street Journal di martedì 10 gennaio, è incorso in un curioso lapsus. Parlando del concordato fra lo Stato italiano e la Santa Sede, scrive che esso «venne firmato nel 1929 da Bettino Mussolini». Chissà, se lo legge, come si arrabbia Benito Craxi. (12 gennaio 1984) *È comparsa sui giornali la pubblicità di una nuova opera di Fanfani, intitolata «La Dc e la svolta degli anni 80». L'editore avverte che si tratta di un libro formato «tascabile». Dato l'autore, poteva andare diversamente? (16 gennaio 1984) *È vero: la [[Juventus Football Club|Juventus]], a Basilea, non ha fatto una gran figura. Giocando con più cervello, poteva vincere comodamente 4-0. Ma attenti a non giudicare troppo severamente il Porto. Quello di Genova va molto peggio. (18 maggio 1984) *Il trentanovenne James Nelson, condannato da un tribunale di Londra a quindici anni per avere ucciso la madre a colpi di mattone, ha sentito, chiuso in cella, la vocazione sacerdotale: si è messo a studiare teologia, e ora sta per diventare prete nella chiesa scozzese. «È mia intenzione – ha dichiarato – contribuire alla edificazione di una nuova società». Si può credergli: i mattoni ha dimostrato di saperli usare. (25 maggio 1984) *L'agenzia Agi informa, con un drammatico flash, che il ministro [[Giulio Andreotti|Andreotti]], «impegnato in una riunione superistretta con gli altri 15 ministri degli esteri della Nato, perderà la partita [[Associazione Sportiva Roma|Roma]]-[[Liverpool Football Club|Liverpool]]». È giusto il fatto che faccia notizia: è la prima volta che Andreotti perde qualcosa. (31 maggio 1984) *Presso la Presidenza del Consiglio, a palazzo Chigi, è stata istituita una commissione di giuristi per la completa parificazione dei diritti fra i due sessi. Finalmente! Era ora che ce la riconoscessero, a noi uomini. (16 ottobre 1984) *La riforma dei programmi della scuola elementare, cui sta lavorando il Ministro Falcucci, introdurrà nella terza, quarta e quinta classe l'insegnamento di una lingua straniera. Non è specificato quale. Speriamo che si tratti dell'italiano. (21 gennaio 1985) *Un certo [[Nichi Vendola]], dirigente della Federazione giovanile comunista, ha lanciato l'idea di riconoscere formalmente un «diritto dei bambini ad avere rapporti sessuali tra loro o con gli adulti». Vendola ha detto di aver attinto questa idea all'esperienza di molti padri. A conferma di quanto scrive [[Georges Courteline|Courteline]] nella sua «Filosofia»: «Uno dei più chiari effetti della presenza di un bambino in una casa è di rendere completamente idioti dei genitori che forse, senza di lui, sarebbero stati degl'imbecilli comuni». (26 marzo 1985) *I tecnici di calcio sono rimasti stupiti dalla prova del [[Real Madrid Club de Fútbol|Real Madrid]] che nella semifinale della coppa Uefa ha letteralmente travolto i modesti giocatori dell'[[Football Club Internazionale Milano|Inter]]. I madrileni hanno proprio vinto a biglia sciolta. (26 aprile 1985) *Quando [[Sandro Pertini]] è apparso sul video di Raiuno che trasmetteva la premiazione del concorso ippico di Roma, il cronista ha commentato: «Anche i cavalli, come vedete, sono gentili col Presidente». Era vero. Forse meritano di essere fatti cavalieri. (5 maggio 1985) *I tifosi rossoneri sono in festa per la notizia che Berlusconi sta per acquistare il loro Milan. Sono convinti che in un battibaleno ne farà una squadra da scudetto, da coppa delle coppe, da tutto, e forse hanno ragione. C'è un solo pericolo: che il neo-presidente voglia fare anche il direttore tecnico, l'allenatore, il massaggiatore, il capitano e il centrattacco. Il che potrebbe andar anche bene. Ma ad una condizione: che possa fare anche l'arbitro. (27 dicembre 1985) *Rete Quattro e Italia 1 sono state multate per violazione del decreto che proibisce la propaganda al consumo del tabacco. Lo spot incriminato è quello che, parlando del «Camel Trophy», ostentava un pacchetto di sigarette della ditta sponsorizzatrice. Strano Paese, il nostro. Colpisce i venditori di sigarette, ma premia i venditori di fumo. (13 marzo 1986) *Molti lettori ci chiedono quale missione sta svolgendo l'on. Capanna a Tripoli, quali motivi l'hanno spinto da Gheddafi. Non ne sappiamo granché: non siamo abituati a ficcare il naso nelle altrui questioni di famiglia. (1º giugno 1986) *Oggi Paolo Pillitteri sarà designato alla successione di Tognoli come sindaco di Milano. Lo dipingono come uomo intelligente, efficace, insomma pieno di qualità. Purtroppo, gli manca quella fondamentale: il celibato. (5 dicembre 1986) *Finalmente, dopo sette anni di esilio a Gorky, l'impavido Andrei Sacharov è tornato a Mosca. Speriamo che Gorbaciov ci resti. (24 dicembre 1986) *L'agenzia Ansa riferisce che da un sondaggio operato in Francia su un pubblico internazionale, risulterebbe che il maschio italiano detiene ancora il primato mondiale della seduzione. Speriamo che i giornali non riportino la notizia: gl'italiani sarebbero capaci di crederci. (15 marzo 1987) *Per la prima volta nella storia della Corte Costituzionale, il nuovo presidente, Francesco Saja, è stato eletto al primo scrutinio. Ma il rivale sconfitto, Ferrari, ha sollevato eccezione accusando il vincitore di averlo battuto grazie a un «compromesso storico» fra elettori democristiani e comunisti, aggravato da un intrallazzo fra siciliani. Vero o falso, dalla Corte al cortile. (5 giugno 1987) *Ieri tutti i telegiornali ci hanno martellato negli occhi le immagini dei capibastone – Craxi, De Mita, Spadolini, Altissimo ecc. – che infilavano la scheda nell'urna. I loro volti raggiavano di soddisfazione. Erano gli unici elettori matematicamente sicuri di aver dato il voto al candidato ideale. (15 giugno 1987) *In una scuola di Chattanooga, nel Tennesse (Usa), due sedicenni, approfittando dell'assenza dell'insegnante, si sono baciati e hanno fatto l'amore davanti a una decina di compagni, niente affatto scandalizzati. Dato il lassismo di certe scuole americane, gli esami in cui gli studenti riescono meglio sono proprio queste prove orali. (4 giugno 1988) *Diciannove persone hanno dichiarato d'aver visto aggirarsi, tra le quinte della Scala, il fantasma di [[Maria Callas]]. Non ci meravigliamo, anche perché migliaia di altri frequentatori del massimo teatro lirico italiano sostengono da tempo di vedere, alla Scala, il fantasma della Scala. (28 giugno 1988) *Scoprendo le istituzioni britanniche con un secolo e mezzo di ritardo, i comunisti sembrano fermamente intenzionati a formare il loro «shadow Cabinet». Ma onestamente non ne afferriamo la ragione. Non c'è nessun bisogno di un governo ombra per contrastare quest'ombra di governo. (5 maggio 1989) *Da un sondaggio condotto tra i francesi risulta che il personaggio più noto d'Oltralpe è [[Marcello Mastroianni]], conosciuto dall'83 per cento degli intervistati. Il 97 per cento dei francesi invece confessa di non sapere chi sia [[Ciriaco de Mita|Ciriaco De Mita]]. Quando si dice un Paese fortunato... (20 maggio 1989) *Gerardo Iglesias, che fu segretario generale del partito comunista spagnolo dall'82 all'88, ha lasciato l'attività politica per riprendere il suo lavoro di minatore di carbone, «l'unico modo in cui posso guadagnarmi degnamente la vita». Alcuni dirigenti del Pci, a quanto risulta, vorrebbero imitarne l'esempio, tornando al vecchio lavoro. Il difficile è trovare chi ne aveva uno. (1º giugno 1990) *Durante la festosa «notte del mondiale», la polizia romana ha arrestato, nelle vicinanze dello stadio olimpico, 29 borsaioli e scippatori. Il signor [[Edgardo Codesal Méndez|Codesal Mendez]], arbitro della partita [[Nazionale di calcio della Germania|Germania]]-[[Nazionale di calcio dell'Argentina|Argentina]], non figura nell'elenco. (10 luglio 1990) *Il giudice veneziano Casson ha convocato, per la storia del Gladio, il presidente [[Francesco Cossiga|Cossiga]], e l'Italia leguleia è in subbuglio: la Costituzione, pure, si è dimenticata di precisare se il Capo di Stato può essere chiamato a rispondere, sia pure da testimone, a un qualunque magistrato. Il quale però ha ora la fotografia su tutti i giornali. E tutti possono ammirarla chiedendosi che cosa passa in quella testa, la testa di Casson. (10 novembre 1990) *Gli studenti italiani manifestano rumorosamente per la [[pace e guerra|pace]] e contro la [[pace e guerra|guerra]]. La guerra, diceva [[Georges Clemenceau|Clemenceau]], è una cosa troppo seria per lasciarla fare ai militari. Ma anche la pace è una cosa troppo seria per lasciarla fare ai pacifisti. (20 gennaio 1991) *Occupandosi – tra tanto Golfo – del Festival di Sanremo il Tg3 ci ha dato, finalmente, ieri sera, una notizia credibile: il livello delle canzoni, ha detto, è destinato a salire. Infatti: sentite le prime è impossibile che scenda. (1º marzo 1991) *Da un'indagine risulta che il 41,9% degli italiani non considera illecito l'assenteismo dal lavoro e che il 41,3% non considera peccato le infedeltà coniugali. La coincidenza delle due cifre spiega in che modo gli statali impiegano il tempo che dovrebbero dedicare all'ufficio. (3 ottobre 1991) *A quest'ora [[Ernesto Balducci|Padre Balducci]] è di fronte al Supremo Giudice, nel quale affermava di credere. Almeno a Lui dovrà spiegare non ciò che diceva contro la Chiesa, ma perché lo diceva travestito da frate. (26 aprile 1992) *Nell'ultima tornata presidenziale è emerso, con un bel pacchetto di 20 voti, Aldo Aniasi. Finalmente. In questo imperversare di tangenti e bustarelle, era ora che qualcuno si ricordasse di lui. (24 maggio 1992) *Per sfatare le malevole dicerie su certe bestie, il presidente degli «animalisti» italiani ha offerto un premio di 200 milioni a chi potrà dimostrare che i corvi scrivono lettere anonime e che le talpe fanno le spie. È vero: di simili casi non ne conosciamo. Ma di somari che fanno i presidenti, ne conosciamo parecchi. (5 luglio 1992) *Dopo le invettive e i clamori da cui il presidente del consiglio [[Giuliano Amato|Amato]] è stato accolto in Senato per la sua insensibilità alla crisi morale che investe il Paese, il dibattito sulla medesima si è svolto, a Montecitorio, in un'aula deserta. Sì, una crisi morale, per la nostra classe politica esiste: lo dimostra il vuoto in cui l'ha lasciata cadere. (14 marzo 1993) *«I socialisti – ha detto l'ex ministro della Difesa Salvo Andò – devono andare tutti nudi verso la meta di un nuovo sistema politico». Come faranno senza le tasche? (24 maggio 1993) *Il candidato del Psi per le elezioni a sindaco di Roma sarà Niccolò Amato. Assennata scelta. Ex direttore delle carceri, Amato è certamente il più qualificato a rappresentare quel partito. (23 settembre 1993) *Giovedì sera annuncio a sorpresa di [[Emilio Fede]] nel suo Tg4: «Adesso – ha detto – voglio parlarvi di informazione». C'è sempre una prima volta. (8 gennaio 1994) *Secondo un sondaggio della Diacron (gruppo Fininvest), l'82 per cento dei lettori del «Giornale» sarebbe schierato con Berlusconi. Vero. Almeno com'è vero che Berlusconi diventerà presidente del Consiglio. (12 gennaio 1994) ====''La parola ai lettori – rubrica''==== *I tennisti italiani hanno disputato la finalissima di Coppa Davis a Praga, e nessuno ha battuto ciglio. Le squadre di calcio italiane frequentano gli stadi dell'Est, a cominciare da quelli russi, e i puristi della democrazia non ci trovano nulla a ridire. Ma per l'[[Uruguay]] – che con i suoi tre milioni di abitanti e la sua posizione geografica non mi pare possa essere considerato una minaccia troppo grave alla libertà dei Paesi democratici – c'è puntuale la protesta. Come se l'Uruguay potesse invadere, espandersi, insidiare, inviare – direttamente o indirettamente – eserciti di mercenari in mezzo mondo, e l'[[Unione Sovietica]] no. Possiamo capire gli intransigenti della democrazia: ma possiamo soltanto disprezzare i farisei che hanno l'indignazione dimezzata. Si calmino Bruno Conti e Pruzzo. Né l'Uruguay, né il suo regime, meritano tante ansie e tanta ostilità. Mosca è più vicina – lo sanno bene i polacchi – e Kabul anche. (31 dicembre 1980) *Non abbiamo mai «coperto», come si usa dire, questo nostro socio (che ha il 37, non il 36% del Giornale), anche perché non vediamo da cosa dovremmo coprirlo. [[Silvio Berlusconi|Berlusconi]] non è né un politico né un gerarca civile o militare, e non svolge nessuna pubblica funzione incompatibile con l'appartenenza alla massoneria. È un privato imprenditore e cittadino che quando fa una balordaggine (e l'iscrizione alla P2 lo è) la fa a proprio rischio e pericolo. Come lei avrà visto, il suo coinvolgimento nella P2 non ci ha impedito di dire, di Gelli e della sua banda, tutto il male che ne pensiamo. (31 maggio 1981) *In tutti questi anni che è stato con noi, {{NDR|Silvio Berlusconi}} si è sempre comportato nella maniera più signorile, ed anche in questa circostanza ci ha dato le più ampie garanzie. (14 aprile 1987) *Nel panorama sudamericano il [[Cile]] è oggi uno di quei paesi economicamente più solidi e con maggior progresso, tanto da meritare gli elogi del Fondo monetario internazionale. Ma la postilla impone a sua volta una precisazione. È più facile fare il risanamento economico monetario in Cile, dove i sindacati sono inesistenti o impotenti, che non in [[Argentina]], dove il sindacato incalza il governo e pretende aumenti salariali il cui ritmo sia adeguato al ritmo dell'inflazione. [...] Pinochet è quello che è. Il suo plebiscito per la Costituzione del 1980 fu indetto in circostanze che gli tolgono ogni valore. E gli inizi del regime militare furono sanguinari. Però il Cile di oggi ha un livello di libertà e di dialettica politica – nonostante Pinochet – che tanti paesi del Terzo mondo vezzeggiati dai nostri democratici dovrebbero invidiargli. Come ha osservato un lettore, né l'Etiopia né lo Zaire né la Siria, né il Nicaragua avrebbero tollerato corrispondenze come quelle che gli inviati della Rai diffondono, in diretta dal Cile. (16 aprile 1987) *Mai le nostre prese di posizione su problemi e personaggi sono state non dico condizionate, ma influenzate dalle personali amicizie o preferenze di Berlusconi. Per la verità, l'editore chiese una volta a titolo di favore, un «occhio di riguardo» per la sua creatura prediletta. Non la televisione, come i lettori saranno stati forse indotti a pensare, ma il [[Associazione Calcio Milan|Milan]]. Sottoposi questa sommessa istanza alla redazione sportiva. La risposta fu una lettera collettiva di dimissioni. Caso chiuso. Da allora rinuncio a leggere le cronache delle partite del Milan, per non dovermi dispiacere del dispiacere che ne prova probabilmente Berlusconi. (17 aprile 1988) *Come già ho scritto, e qui mi piace ripetere, la designazione di [[Francesco Cossiga|Cossiga]] al Quirinale fu la scelta dell'uomo giusto al posto sbagliato. Sappiamo benissimo chi la volle. Ma sappiamo altrettanto bene che fu avallata anche da quegli uomini e partiti che ora si scagliano contro di lui e lo accusano, apertamente o copertamente, di fellonia. La classe politica, nella quale egli ha militato da sempre e che quindi da sempre lo conosceva, doveva sapere che l'onesto (perché tale è) Cossiga non era uomo da Quirinale. Eppure, per i suoi sporchi giochi di potere, ce lo mandò. Ora dovrebbe sentire il dovere di difenderlo dagli sciacalli che lo attaccano da tutte le parti. (22 dicembre 1990) ===''La Stampa''=== *Intorno alle «cattedrali nel deserto» impiantatevi dalla cosiddetta mano pubblica, [...] o trasferitevi dal Nord con l'adescamento degli «incentivi», e sotto la nuvolaglia di fumo che sgorga dalle loro ciminiere, si gonfiano alla carlona e selvaggiamente dirompono, senza nessun criterio urbanistico, senza piano regolatore, senza servizi, spesso anche senza acquedotto e senza fogna, degli agglomerati urbani che solo per il numero degli abitanti si possono chiamare città. [...] È nata soltanto, insieme a una forsennata speculazione edilizia che per sfruttare all'osso l'area fabbricabile accumula con cattivo cemento un piano sull'altro finché crollano sulla testa degl'inquilini, la sorda rabbia contro la città di un contadiname analfabeta che se n'è visto succhiare la linfa vitale, e quando vi cala, lo fa da nemico e vandalo. Questo è il panorama del Mezzogiorno dopo vent'anni e più di Cassa, che hanno raschiato dalle tasche dei contribuenti migliaia di miliardi. (da ''[http://www.archiviolastampa.it/component/option,com_lastampa/task,search/mod,libera/action,viewer/Itemid,3/page,3/articleid,1118_01_1973_0272_0003_16218908/ La protesta contadina]'', 18 npvembre 1973) *La politica meridionalistica è tutta dominata da questo sottofondo psicologico. Essa vuole l'industrializzazione di Stato non soltanto perché [...] l'industrializzazione può essere fatta soltanto dallo Stato o da imprese al servizio dello Stato; ma anche perché più queste imprese si sviluppano, e più si riduce il margine di quell'imprenditoria privata che i meridionali, non riuscendo a emularla, mirano a ostacolare e ridurre, sottraendole il pubblico risparmio. Con l'agricoltura non avrebbero potuto perseguire questi scopi punitivi. L'unica arma per mortificare e battere l'industria privata è l'industria statale o parastatale. Questa, intendiamoci, esisteva digià: è un portato dei tempi moderni. Ma non c'è dubbio che la politica meridionalistica, come la si è praticata finora e tutto lascia credere che si seguiterà a praticarla, le ha offerto un'ideale occasione. (da ''[http://www.archiviolastampa.it/component/option,com_lastampa/task,search/mod,libera/action,viewer/Itemid,3/page,3/articleid,1118_01_1973_0284_0003_16222766/ Industrie "in colonia"]'', 2 dicembre 1973) *Lo Stato, con [[Venezia]], ha contratto un solo impegno: di destinare al suo risanamento 300 miliardi di lire in cinque anni. Di dove li prenda, non ha nessun interesse. Può darsi che una parte li attinga proprio a quel prestito. Ma non vi è tenuto, né si vede perché dovrebbe esserlo. Ciò che da esso si può e si deve esigere è che eroghi effettivamente quei 300 miliardi alle scadenze per le quali si è impegnato: 25 miliardi per il '73, 60 nel '74, 90 nel '75, e su su fino alla chiusura dei conti nel '77. Due sole cose restano da dire. Primo. All'origine dell'equivoco c'è di certo quello che i francesi chiamano l'''esprit mal tourné'', cioè la diffidenza degl'italiani nei confronti dello Stato. Ma all'origine di questa diffidenza c'è altrettanto certamente l'incapacità o la renitenza dei nostri governanti a spiegare [...] ciò che fanno. Secondo. I soldi [...] stavolta ci sono. E diamo pure per scontato che saranno erogati con puntualità. Ma dove sono gli strumenti per spenderli, specie quelli affidati in gestione a degli Enti locali, che fin qui non sono stati capaci di dragare un canale né di riparare la spalletta d'un ponte? Non vorremmo che anche tutti questi miliardi andassero ad alimentare l'immenso deposito di «residui passivi», cioè di somme stanziate ma non impiegate, che già affligge il nostro Paese. Non lo vorremmo. Ma lo temiamo. ([http://www.archiviolastampa.it/component/option,com_lastampa/task,search/mod,libera/action,viewer/Itemid,3/page,1/articleid,1111_01_1974_0009_0001_21345708/ 11 gennaio 1974]) *E ora addio, caro lettore, e grazie dell’ospitalità. Ti confesso che, entrando in casa tua, ero molto imbarazzato. Ma mi bastò poco per accorgermi che di questo imbarazzo voi soffrite quasi quanto coloro a cui lo incutete. Esentàtemi da una dichiarazione di amore perché a gente come voi è difficile farne. Ma in questo pudore mi sento vostro pari e vostro complice. Avrò un giornale a Milano e, e cercherò di farlo molto bello, bellissimo. Ma anche se ci sarò riuscito, seguiterò a rimpiangere il vostro. Mi dicevano che ci avrei sofferto il freddo. Ci ho trovato, sotto una coltre di silenzio, il caldo. ([http://www.archiviolastampa.it/component/option,com_lastampa/task,search/mod,libera/action,viewer/Itemid,3/page,3/articleid,1112_01_1974_0087_0003_16390798/ 21 aprile 1974]) {{Int|''[http://www.archiviolastampa.it/component/option,com_lastampa/task,search/mod,libera/action,viewer/Itemid,3/page,9/articleid,1118_01_1973_0284_0009_16222725/ Chi era il vecchio leone del deserto]''|Articolo su ''La Stampa'', 2 dicembre 1973.|h=4}} *Senza Ben Gurion, non so se Israele sarebbe stato migliore o peggiore di quel che è. Certo, sarebbe stato diverso. Il titolo di «Padre della Patria» non può contestarglielo nessuno. [...] Egli stesso mi raccontò lo sgomento da cui fu còlto quando, non ancora ventenne, sbarcò a Giaffa dopo un lungo periplo a bordo d'un cargo. A procurarglielo non furono i funzionari turchi che allora governavano il Paese, e nemmeno gli arabi che formavano il grosso della popolazione; ma gli ebrei, quasi tutti latifondisti e mercanti perfettamente inseriti nel «sistema» e unicamente intesi ai propri affari. Erano dunque quelli i depositari della Terra Promessa, che non sapevano neanche l'ebraico, o comunque si rifiutavano di parlarlo? Forse ne sarebbe fuggito, se nell'interno non avesse scoperto alcune isolate fattorie collettive, dove i nuovi immigrati lavoravano la terra con le proprie mani e di notte montavano la guardia, uomini e donne, per difendere le loro vite e i loro raccolti dalle razzie degli arabi. *Egli fu sin da principio organizzatore sindacale e propagandista politico, ma ciò non toglie che la sua ideologia si sia sviluppata da questa esperienza pionieristica. Non era uomo di studio e di cultura. Ma, pur combattendolo, era rimasto influenzato dal socialismo tolstoiano che aveva respirato a Plonsk. [...] Comprese subito che solo redimendo la terra col loro lavoro manuale e contrapponendo al latifondismo arabo la fattoria collettiva, gli ebrei potevano legittimare la riconquista dei loro antico «focolare». Militarmente, egli non attaccò mai gli arabi. Aspettò che il loro sistema si disgregasse da sé, e ci volle poco. Battuti sul mercato dai prodotti del ''kibbutz'', i latifondisti arabi vendettero i loro feudi al «Fondo Nazionale Ebraico» per andare a sperperare l'incasso nei ''Casinos'' di Beirut e della Costa Azzurra, e i braccianti rimasero senza lavoro perché i nuovi padroni usavano le braccia proprie. Il conflitto è tutto qui: nell'impossibilità di coabitazione di una scalcagnata economia feudale con un'efficientissima economia socialista. I motivi religiosi e razziali li ha aggiunti la propaganda. Prima del ''kibbutz'', arabi ed ebrei avevano pacificamente convissuto in un avanzo di mondo medievale, garantito dal satrapesco governo turco, coi suoi privilegi e le sue glebe. Il ''kibbutz'' fu una rovina anche per il latifondo ebraico. [...] Il suo programma era questo: conquistare la Palestina «pertica dopo pertica, capra dopo capra», ma senza costituirla in uno Stato, un po' perché a questo si sarebbe opposta l'Inghilterra […] un po' per non provocare un «fronte» di nazioni arabe, come poi in realtà avvenne. Ma la rivelazione del [[Olocausto|genocidio]] gl'ispirò il famoso ''mai più''. E mai più significava questo: che d'allora in poi gli ebrei dovevano avere un rifugio sicuro, pronto ad accoglierli e in grado di farlo, cioè uno Stato. *Gli rimproverano anche di non aver mai svolto una coerente politica araba, cioè di intesa con gli arabi. E anche in questo c'è del vero, ma ha il suo perché. Come tutti i veri politici, Ben Gurion era un pragmatista, cioè un uomo che attingeva le idee dalla pratica delle «cose», non viceversa. E l'esperienza fatta nella lotta per la manodopera ebraica lo aveva persuaso che con gli arabi non c'era [...] possibilità di compromesso. Uno Stato palestinese misto di arabi e di ebrei, lo considerò sempre una chimera per il semplice motivo che in poche generazioni, col loro potenziale demografico quattro volte superiore, gli arabi avrebbero mangiato gli ebrei. Questo scrupolo [...] sa un po' di razzismo. Ma l'unico rimprovero che si può muovere a Ben Gurion è di non averlo abbastanza mascherato. Già nella guerra del '48 egli avrebbe potuto annettersi la Cisgiordania: ci rinunziò per non mettersi in corpo seicentomila arabi. L'anno dopo rifiutò per lo stesso motivo la cosiddetta «striscia di Ghaza» che il suo brillante generale Allon aveva sforbiciato dall'Egitto. E dopo la guerra dei sei giorni, sebbene ormai lontano dal potere, non ha fatto che ammonire contro una politica di annessioni territoriali disgiunta da un adeguato incremento di popolazione ebraica. Non ha mai dialogato che con l'Occidente. Con gli arabi, non ha seguito che una diplomazia: quella dei confini. *Le nuove esigenze della produzione e della guerra imponevano un altro «rovesciamento della piramide»: il miracolo della guerra dei sei giorni fu dovuto a un esercito di tecnici altamente specializzati, in cui anche il semplice aviere era un ingegnere. Il posto del ''kibbutz'' [...] veniva preso dall'Università che riconvertiva il contadino in professore. Ben Gurion non poteva interpretare questo nuovo corso. Era troppo vecchio e legato all'altro. Ma non lo comprese, non poteva comprenderlo, per conservare il potere ricorse a tutte le armi del suo repertorio, anche le meno regolamentari, giunse a rinnegare e a rompere il proprio ribelle partito. E neppure a battaglia persa si rassegnò. Dal fondo del suo rifugio alle soglie del deserto ha continuato tutti questi anni ad alluvionare di ammonimenti, maledizioni, anatemi i suoi vecchi amici trattandoli da nemici. [...] Quello che si chiude con Ben Gurion è il capitolo del pionierismo: il più eroico e glorioso, quello destinato, via via che si allontanerà nel tempo, ad essere ricordato dagl'israeliani con sempre più struggente nostalgia. {{Int|''[http://www.archiviolastampa.it/component/option,com_lastampa/task,search/mod,libera/action,viewer/Itemid,3/page,3/articleid,1112_01_1974_0081_0003_16388814/ La strada lunga di Golda]''|Articolo su ''La Stampa'', 14 aprile 1974.|h=4}} *{{NDR|[[Golda Meir]]}} Aveva poco più di vent'anni quando approdò in Israele, frammista ai «padri pellegrini» della «seconda ondata» che subito dopo la [[prima guerra mondiale]] vennero a riprendere possesso della loro antica terra con la ferma intenzione non d'insabbiarcisi com'era successo ai loro predecessori della fine dell'Ottocento, ma di riscattarla e di farne il «focolare» degli ebrei. Tutta la sua visione politica [...] era condizionata da questa esperienza di oltre mezzo secolo di sacrifici e di lotte. Tecnicamente, non so se si possa catalogarla fra i «falchi». Anzi, mi sembra che abbia fatto tutto il possibile per non confondersi con essi e per presentarsi come mediatrice fra loro e le «colombe». Ma, cresciuta nell'accampamento, ne aveva acquisito la mentalità guerriera. Oggi molti in Israele si domandano se a questi pionieri non restava davvero altra strada che quella dell'urto frontale con la popolazione araba della Palestina. Ma questi dubbi sono un lusso ch'essi si possono concedere solo perché i loro babbi e nonni non ne ebbero. Costoro fecero quello che fecero perché non potevano far altro. Ciò che rendeva impossibile la coabitazione fra le due popolazioni non era la incompatibilità razziale e religiosa, ma quella economica e sociale. Il latifondo sceiccale non poteva convivere col ''kibbutz'' socialista. È qui l'origine di un conflitto che nessuna diplomazia poteva sanare. Una pace fra israeliani e arabi è possibile; una simbiosi, no. Ancor oggi chi parla di «Stato misto» si gingilla con le astrazioni. *Fu lei che, mentre la lotta infuriava e il sangue correva, raggiunse travestita da cammelliere l'emiro Abdullah di Giordania – il nonno di [[Husayn di Giordania|Hussein]] –, e da nemico se lo fece amico, o almeno neutrale. Non sono mai riuscito ad appurare se [[David Ben Gurion|Ben Gurion]] ebbe una parte, e quale, in questo «giallo» fra il diplomatico e lo spionistico. Ma molte cose m'inducono a credere che a programmarlo fu proprio lei, Golda, anch'essa ben decisa a innalzare, fra arabi ed ebrei, una cortina di ferro, ma con qualche porta che consentisse all'occorrenza il dialogo. [...] I due furono amici e compari per decenni. [...] Per entrambi, la unica e vera ragione di vita era la politica, una passione che esclude tutte le altre, e alla quale chi ne è tocco tutto sacrifica, a cominciare proprio dai sentimenti. Ciò non vuol dire che i loro rapporti siano stati dominati unicamente dal calcolo [...] e che Golda si sia tenuta stretta a Ben per spiarlo, controllarlo e, al momento opportuno, divorarlo. Io ho visto alcuni scampoli della loro corrispondenza privata, quando l'amicizia era diventata aperta inimicizia. Roba da far impallidire un caporale degli alpini. Ma proprio da questo vocabolario si capiva quanto profonda e indistruttibile [...] fosse la loro solidarietà. Probabilmente anche al tempo in cui facevano coppia nel partito e nel governo si parlavano tra loro in quel linguaggio da fureria. Quanto a imperiosità e autoritarismo, si valevano. [...] Non era, come Ben Gurion, un'incantatrice, non aveva mai una immagine colorita, un paradosso, una battuta a effetto. Con la sua voce arrugginita dalle sigarette (ne fuma una settantina al giorno, e di tabacco nero), diceva piattamente e banalmente delle cose piatte e banali, solo ravvivate da qualche squarcio d'un umorismo massiccio come una scarpa di soldato; ma senza mai togliere di dosso all'interlocutore il suo vigile sguardo cilestrino alla fiamma ossidrica. E da quella specie di sporta per la spesa che, adibita a borsa, essa tiene al braccio anche nei ricevimenti ufficiali, ci si aspettava sempre di veder saltar fuori, oltre a qualche mazzo d'agli e di cipolle, una pistola o una fiala di veleno. *Di Golda si può dire tutto il male che si vuole: la materia non manca. Non c'è dubbio che sapeva odiare e che anche quando amava lo faceva da mantide, soffocando e stritolando. Ma Israele non troverà mai più una madre come lei, che sapeva anche fargli da padre. Nella sua tenacia, nel suo coraggio, nella sua volontà d'acciaio, essa riassumeva la storia di questo piccolo grande Paese. Lo ha dimostrato col suo ritiro. Quando si è trattato di pagare, essa si è offerta in sacrificio pur sapendo che per lei la rinunzia al potere è la rinunzia alla vita. «''Sono giunta al termine della mia strada''», ha detto. Ma che strada! Nessuno ne ha mai percorsa una più ripida e accidentata, più paurosamente librata tra abissi e strapiombi. Sono sicuro che Golda non si volterà indietro a guardarla, e non ce ne dirà nulla. Come tutti i grandi costruttori, essa sa soltanto costruire. Il resto, per lei, è silenzio. ===''la Voce''=== <!--ordine cronologico--> *Uscendo dal ''Giornale'', io feci a me stesso, ma pubblicamente, un giuramento: «Mai più un padrone». Qui padroni non ce ne sono. La proprietà è ripartita fra alcune centinaia di azionisti, di cui nessuno può, per statuto detenere più del 4 per cento. Fra di essi, e per primi, ci siamo stati tutti noi: redattori, impiegati, fattorini, autisti. [...] Per questa sua pulviscolarità, il nostro azionariato è stato definito, nei quartieri alti della Finanza, «straccione». La qualifica non ci dispiace: coi tempi che corrono, meglio stare tra gli stracci che tra le tangenti. (22 marzo 1994) *Di insurrezione generale non c'era bisogno, il 25 aprile, perché il Terzo Reich non esisteva più. Se l'insurrezione generale fosse avvenuta avrebbe dovuto avere come primo obiettivo, a Milano, il quartier generale delle SS all'Hotel Regina. Le SS furono invece lasciate del tutto tranquille, mentre si provvedeva a trascinare in piazzale Loreto, per la fucilazione Achille Starace [...]. Non sono contro la Resistenza, anzi: sono contro la retorica, inguaribile vizio italiano. Proprio questa retorica ha fatto sì che un sindaco democristiano di Roma, in un manifesto dedicato anni or sono alla liberazione della città non accennasse nemmeno con una parola agli Alleati. Ed ha fatto sì che in quest'ultimo 25 aprile si sia parlato ai giovani che affollavano piazza del Duomo a Milano o che stavano davanti ai televisori, ingannandoli – ossia raccontando loro che i tedeschi erano stati sconfitti dai partigiani, e che da questi l'Italia era stata liberata. Se questa è la «memoria storica» evocata da tanti commentatori, stiamo freschi. (28 aprile 1994) *Intorno a Berlusconi vedo agitarsi una falange di Starace, convinti non meno di Achille che il padrone (e con lui, si capisce, la carriera) si serve sbattendo i talloni e gridando: «Forza, Italia!». Di tutto questo, intendiamoci, Berlusconi non può essere tenuto responsabile. Gli Starace – a differenza di Mussolini che si scelse il suo vedendolo com'era – gli sono germinati e gli pullulano intorno d'irresistibile forza propria cercando di sopraffarsi in una gara di servilismo, che trova soprattutto nel video la propria arena. E per ora la gente pensa: «Povero Cavaliere, da chi è circondato». Ma prima o poi – forse più prima che poi – comincerà a dire anche di lui: «Vedi un po' di chi si circonda». (18 giugno 1994) *Dobbiamo prepararci a presentare le nostre scuse a [[Emilio Fede]]. L'abbiamo sempre dipinto come un leccapiedi, anzi come l'archetipo di questa giullaresca fauna, con l'aggravante del gaudio. Spesso i [[leccapiedi]], dopo aver leccato, e quando il padrone non li vede, fanno la faccia schifata e diventano malmostosi. Fede no. Assolta la bisogna, ne sorride e se ne estasia, da oco giulivo. Ma temo che di qui a un po' dovremo ricrederci sul suo conto, rimpiangere i suoi interventi e additarli a modello di obiettività. (26 novembre 1994) *Il presidente della Repubblica non può contrattare. Ma deve trovare qualcuno che abbia l'autorità morale di farlo. Un ''kamikaze''. E di ''kamikaze'' ne vediamo uno solo che, non avendo veste politica, né alcuna ambizione di indossarla, può anche affrontare una simile responsabilità: [[Antonio Di Pietro|Di Pietro]]. Ma temiamo che l'idea sia soltanto nostra. [...] Una delle pochissime cose che nella presente situazione ci confortano è di vedere in Quirinale un difensore delle Regole come [[Oscar Luigi Scalfaro|lui]]. Vorremmo solo sommessamente avvertirlo che l'Italia che noi conosciamo somiglia poco all'immagine angelica ch'egli ce ne ha fornito la sera di Capodanno, e che anche quando vi avremo messo a posto tutte le Regole, ne mancherà sempre una: quella che dall'interno della sua coscienza fa obbligo ad ogni cittadino di regolarsi secondo le regole. (3 gennaio 1995) *Noi volevamo fare, da uomini di [[Destra]], il quotidiano di una Destra veramente liberale, ancorata ai suoi storici valori: lo spirito di servizio (quello vero, taciuto e praticato), il senso dello Stato, il rigoroso codice di comportamento che furono appannaggio dei suoi rari campioni da Giolitti a Einaudi a De Gasperi. Insomma, l'organo di una Destra che oggi si sente oltraggiata dall'abuso che ne fanno gli attuali contraffattori. Questa Destra fedele a se stessa in Italia c'è. Ma è un'élite troppo esigua per nutrire un quotidiano. (12 aprile 1995) {{Int|''Il realista inviso agli snob''|Articolo su ''la Voce'', 24 aprile 1994.|h=4}} *Fino ad una decina di anni orsono, la maggioranza degli americani erano convinti che, se [[Richard Nixon|Nixon]] fosse rimasto nella Storia del loro Paese – cosa che al loro orecchio suonava come un obbrobrio – vi sarebbe rimasto solo per il [[Scandalo Watergate|Watergate]], cioè appunto per l'obbrobrio. Negli ultimi tempi tutto si è rovesciato: l'obbrobrio non è stato più il Watergate, ma la campagna scandalistica che lo aveva provocato. Gli stessi protagonisti che l'avevano montata – [[Bob Woodward]] e [[Carl Bernstein]] del ''Washington Post'' – ne riconobbero le forzature e fecero atto di contrizione. Non avevano inventato nulla, ma avevano deformato tutto. [...] La sorte è stata, tutto sommato, clemente con Nixon dandogli il tempo di vedere questo capovolgimento. *Ultimamente era ricevuto, ed anzi continuamente sollecitato alla Casa Bianca, dove lo si accoglieva come lo ''Elder Statesman'', lo statista anziano da consultare come un vecchio saggio sui problemi difficili. Fu a lui che [[George H. W. Bush|Bush]] si rivolse per riallacciare un dialogo con Pechino dopo la rottura seguita al fattaccio di Tienanmen. E lui a Pechino lo riallacciò: i cinesi non avevano dimenticato che quel dialogo erano stati Nixon e [[Henry Kissinger|Kissinger]] ad aprirlo, quando l'America aveva deciso di chiudere l'avventura del Vietnam in cui [[John Fitzgerald Kennedy|Kennedy]] e [[Lyndon B. Johnson|Johnson]] l'avevano malaccortamente cacciata. Ma anche [[Bill Clinton|Clinton]] è ricorso alla sua esperienza per capire cosa succedeva in Russia e trarne qualche insegnamento. Nixon andò a Mosca, e ne tornò con cattivi presagi sulla sorte di [[Boris Nikolaevič El'cin|Eltsin]] che i successivi avvenimenti hanno confermato. *Non era un uomo «simpatico», e soprattutto non aveva nulla che potesse sedurre l'America dei salotti e della ''intellighenzia'', che gli uomini politici li misurano a modo loro, mai quello giusto. Scambiarono per un grande intellettuale Kennedy, che in vita sua aveva visto migliaia di film, ma mai letto un libro. E prendevano Nixon, che di libri ne ha letti ed ha continuato a leggerne (ed a scriverne, niente male), fino all'ultimo giorno per una specie di Bossi californiano, rozzo e triviale. [...] Ma forse quello che più infastidiva gli americani era la renitenza di Nixon ad appelli e richiami tanto più sonori quanto più vacui, come «la nuova frontiera» e simili. Nixon era un professionista della politica, uno dei pochissimi che l'America abbia mandato alla Casa Bianca. Non andava per sogni e per versetti del Vangelo. Conosceva il suo [[Otto von Bismarck|Bismarck]], il suo [[Benjamin Disraeli|Disraeli]], e credo anche il suo [[Niccolò Machiavelli|Machiavelli]] che in America basta nominarli per finire scomunicati. Per questo lo consideravano un mestierante, e per questo si era scelto come consigliere un altro mestierante, l'ebreo tedesco Kissinger. Furono questi due uomini che ridiedero all'America la ''leadership'' nella politica estera coinvolgendo nel gioco la Cina e scavandone il solco da Mosca. I successori di Nixon, e specialmente [[Ronald Reagan|Reagan]], vissero in gran parte di questa eredità. ===''Oggi''=== <!--ordine cronologico--> *Mi confermo in due mie vecchie opinioni. Il guaio del socialismo è il socialismo, cioè sta proprio nel suo sistema statalistico. Il guaio del capitalismo sono i capitalisti che, quasi sempre bravissimi all'interno della loro azienda, fuori di lì sono spesso degli ottusi e noiosi imbecilli, e talvolta anche peggio.<ref>Citato in ''Dizionario delle citazioni'', a cura di Italo Sordi, BUR, 1992. ISBN 88-17-14603-X</ref> (n. 22, 1983) *{{NDR|Sull'offerta di [[Massimo D'Alema]] a concedere, come «atto dovuto», i funerali di Stato a [[Bettino Craxi]]}} "Atto dovuto"? Ma dovuto a chi? Anche a un latitante: quale, dal punto di vista legale, era Craxi? Concedere i funerali di Stato a un latitante significa sconfessare la Giustizia che lo ha condannato. [...] Ma può lo Stato sconfessare la propria Giustizia senza sconfessare se stesso? Mi sembra di vivere in un Paese che di senso dello Stato ne ha meno di una tribù del Ghana.<ref>Citato in ''La morte incute rispetto, ma su Craxi non cambio idea''-</ref> (2 febbraio 2000) *La [[democrazia]] è sempre, per sua natura e costituzione, il trionfo della mediocrità. (11 ottobre 2000) ==''Dante e il suo secolo''== ===[[Incipit]]=== Uno dei tanti meriti che si suole attribuire a [[Dante Alighieri|Dante]] è quello di essere stato il primo italiano ad avere una «coscienza nazionale». Noi non vorremmo cominciare questo libro con una detrazione, ma non ci sembra che a dimostrare questa coscienza basti l'allusione che Dante fa a una entità geografica italiana, di cui egli fissava i punti terminali al Brennero e al Carnaro. E non vediamo del resto cosa aggiunga alla sua grandezza questa specie d'irredentismo avanti lettera. Se per qualcuno Dante spasimò fu, caso mai, per un Imperatore tedesco. ===Citazioni=== *[[Roma]] era stata la capitale di un impero cosmopolita, non di una Nazione. (Parte prima. Capitolo primo, p. 12) *Non è necessario essere degli adepti del "materialismo storico" per attribuire il risveglio delle inquietudini intellettuali, fra il Millecento e il Milleduecento, al progresso economico e al generale miglioramento delle condizioni i di vita. È a stomaco pieno che si comincia a pensare a qualcosa che non sia soltanto lo stomaco. (Parte prima. Capitolo terzo, p. 131) *Il [[pudore]] femminile non è mai stato altro che un incentivo alla civetteria. (Parte seconda, Capitolo quarto, p. 174) *Da consumato giurista qual era, {{NDR|[[papa Bonifacio VIII]]}} prese a rimaneggiare tutti i precedenti storici, su cui poteva basare le sue pretese di dominio universale. E trovò un valido aiuto nel canonista [[Egidio Romano|Egidio Colonna]] il quale scrisse un trattato, ''De ecclesiastica potestate'', per avvalorare queste tesi. Egli sostenne che la Chiesa era padrona e proprietaria non soltanto delle anime, ma di tutto. Era solo per bontà e condiscendenza che metteva le cose a disposizione dei fedeli, ma conservando il diritto di ritorgliele quando voleva. Quindi anche i troni appartenevano ad essa, che li lasciava ai Re solo in momentaneo appalto. Questa teoria tanto piacque a Bonifacio, che ne ricompensò l'autore con la nomina ad arcivescovo di Bourges. (Parte seconda, Capitolo nono, p. 312) *Peccato che un simile uomo {{NDR|papa Bonifacio VIII}} avesse così clamorosamente sbagliato generazione e carriera. Fosse nato cinquant'anni dopo sarebbe stato un magnifico Principe del [[Rinascimento]]: avido, crudele e gagliardo. (Parte seconda, Capitolo undicesimo, p. 372) *Dante qui {{NDR|nel ''De vulgari eloquentia''}} ha visto ciò che molti filòlogi ancora oggi non vedono. Egli difende il "volgare", cioè la lingua viva, quella parlata dal popolo, fatalmente destinata a soppiantare il latino. Ma ne vorrebbe una illustre e aulica, al di sopra di quelle "municipali", cioè dei dialetti, contro i quali si scaglia con furore. In Italia ne classifica quattordici e li detesta tutti, compreso il toscano che chiama "turpiloquio". Ma il più orrendo gli sembra il romano, "e non deve fare meraviglia dacché i romani, anche per deformità di costumi e abiti, appaiono i più fetidi di tutti". Chissà cosa direbbe, povero Dante, se tornasse fra noi e andasse al cinematografo. (Parte seconda, Capitolo quindicesimo, p. 483) ==''Gli incontri''== *[[Giovanni Porzio|Porzio]] non è alto di statura, ma diritto come un fuso nonostante i settantaquattro anni suonati e porta, sui pantaloni a righe stretti e lunghi come quelli degli antichi ufficiali in grande uniforme, una giacca nera che l'alta bottonatura fa simile a una ''redingote''. Il volto è bello, di colore olivastro, e aristocratico nella modellatura del naso e nel taglio breve dei baffi e della barbetta ancora pepe e sale. (Porzio, p. 91) *Non avevo mai visto da vicino [[Cécile Sorel]], quando essa mi apparve, per la prima volta, di lontano, sul palcoscenico allestito nella corte d'onore degli Invalides per le feste celebrative del bimillenario di Parigi. [...] Drappeggiata in una sontuosa cappa di [[Elsa Schiaparelli|Schiaparelli]] a strascico di ''lamé'' d'argento e porpora, dritta su un podio sotto la statua di [[Napoleone Bonaparte|Bonaparte]], accolse a braccia spalancate lo scrosciante omaggio, sincopato dalle salve di artiglieria, dei cinquemila spettatori ammassati nell'immenso cortile. Sorrise. Sfiorò con uno sguardo altero le teste della folla, lo alzò verso l'imperatore, ma senza implorazione né umiltà, da pari a pari. Poi, in un silenzio di tomba, prese a modulare l'ode di Bruyez: "''Vous qui êtes morts pieusement pour la patrie...''". Ed era una voce incredibilmente limpida e squillante, senza traccia di ruggine. (Cècile, pp. 226-227) *[[Saul Steinberg|Steinberg]] ha la faccia dei suoi pupazzi: una faccia malinconica, lunga e triangolare, di cavallo tirato su a paglia soltanto, senza biada, e condannato a trascinare un carretto su per un'erta interminabile, in cima alla quale non si sa cosa ci aspetta, ma certo un'altra condanna, forse più pesante del carretto. Anche i baffi ha, come i suoi pupazzi: a doppia virgola orizzontale, sebbene meno lunghi e senza le intenzioni esibizionistiche di quelli di Dalì; e anche le lenti a stanghetta traverso cui ti fissano intensamente, di sotto in su, due occhi azzurri e mortificati, di uomo che non si è reso conto di essere Saul Steinberg; o essendosene reso conto, non ci prova alcun piacere. (Steinberg, p. 289) *[[Harukichi Shimoi]] è uno di quei giapponesi che gli altri giapponesi considerano di statura piccola. Tanto piccola che [[Gabriele D'Annunzio|D'Annunzio]], per abbracciarlo, dovette curvarsi (lui!) e, dopo essergli andato incontro gridando, con le braccia alzate: "Fratello!... Fratello mio!..." lo guardò, ci ripensò e aggiunse: "Sebbene non di sangue...". (Shimoi, p. 389) *Quanti anni avrà, ora, Harukichi Shimoi? Forse cinquanta, forse centocinquanta. Come per [[Guelfo Civinini]], suo amico, anche per lui il problema dell'età non si pone. Quale che essa sia, egli la porta esattamente come deve averla portata mezzo secolo fa. Il suo corpo è stortignaccolo, ma diritto, e i suoi capelli son nerissimi. Ma il tratto che più lo caratterizza sono le sopracciglia, che madre natura gli ha piantato a mezza strada, come due ciuffi di foltissimo bosco, tra gli occhi e la chioma, in modo che, per quanto vasti i suoi occhiali, esse li sormontano e risucchiano come se fossero due monocoli. (Shimoi, pp. 389-390) *Il più favoloso e colorito personaggio del [[Brasile]] è [[Assis Chateaubriand]], proprietario di ventun giornali, diciotto stazioni radiotrasmittenti, di una flotta aerea, di alcune ''fazendas'' vaste come l'intera Sicilia, di un museo che vale venti milioni di dollari, di una Compagnia nazionale per la puericoltura, e di un'ambizione pari soltanto al suo coraggio, alla sua insolenza e alla sua spavalderia. (Chateaubriand, p. 495) *Assis {{NDR|Chateaubriand}} ha un debole per i tedeschi e per gli italiani. Come faccia a conciliare questi due amori, non si sa; ma le sue pene, durante la guerra, furono grandi, anche se irreprensibile fu la sua condotta<ref>Dal 1942, nel corso della seconda guerra mondiale, il Brasile fu in stato di guerra con Germania e Italia.</ref>. Quando però il governo comminò l'arresto a chiunque parlasse italiano, scese in lotta con i suoi giornali contro l'assurda disposizione. Scrisse che quello non era patriottismo, ma un nazionalismo di bassa lega, degno soltanto di una colonia, e che lui si vergognava d'esser brasiliano. Fece un tale baccano, che alla fine dovettero revocare il provvedimento e quello del sequestro dei beni dei nostri compatrioti. (Chateaubriand, p. 502) *Quando nacque sessantadue anni orsono, ne aveva già a dir poco settecento. Perché [[Ottone Rosai|Rosai]] veniva dritto dritto dal Medioevo, dopo aver saltato a piè pari Rinascimento ed età moderna, e nei momenti di sincerità confessava che Giotto gli pareva un "deviazionista" rispetto a Cimabue, il quale gli andava molto più a sangue. (Rosai, p. 544) *Dopo essere stato fascista della prima ora, nella seconda col fascismo {{NDR|Ottone Rosai}} s'era trovato male, e si capiva benissimo che era sempre per via delle mani. Tornato dalla guerra, lo squadrismo gli aveva consentito di menarle, come a lui piaceva, e ci aveva dato dentro senza risparmio. Forse l'unico momento felice della vita di Rosai fu quello: quando a gambe larghe di traverso alla strada aspettava, col giornale aperto davanti agli occhi in un gesto di sfida ribalda, il corteo rosso in arrivo da San Frediano, che alla vista di quelle manacce aggrappate ai bordi del foglio e pesanti come macigni, esitava. (Rosai, p. 547) *[[Paolo Monelli|Monelli]], se seguisse le proprie inclinazioni, andrebbe a letto coi polli. Ma cosa direbbe la gente, se non lo vedesse più vagabondare nei vari ritrovi frequentati dai nottambuli della città? Direbbe senza dubbio: "Comincia a invecchiare". E a questa idea Monelli balza dalla sua poltrona e si attacca al telefono per mobilitare qualche amica che lo accompagni nei suoi vagabondaggi. Giovani colleghe come Livia Serini, attrici giovanissime come Lea Massari sono state ridotte sull'orlo dell'esaurimento nervoso da queste prolungate ronde notturne senz'altro costrutto che quello di ribadire agli occhi di tutti l'intramontabilità di Monelli. Egli non le porta a spasso. Le porta all'occhiello, come gardenie. (Monelli al girarrosto, p. 592) *{{NDR|Paolo Monelli}} Fuma la pipa come Churchill il sigaro, cioè soltanto quando lo guardano. (Monelli al girarrosto, p. 593) ==''I conti con me stesso''== ===[[Incipit]]=== Una telefonata da Milano m'informa che Longanesi è morto. È stato colpito dall'infarto davanti al suo tavolo di lavoro, su cui era spiegata una mia lettera di dieci giorni fa, che cominciava così: «Caro Leo, stanotte ho sognato ch'eri morto...». (27 settembre 1957) ===Citazioni=== *Tutta la mia vita è stata contesa fra la noia di vivere insieme e la paura di vivere [[Solitudine|solo]]. (4 ottobre 1957) *Di nuovo il Polesine. Pare impossibile: durante le inondazioni, la prima cosa che viene a mancare è l'acqua. (dicembre 1957) *[[Colette Rosselli|Colette]]. Invecchia gentilmente, senza catastrofi. Ha su tutte le altre donne un vantaggio incolmabile: quello di essere stata il mio ultimo e più grande amore. Così grande che possiamo camparci di rendita, comodamente, tutti e due per il resto dei nostri giorni. (gennaio 1958) *Il destino di [[Riccardo Bacchelli|Bacchelli]] sarà l'opposto di quello del maiale: di lui, dopo morto, ci sarà da buttar via tutto. (gennaio 1958) *[[Olga Villi]]. Non è punto grata alla sua bellezza che le ha consentito di diventare principessa di Trabia. Punta solo sul talento che non ha. Ma è talmente priva di ''sense of humour'' che forse diventerà una buona attrice. (gennaio 1958) *[[Gaston Palewski|Palewski]]. L'ambasciata a Roma è per lui soltanto uno dei più importanti capitoli del libro di memorie che scriverà. (gennaio 1958) *Non è che [[Luigi Barzini (1908-1984)|Barzini]] abbia un'altissima opinione di sé. Ne ha una bassissima degli altri. (gennaio 1958) *Piccolo incidente d'auto. La nostra, per evitare un ciclista, picchia contro un muro e resta piuttosto acciaccata. [[Colette Rosselli|Colette]], che la guida, dice: «Meglio così. Dovevo farla revisionare, e non mi decidevo mai...». (gennaio 1958) *[[Razzismo]]: pensarci sempre, parlarne mai. [[Risorgimento]]: parlarne sempre, pensarci mai. (gennaio 1958) *[[Fascismo]]. Il più comico tentativo per instaurare la serietà. (gennaio 1958) *Il guaio più grosso della Repubblica è che, mentre il Re poteva essere di sangue straniero e di solito lo era, il presidente bisogna sceglierlo fra gl'italiani. (gennaio 1958) *Bacchelli lavora infaticabilmente, da sessant'anni, alla costruzione di un piedestallo su cui, alla sua morte, non sapremo cosa posare. (gennaio 1958) *A pranzo da [[Vittorio Cini]] con una ventina di altri invitati. A colazione ne aveva avuti altrettanti. E così ieri. E così avantieri. E così sempre. A ottantadue anni suonati, è fresco, roseo, insaziabilmente voglioso di intrattenere e di essere intrattenuto. A conclusione della serata, mi sfida a una gara di canto. Scegliamo come banco di prova ''Vecchia zimarra'', e stoniamo maledettamente entrambi, ma io meno di lui. I presenti mi assegnano la vittoria. Di colpo, Vittorio perde il suo buon umore. È talmente abituato a vincere, che non accetta di perdere nemmeno nel canto. (7 settembre 1966) *{{NDR|Su [[Nicola Bombacci]]}} Io l'ho conosciuto soltanto cadavere, quando penzolava accanto a quello di Mussolini, in piazza Loreto, e una folla messicana lo bersagliava bestialmente di sputi. Anni dopo, volli tentarne la riabilitazione ritracciandone la patetica vicenda, ma non riuscii a trovarne gli elementi biografici. Compaesano e compagno di scuola di Mussolini, maestro elementare e autodidatta come lui, ne era stato il grande amico quando entrambi militavano nel socialismo. Eppoi il suo nemico giurato, la bestia nera degli squadristi. Esule con la famiglia prima in Francia, poi (credo) in Russia, rimpatria col permesso del Duce, si affida alla sua generosità, per ricambiarla gli resta al fianco anche a Salò, e lo accompagna fin nell'ultimo viaggio verso la morte. (23 ottobre 1966) *Colloquio segreto con l'ex comunista [[Giulio Seniga|Seniga]] per una storia del [[PCI|Pci]] che devo scrivere con [[Roberto Gervaso|Gervaso]] per la «Domenica». Ė un uomo piuttosto affascinante, dallo sguardo chiaro, freddo e innocente: lo sguardo del fanatico. Mi ha detto che sua moglie, cresciuta in Russia dove suo padre era fuoruscito, e autrice di un interessante libro – ''I figli del partito'' –, nel partito è rimasta, non ha trovato il coraggio di uscirne, sebbene approvi e condivida la secessione del marito, con cui è sentimentalmente unitissima. Non riesco a capire questa gente. Cioè capisco soltanto che è diversa da noi non sul piano ideologico, ma su quello umano. (25 novembre 1966) *È morto [[Uguccione Ranieri di Sorbello]]. Era venuto a Roma da sua suocera. Stava benissimo. Era anzi particolarmente sereno e contento perché aveva finito un suo lavoro di ricerca storica cui attendeva da anni. A fine pranzo ha detto: «Non mi sento bene». Si è alzato, ed è crollato a terra. Stecchito. (29 maggio 1969) *{{NDR|Su Uguccione Ranieri di Sorbello}} Era un gran signore e un gran galantuomo che ha trascorso la sua vita in crociate nelle quali non aveva nulla da guadagnare. L'ultima è stata la campagna propagandista negli Usa per convincere gli americani a dare il nome [[Giovanni da Verrazzano|Da Verrazzano]] al grande ponte sull'Hudson. Nel suo perfetto inglese (lo scriveva meglio dell'italiano) inondò l'America di articoli e conferenze (parlava benissimo, con molto humor e senza enfasi oratorie) cercando i familiarizzare gli ascoltatori col nome Da Verrazzano, la cui pronuncia rappresentava per essi la difficoltà più grossa all'adozione di quel nome. Questa smania missionaria credo che l'avesse ereditata da sua madre americana. E per seguirla aveva trascurato le sue proprietà terriere. Le sue campagne erano in uno stato pietoso, la sua bella villa sul Trasimeno mezza disunta. (29 maggio 1969) *{{NDR|Su Uguccione Ranieri di Sorbello}} Era un buon scrittore, un infaticabile sommozzatore di articoli, un ricercatore attento e scrupoloso di curiosità storiche, un umanista moderno che aveva allargato i suoi orizzonti a tutta la cultura contemporanea, specie anglo-sassone: un uomo insomma che ha realizzato un centesimo di quello che poteva per via di quel suo dispersivo correre dietro a un'infinità di altri interessi. Era stato anche un autentico combattente della [[Resistenza italiana|Resistenza]]: per ben sedici volte si era fatto paracadutare dagli Alleati dietro le linee tedesche: impresa che chiunque altro si sarebbe fatto ripagare con altrettante medaglie. Lui non aveva ricevuto nemmeno una citazione, e di questi episodi non ha mai parlato. (29 maggio 1969) *Anche [[Irene Brin]] se n'è andata. Mi avevano detto che era malata di un cancro; ma era una notizia vaga e incerta, ch'essa aveva fatto di tutto per smentire. Fino in fondo ha lavorato e ha partecipato ai riti della mondanità: sfilate di moda, ricevimenti, eccetera. (1 giugno 1969) *{{NDR|Su Irene Brin}} Quando [[Giovanni Ansaldo|Ansaldo]] la scovò e cominciò a farla scrivere sul «Lavoro» di Genova, sua città natale, era soltanto Mariù Rossi: una ragazza timida e incerta, molto provinciale, figlia di un Generale e di un'ebrea austriaca. L'unica fama di cui godeva era quella, equivoca e velata sotto un nome d'accatto, che le aveva procurato [[Elio Vittorini|Vittorini]] prendendola a protagonista, con sua sorella, di un racconto: ''Le figlie del Generale'' in cui entrambe erano presentate come lesbiche. Se lo fossero veramente, non so. Il sesso è uno dei tanti capitoli misteriosi di questa donna. (1 giugno 1969) *In mano a [[Leo Longanesi|Longanesi]], che le aveva regalato anche lo pseudonimo d'Irene Brin, aveva rivelato autentiche qualità di scrittrice. I profili che pubblicò su «Omnibus» erano deliziosi. Fosse rimasta fra biografia e memorialismo, poteva diventare qualcosa di mezzo fra [[Henri de Saint-Simon|Saint-Simon]] e [[Lytton Strachey|Strachey]] con un tocco alla [[Madame de Sévigné|Sévigné]]. Altro che la [[Maria Bellonci|Bellonci]]! Era un'osservatrice attenta (sebbene non ci vedesse da qui a lì) e penetrante, nutrita di vastissime letture: la sua prosa aveva ritmo, calore, l'aggettivazione precisa, l'ironia tagliente. Ma era un cavallo che aveva bisogno del fantino. Chiuso «Omnibus» e cessata la regia di Longanesi, Irene infilò la pista sbagliata – quella della cronista mondana –, e non è più uscita. (1 giugno 1969) *Finito di scrivere il capitolo sull'[[Giulio Alberoni|Alberoni]] per ''L'Italia del Settecento''. Ho riprodotto la pagina di [[Henri de Saint-Simon|Saint-Simon]], che lo descrive mentre assiste impavido alle evacuazioni corporali di Vendôme per guadagnarsene i favori, eppoi inginocchiandosi davanti a lui gli grida estasiato: «Oh, culo d'angelo!», e glielo bacia. Come inizio di "carriera" italiana, mi sembra esemplare. Poi mi torna a mente un'osservazione di [[Jules Renard|Renard]]: «Se in un periodo c'è la parola culo, il lettore non si ricorderà che di quella dimenticando tutto il resto, anche se è sublime». Renard ha ragione. Ma io, a un culo autenticato da Saint-Simon, non rinuncio. (3 luglio 1969) *Le Soroptimists hanno dato un pranzo a [[Colette Rosselli|Colette]], in qualità di "Donna Letizia". Colette ha accettato dopo molti rifiuti. Il suo fastidio per queste cose di donne, lo so, è sincero. Ma, una volta preso l'impegno, ha trascorso la giornata a preparare il suo discorsino col puntiglio che la distingue. Non è per nulla ambiziosa, non tiene affatto a reclamizzare il proprio talento, sottovaluta quello che mette nella sua rubrica di «Grazia» (ma se lo fa pagare profumatamente), rifiuta di fare una mostra dei suoi deliziosi quadri. Ma il suo suscettibilissimo amor proprio non le consente di rischiare una brutta figura nemmeno nelle cose che disprezza. Infatti anche stasera ne ha fatta una eccellente, leggendo con molto garbo le due paginette che aveva preparato con un sapiente dosaggio di humour autentico, e di pathos e di umiltà fasulli. Ha avuto gran successo. Per la prima volta mi son visto guardato come un personaggio-satellite, una specie di principe consorte. Cosa che a me non dispiace affatto, ma a lei moltissimo. In questo, è proprio femmina. (13 agosto 1969) *Mi riferiscono, di [[Giorgio Bocca|Bocca]], questo giudizio su di me: «Sempre il più bravo di tutti. Bravissimo. Troppo bravo. Ma mettendo lo stesso impegno a scrivere gli articoli su Venezia e quello sull'arbitro [[Concetto Lo Bello|Lo Bello]], dimostra che in realtà non è impegnato in nulla». È vero. Non sono impegnato in nulla. In nulla, meno che nel mio mestiere. Fiorentina-Bari 3-0. E Chiarugi capo-cannoniere! (16 novembre 1969) *Sciopero generale per il caro-case. Un pretesto da nulla. Ma è bastato per immergere Milano in un'atmosfera da 8 settembre. Strade vuote. Saracinesche abbassate. Enorme spiegamento di polizia. Mentre pranzo con [[Giovanni Spadolini|Spadolini]], [[Mario Cervi|Cervi]] e Zappulli, giunge notizia che in un tafferuglio al Lirico un agente è stato ucciso dai "cinesi". «Meno male che è toccata a un agente» diciamo in coro, eppoi non osiamo guardarci negli occhi. Anche noi apparteniamo a questa borghesia codarda che pretende appaltare alle forze dell'ordine il compito di farsi sputacchiare, pestare e ammazzare per tenerne al riparo se stessa. E non vuole nemmeno pagargli uno stipendio decente. (19 novembre 1969) *[[Alberto Moravia|Moravia]] ha fondato, insieme a [[Pier Paolo Pasolini|Pasolini]] e a [[Dacia Maraini]], un "comitato contro la repressione". È la riprova che la repressione non c'è. Se ci fosse, Moravia sarebbe coi repressori, come ha dimostrato avallando col suo silenzio la persecuzione di [[Aleksandr Isaevič Solženicyn|Solženicyn]] in Russia. (28 dicembre 1969) *Moravia si è ritirato dal comitato che lui stesso aveva fondato. Ma non per i silenzi di [[Giovanni Spadolini|Spadolini]]. Si è ritirato perché «l'Unità» ha disapprovato. Gl'italiani sono sempre pronti a fare la rivoluzione, purché i carabinieri siano d'accordo. E Moravia è sempre pronto a battersi per la libertà, purché sia d'accordo il piccì. (2 gennaio 1970) *Arrivati i rendiconti dei miei diritti d'autore: 28 milioni nell'ultimo semestre. Supero dunque i 50 milioni annui. Anche ammettendo che l'editore non ci faccia sopra punta cresta (il che mi sembra, a dir poco, improbabile), non c'è male. Credo di essere l'autore italiano che più guadagna, anche perché sono l'unico che questa cifra la guadagna ogni anno, e senz'aiuto di premi letterari. Non ne sono contento per il denaro, di cui non so che farmi e che serve solo a pagare i capricci di Colette (ne ha tanti!). Ne sono contento, anzi felice, per il mio status da autore stipendiato unicamente dal pubblico. C'è chi vive di partito. C'è chi vive di Eni. C'è chi vive di Agnelli, o di Perrone, o di Crespi. Io vivo di [[lettore|lettori]]. I lettori non m'impongono altra servitù che la sincerità: l'unica che non pesi. (3 marzo 1970) *Più che comunanza di vedute, fra [[Denis Mack Smith|Mack Smith]] e me c'è comunanza di nemici: quegl'insopportabili pedanti accademici che a Palermo lo hanno violentemente attaccato qualificandolo «il Montanelli di Oxford». Implicitamente egli accetta di far fronte con me contro di loro. Credo che facciamo entrambi un buon affare, e anche un affare buono: se riusciamo a squalificare agli occhi del pubblico la [[storiografia]] accademica (e coi nostri libri ci stiamo riuscendo), avremo reso un grosso servigio alla cultura italiana. (2 maggio 1970) *Sosta a Venezia, dopo il voto a Cortina. Visita d'obbligo a Vittorio Cini, e passeggiata con lui sulle Zattere. Vedendolo, un vecchietto sdrucito, ma dignitoso, si leva il cappello e gli tende la mano, evidentemente per mendicare. Vittorio gliel'afferra e gliela stringe con effusione dicendogli: «Caro!... Caro!... Caro!... Coma la va?» È in perfetta buona fede: la buona fede di un doge lontanissimo dalle afflizioni della miseria e perfino incapace di immaginare che ce ne siano. (8 giugno 1970) *Leggo in [[Giorgio Candeloro|Candeloro]]: «... Nel processo generale di sviluppo della Storia, il carattere dei personaggi, anche dei più grandi, ha un peso limitato...». Ah, sì? E cosa dunque se non il carattere di Alessandro, cioè la sua follia, può spiegare la conquista macedone fino all'India e la diaspora dell'ellenismo che ne deriva? L'Islam è concepibile senza il "carattere" di [[Maometto]]? E cosa divise la Riforma se non i diversi "caratteri" di [[Martin Lutero|Lutero]] e di Calvino? I nostri storici odiano i caratteri e i personaggi, perché questi richiedono immaginazione e intuito, cioè doti di scrittore, di cui essi sono disperatamente vedovi. Non sono storici. Sono soltanto degli archivisti, e molto spesso disonesti. (10 novembre 1970) *Milano è in fiamme per l'affare Feltrinelli, e [[Piero Ottone|Ottone]] mi chiede un articolo contro la [[Camilla Cederna|Cederna]], firmatario di un manifesto in cui, a due ore di distanza dal rinvenimento del cadavere e prima ancora che esso sia ufficialmente riconosciuto, proclama che Feltrinelli è rimasto vittima della «reazione internazionale». Se la Cederna avesse una testa, direi che l'ha persa. Ma perché Ottone vuole un articolo contro di lei, intima amica e direttrice di coscienza di [[Giulia Maria Crespi|Giulia Maria]], nonché regina del suo sinistrorso salotto? Comunque, a mettere una zeppa fra direttore e proprietaria, è doveroso collaborare. E faccio l'articolo in forma di "lettera a Camilla". (25 marzo 1972) *Pare che l'articolo abbia rimesso fuoco a Milano, creandovi una irreparabile frattura fra montanellisti e cedernisti. I primi sono più numerosi, ma i secondi più rumorosi. Ricevo pacchi di telegrammi di plauso e altrettanti d'insulti. Il giornale è sommerso di lettere, e io prego Ottone di pubblicare anche quelle di protesta. Ha scritto anche la Cederna annunziando una replica sull'«Espresso» (Ottone ha cancellato il titolo del settimanale, commettendo una meschineria). Quanto a Giulia Maria, mi dicono che schiuma di rabbia. Se è vero, devo riconoscere che il giornalismo qualche soddisfazione la dà. [[Umberto Eco]] mi attacca sul «manifesto» riproducendo una mia frase di ammirazione per Mussolini scritta quando avevo ventidue anni (in dieci anni di giornalismo sotto il defunto regime, non sono mai riusciti a trovare, di mio, altre prove di zelo fascista) e accusandomi di mancanza di cavalleria verso una donna. O bella! Come se una donna, quando si mette a far politica – e che politica! – come un uomo, potesse ancora accampare l'impunità! Anche la [[Maria Callas|Callas]] è una donna. Eppure, quando stona, la si fischia. (27 marzo 1972) *Ho scritto un fondo in difesa della Cederna, incriminata dal magistrato per aver diffuso notizie false e tendenziose. Che abbia commesso questo peccato, ho detto, è vero. Ma si tratta di peccato, non di reato. E a giudicarne dev'essere il lettore, non il tribunale. Verità lapalissiane. Dice che è sempre stata molto più impegnata e coraggiosa di me perché con le sue campagne in favore di Valpreda e di [[Giuseppe Pinelli|Pinelli]], tiene fronte alla polizia. Potrei incenerirla chiedendole dov'era e cosa faceva quando io ero in galera per aver tenuto fronte non alla polizia d'oggi, ma a quella fascista e nazista. Ma non ne vale la pena. (28 marzo 1972) *Più approfondisco questo tema delle regioni (sono a Milano per questo), e più mi sgomenta il doverne scrivere. Ci vuol poco a capire che questi regionalisti lombardi perseguono, consapevolmente o inconsapevolmente, un piano secessionista cisalpino. E, una volta che ne abbiano lo strumento, riusciranno a realizzarlo. Non per nulla Bassetti parla già non più di «regione lombarda», ma di «[[Padania|regione padana]]», di cui il resto d'Italia non sarebbe che un'appendice. Se ce la fanno (e ce la faranno), addio Risorgimento! Non era che una finzione, d'accordo, e in pratica ha fallito. Ma con che lo sostituiremo? (26 settembre 1972) *Volo a Lussemburgo sul solito bireattore di Berlusconi, che ci accompagna, felice di esibirsi e di esibire il suo status in una cerimonia internazionale. La medaglia d'oro (ma è proprio d'oro?) me la consegna Gaston Thorn, capo del governo lussemburghese. Berlusconi riempie il suo taccuino di indirizzi: quelli di tutte le personalità che ha incontrato. È il vero ''climber'' che approfitta di tutto e non butta via nulla. (23 maggio 1977) *Kappler è fuggito. Ha fatto bene. Ma ora chi ci salverà dai conculcati "valori della Resistenza"? (15 agosto 1977) *A colazione da [[Vittorio Cini|Cini]]. Ha avuto un brutto crollo, ma ha ancora risorse. Le tira fuori quando è in compagnia. Ma quando è solo, mi dice sua moglie, sprofonda in quei tetri silenzi che sono i colloqui di un uomo con la morte. (19 agosto 1977) *De Carolis m'informa che il vero autore della operazione «Corriere» è un certo [[Licio Gelli|Gelli]], misterioso personaggio massonico, di Arezzo (Fanfani), che vuole incontrarmi per un accordo fra i due giornali. (24 settembre 1977) *Secondo quanto mi era stato raccomandato, dovevo salire direttamente alla camera 219 dell'Excelsior. Ma alla camera 219 non c'era nessuno, e così dovetti chiedere al portiere del signor Gelli. Poi Gelli arrivò, mi condusse furtivamente nel suo appartamento e mi fece un lungo discorso pieno di allusioni, dal quale dovevo comprendere che lui è un pezzo grosso – forse il più grosso – della massoneria (Palazzo Giustiniani), che come tale era stato il vero padrino della operazione Rizzoli, e che in questa operazione potevamo rientrare anche noi. Mi ha detto che quattro ministri dell'attuale governo, otto sottosegretari e centoquaranta parlamentari dipendono da lui. Questi massoni sono tutti uguali: credono che la loro potenza sia direttamente proporzionale al mistero di cui si circondano e prendono per cose fatte quelle per le quali complottano. (4 ottobre 1977) *Da Fanfani, al Senato. È talmente infuriato che diventa perfino sincero. «Dica al suo amico che è un traditore!» «Perché non glielo dice lei?» Mi spiega che Forlani non mira alla segreteria del partito, come io credevo, ma alla presidenza del Consiglio, quando Andreotti sarà consumato. Mi dice anche che condivide l'idea di Donat-Cattin di lasciare il Quirinale a un laico. «Altrimenti fra noi democristiani ci sbraniamo e ci sbrachiamo nella corsa a chi concede di più ai comunisti.» È sincero anche stavolta, o lo dice perché, avendo perso ogni speranza per sé, vuole prepararsi un buon argomento per Maria Pia («Stavolta toccava ai laici»)? (29 ottobre 1977) *A cena da Gervaso con Cossiga. Non si lamenta dei nostri attacchi, ma sono io a dirgli: «Noi esprimiamo lo scontento, e talvolta la rabbia, della pubblica opinione. La gente vuole un ministro degl'Interni che agisca e che faccia agire la polizia». «Ma lei sa com'è ridotta la polizia?» «In qualunque modo sia ridotta, siete voi che l'avete ridotta così. E quindi sta a voi rimediare.» Mi dice che non c'è da farsi illusioni: la situazione si aggraverà. Il terrorismo è finanziato coi sequestri, ha solidi agganci internazionali, e segue una tattica ben studiata. «L'attentato a lei fu un errore. Se a essere colpite fossero le personalità di rilievo, la gente media, cioè la grande massa della popolazione, sarebbe tranquilla. Invece hanno deciso di colpire i gradi subalterni – consiglieri comunali della Dc, capireparto della Fiat eccetera – per togliere il sonno a tutti.» Forse è vero. (29 ottobre 1977) *Quattro revolverate in faccia a [[Carlo Casalegno|Casalegno]], che ora è grave. Alzano la mira. (16 novembre 1977) *«La Stampa» riporta tutti gli articoli di solidarietà per Casalegno apparsi sugli altri giornali. Ma omette il mio, ch'era forse il più caldo: la solidarietà nostra la imbarazza. (18 novembre 1977) *Casalegno è morto. Ho telegrafato alla vedova, ma non al figlio – iscritto a [[Lotta Continua|Lotta continua]] –, né a [[Arrigo Levi|Levi]] e ai colleghi della «Stampa». Purtroppo, la loro faziosità condiziona la nostra solidarietà. Al funerale andrà Biazzi. (29 novembre 1977) *Incontro risolutivo a Roma tra Ferrauto e quelli della Sipra. Affare fatto e a condizioni molto più favorevoli di quelle sperate. Sei miliardi e settecento milioni come minimo annuo garantito, per cinque anni. Firmeremo il compromesso martedì 16. (10 maggio 1978) *Vista in tv la cerimonia funebre per Moro in San Giovanni Laterano. Dentro la basilica, tutti i dignitari Dc e quelli Pci inginocchiati sotto la mano benedicente del papa. E, fuori, la piazza sventolante di bandiere bianche e rosse. Non ho potuto fare a meno di rilevarlo in un "Controcorrente". (13 maggio 1978) *Batosta comunista alle amministrative parziali di ieri (4.000.000 di elettori). La Dc sale dal 38 al 42 per cento, il Pci scende dal 35 al 26. Successo dei socialisti che guadagnano il 4 per cento. Un risultato sconvolgente (in positivo). Uniche delusioni: il guadagno – sia pur minimo – del Pri, e la mancata rianimazione del Pli. (15 maggio 1978) *Firmato oggi l'accordo con la Sipra. Minimo garantito: 6.800.000.000 all'anno per cinque anni. Il presidente, D'Amico, è un ex operaio della Fiat, ora deputato comunista: un uomo concreto, franco, di poche parole. Era più soddisfatto lui dell'accordo con noi, che il direttore generale, il democristiano Pasquarelli. Io ho fatto la mia parte, da buon attore. Arrivato all'ultimo momento, ho detto: «Per impedire ripensamenti ed equivoci, trasformiamo il compromesso in vero e proprio contratto, e firmiamo subito». Lo champagne era già pronto. (16 maggio 1978) ==''I protagonisti''== *Nel settembre di quell'anno {{NDR|1956}} il partito lo spedì {{NDR|[[Gian Carlo Pajetta]]}} a Mosca insieme a Pellegrini e a [[Celeste Negarville|Negarville]] per sentire direttamente da [[Nikita Sergeevič Chruščёv|Kruscev]] come ci si doveva comportare nella crisi, ormai aperta, dell'antistalinismo. Kruscev li accolse affabilmente, li invitò a cena. E qui, trascinato da bocconi e libagioni ad una espansiva euforia come spesso gli capita, a un certo punto disse: «Beh, ora vi voglio raccontare come strangolammo [[Lavrentij Pavlovič Berija|Beria]]». E descrisse l'agguato che gli avevano teso al Cremlino, come gli erano saltati addosso e come gli avevano serrato la gola con le mani fino alla soffocazione. Lo descrisse ridendo allegramente, forse senz'accorgersi del pallore che soffondeva il volto dei suoi ospiti, o per lo meno quelli di Pajetta e di Negarville.<br />L'indomani li convocò nuovamente e, come non ricordando affatto ciò che gli aveva raccontato la sera prima, disse loro in tono solenne: «Beh, ora vi farò sentire il processo di Beria registrato sul nastro». E glielo fece sentire davvero come lo avevano inventato ''post mortem'', con la voce del defunto falsificata.<br />Quando si ritrovarono fra loro, Negarville e Pajetta si guardarono con gli occhi pieni di lacrime. «Ma allora – dissero –. Ma allora...». E non aggiunsero altro. (pp. 66-67) *{{NDR|Su [[Anna Magnani]]}} Ci sarebbe da scrivere un trattato sul modo di usare Anna. La prima precauzione da prendere è quella di non farla ritrovare in mezzo a estranei. Timida com'è, pur dopo un'esistenza trascorsa sotto i ''flashes'', la gente la raggela e la chiude in un mutismo ostile o l'aizza ad atteggiamenti protervi. Delle poche persone che le ho presentato, l'unica che la sedusse immediatamente fu il mio collega [[Augusto Guerriero]], perché il discorso cadde sui cani e sui gatti: e questo è un argomento su cui il cuore di Anna si scioglie e la mente le si ottenebra. Si mise in testa che noi due, con un articolo, potevamo far riformare la legge sulla protezione degli animali. E invano cercammo di dimostrarle che il problema non era di leggi, ma di costume. Non sentì ragioni. Dovemmo prometterle l'articolo (che poi infatti scrivemmo). (pp. 177-178) *{{NDR|Su [[Ignazio Silone]]}} Leggendo i suoi primi romanzi, ''Fontamara'', ''Pane e vino'', ''Il seme sotto la neve'', e pur ammirandoli, ero caduto in abbaglio sull'autore. Lo avevo preso per uno di quegl'industriali dell'antifascismo che, riparati all'estero, avevano trovato nella universale avversione alla dittatura una comoda scorciatoia al successo dei libri di denunzia. Lo consideravo insomma un profittatore del regime a rovescio (come del resto ce ne sono stati). E una conferma mi era parso di vederla nel fatto che finito, col fascismo, l'antifascismo, parve finito anche il narratore Silone.<br />Poi vennero ''Una manciata di more'', ''Il segreto di Luca'', ''La volpe e le camelie''. Ma vennero soprattutto alcuni saggi politici che mi costrinsero a ricredermi. Ed era proprio questo che non riuscivo a perdonargli. Mi era antipatico non per i suoi, ma per i miei errori. Più lo conoscevo attraverso i suoi scritti, e più dovevo constatare che non solo egli non somiglia affatto al personaggio che m'ero immaginato, ma che anzi ne rappresenta la flagrante contraddizione. (pp. 180-181) *{{NDR|Su ''[[Ignazio Silone#Uscita di sicurezza|Uscita di sicurezza]]''}} Come documento umano, non ne conosco di più alti, nobili e appassionati. Fenomeno unico, o quasi unico, fra gli sconsacrati del comunismo che di solito non superano mai più il trauma e trascorrono il resto della loro vita a ritorcere l'anatema, Silone non recrimina. Egli rifiuta i grintosi e uggiosi atteggiamenti del moralista, o meglio ne è incapace. Domenicano con se stesso, è francescano con gli altri, e quindi restio a coinvolgerli nella propria autocritica. Cerca di metterne al riparo persino [[Palmiro Togliatti|Togliatti]]; e se non ci riesce che in parte, non è certo colpa sua. Qui non c'è che un accusato: Silone. E non c'è che un giudice: la sua coscienza. (pp. 186-187) *Noi crediamo di scoprire dei modelli. In realtà non scopriamo che degli antenati. [[Carlo Cassola|Cassola]] s'illude di aver imparato da [[James Joyce|Joyce]] quello che già sapeva. Joyce gli avrà fornito, al massimo, qualche mezzo tecnico per esprimerlo. Uno [[scrittore]] vero (e Cassola lo è) non cerca in un altro scrittore che se stesso. (p. 207) *{{NDR|Su [[Enrico Mattei]]}} Egli amava solo il [[potere]], e l'amore del potere esclude tutti gli altri. (p. 265) *{{NDR|Su [[Giulio Andreotti]]}} Andava anche, mi dicono, a messa insieme a lui {{NDR|[[Alcide De Gasperi|De Gasperi]]}}, e tutti credevano che facessero la stessa cosa. Ma non era così. In chiesa, De Gasperi parlava con Dio; Andreotti col prete. Era una divisione di compiti perfetta. (pp. 271-272) ==''Indro al Giro''== ===[[Incipit]]=== Il destino è stampato sulla carta d'identità e scritto nelle stelle. Indro Montanelli nasce il 22 aprile 1909, il primo Giro d'Italia prende il via il 13 maggio 1909. Stesso anno, stesso segno zodiacale: Toro. Potevano, queste due creature quasi gemelle, non percorrere un tratto di strada insieme? Potevano ignorarsi? ===Citazioni=== *Come i bersaglieri quando smettono di correre, così i ciclisti, quando cessano di pedalare ingrassano. *Il [[Giro d'Italia]] parla milanese, anche se poi, a vincerlo, è qualche toscano o qualche romagnolo. *I corridori sono come [[Anteo]]: il contatto con la loro terra gli dà forza. *Ma sapete voi con precisione che cosa sia una fuga, lo sapete? Non lo sapevo nemmeno io prima di vederla. Credevo che fosse l'uomo che, a un certo punto, si mette a pedalare più forte degli altri e li semina per via. Errattissima nozione. La fuga è invece un grande urlo e un gesto disperato che mettono d'improvviso in confusione tutta la carovana del Giro. *Quello della bicicletta è un mondo buono: e credo sinceramente che venga da questa bontà il fascino ch'esso esercita sulle folle. *Lasciatelo com'è questo Giro provinciale e festoso: lo sport di un popolo che, nella corsa verso il progresso meccanico, è rimasto alla bicicletta, tappa intermedia fra il cavallo e l'automobile, ritrovato artigiano e arnese di famiglia. *Se Parigi avesse il mare sarebbe una piccola Bari, ma non saprebbe accogliere i forestieri con tanto calore e sportiva cordialità. *Leoni, che oltre a tutto è un bellissimo ragazzo, ha una fidanzata la quale gli scrive raccomandandogli di non vincere, altrimenti troppe ragazze lo abbracciano porgendogli i fiori. Leoni è innamoratissimo della sua fidanzata ma non è certo per obbedire a lei che non vince. È solo per obbedire a [[Fausto Coppi|Coppi]] e restargli a fianco. *Gli assi possono permettersi di arrivare ultimi. E lo fanno senza risparmio. Possono permettersi di disprezzare i loro adoratori e lo fanno senza ritegno. L'adorazione rimane. *I corridori di bicicletta sono gente semplice, che non è mai stata in collegio. [...] Nessuno ha insegnato loro i dettami dello stile e della cavalleria. Li posseggono per natura. Difficilmente essi cercano di sminuire la vittoria dell'avversario e non gliene serbano rancore. Sono capaci di delicatezze che non credo esistano negli altri sport. *I corridori non si dovrebbero sposare; e, quando lo fanno, dovrebbero scegliere delle donne brutte. *È la specialità dei padri quella di sognare per i figli i trofei che loro non convengono, ed è la specialità dei figli quella di procurarsi trofei che ai loro padri non piacciono. ==''Le nuove Stanze''== *Ribadisco la mia avversione alla pena di morte. Ma non me la sento d'impartire lezioni a chi tuttora la pratica. Non mi pare che, con la Giustizia che ci troviamo in casa, noi italiani possiamo impartire lezioni agli altri. (p. 46) *Toglietevi la parrucca, cari storici italiani. E invece di continuare a parlarvi tra voi, parlate, andando incontro alle sue curiosità, alla gente comune, quella che ha più bisogno del vostro sapere, e che sa benissimo distinguere il volgare pettegolezzo dall'aneddoto illuminante, di cui gli storici stranieri, soprattutto inglesi, compreso [[Denis Mack Smith|Mack Smith]], sanno fare buono e largo uso. (p. 81) *Io non sono piemontese né savoiardo, e la tradizione della mia famiglia è, caso mai, repubblicana. Ma la verità sono abituato a rispettarla, e non ad accomodarmela secondo i miei gusti e pregiudizi. Nel '46 votai monarchico non perché ero amico di Umberto e di Maria José, che sarebbero stati un Re e una Regina esemplari. Ma perché capivo ch'essi rappresentavano l'unico filo che ci legava all'unica nostra tradizione nazionale: il Risorgimento. La rigiri come vuole [...] ma la verità è questa: che senza Risorgimento non esiste una Storia nazionale italiana, e senza i Savoia non esiste Risorgimento. Ecco perché io dico e ripeto che la Repubblica italiana può tenere i Savoia [...] fuori dal territorio italiano. Ma chi tenta di estrometterli dalla Storia d'Italia, se non è un analfabeta è certamente un falsario. (pp. 112-113) *{{NDR|[[Luigi Cadorna]]}} Fu un generale di grande e inflessibile carattere, ma non un grande stratega. La sua fu dal primo all'ultimo giorno una guerra «di posizione», e quindi di logoramento, muro contro muro. Una «manovra» non la tentò mai, anzi non la concepì nemmeno. Stava [...] al «Regolamento», secondo il quale «le battaglie si vincono sulle cime». Sicché quando arrivò un battaglione tedesco al comando di un giovane capitano di nome Rommel che [...] s'insinuò nottetempo nelle valli, tutto il nostro schieramento ne venne preso alle spalle, e si liquefece, consentendo a Rommel di arrivare fino al Piave, dove si fermò: non per la resistenza dei nostri [...] ma per la mancanza di rifornimenti e di munizioni, che non avevano fatto in tempo a seguirlo. (pp. 118-119). *Quanto alla somiglianza fra noi e gli spagnoli, sì, c'è. Io, in Spagna, mi sento come a casa mia. Una sola cosa ci trovo in più: una dimestichezza con la morte che dà ai valori della Vita (la Dignità, il Coraggio, l'Onore) un peso ben diverso da quello che hanno da noi. E glielo invidio tanto. (p. 157) *Quanto alla sua supposizione che, se non ci fossero stati i russi, gli Alleati non avrebbero potuto sbarcare in Normandia e salvare i loro regimi democratici, mi permetta di sorriderne. Hitler perse la [[Seconda guerra mondiale|guerra]] prima ancora di dichiararla, quando scatenò la persecuzione razziale, che mise il mondo di fronte alla pretesa della sua «razza eletta» al dominio del pianeta e costrinse alla fuga il fior fiore della Scienza ebraica, che diede all'America la bomba atomica, la quale avrebbe reso superfluo anche lo sbarco in Normandia. (pp. 177-178) *In [[Alessandro Pavolini|Pavolini]] [...] è riassunto il dramma di una generazione che nel fascismo era cresciuta [...] e si sentiva impegnata a crederci anche in quell'ultima disperata fase. In lui ritrovo un po' di quel [[Berto Ricci]] [...] che, partendo volontario per la Libia, mi disse: «Una volta, nella vita, ci si può convertire. Io già lo feci rinnegando, per il fascismo, il mio passato di anarchico. Ora col fascismo devo morire». E morì. (p. 192) *Come lei certamente sa, furono i russi a giungere per primi sul famoso bunker di Berlino, fra le cui macerie si diedero subito a cercare il cadavere del Fuhrer, e lo trovarono, ma quasi completamente carbonizzato (egli aveva lasciato ai suoi l'ordine di bruciarlo con una tanica di benzina). D'intatto era rimasto solo il teschio con la sua dentatura costellata di ponti e protesi. Immediatamente fu ricercato e trascinato sul posto l'odontoiatra che glieli aveva sistemati. Dapprima gli fu chiesto in cosa erano consistiti i suoi interventi. Poi vi fu messo davanti, e lui li riconobbe senza esitazioni. Quel giorno il poveretto non tornò a casa. Dopo alcuni anni si seppe che esercitava il suo mestiere in non so quale città di provincia russa, ma sotto stretto controllo della polizia. Dopo qualche altro anno poté tornare in Germania, ma in [[Repubblica Democratica Tedesca|quella comunista]], sotto il controllo di una polizia ancora più efficiente di quella sovietica, e lì morì, non so quando. Perché i sovietici vollero sempre mantenere quel segreto? Perché alla loro propaganda [...] faceva comodo accreditare la favola di un Hitler salvato dagli americani, che lo tenevano sotto naftalina in qualche loro dorato ripostiglio per poterlo un giorno utilizzare in una nuova guerra contro la Russia. (pp. 257-258) *Da anticomunista, oserei dire «storico» quale mi considero, io sono pieno di rispetto sia per i Nagy nostrani quali i D'Alema e i Veltroni, che per i Kádár, quali i Cossutta e i Diliberto. Non so se come classe dirigente siano il meglio. Ma come sincerità di conversione democratica, ci credo (come credo, intendiamoci, a quella di un Fini, anche se viene da un passato molto meno intenso, drammatico e dilacerante di quello comunista). (p. 306) *{{NDR|A [[Mario Tuti]]}} Ho ben presente [...] il suo nome e il suo volto, e le azioni terribili che lei ha compiuto. [...] Da come scrive [...], lei è in grado di capire [...] quello che dico. È vero che «sul nemico vinto non si infierisce»: ma il sangue non si cancella con la gomma delle parole. Solo le vittime possono concedere il perdono; e io non sono stato, fortunatamente, davanti al mirino della sua pistola. Solo la giustizia può concedere sconti: e io non sono un magistrato. Non ho invece difficoltà a condividere una sua osservazione: alcuni disgraziati [...] sono più disgraziati di altri. E [...] i disgraziati di destra se la passano peggio dei disgraziati di sinistra, che hanno di solito qualche amico di gioventù ben piazzato, in grado di dare una mano. Ma il perdonismo peloso di alcuni non può giustificare la distrazione di tutti. (p. 322) *[[Yasser Arafat|Arafat]] non ha mai avuto né uno Stato, né un esercito, né un titolo che lo qualificassero a parlare a nome del suo popolo. Erano il carisma, l'autorità, il prestigio suoi personali che gli permettevano di svolgere questo compito. Ma questo dipendeva dal fatto che il suo popolo glieli riconosce in quanto si sente da lui «rappresentato». [...] Io sono e mi sento profondamente filo-israeliano perché negli ebrei riconosco i miei fratelli e in molte cose anche i miei maestri (anche se non sempre facili). Ma appunto per questo apprezzo ed ammiro gli Hussein, i Sadat e gli Arafat. Ai quali si possono anche rimproverare degli errori nella conduzione della loro politica. Ma non certo le intenzioni e il coraggio. Arafat è brutto [...] e non so come facciano i suoi amici (e i suoi nemici) [...] a ricambiarne i baci. Ma di quelli suoi credo proprio che ci si possa fidare. Che Dio, anzi Allah, ce lo mantenga ancora per molti anni. (pp. 387-389) *Come veterano del ''Corriere'' e un po' depositario della tradizione di una certa civiltà nei rapporti fra i suoi uomini, io rimasi offeso non dal licenziamento di Spadolini [...] ma dall'insolito modo – che io definii appunto «guatemalteco» – in cui era stato trattato e da cui trapelava la mano di un [[Giulia Maria Crespi|editore]] che, anche se portava il nome di quello vecchio [...], intendeva introdurre nuove regole nella gestione del giornale, di cui era praticamente diventata [...] la titolare. E lo dissi, e lo scrissi, e lo ripetei in varie interviste. Forse tuttavia questo strappo si sarebbe potuto rammendare se il cambiamento del direttore non avesse comportato anche un cambiamento di linea politica che saltava agli occhi di chiunque non volesse tenerli chiusi. [...] Quando dal ''Giornale'' uscii per ragioni abbastanza analoghe a quelle che mi avevano spinto fuori da via Solferino, il primo a venirmi incontro fu il direttore del ''Corriere'', Paolo Mieli, che [...] mi offrì il suo posto: un gesto che non dimenticherò mai. Avrei potuto [...] accettarlo solo a titolo onorario. Ma non potevo abbandonare gli uomini che ancora una volta mi avevano seguito. Da quel momento però fu chiaro che il ''Corriere'' era ridiventato quello che noi, vent'anni prima, avremmo voluto che restasse. Ecco perché, al termine delle mie battaglie e delle mie sconfitte (che considero il mio blasone), sono tornato al ''Corriere''. (pp. 406-408) *I politici della Sinistra, compresi i componenti dell'attuale «squadra» governativa sono dieci, venti, cento volte meglio della loro ''intellighenzia''. Anche se dicono fregnacce, le dicono a bassa voce, senza salire in cattedra, di dove l'''intellighenzia'' invece non scende mai, nemmeno per andare in bagno. (pp. 477-478) *Spero che ora avrai capito cos'è la mia dichiarazione di voto: non un sì all'Ulivo, da cui spero poco, ma in compenso non temo niente; ma il no a un Polo che, se riportasse davvero la schiacciante vittoria che si aspetta il suo ''Caudillo'', potrebbe creare nel nostro Paese una situazione davvero inquietante. Un voto di difesa sarà dunque il mio, come lo è sempre stato da oltre cinquant'anni a questa parte. (p. 496) *Sappi soltanto che, passato per una ventina di anni – quelli del ''Giornale'' – per «fascista» e negli ultimi dieci per «comunista», me la rido di entrambe le etichette. (p. 536) ==''Le Stanze''== ===[[Incipit]]=== Di tutta la mia attività giornalistica [...] considero questi colloqui col lettore come l'impegno che mi è riuscito meglio, o meno peggio. Se qualcuno mi chiedesse: «Cosa vorresti che, dopo di te, di te rimanesse?», risponderei senza esitare: «Questi colloqui». Mi rendo conto che un'affermazione del genere può apparire demagogica: in fondo, perché dovrei preferire queste risposte quotidiane [...] alla ''Storia d'Italia'' o agli ''Incontri''? È presto detto: perché, grazie a lettere e risposte, ho potuto restare vicino ai miei lettori, che mi hanno ricordato – con più o meno garbo, ma sempre con affetto – quello che un giornalista non deve mai scordare: che i padroni sono loro. ===Citazioni=== *Io non ho mai conosciuto un conservatore inglese che abbia mosso a Churchill il rimprovero di essersi alleato con Stalin – altro che il naso dovette strizzarsi! – quando le armate di Hitler spazzavano tutta l'Europa. Ma trovo ancora degl'italiani [...] che danno la colpa a me dello stato di necessità in cui ci trovammo nel '48 e nel '76 e che rendeva obbligata la nostra scelta. Oggi che il muro di Berlino ci ha liberato dall'incubo del comunismo [...], è facile fare processi a chi non aveva in mano altra arma elettorale che il voto alla Dc. Ed una cosa mi chiedo: tutti questi intransigenti eroi dell'anticomunismo, che oggi mi scrivono lettere d'insulti accusandomi di averlo tradito, dov'erano al tempo del comunismo vero, quando io ero uno dei pochissimi a combatterlo di fronte [...], e loro, incontrandomi per strada, fingevano di non conoscermi? (p. 12) *Hiroshima, se fossi americano, non porrebbe [...] nessun caso di coscienza. L'arma atomica era in fase di studio e di preparazione sia in Germania che in America, e si poteva supporre che lo fosse anche in Russia e in Giappone. Avrebbe vinto la guerra e deciso le sorti del mondo chi ci fosse arrivato per primo. Hiroshima fece della popolazione civile, dicono, duecentocinquantamila vittime. Quante ne risparmiò inducendo alla resa i giapponesi che sembravano vicini all'olocausto? E quanto servì a smorzare la pretesa sovietica d'imporre il suo «diktat» a tutta l'Europa? [...] Essa a tal punto sorprese Stalin che dapprincipio non ci volle credere [...]. Nessuno può applaudire un massacro come quello di Hiroshima né andarne fiero. E posso capire come coloro che vi hanno partecipato dandone l'ordine o eseguendolo possano aver avuto dei problemi di coscienza. Ma gli aviatori inglesi che rasero al suolo l'inerme Dresda abitata solo da civili, facendo tra di loro pressappoco lo stesso numero di vittime che a Hiroshima, questi problemi, da quanto se ne sa, non li ebbero. Forse che la guerra all'atomo è più crudele di quella al fosforo? (p. 62) *De Gasperi non fu mai uomo di partito. E fu proprio per questo che riuscirono ad emarginarlo con tanta facilità, relegandolo in una Presidenza grondante omaggi ed ex voto, ma priva di qualunque potere reale. È vero che lui non lottò, anche perché era ormai a corto di fiato. Glielo toglieva non solo l'azotemia, ma anche il fallimento della Ced, la Comunità Europea di Difesa su cui De Gasperi fondava [...] i suoi sogni di salvezza e di grandezza europea, che i francesi di Mendès-France condannarono al naufragio. [...] De Gasperi era uomo di Stato, l'ultimo che l'Italia ha avuto dopo Giolitti. Ecco perché [...] non ha né può avere eredi. (p. 86) *{{NDR|[[Che Guevara]]}} Era uomo di Rivoluzione, che mai si sarebbe rassegnato ad una comoda esistenza di ben pasciuto gerarca. Doveva tornare alla Rivoluzione, pur consapevole della sua impossibilità in Paesi che lui ben conosceva, ma appunto proprio per questo: per cercare una morte coerente con la sua vita. [...] Avessi trenta o quarant'anni di meno, anch'io forse avrei nel mio modesto appartamento una stanza attrezzata a mausoleo del Che, e lo conserverei come souvenir di un Sogno sbagliato, ma pulito, e comunque pagato. È a coloro che non vogliono mai pagare nulla che va tutto il mio disprezzo. (p. 121) *Non mi stupirei [...] se il ragazzotto Clinton, nei suoi anni da governatore, avesse ingannato la noia dell'Arkansas inseguendo le minigonne di passaggio. [...] Il paragone con Berlusconi mi sembra un po' stiracchiato. Se Clinton venisse trovato colpevole, sapremmo che è un adultero (affari suoi); se Berlusconi venisse condannato, sapremmo che è un corruttore non occasionale (affari anche nostri, dal momento che s'atteggia a statista). (p. 154) *Mi permetto solo di aggiungervi qualcosa sull'imbecillità, l'ipocrisia e i vaniloqui delle nostre «anime belle» pronte a cadere in deliquio e a mobilitare le piazze per un O'Dell che, anche se qualche tenue dubbio sulla sua colpevolezza poteva sussistere, uno stinco di santo certamente non era, e per una Karla Tucker, rea confessa, anche se poi arcipentita e sinceramente convertita al credo della carità cristiana (e, sia chiaro, anch'io avrei per entrambi preferito la revoca della pena di morte); ma sono rimaste impassibili o quasi di fronte alla proposta condanna di lapidazione (di lapidazione!) di un cittadino tedesco e della sua compagna iraniana, rei di aver fatto l'amore (soltanto l'amore). Queste sono le nostre «anime belle» laiche ed ecclesiastiche, pronte a commuoversi e a sproloquiare contro la sedia elettrica americana [...], ma indifferenti alla lapidazione [...] per una «contaminazione» di lenzuola cristiane e musulmane. Io [...] queste anime belle – che oltre tutto hanno quasi sempre delle facce bruttissime e jettatorie – le odio di un odio viscerale. (p. 206) *Sul nemico vinto e che si riconosce vinto non s'infierisce. In fondo questi brigatisti hanno avuto, nella sconfitta, una loro dignità. Non sono dei «pentiti» al modo dei mafiosi e camorristi che si pentono per procurarsi dei vantaggi e denunziano i propri ex compari. Non sono dei delatori. Sono, a loro modo, dei prigionieri di guerra, di una guerra grazie a Dio finita con la nostra vittoria, e che quindi, sia pure con le debite precauzioni, possiamo rimandare a casa. Non è vero che non hanno pagato: me ne citi uno che non abbia scontato quindici o vent'anni di galera e che non ne abbia distrutta la vita. Qualche sconto possiamo farglielo: la generosità è segno di forza, non di debolezza. (pp. 283-284) *In una società «aperta» come la nostra, che rende impossibile qualsiasi controllo e in cui il sequestro è un'industria di antica tradizione che dispone di un personale altamente specializzato; e con una Giustizia che invece di affibbiare un ergastolo senza indulgenza ai colpevoli, si accontenta di infliggergli qualche anno alleviato dai permessi di libera uscita; cosa possono fare le forze dell'ordine? Starebbe a noi cittadini trovare quella di resistere al ricatto. Da noi italiani tenerelli non si può pretendere tanto? E sia. Ma allora abroghiamo la legge. Perché, come italiano, nulla mi ha mortificato di più che sentire [...] [[Giovanni Maria Flick|un ministro della Giustizia]] e alcuni dei più alti dignitari della toga proporne un'interpretazione che costituiva un chiaro invito a evaderla suggerendo il cavillo a cui ci si poteva aggrappare per legalizzare la contravvenzione. [...] No, a questo non ci sto. Cerchiamo almeno di avere il coraggio della nostra vigliaccheria riconoscendo che, dati i pericoli che possono comportare, i risoluti «No!» al sopruso non appartengono al nostro armamentario caratteriale, e aboliamo la legge. Ma non perché è sbagliata: in sé quella legge è sacrosanta. Ma perché noi cittadini non abbiamo la forza di adeguarcisi e coloro che dovrebbero imporcerne l'osservanza [...] ci suggeriscono il modo di evaderla. Questo è il cosiddetto «Paese reale». (p. 286) *Che un processo possa essere oggetto di revisione è, per il cittadino, una garanzia irrinunciabile, specie quando si tratta di processi indiziari, e quindi rimessi a valutazioni soggettive e pertanto sempre discutibili. Nessuno è infallibile, nemmeno i giudici, e quindi il diritto di appello è sacrosanto. Quello che sacrosanto non è, sono gl'interminabili tempi che questa operazione solitamente richiede, dovuti a due motivi chiaramente visibili: i grovigli procedurali in cui il processo è avvolto, delizia del genio cavillesco italiano, e l'inefficienza del personale che vi è addetto. (p. 327) *Che cosa io pensi dell'onorevole [[Cesare Previti|Previti]] mi pare di averlo detto in termini talmente espliciti da apparire – a più d'uno – brutali: un personaggio che solo a guardarlo in faccia verrebbe voglia di applicargli le manette ai polsi prima ancora di sapere chi è e cosa ha fatto. (p. 356) *Non credo che, all'apertura totale delle frontiere, avremo un Parma composto soltanto di irlandesi, o una Cremonese modello ellenico. Avremo invece un vero mercato, dove il costo e lo stipendio di un professionista verranno stabiliti in base alla domanda e all'offerta. È questo ridimensionamento, mi sa, che non piace ai calciatori nostrani. Non la «sottoutilizzazione delle risorse sportive nazionali e locali». Non penso che i nostri calciatori abbiano altri motivi di preoccuparsi. Perché mai dovrebbero venire accantonati? Sono tra i più bravi del mondo, e la bravura, per un professionista (che calci una palla o calchi una scena), è la garanzia migliore. (p. 379) *Le mie dimissioni da italiano sono soltanto quelle da una grande illusione: quella che l'Italia fosse una Patria da potere in qualche modo servire. Io, pur commettendo parecchi errori, ho cercato di farlo. Ma forse, di questi errori, il più grosso è stato quello di credere che fare si potesse. A consolarmene c'è una cosa sola: che questo errore lo hanno commesso tutti i migliori uomini che l'Italia ha avuto nel suo secolo e mezzo di vita unitaria. (pp. 410-411) ==''Pantheon minore''== ===[[Incipit]]=== '''Einaudi'''<br>Avendo saputo che sollecitavo l'onore e il piacere di incontrarlo, il Presidente, che non mi aveva mai visto, trovò del tutto naturale invitarmi a colazione. «Quando vuol venire?» mi fece chiedere, «giovedì mattina, per esempio?» Giovedì voglio stappare una nuova bottiglia del mio 'barolo' e ci sarà anche la signorina Barbara Ward dell{{'}}''Economist''. Vino piemontese, giornalismo ed economia politica, pensa: sarebbe difficile sorprendere [[Luigi Einaudi|Einaudi]] in una cornice più einaudiana di questa. ===Citazioni=== *{{NDR|Luigi Einaudi}} E in quei pochi minuti aveva ancora tante cose da dire a due giornalisti per ricordare loro, [[Alessandro Manzoni|manzonianamente]], che l'[[uomo]] è «buono», come dice [[Jean-Jacques Rousseau|Rousseau]], ma tale può diventare solo in grazia delle buone istituzioni (in ciò consiste la sua posizione conservatrice e cattolicamente pessimistica). *[[Ingrid Bergman]] è forse la sola persona al mondo che non consideri Ingrid Bergman un'attrice completamente riuscita e definitivamente arrivata. (p. 195) *Non ho mai visto in vita mia, nemmeno nei film di cui la Bergman è protagonista, una donna così trasparentemente pulita. (p. 195) *Ogni buon [[padre]] di [[famiglia]] deve, al principio della giornata, sapere quanto la famiglia ha in cassa e quanto può spendere.<br>Einaudi conosce a memoria le cifre dell'economia italiana, come i re che lo precedettero conoscevano a memoria i nomi e i motti dei reggimenti. *«''Venez, mademoiselle, venez''», disse [[Anatole France]] a [[Emma Gramatica]] che, poco più che ventenne, si trovò un giorno a viaggiare con lui in automobile a Palermo, e aveva paura di essere troppo ingombrante sul sedile. «''Vous êtes comme les anges, qui n'ont pas de derrière!''»<br>Qualcosa come mezzo secolo dev'esser trascorso da allora, ed Emma somiglia un po' meno a un angelo, ma grassa non la si può dire nemmeno adesso. La vita che mena, d'altronde, non lo consentirebbe di diventarlo. Alla sua età, ha girato per tre anni consecutivi, tutti i teatri dell'America del Sud, volando da Buenos Aires a Santiago, da Santiago a Lima, da Lima a Caracas, e recitando una sera in italiano e la sera dopo in spagnolo, lingua che, sino al momento di partire, ignorava totalmente. Ora è tornata per girare un film con [[Vittorio De Sica|De Sica]], e sono fatiche a cui molti giovani non resistono. *Il [[fascismo]] trovò, tra i suoi oppositori più accaniti, [[Mario Missiroli]], che si batté a duello con [[Benito Mussolini|Mussolini]]. Egli non credette alla [[forza]] e al successo delle «camicie nere» fino al [[giorno]] in cui, mentre cercava faticosamente di salire sul tram, uno squadrista che lo incalzava, dopo avergli inflitto una serie di spintoni, non gli ebbe affibbiato, in risposta alle sue proteste, due sonori schiaffi che gli fecero volar via gli occhiali cerchiati d'[[oro]]. Mario li raccolse con [[dignità]], vi fiatò sopra, li ripulì col fazzoletto e concluse in tono ammirativo: «Però!... Picchiano bene, veh!...» ==''Qui non riposano''== *{{NDR|Sulla [[guerra d'Etiopia]]}} Quella fu una guerra ideale, la guerra-tipo della borghesia italiana: con pochi morti e molte medaglie. Io presi a capirne la miseria solo all'ultimo capitolo: quando, per la marcia su Addis Abeba, cominciarono a piovere dall'Italia e da Asmara gerarchi e aspiranti gerarchi, smaniosi di gloria a buon mercato: e Badoglio dovette emanare un ordine per cui solo chi presentava "un biglietto di autorizzazione" poteva marciare sulla capitale nemica. Solo in tempo fascista si poteva escogitare un finale di guerra con un biglietto per la capitale nemica. (pp. 107-108) *Io non volevo far politica. Ha il diritto un uomo della strada di non far politica? Ha il diritto un uomo della strada a dire che il governo ha fatto bene a far questo e male a far quest'altro? Ha diritto un giornalista, che è un uomo della strada, il quale va a vedere e riferire le cose per conto degli altri uomini della strada, ha il diritto di riferire che i fatti si svolsero così e così, e che in essi c'era tanto il bello e tanto il brutto, tanto di giusto e tanto d'ingiusto? No, il [[fascismo]] disse che un uomo della strada non ha tutti questi diritti. Ecco perché diventai antifascista. Non perché al posto di [[Benito Mussolini|Mussolini]] ci volevo un altro, ma perché non ci volevo nessuno. Io volevo stare alla finestra, come stanno i giornalisti, mestiere di spettatore e non di attore.<ref>Citato in Paolo Granzotto, ''Indro Montanelli'', p. 92.</ref> (p. 189) *[...] volevo avere il diritto di non pensare alla [[politica]], di disinteressarmi della politica, perché la politica la gente dabbene non la fa. La gente dabbene lavora in ufficio, viaggia, commercia, produce, ama una donna che può anche essere sua moglie (come è il mio caso), ama i suoi figli, ama la sua casa, paga le tasse, e di politica ne parla un quarto d'ora al giorno. (p. 190) == ''Ricordi sott'odio'' == *''Non piangete | per | [[Cesare Zavattini]] | ha già pianto | lui per tutti noi.''<ref name=ricordi>Il libro raccoglie gli "epitaffi" scritti su personaggi al momento viventi (talvolta insieme a [[Leo Longanesi]]) e quasi tutti inediti.</ref> (p. IV dell'Introduzione di Marcello Staglieno) *''Qui | per la prima volta | [[Alida Valli]] | giace | sola''.<ref name=ricordi/> (p. 11) *''Qui | riposa | [[Amintore Fanfani]] | amico | dei nemici | nemico | degli amici | figlio | di [[Alcide De Gasperi|De Gasperi]] | padre | di nessuno.''<ref name=ricordi/> (p. 31) *''Qui | riposa | [[Mario Melloni]] | inquieto | transfugo | di sé stesso | momentaneamente | scomparso | a sinistra | in cerca | di una croce | su cui | inchiodarsi.''<ref name=ricordi/> (p. 65) *''Qui giace | Alba {{ndr|[[Alba de Céspedes]]}} | scrittrice scialba. | Divorò uomini e gloria | La Boria | la divorò''.<ref name=ricordi/> (p. 95) *''Qui | riposa | [[Mario Soldati]] | padre | figlio | autore | regista | interprete | di | Mario Soldati.''<ref name=ricordi/> (p. 123) *''Qui giace | [[Davide Lajolo]] | Segretario federale | Legionario di Spagna | Repubblichino di Salò | chiese | di passare all'anilina | la sua camicia nera. | E com'era | Rimase.''<ref name=ricordi/> (p. 179) *''In pace | qui giace | orbato | d'orbace | [[Achille Starace]].''<ref name=ricordi/> (p. 181) ==''Soltanto un giornalista''== *Da quando ho cominciato a pensare, ho pensato che sarei stato un giornalista. Non è stata una scelta. Non ho deciso nulla. Il giornalismo ha deciso per me. E questa è stata una delle mie tante fortune, posto che tutto quel che ho fatto lo debbo soprattutto a un alleato ch'è sempre rimasto al mio fianco: il caso. (p. 5) *Per sua disgrazia, [[Massimo Bontempelli|Bontempelli]] fu nominato accademico d'Italia da un fascismo che puzzava già di morto. Eletto senatore nelle liste del Fronte popolare dopo la guerra, non esitò a pronunziare giudizi brucianti su chi aveva collaborato col regime. Quel voltafaccia gli costò caro, perché a un certo punto saltarono fuori le lettere che aveva scritto a Mussolini per impetrare la sua nomina: i comunisti lo scaricarono e lui cadde in un tale stato di prostrazione da morirne. (p. 26) *A Salò ci fu di tutto. Ci furono le squadracce assetate di vendetta e di saccheggio che provocarono il disgusto agli stessi tedeschi. Ma anche uomini per i quali quello fu il banco di prova d'una coerenza e d'una lealtà che non possono non incuter rispetto. E l'unica ragione per la quale benedico le mie cosiddette benemerenze antifasciste è che mi han dato il diritto di difenderle. (p. 119) *Il 2 giugno del '46, giorno del referendum istituzionale, votai per la monarchia. Lo feci perché ritenevo fosse pericoloso recidere il tenue filo che legava l'Italia all'unica sua tradizione nazionale: quella monarchica, appunto. L'Italia non s'era "fatta da sé", come pretendeva la nostra storiografia ufficiale. Era stata fatta dalla monarchia sabauda guidata dal genio diplomatico d'un suo diplomatico, Cavour, che voleva estendere il Regno di Sardegna al Lombardo-Veneto. Se poi ci scappò fuori l'Italia, non fu grazie al contributo degl'italiani, che non ne diedero punto. Fu perché la storia dell'Europa andava verso la costituzione degli Stati nazionali, e condannava a morte quelli plurinazionali come l'Impero austriaco. [...] Al posto di quel patrimonio, sia pure modesto, cosa prometteva la Repubblica? Si presentava come depositaria dei valori della Resistenza, un mito ancora più falso di quello del Risorgimento. Che non era stata affatto, come pretendeva d'essere, la lotta d'un popolo in armi contro l'invasore, bensì una lotta fratricida tra i residuati fascisti della Repubblica di Salò e le forze partigiane, di cui l'80 per cento si batteva (quasi mai contro i tedeschi) sotto le bandiere d'un partito a sua volta al servizio d'una potenza straniera. (pp. 125-126) *Un'altra scelta s'era imposta, quella delle elezioni del '48. Per l'Italia era una scelta vitale: o con l'Est o con l'Ovest, ossia con i totalitarismi rossi oppure con le democrazie occidentali. Ergo, o con il Fronte popolare oppure con la Dc. E lì ebbe inizio il mio dramma, ch'è poi quello eterno del laico italiano: il quale, messo davanti al boia, vede comparire al suo fianco il prete che solo può salvarlo. (pp. 135-136) *Mi proposi due obiettivi, entrambi falliti: il primo era farmi intentare un processo dagli amministratori della città che attirasse l'attenzione sui pericoli che [[Venezia]] stava correndo. Il secondo era rendere pubblica la convinzione che m'ero formato: che per salvare Venezia la prima cosa da fare era sottrarla allo Stato italiano e affidarlo a un organismo internazionale come l'Onu, con le sue cospicue possibilità finanziarie e i suoi agguerriti uffici tecnici. [...] Il Comune di Venezia non aveva più nulla di veneziano, salvo la sede. A dominarlo erano gli elettori di Mestre e Marghera, che con quelli di Venezia si trovavano nella proporzione di tre a uno, e dalla loro avevano tutto: i soldi delle industrie, i sindacati e quindi anche i partiti. Decidendo di restare amministrativamente unita, Venezia ha preferito mettersi al rimorchio delle ciminiere e petroliere di Marghera, alle quali ha sacrificato il suo delicatissimo sistema idraulico. Fu allora che, con grande amarezza, feci atto di rinunzia a Venezia, convinto come ero, e come son rimasto, che una città si può salvare solo se sono i suoi abitanti a volerlo. (pp. 216-217) *Una sera, uscendo solo soletto dal «Giornale», mi trovai davanti il solito muro di folla tumultuante con le bandiere rosse spiegate. Dalla piazza si levò un urlo: «Tel chi el Muntanel!». In un attimo cinquanta scalmanati mi s'avventarono contro. Temendo il linciaggio, arretrai fino a trovarmi con le spalle al muro. Ma non feci in tempo a dire be' che mi ritrovai issato in spalla a una mezza dozzina d'energumeni, fra salve d'evviva. Erano i tifosi del [[Torino Football Club|Torino]] che quel giorno {{NDR|16 maggio 1976}} aveva vinto lo scudetto, e le bandiere non eran rosse, ma granata. E siccome i cronisti sportivi del «Giornale» erano sempre stati favorevoli al Torino, m'acclamavano come un loro idolo. (p. 241) *La Dc era il partito dei maneggi e dell'inefficienze. Ma se avesse perso il 4 o il 5 per cento dei suoi voti, il partito di maggioranza relativa destinato a formare il nuovo governo sarebbe diventato quello comunista. Ch'era ancora molto pericoloso. Perché è vero che in Italia c'era Berlinguer, ma io sapevo bene che col comunismo d'allora poteva ancora succedere di tutto: bastava un cambiamento al vertice e un Berlinguer poteva diventare un [[Alexander Dubček|Dubček]] come un [[Walter Ulbricht|Ulbricht]]. Il «Giornale» era certamente laico, ma prima di essere laico era italiano, e cercava d'operare con qualche senso di responsabilità. E negli anni Settanta solo gl'irresponsabili potevano augurarsi il crollo della Dc, cui eravamo condannati anche perché la cosiddetta Alleanza laica, l'accordo fra Pli, Pri e Psdi, non sortì mai i numeri per sostituirvisi. (pp. 243-244) *Ci fu un'unica battaglia sulla quale il «Giornale» si trovò allineato con Craxi e il nostro editore: quello per la libertà d'antenna. Battaglia sacrosanta. Berlusconi è tutt'altro che un idealista disinteressato e nessuno sa agire come lui aggirando, quando non calpestando, le regole. Ma i panni nobili coi quali i difensori della Rai rivestivano la loro offensiva politico-giudiziaria erano grotteschi. Se il peccato di Berlusconi stava nell'essere troppo amico del Psi, quello della Rai era d'essere troppo amica di tutti i partiti. A fornirci il destro furono poi i pretori coi loro interventi oscurantisti, peraltro prontamente sventati dai decreti di Craxi. E quindi la crociata dell'etere libero, che rientrava fra l'altro nella nostra tradizione antistatalista, divenne una campagna contro il "pretore selvaggio", che con i suoi abusi toglieva ogni certezza del diritto al cittadino. (pp. 275-276) *Le vere novità erano nate fuori dal Palazzo: come la Lega di [[Umberto Bossi]]. Che all'inizio anche il «Giornale», come molti altri, sottovalutò. Come si faceva a prender sul serio un invasato che nutriva le sue invettive di sfondoni storici e grammaticali da far accapponare la pelle? [...] Che Roma fosse ladrona, era indubitabile. E l'avversione per la burocrazia parassitaria e per il meridionalismo piagnone e sprecone andava a nozze con le tradizioni del «Giornale». Bossi quindi incarnava un sentimento molto diffuso anche fra i nostri lettori, una protesta genuinamente qualunquista che, per certi versi, all'inizio anche noi appoggiammo. Ma dovemmo prenderne le distanze quando Bossi cominciò a condire le sue contumelie contro il Palazzo con propositi secessionisti. (pp. 279-280) *Con Berlusconi, tuttavia, poi feci pace. Fu lui a telefonarmi: forse, aveva captato in qualche mio articolo un'ombra di rimpianto per il vecchio amico. Era il '96 e dopo il ribaltone le cose per lui si mettevano di male in peggio. [...] Così, una sera mi ritrovai di nuovo seduto alla sua mensa ad Arcore. [...] Riparlammo senza rancore dei nostri trascorsi. Gli domandai quale garanzia avesse ricevuto da [[Massimo D'Alema|D'Alema]] sulle sue aziende in cambio dell'opposizione inesistente che gli assicurava. Rise. «Ma perché, ora che hai sistemato i tuoi affari, non ti chiami fuori dalla politica?» gli chiesi. «È una parola» mi rispose rabbuiandosi. «I giudici non obbediscono neppure a D'Alema». E lì capii quale era, ormai, la vera sostanza del suo dramma. (p. 312) *Se anch'io sono diventato europeista, è per disperazione: l'Europa è forse l'unica possibilità di sopravvivere per noi italiani, che come italiani non siamo riusciti a vivere. Questo è sempre stato l'europeismo degl'italiani di più alta coscienza, a partire da [[Alcide De Gasperi|De Gasperi]], che fu il primo a capire i rischi d'un Italia lasciata in balìa degl'italiani. (p. 315) *Pur fra tante fortune, purtroppo a me la sorte ha riservato di portarmi nella tomba le due cose che ho più amato: il mio mestiere e il mio Paese. Che cosa sia diventato il primo, annientato da computer e televisione, è sotto gli occhi di tutti. Quanto al secondo, la cancrena è ormai inarrestabile e la decomposizione sta avvenendo per dissoluzione di quel poco che resta dello Stato. E dico decomposizione, non secessione. La secessione si fa anche con la violenza, e dove lo troviamo oggi un solo plotone di soldati disposto a imbracciare le armi pro o contro l'Unità dello Stato? Che, se resta ancora in piedi, è solo perché non ha neppure la forza di cadere. Quello di rinunziare alla nazione poi, è un sacrificio che non saprei compiere, anche se razionalmente mi rendessi conto ch'è necessario, oppure inevitabile. E ringrazio l'anagrafe che mi esclude dal problema. (p. 316) ==''Storia d'Italia''== {{vedi anche|Indro Montanelli e Roberto Gervaso|Indro Montanelli e Mario Cervi}} ===''L'Italia giacobina e carbonara''=== *I [[cinismo|cinici]] sono tutti moralisti, e spietati per giunta. (cap. 10, p. 144) *[[Francesco Melzi d'Eril|Melzi]] apparteneva a una delle più grandi famiglie dell'aristocrazia lombarda, e ne portava nel sangue le doti migliori: la rettitudine, la cultura, la cortesia, ma anche una certa alterigia, che probabilmente gli veniva dalla madre spagnola. (cap. 11, p. 152) *{{NDR|Francesco Melzi d'Eril}} Aveva fatto parte dei circoli illuministici dei Serbelloni, dei Beccaria e di Pietro Verri, di cui era anche cognato. [[Napoleone Bonaparte|Napoleone]] lo aveva conosciuto al tempo della sua prima campagna d'Italia, dopo la battaglia di Lodi lo aveva invitato a Mombello, e ne aveva fatto il proprio consigliere. Quel signore che portava ancora il costume settecentesco, le calze bianche e la parrucca incipriata, gli piaceva. Gli piaceva perché non era servile, perché non era venale, perché non era nemmeno ambizioso. Una leggera sordità e una salute piuttosto precaria, insidiata da un forte artritismo, l'obbligavano a riguardi incompatibili con l'esercizio del potere. Più che il protagonista, preferiva fare il suggeritore. (cap. 11, p. 152) *L'unico che avesse qualità di uomo di Stato era il ministro delle finanze, [[Giuseppe Prina|Prina]], anche perché era piemontese, cioè veniva da un paese che uno Stato lo era da secoli. Ex procuratore generale della Corte dei Conti di Torino e membro del governo provvisorio del '99<ref>1799.</ref>, si era poi trasferito nella [[Repubblica Cisalpina|Cisalpina]] e ne aveva preso la cittadinanza. Non aveva un carattere che attirasse simpatie. Anzi, chiuso e freddo com'era, le respingeva. Ma era un lavoratore instancabile e scrupoloso, dotato di un acuto senso politico e – diceva [[Stendhal]] – "ha del grande in testa". (cap. 12, p. 164) *Perché non andassero perse neanche le briciole {{NDR|delle entrate della Repubblica Cisalpina}}, Prina riformò tutto il sistema fiscale riducendone il personale e facendone una macchina di straordinaria efficienza. Fu lui a inventare la "tassa di famiglia", o meglio a ripristinarla, perché la sua vera iniziatrice era stata [[Maria Teresa d'Austria|Maria Teresa]]. Ma la maggior pressione la esercitò nel campo delle imposte indirette che colpivano tutti i consumi senza distinguere fra quelli di lusso e quelli di prima necessità. Naturalmente a farne le spese furono soprattutto le classi popolari, che di lì a pochi anni gliel'avrebbero fatta pagare<ref>Prina, dopo l'abdicazione di Napoleone, fu linciato dalla folla a Milano il 20 aprile 1814.</ref>. Ma con questi sistemi riuscì a portare le entrate da settanta a oltre cento milioni e a pareggiare il bilancio. (cap. 12, p. 165) *[[Carlo II di Parma|Carlo Ludovico]] era stato talmente oppresso dalla madre<ref>Maria Luisa di Borbone-Spagna (1782–1824).</ref> che sognava di disfare tutto ciò ch'essa aveva fatto, compreso il proprio matrimonio; e quando le successe nel '24<ref>Come duca di Lucca nel 1824.</ref>, introdusse anche per buona fortuna dei lucchesi, metodi di governo diametralmente opposti a quelli di lei. Ridusse l'appannaggio che Maria Luisa esigeva per alimentare i suoi fasti spagnoli, liberalizzò i commerci, e alla fine si convertì addirittura al luteranesimo, mentre sua moglie diventava Terziaria domenicana. Fu un cattivo marito, ma non un cattivo sovrano. E Lucca, sotto di lui, respirò. (cap. 25, p. 375) *[...], {{NDR|la [[Carboneria]]}} non fu certo una scuola di educazione politica, e probabilmente è anche al suo esempio e modello che sono dovute le malformazioni della nostra democrazia e la sua intrinseca debolezza. Figli e nipoti dei Carbonari furono quei "notabili" che governarono l'Italia fino alla prima guerra mondiale e che, insieme a innegabili virtù, ebbero anche il vizio di considerare il Paese una "clientela" di Apprendisti esclusi dai "sacri travagli". (cap. 26, p. 395) *Fu qui {{NDR|al Teatro alla Scala}} che {{NDR|[[Ugo Foscolo]]}} vide [[Antonietta Fagnani Arese]], già famosa a ventitré anni non soltanto per la sua bellezza, ma anche per lo sfruttamento intensivo che ne aveva fatto. Probabilmente era una frigida, ma che sapeva recitare la sua parte: tutti i giovani più in vista di Milano cadevano nelle reti di questa Circe, e forse fu anche questo a stimolarlo. (cap. 35, p. 510) *Misto di genio e di ciarlatano, [[Domenico Barbaja|Barbaja]] aveva debuttato come sguattero, aveva fatti primi soldi inventando un dolce di panna e cioccolato, la "barbajada", li aveva moltiplicati con la gestione del Ridotto da giuoco della Scala, e ormai tanti ne aveva che quando il San Carlo andò distrutto da un incendio, lo ricostruì a proprie spese. (cap. 39, pp. 608-609) *{{NDR|Domenico Barbaja}} Era semianalfabeta, e di musica non conosceva una nota, ma conosceva il pubblico, era un infallibile scopritore di talenti, e nel 1815 si assicurò quello di un compositore ventitreenne, in cui già aveva identificato la figura più rappresentativa della lirica contemporanea: [[Gioacchino Rossini]]. (cap. 39, p. 609) *{{NDR|[[Ciro Menotti]]}} Uomo onesto, ma di un candore che sconfinava nella sprovvedutezza, [...]. (cap. 40, p. 635) ===''L'Italia del Risorgimento''=== *{{NDR|[[Giuseppe Mazzini]]}} Due mesi d'intenso lavoro gli bastarono a maturare il piano. Più che una setta, la sua organizzazione sarebbe stata un vero e proprio partito, anche se clandestino, senza l'oscura simbologia e i complicati rituali carbonari. Si sarebbe chiamata ''[[Giovine Italia]]'' e lo sarebbe stata anche di fatto perché, salvo casi eccezionali, era preclusa a chi avesse superato i quarant'anni di età. (cap. 4, pp. 54-55) *D'irresolutezza, [[Carlo Alberto di Savoia|Carlo Alberto]] aveva dato prova anche prima di salire sul trono, e lo aveva dimostrato anche il suo contraddittorio atteggiamento nel '21<ref>Nei moti piemontesi del 1821, Carlo Alberto aveva prima dato e poi ritirato il suo appoggio ai congiurati.</ref>. Il coraggio e la volontà non gli mancavano; ma gli mancava il carattere. Nella guerra di Spagna era stato un valoroso combattente<ref>Nel 1823, Carlo Alberto aveva partecipato alla campagna militare per ristabilire l'assolutismo regio in Spagna.</ref>, e la disciplina a cui si sottoponeva era spartana. Ma le responsabilità morali lo sgomentavano. (cap. 9, pp. 135-136) *{{NDR|Carlo Alberto}} Non era né intelligente né colto. Ma certi movimenti di opinione pubblica e orientamenti di pensiero li coglieva e ne restava influenzato. Nel '38 aveva mandato in galera e poi in esilio [[Vincenzo Gioberti|Gioberti]], ma nel '43 ne leggeva con interesse il ''Primato''. Se [[Massimo d'Azeglio|D'Azeglio]] avesse scritto il suo libro<ref>''Degli ultimi casi di Romagna'' (1846).</ref> due anni prima, avrebbe mandato in esilio anche lui. Ora in pratica ne aveva fatto una specie di agente segreto. I tempi insomma li sentiva e con essi andava. (cap. 9, p. 136) *Questo grande soldato {{NDR|[[Josef Radetzky]]}} non aveva mai conosciuto sconfitte, e a ottant'anni suonati conservava intatte prestanza fisica ed energia morale. Come tutti i militari, credeva soltanto nella spada e nella disciplina. Ma non somigliava affatto all'immagine che di lui ci ha tramandato la storiografia risorgimentale: quella del crudele "impiccatore", del caporalaccio ottuso, grossolano e brutale. Era al contrario un grande signore, di tratto ruvido ma generoso, perpetuamente alle prese con problemi di bilancio perché aveva le mani bucate. (cap. 13, p. 194) *{{NDR|Radetzky}} Aveva sposato una Contessa austriaca che viveva a Vienna e gli aveva dato otto figli da cui non gli venivano che dispiaceri. Uno militava ai suoi ordini lì a Milano, ma era un così cattivo arnese che un prete un giorno lo schiaffeggio per strada. Radetzky mandò a chiamare il prete, gli strinse la mano e gli disse: "''{{sic|Crazzie}}''". Per amante si era presa una brava stiratrice lombarda che sapeva cucinare bene gli gnocchi, di cui era ghiottissimo, e dalla quale ebbe altri quattro figli. Non era affatto un odiatore degl'italiani: tant'è vero che, quando andò in pensione, rimase a Milano, e lì morì nel '58. Era soltanto un fedele servitore del suo Paese, di cui non discuteva la causa. E soprattutto era un vecchio lupo di guerra coraggioso, astuto e risoluto. (cap. 13, p. 195) *La notizia si diffuse prima ancora che lo [[Statuto Albertino|Statuto]] fosse firmato, e in un battibaleno le piazze di Torino, eppoi di tutto il Piemonte, eppoi di tutto il Reame, si riempirono di folla esultante. Essa non conosceva il contenuto del documento che introduceva, sì, un regime rappresentativo, ma circondandolo delle maggiori cautele [...]. Più che del suo contenuto, la pubblica opinione era innamorata della parola ''Costituzione'', che aveva finito, per assumere ai suoi occhi magici significati, e la salutava con luminarie, canti e bandiere. (cap. 14, p. 218) *[...] [[Francesco Anzani|Anzani]], il più serio e autorevole degli esuli italiani, che aveva combattuto per la libertà in Grecia e in Spagna. Le sue parole avevano gran peso anche perché fra tutti quei chiacchieroni, ne pronunziava poche. (cap. 18, p. 281) *[...] [[Giuseppe Montanelli|Montanelli]] era così infatuato {{NDR|del progetto di Costituente italiana}} e tanto ne parlava nei suoi discorsi che il popolino – dicono – finì per credere che la Costituente fosse il nome di sua moglie. (cap. 19, p. 298) *[[Pellegrino Rossi|Rossi]] era un toscano della Lunigiana, ma solo all'anagrafe. Come formazione e mentalità, apparteneva ancora a quel tipo di {{sic|apòlidi}} che l'Italia del Settecento sfornava doviziosamente e che, non trovando in patria un terreno per i loro talenti, andavano da mercenari a investirli all'estero. Professore d'Università a poco più di vent'anni, poi commissario di [[Gioacchino Murat|Murat]] al tempo del suo infelice tentativo di unificare l'Italia sotto il suo scettro, era l'unico cattolico cui l'Accademia calvinista di Ginevra avesse mai affidato una cattedra. (cap. 19, p. 301) *{{NDR|Pellegrino Rossi}} Fu sin dal principio un fautore di [[Papa Pio IX|Pio IX]] fino a partecipare di persona alle manifestazioni popolari in suo favore, ma vide subito la pochezza e ambiguità dell'uomo e ne denunziò i pericoli. (cap. 19, pp. 302-303) *Sebbene gli avessero affidato pieni poteri, [[Daniele Manin|Manin]] era un uomo discusso. Molti lo consideravano un malaccorto maneggione, un improvvisatore digiuno di problemi economici e militari, bravo soltanto ad attribuirsi i meriti degli altri. Secondo [[Niccolò Tommaseo|Tommaseo]], ch'era fra i suoi più insidiosi diffamatori, il potere gli aveva dato "una scossa da intorbidargli la mente e far più grave e manifesta la sua inesperienza". (cap. 23, p. 354) *{{NDR|Daniele Manin}} Intellettualmente, non era al livello di un [[Giuseppe Mazzini|Mazzini]] o di un [[Carlo Cattaneo|Cattaneo]]. Ma era, come loro, inattaccabile sul piano morale. E, in mancanza di un vero e proprio potere carismatico, esercitava sulle folle un notevole fascino per la sua gioviale e arguta "venezianità". Parlava sempre in dialetto con battute raccattate sulla bocca dei gondolieri, e anche nel dramma portava un pizzico di [[Carlo Goldoni|Goldoni]]. I suoi limiti li conosceva, e non è vero che l'autorità gli avesse dato alla testa, come diceva Tommaseo che diceva male di tutti. Anzi la esercitava bonariamente e cercava di circondarsi di uomini validi che sopperissero alla sua incompetenza. (cap. 23, pp. 354-355) *Eran trascorsi pochi mesi {{NDR|dal suo matrimonio con Vittorio Emanuele}}, che [[Maria Adelaide d'Asburgo-Lorena|Maria Adelaide]] lo sorprendeva nel giardino di Moncalieri con una diva del teatro, Laura Bon, ma si guardò dal farne un dramma. Perfettamente educata al mestiere di Regina, essa sapeva che la rassegnazione alle infedeltà ne è parte imprescindibile, e le sopportò sempre con garbo e dignità. (cap. 25, p. 390) *Sfruttando la devozione di Carlo Alberto, [[Clemente Solaro della Margarita|Solaro della Margarita]] aveva regolato i rapporti con la Chiesa in modo tale da fare del clero piemontese il più potente d'Italia dopo quello dello [[Stato Pontificio|Stato pontificio]]. Esso aveva ancora i suoi tribunali in concorrenza con quelli dello Stato e poteva concedere il diritto d'asilo ai delinquenti. (cap. 26, p. 410) *[...] {{NDR|Giuseppe}} Montanelli, gran galantuomo e ricco d'ingegno, non lo era altrettanto di carattere. Idee ne aveva, anzi ne aveva troppe; ma, facilmente suggestionabile, finiva sempre per adottare quelle dell'ambiente in cui viveva. (cap. 29, pp. 464-465) *Il primo a trarne le conclusioni {{NDR|dalle tesi favorevoli alla monarchia piemontese esposte nel libro di [[Vincenzo Gioberti|Gioberti]] ''Del rinnovamento civile d'Italia''}} fu [[Giorgio Pallavicino Trivulzio|Pallavicino]], l'ex prigioniero dello Spielberg, da un pezzo rifugiato a Torino. Di scarso cervello politico, impetuoso fino alla leggerezza, teatrale e un po' troppo portato a ostentare i suoi titoli di "martire", aveva fino allora militato sotto bandiera rivoluzionaria. (cap. 32, p. 514) *{{NDR|Tra i Mille di Garibaldi}} C'era il malinconico ex prete [[Giuseppe Sirtori|Sirtori]], che della guerra aveva fatto una mistica e sul campo sembrava che officiasse. (cap. 40, p. 635) ===''L'Italia dei notabili''=== *La [[Convenzione di settembre|Convenzione]], che fu detta "di Settembre" dal mese in cui venne concordata, si componeva di cinque articoli e stabiliva: che l'Italia rinunziava ad ogni atto di ostilità contro il territorio pontificio; che la Francia ne avrebbe ritirato le sue truppe via via che il governo del Papa le avesse rimpiazzate con volontari indigeni e stranieri, e comunque entro due anni; e che questo doppio impegno sarebbe entrato in vigore dal momento in cui il governo italiano avesse decretato il trasferimento della capitale da operarsi nello spazio di sei mesi. (Capitolo quinto, Firenze capitale, p. 76) *Gli sventramenti che furono operati {{NDR|a Firenze, nuova capitale del Regno d'Italia}} per alloggiare i Ministeri e i nuovi quartieri che sorsero alla periferia per ospitare i venticinque o trentamila impiegati che calarono da Torino, lasciarono la città orrendamente sfregiata e carica di debiti. (Capitolo quinto, Firenze capitale, p. 78) *{{NDR|[[Carmine Crocco]]}} [...] condannato per diserzione a vent'anni di carcere, ne era evaso, si era dato alla macchia, e in poco tempo era diventato il più temuto e rispettato capobanda della [[Basilicata|Lucania]] non soltanto per il suo coraggio, ma anche per la sua intelligenza di guerrigliero.</br>[...] Crocco venne riconosciuto Generalissimo non solo per l'autorità che gli conferivano le sue gesta, ma anche, perché, sebbene mezzo analfabeta, possedeva un'oratoria immaginosa e apocalittica. (Capitolo sesto, I briganti, pp. 85-89) *{{NDR|[[Giustino Fortunato]]}} [...] il più grande e illuminato studioso del Meridione. (Capitolo sesto, I briganti, p. 86) *Figlio di un fabbro e medico di professione, [[Giovanni Lanza|Lanza]] incarnava, nella Destra piemontese tradizionalmente formata da nobili, militari e grandi borghesi, un tipo umano del tutto insolito: il nuovo piccolo ceto medio, spartano e puritano, formatosi nelle scuole serali e nell'Università popolare. (Capitolo nono, Gli anni della lesina, p. 133) *L'esercito papalino era un'accozzaglia di mercenari delle più svariate nazionalità (c'erano perfino dei turchi). [...] circa 15.000 uomini, al comando del generale [[Hermann Kanzler|Kanzler]]. Compito gentiluomo, ligio al Regolamento come lo era al Catechismo, questi aveva tuttavia un concetto tedesco dell'onore militare e avrebbe preferito una sconfitta a una resa. Ma {{NDR|Il segretario di Stato}} Antonelli non era di questa opinione. Gli ordinò di ritirare le truppe {{NDR|pontificie}} dentro le mura e di limitarsi a un simulacro di resistenza. (Capitolo decimo, Porta Pia, pp. 141-142) *{{NDR|La duchessa [[Eugenia Attendolo Bolognini Litta|Eugenia Litta]]}} Durante la campagna del '59<ref>Seconda guerra d'indipendenza italiana.</ref> era stata il riposo del guerriero più famoso e importante: [[Napoleone III di Francia|Napoleone III]]. E secondo le malelingue era passata subito dopo in eredità a [[Vittorio Emanuele II di Savoia|Vittorio Emanuele]], che però era il meno adatto ad apprezzare la sua vita di vespa, le sue carni pallide e i suoi raffinatissimi gusti. [[Honoré de Balzac|Balzac]] le aveva reso omaggio. [[Arrigo Boito|Boito]] seguitava a rendergliene. [[Gabriele D'Annunzio|D'Annunzio]] dirà ch'essa "aveva rubato il segreto a Ninon de Lenclos<ref>Scrittrice, cortigiana ed epistolografa francese (1620–1705).</ref>". Insomma come iniziatrice all'amore, il giovane principe {{NDR|il futuro [[Umberto I di Savoia|Umberto I]]}} non poteva desiderarne una più fascinosa ed esperta. Lo fu al punto che, nonostante la differenza d'età, egli le rimase devoto – anche se non fedele – fino alla fine dei suoi giorni. (Capitolo quattordicesimo, Il marito di Margherita, p. 196) *{{NDR|[[Margherita di Savoia]]}} [...] era una vera e seria professionista del trono, e gl'italiani lo sentirono. Essi compresero che, anche se non avessero avuto un gran Re, avrebbero avuto una grande Regina. (Capitolo quattordicesimo, Il marito di Margherita, p. 197) *Il trattato {{NDR|della [[Triplice alleanza (1882)|Triplice alleanza]]}} fu firmato a Vienna nel maggio dell'82<ref>20 maggio 1882.</ref>. Esso impegnava le tre Potenze al reciproco aiuto nel caso in cui una fosse aggredita e alla benevola neutralità nel caso che aggredisse. Inoltre Austria e Germania dichiaravano di disinteressarsi del problema del Papa, considerandolo un affare interno italiano.<br>Quest'ultima clausola fu, insieme alla fine dell'isolamento, il grande vantaggio che l'Italia trasse dal patto, ma nient'altro. Essa non vi era entrata su un piede di parità con le consocie. Aveva semplicemente acceduto all'alleanza che già legava le altre due, le quali restavano per così dire le padrone di casa, e Bismarck non perse occasione di farcelo sentire. (Capitolo diciannovesimo, La Triplice, pp. 276-277) *L'unico Stato che ruppe le relazioni con quello italiano in seguito a [[Presa di Roma|Porta Pia]] fu l'Ecuador. Mai la Chiesa si era trovata in condizioni di più completo isolamento. (Capitolo ventitreesimo, I cattolici, p. 334) *Sindaco di Palermo a ventisette anni, {{NDR|[[Antonio Starabba, marchese di Rudinì|il marchese di Rudinì]]}} aveva affrontato con molto coraggio la rivolta che vi era scoppiata nel '66, e questo lo aveva accreditato come il fanciullo-prodigio del moderatismo, destinato a gloriose imprese. Ma, diceva De Sanctis, col passare del tempo, il prodigio dileguò e rimase solo il fanciullo. Ministro degl'Interni a trent'anni in uno dei governi Menabrea, la sua carriera si era fermata lì. Pure, la fama di "uomo forte" gli era rimasta addosso, suffragata anche dalla sua alta statura, dai lampeggiamenti del monocolo, dalla fluente barba, dalla nobilesca alterigia. Idee, non ne aveva. Ma aveva delle impennate che facevano credere alla sua risolutezza. E questo, in una Destra impoverita di personalità di rilevo, gli era bastato per guadagnarsi i galloni di capo. (Capitolo ventiquattresimo, Giolitti, pp. 348-349) *In realtà, del soldato, [[Oreste Baratieri|Baratieri]] non aveva neanche il fisico. Grasso e sgraziato, con gli occhiali a ''pince-nez'', sembrava molto più vecchio dei suoi cinquant'anni e costruito più per la cattedra che per l'elmo. (Capitolo ventisettesimo, Adua, p. 391) *{{NDR|Dopo le dimissioni del generale [[Luigi Pelloux|Pelloux]]}} A succedergli il Re chiamò il Presidente del Senato [[Giuseppe Saracco|Saracco]], un galantuomo ch'era riuscito a conservare intatta la sua reputazione di democratico pur essendo stato due volte Ministro nei governi di Crispi. Aveva quasi ottant'anni, ma conservava una notevole lucidità di cervello, e ne dette prova formando un governo di coalizione che includeva un po' tutte le forze, meno l'Estrema cui diede tuttavia soddisfazione chiamando parecchi suoi uomini nella commissione incaricata di studiare un nuovo regolamento parlamentare che, senza intaccare la libertà di discussione, impedisse l'ostruzionismo, o per meglio dire lo regolasse. (Capitolo ventottesimo, I cannoni di Bava Beccaris, p. 417) ===''L'Italia di Giolitti''=== *Si è detto che {{NDR|[[Egidio Osio]]}} plagiò il suo pupillo {{NDR|il principe ereditario, futuro re [[Vittorio Emanuele III di Savoia|Vittorio Emanuele III]]}} e ne lesionò definitivamente il carattere terrorizzandolo e mortificandone gli slanci. Si è detto che anche sul suo fisico ebbe pessima influenza costringendolo a penosi e logoranti sforzi. Si è detto che furono i suoi metodi repressivi a creare nel Principe quei complessi d'inferiorità da cui fu sempre afflitto, a traumatizzarlo, a inaridirlo, a riempirne l'animo di sordi rancori.<br>Ma se non proprio di falsità, si tratta di verità contraffatte. (cap. I, Il nuovo Re, p. 15) *Militare dalla testa ai piedi, Osio era un uomo duro, imperioso, abituato al comando. [...] Ma era anche un gran signore, perfetto uomo di mondo, e nutrito di buone letture. Sebbene la sua carriera potesse esserne notevolmente avvantaggiata, esitò molto ad accettare l'incarico {{NDR|di tutore del principe ereditario}}, vi si risolse solo dietro garanzia che nemmeno i genitori avrebbero più interferito nell'educazione del ragazzo, di cui egli diventava unico e assoluto responsabile, e al termine della sua missione non beneficiò di nessuno "scatto di grado". (cap. I, Il nuovo Re, pp. 15-16) *[[Elena del Montenegro|Elena]], che da ragazza dipingeva, suonava il violino, componeva poesie come suo padre<ref>Nicola I del Montenegro.</ref>, e amava il tennis e la danza, rinunziò a questi passatempi appena vide che lui {{NDR|il futuro Vittorio Emanuele III}} li detestava, anzi adottò come ''hobbies'' quelli di lui: la numismatica e l'archeologia. Per il resto fu soltanto una donna di casa, come lo era stata a Cettigne<ref>Capitale del Regno del Montenegro.</ref>. Sapendolo insofferente dei camerieri, era lei che lo serviva a tavola, e per farsi i vestiti si prese in casa una sartina. (cap. I, Il nuovo Re, p. 27) *[[Filippo Meda|Meda]] era un avvocato milanese di spirito pratico, che considerava l'astensione dal voto {{NDR|dei cattolici}} un dovere da osservare finché il Papa lo imponeva, ma un grosso errore strategico di cui occorreva sollecitare la revoca. Lo Stato liberale, diceva, c'è e va accettato. Va soltanto salvato dalle sue tentazioni autoritarie e giacobine. E questo i cattolici possono farlo soltanto inserendocisi e riformandolo in modo da tenerlo al riparo dai pericoli d'involuzione. Lo Stato cioè per lui era un "peccatore da salvare". (cap. IV, Cattolici e socialisti, p. 72) *[...] [[Romolo Murri|Murri]] era un giovane sacerdote marchigiano, che aveva conosciuto la povertà e nel Vangelo vedeva soprattutto un messaggio giustizialista. Introverso e malinconico come tutti i fanatici, egli si considerava molto più "avanzato" di Meda per il carattere rivoluzionario che intendeva imprimere al movimento {{NDR|cattolico}}. In realtà era un uomo del ''[[Sillabo]]'' che, pur partendo anche lui dall'accettazione dello Stato unitario, intendeva tramutarlo in una [[teocrazia]] egalitaria e totalitaria, sul tipo di quella che i Gesuiti avevano fondato un paio di secoli prima nel Paraguay. Se a ispirarlo fosse più l'amore del povero o l'odio del ricco, non sappiamo. (cap. IV, Cattolici e socialisti, pp. 72-73) *Meda e Murri furono dapprincipio alleati. Entrambi volevano un grande partito, popolare indipendente dalla Chiesa. Ma Meda lo concepiva come lo sviluppo della organizzazione tradizionale, cioè dell'''Opera''<ref>"Opera dei congressi e dei comitati cattolici", spesso abbreviata in "Opera dei congressi", organizzazione cattolica italiana, sciolta nel 1904.</ref>, una volta strappatala alla vecchia guardia, mentre Murri lo vedeva come un organismo nuovo, un "Fascio", come quelli che pochi anni prima avevano messo a soqquadro e insanguinato la Sicilia. (cap. IV, Cattolici e socialisti, p. 73) *Lo [[Sciopero generale del 1904|sciopero {{NDR|generale del 1904}}]] [...] non fu un fallimento, ma non fu nemmeno un successo perché si esaurì spontaneamente, e il suo più consistente risultato fu la spaccatura delle forze operaie. Lo si vide pochi mesi dopo, quando i sindacalisti bandirono un altro sciopero, quello delle ferrovie, da cui i sindacalisti uscirono demoralizzati e con la truppa dimezzata. (cap. IV, Cattolici e socialisti, p. 85) *[[Alessandro Fortis|Fortis]] era un tipico notabile romagnolo di lungo e contradditorio corso ideologico. Aveva debuttato come repubblicano intransigente, era andato in galera per complotto rivoluzionario con gli anarchici, poi era stato conquistato da [[Francesco Crispi|Crispi]], era finito {{sic|Ministro}} di [[Luigi Pelloux|Pelloux]], e ora militava sotto la bandiera di [[Giovanni Giolitti|Giolitti]]. Come "trasformista", era tra i più qualificati. Ma questa pecca era abbondantemente compensata dai suoi doni di simpatia umana e da una grande esperienza parlamentare. (cap. VI, Il suffragio universale, p. 107) *Quando [[Enrico Corradini|Corradini]] applicò il vocabolario socialista alla Nazione parlando di una "Italia proletaria" in lotta contro le plutocrazie occidentali, e lanciò l'idea di un "imperialismo operaio" da contrapporre a quello capitalistico, riscosse in campo sindacalista vasti consensi e pose le premesse di un pasticcio ideologico in cui Mussolini avrebbe di lì a poco guazzato. (cap. VII, "Tripoli bel suol d'amore", p. 137) *{{NDR|Giolitti}} Più che la Libia, voleva la [[Guerra italo-turca|guerra]], o meglio qualcosa che desse finalmente agl'italiani l'impressione di farne una e di vincerla. (cap. VII, "Tripoli bel suol d'amore", p. 145) *[...] a Vienna l'imperatore Francesco Giuseppe aveva dovuto intervenire di persona per fermare la mano al Capo di Stato Maggiore [[Franz Conrad von Hötzendorf|Conrad]] che voleva una spedizione punitiva contro l'Italia, ora ch'era impegnata in Africa {{NDR|nella guerra di Libia}}, per metterla in ginocchio "prima che avesse il tempo di perpetrare altri tradimenti". (cap. VII, "Tripoli bel suol d'amore", pp. 149-150) *Non si è mai saputo con certezza come si svolse l'operazione {{NDR|del [[patto Gentiloni]]}} che, ben s'intende, doveva restare segretissima. Giolitti negò sempre di avervi partecipato, e infatti d'impronte digitali non ve ne lasciò. Fu probabilmente senza le sue credenziali, ma certamente non senza il suo beneplacito che qualche esponente liberale prese contatto coi cattolici. Questi avevano una "unione elettorale" di cui era Presidente un Conte marchigiano, [[Vincenzo Ottorino Gentiloni|Gentiloni]], politico abile, ma vanesio e chiacchierone. Egli s'impegnò a mobilitare il voto cattolico in favore dei candidati liberali dovunque questi fossero minacciati dalla Estrema Sinistra; e i liberali s'impegnarono a difendere la parificazione delle scuole confessionali a quelle dello Stato, a ripristinare in queste ultime l'istruzione religiosa, a respingere l'introduzione del divorzio, e – pare – a combattere la Massoneria. (cap. VIII, Il crepuscolo degli dei, p. 163) *Se [[Gaetano Salvemini|Salvemini]] incarnava lo spirito protestatario e la sete giustizialista delle plebi meridionali, [[Antonio Salandra|Salandra]] incarnava lo spirito autoritario e conservatore della borghesia terriera. Proveniva da una famiglia di notabili pugliesi con parecchia roba al sole, e alla politica era approdato dalla cattedra universitaria, di cui conservava molti caratteri: una notevole cultura e finezza intellettuale, ma anche un compassato distacco che rasentava la freddezza. Prima di affrontare un problema lo studiava minuziosamente, e nessuno sapeva prospettarlo con più chiarezza di lui. (cap. IX, Sarajevo, p. 168) *[[Paolo Boselli]] {{NDR|incaricato nel 1916 di formare il nuovo governo dopo le dimissioni di Antonio Salandra}}, che fu chiamato a presiederlo, possedeva tutti i requisiti, meno quelli che occorrono per guidare un Paese in guerra. Deputato ligure da parecchie legislature, era stato varie volte Ministro con Crispi, Pelloux e Sonnino, ma nessuno se n'era accorto. [...]. Passava per un esperto di questioni economiche, e moralmente era un personaggio di tutto rispetto. Ma politicamente era scolorito, e per di più aveva quasi ottant'anni. (cap. XVI, La caduta di Salandra, pp. 293-294) *Quanto [[Luigi Cadorna|Cadorna]] era solitario, monacale ruvido e chiuso in un giro di valori e d'idee tradizionali, tanto [[Luigi Capello|Capello]] era brillante, estroverso, moderno, ricco d'immaginazione e maestro di "pubbliche relazioni". (cap. XVI, La caduta di Salandra, pp. 298-299) *Lucano di Melfi, [[Francesco Saverio Nitti]] incarnava anche nel fisico tozzo e grassottello il tipo del notabile meridionale, colto, brillante, scettico e alquanto egocentrico. [...] la sua specialità era il problema del Mezzogiorno, di cui fu tra i primi seri studiosi e che gli fornì anche la base elettorale. [...]. Sul livello medio della classe politica di allora, egli faceva spicco per preparazione, equilibrio e lucidità, ma anche per una certa propensione ad attribuirsi il monopolio di queste virtù. (cap. XXIII, Versaglia, pp. 420-421) ===''L'Italia in camicia nera''=== *Un altro utile incontro fu per Mussolini quello con [[Angelica Balabanoff]], personaggio già di notevole rilevo nel socialismo internazionale. Era una russa di buona famiglia borghese, che fin da giovanissima si era imbrancata con quella ''intellighenzia'' rivoluzionaria da cui venivano anche i Lenin, i Trotzky, e gli altri futuri grandi del bolscevismo. A spingerla era stata la ribellione contro la meschinità, lo snobismo provinciale, il sussiego di casta, i tabù del suo ceto. (cap. 1, p. 23) *Angelica {{NDR|Balabanoff}} non era bella, non aveva la grazia eterea ed esangue di Anna {{NDR|[[Anna Kuliscioff|Kuliscioff]]}}. Ma non era nemmeno sgradevole, nonostante i fianchi massicci e gli zigomi pronunciati, eppoi era una russa, cosa che faceva un grande effetto al piccolo provinciale di Predappio<ref>Mussolini era nato a Dovia, frazione di Predappio.</ref>. Anche se fra loro non divampò la passione che aveva legato Anna ad [[Andrea Costa]], qualcosa ci fu, ed ebbe la sua importanza. Angelica cercò d'incivilire quel selvaggio trasandato che passava da ostinati mutismi a interminabili sproloqui conditi di orrende bestemmie. Lo sfamava, gli lavava la biancheria, lo iniziava, sia pure con poco successo, al marxismo [...]. (cap. 1, p. 25) *Uno dei tre protagonisti del giuoco {{NDR|[[Gabriele D'Annunzio]]}} era eliminato. La partita ora si riduceva agli altri due: Giolitti e Mussolini. (cap. 1, p. 101) *Mussolini aveva vinto, e la sua vittoria significava che il fascismo, abbandonata la pretesa di presentarsi come un movimento rivoluzionario di sinistra, quale lo avrebbero voluto Grandi, Farinacci e Marsich, presentava la sua candidatura a forza egemonica della destra e infilava la «via parlamentare» al potere.<br>C'era un pericolo, e Mussolini lo capì subito: che questa svolta a destra mettesse il partito alla mercé della sua ala reazionaria incarnata soprattutto dal ''ras'' piemontese [[Cesare Maria De Vecchi|De Vecchi]], uomo di poco cervello, ma tutto Trono e Altare, e che quindi poteva anche tornar comodo per il futuro. (cap. 2, p. 127) *[...], i giolittiani riuscirono a portare al governo uno dei suoi {{NDR|di Giolitti}} «ascari» più fedeli, ma anche dei più sbiaditi: [[Luigi Facta]].<br> Facta era un bravo avvocato di provincia piemontese con tutte le virtù, ma anche con tutti i limiti del suo ambiente: un uomo probo e integro, che dopo trent'anni di vita parlamentare ne aveva ormai una certa esperienza, aveva ricoperto con onore alcune cariche ministeriali, non aveva alcuna ambizione che quella di servire fedelmente il suo capo, né altre idee che quelle di lui. Tutto gli si poteva chiedere fuorché risolutezza ed immaginazione, cioè proprio le qualità che più urgevano. (cap. 2, pp. 143-144) *[...] le sue intenzioni {{NDR|Mussolini}} non le confidava nemmeno al segretario del partito, [[Michele Bianchi|Bianchi]], di cui apprezzava la fedeltà e l'impegno, ma non l'intelligenza: lo considerava angoloso, settario, puntiglioso vendicativo e privo d'intuito politico. L'unico con cui si apriva seguitava ad essere [[Cesare Rossi]], l'uomo che gli era stato accanto dal primo momento, lo aveva seguito in tutte le sue palinodie e gli dava sempre dei consigli che corrispondevano ai suoi desideri. (cap. 4, p. 166) *{{NDR|[[Vittorio Emanuele III]]}} non si fidava completamente di Mussolini, ma si fidava ancora meno dei suoi avversari ed era convinto che costoro, se avessero preso il mestolo in mano, avrebbero ricreato il caos del dopoguerra. Comunque, a una cosa era assolutamente deciso: a non farsi coinvolgere nella lotta politica, come del resto gli dettava la Costituzione di cui, quando gli faceva comodo, sapeva ricordarsi. ====[[Explicit]]==== *Resterebbe solo da sapere con che animo Mussolini s'investì, il 3 gennaio, nella parte di dittatore. Se, come molti sostengono, gli sforzi che fino a quel momento aveva fatto per evitarla erano stati solo un giuoco per dimostrare che non era lui a volerla, ma gli eventi ad imporgliela, bisogna riconoscere che come {{sic|giuocatore}} sapeva il fatto suo. ==''Storia dei Greci''== *Il modo migliore per ripagare il nostro contemporaneo [[Heinrich Schliemann|Enrico Schliemann]] degli enormi servigi che ci ha reso nella ricostruzione della civiltà classica, mi pare sia quello di assumerlo fra i suoi protagonisti, com'egli stesso mostrò di desiderare ardentemente, scegliendosi, in pieno secolo decimonono, [[Zeus]] come dio e a lui indirizzando le sue preghiere, battezzando [[Agamennone]] suo figlio, Andromaca sua figlia, Pélope e Telamone i suoi servitori, e dedicando a [[Omero]] tutta la sua vita e i quattrini. (cap. 2; 2004, p. 17) *{{NDR|Su [[Heinrich Schliemann|Schliemann]]}} Era un matto, ma tedesco, cioè organizzatissimo nella sua follia, che la buona sorte volle ricompensare. La prima storia che gli raccontò suo padre, quando aveva cinque o sei anni, non fu quella di [[Cappuccetto Rosso]], ma quella di [[Ulisse]], di [[Achille]] e di Menelao. Ne aveva otto, quando annunziò solennemente in famiglia che intendeva riscoprire Troia e dimostrare, ai professori di storia che lo negavano, ch'essa era realmente esistita. Ne aveva dieci, quando compose in latino un saggio su questo argomento. E ne aveva sedici, quando sembrò che questa infatuazione gli fosse del tutto passata. Infatti s'era impiegato come garzone di una drogheria, dove scoperte archeologiche non c'era da farne di certo, e di lì a poco s'imbarcò non per l'Ellade, ma per l'America, in cerca di fortuna. (cap. 2; 2004, p. 17) *Di nuovo il buon Dio, che per i matti ha un debole, lo compensò di tanta fede, guidando il suo piccone sugli scantinati del palazzo dei discendenti di re Atreo, nei cui sarcofaghi furono ritrovati gli scheletri, le maschere d'oro, i gioielli e il vasellame che si ritenevano esistiti solo nella fantasia di Omero. E Schliemann telegrafò al re di Grecia: ''Maestà, ho ritrovato i vostri antenati''. Poi, ormai sicuro del fatto suo, volle dare il colpo di grazia agli scettici del mondo intero e, sulle indicazioni di [[Pausania]], andò a Tirinto e vi disseppellì le ciclopiche mura del palazzo di Proteo, di Perseo e di [[Andromeda|Andròmeda]]. (cap. 2; 2004, pp. 19-20) *Schliemann morì quasi settantenne nel 1890, dopo aver sconvolto tutte le tesi e le ipotesi su cui si era basata sino ad allora la ricostruzione della preistoria greca, tesa ad esiliare Omero e Pausania nei cieli della pura fantasia. (cap. 2; 2004, p. 20) *Ma ora, dopo le scoperte del tedesco matto, non abbiamo più il diritto di mettere in dubbio la realtà storica di Agamennone, di Menelao, di [[Elena]], di [[Clitennestra]], di Achille e di Patroclo, di Ettore e di Ulisse, anche se le loro avventure non sono state esattamente quelle che Omero ha descritto, facendoci sopra la cresta. Schliemann ha arricchito la storia e impoverito la leggenda, di alcune decine di personaggi di primissimo piano. Grazie a lui alcuni secoli, che prima erano nel buio, sono entrati nella luce, anche se è quella incerta della primissima alba. Ed è solo per mano a lui che possiamo esplorarla. (cap. 2; 2004, p. 21) *Senza dubbio gli [[achei]], a differenza dei pelasgi, furono terrieri, tant'è vero che fino alla guerra di Troia imprese per mare non ne azzardarono, e ogni volta che lo trovavano si fermavano. Essi non tentarono di mettere il piede nemmeno nelle isole più vicine al continente, e tutte le loro capitali e cittadelle erano nell'interno. La Grecia, sotto di loro, si limitava al Peloponneso, all'Attica e alla Beozia; mentre per le popolazioni pelasgiche della civiltà micenea, ch'erano marinare, essa inglobava anche tutti gli arcipelaghi dell'Egeo. (cap. 3, ''Gli Achei''; 2004, p. 25) *[[Diogene di Sinope|Diogene]], che aveva la lingua lunga, disse che la religione greca era quella cosa per cui un ladro che sapeva bene l'Avemaria e il Paternoster era sicuro di potersela cavar meglio, nell'al di là di un galantuomo che li aveva dimenticati. Non aveva torto. La [[Religione dell'antica Grecia|religione]], in Grecia, era soltanto un fatto di procedura, senza contenuto morale. Ai fedeli non si chiedeva la fede né si proponeva il bene. S'imponeva solo il compimento di certe pratiche burocratiche. E non poteva essere diversamente, visto che di contenuto morale gli stessi {{sic|dèi}} ne avevano ben poco e non si poteva certo dire che fornissero un esempio di virtù. (cap. 7, ''Zeus e famiglia''; 2004, p. 54) *Anche [[Pisistrato]] era aristocratico e di famiglia ricca. Ma aveva capito che la [[democrazia]], una volta instaurata, è irreversibile e va sempre a sinistra. (cap. 15, ''Pisistrato''; 2004, p. 98) *Pisistrato, invece di cinquanta uomini, ne arruolò e armò quattrocento, s'impadronì dell'Acròpoli, e proclamò la dittatura. In nome e per il bene del popolo, si capisce, come tutte le dittature. (cap. 15; 2004, p. 91) *La stragrande maggioranza degli ateniesi, dopo averlo a lungo osteggiato e tenuto in gran sospetto, si erano sinceramente affezionati a Pisistrato che aveva dalla sua un'arma formidabile: la simpatia. (cap. 15; 2004, pp. 92-93) *Il tiranno Pisistrato seppe sfuggire a tutte le tentazioni del potere assoluto, meno una: quella di lasciare il «posto» in eredità ai figli, [[Ippia (tiranno)|Ippia]] e [[Ipparco (tiranno)|Ipparco]]. L'amor paterno gl'impedì di vedere con la consueta chiarezza che i totalitarismi non hanno eredi e che quello suo si giustificava soltanto come una eccezione alla democrazia per assicurarle ordine e stabilità. Peccato. (cap. 15; 2004, p. 95) *Pisistrato era morto nel 527 avanti Cristo. Ventun anni dopo, cioè nel 506, troviamo uno dei suoi due figli, da lui designati a succedergli, Ippia, alla corte del re di Persia, [[Dario I di Persia|Dario]], per suggerirgli l'idea di muover guerra contro Atene e la Grecia tutta. I grandi uomini non dovrebbero mai lasciare né vedove né eredi. Sono pericolosissimi. (cap. 16, ''I persiani alle viste''; 2004, p. 103) *Questo Ippia non aveva debuttato male, dopo che suo padre fu calato nella fossa. Era un giovanotto sveglio che, a furia di stare accanto al babbo, ne aveva imparato molte malizie, e alla politica aveva passione, a differenza di suo fratello Ipparco che invece s'interessava soltanto di poesia e di amore, in modo che fra i due non c'erano nemmeno pericolose rivalità. Eppure, a procurare i guai che condussero alla caduta della dinastia, fu proprio Ipparco. (cap. 16; 2004, p. 96) *Ipparco ebbe la disgrazia d'inciampare in un bellissimo guaglione di nome Armodio, che un certo Aristogitone – aristocratico quarantenne, prepotente e geloso – considerava sua proprietà. Costui concepì l'idea di sbarazzarsi del rivale col pugnale e, per dare all'assassinio un'etichetta più pulita che lo rendesse popolare, pensò di estenderlo anche al fratello Ippia facendolo passare per «delitto politico» in nome della libertà e contro la tirannia. Organizzò in questo senso una congiura con altri nobili latifondisti e, in occasione di una festa, tentò il colpo, che andò bene solo a mezzo: Ipparco ci rimise la pelle, ma Ippia scampò. E da quel momento, un po' per rancore, un po' per paura di altri complotti, il figlio e l'allievo di Pisistrato, dittatore liberale indulgente e illuminato, diventò un ''tiranno'' autentico. (cap. 16; pp. 96-97) *Lo scontento del popolo inferocì Ippia, che a sua volta inferocì il popolo. E quando il divorzio fra i due fu totale, i fuoriusciti, che frattanto si erano concentrati a Delfi, chiamarono in aiuto gli spartani, e insieme marciarono contro Atene. (cap. 16; 2004, p. 97) *Ippia si rifugiò sull'Acròpoli coi suoi sostenitori. Ma, per mettere in salvo i suoi figlioletti, cercò di farli segretamente espatriare. Gli assedianti li catturarono e l'infelice padre, per salvar la vita a loro e a se stesso, capitolò e si avviò in volontario esilio. Non bisogna dimenticare che nelle sue vene scorreva tuttavia il sangue di Pisistrato, cioè di un uomo sempre pronto a sacrificare la posizione alla famiglia, ma mai disposto a rassegnarsi alla sconfitta. (cap. 16; 2004, p. 97) *[[Milziade]] aveva capito qual era il debole dei [[Persia|persiani]]: essi erano bravi soldati individualmente, ma non avevano nessuna idea della manovra collettiva. E su questa puntò. A dar retta agli storici del tempo — che purtroppo erano tutti greci, — Dario perse settemila uomini, Milziade neanche duecento. (cap. 17, ''Milziade e Aristide''; 2004, p. 112) *{{NDR|A Milziade}} sopravvisse [[Aristide]], le cui vicende purtroppo ci dimostrano che l'[[onestà]] in [[politica]] non trova sempre i suoi compensi e che la [[storia]], come le [[donna|donne]], ha un debole per i birbaccioni. (cap. 17, ''Milziade e Aristide''; 2004, p. 112) *Nike, diventata ragazza, porta il [[peplo]] di lana, bianca o colorata, ma questa è l'unica scelta che le si lascia. Siccome è confinata in casa, non può nemmeno far quella di un ragazzo che le piace, e deve aspettare che il padre si metta d'accordo con un altro padre per combinare il matrimonio. (cap. 23, ''Una Nike qualsiasi''; 2004, p. 143) *Quando il grande [[Mirone]], rincorbellito dalla vecchiaia, si vide arrivare in studio come modella Laìde<ref>Etera dell'antica Grecia, celebre per la sua bellezza.</ref>, perse la testa e le offrì tutto ciò che possedeva purché restasse la notte. E siccome essa rifiutò, l'indomani il poveruomo si tagliò la barba, si tinse i capelli, indossò un giovanile [[chitone]] color porpora e si passò una mano di carminio sul viso. «Amico mio», gli disse Laìde, «non sperare di ottenere oggi ciò che ieri rifiutai a tuo padre». (cap. 23, ''Una Nike qualsiasi''; 2004, p. 150) *{{NDR|[[Fidia]]}} Qualcosa, nel suo carattere, doveva farne un nemico degli uomini, visto che nessuno lo amava. Eppure egli non fu soltanto un grande scultore, ma anche un grandissimo maestro, che, oltre ad aver creato uno stile, ne fece anche una scuola, trasmettendone le regole ad allievi come Agoracrito e Alcamene, continuatori del «classico». (cap. 25, ''Fidia sul Partenone''; 2004, p. 165) *Gli uomini non sanno apprezzare e misurare che la [[fortuna]] degli altri. La propria, mai. (cap. 25, ''Fidia sul Partenone''; 2004, p. 166) ==''Storia di Roma''== ===[[Incipit]]=== Non sappiamo con precisione quando a Roma furono istituite le prime scuole regolari, cioè «statali». Plutarco dice che nacquero verso il 250 avanti Cristo, cioè circa cinquecent'anni dopo la fondazione della città. Fino a quel momento i ragazzi romani erano stati educati in casa, i più poveri dai genitori, i più ricchi dai ''magistri'', cioè da maestri, o istruttori, scelti di solito nella categoria dei liberti, gli schiavi liberati, che a loro volta erano scelti fra i prigionieri di guerra, e preferibilmente fra quelli di origine greca, che erano i più colti. ===Citazioni=== <!--segui nel riportare le citazioni l'ordine cronologico del libro--> *Non ho scoperto nulla, con questo libro. Esso non pretende di portare "rivelazioni", nemmeno di dare una interpretazione originale della storia dell'Urbe. Tutto ciò che qui racconto è già stato raccontato. Io spero solo di averlo fatto in maniera più semplice e cordiale, attraverso una serie di ritratti che illuminano i protagonisti in una luce più vera, spogliandoli dei paramenti che fin qui ce li nascondevano. (introduzione) *{{NDR|[[Numa Pompilio]]}} Quelle che più lo interessavano erano le questioni religiose. E siccome in questa materia ci doveva essere una grossa anarchia perché ognuno dei tre popoli {{NDR|etruschi, latini e sabini}} venerava i propri {{sic|dèi}}, fra i quali non si riusciva a capire chi fosse il più importante, Numa decise di mettervi ordine. E per imporlo, questo ordine, ai suoi riottosi sudditi, fece spargere la notizia che ogni notte, mentre dormiva, la ninfa Egeria veniva a visitarlo in sogno dall'Olimpo per trasmettergliene direttamente le istruzioni. Chi vi avesse disobbedito, non era col re, uomo fra gli uomini, che avrebbe dovuto vedersela, ma col Padreterno in persona. (Rizzoli 1959, cap. 3, ''I re agrari'', pp. 37-38) *[[Tarquinio Prisco|Lucio Tarquinio]] e i suoi amici etruschi dovettero veder subito che profitto si poteva trarre da questa massa di gente, per la maggior parte esclusa dai comizi curiati, se si fosse potuta convincerla che solo un re forestiero come lui avrebbe potuto farne valere i diritti. E per questo l'arringò, promettendole chissà cosa, magari ciò che poi fece davvero. [...] Certamente ci riuscirono perché Lucio Tarquinio fu eletto col nome di Tarquinio Prisco, rimase sul trono trentotto anni, e per liberarsi di lui i ''patrizi'', cioè i «terrieri», dovettero farlo assassinare. Ma inutilmente. Prima di tutto perché la corona, dopo di lui, passò al figlio, eppoi a suo [[Tarquinio il Superbo|nipote]]. In secondo luogo perché, più che la causa, l'avvento della dinastia dei Tarquini fu l'effetto di una certa svolta che la storia di Roma aveva subìto e che non le consentiva più di tornare al suo primitivo e arcaico ordinamento sociale e alla politica che ne derivava. (RCS 2004, cap. 4, ''I re mercanti'', pp. 38-39) *Questo secondo [[Tarquinio il Superbo|Tarquinio]], prima di rischiare il colpo, tentò di far deporre lo zio per abuso di potere. Servio si presentò alle centurie che lo riconfermarono re con plebiscitaria acclamazione (lo racconta [[Tito Livio]], gran repubblicano, dunque dev'esser vero). Non restava quindi che il pugnale, e Tarquinio lo usò senza troppi scrupoli. Ma il respiro di sollievo che trassero i senatori, coi quali si era alleato, rimase loro in gola, quando videro l'uccisore sedersi a sua volta sul trono d'avorio senza chieder loro permesso, come avveniva a quei buoni vecchi tempi ch'essi speravano di restaurare. Il nuovo sovrano si mostrò subito più tirannico di quello che aveva spedito all'altro mondo. E infatti lo ribattezzarono «il Superbo» per distinguerlo dal fondatore della dinastia. (RCS 2004, cap. 4, ''I re mercanti'', pp. 42-43) *Non sappiamo quasi nulla di [[Lars Porsenna|Porsenna]]. Ma dal modo come si condusse, dobbiamo dedurre che alle doti del bravo generale doveva accoppiare quelle del sagace uomo politico. Egli si rese conto che negli argomenti di [[Tarquinio il Superbo|Tarquinio]] c'era del vero. Ma prima d'impegnarsi, volle essere sicuro di due cose: che il Lazio e la Sabina erno davvero pronti a schierarsi dalla sua parte, e che nella stessa Roma c'era una «quinta colonna» monarchica pronta a facilitargli il compito con un'insurrezione. (RCS 2004, cap. 5, ''Porsenna'', p. 49) *Da quell'anno 508 in cui fu fondata la repubblica, tutti i monumenti che i romani innalzarono un po' dappertutto portarono sempre la sigla SPQR che vuol dire: ''Senatus PopuluSque Romanus'', cioè «il Senato e il popolo romano». Cosa fosse il Senato, già lo abbiamo detto. Viceversa non abbiamo ancora detto cos'era il popolo, che non corrispondeva affatto a ciò che noi intendiamo con questa parola. In quei lontani giorni di Roma esso non comprendeva «tutta» la cittadinanza, come avviene oggi, ma soltanto due «ordini», cioè due classi: quella dei «patrizi» e quella degli ''equites'' o «cavalieri». (RCS 2004, cap. 6, ''SPQR'', p. 54) *{{NDR|[[Sacco di Roma (390 a.C.)]]}} Gli storici che lo hanno raccontato a cose fatte hanno avvolto di molte leggende questo capitolo che dovett'essere per l'Urbe molto spiacevole. Dicono che quando i [[galli]] fecero per dare la scalata al [[Campidoglio]], le oche sacre a Giunone cominciarono a stridere risvegliando così [[Marco Manlio Capitolino|Manlio Capitolino]] che, alla testa dei difensori, respinse l'attacco. Sarà. Però i galli in Campidoglio entrarono ugualmente come in tutto il resto della città, donde la popolazione era fuggita in massa per rifugiarsi su monti circostanti. (Rizzoli 1959, cap. 6, ''SPQR'', pp. 81-82) *[...] i galli espugnarono Roma, la misero a sacco, e se ne andarono incalzati dalle legioni, ma carichi di quattrini. Erano predoni gagliardi e zotici, che non seguivano nessuna linea politica e strategica nelle loro conquiste. Assalivano, depredavano e si ritiravano senza punto preoccuparsi del domani. Avessero potuto immaginare che vendetta Roma avrebbe tratto da quella umiliazione, non vi avrebbero lasciato pietra su pietra. (Rizzoli 1959, cap. 6, ''SPQR'', pp. 82-83) *Tutti i dittatori della Roma repubblicana, meno uno, furono patrizi. Tutti, meno due, rispettarono i limiti di tempo che furono loro imposti. Uno di essi, [[Lucio Quinzio Cincinnato|Cincinnato]], che, dopo soli sedici giorni di esercizio della suprema carica, tornò spontaneamente ad arare il campo coi buoi, è passato alla storia coi colori della leggenda. (RCS 2004, cap. 9, ''La carriera'', p. 85) *Negli ultimi tempi {{NDR|[[Cesare]]}} si era spinto anche più in là: aveva imposto che tutte le discussioni che si svolgevano in quel solenne e aristocratico consesso venissero registrate e pubblicate giorno per giorno. Così nacque il primo giornale. Si chiamò ''[[Acta Diurna|Acta diurna]]'', e fu gratuito, perché, invece di venderlo, lo affiggevano ai muri in modo che tutti i cittadini potessero leggerlo e controllare ciò che facevano e dicevano i loro governanti. L'invenzione fu d'immensa portata perché sancì il più democratico di tutti i diritti. Il Senato, che traeva prestigio anche dalla sua segretezza, fu così sottoposto alla pubblica opinione, e non si riebbe mai più da questo colpo. (RCS 2004, cap. 24, ''Cesare'', p. 214) *Se riuscirò ad affezionare alla storia di Roma qualche migliaio di italiani, sin qui respinti dalla sussiegosità di chi gliel'ha raccontata prima di me, mi riterrò un autore utile, fortunato e pienamente riuscito. (introduzione) *Sull'esattezza di quel che [[Tito Livio|Livio]] riferisce facciamo le nostre riserve, specie là dov'egli mette in bocca ai suoi personaggi interi discorsi che somigliano più a Livio che a loro. La sua è una storia di eroi, un immenso affresco a episodi, e serve più a esaltare il lettore che a informarlo. [[Roma]], a dargli retta, sarebbe stata popolata soltanto, come l'Italia di Mussolini, da guerrieri e navigatori assolutamente disinteressati, che conquistarono il mondo per migliorarlo e moralizzarlo. Gli uomini, secondo lui, sono divisi in buoni e cattivi. A Roma c'erano solamente i buoni, e fuori di Roma solamente i cattivi. Anche un grande generale come [[Annibale]] diventa, sotto la sua penna, un comune mariuolo. Ciò non toglie che la storia di Livio, costata cinquant'anni di fatiche a un autore che si dedicò soltanto ad essa, resti un gran monumento letterario. Forse il più grande fra quelli, piuttosto mediocri, eretti sotto il segno di [[Augusto]]. (cap. 30, ''Orazio e Livio'') *Può darsi che [[Dione Cassio]] e [[Svetonio]], nel loro odio per la monarchia, abbiano un po' calcato la mano. Ma matto, [[Caligola]] doveva esserlo davvero. (cap. 31, ''Tiberio e Caligola'') *[[Vitellio]], quando fu catturato nel suo nascondiglio, dove, tanto per cambiare, banchettava, fu trascinato nudo per la città con un laccio al collo, bersagliato di escrementi, torturato con ponderata lentezza, e alla fine gettato nel Tevere.<br>Questa città che si divertiva al fratricidio, questi eserciti che si ribellavano, questi imperatori che venivano subissati di sterco pochi giorni dopo essere stati coperti di osanna: ecco cos'era diventata la capitale dell'Impero. (Rizzoli 1959, cap. 37, ''I Flavi'', pp. 415-416) *Purtroppo la pace, per ottenerla, bisogna essere in due a volerla. (cap. 37, ''I Flavi'') *Era la prima volta, nella storia di Roma, che una guerra si combatteva in nome della religione. Ma fu la Croce che vinse. E il Tevere, trascinando verso la foce i cadaveri di [[Massenzio]] e dei suoi soldati che lo ingombravano, sembrò che spazzasse via i residui del mondo antico. (cap. 46, ''Costantino'') *Il papa che più contribuì a rassodare l'organizzazione in questi primi difficili anni fu [[Papa Callisto I|Callisto]], che molti consideravano un avventuriero. Dicevano che, prima di convertirsi, aveva fatto i quattrini con sistemi piuttosto equivoci, era diventato banchiere, aveva derubato i suoi clienti, era stato condannato ai lavori forzati ed era fuggito con un inganno. Il fatto che, appena diventato papa, proclamasse valido il pentimento per cancellare qualunque peccato, anche mortale, ci fa sospettare che in queste voci un po' di verità c'è. Comunque, fu un gran papa, che stroncò il pericoloso scisma d'[[Ippolito di Roma|Ippolito]] e affermò definitivamente l'autorità del potere centrale. (RCS 2004, cap. 46, ''Costantino'', p. 367) *Le rivoluzioni vincono non in forza delle loro idee, ma quando riescono a confezionare una classe dirigente migliore di quella precedente. E il [[Cristianesimo]] era riuscito proprio in questa impresa. (cap. 47, ''Il trionfo dei cristiani'') *[[Costantino]] fu uno strano e complesso personaggio. Faceva gran scialo di fervore cristiano, ma nei suoi rapporti di famiglia non si mostrò molto ossequente ai precetti di Gesù. Mandò sua madre Elena a Gerusalemme per distruggere il tempio di Afrodite che gli empi governatori romani avevano elevato sulla tomba del Redentore, dove, secondo Eusebio, fu ritrovata la croce su cui era stato suppliziato. Ma subito dopo mise a morte sua moglie, suo figlio e suo nipote. (cap. 47, ''Il trionfo dei cristiani'') *Come tutti i grandi Imperi, quello romano non fu abbattuto dal nemico esterno, ma roso dai suoi mali interni. (cap. 51, ''Conclusione'') *Una religione conta non in quanto costruisce dei templi e svolge certi riti; ma in quanto fornisce una regola morale di condotta. Il [[paganesimo]] questa regola l'aveva fornita. Ma quando Cristo nacque, essa era già in disuso, e gli uomini, consciamente o inconsciamente, ne aspettavano un'altra. Non fu il sorgere della nuova fede a provocare il declino di quella vecchia; anzi, il contrario. (cap. 51, ''Conclusione'') *Il dispotismo è sempre un malanno. Ma ci sono delle situazioni che lo rendono necessario. (cap. 51, ''Conclusione'') ===[[Explicit]]=== Mai città al mondo ebbe più meravigliosa avventura. La sua storia è talmente grande da far sembrare piccolissimi anche i giganteschi delitti di cui è disseminata. Forse uno dei guai dell'Italia è proprio questo: di avere per capitale una città sproporzionata, come nome e passato, alla modestia di un popolo che, quando grida «Forza Roma!», allude soltanto a una [[Associazione Sportiva Roma|squadra di calcio]]. ==''XX Battaglione eritreo''== ===[[Incipit]]=== Sono letterato. E, a parte il brutto e il meschino di quella parola, il mio mestiere m'innamora. Mi sono sforzato tanti anni, per compiacere a qualcuno o a qualcosa, di tradire questo mio istinto. Ma non ce l'ho fatta. E non ce la fo nemmeno ora, soldato in Africa, in piena guerra. Ma non lo dico per presentare il conto. E a chi, poi? Lo dico per un fenomeno di narcisismo: perché mi garba contemplarmi in questo gesto di fedeltà al mestiere, che poi vuol dire fedeltà a me stesso. ===Citazioni=== *Essere [[Àscari|ascaro]] vuol dire, press'a poco, avere un blasone; vuol dire avere tre lire al giorno, più un'indennità vestiario, più un'indennità farina, più un'indennità carne; vuol dire avere un ''tarbush'' e una fascia coi colori del battaglione; vuol dire soprattutto avere un fucile. La gente di questo Paese segue una logica sistematica semplice e dritta: l'umanità si divide in due categorie: gli armati che sono i forti, i disarmati che sono i deboli. Al culmine della gerarchia sociale sta il possessore di fucile, il guerriero: che è tanto più importante quanto più elevato è il suo grado e quanto è maggiore la sua anzianità. (p. 25) *[[Pietro Toselli|Toselli]]. Questo nome non ha in Italia la risonanza che ha qui. Toselli non è un uomo, è una leggenda: non solo alla cronaca, ma sfugge anche alla storia. È rimasto nei canti di questa gente, nelle sue memorie e anche nelle sue speranze. Pur ieri mi diceva il vecchio Sciumbasci, reduce di Adua e ora capopaese di Digsa, che «le cose che si sanno sono molto meno di quelle che non si sanno» e che «il fatto è questo: che il corpo del maggiore Toselli non era più sul campo dopo la battaglia». Su quello che ne sia avvenuto le opinioni sono discordi, ma nessuno crede che il maggiore sia morto. (pp. 35-36) *Appollaiato ai suoi piedi, nascosto fra il verde tenero degli eucalipti, stava [[Alessandro Pirzio Biroli|Pirzio Biroli]]. Il suo nome era mormorato con circospezione dagli [[Àscari|ascari]] disseminati fra le rocce di Mai Egadà a Saganeiti, da Agordar ad Assab, a Cheren, ad Adi Ugri, ad Adi Caieh. Raramente lo si vedeva e sempre a cavallo. Accanto a lui cavalcava Chiarini, la piccola ombra fedele, il fantasma sorto una notte da un roveto della conca di Adua. Chiarini, settantenne, pallido, non scompariva nell'alone magico che Pirzio, il buon gigante, suscitava intorno. (pp. 87-88) *Poi arrivava anche lui, [[Alessandro Pirzio Biroli|Pirzio]] il leone, altissimo, quadrato, col profilo calmo incorniciato dalla folta criniera. Il cavallo, domo dai suoi ginocchi di ferro, caracollava senza un tentativo di ribellione. Dalla sella pendevano, di qua e di là, due aquile colossali, abbattute in volo dal moschetto infallibile di Pirzio. Nessuna tromba sonava l'attenti al suo ingresso. Non ce n'era bisogno. Tutti, nel quartiere, sentivano come per miracolo la sua presenza e restavano ischeletriti. Pirzio non se n'accorgeva: era uno di quegli uomini pei quali gli uomini sentono rispetto per istinto e che passano attraverso la vita come attraverso un'eterna parata, fra due file di bipedi schiaffati meccanicamente sull'attenti. Gli [[Àscari|ascari]] ebbero ragione quando lo battezzarono «il Leone»: non aveva bisogno di ruggire perché il largo gli si facesse automaticamente intorno. (pp. 88-89) ===[[Explicit]]=== Vorremmo ristare dopo la guerra? Il mondo è così visto che nessun limite precisa al desiderio. Italiani, continuate ad aver fame anche dopo aver mangiato. Questa guerra è per noi come una bella lunga vacanza dataci dal Gran Babbo in premio di tredici anni di banco di scuola. E, detto fra noi, era ora. ==Citazioni su Indro Montanelli== *A leggerlo sembrerebbe un disordinatore di professione: sempre pronto a mugugnare, sempre a prendersela con qualcuno. Poi però, quando si tratta di scendere sul pratico, ci consiglia di turarci il naso e di andare a votare per l'Ordine. vallo a capire. ([[Luciano De Crescenzo]]) *Amo Indro Montanelli, ma non i suoi emuli. I polemisti per posa non mi piacciono, non li ritengo utili. Ma lui non era un polemista fine a se stesso, come tanti dei suoi presunti eredi. Era piuttosto, come da titolo di una sua fortunata rubrica, controcorrente. Non si curava delle convenienze, dei vantaggi che gli sarebbero derivati nel seguire l'onda di [[pensiero]] prevalente. Aveva la sua visione delle cose, sempre originale e spesso esatta. Io credo che dire quel che si pensa premi sempre. Montanelli lo faceva, e andava a letto tranquillo. ([[Fabio Genovesi]]) *C'è davvero qualcosa di singolare nel modo in cui è venuta formandosi la memoria della Repubblica, nel modo in cui tale memoria è stata ed è elaborata dalla cultura ufficiale del Paese. Per molti decenni, ad esempio, a quanto accaduto dal 1943 al '45 fu vietato dare il nome che gli spettava, il nome cioè di [[Guerra civile in Italia (1943-1945)|guerra civile]]. Parlare di guerra civile era giudicato fattualmente falso, e ancor di più ideologicamente sospetto. Bisognava dire che quella che c'era stata era la resistenza, non la guerra civile; di guerra civile parlavano e scrivevano, allora, solo i reduci di Salò, i nostalgici del regime e qualche coraggioso giornalista o pubblicista di rango come Indro Montanelli, che mostravano così da che parte ancora stavano. Le cose andarono in questo modo a lungo. Finché, all'inizio degli anni Novanta, come si sa, uno storico di sinistra, [[Claudio Pavone]], scrisse un libro sul periodo 1943-'45 che si intitolava precisamente ''Una guerra civile'': solamente da allora tutti abbiamo potuto usare senza problemi questa espressione, ben inteso non cancellando certo la parola resistenza. ([[Ernesto Galli della Loggia]]) *È uno che riesce a spiegare agli altri quello che non capisce nemmeno lui. ([[Mario Missiroli]]) *È vero che ha cambiato parere politico più volte, ma sempre perché profondamente preoccupato per le sorti del paese. Ma Indro ha cambiato parere sempre meno di quei giornalisti che da Lotta Continua sono passati a Comunione e Liberazione per approdare infine a dirigere quotidiani di Stato. Senza contare tutti coloro che da stalinisti o maoisti sono diventati prima antimarxisti e ora clintoniani: Montanelli ragiona, loro vogliono avere sempre ragione. ([[Fausto Gianfranceschi]]) *Indro è naturalmente inclinato, direi quasi condannato a vedere più i ''tics'' degli uomini che le loro qualità e nessuno come lui fa più uso, nei suoi ritratti, dell'acido prussico. ([[Eugenio Montale]]) *{{maiuscoletto|Indro Montanelli}}. L'Italia dei Luoghi Comuni. ([[Marcello Marchesi]]) *Io mi sono limitato ad adottare la sua formula giornali­stica. Ma l'ho realizzata meglio perché mi sono sempre esposto, ci ho messo la faccia. Lui invece era come Veltroni: "Sì, ma an­che". Non si schierava nettamente, il suo editoriale era così in chiaroscuro che alla fine non capivi mai se fosse chiaro o scuro. Il che non significa che non resti il migliore di tutti noi. Ho venduto più di lui solo perché a me la gente non fa schifo. ([[Vittorio Feltri]]) *Mi sono sentito in imbarazzo per lui, e il mio primo pensiero è stato il rifiuto – «no, povero Montanelli» – quando all'ingresso dei giardini di via Palestro mi sono trovato davanti alla sua statua, al punto che ho pensato che ci sono vandali che distruggono e vandali che costruiscono, e che anzi, per certi aspetti, il vandalismo che crea è ben peggiore, perché tenta di disarmarti con le sue buone intenzioni. Dunque era di mattina, molto presto, e i giardini erano vuoti, al sole. Ebbene in questo vuoto, la statua mi è apparsa all'improvviso: una figurina in gabbia che non ha niente a che fare con Montanelli, se non perché lo offende anche fisicamente, lui che era così "verticale", e che ci invitava a buttare via «il grasso» e la retorica monumentale. Il giornalista che ogni volta si ri-definiva in una frase, in un concetto, in un aforisma, in una citazione, è stato per sempre imprigionato in una scatola di sardine. Perciò ho provato il disagio che sempre suscita il falso, la patacca, la similpelle che non è pelle, perché non solo questo non è Montanelli, come ci ha insegnato Magritte che dipinse una pipa e ci scrisse sotto "questa non è una pipa". Il punto è che questa non è neppure una statuta di Montanelli, ma di un montanelloide in bronzo color oro, che ha la presunzione ingenua e goffa di imprigionare il Montanelli entelechiale, il Montanelli che era invece l'asciuttezza, era il corpo più "instatuabile" del mondo, troppo alto, troppo energico, troppo nervoso, incontenibile nello spazio e nel tempo com'è l'uomo moderno, che è nomade e ha un'identità al futuro. Era il più grande nemico delle statue il Montanelli che sempre ci sorprendeva, fascista ma con la fronda, conservatore ma anarchico, con la sinistra ma di destra, un uomo di forte fascino maschile che tuttavia non amava raccogliere i trofei del fascino maschile, ingombrante ma discreto, il solo che nella storia d' Italia abbia rifiutato la nomina a senatore a vita perché, diceva, «i monumenti sono fatti per essere abbattuti», come quello di Saddam, o di Stalin o di Mussolini. Come si può fare una statua ingombrante e discreta? Come si può fare un monumento all'antimonumento? ([[Francesco Merlo]]) *Montanelli comprò una sposa ragazzina di 11-12 anni. In realtà non possiamo sapere con precisione l'età perché nei villaggi africani non si registravano le nascite. Ma la comprò, questo lo sappiamo. E la violentò più volte. sappiamo anche questo, è stato lui a raccontare che lei non voleva. [...] Da italiano Montanelli avrebbe potuto riconoscere i segni di quella crudeltà e discostarsene. Non lo fece perché condivideva evidentemente quella cultura patriarcale. Perché non mettere al posto della sua statua quella di una donna della Resistenza? In Italia vorrei vedere più statue di donne partigiane. ([[Maaza Mengiste]]) *Montanelli disprezzava la borghesia che difendeva, e ammirava i comunisti che attaccava. Era convinto che la rivolta di Budapest si dovesse a operai che volevano il vero socialismo; mentre fu una rivolta nazionalista e antisovietica. ([[Enzo Bettiza]]) *Montanelli è il campione di indipendenza dalla politica, anche se sono arrabbiato con lui perché mi ha insegnato regole di comportamento anacronistiche, che nel giornalismo odierno non valgono più. ([[Daniele Vimercati]]) *Montanelli ha sempre avuto una componente di destra. È stato un uomo di destra come fascista, uomo di destra come sostenitore dei governi dc sia pure turandosi il naso. [...] Adesso è un uomo di destra qualunquista, ma sempre di destra. ([[Ugo Intini]]) *Montanelli, un misantropo che cerca compagnia per sentirsi più solo. ([[Leo Longanesi]]) *Quanto mi ha insegnato: le parole da non usare, le cose da non dire, la persone da non frequentare. ([[Beppe Severgnini]]) *Recentemente sono stato insignito del Premio Montanelli alla carriera che dovrebbe essermi consegnato a ottobre a Fucecchio, a meno che nel frattempo non mi sia revocato per indegnità, sempre in nome della libertà di informazione. Sono certo che il vecchio Indro non avrebbe condiviso nemmeno un fonema del mio necrologio sul Mullah {{NDR|Omar}}, ma sono altrettanto certo che non si sarebbe mai sognato di bloccarlo. Caso mai ci avrebbe riso su, considerandolo una provocazione, anche se provocazione non era. Perché Montanelli era un vero liberale. Quando i liberali esistevano ancora. ([[Massimo Fini]]) *Sa spalmare una così giusta misura di miele sull'orlo del nappo avvelenato che prepara per questo o per quello, che spesso la vittima muore senza accorgersene, ingannata dai soavi licori. ([[Paolo Monelli]]) *Scalfari e Montanelli direttori all'antica, padroni, mattatori che ricordano gli Scarfoglio, i vecchi direttori dell'ottocento che non solo incrociavano la penna ma anche la spada in una rissa continua con tutt ([[Ugo Intini]]) *Si può raccontare la [[storia]] in forma lieve, senza essere troppo ponderosi, rispettando tuttavia le fonti e la verità storica. Montanelli era molto bravo a scrivere, ma in fondo ne sapeva poco, gli piaceva gigioneggiare, sprofondava nell'anacronismo. Oggi ci si è accorti che, nel raccontare la storia, essere rigorosi ed essere divertenti non è conflittuale. ([[Alessandro Barbero]]) *So solo che Montanelli è fatto così: un maestro di giornalismo che ogni tanto s'impenna con qualcuna delle sue bizzarrie. ([[Giorgio Bocca]]) *Una volta, parecchi anni fa, Indro Montanelli, dicendosi disgustato della morbidezza e della mollezza della [[Democrazia Cristiana]], che ammorbidiva, incorporava, estenuava e alla fine innocuizzava qualsiasi opposizione, togliendole ogni soddisfazione e dignità, mi mostrò una fotografia, incastonata in una cornicetta d'argento, che teneva, a mo' di santino, come altri fanno con le immagini della madre o della moglie e dei figli, sulla sua scrivania, al «Giornale». Con sorpresa vidi che si trattava di Stalin. «Con questo ci sarebbe stato gusto, a battersi», disse. ([[Massimo Fini]]) *Ognuno può pensarla come vuole, ma quando si passa dalla cronaca alla storia è necessario mantenere un giusto approccio ed essere oggettivi sui valori della persona. Indro Montanelli è stato forse il più autorevole giornalista che l’Italia ha avuto nel ventesimo secolo. La Toscana penserà ad azioni per valorizzarlo. ([[Eugenio Giani]]) ===[[Enzo Biagi]]=== *A Indro Montanelli devo molto: intanto, l'idea che chi conta è il pubblico. Poi la necessità di essere chiari, di far anche fatica, perché chi legge non ha voglia di impegnarsi troppo, e solo se uno si chiama [[James Joyce|Joyce]] può essere difficile. *Montanelli se n'è sempre fregato delle critiche, io molto meno, ho un carattere permaloso, spesso non ho resistito alla tentazione di rispondere a chi mi attaccava. Indro mi sgridava, diceva a mia moglie di tenermi calmo, che non ne valeva la pena, che erano tutte bischerate. [...] Per lui il buon risultato era il sorriso di un passante, l'oste che gli trovava il tavolo. Qualcuno si chiedeva che cos'avesse di speciale. A pensarci bene, niente. Scriveva degli articoli che erano letti e dei libri che si vendevano. *Non è una gran notizia che Indro e io non abbiamo mai fatto parte del coro, ma fu una grande notizia la spiegazione che ne diede Berlusconi: "Biagi e Montanelli hanno invidia del mio successo". La prima cosa che mi venne in mente fu: "Sai che risate si starà facendo Indro adesso". Poi mi dissi che c'era poco da ridere. ==Note== <references/> ==Bibliografia== *Indro Montanelli, ''Qui non riposano'', Marsilio, 1982 (1945). *Indro Montanelli, ''Pantheon minore'' (incontri), Longanesi e C., Milano, 1950. {{NoISBN}} *Indro Montanelli, ''Gli incontri'', Rizzoli, Milano, 1967. {{NoISBN}} *Indro Montanelli, ''Storia dei greci'', Rizzoli, Milano, 1992. ISBN 8817115126 *Indro Montanelli, ''Storia dei greci'', RCS Quotidiani, Milano, 2004. ISBN 1-129-08505-8 *Indro Montanelli, ''Storia di Roma'', Longanesi, Milano, 1957; Rizzoli, Milano, 1959. {{NoISBN}} *Indro Montanelli, ''Storia di Roma'', RCS Quotidiani, Milano, 2004. ISBN 1-129-08505-8 *Indro Montanelli, ''L'Italia giacobina e carbonara (1789-1831)'', Rizzoli, Milano, 1971. {{NoISBN}} *Indro Montanelli, ''L'Italia del Risorgimento (1831-1861)'', terza edizione, Rizzoli, Milano, 1972. {{NoISBN}} *Indro Montanelli, ''L'Italia dei notabili (1861-1900)'', Rizzoli, Milano, 1973. {{NoISBN}} *Indro Montanelli, ''L'Italia di Giolitti (1900-1920)'', Rizzoli, Milano, 1974. {{NoISBN}} *Indro Montanelli, ''L'Italia in camicia nera (1919-3 gennaio 1925)'', Rizzoli, Milano, 1976. *Indro Montanelli, ''Dante e il suo secolo'', Rizzoli, Milano, 1974. {{NoISBN}} *Indro Montanelli, ''I protagonisti'', Rizzoli, Milano, 1976. {{NoISBN}} *Indro Montanelli, ''Controcorrente'', Editoriale Nuova, Milano, 1978. {{NoISBN}} *Indro Montanelli, ''Controcorrente 1974-1986'', Arnoldo Mondadori Editore, Milano, 1987. ISBN 8804300558 *Indro Montanelli, ''Il meglio di «Controcorrente». 1974-1992'', Rizzoli, Milano, 1993. ISBN 8817428078 *Indro Montanelli, ''Il testimone'', TEA, Milano, 1993. ISBN 8878194182 *Indro Montanelli, ''Le Stanze. Dialoghi con gli italiani'', Rizzoli, Milano, 1998. ISBN 8817852597 *Indro Montanelli, ''Le nuove Stanze'', Rizzoli, Milano, 2001. ISBN 8817868426 *Indro Montanelli, ''Soltanto un giornalista. Testimonianza resa a Tiziana Abate'', BUR, Milano, 2003. ISBN 8817107042 *Indro Montanelli, ''I conti con me stesso. Diari 1957-1978'', a cura di [[Sergio Romano]], Rizzoli, Milano, 2010. ISBN 8817028202 ([http://books.google.it/books?id=fuh--fZGHMcC&printsec=frontcover Anteprima su Google Libri]) *Indro Montanelli, ''Ricordi sott'odio'', Milano, Rizzoli, 2011, ISBN 978-88-17-04963-4 *Indro Montanelli, ''Indro al Giro. Viaggio nell'Italia di Coppi e Bartali. Cronache del 1947 e 1948'', a cura di Andrea Schianchi, Collana Saggi italiani, Milano, Rizzoli, 2016. ISBN 978-88-1708-969-2 *Paolo Granzotto, ''Montanelli'', Bologna, Il Mulino. ISBN 88-15-09727-9 *Paolo Occhipinti (a cura di), ''Caro Indro... Dialoghi di Montanelli con il direttore di Oggi. 1993-2001. Il meglio di una rubrica di successo durata otto anni'', RCS, Milano, 2002. ==Voci correlate== *[[Colette Rosselli]] *[[Indro Montanelli e Roberto Gervaso]] *[[Indro Montanelli e Mario Cervi]] *[[Indro Montanelli e Marco Nozza]] *''[[Il generale Della Rovere]]'' (film 1959) ==Altri progetti== {{interprogetto}} ===Opere=== {{Pedia|La Voce (quotidiano)|''La Voce''}} {{Pedia|Storia d'Italia (Montanelli)|''Storia d'Italia''}} {{DEFAULTSORT:Montanelli, Indro}} [[Categoria:Drammaturghi italiani]] [[Categoria:Giornalisti italiani]] [[Categoria:Saggisti italiani]] [[Categoria:Commediografi italiani]] pxctgs1may067cv4job27dmhyn7vxuz 1381945 1381944 2025-07-01T20:11:51Z ~2025-110542 103361 /* La Stampa */ 1381945 wikitext text/x-wiki [[File:IndroMontanelliLettera22.jpg|thumb|upright=1.5|Indro Montanelli alla sede del ''Corriere della Sera'']] '''Indro Montanelli''' (1909 – 2001), giornalista, saggista e commediografo italiano. ==Citazioni di Indro Montanelli== [[File:Indro Montanelli 1936.jpg|miniatura|Indro Montanelli, ufficiale del Regio Esercito, 1936]] *[[Gianni Agnelli|Agnelli]] ha detto che non siamo nella repubblica delle banane, però qualche banana in Italia c'è, perché avvengono cose veramente singolari.<ref>Citato in Marco Travaglio, ''Bananas'', Garzanti, Milano, 5 maggio 2001.</ref> *Al [[conformismo]] l'[[ironia]] fa più paura d'ogni [[Argomentazione|argomentato ragionamento]].<ref>Da ''Controcorrente'', Editoriale Nuova, Milano, 1978.</ref> *{{NDR|[[Ferdinando I delle Due Sicilie]]}} Aveva sulla coscienza la vita di migliaia d'infelici, morti sulla forca e nelle galere solo per aver voluto un po' di libertà. Era stato spergiuro. Non aveva conosciuto che disfatte e fughe ignominiose di fronte al nemico. Politicamente, era rimasto fermo alla concezione settecentesca del più retrivo assolutismo. Non aveva fatto che i propri interessi, e più ancora i propri comodi, della regalità prendendosi solo i piaceri. Non aveva saputo che incrementare l'ignoranza di cui egli stesso era campione. Eppure, il cordoglio popolare per la sua morte non ci stupisce, perché un dono lo aveva avuto: la genuinità. Questo Re fellone e fannullone non aveva mai cercato di apparire diverso da quel che era: uno scugnizzo dei «bassi», prepotente, ridanciano e sboccato, nato per caso con una corona in testa e che aveva sempre concepito la sua parte come quella di un buon capo-camorra. Non aveva interpretato che i caratteri deteriori del popolo napoletano, ma anche i più appariscenti e riconoscibili.<ref>Da ''L'Italia unita. {{small|Da Napoleone alla svolta del Novecento}}'', Rizzoli BUR, Milano, 2015, [https://books.google.it/books?id=8J7tCgAAQBAJ&lpg=PT206&dq=&pg=PT206#v=onepage&q&f=false p. 206]. eISBN 978-88-58-68272-2</ref> *Avevo capito fin dal primo incontro che l'aggressività di [[Anna Magnani|Anna {{NDR|Magnani}}]] era solo la maschera della sua insicurezza. Era una donna difficile e sempre agli estremi di tutto: della dolcezza come del furore, e non si capiva mai bene, forse non lo capiva nemmeno lei, quanto l'uno e l'altra fossero veri, o soltanto scena. Certo è che dall'uno all'altra passava con fulminea velocità e tenendo chiunque in stato di fibrillazione. <ref>Da ''Anna Magnani, la più grande attrice del nostro cinema'', 23 ottobre 1999, in ''Le Nuove stanze'', a cura di Michele Brambilla, RCS Libri, Milano, 2002, p. 280.</ref> *{{NDR|[[Walter Chiari]]}} Avrebbe meritato 30 anni di prigione per lo spreco del suo talento.<ref>Citato in Luciano Giannini, ''[https://www.ilmattino.it/AMP/cultura/walter_chiari_100_walter_sottotitolo_chiari_biografia_di_un_genio_irregolare-7954361.html Walter Chiari genio irregolare che confessava di aver vissuto]'', ''Il Mattino'', 24 febbraio 2024</ref> *[[Silvio Berlusconi|Berlusconi]] è una persona intelligente finché riesce a ragionare col suo cervello: il suo cervello è valido. Ma lui, oltre al cervello, ha le viscere, e molto spesso le viscere prendono la prevalenza sul cervello. E quando lui si abbandona alle viscere, secondo me, diventa uomo pericoloso. Questo lo dico a lei perché l'ho detto a lui, perché gliel'ho anche scritto.<ref name="milano">Dal programma televisivo ''Milano, Italia'', Rai 3, 11 gennaio 1994.</ref> *[[Silvio Berlusconi|Berlusconi]] ha straordinarie qualità di imprenditore – coraggio, fantasia, forza di lavoro – che gli hanno valso il successo in tutti i campi in cui si è cimentato. Una sola cosa non gli riesce di fare, il presidente di una società di calcio.<ref>Da ''[http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/1987/01/20/ora-montanelli-critica-berlusconi.html Ora Montanelli critica Berlusconi]'', ''la Repubblica'', 20 gennaio 1987.</ref> *[[Silvio Berlusconi|Berlusconi]] non ha idee: ha solo interessi.<ref>2001; citato in [[Marco Travaglio]], ''Ad personam'', Chiarelettere, Milano, 2010, p. 39, ISBN 978-88-6190-104-9.</ref> *{{NDR|Su [[Aldo Moro]]}} Calvinista a rovescio, invece che nella predestinazione della [[Grazia divina|grazia]], credeva in quella della [[disgrazia]].<ref>Citato in [[Roberto Gervaso]], ''Ve li racconto io'', Mondadori, Milano, 2006, pp. 310-311, ISBN 88-04-54931-9.</ref> *Certo, per un direttore di giornale, avere sottomano un [[Marco Travaglio|Travaglio]], che su qualsiasi protagonista, comprimario e figurante della vita politica italiana è pronto a fornirti su due piedi una istruttoria rifinita nel minimo dettaglio è un bel conforto. Ma anche una bella inquietudine. Il giorno in cui gli chiesi se in quel suo archivio, in cui non consente a nessuno di ficcare il naso, ci fosse anche un fascicolo intitolato al mio nome, Marco cambiò discorso.<ref>Dalla prefazione a Marco Travaglio, ''Il Pollaio delle Libertà'', Vallecchi, Firenze, 1995.</ref> *Chi di voi vorrà fare il [[giornalista]], si ricordi di scegliere il proprio padrone: il [[lettore]].<ref>Dalla lezione di giornalismo all'Università di Torino, 12 maggio 1997; citato in ''La Stampa'', 14 aprile 2009.</ref> *Conosco molti furfanti che non fanno i [[Morale|moralisti]], ma non conosco nessun moralista che non sia un furfante. Senza, per carità, allusione a [[Eugenio Scalfari|Scalfari]]. Solo come promemoria.<ref>Citato in [[Eugenio Scalfari]], ''Incontro con io'', Rizzoli, Milano, 1994, ISBN 8806200747.</ref> *Cosa c'è meglio di [[Romano Prodi|Prodi]]? Governa fra compromessi e imbroglietti. I nostri soci sanno benissimo che siamo imbroglioni, che sui conti che portiamo all'Europa s'è un po' imbrogliato. Accettano lo stesso, purché non s'esageri. E [[Carlo Azeglio Ciampi|Ciampi]] non esagera, è un economista serio e vero. [...] {{NDR|Romano Prodi}} Con la faccia da mortadella, l'ottimismo inossidabile e l'eterno sorriso, ci porterà in Europa: ringraziamo Dio, e anche [[Massimo D'Alema|D'Alema]], che ci hanno dato Prodi.<ref name=Montanelli>Citato in Francesco Battistini ''[https://web.archive.org/web/20160101000000/http://archiviostorico.corriere.it/1997/dicembre/19/Montanelli_ragazzi_rifate_68_co_0_97121914987.shtml Montanelli: ragazzi, rifate il '68]'', ''Corriere della Sera'', 19 dicembre 1997.</ref> *Dicono che [[Ciriaco De Mita|De Mita]] sia un intellettuale della Magna Grecia. Io però non capisco cosa c'entri la Grecia...<ref>Citato in ''Liberazione'', 22 febbraio 2008.</ref> *{{NDR|Su [[Giulia Maria Crespi]]}} Dispotica guatemalteca.<ref> Citato in Paolo Martini, ''[https://www.adnkronos.com/crespi-la-zarina-del-corriere-della-sera-che-fondo-il-fai_4YA2lu93AIXTzgMw0Wj65x Crespi, la 'zarina' del Corriere della Sera che fondò il Fai]'', adnkronos.com, 19 luglio 2020.</ref> *{{NDR|Su [[Gad Lerner]], nel 2000}} È bravissimo, son contento l'abbian messo al ''Tg1'', è un buon conduttore, buonissimo giornalista. Ma sarà un bravo direttore?<ref>Citato in Antonella Rampino, ''[http://www.archiviolastampa.it/component/option,com_lastampa/task,search/mod,libera/action,viewer/Itemid,3/page,3/articleid,0428_01_2000_0162_0003_4349235/ Il rischio? Una missione impossibile]'', ''La Stampa'', 17 giugno 2000.</ref> *{{NDR|Su [[Concetto Lo Bello]]}} Entra in campo col passo del padrone che ispeziona il proprio podere.<ref>Citato in Marco Innocenti, ''[https://st.ilsole24ore.com/art/SoleOnLine4/dossier/Tempo%20libero%20e%20Cultura/storie-della-storia/archivio-2009/storie-storia-9-settembre-muore-lo-bello.shtml?uuid=4327f496-881f-11de-873c-ca3137183d57&DocRulesView=Libero&refresh_ce=1 9 settembre 1991: se ne va il re degli arbitri, Concetto Lo Bello]'', ''ilsole24ore.com'', 8 settembre 2009.</ref> *{{NDR|Su [[Gaio Giulio Cesare|Giulio Cesare]]}} Grande soldato, grande statista, grande scrittore, grande avventuriero. E grande amatore. C'era di tutto. [...] In questa epoca di Mani Pulite Cesare sarebbe rimasto sicuramente "intangentato". Di tangenti lui ne prese parecchie. Ma a differenza dei mariuoli di oggi era anche un grande legislatore, un grande generale, un uomo di un'efficienza straordinaria. I nostri sono dei ladri. Ladri e basta.<ref>Citato in Mauro Anselmo, ''[http://www.archiviolastampa.it/component/option,com_lastampa/task,search/mod,libera/action,viewer/Itemid,3/page,7/articleid,0797_01_1993_0212_0009_11229316/ Montanelli: così ho finito la mia Storia d'Italia]'', ''La Stampa'', 4 agosto 1993.</ref> *{{NDR|Su [[Clare Boothe Luce]]}} Ha la mentalità schematica di una maestra di scuola.<ref>Citato in Massimo Gaggi, ''Quando il giornale del Pci pensò di pubblicare il nudo dell'ambasciatrice Usa'', ''Corriere della Sera'', 18 dicembre 2022.</ref> *{{NDR|Su [[Lucio Battisti]]}} Ho amato molto le sue canzoni e il suo desiderio di vivere appartato.<ref>Citato in [[Leo Turrini]], ''Lucio Battisti: la vita, le canzoni, il mistero'', Mondadori, 2008, retrocopertina.</ref> *I mariti italiani, per comprar la pelliccia alle mogli, spendono più di tutti i loro colleghi europei. Poveri, ma pelli.<ref name=Controcorrente>Da ''Controcorrente, 1974–1986'', Mondadori, Milano, 1987.</ref> *I nostri uomini politici non fanno che chiederci, a ogni scadenza di legislatura, «un atto di fiducia». Ma qui la fiducia non basta; ci vuole l'atto di fede.<ref name=Controcorrente/> *I [[Ricordo|ricordi]] vanno messi sotto teca, appesi a una parete e guardati. Senza tentare di rinnovarli. Mai.<ref>Da un'intervista di [[Ferruccio de Bortoli]], 1999; in ''[http://www.rai.it/dl/Rai5/programma.html?ContentItem-f04f3982-e954-471e-8242-78f92423550d Indro Montanelli, gli anni della televisione]'', puntata 8, di Nevio Casadio, Rai Premium, 2013.</ref> *Il bello dei [[politologi]] è che, quando rispondono, uno non capisce più cosa gli aveva domandato.<ref name=Controcorrente/> *{{NDR|Su [[Carlo Sforza]]}} Il conte si piega sulle gambe come se volesse saltare in arcione. E io dico: è veramente un bell'uomo.<ref>Citato da Guido Russo Perez nella [https://documenti.camera.it/_dati/leg01/lavori/stenografici/sed0331/sed0331.pdf Seduta pomeridiana del 31 ottobre 1949] della Camera dei deputati.</ref> *Il fascismo privilegiava i somari in divisa. La democrazia privilegia quelli in tuta. In Italia, i regimi politici passano. I somari restano. Trionfanti.<ref name=Controcorrente/> *Il guaio di [[Eugenio Scalfari|Scalfari]] non è che dice quel che pensa. Il guaio di Scalfari è che pensa quel che dice.<ref>Citato in Paolo Granzotto, ''Montanelli'', p. 173.</ref> *In [[Italia]] a fare la dittatura non è tanto il dittatore quanto la paura degli italiani e una certa smania di avere, perché è più comodo, un padrone da servire. Lo diceva [[Benito Mussolini|Mussolini]]: «Come si fa a non diventare padroni di un paese di servitori?».<ref>Dall'intervista di Pasquale Cascella, ''Montanelli: «Il regime? È alle porte, inutile aspettare il dittatore»'', ''l'Unità'', 25 ottobre 1994, p. 5.</ref> *In Italia c'è una frangia d'imbecilli tali che credono si possa resuscitare il comunismo. Seppellire il cadavere del marxismo non è facile, anche perché per molti significa rinnegare l'intera esistenza. Ma certo [[Fausto Bertinotti|Bertinotti]] non è di questi: lui non sa un corno di marxismo, non gl'importa niente, è un piccolo pagliaccio, un populista all'italiana che scalda in piazza maree di poveri diavoli e parla ancora delle masse operaie, che vede solo lui.<ref name=Montanelli></ref> *In Italia non c'è una coscienza civile, non c'è un'identità nazionale che tenga insieme uno Stato federale e garantisca la civile convivenza delle sue parti. Invece io vedo solo nell'Italia Cisalpina qualche barlume di coscienza civile e una vocazione europea. Altrove, invece, è un disastro difficile, se non impossibile, da rimediare. Spero proprio di sbagliarmi.<ref name=Italia>Citato in ''Il grande vecchio del giornalismo rilegge gli ultimi anni della nostra storia'', ''L'Indipendente'', 25 luglio 1995.</ref> *In Italia si può cambiare soltanto la Costituzione. Il resto rimane com'è.<ref>Dall'articolo di Polaczek, ''Teile und sende'', in ''Frankfurter Allgemeine Zeitung'', 15 agosto 1996, p. 29.</ref> *In Italia un colpo di piccone alle [[Casa di tolleranza|case chiuse]] fa crollare l'intero edificio, basato su tre fondamentali puntelli, la Fede cattolica, la Patria e la Famiglia. Perché era nei cosiddetti postriboli che queste tre istituzioni trovavano la più sicura garanzia.<ref>Citato in Daniele Abbiati, [http://www.ilgiornale.it/news/tresse-indro-nella-repubblica-delle-marchette.html ''La maîtresse di Indro nella Prima Repubblica delle marchette''], ''il Giornale.it'', 22 ottobre 2010.</ref> *In nome di quale razza noi faremmo del razzismo? Se c'è un paese (adesso non voglio offendere, perché io sono italiano come tutti gli altri), ma se c'è un paese bastardo è l'Italia, cioè a dire una confluenza di razze diverse.<ref>Dal programma televisivo di Rai 3 ''Eppur si muove'', 20 marzo 1994.</ref> *Io non mi sono mai sognato di contestare alla [[Chiesa (comunità)|Chiesa]] il suo diritto a restare fedele a se stessa, cioè ai comandamenti che le vengono dalla Dottrina... ma che essa pretenda d'imporre questi comandamenti anche a me che non ho la fortuna di essere un credente, cercando di travasarli nella legge civile in modo che diventi obbligatorio anche per noi non credenti, è giusto? A me sembra di no.<ref>Citato in [[Umberto Veronesi]], ''[http://www.repubblica.it/2008/10/sezioni/cronaca/eluana-eutanasia-3/comm-veronesi/comm-veronesi.html Non vince la scienza]'', ''la Repubblica'', 14 novembre 2008.</ref> *Io il giornale urlato non è che non glielo voglio dare, non lo so fare! La clava non è nel mio armamentario! Non lo posso fare e non credo che sia un buon segno di civiltà politica l'uso della clava.<ref name="milano" /> *Io non sono napoletano, ma di fronte a [[Peppino De Filippo|Peppino]], non so come, mi capita sempre di diventarlo.<ref name=Pappagone>Citato in ''Pappagone e non solo'', a cura di Marco Giusti, Mondadori, Milano, 2003.</ref> *{{NDR|Alla nipote Letizia Moizzi}} Io sarò il tuo Jukebox. Tu metti una monetina e io ti racconto un ricordo.<ref>Citato in Elvira Serra, «Scoprii che era importante quando le Br gli spararono. Lo convinsi io a prendere i farmaci per la depressione», ''Corriere della Sera'', 20 gennaio 2025.</ref> *Io non voglio soffrire, io non ho della sofferenza un'idea cristiana. Ci dicono che la sofferenza eleva lo spirito; no la sofferenza è una cosa che fa male e basta, non eleva niente. E quindi io ho paura della sofferenza. Perché nei confronti della morte, io, che in tutto il resto credo di essere un moderato, sono assolutamente radicale. Se noi abbiamo un diritto alla vita, abbiamo anche un diritto alla morte. Sta a noi, deve essere riconosciuto a noi il diritto di scegliere il quando e il come della nostra morte.<ref>Citato in Carlo A. Martigli, ''[http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2002/04/25/sul-diritto-alla-morte-si-discute-su.html Sul diritto alla morte si discute su Internet]'', ''la Repubblica'', 25 aprile 2002.</ref> *Kipling diceva: "un italiano, un bel tipo; due italiani, una discussione; tre italiani, tre partiti politici". I suoi concittadini, invece, li definiva così: "un inglese, un cretino; due inglesi due cretini; tre inglesi, un popolo". Vorrei avere a che fare con dei cretini che, insieme, facessero un popolo.<ref>Citato in Cristina Taglietti, ''[https://web.archive.org/web/20160101000000/http://archiviostorico.corriere.it/1998/dicembre/17/Montanelli_cari_studenti_volete_spaccate_co_0_98121712510.shtml Montanelli: cari studenti, se volete spaccate tutto ma è inutile]'', ''Corriere della Sera'', 17 dicembre 1998.</ref> *{{NDR|Riguardo all'approvazione della legge elettorale nota come mattarellum}} L'unico modello a cui possiamo rifarci è quello francese, non quello inglese. In un paese dove ci sono venti-venticinque partiti, come si fa l'uninominale a turno unico? Qui rischia di vincere un partito che ottiene il dieci percento, perché gli altri hanno ottenuto il sette, il sei. Ma le pare giusto questo? Io non so se è stata una follia o un atto criminale questa riforma elettorale. Io sono per la traduzione in processo dei legislatori, da [[Sergio Mattarella|Mattarella]] agli altri - non è stato il solo - i quali hanno fatto, come al solito, o creduto di fare gli interessi del proprio partito. Hanno fatto questa legge prima che venisse il diluvio universale di [[Mani pulite|Tangentopoli]], convinti che siccome loro erano il partito di maggioranza relativa spazzavano via l'Italia. Poi è venuta tangentopoli e ora piangono. Dovrebbero suicidarsi se avessero un minimo di dignità. Suicidarsi. Perché in nome degli interessi di partito hanno completamente rovinato l'Italia. [...] Questi legislatori che hanno truffato con questa legge - perché questa legge è una truffa - io vorrei sapere come mai non vengono processati. Dovrebbero essere processati per lesa patria.<ref name=conferenza>[https://www.youtube.com/watch?v=snbg12DCPSM Indro Montanelli presenta "La Voce", conferenza stampa integrale], 1994.</ref> *La cosa curiosa di [[Antonino Caponnetto|Caponnetto]] è che si va a schierare con [[Leoluca Orlando|Orlando]] che è stato il peggior denigratore di [[Giovanni Falcone|Falcone]]. E poi dice che fa l'antimafia, io vorrei sapere i voti a Orlando chi glieli ha dati.<ref>Citato in Riccardo Chiaberge ''[https://web.archive.org/web/20160101000000/http://archiviostorico.corriere.it/1994/marzo/21/Montanelli_voce_controcorrente_co_0_94032115801.shtml Montanelli la voce controcorrente]'', ''Corriere della Sera'', 21 marzo 1994.</ref> *La [[cultura]], per un giornalista, è come una puttana: la puoi frequentare ma non devi ostentarla. La cultura si tiene nel cassetto. Il lettore non va trattato dall'alto in basso, ma preso per mano come un amico e portato dove vuoi.<ref>Citato in [[Roberto Gervaso]], ''Ve li racconto io'', Mondadori, Milano, 2006, p. 294, ISBN 88-04-54931-9.</ref> *La cultura si è chiusa nella torre eburnea. Rimane lì, arroccata in sé stessa, perché ha orrore dei contatti col pubblico, si crede diminuita dai contatti col pubblico. Questa è la cultura italiana. È una cultura di cretini.<ref name="montecarlo">Radio Montecarlo, [https://www.youtube.com/watch?v=A77mrwIjSSs Intervista a Indro Montanelli], di Roberto Arnaldi, 1973.</ref> *La [[depressione]] è una malattia democratica: colpisce tutti.<ref>Citato nel programma televisivo ''Ippocrate'', Rai News, 13 giugno 2010.</ref> *La devolution mi preoccupa molto, perché la decomposizione della [[Repubblica Socialista Federale di Jugoslavia|Jugoslavia]] cominciò esattamente così: reclamata e imposta dai due grandi compari Tudjiman e [[Slobodan Milošević|Milosevic]] che distrussero l'unità del Paese per restare padroni in casa propria...<ref>Citato in Gian Guido Vecchi, ''[https://web.archive.org/web/20160101000000/http://archiviostorico.corriere.it/2001/aprile/08/Devolution_traffico_voto_rebus_co_7_0104088547.shtml Devolution e traffico, il voto è un rebus]'', ''Corriere della Sera'', 8 aprile 2001.</ref> *La guerra contro il [[brigantaggio]], insorto contro lo Stato unitario, costò piú morti di tutti quelli del [[Risorgimento]]. Abbiamo sempre vissuto dei falsi: il falso del Risorgimento che assomiglia ben poco a quello che ci fanno studiare a scuola.<ref>Citato in Stefano Preite, ''Il Risorgimento, ovvero, Un passato che pesa sul presente'', Piero Lacaita, 2009.</ref> *La lettura del ''[[Adolf Hitler#Mein Kampf|Mein Kampf]]'' io la renderei, per legge, obbligatoria. Fuori dal contesto in cui fu concepito e scritto, quel libro è un caciucco di coglionerie.<ref>Citato in Cesare Medail, ''Il «Mein Kampf» torna nelle librerie italiane. Grazie a un editore cossuttiano'', ''Corriere della Sera'', 6 maggio 2000.</ref> *La nostra classe politica ha fatto del [[partito]] una specie di totem intoccabile e gli ha attribuito tutti i poteri, con in più un diritto: il diritto di abusarne.<ref name=Dovere>Dal programma televisivo ''Dovere di cronaca'', Rete 4, 1988, [https://www.youtube.com/watch?v=caQgyvTKZS8 visibile su YouTube].</ref> *Le cose non sono importanti per quello che sono, ma per quello che uno ci mette.<ref name="cento">intervista di Enzo Biagi a Indro Montanelli, (1982), da "Cento anni", Fabbri video, 1993.</ref> *Le mie idee sono sempre al vaglio dell'[[esperienza]] e l'esperienza mi impone di rivederle continuamente.<ref name="IIIB">Da un'intervista del 1971, tratta da ''III B, Facciamo l'appello'' di Enzo Biagi; anche in ''[http://www.rai.it/dl/Rai5/programma.html?ContentItem-f04f3982-e954-471e-8242-78f92423550d Indro Montanelli, gli anni della televisione]'', puntata 7, di Nevio Casadio, Rai Premium, 2013.</ref> *[[Leo Longanesi]] che amava [[Marcello Marchesi]] rabbiosamente per lo spreco che faceva del suo talento, quando lo incontrava, gli diceva: "Devo fare una telefonata, mi dai un gettone di intelligenza?". E un giorno mi ordinò un epitaffio per lui. Eccolo: "Qui giace un nessuno — che se avesse voluto — avrebbe potuto diventare — Marcello Marchesi —. Purtroppo o per fortuna — non lo seppe mai —. Come tutti i geni — era un cretino".<ref>Citato in Paola Fallai, ''Marchesi, l'umorista che creò un'atmosfera'', ''La lettura'', ''Corriere della Sera'', 25 marzo 2012; riportato in ''[http://www.cinquantamila.it/storyTellerArticolo.php?storyId=0000001549183 Cinquantamila.it]''.</ref> *Mi accusano molto spesso di avere inventato degli aneddoti. È verissimo. Io ogni tanto invento quando devo descrivere un personaggio, specialmente negli incontri, io invento qualche aneddoto. Però sono sempre aneddoti funzionali, che servono a dimostrare quel certo carattere che mi sembra vero e di dover dimostrare.<ref name="IIIB" /> *Mi avvio verso il mio capolinea con l'angoscia di portare con me le cose che ho più amato: il mio paese e il mio mestiere, temo che non mi sopravviveranno.<ref>Da un'intervista del 1996, tratta da ''Tablet Italiani'', puntata 2, "Montanelli/Bocca", Rai Storia, 25 agosto 2013.</ref> *{{NDR|Su [[Vittorio Mangili]], in riferimento all'[[rivoluzione ungherese del 1956|insurrezione antisovietica in Ungheria nel 1956]]}} Ne ha combinate di tutti i colori. Ha fatto perfino il portaordini dei patrioti, a bordo di una delle loro automobili di collegamento.<ref>Citato in Roberta Scorranese, ''[https://www.corriere.it/cronache/22_ottobre_09/vittorio-mangili-cento-anni-dell-inviato-rai-io-budapest-madre-teresa-1efd76ca-473a-11ed-8ee2-07ab17a2d97d.shtml Vittorio Mangili, i cento anni dell’inviato Rai «Io, da Budapest a Madre Teresa»]'', ''corriere.it'', 8 ottobre 2022.</ref> *Nei grandi [[giornale|giornali]] di oggi, che non possono farne a meno, chi comanda non è più nemmeno il [[direttore]]: è l'ufficio [[marketing]].<ref name="giornalista">Da: ''Repertorio della Fondazione Montanelli'', in ''Indro Montanelli - Gli anni della televisione 4: Io sono soltanto un giornalista'', a cura di Nevio Casadio, Rai Sat, 2009</ref> *{{NDR|Rivolto a [[Silvio Berlusconi|Berlusconi]] che voleva imporsi sulla linea editoriale de ''il Giornale''}} Nell'arte dell'imprenditoria, tu sei di certo un genio, ed io un coglione. Ma nell'arte della polemica il genio sono io, e tu il coglione.<ref name=Travaglio2004>Citato in Marco Travaglio, ''Montanelli e il Cavaliere'', Garzanti, Milano, 2004.</ref> *Nessuno di noi la strada della ribellione la batté sino in fondo, come voleva [[Berto Ricci|Ricci]]: per la semplice ragione che si trattava di una strada che fondi non ne aveva. Qualcuno poi scantonò in questo o in quello dei sette o otto partiti che aprirono le porte a questa generazione perduta. E forse si illuse di aver trovato un’altra bandiera. Io sono tra i rassegnati: so benissimo che di bandiere non posso averne altre e che l'unica che seguiterà a sventolare sulla mia vita è quella che disertai, prima che cadesse.<ref>Citato in Mario Bernardi Guardi, ''La giovinezza di Montanelli ebbe un nome: Berto Ricci'', ''Il Primato Nazionale'', 3 maggio 2016.</ref> *No, [[Marco Travaglio|Travaglio]] non uccide nessuno. Col coltello. Usa un'arma molto più raffinata e non perseguibile penalmente: l'archivio.<ref name=Travaglio2004/> *Noi italiani non crediamo in nulla e tanto meno nelle virtù che qualcuno ci attribuisce. Ma tra di esse ce n'è una nella quale riponiamo una fede incorruttibile: quella della nostra capacità di corrompere tutto.<ref>Citato in Mario Cervi, ''Ti ricordi Indro?'', Società europea di edizioni, Milano, 2017, p. 57. ISBN 9778118178454</ref> *Noi qui buttiamo tutte le colpe addosso agli altri. Ma bisogna fare i conti anche col popolo italiano. Siamo noi che li abbiamo eletti questi signori. Sono mica piovuti dalla luna. E allora non accaniamoci soltanto sulla classe politica. Noi siamo un elettorato disposto a ogni sorta di transazione, quando ci fa comodo.<ref name=conferenza /> *Non credo alle feste comandate. La memoria dovrebbe essere spontanea. L'unica cosa che si dovrebbe fare è raccontare veramente e in maniera spassionata ai giovani, che non lo sanno, cosa è stata la Shoah, senza fare mobilitazioni di folle.<ref>Citato in Marco Cremonesi, ''[https://web.archive.org/web/20160101000000/http://archiviostorico.corriere.it/2001/gennaio/28/Diecimila_piazza_con_nomi_dei_co_0_0101282160.shtml Diecimila in piazza con i nomi dei lager]'', ''Corriere della Sera'', 28 gennaio 2001, p. 31.</ref> *Non do più nessun significato a queste due parole {{NDR|destra e sinistra}}, le ritengo un cascame, un residuato di situazioni oramai defunte. [[Destra e sinistra]] non hanno più nessun significato e credo che noi ci stiamo attardando su una terminologia arcaica, oramai da seppellire.<ref>Radio Radicale, [https://www.radioradicale.it/scheda/598/599-elezioni Elezioni], 38:58-39:26, 25 maggio 1979.</ref> *Non mi si portino i soliti argomenti astratti, tipo la sacralità della vita: nessuno contesta il diritto di ognuno a disporre della sua vita, non vedo perché gli si debba contestare il diritto a scegliere la propria morte.<ref>Citato in Enrico Bonerandi, ''[http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2000/12/13/montanelli-pronto-morire.html Montanelli: pronto a morire]'', '' la Repubblica'', 13 dicembre 2000, p. 36.</ref> *{{NDR|Il Polo delle Libertà}} Non venga a farci credere che è costretto all'[[Aventino (espressione)|Aventino]] dal clima di violenza creato dall'Ulivo. Dove diavolo la vede questa violenza? Mi basta guardare la faccia di [[Romano Prodi|Prodi]] 1996 per metterla a confronto con quella di Mussolini 1924 per escludere che in Italia corriamo il pericolo di una dittatura. Per fare una dittatura ci vuole un dittatore.<ref>Citato in Alessandro Longo, ''[https://rep.repubblica.it/pwa/generale/2018/03/17/news/aventino-191559602/?ref=pwa-rep-hp-2-1-1 Perché si dice Aventino]'', ''Rep.repubblica.it'', 17 marzo 2018.</ref> *{{ndr|su [[Gianni Agnelli]]}} Parla con la propria bocca, pensa con il cervello di Valletta, col cuore di Giulio De Benedetti e con gli interessi polivalenti della Fiat.<ref>Citato in Paolo Granzotto, ''Montanelli'', p. 129.</ref> *{{ndr|su [[Mariano Rumor]]}} Personaggio da commedia [[Carlo Goldoni|goldoniana]] più che da tragedia contemporanea.<ref>Citato in Paolo Granzotto, ''Montanelli'', p. 145.</ref> *Posso solo dire che l'Italia del Cattaneo è quella che conserva qualche probabilità di salvarsi da questo degrado politico, culturale, morale, economico. E l'Italia del Cattaneo è quella Cisalpina. A nord del Po, e forse anche in Emilia, esistono tracce di coscienza civile e anche di classi dirigenti sane. Poi c'è un'Italia centrale, quella toscana e umbra e marchigiana, che conserva le sue peculiarità, i suoi caratteri spiccati che affondano le radici nell'Italia comunale e rinascimentale. Il resto è un disastro che non saprei come salvare. Del resto Cattaneo ci tentò, andò a Napoli e resistette qualche giorno. Poi si arrese e se ne tornò nella sua Lugano, nella sua Svizzera.<ref name=Italia>Citato in ''Il grande vecchio del giornalismo rilegge gli ultimi anni della nostra storia'', ''L'Indipendente'', 25 luglio 1995.</ref> *Pur ricordandovi che la nostra regola è quella di non tener conto delle intemperanze altrui, specie dei politici, e di dire sempre la verità, tutta la verità, senza partito preso né animosità verso nessuno, vi autorizzo a comunicare al [[Bobo Craxi|suddetto signore]], se ve ne capita l'occasione, che l'unica «testa» in pericolo di cadere dopo il 5 aprile non è la vostra ma, casomai, la sua. E potete aggiungere, da parte mia, che non la considererei una gran perdita.<ref>Citato in [[Federico Orlando]], ''Il sabato andavamo ad Arcore'', Larus, Bergamo, 1995.</ref> *[[Sandro Pertini|Pertini]] ha interpretato al meglio il peggio degli italiani.<ref>Citato in Franco Fontanini, ''Piccola antologia del pensiero breve'', Liguori Editore, Napoli, 2007, p. 12.</ref> *Quando mi viene in mente un bell'aforisma, lo metto in conto a [[Montesquieu]], od a [[François de La Rochefoucauld|La Rochefoucauld]]. Non si sono mai lamentati.<ref>Citato in Luigi Mascheroni, ''[http://www.ilgiornale.it/news/mai-dette-ripetiamo-sempre-ecco-frasi-fantasma-storia.html Mai dette, ma le ripetiamo sempre. Ecco le frasi fantasma della storia]'', ''il Giornale'', 21 marzo 2009, p. 22.</ref> *Quello che ci ripugna è che, per mettere un controllo all'autorità politica, ci sia bisogno di ricorrere all'autorità giudiziaria. Cioè che, alla fine, noi avremo le riforme istituzionali non per via politica, ma per via giudiziaria e processuale. Questo ci allarma anche perché, come avrete ben capito, la mia opinione dei politici è molto bassa, ma quella dei giudici non è migliore. Perché anche i giudici sono stati corrotti dalla partitocrazia. Lo dimostra il semplice fatto che molti di loro ostentano la tessera di partito. Un giudice che ha venduto la propria imparzialità ai partiti è un giudice che, prima di processare gli altri, dovrebbe essere processato lui e cacciato in galera. Lo so che a dire queste cose si possono avere dei dispiaceri, ma io di dispiaceri in vita mia ne ho avuti tanti che, uno più o uno meno, non mi fa nessunissimo effetto.<ref name=Dovere/> *{{NDR|[[Carmen Lasorella]]}} Richiama tanta attenzione non solo per la sua bravura ma anche per quel che possiede dal cervello in giù.<ref>Citato in Luigi Mascheroni, ''[https://books.google.it/books?id=gtg7AQAAIAAJ&q=%22Richiama+tanta+attenzione+non+solo+per+la+sua+bravura+ma+anche+per+quel+che+possiede+dal+cervello+in+gi%C3%B9+%22&dq=%22Richiama+tanta+attenzione+non+solo+per+la+sua+bravura+ma+anche+per+quel+che+possiede+dal+cervello+in+gi%C3%B9+%22&hl=it&newbks=1&newbks_redir=0&sa=X&ved=2ahUKEwiC2PXRl5WDAxVs4AIHHazPCd4Q6AF6BAgHEAI Sette, settimanale del Corriere della sera, Edizioni 1-9]'', 1996.</ref> *Sfido io che {{NDR|''il Giornale''}} non va bene come vendite. Non va bene come vendite perché noi siamo ancora alla macchina Olivetti. Qui non è stato fatto mai nessun investimento ed è stato detto chiaro che gli investimenti non sarebbero venuti finché io ne fossi il direttore. Questa è la situazione.<ref name="milano" /> *Siamo un paese cattolico, che nella [[Provvidenza]] ci crede o almeno ne è affascinato. Il pericolo è questo: gli [[italia]]ni sentendo aria di provvidenza sono sempre pronti a mettersi in fila speranzosi.<ref name=Provvidenza>Citato in ''[http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/1994/02/24/rivogliono-uomo-della-provvidenza.html?ref=search Rivogliono l'uomo della provvidenza]'', ''la Repubblica'', 24 febbraio 1994, p. 11.</ref> *Se avessi potuto immaginare come sarebbe stata distrutta la vecchia classe politica italiana - che meritava la distruzione, sia chiaro - se avessi potuto immaginare che la distruzione della vecchia classe politica italiana, in gran parte marcia, avrebbe dischiuso una situazione come quella attuale e che la vecchia legge proporzionale sarebbe stata sostituita dall'attuale legge maggioritaria così come è stata compilata, io avrei forse difeso la vecchia classe. Per lo meno non mi sarei battuto con tanta asprezza e con tanto vigore contro quella classe politica, che meritava di finire, ma a cui si stanno dando dei successori che, ricordatevelo bene, ci faranno rimpiangere quella vecchia. È il peggio che si può dire. Ma io lo dico. Perché non riesco proprio a vedere cosa sta venendo fuori da questo rimescolio di carte.<ref name=conferenza /> *{{NDR|«Se dovesse fondare un giornale a novant'anni, che giornale farebbe?»}} Se io dovessi oggi fare un giornale, farei un ''Foglio'' un po' più grande: invece che di 4 facciate di 10 o di 12. Non di più. Con una redazione ridottissima e facendo un preventivo che mi mettesse al riparo dalle delusioni. Mirerei ad avere non più di venti/trentamila lettori e non avere pubblicità. Su queste basi, forse, riuscirei a fare un [[giornale]] di alto prestigio, ma purtroppo destinato a una élite.<ref name="giornalista" /> *Sta arrivando l'uomo della provvidenza. E io, in vita mia, di questi personaggi ne ho già conosciuto uno. Mi è bastato. Per sempre.<ref name=Provvidenza></ref> *Una cultura che perde i contatti col pubblico si sterilisce e muore. Questa è la verità. E la nostra cultura è assolutamente sterile. Noi culturalmente non contiamo più nulla nel mondo. Perché? Perché è chiusa in sé stessa, la cultura, ha perso i contatti col pubblico, con la vita. Non c'è più. Sono mummie. Non è più cultura: è mafia.<ref name="montecarlo" /> *{{NDR|Su [[Aldo Moro]]}} Un generale che, sfiduciato del proprio esercito, credeva che l'unico modo di combattere il nemico fosse quello di abbracciarlo.<ref>Citato in [[Roberto Gervaso]], ''Ve li racconto io'', Mondadori, Milano, 2006, p. 310, ISBN 88-04-54931-9.</ref> *Un giorno fui convocato a Palazzo Venezia, era il 1932 e avevo 23 anni, perché il duce voleva vedermi. Ero emozionatissimo, entrai e mi misi sull'attenti, e il duce che faceva finta di scrivere mi lasciò lì per un quarto d'ora e alla fine mi disse: "Ho letto il vostro articolo sul razzismo (avevo scritto un articolo contro il razzismo). Bravo, vi elogio. Il razzismo è roba da biondi (non si era accorto che ero biondo), continuate così. Sei anni dopo fece le leggi razziali. Perché questo era [[Benito Mussolini|Mussolini]], diceva una cosa e ne faceva un'altra, secondo il vento del momento. Non creava il vento, vi si accodava da buon italiano.<ref>Citato in Gianna Fregonara, ''[https://web.archive.org/web/20160101000000/http://archiviostorico.corriere.it/2010/gennaio/24/Dal_balcone_Mussolini_bianco_sorriso_co_9_100124324.shtml Dal balcone di Mussolini al bianco sorriso di Belen]'', 24 gennaio 2010, p. 34.</ref> *{{NDR|Su [[Giorgio La Pira]]}} Un pasticcione ben intenzionato che, nel nome del Signore, appoggia le peggiori cause appellandosi ai migliori sentimenti.<ref>Citato in [[Roberto Gervaso]], ''Ve li racconto io'', Mondadori, Milano, 2006, p. 236, ISBN 88-04-54931-9.</ref> ===Citazioni tratte da suoi libri=== *{{NDR|Sul funerale di [[Leo Longanesi]]}} Al cimitero ci si ritrovò in una decina di persone, non di più. Non ci furono cerimonie né discorsi. Solo la piccola Virginia, che avrà avuto quattordici anni, mentre la bara di suo padre calava nella tomba, mormorò: «E dire che gli orfani mi sono sempre stati così antipatici...» Una frase che sarebbe piaciuta moltissimo a Leo.<ref>Dalla presentazione a [[Leo Longanesi]], ''In piedi e seduti'', Longanesi & C., Milano, 1968.</ref> ====''Caro Indro...''==== *L'aureola di martire a Craxi nessuno è disposto a riconoscergliela, proprio perché inconciliabile con l'arroganza con cui si comporta. Nessun paragone col contegno di Andreotti, davvero ineccepibile. Sul banco degli imputati ci sta da imputato, dimentico di essere stato per ben sette volte capo del governo. Parla solo se interrogato, e a bassa voce. Non rinuncia alla propria dignità, ma non la ostenta. Eppoi, le colpe che gli si addebitano saranno anche più gravi di quelle che si addebitano a Craxi, ma meno spregevoli. Potrà anche aver baciato Riina (sebbene a me questo appaia poco credibile). Ma del pubblico denaro non risulta che gli sia scivolata in tasca nemmeno una lira. Forse merita la fucilazione. Lo spregio, no. (31.1.1996) (p. 9) *Non ho mai conosciuto [[Yasser Arafat|Arafat]], né mai ho cercato di conoscerlo: non mi pare che il suo aspetto inviti alla simpatia. Però non l'ho mai considerato un criminale anche se si trovava alla testa di un'[[Organizzazione per la Liberazione della Palestina|organizzazione]] in cui di criminali ce ne sono molti. E oggi non lo considero affatto un eroe, ma un uomo coraggioso sì, perché lo ritengo in costante pericolo di vita. La lotta per il potere, dentro l'Olp, è a coltello: e i nemici di Arafat sono quelli che il coltello lo maneggiano meglio di tutti. Stringendo la mano a [[Yitzhak Rabin|Rabin]], Arafat ha moltiplicato i suoi nemici e li ha resi ancora più rabbiosi. È un uomo a rischio, non c'è dubbio. E se muore lui, addio pace in Medio Oriente. (4.10.1993) (p. 11) *Certo che il passato dell'Olp, carico di bombe e di sangue, non è la migliore referenza per un Nobel, ma Arafat è però anche l'unico interlocutore palestinese: dopo di lui c'è il nulla, o meglio soltanto gruppi di fanatici votati alla violenza e alla distruzione di [[Israele]]. Una volta presa la decisione di premiare i protagonisti del tormentato processodi pace in Medioriente [...] si è dovuto fare di necessità virtù e dare il riconoscimento anche all'uomo che per molti anni è stato un simbolo del terrorismo, nonché l'ispiratore di tante altre «lotte armate»: premiare solo Rabin e [[Shimon Peres|Peres]] sarebbe stato uno schiaffo ai palestinesi, un'iniziativa controproducente. [...] Forse più che il Nobel per la pace meriterebbe quello per il ravvedimento... (30.10.1994) (p. 12) *«Libera Chiesa in libero Stato» è una formula più d'effetto che di sostanza. Potrebbe anche significare che Chiesa e Stato si ignorano a vicenda e ognuno dei due si attribuisce i poteri che più gli aggradono: che è il modo più sicuro per litigare, non certo per convivere. Fra i due ci deve essere un patto improntato al reciproco rispetto: condizione più facile da formulare che da realizzare. Ma sembra che lo sviluppo di questo rapporto negli ultimi anni abbia fatto più passi indietro che avanti. E mi pare che dello stesso parere sia il capo dello Stato, Carlo Azeglio Ciampi. Meno male (7.3.2001) (p. 30) *Ho fiducia in [[Massimo D'Alema|D'alema]], anche se non voterò mai per lui. Ho fiducia per due motivi. Prima di tutto perché, fra i leader di oggi, è l'unico vero professionista della politica. Eppoi perché non ho dubbi sulla sua intenzione di fare del Pds un partito socialdemocratico o laburista. Se non fosse così, non solo Prodi ma nemmeno Veltroni sarebbero al suo fianco. E appunto perché è così, sono convinto che consumerà fino in fondo il divorzio da Rifondazione. Lo consumerà cercando di non farsene portar via molti elettori. Ma lo consumerà per conquistare i moderati: altra strada non può battere. E proprio in questi giorni lo ha dimostrato sacrificando anche quella piccola falce e martello che tuttora sopravviveva nel simbolo del suo partito ai piedi della Quercia. Non era che un «segno», dirà qualcuno. Sì, ma che segno! (17.5.1995) (p. 42) *Anch'io sono stato in passato un fautore dell'elezione diretta, cioè per consultazione popolare, del Capo dello Stato. Mi pareva il mezzo più efficace per sottrarre almeno il Quirinale agl'intrallazzi dei partiti e per avere un garante al di sopra di essi. Ma poi ho dovuto cambiare idea di fronte alle prove di balordaggine, d'ignoranza, di totale mancanza di consapevolezza morale e civile dell'elettorato italiano, o almeno della sua maggioranza. È un elettorato sempre pronto a correre dietro a qualche ciarlatano che sappia vendere bene la sua merce e a lasciarsene trascinare nelle imprese più insensate. Insomma considero la stupidità più pericolosa degl'intrallazzi. (23.12.1998) (p. 47) *Non credo che [[Diana Spencer|Diana]] rimarrà nella memoria dei posteri. Era una bella e simpatica ragazza, che avrebbe anche potuto essere una buona moglie e una buona madre, ma che non aveva certamente la stoffa e le dimensioni umane, comportamentali di una regina. Più e meglio che sul trono, il suo personaggio avrebbe figurato in un romanzo di Liala. Non riesco ad accostarla a figure storiche (17.9.1997) (p. 72) *Mussolini non aveva la stoffa del criminale né di guerra né di pace. Dicendolo, so di espormi alle contumelie della cosiddetta intellighenzia. Ma ne ho già ricevute tante che non mi fanno più nessun effetto. Tuttavia mi rendo conto che alla condanna a morte non avrebbe potuto sfuggire perché almeno un responsabile delle catastrofi che si erano abbattute sull'Italia si doveva pur trovare, e non poteva essere che lui. Però c'è da ringraziare Dio, e per esso, il Comitato di liberazione nazionale che ne ordinò (o avallò) la fucilazione sul posto perché un processo a Mussolini avrebbe ancora più spaccato un Paese già spaccato dalla guerra civile (per chiamare col suo vero nome, la Resistenza). E credo che anche gli Alleati trassero un respiro di sollievo dal venirne esentati. Un processo avrebbe messo in imbarazzo anche loro per le indulgenze che avevano avuto verso di lui e quella parodia di totalitarismo ch'era stata il suo regime. Una Norimberga italiana sarebbe stata anch'essa una parodia. La fucilazione sul posto di Mussolini era un atto dovuto. Quello che non era dovuto, e che per gl'italiani provvisti di qualche senso dell'onore e della decenza rimarrà una indelebile vergogna, fu la scena di piazzale Loreto (30.6.1999) (pp. 89-90) *{{NDR|«Poni che ti regalino una telecamera, con il diritto di spiare per un mese, non visto, un potente della Terra, a tua scelta, dalla regina Elisabetta a Gheddafi, da Saddam a Clinton. Quale personaggio ti incuriosirebbe di più?»}} [[Vladimir Putin|Putin]]. Credo che sia una canaglia perché solo le canaglie potevano arruolarsi e fare carriera in un corpo di polizia come il Kgb. Ma è proprio di una canaglia che la [[Russia]] ha bisogno per ricompattarsi all'interno, risollevarsi dal caos in cui l'ha precipitata il crollo di un regime totalitario durato settant'anni, e riprendere nel gioco delle potenze mondiali il posto che spetta a un Paese di 250 milioni di abitanti, di grandi tradizioni e d'inesauribili risorse naturali. L'Occidente ha bisogno della Russia: è il suo antemurale verso un Oriente che può riservarci amare sorprese. [...] Non facciamoci illusioni sull'avvenire di una democrazia in Russia. Essa ha bisogno [...] di una mano forte e spregiudicata, di una canaglia insomma. [...] Ecco perché mi piacerebbe conoscere Putin: per vedere se è la canaglia di cui mi pare abbia bisogno la Russia in questo momento: un «momento» destinato a durare parecchi decenni. (18.10.2000) (pp. 104-105) ====''Il testimone''==== *[[Corrado Carnevale|Carnevale]] ha dichiarato in un'intervista che la notte non ha bisogno di sonniferi per dormire perché, nei confronti della Legge, la sua coscienza è a posto. Ci crediamo senz'altro. Ma se si ponesse la stessa domanda nei confronti della Giustizia, mi domando se i suoi sogni sarebbero altrettanto tranquilli. E ci rendiamo tuttavia conto che questa domanda non se la porrà mai, e anzi gli sembrerà del tutto stravagante. Perché, per un magistrato italiano, la Legge con la Giustizia non ha nulla a che fare. (da p. 386) ====''Il meglio di «Controcorrente» 1974-1992''==== *Il «comitato permanente antifascista» di Milano ha deciso di chiedere un «riconoscimento» per tutti coloro che sono stati «coinvolti direttamente nella strategia della tensione a partire dal 1º gennaio 1969». Ci risiamo. Tutta la nostra vita è stata angosciata e angariata dagli antemarcia: prima quelli del Littorio, poi quelli della Resistenza, ed ecco che ora spuntano quelli della «tensione». Longanesi aveva ragione: in questo Paese, reduci si nasce. (p. 47) *Agli alunni della terza classe (anni otto-nove) della scuola elementare di via Pisani, Milano, è stato assegnato il seguente problema: «Mario, Gino e Beppino sono i capi della banda. Mario dice a Gino che la banda ha quasi esaurito le munizioni: rimangono solo 5 cassette con 130 pallottole per cassetta. Quante pallottole rimangono?». Debolucci come siamo, in aritmetica, non lo sappiamo nemmeno noi. Ma ci pare che una per l'insegnante e una per il ministro Malfatti ci dovrebbero ancora essere. (p. 79) *Il messaggio di addio che il dimissionario capo dello Stato ha detto alla televisione e che anche noi pubblichiamo, è ineccepibile. Esso dà del presidente [[Giovanni Leone|Leone]] un'immagine che non fa una piega: un galantuomo all'antica, padre di una famiglia esemplare, ingiustamente calunniato da una stampa irresponsabile. Siamo sicuri che tutto questo si può dire di Leone. Ha un solo difetto: che a dirlo è stato Leone. (p. 84) *A Roma, nonostante tutte le ricerche fatte, non è stato possibile trovare un locale disponibile per un convegno di radicali. Non ce n'era uno abbastanza piccolo per contenerli tutti. (p. 103) *Qualcuno teme – e qualche altro spera – che l'Afghanistan diventi il Vietnam dei russi. Niente paura, in Afghanistan non ci sono giornalisti. (p. 112) *Quella del ''Corriere'' non è una situazione invidiabile: il direttore in congedo per l'affare della P2, manager ed articolisti contestati per lo stesso motivo, il maggiore azionista in galera, accusato di reati valutari, montagne di debiti, trasparenza della proprietà limpida come un mare in burrasca. Ci sarebbe davvero da mettersi le mani nei capelli. Se non fosse un giornale di [[Roberto Calvi|Calvi]]. (pp. 125-126) *Quando leggiamo «ministro senza portafoglio», ci viene sempre un dubbio. Che glielo abbia rubato qualche collega? (p. 146) *L'[[Organizzazione per la Liberazione della Palestina|Olp, Organizzazione per la liberazione della Palestina]], è stata ammessa con voto unanime, anche se provvisoriamente, nel Comitato olimpico asiatico. Non sapevamo che il lancio della bomba fosse diventato una disciplina atletica. (pp. 171-172) *A suo tempo imprigionato dagl'israeliani per complicità col terrorismo palestinese, e liberato per l'intervento del Vaticano con l'impegno di astenersi dalla politica, l'Arcivescovo libanese di Gerusalemme [[Hilarion Capucci]] ha dichiarato in un'intervista all'''Europeo'' che i rivoltosi di Gaza e della Cisgiordania non ricevono ordini da nessuno: «Li prendono solo da Dio, loro unico leader». Lo abbiamo sempre detto, noi: a grattare un arabo, anche se cristiano e Monsignore, viene fuori un Ayatollah. Ma forse non c'è neanche bisogno di grattare. (p. 184) *Da Praga [[Bettino Craxi]] proclama che «bisogna liberare l'Italia da Falci e Martelli». Benissimo. Ma chi è Falci? (p. 206) *[[Pino Rauti]] è intenzionato a candidare un africano alle elezioni comunali fiorentine. Più che giusto: il nero si addice al Msi. (p. 209) *Per evitare pubblicità attorno al caso di [[Angelo Peruzzi|Peruzzi]] e [[Andrea Carnevale|Carnevale]], i due giocatori giallo-rossi risultati positivi all'antidoping, il presidente della Roma, [[Dino Viola]], ha deciso di portare tutta la squadra in ritiro. A San Patrignano. (p. 216) *Secondo ''La Notte'' di ieri – che riferisce dichiarazioni d'un capo della Jihad islamica, Ibrahim Serbell – i terroristi arabi hanno nel loro mirino, per quanto riguarda l'Italia, «uomini politici, aeroporti e alcuni obiettivi strategici». Siamo molto preoccupati per gli aeroporti e gli obiettivi strategici. (p. 220) *La fantapolitica non è il nostro esercizio preferito. Ma ci chiediamo che cosa succederebbe se, con un colpo alla Moro, i terroristi si impadronissero di Cossiga e lanciassero al governo il ricattatorio ultimatum: «Se non ci date cento miliardi, lo liberiamo». (p. 228) *Malgrado tutto (e per tutto intendiamo proprio tutto), [[Moana Pozzi]] non è riuscita ad entrare a Montecitorio. Peccato. È l'unica Camera che non potrà dire di aver frequentato. (p. 236) *Sull'''Unità'' è comparsa la lettera di un deputato che, pericolosamente sfiorato da un motociclista, invoca drastiche misure penali contro i «teppisti al volante». Ci associamo alla proposta. L'unica cosa che ci sconcerta è la firma del proponente: è quella dell'onorevole [[Mario Gozzini]], autore della famosa legge che in pratica vorrebbe l'indulgenza plenaria per qualsiasi reo e reato. (p. 244) ===Attribuite=== *Berlusconi non delude mai: quando ti aspetti che dica una scempiaggine, la dice.<ref name=Travaglio2004/> :In ''Io e il cavaliere qualche anno fa'', ''Corriere della Sera'', 25 marzo 2001, p. 1, Montanelli attribuisce la citazione a «un'alta personalità della Finanza, nota anche per il suo infallibile fiuto degli uomini». La frase esatta è: «Avrà anche i suoi difetti, ma un merito bisogna riconoscerglielo: quello di non deludere mai. Quando ti aspetti che dica una scempiaggine, la dice». ==Interviste== {{cronologico}} *{{NDR|La guerra coloniale etiopica}} Considerandola oggi, con la mia maturità d'oggi, {{NDR|è}} un'avventura di una stupidità senza fine. Ma immaginiamo un ragazzo di 24 anni messo al comando di una banda indigena, con 100 uomini neri – lui solo bianco – buttato all'avventura in quella guerra che di combattimenti ne ebbe molto pochi – non voglio passare per un gran guerriero, affatto – ma furono un anno e mezzo a cavallo, di cavalcate in questa natura selvaggia (ripeto, combattimenti ben pochi). {{NDR|«Dicono anche che lei aveva una moglie, diciamo indigena, molto bella, che era la più bella di tutte quelle che avevano gli ufficiali d'allora»}} Sì. {{NDR|«Era molto invidiato per questo»}} Pare che avessi scelto bene, era una bellissima ragazza bilena, di 12 anni – {{NDR|sorridendo}} scusatemi, ma in Africa è un'altra cosa – e così l'avevo sposata, nel senso che l'avevo regolarmente comprata dal padre che mi ha accompagnato insieme alle mogli dei miei ascari. Queste mogli degli ascari non è che seguissero la banda, ma ogni 15 giorni raggiungevano la banda: io non ho mai capito come facessero a trovarci in questo infinito dell'Abissinia. Quelle arrivavano e arrivava anche questa mia moglie con la cesta in testa, che mi portava la biancheria pulita. [...] {{NDR|Domanda del pubblico: «Lei ha detto tranquillamente di avere avuto una sposa, diciamo, di 12 anni e a 25 anni lei non si è peritato affatto di violentare una ragazza di 12 anni, dicendo "Ma in Africa queste cose si fanno". Io vorrei chiedere a lui come intende normalmente i suoi rapporti con le donne date queste due affermazioni»}} No signorina guardi, sulla violenza, nessuna violenza perché le ragazze in Abissinia si sposano a 12 anni. Non è questione, Quindi. {{NDR|Domanda del pubblico: «Su un piano di consapevolezza dell'uomo, insomma, il rapporto con una bambina di 12 anni è il rapporto con una bambina di 12 anni. Se lo facesse in Europa rischierebbe di violentare una bambina, vero?»}} Sì, in Europa sì, ma lì no. {{NDR|«Ecco, appunto»}} Lì no. {{NDR|«Quale differenza crede che esista dal punto di vista biologico, o anche psicologico?»}} No, guardi, {{NDR|«Dal punto di vista del costume»}} lì si sposano a 12 anni, non è questione. A 12 anni si sposano. {{NDR|«Ma non è il matrimonio che lei intende, a 12 anni in Africa. Guardi, io ho vissuto in Africa»}} Sì. {{NDR|«Quindi il vostro era veramente il rapporto violento del colonialista che veniva lì e si impossessava della ragazza di 12 anni»}} No... {{NDR|«Ma glielo garantisco, senza assolutamente tener conto di questo tipo di rapporto sul piano umano. Eravate i vincitori, cioè i militari che hanno fatto le stesse cose ovunque sono stati i vincitori, ovunque gli uomini si sono presentati come dei militari. La Storia è piena di queste situazioni»}} {{NDR|sorridendo}} Signorina, non so se lei vuole istruirmi un processo «a posteriori». {{NDR|«No, no, affatto. Guardi, ho soltanto voluto chiederle, per inciso, come lei intende – dopo le due interpretazioni – i rapporti con le donne»}} Dipende da cosa si mette dentro, dipende anche da cosa le donne mettono dentro di noi. È tutto un giuoco di specchi. {{NDR|«Ma lei vede sempre la donna in questa veste passiva di adulatrice, oppure di compagna – che appare e scompare – dell'uomo, non l'ha mai vista in una funzione diretta, attiva e diversa. Questo è un po' il dramma degli uomini della sua generazione»}} {{NDR|sorridendo}} Può darsi. Della mia generazione? Solo? {{NDR|«Credo»}} {{NDR|sorridendo}} Vabbè. Può darsi. (Da ''L'ora della verità'', 22 ottobre 1969) *{{NDR|Domanda del pubblico: «Io vorrei sapere perché lei, che si ritiene un osservatore, non ha mai affrontato il discorso sulla contestazione giovanile, tenendo anche presente il fatto che lei cerca il lettore. Lei ai giovani non dice assolutamente niente come giornalista»}} Come? {{NDR|«Se c'è un pubblico che lei sta perdendo, e forse non ha mai avuto, è proprio quello dei giovani. Vorrei sapere come mai lei non ha mai affrontato il discorso sulla contestazione, sulla realtà giovanile che è esplosa in questi ultimi anni»}} Signorina, io avrei tanto volentieri affrontato il discorso sulla contestazione se fosse possibile agganciare il discorso coi contestatori. Ma coi contestatori io non faccio il [[Alberto Moravia|Moravia]]. No. Non vado a farmi spernacchiare dai giovani, mi dispiace tanto. Né dai giovani, né da nessun altro. {{NDR|«Lei ha paura, scusi, di affrontare un discorso»}} No, io non ho paura, ma non ammetto di essere accolto a quel modo. È proprio un fatto, così, di dignità. {{NDR|«E allora, scusi, lei a questo punto rinuncia a un pubblico come può essere quello dei giovani semplicemente, così, per non avere degli spernacchiamenti, per non compromettere – diciamo – questo suo successo a cui è arrivato»}} Ma scusi, ma che dialogo sono le pernacchie? Me lo vuole spiegare? (ibidem) *Certamente [[Benito Mussolini|Mussolini]] fu un grossissimo politico, un uomo politico di grandissimo fiuto, di tempismo formidabile: lo dimostrò la facilità con cui vinse. Forse dovuta per metà alle sue capacità, alla sua bravura – parlo sempre come politico – e per metà all'insipienza, alla nullaggine dei suoi avversari, perché è tempo oramai di dire anche questo. Non c'è dubbio che il potere assoluto guastò completamente Mussolini: il Mussolini del 1930 non era certamente quello del 1940, il Mussolini di dieci anni dopo l'avvento al potere era diventato una specie di marionetta, la caricatura di sé stesso. Aveva perso proprio il senso della realtà, che era stato invece il suo forte da principio, il contatto col pubblico lo aveva perso, il senso della misura, e lo aveva dimostrato poi con gli errori madornali che ha fatto. Nei primi dieci anni credo che alcune cose buone le abbia fatte. Non credo che abbia ucciso la democrazia, credo che l'abbia soltanto seppellita perché era già morta. Da quel poco che ricordo l'Italia era un grosso carnevale, e anche abbastanza drammatico, perché la situazione interna era addirittura sfasciata: correva sangue, ne correva molto, noi in Toscana ne sapevamo qualcosa [...]. E quindi non è vero che lui... le democrazie non vengono mai uccise, le democrazie muoiono. Dopodiché si dà la colpa a chi le seppellisce, ma la verità è che si suicidano, e credo che la democrazia italiana del '21-22 si sia suicidata. [...] Mussolini capì una cosa fondamentale: che per piacere agli italiani bisognava dare a ciascuno di essi una piccola fetta di potere col diritto di abusarne. Questo era il fascismo. Il fascismo aveva creato una [[gerarchia]] talmente articolata e complessa che ognuno aveva dei galloni: il capofabbricato, il caposettore... tutti avevano una piccola fetta di potere, di cui naturalmente ognuno abusava, come è nel carattere degli italiani. (da ''Questo secolo'', 18 maggio 1982) *Ero all'estero, lavoravo nel giornalismo americano, alla ''United Press''. Chiesi alla mia agenzia di mandarmi come corrispondente in Abissinia. Giustamente mi dissero: «No, perché lei è un italiano, quindi logicamente non fa delle corrispondenze obiettive». Dico: «Avete ragione. Allora io vi lascio e vado volontario». Feci la mia brava domanda (la feci anche raccomandare). La domanda fu accolta, io fui mandato in Abissinia e, cosa un po' strana [...], a questo ragazzo di 23 anni [...] venne affidata una banda. [...] In quei due anni io contribuii a fare una cosa sbagliata, un'autentica fregnaccia qual era costruire un impero nel '35, quando coloro che lo avevano lo stavano già liquidando perché erano cose antistoriche. Ma io a 23 anni, a 24 anni, non potevo capire questo. Ebbi due anni di vita all'aria aperta, bella, di avventura, in cui credetti di essere un personaggio di Kipling, di contribuire a fare qualcosa di importante. Poi mi accorsi che non era vero, ma le cose non sono importanti per quello che sono, ma per quello che uno ci mette. E io in quel momento ci mettevo un grande entusiasmo: ebbi due anni di vita bellissima, a cavallo, con le tende, i miei uomini, libero, solo (perché non rispondevo a nessuno). Eh beh, compiango i giovani che non hanno avuto una simile esperienza. {{NDR|«E anche con una giovane moglie»}} E anche con una giovane moglie, {{NDR|indicando una fotografia}} eccola lì. Regolarmente sposata in quanto regolarmente comprata dal padre. {{NDR|«Quanti anni aveva?»}} Aveva 12 anni, ma non mi prendere per un Girolimoni. {{NDR|«Per un bruto»}} A 12 anni quelle lì erano già donne. {{NDR|«E tu dove l'avevi comperata?»}} L'avevo comprata a Saganèiti, un paese dove avevo mandato il mio emissario [...]. Me la comprò insieme a un cavallo e a un fucile, in tutto 500 lire. {{NDR|«E lei com'era?»}} Un animalino. Docile. Io le misi su un tucul con dei polli e poi, ogni 15 giorni, mi raggiungeva dovunque fossi, insieme alle mogli degli altri ascari. (ibidem) *Io esclusi immediatamente la responsabilità degli [[Anarchia|anarchici]] {{NDR|dalla [[strage di piazza Fontana]]}} per varie ragioni: prima di tutto, forse, per una specie di istinto, di intuizione, ma poi perché conosco gli anarchici. Gli anarchici non è che sono alieni dalla violenza, ma la usano in un altro modo: non sparano mai nel mucchio, non sparano mai nascondendo la mano. L'anarchico spara al bersaglio, in genere al bersaglio simbolico del potere, e di fronte. Assume sempre la responsabilità del suo gesto. Quindi, quell'infame attentato, evidentemente, non era di marca anarchica o anche se era di marca anarchica veniva da qualcuno che usurpava la qualifica di anarchico, ma che non apparteneva certamente alla vera categoria, che io ho conosciuto ben diversa e che credo sia ancora ben diversa. (da ''La notte della Repubblica'', 12 dicembre 1989) *La [[Lega Nord|Lega]] è una cosa sgradevole. Però le Leghe sono un fenomeno di reazione a una provocazione. È la politica nazionale, che fa nascere le Leghe. Questo non vuol dire che io le approvi. La reazione è sbagliata, ma provocazione c'è, le degenerazioni della partitocrazia ci sono. Che il pubblico denaro sia male amministrato e che a farne le spese siano soprattutto i cittadini del Nord non è contestabile. (da ''La Stampa'', 7 novembre 1990) *Ah, quel maledetto [[Toni Negri]], quel maledetto aizzatore dei sentimenti dei giovani che è vigliaccamente scappato dall'Italia per non affrontare il carcere. Per un Paese non c'è nulla di peggio che i cattivi maestri. Come punirli? Bisognerebbe impiccarli. Ripeto, impiccarli. (da ''L'Italia settimanale'', 1995) *Fu una pulizia etnica, bisognava far fuori gli italiani: allora si chiamarono fascisti e si ammazzarono, e si buttarono nelle [[massacri delle foibe|foibe]]. Questo avvenne dopo la fine della guerra, sia chiaro. Perché gli orrori di guerra, non dico che siano giustificabili, ma sono comprensibili, la guerra è di per sé stessa un orrore. No, queste... le foibe furono un'infamia commessa dopo la Liberazione, dopo la fine della guerra, e purtroppo vi hanno collaborato parecchi comunisti italiani, alcuni dei quali non solo sono ancora a piede libero, pur essendo vivi, ma ricevono delle pensioni di Stato. Ricevono delle pensioni di Stato. Però io ti posso dire questo: che come testimone oculare io ho visto anche in Croazia delle cose, da parte degli italiani, su cui è meglio sorvolare. Perché anche noi le abbiamo commesse, perché la guerra le comporta, questo è fatale, ecco. Quindi non facciamo tanto i moralisti. [...] No, questo {{NDR|tesi sloveno-croata sulla pulizia etnico-culturale da parte degli italiani durante il periodo di occupazione fascista}} è assolutamente falso. Pulizie etniche noi non ne abbiamo mai fatte, in nessun Paese occupato. Quando sento dire che noi facemmo anche la pulizia etnica in Etiopia, beh vabbè, mi cascano le braccia. Mi cascano le braccia. Quelle son menzogne infami, di gente o che non sa nulla, o che mente sapendo di mentire. Non è vero. Furono episodi, ma non di pulizia etnica, di rappresaglie. (dall'intervista al TG2, ''[http://www.youtube.com/watch?v=s9UXM_pKpqY Massacri delle foibe]'', 6 settembre 1996) *Tutto questo mi evoca dei ricordi poco simpatici. Era il [[fascismo]] che si conduceva così. Era il Fascismo che proibiva la satira, che in un paese civile e democratico dovrebbe essere assolutamente indenne da controlli politici; perché la satira non ha niente a che fare con la politica, anche se prende in giro la politica, ma si sa che è satira. Ed ogni regime serio e democratico accetta la satira, come si accettano le caricature. Era [[Benito Mussolini|Mussolini]] che non le sopportava. E qui pensano: «Ripuliremo la stalla», «Faremo piazza pulita». Ma questo linguaggio, al signor [[Gianfranco Fini|Fini]], chi glielo ispira? Ci ricorda delle cose che avremmo voluto dimenticare. Questa non è la destra, questo è il manganello. Gli italiani non sanno andare a destra senza finire nel [[manganello]]. [...] Alla Rai faranno piazza pulita, lo hanno già annunziato. Ma come si fa a definire democratico un partito che annunzia «Quando saremo al potere, noi faremo piazza pulita»? Ma questo è un linguaggio del peggiore squadrismo, che loro non sanno cosa fu, ma io me lo ricordo. Questo è il linguaggio con cui {{NDR|i fascisti}} andarono al potere. (da ''La settimana di Montanelli'', 17 marzo 2001) *Io voglio ringraziare Travaglio, perché ha detto l'assoluta e pura verità. Assolutamente. La versione che ha dato degli avvenimenti è quella esatta. [...] Io ho conosciuto due Berlusconi: il Berlusconi imprenditore privato che comprò ''il Giornale'' – e noi fummo felici di venderglielo, perché non sapevamo come andare avanti – su questo patto: tu, Berlusconi, sei il proprietario de ''il Giornale'', io, direttore, sono il padrone del ''Giornale'', nel senso che la linea politica dipende solo da me. Questo fu il patto fra noi due. Quando Berlusconi mi annunziò che si buttava in politica, io capii subito quello che stava per succedere. Cercai di dissuaderlo [...] ma tutto fu inutile. Dal momento in cui lo decise mi disse: «Ora ''il Giornale'' deve fare la politica della mia politica». Ed io gli dissi: «Non ci pensare nemmeno». Allora lui riunì la redazione come ha raccontato Travaglio – e questo lo fece a mia totale insaputa – e disse: «D'ora in poi ''il Giornale'' farà la politica della mia politica». E a quel momento me ne andai, cos'altro potevo fare? [...] Nella mia vita ci sono stati due Berlusconi, completamente opposti [...] questo fa parte del ritratto di Berlusconi. [...] Come capo politico è quello che io ho conosciuto in quei brutti giorni in cui scorrettamente, nella maniera più scorretta e più volgare, saltandomi, radunò la redazione de ''il Giornale'' per dirgli «Qui si cambia tutto» all'insaputa del direttore. Se questo sembra a Feltri un modo di procedere democratico e civile, è affar suo. (risposta telefonica a [[Marco Travaglio]] e [[Vittorio Feltri]] durante la trasmissione ''Il Raggio Verde'', 23 marzo 2001) *{{NDR|Silvio Berlusconi}} È il bugiardo più sincero che ci sia, è il primo a credere alle proprie menzogne. [...] È questo che lo rende così pericoloso. Non ha nessun pudore. (dall'intervista di Sophie Gherardi, ''L'Europa deve trattare il sig. Berlusconi con sdegno e disprezzo, non con ostilità'', ''Le Monde'', 8 maggio 2001<ref name=Travaglio2004/>) *Spero che l'Europa adotterà nei confronti di Berlusconi l'atteggiamento di indignazione e di disprezzo che merita. (dall'intervista di Sophie Gherardi, ''L'Europa deve trattare il sig. Berlusconi con sdegno e disprezzo, non con ostilità'', ''Le Monde'', 8 maggio 2001<ref name=Travaglio2004/>) {{Int|''Match''|a cura di Arnaldo Bagnasco, Alberto Arbasino e Maria Gefter Cervi, Rete 2, 18 gennaio 1978.}} *Io non stavo con Longanesi per ragioni ideologiche, anche perché io non ho mai capito quale ideologia avesse Longanesi. Longanesi non lo si poteva misurare sul piano ideologico, era sempre contro tutto e contro tutti. Era il frondista principe: lo è stato sotto il fascismo – e in fondo fece il più bel settimanale, forse, che abbia avuto l'Italia in questi ultimi decenni, credo: ''Omnibus'', che fu chiuso dal regime – e si è trovato sempre male con tutti i regimi. Che cosa pensasse in realtà Longanesi io, dopo un'amicizia di trent'anni, non sono mai riuscito a capirlo. Quello che mi affascinava di Longanesi, e che continua ancora oggi ad affascinarmi, è lo straordinario talento, l'inventiva, l'intuito, l'eleganza di Longanesi. Per cui io non consideravo le posizioni ideologiche di Longanesi, questo non m'interessava affatto. Per me era un fatto di vecchia amicizia: io sono un po' cresciuto con Longanesi, l'avrei seguito anche all'inferno perché con Longanesi si poteva andare anche all'inferno, diventava l'eden. *{{NDR|Sull'appello di votare DC nel 1976}} Questa può sembrare una contraddizione, ma che cosa avrei dovuto dire ai miei lettori? Di votare per chi? Questo è il punto. Oggi [...] i partiti laici ai quali io ideologicamente farei capo – liberale, repubblicano, socialdemocratico – fanno i pifferi di accompagnamento a un patto a sei, e questo era già nell'aria, prima del 20 giugno. Che cosa dovevo dire io ai miei lettori, «Votate per i pifferi di accompagnamento»? Francamente non me la sentivo. [...] Nonostante la mia etichetta di destra, io per i partiti di destra non mi schiererò mai. Io vorrei un centro: non lo trovo, non c'è. Un centro di opposizione democratica al regime che è già in atto non c'è. E allora che debbo fare? È colpa mia se la politica italiana non mi offre un centro? Io continuo a battermi per la costituzione di questo centro. *{{NDR|Domanda del pubblico: «Come mai in Italia non ci sono giornali indipendenti?»}} Io, per esempio, ho la presunzione – sarà infondata – di dirigere un giornale indipendente, perché vorrei sapere da chi prendo gli ordini. Me lo dica lei, Padre. {{NDR|«No, beh...»}} E allora, se non potete indicare qualcuno che mi dà gli ordini, io sono indipendente. {{NDR|«Rispondo anch'io da giornalista: è chiaro che un giornale non si sostiene con le idee sull'indipendenza, si sostiene con dei quattrini»}} Certo. {{NDR|«Allora io parlavo di un'indipendenza che, in quanto dipende da chi paga, è comunque una dipendenza ideologica. Questa era la domanda»}} Sì, l'ha scritto molto bene ''Repubblica'' [...] credendo di offendermi. Ha detto: «Il ''Giornale nuovo'' vive di collette». È vero, noi viviamo di collette, e io ne sono fiero perché le collette mi lasciano libero. {{Int|''Mixer''|a cura di Giovanni Minoli, Rete 2, 6 aprile 1981.}} *{{NDR|«Perché fu fascista fino al '37?»}} Questa è la storia della mia generazione, tutta la mia generazione è stata fascista fino al '35, al '36 o al '43. *{{NDR|«E perché smise di esserlo?»}} Perché noi credevamo che il fascismo fosse una cosa, e poi ci accorgemmo che era un'altra. *{{NDR|«Lei ha detto: "Buffoni, cafoni di natura, ''parvenus'', tutta gente in malafede, il bassettume, il pirellume, il cedernismo". Si riferiva alla Milano radical chic, ma che cosa voleva dire, esattamente?»}} Quello che ho detto. Veramente, io ne ho il più profondo disprezzo. Io accetto benissimo i comunisti: i comunisti sono gente seria, pericolosissimi, ma seri. I [[radical chic]] no. *{{NDR|«È sempre convinto del suicidio dell'anarchico Pinelli?»}} Assolutamente. *{{NDR|«Lei a Catanzaro, al processo per la strage di piazza Fontana, ha dichiarato: "Secondo me, il commissario Calabresi fu vittima di una campagna di stampa". Cioè?»}} No, non l'ho dichiarato a Catanzaro, lo dissi molto prima. Basta rileggere i giornali di quei tempi, e soprattutto i rotocalchi: veramente, Calabresi fu vittima di una campagna stampa infame e ingiusta, perché era uno dei funzionari più corretti che ci fossero. *{{NDR|«Pietro Valpreda, qui a ''Mixer'', ha definito Calabresi come "un tecnocrate del potere". Lei che cosa ne pensa?»}} Ma che significa «un tecnocrate del potere»? Un commissario di polizia serve il potere, chi diavolo deve servire? Valpreda? {{Int|''Faccia a Faccia: intervista a Indro Montanelli''|''Mixer'', a cura di Giovanni Minoli, Rai 2, 5 maggio 1985.}} *[[Renato Curcio|Curcio]] non sparava alle spalle, sparava di fronte, andava di persona a sparare. Naturalmente siamo su delle barricate opposte, ma io stimo Curcio. Lo stimo. È un uomo che secondo me ha delle idee sbagliate ma le serve, le serve da soldato vero. Con un suo galateo. Col suo coraggio. Senza mai rinnegarsi. Non si è pentito! *Io sono convinto che la magistratura debba essere indipendente, però chiedo ed esigo che abbia un autogoverno di controllo, e che soprattutto risponda dei suoi gesti. Oggi noi abbiamo una magistratura che non risponde a nessuno dei suoi errori spesso catastrofici, perché hanno distrutto uomini, hanno distrutto aziende per delle cose che poi si son rilevate insussistenti. Mai un magistrato ha pagato per questo. Io voglio che i magistrati paghino. Non dico a dei poteri esterni, ma perlomeno al potere a cui viene affidata la disciplina nella categoria. *Tutta l'intellighenzia italiana ha una vecchia tradizione di servilità, com'è logico, perché si è sviluppata in un Paese analfabeta, per secoli e secoli analfabeta. Non avendo il lettore doveva per forza procurarsi il protettore. Scriveva per il protettore. *{{NDR|«Il suo peggior difetto qual è, Montanelli?»}} Quello di non riconoscermene nessuno. *{{NDR|«[[Leo Longanesi|Longanesi]], parlando di lei, un giorno disse che lei capiva le cose con dieci mesi di anticipo rispetto a tutti gli altri. Ecco, tra dieci mesi cosa vede in [[Italia]]?»}} Queste erano le cose di Longanesi, ma in realtà io non riesco a vedere tra dieci giorni. {{Int|''[http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/1991/11/16/giangi-feltrinelli-io-non-ti-perdono.html 'Giangi' Feltrinelli io non ti perdono]''|''la Repubblica'', 16 novembre 1991, p. 33.}} *[[Giangiacomo Feltrinelli|Lui]] fu l'emblema di tutto quanto accadde in quegli anni {{NDR|Anni della contestazione}}. A differenza della [[Francia]], eravamo un paese da burletta, con una contestazione da burletta e rivoluzionari da burletta. E Feltrinelli ne fu l'esponente più qualificato. *Era il 1940 e a quel tempo Giangi aveva quattordici anni e seguiva i corsi scolastici con pessimo profitto. Giangiacomo era un ragazzetto che voleva a tutti i costi cavalcare qualcosa di rivoluzionario. Non importava il colore. Tanto è vero che il suo sogno fu prima il fascismo e poi Che Guevara. *{{NDR|«L'importante è stare in prima linea il fascismo?»}} Ma sì, negli anni Quaranta lui era fascista. Era talmente fascista che nel 1943, dopo l'8 settembre, voleva denunciare sia me che Barzini per alcune cose che avevamo detto contro i fascisti. Allora pensava di aderire a Salò. La sua dedizione a una causa quale che sia, purché rivoluzionaria, lo spingeva a questi atti pazzeschi. *Generoso? Lo chieda ai suoi collaboratori. Era una specie di padrone delle ferriere che spendeva generosamente solo per soddisfare il suo vizio principale: la rivoluzione. Con chi era in difficoltà non si dimostrò mai particolarmente generoso. *{{NDR|«Perché allora lei è così implacabilmente critico nei suoi riguardi?»}} Non ce l'ho neppure tanto con lui, quanto con tutti coloro che di Feltrinelli hanno fatto un mito. In realtà era un povero uomo. Un ingenuo divorato dall'esibizionismo. *{{NDR|«Come può ridurre tutto alla convinzione che fosse solo un ingenuo e un esibizionista?»}} Anche Starace segnò un decennio della nostra vita. Mica per questo era meno cretino. Se Feltrinelli sia stato qualcosa di più complesso, io non riesco a vederlo. Posso aggiungere questo: quella sua mania di ostentazione, quella voglia di primeggiare su tutte le cose lo ha condotto anche a degli atti di eroismo. Perché uno che sale su un traliccio, con la dinamite che non sa maneggiare e salta per aria, beh almeno il coraggio gli va riconosciuto. O forse chiamiamola incoscienza. {{Int|''[http://www.archiviolastampa.it/component/option,com_lastampa/task,search/mod,libera/action,viewer/Itemid,3/page,15/articleid,0824_01_1992_0072_0015_25082247/ Montanelli e il sacco di Milano]''|''La Stampa'', 14 marzo 1992, p. 14.}} *{{NDR|Il regime corrotto}} C'è ancora. Ma la rivolta non era tanto contro la corruzione e la partitocrazia, che erano senza dubbio un grosso male, ma che non erano il male più letale. In quel momento era proprio la società che si disfaceva, le condizioni della scuola, la predicazione del nulla, insomma la contestazione globale, l'ubriacatura degli Anni Settanta, che fu l'ubriacatura del terrorismo, e quella acquiescenza di una certa borghesia, salottiera, radical chic, che amoreggiava con queste cose, che aveva le smanie maotsetunghiste, che poi parlavano tutti di cose che non sapevano. La corruzione dei partiti invece è quasi immanente. La partitocrazia è destinata a durare almeno finché non si riforma la legge elettorale. Ma questa è la battaglia che noi cerchiamo di fare oggi. *{{NDR|«Ma gli Anni Settanta non hanno anche prodotto qualcosa di positivo nella società italiana?»}} No. Non vedo fatti positivi nel lascito degli [[anni di piombo]]. Vorrei sapere veramente quali. Quando dicono per esempio il divorzio. Ma il divorzio c'era già prima. Quelle sono conquiste sociali. C'era bisogno dei pistoleros per il divorzio? Ma andiamo! *{{NDR|«Però lei difendeva Pannella»}} Sì. A [[Marco Pannella|Pannella]] dobbiamo veramente due cose, malgrado le sue mattane. Effettivamente riuscì a impedire a una certa aliquota di giovani di finire in braccio al terrorismo, cioè gli dette un'altra bandiera. E alcune battaglie sue furono sacrosante, come quella del divorzio che appoggiammo. Poi verso Pannella io ho una certa simpatia, dovuta al mio vecchio fondo anarchico, libertario, che ritrovo in lui. È una simpatia genetica. Ritrovo in lui quello che io sono stato a vent'anni. *{{NDR|«Ma che fine ha fatto quella borghesia, che fine hanno fatto quei salotti buoni? Le sue battaglie contro la Crespi o contro la Cederna sono cosa Passata? Sono cambiati loro, oppure è cambiato lei?»}} Vabbè, con la [[Camilla Cederna|Camilla]] poi siamo ridiventati amici. Con la Crespi no, mai. Ma non ho più rancori, non ho più animosità. Però è un mondo che disprezzo un po', perché è un mondo di pecore che seguono sempre il filo del vento, santoiddio, sono proprio personcine, personcine inconsistenti, pronte ad andare con chiunque. E poi sempre per salvare i propri interessi, non è che abbiano delle idealità, no? Oggi è cambiato il vento, quindi sono cambiati anche loro. Ma non è che sia cambiato il mio giudizio. Quel mondo lì io non lo amo. *La crisi rimane e si riflette nell'amministrazione cittadina. L'amministrazione era sempre stata un autentico specchio. Fino a Bucalossi il Comune di Milano era retto da specchiati galantuomini, che finivano tutti poveri, in miseria, finivano alla Baggina. Gente davvero di una correttezza esemplare. Poi sono venuti gli Aniasi e compagni e guardi qui dove siamo arrivati: siamo arrivati a [[Mario Chiesa|Chiesa]]. {{Int|''[https://web.archive.org/web/20121107180200/http://archiviostorico.corriere.it/1993/giugno/06/Montanelli_tura_naso_come_nel_co_0_93060610816.shtml Montanelli si tura il naso come nel '76: voto l'uomo della Lega]''|''Corriere della Sera'', 6 giugno 1993, p. 3.}} *Mi sono dannato l'anima perché il centro avesse un ''suo'' candidato. Avrei voluto Locatelli: era la persona giusta per portare la bandiera referendaria e raccogliere gli elettori moderati. Era quello il mio sogno. *Segni non ha capito nulla, è arrivato in ritardo, ha candidato una persona che nessuno conosce. Non abbiamo ''un'' rappresentante del centro, ma tre surrogati che si elimineranno a vicenda. E ci toccherà scegliere fra [[Nando dalla Chiesa|Dalla Chiesa]] e Formentini. *{{NDR|«Di qui il suo suggerimento: turarsi il naso e votare Lega»}} No, non dico "Votiamo Lega", dico "Votiamo Formentini". E nel suo caso non ci si deve neppure turare il naso: è modesto, anche mediocre se vogliamo, ma è onesto. Non credo sia marcio. Insomma: è il male minore. *{{NDR|«E Dalla Chiesa?»}} No, il mio voto non lo avrà. Perché io non voto per la sinistra e per un sinistro come quello lì. *{{NDR|«Ma che cosa la preoccupa nella coalizione di Dalla Chiesa?»}} Questi reperti di un mondo fallito vogliono ora governare l'Italia. E io con loro non ci sto. La storia gli ha dato torto, la realtà li svergogna e noi dovremmo fidarci? È stata l'apertura a sinistra a dare inizio alla putredine. {{Int|''Eppur si muove''|a cura di Indro Montanelli e Beniamino Placido, Rai 3, 1994.}} *Ogni italiano è insieme furbo e fesso. L'italiano è furbissimo nella gestione dei suoi affari privati, può ricorrere a tutte le astuzie, è attento, è accorto, ed è assolutamente fesso nel non rendersi conto che se i suoi affari privati rimangono immessi in una società che non funziona – cioè dove gli interessi generali vengono trascurati e negletti – i suoi interessi privati finiscono col soffrirne e col condurlo al fallimento. Questo, a noi italiani, non entra in testa. (6 febbraio 1994) *È probabile che molti stranieri mandino i loro figli, a Roma, a scuola. Ma quali scuole? Alle loro. Gli americani mandano i loro figli alla scuola americana, i tedeschi alla scuola tedesca, i francesi alla scuola francese. Non li mandano mica alla scuola italiana, se ne guardano bene e hanno ragione, visto il modo in cui si insegna in Italia. (ibidem) *Da noi prima uscivano dei ragazzi che sapevano abbastanza di greco, di latino, ma che il carattere non lo avevano formato a scuola: o se lo formavano da soli, oppure non se lo formavano mai. (ibidem) *Lo [[Zingari|zingaro]] che fa tranquillamente la sua vita non dà noia a nessuno, è quando ruba che, naturalmente, suscita qualche perplessità (uso un eufemismo). Diciamo la verità, in Italia il razzismo non c'è. Per inventare una questione razziale ci volle una legge, e una legge fatta da un regime totalitario perché il Paese non la sentiva. Non poteva sentirla perché non è nella nostra tradizione. [...] L'Italiano non ha dei risentimenti razziali. [...] {{NDR|Sugli episodi di intolleranza e di paura per il diverso}} È un fatto di piccolissime minoranze, diciamo la verità. Non inventiamo adesso una questione {{NDR|razziale}}. Io ho vissuto nelle società veramente razziste, è tutta un'altra faccenda. (con [[Serena Dandini]], 20 marzo 1994) *Io ebbi una moglie etiopica, nel senso che la comprai secondo l'uso locale. {{NDR|«Come, scusi?»}} Eh beh, ma gli usi locali erano questi. Tutti, anche gli etiopici, compravano la moglie. {{NDR|«Quanto costava una moglie?»}} Poco. Costava poco, mi pare che mi costò – allora, però (anno 1935) – 500 lire e un tucul {{NDR|trattando}} col suocero. Perché queste furono transazioni fatte dal mio emissario, che era il più anziano graduato della mia banda, col padre della ragazza. [...] Questo matrimonio durò finché noi stemmo di stanza a Saganèiti, cioè a dire prima che scoppiasse la guerra con l'Abissinia (che non fu precisamente una guerra, fu una specie di avventura). [...] Poi questa mia moglie, perché era considerata tale, quando io partii sposò un mio graduato e al primo figlio – è vivo tuttora, mi hanno detto – diede il mio nome, per cui alcuni credettero che fosse figlio mio. Non era figlio mio. Soltanto che per deferenza... {{NDR|«Lei non pensò mai di portarla con se in Italia?»}} Beh, no. No, anche perché era molto difficile strapparla ai suoi costumi. Lei stessa, in fondo, non voleva venire. Lei apparteneva alla sua terra, io le feci una piccola dote e quindi andò tutto regolarmente. Era molto bellina. (ibidem) *Gran parte delle forze leghiste, quelle che accennano a qualche razzismo nei confronti del meridionale, sono composte da meridionali che si sono milanesizzati e ci si trovano talmente bene a Milano che non vogliono che altri arrivino dal sud. (ibidem) *Per me la [[destra]] non è una [[ideologia]]: è un modello di comportamento. Si può essere di destra anche a sinistra. Questo comportamento è il criterio rigoroso del servizio della vita pubblica. (con [[Arnoldo Foà]], 17 aprile 1994) *Nella storia della [[Italia|nazione italiana]] io vedo pochi uomini all'altezza della qualifica di una destra illuminata che non solo accetta ma vuole le [[Riformismo|riforme]]. Un uomo di destra certamente io non credo che fosse [[Camillo Benso, conte di Cavour|Cavour]], del resto il suo connubio lo dimostra, la sua disinvoltura nelle alleanze politiche lo dimostra. Certamente di destra era [[Bettino Ricasoli|Ricasoli]]. Certamente era [[Quintino Sella|Sella]]. Certamente era [[Giovanni Giolitti|Giolitti]]: uomo che dette il suffragio universale, e che riconobbe il diritto di [[sciopero]]. Questo è un uomo di destra. Certamente un uomo di destra era [[Alcide De Gasperi|De Gasperi]], senza dubbio. E, adesso non vorrei scandalizzare la gente, ma direi che uomo di destra per il concetto che aveva dello [[Stato]] e del [[potere]] era anche [[Palmiro Togliatti|Togliatti]]. E questo dimostra che si può essere uomini di destra anche a [[sinistra]]. La destra è una regola di comportamento, una regola [[morale]] di comportamento. (ibidem) {{Int|''[https://web.archive.org/web/20101005073648/http://archiviostorico.corriere.it/1997/novembre/09/Montanelli_gambizzato_cinque_mesi_prima_co_0_9711098446.shtml Montanelli "gambizzato" cinque mesi prima: "Mi salvò una promessa a Mussolini"]''|''Corriere della Sera'', 9 novembre 1997, p. 29.}} *Quella mattina {{NDR|2 giugno 1977}} sono in due nei giardini di piazza Cavour, a Milano. Uno mi spara alle gambe. L'altro mi tiene nel mirino della sua pistola. I primi due – tre proiettili entrano nelle mie lunghe zampe di pollo. Non devastano né ossa né arterie. Ma sarebbero sufficienti per far cadere a terra qualsiasi cristiano. In quegli attimi ricordo la promessa che avevo fatto a Mussolini, e a me stesso, quando, bambino, mi ritrovai intruppato nei balilla: "Se devi morire, muori in piedi!" Davanti a questi vigliacchi che non hanno il coraggio di affrontarmi in faccia, penso, non posso morire in ginocchio. E mi aggrappo alla cancellata dei giardini. Non sto in piedi sulle gambe, ma mi reggo dritto con la forza delle braccia. E quello continua a sparare e a centrare le mie zampe di pollo. Se mi fossi accasciato, se mi fossi inginocchiato davanti a lui, a quell'ora sarei morto. *Per [[Renato Curcio|lui]] ho sempre avuto rispetto. Penso che la sua autoemarginazione dalla società prima e l'emarginazione che la società gli ha imposto poi ci abbiano privato di un uomo di valore. Non lo conosco di persona, ma lo stimo, anche se poteva essere lui quello che ha mandato i due ragazzi a spararmi. Non ho rancore: quando la guerra è finita gli avversari si devono stringere la mano e devono brindare alla pace ritrovata. *Apprezzo il coraggio di chi non si pente per ricavarne un utile, di chi non denuncia il compagno di errori ma riconosce i propri torti. Almeno i brigatisti lottavano per ideali diversi da quelli dello stalinismo e del comunismo sovietico. I terroristi neri, invece, volevano soltanto restaurare un regime sepolto dalla storia. I rossi non sapevano bene cosa ma avevano in mente qualcosa di nuovo. *{{NDR|«E se avessero vinto loro?»}} Impossibile. L'esistenza del terrorismo ha soltanto ribadito le manchevolezze del nostro Paese: uno Stato inefficiente e un popolo codardo e conformista. *{{NDR|Sui burattinai, i Grandi Vecchi, la Cia, i Servizi segreti}} Fregnacce: che gliene poteva importare alla Cia di fucilare gente come il buon Casalegno o quel galantuomo di Emilio Rossi, vent'anni fa direttore del Tg Uno, o quel bischero di Montanelli? La dietrologia era una divagazione di intellettuali perditempo. Il vero problema era ed è un altro: finché non ci decideremo a riconoscere la mancanza negli italiani di una coscienza nazionale e civile questo pericolo del terrorismo lo correremo sempre. E questa fabbrica di una coscienza nazionale e civile io non la vedo nascere. *{{NDR|Sul dolore che il tempo non ha cancellato nei parenti delle vittime}} Anche noi italiani dobbiamo imparare a pagare gli inevitabili tributi dovuti alla Storia come hanno saputo fare tutti i Paesi occidentali. Il dolore resta, ma la piaga va ricucita. Una volta per tutte. {{Int|''[http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/1998/07/25/borghesia-vile-deludente.html Borghesia vile e deludente]''|''la Repubblica'', 25 luglio 1998, p. 8.}} *È la solita bruciante delusione, questa nostra borghesia. Non cambia mai, è sempre la stessa: la più vile di tutto l'Occidente. Gente portata a correr dietro a chi alza la voce, a chi minaccia, al primo manganello che passa per la strada. Questo sono i nostri borghesi: tutti fascisti sotto il fascismo, poi tutti antifascisti fin dall'indomani. Quando il comunismo era forte e faceva paura, e io fondai ''il Giornale'', mi lasciarono solo e senza un soldo. Ai tempi del terrorismo, amoreggiavano con gli estremisti nella speranza che quelli – andati al potere – gli risparmiassero la villa e il portafoglio. E ora che il comunismo non c'è più, si scoprono tutti anticomunisti, questi sedicenti liberaloni. *Il loro eroe è sempre chi brandisce il [[manganello]]. Ieri, il manganello vero. Oggi, quello catodico delle televisioni. Il liberalismo vero l'hanno sempre tradito, anzi non hanno mai saputo che cosa sia. Non vogliono le regole, detestano le leggi, vogliono avere le mani libere per fare quello che gli pare, in nome della loro cosiddetta «[[efficienza]]». Quando abbiamo fondato ''la Voce'' l'abbiamo toccato con mano: parlare di regole e di legalità a questa gente è peggio di un insulto, una bestemmia in chiesa. *L'ho sempre detto che fu un errore, quattro anni fa, defenestrarlo. Bisognava lasciarlo lì ancora un bel po', così tutti avrebbero capito quanto vale, che razza di statista è... Magari adesso non saremmo in Europa, ma non avremmo così tante gente che si lascia ubriacare dalla sua propaganda, che prova nostalgia per lui. *{{NDR|«E se un giorno si andasse a votare per il suo referendum, quello per abolire i reati del Cavaliere?»}} In quella forma, mi pare difficile che si arrivi, anche se in Italia non si sa mai. Comunque, se si votasse, credo che anche lì vincerebbe lui. Perché è quello che vuole questa nostra borghesia. Ormai è ufficiale: Berlusconi ce lo meritiamo. {{Int|''[http://www.repubblica.it/online/politica/satiquattro/montanelli/montanelli.html L'Italia di Berlusconi è la peggiore mai vista]''|''la Repubblica'', 26 marzo 2001.}} *Io voglio che vinca, faccio voti e faccio fioretti alla Madonna perché lui vinca, in modo che gli italiani vedano chi è questo signore. [[Silvio Berlusconi|Berlusconi]] è una malattia che si cura soltanto con il vaccino, con una bella iniezione di Berlusconi a Palazzo Chigi, Berlusconi anche al Quirinale, Berlusconi dove vuole, Berlusconi al Vaticano. Soltanto dopo saremo immuni. L'immunità che si ottiene col vaccino. *È strano: io non avevo mai preso parte alla campagna di demonizzazione: tutt'al più lo avevo definito un pagliaccio, un burattino. Però tutte queste storie su Berlusconi uomo della mafia mi lasciavano molto incerto. Adesso invece qualsiasi cosa è possibile: non per quello che succede a me, a me non succede nulla, non è che io rischi qualcosa, è chiaro. Quello che fa male è vedere questo berlusconismo in cui purtroppo è coinvolta l'Italia e anche tante persone perbene. *La scoperta che c'è un'Italia berlusconiana mi colpisce molto: è la peggiore delle Italie che io ho mai visto, e dire che di Italie brutte nella mia lunga vita ne ho viste moltissime. L'Italia della [[marcia su Roma]], becera e violenta, animata però forse anche da belle speranze. L'Italia del 25 luglio, l'Italia dell'8 settembre, e anche l'Italia di piazzale Loreto, animata dalla voglia di vendetta. Però la volgarità, la bassezza di questa Italia qui non l'avevo vista né sentita mai. Il berlusconismo è veramente la feccia che risale il pozzo. {{Int|''La Storia d'Italia di Indro Montanelli''|a cura di Mario Cervi, interviste di Alain Elkann, ''Cecchi Gori Editoria Elettronica Home Video'', 1999.}} *Il silenzio mantenuto finora {{NDR|sui massacri delle foibe}}, o quasi silenzio, si spiega facilissimamente: tutta la storiografia italiana del dopoguerra era di sinistra, apparteneva all'intellighenzia di sinistra, la quale era completamente succuba del Partito Comunista. Quindi non si poteva parlare delle foibe, che non appartenevano al comunismo italiano, ma appartenevano certamente al comunismo slavo, di cui però il comunismo italiano era alleato e faceva gli interessi. Quindi di questo non si poteva parlare, e non si poteva parlare delle stragi del triangolo della morte, perché anche queste ricadevano sulla coscienza – ammesso che ce ne sia una – del Partito Comunista, il che sta a dimostrare quello che dicevo prima, cioè che la Resistenza non fu una resistenza, fu una guerra civile tra italiani che continuò anche dopo il 25 aprile. [...] {{NDR|Sull'eccidio dei conti Manzoni}} Andai come giornalista [...] per appurare com'era andata la strage dei conti Manzoni, dopo la fine della guerra. [...] Una famiglia di persone che col fascismo non aveva niente a che fare, ci aveva convissuto come tutti gli italiani. Bene, nessuno mi voleva parlare di questa faccenda. [...] Nessuno ne aveva parlato, né dei Carabinieri né della Polizia e tantomeno della magistratura, eppure lo sapevano. [...] C'era una complicità assoluta, una complicità dannata. [...] Se ne parla ora perché il Muro di Berlino è crollato, ma si ricordi che trent'anni fa, quando [[Renzo De Felice|De Felice]] annunziò di mettere allo studio il ventennio fascista per sapere com'era andata, fu proposta la sua estromissione dalla cattedra universitaria, solo perché metteva allo studio un ventennio di storia italiana che, bella o brutta, c'era stata. [...] Non era possibile inquadrare storicamente il fascismo: chi lo faceva, cercando di spiegare i perché della sua durata, ed anche i perché della sua catastrofe, veniva accusato di fascismo. (da ''Dalla Monarchia alla Repubblica'') *È difficile sapere che cosa fu [[Palmiro Togliatti|Togliatti]], perché Togliatti non ha lasciato memoriali, non ha lasciato diario, che cosa pensasse Togliatti non lo sapeva nessuno, credo nemmeno la sua compagna Nilde Iotti. Si può dire che è stato un esecutore fedele degli ordini di [[Stalin]]. Lo è stato sempre, e per questo godeva la fiducia di Stalin. [...] Era un diplomatico per sé, soprattutto, perché é un uomo sopravvissuto a venticinque o trent'anni anni di Mosca, senza finire in galera, processato o contro il muro. Beh, questo è uno dei grandi personaggi. Sono pochi. {{NDR|«Non era uno statista, per esempio?»}} Non poteva essere uno statista perché i comunisti non hanno lo Stato nel sangue, i comunisti hanno il partito. Stalin non è mai stato Capo dello Stato, e nemmeno Capo del Governo, era capo del partito. Il potere nei regimi comunisti non sta né nello Stato né nel governo, sta nel partito. (da ''Dalla proclamazione della Repubblica al Trattato di pace'') *Questa [[Costituzione della Repubblica italiana|Costituzione]] porta male gli anni da quando aveva un giorno, perché fu subito chiaro quali erano i suoi difetti. Del resto furono anche denunciati da uomini come, per esempio, [[Piero Calamandrei|Calamandrei]], come Mario Paggi. (da ''Dall'assemblea costituente alla vigilia delle elezioni del 1948'') *I difetti furono soprattutto due. Il primo difetto fu di ripartizione dei lavori. La Costituente era formata da 600 membri eletti di passaggio. Voglio {{NDR|far}} notare che quella fu la prima elezione che si tenne in Italia – per la Costituente, non per il Parlamento – ma dove ci fu lo spiegamento dei partiti. Ogni partito portò i suoi candidati, cioè dei giuristi che facevano capo alla propria ideologia. Bene, in quella prima elezione il 35% dei voti andò ai democristiani, il 21% andò ai socialisti di [[Pietro Nenni|Nenni]], il 19% ai comunisti. Quindi in quel momento... non c'era ancora il Fronte ma in quel momento i socialisti facevano premio sui comunisti. Erano di poco, ma un po' più forti dei comunisti. [...] Questi 600 costituenti non potevano lavorare tutti insieme, era impossibile mandare avanti 600 persone a dibattere all'infinto le stesse cose, e allora i lavori furono devoluti a una commissione che si chiamò la ''Commissione dei Settantacinque'', perché erano 75 membri della Costituente che venivano incaricati per le loro competenze specifiche di redigere il testo. Ma anche 75 erano troppi, e allora anche i 75 si frazionarono in sotto-commissioni, ognuna delle quali lavorò per conto suo. Non ci fu un piano di insieme. {{NDR|«Quindi non fu un vero lavoro collettivo»}} Non fu un vero lavoro collettivo. Calamandrei lo disse subito: «Noi stiamo montando una macchina, che magari pezzo per pezzo sarà anche ben fatta, ma le cui giunture non coincidono con le giunture di altri pezzi». [...] Fu lasciata così perché nessuno volle rinunziare al proprio elaborato, e questo è tipico degli italiani. (da ''Dall'assemblea costituente alla vigilia delle elezioni del 1948'') *Il secondo motivo che rese questa Costituzione veramente impalatabile e nociva per il regime che ne doveva nascere, fu che i nostri costituenti partirono dal punto di vista opposto a quello da cui sarebbero partiti i costituenti tedeschi quando la Germania fu libera di elaborare una sua Costituzione. Da che cosa partirono i costituenti tedeschi? Da questo ragionamento: il nazismo fu il frutto della Repubblica di Weimar. Cos'era la Repubblica di Weimar? Era l'impotenza del potere esecutivo, cioè del Governo. [...] La Germania rimase nel disordine, nel caos, nella Babele dei partiti che non riuscivano a trovare mai delle maggioranze stabili, quindi dei governi efficaci. Ecco perché Hitler vinse, perché il nazismo vinse. I costituenti nostri partirono dal presupposto contrario, cioè dissero: «Cos'era il fascismo? Il fascismo era il premio dato a un potere esecutivo che governava senza i partiti, senza controlli eccetera. Quindi noi dobbiamo esautorare completamente il potere esecutivo, {{NDR|negando}} la possibilità di dare ai governi una stabilità, eccetera». Per rifare che cosa? Weimar. Cioè, mentre i tedeschi partivano dalla negazione di Weimar, noi arrivavamo {{NDR|a Weimar}} senza dirlo. Nessuno lo disse, ma questo fu il risultato. [...] Non fu possibile nemmeno introdurre quella solita linea di sbarramento che invece fu introdotta in Germania, per cui i partiti che non raggiungevano non ricordo se il 5 o il 3%, non avevano diritto a una rappresentanza. No, tutti i partiti dovevano esserci e tutti avevano un potere di ricatto sulle maggioranze, che erano per forza di cose di coalizioni. (da ''Dall'assemblea costituente alla vigilia delle elezioni del 1948'') *Gli italiani non imparano niente dalla Storia, anche perché non la sanno. {{NDR|«Forse non amano la Storia»}} Non la amano, non la leggono, non se ne interessano, ma questo anche le classi dirigenti: sono uguali, intendiamoci. {{NDR|«Lei auspica che venga rifatta questa Costituzione»}} Sì, ma che venga rifatta secondo criteri logici, non {{NDR|secondo}} criteri illogici. Tutte le volte che si diceva «Ma qui bisogna restituire un po' di autorità al potere esecutivo, bisogna mettere i governi in condizione di governare» si diceva: «Fascista! Fascista!». Con questo ricatto qui abbiamo fatto le più grosse scempiaggini che si potesse immaginare. (da ''Dall'assemblea costituente alla vigilia delle elezioni del 1948'') *La fine di [[Alcide De Gasperi|De Gasperi]] è la fine di un'epoca: con lui finisce un'epoca e ne comincia un'altra non certamente migliore. [...] C'è una bella pagina della figlia di De Gasperi, Maria Romana, che ha scritto un bel libro sul padre. Un libro tutto vero in cui racconta anche i funerali su in Val Sugana: c'era naturalmente tutta la nomenclatura democristiana che accompagnava la bara. Oramai De Gasperi era morto, si poteva anche fingere il compianto, e a un certo momento un passante che era lì – uno che guardava, che non aveva niente a che fare con la politica, con la Democrazia Cristiana eccetera eccetera – si avvicinò al feretro e scansando questi turiferari della DC disse: «No, non è vostro! De Gasperi è nostro! Era un italiano!». E aveva ragione. De Gasperi era nostro, non un democristiano. (da ''Gli anni di Alcide De Gasperi'') *{{NDR|[[Giovanni Gronchi]]}} Era un uomo molto abile, brillante parlatore, molto abile anche negli affari. Era molto più libertino di [[Carlo Sforza|Sforza]], quindi la Democrazia Cristiana [...] era cambiata, evidentemente, e Gronchi fu eletto per una faida interna della Democrazia Cristiana, perché [[Amintore Fanfani|Fanfani]] voleva [[Cesare Merzagora|Merzagora]]. Allora per fare dispetto a Fanfani, invece gli buttarono fra i piedi [[Giovanni Gronchi|Gronchi]], il quale seppe benissimo tessere la sua trama fra Sinistra, Destra eccetera e far diventare gronchiani anche quelli degli altri partiti. Dicendosi agli uni uomo di Destra e agli altri uomo di Sinistra, facendo insomma il giuoco personale di Gronchi, con cui entrò in Quirinale il vero grande corruttore della vita politica italiana. [...] Dopo l'onestissimo [[Luigi Einaudi|Einaudi]] viene Gronchi, che è l'indulgenza plenaria verso tutte le deviazioni e i deviazionisti d'Italia. (da ''La rivolta in Ungheria e l'elezione di Giovannni XXIII'') *Questa storia dell'MSI è una delle grandi truffe della Prima Repubblica: nella Costituzione c'è un articolo che proibisce la rinascita di un partito fascista. Ecco. Ora, l'MSI era chiaramente un partito fascista. Non lo negava, anzi si faceva gloria del fatto di essere l'erede eccetera. Perché lo avevano messo, allora? Lo avevano messo perché questo partito fascista, che avrebbe dovuto essere escluso dalla vita politica, serviva a captare un certo numero di voti che, senza questo partito, sarebbero andati a dei partiti moderati di Centro e soprattutto, forse, alla Democrazia Cristiana. Quindi quale fu il gioco delle Sinistre, a cui la Democrazia Cristiana però si piegò e si rassegnò: è consentito di esistere all'MSI, però l'MSI quando è in Parlamento è escluso dal gioco parlamentare. Così si mettevano i voti dell'MSI in ''frigidaire'', e così non andavano alla Democrazia Cristiana e ai partiti {{NDR|di Centro}}. È una delle peggiori truffe che è stata inventata dalla classe politica che ci ha governato per cinquant'anni. (da ''I successori di De Gasperi e la politica italiana fino alla morte di Togliatti'') *Io vorrei sapere quali furono le crescite... di civiltà che il [[Sessantotto]] pretende di averci lasciato. Io vedo tutt'altra cosa: io vidi nascere, dal Sessantotto, una bella torma di analfabeti che poi invasero la vita pubblica italiana, e anche quella privata, portando dovunque i segni della propria ignoranza. Io ho visto questo. Può darsi che sia affetto da sordità o da cecità ma io non ho visto altro, come frutti del Sessantotto. (da ''Il Sessantotto e la politica di Berlinguer'') *{{NDR|La differenza tra il Sessantotto francese e quello italiano è}} La differenza che passa fra l'originale e il fac simile perché il Sessantotto nacque in [[Francia]] e in [[Italia]] fu un fatto di riporto, di imitazione. {{NDR|«Che vi fu in tutto il mondo, però, questo»}} Un po' in tutto il mondo ma particolarmente in Italia dove non nasce mai niente, è sempre qualcosa di imitato dagli altri. Bene o male, insomma, i francesi ebbero... anche una certa cultura del Sessantotto, ebbero [[Jean-Paul Sartre|Sartre]]. Oddio, Sartre rivisto con gli occhi di oggi naturalmente scende molto dal suo mitico piedestallo. [...] In Italia non ci fu neanche un Sartre. (da ''Il Sessantotto e la politica di Berlinguer'') *Credo che su [[Pier Paolo Pasolini|Pasolini]] si sia preso un grosso abbaglio: Pasolini è passato per uno scrittore di sinistra perché aveva preso come sfondo dei suoi racconti – bellissimi del resto – il sottoproletariato delle borgate romane, i ragazzi di vita, insomma, la schiuma della società. Ma lo aveva fatto per dei gusti e dei motivi del tutto personali sui quali è inutile tornare a far commenti. Questo lo aveva fatto considerare come uno scrittore, un difensore del proletariato, ma non era una scelta politica quella che aveva fatto Pasolini. Non c'entrava niente, assolutamente nulla. Quindi quello che lui disse era assolutamente vero, cioè dire che nei tafferugli, dove spesso ci scappava il morto, tra quei dilettanti delle barricate che erano {{NDR|dei borghesi}}, i veri proletari erano i poliziotti, tutti figli di famiglie povere, eccetera eccetera. I dilettanti delle barricate erano tutti o quasi tutti figli di papà: aveva ragione Pasolini! Ma come no! E questo fu considerato un tradimento all'ideologia di sinistra. (da ''Il Sessantotto e la politica di Berlinguer'') *Il primo fenomeno fu il Sessantotto, e il Sessantotto partorì poi il terrorismo, il brigatismo rosso eccetera eccetera. Su questo non ci son dubbi, insomma. Dirò di più: i più seri, e forse gli unici seri, furono quelli che poi diventarono dei terroristi e che quindi rischiarono la loro vita, almeno. Gli altri erano quello che diceva Pasolini, dei figli di papà. (da ''Il Sessantotto e la politica di Berlinguer'') *{{NDR|La figura del Grande Vecchio}} È una di quelle fandonie, di quelle stupidaggini che piacciono tanto a noi italiani: l'idea di un Grande Vecchio che organizzasse tutte queste stragi, attentati eccetera eccetera. È un affare da Simenon di borgata insomma – no? Piaceva l'idea che ci fosse dietro tutta una strategia. Sennonché poi non si sapeva chi fosse il Grande Vecchio. {{NDR|«Aveva un volto questo grande vecchio?»}} Ne ha avuti molti: naturalmente [[Giulio Andreotti|Andreotti]] – quello non manca mai, quando si cerca un ''deus ex macchina'' di tutto ciò che di più criminale è avvenuto in questo Paese {{NDR|c'è}} Andreotti. {{NDR|«Però in quel momento non era tanto vecchio»}} In quel momento non era tanto vecchio, ma il Grande Vecchio non ha nulla di anagrafico, è il Grande Vecchio così – poi Gelli, poi Sindona. Ha avuto varie raffigurazioni che sono tutte di fantasia. (da ''Piazza Fontana e dintorni'') *Se c'era un funzionario corretto, che veniva portato come esempio da tutti i suoi colleghi, era Calabresi. Per quale motivo si scatenò questa campagna contro di lui non lo so. È vero che aveva interrogato [[Giuseppe Pinelli|Pinelli]], ma gli interrogatori di Calabresi facevano testo per la loro correttezza. Sempre. [...] Non so per quale motivo, a un certo momento, la stampa s'incendiò e cominciò ad additare Calabresi come «il bruto», come «lo scherano del potere sopraffattore e assassino». Questo si lesse in vari giornali. Ora, il potere sopraffattore assassino in quel momento era rappresentato da [[Mariano Rumor|Rumor]] e da [[Emilio Colombo|Colombo]]: mi dica lei se hanno il viso dei sopraffattori assassini. Magari lo fossero stati un po', ma immaginiamoci. E questa campagna fu implacabile, assolutamente implacabile. (da ''Piazza Fontana e dintorni'') *Come in tutti i processi italiani anche questi, che poi volevano arrivare all'identificazione dei responsabili e non ci arrivarono quasi mai, erano dominati dal cosiddetto «teorema»: si partiva dal presupposto... a un certo momento si mise di parlare degli anarchici – si smise quasi subito di parlare {{NDR|degli anarchici}} – e tutte le lampadine furono rivolte ai partiti e alle forze di Destra. Erano quelle le forze stragiste. [...] I nostri bravi giudici, salvo alcuni, partivano dal presupposto che {{NDR|i colpevoli}} certamente venivano di lì, venivano dalle Destre, dalle Destre più violente. Alle quali si attribuiva, sempre per «teorema», questa idea: creare una tensione nel Paese in modo da impaurire gli italiani e metterli alla scelta «o la libertà o l'ordine», perché insieme non potevano andare. Nella libertà era chiaro che non si poteva mantenere l'ordine, e loro dicevano: «Qualunque popolo messo a questa scelta sceglie l'ordine». Ecco. È un teorema. È un teorema che ha sempre cercato dimostrazione e non l'ha trovata mai. (da ''Piazza Fontana e dintorni'') *[[Bettino Craxi|Craxi]] era un uomo di partito certamente molto accorto, era un uomo valido di governo perché sapeva decidere. Che cosa fosse lo Stato, da buon socialista, non lo sapeva. (da ''Il terrorismo fino al sequestro e all'uccisione di Aldo Moro'') *Quelle lettere erano tutte farina del sacco di [[Aldo Moro|Moro]], e questa farina non è molto encomiabile perché, vede, tutti gli uomini hanno diritto ad avere paura. Tutti. Però quando un uomo sceglie la politica, e nella politica emerge a [[Statista|uomo di Stato]] – a uomo rappresentativo dello Stato – non perde il diritto a avere paura, ma perde il diritto a mostrarla. Questo sì. Questo è uno dei principi che dovrebbe essere affermato. L'incidente, tipo quello di Moro, fa parte del mestiere. Chi affronta quel mestiere deve sapere che può incorrere in quell'incidente e deve avere i nervi, e diciamo gli altri attributi, per resistere. Moro era lo Stato. Lo Stato si raccomandava, implorava, minacciava la classe politica che facesse di tutto, anche che si prostituisse, per salvargli la vita: eh, no. No. Moro era certamente un politico a modo suo, estremamente abile – era anche un galantuomo, credo – ma uomo di Stato non era nemmeno lui. [...] Anch'io mi sono posto questa domanda molto spesso: «Ma se Moro fosse tornato in politica dopo aver costretto lo Stato a prostituirsi, a inginocchiarsi di fronte ai terroristi, avrebbe potuto restarci?». Avrebbe potuto restare? Con che faccia? Vabbè che siamo in Italia. {{NDR|«Forse lo Stato sarebbe stato un altro perché i terroristi avrebbero vinto»}} Appunto. I terroristi avrebbero vinto. Quindi lui che cosa diventava, il braccio politico del terrorismo? Che cosa diventava? Come poteva ripresentarsi? Va bene, gli italiani hanno lo stomaco forte, inghiottono tutto – noi italiani abbiamo lo stomaco forte e inghiottiamo tutto – ma, insomma, di fronte a un uomo la cui vita, la cui sopravvivenza, aveva avuto quel prezzo per noi non credo che avrebbe potuto ripresentarsi all'opinione pubblica italiana. (da ''Il terrorismo fino al sequestro e all'uccisione di Aldo Moro'') *Noi naturalmente abbiamo il dovere di ringraziare [[Michail Gorbačëv|Gorbačëv]] per quello che ha fatto, però se lei mi chiede se lo ha fatto bene o lo ha fatto male io debbo rispondere che lo ha fatto malissimo. Io non so se lui... che lui volesse salvare la Patria sovietica questo non lo metto in dubbio. Che lui volesse salvare il comunismo... io debbo risponderle di no, perché quello che lui ha fatto per affossare il comunismo lo ha fatto. (da ''Giovanni Paolo II e la fine dell'URSS'') *Anche i cinesi si erano accorti che il sistema comunista era arrivato al capolinea, era fallito. Fallito perché non regge, assolutamente non regge. {{NDR|Il sistema comunista}} Aveva portato il Paese, e i Paesi che lo avevano adottato, al fallimento. Anche i cinesi si erano accorti di questo, però avevano capito che per trasformare un sistema oramai ancestralmente totalitario, statalizzato, che aveva tolto ogni libertà a tutti, che aveva disabituato tutti da ogni spirito di iniziativa e di impresa... per trasformare un'economia basata su questi principi fallimentari in un'economia capitalista basata sul libero mercato, sulla libera concorrenza eccetera, bisognava tenere in mano il potere politico per controllare questo passaggio. I cinesi lo fecero. Quando gli studenti di Pechino credettero di potergli {{NDR|al governo cinese}} prendere la mano scendendo in [[Protesta di piazza Tienanmen|piazza Tienanmen]] i cinesi non esitarono a mitragliarli e, per quanto un massacro non possa che essere esecrato, io dico questo: i cinesi erano obbligati a farlo. Se non lo facevano la Cina si dissolveva, ritornava quella di [[Chiang Kai-shek]]: ritornava quella dei signori della guerra, cioè il Paese si disfaceva. Il Paese che bene o male [[Mao Tse-tung]] aveva unificato e a cui aveva dato un'anima di Nazione si sarebbe disfatto. (da ''Giovanni Paolo II e la fine dell'URSS'') *{{NDR|Su [[Licio Gelli]]}} L'avevo visto una volta e questo [...] rendeva ancora più grande la mia sorpresa. Io avevo un giornale, ''il Giornale'', che non aveva patroni, non aveva pubblicità, che quindi aveva delle grosse difficoltà di tirare avanti. La proprietà era divisa fra me e una trentina di altri redattori, e non avevamo niente in mano. Io non trovavo una banca che mi facesse un fido, non trovavo una società pubblicitaria che mi garantisse un minimo decente delle cose [...]. A un certo momento il capo del nostro ufficio romano, Trionfera – che era massone, ma non P2 – mi disse «Senti, vieni a Roma perché so che c'è un signore che sta diventando il padrone della stampa italiana». Dico «Come? Il padrone della stampa italiana?» «Sì, c'è un signore che, a quanto pare, ha assunto un potere straordinario nel mondo dell’editoria e forse lui può anche aiutarci». [...] Andai a Roma e allora {{NDR|Renzo Trionfera}} mi disse che lui aveva appuntamento con questo signor Gelli, di cui io sentivo il nome per la prima volta [...], però dovevamo andarci quasi di nascosto. [...] Andammo [...] e così vidi Gelli per la prima e unica volta. Gli esposi la situazione e lui mi disse: «Ma questi sono dettagli, queste sono piccolezze, non sono problemi gravi perché qui, oramai, bisogna procedere a ben altro. Bisogna chiamare a raccolta tutta questa stampa italiana che è litigiosa, che è settaria. Bisogna darle un indirizzo unico». Allora io lì lo fermai. Dissi: «Come fa a darle un indirizzo unico? La stampa segue criteri diversi, i giornalisti...». «Macché giornalisti – disse lui – qui ci vuole un padrone della stampa!». Dico «Ma non esiste un padrone della stampa, a meno che non rifacciamo il Minculpop fascista, allora c'era un padrone perché c'era un regime che faceva il padrone». {{NDR|Licio Gelli}} Dice «Basta comprare la proprietà dei giornali». Dissi «Ma scusi, ci sono degli editori che non vendono» [...] «Questione di prezzo». Il discorso andò avanti su questi binari, quando uscimmo io dissi a Trionfera: «Senti, ma questo qui è il più grosso farabolano con cui abbiamo avuto a che fare, uno che si immagina di comprare tutta la stampa e di ridurla ai suoi ordini, va be', o è un matto, o è un matto, oppure è proprio un piazzista, un fregnacciaro qualsiasi insomma». Questo fu l'unico incontro. [...] Uno che faceva questi discorsi naturalmente mi sembrava inutile continuare a frequentarlo. Di lì a poco venne fuori la lista degli iscritti alla P2 e venne fuori l'identificazione di Gelli col Grande Vecchio, col famoso Grande Vecchio. {{NDR|«Finalmente si era trovato»}} Finalmente si era trovato il Grande Vecchio autore di tutte le stragi, le cose..., {{NDR|«Il vero Grande Vecchio»}} il bieco Grande Vecchio. Naturalmente non credetti nemmeno a questo. (da ''Il caso Sindona e la P2'') *Per istinto, e per come avevo visto e conosciuto [[Licio Gelli|Gelli]], io sono convinto che {{NDR|la [[P2|Loggia P2]]}} era una cricca di affaristi e basta. Era una cricca di affaristi condotta da un uomo che, evidentemente, come intrallazzatore doveva essere geniale. Era un pataccaro, indiscutibilmente era un pataccaro, ma che a tutto pensava fuorché a un ''golpe''. Non ci pensava nemmeno. Lui procurava affari e soprattutto fomentava carriere. Lui aveva capito qual è la struttura del potere in Italia, sempre, non soltanto allora, sempre: è una struttura mafiosa. Bisogna far parte di una cricca, di una conventicola in cui ognuno aiuta l'altro, e questo era la P2. [...] Ma che interesse poteva avere Gelli a rovesciare un sistema che gli consentiva di influire sino a quel punto? Quale interesse poteva avere? E poi, Gelli era un farabolano ma non doveva essere del tutto sprovveduto, doveva sapere che l'[[Italia]] non è terra da ''golpe''. Ma chi lo fa il ''golpe''? E anche se qualcuno lo fa, come fa a resistere? Che cos'ha dalla sua per fare il ''golpe''? Non ho mai creduto al golpismo di Gelli. (da ''Il caso Sindona e la P2'') *Il caso Chiesa era un caso modestissimo. Fece da detonatore perché il momento era maturo per arrivare a ''Tangentopoli'', che era dovuto a una cosa molto più complessa che era questa: che ci fosse la corruzione in Italia si è sempre saputo, la classe dominante promanava questo puzzo di fogna che tutti sentivano, il famoso «turarsi il naso». Soltanto che fin quando l'alternativa di questa classe politica allora al potere era un Partito comunista, che era un fac-simile di quello sovietico, basato sui carri armati, sulla polizia segreta, sulle delazioni, sui processi, [...] finché c'era questo spettro noi non potevamo prenderci il lusso di mettere sotto processo e mandare in galera la classe politica dirigente allora. Fu quando, col Muro di Berlino, crollò questo incubo che i tempi furono maturi perché questo avvenisse. (da ''Tangentopoli'') *Che {{NDR|la [[corruzione]]}} sia inestirpabile, di questo sono sicuro perché dura da 2000 anni. La corruzione non è soltanto nella politica: è nella società italiana! Noi italiani abbiamo sempre corrotto tutti! Tutti coloro che sono venuti in Italia a fare i padroni li abbiamo corrotti. [...] Noi dobbiamo metterci in testa che la lotta alla corruzione la si fa in un modo solo: cambiando gli italiani, non cambiando le classi politiche. Le classi politiche, anche quelle nuove, si corrompono. È inevitabile. (da ''Tangentopoli'') *[[Silvio Berlusconi|Berlusconi]] ha un sacco di qualità. C'è da dire, ha una grande immaginazione, una grande fantasia; ha un coraggio leonino nel buttarsi nelle imprese; sa trascinare molto bene; è un comunicatore eccezionale, sa accendere i suoi seguaci di entusiasmi eccetera eccetera, mi ricordo che una volta gli dissi: «Io sono sicuro che se tu ti mettessi a fabbricare dei vasi da notte, faresti venire la voglia di fare pipì a tutta l'Italia». (da ''Verso il bipolarismo'') *[[Silvio Berlusconi|Lui]] è un uomo d'attacco: se avesse fatto la carriera militare lui non sarebbe diventato né un [[Gerd von Rundstedt|Rundstedt]] né un [[Erich von Manstein|Manstein]], che furono i grandi strateghi tedeschi dell'ultima guerra. [...] Lui sarebbe diventato un [[Erwin Rommel|Rommel]] o un [[George Smith Patton|Patton]]. Cioè dire: è un generale di straccio e di rottura che, appunto, sullo slancio può compiere qualsiasi cosa. Se lo metti poi a difendere le posizioni conquistate con lo slancio, eh no, lì non ci sta. Come Rommel: Rommel finché poté attaccare in Libia e in Egitto attaccò. Quando dovette mettersi sulla difensiva chiese il rimpatrio. [...] Non sarebbe uomo di Curia e non è un uomo di pazienza, non è un uomo da guerra di posizione e di logoramento. (da ''Verso il bipolarismo'') *Lui Arrivò a Palazzo Chigi credendo, e facendo credere, che uno Stato si poteva condurre con gli stessi criteri di un'azienda privata. Io su questo avevo avuto serie discussioni con lui – non litigi, non ho mai litigato con Berlusconi – gli avevo detto: «Guarda che lo Stato non è un'azienda privata». [...] Lui credeva di potersi comportare a Palazzo Chigi, e con la macchina dello Stato, come si comportava con la sua organizzazione, dove la gente frullava e, se non frullava, lui la cacciava via, com'è giusto che faccia un imprenditore. Ma lui non poteva applicare questi metodi e sistemi allo Stato. Quando si trovò di fronte alla muraglia grigia, sorda e ottusa della burocrazia italiana, che è la peggiore, ma anche la più resistente del mondo, lui rimase senz'armi: non poteva licenziare neanche un usciere. Nel gioco parlamentare lui naufraga perché non è abituato a queste cose. La politica – non dico che sia solo un mestiere – ma è anche un mestiere. Questo mestiere lui non lo aveva. (da ''Verso il bipolarismo'') *Che gli italiani siano capaci di emanare leggi di riforma, ci credo senz'altro. L'Italia è la più grande produttrice di regole, ognuna delle quali è una riforma, è la riforma di un'altra regola. Gli stessi esperti pare che abbiano perso il conteggio delle leggi, dei regolamenti che vigono in Italia: c'è qualcuno che parla di 200.000, altri di 250.000. Ora, quando si pensa che la [[Germania]] ha in tutto 5.000 leggi, la [[Francia]] pare 7.000, l'[[Inghilterra]] nessuna, quasi nessuna – ha dei principi, così stabiliti. A cosa ha portato tutta questa proliferazione? A riempire gli scantinati dei nostri pubblici uffici, dove ci sono questi mucchi di legge che nessuno va nemmeno a consultare perché ognuna di queste leggi poi offre il modo di evaderle. Questa è la grande abilità dei legislatori italiani. I legislatori italiani sono quasi tutti degli avvocati. E gli avvocati a che cosa pensano? A ingarbugliare le leggi in modo da restarne loro i supremi e unici depositari. [...] Riforme: hai voglia se ne faremo, continuiamo a farne, è la nostra vocazione, questa. Quanto poi all'attuazione, allora è un altro discorso: le leggi in Italia non vengono osservate, anche perché sono formulate in modo che si possano non osservare. Ed è questo che spiega l'abbondanza, la prodigalità delle nostre classi politiche, delle nostre classi dirigenti, nello sfornarne di continuo. (da ''Dal Governo Dini all'Ulivo'') *Un Paese che ignora il proprio Ieri, di cui non sa assolutamente nulla e non si cura di sapere nulla, non può avere un Domani. Io mi ricordo una definizione dell'Italia che mi dette in tempi lontanissimi un mio maestro e anche benefattore, che fu un grande giornalista, [[Ugo Ojetti]], il quale mi disse: «Ma tu non hai ancora capito che l'Italia è un Paese di contemporanei, senza antenati né posteri perché senza memoria». Io avevo 25-26 anni e la presi per una ''boutade'', per una battuta, un paradosso. Mi sono accorto che aveva assolutamente ragione. Questo è un Paese che {{NDR|«È un Paese che non ama la Storia»}} ha una storia straordinaria, {{NDR|«Ma non la ama»}} ma non la studia, non la sa. È un Paese assolutamente ignaro di se stesso. Se tu mi dici cosa sarà un domani per gli italiani, forse sarà un domani brillantissimo. Per gli italiani, non per l'Italia. Perché gli italiani sono i meglio qualificati a entrare in un calderone multinazionale perché non hanno resistenze nazionali. Intanto hanno dei mestieri in cui sono insuperabili. [...] Voglio dirlo senza intonazioni spregiative, nei mestieri servili noi siamo imbattibili, assolutamente imbattibili. Ma non lo siamo soltanto in quelli. L'individualità italiana si può benissimo affermare in tutti i campi, anche scientifici. Io sono sicuro che gli scienziati italiani, i medici italiani, gli specialisti italiani, i chimici, i fisici italiani quando avranno a disposizione dei gabinetti europei veramente attrezzati brilleranno. Gli italiani, l'Italia no. L'Italia non ci sarà, non c'è. Perché gli italiani che vanno in Germania diventeranno tedeschi. [...] Alla seconda generazione sono assimilati. Dovunque vadano, sono assimilati. {{NDR|«Ma questo è un difetto?»}} No... è un difetto... è un difetto ed è anche una virtù. È una qualità. Voglio dire: per l'Italia non vedo un futuro, per gli italiani ne vedo uno brillante. (da ''Dal Governo Dini all'Ulivo'') ==Citazioni tratte dai giornali== ===''Corriere della Sera''=== <!--ordine cronologico--> *Gli eroi sono sempre immortali, agli occhi di chi in essi crede. E così crederanno, i ragazzi, che il «[[Grande Torino|Torino]]» non è morto: è soltanto «in trasferta». (7 maggio 1949) *{{NDR|A proposito di [[Maratea]]}} Forse in Italia non c'è paesaggio e panorama più superbi. Immaginate decine e decine di chilometri di scogliera frastagliata di grotte, faraglioni, strapiombi e morbide spiagge davanti al più spettacoloso dei mari, ora spalancato e aperto, ora chiuso in rade piccole come darsene. (4 ottobre 1957) *{{NDR|Su ''[[La dolce vita]]''}} Ma non c'è dubbio che qui ci si trova di fronte a qualcosa di eccezione (sic!) non perché rappresenti un meglio o un di più di ciò che finora si è fatto sullo schermo, ma perché ne va nettamente al di là, violando tutte le regole e convenzioni, a cominciare da quelle della durata, che supera le tre ore di spettacolo, per finire a quelle della trama, o meglio della non trama, perché non c'è. (''[http://cinquantamila.corriere.it/storyTellerArticolo.php?storyId=4d44ab344c050 Montanelli vede La Dolce Vita]'', 22 gennaio 1960) *{{NDR|Su ''[[La dolce vita]]''}} Non siamo più nel cinematografo, qui. Siamo nel grande affresco. Fellini secondo me non vi tocca vette meno alte di quelle che Goya toccò in pittura, come potenza di requisitoria contro la sua e la nostra società. (''ibidem'') *Il suo reportage non è una "patacca". Il poco – oh, molto poco! – che vi luce è proprio oro. E il molto che vi puzza è proprio fogna. Del resto, se così non fosse, il film sarebbe fallito come falliscono i reportages quando eludono la verità o non riescono a centrarla. Quindi, amici, vi prevengo se domani ''[[La dolce vita]]'' vi farà inorridire, non confutàtela dicendo: "Non è vero". Perché per esser vero, tutto ciò che qui è raccontato, lo è. D'altronde Fellini è ricorso al mezzo più spicciativo (e più diabolico) per dimostrarlo. (''ibidem'') *Ma mi affretto subito ad aggiungere che ''[[La dolce vita]]'' non è una polemica a sfondo giustizialista, che appunta i suoi strali sulle cosiddette classi alte. Non convincerebbe, in questo caso, o convincerebbe meno. Gli altri ambienti, che si srotolano giù giù negli appunti di questo reporter d'eccezione, sono descritti con la identica spietatezza, convalidata dalla stessa tecnica di rappresentare ciascuno nei propri panni. Lasciatemi testimoniare in tutta onestà che raramente ho visto qualcosa di più vero di quel salotto intellettuale. Esso ha dato perfino a me, che non ne frequento nessuno, un senso profondo di mortificazione, un vago anelito a cambiar mestiere e a iscrivermi, fo' per dire, ai coltivatori diretti. (''ibidem'') *Non è necessario essere socialisti per amare e stimare [[Sandro Pertini|Pertini]]. Qualunque cosa egli dica o faccia, odora di pulizia, di lealtà e di sincerità. (27 ottobre 1963) *Che i [[Rifugiati palestinesi|profughi palestinesi]] siano delle povere vittime, non c'è dubbio. Ma lo sono degli Stati arabi, non d'[[Israele]]. Quanto ai loro diritti sulla casa dei padri, non ne hanno nessuno perché i loro padri erano dei senzatetto. Il tetto apparteneva solo a una piccola categoria di sceicchi, che se lo vendettero allegramente e di loro propria scelta. Oggi, ubriacato da una propaganda di stampo razzista e nazionalsocialista, lo sciagurato ''fedain'' scarica su Israele l'odio che dovrebbe rivolgere contro coloro che lo mandarono allo sbaraglio. E il suo pietoso caso, in un modo o nell'altro, bisognerà pure risolverlo. Ma non ci si venga a dire che i responsabili di questa sua miseranda condizione sono gli «usurpatori» ebrei. Questo è storicamente, politicamente e giuridicamente falso. (16 settembre 1972) *[[Alexis de Tocqueville|Tocqueville]] diceva che «è nel sonno della pubblica coscienza che maturano le dittature». (da ''[https://web.archive.org/web/20160101000000/http://archiviostorico.corriere.it/1996/gennaio/13/platea_resta_assente_co_0_9601133631.shtml La platea resta assente]'', 13 gennaio 1996, p. 1) *Se si mettono a raffronto i due rivali come faccia, come presenza, come eloquio, come cordialità, insomma come simpatia umana, non c'è dubbio che Albertini ne ispira molto meno di Fumagalli, anzi diciamo la verità tutta intera: non ne ispira punta. Ed io, cittadino ed elettore milanese, proprio di questo sentivo il bisogno: di un sindaco antipatico, di faccia arcigna e poco invogliante alla pacca sulla spalla, al confidenziale «tu» e al pappecciccia coi sottoposti, e poco, anzi punto disponibile a quelle benevolenze, condiscendenze e indulgenze che rappresentano le supposte di glicerina di tutte le corruzioni. [...] Con Albertini ho parlato una sola volta. Ma mi è bastata per capire che, per rendersi antipatico, non ha bisogno di fare sforzi. Basta che si mostri com'è e come spero che rimanga: una specie di Molotov di Palazzo Marino, chiuso nei suoi caparbi ''niet'', diffidente, scostante e culdipietra. Che abbia una compagna fermamente decisa a non partecipare alla vita pubblica del compagno, anche questo ci va bene. [...] Si ricordi, signor Sindaco, che noi abbiamo votato per lei, non per questi papponi. (da ''[https://web.archive.org/web/20160101000000/http://archiviostorico.corriere.it/1997/maggio/13/tradito_Ulivo_co_0_9705136733.shtml Sì, ho tradito l'Ulivo]'', 13 maggio 1997, p. 1) *Non vorremmo, dopo averne deplorato il brutto vezzo, contribuire alle polemiche nel momento in cui bisogna invece accantonarle per fare compatto fronte per il salvataggio del salvabile. Ma basta con le «regole» che servono soltanto a rendere impenetrabili le responsabilità dei disastri quando i disastri si possono ricondurre a delle responsabilità umane (come non accade, per esempio, nei terremoti). Ma quando verrà l'ora della ricostruzione, ricordiamoci che l'[[urbanistica]] e il paesaggio italiani hanno bisogno non di altre, ma di meno «regole». E, più che di cemento, di dinamite. (da ''[https://web.archive.org/web/20160101000000/http://archiviostorico.corriere.it/1998/maggio/09/licenze_facili_leggi_oscure_co_0_9805099009.shtml Le licenze facili e le leggi oscure]'', 9 maggio 1998, p. 1) *Qualche dichiarazione meno infuocata contro la Giustizia di regime, come il [[Silvio Berlusconi|Cavaliere]] si ostina a definirla, avrebbe meglio aiutato la politica italiana a rimuovere il macigno che la paralizza, e che è lui, Berlusconi. (da ''[https://web.archive.org/web/20160101000000/http://archiviostorico.corriere.it/1998/luglio/14/RESTO_SIA_SILENZIO_co_0_9807143775.shtml E il resto sia silenzio]'', 14 luglio 1998, p. 1) *L'Italia sarà anche, come dicono i nostri tromboni universitari, «la culla del diritto». Ma è anche il sepolcro di una giustizia che, per decidere se un imputato è innocente o colpevole, aspetta il suo certificato di morte che la esenta dal dirlo. Il secondo problema è il reclutamento e la selezione [[magistratura|del personale]]. Come in tutte le altre pubbliche attività, anche nella giustizia c'è un dieci per cento di autentici eroi pronti a sacrificarle carriera e vita, ma senza voce in un coro di «gaglioffi» che c'è da ringraziare Dio quando sono mossi soltanto da smania di protagonismo. (da ''[https://web.archive.org/web/20160101000000/http://archiviostorico.corriere.it/1998/agosto/24/CARDINALE_MAGISTRATO_co_0_9808244892.shtml Il Cardinale e il Magistrato]'', 24 agosto 1998, p. 1) *Tutto si è risolto in un colpo solo, non si sa con precisione quando e come combinato, che ha tagliato la strada alla bagarre prima che cominciasse. E che, per quanto mi riguarda, mi ha liberato dall'incubo che turbava i miei inquieti sonni, e in cui mi vedevo in fuga da un mostro senza volto, ma che m'incalzava con la logorrea del presidente uscente, aggravata dall'accento irpino di Mancino e dalle corde vocali della signora Jervolino. [...] Siamo sicuri che il popolo, chiamato a pronunciarsi fra un [[Carlo Azeglio Ciampi|Ciampi]] e – faccio per dire – un [[Antonio Di Pietro|Di Pietro]], si sarebbe pronunciato per Ciampi? È una domanda che non aspetta risposta, ma che mi permetto di proporre ai lettori. Gran bella parola «il Popolo». E riconosciamogli pure l'attributo, che gli spetta, di «Sovrano». Ma insomma, meditate gente, meditate. (da ''[https://web.archive.org/web/20160101000000/http://archiviostorico.corriere.it/1999/maggio/14/QUASI_NON_CREDO_co_0_9905146643.shtml Quasi non ci credo]'', 14 maggio 1999, p. 1) *Tutti coloro che hanno svolto pubbliche funzioni in Sicilia sono rimasti e sono tuttora in qualche modo «collusi» con la mafia. Lo furono quotidianamente, e per secoli, il governo e la polizia borbonica. Lo fu [[Giuseppe Garibaldi|Garibaldi]] che in essa trovò, dopo lo sbarco, la sua prima alleata. Lo furono i governi nazionali sia di destra che di sinistra. Lo fu [[Giovanni Giolitti|Giolitti]] che pure non scese mai, a ch'io sappia, a sud di Napoli. Lo fu il presidente della vittoria, [[Vittorio Emanuele Orlando|Orlando]], che quando tornava a Palermo, la prima visita che rendeva non era al prefetto né all'arcivescovo, ma al capomafia. Tentò di non esserlo Mori che aveva licenza di uccidere garantita da un regime totalitario, e ci rimise il posto. Lo sono stati tutti i politiconi e politicastri della Prima Repubblica. Anche il cautissimo [[Giulio Andreotti|Andreotti]]? Può darsi, attraverso i suoi proconsoli ''in loco''. Ma il Tribunale deve aver capito che l'imputato non era lui. Era il costume morale e politico della nostra vita pubblica, sul quale un Tribunale non ha, né può né deve avere competenza. [...] E il problema, secondo me, è questo: che fin quando noi italiani crederemo di salvarci dalla peste mandando sul rogo una strega o un untore, dalla peste non ci libereremo mai. (da ''[https://web.archive.org/web/20160101000000/http://archiviostorico.corriere.it/1999/ottobre/24/TRIBUNALE_DELLA_STORIA_co_0_991024441.shtml Il tribunale della storia]'', 24 ottobre 1999, p. 1) *Ci dicano chiaro e tondo perché hanno smembrato il Ros, e hanno ridimensionato l'attività di Sco e Gico. Non ci raccontino che hanno voluto mettere al riparo il capitano Ultimo e i suoi uomini dalle possibili vendette della malavita. E soprattutto non vengano a ripeterci che il ''modus operandi'' dei servizi segreti, per impedirne le «deviazioni», dev'essere «trasparente». Questa, che un segreto possa essere trasparente, è un'idea da primato della cretineria. E, se non della cretineria, lo è della retorica virtuista o della menzogna truffaldina. (da ''[https://web.archive.org/web/20160101000000/http://archiviostorico.corriere.it/1999/novembre/02/PROCURATORE_BATTA_PUGNO_co_0_9911021451.shtml Procuratore batta il pugno]'', 2 novembre 1999, p. 1) *Era la prima volta che il partito socialista italiano aveva trovato un uomo {{NDR|Bettino Craxi}}, se non di Stato, almeno di governo, che lo aveva liberato dalla subalternanza al Pci, e condotto su posizioni democratiche, europeistiche e atlantiche. Lo avrà anche fatto con metodi alquanto spicciativi e disinvolti, più da padrino che da ''leader''. Ma mi chiedo se avrebbe potuto usarne di diversi per avere ragione dei vecchi tromboni del massimalismo populista e piazzaiolo con le loro clientele incrostate da decenni. E mi chiedo anche quanto contribuirono alla sua crocefissione i rancori e le acredini che si era lasciato dietro. Ma nella difesa si perse, e non per mancanza, ma forse per eccesso di coraggio. (da ''[https://web.archive.org/web/20160101000000/http://archiviostorico.corriere.it/2000/gennaio/20/STATISTA_LATITANTE_co_0_0001201104.shtml Lo statista latitante]'', 20 gennaio 2000, p. 1) *Anche noi siamo convinti che il Paese ha il diritto di conoscere la verità (che non riguarda soltanto quella di Piazza Fontana). Ma non ci riusciamo. Anche perché se la pista rimane, come sembra accertato, quella del terrorismo nero, non sappiamo quali nomi l'accusa potrà tirar fuori dal suo cappello. I tre maggiori indiziati sono già stati assolti con sentenza passata in giudicato che non consente di richiamarli sul banco degli imputati. Gli altri di cui si fa il nome non sarebbero che comparse, la più importante delle quali, Delfo Zorzi, risiede a Tokio con passaporto giapponese che lo mette al riparo da ogni pericolo di estradizione. Vale la pena ricominciare? L'''ouverture'' dei dibattimenti non è stata incoraggiante. Il proscenio era occupato da Capanna, Valpreda, [[Dario Fo]] e altri reduci sessantottini, cui si era aggiunto anche Sergio Cusani, l'intangentato convertitosi (lo diciamo senza nessuna ironia) al missionarismo. [...] Invano i portaparola della parte lesa, cioè dei familiari delle vittime, si sono dichiarati estranei e contrari a ogni tentativo di politicizzare il processo. Una parola. Non ci riescono nemmeno [[Jovanotti]] e [[Teo Teocoli|Teocoli]] con le loro filastrocche dal palcoscenico di Sanremo. Figuriamoci se potranno riuscirci i registi di questo processo ''rouge et noir'', se mai ve ne furono. [...] Ecco a cosa servono i processi come questo: non a cercare la verità, ma a fornire argomenti al ''rouge'' o al ''noir''. (da ''[https://web.archive.org/web/20160101000000/http://archiviostorico.corriere.it/2000/febbraio/26/QUELLA_VERITA_CHE_CERCHIAMO_co_0_0002264627.shtml Quella verità che cerchiamo]'', 26 febbraio 2000, p. 1) *Cosa c'entri la giustizia italiana in fatti e misfatti capitati trent'anni fa in un Paese {{NDR|l'[[Argentina]]}} di cui la metà della popolazione è di origine italiana, non riusciamo a capire. Ma ci pareva impossibile che l'iniziativa del giudice spagnolo Garzon per trascinare l'ex dittatore cileno [[Augusto Pinochet|Pinochet]] sul banco degli accusati di un tribunale madrileno non trovasse imitatori in un Paese di scimmie come il nostro. Grazie ad essa, il nome e il volto di Garzon sono noti in tutto il mondo. Ed è probabile che tra poco lo siano anche quelli del pubblico ministero Caporale. Vi pare poco in un'era dell'effimero come quella in cui stiamo vivendo, e che vede l'infittirsi di processi ai defunti, su cui le nuove leve della [[storiografia]] vorrebbero riscrivere il passato? (da ''[https://web.archive.org/web/20160101000000/http://archiviostorico.corriere.it/2000/aprile/03/QUEI_PROCESSI_CARO_ESTINTO_co_0_0004033275.shtml Quei processi al caro estinto]'', 3 aprile 2000, p. 1) *Dobbiamo avere la modestia di riconoscere che noi, come venditori, non leghiamo nemmeno le scarpe a un piazzista che se un giorno si mettesse a produrre vasi da notte, farebbe scappare la voglia di urinare a tutta l'Italia. (da ''[https://web.archive.org/web/20130619122825/http://archiviostorico.corriere.it/2001/febbraio/15/PREDICATORI_COMPARSE_co_0_0102158858.shtml I predicatori e le comparse]'', 15 febbraio 2001, p. 1) *Non sono mai venuto meno all'impegno, preso non con il Cavaliere, ma con me stesso, di non associarmi mai alla sua demonizzazione. Ma non posso sottacere ai lettori i pericoli che si nascondono sotto questa sua allergia alla verità, questa sua voluttuaria e voluttuosa propensione alle menzogne, la naturalezza con cui riesce a pronunziarle. (da ''Io e il cavaliere qualche anno fa'', 25 marzo 2001, p. 1) *Berlusconi, cui nulla riesce tanto bene quanto la parte di vittima e perseguitato. «[[Chiagne e fotte]]» dicono a Napoli dei tipi come lui. E si prepara a farlo per cinque anni di seguito. (da ''Io e il cavaliere qualche anno fa'', 25 marzo 2001, p. 1) ====''La stanza di Montanelli – rubrica''==== {{cronologico}} *{{NDR|[[Vittorio Sgarbi]]}} È un volgare calunniatore, che non disonora se stesso, ma anche il suo committente e padrone (tutti sappiamo chi è) che si serve di un simile scherano. (8 novembre 1995) *I [[Riformismo|riformatori]] italiani, quando si tratta di riformare ciò che non ha bisogno di essere riformato, sono instancabili. L'attività dell'Ucas, Ufficio complicazioni affari semplici, come ricordava un altro lettore esasperato, è frenetica. ([https://web.archive.org/web/20160101000000/http://archiviostorico.corriere.it/1995/dicembre/13/Ufficio_complicazioni_affari_semplici_co_0_9512139920.shtml 13 dicembre 1995]) *Io credo che il miglior omaggio che si può rendere a [[Aldo Moro|Moro]] sia quello di archiviare l'episodio che ne segnò la fine e dal quale, diciamo la verità, la sua immagine esce tutt'altro che bene. Quando sento dire che, oltre a quelle conosciute, ci sono anche altre lettere di Moro, prego Iddio che non vengano trovate. So già cosa contengono, e preferisco non leggerlo. (21 dicembre 1995) *È assolutamente impossibile istillare negli [[zingari]] il concetto di proprietà e quindi educarli al lavoro come mezzo per conquistarsela. Ma temo che sia altrettanto impossibile far capire tutto questo ai nostri pietisti, religiosi e laici, che farneticano di «integrarli». ([https://web.archive.org/web/20160101000000/http://archiviostorico.corriere.it/1995/dicembre/30/Viaggiai_sul_carrozzone_degli_zingari_co_0_95123012229.shtml 30 dicembre 1995]) *A me, invece, [[Beppe Grillo|Grillo]] piace. Lo considero il più efficace comico in circolazione. Anzi: «comico» non è la parola giusta. Grillo non è un comico, non è un moralista, non è un predicatore: è tutte queste cose insieme. Nel panorama dello spettacolo italiano, dove abbonda il bollito misto, è un'eccezione ambulante (e urlante). Lei ha ragione quando dice che Grillo esagera. Non soltanto esagera; provoca anche, e insulta, e offende. Ma tutte le categorie di giudizio, con un tipo così, risultano inadeguate. Grillo appartiene ad una specie animale particolare, formata da un solo esemplare: lui. O lo strozziamo o lo applaudiamo. Io, appena posso, lo applaudo. Perché i suoi eccessi, a differenza di quelli di [[Vittorio Sgarbi|Sgarbi]], odorano di bucato. ([https://web.archive.org/web/20160101000000/http://archiviostorico.corriere.it/1996/gennaio/11/Beppe_Grillo_incubo_esilarante_co_0_9601114281.shtml 11 gennaio 1996]) *Una delle eterne regole italiane: nel settore pubblico, tutto è difficile; la buona volontà è sgradita; la correttezza, sospetta. Per questo, le persone capaci continueranno a tenersi a distanza di sicurezza dalla «cosa pubblica», lasciando il posto ai furbastri (magari bravi) e alle mezze cartucce (magari oneste). Così, purtroppo, vanno le cose in questo bizzarro paese. ([https://web.archive.org/web/20160101000000/http://archiviostorico.corriere.it/1996/gennaio/26/Impegno_politico_caduta_delle_illusioni_co_0_9601261298.shtml 26 gennaio 1996]) *In una società libera il compito dei media non è «edificare la morale»; è informare, denunciare, stimolare, far riflettere, occasionalmente divertire. (28 gennaio 1996) *L'unico incoraggiamento che posso dare ai giovani, e che regolarmente gli do, è questo: «Battetevi sempre per le cose in cui credete. Perderete, come le ho perse io, tutte le battaglie. Una sola potete vincerne: quella che s'ingaggia ogni mattina, quando ci si fa la barba, davanti allo [[specchio]]. Se vi ci potete guardare senza arrossire, contentatevi». (20 febbraio 1996) *Non so se il Pci sia sotterraneamente sceso a trattative con le Br per convincerle a secondare questo piano. So soltanto che le Br, le quali invece la rivoluzione la volevano sul serio, lo rifiutarono, e fu proprio per farlo naufragare che rapirono e poi uccisero colui che doveva esserne lo strumento. [...] Fu il risoluto e quasi furibondo (oltre che sacrosanto) no dei comunisti che fece naufragare il tentativo {{NDR|Trattativa Stato-BR durante il sequestro [[Aldo Moro|Moro]]}}, che invece in seno alla Dc aveva parecchi sostenitori, anche se non osavano dirlo apertamente. Di qui le accuse e le insinuazioni contro i suoi compagni di partito, lanciate da Moro in quelle famose lettere, che avrebbe fatto meglio a non scrivere perché indegne di un vero uomo di Stato, anzi di un uomo tout court, e che ancor oggi forniscono materia al sospetto di una congiura fra democristiani – con l'aiuto dei soliti servizi segreti «deviati» – per sbarazzarsi di lui. Vero nulla. Forse nella Dc le forze «trattativiste», praticamente disposte alla resa alle Br, avrebbero vinto, se non ne fossero state impedite dalla risolutezza del Pci, che di un brigatismo assurto ad interlocutore dello Stato non voleva sentir parlare e di un Moro salvato al prezzo di una simile capitolazione non avrebbe più saputo che farsi. (26 marzo 1996) *No, è stata la persecuzione che ha costretto gli ebrei, per resisterle, a tendere ed affinare tutte le loro risorse intellettuali. Ecco il segreto dei loro primati. In tutto. E talvolta anche nella cretineria. (3 aprile 1996) *L'[[Allargamento della NATO|allargamento della Nato]] è una cosa maledettamente seria, e decisamente complessa. Parlarne prima delle elezioni presidenziali russe vuol dire buttare benzina sul fuoco; non parlarne oggi significa, forse, non parlarne più. [...] Innanzitutto, dobbiamo renderci conto che la Nato è un'organizzazione basata sul consenso: se si estende verso Oriente [...], la compattezza dell'alleanza rischia di incrinarsi. Ancor più delicata è una seconda questione. Governi e opinione pubblica occidentali devono capire le implicazioni della loro decisione. In seguito all'allargamento, i nuovi membri orientali della Nato (che siano solo Repubblica Ceca e Ungheria; o anche Polonia e Paesi Baltici) diventano nostri alleati, a tutti gli effetti. Questo vuol dire che, se venissero attaccati, dovremmo correre a difenderli. Domanda: siamo disposti a morire per Varsavia e Tallin? Se la risposta è «sì», allarghiamo pure la Nato. Se la risposta è «ma, forse...» – e in Italia sarebbe sicuramente «ma, forse...» – è meglio che lasciamo perdere. In quella parte del mondo hanno già sofferto abbastanza. Non è il caso che ci mettiamo anche noi. ([https://web.archive.org/web/20151025020316/http://archiviostorico.corriere.it/1996/aprile/20/Allargamento_della_Nato_Lasciamo_perdere_co_0_960420535.shtml 20 aprile 1996]) *Io non mi considero affatto ateo e non capisco come si possa esserlo. ([https://web.archive.org/web/20160101000000/http://archiviostorico.corriere.it/1996/maggio/23/dove_comincia_grande_mistero_Dio_co_0_9605235872.shtml 23 maggio 1996]) *{{NDR|Riferito alla [[crisi di Sigonella]]}} Ho sempre considerato il rilascio di Abu Abbas un gesto semplicemente criminale o almeno di complicità col crimine. ([https://web.archive.org/web/20151107235857/http://archiviostorico.corriere.it/1996/luglio/07/Caro_Ottiero_Ottieri_diamoci_del_co_0_9607072658.shtml 7 luglio 1996]) *Quanto scrivi {{NDR|riferito a una lettrice}} sull'insegnamento della Storia nelle nostre scuole è sacrosantamente vero. I testi su cui ve la fanno studiare sono o reticenti o faziosi, ma più spesso l'una cosa e l'altra, e soprattutto scritti coi piedi. (4 settembre 1996) *No, caro N***, non mi basta che il Pool abbia perseguito e persegua una buona Causa. Doveva farlo anche con buoni mezzi e criteri. E il caso Di Pietro basta a dimostrare che questo non è sempre avvenuto. (24 ottobre 1996) *È dalla piazza e dai cosiddetti «bagni di folla» che nascono i dittatori e vengono consacrati i fanatismi più orrendi, fra cui il più orrendo di tutti: il razzismo. ([https://www.fondazionemontanelli.it/sito/pagina.php?IDarticolo=432 24 novembre 1996]) *Io non ho titoli culturali che mi qualifichino a lezioni su una tematica come quella del [[calvinismo]]. Ma credo di averne afferrato l'essenziale: la concezione della Ricchezza come segno della Grazia, di cui quindi non si è proprietari, ma amministratori per conto del Signore col compito di moltiplicarla per il bene di tutti. (21 dicembre 1996) *[[Daniele Vimercati|Vimercati]] è un leghista antemarcia. Lo era anche quando lavorava con me al ''Giornale''. Ma è soprattutto un signor giornalista, che conosce perfettamente la linea di demarcazione fra l'opinione personale e il dovere professionale, e non c'è interesse né calcolo di opportunità che possa indurlo a varcarla. Per questo godeva di tutta la mia fiducia, né mai ho avuto occasione di pentirmi di avergliela concessa. (1996).<ref>Citato in Pierluigi Saurgnani, ''[https://www.ecodibergamo.it/stories/Cronaca/274325_vimercati_gran_borghese_il_giornalista_che_scopr_bossi/ Vimercati, gran borghese. Il giornalista che scoprì Bossi]'', ''ecodibergamo.it'', 13 marzo 2012.</ref> *Di commissioni d'inchiesta il nostro parlamento ne ha partorite a dozzine. Me ne citi una sola che abbia raggiunto dei risultati, anche semplicemente conoscitivi. Per un Parlamento come il nostro (e mi trattengo a fatica dal qualificarlo) anche la ricerca della verità è materia di lottizzazione. ([https://web.archive.org/web/20151118213258/http://archiviostorico.corriere.it/1996/dicembre/23/Ormai_non_resta_che_amnistia_co_0_96122312669.shtml 23 dicembre 1996]) *Quando ebbi, fra i tanti, un processo non con un magistrato, ma con un politico del rango di De Mita che avevo coinvolto nella mala amministrazione dei fondi stanziati per l'Irpinia dopo il [[Terremoto dell'Irpinia del 1980|terremoto]], non trovai, in tutta quella vasta regione, una toga che venisse a testimoniare in mio favore. L'unico che mi difese fu colui che avrebbe dovuto accusarmi: il pubblico ministero del tribunale di Monza, Mariconda: non sul merito delle mie accuse, ch'egli non aveva elementi per valutare, ma sul diritto che mi riconosceva di lanciarle. Anche l'uso dei cinquanta–sessantamila miliardi stanziati per l'Irpinia rimase un porto delle nebbie. ([https://web.archive.org/web/20160101000000/http://archiviostorico.corriere.it/1997/gennaio/12/Magistratura_porti_delle_nebbie_co_0_9701123652.shtml 12 gennaio 1997]) *La sola parola «ingegneria genetica» mi mette i brividi. (14 marzo 1997) *Io non mi sono mai [[Impiccagione|impiccato]]. Ma a Norimberga assistetti a diciassette impiccagioni, compresa quella di un cadavere, il cadavere di Göring che si era suicidato il giorno prima. Be', mi resi conto [...] che ficcare la testa nel nodo scorsoio di una corda non è un esercizio da mezzetacche o quacquaracquà. (15 maggio 1997) *{{NDR|Gladio}} Era stato istituito in quasi tutti i Paesi che facevano parte della Nato, e per volontà della Nato, consapevole che i suoi soci europei non avrebbero potuto resistere all'attacco di una Potenza superarmata qual era l'[[Unione Sovietica]]: avrebbero dovuto aspettare, per la riscossa, l'intervento dell'[[Stati Uniti d'America|America]]. Lo dimostra il fatto che quando questo piano fu rivelato, nessun altro Paese trovò nulla da ridirne. Solo noi italiani – i soliti romanzieri imbecilli e peggio che imbecilli – ne facemmo materia di scandalo e pretesto di «gialli» che tuttora trovano credito, come la sua lettera dimostra. Anch'io mi sento scandalizzato, e un poco offeso. Ma solo dal fatto che nessuno mi abbia sollecitato l'adesione al [[Organizzazione Gladio|Gladio]]: l'avrei data con entusiasmo. ([https://web.archive.org/web/20150623163829/http://archiviostorico.corriere.it/1997/giugno/07/Avrei_dato_con_entusiasmo_adesione_co_0_97060710388.shtml 7 giugno 1997]) *A fare l'Italia alcuni pochi italiani ci sono, senza e contro i più, riusciti. A fare gl'italiani, l'Italia, in centocinquant'anni, non c'è riuscita; anzi non ci s'è nemmeno provata. (19 giugno 1997). *Il vero cacciatore ama gli animali a cui dà la caccia, forse anche perché li considera complici di questo gioco in cui ritrova la sua origine esistenziale. Non spara, per esempio, sul bersaglio fermo: lo considera sleale. (9 luglio 1997) *Al matrimonio misto, che dell'integrazione razziale è la condizione genetica, sono i neri, molto più dei bianchi, che si rifiutano. Non è quindi colpa degl'italiani, o almeno non tutta questa colpa è degl'italiani, se anche da noi l'integrazione con gl'immigrati africani incontra degli ostacoli. Quella con gli oriundi dei Paesi europei non ne incontra nessuno, salvo quelli che frappone la burocrazia, la quale ne pone tanti anche a noi, e anzi campa solo di questo. Non ho mai sentito un francese, o un inglese, o un tedesco, o un bulgaro o un ukraino lamentarsi di una apartheid italiana. Ci sono anche da noi, purtroppo, delle manifestazioni di razzismo. Ma queste sono dovunque, e in Italia meno violente che altrove. L'Italia è un Paese che va a catafascio. Ma non buttiamogli addosso anche delle croci che non merita. Quelle che merita bastano, e ne avanza. (24 agosto 1997) *Io sono un italiano, fra i pochi rimasti che nei confronti dell'Italia s'ispirano all'adagio inglese: «Che abbia ragione o torto, sto col mio Paese». Anch'io sto col mio paese quando ha torto, ma senza pretendere che il suo torto sia considerato ragione. (23 settembre 1997) *Sono e rimango convinto che fin quando noi italiani ci affideremo soltanto alla Legge – o, come ora usa chiamarla, alle «regole» –, rimarremo quello che siamo, coi vizi che abbiamo, fra cui quello di accatastare regole su regole al solo scopo di metterle in contraddizione l'una con l'altra per poterle meglio evadere. (16 ottobre 1997) *Forse farebbe meglio ad astenersi a dare lezioni di liberalismo a me che sono stato, in tutto il giornalismo italiano, l'unico a difenderlo negli anni Settanta e Ottanta, quando difenderlo era difficile e poteva anche costar caro. Non me ne faccio un vanto perché, quando alla fine ha vinto, ho visto di che liberalismo si trattava, ed è per questo che ho votato Ulivo. (23 ottobre 1997) *Le confesso che il suo piglio perentorio e inquisitorio mi disturba alquanto, anche perché mi lascia capire che lei parte da convinzioni così granitiche da rendere vano ogni tentativo d'insinuarvi almeno un dubbio. (23 ottobre 1997) *È importante tutto questo? No. Non lo è per me né per lei, che sappiamo cosa è accaduto. E non lo è per i leghisti doc, secondo cui qualunque cosa propone il capo è Vangelo. Se Bossi decide di andare in Bicamerale, applaudono. Se decide di abbandonare la Bicamerale, esultano. Se va con Berlusconi, assentono. Se lascia Berlusconi, approvano. E se un giorno si sveglia e cambia i confini della Padania, accettano i nuovi confini. Tempo fa, rispondendo a un lettore, scrissi che «i leghisti sono pronti a inneggiare anche all'annessione della Yakuzia, e non solo perché non sanno dove sta». Arrivarono molte lettere indispettite. Ma nessuna contro l'annessione della Yakuzia. (29 ottobre 1997) *Se sono – come sono – uno di quegli uomini di Destra che ultimamente hanno votato, sia pure controvoglia, per la Sinistra (annacquata) dell'Ulivo, è perché da questa, che non è mai stata la mia bandiera, non mi sento tradito. Essa sta facendo ciò che prometteva di fare, ma lo fa con molta moderazione, e con una squadra di uomini che magari non saranno (meno qualcuno, come per esempio Ciampi) di serie A, ma da cui non temo, e credo che nessuna persona ragionevole possa temere, l'instaurazione di un regime. (10 dicembre 1997) *E lo specchio non vi giudica dai successi che avrete ottenuto nella corsa al denaro, al potere, agli onori; ma soltanto dalla Causa che avrete servito. Tenendo bene a mente il motto degli ''hidalgos'' spagnoli: «La sconfitta è il blasone delle anime nobili». (31 dicembre 1997) *Che cosa io pensi dell'onorevole Previti mi pare di averlo detto in termini talmente espliciti da apparire – a più d'uno – brutali: un personaggio che solo a guardarlo in faccia verrebbe voglia di applicargli le manette ai polsi prima ancora di sapere chi è e cosa ha fatto. (31 gennaio 1998) *Infine, c'è quello che io considero il vero, grande vantaggio dell'euro: una volta dentro, non potremo tornare all'allegra finanza pubblica d'un tempo. ([https://web.archive.org/web/20151203232056/http://archiviostorico.corriere.it/1998/febbraio/20/Che_cosa_succedera_quando_avremo_co_0_9802206445.shtml 20 febbraio 1998]) *Tutti hanno diritto di credere nel miracolo, quando non c'è altro a cui aggrapparsi. La scienza no: se lo ricordi anche il Papa. (23 febbraio 1998) *I conti col passato, si capisce, bisogna farli. Ma a un certo punto bisogna chiuderli. Perché nella Storia non ce n'è mai stato uno che, protratto all'infinito, non ne abbia innescato un altro. (10 marzo 1998) *Perché, caro B***? Perché la vocazione a dividerci sempre e su tutto per il nostro «particulare», come lo chiamava Guicciardini, noi italiani ce la portiamo nel sangue, e non c'è legge che possa estirparla. (18 aprile 1998) *Vero che nei ricordi sui quali vengo sollecitato, il nome di [[Cesco Tomaselli|Tomaselli]] ricorre meno frequentemente di quelli di Longanesi, di Buzzati, di Piovene, di Barzini ecc. Ma ciò dipende solo dal fatto che costoro appartenevano alla mia leva, e in comune con loro avevo avuto tante esperienze, perfino la stanza di lavoro. Tomaselli, quando io entrai al ''Corriere'', apparteneva già alla sua vecchia guardia, e come notorietà ne aveva raggiunto il tetto proprio grazie alle sue corrispondenze sull'impresa del dirigibile «Italia» di Umberto Nobile, di cui fu dal principio alla fine lo scrupoloso cronista. A salvargli la vita dalla catastrofe fu soltanto la sorte, contro cui egli imprecò considerandola avversa. Per l'ultima tappa, quella che avrebbe dovuto sorvolare il Polo, dei due giornalisti aggregati a quella spedizione — Tomaselli per il ''Corriere'', e Ugo Lago per il ''Popolo d'Italia'' di Mussolini —, c'era posto, sulla navicella, per uno solo. Lago e Tomaselli se lo giocarono a testa o croce. Con gran dispetto di Tomaselli, che non smise mai di considerarsene tradito, vinse e partì Lago, che non tornò più: quando l'aeromobile precipitò sul pack, lui rimase aggrappato insieme ad altri compagni al cordame dell'involucro col quale scomparve nel deserto bianco. Ma tutte le volte che se ne parlava, Tomaselli seguitava ad inveire contro la scalogna che lo aveva escluso da quel drammatico finale, come se gli avesse tolto la fortuna di descriverlo. Questo era Tomaselli, l'inviato speciale che nel suo mestiere di giornalista portava lo stesso spirito che aveva fatto di lui, nella Prima Guerra Mondiale, un superdecorato ufficiale di artiglieria alpina e gli ispirava una concezione quasi religiosa del «servizio». Non era un «brillante» né come scrittore né come parlatore. Ma di tutto quello che diceva, sia con la bocca che con la penna, si poteva stare sicuri che di inesatto o di inventato non c'era nemmeno una virgola. [...] Se raramente mi capita di parlare di lui, è perché l'ho conosciuto e frequentato sul declino della sua intemerata e ineccepibile carriera di testimone, e perché lui, nel raccontarla, non l'animava mai di aneddoti o di battute come, per esempio, il suo coetaneo Monelli. Ma se ai giovani che si avviano (poveretti!) a questo mestiere dovessi indicare un modello di dignità, serietà, dedizione e correttezza professionale non avrei dubbi sulla scelta: Cesco Tomaselli. ([https://web.archive.org/web/20151009153047/http://archiviostorico.corriere.it/1998/maggio/07/Cesco_Tomaselli_inviato_speciale_Polo_co_0_9805078688.shtml 7 maggio 1998]) *Che un giudice spagnolo in vena di protagonismo abbia chiesto all'[[Inghilterra]] la consegna di un ospite straniero andato a Londra in forma privatissima per ragioni di salute, non mi stupisce: un [[Antonio Di Pietro|Di Pietro]] può nascere dovunque. Ma che l'Inghilterra si proponga di consentire, non mi stupisce. Mi sbalordisce, come ha sbalordito e indignato la signora Thatcher che aveva ospitato in casa il Generale. Ma ancora di più mi sbalordirebbe che la Giustizia spagnola, cioè di un Paese che non solo ha accettato per quarant'anni il potere di un Generale, ma gli ha consentito (per sua fortuna) di disporne anche dopo morto, portasse davanti a una Corte di Giustizia quello cileno. Per non parlare delle conseguenze che tutto questo potrebbe provocare in [[Cile]] dove, nel caso che il governo Frei si mostrasse esitante e accomodante, le Forze Armate potrebbero riprendere il potere per rompere i rapporti diplomatici con [[Spagna]] e Inghilterra e dimostrare al mondo che i processi alla Norimberga hanno fatto il loro tempo. Se a qualcuno il Generale cileno Pinochet deve rendere conto del suo operato, è soltanto al Cile e ai suoi tribunali. E se io fossi un cileno che ha votato Frei (come certamente avrei fatto se fossi stato un cileno), in questa occasione mi schiererei con le Forze Armate. Con tanti saluti a tutto il sinistrume italiano passato, presente e futuro. (24 ottobre 1998) *Che gli [[Stati Uniti d'America|Usa]] siano in tutto il mondo odiati dagli uomini come lei {{NDR|riferito a un lettore}}, è verosimile, e quindi più che credibile. Un po' meno credibile è che gli uomini di tutto il mondo siano e la pensino come lei. Comunque, il giorno in cui quel Paese venisse chiamato (ma da chi?) sul banco degl'imputati come il nemico dell'umanità, io chiederò di essere ascoltato come testimone. Per dire alla Corte dei Vecchio di turno che io, uomo qualunque, mi considero graziato tre volte da questo grande nemico dell'umanità. La prima fu quando mi strappò al pericolo di diventare – per bene che mi fosse andata – l'attendente di un colonnello tedesco. La seconda fu quando mi sottrasse a quello di finire i miei giorni in un kolkos siberiano. La terza fu quando, invece di rimettermi la parcella di questi favori, mi aiutò a rifarmi la casa senza contestarmi il diritto di invitarvi anche coloro che pensano (si fa per dire) e parlano (o meglio sbraitano) come lei. ([https://web.archive.org/web/20160101000000/http://archiviostorico.corriere.it/1999/aprile/10/Fermare_genocidio_Kosovo_co_0_9904103314.shtml 10 aprile 1999]) *Tradotto in politica, non c'è nulla di più intollerante e fazioso, e quindi di meno pacifico, del [[pacifismo]] in generale, e di quello italiano in particolare. È un pacifismo a fasi alterne, e che si sveglia soprattutto, anzi quasi esclusivamente, quando a fare la guerra sono gli americani. Furioso e devastatore imperversò, non soltanto in Europa, ma nella stessa America, al tempo del Vietnam: al punto che quando [[Richard Nixon|Nixon]] venne in visita in Italia (quell'Italia che poteva fare ciò che voleva grazie agli americani) dovettero mandarlo a prendere a Fiumicino con un elicottero e trasportarlo via aria in Quirinale perché via terra avrebbe rischiato la pelle. Ma questo stesso pacifismo rimase impassibile quando i carri armati sovietici schiacciarono l'Ungheria (e a Montecitorio risuonò il grido: «Viva l'[[Armata Rossa]]!»), e poco dopo la Cecoslovacchia e da ultimo l'Afghanistan. Sono sempre gli stessi, i pacifisti italiani. Con una bandiera in mano come quella della pace (chi può infatti invocare la guerra?), si sentono invulnerabili. Ma la sventolano solo per il povero Milosevic; il genocidio del Kosovo li lascia del tutto indifferenti. (5 maggio 1999) *Non sempre condivido le opinioni di [[Giovanni Sartori|Sartori]]. Qualche volta, anzi spesso, abbiamo litigato, anche perché a lui litigare piace moltissimo: da buon toscano, è nella polemica che lui, e forse anch'io, diamo il meglio di noi. E anche sull'articolo del 25 maggio non siamo in tutto e per tutto d'accordo. Lo siamo nel respingere la qualifica di «pacifista», che entrambi lasciamo in esclusiva alle «anime belle» che, sventolando la bandiera della [[pace]], sperano di raccogliere intorno a essa tutti gl'ipocriti e gl'imbecilli che, sommati insieme, costituiscono certamente la stragrande maggioranza degl'italiani. (29 maggio 1999) *Lo Stato di [[Platone]], quello che lui chiamava la polis, e che poi era Atene, aveva, al tempo di Platone, cioè nel momento del suo massimo splendore, ventimila abitanti, di cui solo cinquemila avevano diritto al voto. E veda un po' come quei civilissimi cittadini lo usarono nelle assemblee dell'Acropoli: mettendo sotto processo [[Pericle]] e [[Aspasia di Mileto|Aspasia]], condannando a morte [[Socrate]] e provocando la guerra del Peloponneso, che fu la rovina non solo di Atene, ma di tutta la Grecia e della sua civiltà. Ora se il sistema della «democrazia diretta» o, come lei la chiama, «partecipatoria», non funzionò nemmeno in una polis di ventimila abitanti, s'immagini un po' cosa diventerebbe nei formicai umani cui si sono ridotte le polis attuali, e non soltanto quelle italiane. [...] Lei ha tutte le ragioni del mondo a dire che l'attuale sistema di democrazia «rappresentativa» o «delegata» ha dei vizi gravissimi e spesso provoca disastri, compresa quella americana, che pure è una di quelle che meglio funzionano. Ma, mi creda, quella «diretta» o «di piazza» è ancora molto più pericolosa perché continuamente a rischio di cadere in balia di qualche ciarlatano che sappia soltanto vendere bene la sua merce. Certo, quella indiretta esige, da parte del cittadino, una partecipazione che in Italia manca. Ma non è certo coi referendum che si può sostituirla. Almeno questo mi ha insegnato l'esperienza. (22 agosto 1999) *Quello di [[Francisco Franco|Franco]], se proprio vogliamo chiamarlo regime, fu un regime di polizia, di una polizia molto più dura di quella fascista, ma un totalitarismo no. Ecco perché, quando sentì avvicinarsi il momento della fine, Franco poté liquidare il franchismo con relativa facilità: perché di totalitario non aveva altro che le galere. Però bisogna anche riconoscere che questo soldataccio squallido e ottuso (sul piano umano era repellente), il ritorno al regime democratico seppe compierlo da maestro, facendosi consegnare dal pretendente al trono, Don Juan, ch'egli considerava (non a torto) poco affidabile, il figlio Juan Carlos per prepararlo – operazione riuscitissima – ai suoi compiti di Re, e mettendogli accanto un uomo di primissimo ordine come Suarez. ([https://web.archive.org/web/20130331034046/http://archiviostorico.corriere.it/1999/ottobre/24/differenza_fra_regimi_totalitari_dittature_co_0_991024459.shtml 24 ottobre 1999]) *La servitù, in molti casi, non è una violenza dei padroni, ma una tentazione dei servi. (2 gennaio 2000) *Non conosco Haider, e quindi nemmeno i fondamenti della sua ideologia, ammesso che ne abbia una. A occhio e croce, più che un nazista, mi sembra un qualunquista che interpreta, o cerca d'interpretare i sentimenti e i risentimenti di una pubblica opinione di livello bossiano, scontenta di tante cose, e a cui l'Austria attuale va stretta. [...] Non so se anche Haider – ripeto: non lo conosco – sia un omuncolo. Ma penso che l'Europa, ponendo il veto a un suo eventuale governo, costringerà gli austriaci ad affidargliene l'incarico, come avvenne per Waldheim. Io al pericolo di un rigurgito nazista non ci credo. Come ho letto in un articolo (mi pare di Enzo Bettiza, ma potrei sbagliarmi) penso che Jorg Haider somigli più a un Poujade che a un Le Pen, cioè più a una miscela di [[Umberto Bossi|Bossi]] e di Giannini che a un [[Pino Rauti]]. Ciò che mi allarma è l'incapacità dell'Europa a riflettere sulle sue proprie esperienze a trarne qualche insegnamento. Questo, sì, mi fa paura. (3 febbraio 2000) *Li conosco e riconosco, quei regimi {{NDR|di dittatura e di censura}}. Ne avverto il passo anche di lontano, e convengo che in Italia il pericolo di vederne arrivare qualcuno c'è. Ma sa quando si realizzerà? L'anno venturo, dopo la vittoria – che io do per certa – del Polo alle Politiche. Vedrà. La prima cosa che farà Berlusconi, come la fece nel '94, sarà di spazzare via l'attuale dirigenza Rai per omologarne le tre Reti a quelle sue. (26 febbraio 2000) *Quando s'accendono i [[Morte sul rogo|roghi]], mettiti dalla parte della strega, anche a costo di bruciare con lei. ([https://www.corriere.it/solferino/montanelli/00-05-31/02.spm 31 maggio 2000]) *Una Giustizia che per istruire un processo impiega sei o sette anni e poi non riesce a chiuderlo con una sentenza che non si presti a rimetterlo, con qualche marchingegno, in gioco, è un meccanismo di cui bisogna assolutamente rivedere e rifare gl'ingranaggi: «Giustizia ritardata – dice [[Montesquieu]] – è Giustizia negata». ([http://www.corriere.it/solferino/montanelli/00-06-07/01.spm 7 giugno 2000]) *Il [[revisionismo]] è la materia prima della [[storiografia]] che, senza di esso, sarebbe una disciplina morta. ([http://www.corriere.it/solferino/montanelli/00-06-16/01.spm 16 giugno 2000]) *Il mio giudizio su [[Baltasar Garzón|Garzón]] resta quello di prima, solo un po' rinforzato: un garzoncello smanioso soltanto di leggere il proprio nome sulle prime pagine di tutti i giornali e di vedere la propria effigie sugli schermi televisivi di tutto il mondo: il che rafforza la mia ipotesi che si tratti di un italiano nato per sbaglio in Spagna. ([http://www.corriere.it/solferino/montanelli/00-06-30/01.spm 30 giugno 2000]) *La pena di morte americana esiste e resiste in America perché fu un elemento base e costitutivo della sua nascita e sviluppo. Dei famosi 102 «Padri Pellegrini» che per primi sbarcarono dal «Mayflower» in quel Continente non per saccheggiare le ricchezze come facevano spagnoli e portoghesi in Messico e nell'America del Sud, ma per costruirvi una società nuova e libera, circa i due terzi erano avanzi di galera che fuggivano la Giustizia e le prigioni dell'Europa, e un terzo erano uomini che cercavano la libertà, e soprattutto quella religiosa. I primi avevano in tasca la pistola, i secondi la Bibbia, ma nella sua versione calvinista quella del taglione, basata sulla concezione di un Dio giustiziere che esige la morte di chi senza giusto motivo la dà. (9 luglio 2000) *A Rimini, cioè in casa propria (ma anche nostra, almeno per il momento), questi signorini {{NDR|di [[Comunione e Liberazione]]}} non hanno fatto altro che fischiare tutto ciò che è italiano, acclamare al nuovo beato [[Pio IX]], il Papa-Re che pretendeva di impedire il processo di unificazione nazionale, ed esaltare come i veri eroi del risorgimento i Borboni e i briganti del Cardinale Ruffo. A lei, tutto questo va bene? A me, dà il vomito. ([http://www.corriere.it/solferino/montanelli/00-09-13/02.spm 13 settembre 2000]). *Il mio parere è rimasto quello che espressi sul mio ''Giornale'' l'indomani del fattaccio {{NDR|l'[[agguato di via Fani]]}}. «Se lo Stato, piegandosi al ricatto, tratta con la violenza che ha già lasciato sul selciato i cinque cadaveri della scorta, in tal modo riconoscendo il crimine come suo legittimo interlocutore, non ha più ragione, come Stato, di esistere». Questa fu la posizione che prendemmo sin dal primo giorno e che per fortuna trovò in Parlamento due patroni risoluti (il Pci di [[Enrico Berlinguer|Berlinguer]] e il Pri di [[Ugo La Malfa|La Malfa]]) e uno riluttante fra lacrime e singhiozzi (la Dc del moroteo [[Benigno Zaccagnini|Zaccagnini]]). Fu questa la «trama» che condusse al tentennante «no» dello Stato, alla conseguente morte di Moro, ma poco dopo anche alla resa delle Brigate rosse. Delle chiacchiere e sospetti che vi sono stati ricamati intorno, e che ogni tanto tuttora affiorano, non è stato mai portato uno straccio di prova, e sono soltanto il frutto del mammismo piagnone di questo popolo imbelle, incapace perfino di concepire che uno Stato possa reagire, a chi ne offende la legge, da Stato. ([http://www.corriere.it/solferino/montanelli/00-09-22/03.spm 22 settembre 2000]) *La Serbia ha perduto la guerra e ha vinto la pace: ora deve voltar pagina. Sarà la storia – un giudice non imparziale, ma efficace – a decidere cos'è stato giusto e cos'è stato sbagliato. Tuttavia, una ritorsione serba verso l'Occidente avverrà. E ci troverà disarmati. Sa di cosa parlo? Delle rivendicazioni sul Kosovo, che è amministrato dalla Nazioni Unite ma è ancora Jugoslavia (lo dice la risoluzione dell'Onu). I serbi chiederanno di tornare a controllarne le frontiere, per esempio. E dire no a un Kostunica buono è più difficile che dire sì a un Milosevic cattivo. Gli albanesi del Kosovo, sono certo, lo hanno già capito. ([http://www.corriere.it/solferino/montanelli/00-10-08/01.spm 8 ottobre 2000]) *È un dimenticato, [[Ugo Ojetti|Ojetti]], come in questo Paese lo sono quasi tutti coloro che valgono. Se io dirigessi una scuola di giornalismo, renderei obbligatori per i miei allievi i testi di tre Maestri: [[Luigi Barzini (1908-1984)|Barzini]], per il grande reportage; [[Benito Mussolini|Mussolini]] (non trasalire!), quello dell'''Avanti!'' e del primo ''Popolo d'Italia'', per l'editoriale politico; e Ojetti, per il ritratto e l'articolo di arte e di cultura. ([http://www.corriere.it/solferino/montanelli/00-11-13/01.spm 13 novembre 2000]) *In Italia fu il potere temporale a soffocare negl'italiani la voce della coscienza e a spegnere in loro ogni senso di responsabilità. Ma fu la Controriforma a fornire al prete le armi per accaparrarsi l'una e l'altra: il Sant'Uffizio, le scomuniche e, nei casi estremi, il patibolo. Con questo risultato: l'aborto del «cittadino» e la trasformazione di quello che avrebbe dovuto e potuto diventare un «popolo» in un gregge (come con inconsapevole spudoratezza i preti lo chiamano), e in un gregge di pecore indisciplinate che credono di affermare il loro ribelle individualismo non rispettando il semaforo rosso. ([http://www.corriere.it/solferino/montanelli/00-11-20/01.spm 20 novembre 2000]) *{{NDR|Su [[Slobodan Milošević]]}} Oltre che un despota, lo ritengo anche un satrapo della razza dei [[Nicolae Ceaușescu|Ceausescu]], avido non solo di potere, ma anche di denaro, e credo che la sorte che si merita sia un bel plotone di esecuzione. Purché composto da serbi, al comando di un serbo, e in esecuzione di una sentenza emessa da un tribunale serbo e motivata non tanto da generici crimini contro l'umanità, che sono sempre – salvo casi di monumenti all'orrore come l'[[Olocausto]] – oggetto di discussione e dissensi; ma dal più grande e imperdonabile delitto di cui Milosevic si è macchiato nei confronti non soltanto dei serbi: la distruzione della Nazione Jugoslava, che la Monarchia serba aveva fondato dopo la prima guerra mondiale; che il croato [[Josip Broz Tito|Tito]] aveva difeso coi denti e restaurato dopo la seconda, dando alla Balcania un esempio e un puntello di stabilità; e che Milosevic e il suo compare croato [[Franjo Tuđman|Tudjman]] distrussero per poter restare ciascuno padrone in casa sua; e sulle cui macerie si scatenarono tutte le violenze (Bosnia, [[Kosovo]]) che hanno insanguinato e continuano a insanguinare quel povero Paese. ([http://www.corriere.it/solferino/montanelli/01-04-29/01.spm 29 aprile 2001]) *Questo mondo materialista, edonista ed esibizionista non entusiasma neanche me; e, visto che mi legge, dovrebbe saperlo. Ma vorrei conoscere il sistema che voi avete in mente, e non avete il coraggio, o la capacità, di proporre. Un mondo francescano? Bello: ma guardatevi intorno, e ditemi se vedete un saio. Un comunismo riveduto e corretto? Farebbe la fine dell'altro, anche se non riuscirà a ripeterne i disastri. Mi creda, G.: l'unico sistema sociale ed economico oggi accettabile, in Occidente, è quello basato sul mercato: un capitalismo controllato e temperato, per intenderci. È auspicabile che sia anche corretto: e questo non sempre accade, è vero. Il guaio è che il capitalismo è fatto dai capitalisti – e quelli, devo ammettere, sono spesso difficili da digerire. Non cerchi di confondermi le idee, quindi. Non ci riuscirà. Probabilmente ho tre volte i suoi anni, e ho visto dove conducono queste generiche tirate contro «le multinazionali»: prima o poi, qualcuno deporrà la spranga e prenderà la pistola. Dimenticavo: io firmo le mie opinioni, lei tira il sasso e nasconde la mano. Tutti coraggiosi così, voi ragazzi di Seattle? ([http://www.corriere.it/solferino/montanelli/01-06-09/01.spm 9 giugno 2001]) *Non erano, le mie, parole di circostanza. Erano – e rimangono – quelle di un conservatore abbastanza spassionato e nutrito di Storia da capire che non c'è, per la conservazione di ciò che va conservato, nemico più mortale dei conservatori che vogliono conservare tutto; e che un sistema capitalistico senza un correttivo socialista diventa una jungla che conduce pari pari a [[Karl Marx|Carlo Marx]]. Di qui il mio amore per uno dei personaggi meno amabili, sul piano umano, della nostra Storia, [[Giovanni Giolitti|Giolitti]], che sempre cercò l'accordo con [[Filippo Turati|Turati]], a cui il cretinume massimalista – che nel vostro partito ha sempre dominato – lo impedì. Il vedervi – sbriciolati in gruppi, gruppetti e gruppuscoli – annaspare nell'attuale centro-sinistra in cui nessuno riesce a recitare la parte di se stesso, fa male al cuore di un vecchio autentico liberal-conservatore come me. Cosa aspettate, caro Tamburrano, a ridarci il socialismo, ma che sia quello e quello solo: ''il'' socialismo di Turati e di Massarenti? [...] Credo che come forza politica siate abbastanza mal messi. Ma in compenso avete in mano una grande bandiera che prima o poi un esercito la ritroverà. Arrivederci, al primo settembre, cari lettori. ([http://www.corriere.it/solferino/montanelli/01-07-04/01.spm?refresh_ce-cp 4 luglio 2001]) ===''il Giornale''=== <!--ordine cronologico--> *Chi sarà il nostro lettore noi non lo sappiamo perché non siamo un giornale di parte, e tanto meno di partito, e nemmeno di classi o di ceti. In compenso, sappiamo benissimo chi non lo sarà. Non lo sarà chi dal giornale vuole soltanto la «sensazione» [...] Non lo sarà chi crede che un gol di Riva sia più importante di una crisi di governo. E infine non lo sarà chi concepisce il giornale come una fonte inesauribile di scandali fine a se stessi. Di scandali purtroppo la vita del nostro Paese è gremita, e noi non mancheremo di denunciarli con quella franchezza di cui crediamo che i nostri nomi bastino a fornire garanzia. Ma non lo faremo per metterci al rimorchio di quella insensata e cupa frenesia di dissoluzione in cui si sfoga un certo qualunquismo, non importa se di destra o di sinistra. [...] Vogliamo creare, o ricreare un certo costume giornalistico di serietà e di rigore. E soprattutto aspiriamo al grande onore di venire riconosciuti come il volto e la voce di quell'Italia laboriosa e produttiva che non è soltanto Milano e la Lombardia, ma che in Milano e nella Lombardia ha la sua roccaforte e la sua guida. [...] A questo lettore non abbiamo «messaggi» da lanciare. Una cosa sola vogliamo dirgli: questo giornale non ha padroni perché nemmeno noi lo siamo. Tu solo, lettore, puoi esserlo, se lo vuoi. Noi te l'offriamo. (25 giugno 1974) *Checché ne dicano gli agiografi della Resistenza, la guerra l'abbiamo persa, e c'è un conto da pagare. Che l'Italia lo saldi a spese dei suoi figli minori – i Dalmati e gli Istriani – è un ghigno del destino. Ma in compenso può considerarsi miracolata. Quando si pensa a cosa ha pagato la sua sconfitta la Germania, amputata d'intere province e dimezzata in due nazioni diverse e ostili, e quando si pensa a cosa ha pagato l'Inghilterra, precipitata dalla condizione di massimo impero mondiale a quella di piccola isola alla periferia d'Europa; non possiamo lamentarci del trattamento che gli alleati ci fecero. (30 settembre 1975) *Siamo stati accusati di aver fatto, nei confronti dei comunisti, il processo alle intenzioni. Non vediamo su cos'altro avremmo dovuto giudicarli, visto che sono sempre rimasti all'opposizione, ed è di lì che ancora si affannano a dire che cosa si propongono di fare se andassero al potere, anzi quando andranno al potere (perché ormai lo danno per scontato). E cosa sono, queste, se non intenzioni? (19 giugno 1976) *Che cerchino di eliminarmi perché sono un avversario, questo lo posso anche capire; ma perché – a quanto mi riferiscono – hanno detto che io sono un servo delle [[Multinazionale|multinazionali]], allora questo sta a dimostrare la confusione di idee di questi poveretti che, evidentemente, non sanno cosa sono le multinazionali. (3 giugno 1977) *I giuochi sono fatti. E sono fatti non soltanto per [[Aldo Moro|Moro]], cui va tutta la nostra più fraterna e rispettiva pietà. Sono fatti anche per una politica da ''belle époque'', che la distruzione – fisica o morale – di Moro chiude e conclude. La Storia sta riprendendo i suoi connotati di tragedia, e costringe coloro che la fanno, o ambiscono o s'illudono di farla, ad adeguarsi al repertorio. Stiamo entrando in una di quelle «età di ferro» in cui il potere si paga, o si può pagarlo col ferro. Nessuno è obbligato a sfidare questo rischio. Chi lo fa, sappia che oggi è toccato a Moro, domani può toccare a lui. Solo se si rende conto di questo e lo accetta, la classe politica troverà la forza di archiviare il caso Moro. Ed è tempo che lo faccia. (7 maggio 1978) *Quattr'anni e mezzo orsono, quando questo giornale nacque, un «ragazzo del '68» (con tante scuse a quelli veri, del '99), [[Mario Capanna]], oggi gerarchetto regionale (che belle carriere, questi rivoluzionari!), dichiarò che, come nemici del «pubblico» e del «sociale» e come assertori del «privato», e quindi della reazione, noi saremmo diventati il più bel museo della città, dove babbi e mamme avrebbero potuto condurre in gita ricreativa i loro figlioletti per mostrargli, dal vivo, com'erano buffi i loro nonni e bisnonni: noi. Bene. Se il vento seguita a soffiare come soffia, saremo noi che di qui a un po' condurremo i nostri figlioletti dal signor Capanna per mostrargli com'erano buffi i loro nonni e bisnonni di dieci anni fa. Ma non lo faremo. Lo spettacolo di questi ragazzi-prodigio abortiti, di questi barricadieri con pancia e cellulite che credevano di camminare con la Storia, e invece camminavano solo con la moda, non ha nulla di edificante. (16 gennaio 1979) *In una sua memorabile inchiesta un giornalista d'incrollabile fede sinistrorsa, ma di esemplare onestà, [[Giampaolo Pansa]], mise benissimo in luce questo contrasto fra i due atteggiamenti e mentalità, che ieri ha trovato una eloquente conferma nella manifestazione di Torino. Niente chiasso, niente sceneggiate, niente slogans, niente insomma che appartenga al repertorio del buffonismo nazionale. Nessuno ha rotto le righe per andare a rovesciare auto o a fracassar vetrine. Questa, sì, era Danzica, sia pure senza Madonne; non i picchettaggi e i pestaggi di Mirafiori, sia pure con le Madonne. Ora sappiamo già cosa diranno gli altri, oggi e domani. Diranno che gli operai non c'erano. Infatti. Doveva trattarsi di quarantamila presidenti, consiglieri delegati, ingegneri: insomma, la solita «[[maggioranza silenziosa]]»: termine che soltanto nella lingua italiana ha significato spregiativo. La maggioranza silenziosa esiste in tutti i Paesi del mondo, dove nessuno si vergogna di appartenervi perché è essa, in definitiva, che ristabilisce gli equilibri. Fu la maggioranza silenziosa – autoqualificatasi come tale – di seicentomila parigini che dodici anni fa pose fine al carnevale sessantottesco, riportò [[Charles de Gaulle|De Gaulle]] all'Eliseo e restituì alla Francia la stabilità di cui tuttora essa gode. [...] Il motivo vero che farà i dimostranti bersaglio delle peggiori critiche e accuse è ch'essi rappresentano la rivolta delle persone serie contro gli arruffoni della «conflittualità permanente», dei «modelli di sviluppo» e via baggianando. E in questo Paese nulla fa più paura, perché nulla è più rivoluzionario, della serietà. (15 ottobre 1980) *[[Anwar al-Sadat|Sadat]] non era popolare. Gli mancava quel tocco di magia, o di cialtronismo, che consentiva a [[Gamal Abd el-Nasser|Nasser]] di bandire guerre come crociate e di annunciare disfatte come trionfi. [...] Sadat amava il popolo, il popolo contadino del profondo Sud nubiano, di cui era egli stesso originario. Ma non amava le masse, e le masse lo sentivano. [...] Sapeva, quando andò a Gerusalemme, di lanciare a quelle arabe una sfida più pericolosa di quella che lanciava a Begin. [...] Ma all'impopolarità di Sadat contribuiva anche un altro elemento: il fatto di essere un vero riformatore. [...] [[Mohammad Reza Pahlavi|Rehza Pahlevi]] volle applicare gli stessi metodi di [[Mustafa Kemal Atatürk|Atatürk]] senz'averne l'autorità e il prestigio, e per questo lo cacciarono. Ma dopo due anni di [[Ruhollah Khomeyni|Khomeini]], anche i più ciechi e idioti fra i progressisti occidentali, che ne avevano salutato l'avvento come quello del Redentore, si saranno accorti che il progresso, sia pure a forza di polizia segreta e di plotoni di esecuzione, era lo Scià. L'''ayatollah'' è il medioevo. Sadat non seguì i metodi satrapeschi del suo amico Pahlevi, ma ne condivise i fini. [...] Il Rais che ha restituito all'Egitto l'integrità territoriale, l'indipendenza politica, il prestigio militare e il rilancio della sua più proficua industria, il canale di Suez, è giusto che susciti meno rimpianto di chi tutto questo all'Egitto fece perdere. Nasser era un «personaggio», Sadat una «personalità». Il personaggio fa colore e diverte, la personalità incute rispetto e disturba. (9 ottobre 1981) *Nessuna parentela, né vicina né lontana, con l'altro grande d'Israele, [[David Ben Gurion|Ben Gurion]], il Fondatore. [...] {{NDR|David Ben Gurion}} Faceva tutto a caldo, anche la guerra. [[Menachem Begin|Begin]] fa tutto a freddo: anche l'amore, credo, ammesso che lo faccia. Non riuscì a commuoverlo nemmeno [[Anwar al-Sadat|Sadat]], quando gli piombò, da nemico tuttora belligerante, a Gerusalemme, per chiedergli la pace. Il mondo, che vide in televisione la scena, quel giorno fu tutto per l'egiziano che, per la pace, firmava la propria condanna a morte, contro l'israeliano che lo accoglieva senza un sorriso e con visibile fastidio. [...] È l'uomo che non ha esitato un istante [...] a distruggere in pochi minuti tutto l'armamento corazzato, aereo e missilistico siriano sotto l'occhio stupefatto degli osservatori e «consiglieri» russi che lo avevano fornito. È l'uomo che ha messo alla porta l'ambasciatore di Mosca respingendone la nota di protesta addirittura con disprezzo, come se fosse stato lui la Grande Potenza che parlava a un subalterno. È l'uomo che ha picchiato i pugni sul tavolo di [[Ronald Reagan|Reagan]], e a un certo punto aveva rotto anche con lui. Se avesse perso, sarebbe finito al muro e passato ai posteri come il distruttore d'Israele. Ma ha vinto. E la Storia, iscrivendolo nei suoi registri come «Il Salvatore», dirà che solo un uomo come lui, «antipatico» come lui, e come lui disposto anche a scatenare un'altra ondata di antisemitismo, poteva vincere. E avrà ragione di dirlo. Perché è così. Alla fine lo diranno, vedrete, anche gli antisemiti. E forse perfino i semiti. (27 agosto 1982) *L'idea che domani potremmo incontrare per strada, a piede libero e magari oggetti di compassione, gli assassini di [[Walter Tobagi]], ci riempie, più che di furore, di orrore. [...] Avevano scelto lui non per la sua tessera socialista, ma perché era una di quelle prede più facili: indifeso e abitudinario, e quindi bersaglio di facilissima mira, quasi da fermo. Tutto qui il movente del delitto: tutto nella fregola di protagonismo di due coccolatissimi giovanotti della Milano bene che giuocavano a fare i terroristi. [...] Che ora dobbiamo prendere per vero il loro pentimento e assolverli, ci rivolta lo stomaco. Ma è la legge: iniqua, infame, infamante. Ma è la legge. Noi stessi l'abbiamo auspicata e voluta. Il magistrato deve applicarla. E noi [...] accettarla. Ma una cosa reclamiamo, e ci spetta: di essere liberati dall'incubo d'incontrare questi figuri per strada per non veder riflessa nei loro occhi la nostra vergogna di aver avuto bisogno di loro e di aver risposto al loro falso rimorso con un perdono altrettanto falso. Un Curcio, se tornasse in circolazione, ci farebbe forse più paura, ma meno, anzi punto disgusto. [...] Ma i Barbone e i Morandini non li vogliamo tra i piedi. Se ne vadano. E soprattutto ci risparmino memoriali. La speranza di farci dimenticare i loro delitti, gliela passiamo. La pretesa di camparci sopra, no. (29 novembre 1983) *Per i falchi del Pci, [[Enrico Berlinguer|Berlinguer]] era ormai un personaggio scomodo e pericoloso, specie da quando aveva cominciato ad allentare gli ormeggi che lo legavano a Mosca. Gli era perfino scappato di dire (a [[Giampaolo Pansa|Pansa]]) che voleva per l'Italia un regime comunista, ma sotto l'ombrello della Nato che la tenesse al riparo dalle soperchierie del padrone sovietico: la più grave e blasfema di tutte le eresie in cui un capo comunista possa incorrere. (12 giugno 1984) *Se fino a che punto i piduisti – a parte il manipolatore Gelli, e forse qualche altro – fossero un branco di delinquenti golpisti, non siamo riusciti a capirlo. Abbiamo capito soltanto che gran parte di essi occupavano, forse grazie alla P2, posizioni di rilievo, e quindi parecchio ambite, ma ambite anche da molte persone che, per il fatto di non appartenere alla P2, avevano ora, grazie anch'esse alla P2, la possibilità di occuparle. Di fatti accertati e meno ancora di crimini provati, siamo andati invano alla ricerca delle 34.847 pagine della commissione. Vi abbiamo trovato soltanto ipotesi, illazioni, accostamenti di nomi e di episodi. Tutta roba che in mano a Le Carré poteva fruttare chissà quali affascinanti trame. In mano alla signorina [[Tina Anselmi|Anselmi]], resta cicaleccio di portineria. Ma questa è un'altra storia. (19 marzo 1985) *Quanto al moribondo [[Michele Sindona|Sindona]] [...] se fossi stato uno dei giudici popolari che l'altro giorno gli comminarono l'ergastolo, anche io avrei votato come loro pur sapendo che la mia endemica insonnia non ne avrebbe avuto giovamento. Comunque mi sembra che con questa fine, preceduta da quasi un decennio di rovine, umiliazioni, fughe e galere, egli abbia abbondantemente scontato, quali che siano, i suoi delitti. Che ora lo lascino riposare in pace e che pace sia all'anima sua. (22 marzo 1986) *I dieci giorni che sconvolsero il mondo furono in realtà dieci ore: quante ne bastarono alle poche «guardie rosse» reclutate in fretta e furia dai bolscevichi per occupare, senza nessuna resistenza, la Centrale delle poste e telefoni, la stazione ferroviaria, la Banca di Stato, e per spostare l'incrociatore ''Aurora'' di fronte al palazzo d'Inverno, dove ancora si trova, cimelio e monumento al fatidico evento, e dove il governo sedeva [...]. Non fu un assalto. Fu una «retata». L'''Aurora'' non sparò che una dozzina di colpi, di cui solo tre andarono a segno. In tutto, la conquista di questa Bastiglia russa costò, da ambo le parti, un morto, anzi una morta – perché fu una soldatessa che, pare, si suicidò – e diciotto feriti. Il [[Rivoluzione russa|Fasto]] [...] è un falso in atto pubblico. Si dirà che una rivoluzione non si misura dal numero dei morti. Certo: l'abbiamo detto anche noi. La rivoluzione poi venne, e che rivoluzione! Ma venne dall'alto, e per mano di despoti che di morti ne fecero in pochi anni più di quanti lo zarismo ne avesse fatti in secoli. (6 novembre 1987) *Tutto pensavo che potesse capitarmi, fuorché di essere un giorno tentato di spendere qualche parola, per poco che valga, in difesa di Togliatti. [...] Un processo a Togliatti per stalinismo, se glielo intentano i socialisti, che nell'era dello Stalinismo gli fecero da mosca cocchiera, è una burletta. Se lo intentano i comunisti – come sembra che qualcuno di loro voglia fare –, oltre che oltraggio al pudore, diventa quiescenza alla voce del nuovo padrone, cioè stalinismo della più brutt'acqua, anzi una parodia dello Stalinismo. Per la caccia alle streghe, anche dello Stalinismo, ci vogliono degli stalinisti doc, qual era Togliatti. Non è roba da dilettanti, quali sono i suoi pallidi epigoni. (3 marzo 1988) *La fine del Muro è una cosa buona, la fine di una vergogna: non possiamo che salutarla con soddisfazione. Ma guardiamoci dal prendere abbaglio sui suoi moventi. Ulbricht concepì e Honecker realizzò il muro per impedire che i tedeschi dell'Est fuggissero in massa nella Germania dell'Ovest: già 9 (diconsi nove) milioni lo avevano fatto fin allora. E il rimedio fu, come tutti quelli che escogitano nei regimi totalitari, drastico e semplicistico: murare viva la gente dietro una colata di cemento, senza pertugi. [...] Abbiamo in uggia le astrazioni. Ma ciò che distingueva le due Germanie è l'idea morale e giuridica dell'uomo: che a Ovest è padrone di se stesso, e quindi può andarsene dove vuole: ad Est è proprietà dello Stato che ne regola i movimenti. Per chi non ricorda questo, il [[Muro di Berlino]] era, oltre che barbaro, incomprensibile e irrazionale: mentre invece ha obbedito a una sua logica. Nel momento in cui il bunker si affloscia e sopravvive come mero ammasso di cemento ricordandoci un altro bunker, quello che fece da fossa di [[Adolf Hitler|Hitler]] (anche questo pare impossibile: ma i regimi in Germania muoiono nei bunker), il Muro va ricordato per ciò che è stato: non un'aberrazione del comunismo, ma una sua conseguente applicazione. E se crolla così, nel silenzio assordante di un giornale-radio, è perché è crollata, prima, l'ideologia che lo aveva eretto. (11 novembre 1989) *Negli anni Trenta, per le strade di Berlino, risuonava il grido: ''ein Volk, ein Reich, ein Führer'': un popolo, uno Stato, un capo. Stavolta si sono contentati di scandire ''ein Volk, ein Reich''. Non potevano aggiungere, checché ne dica il sig. Ridley, ''ein Kohl'', che fra l'altro significa «cavolo». Ma {{NDR|ai tedeschi}} per diventare i padroni dell'Europa anche un cavolo gli basta. (3 ottobre 1990) *Abbiamo fatto poco: il poco che il Paese dei [[Roberto Formigoni|Formigoni]], dei Cristofori, degli Sbardella, dei [[Ernesto Balducci|Balducci]], dei [[Antonio Bello|vescovi di Molfetta]] poteva fare. Non lamentiamoci se il posto che ci verrà assegnato nel ristabilimento dell'ordine internazionale sarà nell'anticamera, non nella camera dei bottoni. Però sia chiara una cosa: che a gridare «Viva la pace!» siamo qualificati oggi soltanto noi che abbiamo auspicato la guerra contro chi la pace l'aveva turbata e, se lo si lasciava fare (non è un ipotesi, è una constatazione), avrebbe continuato a turbarla in un crescendo di colpi e di aggressioni. (1º marzo 1991) *I voti dei democristiani novaresi non sono andati al partito; sono andati a [[Oscar Luigi Scalfaro|Scalfaro]], democristiano talmente anomalo, che si permette persino di credere in Dio. [...] Il vecchio magistrato conosce il suo mestiere, e sa benissimo di operare in un Paese in cui la mamma dei Casson è sempre incinta. In nome della Legge, le leggi le farà funzionare. Insomma siamo sicuri che starà in Quirinale come un italiano deve starci: da straniero. Unico pericolo: le prediche. Anche [[Luigi Einaudi|Einaudi]] le faceva. Ma le chiamava «inutili». (26 maggio 1992) *Da dove siano venuti tutti i «no» non lo sapremo mai con precisione, ma una cosa è certa. Questo è il colpo di grazia al sistema dei partiti e della classe politica che lo rappresenta, e un colpo durissimo all'immagine del Paese pronto a fare pulizia che l'Italia si stava faticosamente costruendo all'estero. Senza giovare nemmeno a [[Bettino Craxi|Craxi]], che non potrà certo ricostruire la sua carriera sulla votazione di ieri, anzi. Se c'è ancora qualcuno che dubita sulla necessità di un pubblico processo, non solo a lui, ma a tutta la corte di faccendieri che lo circondava, alzi la mano, o meglio nasconda la faccia. (30 aprile 1993) *Questo è l'ultimo articolo che compare a mia firma sul giornale da me fondato e diretto per vent'anni. Per vent'anni esso è stato – i miei compagni di lavoro possono testimoniarlo – la mia passione, il mio orgoglio, il mio tormento, la mia vita. Ma ciò che provo a lasciarlo riguarda solo me: i toni patetici non sono nelle mie corde e nulla mi riesce più insopportabile del piagnisteo. [...] A presto dunque, cari lettori. Anche a costo di ridurlo, per i primi numeri, a poche pagine, riavrete il nostro e vostro giornale. Si chiamerà ''La Voce''. In ricordo non di quella di [[Frank Sinatra|Sinatra]]. Ma di quella del mio vecchio maestro – maestro soprattutto di libertà e indipendenza – [[Giuseppe Prezzolini|Prezzolini]]. (12 gennaio 1994) {{Int|''Rituale barbarico''|Articolo su ''il Giornale nuovo'', 10 maggio 1978.|h=4}} *La fine di [[Aldo Moro]] ci rende sgomenti, il fanatismo di chi lo ha ucciso lentamente, togliendogli la speranza prima di toglierli la vita, ci riempie di orrore. Speriamo ancora che la tracotanza dei criminali sia un giorno punita. L'importante, adesso, è che il Paese, proprio per rendere omaggio a Moro, e proprio in memoria di lui, sappia trarre da questa tragedia l'amara lezione che essa comporta. La democrazia non deve, anzi non può essere debole. La libertà, che la rende superiore a qualsiasi altro regime, ma anche più vulnerabile, non va conclusa con la indulgenza verso i nemici, la imprevidenza, la leggerezza. *Lo Stato italiano ha superato con onore questa prova difficile, ma la magistratura e gli organi di polizia hanno denunciato, nella loro azione, una desolante inefficienza, che ha permesso alle brigate rosse di operare con irridente spavalderia. Ne va data colpa non tanto alle forze dell'ordine quanto a chi ha voluto, per demagogia, per compiacere le sinistre, per acquistare facile popolarità, smobilitare i servizi segreti, rimuovere i funzionari più ligi al dovere, trasformare le carceri in alloggi con libera uscita quotidiana. Gli eversori della democrazia, i contestatori della legalità hanno potuto predicare e demolire senza ostacoli. Ci auguriamo di non vederli ora associati ipocritamente al compianto per un delitto del quale sono, ideologicamente se non materialmente, corresponsabili. Le loro non erano soltanto parole. Un giovane sfracellato da un ordigno sulla ferrovia Trapani-Palermo – l'episodio è di ieri – apparteneva a Democrazia proletaria. I banditi che hanno assalito a Bologna un grande magazzino venivano dal Movimento studentesco. È inutile che questi gruppi ostentino adesso costernazione e stupore per le belluine imprese delle brigate rosse. Il terrorismo è figlio loro. *All'annuncio della fine di Aldo Moro i sindacati si sono mossi, hanno indetto manifestazioni e proclamato uno sciopero generale. Siamo certi della loro profonda esecrazione, e della loro sincera partecipazione al cordoglio nazionale. Pensiamo tuttavia che i lavoratori e i loro rappresentanti darebbero un apporto più costruttivo alla lotta contro i terroristi tenendo d'occhio gli estremisti delle fabbriche, troppe volte protetti e difesi. Così pure gli studenti «impegnati», se proprio vogliono dissociarsi dalle brigate rosse, devono estromettere dalle loro file gli agitatori deliranti, e dinamitardi che nascondono bottiglie molotov e armi negli scantinati delle facoltà. Chi ha chiuso gli occhi di fronte alla ''escalation'' di violenza degli anni scorsi, li chiuda oggi per non lasciar scorrere lagrime di coccodrillo. {{Int|''Poveri morti poveri vivi''|Articolo su ''il Giornale'', 31 maggio 1985.|h=4}} *L'[[Inghilterra]] non sono i forsennati che abbiamo visto all'opera nello stadio di Bruxelles. L'Inghilterra sono la [[Margaret Thatcher|Thatcher]], i politici, i commentatori di stampa, radio e televisione, la gente intervistata per strada, che hanno confessato la loro vergogna a una voce, con una sola stecca: quella del ministro dello Sport che con le sue dichiarazioni si è messo sullo stesso piano degl'imbestialiti. Comunque, Dio ci guardi ora dai soliti sproloqui e dibattiti dei sociologi sui motivi di «tifo» e sui mezzi d'impedirne gli eccessi. Non ce ne sono, se non nel controllo che ognuno può e deve esercitare su di sé. *La strega non è il «tifo» che dallo sport è inseparabile. E non siamo nemmeno noi, come vogliono i cantautori del «siamo tutti colpevoli» che ieri giornali e radio hanno intitolato. Perché, se di qualcosa siamo colpevoli, è di aver sempre secondato la corruttrice e demagogica tendenza a scaricare l'individuo di ogni responsabilità, rigettandola regolarmente e interamente sulla società. È la società che ci obbliga a rubare, è la società che ci obbliga ad uccidere. E si capisce che quando si offrono alla gente di questi alibi, c'è sempre qualcuno che ne approfitta. Stamane leggevo su un giornale francese un dotto articolo in cui si spiegava che la furia dei tifosi del [[Liverpool Football Club|Liverpool]] era dovuta al fatto che, essendo quasi tutti minatori, per un anno erano rimasti senza lavoro a causa dello sciopero: il che gli aveva fatto accumulare la rabbia che poi era scoppiata a Bruxelles. Insomma, senza dirlo, l'articolo induceva alla conclusione che il vero responsabile del massacro era la signora Thatcher. Ecco in che senso siamo tutti colpevoli. Siamo colpevoli di assolvere tutti come vittime innocenti di una società iniqua che, a furia di essere tutti noi, non è nessuno. È un giuoco a cui non ci stiamo. I responsabili di Bruxelles sappiamo chi sono: sono i delinquenti che abbiamo visto avventarsi, prima che la partita cominciasse, e quindi senza alcuna provocazione, contro i tifosi italiani con sbarre e coltelli di cui erano accorsi armati, con l'evidente intenzione di farne l'uso che ne hanno fatto. Delinquenti, non vittime. La società non c'entra, non c'entrano le miniere. Casomai l'alcol. Ma ne avevano ingerito per delinquere meglio. Speriamo che la polizia li identifichi e li consegni a quella inglese. Della quale possiamo fidarci. {{Int|''I rieccoli''|Articolo su ''il Giornale'', 20 gennaio 1990.|h=4}} *Scorrendo le cronache delle agitazioni studentesche di questi giorni avevo avuto per un momento l'impressione, o l'illusione, che esse si fondassero sui problemi concreti dell'università, e che fossero qualcosa di diverso, e di migliore della grottesca ubriacatura sessantottina. Ma quando giovedì sera, nella trasmissione televisiva ''Samarcanda'', è stato lanciato contro [[Mario Cervi]] il rituale e vile epiteto «fascista!» (e questo solo perché aveva mosso obiezioni agli sproloqui assembleari di Roma e di Palermo), ho capito che vent'anni dopo è come vent'anni prima. La protesta è un pretesto, il legittimo scontento diventa arma politica, gli appelli al dialogo si risolvono in volontà di sopraffazione, di discussione su ciò che nell'università deve essere cambiato sfocia in un attacco globale al governo, alla società, al sistema. L'unica connotazione sessantottina che ancora manca è la violenza fisica. Ma temo che non tarderà ad arrivare se chi dissente è bollato come fascista e chi governa (è capitato ad [[Giulio Andreotti|Andreotti]], a Palermo) come mafioso. *Quanto alla legge Ruberti, Cervi ha osservato che viene presa di mira perché consentirebbe un limitato ingresso dei privati nella gestione delle università: e al solo sentir parlare di «privato» – che le folle e i giovani dell'Est chiedono con slancio entusiastico – gli epigoni nostrani del [[marxismo-leninismo]] sono presi da convulsioni. [...] La legge Ruberti è passata in sott'ordine, il punto centrale del dibattito – o piuttosto della successione di sproloqui, intimazioni e insulti – è diventato il degrado di questa povera Italia privatizzata, che invece conoscerebbe fulgidi destini se fosse tutta pubblica e stabilizzata. Gli ''slogans'', le utopie, le bugie e le dissennatezze sessantottine o settantasettine riemergevano dalle pagine dei libri e dalla polvere degli archivi, per imitazione o per transfert generazionale. *Tirava aria romena o cecoslovacca in quelle assemblee: ma della Romania e della Cecoslovacchia di [[Nicolae Ceaușescu|Ceausescu]] e di Husak, con l'idolatria dello Stato, con gli applausi unanimi, con la riduzione al silenzio degli oppositori. S'è sentito, a proposito sempre di Cervi, il sinistro termine «provocazione» con cui tutti gli oppressori legittimano i loro soprusi. Qualcuno di quei ragazzi pretende che esistano parentele tra questo movimento e quelli dell'Est, dimenticando che là ci si batte, a rischio della pelle, per instaurare non il regime dello statalismo, ma al contrario per abbatterlo e introdurre o reintrodurre quello di iniziativa privata in tutti i campi, compreso quello della cultura e della scuola. Che siano diventati, gli studenti di Berlino, di Praga, di Bucarest, fascisti anche loro? ====''Controcorrente – rubrica''==== {{cronologico}} *La cosa che più ci turba, delle nostre sconfitte sportive, è il grande, alluvionale bisticcio che si scatena fra i «tecnici» per giustificarle. Per quella di Stoccarda, che ci ha eliminato dal campionato del mondo, ne avremo – temiamo – per tutta l'estate: se ne parlerà più che di Caporetto. Noi tecnici non siamo, ma abbiamo la nostra idea. È questa: che non si possono mandare dei polli di batteria a competere con quelli ruspanti. Resta da capire perché noialtri non sappiamo allevare che polli di batteria. Ma ci sembra che questo sia sufficientemente spiegato da un piccolo episodio occorso a Roma, dove un gruppo di tifosi ha creduto di «vendicare» i suoi campioni (si fa per dire) assalendo con pomodori e uova l'ambasciata di Polonia. Ecco. Per un paese in cui la «sana passione sportiva» si effonde in simili manifestazioni, quegli undici mammozzi dalle gambe molli sono fin troppo, e fin troppo misericordiose le disfatte che subiscono. (25 giugno 1974) *Noi, di [[Fascismo|fascismi]] ne conosciamo e ne esacriamo uno solo: quello di chi appiccica questa etichetta a qualunque idea o opinione che non corrisponde alle sue. Di questo giuoco, la nostra [[sinistra in Italia|sinistra]] è spesso maestra. Non per nulla lo stesso [[Benito Mussolini|Mussolini]] veniva dai suoi ranghi. (10 luglio 1974) *In una conferenza stampa a Nuova Delhi, [[Henry Kissinger]] ha dichiarato che verrà a Roma e andrà a pranzo dal presidente Leone, ma non parlerà di politica perché quella italiana è, per lui, troppo difficile da capire. È la prima volta che Kissinger riconosce i limiti della propria intelligenza. Ma vogliamo rassicurarlo. A non capire la politica italiana ci sono anche cinquantacinque milioni di italiani, compresi coloro che la fanno. (31 ottobre 1974) *[[Dario Fo]], poeta di corte dell'ultrasinistra, flagella nella sua ultima fatica teatrale il senatore [[Amintore Fanfani]], responsabile di ogni nequizia passata, presente e futura. I sarcasmi più grevi hanno però come bersaglio il metraggio del notabile democristiano che, come tutti sanno, non è quello di un granatiere. [[Henri de Toulouse-Lautrec|Toulouse-Lautrec]], che per gli stessi motivi dovette per tutta la vita subire analoghe canzonature, disse una volta, giocando sulla lunghezza del suo doppio casato: «Ho la statura del mio nome». Non sappiamo se questo discorso si possa applicare a Fanfani. Certo, si applica a Fo. (11 giugno 1975) *[[Winston Churchill|Churchill]] diceva che «i panni dei servizi segreti si possono, anzi si devono lavare più spesso degli altri; ma, a differenza degli altri, non si possono mettere ad asciugare alla finestra». Dello stesso parere era [[Stalin]] che regolarmente, ogni tre o quattro anni, il lavaggio lo praticava facendo accoppare al buio i capi della sua polizia, nel presupposto – probabilmente fondato – che a far quel mestiere non potevano essere che arnesi da forca, e quindi era giusto che ci finissero. Gli [[Stati Uniti d'America|americani]] seguono tutt'altro criterio. Essi hanno trascinato la ''[[Central Intelligence Agency|Cia]]'' in televisione denunciandone ''coram populo'' fatti e misfatti. I suoi capi ne hanno commessi, dicono, di grossi. Ma il più grosso è forse quello di non aver capito che l'America non li paga per svolgere servizi segreti, ma per offrire agli americani il pretesto per vergognarsene. È l'unico popolo che goda più nel pentimento che nel peccato. (28 novembre 1975) *Non sempre, per redigere questa piccola rubrica, occorre forzare la fantasia. Qualche volta basta lasciare la parola alle agenzie di stampa ufficiali. Eccone un caso. L'agenzia Adn Kronos comunica: «Due giorni di sciopero sono stati dichiarati dai sindacati postelegrafonici milanesi per il 28 gennaio e per il 6 febbraio per protesta contro gli scioperi e i disservizi». (25 gennaio 1976) *L'Unità ci rimprovera di aver pubblicato il manifesto degl'intellettuali in favore della libertà. E ha ragione. Si tratta infatti di una illecita concorrenza perché finora i manifesti, gli appelli, le «veglie» e tutto il resto sono stati monopolio del Pci, unico partito capace di far cantare la gente in coro. Ma appunto per questo non vediamo di che si preoccupi. Gl'[[intellettuale|intellettuali]] italiani che preferiscono aver ragione da soli piuttosto che torto con gli altri, sono pochi. I più seguono la massima di [[Paul-Jean Toulet|Toulet]]: «Quando i lupi urlano, urla con loro». (1º giugno 1976) *Ieri [[Mario Melloni|Fortebraccio]], dalle colonne dell'«[[l'Unità|Unità]]», ha invocato per noi, previa qualche iniezione, il ricovero immediato, e a titolo definitivo, in manicomio. La cosa non ci stupisce: sappiamo benissimo che di manicomi e di iniezioni nessuno s'intende più dei comunisti: chi c'è passato giura che ci hanno fatto una mano da maestri. Ci stupisce però che Fortebraccio lo abbia implicitamente – e un po' anzitempo – riconosciuto. Forse gli è scappata. Alla sua età, succede. (10 dicembre 1976) *Cadendo oggi il trigesimo della scomparsa di Pietro Valdoni, vogliamo rievocare un episodio del grande chirurgo. Come tutti ricorderanno, fu lui ad operare, salvandogli la vita, [[Palmiro Togliatti]], ferito alla testa dalla rivoltella di Pallante. Quando ricevette la parcella, Togliatti la trovò salata, e accompagnò il pagamento con queste parole: «Eccole il saldo, ma è denaro rubato». Valdoni rispose: «Grazie per l'assegno. La provenienza non mi interessa» (23 dicembre 1976) *«Dio non è un maschio» assicura alle femministe Civiltà Cattolica, l'autorevole rivista dei gesuiti, scusandosi «delle tracce di antifemminismo che ancora sono nella Chiesa». Brutto segno quando i teologi si mettono a discutere di sesso. Fu mentre i bizantini si accapigliavano su quello degli angeli che arrivarono i turchi. (21 giugno 1977) *Riferiscono le cronache che l'America è in subbuglio per la morte di [[Elvis Presley]]. Oltre centomila persone si sono riversate a Memphis, sua ultima dimora, due donne sono rimaste uccise nella calca che si stringeva intorno alle spoglie del cantante. Il sindaco ha fatto abbrunare le bandiere in tutta la città, il presidente [[Jimmy Carter|Carter]] è stato flagellato di proteste perché non aveva proclamato il lutto nazionale e uno gli ha gridato al microfono: «Noi americani dobbiamo più a Presley che a [[George Washington|Washington]] e a [[Abraham Lincoln|Lincoln]] sommati insieme». Anche noi italiani dobbiamo qualcosa a Presley: una delle rare occasioni in cui preferiamo essere italiani piuttosto che americani. (20 agosto 1977) *È in corso una iniziativa per l'abolizione, nelle aule scolastiche, della pedana su cui si eleva la cattedra. Il perché lo avrete già capito: l'insegnante deve mettersi, anche materialmente, a livello degli alunni per non lederne la dignità e dimostrare con l'esempio che siamo tutti uguali. Giusto. «La via dell'uguaglianza – dice Rivarol – si percorre solo in discesa: all'altezza dei somari è facilissimo instaurarla». (29 ottobre 1977) *Fra gli annunci economici di Lotta Continua, ne è comparso uno che dice: «Compero a L. 100.000 una tesi di laurea, anche già presentata, purché tratti un argomento attinente all'[[Inghilterra]], o alla lingua, storia, letteratura inglese. Meglio se con una impostazione femminista». Curioso. Questi grandi [[Rivoluzione|rivoluzionari]], che dicono di battersi per costruire una società nuova di zecca, quando si tratta di lauree, si contentano anche di quelle usate e di seconda mano. (3 marzo 1978) *Credevamo che l'assassinio di Aldo Moro, così come è stato eseguito, fosse il colmo dell'infamia. Abbiamo dovuto ricrederci. Al comizio di protesta svoltosi in piazza Duomo a Milano subito dopo la macabra scoperta in via Caetani a Roma, un gruppo di ultrà ha gridato: «Moro fascista!». Preferiamo le [[zanne]] delle belve alla [[bava]] degli [[Sciacallo|sciacalli]]. (10 maggio 1978) *Ecco il nostro telegramma di congratulazioni e auguri a Pertini: «Che Dio le conceda il coraggio, Presidente, di fare le cose che si possono e che si debbono fare; l'umiltà di rinunziare a quelle che si possono ma non si debbono, e a quelle che si debbono ma non si possono fare; e la saggezza di distinguere sempre le une dalle altre». (9 luglio 1978) *Dall'indagine svolta da uno dei più seri istituti di ricerche demografiche, lo svizzero Scope, risulta che la professione più ammirata e rispettata, nel mondo, è quella dei medici. I giornalisti sono al penultimo posto. Ce ne sentiremmo profondamente avviliti se all'ultimo non vedessimo catalogati gli editori. (29 novembre 1978) *In un convegno su «Terrorismo e informazione», a Roma, è stato unanimemente riconosciuto che il [[segreto istruttorio]] in Italia non esiste. Lo trasgrediscono tutti. Non solo giornalisti e avvocati – e ancora passi – ma perfino magistrati che anticipano e propalano, il più delle volte per farne strumento politico, notizie riservate. «È il segreto di Pulcinella» si è lamentato il procuratore capo della Capitale, De Matteo. È vero. Ma Pulcinella non era giudice. E i giudici non dovrebbero essere Pulcinella. (25 aprile 1979<ref>Da ''Il meglio di "Controcorrente": {{small|1974-1992}}'', Fabbri Editori-Corriere della Sera, La biblioteca del Corriere della sera, Milano, 1995, p. 104.</ref>) *Solo il tempo non perde tempo, diceva [[Jules Renard|Renard]]. E così, a furia di annunciarne i cambiamenti, il tempo è passato anche per il colonnello [[Edmondo Bernacca|Bernacca]], che ora deve rassegnarsi alla pensione. Peccato. Gli dobbiamo parecchi raffreddori e reumatismi. Ma nessuno riuscirà meglio e con più grazia di lui a farci capire ed accettare l'inutilità della meteorologia. (10 luglio 1979<ref>Citato in ''Il meglio di controcorrente'', p. 108.</ref>) *Prima di partire per Vienna, il presidente {{NDR|degli Stati Uniti}} [[Jimmy Carter|Carter]] ha fatto due dichiarazioni. La prima: «Ci auguriamo che il signor Breznev {{NDR|allora presidente dell'Unione Sovietica e Primo Segretario del PCUS}} abbia per le nostre ragioni la stessa comprensione che noi abbiamo per le sue». La seconda: «Se Ted Kennedy si presenta contro di me alle elezioni presidenziali, gli faccio un c.o così» Il triviale [[Richard Nixon|Nixon]] avrebbe potuto dire le stesse cose, ma certamente ne avrebbe invertito l'ordine di priorità riservando la comprensione a Kennedy ed il c.o a Breznev. La differenza fra i due è tutta qui. (16 giugno 1979) *Avvicinandosi il 25 dicembre, decine di migliaia di teneri [[abete|abeti]] vengono strappati dai boschi della Penisola per allestire il tradizionale albero di Natale. Ogni anno lo scempio si ripete, tra la generale indifferenza. Soppresso l'Ente protezione animali, figuriamoci se qualcuno ha voglia di proteggere gli alberi. Diciamo la verità: la sola pianta che interessi all'[[italiano medio]] è la pianta stabile. (19 dicembre 1979) *Nel Manifesto di domenica scorsa tale K.S. Karol faceva considerazioni amare sulla rivoluzione cubana e sui suoi fallimenti: «[[Fidel Castro|Fidél]] – ha ricordato il commentatore, uno dei tanti orfani delle illusioni di sinistra – prometteva ai cubani per il 1965 un tenore di vita pari a quello svedese». Certo Fidél si è sbagliato di grosso; non per cattiva volontà, ma per mancanza di uomini, anzi di un uomo. Sarebbe bastato che anche la Svezia avesse uno suo Castro al potere per ritrovarsi in pochissimi anni con un tenore di vita pari a quello cubano. (15 aprile 1980) *Riferiscono le cronache che quando è giunta in tribunale la notizia dell'assassinio di Walter Tobagi, il brigatista Corrado Alunni l'ha accolta con una sghignazzata di tripudio. Abbiamo sempre combattuto la pena di morte sul presupposto che l'uomo non ha il diritto di uccidere l'uomo. Il presupposto lo confermiamo. Ciò di cui cominciamo a dubitare è che gli Alunni e quelli come lui siano uomini. Sui cadaveri sghignazzano le jene. (30 maggio 1980) *A Mirafiori, parlando agli operai della Fiat in sciopero, il sindaco di Torino, Novelli, se l'è presa coi giornalisti e li ha additati all'uditorio come falsari che ricalcano i loro resoconti non sui fatti, ma sulle «veline» distribuite loro dai «padroni». Anche Novelli ha fatto il giornalista in un foglio comunista, e quindi di veline e di padroni è certamente un intenditore. Ma se dopo questa denuncia ci scappa un altro Casalegno, sarà molto gradita la sua assenza ai funerali. (8 ottobre 1980) *Grandi elogi – dopo il successo del blitz di Trani – alle «teste di cuoio» italiane. La loro azione ha dimostrato quanto poco valesse la strategia della flessione propugnata di alcuni personaggi. Teste anche loro: ma di che? (31 dicembre 1980) *Fra i tanti slogans che il partito socialista francese ha lanciato in occasione delle elezioni presidenziali per rassicurare i bravi borghesi sottolineando il proprio carattere moderato e riformista, abbiamo letto anche questo: «Il socialismo può fare di chiunque un milionario». Ci crediamo senz'altro. A patto che quel chiunque fosse prima un miliardario. (8 maggio 1981) *Per gl'italiani, finora, il nome di Gelli era quello dell'autore del più famoso e autorevole codice cavalleresco. Anche oggi rimane legato a un codice. Quello penale. (9 maggio 1981) *L'elenco degli affiliati alla P2 comprende, dicono, 953 nomi, cui corrispondono i più alti gradi della politica, della magistratura, delle forze armate, della burocrazia, dell'industria, della finanza. Tutti «fratelli». È la riprova che, in questo Paese, guai ai figli unici. (11 maggio 1981) *Macché pazzo! L'attentatore del Papa deve essere un furbo matricolato. Dichiarandosi seguace di George Habbas e della causa palestinese, ha cercato di procurarsi la solidarietà dei molti, dei moltissimi, che non battono ciglio quando un terrorista cerca di spedire qualcuno all'altro mondo. Purché il terrorista appartenga al terzo. (16 maggio 1981) *Studiosi cinesi, mettendo a confronto reperti di ominidi dissimili tra loro tanto da far pensare che l'uomo discenda anche da animali diversi dalla [[scimmia]], sono arrivati alla conclusione che i nostri progenitori erano comunque scimmie, ancorché di specie differenti. Ci pare logico. Quale altro animale avrebbe potuto imitare la scimmia che ha dato l'avvio alla razza umana se non un'altra scimmia priva di senso critico? (19 maggio 1981) *Una nostra redattrice andata per una sua cronaca sul femminismo alla «libreria delle donne» in via Dogana a Milano, è stata accolta da una di loro con queste parole: «Con te non parlo perché sei di un giornale fascista, e anche tu hai la faccia da fascista». La nostra redattrice, che ha ventun anni, probabilmente non sapeva bene cosa fosse il fascismo. Ora lo sa: lo ha imparato in quella libreria. (4 novembre 1981) *Come previsto, la Juventus ha conquistato il [[Serie A 1981-1982|ventesimo scudetto]] battendo il Catanzaro. Una vittoria di rigore. (17 maggio 1982) *Socialisti e comunisti si sono opposti alle sanzioni economiche contro l'Argentina perché, hanno detto, una buona metà degli argentini sono di origine italiana, e molti di loro conservano tutt'ora la nostra nazionalità. Vero. Ma non ci eravamo accorti che queste sinistre spasimassero tanto d'amore per i nostri connazionali di laggiù quando si trattava di riconoscergli il diritto di voto. (22 maggio 1982) *Se si va avanti di questo passo, la [[guerra delle Falkland]] (o Malvine) finirà quando l'ultimo aereo argentino sarà abbattuto col suo carico di bombe sull'ultima nave inglese. E dire che questa lotta di leoni si svolge per un'isola di Pecore. (27 maggio 1982) *Tutti abbiamo trepidato ieri, davanti al televisore, per le sorti della squadra azzurra, tutti ci siamo entusiasmati alle sue gesta, tutti abbiamo salutato con orgoglio la sua vittoria. Ma il tipo di patriottismo che questa ha suscitato nelle strade delle nostre città, messe a soqquadro dai tifosi scalmanati che usavano il tricolore a copertura del peggior teppismo, ci ha fatto rimpiangere di non essere nati brasiliani. (6 luglio 1982) *Mai visto così tanto entusiasmo patriottico, tanti tricolori per le strade come per la finale degli azzurri al Mundial. Nella tomba di Caprera, le ossa di [[Giuseppe Garibaldi|Garibaldi]] fremono di invidia. Per unificare l'Italia «in un solo grido, in una sola passione» gli erano accorsi mille uomini. A [[Enzo Bearzot|Bearzot]] ne sono bastati undici. (12 luglio 1982) *Gli scrittori [[Mario Soldati]] (Psi) e [[Gianni Brera]] (Psi) sono stati trombati {{NDR|non sono stati eletti}}. Peccato. Il Parlamento era l'unico posto in cui, dovendo parlare per gli altri, forse avrebbero finalmente taciuto. (1º luglio 1983) *Che [[Bettino Craxi|Craxi]] sia uomo di grandi capacità e ambizioni, lo si sapeva. Che sia anche uomo di grande coraggio, lo si è visto ieri, quando pronunciava alla Camera il suo discorso di replica. Per due volte si è interrotto alla ricerca di un bicchier d'acqua. Per due volte [[Giulio Andreotti|Andreotti]] glielo ha riempito o porto. E per due volte lui lo ha bevuto. (13 agosto 1983) *Condannato dal tribunale di Reggio Emilia per bestemmie e turpiloquio contro la Chiesa, [[Roberto Benigni]] avrebbe qualche ragione di considerarsi vittima di un'ingiustizia. Proprio il giorno prima la Chiesa riabilitava [[Martin Lutero]], scomunicato ai suoi tempi pressappoco per gli stessi motivi. Come cambia, coi tempi, la sorte degli uomini! È inquietante pensare che Benigni, se fosse vissuto cinquecent'anni fa, sarebbe forse diventato Lutero. Ma addirittura sconvolgente è che Lutero, se fosse nato cinquecent'anni dopo, sarebbe forse diventato Benigni! (8 novembre 1983) *Il più autorevole giornale americano di economia e finanza, il Wall Street Journal di martedì 10 gennaio, è incorso in un curioso lapsus. Parlando del concordato fra lo Stato italiano e la Santa Sede, scrive che esso «venne firmato nel 1929 da Bettino Mussolini». Chissà, se lo legge, come si arrabbia Benito Craxi. (12 gennaio 1984) *È comparsa sui giornali la pubblicità di una nuova opera di Fanfani, intitolata «La Dc e la svolta degli anni 80». L'editore avverte che si tratta di un libro formato «tascabile». Dato l'autore, poteva andare diversamente? (16 gennaio 1984) *È vero: la [[Juventus Football Club|Juventus]], a Basilea, non ha fatto una gran figura. Giocando con più cervello, poteva vincere comodamente 4-0. Ma attenti a non giudicare troppo severamente il Porto. Quello di Genova va molto peggio. (18 maggio 1984) *Il trentanovenne James Nelson, condannato da un tribunale di Londra a quindici anni per avere ucciso la madre a colpi di mattone, ha sentito, chiuso in cella, la vocazione sacerdotale: si è messo a studiare teologia, e ora sta per diventare prete nella chiesa scozzese. «È mia intenzione – ha dichiarato – contribuire alla edificazione di una nuova società». Si può credergli: i mattoni ha dimostrato di saperli usare. (25 maggio 1984) *L'agenzia Agi informa, con un drammatico flash, che il ministro [[Giulio Andreotti|Andreotti]], «impegnato in una riunione superistretta con gli altri 15 ministri degli esteri della Nato, perderà la partita [[Associazione Sportiva Roma|Roma]]-[[Liverpool Football Club|Liverpool]]». È giusto il fatto che faccia notizia: è la prima volta che Andreotti perde qualcosa. (31 maggio 1984) *Presso la Presidenza del Consiglio, a palazzo Chigi, è stata istituita una commissione di giuristi per la completa parificazione dei diritti fra i due sessi. Finalmente! Era ora che ce la riconoscessero, a noi uomini. (16 ottobre 1984) *La riforma dei programmi della scuola elementare, cui sta lavorando il Ministro Falcucci, introdurrà nella terza, quarta e quinta classe l'insegnamento di una lingua straniera. Non è specificato quale. Speriamo che si tratti dell'italiano. (21 gennaio 1985) *Un certo [[Nichi Vendola]], dirigente della Federazione giovanile comunista, ha lanciato l'idea di riconoscere formalmente un «diritto dei bambini ad avere rapporti sessuali tra loro o con gli adulti». Vendola ha detto di aver attinto questa idea all'esperienza di molti padri. A conferma di quanto scrive [[Georges Courteline|Courteline]] nella sua «Filosofia»: «Uno dei più chiari effetti della presenza di un bambino in una casa è di rendere completamente idioti dei genitori che forse, senza di lui, sarebbero stati degl'imbecilli comuni». (26 marzo 1985) *I tecnici di calcio sono rimasti stupiti dalla prova del [[Real Madrid Club de Fútbol|Real Madrid]] che nella semifinale della coppa Uefa ha letteralmente travolto i modesti giocatori dell'[[Football Club Internazionale Milano|Inter]]. I madrileni hanno proprio vinto a biglia sciolta. (26 aprile 1985) *Quando [[Sandro Pertini]] è apparso sul video di Raiuno che trasmetteva la premiazione del concorso ippico di Roma, il cronista ha commentato: «Anche i cavalli, come vedete, sono gentili col Presidente». Era vero. Forse meritano di essere fatti cavalieri. (5 maggio 1985) *I tifosi rossoneri sono in festa per la notizia che Berlusconi sta per acquistare il loro Milan. Sono convinti che in un battibaleno ne farà una squadra da scudetto, da coppa delle coppe, da tutto, e forse hanno ragione. C'è un solo pericolo: che il neo-presidente voglia fare anche il direttore tecnico, l'allenatore, il massaggiatore, il capitano e il centrattacco. Il che potrebbe andar anche bene. Ma ad una condizione: che possa fare anche l'arbitro. (27 dicembre 1985) *Rete Quattro e Italia 1 sono state multate per violazione del decreto che proibisce la propaganda al consumo del tabacco. Lo spot incriminato è quello che, parlando del «Camel Trophy», ostentava un pacchetto di sigarette della ditta sponsorizzatrice. Strano Paese, il nostro. Colpisce i venditori di sigarette, ma premia i venditori di fumo. (13 marzo 1986) *Molti lettori ci chiedono quale missione sta svolgendo l'on. Capanna a Tripoli, quali motivi l'hanno spinto da Gheddafi. Non ne sappiamo granché: non siamo abituati a ficcare il naso nelle altrui questioni di famiglia. (1º giugno 1986) *Oggi Paolo Pillitteri sarà designato alla successione di Tognoli come sindaco di Milano. Lo dipingono come uomo intelligente, efficace, insomma pieno di qualità. Purtroppo, gli manca quella fondamentale: il celibato. (5 dicembre 1986) *Finalmente, dopo sette anni di esilio a Gorky, l'impavido Andrei Sacharov è tornato a Mosca. Speriamo che Gorbaciov ci resti. (24 dicembre 1986) *L'agenzia Ansa riferisce che da un sondaggio operato in Francia su un pubblico internazionale, risulterebbe che il maschio italiano detiene ancora il primato mondiale della seduzione. Speriamo che i giornali non riportino la notizia: gl'italiani sarebbero capaci di crederci. (15 marzo 1987) *Per la prima volta nella storia della Corte Costituzionale, il nuovo presidente, Francesco Saja, è stato eletto al primo scrutinio. Ma il rivale sconfitto, Ferrari, ha sollevato eccezione accusando il vincitore di averlo battuto grazie a un «compromesso storico» fra elettori democristiani e comunisti, aggravato da un intrallazzo fra siciliani. Vero o falso, dalla Corte al cortile. (5 giugno 1987) *Ieri tutti i telegiornali ci hanno martellato negli occhi le immagini dei capibastone – Craxi, De Mita, Spadolini, Altissimo ecc. – che infilavano la scheda nell'urna. I loro volti raggiavano di soddisfazione. Erano gli unici elettori matematicamente sicuri di aver dato il voto al candidato ideale. (15 giugno 1987) *In una scuola di Chattanooga, nel Tennesse (Usa), due sedicenni, approfittando dell'assenza dell'insegnante, si sono baciati e hanno fatto l'amore davanti a una decina di compagni, niente affatto scandalizzati. Dato il lassismo di certe scuole americane, gli esami in cui gli studenti riescono meglio sono proprio queste prove orali. (4 giugno 1988) *Diciannove persone hanno dichiarato d'aver visto aggirarsi, tra le quinte della Scala, il fantasma di [[Maria Callas]]. Non ci meravigliamo, anche perché migliaia di altri frequentatori del massimo teatro lirico italiano sostengono da tempo di vedere, alla Scala, il fantasma della Scala. (28 giugno 1988) *Scoprendo le istituzioni britanniche con un secolo e mezzo di ritardo, i comunisti sembrano fermamente intenzionati a formare il loro «shadow Cabinet». Ma onestamente non ne afferriamo la ragione. Non c'è nessun bisogno di un governo ombra per contrastare quest'ombra di governo. (5 maggio 1989) *Da un sondaggio condotto tra i francesi risulta che il personaggio più noto d'Oltralpe è [[Marcello Mastroianni]], conosciuto dall'83 per cento degli intervistati. Il 97 per cento dei francesi invece confessa di non sapere chi sia [[Ciriaco de Mita|Ciriaco De Mita]]. Quando si dice un Paese fortunato... (20 maggio 1989) *Gerardo Iglesias, che fu segretario generale del partito comunista spagnolo dall'82 all'88, ha lasciato l'attività politica per riprendere il suo lavoro di minatore di carbone, «l'unico modo in cui posso guadagnarmi degnamente la vita». Alcuni dirigenti del Pci, a quanto risulta, vorrebbero imitarne l'esempio, tornando al vecchio lavoro. Il difficile è trovare chi ne aveva uno. (1º giugno 1990) *Durante la festosa «notte del mondiale», la polizia romana ha arrestato, nelle vicinanze dello stadio olimpico, 29 borsaioli e scippatori. Il signor [[Edgardo Codesal Méndez|Codesal Mendez]], arbitro della partita [[Nazionale di calcio della Germania|Germania]]-[[Nazionale di calcio dell'Argentina|Argentina]], non figura nell'elenco. (10 luglio 1990) *Il giudice veneziano Casson ha convocato, per la storia del Gladio, il presidente [[Francesco Cossiga|Cossiga]], e l'Italia leguleia è in subbuglio: la Costituzione, pure, si è dimenticata di precisare se il Capo di Stato può essere chiamato a rispondere, sia pure da testimone, a un qualunque magistrato. Il quale però ha ora la fotografia su tutti i giornali. E tutti possono ammirarla chiedendosi che cosa passa in quella testa, la testa di Casson. (10 novembre 1990) *Gli studenti italiani manifestano rumorosamente per la [[pace e guerra|pace]] e contro la [[pace e guerra|guerra]]. La guerra, diceva [[Georges Clemenceau|Clemenceau]], è una cosa troppo seria per lasciarla fare ai militari. Ma anche la pace è una cosa troppo seria per lasciarla fare ai pacifisti. (20 gennaio 1991) *Occupandosi – tra tanto Golfo – del Festival di Sanremo il Tg3 ci ha dato, finalmente, ieri sera, una notizia credibile: il livello delle canzoni, ha detto, è destinato a salire. Infatti: sentite le prime è impossibile che scenda. (1º marzo 1991) *Da un'indagine risulta che il 41,9% degli italiani non considera illecito l'assenteismo dal lavoro e che il 41,3% non considera peccato le infedeltà coniugali. La coincidenza delle due cifre spiega in che modo gli statali impiegano il tempo che dovrebbero dedicare all'ufficio. (3 ottobre 1991) *A quest'ora [[Ernesto Balducci|Padre Balducci]] è di fronte al Supremo Giudice, nel quale affermava di credere. Almeno a Lui dovrà spiegare non ciò che diceva contro la Chiesa, ma perché lo diceva travestito da frate. (26 aprile 1992) *Nell'ultima tornata presidenziale è emerso, con un bel pacchetto di 20 voti, Aldo Aniasi. Finalmente. In questo imperversare di tangenti e bustarelle, era ora che qualcuno si ricordasse di lui. (24 maggio 1992) *Per sfatare le malevole dicerie su certe bestie, il presidente degli «animalisti» italiani ha offerto un premio di 200 milioni a chi potrà dimostrare che i corvi scrivono lettere anonime e che le talpe fanno le spie. È vero: di simili casi non ne conosciamo. Ma di somari che fanno i presidenti, ne conosciamo parecchi. (5 luglio 1992) *Dopo le invettive e i clamori da cui il presidente del consiglio [[Giuliano Amato|Amato]] è stato accolto in Senato per la sua insensibilità alla crisi morale che investe il Paese, il dibattito sulla medesima si è svolto, a Montecitorio, in un'aula deserta. Sì, una crisi morale, per la nostra classe politica esiste: lo dimostra il vuoto in cui l'ha lasciata cadere. (14 marzo 1993) *«I socialisti – ha detto l'ex ministro della Difesa Salvo Andò – devono andare tutti nudi verso la meta di un nuovo sistema politico». Come faranno senza le tasche? (24 maggio 1993) *Il candidato del Psi per le elezioni a sindaco di Roma sarà Niccolò Amato. Assennata scelta. Ex direttore delle carceri, Amato è certamente il più qualificato a rappresentare quel partito. (23 settembre 1993) *Giovedì sera annuncio a sorpresa di [[Emilio Fede]] nel suo Tg4: «Adesso – ha detto – voglio parlarvi di informazione». C'è sempre una prima volta. (8 gennaio 1994) *Secondo un sondaggio della Diacron (gruppo Fininvest), l'82 per cento dei lettori del «Giornale» sarebbe schierato con Berlusconi. Vero. Almeno com'è vero che Berlusconi diventerà presidente del Consiglio. (12 gennaio 1994) ====''La parola ai lettori – rubrica''==== *I tennisti italiani hanno disputato la finalissima di Coppa Davis a Praga, e nessuno ha battuto ciglio. Le squadre di calcio italiane frequentano gli stadi dell'Est, a cominciare da quelli russi, e i puristi della democrazia non ci trovano nulla a ridire. Ma per l'[[Uruguay]] – che con i suoi tre milioni di abitanti e la sua posizione geografica non mi pare possa essere considerato una minaccia troppo grave alla libertà dei Paesi democratici – c'è puntuale la protesta. Come se l'Uruguay potesse invadere, espandersi, insidiare, inviare – direttamente o indirettamente – eserciti di mercenari in mezzo mondo, e l'[[Unione Sovietica]] no. Possiamo capire gli intransigenti della democrazia: ma possiamo soltanto disprezzare i farisei che hanno l'indignazione dimezzata. Si calmino Bruno Conti e Pruzzo. Né l'Uruguay, né il suo regime, meritano tante ansie e tanta ostilità. Mosca è più vicina – lo sanno bene i polacchi – e Kabul anche. (31 dicembre 1980) *Non abbiamo mai «coperto», come si usa dire, questo nostro socio (che ha il 37, non il 36% del Giornale), anche perché non vediamo da cosa dovremmo coprirlo. [[Silvio Berlusconi|Berlusconi]] non è né un politico né un gerarca civile o militare, e non svolge nessuna pubblica funzione incompatibile con l'appartenenza alla massoneria. È un privato imprenditore e cittadino che quando fa una balordaggine (e l'iscrizione alla P2 lo è) la fa a proprio rischio e pericolo. Come lei avrà visto, il suo coinvolgimento nella P2 non ci ha impedito di dire, di Gelli e della sua banda, tutto il male che ne pensiamo. (31 maggio 1981) *In tutti questi anni che è stato con noi, {{NDR|Silvio Berlusconi}} si è sempre comportato nella maniera più signorile, ed anche in questa circostanza ci ha dato le più ampie garanzie. (14 aprile 1987) *Nel panorama sudamericano il [[Cile]] è oggi uno di quei paesi economicamente più solidi e con maggior progresso, tanto da meritare gli elogi del Fondo monetario internazionale. Ma la postilla impone a sua volta una precisazione. È più facile fare il risanamento economico monetario in Cile, dove i sindacati sono inesistenti o impotenti, che non in [[Argentina]], dove il sindacato incalza il governo e pretende aumenti salariali il cui ritmo sia adeguato al ritmo dell'inflazione. [...] Pinochet è quello che è. Il suo plebiscito per la Costituzione del 1980 fu indetto in circostanze che gli tolgono ogni valore. E gli inizi del regime militare furono sanguinari. Però il Cile di oggi ha un livello di libertà e di dialettica politica – nonostante Pinochet – che tanti paesi del Terzo mondo vezzeggiati dai nostri democratici dovrebbero invidiargli. Come ha osservato un lettore, né l'Etiopia né lo Zaire né la Siria, né il Nicaragua avrebbero tollerato corrispondenze come quelle che gli inviati della Rai diffondono, in diretta dal Cile. (16 aprile 1987) *Mai le nostre prese di posizione su problemi e personaggi sono state non dico condizionate, ma influenzate dalle personali amicizie o preferenze di Berlusconi. Per la verità, l'editore chiese una volta a titolo di favore, un «occhio di riguardo» per la sua creatura prediletta. Non la televisione, come i lettori saranno stati forse indotti a pensare, ma il [[Associazione Calcio Milan|Milan]]. Sottoposi questa sommessa istanza alla redazione sportiva. La risposta fu una lettera collettiva di dimissioni. Caso chiuso. Da allora rinuncio a leggere le cronache delle partite del Milan, per non dovermi dispiacere del dispiacere che ne prova probabilmente Berlusconi. (17 aprile 1988) *Come già ho scritto, e qui mi piace ripetere, la designazione di [[Francesco Cossiga|Cossiga]] al Quirinale fu la scelta dell'uomo giusto al posto sbagliato. Sappiamo benissimo chi la volle. Ma sappiamo altrettanto bene che fu avallata anche da quegli uomini e partiti che ora si scagliano contro di lui e lo accusano, apertamente o copertamente, di fellonia. La classe politica, nella quale egli ha militato da sempre e che quindi da sempre lo conosceva, doveva sapere che l'onesto (perché tale è) Cossiga non era uomo da Quirinale. Eppure, per i suoi sporchi giochi di potere, ce lo mandò. Ora dovrebbe sentire il dovere di difenderlo dagli sciacalli che lo attaccano da tutte le parti. (22 dicembre 1990) ===''La Stampa''=== *Intorno alle «cattedrali nel deserto» impiantatevi dalla cosiddetta mano pubblica, [...] o trasferitevi dal Nord con l'adescamento degli «incentivi», e sotto la nuvolaglia di fumo che sgorga dalle loro ciminiere, si gonfiano alla carlona e selvaggiamente dirompono, senza nessun criterio urbanistico, senza piano regolatore, senza servizi, spesso anche senza acquedotto e senza fogna, degli agglomerati urbani che solo per il numero degli abitanti si possono chiamare città. [...] È nata soltanto, insieme a una forsennata speculazione edilizia che per sfruttare all'osso l'area fabbricabile accumula con cattivo cemento un piano sull'altro finché crollano sulla testa degl'inquilini, la sorda rabbia contro la città di un contadiname analfabeta che se n'è visto succhiare la linfa vitale, e quando vi cala, lo fa da nemico e vandalo. Questo è il panorama del Mezzogiorno dopo vent'anni e più di Cassa, che hanno raschiato dalle tasche dei contribuenti migliaia di miliardi. (da ''[http://www.archiviolastampa.it/component/option,com_lastampa/task,search/mod,libera/action,viewer/Itemid,3/page,3/articleid,1118_01_1973_0272_0003_16218908/ La protesta contadina]'', 18 novembre 1973) *La politica meridionalistica è tutta dominata da questo sottofondo psicologico. Essa vuole l'industrializzazione di Stato non soltanto perché [...] l'industrializzazione può essere fatta soltanto dallo Stato o da imprese al servizio dello Stato; ma anche perché più queste imprese si sviluppano, e più si riduce il margine di quell'imprenditoria privata che i meridionali, non riuscendo a emularla, mirano a ostacolare e ridurre, sottraendole il pubblico risparmio. Con l'agricoltura non avrebbero potuto perseguire questi scopi punitivi. L'unica arma per mortificare e battere l'industria privata è l'industria statale o parastatale. Questa, intendiamoci, esisteva digià: è un portato dei tempi moderni. Ma non c'è dubbio che la politica meridionalistica, come la si è praticata finora e tutto lascia credere che si seguiterà a praticarla, le ha offerto un'ideale occasione. (da ''[http://www.archiviolastampa.it/component/option,com_lastampa/task,search/mod,libera/action,viewer/Itemid,3/page,3/articleid,1118_01_1973_0284_0003_16222766/ Industrie "in colonia"]'', 2 dicembre 1973) *Lo Stato, con [[Venezia]], ha contratto un solo impegno: di destinare al suo risanamento 300 miliardi di lire in cinque anni. Di dove li prenda, non ha nessun interesse. Può darsi che una parte li attinga proprio a quel prestito. Ma non vi è tenuto, né si vede perché dovrebbe esserlo. Ciò che da esso si può e si deve esigere è che eroghi effettivamente quei 300 miliardi alle scadenze per le quali si è impegnato: 25 miliardi per il '73, 60 nel '74, 90 nel '75, e su su fino alla chiusura dei conti nel '77. Due sole cose restano da dire. Primo. All'origine dell'equivoco c'è di certo quello che i francesi chiamano l'''esprit mal tourné'', cioè la diffidenza degl'italiani nei confronti dello Stato. Ma all'origine di questa diffidenza c'è altrettanto certamente l'incapacità o la renitenza dei nostri governanti a spiegare [...] ciò che fanno. Secondo. I soldi [...] stavolta ci sono. E diamo pure per scontato che saranno erogati con puntualità. Ma dove sono gli strumenti per spenderli, specie quelli affidati in gestione a degli Enti locali, che fin qui non sono stati capaci di dragare un canale né di riparare la spalletta d'un ponte? Non vorremmo che anche tutti questi miliardi andassero ad alimentare l'immenso deposito di «residui passivi», cioè di somme stanziate ma non impiegate, che già affligge il nostro Paese. Non lo vorremmo. Ma lo temiamo. (da ''[http://www.archiviolastampa.it/component/option,com_lastampa/task,search/mod,libera/action,viewer/Itemid,3/page,1/articleid,1111_01_1974_0009_0001_21345708/ Venezia, molti miliardi e lo Stato]'', 11 gennaio 1974, p. 1) *E ora addio, caro lettore, e grazie dell’ospitalità. Ti confesso che, entrando in casa tua, ero molto imbarazzato. Ma mi bastò poco per accorgermi che di questo imbarazzo voi soffrite quasi quanto coloro a cui lo incutete. Esentàtemi da una dichiarazione di amore perché a gente come voi è difficile farne. Ma in questo pudore mi sento vostro pari e vostro complice. Avrò un giornale a Milano e, e cercherò di farlo molto bello, bellissimo. Ma anche se ci sarò riuscito, seguiterò a rimpiangere il vostro. Mi dicevano che ci avrei sofferto il freddo. Ci ho trovato, sotto una coltre di silenzio, il caldo. ([http://www.archiviolastampa.it/component/option,com_lastampa/task,search/mod,libera/action,viewer/Itemid,3/page,3/articleid,1112_01_1974_0087_0003_16390798/ 21 aprile 1974]) {{Int|''[http://www.archiviolastampa.it/component/option,com_lastampa/task,search/mod,libera/action,viewer/Itemid,3/page,9/articleid,1118_01_1973_0284_0009_16222725/ Chi era il vecchio leone del deserto]''|Articolo su ''La Stampa'', 2 dicembre 1973.|h=4}} *Senza Ben Gurion, non so se Israele sarebbe stato migliore o peggiore di quel che è. Certo, sarebbe stato diverso. Il titolo di «Padre della Patria» non può contestarglielo nessuno. [...] Egli stesso mi raccontò lo sgomento da cui fu còlto quando, non ancora ventenne, sbarcò a Giaffa dopo un lungo periplo a bordo d'un cargo. A procurarglielo non furono i funzionari turchi che allora governavano il Paese, e nemmeno gli arabi che formavano il grosso della popolazione; ma gli ebrei, quasi tutti latifondisti e mercanti perfettamente inseriti nel «sistema» e unicamente intesi ai propri affari. Erano dunque quelli i depositari della Terra Promessa, che non sapevano neanche l'ebraico, o comunque si rifiutavano di parlarlo? Forse ne sarebbe fuggito, se nell'interno non avesse scoperto alcune isolate fattorie collettive, dove i nuovi immigrati lavoravano la terra con le proprie mani e di notte montavano la guardia, uomini e donne, per difendere le loro vite e i loro raccolti dalle razzie degli arabi. *Egli fu sin da principio organizzatore sindacale e propagandista politico, ma ciò non toglie che la sua ideologia si sia sviluppata da questa esperienza pionieristica. Non era uomo di studio e di cultura. Ma, pur combattendolo, era rimasto influenzato dal socialismo tolstoiano che aveva respirato a Plonsk. [...] Comprese subito che solo redimendo la terra col loro lavoro manuale e contrapponendo al latifondismo arabo la fattoria collettiva, gli ebrei potevano legittimare la riconquista dei loro antico «focolare». Militarmente, egli non attaccò mai gli arabi. Aspettò che il loro sistema si disgregasse da sé, e ci volle poco. Battuti sul mercato dai prodotti del ''kibbutz'', i latifondisti arabi vendettero i loro feudi al «Fondo Nazionale Ebraico» per andare a sperperare l'incasso nei ''Casinos'' di Beirut e della Costa Azzurra, e i braccianti rimasero senza lavoro perché i nuovi padroni usavano le braccia proprie. Il conflitto è tutto qui: nell'impossibilità di coabitazione di una scalcagnata economia feudale con un'efficientissima economia socialista. I motivi religiosi e razziali li ha aggiunti la propaganda. Prima del ''kibbutz'', arabi ed ebrei avevano pacificamente convissuto in un avanzo di mondo medievale, garantito dal satrapesco governo turco, coi suoi privilegi e le sue glebe. Il ''kibbutz'' fu una rovina anche per il latifondo ebraico. [...] Il suo programma era questo: conquistare la Palestina «pertica dopo pertica, capra dopo capra», ma senza costituirla in uno Stato, un po' perché a questo si sarebbe opposta l'Inghilterra […] un po' per non provocare un «fronte» di nazioni arabe, come poi in realtà avvenne. Ma la rivelazione del [[Olocausto|genocidio]] gl'ispirò il famoso ''mai più''. E mai più significava questo: che d'allora in poi gli ebrei dovevano avere un rifugio sicuro, pronto ad accoglierli e in grado di farlo, cioè uno Stato. *Gli rimproverano anche di non aver mai svolto una coerente politica araba, cioè di intesa con gli arabi. E anche in questo c'è del vero, ma ha il suo perché. Come tutti i veri politici, Ben Gurion era un pragmatista, cioè un uomo che attingeva le idee dalla pratica delle «cose», non viceversa. E l'esperienza fatta nella lotta per la manodopera ebraica lo aveva persuaso che con gli arabi non c'era [...] possibilità di compromesso. Uno Stato palestinese misto di arabi e di ebrei, lo considerò sempre una chimera per il semplice motivo che in poche generazioni, col loro potenziale demografico quattro volte superiore, gli arabi avrebbero mangiato gli ebrei. Questo scrupolo [...] sa un po' di razzismo. Ma l'unico rimprovero che si può muovere a Ben Gurion è di non averlo abbastanza mascherato. Già nella guerra del '48 egli avrebbe potuto annettersi la Cisgiordania: ci rinunziò per non mettersi in corpo seicentomila arabi. L'anno dopo rifiutò per lo stesso motivo la cosiddetta «striscia di Ghaza» che il suo brillante generale Allon aveva sforbiciato dall'Egitto. E dopo la guerra dei sei giorni, sebbene ormai lontano dal potere, non ha fatto che ammonire contro una politica di annessioni territoriali disgiunta da un adeguato incremento di popolazione ebraica. Non ha mai dialogato che con l'Occidente. Con gli arabi, non ha seguito che una diplomazia: quella dei confini. *Le nuove esigenze della produzione e della guerra imponevano un altro «rovesciamento della piramide»: il miracolo della guerra dei sei giorni fu dovuto a un esercito di tecnici altamente specializzati, in cui anche il semplice aviere era un ingegnere. Il posto del ''kibbutz'' [...] veniva preso dall'Università che riconvertiva il contadino in professore. Ben Gurion non poteva interpretare questo nuovo corso. Era troppo vecchio e legato all'altro. Ma non lo comprese, non poteva comprenderlo, per conservare il potere ricorse a tutte le armi del suo repertorio, anche le meno regolamentari, giunse a rinnegare e a rompere il proprio ribelle partito. E neppure a battaglia persa si rassegnò. Dal fondo del suo rifugio alle soglie del deserto ha continuato tutti questi anni ad alluvionare di ammonimenti, maledizioni, anatemi i suoi vecchi amici trattandoli da nemici. [...] Quello che si chiude con Ben Gurion è il capitolo del pionierismo: il più eroico e glorioso, quello destinato, via via che si allontanerà nel tempo, ad essere ricordato dagl'israeliani con sempre più struggente nostalgia. {{Int|''[http://www.archiviolastampa.it/component/option,com_lastampa/task,search/mod,libera/action,viewer/Itemid,3/page,3/articleid,1112_01_1974_0081_0003_16388814/ La strada lunga di Golda]''|Articolo su ''La Stampa'', 14 aprile 1974.|h=4}} *{{NDR|[[Golda Meir]]}} Aveva poco più di vent'anni quando approdò in Israele, frammista ai «padri pellegrini» della «seconda ondata» che subito dopo la [[prima guerra mondiale]] vennero a riprendere possesso della loro antica terra con la ferma intenzione non d'insabbiarcisi com'era successo ai loro predecessori della fine dell'Ottocento, ma di riscattarla e di farne il «focolare» degli ebrei. Tutta la sua visione politica [...] era condizionata da questa esperienza di oltre mezzo secolo di sacrifici e di lotte. Tecnicamente, non so se si possa catalogarla fra i «falchi». Anzi, mi sembra che abbia fatto tutto il possibile per non confondersi con essi e per presentarsi come mediatrice fra loro e le «colombe». Ma, cresciuta nell'accampamento, ne aveva acquisito la mentalità guerriera. Oggi molti in Israele si domandano se a questi pionieri non restava davvero altra strada che quella dell'urto frontale con la popolazione araba della Palestina. Ma questi dubbi sono un lusso ch'essi si possono concedere solo perché i loro babbi e nonni non ne ebbero. Costoro fecero quello che fecero perché non potevano far altro. Ciò che rendeva impossibile la coabitazione fra le due popolazioni non era la incompatibilità razziale e religiosa, ma quella economica e sociale. Il latifondo sceiccale non poteva convivere col ''kibbutz'' socialista. È qui l'origine di un conflitto che nessuna diplomazia poteva sanare. Una pace fra israeliani e arabi è possibile; una simbiosi, no. Ancor oggi chi parla di «Stato misto» si gingilla con le astrazioni. *Fu lei che, mentre la lotta infuriava e il sangue correva, raggiunse travestita da cammelliere l'emiro Abdullah di Giordania – il nonno di [[Husayn di Giordania|Hussein]] –, e da nemico se lo fece amico, o almeno neutrale. Non sono mai riuscito ad appurare se [[David Ben Gurion|Ben Gurion]] ebbe una parte, e quale, in questo «giallo» fra il diplomatico e lo spionistico. Ma molte cose m'inducono a credere che a programmarlo fu proprio lei, Golda, anch'essa ben decisa a innalzare, fra arabi ed ebrei, una cortina di ferro, ma con qualche porta che consentisse all'occorrenza il dialogo. [...] I due furono amici e compari per decenni. [...] Per entrambi, la unica e vera ragione di vita era la politica, una passione che esclude tutte le altre, e alla quale chi ne è tocco tutto sacrifica, a cominciare proprio dai sentimenti. Ciò non vuol dire che i loro rapporti siano stati dominati unicamente dal calcolo [...] e che Golda si sia tenuta stretta a Ben per spiarlo, controllarlo e, al momento opportuno, divorarlo. Io ho visto alcuni scampoli della loro corrispondenza privata, quando l'amicizia era diventata aperta inimicizia. Roba da far impallidire un caporale degli alpini. Ma proprio da questo vocabolario si capiva quanto profonda e indistruttibile [...] fosse la loro solidarietà. Probabilmente anche al tempo in cui facevano coppia nel partito e nel governo si parlavano tra loro in quel linguaggio da fureria. Quanto a imperiosità e autoritarismo, si valevano. [...] Non era, come Ben Gurion, un'incantatrice, non aveva mai una immagine colorita, un paradosso, una battuta a effetto. Con la sua voce arrugginita dalle sigarette (ne fuma una settantina al giorno, e di tabacco nero), diceva piattamente e banalmente delle cose piatte e banali, solo ravvivate da qualche squarcio d'un umorismo massiccio come una scarpa di soldato; ma senza mai togliere di dosso all'interlocutore il suo vigile sguardo cilestrino alla fiamma ossidrica. E da quella specie di sporta per la spesa che, adibita a borsa, essa tiene al braccio anche nei ricevimenti ufficiali, ci si aspettava sempre di veder saltar fuori, oltre a qualche mazzo d'agli e di cipolle, una pistola o una fiala di veleno. *Di Golda si può dire tutto il male che si vuole: la materia non manca. Non c'è dubbio che sapeva odiare e che anche quando amava lo faceva da mantide, soffocando e stritolando. Ma Israele non troverà mai più una madre come lei, che sapeva anche fargli da padre. Nella sua tenacia, nel suo coraggio, nella sua volontà d'acciaio, essa riassumeva la storia di questo piccolo grande Paese. Lo ha dimostrato col suo ritiro. Quando si è trattato di pagare, essa si è offerta in sacrificio pur sapendo che per lei la rinunzia al potere è la rinunzia alla vita. «''Sono giunta al termine della mia strada''», ha detto. Ma che strada! Nessuno ne ha mai percorsa una più ripida e accidentata, più paurosamente librata tra abissi e strapiombi. Sono sicuro che Golda non si volterà indietro a guardarla, e non ce ne dirà nulla. Come tutti i grandi costruttori, essa sa soltanto costruire. Il resto, per lei, è silenzio. ===''la Voce''=== <!--ordine cronologico--> *Uscendo dal ''Giornale'', io feci a me stesso, ma pubblicamente, un giuramento: «Mai più un padrone». Qui padroni non ce ne sono. La proprietà è ripartita fra alcune centinaia di azionisti, di cui nessuno può, per statuto detenere più del 4 per cento. Fra di essi, e per primi, ci siamo stati tutti noi: redattori, impiegati, fattorini, autisti. [...] Per questa sua pulviscolarità, il nostro azionariato è stato definito, nei quartieri alti della Finanza, «straccione». La qualifica non ci dispiace: coi tempi che corrono, meglio stare tra gli stracci che tra le tangenti. (22 marzo 1994) *Di insurrezione generale non c'era bisogno, il 25 aprile, perché il Terzo Reich non esisteva più. Se l'insurrezione generale fosse avvenuta avrebbe dovuto avere come primo obiettivo, a Milano, il quartier generale delle SS all'Hotel Regina. Le SS furono invece lasciate del tutto tranquille, mentre si provvedeva a trascinare in piazzale Loreto, per la fucilazione Achille Starace [...]. Non sono contro la Resistenza, anzi: sono contro la retorica, inguaribile vizio italiano. Proprio questa retorica ha fatto sì che un sindaco democristiano di Roma, in un manifesto dedicato anni or sono alla liberazione della città non accennasse nemmeno con una parola agli Alleati. Ed ha fatto sì che in quest'ultimo 25 aprile si sia parlato ai giovani che affollavano piazza del Duomo a Milano o che stavano davanti ai televisori, ingannandoli – ossia raccontando loro che i tedeschi erano stati sconfitti dai partigiani, e che da questi l'Italia era stata liberata. Se questa è la «memoria storica» evocata da tanti commentatori, stiamo freschi. (28 aprile 1994) *Intorno a Berlusconi vedo agitarsi una falange di Starace, convinti non meno di Achille che il padrone (e con lui, si capisce, la carriera) si serve sbattendo i talloni e gridando: «Forza, Italia!». Di tutto questo, intendiamoci, Berlusconi non può essere tenuto responsabile. Gli Starace – a differenza di Mussolini che si scelse il suo vedendolo com'era – gli sono germinati e gli pullulano intorno d'irresistibile forza propria cercando di sopraffarsi in una gara di servilismo, che trova soprattutto nel video la propria arena. E per ora la gente pensa: «Povero Cavaliere, da chi è circondato». Ma prima o poi – forse più prima che poi – comincerà a dire anche di lui: «Vedi un po' di chi si circonda». (18 giugno 1994) *Dobbiamo prepararci a presentare le nostre scuse a [[Emilio Fede]]. L'abbiamo sempre dipinto come un leccapiedi, anzi come l'archetipo di questa giullaresca fauna, con l'aggravante del gaudio. Spesso i [[leccapiedi]], dopo aver leccato, e quando il padrone non li vede, fanno la faccia schifata e diventano malmostosi. Fede no. Assolta la bisogna, ne sorride e se ne estasia, da oco giulivo. Ma temo che di qui a un po' dovremo ricrederci sul suo conto, rimpiangere i suoi interventi e additarli a modello di obiettività. (26 novembre 1994) *Il presidente della Repubblica non può contrattare. Ma deve trovare qualcuno che abbia l'autorità morale di farlo. Un ''kamikaze''. E di ''kamikaze'' ne vediamo uno solo che, non avendo veste politica, né alcuna ambizione di indossarla, può anche affrontare una simile responsabilità: [[Antonio Di Pietro|Di Pietro]]. Ma temiamo che l'idea sia soltanto nostra. [...] Una delle pochissime cose che nella presente situazione ci confortano è di vedere in Quirinale un difensore delle Regole come [[Oscar Luigi Scalfaro|lui]]. Vorremmo solo sommessamente avvertirlo che l'Italia che noi conosciamo somiglia poco all'immagine angelica ch'egli ce ne ha fornito la sera di Capodanno, e che anche quando vi avremo messo a posto tutte le Regole, ne mancherà sempre una: quella che dall'interno della sua coscienza fa obbligo ad ogni cittadino di regolarsi secondo le regole. (3 gennaio 1995) *Noi volevamo fare, da uomini di [[Destra]], il quotidiano di una Destra veramente liberale, ancorata ai suoi storici valori: lo spirito di servizio (quello vero, taciuto e praticato), il senso dello Stato, il rigoroso codice di comportamento che furono appannaggio dei suoi rari campioni da Giolitti a Einaudi a De Gasperi. Insomma, l'organo di una Destra che oggi si sente oltraggiata dall'abuso che ne fanno gli attuali contraffattori. Questa Destra fedele a se stessa in Italia c'è. Ma è un'élite troppo esigua per nutrire un quotidiano. (12 aprile 1995) {{Int|''Il realista inviso agli snob''|Articolo su ''la Voce'', 24 aprile 1994.|h=4}} *Fino ad una decina di anni orsono, la maggioranza degli americani erano convinti che, se [[Richard Nixon|Nixon]] fosse rimasto nella Storia del loro Paese – cosa che al loro orecchio suonava come un obbrobrio – vi sarebbe rimasto solo per il [[Scandalo Watergate|Watergate]], cioè appunto per l'obbrobrio. Negli ultimi tempi tutto si è rovesciato: l'obbrobrio non è stato più il Watergate, ma la campagna scandalistica che lo aveva provocato. Gli stessi protagonisti che l'avevano montata – [[Bob Woodward]] e [[Carl Bernstein]] del ''Washington Post'' – ne riconobbero le forzature e fecero atto di contrizione. Non avevano inventato nulla, ma avevano deformato tutto. [...] La sorte è stata, tutto sommato, clemente con Nixon dandogli il tempo di vedere questo capovolgimento. *Ultimamente era ricevuto, ed anzi continuamente sollecitato alla Casa Bianca, dove lo si accoglieva come lo ''Elder Statesman'', lo statista anziano da consultare come un vecchio saggio sui problemi difficili. Fu a lui che [[George H. W. Bush|Bush]] si rivolse per riallacciare un dialogo con Pechino dopo la rottura seguita al fattaccio di Tienanmen. E lui a Pechino lo riallacciò: i cinesi non avevano dimenticato che quel dialogo erano stati Nixon e [[Henry Kissinger|Kissinger]] ad aprirlo, quando l'America aveva deciso di chiudere l'avventura del Vietnam in cui [[John Fitzgerald Kennedy|Kennedy]] e [[Lyndon B. Johnson|Johnson]] l'avevano malaccortamente cacciata. Ma anche [[Bill Clinton|Clinton]] è ricorso alla sua esperienza per capire cosa succedeva in Russia e trarne qualche insegnamento. Nixon andò a Mosca, e ne tornò con cattivi presagi sulla sorte di [[Boris Nikolaevič El'cin|Eltsin]] che i successivi avvenimenti hanno confermato. *Non era un uomo «simpatico», e soprattutto non aveva nulla che potesse sedurre l'America dei salotti e della ''intellighenzia'', che gli uomini politici li misurano a modo loro, mai quello giusto. Scambiarono per un grande intellettuale Kennedy, che in vita sua aveva visto migliaia di film, ma mai letto un libro. E prendevano Nixon, che di libri ne ha letti ed ha continuato a leggerne (ed a scriverne, niente male), fino all'ultimo giorno per una specie di Bossi californiano, rozzo e triviale. [...] Ma forse quello che più infastidiva gli americani era la renitenza di Nixon ad appelli e richiami tanto più sonori quanto più vacui, come «la nuova frontiera» e simili. Nixon era un professionista della politica, uno dei pochissimi che l'America abbia mandato alla Casa Bianca. Non andava per sogni e per versetti del Vangelo. Conosceva il suo [[Otto von Bismarck|Bismarck]], il suo [[Benjamin Disraeli|Disraeli]], e credo anche il suo [[Niccolò Machiavelli|Machiavelli]] che in America basta nominarli per finire scomunicati. Per questo lo consideravano un mestierante, e per questo si era scelto come consigliere un altro mestierante, l'ebreo tedesco Kissinger. Furono questi due uomini che ridiedero all'America la ''leadership'' nella politica estera coinvolgendo nel gioco la Cina e scavandone il solco da Mosca. I successori di Nixon, e specialmente [[Ronald Reagan|Reagan]], vissero in gran parte di questa eredità. ===''Oggi''=== <!--ordine cronologico--> *Mi confermo in due mie vecchie opinioni. Il guaio del socialismo è il socialismo, cioè sta proprio nel suo sistema statalistico. Il guaio del capitalismo sono i capitalisti che, quasi sempre bravissimi all'interno della loro azienda, fuori di lì sono spesso degli ottusi e noiosi imbecilli, e talvolta anche peggio.<ref>Citato in ''Dizionario delle citazioni'', a cura di Italo Sordi, BUR, 1992. ISBN 88-17-14603-X</ref> (n. 22, 1983) *{{NDR|Sull'offerta di [[Massimo D'Alema]] a concedere, come «atto dovuto», i funerali di Stato a [[Bettino Craxi]]}} "Atto dovuto"? Ma dovuto a chi? Anche a un latitante: quale, dal punto di vista legale, era Craxi? Concedere i funerali di Stato a un latitante significa sconfessare la Giustizia che lo ha condannato. [...] Ma può lo Stato sconfessare la propria Giustizia senza sconfessare se stesso? Mi sembra di vivere in un Paese che di senso dello Stato ne ha meno di una tribù del Ghana.<ref>Citato in ''La morte incute rispetto, ma su Craxi non cambio idea''-</ref> (2 febbraio 2000) *La [[democrazia]] è sempre, per sua natura e costituzione, il trionfo della mediocrità. (11 ottobre 2000) ==''Dante e il suo secolo''== ===[[Incipit]]=== Uno dei tanti meriti che si suole attribuire a [[Dante Alighieri|Dante]] è quello di essere stato il primo italiano ad avere una «coscienza nazionale». Noi non vorremmo cominciare questo libro con una detrazione, ma non ci sembra che a dimostrare questa coscienza basti l'allusione che Dante fa a una entità geografica italiana, di cui egli fissava i punti terminali al Brennero e al Carnaro. E non vediamo del resto cosa aggiunga alla sua grandezza questa specie d'irredentismo avanti lettera. Se per qualcuno Dante spasimò fu, caso mai, per un Imperatore tedesco. ===Citazioni=== *[[Roma]] era stata la capitale di un impero cosmopolita, non di una Nazione. (Parte prima. Capitolo primo, p. 12) *Non è necessario essere degli adepti del "materialismo storico" per attribuire il risveglio delle inquietudini intellettuali, fra il Millecento e il Milleduecento, al progresso economico e al generale miglioramento delle condizioni i di vita. È a stomaco pieno che si comincia a pensare a qualcosa che non sia soltanto lo stomaco. (Parte prima. Capitolo terzo, p. 131) *Il [[pudore]] femminile non è mai stato altro che un incentivo alla civetteria. (Parte seconda, Capitolo quarto, p. 174) *Da consumato giurista qual era, {{NDR|[[papa Bonifacio VIII]]}} prese a rimaneggiare tutti i precedenti storici, su cui poteva basare le sue pretese di dominio universale. E trovò un valido aiuto nel canonista [[Egidio Romano|Egidio Colonna]] il quale scrisse un trattato, ''De ecclesiastica potestate'', per avvalorare queste tesi. Egli sostenne che la Chiesa era padrona e proprietaria non soltanto delle anime, ma di tutto. Era solo per bontà e condiscendenza che metteva le cose a disposizione dei fedeli, ma conservando il diritto di ritorgliele quando voleva. Quindi anche i troni appartenevano ad essa, che li lasciava ai Re solo in momentaneo appalto. Questa teoria tanto piacque a Bonifacio, che ne ricompensò l'autore con la nomina ad arcivescovo di Bourges. (Parte seconda, Capitolo nono, p. 312) *Peccato che un simile uomo {{NDR|papa Bonifacio VIII}} avesse così clamorosamente sbagliato generazione e carriera. Fosse nato cinquant'anni dopo sarebbe stato un magnifico Principe del [[Rinascimento]]: avido, crudele e gagliardo. (Parte seconda, Capitolo undicesimo, p. 372) *Dante qui {{NDR|nel ''De vulgari eloquentia''}} ha visto ciò che molti filòlogi ancora oggi non vedono. Egli difende il "volgare", cioè la lingua viva, quella parlata dal popolo, fatalmente destinata a soppiantare il latino. Ma ne vorrebbe una illustre e aulica, al di sopra di quelle "municipali", cioè dei dialetti, contro i quali si scaglia con furore. In Italia ne classifica quattordici e li detesta tutti, compreso il toscano che chiama "turpiloquio". Ma il più orrendo gli sembra il romano, "e non deve fare meraviglia dacché i romani, anche per deformità di costumi e abiti, appaiono i più fetidi di tutti". Chissà cosa direbbe, povero Dante, se tornasse fra noi e andasse al cinematografo. (Parte seconda, Capitolo quindicesimo, p. 483) ==''Gli incontri''== *[[Giovanni Porzio|Porzio]] non è alto di statura, ma diritto come un fuso nonostante i settantaquattro anni suonati e porta, sui pantaloni a righe stretti e lunghi come quelli degli antichi ufficiali in grande uniforme, una giacca nera che l'alta bottonatura fa simile a una ''redingote''. Il volto è bello, di colore olivastro, e aristocratico nella modellatura del naso e nel taglio breve dei baffi e della barbetta ancora pepe e sale. (Porzio, p. 91) *Non avevo mai visto da vicino [[Cécile Sorel]], quando essa mi apparve, per la prima volta, di lontano, sul palcoscenico allestito nella corte d'onore degli Invalides per le feste celebrative del bimillenario di Parigi. [...] Drappeggiata in una sontuosa cappa di [[Elsa Schiaparelli|Schiaparelli]] a strascico di ''lamé'' d'argento e porpora, dritta su un podio sotto la statua di [[Napoleone Bonaparte|Bonaparte]], accolse a braccia spalancate lo scrosciante omaggio, sincopato dalle salve di artiglieria, dei cinquemila spettatori ammassati nell'immenso cortile. Sorrise. Sfiorò con uno sguardo altero le teste della folla, lo alzò verso l'imperatore, ma senza implorazione né umiltà, da pari a pari. Poi, in un silenzio di tomba, prese a modulare l'ode di Bruyez: "''Vous qui êtes morts pieusement pour la patrie...''". Ed era una voce incredibilmente limpida e squillante, senza traccia di ruggine. (Cècile, pp. 226-227) *[[Saul Steinberg|Steinberg]] ha la faccia dei suoi pupazzi: una faccia malinconica, lunga e triangolare, di cavallo tirato su a paglia soltanto, senza biada, e condannato a trascinare un carretto su per un'erta interminabile, in cima alla quale non si sa cosa ci aspetta, ma certo un'altra condanna, forse più pesante del carretto. Anche i baffi ha, come i suoi pupazzi: a doppia virgola orizzontale, sebbene meno lunghi e senza le intenzioni esibizionistiche di quelli di Dalì; e anche le lenti a stanghetta traverso cui ti fissano intensamente, di sotto in su, due occhi azzurri e mortificati, di uomo che non si è reso conto di essere Saul Steinberg; o essendosene reso conto, non ci prova alcun piacere. (Steinberg, p. 289) *[[Harukichi Shimoi]] è uno di quei giapponesi che gli altri giapponesi considerano di statura piccola. Tanto piccola che [[Gabriele D'Annunzio|D'Annunzio]], per abbracciarlo, dovette curvarsi (lui!) e, dopo essergli andato incontro gridando, con le braccia alzate: "Fratello!... Fratello mio!..." lo guardò, ci ripensò e aggiunse: "Sebbene non di sangue...". (Shimoi, p. 389) *Quanti anni avrà, ora, Harukichi Shimoi? Forse cinquanta, forse centocinquanta. Come per [[Guelfo Civinini]], suo amico, anche per lui il problema dell'età non si pone. Quale che essa sia, egli la porta esattamente come deve averla portata mezzo secolo fa. Il suo corpo è stortignaccolo, ma diritto, e i suoi capelli son nerissimi. Ma il tratto che più lo caratterizza sono le sopracciglia, che madre natura gli ha piantato a mezza strada, come due ciuffi di foltissimo bosco, tra gli occhi e la chioma, in modo che, per quanto vasti i suoi occhiali, esse li sormontano e risucchiano come se fossero due monocoli. (Shimoi, pp. 389-390) *Il più favoloso e colorito personaggio del [[Brasile]] è [[Assis Chateaubriand]], proprietario di ventun giornali, diciotto stazioni radiotrasmittenti, di una flotta aerea, di alcune ''fazendas'' vaste come l'intera Sicilia, di un museo che vale venti milioni di dollari, di una Compagnia nazionale per la puericoltura, e di un'ambizione pari soltanto al suo coraggio, alla sua insolenza e alla sua spavalderia. (Chateaubriand, p. 495) *Assis {{NDR|Chateaubriand}} ha un debole per i tedeschi e per gli italiani. Come faccia a conciliare questi due amori, non si sa; ma le sue pene, durante la guerra, furono grandi, anche se irreprensibile fu la sua condotta<ref>Dal 1942, nel corso della seconda guerra mondiale, il Brasile fu in stato di guerra con Germania e Italia.</ref>. Quando però il governo comminò l'arresto a chiunque parlasse italiano, scese in lotta con i suoi giornali contro l'assurda disposizione. Scrisse che quello non era patriottismo, ma un nazionalismo di bassa lega, degno soltanto di una colonia, e che lui si vergognava d'esser brasiliano. Fece un tale baccano, che alla fine dovettero revocare il provvedimento e quello del sequestro dei beni dei nostri compatrioti. (Chateaubriand, p. 502) *Quando nacque sessantadue anni orsono, ne aveva già a dir poco settecento. Perché [[Ottone Rosai|Rosai]] veniva dritto dritto dal Medioevo, dopo aver saltato a piè pari Rinascimento ed età moderna, e nei momenti di sincerità confessava che Giotto gli pareva un "deviazionista" rispetto a Cimabue, il quale gli andava molto più a sangue. (Rosai, p. 544) *Dopo essere stato fascista della prima ora, nella seconda col fascismo {{NDR|Ottone Rosai}} s'era trovato male, e si capiva benissimo che era sempre per via delle mani. Tornato dalla guerra, lo squadrismo gli aveva consentito di menarle, come a lui piaceva, e ci aveva dato dentro senza risparmio. Forse l'unico momento felice della vita di Rosai fu quello: quando a gambe larghe di traverso alla strada aspettava, col giornale aperto davanti agli occhi in un gesto di sfida ribalda, il corteo rosso in arrivo da San Frediano, che alla vista di quelle manacce aggrappate ai bordi del foglio e pesanti come macigni, esitava. (Rosai, p. 547) *[[Paolo Monelli|Monelli]], se seguisse le proprie inclinazioni, andrebbe a letto coi polli. Ma cosa direbbe la gente, se non lo vedesse più vagabondare nei vari ritrovi frequentati dai nottambuli della città? Direbbe senza dubbio: "Comincia a invecchiare". E a questa idea Monelli balza dalla sua poltrona e si attacca al telefono per mobilitare qualche amica che lo accompagni nei suoi vagabondaggi. Giovani colleghe come Livia Serini, attrici giovanissime come Lea Massari sono state ridotte sull'orlo dell'esaurimento nervoso da queste prolungate ronde notturne senz'altro costrutto che quello di ribadire agli occhi di tutti l'intramontabilità di Monelli. Egli non le porta a spasso. Le porta all'occhiello, come gardenie. (Monelli al girarrosto, p. 592) *{{NDR|Paolo Monelli}} Fuma la pipa come Churchill il sigaro, cioè soltanto quando lo guardano. (Monelli al girarrosto, p. 593) ==''I conti con me stesso''== ===[[Incipit]]=== Una telefonata da Milano m'informa che Longanesi è morto. È stato colpito dall'infarto davanti al suo tavolo di lavoro, su cui era spiegata una mia lettera di dieci giorni fa, che cominciava così: «Caro Leo, stanotte ho sognato ch'eri morto...». (27 settembre 1957) ===Citazioni=== *Tutta la mia vita è stata contesa fra la noia di vivere insieme e la paura di vivere [[Solitudine|solo]]. (4 ottobre 1957) *Di nuovo il Polesine. Pare impossibile: durante le inondazioni, la prima cosa che viene a mancare è l'acqua. (dicembre 1957) *[[Colette Rosselli|Colette]]. Invecchia gentilmente, senza catastrofi. Ha su tutte le altre donne un vantaggio incolmabile: quello di essere stata il mio ultimo e più grande amore. Così grande che possiamo camparci di rendita, comodamente, tutti e due per il resto dei nostri giorni. (gennaio 1958) *Il destino di [[Riccardo Bacchelli|Bacchelli]] sarà l'opposto di quello del maiale: di lui, dopo morto, ci sarà da buttar via tutto. (gennaio 1958) *[[Olga Villi]]. Non è punto grata alla sua bellezza che le ha consentito di diventare principessa di Trabia. Punta solo sul talento che non ha. Ma è talmente priva di ''sense of humour'' che forse diventerà una buona attrice. (gennaio 1958) *[[Gaston Palewski|Palewski]]. L'ambasciata a Roma è per lui soltanto uno dei più importanti capitoli del libro di memorie che scriverà. (gennaio 1958) *Non è che [[Luigi Barzini (1908-1984)|Barzini]] abbia un'altissima opinione di sé. Ne ha una bassissima degli altri. (gennaio 1958) *Piccolo incidente d'auto. La nostra, per evitare un ciclista, picchia contro un muro e resta piuttosto acciaccata. [[Colette Rosselli|Colette]], che la guida, dice: «Meglio così. Dovevo farla revisionare, e non mi decidevo mai...». (gennaio 1958) *[[Razzismo]]: pensarci sempre, parlarne mai. [[Risorgimento]]: parlarne sempre, pensarci mai. (gennaio 1958) *[[Fascismo]]. Il più comico tentativo per instaurare la serietà. (gennaio 1958) *Il guaio più grosso della Repubblica è che, mentre il Re poteva essere di sangue straniero e di solito lo era, il presidente bisogna sceglierlo fra gl'italiani. (gennaio 1958) *Bacchelli lavora infaticabilmente, da sessant'anni, alla costruzione di un piedestallo su cui, alla sua morte, non sapremo cosa posare. (gennaio 1958) *A pranzo da [[Vittorio Cini]] con una ventina di altri invitati. A colazione ne aveva avuti altrettanti. E così ieri. E così avantieri. E così sempre. A ottantadue anni suonati, è fresco, roseo, insaziabilmente voglioso di intrattenere e di essere intrattenuto. A conclusione della serata, mi sfida a una gara di canto. Scegliamo come banco di prova ''Vecchia zimarra'', e stoniamo maledettamente entrambi, ma io meno di lui. I presenti mi assegnano la vittoria. Di colpo, Vittorio perde il suo buon umore. È talmente abituato a vincere, che non accetta di perdere nemmeno nel canto. (7 settembre 1966) *{{NDR|Su [[Nicola Bombacci]]}} Io l'ho conosciuto soltanto cadavere, quando penzolava accanto a quello di Mussolini, in piazza Loreto, e una folla messicana lo bersagliava bestialmente di sputi. Anni dopo, volli tentarne la riabilitazione ritracciandone la patetica vicenda, ma non riuscii a trovarne gli elementi biografici. Compaesano e compagno di scuola di Mussolini, maestro elementare e autodidatta come lui, ne era stato il grande amico quando entrambi militavano nel socialismo. Eppoi il suo nemico giurato, la bestia nera degli squadristi. Esule con la famiglia prima in Francia, poi (credo) in Russia, rimpatria col permesso del Duce, si affida alla sua generosità, per ricambiarla gli resta al fianco anche a Salò, e lo accompagna fin nell'ultimo viaggio verso la morte. (23 ottobre 1966) *Colloquio segreto con l'ex comunista [[Giulio Seniga|Seniga]] per una storia del [[PCI|Pci]] che devo scrivere con [[Roberto Gervaso|Gervaso]] per la «Domenica». Ė un uomo piuttosto affascinante, dallo sguardo chiaro, freddo e innocente: lo sguardo del fanatico. Mi ha detto che sua moglie, cresciuta in Russia dove suo padre era fuoruscito, e autrice di un interessante libro – ''I figli del partito'' –, nel partito è rimasta, non ha trovato il coraggio di uscirne, sebbene approvi e condivida la secessione del marito, con cui è sentimentalmente unitissima. Non riesco a capire questa gente. Cioè capisco soltanto che è diversa da noi non sul piano ideologico, ma su quello umano. (25 novembre 1966) *È morto [[Uguccione Ranieri di Sorbello]]. Era venuto a Roma da sua suocera. Stava benissimo. Era anzi particolarmente sereno e contento perché aveva finito un suo lavoro di ricerca storica cui attendeva da anni. A fine pranzo ha detto: «Non mi sento bene». Si è alzato, ed è crollato a terra. Stecchito. (29 maggio 1969) *{{NDR|Su Uguccione Ranieri di Sorbello}} Era un gran signore e un gran galantuomo che ha trascorso la sua vita in crociate nelle quali non aveva nulla da guadagnare. L'ultima è stata la campagna propagandista negli Usa per convincere gli americani a dare il nome [[Giovanni da Verrazzano|Da Verrazzano]] al grande ponte sull'Hudson. Nel suo perfetto inglese (lo scriveva meglio dell'italiano) inondò l'America di articoli e conferenze (parlava benissimo, con molto humor e senza enfasi oratorie) cercando i familiarizzare gli ascoltatori col nome Da Verrazzano, la cui pronuncia rappresentava per essi la difficoltà più grossa all'adozione di quel nome. Questa smania missionaria credo che l'avesse ereditata da sua madre americana. E per seguirla aveva trascurato le sue proprietà terriere. Le sue campagne erano in uno stato pietoso, la sua bella villa sul Trasimeno mezza disunta. (29 maggio 1969) *{{NDR|Su Uguccione Ranieri di Sorbello}} Era un buon scrittore, un infaticabile sommozzatore di articoli, un ricercatore attento e scrupoloso di curiosità storiche, un umanista moderno che aveva allargato i suoi orizzonti a tutta la cultura contemporanea, specie anglo-sassone: un uomo insomma che ha realizzato un centesimo di quello che poteva per via di quel suo dispersivo correre dietro a un'infinità di altri interessi. Era stato anche un autentico combattente della [[Resistenza italiana|Resistenza]]: per ben sedici volte si era fatto paracadutare dagli Alleati dietro le linee tedesche: impresa che chiunque altro si sarebbe fatto ripagare con altrettante medaglie. Lui non aveva ricevuto nemmeno una citazione, e di questi episodi non ha mai parlato. (29 maggio 1969) *Anche [[Irene Brin]] se n'è andata. Mi avevano detto che era malata di un cancro; ma era una notizia vaga e incerta, ch'essa aveva fatto di tutto per smentire. Fino in fondo ha lavorato e ha partecipato ai riti della mondanità: sfilate di moda, ricevimenti, eccetera. (1 giugno 1969) *{{NDR|Su Irene Brin}} Quando [[Giovanni Ansaldo|Ansaldo]] la scovò e cominciò a farla scrivere sul «Lavoro» di Genova, sua città natale, era soltanto Mariù Rossi: una ragazza timida e incerta, molto provinciale, figlia di un Generale e di un'ebrea austriaca. L'unica fama di cui godeva era quella, equivoca e velata sotto un nome d'accatto, che le aveva procurato [[Elio Vittorini|Vittorini]] prendendola a protagonista, con sua sorella, di un racconto: ''Le figlie del Generale'' in cui entrambe erano presentate come lesbiche. Se lo fossero veramente, non so. Il sesso è uno dei tanti capitoli misteriosi di questa donna. (1 giugno 1969) *In mano a [[Leo Longanesi|Longanesi]], che le aveva regalato anche lo pseudonimo d'Irene Brin, aveva rivelato autentiche qualità di scrittrice. I profili che pubblicò su «Omnibus» erano deliziosi. Fosse rimasta fra biografia e memorialismo, poteva diventare qualcosa di mezzo fra [[Henri de Saint-Simon|Saint-Simon]] e [[Lytton Strachey|Strachey]] con un tocco alla [[Madame de Sévigné|Sévigné]]. Altro che la [[Maria Bellonci|Bellonci]]! Era un'osservatrice attenta (sebbene non ci vedesse da qui a lì) e penetrante, nutrita di vastissime letture: la sua prosa aveva ritmo, calore, l'aggettivazione precisa, l'ironia tagliente. Ma era un cavallo che aveva bisogno del fantino. Chiuso «Omnibus» e cessata la regia di Longanesi, Irene infilò la pista sbagliata – quella della cronista mondana –, e non è più uscita. (1 giugno 1969) *Finito di scrivere il capitolo sull'[[Giulio Alberoni|Alberoni]] per ''L'Italia del Settecento''. Ho riprodotto la pagina di [[Henri de Saint-Simon|Saint-Simon]], che lo descrive mentre assiste impavido alle evacuazioni corporali di Vendôme per guadagnarsene i favori, eppoi inginocchiandosi davanti a lui gli grida estasiato: «Oh, culo d'angelo!», e glielo bacia. Come inizio di "carriera" italiana, mi sembra esemplare. Poi mi torna a mente un'osservazione di [[Jules Renard|Renard]]: «Se in un periodo c'è la parola culo, il lettore non si ricorderà che di quella dimenticando tutto il resto, anche se è sublime». Renard ha ragione. Ma io, a un culo autenticato da Saint-Simon, non rinuncio. (3 luglio 1969) *Le Soroptimists hanno dato un pranzo a [[Colette Rosselli|Colette]], in qualità di "Donna Letizia". Colette ha accettato dopo molti rifiuti. Il suo fastidio per queste cose di donne, lo so, è sincero. Ma, una volta preso l'impegno, ha trascorso la giornata a preparare il suo discorsino col puntiglio che la distingue. Non è per nulla ambiziosa, non tiene affatto a reclamizzare il proprio talento, sottovaluta quello che mette nella sua rubrica di «Grazia» (ma se lo fa pagare profumatamente), rifiuta di fare una mostra dei suoi deliziosi quadri. Ma il suo suscettibilissimo amor proprio non le consente di rischiare una brutta figura nemmeno nelle cose che disprezza. Infatti anche stasera ne ha fatta una eccellente, leggendo con molto garbo le due paginette che aveva preparato con un sapiente dosaggio di humour autentico, e di pathos e di umiltà fasulli. Ha avuto gran successo. Per la prima volta mi son visto guardato come un personaggio-satellite, una specie di principe consorte. Cosa che a me non dispiace affatto, ma a lei moltissimo. In questo, è proprio femmina. (13 agosto 1969) *Mi riferiscono, di [[Giorgio Bocca|Bocca]], questo giudizio su di me: «Sempre il più bravo di tutti. Bravissimo. Troppo bravo. Ma mettendo lo stesso impegno a scrivere gli articoli su Venezia e quello sull'arbitro [[Concetto Lo Bello|Lo Bello]], dimostra che in realtà non è impegnato in nulla». È vero. Non sono impegnato in nulla. In nulla, meno che nel mio mestiere. Fiorentina-Bari 3-0. E Chiarugi capo-cannoniere! (16 novembre 1969) *Sciopero generale per il caro-case. Un pretesto da nulla. Ma è bastato per immergere Milano in un'atmosfera da 8 settembre. Strade vuote. Saracinesche abbassate. Enorme spiegamento di polizia. Mentre pranzo con [[Giovanni Spadolini|Spadolini]], [[Mario Cervi|Cervi]] e Zappulli, giunge notizia che in un tafferuglio al Lirico un agente è stato ucciso dai "cinesi". «Meno male che è toccata a un agente» diciamo in coro, eppoi non osiamo guardarci negli occhi. Anche noi apparteniamo a questa borghesia codarda che pretende appaltare alle forze dell'ordine il compito di farsi sputacchiare, pestare e ammazzare per tenerne al riparo se stessa. E non vuole nemmeno pagargli uno stipendio decente. (19 novembre 1969) *[[Alberto Moravia|Moravia]] ha fondato, insieme a [[Pier Paolo Pasolini|Pasolini]] e a [[Dacia Maraini]], un "comitato contro la repressione". È la riprova che la repressione non c'è. Se ci fosse, Moravia sarebbe coi repressori, come ha dimostrato avallando col suo silenzio la persecuzione di [[Aleksandr Isaevič Solženicyn|Solženicyn]] in Russia. (28 dicembre 1969) *Moravia si è ritirato dal comitato che lui stesso aveva fondato. Ma non per i silenzi di [[Giovanni Spadolini|Spadolini]]. Si è ritirato perché «l'Unità» ha disapprovato. Gl'italiani sono sempre pronti a fare la rivoluzione, purché i carabinieri siano d'accordo. E Moravia è sempre pronto a battersi per la libertà, purché sia d'accordo il piccì. (2 gennaio 1970) *Arrivati i rendiconti dei miei diritti d'autore: 28 milioni nell'ultimo semestre. Supero dunque i 50 milioni annui. Anche ammettendo che l'editore non ci faccia sopra punta cresta (il che mi sembra, a dir poco, improbabile), non c'è male. Credo di essere l'autore italiano che più guadagna, anche perché sono l'unico che questa cifra la guadagna ogni anno, e senz'aiuto di premi letterari. Non ne sono contento per il denaro, di cui non so che farmi e che serve solo a pagare i capricci di Colette (ne ha tanti!). Ne sono contento, anzi felice, per il mio status da autore stipendiato unicamente dal pubblico. C'è chi vive di partito. C'è chi vive di Eni. C'è chi vive di Agnelli, o di Perrone, o di Crespi. Io vivo di [[lettore|lettori]]. I lettori non m'impongono altra servitù che la sincerità: l'unica che non pesi. (3 marzo 1970) *Più che comunanza di vedute, fra [[Denis Mack Smith|Mack Smith]] e me c'è comunanza di nemici: quegl'insopportabili pedanti accademici che a Palermo lo hanno violentemente attaccato qualificandolo «il Montanelli di Oxford». Implicitamente egli accetta di far fronte con me contro di loro. Credo che facciamo entrambi un buon affare, e anche un affare buono: se riusciamo a squalificare agli occhi del pubblico la [[storiografia]] accademica (e coi nostri libri ci stiamo riuscendo), avremo reso un grosso servigio alla cultura italiana. (2 maggio 1970) *Sosta a Venezia, dopo il voto a Cortina. Visita d'obbligo a Vittorio Cini, e passeggiata con lui sulle Zattere. Vedendolo, un vecchietto sdrucito, ma dignitoso, si leva il cappello e gli tende la mano, evidentemente per mendicare. Vittorio gliel'afferra e gliela stringe con effusione dicendogli: «Caro!... Caro!... Caro!... Coma la va?» È in perfetta buona fede: la buona fede di un doge lontanissimo dalle afflizioni della miseria e perfino incapace di immaginare che ce ne siano. (8 giugno 1970) *Leggo in [[Giorgio Candeloro|Candeloro]]: «... Nel processo generale di sviluppo della Storia, il carattere dei personaggi, anche dei più grandi, ha un peso limitato...». Ah, sì? E cosa dunque se non il carattere di Alessandro, cioè la sua follia, può spiegare la conquista macedone fino all'India e la diaspora dell'ellenismo che ne deriva? L'Islam è concepibile senza il "carattere" di [[Maometto]]? E cosa divise la Riforma se non i diversi "caratteri" di [[Martin Lutero|Lutero]] e di Calvino? I nostri storici odiano i caratteri e i personaggi, perché questi richiedono immaginazione e intuito, cioè doti di scrittore, di cui essi sono disperatamente vedovi. Non sono storici. Sono soltanto degli archivisti, e molto spesso disonesti. (10 novembre 1970) *Milano è in fiamme per l'affare Feltrinelli, e [[Piero Ottone|Ottone]] mi chiede un articolo contro la [[Camilla Cederna|Cederna]], firmatario di un manifesto in cui, a due ore di distanza dal rinvenimento del cadavere e prima ancora che esso sia ufficialmente riconosciuto, proclama che Feltrinelli è rimasto vittima della «reazione internazionale». Se la Cederna avesse una testa, direi che l'ha persa. Ma perché Ottone vuole un articolo contro di lei, intima amica e direttrice di coscienza di [[Giulia Maria Crespi|Giulia Maria]], nonché regina del suo sinistrorso salotto? Comunque, a mettere una zeppa fra direttore e proprietaria, è doveroso collaborare. E faccio l'articolo in forma di "lettera a Camilla". (25 marzo 1972) *Pare che l'articolo abbia rimesso fuoco a Milano, creandovi una irreparabile frattura fra montanellisti e cedernisti. I primi sono più numerosi, ma i secondi più rumorosi. Ricevo pacchi di telegrammi di plauso e altrettanti d'insulti. Il giornale è sommerso di lettere, e io prego Ottone di pubblicare anche quelle di protesta. Ha scritto anche la Cederna annunziando una replica sull'«Espresso» (Ottone ha cancellato il titolo del settimanale, commettendo una meschineria). Quanto a Giulia Maria, mi dicono che schiuma di rabbia. Se è vero, devo riconoscere che il giornalismo qualche soddisfazione la dà. [[Umberto Eco]] mi attacca sul «manifesto» riproducendo una mia frase di ammirazione per Mussolini scritta quando avevo ventidue anni (in dieci anni di giornalismo sotto il defunto regime, non sono mai riusciti a trovare, di mio, altre prove di zelo fascista) e accusandomi di mancanza di cavalleria verso una donna. O bella! Come se una donna, quando si mette a far politica – e che politica! – come un uomo, potesse ancora accampare l'impunità! Anche la [[Maria Callas|Callas]] è una donna. Eppure, quando stona, la si fischia. (27 marzo 1972) *Ho scritto un fondo in difesa della Cederna, incriminata dal magistrato per aver diffuso notizie false e tendenziose. Che abbia commesso questo peccato, ho detto, è vero. Ma si tratta di peccato, non di reato. E a giudicarne dev'essere il lettore, non il tribunale. Verità lapalissiane. Dice che è sempre stata molto più impegnata e coraggiosa di me perché con le sue campagne in favore di Valpreda e di [[Giuseppe Pinelli|Pinelli]], tiene fronte alla polizia. Potrei incenerirla chiedendole dov'era e cosa faceva quando io ero in galera per aver tenuto fronte non alla polizia d'oggi, ma a quella fascista e nazista. Ma non ne vale la pena. (28 marzo 1972) *Più approfondisco questo tema delle regioni (sono a Milano per questo), e più mi sgomenta il doverne scrivere. Ci vuol poco a capire che questi regionalisti lombardi perseguono, consapevolmente o inconsapevolmente, un piano secessionista cisalpino. E, una volta che ne abbiano lo strumento, riusciranno a realizzarlo. Non per nulla Bassetti parla già non più di «regione lombarda», ma di «[[Padania|regione padana]]», di cui il resto d'Italia non sarebbe che un'appendice. Se ce la fanno (e ce la faranno), addio Risorgimento! Non era che una finzione, d'accordo, e in pratica ha fallito. Ma con che lo sostituiremo? (26 settembre 1972) *Volo a Lussemburgo sul solito bireattore di Berlusconi, che ci accompagna, felice di esibirsi e di esibire il suo status in una cerimonia internazionale. La medaglia d'oro (ma è proprio d'oro?) me la consegna Gaston Thorn, capo del governo lussemburghese. Berlusconi riempie il suo taccuino di indirizzi: quelli di tutte le personalità che ha incontrato. È il vero ''climber'' che approfitta di tutto e non butta via nulla. (23 maggio 1977) *Kappler è fuggito. Ha fatto bene. Ma ora chi ci salverà dai conculcati "valori della Resistenza"? (15 agosto 1977) *A colazione da [[Vittorio Cini|Cini]]. Ha avuto un brutto crollo, ma ha ancora risorse. Le tira fuori quando è in compagnia. Ma quando è solo, mi dice sua moglie, sprofonda in quei tetri silenzi che sono i colloqui di un uomo con la morte. (19 agosto 1977) *De Carolis m'informa che il vero autore della operazione «Corriere» è un certo [[Licio Gelli|Gelli]], misterioso personaggio massonico, di Arezzo (Fanfani), che vuole incontrarmi per un accordo fra i due giornali. (24 settembre 1977) *Secondo quanto mi era stato raccomandato, dovevo salire direttamente alla camera 219 dell'Excelsior. Ma alla camera 219 non c'era nessuno, e così dovetti chiedere al portiere del signor Gelli. Poi Gelli arrivò, mi condusse furtivamente nel suo appartamento e mi fece un lungo discorso pieno di allusioni, dal quale dovevo comprendere che lui è un pezzo grosso – forse il più grosso – della massoneria (Palazzo Giustiniani), che come tale era stato il vero padrino della operazione Rizzoli, e che in questa operazione potevamo rientrare anche noi. Mi ha detto che quattro ministri dell'attuale governo, otto sottosegretari e centoquaranta parlamentari dipendono da lui. Questi massoni sono tutti uguali: credono che la loro potenza sia direttamente proporzionale al mistero di cui si circondano e prendono per cose fatte quelle per le quali complottano. (4 ottobre 1977) *Da Fanfani, al Senato. È talmente infuriato che diventa perfino sincero. «Dica al suo amico che è un traditore!» «Perché non glielo dice lei?» Mi spiega che Forlani non mira alla segreteria del partito, come io credevo, ma alla presidenza del Consiglio, quando Andreotti sarà consumato. Mi dice anche che condivide l'idea di Donat-Cattin di lasciare il Quirinale a un laico. «Altrimenti fra noi democristiani ci sbraniamo e ci sbrachiamo nella corsa a chi concede di più ai comunisti.» È sincero anche stavolta, o lo dice perché, avendo perso ogni speranza per sé, vuole prepararsi un buon argomento per Maria Pia («Stavolta toccava ai laici»)? (29 ottobre 1977) *A cena da Gervaso con Cossiga. Non si lamenta dei nostri attacchi, ma sono io a dirgli: «Noi esprimiamo lo scontento, e talvolta la rabbia, della pubblica opinione. La gente vuole un ministro degl'Interni che agisca e che faccia agire la polizia». «Ma lei sa com'è ridotta la polizia?» «In qualunque modo sia ridotta, siete voi che l'avete ridotta così. E quindi sta a voi rimediare.» Mi dice che non c'è da farsi illusioni: la situazione si aggraverà. Il terrorismo è finanziato coi sequestri, ha solidi agganci internazionali, e segue una tattica ben studiata. «L'attentato a lei fu un errore. Se a essere colpite fossero le personalità di rilievo, la gente media, cioè la grande massa della popolazione, sarebbe tranquilla. Invece hanno deciso di colpire i gradi subalterni – consiglieri comunali della Dc, capireparto della Fiat eccetera – per togliere il sonno a tutti.» Forse è vero. (29 ottobre 1977) *Quattro revolverate in faccia a [[Carlo Casalegno|Casalegno]], che ora è grave. Alzano la mira. (16 novembre 1977) *«La Stampa» riporta tutti gli articoli di solidarietà per Casalegno apparsi sugli altri giornali. Ma omette il mio, ch'era forse il più caldo: la solidarietà nostra la imbarazza. (18 novembre 1977) *Casalegno è morto. Ho telegrafato alla vedova, ma non al figlio – iscritto a [[Lotta Continua|Lotta continua]] –, né a [[Arrigo Levi|Levi]] e ai colleghi della «Stampa». Purtroppo, la loro faziosità condiziona la nostra solidarietà. Al funerale andrà Biazzi. (29 novembre 1977) *Incontro risolutivo a Roma tra Ferrauto e quelli della Sipra. Affare fatto e a condizioni molto più favorevoli di quelle sperate. Sei miliardi e settecento milioni come minimo annuo garantito, per cinque anni. Firmeremo il compromesso martedì 16. (10 maggio 1978) *Vista in tv la cerimonia funebre per Moro in San Giovanni Laterano. Dentro la basilica, tutti i dignitari Dc e quelli Pci inginocchiati sotto la mano benedicente del papa. E, fuori, la piazza sventolante di bandiere bianche e rosse. Non ho potuto fare a meno di rilevarlo in un "Controcorrente". (13 maggio 1978) *Batosta comunista alle amministrative parziali di ieri (4.000.000 di elettori). La Dc sale dal 38 al 42 per cento, il Pci scende dal 35 al 26. Successo dei socialisti che guadagnano il 4 per cento. Un risultato sconvolgente (in positivo). Uniche delusioni: il guadagno – sia pur minimo – del Pri, e la mancata rianimazione del Pli. (15 maggio 1978) *Firmato oggi l'accordo con la Sipra. Minimo garantito: 6.800.000.000 all'anno per cinque anni. Il presidente, D'Amico, è un ex operaio della Fiat, ora deputato comunista: un uomo concreto, franco, di poche parole. Era più soddisfatto lui dell'accordo con noi, che il direttore generale, il democristiano Pasquarelli. Io ho fatto la mia parte, da buon attore. Arrivato all'ultimo momento, ho detto: «Per impedire ripensamenti ed equivoci, trasformiamo il compromesso in vero e proprio contratto, e firmiamo subito». Lo champagne era già pronto. (16 maggio 1978) ==''I protagonisti''== *Nel settembre di quell'anno {{NDR|1956}} il partito lo spedì {{NDR|[[Gian Carlo Pajetta]]}} a Mosca insieme a Pellegrini e a [[Celeste Negarville|Negarville]] per sentire direttamente da [[Nikita Sergeevič Chruščёv|Kruscev]] come ci si doveva comportare nella crisi, ormai aperta, dell'antistalinismo. Kruscev li accolse affabilmente, li invitò a cena. E qui, trascinato da bocconi e libagioni ad una espansiva euforia come spesso gli capita, a un certo punto disse: «Beh, ora vi voglio raccontare come strangolammo [[Lavrentij Pavlovič Berija|Beria]]». E descrisse l'agguato che gli avevano teso al Cremlino, come gli erano saltati addosso e come gli avevano serrato la gola con le mani fino alla soffocazione. Lo descrisse ridendo allegramente, forse senz'accorgersi del pallore che soffondeva il volto dei suoi ospiti, o per lo meno quelli di Pajetta e di Negarville.<br />L'indomani li convocò nuovamente e, come non ricordando affatto ciò che gli aveva raccontato la sera prima, disse loro in tono solenne: «Beh, ora vi farò sentire il processo di Beria registrato sul nastro». E glielo fece sentire davvero come lo avevano inventato ''post mortem'', con la voce del defunto falsificata.<br />Quando si ritrovarono fra loro, Negarville e Pajetta si guardarono con gli occhi pieni di lacrime. «Ma allora – dissero –. Ma allora...». E non aggiunsero altro. (pp. 66-67) *{{NDR|Su [[Anna Magnani]]}} Ci sarebbe da scrivere un trattato sul modo di usare Anna. La prima precauzione da prendere è quella di non farla ritrovare in mezzo a estranei. Timida com'è, pur dopo un'esistenza trascorsa sotto i ''flashes'', la gente la raggela e la chiude in un mutismo ostile o l'aizza ad atteggiamenti protervi. Delle poche persone che le ho presentato, l'unica che la sedusse immediatamente fu il mio collega [[Augusto Guerriero]], perché il discorso cadde sui cani e sui gatti: e questo è un argomento su cui il cuore di Anna si scioglie e la mente le si ottenebra. Si mise in testa che noi due, con un articolo, potevamo far riformare la legge sulla protezione degli animali. E invano cercammo di dimostrarle che il problema non era di leggi, ma di costume. Non sentì ragioni. Dovemmo prometterle l'articolo (che poi infatti scrivemmo). (pp. 177-178) *{{NDR|Su [[Ignazio Silone]]}} Leggendo i suoi primi romanzi, ''Fontamara'', ''Pane e vino'', ''Il seme sotto la neve'', e pur ammirandoli, ero caduto in abbaglio sull'autore. Lo avevo preso per uno di quegl'industriali dell'antifascismo che, riparati all'estero, avevano trovato nella universale avversione alla dittatura una comoda scorciatoia al successo dei libri di denunzia. Lo consideravo insomma un profittatore del regime a rovescio (come del resto ce ne sono stati). E una conferma mi era parso di vederla nel fatto che finito, col fascismo, l'antifascismo, parve finito anche il narratore Silone.<br />Poi vennero ''Una manciata di more'', ''Il segreto di Luca'', ''La volpe e le camelie''. Ma vennero soprattutto alcuni saggi politici che mi costrinsero a ricredermi. Ed era proprio questo che non riuscivo a perdonargli. Mi era antipatico non per i suoi, ma per i miei errori. Più lo conoscevo attraverso i suoi scritti, e più dovevo constatare che non solo egli non somiglia affatto al personaggio che m'ero immaginato, ma che anzi ne rappresenta la flagrante contraddizione. (pp. 180-181) *{{NDR|Su ''[[Ignazio Silone#Uscita di sicurezza|Uscita di sicurezza]]''}} Come documento umano, non ne conosco di più alti, nobili e appassionati. Fenomeno unico, o quasi unico, fra gli sconsacrati del comunismo che di solito non superano mai più il trauma e trascorrono il resto della loro vita a ritorcere l'anatema, Silone non recrimina. Egli rifiuta i grintosi e uggiosi atteggiamenti del moralista, o meglio ne è incapace. Domenicano con se stesso, è francescano con gli altri, e quindi restio a coinvolgerli nella propria autocritica. Cerca di metterne al riparo persino [[Palmiro Togliatti|Togliatti]]; e se non ci riesce che in parte, non è certo colpa sua. Qui non c'è che un accusato: Silone. E non c'è che un giudice: la sua coscienza. (pp. 186-187) *Noi crediamo di scoprire dei modelli. In realtà non scopriamo che degli antenati. [[Carlo Cassola|Cassola]] s'illude di aver imparato da [[James Joyce|Joyce]] quello che già sapeva. Joyce gli avrà fornito, al massimo, qualche mezzo tecnico per esprimerlo. Uno [[scrittore]] vero (e Cassola lo è) non cerca in un altro scrittore che se stesso. (p. 207) *{{NDR|Su [[Enrico Mattei]]}} Egli amava solo il [[potere]], e l'amore del potere esclude tutti gli altri. (p. 265) *{{NDR|Su [[Giulio Andreotti]]}} Andava anche, mi dicono, a messa insieme a lui {{NDR|[[Alcide De Gasperi|De Gasperi]]}}, e tutti credevano che facessero la stessa cosa. Ma non era così. In chiesa, De Gasperi parlava con Dio; Andreotti col prete. Era una divisione di compiti perfetta. (pp. 271-272) ==''Indro al Giro''== ===[[Incipit]]=== Il destino è stampato sulla carta d'identità e scritto nelle stelle. Indro Montanelli nasce il 22 aprile 1909, il primo Giro d'Italia prende il via il 13 maggio 1909. Stesso anno, stesso segno zodiacale: Toro. Potevano, queste due creature quasi gemelle, non percorrere un tratto di strada insieme? Potevano ignorarsi? ===Citazioni=== *Come i bersaglieri quando smettono di correre, così i ciclisti, quando cessano di pedalare ingrassano. *Il [[Giro d'Italia]] parla milanese, anche se poi, a vincerlo, è qualche toscano o qualche romagnolo. *I corridori sono come [[Anteo]]: il contatto con la loro terra gli dà forza. *Ma sapete voi con precisione che cosa sia una fuga, lo sapete? Non lo sapevo nemmeno io prima di vederla. Credevo che fosse l'uomo che, a un certo punto, si mette a pedalare più forte degli altri e li semina per via. Errattissima nozione. La fuga è invece un grande urlo e un gesto disperato che mettono d'improvviso in confusione tutta la carovana del Giro. *Quello della bicicletta è un mondo buono: e credo sinceramente che venga da questa bontà il fascino ch'esso esercita sulle folle. *Lasciatelo com'è questo Giro provinciale e festoso: lo sport di un popolo che, nella corsa verso il progresso meccanico, è rimasto alla bicicletta, tappa intermedia fra il cavallo e l'automobile, ritrovato artigiano e arnese di famiglia. *Se Parigi avesse il mare sarebbe una piccola Bari, ma non saprebbe accogliere i forestieri con tanto calore e sportiva cordialità. *Leoni, che oltre a tutto è un bellissimo ragazzo, ha una fidanzata la quale gli scrive raccomandandogli di non vincere, altrimenti troppe ragazze lo abbracciano porgendogli i fiori. Leoni è innamoratissimo della sua fidanzata ma non è certo per obbedire a lei che non vince. È solo per obbedire a [[Fausto Coppi|Coppi]] e restargli a fianco. *Gli assi possono permettersi di arrivare ultimi. E lo fanno senza risparmio. Possono permettersi di disprezzare i loro adoratori e lo fanno senza ritegno. L'adorazione rimane. *I corridori di bicicletta sono gente semplice, che non è mai stata in collegio. [...] Nessuno ha insegnato loro i dettami dello stile e della cavalleria. Li posseggono per natura. Difficilmente essi cercano di sminuire la vittoria dell'avversario e non gliene serbano rancore. Sono capaci di delicatezze che non credo esistano negli altri sport. *I corridori non si dovrebbero sposare; e, quando lo fanno, dovrebbero scegliere delle donne brutte. *È la specialità dei padri quella di sognare per i figli i trofei che loro non convengono, ed è la specialità dei figli quella di procurarsi trofei che ai loro padri non piacciono. ==''Le nuove Stanze''== *Ribadisco la mia avversione alla pena di morte. Ma non me la sento d'impartire lezioni a chi tuttora la pratica. Non mi pare che, con la Giustizia che ci troviamo in casa, noi italiani possiamo impartire lezioni agli altri. (p. 46) *Toglietevi la parrucca, cari storici italiani. E invece di continuare a parlarvi tra voi, parlate, andando incontro alle sue curiosità, alla gente comune, quella che ha più bisogno del vostro sapere, e che sa benissimo distinguere il volgare pettegolezzo dall'aneddoto illuminante, di cui gli storici stranieri, soprattutto inglesi, compreso [[Denis Mack Smith|Mack Smith]], sanno fare buono e largo uso. (p. 81) *Io non sono piemontese né savoiardo, e la tradizione della mia famiglia è, caso mai, repubblicana. Ma la verità sono abituato a rispettarla, e non ad accomodarmela secondo i miei gusti e pregiudizi. Nel '46 votai monarchico non perché ero amico di Umberto e di Maria José, che sarebbero stati un Re e una Regina esemplari. Ma perché capivo ch'essi rappresentavano l'unico filo che ci legava all'unica nostra tradizione nazionale: il Risorgimento. La rigiri come vuole [...] ma la verità è questa: che senza Risorgimento non esiste una Storia nazionale italiana, e senza i Savoia non esiste Risorgimento. Ecco perché io dico e ripeto che la Repubblica italiana può tenere i Savoia [...] fuori dal territorio italiano. Ma chi tenta di estrometterli dalla Storia d'Italia, se non è un analfabeta è certamente un falsario. (pp. 112-113) *{{NDR|[[Luigi Cadorna]]}} Fu un generale di grande e inflessibile carattere, ma non un grande stratega. La sua fu dal primo all'ultimo giorno una guerra «di posizione», e quindi di logoramento, muro contro muro. Una «manovra» non la tentò mai, anzi non la concepì nemmeno. Stava [...] al «Regolamento», secondo il quale «le battaglie si vincono sulle cime». Sicché quando arrivò un battaglione tedesco al comando di un giovane capitano di nome Rommel che [...] s'insinuò nottetempo nelle valli, tutto il nostro schieramento ne venne preso alle spalle, e si liquefece, consentendo a Rommel di arrivare fino al Piave, dove si fermò: non per la resistenza dei nostri [...] ma per la mancanza di rifornimenti e di munizioni, che non avevano fatto in tempo a seguirlo. (pp. 118-119). *Quanto alla somiglianza fra noi e gli spagnoli, sì, c'è. Io, in Spagna, mi sento come a casa mia. Una sola cosa ci trovo in più: una dimestichezza con la morte che dà ai valori della Vita (la Dignità, il Coraggio, l'Onore) un peso ben diverso da quello che hanno da noi. E glielo invidio tanto. (p. 157) *Quanto alla sua supposizione che, se non ci fossero stati i russi, gli Alleati non avrebbero potuto sbarcare in Normandia e salvare i loro regimi democratici, mi permetta di sorriderne. Hitler perse la [[Seconda guerra mondiale|guerra]] prima ancora di dichiararla, quando scatenò la persecuzione razziale, che mise il mondo di fronte alla pretesa della sua «razza eletta» al dominio del pianeta e costrinse alla fuga il fior fiore della Scienza ebraica, che diede all'America la bomba atomica, la quale avrebbe reso superfluo anche lo sbarco in Normandia. (pp. 177-178) *In [[Alessandro Pavolini|Pavolini]] [...] è riassunto il dramma di una generazione che nel fascismo era cresciuta [...] e si sentiva impegnata a crederci anche in quell'ultima disperata fase. In lui ritrovo un po' di quel [[Berto Ricci]] [...] che, partendo volontario per la Libia, mi disse: «Una volta, nella vita, ci si può convertire. Io già lo feci rinnegando, per il fascismo, il mio passato di anarchico. Ora col fascismo devo morire». E morì. (p. 192) *Come lei certamente sa, furono i russi a giungere per primi sul famoso bunker di Berlino, fra le cui macerie si diedero subito a cercare il cadavere del Fuhrer, e lo trovarono, ma quasi completamente carbonizzato (egli aveva lasciato ai suoi l'ordine di bruciarlo con una tanica di benzina). D'intatto era rimasto solo il teschio con la sua dentatura costellata di ponti e protesi. Immediatamente fu ricercato e trascinato sul posto l'odontoiatra che glieli aveva sistemati. Dapprima gli fu chiesto in cosa erano consistiti i suoi interventi. Poi vi fu messo davanti, e lui li riconobbe senza esitazioni. Quel giorno il poveretto non tornò a casa. Dopo alcuni anni si seppe che esercitava il suo mestiere in non so quale città di provincia russa, ma sotto stretto controllo della polizia. Dopo qualche altro anno poté tornare in Germania, ma in [[Repubblica Democratica Tedesca|quella comunista]], sotto il controllo di una polizia ancora più efficiente di quella sovietica, e lì morì, non so quando. Perché i sovietici vollero sempre mantenere quel segreto? Perché alla loro propaganda [...] faceva comodo accreditare la favola di un Hitler salvato dagli americani, che lo tenevano sotto naftalina in qualche loro dorato ripostiglio per poterlo un giorno utilizzare in una nuova guerra contro la Russia. (pp. 257-258) *Da anticomunista, oserei dire «storico» quale mi considero, io sono pieno di rispetto sia per i Nagy nostrani quali i D'Alema e i Veltroni, che per i Kádár, quali i Cossutta e i Diliberto. Non so se come classe dirigente siano il meglio. Ma come sincerità di conversione democratica, ci credo (come credo, intendiamoci, a quella di un Fini, anche se viene da un passato molto meno intenso, drammatico e dilacerante di quello comunista). (p. 306) *{{NDR|A [[Mario Tuti]]}} Ho ben presente [...] il suo nome e il suo volto, e le azioni terribili che lei ha compiuto. [...] Da come scrive [...], lei è in grado di capire [...] quello che dico. È vero che «sul nemico vinto non si infierisce»: ma il sangue non si cancella con la gomma delle parole. Solo le vittime possono concedere il perdono; e io non sono stato, fortunatamente, davanti al mirino della sua pistola. Solo la giustizia può concedere sconti: e io non sono un magistrato. Non ho invece difficoltà a condividere una sua osservazione: alcuni disgraziati [...] sono più disgraziati di altri. E [...] i disgraziati di destra se la passano peggio dei disgraziati di sinistra, che hanno di solito qualche amico di gioventù ben piazzato, in grado di dare una mano. Ma il perdonismo peloso di alcuni non può giustificare la distrazione di tutti. (p. 322) *[[Yasser Arafat|Arafat]] non ha mai avuto né uno Stato, né un esercito, né un titolo che lo qualificassero a parlare a nome del suo popolo. Erano il carisma, l'autorità, il prestigio suoi personali che gli permettevano di svolgere questo compito. Ma questo dipendeva dal fatto che il suo popolo glieli riconosce in quanto si sente da lui «rappresentato». [...] Io sono e mi sento profondamente filo-israeliano perché negli ebrei riconosco i miei fratelli e in molte cose anche i miei maestri (anche se non sempre facili). Ma appunto per questo apprezzo ed ammiro gli Hussein, i Sadat e gli Arafat. Ai quali si possono anche rimproverare degli errori nella conduzione della loro politica. Ma non certo le intenzioni e il coraggio. Arafat è brutto [...] e non so come facciano i suoi amici (e i suoi nemici) [...] a ricambiarne i baci. Ma di quelli suoi credo proprio che ci si possa fidare. Che Dio, anzi Allah, ce lo mantenga ancora per molti anni. (pp. 387-389) *Come veterano del ''Corriere'' e un po' depositario della tradizione di una certa civiltà nei rapporti fra i suoi uomini, io rimasi offeso non dal licenziamento di Spadolini [...] ma dall'insolito modo – che io definii appunto «guatemalteco» – in cui era stato trattato e da cui trapelava la mano di un [[Giulia Maria Crespi|editore]] che, anche se portava il nome di quello vecchio [...], intendeva introdurre nuove regole nella gestione del giornale, di cui era praticamente diventata [...] la titolare. E lo dissi, e lo scrissi, e lo ripetei in varie interviste. Forse tuttavia questo strappo si sarebbe potuto rammendare se il cambiamento del direttore non avesse comportato anche un cambiamento di linea politica che saltava agli occhi di chiunque non volesse tenerli chiusi. [...] Quando dal ''Giornale'' uscii per ragioni abbastanza analoghe a quelle che mi avevano spinto fuori da via Solferino, il primo a venirmi incontro fu il direttore del ''Corriere'', Paolo Mieli, che [...] mi offrì il suo posto: un gesto che non dimenticherò mai. Avrei potuto [...] accettarlo solo a titolo onorario. Ma non potevo abbandonare gli uomini che ancora una volta mi avevano seguito. Da quel momento però fu chiaro che il ''Corriere'' era ridiventato quello che noi, vent'anni prima, avremmo voluto che restasse. Ecco perché, al termine delle mie battaglie e delle mie sconfitte (che considero il mio blasone), sono tornato al ''Corriere''. (pp. 406-408) *I politici della Sinistra, compresi i componenti dell'attuale «squadra» governativa sono dieci, venti, cento volte meglio della loro ''intellighenzia''. Anche se dicono fregnacce, le dicono a bassa voce, senza salire in cattedra, di dove l'''intellighenzia'' invece non scende mai, nemmeno per andare in bagno. (pp. 477-478) *Spero che ora avrai capito cos'è la mia dichiarazione di voto: non un sì all'Ulivo, da cui spero poco, ma in compenso non temo niente; ma il no a un Polo che, se riportasse davvero la schiacciante vittoria che si aspetta il suo ''Caudillo'', potrebbe creare nel nostro Paese una situazione davvero inquietante. Un voto di difesa sarà dunque il mio, come lo è sempre stato da oltre cinquant'anni a questa parte. (p. 496) *Sappi soltanto che, passato per una ventina di anni – quelli del ''Giornale'' – per «fascista» e negli ultimi dieci per «comunista», me la rido di entrambe le etichette. (p. 536) ==''Le Stanze''== ===[[Incipit]]=== Di tutta la mia attività giornalistica [...] considero questi colloqui col lettore come l'impegno che mi è riuscito meglio, o meno peggio. Se qualcuno mi chiedesse: «Cosa vorresti che, dopo di te, di te rimanesse?», risponderei senza esitare: «Questi colloqui». Mi rendo conto che un'affermazione del genere può apparire demagogica: in fondo, perché dovrei preferire queste risposte quotidiane [...] alla ''Storia d'Italia'' o agli ''Incontri''? È presto detto: perché, grazie a lettere e risposte, ho potuto restare vicino ai miei lettori, che mi hanno ricordato – con più o meno garbo, ma sempre con affetto – quello che un giornalista non deve mai scordare: che i padroni sono loro. ===Citazioni=== *Io non ho mai conosciuto un conservatore inglese che abbia mosso a Churchill il rimprovero di essersi alleato con Stalin – altro che il naso dovette strizzarsi! – quando le armate di Hitler spazzavano tutta l'Europa. Ma trovo ancora degl'italiani [...] che danno la colpa a me dello stato di necessità in cui ci trovammo nel '48 e nel '76 e che rendeva obbligata la nostra scelta. Oggi che il muro di Berlino ci ha liberato dall'incubo del comunismo [...], è facile fare processi a chi non aveva in mano altra arma elettorale che il voto alla Dc. Ed una cosa mi chiedo: tutti questi intransigenti eroi dell'anticomunismo, che oggi mi scrivono lettere d'insulti accusandomi di averlo tradito, dov'erano al tempo del comunismo vero, quando io ero uno dei pochissimi a combatterlo di fronte [...], e loro, incontrandomi per strada, fingevano di non conoscermi? (p. 12) *Hiroshima, se fossi americano, non porrebbe [...] nessun caso di coscienza. L'arma atomica era in fase di studio e di preparazione sia in Germania che in America, e si poteva supporre che lo fosse anche in Russia e in Giappone. Avrebbe vinto la guerra e deciso le sorti del mondo chi ci fosse arrivato per primo. Hiroshima fece della popolazione civile, dicono, duecentocinquantamila vittime. Quante ne risparmiò inducendo alla resa i giapponesi che sembravano vicini all'olocausto? E quanto servì a smorzare la pretesa sovietica d'imporre il suo «diktat» a tutta l'Europa? [...] Essa a tal punto sorprese Stalin che dapprincipio non ci volle credere [...]. Nessuno può applaudire un massacro come quello di Hiroshima né andarne fiero. E posso capire come coloro che vi hanno partecipato dandone l'ordine o eseguendolo possano aver avuto dei problemi di coscienza. Ma gli aviatori inglesi che rasero al suolo l'inerme Dresda abitata solo da civili, facendo tra di loro pressappoco lo stesso numero di vittime che a Hiroshima, questi problemi, da quanto se ne sa, non li ebbero. Forse che la guerra all'atomo è più crudele di quella al fosforo? (p. 62) *De Gasperi non fu mai uomo di partito. E fu proprio per questo che riuscirono ad emarginarlo con tanta facilità, relegandolo in una Presidenza grondante omaggi ed ex voto, ma priva di qualunque potere reale. È vero che lui non lottò, anche perché era ormai a corto di fiato. Glielo toglieva non solo l'azotemia, ma anche il fallimento della Ced, la Comunità Europea di Difesa su cui De Gasperi fondava [...] i suoi sogni di salvezza e di grandezza europea, che i francesi di Mendès-France condannarono al naufragio. [...] De Gasperi era uomo di Stato, l'ultimo che l'Italia ha avuto dopo Giolitti. Ecco perché [...] non ha né può avere eredi. (p. 86) *{{NDR|[[Che Guevara]]}} Era uomo di Rivoluzione, che mai si sarebbe rassegnato ad una comoda esistenza di ben pasciuto gerarca. Doveva tornare alla Rivoluzione, pur consapevole della sua impossibilità in Paesi che lui ben conosceva, ma appunto proprio per questo: per cercare una morte coerente con la sua vita. [...] Avessi trenta o quarant'anni di meno, anch'io forse avrei nel mio modesto appartamento una stanza attrezzata a mausoleo del Che, e lo conserverei come souvenir di un Sogno sbagliato, ma pulito, e comunque pagato. È a coloro che non vogliono mai pagare nulla che va tutto il mio disprezzo. (p. 121) *Non mi stupirei [...] se il ragazzotto Clinton, nei suoi anni da governatore, avesse ingannato la noia dell'Arkansas inseguendo le minigonne di passaggio. [...] Il paragone con Berlusconi mi sembra un po' stiracchiato. Se Clinton venisse trovato colpevole, sapremmo che è un adultero (affari suoi); se Berlusconi venisse condannato, sapremmo che è un corruttore non occasionale (affari anche nostri, dal momento che s'atteggia a statista). (p. 154) *Mi permetto solo di aggiungervi qualcosa sull'imbecillità, l'ipocrisia e i vaniloqui delle nostre «anime belle» pronte a cadere in deliquio e a mobilitare le piazze per un O'Dell che, anche se qualche tenue dubbio sulla sua colpevolezza poteva sussistere, uno stinco di santo certamente non era, e per una Karla Tucker, rea confessa, anche se poi arcipentita e sinceramente convertita al credo della carità cristiana (e, sia chiaro, anch'io avrei per entrambi preferito la revoca della pena di morte); ma sono rimaste impassibili o quasi di fronte alla proposta condanna di lapidazione (di lapidazione!) di un cittadino tedesco e della sua compagna iraniana, rei di aver fatto l'amore (soltanto l'amore). Queste sono le nostre «anime belle» laiche ed ecclesiastiche, pronte a commuoversi e a sproloquiare contro la sedia elettrica americana [...], ma indifferenti alla lapidazione [...] per una «contaminazione» di lenzuola cristiane e musulmane. Io [...] queste anime belle – che oltre tutto hanno quasi sempre delle facce bruttissime e jettatorie – le odio di un odio viscerale. (p. 206) *Sul nemico vinto e che si riconosce vinto non s'infierisce. In fondo questi brigatisti hanno avuto, nella sconfitta, una loro dignità. Non sono dei «pentiti» al modo dei mafiosi e camorristi che si pentono per procurarsi dei vantaggi e denunziano i propri ex compari. Non sono dei delatori. Sono, a loro modo, dei prigionieri di guerra, di una guerra grazie a Dio finita con la nostra vittoria, e che quindi, sia pure con le debite precauzioni, possiamo rimandare a casa. Non è vero che non hanno pagato: me ne citi uno che non abbia scontato quindici o vent'anni di galera e che non ne abbia distrutta la vita. Qualche sconto possiamo farglielo: la generosità è segno di forza, non di debolezza. (pp. 283-284) *In una società «aperta» come la nostra, che rende impossibile qualsiasi controllo e in cui il sequestro è un'industria di antica tradizione che dispone di un personale altamente specializzato; e con una Giustizia che invece di affibbiare un ergastolo senza indulgenza ai colpevoli, si accontenta di infliggergli qualche anno alleviato dai permessi di libera uscita; cosa possono fare le forze dell'ordine? Starebbe a noi cittadini trovare quella di resistere al ricatto. Da noi italiani tenerelli non si può pretendere tanto? E sia. Ma allora abroghiamo la legge. Perché, come italiano, nulla mi ha mortificato di più che sentire [...] [[Giovanni Maria Flick|un ministro della Giustizia]] e alcuni dei più alti dignitari della toga proporne un'interpretazione che costituiva un chiaro invito a evaderla suggerendo il cavillo a cui ci si poteva aggrappare per legalizzare la contravvenzione. [...] No, a questo non ci sto. Cerchiamo almeno di avere il coraggio della nostra vigliaccheria riconoscendo che, dati i pericoli che possono comportare, i risoluti «No!» al sopruso non appartengono al nostro armamentario caratteriale, e aboliamo la legge. Ma non perché è sbagliata: in sé quella legge è sacrosanta. Ma perché noi cittadini non abbiamo la forza di adeguarcisi e coloro che dovrebbero imporcerne l'osservanza [...] ci suggeriscono il modo di evaderla. Questo è il cosiddetto «Paese reale». (p. 286) *Che un processo possa essere oggetto di revisione è, per il cittadino, una garanzia irrinunciabile, specie quando si tratta di processi indiziari, e quindi rimessi a valutazioni soggettive e pertanto sempre discutibili. Nessuno è infallibile, nemmeno i giudici, e quindi il diritto di appello è sacrosanto. Quello che sacrosanto non è, sono gl'interminabili tempi che questa operazione solitamente richiede, dovuti a due motivi chiaramente visibili: i grovigli procedurali in cui il processo è avvolto, delizia del genio cavillesco italiano, e l'inefficienza del personale che vi è addetto. (p. 327) *Che cosa io pensi dell'onorevole [[Cesare Previti|Previti]] mi pare di averlo detto in termini talmente espliciti da apparire – a più d'uno – brutali: un personaggio che solo a guardarlo in faccia verrebbe voglia di applicargli le manette ai polsi prima ancora di sapere chi è e cosa ha fatto. (p. 356) *Non credo che, all'apertura totale delle frontiere, avremo un Parma composto soltanto di irlandesi, o una Cremonese modello ellenico. Avremo invece un vero mercato, dove il costo e lo stipendio di un professionista verranno stabiliti in base alla domanda e all'offerta. È questo ridimensionamento, mi sa, che non piace ai calciatori nostrani. Non la «sottoutilizzazione delle risorse sportive nazionali e locali». Non penso che i nostri calciatori abbiano altri motivi di preoccuparsi. Perché mai dovrebbero venire accantonati? Sono tra i più bravi del mondo, e la bravura, per un professionista (che calci una palla o calchi una scena), è la garanzia migliore. (p. 379) *Le mie dimissioni da italiano sono soltanto quelle da una grande illusione: quella che l'Italia fosse una Patria da potere in qualche modo servire. Io, pur commettendo parecchi errori, ho cercato di farlo. Ma forse, di questi errori, il più grosso è stato quello di credere che fare si potesse. A consolarmene c'è una cosa sola: che questo errore lo hanno commesso tutti i migliori uomini che l'Italia ha avuto nel suo secolo e mezzo di vita unitaria. (pp. 410-411) ==''Pantheon minore''== ===[[Incipit]]=== '''Einaudi'''<br>Avendo saputo che sollecitavo l'onore e il piacere di incontrarlo, il Presidente, che non mi aveva mai visto, trovò del tutto naturale invitarmi a colazione. «Quando vuol venire?» mi fece chiedere, «giovedì mattina, per esempio?» Giovedì voglio stappare una nuova bottiglia del mio 'barolo' e ci sarà anche la signorina Barbara Ward dell{{'}}''Economist''. Vino piemontese, giornalismo ed economia politica, pensa: sarebbe difficile sorprendere [[Luigi Einaudi|Einaudi]] in una cornice più einaudiana di questa. ===Citazioni=== *{{NDR|Luigi Einaudi}} E in quei pochi minuti aveva ancora tante cose da dire a due giornalisti per ricordare loro, [[Alessandro Manzoni|manzonianamente]], che l'[[uomo]] è «buono», come dice [[Jean-Jacques Rousseau|Rousseau]], ma tale può diventare solo in grazia delle buone istituzioni (in ciò consiste la sua posizione conservatrice e cattolicamente pessimistica). *[[Ingrid Bergman]] è forse la sola persona al mondo che non consideri Ingrid Bergman un'attrice completamente riuscita e definitivamente arrivata. (p. 195) *Non ho mai visto in vita mia, nemmeno nei film di cui la Bergman è protagonista, una donna così trasparentemente pulita. (p. 195) *Ogni buon [[padre]] di [[famiglia]] deve, al principio della giornata, sapere quanto la famiglia ha in cassa e quanto può spendere.<br>Einaudi conosce a memoria le cifre dell'economia italiana, come i re che lo precedettero conoscevano a memoria i nomi e i motti dei reggimenti. *«''Venez, mademoiselle, venez''», disse [[Anatole France]] a [[Emma Gramatica]] che, poco più che ventenne, si trovò un giorno a viaggiare con lui in automobile a Palermo, e aveva paura di essere troppo ingombrante sul sedile. «''Vous êtes comme les anges, qui n'ont pas de derrière!''»<br>Qualcosa come mezzo secolo dev'esser trascorso da allora, ed Emma somiglia un po' meno a un angelo, ma grassa non la si può dire nemmeno adesso. La vita che mena, d'altronde, non lo consentirebbe di diventarlo. Alla sua età, ha girato per tre anni consecutivi, tutti i teatri dell'America del Sud, volando da Buenos Aires a Santiago, da Santiago a Lima, da Lima a Caracas, e recitando una sera in italiano e la sera dopo in spagnolo, lingua che, sino al momento di partire, ignorava totalmente. Ora è tornata per girare un film con [[Vittorio De Sica|De Sica]], e sono fatiche a cui molti giovani non resistono. *Il [[fascismo]] trovò, tra i suoi oppositori più accaniti, [[Mario Missiroli]], che si batté a duello con [[Benito Mussolini|Mussolini]]. Egli non credette alla [[forza]] e al successo delle «camicie nere» fino al [[giorno]] in cui, mentre cercava faticosamente di salire sul tram, uno squadrista che lo incalzava, dopo avergli inflitto una serie di spintoni, non gli ebbe affibbiato, in risposta alle sue proteste, due sonori schiaffi che gli fecero volar via gli occhiali cerchiati d'[[oro]]. Mario li raccolse con [[dignità]], vi fiatò sopra, li ripulì col fazzoletto e concluse in tono ammirativo: «Però!... Picchiano bene, veh!...» ==''Qui non riposano''== *{{NDR|Sulla [[guerra d'Etiopia]]}} Quella fu una guerra ideale, la guerra-tipo della borghesia italiana: con pochi morti e molte medaglie. Io presi a capirne la miseria solo all'ultimo capitolo: quando, per la marcia su Addis Abeba, cominciarono a piovere dall'Italia e da Asmara gerarchi e aspiranti gerarchi, smaniosi di gloria a buon mercato: e Badoglio dovette emanare un ordine per cui solo chi presentava "un biglietto di autorizzazione" poteva marciare sulla capitale nemica. Solo in tempo fascista si poteva escogitare un finale di guerra con un biglietto per la capitale nemica. (pp. 107-108) *Io non volevo far politica. Ha il diritto un uomo della strada di non far politica? Ha il diritto un uomo della strada a dire che il governo ha fatto bene a far questo e male a far quest'altro? Ha diritto un giornalista, che è un uomo della strada, il quale va a vedere e riferire le cose per conto degli altri uomini della strada, ha il diritto di riferire che i fatti si svolsero così e così, e che in essi c'era tanto il bello e tanto il brutto, tanto di giusto e tanto d'ingiusto? No, il [[fascismo]] disse che un uomo della strada non ha tutti questi diritti. Ecco perché diventai antifascista. Non perché al posto di [[Benito Mussolini|Mussolini]] ci volevo un altro, ma perché non ci volevo nessuno. Io volevo stare alla finestra, come stanno i giornalisti, mestiere di spettatore e non di attore.<ref>Citato in Paolo Granzotto, ''Indro Montanelli'', p. 92.</ref> (p. 189) *[...] volevo avere il diritto di non pensare alla [[politica]], di disinteressarmi della politica, perché la politica la gente dabbene non la fa. La gente dabbene lavora in ufficio, viaggia, commercia, produce, ama una donna che può anche essere sua moglie (come è il mio caso), ama i suoi figli, ama la sua casa, paga le tasse, e di politica ne parla un quarto d'ora al giorno. (p. 190) == ''Ricordi sott'odio'' == *''Non piangete | per | [[Cesare Zavattini]] | ha già pianto | lui per tutti noi.''<ref name=ricordi>Il libro raccoglie gli "epitaffi" scritti su personaggi al momento viventi (talvolta insieme a [[Leo Longanesi]]) e quasi tutti inediti.</ref> (p. IV dell'Introduzione di Marcello Staglieno) *''Qui | per la prima volta | [[Alida Valli]] | giace | sola''.<ref name=ricordi/> (p. 11) *''Qui | riposa | [[Amintore Fanfani]] | amico | dei nemici | nemico | degli amici | figlio | di [[Alcide De Gasperi|De Gasperi]] | padre | di nessuno.''<ref name=ricordi/> (p. 31) *''Qui | riposa | [[Mario Melloni]] | inquieto | transfugo | di sé stesso | momentaneamente | scomparso | a sinistra | in cerca | di una croce | su cui | inchiodarsi.''<ref name=ricordi/> (p. 65) *''Qui giace | Alba {{ndr|[[Alba de Céspedes]]}} | scrittrice scialba. | Divorò uomini e gloria | La Boria | la divorò''.<ref name=ricordi/> (p. 95) *''Qui | riposa | [[Mario Soldati]] | padre | figlio | autore | regista | interprete | di | Mario Soldati.''<ref name=ricordi/> (p. 123) *''Qui giace | [[Davide Lajolo]] | Segretario federale | Legionario di Spagna | Repubblichino di Salò | chiese | di passare all'anilina | la sua camicia nera. | E com'era | Rimase.''<ref name=ricordi/> (p. 179) *''In pace | qui giace | orbato | d'orbace | [[Achille Starace]].''<ref name=ricordi/> (p. 181) ==''Soltanto un giornalista''== *Da quando ho cominciato a pensare, ho pensato che sarei stato un giornalista. Non è stata una scelta. Non ho deciso nulla. Il giornalismo ha deciso per me. E questa è stata una delle mie tante fortune, posto che tutto quel che ho fatto lo debbo soprattutto a un alleato ch'è sempre rimasto al mio fianco: il caso. (p. 5) *Per sua disgrazia, [[Massimo Bontempelli|Bontempelli]] fu nominato accademico d'Italia da un fascismo che puzzava già di morto. Eletto senatore nelle liste del Fronte popolare dopo la guerra, non esitò a pronunziare giudizi brucianti su chi aveva collaborato col regime. Quel voltafaccia gli costò caro, perché a un certo punto saltarono fuori le lettere che aveva scritto a Mussolini per impetrare la sua nomina: i comunisti lo scaricarono e lui cadde in un tale stato di prostrazione da morirne. (p. 26) *A Salò ci fu di tutto. Ci furono le squadracce assetate di vendetta e di saccheggio che provocarono il disgusto agli stessi tedeschi. Ma anche uomini per i quali quello fu il banco di prova d'una coerenza e d'una lealtà che non possono non incuter rispetto. E l'unica ragione per la quale benedico le mie cosiddette benemerenze antifasciste è che mi han dato il diritto di difenderle. (p. 119) *Il 2 giugno del '46, giorno del referendum istituzionale, votai per la monarchia. Lo feci perché ritenevo fosse pericoloso recidere il tenue filo che legava l'Italia all'unica sua tradizione nazionale: quella monarchica, appunto. L'Italia non s'era "fatta da sé", come pretendeva la nostra storiografia ufficiale. Era stata fatta dalla monarchia sabauda guidata dal genio diplomatico d'un suo diplomatico, Cavour, che voleva estendere il Regno di Sardegna al Lombardo-Veneto. Se poi ci scappò fuori l'Italia, non fu grazie al contributo degl'italiani, che non ne diedero punto. Fu perché la storia dell'Europa andava verso la costituzione degli Stati nazionali, e condannava a morte quelli plurinazionali come l'Impero austriaco. [...] Al posto di quel patrimonio, sia pure modesto, cosa prometteva la Repubblica? Si presentava come depositaria dei valori della Resistenza, un mito ancora più falso di quello del Risorgimento. Che non era stata affatto, come pretendeva d'essere, la lotta d'un popolo in armi contro l'invasore, bensì una lotta fratricida tra i residuati fascisti della Repubblica di Salò e le forze partigiane, di cui l'80 per cento si batteva (quasi mai contro i tedeschi) sotto le bandiere d'un partito a sua volta al servizio d'una potenza straniera. (pp. 125-126) *Un'altra scelta s'era imposta, quella delle elezioni del '48. Per l'Italia era una scelta vitale: o con l'Est o con l'Ovest, ossia con i totalitarismi rossi oppure con le democrazie occidentali. Ergo, o con il Fronte popolare oppure con la Dc. E lì ebbe inizio il mio dramma, ch'è poi quello eterno del laico italiano: il quale, messo davanti al boia, vede comparire al suo fianco il prete che solo può salvarlo. (pp. 135-136) *Mi proposi due obiettivi, entrambi falliti: il primo era farmi intentare un processo dagli amministratori della città che attirasse l'attenzione sui pericoli che [[Venezia]] stava correndo. Il secondo era rendere pubblica la convinzione che m'ero formato: che per salvare Venezia la prima cosa da fare era sottrarla allo Stato italiano e affidarlo a un organismo internazionale come l'Onu, con le sue cospicue possibilità finanziarie e i suoi agguerriti uffici tecnici. [...] Il Comune di Venezia non aveva più nulla di veneziano, salvo la sede. A dominarlo erano gli elettori di Mestre e Marghera, che con quelli di Venezia si trovavano nella proporzione di tre a uno, e dalla loro avevano tutto: i soldi delle industrie, i sindacati e quindi anche i partiti. Decidendo di restare amministrativamente unita, Venezia ha preferito mettersi al rimorchio delle ciminiere e petroliere di Marghera, alle quali ha sacrificato il suo delicatissimo sistema idraulico. Fu allora che, con grande amarezza, feci atto di rinunzia a Venezia, convinto come ero, e come son rimasto, che una città si può salvare solo se sono i suoi abitanti a volerlo. (pp. 216-217) *Una sera, uscendo solo soletto dal «Giornale», mi trovai davanti il solito muro di folla tumultuante con le bandiere rosse spiegate. Dalla piazza si levò un urlo: «Tel chi el Muntanel!». In un attimo cinquanta scalmanati mi s'avventarono contro. Temendo il linciaggio, arretrai fino a trovarmi con le spalle al muro. Ma non feci in tempo a dire be' che mi ritrovai issato in spalla a una mezza dozzina d'energumeni, fra salve d'evviva. Erano i tifosi del [[Torino Football Club|Torino]] che quel giorno {{NDR|16 maggio 1976}} aveva vinto lo scudetto, e le bandiere non eran rosse, ma granata. E siccome i cronisti sportivi del «Giornale» erano sempre stati favorevoli al Torino, m'acclamavano come un loro idolo. (p. 241) *La Dc era il partito dei maneggi e dell'inefficienze. Ma se avesse perso il 4 o il 5 per cento dei suoi voti, il partito di maggioranza relativa destinato a formare il nuovo governo sarebbe diventato quello comunista. Ch'era ancora molto pericoloso. Perché è vero che in Italia c'era Berlinguer, ma io sapevo bene che col comunismo d'allora poteva ancora succedere di tutto: bastava un cambiamento al vertice e un Berlinguer poteva diventare un [[Alexander Dubček|Dubček]] come un [[Walter Ulbricht|Ulbricht]]. Il «Giornale» era certamente laico, ma prima di essere laico era italiano, e cercava d'operare con qualche senso di responsabilità. E negli anni Settanta solo gl'irresponsabili potevano augurarsi il crollo della Dc, cui eravamo condannati anche perché la cosiddetta Alleanza laica, l'accordo fra Pli, Pri e Psdi, non sortì mai i numeri per sostituirvisi. (pp. 243-244) *Ci fu un'unica battaglia sulla quale il «Giornale» si trovò allineato con Craxi e il nostro editore: quello per la libertà d'antenna. Battaglia sacrosanta. Berlusconi è tutt'altro che un idealista disinteressato e nessuno sa agire come lui aggirando, quando non calpestando, le regole. Ma i panni nobili coi quali i difensori della Rai rivestivano la loro offensiva politico-giudiziaria erano grotteschi. Se il peccato di Berlusconi stava nell'essere troppo amico del Psi, quello della Rai era d'essere troppo amica di tutti i partiti. A fornirci il destro furono poi i pretori coi loro interventi oscurantisti, peraltro prontamente sventati dai decreti di Craxi. E quindi la crociata dell'etere libero, che rientrava fra l'altro nella nostra tradizione antistatalista, divenne una campagna contro il "pretore selvaggio", che con i suoi abusi toglieva ogni certezza del diritto al cittadino. (pp. 275-276) *Le vere novità erano nate fuori dal Palazzo: come la Lega di [[Umberto Bossi]]. Che all'inizio anche il «Giornale», come molti altri, sottovalutò. Come si faceva a prender sul serio un invasato che nutriva le sue invettive di sfondoni storici e grammaticali da far accapponare la pelle? [...] Che Roma fosse ladrona, era indubitabile. E l'avversione per la burocrazia parassitaria e per il meridionalismo piagnone e sprecone andava a nozze con le tradizioni del «Giornale». Bossi quindi incarnava un sentimento molto diffuso anche fra i nostri lettori, una protesta genuinamente qualunquista che, per certi versi, all'inizio anche noi appoggiammo. Ma dovemmo prenderne le distanze quando Bossi cominciò a condire le sue contumelie contro il Palazzo con propositi secessionisti. (pp. 279-280) *Con Berlusconi, tuttavia, poi feci pace. Fu lui a telefonarmi: forse, aveva captato in qualche mio articolo un'ombra di rimpianto per il vecchio amico. Era il '96 e dopo il ribaltone le cose per lui si mettevano di male in peggio. [...] Così, una sera mi ritrovai di nuovo seduto alla sua mensa ad Arcore. [...] Riparlammo senza rancore dei nostri trascorsi. Gli domandai quale garanzia avesse ricevuto da [[Massimo D'Alema|D'Alema]] sulle sue aziende in cambio dell'opposizione inesistente che gli assicurava. Rise. «Ma perché, ora che hai sistemato i tuoi affari, non ti chiami fuori dalla politica?» gli chiesi. «È una parola» mi rispose rabbuiandosi. «I giudici non obbediscono neppure a D'Alema». E lì capii quale era, ormai, la vera sostanza del suo dramma. (p. 312) *Se anch'io sono diventato europeista, è per disperazione: l'Europa è forse l'unica possibilità di sopravvivere per noi italiani, che come italiani non siamo riusciti a vivere. Questo è sempre stato l'europeismo degl'italiani di più alta coscienza, a partire da [[Alcide De Gasperi|De Gasperi]], che fu il primo a capire i rischi d'un Italia lasciata in balìa degl'italiani. (p. 315) *Pur fra tante fortune, purtroppo a me la sorte ha riservato di portarmi nella tomba le due cose che ho più amato: il mio mestiere e il mio Paese. Che cosa sia diventato il primo, annientato da computer e televisione, è sotto gli occhi di tutti. Quanto al secondo, la cancrena è ormai inarrestabile e la decomposizione sta avvenendo per dissoluzione di quel poco che resta dello Stato. E dico decomposizione, non secessione. La secessione si fa anche con la violenza, e dove lo troviamo oggi un solo plotone di soldati disposto a imbracciare le armi pro o contro l'Unità dello Stato? Che, se resta ancora in piedi, è solo perché non ha neppure la forza di cadere. Quello di rinunziare alla nazione poi, è un sacrificio che non saprei compiere, anche se razionalmente mi rendessi conto ch'è necessario, oppure inevitabile. E ringrazio l'anagrafe che mi esclude dal problema. (p. 316) ==''Storia d'Italia''== {{vedi anche|Indro Montanelli e Roberto Gervaso|Indro Montanelli e Mario Cervi}} ===''L'Italia giacobina e carbonara''=== *I [[cinismo|cinici]] sono tutti moralisti, e spietati per giunta. (cap. 10, p. 144) *[[Francesco Melzi d'Eril|Melzi]] apparteneva a una delle più grandi famiglie dell'aristocrazia lombarda, e ne portava nel sangue le doti migliori: la rettitudine, la cultura, la cortesia, ma anche una certa alterigia, che probabilmente gli veniva dalla madre spagnola. (cap. 11, p. 152) *{{NDR|Francesco Melzi d'Eril}} Aveva fatto parte dei circoli illuministici dei Serbelloni, dei Beccaria e di Pietro Verri, di cui era anche cognato. [[Napoleone Bonaparte|Napoleone]] lo aveva conosciuto al tempo della sua prima campagna d'Italia, dopo la battaglia di Lodi lo aveva invitato a Mombello, e ne aveva fatto il proprio consigliere. Quel signore che portava ancora il costume settecentesco, le calze bianche e la parrucca incipriata, gli piaceva. Gli piaceva perché non era servile, perché non era venale, perché non era nemmeno ambizioso. Una leggera sordità e una salute piuttosto precaria, insidiata da un forte artritismo, l'obbligavano a riguardi incompatibili con l'esercizio del potere. Più che il protagonista, preferiva fare il suggeritore. (cap. 11, p. 152) *L'unico che avesse qualità di uomo di Stato era il ministro delle finanze, [[Giuseppe Prina|Prina]], anche perché era piemontese, cioè veniva da un paese che uno Stato lo era da secoli. Ex procuratore generale della Corte dei Conti di Torino e membro del governo provvisorio del '99<ref>1799.</ref>, si era poi trasferito nella [[Repubblica Cisalpina|Cisalpina]] e ne aveva preso la cittadinanza. Non aveva un carattere che attirasse simpatie. Anzi, chiuso e freddo com'era, le respingeva. Ma era un lavoratore instancabile e scrupoloso, dotato di un acuto senso politico e – diceva [[Stendhal]] – "ha del grande in testa". (cap. 12, p. 164) *Perché non andassero perse neanche le briciole {{NDR|delle entrate della Repubblica Cisalpina}}, Prina riformò tutto il sistema fiscale riducendone il personale e facendone una macchina di straordinaria efficienza. Fu lui a inventare la "tassa di famiglia", o meglio a ripristinarla, perché la sua vera iniziatrice era stata [[Maria Teresa d'Austria|Maria Teresa]]. Ma la maggior pressione la esercitò nel campo delle imposte indirette che colpivano tutti i consumi senza distinguere fra quelli di lusso e quelli di prima necessità. Naturalmente a farne le spese furono soprattutto le classi popolari, che di lì a pochi anni gliel'avrebbero fatta pagare<ref>Prina, dopo l'abdicazione di Napoleone, fu linciato dalla folla a Milano il 20 aprile 1814.</ref>. Ma con questi sistemi riuscì a portare le entrate da settanta a oltre cento milioni e a pareggiare il bilancio. (cap. 12, p. 165) *[[Carlo II di Parma|Carlo Ludovico]] era stato talmente oppresso dalla madre<ref>Maria Luisa di Borbone-Spagna (1782–1824).</ref> che sognava di disfare tutto ciò ch'essa aveva fatto, compreso il proprio matrimonio; e quando le successe nel '24<ref>Come duca di Lucca nel 1824.</ref>, introdusse anche per buona fortuna dei lucchesi, metodi di governo diametralmente opposti a quelli di lei. Ridusse l'appannaggio che Maria Luisa esigeva per alimentare i suoi fasti spagnoli, liberalizzò i commerci, e alla fine si convertì addirittura al luteranesimo, mentre sua moglie diventava Terziaria domenicana. Fu un cattivo marito, ma non un cattivo sovrano. E Lucca, sotto di lui, respirò. (cap. 25, p. 375) *[...], {{NDR|la [[Carboneria]]}} non fu certo una scuola di educazione politica, e probabilmente è anche al suo esempio e modello che sono dovute le malformazioni della nostra democrazia e la sua intrinseca debolezza. Figli e nipoti dei Carbonari furono quei "notabili" che governarono l'Italia fino alla prima guerra mondiale e che, insieme a innegabili virtù, ebbero anche il vizio di considerare il Paese una "clientela" di Apprendisti esclusi dai "sacri travagli". (cap. 26, p. 395) *Fu qui {{NDR|al Teatro alla Scala}} che {{NDR|[[Ugo Foscolo]]}} vide [[Antonietta Fagnani Arese]], già famosa a ventitré anni non soltanto per la sua bellezza, ma anche per lo sfruttamento intensivo che ne aveva fatto. Probabilmente era una frigida, ma che sapeva recitare la sua parte: tutti i giovani più in vista di Milano cadevano nelle reti di questa Circe, e forse fu anche questo a stimolarlo. (cap. 35, p. 510) *Misto di genio e di ciarlatano, [[Domenico Barbaja|Barbaja]] aveva debuttato come sguattero, aveva fatti primi soldi inventando un dolce di panna e cioccolato, la "barbajada", li aveva moltiplicati con la gestione del Ridotto da giuoco della Scala, e ormai tanti ne aveva che quando il San Carlo andò distrutto da un incendio, lo ricostruì a proprie spese. (cap. 39, pp. 608-609) *{{NDR|Domenico Barbaja}} Era semianalfabeta, e di musica non conosceva una nota, ma conosceva il pubblico, era un infallibile scopritore di talenti, e nel 1815 si assicurò quello di un compositore ventitreenne, in cui già aveva identificato la figura più rappresentativa della lirica contemporanea: [[Gioacchino Rossini]]. (cap. 39, p. 609) *{{NDR|[[Ciro Menotti]]}} Uomo onesto, ma di un candore che sconfinava nella sprovvedutezza, [...]. (cap. 40, p. 635) ===''L'Italia del Risorgimento''=== *{{NDR|[[Giuseppe Mazzini]]}} Due mesi d'intenso lavoro gli bastarono a maturare il piano. Più che una setta, la sua organizzazione sarebbe stata un vero e proprio partito, anche se clandestino, senza l'oscura simbologia e i complicati rituali carbonari. Si sarebbe chiamata ''[[Giovine Italia]]'' e lo sarebbe stata anche di fatto perché, salvo casi eccezionali, era preclusa a chi avesse superato i quarant'anni di età. (cap. 4, pp. 54-55) *D'irresolutezza, [[Carlo Alberto di Savoia|Carlo Alberto]] aveva dato prova anche prima di salire sul trono, e lo aveva dimostrato anche il suo contraddittorio atteggiamento nel '21<ref>Nei moti piemontesi del 1821, Carlo Alberto aveva prima dato e poi ritirato il suo appoggio ai congiurati.</ref>. Il coraggio e la volontà non gli mancavano; ma gli mancava il carattere. Nella guerra di Spagna era stato un valoroso combattente<ref>Nel 1823, Carlo Alberto aveva partecipato alla campagna militare per ristabilire l'assolutismo regio in Spagna.</ref>, e la disciplina a cui si sottoponeva era spartana. Ma le responsabilità morali lo sgomentavano. (cap. 9, pp. 135-136) *{{NDR|Carlo Alberto}} Non era né intelligente né colto. Ma certi movimenti di opinione pubblica e orientamenti di pensiero li coglieva e ne restava influenzato. Nel '38 aveva mandato in galera e poi in esilio [[Vincenzo Gioberti|Gioberti]], ma nel '43 ne leggeva con interesse il ''Primato''. Se [[Massimo d'Azeglio|D'Azeglio]] avesse scritto il suo libro<ref>''Degli ultimi casi di Romagna'' (1846).</ref> due anni prima, avrebbe mandato in esilio anche lui. Ora in pratica ne aveva fatto una specie di agente segreto. I tempi insomma li sentiva e con essi andava. (cap. 9, p. 136) *Questo grande soldato {{NDR|[[Josef Radetzky]]}} non aveva mai conosciuto sconfitte, e a ottant'anni suonati conservava intatte prestanza fisica ed energia morale. Come tutti i militari, credeva soltanto nella spada e nella disciplina. Ma non somigliava affatto all'immagine che di lui ci ha tramandato la storiografia risorgimentale: quella del crudele "impiccatore", del caporalaccio ottuso, grossolano e brutale. Era al contrario un grande signore, di tratto ruvido ma generoso, perpetuamente alle prese con problemi di bilancio perché aveva le mani bucate. (cap. 13, p. 194) *{{NDR|Radetzky}} Aveva sposato una Contessa austriaca che viveva a Vienna e gli aveva dato otto figli da cui non gli venivano che dispiaceri. Uno militava ai suoi ordini lì a Milano, ma era un così cattivo arnese che un prete un giorno lo schiaffeggio per strada. Radetzky mandò a chiamare il prete, gli strinse la mano e gli disse: "''{{sic|Crazzie}}''". Per amante si era presa una brava stiratrice lombarda che sapeva cucinare bene gli gnocchi, di cui era ghiottissimo, e dalla quale ebbe altri quattro figli. Non era affatto un odiatore degl'italiani: tant'è vero che, quando andò in pensione, rimase a Milano, e lì morì nel '58. Era soltanto un fedele servitore del suo Paese, di cui non discuteva la causa. E soprattutto era un vecchio lupo di guerra coraggioso, astuto e risoluto. (cap. 13, p. 195) *La notizia si diffuse prima ancora che lo [[Statuto Albertino|Statuto]] fosse firmato, e in un battibaleno le piazze di Torino, eppoi di tutto il Piemonte, eppoi di tutto il Reame, si riempirono di folla esultante. Essa non conosceva il contenuto del documento che introduceva, sì, un regime rappresentativo, ma circondandolo delle maggiori cautele [...]. Più che del suo contenuto, la pubblica opinione era innamorata della parola ''Costituzione'', che aveva finito, per assumere ai suoi occhi magici significati, e la salutava con luminarie, canti e bandiere. (cap. 14, p. 218) *[...] [[Francesco Anzani|Anzani]], il più serio e autorevole degli esuli italiani, che aveva combattuto per la libertà in Grecia e in Spagna. Le sue parole avevano gran peso anche perché fra tutti quei chiacchieroni, ne pronunziava poche. (cap. 18, p. 281) *[...] [[Giuseppe Montanelli|Montanelli]] era così infatuato {{NDR|del progetto di Costituente italiana}} e tanto ne parlava nei suoi discorsi che il popolino – dicono – finì per credere che la Costituente fosse il nome di sua moglie. (cap. 19, p. 298) *[[Pellegrino Rossi|Rossi]] era un toscano della Lunigiana, ma solo all'anagrafe. Come formazione e mentalità, apparteneva ancora a quel tipo di {{sic|apòlidi}} che l'Italia del Settecento sfornava doviziosamente e che, non trovando in patria un terreno per i loro talenti, andavano da mercenari a investirli all'estero. Professore d'Università a poco più di vent'anni, poi commissario di [[Gioacchino Murat|Murat]] al tempo del suo infelice tentativo di unificare l'Italia sotto il suo scettro, era l'unico cattolico cui l'Accademia calvinista di Ginevra avesse mai affidato una cattedra. (cap. 19, p. 301) *{{NDR|Pellegrino Rossi}} Fu sin dal principio un fautore di [[Papa Pio IX|Pio IX]] fino a partecipare di persona alle manifestazioni popolari in suo favore, ma vide subito la pochezza e ambiguità dell'uomo e ne denunziò i pericoli. (cap. 19, pp. 302-303) *Sebbene gli avessero affidato pieni poteri, [[Daniele Manin|Manin]] era un uomo discusso. Molti lo consideravano un malaccorto maneggione, un improvvisatore digiuno di problemi economici e militari, bravo soltanto ad attribuirsi i meriti degli altri. Secondo [[Niccolò Tommaseo|Tommaseo]], ch'era fra i suoi più insidiosi diffamatori, il potere gli aveva dato "una scossa da intorbidargli la mente e far più grave e manifesta la sua inesperienza". (cap. 23, p. 354) *{{NDR|Daniele Manin}} Intellettualmente, non era al livello di un [[Giuseppe Mazzini|Mazzini]] o di un [[Carlo Cattaneo|Cattaneo]]. Ma era, come loro, inattaccabile sul piano morale. E, in mancanza di un vero e proprio potere carismatico, esercitava sulle folle un notevole fascino per la sua gioviale e arguta "venezianità". Parlava sempre in dialetto con battute raccattate sulla bocca dei gondolieri, e anche nel dramma portava un pizzico di [[Carlo Goldoni|Goldoni]]. I suoi limiti li conosceva, e non è vero che l'autorità gli avesse dato alla testa, come diceva Tommaseo che diceva male di tutti. Anzi la esercitava bonariamente e cercava di circondarsi di uomini validi che sopperissero alla sua incompetenza. (cap. 23, pp. 354-355) *Eran trascorsi pochi mesi {{NDR|dal suo matrimonio con Vittorio Emanuele}}, che [[Maria Adelaide d'Asburgo-Lorena|Maria Adelaide]] lo sorprendeva nel giardino di Moncalieri con una diva del teatro, Laura Bon, ma si guardò dal farne un dramma. Perfettamente educata al mestiere di Regina, essa sapeva che la rassegnazione alle infedeltà ne è parte imprescindibile, e le sopportò sempre con garbo e dignità. (cap. 25, p. 390) *Sfruttando la devozione di Carlo Alberto, [[Clemente Solaro della Margarita|Solaro della Margarita]] aveva regolato i rapporti con la Chiesa in modo tale da fare del clero piemontese il più potente d'Italia dopo quello dello [[Stato Pontificio|Stato pontificio]]. Esso aveva ancora i suoi tribunali in concorrenza con quelli dello Stato e poteva concedere il diritto d'asilo ai delinquenti. (cap. 26, p. 410) *[...] {{NDR|Giuseppe}} Montanelli, gran galantuomo e ricco d'ingegno, non lo era altrettanto di carattere. Idee ne aveva, anzi ne aveva troppe; ma, facilmente suggestionabile, finiva sempre per adottare quelle dell'ambiente in cui viveva. (cap. 29, pp. 464-465) *Il primo a trarne le conclusioni {{NDR|dalle tesi favorevoli alla monarchia piemontese esposte nel libro di [[Vincenzo Gioberti|Gioberti]] ''Del rinnovamento civile d'Italia''}} fu [[Giorgio Pallavicino Trivulzio|Pallavicino]], l'ex prigioniero dello Spielberg, da un pezzo rifugiato a Torino. Di scarso cervello politico, impetuoso fino alla leggerezza, teatrale e un po' troppo portato a ostentare i suoi titoli di "martire", aveva fino allora militato sotto bandiera rivoluzionaria. (cap. 32, p. 514) *{{NDR|Tra i Mille di Garibaldi}} C'era il malinconico ex prete [[Giuseppe Sirtori|Sirtori]], che della guerra aveva fatto una mistica e sul campo sembrava che officiasse. (cap. 40, p. 635) ===''L'Italia dei notabili''=== *La [[Convenzione di settembre|Convenzione]], che fu detta "di Settembre" dal mese in cui venne concordata, si componeva di cinque articoli e stabiliva: che l'Italia rinunziava ad ogni atto di ostilità contro il territorio pontificio; che la Francia ne avrebbe ritirato le sue truppe via via che il governo del Papa le avesse rimpiazzate con volontari indigeni e stranieri, e comunque entro due anni; e che questo doppio impegno sarebbe entrato in vigore dal momento in cui il governo italiano avesse decretato il trasferimento della capitale da operarsi nello spazio di sei mesi. (Capitolo quinto, Firenze capitale, p. 76) *Gli sventramenti che furono operati {{NDR|a Firenze, nuova capitale del Regno d'Italia}} per alloggiare i Ministeri e i nuovi quartieri che sorsero alla periferia per ospitare i venticinque o trentamila impiegati che calarono da Torino, lasciarono la città orrendamente sfregiata e carica di debiti. (Capitolo quinto, Firenze capitale, p. 78) *{{NDR|[[Carmine Crocco]]}} [...] condannato per diserzione a vent'anni di carcere, ne era evaso, si era dato alla macchia, e in poco tempo era diventato il più temuto e rispettato capobanda della [[Basilicata|Lucania]] non soltanto per il suo coraggio, ma anche per la sua intelligenza di guerrigliero.</br>[...] Crocco venne riconosciuto Generalissimo non solo per l'autorità che gli conferivano le sue gesta, ma anche, perché, sebbene mezzo analfabeta, possedeva un'oratoria immaginosa e apocalittica. (Capitolo sesto, I briganti, pp. 85-89) *{{NDR|[[Giustino Fortunato]]}} [...] il più grande e illuminato studioso del Meridione. (Capitolo sesto, I briganti, p. 86) *Figlio di un fabbro e medico di professione, [[Giovanni Lanza|Lanza]] incarnava, nella Destra piemontese tradizionalmente formata da nobili, militari e grandi borghesi, un tipo umano del tutto insolito: il nuovo piccolo ceto medio, spartano e puritano, formatosi nelle scuole serali e nell'Università popolare. (Capitolo nono, Gli anni della lesina, p. 133) *L'esercito papalino era un'accozzaglia di mercenari delle più svariate nazionalità (c'erano perfino dei turchi). [...] circa 15.000 uomini, al comando del generale [[Hermann Kanzler|Kanzler]]. Compito gentiluomo, ligio al Regolamento come lo era al Catechismo, questi aveva tuttavia un concetto tedesco dell'onore militare e avrebbe preferito una sconfitta a una resa. Ma {{NDR|Il segretario di Stato}} Antonelli non era di questa opinione. Gli ordinò di ritirare le truppe {{NDR|pontificie}} dentro le mura e di limitarsi a un simulacro di resistenza. (Capitolo decimo, Porta Pia, pp. 141-142) *{{NDR|La duchessa [[Eugenia Attendolo Bolognini Litta|Eugenia Litta]]}} Durante la campagna del '59<ref>Seconda guerra d'indipendenza italiana.</ref> era stata il riposo del guerriero più famoso e importante: [[Napoleone III di Francia|Napoleone III]]. E secondo le malelingue era passata subito dopo in eredità a [[Vittorio Emanuele II di Savoia|Vittorio Emanuele]], che però era il meno adatto ad apprezzare la sua vita di vespa, le sue carni pallide e i suoi raffinatissimi gusti. [[Honoré de Balzac|Balzac]] le aveva reso omaggio. [[Arrigo Boito|Boito]] seguitava a rendergliene. [[Gabriele D'Annunzio|D'Annunzio]] dirà ch'essa "aveva rubato il segreto a Ninon de Lenclos<ref>Scrittrice, cortigiana ed epistolografa francese (1620–1705).</ref>". Insomma come iniziatrice all'amore, il giovane principe {{NDR|il futuro [[Umberto I di Savoia|Umberto I]]}} non poteva desiderarne una più fascinosa ed esperta. Lo fu al punto che, nonostante la differenza d'età, egli le rimase devoto – anche se non fedele – fino alla fine dei suoi giorni. (Capitolo quattordicesimo, Il marito di Margherita, p. 196) *{{NDR|[[Margherita di Savoia]]}} [...] era una vera e seria professionista del trono, e gl'italiani lo sentirono. Essi compresero che, anche se non avessero avuto un gran Re, avrebbero avuto una grande Regina. (Capitolo quattordicesimo, Il marito di Margherita, p. 197) *Il trattato {{NDR|della [[Triplice alleanza (1882)|Triplice alleanza]]}} fu firmato a Vienna nel maggio dell'82<ref>20 maggio 1882.</ref>. Esso impegnava le tre Potenze al reciproco aiuto nel caso in cui una fosse aggredita e alla benevola neutralità nel caso che aggredisse. Inoltre Austria e Germania dichiaravano di disinteressarsi del problema del Papa, considerandolo un affare interno italiano.<br>Quest'ultima clausola fu, insieme alla fine dell'isolamento, il grande vantaggio che l'Italia trasse dal patto, ma nient'altro. Essa non vi era entrata su un piede di parità con le consocie. Aveva semplicemente acceduto all'alleanza che già legava le altre due, le quali restavano per così dire le padrone di casa, e Bismarck non perse occasione di farcelo sentire. (Capitolo diciannovesimo, La Triplice, pp. 276-277) *L'unico Stato che ruppe le relazioni con quello italiano in seguito a [[Presa di Roma|Porta Pia]] fu l'Ecuador. Mai la Chiesa si era trovata in condizioni di più completo isolamento. (Capitolo ventitreesimo, I cattolici, p. 334) *Sindaco di Palermo a ventisette anni, {{NDR|[[Antonio Starabba, marchese di Rudinì|il marchese di Rudinì]]}} aveva affrontato con molto coraggio la rivolta che vi era scoppiata nel '66, e questo lo aveva accreditato come il fanciullo-prodigio del moderatismo, destinato a gloriose imprese. Ma, diceva De Sanctis, col passare del tempo, il prodigio dileguò e rimase solo il fanciullo. Ministro degl'Interni a trent'anni in uno dei governi Menabrea, la sua carriera si era fermata lì. Pure, la fama di "uomo forte" gli era rimasta addosso, suffragata anche dalla sua alta statura, dai lampeggiamenti del monocolo, dalla fluente barba, dalla nobilesca alterigia. Idee, non ne aveva. Ma aveva delle impennate che facevano credere alla sua risolutezza. E questo, in una Destra impoverita di personalità di rilevo, gli era bastato per guadagnarsi i galloni di capo. (Capitolo ventiquattresimo, Giolitti, pp. 348-349) *In realtà, del soldato, [[Oreste Baratieri|Baratieri]] non aveva neanche il fisico. Grasso e sgraziato, con gli occhiali a ''pince-nez'', sembrava molto più vecchio dei suoi cinquant'anni e costruito più per la cattedra che per l'elmo. (Capitolo ventisettesimo, Adua, p. 391) *{{NDR|Dopo le dimissioni del generale [[Luigi Pelloux|Pelloux]]}} A succedergli il Re chiamò il Presidente del Senato [[Giuseppe Saracco|Saracco]], un galantuomo ch'era riuscito a conservare intatta la sua reputazione di democratico pur essendo stato due volte Ministro nei governi di Crispi. Aveva quasi ottant'anni, ma conservava una notevole lucidità di cervello, e ne dette prova formando un governo di coalizione che includeva un po' tutte le forze, meno l'Estrema cui diede tuttavia soddisfazione chiamando parecchi suoi uomini nella commissione incaricata di studiare un nuovo regolamento parlamentare che, senza intaccare la libertà di discussione, impedisse l'ostruzionismo, o per meglio dire lo regolasse. (Capitolo ventottesimo, I cannoni di Bava Beccaris, p. 417) ===''L'Italia di Giolitti''=== *Si è detto che {{NDR|[[Egidio Osio]]}} plagiò il suo pupillo {{NDR|il principe ereditario, futuro re [[Vittorio Emanuele III di Savoia|Vittorio Emanuele III]]}} e ne lesionò definitivamente il carattere terrorizzandolo e mortificandone gli slanci. Si è detto che anche sul suo fisico ebbe pessima influenza costringendolo a penosi e logoranti sforzi. Si è detto che furono i suoi metodi repressivi a creare nel Principe quei complessi d'inferiorità da cui fu sempre afflitto, a traumatizzarlo, a inaridirlo, a riempirne l'animo di sordi rancori.<br>Ma se non proprio di falsità, si tratta di verità contraffatte. (cap. I, Il nuovo Re, p. 15) *Militare dalla testa ai piedi, Osio era un uomo duro, imperioso, abituato al comando. [...] Ma era anche un gran signore, perfetto uomo di mondo, e nutrito di buone letture. Sebbene la sua carriera potesse esserne notevolmente avvantaggiata, esitò molto ad accettare l'incarico {{NDR|di tutore del principe ereditario}}, vi si risolse solo dietro garanzia che nemmeno i genitori avrebbero più interferito nell'educazione del ragazzo, di cui egli diventava unico e assoluto responsabile, e al termine della sua missione non beneficiò di nessuno "scatto di grado". (cap. I, Il nuovo Re, pp. 15-16) *[[Elena del Montenegro|Elena]], che da ragazza dipingeva, suonava il violino, componeva poesie come suo padre<ref>Nicola I del Montenegro.</ref>, e amava il tennis e la danza, rinunziò a questi passatempi appena vide che lui {{NDR|il futuro Vittorio Emanuele III}} li detestava, anzi adottò come ''hobbies'' quelli di lui: la numismatica e l'archeologia. Per il resto fu soltanto una donna di casa, come lo era stata a Cettigne<ref>Capitale del Regno del Montenegro.</ref>. Sapendolo insofferente dei camerieri, era lei che lo serviva a tavola, e per farsi i vestiti si prese in casa una sartina. (cap. I, Il nuovo Re, p. 27) *[[Filippo Meda|Meda]] era un avvocato milanese di spirito pratico, che considerava l'astensione dal voto {{NDR|dei cattolici}} un dovere da osservare finché il Papa lo imponeva, ma un grosso errore strategico di cui occorreva sollecitare la revoca. Lo Stato liberale, diceva, c'è e va accettato. Va soltanto salvato dalle sue tentazioni autoritarie e giacobine. E questo i cattolici possono farlo soltanto inserendocisi e riformandolo in modo da tenerlo al riparo dai pericoli d'involuzione. Lo Stato cioè per lui era un "peccatore da salvare". (cap. IV, Cattolici e socialisti, p. 72) *[...] [[Romolo Murri|Murri]] era un giovane sacerdote marchigiano, che aveva conosciuto la povertà e nel Vangelo vedeva soprattutto un messaggio giustizialista. Introverso e malinconico come tutti i fanatici, egli si considerava molto più "avanzato" di Meda per il carattere rivoluzionario che intendeva imprimere al movimento {{NDR|cattolico}}. In realtà era un uomo del ''[[Sillabo]]'' che, pur partendo anche lui dall'accettazione dello Stato unitario, intendeva tramutarlo in una [[teocrazia]] egalitaria e totalitaria, sul tipo di quella che i Gesuiti avevano fondato un paio di secoli prima nel Paraguay. Se a ispirarlo fosse più l'amore del povero o l'odio del ricco, non sappiamo. (cap. IV, Cattolici e socialisti, pp. 72-73) *Meda e Murri furono dapprincipio alleati. Entrambi volevano un grande partito, popolare indipendente dalla Chiesa. Ma Meda lo concepiva come lo sviluppo della organizzazione tradizionale, cioè dell'''Opera''<ref>"Opera dei congressi e dei comitati cattolici", spesso abbreviata in "Opera dei congressi", organizzazione cattolica italiana, sciolta nel 1904.</ref>, una volta strappatala alla vecchia guardia, mentre Murri lo vedeva come un organismo nuovo, un "Fascio", come quelli che pochi anni prima avevano messo a soqquadro e insanguinato la Sicilia. (cap. IV, Cattolici e socialisti, p. 73) *Lo [[Sciopero generale del 1904|sciopero {{NDR|generale del 1904}}]] [...] non fu un fallimento, ma non fu nemmeno un successo perché si esaurì spontaneamente, e il suo più consistente risultato fu la spaccatura delle forze operaie. Lo si vide pochi mesi dopo, quando i sindacalisti bandirono un altro sciopero, quello delle ferrovie, da cui i sindacalisti uscirono demoralizzati e con la truppa dimezzata. (cap. IV, Cattolici e socialisti, p. 85) *[[Alessandro Fortis|Fortis]] era un tipico notabile romagnolo di lungo e contradditorio corso ideologico. Aveva debuttato come repubblicano intransigente, era andato in galera per complotto rivoluzionario con gli anarchici, poi era stato conquistato da [[Francesco Crispi|Crispi]], era finito {{sic|Ministro}} di [[Luigi Pelloux|Pelloux]], e ora militava sotto la bandiera di [[Giovanni Giolitti|Giolitti]]. Come "trasformista", era tra i più qualificati. Ma questa pecca era abbondantemente compensata dai suoi doni di simpatia umana e da una grande esperienza parlamentare. (cap. VI, Il suffragio universale, p. 107) *Quando [[Enrico Corradini|Corradini]] applicò il vocabolario socialista alla Nazione parlando di una "Italia proletaria" in lotta contro le plutocrazie occidentali, e lanciò l'idea di un "imperialismo operaio" da contrapporre a quello capitalistico, riscosse in campo sindacalista vasti consensi e pose le premesse di un pasticcio ideologico in cui Mussolini avrebbe di lì a poco guazzato. (cap. VII, "Tripoli bel suol d'amore", p. 137) *{{NDR|Giolitti}} Più che la Libia, voleva la [[Guerra italo-turca|guerra]], o meglio qualcosa che desse finalmente agl'italiani l'impressione di farne una e di vincerla. (cap. VII, "Tripoli bel suol d'amore", p. 145) *[...] a Vienna l'imperatore Francesco Giuseppe aveva dovuto intervenire di persona per fermare la mano al Capo di Stato Maggiore [[Franz Conrad von Hötzendorf|Conrad]] che voleva una spedizione punitiva contro l'Italia, ora ch'era impegnata in Africa {{NDR|nella guerra di Libia}}, per metterla in ginocchio "prima che avesse il tempo di perpetrare altri tradimenti". (cap. VII, "Tripoli bel suol d'amore", pp. 149-150) *Non si è mai saputo con certezza come si svolse l'operazione {{NDR|del [[patto Gentiloni]]}} che, ben s'intende, doveva restare segretissima. Giolitti negò sempre di avervi partecipato, e infatti d'impronte digitali non ve ne lasciò. Fu probabilmente senza le sue credenziali, ma certamente non senza il suo beneplacito che qualche esponente liberale prese contatto coi cattolici. Questi avevano una "unione elettorale" di cui era Presidente un Conte marchigiano, [[Vincenzo Ottorino Gentiloni|Gentiloni]], politico abile, ma vanesio e chiacchierone. Egli s'impegnò a mobilitare il voto cattolico in favore dei candidati liberali dovunque questi fossero minacciati dalla Estrema Sinistra; e i liberali s'impegnarono a difendere la parificazione delle scuole confessionali a quelle dello Stato, a ripristinare in queste ultime l'istruzione religiosa, a respingere l'introduzione del divorzio, e – pare – a combattere la Massoneria. (cap. VIII, Il crepuscolo degli dei, p. 163) *Se [[Gaetano Salvemini|Salvemini]] incarnava lo spirito protestatario e la sete giustizialista delle plebi meridionali, [[Antonio Salandra|Salandra]] incarnava lo spirito autoritario e conservatore della borghesia terriera. Proveniva da una famiglia di notabili pugliesi con parecchia roba al sole, e alla politica era approdato dalla cattedra universitaria, di cui conservava molti caratteri: una notevole cultura e finezza intellettuale, ma anche un compassato distacco che rasentava la freddezza. Prima di affrontare un problema lo studiava minuziosamente, e nessuno sapeva prospettarlo con più chiarezza di lui. (cap. IX, Sarajevo, p. 168) *[[Paolo Boselli]] {{NDR|incaricato nel 1916 di formare il nuovo governo dopo le dimissioni di Antonio Salandra}}, che fu chiamato a presiederlo, possedeva tutti i requisiti, meno quelli che occorrono per guidare un Paese in guerra. Deputato ligure da parecchie legislature, era stato varie volte Ministro con Crispi, Pelloux e Sonnino, ma nessuno se n'era accorto. [...]. Passava per un esperto di questioni economiche, e moralmente era un personaggio di tutto rispetto. Ma politicamente era scolorito, e per di più aveva quasi ottant'anni. (cap. XVI, La caduta di Salandra, pp. 293-294) *Quanto [[Luigi Cadorna|Cadorna]] era solitario, monacale ruvido e chiuso in un giro di valori e d'idee tradizionali, tanto [[Luigi Capello|Capello]] era brillante, estroverso, moderno, ricco d'immaginazione e maestro di "pubbliche relazioni". (cap. XVI, La caduta di Salandra, pp. 298-299) *Lucano di Melfi, [[Francesco Saverio Nitti]] incarnava anche nel fisico tozzo e grassottello il tipo del notabile meridionale, colto, brillante, scettico e alquanto egocentrico. [...] la sua specialità era il problema del Mezzogiorno, di cui fu tra i primi seri studiosi e che gli fornì anche la base elettorale. [...]. Sul livello medio della classe politica di allora, egli faceva spicco per preparazione, equilibrio e lucidità, ma anche per una certa propensione ad attribuirsi il monopolio di queste virtù. (cap. XXIII, Versaglia, pp. 420-421) ===''L'Italia in camicia nera''=== *Un altro utile incontro fu per Mussolini quello con [[Angelica Balabanoff]], personaggio già di notevole rilevo nel socialismo internazionale. Era una russa di buona famiglia borghese, che fin da giovanissima si era imbrancata con quella ''intellighenzia'' rivoluzionaria da cui venivano anche i Lenin, i Trotzky, e gli altri futuri grandi del bolscevismo. A spingerla era stata la ribellione contro la meschinità, lo snobismo provinciale, il sussiego di casta, i tabù del suo ceto. (cap. 1, p. 23) *Angelica {{NDR|Balabanoff}} non era bella, non aveva la grazia eterea ed esangue di Anna {{NDR|[[Anna Kuliscioff|Kuliscioff]]}}. Ma non era nemmeno sgradevole, nonostante i fianchi massicci e gli zigomi pronunciati, eppoi era una russa, cosa che faceva un grande effetto al piccolo provinciale di Predappio<ref>Mussolini era nato a Dovia, frazione di Predappio.</ref>. Anche se fra loro non divampò la passione che aveva legato Anna ad [[Andrea Costa]], qualcosa ci fu, ed ebbe la sua importanza. Angelica cercò d'incivilire quel selvaggio trasandato che passava da ostinati mutismi a interminabili sproloqui conditi di orrende bestemmie. Lo sfamava, gli lavava la biancheria, lo iniziava, sia pure con poco successo, al marxismo [...]. (cap. 1, p. 25) *Uno dei tre protagonisti del giuoco {{NDR|[[Gabriele D'Annunzio]]}} era eliminato. La partita ora si riduceva agli altri due: Giolitti e Mussolini. (cap. 1, p. 101) *Mussolini aveva vinto, e la sua vittoria significava che il fascismo, abbandonata la pretesa di presentarsi come un movimento rivoluzionario di sinistra, quale lo avrebbero voluto Grandi, Farinacci e Marsich, presentava la sua candidatura a forza egemonica della destra e infilava la «via parlamentare» al potere.<br>C'era un pericolo, e Mussolini lo capì subito: che questa svolta a destra mettesse il partito alla mercé della sua ala reazionaria incarnata soprattutto dal ''ras'' piemontese [[Cesare Maria De Vecchi|De Vecchi]], uomo di poco cervello, ma tutto Trono e Altare, e che quindi poteva anche tornar comodo per il futuro. (cap. 2, p. 127) *[...], i giolittiani riuscirono a portare al governo uno dei suoi {{NDR|di Giolitti}} «ascari» più fedeli, ma anche dei più sbiaditi: [[Luigi Facta]].<br> Facta era un bravo avvocato di provincia piemontese con tutte le virtù, ma anche con tutti i limiti del suo ambiente: un uomo probo e integro, che dopo trent'anni di vita parlamentare ne aveva ormai una certa esperienza, aveva ricoperto con onore alcune cariche ministeriali, non aveva alcuna ambizione che quella di servire fedelmente il suo capo, né altre idee che quelle di lui. Tutto gli si poteva chiedere fuorché risolutezza ed immaginazione, cioè proprio le qualità che più urgevano. (cap. 2, pp. 143-144) *[...] le sue intenzioni {{NDR|Mussolini}} non le confidava nemmeno al segretario del partito, [[Michele Bianchi|Bianchi]], di cui apprezzava la fedeltà e l'impegno, ma non l'intelligenza: lo considerava angoloso, settario, puntiglioso vendicativo e privo d'intuito politico. L'unico con cui si apriva seguitava ad essere [[Cesare Rossi]], l'uomo che gli era stato accanto dal primo momento, lo aveva seguito in tutte le sue palinodie e gli dava sempre dei consigli che corrispondevano ai suoi desideri. (cap. 4, p. 166) *{{NDR|[[Vittorio Emanuele III]]}} non si fidava completamente di Mussolini, ma si fidava ancora meno dei suoi avversari ed era convinto che costoro, se avessero preso il mestolo in mano, avrebbero ricreato il caos del dopoguerra. Comunque, a una cosa era assolutamente deciso: a non farsi coinvolgere nella lotta politica, come del resto gli dettava la Costituzione di cui, quando gli faceva comodo, sapeva ricordarsi. ====[[Explicit]]==== *Resterebbe solo da sapere con che animo Mussolini s'investì, il 3 gennaio, nella parte di dittatore. Se, come molti sostengono, gli sforzi che fino a quel momento aveva fatto per evitarla erano stati solo un giuoco per dimostrare che non era lui a volerla, ma gli eventi ad imporgliela, bisogna riconoscere che come {{sic|giuocatore}} sapeva il fatto suo. ==''Storia dei Greci''== *Il modo migliore per ripagare il nostro contemporaneo [[Heinrich Schliemann|Enrico Schliemann]] degli enormi servigi che ci ha reso nella ricostruzione della civiltà classica, mi pare sia quello di assumerlo fra i suoi protagonisti, com'egli stesso mostrò di desiderare ardentemente, scegliendosi, in pieno secolo decimonono, [[Zeus]] come dio e a lui indirizzando le sue preghiere, battezzando [[Agamennone]] suo figlio, Andromaca sua figlia, Pélope e Telamone i suoi servitori, e dedicando a [[Omero]] tutta la sua vita e i quattrini. (cap. 2; 2004, p. 17) *{{NDR|Su [[Heinrich Schliemann|Schliemann]]}} Era un matto, ma tedesco, cioè organizzatissimo nella sua follia, che la buona sorte volle ricompensare. La prima storia che gli raccontò suo padre, quando aveva cinque o sei anni, non fu quella di [[Cappuccetto Rosso]], ma quella di [[Ulisse]], di [[Achille]] e di Menelao. Ne aveva otto, quando annunziò solennemente in famiglia che intendeva riscoprire Troia e dimostrare, ai professori di storia che lo negavano, ch'essa era realmente esistita. Ne aveva dieci, quando compose in latino un saggio su questo argomento. E ne aveva sedici, quando sembrò che questa infatuazione gli fosse del tutto passata. Infatti s'era impiegato come garzone di una drogheria, dove scoperte archeologiche non c'era da farne di certo, e di lì a poco s'imbarcò non per l'Ellade, ma per l'America, in cerca di fortuna. (cap. 2; 2004, p. 17) *Di nuovo il buon Dio, che per i matti ha un debole, lo compensò di tanta fede, guidando il suo piccone sugli scantinati del palazzo dei discendenti di re Atreo, nei cui sarcofaghi furono ritrovati gli scheletri, le maschere d'oro, i gioielli e il vasellame che si ritenevano esistiti solo nella fantasia di Omero. E Schliemann telegrafò al re di Grecia: ''Maestà, ho ritrovato i vostri antenati''. Poi, ormai sicuro del fatto suo, volle dare il colpo di grazia agli scettici del mondo intero e, sulle indicazioni di [[Pausania]], andò a Tirinto e vi disseppellì le ciclopiche mura del palazzo di Proteo, di Perseo e di [[Andromeda|Andròmeda]]. (cap. 2; 2004, pp. 19-20) *Schliemann morì quasi settantenne nel 1890, dopo aver sconvolto tutte le tesi e le ipotesi su cui si era basata sino ad allora la ricostruzione della preistoria greca, tesa ad esiliare Omero e Pausania nei cieli della pura fantasia. (cap. 2; 2004, p. 20) *Ma ora, dopo le scoperte del tedesco matto, non abbiamo più il diritto di mettere in dubbio la realtà storica di Agamennone, di Menelao, di [[Elena]], di [[Clitennestra]], di Achille e di Patroclo, di Ettore e di Ulisse, anche se le loro avventure non sono state esattamente quelle che Omero ha descritto, facendoci sopra la cresta. Schliemann ha arricchito la storia e impoverito la leggenda, di alcune decine di personaggi di primissimo piano. Grazie a lui alcuni secoli, che prima erano nel buio, sono entrati nella luce, anche se è quella incerta della primissima alba. Ed è solo per mano a lui che possiamo esplorarla. (cap. 2; 2004, p. 21) *Senza dubbio gli [[achei]], a differenza dei pelasgi, furono terrieri, tant'è vero che fino alla guerra di Troia imprese per mare non ne azzardarono, e ogni volta che lo trovavano si fermavano. Essi non tentarono di mettere il piede nemmeno nelle isole più vicine al continente, e tutte le loro capitali e cittadelle erano nell'interno. La Grecia, sotto di loro, si limitava al Peloponneso, all'Attica e alla Beozia; mentre per le popolazioni pelasgiche della civiltà micenea, ch'erano marinare, essa inglobava anche tutti gli arcipelaghi dell'Egeo. (cap. 3, ''Gli Achei''; 2004, p. 25) *[[Diogene di Sinope|Diogene]], che aveva la lingua lunga, disse che la religione greca era quella cosa per cui un ladro che sapeva bene l'Avemaria e il Paternoster era sicuro di potersela cavar meglio, nell'al di là di un galantuomo che li aveva dimenticati. Non aveva torto. La [[Religione dell'antica Grecia|religione]], in Grecia, era soltanto un fatto di procedura, senza contenuto morale. Ai fedeli non si chiedeva la fede né si proponeva il bene. S'imponeva solo il compimento di certe pratiche burocratiche. E non poteva essere diversamente, visto che di contenuto morale gli stessi {{sic|dèi}} ne avevano ben poco e non si poteva certo dire che fornissero un esempio di virtù. (cap. 7, ''Zeus e famiglia''; 2004, p. 54) *Anche [[Pisistrato]] era aristocratico e di famiglia ricca. Ma aveva capito che la [[democrazia]], una volta instaurata, è irreversibile e va sempre a sinistra. (cap. 15, ''Pisistrato''; 2004, p. 98) *Pisistrato, invece di cinquanta uomini, ne arruolò e armò quattrocento, s'impadronì dell'Acròpoli, e proclamò la dittatura. In nome e per il bene del popolo, si capisce, come tutte le dittature. (cap. 15; 2004, p. 91) *La stragrande maggioranza degli ateniesi, dopo averlo a lungo osteggiato e tenuto in gran sospetto, si erano sinceramente affezionati a Pisistrato che aveva dalla sua un'arma formidabile: la simpatia. (cap. 15; 2004, pp. 92-93) *Il tiranno Pisistrato seppe sfuggire a tutte le tentazioni del potere assoluto, meno una: quella di lasciare il «posto» in eredità ai figli, [[Ippia (tiranno)|Ippia]] e [[Ipparco (tiranno)|Ipparco]]. L'amor paterno gl'impedì di vedere con la consueta chiarezza che i totalitarismi non hanno eredi e che quello suo si giustificava soltanto come una eccezione alla democrazia per assicurarle ordine e stabilità. Peccato. (cap. 15; 2004, p. 95) *Pisistrato era morto nel 527 avanti Cristo. Ventun anni dopo, cioè nel 506, troviamo uno dei suoi due figli, da lui designati a succedergli, Ippia, alla corte del re di Persia, [[Dario I di Persia|Dario]], per suggerirgli l'idea di muover guerra contro Atene e la Grecia tutta. I grandi uomini non dovrebbero mai lasciare né vedove né eredi. Sono pericolosissimi. (cap. 16, ''I persiani alle viste''; 2004, p. 103) *Questo Ippia non aveva debuttato male, dopo che suo padre fu calato nella fossa. Era un giovanotto sveglio che, a furia di stare accanto al babbo, ne aveva imparato molte malizie, e alla politica aveva passione, a differenza di suo fratello Ipparco che invece s'interessava soltanto di poesia e di amore, in modo che fra i due non c'erano nemmeno pericolose rivalità. Eppure, a procurare i guai che condussero alla caduta della dinastia, fu proprio Ipparco. (cap. 16; 2004, p. 96) *Ipparco ebbe la disgrazia d'inciampare in un bellissimo guaglione di nome Armodio, che un certo Aristogitone – aristocratico quarantenne, prepotente e geloso – considerava sua proprietà. Costui concepì l'idea di sbarazzarsi del rivale col pugnale e, per dare all'assassinio un'etichetta più pulita che lo rendesse popolare, pensò di estenderlo anche al fratello Ippia facendolo passare per «delitto politico» in nome della libertà e contro la tirannia. Organizzò in questo senso una congiura con altri nobili latifondisti e, in occasione di una festa, tentò il colpo, che andò bene solo a mezzo: Ipparco ci rimise la pelle, ma Ippia scampò. E da quel momento, un po' per rancore, un po' per paura di altri complotti, il figlio e l'allievo di Pisistrato, dittatore liberale indulgente e illuminato, diventò un ''tiranno'' autentico. (cap. 16; pp. 96-97) *Lo scontento del popolo inferocì Ippia, che a sua volta inferocì il popolo. E quando il divorzio fra i due fu totale, i fuoriusciti, che frattanto si erano concentrati a Delfi, chiamarono in aiuto gli spartani, e insieme marciarono contro Atene. (cap. 16; 2004, p. 97) *Ippia si rifugiò sull'Acròpoli coi suoi sostenitori. Ma, per mettere in salvo i suoi figlioletti, cercò di farli segretamente espatriare. Gli assedianti li catturarono e l'infelice padre, per salvar la vita a loro e a se stesso, capitolò e si avviò in volontario esilio. Non bisogna dimenticare che nelle sue vene scorreva tuttavia il sangue di Pisistrato, cioè di un uomo sempre pronto a sacrificare la posizione alla famiglia, ma mai disposto a rassegnarsi alla sconfitta. (cap. 16; 2004, p. 97) *[[Milziade]] aveva capito qual era il debole dei [[Persia|persiani]]: essi erano bravi soldati individualmente, ma non avevano nessuna idea della manovra collettiva. E su questa puntò. A dar retta agli storici del tempo — che purtroppo erano tutti greci, — Dario perse settemila uomini, Milziade neanche duecento. (cap. 17, ''Milziade e Aristide''; 2004, p. 112) *{{NDR|A Milziade}} sopravvisse [[Aristide]], le cui vicende purtroppo ci dimostrano che l'[[onestà]] in [[politica]] non trova sempre i suoi compensi e che la [[storia]], come le [[donna|donne]], ha un debole per i birbaccioni. (cap. 17, ''Milziade e Aristide''; 2004, p. 112) *Nike, diventata ragazza, porta il [[peplo]] di lana, bianca o colorata, ma questa è l'unica scelta che le si lascia. Siccome è confinata in casa, non può nemmeno far quella di un ragazzo che le piace, e deve aspettare che il padre si metta d'accordo con un altro padre per combinare il matrimonio. (cap. 23, ''Una Nike qualsiasi''; 2004, p. 143) *Quando il grande [[Mirone]], rincorbellito dalla vecchiaia, si vide arrivare in studio come modella Laìde<ref>Etera dell'antica Grecia, celebre per la sua bellezza.</ref>, perse la testa e le offrì tutto ciò che possedeva purché restasse la notte. E siccome essa rifiutò, l'indomani il poveruomo si tagliò la barba, si tinse i capelli, indossò un giovanile [[chitone]] color porpora e si passò una mano di carminio sul viso. «Amico mio», gli disse Laìde, «non sperare di ottenere oggi ciò che ieri rifiutai a tuo padre». (cap. 23, ''Una Nike qualsiasi''; 2004, p. 150) *{{NDR|[[Fidia]]}} Qualcosa, nel suo carattere, doveva farne un nemico degli uomini, visto che nessuno lo amava. Eppure egli non fu soltanto un grande scultore, ma anche un grandissimo maestro, che, oltre ad aver creato uno stile, ne fece anche una scuola, trasmettendone le regole ad allievi come Agoracrito e Alcamene, continuatori del «classico». (cap. 25, ''Fidia sul Partenone''; 2004, p. 165) *Gli uomini non sanno apprezzare e misurare che la [[fortuna]] degli altri. La propria, mai. (cap. 25, ''Fidia sul Partenone''; 2004, p. 166) ==''Storia di Roma''== ===[[Incipit]]=== Non sappiamo con precisione quando a Roma furono istituite le prime scuole regolari, cioè «statali». Plutarco dice che nacquero verso il 250 avanti Cristo, cioè circa cinquecent'anni dopo la fondazione della città. Fino a quel momento i ragazzi romani erano stati educati in casa, i più poveri dai genitori, i più ricchi dai ''magistri'', cioè da maestri, o istruttori, scelti di solito nella categoria dei liberti, gli schiavi liberati, che a loro volta erano scelti fra i prigionieri di guerra, e preferibilmente fra quelli di origine greca, che erano i più colti. ===Citazioni=== <!--segui nel riportare le citazioni l'ordine cronologico del libro--> *Non ho scoperto nulla, con questo libro. Esso non pretende di portare "rivelazioni", nemmeno di dare una interpretazione originale della storia dell'Urbe. Tutto ciò che qui racconto è già stato raccontato. Io spero solo di averlo fatto in maniera più semplice e cordiale, attraverso una serie di ritratti che illuminano i protagonisti in una luce più vera, spogliandoli dei paramenti che fin qui ce li nascondevano. (introduzione) *{{NDR|[[Numa Pompilio]]}} Quelle che più lo interessavano erano le questioni religiose. E siccome in questa materia ci doveva essere una grossa anarchia perché ognuno dei tre popoli {{NDR|etruschi, latini e sabini}} venerava i propri {{sic|dèi}}, fra i quali non si riusciva a capire chi fosse il più importante, Numa decise di mettervi ordine. E per imporlo, questo ordine, ai suoi riottosi sudditi, fece spargere la notizia che ogni notte, mentre dormiva, la ninfa Egeria veniva a visitarlo in sogno dall'Olimpo per trasmettergliene direttamente le istruzioni. Chi vi avesse disobbedito, non era col re, uomo fra gli uomini, che avrebbe dovuto vedersela, ma col Padreterno in persona. (Rizzoli 1959, cap. 3, ''I re agrari'', pp. 37-38) *[[Tarquinio Prisco|Lucio Tarquinio]] e i suoi amici etruschi dovettero veder subito che profitto si poteva trarre da questa massa di gente, per la maggior parte esclusa dai comizi curiati, se si fosse potuta convincerla che solo un re forestiero come lui avrebbe potuto farne valere i diritti. E per questo l'arringò, promettendole chissà cosa, magari ciò che poi fece davvero. [...] Certamente ci riuscirono perché Lucio Tarquinio fu eletto col nome di Tarquinio Prisco, rimase sul trono trentotto anni, e per liberarsi di lui i ''patrizi'', cioè i «terrieri», dovettero farlo assassinare. Ma inutilmente. Prima di tutto perché la corona, dopo di lui, passò al figlio, eppoi a suo [[Tarquinio il Superbo|nipote]]. In secondo luogo perché, più che la causa, l'avvento della dinastia dei Tarquini fu l'effetto di una certa svolta che la storia di Roma aveva subìto e che non le consentiva più di tornare al suo primitivo e arcaico ordinamento sociale e alla politica che ne derivava. (RCS 2004, cap. 4, ''I re mercanti'', pp. 38-39) *Questo secondo [[Tarquinio il Superbo|Tarquinio]], prima di rischiare il colpo, tentò di far deporre lo zio per abuso di potere. Servio si presentò alle centurie che lo riconfermarono re con plebiscitaria acclamazione (lo racconta [[Tito Livio]], gran repubblicano, dunque dev'esser vero). Non restava quindi che il pugnale, e Tarquinio lo usò senza troppi scrupoli. Ma il respiro di sollievo che trassero i senatori, coi quali si era alleato, rimase loro in gola, quando videro l'uccisore sedersi a sua volta sul trono d'avorio senza chieder loro permesso, come avveniva a quei buoni vecchi tempi ch'essi speravano di restaurare. Il nuovo sovrano si mostrò subito più tirannico di quello che aveva spedito all'altro mondo. E infatti lo ribattezzarono «il Superbo» per distinguerlo dal fondatore della dinastia. (RCS 2004, cap. 4, ''I re mercanti'', pp. 42-43) *Non sappiamo quasi nulla di [[Lars Porsenna|Porsenna]]. Ma dal modo come si condusse, dobbiamo dedurre che alle doti del bravo generale doveva accoppiare quelle del sagace uomo politico. Egli si rese conto che negli argomenti di [[Tarquinio il Superbo|Tarquinio]] c'era del vero. Ma prima d'impegnarsi, volle essere sicuro di due cose: che il Lazio e la Sabina erno davvero pronti a schierarsi dalla sua parte, e che nella stessa Roma c'era una «quinta colonna» monarchica pronta a facilitargli il compito con un'insurrezione. (RCS 2004, cap. 5, ''Porsenna'', p. 49) *Da quell'anno 508 in cui fu fondata la repubblica, tutti i monumenti che i romani innalzarono un po' dappertutto portarono sempre la sigla SPQR che vuol dire: ''Senatus PopuluSque Romanus'', cioè «il Senato e il popolo romano». Cosa fosse il Senato, già lo abbiamo detto. Viceversa non abbiamo ancora detto cos'era il popolo, che non corrispondeva affatto a ciò che noi intendiamo con questa parola. In quei lontani giorni di Roma esso non comprendeva «tutta» la cittadinanza, come avviene oggi, ma soltanto due «ordini», cioè due classi: quella dei «patrizi» e quella degli ''equites'' o «cavalieri». (RCS 2004, cap. 6, ''SPQR'', p. 54) *{{NDR|[[Sacco di Roma (390 a.C.)]]}} Gli storici che lo hanno raccontato a cose fatte hanno avvolto di molte leggende questo capitolo che dovett'essere per l'Urbe molto spiacevole. Dicono che quando i [[galli]] fecero per dare la scalata al [[Campidoglio]], le oche sacre a Giunone cominciarono a stridere risvegliando così [[Marco Manlio Capitolino|Manlio Capitolino]] che, alla testa dei difensori, respinse l'attacco. Sarà. Però i galli in Campidoglio entrarono ugualmente come in tutto il resto della città, donde la popolazione era fuggita in massa per rifugiarsi su monti circostanti. (Rizzoli 1959, cap. 6, ''SPQR'', pp. 81-82) *[...] i galli espugnarono Roma, la misero a sacco, e se ne andarono incalzati dalle legioni, ma carichi di quattrini. Erano predoni gagliardi e zotici, che non seguivano nessuna linea politica e strategica nelle loro conquiste. Assalivano, depredavano e si ritiravano senza punto preoccuparsi del domani. Avessero potuto immaginare che vendetta Roma avrebbe tratto da quella umiliazione, non vi avrebbero lasciato pietra su pietra. (Rizzoli 1959, cap. 6, ''SPQR'', pp. 82-83) *Tutti i dittatori della Roma repubblicana, meno uno, furono patrizi. Tutti, meno due, rispettarono i limiti di tempo che furono loro imposti. Uno di essi, [[Lucio Quinzio Cincinnato|Cincinnato]], che, dopo soli sedici giorni di esercizio della suprema carica, tornò spontaneamente ad arare il campo coi buoi, è passato alla storia coi colori della leggenda. (RCS 2004, cap. 9, ''La carriera'', p. 85) *Negli ultimi tempi {{NDR|[[Cesare]]}} si era spinto anche più in là: aveva imposto che tutte le discussioni che si svolgevano in quel solenne e aristocratico consesso venissero registrate e pubblicate giorno per giorno. Così nacque il primo giornale. Si chiamò ''[[Acta Diurna|Acta diurna]]'', e fu gratuito, perché, invece di venderlo, lo affiggevano ai muri in modo che tutti i cittadini potessero leggerlo e controllare ciò che facevano e dicevano i loro governanti. L'invenzione fu d'immensa portata perché sancì il più democratico di tutti i diritti. Il Senato, che traeva prestigio anche dalla sua segretezza, fu così sottoposto alla pubblica opinione, e non si riebbe mai più da questo colpo. (RCS 2004, cap. 24, ''Cesare'', p. 214) *Se riuscirò ad affezionare alla storia di Roma qualche migliaio di italiani, sin qui respinti dalla sussiegosità di chi gliel'ha raccontata prima di me, mi riterrò un autore utile, fortunato e pienamente riuscito. (introduzione) *Sull'esattezza di quel che [[Tito Livio|Livio]] riferisce facciamo le nostre riserve, specie là dov'egli mette in bocca ai suoi personaggi interi discorsi che somigliano più a Livio che a loro. La sua è una storia di eroi, un immenso affresco a episodi, e serve più a esaltare il lettore che a informarlo. [[Roma]], a dargli retta, sarebbe stata popolata soltanto, come l'Italia di Mussolini, da guerrieri e navigatori assolutamente disinteressati, che conquistarono il mondo per migliorarlo e moralizzarlo. Gli uomini, secondo lui, sono divisi in buoni e cattivi. A Roma c'erano solamente i buoni, e fuori di Roma solamente i cattivi. Anche un grande generale come [[Annibale]] diventa, sotto la sua penna, un comune mariuolo. Ciò non toglie che la storia di Livio, costata cinquant'anni di fatiche a un autore che si dedicò soltanto ad essa, resti un gran monumento letterario. Forse il più grande fra quelli, piuttosto mediocri, eretti sotto il segno di [[Augusto]]. (cap. 30, ''Orazio e Livio'') *Può darsi che [[Dione Cassio]] e [[Svetonio]], nel loro odio per la monarchia, abbiano un po' calcato la mano. Ma matto, [[Caligola]] doveva esserlo davvero. (cap. 31, ''Tiberio e Caligola'') *[[Vitellio]], quando fu catturato nel suo nascondiglio, dove, tanto per cambiare, banchettava, fu trascinato nudo per la città con un laccio al collo, bersagliato di escrementi, torturato con ponderata lentezza, e alla fine gettato nel Tevere.<br>Questa città che si divertiva al fratricidio, questi eserciti che si ribellavano, questi imperatori che venivano subissati di sterco pochi giorni dopo essere stati coperti di osanna: ecco cos'era diventata la capitale dell'Impero. (Rizzoli 1959, cap. 37, ''I Flavi'', pp. 415-416) *Purtroppo la pace, per ottenerla, bisogna essere in due a volerla. (cap. 37, ''I Flavi'') *Era la prima volta, nella storia di Roma, che una guerra si combatteva in nome della religione. Ma fu la Croce che vinse. E il Tevere, trascinando verso la foce i cadaveri di [[Massenzio]] e dei suoi soldati che lo ingombravano, sembrò che spazzasse via i residui del mondo antico. (cap. 46, ''Costantino'') *Il papa che più contribuì a rassodare l'organizzazione in questi primi difficili anni fu [[Papa Callisto I|Callisto]], che molti consideravano un avventuriero. Dicevano che, prima di convertirsi, aveva fatto i quattrini con sistemi piuttosto equivoci, era diventato banchiere, aveva derubato i suoi clienti, era stato condannato ai lavori forzati ed era fuggito con un inganno. Il fatto che, appena diventato papa, proclamasse valido il pentimento per cancellare qualunque peccato, anche mortale, ci fa sospettare che in queste voci un po' di verità c'è. Comunque, fu un gran papa, che stroncò il pericoloso scisma d'[[Ippolito di Roma|Ippolito]] e affermò definitivamente l'autorità del potere centrale. (RCS 2004, cap. 46, ''Costantino'', p. 367) *Le rivoluzioni vincono non in forza delle loro idee, ma quando riescono a confezionare una classe dirigente migliore di quella precedente. E il [[Cristianesimo]] era riuscito proprio in questa impresa. (cap. 47, ''Il trionfo dei cristiani'') *[[Costantino]] fu uno strano e complesso personaggio. Faceva gran scialo di fervore cristiano, ma nei suoi rapporti di famiglia non si mostrò molto ossequente ai precetti di Gesù. Mandò sua madre Elena a Gerusalemme per distruggere il tempio di Afrodite che gli empi governatori romani avevano elevato sulla tomba del Redentore, dove, secondo Eusebio, fu ritrovata la croce su cui era stato suppliziato. Ma subito dopo mise a morte sua moglie, suo figlio e suo nipote. (cap. 47, ''Il trionfo dei cristiani'') *Come tutti i grandi Imperi, quello romano non fu abbattuto dal nemico esterno, ma roso dai suoi mali interni. (cap. 51, ''Conclusione'') *Una religione conta non in quanto costruisce dei templi e svolge certi riti; ma in quanto fornisce una regola morale di condotta. Il [[paganesimo]] questa regola l'aveva fornita. Ma quando Cristo nacque, essa era già in disuso, e gli uomini, consciamente o inconsciamente, ne aspettavano un'altra. Non fu il sorgere della nuova fede a provocare il declino di quella vecchia; anzi, il contrario. (cap. 51, ''Conclusione'') *Il dispotismo è sempre un malanno. Ma ci sono delle situazioni che lo rendono necessario. (cap. 51, ''Conclusione'') ===[[Explicit]]=== Mai città al mondo ebbe più meravigliosa avventura. La sua storia è talmente grande da far sembrare piccolissimi anche i giganteschi delitti di cui è disseminata. Forse uno dei guai dell'Italia è proprio questo: di avere per capitale una città sproporzionata, come nome e passato, alla modestia di un popolo che, quando grida «Forza Roma!», allude soltanto a una [[Associazione Sportiva Roma|squadra di calcio]]. ==''XX Battaglione eritreo''== ===[[Incipit]]=== Sono letterato. E, a parte il brutto e il meschino di quella parola, il mio mestiere m'innamora. Mi sono sforzato tanti anni, per compiacere a qualcuno o a qualcosa, di tradire questo mio istinto. Ma non ce l'ho fatta. E non ce la fo nemmeno ora, soldato in Africa, in piena guerra. Ma non lo dico per presentare il conto. E a chi, poi? Lo dico per un fenomeno di narcisismo: perché mi garba contemplarmi in questo gesto di fedeltà al mestiere, che poi vuol dire fedeltà a me stesso. ===Citazioni=== *Essere [[Àscari|ascaro]] vuol dire, press'a poco, avere un blasone; vuol dire avere tre lire al giorno, più un'indennità vestiario, più un'indennità farina, più un'indennità carne; vuol dire avere un ''tarbush'' e una fascia coi colori del battaglione; vuol dire soprattutto avere un fucile. La gente di questo Paese segue una logica sistematica semplice e dritta: l'umanità si divide in due categorie: gli armati che sono i forti, i disarmati che sono i deboli. Al culmine della gerarchia sociale sta il possessore di fucile, il guerriero: che è tanto più importante quanto più elevato è il suo grado e quanto è maggiore la sua anzianità. (p. 25) *[[Pietro Toselli|Toselli]]. Questo nome non ha in Italia la risonanza che ha qui. Toselli non è un uomo, è una leggenda: non solo alla cronaca, ma sfugge anche alla storia. È rimasto nei canti di questa gente, nelle sue memorie e anche nelle sue speranze. Pur ieri mi diceva il vecchio Sciumbasci, reduce di Adua e ora capopaese di Digsa, che «le cose che si sanno sono molto meno di quelle che non si sanno» e che «il fatto è questo: che il corpo del maggiore Toselli non era più sul campo dopo la battaglia». Su quello che ne sia avvenuto le opinioni sono discordi, ma nessuno crede che il maggiore sia morto. (pp. 35-36) *Appollaiato ai suoi piedi, nascosto fra il verde tenero degli eucalipti, stava [[Alessandro Pirzio Biroli|Pirzio Biroli]]. Il suo nome era mormorato con circospezione dagli [[Àscari|ascari]] disseminati fra le rocce di Mai Egadà a Saganeiti, da Agordar ad Assab, a Cheren, ad Adi Ugri, ad Adi Caieh. Raramente lo si vedeva e sempre a cavallo. Accanto a lui cavalcava Chiarini, la piccola ombra fedele, il fantasma sorto una notte da un roveto della conca di Adua. Chiarini, settantenne, pallido, non scompariva nell'alone magico che Pirzio, il buon gigante, suscitava intorno. (pp. 87-88) *Poi arrivava anche lui, [[Alessandro Pirzio Biroli|Pirzio]] il leone, altissimo, quadrato, col profilo calmo incorniciato dalla folta criniera. Il cavallo, domo dai suoi ginocchi di ferro, caracollava senza un tentativo di ribellione. Dalla sella pendevano, di qua e di là, due aquile colossali, abbattute in volo dal moschetto infallibile di Pirzio. Nessuna tromba sonava l'attenti al suo ingresso. Non ce n'era bisogno. Tutti, nel quartiere, sentivano come per miracolo la sua presenza e restavano ischeletriti. Pirzio non se n'accorgeva: era uno di quegli uomini pei quali gli uomini sentono rispetto per istinto e che passano attraverso la vita come attraverso un'eterna parata, fra due file di bipedi schiaffati meccanicamente sull'attenti. Gli [[Àscari|ascari]] ebbero ragione quando lo battezzarono «il Leone»: non aveva bisogno di ruggire perché il largo gli si facesse automaticamente intorno. (pp. 88-89) ===[[Explicit]]=== Vorremmo ristare dopo la guerra? Il mondo è così visto che nessun limite precisa al desiderio. Italiani, continuate ad aver fame anche dopo aver mangiato. Questa guerra è per noi come una bella lunga vacanza dataci dal Gran Babbo in premio di tredici anni di banco di scuola. E, detto fra noi, era ora. ==Citazioni su Indro Montanelli== *A leggerlo sembrerebbe un disordinatore di professione: sempre pronto a mugugnare, sempre a prendersela con qualcuno. Poi però, quando si tratta di scendere sul pratico, ci consiglia di turarci il naso e di andare a votare per l'Ordine. vallo a capire. ([[Luciano De Crescenzo]]) *Amo Indro Montanelli, ma non i suoi emuli. I polemisti per posa non mi piacciono, non li ritengo utili. Ma lui non era un polemista fine a se stesso, come tanti dei suoi presunti eredi. Era piuttosto, come da titolo di una sua fortunata rubrica, controcorrente. Non si curava delle convenienze, dei vantaggi che gli sarebbero derivati nel seguire l'onda di [[pensiero]] prevalente. Aveva la sua visione delle cose, sempre originale e spesso esatta. Io credo che dire quel che si pensa premi sempre. Montanelli lo faceva, e andava a letto tranquillo. ([[Fabio Genovesi]]) *C'è davvero qualcosa di singolare nel modo in cui è venuta formandosi la memoria della Repubblica, nel modo in cui tale memoria è stata ed è elaborata dalla cultura ufficiale del Paese. Per molti decenni, ad esempio, a quanto accaduto dal 1943 al '45 fu vietato dare il nome che gli spettava, il nome cioè di [[Guerra civile in Italia (1943-1945)|guerra civile]]. Parlare di guerra civile era giudicato fattualmente falso, e ancor di più ideologicamente sospetto. Bisognava dire che quella che c'era stata era la resistenza, non la guerra civile; di guerra civile parlavano e scrivevano, allora, solo i reduci di Salò, i nostalgici del regime e qualche coraggioso giornalista o pubblicista di rango come Indro Montanelli, che mostravano così da che parte ancora stavano. Le cose andarono in questo modo a lungo. Finché, all'inizio degli anni Novanta, come si sa, uno storico di sinistra, [[Claudio Pavone]], scrisse un libro sul periodo 1943-'45 che si intitolava precisamente ''Una guerra civile'': solamente da allora tutti abbiamo potuto usare senza problemi questa espressione, ben inteso non cancellando certo la parola resistenza. ([[Ernesto Galli della Loggia]]) *È uno che riesce a spiegare agli altri quello che non capisce nemmeno lui. ([[Mario Missiroli]]) *È vero che ha cambiato parere politico più volte, ma sempre perché profondamente preoccupato per le sorti del paese. Ma Indro ha cambiato parere sempre meno di quei giornalisti che da Lotta Continua sono passati a Comunione e Liberazione per approdare infine a dirigere quotidiani di Stato. Senza contare tutti coloro che da stalinisti o maoisti sono diventati prima antimarxisti e ora clintoniani: Montanelli ragiona, loro vogliono avere sempre ragione. ([[Fausto Gianfranceschi]]) *Indro è naturalmente inclinato, direi quasi condannato a vedere più i ''tics'' degli uomini che le loro qualità e nessuno come lui fa più uso, nei suoi ritratti, dell'acido prussico. ([[Eugenio Montale]]) *{{maiuscoletto|Indro Montanelli}}. L'Italia dei Luoghi Comuni. ([[Marcello Marchesi]]) *Io mi sono limitato ad adottare la sua formula giornali­stica. Ma l'ho realizzata meglio perché mi sono sempre esposto, ci ho messo la faccia. Lui invece era come Veltroni: "Sì, ma an­che". Non si schierava nettamente, il suo editoriale era così in chiaroscuro che alla fine non capivi mai se fosse chiaro o scuro. Il che non significa che non resti il migliore di tutti noi. Ho venduto più di lui solo perché a me la gente non fa schifo. ([[Vittorio Feltri]]) *Mi sono sentito in imbarazzo per lui, e il mio primo pensiero è stato il rifiuto – «no, povero Montanelli» – quando all'ingresso dei giardini di via Palestro mi sono trovato davanti alla sua statua, al punto che ho pensato che ci sono vandali che distruggono e vandali che costruiscono, e che anzi, per certi aspetti, il vandalismo che crea è ben peggiore, perché tenta di disarmarti con le sue buone intenzioni. Dunque era di mattina, molto presto, e i giardini erano vuoti, al sole. Ebbene in questo vuoto, la statua mi è apparsa all'improvviso: una figurina in gabbia che non ha niente a che fare con Montanelli, se non perché lo offende anche fisicamente, lui che era così "verticale", e che ci invitava a buttare via «il grasso» e la retorica monumentale. Il giornalista che ogni volta si ri-definiva in una frase, in un concetto, in un aforisma, in una citazione, è stato per sempre imprigionato in una scatola di sardine. Perciò ho provato il disagio che sempre suscita il falso, la patacca, la similpelle che non è pelle, perché non solo questo non è Montanelli, come ci ha insegnato Magritte che dipinse una pipa e ci scrisse sotto "questa non è una pipa". Il punto è che questa non è neppure una statuta di Montanelli, ma di un montanelloide in bronzo color oro, che ha la presunzione ingenua e goffa di imprigionare il Montanelli entelechiale, il Montanelli che era invece l'asciuttezza, era il corpo più "instatuabile" del mondo, troppo alto, troppo energico, troppo nervoso, incontenibile nello spazio e nel tempo com'è l'uomo moderno, che è nomade e ha un'identità al futuro. Era il più grande nemico delle statue il Montanelli che sempre ci sorprendeva, fascista ma con la fronda, conservatore ma anarchico, con la sinistra ma di destra, un uomo di forte fascino maschile che tuttavia non amava raccogliere i trofei del fascino maschile, ingombrante ma discreto, il solo che nella storia d' Italia abbia rifiutato la nomina a senatore a vita perché, diceva, «i monumenti sono fatti per essere abbattuti», come quello di Saddam, o di Stalin o di Mussolini. Come si può fare una statua ingombrante e discreta? Come si può fare un monumento all'antimonumento? ([[Francesco Merlo]]) *Montanelli comprò una sposa ragazzina di 11-12 anni. In realtà non possiamo sapere con precisione l'età perché nei villaggi africani non si registravano le nascite. Ma la comprò, questo lo sappiamo. E la violentò più volte. sappiamo anche questo, è stato lui a raccontare che lei non voleva. [...] Da italiano Montanelli avrebbe potuto riconoscere i segni di quella crudeltà e discostarsene. Non lo fece perché condivideva evidentemente quella cultura patriarcale. Perché non mettere al posto della sua statua quella di una donna della Resistenza? In Italia vorrei vedere più statue di donne partigiane. ([[Maaza Mengiste]]) *Montanelli disprezzava la borghesia che difendeva, e ammirava i comunisti che attaccava. Era convinto che la rivolta di Budapest si dovesse a operai che volevano il vero socialismo; mentre fu una rivolta nazionalista e antisovietica. ([[Enzo Bettiza]]) *Montanelli è il campione di indipendenza dalla politica, anche se sono arrabbiato con lui perché mi ha insegnato regole di comportamento anacronistiche, che nel giornalismo odierno non valgono più. ([[Daniele Vimercati]]) *Montanelli ha sempre avuto una componente di destra. È stato un uomo di destra come fascista, uomo di destra come sostenitore dei governi dc sia pure turandosi il naso. [...] Adesso è un uomo di destra qualunquista, ma sempre di destra. ([[Ugo Intini]]) *Montanelli, un misantropo che cerca compagnia per sentirsi più solo. ([[Leo Longanesi]]) *Quanto mi ha insegnato: le parole da non usare, le cose da non dire, la persone da non frequentare. ([[Beppe Severgnini]]) *Recentemente sono stato insignito del Premio Montanelli alla carriera che dovrebbe essermi consegnato a ottobre a Fucecchio, a meno che nel frattempo non mi sia revocato per indegnità, sempre in nome della libertà di informazione. Sono certo che il vecchio Indro non avrebbe condiviso nemmeno un fonema del mio necrologio sul Mullah {{NDR|Omar}}, ma sono altrettanto certo che non si sarebbe mai sognato di bloccarlo. Caso mai ci avrebbe riso su, considerandolo una provocazione, anche se provocazione non era. Perché Montanelli era un vero liberale. Quando i liberali esistevano ancora. ([[Massimo Fini]]) *Sa spalmare una così giusta misura di miele sull'orlo del nappo avvelenato che prepara per questo o per quello, che spesso la vittima muore senza accorgersene, ingannata dai soavi licori. ([[Paolo Monelli]]) *Scalfari e Montanelli direttori all'antica, padroni, mattatori che ricordano gli Scarfoglio, i vecchi direttori dell'ottocento che non solo incrociavano la penna ma anche la spada in una rissa continua con tutt ([[Ugo Intini]]) *Si può raccontare la [[storia]] in forma lieve, senza essere troppo ponderosi, rispettando tuttavia le fonti e la verità storica. Montanelli era molto bravo a scrivere, ma in fondo ne sapeva poco, gli piaceva gigioneggiare, sprofondava nell'anacronismo. Oggi ci si è accorti che, nel raccontare la storia, essere rigorosi ed essere divertenti non è conflittuale. ([[Alessandro Barbero]]) *So solo che Montanelli è fatto così: un maestro di giornalismo che ogni tanto s'impenna con qualcuna delle sue bizzarrie. ([[Giorgio Bocca]]) *Una volta, parecchi anni fa, Indro Montanelli, dicendosi disgustato della morbidezza e della mollezza della [[Democrazia Cristiana]], che ammorbidiva, incorporava, estenuava e alla fine innocuizzava qualsiasi opposizione, togliendole ogni soddisfazione e dignità, mi mostrò una fotografia, incastonata in una cornicetta d'argento, che teneva, a mo' di santino, come altri fanno con le immagini della madre o della moglie e dei figli, sulla sua scrivania, al «Giornale». Con sorpresa vidi che si trattava di Stalin. «Con questo ci sarebbe stato gusto, a battersi», disse. ([[Massimo Fini]]) *Ognuno può pensarla come vuole, ma quando si passa dalla cronaca alla storia è necessario mantenere un giusto approccio ed essere oggettivi sui valori della persona. Indro Montanelli è stato forse il più autorevole giornalista che l’Italia ha avuto nel ventesimo secolo. La Toscana penserà ad azioni per valorizzarlo. ([[Eugenio Giani]]) ===[[Enzo Biagi]]=== *A Indro Montanelli devo molto: intanto, l'idea che chi conta è il pubblico. Poi la necessità di essere chiari, di far anche fatica, perché chi legge non ha voglia di impegnarsi troppo, e solo se uno si chiama [[James Joyce|Joyce]] può essere difficile. *Montanelli se n'è sempre fregato delle critiche, io molto meno, ho un carattere permaloso, spesso non ho resistito alla tentazione di rispondere a chi mi attaccava. Indro mi sgridava, diceva a mia moglie di tenermi calmo, che non ne valeva la pena, che erano tutte bischerate. [...] Per lui il buon risultato era il sorriso di un passante, l'oste che gli trovava il tavolo. Qualcuno si chiedeva che cos'avesse di speciale. A pensarci bene, niente. Scriveva degli articoli che erano letti e dei libri che si vendevano. *Non è una gran notizia che Indro e io non abbiamo mai fatto parte del coro, ma fu una grande notizia la spiegazione che ne diede Berlusconi: "Biagi e Montanelli hanno invidia del mio successo". La prima cosa che mi venne in mente fu: "Sai che risate si starà facendo Indro adesso". Poi mi dissi che c'era poco da ridere. ==Note== <references/> ==Bibliografia== *Indro Montanelli, ''Qui non riposano'', Marsilio, 1982 (1945). *Indro Montanelli, ''Pantheon minore'' (incontri), Longanesi e C., Milano, 1950. {{NoISBN}} *Indro Montanelli, ''Gli incontri'', Rizzoli, Milano, 1967. {{NoISBN}} *Indro Montanelli, ''Storia dei greci'', Rizzoli, Milano, 1992. ISBN 8817115126 *Indro Montanelli, ''Storia dei greci'', RCS Quotidiani, Milano, 2004. ISBN 1-129-08505-8 *Indro Montanelli, ''Storia di Roma'', Longanesi, Milano, 1957; Rizzoli, Milano, 1959. {{NoISBN}} *Indro Montanelli, ''Storia di Roma'', RCS Quotidiani, Milano, 2004. ISBN 1-129-08505-8 *Indro Montanelli, ''L'Italia giacobina e carbonara (1789-1831)'', Rizzoli, Milano, 1971. {{NoISBN}} *Indro Montanelli, ''L'Italia del Risorgimento (1831-1861)'', terza edizione, Rizzoli, Milano, 1972. {{NoISBN}} *Indro Montanelli, ''L'Italia dei notabili (1861-1900)'', Rizzoli, Milano, 1973. {{NoISBN}} *Indro Montanelli, ''L'Italia di Giolitti (1900-1920)'', Rizzoli, Milano, 1974. {{NoISBN}} *Indro Montanelli, ''L'Italia in camicia nera (1919-3 gennaio 1925)'', Rizzoli, Milano, 1976. *Indro Montanelli, ''Dante e il suo secolo'', Rizzoli, Milano, 1974. {{NoISBN}} *Indro Montanelli, ''I protagonisti'', Rizzoli, Milano, 1976. {{NoISBN}} *Indro Montanelli, ''Controcorrente'', Editoriale Nuova, Milano, 1978. {{NoISBN}} *Indro Montanelli, ''Controcorrente 1974-1986'', Arnoldo Mondadori Editore, Milano, 1987. ISBN 8804300558 *Indro Montanelli, ''Il meglio di «Controcorrente». 1974-1992'', Rizzoli, Milano, 1993. ISBN 8817428078 *Indro Montanelli, ''Il testimone'', TEA, Milano, 1993. ISBN 8878194182 *Indro Montanelli, ''Le Stanze. Dialoghi con gli italiani'', Rizzoli, Milano, 1998. ISBN 8817852597 *Indro Montanelli, ''Le nuove Stanze'', Rizzoli, Milano, 2001. ISBN 8817868426 *Indro Montanelli, ''Soltanto un giornalista. Testimonianza resa a Tiziana Abate'', BUR, Milano, 2003. ISBN 8817107042 *Indro Montanelli, ''I conti con me stesso. Diari 1957-1978'', a cura di [[Sergio Romano]], Rizzoli, Milano, 2010. ISBN 8817028202 ([http://books.google.it/books?id=fuh--fZGHMcC&printsec=frontcover Anteprima su Google Libri]) *Indro Montanelli, ''Ricordi sott'odio'', Milano, Rizzoli, 2011, ISBN 978-88-17-04963-4 *Indro Montanelli, ''Indro al Giro. Viaggio nell'Italia di Coppi e Bartali. Cronache del 1947 e 1948'', a cura di Andrea Schianchi, Collana Saggi italiani, Milano, Rizzoli, 2016. ISBN 978-88-1708-969-2 *Paolo Granzotto, ''Montanelli'', Bologna, Il Mulino. ISBN 88-15-09727-9 *Paolo Occhipinti (a cura di), ''Caro Indro... Dialoghi di Montanelli con il direttore di Oggi. 1993-2001. Il meglio di una rubrica di successo durata otto anni'', RCS, Milano, 2002. ==Voci correlate== *[[Colette Rosselli]] *[[Indro Montanelli e Roberto Gervaso]] *[[Indro Montanelli e Mario Cervi]] *[[Indro Montanelli e Marco Nozza]] *''[[Il generale Della Rovere]]'' (film 1959) ==Altri progetti== {{interprogetto}} ===Opere=== {{Pedia|La Voce (quotidiano)|''La Voce''}} {{Pedia|Storia d'Italia (Montanelli)|''Storia d'Italia''}} {{DEFAULTSORT:Montanelli, Indro}} [[Categoria:Drammaturghi italiani]] [[Categoria:Giornalisti italiani]] [[Categoria:Saggisti italiani]] [[Categoria:Commediografi italiani]] g4bimyd3d8o7hvpur5z1kafxc52sf3f 1381946 1381945 2025-07-01T20:13:27Z ~2025-110542 103361 /* La Stampa */ 1381946 wikitext text/x-wiki [[File:IndroMontanelliLettera22.jpg|thumb|upright=1.5|Indro Montanelli alla sede del ''Corriere della Sera'']] '''Indro Montanelli''' (1909 – 2001), giornalista, saggista e commediografo italiano. ==Citazioni di Indro Montanelli== [[File:Indro Montanelli 1936.jpg|miniatura|Indro Montanelli, ufficiale del Regio Esercito, 1936]] *[[Gianni Agnelli|Agnelli]] ha detto che non siamo nella repubblica delle banane, però qualche banana in Italia c'è, perché avvengono cose veramente singolari.<ref>Citato in Marco Travaglio, ''Bananas'', Garzanti, Milano, 5 maggio 2001.</ref> *Al [[conformismo]] l'[[ironia]] fa più paura d'ogni [[Argomentazione|argomentato ragionamento]].<ref>Da ''Controcorrente'', Editoriale Nuova, Milano, 1978.</ref> *{{NDR|[[Ferdinando I delle Due Sicilie]]}} Aveva sulla coscienza la vita di migliaia d'infelici, morti sulla forca e nelle galere solo per aver voluto un po' di libertà. Era stato spergiuro. Non aveva conosciuto che disfatte e fughe ignominiose di fronte al nemico. Politicamente, era rimasto fermo alla concezione settecentesca del più retrivo assolutismo. Non aveva fatto che i propri interessi, e più ancora i propri comodi, della regalità prendendosi solo i piaceri. Non aveva saputo che incrementare l'ignoranza di cui egli stesso era campione. Eppure, il cordoglio popolare per la sua morte non ci stupisce, perché un dono lo aveva avuto: la genuinità. Questo Re fellone e fannullone non aveva mai cercato di apparire diverso da quel che era: uno scugnizzo dei «bassi», prepotente, ridanciano e sboccato, nato per caso con una corona in testa e che aveva sempre concepito la sua parte come quella di un buon capo-camorra. Non aveva interpretato che i caratteri deteriori del popolo napoletano, ma anche i più appariscenti e riconoscibili.<ref>Da ''L'Italia unita. {{small|Da Napoleone alla svolta del Novecento}}'', Rizzoli BUR, Milano, 2015, [https://books.google.it/books?id=8J7tCgAAQBAJ&lpg=PT206&dq=&pg=PT206#v=onepage&q&f=false p. 206]. eISBN 978-88-58-68272-2</ref> *Avevo capito fin dal primo incontro che l'aggressività di [[Anna Magnani|Anna {{NDR|Magnani}}]] era solo la maschera della sua insicurezza. Era una donna difficile e sempre agli estremi di tutto: della dolcezza come del furore, e non si capiva mai bene, forse non lo capiva nemmeno lei, quanto l'uno e l'altra fossero veri, o soltanto scena. Certo è che dall'uno all'altra passava con fulminea velocità e tenendo chiunque in stato di fibrillazione. <ref>Da ''Anna Magnani, la più grande attrice del nostro cinema'', 23 ottobre 1999, in ''Le Nuove stanze'', a cura di Michele Brambilla, RCS Libri, Milano, 2002, p. 280.</ref> *{{NDR|[[Walter Chiari]]}} Avrebbe meritato 30 anni di prigione per lo spreco del suo talento.<ref>Citato in Luciano Giannini, ''[https://www.ilmattino.it/AMP/cultura/walter_chiari_100_walter_sottotitolo_chiari_biografia_di_un_genio_irregolare-7954361.html Walter Chiari genio irregolare che confessava di aver vissuto]'', ''Il Mattino'', 24 febbraio 2024</ref> *[[Silvio Berlusconi|Berlusconi]] è una persona intelligente finché riesce a ragionare col suo cervello: il suo cervello è valido. Ma lui, oltre al cervello, ha le viscere, e molto spesso le viscere prendono la prevalenza sul cervello. E quando lui si abbandona alle viscere, secondo me, diventa uomo pericoloso. Questo lo dico a lei perché l'ho detto a lui, perché gliel'ho anche scritto.<ref name="milano">Dal programma televisivo ''Milano, Italia'', Rai 3, 11 gennaio 1994.</ref> *[[Silvio Berlusconi|Berlusconi]] ha straordinarie qualità di imprenditore – coraggio, fantasia, forza di lavoro – che gli hanno valso il successo in tutti i campi in cui si è cimentato. Una sola cosa non gli riesce di fare, il presidente di una società di calcio.<ref>Da ''[http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/1987/01/20/ora-montanelli-critica-berlusconi.html Ora Montanelli critica Berlusconi]'', ''la Repubblica'', 20 gennaio 1987.</ref> *[[Silvio Berlusconi|Berlusconi]] non ha idee: ha solo interessi.<ref>2001; citato in [[Marco Travaglio]], ''Ad personam'', Chiarelettere, Milano, 2010, p. 39, ISBN 978-88-6190-104-9.</ref> *{{NDR|Su [[Aldo Moro]]}} Calvinista a rovescio, invece che nella predestinazione della [[Grazia divina|grazia]], credeva in quella della [[disgrazia]].<ref>Citato in [[Roberto Gervaso]], ''Ve li racconto io'', Mondadori, Milano, 2006, pp. 310-311, ISBN 88-04-54931-9.</ref> *Certo, per un direttore di giornale, avere sottomano un [[Marco Travaglio|Travaglio]], che su qualsiasi protagonista, comprimario e figurante della vita politica italiana è pronto a fornirti su due piedi una istruttoria rifinita nel minimo dettaglio è un bel conforto. Ma anche una bella inquietudine. Il giorno in cui gli chiesi se in quel suo archivio, in cui non consente a nessuno di ficcare il naso, ci fosse anche un fascicolo intitolato al mio nome, Marco cambiò discorso.<ref>Dalla prefazione a Marco Travaglio, ''Il Pollaio delle Libertà'', Vallecchi, Firenze, 1995.</ref> *Chi di voi vorrà fare il [[giornalista]], si ricordi di scegliere il proprio padrone: il [[lettore]].<ref>Dalla lezione di giornalismo all'Università di Torino, 12 maggio 1997; citato in ''La Stampa'', 14 aprile 2009.</ref> *Conosco molti furfanti che non fanno i [[Morale|moralisti]], ma non conosco nessun moralista che non sia un furfante. Senza, per carità, allusione a [[Eugenio Scalfari|Scalfari]]. Solo come promemoria.<ref>Citato in [[Eugenio Scalfari]], ''Incontro con io'', Rizzoli, Milano, 1994, ISBN 8806200747.</ref> *Cosa c'è meglio di [[Romano Prodi|Prodi]]? Governa fra compromessi e imbroglietti. I nostri soci sanno benissimo che siamo imbroglioni, che sui conti che portiamo all'Europa s'è un po' imbrogliato. Accettano lo stesso, purché non s'esageri. E [[Carlo Azeglio Ciampi|Ciampi]] non esagera, è un economista serio e vero. [...] {{NDR|Romano Prodi}} Con la faccia da mortadella, l'ottimismo inossidabile e l'eterno sorriso, ci porterà in Europa: ringraziamo Dio, e anche [[Massimo D'Alema|D'Alema]], che ci hanno dato Prodi.<ref name=Montanelli>Citato in Francesco Battistini ''[https://web.archive.org/web/20160101000000/http://archiviostorico.corriere.it/1997/dicembre/19/Montanelli_ragazzi_rifate_68_co_0_97121914987.shtml Montanelli: ragazzi, rifate il '68]'', ''Corriere della Sera'', 19 dicembre 1997.</ref> *Dicono che [[Ciriaco De Mita|De Mita]] sia un intellettuale della Magna Grecia. Io però non capisco cosa c'entri la Grecia...<ref>Citato in ''Liberazione'', 22 febbraio 2008.</ref> *{{NDR|Su [[Giulia Maria Crespi]]}} Dispotica guatemalteca.<ref> Citato in Paolo Martini, ''[https://www.adnkronos.com/crespi-la-zarina-del-corriere-della-sera-che-fondo-il-fai_4YA2lu93AIXTzgMw0Wj65x Crespi, la 'zarina' del Corriere della Sera che fondò il Fai]'', adnkronos.com, 19 luglio 2020.</ref> *{{NDR|Su [[Gad Lerner]], nel 2000}} È bravissimo, son contento l'abbian messo al ''Tg1'', è un buon conduttore, buonissimo giornalista. Ma sarà un bravo direttore?<ref>Citato in Antonella Rampino, ''[http://www.archiviolastampa.it/component/option,com_lastampa/task,search/mod,libera/action,viewer/Itemid,3/page,3/articleid,0428_01_2000_0162_0003_4349235/ Il rischio? Una missione impossibile]'', ''La Stampa'', 17 giugno 2000.</ref> *{{NDR|Su [[Concetto Lo Bello]]}} Entra in campo col passo del padrone che ispeziona il proprio podere.<ref>Citato in Marco Innocenti, ''[https://st.ilsole24ore.com/art/SoleOnLine4/dossier/Tempo%20libero%20e%20Cultura/storie-della-storia/archivio-2009/storie-storia-9-settembre-muore-lo-bello.shtml?uuid=4327f496-881f-11de-873c-ca3137183d57&DocRulesView=Libero&refresh_ce=1 9 settembre 1991: se ne va il re degli arbitri, Concetto Lo Bello]'', ''ilsole24ore.com'', 8 settembre 2009.</ref> *{{NDR|Su [[Gaio Giulio Cesare|Giulio Cesare]]}} Grande soldato, grande statista, grande scrittore, grande avventuriero. E grande amatore. C'era di tutto. [...] In questa epoca di Mani Pulite Cesare sarebbe rimasto sicuramente "intangentato". Di tangenti lui ne prese parecchie. Ma a differenza dei mariuoli di oggi era anche un grande legislatore, un grande generale, un uomo di un'efficienza straordinaria. I nostri sono dei ladri. Ladri e basta.<ref>Citato in Mauro Anselmo, ''[http://www.archiviolastampa.it/component/option,com_lastampa/task,search/mod,libera/action,viewer/Itemid,3/page,7/articleid,0797_01_1993_0212_0009_11229316/ Montanelli: così ho finito la mia Storia d'Italia]'', ''La Stampa'', 4 agosto 1993.</ref> *{{NDR|Su [[Clare Boothe Luce]]}} Ha la mentalità schematica di una maestra di scuola.<ref>Citato in Massimo Gaggi, ''Quando il giornale del Pci pensò di pubblicare il nudo dell'ambasciatrice Usa'', ''Corriere della Sera'', 18 dicembre 2022.</ref> *{{NDR|Su [[Lucio Battisti]]}} Ho amato molto le sue canzoni e il suo desiderio di vivere appartato.<ref>Citato in [[Leo Turrini]], ''Lucio Battisti: la vita, le canzoni, il mistero'', Mondadori, 2008, retrocopertina.</ref> *I mariti italiani, per comprar la pelliccia alle mogli, spendono più di tutti i loro colleghi europei. Poveri, ma pelli.<ref name=Controcorrente>Da ''Controcorrente, 1974–1986'', Mondadori, Milano, 1987.</ref> *I nostri uomini politici non fanno che chiederci, a ogni scadenza di legislatura, «un atto di fiducia». Ma qui la fiducia non basta; ci vuole l'atto di fede.<ref name=Controcorrente/> *I [[Ricordo|ricordi]] vanno messi sotto teca, appesi a una parete e guardati. Senza tentare di rinnovarli. Mai.<ref>Da un'intervista di [[Ferruccio de Bortoli]], 1999; in ''[http://www.rai.it/dl/Rai5/programma.html?ContentItem-f04f3982-e954-471e-8242-78f92423550d Indro Montanelli, gli anni della televisione]'', puntata 8, di Nevio Casadio, Rai Premium, 2013.</ref> *Il bello dei [[politologi]] è che, quando rispondono, uno non capisce più cosa gli aveva domandato.<ref name=Controcorrente/> *{{NDR|Su [[Carlo Sforza]]}} Il conte si piega sulle gambe come se volesse saltare in arcione. E io dico: è veramente un bell'uomo.<ref>Citato da Guido Russo Perez nella [https://documenti.camera.it/_dati/leg01/lavori/stenografici/sed0331/sed0331.pdf Seduta pomeridiana del 31 ottobre 1949] della Camera dei deputati.</ref> *Il fascismo privilegiava i somari in divisa. La democrazia privilegia quelli in tuta. In Italia, i regimi politici passano. I somari restano. Trionfanti.<ref name=Controcorrente/> *Il guaio di [[Eugenio Scalfari|Scalfari]] non è che dice quel che pensa. Il guaio di Scalfari è che pensa quel che dice.<ref>Citato in Paolo Granzotto, ''Montanelli'', p. 173.</ref> *In [[Italia]] a fare la dittatura non è tanto il dittatore quanto la paura degli italiani e una certa smania di avere, perché è più comodo, un padrone da servire. Lo diceva [[Benito Mussolini|Mussolini]]: «Come si fa a non diventare padroni di un paese di servitori?».<ref>Dall'intervista di Pasquale Cascella, ''Montanelli: «Il regime? È alle porte, inutile aspettare il dittatore»'', ''l'Unità'', 25 ottobre 1994, p. 5.</ref> *In Italia c'è una frangia d'imbecilli tali che credono si possa resuscitare il comunismo. Seppellire il cadavere del marxismo non è facile, anche perché per molti significa rinnegare l'intera esistenza. Ma certo [[Fausto Bertinotti|Bertinotti]] non è di questi: lui non sa un corno di marxismo, non gl'importa niente, è un piccolo pagliaccio, un populista all'italiana che scalda in piazza maree di poveri diavoli e parla ancora delle masse operaie, che vede solo lui.<ref name=Montanelli></ref> *In Italia non c'è una coscienza civile, non c'è un'identità nazionale che tenga insieme uno Stato federale e garantisca la civile convivenza delle sue parti. Invece io vedo solo nell'Italia Cisalpina qualche barlume di coscienza civile e una vocazione europea. Altrove, invece, è un disastro difficile, se non impossibile, da rimediare. Spero proprio di sbagliarmi.<ref name=Italia>Citato in ''Il grande vecchio del giornalismo rilegge gli ultimi anni della nostra storia'', ''L'Indipendente'', 25 luglio 1995.</ref> *In Italia si può cambiare soltanto la Costituzione. Il resto rimane com'è.<ref>Dall'articolo di Polaczek, ''Teile und sende'', in ''Frankfurter Allgemeine Zeitung'', 15 agosto 1996, p. 29.</ref> *In Italia un colpo di piccone alle [[Casa di tolleranza|case chiuse]] fa crollare l'intero edificio, basato su tre fondamentali puntelli, la Fede cattolica, la Patria e la Famiglia. Perché era nei cosiddetti postriboli che queste tre istituzioni trovavano la più sicura garanzia.<ref>Citato in Daniele Abbiati, [http://www.ilgiornale.it/news/tresse-indro-nella-repubblica-delle-marchette.html ''La maîtresse di Indro nella Prima Repubblica delle marchette''], ''il Giornale.it'', 22 ottobre 2010.</ref> *In nome di quale razza noi faremmo del razzismo? Se c'è un paese (adesso non voglio offendere, perché io sono italiano come tutti gli altri), ma se c'è un paese bastardo è l'Italia, cioè a dire una confluenza di razze diverse.<ref>Dal programma televisivo di Rai 3 ''Eppur si muove'', 20 marzo 1994.</ref> *Io non mi sono mai sognato di contestare alla [[Chiesa (comunità)|Chiesa]] il suo diritto a restare fedele a se stessa, cioè ai comandamenti che le vengono dalla Dottrina... ma che essa pretenda d'imporre questi comandamenti anche a me che non ho la fortuna di essere un credente, cercando di travasarli nella legge civile in modo che diventi obbligatorio anche per noi non credenti, è giusto? A me sembra di no.<ref>Citato in [[Umberto Veronesi]], ''[http://www.repubblica.it/2008/10/sezioni/cronaca/eluana-eutanasia-3/comm-veronesi/comm-veronesi.html Non vince la scienza]'', ''la Repubblica'', 14 novembre 2008.</ref> *Io il giornale urlato non è che non glielo voglio dare, non lo so fare! La clava non è nel mio armamentario! Non lo posso fare e non credo che sia un buon segno di civiltà politica l'uso della clava.<ref name="milano" /> *Io non sono napoletano, ma di fronte a [[Peppino De Filippo|Peppino]], non so come, mi capita sempre di diventarlo.<ref name=Pappagone>Citato in ''Pappagone e non solo'', a cura di Marco Giusti, Mondadori, Milano, 2003.</ref> *{{NDR|Alla nipote Letizia Moizzi}} Io sarò il tuo Jukebox. Tu metti una monetina e io ti racconto un ricordo.<ref>Citato in Elvira Serra, «Scoprii che era importante quando le Br gli spararono. Lo convinsi io a prendere i farmaci per la depressione», ''Corriere della Sera'', 20 gennaio 2025.</ref> *Io non voglio soffrire, io non ho della sofferenza un'idea cristiana. Ci dicono che la sofferenza eleva lo spirito; no la sofferenza è una cosa che fa male e basta, non eleva niente. E quindi io ho paura della sofferenza. Perché nei confronti della morte, io, che in tutto il resto credo di essere un moderato, sono assolutamente radicale. Se noi abbiamo un diritto alla vita, abbiamo anche un diritto alla morte. Sta a noi, deve essere riconosciuto a noi il diritto di scegliere il quando e il come della nostra morte.<ref>Citato in Carlo A. Martigli, ''[http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2002/04/25/sul-diritto-alla-morte-si-discute-su.html Sul diritto alla morte si discute su Internet]'', ''la Repubblica'', 25 aprile 2002.</ref> *Kipling diceva: "un italiano, un bel tipo; due italiani, una discussione; tre italiani, tre partiti politici". I suoi concittadini, invece, li definiva così: "un inglese, un cretino; due inglesi due cretini; tre inglesi, un popolo". Vorrei avere a che fare con dei cretini che, insieme, facessero un popolo.<ref>Citato in Cristina Taglietti, ''[https://web.archive.org/web/20160101000000/http://archiviostorico.corriere.it/1998/dicembre/17/Montanelli_cari_studenti_volete_spaccate_co_0_98121712510.shtml Montanelli: cari studenti, se volete spaccate tutto ma è inutile]'', ''Corriere della Sera'', 17 dicembre 1998.</ref> *{{NDR|Riguardo all'approvazione della legge elettorale nota come mattarellum}} L'unico modello a cui possiamo rifarci è quello francese, non quello inglese. In un paese dove ci sono venti-venticinque partiti, come si fa l'uninominale a turno unico? Qui rischia di vincere un partito che ottiene il dieci percento, perché gli altri hanno ottenuto il sette, il sei. Ma le pare giusto questo? Io non so se è stata una follia o un atto criminale questa riforma elettorale. Io sono per la traduzione in processo dei legislatori, da [[Sergio Mattarella|Mattarella]] agli altri - non è stato il solo - i quali hanno fatto, come al solito, o creduto di fare gli interessi del proprio partito. Hanno fatto questa legge prima che venisse il diluvio universale di [[Mani pulite|Tangentopoli]], convinti che siccome loro erano il partito di maggioranza relativa spazzavano via l'Italia. Poi è venuta tangentopoli e ora piangono. Dovrebbero suicidarsi se avessero un minimo di dignità. Suicidarsi. Perché in nome degli interessi di partito hanno completamente rovinato l'Italia. [...] Questi legislatori che hanno truffato con questa legge - perché questa legge è una truffa - io vorrei sapere come mai non vengono processati. Dovrebbero essere processati per lesa patria.<ref name=conferenza>[https://www.youtube.com/watch?v=snbg12DCPSM Indro Montanelli presenta "La Voce", conferenza stampa integrale], 1994.</ref> *La cosa curiosa di [[Antonino Caponnetto|Caponnetto]] è che si va a schierare con [[Leoluca Orlando|Orlando]] che è stato il peggior denigratore di [[Giovanni Falcone|Falcone]]. E poi dice che fa l'antimafia, io vorrei sapere i voti a Orlando chi glieli ha dati.<ref>Citato in Riccardo Chiaberge ''[https://web.archive.org/web/20160101000000/http://archiviostorico.corriere.it/1994/marzo/21/Montanelli_voce_controcorrente_co_0_94032115801.shtml Montanelli la voce controcorrente]'', ''Corriere della Sera'', 21 marzo 1994.</ref> *La [[cultura]], per un giornalista, è come una puttana: la puoi frequentare ma non devi ostentarla. La cultura si tiene nel cassetto. Il lettore non va trattato dall'alto in basso, ma preso per mano come un amico e portato dove vuoi.<ref>Citato in [[Roberto Gervaso]], ''Ve li racconto io'', Mondadori, Milano, 2006, p. 294, ISBN 88-04-54931-9.</ref> *La cultura si è chiusa nella torre eburnea. Rimane lì, arroccata in sé stessa, perché ha orrore dei contatti col pubblico, si crede diminuita dai contatti col pubblico. Questa è la cultura italiana. È una cultura di cretini.<ref name="montecarlo">Radio Montecarlo, [https://www.youtube.com/watch?v=A77mrwIjSSs Intervista a Indro Montanelli], di Roberto Arnaldi, 1973.</ref> *La [[depressione]] è una malattia democratica: colpisce tutti.<ref>Citato nel programma televisivo ''Ippocrate'', Rai News, 13 giugno 2010.</ref> *La devolution mi preoccupa molto, perché la decomposizione della [[Repubblica Socialista Federale di Jugoslavia|Jugoslavia]] cominciò esattamente così: reclamata e imposta dai due grandi compari Tudjiman e [[Slobodan Milošević|Milosevic]] che distrussero l'unità del Paese per restare padroni in casa propria...<ref>Citato in Gian Guido Vecchi, ''[https://web.archive.org/web/20160101000000/http://archiviostorico.corriere.it/2001/aprile/08/Devolution_traffico_voto_rebus_co_7_0104088547.shtml Devolution e traffico, il voto è un rebus]'', ''Corriere della Sera'', 8 aprile 2001.</ref> *La guerra contro il [[brigantaggio]], insorto contro lo Stato unitario, costò piú morti di tutti quelli del [[Risorgimento]]. Abbiamo sempre vissuto dei falsi: il falso del Risorgimento che assomiglia ben poco a quello che ci fanno studiare a scuola.<ref>Citato in Stefano Preite, ''Il Risorgimento, ovvero, Un passato che pesa sul presente'', Piero Lacaita, 2009.</ref> *La lettura del ''[[Adolf Hitler#Mein Kampf|Mein Kampf]]'' io la renderei, per legge, obbligatoria. Fuori dal contesto in cui fu concepito e scritto, quel libro è un caciucco di coglionerie.<ref>Citato in Cesare Medail, ''Il «Mein Kampf» torna nelle librerie italiane. Grazie a un editore cossuttiano'', ''Corriere della Sera'', 6 maggio 2000.</ref> *La nostra classe politica ha fatto del [[partito]] una specie di totem intoccabile e gli ha attribuito tutti i poteri, con in più un diritto: il diritto di abusarne.<ref name=Dovere>Dal programma televisivo ''Dovere di cronaca'', Rete 4, 1988, [https://www.youtube.com/watch?v=caQgyvTKZS8 visibile su YouTube].</ref> *Le cose non sono importanti per quello che sono, ma per quello che uno ci mette.<ref name="cento">intervista di Enzo Biagi a Indro Montanelli, (1982), da "Cento anni", Fabbri video, 1993.</ref> *Le mie idee sono sempre al vaglio dell'[[esperienza]] e l'esperienza mi impone di rivederle continuamente.<ref name="IIIB">Da un'intervista del 1971, tratta da ''III B, Facciamo l'appello'' di Enzo Biagi; anche in ''[http://www.rai.it/dl/Rai5/programma.html?ContentItem-f04f3982-e954-471e-8242-78f92423550d Indro Montanelli, gli anni della televisione]'', puntata 7, di Nevio Casadio, Rai Premium, 2013.</ref> *[[Leo Longanesi]] che amava [[Marcello Marchesi]] rabbiosamente per lo spreco che faceva del suo talento, quando lo incontrava, gli diceva: "Devo fare una telefonata, mi dai un gettone di intelligenza?". E un giorno mi ordinò un epitaffio per lui. Eccolo: "Qui giace un nessuno — che se avesse voluto — avrebbe potuto diventare — Marcello Marchesi —. Purtroppo o per fortuna — non lo seppe mai —. Come tutti i geni — era un cretino".<ref>Citato in Paola Fallai, ''Marchesi, l'umorista che creò un'atmosfera'', ''La lettura'', ''Corriere della Sera'', 25 marzo 2012; riportato in ''[http://www.cinquantamila.it/storyTellerArticolo.php?storyId=0000001549183 Cinquantamila.it]''.</ref> *Mi accusano molto spesso di avere inventato degli aneddoti. È verissimo. Io ogni tanto invento quando devo descrivere un personaggio, specialmente negli incontri, io invento qualche aneddoto. Però sono sempre aneddoti funzionali, che servono a dimostrare quel certo carattere che mi sembra vero e di dover dimostrare.<ref name="IIIB" /> *Mi avvio verso il mio capolinea con l'angoscia di portare con me le cose che ho più amato: il mio paese e il mio mestiere, temo che non mi sopravviveranno.<ref>Da un'intervista del 1996, tratta da ''Tablet Italiani'', puntata 2, "Montanelli/Bocca", Rai Storia, 25 agosto 2013.</ref> *{{NDR|Su [[Vittorio Mangili]], in riferimento all'[[rivoluzione ungherese del 1956|insurrezione antisovietica in Ungheria nel 1956]]}} Ne ha combinate di tutti i colori. Ha fatto perfino il portaordini dei patrioti, a bordo di una delle loro automobili di collegamento.<ref>Citato in Roberta Scorranese, ''[https://www.corriere.it/cronache/22_ottobre_09/vittorio-mangili-cento-anni-dell-inviato-rai-io-budapest-madre-teresa-1efd76ca-473a-11ed-8ee2-07ab17a2d97d.shtml Vittorio Mangili, i cento anni dell’inviato Rai «Io, da Budapest a Madre Teresa»]'', ''corriere.it'', 8 ottobre 2022.</ref> *Nei grandi [[giornale|giornali]] di oggi, che non possono farne a meno, chi comanda non è più nemmeno il [[direttore]]: è l'ufficio [[marketing]].<ref name="giornalista">Da: ''Repertorio della Fondazione Montanelli'', in ''Indro Montanelli - Gli anni della televisione 4: Io sono soltanto un giornalista'', a cura di Nevio Casadio, Rai Sat, 2009</ref> *{{NDR|Rivolto a [[Silvio Berlusconi|Berlusconi]] che voleva imporsi sulla linea editoriale de ''il Giornale''}} Nell'arte dell'imprenditoria, tu sei di certo un genio, ed io un coglione. Ma nell'arte della polemica il genio sono io, e tu il coglione.<ref name=Travaglio2004>Citato in Marco Travaglio, ''Montanelli e il Cavaliere'', Garzanti, Milano, 2004.</ref> *Nessuno di noi la strada della ribellione la batté sino in fondo, come voleva [[Berto Ricci|Ricci]]: per la semplice ragione che si trattava di una strada che fondi non ne aveva. Qualcuno poi scantonò in questo o in quello dei sette o otto partiti che aprirono le porte a questa generazione perduta. E forse si illuse di aver trovato un’altra bandiera. Io sono tra i rassegnati: so benissimo che di bandiere non posso averne altre e che l'unica che seguiterà a sventolare sulla mia vita è quella che disertai, prima che cadesse.<ref>Citato in Mario Bernardi Guardi, ''La giovinezza di Montanelli ebbe un nome: Berto Ricci'', ''Il Primato Nazionale'', 3 maggio 2016.</ref> *No, [[Marco Travaglio|Travaglio]] non uccide nessuno. Col coltello. Usa un'arma molto più raffinata e non perseguibile penalmente: l'archivio.<ref name=Travaglio2004/> *Noi italiani non crediamo in nulla e tanto meno nelle virtù che qualcuno ci attribuisce. Ma tra di esse ce n'è una nella quale riponiamo una fede incorruttibile: quella della nostra capacità di corrompere tutto.<ref>Citato in Mario Cervi, ''Ti ricordi Indro?'', Società europea di edizioni, Milano, 2017, p. 57. ISBN 9778118178454</ref> *Noi qui buttiamo tutte le colpe addosso agli altri. Ma bisogna fare i conti anche col popolo italiano. Siamo noi che li abbiamo eletti questi signori. Sono mica piovuti dalla luna. E allora non accaniamoci soltanto sulla classe politica. Noi siamo un elettorato disposto a ogni sorta di transazione, quando ci fa comodo.<ref name=conferenza /> *Non credo alle feste comandate. La memoria dovrebbe essere spontanea. L'unica cosa che si dovrebbe fare è raccontare veramente e in maniera spassionata ai giovani, che non lo sanno, cosa è stata la Shoah, senza fare mobilitazioni di folle.<ref>Citato in Marco Cremonesi, ''[https://web.archive.org/web/20160101000000/http://archiviostorico.corriere.it/2001/gennaio/28/Diecimila_piazza_con_nomi_dei_co_0_0101282160.shtml Diecimila in piazza con i nomi dei lager]'', ''Corriere della Sera'', 28 gennaio 2001, p. 31.</ref> *Non do più nessun significato a queste due parole {{NDR|destra e sinistra}}, le ritengo un cascame, un residuato di situazioni oramai defunte. [[Destra e sinistra]] non hanno più nessun significato e credo che noi ci stiamo attardando su una terminologia arcaica, oramai da seppellire.<ref>Radio Radicale, [https://www.radioradicale.it/scheda/598/599-elezioni Elezioni], 38:58-39:26, 25 maggio 1979.</ref> *Non mi si portino i soliti argomenti astratti, tipo la sacralità della vita: nessuno contesta il diritto di ognuno a disporre della sua vita, non vedo perché gli si debba contestare il diritto a scegliere la propria morte.<ref>Citato in Enrico Bonerandi, ''[http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2000/12/13/montanelli-pronto-morire.html Montanelli: pronto a morire]'', '' la Repubblica'', 13 dicembre 2000, p. 36.</ref> *{{NDR|Il Polo delle Libertà}} Non venga a farci credere che è costretto all'[[Aventino (espressione)|Aventino]] dal clima di violenza creato dall'Ulivo. Dove diavolo la vede questa violenza? Mi basta guardare la faccia di [[Romano Prodi|Prodi]] 1996 per metterla a confronto con quella di Mussolini 1924 per escludere che in Italia corriamo il pericolo di una dittatura. Per fare una dittatura ci vuole un dittatore.<ref>Citato in Alessandro Longo, ''[https://rep.repubblica.it/pwa/generale/2018/03/17/news/aventino-191559602/?ref=pwa-rep-hp-2-1-1 Perché si dice Aventino]'', ''Rep.repubblica.it'', 17 marzo 2018.</ref> *{{ndr|su [[Gianni Agnelli]]}} Parla con la propria bocca, pensa con il cervello di Valletta, col cuore di Giulio De Benedetti e con gli interessi polivalenti della Fiat.<ref>Citato in Paolo Granzotto, ''Montanelli'', p. 129.</ref> *{{ndr|su [[Mariano Rumor]]}} Personaggio da commedia [[Carlo Goldoni|goldoniana]] più che da tragedia contemporanea.<ref>Citato in Paolo Granzotto, ''Montanelli'', p. 145.</ref> *Posso solo dire che l'Italia del Cattaneo è quella che conserva qualche probabilità di salvarsi da questo degrado politico, culturale, morale, economico. E l'Italia del Cattaneo è quella Cisalpina. A nord del Po, e forse anche in Emilia, esistono tracce di coscienza civile e anche di classi dirigenti sane. Poi c'è un'Italia centrale, quella toscana e umbra e marchigiana, che conserva le sue peculiarità, i suoi caratteri spiccati che affondano le radici nell'Italia comunale e rinascimentale. Il resto è un disastro che non saprei come salvare. Del resto Cattaneo ci tentò, andò a Napoli e resistette qualche giorno. Poi si arrese e se ne tornò nella sua Lugano, nella sua Svizzera.<ref name=Italia>Citato in ''Il grande vecchio del giornalismo rilegge gli ultimi anni della nostra storia'', ''L'Indipendente'', 25 luglio 1995.</ref> *Pur ricordandovi che la nostra regola è quella di non tener conto delle intemperanze altrui, specie dei politici, e di dire sempre la verità, tutta la verità, senza partito preso né animosità verso nessuno, vi autorizzo a comunicare al [[Bobo Craxi|suddetto signore]], se ve ne capita l'occasione, che l'unica «testa» in pericolo di cadere dopo il 5 aprile non è la vostra ma, casomai, la sua. E potete aggiungere, da parte mia, che non la considererei una gran perdita.<ref>Citato in [[Federico Orlando]], ''Il sabato andavamo ad Arcore'', Larus, Bergamo, 1995.</ref> *[[Sandro Pertini|Pertini]] ha interpretato al meglio il peggio degli italiani.<ref>Citato in Franco Fontanini, ''Piccola antologia del pensiero breve'', Liguori Editore, Napoli, 2007, p. 12.</ref> *Quando mi viene in mente un bell'aforisma, lo metto in conto a [[Montesquieu]], od a [[François de La Rochefoucauld|La Rochefoucauld]]. Non si sono mai lamentati.<ref>Citato in Luigi Mascheroni, ''[http://www.ilgiornale.it/news/mai-dette-ripetiamo-sempre-ecco-frasi-fantasma-storia.html Mai dette, ma le ripetiamo sempre. Ecco le frasi fantasma della storia]'', ''il Giornale'', 21 marzo 2009, p. 22.</ref> *Quello che ci ripugna è che, per mettere un controllo all'autorità politica, ci sia bisogno di ricorrere all'autorità giudiziaria. Cioè che, alla fine, noi avremo le riforme istituzionali non per via politica, ma per via giudiziaria e processuale. Questo ci allarma anche perché, come avrete ben capito, la mia opinione dei politici è molto bassa, ma quella dei giudici non è migliore. Perché anche i giudici sono stati corrotti dalla partitocrazia. Lo dimostra il semplice fatto che molti di loro ostentano la tessera di partito. Un giudice che ha venduto la propria imparzialità ai partiti è un giudice che, prima di processare gli altri, dovrebbe essere processato lui e cacciato in galera. Lo so che a dire queste cose si possono avere dei dispiaceri, ma io di dispiaceri in vita mia ne ho avuti tanti che, uno più o uno meno, non mi fa nessunissimo effetto.<ref name=Dovere/> *{{NDR|[[Carmen Lasorella]]}} Richiama tanta attenzione non solo per la sua bravura ma anche per quel che possiede dal cervello in giù.<ref>Citato in Luigi Mascheroni, ''[https://books.google.it/books?id=gtg7AQAAIAAJ&q=%22Richiama+tanta+attenzione+non+solo+per+la+sua+bravura+ma+anche+per+quel+che+possiede+dal+cervello+in+gi%C3%B9+%22&dq=%22Richiama+tanta+attenzione+non+solo+per+la+sua+bravura+ma+anche+per+quel+che+possiede+dal+cervello+in+gi%C3%B9+%22&hl=it&newbks=1&newbks_redir=0&sa=X&ved=2ahUKEwiC2PXRl5WDAxVs4AIHHazPCd4Q6AF6BAgHEAI Sette, settimanale del Corriere della sera, Edizioni 1-9]'', 1996.</ref> *Sfido io che {{NDR|''il Giornale''}} non va bene come vendite. Non va bene come vendite perché noi siamo ancora alla macchina Olivetti. Qui non è stato fatto mai nessun investimento ed è stato detto chiaro che gli investimenti non sarebbero venuti finché io ne fossi il direttore. Questa è la situazione.<ref name="milano" /> *Siamo un paese cattolico, che nella [[Provvidenza]] ci crede o almeno ne è affascinato. Il pericolo è questo: gli [[italia]]ni sentendo aria di provvidenza sono sempre pronti a mettersi in fila speranzosi.<ref name=Provvidenza>Citato in ''[http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/1994/02/24/rivogliono-uomo-della-provvidenza.html?ref=search Rivogliono l'uomo della provvidenza]'', ''la Repubblica'', 24 febbraio 1994, p. 11.</ref> *Se avessi potuto immaginare come sarebbe stata distrutta la vecchia classe politica italiana - che meritava la distruzione, sia chiaro - se avessi potuto immaginare che la distruzione della vecchia classe politica italiana, in gran parte marcia, avrebbe dischiuso una situazione come quella attuale e che la vecchia legge proporzionale sarebbe stata sostituita dall'attuale legge maggioritaria così come è stata compilata, io avrei forse difeso la vecchia classe. Per lo meno non mi sarei battuto con tanta asprezza e con tanto vigore contro quella classe politica, che meritava di finire, ma a cui si stanno dando dei successori che, ricordatevelo bene, ci faranno rimpiangere quella vecchia. È il peggio che si può dire. Ma io lo dico. Perché non riesco proprio a vedere cosa sta venendo fuori da questo rimescolio di carte.<ref name=conferenza /> *{{NDR|«Se dovesse fondare un giornale a novant'anni, che giornale farebbe?»}} Se io dovessi oggi fare un giornale, farei un ''Foglio'' un po' più grande: invece che di 4 facciate di 10 o di 12. Non di più. Con una redazione ridottissima e facendo un preventivo che mi mettesse al riparo dalle delusioni. Mirerei ad avere non più di venti/trentamila lettori e non avere pubblicità. Su queste basi, forse, riuscirei a fare un [[giornale]] di alto prestigio, ma purtroppo destinato a una élite.<ref name="giornalista" /> *Sta arrivando l'uomo della provvidenza. E io, in vita mia, di questi personaggi ne ho già conosciuto uno. Mi è bastato. Per sempre.<ref name=Provvidenza></ref> *Una cultura che perde i contatti col pubblico si sterilisce e muore. Questa è la verità. E la nostra cultura è assolutamente sterile. Noi culturalmente non contiamo più nulla nel mondo. Perché? Perché è chiusa in sé stessa, la cultura, ha perso i contatti col pubblico, con la vita. Non c'è più. Sono mummie. Non è più cultura: è mafia.<ref name="montecarlo" /> *{{NDR|Su [[Aldo Moro]]}} Un generale che, sfiduciato del proprio esercito, credeva che l'unico modo di combattere il nemico fosse quello di abbracciarlo.<ref>Citato in [[Roberto Gervaso]], ''Ve li racconto io'', Mondadori, Milano, 2006, p. 310, ISBN 88-04-54931-9.</ref> *Un giorno fui convocato a Palazzo Venezia, era il 1932 e avevo 23 anni, perché il duce voleva vedermi. Ero emozionatissimo, entrai e mi misi sull'attenti, e il duce che faceva finta di scrivere mi lasciò lì per un quarto d'ora e alla fine mi disse: "Ho letto il vostro articolo sul razzismo (avevo scritto un articolo contro il razzismo). Bravo, vi elogio. Il razzismo è roba da biondi (non si era accorto che ero biondo), continuate così. Sei anni dopo fece le leggi razziali. Perché questo era [[Benito Mussolini|Mussolini]], diceva una cosa e ne faceva un'altra, secondo il vento del momento. Non creava il vento, vi si accodava da buon italiano.<ref>Citato in Gianna Fregonara, ''[https://web.archive.org/web/20160101000000/http://archiviostorico.corriere.it/2010/gennaio/24/Dal_balcone_Mussolini_bianco_sorriso_co_9_100124324.shtml Dal balcone di Mussolini al bianco sorriso di Belen]'', 24 gennaio 2010, p. 34.</ref> *{{NDR|Su [[Giorgio La Pira]]}} Un pasticcione ben intenzionato che, nel nome del Signore, appoggia le peggiori cause appellandosi ai migliori sentimenti.<ref>Citato in [[Roberto Gervaso]], ''Ve li racconto io'', Mondadori, Milano, 2006, p. 236, ISBN 88-04-54931-9.</ref> ===Citazioni tratte da suoi libri=== *{{NDR|Sul funerale di [[Leo Longanesi]]}} Al cimitero ci si ritrovò in una decina di persone, non di più. Non ci furono cerimonie né discorsi. Solo la piccola Virginia, che avrà avuto quattordici anni, mentre la bara di suo padre calava nella tomba, mormorò: «E dire che gli orfani mi sono sempre stati così antipatici...» Una frase che sarebbe piaciuta moltissimo a Leo.<ref>Dalla presentazione a [[Leo Longanesi]], ''In piedi e seduti'', Longanesi & C., Milano, 1968.</ref> ====''Caro Indro...''==== *L'aureola di martire a Craxi nessuno è disposto a riconoscergliela, proprio perché inconciliabile con l'arroganza con cui si comporta. Nessun paragone col contegno di Andreotti, davvero ineccepibile. Sul banco degli imputati ci sta da imputato, dimentico di essere stato per ben sette volte capo del governo. Parla solo se interrogato, e a bassa voce. Non rinuncia alla propria dignità, ma non la ostenta. Eppoi, le colpe che gli si addebitano saranno anche più gravi di quelle che si addebitano a Craxi, ma meno spregevoli. Potrà anche aver baciato Riina (sebbene a me questo appaia poco credibile). Ma del pubblico denaro non risulta che gli sia scivolata in tasca nemmeno una lira. Forse merita la fucilazione. Lo spregio, no. (31.1.1996) (p. 9) *Non ho mai conosciuto [[Yasser Arafat|Arafat]], né mai ho cercato di conoscerlo: non mi pare che il suo aspetto inviti alla simpatia. Però non l'ho mai considerato un criminale anche se si trovava alla testa di un'[[Organizzazione per la Liberazione della Palestina|organizzazione]] in cui di criminali ce ne sono molti. E oggi non lo considero affatto un eroe, ma un uomo coraggioso sì, perché lo ritengo in costante pericolo di vita. La lotta per il potere, dentro l'Olp, è a coltello: e i nemici di Arafat sono quelli che il coltello lo maneggiano meglio di tutti. Stringendo la mano a [[Yitzhak Rabin|Rabin]], Arafat ha moltiplicato i suoi nemici e li ha resi ancora più rabbiosi. È un uomo a rischio, non c'è dubbio. E se muore lui, addio pace in Medio Oriente. (4.10.1993) (p. 11) *Certo che il passato dell'Olp, carico di bombe e di sangue, non è la migliore referenza per un Nobel, ma Arafat è però anche l'unico interlocutore palestinese: dopo di lui c'è il nulla, o meglio soltanto gruppi di fanatici votati alla violenza e alla distruzione di [[Israele]]. Una volta presa la decisione di premiare i protagonisti del tormentato processodi pace in Medioriente [...] si è dovuto fare di necessità virtù e dare il riconoscimento anche all'uomo che per molti anni è stato un simbolo del terrorismo, nonché l'ispiratore di tante altre «lotte armate»: premiare solo Rabin e [[Shimon Peres|Peres]] sarebbe stato uno schiaffo ai palestinesi, un'iniziativa controproducente. [...] Forse più che il Nobel per la pace meriterebbe quello per il ravvedimento... (30.10.1994) (p. 12) *«Libera Chiesa in libero Stato» è una formula più d'effetto che di sostanza. Potrebbe anche significare che Chiesa e Stato si ignorano a vicenda e ognuno dei due si attribuisce i poteri che più gli aggradono: che è il modo più sicuro per litigare, non certo per convivere. Fra i due ci deve essere un patto improntato al reciproco rispetto: condizione più facile da formulare che da realizzare. Ma sembra che lo sviluppo di questo rapporto negli ultimi anni abbia fatto più passi indietro che avanti. E mi pare che dello stesso parere sia il capo dello Stato, Carlo Azeglio Ciampi. Meno male (7.3.2001) (p. 30) *Ho fiducia in [[Massimo D'Alema|D'alema]], anche se non voterò mai per lui. Ho fiducia per due motivi. Prima di tutto perché, fra i leader di oggi, è l'unico vero professionista della politica. Eppoi perché non ho dubbi sulla sua intenzione di fare del Pds un partito socialdemocratico o laburista. Se non fosse così, non solo Prodi ma nemmeno Veltroni sarebbero al suo fianco. E appunto perché è così, sono convinto che consumerà fino in fondo il divorzio da Rifondazione. Lo consumerà cercando di non farsene portar via molti elettori. Ma lo consumerà per conquistare i moderati: altra strada non può battere. E proprio in questi giorni lo ha dimostrato sacrificando anche quella piccola falce e martello che tuttora sopravviveva nel simbolo del suo partito ai piedi della Quercia. Non era che un «segno», dirà qualcuno. Sì, ma che segno! (17.5.1995) (p. 42) *Anch'io sono stato in passato un fautore dell'elezione diretta, cioè per consultazione popolare, del Capo dello Stato. Mi pareva il mezzo più efficace per sottrarre almeno il Quirinale agl'intrallazzi dei partiti e per avere un garante al di sopra di essi. Ma poi ho dovuto cambiare idea di fronte alle prove di balordaggine, d'ignoranza, di totale mancanza di consapevolezza morale e civile dell'elettorato italiano, o almeno della sua maggioranza. È un elettorato sempre pronto a correre dietro a qualche ciarlatano che sappia vendere bene la sua merce e a lasciarsene trascinare nelle imprese più insensate. Insomma considero la stupidità più pericolosa degl'intrallazzi. (23.12.1998) (p. 47) *Non credo che [[Diana Spencer|Diana]] rimarrà nella memoria dei posteri. Era una bella e simpatica ragazza, che avrebbe anche potuto essere una buona moglie e una buona madre, ma che non aveva certamente la stoffa e le dimensioni umane, comportamentali di una regina. Più e meglio che sul trono, il suo personaggio avrebbe figurato in un romanzo di Liala. Non riesco ad accostarla a figure storiche (17.9.1997) (p. 72) *Mussolini non aveva la stoffa del criminale né di guerra né di pace. Dicendolo, so di espormi alle contumelie della cosiddetta intellighenzia. Ma ne ho già ricevute tante che non mi fanno più nessun effetto. Tuttavia mi rendo conto che alla condanna a morte non avrebbe potuto sfuggire perché almeno un responsabile delle catastrofi che si erano abbattute sull'Italia si doveva pur trovare, e non poteva essere che lui. Però c'è da ringraziare Dio, e per esso, il Comitato di liberazione nazionale che ne ordinò (o avallò) la fucilazione sul posto perché un processo a Mussolini avrebbe ancora più spaccato un Paese già spaccato dalla guerra civile (per chiamare col suo vero nome, la Resistenza). E credo che anche gli Alleati trassero un respiro di sollievo dal venirne esentati. Un processo avrebbe messo in imbarazzo anche loro per le indulgenze che avevano avuto verso di lui e quella parodia di totalitarismo ch'era stata il suo regime. Una Norimberga italiana sarebbe stata anch'essa una parodia. La fucilazione sul posto di Mussolini era un atto dovuto. Quello che non era dovuto, e che per gl'italiani provvisti di qualche senso dell'onore e della decenza rimarrà una indelebile vergogna, fu la scena di piazzale Loreto (30.6.1999) (pp. 89-90) *{{NDR|«Poni che ti regalino una telecamera, con il diritto di spiare per un mese, non visto, un potente della Terra, a tua scelta, dalla regina Elisabetta a Gheddafi, da Saddam a Clinton. Quale personaggio ti incuriosirebbe di più?»}} [[Vladimir Putin|Putin]]. Credo che sia una canaglia perché solo le canaglie potevano arruolarsi e fare carriera in un corpo di polizia come il Kgb. Ma è proprio di una canaglia che la [[Russia]] ha bisogno per ricompattarsi all'interno, risollevarsi dal caos in cui l'ha precipitata il crollo di un regime totalitario durato settant'anni, e riprendere nel gioco delle potenze mondiali il posto che spetta a un Paese di 250 milioni di abitanti, di grandi tradizioni e d'inesauribili risorse naturali. L'Occidente ha bisogno della Russia: è il suo antemurale verso un Oriente che può riservarci amare sorprese. [...] Non facciamoci illusioni sull'avvenire di una democrazia in Russia. Essa ha bisogno [...] di una mano forte e spregiudicata, di una canaglia insomma. [...] Ecco perché mi piacerebbe conoscere Putin: per vedere se è la canaglia di cui mi pare abbia bisogno la Russia in questo momento: un «momento» destinato a durare parecchi decenni. (18.10.2000) (pp. 104-105) ====''Il testimone''==== *[[Corrado Carnevale|Carnevale]] ha dichiarato in un'intervista che la notte non ha bisogno di sonniferi per dormire perché, nei confronti della Legge, la sua coscienza è a posto. Ci crediamo senz'altro. Ma se si ponesse la stessa domanda nei confronti della Giustizia, mi domando se i suoi sogni sarebbero altrettanto tranquilli. E ci rendiamo tuttavia conto che questa domanda non se la porrà mai, e anzi gli sembrerà del tutto stravagante. Perché, per un magistrato italiano, la Legge con la Giustizia non ha nulla a che fare. (da p. 386) ====''Il meglio di «Controcorrente» 1974-1992''==== *Il «comitato permanente antifascista» di Milano ha deciso di chiedere un «riconoscimento» per tutti coloro che sono stati «coinvolti direttamente nella strategia della tensione a partire dal 1º gennaio 1969». Ci risiamo. Tutta la nostra vita è stata angosciata e angariata dagli antemarcia: prima quelli del Littorio, poi quelli della Resistenza, ed ecco che ora spuntano quelli della «tensione». Longanesi aveva ragione: in questo Paese, reduci si nasce. (p. 47) *Agli alunni della terza classe (anni otto-nove) della scuola elementare di via Pisani, Milano, è stato assegnato il seguente problema: «Mario, Gino e Beppino sono i capi della banda. Mario dice a Gino che la banda ha quasi esaurito le munizioni: rimangono solo 5 cassette con 130 pallottole per cassetta. Quante pallottole rimangono?». Debolucci come siamo, in aritmetica, non lo sappiamo nemmeno noi. Ma ci pare che una per l'insegnante e una per il ministro Malfatti ci dovrebbero ancora essere. (p. 79) *Il messaggio di addio che il dimissionario capo dello Stato ha detto alla televisione e che anche noi pubblichiamo, è ineccepibile. Esso dà del presidente [[Giovanni Leone|Leone]] un'immagine che non fa una piega: un galantuomo all'antica, padre di una famiglia esemplare, ingiustamente calunniato da una stampa irresponsabile. Siamo sicuri che tutto questo si può dire di Leone. Ha un solo difetto: che a dirlo è stato Leone. (p. 84) *A Roma, nonostante tutte le ricerche fatte, non è stato possibile trovare un locale disponibile per un convegno di radicali. Non ce n'era uno abbastanza piccolo per contenerli tutti. (p. 103) *Qualcuno teme – e qualche altro spera – che l'Afghanistan diventi il Vietnam dei russi. Niente paura, in Afghanistan non ci sono giornalisti. (p. 112) *Quella del ''Corriere'' non è una situazione invidiabile: il direttore in congedo per l'affare della P2, manager ed articolisti contestati per lo stesso motivo, il maggiore azionista in galera, accusato di reati valutari, montagne di debiti, trasparenza della proprietà limpida come un mare in burrasca. Ci sarebbe davvero da mettersi le mani nei capelli. Se non fosse un giornale di [[Roberto Calvi|Calvi]]. (pp. 125-126) *Quando leggiamo «ministro senza portafoglio», ci viene sempre un dubbio. Che glielo abbia rubato qualche collega? (p. 146) *L'[[Organizzazione per la Liberazione della Palestina|Olp, Organizzazione per la liberazione della Palestina]], è stata ammessa con voto unanime, anche se provvisoriamente, nel Comitato olimpico asiatico. Non sapevamo che il lancio della bomba fosse diventato una disciplina atletica. (pp. 171-172) *A suo tempo imprigionato dagl'israeliani per complicità col terrorismo palestinese, e liberato per l'intervento del Vaticano con l'impegno di astenersi dalla politica, l'Arcivescovo libanese di Gerusalemme [[Hilarion Capucci]] ha dichiarato in un'intervista all'''Europeo'' che i rivoltosi di Gaza e della Cisgiordania non ricevono ordini da nessuno: «Li prendono solo da Dio, loro unico leader». Lo abbiamo sempre detto, noi: a grattare un arabo, anche se cristiano e Monsignore, viene fuori un Ayatollah. Ma forse non c'è neanche bisogno di grattare. (p. 184) *Da Praga [[Bettino Craxi]] proclama che «bisogna liberare l'Italia da Falci e Martelli». Benissimo. Ma chi è Falci? (p. 206) *[[Pino Rauti]] è intenzionato a candidare un africano alle elezioni comunali fiorentine. Più che giusto: il nero si addice al Msi. (p. 209) *Per evitare pubblicità attorno al caso di [[Angelo Peruzzi|Peruzzi]] e [[Andrea Carnevale|Carnevale]], i due giocatori giallo-rossi risultati positivi all'antidoping, il presidente della Roma, [[Dino Viola]], ha deciso di portare tutta la squadra in ritiro. A San Patrignano. (p. 216) *Secondo ''La Notte'' di ieri – che riferisce dichiarazioni d'un capo della Jihad islamica, Ibrahim Serbell – i terroristi arabi hanno nel loro mirino, per quanto riguarda l'Italia, «uomini politici, aeroporti e alcuni obiettivi strategici». Siamo molto preoccupati per gli aeroporti e gli obiettivi strategici. (p. 220) *La fantapolitica non è il nostro esercizio preferito. Ma ci chiediamo che cosa succederebbe se, con un colpo alla Moro, i terroristi si impadronissero di Cossiga e lanciassero al governo il ricattatorio ultimatum: «Se non ci date cento miliardi, lo liberiamo». (p. 228) *Malgrado tutto (e per tutto intendiamo proprio tutto), [[Moana Pozzi]] non è riuscita ad entrare a Montecitorio. Peccato. È l'unica Camera che non potrà dire di aver frequentato. (p. 236) *Sull'''Unità'' è comparsa la lettera di un deputato che, pericolosamente sfiorato da un motociclista, invoca drastiche misure penali contro i «teppisti al volante». Ci associamo alla proposta. L'unica cosa che ci sconcerta è la firma del proponente: è quella dell'onorevole [[Mario Gozzini]], autore della famosa legge che in pratica vorrebbe l'indulgenza plenaria per qualsiasi reo e reato. (p. 244) ===Attribuite=== *Berlusconi non delude mai: quando ti aspetti che dica una scempiaggine, la dice.<ref name=Travaglio2004/> :In ''Io e il cavaliere qualche anno fa'', ''Corriere della Sera'', 25 marzo 2001, p. 1, Montanelli attribuisce la citazione a «un'alta personalità della Finanza, nota anche per il suo infallibile fiuto degli uomini». La frase esatta è: «Avrà anche i suoi difetti, ma un merito bisogna riconoscerglielo: quello di non deludere mai. Quando ti aspetti che dica una scempiaggine, la dice». ==Interviste== {{cronologico}} *{{NDR|La guerra coloniale etiopica}} Considerandola oggi, con la mia maturità d'oggi, {{NDR|è}} un'avventura di una stupidità senza fine. Ma immaginiamo un ragazzo di 24 anni messo al comando di una banda indigena, con 100 uomini neri – lui solo bianco – buttato all'avventura in quella guerra che di combattimenti ne ebbe molto pochi – non voglio passare per un gran guerriero, affatto – ma furono un anno e mezzo a cavallo, di cavalcate in questa natura selvaggia (ripeto, combattimenti ben pochi). {{NDR|«Dicono anche che lei aveva una moglie, diciamo indigena, molto bella, che era la più bella di tutte quelle che avevano gli ufficiali d'allora»}} Sì. {{NDR|«Era molto invidiato per questo»}} Pare che avessi scelto bene, era una bellissima ragazza bilena, di 12 anni – {{NDR|sorridendo}} scusatemi, ma in Africa è un'altra cosa – e così l'avevo sposata, nel senso che l'avevo regolarmente comprata dal padre che mi ha accompagnato insieme alle mogli dei miei ascari. Queste mogli degli ascari non è che seguissero la banda, ma ogni 15 giorni raggiungevano la banda: io non ho mai capito come facessero a trovarci in questo infinito dell'Abissinia. Quelle arrivavano e arrivava anche questa mia moglie con la cesta in testa, che mi portava la biancheria pulita. [...] {{NDR|Domanda del pubblico: «Lei ha detto tranquillamente di avere avuto una sposa, diciamo, di 12 anni e a 25 anni lei non si è peritato affatto di violentare una ragazza di 12 anni, dicendo "Ma in Africa queste cose si fanno". Io vorrei chiedere a lui come intende normalmente i suoi rapporti con le donne date queste due affermazioni»}} No signorina guardi, sulla violenza, nessuna violenza perché le ragazze in Abissinia si sposano a 12 anni. Non è questione, Quindi. {{NDR|Domanda del pubblico: «Su un piano di consapevolezza dell'uomo, insomma, il rapporto con una bambina di 12 anni è il rapporto con una bambina di 12 anni. Se lo facesse in Europa rischierebbe di violentare una bambina, vero?»}} Sì, in Europa sì, ma lì no. {{NDR|«Ecco, appunto»}} Lì no. {{NDR|«Quale differenza crede che esista dal punto di vista biologico, o anche psicologico?»}} No, guardi, {{NDR|«Dal punto di vista del costume»}} lì si sposano a 12 anni, non è questione. A 12 anni si sposano. {{NDR|«Ma non è il matrimonio che lei intende, a 12 anni in Africa. Guardi, io ho vissuto in Africa»}} Sì. {{NDR|«Quindi il vostro era veramente il rapporto violento del colonialista che veniva lì e si impossessava della ragazza di 12 anni»}} No... {{NDR|«Ma glielo garantisco, senza assolutamente tener conto di questo tipo di rapporto sul piano umano. Eravate i vincitori, cioè i militari che hanno fatto le stesse cose ovunque sono stati i vincitori, ovunque gli uomini si sono presentati come dei militari. La Storia è piena di queste situazioni»}} {{NDR|sorridendo}} Signorina, non so se lei vuole istruirmi un processo «a posteriori». {{NDR|«No, no, affatto. Guardi, ho soltanto voluto chiederle, per inciso, come lei intende – dopo le due interpretazioni – i rapporti con le donne»}} Dipende da cosa si mette dentro, dipende anche da cosa le donne mettono dentro di noi. È tutto un giuoco di specchi. {{NDR|«Ma lei vede sempre la donna in questa veste passiva di adulatrice, oppure di compagna – che appare e scompare – dell'uomo, non l'ha mai vista in una funzione diretta, attiva e diversa. Questo è un po' il dramma degli uomini della sua generazione»}} {{NDR|sorridendo}} Può darsi. Della mia generazione? Solo? {{NDR|«Credo»}} {{NDR|sorridendo}} Vabbè. Può darsi. (Da ''L'ora della verità'', 22 ottobre 1969) *{{NDR|Domanda del pubblico: «Io vorrei sapere perché lei, che si ritiene un osservatore, non ha mai affrontato il discorso sulla contestazione giovanile, tenendo anche presente il fatto che lei cerca il lettore. Lei ai giovani non dice assolutamente niente come giornalista»}} Come? {{NDR|«Se c'è un pubblico che lei sta perdendo, e forse non ha mai avuto, è proprio quello dei giovani. Vorrei sapere come mai lei non ha mai affrontato il discorso sulla contestazione, sulla realtà giovanile che è esplosa in questi ultimi anni»}} Signorina, io avrei tanto volentieri affrontato il discorso sulla contestazione se fosse possibile agganciare il discorso coi contestatori. Ma coi contestatori io non faccio il [[Alberto Moravia|Moravia]]. No. Non vado a farmi spernacchiare dai giovani, mi dispiace tanto. Né dai giovani, né da nessun altro. {{NDR|«Lei ha paura, scusi, di affrontare un discorso»}} No, io non ho paura, ma non ammetto di essere accolto a quel modo. È proprio un fatto, così, di dignità. {{NDR|«E allora, scusi, lei a questo punto rinuncia a un pubblico come può essere quello dei giovani semplicemente, così, per non avere degli spernacchiamenti, per non compromettere – diciamo – questo suo successo a cui è arrivato»}} Ma scusi, ma che dialogo sono le pernacchie? Me lo vuole spiegare? (ibidem) *Certamente [[Benito Mussolini|Mussolini]] fu un grossissimo politico, un uomo politico di grandissimo fiuto, di tempismo formidabile: lo dimostrò la facilità con cui vinse. Forse dovuta per metà alle sue capacità, alla sua bravura – parlo sempre come politico – e per metà all'insipienza, alla nullaggine dei suoi avversari, perché è tempo oramai di dire anche questo. Non c'è dubbio che il potere assoluto guastò completamente Mussolini: il Mussolini del 1930 non era certamente quello del 1940, il Mussolini di dieci anni dopo l'avvento al potere era diventato una specie di marionetta, la caricatura di sé stesso. Aveva perso proprio il senso della realtà, che era stato invece il suo forte da principio, il contatto col pubblico lo aveva perso, il senso della misura, e lo aveva dimostrato poi con gli errori madornali che ha fatto. Nei primi dieci anni credo che alcune cose buone le abbia fatte. Non credo che abbia ucciso la democrazia, credo che l'abbia soltanto seppellita perché era già morta. Da quel poco che ricordo l'Italia era un grosso carnevale, e anche abbastanza drammatico, perché la situazione interna era addirittura sfasciata: correva sangue, ne correva molto, noi in Toscana ne sapevamo qualcosa [...]. E quindi non è vero che lui... le democrazie non vengono mai uccise, le democrazie muoiono. Dopodiché si dà la colpa a chi le seppellisce, ma la verità è che si suicidano, e credo che la democrazia italiana del '21-22 si sia suicidata. [...] Mussolini capì una cosa fondamentale: che per piacere agli italiani bisognava dare a ciascuno di essi una piccola fetta di potere col diritto di abusarne. Questo era il fascismo. Il fascismo aveva creato una [[gerarchia]] talmente articolata e complessa che ognuno aveva dei galloni: il capofabbricato, il caposettore... tutti avevano una piccola fetta di potere, di cui naturalmente ognuno abusava, come è nel carattere degli italiani. (da ''Questo secolo'', 18 maggio 1982) *Ero all'estero, lavoravo nel giornalismo americano, alla ''United Press''. Chiesi alla mia agenzia di mandarmi come corrispondente in Abissinia. Giustamente mi dissero: «No, perché lei è un italiano, quindi logicamente non fa delle corrispondenze obiettive». Dico: «Avete ragione. Allora io vi lascio e vado volontario». Feci la mia brava domanda (la feci anche raccomandare). La domanda fu accolta, io fui mandato in Abissinia e, cosa un po' strana [...], a questo ragazzo di 23 anni [...] venne affidata una banda. [...] In quei due anni io contribuii a fare una cosa sbagliata, un'autentica fregnaccia qual era costruire un impero nel '35, quando coloro che lo avevano lo stavano già liquidando perché erano cose antistoriche. Ma io a 23 anni, a 24 anni, non potevo capire questo. Ebbi due anni di vita all'aria aperta, bella, di avventura, in cui credetti di essere un personaggio di Kipling, di contribuire a fare qualcosa di importante. Poi mi accorsi che non era vero, ma le cose non sono importanti per quello che sono, ma per quello che uno ci mette. E io in quel momento ci mettevo un grande entusiasmo: ebbi due anni di vita bellissima, a cavallo, con le tende, i miei uomini, libero, solo (perché non rispondevo a nessuno). Eh beh, compiango i giovani che non hanno avuto una simile esperienza. {{NDR|«E anche con una giovane moglie»}} E anche con una giovane moglie, {{NDR|indicando una fotografia}} eccola lì. Regolarmente sposata in quanto regolarmente comprata dal padre. {{NDR|«Quanti anni aveva?»}} Aveva 12 anni, ma non mi prendere per un Girolimoni. {{NDR|«Per un bruto»}} A 12 anni quelle lì erano già donne. {{NDR|«E tu dove l'avevi comperata?»}} L'avevo comprata a Saganèiti, un paese dove avevo mandato il mio emissario [...]. Me la comprò insieme a un cavallo e a un fucile, in tutto 500 lire. {{NDR|«E lei com'era?»}} Un animalino. Docile. Io le misi su un tucul con dei polli e poi, ogni 15 giorni, mi raggiungeva dovunque fossi, insieme alle mogli degli altri ascari. (ibidem) *Io esclusi immediatamente la responsabilità degli [[Anarchia|anarchici]] {{NDR|dalla [[strage di piazza Fontana]]}} per varie ragioni: prima di tutto, forse, per una specie di istinto, di intuizione, ma poi perché conosco gli anarchici. Gli anarchici non è che sono alieni dalla violenza, ma la usano in un altro modo: non sparano mai nel mucchio, non sparano mai nascondendo la mano. L'anarchico spara al bersaglio, in genere al bersaglio simbolico del potere, e di fronte. Assume sempre la responsabilità del suo gesto. Quindi, quell'infame attentato, evidentemente, non era di marca anarchica o anche se era di marca anarchica veniva da qualcuno che usurpava la qualifica di anarchico, ma che non apparteneva certamente alla vera categoria, che io ho conosciuto ben diversa e che credo sia ancora ben diversa. (da ''La notte della Repubblica'', 12 dicembre 1989) *La [[Lega Nord|Lega]] è una cosa sgradevole. Però le Leghe sono un fenomeno di reazione a una provocazione. È la politica nazionale, che fa nascere le Leghe. Questo non vuol dire che io le approvi. La reazione è sbagliata, ma provocazione c'è, le degenerazioni della partitocrazia ci sono. Che il pubblico denaro sia male amministrato e che a farne le spese siano soprattutto i cittadini del Nord non è contestabile. (da ''La Stampa'', 7 novembre 1990) *Ah, quel maledetto [[Toni Negri]], quel maledetto aizzatore dei sentimenti dei giovani che è vigliaccamente scappato dall'Italia per non affrontare il carcere. Per un Paese non c'è nulla di peggio che i cattivi maestri. Come punirli? Bisognerebbe impiccarli. Ripeto, impiccarli. (da ''L'Italia settimanale'', 1995) *Fu una pulizia etnica, bisognava far fuori gli italiani: allora si chiamarono fascisti e si ammazzarono, e si buttarono nelle [[massacri delle foibe|foibe]]. Questo avvenne dopo la fine della guerra, sia chiaro. Perché gli orrori di guerra, non dico che siano giustificabili, ma sono comprensibili, la guerra è di per sé stessa un orrore. No, queste... le foibe furono un'infamia commessa dopo la Liberazione, dopo la fine della guerra, e purtroppo vi hanno collaborato parecchi comunisti italiani, alcuni dei quali non solo sono ancora a piede libero, pur essendo vivi, ma ricevono delle pensioni di Stato. Ricevono delle pensioni di Stato. Però io ti posso dire questo: che come testimone oculare io ho visto anche in Croazia delle cose, da parte degli italiani, su cui è meglio sorvolare. Perché anche noi le abbiamo commesse, perché la guerra le comporta, questo è fatale, ecco. Quindi non facciamo tanto i moralisti. [...] No, questo {{NDR|tesi sloveno-croata sulla pulizia etnico-culturale da parte degli italiani durante il periodo di occupazione fascista}} è assolutamente falso. Pulizie etniche noi non ne abbiamo mai fatte, in nessun Paese occupato. Quando sento dire che noi facemmo anche la pulizia etnica in Etiopia, beh vabbè, mi cascano le braccia. Mi cascano le braccia. Quelle son menzogne infami, di gente o che non sa nulla, o che mente sapendo di mentire. Non è vero. Furono episodi, ma non di pulizia etnica, di rappresaglie. (dall'intervista al TG2, ''[http://www.youtube.com/watch?v=s9UXM_pKpqY Massacri delle foibe]'', 6 settembre 1996) *Tutto questo mi evoca dei ricordi poco simpatici. Era il [[fascismo]] che si conduceva così. Era il Fascismo che proibiva la satira, che in un paese civile e democratico dovrebbe essere assolutamente indenne da controlli politici; perché la satira non ha niente a che fare con la politica, anche se prende in giro la politica, ma si sa che è satira. Ed ogni regime serio e democratico accetta la satira, come si accettano le caricature. Era [[Benito Mussolini|Mussolini]] che non le sopportava. E qui pensano: «Ripuliremo la stalla», «Faremo piazza pulita». Ma questo linguaggio, al signor [[Gianfranco Fini|Fini]], chi glielo ispira? Ci ricorda delle cose che avremmo voluto dimenticare. Questa non è la destra, questo è il manganello. Gli italiani non sanno andare a destra senza finire nel [[manganello]]. [...] Alla Rai faranno piazza pulita, lo hanno già annunziato. Ma come si fa a definire democratico un partito che annunzia «Quando saremo al potere, noi faremo piazza pulita»? Ma questo è un linguaggio del peggiore squadrismo, che loro non sanno cosa fu, ma io me lo ricordo. Questo è il linguaggio con cui {{NDR|i fascisti}} andarono al potere. (da ''La settimana di Montanelli'', 17 marzo 2001) *Io voglio ringraziare Travaglio, perché ha detto l'assoluta e pura verità. Assolutamente. La versione che ha dato degli avvenimenti è quella esatta. [...] Io ho conosciuto due Berlusconi: il Berlusconi imprenditore privato che comprò ''il Giornale'' – e noi fummo felici di venderglielo, perché non sapevamo come andare avanti – su questo patto: tu, Berlusconi, sei il proprietario de ''il Giornale'', io, direttore, sono il padrone del ''Giornale'', nel senso che la linea politica dipende solo da me. Questo fu il patto fra noi due. Quando Berlusconi mi annunziò che si buttava in politica, io capii subito quello che stava per succedere. Cercai di dissuaderlo [...] ma tutto fu inutile. Dal momento in cui lo decise mi disse: «Ora ''il Giornale'' deve fare la politica della mia politica». Ed io gli dissi: «Non ci pensare nemmeno». Allora lui riunì la redazione come ha raccontato Travaglio – e questo lo fece a mia totale insaputa – e disse: «D'ora in poi ''il Giornale'' farà la politica della mia politica». E a quel momento me ne andai, cos'altro potevo fare? [...] Nella mia vita ci sono stati due Berlusconi, completamente opposti [...] questo fa parte del ritratto di Berlusconi. [...] Come capo politico è quello che io ho conosciuto in quei brutti giorni in cui scorrettamente, nella maniera più scorretta e più volgare, saltandomi, radunò la redazione de ''il Giornale'' per dirgli «Qui si cambia tutto» all'insaputa del direttore. Se questo sembra a Feltri un modo di procedere democratico e civile, è affar suo. (risposta telefonica a [[Marco Travaglio]] e [[Vittorio Feltri]] durante la trasmissione ''Il Raggio Verde'', 23 marzo 2001) *{{NDR|Silvio Berlusconi}} È il bugiardo più sincero che ci sia, è il primo a credere alle proprie menzogne. [...] È questo che lo rende così pericoloso. Non ha nessun pudore. (dall'intervista di Sophie Gherardi, ''L'Europa deve trattare il sig. Berlusconi con sdegno e disprezzo, non con ostilità'', ''Le Monde'', 8 maggio 2001<ref name=Travaglio2004/>) *Spero che l'Europa adotterà nei confronti di Berlusconi l'atteggiamento di indignazione e di disprezzo che merita. (dall'intervista di Sophie Gherardi, ''L'Europa deve trattare il sig. Berlusconi con sdegno e disprezzo, non con ostilità'', ''Le Monde'', 8 maggio 2001<ref name=Travaglio2004/>) {{Int|''Match''|a cura di Arnaldo Bagnasco, Alberto Arbasino e Maria Gefter Cervi, Rete 2, 18 gennaio 1978.}} *Io non stavo con Longanesi per ragioni ideologiche, anche perché io non ho mai capito quale ideologia avesse Longanesi. Longanesi non lo si poteva misurare sul piano ideologico, era sempre contro tutto e contro tutti. Era il frondista principe: lo è stato sotto il fascismo – e in fondo fece il più bel settimanale, forse, che abbia avuto l'Italia in questi ultimi decenni, credo: ''Omnibus'', che fu chiuso dal regime – e si è trovato sempre male con tutti i regimi. Che cosa pensasse in realtà Longanesi io, dopo un'amicizia di trent'anni, non sono mai riuscito a capirlo. Quello che mi affascinava di Longanesi, e che continua ancora oggi ad affascinarmi, è lo straordinario talento, l'inventiva, l'intuito, l'eleganza di Longanesi. Per cui io non consideravo le posizioni ideologiche di Longanesi, questo non m'interessava affatto. Per me era un fatto di vecchia amicizia: io sono un po' cresciuto con Longanesi, l'avrei seguito anche all'inferno perché con Longanesi si poteva andare anche all'inferno, diventava l'eden. *{{NDR|Sull'appello di votare DC nel 1976}} Questa può sembrare una contraddizione, ma che cosa avrei dovuto dire ai miei lettori? Di votare per chi? Questo è il punto. Oggi [...] i partiti laici ai quali io ideologicamente farei capo – liberale, repubblicano, socialdemocratico – fanno i pifferi di accompagnamento a un patto a sei, e questo era già nell'aria, prima del 20 giugno. Che cosa dovevo dire io ai miei lettori, «Votate per i pifferi di accompagnamento»? Francamente non me la sentivo. [...] Nonostante la mia etichetta di destra, io per i partiti di destra non mi schiererò mai. Io vorrei un centro: non lo trovo, non c'è. Un centro di opposizione democratica al regime che è già in atto non c'è. E allora che debbo fare? È colpa mia se la politica italiana non mi offre un centro? Io continuo a battermi per la costituzione di questo centro. *{{NDR|Domanda del pubblico: «Come mai in Italia non ci sono giornali indipendenti?»}} Io, per esempio, ho la presunzione – sarà infondata – di dirigere un giornale indipendente, perché vorrei sapere da chi prendo gli ordini. Me lo dica lei, Padre. {{NDR|«No, beh...»}} E allora, se non potete indicare qualcuno che mi dà gli ordini, io sono indipendente. {{NDR|«Rispondo anch'io da giornalista: è chiaro che un giornale non si sostiene con le idee sull'indipendenza, si sostiene con dei quattrini»}} Certo. {{NDR|«Allora io parlavo di un'indipendenza che, in quanto dipende da chi paga, è comunque una dipendenza ideologica. Questa era la domanda»}} Sì, l'ha scritto molto bene ''Repubblica'' [...] credendo di offendermi. Ha detto: «Il ''Giornale nuovo'' vive di collette». È vero, noi viviamo di collette, e io ne sono fiero perché le collette mi lasciano libero. {{Int|''Mixer''|a cura di Giovanni Minoli, Rete 2, 6 aprile 1981.}} *{{NDR|«Perché fu fascista fino al '37?»}} Questa è la storia della mia generazione, tutta la mia generazione è stata fascista fino al '35, al '36 o al '43. *{{NDR|«E perché smise di esserlo?»}} Perché noi credevamo che il fascismo fosse una cosa, e poi ci accorgemmo che era un'altra. *{{NDR|«Lei ha detto: "Buffoni, cafoni di natura, ''parvenus'', tutta gente in malafede, il bassettume, il pirellume, il cedernismo". Si riferiva alla Milano radical chic, ma che cosa voleva dire, esattamente?»}} Quello che ho detto. Veramente, io ne ho il più profondo disprezzo. Io accetto benissimo i comunisti: i comunisti sono gente seria, pericolosissimi, ma seri. I [[radical chic]] no. *{{NDR|«È sempre convinto del suicidio dell'anarchico Pinelli?»}} Assolutamente. *{{NDR|«Lei a Catanzaro, al processo per la strage di piazza Fontana, ha dichiarato: "Secondo me, il commissario Calabresi fu vittima di una campagna di stampa". Cioè?»}} No, non l'ho dichiarato a Catanzaro, lo dissi molto prima. Basta rileggere i giornali di quei tempi, e soprattutto i rotocalchi: veramente, Calabresi fu vittima di una campagna stampa infame e ingiusta, perché era uno dei funzionari più corretti che ci fossero. *{{NDR|«Pietro Valpreda, qui a ''Mixer'', ha definito Calabresi come "un tecnocrate del potere". Lei che cosa ne pensa?»}} Ma che significa «un tecnocrate del potere»? Un commissario di polizia serve il potere, chi diavolo deve servire? Valpreda? {{Int|''Faccia a Faccia: intervista a Indro Montanelli''|''Mixer'', a cura di Giovanni Minoli, Rai 2, 5 maggio 1985.}} *[[Renato Curcio|Curcio]] non sparava alle spalle, sparava di fronte, andava di persona a sparare. Naturalmente siamo su delle barricate opposte, ma io stimo Curcio. Lo stimo. È un uomo che secondo me ha delle idee sbagliate ma le serve, le serve da soldato vero. Con un suo galateo. Col suo coraggio. Senza mai rinnegarsi. Non si è pentito! *Io sono convinto che la magistratura debba essere indipendente, però chiedo ed esigo che abbia un autogoverno di controllo, e che soprattutto risponda dei suoi gesti. Oggi noi abbiamo una magistratura che non risponde a nessuno dei suoi errori spesso catastrofici, perché hanno distrutto uomini, hanno distrutto aziende per delle cose che poi si son rilevate insussistenti. Mai un magistrato ha pagato per questo. Io voglio che i magistrati paghino. Non dico a dei poteri esterni, ma perlomeno al potere a cui viene affidata la disciplina nella categoria. *Tutta l'intellighenzia italiana ha una vecchia tradizione di servilità, com'è logico, perché si è sviluppata in un Paese analfabeta, per secoli e secoli analfabeta. Non avendo il lettore doveva per forza procurarsi il protettore. Scriveva per il protettore. *{{NDR|«Il suo peggior difetto qual è, Montanelli?»}} Quello di non riconoscermene nessuno. *{{NDR|«[[Leo Longanesi|Longanesi]], parlando di lei, un giorno disse che lei capiva le cose con dieci mesi di anticipo rispetto a tutti gli altri. Ecco, tra dieci mesi cosa vede in [[Italia]]?»}} Queste erano le cose di Longanesi, ma in realtà io non riesco a vedere tra dieci giorni. {{Int|''[http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/1991/11/16/giangi-feltrinelli-io-non-ti-perdono.html 'Giangi' Feltrinelli io non ti perdono]''|''la Repubblica'', 16 novembre 1991, p. 33.}} *[[Giangiacomo Feltrinelli|Lui]] fu l'emblema di tutto quanto accadde in quegli anni {{NDR|Anni della contestazione}}. A differenza della [[Francia]], eravamo un paese da burletta, con una contestazione da burletta e rivoluzionari da burletta. E Feltrinelli ne fu l'esponente più qualificato. *Era il 1940 e a quel tempo Giangi aveva quattordici anni e seguiva i corsi scolastici con pessimo profitto. Giangiacomo era un ragazzetto che voleva a tutti i costi cavalcare qualcosa di rivoluzionario. Non importava il colore. Tanto è vero che il suo sogno fu prima il fascismo e poi Che Guevara. *{{NDR|«L'importante è stare in prima linea il fascismo?»}} Ma sì, negli anni Quaranta lui era fascista. Era talmente fascista che nel 1943, dopo l'8 settembre, voleva denunciare sia me che Barzini per alcune cose che avevamo detto contro i fascisti. Allora pensava di aderire a Salò. La sua dedizione a una causa quale che sia, purché rivoluzionaria, lo spingeva a questi atti pazzeschi. *Generoso? Lo chieda ai suoi collaboratori. Era una specie di padrone delle ferriere che spendeva generosamente solo per soddisfare il suo vizio principale: la rivoluzione. Con chi era in difficoltà non si dimostrò mai particolarmente generoso. *{{NDR|«Perché allora lei è così implacabilmente critico nei suoi riguardi?»}} Non ce l'ho neppure tanto con lui, quanto con tutti coloro che di Feltrinelli hanno fatto un mito. In realtà era un povero uomo. Un ingenuo divorato dall'esibizionismo. *{{NDR|«Come può ridurre tutto alla convinzione che fosse solo un ingenuo e un esibizionista?»}} Anche Starace segnò un decennio della nostra vita. Mica per questo era meno cretino. Se Feltrinelli sia stato qualcosa di più complesso, io non riesco a vederlo. Posso aggiungere questo: quella sua mania di ostentazione, quella voglia di primeggiare su tutte le cose lo ha condotto anche a degli atti di eroismo. Perché uno che sale su un traliccio, con la dinamite che non sa maneggiare e salta per aria, beh almeno il coraggio gli va riconosciuto. O forse chiamiamola incoscienza. {{Int|''[http://www.archiviolastampa.it/component/option,com_lastampa/task,search/mod,libera/action,viewer/Itemid,3/page,15/articleid,0824_01_1992_0072_0015_25082247/ Montanelli e il sacco di Milano]''|''La Stampa'', 14 marzo 1992, p. 14.}} *{{NDR|Il regime corrotto}} C'è ancora. Ma la rivolta non era tanto contro la corruzione e la partitocrazia, che erano senza dubbio un grosso male, ma che non erano il male più letale. In quel momento era proprio la società che si disfaceva, le condizioni della scuola, la predicazione del nulla, insomma la contestazione globale, l'ubriacatura degli Anni Settanta, che fu l'ubriacatura del terrorismo, e quella acquiescenza di una certa borghesia, salottiera, radical chic, che amoreggiava con queste cose, che aveva le smanie maotsetunghiste, che poi parlavano tutti di cose che non sapevano. La corruzione dei partiti invece è quasi immanente. La partitocrazia è destinata a durare almeno finché non si riforma la legge elettorale. Ma questa è la battaglia che noi cerchiamo di fare oggi. *{{NDR|«Ma gli Anni Settanta non hanno anche prodotto qualcosa di positivo nella società italiana?»}} No. Non vedo fatti positivi nel lascito degli [[anni di piombo]]. Vorrei sapere veramente quali. Quando dicono per esempio il divorzio. Ma il divorzio c'era già prima. Quelle sono conquiste sociali. C'era bisogno dei pistoleros per il divorzio? Ma andiamo! *{{NDR|«Però lei difendeva Pannella»}} Sì. A [[Marco Pannella|Pannella]] dobbiamo veramente due cose, malgrado le sue mattane. Effettivamente riuscì a impedire a una certa aliquota di giovani di finire in braccio al terrorismo, cioè gli dette un'altra bandiera. E alcune battaglie sue furono sacrosante, come quella del divorzio che appoggiammo. Poi verso Pannella io ho una certa simpatia, dovuta al mio vecchio fondo anarchico, libertario, che ritrovo in lui. È una simpatia genetica. Ritrovo in lui quello che io sono stato a vent'anni. *{{NDR|«Ma che fine ha fatto quella borghesia, che fine hanno fatto quei salotti buoni? Le sue battaglie contro la Crespi o contro la Cederna sono cosa Passata? Sono cambiati loro, oppure è cambiato lei?»}} Vabbè, con la [[Camilla Cederna|Camilla]] poi siamo ridiventati amici. Con la Crespi no, mai. Ma non ho più rancori, non ho più animosità. Però è un mondo che disprezzo un po', perché è un mondo di pecore che seguono sempre il filo del vento, santoiddio, sono proprio personcine, personcine inconsistenti, pronte ad andare con chiunque. E poi sempre per salvare i propri interessi, non è che abbiano delle idealità, no? Oggi è cambiato il vento, quindi sono cambiati anche loro. Ma non è che sia cambiato il mio giudizio. Quel mondo lì io non lo amo. *La crisi rimane e si riflette nell'amministrazione cittadina. L'amministrazione era sempre stata un autentico specchio. Fino a Bucalossi il Comune di Milano era retto da specchiati galantuomini, che finivano tutti poveri, in miseria, finivano alla Baggina. Gente davvero di una correttezza esemplare. Poi sono venuti gli Aniasi e compagni e guardi qui dove siamo arrivati: siamo arrivati a [[Mario Chiesa|Chiesa]]. {{Int|''[https://web.archive.org/web/20121107180200/http://archiviostorico.corriere.it/1993/giugno/06/Montanelli_tura_naso_come_nel_co_0_93060610816.shtml Montanelli si tura il naso come nel '76: voto l'uomo della Lega]''|''Corriere della Sera'', 6 giugno 1993, p. 3.}} *Mi sono dannato l'anima perché il centro avesse un ''suo'' candidato. Avrei voluto Locatelli: era la persona giusta per portare la bandiera referendaria e raccogliere gli elettori moderati. Era quello il mio sogno. *Segni non ha capito nulla, è arrivato in ritardo, ha candidato una persona che nessuno conosce. Non abbiamo ''un'' rappresentante del centro, ma tre surrogati che si elimineranno a vicenda. E ci toccherà scegliere fra [[Nando dalla Chiesa|Dalla Chiesa]] e Formentini. *{{NDR|«Di qui il suo suggerimento: turarsi il naso e votare Lega»}} No, non dico "Votiamo Lega", dico "Votiamo Formentini". E nel suo caso non ci si deve neppure turare il naso: è modesto, anche mediocre se vogliamo, ma è onesto. Non credo sia marcio. Insomma: è il male minore. *{{NDR|«E Dalla Chiesa?»}} No, il mio voto non lo avrà. Perché io non voto per la sinistra e per un sinistro come quello lì. *{{NDR|«Ma che cosa la preoccupa nella coalizione di Dalla Chiesa?»}} Questi reperti di un mondo fallito vogliono ora governare l'Italia. E io con loro non ci sto. La storia gli ha dato torto, la realtà li svergogna e noi dovremmo fidarci? È stata l'apertura a sinistra a dare inizio alla putredine. {{Int|''Eppur si muove''|a cura di Indro Montanelli e Beniamino Placido, Rai 3, 1994.}} *Ogni italiano è insieme furbo e fesso. L'italiano è furbissimo nella gestione dei suoi affari privati, può ricorrere a tutte le astuzie, è attento, è accorto, ed è assolutamente fesso nel non rendersi conto che se i suoi affari privati rimangono immessi in una società che non funziona – cioè dove gli interessi generali vengono trascurati e negletti – i suoi interessi privati finiscono col soffrirne e col condurlo al fallimento. Questo, a noi italiani, non entra in testa. (6 febbraio 1994) *È probabile che molti stranieri mandino i loro figli, a Roma, a scuola. Ma quali scuole? Alle loro. Gli americani mandano i loro figli alla scuola americana, i tedeschi alla scuola tedesca, i francesi alla scuola francese. Non li mandano mica alla scuola italiana, se ne guardano bene e hanno ragione, visto il modo in cui si insegna in Italia. (ibidem) *Da noi prima uscivano dei ragazzi che sapevano abbastanza di greco, di latino, ma che il carattere non lo avevano formato a scuola: o se lo formavano da soli, oppure non se lo formavano mai. (ibidem) *Lo [[Zingari|zingaro]] che fa tranquillamente la sua vita non dà noia a nessuno, è quando ruba che, naturalmente, suscita qualche perplessità (uso un eufemismo). Diciamo la verità, in Italia il razzismo non c'è. Per inventare una questione razziale ci volle una legge, e una legge fatta da un regime totalitario perché il Paese non la sentiva. Non poteva sentirla perché non è nella nostra tradizione. [...] L'Italiano non ha dei risentimenti razziali. [...] {{NDR|Sugli episodi di intolleranza e di paura per il diverso}} È un fatto di piccolissime minoranze, diciamo la verità. Non inventiamo adesso una questione {{NDR|razziale}}. Io ho vissuto nelle società veramente razziste, è tutta un'altra faccenda. (con [[Serena Dandini]], 20 marzo 1994) *Io ebbi una moglie etiopica, nel senso che la comprai secondo l'uso locale. {{NDR|«Come, scusi?»}} Eh beh, ma gli usi locali erano questi. Tutti, anche gli etiopici, compravano la moglie. {{NDR|«Quanto costava una moglie?»}} Poco. Costava poco, mi pare che mi costò – allora, però (anno 1935) – 500 lire e un tucul {{NDR|trattando}} col suocero. Perché queste furono transazioni fatte dal mio emissario, che era il più anziano graduato della mia banda, col padre della ragazza. [...] Questo matrimonio durò finché noi stemmo di stanza a Saganèiti, cioè a dire prima che scoppiasse la guerra con l'Abissinia (che non fu precisamente una guerra, fu una specie di avventura). [...] Poi questa mia moglie, perché era considerata tale, quando io partii sposò un mio graduato e al primo figlio – è vivo tuttora, mi hanno detto – diede il mio nome, per cui alcuni credettero che fosse figlio mio. Non era figlio mio. Soltanto che per deferenza... {{NDR|«Lei non pensò mai di portarla con se in Italia?»}} Beh, no. No, anche perché era molto difficile strapparla ai suoi costumi. Lei stessa, in fondo, non voleva venire. Lei apparteneva alla sua terra, io le feci una piccola dote e quindi andò tutto regolarmente. Era molto bellina. (ibidem) *Gran parte delle forze leghiste, quelle che accennano a qualche razzismo nei confronti del meridionale, sono composte da meridionali che si sono milanesizzati e ci si trovano talmente bene a Milano che non vogliono che altri arrivino dal sud. (ibidem) *Per me la [[destra]] non è una [[ideologia]]: è un modello di comportamento. Si può essere di destra anche a sinistra. Questo comportamento è il criterio rigoroso del servizio della vita pubblica. (con [[Arnoldo Foà]], 17 aprile 1994) *Nella storia della [[Italia|nazione italiana]] io vedo pochi uomini all'altezza della qualifica di una destra illuminata che non solo accetta ma vuole le [[Riformismo|riforme]]. Un uomo di destra certamente io non credo che fosse [[Camillo Benso, conte di Cavour|Cavour]], del resto il suo connubio lo dimostra, la sua disinvoltura nelle alleanze politiche lo dimostra. Certamente di destra era [[Bettino Ricasoli|Ricasoli]]. Certamente era [[Quintino Sella|Sella]]. Certamente era [[Giovanni Giolitti|Giolitti]]: uomo che dette il suffragio universale, e che riconobbe il diritto di [[sciopero]]. Questo è un uomo di destra. Certamente un uomo di destra era [[Alcide De Gasperi|De Gasperi]], senza dubbio. E, adesso non vorrei scandalizzare la gente, ma direi che uomo di destra per il concetto che aveva dello [[Stato]] e del [[potere]] era anche [[Palmiro Togliatti|Togliatti]]. E questo dimostra che si può essere uomini di destra anche a [[sinistra]]. La destra è una regola di comportamento, una regola [[morale]] di comportamento. (ibidem) {{Int|''[https://web.archive.org/web/20101005073648/http://archiviostorico.corriere.it/1997/novembre/09/Montanelli_gambizzato_cinque_mesi_prima_co_0_9711098446.shtml Montanelli "gambizzato" cinque mesi prima: "Mi salvò una promessa a Mussolini"]''|''Corriere della Sera'', 9 novembre 1997, p. 29.}} *Quella mattina {{NDR|2 giugno 1977}} sono in due nei giardini di piazza Cavour, a Milano. Uno mi spara alle gambe. L'altro mi tiene nel mirino della sua pistola. I primi due – tre proiettili entrano nelle mie lunghe zampe di pollo. Non devastano né ossa né arterie. Ma sarebbero sufficienti per far cadere a terra qualsiasi cristiano. In quegli attimi ricordo la promessa che avevo fatto a Mussolini, e a me stesso, quando, bambino, mi ritrovai intruppato nei balilla: "Se devi morire, muori in piedi!" Davanti a questi vigliacchi che non hanno il coraggio di affrontarmi in faccia, penso, non posso morire in ginocchio. E mi aggrappo alla cancellata dei giardini. Non sto in piedi sulle gambe, ma mi reggo dritto con la forza delle braccia. E quello continua a sparare e a centrare le mie zampe di pollo. Se mi fossi accasciato, se mi fossi inginocchiato davanti a lui, a quell'ora sarei morto. *Per [[Renato Curcio|lui]] ho sempre avuto rispetto. Penso che la sua autoemarginazione dalla società prima e l'emarginazione che la società gli ha imposto poi ci abbiano privato di un uomo di valore. Non lo conosco di persona, ma lo stimo, anche se poteva essere lui quello che ha mandato i due ragazzi a spararmi. Non ho rancore: quando la guerra è finita gli avversari si devono stringere la mano e devono brindare alla pace ritrovata. *Apprezzo il coraggio di chi non si pente per ricavarne un utile, di chi non denuncia il compagno di errori ma riconosce i propri torti. Almeno i brigatisti lottavano per ideali diversi da quelli dello stalinismo e del comunismo sovietico. I terroristi neri, invece, volevano soltanto restaurare un regime sepolto dalla storia. I rossi non sapevano bene cosa ma avevano in mente qualcosa di nuovo. *{{NDR|«E se avessero vinto loro?»}} Impossibile. L'esistenza del terrorismo ha soltanto ribadito le manchevolezze del nostro Paese: uno Stato inefficiente e un popolo codardo e conformista. *{{NDR|Sui burattinai, i Grandi Vecchi, la Cia, i Servizi segreti}} Fregnacce: che gliene poteva importare alla Cia di fucilare gente come il buon Casalegno o quel galantuomo di Emilio Rossi, vent'anni fa direttore del Tg Uno, o quel bischero di Montanelli? La dietrologia era una divagazione di intellettuali perditempo. Il vero problema era ed è un altro: finché non ci decideremo a riconoscere la mancanza negli italiani di una coscienza nazionale e civile questo pericolo del terrorismo lo correremo sempre. E questa fabbrica di una coscienza nazionale e civile io non la vedo nascere. *{{NDR|Sul dolore che il tempo non ha cancellato nei parenti delle vittime}} Anche noi italiani dobbiamo imparare a pagare gli inevitabili tributi dovuti alla Storia come hanno saputo fare tutti i Paesi occidentali. Il dolore resta, ma la piaga va ricucita. Una volta per tutte. {{Int|''[http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/1998/07/25/borghesia-vile-deludente.html Borghesia vile e deludente]''|''la Repubblica'', 25 luglio 1998, p. 8.}} *È la solita bruciante delusione, questa nostra borghesia. Non cambia mai, è sempre la stessa: la più vile di tutto l'Occidente. Gente portata a correr dietro a chi alza la voce, a chi minaccia, al primo manganello che passa per la strada. Questo sono i nostri borghesi: tutti fascisti sotto il fascismo, poi tutti antifascisti fin dall'indomani. Quando il comunismo era forte e faceva paura, e io fondai ''il Giornale'', mi lasciarono solo e senza un soldo. Ai tempi del terrorismo, amoreggiavano con gli estremisti nella speranza che quelli – andati al potere – gli risparmiassero la villa e il portafoglio. E ora che il comunismo non c'è più, si scoprono tutti anticomunisti, questi sedicenti liberaloni. *Il loro eroe è sempre chi brandisce il [[manganello]]. Ieri, il manganello vero. Oggi, quello catodico delle televisioni. Il liberalismo vero l'hanno sempre tradito, anzi non hanno mai saputo che cosa sia. Non vogliono le regole, detestano le leggi, vogliono avere le mani libere per fare quello che gli pare, in nome della loro cosiddetta «[[efficienza]]». Quando abbiamo fondato ''la Voce'' l'abbiamo toccato con mano: parlare di regole e di legalità a questa gente è peggio di un insulto, una bestemmia in chiesa. *L'ho sempre detto che fu un errore, quattro anni fa, defenestrarlo. Bisognava lasciarlo lì ancora un bel po', così tutti avrebbero capito quanto vale, che razza di statista è... Magari adesso non saremmo in Europa, ma non avremmo così tante gente che si lascia ubriacare dalla sua propaganda, che prova nostalgia per lui. *{{NDR|«E se un giorno si andasse a votare per il suo referendum, quello per abolire i reati del Cavaliere?»}} In quella forma, mi pare difficile che si arrivi, anche se in Italia non si sa mai. Comunque, se si votasse, credo che anche lì vincerebbe lui. Perché è quello che vuole questa nostra borghesia. Ormai è ufficiale: Berlusconi ce lo meritiamo. {{Int|''[http://www.repubblica.it/online/politica/satiquattro/montanelli/montanelli.html L'Italia di Berlusconi è la peggiore mai vista]''|''la Repubblica'', 26 marzo 2001.}} *Io voglio che vinca, faccio voti e faccio fioretti alla Madonna perché lui vinca, in modo che gli italiani vedano chi è questo signore. [[Silvio Berlusconi|Berlusconi]] è una malattia che si cura soltanto con il vaccino, con una bella iniezione di Berlusconi a Palazzo Chigi, Berlusconi anche al Quirinale, Berlusconi dove vuole, Berlusconi al Vaticano. Soltanto dopo saremo immuni. L'immunità che si ottiene col vaccino. *È strano: io non avevo mai preso parte alla campagna di demonizzazione: tutt'al più lo avevo definito un pagliaccio, un burattino. Però tutte queste storie su Berlusconi uomo della mafia mi lasciavano molto incerto. Adesso invece qualsiasi cosa è possibile: non per quello che succede a me, a me non succede nulla, non è che io rischi qualcosa, è chiaro. Quello che fa male è vedere questo berlusconismo in cui purtroppo è coinvolta l'Italia e anche tante persone perbene. *La scoperta che c'è un'Italia berlusconiana mi colpisce molto: è la peggiore delle Italie che io ho mai visto, e dire che di Italie brutte nella mia lunga vita ne ho viste moltissime. L'Italia della [[marcia su Roma]], becera e violenta, animata però forse anche da belle speranze. L'Italia del 25 luglio, l'Italia dell'8 settembre, e anche l'Italia di piazzale Loreto, animata dalla voglia di vendetta. Però la volgarità, la bassezza di questa Italia qui non l'avevo vista né sentita mai. Il berlusconismo è veramente la feccia che risale il pozzo. {{Int|''La Storia d'Italia di Indro Montanelli''|a cura di Mario Cervi, interviste di Alain Elkann, ''Cecchi Gori Editoria Elettronica Home Video'', 1999.}} *Il silenzio mantenuto finora {{NDR|sui massacri delle foibe}}, o quasi silenzio, si spiega facilissimamente: tutta la storiografia italiana del dopoguerra era di sinistra, apparteneva all'intellighenzia di sinistra, la quale era completamente succuba del Partito Comunista. Quindi non si poteva parlare delle foibe, che non appartenevano al comunismo italiano, ma appartenevano certamente al comunismo slavo, di cui però il comunismo italiano era alleato e faceva gli interessi. Quindi di questo non si poteva parlare, e non si poteva parlare delle stragi del triangolo della morte, perché anche queste ricadevano sulla coscienza – ammesso che ce ne sia una – del Partito Comunista, il che sta a dimostrare quello che dicevo prima, cioè che la Resistenza non fu una resistenza, fu una guerra civile tra italiani che continuò anche dopo il 25 aprile. [...] {{NDR|Sull'eccidio dei conti Manzoni}} Andai come giornalista [...] per appurare com'era andata la strage dei conti Manzoni, dopo la fine della guerra. [...] Una famiglia di persone che col fascismo non aveva niente a che fare, ci aveva convissuto come tutti gli italiani. Bene, nessuno mi voleva parlare di questa faccenda. [...] Nessuno ne aveva parlato, né dei Carabinieri né della Polizia e tantomeno della magistratura, eppure lo sapevano. [...] C'era una complicità assoluta, una complicità dannata. [...] Se ne parla ora perché il Muro di Berlino è crollato, ma si ricordi che trent'anni fa, quando [[Renzo De Felice|De Felice]] annunziò di mettere allo studio il ventennio fascista per sapere com'era andata, fu proposta la sua estromissione dalla cattedra universitaria, solo perché metteva allo studio un ventennio di storia italiana che, bella o brutta, c'era stata. [...] Non era possibile inquadrare storicamente il fascismo: chi lo faceva, cercando di spiegare i perché della sua durata, ed anche i perché della sua catastrofe, veniva accusato di fascismo. (da ''Dalla Monarchia alla Repubblica'') *È difficile sapere che cosa fu [[Palmiro Togliatti|Togliatti]], perché Togliatti non ha lasciato memoriali, non ha lasciato diario, che cosa pensasse Togliatti non lo sapeva nessuno, credo nemmeno la sua compagna Nilde Iotti. Si può dire che è stato un esecutore fedele degli ordini di [[Stalin]]. Lo è stato sempre, e per questo godeva la fiducia di Stalin. [...] Era un diplomatico per sé, soprattutto, perché é un uomo sopravvissuto a venticinque o trent'anni anni di Mosca, senza finire in galera, processato o contro il muro. Beh, questo è uno dei grandi personaggi. Sono pochi. {{NDR|«Non era uno statista, per esempio?»}} Non poteva essere uno statista perché i comunisti non hanno lo Stato nel sangue, i comunisti hanno il partito. Stalin non è mai stato Capo dello Stato, e nemmeno Capo del Governo, era capo del partito. Il potere nei regimi comunisti non sta né nello Stato né nel governo, sta nel partito. (da ''Dalla proclamazione della Repubblica al Trattato di pace'') *Questa [[Costituzione della Repubblica italiana|Costituzione]] porta male gli anni da quando aveva un giorno, perché fu subito chiaro quali erano i suoi difetti. Del resto furono anche denunciati da uomini come, per esempio, [[Piero Calamandrei|Calamandrei]], come Mario Paggi. (da ''Dall'assemblea costituente alla vigilia delle elezioni del 1948'') *I difetti furono soprattutto due. Il primo difetto fu di ripartizione dei lavori. La Costituente era formata da 600 membri eletti di passaggio. Voglio {{NDR|far}} notare che quella fu la prima elezione che si tenne in Italia – per la Costituente, non per il Parlamento – ma dove ci fu lo spiegamento dei partiti. Ogni partito portò i suoi candidati, cioè dei giuristi che facevano capo alla propria ideologia. Bene, in quella prima elezione il 35% dei voti andò ai democristiani, il 21% andò ai socialisti di [[Pietro Nenni|Nenni]], il 19% ai comunisti. Quindi in quel momento... non c'era ancora il Fronte ma in quel momento i socialisti facevano premio sui comunisti. Erano di poco, ma un po' più forti dei comunisti. [...] Questi 600 costituenti non potevano lavorare tutti insieme, era impossibile mandare avanti 600 persone a dibattere all'infinto le stesse cose, e allora i lavori furono devoluti a una commissione che si chiamò la ''Commissione dei Settantacinque'', perché erano 75 membri della Costituente che venivano incaricati per le loro competenze specifiche di redigere il testo. Ma anche 75 erano troppi, e allora anche i 75 si frazionarono in sotto-commissioni, ognuna delle quali lavorò per conto suo. Non ci fu un piano di insieme. {{NDR|«Quindi non fu un vero lavoro collettivo»}} Non fu un vero lavoro collettivo. Calamandrei lo disse subito: «Noi stiamo montando una macchina, che magari pezzo per pezzo sarà anche ben fatta, ma le cui giunture non coincidono con le giunture di altri pezzi». [...] Fu lasciata così perché nessuno volle rinunziare al proprio elaborato, e questo è tipico degli italiani. (da ''Dall'assemblea costituente alla vigilia delle elezioni del 1948'') *Il secondo motivo che rese questa Costituzione veramente impalatabile e nociva per il regime che ne doveva nascere, fu che i nostri costituenti partirono dal punto di vista opposto a quello da cui sarebbero partiti i costituenti tedeschi quando la Germania fu libera di elaborare una sua Costituzione. Da che cosa partirono i costituenti tedeschi? Da questo ragionamento: il nazismo fu il frutto della Repubblica di Weimar. Cos'era la Repubblica di Weimar? Era l'impotenza del potere esecutivo, cioè del Governo. [...] La Germania rimase nel disordine, nel caos, nella Babele dei partiti che non riuscivano a trovare mai delle maggioranze stabili, quindi dei governi efficaci. Ecco perché Hitler vinse, perché il nazismo vinse. I costituenti nostri partirono dal presupposto contrario, cioè dissero: «Cos'era il fascismo? Il fascismo era il premio dato a un potere esecutivo che governava senza i partiti, senza controlli eccetera. Quindi noi dobbiamo esautorare completamente il potere esecutivo, {{NDR|negando}} la possibilità di dare ai governi una stabilità, eccetera». Per rifare che cosa? Weimar. Cioè, mentre i tedeschi partivano dalla negazione di Weimar, noi arrivavamo {{NDR|a Weimar}} senza dirlo. Nessuno lo disse, ma questo fu il risultato. [...] Non fu possibile nemmeno introdurre quella solita linea di sbarramento che invece fu introdotta in Germania, per cui i partiti che non raggiungevano non ricordo se il 5 o il 3%, non avevano diritto a una rappresentanza. No, tutti i partiti dovevano esserci e tutti avevano un potere di ricatto sulle maggioranze, che erano per forza di cose di coalizioni. (da ''Dall'assemblea costituente alla vigilia delle elezioni del 1948'') *Gli italiani non imparano niente dalla Storia, anche perché non la sanno. {{NDR|«Forse non amano la Storia»}} Non la amano, non la leggono, non se ne interessano, ma questo anche le classi dirigenti: sono uguali, intendiamoci. {{NDR|«Lei auspica che venga rifatta questa Costituzione»}} Sì, ma che venga rifatta secondo criteri logici, non {{NDR|secondo}} criteri illogici. Tutte le volte che si diceva «Ma qui bisogna restituire un po' di autorità al potere esecutivo, bisogna mettere i governi in condizione di governare» si diceva: «Fascista! Fascista!». Con questo ricatto qui abbiamo fatto le più grosse scempiaggini che si potesse immaginare. (da ''Dall'assemblea costituente alla vigilia delle elezioni del 1948'') *La fine di [[Alcide De Gasperi|De Gasperi]] è la fine di un'epoca: con lui finisce un'epoca e ne comincia un'altra non certamente migliore. [...] C'è una bella pagina della figlia di De Gasperi, Maria Romana, che ha scritto un bel libro sul padre. Un libro tutto vero in cui racconta anche i funerali su in Val Sugana: c'era naturalmente tutta la nomenclatura democristiana che accompagnava la bara. Oramai De Gasperi era morto, si poteva anche fingere il compianto, e a un certo momento un passante che era lì – uno che guardava, che non aveva niente a che fare con la politica, con la Democrazia Cristiana eccetera eccetera – si avvicinò al feretro e scansando questi turiferari della DC disse: «No, non è vostro! De Gasperi è nostro! Era un italiano!». E aveva ragione. De Gasperi era nostro, non un democristiano. (da ''Gli anni di Alcide De Gasperi'') *{{NDR|[[Giovanni Gronchi]]}} Era un uomo molto abile, brillante parlatore, molto abile anche negli affari. Era molto più libertino di [[Carlo Sforza|Sforza]], quindi la Democrazia Cristiana [...] era cambiata, evidentemente, e Gronchi fu eletto per una faida interna della Democrazia Cristiana, perché [[Amintore Fanfani|Fanfani]] voleva [[Cesare Merzagora|Merzagora]]. Allora per fare dispetto a Fanfani, invece gli buttarono fra i piedi [[Giovanni Gronchi|Gronchi]], il quale seppe benissimo tessere la sua trama fra Sinistra, Destra eccetera e far diventare gronchiani anche quelli degli altri partiti. Dicendosi agli uni uomo di Destra e agli altri uomo di Sinistra, facendo insomma il giuoco personale di Gronchi, con cui entrò in Quirinale il vero grande corruttore della vita politica italiana. [...] Dopo l'onestissimo [[Luigi Einaudi|Einaudi]] viene Gronchi, che è l'indulgenza plenaria verso tutte le deviazioni e i deviazionisti d'Italia. (da ''La rivolta in Ungheria e l'elezione di Giovannni XXIII'') *Questa storia dell'MSI è una delle grandi truffe della Prima Repubblica: nella Costituzione c'è un articolo che proibisce la rinascita di un partito fascista. Ecco. Ora, l'MSI era chiaramente un partito fascista. Non lo negava, anzi si faceva gloria del fatto di essere l'erede eccetera. Perché lo avevano messo, allora? Lo avevano messo perché questo partito fascista, che avrebbe dovuto essere escluso dalla vita politica, serviva a captare un certo numero di voti che, senza questo partito, sarebbero andati a dei partiti moderati di Centro e soprattutto, forse, alla Democrazia Cristiana. Quindi quale fu il gioco delle Sinistre, a cui la Democrazia Cristiana però si piegò e si rassegnò: è consentito di esistere all'MSI, però l'MSI quando è in Parlamento è escluso dal gioco parlamentare. Così si mettevano i voti dell'MSI in ''frigidaire'', e così non andavano alla Democrazia Cristiana e ai partiti {{NDR|di Centro}}. È una delle peggiori truffe che è stata inventata dalla classe politica che ci ha governato per cinquant'anni. (da ''I successori di De Gasperi e la politica italiana fino alla morte di Togliatti'') *Io vorrei sapere quali furono le crescite... di civiltà che il [[Sessantotto]] pretende di averci lasciato. Io vedo tutt'altra cosa: io vidi nascere, dal Sessantotto, una bella torma di analfabeti che poi invasero la vita pubblica italiana, e anche quella privata, portando dovunque i segni della propria ignoranza. Io ho visto questo. Può darsi che sia affetto da sordità o da cecità ma io non ho visto altro, come frutti del Sessantotto. (da ''Il Sessantotto e la politica di Berlinguer'') *{{NDR|La differenza tra il Sessantotto francese e quello italiano è}} La differenza che passa fra l'originale e il fac simile perché il Sessantotto nacque in [[Francia]] e in [[Italia]] fu un fatto di riporto, di imitazione. {{NDR|«Che vi fu in tutto il mondo, però, questo»}} Un po' in tutto il mondo ma particolarmente in Italia dove non nasce mai niente, è sempre qualcosa di imitato dagli altri. Bene o male, insomma, i francesi ebbero... anche una certa cultura del Sessantotto, ebbero [[Jean-Paul Sartre|Sartre]]. Oddio, Sartre rivisto con gli occhi di oggi naturalmente scende molto dal suo mitico piedestallo. [...] In Italia non ci fu neanche un Sartre. (da ''Il Sessantotto e la politica di Berlinguer'') *Credo che su [[Pier Paolo Pasolini|Pasolini]] si sia preso un grosso abbaglio: Pasolini è passato per uno scrittore di sinistra perché aveva preso come sfondo dei suoi racconti – bellissimi del resto – il sottoproletariato delle borgate romane, i ragazzi di vita, insomma, la schiuma della società. Ma lo aveva fatto per dei gusti e dei motivi del tutto personali sui quali è inutile tornare a far commenti. Questo lo aveva fatto considerare come uno scrittore, un difensore del proletariato, ma non era una scelta politica quella che aveva fatto Pasolini. Non c'entrava niente, assolutamente nulla. Quindi quello che lui disse era assolutamente vero, cioè dire che nei tafferugli, dove spesso ci scappava il morto, tra quei dilettanti delle barricate che erano {{NDR|dei borghesi}}, i veri proletari erano i poliziotti, tutti figli di famiglie povere, eccetera eccetera. I dilettanti delle barricate erano tutti o quasi tutti figli di papà: aveva ragione Pasolini! Ma come no! E questo fu considerato un tradimento all'ideologia di sinistra. (da ''Il Sessantotto e la politica di Berlinguer'') *Il primo fenomeno fu il Sessantotto, e il Sessantotto partorì poi il terrorismo, il brigatismo rosso eccetera eccetera. Su questo non ci son dubbi, insomma. Dirò di più: i più seri, e forse gli unici seri, furono quelli che poi diventarono dei terroristi e che quindi rischiarono la loro vita, almeno. Gli altri erano quello che diceva Pasolini, dei figli di papà. (da ''Il Sessantotto e la politica di Berlinguer'') *{{NDR|La figura del Grande Vecchio}} È una di quelle fandonie, di quelle stupidaggini che piacciono tanto a noi italiani: l'idea di un Grande Vecchio che organizzasse tutte queste stragi, attentati eccetera eccetera. È un affare da Simenon di borgata insomma – no? Piaceva l'idea che ci fosse dietro tutta una strategia. Sennonché poi non si sapeva chi fosse il Grande Vecchio. {{NDR|«Aveva un volto questo grande vecchio?»}} Ne ha avuti molti: naturalmente [[Giulio Andreotti|Andreotti]] – quello non manca mai, quando si cerca un ''deus ex macchina'' di tutto ciò che di più criminale è avvenuto in questo Paese {{NDR|c'è}} Andreotti. {{NDR|«Però in quel momento non era tanto vecchio»}} In quel momento non era tanto vecchio, ma il Grande Vecchio non ha nulla di anagrafico, è il Grande Vecchio così – poi Gelli, poi Sindona. Ha avuto varie raffigurazioni che sono tutte di fantasia. (da ''Piazza Fontana e dintorni'') *Se c'era un funzionario corretto, che veniva portato come esempio da tutti i suoi colleghi, era Calabresi. Per quale motivo si scatenò questa campagna contro di lui non lo so. È vero che aveva interrogato [[Giuseppe Pinelli|Pinelli]], ma gli interrogatori di Calabresi facevano testo per la loro correttezza. Sempre. [...] Non so per quale motivo, a un certo momento, la stampa s'incendiò e cominciò ad additare Calabresi come «il bruto», come «lo scherano del potere sopraffattore e assassino». Questo si lesse in vari giornali. Ora, il potere sopraffattore assassino in quel momento era rappresentato da [[Mariano Rumor|Rumor]] e da [[Emilio Colombo|Colombo]]: mi dica lei se hanno il viso dei sopraffattori assassini. Magari lo fossero stati un po', ma immaginiamoci. E questa campagna fu implacabile, assolutamente implacabile. (da ''Piazza Fontana e dintorni'') *Come in tutti i processi italiani anche questi, che poi volevano arrivare all'identificazione dei responsabili e non ci arrivarono quasi mai, erano dominati dal cosiddetto «teorema»: si partiva dal presupposto... a un certo momento si mise di parlare degli anarchici – si smise quasi subito di parlare {{NDR|degli anarchici}} – e tutte le lampadine furono rivolte ai partiti e alle forze di Destra. Erano quelle le forze stragiste. [...] I nostri bravi giudici, salvo alcuni, partivano dal presupposto che {{NDR|i colpevoli}} certamente venivano di lì, venivano dalle Destre, dalle Destre più violente. Alle quali si attribuiva, sempre per «teorema», questa idea: creare una tensione nel Paese in modo da impaurire gli italiani e metterli alla scelta «o la libertà o l'ordine», perché insieme non potevano andare. Nella libertà era chiaro che non si poteva mantenere l'ordine, e loro dicevano: «Qualunque popolo messo a questa scelta sceglie l'ordine». Ecco. È un teorema. È un teorema che ha sempre cercato dimostrazione e non l'ha trovata mai. (da ''Piazza Fontana e dintorni'') *[[Bettino Craxi|Craxi]] era un uomo di partito certamente molto accorto, era un uomo valido di governo perché sapeva decidere. Che cosa fosse lo Stato, da buon socialista, non lo sapeva. (da ''Il terrorismo fino al sequestro e all'uccisione di Aldo Moro'') *Quelle lettere erano tutte farina del sacco di [[Aldo Moro|Moro]], e questa farina non è molto encomiabile perché, vede, tutti gli uomini hanno diritto ad avere paura. Tutti. Però quando un uomo sceglie la politica, e nella politica emerge a [[Statista|uomo di Stato]] – a uomo rappresentativo dello Stato – non perde il diritto a avere paura, ma perde il diritto a mostrarla. Questo sì. Questo è uno dei principi che dovrebbe essere affermato. L'incidente, tipo quello di Moro, fa parte del mestiere. Chi affronta quel mestiere deve sapere che può incorrere in quell'incidente e deve avere i nervi, e diciamo gli altri attributi, per resistere. Moro era lo Stato. Lo Stato si raccomandava, implorava, minacciava la classe politica che facesse di tutto, anche che si prostituisse, per salvargli la vita: eh, no. No. Moro era certamente un politico a modo suo, estremamente abile – era anche un galantuomo, credo – ma uomo di Stato non era nemmeno lui. [...] Anch'io mi sono posto questa domanda molto spesso: «Ma se Moro fosse tornato in politica dopo aver costretto lo Stato a prostituirsi, a inginocchiarsi di fronte ai terroristi, avrebbe potuto restarci?». Avrebbe potuto restare? Con che faccia? Vabbè che siamo in Italia. {{NDR|«Forse lo Stato sarebbe stato un altro perché i terroristi avrebbero vinto»}} Appunto. I terroristi avrebbero vinto. Quindi lui che cosa diventava, il braccio politico del terrorismo? Che cosa diventava? Come poteva ripresentarsi? Va bene, gli italiani hanno lo stomaco forte, inghiottono tutto – noi italiani abbiamo lo stomaco forte e inghiottiamo tutto – ma, insomma, di fronte a un uomo la cui vita, la cui sopravvivenza, aveva avuto quel prezzo per noi non credo che avrebbe potuto ripresentarsi all'opinione pubblica italiana. (da ''Il terrorismo fino al sequestro e all'uccisione di Aldo Moro'') *Noi naturalmente abbiamo il dovere di ringraziare [[Michail Gorbačëv|Gorbačëv]] per quello che ha fatto, però se lei mi chiede se lo ha fatto bene o lo ha fatto male io debbo rispondere che lo ha fatto malissimo. Io non so se lui... che lui volesse salvare la Patria sovietica questo non lo metto in dubbio. Che lui volesse salvare il comunismo... io debbo risponderle di no, perché quello che lui ha fatto per affossare il comunismo lo ha fatto. (da ''Giovanni Paolo II e la fine dell'URSS'') *Anche i cinesi si erano accorti che il sistema comunista era arrivato al capolinea, era fallito. Fallito perché non regge, assolutamente non regge. {{NDR|Il sistema comunista}} Aveva portato il Paese, e i Paesi che lo avevano adottato, al fallimento. Anche i cinesi si erano accorti di questo, però avevano capito che per trasformare un sistema oramai ancestralmente totalitario, statalizzato, che aveva tolto ogni libertà a tutti, che aveva disabituato tutti da ogni spirito di iniziativa e di impresa... per trasformare un'economia basata su questi principi fallimentari in un'economia capitalista basata sul libero mercato, sulla libera concorrenza eccetera, bisognava tenere in mano il potere politico per controllare questo passaggio. I cinesi lo fecero. Quando gli studenti di Pechino credettero di potergli {{NDR|al governo cinese}} prendere la mano scendendo in [[Protesta di piazza Tienanmen|piazza Tienanmen]] i cinesi non esitarono a mitragliarli e, per quanto un massacro non possa che essere esecrato, io dico questo: i cinesi erano obbligati a farlo. Se non lo facevano la Cina si dissolveva, ritornava quella di [[Chiang Kai-shek]]: ritornava quella dei signori della guerra, cioè il Paese si disfaceva. Il Paese che bene o male [[Mao Tse-tung]] aveva unificato e a cui aveva dato un'anima di Nazione si sarebbe disfatto. (da ''Giovanni Paolo II e la fine dell'URSS'') *{{NDR|Su [[Licio Gelli]]}} L'avevo visto una volta e questo [...] rendeva ancora più grande la mia sorpresa. Io avevo un giornale, ''il Giornale'', che non aveva patroni, non aveva pubblicità, che quindi aveva delle grosse difficoltà di tirare avanti. La proprietà era divisa fra me e una trentina di altri redattori, e non avevamo niente in mano. Io non trovavo una banca che mi facesse un fido, non trovavo una società pubblicitaria che mi garantisse un minimo decente delle cose [...]. A un certo momento il capo del nostro ufficio romano, Trionfera – che era massone, ma non P2 – mi disse «Senti, vieni a Roma perché so che c'è un signore che sta diventando il padrone della stampa italiana». Dico «Come? Il padrone della stampa italiana?» «Sì, c'è un signore che, a quanto pare, ha assunto un potere straordinario nel mondo dell’editoria e forse lui può anche aiutarci». [...] Andai a Roma e allora {{NDR|Renzo Trionfera}} mi disse che lui aveva appuntamento con questo signor Gelli, di cui io sentivo il nome per la prima volta [...], però dovevamo andarci quasi di nascosto. [...] Andammo [...] e così vidi Gelli per la prima e unica volta. Gli esposi la situazione e lui mi disse: «Ma questi sono dettagli, queste sono piccolezze, non sono problemi gravi perché qui, oramai, bisogna procedere a ben altro. Bisogna chiamare a raccolta tutta questa stampa italiana che è litigiosa, che è settaria. Bisogna darle un indirizzo unico». Allora io lì lo fermai. Dissi: «Come fa a darle un indirizzo unico? La stampa segue criteri diversi, i giornalisti...». «Macché giornalisti – disse lui – qui ci vuole un padrone della stampa!». Dico «Ma non esiste un padrone della stampa, a meno che non rifacciamo il Minculpop fascista, allora c'era un padrone perché c'era un regime che faceva il padrone». {{NDR|Licio Gelli}} Dice «Basta comprare la proprietà dei giornali». Dissi «Ma scusi, ci sono degli editori che non vendono» [...] «Questione di prezzo». Il discorso andò avanti su questi binari, quando uscimmo io dissi a Trionfera: «Senti, ma questo qui è il più grosso farabolano con cui abbiamo avuto a che fare, uno che si immagina di comprare tutta la stampa e di ridurla ai suoi ordini, va be', o è un matto, o è un matto, oppure è proprio un piazzista, un fregnacciaro qualsiasi insomma». Questo fu l'unico incontro. [...] Uno che faceva questi discorsi naturalmente mi sembrava inutile continuare a frequentarlo. Di lì a poco venne fuori la lista degli iscritti alla P2 e venne fuori l'identificazione di Gelli col Grande Vecchio, col famoso Grande Vecchio. {{NDR|«Finalmente si era trovato»}} Finalmente si era trovato il Grande Vecchio autore di tutte le stragi, le cose..., {{NDR|«Il vero Grande Vecchio»}} il bieco Grande Vecchio. Naturalmente non credetti nemmeno a questo. (da ''Il caso Sindona e la P2'') *Per istinto, e per come avevo visto e conosciuto [[Licio Gelli|Gelli]], io sono convinto che {{NDR|la [[P2|Loggia P2]]}} era una cricca di affaristi e basta. Era una cricca di affaristi condotta da un uomo che, evidentemente, come intrallazzatore doveva essere geniale. Era un pataccaro, indiscutibilmente era un pataccaro, ma che a tutto pensava fuorché a un ''golpe''. Non ci pensava nemmeno. Lui procurava affari e soprattutto fomentava carriere. Lui aveva capito qual è la struttura del potere in Italia, sempre, non soltanto allora, sempre: è una struttura mafiosa. Bisogna far parte di una cricca, di una conventicola in cui ognuno aiuta l'altro, e questo era la P2. [...] Ma che interesse poteva avere Gelli a rovesciare un sistema che gli consentiva di influire sino a quel punto? Quale interesse poteva avere? E poi, Gelli era un farabolano ma non doveva essere del tutto sprovveduto, doveva sapere che l'[[Italia]] non è terra da ''golpe''. Ma chi lo fa il ''golpe''? E anche se qualcuno lo fa, come fa a resistere? Che cos'ha dalla sua per fare il ''golpe''? Non ho mai creduto al golpismo di Gelli. (da ''Il caso Sindona e la P2'') *Il caso Chiesa era un caso modestissimo. Fece da detonatore perché il momento era maturo per arrivare a ''Tangentopoli'', che era dovuto a una cosa molto più complessa che era questa: che ci fosse la corruzione in Italia si è sempre saputo, la classe dominante promanava questo puzzo di fogna che tutti sentivano, il famoso «turarsi il naso». Soltanto che fin quando l'alternativa di questa classe politica allora al potere era un Partito comunista, che era un fac-simile di quello sovietico, basato sui carri armati, sulla polizia segreta, sulle delazioni, sui processi, [...] finché c'era questo spettro noi non potevamo prenderci il lusso di mettere sotto processo e mandare in galera la classe politica dirigente allora. Fu quando, col Muro di Berlino, crollò questo incubo che i tempi furono maturi perché questo avvenisse. (da ''Tangentopoli'') *Che {{NDR|la [[corruzione]]}} sia inestirpabile, di questo sono sicuro perché dura da 2000 anni. La corruzione non è soltanto nella politica: è nella società italiana! Noi italiani abbiamo sempre corrotto tutti! Tutti coloro che sono venuti in Italia a fare i padroni li abbiamo corrotti. [...] Noi dobbiamo metterci in testa che la lotta alla corruzione la si fa in un modo solo: cambiando gli italiani, non cambiando le classi politiche. Le classi politiche, anche quelle nuove, si corrompono. È inevitabile. (da ''Tangentopoli'') *[[Silvio Berlusconi|Berlusconi]] ha un sacco di qualità. C'è da dire, ha una grande immaginazione, una grande fantasia; ha un coraggio leonino nel buttarsi nelle imprese; sa trascinare molto bene; è un comunicatore eccezionale, sa accendere i suoi seguaci di entusiasmi eccetera eccetera, mi ricordo che una volta gli dissi: «Io sono sicuro che se tu ti mettessi a fabbricare dei vasi da notte, faresti venire la voglia di fare pipì a tutta l'Italia». (da ''Verso il bipolarismo'') *[[Silvio Berlusconi|Lui]] è un uomo d'attacco: se avesse fatto la carriera militare lui non sarebbe diventato né un [[Gerd von Rundstedt|Rundstedt]] né un [[Erich von Manstein|Manstein]], che furono i grandi strateghi tedeschi dell'ultima guerra. [...] Lui sarebbe diventato un [[Erwin Rommel|Rommel]] o un [[George Smith Patton|Patton]]. Cioè dire: è un generale di straccio e di rottura che, appunto, sullo slancio può compiere qualsiasi cosa. Se lo metti poi a difendere le posizioni conquistate con lo slancio, eh no, lì non ci sta. Come Rommel: Rommel finché poté attaccare in Libia e in Egitto attaccò. Quando dovette mettersi sulla difensiva chiese il rimpatrio. [...] Non sarebbe uomo di Curia e non è un uomo di pazienza, non è un uomo da guerra di posizione e di logoramento. (da ''Verso il bipolarismo'') *Lui Arrivò a Palazzo Chigi credendo, e facendo credere, che uno Stato si poteva condurre con gli stessi criteri di un'azienda privata. Io su questo avevo avuto serie discussioni con lui – non litigi, non ho mai litigato con Berlusconi – gli avevo detto: «Guarda che lo Stato non è un'azienda privata». [...] Lui credeva di potersi comportare a Palazzo Chigi, e con la macchina dello Stato, come si comportava con la sua organizzazione, dove la gente frullava e, se non frullava, lui la cacciava via, com'è giusto che faccia un imprenditore. Ma lui non poteva applicare questi metodi e sistemi allo Stato. Quando si trovò di fronte alla muraglia grigia, sorda e ottusa della burocrazia italiana, che è la peggiore, ma anche la più resistente del mondo, lui rimase senz'armi: non poteva licenziare neanche un usciere. Nel gioco parlamentare lui naufraga perché non è abituato a queste cose. La politica – non dico che sia solo un mestiere – ma è anche un mestiere. Questo mestiere lui non lo aveva. (da ''Verso il bipolarismo'') *Che gli italiani siano capaci di emanare leggi di riforma, ci credo senz'altro. L'Italia è la più grande produttrice di regole, ognuna delle quali è una riforma, è la riforma di un'altra regola. Gli stessi esperti pare che abbiano perso il conteggio delle leggi, dei regolamenti che vigono in Italia: c'è qualcuno che parla di 200.000, altri di 250.000. Ora, quando si pensa che la [[Germania]] ha in tutto 5.000 leggi, la [[Francia]] pare 7.000, l'[[Inghilterra]] nessuna, quasi nessuna – ha dei principi, così stabiliti. A cosa ha portato tutta questa proliferazione? A riempire gli scantinati dei nostri pubblici uffici, dove ci sono questi mucchi di legge che nessuno va nemmeno a consultare perché ognuna di queste leggi poi offre il modo di evaderle. Questa è la grande abilità dei legislatori italiani. I legislatori italiani sono quasi tutti degli avvocati. E gli avvocati a che cosa pensano? A ingarbugliare le leggi in modo da restarne loro i supremi e unici depositari. [...] Riforme: hai voglia se ne faremo, continuiamo a farne, è la nostra vocazione, questa. Quanto poi all'attuazione, allora è un altro discorso: le leggi in Italia non vengono osservate, anche perché sono formulate in modo che si possano non osservare. Ed è questo che spiega l'abbondanza, la prodigalità delle nostre classi politiche, delle nostre classi dirigenti, nello sfornarne di continuo. (da ''Dal Governo Dini all'Ulivo'') *Un Paese che ignora il proprio Ieri, di cui non sa assolutamente nulla e non si cura di sapere nulla, non può avere un Domani. Io mi ricordo una definizione dell'Italia che mi dette in tempi lontanissimi un mio maestro e anche benefattore, che fu un grande giornalista, [[Ugo Ojetti]], il quale mi disse: «Ma tu non hai ancora capito che l'Italia è un Paese di contemporanei, senza antenati né posteri perché senza memoria». Io avevo 25-26 anni e la presi per una ''boutade'', per una battuta, un paradosso. Mi sono accorto che aveva assolutamente ragione. Questo è un Paese che {{NDR|«È un Paese che non ama la Storia»}} ha una storia straordinaria, {{NDR|«Ma non la ama»}} ma non la studia, non la sa. È un Paese assolutamente ignaro di se stesso. Se tu mi dici cosa sarà un domani per gli italiani, forse sarà un domani brillantissimo. Per gli italiani, non per l'Italia. Perché gli italiani sono i meglio qualificati a entrare in un calderone multinazionale perché non hanno resistenze nazionali. Intanto hanno dei mestieri in cui sono insuperabili. [...] Voglio dirlo senza intonazioni spregiative, nei mestieri servili noi siamo imbattibili, assolutamente imbattibili. Ma non lo siamo soltanto in quelli. L'individualità italiana si può benissimo affermare in tutti i campi, anche scientifici. Io sono sicuro che gli scienziati italiani, i medici italiani, gli specialisti italiani, i chimici, i fisici italiani quando avranno a disposizione dei gabinetti europei veramente attrezzati brilleranno. Gli italiani, l'Italia no. L'Italia non ci sarà, non c'è. Perché gli italiani che vanno in Germania diventeranno tedeschi. [...] Alla seconda generazione sono assimilati. Dovunque vadano, sono assimilati. {{NDR|«Ma questo è un difetto?»}} No... è un difetto... è un difetto ed è anche una virtù. È una qualità. Voglio dire: per l'Italia non vedo un futuro, per gli italiani ne vedo uno brillante. (da ''Dal Governo Dini all'Ulivo'') ==Citazioni tratte dai giornali== ===''Corriere della Sera''=== <!--ordine cronologico--> *Gli eroi sono sempre immortali, agli occhi di chi in essi crede. E così crederanno, i ragazzi, che il «[[Grande Torino|Torino]]» non è morto: è soltanto «in trasferta». (7 maggio 1949) *{{NDR|A proposito di [[Maratea]]}} Forse in Italia non c'è paesaggio e panorama più superbi. Immaginate decine e decine di chilometri di scogliera frastagliata di grotte, faraglioni, strapiombi e morbide spiagge davanti al più spettacoloso dei mari, ora spalancato e aperto, ora chiuso in rade piccole come darsene. (4 ottobre 1957) *{{NDR|Su ''[[La dolce vita]]''}} Ma non c'è dubbio che qui ci si trova di fronte a qualcosa di eccezione (sic!) non perché rappresenti un meglio o un di più di ciò che finora si è fatto sullo schermo, ma perché ne va nettamente al di là, violando tutte le regole e convenzioni, a cominciare da quelle della durata, che supera le tre ore di spettacolo, per finire a quelle della trama, o meglio della non trama, perché non c'è. (''[http://cinquantamila.corriere.it/storyTellerArticolo.php?storyId=4d44ab344c050 Montanelli vede La Dolce Vita]'', 22 gennaio 1960) *{{NDR|Su ''[[La dolce vita]]''}} Non siamo più nel cinematografo, qui. Siamo nel grande affresco. Fellini secondo me non vi tocca vette meno alte di quelle che Goya toccò in pittura, come potenza di requisitoria contro la sua e la nostra società. (''ibidem'') *Il suo reportage non è una "patacca". Il poco – oh, molto poco! – che vi luce è proprio oro. E il molto che vi puzza è proprio fogna. Del resto, se così non fosse, il film sarebbe fallito come falliscono i reportages quando eludono la verità o non riescono a centrarla. Quindi, amici, vi prevengo se domani ''[[La dolce vita]]'' vi farà inorridire, non confutàtela dicendo: "Non è vero". Perché per esser vero, tutto ciò che qui è raccontato, lo è. D'altronde Fellini è ricorso al mezzo più spicciativo (e più diabolico) per dimostrarlo. (''ibidem'') *Ma mi affretto subito ad aggiungere che ''[[La dolce vita]]'' non è una polemica a sfondo giustizialista, che appunta i suoi strali sulle cosiddette classi alte. Non convincerebbe, in questo caso, o convincerebbe meno. Gli altri ambienti, che si srotolano giù giù negli appunti di questo reporter d'eccezione, sono descritti con la identica spietatezza, convalidata dalla stessa tecnica di rappresentare ciascuno nei propri panni. Lasciatemi testimoniare in tutta onestà che raramente ho visto qualcosa di più vero di quel salotto intellettuale. Esso ha dato perfino a me, che non ne frequento nessuno, un senso profondo di mortificazione, un vago anelito a cambiar mestiere e a iscrivermi, fo' per dire, ai coltivatori diretti. (''ibidem'') *Non è necessario essere socialisti per amare e stimare [[Sandro Pertini|Pertini]]. Qualunque cosa egli dica o faccia, odora di pulizia, di lealtà e di sincerità. (27 ottobre 1963) *Che i [[Rifugiati palestinesi|profughi palestinesi]] siano delle povere vittime, non c'è dubbio. Ma lo sono degli Stati arabi, non d'[[Israele]]. Quanto ai loro diritti sulla casa dei padri, non ne hanno nessuno perché i loro padri erano dei senzatetto. Il tetto apparteneva solo a una piccola categoria di sceicchi, che se lo vendettero allegramente e di loro propria scelta. Oggi, ubriacato da una propaganda di stampo razzista e nazionalsocialista, lo sciagurato ''fedain'' scarica su Israele l'odio che dovrebbe rivolgere contro coloro che lo mandarono allo sbaraglio. E il suo pietoso caso, in un modo o nell'altro, bisognerà pure risolverlo. Ma non ci si venga a dire che i responsabili di questa sua miseranda condizione sono gli «usurpatori» ebrei. Questo è storicamente, politicamente e giuridicamente falso. (16 settembre 1972) *[[Alexis de Tocqueville|Tocqueville]] diceva che «è nel sonno della pubblica coscienza che maturano le dittature». (da ''[https://web.archive.org/web/20160101000000/http://archiviostorico.corriere.it/1996/gennaio/13/platea_resta_assente_co_0_9601133631.shtml La platea resta assente]'', 13 gennaio 1996, p. 1) *Se si mettono a raffronto i due rivali come faccia, come presenza, come eloquio, come cordialità, insomma come simpatia umana, non c'è dubbio che Albertini ne ispira molto meno di Fumagalli, anzi diciamo la verità tutta intera: non ne ispira punta. Ed io, cittadino ed elettore milanese, proprio di questo sentivo il bisogno: di un sindaco antipatico, di faccia arcigna e poco invogliante alla pacca sulla spalla, al confidenziale «tu» e al pappecciccia coi sottoposti, e poco, anzi punto disponibile a quelle benevolenze, condiscendenze e indulgenze che rappresentano le supposte di glicerina di tutte le corruzioni. [...] Con Albertini ho parlato una sola volta. Ma mi è bastata per capire che, per rendersi antipatico, non ha bisogno di fare sforzi. Basta che si mostri com'è e come spero che rimanga: una specie di Molotov di Palazzo Marino, chiuso nei suoi caparbi ''niet'', diffidente, scostante e culdipietra. Che abbia una compagna fermamente decisa a non partecipare alla vita pubblica del compagno, anche questo ci va bene. [...] Si ricordi, signor Sindaco, che noi abbiamo votato per lei, non per questi papponi. (da ''[https://web.archive.org/web/20160101000000/http://archiviostorico.corriere.it/1997/maggio/13/tradito_Ulivo_co_0_9705136733.shtml Sì, ho tradito l'Ulivo]'', 13 maggio 1997, p. 1) *Non vorremmo, dopo averne deplorato il brutto vezzo, contribuire alle polemiche nel momento in cui bisogna invece accantonarle per fare compatto fronte per il salvataggio del salvabile. Ma basta con le «regole» che servono soltanto a rendere impenetrabili le responsabilità dei disastri quando i disastri si possono ricondurre a delle responsabilità umane (come non accade, per esempio, nei terremoti). Ma quando verrà l'ora della ricostruzione, ricordiamoci che l'[[urbanistica]] e il paesaggio italiani hanno bisogno non di altre, ma di meno «regole». E, più che di cemento, di dinamite. (da ''[https://web.archive.org/web/20160101000000/http://archiviostorico.corriere.it/1998/maggio/09/licenze_facili_leggi_oscure_co_0_9805099009.shtml Le licenze facili e le leggi oscure]'', 9 maggio 1998, p. 1) *Qualche dichiarazione meno infuocata contro la Giustizia di regime, come il [[Silvio Berlusconi|Cavaliere]] si ostina a definirla, avrebbe meglio aiutato la politica italiana a rimuovere il macigno che la paralizza, e che è lui, Berlusconi. (da ''[https://web.archive.org/web/20160101000000/http://archiviostorico.corriere.it/1998/luglio/14/RESTO_SIA_SILENZIO_co_0_9807143775.shtml E il resto sia silenzio]'', 14 luglio 1998, p. 1) *L'Italia sarà anche, come dicono i nostri tromboni universitari, «la culla del diritto». Ma è anche il sepolcro di una giustizia che, per decidere se un imputato è innocente o colpevole, aspetta il suo certificato di morte che la esenta dal dirlo. Il secondo problema è il reclutamento e la selezione [[magistratura|del personale]]. Come in tutte le altre pubbliche attività, anche nella giustizia c'è un dieci per cento di autentici eroi pronti a sacrificarle carriera e vita, ma senza voce in un coro di «gaglioffi» che c'è da ringraziare Dio quando sono mossi soltanto da smania di protagonismo. (da ''[https://web.archive.org/web/20160101000000/http://archiviostorico.corriere.it/1998/agosto/24/CARDINALE_MAGISTRATO_co_0_9808244892.shtml Il Cardinale e il Magistrato]'', 24 agosto 1998, p. 1) *Tutto si è risolto in un colpo solo, non si sa con precisione quando e come combinato, che ha tagliato la strada alla bagarre prima che cominciasse. E che, per quanto mi riguarda, mi ha liberato dall'incubo che turbava i miei inquieti sonni, e in cui mi vedevo in fuga da un mostro senza volto, ma che m'incalzava con la logorrea del presidente uscente, aggravata dall'accento irpino di Mancino e dalle corde vocali della signora Jervolino. [...] Siamo sicuri che il popolo, chiamato a pronunciarsi fra un [[Carlo Azeglio Ciampi|Ciampi]] e – faccio per dire – un [[Antonio Di Pietro|Di Pietro]], si sarebbe pronunciato per Ciampi? È una domanda che non aspetta risposta, ma che mi permetto di proporre ai lettori. Gran bella parola «il Popolo». E riconosciamogli pure l'attributo, che gli spetta, di «Sovrano». Ma insomma, meditate gente, meditate. (da ''[https://web.archive.org/web/20160101000000/http://archiviostorico.corriere.it/1999/maggio/14/QUASI_NON_CREDO_co_0_9905146643.shtml Quasi non ci credo]'', 14 maggio 1999, p. 1) *Tutti coloro che hanno svolto pubbliche funzioni in Sicilia sono rimasti e sono tuttora in qualche modo «collusi» con la mafia. Lo furono quotidianamente, e per secoli, il governo e la polizia borbonica. Lo fu [[Giuseppe Garibaldi|Garibaldi]] che in essa trovò, dopo lo sbarco, la sua prima alleata. Lo furono i governi nazionali sia di destra che di sinistra. Lo fu [[Giovanni Giolitti|Giolitti]] che pure non scese mai, a ch'io sappia, a sud di Napoli. Lo fu il presidente della vittoria, [[Vittorio Emanuele Orlando|Orlando]], che quando tornava a Palermo, la prima visita che rendeva non era al prefetto né all'arcivescovo, ma al capomafia. Tentò di non esserlo Mori che aveva licenza di uccidere garantita da un regime totalitario, e ci rimise il posto. Lo sono stati tutti i politiconi e politicastri della Prima Repubblica. Anche il cautissimo [[Giulio Andreotti|Andreotti]]? Può darsi, attraverso i suoi proconsoli ''in loco''. Ma il Tribunale deve aver capito che l'imputato non era lui. Era il costume morale e politico della nostra vita pubblica, sul quale un Tribunale non ha, né può né deve avere competenza. [...] E il problema, secondo me, è questo: che fin quando noi italiani crederemo di salvarci dalla peste mandando sul rogo una strega o un untore, dalla peste non ci libereremo mai. (da ''[https://web.archive.org/web/20160101000000/http://archiviostorico.corriere.it/1999/ottobre/24/TRIBUNALE_DELLA_STORIA_co_0_991024441.shtml Il tribunale della storia]'', 24 ottobre 1999, p. 1) *Ci dicano chiaro e tondo perché hanno smembrato il Ros, e hanno ridimensionato l'attività di Sco e Gico. Non ci raccontino che hanno voluto mettere al riparo il capitano Ultimo e i suoi uomini dalle possibili vendette della malavita. E soprattutto non vengano a ripeterci che il ''modus operandi'' dei servizi segreti, per impedirne le «deviazioni», dev'essere «trasparente». Questa, che un segreto possa essere trasparente, è un'idea da primato della cretineria. E, se non della cretineria, lo è della retorica virtuista o della menzogna truffaldina. (da ''[https://web.archive.org/web/20160101000000/http://archiviostorico.corriere.it/1999/novembre/02/PROCURATORE_BATTA_PUGNO_co_0_9911021451.shtml Procuratore batta il pugno]'', 2 novembre 1999, p. 1) *Era la prima volta che il partito socialista italiano aveva trovato un uomo {{NDR|Bettino Craxi}}, se non di Stato, almeno di governo, che lo aveva liberato dalla subalternanza al Pci, e condotto su posizioni democratiche, europeistiche e atlantiche. Lo avrà anche fatto con metodi alquanto spicciativi e disinvolti, più da padrino che da ''leader''. Ma mi chiedo se avrebbe potuto usarne di diversi per avere ragione dei vecchi tromboni del massimalismo populista e piazzaiolo con le loro clientele incrostate da decenni. E mi chiedo anche quanto contribuirono alla sua crocefissione i rancori e le acredini che si era lasciato dietro. Ma nella difesa si perse, e non per mancanza, ma forse per eccesso di coraggio. (da ''[https://web.archive.org/web/20160101000000/http://archiviostorico.corriere.it/2000/gennaio/20/STATISTA_LATITANTE_co_0_0001201104.shtml Lo statista latitante]'', 20 gennaio 2000, p. 1) *Anche noi siamo convinti che il Paese ha il diritto di conoscere la verità (che non riguarda soltanto quella di Piazza Fontana). Ma non ci riusciamo. Anche perché se la pista rimane, come sembra accertato, quella del terrorismo nero, non sappiamo quali nomi l'accusa potrà tirar fuori dal suo cappello. I tre maggiori indiziati sono già stati assolti con sentenza passata in giudicato che non consente di richiamarli sul banco degli imputati. Gli altri di cui si fa il nome non sarebbero che comparse, la più importante delle quali, Delfo Zorzi, risiede a Tokio con passaporto giapponese che lo mette al riparo da ogni pericolo di estradizione. Vale la pena ricominciare? L'''ouverture'' dei dibattimenti non è stata incoraggiante. Il proscenio era occupato da Capanna, Valpreda, [[Dario Fo]] e altri reduci sessantottini, cui si era aggiunto anche Sergio Cusani, l'intangentato convertitosi (lo diciamo senza nessuna ironia) al missionarismo. [...] Invano i portaparola della parte lesa, cioè dei familiari delle vittime, si sono dichiarati estranei e contrari a ogni tentativo di politicizzare il processo. Una parola. Non ci riescono nemmeno [[Jovanotti]] e [[Teo Teocoli|Teocoli]] con le loro filastrocche dal palcoscenico di Sanremo. Figuriamoci se potranno riuscirci i registi di questo processo ''rouge et noir'', se mai ve ne furono. [...] Ecco a cosa servono i processi come questo: non a cercare la verità, ma a fornire argomenti al ''rouge'' o al ''noir''. (da ''[https://web.archive.org/web/20160101000000/http://archiviostorico.corriere.it/2000/febbraio/26/QUELLA_VERITA_CHE_CERCHIAMO_co_0_0002264627.shtml Quella verità che cerchiamo]'', 26 febbraio 2000, p. 1) *Cosa c'entri la giustizia italiana in fatti e misfatti capitati trent'anni fa in un Paese {{NDR|l'[[Argentina]]}} di cui la metà della popolazione è di origine italiana, non riusciamo a capire. Ma ci pareva impossibile che l'iniziativa del giudice spagnolo Garzon per trascinare l'ex dittatore cileno [[Augusto Pinochet|Pinochet]] sul banco degli accusati di un tribunale madrileno non trovasse imitatori in un Paese di scimmie come il nostro. Grazie ad essa, il nome e il volto di Garzon sono noti in tutto il mondo. Ed è probabile che tra poco lo siano anche quelli del pubblico ministero Caporale. Vi pare poco in un'era dell'effimero come quella in cui stiamo vivendo, e che vede l'infittirsi di processi ai defunti, su cui le nuove leve della [[storiografia]] vorrebbero riscrivere il passato? (da ''[https://web.archive.org/web/20160101000000/http://archiviostorico.corriere.it/2000/aprile/03/QUEI_PROCESSI_CARO_ESTINTO_co_0_0004033275.shtml Quei processi al caro estinto]'', 3 aprile 2000, p. 1) *Dobbiamo avere la modestia di riconoscere che noi, come venditori, non leghiamo nemmeno le scarpe a un piazzista che se un giorno si mettesse a produrre vasi da notte, farebbe scappare la voglia di urinare a tutta l'Italia. (da ''[https://web.archive.org/web/20130619122825/http://archiviostorico.corriere.it/2001/febbraio/15/PREDICATORI_COMPARSE_co_0_0102158858.shtml I predicatori e le comparse]'', 15 febbraio 2001, p. 1) *Non sono mai venuto meno all'impegno, preso non con il Cavaliere, ma con me stesso, di non associarmi mai alla sua demonizzazione. Ma non posso sottacere ai lettori i pericoli che si nascondono sotto questa sua allergia alla verità, questa sua voluttuaria e voluttuosa propensione alle menzogne, la naturalezza con cui riesce a pronunziarle. (da ''Io e il cavaliere qualche anno fa'', 25 marzo 2001, p. 1) *Berlusconi, cui nulla riesce tanto bene quanto la parte di vittima e perseguitato. «[[Chiagne e fotte]]» dicono a Napoli dei tipi come lui. E si prepara a farlo per cinque anni di seguito. (da ''Io e il cavaliere qualche anno fa'', 25 marzo 2001, p. 1) ====''La stanza di Montanelli – rubrica''==== {{cronologico}} *{{NDR|[[Vittorio Sgarbi]]}} È un volgare calunniatore, che non disonora se stesso, ma anche il suo committente e padrone (tutti sappiamo chi è) che si serve di un simile scherano. (8 novembre 1995) *I [[Riformismo|riformatori]] italiani, quando si tratta di riformare ciò che non ha bisogno di essere riformato, sono instancabili. L'attività dell'Ucas, Ufficio complicazioni affari semplici, come ricordava un altro lettore esasperato, è frenetica. ([https://web.archive.org/web/20160101000000/http://archiviostorico.corriere.it/1995/dicembre/13/Ufficio_complicazioni_affari_semplici_co_0_9512139920.shtml 13 dicembre 1995]) *Io credo che il miglior omaggio che si può rendere a [[Aldo Moro|Moro]] sia quello di archiviare l'episodio che ne segnò la fine e dal quale, diciamo la verità, la sua immagine esce tutt'altro che bene. Quando sento dire che, oltre a quelle conosciute, ci sono anche altre lettere di Moro, prego Iddio che non vengano trovate. So già cosa contengono, e preferisco non leggerlo. (21 dicembre 1995) *È assolutamente impossibile istillare negli [[zingari]] il concetto di proprietà e quindi educarli al lavoro come mezzo per conquistarsela. Ma temo che sia altrettanto impossibile far capire tutto questo ai nostri pietisti, religiosi e laici, che farneticano di «integrarli». ([https://web.archive.org/web/20160101000000/http://archiviostorico.corriere.it/1995/dicembre/30/Viaggiai_sul_carrozzone_degli_zingari_co_0_95123012229.shtml 30 dicembre 1995]) *A me, invece, [[Beppe Grillo|Grillo]] piace. Lo considero il più efficace comico in circolazione. Anzi: «comico» non è la parola giusta. Grillo non è un comico, non è un moralista, non è un predicatore: è tutte queste cose insieme. Nel panorama dello spettacolo italiano, dove abbonda il bollito misto, è un'eccezione ambulante (e urlante). Lei ha ragione quando dice che Grillo esagera. Non soltanto esagera; provoca anche, e insulta, e offende. Ma tutte le categorie di giudizio, con un tipo così, risultano inadeguate. Grillo appartiene ad una specie animale particolare, formata da un solo esemplare: lui. O lo strozziamo o lo applaudiamo. Io, appena posso, lo applaudo. Perché i suoi eccessi, a differenza di quelli di [[Vittorio Sgarbi|Sgarbi]], odorano di bucato. ([https://web.archive.org/web/20160101000000/http://archiviostorico.corriere.it/1996/gennaio/11/Beppe_Grillo_incubo_esilarante_co_0_9601114281.shtml 11 gennaio 1996]) *Una delle eterne regole italiane: nel settore pubblico, tutto è difficile; la buona volontà è sgradita; la correttezza, sospetta. Per questo, le persone capaci continueranno a tenersi a distanza di sicurezza dalla «cosa pubblica», lasciando il posto ai furbastri (magari bravi) e alle mezze cartucce (magari oneste). Così, purtroppo, vanno le cose in questo bizzarro paese. ([https://web.archive.org/web/20160101000000/http://archiviostorico.corriere.it/1996/gennaio/26/Impegno_politico_caduta_delle_illusioni_co_0_9601261298.shtml 26 gennaio 1996]) *In una società libera il compito dei media non è «edificare la morale»; è informare, denunciare, stimolare, far riflettere, occasionalmente divertire. (28 gennaio 1996) *L'unico incoraggiamento che posso dare ai giovani, e che regolarmente gli do, è questo: «Battetevi sempre per le cose in cui credete. Perderete, come le ho perse io, tutte le battaglie. Una sola potete vincerne: quella che s'ingaggia ogni mattina, quando ci si fa la barba, davanti allo [[specchio]]. Se vi ci potete guardare senza arrossire, contentatevi». (20 febbraio 1996) *Non so se il Pci sia sotterraneamente sceso a trattative con le Br per convincerle a secondare questo piano. So soltanto che le Br, le quali invece la rivoluzione la volevano sul serio, lo rifiutarono, e fu proprio per farlo naufragare che rapirono e poi uccisero colui che doveva esserne lo strumento. [...] Fu il risoluto e quasi furibondo (oltre che sacrosanto) no dei comunisti che fece naufragare il tentativo {{NDR|Trattativa Stato-BR durante il sequestro [[Aldo Moro|Moro]]}}, che invece in seno alla Dc aveva parecchi sostenitori, anche se non osavano dirlo apertamente. Di qui le accuse e le insinuazioni contro i suoi compagni di partito, lanciate da Moro in quelle famose lettere, che avrebbe fatto meglio a non scrivere perché indegne di un vero uomo di Stato, anzi di un uomo tout court, e che ancor oggi forniscono materia al sospetto di una congiura fra democristiani – con l'aiuto dei soliti servizi segreti «deviati» – per sbarazzarsi di lui. Vero nulla. Forse nella Dc le forze «trattativiste», praticamente disposte alla resa alle Br, avrebbero vinto, se non ne fossero state impedite dalla risolutezza del Pci, che di un brigatismo assurto ad interlocutore dello Stato non voleva sentir parlare e di un Moro salvato al prezzo di una simile capitolazione non avrebbe più saputo che farsi. (26 marzo 1996) *No, è stata la persecuzione che ha costretto gli ebrei, per resisterle, a tendere ed affinare tutte le loro risorse intellettuali. Ecco il segreto dei loro primati. In tutto. E talvolta anche nella cretineria. (3 aprile 1996) *L'[[Allargamento della NATO|allargamento della Nato]] è una cosa maledettamente seria, e decisamente complessa. Parlarne prima delle elezioni presidenziali russe vuol dire buttare benzina sul fuoco; non parlarne oggi significa, forse, non parlarne più. [...] Innanzitutto, dobbiamo renderci conto che la Nato è un'organizzazione basata sul consenso: se si estende verso Oriente [...], la compattezza dell'alleanza rischia di incrinarsi. Ancor più delicata è una seconda questione. Governi e opinione pubblica occidentali devono capire le implicazioni della loro decisione. In seguito all'allargamento, i nuovi membri orientali della Nato (che siano solo Repubblica Ceca e Ungheria; o anche Polonia e Paesi Baltici) diventano nostri alleati, a tutti gli effetti. Questo vuol dire che, se venissero attaccati, dovremmo correre a difenderli. Domanda: siamo disposti a morire per Varsavia e Tallin? Se la risposta è «sì», allarghiamo pure la Nato. Se la risposta è «ma, forse...» – e in Italia sarebbe sicuramente «ma, forse...» – è meglio che lasciamo perdere. In quella parte del mondo hanno già sofferto abbastanza. Non è il caso che ci mettiamo anche noi. ([https://web.archive.org/web/20151025020316/http://archiviostorico.corriere.it/1996/aprile/20/Allargamento_della_Nato_Lasciamo_perdere_co_0_960420535.shtml 20 aprile 1996]) *Io non mi considero affatto ateo e non capisco come si possa esserlo. ([https://web.archive.org/web/20160101000000/http://archiviostorico.corriere.it/1996/maggio/23/dove_comincia_grande_mistero_Dio_co_0_9605235872.shtml 23 maggio 1996]) *{{NDR|Riferito alla [[crisi di Sigonella]]}} Ho sempre considerato il rilascio di Abu Abbas un gesto semplicemente criminale o almeno di complicità col crimine. ([https://web.archive.org/web/20151107235857/http://archiviostorico.corriere.it/1996/luglio/07/Caro_Ottiero_Ottieri_diamoci_del_co_0_9607072658.shtml 7 luglio 1996]) *Quanto scrivi {{NDR|riferito a una lettrice}} sull'insegnamento della Storia nelle nostre scuole è sacrosantamente vero. I testi su cui ve la fanno studiare sono o reticenti o faziosi, ma più spesso l'una cosa e l'altra, e soprattutto scritti coi piedi. (4 settembre 1996) *No, caro N***, non mi basta che il Pool abbia perseguito e persegua una buona Causa. Doveva farlo anche con buoni mezzi e criteri. E il caso Di Pietro basta a dimostrare che questo non è sempre avvenuto. (24 ottobre 1996) *È dalla piazza e dai cosiddetti «bagni di folla» che nascono i dittatori e vengono consacrati i fanatismi più orrendi, fra cui il più orrendo di tutti: il razzismo. ([https://www.fondazionemontanelli.it/sito/pagina.php?IDarticolo=432 24 novembre 1996]) *Io non ho titoli culturali che mi qualifichino a lezioni su una tematica come quella del [[calvinismo]]. Ma credo di averne afferrato l'essenziale: la concezione della Ricchezza come segno della Grazia, di cui quindi non si è proprietari, ma amministratori per conto del Signore col compito di moltiplicarla per il bene di tutti. (21 dicembre 1996) *[[Daniele Vimercati|Vimercati]] è un leghista antemarcia. Lo era anche quando lavorava con me al ''Giornale''. Ma è soprattutto un signor giornalista, che conosce perfettamente la linea di demarcazione fra l'opinione personale e il dovere professionale, e non c'è interesse né calcolo di opportunità che possa indurlo a varcarla. Per questo godeva di tutta la mia fiducia, né mai ho avuto occasione di pentirmi di avergliela concessa. (1996).<ref>Citato in Pierluigi Saurgnani, ''[https://www.ecodibergamo.it/stories/Cronaca/274325_vimercati_gran_borghese_il_giornalista_che_scopr_bossi/ Vimercati, gran borghese. Il giornalista che scoprì Bossi]'', ''ecodibergamo.it'', 13 marzo 2012.</ref> *Di commissioni d'inchiesta il nostro parlamento ne ha partorite a dozzine. Me ne citi una sola che abbia raggiunto dei risultati, anche semplicemente conoscitivi. Per un Parlamento come il nostro (e mi trattengo a fatica dal qualificarlo) anche la ricerca della verità è materia di lottizzazione. ([https://web.archive.org/web/20151118213258/http://archiviostorico.corriere.it/1996/dicembre/23/Ormai_non_resta_che_amnistia_co_0_96122312669.shtml 23 dicembre 1996]) *Quando ebbi, fra i tanti, un processo non con un magistrato, ma con un politico del rango di De Mita che avevo coinvolto nella mala amministrazione dei fondi stanziati per l'Irpinia dopo il [[Terremoto dell'Irpinia del 1980|terremoto]], non trovai, in tutta quella vasta regione, una toga che venisse a testimoniare in mio favore. L'unico che mi difese fu colui che avrebbe dovuto accusarmi: il pubblico ministero del tribunale di Monza, Mariconda: non sul merito delle mie accuse, ch'egli non aveva elementi per valutare, ma sul diritto che mi riconosceva di lanciarle. Anche l'uso dei cinquanta–sessantamila miliardi stanziati per l'Irpinia rimase un porto delle nebbie. ([https://web.archive.org/web/20160101000000/http://archiviostorico.corriere.it/1997/gennaio/12/Magistratura_porti_delle_nebbie_co_0_9701123652.shtml 12 gennaio 1997]) *La sola parola «ingegneria genetica» mi mette i brividi. (14 marzo 1997) *Io non mi sono mai [[Impiccagione|impiccato]]. Ma a Norimberga assistetti a diciassette impiccagioni, compresa quella di un cadavere, il cadavere di Göring che si era suicidato il giorno prima. Be', mi resi conto [...] che ficcare la testa nel nodo scorsoio di una corda non è un esercizio da mezzetacche o quacquaracquà. (15 maggio 1997) *{{NDR|Gladio}} Era stato istituito in quasi tutti i Paesi che facevano parte della Nato, e per volontà della Nato, consapevole che i suoi soci europei non avrebbero potuto resistere all'attacco di una Potenza superarmata qual era l'[[Unione Sovietica]]: avrebbero dovuto aspettare, per la riscossa, l'intervento dell'[[Stati Uniti d'America|America]]. Lo dimostra il fatto che quando questo piano fu rivelato, nessun altro Paese trovò nulla da ridirne. Solo noi italiani – i soliti romanzieri imbecilli e peggio che imbecilli – ne facemmo materia di scandalo e pretesto di «gialli» che tuttora trovano credito, come la sua lettera dimostra. Anch'io mi sento scandalizzato, e un poco offeso. Ma solo dal fatto che nessuno mi abbia sollecitato l'adesione al [[Organizzazione Gladio|Gladio]]: l'avrei data con entusiasmo. ([https://web.archive.org/web/20150623163829/http://archiviostorico.corriere.it/1997/giugno/07/Avrei_dato_con_entusiasmo_adesione_co_0_97060710388.shtml 7 giugno 1997]) *A fare l'Italia alcuni pochi italiani ci sono, senza e contro i più, riusciti. A fare gl'italiani, l'Italia, in centocinquant'anni, non c'è riuscita; anzi non ci s'è nemmeno provata. (19 giugno 1997). *Il vero cacciatore ama gli animali a cui dà la caccia, forse anche perché li considera complici di questo gioco in cui ritrova la sua origine esistenziale. Non spara, per esempio, sul bersaglio fermo: lo considera sleale. (9 luglio 1997) *Al matrimonio misto, che dell'integrazione razziale è la condizione genetica, sono i neri, molto più dei bianchi, che si rifiutano. Non è quindi colpa degl'italiani, o almeno non tutta questa colpa è degl'italiani, se anche da noi l'integrazione con gl'immigrati africani incontra degli ostacoli. Quella con gli oriundi dei Paesi europei non ne incontra nessuno, salvo quelli che frappone la burocrazia, la quale ne pone tanti anche a noi, e anzi campa solo di questo. Non ho mai sentito un francese, o un inglese, o un tedesco, o un bulgaro o un ukraino lamentarsi di una apartheid italiana. Ci sono anche da noi, purtroppo, delle manifestazioni di razzismo. Ma queste sono dovunque, e in Italia meno violente che altrove. L'Italia è un Paese che va a catafascio. Ma non buttiamogli addosso anche delle croci che non merita. Quelle che merita bastano, e ne avanza. (24 agosto 1997) *Io sono un italiano, fra i pochi rimasti che nei confronti dell'Italia s'ispirano all'adagio inglese: «Che abbia ragione o torto, sto col mio Paese». Anch'io sto col mio paese quando ha torto, ma senza pretendere che il suo torto sia considerato ragione. (23 settembre 1997) *Sono e rimango convinto che fin quando noi italiani ci affideremo soltanto alla Legge – o, come ora usa chiamarla, alle «regole» –, rimarremo quello che siamo, coi vizi che abbiamo, fra cui quello di accatastare regole su regole al solo scopo di metterle in contraddizione l'una con l'altra per poterle meglio evadere. (16 ottobre 1997) *Forse farebbe meglio ad astenersi a dare lezioni di liberalismo a me che sono stato, in tutto il giornalismo italiano, l'unico a difenderlo negli anni Settanta e Ottanta, quando difenderlo era difficile e poteva anche costar caro. Non me ne faccio un vanto perché, quando alla fine ha vinto, ho visto di che liberalismo si trattava, ed è per questo che ho votato Ulivo. (23 ottobre 1997) *Le confesso che il suo piglio perentorio e inquisitorio mi disturba alquanto, anche perché mi lascia capire che lei parte da convinzioni così granitiche da rendere vano ogni tentativo d'insinuarvi almeno un dubbio. (23 ottobre 1997) *È importante tutto questo? No. Non lo è per me né per lei, che sappiamo cosa è accaduto. E non lo è per i leghisti doc, secondo cui qualunque cosa propone il capo è Vangelo. Se Bossi decide di andare in Bicamerale, applaudono. Se decide di abbandonare la Bicamerale, esultano. Se va con Berlusconi, assentono. Se lascia Berlusconi, approvano. E se un giorno si sveglia e cambia i confini della Padania, accettano i nuovi confini. Tempo fa, rispondendo a un lettore, scrissi che «i leghisti sono pronti a inneggiare anche all'annessione della Yakuzia, e non solo perché non sanno dove sta». Arrivarono molte lettere indispettite. Ma nessuna contro l'annessione della Yakuzia. (29 ottobre 1997) *Se sono – come sono – uno di quegli uomini di Destra che ultimamente hanno votato, sia pure controvoglia, per la Sinistra (annacquata) dell'Ulivo, è perché da questa, che non è mai stata la mia bandiera, non mi sento tradito. Essa sta facendo ciò che prometteva di fare, ma lo fa con molta moderazione, e con una squadra di uomini che magari non saranno (meno qualcuno, come per esempio Ciampi) di serie A, ma da cui non temo, e credo che nessuna persona ragionevole possa temere, l'instaurazione di un regime. (10 dicembre 1997) *E lo specchio non vi giudica dai successi che avrete ottenuto nella corsa al denaro, al potere, agli onori; ma soltanto dalla Causa che avrete servito. Tenendo bene a mente il motto degli ''hidalgos'' spagnoli: «La sconfitta è il blasone delle anime nobili». (31 dicembre 1997) *Che cosa io pensi dell'onorevole Previti mi pare di averlo detto in termini talmente espliciti da apparire – a più d'uno – brutali: un personaggio che solo a guardarlo in faccia verrebbe voglia di applicargli le manette ai polsi prima ancora di sapere chi è e cosa ha fatto. (31 gennaio 1998) *Infine, c'è quello che io considero il vero, grande vantaggio dell'euro: una volta dentro, non potremo tornare all'allegra finanza pubblica d'un tempo. ([https://web.archive.org/web/20151203232056/http://archiviostorico.corriere.it/1998/febbraio/20/Che_cosa_succedera_quando_avremo_co_0_9802206445.shtml 20 febbraio 1998]) *Tutti hanno diritto di credere nel miracolo, quando non c'è altro a cui aggrapparsi. La scienza no: se lo ricordi anche il Papa. (23 febbraio 1998) *I conti col passato, si capisce, bisogna farli. Ma a un certo punto bisogna chiuderli. Perché nella Storia non ce n'è mai stato uno che, protratto all'infinito, non ne abbia innescato un altro. (10 marzo 1998) *Perché, caro B***? Perché la vocazione a dividerci sempre e su tutto per il nostro «particulare», come lo chiamava Guicciardini, noi italiani ce la portiamo nel sangue, e non c'è legge che possa estirparla. (18 aprile 1998) *Vero che nei ricordi sui quali vengo sollecitato, il nome di [[Cesco Tomaselli|Tomaselli]] ricorre meno frequentemente di quelli di Longanesi, di Buzzati, di Piovene, di Barzini ecc. Ma ciò dipende solo dal fatto che costoro appartenevano alla mia leva, e in comune con loro avevo avuto tante esperienze, perfino la stanza di lavoro. Tomaselli, quando io entrai al ''Corriere'', apparteneva già alla sua vecchia guardia, e come notorietà ne aveva raggiunto il tetto proprio grazie alle sue corrispondenze sull'impresa del dirigibile «Italia» di Umberto Nobile, di cui fu dal principio alla fine lo scrupoloso cronista. A salvargli la vita dalla catastrofe fu soltanto la sorte, contro cui egli imprecò considerandola avversa. Per l'ultima tappa, quella che avrebbe dovuto sorvolare il Polo, dei due giornalisti aggregati a quella spedizione — Tomaselli per il ''Corriere'', e Ugo Lago per il ''Popolo d'Italia'' di Mussolini —, c'era posto, sulla navicella, per uno solo. Lago e Tomaselli se lo giocarono a testa o croce. Con gran dispetto di Tomaselli, che non smise mai di considerarsene tradito, vinse e partì Lago, che non tornò più: quando l'aeromobile precipitò sul pack, lui rimase aggrappato insieme ad altri compagni al cordame dell'involucro col quale scomparve nel deserto bianco. Ma tutte le volte che se ne parlava, Tomaselli seguitava ad inveire contro la scalogna che lo aveva escluso da quel drammatico finale, come se gli avesse tolto la fortuna di descriverlo. Questo era Tomaselli, l'inviato speciale che nel suo mestiere di giornalista portava lo stesso spirito che aveva fatto di lui, nella Prima Guerra Mondiale, un superdecorato ufficiale di artiglieria alpina e gli ispirava una concezione quasi religiosa del «servizio». Non era un «brillante» né come scrittore né come parlatore. Ma di tutto quello che diceva, sia con la bocca che con la penna, si poteva stare sicuri che di inesatto o di inventato non c'era nemmeno una virgola. [...] Se raramente mi capita di parlare di lui, è perché l'ho conosciuto e frequentato sul declino della sua intemerata e ineccepibile carriera di testimone, e perché lui, nel raccontarla, non l'animava mai di aneddoti o di battute come, per esempio, il suo coetaneo Monelli. Ma se ai giovani che si avviano (poveretti!) a questo mestiere dovessi indicare un modello di dignità, serietà, dedizione e correttezza professionale non avrei dubbi sulla scelta: Cesco Tomaselli. ([https://web.archive.org/web/20151009153047/http://archiviostorico.corriere.it/1998/maggio/07/Cesco_Tomaselli_inviato_speciale_Polo_co_0_9805078688.shtml 7 maggio 1998]) *Che un giudice spagnolo in vena di protagonismo abbia chiesto all'[[Inghilterra]] la consegna di un ospite straniero andato a Londra in forma privatissima per ragioni di salute, non mi stupisce: un [[Antonio Di Pietro|Di Pietro]] può nascere dovunque. Ma che l'Inghilterra si proponga di consentire, non mi stupisce. Mi sbalordisce, come ha sbalordito e indignato la signora Thatcher che aveva ospitato in casa il Generale. Ma ancora di più mi sbalordirebbe che la Giustizia spagnola, cioè di un Paese che non solo ha accettato per quarant'anni il potere di un Generale, ma gli ha consentito (per sua fortuna) di disporne anche dopo morto, portasse davanti a una Corte di Giustizia quello cileno. Per non parlare delle conseguenze che tutto questo potrebbe provocare in [[Cile]] dove, nel caso che il governo Frei si mostrasse esitante e accomodante, le Forze Armate potrebbero riprendere il potere per rompere i rapporti diplomatici con [[Spagna]] e Inghilterra e dimostrare al mondo che i processi alla Norimberga hanno fatto il loro tempo. Se a qualcuno il Generale cileno Pinochet deve rendere conto del suo operato, è soltanto al Cile e ai suoi tribunali. E se io fossi un cileno che ha votato Frei (come certamente avrei fatto se fossi stato un cileno), in questa occasione mi schiererei con le Forze Armate. Con tanti saluti a tutto il sinistrume italiano passato, presente e futuro. (24 ottobre 1998) *Che gli [[Stati Uniti d'America|Usa]] siano in tutto il mondo odiati dagli uomini come lei {{NDR|riferito a un lettore}}, è verosimile, e quindi più che credibile. Un po' meno credibile è che gli uomini di tutto il mondo siano e la pensino come lei. Comunque, il giorno in cui quel Paese venisse chiamato (ma da chi?) sul banco degl'imputati come il nemico dell'umanità, io chiederò di essere ascoltato come testimone. Per dire alla Corte dei Vecchio di turno che io, uomo qualunque, mi considero graziato tre volte da questo grande nemico dell'umanità. La prima fu quando mi strappò al pericolo di diventare – per bene che mi fosse andata – l'attendente di un colonnello tedesco. La seconda fu quando mi sottrasse a quello di finire i miei giorni in un kolkos siberiano. La terza fu quando, invece di rimettermi la parcella di questi favori, mi aiutò a rifarmi la casa senza contestarmi il diritto di invitarvi anche coloro che pensano (si fa per dire) e parlano (o meglio sbraitano) come lei. ([https://web.archive.org/web/20160101000000/http://archiviostorico.corriere.it/1999/aprile/10/Fermare_genocidio_Kosovo_co_0_9904103314.shtml 10 aprile 1999]) *Tradotto in politica, non c'è nulla di più intollerante e fazioso, e quindi di meno pacifico, del [[pacifismo]] in generale, e di quello italiano in particolare. È un pacifismo a fasi alterne, e che si sveglia soprattutto, anzi quasi esclusivamente, quando a fare la guerra sono gli americani. Furioso e devastatore imperversò, non soltanto in Europa, ma nella stessa America, al tempo del Vietnam: al punto che quando [[Richard Nixon|Nixon]] venne in visita in Italia (quell'Italia che poteva fare ciò che voleva grazie agli americani) dovettero mandarlo a prendere a Fiumicino con un elicottero e trasportarlo via aria in Quirinale perché via terra avrebbe rischiato la pelle. Ma questo stesso pacifismo rimase impassibile quando i carri armati sovietici schiacciarono l'Ungheria (e a Montecitorio risuonò il grido: «Viva l'[[Armata Rossa]]!»), e poco dopo la Cecoslovacchia e da ultimo l'Afghanistan. Sono sempre gli stessi, i pacifisti italiani. Con una bandiera in mano come quella della pace (chi può infatti invocare la guerra?), si sentono invulnerabili. Ma la sventolano solo per il povero Milosevic; il genocidio del Kosovo li lascia del tutto indifferenti. (5 maggio 1999) *Non sempre condivido le opinioni di [[Giovanni Sartori|Sartori]]. Qualche volta, anzi spesso, abbiamo litigato, anche perché a lui litigare piace moltissimo: da buon toscano, è nella polemica che lui, e forse anch'io, diamo il meglio di noi. E anche sull'articolo del 25 maggio non siamo in tutto e per tutto d'accordo. Lo siamo nel respingere la qualifica di «pacifista», che entrambi lasciamo in esclusiva alle «anime belle» che, sventolando la bandiera della [[pace]], sperano di raccogliere intorno a essa tutti gl'ipocriti e gl'imbecilli che, sommati insieme, costituiscono certamente la stragrande maggioranza degl'italiani. (29 maggio 1999) *Lo Stato di [[Platone]], quello che lui chiamava la polis, e che poi era Atene, aveva, al tempo di Platone, cioè nel momento del suo massimo splendore, ventimila abitanti, di cui solo cinquemila avevano diritto al voto. E veda un po' come quei civilissimi cittadini lo usarono nelle assemblee dell'Acropoli: mettendo sotto processo [[Pericle]] e [[Aspasia di Mileto|Aspasia]], condannando a morte [[Socrate]] e provocando la guerra del Peloponneso, che fu la rovina non solo di Atene, ma di tutta la Grecia e della sua civiltà. Ora se il sistema della «democrazia diretta» o, come lei la chiama, «partecipatoria», non funzionò nemmeno in una polis di ventimila abitanti, s'immagini un po' cosa diventerebbe nei formicai umani cui si sono ridotte le polis attuali, e non soltanto quelle italiane. [...] Lei ha tutte le ragioni del mondo a dire che l'attuale sistema di democrazia «rappresentativa» o «delegata» ha dei vizi gravissimi e spesso provoca disastri, compresa quella americana, che pure è una di quelle che meglio funzionano. Ma, mi creda, quella «diretta» o «di piazza» è ancora molto più pericolosa perché continuamente a rischio di cadere in balia di qualche ciarlatano che sappia soltanto vendere bene la sua merce. Certo, quella indiretta esige, da parte del cittadino, una partecipazione che in Italia manca. Ma non è certo coi referendum che si può sostituirla. Almeno questo mi ha insegnato l'esperienza. (22 agosto 1999) *Quello di [[Francisco Franco|Franco]], se proprio vogliamo chiamarlo regime, fu un regime di polizia, di una polizia molto più dura di quella fascista, ma un totalitarismo no. Ecco perché, quando sentì avvicinarsi il momento della fine, Franco poté liquidare il franchismo con relativa facilità: perché di totalitario non aveva altro che le galere. Però bisogna anche riconoscere che questo soldataccio squallido e ottuso (sul piano umano era repellente), il ritorno al regime democratico seppe compierlo da maestro, facendosi consegnare dal pretendente al trono, Don Juan, ch'egli considerava (non a torto) poco affidabile, il figlio Juan Carlos per prepararlo – operazione riuscitissima – ai suoi compiti di Re, e mettendogli accanto un uomo di primissimo ordine come Suarez. ([https://web.archive.org/web/20130331034046/http://archiviostorico.corriere.it/1999/ottobre/24/differenza_fra_regimi_totalitari_dittature_co_0_991024459.shtml 24 ottobre 1999]) *La servitù, in molti casi, non è una violenza dei padroni, ma una tentazione dei servi. (2 gennaio 2000) *Non conosco Haider, e quindi nemmeno i fondamenti della sua ideologia, ammesso che ne abbia una. A occhio e croce, più che un nazista, mi sembra un qualunquista che interpreta, o cerca d'interpretare i sentimenti e i risentimenti di una pubblica opinione di livello bossiano, scontenta di tante cose, e a cui l'Austria attuale va stretta. [...] Non so se anche Haider – ripeto: non lo conosco – sia un omuncolo. Ma penso che l'Europa, ponendo il veto a un suo eventuale governo, costringerà gli austriaci ad affidargliene l'incarico, come avvenne per Waldheim. Io al pericolo di un rigurgito nazista non ci credo. Come ho letto in un articolo (mi pare di Enzo Bettiza, ma potrei sbagliarmi) penso che Jorg Haider somigli più a un Poujade che a un Le Pen, cioè più a una miscela di [[Umberto Bossi|Bossi]] e di Giannini che a un [[Pino Rauti]]. Ciò che mi allarma è l'incapacità dell'Europa a riflettere sulle sue proprie esperienze a trarne qualche insegnamento. Questo, sì, mi fa paura. (3 febbraio 2000) *Li conosco e riconosco, quei regimi {{NDR|di dittatura e di censura}}. Ne avverto il passo anche di lontano, e convengo che in Italia il pericolo di vederne arrivare qualcuno c'è. Ma sa quando si realizzerà? L'anno venturo, dopo la vittoria – che io do per certa – del Polo alle Politiche. Vedrà. La prima cosa che farà Berlusconi, come la fece nel '94, sarà di spazzare via l'attuale dirigenza Rai per omologarne le tre Reti a quelle sue. (26 febbraio 2000) *Quando s'accendono i [[Morte sul rogo|roghi]], mettiti dalla parte della strega, anche a costo di bruciare con lei. ([https://www.corriere.it/solferino/montanelli/00-05-31/02.spm 31 maggio 2000]) *Una Giustizia che per istruire un processo impiega sei o sette anni e poi non riesce a chiuderlo con una sentenza che non si presti a rimetterlo, con qualche marchingegno, in gioco, è un meccanismo di cui bisogna assolutamente rivedere e rifare gl'ingranaggi: «Giustizia ritardata – dice [[Montesquieu]] – è Giustizia negata». ([http://www.corriere.it/solferino/montanelli/00-06-07/01.spm 7 giugno 2000]) *Il [[revisionismo]] è la materia prima della [[storiografia]] che, senza di esso, sarebbe una disciplina morta. ([http://www.corriere.it/solferino/montanelli/00-06-16/01.spm 16 giugno 2000]) *Il mio giudizio su [[Baltasar Garzón|Garzón]] resta quello di prima, solo un po' rinforzato: un garzoncello smanioso soltanto di leggere il proprio nome sulle prime pagine di tutti i giornali e di vedere la propria effigie sugli schermi televisivi di tutto il mondo: il che rafforza la mia ipotesi che si tratti di un italiano nato per sbaglio in Spagna. ([http://www.corriere.it/solferino/montanelli/00-06-30/01.spm 30 giugno 2000]) *La pena di morte americana esiste e resiste in America perché fu un elemento base e costitutivo della sua nascita e sviluppo. Dei famosi 102 «Padri Pellegrini» che per primi sbarcarono dal «Mayflower» in quel Continente non per saccheggiare le ricchezze come facevano spagnoli e portoghesi in Messico e nell'America del Sud, ma per costruirvi una società nuova e libera, circa i due terzi erano avanzi di galera che fuggivano la Giustizia e le prigioni dell'Europa, e un terzo erano uomini che cercavano la libertà, e soprattutto quella religiosa. I primi avevano in tasca la pistola, i secondi la Bibbia, ma nella sua versione calvinista quella del taglione, basata sulla concezione di un Dio giustiziere che esige la morte di chi senza giusto motivo la dà. (9 luglio 2000) *A Rimini, cioè in casa propria (ma anche nostra, almeno per il momento), questi signorini {{NDR|di [[Comunione e Liberazione]]}} non hanno fatto altro che fischiare tutto ciò che è italiano, acclamare al nuovo beato [[Pio IX]], il Papa-Re che pretendeva di impedire il processo di unificazione nazionale, ed esaltare come i veri eroi del risorgimento i Borboni e i briganti del Cardinale Ruffo. A lei, tutto questo va bene? A me, dà il vomito. ([http://www.corriere.it/solferino/montanelli/00-09-13/02.spm 13 settembre 2000]). *Il mio parere è rimasto quello che espressi sul mio ''Giornale'' l'indomani del fattaccio {{NDR|l'[[agguato di via Fani]]}}. «Se lo Stato, piegandosi al ricatto, tratta con la violenza che ha già lasciato sul selciato i cinque cadaveri della scorta, in tal modo riconoscendo il crimine come suo legittimo interlocutore, non ha più ragione, come Stato, di esistere». Questa fu la posizione che prendemmo sin dal primo giorno e che per fortuna trovò in Parlamento due patroni risoluti (il Pci di [[Enrico Berlinguer|Berlinguer]] e il Pri di [[Ugo La Malfa|La Malfa]]) e uno riluttante fra lacrime e singhiozzi (la Dc del moroteo [[Benigno Zaccagnini|Zaccagnini]]). Fu questa la «trama» che condusse al tentennante «no» dello Stato, alla conseguente morte di Moro, ma poco dopo anche alla resa delle Brigate rosse. Delle chiacchiere e sospetti che vi sono stati ricamati intorno, e che ogni tanto tuttora affiorano, non è stato mai portato uno straccio di prova, e sono soltanto il frutto del mammismo piagnone di questo popolo imbelle, incapace perfino di concepire che uno Stato possa reagire, a chi ne offende la legge, da Stato. ([http://www.corriere.it/solferino/montanelli/00-09-22/03.spm 22 settembre 2000]) *La Serbia ha perduto la guerra e ha vinto la pace: ora deve voltar pagina. Sarà la storia – un giudice non imparziale, ma efficace – a decidere cos'è stato giusto e cos'è stato sbagliato. Tuttavia, una ritorsione serba verso l'Occidente avverrà. E ci troverà disarmati. Sa di cosa parlo? Delle rivendicazioni sul Kosovo, che è amministrato dalla Nazioni Unite ma è ancora Jugoslavia (lo dice la risoluzione dell'Onu). I serbi chiederanno di tornare a controllarne le frontiere, per esempio. E dire no a un Kostunica buono è più difficile che dire sì a un Milosevic cattivo. Gli albanesi del Kosovo, sono certo, lo hanno già capito. ([http://www.corriere.it/solferino/montanelli/00-10-08/01.spm 8 ottobre 2000]) *È un dimenticato, [[Ugo Ojetti|Ojetti]], come in questo Paese lo sono quasi tutti coloro che valgono. Se io dirigessi una scuola di giornalismo, renderei obbligatori per i miei allievi i testi di tre Maestri: [[Luigi Barzini (1908-1984)|Barzini]], per il grande reportage; [[Benito Mussolini|Mussolini]] (non trasalire!), quello dell'''Avanti!'' e del primo ''Popolo d'Italia'', per l'editoriale politico; e Ojetti, per il ritratto e l'articolo di arte e di cultura. ([http://www.corriere.it/solferino/montanelli/00-11-13/01.spm 13 novembre 2000]) *In Italia fu il potere temporale a soffocare negl'italiani la voce della coscienza e a spegnere in loro ogni senso di responsabilità. Ma fu la Controriforma a fornire al prete le armi per accaparrarsi l'una e l'altra: il Sant'Uffizio, le scomuniche e, nei casi estremi, il patibolo. Con questo risultato: l'aborto del «cittadino» e la trasformazione di quello che avrebbe dovuto e potuto diventare un «popolo» in un gregge (come con inconsapevole spudoratezza i preti lo chiamano), e in un gregge di pecore indisciplinate che credono di affermare il loro ribelle individualismo non rispettando il semaforo rosso. ([http://www.corriere.it/solferino/montanelli/00-11-20/01.spm 20 novembre 2000]) *{{NDR|Su [[Slobodan Milošević]]}} Oltre che un despota, lo ritengo anche un satrapo della razza dei [[Nicolae Ceaușescu|Ceausescu]], avido non solo di potere, ma anche di denaro, e credo che la sorte che si merita sia un bel plotone di esecuzione. Purché composto da serbi, al comando di un serbo, e in esecuzione di una sentenza emessa da un tribunale serbo e motivata non tanto da generici crimini contro l'umanità, che sono sempre – salvo casi di monumenti all'orrore come l'[[Olocausto]] – oggetto di discussione e dissensi; ma dal più grande e imperdonabile delitto di cui Milosevic si è macchiato nei confronti non soltanto dei serbi: la distruzione della Nazione Jugoslava, che la Monarchia serba aveva fondato dopo la prima guerra mondiale; che il croato [[Josip Broz Tito|Tito]] aveva difeso coi denti e restaurato dopo la seconda, dando alla Balcania un esempio e un puntello di stabilità; e che Milosevic e il suo compare croato [[Franjo Tuđman|Tudjman]] distrussero per poter restare ciascuno padrone in casa sua; e sulle cui macerie si scatenarono tutte le violenze (Bosnia, [[Kosovo]]) che hanno insanguinato e continuano a insanguinare quel povero Paese. ([http://www.corriere.it/solferino/montanelli/01-04-29/01.spm 29 aprile 2001]) *Questo mondo materialista, edonista ed esibizionista non entusiasma neanche me; e, visto che mi legge, dovrebbe saperlo. Ma vorrei conoscere il sistema che voi avete in mente, e non avete il coraggio, o la capacità, di proporre. Un mondo francescano? Bello: ma guardatevi intorno, e ditemi se vedete un saio. Un comunismo riveduto e corretto? Farebbe la fine dell'altro, anche se non riuscirà a ripeterne i disastri. Mi creda, G.: l'unico sistema sociale ed economico oggi accettabile, in Occidente, è quello basato sul mercato: un capitalismo controllato e temperato, per intenderci. È auspicabile che sia anche corretto: e questo non sempre accade, è vero. Il guaio è che il capitalismo è fatto dai capitalisti – e quelli, devo ammettere, sono spesso difficili da digerire. Non cerchi di confondermi le idee, quindi. Non ci riuscirà. Probabilmente ho tre volte i suoi anni, e ho visto dove conducono queste generiche tirate contro «le multinazionali»: prima o poi, qualcuno deporrà la spranga e prenderà la pistola. Dimenticavo: io firmo le mie opinioni, lei tira il sasso e nasconde la mano. Tutti coraggiosi così, voi ragazzi di Seattle? ([http://www.corriere.it/solferino/montanelli/01-06-09/01.spm 9 giugno 2001]) *Non erano, le mie, parole di circostanza. Erano – e rimangono – quelle di un conservatore abbastanza spassionato e nutrito di Storia da capire che non c'è, per la conservazione di ciò che va conservato, nemico più mortale dei conservatori che vogliono conservare tutto; e che un sistema capitalistico senza un correttivo socialista diventa una jungla che conduce pari pari a [[Karl Marx|Carlo Marx]]. Di qui il mio amore per uno dei personaggi meno amabili, sul piano umano, della nostra Storia, [[Giovanni Giolitti|Giolitti]], che sempre cercò l'accordo con [[Filippo Turati|Turati]], a cui il cretinume massimalista – che nel vostro partito ha sempre dominato – lo impedì. Il vedervi – sbriciolati in gruppi, gruppetti e gruppuscoli – annaspare nell'attuale centro-sinistra in cui nessuno riesce a recitare la parte di se stesso, fa male al cuore di un vecchio autentico liberal-conservatore come me. Cosa aspettate, caro Tamburrano, a ridarci il socialismo, ma che sia quello e quello solo: ''il'' socialismo di Turati e di Massarenti? [...] Credo che come forza politica siate abbastanza mal messi. Ma in compenso avete in mano una grande bandiera che prima o poi un esercito la ritroverà. Arrivederci, al primo settembre, cari lettori. ([http://www.corriere.it/solferino/montanelli/01-07-04/01.spm?refresh_ce-cp 4 luglio 2001]) ===''il Giornale''=== <!--ordine cronologico--> *Chi sarà il nostro lettore noi non lo sappiamo perché non siamo un giornale di parte, e tanto meno di partito, e nemmeno di classi o di ceti. In compenso, sappiamo benissimo chi non lo sarà. Non lo sarà chi dal giornale vuole soltanto la «sensazione» [...] Non lo sarà chi crede che un gol di Riva sia più importante di una crisi di governo. E infine non lo sarà chi concepisce il giornale come una fonte inesauribile di scandali fine a se stessi. Di scandali purtroppo la vita del nostro Paese è gremita, e noi non mancheremo di denunciarli con quella franchezza di cui crediamo che i nostri nomi bastino a fornire garanzia. Ma non lo faremo per metterci al rimorchio di quella insensata e cupa frenesia di dissoluzione in cui si sfoga un certo qualunquismo, non importa se di destra o di sinistra. [...] Vogliamo creare, o ricreare un certo costume giornalistico di serietà e di rigore. E soprattutto aspiriamo al grande onore di venire riconosciuti come il volto e la voce di quell'Italia laboriosa e produttiva che non è soltanto Milano e la Lombardia, ma che in Milano e nella Lombardia ha la sua roccaforte e la sua guida. [...] A questo lettore non abbiamo «messaggi» da lanciare. Una cosa sola vogliamo dirgli: questo giornale non ha padroni perché nemmeno noi lo siamo. Tu solo, lettore, puoi esserlo, se lo vuoi. Noi te l'offriamo. (25 giugno 1974) *Checché ne dicano gli agiografi della Resistenza, la guerra l'abbiamo persa, e c'è un conto da pagare. Che l'Italia lo saldi a spese dei suoi figli minori – i Dalmati e gli Istriani – è un ghigno del destino. Ma in compenso può considerarsi miracolata. Quando si pensa a cosa ha pagato la sua sconfitta la Germania, amputata d'intere province e dimezzata in due nazioni diverse e ostili, e quando si pensa a cosa ha pagato l'Inghilterra, precipitata dalla condizione di massimo impero mondiale a quella di piccola isola alla periferia d'Europa; non possiamo lamentarci del trattamento che gli alleati ci fecero. (30 settembre 1975) *Siamo stati accusati di aver fatto, nei confronti dei comunisti, il processo alle intenzioni. Non vediamo su cos'altro avremmo dovuto giudicarli, visto che sono sempre rimasti all'opposizione, ed è di lì che ancora si affannano a dire che cosa si propongono di fare se andassero al potere, anzi quando andranno al potere (perché ormai lo danno per scontato). E cosa sono, queste, se non intenzioni? (19 giugno 1976) *Che cerchino di eliminarmi perché sono un avversario, questo lo posso anche capire; ma perché – a quanto mi riferiscono – hanno detto che io sono un servo delle [[Multinazionale|multinazionali]], allora questo sta a dimostrare la confusione di idee di questi poveretti che, evidentemente, non sanno cosa sono le multinazionali. (3 giugno 1977) *I giuochi sono fatti. E sono fatti non soltanto per [[Aldo Moro|Moro]], cui va tutta la nostra più fraterna e rispettiva pietà. Sono fatti anche per una politica da ''belle époque'', che la distruzione – fisica o morale – di Moro chiude e conclude. La Storia sta riprendendo i suoi connotati di tragedia, e costringe coloro che la fanno, o ambiscono o s'illudono di farla, ad adeguarsi al repertorio. Stiamo entrando in una di quelle «età di ferro» in cui il potere si paga, o si può pagarlo col ferro. Nessuno è obbligato a sfidare questo rischio. Chi lo fa, sappia che oggi è toccato a Moro, domani può toccare a lui. Solo se si rende conto di questo e lo accetta, la classe politica troverà la forza di archiviare il caso Moro. Ed è tempo che lo faccia. (7 maggio 1978) *Quattr'anni e mezzo orsono, quando questo giornale nacque, un «ragazzo del '68» (con tante scuse a quelli veri, del '99), [[Mario Capanna]], oggi gerarchetto regionale (che belle carriere, questi rivoluzionari!), dichiarò che, come nemici del «pubblico» e del «sociale» e come assertori del «privato», e quindi della reazione, noi saremmo diventati il più bel museo della città, dove babbi e mamme avrebbero potuto condurre in gita ricreativa i loro figlioletti per mostrargli, dal vivo, com'erano buffi i loro nonni e bisnonni: noi. Bene. Se il vento seguita a soffiare come soffia, saremo noi che di qui a un po' condurremo i nostri figlioletti dal signor Capanna per mostrargli com'erano buffi i loro nonni e bisnonni di dieci anni fa. Ma non lo faremo. Lo spettacolo di questi ragazzi-prodigio abortiti, di questi barricadieri con pancia e cellulite che credevano di camminare con la Storia, e invece camminavano solo con la moda, non ha nulla di edificante. (16 gennaio 1979) *In una sua memorabile inchiesta un giornalista d'incrollabile fede sinistrorsa, ma di esemplare onestà, [[Giampaolo Pansa]], mise benissimo in luce questo contrasto fra i due atteggiamenti e mentalità, che ieri ha trovato una eloquente conferma nella manifestazione di Torino. Niente chiasso, niente sceneggiate, niente slogans, niente insomma che appartenga al repertorio del buffonismo nazionale. Nessuno ha rotto le righe per andare a rovesciare auto o a fracassar vetrine. Questa, sì, era Danzica, sia pure senza Madonne; non i picchettaggi e i pestaggi di Mirafiori, sia pure con le Madonne. Ora sappiamo già cosa diranno gli altri, oggi e domani. Diranno che gli operai non c'erano. Infatti. Doveva trattarsi di quarantamila presidenti, consiglieri delegati, ingegneri: insomma, la solita «[[maggioranza silenziosa]]»: termine che soltanto nella lingua italiana ha significato spregiativo. La maggioranza silenziosa esiste in tutti i Paesi del mondo, dove nessuno si vergogna di appartenervi perché è essa, in definitiva, che ristabilisce gli equilibri. Fu la maggioranza silenziosa – autoqualificatasi come tale – di seicentomila parigini che dodici anni fa pose fine al carnevale sessantottesco, riportò [[Charles de Gaulle|De Gaulle]] all'Eliseo e restituì alla Francia la stabilità di cui tuttora essa gode. [...] Il motivo vero che farà i dimostranti bersaglio delle peggiori critiche e accuse è ch'essi rappresentano la rivolta delle persone serie contro gli arruffoni della «conflittualità permanente», dei «modelli di sviluppo» e via baggianando. E in questo Paese nulla fa più paura, perché nulla è più rivoluzionario, della serietà. (15 ottobre 1980) *[[Anwar al-Sadat|Sadat]] non era popolare. Gli mancava quel tocco di magia, o di cialtronismo, che consentiva a [[Gamal Abd el-Nasser|Nasser]] di bandire guerre come crociate e di annunciare disfatte come trionfi. [...] Sadat amava il popolo, il popolo contadino del profondo Sud nubiano, di cui era egli stesso originario. Ma non amava le masse, e le masse lo sentivano. [...] Sapeva, quando andò a Gerusalemme, di lanciare a quelle arabe una sfida più pericolosa di quella che lanciava a Begin. [...] Ma all'impopolarità di Sadat contribuiva anche un altro elemento: il fatto di essere un vero riformatore. [...] [[Mohammad Reza Pahlavi|Rehza Pahlevi]] volle applicare gli stessi metodi di [[Mustafa Kemal Atatürk|Atatürk]] senz'averne l'autorità e il prestigio, e per questo lo cacciarono. Ma dopo due anni di [[Ruhollah Khomeyni|Khomeini]], anche i più ciechi e idioti fra i progressisti occidentali, che ne avevano salutato l'avvento come quello del Redentore, si saranno accorti che il progresso, sia pure a forza di polizia segreta e di plotoni di esecuzione, era lo Scià. L'''ayatollah'' è il medioevo. Sadat non seguì i metodi satrapeschi del suo amico Pahlevi, ma ne condivise i fini. [...] Il Rais che ha restituito all'Egitto l'integrità territoriale, l'indipendenza politica, il prestigio militare e il rilancio della sua più proficua industria, il canale di Suez, è giusto che susciti meno rimpianto di chi tutto questo all'Egitto fece perdere. Nasser era un «personaggio», Sadat una «personalità». Il personaggio fa colore e diverte, la personalità incute rispetto e disturba. (9 ottobre 1981) *Nessuna parentela, né vicina né lontana, con l'altro grande d'Israele, [[David Ben Gurion|Ben Gurion]], il Fondatore. [...] {{NDR|David Ben Gurion}} Faceva tutto a caldo, anche la guerra. [[Menachem Begin|Begin]] fa tutto a freddo: anche l'amore, credo, ammesso che lo faccia. Non riuscì a commuoverlo nemmeno [[Anwar al-Sadat|Sadat]], quando gli piombò, da nemico tuttora belligerante, a Gerusalemme, per chiedergli la pace. Il mondo, che vide in televisione la scena, quel giorno fu tutto per l'egiziano che, per la pace, firmava la propria condanna a morte, contro l'israeliano che lo accoglieva senza un sorriso e con visibile fastidio. [...] È l'uomo che non ha esitato un istante [...] a distruggere in pochi minuti tutto l'armamento corazzato, aereo e missilistico siriano sotto l'occhio stupefatto degli osservatori e «consiglieri» russi che lo avevano fornito. È l'uomo che ha messo alla porta l'ambasciatore di Mosca respingendone la nota di protesta addirittura con disprezzo, come se fosse stato lui la Grande Potenza che parlava a un subalterno. È l'uomo che ha picchiato i pugni sul tavolo di [[Ronald Reagan|Reagan]], e a un certo punto aveva rotto anche con lui. Se avesse perso, sarebbe finito al muro e passato ai posteri come il distruttore d'Israele. Ma ha vinto. E la Storia, iscrivendolo nei suoi registri come «Il Salvatore», dirà che solo un uomo come lui, «antipatico» come lui, e come lui disposto anche a scatenare un'altra ondata di antisemitismo, poteva vincere. E avrà ragione di dirlo. Perché è così. Alla fine lo diranno, vedrete, anche gli antisemiti. E forse perfino i semiti. (27 agosto 1982) *L'idea che domani potremmo incontrare per strada, a piede libero e magari oggetti di compassione, gli assassini di [[Walter Tobagi]], ci riempie, più che di furore, di orrore. [...] Avevano scelto lui non per la sua tessera socialista, ma perché era una di quelle prede più facili: indifeso e abitudinario, e quindi bersaglio di facilissima mira, quasi da fermo. Tutto qui il movente del delitto: tutto nella fregola di protagonismo di due coccolatissimi giovanotti della Milano bene che giuocavano a fare i terroristi. [...] Che ora dobbiamo prendere per vero il loro pentimento e assolverli, ci rivolta lo stomaco. Ma è la legge: iniqua, infame, infamante. Ma è la legge. Noi stessi l'abbiamo auspicata e voluta. Il magistrato deve applicarla. E noi [...] accettarla. Ma una cosa reclamiamo, e ci spetta: di essere liberati dall'incubo d'incontrare questi figuri per strada per non veder riflessa nei loro occhi la nostra vergogna di aver avuto bisogno di loro e di aver risposto al loro falso rimorso con un perdono altrettanto falso. Un Curcio, se tornasse in circolazione, ci farebbe forse più paura, ma meno, anzi punto disgusto. [...] Ma i Barbone e i Morandini non li vogliamo tra i piedi. Se ne vadano. E soprattutto ci risparmino memoriali. La speranza di farci dimenticare i loro delitti, gliela passiamo. La pretesa di camparci sopra, no. (29 novembre 1983) *Per i falchi del Pci, [[Enrico Berlinguer|Berlinguer]] era ormai un personaggio scomodo e pericoloso, specie da quando aveva cominciato ad allentare gli ormeggi che lo legavano a Mosca. Gli era perfino scappato di dire (a [[Giampaolo Pansa|Pansa]]) che voleva per l'Italia un regime comunista, ma sotto l'ombrello della Nato che la tenesse al riparo dalle soperchierie del padrone sovietico: la più grave e blasfema di tutte le eresie in cui un capo comunista possa incorrere. (12 giugno 1984) *Se fino a che punto i piduisti – a parte il manipolatore Gelli, e forse qualche altro – fossero un branco di delinquenti golpisti, non siamo riusciti a capirlo. Abbiamo capito soltanto che gran parte di essi occupavano, forse grazie alla P2, posizioni di rilievo, e quindi parecchio ambite, ma ambite anche da molte persone che, per il fatto di non appartenere alla P2, avevano ora, grazie anch'esse alla P2, la possibilità di occuparle. Di fatti accertati e meno ancora di crimini provati, siamo andati invano alla ricerca delle 34.847 pagine della commissione. Vi abbiamo trovato soltanto ipotesi, illazioni, accostamenti di nomi e di episodi. Tutta roba che in mano a Le Carré poteva fruttare chissà quali affascinanti trame. In mano alla signorina [[Tina Anselmi|Anselmi]], resta cicaleccio di portineria. Ma questa è un'altra storia. (19 marzo 1985) *Quanto al moribondo [[Michele Sindona|Sindona]] [...] se fossi stato uno dei giudici popolari che l'altro giorno gli comminarono l'ergastolo, anche io avrei votato come loro pur sapendo che la mia endemica insonnia non ne avrebbe avuto giovamento. Comunque mi sembra che con questa fine, preceduta da quasi un decennio di rovine, umiliazioni, fughe e galere, egli abbia abbondantemente scontato, quali che siano, i suoi delitti. Che ora lo lascino riposare in pace e che pace sia all'anima sua. (22 marzo 1986) *I dieci giorni che sconvolsero il mondo furono in realtà dieci ore: quante ne bastarono alle poche «guardie rosse» reclutate in fretta e furia dai bolscevichi per occupare, senza nessuna resistenza, la Centrale delle poste e telefoni, la stazione ferroviaria, la Banca di Stato, e per spostare l'incrociatore ''Aurora'' di fronte al palazzo d'Inverno, dove ancora si trova, cimelio e monumento al fatidico evento, e dove il governo sedeva [...]. Non fu un assalto. Fu una «retata». L'''Aurora'' non sparò che una dozzina di colpi, di cui solo tre andarono a segno. In tutto, la conquista di questa Bastiglia russa costò, da ambo le parti, un morto, anzi una morta – perché fu una soldatessa che, pare, si suicidò – e diciotto feriti. Il [[Rivoluzione russa|Fasto]] [...] è un falso in atto pubblico. Si dirà che una rivoluzione non si misura dal numero dei morti. Certo: l'abbiamo detto anche noi. La rivoluzione poi venne, e che rivoluzione! Ma venne dall'alto, e per mano di despoti che di morti ne fecero in pochi anni più di quanti lo zarismo ne avesse fatti in secoli. (6 novembre 1987) *Tutto pensavo che potesse capitarmi, fuorché di essere un giorno tentato di spendere qualche parola, per poco che valga, in difesa di Togliatti. [...] Un processo a Togliatti per stalinismo, se glielo intentano i socialisti, che nell'era dello Stalinismo gli fecero da mosca cocchiera, è una burletta. Se lo intentano i comunisti – come sembra che qualcuno di loro voglia fare –, oltre che oltraggio al pudore, diventa quiescenza alla voce del nuovo padrone, cioè stalinismo della più brutt'acqua, anzi una parodia dello Stalinismo. Per la caccia alle streghe, anche dello Stalinismo, ci vogliono degli stalinisti doc, qual era Togliatti. Non è roba da dilettanti, quali sono i suoi pallidi epigoni. (3 marzo 1988) *La fine del Muro è una cosa buona, la fine di una vergogna: non possiamo che salutarla con soddisfazione. Ma guardiamoci dal prendere abbaglio sui suoi moventi. Ulbricht concepì e Honecker realizzò il muro per impedire che i tedeschi dell'Est fuggissero in massa nella Germania dell'Ovest: già 9 (diconsi nove) milioni lo avevano fatto fin allora. E il rimedio fu, come tutti quelli che escogitano nei regimi totalitari, drastico e semplicistico: murare viva la gente dietro una colata di cemento, senza pertugi. [...] Abbiamo in uggia le astrazioni. Ma ciò che distingueva le due Germanie è l'idea morale e giuridica dell'uomo: che a Ovest è padrone di se stesso, e quindi può andarsene dove vuole: ad Est è proprietà dello Stato che ne regola i movimenti. Per chi non ricorda questo, il [[Muro di Berlino]] era, oltre che barbaro, incomprensibile e irrazionale: mentre invece ha obbedito a una sua logica. Nel momento in cui il bunker si affloscia e sopravvive come mero ammasso di cemento ricordandoci un altro bunker, quello che fece da fossa di [[Adolf Hitler|Hitler]] (anche questo pare impossibile: ma i regimi in Germania muoiono nei bunker), il Muro va ricordato per ciò che è stato: non un'aberrazione del comunismo, ma una sua conseguente applicazione. E se crolla così, nel silenzio assordante di un giornale-radio, è perché è crollata, prima, l'ideologia che lo aveva eretto. (11 novembre 1989) *Negli anni Trenta, per le strade di Berlino, risuonava il grido: ''ein Volk, ein Reich, ein Führer'': un popolo, uno Stato, un capo. Stavolta si sono contentati di scandire ''ein Volk, ein Reich''. Non potevano aggiungere, checché ne dica il sig. Ridley, ''ein Kohl'', che fra l'altro significa «cavolo». Ma {{NDR|ai tedeschi}} per diventare i padroni dell'Europa anche un cavolo gli basta. (3 ottobre 1990) *Abbiamo fatto poco: il poco che il Paese dei [[Roberto Formigoni|Formigoni]], dei Cristofori, degli Sbardella, dei [[Ernesto Balducci|Balducci]], dei [[Antonio Bello|vescovi di Molfetta]] poteva fare. Non lamentiamoci se il posto che ci verrà assegnato nel ristabilimento dell'ordine internazionale sarà nell'anticamera, non nella camera dei bottoni. Però sia chiara una cosa: che a gridare «Viva la pace!» siamo qualificati oggi soltanto noi che abbiamo auspicato la guerra contro chi la pace l'aveva turbata e, se lo si lasciava fare (non è un ipotesi, è una constatazione), avrebbe continuato a turbarla in un crescendo di colpi e di aggressioni. (1º marzo 1991) *I voti dei democristiani novaresi non sono andati al partito; sono andati a [[Oscar Luigi Scalfaro|Scalfaro]], democristiano talmente anomalo, che si permette persino di credere in Dio. [...] Il vecchio magistrato conosce il suo mestiere, e sa benissimo di operare in un Paese in cui la mamma dei Casson è sempre incinta. In nome della Legge, le leggi le farà funzionare. Insomma siamo sicuri che starà in Quirinale come un italiano deve starci: da straniero. Unico pericolo: le prediche. Anche [[Luigi Einaudi|Einaudi]] le faceva. Ma le chiamava «inutili». (26 maggio 1992) *Da dove siano venuti tutti i «no» non lo sapremo mai con precisione, ma una cosa è certa. Questo è il colpo di grazia al sistema dei partiti e della classe politica che lo rappresenta, e un colpo durissimo all'immagine del Paese pronto a fare pulizia che l'Italia si stava faticosamente costruendo all'estero. Senza giovare nemmeno a [[Bettino Craxi|Craxi]], che non potrà certo ricostruire la sua carriera sulla votazione di ieri, anzi. Se c'è ancora qualcuno che dubita sulla necessità di un pubblico processo, non solo a lui, ma a tutta la corte di faccendieri che lo circondava, alzi la mano, o meglio nasconda la faccia. (30 aprile 1993) *Questo è l'ultimo articolo che compare a mia firma sul giornale da me fondato e diretto per vent'anni. Per vent'anni esso è stato – i miei compagni di lavoro possono testimoniarlo – la mia passione, il mio orgoglio, il mio tormento, la mia vita. Ma ciò che provo a lasciarlo riguarda solo me: i toni patetici non sono nelle mie corde e nulla mi riesce più insopportabile del piagnisteo. [...] A presto dunque, cari lettori. Anche a costo di ridurlo, per i primi numeri, a poche pagine, riavrete il nostro e vostro giornale. Si chiamerà ''La Voce''. In ricordo non di quella di [[Frank Sinatra|Sinatra]]. Ma di quella del mio vecchio maestro – maestro soprattutto di libertà e indipendenza – [[Giuseppe Prezzolini|Prezzolini]]. (12 gennaio 1994) {{Int|''Rituale barbarico''|Articolo su ''il Giornale nuovo'', 10 maggio 1978.|h=4}} *La fine di [[Aldo Moro]] ci rende sgomenti, il fanatismo di chi lo ha ucciso lentamente, togliendogli la speranza prima di toglierli la vita, ci riempie di orrore. Speriamo ancora che la tracotanza dei criminali sia un giorno punita. L'importante, adesso, è che il Paese, proprio per rendere omaggio a Moro, e proprio in memoria di lui, sappia trarre da questa tragedia l'amara lezione che essa comporta. La democrazia non deve, anzi non può essere debole. La libertà, che la rende superiore a qualsiasi altro regime, ma anche più vulnerabile, non va conclusa con la indulgenza verso i nemici, la imprevidenza, la leggerezza. *Lo Stato italiano ha superato con onore questa prova difficile, ma la magistratura e gli organi di polizia hanno denunciato, nella loro azione, una desolante inefficienza, che ha permesso alle brigate rosse di operare con irridente spavalderia. Ne va data colpa non tanto alle forze dell'ordine quanto a chi ha voluto, per demagogia, per compiacere le sinistre, per acquistare facile popolarità, smobilitare i servizi segreti, rimuovere i funzionari più ligi al dovere, trasformare le carceri in alloggi con libera uscita quotidiana. Gli eversori della democrazia, i contestatori della legalità hanno potuto predicare e demolire senza ostacoli. Ci auguriamo di non vederli ora associati ipocritamente al compianto per un delitto del quale sono, ideologicamente se non materialmente, corresponsabili. Le loro non erano soltanto parole. Un giovane sfracellato da un ordigno sulla ferrovia Trapani-Palermo – l'episodio è di ieri – apparteneva a Democrazia proletaria. I banditi che hanno assalito a Bologna un grande magazzino venivano dal Movimento studentesco. È inutile che questi gruppi ostentino adesso costernazione e stupore per le belluine imprese delle brigate rosse. Il terrorismo è figlio loro. *All'annuncio della fine di Aldo Moro i sindacati si sono mossi, hanno indetto manifestazioni e proclamato uno sciopero generale. Siamo certi della loro profonda esecrazione, e della loro sincera partecipazione al cordoglio nazionale. Pensiamo tuttavia che i lavoratori e i loro rappresentanti darebbero un apporto più costruttivo alla lotta contro i terroristi tenendo d'occhio gli estremisti delle fabbriche, troppe volte protetti e difesi. Così pure gli studenti «impegnati», se proprio vogliono dissociarsi dalle brigate rosse, devono estromettere dalle loro file gli agitatori deliranti, e dinamitardi che nascondono bottiglie molotov e armi negli scantinati delle facoltà. Chi ha chiuso gli occhi di fronte alla ''escalation'' di violenza degli anni scorsi, li chiuda oggi per non lasciar scorrere lagrime di coccodrillo. {{Int|''Poveri morti poveri vivi''|Articolo su ''il Giornale'', 31 maggio 1985.|h=4}} *L'[[Inghilterra]] non sono i forsennati che abbiamo visto all'opera nello stadio di Bruxelles. L'Inghilterra sono la [[Margaret Thatcher|Thatcher]], i politici, i commentatori di stampa, radio e televisione, la gente intervistata per strada, che hanno confessato la loro vergogna a una voce, con una sola stecca: quella del ministro dello Sport che con le sue dichiarazioni si è messo sullo stesso piano degl'imbestialiti. Comunque, Dio ci guardi ora dai soliti sproloqui e dibattiti dei sociologi sui motivi di «tifo» e sui mezzi d'impedirne gli eccessi. Non ce ne sono, se non nel controllo che ognuno può e deve esercitare su di sé. *La strega non è il «tifo» che dallo sport è inseparabile. E non siamo nemmeno noi, come vogliono i cantautori del «siamo tutti colpevoli» che ieri giornali e radio hanno intitolato. Perché, se di qualcosa siamo colpevoli, è di aver sempre secondato la corruttrice e demagogica tendenza a scaricare l'individuo di ogni responsabilità, rigettandola regolarmente e interamente sulla società. È la società che ci obbliga a rubare, è la società che ci obbliga ad uccidere. E si capisce che quando si offrono alla gente di questi alibi, c'è sempre qualcuno che ne approfitta. Stamane leggevo su un giornale francese un dotto articolo in cui si spiegava che la furia dei tifosi del [[Liverpool Football Club|Liverpool]] era dovuta al fatto che, essendo quasi tutti minatori, per un anno erano rimasti senza lavoro a causa dello sciopero: il che gli aveva fatto accumulare la rabbia che poi era scoppiata a Bruxelles. Insomma, senza dirlo, l'articolo induceva alla conclusione che il vero responsabile del massacro era la signora Thatcher. Ecco in che senso siamo tutti colpevoli. Siamo colpevoli di assolvere tutti come vittime innocenti di una società iniqua che, a furia di essere tutti noi, non è nessuno. È un giuoco a cui non ci stiamo. I responsabili di Bruxelles sappiamo chi sono: sono i delinquenti che abbiamo visto avventarsi, prima che la partita cominciasse, e quindi senza alcuna provocazione, contro i tifosi italiani con sbarre e coltelli di cui erano accorsi armati, con l'evidente intenzione di farne l'uso che ne hanno fatto. Delinquenti, non vittime. La società non c'entra, non c'entrano le miniere. Casomai l'alcol. Ma ne avevano ingerito per delinquere meglio. Speriamo che la polizia li identifichi e li consegni a quella inglese. Della quale possiamo fidarci. {{Int|''I rieccoli''|Articolo su ''il Giornale'', 20 gennaio 1990.|h=4}} *Scorrendo le cronache delle agitazioni studentesche di questi giorni avevo avuto per un momento l'impressione, o l'illusione, che esse si fondassero sui problemi concreti dell'università, e che fossero qualcosa di diverso, e di migliore della grottesca ubriacatura sessantottina. Ma quando giovedì sera, nella trasmissione televisiva ''Samarcanda'', è stato lanciato contro [[Mario Cervi]] il rituale e vile epiteto «fascista!» (e questo solo perché aveva mosso obiezioni agli sproloqui assembleari di Roma e di Palermo), ho capito che vent'anni dopo è come vent'anni prima. La protesta è un pretesto, il legittimo scontento diventa arma politica, gli appelli al dialogo si risolvono in volontà di sopraffazione, di discussione su ciò che nell'università deve essere cambiato sfocia in un attacco globale al governo, alla società, al sistema. L'unica connotazione sessantottina che ancora manca è la violenza fisica. Ma temo che non tarderà ad arrivare se chi dissente è bollato come fascista e chi governa (è capitato ad [[Giulio Andreotti|Andreotti]], a Palermo) come mafioso. *Quanto alla legge Ruberti, Cervi ha osservato che viene presa di mira perché consentirebbe un limitato ingresso dei privati nella gestione delle università: e al solo sentir parlare di «privato» – che le folle e i giovani dell'Est chiedono con slancio entusiastico – gli epigoni nostrani del [[marxismo-leninismo]] sono presi da convulsioni. [...] La legge Ruberti è passata in sott'ordine, il punto centrale del dibattito – o piuttosto della successione di sproloqui, intimazioni e insulti – è diventato il degrado di questa povera Italia privatizzata, che invece conoscerebbe fulgidi destini se fosse tutta pubblica e stabilizzata. Gli ''slogans'', le utopie, le bugie e le dissennatezze sessantottine o settantasettine riemergevano dalle pagine dei libri e dalla polvere degli archivi, per imitazione o per transfert generazionale. *Tirava aria romena o cecoslovacca in quelle assemblee: ma della Romania e della Cecoslovacchia di [[Nicolae Ceaușescu|Ceausescu]] e di Husak, con l'idolatria dello Stato, con gli applausi unanimi, con la riduzione al silenzio degli oppositori. S'è sentito, a proposito sempre di Cervi, il sinistro termine «provocazione» con cui tutti gli oppressori legittimano i loro soprusi. Qualcuno di quei ragazzi pretende che esistano parentele tra questo movimento e quelli dell'Est, dimenticando che là ci si batte, a rischio della pelle, per instaurare non il regime dello statalismo, ma al contrario per abbatterlo e introdurre o reintrodurre quello di iniziativa privata in tutti i campi, compreso quello della cultura e della scuola. Che siano diventati, gli studenti di Berlino, di Praga, di Bucarest, fascisti anche loro? ====''Controcorrente – rubrica''==== {{cronologico}} *La cosa che più ci turba, delle nostre sconfitte sportive, è il grande, alluvionale bisticcio che si scatena fra i «tecnici» per giustificarle. Per quella di Stoccarda, che ci ha eliminato dal campionato del mondo, ne avremo – temiamo – per tutta l'estate: se ne parlerà più che di Caporetto. Noi tecnici non siamo, ma abbiamo la nostra idea. È questa: che non si possono mandare dei polli di batteria a competere con quelli ruspanti. Resta da capire perché noialtri non sappiamo allevare che polli di batteria. Ma ci sembra che questo sia sufficientemente spiegato da un piccolo episodio occorso a Roma, dove un gruppo di tifosi ha creduto di «vendicare» i suoi campioni (si fa per dire) assalendo con pomodori e uova l'ambasciata di Polonia. Ecco. Per un paese in cui la «sana passione sportiva» si effonde in simili manifestazioni, quegli undici mammozzi dalle gambe molli sono fin troppo, e fin troppo misericordiose le disfatte che subiscono. (25 giugno 1974) *Noi, di [[Fascismo|fascismi]] ne conosciamo e ne esacriamo uno solo: quello di chi appiccica questa etichetta a qualunque idea o opinione che non corrisponde alle sue. Di questo giuoco, la nostra [[sinistra in Italia|sinistra]] è spesso maestra. Non per nulla lo stesso [[Benito Mussolini|Mussolini]] veniva dai suoi ranghi. (10 luglio 1974) *In una conferenza stampa a Nuova Delhi, [[Henry Kissinger]] ha dichiarato che verrà a Roma e andrà a pranzo dal presidente Leone, ma non parlerà di politica perché quella italiana è, per lui, troppo difficile da capire. È la prima volta che Kissinger riconosce i limiti della propria intelligenza. Ma vogliamo rassicurarlo. A non capire la politica italiana ci sono anche cinquantacinque milioni di italiani, compresi coloro che la fanno. (31 ottobre 1974) *[[Dario Fo]], poeta di corte dell'ultrasinistra, flagella nella sua ultima fatica teatrale il senatore [[Amintore Fanfani]], responsabile di ogni nequizia passata, presente e futura. I sarcasmi più grevi hanno però come bersaglio il metraggio del notabile democristiano che, come tutti sanno, non è quello di un granatiere. [[Henri de Toulouse-Lautrec|Toulouse-Lautrec]], che per gli stessi motivi dovette per tutta la vita subire analoghe canzonature, disse una volta, giocando sulla lunghezza del suo doppio casato: «Ho la statura del mio nome». Non sappiamo se questo discorso si possa applicare a Fanfani. Certo, si applica a Fo. (11 giugno 1975) *[[Winston Churchill|Churchill]] diceva che «i panni dei servizi segreti si possono, anzi si devono lavare più spesso degli altri; ma, a differenza degli altri, non si possono mettere ad asciugare alla finestra». Dello stesso parere era [[Stalin]] che regolarmente, ogni tre o quattro anni, il lavaggio lo praticava facendo accoppare al buio i capi della sua polizia, nel presupposto – probabilmente fondato – che a far quel mestiere non potevano essere che arnesi da forca, e quindi era giusto che ci finissero. Gli [[Stati Uniti d'America|americani]] seguono tutt'altro criterio. Essi hanno trascinato la ''[[Central Intelligence Agency|Cia]]'' in televisione denunciandone ''coram populo'' fatti e misfatti. I suoi capi ne hanno commessi, dicono, di grossi. Ma il più grosso è forse quello di non aver capito che l'America non li paga per svolgere servizi segreti, ma per offrire agli americani il pretesto per vergognarsene. È l'unico popolo che goda più nel pentimento che nel peccato. (28 novembre 1975) *Non sempre, per redigere questa piccola rubrica, occorre forzare la fantasia. Qualche volta basta lasciare la parola alle agenzie di stampa ufficiali. Eccone un caso. L'agenzia Adn Kronos comunica: «Due giorni di sciopero sono stati dichiarati dai sindacati postelegrafonici milanesi per il 28 gennaio e per il 6 febbraio per protesta contro gli scioperi e i disservizi». (25 gennaio 1976) *L'Unità ci rimprovera di aver pubblicato il manifesto degl'intellettuali in favore della libertà. E ha ragione. Si tratta infatti di una illecita concorrenza perché finora i manifesti, gli appelli, le «veglie» e tutto il resto sono stati monopolio del Pci, unico partito capace di far cantare la gente in coro. Ma appunto per questo non vediamo di che si preoccupi. Gl'[[intellettuale|intellettuali]] italiani che preferiscono aver ragione da soli piuttosto che torto con gli altri, sono pochi. I più seguono la massima di [[Paul-Jean Toulet|Toulet]]: «Quando i lupi urlano, urla con loro». (1º giugno 1976) *Ieri [[Mario Melloni|Fortebraccio]], dalle colonne dell'«[[l'Unità|Unità]]», ha invocato per noi, previa qualche iniezione, il ricovero immediato, e a titolo definitivo, in manicomio. La cosa non ci stupisce: sappiamo benissimo che di manicomi e di iniezioni nessuno s'intende più dei comunisti: chi c'è passato giura che ci hanno fatto una mano da maestri. Ci stupisce però che Fortebraccio lo abbia implicitamente – e un po' anzitempo – riconosciuto. Forse gli è scappata. Alla sua età, succede. (10 dicembre 1976) *Cadendo oggi il trigesimo della scomparsa di Pietro Valdoni, vogliamo rievocare un episodio del grande chirurgo. Come tutti ricorderanno, fu lui ad operare, salvandogli la vita, [[Palmiro Togliatti]], ferito alla testa dalla rivoltella di Pallante. Quando ricevette la parcella, Togliatti la trovò salata, e accompagnò il pagamento con queste parole: «Eccole il saldo, ma è denaro rubato». Valdoni rispose: «Grazie per l'assegno. La provenienza non mi interessa» (23 dicembre 1976) *«Dio non è un maschio» assicura alle femministe Civiltà Cattolica, l'autorevole rivista dei gesuiti, scusandosi «delle tracce di antifemminismo che ancora sono nella Chiesa». Brutto segno quando i teologi si mettono a discutere di sesso. Fu mentre i bizantini si accapigliavano su quello degli angeli che arrivarono i turchi. (21 giugno 1977) *Riferiscono le cronache che l'America è in subbuglio per la morte di [[Elvis Presley]]. Oltre centomila persone si sono riversate a Memphis, sua ultima dimora, due donne sono rimaste uccise nella calca che si stringeva intorno alle spoglie del cantante. Il sindaco ha fatto abbrunare le bandiere in tutta la città, il presidente [[Jimmy Carter|Carter]] è stato flagellato di proteste perché non aveva proclamato il lutto nazionale e uno gli ha gridato al microfono: «Noi americani dobbiamo più a Presley che a [[George Washington|Washington]] e a [[Abraham Lincoln|Lincoln]] sommati insieme». Anche noi italiani dobbiamo qualcosa a Presley: una delle rare occasioni in cui preferiamo essere italiani piuttosto che americani. (20 agosto 1977) *È in corso una iniziativa per l'abolizione, nelle aule scolastiche, della pedana su cui si eleva la cattedra. Il perché lo avrete già capito: l'insegnante deve mettersi, anche materialmente, a livello degli alunni per non lederne la dignità e dimostrare con l'esempio che siamo tutti uguali. Giusto. «La via dell'uguaglianza – dice Rivarol – si percorre solo in discesa: all'altezza dei somari è facilissimo instaurarla». (29 ottobre 1977) *Fra gli annunci economici di Lotta Continua, ne è comparso uno che dice: «Compero a L. 100.000 una tesi di laurea, anche già presentata, purché tratti un argomento attinente all'[[Inghilterra]], o alla lingua, storia, letteratura inglese. Meglio se con una impostazione femminista». Curioso. Questi grandi [[Rivoluzione|rivoluzionari]], che dicono di battersi per costruire una società nuova di zecca, quando si tratta di lauree, si contentano anche di quelle usate e di seconda mano. (3 marzo 1978) *Credevamo che l'assassinio di Aldo Moro, così come è stato eseguito, fosse il colmo dell'infamia. Abbiamo dovuto ricrederci. Al comizio di protesta svoltosi in piazza Duomo a Milano subito dopo la macabra scoperta in via Caetani a Roma, un gruppo di ultrà ha gridato: «Moro fascista!». Preferiamo le [[zanne]] delle belve alla [[bava]] degli [[Sciacallo|sciacalli]]. (10 maggio 1978) *Ecco il nostro telegramma di congratulazioni e auguri a Pertini: «Che Dio le conceda il coraggio, Presidente, di fare le cose che si possono e che si debbono fare; l'umiltà di rinunziare a quelle che si possono ma non si debbono, e a quelle che si debbono ma non si possono fare; e la saggezza di distinguere sempre le une dalle altre». (9 luglio 1978) *Dall'indagine svolta da uno dei più seri istituti di ricerche demografiche, lo svizzero Scope, risulta che la professione più ammirata e rispettata, nel mondo, è quella dei medici. I giornalisti sono al penultimo posto. Ce ne sentiremmo profondamente avviliti se all'ultimo non vedessimo catalogati gli editori. (29 novembre 1978) *In un convegno su «Terrorismo e informazione», a Roma, è stato unanimemente riconosciuto che il [[segreto istruttorio]] in Italia non esiste. Lo trasgrediscono tutti. Non solo giornalisti e avvocati – e ancora passi – ma perfino magistrati che anticipano e propalano, il più delle volte per farne strumento politico, notizie riservate. «È il segreto di Pulcinella» si è lamentato il procuratore capo della Capitale, De Matteo. È vero. Ma Pulcinella non era giudice. E i giudici non dovrebbero essere Pulcinella. (25 aprile 1979<ref>Da ''Il meglio di "Controcorrente": {{small|1974-1992}}'', Fabbri Editori-Corriere della Sera, La biblioteca del Corriere della sera, Milano, 1995, p. 104.</ref>) *Solo il tempo non perde tempo, diceva [[Jules Renard|Renard]]. E così, a furia di annunciarne i cambiamenti, il tempo è passato anche per il colonnello [[Edmondo Bernacca|Bernacca]], che ora deve rassegnarsi alla pensione. Peccato. Gli dobbiamo parecchi raffreddori e reumatismi. Ma nessuno riuscirà meglio e con più grazia di lui a farci capire ed accettare l'inutilità della meteorologia. (10 luglio 1979<ref>Citato in ''Il meglio di controcorrente'', p. 108.</ref>) *Prima di partire per Vienna, il presidente {{NDR|degli Stati Uniti}} [[Jimmy Carter|Carter]] ha fatto due dichiarazioni. La prima: «Ci auguriamo che il signor Breznev {{NDR|allora presidente dell'Unione Sovietica e Primo Segretario del PCUS}} abbia per le nostre ragioni la stessa comprensione che noi abbiamo per le sue». La seconda: «Se Ted Kennedy si presenta contro di me alle elezioni presidenziali, gli faccio un c.o così» Il triviale [[Richard Nixon|Nixon]] avrebbe potuto dire le stesse cose, ma certamente ne avrebbe invertito l'ordine di priorità riservando la comprensione a Kennedy ed il c.o a Breznev. La differenza fra i due è tutta qui. (16 giugno 1979) *Avvicinandosi il 25 dicembre, decine di migliaia di teneri [[abete|abeti]] vengono strappati dai boschi della Penisola per allestire il tradizionale albero di Natale. Ogni anno lo scempio si ripete, tra la generale indifferenza. Soppresso l'Ente protezione animali, figuriamoci se qualcuno ha voglia di proteggere gli alberi. Diciamo la verità: la sola pianta che interessi all'[[italiano medio]] è la pianta stabile. (19 dicembre 1979) *Nel Manifesto di domenica scorsa tale K.S. Karol faceva considerazioni amare sulla rivoluzione cubana e sui suoi fallimenti: «[[Fidel Castro|Fidél]] – ha ricordato il commentatore, uno dei tanti orfani delle illusioni di sinistra – prometteva ai cubani per il 1965 un tenore di vita pari a quello svedese». Certo Fidél si è sbagliato di grosso; non per cattiva volontà, ma per mancanza di uomini, anzi di un uomo. Sarebbe bastato che anche la Svezia avesse uno suo Castro al potere per ritrovarsi in pochissimi anni con un tenore di vita pari a quello cubano. (15 aprile 1980) *Riferiscono le cronache che quando è giunta in tribunale la notizia dell'assassinio di Walter Tobagi, il brigatista Corrado Alunni l'ha accolta con una sghignazzata di tripudio. Abbiamo sempre combattuto la pena di morte sul presupposto che l'uomo non ha il diritto di uccidere l'uomo. Il presupposto lo confermiamo. Ciò di cui cominciamo a dubitare è che gli Alunni e quelli come lui siano uomini. Sui cadaveri sghignazzano le jene. (30 maggio 1980) *A Mirafiori, parlando agli operai della Fiat in sciopero, il sindaco di Torino, Novelli, se l'è presa coi giornalisti e li ha additati all'uditorio come falsari che ricalcano i loro resoconti non sui fatti, ma sulle «veline» distribuite loro dai «padroni». Anche Novelli ha fatto il giornalista in un foglio comunista, e quindi di veline e di padroni è certamente un intenditore. Ma se dopo questa denuncia ci scappa un altro Casalegno, sarà molto gradita la sua assenza ai funerali. (8 ottobre 1980) *Grandi elogi – dopo il successo del blitz di Trani – alle «teste di cuoio» italiane. La loro azione ha dimostrato quanto poco valesse la strategia della flessione propugnata di alcuni personaggi. Teste anche loro: ma di che? (31 dicembre 1980) *Fra i tanti slogans che il partito socialista francese ha lanciato in occasione delle elezioni presidenziali per rassicurare i bravi borghesi sottolineando il proprio carattere moderato e riformista, abbiamo letto anche questo: «Il socialismo può fare di chiunque un milionario». Ci crediamo senz'altro. A patto che quel chiunque fosse prima un miliardario. (8 maggio 1981) *Per gl'italiani, finora, il nome di Gelli era quello dell'autore del più famoso e autorevole codice cavalleresco. Anche oggi rimane legato a un codice. Quello penale. (9 maggio 1981) *L'elenco degli affiliati alla P2 comprende, dicono, 953 nomi, cui corrispondono i più alti gradi della politica, della magistratura, delle forze armate, della burocrazia, dell'industria, della finanza. Tutti «fratelli». È la riprova che, in questo Paese, guai ai figli unici. (11 maggio 1981) *Macché pazzo! L'attentatore del Papa deve essere un furbo matricolato. Dichiarandosi seguace di George Habbas e della causa palestinese, ha cercato di procurarsi la solidarietà dei molti, dei moltissimi, che non battono ciglio quando un terrorista cerca di spedire qualcuno all'altro mondo. Purché il terrorista appartenga al terzo. (16 maggio 1981) *Studiosi cinesi, mettendo a confronto reperti di ominidi dissimili tra loro tanto da far pensare che l'uomo discenda anche da animali diversi dalla [[scimmia]], sono arrivati alla conclusione che i nostri progenitori erano comunque scimmie, ancorché di specie differenti. Ci pare logico. Quale altro animale avrebbe potuto imitare la scimmia che ha dato l'avvio alla razza umana se non un'altra scimmia priva di senso critico? (19 maggio 1981) *Una nostra redattrice andata per una sua cronaca sul femminismo alla «libreria delle donne» in via Dogana a Milano, è stata accolta da una di loro con queste parole: «Con te non parlo perché sei di un giornale fascista, e anche tu hai la faccia da fascista». La nostra redattrice, che ha ventun anni, probabilmente non sapeva bene cosa fosse il fascismo. Ora lo sa: lo ha imparato in quella libreria. (4 novembre 1981) *Come previsto, la Juventus ha conquistato il [[Serie A 1981-1982|ventesimo scudetto]] battendo il Catanzaro. Una vittoria di rigore. (17 maggio 1982) *Socialisti e comunisti si sono opposti alle sanzioni economiche contro l'Argentina perché, hanno detto, una buona metà degli argentini sono di origine italiana, e molti di loro conservano tutt'ora la nostra nazionalità. Vero. Ma non ci eravamo accorti che queste sinistre spasimassero tanto d'amore per i nostri connazionali di laggiù quando si trattava di riconoscergli il diritto di voto. (22 maggio 1982) *Se si va avanti di questo passo, la [[guerra delle Falkland]] (o Malvine) finirà quando l'ultimo aereo argentino sarà abbattuto col suo carico di bombe sull'ultima nave inglese. E dire che questa lotta di leoni si svolge per un'isola di Pecore. (27 maggio 1982) *Tutti abbiamo trepidato ieri, davanti al televisore, per le sorti della squadra azzurra, tutti ci siamo entusiasmati alle sue gesta, tutti abbiamo salutato con orgoglio la sua vittoria. Ma il tipo di patriottismo che questa ha suscitato nelle strade delle nostre città, messe a soqquadro dai tifosi scalmanati che usavano il tricolore a copertura del peggior teppismo, ci ha fatto rimpiangere di non essere nati brasiliani. (6 luglio 1982) *Mai visto così tanto entusiasmo patriottico, tanti tricolori per le strade come per la finale degli azzurri al Mundial. Nella tomba di Caprera, le ossa di [[Giuseppe Garibaldi|Garibaldi]] fremono di invidia. Per unificare l'Italia «in un solo grido, in una sola passione» gli erano accorsi mille uomini. A [[Enzo Bearzot|Bearzot]] ne sono bastati undici. (12 luglio 1982) *Gli scrittori [[Mario Soldati]] (Psi) e [[Gianni Brera]] (Psi) sono stati trombati {{NDR|non sono stati eletti}}. Peccato. Il Parlamento era l'unico posto in cui, dovendo parlare per gli altri, forse avrebbero finalmente taciuto. (1º luglio 1983) *Che [[Bettino Craxi|Craxi]] sia uomo di grandi capacità e ambizioni, lo si sapeva. Che sia anche uomo di grande coraggio, lo si è visto ieri, quando pronunciava alla Camera il suo discorso di replica. Per due volte si è interrotto alla ricerca di un bicchier d'acqua. Per due volte [[Giulio Andreotti|Andreotti]] glielo ha riempito o porto. E per due volte lui lo ha bevuto. (13 agosto 1983) *Condannato dal tribunale di Reggio Emilia per bestemmie e turpiloquio contro la Chiesa, [[Roberto Benigni]] avrebbe qualche ragione di considerarsi vittima di un'ingiustizia. Proprio il giorno prima la Chiesa riabilitava [[Martin Lutero]], scomunicato ai suoi tempi pressappoco per gli stessi motivi. Come cambia, coi tempi, la sorte degli uomini! È inquietante pensare che Benigni, se fosse vissuto cinquecent'anni fa, sarebbe forse diventato Lutero. Ma addirittura sconvolgente è che Lutero, se fosse nato cinquecent'anni dopo, sarebbe forse diventato Benigni! (8 novembre 1983) *Il più autorevole giornale americano di economia e finanza, il Wall Street Journal di martedì 10 gennaio, è incorso in un curioso lapsus. Parlando del concordato fra lo Stato italiano e la Santa Sede, scrive che esso «venne firmato nel 1929 da Bettino Mussolini». Chissà, se lo legge, come si arrabbia Benito Craxi. (12 gennaio 1984) *È comparsa sui giornali la pubblicità di una nuova opera di Fanfani, intitolata «La Dc e la svolta degli anni 80». L'editore avverte che si tratta di un libro formato «tascabile». Dato l'autore, poteva andare diversamente? (16 gennaio 1984) *È vero: la [[Juventus Football Club|Juventus]], a Basilea, non ha fatto una gran figura. Giocando con più cervello, poteva vincere comodamente 4-0. Ma attenti a non giudicare troppo severamente il Porto. Quello di Genova va molto peggio. (18 maggio 1984) *Il trentanovenne James Nelson, condannato da un tribunale di Londra a quindici anni per avere ucciso la madre a colpi di mattone, ha sentito, chiuso in cella, la vocazione sacerdotale: si è messo a studiare teologia, e ora sta per diventare prete nella chiesa scozzese. «È mia intenzione – ha dichiarato – contribuire alla edificazione di una nuova società». Si può credergli: i mattoni ha dimostrato di saperli usare. (25 maggio 1984) *L'agenzia Agi informa, con un drammatico flash, che il ministro [[Giulio Andreotti|Andreotti]], «impegnato in una riunione superistretta con gli altri 15 ministri degli esteri della Nato, perderà la partita [[Associazione Sportiva Roma|Roma]]-[[Liverpool Football Club|Liverpool]]». È giusto il fatto che faccia notizia: è la prima volta che Andreotti perde qualcosa. (31 maggio 1984) *Presso la Presidenza del Consiglio, a palazzo Chigi, è stata istituita una commissione di giuristi per la completa parificazione dei diritti fra i due sessi. Finalmente! Era ora che ce la riconoscessero, a noi uomini. (16 ottobre 1984) *La riforma dei programmi della scuola elementare, cui sta lavorando il Ministro Falcucci, introdurrà nella terza, quarta e quinta classe l'insegnamento di una lingua straniera. Non è specificato quale. Speriamo che si tratti dell'italiano. (21 gennaio 1985) *Un certo [[Nichi Vendola]], dirigente della Federazione giovanile comunista, ha lanciato l'idea di riconoscere formalmente un «diritto dei bambini ad avere rapporti sessuali tra loro o con gli adulti». Vendola ha detto di aver attinto questa idea all'esperienza di molti padri. A conferma di quanto scrive [[Georges Courteline|Courteline]] nella sua «Filosofia»: «Uno dei più chiari effetti della presenza di un bambino in una casa è di rendere completamente idioti dei genitori che forse, senza di lui, sarebbero stati degl'imbecilli comuni». (26 marzo 1985) *I tecnici di calcio sono rimasti stupiti dalla prova del [[Real Madrid Club de Fútbol|Real Madrid]] che nella semifinale della coppa Uefa ha letteralmente travolto i modesti giocatori dell'[[Football Club Internazionale Milano|Inter]]. I madrileni hanno proprio vinto a biglia sciolta. (26 aprile 1985) *Quando [[Sandro Pertini]] è apparso sul video di Raiuno che trasmetteva la premiazione del concorso ippico di Roma, il cronista ha commentato: «Anche i cavalli, come vedete, sono gentili col Presidente». Era vero. Forse meritano di essere fatti cavalieri. (5 maggio 1985) *I tifosi rossoneri sono in festa per la notizia che Berlusconi sta per acquistare il loro Milan. Sono convinti che in un battibaleno ne farà una squadra da scudetto, da coppa delle coppe, da tutto, e forse hanno ragione. C'è un solo pericolo: che il neo-presidente voglia fare anche il direttore tecnico, l'allenatore, il massaggiatore, il capitano e il centrattacco. Il che potrebbe andar anche bene. Ma ad una condizione: che possa fare anche l'arbitro. (27 dicembre 1985) *Rete Quattro e Italia 1 sono state multate per violazione del decreto che proibisce la propaganda al consumo del tabacco. Lo spot incriminato è quello che, parlando del «Camel Trophy», ostentava un pacchetto di sigarette della ditta sponsorizzatrice. Strano Paese, il nostro. Colpisce i venditori di sigarette, ma premia i venditori di fumo. (13 marzo 1986) *Molti lettori ci chiedono quale missione sta svolgendo l'on. Capanna a Tripoli, quali motivi l'hanno spinto da Gheddafi. Non ne sappiamo granché: non siamo abituati a ficcare il naso nelle altrui questioni di famiglia. (1º giugno 1986) *Oggi Paolo Pillitteri sarà designato alla successione di Tognoli come sindaco di Milano. Lo dipingono come uomo intelligente, efficace, insomma pieno di qualità. Purtroppo, gli manca quella fondamentale: il celibato. (5 dicembre 1986) *Finalmente, dopo sette anni di esilio a Gorky, l'impavido Andrei Sacharov è tornato a Mosca. Speriamo che Gorbaciov ci resti. (24 dicembre 1986) *L'agenzia Ansa riferisce che da un sondaggio operato in Francia su un pubblico internazionale, risulterebbe che il maschio italiano detiene ancora il primato mondiale della seduzione. Speriamo che i giornali non riportino la notizia: gl'italiani sarebbero capaci di crederci. (15 marzo 1987) *Per la prima volta nella storia della Corte Costituzionale, il nuovo presidente, Francesco Saja, è stato eletto al primo scrutinio. Ma il rivale sconfitto, Ferrari, ha sollevato eccezione accusando il vincitore di averlo battuto grazie a un «compromesso storico» fra elettori democristiani e comunisti, aggravato da un intrallazzo fra siciliani. Vero o falso, dalla Corte al cortile. (5 giugno 1987) *Ieri tutti i telegiornali ci hanno martellato negli occhi le immagini dei capibastone – Craxi, De Mita, Spadolini, Altissimo ecc. – che infilavano la scheda nell'urna. I loro volti raggiavano di soddisfazione. Erano gli unici elettori matematicamente sicuri di aver dato il voto al candidato ideale. (15 giugno 1987) *In una scuola di Chattanooga, nel Tennesse (Usa), due sedicenni, approfittando dell'assenza dell'insegnante, si sono baciati e hanno fatto l'amore davanti a una decina di compagni, niente affatto scandalizzati. Dato il lassismo di certe scuole americane, gli esami in cui gli studenti riescono meglio sono proprio queste prove orali. (4 giugno 1988) *Diciannove persone hanno dichiarato d'aver visto aggirarsi, tra le quinte della Scala, il fantasma di [[Maria Callas]]. Non ci meravigliamo, anche perché migliaia di altri frequentatori del massimo teatro lirico italiano sostengono da tempo di vedere, alla Scala, il fantasma della Scala. (28 giugno 1988) *Scoprendo le istituzioni britanniche con un secolo e mezzo di ritardo, i comunisti sembrano fermamente intenzionati a formare il loro «shadow Cabinet». Ma onestamente non ne afferriamo la ragione. Non c'è nessun bisogno di un governo ombra per contrastare quest'ombra di governo. (5 maggio 1989) *Da un sondaggio condotto tra i francesi risulta che il personaggio più noto d'Oltralpe è [[Marcello Mastroianni]], conosciuto dall'83 per cento degli intervistati. Il 97 per cento dei francesi invece confessa di non sapere chi sia [[Ciriaco de Mita|Ciriaco De Mita]]. Quando si dice un Paese fortunato... (20 maggio 1989) *Gerardo Iglesias, che fu segretario generale del partito comunista spagnolo dall'82 all'88, ha lasciato l'attività politica per riprendere il suo lavoro di minatore di carbone, «l'unico modo in cui posso guadagnarmi degnamente la vita». Alcuni dirigenti del Pci, a quanto risulta, vorrebbero imitarne l'esempio, tornando al vecchio lavoro. Il difficile è trovare chi ne aveva uno. (1º giugno 1990) *Durante la festosa «notte del mondiale», la polizia romana ha arrestato, nelle vicinanze dello stadio olimpico, 29 borsaioli e scippatori. Il signor [[Edgardo Codesal Méndez|Codesal Mendez]], arbitro della partita [[Nazionale di calcio della Germania|Germania]]-[[Nazionale di calcio dell'Argentina|Argentina]], non figura nell'elenco. (10 luglio 1990) *Il giudice veneziano Casson ha convocato, per la storia del Gladio, il presidente [[Francesco Cossiga|Cossiga]], e l'Italia leguleia è in subbuglio: la Costituzione, pure, si è dimenticata di precisare se il Capo di Stato può essere chiamato a rispondere, sia pure da testimone, a un qualunque magistrato. Il quale però ha ora la fotografia su tutti i giornali. E tutti possono ammirarla chiedendosi che cosa passa in quella testa, la testa di Casson. (10 novembre 1990) *Gli studenti italiani manifestano rumorosamente per la [[pace e guerra|pace]] e contro la [[pace e guerra|guerra]]. La guerra, diceva [[Georges Clemenceau|Clemenceau]], è una cosa troppo seria per lasciarla fare ai militari. Ma anche la pace è una cosa troppo seria per lasciarla fare ai pacifisti. (20 gennaio 1991) *Occupandosi – tra tanto Golfo – del Festival di Sanremo il Tg3 ci ha dato, finalmente, ieri sera, una notizia credibile: il livello delle canzoni, ha detto, è destinato a salire. Infatti: sentite le prime è impossibile che scenda. (1º marzo 1991) *Da un'indagine risulta che il 41,9% degli italiani non considera illecito l'assenteismo dal lavoro e che il 41,3% non considera peccato le infedeltà coniugali. La coincidenza delle due cifre spiega in che modo gli statali impiegano il tempo che dovrebbero dedicare all'ufficio. (3 ottobre 1991) *A quest'ora [[Ernesto Balducci|Padre Balducci]] è di fronte al Supremo Giudice, nel quale affermava di credere. Almeno a Lui dovrà spiegare non ciò che diceva contro la Chiesa, ma perché lo diceva travestito da frate. (26 aprile 1992) *Nell'ultima tornata presidenziale è emerso, con un bel pacchetto di 20 voti, Aldo Aniasi. Finalmente. In questo imperversare di tangenti e bustarelle, era ora che qualcuno si ricordasse di lui. (24 maggio 1992) *Per sfatare le malevole dicerie su certe bestie, il presidente degli «animalisti» italiani ha offerto un premio di 200 milioni a chi potrà dimostrare che i corvi scrivono lettere anonime e che le talpe fanno le spie. È vero: di simili casi non ne conosciamo. Ma di somari che fanno i presidenti, ne conosciamo parecchi. (5 luglio 1992) *Dopo le invettive e i clamori da cui il presidente del consiglio [[Giuliano Amato|Amato]] è stato accolto in Senato per la sua insensibilità alla crisi morale che investe il Paese, il dibattito sulla medesima si è svolto, a Montecitorio, in un'aula deserta. Sì, una crisi morale, per la nostra classe politica esiste: lo dimostra il vuoto in cui l'ha lasciata cadere. (14 marzo 1993) *«I socialisti – ha detto l'ex ministro della Difesa Salvo Andò – devono andare tutti nudi verso la meta di un nuovo sistema politico». Come faranno senza le tasche? (24 maggio 1993) *Il candidato del Psi per le elezioni a sindaco di Roma sarà Niccolò Amato. Assennata scelta. Ex direttore delle carceri, Amato è certamente il più qualificato a rappresentare quel partito. (23 settembre 1993) *Giovedì sera annuncio a sorpresa di [[Emilio Fede]] nel suo Tg4: «Adesso – ha detto – voglio parlarvi di informazione». C'è sempre una prima volta. (8 gennaio 1994) *Secondo un sondaggio della Diacron (gruppo Fininvest), l'82 per cento dei lettori del «Giornale» sarebbe schierato con Berlusconi. Vero. Almeno com'è vero che Berlusconi diventerà presidente del Consiglio. (12 gennaio 1994) ====''La parola ai lettori – rubrica''==== *I tennisti italiani hanno disputato la finalissima di Coppa Davis a Praga, e nessuno ha battuto ciglio. Le squadre di calcio italiane frequentano gli stadi dell'Est, a cominciare da quelli russi, e i puristi della democrazia non ci trovano nulla a ridire. Ma per l'[[Uruguay]] – che con i suoi tre milioni di abitanti e la sua posizione geografica non mi pare possa essere considerato una minaccia troppo grave alla libertà dei Paesi democratici – c'è puntuale la protesta. Come se l'Uruguay potesse invadere, espandersi, insidiare, inviare – direttamente o indirettamente – eserciti di mercenari in mezzo mondo, e l'[[Unione Sovietica]] no. Possiamo capire gli intransigenti della democrazia: ma possiamo soltanto disprezzare i farisei che hanno l'indignazione dimezzata. Si calmino Bruno Conti e Pruzzo. Né l'Uruguay, né il suo regime, meritano tante ansie e tanta ostilità. Mosca è più vicina – lo sanno bene i polacchi – e Kabul anche. (31 dicembre 1980) *Non abbiamo mai «coperto», come si usa dire, questo nostro socio (che ha il 37, non il 36% del Giornale), anche perché non vediamo da cosa dovremmo coprirlo. [[Silvio Berlusconi|Berlusconi]] non è né un politico né un gerarca civile o militare, e non svolge nessuna pubblica funzione incompatibile con l'appartenenza alla massoneria. È un privato imprenditore e cittadino che quando fa una balordaggine (e l'iscrizione alla P2 lo è) la fa a proprio rischio e pericolo. Come lei avrà visto, il suo coinvolgimento nella P2 non ci ha impedito di dire, di Gelli e della sua banda, tutto il male che ne pensiamo. (31 maggio 1981) *In tutti questi anni che è stato con noi, {{NDR|Silvio Berlusconi}} si è sempre comportato nella maniera più signorile, ed anche in questa circostanza ci ha dato le più ampie garanzie. (14 aprile 1987) *Nel panorama sudamericano il [[Cile]] è oggi uno di quei paesi economicamente più solidi e con maggior progresso, tanto da meritare gli elogi del Fondo monetario internazionale. Ma la postilla impone a sua volta una precisazione. È più facile fare il risanamento economico monetario in Cile, dove i sindacati sono inesistenti o impotenti, che non in [[Argentina]], dove il sindacato incalza il governo e pretende aumenti salariali il cui ritmo sia adeguato al ritmo dell'inflazione. [...] Pinochet è quello che è. Il suo plebiscito per la Costituzione del 1980 fu indetto in circostanze che gli tolgono ogni valore. E gli inizi del regime militare furono sanguinari. Però il Cile di oggi ha un livello di libertà e di dialettica politica – nonostante Pinochet – che tanti paesi del Terzo mondo vezzeggiati dai nostri democratici dovrebbero invidiargli. Come ha osservato un lettore, né l'Etiopia né lo Zaire né la Siria, né il Nicaragua avrebbero tollerato corrispondenze come quelle che gli inviati della Rai diffondono, in diretta dal Cile. (16 aprile 1987) *Mai le nostre prese di posizione su problemi e personaggi sono state non dico condizionate, ma influenzate dalle personali amicizie o preferenze di Berlusconi. Per la verità, l'editore chiese una volta a titolo di favore, un «occhio di riguardo» per la sua creatura prediletta. Non la televisione, come i lettori saranno stati forse indotti a pensare, ma il [[Associazione Calcio Milan|Milan]]. Sottoposi questa sommessa istanza alla redazione sportiva. La risposta fu una lettera collettiva di dimissioni. Caso chiuso. Da allora rinuncio a leggere le cronache delle partite del Milan, per non dovermi dispiacere del dispiacere che ne prova probabilmente Berlusconi. (17 aprile 1988) *Come già ho scritto, e qui mi piace ripetere, la designazione di [[Francesco Cossiga|Cossiga]] al Quirinale fu la scelta dell'uomo giusto al posto sbagliato. Sappiamo benissimo chi la volle. Ma sappiamo altrettanto bene che fu avallata anche da quegli uomini e partiti che ora si scagliano contro di lui e lo accusano, apertamente o copertamente, di fellonia. La classe politica, nella quale egli ha militato da sempre e che quindi da sempre lo conosceva, doveva sapere che l'onesto (perché tale è) Cossiga non era uomo da Quirinale. Eppure, per i suoi sporchi giochi di potere, ce lo mandò. Ora dovrebbe sentire il dovere di difenderlo dagli sciacalli che lo attaccano da tutte le parti. (22 dicembre 1990) ===''La Stampa''=== *Intorno alle «cattedrali nel deserto» impiantatevi dalla cosiddetta mano pubblica, [...] o trasferitevi dal Nord con l'adescamento degli «incentivi», e sotto la nuvolaglia di fumo che sgorga dalle loro ciminiere, si gonfiano alla carlona e selvaggiamente dirompono, senza nessun criterio urbanistico, senza piano regolatore, senza servizi, spesso anche senza acquedotto e senza fogna, degli agglomerati urbani che solo per il numero degli abitanti si possono chiamare città. [...] È nata soltanto, insieme a una forsennata speculazione edilizia che per sfruttare all'osso l'area fabbricabile accumula con cattivo cemento un piano sull'altro finché crollano sulla testa degl'inquilini, la sorda rabbia contro la città di un contadiname analfabeta che se n'è visto succhiare la linfa vitale, e quando vi cala, lo fa da nemico e vandalo. Questo è il panorama del Mezzogiorno dopo vent'anni e più di Cassa, che hanno raschiato dalle tasche dei contribuenti migliaia di miliardi. (da ''[http://www.archiviolastampa.it/component/option,com_lastampa/task,search/mod,libera/action,viewer/Itemid,3/page,3/articleid,1118_01_1973_0272_0003_16218908/ La protesta contadina]'', 18 novembre 1973, p. 3) *La politica meridionalistica è tutta dominata da questo sottofondo psicologico. Essa vuole l'industrializzazione di Stato non soltanto perché [...] l'industrializzazione può essere fatta soltanto dallo Stato o da imprese al servizio dello Stato; ma anche perché più queste imprese si sviluppano, e più si riduce il margine di quell'imprenditoria privata che i meridionali, non riuscendo a emularla, mirano a ostacolare e ridurre, sottraendole il pubblico risparmio. Con l'agricoltura non avrebbero potuto perseguire questi scopi punitivi. L'unica arma per mortificare e battere l'industria privata è l'industria statale o parastatale. Questa, intendiamoci, esisteva digià: è un portato dei tempi moderni. Ma non c'è dubbio che la politica meridionalistica, come la si è praticata finora e tutto lascia credere che si seguiterà a praticarla, le ha offerto un'ideale occasione. (da ''[http://www.archiviolastampa.it/component/option,com_lastampa/task,search/mod,libera/action,viewer/Itemid,3/page,3/articleid,1118_01_1973_0284_0003_16222766/ Industrie "in colonia"]'', 2 dicembre 1973, p. 3) *Lo Stato, con [[Venezia]], ha contratto un solo impegno: di destinare al suo risanamento 300 miliardi di lire in cinque anni. Di dove li prenda, non ha nessun interesse. Può darsi che una parte li attinga proprio a quel prestito. Ma non vi è tenuto, né si vede perché dovrebbe esserlo. Ciò che da esso si può e si deve esigere è che eroghi effettivamente quei 300 miliardi alle scadenze per le quali si è impegnato: 25 miliardi per il '73, 60 nel '74, 90 nel '75, e su su fino alla chiusura dei conti nel '77. Due sole cose restano da dire. Primo. All'origine dell'equivoco c'è di certo quello che i francesi chiamano l'''esprit mal tourné'', cioè la diffidenza degl'italiani nei confronti dello Stato. Ma all'origine di questa diffidenza c'è altrettanto certamente l'incapacità o la renitenza dei nostri governanti a spiegare [...] ciò che fanno. Secondo. I soldi [...] stavolta ci sono. E diamo pure per scontato che saranno erogati con puntualità. Ma dove sono gli strumenti per spenderli, specie quelli affidati in gestione a degli Enti locali, che fin qui non sono stati capaci di dragare un canale né di riparare la spalletta d'un ponte? Non vorremmo che anche tutti questi miliardi andassero ad alimentare l'immenso deposito di «residui passivi», cioè di somme stanziate ma non impiegate, che già affligge il nostro Paese. Non lo vorremmo. Ma lo temiamo. (da ''[http://www.archiviolastampa.it/component/option,com_lastampa/task,search/mod,libera/action,viewer/Itemid,3/page,1/articleid,1111_01_1974_0009_0001_21345708/ Venezia, molti miliardi e lo Stato]'', 11 gennaio 1974, p. 1) *E ora addio, caro lettore, e grazie dell’ospitalità. Ti confesso che, entrando in casa tua, ero molto imbarazzato. Ma mi bastò poco per accorgermi che di questo imbarazzo voi soffrite quasi quanto coloro a cui lo incutete. Esentàtemi da una dichiarazione di amore perché a gente come voi è difficile farne. Ma in questo pudore mi sento vostro pari e vostro complice. Avrò un giornale a Milano e, e cercherò di farlo molto bello, bellissimo. Ma anche se ci sarò riuscito, seguiterò a rimpiangere il vostro. Mi dicevano che ci avrei sofferto il freddo. Ci ho trovato, sotto una coltre di silenzio, il caldo. (da ''[http://www.archiviolastampa.it/component/option,com_lastampa/task,search/mod,libera/action,viewer/Itemid,3/page,3/articleid,1112_01_1974_0087_0003_16390798/ Congedo dal Piemonte]'', 21 aprile 1974, p. 3) {{Int|''[http://www.archiviolastampa.it/component/option,com_lastampa/task,search/mod,libera/action,viewer/Itemid,3/page,9/articleid,1118_01_1973_0284_0009_16222725/ Chi era il vecchio leone del deserto]''|Articolo su ''La Stampa'', 2 dicembre 1973.|h=4}} *Senza Ben Gurion, non so se Israele sarebbe stato migliore o peggiore di quel che è. Certo, sarebbe stato diverso. Il titolo di «Padre della Patria» non può contestarglielo nessuno. [...] Egli stesso mi raccontò lo sgomento da cui fu còlto quando, non ancora ventenne, sbarcò a Giaffa dopo un lungo periplo a bordo d'un cargo. A procurarglielo non furono i funzionari turchi che allora governavano il Paese, e nemmeno gli arabi che formavano il grosso della popolazione; ma gli ebrei, quasi tutti latifondisti e mercanti perfettamente inseriti nel «sistema» e unicamente intesi ai propri affari. Erano dunque quelli i depositari della Terra Promessa, che non sapevano neanche l'ebraico, o comunque si rifiutavano di parlarlo? Forse ne sarebbe fuggito, se nell'interno non avesse scoperto alcune isolate fattorie collettive, dove i nuovi immigrati lavoravano la terra con le proprie mani e di notte montavano la guardia, uomini e donne, per difendere le loro vite e i loro raccolti dalle razzie degli arabi. *Egli fu sin da principio organizzatore sindacale e propagandista politico, ma ciò non toglie che la sua ideologia si sia sviluppata da questa esperienza pionieristica. Non era uomo di studio e di cultura. Ma, pur combattendolo, era rimasto influenzato dal socialismo tolstoiano che aveva respirato a Plonsk. [...] Comprese subito che solo redimendo la terra col loro lavoro manuale e contrapponendo al latifondismo arabo la fattoria collettiva, gli ebrei potevano legittimare la riconquista dei loro antico «focolare». Militarmente, egli non attaccò mai gli arabi. Aspettò che il loro sistema si disgregasse da sé, e ci volle poco. Battuti sul mercato dai prodotti del ''kibbutz'', i latifondisti arabi vendettero i loro feudi al «Fondo Nazionale Ebraico» per andare a sperperare l'incasso nei ''Casinos'' di Beirut e della Costa Azzurra, e i braccianti rimasero senza lavoro perché i nuovi padroni usavano le braccia proprie. Il conflitto è tutto qui: nell'impossibilità di coabitazione di una scalcagnata economia feudale con un'efficientissima economia socialista. I motivi religiosi e razziali li ha aggiunti la propaganda. Prima del ''kibbutz'', arabi ed ebrei avevano pacificamente convissuto in un avanzo di mondo medievale, garantito dal satrapesco governo turco, coi suoi privilegi e le sue glebe. Il ''kibbutz'' fu una rovina anche per il latifondo ebraico. [...] Il suo programma era questo: conquistare la Palestina «pertica dopo pertica, capra dopo capra», ma senza costituirla in uno Stato, un po' perché a questo si sarebbe opposta l'Inghilterra […] un po' per non provocare un «fronte» di nazioni arabe, come poi in realtà avvenne. Ma la rivelazione del [[Olocausto|genocidio]] gl'ispirò il famoso ''mai più''. E mai più significava questo: che d'allora in poi gli ebrei dovevano avere un rifugio sicuro, pronto ad accoglierli e in grado di farlo, cioè uno Stato. *Gli rimproverano anche di non aver mai svolto una coerente politica araba, cioè di intesa con gli arabi. E anche in questo c'è del vero, ma ha il suo perché. Come tutti i veri politici, Ben Gurion era un pragmatista, cioè un uomo che attingeva le idee dalla pratica delle «cose», non viceversa. E l'esperienza fatta nella lotta per la manodopera ebraica lo aveva persuaso che con gli arabi non c'era [...] possibilità di compromesso. Uno Stato palestinese misto di arabi e di ebrei, lo considerò sempre una chimera per il semplice motivo che in poche generazioni, col loro potenziale demografico quattro volte superiore, gli arabi avrebbero mangiato gli ebrei. Questo scrupolo [...] sa un po' di razzismo. Ma l'unico rimprovero che si può muovere a Ben Gurion è di non averlo abbastanza mascherato. Già nella guerra del '48 egli avrebbe potuto annettersi la Cisgiordania: ci rinunziò per non mettersi in corpo seicentomila arabi. L'anno dopo rifiutò per lo stesso motivo la cosiddetta «striscia di Ghaza» che il suo brillante generale Allon aveva sforbiciato dall'Egitto. E dopo la guerra dei sei giorni, sebbene ormai lontano dal potere, non ha fatto che ammonire contro una politica di annessioni territoriali disgiunta da un adeguato incremento di popolazione ebraica. Non ha mai dialogato che con l'Occidente. Con gli arabi, non ha seguito che una diplomazia: quella dei confini. *Le nuove esigenze della produzione e della guerra imponevano un altro «rovesciamento della piramide»: il miracolo della guerra dei sei giorni fu dovuto a un esercito di tecnici altamente specializzati, in cui anche il semplice aviere era un ingegnere. Il posto del ''kibbutz'' [...] veniva preso dall'Università che riconvertiva il contadino in professore. Ben Gurion non poteva interpretare questo nuovo corso. Era troppo vecchio e legato all'altro. Ma non lo comprese, non poteva comprenderlo, per conservare il potere ricorse a tutte le armi del suo repertorio, anche le meno regolamentari, giunse a rinnegare e a rompere il proprio ribelle partito. E neppure a battaglia persa si rassegnò. Dal fondo del suo rifugio alle soglie del deserto ha continuato tutti questi anni ad alluvionare di ammonimenti, maledizioni, anatemi i suoi vecchi amici trattandoli da nemici. [...] Quello che si chiude con Ben Gurion è il capitolo del pionierismo: il più eroico e glorioso, quello destinato, via via che si allontanerà nel tempo, ad essere ricordato dagl'israeliani con sempre più struggente nostalgia. {{Int|''[http://www.archiviolastampa.it/component/option,com_lastampa/task,search/mod,libera/action,viewer/Itemid,3/page,3/articleid,1112_01_1974_0081_0003_16388814/ La strada lunga di Golda]''|Articolo su ''La Stampa'', 14 aprile 1974.|h=4}} *{{NDR|[[Golda Meir]]}} Aveva poco più di vent'anni quando approdò in Israele, frammista ai «padri pellegrini» della «seconda ondata» che subito dopo la [[prima guerra mondiale]] vennero a riprendere possesso della loro antica terra con la ferma intenzione non d'insabbiarcisi com'era successo ai loro predecessori della fine dell'Ottocento, ma di riscattarla e di farne il «focolare» degli ebrei. Tutta la sua visione politica [...] era condizionata da questa esperienza di oltre mezzo secolo di sacrifici e di lotte. Tecnicamente, non so se si possa catalogarla fra i «falchi». Anzi, mi sembra che abbia fatto tutto il possibile per non confondersi con essi e per presentarsi come mediatrice fra loro e le «colombe». Ma, cresciuta nell'accampamento, ne aveva acquisito la mentalità guerriera. Oggi molti in Israele si domandano se a questi pionieri non restava davvero altra strada che quella dell'urto frontale con la popolazione araba della Palestina. Ma questi dubbi sono un lusso ch'essi si possono concedere solo perché i loro babbi e nonni non ne ebbero. Costoro fecero quello che fecero perché non potevano far altro. Ciò che rendeva impossibile la coabitazione fra le due popolazioni non era la incompatibilità razziale e religiosa, ma quella economica e sociale. Il latifondo sceiccale non poteva convivere col ''kibbutz'' socialista. È qui l'origine di un conflitto che nessuna diplomazia poteva sanare. Una pace fra israeliani e arabi è possibile; una simbiosi, no. Ancor oggi chi parla di «Stato misto» si gingilla con le astrazioni. *Fu lei che, mentre la lotta infuriava e il sangue correva, raggiunse travestita da cammelliere l'emiro Abdullah di Giordania – il nonno di [[Husayn di Giordania|Hussein]] –, e da nemico se lo fece amico, o almeno neutrale. Non sono mai riuscito ad appurare se [[David Ben Gurion|Ben Gurion]] ebbe una parte, e quale, in questo «giallo» fra il diplomatico e lo spionistico. Ma molte cose m'inducono a credere che a programmarlo fu proprio lei, Golda, anch'essa ben decisa a innalzare, fra arabi ed ebrei, una cortina di ferro, ma con qualche porta che consentisse all'occorrenza il dialogo. [...] I due furono amici e compari per decenni. [...] Per entrambi, la unica e vera ragione di vita era la politica, una passione che esclude tutte le altre, e alla quale chi ne è tocco tutto sacrifica, a cominciare proprio dai sentimenti. Ciò non vuol dire che i loro rapporti siano stati dominati unicamente dal calcolo [...] e che Golda si sia tenuta stretta a Ben per spiarlo, controllarlo e, al momento opportuno, divorarlo. Io ho visto alcuni scampoli della loro corrispondenza privata, quando l'amicizia era diventata aperta inimicizia. Roba da far impallidire un caporale degli alpini. Ma proprio da questo vocabolario si capiva quanto profonda e indistruttibile [...] fosse la loro solidarietà. Probabilmente anche al tempo in cui facevano coppia nel partito e nel governo si parlavano tra loro in quel linguaggio da fureria. Quanto a imperiosità e autoritarismo, si valevano. [...] Non era, come Ben Gurion, un'incantatrice, non aveva mai una immagine colorita, un paradosso, una battuta a effetto. Con la sua voce arrugginita dalle sigarette (ne fuma una settantina al giorno, e di tabacco nero), diceva piattamente e banalmente delle cose piatte e banali, solo ravvivate da qualche squarcio d'un umorismo massiccio come una scarpa di soldato; ma senza mai togliere di dosso all'interlocutore il suo vigile sguardo cilestrino alla fiamma ossidrica. E da quella specie di sporta per la spesa che, adibita a borsa, essa tiene al braccio anche nei ricevimenti ufficiali, ci si aspettava sempre di veder saltar fuori, oltre a qualche mazzo d'agli e di cipolle, una pistola o una fiala di veleno. *Di Golda si può dire tutto il male che si vuole: la materia non manca. Non c'è dubbio che sapeva odiare e che anche quando amava lo faceva da mantide, soffocando e stritolando. Ma Israele non troverà mai più una madre come lei, che sapeva anche fargli da padre. Nella sua tenacia, nel suo coraggio, nella sua volontà d'acciaio, essa riassumeva la storia di questo piccolo grande Paese. Lo ha dimostrato col suo ritiro. Quando si è trattato di pagare, essa si è offerta in sacrificio pur sapendo che per lei la rinunzia al potere è la rinunzia alla vita. «''Sono giunta al termine della mia strada''», ha detto. Ma che strada! Nessuno ne ha mai percorsa una più ripida e accidentata, più paurosamente librata tra abissi e strapiombi. Sono sicuro che Golda non si volterà indietro a guardarla, e non ce ne dirà nulla. Come tutti i grandi costruttori, essa sa soltanto costruire. Il resto, per lei, è silenzio. ===''la Voce''=== <!--ordine cronologico--> *Uscendo dal ''Giornale'', io feci a me stesso, ma pubblicamente, un giuramento: «Mai più un padrone». Qui padroni non ce ne sono. La proprietà è ripartita fra alcune centinaia di azionisti, di cui nessuno può, per statuto detenere più del 4 per cento. Fra di essi, e per primi, ci siamo stati tutti noi: redattori, impiegati, fattorini, autisti. [...] Per questa sua pulviscolarità, il nostro azionariato è stato definito, nei quartieri alti della Finanza, «straccione». La qualifica non ci dispiace: coi tempi che corrono, meglio stare tra gli stracci che tra le tangenti. (22 marzo 1994) *Di insurrezione generale non c'era bisogno, il 25 aprile, perché il Terzo Reich non esisteva più. Se l'insurrezione generale fosse avvenuta avrebbe dovuto avere come primo obiettivo, a Milano, il quartier generale delle SS all'Hotel Regina. Le SS furono invece lasciate del tutto tranquille, mentre si provvedeva a trascinare in piazzale Loreto, per la fucilazione Achille Starace [...]. Non sono contro la Resistenza, anzi: sono contro la retorica, inguaribile vizio italiano. Proprio questa retorica ha fatto sì che un sindaco democristiano di Roma, in un manifesto dedicato anni or sono alla liberazione della città non accennasse nemmeno con una parola agli Alleati. Ed ha fatto sì che in quest'ultimo 25 aprile si sia parlato ai giovani che affollavano piazza del Duomo a Milano o che stavano davanti ai televisori, ingannandoli – ossia raccontando loro che i tedeschi erano stati sconfitti dai partigiani, e che da questi l'Italia era stata liberata. Se questa è la «memoria storica» evocata da tanti commentatori, stiamo freschi. (28 aprile 1994) *Intorno a Berlusconi vedo agitarsi una falange di Starace, convinti non meno di Achille che il padrone (e con lui, si capisce, la carriera) si serve sbattendo i talloni e gridando: «Forza, Italia!». Di tutto questo, intendiamoci, Berlusconi non può essere tenuto responsabile. Gli Starace – a differenza di Mussolini che si scelse il suo vedendolo com'era – gli sono germinati e gli pullulano intorno d'irresistibile forza propria cercando di sopraffarsi in una gara di servilismo, che trova soprattutto nel video la propria arena. E per ora la gente pensa: «Povero Cavaliere, da chi è circondato». Ma prima o poi – forse più prima che poi – comincerà a dire anche di lui: «Vedi un po' di chi si circonda». (18 giugno 1994) *Dobbiamo prepararci a presentare le nostre scuse a [[Emilio Fede]]. L'abbiamo sempre dipinto come un leccapiedi, anzi come l'archetipo di questa giullaresca fauna, con l'aggravante del gaudio. Spesso i [[leccapiedi]], dopo aver leccato, e quando il padrone non li vede, fanno la faccia schifata e diventano malmostosi. Fede no. Assolta la bisogna, ne sorride e se ne estasia, da oco giulivo. Ma temo che di qui a un po' dovremo ricrederci sul suo conto, rimpiangere i suoi interventi e additarli a modello di obiettività. (26 novembre 1994) *Il presidente della Repubblica non può contrattare. Ma deve trovare qualcuno che abbia l'autorità morale di farlo. Un ''kamikaze''. E di ''kamikaze'' ne vediamo uno solo che, non avendo veste politica, né alcuna ambizione di indossarla, può anche affrontare una simile responsabilità: [[Antonio Di Pietro|Di Pietro]]. Ma temiamo che l'idea sia soltanto nostra. [...] Una delle pochissime cose che nella presente situazione ci confortano è di vedere in Quirinale un difensore delle Regole come [[Oscar Luigi Scalfaro|lui]]. Vorremmo solo sommessamente avvertirlo che l'Italia che noi conosciamo somiglia poco all'immagine angelica ch'egli ce ne ha fornito la sera di Capodanno, e che anche quando vi avremo messo a posto tutte le Regole, ne mancherà sempre una: quella che dall'interno della sua coscienza fa obbligo ad ogni cittadino di regolarsi secondo le regole. (3 gennaio 1995) *Noi volevamo fare, da uomini di [[Destra]], il quotidiano di una Destra veramente liberale, ancorata ai suoi storici valori: lo spirito di servizio (quello vero, taciuto e praticato), il senso dello Stato, il rigoroso codice di comportamento che furono appannaggio dei suoi rari campioni da Giolitti a Einaudi a De Gasperi. Insomma, l'organo di una Destra che oggi si sente oltraggiata dall'abuso che ne fanno gli attuali contraffattori. Questa Destra fedele a se stessa in Italia c'è. Ma è un'élite troppo esigua per nutrire un quotidiano. (12 aprile 1995) {{Int|''Il realista inviso agli snob''|Articolo su ''la Voce'', 24 aprile 1994.|h=4}} *Fino ad una decina di anni orsono, la maggioranza degli americani erano convinti che, se [[Richard Nixon|Nixon]] fosse rimasto nella Storia del loro Paese – cosa che al loro orecchio suonava come un obbrobrio – vi sarebbe rimasto solo per il [[Scandalo Watergate|Watergate]], cioè appunto per l'obbrobrio. Negli ultimi tempi tutto si è rovesciato: l'obbrobrio non è stato più il Watergate, ma la campagna scandalistica che lo aveva provocato. Gli stessi protagonisti che l'avevano montata – [[Bob Woodward]] e [[Carl Bernstein]] del ''Washington Post'' – ne riconobbero le forzature e fecero atto di contrizione. Non avevano inventato nulla, ma avevano deformato tutto. [...] La sorte è stata, tutto sommato, clemente con Nixon dandogli il tempo di vedere questo capovolgimento. *Ultimamente era ricevuto, ed anzi continuamente sollecitato alla Casa Bianca, dove lo si accoglieva come lo ''Elder Statesman'', lo statista anziano da consultare come un vecchio saggio sui problemi difficili. Fu a lui che [[George H. W. Bush|Bush]] si rivolse per riallacciare un dialogo con Pechino dopo la rottura seguita al fattaccio di Tienanmen. E lui a Pechino lo riallacciò: i cinesi non avevano dimenticato che quel dialogo erano stati Nixon e [[Henry Kissinger|Kissinger]] ad aprirlo, quando l'America aveva deciso di chiudere l'avventura del Vietnam in cui [[John Fitzgerald Kennedy|Kennedy]] e [[Lyndon B. Johnson|Johnson]] l'avevano malaccortamente cacciata. Ma anche [[Bill Clinton|Clinton]] è ricorso alla sua esperienza per capire cosa succedeva in Russia e trarne qualche insegnamento. Nixon andò a Mosca, e ne tornò con cattivi presagi sulla sorte di [[Boris Nikolaevič El'cin|Eltsin]] che i successivi avvenimenti hanno confermato. *Non era un uomo «simpatico», e soprattutto non aveva nulla che potesse sedurre l'America dei salotti e della ''intellighenzia'', che gli uomini politici li misurano a modo loro, mai quello giusto. Scambiarono per un grande intellettuale Kennedy, che in vita sua aveva visto migliaia di film, ma mai letto un libro. E prendevano Nixon, che di libri ne ha letti ed ha continuato a leggerne (ed a scriverne, niente male), fino all'ultimo giorno per una specie di Bossi californiano, rozzo e triviale. [...] Ma forse quello che più infastidiva gli americani era la renitenza di Nixon ad appelli e richiami tanto più sonori quanto più vacui, come «la nuova frontiera» e simili. Nixon era un professionista della politica, uno dei pochissimi che l'America abbia mandato alla Casa Bianca. Non andava per sogni e per versetti del Vangelo. Conosceva il suo [[Otto von Bismarck|Bismarck]], il suo [[Benjamin Disraeli|Disraeli]], e credo anche il suo [[Niccolò Machiavelli|Machiavelli]] che in America basta nominarli per finire scomunicati. Per questo lo consideravano un mestierante, e per questo si era scelto come consigliere un altro mestierante, l'ebreo tedesco Kissinger. Furono questi due uomini che ridiedero all'America la ''leadership'' nella politica estera coinvolgendo nel gioco la Cina e scavandone il solco da Mosca. I successori di Nixon, e specialmente [[Ronald Reagan|Reagan]], vissero in gran parte di questa eredità. ===''Oggi''=== <!--ordine cronologico--> *Mi confermo in due mie vecchie opinioni. Il guaio del socialismo è il socialismo, cioè sta proprio nel suo sistema statalistico. Il guaio del capitalismo sono i capitalisti che, quasi sempre bravissimi all'interno della loro azienda, fuori di lì sono spesso degli ottusi e noiosi imbecilli, e talvolta anche peggio.<ref>Citato in ''Dizionario delle citazioni'', a cura di Italo Sordi, BUR, 1992. ISBN 88-17-14603-X</ref> (n. 22, 1983) *{{NDR|Sull'offerta di [[Massimo D'Alema]] a concedere, come «atto dovuto», i funerali di Stato a [[Bettino Craxi]]}} "Atto dovuto"? Ma dovuto a chi? Anche a un latitante: quale, dal punto di vista legale, era Craxi? Concedere i funerali di Stato a un latitante significa sconfessare la Giustizia che lo ha condannato. [...] Ma può lo Stato sconfessare la propria Giustizia senza sconfessare se stesso? Mi sembra di vivere in un Paese che di senso dello Stato ne ha meno di una tribù del Ghana.<ref>Citato in ''La morte incute rispetto, ma su Craxi non cambio idea''-</ref> (2 febbraio 2000) *La [[democrazia]] è sempre, per sua natura e costituzione, il trionfo della mediocrità. (11 ottobre 2000) ==''Dante e il suo secolo''== ===[[Incipit]]=== Uno dei tanti meriti che si suole attribuire a [[Dante Alighieri|Dante]] è quello di essere stato il primo italiano ad avere una «coscienza nazionale». Noi non vorremmo cominciare questo libro con una detrazione, ma non ci sembra che a dimostrare questa coscienza basti l'allusione che Dante fa a una entità geografica italiana, di cui egli fissava i punti terminali al Brennero e al Carnaro. E non vediamo del resto cosa aggiunga alla sua grandezza questa specie d'irredentismo avanti lettera. Se per qualcuno Dante spasimò fu, caso mai, per un Imperatore tedesco. ===Citazioni=== *[[Roma]] era stata la capitale di un impero cosmopolita, non di una Nazione. (Parte prima. Capitolo primo, p. 12) *Non è necessario essere degli adepti del "materialismo storico" per attribuire il risveglio delle inquietudini intellettuali, fra il Millecento e il Milleduecento, al progresso economico e al generale miglioramento delle condizioni i di vita. È a stomaco pieno che si comincia a pensare a qualcosa che non sia soltanto lo stomaco. (Parte prima. Capitolo terzo, p. 131) *Il [[pudore]] femminile non è mai stato altro che un incentivo alla civetteria. (Parte seconda, Capitolo quarto, p. 174) *Da consumato giurista qual era, {{NDR|[[papa Bonifacio VIII]]}} prese a rimaneggiare tutti i precedenti storici, su cui poteva basare le sue pretese di dominio universale. E trovò un valido aiuto nel canonista [[Egidio Romano|Egidio Colonna]] il quale scrisse un trattato, ''De ecclesiastica potestate'', per avvalorare queste tesi. Egli sostenne che la Chiesa era padrona e proprietaria non soltanto delle anime, ma di tutto. Era solo per bontà e condiscendenza che metteva le cose a disposizione dei fedeli, ma conservando il diritto di ritorgliele quando voleva. Quindi anche i troni appartenevano ad essa, che li lasciava ai Re solo in momentaneo appalto. Questa teoria tanto piacque a Bonifacio, che ne ricompensò l'autore con la nomina ad arcivescovo di Bourges. (Parte seconda, Capitolo nono, p. 312) *Peccato che un simile uomo {{NDR|papa Bonifacio VIII}} avesse così clamorosamente sbagliato generazione e carriera. Fosse nato cinquant'anni dopo sarebbe stato un magnifico Principe del [[Rinascimento]]: avido, crudele e gagliardo. (Parte seconda, Capitolo undicesimo, p. 372) *Dante qui {{NDR|nel ''De vulgari eloquentia''}} ha visto ciò che molti filòlogi ancora oggi non vedono. Egli difende il "volgare", cioè la lingua viva, quella parlata dal popolo, fatalmente destinata a soppiantare il latino. Ma ne vorrebbe una illustre e aulica, al di sopra di quelle "municipali", cioè dei dialetti, contro i quali si scaglia con furore. In Italia ne classifica quattordici e li detesta tutti, compreso il toscano che chiama "turpiloquio". Ma il più orrendo gli sembra il romano, "e non deve fare meraviglia dacché i romani, anche per deformità di costumi e abiti, appaiono i più fetidi di tutti". Chissà cosa direbbe, povero Dante, se tornasse fra noi e andasse al cinematografo. (Parte seconda, Capitolo quindicesimo, p. 483) ==''Gli incontri''== *[[Giovanni Porzio|Porzio]] non è alto di statura, ma diritto come un fuso nonostante i settantaquattro anni suonati e porta, sui pantaloni a righe stretti e lunghi come quelli degli antichi ufficiali in grande uniforme, una giacca nera che l'alta bottonatura fa simile a una ''redingote''. Il volto è bello, di colore olivastro, e aristocratico nella modellatura del naso e nel taglio breve dei baffi e della barbetta ancora pepe e sale. (Porzio, p. 91) *Non avevo mai visto da vicino [[Cécile Sorel]], quando essa mi apparve, per la prima volta, di lontano, sul palcoscenico allestito nella corte d'onore degli Invalides per le feste celebrative del bimillenario di Parigi. [...] Drappeggiata in una sontuosa cappa di [[Elsa Schiaparelli|Schiaparelli]] a strascico di ''lamé'' d'argento e porpora, dritta su un podio sotto la statua di [[Napoleone Bonaparte|Bonaparte]], accolse a braccia spalancate lo scrosciante omaggio, sincopato dalle salve di artiglieria, dei cinquemila spettatori ammassati nell'immenso cortile. Sorrise. Sfiorò con uno sguardo altero le teste della folla, lo alzò verso l'imperatore, ma senza implorazione né umiltà, da pari a pari. Poi, in un silenzio di tomba, prese a modulare l'ode di Bruyez: "''Vous qui êtes morts pieusement pour la patrie...''". Ed era una voce incredibilmente limpida e squillante, senza traccia di ruggine. (Cècile, pp. 226-227) *[[Saul Steinberg|Steinberg]] ha la faccia dei suoi pupazzi: una faccia malinconica, lunga e triangolare, di cavallo tirato su a paglia soltanto, senza biada, e condannato a trascinare un carretto su per un'erta interminabile, in cima alla quale non si sa cosa ci aspetta, ma certo un'altra condanna, forse più pesante del carretto. Anche i baffi ha, come i suoi pupazzi: a doppia virgola orizzontale, sebbene meno lunghi e senza le intenzioni esibizionistiche di quelli di Dalì; e anche le lenti a stanghetta traverso cui ti fissano intensamente, di sotto in su, due occhi azzurri e mortificati, di uomo che non si è reso conto di essere Saul Steinberg; o essendosene reso conto, non ci prova alcun piacere. (Steinberg, p. 289) *[[Harukichi Shimoi]] è uno di quei giapponesi che gli altri giapponesi considerano di statura piccola. Tanto piccola che [[Gabriele D'Annunzio|D'Annunzio]], per abbracciarlo, dovette curvarsi (lui!) e, dopo essergli andato incontro gridando, con le braccia alzate: "Fratello!... Fratello mio!..." lo guardò, ci ripensò e aggiunse: "Sebbene non di sangue...". (Shimoi, p. 389) *Quanti anni avrà, ora, Harukichi Shimoi? Forse cinquanta, forse centocinquanta. Come per [[Guelfo Civinini]], suo amico, anche per lui il problema dell'età non si pone. Quale che essa sia, egli la porta esattamente come deve averla portata mezzo secolo fa. Il suo corpo è stortignaccolo, ma diritto, e i suoi capelli son nerissimi. Ma il tratto che più lo caratterizza sono le sopracciglia, che madre natura gli ha piantato a mezza strada, come due ciuffi di foltissimo bosco, tra gli occhi e la chioma, in modo che, per quanto vasti i suoi occhiali, esse li sormontano e risucchiano come se fossero due monocoli. (Shimoi, pp. 389-390) *Il più favoloso e colorito personaggio del [[Brasile]] è [[Assis Chateaubriand]], proprietario di ventun giornali, diciotto stazioni radiotrasmittenti, di una flotta aerea, di alcune ''fazendas'' vaste come l'intera Sicilia, di un museo che vale venti milioni di dollari, di una Compagnia nazionale per la puericoltura, e di un'ambizione pari soltanto al suo coraggio, alla sua insolenza e alla sua spavalderia. (Chateaubriand, p. 495) *Assis {{NDR|Chateaubriand}} ha un debole per i tedeschi e per gli italiani. Come faccia a conciliare questi due amori, non si sa; ma le sue pene, durante la guerra, furono grandi, anche se irreprensibile fu la sua condotta<ref>Dal 1942, nel corso della seconda guerra mondiale, il Brasile fu in stato di guerra con Germania e Italia.</ref>. Quando però il governo comminò l'arresto a chiunque parlasse italiano, scese in lotta con i suoi giornali contro l'assurda disposizione. Scrisse che quello non era patriottismo, ma un nazionalismo di bassa lega, degno soltanto di una colonia, e che lui si vergognava d'esser brasiliano. Fece un tale baccano, che alla fine dovettero revocare il provvedimento e quello del sequestro dei beni dei nostri compatrioti. (Chateaubriand, p. 502) *Quando nacque sessantadue anni orsono, ne aveva già a dir poco settecento. Perché [[Ottone Rosai|Rosai]] veniva dritto dritto dal Medioevo, dopo aver saltato a piè pari Rinascimento ed età moderna, e nei momenti di sincerità confessava che Giotto gli pareva un "deviazionista" rispetto a Cimabue, il quale gli andava molto più a sangue. (Rosai, p. 544) *Dopo essere stato fascista della prima ora, nella seconda col fascismo {{NDR|Ottone Rosai}} s'era trovato male, e si capiva benissimo che era sempre per via delle mani. Tornato dalla guerra, lo squadrismo gli aveva consentito di menarle, come a lui piaceva, e ci aveva dato dentro senza risparmio. Forse l'unico momento felice della vita di Rosai fu quello: quando a gambe larghe di traverso alla strada aspettava, col giornale aperto davanti agli occhi in un gesto di sfida ribalda, il corteo rosso in arrivo da San Frediano, che alla vista di quelle manacce aggrappate ai bordi del foglio e pesanti come macigni, esitava. (Rosai, p. 547) *[[Paolo Monelli|Monelli]], se seguisse le proprie inclinazioni, andrebbe a letto coi polli. Ma cosa direbbe la gente, se non lo vedesse più vagabondare nei vari ritrovi frequentati dai nottambuli della città? Direbbe senza dubbio: "Comincia a invecchiare". E a questa idea Monelli balza dalla sua poltrona e si attacca al telefono per mobilitare qualche amica che lo accompagni nei suoi vagabondaggi. Giovani colleghe come Livia Serini, attrici giovanissime come Lea Massari sono state ridotte sull'orlo dell'esaurimento nervoso da queste prolungate ronde notturne senz'altro costrutto che quello di ribadire agli occhi di tutti l'intramontabilità di Monelli. Egli non le porta a spasso. Le porta all'occhiello, come gardenie. (Monelli al girarrosto, p. 592) *{{NDR|Paolo Monelli}} Fuma la pipa come Churchill il sigaro, cioè soltanto quando lo guardano. (Monelli al girarrosto, p. 593) ==''I conti con me stesso''== ===[[Incipit]]=== Una telefonata da Milano m'informa che Longanesi è morto. È stato colpito dall'infarto davanti al suo tavolo di lavoro, su cui era spiegata una mia lettera di dieci giorni fa, che cominciava così: «Caro Leo, stanotte ho sognato ch'eri morto...». (27 settembre 1957) ===Citazioni=== *Tutta la mia vita è stata contesa fra la noia di vivere insieme e la paura di vivere [[Solitudine|solo]]. (4 ottobre 1957) *Di nuovo il Polesine. Pare impossibile: durante le inondazioni, la prima cosa che viene a mancare è l'acqua. (dicembre 1957) *[[Colette Rosselli|Colette]]. Invecchia gentilmente, senza catastrofi. Ha su tutte le altre donne un vantaggio incolmabile: quello di essere stata il mio ultimo e più grande amore. Così grande che possiamo camparci di rendita, comodamente, tutti e due per il resto dei nostri giorni. (gennaio 1958) *Il destino di [[Riccardo Bacchelli|Bacchelli]] sarà l'opposto di quello del maiale: di lui, dopo morto, ci sarà da buttar via tutto. (gennaio 1958) *[[Olga Villi]]. Non è punto grata alla sua bellezza che le ha consentito di diventare principessa di Trabia. Punta solo sul talento che non ha. Ma è talmente priva di ''sense of humour'' che forse diventerà una buona attrice. (gennaio 1958) *[[Gaston Palewski|Palewski]]. L'ambasciata a Roma è per lui soltanto uno dei più importanti capitoli del libro di memorie che scriverà. (gennaio 1958) *Non è che [[Luigi Barzini (1908-1984)|Barzini]] abbia un'altissima opinione di sé. Ne ha una bassissima degli altri. (gennaio 1958) *Piccolo incidente d'auto. La nostra, per evitare un ciclista, picchia contro un muro e resta piuttosto acciaccata. [[Colette Rosselli|Colette]], che la guida, dice: «Meglio così. Dovevo farla revisionare, e non mi decidevo mai...». (gennaio 1958) *[[Razzismo]]: pensarci sempre, parlarne mai. [[Risorgimento]]: parlarne sempre, pensarci mai. (gennaio 1958) *[[Fascismo]]. Il più comico tentativo per instaurare la serietà. (gennaio 1958) *Il guaio più grosso della Repubblica è che, mentre il Re poteva essere di sangue straniero e di solito lo era, il presidente bisogna sceglierlo fra gl'italiani. (gennaio 1958) *Bacchelli lavora infaticabilmente, da sessant'anni, alla costruzione di un piedestallo su cui, alla sua morte, non sapremo cosa posare. (gennaio 1958) *A pranzo da [[Vittorio Cini]] con una ventina di altri invitati. A colazione ne aveva avuti altrettanti. E così ieri. E così avantieri. E così sempre. A ottantadue anni suonati, è fresco, roseo, insaziabilmente voglioso di intrattenere e di essere intrattenuto. A conclusione della serata, mi sfida a una gara di canto. Scegliamo come banco di prova ''Vecchia zimarra'', e stoniamo maledettamente entrambi, ma io meno di lui. I presenti mi assegnano la vittoria. Di colpo, Vittorio perde il suo buon umore. È talmente abituato a vincere, che non accetta di perdere nemmeno nel canto. (7 settembre 1966) *{{NDR|Su [[Nicola Bombacci]]}} Io l'ho conosciuto soltanto cadavere, quando penzolava accanto a quello di Mussolini, in piazza Loreto, e una folla messicana lo bersagliava bestialmente di sputi. Anni dopo, volli tentarne la riabilitazione ritracciandone la patetica vicenda, ma non riuscii a trovarne gli elementi biografici. Compaesano e compagno di scuola di Mussolini, maestro elementare e autodidatta come lui, ne era stato il grande amico quando entrambi militavano nel socialismo. Eppoi il suo nemico giurato, la bestia nera degli squadristi. Esule con la famiglia prima in Francia, poi (credo) in Russia, rimpatria col permesso del Duce, si affida alla sua generosità, per ricambiarla gli resta al fianco anche a Salò, e lo accompagna fin nell'ultimo viaggio verso la morte. (23 ottobre 1966) *Colloquio segreto con l'ex comunista [[Giulio Seniga|Seniga]] per una storia del [[PCI|Pci]] che devo scrivere con [[Roberto Gervaso|Gervaso]] per la «Domenica». Ė un uomo piuttosto affascinante, dallo sguardo chiaro, freddo e innocente: lo sguardo del fanatico. Mi ha detto che sua moglie, cresciuta in Russia dove suo padre era fuoruscito, e autrice di un interessante libro – ''I figli del partito'' –, nel partito è rimasta, non ha trovato il coraggio di uscirne, sebbene approvi e condivida la secessione del marito, con cui è sentimentalmente unitissima. Non riesco a capire questa gente. Cioè capisco soltanto che è diversa da noi non sul piano ideologico, ma su quello umano. (25 novembre 1966) *È morto [[Uguccione Ranieri di Sorbello]]. Era venuto a Roma da sua suocera. Stava benissimo. Era anzi particolarmente sereno e contento perché aveva finito un suo lavoro di ricerca storica cui attendeva da anni. A fine pranzo ha detto: «Non mi sento bene». Si è alzato, ed è crollato a terra. Stecchito. (29 maggio 1969) *{{NDR|Su Uguccione Ranieri di Sorbello}} Era un gran signore e un gran galantuomo che ha trascorso la sua vita in crociate nelle quali non aveva nulla da guadagnare. L'ultima è stata la campagna propagandista negli Usa per convincere gli americani a dare il nome [[Giovanni da Verrazzano|Da Verrazzano]] al grande ponte sull'Hudson. Nel suo perfetto inglese (lo scriveva meglio dell'italiano) inondò l'America di articoli e conferenze (parlava benissimo, con molto humor e senza enfasi oratorie) cercando i familiarizzare gli ascoltatori col nome Da Verrazzano, la cui pronuncia rappresentava per essi la difficoltà più grossa all'adozione di quel nome. Questa smania missionaria credo che l'avesse ereditata da sua madre americana. E per seguirla aveva trascurato le sue proprietà terriere. Le sue campagne erano in uno stato pietoso, la sua bella villa sul Trasimeno mezza disunta. (29 maggio 1969) *{{NDR|Su Uguccione Ranieri di Sorbello}} Era un buon scrittore, un infaticabile sommozzatore di articoli, un ricercatore attento e scrupoloso di curiosità storiche, un umanista moderno che aveva allargato i suoi orizzonti a tutta la cultura contemporanea, specie anglo-sassone: un uomo insomma che ha realizzato un centesimo di quello che poteva per via di quel suo dispersivo correre dietro a un'infinità di altri interessi. Era stato anche un autentico combattente della [[Resistenza italiana|Resistenza]]: per ben sedici volte si era fatto paracadutare dagli Alleati dietro le linee tedesche: impresa che chiunque altro si sarebbe fatto ripagare con altrettante medaglie. Lui non aveva ricevuto nemmeno una citazione, e di questi episodi non ha mai parlato. (29 maggio 1969) *Anche [[Irene Brin]] se n'è andata. Mi avevano detto che era malata di un cancro; ma era una notizia vaga e incerta, ch'essa aveva fatto di tutto per smentire. Fino in fondo ha lavorato e ha partecipato ai riti della mondanità: sfilate di moda, ricevimenti, eccetera. (1 giugno 1969) *{{NDR|Su Irene Brin}} Quando [[Giovanni Ansaldo|Ansaldo]] la scovò e cominciò a farla scrivere sul «Lavoro» di Genova, sua città natale, era soltanto Mariù Rossi: una ragazza timida e incerta, molto provinciale, figlia di un Generale e di un'ebrea austriaca. L'unica fama di cui godeva era quella, equivoca e velata sotto un nome d'accatto, che le aveva procurato [[Elio Vittorini|Vittorini]] prendendola a protagonista, con sua sorella, di un racconto: ''Le figlie del Generale'' in cui entrambe erano presentate come lesbiche. Se lo fossero veramente, non so. Il sesso è uno dei tanti capitoli misteriosi di questa donna. (1 giugno 1969) *In mano a [[Leo Longanesi|Longanesi]], che le aveva regalato anche lo pseudonimo d'Irene Brin, aveva rivelato autentiche qualità di scrittrice. I profili che pubblicò su «Omnibus» erano deliziosi. Fosse rimasta fra biografia e memorialismo, poteva diventare qualcosa di mezzo fra [[Henri de Saint-Simon|Saint-Simon]] e [[Lytton Strachey|Strachey]] con un tocco alla [[Madame de Sévigné|Sévigné]]. Altro che la [[Maria Bellonci|Bellonci]]! Era un'osservatrice attenta (sebbene non ci vedesse da qui a lì) e penetrante, nutrita di vastissime letture: la sua prosa aveva ritmo, calore, l'aggettivazione precisa, l'ironia tagliente. Ma era un cavallo che aveva bisogno del fantino. Chiuso «Omnibus» e cessata la regia di Longanesi, Irene infilò la pista sbagliata – quella della cronista mondana –, e non è più uscita. (1 giugno 1969) *Finito di scrivere il capitolo sull'[[Giulio Alberoni|Alberoni]] per ''L'Italia del Settecento''. Ho riprodotto la pagina di [[Henri de Saint-Simon|Saint-Simon]], che lo descrive mentre assiste impavido alle evacuazioni corporali di Vendôme per guadagnarsene i favori, eppoi inginocchiandosi davanti a lui gli grida estasiato: «Oh, culo d'angelo!», e glielo bacia. Come inizio di "carriera" italiana, mi sembra esemplare. Poi mi torna a mente un'osservazione di [[Jules Renard|Renard]]: «Se in un periodo c'è la parola culo, il lettore non si ricorderà che di quella dimenticando tutto il resto, anche se è sublime». Renard ha ragione. Ma io, a un culo autenticato da Saint-Simon, non rinuncio. (3 luglio 1969) *Le Soroptimists hanno dato un pranzo a [[Colette Rosselli|Colette]], in qualità di "Donna Letizia". Colette ha accettato dopo molti rifiuti. Il suo fastidio per queste cose di donne, lo so, è sincero. Ma, una volta preso l'impegno, ha trascorso la giornata a preparare il suo discorsino col puntiglio che la distingue. Non è per nulla ambiziosa, non tiene affatto a reclamizzare il proprio talento, sottovaluta quello che mette nella sua rubrica di «Grazia» (ma se lo fa pagare profumatamente), rifiuta di fare una mostra dei suoi deliziosi quadri. Ma il suo suscettibilissimo amor proprio non le consente di rischiare una brutta figura nemmeno nelle cose che disprezza. Infatti anche stasera ne ha fatta una eccellente, leggendo con molto garbo le due paginette che aveva preparato con un sapiente dosaggio di humour autentico, e di pathos e di umiltà fasulli. Ha avuto gran successo. Per la prima volta mi son visto guardato come un personaggio-satellite, una specie di principe consorte. Cosa che a me non dispiace affatto, ma a lei moltissimo. In questo, è proprio femmina. (13 agosto 1969) *Mi riferiscono, di [[Giorgio Bocca|Bocca]], questo giudizio su di me: «Sempre il più bravo di tutti. Bravissimo. Troppo bravo. Ma mettendo lo stesso impegno a scrivere gli articoli su Venezia e quello sull'arbitro [[Concetto Lo Bello|Lo Bello]], dimostra che in realtà non è impegnato in nulla». È vero. Non sono impegnato in nulla. In nulla, meno che nel mio mestiere. Fiorentina-Bari 3-0. E Chiarugi capo-cannoniere! (16 novembre 1969) *Sciopero generale per il caro-case. Un pretesto da nulla. Ma è bastato per immergere Milano in un'atmosfera da 8 settembre. Strade vuote. Saracinesche abbassate. Enorme spiegamento di polizia. Mentre pranzo con [[Giovanni Spadolini|Spadolini]], [[Mario Cervi|Cervi]] e Zappulli, giunge notizia che in un tafferuglio al Lirico un agente è stato ucciso dai "cinesi". «Meno male che è toccata a un agente» diciamo in coro, eppoi non osiamo guardarci negli occhi. Anche noi apparteniamo a questa borghesia codarda che pretende appaltare alle forze dell'ordine il compito di farsi sputacchiare, pestare e ammazzare per tenerne al riparo se stessa. E non vuole nemmeno pagargli uno stipendio decente. (19 novembre 1969) *[[Alberto Moravia|Moravia]] ha fondato, insieme a [[Pier Paolo Pasolini|Pasolini]] e a [[Dacia Maraini]], un "comitato contro la repressione". È la riprova che la repressione non c'è. Se ci fosse, Moravia sarebbe coi repressori, come ha dimostrato avallando col suo silenzio la persecuzione di [[Aleksandr Isaevič Solženicyn|Solženicyn]] in Russia. (28 dicembre 1969) *Moravia si è ritirato dal comitato che lui stesso aveva fondato. Ma non per i silenzi di [[Giovanni Spadolini|Spadolini]]. Si è ritirato perché «l'Unità» ha disapprovato. Gl'italiani sono sempre pronti a fare la rivoluzione, purché i carabinieri siano d'accordo. E Moravia è sempre pronto a battersi per la libertà, purché sia d'accordo il piccì. (2 gennaio 1970) *Arrivati i rendiconti dei miei diritti d'autore: 28 milioni nell'ultimo semestre. Supero dunque i 50 milioni annui. Anche ammettendo che l'editore non ci faccia sopra punta cresta (il che mi sembra, a dir poco, improbabile), non c'è male. Credo di essere l'autore italiano che più guadagna, anche perché sono l'unico che questa cifra la guadagna ogni anno, e senz'aiuto di premi letterari. Non ne sono contento per il denaro, di cui non so che farmi e che serve solo a pagare i capricci di Colette (ne ha tanti!). Ne sono contento, anzi felice, per il mio status da autore stipendiato unicamente dal pubblico. C'è chi vive di partito. C'è chi vive di Eni. C'è chi vive di Agnelli, o di Perrone, o di Crespi. Io vivo di [[lettore|lettori]]. I lettori non m'impongono altra servitù che la sincerità: l'unica che non pesi. (3 marzo 1970) *Più che comunanza di vedute, fra [[Denis Mack Smith|Mack Smith]] e me c'è comunanza di nemici: quegl'insopportabili pedanti accademici che a Palermo lo hanno violentemente attaccato qualificandolo «il Montanelli di Oxford». Implicitamente egli accetta di far fronte con me contro di loro. Credo che facciamo entrambi un buon affare, e anche un affare buono: se riusciamo a squalificare agli occhi del pubblico la [[storiografia]] accademica (e coi nostri libri ci stiamo riuscendo), avremo reso un grosso servigio alla cultura italiana. (2 maggio 1970) *Sosta a Venezia, dopo il voto a Cortina. Visita d'obbligo a Vittorio Cini, e passeggiata con lui sulle Zattere. Vedendolo, un vecchietto sdrucito, ma dignitoso, si leva il cappello e gli tende la mano, evidentemente per mendicare. Vittorio gliel'afferra e gliela stringe con effusione dicendogli: «Caro!... Caro!... Caro!... Coma la va?» È in perfetta buona fede: la buona fede di un doge lontanissimo dalle afflizioni della miseria e perfino incapace di immaginare che ce ne siano. (8 giugno 1970) *Leggo in [[Giorgio Candeloro|Candeloro]]: «... Nel processo generale di sviluppo della Storia, il carattere dei personaggi, anche dei più grandi, ha un peso limitato...». Ah, sì? E cosa dunque se non il carattere di Alessandro, cioè la sua follia, può spiegare la conquista macedone fino all'India e la diaspora dell'ellenismo che ne deriva? L'Islam è concepibile senza il "carattere" di [[Maometto]]? E cosa divise la Riforma se non i diversi "caratteri" di [[Martin Lutero|Lutero]] e di Calvino? I nostri storici odiano i caratteri e i personaggi, perché questi richiedono immaginazione e intuito, cioè doti di scrittore, di cui essi sono disperatamente vedovi. Non sono storici. Sono soltanto degli archivisti, e molto spesso disonesti. (10 novembre 1970) *Milano è in fiamme per l'affare Feltrinelli, e [[Piero Ottone|Ottone]] mi chiede un articolo contro la [[Camilla Cederna|Cederna]], firmatario di un manifesto in cui, a due ore di distanza dal rinvenimento del cadavere e prima ancora che esso sia ufficialmente riconosciuto, proclama che Feltrinelli è rimasto vittima della «reazione internazionale». Se la Cederna avesse una testa, direi che l'ha persa. Ma perché Ottone vuole un articolo contro di lei, intima amica e direttrice di coscienza di [[Giulia Maria Crespi|Giulia Maria]], nonché regina del suo sinistrorso salotto? Comunque, a mettere una zeppa fra direttore e proprietaria, è doveroso collaborare. E faccio l'articolo in forma di "lettera a Camilla". (25 marzo 1972) *Pare che l'articolo abbia rimesso fuoco a Milano, creandovi una irreparabile frattura fra montanellisti e cedernisti. I primi sono più numerosi, ma i secondi più rumorosi. Ricevo pacchi di telegrammi di plauso e altrettanti d'insulti. Il giornale è sommerso di lettere, e io prego Ottone di pubblicare anche quelle di protesta. Ha scritto anche la Cederna annunziando una replica sull'«Espresso» (Ottone ha cancellato il titolo del settimanale, commettendo una meschineria). Quanto a Giulia Maria, mi dicono che schiuma di rabbia. Se è vero, devo riconoscere che il giornalismo qualche soddisfazione la dà. [[Umberto Eco]] mi attacca sul «manifesto» riproducendo una mia frase di ammirazione per Mussolini scritta quando avevo ventidue anni (in dieci anni di giornalismo sotto il defunto regime, non sono mai riusciti a trovare, di mio, altre prove di zelo fascista) e accusandomi di mancanza di cavalleria verso una donna. O bella! Come se una donna, quando si mette a far politica – e che politica! – come un uomo, potesse ancora accampare l'impunità! Anche la [[Maria Callas|Callas]] è una donna. Eppure, quando stona, la si fischia. (27 marzo 1972) *Ho scritto un fondo in difesa della Cederna, incriminata dal magistrato per aver diffuso notizie false e tendenziose. Che abbia commesso questo peccato, ho detto, è vero. Ma si tratta di peccato, non di reato. E a giudicarne dev'essere il lettore, non il tribunale. Verità lapalissiane. Dice che è sempre stata molto più impegnata e coraggiosa di me perché con le sue campagne in favore di Valpreda e di [[Giuseppe Pinelli|Pinelli]], tiene fronte alla polizia. Potrei incenerirla chiedendole dov'era e cosa faceva quando io ero in galera per aver tenuto fronte non alla polizia d'oggi, ma a quella fascista e nazista. Ma non ne vale la pena. (28 marzo 1972) *Più approfondisco questo tema delle regioni (sono a Milano per questo), e più mi sgomenta il doverne scrivere. Ci vuol poco a capire che questi regionalisti lombardi perseguono, consapevolmente o inconsapevolmente, un piano secessionista cisalpino. E, una volta che ne abbiano lo strumento, riusciranno a realizzarlo. Non per nulla Bassetti parla già non più di «regione lombarda», ma di «[[Padania|regione padana]]», di cui il resto d'Italia non sarebbe che un'appendice. Se ce la fanno (e ce la faranno), addio Risorgimento! Non era che una finzione, d'accordo, e in pratica ha fallito. Ma con che lo sostituiremo? (26 settembre 1972) *Volo a Lussemburgo sul solito bireattore di Berlusconi, che ci accompagna, felice di esibirsi e di esibire il suo status in una cerimonia internazionale. La medaglia d'oro (ma è proprio d'oro?) me la consegna Gaston Thorn, capo del governo lussemburghese. Berlusconi riempie il suo taccuino di indirizzi: quelli di tutte le personalità che ha incontrato. È il vero ''climber'' che approfitta di tutto e non butta via nulla. (23 maggio 1977) *Kappler è fuggito. Ha fatto bene. Ma ora chi ci salverà dai conculcati "valori della Resistenza"? (15 agosto 1977) *A colazione da [[Vittorio Cini|Cini]]. Ha avuto un brutto crollo, ma ha ancora risorse. Le tira fuori quando è in compagnia. Ma quando è solo, mi dice sua moglie, sprofonda in quei tetri silenzi che sono i colloqui di un uomo con la morte. (19 agosto 1977) *De Carolis m'informa che il vero autore della operazione «Corriere» è un certo [[Licio Gelli|Gelli]], misterioso personaggio massonico, di Arezzo (Fanfani), che vuole incontrarmi per un accordo fra i due giornali. (24 settembre 1977) *Secondo quanto mi era stato raccomandato, dovevo salire direttamente alla camera 219 dell'Excelsior. Ma alla camera 219 non c'era nessuno, e così dovetti chiedere al portiere del signor Gelli. Poi Gelli arrivò, mi condusse furtivamente nel suo appartamento e mi fece un lungo discorso pieno di allusioni, dal quale dovevo comprendere che lui è un pezzo grosso – forse il più grosso – della massoneria (Palazzo Giustiniani), che come tale era stato il vero padrino della operazione Rizzoli, e che in questa operazione potevamo rientrare anche noi. Mi ha detto che quattro ministri dell'attuale governo, otto sottosegretari e centoquaranta parlamentari dipendono da lui. Questi massoni sono tutti uguali: credono che la loro potenza sia direttamente proporzionale al mistero di cui si circondano e prendono per cose fatte quelle per le quali complottano. (4 ottobre 1977) *Da Fanfani, al Senato. È talmente infuriato che diventa perfino sincero. «Dica al suo amico che è un traditore!» «Perché non glielo dice lei?» Mi spiega che Forlani non mira alla segreteria del partito, come io credevo, ma alla presidenza del Consiglio, quando Andreotti sarà consumato. Mi dice anche che condivide l'idea di Donat-Cattin di lasciare il Quirinale a un laico. «Altrimenti fra noi democristiani ci sbraniamo e ci sbrachiamo nella corsa a chi concede di più ai comunisti.» È sincero anche stavolta, o lo dice perché, avendo perso ogni speranza per sé, vuole prepararsi un buon argomento per Maria Pia («Stavolta toccava ai laici»)? (29 ottobre 1977) *A cena da Gervaso con Cossiga. Non si lamenta dei nostri attacchi, ma sono io a dirgli: «Noi esprimiamo lo scontento, e talvolta la rabbia, della pubblica opinione. La gente vuole un ministro degl'Interni che agisca e che faccia agire la polizia». «Ma lei sa com'è ridotta la polizia?» «In qualunque modo sia ridotta, siete voi che l'avete ridotta così. E quindi sta a voi rimediare.» Mi dice che non c'è da farsi illusioni: la situazione si aggraverà. Il terrorismo è finanziato coi sequestri, ha solidi agganci internazionali, e segue una tattica ben studiata. «L'attentato a lei fu un errore. Se a essere colpite fossero le personalità di rilievo, la gente media, cioè la grande massa della popolazione, sarebbe tranquilla. Invece hanno deciso di colpire i gradi subalterni – consiglieri comunali della Dc, capireparto della Fiat eccetera – per togliere il sonno a tutti.» Forse è vero. (29 ottobre 1977) *Quattro revolverate in faccia a [[Carlo Casalegno|Casalegno]], che ora è grave. Alzano la mira. (16 novembre 1977) *«La Stampa» riporta tutti gli articoli di solidarietà per Casalegno apparsi sugli altri giornali. Ma omette il mio, ch'era forse il più caldo: la solidarietà nostra la imbarazza. (18 novembre 1977) *Casalegno è morto. Ho telegrafato alla vedova, ma non al figlio – iscritto a [[Lotta Continua|Lotta continua]] –, né a [[Arrigo Levi|Levi]] e ai colleghi della «Stampa». Purtroppo, la loro faziosità condiziona la nostra solidarietà. Al funerale andrà Biazzi. (29 novembre 1977) *Incontro risolutivo a Roma tra Ferrauto e quelli della Sipra. Affare fatto e a condizioni molto più favorevoli di quelle sperate. Sei miliardi e settecento milioni come minimo annuo garantito, per cinque anni. Firmeremo il compromesso martedì 16. (10 maggio 1978) *Vista in tv la cerimonia funebre per Moro in San Giovanni Laterano. Dentro la basilica, tutti i dignitari Dc e quelli Pci inginocchiati sotto la mano benedicente del papa. E, fuori, la piazza sventolante di bandiere bianche e rosse. Non ho potuto fare a meno di rilevarlo in un "Controcorrente". (13 maggio 1978) *Batosta comunista alle amministrative parziali di ieri (4.000.000 di elettori). La Dc sale dal 38 al 42 per cento, il Pci scende dal 35 al 26. Successo dei socialisti che guadagnano il 4 per cento. Un risultato sconvolgente (in positivo). Uniche delusioni: il guadagno – sia pur minimo – del Pri, e la mancata rianimazione del Pli. (15 maggio 1978) *Firmato oggi l'accordo con la Sipra. Minimo garantito: 6.800.000.000 all'anno per cinque anni. Il presidente, D'Amico, è un ex operaio della Fiat, ora deputato comunista: un uomo concreto, franco, di poche parole. Era più soddisfatto lui dell'accordo con noi, che il direttore generale, il democristiano Pasquarelli. Io ho fatto la mia parte, da buon attore. Arrivato all'ultimo momento, ho detto: «Per impedire ripensamenti ed equivoci, trasformiamo il compromesso in vero e proprio contratto, e firmiamo subito». Lo champagne era già pronto. (16 maggio 1978) ==''I protagonisti''== *Nel settembre di quell'anno {{NDR|1956}} il partito lo spedì {{NDR|[[Gian Carlo Pajetta]]}} a Mosca insieme a Pellegrini e a [[Celeste Negarville|Negarville]] per sentire direttamente da [[Nikita Sergeevič Chruščёv|Kruscev]] come ci si doveva comportare nella crisi, ormai aperta, dell'antistalinismo. Kruscev li accolse affabilmente, li invitò a cena. E qui, trascinato da bocconi e libagioni ad una espansiva euforia come spesso gli capita, a un certo punto disse: «Beh, ora vi voglio raccontare come strangolammo [[Lavrentij Pavlovič Berija|Beria]]». E descrisse l'agguato che gli avevano teso al Cremlino, come gli erano saltati addosso e come gli avevano serrato la gola con le mani fino alla soffocazione. Lo descrisse ridendo allegramente, forse senz'accorgersi del pallore che soffondeva il volto dei suoi ospiti, o per lo meno quelli di Pajetta e di Negarville.<br />L'indomani li convocò nuovamente e, come non ricordando affatto ciò che gli aveva raccontato la sera prima, disse loro in tono solenne: «Beh, ora vi farò sentire il processo di Beria registrato sul nastro». E glielo fece sentire davvero come lo avevano inventato ''post mortem'', con la voce del defunto falsificata.<br />Quando si ritrovarono fra loro, Negarville e Pajetta si guardarono con gli occhi pieni di lacrime. «Ma allora – dissero –. Ma allora...». E non aggiunsero altro. (pp. 66-67) *{{NDR|Su [[Anna Magnani]]}} Ci sarebbe da scrivere un trattato sul modo di usare Anna. La prima precauzione da prendere è quella di non farla ritrovare in mezzo a estranei. Timida com'è, pur dopo un'esistenza trascorsa sotto i ''flashes'', la gente la raggela e la chiude in un mutismo ostile o l'aizza ad atteggiamenti protervi. Delle poche persone che le ho presentato, l'unica che la sedusse immediatamente fu il mio collega [[Augusto Guerriero]], perché il discorso cadde sui cani e sui gatti: e questo è un argomento su cui il cuore di Anna si scioglie e la mente le si ottenebra. Si mise in testa che noi due, con un articolo, potevamo far riformare la legge sulla protezione degli animali. E invano cercammo di dimostrarle che il problema non era di leggi, ma di costume. Non sentì ragioni. Dovemmo prometterle l'articolo (che poi infatti scrivemmo). (pp. 177-178) *{{NDR|Su [[Ignazio Silone]]}} Leggendo i suoi primi romanzi, ''Fontamara'', ''Pane e vino'', ''Il seme sotto la neve'', e pur ammirandoli, ero caduto in abbaglio sull'autore. Lo avevo preso per uno di quegl'industriali dell'antifascismo che, riparati all'estero, avevano trovato nella universale avversione alla dittatura una comoda scorciatoia al successo dei libri di denunzia. Lo consideravo insomma un profittatore del regime a rovescio (come del resto ce ne sono stati). E una conferma mi era parso di vederla nel fatto che finito, col fascismo, l'antifascismo, parve finito anche il narratore Silone.<br />Poi vennero ''Una manciata di more'', ''Il segreto di Luca'', ''La volpe e le camelie''. Ma vennero soprattutto alcuni saggi politici che mi costrinsero a ricredermi. Ed era proprio questo che non riuscivo a perdonargli. Mi era antipatico non per i suoi, ma per i miei errori. Più lo conoscevo attraverso i suoi scritti, e più dovevo constatare che non solo egli non somiglia affatto al personaggio che m'ero immaginato, ma che anzi ne rappresenta la flagrante contraddizione. (pp. 180-181) *{{NDR|Su ''[[Ignazio Silone#Uscita di sicurezza|Uscita di sicurezza]]''}} Come documento umano, non ne conosco di più alti, nobili e appassionati. Fenomeno unico, o quasi unico, fra gli sconsacrati del comunismo che di solito non superano mai più il trauma e trascorrono il resto della loro vita a ritorcere l'anatema, Silone non recrimina. Egli rifiuta i grintosi e uggiosi atteggiamenti del moralista, o meglio ne è incapace. Domenicano con se stesso, è francescano con gli altri, e quindi restio a coinvolgerli nella propria autocritica. Cerca di metterne al riparo persino [[Palmiro Togliatti|Togliatti]]; e se non ci riesce che in parte, non è certo colpa sua. Qui non c'è che un accusato: Silone. E non c'è che un giudice: la sua coscienza. (pp. 186-187) *Noi crediamo di scoprire dei modelli. In realtà non scopriamo che degli antenati. [[Carlo Cassola|Cassola]] s'illude di aver imparato da [[James Joyce|Joyce]] quello che già sapeva. Joyce gli avrà fornito, al massimo, qualche mezzo tecnico per esprimerlo. Uno [[scrittore]] vero (e Cassola lo è) non cerca in un altro scrittore che se stesso. (p. 207) *{{NDR|Su [[Enrico Mattei]]}} Egli amava solo il [[potere]], e l'amore del potere esclude tutti gli altri. (p. 265) *{{NDR|Su [[Giulio Andreotti]]}} Andava anche, mi dicono, a messa insieme a lui {{NDR|[[Alcide De Gasperi|De Gasperi]]}}, e tutti credevano che facessero la stessa cosa. Ma non era così. In chiesa, De Gasperi parlava con Dio; Andreotti col prete. Era una divisione di compiti perfetta. (pp. 271-272) ==''Indro al Giro''== ===[[Incipit]]=== Il destino è stampato sulla carta d'identità e scritto nelle stelle. Indro Montanelli nasce il 22 aprile 1909, il primo Giro d'Italia prende il via il 13 maggio 1909. Stesso anno, stesso segno zodiacale: Toro. Potevano, queste due creature quasi gemelle, non percorrere un tratto di strada insieme? Potevano ignorarsi? ===Citazioni=== *Come i bersaglieri quando smettono di correre, così i ciclisti, quando cessano di pedalare ingrassano. *Il [[Giro d'Italia]] parla milanese, anche se poi, a vincerlo, è qualche toscano o qualche romagnolo. *I corridori sono come [[Anteo]]: il contatto con la loro terra gli dà forza. *Ma sapete voi con precisione che cosa sia una fuga, lo sapete? Non lo sapevo nemmeno io prima di vederla. Credevo che fosse l'uomo che, a un certo punto, si mette a pedalare più forte degli altri e li semina per via. Errattissima nozione. La fuga è invece un grande urlo e un gesto disperato che mettono d'improvviso in confusione tutta la carovana del Giro. *Quello della bicicletta è un mondo buono: e credo sinceramente che venga da questa bontà il fascino ch'esso esercita sulle folle. *Lasciatelo com'è questo Giro provinciale e festoso: lo sport di un popolo che, nella corsa verso il progresso meccanico, è rimasto alla bicicletta, tappa intermedia fra il cavallo e l'automobile, ritrovato artigiano e arnese di famiglia. *Se Parigi avesse il mare sarebbe una piccola Bari, ma non saprebbe accogliere i forestieri con tanto calore e sportiva cordialità. *Leoni, che oltre a tutto è un bellissimo ragazzo, ha una fidanzata la quale gli scrive raccomandandogli di non vincere, altrimenti troppe ragazze lo abbracciano porgendogli i fiori. Leoni è innamoratissimo della sua fidanzata ma non è certo per obbedire a lei che non vince. È solo per obbedire a [[Fausto Coppi|Coppi]] e restargli a fianco. *Gli assi possono permettersi di arrivare ultimi. E lo fanno senza risparmio. Possono permettersi di disprezzare i loro adoratori e lo fanno senza ritegno. L'adorazione rimane. *I corridori di bicicletta sono gente semplice, che non è mai stata in collegio. [...] Nessuno ha insegnato loro i dettami dello stile e della cavalleria. Li posseggono per natura. Difficilmente essi cercano di sminuire la vittoria dell'avversario e non gliene serbano rancore. Sono capaci di delicatezze che non credo esistano negli altri sport. *I corridori non si dovrebbero sposare; e, quando lo fanno, dovrebbero scegliere delle donne brutte. *È la specialità dei padri quella di sognare per i figli i trofei che loro non convengono, ed è la specialità dei figli quella di procurarsi trofei che ai loro padri non piacciono. ==''Le nuove Stanze''== *Ribadisco la mia avversione alla pena di morte. Ma non me la sento d'impartire lezioni a chi tuttora la pratica. Non mi pare che, con la Giustizia che ci troviamo in casa, noi italiani possiamo impartire lezioni agli altri. (p. 46) *Toglietevi la parrucca, cari storici italiani. E invece di continuare a parlarvi tra voi, parlate, andando incontro alle sue curiosità, alla gente comune, quella che ha più bisogno del vostro sapere, e che sa benissimo distinguere il volgare pettegolezzo dall'aneddoto illuminante, di cui gli storici stranieri, soprattutto inglesi, compreso [[Denis Mack Smith|Mack Smith]], sanno fare buono e largo uso. (p. 81) *Io non sono piemontese né savoiardo, e la tradizione della mia famiglia è, caso mai, repubblicana. Ma la verità sono abituato a rispettarla, e non ad accomodarmela secondo i miei gusti e pregiudizi. Nel '46 votai monarchico non perché ero amico di Umberto e di Maria José, che sarebbero stati un Re e una Regina esemplari. Ma perché capivo ch'essi rappresentavano l'unico filo che ci legava all'unica nostra tradizione nazionale: il Risorgimento. La rigiri come vuole [...] ma la verità è questa: che senza Risorgimento non esiste una Storia nazionale italiana, e senza i Savoia non esiste Risorgimento. Ecco perché io dico e ripeto che la Repubblica italiana può tenere i Savoia [...] fuori dal territorio italiano. Ma chi tenta di estrometterli dalla Storia d'Italia, se non è un analfabeta è certamente un falsario. (pp. 112-113) *{{NDR|[[Luigi Cadorna]]}} Fu un generale di grande e inflessibile carattere, ma non un grande stratega. La sua fu dal primo all'ultimo giorno una guerra «di posizione», e quindi di logoramento, muro contro muro. Una «manovra» non la tentò mai, anzi non la concepì nemmeno. Stava [...] al «Regolamento», secondo il quale «le battaglie si vincono sulle cime». Sicché quando arrivò un battaglione tedesco al comando di un giovane capitano di nome Rommel che [...] s'insinuò nottetempo nelle valli, tutto il nostro schieramento ne venne preso alle spalle, e si liquefece, consentendo a Rommel di arrivare fino al Piave, dove si fermò: non per la resistenza dei nostri [...] ma per la mancanza di rifornimenti e di munizioni, che non avevano fatto in tempo a seguirlo. (pp. 118-119). *Quanto alla somiglianza fra noi e gli spagnoli, sì, c'è. Io, in Spagna, mi sento come a casa mia. Una sola cosa ci trovo in più: una dimestichezza con la morte che dà ai valori della Vita (la Dignità, il Coraggio, l'Onore) un peso ben diverso da quello che hanno da noi. E glielo invidio tanto. (p. 157) *Quanto alla sua supposizione che, se non ci fossero stati i russi, gli Alleati non avrebbero potuto sbarcare in Normandia e salvare i loro regimi democratici, mi permetta di sorriderne. Hitler perse la [[Seconda guerra mondiale|guerra]] prima ancora di dichiararla, quando scatenò la persecuzione razziale, che mise il mondo di fronte alla pretesa della sua «razza eletta» al dominio del pianeta e costrinse alla fuga il fior fiore della Scienza ebraica, che diede all'America la bomba atomica, la quale avrebbe reso superfluo anche lo sbarco in Normandia. (pp. 177-178) *In [[Alessandro Pavolini|Pavolini]] [...] è riassunto il dramma di una generazione che nel fascismo era cresciuta [...] e si sentiva impegnata a crederci anche in quell'ultima disperata fase. In lui ritrovo un po' di quel [[Berto Ricci]] [...] che, partendo volontario per la Libia, mi disse: «Una volta, nella vita, ci si può convertire. Io già lo feci rinnegando, per il fascismo, il mio passato di anarchico. Ora col fascismo devo morire». E morì. (p. 192) *Come lei certamente sa, furono i russi a giungere per primi sul famoso bunker di Berlino, fra le cui macerie si diedero subito a cercare il cadavere del Fuhrer, e lo trovarono, ma quasi completamente carbonizzato (egli aveva lasciato ai suoi l'ordine di bruciarlo con una tanica di benzina). D'intatto era rimasto solo il teschio con la sua dentatura costellata di ponti e protesi. Immediatamente fu ricercato e trascinato sul posto l'odontoiatra che glieli aveva sistemati. Dapprima gli fu chiesto in cosa erano consistiti i suoi interventi. Poi vi fu messo davanti, e lui li riconobbe senza esitazioni. Quel giorno il poveretto non tornò a casa. Dopo alcuni anni si seppe che esercitava il suo mestiere in non so quale città di provincia russa, ma sotto stretto controllo della polizia. Dopo qualche altro anno poté tornare in Germania, ma in [[Repubblica Democratica Tedesca|quella comunista]], sotto il controllo di una polizia ancora più efficiente di quella sovietica, e lì morì, non so quando. Perché i sovietici vollero sempre mantenere quel segreto? Perché alla loro propaganda [...] faceva comodo accreditare la favola di un Hitler salvato dagli americani, che lo tenevano sotto naftalina in qualche loro dorato ripostiglio per poterlo un giorno utilizzare in una nuova guerra contro la Russia. (pp. 257-258) *Da anticomunista, oserei dire «storico» quale mi considero, io sono pieno di rispetto sia per i Nagy nostrani quali i D'Alema e i Veltroni, che per i Kádár, quali i Cossutta e i Diliberto. Non so se come classe dirigente siano il meglio. Ma come sincerità di conversione democratica, ci credo (come credo, intendiamoci, a quella di un Fini, anche se viene da un passato molto meno intenso, drammatico e dilacerante di quello comunista). (p. 306) *{{NDR|A [[Mario Tuti]]}} Ho ben presente [...] il suo nome e il suo volto, e le azioni terribili che lei ha compiuto. [...] Da come scrive [...], lei è in grado di capire [...] quello che dico. È vero che «sul nemico vinto non si infierisce»: ma il sangue non si cancella con la gomma delle parole. Solo le vittime possono concedere il perdono; e io non sono stato, fortunatamente, davanti al mirino della sua pistola. Solo la giustizia può concedere sconti: e io non sono un magistrato. Non ho invece difficoltà a condividere una sua osservazione: alcuni disgraziati [...] sono più disgraziati di altri. E [...] i disgraziati di destra se la passano peggio dei disgraziati di sinistra, che hanno di solito qualche amico di gioventù ben piazzato, in grado di dare una mano. Ma il perdonismo peloso di alcuni non può giustificare la distrazione di tutti. (p. 322) *[[Yasser Arafat|Arafat]] non ha mai avuto né uno Stato, né un esercito, né un titolo che lo qualificassero a parlare a nome del suo popolo. Erano il carisma, l'autorità, il prestigio suoi personali che gli permettevano di svolgere questo compito. Ma questo dipendeva dal fatto che il suo popolo glieli riconosce in quanto si sente da lui «rappresentato». [...] Io sono e mi sento profondamente filo-israeliano perché negli ebrei riconosco i miei fratelli e in molte cose anche i miei maestri (anche se non sempre facili). Ma appunto per questo apprezzo ed ammiro gli Hussein, i Sadat e gli Arafat. Ai quali si possono anche rimproverare degli errori nella conduzione della loro politica. Ma non certo le intenzioni e il coraggio. Arafat è brutto [...] e non so come facciano i suoi amici (e i suoi nemici) [...] a ricambiarne i baci. Ma di quelli suoi credo proprio che ci si possa fidare. Che Dio, anzi Allah, ce lo mantenga ancora per molti anni. (pp. 387-389) *Come veterano del ''Corriere'' e un po' depositario della tradizione di una certa civiltà nei rapporti fra i suoi uomini, io rimasi offeso non dal licenziamento di Spadolini [...] ma dall'insolito modo – che io definii appunto «guatemalteco» – in cui era stato trattato e da cui trapelava la mano di un [[Giulia Maria Crespi|editore]] che, anche se portava il nome di quello vecchio [...], intendeva introdurre nuove regole nella gestione del giornale, di cui era praticamente diventata [...] la titolare. E lo dissi, e lo scrissi, e lo ripetei in varie interviste. Forse tuttavia questo strappo si sarebbe potuto rammendare se il cambiamento del direttore non avesse comportato anche un cambiamento di linea politica che saltava agli occhi di chiunque non volesse tenerli chiusi. [...] Quando dal ''Giornale'' uscii per ragioni abbastanza analoghe a quelle che mi avevano spinto fuori da via Solferino, il primo a venirmi incontro fu il direttore del ''Corriere'', Paolo Mieli, che [...] mi offrì il suo posto: un gesto che non dimenticherò mai. Avrei potuto [...] accettarlo solo a titolo onorario. Ma non potevo abbandonare gli uomini che ancora una volta mi avevano seguito. Da quel momento però fu chiaro che il ''Corriere'' era ridiventato quello che noi, vent'anni prima, avremmo voluto che restasse. Ecco perché, al termine delle mie battaglie e delle mie sconfitte (che considero il mio blasone), sono tornato al ''Corriere''. (pp. 406-408) *I politici della Sinistra, compresi i componenti dell'attuale «squadra» governativa sono dieci, venti, cento volte meglio della loro ''intellighenzia''. Anche se dicono fregnacce, le dicono a bassa voce, senza salire in cattedra, di dove l'''intellighenzia'' invece non scende mai, nemmeno per andare in bagno. (pp. 477-478) *Spero che ora avrai capito cos'è la mia dichiarazione di voto: non un sì all'Ulivo, da cui spero poco, ma in compenso non temo niente; ma il no a un Polo che, se riportasse davvero la schiacciante vittoria che si aspetta il suo ''Caudillo'', potrebbe creare nel nostro Paese una situazione davvero inquietante. Un voto di difesa sarà dunque il mio, come lo è sempre stato da oltre cinquant'anni a questa parte. (p. 496) *Sappi soltanto che, passato per una ventina di anni – quelli del ''Giornale'' – per «fascista» e negli ultimi dieci per «comunista», me la rido di entrambe le etichette. (p. 536) ==''Le Stanze''== ===[[Incipit]]=== Di tutta la mia attività giornalistica [...] considero questi colloqui col lettore come l'impegno che mi è riuscito meglio, o meno peggio. Se qualcuno mi chiedesse: «Cosa vorresti che, dopo di te, di te rimanesse?», risponderei senza esitare: «Questi colloqui». Mi rendo conto che un'affermazione del genere può apparire demagogica: in fondo, perché dovrei preferire queste risposte quotidiane [...] alla ''Storia d'Italia'' o agli ''Incontri''? È presto detto: perché, grazie a lettere e risposte, ho potuto restare vicino ai miei lettori, che mi hanno ricordato – con più o meno garbo, ma sempre con affetto – quello che un giornalista non deve mai scordare: che i padroni sono loro. ===Citazioni=== *Io non ho mai conosciuto un conservatore inglese che abbia mosso a Churchill il rimprovero di essersi alleato con Stalin – altro che il naso dovette strizzarsi! – quando le armate di Hitler spazzavano tutta l'Europa. Ma trovo ancora degl'italiani [...] che danno la colpa a me dello stato di necessità in cui ci trovammo nel '48 e nel '76 e che rendeva obbligata la nostra scelta. Oggi che il muro di Berlino ci ha liberato dall'incubo del comunismo [...], è facile fare processi a chi non aveva in mano altra arma elettorale che il voto alla Dc. Ed una cosa mi chiedo: tutti questi intransigenti eroi dell'anticomunismo, che oggi mi scrivono lettere d'insulti accusandomi di averlo tradito, dov'erano al tempo del comunismo vero, quando io ero uno dei pochissimi a combatterlo di fronte [...], e loro, incontrandomi per strada, fingevano di non conoscermi? (p. 12) *Hiroshima, se fossi americano, non porrebbe [...] nessun caso di coscienza. L'arma atomica era in fase di studio e di preparazione sia in Germania che in America, e si poteva supporre che lo fosse anche in Russia e in Giappone. Avrebbe vinto la guerra e deciso le sorti del mondo chi ci fosse arrivato per primo. Hiroshima fece della popolazione civile, dicono, duecentocinquantamila vittime. Quante ne risparmiò inducendo alla resa i giapponesi che sembravano vicini all'olocausto? E quanto servì a smorzare la pretesa sovietica d'imporre il suo «diktat» a tutta l'Europa? [...] Essa a tal punto sorprese Stalin che dapprincipio non ci volle credere [...]. Nessuno può applaudire un massacro come quello di Hiroshima né andarne fiero. E posso capire come coloro che vi hanno partecipato dandone l'ordine o eseguendolo possano aver avuto dei problemi di coscienza. Ma gli aviatori inglesi che rasero al suolo l'inerme Dresda abitata solo da civili, facendo tra di loro pressappoco lo stesso numero di vittime che a Hiroshima, questi problemi, da quanto se ne sa, non li ebbero. Forse che la guerra all'atomo è più crudele di quella al fosforo? (p. 62) *De Gasperi non fu mai uomo di partito. E fu proprio per questo che riuscirono ad emarginarlo con tanta facilità, relegandolo in una Presidenza grondante omaggi ed ex voto, ma priva di qualunque potere reale. È vero che lui non lottò, anche perché era ormai a corto di fiato. Glielo toglieva non solo l'azotemia, ma anche il fallimento della Ced, la Comunità Europea di Difesa su cui De Gasperi fondava [...] i suoi sogni di salvezza e di grandezza europea, che i francesi di Mendès-France condannarono al naufragio. [...] De Gasperi era uomo di Stato, l'ultimo che l'Italia ha avuto dopo Giolitti. Ecco perché [...] non ha né può avere eredi. (p. 86) *{{NDR|[[Che Guevara]]}} Era uomo di Rivoluzione, che mai si sarebbe rassegnato ad una comoda esistenza di ben pasciuto gerarca. Doveva tornare alla Rivoluzione, pur consapevole della sua impossibilità in Paesi che lui ben conosceva, ma appunto proprio per questo: per cercare una morte coerente con la sua vita. [...] Avessi trenta o quarant'anni di meno, anch'io forse avrei nel mio modesto appartamento una stanza attrezzata a mausoleo del Che, e lo conserverei come souvenir di un Sogno sbagliato, ma pulito, e comunque pagato. È a coloro che non vogliono mai pagare nulla che va tutto il mio disprezzo. (p. 121) *Non mi stupirei [...] se il ragazzotto Clinton, nei suoi anni da governatore, avesse ingannato la noia dell'Arkansas inseguendo le minigonne di passaggio. [...] Il paragone con Berlusconi mi sembra un po' stiracchiato. Se Clinton venisse trovato colpevole, sapremmo che è un adultero (affari suoi); se Berlusconi venisse condannato, sapremmo che è un corruttore non occasionale (affari anche nostri, dal momento che s'atteggia a statista). (p. 154) *Mi permetto solo di aggiungervi qualcosa sull'imbecillità, l'ipocrisia e i vaniloqui delle nostre «anime belle» pronte a cadere in deliquio e a mobilitare le piazze per un O'Dell che, anche se qualche tenue dubbio sulla sua colpevolezza poteva sussistere, uno stinco di santo certamente non era, e per una Karla Tucker, rea confessa, anche se poi arcipentita e sinceramente convertita al credo della carità cristiana (e, sia chiaro, anch'io avrei per entrambi preferito la revoca della pena di morte); ma sono rimaste impassibili o quasi di fronte alla proposta condanna di lapidazione (di lapidazione!) di un cittadino tedesco e della sua compagna iraniana, rei di aver fatto l'amore (soltanto l'amore). Queste sono le nostre «anime belle» laiche ed ecclesiastiche, pronte a commuoversi e a sproloquiare contro la sedia elettrica americana [...], ma indifferenti alla lapidazione [...] per una «contaminazione» di lenzuola cristiane e musulmane. Io [...] queste anime belle – che oltre tutto hanno quasi sempre delle facce bruttissime e jettatorie – le odio di un odio viscerale. (p. 206) *Sul nemico vinto e che si riconosce vinto non s'infierisce. In fondo questi brigatisti hanno avuto, nella sconfitta, una loro dignità. Non sono dei «pentiti» al modo dei mafiosi e camorristi che si pentono per procurarsi dei vantaggi e denunziano i propri ex compari. Non sono dei delatori. Sono, a loro modo, dei prigionieri di guerra, di una guerra grazie a Dio finita con la nostra vittoria, e che quindi, sia pure con le debite precauzioni, possiamo rimandare a casa. Non è vero che non hanno pagato: me ne citi uno che non abbia scontato quindici o vent'anni di galera e che non ne abbia distrutta la vita. Qualche sconto possiamo farglielo: la generosità è segno di forza, non di debolezza. (pp. 283-284) *In una società «aperta» come la nostra, che rende impossibile qualsiasi controllo e in cui il sequestro è un'industria di antica tradizione che dispone di un personale altamente specializzato; e con una Giustizia che invece di affibbiare un ergastolo senza indulgenza ai colpevoli, si accontenta di infliggergli qualche anno alleviato dai permessi di libera uscita; cosa possono fare le forze dell'ordine? Starebbe a noi cittadini trovare quella di resistere al ricatto. Da noi italiani tenerelli non si può pretendere tanto? E sia. Ma allora abroghiamo la legge. Perché, come italiano, nulla mi ha mortificato di più che sentire [...] [[Giovanni Maria Flick|un ministro della Giustizia]] e alcuni dei più alti dignitari della toga proporne un'interpretazione che costituiva un chiaro invito a evaderla suggerendo il cavillo a cui ci si poteva aggrappare per legalizzare la contravvenzione. [...] No, a questo non ci sto. Cerchiamo almeno di avere il coraggio della nostra vigliaccheria riconoscendo che, dati i pericoli che possono comportare, i risoluti «No!» al sopruso non appartengono al nostro armamentario caratteriale, e aboliamo la legge. Ma non perché è sbagliata: in sé quella legge è sacrosanta. Ma perché noi cittadini non abbiamo la forza di adeguarcisi e coloro che dovrebbero imporcerne l'osservanza [...] ci suggeriscono il modo di evaderla. Questo è il cosiddetto «Paese reale». (p. 286) *Che un processo possa essere oggetto di revisione è, per il cittadino, una garanzia irrinunciabile, specie quando si tratta di processi indiziari, e quindi rimessi a valutazioni soggettive e pertanto sempre discutibili. Nessuno è infallibile, nemmeno i giudici, e quindi il diritto di appello è sacrosanto. Quello che sacrosanto non è, sono gl'interminabili tempi che questa operazione solitamente richiede, dovuti a due motivi chiaramente visibili: i grovigli procedurali in cui il processo è avvolto, delizia del genio cavillesco italiano, e l'inefficienza del personale che vi è addetto. (p. 327) *Che cosa io pensi dell'onorevole [[Cesare Previti|Previti]] mi pare di averlo detto in termini talmente espliciti da apparire – a più d'uno – brutali: un personaggio che solo a guardarlo in faccia verrebbe voglia di applicargli le manette ai polsi prima ancora di sapere chi è e cosa ha fatto. (p. 356) *Non credo che, all'apertura totale delle frontiere, avremo un Parma composto soltanto di irlandesi, o una Cremonese modello ellenico. Avremo invece un vero mercato, dove il costo e lo stipendio di un professionista verranno stabiliti in base alla domanda e all'offerta. È questo ridimensionamento, mi sa, che non piace ai calciatori nostrani. Non la «sottoutilizzazione delle risorse sportive nazionali e locali». Non penso che i nostri calciatori abbiano altri motivi di preoccuparsi. Perché mai dovrebbero venire accantonati? Sono tra i più bravi del mondo, e la bravura, per un professionista (che calci una palla o calchi una scena), è la garanzia migliore. (p. 379) *Le mie dimissioni da italiano sono soltanto quelle da una grande illusione: quella che l'Italia fosse una Patria da potere in qualche modo servire. Io, pur commettendo parecchi errori, ho cercato di farlo. Ma forse, di questi errori, il più grosso è stato quello di credere che fare si potesse. A consolarmene c'è una cosa sola: che questo errore lo hanno commesso tutti i migliori uomini che l'Italia ha avuto nel suo secolo e mezzo di vita unitaria. (pp. 410-411) ==''Pantheon minore''== ===[[Incipit]]=== '''Einaudi'''<br>Avendo saputo che sollecitavo l'onore e il piacere di incontrarlo, il Presidente, che non mi aveva mai visto, trovò del tutto naturale invitarmi a colazione. «Quando vuol venire?» mi fece chiedere, «giovedì mattina, per esempio?» Giovedì voglio stappare una nuova bottiglia del mio 'barolo' e ci sarà anche la signorina Barbara Ward dell{{'}}''Economist''. Vino piemontese, giornalismo ed economia politica, pensa: sarebbe difficile sorprendere [[Luigi Einaudi|Einaudi]] in una cornice più einaudiana di questa. ===Citazioni=== *{{NDR|Luigi Einaudi}} E in quei pochi minuti aveva ancora tante cose da dire a due giornalisti per ricordare loro, [[Alessandro Manzoni|manzonianamente]], che l'[[uomo]] è «buono», come dice [[Jean-Jacques Rousseau|Rousseau]], ma tale può diventare solo in grazia delle buone istituzioni (in ciò consiste la sua posizione conservatrice e cattolicamente pessimistica). *[[Ingrid Bergman]] è forse la sola persona al mondo che non consideri Ingrid Bergman un'attrice completamente riuscita e definitivamente arrivata. (p. 195) *Non ho mai visto in vita mia, nemmeno nei film di cui la Bergman è protagonista, una donna così trasparentemente pulita. (p. 195) *Ogni buon [[padre]] di [[famiglia]] deve, al principio della giornata, sapere quanto la famiglia ha in cassa e quanto può spendere.<br>Einaudi conosce a memoria le cifre dell'economia italiana, come i re che lo precedettero conoscevano a memoria i nomi e i motti dei reggimenti. *«''Venez, mademoiselle, venez''», disse [[Anatole France]] a [[Emma Gramatica]] che, poco più che ventenne, si trovò un giorno a viaggiare con lui in automobile a Palermo, e aveva paura di essere troppo ingombrante sul sedile. «''Vous êtes comme les anges, qui n'ont pas de derrière!''»<br>Qualcosa come mezzo secolo dev'esser trascorso da allora, ed Emma somiglia un po' meno a un angelo, ma grassa non la si può dire nemmeno adesso. La vita che mena, d'altronde, non lo consentirebbe di diventarlo. Alla sua età, ha girato per tre anni consecutivi, tutti i teatri dell'America del Sud, volando da Buenos Aires a Santiago, da Santiago a Lima, da Lima a Caracas, e recitando una sera in italiano e la sera dopo in spagnolo, lingua che, sino al momento di partire, ignorava totalmente. Ora è tornata per girare un film con [[Vittorio De Sica|De Sica]], e sono fatiche a cui molti giovani non resistono. *Il [[fascismo]] trovò, tra i suoi oppositori più accaniti, [[Mario Missiroli]], che si batté a duello con [[Benito Mussolini|Mussolini]]. Egli non credette alla [[forza]] e al successo delle «camicie nere» fino al [[giorno]] in cui, mentre cercava faticosamente di salire sul tram, uno squadrista che lo incalzava, dopo avergli inflitto una serie di spintoni, non gli ebbe affibbiato, in risposta alle sue proteste, due sonori schiaffi che gli fecero volar via gli occhiali cerchiati d'[[oro]]. Mario li raccolse con [[dignità]], vi fiatò sopra, li ripulì col fazzoletto e concluse in tono ammirativo: «Però!... Picchiano bene, veh!...» ==''Qui non riposano''== *{{NDR|Sulla [[guerra d'Etiopia]]}} Quella fu una guerra ideale, la guerra-tipo della borghesia italiana: con pochi morti e molte medaglie. Io presi a capirne la miseria solo all'ultimo capitolo: quando, per la marcia su Addis Abeba, cominciarono a piovere dall'Italia e da Asmara gerarchi e aspiranti gerarchi, smaniosi di gloria a buon mercato: e Badoglio dovette emanare un ordine per cui solo chi presentava "un biglietto di autorizzazione" poteva marciare sulla capitale nemica. Solo in tempo fascista si poteva escogitare un finale di guerra con un biglietto per la capitale nemica. (pp. 107-108) *Io non volevo far politica. Ha il diritto un uomo della strada di non far politica? Ha il diritto un uomo della strada a dire che il governo ha fatto bene a far questo e male a far quest'altro? Ha diritto un giornalista, che è un uomo della strada, il quale va a vedere e riferire le cose per conto degli altri uomini della strada, ha il diritto di riferire che i fatti si svolsero così e così, e che in essi c'era tanto il bello e tanto il brutto, tanto di giusto e tanto d'ingiusto? No, il [[fascismo]] disse che un uomo della strada non ha tutti questi diritti. Ecco perché diventai antifascista. Non perché al posto di [[Benito Mussolini|Mussolini]] ci volevo un altro, ma perché non ci volevo nessuno. Io volevo stare alla finestra, come stanno i giornalisti, mestiere di spettatore e non di attore.<ref>Citato in Paolo Granzotto, ''Indro Montanelli'', p. 92.</ref> (p. 189) *[...] volevo avere il diritto di non pensare alla [[politica]], di disinteressarmi della politica, perché la politica la gente dabbene non la fa. La gente dabbene lavora in ufficio, viaggia, commercia, produce, ama una donna che può anche essere sua moglie (come è il mio caso), ama i suoi figli, ama la sua casa, paga le tasse, e di politica ne parla un quarto d'ora al giorno. (p. 190) == ''Ricordi sott'odio'' == *''Non piangete | per | [[Cesare Zavattini]] | ha già pianto | lui per tutti noi.''<ref name=ricordi>Il libro raccoglie gli "epitaffi" scritti su personaggi al momento viventi (talvolta insieme a [[Leo Longanesi]]) e quasi tutti inediti.</ref> (p. IV dell'Introduzione di Marcello Staglieno) *''Qui | per la prima volta | [[Alida Valli]] | giace | sola''.<ref name=ricordi/> (p. 11) *''Qui | riposa | [[Amintore Fanfani]] | amico | dei nemici | nemico | degli amici | figlio | di [[Alcide De Gasperi|De Gasperi]] | padre | di nessuno.''<ref name=ricordi/> (p. 31) *''Qui | riposa | [[Mario Melloni]] | inquieto | transfugo | di sé stesso | momentaneamente | scomparso | a sinistra | in cerca | di una croce | su cui | inchiodarsi.''<ref name=ricordi/> (p. 65) *''Qui giace | Alba {{ndr|[[Alba de Céspedes]]}} | scrittrice scialba. | Divorò uomini e gloria | La Boria | la divorò''.<ref name=ricordi/> (p. 95) *''Qui | riposa | [[Mario Soldati]] | padre | figlio | autore | regista | interprete | di | Mario Soldati.''<ref name=ricordi/> (p. 123) *''Qui giace | [[Davide Lajolo]] | Segretario federale | Legionario di Spagna | Repubblichino di Salò | chiese | di passare all'anilina | la sua camicia nera. | E com'era | Rimase.''<ref name=ricordi/> (p. 179) *''In pace | qui giace | orbato | d'orbace | [[Achille Starace]].''<ref name=ricordi/> (p. 181) ==''Soltanto un giornalista''== *Da quando ho cominciato a pensare, ho pensato che sarei stato un giornalista. Non è stata una scelta. Non ho deciso nulla. Il giornalismo ha deciso per me. E questa è stata una delle mie tante fortune, posto che tutto quel che ho fatto lo debbo soprattutto a un alleato ch'è sempre rimasto al mio fianco: il caso. (p. 5) *Per sua disgrazia, [[Massimo Bontempelli|Bontempelli]] fu nominato accademico d'Italia da un fascismo che puzzava già di morto. Eletto senatore nelle liste del Fronte popolare dopo la guerra, non esitò a pronunziare giudizi brucianti su chi aveva collaborato col regime. Quel voltafaccia gli costò caro, perché a un certo punto saltarono fuori le lettere che aveva scritto a Mussolini per impetrare la sua nomina: i comunisti lo scaricarono e lui cadde in un tale stato di prostrazione da morirne. (p. 26) *A Salò ci fu di tutto. Ci furono le squadracce assetate di vendetta e di saccheggio che provocarono il disgusto agli stessi tedeschi. Ma anche uomini per i quali quello fu il banco di prova d'una coerenza e d'una lealtà che non possono non incuter rispetto. E l'unica ragione per la quale benedico le mie cosiddette benemerenze antifasciste è che mi han dato il diritto di difenderle. (p. 119) *Il 2 giugno del '46, giorno del referendum istituzionale, votai per la monarchia. Lo feci perché ritenevo fosse pericoloso recidere il tenue filo che legava l'Italia all'unica sua tradizione nazionale: quella monarchica, appunto. L'Italia non s'era "fatta da sé", come pretendeva la nostra storiografia ufficiale. Era stata fatta dalla monarchia sabauda guidata dal genio diplomatico d'un suo diplomatico, Cavour, che voleva estendere il Regno di Sardegna al Lombardo-Veneto. Se poi ci scappò fuori l'Italia, non fu grazie al contributo degl'italiani, che non ne diedero punto. Fu perché la storia dell'Europa andava verso la costituzione degli Stati nazionali, e condannava a morte quelli plurinazionali come l'Impero austriaco. [...] Al posto di quel patrimonio, sia pure modesto, cosa prometteva la Repubblica? Si presentava come depositaria dei valori della Resistenza, un mito ancora più falso di quello del Risorgimento. Che non era stata affatto, come pretendeva d'essere, la lotta d'un popolo in armi contro l'invasore, bensì una lotta fratricida tra i residuati fascisti della Repubblica di Salò e le forze partigiane, di cui l'80 per cento si batteva (quasi mai contro i tedeschi) sotto le bandiere d'un partito a sua volta al servizio d'una potenza straniera. (pp. 125-126) *Un'altra scelta s'era imposta, quella delle elezioni del '48. Per l'Italia era una scelta vitale: o con l'Est o con l'Ovest, ossia con i totalitarismi rossi oppure con le democrazie occidentali. Ergo, o con il Fronte popolare oppure con la Dc. E lì ebbe inizio il mio dramma, ch'è poi quello eterno del laico italiano: il quale, messo davanti al boia, vede comparire al suo fianco il prete che solo può salvarlo. (pp. 135-136) *Mi proposi due obiettivi, entrambi falliti: il primo era farmi intentare un processo dagli amministratori della città che attirasse l'attenzione sui pericoli che [[Venezia]] stava correndo. Il secondo era rendere pubblica la convinzione che m'ero formato: che per salvare Venezia la prima cosa da fare era sottrarla allo Stato italiano e affidarlo a un organismo internazionale come l'Onu, con le sue cospicue possibilità finanziarie e i suoi agguerriti uffici tecnici. [...] Il Comune di Venezia non aveva più nulla di veneziano, salvo la sede. A dominarlo erano gli elettori di Mestre e Marghera, che con quelli di Venezia si trovavano nella proporzione di tre a uno, e dalla loro avevano tutto: i soldi delle industrie, i sindacati e quindi anche i partiti. Decidendo di restare amministrativamente unita, Venezia ha preferito mettersi al rimorchio delle ciminiere e petroliere di Marghera, alle quali ha sacrificato il suo delicatissimo sistema idraulico. Fu allora che, con grande amarezza, feci atto di rinunzia a Venezia, convinto come ero, e come son rimasto, che una città si può salvare solo se sono i suoi abitanti a volerlo. (pp. 216-217) *Una sera, uscendo solo soletto dal «Giornale», mi trovai davanti il solito muro di folla tumultuante con le bandiere rosse spiegate. Dalla piazza si levò un urlo: «Tel chi el Muntanel!». In un attimo cinquanta scalmanati mi s'avventarono contro. Temendo il linciaggio, arretrai fino a trovarmi con le spalle al muro. Ma non feci in tempo a dire be' che mi ritrovai issato in spalla a una mezza dozzina d'energumeni, fra salve d'evviva. Erano i tifosi del [[Torino Football Club|Torino]] che quel giorno {{NDR|16 maggio 1976}} aveva vinto lo scudetto, e le bandiere non eran rosse, ma granata. E siccome i cronisti sportivi del «Giornale» erano sempre stati favorevoli al Torino, m'acclamavano come un loro idolo. (p. 241) *La Dc era il partito dei maneggi e dell'inefficienze. Ma se avesse perso il 4 o il 5 per cento dei suoi voti, il partito di maggioranza relativa destinato a formare il nuovo governo sarebbe diventato quello comunista. Ch'era ancora molto pericoloso. Perché è vero che in Italia c'era Berlinguer, ma io sapevo bene che col comunismo d'allora poteva ancora succedere di tutto: bastava un cambiamento al vertice e un Berlinguer poteva diventare un [[Alexander Dubček|Dubček]] come un [[Walter Ulbricht|Ulbricht]]. Il «Giornale» era certamente laico, ma prima di essere laico era italiano, e cercava d'operare con qualche senso di responsabilità. E negli anni Settanta solo gl'irresponsabili potevano augurarsi il crollo della Dc, cui eravamo condannati anche perché la cosiddetta Alleanza laica, l'accordo fra Pli, Pri e Psdi, non sortì mai i numeri per sostituirvisi. (pp. 243-244) *Ci fu un'unica battaglia sulla quale il «Giornale» si trovò allineato con Craxi e il nostro editore: quello per la libertà d'antenna. Battaglia sacrosanta. Berlusconi è tutt'altro che un idealista disinteressato e nessuno sa agire come lui aggirando, quando non calpestando, le regole. Ma i panni nobili coi quali i difensori della Rai rivestivano la loro offensiva politico-giudiziaria erano grotteschi. Se il peccato di Berlusconi stava nell'essere troppo amico del Psi, quello della Rai era d'essere troppo amica di tutti i partiti. A fornirci il destro furono poi i pretori coi loro interventi oscurantisti, peraltro prontamente sventati dai decreti di Craxi. E quindi la crociata dell'etere libero, che rientrava fra l'altro nella nostra tradizione antistatalista, divenne una campagna contro il "pretore selvaggio", che con i suoi abusi toglieva ogni certezza del diritto al cittadino. (pp. 275-276) *Le vere novità erano nate fuori dal Palazzo: come la Lega di [[Umberto Bossi]]. Che all'inizio anche il «Giornale», come molti altri, sottovalutò. Come si faceva a prender sul serio un invasato che nutriva le sue invettive di sfondoni storici e grammaticali da far accapponare la pelle? [...] Che Roma fosse ladrona, era indubitabile. E l'avversione per la burocrazia parassitaria e per il meridionalismo piagnone e sprecone andava a nozze con le tradizioni del «Giornale». Bossi quindi incarnava un sentimento molto diffuso anche fra i nostri lettori, una protesta genuinamente qualunquista che, per certi versi, all'inizio anche noi appoggiammo. Ma dovemmo prenderne le distanze quando Bossi cominciò a condire le sue contumelie contro il Palazzo con propositi secessionisti. (pp. 279-280) *Con Berlusconi, tuttavia, poi feci pace. Fu lui a telefonarmi: forse, aveva captato in qualche mio articolo un'ombra di rimpianto per il vecchio amico. Era il '96 e dopo il ribaltone le cose per lui si mettevano di male in peggio. [...] Così, una sera mi ritrovai di nuovo seduto alla sua mensa ad Arcore. [...] Riparlammo senza rancore dei nostri trascorsi. Gli domandai quale garanzia avesse ricevuto da [[Massimo D'Alema|D'Alema]] sulle sue aziende in cambio dell'opposizione inesistente che gli assicurava. Rise. «Ma perché, ora che hai sistemato i tuoi affari, non ti chiami fuori dalla politica?» gli chiesi. «È una parola» mi rispose rabbuiandosi. «I giudici non obbediscono neppure a D'Alema». E lì capii quale era, ormai, la vera sostanza del suo dramma. (p. 312) *Se anch'io sono diventato europeista, è per disperazione: l'Europa è forse l'unica possibilità di sopravvivere per noi italiani, che come italiani non siamo riusciti a vivere. Questo è sempre stato l'europeismo degl'italiani di più alta coscienza, a partire da [[Alcide De Gasperi|De Gasperi]], che fu il primo a capire i rischi d'un Italia lasciata in balìa degl'italiani. (p. 315) *Pur fra tante fortune, purtroppo a me la sorte ha riservato di portarmi nella tomba le due cose che ho più amato: il mio mestiere e il mio Paese. Che cosa sia diventato il primo, annientato da computer e televisione, è sotto gli occhi di tutti. Quanto al secondo, la cancrena è ormai inarrestabile e la decomposizione sta avvenendo per dissoluzione di quel poco che resta dello Stato. E dico decomposizione, non secessione. La secessione si fa anche con la violenza, e dove lo troviamo oggi un solo plotone di soldati disposto a imbracciare le armi pro o contro l'Unità dello Stato? Che, se resta ancora in piedi, è solo perché non ha neppure la forza di cadere. Quello di rinunziare alla nazione poi, è un sacrificio che non saprei compiere, anche se razionalmente mi rendessi conto ch'è necessario, oppure inevitabile. E ringrazio l'anagrafe che mi esclude dal problema. (p. 316) ==''Storia d'Italia''== {{vedi anche|Indro Montanelli e Roberto Gervaso|Indro Montanelli e Mario Cervi}} ===''L'Italia giacobina e carbonara''=== *I [[cinismo|cinici]] sono tutti moralisti, e spietati per giunta. (cap. 10, p. 144) *[[Francesco Melzi d'Eril|Melzi]] apparteneva a una delle più grandi famiglie dell'aristocrazia lombarda, e ne portava nel sangue le doti migliori: la rettitudine, la cultura, la cortesia, ma anche una certa alterigia, che probabilmente gli veniva dalla madre spagnola. (cap. 11, p. 152) *{{NDR|Francesco Melzi d'Eril}} Aveva fatto parte dei circoli illuministici dei Serbelloni, dei Beccaria e di Pietro Verri, di cui era anche cognato. [[Napoleone Bonaparte|Napoleone]] lo aveva conosciuto al tempo della sua prima campagna d'Italia, dopo la battaglia di Lodi lo aveva invitato a Mombello, e ne aveva fatto il proprio consigliere. Quel signore che portava ancora il costume settecentesco, le calze bianche e la parrucca incipriata, gli piaceva. Gli piaceva perché non era servile, perché non era venale, perché non era nemmeno ambizioso. Una leggera sordità e una salute piuttosto precaria, insidiata da un forte artritismo, l'obbligavano a riguardi incompatibili con l'esercizio del potere. Più che il protagonista, preferiva fare il suggeritore. (cap. 11, p. 152) *L'unico che avesse qualità di uomo di Stato era il ministro delle finanze, [[Giuseppe Prina|Prina]], anche perché era piemontese, cioè veniva da un paese che uno Stato lo era da secoli. Ex procuratore generale della Corte dei Conti di Torino e membro del governo provvisorio del '99<ref>1799.</ref>, si era poi trasferito nella [[Repubblica Cisalpina|Cisalpina]] e ne aveva preso la cittadinanza. Non aveva un carattere che attirasse simpatie. Anzi, chiuso e freddo com'era, le respingeva. Ma era un lavoratore instancabile e scrupoloso, dotato di un acuto senso politico e – diceva [[Stendhal]] – "ha del grande in testa". (cap. 12, p. 164) *Perché non andassero perse neanche le briciole {{NDR|delle entrate della Repubblica Cisalpina}}, Prina riformò tutto il sistema fiscale riducendone il personale e facendone una macchina di straordinaria efficienza. Fu lui a inventare la "tassa di famiglia", o meglio a ripristinarla, perché la sua vera iniziatrice era stata [[Maria Teresa d'Austria|Maria Teresa]]. Ma la maggior pressione la esercitò nel campo delle imposte indirette che colpivano tutti i consumi senza distinguere fra quelli di lusso e quelli di prima necessità. Naturalmente a farne le spese furono soprattutto le classi popolari, che di lì a pochi anni gliel'avrebbero fatta pagare<ref>Prina, dopo l'abdicazione di Napoleone, fu linciato dalla folla a Milano il 20 aprile 1814.</ref>. Ma con questi sistemi riuscì a portare le entrate da settanta a oltre cento milioni e a pareggiare il bilancio. (cap. 12, p. 165) *[[Carlo II di Parma|Carlo Ludovico]] era stato talmente oppresso dalla madre<ref>Maria Luisa di Borbone-Spagna (1782–1824).</ref> che sognava di disfare tutto ciò ch'essa aveva fatto, compreso il proprio matrimonio; e quando le successe nel '24<ref>Come duca di Lucca nel 1824.</ref>, introdusse anche per buona fortuna dei lucchesi, metodi di governo diametralmente opposti a quelli di lei. Ridusse l'appannaggio che Maria Luisa esigeva per alimentare i suoi fasti spagnoli, liberalizzò i commerci, e alla fine si convertì addirittura al luteranesimo, mentre sua moglie diventava Terziaria domenicana. Fu un cattivo marito, ma non un cattivo sovrano. E Lucca, sotto di lui, respirò. (cap. 25, p. 375) *[...], {{NDR|la [[Carboneria]]}} non fu certo una scuola di educazione politica, e probabilmente è anche al suo esempio e modello che sono dovute le malformazioni della nostra democrazia e la sua intrinseca debolezza. Figli e nipoti dei Carbonari furono quei "notabili" che governarono l'Italia fino alla prima guerra mondiale e che, insieme a innegabili virtù, ebbero anche il vizio di considerare il Paese una "clientela" di Apprendisti esclusi dai "sacri travagli". (cap. 26, p. 395) *Fu qui {{NDR|al Teatro alla Scala}} che {{NDR|[[Ugo Foscolo]]}} vide [[Antonietta Fagnani Arese]], già famosa a ventitré anni non soltanto per la sua bellezza, ma anche per lo sfruttamento intensivo che ne aveva fatto. Probabilmente era una frigida, ma che sapeva recitare la sua parte: tutti i giovani più in vista di Milano cadevano nelle reti di questa Circe, e forse fu anche questo a stimolarlo. (cap. 35, p. 510) *Misto di genio e di ciarlatano, [[Domenico Barbaja|Barbaja]] aveva debuttato come sguattero, aveva fatti primi soldi inventando un dolce di panna e cioccolato, la "barbajada", li aveva moltiplicati con la gestione del Ridotto da giuoco della Scala, e ormai tanti ne aveva che quando il San Carlo andò distrutto da un incendio, lo ricostruì a proprie spese. (cap. 39, pp. 608-609) *{{NDR|Domenico Barbaja}} Era semianalfabeta, e di musica non conosceva una nota, ma conosceva il pubblico, era un infallibile scopritore di talenti, e nel 1815 si assicurò quello di un compositore ventitreenne, in cui già aveva identificato la figura più rappresentativa della lirica contemporanea: [[Gioacchino Rossini]]. (cap. 39, p. 609) *{{NDR|[[Ciro Menotti]]}} Uomo onesto, ma di un candore che sconfinava nella sprovvedutezza, [...]. (cap. 40, p. 635) ===''L'Italia del Risorgimento''=== *{{NDR|[[Giuseppe Mazzini]]}} Due mesi d'intenso lavoro gli bastarono a maturare il piano. Più che una setta, la sua organizzazione sarebbe stata un vero e proprio partito, anche se clandestino, senza l'oscura simbologia e i complicati rituali carbonari. Si sarebbe chiamata ''[[Giovine Italia]]'' e lo sarebbe stata anche di fatto perché, salvo casi eccezionali, era preclusa a chi avesse superato i quarant'anni di età. (cap. 4, pp. 54-55) *D'irresolutezza, [[Carlo Alberto di Savoia|Carlo Alberto]] aveva dato prova anche prima di salire sul trono, e lo aveva dimostrato anche il suo contraddittorio atteggiamento nel '21<ref>Nei moti piemontesi del 1821, Carlo Alberto aveva prima dato e poi ritirato il suo appoggio ai congiurati.</ref>. Il coraggio e la volontà non gli mancavano; ma gli mancava il carattere. Nella guerra di Spagna era stato un valoroso combattente<ref>Nel 1823, Carlo Alberto aveva partecipato alla campagna militare per ristabilire l'assolutismo regio in Spagna.</ref>, e la disciplina a cui si sottoponeva era spartana. Ma le responsabilità morali lo sgomentavano. (cap. 9, pp. 135-136) *{{NDR|Carlo Alberto}} Non era né intelligente né colto. Ma certi movimenti di opinione pubblica e orientamenti di pensiero li coglieva e ne restava influenzato. Nel '38 aveva mandato in galera e poi in esilio [[Vincenzo Gioberti|Gioberti]], ma nel '43 ne leggeva con interesse il ''Primato''. Se [[Massimo d'Azeglio|D'Azeglio]] avesse scritto il suo libro<ref>''Degli ultimi casi di Romagna'' (1846).</ref> due anni prima, avrebbe mandato in esilio anche lui. Ora in pratica ne aveva fatto una specie di agente segreto. I tempi insomma li sentiva e con essi andava. (cap. 9, p. 136) *Questo grande soldato {{NDR|[[Josef Radetzky]]}} non aveva mai conosciuto sconfitte, e a ottant'anni suonati conservava intatte prestanza fisica ed energia morale. Come tutti i militari, credeva soltanto nella spada e nella disciplina. Ma non somigliava affatto all'immagine che di lui ci ha tramandato la storiografia risorgimentale: quella del crudele "impiccatore", del caporalaccio ottuso, grossolano e brutale. Era al contrario un grande signore, di tratto ruvido ma generoso, perpetuamente alle prese con problemi di bilancio perché aveva le mani bucate. (cap. 13, p. 194) *{{NDR|Radetzky}} Aveva sposato una Contessa austriaca che viveva a Vienna e gli aveva dato otto figli da cui non gli venivano che dispiaceri. Uno militava ai suoi ordini lì a Milano, ma era un così cattivo arnese che un prete un giorno lo schiaffeggio per strada. Radetzky mandò a chiamare il prete, gli strinse la mano e gli disse: "''{{sic|Crazzie}}''". Per amante si era presa una brava stiratrice lombarda che sapeva cucinare bene gli gnocchi, di cui era ghiottissimo, e dalla quale ebbe altri quattro figli. Non era affatto un odiatore degl'italiani: tant'è vero che, quando andò in pensione, rimase a Milano, e lì morì nel '58. Era soltanto un fedele servitore del suo Paese, di cui non discuteva la causa. E soprattutto era un vecchio lupo di guerra coraggioso, astuto e risoluto. (cap. 13, p. 195) *La notizia si diffuse prima ancora che lo [[Statuto Albertino|Statuto]] fosse firmato, e in un battibaleno le piazze di Torino, eppoi di tutto il Piemonte, eppoi di tutto il Reame, si riempirono di folla esultante. Essa non conosceva il contenuto del documento che introduceva, sì, un regime rappresentativo, ma circondandolo delle maggiori cautele [...]. Più che del suo contenuto, la pubblica opinione era innamorata della parola ''Costituzione'', che aveva finito, per assumere ai suoi occhi magici significati, e la salutava con luminarie, canti e bandiere. (cap. 14, p. 218) *[...] [[Francesco Anzani|Anzani]], il più serio e autorevole degli esuli italiani, che aveva combattuto per la libertà in Grecia e in Spagna. Le sue parole avevano gran peso anche perché fra tutti quei chiacchieroni, ne pronunziava poche. (cap. 18, p. 281) *[...] [[Giuseppe Montanelli|Montanelli]] era così infatuato {{NDR|del progetto di Costituente italiana}} e tanto ne parlava nei suoi discorsi che il popolino – dicono – finì per credere che la Costituente fosse il nome di sua moglie. (cap. 19, p. 298) *[[Pellegrino Rossi|Rossi]] era un toscano della Lunigiana, ma solo all'anagrafe. Come formazione e mentalità, apparteneva ancora a quel tipo di {{sic|apòlidi}} che l'Italia del Settecento sfornava doviziosamente e che, non trovando in patria un terreno per i loro talenti, andavano da mercenari a investirli all'estero. Professore d'Università a poco più di vent'anni, poi commissario di [[Gioacchino Murat|Murat]] al tempo del suo infelice tentativo di unificare l'Italia sotto il suo scettro, era l'unico cattolico cui l'Accademia calvinista di Ginevra avesse mai affidato una cattedra. (cap. 19, p. 301) *{{NDR|Pellegrino Rossi}} Fu sin dal principio un fautore di [[Papa Pio IX|Pio IX]] fino a partecipare di persona alle manifestazioni popolari in suo favore, ma vide subito la pochezza e ambiguità dell'uomo e ne denunziò i pericoli. (cap. 19, pp. 302-303) *Sebbene gli avessero affidato pieni poteri, [[Daniele Manin|Manin]] era un uomo discusso. Molti lo consideravano un malaccorto maneggione, un improvvisatore digiuno di problemi economici e militari, bravo soltanto ad attribuirsi i meriti degli altri. Secondo [[Niccolò Tommaseo|Tommaseo]], ch'era fra i suoi più insidiosi diffamatori, il potere gli aveva dato "una scossa da intorbidargli la mente e far più grave e manifesta la sua inesperienza". (cap. 23, p. 354) *{{NDR|Daniele Manin}} Intellettualmente, non era al livello di un [[Giuseppe Mazzini|Mazzini]] o di un [[Carlo Cattaneo|Cattaneo]]. Ma era, come loro, inattaccabile sul piano morale. E, in mancanza di un vero e proprio potere carismatico, esercitava sulle folle un notevole fascino per la sua gioviale e arguta "venezianità". Parlava sempre in dialetto con battute raccattate sulla bocca dei gondolieri, e anche nel dramma portava un pizzico di [[Carlo Goldoni|Goldoni]]. I suoi limiti li conosceva, e non è vero che l'autorità gli avesse dato alla testa, come diceva Tommaseo che diceva male di tutti. Anzi la esercitava bonariamente e cercava di circondarsi di uomini validi che sopperissero alla sua incompetenza. (cap. 23, pp. 354-355) *Eran trascorsi pochi mesi {{NDR|dal suo matrimonio con Vittorio Emanuele}}, che [[Maria Adelaide d'Asburgo-Lorena|Maria Adelaide]] lo sorprendeva nel giardino di Moncalieri con una diva del teatro, Laura Bon, ma si guardò dal farne un dramma. Perfettamente educata al mestiere di Regina, essa sapeva che la rassegnazione alle infedeltà ne è parte imprescindibile, e le sopportò sempre con garbo e dignità. (cap. 25, p. 390) *Sfruttando la devozione di Carlo Alberto, [[Clemente Solaro della Margarita|Solaro della Margarita]] aveva regolato i rapporti con la Chiesa in modo tale da fare del clero piemontese il più potente d'Italia dopo quello dello [[Stato Pontificio|Stato pontificio]]. Esso aveva ancora i suoi tribunali in concorrenza con quelli dello Stato e poteva concedere il diritto d'asilo ai delinquenti. (cap. 26, p. 410) *[...] {{NDR|Giuseppe}} Montanelli, gran galantuomo e ricco d'ingegno, non lo era altrettanto di carattere. Idee ne aveva, anzi ne aveva troppe; ma, facilmente suggestionabile, finiva sempre per adottare quelle dell'ambiente in cui viveva. (cap. 29, pp. 464-465) *Il primo a trarne le conclusioni {{NDR|dalle tesi favorevoli alla monarchia piemontese esposte nel libro di [[Vincenzo Gioberti|Gioberti]] ''Del rinnovamento civile d'Italia''}} fu [[Giorgio Pallavicino Trivulzio|Pallavicino]], l'ex prigioniero dello Spielberg, da un pezzo rifugiato a Torino. Di scarso cervello politico, impetuoso fino alla leggerezza, teatrale e un po' troppo portato a ostentare i suoi titoli di "martire", aveva fino allora militato sotto bandiera rivoluzionaria. (cap. 32, p. 514) *{{NDR|Tra i Mille di Garibaldi}} C'era il malinconico ex prete [[Giuseppe Sirtori|Sirtori]], che della guerra aveva fatto una mistica e sul campo sembrava che officiasse. (cap. 40, p. 635) ===''L'Italia dei notabili''=== *La [[Convenzione di settembre|Convenzione]], che fu detta "di Settembre" dal mese in cui venne concordata, si componeva di cinque articoli e stabiliva: che l'Italia rinunziava ad ogni atto di ostilità contro il territorio pontificio; che la Francia ne avrebbe ritirato le sue truppe via via che il governo del Papa le avesse rimpiazzate con volontari indigeni e stranieri, e comunque entro due anni; e che questo doppio impegno sarebbe entrato in vigore dal momento in cui il governo italiano avesse decretato il trasferimento della capitale da operarsi nello spazio di sei mesi. (Capitolo quinto, Firenze capitale, p. 76) *Gli sventramenti che furono operati {{NDR|a Firenze, nuova capitale del Regno d'Italia}} per alloggiare i Ministeri e i nuovi quartieri che sorsero alla periferia per ospitare i venticinque o trentamila impiegati che calarono da Torino, lasciarono la città orrendamente sfregiata e carica di debiti. (Capitolo quinto, Firenze capitale, p. 78) *{{NDR|[[Carmine Crocco]]}} [...] condannato per diserzione a vent'anni di carcere, ne era evaso, si era dato alla macchia, e in poco tempo era diventato il più temuto e rispettato capobanda della [[Basilicata|Lucania]] non soltanto per il suo coraggio, ma anche per la sua intelligenza di guerrigliero.</br>[...] Crocco venne riconosciuto Generalissimo non solo per l'autorità che gli conferivano le sue gesta, ma anche, perché, sebbene mezzo analfabeta, possedeva un'oratoria immaginosa e apocalittica. (Capitolo sesto, I briganti, pp. 85-89) *{{NDR|[[Giustino Fortunato]]}} [...] il più grande e illuminato studioso del Meridione. (Capitolo sesto, I briganti, p. 86) *Figlio di un fabbro e medico di professione, [[Giovanni Lanza|Lanza]] incarnava, nella Destra piemontese tradizionalmente formata da nobili, militari e grandi borghesi, un tipo umano del tutto insolito: il nuovo piccolo ceto medio, spartano e puritano, formatosi nelle scuole serali e nell'Università popolare. (Capitolo nono, Gli anni della lesina, p. 133) *L'esercito papalino era un'accozzaglia di mercenari delle più svariate nazionalità (c'erano perfino dei turchi). [...] circa 15.000 uomini, al comando del generale [[Hermann Kanzler|Kanzler]]. Compito gentiluomo, ligio al Regolamento come lo era al Catechismo, questi aveva tuttavia un concetto tedesco dell'onore militare e avrebbe preferito una sconfitta a una resa. Ma {{NDR|Il segretario di Stato}} Antonelli non era di questa opinione. Gli ordinò di ritirare le truppe {{NDR|pontificie}} dentro le mura e di limitarsi a un simulacro di resistenza. (Capitolo decimo, Porta Pia, pp. 141-142) *{{NDR|La duchessa [[Eugenia Attendolo Bolognini Litta|Eugenia Litta]]}} Durante la campagna del '59<ref>Seconda guerra d'indipendenza italiana.</ref> era stata il riposo del guerriero più famoso e importante: [[Napoleone III di Francia|Napoleone III]]. E secondo le malelingue era passata subito dopo in eredità a [[Vittorio Emanuele II di Savoia|Vittorio Emanuele]], che però era il meno adatto ad apprezzare la sua vita di vespa, le sue carni pallide e i suoi raffinatissimi gusti. [[Honoré de Balzac|Balzac]] le aveva reso omaggio. [[Arrigo Boito|Boito]] seguitava a rendergliene. [[Gabriele D'Annunzio|D'Annunzio]] dirà ch'essa "aveva rubato il segreto a Ninon de Lenclos<ref>Scrittrice, cortigiana ed epistolografa francese (1620–1705).</ref>". Insomma come iniziatrice all'amore, il giovane principe {{NDR|il futuro [[Umberto I di Savoia|Umberto I]]}} non poteva desiderarne una più fascinosa ed esperta. Lo fu al punto che, nonostante la differenza d'età, egli le rimase devoto – anche se non fedele – fino alla fine dei suoi giorni. (Capitolo quattordicesimo, Il marito di Margherita, p. 196) *{{NDR|[[Margherita di Savoia]]}} [...] era una vera e seria professionista del trono, e gl'italiani lo sentirono. Essi compresero che, anche se non avessero avuto un gran Re, avrebbero avuto una grande Regina. (Capitolo quattordicesimo, Il marito di Margherita, p. 197) *Il trattato {{NDR|della [[Triplice alleanza (1882)|Triplice alleanza]]}} fu firmato a Vienna nel maggio dell'82<ref>20 maggio 1882.</ref>. Esso impegnava le tre Potenze al reciproco aiuto nel caso in cui una fosse aggredita e alla benevola neutralità nel caso che aggredisse. Inoltre Austria e Germania dichiaravano di disinteressarsi del problema del Papa, considerandolo un affare interno italiano.<br>Quest'ultima clausola fu, insieme alla fine dell'isolamento, il grande vantaggio che l'Italia trasse dal patto, ma nient'altro. Essa non vi era entrata su un piede di parità con le consocie. Aveva semplicemente acceduto all'alleanza che già legava le altre due, le quali restavano per così dire le padrone di casa, e Bismarck non perse occasione di farcelo sentire. (Capitolo diciannovesimo, La Triplice, pp. 276-277) *L'unico Stato che ruppe le relazioni con quello italiano in seguito a [[Presa di Roma|Porta Pia]] fu l'Ecuador. Mai la Chiesa si era trovata in condizioni di più completo isolamento. (Capitolo ventitreesimo, I cattolici, p. 334) *Sindaco di Palermo a ventisette anni, {{NDR|[[Antonio Starabba, marchese di Rudinì|il marchese di Rudinì]]}} aveva affrontato con molto coraggio la rivolta che vi era scoppiata nel '66, e questo lo aveva accreditato come il fanciullo-prodigio del moderatismo, destinato a gloriose imprese. Ma, diceva De Sanctis, col passare del tempo, il prodigio dileguò e rimase solo il fanciullo. Ministro degl'Interni a trent'anni in uno dei governi Menabrea, la sua carriera si era fermata lì. Pure, la fama di "uomo forte" gli era rimasta addosso, suffragata anche dalla sua alta statura, dai lampeggiamenti del monocolo, dalla fluente barba, dalla nobilesca alterigia. Idee, non ne aveva. Ma aveva delle impennate che facevano credere alla sua risolutezza. E questo, in una Destra impoverita di personalità di rilevo, gli era bastato per guadagnarsi i galloni di capo. (Capitolo ventiquattresimo, Giolitti, pp. 348-349) *In realtà, del soldato, [[Oreste Baratieri|Baratieri]] non aveva neanche il fisico. Grasso e sgraziato, con gli occhiali a ''pince-nez'', sembrava molto più vecchio dei suoi cinquant'anni e costruito più per la cattedra che per l'elmo. (Capitolo ventisettesimo, Adua, p. 391) *{{NDR|Dopo le dimissioni del generale [[Luigi Pelloux|Pelloux]]}} A succedergli il Re chiamò il Presidente del Senato [[Giuseppe Saracco|Saracco]], un galantuomo ch'era riuscito a conservare intatta la sua reputazione di democratico pur essendo stato due volte Ministro nei governi di Crispi. Aveva quasi ottant'anni, ma conservava una notevole lucidità di cervello, e ne dette prova formando un governo di coalizione che includeva un po' tutte le forze, meno l'Estrema cui diede tuttavia soddisfazione chiamando parecchi suoi uomini nella commissione incaricata di studiare un nuovo regolamento parlamentare che, senza intaccare la libertà di discussione, impedisse l'ostruzionismo, o per meglio dire lo regolasse. (Capitolo ventottesimo, I cannoni di Bava Beccaris, p. 417) ===''L'Italia di Giolitti''=== *Si è detto che {{NDR|[[Egidio Osio]]}} plagiò il suo pupillo {{NDR|il principe ereditario, futuro re [[Vittorio Emanuele III di Savoia|Vittorio Emanuele III]]}} e ne lesionò definitivamente il carattere terrorizzandolo e mortificandone gli slanci. Si è detto che anche sul suo fisico ebbe pessima influenza costringendolo a penosi e logoranti sforzi. Si è detto che furono i suoi metodi repressivi a creare nel Principe quei complessi d'inferiorità da cui fu sempre afflitto, a traumatizzarlo, a inaridirlo, a riempirne l'animo di sordi rancori.<br>Ma se non proprio di falsità, si tratta di verità contraffatte. (cap. I, Il nuovo Re, p. 15) *Militare dalla testa ai piedi, Osio era un uomo duro, imperioso, abituato al comando. [...] Ma era anche un gran signore, perfetto uomo di mondo, e nutrito di buone letture. Sebbene la sua carriera potesse esserne notevolmente avvantaggiata, esitò molto ad accettare l'incarico {{NDR|di tutore del principe ereditario}}, vi si risolse solo dietro garanzia che nemmeno i genitori avrebbero più interferito nell'educazione del ragazzo, di cui egli diventava unico e assoluto responsabile, e al termine della sua missione non beneficiò di nessuno "scatto di grado". (cap. I, Il nuovo Re, pp. 15-16) *[[Elena del Montenegro|Elena]], che da ragazza dipingeva, suonava il violino, componeva poesie come suo padre<ref>Nicola I del Montenegro.</ref>, e amava il tennis e la danza, rinunziò a questi passatempi appena vide che lui {{NDR|il futuro Vittorio Emanuele III}} li detestava, anzi adottò come ''hobbies'' quelli di lui: la numismatica e l'archeologia. Per il resto fu soltanto una donna di casa, come lo era stata a Cettigne<ref>Capitale del Regno del Montenegro.</ref>. Sapendolo insofferente dei camerieri, era lei che lo serviva a tavola, e per farsi i vestiti si prese in casa una sartina. (cap. I, Il nuovo Re, p. 27) *[[Filippo Meda|Meda]] era un avvocato milanese di spirito pratico, che considerava l'astensione dal voto {{NDR|dei cattolici}} un dovere da osservare finché il Papa lo imponeva, ma un grosso errore strategico di cui occorreva sollecitare la revoca. Lo Stato liberale, diceva, c'è e va accettato. Va soltanto salvato dalle sue tentazioni autoritarie e giacobine. E questo i cattolici possono farlo soltanto inserendocisi e riformandolo in modo da tenerlo al riparo dai pericoli d'involuzione. Lo Stato cioè per lui era un "peccatore da salvare". (cap. IV, Cattolici e socialisti, p. 72) *[...] [[Romolo Murri|Murri]] era un giovane sacerdote marchigiano, che aveva conosciuto la povertà e nel Vangelo vedeva soprattutto un messaggio giustizialista. Introverso e malinconico come tutti i fanatici, egli si considerava molto più "avanzato" di Meda per il carattere rivoluzionario che intendeva imprimere al movimento {{NDR|cattolico}}. In realtà era un uomo del ''[[Sillabo]]'' che, pur partendo anche lui dall'accettazione dello Stato unitario, intendeva tramutarlo in una [[teocrazia]] egalitaria e totalitaria, sul tipo di quella che i Gesuiti avevano fondato un paio di secoli prima nel Paraguay. Se a ispirarlo fosse più l'amore del povero o l'odio del ricco, non sappiamo. (cap. IV, Cattolici e socialisti, pp. 72-73) *Meda e Murri furono dapprincipio alleati. Entrambi volevano un grande partito, popolare indipendente dalla Chiesa. Ma Meda lo concepiva come lo sviluppo della organizzazione tradizionale, cioè dell'''Opera''<ref>"Opera dei congressi e dei comitati cattolici", spesso abbreviata in "Opera dei congressi", organizzazione cattolica italiana, sciolta nel 1904.</ref>, una volta strappatala alla vecchia guardia, mentre Murri lo vedeva come un organismo nuovo, un "Fascio", come quelli che pochi anni prima avevano messo a soqquadro e insanguinato la Sicilia. (cap. IV, Cattolici e socialisti, p. 73) *Lo [[Sciopero generale del 1904|sciopero {{NDR|generale del 1904}}]] [...] non fu un fallimento, ma non fu nemmeno un successo perché si esaurì spontaneamente, e il suo più consistente risultato fu la spaccatura delle forze operaie. Lo si vide pochi mesi dopo, quando i sindacalisti bandirono un altro sciopero, quello delle ferrovie, da cui i sindacalisti uscirono demoralizzati e con la truppa dimezzata. (cap. IV, Cattolici e socialisti, p. 85) *[[Alessandro Fortis|Fortis]] era un tipico notabile romagnolo di lungo e contradditorio corso ideologico. Aveva debuttato come repubblicano intransigente, era andato in galera per complotto rivoluzionario con gli anarchici, poi era stato conquistato da [[Francesco Crispi|Crispi]], era finito {{sic|Ministro}} di [[Luigi Pelloux|Pelloux]], e ora militava sotto la bandiera di [[Giovanni Giolitti|Giolitti]]. Come "trasformista", era tra i più qualificati. Ma questa pecca era abbondantemente compensata dai suoi doni di simpatia umana e da una grande esperienza parlamentare. (cap. VI, Il suffragio universale, p. 107) *Quando [[Enrico Corradini|Corradini]] applicò il vocabolario socialista alla Nazione parlando di una "Italia proletaria" in lotta contro le plutocrazie occidentali, e lanciò l'idea di un "imperialismo operaio" da contrapporre a quello capitalistico, riscosse in campo sindacalista vasti consensi e pose le premesse di un pasticcio ideologico in cui Mussolini avrebbe di lì a poco guazzato. (cap. VII, "Tripoli bel suol d'amore", p. 137) *{{NDR|Giolitti}} Più che la Libia, voleva la [[Guerra italo-turca|guerra]], o meglio qualcosa che desse finalmente agl'italiani l'impressione di farne una e di vincerla. (cap. VII, "Tripoli bel suol d'amore", p. 145) *[...] a Vienna l'imperatore Francesco Giuseppe aveva dovuto intervenire di persona per fermare la mano al Capo di Stato Maggiore [[Franz Conrad von Hötzendorf|Conrad]] che voleva una spedizione punitiva contro l'Italia, ora ch'era impegnata in Africa {{NDR|nella guerra di Libia}}, per metterla in ginocchio "prima che avesse il tempo di perpetrare altri tradimenti". (cap. VII, "Tripoli bel suol d'amore", pp. 149-150) *Non si è mai saputo con certezza come si svolse l'operazione {{NDR|del [[patto Gentiloni]]}} che, ben s'intende, doveva restare segretissima. Giolitti negò sempre di avervi partecipato, e infatti d'impronte digitali non ve ne lasciò. Fu probabilmente senza le sue credenziali, ma certamente non senza il suo beneplacito che qualche esponente liberale prese contatto coi cattolici. Questi avevano una "unione elettorale" di cui era Presidente un Conte marchigiano, [[Vincenzo Ottorino Gentiloni|Gentiloni]], politico abile, ma vanesio e chiacchierone. Egli s'impegnò a mobilitare il voto cattolico in favore dei candidati liberali dovunque questi fossero minacciati dalla Estrema Sinistra; e i liberali s'impegnarono a difendere la parificazione delle scuole confessionali a quelle dello Stato, a ripristinare in queste ultime l'istruzione religiosa, a respingere l'introduzione del divorzio, e – pare – a combattere la Massoneria. (cap. VIII, Il crepuscolo degli dei, p. 163) *Se [[Gaetano Salvemini|Salvemini]] incarnava lo spirito protestatario e la sete giustizialista delle plebi meridionali, [[Antonio Salandra|Salandra]] incarnava lo spirito autoritario e conservatore della borghesia terriera. Proveniva da una famiglia di notabili pugliesi con parecchia roba al sole, e alla politica era approdato dalla cattedra universitaria, di cui conservava molti caratteri: una notevole cultura e finezza intellettuale, ma anche un compassato distacco che rasentava la freddezza. Prima di affrontare un problema lo studiava minuziosamente, e nessuno sapeva prospettarlo con più chiarezza di lui. (cap. IX, Sarajevo, p. 168) *[[Paolo Boselli]] {{NDR|incaricato nel 1916 di formare il nuovo governo dopo le dimissioni di Antonio Salandra}}, che fu chiamato a presiederlo, possedeva tutti i requisiti, meno quelli che occorrono per guidare un Paese in guerra. Deputato ligure da parecchie legislature, era stato varie volte Ministro con Crispi, Pelloux e Sonnino, ma nessuno se n'era accorto. [...]. Passava per un esperto di questioni economiche, e moralmente era un personaggio di tutto rispetto. Ma politicamente era scolorito, e per di più aveva quasi ottant'anni. (cap. XVI, La caduta di Salandra, pp. 293-294) *Quanto [[Luigi Cadorna|Cadorna]] era solitario, monacale ruvido e chiuso in un giro di valori e d'idee tradizionali, tanto [[Luigi Capello|Capello]] era brillante, estroverso, moderno, ricco d'immaginazione e maestro di "pubbliche relazioni". (cap. XVI, La caduta di Salandra, pp. 298-299) *Lucano di Melfi, [[Francesco Saverio Nitti]] incarnava anche nel fisico tozzo e grassottello il tipo del notabile meridionale, colto, brillante, scettico e alquanto egocentrico. [...] la sua specialità era il problema del Mezzogiorno, di cui fu tra i primi seri studiosi e che gli fornì anche la base elettorale. [...]. Sul livello medio della classe politica di allora, egli faceva spicco per preparazione, equilibrio e lucidità, ma anche per una certa propensione ad attribuirsi il monopolio di queste virtù. (cap. XXIII, Versaglia, pp. 420-421) ===''L'Italia in camicia nera''=== *Un altro utile incontro fu per Mussolini quello con [[Angelica Balabanoff]], personaggio già di notevole rilevo nel socialismo internazionale. Era una russa di buona famiglia borghese, che fin da giovanissima si era imbrancata con quella ''intellighenzia'' rivoluzionaria da cui venivano anche i Lenin, i Trotzky, e gli altri futuri grandi del bolscevismo. A spingerla era stata la ribellione contro la meschinità, lo snobismo provinciale, il sussiego di casta, i tabù del suo ceto. (cap. 1, p. 23) *Angelica {{NDR|Balabanoff}} non era bella, non aveva la grazia eterea ed esangue di Anna {{NDR|[[Anna Kuliscioff|Kuliscioff]]}}. Ma non era nemmeno sgradevole, nonostante i fianchi massicci e gli zigomi pronunciati, eppoi era una russa, cosa che faceva un grande effetto al piccolo provinciale di Predappio<ref>Mussolini era nato a Dovia, frazione di Predappio.</ref>. Anche se fra loro non divampò la passione che aveva legato Anna ad [[Andrea Costa]], qualcosa ci fu, ed ebbe la sua importanza. Angelica cercò d'incivilire quel selvaggio trasandato che passava da ostinati mutismi a interminabili sproloqui conditi di orrende bestemmie. Lo sfamava, gli lavava la biancheria, lo iniziava, sia pure con poco successo, al marxismo [...]. (cap. 1, p. 25) *Uno dei tre protagonisti del giuoco {{NDR|[[Gabriele D'Annunzio]]}} era eliminato. La partita ora si riduceva agli altri due: Giolitti e Mussolini. (cap. 1, p. 101) *Mussolini aveva vinto, e la sua vittoria significava che il fascismo, abbandonata la pretesa di presentarsi come un movimento rivoluzionario di sinistra, quale lo avrebbero voluto Grandi, Farinacci e Marsich, presentava la sua candidatura a forza egemonica della destra e infilava la «via parlamentare» al potere.<br>C'era un pericolo, e Mussolini lo capì subito: che questa svolta a destra mettesse il partito alla mercé della sua ala reazionaria incarnata soprattutto dal ''ras'' piemontese [[Cesare Maria De Vecchi|De Vecchi]], uomo di poco cervello, ma tutto Trono e Altare, e che quindi poteva anche tornar comodo per il futuro. (cap. 2, p. 127) *[...], i giolittiani riuscirono a portare al governo uno dei suoi {{NDR|di Giolitti}} «ascari» più fedeli, ma anche dei più sbiaditi: [[Luigi Facta]].<br> Facta era un bravo avvocato di provincia piemontese con tutte le virtù, ma anche con tutti i limiti del suo ambiente: un uomo probo e integro, che dopo trent'anni di vita parlamentare ne aveva ormai una certa esperienza, aveva ricoperto con onore alcune cariche ministeriali, non aveva alcuna ambizione che quella di servire fedelmente il suo capo, né altre idee che quelle di lui. Tutto gli si poteva chiedere fuorché risolutezza ed immaginazione, cioè proprio le qualità che più urgevano. (cap. 2, pp. 143-144) *[...] le sue intenzioni {{NDR|Mussolini}} non le confidava nemmeno al segretario del partito, [[Michele Bianchi|Bianchi]], di cui apprezzava la fedeltà e l'impegno, ma non l'intelligenza: lo considerava angoloso, settario, puntiglioso vendicativo e privo d'intuito politico. L'unico con cui si apriva seguitava ad essere [[Cesare Rossi]], l'uomo che gli era stato accanto dal primo momento, lo aveva seguito in tutte le sue palinodie e gli dava sempre dei consigli che corrispondevano ai suoi desideri. (cap. 4, p. 166) *{{NDR|[[Vittorio Emanuele III]]}} non si fidava completamente di Mussolini, ma si fidava ancora meno dei suoi avversari ed era convinto che costoro, se avessero preso il mestolo in mano, avrebbero ricreato il caos del dopoguerra. Comunque, a una cosa era assolutamente deciso: a non farsi coinvolgere nella lotta politica, come del resto gli dettava la Costituzione di cui, quando gli faceva comodo, sapeva ricordarsi. ====[[Explicit]]==== *Resterebbe solo da sapere con che animo Mussolini s'investì, il 3 gennaio, nella parte di dittatore. Se, come molti sostengono, gli sforzi che fino a quel momento aveva fatto per evitarla erano stati solo un giuoco per dimostrare che non era lui a volerla, ma gli eventi ad imporgliela, bisogna riconoscere che come {{sic|giuocatore}} sapeva il fatto suo. ==''Storia dei Greci''== *Il modo migliore per ripagare il nostro contemporaneo [[Heinrich Schliemann|Enrico Schliemann]] degli enormi servigi che ci ha reso nella ricostruzione della civiltà classica, mi pare sia quello di assumerlo fra i suoi protagonisti, com'egli stesso mostrò di desiderare ardentemente, scegliendosi, in pieno secolo decimonono, [[Zeus]] come dio e a lui indirizzando le sue preghiere, battezzando [[Agamennone]] suo figlio, Andromaca sua figlia, Pélope e Telamone i suoi servitori, e dedicando a [[Omero]] tutta la sua vita e i quattrini. (cap. 2; 2004, p. 17) *{{NDR|Su [[Heinrich Schliemann|Schliemann]]}} Era un matto, ma tedesco, cioè organizzatissimo nella sua follia, che la buona sorte volle ricompensare. La prima storia che gli raccontò suo padre, quando aveva cinque o sei anni, non fu quella di [[Cappuccetto Rosso]], ma quella di [[Ulisse]], di [[Achille]] e di Menelao. Ne aveva otto, quando annunziò solennemente in famiglia che intendeva riscoprire Troia e dimostrare, ai professori di storia che lo negavano, ch'essa era realmente esistita. Ne aveva dieci, quando compose in latino un saggio su questo argomento. E ne aveva sedici, quando sembrò che questa infatuazione gli fosse del tutto passata. Infatti s'era impiegato come garzone di una drogheria, dove scoperte archeologiche non c'era da farne di certo, e di lì a poco s'imbarcò non per l'Ellade, ma per l'America, in cerca di fortuna. (cap. 2; 2004, p. 17) *Di nuovo il buon Dio, che per i matti ha un debole, lo compensò di tanta fede, guidando il suo piccone sugli scantinati del palazzo dei discendenti di re Atreo, nei cui sarcofaghi furono ritrovati gli scheletri, le maschere d'oro, i gioielli e il vasellame che si ritenevano esistiti solo nella fantasia di Omero. E Schliemann telegrafò al re di Grecia: ''Maestà, ho ritrovato i vostri antenati''. Poi, ormai sicuro del fatto suo, volle dare il colpo di grazia agli scettici del mondo intero e, sulle indicazioni di [[Pausania]], andò a Tirinto e vi disseppellì le ciclopiche mura del palazzo di Proteo, di Perseo e di [[Andromeda|Andròmeda]]. (cap. 2; 2004, pp. 19-20) *Schliemann morì quasi settantenne nel 1890, dopo aver sconvolto tutte le tesi e le ipotesi su cui si era basata sino ad allora la ricostruzione della preistoria greca, tesa ad esiliare Omero e Pausania nei cieli della pura fantasia. (cap. 2; 2004, p. 20) *Ma ora, dopo le scoperte del tedesco matto, non abbiamo più il diritto di mettere in dubbio la realtà storica di Agamennone, di Menelao, di [[Elena]], di [[Clitennestra]], di Achille e di Patroclo, di Ettore e di Ulisse, anche se le loro avventure non sono state esattamente quelle che Omero ha descritto, facendoci sopra la cresta. Schliemann ha arricchito la storia e impoverito la leggenda, di alcune decine di personaggi di primissimo piano. Grazie a lui alcuni secoli, che prima erano nel buio, sono entrati nella luce, anche se è quella incerta della primissima alba. Ed è solo per mano a lui che possiamo esplorarla. (cap. 2; 2004, p. 21) *Senza dubbio gli [[achei]], a differenza dei pelasgi, furono terrieri, tant'è vero che fino alla guerra di Troia imprese per mare non ne azzardarono, e ogni volta che lo trovavano si fermavano. Essi non tentarono di mettere il piede nemmeno nelle isole più vicine al continente, e tutte le loro capitali e cittadelle erano nell'interno. La Grecia, sotto di loro, si limitava al Peloponneso, all'Attica e alla Beozia; mentre per le popolazioni pelasgiche della civiltà micenea, ch'erano marinare, essa inglobava anche tutti gli arcipelaghi dell'Egeo. (cap. 3, ''Gli Achei''; 2004, p. 25) *[[Diogene di Sinope|Diogene]], che aveva la lingua lunga, disse che la religione greca era quella cosa per cui un ladro che sapeva bene l'Avemaria e il Paternoster era sicuro di potersela cavar meglio, nell'al di là di un galantuomo che li aveva dimenticati. Non aveva torto. La [[Religione dell'antica Grecia|religione]], in Grecia, era soltanto un fatto di procedura, senza contenuto morale. Ai fedeli non si chiedeva la fede né si proponeva il bene. S'imponeva solo il compimento di certe pratiche burocratiche. E non poteva essere diversamente, visto che di contenuto morale gli stessi {{sic|dèi}} ne avevano ben poco e non si poteva certo dire che fornissero un esempio di virtù. (cap. 7, ''Zeus e famiglia''; 2004, p. 54) *Anche [[Pisistrato]] era aristocratico e di famiglia ricca. Ma aveva capito che la [[democrazia]], una volta instaurata, è irreversibile e va sempre a sinistra. (cap. 15, ''Pisistrato''; 2004, p. 98) *Pisistrato, invece di cinquanta uomini, ne arruolò e armò quattrocento, s'impadronì dell'Acròpoli, e proclamò la dittatura. In nome e per il bene del popolo, si capisce, come tutte le dittature. (cap. 15; 2004, p. 91) *La stragrande maggioranza degli ateniesi, dopo averlo a lungo osteggiato e tenuto in gran sospetto, si erano sinceramente affezionati a Pisistrato che aveva dalla sua un'arma formidabile: la simpatia. (cap. 15; 2004, pp. 92-93) *Il tiranno Pisistrato seppe sfuggire a tutte le tentazioni del potere assoluto, meno una: quella di lasciare il «posto» in eredità ai figli, [[Ippia (tiranno)|Ippia]] e [[Ipparco (tiranno)|Ipparco]]. L'amor paterno gl'impedì di vedere con la consueta chiarezza che i totalitarismi non hanno eredi e che quello suo si giustificava soltanto come una eccezione alla democrazia per assicurarle ordine e stabilità. Peccato. (cap. 15; 2004, p. 95) *Pisistrato era morto nel 527 avanti Cristo. Ventun anni dopo, cioè nel 506, troviamo uno dei suoi due figli, da lui designati a succedergli, Ippia, alla corte del re di Persia, [[Dario I di Persia|Dario]], per suggerirgli l'idea di muover guerra contro Atene e la Grecia tutta. I grandi uomini non dovrebbero mai lasciare né vedove né eredi. Sono pericolosissimi. (cap. 16, ''I persiani alle viste''; 2004, p. 103) *Questo Ippia non aveva debuttato male, dopo che suo padre fu calato nella fossa. Era un giovanotto sveglio che, a furia di stare accanto al babbo, ne aveva imparato molte malizie, e alla politica aveva passione, a differenza di suo fratello Ipparco che invece s'interessava soltanto di poesia e di amore, in modo che fra i due non c'erano nemmeno pericolose rivalità. Eppure, a procurare i guai che condussero alla caduta della dinastia, fu proprio Ipparco. (cap. 16; 2004, p. 96) *Ipparco ebbe la disgrazia d'inciampare in un bellissimo guaglione di nome Armodio, che un certo Aristogitone – aristocratico quarantenne, prepotente e geloso – considerava sua proprietà. Costui concepì l'idea di sbarazzarsi del rivale col pugnale e, per dare all'assassinio un'etichetta più pulita che lo rendesse popolare, pensò di estenderlo anche al fratello Ippia facendolo passare per «delitto politico» in nome della libertà e contro la tirannia. Organizzò in questo senso una congiura con altri nobili latifondisti e, in occasione di una festa, tentò il colpo, che andò bene solo a mezzo: Ipparco ci rimise la pelle, ma Ippia scampò. E da quel momento, un po' per rancore, un po' per paura di altri complotti, il figlio e l'allievo di Pisistrato, dittatore liberale indulgente e illuminato, diventò un ''tiranno'' autentico. (cap. 16; pp. 96-97) *Lo scontento del popolo inferocì Ippia, che a sua volta inferocì il popolo. E quando il divorzio fra i due fu totale, i fuoriusciti, che frattanto si erano concentrati a Delfi, chiamarono in aiuto gli spartani, e insieme marciarono contro Atene. (cap. 16; 2004, p. 97) *Ippia si rifugiò sull'Acròpoli coi suoi sostenitori. Ma, per mettere in salvo i suoi figlioletti, cercò di farli segretamente espatriare. Gli assedianti li catturarono e l'infelice padre, per salvar la vita a loro e a se stesso, capitolò e si avviò in volontario esilio. Non bisogna dimenticare che nelle sue vene scorreva tuttavia il sangue di Pisistrato, cioè di un uomo sempre pronto a sacrificare la posizione alla famiglia, ma mai disposto a rassegnarsi alla sconfitta. (cap. 16; 2004, p. 97) *[[Milziade]] aveva capito qual era il debole dei [[Persia|persiani]]: essi erano bravi soldati individualmente, ma non avevano nessuna idea della manovra collettiva. E su questa puntò. A dar retta agli storici del tempo — che purtroppo erano tutti greci, — Dario perse settemila uomini, Milziade neanche duecento. (cap. 17, ''Milziade e Aristide''; 2004, p. 112) *{{NDR|A Milziade}} sopravvisse [[Aristide]], le cui vicende purtroppo ci dimostrano che l'[[onestà]] in [[politica]] non trova sempre i suoi compensi e che la [[storia]], come le [[donna|donne]], ha un debole per i birbaccioni. (cap. 17, ''Milziade e Aristide''; 2004, p. 112) *Nike, diventata ragazza, porta il [[peplo]] di lana, bianca o colorata, ma questa è l'unica scelta che le si lascia. Siccome è confinata in casa, non può nemmeno far quella di un ragazzo che le piace, e deve aspettare che il padre si metta d'accordo con un altro padre per combinare il matrimonio. (cap. 23, ''Una Nike qualsiasi''; 2004, p. 143) *Quando il grande [[Mirone]], rincorbellito dalla vecchiaia, si vide arrivare in studio come modella Laìde<ref>Etera dell'antica Grecia, celebre per la sua bellezza.</ref>, perse la testa e le offrì tutto ciò che possedeva purché restasse la notte. E siccome essa rifiutò, l'indomani il poveruomo si tagliò la barba, si tinse i capelli, indossò un giovanile [[chitone]] color porpora e si passò una mano di carminio sul viso. «Amico mio», gli disse Laìde, «non sperare di ottenere oggi ciò che ieri rifiutai a tuo padre». (cap. 23, ''Una Nike qualsiasi''; 2004, p. 150) *{{NDR|[[Fidia]]}} Qualcosa, nel suo carattere, doveva farne un nemico degli uomini, visto che nessuno lo amava. Eppure egli non fu soltanto un grande scultore, ma anche un grandissimo maestro, che, oltre ad aver creato uno stile, ne fece anche una scuola, trasmettendone le regole ad allievi come Agoracrito e Alcamene, continuatori del «classico». (cap. 25, ''Fidia sul Partenone''; 2004, p. 165) *Gli uomini non sanno apprezzare e misurare che la [[fortuna]] degli altri. La propria, mai. (cap. 25, ''Fidia sul Partenone''; 2004, p. 166) ==''Storia di Roma''== ===[[Incipit]]=== Non sappiamo con precisione quando a Roma furono istituite le prime scuole regolari, cioè «statali». Plutarco dice che nacquero verso il 250 avanti Cristo, cioè circa cinquecent'anni dopo la fondazione della città. Fino a quel momento i ragazzi romani erano stati educati in casa, i più poveri dai genitori, i più ricchi dai ''magistri'', cioè da maestri, o istruttori, scelti di solito nella categoria dei liberti, gli schiavi liberati, che a loro volta erano scelti fra i prigionieri di guerra, e preferibilmente fra quelli di origine greca, che erano i più colti. ===Citazioni=== <!--segui nel riportare le citazioni l'ordine cronologico del libro--> *Non ho scoperto nulla, con questo libro. Esso non pretende di portare "rivelazioni", nemmeno di dare una interpretazione originale della storia dell'Urbe. Tutto ciò che qui racconto è già stato raccontato. Io spero solo di averlo fatto in maniera più semplice e cordiale, attraverso una serie di ritratti che illuminano i protagonisti in una luce più vera, spogliandoli dei paramenti che fin qui ce li nascondevano. (introduzione) *{{NDR|[[Numa Pompilio]]}} Quelle che più lo interessavano erano le questioni religiose. E siccome in questa materia ci doveva essere una grossa anarchia perché ognuno dei tre popoli {{NDR|etruschi, latini e sabini}} venerava i propri {{sic|dèi}}, fra i quali non si riusciva a capire chi fosse il più importante, Numa decise di mettervi ordine. E per imporlo, questo ordine, ai suoi riottosi sudditi, fece spargere la notizia che ogni notte, mentre dormiva, la ninfa Egeria veniva a visitarlo in sogno dall'Olimpo per trasmettergliene direttamente le istruzioni. Chi vi avesse disobbedito, non era col re, uomo fra gli uomini, che avrebbe dovuto vedersela, ma col Padreterno in persona. (Rizzoli 1959, cap. 3, ''I re agrari'', pp. 37-38) *[[Tarquinio Prisco|Lucio Tarquinio]] e i suoi amici etruschi dovettero veder subito che profitto si poteva trarre da questa massa di gente, per la maggior parte esclusa dai comizi curiati, se si fosse potuta convincerla che solo un re forestiero come lui avrebbe potuto farne valere i diritti. E per questo l'arringò, promettendole chissà cosa, magari ciò che poi fece davvero. [...] Certamente ci riuscirono perché Lucio Tarquinio fu eletto col nome di Tarquinio Prisco, rimase sul trono trentotto anni, e per liberarsi di lui i ''patrizi'', cioè i «terrieri», dovettero farlo assassinare. Ma inutilmente. Prima di tutto perché la corona, dopo di lui, passò al figlio, eppoi a suo [[Tarquinio il Superbo|nipote]]. In secondo luogo perché, più che la causa, l'avvento della dinastia dei Tarquini fu l'effetto di una certa svolta che la storia di Roma aveva subìto e che non le consentiva più di tornare al suo primitivo e arcaico ordinamento sociale e alla politica che ne derivava. (RCS 2004, cap. 4, ''I re mercanti'', pp. 38-39) *Questo secondo [[Tarquinio il Superbo|Tarquinio]], prima di rischiare il colpo, tentò di far deporre lo zio per abuso di potere. Servio si presentò alle centurie che lo riconfermarono re con plebiscitaria acclamazione (lo racconta [[Tito Livio]], gran repubblicano, dunque dev'esser vero). Non restava quindi che il pugnale, e Tarquinio lo usò senza troppi scrupoli. Ma il respiro di sollievo che trassero i senatori, coi quali si era alleato, rimase loro in gola, quando videro l'uccisore sedersi a sua volta sul trono d'avorio senza chieder loro permesso, come avveniva a quei buoni vecchi tempi ch'essi speravano di restaurare. Il nuovo sovrano si mostrò subito più tirannico di quello che aveva spedito all'altro mondo. E infatti lo ribattezzarono «il Superbo» per distinguerlo dal fondatore della dinastia. (RCS 2004, cap. 4, ''I re mercanti'', pp. 42-43) *Non sappiamo quasi nulla di [[Lars Porsenna|Porsenna]]. Ma dal modo come si condusse, dobbiamo dedurre che alle doti del bravo generale doveva accoppiare quelle del sagace uomo politico. Egli si rese conto che negli argomenti di [[Tarquinio il Superbo|Tarquinio]] c'era del vero. Ma prima d'impegnarsi, volle essere sicuro di due cose: che il Lazio e la Sabina erno davvero pronti a schierarsi dalla sua parte, e che nella stessa Roma c'era una «quinta colonna» monarchica pronta a facilitargli il compito con un'insurrezione. (RCS 2004, cap. 5, ''Porsenna'', p. 49) *Da quell'anno 508 in cui fu fondata la repubblica, tutti i monumenti che i romani innalzarono un po' dappertutto portarono sempre la sigla SPQR che vuol dire: ''Senatus PopuluSque Romanus'', cioè «il Senato e il popolo romano». Cosa fosse il Senato, già lo abbiamo detto. Viceversa non abbiamo ancora detto cos'era il popolo, che non corrispondeva affatto a ciò che noi intendiamo con questa parola. In quei lontani giorni di Roma esso non comprendeva «tutta» la cittadinanza, come avviene oggi, ma soltanto due «ordini», cioè due classi: quella dei «patrizi» e quella degli ''equites'' o «cavalieri». (RCS 2004, cap. 6, ''SPQR'', p. 54) *{{NDR|[[Sacco di Roma (390 a.C.)]]}} Gli storici che lo hanno raccontato a cose fatte hanno avvolto di molte leggende questo capitolo che dovett'essere per l'Urbe molto spiacevole. Dicono che quando i [[galli]] fecero per dare la scalata al [[Campidoglio]], le oche sacre a Giunone cominciarono a stridere risvegliando così [[Marco Manlio Capitolino|Manlio Capitolino]] che, alla testa dei difensori, respinse l'attacco. Sarà. Però i galli in Campidoglio entrarono ugualmente come in tutto il resto della città, donde la popolazione era fuggita in massa per rifugiarsi su monti circostanti. (Rizzoli 1959, cap. 6, ''SPQR'', pp. 81-82) *[...] i galli espugnarono Roma, la misero a sacco, e se ne andarono incalzati dalle legioni, ma carichi di quattrini. Erano predoni gagliardi e zotici, che non seguivano nessuna linea politica e strategica nelle loro conquiste. Assalivano, depredavano e si ritiravano senza punto preoccuparsi del domani. Avessero potuto immaginare che vendetta Roma avrebbe tratto da quella umiliazione, non vi avrebbero lasciato pietra su pietra. (Rizzoli 1959, cap. 6, ''SPQR'', pp. 82-83) *Tutti i dittatori della Roma repubblicana, meno uno, furono patrizi. Tutti, meno due, rispettarono i limiti di tempo che furono loro imposti. Uno di essi, [[Lucio Quinzio Cincinnato|Cincinnato]], che, dopo soli sedici giorni di esercizio della suprema carica, tornò spontaneamente ad arare il campo coi buoi, è passato alla storia coi colori della leggenda. (RCS 2004, cap. 9, ''La carriera'', p. 85) *Negli ultimi tempi {{NDR|[[Cesare]]}} si era spinto anche più in là: aveva imposto che tutte le discussioni che si svolgevano in quel solenne e aristocratico consesso venissero registrate e pubblicate giorno per giorno. Così nacque il primo giornale. Si chiamò ''[[Acta Diurna|Acta diurna]]'', e fu gratuito, perché, invece di venderlo, lo affiggevano ai muri in modo che tutti i cittadini potessero leggerlo e controllare ciò che facevano e dicevano i loro governanti. L'invenzione fu d'immensa portata perché sancì il più democratico di tutti i diritti. Il Senato, che traeva prestigio anche dalla sua segretezza, fu così sottoposto alla pubblica opinione, e non si riebbe mai più da questo colpo. (RCS 2004, cap. 24, ''Cesare'', p. 214) *Se riuscirò ad affezionare alla storia di Roma qualche migliaio di italiani, sin qui respinti dalla sussiegosità di chi gliel'ha raccontata prima di me, mi riterrò un autore utile, fortunato e pienamente riuscito. (introduzione) *Sull'esattezza di quel che [[Tito Livio|Livio]] riferisce facciamo le nostre riserve, specie là dov'egli mette in bocca ai suoi personaggi interi discorsi che somigliano più a Livio che a loro. La sua è una storia di eroi, un immenso affresco a episodi, e serve più a esaltare il lettore che a informarlo. [[Roma]], a dargli retta, sarebbe stata popolata soltanto, come l'Italia di Mussolini, da guerrieri e navigatori assolutamente disinteressati, che conquistarono il mondo per migliorarlo e moralizzarlo. Gli uomini, secondo lui, sono divisi in buoni e cattivi. A Roma c'erano solamente i buoni, e fuori di Roma solamente i cattivi. Anche un grande generale come [[Annibale]] diventa, sotto la sua penna, un comune mariuolo. Ciò non toglie che la storia di Livio, costata cinquant'anni di fatiche a un autore che si dedicò soltanto ad essa, resti un gran monumento letterario. Forse il più grande fra quelli, piuttosto mediocri, eretti sotto il segno di [[Augusto]]. (cap. 30, ''Orazio e Livio'') *Può darsi che [[Dione Cassio]] e [[Svetonio]], nel loro odio per la monarchia, abbiano un po' calcato la mano. Ma matto, [[Caligola]] doveva esserlo davvero. (cap. 31, ''Tiberio e Caligola'') *[[Vitellio]], quando fu catturato nel suo nascondiglio, dove, tanto per cambiare, banchettava, fu trascinato nudo per la città con un laccio al collo, bersagliato di escrementi, torturato con ponderata lentezza, e alla fine gettato nel Tevere.<br>Questa città che si divertiva al fratricidio, questi eserciti che si ribellavano, questi imperatori che venivano subissati di sterco pochi giorni dopo essere stati coperti di osanna: ecco cos'era diventata la capitale dell'Impero. (Rizzoli 1959, cap. 37, ''I Flavi'', pp. 415-416) *Purtroppo la pace, per ottenerla, bisogna essere in due a volerla. (cap. 37, ''I Flavi'') *Era la prima volta, nella storia di Roma, che una guerra si combatteva in nome della religione. Ma fu la Croce che vinse. E il Tevere, trascinando verso la foce i cadaveri di [[Massenzio]] e dei suoi soldati che lo ingombravano, sembrò che spazzasse via i residui del mondo antico. (cap. 46, ''Costantino'') *Il papa che più contribuì a rassodare l'organizzazione in questi primi difficili anni fu [[Papa Callisto I|Callisto]], che molti consideravano un avventuriero. Dicevano che, prima di convertirsi, aveva fatto i quattrini con sistemi piuttosto equivoci, era diventato banchiere, aveva derubato i suoi clienti, era stato condannato ai lavori forzati ed era fuggito con un inganno. Il fatto che, appena diventato papa, proclamasse valido il pentimento per cancellare qualunque peccato, anche mortale, ci fa sospettare che in queste voci un po' di verità c'è. Comunque, fu un gran papa, che stroncò il pericoloso scisma d'[[Ippolito di Roma|Ippolito]] e affermò definitivamente l'autorità del potere centrale. (RCS 2004, cap. 46, ''Costantino'', p. 367) *Le rivoluzioni vincono non in forza delle loro idee, ma quando riescono a confezionare una classe dirigente migliore di quella precedente. E il [[Cristianesimo]] era riuscito proprio in questa impresa. (cap. 47, ''Il trionfo dei cristiani'') *[[Costantino]] fu uno strano e complesso personaggio. Faceva gran scialo di fervore cristiano, ma nei suoi rapporti di famiglia non si mostrò molto ossequente ai precetti di Gesù. Mandò sua madre Elena a Gerusalemme per distruggere il tempio di Afrodite che gli empi governatori romani avevano elevato sulla tomba del Redentore, dove, secondo Eusebio, fu ritrovata la croce su cui era stato suppliziato. Ma subito dopo mise a morte sua moglie, suo figlio e suo nipote. (cap. 47, ''Il trionfo dei cristiani'') *Come tutti i grandi Imperi, quello romano non fu abbattuto dal nemico esterno, ma roso dai suoi mali interni. (cap. 51, ''Conclusione'') *Una religione conta non in quanto costruisce dei templi e svolge certi riti; ma in quanto fornisce una regola morale di condotta. Il [[paganesimo]] questa regola l'aveva fornita. Ma quando Cristo nacque, essa era già in disuso, e gli uomini, consciamente o inconsciamente, ne aspettavano un'altra. Non fu il sorgere della nuova fede a provocare il declino di quella vecchia; anzi, il contrario. (cap. 51, ''Conclusione'') *Il dispotismo è sempre un malanno. Ma ci sono delle situazioni che lo rendono necessario. (cap. 51, ''Conclusione'') ===[[Explicit]]=== Mai città al mondo ebbe più meravigliosa avventura. La sua storia è talmente grande da far sembrare piccolissimi anche i giganteschi delitti di cui è disseminata. Forse uno dei guai dell'Italia è proprio questo: di avere per capitale una città sproporzionata, come nome e passato, alla modestia di un popolo che, quando grida «Forza Roma!», allude soltanto a una [[Associazione Sportiva Roma|squadra di calcio]]. ==''XX Battaglione eritreo''== ===[[Incipit]]=== Sono letterato. E, a parte il brutto e il meschino di quella parola, il mio mestiere m'innamora. Mi sono sforzato tanti anni, per compiacere a qualcuno o a qualcosa, di tradire questo mio istinto. Ma non ce l'ho fatta. E non ce la fo nemmeno ora, soldato in Africa, in piena guerra. Ma non lo dico per presentare il conto. E a chi, poi? Lo dico per un fenomeno di narcisismo: perché mi garba contemplarmi in questo gesto di fedeltà al mestiere, che poi vuol dire fedeltà a me stesso. ===Citazioni=== *Essere [[Àscari|ascaro]] vuol dire, press'a poco, avere un blasone; vuol dire avere tre lire al giorno, più un'indennità vestiario, più un'indennità farina, più un'indennità carne; vuol dire avere un ''tarbush'' e una fascia coi colori del battaglione; vuol dire soprattutto avere un fucile. La gente di questo Paese segue una logica sistematica semplice e dritta: l'umanità si divide in due categorie: gli armati che sono i forti, i disarmati che sono i deboli. Al culmine della gerarchia sociale sta il possessore di fucile, il guerriero: che è tanto più importante quanto più elevato è il suo grado e quanto è maggiore la sua anzianità. (p. 25) *[[Pietro Toselli|Toselli]]. Questo nome non ha in Italia la risonanza che ha qui. Toselli non è un uomo, è una leggenda: non solo alla cronaca, ma sfugge anche alla storia. È rimasto nei canti di questa gente, nelle sue memorie e anche nelle sue speranze. Pur ieri mi diceva il vecchio Sciumbasci, reduce di Adua e ora capopaese di Digsa, che «le cose che si sanno sono molto meno di quelle che non si sanno» e che «il fatto è questo: che il corpo del maggiore Toselli non era più sul campo dopo la battaglia». Su quello che ne sia avvenuto le opinioni sono discordi, ma nessuno crede che il maggiore sia morto. (pp. 35-36) *Appollaiato ai suoi piedi, nascosto fra il verde tenero degli eucalipti, stava [[Alessandro Pirzio Biroli|Pirzio Biroli]]. Il suo nome era mormorato con circospezione dagli [[Àscari|ascari]] disseminati fra le rocce di Mai Egadà a Saganeiti, da Agordar ad Assab, a Cheren, ad Adi Ugri, ad Adi Caieh. Raramente lo si vedeva e sempre a cavallo. Accanto a lui cavalcava Chiarini, la piccola ombra fedele, il fantasma sorto una notte da un roveto della conca di Adua. Chiarini, settantenne, pallido, non scompariva nell'alone magico che Pirzio, il buon gigante, suscitava intorno. (pp. 87-88) *Poi arrivava anche lui, [[Alessandro Pirzio Biroli|Pirzio]] il leone, altissimo, quadrato, col profilo calmo incorniciato dalla folta criniera. Il cavallo, domo dai suoi ginocchi di ferro, caracollava senza un tentativo di ribellione. Dalla sella pendevano, di qua e di là, due aquile colossali, abbattute in volo dal moschetto infallibile di Pirzio. Nessuna tromba sonava l'attenti al suo ingresso. Non ce n'era bisogno. Tutti, nel quartiere, sentivano come per miracolo la sua presenza e restavano ischeletriti. Pirzio non se n'accorgeva: era uno di quegli uomini pei quali gli uomini sentono rispetto per istinto e che passano attraverso la vita come attraverso un'eterna parata, fra due file di bipedi schiaffati meccanicamente sull'attenti. Gli [[Àscari|ascari]] ebbero ragione quando lo battezzarono «il Leone»: non aveva bisogno di ruggire perché il largo gli si facesse automaticamente intorno. (pp. 88-89) ===[[Explicit]]=== Vorremmo ristare dopo la guerra? Il mondo è così visto che nessun limite precisa al desiderio. Italiani, continuate ad aver fame anche dopo aver mangiato. Questa guerra è per noi come una bella lunga vacanza dataci dal Gran Babbo in premio di tredici anni di banco di scuola. E, detto fra noi, era ora. ==Citazioni su Indro Montanelli== *A leggerlo sembrerebbe un disordinatore di professione: sempre pronto a mugugnare, sempre a prendersela con qualcuno. Poi però, quando si tratta di scendere sul pratico, ci consiglia di turarci il naso e di andare a votare per l'Ordine. vallo a capire. ([[Luciano De Crescenzo]]) *Amo Indro Montanelli, ma non i suoi emuli. I polemisti per posa non mi piacciono, non li ritengo utili. Ma lui non era un polemista fine a se stesso, come tanti dei suoi presunti eredi. Era piuttosto, come da titolo di una sua fortunata rubrica, controcorrente. Non si curava delle convenienze, dei vantaggi che gli sarebbero derivati nel seguire l'onda di [[pensiero]] prevalente. Aveva la sua visione delle cose, sempre originale e spesso esatta. Io credo che dire quel che si pensa premi sempre. Montanelli lo faceva, e andava a letto tranquillo. ([[Fabio Genovesi]]) *C'è davvero qualcosa di singolare nel modo in cui è venuta formandosi la memoria della Repubblica, nel modo in cui tale memoria è stata ed è elaborata dalla cultura ufficiale del Paese. Per molti decenni, ad esempio, a quanto accaduto dal 1943 al '45 fu vietato dare il nome che gli spettava, il nome cioè di [[Guerra civile in Italia (1943-1945)|guerra civile]]. Parlare di guerra civile era giudicato fattualmente falso, e ancor di più ideologicamente sospetto. Bisognava dire che quella che c'era stata era la resistenza, non la guerra civile; di guerra civile parlavano e scrivevano, allora, solo i reduci di Salò, i nostalgici del regime e qualche coraggioso giornalista o pubblicista di rango come Indro Montanelli, che mostravano così da che parte ancora stavano. Le cose andarono in questo modo a lungo. Finché, all'inizio degli anni Novanta, come si sa, uno storico di sinistra, [[Claudio Pavone]], scrisse un libro sul periodo 1943-'45 che si intitolava precisamente ''Una guerra civile'': solamente da allora tutti abbiamo potuto usare senza problemi questa espressione, ben inteso non cancellando certo la parola resistenza. ([[Ernesto Galli della Loggia]]) *È uno che riesce a spiegare agli altri quello che non capisce nemmeno lui. ([[Mario Missiroli]]) *È vero che ha cambiato parere politico più volte, ma sempre perché profondamente preoccupato per le sorti del paese. Ma Indro ha cambiato parere sempre meno di quei giornalisti che da Lotta Continua sono passati a Comunione e Liberazione per approdare infine a dirigere quotidiani di Stato. Senza contare tutti coloro che da stalinisti o maoisti sono diventati prima antimarxisti e ora clintoniani: Montanelli ragiona, loro vogliono avere sempre ragione. ([[Fausto Gianfranceschi]]) *Indro è naturalmente inclinato, direi quasi condannato a vedere più i ''tics'' degli uomini che le loro qualità e nessuno come lui fa più uso, nei suoi ritratti, dell'acido prussico. ([[Eugenio Montale]]) *{{maiuscoletto|Indro Montanelli}}. L'Italia dei Luoghi Comuni. ([[Marcello Marchesi]]) *Io mi sono limitato ad adottare la sua formula giornali­stica. Ma l'ho realizzata meglio perché mi sono sempre esposto, ci ho messo la faccia. Lui invece era come Veltroni: "Sì, ma an­che". Non si schierava nettamente, il suo editoriale era così in chiaroscuro che alla fine non capivi mai se fosse chiaro o scuro. Il che non significa che non resti il migliore di tutti noi. Ho venduto più di lui solo perché a me la gente non fa schifo. ([[Vittorio Feltri]]) *Mi sono sentito in imbarazzo per lui, e il mio primo pensiero è stato il rifiuto – «no, povero Montanelli» – quando all'ingresso dei giardini di via Palestro mi sono trovato davanti alla sua statua, al punto che ho pensato che ci sono vandali che distruggono e vandali che costruiscono, e che anzi, per certi aspetti, il vandalismo che crea è ben peggiore, perché tenta di disarmarti con le sue buone intenzioni. Dunque era di mattina, molto presto, e i giardini erano vuoti, al sole. Ebbene in questo vuoto, la statua mi è apparsa all'improvviso: una figurina in gabbia che non ha niente a che fare con Montanelli, se non perché lo offende anche fisicamente, lui che era così "verticale", e che ci invitava a buttare via «il grasso» e la retorica monumentale. Il giornalista che ogni volta si ri-definiva in una frase, in un concetto, in un aforisma, in una citazione, è stato per sempre imprigionato in una scatola di sardine. Perciò ho provato il disagio che sempre suscita il falso, la patacca, la similpelle che non è pelle, perché non solo questo non è Montanelli, come ci ha insegnato Magritte che dipinse una pipa e ci scrisse sotto "questa non è una pipa". Il punto è che questa non è neppure una statuta di Montanelli, ma di un montanelloide in bronzo color oro, che ha la presunzione ingenua e goffa di imprigionare il Montanelli entelechiale, il Montanelli che era invece l'asciuttezza, era il corpo più "instatuabile" del mondo, troppo alto, troppo energico, troppo nervoso, incontenibile nello spazio e nel tempo com'è l'uomo moderno, che è nomade e ha un'identità al futuro. Era il più grande nemico delle statue il Montanelli che sempre ci sorprendeva, fascista ma con la fronda, conservatore ma anarchico, con la sinistra ma di destra, un uomo di forte fascino maschile che tuttavia non amava raccogliere i trofei del fascino maschile, ingombrante ma discreto, il solo che nella storia d' Italia abbia rifiutato la nomina a senatore a vita perché, diceva, «i monumenti sono fatti per essere abbattuti», come quello di Saddam, o di Stalin o di Mussolini. Come si può fare una statua ingombrante e discreta? Come si può fare un monumento all'antimonumento? ([[Francesco Merlo]]) *Montanelli comprò una sposa ragazzina di 11-12 anni. In realtà non possiamo sapere con precisione l'età perché nei villaggi africani non si registravano le nascite. Ma la comprò, questo lo sappiamo. E la violentò più volte. sappiamo anche questo, è stato lui a raccontare che lei non voleva. [...] Da italiano Montanelli avrebbe potuto riconoscere i segni di quella crudeltà e discostarsene. Non lo fece perché condivideva evidentemente quella cultura patriarcale. Perché non mettere al posto della sua statua quella di una donna della Resistenza? In Italia vorrei vedere più statue di donne partigiane. ([[Maaza Mengiste]]) *Montanelli disprezzava la borghesia che difendeva, e ammirava i comunisti che attaccava. Era convinto che la rivolta di Budapest si dovesse a operai che volevano il vero socialismo; mentre fu una rivolta nazionalista e antisovietica. ([[Enzo Bettiza]]) *Montanelli è il campione di indipendenza dalla politica, anche se sono arrabbiato con lui perché mi ha insegnato regole di comportamento anacronistiche, che nel giornalismo odierno non valgono più. ([[Daniele Vimercati]]) *Montanelli ha sempre avuto una componente di destra. È stato un uomo di destra come fascista, uomo di destra come sostenitore dei governi dc sia pure turandosi il naso. [...] Adesso è un uomo di destra qualunquista, ma sempre di destra. ([[Ugo Intini]]) *Montanelli, un misantropo che cerca compagnia per sentirsi più solo. ([[Leo Longanesi]]) *Quanto mi ha insegnato: le parole da non usare, le cose da non dire, la persone da non frequentare. ([[Beppe Severgnini]]) *Recentemente sono stato insignito del Premio Montanelli alla carriera che dovrebbe essermi consegnato a ottobre a Fucecchio, a meno che nel frattempo non mi sia revocato per indegnità, sempre in nome della libertà di informazione. Sono certo che il vecchio Indro non avrebbe condiviso nemmeno un fonema del mio necrologio sul Mullah {{NDR|Omar}}, ma sono altrettanto certo che non si sarebbe mai sognato di bloccarlo. Caso mai ci avrebbe riso su, considerandolo una provocazione, anche se provocazione non era. Perché Montanelli era un vero liberale. Quando i liberali esistevano ancora. ([[Massimo Fini]]) *Sa spalmare una così giusta misura di miele sull'orlo del nappo avvelenato che prepara per questo o per quello, che spesso la vittima muore senza accorgersene, ingannata dai soavi licori. ([[Paolo Monelli]]) *Scalfari e Montanelli direttori all'antica, padroni, mattatori che ricordano gli Scarfoglio, i vecchi direttori dell'ottocento che non solo incrociavano la penna ma anche la spada in una rissa continua con tutt ([[Ugo Intini]]) *Si può raccontare la [[storia]] in forma lieve, senza essere troppo ponderosi, rispettando tuttavia le fonti e la verità storica. Montanelli era molto bravo a scrivere, ma in fondo ne sapeva poco, gli piaceva gigioneggiare, sprofondava nell'anacronismo. Oggi ci si è accorti che, nel raccontare la storia, essere rigorosi ed essere divertenti non è conflittuale. ([[Alessandro Barbero]]) *So solo che Montanelli è fatto così: un maestro di giornalismo che ogni tanto s'impenna con qualcuna delle sue bizzarrie. ([[Giorgio Bocca]]) *Una volta, parecchi anni fa, Indro Montanelli, dicendosi disgustato della morbidezza e della mollezza della [[Democrazia Cristiana]], che ammorbidiva, incorporava, estenuava e alla fine innocuizzava qualsiasi opposizione, togliendole ogni soddisfazione e dignità, mi mostrò una fotografia, incastonata in una cornicetta d'argento, che teneva, a mo' di santino, come altri fanno con le immagini della madre o della moglie e dei figli, sulla sua scrivania, al «Giornale». Con sorpresa vidi che si trattava di Stalin. «Con questo ci sarebbe stato gusto, a battersi», disse. ([[Massimo Fini]]) *Ognuno può pensarla come vuole, ma quando si passa dalla cronaca alla storia è necessario mantenere un giusto approccio ed essere oggettivi sui valori della persona. Indro Montanelli è stato forse il più autorevole giornalista che l’Italia ha avuto nel ventesimo secolo. La Toscana penserà ad azioni per valorizzarlo. ([[Eugenio Giani]]) ===[[Enzo Biagi]]=== *A Indro Montanelli devo molto: intanto, l'idea che chi conta è il pubblico. Poi la necessità di essere chiari, di far anche fatica, perché chi legge non ha voglia di impegnarsi troppo, e solo se uno si chiama [[James Joyce|Joyce]] può essere difficile. *Montanelli se n'è sempre fregato delle critiche, io molto meno, ho un carattere permaloso, spesso non ho resistito alla tentazione di rispondere a chi mi attaccava. Indro mi sgridava, diceva a mia moglie di tenermi calmo, che non ne valeva la pena, che erano tutte bischerate. [...] Per lui il buon risultato era il sorriso di un passante, l'oste che gli trovava il tavolo. Qualcuno si chiedeva che cos'avesse di speciale. A pensarci bene, niente. Scriveva degli articoli che erano letti e dei libri che si vendevano. *Non è una gran notizia che Indro e io non abbiamo mai fatto parte del coro, ma fu una grande notizia la spiegazione che ne diede Berlusconi: "Biagi e Montanelli hanno invidia del mio successo". La prima cosa che mi venne in mente fu: "Sai che risate si starà facendo Indro adesso". Poi mi dissi che c'era poco da ridere. ==Note== <references/> ==Bibliografia== *Indro Montanelli, ''Qui non riposano'', Marsilio, 1982 (1945). *Indro Montanelli, ''Pantheon minore'' (incontri), Longanesi e C., Milano, 1950. {{NoISBN}} *Indro Montanelli, ''Gli incontri'', Rizzoli, Milano, 1967. {{NoISBN}} *Indro Montanelli, ''Storia dei greci'', Rizzoli, Milano, 1992. ISBN 8817115126 *Indro Montanelli, ''Storia dei greci'', RCS Quotidiani, Milano, 2004. ISBN 1-129-08505-8 *Indro Montanelli, ''Storia di Roma'', Longanesi, Milano, 1957; Rizzoli, Milano, 1959. {{NoISBN}} *Indro Montanelli, ''Storia di Roma'', RCS Quotidiani, Milano, 2004. ISBN 1-129-08505-8 *Indro Montanelli, ''L'Italia giacobina e carbonara (1789-1831)'', Rizzoli, Milano, 1971. {{NoISBN}} *Indro Montanelli, ''L'Italia del Risorgimento (1831-1861)'', terza edizione, Rizzoli, Milano, 1972. {{NoISBN}} *Indro Montanelli, ''L'Italia dei notabili (1861-1900)'', Rizzoli, Milano, 1973. {{NoISBN}} *Indro Montanelli, ''L'Italia di Giolitti (1900-1920)'', Rizzoli, Milano, 1974. {{NoISBN}} *Indro Montanelli, ''L'Italia in camicia nera (1919-3 gennaio 1925)'', Rizzoli, Milano, 1976. *Indro Montanelli, ''Dante e il suo secolo'', Rizzoli, Milano, 1974. {{NoISBN}} *Indro Montanelli, ''I protagonisti'', Rizzoli, Milano, 1976. {{NoISBN}} *Indro Montanelli, ''Controcorrente'', Editoriale Nuova, Milano, 1978. {{NoISBN}} *Indro Montanelli, ''Controcorrente 1974-1986'', Arnoldo Mondadori Editore, Milano, 1987. ISBN 8804300558 *Indro Montanelli, ''Il meglio di «Controcorrente». 1974-1992'', Rizzoli, Milano, 1993. ISBN 8817428078 *Indro Montanelli, ''Il testimone'', TEA, Milano, 1993. ISBN 8878194182 *Indro Montanelli, ''Le Stanze. Dialoghi con gli italiani'', Rizzoli, Milano, 1998. ISBN 8817852597 *Indro Montanelli, ''Le nuove Stanze'', Rizzoli, Milano, 2001. ISBN 8817868426 *Indro Montanelli, ''Soltanto un giornalista. Testimonianza resa a Tiziana Abate'', BUR, Milano, 2003. ISBN 8817107042 *Indro Montanelli, ''I conti con me stesso. Diari 1957-1978'', a cura di [[Sergio Romano]], Rizzoli, Milano, 2010. ISBN 8817028202 ([http://books.google.it/books?id=fuh--fZGHMcC&printsec=frontcover Anteprima su Google Libri]) *Indro Montanelli, ''Ricordi sott'odio'', Milano, Rizzoli, 2011, ISBN 978-88-17-04963-4 *Indro Montanelli, ''Indro al Giro. Viaggio nell'Italia di Coppi e Bartali. Cronache del 1947 e 1948'', a cura di Andrea Schianchi, Collana Saggi italiani, Milano, Rizzoli, 2016. ISBN 978-88-1708-969-2 *Paolo Granzotto, ''Montanelli'', Bologna, Il Mulino. ISBN 88-15-09727-9 *Paolo Occhipinti (a cura di), ''Caro Indro... Dialoghi di Montanelli con il direttore di Oggi. 1993-2001. Il meglio di una rubrica di successo durata otto anni'', RCS, Milano, 2002. ==Voci correlate== *[[Colette Rosselli]] *[[Indro Montanelli e Roberto Gervaso]] *[[Indro Montanelli e Mario Cervi]] *[[Indro Montanelli e Marco Nozza]] *''[[Il generale Della Rovere]]'' (film 1959) ==Altri progetti== {{interprogetto}} ===Opere=== {{Pedia|La Voce (quotidiano)|''La Voce''}} {{Pedia|Storia d'Italia (Montanelli)|''Storia d'Italia''}} {{DEFAULTSORT:Montanelli, Indro}} [[Categoria:Drammaturghi italiani]] [[Categoria:Giornalisti italiani]] [[Categoria:Saggisti italiani]] [[Categoria:Commediografi italiani]] go6pw45e88fm97mtzoq96gcuos2656m 1381947 1381946 2025-07-01T20:14:36Z ~2025-110542 103361 /* La Stampa */ 1381947 wikitext text/x-wiki [[File:IndroMontanelliLettera22.jpg|thumb|upright=1.5|Indro Montanelli alla sede del ''Corriere della Sera'']] '''Indro Montanelli''' (1909 – 2001), giornalista, saggista e commediografo italiano. ==Citazioni di Indro Montanelli== [[File:Indro Montanelli 1936.jpg|miniatura|Indro Montanelli, ufficiale del Regio Esercito, 1936]] *[[Gianni Agnelli|Agnelli]] ha detto che non siamo nella repubblica delle banane, però qualche banana in Italia c'è, perché avvengono cose veramente singolari.<ref>Citato in Marco Travaglio, ''Bananas'', Garzanti, Milano, 5 maggio 2001.</ref> *Al [[conformismo]] l'[[ironia]] fa più paura d'ogni [[Argomentazione|argomentato ragionamento]].<ref>Da ''Controcorrente'', Editoriale Nuova, Milano, 1978.</ref> *{{NDR|[[Ferdinando I delle Due Sicilie]]}} Aveva sulla coscienza la vita di migliaia d'infelici, morti sulla forca e nelle galere solo per aver voluto un po' di libertà. Era stato spergiuro. Non aveva conosciuto che disfatte e fughe ignominiose di fronte al nemico. Politicamente, era rimasto fermo alla concezione settecentesca del più retrivo assolutismo. Non aveva fatto che i propri interessi, e più ancora i propri comodi, della regalità prendendosi solo i piaceri. Non aveva saputo che incrementare l'ignoranza di cui egli stesso era campione. Eppure, il cordoglio popolare per la sua morte non ci stupisce, perché un dono lo aveva avuto: la genuinità. Questo Re fellone e fannullone non aveva mai cercato di apparire diverso da quel che era: uno scugnizzo dei «bassi», prepotente, ridanciano e sboccato, nato per caso con una corona in testa e che aveva sempre concepito la sua parte come quella di un buon capo-camorra. Non aveva interpretato che i caratteri deteriori del popolo napoletano, ma anche i più appariscenti e riconoscibili.<ref>Da ''L'Italia unita. {{small|Da Napoleone alla svolta del Novecento}}'', Rizzoli BUR, Milano, 2015, [https://books.google.it/books?id=8J7tCgAAQBAJ&lpg=PT206&dq=&pg=PT206#v=onepage&q&f=false p. 206]. eISBN 978-88-58-68272-2</ref> *Avevo capito fin dal primo incontro che l'aggressività di [[Anna Magnani|Anna {{NDR|Magnani}}]] era solo la maschera della sua insicurezza. Era una donna difficile e sempre agli estremi di tutto: della dolcezza come del furore, e non si capiva mai bene, forse non lo capiva nemmeno lei, quanto l'uno e l'altra fossero veri, o soltanto scena. Certo è che dall'uno all'altra passava con fulminea velocità e tenendo chiunque in stato di fibrillazione. <ref>Da ''Anna Magnani, la più grande attrice del nostro cinema'', 23 ottobre 1999, in ''Le Nuove stanze'', a cura di Michele Brambilla, RCS Libri, Milano, 2002, p. 280.</ref> *{{NDR|[[Walter Chiari]]}} Avrebbe meritato 30 anni di prigione per lo spreco del suo talento.<ref>Citato in Luciano Giannini, ''[https://www.ilmattino.it/AMP/cultura/walter_chiari_100_walter_sottotitolo_chiari_biografia_di_un_genio_irregolare-7954361.html Walter Chiari genio irregolare che confessava di aver vissuto]'', ''Il Mattino'', 24 febbraio 2024</ref> *[[Silvio Berlusconi|Berlusconi]] è una persona intelligente finché riesce a ragionare col suo cervello: il suo cervello è valido. Ma lui, oltre al cervello, ha le viscere, e molto spesso le viscere prendono la prevalenza sul cervello. E quando lui si abbandona alle viscere, secondo me, diventa uomo pericoloso. Questo lo dico a lei perché l'ho detto a lui, perché gliel'ho anche scritto.<ref name="milano">Dal programma televisivo ''Milano, Italia'', Rai 3, 11 gennaio 1994.</ref> *[[Silvio Berlusconi|Berlusconi]] ha straordinarie qualità di imprenditore – coraggio, fantasia, forza di lavoro – che gli hanno valso il successo in tutti i campi in cui si è cimentato. Una sola cosa non gli riesce di fare, il presidente di una società di calcio.<ref>Da ''[http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/1987/01/20/ora-montanelli-critica-berlusconi.html Ora Montanelli critica Berlusconi]'', ''la Repubblica'', 20 gennaio 1987.</ref> *[[Silvio Berlusconi|Berlusconi]] non ha idee: ha solo interessi.<ref>2001; citato in [[Marco Travaglio]], ''Ad personam'', Chiarelettere, Milano, 2010, p. 39, ISBN 978-88-6190-104-9.</ref> *{{NDR|Su [[Aldo Moro]]}} Calvinista a rovescio, invece che nella predestinazione della [[Grazia divina|grazia]], credeva in quella della [[disgrazia]].<ref>Citato in [[Roberto Gervaso]], ''Ve li racconto io'', Mondadori, Milano, 2006, pp. 310-311, ISBN 88-04-54931-9.</ref> *Certo, per un direttore di giornale, avere sottomano un [[Marco Travaglio|Travaglio]], che su qualsiasi protagonista, comprimario e figurante della vita politica italiana è pronto a fornirti su due piedi una istruttoria rifinita nel minimo dettaglio è un bel conforto. Ma anche una bella inquietudine. Il giorno in cui gli chiesi se in quel suo archivio, in cui non consente a nessuno di ficcare il naso, ci fosse anche un fascicolo intitolato al mio nome, Marco cambiò discorso.<ref>Dalla prefazione a Marco Travaglio, ''Il Pollaio delle Libertà'', Vallecchi, Firenze, 1995.</ref> *Chi di voi vorrà fare il [[giornalista]], si ricordi di scegliere il proprio padrone: il [[lettore]].<ref>Dalla lezione di giornalismo all'Università di Torino, 12 maggio 1997; citato in ''La Stampa'', 14 aprile 2009.</ref> *Conosco molti furfanti che non fanno i [[Morale|moralisti]], ma non conosco nessun moralista che non sia un furfante. Senza, per carità, allusione a [[Eugenio Scalfari|Scalfari]]. Solo come promemoria.<ref>Citato in [[Eugenio Scalfari]], ''Incontro con io'', Rizzoli, Milano, 1994, ISBN 8806200747.</ref> *Cosa c'è meglio di [[Romano Prodi|Prodi]]? Governa fra compromessi e imbroglietti. I nostri soci sanno benissimo che siamo imbroglioni, che sui conti che portiamo all'Europa s'è un po' imbrogliato. Accettano lo stesso, purché non s'esageri. E [[Carlo Azeglio Ciampi|Ciampi]] non esagera, è un economista serio e vero. [...] {{NDR|Romano Prodi}} Con la faccia da mortadella, l'ottimismo inossidabile e l'eterno sorriso, ci porterà in Europa: ringraziamo Dio, e anche [[Massimo D'Alema|D'Alema]], che ci hanno dato Prodi.<ref name=Montanelli>Citato in Francesco Battistini ''[https://web.archive.org/web/20160101000000/http://archiviostorico.corriere.it/1997/dicembre/19/Montanelli_ragazzi_rifate_68_co_0_97121914987.shtml Montanelli: ragazzi, rifate il '68]'', ''Corriere della Sera'', 19 dicembre 1997.</ref> *Dicono che [[Ciriaco De Mita|De Mita]] sia un intellettuale della Magna Grecia. Io però non capisco cosa c'entri la Grecia...<ref>Citato in ''Liberazione'', 22 febbraio 2008.</ref> *{{NDR|Su [[Giulia Maria Crespi]]}} Dispotica guatemalteca.<ref> Citato in Paolo Martini, ''[https://www.adnkronos.com/crespi-la-zarina-del-corriere-della-sera-che-fondo-il-fai_4YA2lu93AIXTzgMw0Wj65x Crespi, la 'zarina' del Corriere della Sera che fondò il Fai]'', adnkronos.com, 19 luglio 2020.</ref> *{{NDR|Su [[Gad Lerner]], nel 2000}} È bravissimo, son contento l'abbian messo al ''Tg1'', è un buon conduttore, buonissimo giornalista. Ma sarà un bravo direttore?<ref>Citato in Antonella Rampino, ''[http://www.archiviolastampa.it/component/option,com_lastampa/task,search/mod,libera/action,viewer/Itemid,3/page,3/articleid,0428_01_2000_0162_0003_4349235/ Il rischio? Una missione impossibile]'', ''La Stampa'', 17 giugno 2000.</ref> *{{NDR|Su [[Concetto Lo Bello]]}} Entra in campo col passo del padrone che ispeziona il proprio podere.<ref>Citato in Marco Innocenti, ''[https://st.ilsole24ore.com/art/SoleOnLine4/dossier/Tempo%20libero%20e%20Cultura/storie-della-storia/archivio-2009/storie-storia-9-settembre-muore-lo-bello.shtml?uuid=4327f496-881f-11de-873c-ca3137183d57&DocRulesView=Libero&refresh_ce=1 9 settembre 1991: se ne va il re degli arbitri, Concetto Lo Bello]'', ''ilsole24ore.com'', 8 settembre 2009.</ref> *{{NDR|Su [[Gaio Giulio Cesare|Giulio Cesare]]}} Grande soldato, grande statista, grande scrittore, grande avventuriero. E grande amatore. C'era di tutto. [...] In questa epoca di Mani Pulite Cesare sarebbe rimasto sicuramente "intangentato". Di tangenti lui ne prese parecchie. Ma a differenza dei mariuoli di oggi era anche un grande legislatore, un grande generale, un uomo di un'efficienza straordinaria. I nostri sono dei ladri. Ladri e basta.<ref>Citato in Mauro Anselmo, ''[http://www.archiviolastampa.it/component/option,com_lastampa/task,search/mod,libera/action,viewer/Itemid,3/page,7/articleid,0797_01_1993_0212_0009_11229316/ Montanelli: così ho finito la mia Storia d'Italia]'', ''La Stampa'', 4 agosto 1993.</ref> *{{NDR|Su [[Clare Boothe Luce]]}} Ha la mentalità schematica di una maestra di scuola.<ref>Citato in Massimo Gaggi, ''Quando il giornale del Pci pensò di pubblicare il nudo dell'ambasciatrice Usa'', ''Corriere della Sera'', 18 dicembre 2022.</ref> *{{NDR|Su [[Lucio Battisti]]}} Ho amato molto le sue canzoni e il suo desiderio di vivere appartato.<ref>Citato in [[Leo Turrini]], ''Lucio Battisti: la vita, le canzoni, il mistero'', Mondadori, 2008, retrocopertina.</ref> *I mariti italiani, per comprar la pelliccia alle mogli, spendono più di tutti i loro colleghi europei. Poveri, ma pelli.<ref name=Controcorrente>Da ''Controcorrente, 1974–1986'', Mondadori, Milano, 1987.</ref> *I nostri uomini politici non fanno che chiederci, a ogni scadenza di legislatura, «un atto di fiducia». Ma qui la fiducia non basta; ci vuole l'atto di fede.<ref name=Controcorrente/> *I [[Ricordo|ricordi]] vanno messi sotto teca, appesi a una parete e guardati. Senza tentare di rinnovarli. Mai.<ref>Da un'intervista di [[Ferruccio de Bortoli]], 1999; in ''[http://www.rai.it/dl/Rai5/programma.html?ContentItem-f04f3982-e954-471e-8242-78f92423550d Indro Montanelli, gli anni della televisione]'', puntata 8, di Nevio Casadio, Rai Premium, 2013.</ref> *Il bello dei [[politologi]] è che, quando rispondono, uno non capisce più cosa gli aveva domandato.<ref name=Controcorrente/> *{{NDR|Su [[Carlo Sforza]]}} Il conte si piega sulle gambe come se volesse saltare in arcione. E io dico: è veramente un bell'uomo.<ref>Citato da Guido Russo Perez nella [https://documenti.camera.it/_dati/leg01/lavori/stenografici/sed0331/sed0331.pdf Seduta pomeridiana del 31 ottobre 1949] della Camera dei deputati.</ref> *Il fascismo privilegiava i somari in divisa. La democrazia privilegia quelli in tuta. In Italia, i regimi politici passano. I somari restano. Trionfanti.<ref name=Controcorrente/> *Il guaio di [[Eugenio Scalfari|Scalfari]] non è che dice quel che pensa. Il guaio di Scalfari è che pensa quel che dice.<ref>Citato in Paolo Granzotto, ''Montanelli'', p. 173.</ref> *In [[Italia]] a fare la dittatura non è tanto il dittatore quanto la paura degli italiani e una certa smania di avere, perché è più comodo, un padrone da servire. Lo diceva [[Benito Mussolini|Mussolini]]: «Come si fa a non diventare padroni di un paese di servitori?».<ref>Dall'intervista di Pasquale Cascella, ''Montanelli: «Il regime? È alle porte, inutile aspettare il dittatore»'', ''l'Unità'', 25 ottobre 1994, p. 5.</ref> *In Italia c'è una frangia d'imbecilli tali che credono si possa resuscitare il comunismo. Seppellire il cadavere del marxismo non è facile, anche perché per molti significa rinnegare l'intera esistenza. Ma certo [[Fausto Bertinotti|Bertinotti]] non è di questi: lui non sa un corno di marxismo, non gl'importa niente, è un piccolo pagliaccio, un populista all'italiana che scalda in piazza maree di poveri diavoli e parla ancora delle masse operaie, che vede solo lui.<ref name=Montanelli></ref> *In Italia non c'è una coscienza civile, non c'è un'identità nazionale che tenga insieme uno Stato federale e garantisca la civile convivenza delle sue parti. Invece io vedo solo nell'Italia Cisalpina qualche barlume di coscienza civile e una vocazione europea. Altrove, invece, è un disastro difficile, se non impossibile, da rimediare. Spero proprio di sbagliarmi.<ref name=Italia>Citato in ''Il grande vecchio del giornalismo rilegge gli ultimi anni della nostra storia'', ''L'Indipendente'', 25 luglio 1995.</ref> *In Italia si può cambiare soltanto la Costituzione. Il resto rimane com'è.<ref>Dall'articolo di Polaczek, ''Teile und sende'', in ''Frankfurter Allgemeine Zeitung'', 15 agosto 1996, p. 29.</ref> *In Italia un colpo di piccone alle [[Casa di tolleranza|case chiuse]] fa crollare l'intero edificio, basato su tre fondamentali puntelli, la Fede cattolica, la Patria e la Famiglia. Perché era nei cosiddetti postriboli che queste tre istituzioni trovavano la più sicura garanzia.<ref>Citato in Daniele Abbiati, [http://www.ilgiornale.it/news/tresse-indro-nella-repubblica-delle-marchette.html ''La maîtresse di Indro nella Prima Repubblica delle marchette''], ''il Giornale.it'', 22 ottobre 2010.</ref> *In nome di quale razza noi faremmo del razzismo? Se c'è un paese (adesso non voglio offendere, perché io sono italiano come tutti gli altri), ma se c'è un paese bastardo è l'Italia, cioè a dire una confluenza di razze diverse.<ref>Dal programma televisivo di Rai 3 ''Eppur si muove'', 20 marzo 1994.</ref> *Io non mi sono mai sognato di contestare alla [[Chiesa (comunità)|Chiesa]] il suo diritto a restare fedele a se stessa, cioè ai comandamenti che le vengono dalla Dottrina... ma che essa pretenda d'imporre questi comandamenti anche a me che non ho la fortuna di essere un credente, cercando di travasarli nella legge civile in modo che diventi obbligatorio anche per noi non credenti, è giusto? A me sembra di no.<ref>Citato in [[Umberto Veronesi]], ''[http://www.repubblica.it/2008/10/sezioni/cronaca/eluana-eutanasia-3/comm-veronesi/comm-veronesi.html Non vince la scienza]'', ''la Repubblica'', 14 novembre 2008.</ref> *Io il giornale urlato non è che non glielo voglio dare, non lo so fare! La clava non è nel mio armamentario! Non lo posso fare e non credo che sia un buon segno di civiltà politica l'uso della clava.<ref name="milano" /> *Io non sono napoletano, ma di fronte a [[Peppino De Filippo|Peppino]], non so come, mi capita sempre di diventarlo.<ref name=Pappagone>Citato in ''Pappagone e non solo'', a cura di Marco Giusti, Mondadori, Milano, 2003.</ref> *{{NDR|Alla nipote Letizia Moizzi}} Io sarò il tuo Jukebox. Tu metti una monetina e io ti racconto un ricordo.<ref>Citato in Elvira Serra, «Scoprii che era importante quando le Br gli spararono. Lo convinsi io a prendere i farmaci per la depressione», ''Corriere della Sera'', 20 gennaio 2025.</ref> *Io non voglio soffrire, io non ho della sofferenza un'idea cristiana. Ci dicono che la sofferenza eleva lo spirito; no la sofferenza è una cosa che fa male e basta, non eleva niente. E quindi io ho paura della sofferenza. Perché nei confronti della morte, io, che in tutto il resto credo di essere un moderato, sono assolutamente radicale. Se noi abbiamo un diritto alla vita, abbiamo anche un diritto alla morte. Sta a noi, deve essere riconosciuto a noi il diritto di scegliere il quando e il come della nostra morte.<ref>Citato in Carlo A. Martigli, ''[http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2002/04/25/sul-diritto-alla-morte-si-discute-su.html Sul diritto alla morte si discute su Internet]'', ''la Repubblica'', 25 aprile 2002.</ref> *Kipling diceva: "un italiano, un bel tipo; due italiani, una discussione; tre italiani, tre partiti politici". I suoi concittadini, invece, li definiva così: "un inglese, un cretino; due inglesi due cretini; tre inglesi, un popolo". Vorrei avere a che fare con dei cretini che, insieme, facessero un popolo.<ref>Citato in Cristina Taglietti, ''[https://web.archive.org/web/20160101000000/http://archiviostorico.corriere.it/1998/dicembre/17/Montanelli_cari_studenti_volete_spaccate_co_0_98121712510.shtml Montanelli: cari studenti, se volete spaccate tutto ma è inutile]'', ''Corriere della Sera'', 17 dicembre 1998.</ref> *{{NDR|Riguardo all'approvazione della legge elettorale nota come mattarellum}} L'unico modello a cui possiamo rifarci è quello francese, non quello inglese. In un paese dove ci sono venti-venticinque partiti, come si fa l'uninominale a turno unico? Qui rischia di vincere un partito che ottiene il dieci percento, perché gli altri hanno ottenuto il sette, il sei. Ma le pare giusto questo? Io non so se è stata una follia o un atto criminale questa riforma elettorale. Io sono per la traduzione in processo dei legislatori, da [[Sergio Mattarella|Mattarella]] agli altri - non è stato il solo - i quali hanno fatto, come al solito, o creduto di fare gli interessi del proprio partito. Hanno fatto questa legge prima che venisse il diluvio universale di [[Mani pulite|Tangentopoli]], convinti che siccome loro erano il partito di maggioranza relativa spazzavano via l'Italia. Poi è venuta tangentopoli e ora piangono. Dovrebbero suicidarsi se avessero un minimo di dignità. Suicidarsi. Perché in nome degli interessi di partito hanno completamente rovinato l'Italia. [...] Questi legislatori che hanno truffato con questa legge - perché questa legge è una truffa - io vorrei sapere come mai non vengono processati. Dovrebbero essere processati per lesa patria.<ref name=conferenza>[https://www.youtube.com/watch?v=snbg12DCPSM Indro Montanelli presenta "La Voce", conferenza stampa integrale], 1994.</ref> *La cosa curiosa di [[Antonino Caponnetto|Caponnetto]] è che si va a schierare con [[Leoluca Orlando|Orlando]] che è stato il peggior denigratore di [[Giovanni Falcone|Falcone]]. E poi dice che fa l'antimafia, io vorrei sapere i voti a Orlando chi glieli ha dati.<ref>Citato in Riccardo Chiaberge ''[https://web.archive.org/web/20160101000000/http://archiviostorico.corriere.it/1994/marzo/21/Montanelli_voce_controcorrente_co_0_94032115801.shtml Montanelli la voce controcorrente]'', ''Corriere della Sera'', 21 marzo 1994.</ref> *La [[cultura]], per un giornalista, è come una puttana: la puoi frequentare ma non devi ostentarla. La cultura si tiene nel cassetto. Il lettore non va trattato dall'alto in basso, ma preso per mano come un amico e portato dove vuoi.<ref>Citato in [[Roberto Gervaso]], ''Ve li racconto io'', Mondadori, Milano, 2006, p. 294, ISBN 88-04-54931-9.</ref> *La cultura si è chiusa nella torre eburnea. Rimane lì, arroccata in sé stessa, perché ha orrore dei contatti col pubblico, si crede diminuita dai contatti col pubblico. Questa è la cultura italiana. È una cultura di cretini.<ref name="montecarlo">Radio Montecarlo, [https://www.youtube.com/watch?v=A77mrwIjSSs Intervista a Indro Montanelli], di Roberto Arnaldi, 1973.</ref> *La [[depressione]] è una malattia democratica: colpisce tutti.<ref>Citato nel programma televisivo ''Ippocrate'', Rai News, 13 giugno 2010.</ref> *La devolution mi preoccupa molto, perché la decomposizione della [[Repubblica Socialista Federale di Jugoslavia|Jugoslavia]] cominciò esattamente così: reclamata e imposta dai due grandi compari Tudjiman e [[Slobodan Milošević|Milosevic]] che distrussero l'unità del Paese per restare padroni in casa propria...<ref>Citato in Gian Guido Vecchi, ''[https://web.archive.org/web/20160101000000/http://archiviostorico.corriere.it/2001/aprile/08/Devolution_traffico_voto_rebus_co_7_0104088547.shtml Devolution e traffico, il voto è un rebus]'', ''Corriere della Sera'', 8 aprile 2001.</ref> *La guerra contro il [[brigantaggio]], insorto contro lo Stato unitario, costò piú morti di tutti quelli del [[Risorgimento]]. Abbiamo sempre vissuto dei falsi: il falso del Risorgimento che assomiglia ben poco a quello che ci fanno studiare a scuola.<ref>Citato in Stefano Preite, ''Il Risorgimento, ovvero, Un passato che pesa sul presente'', Piero Lacaita, 2009.</ref> *La lettura del ''[[Adolf Hitler#Mein Kampf|Mein Kampf]]'' io la renderei, per legge, obbligatoria. Fuori dal contesto in cui fu concepito e scritto, quel libro è un caciucco di coglionerie.<ref>Citato in Cesare Medail, ''Il «Mein Kampf» torna nelle librerie italiane. Grazie a un editore cossuttiano'', ''Corriere della Sera'', 6 maggio 2000.</ref> *La nostra classe politica ha fatto del [[partito]] una specie di totem intoccabile e gli ha attribuito tutti i poteri, con in più un diritto: il diritto di abusarne.<ref name=Dovere>Dal programma televisivo ''Dovere di cronaca'', Rete 4, 1988, [https://www.youtube.com/watch?v=caQgyvTKZS8 visibile su YouTube].</ref> *Le cose non sono importanti per quello che sono, ma per quello che uno ci mette.<ref name="cento">intervista di Enzo Biagi a Indro Montanelli, (1982), da "Cento anni", Fabbri video, 1993.</ref> *Le mie idee sono sempre al vaglio dell'[[esperienza]] e l'esperienza mi impone di rivederle continuamente.<ref name="IIIB">Da un'intervista del 1971, tratta da ''III B, Facciamo l'appello'' di Enzo Biagi; anche in ''[http://www.rai.it/dl/Rai5/programma.html?ContentItem-f04f3982-e954-471e-8242-78f92423550d Indro Montanelli, gli anni della televisione]'', puntata 7, di Nevio Casadio, Rai Premium, 2013.</ref> *[[Leo Longanesi]] che amava [[Marcello Marchesi]] rabbiosamente per lo spreco che faceva del suo talento, quando lo incontrava, gli diceva: "Devo fare una telefonata, mi dai un gettone di intelligenza?". E un giorno mi ordinò un epitaffio per lui. Eccolo: "Qui giace un nessuno — che se avesse voluto — avrebbe potuto diventare — Marcello Marchesi —. Purtroppo o per fortuna — non lo seppe mai —. Come tutti i geni — era un cretino".<ref>Citato in Paola Fallai, ''Marchesi, l'umorista che creò un'atmosfera'', ''La lettura'', ''Corriere della Sera'', 25 marzo 2012; riportato in ''[http://www.cinquantamila.it/storyTellerArticolo.php?storyId=0000001549183 Cinquantamila.it]''.</ref> *Mi accusano molto spesso di avere inventato degli aneddoti. È verissimo. Io ogni tanto invento quando devo descrivere un personaggio, specialmente negli incontri, io invento qualche aneddoto. Però sono sempre aneddoti funzionali, che servono a dimostrare quel certo carattere che mi sembra vero e di dover dimostrare.<ref name="IIIB" /> *Mi avvio verso il mio capolinea con l'angoscia di portare con me le cose che ho più amato: il mio paese e il mio mestiere, temo che non mi sopravviveranno.<ref>Da un'intervista del 1996, tratta da ''Tablet Italiani'', puntata 2, "Montanelli/Bocca", Rai Storia, 25 agosto 2013.</ref> *{{NDR|Su [[Vittorio Mangili]], in riferimento all'[[rivoluzione ungherese del 1956|insurrezione antisovietica in Ungheria nel 1956]]}} Ne ha combinate di tutti i colori. Ha fatto perfino il portaordini dei patrioti, a bordo di una delle loro automobili di collegamento.<ref>Citato in Roberta Scorranese, ''[https://www.corriere.it/cronache/22_ottobre_09/vittorio-mangili-cento-anni-dell-inviato-rai-io-budapest-madre-teresa-1efd76ca-473a-11ed-8ee2-07ab17a2d97d.shtml Vittorio Mangili, i cento anni dell’inviato Rai «Io, da Budapest a Madre Teresa»]'', ''corriere.it'', 8 ottobre 2022.</ref> *Nei grandi [[giornale|giornali]] di oggi, che non possono farne a meno, chi comanda non è più nemmeno il [[direttore]]: è l'ufficio [[marketing]].<ref name="giornalista">Da: ''Repertorio della Fondazione Montanelli'', in ''Indro Montanelli - Gli anni della televisione 4: Io sono soltanto un giornalista'', a cura di Nevio Casadio, Rai Sat, 2009</ref> *{{NDR|Rivolto a [[Silvio Berlusconi|Berlusconi]] che voleva imporsi sulla linea editoriale de ''il Giornale''}} Nell'arte dell'imprenditoria, tu sei di certo un genio, ed io un coglione. Ma nell'arte della polemica il genio sono io, e tu il coglione.<ref name=Travaglio2004>Citato in Marco Travaglio, ''Montanelli e il Cavaliere'', Garzanti, Milano, 2004.</ref> *Nessuno di noi la strada della ribellione la batté sino in fondo, come voleva [[Berto Ricci|Ricci]]: per la semplice ragione che si trattava di una strada che fondi non ne aveva. Qualcuno poi scantonò in questo o in quello dei sette o otto partiti che aprirono le porte a questa generazione perduta. E forse si illuse di aver trovato un’altra bandiera. Io sono tra i rassegnati: so benissimo che di bandiere non posso averne altre e che l'unica che seguiterà a sventolare sulla mia vita è quella che disertai, prima che cadesse.<ref>Citato in Mario Bernardi Guardi, ''La giovinezza di Montanelli ebbe un nome: Berto Ricci'', ''Il Primato Nazionale'', 3 maggio 2016.</ref> *No, [[Marco Travaglio|Travaglio]] non uccide nessuno. Col coltello. Usa un'arma molto più raffinata e non perseguibile penalmente: l'archivio.<ref name=Travaglio2004/> *Noi italiani non crediamo in nulla e tanto meno nelle virtù che qualcuno ci attribuisce. Ma tra di esse ce n'è una nella quale riponiamo una fede incorruttibile: quella della nostra capacità di corrompere tutto.<ref>Citato in Mario Cervi, ''Ti ricordi Indro?'', Società europea di edizioni, Milano, 2017, p. 57. ISBN 9778118178454</ref> *Noi qui buttiamo tutte le colpe addosso agli altri. Ma bisogna fare i conti anche col popolo italiano. Siamo noi che li abbiamo eletti questi signori. Sono mica piovuti dalla luna. E allora non accaniamoci soltanto sulla classe politica. Noi siamo un elettorato disposto a ogni sorta di transazione, quando ci fa comodo.<ref name=conferenza /> *Non credo alle feste comandate. La memoria dovrebbe essere spontanea. L'unica cosa che si dovrebbe fare è raccontare veramente e in maniera spassionata ai giovani, che non lo sanno, cosa è stata la Shoah, senza fare mobilitazioni di folle.<ref>Citato in Marco Cremonesi, ''[https://web.archive.org/web/20160101000000/http://archiviostorico.corriere.it/2001/gennaio/28/Diecimila_piazza_con_nomi_dei_co_0_0101282160.shtml Diecimila in piazza con i nomi dei lager]'', ''Corriere della Sera'', 28 gennaio 2001, p. 31.</ref> *Non do più nessun significato a queste due parole {{NDR|destra e sinistra}}, le ritengo un cascame, un residuato di situazioni oramai defunte. [[Destra e sinistra]] non hanno più nessun significato e credo che noi ci stiamo attardando su una terminologia arcaica, oramai da seppellire.<ref>Radio Radicale, [https://www.radioradicale.it/scheda/598/599-elezioni Elezioni], 38:58-39:26, 25 maggio 1979.</ref> *Non mi si portino i soliti argomenti astratti, tipo la sacralità della vita: nessuno contesta il diritto di ognuno a disporre della sua vita, non vedo perché gli si debba contestare il diritto a scegliere la propria morte.<ref>Citato in Enrico Bonerandi, ''[http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2000/12/13/montanelli-pronto-morire.html Montanelli: pronto a morire]'', '' la Repubblica'', 13 dicembre 2000, p. 36.</ref> *{{NDR|Il Polo delle Libertà}} Non venga a farci credere che è costretto all'[[Aventino (espressione)|Aventino]] dal clima di violenza creato dall'Ulivo. Dove diavolo la vede questa violenza? Mi basta guardare la faccia di [[Romano Prodi|Prodi]] 1996 per metterla a confronto con quella di Mussolini 1924 per escludere che in Italia corriamo il pericolo di una dittatura. Per fare una dittatura ci vuole un dittatore.<ref>Citato in Alessandro Longo, ''[https://rep.repubblica.it/pwa/generale/2018/03/17/news/aventino-191559602/?ref=pwa-rep-hp-2-1-1 Perché si dice Aventino]'', ''Rep.repubblica.it'', 17 marzo 2018.</ref> *{{ndr|su [[Gianni Agnelli]]}} Parla con la propria bocca, pensa con il cervello di Valletta, col cuore di Giulio De Benedetti e con gli interessi polivalenti della Fiat.<ref>Citato in Paolo Granzotto, ''Montanelli'', p. 129.</ref> *{{ndr|su [[Mariano Rumor]]}} Personaggio da commedia [[Carlo Goldoni|goldoniana]] più che da tragedia contemporanea.<ref>Citato in Paolo Granzotto, ''Montanelli'', p. 145.</ref> *Posso solo dire che l'Italia del Cattaneo è quella che conserva qualche probabilità di salvarsi da questo degrado politico, culturale, morale, economico. E l'Italia del Cattaneo è quella Cisalpina. A nord del Po, e forse anche in Emilia, esistono tracce di coscienza civile e anche di classi dirigenti sane. Poi c'è un'Italia centrale, quella toscana e umbra e marchigiana, che conserva le sue peculiarità, i suoi caratteri spiccati che affondano le radici nell'Italia comunale e rinascimentale. Il resto è un disastro che non saprei come salvare. Del resto Cattaneo ci tentò, andò a Napoli e resistette qualche giorno. Poi si arrese e se ne tornò nella sua Lugano, nella sua Svizzera.<ref name=Italia>Citato in ''Il grande vecchio del giornalismo rilegge gli ultimi anni della nostra storia'', ''L'Indipendente'', 25 luglio 1995.</ref> *Pur ricordandovi che la nostra regola è quella di non tener conto delle intemperanze altrui, specie dei politici, e di dire sempre la verità, tutta la verità, senza partito preso né animosità verso nessuno, vi autorizzo a comunicare al [[Bobo Craxi|suddetto signore]], se ve ne capita l'occasione, che l'unica «testa» in pericolo di cadere dopo il 5 aprile non è la vostra ma, casomai, la sua. E potete aggiungere, da parte mia, che non la considererei una gran perdita.<ref>Citato in [[Federico Orlando]], ''Il sabato andavamo ad Arcore'', Larus, Bergamo, 1995.</ref> *[[Sandro Pertini|Pertini]] ha interpretato al meglio il peggio degli italiani.<ref>Citato in Franco Fontanini, ''Piccola antologia del pensiero breve'', Liguori Editore, Napoli, 2007, p. 12.</ref> *Quando mi viene in mente un bell'aforisma, lo metto in conto a [[Montesquieu]], od a [[François de La Rochefoucauld|La Rochefoucauld]]. Non si sono mai lamentati.<ref>Citato in Luigi Mascheroni, ''[http://www.ilgiornale.it/news/mai-dette-ripetiamo-sempre-ecco-frasi-fantasma-storia.html Mai dette, ma le ripetiamo sempre. Ecco le frasi fantasma della storia]'', ''il Giornale'', 21 marzo 2009, p. 22.</ref> *Quello che ci ripugna è che, per mettere un controllo all'autorità politica, ci sia bisogno di ricorrere all'autorità giudiziaria. Cioè che, alla fine, noi avremo le riforme istituzionali non per via politica, ma per via giudiziaria e processuale. Questo ci allarma anche perché, come avrete ben capito, la mia opinione dei politici è molto bassa, ma quella dei giudici non è migliore. Perché anche i giudici sono stati corrotti dalla partitocrazia. Lo dimostra il semplice fatto che molti di loro ostentano la tessera di partito. Un giudice che ha venduto la propria imparzialità ai partiti è un giudice che, prima di processare gli altri, dovrebbe essere processato lui e cacciato in galera. Lo so che a dire queste cose si possono avere dei dispiaceri, ma io di dispiaceri in vita mia ne ho avuti tanti che, uno più o uno meno, non mi fa nessunissimo effetto.<ref name=Dovere/> *{{NDR|[[Carmen Lasorella]]}} Richiama tanta attenzione non solo per la sua bravura ma anche per quel che possiede dal cervello in giù.<ref>Citato in Luigi Mascheroni, ''[https://books.google.it/books?id=gtg7AQAAIAAJ&q=%22Richiama+tanta+attenzione+non+solo+per+la+sua+bravura+ma+anche+per+quel+che+possiede+dal+cervello+in+gi%C3%B9+%22&dq=%22Richiama+tanta+attenzione+non+solo+per+la+sua+bravura+ma+anche+per+quel+che+possiede+dal+cervello+in+gi%C3%B9+%22&hl=it&newbks=1&newbks_redir=0&sa=X&ved=2ahUKEwiC2PXRl5WDAxVs4AIHHazPCd4Q6AF6BAgHEAI Sette, settimanale del Corriere della sera, Edizioni 1-9]'', 1996.</ref> *Sfido io che {{NDR|''il Giornale''}} non va bene come vendite. Non va bene come vendite perché noi siamo ancora alla macchina Olivetti. Qui non è stato fatto mai nessun investimento ed è stato detto chiaro che gli investimenti non sarebbero venuti finché io ne fossi il direttore. Questa è la situazione.<ref name="milano" /> *Siamo un paese cattolico, che nella [[Provvidenza]] ci crede o almeno ne è affascinato. Il pericolo è questo: gli [[italia]]ni sentendo aria di provvidenza sono sempre pronti a mettersi in fila speranzosi.<ref name=Provvidenza>Citato in ''[http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/1994/02/24/rivogliono-uomo-della-provvidenza.html?ref=search Rivogliono l'uomo della provvidenza]'', ''la Repubblica'', 24 febbraio 1994, p. 11.</ref> *Se avessi potuto immaginare come sarebbe stata distrutta la vecchia classe politica italiana - che meritava la distruzione, sia chiaro - se avessi potuto immaginare che la distruzione della vecchia classe politica italiana, in gran parte marcia, avrebbe dischiuso una situazione come quella attuale e che la vecchia legge proporzionale sarebbe stata sostituita dall'attuale legge maggioritaria così come è stata compilata, io avrei forse difeso la vecchia classe. Per lo meno non mi sarei battuto con tanta asprezza e con tanto vigore contro quella classe politica, che meritava di finire, ma a cui si stanno dando dei successori che, ricordatevelo bene, ci faranno rimpiangere quella vecchia. È il peggio che si può dire. Ma io lo dico. Perché non riesco proprio a vedere cosa sta venendo fuori da questo rimescolio di carte.<ref name=conferenza /> *{{NDR|«Se dovesse fondare un giornale a novant'anni, che giornale farebbe?»}} Se io dovessi oggi fare un giornale, farei un ''Foglio'' un po' più grande: invece che di 4 facciate di 10 o di 12. Non di più. Con una redazione ridottissima e facendo un preventivo che mi mettesse al riparo dalle delusioni. Mirerei ad avere non più di venti/trentamila lettori e non avere pubblicità. Su queste basi, forse, riuscirei a fare un [[giornale]] di alto prestigio, ma purtroppo destinato a una élite.<ref name="giornalista" /> *Sta arrivando l'uomo della provvidenza. E io, in vita mia, di questi personaggi ne ho già conosciuto uno. Mi è bastato. Per sempre.<ref name=Provvidenza></ref> *Una cultura che perde i contatti col pubblico si sterilisce e muore. Questa è la verità. E la nostra cultura è assolutamente sterile. Noi culturalmente non contiamo più nulla nel mondo. Perché? Perché è chiusa in sé stessa, la cultura, ha perso i contatti col pubblico, con la vita. Non c'è più. Sono mummie. Non è più cultura: è mafia.<ref name="montecarlo" /> *{{NDR|Su [[Aldo Moro]]}} Un generale che, sfiduciato del proprio esercito, credeva che l'unico modo di combattere il nemico fosse quello di abbracciarlo.<ref>Citato in [[Roberto Gervaso]], ''Ve li racconto io'', Mondadori, Milano, 2006, p. 310, ISBN 88-04-54931-9.</ref> *Un giorno fui convocato a Palazzo Venezia, era il 1932 e avevo 23 anni, perché il duce voleva vedermi. Ero emozionatissimo, entrai e mi misi sull'attenti, e il duce che faceva finta di scrivere mi lasciò lì per un quarto d'ora e alla fine mi disse: "Ho letto il vostro articolo sul razzismo (avevo scritto un articolo contro il razzismo). Bravo, vi elogio. Il razzismo è roba da biondi (non si era accorto che ero biondo), continuate così. Sei anni dopo fece le leggi razziali. Perché questo era [[Benito Mussolini|Mussolini]], diceva una cosa e ne faceva un'altra, secondo il vento del momento. Non creava il vento, vi si accodava da buon italiano.<ref>Citato in Gianna Fregonara, ''[https://web.archive.org/web/20160101000000/http://archiviostorico.corriere.it/2010/gennaio/24/Dal_balcone_Mussolini_bianco_sorriso_co_9_100124324.shtml Dal balcone di Mussolini al bianco sorriso di Belen]'', 24 gennaio 2010, p. 34.</ref> *{{NDR|Su [[Giorgio La Pira]]}} Un pasticcione ben intenzionato che, nel nome del Signore, appoggia le peggiori cause appellandosi ai migliori sentimenti.<ref>Citato in [[Roberto Gervaso]], ''Ve li racconto io'', Mondadori, Milano, 2006, p. 236, ISBN 88-04-54931-9.</ref> ===Citazioni tratte da suoi libri=== *{{NDR|Sul funerale di [[Leo Longanesi]]}} Al cimitero ci si ritrovò in una decina di persone, non di più. Non ci furono cerimonie né discorsi. Solo la piccola Virginia, che avrà avuto quattordici anni, mentre la bara di suo padre calava nella tomba, mormorò: «E dire che gli orfani mi sono sempre stati così antipatici...» Una frase che sarebbe piaciuta moltissimo a Leo.<ref>Dalla presentazione a [[Leo Longanesi]], ''In piedi e seduti'', Longanesi & C., Milano, 1968.</ref> ====''Caro Indro...''==== *L'aureola di martire a Craxi nessuno è disposto a riconoscergliela, proprio perché inconciliabile con l'arroganza con cui si comporta. Nessun paragone col contegno di Andreotti, davvero ineccepibile. Sul banco degli imputati ci sta da imputato, dimentico di essere stato per ben sette volte capo del governo. Parla solo se interrogato, e a bassa voce. Non rinuncia alla propria dignità, ma non la ostenta. Eppoi, le colpe che gli si addebitano saranno anche più gravi di quelle che si addebitano a Craxi, ma meno spregevoli. Potrà anche aver baciato Riina (sebbene a me questo appaia poco credibile). Ma del pubblico denaro non risulta che gli sia scivolata in tasca nemmeno una lira. Forse merita la fucilazione. Lo spregio, no. (31.1.1996) (p. 9) *Non ho mai conosciuto [[Yasser Arafat|Arafat]], né mai ho cercato di conoscerlo: non mi pare che il suo aspetto inviti alla simpatia. Però non l'ho mai considerato un criminale anche se si trovava alla testa di un'[[Organizzazione per la Liberazione della Palestina|organizzazione]] in cui di criminali ce ne sono molti. E oggi non lo considero affatto un eroe, ma un uomo coraggioso sì, perché lo ritengo in costante pericolo di vita. La lotta per il potere, dentro l'Olp, è a coltello: e i nemici di Arafat sono quelli che il coltello lo maneggiano meglio di tutti. Stringendo la mano a [[Yitzhak Rabin|Rabin]], Arafat ha moltiplicato i suoi nemici e li ha resi ancora più rabbiosi. È un uomo a rischio, non c'è dubbio. E se muore lui, addio pace in Medio Oriente. (4.10.1993) (p. 11) *Certo che il passato dell'Olp, carico di bombe e di sangue, non è la migliore referenza per un Nobel, ma Arafat è però anche l'unico interlocutore palestinese: dopo di lui c'è il nulla, o meglio soltanto gruppi di fanatici votati alla violenza e alla distruzione di [[Israele]]. Una volta presa la decisione di premiare i protagonisti del tormentato processodi pace in Medioriente [...] si è dovuto fare di necessità virtù e dare il riconoscimento anche all'uomo che per molti anni è stato un simbolo del terrorismo, nonché l'ispiratore di tante altre «lotte armate»: premiare solo Rabin e [[Shimon Peres|Peres]] sarebbe stato uno schiaffo ai palestinesi, un'iniziativa controproducente. [...] Forse più che il Nobel per la pace meriterebbe quello per il ravvedimento... (30.10.1994) (p. 12) *«Libera Chiesa in libero Stato» è una formula più d'effetto che di sostanza. Potrebbe anche significare che Chiesa e Stato si ignorano a vicenda e ognuno dei due si attribuisce i poteri che più gli aggradono: che è il modo più sicuro per litigare, non certo per convivere. Fra i due ci deve essere un patto improntato al reciproco rispetto: condizione più facile da formulare che da realizzare. Ma sembra che lo sviluppo di questo rapporto negli ultimi anni abbia fatto più passi indietro che avanti. E mi pare che dello stesso parere sia il capo dello Stato, Carlo Azeglio Ciampi. Meno male (7.3.2001) (p. 30) *Ho fiducia in [[Massimo D'Alema|D'alema]], anche se non voterò mai per lui. Ho fiducia per due motivi. Prima di tutto perché, fra i leader di oggi, è l'unico vero professionista della politica. Eppoi perché non ho dubbi sulla sua intenzione di fare del Pds un partito socialdemocratico o laburista. Se non fosse così, non solo Prodi ma nemmeno Veltroni sarebbero al suo fianco. E appunto perché è così, sono convinto che consumerà fino in fondo il divorzio da Rifondazione. Lo consumerà cercando di non farsene portar via molti elettori. Ma lo consumerà per conquistare i moderati: altra strada non può battere. E proprio in questi giorni lo ha dimostrato sacrificando anche quella piccola falce e martello che tuttora sopravviveva nel simbolo del suo partito ai piedi della Quercia. Non era che un «segno», dirà qualcuno. Sì, ma che segno! (17.5.1995) (p. 42) *Anch'io sono stato in passato un fautore dell'elezione diretta, cioè per consultazione popolare, del Capo dello Stato. Mi pareva il mezzo più efficace per sottrarre almeno il Quirinale agl'intrallazzi dei partiti e per avere un garante al di sopra di essi. Ma poi ho dovuto cambiare idea di fronte alle prove di balordaggine, d'ignoranza, di totale mancanza di consapevolezza morale e civile dell'elettorato italiano, o almeno della sua maggioranza. È un elettorato sempre pronto a correre dietro a qualche ciarlatano che sappia vendere bene la sua merce e a lasciarsene trascinare nelle imprese più insensate. Insomma considero la stupidità più pericolosa degl'intrallazzi. (23.12.1998) (p. 47) *Non credo che [[Diana Spencer|Diana]] rimarrà nella memoria dei posteri. Era una bella e simpatica ragazza, che avrebbe anche potuto essere una buona moglie e una buona madre, ma che non aveva certamente la stoffa e le dimensioni umane, comportamentali di una regina. Più e meglio che sul trono, il suo personaggio avrebbe figurato in un romanzo di Liala. Non riesco ad accostarla a figure storiche (17.9.1997) (p. 72) *Mussolini non aveva la stoffa del criminale né di guerra né di pace. Dicendolo, so di espormi alle contumelie della cosiddetta intellighenzia. Ma ne ho già ricevute tante che non mi fanno più nessun effetto. Tuttavia mi rendo conto che alla condanna a morte non avrebbe potuto sfuggire perché almeno un responsabile delle catastrofi che si erano abbattute sull'Italia si doveva pur trovare, e non poteva essere che lui. Però c'è da ringraziare Dio, e per esso, il Comitato di liberazione nazionale che ne ordinò (o avallò) la fucilazione sul posto perché un processo a Mussolini avrebbe ancora più spaccato un Paese già spaccato dalla guerra civile (per chiamare col suo vero nome, la Resistenza). E credo che anche gli Alleati trassero un respiro di sollievo dal venirne esentati. Un processo avrebbe messo in imbarazzo anche loro per le indulgenze che avevano avuto verso di lui e quella parodia di totalitarismo ch'era stata il suo regime. Una Norimberga italiana sarebbe stata anch'essa una parodia. La fucilazione sul posto di Mussolini era un atto dovuto. Quello che non era dovuto, e che per gl'italiani provvisti di qualche senso dell'onore e della decenza rimarrà una indelebile vergogna, fu la scena di piazzale Loreto (30.6.1999) (pp. 89-90) *{{NDR|«Poni che ti regalino una telecamera, con il diritto di spiare per un mese, non visto, un potente della Terra, a tua scelta, dalla regina Elisabetta a Gheddafi, da Saddam a Clinton. Quale personaggio ti incuriosirebbe di più?»}} [[Vladimir Putin|Putin]]. Credo che sia una canaglia perché solo le canaglie potevano arruolarsi e fare carriera in un corpo di polizia come il Kgb. Ma è proprio di una canaglia che la [[Russia]] ha bisogno per ricompattarsi all'interno, risollevarsi dal caos in cui l'ha precipitata il crollo di un regime totalitario durato settant'anni, e riprendere nel gioco delle potenze mondiali il posto che spetta a un Paese di 250 milioni di abitanti, di grandi tradizioni e d'inesauribili risorse naturali. L'Occidente ha bisogno della Russia: è il suo antemurale verso un Oriente che può riservarci amare sorprese. [...] Non facciamoci illusioni sull'avvenire di una democrazia in Russia. Essa ha bisogno [...] di una mano forte e spregiudicata, di una canaglia insomma. [...] Ecco perché mi piacerebbe conoscere Putin: per vedere se è la canaglia di cui mi pare abbia bisogno la Russia in questo momento: un «momento» destinato a durare parecchi decenni. (18.10.2000) (pp. 104-105) ====''Il testimone''==== *[[Corrado Carnevale|Carnevale]] ha dichiarato in un'intervista che la notte non ha bisogno di sonniferi per dormire perché, nei confronti della Legge, la sua coscienza è a posto. Ci crediamo senz'altro. Ma se si ponesse la stessa domanda nei confronti della Giustizia, mi domando se i suoi sogni sarebbero altrettanto tranquilli. E ci rendiamo tuttavia conto che questa domanda non se la porrà mai, e anzi gli sembrerà del tutto stravagante. Perché, per un magistrato italiano, la Legge con la Giustizia non ha nulla a che fare. (da p. 386) ====''Il meglio di «Controcorrente» 1974-1992''==== *Il «comitato permanente antifascista» di Milano ha deciso di chiedere un «riconoscimento» per tutti coloro che sono stati «coinvolti direttamente nella strategia della tensione a partire dal 1º gennaio 1969». Ci risiamo. Tutta la nostra vita è stata angosciata e angariata dagli antemarcia: prima quelli del Littorio, poi quelli della Resistenza, ed ecco che ora spuntano quelli della «tensione». Longanesi aveva ragione: in questo Paese, reduci si nasce. (p. 47) *Agli alunni della terza classe (anni otto-nove) della scuola elementare di via Pisani, Milano, è stato assegnato il seguente problema: «Mario, Gino e Beppino sono i capi della banda. Mario dice a Gino che la banda ha quasi esaurito le munizioni: rimangono solo 5 cassette con 130 pallottole per cassetta. Quante pallottole rimangono?». Debolucci come siamo, in aritmetica, non lo sappiamo nemmeno noi. Ma ci pare che una per l'insegnante e una per il ministro Malfatti ci dovrebbero ancora essere. (p. 79) *Il messaggio di addio che il dimissionario capo dello Stato ha detto alla televisione e che anche noi pubblichiamo, è ineccepibile. Esso dà del presidente [[Giovanni Leone|Leone]] un'immagine che non fa una piega: un galantuomo all'antica, padre di una famiglia esemplare, ingiustamente calunniato da una stampa irresponsabile. Siamo sicuri che tutto questo si può dire di Leone. Ha un solo difetto: che a dirlo è stato Leone. (p. 84) *A Roma, nonostante tutte le ricerche fatte, non è stato possibile trovare un locale disponibile per un convegno di radicali. Non ce n'era uno abbastanza piccolo per contenerli tutti. (p. 103) *Qualcuno teme – e qualche altro spera – che l'Afghanistan diventi il Vietnam dei russi. Niente paura, in Afghanistan non ci sono giornalisti. (p. 112) *Quella del ''Corriere'' non è una situazione invidiabile: il direttore in congedo per l'affare della P2, manager ed articolisti contestati per lo stesso motivo, il maggiore azionista in galera, accusato di reati valutari, montagne di debiti, trasparenza della proprietà limpida come un mare in burrasca. Ci sarebbe davvero da mettersi le mani nei capelli. Se non fosse un giornale di [[Roberto Calvi|Calvi]]. (pp. 125-126) *Quando leggiamo «ministro senza portafoglio», ci viene sempre un dubbio. Che glielo abbia rubato qualche collega? (p. 146) *L'[[Organizzazione per la Liberazione della Palestina|Olp, Organizzazione per la liberazione della Palestina]], è stata ammessa con voto unanime, anche se provvisoriamente, nel Comitato olimpico asiatico. Non sapevamo che il lancio della bomba fosse diventato una disciplina atletica. (pp. 171-172) *A suo tempo imprigionato dagl'israeliani per complicità col terrorismo palestinese, e liberato per l'intervento del Vaticano con l'impegno di astenersi dalla politica, l'Arcivescovo libanese di Gerusalemme [[Hilarion Capucci]] ha dichiarato in un'intervista all'''Europeo'' che i rivoltosi di Gaza e della Cisgiordania non ricevono ordini da nessuno: «Li prendono solo da Dio, loro unico leader». Lo abbiamo sempre detto, noi: a grattare un arabo, anche se cristiano e Monsignore, viene fuori un Ayatollah. Ma forse non c'è neanche bisogno di grattare. (p. 184) *Da Praga [[Bettino Craxi]] proclama che «bisogna liberare l'Italia da Falci e Martelli». Benissimo. Ma chi è Falci? (p. 206) *[[Pino Rauti]] è intenzionato a candidare un africano alle elezioni comunali fiorentine. Più che giusto: il nero si addice al Msi. (p. 209) *Per evitare pubblicità attorno al caso di [[Angelo Peruzzi|Peruzzi]] e [[Andrea Carnevale|Carnevale]], i due giocatori giallo-rossi risultati positivi all'antidoping, il presidente della Roma, [[Dino Viola]], ha deciso di portare tutta la squadra in ritiro. A San Patrignano. (p. 216) *Secondo ''La Notte'' di ieri – che riferisce dichiarazioni d'un capo della Jihad islamica, Ibrahim Serbell – i terroristi arabi hanno nel loro mirino, per quanto riguarda l'Italia, «uomini politici, aeroporti e alcuni obiettivi strategici». Siamo molto preoccupati per gli aeroporti e gli obiettivi strategici. (p. 220) *La fantapolitica non è il nostro esercizio preferito. Ma ci chiediamo che cosa succederebbe se, con un colpo alla Moro, i terroristi si impadronissero di Cossiga e lanciassero al governo il ricattatorio ultimatum: «Se non ci date cento miliardi, lo liberiamo». (p. 228) *Malgrado tutto (e per tutto intendiamo proprio tutto), [[Moana Pozzi]] non è riuscita ad entrare a Montecitorio. Peccato. È l'unica Camera che non potrà dire di aver frequentato. (p. 236) *Sull'''Unità'' è comparsa la lettera di un deputato che, pericolosamente sfiorato da un motociclista, invoca drastiche misure penali contro i «teppisti al volante». Ci associamo alla proposta. L'unica cosa che ci sconcerta è la firma del proponente: è quella dell'onorevole [[Mario Gozzini]], autore della famosa legge che in pratica vorrebbe l'indulgenza plenaria per qualsiasi reo e reato. (p. 244) ===Attribuite=== *Berlusconi non delude mai: quando ti aspetti che dica una scempiaggine, la dice.<ref name=Travaglio2004/> :In ''Io e il cavaliere qualche anno fa'', ''Corriere della Sera'', 25 marzo 2001, p. 1, Montanelli attribuisce la citazione a «un'alta personalità della Finanza, nota anche per il suo infallibile fiuto degli uomini». La frase esatta è: «Avrà anche i suoi difetti, ma un merito bisogna riconoscerglielo: quello di non deludere mai. Quando ti aspetti che dica una scempiaggine, la dice». ==Interviste== {{cronologico}} *{{NDR|La guerra coloniale etiopica}} Considerandola oggi, con la mia maturità d'oggi, {{NDR|è}} un'avventura di una stupidità senza fine. Ma immaginiamo un ragazzo di 24 anni messo al comando di una banda indigena, con 100 uomini neri – lui solo bianco – buttato all'avventura in quella guerra che di combattimenti ne ebbe molto pochi – non voglio passare per un gran guerriero, affatto – ma furono un anno e mezzo a cavallo, di cavalcate in questa natura selvaggia (ripeto, combattimenti ben pochi). {{NDR|«Dicono anche che lei aveva una moglie, diciamo indigena, molto bella, che era la più bella di tutte quelle che avevano gli ufficiali d'allora»}} Sì. {{NDR|«Era molto invidiato per questo»}} Pare che avessi scelto bene, era una bellissima ragazza bilena, di 12 anni – {{NDR|sorridendo}} scusatemi, ma in Africa è un'altra cosa – e così l'avevo sposata, nel senso che l'avevo regolarmente comprata dal padre che mi ha accompagnato insieme alle mogli dei miei ascari. Queste mogli degli ascari non è che seguissero la banda, ma ogni 15 giorni raggiungevano la banda: io non ho mai capito come facessero a trovarci in questo infinito dell'Abissinia. Quelle arrivavano e arrivava anche questa mia moglie con la cesta in testa, che mi portava la biancheria pulita. [...] {{NDR|Domanda del pubblico: «Lei ha detto tranquillamente di avere avuto una sposa, diciamo, di 12 anni e a 25 anni lei non si è peritato affatto di violentare una ragazza di 12 anni, dicendo "Ma in Africa queste cose si fanno". Io vorrei chiedere a lui come intende normalmente i suoi rapporti con le donne date queste due affermazioni»}} No signorina guardi, sulla violenza, nessuna violenza perché le ragazze in Abissinia si sposano a 12 anni. Non è questione, Quindi. {{NDR|Domanda del pubblico: «Su un piano di consapevolezza dell'uomo, insomma, il rapporto con una bambina di 12 anni è il rapporto con una bambina di 12 anni. Se lo facesse in Europa rischierebbe di violentare una bambina, vero?»}} Sì, in Europa sì, ma lì no. {{NDR|«Ecco, appunto»}} Lì no. {{NDR|«Quale differenza crede che esista dal punto di vista biologico, o anche psicologico?»}} No, guardi, {{NDR|«Dal punto di vista del costume»}} lì si sposano a 12 anni, non è questione. A 12 anni si sposano. {{NDR|«Ma non è il matrimonio che lei intende, a 12 anni in Africa. Guardi, io ho vissuto in Africa»}} Sì. {{NDR|«Quindi il vostro era veramente il rapporto violento del colonialista che veniva lì e si impossessava della ragazza di 12 anni»}} No... {{NDR|«Ma glielo garantisco, senza assolutamente tener conto di questo tipo di rapporto sul piano umano. Eravate i vincitori, cioè i militari che hanno fatto le stesse cose ovunque sono stati i vincitori, ovunque gli uomini si sono presentati come dei militari. La Storia è piena di queste situazioni»}} {{NDR|sorridendo}} Signorina, non so se lei vuole istruirmi un processo «a posteriori». {{NDR|«No, no, affatto. Guardi, ho soltanto voluto chiederle, per inciso, come lei intende – dopo le due interpretazioni – i rapporti con le donne»}} Dipende da cosa si mette dentro, dipende anche da cosa le donne mettono dentro di noi. È tutto un giuoco di specchi. {{NDR|«Ma lei vede sempre la donna in questa veste passiva di adulatrice, oppure di compagna – che appare e scompare – dell'uomo, non l'ha mai vista in una funzione diretta, attiva e diversa. Questo è un po' il dramma degli uomini della sua generazione»}} {{NDR|sorridendo}} Può darsi. Della mia generazione? Solo? {{NDR|«Credo»}} {{NDR|sorridendo}} Vabbè. Può darsi. (Da ''L'ora della verità'', 22 ottobre 1969) *{{NDR|Domanda del pubblico: «Io vorrei sapere perché lei, che si ritiene un osservatore, non ha mai affrontato il discorso sulla contestazione giovanile, tenendo anche presente il fatto che lei cerca il lettore. Lei ai giovani non dice assolutamente niente come giornalista»}} Come? {{NDR|«Se c'è un pubblico che lei sta perdendo, e forse non ha mai avuto, è proprio quello dei giovani. Vorrei sapere come mai lei non ha mai affrontato il discorso sulla contestazione, sulla realtà giovanile che è esplosa in questi ultimi anni»}} Signorina, io avrei tanto volentieri affrontato il discorso sulla contestazione se fosse possibile agganciare il discorso coi contestatori. Ma coi contestatori io non faccio il [[Alberto Moravia|Moravia]]. No. Non vado a farmi spernacchiare dai giovani, mi dispiace tanto. Né dai giovani, né da nessun altro. {{NDR|«Lei ha paura, scusi, di affrontare un discorso»}} No, io non ho paura, ma non ammetto di essere accolto a quel modo. È proprio un fatto, così, di dignità. {{NDR|«E allora, scusi, lei a questo punto rinuncia a un pubblico come può essere quello dei giovani semplicemente, così, per non avere degli spernacchiamenti, per non compromettere – diciamo – questo suo successo a cui è arrivato»}} Ma scusi, ma che dialogo sono le pernacchie? Me lo vuole spiegare? (ibidem) *Certamente [[Benito Mussolini|Mussolini]] fu un grossissimo politico, un uomo politico di grandissimo fiuto, di tempismo formidabile: lo dimostrò la facilità con cui vinse. Forse dovuta per metà alle sue capacità, alla sua bravura – parlo sempre come politico – e per metà all'insipienza, alla nullaggine dei suoi avversari, perché è tempo oramai di dire anche questo. Non c'è dubbio che il potere assoluto guastò completamente Mussolini: il Mussolini del 1930 non era certamente quello del 1940, il Mussolini di dieci anni dopo l'avvento al potere era diventato una specie di marionetta, la caricatura di sé stesso. Aveva perso proprio il senso della realtà, che era stato invece il suo forte da principio, il contatto col pubblico lo aveva perso, il senso della misura, e lo aveva dimostrato poi con gli errori madornali che ha fatto. Nei primi dieci anni credo che alcune cose buone le abbia fatte. Non credo che abbia ucciso la democrazia, credo che l'abbia soltanto seppellita perché era già morta. Da quel poco che ricordo l'Italia era un grosso carnevale, e anche abbastanza drammatico, perché la situazione interna era addirittura sfasciata: correva sangue, ne correva molto, noi in Toscana ne sapevamo qualcosa [...]. E quindi non è vero che lui... le democrazie non vengono mai uccise, le democrazie muoiono. Dopodiché si dà la colpa a chi le seppellisce, ma la verità è che si suicidano, e credo che la democrazia italiana del '21-22 si sia suicidata. [...] Mussolini capì una cosa fondamentale: che per piacere agli italiani bisognava dare a ciascuno di essi una piccola fetta di potere col diritto di abusarne. Questo era il fascismo. Il fascismo aveva creato una [[gerarchia]] talmente articolata e complessa che ognuno aveva dei galloni: il capofabbricato, il caposettore... tutti avevano una piccola fetta di potere, di cui naturalmente ognuno abusava, come è nel carattere degli italiani. (da ''Questo secolo'', 18 maggio 1982) *Ero all'estero, lavoravo nel giornalismo americano, alla ''United Press''. Chiesi alla mia agenzia di mandarmi come corrispondente in Abissinia. Giustamente mi dissero: «No, perché lei è un italiano, quindi logicamente non fa delle corrispondenze obiettive». Dico: «Avete ragione. Allora io vi lascio e vado volontario». Feci la mia brava domanda (la feci anche raccomandare). La domanda fu accolta, io fui mandato in Abissinia e, cosa un po' strana [...], a questo ragazzo di 23 anni [...] venne affidata una banda. [...] In quei due anni io contribuii a fare una cosa sbagliata, un'autentica fregnaccia qual era costruire un impero nel '35, quando coloro che lo avevano lo stavano già liquidando perché erano cose antistoriche. Ma io a 23 anni, a 24 anni, non potevo capire questo. Ebbi due anni di vita all'aria aperta, bella, di avventura, in cui credetti di essere un personaggio di Kipling, di contribuire a fare qualcosa di importante. Poi mi accorsi che non era vero, ma le cose non sono importanti per quello che sono, ma per quello che uno ci mette. E io in quel momento ci mettevo un grande entusiasmo: ebbi due anni di vita bellissima, a cavallo, con le tende, i miei uomini, libero, solo (perché non rispondevo a nessuno). Eh beh, compiango i giovani che non hanno avuto una simile esperienza. {{NDR|«E anche con una giovane moglie»}} E anche con una giovane moglie, {{NDR|indicando una fotografia}} eccola lì. Regolarmente sposata in quanto regolarmente comprata dal padre. {{NDR|«Quanti anni aveva?»}} Aveva 12 anni, ma non mi prendere per un Girolimoni. {{NDR|«Per un bruto»}} A 12 anni quelle lì erano già donne. {{NDR|«E tu dove l'avevi comperata?»}} L'avevo comprata a Saganèiti, un paese dove avevo mandato il mio emissario [...]. Me la comprò insieme a un cavallo e a un fucile, in tutto 500 lire. {{NDR|«E lei com'era?»}} Un animalino. Docile. Io le misi su un tucul con dei polli e poi, ogni 15 giorni, mi raggiungeva dovunque fossi, insieme alle mogli degli altri ascari. (ibidem) *Io esclusi immediatamente la responsabilità degli [[Anarchia|anarchici]] {{NDR|dalla [[strage di piazza Fontana]]}} per varie ragioni: prima di tutto, forse, per una specie di istinto, di intuizione, ma poi perché conosco gli anarchici. Gli anarchici non è che sono alieni dalla violenza, ma la usano in un altro modo: non sparano mai nel mucchio, non sparano mai nascondendo la mano. L'anarchico spara al bersaglio, in genere al bersaglio simbolico del potere, e di fronte. Assume sempre la responsabilità del suo gesto. Quindi, quell'infame attentato, evidentemente, non era di marca anarchica o anche se era di marca anarchica veniva da qualcuno che usurpava la qualifica di anarchico, ma che non apparteneva certamente alla vera categoria, che io ho conosciuto ben diversa e che credo sia ancora ben diversa. (da ''La notte della Repubblica'', 12 dicembre 1989) *La [[Lega Nord|Lega]] è una cosa sgradevole. Però le Leghe sono un fenomeno di reazione a una provocazione. È la politica nazionale, che fa nascere le Leghe. Questo non vuol dire che io le approvi. La reazione è sbagliata, ma provocazione c'è, le degenerazioni della partitocrazia ci sono. Che il pubblico denaro sia male amministrato e che a farne le spese siano soprattutto i cittadini del Nord non è contestabile. (da ''La Stampa'', 7 novembre 1990) *Ah, quel maledetto [[Toni Negri]], quel maledetto aizzatore dei sentimenti dei giovani che è vigliaccamente scappato dall'Italia per non affrontare il carcere. Per un Paese non c'è nulla di peggio che i cattivi maestri. Come punirli? Bisognerebbe impiccarli. Ripeto, impiccarli. (da ''L'Italia settimanale'', 1995) *Fu una pulizia etnica, bisognava far fuori gli italiani: allora si chiamarono fascisti e si ammazzarono, e si buttarono nelle [[massacri delle foibe|foibe]]. Questo avvenne dopo la fine della guerra, sia chiaro. Perché gli orrori di guerra, non dico che siano giustificabili, ma sono comprensibili, la guerra è di per sé stessa un orrore. No, queste... le foibe furono un'infamia commessa dopo la Liberazione, dopo la fine della guerra, e purtroppo vi hanno collaborato parecchi comunisti italiani, alcuni dei quali non solo sono ancora a piede libero, pur essendo vivi, ma ricevono delle pensioni di Stato. Ricevono delle pensioni di Stato. Però io ti posso dire questo: che come testimone oculare io ho visto anche in Croazia delle cose, da parte degli italiani, su cui è meglio sorvolare. Perché anche noi le abbiamo commesse, perché la guerra le comporta, questo è fatale, ecco. Quindi non facciamo tanto i moralisti. [...] No, questo {{NDR|tesi sloveno-croata sulla pulizia etnico-culturale da parte degli italiani durante il periodo di occupazione fascista}} è assolutamente falso. Pulizie etniche noi non ne abbiamo mai fatte, in nessun Paese occupato. Quando sento dire che noi facemmo anche la pulizia etnica in Etiopia, beh vabbè, mi cascano le braccia. Mi cascano le braccia. Quelle son menzogne infami, di gente o che non sa nulla, o che mente sapendo di mentire. Non è vero. Furono episodi, ma non di pulizia etnica, di rappresaglie. (dall'intervista al TG2, ''[http://www.youtube.com/watch?v=s9UXM_pKpqY Massacri delle foibe]'', 6 settembre 1996) *Tutto questo mi evoca dei ricordi poco simpatici. Era il [[fascismo]] che si conduceva così. Era il Fascismo che proibiva la satira, che in un paese civile e democratico dovrebbe essere assolutamente indenne da controlli politici; perché la satira non ha niente a che fare con la politica, anche se prende in giro la politica, ma si sa che è satira. Ed ogni regime serio e democratico accetta la satira, come si accettano le caricature. Era [[Benito Mussolini|Mussolini]] che non le sopportava. E qui pensano: «Ripuliremo la stalla», «Faremo piazza pulita». Ma questo linguaggio, al signor [[Gianfranco Fini|Fini]], chi glielo ispira? Ci ricorda delle cose che avremmo voluto dimenticare. Questa non è la destra, questo è il manganello. Gli italiani non sanno andare a destra senza finire nel [[manganello]]. [...] Alla Rai faranno piazza pulita, lo hanno già annunziato. Ma come si fa a definire democratico un partito che annunzia «Quando saremo al potere, noi faremo piazza pulita»? Ma questo è un linguaggio del peggiore squadrismo, che loro non sanno cosa fu, ma io me lo ricordo. Questo è il linguaggio con cui {{NDR|i fascisti}} andarono al potere. (da ''La settimana di Montanelli'', 17 marzo 2001) *Io voglio ringraziare Travaglio, perché ha detto l'assoluta e pura verità. Assolutamente. La versione che ha dato degli avvenimenti è quella esatta. [...] Io ho conosciuto due Berlusconi: il Berlusconi imprenditore privato che comprò ''il Giornale'' – e noi fummo felici di venderglielo, perché non sapevamo come andare avanti – su questo patto: tu, Berlusconi, sei il proprietario de ''il Giornale'', io, direttore, sono il padrone del ''Giornale'', nel senso che la linea politica dipende solo da me. Questo fu il patto fra noi due. Quando Berlusconi mi annunziò che si buttava in politica, io capii subito quello che stava per succedere. Cercai di dissuaderlo [...] ma tutto fu inutile. Dal momento in cui lo decise mi disse: «Ora ''il Giornale'' deve fare la politica della mia politica». Ed io gli dissi: «Non ci pensare nemmeno». Allora lui riunì la redazione come ha raccontato Travaglio – e questo lo fece a mia totale insaputa – e disse: «D'ora in poi ''il Giornale'' farà la politica della mia politica». E a quel momento me ne andai, cos'altro potevo fare? [...] Nella mia vita ci sono stati due Berlusconi, completamente opposti [...] questo fa parte del ritratto di Berlusconi. [...] Come capo politico è quello che io ho conosciuto in quei brutti giorni in cui scorrettamente, nella maniera più scorretta e più volgare, saltandomi, radunò la redazione de ''il Giornale'' per dirgli «Qui si cambia tutto» all'insaputa del direttore. Se questo sembra a Feltri un modo di procedere democratico e civile, è affar suo. (risposta telefonica a [[Marco Travaglio]] e [[Vittorio Feltri]] durante la trasmissione ''Il Raggio Verde'', 23 marzo 2001) *{{NDR|Silvio Berlusconi}} È il bugiardo più sincero che ci sia, è il primo a credere alle proprie menzogne. [...] È questo che lo rende così pericoloso. Non ha nessun pudore. (dall'intervista di Sophie Gherardi, ''L'Europa deve trattare il sig. Berlusconi con sdegno e disprezzo, non con ostilità'', ''Le Monde'', 8 maggio 2001<ref name=Travaglio2004/>) *Spero che l'Europa adotterà nei confronti di Berlusconi l'atteggiamento di indignazione e di disprezzo che merita. (dall'intervista di Sophie Gherardi, ''L'Europa deve trattare il sig. Berlusconi con sdegno e disprezzo, non con ostilità'', ''Le Monde'', 8 maggio 2001<ref name=Travaglio2004/>) {{Int|''Match''|a cura di Arnaldo Bagnasco, Alberto Arbasino e Maria Gefter Cervi, Rete 2, 18 gennaio 1978.}} *Io non stavo con Longanesi per ragioni ideologiche, anche perché io non ho mai capito quale ideologia avesse Longanesi. Longanesi non lo si poteva misurare sul piano ideologico, era sempre contro tutto e contro tutti. Era il frondista principe: lo è stato sotto il fascismo – e in fondo fece il più bel settimanale, forse, che abbia avuto l'Italia in questi ultimi decenni, credo: ''Omnibus'', che fu chiuso dal regime – e si è trovato sempre male con tutti i regimi. Che cosa pensasse in realtà Longanesi io, dopo un'amicizia di trent'anni, non sono mai riuscito a capirlo. Quello che mi affascinava di Longanesi, e che continua ancora oggi ad affascinarmi, è lo straordinario talento, l'inventiva, l'intuito, l'eleganza di Longanesi. Per cui io non consideravo le posizioni ideologiche di Longanesi, questo non m'interessava affatto. Per me era un fatto di vecchia amicizia: io sono un po' cresciuto con Longanesi, l'avrei seguito anche all'inferno perché con Longanesi si poteva andare anche all'inferno, diventava l'eden. *{{NDR|Sull'appello di votare DC nel 1976}} Questa può sembrare una contraddizione, ma che cosa avrei dovuto dire ai miei lettori? Di votare per chi? Questo è il punto. Oggi [...] i partiti laici ai quali io ideologicamente farei capo – liberale, repubblicano, socialdemocratico – fanno i pifferi di accompagnamento a un patto a sei, e questo era già nell'aria, prima del 20 giugno. Che cosa dovevo dire io ai miei lettori, «Votate per i pifferi di accompagnamento»? Francamente non me la sentivo. [...] Nonostante la mia etichetta di destra, io per i partiti di destra non mi schiererò mai. Io vorrei un centro: non lo trovo, non c'è. Un centro di opposizione democratica al regime che è già in atto non c'è. E allora che debbo fare? È colpa mia se la politica italiana non mi offre un centro? Io continuo a battermi per la costituzione di questo centro. *{{NDR|Domanda del pubblico: «Come mai in Italia non ci sono giornali indipendenti?»}} Io, per esempio, ho la presunzione – sarà infondata – di dirigere un giornale indipendente, perché vorrei sapere da chi prendo gli ordini. Me lo dica lei, Padre. {{NDR|«No, beh...»}} E allora, se non potete indicare qualcuno che mi dà gli ordini, io sono indipendente. {{NDR|«Rispondo anch'io da giornalista: è chiaro che un giornale non si sostiene con le idee sull'indipendenza, si sostiene con dei quattrini»}} Certo. {{NDR|«Allora io parlavo di un'indipendenza che, in quanto dipende da chi paga, è comunque una dipendenza ideologica. Questa era la domanda»}} Sì, l'ha scritto molto bene ''Repubblica'' [...] credendo di offendermi. Ha detto: «Il ''Giornale nuovo'' vive di collette». È vero, noi viviamo di collette, e io ne sono fiero perché le collette mi lasciano libero. {{Int|''Mixer''|a cura di Giovanni Minoli, Rete 2, 6 aprile 1981.}} *{{NDR|«Perché fu fascista fino al '37?»}} Questa è la storia della mia generazione, tutta la mia generazione è stata fascista fino al '35, al '36 o al '43. *{{NDR|«E perché smise di esserlo?»}} Perché noi credevamo che il fascismo fosse una cosa, e poi ci accorgemmo che era un'altra. *{{NDR|«Lei ha detto: "Buffoni, cafoni di natura, ''parvenus'', tutta gente in malafede, il bassettume, il pirellume, il cedernismo". Si riferiva alla Milano radical chic, ma che cosa voleva dire, esattamente?»}} Quello che ho detto. Veramente, io ne ho il più profondo disprezzo. Io accetto benissimo i comunisti: i comunisti sono gente seria, pericolosissimi, ma seri. I [[radical chic]] no. *{{NDR|«È sempre convinto del suicidio dell'anarchico Pinelli?»}} Assolutamente. *{{NDR|«Lei a Catanzaro, al processo per la strage di piazza Fontana, ha dichiarato: "Secondo me, il commissario Calabresi fu vittima di una campagna di stampa". Cioè?»}} No, non l'ho dichiarato a Catanzaro, lo dissi molto prima. Basta rileggere i giornali di quei tempi, e soprattutto i rotocalchi: veramente, Calabresi fu vittima di una campagna stampa infame e ingiusta, perché era uno dei funzionari più corretti che ci fossero. *{{NDR|«Pietro Valpreda, qui a ''Mixer'', ha definito Calabresi come "un tecnocrate del potere". Lei che cosa ne pensa?»}} Ma che significa «un tecnocrate del potere»? Un commissario di polizia serve il potere, chi diavolo deve servire? Valpreda? {{Int|''Faccia a Faccia: intervista a Indro Montanelli''|''Mixer'', a cura di Giovanni Minoli, Rai 2, 5 maggio 1985.}} *[[Renato Curcio|Curcio]] non sparava alle spalle, sparava di fronte, andava di persona a sparare. Naturalmente siamo su delle barricate opposte, ma io stimo Curcio. Lo stimo. È un uomo che secondo me ha delle idee sbagliate ma le serve, le serve da soldato vero. Con un suo galateo. Col suo coraggio. Senza mai rinnegarsi. Non si è pentito! *Io sono convinto che la magistratura debba essere indipendente, però chiedo ed esigo che abbia un autogoverno di controllo, e che soprattutto risponda dei suoi gesti. Oggi noi abbiamo una magistratura che non risponde a nessuno dei suoi errori spesso catastrofici, perché hanno distrutto uomini, hanno distrutto aziende per delle cose che poi si son rilevate insussistenti. Mai un magistrato ha pagato per questo. Io voglio che i magistrati paghino. Non dico a dei poteri esterni, ma perlomeno al potere a cui viene affidata la disciplina nella categoria. *Tutta l'intellighenzia italiana ha una vecchia tradizione di servilità, com'è logico, perché si è sviluppata in un Paese analfabeta, per secoli e secoli analfabeta. Non avendo il lettore doveva per forza procurarsi il protettore. Scriveva per il protettore. *{{NDR|«Il suo peggior difetto qual è, Montanelli?»}} Quello di non riconoscermene nessuno. *{{NDR|«[[Leo Longanesi|Longanesi]], parlando di lei, un giorno disse che lei capiva le cose con dieci mesi di anticipo rispetto a tutti gli altri. Ecco, tra dieci mesi cosa vede in [[Italia]]?»}} Queste erano le cose di Longanesi, ma in realtà io non riesco a vedere tra dieci giorni. {{Int|''[http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/1991/11/16/giangi-feltrinelli-io-non-ti-perdono.html 'Giangi' Feltrinelli io non ti perdono]''|''la Repubblica'', 16 novembre 1991, p. 33.}} *[[Giangiacomo Feltrinelli|Lui]] fu l'emblema di tutto quanto accadde in quegli anni {{NDR|Anni della contestazione}}. A differenza della [[Francia]], eravamo un paese da burletta, con una contestazione da burletta e rivoluzionari da burletta. E Feltrinelli ne fu l'esponente più qualificato. *Era il 1940 e a quel tempo Giangi aveva quattordici anni e seguiva i corsi scolastici con pessimo profitto. Giangiacomo era un ragazzetto che voleva a tutti i costi cavalcare qualcosa di rivoluzionario. Non importava il colore. Tanto è vero che il suo sogno fu prima il fascismo e poi Che Guevara. *{{NDR|«L'importante è stare in prima linea il fascismo?»}} Ma sì, negli anni Quaranta lui era fascista. Era talmente fascista che nel 1943, dopo l'8 settembre, voleva denunciare sia me che Barzini per alcune cose che avevamo detto contro i fascisti. Allora pensava di aderire a Salò. La sua dedizione a una causa quale che sia, purché rivoluzionaria, lo spingeva a questi atti pazzeschi. *Generoso? Lo chieda ai suoi collaboratori. Era una specie di padrone delle ferriere che spendeva generosamente solo per soddisfare il suo vizio principale: la rivoluzione. Con chi era in difficoltà non si dimostrò mai particolarmente generoso. *{{NDR|«Perché allora lei è così implacabilmente critico nei suoi riguardi?»}} Non ce l'ho neppure tanto con lui, quanto con tutti coloro che di Feltrinelli hanno fatto un mito. In realtà era un povero uomo. Un ingenuo divorato dall'esibizionismo. *{{NDR|«Come può ridurre tutto alla convinzione che fosse solo un ingenuo e un esibizionista?»}} Anche Starace segnò un decennio della nostra vita. Mica per questo era meno cretino. Se Feltrinelli sia stato qualcosa di più complesso, io non riesco a vederlo. Posso aggiungere questo: quella sua mania di ostentazione, quella voglia di primeggiare su tutte le cose lo ha condotto anche a degli atti di eroismo. Perché uno che sale su un traliccio, con la dinamite che non sa maneggiare e salta per aria, beh almeno il coraggio gli va riconosciuto. O forse chiamiamola incoscienza. {{Int|''[http://www.archiviolastampa.it/component/option,com_lastampa/task,search/mod,libera/action,viewer/Itemid,3/page,15/articleid,0824_01_1992_0072_0015_25082247/ Montanelli e il sacco di Milano]''|''La Stampa'', 14 marzo 1992, p. 14.}} *{{NDR|Il regime corrotto}} C'è ancora. Ma la rivolta non era tanto contro la corruzione e la partitocrazia, che erano senza dubbio un grosso male, ma che non erano il male più letale. In quel momento era proprio la società che si disfaceva, le condizioni della scuola, la predicazione del nulla, insomma la contestazione globale, l'ubriacatura degli Anni Settanta, che fu l'ubriacatura del terrorismo, e quella acquiescenza di una certa borghesia, salottiera, radical chic, che amoreggiava con queste cose, che aveva le smanie maotsetunghiste, che poi parlavano tutti di cose che non sapevano. La corruzione dei partiti invece è quasi immanente. La partitocrazia è destinata a durare almeno finché non si riforma la legge elettorale. Ma questa è la battaglia che noi cerchiamo di fare oggi. *{{NDR|«Ma gli Anni Settanta non hanno anche prodotto qualcosa di positivo nella società italiana?»}} No. Non vedo fatti positivi nel lascito degli [[anni di piombo]]. Vorrei sapere veramente quali. Quando dicono per esempio il divorzio. Ma il divorzio c'era già prima. Quelle sono conquiste sociali. C'era bisogno dei pistoleros per il divorzio? Ma andiamo! *{{NDR|«Però lei difendeva Pannella»}} Sì. A [[Marco Pannella|Pannella]] dobbiamo veramente due cose, malgrado le sue mattane. Effettivamente riuscì a impedire a una certa aliquota di giovani di finire in braccio al terrorismo, cioè gli dette un'altra bandiera. E alcune battaglie sue furono sacrosante, come quella del divorzio che appoggiammo. Poi verso Pannella io ho una certa simpatia, dovuta al mio vecchio fondo anarchico, libertario, che ritrovo in lui. È una simpatia genetica. Ritrovo in lui quello che io sono stato a vent'anni. *{{NDR|«Ma che fine ha fatto quella borghesia, che fine hanno fatto quei salotti buoni? Le sue battaglie contro la Crespi o contro la Cederna sono cosa Passata? Sono cambiati loro, oppure è cambiato lei?»}} Vabbè, con la [[Camilla Cederna|Camilla]] poi siamo ridiventati amici. Con la Crespi no, mai. Ma non ho più rancori, non ho più animosità. Però è un mondo che disprezzo un po', perché è un mondo di pecore che seguono sempre il filo del vento, santoiddio, sono proprio personcine, personcine inconsistenti, pronte ad andare con chiunque. E poi sempre per salvare i propri interessi, non è che abbiano delle idealità, no? Oggi è cambiato il vento, quindi sono cambiati anche loro. Ma non è che sia cambiato il mio giudizio. Quel mondo lì io non lo amo. *La crisi rimane e si riflette nell'amministrazione cittadina. L'amministrazione era sempre stata un autentico specchio. Fino a Bucalossi il Comune di Milano era retto da specchiati galantuomini, che finivano tutti poveri, in miseria, finivano alla Baggina. Gente davvero di una correttezza esemplare. Poi sono venuti gli Aniasi e compagni e guardi qui dove siamo arrivati: siamo arrivati a [[Mario Chiesa|Chiesa]]. {{Int|''[https://web.archive.org/web/20121107180200/http://archiviostorico.corriere.it/1993/giugno/06/Montanelli_tura_naso_come_nel_co_0_93060610816.shtml Montanelli si tura il naso come nel '76: voto l'uomo della Lega]''|''Corriere della Sera'', 6 giugno 1993, p. 3.}} *Mi sono dannato l'anima perché il centro avesse un ''suo'' candidato. Avrei voluto Locatelli: era la persona giusta per portare la bandiera referendaria e raccogliere gli elettori moderati. Era quello il mio sogno. *Segni non ha capito nulla, è arrivato in ritardo, ha candidato una persona che nessuno conosce. Non abbiamo ''un'' rappresentante del centro, ma tre surrogati che si elimineranno a vicenda. E ci toccherà scegliere fra [[Nando dalla Chiesa|Dalla Chiesa]] e Formentini. *{{NDR|«Di qui il suo suggerimento: turarsi il naso e votare Lega»}} No, non dico "Votiamo Lega", dico "Votiamo Formentini". E nel suo caso non ci si deve neppure turare il naso: è modesto, anche mediocre se vogliamo, ma è onesto. Non credo sia marcio. Insomma: è il male minore. *{{NDR|«E Dalla Chiesa?»}} No, il mio voto non lo avrà. Perché io non voto per la sinistra e per un sinistro come quello lì. *{{NDR|«Ma che cosa la preoccupa nella coalizione di Dalla Chiesa?»}} Questi reperti di un mondo fallito vogliono ora governare l'Italia. E io con loro non ci sto. La storia gli ha dato torto, la realtà li svergogna e noi dovremmo fidarci? È stata l'apertura a sinistra a dare inizio alla putredine. {{Int|''Eppur si muove''|a cura di Indro Montanelli e Beniamino Placido, Rai 3, 1994.}} *Ogni italiano è insieme furbo e fesso. L'italiano è furbissimo nella gestione dei suoi affari privati, può ricorrere a tutte le astuzie, è attento, è accorto, ed è assolutamente fesso nel non rendersi conto che se i suoi affari privati rimangono immessi in una società che non funziona – cioè dove gli interessi generali vengono trascurati e negletti – i suoi interessi privati finiscono col soffrirne e col condurlo al fallimento. Questo, a noi italiani, non entra in testa. (6 febbraio 1994) *È probabile che molti stranieri mandino i loro figli, a Roma, a scuola. Ma quali scuole? Alle loro. Gli americani mandano i loro figli alla scuola americana, i tedeschi alla scuola tedesca, i francesi alla scuola francese. Non li mandano mica alla scuola italiana, se ne guardano bene e hanno ragione, visto il modo in cui si insegna in Italia. (ibidem) *Da noi prima uscivano dei ragazzi che sapevano abbastanza di greco, di latino, ma che il carattere non lo avevano formato a scuola: o se lo formavano da soli, oppure non se lo formavano mai. (ibidem) *Lo [[Zingari|zingaro]] che fa tranquillamente la sua vita non dà noia a nessuno, è quando ruba che, naturalmente, suscita qualche perplessità (uso un eufemismo). Diciamo la verità, in Italia il razzismo non c'è. Per inventare una questione razziale ci volle una legge, e una legge fatta da un regime totalitario perché il Paese non la sentiva. Non poteva sentirla perché non è nella nostra tradizione. [...] L'Italiano non ha dei risentimenti razziali. [...] {{NDR|Sugli episodi di intolleranza e di paura per il diverso}} È un fatto di piccolissime minoranze, diciamo la verità. Non inventiamo adesso una questione {{NDR|razziale}}. Io ho vissuto nelle società veramente razziste, è tutta un'altra faccenda. (con [[Serena Dandini]], 20 marzo 1994) *Io ebbi una moglie etiopica, nel senso che la comprai secondo l'uso locale. {{NDR|«Come, scusi?»}} Eh beh, ma gli usi locali erano questi. Tutti, anche gli etiopici, compravano la moglie. {{NDR|«Quanto costava una moglie?»}} Poco. Costava poco, mi pare che mi costò – allora, però (anno 1935) – 500 lire e un tucul {{NDR|trattando}} col suocero. Perché queste furono transazioni fatte dal mio emissario, che era il più anziano graduato della mia banda, col padre della ragazza. [...] Questo matrimonio durò finché noi stemmo di stanza a Saganèiti, cioè a dire prima che scoppiasse la guerra con l'Abissinia (che non fu precisamente una guerra, fu una specie di avventura). [...] Poi questa mia moglie, perché era considerata tale, quando io partii sposò un mio graduato e al primo figlio – è vivo tuttora, mi hanno detto – diede il mio nome, per cui alcuni credettero che fosse figlio mio. Non era figlio mio. Soltanto che per deferenza... {{NDR|«Lei non pensò mai di portarla con se in Italia?»}} Beh, no. No, anche perché era molto difficile strapparla ai suoi costumi. Lei stessa, in fondo, non voleva venire. Lei apparteneva alla sua terra, io le feci una piccola dote e quindi andò tutto regolarmente. Era molto bellina. (ibidem) *Gran parte delle forze leghiste, quelle che accennano a qualche razzismo nei confronti del meridionale, sono composte da meridionali che si sono milanesizzati e ci si trovano talmente bene a Milano che non vogliono che altri arrivino dal sud. (ibidem) *Per me la [[destra]] non è una [[ideologia]]: è un modello di comportamento. Si può essere di destra anche a sinistra. Questo comportamento è il criterio rigoroso del servizio della vita pubblica. (con [[Arnoldo Foà]], 17 aprile 1994) *Nella storia della [[Italia|nazione italiana]] io vedo pochi uomini all'altezza della qualifica di una destra illuminata che non solo accetta ma vuole le [[Riformismo|riforme]]. Un uomo di destra certamente io non credo che fosse [[Camillo Benso, conte di Cavour|Cavour]], del resto il suo connubio lo dimostra, la sua disinvoltura nelle alleanze politiche lo dimostra. Certamente di destra era [[Bettino Ricasoli|Ricasoli]]. Certamente era [[Quintino Sella|Sella]]. Certamente era [[Giovanni Giolitti|Giolitti]]: uomo che dette il suffragio universale, e che riconobbe il diritto di [[sciopero]]. Questo è un uomo di destra. Certamente un uomo di destra era [[Alcide De Gasperi|De Gasperi]], senza dubbio. E, adesso non vorrei scandalizzare la gente, ma direi che uomo di destra per il concetto che aveva dello [[Stato]] e del [[potere]] era anche [[Palmiro Togliatti|Togliatti]]. E questo dimostra che si può essere uomini di destra anche a [[sinistra]]. La destra è una regola di comportamento, una regola [[morale]] di comportamento. (ibidem) {{Int|''[https://web.archive.org/web/20101005073648/http://archiviostorico.corriere.it/1997/novembre/09/Montanelli_gambizzato_cinque_mesi_prima_co_0_9711098446.shtml Montanelli "gambizzato" cinque mesi prima: "Mi salvò una promessa a Mussolini"]''|''Corriere della Sera'', 9 novembre 1997, p. 29.}} *Quella mattina {{NDR|2 giugno 1977}} sono in due nei giardini di piazza Cavour, a Milano. Uno mi spara alle gambe. L'altro mi tiene nel mirino della sua pistola. I primi due – tre proiettili entrano nelle mie lunghe zampe di pollo. Non devastano né ossa né arterie. Ma sarebbero sufficienti per far cadere a terra qualsiasi cristiano. In quegli attimi ricordo la promessa che avevo fatto a Mussolini, e a me stesso, quando, bambino, mi ritrovai intruppato nei balilla: "Se devi morire, muori in piedi!" Davanti a questi vigliacchi che non hanno il coraggio di affrontarmi in faccia, penso, non posso morire in ginocchio. E mi aggrappo alla cancellata dei giardini. Non sto in piedi sulle gambe, ma mi reggo dritto con la forza delle braccia. E quello continua a sparare e a centrare le mie zampe di pollo. Se mi fossi accasciato, se mi fossi inginocchiato davanti a lui, a quell'ora sarei morto. *Per [[Renato Curcio|lui]] ho sempre avuto rispetto. Penso che la sua autoemarginazione dalla società prima e l'emarginazione che la società gli ha imposto poi ci abbiano privato di un uomo di valore. Non lo conosco di persona, ma lo stimo, anche se poteva essere lui quello che ha mandato i due ragazzi a spararmi. Non ho rancore: quando la guerra è finita gli avversari si devono stringere la mano e devono brindare alla pace ritrovata. *Apprezzo il coraggio di chi non si pente per ricavarne un utile, di chi non denuncia il compagno di errori ma riconosce i propri torti. Almeno i brigatisti lottavano per ideali diversi da quelli dello stalinismo e del comunismo sovietico. I terroristi neri, invece, volevano soltanto restaurare un regime sepolto dalla storia. I rossi non sapevano bene cosa ma avevano in mente qualcosa di nuovo. *{{NDR|«E se avessero vinto loro?»}} Impossibile. L'esistenza del terrorismo ha soltanto ribadito le manchevolezze del nostro Paese: uno Stato inefficiente e un popolo codardo e conformista. *{{NDR|Sui burattinai, i Grandi Vecchi, la Cia, i Servizi segreti}} Fregnacce: che gliene poteva importare alla Cia di fucilare gente come il buon Casalegno o quel galantuomo di Emilio Rossi, vent'anni fa direttore del Tg Uno, o quel bischero di Montanelli? La dietrologia era una divagazione di intellettuali perditempo. Il vero problema era ed è un altro: finché non ci decideremo a riconoscere la mancanza negli italiani di una coscienza nazionale e civile questo pericolo del terrorismo lo correremo sempre. E questa fabbrica di una coscienza nazionale e civile io non la vedo nascere. *{{NDR|Sul dolore che il tempo non ha cancellato nei parenti delle vittime}} Anche noi italiani dobbiamo imparare a pagare gli inevitabili tributi dovuti alla Storia come hanno saputo fare tutti i Paesi occidentali. Il dolore resta, ma la piaga va ricucita. Una volta per tutte. {{Int|''[http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/1998/07/25/borghesia-vile-deludente.html Borghesia vile e deludente]''|''la Repubblica'', 25 luglio 1998, p. 8.}} *È la solita bruciante delusione, questa nostra borghesia. Non cambia mai, è sempre la stessa: la più vile di tutto l'Occidente. Gente portata a correr dietro a chi alza la voce, a chi minaccia, al primo manganello che passa per la strada. Questo sono i nostri borghesi: tutti fascisti sotto il fascismo, poi tutti antifascisti fin dall'indomani. Quando il comunismo era forte e faceva paura, e io fondai ''il Giornale'', mi lasciarono solo e senza un soldo. Ai tempi del terrorismo, amoreggiavano con gli estremisti nella speranza che quelli – andati al potere – gli risparmiassero la villa e il portafoglio. E ora che il comunismo non c'è più, si scoprono tutti anticomunisti, questi sedicenti liberaloni. *Il loro eroe è sempre chi brandisce il [[manganello]]. Ieri, il manganello vero. Oggi, quello catodico delle televisioni. Il liberalismo vero l'hanno sempre tradito, anzi non hanno mai saputo che cosa sia. Non vogliono le regole, detestano le leggi, vogliono avere le mani libere per fare quello che gli pare, in nome della loro cosiddetta «[[efficienza]]». Quando abbiamo fondato ''la Voce'' l'abbiamo toccato con mano: parlare di regole e di legalità a questa gente è peggio di un insulto, una bestemmia in chiesa. *L'ho sempre detto che fu un errore, quattro anni fa, defenestrarlo. Bisognava lasciarlo lì ancora un bel po', così tutti avrebbero capito quanto vale, che razza di statista è... Magari adesso non saremmo in Europa, ma non avremmo così tante gente che si lascia ubriacare dalla sua propaganda, che prova nostalgia per lui. *{{NDR|«E se un giorno si andasse a votare per il suo referendum, quello per abolire i reati del Cavaliere?»}} In quella forma, mi pare difficile che si arrivi, anche se in Italia non si sa mai. Comunque, se si votasse, credo che anche lì vincerebbe lui. Perché è quello che vuole questa nostra borghesia. Ormai è ufficiale: Berlusconi ce lo meritiamo. {{Int|''[http://www.repubblica.it/online/politica/satiquattro/montanelli/montanelli.html L'Italia di Berlusconi è la peggiore mai vista]''|''la Repubblica'', 26 marzo 2001.}} *Io voglio che vinca, faccio voti e faccio fioretti alla Madonna perché lui vinca, in modo che gli italiani vedano chi è questo signore. [[Silvio Berlusconi|Berlusconi]] è una malattia che si cura soltanto con il vaccino, con una bella iniezione di Berlusconi a Palazzo Chigi, Berlusconi anche al Quirinale, Berlusconi dove vuole, Berlusconi al Vaticano. Soltanto dopo saremo immuni. L'immunità che si ottiene col vaccino. *È strano: io non avevo mai preso parte alla campagna di demonizzazione: tutt'al più lo avevo definito un pagliaccio, un burattino. Però tutte queste storie su Berlusconi uomo della mafia mi lasciavano molto incerto. Adesso invece qualsiasi cosa è possibile: non per quello che succede a me, a me non succede nulla, non è che io rischi qualcosa, è chiaro. Quello che fa male è vedere questo berlusconismo in cui purtroppo è coinvolta l'Italia e anche tante persone perbene. *La scoperta che c'è un'Italia berlusconiana mi colpisce molto: è la peggiore delle Italie che io ho mai visto, e dire che di Italie brutte nella mia lunga vita ne ho viste moltissime. L'Italia della [[marcia su Roma]], becera e violenta, animata però forse anche da belle speranze. L'Italia del 25 luglio, l'Italia dell'8 settembre, e anche l'Italia di piazzale Loreto, animata dalla voglia di vendetta. Però la volgarità, la bassezza di questa Italia qui non l'avevo vista né sentita mai. Il berlusconismo è veramente la feccia che risale il pozzo. {{Int|''La Storia d'Italia di Indro Montanelli''|a cura di Mario Cervi, interviste di Alain Elkann, ''Cecchi Gori Editoria Elettronica Home Video'', 1999.}} *Il silenzio mantenuto finora {{NDR|sui massacri delle foibe}}, o quasi silenzio, si spiega facilissimamente: tutta la storiografia italiana del dopoguerra era di sinistra, apparteneva all'intellighenzia di sinistra, la quale era completamente succuba del Partito Comunista. Quindi non si poteva parlare delle foibe, che non appartenevano al comunismo italiano, ma appartenevano certamente al comunismo slavo, di cui però il comunismo italiano era alleato e faceva gli interessi. Quindi di questo non si poteva parlare, e non si poteva parlare delle stragi del triangolo della morte, perché anche queste ricadevano sulla coscienza – ammesso che ce ne sia una – del Partito Comunista, il che sta a dimostrare quello che dicevo prima, cioè che la Resistenza non fu una resistenza, fu una guerra civile tra italiani che continuò anche dopo il 25 aprile. [...] {{NDR|Sull'eccidio dei conti Manzoni}} Andai come giornalista [...] per appurare com'era andata la strage dei conti Manzoni, dopo la fine della guerra. [...] Una famiglia di persone che col fascismo non aveva niente a che fare, ci aveva convissuto come tutti gli italiani. Bene, nessuno mi voleva parlare di questa faccenda. [...] Nessuno ne aveva parlato, né dei Carabinieri né della Polizia e tantomeno della magistratura, eppure lo sapevano. [...] C'era una complicità assoluta, una complicità dannata. [...] Se ne parla ora perché il Muro di Berlino è crollato, ma si ricordi che trent'anni fa, quando [[Renzo De Felice|De Felice]] annunziò di mettere allo studio il ventennio fascista per sapere com'era andata, fu proposta la sua estromissione dalla cattedra universitaria, solo perché metteva allo studio un ventennio di storia italiana che, bella o brutta, c'era stata. [...] Non era possibile inquadrare storicamente il fascismo: chi lo faceva, cercando di spiegare i perché della sua durata, ed anche i perché della sua catastrofe, veniva accusato di fascismo. (da ''Dalla Monarchia alla Repubblica'') *È difficile sapere che cosa fu [[Palmiro Togliatti|Togliatti]], perché Togliatti non ha lasciato memoriali, non ha lasciato diario, che cosa pensasse Togliatti non lo sapeva nessuno, credo nemmeno la sua compagna Nilde Iotti. Si può dire che è stato un esecutore fedele degli ordini di [[Stalin]]. Lo è stato sempre, e per questo godeva la fiducia di Stalin. [...] Era un diplomatico per sé, soprattutto, perché é un uomo sopravvissuto a venticinque o trent'anni anni di Mosca, senza finire in galera, processato o contro il muro. Beh, questo è uno dei grandi personaggi. Sono pochi. {{NDR|«Non era uno statista, per esempio?»}} Non poteva essere uno statista perché i comunisti non hanno lo Stato nel sangue, i comunisti hanno il partito. Stalin non è mai stato Capo dello Stato, e nemmeno Capo del Governo, era capo del partito. Il potere nei regimi comunisti non sta né nello Stato né nel governo, sta nel partito. (da ''Dalla proclamazione della Repubblica al Trattato di pace'') *Questa [[Costituzione della Repubblica italiana|Costituzione]] porta male gli anni da quando aveva un giorno, perché fu subito chiaro quali erano i suoi difetti. Del resto furono anche denunciati da uomini come, per esempio, [[Piero Calamandrei|Calamandrei]], come Mario Paggi. (da ''Dall'assemblea costituente alla vigilia delle elezioni del 1948'') *I difetti furono soprattutto due. Il primo difetto fu di ripartizione dei lavori. La Costituente era formata da 600 membri eletti di passaggio. Voglio {{NDR|far}} notare che quella fu la prima elezione che si tenne in Italia – per la Costituente, non per il Parlamento – ma dove ci fu lo spiegamento dei partiti. Ogni partito portò i suoi candidati, cioè dei giuristi che facevano capo alla propria ideologia. Bene, in quella prima elezione il 35% dei voti andò ai democristiani, il 21% andò ai socialisti di [[Pietro Nenni|Nenni]], il 19% ai comunisti. Quindi in quel momento... non c'era ancora il Fronte ma in quel momento i socialisti facevano premio sui comunisti. Erano di poco, ma un po' più forti dei comunisti. [...] Questi 600 costituenti non potevano lavorare tutti insieme, era impossibile mandare avanti 600 persone a dibattere all'infinto le stesse cose, e allora i lavori furono devoluti a una commissione che si chiamò la ''Commissione dei Settantacinque'', perché erano 75 membri della Costituente che venivano incaricati per le loro competenze specifiche di redigere il testo. Ma anche 75 erano troppi, e allora anche i 75 si frazionarono in sotto-commissioni, ognuna delle quali lavorò per conto suo. Non ci fu un piano di insieme. {{NDR|«Quindi non fu un vero lavoro collettivo»}} Non fu un vero lavoro collettivo. Calamandrei lo disse subito: «Noi stiamo montando una macchina, che magari pezzo per pezzo sarà anche ben fatta, ma le cui giunture non coincidono con le giunture di altri pezzi». [...] Fu lasciata così perché nessuno volle rinunziare al proprio elaborato, e questo è tipico degli italiani. (da ''Dall'assemblea costituente alla vigilia delle elezioni del 1948'') *Il secondo motivo che rese questa Costituzione veramente impalatabile e nociva per il regime che ne doveva nascere, fu che i nostri costituenti partirono dal punto di vista opposto a quello da cui sarebbero partiti i costituenti tedeschi quando la Germania fu libera di elaborare una sua Costituzione. Da che cosa partirono i costituenti tedeschi? Da questo ragionamento: il nazismo fu il frutto della Repubblica di Weimar. Cos'era la Repubblica di Weimar? Era l'impotenza del potere esecutivo, cioè del Governo. [...] La Germania rimase nel disordine, nel caos, nella Babele dei partiti che non riuscivano a trovare mai delle maggioranze stabili, quindi dei governi efficaci. Ecco perché Hitler vinse, perché il nazismo vinse. I costituenti nostri partirono dal presupposto contrario, cioè dissero: «Cos'era il fascismo? Il fascismo era il premio dato a un potere esecutivo che governava senza i partiti, senza controlli eccetera. Quindi noi dobbiamo esautorare completamente il potere esecutivo, {{NDR|negando}} la possibilità di dare ai governi una stabilità, eccetera». Per rifare che cosa? Weimar. Cioè, mentre i tedeschi partivano dalla negazione di Weimar, noi arrivavamo {{NDR|a Weimar}} senza dirlo. Nessuno lo disse, ma questo fu il risultato. [...] Non fu possibile nemmeno introdurre quella solita linea di sbarramento che invece fu introdotta in Germania, per cui i partiti che non raggiungevano non ricordo se il 5 o il 3%, non avevano diritto a una rappresentanza. No, tutti i partiti dovevano esserci e tutti avevano un potere di ricatto sulle maggioranze, che erano per forza di cose di coalizioni. (da ''Dall'assemblea costituente alla vigilia delle elezioni del 1948'') *Gli italiani non imparano niente dalla Storia, anche perché non la sanno. {{NDR|«Forse non amano la Storia»}} Non la amano, non la leggono, non se ne interessano, ma questo anche le classi dirigenti: sono uguali, intendiamoci. {{NDR|«Lei auspica che venga rifatta questa Costituzione»}} Sì, ma che venga rifatta secondo criteri logici, non {{NDR|secondo}} criteri illogici. Tutte le volte che si diceva «Ma qui bisogna restituire un po' di autorità al potere esecutivo, bisogna mettere i governi in condizione di governare» si diceva: «Fascista! Fascista!». Con questo ricatto qui abbiamo fatto le più grosse scempiaggini che si potesse immaginare. (da ''Dall'assemblea costituente alla vigilia delle elezioni del 1948'') *La fine di [[Alcide De Gasperi|De Gasperi]] è la fine di un'epoca: con lui finisce un'epoca e ne comincia un'altra non certamente migliore. [...] C'è una bella pagina della figlia di De Gasperi, Maria Romana, che ha scritto un bel libro sul padre. Un libro tutto vero in cui racconta anche i funerali su in Val Sugana: c'era naturalmente tutta la nomenclatura democristiana che accompagnava la bara. Oramai De Gasperi era morto, si poteva anche fingere il compianto, e a un certo momento un passante che era lì – uno che guardava, che non aveva niente a che fare con la politica, con la Democrazia Cristiana eccetera eccetera – si avvicinò al feretro e scansando questi turiferari della DC disse: «No, non è vostro! De Gasperi è nostro! Era un italiano!». E aveva ragione. De Gasperi era nostro, non un democristiano. (da ''Gli anni di Alcide De Gasperi'') *{{NDR|[[Giovanni Gronchi]]}} Era un uomo molto abile, brillante parlatore, molto abile anche negli affari. Era molto più libertino di [[Carlo Sforza|Sforza]], quindi la Democrazia Cristiana [...] era cambiata, evidentemente, e Gronchi fu eletto per una faida interna della Democrazia Cristiana, perché [[Amintore Fanfani|Fanfani]] voleva [[Cesare Merzagora|Merzagora]]. Allora per fare dispetto a Fanfani, invece gli buttarono fra i piedi [[Giovanni Gronchi|Gronchi]], il quale seppe benissimo tessere la sua trama fra Sinistra, Destra eccetera e far diventare gronchiani anche quelli degli altri partiti. Dicendosi agli uni uomo di Destra e agli altri uomo di Sinistra, facendo insomma il giuoco personale di Gronchi, con cui entrò in Quirinale il vero grande corruttore della vita politica italiana. [...] Dopo l'onestissimo [[Luigi Einaudi|Einaudi]] viene Gronchi, che è l'indulgenza plenaria verso tutte le deviazioni e i deviazionisti d'Italia. (da ''La rivolta in Ungheria e l'elezione di Giovannni XXIII'') *Questa storia dell'MSI è una delle grandi truffe della Prima Repubblica: nella Costituzione c'è un articolo che proibisce la rinascita di un partito fascista. Ecco. Ora, l'MSI era chiaramente un partito fascista. Non lo negava, anzi si faceva gloria del fatto di essere l'erede eccetera. Perché lo avevano messo, allora? Lo avevano messo perché questo partito fascista, che avrebbe dovuto essere escluso dalla vita politica, serviva a captare un certo numero di voti che, senza questo partito, sarebbero andati a dei partiti moderati di Centro e soprattutto, forse, alla Democrazia Cristiana. Quindi quale fu il gioco delle Sinistre, a cui la Democrazia Cristiana però si piegò e si rassegnò: è consentito di esistere all'MSI, però l'MSI quando è in Parlamento è escluso dal gioco parlamentare. Così si mettevano i voti dell'MSI in ''frigidaire'', e così non andavano alla Democrazia Cristiana e ai partiti {{NDR|di Centro}}. È una delle peggiori truffe che è stata inventata dalla classe politica che ci ha governato per cinquant'anni. (da ''I successori di De Gasperi e la politica italiana fino alla morte di Togliatti'') *Io vorrei sapere quali furono le crescite... di civiltà che il [[Sessantotto]] pretende di averci lasciato. Io vedo tutt'altra cosa: io vidi nascere, dal Sessantotto, una bella torma di analfabeti che poi invasero la vita pubblica italiana, e anche quella privata, portando dovunque i segni della propria ignoranza. Io ho visto questo. Può darsi che sia affetto da sordità o da cecità ma io non ho visto altro, come frutti del Sessantotto. (da ''Il Sessantotto e la politica di Berlinguer'') *{{NDR|La differenza tra il Sessantotto francese e quello italiano è}} La differenza che passa fra l'originale e il fac simile perché il Sessantotto nacque in [[Francia]] e in [[Italia]] fu un fatto di riporto, di imitazione. {{NDR|«Che vi fu in tutto il mondo, però, questo»}} Un po' in tutto il mondo ma particolarmente in Italia dove non nasce mai niente, è sempre qualcosa di imitato dagli altri. Bene o male, insomma, i francesi ebbero... anche una certa cultura del Sessantotto, ebbero [[Jean-Paul Sartre|Sartre]]. Oddio, Sartre rivisto con gli occhi di oggi naturalmente scende molto dal suo mitico piedestallo. [...] In Italia non ci fu neanche un Sartre. (da ''Il Sessantotto e la politica di Berlinguer'') *Credo che su [[Pier Paolo Pasolini|Pasolini]] si sia preso un grosso abbaglio: Pasolini è passato per uno scrittore di sinistra perché aveva preso come sfondo dei suoi racconti – bellissimi del resto – il sottoproletariato delle borgate romane, i ragazzi di vita, insomma, la schiuma della società. Ma lo aveva fatto per dei gusti e dei motivi del tutto personali sui quali è inutile tornare a far commenti. Questo lo aveva fatto considerare come uno scrittore, un difensore del proletariato, ma non era una scelta politica quella che aveva fatto Pasolini. Non c'entrava niente, assolutamente nulla. Quindi quello che lui disse era assolutamente vero, cioè dire che nei tafferugli, dove spesso ci scappava il morto, tra quei dilettanti delle barricate che erano {{NDR|dei borghesi}}, i veri proletari erano i poliziotti, tutti figli di famiglie povere, eccetera eccetera. I dilettanti delle barricate erano tutti o quasi tutti figli di papà: aveva ragione Pasolini! Ma come no! E questo fu considerato un tradimento all'ideologia di sinistra. (da ''Il Sessantotto e la politica di Berlinguer'') *Il primo fenomeno fu il Sessantotto, e il Sessantotto partorì poi il terrorismo, il brigatismo rosso eccetera eccetera. Su questo non ci son dubbi, insomma. Dirò di più: i più seri, e forse gli unici seri, furono quelli che poi diventarono dei terroristi e che quindi rischiarono la loro vita, almeno. Gli altri erano quello che diceva Pasolini, dei figli di papà. (da ''Il Sessantotto e la politica di Berlinguer'') *{{NDR|La figura del Grande Vecchio}} È una di quelle fandonie, di quelle stupidaggini che piacciono tanto a noi italiani: l'idea di un Grande Vecchio che organizzasse tutte queste stragi, attentati eccetera eccetera. È un affare da Simenon di borgata insomma – no? Piaceva l'idea che ci fosse dietro tutta una strategia. Sennonché poi non si sapeva chi fosse il Grande Vecchio. {{NDR|«Aveva un volto questo grande vecchio?»}} Ne ha avuti molti: naturalmente [[Giulio Andreotti|Andreotti]] – quello non manca mai, quando si cerca un ''deus ex macchina'' di tutto ciò che di più criminale è avvenuto in questo Paese {{NDR|c'è}} Andreotti. {{NDR|«Però in quel momento non era tanto vecchio»}} In quel momento non era tanto vecchio, ma il Grande Vecchio non ha nulla di anagrafico, è il Grande Vecchio così – poi Gelli, poi Sindona. Ha avuto varie raffigurazioni che sono tutte di fantasia. (da ''Piazza Fontana e dintorni'') *Se c'era un funzionario corretto, che veniva portato come esempio da tutti i suoi colleghi, era Calabresi. Per quale motivo si scatenò questa campagna contro di lui non lo so. È vero che aveva interrogato [[Giuseppe Pinelli|Pinelli]], ma gli interrogatori di Calabresi facevano testo per la loro correttezza. Sempre. [...] Non so per quale motivo, a un certo momento, la stampa s'incendiò e cominciò ad additare Calabresi come «il bruto», come «lo scherano del potere sopraffattore e assassino». Questo si lesse in vari giornali. Ora, il potere sopraffattore assassino in quel momento era rappresentato da [[Mariano Rumor|Rumor]] e da [[Emilio Colombo|Colombo]]: mi dica lei se hanno il viso dei sopraffattori assassini. Magari lo fossero stati un po', ma immaginiamoci. E questa campagna fu implacabile, assolutamente implacabile. (da ''Piazza Fontana e dintorni'') *Come in tutti i processi italiani anche questi, che poi volevano arrivare all'identificazione dei responsabili e non ci arrivarono quasi mai, erano dominati dal cosiddetto «teorema»: si partiva dal presupposto... a un certo momento si mise di parlare degli anarchici – si smise quasi subito di parlare {{NDR|degli anarchici}} – e tutte le lampadine furono rivolte ai partiti e alle forze di Destra. Erano quelle le forze stragiste. [...] I nostri bravi giudici, salvo alcuni, partivano dal presupposto che {{NDR|i colpevoli}} certamente venivano di lì, venivano dalle Destre, dalle Destre più violente. Alle quali si attribuiva, sempre per «teorema», questa idea: creare una tensione nel Paese in modo da impaurire gli italiani e metterli alla scelta «o la libertà o l'ordine», perché insieme non potevano andare. Nella libertà era chiaro che non si poteva mantenere l'ordine, e loro dicevano: «Qualunque popolo messo a questa scelta sceglie l'ordine». Ecco. È un teorema. È un teorema che ha sempre cercato dimostrazione e non l'ha trovata mai. (da ''Piazza Fontana e dintorni'') *[[Bettino Craxi|Craxi]] era un uomo di partito certamente molto accorto, era un uomo valido di governo perché sapeva decidere. Che cosa fosse lo Stato, da buon socialista, non lo sapeva. (da ''Il terrorismo fino al sequestro e all'uccisione di Aldo Moro'') *Quelle lettere erano tutte farina del sacco di [[Aldo Moro|Moro]], e questa farina non è molto encomiabile perché, vede, tutti gli uomini hanno diritto ad avere paura. Tutti. Però quando un uomo sceglie la politica, e nella politica emerge a [[Statista|uomo di Stato]] – a uomo rappresentativo dello Stato – non perde il diritto a avere paura, ma perde il diritto a mostrarla. Questo sì. Questo è uno dei principi che dovrebbe essere affermato. L'incidente, tipo quello di Moro, fa parte del mestiere. Chi affronta quel mestiere deve sapere che può incorrere in quell'incidente e deve avere i nervi, e diciamo gli altri attributi, per resistere. Moro era lo Stato. Lo Stato si raccomandava, implorava, minacciava la classe politica che facesse di tutto, anche che si prostituisse, per salvargli la vita: eh, no. No. Moro era certamente un politico a modo suo, estremamente abile – era anche un galantuomo, credo – ma uomo di Stato non era nemmeno lui. [...] Anch'io mi sono posto questa domanda molto spesso: «Ma se Moro fosse tornato in politica dopo aver costretto lo Stato a prostituirsi, a inginocchiarsi di fronte ai terroristi, avrebbe potuto restarci?». Avrebbe potuto restare? Con che faccia? Vabbè che siamo in Italia. {{NDR|«Forse lo Stato sarebbe stato un altro perché i terroristi avrebbero vinto»}} Appunto. I terroristi avrebbero vinto. Quindi lui che cosa diventava, il braccio politico del terrorismo? Che cosa diventava? Come poteva ripresentarsi? Va bene, gli italiani hanno lo stomaco forte, inghiottono tutto – noi italiani abbiamo lo stomaco forte e inghiottiamo tutto – ma, insomma, di fronte a un uomo la cui vita, la cui sopravvivenza, aveva avuto quel prezzo per noi non credo che avrebbe potuto ripresentarsi all'opinione pubblica italiana. (da ''Il terrorismo fino al sequestro e all'uccisione di Aldo Moro'') *Noi naturalmente abbiamo il dovere di ringraziare [[Michail Gorbačëv|Gorbačëv]] per quello che ha fatto, però se lei mi chiede se lo ha fatto bene o lo ha fatto male io debbo rispondere che lo ha fatto malissimo. Io non so se lui... che lui volesse salvare la Patria sovietica questo non lo metto in dubbio. Che lui volesse salvare il comunismo... io debbo risponderle di no, perché quello che lui ha fatto per affossare il comunismo lo ha fatto. (da ''Giovanni Paolo II e la fine dell'URSS'') *Anche i cinesi si erano accorti che il sistema comunista era arrivato al capolinea, era fallito. Fallito perché non regge, assolutamente non regge. {{NDR|Il sistema comunista}} Aveva portato il Paese, e i Paesi che lo avevano adottato, al fallimento. Anche i cinesi si erano accorti di questo, però avevano capito che per trasformare un sistema oramai ancestralmente totalitario, statalizzato, che aveva tolto ogni libertà a tutti, che aveva disabituato tutti da ogni spirito di iniziativa e di impresa... per trasformare un'economia basata su questi principi fallimentari in un'economia capitalista basata sul libero mercato, sulla libera concorrenza eccetera, bisognava tenere in mano il potere politico per controllare questo passaggio. I cinesi lo fecero. Quando gli studenti di Pechino credettero di potergli {{NDR|al governo cinese}} prendere la mano scendendo in [[Protesta di piazza Tienanmen|piazza Tienanmen]] i cinesi non esitarono a mitragliarli e, per quanto un massacro non possa che essere esecrato, io dico questo: i cinesi erano obbligati a farlo. Se non lo facevano la Cina si dissolveva, ritornava quella di [[Chiang Kai-shek]]: ritornava quella dei signori della guerra, cioè il Paese si disfaceva. Il Paese che bene o male [[Mao Tse-tung]] aveva unificato e a cui aveva dato un'anima di Nazione si sarebbe disfatto. (da ''Giovanni Paolo II e la fine dell'URSS'') *{{NDR|Su [[Licio Gelli]]}} L'avevo visto una volta e questo [...] rendeva ancora più grande la mia sorpresa. Io avevo un giornale, ''il Giornale'', che non aveva patroni, non aveva pubblicità, che quindi aveva delle grosse difficoltà di tirare avanti. La proprietà era divisa fra me e una trentina di altri redattori, e non avevamo niente in mano. Io non trovavo una banca che mi facesse un fido, non trovavo una società pubblicitaria che mi garantisse un minimo decente delle cose [...]. A un certo momento il capo del nostro ufficio romano, Trionfera – che era massone, ma non P2 – mi disse «Senti, vieni a Roma perché so che c'è un signore che sta diventando il padrone della stampa italiana». Dico «Come? Il padrone della stampa italiana?» «Sì, c'è un signore che, a quanto pare, ha assunto un potere straordinario nel mondo dell’editoria e forse lui può anche aiutarci». [...] Andai a Roma e allora {{NDR|Renzo Trionfera}} mi disse che lui aveva appuntamento con questo signor Gelli, di cui io sentivo il nome per la prima volta [...], però dovevamo andarci quasi di nascosto. [...] Andammo [...] e così vidi Gelli per la prima e unica volta. Gli esposi la situazione e lui mi disse: «Ma questi sono dettagli, queste sono piccolezze, non sono problemi gravi perché qui, oramai, bisogna procedere a ben altro. Bisogna chiamare a raccolta tutta questa stampa italiana che è litigiosa, che è settaria. Bisogna darle un indirizzo unico». Allora io lì lo fermai. Dissi: «Come fa a darle un indirizzo unico? La stampa segue criteri diversi, i giornalisti...». «Macché giornalisti – disse lui – qui ci vuole un padrone della stampa!». Dico «Ma non esiste un padrone della stampa, a meno che non rifacciamo il Minculpop fascista, allora c'era un padrone perché c'era un regime che faceva il padrone». {{NDR|Licio Gelli}} Dice «Basta comprare la proprietà dei giornali». Dissi «Ma scusi, ci sono degli editori che non vendono» [...] «Questione di prezzo». Il discorso andò avanti su questi binari, quando uscimmo io dissi a Trionfera: «Senti, ma questo qui è il più grosso farabolano con cui abbiamo avuto a che fare, uno che si immagina di comprare tutta la stampa e di ridurla ai suoi ordini, va be', o è un matto, o è un matto, oppure è proprio un piazzista, un fregnacciaro qualsiasi insomma». Questo fu l'unico incontro. [...] Uno che faceva questi discorsi naturalmente mi sembrava inutile continuare a frequentarlo. Di lì a poco venne fuori la lista degli iscritti alla P2 e venne fuori l'identificazione di Gelli col Grande Vecchio, col famoso Grande Vecchio. {{NDR|«Finalmente si era trovato»}} Finalmente si era trovato il Grande Vecchio autore di tutte le stragi, le cose..., {{NDR|«Il vero Grande Vecchio»}} il bieco Grande Vecchio. Naturalmente non credetti nemmeno a questo. (da ''Il caso Sindona e la P2'') *Per istinto, e per come avevo visto e conosciuto [[Licio Gelli|Gelli]], io sono convinto che {{NDR|la [[P2|Loggia P2]]}} era una cricca di affaristi e basta. Era una cricca di affaristi condotta da un uomo che, evidentemente, come intrallazzatore doveva essere geniale. Era un pataccaro, indiscutibilmente era un pataccaro, ma che a tutto pensava fuorché a un ''golpe''. Non ci pensava nemmeno. Lui procurava affari e soprattutto fomentava carriere. Lui aveva capito qual è la struttura del potere in Italia, sempre, non soltanto allora, sempre: è una struttura mafiosa. Bisogna far parte di una cricca, di una conventicola in cui ognuno aiuta l'altro, e questo era la P2. [...] Ma che interesse poteva avere Gelli a rovesciare un sistema che gli consentiva di influire sino a quel punto? Quale interesse poteva avere? E poi, Gelli era un farabolano ma non doveva essere del tutto sprovveduto, doveva sapere che l'[[Italia]] non è terra da ''golpe''. Ma chi lo fa il ''golpe''? E anche se qualcuno lo fa, come fa a resistere? Che cos'ha dalla sua per fare il ''golpe''? Non ho mai creduto al golpismo di Gelli. (da ''Il caso Sindona e la P2'') *Il caso Chiesa era un caso modestissimo. Fece da detonatore perché il momento era maturo per arrivare a ''Tangentopoli'', che era dovuto a una cosa molto più complessa che era questa: che ci fosse la corruzione in Italia si è sempre saputo, la classe dominante promanava questo puzzo di fogna che tutti sentivano, il famoso «turarsi il naso». Soltanto che fin quando l'alternativa di questa classe politica allora al potere era un Partito comunista, che era un fac-simile di quello sovietico, basato sui carri armati, sulla polizia segreta, sulle delazioni, sui processi, [...] finché c'era questo spettro noi non potevamo prenderci il lusso di mettere sotto processo e mandare in galera la classe politica dirigente allora. Fu quando, col Muro di Berlino, crollò questo incubo che i tempi furono maturi perché questo avvenisse. (da ''Tangentopoli'') *Che {{NDR|la [[corruzione]]}} sia inestirpabile, di questo sono sicuro perché dura da 2000 anni. La corruzione non è soltanto nella politica: è nella società italiana! Noi italiani abbiamo sempre corrotto tutti! Tutti coloro che sono venuti in Italia a fare i padroni li abbiamo corrotti. [...] Noi dobbiamo metterci in testa che la lotta alla corruzione la si fa in un modo solo: cambiando gli italiani, non cambiando le classi politiche. Le classi politiche, anche quelle nuove, si corrompono. È inevitabile. (da ''Tangentopoli'') *[[Silvio Berlusconi|Berlusconi]] ha un sacco di qualità. C'è da dire, ha una grande immaginazione, una grande fantasia; ha un coraggio leonino nel buttarsi nelle imprese; sa trascinare molto bene; è un comunicatore eccezionale, sa accendere i suoi seguaci di entusiasmi eccetera eccetera, mi ricordo che una volta gli dissi: «Io sono sicuro che se tu ti mettessi a fabbricare dei vasi da notte, faresti venire la voglia di fare pipì a tutta l'Italia». (da ''Verso il bipolarismo'') *[[Silvio Berlusconi|Lui]] è un uomo d'attacco: se avesse fatto la carriera militare lui non sarebbe diventato né un [[Gerd von Rundstedt|Rundstedt]] né un [[Erich von Manstein|Manstein]], che furono i grandi strateghi tedeschi dell'ultima guerra. [...] Lui sarebbe diventato un [[Erwin Rommel|Rommel]] o un [[George Smith Patton|Patton]]. Cioè dire: è un generale di straccio e di rottura che, appunto, sullo slancio può compiere qualsiasi cosa. Se lo metti poi a difendere le posizioni conquistate con lo slancio, eh no, lì non ci sta. Come Rommel: Rommel finché poté attaccare in Libia e in Egitto attaccò. Quando dovette mettersi sulla difensiva chiese il rimpatrio. [...] Non sarebbe uomo di Curia e non è un uomo di pazienza, non è un uomo da guerra di posizione e di logoramento. (da ''Verso il bipolarismo'') *Lui Arrivò a Palazzo Chigi credendo, e facendo credere, che uno Stato si poteva condurre con gli stessi criteri di un'azienda privata. Io su questo avevo avuto serie discussioni con lui – non litigi, non ho mai litigato con Berlusconi – gli avevo detto: «Guarda che lo Stato non è un'azienda privata». [...] Lui credeva di potersi comportare a Palazzo Chigi, e con la macchina dello Stato, come si comportava con la sua organizzazione, dove la gente frullava e, se non frullava, lui la cacciava via, com'è giusto che faccia un imprenditore. Ma lui non poteva applicare questi metodi e sistemi allo Stato. Quando si trovò di fronte alla muraglia grigia, sorda e ottusa della burocrazia italiana, che è la peggiore, ma anche la più resistente del mondo, lui rimase senz'armi: non poteva licenziare neanche un usciere. Nel gioco parlamentare lui naufraga perché non è abituato a queste cose. La politica – non dico che sia solo un mestiere – ma è anche un mestiere. Questo mestiere lui non lo aveva. (da ''Verso il bipolarismo'') *Che gli italiani siano capaci di emanare leggi di riforma, ci credo senz'altro. L'Italia è la più grande produttrice di regole, ognuna delle quali è una riforma, è la riforma di un'altra regola. Gli stessi esperti pare che abbiano perso il conteggio delle leggi, dei regolamenti che vigono in Italia: c'è qualcuno che parla di 200.000, altri di 250.000. Ora, quando si pensa che la [[Germania]] ha in tutto 5.000 leggi, la [[Francia]] pare 7.000, l'[[Inghilterra]] nessuna, quasi nessuna – ha dei principi, così stabiliti. A cosa ha portato tutta questa proliferazione? A riempire gli scantinati dei nostri pubblici uffici, dove ci sono questi mucchi di legge che nessuno va nemmeno a consultare perché ognuna di queste leggi poi offre il modo di evaderle. Questa è la grande abilità dei legislatori italiani. I legislatori italiani sono quasi tutti degli avvocati. E gli avvocati a che cosa pensano? A ingarbugliare le leggi in modo da restarne loro i supremi e unici depositari. [...] Riforme: hai voglia se ne faremo, continuiamo a farne, è la nostra vocazione, questa. Quanto poi all'attuazione, allora è un altro discorso: le leggi in Italia non vengono osservate, anche perché sono formulate in modo che si possano non osservare. Ed è questo che spiega l'abbondanza, la prodigalità delle nostre classi politiche, delle nostre classi dirigenti, nello sfornarne di continuo. (da ''Dal Governo Dini all'Ulivo'') *Un Paese che ignora il proprio Ieri, di cui non sa assolutamente nulla e non si cura di sapere nulla, non può avere un Domani. Io mi ricordo una definizione dell'Italia che mi dette in tempi lontanissimi un mio maestro e anche benefattore, che fu un grande giornalista, [[Ugo Ojetti]], il quale mi disse: «Ma tu non hai ancora capito che l'Italia è un Paese di contemporanei, senza antenati né posteri perché senza memoria». Io avevo 25-26 anni e la presi per una ''boutade'', per una battuta, un paradosso. Mi sono accorto che aveva assolutamente ragione. Questo è un Paese che {{NDR|«È un Paese che non ama la Storia»}} ha una storia straordinaria, {{NDR|«Ma non la ama»}} ma non la studia, non la sa. È un Paese assolutamente ignaro di se stesso. Se tu mi dici cosa sarà un domani per gli italiani, forse sarà un domani brillantissimo. Per gli italiani, non per l'Italia. Perché gli italiani sono i meglio qualificati a entrare in un calderone multinazionale perché non hanno resistenze nazionali. Intanto hanno dei mestieri in cui sono insuperabili. [...] Voglio dirlo senza intonazioni spregiative, nei mestieri servili noi siamo imbattibili, assolutamente imbattibili. Ma non lo siamo soltanto in quelli. L'individualità italiana si può benissimo affermare in tutti i campi, anche scientifici. Io sono sicuro che gli scienziati italiani, i medici italiani, gli specialisti italiani, i chimici, i fisici italiani quando avranno a disposizione dei gabinetti europei veramente attrezzati brilleranno. Gli italiani, l'Italia no. L'Italia non ci sarà, non c'è. Perché gli italiani che vanno in Germania diventeranno tedeschi. [...] Alla seconda generazione sono assimilati. Dovunque vadano, sono assimilati. {{NDR|«Ma questo è un difetto?»}} No... è un difetto... è un difetto ed è anche una virtù. È una qualità. Voglio dire: per l'Italia non vedo un futuro, per gli italiani ne vedo uno brillante. (da ''Dal Governo Dini all'Ulivo'') ==Citazioni tratte dai giornali== ===''Corriere della Sera''=== <!--ordine cronologico--> *Gli eroi sono sempre immortali, agli occhi di chi in essi crede. E così crederanno, i ragazzi, che il «[[Grande Torino|Torino]]» non è morto: è soltanto «in trasferta». (7 maggio 1949) *{{NDR|A proposito di [[Maratea]]}} Forse in Italia non c'è paesaggio e panorama più superbi. Immaginate decine e decine di chilometri di scogliera frastagliata di grotte, faraglioni, strapiombi e morbide spiagge davanti al più spettacoloso dei mari, ora spalancato e aperto, ora chiuso in rade piccole come darsene. (4 ottobre 1957) *{{NDR|Su ''[[La dolce vita]]''}} Ma non c'è dubbio che qui ci si trova di fronte a qualcosa di eccezione (sic!) non perché rappresenti un meglio o un di più di ciò che finora si è fatto sullo schermo, ma perché ne va nettamente al di là, violando tutte le regole e convenzioni, a cominciare da quelle della durata, che supera le tre ore di spettacolo, per finire a quelle della trama, o meglio della non trama, perché non c'è. (''[http://cinquantamila.corriere.it/storyTellerArticolo.php?storyId=4d44ab344c050 Montanelli vede La Dolce Vita]'', 22 gennaio 1960) *{{NDR|Su ''[[La dolce vita]]''}} Non siamo più nel cinematografo, qui. Siamo nel grande affresco. Fellini secondo me non vi tocca vette meno alte di quelle che Goya toccò in pittura, come potenza di requisitoria contro la sua e la nostra società. (''ibidem'') *Il suo reportage non è una "patacca". Il poco – oh, molto poco! – che vi luce è proprio oro. E il molto che vi puzza è proprio fogna. Del resto, se così non fosse, il film sarebbe fallito come falliscono i reportages quando eludono la verità o non riescono a centrarla. Quindi, amici, vi prevengo se domani ''[[La dolce vita]]'' vi farà inorridire, non confutàtela dicendo: "Non è vero". Perché per esser vero, tutto ciò che qui è raccontato, lo è. D'altronde Fellini è ricorso al mezzo più spicciativo (e più diabolico) per dimostrarlo. (''ibidem'') *Ma mi affretto subito ad aggiungere che ''[[La dolce vita]]'' non è una polemica a sfondo giustizialista, che appunta i suoi strali sulle cosiddette classi alte. Non convincerebbe, in questo caso, o convincerebbe meno. Gli altri ambienti, che si srotolano giù giù negli appunti di questo reporter d'eccezione, sono descritti con la identica spietatezza, convalidata dalla stessa tecnica di rappresentare ciascuno nei propri panni. Lasciatemi testimoniare in tutta onestà che raramente ho visto qualcosa di più vero di quel salotto intellettuale. Esso ha dato perfino a me, che non ne frequento nessuno, un senso profondo di mortificazione, un vago anelito a cambiar mestiere e a iscrivermi, fo' per dire, ai coltivatori diretti. (''ibidem'') *Non è necessario essere socialisti per amare e stimare [[Sandro Pertini|Pertini]]. Qualunque cosa egli dica o faccia, odora di pulizia, di lealtà e di sincerità. (27 ottobre 1963) *Che i [[Rifugiati palestinesi|profughi palestinesi]] siano delle povere vittime, non c'è dubbio. Ma lo sono degli Stati arabi, non d'[[Israele]]. Quanto ai loro diritti sulla casa dei padri, non ne hanno nessuno perché i loro padri erano dei senzatetto. Il tetto apparteneva solo a una piccola categoria di sceicchi, che se lo vendettero allegramente e di loro propria scelta. Oggi, ubriacato da una propaganda di stampo razzista e nazionalsocialista, lo sciagurato ''fedain'' scarica su Israele l'odio che dovrebbe rivolgere contro coloro che lo mandarono allo sbaraglio. E il suo pietoso caso, in un modo o nell'altro, bisognerà pure risolverlo. Ma non ci si venga a dire che i responsabili di questa sua miseranda condizione sono gli «usurpatori» ebrei. Questo è storicamente, politicamente e giuridicamente falso. (16 settembre 1972) *[[Alexis de Tocqueville|Tocqueville]] diceva che «è nel sonno della pubblica coscienza che maturano le dittature». (da ''[https://web.archive.org/web/20160101000000/http://archiviostorico.corriere.it/1996/gennaio/13/platea_resta_assente_co_0_9601133631.shtml La platea resta assente]'', 13 gennaio 1996, p. 1) *Se si mettono a raffronto i due rivali come faccia, come presenza, come eloquio, come cordialità, insomma come simpatia umana, non c'è dubbio che Albertini ne ispira molto meno di Fumagalli, anzi diciamo la verità tutta intera: non ne ispira punta. Ed io, cittadino ed elettore milanese, proprio di questo sentivo il bisogno: di un sindaco antipatico, di faccia arcigna e poco invogliante alla pacca sulla spalla, al confidenziale «tu» e al pappecciccia coi sottoposti, e poco, anzi punto disponibile a quelle benevolenze, condiscendenze e indulgenze che rappresentano le supposte di glicerina di tutte le corruzioni. [...] Con Albertini ho parlato una sola volta. Ma mi è bastata per capire che, per rendersi antipatico, non ha bisogno di fare sforzi. Basta che si mostri com'è e come spero che rimanga: una specie di Molotov di Palazzo Marino, chiuso nei suoi caparbi ''niet'', diffidente, scostante e culdipietra. Che abbia una compagna fermamente decisa a non partecipare alla vita pubblica del compagno, anche questo ci va bene. [...] Si ricordi, signor Sindaco, che noi abbiamo votato per lei, non per questi papponi. (da ''[https://web.archive.org/web/20160101000000/http://archiviostorico.corriere.it/1997/maggio/13/tradito_Ulivo_co_0_9705136733.shtml Sì, ho tradito l'Ulivo]'', 13 maggio 1997, p. 1) *Non vorremmo, dopo averne deplorato il brutto vezzo, contribuire alle polemiche nel momento in cui bisogna invece accantonarle per fare compatto fronte per il salvataggio del salvabile. Ma basta con le «regole» che servono soltanto a rendere impenetrabili le responsabilità dei disastri quando i disastri si possono ricondurre a delle responsabilità umane (come non accade, per esempio, nei terremoti). Ma quando verrà l'ora della ricostruzione, ricordiamoci che l'[[urbanistica]] e il paesaggio italiani hanno bisogno non di altre, ma di meno «regole». E, più che di cemento, di dinamite. (da ''[https://web.archive.org/web/20160101000000/http://archiviostorico.corriere.it/1998/maggio/09/licenze_facili_leggi_oscure_co_0_9805099009.shtml Le licenze facili e le leggi oscure]'', 9 maggio 1998, p. 1) *Qualche dichiarazione meno infuocata contro la Giustizia di regime, come il [[Silvio Berlusconi|Cavaliere]] si ostina a definirla, avrebbe meglio aiutato la politica italiana a rimuovere il macigno che la paralizza, e che è lui, Berlusconi. (da ''[https://web.archive.org/web/20160101000000/http://archiviostorico.corriere.it/1998/luglio/14/RESTO_SIA_SILENZIO_co_0_9807143775.shtml E il resto sia silenzio]'', 14 luglio 1998, p. 1) *L'Italia sarà anche, come dicono i nostri tromboni universitari, «la culla del diritto». Ma è anche il sepolcro di una giustizia che, per decidere se un imputato è innocente o colpevole, aspetta il suo certificato di morte che la esenta dal dirlo. Il secondo problema è il reclutamento e la selezione [[magistratura|del personale]]. Come in tutte le altre pubbliche attività, anche nella giustizia c'è un dieci per cento di autentici eroi pronti a sacrificarle carriera e vita, ma senza voce in un coro di «gaglioffi» che c'è da ringraziare Dio quando sono mossi soltanto da smania di protagonismo. (da ''[https://web.archive.org/web/20160101000000/http://archiviostorico.corriere.it/1998/agosto/24/CARDINALE_MAGISTRATO_co_0_9808244892.shtml Il Cardinale e il Magistrato]'', 24 agosto 1998, p. 1) *Tutto si è risolto in un colpo solo, non si sa con precisione quando e come combinato, che ha tagliato la strada alla bagarre prima che cominciasse. E che, per quanto mi riguarda, mi ha liberato dall'incubo che turbava i miei inquieti sonni, e in cui mi vedevo in fuga da un mostro senza volto, ma che m'incalzava con la logorrea del presidente uscente, aggravata dall'accento irpino di Mancino e dalle corde vocali della signora Jervolino. [...] Siamo sicuri che il popolo, chiamato a pronunciarsi fra un [[Carlo Azeglio Ciampi|Ciampi]] e – faccio per dire – un [[Antonio Di Pietro|Di Pietro]], si sarebbe pronunciato per Ciampi? È una domanda che non aspetta risposta, ma che mi permetto di proporre ai lettori. Gran bella parola «il Popolo». E riconosciamogli pure l'attributo, che gli spetta, di «Sovrano». Ma insomma, meditate gente, meditate. (da ''[https://web.archive.org/web/20160101000000/http://archiviostorico.corriere.it/1999/maggio/14/QUASI_NON_CREDO_co_0_9905146643.shtml Quasi non ci credo]'', 14 maggio 1999, p. 1) *Tutti coloro che hanno svolto pubbliche funzioni in Sicilia sono rimasti e sono tuttora in qualche modo «collusi» con la mafia. Lo furono quotidianamente, e per secoli, il governo e la polizia borbonica. Lo fu [[Giuseppe Garibaldi|Garibaldi]] che in essa trovò, dopo lo sbarco, la sua prima alleata. Lo furono i governi nazionali sia di destra che di sinistra. Lo fu [[Giovanni Giolitti|Giolitti]] che pure non scese mai, a ch'io sappia, a sud di Napoli. Lo fu il presidente della vittoria, [[Vittorio Emanuele Orlando|Orlando]], che quando tornava a Palermo, la prima visita che rendeva non era al prefetto né all'arcivescovo, ma al capomafia. Tentò di non esserlo Mori che aveva licenza di uccidere garantita da un regime totalitario, e ci rimise il posto. Lo sono stati tutti i politiconi e politicastri della Prima Repubblica. Anche il cautissimo [[Giulio Andreotti|Andreotti]]? Può darsi, attraverso i suoi proconsoli ''in loco''. Ma il Tribunale deve aver capito che l'imputato non era lui. Era il costume morale e politico della nostra vita pubblica, sul quale un Tribunale non ha, né può né deve avere competenza. [...] E il problema, secondo me, è questo: che fin quando noi italiani crederemo di salvarci dalla peste mandando sul rogo una strega o un untore, dalla peste non ci libereremo mai. (da ''[https://web.archive.org/web/20160101000000/http://archiviostorico.corriere.it/1999/ottobre/24/TRIBUNALE_DELLA_STORIA_co_0_991024441.shtml Il tribunale della storia]'', 24 ottobre 1999, p. 1) *Ci dicano chiaro e tondo perché hanno smembrato il Ros, e hanno ridimensionato l'attività di Sco e Gico. Non ci raccontino che hanno voluto mettere al riparo il capitano Ultimo e i suoi uomini dalle possibili vendette della malavita. E soprattutto non vengano a ripeterci che il ''modus operandi'' dei servizi segreti, per impedirne le «deviazioni», dev'essere «trasparente». Questa, che un segreto possa essere trasparente, è un'idea da primato della cretineria. E, se non della cretineria, lo è della retorica virtuista o della menzogna truffaldina. (da ''[https://web.archive.org/web/20160101000000/http://archiviostorico.corriere.it/1999/novembre/02/PROCURATORE_BATTA_PUGNO_co_0_9911021451.shtml Procuratore batta il pugno]'', 2 novembre 1999, p. 1) *Era la prima volta che il partito socialista italiano aveva trovato un uomo {{NDR|Bettino Craxi}}, se non di Stato, almeno di governo, che lo aveva liberato dalla subalternanza al Pci, e condotto su posizioni democratiche, europeistiche e atlantiche. Lo avrà anche fatto con metodi alquanto spicciativi e disinvolti, più da padrino che da ''leader''. Ma mi chiedo se avrebbe potuto usarne di diversi per avere ragione dei vecchi tromboni del massimalismo populista e piazzaiolo con le loro clientele incrostate da decenni. E mi chiedo anche quanto contribuirono alla sua crocefissione i rancori e le acredini che si era lasciato dietro. Ma nella difesa si perse, e non per mancanza, ma forse per eccesso di coraggio. (da ''[https://web.archive.org/web/20160101000000/http://archiviostorico.corriere.it/2000/gennaio/20/STATISTA_LATITANTE_co_0_0001201104.shtml Lo statista latitante]'', 20 gennaio 2000, p. 1) *Anche noi siamo convinti che il Paese ha il diritto di conoscere la verità (che non riguarda soltanto quella di Piazza Fontana). Ma non ci riusciamo. Anche perché se la pista rimane, come sembra accertato, quella del terrorismo nero, non sappiamo quali nomi l'accusa potrà tirar fuori dal suo cappello. I tre maggiori indiziati sono già stati assolti con sentenza passata in giudicato che non consente di richiamarli sul banco degli imputati. Gli altri di cui si fa il nome non sarebbero che comparse, la più importante delle quali, Delfo Zorzi, risiede a Tokio con passaporto giapponese che lo mette al riparo da ogni pericolo di estradizione. Vale la pena ricominciare? L'''ouverture'' dei dibattimenti non è stata incoraggiante. Il proscenio era occupato da Capanna, Valpreda, [[Dario Fo]] e altri reduci sessantottini, cui si era aggiunto anche Sergio Cusani, l'intangentato convertitosi (lo diciamo senza nessuna ironia) al missionarismo. [...] Invano i portaparola della parte lesa, cioè dei familiari delle vittime, si sono dichiarati estranei e contrari a ogni tentativo di politicizzare il processo. Una parola. Non ci riescono nemmeno [[Jovanotti]] e [[Teo Teocoli|Teocoli]] con le loro filastrocche dal palcoscenico di Sanremo. Figuriamoci se potranno riuscirci i registi di questo processo ''rouge et noir'', se mai ve ne furono. [...] Ecco a cosa servono i processi come questo: non a cercare la verità, ma a fornire argomenti al ''rouge'' o al ''noir''. (da ''[https://web.archive.org/web/20160101000000/http://archiviostorico.corriere.it/2000/febbraio/26/QUELLA_VERITA_CHE_CERCHIAMO_co_0_0002264627.shtml Quella verità che cerchiamo]'', 26 febbraio 2000, p. 1) *Cosa c'entri la giustizia italiana in fatti e misfatti capitati trent'anni fa in un Paese {{NDR|l'[[Argentina]]}} di cui la metà della popolazione è di origine italiana, non riusciamo a capire. Ma ci pareva impossibile che l'iniziativa del giudice spagnolo Garzon per trascinare l'ex dittatore cileno [[Augusto Pinochet|Pinochet]] sul banco degli accusati di un tribunale madrileno non trovasse imitatori in un Paese di scimmie come il nostro. Grazie ad essa, il nome e il volto di Garzon sono noti in tutto il mondo. Ed è probabile che tra poco lo siano anche quelli del pubblico ministero Caporale. Vi pare poco in un'era dell'effimero come quella in cui stiamo vivendo, e che vede l'infittirsi di processi ai defunti, su cui le nuove leve della [[storiografia]] vorrebbero riscrivere il passato? (da ''[https://web.archive.org/web/20160101000000/http://archiviostorico.corriere.it/2000/aprile/03/QUEI_PROCESSI_CARO_ESTINTO_co_0_0004033275.shtml Quei processi al caro estinto]'', 3 aprile 2000, p. 1) *Dobbiamo avere la modestia di riconoscere che noi, come venditori, non leghiamo nemmeno le scarpe a un piazzista che se un giorno si mettesse a produrre vasi da notte, farebbe scappare la voglia di urinare a tutta l'Italia. (da ''[https://web.archive.org/web/20130619122825/http://archiviostorico.corriere.it/2001/febbraio/15/PREDICATORI_COMPARSE_co_0_0102158858.shtml I predicatori e le comparse]'', 15 febbraio 2001, p. 1) *Non sono mai venuto meno all'impegno, preso non con il Cavaliere, ma con me stesso, di non associarmi mai alla sua demonizzazione. Ma non posso sottacere ai lettori i pericoli che si nascondono sotto questa sua allergia alla verità, questa sua voluttuaria e voluttuosa propensione alle menzogne, la naturalezza con cui riesce a pronunziarle. (da ''Io e il cavaliere qualche anno fa'', 25 marzo 2001, p. 1) *Berlusconi, cui nulla riesce tanto bene quanto la parte di vittima e perseguitato. «[[Chiagne e fotte]]» dicono a Napoli dei tipi come lui. E si prepara a farlo per cinque anni di seguito. (da ''Io e il cavaliere qualche anno fa'', 25 marzo 2001, p. 1) ====''La stanza di Montanelli – rubrica''==== {{cronologico}} *{{NDR|[[Vittorio Sgarbi]]}} È un volgare calunniatore, che non disonora se stesso, ma anche il suo committente e padrone (tutti sappiamo chi è) che si serve di un simile scherano. (8 novembre 1995) *I [[Riformismo|riformatori]] italiani, quando si tratta di riformare ciò che non ha bisogno di essere riformato, sono instancabili. L'attività dell'Ucas, Ufficio complicazioni affari semplici, come ricordava un altro lettore esasperato, è frenetica. ([https://web.archive.org/web/20160101000000/http://archiviostorico.corriere.it/1995/dicembre/13/Ufficio_complicazioni_affari_semplici_co_0_9512139920.shtml 13 dicembre 1995]) *Io credo che il miglior omaggio che si può rendere a [[Aldo Moro|Moro]] sia quello di archiviare l'episodio che ne segnò la fine e dal quale, diciamo la verità, la sua immagine esce tutt'altro che bene. Quando sento dire che, oltre a quelle conosciute, ci sono anche altre lettere di Moro, prego Iddio che non vengano trovate. So già cosa contengono, e preferisco non leggerlo. (21 dicembre 1995) *È assolutamente impossibile istillare negli [[zingari]] il concetto di proprietà e quindi educarli al lavoro come mezzo per conquistarsela. Ma temo che sia altrettanto impossibile far capire tutto questo ai nostri pietisti, religiosi e laici, che farneticano di «integrarli». ([https://web.archive.org/web/20160101000000/http://archiviostorico.corriere.it/1995/dicembre/30/Viaggiai_sul_carrozzone_degli_zingari_co_0_95123012229.shtml 30 dicembre 1995]) *A me, invece, [[Beppe Grillo|Grillo]] piace. Lo considero il più efficace comico in circolazione. Anzi: «comico» non è la parola giusta. Grillo non è un comico, non è un moralista, non è un predicatore: è tutte queste cose insieme. Nel panorama dello spettacolo italiano, dove abbonda il bollito misto, è un'eccezione ambulante (e urlante). Lei ha ragione quando dice che Grillo esagera. Non soltanto esagera; provoca anche, e insulta, e offende. Ma tutte le categorie di giudizio, con un tipo così, risultano inadeguate. Grillo appartiene ad una specie animale particolare, formata da un solo esemplare: lui. O lo strozziamo o lo applaudiamo. Io, appena posso, lo applaudo. Perché i suoi eccessi, a differenza di quelli di [[Vittorio Sgarbi|Sgarbi]], odorano di bucato. ([https://web.archive.org/web/20160101000000/http://archiviostorico.corriere.it/1996/gennaio/11/Beppe_Grillo_incubo_esilarante_co_0_9601114281.shtml 11 gennaio 1996]) *Una delle eterne regole italiane: nel settore pubblico, tutto è difficile; la buona volontà è sgradita; la correttezza, sospetta. Per questo, le persone capaci continueranno a tenersi a distanza di sicurezza dalla «cosa pubblica», lasciando il posto ai furbastri (magari bravi) e alle mezze cartucce (magari oneste). Così, purtroppo, vanno le cose in questo bizzarro paese. ([https://web.archive.org/web/20160101000000/http://archiviostorico.corriere.it/1996/gennaio/26/Impegno_politico_caduta_delle_illusioni_co_0_9601261298.shtml 26 gennaio 1996]) *In una società libera il compito dei media non è «edificare la morale»; è informare, denunciare, stimolare, far riflettere, occasionalmente divertire. (28 gennaio 1996) *L'unico incoraggiamento che posso dare ai giovani, e che regolarmente gli do, è questo: «Battetevi sempre per le cose in cui credete. Perderete, come le ho perse io, tutte le battaglie. Una sola potete vincerne: quella che s'ingaggia ogni mattina, quando ci si fa la barba, davanti allo [[specchio]]. Se vi ci potete guardare senza arrossire, contentatevi». (20 febbraio 1996) *Non so se il Pci sia sotterraneamente sceso a trattative con le Br per convincerle a secondare questo piano. So soltanto che le Br, le quali invece la rivoluzione la volevano sul serio, lo rifiutarono, e fu proprio per farlo naufragare che rapirono e poi uccisero colui che doveva esserne lo strumento. [...] Fu il risoluto e quasi furibondo (oltre che sacrosanto) no dei comunisti che fece naufragare il tentativo {{NDR|Trattativa Stato-BR durante il sequestro [[Aldo Moro|Moro]]}}, che invece in seno alla Dc aveva parecchi sostenitori, anche se non osavano dirlo apertamente. Di qui le accuse e le insinuazioni contro i suoi compagni di partito, lanciate da Moro in quelle famose lettere, che avrebbe fatto meglio a non scrivere perché indegne di un vero uomo di Stato, anzi di un uomo tout court, e che ancor oggi forniscono materia al sospetto di una congiura fra democristiani – con l'aiuto dei soliti servizi segreti «deviati» – per sbarazzarsi di lui. Vero nulla. Forse nella Dc le forze «trattativiste», praticamente disposte alla resa alle Br, avrebbero vinto, se non ne fossero state impedite dalla risolutezza del Pci, che di un brigatismo assurto ad interlocutore dello Stato non voleva sentir parlare e di un Moro salvato al prezzo di una simile capitolazione non avrebbe più saputo che farsi. (26 marzo 1996) *No, è stata la persecuzione che ha costretto gli ebrei, per resisterle, a tendere ed affinare tutte le loro risorse intellettuali. Ecco il segreto dei loro primati. In tutto. E talvolta anche nella cretineria. (3 aprile 1996) *L'[[Allargamento della NATO|allargamento della Nato]] è una cosa maledettamente seria, e decisamente complessa. Parlarne prima delle elezioni presidenziali russe vuol dire buttare benzina sul fuoco; non parlarne oggi significa, forse, non parlarne più. [...] Innanzitutto, dobbiamo renderci conto che la Nato è un'organizzazione basata sul consenso: se si estende verso Oriente [...], la compattezza dell'alleanza rischia di incrinarsi. Ancor più delicata è una seconda questione. Governi e opinione pubblica occidentali devono capire le implicazioni della loro decisione. In seguito all'allargamento, i nuovi membri orientali della Nato (che siano solo Repubblica Ceca e Ungheria; o anche Polonia e Paesi Baltici) diventano nostri alleati, a tutti gli effetti. Questo vuol dire che, se venissero attaccati, dovremmo correre a difenderli. Domanda: siamo disposti a morire per Varsavia e Tallin? Se la risposta è «sì», allarghiamo pure la Nato. Se la risposta è «ma, forse...» – e in Italia sarebbe sicuramente «ma, forse...» – è meglio che lasciamo perdere. In quella parte del mondo hanno già sofferto abbastanza. Non è il caso che ci mettiamo anche noi. ([https://web.archive.org/web/20151025020316/http://archiviostorico.corriere.it/1996/aprile/20/Allargamento_della_Nato_Lasciamo_perdere_co_0_960420535.shtml 20 aprile 1996]) *Io non mi considero affatto ateo e non capisco come si possa esserlo. ([https://web.archive.org/web/20160101000000/http://archiviostorico.corriere.it/1996/maggio/23/dove_comincia_grande_mistero_Dio_co_0_9605235872.shtml 23 maggio 1996]) *{{NDR|Riferito alla [[crisi di Sigonella]]}} Ho sempre considerato il rilascio di Abu Abbas un gesto semplicemente criminale o almeno di complicità col crimine. ([https://web.archive.org/web/20151107235857/http://archiviostorico.corriere.it/1996/luglio/07/Caro_Ottiero_Ottieri_diamoci_del_co_0_9607072658.shtml 7 luglio 1996]) *Quanto scrivi {{NDR|riferito a una lettrice}} sull'insegnamento della Storia nelle nostre scuole è sacrosantamente vero. I testi su cui ve la fanno studiare sono o reticenti o faziosi, ma più spesso l'una cosa e l'altra, e soprattutto scritti coi piedi. (4 settembre 1996) *No, caro N***, non mi basta che il Pool abbia perseguito e persegua una buona Causa. Doveva farlo anche con buoni mezzi e criteri. E il caso Di Pietro basta a dimostrare che questo non è sempre avvenuto. (24 ottobre 1996) *È dalla piazza e dai cosiddetti «bagni di folla» che nascono i dittatori e vengono consacrati i fanatismi più orrendi, fra cui il più orrendo di tutti: il razzismo. ([https://www.fondazionemontanelli.it/sito/pagina.php?IDarticolo=432 24 novembre 1996]) *Io non ho titoli culturali che mi qualifichino a lezioni su una tematica come quella del [[calvinismo]]. Ma credo di averne afferrato l'essenziale: la concezione della Ricchezza come segno della Grazia, di cui quindi non si è proprietari, ma amministratori per conto del Signore col compito di moltiplicarla per il bene di tutti. (21 dicembre 1996) *[[Daniele Vimercati|Vimercati]] è un leghista antemarcia. Lo era anche quando lavorava con me al ''Giornale''. Ma è soprattutto un signor giornalista, che conosce perfettamente la linea di demarcazione fra l'opinione personale e il dovere professionale, e non c'è interesse né calcolo di opportunità che possa indurlo a varcarla. Per questo godeva di tutta la mia fiducia, né mai ho avuto occasione di pentirmi di avergliela concessa. (1996).<ref>Citato in Pierluigi Saurgnani, ''[https://www.ecodibergamo.it/stories/Cronaca/274325_vimercati_gran_borghese_il_giornalista_che_scopr_bossi/ Vimercati, gran borghese. Il giornalista che scoprì Bossi]'', ''ecodibergamo.it'', 13 marzo 2012.</ref> *Di commissioni d'inchiesta il nostro parlamento ne ha partorite a dozzine. Me ne citi una sola che abbia raggiunto dei risultati, anche semplicemente conoscitivi. Per un Parlamento come il nostro (e mi trattengo a fatica dal qualificarlo) anche la ricerca della verità è materia di lottizzazione. ([https://web.archive.org/web/20151118213258/http://archiviostorico.corriere.it/1996/dicembre/23/Ormai_non_resta_che_amnistia_co_0_96122312669.shtml 23 dicembre 1996]) *Quando ebbi, fra i tanti, un processo non con un magistrato, ma con un politico del rango di De Mita che avevo coinvolto nella mala amministrazione dei fondi stanziati per l'Irpinia dopo il [[Terremoto dell'Irpinia del 1980|terremoto]], non trovai, in tutta quella vasta regione, una toga che venisse a testimoniare in mio favore. L'unico che mi difese fu colui che avrebbe dovuto accusarmi: il pubblico ministero del tribunale di Monza, Mariconda: non sul merito delle mie accuse, ch'egli non aveva elementi per valutare, ma sul diritto che mi riconosceva di lanciarle. Anche l'uso dei cinquanta–sessantamila miliardi stanziati per l'Irpinia rimase un porto delle nebbie. ([https://web.archive.org/web/20160101000000/http://archiviostorico.corriere.it/1997/gennaio/12/Magistratura_porti_delle_nebbie_co_0_9701123652.shtml 12 gennaio 1997]) *La sola parola «ingegneria genetica» mi mette i brividi. (14 marzo 1997) *Io non mi sono mai [[Impiccagione|impiccato]]. Ma a Norimberga assistetti a diciassette impiccagioni, compresa quella di un cadavere, il cadavere di Göring che si era suicidato il giorno prima. Be', mi resi conto [...] che ficcare la testa nel nodo scorsoio di una corda non è un esercizio da mezzetacche o quacquaracquà. (15 maggio 1997) *{{NDR|Gladio}} Era stato istituito in quasi tutti i Paesi che facevano parte della Nato, e per volontà della Nato, consapevole che i suoi soci europei non avrebbero potuto resistere all'attacco di una Potenza superarmata qual era l'[[Unione Sovietica]]: avrebbero dovuto aspettare, per la riscossa, l'intervento dell'[[Stati Uniti d'America|America]]. Lo dimostra il fatto che quando questo piano fu rivelato, nessun altro Paese trovò nulla da ridirne. Solo noi italiani – i soliti romanzieri imbecilli e peggio che imbecilli – ne facemmo materia di scandalo e pretesto di «gialli» che tuttora trovano credito, come la sua lettera dimostra. Anch'io mi sento scandalizzato, e un poco offeso. Ma solo dal fatto che nessuno mi abbia sollecitato l'adesione al [[Organizzazione Gladio|Gladio]]: l'avrei data con entusiasmo. ([https://web.archive.org/web/20150623163829/http://archiviostorico.corriere.it/1997/giugno/07/Avrei_dato_con_entusiasmo_adesione_co_0_97060710388.shtml 7 giugno 1997]) *A fare l'Italia alcuni pochi italiani ci sono, senza e contro i più, riusciti. A fare gl'italiani, l'Italia, in centocinquant'anni, non c'è riuscita; anzi non ci s'è nemmeno provata. (19 giugno 1997). *Il vero cacciatore ama gli animali a cui dà la caccia, forse anche perché li considera complici di questo gioco in cui ritrova la sua origine esistenziale. Non spara, per esempio, sul bersaglio fermo: lo considera sleale. (9 luglio 1997) *Al matrimonio misto, che dell'integrazione razziale è la condizione genetica, sono i neri, molto più dei bianchi, che si rifiutano. Non è quindi colpa degl'italiani, o almeno non tutta questa colpa è degl'italiani, se anche da noi l'integrazione con gl'immigrati africani incontra degli ostacoli. Quella con gli oriundi dei Paesi europei non ne incontra nessuno, salvo quelli che frappone la burocrazia, la quale ne pone tanti anche a noi, e anzi campa solo di questo. Non ho mai sentito un francese, o un inglese, o un tedesco, o un bulgaro o un ukraino lamentarsi di una apartheid italiana. Ci sono anche da noi, purtroppo, delle manifestazioni di razzismo. Ma queste sono dovunque, e in Italia meno violente che altrove. L'Italia è un Paese che va a catafascio. Ma non buttiamogli addosso anche delle croci che non merita. Quelle che merita bastano, e ne avanza. (24 agosto 1997) *Io sono un italiano, fra i pochi rimasti che nei confronti dell'Italia s'ispirano all'adagio inglese: «Che abbia ragione o torto, sto col mio Paese». Anch'io sto col mio paese quando ha torto, ma senza pretendere che il suo torto sia considerato ragione. (23 settembre 1997) *Sono e rimango convinto che fin quando noi italiani ci affideremo soltanto alla Legge – o, come ora usa chiamarla, alle «regole» –, rimarremo quello che siamo, coi vizi che abbiamo, fra cui quello di accatastare regole su regole al solo scopo di metterle in contraddizione l'una con l'altra per poterle meglio evadere. (16 ottobre 1997) *Forse farebbe meglio ad astenersi a dare lezioni di liberalismo a me che sono stato, in tutto il giornalismo italiano, l'unico a difenderlo negli anni Settanta e Ottanta, quando difenderlo era difficile e poteva anche costar caro. Non me ne faccio un vanto perché, quando alla fine ha vinto, ho visto di che liberalismo si trattava, ed è per questo che ho votato Ulivo. (23 ottobre 1997) *Le confesso che il suo piglio perentorio e inquisitorio mi disturba alquanto, anche perché mi lascia capire che lei parte da convinzioni così granitiche da rendere vano ogni tentativo d'insinuarvi almeno un dubbio. (23 ottobre 1997) *È importante tutto questo? No. Non lo è per me né per lei, che sappiamo cosa è accaduto. E non lo è per i leghisti doc, secondo cui qualunque cosa propone il capo è Vangelo. Se Bossi decide di andare in Bicamerale, applaudono. Se decide di abbandonare la Bicamerale, esultano. Se va con Berlusconi, assentono. Se lascia Berlusconi, approvano. E se un giorno si sveglia e cambia i confini della Padania, accettano i nuovi confini. Tempo fa, rispondendo a un lettore, scrissi che «i leghisti sono pronti a inneggiare anche all'annessione della Yakuzia, e non solo perché non sanno dove sta». Arrivarono molte lettere indispettite. Ma nessuna contro l'annessione della Yakuzia. (29 ottobre 1997) *Se sono – come sono – uno di quegli uomini di Destra che ultimamente hanno votato, sia pure controvoglia, per la Sinistra (annacquata) dell'Ulivo, è perché da questa, che non è mai stata la mia bandiera, non mi sento tradito. Essa sta facendo ciò che prometteva di fare, ma lo fa con molta moderazione, e con una squadra di uomini che magari non saranno (meno qualcuno, come per esempio Ciampi) di serie A, ma da cui non temo, e credo che nessuna persona ragionevole possa temere, l'instaurazione di un regime. (10 dicembre 1997) *E lo specchio non vi giudica dai successi che avrete ottenuto nella corsa al denaro, al potere, agli onori; ma soltanto dalla Causa che avrete servito. Tenendo bene a mente il motto degli ''hidalgos'' spagnoli: «La sconfitta è il blasone delle anime nobili». (31 dicembre 1997) *Che cosa io pensi dell'onorevole Previti mi pare di averlo detto in termini talmente espliciti da apparire – a più d'uno – brutali: un personaggio che solo a guardarlo in faccia verrebbe voglia di applicargli le manette ai polsi prima ancora di sapere chi è e cosa ha fatto. (31 gennaio 1998) *Infine, c'è quello che io considero il vero, grande vantaggio dell'euro: una volta dentro, non potremo tornare all'allegra finanza pubblica d'un tempo. ([https://web.archive.org/web/20151203232056/http://archiviostorico.corriere.it/1998/febbraio/20/Che_cosa_succedera_quando_avremo_co_0_9802206445.shtml 20 febbraio 1998]) *Tutti hanno diritto di credere nel miracolo, quando non c'è altro a cui aggrapparsi. La scienza no: se lo ricordi anche il Papa. (23 febbraio 1998) *I conti col passato, si capisce, bisogna farli. Ma a un certo punto bisogna chiuderli. Perché nella Storia non ce n'è mai stato uno che, protratto all'infinito, non ne abbia innescato un altro. (10 marzo 1998) *Perché, caro B***? Perché la vocazione a dividerci sempre e su tutto per il nostro «particulare», come lo chiamava Guicciardini, noi italiani ce la portiamo nel sangue, e non c'è legge che possa estirparla. (18 aprile 1998) *Vero che nei ricordi sui quali vengo sollecitato, il nome di [[Cesco Tomaselli|Tomaselli]] ricorre meno frequentemente di quelli di Longanesi, di Buzzati, di Piovene, di Barzini ecc. Ma ciò dipende solo dal fatto che costoro appartenevano alla mia leva, e in comune con loro avevo avuto tante esperienze, perfino la stanza di lavoro. Tomaselli, quando io entrai al ''Corriere'', apparteneva già alla sua vecchia guardia, e come notorietà ne aveva raggiunto il tetto proprio grazie alle sue corrispondenze sull'impresa del dirigibile «Italia» di Umberto Nobile, di cui fu dal principio alla fine lo scrupoloso cronista. A salvargli la vita dalla catastrofe fu soltanto la sorte, contro cui egli imprecò considerandola avversa. Per l'ultima tappa, quella che avrebbe dovuto sorvolare il Polo, dei due giornalisti aggregati a quella spedizione — Tomaselli per il ''Corriere'', e Ugo Lago per il ''Popolo d'Italia'' di Mussolini —, c'era posto, sulla navicella, per uno solo. Lago e Tomaselli se lo giocarono a testa o croce. Con gran dispetto di Tomaselli, che non smise mai di considerarsene tradito, vinse e partì Lago, che non tornò più: quando l'aeromobile precipitò sul pack, lui rimase aggrappato insieme ad altri compagni al cordame dell'involucro col quale scomparve nel deserto bianco. Ma tutte le volte che se ne parlava, Tomaselli seguitava ad inveire contro la scalogna che lo aveva escluso da quel drammatico finale, come se gli avesse tolto la fortuna di descriverlo. Questo era Tomaselli, l'inviato speciale che nel suo mestiere di giornalista portava lo stesso spirito che aveva fatto di lui, nella Prima Guerra Mondiale, un superdecorato ufficiale di artiglieria alpina e gli ispirava una concezione quasi religiosa del «servizio». Non era un «brillante» né come scrittore né come parlatore. Ma di tutto quello che diceva, sia con la bocca che con la penna, si poteva stare sicuri che di inesatto o di inventato non c'era nemmeno una virgola. [...] Se raramente mi capita di parlare di lui, è perché l'ho conosciuto e frequentato sul declino della sua intemerata e ineccepibile carriera di testimone, e perché lui, nel raccontarla, non l'animava mai di aneddoti o di battute come, per esempio, il suo coetaneo Monelli. Ma se ai giovani che si avviano (poveretti!) a questo mestiere dovessi indicare un modello di dignità, serietà, dedizione e correttezza professionale non avrei dubbi sulla scelta: Cesco Tomaselli. ([https://web.archive.org/web/20151009153047/http://archiviostorico.corriere.it/1998/maggio/07/Cesco_Tomaselli_inviato_speciale_Polo_co_0_9805078688.shtml 7 maggio 1998]) *Che un giudice spagnolo in vena di protagonismo abbia chiesto all'[[Inghilterra]] la consegna di un ospite straniero andato a Londra in forma privatissima per ragioni di salute, non mi stupisce: un [[Antonio Di Pietro|Di Pietro]] può nascere dovunque. Ma che l'Inghilterra si proponga di consentire, non mi stupisce. Mi sbalordisce, come ha sbalordito e indignato la signora Thatcher che aveva ospitato in casa il Generale. Ma ancora di più mi sbalordirebbe che la Giustizia spagnola, cioè di un Paese che non solo ha accettato per quarant'anni il potere di un Generale, ma gli ha consentito (per sua fortuna) di disporne anche dopo morto, portasse davanti a una Corte di Giustizia quello cileno. Per non parlare delle conseguenze che tutto questo potrebbe provocare in [[Cile]] dove, nel caso che il governo Frei si mostrasse esitante e accomodante, le Forze Armate potrebbero riprendere il potere per rompere i rapporti diplomatici con [[Spagna]] e Inghilterra e dimostrare al mondo che i processi alla Norimberga hanno fatto il loro tempo. Se a qualcuno il Generale cileno Pinochet deve rendere conto del suo operato, è soltanto al Cile e ai suoi tribunali. E se io fossi un cileno che ha votato Frei (come certamente avrei fatto se fossi stato un cileno), in questa occasione mi schiererei con le Forze Armate. Con tanti saluti a tutto il sinistrume italiano passato, presente e futuro. (24 ottobre 1998) *Che gli [[Stati Uniti d'America|Usa]] siano in tutto il mondo odiati dagli uomini come lei {{NDR|riferito a un lettore}}, è verosimile, e quindi più che credibile. Un po' meno credibile è che gli uomini di tutto il mondo siano e la pensino come lei. Comunque, il giorno in cui quel Paese venisse chiamato (ma da chi?) sul banco degl'imputati come il nemico dell'umanità, io chiederò di essere ascoltato come testimone. Per dire alla Corte dei Vecchio di turno che io, uomo qualunque, mi considero graziato tre volte da questo grande nemico dell'umanità. La prima fu quando mi strappò al pericolo di diventare – per bene che mi fosse andata – l'attendente di un colonnello tedesco. La seconda fu quando mi sottrasse a quello di finire i miei giorni in un kolkos siberiano. La terza fu quando, invece di rimettermi la parcella di questi favori, mi aiutò a rifarmi la casa senza contestarmi il diritto di invitarvi anche coloro che pensano (si fa per dire) e parlano (o meglio sbraitano) come lei. ([https://web.archive.org/web/20160101000000/http://archiviostorico.corriere.it/1999/aprile/10/Fermare_genocidio_Kosovo_co_0_9904103314.shtml 10 aprile 1999]) *Tradotto in politica, non c'è nulla di più intollerante e fazioso, e quindi di meno pacifico, del [[pacifismo]] in generale, e di quello italiano in particolare. È un pacifismo a fasi alterne, e che si sveglia soprattutto, anzi quasi esclusivamente, quando a fare la guerra sono gli americani. Furioso e devastatore imperversò, non soltanto in Europa, ma nella stessa America, al tempo del Vietnam: al punto che quando [[Richard Nixon|Nixon]] venne in visita in Italia (quell'Italia che poteva fare ciò che voleva grazie agli americani) dovettero mandarlo a prendere a Fiumicino con un elicottero e trasportarlo via aria in Quirinale perché via terra avrebbe rischiato la pelle. Ma questo stesso pacifismo rimase impassibile quando i carri armati sovietici schiacciarono l'Ungheria (e a Montecitorio risuonò il grido: «Viva l'[[Armata Rossa]]!»), e poco dopo la Cecoslovacchia e da ultimo l'Afghanistan. Sono sempre gli stessi, i pacifisti italiani. Con una bandiera in mano come quella della pace (chi può infatti invocare la guerra?), si sentono invulnerabili. Ma la sventolano solo per il povero Milosevic; il genocidio del Kosovo li lascia del tutto indifferenti. (5 maggio 1999) *Non sempre condivido le opinioni di [[Giovanni Sartori|Sartori]]. Qualche volta, anzi spesso, abbiamo litigato, anche perché a lui litigare piace moltissimo: da buon toscano, è nella polemica che lui, e forse anch'io, diamo il meglio di noi. E anche sull'articolo del 25 maggio non siamo in tutto e per tutto d'accordo. Lo siamo nel respingere la qualifica di «pacifista», che entrambi lasciamo in esclusiva alle «anime belle» che, sventolando la bandiera della [[pace]], sperano di raccogliere intorno a essa tutti gl'ipocriti e gl'imbecilli che, sommati insieme, costituiscono certamente la stragrande maggioranza degl'italiani. (29 maggio 1999) *Lo Stato di [[Platone]], quello che lui chiamava la polis, e che poi era Atene, aveva, al tempo di Platone, cioè nel momento del suo massimo splendore, ventimila abitanti, di cui solo cinquemila avevano diritto al voto. E veda un po' come quei civilissimi cittadini lo usarono nelle assemblee dell'Acropoli: mettendo sotto processo [[Pericle]] e [[Aspasia di Mileto|Aspasia]], condannando a morte [[Socrate]] e provocando la guerra del Peloponneso, che fu la rovina non solo di Atene, ma di tutta la Grecia e della sua civiltà. Ora se il sistema della «democrazia diretta» o, come lei la chiama, «partecipatoria», non funzionò nemmeno in una polis di ventimila abitanti, s'immagini un po' cosa diventerebbe nei formicai umani cui si sono ridotte le polis attuali, e non soltanto quelle italiane. [...] Lei ha tutte le ragioni del mondo a dire che l'attuale sistema di democrazia «rappresentativa» o «delegata» ha dei vizi gravissimi e spesso provoca disastri, compresa quella americana, che pure è una di quelle che meglio funzionano. Ma, mi creda, quella «diretta» o «di piazza» è ancora molto più pericolosa perché continuamente a rischio di cadere in balia di qualche ciarlatano che sappia soltanto vendere bene la sua merce. Certo, quella indiretta esige, da parte del cittadino, una partecipazione che in Italia manca. Ma non è certo coi referendum che si può sostituirla. Almeno questo mi ha insegnato l'esperienza. (22 agosto 1999) *Quello di [[Francisco Franco|Franco]], se proprio vogliamo chiamarlo regime, fu un regime di polizia, di una polizia molto più dura di quella fascista, ma un totalitarismo no. Ecco perché, quando sentì avvicinarsi il momento della fine, Franco poté liquidare il franchismo con relativa facilità: perché di totalitario non aveva altro che le galere. Però bisogna anche riconoscere che questo soldataccio squallido e ottuso (sul piano umano era repellente), il ritorno al regime democratico seppe compierlo da maestro, facendosi consegnare dal pretendente al trono, Don Juan, ch'egli considerava (non a torto) poco affidabile, il figlio Juan Carlos per prepararlo – operazione riuscitissima – ai suoi compiti di Re, e mettendogli accanto un uomo di primissimo ordine come Suarez. ([https://web.archive.org/web/20130331034046/http://archiviostorico.corriere.it/1999/ottobre/24/differenza_fra_regimi_totalitari_dittature_co_0_991024459.shtml 24 ottobre 1999]) *La servitù, in molti casi, non è una violenza dei padroni, ma una tentazione dei servi. (2 gennaio 2000) *Non conosco Haider, e quindi nemmeno i fondamenti della sua ideologia, ammesso che ne abbia una. A occhio e croce, più che un nazista, mi sembra un qualunquista che interpreta, o cerca d'interpretare i sentimenti e i risentimenti di una pubblica opinione di livello bossiano, scontenta di tante cose, e a cui l'Austria attuale va stretta. [...] Non so se anche Haider – ripeto: non lo conosco – sia un omuncolo. Ma penso che l'Europa, ponendo il veto a un suo eventuale governo, costringerà gli austriaci ad affidargliene l'incarico, come avvenne per Waldheim. Io al pericolo di un rigurgito nazista non ci credo. Come ho letto in un articolo (mi pare di Enzo Bettiza, ma potrei sbagliarmi) penso che Jorg Haider somigli più a un Poujade che a un Le Pen, cioè più a una miscela di [[Umberto Bossi|Bossi]] e di Giannini che a un [[Pino Rauti]]. Ciò che mi allarma è l'incapacità dell'Europa a riflettere sulle sue proprie esperienze a trarne qualche insegnamento. Questo, sì, mi fa paura. (3 febbraio 2000) *Li conosco e riconosco, quei regimi {{NDR|di dittatura e di censura}}. Ne avverto il passo anche di lontano, e convengo che in Italia il pericolo di vederne arrivare qualcuno c'è. Ma sa quando si realizzerà? L'anno venturo, dopo la vittoria – che io do per certa – del Polo alle Politiche. Vedrà. La prima cosa che farà Berlusconi, come la fece nel '94, sarà di spazzare via l'attuale dirigenza Rai per omologarne le tre Reti a quelle sue. (26 febbraio 2000) *Quando s'accendono i [[Morte sul rogo|roghi]], mettiti dalla parte della strega, anche a costo di bruciare con lei. ([https://www.corriere.it/solferino/montanelli/00-05-31/02.spm 31 maggio 2000]) *Una Giustizia che per istruire un processo impiega sei o sette anni e poi non riesce a chiuderlo con una sentenza che non si presti a rimetterlo, con qualche marchingegno, in gioco, è un meccanismo di cui bisogna assolutamente rivedere e rifare gl'ingranaggi: «Giustizia ritardata – dice [[Montesquieu]] – è Giustizia negata». ([http://www.corriere.it/solferino/montanelli/00-06-07/01.spm 7 giugno 2000]) *Il [[revisionismo]] è la materia prima della [[storiografia]] che, senza di esso, sarebbe una disciplina morta. ([http://www.corriere.it/solferino/montanelli/00-06-16/01.spm 16 giugno 2000]) *Il mio giudizio su [[Baltasar Garzón|Garzón]] resta quello di prima, solo un po' rinforzato: un garzoncello smanioso soltanto di leggere il proprio nome sulle prime pagine di tutti i giornali e di vedere la propria effigie sugli schermi televisivi di tutto il mondo: il che rafforza la mia ipotesi che si tratti di un italiano nato per sbaglio in Spagna. ([http://www.corriere.it/solferino/montanelli/00-06-30/01.spm 30 giugno 2000]) *La pena di morte americana esiste e resiste in America perché fu un elemento base e costitutivo della sua nascita e sviluppo. Dei famosi 102 «Padri Pellegrini» che per primi sbarcarono dal «Mayflower» in quel Continente non per saccheggiare le ricchezze come facevano spagnoli e portoghesi in Messico e nell'America del Sud, ma per costruirvi una società nuova e libera, circa i due terzi erano avanzi di galera che fuggivano la Giustizia e le prigioni dell'Europa, e un terzo erano uomini che cercavano la libertà, e soprattutto quella religiosa. I primi avevano in tasca la pistola, i secondi la Bibbia, ma nella sua versione calvinista quella del taglione, basata sulla concezione di un Dio giustiziere che esige la morte di chi senza giusto motivo la dà. (9 luglio 2000) *A Rimini, cioè in casa propria (ma anche nostra, almeno per il momento), questi signorini {{NDR|di [[Comunione e Liberazione]]}} non hanno fatto altro che fischiare tutto ciò che è italiano, acclamare al nuovo beato [[Pio IX]], il Papa-Re che pretendeva di impedire il processo di unificazione nazionale, ed esaltare come i veri eroi del risorgimento i Borboni e i briganti del Cardinale Ruffo. A lei, tutto questo va bene? A me, dà il vomito. ([http://www.corriere.it/solferino/montanelli/00-09-13/02.spm 13 settembre 2000]). *Il mio parere è rimasto quello che espressi sul mio ''Giornale'' l'indomani del fattaccio {{NDR|l'[[agguato di via Fani]]}}. «Se lo Stato, piegandosi al ricatto, tratta con la violenza che ha già lasciato sul selciato i cinque cadaveri della scorta, in tal modo riconoscendo il crimine come suo legittimo interlocutore, non ha più ragione, come Stato, di esistere». Questa fu la posizione che prendemmo sin dal primo giorno e che per fortuna trovò in Parlamento due patroni risoluti (il Pci di [[Enrico Berlinguer|Berlinguer]] e il Pri di [[Ugo La Malfa|La Malfa]]) e uno riluttante fra lacrime e singhiozzi (la Dc del moroteo [[Benigno Zaccagnini|Zaccagnini]]). Fu questa la «trama» che condusse al tentennante «no» dello Stato, alla conseguente morte di Moro, ma poco dopo anche alla resa delle Brigate rosse. Delle chiacchiere e sospetti che vi sono stati ricamati intorno, e che ogni tanto tuttora affiorano, non è stato mai portato uno straccio di prova, e sono soltanto il frutto del mammismo piagnone di questo popolo imbelle, incapace perfino di concepire che uno Stato possa reagire, a chi ne offende la legge, da Stato. ([http://www.corriere.it/solferino/montanelli/00-09-22/03.spm 22 settembre 2000]) *La Serbia ha perduto la guerra e ha vinto la pace: ora deve voltar pagina. Sarà la storia – un giudice non imparziale, ma efficace – a decidere cos'è stato giusto e cos'è stato sbagliato. Tuttavia, una ritorsione serba verso l'Occidente avverrà. E ci troverà disarmati. Sa di cosa parlo? Delle rivendicazioni sul Kosovo, che è amministrato dalla Nazioni Unite ma è ancora Jugoslavia (lo dice la risoluzione dell'Onu). I serbi chiederanno di tornare a controllarne le frontiere, per esempio. E dire no a un Kostunica buono è più difficile che dire sì a un Milosevic cattivo. Gli albanesi del Kosovo, sono certo, lo hanno già capito. ([http://www.corriere.it/solferino/montanelli/00-10-08/01.spm 8 ottobre 2000]) *È un dimenticato, [[Ugo Ojetti|Ojetti]], come in questo Paese lo sono quasi tutti coloro che valgono. Se io dirigessi una scuola di giornalismo, renderei obbligatori per i miei allievi i testi di tre Maestri: [[Luigi Barzini (1908-1984)|Barzini]], per il grande reportage; [[Benito Mussolini|Mussolini]] (non trasalire!), quello dell'''Avanti!'' e del primo ''Popolo d'Italia'', per l'editoriale politico; e Ojetti, per il ritratto e l'articolo di arte e di cultura. ([http://www.corriere.it/solferino/montanelli/00-11-13/01.spm 13 novembre 2000]) *In Italia fu il potere temporale a soffocare negl'italiani la voce della coscienza e a spegnere in loro ogni senso di responsabilità. Ma fu la Controriforma a fornire al prete le armi per accaparrarsi l'una e l'altra: il Sant'Uffizio, le scomuniche e, nei casi estremi, il patibolo. Con questo risultato: l'aborto del «cittadino» e la trasformazione di quello che avrebbe dovuto e potuto diventare un «popolo» in un gregge (come con inconsapevole spudoratezza i preti lo chiamano), e in un gregge di pecore indisciplinate che credono di affermare il loro ribelle individualismo non rispettando il semaforo rosso. ([http://www.corriere.it/solferino/montanelli/00-11-20/01.spm 20 novembre 2000]) *{{NDR|Su [[Slobodan Milošević]]}} Oltre che un despota, lo ritengo anche un satrapo della razza dei [[Nicolae Ceaușescu|Ceausescu]], avido non solo di potere, ma anche di denaro, e credo che la sorte che si merita sia un bel plotone di esecuzione. Purché composto da serbi, al comando di un serbo, e in esecuzione di una sentenza emessa da un tribunale serbo e motivata non tanto da generici crimini contro l'umanità, che sono sempre – salvo casi di monumenti all'orrore come l'[[Olocausto]] – oggetto di discussione e dissensi; ma dal più grande e imperdonabile delitto di cui Milosevic si è macchiato nei confronti non soltanto dei serbi: la distruzione della Nazione Jugoslava, che la Monarchia serba aveva fondato dopo la prima guerra mondiale; che il croato [[Josip Broz Tito|Tito]] aveva difeso coi denti e restaurato dopo la seconda, dando alla Balcania un esempio e un puntello di stabilità; e che Milosevic e il suo compare croato [[Franjo Tuđman|Tudjman]] distrussero per poter restare ciascuno padrone in casa sua; e sulle cui macerie si scatenarono tutte le violenze (Bosnia, [[Kosovo]]) che hanno insanguinato e continuano a insanguinare quel povero Paese. ([http://www.corriere.it/solferino/montanelli/01-04-29/01.spm 29 aprile 2001]) *Questo mondo materialista, edonista ed esibizionista non entusiasma neanche me; e, visto che mi legge, dovrebbe saperlo. Ma vorrei conoscere il sistema che voi avete in mente, e non avete il coraggio, o la capacità, di proporre. Un mondo francescano? Bello: ma guardatevi intorno, e ditemi se vedete un saio. Un comunismo riveduto e corretto? Farebbe la fine dell'altro, anche se non riuscirà a ripeterne i disastri. Mi creda, G.: l'unico sistema sociale ed economico oggi accettabile, in Occidente, è quello basato sul mercato: un capitalismo controllato e temperato, per intenderci. È auspicabile che sia anche corretto: e questo non sempre accade, è vero. Il guaio è che il capitalismo è fatto dai capitalisti – e quelli, devo ammettere, sono spesso difficili da digerire. Non cerchi di confondermi le idee, quindi. Non ci riuscirà. Probabilmente ho tre volte i suoi anni, e ho visto dove conducono queste generiche tirate contro «le multinazionali»: prima o poi, qualcuno deporrà la spranga e prenderà la pistola. Dimenticavo: io firmo le mie opinioni, lei tira il sasso e nasconde la mano. Tutti coraggiosi così, voi ragazzi di Seattle? ([http://www.corriere.it/solferino/montanelli/01-06-09/01.spm 9 giugno 2001]) *Non erano, le mie, parole di circostanza. Erano – e rimangono – quelle di un conservatore abbastanza spassionato e nutrito di Storia da capire che non c'è, per la conservazione di ciò che va conservato, nemico più mortale dei conservatori che vogliono conservare tutto; e che un sistema capitalistico senza un correttivo socialista diventa una jungla che conduce pari pari a [[Karl Marx|Carlo Marx]]. Di qui il mio amore per uno dei personaggi meno amabili, sul piano umano, della nostra Storia, [[Giovanni Giolitti|Giolitti]], che sempre cercò l'accordo con [[Filippo Turati|Turati]], a cui il cretinume massimalista – che nel vostro partito ha sempre dominato – lo impedì. Il vedervi – sbriciolati in gruppi, gruppetti e gruppuscoli – annaspare nell'attuale centro-sinistra in cui nessuno riesce a recitare la parte di se stesso, fa male al cuore di un vecchio autentico liberal-conservatore come me. Cosa aspettate, caro Tamburrano, a ridarci il socialismo, ma che sia quello e quello solo: ''il'' socialismo di Turati e di Massarenti? [...] Credo che come forza politica siate abbastanza mal messi. Ma in compenso avete in mano una grande bandiera che prima o poi un esercito la ritroverà. Arrivederci, al primo settembre, cari lettori. ([http://www.corriere.it/solferino/montanelli/01-07-04/01.spm?refresh_ce-cp 4 luglio 2001]) ===''il Giornale''=== <!--ordine cronologico--> *Chi sarà il nostro lettore noi non lo sappiamo perché non siamo un giornale di parte, e tanto meno di partito, e nemmeno di classi o di ceti. In compenso, sappiamo benissimo chi non lo sarà. Non lo sarà chi dal giornale vuole soltanto la «sensazione» [...] Non lo sarà chi crede che un gol di Riva sia più importante di una crisi di governo. E infine non lo sarà chi concepisce il giornale come una fonte inesauribile di scandali fine a se stessi. Di scandali purtroppo la vita del nostro Paese è gremita, e noi non mancheremo di denunciarli con quella franchezza di cui crediamo che i nostri nomi bastino a fornire garanzia. Ma non lo faremo per metterci al rimorchio di quella insensata e cupa frenesia di dissoluzione in cui si sfoga un certo qualunquismo, non importa se di destra o di sinistra. [...] Vogliamo creare, o ricreare un certo costume giornalistico di serietà e di rigore. E soprattutto aspiriamo al grande onore di venire riconosciuti come il volto e la voce di quell'Italia laboriosa e produttiva che non è soltanto Milano e la Lombardia, ma che in Milano e nella Lombardia ha la sua roccaforte e la sua guida. [...] A questo lettore non abbiamo «messaggi» da lanciare. Una cosa sola vogliamo dirgli: questo giornale non ha padroni perché nemmeno noi lo siamo. Tu solo, lettore, puoi esserlo, se lo vuoi. Noi te l'offriamo. (25 giugno 1974) *Checché ne dicano gli agiografi della Resistenza, la guerra l'abbiamo persa, e c'è un conto da pagare. Che l'Italia lo saldi a spese dei suoi figli minori – i Dalmati e gli Istriani – è un ghigno del destino. Ma in compenso può considerarsi miracolata. Quando si pensa a cosa ha pagato la sua sconfitta la Germania, amputata d'intere province e dimezzata in due nazioni diverse e ostili, e quando si pensa a cosa ha pagato l'Inghilterra, precipitata dalla condizione di massimo impero mondiale a quella di piccola isola alla periferia d'Europa; non possiamo lamentarci del trattamento che gli alleati ci fecero. (30 settembre 1975) *Siamo stati accusati di aver fatto, nei confronti dei comunisti, il processo alle intenzioni. Non vediamo su cos'altro avremmo dovuto giudicarli, visto che sono sempre rimasti all'opposizione, ed è di lì che ancora si affannano a dire che cosa si propongono di fare se andassero al potere, anzi quando andranno al potere (perché ormai lo danno per scontato). E cosa sono, queste, se non intenzioni? (19 giugno 1976) *Che cerchino di eliminarmi perché sono un avversario, questo lo posso anche capire; ma perché – a quanto mi riferiscono – hanno detto che io sono un servo delle [[Multinazionale|multinazionali]], allora questo sta a dimostrare la confusione di idee di questi poveretti che, evidentemente, non sanno cosa sono le multinazionali. (3 giugno 1977) *I giuochi sono fatti. E sono fatti non soltanto per [[Aldo Moro|Moro]], cui va tutta la nostra più fraterna e rispettiva pietà. Sono fatti anche per una politica da ''belle époque'', che la distruzione – fisica o morale – di Moro chiude e conclude. La Storia sta riprendendo i suoi connotati di tragedia, e costringe coloro che la fanno, o ambiscono o s'illudono di farla, ad adeguarsi al repertorio. Stiamo entrando in una di quelle «età di ferro» in cui il potere si paga, o si può pagarlo col ferro. Nessuno è obbligato a sfidare questo rischio. Chi lo fa, sappia che oggi è toccato a Moro, domani può toccare a lui. Solo se si rende conto di questo e lo accetta, la classe politica troverà la forza di archiviare il caso Moro. Ed è tempo che lo faccia. (7 maggio 1978) *Quattr'anni e mezzo orsono, quando questo giornale nacque, un «ragazzo del '68» (con tante scuse a quelli veri, del '99), [[Mario Capanna]], oggi gerarchetto regionale (che belle carriere, questi rivoluzionari!), dichiarò che, come nemici del «pubblico» e del «sociale» e come assertori del «privato», e quindi della reazione, noi saremmo diventati il più bel museo della città, dove babbi e mamme avrebbero potuto condurre in gita ricreativa i loro figlioletti per mostrargli, dal vivo, com'erano buffi i loro nonni e bisnonni: noi. Bene. Se il vento seguita a soffiare come soffia, saremo noi che di qui a un po' condurremo i nostri figlioletti dal signor Capanna per mostrargli com'erano buffi i loro nonni e bisnonni di dieci anni fa. Ma non lo faremo. Lo spettacolo di questi ragazzi-prodigio abortiti, di questi barricadieri con pancia e cellulite che credevano di camminare con la Storia, e invece camminavano solo con la moda, non ha nulla di edificante. (16 gennaio 1979) *In una sua memorabile inchiesta un giornalista d'incrollabile fede sinistrorsa, ma di esemplare onestà, [[Giampaolo Pansa]], mise benissimo in luce questo contrasto fra i due atteggiamenti e mentalità, che ieri ha trovato una eloquente conferma nella manifestazione di Torino. Niente chiasso, niente sceneggiate, niente slogans, niente insomma che appartenga al repertorio del buffonismo nazionale. Nessuno ha rotto le righe per andare a rovesciare auto o a fracassar vetrine. Questa, sì, era Danzica, sia pure senza Madonne; non i picchettaggi e i pestaggi di Mirafiori, sia pure con le Madonne. Ora sappiamo già cosa diranno gli altri, oggi e domani. Diranno che gli operai non c'erano. Infatti. Doveva trattarsi di quarantamila presidenti, consiglieri delegati, ingegneri: insomma, la solita «[[maggioranza silenziosa]]»: termine che soltanto nella lingua italiana ha significato spregiativo. La maggioranza silenziosa esiste in tutti i Paesi del mondo, dove nessuno si vergogna di appartenervi perché è essa, in definitiva, che ristabilisce gli equilibri. Fu la maggioranza silenziosa – autoqualificatasi come tale – di seicentomila parigini che dodici anni fa pose fine al carnevale sessantottesco, riportò [[Charles de Gaulle|De Gaulle]] all'Eliseo e restituì alla Francia la stabilità di cui tuttora essa gode. [...] Il motivo vero che farà i dimostranti bersaglio delle peggiori critiche e accuse è ch'essi rappresentano la rivolta delle persone serie contro gli arruffoni della «conflittualità permanente», dei «modelli di sviluppo» e via baggianando. E in questo Paese nulla fa più paura, perché nulla è più rivoluzionario, della serietà. (15 ottobre 1980) *[[Anwar al-Sadat|Sadat]] non era popolare. Gli mancava quel tocco di magia, o di cialtronismo, che consentiva a [[Gamal Abd el-Nasser|Nasser]] di bandire guerre come crociate e di annunciare disfatte come trionfi. [...] Sadat amava il popolo, il popolo contadino del profondo Sud nubiano, di cui era egli stesso originario. Ma non amava le masse, e le masse lo sentivano. [...] Sapeva, quando andò a Gerusalemme, di lanciare a quelle arabe una sfida più pericolosa di quella che lanciava a Begin. [...] Ma all'impopolarità di Sadat contribuiva anche un altro elemento: il fatto di essere un vero riformatore. [...] [[Mohammad Reza Pahlavi|Rehza Pahlevi]] volle applicare gli stessi metodi di [[Mustafa Kemal Atatürk|Atatürk]] senz'averne l'autorità e il prestigio, e per questo lo cacciarono. Ma dopo due anni di [[Ruhollah Khomeyni|Khomeini]], anche i più ciechi e idioti fra i progressisti occidentali, che ne avevano salutato l'avvento come quello del Redentore, si saranno accorti che il progresso, sia pure a forza di polizia segreta e di plotoni di esecuzione, era lo Scià. L'''ayatollah'' è il medioevo. Sadat non seguì i metodi satrapeschi del suo amico Pahlevi, ma ne condivise i fini. [...] Il Rais che ha restituito all'Egitto l'integrità territoriale, l'indipendenza politica, il prestigio militare e il rilancio della sua più proficua industria, il canale di Suez, è giusto che susciti meno rimpianto di chi tutto questo all'Egitto fece perdere. Nasser era un «personaggio», Sadat una «personalità». Il personaggio fa colore e diverte, la personalità incute rispetto e disturba. (9 ottobre 1981) *Nessuna parentela, né vicina né lontana, con l'altro grande d'Israele, [[David Ben Gurion|Ben Gurion]], il Fondatore. [...] {{NDR|David Ben Gurion}} Faceva tutto a caldo, anche la guerra. [[Menachem Begin|Begin]] fa tutto a freddo: anche l'amore, credo, ammesso che lo faccia. Non riuscì a commuoverlo nemmeno [[Anwar al-Sadat|Sadat]], quando gli piombò, da nemico tuttora belligerante, a Gerusalemme, per chiedergli la pace. Il mondo, che vide in televisione la scena, quel giorno fu tutto per l'egiziano che, per la pace, firmava la propria condanna a morte, contro l'israeliano che lo accoglieva senza un sorriso e con visibile fastidio. [...] È l'uomo che non ha esitato un istante [...] a distruggere in pochi minuti tutto l'armamento corazzato, aereo e missilistico siriano sotto l'occhio stupefatto degli osservatori e «consiglieri» russi che lo avevano fornito. È l'uomo che ha messo alla porta l'ambasciatore di Mosca respingendone la nota di protesta addirittura con disprezzo, come se fosse stato lui la Grande Potenza che parlava a un subalterno. È l'uomo che ha picchiato i pugni sul tavolo di [[Ronald Reagan|Reagan]], e a un certo punto aveva rotto anche con lui. Se avesse perso, sarebbe finito al muro e passato ai posteri come il distruttore d'Israele. Ma ha vinto. E la Storia, iscrivendolo nei suoi registri come «Il Salvatore», dirà che solo un uomo come lui, «antipatico» come lui, e come lui disposto anche a scatenare un'altra ondata di antisemitismo, poteva vincere. E avrà ragione di dirlo. Perché è così. Alla fine lo diranno, vedrete, anche gli antisemiti. E forse perfino i semiti. (27 agosto 1982) *L'idea che domani potremmo incontrare per strada, a piede libero e magari oggetti di compassione, gli assassini di [[Walter Tobagi]], ci riempie, più che di furore, di orrore. [...] Avevano scelto lui non per la sua tessera socialista, ma perché era una di quelle prede più facili: indifeso e abitudinario, e quindi bersaglio di facilissima mira, quasi da fermo. Tutto qui il movente del delitto: tutto nella fregola di protagonismo di due coccolatissimi giovanotti della Milano bene che giuocavano a fare i terroristi. [...] Che ora dobbiamo prendere per vero il loro pentimento e assolverli, ci rivolta lo stomaco. Ma è la legge: iniqua, infame, infamante. Ma è la legge. Noi stessi l'abbiamo auspicata e voluta. Il magistrato deve applicarla. E noi [...] accettarla. Ma una cosa reclamiamo, e ci spetta: di essere liberati dall'incubo d'incontrare questi figuri per strada per non veder riflessa nei loro occhi la nostra vergogna di aver avuto bisogno di loro e di aver risposto al loro falso rimorso con un perdono altrettanto falso. Un Curcio, se tornasse in circolazione, ci farebbe forse più paura, ma meno, anzi punto disgusto. [...] Ma i Barbone e i Morandini non li vogliamo tra i piedi. Se ne vadano. E soprattutto ci risparmino memoriali. La speranza di farci dimenticare i loro delitti, gliela passiamo. La pretesa di camparci sopra, no. (29 novembre 1983) *Per i falchi del Pci, [[Enrico Berlinguer|Berlinguer]] era ormai un personaggio scomodo e pericoloso, specie da quando aveva cominciato ad allentare gli ormeggi che lo legavano a Mosca. Gli era perfino scappato di dire (a [[Giampaolo Pansa|Pansa]]) che voleva per l'Italia un regime comunista, ma sotto l'ombrello della Nato che la tenesse al riparo dalle soperchierie del padrone sovietico: la più grave e blasfema di tutte le eresie in cui un capo comunista possa incorrere. (12 giugno 1984) *Se fino a che punto i piduisti – a parte il manipolatore Gelli, e forse qualche altro – fossero un branco di delinquenti golpisti, non siamo riusciti a capirlo. Abbiamo capito soltanto che gran parte di essi occupavano, forse grazie alla P2, posizioni di rilievo, e quindi parecchio ambite, ma ambite anche da molte persone che, per il fatto di non appartenere alla P2, avevano ora, grazie anch'esse alla P2, la possibilità di occuparle. Di fatti accertati e meno ancora di crimini provati, siamo andati invano alla ricerca delle 34.847 pagine della commissione. Vi abbiamo trovato soltanto ipotesi, illazioni, accostamenti di nomi e di episodi. Tutta roba che in mano a Le Carré poteva fruttare chissà quali affascinanti trame. In mano alla signorina [[Tina Anselmi|Anselmi]], resta cicaleccio di portineria. Ma questa è un'altra storia. (19 marzo 1985) *Quanto al moribondo [[Michele Sindona|Sindona]] [...] se fossi stato uno dei giudici popolari che l'altro giorno gli comminarono l'ergastolo, anche io avrei votato come loro pur sapendo che la mia endemica insonnia non ne avrebbe avuto giovamento. Comunque mi sembra che con questa fine, preceduta da quasi un decennio di rovine, umiliazioni, fughe e galere, egli abbia abbondantemente scontato, quali che siano, i suoi delitti. Che ora lo lascino riposare in pace e che pace sia all'anima sua. (22 marzo 1986) *I dieci giorni che sconvolsero il mondo furono in realtà dieci ore: quante ne bastarono alle poche «guardie rosse» reclutate in fretta e furia dai bolscevichi per occupare, senza nessuna resistenza, la Centrale delle poste e telefoni, la stazione ferroviaria, la Banca di Stato, e per spostare l'incrociatore ''Aurora'' di fronte al palazzo d'Inverno, dove ancora si trova, cimelio e monumento al fatidico evento, e dove il governo sedeva [...]. Non fu un assalto. Fu una «retata». L'''Aurora'' non sparò che una dozzina di colpi, di cui solo tre andarono a segno. In tutto, la conquista di questa Bastiglia russa costò, da ambo le parti, un morto, anzi una morta – perché fu una soldatessa che, pare, si suicidò – e diciotto feriti. Il [[Rivoluzione russa|Fasto]] [...] è un falso in atto pubblico. Si dirà che una rivoluzione non si misura dal numero dei morti. Certo: l'abbiamo detto anche noi. La rivoluzione poi venne, e che rivoluzione! Ma venne dall'alto, e per mano di despoti che di morti ne fecero in pochi anni più di quanti lo zarismo ne avesse fatti in secoli. (6 novembre 1987) *Tutto pensavo che potesse capitarmi, fuorché di essere un giorno tentato di spendere qualche parola, per poco che valga, in difesa di Togliatti. [...] Un processo a Togliatti per stalinismo, se glielo intentano i socialisti, che nell'era dello Stalinismo gli fecero da mosca cocchiera, è una burletta. Se lo intentano i comunisti – come sembra che qualcuno di loro voglia fare –, oltre che oltraggio al pudore, diventa quiescenza alla voce del nuovo padrone, cioè stalinismo della più brutt'acqua, anzi una parodia dello Stalinismo. Per la caccia alle streghe, anche dello Stalinismo, ci vogliono degli stalinisti doc, qual era Togliatti. Non è roba da dilettanti, quali sono i suoi pallidi epigoni. (3 marzo 1988) *La fine del Muro è una cosa buona, la fine di una vergogna: non possiamo che salutarla con soddisfazione. Ma guardiamoci dal prendere abbaglio sui suoi moventi. Ulbricht concepì e Honecker realizzò il muro per impedire che i tedeschi dell'Est fuggissero in massa nella Germania dell'Ovest: già 9 (diconsi nove) milioni lo avevano fatto fin allora. E il rimedio fu, come tutti quelli che escogitano nei regimi totalitari, drastico e semplicistico: murare viva la gente dietro una colata di cemento, senza pertugi. [...] Abbiamo in uggia le astrazioni. Ma ciò che distingueva le due Germanie è l'idea morale e giuridica dell'uomo: che a Ovest è padrone di se stesso, e quindi può andarsene dove vuole: ad Est è proprietà dello Stato che ne regola i movimenti. Per chi non ricorda questo, il [[Muro di Berlino]] era, oltre che barbaro, incomprensibile e irrazionale: mentre invece ha obbedito a una sua logica. Nel momento in cui il bunker si affloscia e sopravvive come mero ammasso di cemento ricordandoci un altro bunker, quello che fece da fossa di [[Adolf Hitler|Hitler]] (anche questo pare impossibile: ma i regimi in Germania muoiono nei bunker), il Muro va ricordato per ciò che è stato: non un'aberrazione del comunismo, ma una sua conseguente applicazione. E se crolla così, nel silenzio assordante di un giornale-radio, è perché è crollata, prima, l'ideologia che lo aveva eretto. (11 novembre 1989) *Negli anni Trenta, per le strade di Berlino, risuonava il grido: ''ein Volk, ein Reich, ein Führer'': un popolo, uno Stato, un capo. Stavolta si sono contentati di scandire ''ein Volk, ein Reich''. Non potevano aggiungere, checché ne dica il sig. Ridley, ''ein Kohl'', che fra l'altro significa «cavolo». Ma {{NDR|ai tedeschi}} per diventare i padroni dell'Europa anche un cavolo gli basta. (3 ottobre 1990) *Abbiamo fatto poco: il poco che il Paese dei [[Roberto Formigoni|Formigoni]], dei Cristofori, degli Sbardella, dei [[Ernesto Balducci|Balducci]], dei [[Antonio Bello|vescovi di Molfetta]] poteva fare. Non lamentiamoci se il posto che ci verrà assegnato nel ristabilimento dell'ordine internazionale sarà nell'anticamera, non nella camera dei bottoni. Però sia chiara una cosa: che a gridare «Viva la pace!» siamo qualificati oggi soltanto noi che abbiamo auspicato la guerra contro chi la pace l'aveva turbata e, se lo si lasciava fare (non è un ipotesi, è una constatazione), avrebbe continuato a turbarla in un crescendo di colpi e di aggressioni. (1º marzo 1991) *I voti dei democristiani novaresi non sono andati al partito; sono andati a [[Oscar Luigi Scalfaro|Scalfaro]], democristiano talmente anomalo, che si permette persino di credere in Dio. [...] Il vecchio magistrato conosce il suo mestiere, e sa benissimo di operare in un Paese in cui la mamma dei Casson è sempre incinta. In nome della Legge, le leggi le farà funzionare. Insomma siamo sicuri che starà in Quirinale come un italiano deve starci: da straniero. Unico pericolo: le prediche. Anche [[Luigi Einaudi|Einaudi]] le faceva. Ma le chiamava «inutili». (26 maggio 1992) *Da dove siano venuti tutti i «no» non lo sapremo mai con precisione, ma una cosa è certa. Questo è il colpo di grazia al sistema dei partiti e della classe politica che lo rappresenta, e un colpo durissimo all'immagine del Paese pronto a fare pulizia che l'Italia si stava faticosamente costruendo all'estero. Senza giovare nemmeno a [[Bettino Craxi|Craxi]], che non potrà certo ricostruire la sua carriera sulla votazione di ieri, anzi. Se c'è ancora qualcuno che dubita sulla necessità di un pubblico processo, non solo a lui, ma a tutta la corte di faccendieri che lo circondava, alzi la mano, o meglio nasconda la faccia. (30 aprile 1993) *Questo è l'ultimo articolo che compare a mia firma sul giornale da me fondato e diretto per vent'anni. Per vent'anni esso è stato – i miei compagni di lavoro possono testimoniarlo – la mia passione, il mio orgoglio, il mio tormento, la mia vita. Ma ciò che provo a lasciarlo riguarda solo me: i toni patetici non sono nelle mie corde e nulla mi riesce più insopportabile del piagnisteo. [...] A presto dunque, cari lettori. Anche a costo di ridurlo, per i primi numeri, a poche pagine, riavrete il nostro e vostro giornale. Si chiamerà ''La Voce''. In ricordo non di quella di [[Frank Sinatra|Sinatra]]. Ma di quella del mio vecchio maestro – maestro soprattutto di libertà e indipendenza – [[Giuseppe Prezzolini|Prezzolini]]. (12 gennaio 1994) {{Int|''Rituale barbarico''|Articolo su ''il Giornale nuovo'', 10 maggio 1978.|h=4}} *La fine di [[Aldo Moro]] ci rende sgomenti, il fanatismo di chi lo ha ucciso lentamente, togliendogli la speranza prima di toglierli la vita, ci riempie di orrore. Speriamo ancora che la tracotanza dei criminali sia un giorno punita. L'importante, adesso, è che il Paese, proprio per rendere omaggio a Moro, e proprio in memoria di lui, sappia trarre da questa tragedia l'amara lezione che essa comporta. La democrazia non deve, anzi non può essere debole. La libertà, che la rende superiore a qualsiasi altro regime, ma anche più vulnerabile, non va conclusa con la indulgenza verso i nemici, la imprevidenza, la leggerezza. *Lo Stato italiano ha superato con onore questa prova difficile, ma la magistratura e gli organi di polizia hanno denunciato, nella loro azione, una desolante inefficienza, che ha permesso alle brigate rosse di operare con irridente spavalderia. Ne va data colpa non tanto alle forze dell'ordine quanto a chi ha voluto, per demagogia, per compiacere le sinistre, per acquistare facile popolarità, smobilitare i servizi segreti, rimuovere i funzionari più ligi al dovere, trasformare le carceri in alloggi con libera uscita quotidiana. Gli eversori della democrazia, i contestatori della legalità hanno potuto predicare e demolire senza ostacoli. Ci auguriamo di non vederli ora associati ipocritamente al compianto per un delitto del quale sono, ideologicamente se non materialmente, corresponsabili. Le loro non erano soltanto parole. Un giovane sfracellato da un ordigno sulla ferrovia Trapani-Palermo – l'episodio è di ieri – apparteneva a Democrazia proletaria. I banditi che hanno assalito a Bologna un grande magazzino venivano dal Movimento studentesco. È inutile che questi gruppi ostentino adesso costernazione e stupore per le belluine imprese delle brigate rosse. Il terrorismo è figlio loro. *All'annuncio della fine di Aldo Moro i sindacati si sono mossi, hanno indetto manifestazioni e proclamato uno sciopero generale. Siamo certi della loro profonda esecrazione, e della loro sincera partecipazione al cordoglio nazionale. Pensiamo tuttavia che i lavoratori e i loro rappresentanti darebbero un apporto più costruttivo alla lotta contro i terroristi tenendo d'occhio gli estremisti delle fabbriche, troppe volte protetti e difesi. Così pure gli studenti «impegnati», se proprio vogliono dissociarsi dalle brigate rosse, devono estromettere dalle loro file gli agitatori deliranti, e dinamitardi che nascondono bottiglie molotov e armi negli scantinati delle facoltà. Chi ha chiuso gli occhi di fronte alla ''escalation'' di violenza degli anni scorsi, li chiuda oggi per non lasciar scorrere lagrime di coccodrillo. {{Int|''Poveri morti poveri vivi''|Articolo su ''il Giornale'', 31 maggio 1985.|h=4}} *L'[[Inghilterra]] non sono i forsennati che abbiamo visto all'opera nello stadio di Bruxelles. L'Inghilterra sono la [[Margaret Thatcher|Thatcher]], i politici, i commentatori di stampa, radio e televisione, la gente intervistata per strada, che hanno confessato la loro vergogna a una voce, con una sola stecca: quella del ministro dello Sport che con le sue dichiarazioni si è messo sullo stesso piano degl'imbestialiti. Comunque, Dio ci guardi ora dai soliti sproloqui e dibattiti dei sociologi sui motivi di «tifo» e sui mezzi d'impedirne gli eccessi. Non ce ne sono, se non nel controllo che ognuno può e deve esercitare su di sé. *La strega non è il «tifo» che dallo sport è inseparabile. E non siamo nemmeno noi, come vogliono i cantautori del «siamo tutti colpevoli» che ieri giornali e radio hanno intitolato. Perché, se di qualcosa siamo colpevoli, è di aver sempre secondato la corruttrice e demagogica tendenza a scaricare l'individuo di ogni responsabilità, rigettandola regolarmente e interamente sulla società. È la società che ci obbliga a rubare, è la società che ci obbliga ad uccidere. E si capisce che quando si offrono alla gente di questi alibi, c'è sempre qualcuno che ne approfitta. Stamane leggevo su un giornale francese un dotto articolo in cui si spiegava che la furia dei tifosi del [[Liverpool Football Club|Liverpool]] era dovuta al fatto che, essendo quasi tutti minatori, per un anno erano rimasti senza lavoro a causa dello sciopero: il che gli aveva fatto accumulare la rabbia che poi era scoppiata a Bruxelles. Insomma, senza dirlo, l'articolo induceva alla conclusione che il vero responsabile del massacro era la signora Thatcher. Ecco in che senso siamo tutti colpevoli. Siamo colpevoli di assolvere tutti come vittime innocenti di una società iniqua che, a furia di essere tutti noi, non è nessuno. È un giuoco a cui non ci stiamo. I responsabili di Bruxelles sappiamo chi sono: sono i delinquenti che abbiamo visto avventarsi, prima che la partita cominciasse, e quindi senza alcuna provocazione, contro i tifosi italiani con sbarre e coltelli di cui erano accorsi armati, con l'evidente intenzione di farne l'uso che ne hanno fatto. Delinquenti, non vittime. La società non c'entra, non c'entrano le miniere. Casomai l'alcol. Ma ne avevano ingerito per delinquere meglio. Speriamo che la polizia li identifichi e li consegni a quella inglese. Della quale possiamo fidarci. {{Int|''I rieccoli''|Articolo su ''il Giornale'', 20 gennaio 1990.|h=4}} *Scorrendo le cronache delle agitazioni studentesche di questi giorni avevo avuto per un momento l'impressione, o l'illusione, che esse si fondassero sui problemi concreti dell'università, e che fossero qualcosa di diverso, e di migliore della grottesca ubriacatura sessantottina. Ma quando giovedì sera, nella trasmissione televisiva ''Samarcanda'', è stato lanciato contro [[Mario Cervi]] il rituale e vile epiteto «fascista!» (e questo solo perché aveva mosso obiezioni agli sproloqui assembleari di Roma e di Palermo), ho capito che vent'anni dopo è come vent'anni prima. La protesta è un pretesto, il legittimo scontento diventa arma politica, gli appelli al dialogo si risolvono in volontà di sopraffazione, di discussione su ciò che nell'università deve essere cambiato sfocia in un attacco globale al governo, alla società, al sistema. L'unica connotazione sessantottina che ancora manca è la violenza fisica. Ma temo che non tarderà ad arrivare se chi dissente è bollato come fascista e chi governa (è capitato ad [[Giulio Andreotti|Andreotti]], a Palermo) come mafioso. *Quanto alla legge Ruberti, Cervi ha osservato che viene presa di mira perché consentirebbe un limitato ingresso dei privati nella gestione delle università: e al solo sentir parlare di «privato» – che le folle e i giovani dell'Est chiedono con slancio entusiastico – gli epigoni nostrani del [[marxismo-leninismo]] sono presi da convulsioni. [...] La legge Ruberti è passata in sott'ordine, il punto centrale del dibattito – o piuttosto della successione di sproloqui, intimazioni e insulti – è diventato il degrado di questa povera Italia privatizzata, che invece conoscerebbe fulgidi destini se fosse tutta pubblica e stabilizzata. Gli ''slogans'', le utopie, le bugie e le dissennatezze sessantottine o settantasettine riemergevano dalle pagine dei libri e dalla polvere degli archivi, per imitazione o per transfert generazionale. *Tirava aria romena o cecoslovacca in quelle assemblee: ma della Romania e della Cecoslovacchia di [[Nicolae Ceaușescu|Ceausescu]] e di Husak, con l'idolatria dello Stato, con gli applausi unanimi, con la riduzione al silenzio degli oppositori. S'è sentito, a proposito sempre di Cervi, il sinistro termine «provocazione» con cui tutti gli oppressori legittimano i loro soprusi. Qualcuno di quei ragazzi pretende che esistano parentele tra questo movimento e quelli dell'Est, dimenticando che là ci si batte, a rischio della pelle, per instaurare non il regime dello statalismo, ma al contrario per abbatterlo e introdurre o reintrodurre quello di iniziativa privata in tutti i campi, compreso quello della cultura e della scuola. Che siano diventati, gli studenti di Berlino, di Praga, di Bucarest, fascisti anche loro? ====''Controcorrente – rubrica''==== {{cronologico}} *La cosa che più ci turba, delle nostre sconfitte sportive, è il grande, alluvionale bisticcio che si scatena fra i «tecnici» per giustificarle. Per quella di Stoccarda, che ci ha eliminato dal campionato del mondo, ne avremo – temiamo – per tutta l'estate: se ne parlerà più che di Caporetto. Noi tecnici non siamo, ma abbiamo la nostra idea. È questa: che non si possono mandare dei polli di batteria a competere con quelli ruspanti. Resta da capire perché noialtri non sappiamo allevare che polli di batteria. Ma ci sembra che questo sia sufficientemente spiegato da un piccolo episodio occorso a Roma, dove un gruppo di tifosi ha creduto di «vendicare» i suoi campioni (si fa per dire) assalendo con pomodori e uova l'ambasciata di Polonia. Ecco. Per un paese in cui la «sana passione sportiva» si effonde in simili manifestazioni, quegli undici mammozzi dalle gambe molli sono fin troppo, e fin troppo misericordiose le disfatte che subiscono. (25 giugno 1974) *Noi, di [[Fascismo|fascismi]] ne conosciamo e ne esacriamo uno solo: quello di chi appiccica questa etichetta a qualunque idea o opinione che non corrisponde alle sue. Di questo giuoco, la nostra [[sinistra in Italia|sinistra]] è spesso maestra. Non per nulla lo stesso [[Benito Mussolini|Mussolini]] veniva dai suoi ranghi. (10 luglio 1974) *In una conferenza stampa a Nuova Delhi, [[Henry Kissinger]] ha dichiarato che verrà a Roma e andrà a pranzo dal presidente Leone, ma non parlerà di politica perché quella italiana è, per lui, troppo difficile da capire. È la prima volta che Kissinger riconosce i limiti della propria intelligenza. Ma vogliamo rassicurarlo. A non capire la politica italiana ci sono anche cinquantacinque milioni di italiani, compresi coloro che la fanno. (31 ottobre 1974) *[[Dario Fo]], poeta di corte dell'ultrasinistra, flagella nella sua ultima fatica teatrale il senatore [[Amintore Fanfani]], responsabile di ogni nequizia passata, presente e futura. I sarcasmi più grevi hanno però come bersaglio il metraggio del notabile democristiano che, come tutti sanno, non è quello di un granatiere. [[Henri de Toulouse-Lautrec|Toulouse-Lautrec]], che per gli stessi motivi dovette per tutta la vita subire analoghe canzonature, disse una volta, giocando sulla lunghezza del suo doppio casato: «Ho la statura del mio nome». Non sappiamo se questo discorso si possa applicare a Fanfani. Certo, si applica a Fo. (11 giugno 1975) *[[Winston Churchill|Churchill]] diceva che «i panni dei servizi segreti si possono, anzi si devono lavare più spesso degli altri; ma, a differenza degli altri, non si possono mettere ad asciugare alla finestra». Dello stesso parere era [[Stalin]] che regolarmente, ogni tre o quattro anni, il lavaggio lo praticava facendo accoppare al buio i capi della sua polizia, nel presupposto – probabilmente fondato – che a far quel mestiere non potevano essere che arnesi da forca, e quindi era giusto che ci finissero. Gli [[Stati Uniti d'America|americani]] seguono tutt'altro criterio. Essi hanno trascinato la ''[[Central Intelligence Agency|Cia]]'' in televisione denunciandone ''coram populo'' fatti e misfatti. I suoi capi ne hanno commessi, dicono, di grossi. Ma il più grosso è forse quello di non aver capito che l'America non li paga per svolgere servizi segreti, ma per offrire agli americani il pretesto per vergognarsene. È l'unico popolo che goda più nel pentimento che nel peccato. (28 novembre 1975) *Non sempre, per redigere questa piccola rubrica, occorre forzare la fantasia. Qualche volta basta lasciare la parola alle agenzie di stampa ufficiali. Eccone un caso. L'agenzia Adn Kronos comunica: «Due giorni di sciopero sono stati dichiarati dai sindacati postelegrafonici milanesi per il 28 gennaio e per il 6 febbraio per protesta contro gli scioperi e i disservizi». (25 gennaio 1976) *L'Unità ci rimprovera di aver pubblicato il manifesto degl'intellettuali in favore della libertà. E ha ragione. Si tratta infatti di una illecita concorrenza perché finora i manifesti, gli appelli, le «veglie» e tutto il resto sono stati monopolio del Pci, unico partito capace di far cantare la gente in coro. Ma appunto per questo non vediamo di che si preoccupi. Gl'[[intellettuale|intellettuali]] italiani che preferiscono aver ragione da soli piuttosto che torto con gli altri, sono pochi. I più seguono la massima di [[Paul-Jean Toulet|Toulet]]: «Quando i lupi urlano, urla con loro». (1º giugno 1976) *Ieri [[Mario Melloni|Fortebraccio]], dalle colonne dell'«[[l'Unità|Unità]]», ha invocato per noi, previa qualche iniezione, il ricovero immediato, e a titolo definitivo, in manicomio. La cosa non ci stupisce: sappiamo benissimo che di manicomi e di iniezioni nessuno s'intende più dei comunisti: chi c'è passato giura che ci hanno fatto una mano da maestri. Ci stupisce però che Fortebraccio lo abbia implicitamente – e un po' anzitempo – riconosciuto. Forse gli è scappata. Alla sua età, succede. (10 dicembre 1976) *Cadendo oggi il trigesimo della scomparsa di Pietro Valdoni, vogliamo rievocare un episodio del grande chirurgo. Come tutti ricorderanno, fu lui ad operare, salvandogli la vita, [[Palmiro Togliatti]], ferito alla testa dalla rivoltella di Pallante. Quando ricevette la parcella, Togliatti la trovò salata, e accompagnò il pagamento con queste parole: «Eccole il saldo, ma è denaro rubato». Valdoni rispose: «Grazie per l'assegno. La provenienza non mi interessa» (23 dicembre 1976) *«Dio non è un maschio» assicura alle femministe Civiltà Cattolica, l'autorevole rivista dei gesuiti, scusandosi «delle tracce di antifemminismo che ancora sono nella Chiesa». Brutto segno quando i teologi si mettono a discutere di sesso. Fu mentre i bizantini si accapigliavano su quello degli angeli che arrivarono i turchi. (21 giugno 1977) *Riferiscono le cronache che l'America è in subbuglio per la morte di [[Elvis Presley]]. Oltre centomila persone si sono riversate a Memphis, sua ultima dimora, due donne sono rimaste uccise nella calca che si stringeva intorno alle spoglie del cantante. Il sindaco ha fatto abbrunare le bandiere in tutta la città, il presidente [[Jimmy Carter|Carter]] è stato flagellato di proteste perché non aveva proclamato il lutto nazionale e uno gli ha gridato al microfono: «Noi americani dobbiamo più a Presley che a [[George Washington|Washington]] e a [[Abraham Lincoln|Lincoln]] sommati insieme». Anche noi italiani dobbiamo qualcosa a Presley: una delle rare occasioni in cui preferiamo essere italiani piuttosto che americani. (20 agosto 1977) *È in corso una iniziativa per l'abolizione, nelle aule scolastiche, della pedana su cui si eleva la cattedra. Il perché lo avrete già capito: l'insegnante deve mettersi, anche materialmente, a livello degli alunni per non lederne la dignità e dimostrare con l'esempio che siamo tutti uguali. Giusto. «La via dell'uguaglianza – dice Rivarol – si percorre solo in discesa: all'altezza dei somari è facilissimo instaurarla». (29 ottobre 1977) *Fra gli annunci economici di Lotta Continua, ne è comparso uno che dice: «Compero a L. 100.000 una tesi di laurea, anche già presentata, purché tratti un argomento attinente all'[[Inghilterra]], o alla lingua, storia, letteratura inglese. Meglio se con una impostazione femminista». Curioso. Questi grandi [[Rivoluzione|rivoluzionari]], che dicono di battersi per costruire una società nuova di zecca, quando si tratta di lauree, si contentano anche di quelle usate e di seconda mano. (3 marzo 1978) *Credevamo che l'assassinio di Aldo Moro, così come è stato eseguito, fosse il colmo dell'infamia. Abbiamo dovuto ricrederci. Al comizio di protesta svoltosi in piazza Duomo a Milano subito dopo la macabra scoperta in via Caetani a Roma, un gruppo di ultrà ha gridato: «Moro fascista!». Preferiamo le [[zanne]] delle belve alla [[bava]] degli [[Sciacallo|sciacalli]]. (10 maggio 1978) *Ecco il nostro telegramma di congratulazioni e auguri a Pertini: «Che Dio le conceda il coraggio, Presidente, di fare le cose che si possono e che si debbono fare; l'umiltà di rinunziare a quelle che si possono ma non si debbono, e a quelle che si debbono ma non si possono fare; e la saggezza di distinguere sempre le une dalle altre». (9 luglio 1978) *Dall'indagine svolta da uno dei più seri istituti di ricerche demografiche, lo svizzero Scope, risulta che la professione più ammirata e rispettata, nel mondo, è quella dei medici. I giornalisti sono al penultimo posto. Ce ne sentiremmo profondamente avviliti se all'ultimo non vedessimo catalogati gli editori. (29 novembre 1978) *In un convegno su «Terrorismo e informazione», a Roma, è stato unanimemente riconosciuto che il [[segreto istruttorio]] in Italia non esiste. Lo trasgrediscono tutti. Non solo giornalisti e avvocati – e ancora passi – ma perfino magistrati che anticipano e propalano, il più delle volte per farne strumento politico, notizie riservate. «È il segreto di Pulcinella» si è lamentato il procuratore capo della Capitale, De Matteo. È vero. Ma Pulcinella non era giudice. E i giudici non dovrebbero essere Pulcinella. (25 aprile 1979<ref>Da ''Il meglio di "Controcorrente": {{small|1974-1992}}'', Fabbri Editori-Corriere della Sera, La biblioteca del Corriere della sera, Milano, 1995, p. 104.</ref>) *Solo il tempo non perde tempo, diceva [[Jules Renard|Renard]]. E così, a furia di annunciarne i cambiamenti, il tempo è passato anche per il colonnello [[Edmondo Bernacca|Bernacca]], che ora deve rassegnarsi alla pensione. Peccato. Gli dobbiamo parecchi raffreddori e reumatismi. Ma nessuno riuscirà meglio e con più grazia di lui a farci capire ed accettare l'inutilità della meteorologia. (10 luglio 1979<ref>Citato in ''Il meglio di controcorrente'', p. 108.</ref>) *Prima di partire per Vienna, il presidente {{NDR|degli Stati Uniti}} [[Jimmy Carter|Carter]] ha fatto due dichiarazioni. La prima: «Ci auguriamo che il signor Breznev {{NDR|allora presidente dell'Unione Sovietica e Primo Segretario del PCUS}} abbia per le nostre ragioni la stessa comprensione che noi abbiamo per le sue». La seconda: «Se Ted Kennedy si presenta contro di me alle elezioni presidenziali, gli faccio un c.o così» Il triviale [[Richard Nixon|Nixon]] avrebbe potuto dire le stesse cose, ma certamente ne avrebbe invertito l'ordine di priorità riservando la comprensione a Kennedy ed il c.o a Breznev. La differenza fra i due è tutta qui. (16 giugno 1979) *Avvicinandosi il 25 dicembre, decine di migliaia di teneri [[abete|abeti]] vengono strappati dai boschi della Penisola per allestire il tradizionale albero di Natale. Ogni anno lo scempio si ripete, tra la generale indifferenza. Soppresso l'Ente protezione animali, figuriamoci se qualcuno ha voglia di proteggere gli alberi. Diciamo la verità: la sola pianta che interessi all'[[italiano medio]] è la pianta stabile. (19 dicembre 1979) *Nel Manifesto di domenica scorsa tale K.S. Karol faceva considerazioni amare sulla rivoluzione cubana e sui suoi fallimenti: «[[Fidel Castro|Fidél]] – ha ricordato il commentatore, uno dei tanti orfani delle illusioni di sinistra – prometteva ai cubani per il 1965 un tenore di vita pari a quello svedese». Certo Fidél si è sbagliato di grosso; non per cattiva volontà, ma per mancanza di uomini, anzi di un uomo. Sarebbe bastato che anche la Svezia avesse uno suo Castro al potere per ritrovarsi in pochissimi anni con un tenore di vita pari a quello cubano. (15 aprile 1980) *Riferiscono le cronache che quando è giunta in tribunale la notizia dell'assassinio di Walter Tobagi, il brigatista Corrado Alunni l'ha accolta con una sghignazzata di tripudio. Abbiamo sempre combattuto la pena di morte sul presupposto che l'uomo non ha il diritto di uccidere l'uomo. Il presupposto lo confermiamo. Ciò di cui cominciamo a dubitare è che gli Alunni e quelli come lui siano uomini. Sui cadaveri sghignazzano le jene. (30 maggio 1980) *A Mirafiori, parlando agli operai della Fiat in sciopero, il sindaco di Torino, Novelli, se l'è presa coi giornalisti e li ha additati all'uditorio come falsari che ricalcano i loro resoconti non sui fatti, ma sulle «veline» distribuite loro dai «padroni». Anche Novelli ha fatto il giornalista in un foglio comunista, e quindi di veline e di padroni è certamente un intenditore. Ma se dopo questa denuncia ci scappa un altro Casalegno, sarà molto gradita la sua assenza ai funerali. (8 ottobre 1980) *Grandi elogi – dopo il successo del blitz di Trani – alle «teste di cuoio» italiane. La loro azione ha dimostrato quanto poco valesse la strategia della flessione propugnata di alcuni personaggi. Teste anche loro: ma di che? (31 dicembre 1980) *Fra i tanti slogans che il partito socialista francese ha lanciato in occasione delle elezioni presidenziali per rassicurare i bravi borghesi sottolineando il proprio carattere moderato e riformista, abbiamo letto anche questo: «Il socialismo può fare di chiunque un milionario». Ci crediamo senz'altro. A patto che quel chiunque fosse prima un miliardario. (8 maggio 1981) *Per gl'italiani, finora, il nome di Gelli era quello dell'autore del più famoso e autorevole codice cavalleresco. Anche oggi rimane legato a un codice. Quello penale. (9 maggio 1981) *L'elenco degli affiliati alla P2 comprende, dicono, 953 nomi, cui corrispondono i più alti gradi della politica, della magistratura, delle forze armate, della burocrazia, dell'industria, della finanza. Tutti «fratelli». È la riprova che, in questo Paese, guai ai figli unici. (11 maggio 1981) *Macché pazzo! L'attentatore del Papa deve essere un furbo matricolato. Dichiarandosi seguace di George Habbas e della causa palestinese, ha cercato di procurarsi la solidarietà dei molti, dei moltissimi, che non battono ciglio quando un terrorista cerca di spedire qualcuno all'altro mondo. Purché il terrorista appartenga al terzo. (16 maggio 1981) *Studiosi cinesi, mettendo a confronto reperti di ominidi dissimili tra loro tanto da far pensare che l'uomo discenda anche da animali diversi dalla [[scimmia]], sono arrivati alla conclusione che i nostri progenitori erano comunque scimmie, ancorché di specie differenti. Ci pare logico. Quale altro animale avrebbe potuto imitare la scimmia che ha dato l'avvio alla razza umana se non un'altra scimmia priva di senso critico? (19 maggio 1981) *Una nostra redattrice andata per una sua cronaca sul femminismo alla «libreria delle donne» in via Dogana a Milano, è stata accolta da una di loro con queste parole: «Con te non parlo perché sei di un giornale fascista, e anche tu hai la faccia da fascista». La nostra redattrice, che ha ventun anni, probabilmente non sapeva bene cosa fosse il fascismo. Ora lo sa: lo ha imparato in quella libreria. (4 novembre 1981) *Come previsto, la Juventus ha conquistato il [[Serie A 1981-1982|ventesimo scudetto]] battendo il Catanzaro. Una vittoria di rigore. (17 maggio 1982) *Socialisti e comunisti si sono opposti alle sanzioni economiche contro l'Argentina perché, hanno detto, una buona metà degli argentini sono di origine italiana, e molti di loro conservano tutt'ora la nostra nazionalità. Vero. Ma non ci eravamo accorti che queste sinistre spasimassero tanto d'amore per i nostri connazionali di laggiù quando si trattava di riconoscergli il diritto di voto. (22 maggio 1982) *Se si va avanti di questo passo, la [[guerra delle Falkland]] (o Malvine) finirà quando l'ultimo aereo argentino sarà abbattuto col suo carico di bombe sull'ultima nave inglese. E dire che questa lotta di leoni si svolge per un'isola di Pecore. (27 maggio 1982) *Tutti abbiamo trepidato ieri, davanti al televisore, per le sorti della squadra azzurra, tutti ci siamo entusiasmati alle sue gesta, tutti abbiamo salutato con orgoglio la sua vittoria. Ma il tipo di patriottismo che questa ha suscitato nelle strade delle nostre città, messe a soqquadro dai tifosi scalmanati che usavano il tricolore a copertura del peggior teppismo, ci ha fatto rimpiangere di non essere nati brasiliani. (6 luglio 1982) *Mai visto così tanto entusiasmo patriottico, tanti tricolori per le strade come per la finale degli azzurri al Mundial. Nella tomba di Caprera, le ossa di [[Giuseppe Garibaldi|Garibaldi]] fremono di invidia. Per unificare l'Italia «in un solo grido, in una sola passione» gli erano accorsi mille uomini. A [[Enzo Bearzot|Bearzot]] ne sono bastati undici. (12 luglio 1982) *Gli scrittori [[Mario Soldati]] (Psi) e [[Gianni Brera]] (Psi) sono stati trombati {{NDR|non sono stati eletti}}. Peccato. Il Parlamento era l'unico posto in cui, dovendo parlare per gli altri, forse avrebbero finalmente taciuto. (1º luglio 1983) *Che [[Bettino Craxi|Craxi]] sia uomo di grandi capacità e ambizioni, lo si sapeva. Che sia anche uomo di grande coraggio, lo si è visto ieri, quando pronunciava alla Camera il suo discorso di replica. Per due volte si è interrotto alla ricerca di un bicchier d'acqua. Per due volte [[Giulio Andreotti|Andreotti]] glielo ha riempito o porto. E per due volte lui lo ha bevuto. (13 agosto 1983) *Condannato dal tribunale di Reggio Emilia per bestemmie e turpiloquio contro la Chiesa, [[Roberto Benigni]] avrebbe qualche ragione di considerarsi vittima di un'ingiustizia. Proprio il giorno prima la Chiesa riabilitava [[Martin Lutero]], scomunicato ai suoi tempi pressappoco per gli stessi motivi. Come cambia, coi tempi, la sorte degli uomini! È inquietante pensare che Benigni, se fosse vissuto cinquecent'anni fa, sarebbe forse diventato Lutero. Ma addirittura sconvolgente è che Lutero, se fosse nato cinquecent'anni dopo, sarebbe forse diventato Benigni! (8 novembre 1983) *Il più autorevole giornale americano di economia e finanza, il Wall Street Journal di martedì 10 gennaio, è incorso in un curioso lapsus. Parlando del concordato fra lo Stato italiano e la Santa Sede, scrive che esso «venne firmato nel 1929 da Bettino Mussolini». Chissà, se lo legge, come si arrabbia Benito Craxi. (12 gennaio 1984) *È comparsa sui giornali la pubblicità di una nuova opera di Fanfani, intitolata «La Dc e la svolta degli anni 80». L'editore avverte che si tratta di un libro formato «tascabile». Dato l'autore, poteva andare diversamente? (16 gennaio 1984) *È vero: la [[Juventus Football Club|Juventus]], a Basilea, non ha fatto una gran figura. Giocando con più cervello, poteva vincere comodamente 4-0. Ma attenti a non giudicare troppo severamente il Porto. Quello di Genova va molto peggio. (18 maggio 1984) *Il trentanovenne James Nelson, condannato da un tribunale di Londra a quindici anni per avere ucciso la madre a colpi di mattone, ha sentito, chiuso in cella, la vocazione sacerdotale: si è messo a studiare teologia, e ora sta per diventare prete nella chiesa scozzese. «È mia intenzione – ha dichiarato – contribuire alla edificazione di una nuova società». Si può credergli: i mattoni ha dimostrato di saperli usare. (25 maggio 1984) *L'agenzia Agi informa, con un drammatico flash, che il ministro [[Giulio Andreotti|Andreotti]], «impegnato in una riunione superistretta con gli altri 15 ministri degli esteri della Nato, perderà la partita [[Associazione Sportiva Roma|Roma]]-[[Liverpool Football Club|Liverpool]]». È giusto il fatto che faccia notizia: è la prima volta che Andreotti perde qualcosa. (31 maggio 1984) *Presso la Presidenza del Consiglio, a palazzo Chigi, è stata istituita una commissione di giuristi per la completa parificazione dei diritti fra i due sessi. Finalmente! Era ora che ce la riconoscessero, a noi uomini. (16 ottobre 1984) *La riforma dei programmi della scuola elementare, cui sta lavorando il Ministro Falcucci, introdurrà nella terza, quarta e quinta classe l'insegnamento di una lingua straniera. Non è specificato quale. Speriamo che si tratti dell'italiano. (21 gennaio 1985) *Un certo [[Nichi Vendola]], dirigente della Federazione giovanile comunista, ha lanciato l'idea di riconoscere formalmente un «diritto dei bambini ad avere rapporti sessuali tra loro o con gli adulti». Vendola ha detto di aver attinto questa idea all'esperienza di molti padri. A conferma di quanto scrive [[Georges Courteline|Courteline]] nella sua «Filosofia»: «Uno dei più chiari effetti della presenza di un bambino in una casa è di rendere completamente idioti dei genitori che forse, senza di lui, sarebbero stati degl'imbecilli comuni». (26 marzo 1985) *I tecnici di calcio sono rimasti stupiti dalla prova del [[Real Madrid Club de Fútbol|Real Madrid]] che nella semifinale della coppa Uefa ha letteralmente travolto i modesti giocatori dell'[[Football Club Internazionale Milano|Inter]]. I madrileni hanno proprio vinto a biglia sciolta. (26 aprile 1985) *Quando [[Sandro Pertini]] è apparso sul video di Raiuno che trasmetteva la premiazione del concorso ippico di Roma, il cronista ha commentato: «Anche i cavalli, come vedete, sono gentili col Presidente». Era vero. Forse meritano di essere fatti cavalieri. (5 maggio 1985) *I tifosi rossoneri sono in festa per la notizia che Berlusconi sta per acquistare il loro Milan. Sono convinti che in un battibaleno ne farà una squadra da scudetto, da coppa delle coppe, da tutto, e forse hanno ragione. C'è un solo pericolo: che il neo-presidente voglia fare anche il direttore tecnico, l'allenatore, il massaggiatore, il capitano e il centrattacco. Il che potrebbe andar anche bene. Ma ad una condizione: che possa fare anche l'arbitro. (27 dicembre 1985) *Rete Quattro e Italia 1 sono state multate per violazione del decreto che proibisce la propaganda al consumo del tabacco. Lo spot incriminato è quello che, parlando del «Camel Trophy», ostentava un pacchetto di sigarette della ditta sponsorizzatrice. Strano Paese, il nostro. Colpisce i venditori di sigarette, ma premia i venditori di fumo. (13 marzo 1986) *Molti lettori ci chiedono quale missione sta svolgendo l'on. Capanna a Tripoli, quali motivi l'hanno spinto da Gheddafi. Non ne sappiamo granché: non siamo abituati a ficcare il naso nelle altrui questioni di famiglia. (1º giugno 1986) *Oggi Paolo Pillitteri sarà designato alla successione di Tognoli come sindaco di Milano. Lo dipingono come uomo intelligente, efficace, insomma pieno di qualità. Purtroppo, gli manca quella fondamentale: il celibato. (5 dicembre 1986) *Finalmente, dopo sette anni di esilio a Gorky, l'impavido Andrei Sacharov è tornato a Mosca. Speriamo che Gorbaciov ci resti. (24 dicembre 1986) *L'agenzia Ansa riferisce che da un sondaggio operato in Francia su un pubblico internazionale, risulterebbe che il maschio italiano detiene ancora il primato mondiale della seduzione. Speriamo che i giornali non riportino la notizia: gl'italiani sarebbero capaci di crederci. (15 marzo 1987) *Per la prima volta nella storia della Corte Costituzionale, il nuovo presidente, Francesco Saja, è stato eletto al primo scrutinio. Ma il rivale sconfitto, Ferrari, ha sollevato eccezione accusando il vincitore di averlo battuto grazie a un «compromesso storico» fra elettori democristiani e comunisti, aggravato da un intrallazzo fra siciliani. Vero o falso, dalla Corte al cortile. (5 giugno 1987) *Ieri tutti i telegiornali ci hanno martellato negli occhi le immagini dei capibastone – Craxi, De Mita, Spadolini, Altissimo ecc. – che infilavano la scheda nell'urna. I loro volti raggiavano di soddisfazione. Erano gli unici elettori matematicamente sicuri di aver dato il voto al candidato ideale. (15 giugno 1987) *In una scuola di Chattanooga, nel Tennesse (Usa), due sedicenni, approfittando dell'assenza dell'insegnante, si sono baciati e hanno fatto l'amore davanti a una decina di compagni, niente affatto scandalizzati. Dato il lassismo di certe scuole americane, gli esami in cui gli studenti riescono meglio sono proprio queste prove orali. (4 giugno 1988) *Diciannove persone hanno dichiarato d'aver visto aggirarsi, tra le quinte della Scala, il fantasma di [[Maria Callas]]. Non ci meravigliamo, anche perché migliaia di altri frequentatori del massimo teatro lirico italiano sostengono da tempo di vedere, alla Scala, il fantasma della Scala. (28 giugno 1988) *Scoprendo le istituzioni britanniche con un secolo e mezzo di ritardo, i comunisti sembrano fermamente intenzionati a formare il loro «shadow Cabinet». Ma onestamente non ne afferriamo la ragione. Non c'è nessun bisogno di un governo ombra per contrastare quest'ombra di governo. (5 maggio 1989) *Da un sondaggio condotto tra i francesi risulta che il personaggio più noto d'Oltralpe è [[Marcello Mastroianni]], conosciuto dall'83 per cento degli intervistati. Il 97 per cento dei francesi invece confessa di non sapere chi sia [[Ciriaco de Mita|Ciriaco De Mita]]. Quando si dice un Paese fortunato... (20 maggio 1989) *Gerardo Iglesias, che fu segretario generale del partito comunista spagnolo dall'82 all'88, ha lasciato l'attività politica per riprendere il suo lavoro di minatore di carbone, «l'unico modo in cui posso guadagnarmi degnamente la vita». Alcuni dirigenti del Pci, a quanto risulta, vorrebbero imitarne l'esempio, tornando al vecchio lavoro. Il difficile è trovare chi ne aveva uno. (1º giugno 1990) *Durante la festosa «notte del mondiale», la polizia romana ha arrestato, nelle vicinanze dello stadio olimpico, 29 borsaioli e scippatori. Il signor [[Edgardo Codesal Méndez|Codesal Mendez]], arbitro della partita [[Nazionale di calcio della Germania|Germania]]-[[Nazionale di calcio dell'Argentina|Argentina]], non figura nell'elenco. (10 luglio 1990) *Il giudice veneziano Casson ha convocato, per la storia del Gladio, il presidente [[Francesco Cossiga|Cossiga]], e l'Italia leguleia è in subbuglio: la Costituzione, pure, si è dimenticata di precisare se il Capo di Stato può essere chiamato a rispondere, sia pure da testimone, a un qualunque magistrato. Il quale però ha ora la fotografia su tutti i giornali. E tutti possono ammirarla chiedendosi che cosa passa in quella testa, la testa di Casson. (10 novembre 1990) *Gli studenti italiani manifestano rumorosamente per la [[pace e guerra|pace]] e contro la [[pace e guerra|guerra]]. La guerra, diceva [[Georges Clemenceau|Clemenceau]], è una cosa troppo seria per lasciarla fare ai militari. Ma anche la pace è una cosa troppo seria per lasciarla fare ai pacifisti. (20 gennaio 1991) *Occupandosi – tra tanto Golfo – del Festival di Sanremo il Tg3 ci ha dato, finalmente, ieri sera, una notizia credibile: il livello delle canzoni, ha detto, è destinato a salire. Infatti: sentite le prime è impossibile che scenda. (1º marzo 1991) *Da un'indagine risulta che il 41,9% degli italiani non considera illecito l'assenteismo dal lavoro e che il 41,3% non considera peccato le infedeltà coniugali. La coincidenza delle due cifre spiega in che modo gli statali impiegano il tempo che dovrebbero dedicare all'ufficio. (3 ottobre 1991) *A quest'ora [[Ernesto Balducci|Padre Balducci]] è di fronte al Supremo Giudice, nel quale affermava di credere. Almeno a Lui dovrà spiegare non ciò che diceva contro la Chiesa, ma perché lo diceva travestito da frate. (26 aprile 1992) *Nell'ultima tornata presidenziale è emerso, con un bel pacchetto di 20 voti, Aldo Aniasi. Finalmente. In questo imperversare di tangenti e bustarelle, era ora che qualcuno si ricordasse di lui. (24 maggio 1992) *Per sfatare le malevole dicerie su certe bestie, il presidente degli «animalisti» italiani ha offerto un premio di 200 milioni a chi potrà dimostrare che i corvi scrivono lettere anonime e che le talpe fanno le spie. È vero: di simili casi non ne conosciamo. Ma di somari che fanno i presidenti, ne conosciamo parecchi. (5 luglio 1992) *Dopo le invettive e i clamori da cui il presidente del consiglio [[Giuliano Amato|Amato]] è stato accolto in Senato per la sua insensibilità alla crisi morale che investe il Paese, il dibattito sulla medesima si è svolto, a Montecitorio, in un'aula deserta. Sì, una crisi morale, per la nostra classe politica esiste: lo dimostra il vuoto in cui l'ha lasciata cadere. (14 marzo 1993) *«I socialisti – ha detto l'ex ministro della Difesa Salvo Andò – devono andare tutti nudi verso la meta di un nuovo sistema politico». Come faranno senza le tasche? (24 maggio 1993) *Il candidato del Psi per le elezioni a sindaco di Roma sarà Niccolò Amato. Assennata scelta. Ex direttore delle carceri, Amato è certamente il più qualificato a rappresentare quel partito. (23 settembre 1993) *Giovedì sera annuncio a sorpresa di [[Emilio Fede]] nel suo Tg4: «Adesso – ha detto – voglio parlarvi di informazione». C'è sempre una prima volta. (8 gennaio 1994) *Secondo un sondaggio della Diacron (gruppo Fininvest), l'82 per cento dei lettori del «Giornale» sarebbe schierato con Berlusconi. Vero. Almeno com'è vero che Berlusconi diventerà presidente del Consiglio. (12 gennaio 1994) ====''La parola ai lettori – rubrica''==== *I tennisti italiani hanno disputato la finalissima di Coppa Davis a Praga, e nessuno ha battuto ciglio. Le squadre di calcio italiane frequentano gli stadi dell'Est, a cominciare da quelli russi, e i puristi della democrazia non ci trovano nulla a ridire. Ma per l'[[Uruguay]] – che con i suoi tre milioni di abitanti e la sua posizione geografica non mi pare possa essere considerato una minaccia troppo grave alla libertà dei Paesi democratici – c'è puntuale la protesta. Come se l'Uruguay potesse invadere, espandersi, insidiare, inviare – direttamente o indirettamente – eserciti di mercenari in mezzo mondo, e l'[[Unione Sovietica]] no. Possiamo capire gli intransigenti della democrazia: ma possiamo soltanto disprezzare i farisei che hanno l'indignazione dimezzata. Si calmino Bruno Conti e Pruzzo. Né l'Uruguay, né il suo regime, meritano tante ansie e tanta ostilità. Mosca è più vicina – lo sanno bene i polacchi – e Kabul anche. (31 dicembre 1980) *Non abbiamo mai «coperto», come si usa dire, questo nostro socio (che ha il 37, non il 36% del Giornale), anche perché non vediamo da cosa dovremmo coprirlo. [[Silvio Berlusconi|Berlusconi]] non è né un politico né un gerarca civile o militare, e non svolge nessuna pubblica funzione incompatibile con l'appartenenza alla massoneria. È un privato imprenditore e cittadino che quando fa una balordaggine (e l'iscrizione alla P2 lo è) la fa a proprio rischio e pericolo. Come lei avrà visto, il suo coinvolgimento nella P2 non ci ha impedito di dire, di Gelli e della sua banda, tutto il male che ne pensiamo. (31 maggio 1981) *In tutti questi anni che è stato con noi, {{NDR|Silvio Berlusconi}} si è sempre comportato nella maniera più signorile, ed anche in questa circostanza ci ha dato le più ampie garanzie. (14 aprile 1987) *Nel panorama sudamericano il [[Cile]] è oggi uno di quei paesi economicamente più solidi e con maggior progresso, tanto da meritare gli elogi del Fondo monetario internazionale. Ma la postilla impone a sua volta una precisazione. È più facile fare il risanamento economico monetario in Cile, dove i sindacati sono inesistenti o impotenti, che non in [[Argentina]], dove il sindacato incalza il governo e pretende aumenti salariali il cui ritmo sia adeguato al ritmo dell'inflazione. [...] Pinochet è quello che è. Il suo plebiscito per la Costituzione del 1980 fu indetto in circostanze che gli tolgono ogni valore. E gli inizi del regime militare furono sanguinari. Però il Cile di oggi ha un livello di libertà e di dialettica politica – nonostante Pinochet – che tanti paesi del Terzo mondo vezzeggiati dai nostri democratici dovrebbero invidiargli. Come ha osservato un lettore, né l'Etiopia né lo Zaire né la Siria, né il Nicaragua avrebbero tollerato corrispondenze come quelle che gli inviati della Rai diffondono, in diretta dal Cile. (16 aprile 1987) *Mai le nostre prese di posizione su problemi e personaggi sono state non dico condizionate, ma influenzate dalle personali amicizie o preferenze di Berlusconi. Per la verità, l'editore chiese una volta a titolo di favore, un «occhio di riguardo» per la sua creatura prediletta. Non la televisione, come i lettori saranno stati forse indotti a pensare, ma il [[Associazione Calcio Milan|Milan]]. Sottoposi questa sommessa istanza alla redazione sportiva. La risposta fu una lettera collettiva di dimissioni. Caso chiuso. Da allora rinuncio a leggere le cronache delle partite del Milan, per non dovermi dispiacere del dispiacere che ne prova probabilmente Berlusconi. (17 aprile 1988) *Come già ho scritto, e qui mi piace ripetere, la designazione di [[Francesco Cossiga|Cossiga]] al Quirinale fu la scelta dell'uomo giusto al posto sbagliato. Sappiamo benissimo chi la volle. Ma sappiamo altrettanto bene che fu avallata anche da quegli uomini e partiti che ora si scagliano contro di lui e lo accusano, apertamente o copertamente, di fellonia. La classe politica, nella quale egli ha militato da sempre e che quindi da sempre lo conosceva, doveva sapere che l'onesto (perché tale è) Cossiga non era uomo da Quirinale. Eppure, per i suoi sporchi giochi di potere, ce lo mandò. Ora dovrebbe sentire il dovere di difenderlo dagli sciacalli che lo attaccano da tutte le parti. (22 dicembre 1990) ===''La Stampa''=== <!--ordine cronologico--> *Intorno alle «cattedrali nel deserto» impiantatevi dalla cosiddetta mano pubblica, [...] o trasferitevi dal Nord con l'adescamento degli «incentivi», e sotto la nuvolaglia di fumo che sgorga dalle loro ciminiere, si gonfiano alla carlona e selvaggiamente dirompono, senza nessun criterio urbanistico, senza piano regolatore, senza servizi, spesso anche senza acquedotto e senza fogna, degli agglomerati urbani che solo per il numero degli abitanti si possono chiamare città. [...] È nata soltanto, insieme a una forsennata speculazione edilizia che per sfruttare all'osso l'area fabbricabile accumula con cattivo cemento un piano sull'altro finché crollano sulla testa degl'inquilini, la sorda rabbia contro la città di un contadiname analfabeta che se n'è visto succhiare la linfa vitale, e quando vi cala, lo fa da nemico e vandalo. Questo è il panorama del Mezzogiorno dopo vent'anni e più di Cassa, che hanno raschiato dalle tasche dei contribuenti migliaia di miliardi. (da ''[http://www.archiviolastampa.it/component/option,com_lastampa/task,search/mod,libera/action,viewer/Itemid,3/page,3/articleid,1118_01_1973_0272_0003_16218908/ La protesta contadina]'', 18 novembre 1973, p. 3) *La politica meridionalistica è tutta dominata da questo sottofondo psicologico. Essa vuole l'industrializzazione di Stato non soltanto perché [...] l'industrializzazione può essere fatta soltanto dallo Stato o da imprese al servizio dello Stato; ma anche perché più queste imprese si sviluppano, e più si riduce il margine di quell'imprenditoria privata che i meridionali, non riuscendo a emularla, mirano a ostacolare e ridurre, sottraendole il pubblico risparmio. Con l'agricoltura non avrebbero potuto perseguire questi scopi punitivi. L'unica arma per mortificare e battere l'industria privata è l'industria statale o parastatale. Questa, intendiamoci, esisteva digià: è un portato dei tempi moderni. Ma non c'è dubbio che la politica meridionalistica, come la si è praticata finora e tutto lascia credere che si seguiterà a praticarla, le ha offerto un'ideale occasione. (da ''[http://www.archiviolastampa.it/component/option,com_lastampa/task,search/mod,libera/action,viewer/Itemid,3/page,3/articleid,1118_01_1973_0284_0003_16222766/ Industrie "in colonia"]'', 2 dicembre 1973, p. 3) *Lo Stato, con [[Venezia]], ha contratto un solo impegno: di destinare al suo risanamento 300 miliardi di lire in cinque anni. Di dove li prenda, non ha nessun interesse. Può darsi che una parte li attinga proprio a quel prestito. Ma non vi è tenuto, né si vede perché dovrebbe esserlo. Ciò che da esso si può e si deve esigere è che eroghi effettivamente quei 300 miliardi alle scadenze per le quali si è impegnato: 25 miliardi per il '73, 60 nel '74, 90 nel '75, e su su fino alla chiusura dei conti nel '77. Due sole cose restano da dire. Primo. All'origine dell'equivoco c'è di certo quello che i francesi chiamano l'''esprit mal tourné'', cioè la diffidenza degl'italiani nei confronti dello Stato. Ma all'origine di questa diffidenza c'è altrettanto certamente l'incapacità o la renitenza dei nostri governanti a spiegare [...] ciò che fanno. Secondo. I soldi [...] stavolta ci sono. E diamo pure per scontato che saranno erogati con puntualità. Ma dove sono gli strumenti per spenderli, specie quelli affidati in gestione a degli Enti locali, che fin qui non sono stati capaci di dragare un canale né di riparare la spalletta d'un ponte? Non vorremmo che anche tutti questi miliardi andassero ad alimentare l'immenso deposito di «residui passivi», cioè di somme stanziate ma non impiegate, che già affligge il nostro Paese. Non lo vorremmo. Ma lo temiamo. (da ''[http://www.archiviolastampa.it/component/option,com_lastampa/task,search/mod,libera/action,viewer/Itemid,3/page,1/articleid,1111_01_1974_0009_0001_21345708/ Venezia, molti miliardi e lo Stato]'', 11 gennaio 1974, p. 1) *E ora addio, caro lettore, e grazie dell’ospitalità. Ti confesso che, entrando in casa tua, ero molto imbarazzato. Ma mi bastò poco per accorgermi che di questo imbarazzo voi soffrite quasi quanto coloro a cui lo incutete. Esentàtemi da una dichiarazione di amore perché a gente come voi è difficile farne. Ma in questo pudore mi sento vostro pari e vostro complice. Avrò un giornale a Milano e, e cercherò di farlo molto bello, bellissimo. Ma anche se ci sarò riuscito, seguiterò a rimpiangere il vostro. Mi dicevano che ci avrei sofferto il freddo. Ci ho trovato, sotto una coltre di silenzio, il caldo. (da ''[http://www.archiviolastampa.it/component/option,com_lastampa/task,search/mod,libera/action,viewer/Itemid,3/page,3/articleid,1112_01_1974_0087_0003_16390798/ Congedo dal Piemonte]'', 21 aprile 1974, p. 3) {{Int|''[http://www.archiviolastampa.it/component/option,com_lastampa/task,search/mod,libera/action,viewer/Itemid,3/page,9/articleid,1118_01_1973_0284_0009_16222725/ Chi era il vecchio leone del deserto]''|Articolo su ''La Stampa'', 2 dicembre 1973.|h=4}} *Senza Ben Gurion, non so se Israele sarebbe stato migliore o peggiore di quel che è. Certo, sarebbe stato diverso. Il titolo di «Padre della Patria» non può contestarglielo nessuno. [...] Egli stesso mi raccontò lo sgomento da cui fu còlto quando, non ancora ventenne, sbarcò a Giaffa dopo un lungo periplo a bordo d'un cargo. A procurarglielo non furono i funzionari turchi che allora governavano il Paese, e nemmeno gli arabi che formavano il grosso della popolazione; ma gli ebrei, quasi tutti latifondisti e mercanti perfettamente inseriti nel «sistema» e unicamente intesi ai propri affari. Erano dunque quelli i depositari della Terra Promessa, che non sapevano neanche l'ebraico, o comunque si rifiutavano di parlarlo? Forse ne sarebbe fuggito, se nell'interno non avesse scoperto alcune isolate fattorie collettive, dove i nuovi immigrati lavoravano la terra con le proprie mani e di notte montavano la guardia, uomini e donne, per difendere le loro vite e i loro raccolti dalle razzie degli arabi. *Egli fu sin da principio organizzatore sindacale e propagandista politico, ma ciò non toglie che la sua ideologia si sia sviluppata da questa esperienza pionieristica. Non era uomo di studio e di cultura. Ma, pur combattendolo, era rimasto influenzato dal socialismo tolstoiano che aveva respirato a Plonsk. [...] Comprese subito che solo redimendo la terra col loro lavoro manuale e contrapponendo al latifondismo arabo la fattoria collettiva, gli ebrei potevano legittimare la riconquista dei loro antico «focolare». Militarmente, egli non attaccò mai gli arabi. Aspettò che il loro sistema si disgregasse da sé, e ci volle poco. Battuti sul mercato dai prodotti del ''kibbutz'', i latifondisti arabi vendettero i loro feudi al «Fondo Nazionale Ebraico» per andare a sperperare l'incasso nei ''Casinos'' di Beirut e della Costa Azzurra, e i braccianti rimasero senza lavoro perché i nuovi padroni usavano le braccia proprie. Il conflitto è tutto qui: nell'impossibilità di coabitazione di una scalcagnata economia feudale con un'efficientissima economia socialista. I motivi religiosi e razziali li ha aggiunti la propaganda. Prima del ''kibbutz'', arabi ed ebrei avevano pacificamente convissuto in un avanzo di mondo medievale, garantito dal satrapesco governo turco, coi suoi privilegi e le sue glebe. Il ''kibbutz'' fu una rovina anche per il latifondo ebraico. [...] Il suo programma era questo: conquistare la Palestina «pertica dopo pertica, capra dopo capra», ma senza costituirla in uno Stato, un po' perché a questo si sarebbe opposta l'Inghilterra […] un po' per non provocare un «fronte» di nazioni arabe, come poi in realtà avvenne. Ma la rivelazione del [[Olocausto|genocidio]] gl'ispirò il famoso ''mai più''. E mai più significava questo: che d'allora in poi gli ebrei dovevano avere un rifugio sicuro, pronto ad accoglierli e in grado di farlo, cioè uno Stato. *Gli rimproverano anche di non aver mai svolto una coerente politica araba, cioè di intesa con gli arabi. E anche in questo c'è del vero, ma ha il suo perché. Come tutti i veri politici, Ben Gurion era un pragmatista, cioè un uomo che attingeva le idee dalla pratica delle «cose», non viceversa. E l'esperienza fatta nella lotta per la manodopera ebraica lo aveva persuaso che con gli arabi non c'era [...] possibilità di compromesso. Uno Stato palestinese misto di arabi e di ebrei, lo considerò sempre una chimera per il semplice motivo che in poche generazioni, col loro potenziale demografico quattro volte superiore, gli arabi avrebbero mangiato gli ebrei. Questo scrupolo [...] sa un po' di razzismo. Ma l'unico rimprovero che si può muovere a Ben Gurion è di non averlo abbastanza mascherato. Già nella guerra del '48 egli avrebbe potuto annettersi la Cisgiordania: ci rinunziò per non mettersi in corpo seicentomila arabi. L'anno dopo rifiutò per lo stesso motivo la cosiddetta «striscia di Ghaza» che il suo brillante generale Allon aveva sforbiciato dall'Egitto. E dopo la guerra dei sei giorni, sebbene ormai lontano dal potere, non ha fatto che ammonire contro una politica di annessioni territoriali disgiunta da un adeguato incremento di popolazione ebraica. Non ha mai dialogato che con l'Occidente. Con gli arabi, non ha seguito che una diplomazia: quella dei confini. *Le nuove esigenze della produzione e della guerra imponevano un altro «rovesciamento della piramide»: il miracolo della guerra dei sei giorni fu dovuto a un esercito di tecnici altamente specializzati, in cui anche il semplice aviere era un ingegnere. Il posto del ''kibbutz'' [...] veniva preso dall'Università che riconvertiva il contadino in professore. Ben Gurion non poteva interpretare questo nuovo corso. Era troppo vecchio e legato all'altro. Ma non lo comprese, non poteva comprenderlo, per conservare il potere ricorse a tutte le armi del suo repertorio, anche le meno regolamentari, giunse a rinnegare e a rompere il proprio ribelle partito. E neppure a battaglia persa si rassegnò. Dal fondo del suo rifugio alle soglie del deserto ha continuato tutti questi anni ad alluvionare di ammonimenti, maledizioni, anatemi i suoi vecchi amici trattandoli da nemici. [...] Quello che si chiude con Ben Gurion è il capitolo del pionierismo: il più eroico e glorioso, quello destinato, via via che si allontanerà nel tempo, ad essere ricordato dagl'israeliani con sempre più struggente nostalgia. {{Int|''[http://www.archiviolastampa.it/component/option,com_lastampa/task,search/mod,libera/action,viewer/Itemid,3/page,3/articleid,1112_01_1974_0081_0003_16388814/ La strada lunga di Golda]''|Articolo su ''La Stampa'', 14 aprile 1974.|h=4}} *{{NDR|[[Golda Meir]]}} Aveva poco più di vent'anni quando approdò in Israele, frammista ai «padri pellegrini» della «seconda ondata» che subito dopo la [[prima guerra mondiale]] vennero a riprendere possesso della loro antica terra con la ferma intenzione non d'insabbiarcisi com'era successo ai loro predecessori della fine dell'Ottocento, ma di riscattarla e di farne il «focolare» degli ebrei. Tutta la sua visione politica [...] era condizionata da questa esperienza di oltre mezzo secolo di sacrifici e di lotte. Tecnicamente, non so se si possa catalogarla fra i «falchi». Anzi, mi sembra che abbia fatto tutto il possibile per non confondersi con essi e per presentarsi come mediatrice fra loro e le «colombe». Ma, cresciuta nell'accampamento, ne aveva acquisito la mentalità guerriera. Oggi molti in Israele si domandano se a questi pionieri non restava davvero altra strada che quella dell'urto frontale con la popolazione araba della Palestina. Ma questi dubbi sono un lusso ch'essi si possono concedere solo perché i loro babbi e nonni non ne ebbero. Costoro fecero quello che fecero perché non potevano far altro. Ciò che rendeva impossibile la coabitazione fra le due popolazioni non era la incompatibilità razziale e religiosa, ma quella economica e sociale. Il latifondo sceiccale non poteva convivere col ''kibbutz'' socialista. È qui l'origine di un conflitto che nessuna diplomazia poteva sanare. Una pace fra israeliani e arabi è possibile; una simbiosi, no. Ancor oggi chi parla di «Stato misto» si gingilla con le astrazioni. *Fu lei che, mentre la lotta infuriava e il sangue correva, raggiunse travestita da cammelliere l'emiro Abdullah di Giordania – il nonno di [[Husayn di Giordania|Hussein]] –, e da nemico se lo fece amico, o almeno neutrale. Non sono mai riuscito ad appurare se [[David Ben Gurion|Ben Gurion]] ebbe una parte, e quale, in questo «giallo» fra il diplomatico e lo spionistico. Ma molte cose m'inducono a credere che a programmarlo fu proprio lei, Golda, anch'essa ben decisa a innalzare, fra arabi ed ebrei, una cortina di ferro, ma con qualche porta che consentisse all'occorrenza il dialogo. [...] I due furono amici e compari per decenni. [...] Per entrambi, la unica e vera ragione di vita era la politica, una passione che esclude tutte le altre, e alla quale chi ne è tocco tutto sacrifica, a cominciare proprio dai sentimenti. Ciò non vuol dire che i loro rapporti siano stati dominati unicamente dal calcolo [...] e che Golda si sia tenuta stretta a Ben per spiarlo, controllarlo e, al momento opportuno, divorarlo. Io ho visto alcuni scampoli della loro corrispondenza privata, quando l'amicizia era diventata aperta inimicizia. Roba da far impallidire un caporale degli alpini. Ma proprio da questo vocabolario si capiva quanto profonda e indistruttibile [...] fosse la loro solidarietà. Probabilmente anche al tempo in cui facevano coppia nel partito e nel governo si parlavano tra loro in quel linguaggio da fureria. Quanto a imperiosità e autoritarismo, si valevano. [...] Non era, come Ben Gurion, un'incantatrice, non aveva mai una immagine colorita, un paradosso, una battuta a effetto. Con la sua voce arrugginita dalle sigarette (ne fuma una settantina al giorno, e di tabacco nero), diceva piattamente e banalmente delle cose piatte e banali, solo ravvivate da qualche squarcio d'un umorismo massiccio come una scarpa di soldato; ma senza mai togliere di dosso all'interlocutore il suo vigile sguardo cilestrino alla fiamma ossidrica. E da quella specie di sporta per la spesa che, adibita a borsa, essa tiene al braccio anche nei ricevimenti ufficiali, ci si aspettava sempre di veder saltar fuori, oltre a qualche mazzo d'agli e di cipolle, una pistola o una fiala di veleno. *Di Golda si può dire tutto il male che si vuole: la materia non manca. Non c'è dubbio che sapeva odiare e che anche quando amava lo faceva da mantide, soffocando e stritolando. Ma Israele non troverà mai più una madre come lei, che sapeva anche fargli da padre. Nella sua tenacia, nel suo coraggio, nella sua volontà d'acciaio, essa riassumeva la storia di questo piccolo grande Paese. Lo ha dimostrato col suo ritiro. Quando si è trattato di pagare, essa si è offerta in sacrificio pur sapendo che per lei la rinunzia al potere è la rinunzia alla vita. «''Sono giunta al termine della mia strada''», ha detto. Ma che strada! Nessuno ne ha mai percorsa una più ripida e accidentata, più paurosamente librata tra abissi e strapiombi. Sono sicuro che Golda non si volterà indietro a guardarla, e non ce ne dirà nulla. Come tutti i grandi costruttori, essa sa soltanto costruire. Il resto, per lei, è silenzio. ===''la Voce''=== <!--ordine cronologico--> *Uscendo dal ''Giornale'', io feci a me stesso, ma pubblicamente, un giuramento: «Mai più un padrone». Qui padroni non ce ne sono. La proprietà è ripartita fra alcune centinaia di azionisti, di cui nessuno può, per statuto detenere più del 4 per cento. Fra di essi, e per primi, ci siamo stati tutti noi: redattori, impiegati, fattorini, autisti. [...] Per questa sua pulviscolarità, il nostro azionariato è stato definito, nei quartieri alti della Finanza, «straccione». La qualifica non ci dispiace: coi tempi che corrono, meglio stare tra gli stracci che tra le tangenti. (22 marzo 1994) *Di insurrezione generale non c'era bisogno, il 25 aprile, perché il Terzo Reich non esisteva più. Se l'insurrezione generale fosse avvenuta avrebbe dovuto avere come primo obiettivo, a Milano, il quartier generale delle SS all'Hotel Regina. Le SS furono invece lasciate del tutto tranquille, mentre si provvedeva a trascinare in piazzale Loreto, per la fucilazione Achille Starace [...]. Non sono contro la Resistenza, anzi: sono contro la retorica, inguaribile vizio italiano. Proprio questa retorica ha fatto sì che un sindaco democristiano di Roma, in un manifesto dedicato anni or sono alla liberazione della città non accennasse nemmeno con una parola agli Alleati. Ed ha fatto sì che in quest'ultimo 25 aprile si sia parlato ai giovani che affollavano piazza del Duomo a Milano o che stavano davanti ai televisori, ingannandoli – ossia raccontando loro che i tedeschi erano stati sconfitti dai partigiani, e che da questi l'Italia era stata liberata. Se questa è la «memoria storica» evocata da tanti commentatori, stiamo freschi. (28 aprile 1994) *Intorno a Berlusconi vedo agitarsi una falange di Starace, convinti non meno di Achille che il padrone (e con lui, si capisce, la carriera) si serve sbattendo i talloni e gridando: «Forza, Italia!». Di tutto questo, intendiamoci, Berlusconi non può essere tenuto responsabile. Gli Starace – a differenza di Mussolini che si scelse il suo vedendolo com'era – gli sono germinati e gli pullulano intorno d'irresistibile forza propria cercando di sopraffarsi in una gara di servilismo, che trova soprattutto nel video la propria arena. E per ora la gente pensa: «Povero Cavaliere, da chi è circondato». Ma prima o poi – forse più prima che poi – comincerà a dire anche di lui: «Vedi un po' di chi si circonda». (18 giugno 1994) *Dobbiamo prepararci a presentare le nostre scuse a [[Emilio Fede]]. L'abbiamo sempre dipinto come un leccapiedi, anzi come l'archetipo di questa giullaresca fauna, con l'aggravante del gaudio. Spesso i [[leccapiedi]], dopo aver leccato, e quando il padrone non li vede, fanno la faccia schifata e diventano malmostosi. Fede no. Assolta la bisogna, ne sorride e se ne estasia, da oco giulivo. Ma temo che di qui a un po' dovremo ricrederci sul suo conto, rimpiangere i suoi interventi e additarli a modello di obiettività. (26 novembre 1994) *Il presidente della Repubblica non può contrattare. Ma deve trovare qualcuno che abbia l'autorità morale di farlo. Un ''kamikaze''. E di ''kamikaze'' ne vediamo uno solo che, non avendo veste politica, né alcuna ambizione di indossarla, può anche affrontare una simile responsabilità: [[Antonio Di Pietro|Di Pietro]]. Ma temiamo che l'idea sia soltanto nostra. [...] Una delle pochissime cose che nella presente situazione ci confortano è di vedere in Quirinale un difensore delle Regole come [[Oscar Luigi Scalfaro|lui]]. Vorremmo solo sommessamente avvertirlo che l'Italia che noi conosciamo somiglia poco all'immagine angelica ch'egli ce ne ha fornito la sera di Capodanno, e che anche quando vi avremo messo a posto tutte le Regole, ne mancherà sempre una: quella che dall'interno della sua coscienza fa obbligo ad ogni cittadino di regolarsi secondo le regole. (3 gennaio 1995) *Noi volevamo fare, da uomini di [[Destra]], il quotidiano di una Destra veramente liberale, ancorata ai suoi storici valori: lo spirito di servizio (quello vero, taciuto e praticato), il senso dello Stato, il rigoroso codice di comportamento che furono appannaggio dei suoi rari campioni da Giolitti a Einaudi a De Gasperi. Insomma, l'organo di una Destra che oggi si sente oltraggiata dall'abuso che ne fanno gli attuali contraffattori. Questa Destra fedele a se stessa in Italia c'è. Ma è un'élite troppo esigua per nutrire un quotidiano. (12 aprile 1995) {{Int|''Il realista inviso agli snob''|Articolo su ''la Voce'', 24 aprile 1994.|h=4}} *Fino ad una decina di anni orsono, la maggioranza degli americani erano convinti che, se [[Richard Nixon|Nixon]] fosse rimasto nella Storia del loro Paese – cosa che al loro orecchio suonava come un obbrobrio – vi sarebbe rimasto solo per il [[Scandalo Watergate|Watergate]], cioè appunto per l'obbrobrio. Negli ultimi tempi tutto si è rovesciato: l'obbrobrio non è stato più il Watergate, ma la campagna scandalistica che lo aveva provocato. Gli stessi protagonisti che l'avevano montata – [[Bob Woodward]] e [[Carl Bernstein]] del ''Washington Post'' – ne riconobbero le forzature e fecero atto di contrizione. Non avevano inventato nulla, ma avevano deformato tutto. [...] La sorte è stata, tutto sommato, clemente con Nixon dandogli il tempo di vedere questo capovolgimento. *Ultimamente era ricevuto, ed anzi continuamente sollecitato alla Casa Bianca, dove lo si accoglieva come lo ''Elder Statesman'', lo statista anziano da consultare come un vecchio saggio sui problemi difficili. Fu a lui che [[George H. W. Bush|Bush]] si rivolse per riallacciare un dialogo con Pechino dopo la rottura seguita al fattaccio di Tienanmen. E lui a Pechino lo riallacciò: i cinesi non avevano dimenticato che quel dialogo erano stati Nixon e [[Henry Kissinger|Kissinger]] ad aprirlo, quando l'America aveva deciso di chiudere l'avventura del Vietnam in cui [[John Fitzgerald Kennedy|Kennedy]] e [[Lyndon B. Johnson|Johnson]] l'avevano malaccortamente cacciata. Ma anche [[Bill Clinton|Clinton]] è ricorso alla sua esperienza per capire cosa succedeva in Russia e trarne qualche insegnamento. Nixon andò a Mosca, e ne tornò con cattivi presagi sulla sorte di [[Boris Nikolaevič El'cin|Eltsin]] che i successivi avvenimenti hanno confermato. *Non era un uomo «simpatico», e soprattutto non aveva nulla che potesse sedurre l'America dei salotti e della ''intellighenzia'', che gli uomini politici li misurano a modo loro, mai quello giusto. Scambiarono per un grande intellettuale Kennedy, che in vita sua aveva visto migliaia di film, ma mai letto un libro. E prendevano Nixon, che di libri ne ha letti ed ha continuato a leggerne (ed a scriverne, niente male), fino all'ultimo giorno per una specie di Bossi californiano, rozzo e triviale. [...] Ma forse quello che più infastidiva gli americani era la renitenza di Nixon ad appelli e richiami tanto più sonori quanto più vacui, come «la nuova frontiera» e simili. Nixon era un professionista della politica, uno dei pochissimi che l'America abbia mandato alla Casa Bianca. Non andava per sogni e per versetti del Vangelo. Conosceva il suo [[Otto von Bismarck|Bismarck]], il suo [[Benjamin Disraeli|Disraeli]], e credo anche il suo [[Niccolò Machiavelli|Machiavelli]] che in America basta nominarli per finire scomunicati. Per questo lo consideravano un mestierante, e per questo si era scelto come consigliere un altro mestierante, l'ebreo tedesco Kissinger. Furono questi due uomini che ridiedero all'America la ''leadership'' nella politica estera coinvolgendo nel gioco la Cina e scavandone il solco da Mosca. I successori di Nixon, e specialmente [[Ronald Reagan|Reagan]], vissero in gran parte di questa eredità. ===''Oggi''=== <!--ordine cronologico--> *Mi confermo in due mie vecchie opinioni. Il guaio del socialismo è il socialismo, cioè sta proprio nel suo sistema statalistico. Il guaio del capitalismo sono i capitalisti che, quasi sempre bravissimi all'interno della loro azienda, fuori di lì sono spesso degli ottusi e noiosi imbecilli, e talvolta anche peggio.<ref>Citato in ''Dizionario delle citazioni'', a cura di Italo Sordi, BUR, 1992. ISBN 88-17-14603-X</ref> (n. 22, 1983) *{{NDR|Sull'offerta di [[Massimo D'Alema]] a concedere, come «atto dovuto», i funerali di Stato a [[Bettino Craxi]]}} "Atto dovuto"? Ma dovuto a chi? Anche a un latitante: quale, dal punto di vista legale, era Craxi? Concedere i funerali di Stato a un latitante significa sconfessare la Giustizia che lo ha condannato. [...] Ma può lo Stato sconfessare la propria Giustizia senza sconfessare se stesso? Mi sembra di vivere in un Paese che di senso dello Stato ne ha meno di una tribù del Ghana.<ref>Citato in ''La morte incute rispetto, ma su Craxi non cambio idea''-</ref> (2 febbraio 2000) *La [[democrazia]] è sempre, per sua natura e costituzione, il trionfo della mediocrità. (11 ottobre 2000) ==''Dante e il suo secolo''== ===[[Incipit]]=== Uno dei tanti meriti che si suole attribuire a [[Dante Alighieri|Dante]] è quello di essere stato il primo italiano ad avere una «coscienza nazionale». Noi non vorremmo cominciare questo libro con una detrazione, ma non ci sembra che a dimostrare questa coscienza basti l'allusione che Dante fa a una entità geografica italiana, di cui egli fissava i punti terminali al Brennero e al Carnaro. E non vediamo del resto cosa aggiunga alla sua grandezza questa specie d'irredentismo avanti lettera. Se per qualcuno Dante spasimò fu, caso mai, per un Imperatore tedesco. ===Citazioni=== *[[Roma]] era stata la capitale di un impero cosmopolita, non di una Nazione. (Parte prima. Capitolo primo, p. 12) *Non è necessario essere degli adepti del "materialismo storico" per attribuire il risveglio delle inquietudini intellettuali, fra il Millecento e il Milleduecento, al progresso economico e al generale miglioramento delle condizioni i di vita. È a stomaco pieno che si comincia a pensare a qualcosa che non sia soltanto lo stomaco. (Parte prima. Capitolo terzo, p. 131) *Il [[pudore]] femminile non è mai stato altro che un incentivo alla civetteria. (Parte seconda, Capitolo quarto, p. 174) *Da consumato giurista qual era, {{NDR|[[papa Bonifacio VIII]]}} prese a rimaneggiare tutti i precedenti storici, su cui poteva basare le sue pretese di dominio universale. E trovò un valido aiuto nel canonista [[Egidio Romano|Egidio Colonna]] il quale scrisse un trattato, ''De ecclesiastica potestate'', per avvalorare queste tesi. Egli sostenne che la Chiesa era padrona e proprietaria non soltanto delle anime, ma di tutto. Era solo per bontà e condiscendenza che metteva le cose a disposizione dei fedeli, ma conservando il diritto di ritorgliele quando voleva. Quindi anche i troni appartenevano ad essa, che li lasciava ai Re solo in momentaneo appalto. Questa teoria tanto piacque a Bonifacio, che ne ricompensò l'autore con la nomina ad arcivescovo di Bourges. (Parte seconda, Capitolo nono, p. 312) *Peccato che un simile uomo {{NDR|papa Bonifacio VIII}} avesse così clamorosamente sbagliato generazione e carriera. Fosse nato cinquant'anni dopo sarebbe stato un magnifico Principe del [[Rinascimento]]: avido, crudele e gagliardo. (Parte seconda, Capitolo undicesimo, p. 372) *Dante qui {{NDR|nel ''De vulgari eloquentia''}} ha visto ciò che molti filòlogi ancora oggi non vedono. Egli difende il "volgare", cioè la lingua viva, quella parlata dal popolo, fatalmente destinata a soppiantare il latino. Ma ne vorrebbe una illustre e aulica, al di sopra di quelle "municipali", cioè dei dialetti, contro i quali si scaglia con furore. In Italia ne classifica quattordici e li detesta tutti, compreso il toscano che chiama "turpiloquio". Ma il più orrendo gli sembra il romano, "e non deve fare meraviglia dacché i romani, anche per deformità di costumi e abiti, appaiono i più fetidi di tutti". Chissà cosa direbbe, povero Dante, se tornasse fra noi e andasse al cinematografo. (Parte seconda, Capitolo quindicesimo, p. 483) ==''Gli incontri''== *[[Giovanni Porzio|Porzio]] non è alto di statura, ma diritto come un fuso nonostante i settantaquattro anni suonati e porta, sui pantaloni a righe stretti e lunghi come quelli degli antichi ufficiali in grande uniforme, una giacca nera che l'alta bottonatura fa simile a una ''redingote''. Il volto è bello, di colore olivastro, e aristocratico nella modellatura del naso e nel taglio breve dei baffi e della barbetta ancora pepe e sale. (Porzio, p. 91) *Non avevo mai visto da vicino [[Cécile Sorel]], quando essa mi apparve, per la prima volta, di lontano, sul palcoscenico allestito nella corte d'onore degli Invalides per le feste celebrative del bimillenario di Parigi. [...] Drappeggiata in una sontuosa cappa di [[Elsa Schiaparelli|Schiaparelli]] a strascico di ''lamé'' d'argento e porpora, dritta su un podio sotto la statua di [[Napoleone Bonaparte|Bonaparte]], accolse a braccia spalancate lo scrosciante omaggio, sincopato dalle salve di artiglieria, dei cinquemila spettatori ammassati nell'immenso cortile. Sorrise. Sfiorò con uno sguardo altero le teste della folla, lo alzò verso l'imperatore, ma senza implorazione né umiltà, da pari a pari. Poi, in un silenzio di tomba, prese a modulare l'ode di Bruyez: "''Vous qui êtes morts pieusement pour la patrie...''". Ed era una voce incredibilmente limpida e squillante, senza traccia di ruggine. (Cècile, pp. 226-227) *[[Saul Steinberg|Steinberg]] ha la faccia dei suoi pupazzi: una faccia malinconica, lunga e triangolare, di cavallo tirato su a paglia soltanto, senza biada, e condannato a trascinare un carretto su per un'erta interminabile, in cima alla quale non si sa cosa ci aspetta, ma certo un'altra condanna, forse più pesante del carretto. Anche i baffi ha, come i suoi pupazzi: a doppia virgola orizzontale, sebbene meno lunghi e senza le intenzioni esibizionistiche di quelli di Dalì; e anche le lenti a stanghetta traverso cui ti fissano intensamente, di sotto in su, due occhi azzurri e mortificati, di uomo che non si è reso conto di essere Saul Steinberg; o essendosene reso conto, non ci prova alcun piacere. (Steinberg, p. 289) *[[Harukichi Shimoi]] è uno di quei giapponesi che gli altri giapponesi considerano di statura piccola. Tanto piccola che [[Gabriele D'Annunzio|D'Annunzio]], per abbracciarlo, dovette curvarsi (lui!) e, dopo essergli andato incontro gridando, con le braccia alzate: "Fratello!... Fratello mio!..." lo guardò, ci ripensò e aggiunse: "Sebbene non di sangue...". (Shimoi, p. 389) *Quanti anni avrà, ora, Harukichi Shimoi? Forse cinquanta, forse centocinquanta. Come per [[Guelfo Civinini]], suo amico, anche per lui il problema dell'età non si pone. Quale che essa sia, egli la porta esattamente come deve averla portata mezzo secolo fa. Il suo corpo è stortignaccolo, ma diritto, e i suoi capelli son nerissimi. Ma il tratto che più lo caratterizza sono le sopracciglia, che madre natura gli ha piantato a mezza strada, come due ciuffi di foltissimo bosco, tra gli occhi e la chioma, in modo che, per quanto vasti i suoi occhiali, esse li sormontano e risucchiano come se fossero due monocoli. (Shimoi, pp. 389-390) *Il più favoloso e colorito personaggio del [[Brasile]] è [[Assis Chateaubriand]], proprietario di ventun giornali, diciotto stazioni radiotrasmittenti, di una flotta aerea, di alcune ''fazendas'' vaste come l'intera Sicilia, di un museo che vale venti milioni di dollari, di una Compagnia nazionale per la puericoltura, e di un'ambizione pari soltanto al suo coraggio, alla sua insolenza e alla sua spavalderia. (Chateaubriand, p. 495) *Assis {{NDR|Chateaubriand}} ha un debole per i tedeschi e per gli italiani. Come faccia a conciliare questi due amori, non si sa; ma le sue pene, durante la guerra, furono grandi, anche se irreprensibile fu la sua condotta<ref>Dal 1942, nel corso della seconda guerra mondiale, il Brasile fu in stato di guerra con Germania e Italia.</ref>. Quando però il governo comminò l'arresto a chiunque parlasse italiano, scese in lotta con i suoi giornali contro l'assurda disposizione. Scrisse che quello non era patriottismo, ma un nazionalismo di bassa lega, degno soltanto di una colonia, e che lui si vergognava d'esser brasiliano. Fece un tale baccano, che alla fine dovettero revocare il provvedimento e quello del sequestro dei beni dei nostri compatrioti. (Chateaubriand, p. 502) *Quando nacque sessantadue anni orsono, ne aveva già a dir poco settecento. Perché [[Ottone Rosai|Rosai]] veniva dritto dritto dal Medioevo, dopo aver saltato a piè pari Rinascimento ed età moderna, e nei momenti di sincerità confessava che Giotto gli pareva un "deviazionista" rispetto a Cimabue, il quale gli andava molto più a sangue. (Rosai, p. 544) *Dopo essere stato fascista della prima ora, nella seconda col fascismo {{NDR|Ottone Rosai}} s'era trovato male, e si capiva benissimo che era sempre per via delle mani. Tornato dalla guerra, lo squadrismo gli aveva consentito di menarle, come a lui piaceva, e ci aveva dato dentro senza risparmio. Forse l'unico momento felice della vita di Rosai fu quello: quando a gambe larghe di traverso alla strada aspettava, col giornale aperto davanti agli occhi in un gesto di sfida ribalda, il corteo rosso in arrivo da San Frediano, che alla vista di quelle manacce aggrappate ai bordi del foglio e pesanti come macigni, esitava. (Rosai, p. 547) *[[Paolo Monelli|Monelli]], se seguisse le proprie inclinazioni, andrebbe a letto coi polli. Ma cosa direbbe la gente, se non lo vedesse più vagabondare nei vari ritrovi frequentati dai nottambuli della città? Direbbe senza dubbio: "Comincia a invecchiare". E a questa idea Monelli balza dalla sua poltrona e si attacca al telefono per mobilitare qualche amica che lo accompagni nei suoi vagabondaggi. Giovani colleghe come Livia Serini, attrici giovanissime come Lea Massari sono state ridotte sull'orlo dell'esaurimento nervoso da queste prolungate ronde notturne senz'altro costrutto che quello di ribadire agli occhi di tutti l'intramontabilità di Monelli. Egli non le porta a spasso. Le porta all'occhiello, come gardenie. (Monelli al girarrosto, p. 592) *{{NDR|Paolo Monelli}} Fuma la pipa come Churchill il sigaro, cioè soltanto quando lo guardano. (Monelli al girarrosto, p. 593) ==''I conti con me stesso''== ===[[Incipit]]=== Una telefonata da Milano m'informa che Longanesi è morto. È stato colpito dall'infarto davanti al suo tavolo di lavoro, su cui era spiegata una mia lettera di dieci giorni fa, che cominciava così: «Caro Leo, stanotte ho sognato ch'eri morto...». (27 settembre 1957) ===Citazioni=== *Tutta la mia vita è stata contesa fra la noia di vivere insieme e la paura di vivere [[Solitudine|solo]]. (4 ottobre 1957) *Di nuovo il Polesine. Pare impossibile: durante le inondazioni, la prima cosa che viene a mancare è l'acqua. (dicembre 1957) *[[Colette Rosselli|Colette]]. Invecchia gentilmente, senza catastrofi. Ha su tutte le altre donne un vantaggio incolmabile: quello di essere stata il mio ultimo e più grande amore. Così grande che possiamo camparci di rendita, comodamente, tutti e due per il resto dei nostri giorni. (gennaio 1958) *Il destino di [[Riccardo Bacchelli|Bacchelli]] sarà l'opposto di quello del maiale: di lui, dopo morto, ci sarà da buttar via tutto. (gennaio 1958) *[[Olga Villi]]. Non è punto grata alla sua bellezza che le ha consentito di diventare principessa di Trabia. Punta solo sul talento che non ha. Ma è talmente priva di ''sense of humour'' che forse diventerà una buona attrice. (gennaio 1958) *[[Gaston Palewski|Palewski]]. L'ambasciata a Roma è per lui soltanto uno dei più importanti capitoli del libro di memorie che scriverà. (gennaio 1958) *Non è che [[Luigi Barzini (1908-1984)|Barzini]] abbia un'altissima opinione di sé. Ne ha una bassissima degli altri. (gennaio 1958) *Piccolo incidente d'auto. La nostra, per evitare un ciclista, picchia contro un muro e resta piuttosto acciaccata. [[Colette Rosselli|Colette]], che la guida, dice: «Meglio così. Dovevo farla revisionare, e non mi decidevo mai...». (gennaio 1958) *[[Razzismo]]: pensarci sempre, parlarne mai. [[Risorgimento]]: parlarne sempre, pensarci mai. (gennaio 1958) *[[Fascismo]]. Il più comico tentativo per instaurare la serietà. (gennaio 1958) *Il guaio più grosso della Repubblica è che, mentre il Re poteva essere di sangue straniero e di solito lo era, il presidente bisogna sceglierlo fra gl'italiani. (gennaio 1958) *Bacchelli lavora infaticabilmente, da sessant'anni, alla costruzione di un piedestallo su cui, alla sua morte, non sapremo cosa posare. (gennaio 1958) *A pranzo da [[Vittorio Cini]] con una ventina di altri invitati. A colazione ne aveva avuti altrettanti. E così ieri. E così avantieri. E così sempre. A ottantadue anni suonati, è fresco, roseo, insaziabilmente voglioso di intrattenere e di essere intrattenuto. A conclusione della serata, mi sfida a una gara di canto. Scegliamo come banco di prova ''Vecchia zimarra'', e stoniamo maledettamente entrambi, ma io meno di lui. I presenti mi assegnano la vittoria. Di colpo, Vittorio perde il suo buon umore. È talmente abituato a vincere, che non accetta di perdere nemmeno nel canto. (7 settembre 1966) *{{NDR|Su [[Nicola Bombacci]]}} Io l'ho conosciuto soltanto cadavere, quando penzolava accanto a quello di Mussolini, in piazza Loreto, e una folla messicana lo bersagliava bestialmente di sputi. Anni dopo, volli tentarne la riabilitazione ritracciandone la patetica vicenda, ma non riuscii a trovarne gli elementi biografici. Compaesano e compagno di scuola di Mussolini, maestro elementare e autodidatta come lui, ne era stato il grande amico quando entrambi militavano nel socialismo. Eppoi il suo nemico giurato, la bestia nera degli squadristi. Esule con la famiglia prima in Francia, poi (credo) in Russia, rimpatria col permesso del Duce, si affida alla sua generosità, per ricambiarla gli resta al fianco anche a Salò, e lo accompagna fin nell'ultimo viaggio verso la morte. (23 ottobre 1966) *Colloquio segreto con l'ex comunista [[Giulio Seniga|Seniga]] per una storia del [[PCI|Pci]] che devo scrivere con [[Roberto Gervaso|Gervaso]] per la «Domenica». Ė un uomo piuttosto affascinante, dallo sguardo chiaro, freddo e innocente: lo sguardo del fanatico. Mi ha detto che sua moglie, cresciuta in Russia dove suo padre era fuoruscito, e autrice di un interessante libro – ''I figli del partito'' –, nel partito è rimasta, non ha trovato il coraggio di uscirne, sebbene approvi e condivida la secessione del marito, con cui è sentimentalmente unitissima. Non riesco a capire questa gente. Cioè capisco soltanto che è diversa da noi non sul piano ideologico, ma su quello umano. (25 novembre 1966) *È morto [[Uguccione Ranieri di Sorbello]]. Era venuto a Roma da sua suocera. Stava benissimo. Era anzi particolarmente sereno e contento perché aveva finito un suo lavoro di ricerca storica cui attendeva da anni. A fine pranzo ha detto: «Non mi sento bene». Si è alzato, ed è crollato a terra. Stecchito. (29 maggio 1969) *{{NDR|Su Uguccione Ranieri di Sorbello}} Era un gran signore e un gran galantuomo che ha trascorso la sua vita in crociate nelle quali non aveva nulla da guadagnare. L'ultima è stata la campagna propagandista negli Usa per convincere gli americani a dare il nome [[Giovanni da Verrazzano|Da Verrazzano]] al grande ponte sull'Hudson. Nel suo perfetto inglese (lo scriveva meglio dell'italiano) inondò l'America di articoli e conferenze (parlava benissimo, con molto humor e senza enfasi oratorie) cercando i familiarizzare gli ascoltatori col nome Da Verrazzano, la cui pronuncia rappresentava per essi la difficoltà più grossa all'adozione di quel nome. Questa smania missionaria credo che l'avesse ereditata da sua madre americana. E per seguirla aveva trascurato le sue proprietà terriere. Le sue campagne erano in uno stato pietoso, la sua bella villa sul Trasimeno mezza disunta. (29 maggio 1969) *{{NDR|Su Uguccione Ranieri di Sorbello}} Era un buon scrittore, un infaticabile sommozzatore di articoli, un ricercatore attento e scrupoloso di curiosità storiche, un umanista moderno che aveva allargato i suoi orizzonti a tutta la cultura contemporanea, specie anglo-sassone: un uomo insomma che ha realizzato un centesimo di quello che poteva per via di quel suo dispersivo correre dietro a un'infinità di altri interessi. Era stato anche un autentico combattente della [[Resistenza italiana|Resistenza]]: per ben sedici volte si era fatto paracadutare dagli Alleati dietro le linee tedesche: impresa che chiunque altro si sarebbe fatto ripagare con altrettante medaglie. Lui non aveva ricevuto nemmeno una citazione, e di questi episodi non ha mai parlato. (29 maggio 1969) *Anche [[Irene Brin]] se n'è andata. Mi avevano detto che era malata di un cancro; ma era una notizia vaga e incerta, ch'essa aveva fatto di tutto per smentire. Fino in fondo ha lavorato e ha partecipato ai riti della mondanità: sfilate di moda, ricevimenti, eccetera. (1 giugno 1969) *{{NDR|Su Irene Brin}} Quando [[Giovanni Ansaldo|Ansaldo]] la scovò e cominciò a farla scrivere sul «Lavoro» di Genova, sua città natale, era soltanto Mariù Rossi: una ragazza timida e incerta, molto provinciale, figlia di un Generale e di un'ebrea austriaca. L'unica fama di cui godeva era quella, equivoca e velata sotto un nome d'accatto, che le aveva procurato [[Elio Vittorini|Vittorini]] prendendola a protagonista, con sua sorella, di un racconto: ''Le figlie del Generale'' in cui entrambe erano presentate come lesbiche. Se lo fossero veramente, non so. Il sesso è uno dei tanti capitoli misteriosi di questa donna. (1 giugno 1969) *In mano a [[Leo Longanesi|Longanesi]], che le aveva regalato anche lo pseudonimo d'Irene Brin, aveva rivelato autentiche qualità di scrittrice. I profili che pubblicò su «Omnibus» erano deliziosi. Fosse rimasta fra biografia e memorialismo, poteva diventare qualcosa di mezzo fra [[Henri de Saint-Simon|Saint-Simon]] e [[Lytton Strachey|Strachey]] con un tocco alla [[Madame de Sévigné|Sévigné]]. Altro che la [[Maria Bellonci|Bellonci]]! Era un'osservatrice attenta (sebbene non ci vedesse da qui a lì) e penetrante, nutrita di vastissime letture: la sua prosa aveva ritmo, calore, l'aggettivazione precisa, l'ironia tagliente. Ma era un cavallo che aveva bisogno del fantino. Chiuso «Omnibus» e cessata la regia di Longanesi, Irene infilò la pista sbagliata – quella della cronista mondana –, e non è più uscita. (1 giugno 1969) *Finito di scrivere il capitolo sull'[[Giulio Alberoni|Alberoni]] per ''L'Italia del Settecento''. Ho riprodotto la pagina di [[Henri de Saint-Simon|Saint-Simon]], che lo descrive mentre assiste impavido alle evacuazioni corporali di Vendôme per guadagnarsene i favori, eppoi inginocchiandosi davanti a lui gli grida estasiato: «Oh, culo d'angelo!», e glielo bacia. Come inizio di "carriera" italiana, mi sembra esemplare. Poi mi torna a mente un'osservazione di [[Jules Renard|Renard]]: «Se in un periodo c'è la parola culo, il lettore non si ricorderà che di quella dimenticando tutto il resto, anche se è sublime». Renard ha ragione. Ma io, a un culo autenticato da Saint-Simon, non rinuncio. (3 luglio 1969) *Le Soroptimists hanno dato un pranzo a [[Colette Rosselli|Colette]], in qualità di "Donna Letizia". Colette ha accettato dopo molti rifiuti. Il suo fastidio per queste cose di donne, lo so, è sincero. Ma, una volta preso l'impegno, ha trascorso la giornata a preparare il suo discorsino col puntiglio che la distingue. Non è per nulla ambiziosa, non tiene affatto a reclamizzare il proprio talento, sottovaluta quello che mette nella sua rubrica di «Grazia» (ma se lo fa pagare profumatamente), rifiuta di fare una mostra dei suoi deliziosi quadri. Ma il suo suscettibilissimo amor proprio non le consente di rischiare una brutta figura nemmeno nelle cose che disprezza. Infatti anche stasera ne ha fatta una eccellente, leggendo con molto garbo le due paginette che aveva preparato con un sapiente dosaggio di humour autentico, e di pathos e di umiltà fasulli. Ha avuto gran successo. Per la prima volta mi son visto guardato come un personaggio-satellite, una specie di principe consorte. Cosa che a me non dispiace affatto, ma a lei moltissimo. In questo, è proprio femmina. (13 agosto 1969) *Mi riferiscono, di [[Giorgio Bocca|Bocca]], questo giudizio su di me: «Sempre il più bravo di tutti. Bravissimo. Troppo bravo. Ma mettendo lo stesso impegno a scrivere gli articoli su Venezia e quello sull'arbitro [[Concetto Lo Bello|Lo Bello]], dimostra che in realtà non è impegnato in nulla». È vero. Non sono impegnato in nulla. In nulla, meno che nel mio mestiere. Fiorentina-Bari 3-0. E Chiarugi capo-cannoniere! (16 novembre 1969) *Sciopero generale per il caro-case. Un pretesto da nulla. Ma è bastato per immergere Milano in un'atmosfera da 8 settembre. Strade vuote. Saracinesche abbassate. Enorme spiegamento di polizia. Mentre pranzo con [[Giovanni Spadolini|Spadolini]], [[Mario Cervi|Cervi]] e Zappulli, giunge notizia che in un tafferuglio al Lirico un agente è stato ucciso dai "cinesi". «Meno male che è toccata a un agente» diciamo in coro, eppoi non osiamo guardarci negli occhi. Anche noi apparteniamo a questa borghesia codarda che pretende appaltare alle forze dell'ordine il compito di farsi sputacchiare, pestare e ammazzare per tenerne al riparo se stessa. E non vuole nemmeno pagargli uno stipendio decente. (19 novembre 1969) *[[Alberto Moravia|Moravia]] ha fondato, insieme a [[Pier Paolo Pasolini|Pasolini]] e a [[Dacia Maraini]], un "comitato contro la repressione". È la riprova che la repressione non c'è. Se ci fosse, Moravia sarebbe coi repressori, come ha dimostrato avallando col suo silenzio la persecuzione di [[Aleksandr Isaevič Solženicyn|Solženicyn]] in Russia. (28 dicembre 1969) *Moravia si è ritirato dal comitato che lui stesso aveva fondato. Ma non per i silenzi di [[Giovanni Spadolini|Spadolini]]. Si è ritirato perché «l'Unità» ha disapprovato. Gl'italiani sono sempre pronti a fare la rivoluzione, purché i carabinieri siano d'accordo. E Moravia è sempre pronto a battersi per la libertà, purché sia d'accordo il piccì. (2 gennaio 1970) *Arrivati i rendiconti dei miei diritti d'autore: 28 milioni nell'ultimo semestre. Supero dunque i 50 milioni annui. Anche ammettendo che l'editore non ci faccia sopra punta cresta (il che mi sembra, a dir poco, improbabile), non c'è male. Credo di essere l'autore italiano che più guadagna, anche perché sono l'unico che questa cifra la guadagna ogni anno, e senz'aiuto di premi letterari. Non ne sono contento per il denaro, di cui non so che farmi e che serve solo a pagare i capricci di Colette (ne ha tanti!). Ne sono contento, anzi felice, per il mio status da autore stipendiato unicamente dal pubblico. C'è chi vive di partito. C'è chi vive di Eni. C'è chi vive di Agnelli, o di Perrone, o di Crespi. Io vivo di [[lettore|lettori]]. I lettori non m'impongono altra servitù che la sincerità: l'unica che non pesi. (3 marzo 1970) *Più che comunanza di vedute, fra [[Denis Mack Smith|Mack Smith]] e me c'è comunanza di nemici: quegl'insopportabili pedanti accademici che a Palermo lo hanno violentemente attaccato qualificandolo «il Montanelli di Oxford». Implicitamente egli accetta di far fronte con me contro di loro. Credo che facciamo entrambi un buon affare, e anche un affare buono: se riusciamo a squalificare agli occhi del pubblico la [[storiografia]] accademica (e coi nostri libri ci stiamo riuscendo), avremo reso un grosso servigio alla cultura italiana. (2 maggio 1970) *Sosta a Venezia, dopo il voto a Cortina. Visita d'obbligo a Vittorio Cini, e passeggiata con lui sulle Zattere. Vedendolo, un vecchietto sdrucito, ma dignitoso, si leva il cappello e gli tende la mano, evidentemente per mendicare. Vittorio gliel'afferra e gliela stringe con effusione dicendogli: «Caro!... Caro!... Caro!... Coma la va?» È in perfetta buona fede: la buona fede di un doge lontanissimo dalle afflizioni della miseria e perfino incapace di immaginare che ce ne siano. (8 giugno 1970) *Leggo in [[Giorgio Candeloro|Candeloro]]: «... Nel processo generale di sviluppo della Storia, il carattere dei personaggi, anche dei più grandi, ha un peso limitato...». Ah, sì? E cosa dunque se non il carattere di Alessandro, cioè la sua follia, può spiegare la conquista macedone fino all'India e la diaspora dell'ellenismo che ne deriva? L'Islam è concepibile senza il "carattere" di [[Maometto]]? E cosa divise la Riforma se non i diversi "caratteri" di [[Martin Lutero|Lutero]] e di Calvino? I nostri storici odiano i caratteri e i personaggi, perché questi richiedono immaginazione e intuito, cioè doti di scrittore, di cui essi sono disperatamente vedovi. Non sono storici. Sono soltanto degli archivisti, e molto spesso disonesti. (10 novembre 1970) *Milano è in fiamme per l'affare Feltrinelli, e [[Piero Ottone|Ottone]] mi chiede un articolo contro la [[Camilla Cederna|Cederna]], firmatario di un manifesto in cui, a due ore di distanza dal rinvenimento del cadavere e prima ancora che esso sia ufficialmente riconosciuto, proclama che Feltrinelli è rimasto vittima della «reazione internazionale». Se la Cederna avesse una testa, direi che l'ha persa. Ma perché Ottone vuole un articolo contro di lei, intima amica e direttrice di coscienza di [[Giulia Maria Crespi|Giulia Maria]], nonché regina del suo sinistrorso salotto? Comunque, a mettere una zeppa fra direttore e proprietaria, è doveroso collaborare. E faccio l'articolo in forma di "lettera a Camilla". (25 marzo 1972) *Pare che l'articolo abbia rimesso fuoco a Milano, creandovi una irreparabile frattura fra montanellisti e cedernisti. I primi sono più numerosi, ma i secondi più rumorosi. Ricevo pacchi di telegrammi di plauso e altrettanti d'insulti. Il giornale è sommerso di lettere, e io prego Ottone di pubblicare anche quelle di protesta. Ha scritto anche la Cederna annunziando una replica sull'«Espresso» (Ottone ha cancellato il titolo del settimanale, commettendo una meschineria). Quanto a Giulia Maria, mi dicono che schiuma di rabbia. Se è vero, devo riconoscere che il giornalismo qualche soddisfazione la dà. [[Umberto Eco]] mi attacca sul «manifesto» riproducendo una mia frase di ammirazione per Mussolini scritta quando avevo ventidue anni (in dieci anni di giornalismo sotto il defunto regime, non sono mai riusciti a trovare, di mio, altre prove di zelo fascista) e accusandomi di mancanza di cavalleria verso una donna. O bella! Come se una donna, quando si mette a far politica – e che politica! – come un uomo, potesse ancora accampare l'impunità! Anche la [[Maria Callas|Callas]] è una donna. Eppure, quando stona, la si fischia. (27 marzo 1972) *Ho scritto un fondo in difesa della Cederna, incriminata dal magistrato per aver diffuso notizie false e tendenziose. Che abbia commesso questo peccato, ho detto, è vero. Ma si tratta di peccato, non di reato. E a giudicarne dev'essere il lettore, non il tribunale. Verità lapalissiane. Dice che è sempre stata molto più impegnata e coraggiosa di me perché con le sue campagne in favore di Valpreda e di [[Giuseppe Pinelli|Pinelli]], tiene fronte alla polizia. Potrei incenerirla chiedendole dov'era e cosa faceva quando io ero in galera per aver tenuto fronte non alla polizia d'oggi, ma a quella fascista e nazista. Ma non ne vale la pena. (28 marzo 1972) *Più approfondisco questo tema delle regioni (sono a Milano per questo), e più mi sgomenta il doverne scrivere. Ci vuol poco a capire che questi regionalisti lombardi perseguono, consapevolmente o inconsapevolmente, un piano secessionista cisalpino. E, una volta che ne abbiano lo strumento, riusciranno a realizzarlo. Non per nulla Bassetti parla già non più di «regione lombarda», ma di «[[Padania|regione padana]]», di cui il resto d'Italia non sarebbe che un'appendice. Se ce la fanno (e ce la faranno), addio Risorgimento! Non era che una finzione, d'accordo, e in pratica ha fallito. Ma con che lo sostituiremo? (26 settembre 1972) *Volo a Lussemburgo sul solito bireattore di Berlusconi, che ci accompagna, felice di esibirsi e di esibire il suo status in una cerimonia internazionale. La medaglia d'oro (ma è proprio d'oro?) me la consegna Gaston Thorn, capo del governo lussemburghese. Berlusconi riempie il suo taccuino di indirizzi: quelli di tutte le personalità che ha incontrato. È il vero ''climber'' che approfitta di tutto e non butta via nulla. (23 maggio 1977) *Kappler è fuggito. Ha fatto bene. Ma ora chi ci salverà dai conculcati "valori della Resistenza"? (15 agosto 1977) *A colazione da [[Vittorio Cini|Cini]]. Ha avuto un brutto crollo, ma ha ancora risorse. Le tira fuori quando è in compagnia. Ma quando è solo, mi dice sua moglie, sprofonda in quei tetri silenzi che sono i colloqui di un uomo con la morte. (19 agosto 1977) *De Carolis m'informa che il vero autore della operazione «Corriere» è un certo [[Licio Gelli|Gelli]], misterioso personaggio massonico, di Arezzo (Fanfani), che vuole incontrarmi per un accordo fra i due giornali. (24 settembre 1977) *Secondo quanto mi era stato raccomandato, dovevo salire direttamente alla camera 219 dell'Excelsior. Ma alla camera 219 non c'era nessuno, e così dovetti chiedere al portiere del signor Gelli. Poi Gelli arrivò, mi condusse furtivamente nel suo appartamento e mi fece un lungo discorso pieno di allusioni, dal quale dovevo comprendere che lui è un pezzo grosso – forse il più grosso – della massoneria (Palazzo Giustiniani), che come tale era stato il vero padrino della operazione Rizzoli, e che in questa operazione potevamo rientrare anche noi. Mi ha detto che quattro ministri dell'attuale governo, otto sottosegretari e centoquaranta parlamentari dipendono da lui. Questi massoni sono tutti uguali: credono che la loro potenza sia direttamente proporzionale al mistero di cui si circondano e prendono per cose fatte quelle per le quali complottano. (4 ottobre 1977) *Da Fanfani, al Senato. È talmente infuriato che diventa perfino sincero. «Dica al suo amico che è un traditore!» «Perché non glielo dice lei?» Mi spiega che Forlani non mira alla segreteria del partito, come io credevo, ma alla presidenza del Consiglio, quando Andreotti sarà consumato. Mi dice anche che condivide l'idea di Donat-Cattin di lasciare il Quirinale a un laico. «Altrimenti fra noi democristiani ci sbraniamo e ci sbrachiamo nella corsa a chi concede di più ai comunisti.» È sincero anche stavolta, o lo dice perché, avendo perso ogni speranza per sé, vuole prepararsi un buon argomento per Maria Pia («Stavolta toccava ai laici»)? (29 ottobre 1977) *A cena da Gervaso con Cossiga. Non si lamenta dei nostri attacchi, ma sono io a dirgli: «Noi esprimiamo lo scontento, e talvolta la rabbia, della pubblica opinione. La gente vuole un ministro degl'Interni che agisca e che faccia agire la polizia». «Ma lei sa com'è ridotta la polizia?» «In qualunque modo sia ridotta, siete voi che l'avete ridotta così. E quindi sta a voi rimediare.» Mi dice che non c'è da farsi illusioni: la situazione si aggraverà. Il terrorismo è finanziato coi sequestri, ha solidi agganci internazionali, e segue una tattica ben studiata. «L'attentato a lei fu un errore. Se a essere colpite fossero le personalità di rilievo, la gente media, cioè la grande massa della popolazione, sarebbe tranquilla. Invece hanno deciso di colpire i gradi subalterni – consiglieri comunali della Dc, capireparto della Fiat eccetera – per togliere il sonno a tutti.» Forse è vero. (29 ottobre 1977) *Quattro revolverate in faccia a [[Carlo Casalegno|Casalegno]], che ora è grave. Alzano la mira. (16 novembre 1977) *«La Stampa» riporta tutti gli articoli di solidarietà per Casalegno apparsi sugli altri giornali. Ma omette il mio, ch'era forse il più caldo: la solidarietà nostra la imbarazza. (18 novembre 1977) *Casalegno è morto. Ho telegrafato alla vedova, ma non al figlio – iscritto a [[Lotta Continua|Lotta continua]] –, né a [[Arrigo Levi|Levi]] e ai colleghi della «Stampa». Purtroppo, la loro faziosità condiziona la nostra solidarietà. Al funerale andrà Biazzi. (29 novembre 1977) *Incontro risolutivo a Roma tra Ferrauto e quelli della Sipra. Affare fatto e a condizioni molto più favorevoli di quelle sperate. Sei miliardi e settecento milioni come minimo annuo garantito, per cinque anni. Firmeremo il compromesso martedì 16. (10 maggio 1978) *Vista in tv la cerimonia funebre per Moro in San Giovanni Laterano. Dentro la basilica, tutti i dignitari Dc e quelli Pci inginocchiati sotto la mano benedicente del papa. E, fuori, la piazza sventolante di bandiere bianche e rosse. Non ho potuto fare a meno di rilevarlo in un "Controcorrente". (13 maggio 1978) *Batosta comunista alle amministrative parziali di ieri (4.000.000 di elettori). La Dc sale dal 38 al 42 per cento, il Pci scende dal 35 al 26. Successo dei socialisti che guadagnano il 4 per cento. Un risultato sconvolgente (in positivo). Uniche delusioni: il guadagno – sia pur minimo – del Pri, e la mancata rianimazione del Pli. (15 maggio 1978) *Firmato oggi l'accordo con la Sipra. Minimo garantito: 6.800.000.000 all'anno per cinque anni. Il presidente, D'Amico, è un ex operaio della Fiat, ora deputato comunista: un uomo concreto, franco, di poche parole. Era più soddisfatto lui dell'accordo con noi, che il direttore generale, il democristiano Pasquarelli. Io ho fatto la mia parte, da buon attore. Arrivato all'ultimo momento, ho detto: «Per impedire ripensamenti ed equivoci, trasformiamo il compromesso in vero e proprio contratto, e firmiamo subito». Lo champagne era già pronto. (16 maggio 1978) ==''I protagonisti''== *Nel settembre di quell'anno {{NDR|1956}} il partito lo spedì {{NDR|[[Gian Carlo Pajetta]]}} a Mosca insieme a Pellegrini e a [[Celeste Negarville|Negarville]] per sentire direttamente da [[Nikita Sergeevič Chruščёv|Kruscev]] come ci si doveva comportare nella crisi, ormai aperta, dell'antistalinismo. Kruscev li accolse affabilmente, li invitò a cena. E qui, trascinato da bocconi e libagioni ad una espansiva euforia come spesso gli capita, a un certo punto disse: «Beh, ora vi voglio raccontare come strangolammo [[Lavrentij Pavlovič Berija|Beria]]». E descrisse l'agguato che gli avevano teso al Cremlino, come gli erano saltati addosso e come gli avevano serrato la gola con le mani fino alla soffocazione. Lo descrisse ridendo allegramente, forse senz'accorgersi del pallore che soffondeva il volto dei suoi ospiti, o per lo meno quelli di Pajetta e di Negarville.<br />L'indomani li convocò nuovamente e, come non ricordando affatto ciò che gli aveva raccontato la sera prima, disse loro in tono solenne: «Beh, ora vi farò sentire il processo di Beria registrato sul nastro». E glielo fece sentire davvero come lo avevano inventato ''post mortem'', con la voce del defunto falsificata.<br />Quando si ritrovarono fra loro, Negarville e Pajetta si guardarono con gli occhi pieni di lacrime. «Ma allora – dissero –. Ma allora...». E non aggiunsero altro. (pp. 66-67) *{{NDR|Su [[Anna Magnani]]}} Ci sarebbe da scrivere un trattato sul modo di usare Anna. La prima precauzione da prendere è quella di non farla ritrovare in mezzo a estranei. Timida com'è, pur dopo un'esistenza trascorsa sotto i ''flashes'', la gente la raggela e la chiude in un mutismo ostile o l'aizza ad atteggiamenti protervi. Delle poche persone che le ho presentato, l'unica che la sedusse immediatamente fu il mio collega [[Augusto Guerriero]], perché il discorso cadde sui cani e sui gatti: e questo è un argomento su cui il cuore di Anna si scioglie e la mente le si ottenebra. Si mise in testa che noi due, con un articolo, potevamo far riformare la legge sulla protezione degli animali. E invano cercammo di dimostrarle che il problema non era di leggi, ma di costume. Non sentì ragioni. Dovemmo prometterle l'articolo (che poi infatti scrivemmo). (pp. 177-178) *{{NDR|Su [[Ignazio Silone]]}} Leggendo i suoi primi romanzi, ''Fontamara'', ''Pane e vino'', ''Il seme sotto la neve'', e pur ammirandoli, ero caduto in abbaglio sull'autore. Lo avevo preso per uno di quegl'industriali dell'antifascismo che, riparati all'estero, avevano trovato nella universale avversione alla dittatura una comoda scorciatoia al successo dei libri di denunzia. Lo consideravo insomma un profittatore del regime a rovescio (come del resto ce ne sono stati). E una conferma mi era parso di vederla nel fatto che finito, col fascismo, l'antifascismo, parve finito anche il narratore Silone.<br />Poi vennero ''Una manciata di more'', ''Il segreto di Luca'', ''La volpe e le camelie''. Ma vennero soprattutto alcuni saggi politici che mi costrinsero a ricredermi. Ed era proprio questo che non riuscivo a perdonargli. Mi era antipatico non per i suoi, ma per i miei errori. Più lo conoscevo attraverso i suoi scritti, e più dovevo constatare che non solo egli non somiglia affatto al personaggio che m'ero immaginato, ma che anzi ne rappresenta la flagrante contraddizione. (pp. 180-181) *{{NDR|Su ''[[Ignazio Silone#Uscita di sicurezza|Uscita di sicurezza]]''}} Come documento umano, non ne conosco di più alti, nobili e appassionati. Fenomeno unico, o quasi unico, fra gli sconsacrati del comunismo che di solito non superano mai più il trauma e trascorrono il resto della loro vita a ritorcere l'anatema, Silone non recrimina. Egli rifiuta i grintosi e uggiosi atteggiamenti del moralista, o meglio ne è incapace. Domenicano con se stesso, è francescano con gli altri, e quindi restio a coinvolgerli nella propria autocritica. Cerca di metterne al riparo persino [[Palmiro Togliatti|Togliatti]]; e se non ci riesce che in parte, non è certo colpa sua. Qui non c'è che un accusato: Silone. E non c'è che un giudice: la sua coscienza. (pp. 186-187) *Noi crediamo di scoprire dei modelli. In realtà non scopriamo che degli antenati. [[Carlo Cassola|Cassola]] s'illude di aver imparato da [[James Joyce|Joyce]] quello che già sapeva. Joyce gli avrà fornito, al massimo, qualche mezzo tecnico per esprimerlo. Uno [[scrittore]] vero (e Cassola lo è) non cerca in un altro scrittore che se stesso. (p. 207) *{{NDR|Su [[Enrico Mattei]]}} Egli amava solo il [[potere]], e l'amore del potere esclude tutti gli altri. (p. 265) *{{NDR|Su [[Giulio Andreotti]]}} Andava anche, mi dicono, a messa insieme a lui {{NDR|[[Alcide De Gasperi|De Gasperi]]}}, e tutti credevano che facessero la stessa cosa. Ma non era così. In chiesa, De Gasperi parlava con Dio; Andreotti col prete. Era una divisione di compiti perfetta. (pp. 271-272) ==''Indro al Giro''== ===[[Incipit]]=== Il destino è stampato sulla carta d'identità e scritto nelle stelle. Indro Montanelli nasce il 22 aprile 1909, il primo Giro d'Italia prende il via il 13 maggio 1909. Stesso anno, stesso segno zodiacale: Toro. Potevano, queste due creature quasi gemelle, non percorrere un tratto di strada insieme? Potevano ignorarsi? ===Citazioni=== *Come i bersaglieri quando smettono di correre, così i ciclisti, quando cessano di pedalare ingrassano. *Il [[Giro d'Italia]] parla milanese, anche se poi, a vincerlo, è qualche toscano o qualche romagnolo. *I corridori sono come [[Anteo]]: il contatto con la loro terra gli dà forza. *Ma sapete voi con precisione che cosa sia una fuga, lo sapete? Non lo sapevo nemmeno io prima di vederla. Credevo che fosse l'uomo che, a un certo punto, si mette a pedalare più forte degli altri e li semina per via. Errattissima nozione. La fuga è invece un grande urlo e un gesto disperato che mettono d'improvviso in confusione tutta la carovana del Giro. *Quello della bicicletta è un mondo buono: e credo sinceramente che venga da questa bontà il fascino ch'esso esercita sulle folle. *Lasciatelo com'è questo Giro provinciale e festoso: lo sport di un popolo che, nella corsa verso il progresso meccanico, è rimasto alla bicicletta, tappa intermedia fra il cavallo e l'automobile, ritrovato artigiano e arnese di famiglia. *Se Parigi avesse il mare sarebbe una piccola Bari, ma non saprebbe accogliere i forestieri con tanto calore e sportiva cordialità. *Leoni, che oltre a tutto è un bellissimo ragazzo, ha una fidanzata la quale gli scrive raccomandandogli di non vincere, altrimenti troppe ragazze lo abbracciano porgendogli i fiori. Leoni è innamoratissimo della sua fidanzata ma non è certo per obbedire a lei che non vince. È solo per obbedire a [[Fausto Coppi|Coppi]] e restargli a fianco. *Gli assi possono permettersi di arrivare ultimi. E lo fanno senza risparmio. Possono permettersi di disprezzare i loro adoratori e lo fanno senza ritegno. L'adorazione rimane. *I corridori di bicicletta sono gente semplice, che non è mai stata in collegio. [...] Nessuno ha insegnato loro i dettami dello stile e della cavalleria. Li posseggono per natura. Difficilmente essi cercano di sminuire la vittoria dell'avversario e non gliene serbano rancore. Sono capaci di delicatezze che non credo esistano negli altri sport. *I corridori non si dovrebbero sposare; e, quando lo fanno, dovrebbero scegliere delle donne brutte. *È la specialità dei padri quella di sognare per i figli i trofei che loro non convengono, ed è la specialità dei figli quella di procurarsi trofei che ai loro padri non piacciono. ==''Le nuove Stanze''== *Ribadisco la mia avversione alla pena di morte. Ma non me la sento d'impartire lezioni a chi tuttora la pratica. Non mi pare che, con la Giustizia che ci troviamo in casa, noi italiani possiamo impartire lezioni agli altri. (p. 46) *Toglietevi la parrucca, cari storici italiani. E invece di continuare a parlarvi tra voi, parlate, andando incontro alle sue curiosità, alla gente comune, quella che ha più bisogno del vostro sapere, e che sa benissimo distinguere il volgare pettegolezzo dall'aneddoto illuminante, di cui gli storici stranieri, soprattutto inglesi, compreso [[Denis Mack Smith|Mack Smith]], sanno fare buono e largo uso. (p. 81) *Io non sono piemontese né savoiardo, e la tradizione della mia famiglia è, caso mai, repubblicana. Ma la verità sono abituato a rispettarla, e non ad accomodarmela secondo i miei gusti e pregiudizi. Nel '46 votai monarchico non perché ero amico di Umberto e di Maria José, che sarebbero stati un Re e una Regina esemplari. Ma perché capivo ch'essi rappresentavano l'unico filo che ci legava all'unica nostra tradizione nazionale: il Risorgimento. La rigiri come vuole [...] ma la verità è questa: che senza Risorgimento non esiste una Storia nazionale italiana, e senza i Savoia non esiste Risorgimento. Ecco perché io dico e ripeto che la Repubblica italiana può tenere i Savoia [...] fuori dal territorio italiano. Ma chi tenta di estrometterli dalla Storia d'Italia, se non è un analfabeta è certamente un falsario. (pp. 112-113) *{{NDR|[[Luigi Cadorna]]}} Fu un generale di grande e inflessibile carattere, ma non un grande stratega. La sua fu dal primo all'ultimo giorno una guerra «di posizione», e quindi di logoramento, muro contro muro. Una «manovra» non la tentò mai, anzi non la concepì nemmeno. Stava [...] al «Regolamento», secondo il quale «le battaglie si vincono sulle cime». Sicché quando arrivò un battaglione tedesco al comando di un giovane capitano di nome Rommel che [...] s'insinuò nottetempo nelle valli, tutto il nostro schieramento ne venne preso alle spalle, e si liquefece, consentendo a Rommel di arrivare fino al Piave, dove si fermò: non per la resistenza dei nostri [...] ma per la mancanza di rifornimenti e di munizioni, che non avevano fatto in tempo a seguirlo. (pp. 118-119). *Quanto alla somiglianza fra noi e gli spagnoli, sì, c'è. Io, in Spagna, mi sento come a casa mia. Una sola cosa ci trovo in più: una dimestichezza con la morte che dà ai valori della Vita (la Dignità, il Coraggio, l'Onore) un peso ben diverso da quello che hanno da noi. E glielo invidio tanto. (p. 157) *Quanto alla sua supposizione che, se non ci fossero stati i russi, gli Alleati non avrebbero potuto sbarcare in Normandia e salvare i loro regimi democratici, mi permetta di sorriderne. Hitler perse la [[Seconda guerra mondiale|guerra]] prima ancora di dichiararla, quando scatenò la persecuzione razziale, che mise il mondo di fronte alla pretesa della sua «razza eletta» al dominio del pianeta e costrinse alla fuga il fior fiore della Scienza ebraica, che diede all'America la bomba atomica, la quale avrebbe reso superfluo anche lo sbarco in Normandia. (pp. 177-178) *In [[Alessandro Pavolini|Pavolini]] [...] è riassunto il dramma di una generazione che nel fascismo era cresciuta [...] e si sentiva impegnata a crederci anche in quell'ultima disperata fase. In lui ritrovo un po' di quel [[Berto Ricci]] [...] che, partendo volontario per la Libia, mi disse: «Una volta, nella vita, ci si può convertire. Io già lo feci rinnegando, per il fascismo, il mio passato di anarchico. Ora col fascismo devo morire». E morì. (p. 192) *Come lei certamente sa, furono i russi a giungere per primi sul famoso bunker di Berlino, fra le cui macerie si diedero subito a cercare il cadavere del Fuhrer, e lo trovarono, ma quasi completamente carbonizzato (egli aveva lasciato ai suoi l'ordine di bruciarlo con una tanica di benzina). D'intatto era rimasto solo il teschio con la sua dentatura costellata di ponti e protesi. Immediatamente fu ricercato e trascinato sul posto l'odontoiatra che glieli aveva sistemati. Dapprima gli fu chiesto in cosa erano consistiti i suoi interventi. Poi vi fu messo davanti, e lui li riconobbe senza esitazioni. Quel giorno il poveretto non tornò a casa. Dopo alcuni anni si seppe che esercitava il suo mestiere in non so quale città di provincia russa, ma sotto stretto controllo della polizia. Dopo qualche altro anno poté tornare in Germania, ma in [[Repubblica Democratica Tedesca|quella comunista]], sotto il controllo di una polizia ancora più efficiente di quella sovietica, e lì morì, non so quando. Perché i sovietici vollero sempre mantenere quel segreto? Perché alla loro propaganda [...] faceva comodo accreditare la favola di un Hitler salvato dagli americani, che lo tenevano sotto naftalina in qualche loro dorato ripostiglio per poterlo un giorno utilizzare in una nuova guerra contro la Russia. (pp. 257-258) *Da anticomunista, oserei dire «storico» quale mi considero, io sono pieno di rispetto sia per i Nagy nostrani quali i D'Alema e i Veltroni, che per i Kádár, quali i Cossutta e i Diliberto. Non so se come classe dirigente siano il meglio. Ma come sincerità di conversione democratica, ci credo (come credo, intendiamoci, a quella di un Fini, anche se viene da un passato molto meno intenso, drammatico e dilacerante di quello comunista). (p. 306) *{{NDR|A [[Mario Tuti]]}} Ho ben presente [...] il suo nome e il suo volto, e le azioni terribili che lei ha compiuto. [...] Da come scrive [...], lei è in grado di capire [...] quello che dico. È vero che «sul nemico vinto non si infierisce»: ma il sangue non si cancella con la gomma delle parole. Solo le vittime possono concedere il perdono; e io non sono stato, fortunatamente, davanti al mirino della sua pistola. Solo la giustizia può concedere sconti: e io non sono un magistrato. Non ho invece difficoltà a condividere una sua osservazione: alcuni disgraziati [...] sono più disgraziati di altri. E [...] i disgraziati di destra se la passano peggio dei disgraziati di sinistra, che hanno di solito qualche amico di gioventù ben piazzato, in grado di dare una mano. Ma il perdonismo peloso di alcuni non può giustificare la distrazione di tutti. (p. 322) *[[Yasser Arafat|Arafat]] non ha mai avuto né uno Stato, né un esercito, né un titolo che lo qualificassero a parlare a nome del suo popolo. Erano il carisma, l'autorità, il prestigio suoi personali che gli permettevano di svolgere questo compito. Ma questo dipendeva dal fatto che il suo popolo glieli riconosce in quanto si sente da lui «rappresentato». [...] Io sono e mi sento profondamente filo-israeliano perché negli ebrei riconosco i miei fratelli e in molte cose anche i miei maestri (anche se non sempre facili). Ma appunto per questo apprezzo ed ammiro gli Hussein, i Sadat e gli Arafat. Ai quali si possono anche rimproverare degli errori nella conduzione della loro politica. Ma non certo le intenzioni e il coraggio. Arafat è brutto [...] e non so come facciano i suoi amici (e i suoi nemici) [...] a ricambiarne i baci. Ma di quelli suoi credo proprio che ci si possa fidare. Che Dio, anzi Allah, ce lo mantenga ancora per molti anni. (pp. 387-389) *Come veterano del ''Corriere'' e un po' depositario della tradizione di una certa civiltà nei rapporti fra i suoi uomini, io rimasi offeso non dal licenziamento di Spadolini [...] ma dall'insolito modo – che io definii appunto «guatemalteco» – in cui era stato trattato e da cui trapelava la mano di un [[Giulia Maria Crespi|editore]] che, anche se portava il nome di quello vecchio [...], intendeva introdurre nuove regole nella gestione del giornale, di cui era praticamente diventata [...] la titolare. E lo dissi, e lo scrissi, e lo ripetei in varie interviste. Forse tuttavia questo strappo si sarebbe potuto rammendare se il cambiamento del direttore non avesse comportato anche un cambiamento di linea politica che saltava agli occhi di chiunque non volesse tenerli chiusi. [...] Quando dal ''Giornale'' uscii per ragioni abbastanza analoghe a quelle che mi avevano spinto fuori da via Solferino, il primo a venirmi incontro fu il direttore del ''Corriere'', Paolo Mieli, che [...] mi offrì il suo posto: un gesto che non dimenticherò mai. Avrei potuto [...] accettarlo solo a titolo onorario. Ma non potevo abbandonare gli uomini che ancora una volta mi avevano seguito. Da quel momento però fu chiaro che il ''Corriere'' era ridiventato quello che noi, vent'anni prima, avremmo voluto che restasse. Ecco perché, al termine delle mie battaglie e delle mie sconfitte (che considero il mio blasone), sono tornato al ''Corriere''. (pp. 406-408) *I politici della Sinistra, compresi i componenti dell'attuale «squadra» governativa sono dieci, venti, cento volte meglio della loro ''intellighenzia''. Anche se dicono fregnacce, le dicono a bassa voce, senza salire in cattedra, di dove l'''intellighenzia'' invece non scende mai, nemmeno per andare in bagno. (pp. 477-478) *Spero che ora avrai capito cos'è la mia dichiarazione di voto: non un sì all'Ulivo, da cui spero poco, ma in compenso non temo niente; ma il no a un Polo che, se riportasse davvero la schiacciante vittoria che si aspetta il suo ''Caudillo'', potrebbe creare nel nostro Paese una situazione davvero inquietante. Un voto di difesa sarà dunque il mio, come lo è sempre stato da oltre cinquant'anni a questa parte. (p. 496) *Sappi soltanto che, passato per una ventina di anni – quelli del ''Giornale'' – per «fascista» e negli ultimi dieci per «comunista», me la rido di entrambe le etichette. (p. 536) ==''Le Stanze''== ===[[Incipit]]=== Di tutta la mia attività giornalistica [...] considero questi colloqui col lettore come l'impegno che mi è riuscito meglio, o meno peggio. Se qualcuno mi chiedesse: «Cosa vorresti che, dopo di te, di te rimanesse?», risponderei senza esitare: «Questi colloqui». Mi rendo conto che un'affermazione del genere può apparire demagogica: in fondo, perché dovrei preferire queste risposte quotidiane [...] alla ''Storia d'Italia'' o agli ''Incontri''? È presto detto: perché, grazie a lettere e risposte, ho potuto restare vicino ai miei lettori, che mi hanno ricordato – con più o meno garbo, ma sempre con affetto – quello che un giornalista non deve mai scordare: che i padroni sono loro. ===Citazioni=== *Io non ho mai conosciuto un conservatore inglese che abbia mosso a Churchill il rimprovero di essersi alleato con Stalin – altro che il naso dovette strizzarsi! – quando le armate di Hitler spazzavano tutta l'Europa. Ma trovo ancora degl'italiani [...] che danno la colpa a me dello stato di necessità in cui ci trovammo nel '48 e nel '76 e che rendeva obbligata la nostra scelta. Oggi che il muro di Berlino ci ha liberato dall'incubo del comunismo [...], è facile fare processi a chi non aveva in mano altra arma elettorale che il voto alla Dc. Ed una cosa mi chiedo: tutti questi intransigenti eroi dell'anticomunismo, che oggi mi scrivono lettere d'insulti accusandomi di averlo tradito, dov'erano al tempo del comunismo vero, quando io ero uno dei pochissimi a combatterlo di fronte [...], e loro, incontrandomi per strada, fingevano di non conoscermi? (p. 12) *Hiroshima, se fossi americano, non porrebbe [...] nessun caso di coscienza. L'arma atomica era in fase di studio e di preparazione sia in Germania che in America, e si poteva supporre che lo fosse anche in Russia e in Giappone. Avrebbe vinto la guerra e deciso le sorti del mondo chi ci fosse arrivato per primo. Hiroshima fece della popolazione civile, dicono, duecentocinquantamila vittime. Quante ne risparmiò inducendo alla resa i giapponesi che sembravano vicini all'olocausto? E quanto servì a smorzare la pretesa sovietica d'imporre il suo «diktat» a tutta l'Europa? [...] Essa a tal punto sorprese Stalin che dapprincipio non ci volle credere [...]. Nessuno può applaudire un massacro come quello di Hiroshima né andarne fiero. E posso capire come coloro che vi hanno partecipato dandone l'ordine o eseguendolo possano aver avuto dei problemi di coscienza. Ma gli aviatori inglesi che rasero al suolo l'inerme Dresda abitata solo da civili, facendo tra di loro pressappoco lo stesso numero di vittime che a Hiroshima, questi problemi, da quanto se ne sa, non li ebbero. Forse che la guerra all'atomo è più crudele di quella al fosforo? (p. 62) *De Gasperi non fu mai uomo di partito. E fu proprio per questo che riuscirono ad emarginarlo con tanta facilità, relegandolo in una Presidenza grondante omaggi ed ex voto, ma priva di qualunque potere reale. È vero che lui non lottò, anche perché era ormai a corto di fiato. Glielo toglieva non solo l'azotemia, ma anche il fallimento della Ced, la Comunità Europea di Difesa su cui De Gasperi fondava [...] i suoi sogni di salvezza e di grandezza europea, che i francesi di Mendès-France condannarono al naufragio. [...] De Gasperi era uomo di Stato, l'ultimo che l'Italia ha avuto dopo Giolitti. Ecco perché [...] non ha né può avere eredi. (p. 86) *{{NDR|[[Che Guevara]]}} Era uomo di Rivoluzione, che mai si sarebbe rassegnato ad una comoda esistenza di ben pasciuto gerarca. Doveva tornare alla Rivoluzione, pur consapevole della sua impossibilità in Paesi che lui ben conosceva, ma appunto proprio per questo: per cercare una morte coerente con la sua vita. [...] Avessi trenta o quarant'anni di meno, anch'io forse avrei nel mio modesto appartamento una stanza attrezzata a mausoleo del Che, e lo conserverei come souvenir di un Sogno sbagliato, ma pulito, e comunque pagato. È a coloro che non vogliono mai pagare nulla che va tutto il mio disprezzo. (p. 121) *Non mi stupirei [...] se il ragazzotto Clinton, nei suoi anni da governatore, avesse ingannato la noia dell'Arkansas inseguendo le minigonne di passaggio. [...] Il paragone con Berlusconi mi sembra un po' stiracchiato. Se Clinton venisse trovato colpevole, sapremmo che è un adultero (affari suoi); se Berlusconi venisse condannato, sapremmo che è un corruttore non occasionale (affari anche nostri, dal momento che s'atteggia a statista). (p. 154) *Mi permetto solo di aggiungervi qualcosa sull'imbecillità, l'ipocrisia e i vaniloqui delle nostre «anime belle» pronte a cadere in deliquio e a mobilitare le piazze per un O'Dell che, anche se qualche tenue dubbio sulla sua colpevolezza poteva sussistere, uno stinco di santo certamente non era, e per una Karla Tucker, rea confessa, anche se poi arcipentita e sinceramente convertita al credo della carità cristiana (e, sia chiaro, anch'io avrei per entrambi preferito la revoca della pena di morte); ma sono rimaste impassibili o quasi di fronte alla proposta condanna di lapidazione (di lapidazione!) di un cittadino tedesco e della sua compagna iraniana, rei di aver fatto l'amore (soltanto l'amore). Queste sono le nostre «anime belle» laiche ed ecclesiastiche, pronte a commuoversi e a sproloquiare contro la sedia elettrica americana [...], ma indifferenti alla lapidazione [...] per una «contaminazione» di lenzuola cristiane e musulmane. Io [...] queste anime belle – che oltre tutto hanno quasi sempre delle facce bruttissime e jettatorie – le odio di un odio viscerale. (p. 206) *Sul nemico vinto e che si riconosce vinto non s'infierisce. In fondo questi brigatisti hanno avuto, nella sconfitta, una loro dignità. Non sono dei «pentiti» al modo dei mafiosi e camorristi che si pentono per procurarsi dei vantaggi e denunziano i propri ex compari. Non sono dei delatori. Sono, a loro modo, dei prigionieri di guerra, di una guerra grazie a Dio finita con la nostra vittoria, e che quindi, sia pure con le debite precauzioni, possiamo rimandare a casa. Non è vero che non hanno pagato: me ne citi uno che non abbia scontato quindici o vent'anni di galera e che non ne abbia distrutta la vita. Qualche sconto possiamo farglielo: la generosità è segno di forza, non di debolezza. (pp. 283-284) *In una società «aperta» come la nostra, che rende impossibile qualsiasi controllo e in cui il sequestro è un'industria di antica tradizione che dispone di un personale altamente specializzato; e con una Giustizia che invece di affibbiare un ergastolo senza indulgenza ai colpevoli, si accontenta di infliggergli qualche anno alleviato dai permessi di libera uscita; cosa possono fare le forze dell'ordine? Starebbe a noi cittadini trovare quella di resistere al ricatto. Da noi italiani tenerelli non si può pretendere tanto? E sia. Ma allora abroghiamo la legge. Perché, come italiano, nulla mi ha mortificato di più che sentire [...] [[Giovanni Maria Flick|un ministro della Giustizia]] e alcuni dei più alti dignitari della toga proporne un'interpretazione che costituiva un chiaro invito a evaderla suggerendo il cavillo a cui ci si poteva aggrappare per legalizzare la contravvenzione. [...] No, a questo non ci sto. Cerchiamo almeno di avere il coraggio della nostra vigliaccheria riconoscendo che, dati i pericoli che possono comportare, i risoluti «No!» al sopruso non appartengono al nostro armamentario caratteriale, e aboliamo la legge. Ma non perché è sbagliata: in sé quella legge è sacrosanta. Ma perché noi cittadini non abbiamo la forza di adeguarcisi e coloro che dovrebbero imporcerne l'osservanza [...] ci suggeriscono il modo di evaderla. Questo è il cosiddetto «Paese reale». (p. 286) *Che un processo possa essere oggetto di revisione è, per il cittadino, una garanzia irrinunciabile, specie quando si tratta di processi indiziari, e quindi rimessi a valutazioni soggettive e pertanto sempre discutibili. Nessuno è infallibile, nemmeno i giudici, e quindi il diritto di appello è sacrosanto. Quello che sacrosanto non è, sono gl'interminabili tempi che questa operazione solitamente richiede, dovuti a due motivi chiaramente visibili: i grovigli procedurali in cui il processo è avvolto, delizia del genio cavillesco italiano, e l'inefficienza del personale che vi è addetto. (p. 327) *Che cosa io pensi dell'onorevole [[Cesare Previti|Previti]] mi pare di averlo detto in termini talmente espliciti da apparire – a più d'uno – brutali: un personaggio che solo a guardarlo in faccia verrebbe voglia di applicargli le manette ai polsi prima ancora di sapere chi è e cosa ha fatto. (p. 356) *Non credo che, all'apertura totale delle frontiere, avremo un Parma composto soltanto di irlandesi, o una Cremonese modello ellenico. Avremo invece un vero mercato, dove il costo e lo stipendio di un professionista verranno stabiliti in base alla domanda e all'offerta. È questo ridimensionamento, mi sa, che non piace ai calciatori nostrani. Non la «sottoutilizzazione delle risorse sportive nazionali e locali». Non penso che i nostri calciatori abbiano altri motivi di preoccuparsi. Perché mai dovrebbero venire accantonati? Sono tra i più bravi del mondo, e la bravura, per un professionista (che calci una palla o calchi una scena), è la garanzia migliore. (p. 379) *Le mie dimissioni da italiano sono soltanto quelle da una grande illusione: quella che l'Italia fosse una Patria da potere in qualche modo servire. Io, pur commettendo parecchi errori, ho cercato di farlo. Ma forse, di questi errori, il più grosso è stato quello di credere che fare si potesse. A consolarmene c'è una cosa sola: che questo errore lo hanno commesso tutti i migliori uomini che l'Italia ha avuto nel suo secolo e mezzo di vita unitaria. (pp. 410-411) ==''Pantheon minore''== ===[[Incipit]]=== '''Einaudi'''<br>Avendo saputo che sollecitavo l'onore e il piacere di incontrarlo, il Presidente, che non mi aveva mai visto, trovò del tutto naturale invitarmi a colazione. «Quando vuol venire?» mi fece chiedere, «giovedì mattina, per esempio?» Giovedì voglio stappare una nuova bottiglia del mio 'barolo' e ci sarà anche la signorina Barbara Ward dell{{'}}''Economist''. Vino piemontese, giornalismo ed economia politica, pensa: sarebbe difficile sorprendere [[Luigi Einaudi|Einaudi]] in una cornice più einaudiana di questa. ===Citazioni=== *{{NDR|Luigi Einaudi}} E in quei pochi minuti aveva ancora tante cose da dire a due giornalisti per ricordare loro, [[Alessandro Manzoni|manzonianamente]], che l'[[uomo]] è «buono», come dice [[Jean-Jacques Rousseau|Rousseau]], ma tale può diventare solo in grazia delle buone istituzioni (in ciò consiste la sua posizione conservatrice e cattolicamente pessimistica). *[[Ingrid Bergman]] è forse la sola persona al mondo che non consideri Ingrid Bergman un'attrice completamente riuscita e definitivamente arrivata. (p. 195) *Non ho mai visto in vita mia, nemmeno nei film di cui la Bergman è protagonista, una donna così trasparentemente pulita. (p. 195) *Ogni buon [[padre]] di [[famiglia]] deve, al principio della giornata, sapere quanto la famiglia ha in cassa e quanto può spendere.<br>Einaudi conosce a memoria le cifre dell'economia italiana, come i re che lo precedettero conoscevano a memoria i nomi e i motti dei reggimenti. *«''Venez, mademoiselle, venez''», disse [[Anatole France]] a [[Emma Gramatica]] che, poco più che ventenne, si trovò un giorno a viaggiare con lui in automobile a Palermo, e aveva paura di essere troppo ingombrante sul sedile. «''Vous êtes comme les anges, qui n'ont pas de derrière!''»<br>Qualcosa come mezzo secolo dev'esser trascorso da allora, ed Emma somiglia un po' meno a un angelo, ma grassa non la si può dire nemmeno adesso. La vita che mena, d'altronde, non lo consentirebbe di diventarlo. Alla sua età, ha girato per tre anni consecutivi, tutti i teatri dell'America del Sud, volando da Buenos Aires a Santiago, da Santiago a Lima, da Lima a Caracas, e recitando una sera in italiano e la sera dopo in spagnolo, lingua che, sino al momento di partire, ignorava totalmente. Ora è tornata per girare un film con [[Vittorio De Sica|De Sica]], e sono fatiche a cui molti giovani non resistono. *Il [[fascismo]] trovò, tra i suoi oppositori più accaniti, [[Mario Missiroli]], che si batté a duello con [[Benito Mussolini|Mussolini]]. Egli non credette alla [[forza]] e al successo delle «camicie nere» fino al [[giorno]] in cui, mentre cercava faticosamente di salire sul tram, uno squadrista che lo incalzava, dopo avergli inflitto una serie di spintoni, non gli ebbe affibbiato, in risposta alle sue proteste, due sonori schiaffi che gli fecero volar via gli occhiali cerchiati d'[[oro]]. Mario li raccolse con [[dignità]], vi fiatò sopra, li ripulì col fazzoletto e concluse in tono ammirativo: «Però!... Picchiano bene, veh!...» ==''Qui non riposano''== *{{NDR|Sulla [[guerra d'Etiopia]]}} Quella fu una guerra ideale, la guerra-tipo della borghesia italiana: con pochi morti e molte medaglie. Io presi a capirne la miseria solo all'ultimo capitolo: quando, per la marcia su Addis Abeba, cominciarono a piovere dall'Italia e da Asmara gerarchi e aspiranti gerarchi, smaniosi di gloria a buon mercato: e Badoglio dovette emanare un ordine per cui solo chi presentava "un biglietto di autorizzazione" poteva marciare sulla capitale nemica. Solo in tempo fascista si poteva escogitare un finale di guerra con un biglietto per la capitale nemica. (pp. 107-108) *Io non volevo far politica. Ha il diritto un uomo della strada di non far politica? Ha il diritto un uomo della strada a dire che il governo ha fatto bene a far questo e male a far quest'altro? Ha diritto un giornalista, che è un uomo della strada, il quale va a vedere e riferire le cose per conto degli altri uomini della strada, ha il diritto di riferire che i fatti si svolsero così e così, e che in essi c'era tanto il bello e tanto il brutto, tanto di giusto e tanto d'ingiusto? No, il [[fascismo]] disse che un uomo della strada non ha tutti questi diritti. Ecco perché diventai antifascista. Non perché al posto di [[Benito Mussolini|Mussolini]] ci volevo un altro, ma perché non ci volevo nessuno. Io volevo stare alla finestra, come stanno i giornalisti, mestiere di spettatore e non di attore.<ref>Citato in Paolo Granzotto, ''Indro Montanelli'', p. 92.</ref> (p. 189) *[...] volevo avere il diritto di non pensare alla [[politica]], di disinteressarmi della politica, perché la politica la gente dabbene non la fa. La gente dabbene lavora in ufficio, viaggia, commercia, produce, ama una donna che può anche essere sua moglie (come è il mio caso), ama i suoi figli, ama la sua casa, paga le tasse, e di politica ne parla un quarto d'ora al giorno. (p. 190) == ''Ricordi sott'odio'' == *''Non piangete | per | [[Cesare Zavattini]] | ha già pianto | lui per tutti noi.''<ref name=ricordi>Il libro raccoglie gli "epitaffi" scritti su personaggi al momento viventi (talvolta insieme a [[Leo Longanesi]]) e quasi tutti inediti.</ref> (p. IV dell'Introduzione di Marcello Staglieno) *''Qui | per la prima volta | [[Alida Valli]] | giace | sola''.<ref name=ricordi/> (p. 11) *''Qui | riposa | [[Amintore Fanfani]] | amico | dei nemici | nemico | degli amici | figlio | di [[Alcide De Gasperi|De Gasperi]] | padre | di nessuno.''<ref name=ricordi/> (p. 31) *''Qui | riposa | [[Mario Melloni]] | inquieto | transfugo | di sé stesso | momentaneamente | scomparso | a sinistra | in cerca | di una croce | su cui | inchiodarsi.''<ref name=ricordi/> (p. 65) *''Qui giace | Alba {{ndr|[[Alba de Céspedes]]}} | scrittrice scialba. | Divorò uomini e gloria | La Boria | la divorò''.<ref name=ricordi/> (p. 95) *''Qui | riposa | [[Mario Soldati]] | padre | figlio | autore | regista | interprete | di | Mario Soldati.''<ref name=ricordi/> (p. 123) *''Qui giace | [[Davide Lajolo]] | Segretario federale | Legionario di Spagna | Repubblichino di Salò | chiese | di passare all'anilina | la sua camicia nera. | E com'era | Rimase.''<ref name=ricordi/> (p. 179) *''In pace | qui giace | orbato | d'orbace | [[Achille Starace]].''<ref name=ricordi/> (p. 181) ==''Soltanto un giornalista''== *Da quando ho cominciato a pensare, ho pensato che sarei stato un giornalista. Non è stata una scelta. Non ho deciso nulla. Il giornalismo ha deciso per me. E questa è stata una delle mie tante fortune, posto che tutto quel che ho fatto lo debbo soprattutto a un alleato ch'è sempre rimasto al mio fianco: il caso. (p. 5) *Per sua disgrazia, [[Massimo Bontempelli|Bontempelli]] fu nominato accademico d'Italia da un fascismo che puzzava già di morto. Eletto senatore nelle liste del Fronte popolare dopo la guerra, non esitò a pronunziare giudizi brucianti su chi aveva collaborato col regime. Quel voltafaccia gli costò caro, perché a un certo punto saltarono fuori le lettere che aveva scritto a Mussolini per impetrare la sua nomina: i comunisti lo scaricarono e lui cadde in un tale stato di prostrazione da morirne. (p. 26) *A Salò ci fu di tutto. Ci furono le squadracce assetate di vendetta e di saccheggio che provocarono il disgusto agli stessi tedeschi. Ma anche uomini per i quali quello fu il banco di prova d'una coerenza e d'una lealtà che non possono non incuter rispetto. E l'unica ragione per la quale benedico le mie cosiddette benemerenze antifasciste è che mi han dato il diritto di difenderle. (p. 119) *Il 2 giugno del '46, giorno del referendum istituzionale, votai per la monarchia. Lo feci perché ritenevo fosse pericoloso recidere il tenue filo che legava l'Italia all'unica sua tradizione nazionale: quella monarchica, appunto. L'Italia non s'era "fatta da sé", come pretendeva la nostra storiografia ufficiale. Era stata fatta dalla monarchia sabauda guidata dal genio diplomatico d'un suo diplomatico, Cavour, che voleva estendere il Regno di Sardegna al Lombardo-Veneto. Se poi ci scappò fuori l'Italia, non fu grazie al contributo degl'italiani, che non ne diedero punto. Fu perché la storia dell'Europa andava verso la costituzione degli Stati nazionali, e condannava a morte quelli plurinazionali come l'Impero austriaco. [...] Al posto di quel patrimonio, sia pure modesto, cosa prometteva la Repubblica? Si presentava come depositaria dei valori della Resistenza, un mito ancora più falso di quello del Risorgimento. Che non era stata affatto, come pretendeva d'essere, la lotta d'un popolo in armi contro l'invasore, bensì una lotta fratricida tra i residuati fascisti della Repubblica di Salò e le forze partigiane, di cui l'80 per cento si batteva (quasi mai contro i tedeschi) sotto le bandiere d'un partito a sua volta al servizio d'una potenza straniera. (pp. 125-126) *Un'altra scelta s'era imposta, quella delle elezioni del '48. Per l'Italia era una scelta vitale: o con l'Est o con l'Ovest, ossia con i totalitarismi rossi oppure con le democrazie occidentali. Ergo, o con il Fronte popolare oppure con la Dc. E lì ebbe inizio il mio dramma, ch'è poi quello eterno del laico italiano: il quale, messo davanti al boia, vede comparire al suo fianco il prete che solo può salvarlo. (pp. 135-136) *Mi proposi due obiettivi, entrambi falliti: il primo era farmi intentare un processo dagli amministratori della città che attirasse l'attenzione sui pericoli che [[Venezia]] stava correndo. Il secondo era rendere pubblica la convinzione che m'ero formato: che per salvare Venezia la prima cosa da fare era sottrarla allo Stato italiano e affidarlo a un organismo internazionale come l'Onu, con le sue cospicue possibilità finanziarie e i suoi agguerriti uffici tecnici. [...] Il Comune di Venezia non aveva più nulla di veneziano, salvo la sede. A dominarlo erano gli elettori di Mestre e Marghera, che con quelli di Venezia si trovavano nella proporzione di tre a uno, e dalla loro avevano tutto: i soldi delle industrie, i sindacati e quindi anche i partiti. Decidendo di restare amministrativamente unita, Venezia ha preferito mettersi al rimorchio delle ciminiere e petroliere di Marghera, alle quali ha sacrificato il suo delicatissimo sistema idraulico. Fu allora che, con grande amarezza, feci atto di rinunzia a Venezia, convinto come ero, e come son rimasto, che una città si può salvare solo se sono i suoi abitanti a volerlo. (pp. 216-217) *Una sera, uscendo solo soletto dal «Giornale», mi trovai davanti il solito muro di folla tumultuante con le bandiere rosse spiegate. Dalla piazza si levò un urlo: «Tel chi el Muntanel!». In un attimo cinquanta scalmanati mi s'avventarono contro. Temendo il linciaggio, arretrai fino a trovarmi con le spalle al muro. Ma non feci in tempo a dire be' che mi ritrovai issato in spalla a una mezza dozzina d'energumeni, fra salve d'evviva. Erano i tifosi del [[Torino Football Club|Torino]] che quel giorno {{NDR|16 maggio 1976}} aveva vinto lo scudetto, e le bandiere non eran rosse, ma granata. E siccome i cronisti sportivi del «Giornale» erano sempre stati favorevoli al Torino, m'acclamavano come un loro idolo. (p. 241) *La Dc era il partito dei maneggi e dell'inefficienze. Ma se avesse perso il 4 o il 5 per cento dei suoi voti, il partito di maggioranza relativa destinato a formare il nuovo governo sarebbe diventato quello comunista. Ch'era ancora molto pericoloso. Perché è vero che in Italia c'era Berlinguer, ma io sapevo bene che col comunismo d'allora poteva ancora succedere di tutto: bastava un cambiamento al vertice e un Berlinguer poteva diventare un [[Alexander Dubček|Dubček]] come un [[Walter Ulbricht|Ulbricht]]. Il «Giornale» era certamente laico, ma prima di essere laico era italiano, e cercava d'operare con qualche senso di responsabilità. E negli anni Settanta solo gl'irresponsabili potevano augurarsi il crollo della Dc, cui eravamo condannati anche perché la cosiddetta Alleanza laica, l'accordo fra Pli, Pri e Psdi, non sortì mai i numeri per sostituirvisi. (pp. 243-244) *Ci fu un'unica battaglia sulla quale il «Giornale» si trovò allineato con Craxi e il nostro editore: quello per la libertà d'antenna. Battaglia sacrosanta. Berlusconi è tutt'altro che un idealista disinteressato e nessuno sa agire come lui aggirando, quando non calpestando, le regole. Ma i panni nobili coi quali i difensori della Rai rivestivano la loro offensiva politico-giudiziaria erano grotteschi. Se il peccato di Berlusconi stava nell'essere troppo amico del Psi, quello della Rai era d'essere troppo amica di tutti i partiti. A fornirci il destro furono poi i pretori coi loro interventi oscurantisti, peraltro prontamente sventati dai decreti di Craxi. E quindi la crociata dell'etere libero, che rientrava fra l'altro nella nostra tradizione antistatalista, divenne una campagna contro il "pretore selvaggio", che con i suoi abusi toglieva ogni certezza del diritto al cittadino. (pp. 275-276) *Le vere novità erano nate fuori dal Palazzo: come la Lega di [[Umberto Bossi]]. Che all'inizio anche il «Giornale», come molti altri, sottovalutò. Come si faceva a prender sul serio un invasato che nutriva le sue invettive di sfondoni storici e grammaticali da far accapponare la pelle? [...] Che Roma fosse ladrona, era indubitabile. E l'avversione per la burocrazia parassitaria e per il meridionalismo piagnone e sprecone andava a nozze con le tradizioni del «Giornale». Bossi quindi incarnava un sentimento molto diffuso anche fra i nostri lettori, una protesta genuinamente qualunquista che, per certi versi, all'inizio anche noi appoggiammo. Ma dovemmo prenderne le distanze quando Bossi cominciò a condire le sue contumelie contro il Palazzo con propositi secessionisti. (pp. 279-280) *Con Berlusconi, tuttavia, poi feci pace. Fu lui a telefonarmi: forse, aveva captato in qualche mio articolo un'ombra di rimpianto per il vecchio amico. Era il '96 e dopo il ribaltone le cose per lui si mettevano di male in peggio. [...] Così, una sera mi ritrovai di nuovo seduto alla sua mensa ad Arcore. [...] Riparlammo senza rancore dei nostri trascorsi. Gli domandai quale garanzia avesse ricevuto da [[Massimo D'Alema|D'Alema]] sulle sue aziende in cambio dell'opposizione inesistente che gli assicurava. Rise. «Ma perché, ora che hai sistemato i tuoi affari, non ti chiami fuori dalla politica?» gli chiesi. «È una parola» mi rispose rabbuiandosi. «I giudici non obbediscono neppure a D'Alema». E lì capii quale era, ormai, la vera sostanza del suo dramma. (p. 312) *Se anch'io sono diventato europeista, è per disperazione: l'Europa è forse l'unica possibilità di sopravvivere per noi italiani, che come italiani non siamo riusciti a vivere. Questo è sempre stato l'europeismo degl'italiani di più alta coscienza, a partire da [[Alcide De Gasperi|De Gasperi]], che fu il primo a capire i rischi d'un Italia lasciata in balìa degl'italiani. (p. 315) *Pur fra tante fortune, purtroppo a me la sorte ha riservato di portarmi nella tomba le due cose che ho più amato: il mio mestiere e il mio Paese. Che cosa sia diventato il primo, annientato da computer e televisione, è sotto gli occhi di tutti. Quanto al secondo, la cancrena è ormai inarrestabile e la decomposizione sta avvenendo per dissoluzione di quel poco che resta dello Stato. E dico decomposizione, non secessione. La secessione si fa anche con la violenza, e dove lo troviamo oggi un solo plotone di soldati disposto a imbracciare le armi pro o contro l'Unità dello Stato? Che, se resta ancora in piedi, è solo perché non ha neppure la forza di cadere. Quello di rinunziare alla nazione poi, è un sacrificio che non saprei compiere, anche se razionalmente mi rendessi conto ch'è necessario, oppure inevitabile. E ringrazio l'anagrafe che mi esclude dal problema. (p. 316) ==''Storia d'Italia''== {{vedi anche|Indro Montanelli e Roberto Gervaso|Indro Montanelli e Mario Cervi}} ===''L'Italia giacobina e carbonara''=== *I [[cinismo|cinici]] sono tutti moralisti, e spietati per giunta. (cap. 10, p. 144) *[[Francesco Melzi d'Eril|Melzi]] apparteneva a una delle più grandi famiglie dell'aristocrazia lombarda, e ne portava nel sangue le doti migliori: la rettitudine, la cultura, la cortesia, ma anche una certa alterigia, che probabilmente gli veniva dalla madre spagnola. (cap. 11, p. 152) *{{NDR|Francesco Melzi d'Eril}} Aveva fatto parte dei circoli illuministici dei Serbelloni, dei Beccaria e di Pietro Verri, di cui era anche cognato. [[Napoleone Bonaparte|Napoleone]] lo aveva conosciuto al tempo della sua prima campagna d'Italia, dopo la battaglia di Lodi lo aveva invitato a Mombello, e ne aveva fatto il proprio consigliere. Quel signore che portava ancora il costume settecentesco, le calze bianche e la parrucca incipriata, gli piaceva. Gli piaceva perché non era servile, perché non era venale, perché non era nemmeno ambizioso. Una leggera sordità e una salute piuttosto precaria, insidiata da un forte artritismo, l'obbligavano a riguardi incompatibili con l'esercizio del potere. Più che il protagonista, preferiva fare il suggeritore. (cap. 11, p. 152) *L'unico che avesse qualità di uomo di Stato era il ministro delle finanze, [[Giuseppe Prina|Prina]], anche perché era piemontese, cioè veniva da un paese che uno Stato lo era da secoli. Ex procuratore generale della Corte dei Conti di Torino e membro del governo provvisorio del '99<ref>1799.</ref>, si era poi trasferito nella [[Repubblica Cisalpina|Cisalpina]] e ne aveva preso la cittadinanza. Non aveva un carattere che attirasse simpatie. Anzi, chiuso e freddo com'era, le respingeva. Ma era un lavoratore instancabile e scrupoloso, dotato di un acuto senso politico e – diceva [[Stendhal]] – "ha del grande in testa". (cap. 12, p. 164) *Perché non andassero perse neanche le briciole {{NDR|delle entrate della Repubblica Cisalpina}}, Prina riformò tutto il sistema fiscale riducendone il personale e facendone una macchina di straordinaria efficienza. Fu lui a inventare la "tassa di famiglia", o meglio a ripristinarla, perché la sua vera iniziatrice era stata [[Maria Teresa d'Austria|Maria Teresa]]. Ma la maggior pressione la esercitò nel campo delle imposte indirette che colpivano tutti i consumi senza distinguere fra quelli di lusso e quelli di prima necessità. Naturalmente a farne le spese furono soprattutto le classi popolari, che di lì a pochi anni gliel'avrebbero fatta pagare<ref>Prina, dopo l'abdicazione di Napoleone, fu linciato dalla folla a Milano il 20 aprile 1814.</ref>. Ma con questi sistemi riuscì a portare le entrate da settanta a oltre cento milioni e a pareggiare il bilancio. (cap. 12, p. 165) *[[Carlo II di Parma|Carlo Ludovico]] era stato talmente oppresso dalla madre<ref>Maria Luisa di Borbone-Spagna (1782–1824).</ref> che sognava di disfare tutto ciò ch'essa aveva fatto, compreso il proprio matrimonio; e quando le successe nel '24<ref>Come duca di Lucca nel 1824.</ref>, introdusse anche per buona fortuna dei lucchesi, metodi di governo diametralmente opposti a quelli di lei. Ridusse l'appannaggio che Maria Luisa esigeva per alimentare i suoi fasti spagnoli, liberalizzò i commerci, e alla fine si convertì addirittura al luteranesimo, mentre sua moglie diventava Terziaria domenicana. Fu un cattivo marito, ma non un cattivo sovrano. E Lucca, sotto di lui, respirò. (cap. 25, p. 375) *[...], {{NDR|la [[Carboneria]]}} non fu certo una scuola di educazione politica, e probabilmente è anche al suo esempio e modello che sono dovute le malformazioni della nostra democrazia e la sua intrinseca debolezza. Figli e nipoti dei Carbonari furono quei "notabili" che governarono l'Italia fino alla prima guerra mondiale e che, insieme a innegabili virtù, ebbero anche il vizio di considerare il Paese una "clientela" di Apprendisti esclusi dai "sacri travagli". (cap. 26, p. 395) *Fu qui {{NDR|al Teatro alla Scala}} che {{NDR|[[Ugo Foscolo]]}} vide [[Antonietta Fagnani Arese]], già famosa a ventitré anni non soltanto per la sua bellezza, ma anche per lo sfruttamento intensivo che ne aveva fatto. Probabilmente era una frigida, ma che sapeva recitare la sua parte: tutti i giovani più in vista di Milano cadevano nelle reti di questa Circe, e forse fu anche questo a stimolarlo. (cap. 35, p. 510) *Misto di genio e di ciarlatano, [[Domenico Barbaja|Barbaja]] aveva debuttato come sguattero, aveva fatti primi soldi inventando un dolce di panna e cioccolato, la "barbajada", li aveva moltiplicati con la gestione del Ridotto da giuoco della Scala, e ormai tanti ne aveva che quando il San Carlo andò distrutto da un incendio, lo ricostruì a proprie spese. (cap. 39, pp. 608-609) *{{NDR|Domenico Barbaja}} Era semianalfabeta, e di musica non conosceva una nota, ma conosceva il pubblico, era un infallibile scopritore di talenti, e nel 1815 si assicurò quello di un compositore ventitreenne, in cui già aveva identificato la figura più rappresentativa della lirica contemporanea: [[Gioacchino Rossini]]. (cap. 39, p. 609) *{{NDR|[[Ciro Menotti]]}} Uomo onesto, ma di un candore che sconfinava nella sprovvedutezza, [...]. (cap. 40, p. 635) ===''L'Italia del Risorgimento''=== *{{NDR|[[Giuseppe Mazzini]]}} Due mesi d'intenso lavoro gli bastarono a maturare il piano. Più che una setta, la sua organizzazione sarebbe stata un vero e proprio partito, anche se clandestino, senza l'oscura simbologia e i complicati rituali carbonari. Si sarebbe chiamata ''[[Giovine Italia]]'' e lo sarebbe stata anche di fatto perché, salvo casi eccezionali, era preclusa a chi avesse superato i quarant'anni di età. (cap. 4, pp. 54-55) *D'irresolutezza, [[Carlo Alberto di Savoia|Carlo Alberto]] aveva dato prova anche prima di salire sul trono, e lo aveva dimostrato anche il suo contraddittorio atteggiamento nel '21<ref>Nei moti piemontesi del 1821, Carlo Alberto aveva prima dato e poi ritirato il suo appoggio ai congiurati.</ref>. Il coraggio e la volontà non gli mancavano; ma gli mancava il carattere. Nella guerra di Spagna era stato un valoroso combattente<ref>Nel 1823, Carlo Alberto aveva partecipato alla campagna militare per ristabilire l'assolutismo regio in Spagna.</ref>, e la disciplina a cui si sottoponeva era spartana. Ma le responsabilità morali lo sgomentavano. (cap. 9, pp. 135-136) *{{NDR|Carlo Alberto}} Non era né intelligente né colto. Ma certi movimenti di opinione pubblica e orientamenti di pensiero li coglieva e ne restava influenzato. Nel '38 aveva mandato in galera e poi in esilio [[Vincenzo Gioberti|Gioberti]], ma nel '43 ne leggeva con interesse il ''Primato''. Se [[Massimo d'Azeglio|D'Azeglio]] avesse scritto il suo libro<ref>''Degli ultimi casi di Romagna'' (1846).</ref> due anni prima, avrebbe mandato in esilio anche lui. Ora in pratica ne aveva fatto una specie di agente segreto. I tempi insomma li sentiva e con essi andava. (cap. 9, p. 136) *Questo grande soldato {{NDR|[[Josef Radetzky]]}} non aveva mai conosciuto sconfitte, e a ottant'anni suonati conservava intatte prestanza fisica ed energia morale. Come tutti i militari, credeva soltanto nella spada e nella disciplina. Ma non somigliava affatto all'immagine che di lui ci ha tramandato la storiografia risorgimentale: quella del crudele "impiccatore", del caporalaccio ottuso, grossolano e brutale. Era al contrario un grande signore, di tratto ruvido ma generoso, perpetuamente alle prese con problemi di bilancio perché aveva le mani bucate. (cap. 13, p. 194) *{{NDR|Radetzky}} Aveva sposato una Contessa austriaca che viveva a Vienna e gli aveva dato otto figli da cui non gli venivano che dispiaceri. Uno militava ai suoi ordini lì a Milano, ma era un così cattivo arnese che un prete un giorno lo schiaffeggio per strada. Radetzky mandò a chiamare il prete, gli strinse la mano e gli disse: "''{{sic|Crazzie}}''". Per amante si era presa una brava stiratrice lombarda che sapeva cucinare bene gli gnocchi, di cui era ghiottissimo, e dalla quale ebbe altri quattro figli. Non era affatto un odiatore degl'italiani: tant'è vero che, quando andò in pensione, rimase a Milano, e lì morì nel '58. Era soltanto un fedele servitore del suo Paese, di cui non discuteva la causa. E soprattutto era un vecchio lupo di guerra coraggioso, astuto e risoluto. (cap. 13, p. 195) *La notizia si diffuse prima ancora che lo [[Statuto Albertino|Statuto]] fosse firmato, e in un battibaleno le piazze di Torino, eppoi di tutto il Piemonte, eppoi di tutto il Reame, si riempirono di folla esultante. Essa non conosceva il contenuto del documento che introduceva, sì, un regime rappresentativo, ma circondandolo delle maggiori cautele [...]. Più che del suo contenuto, la pubblica opinione era innamorata della parola ''Costituzione'', che aveva finito, per assumere ai suoi occhi magici significati, e la salutava con luminarie, canti e bandiere. (cap. 14, p. 218) *[...] [[Francesco Anzani|Anzani]], il più serio e autorevole degli esuli italiani, che aveva combattuto per la libertà in Grecia e in Spagna. Le sue parole avevano gran peso anche perché fra tutti quei chiacchieroni, ne pronunziava poche. (cap. 18, p. 281) *[...] [[Giuseppe Montanelli|Montanelli]] era così infatuato {{NDR|del progetto di Costituente italiana}} e tanto ne parlava nei suoi discorsi che il popolino – dicono – finì per credere che la Costituente fosse il nome di sua moglie. (cap. 19, p. 298) *[[Pellegrino Rossi|Rossi]] era un toscano della Lunigiana, ma solo all'anagrafe. Come formazione e mentalità, apparteneva ancora a quel tipo di {{sic|apòlidi}} che l'Italia del Settecento sfornava doviziosamente e che, non trovando in patria un terreno per i loro talenti, andavano da mercenari a investirli all'estero. Professore d'Università a poco più di vent'anni, poi commissario di [[Gioacchino Murat|Murat]] al tempo del suo infelice tentativo di unificare l'Italia sotto il suo scettro, era l'unico cattolico cui l'Accademia calvinista di Ginevra avesse mai affidato una cattedra. (cap. 19, p. 301) *{{NDR|Pellegrino Rossi}} Fu sin dal principio un fautore di [[Papa Pio IX|Pio IX]] fino a partecipare di persona alle manifestazioni popolari in suo favore, ma vide subito la pochezza e ambiguità dell'uomo e ne denunziò i pericoli. (cap. 19, pp. 302-303) *Sebbene gli avessero affidato pieni poteri, [[Daniele Manin|Manin]] era un uomo discusso. Molti lo consideravano un malaccorto maneggione, un improvvisatore digiuno di problemi economici e militari, bravo soltanto ad attribuirsi i meriti degli altri. Secondo [[Niccolò Tommaseo|Tommaseo]], ch'era fra i suoi più insidiosi diffamatori, il potere gli aveva dato "una scossa da intorbidargli la mente e far più grave e manifesta la sua inesperienza". (cap. 23, p. 354) *{{NDR|Daniele Manin}} Intellettualmente, non era al livello di un [[Giuseppe Mazzini|Mazzini]] o di un [[Carlo Cattaneo|Cattaneo]]. Ma era, come loro, inattaccabile sul piano morale. E, in mancanza di un vero e proprio potere carismatico, esercitava sulle folle un notevole fascino per la sua gioviale e arguta "venezianità". Parlava sempre in dialetto con battute raccattate sulla bocca dei gondolieri, e anche nel dramma portava un pizzico di [[Carlo Goldoni|Goldoni]]. I suoi limiti li conosceva, e non è vero che l'autorità gli avesse dato alla testa, come diceva Tommaseo che diceva male di tutti. Anzi la esercitava bonariamente e cercava di circondarsi di uomini validi che sopperissero alla sua incompetenza. (cap. 23, pp. 354-355) *Eran trascorsi pochi mesi {{NDR|dal suo matrimonio con Vittorio Emanuele}}, che [[Maria Adelaide d'Asburgo-Lorena|Maria Adelaide]] lo sorprendeva nel giardino di Moncalieri con una diva del teatro, Laura Bon, ma si guardò dal farne un dramma. Perfettamente educata al mestiere di Regina, essa sapeva che la rassegnazione alle infedeltà ne è parte imprescindibile, e le sopportò sempre con garbo e dignità. (cap. 25, p. 390) *Sfruttando la devozione di Carlo Alberto, [[Clemente Solaro della Margarita|Solaro della Margarita]] aveva regolato i rapporti con la Chiesa in modo tale da fare del clero piemontese il più potente d'Italia dopo quello dello [[Stato Pontificio|Stato pontificio]]. Esso aveva ancora i suoi tribunali in concorrenza con quelli dello Stato e poteva concedere il diritto d'asilo ai delinquenti. (cap. 26, p. 410) *[...] {{NDR|Giuseppe}} Montanelli, gran galantuomo e ricco d'ingegno, non lo era altrettanto di carattere. Idee ne aveva, anzi ne aveva troppe; ma, facilmente suggestionabile, finiva sempre per adottare quelle dell'ambiente in cui viveva. (cap. 29, pp. 464-465) *Il primo a trarne le conclusioni {{NDR|dalle tesi favorevoli alla monarchia piemontese esposte nel libro di [[Vincenzo Gioberti|Gioberti]] ''Del rinnovamento civile d'Italia''}} fu [[Giorgio Pallavicino Trivulzio|Pallavicino]], l'ex prigioniero dello Spielberg, da un pezzo rifugiato a Torino. Di scarso cervello politico, impetuoso fino alla leggerezza, teatrale e un po' troppo portato a ostentare i suoi titoli di "martire", aveva fino allora militato sotto bandiera rivoluzionaria. (cap. 32, p. 514) *{{NDR|Tra i Mille di Garibaldi}} C'era il malinconico ex prete [[Giuseppe Sirtori|Sirtori]], che della guerra aveva fatto una mistica e sul campo sembrava che officiasse. (cap. 40, p. 635) ===''L'Italia dei notabili''=== *La [[Convenzione di settembre|Convenzione]], che fu detta "di Settembre" dal mese in cui venne concordata, si componeva di cinque articoli e stabiliva: che l'Italia rinunziava ad ogni atto di ostilità contro il territorio pontificio; che la Francia ne avrebbe ritirato le sue truppe via via che il governo del Papa le avesse rimpiazzate con volontari indigeni e stranieri, e comunque entro due anni; e che questo doppio impegno sarebbe entrato in vigore dal momento in cui il governo italiano avesse decretato il trasferimento della capitale da operarsi nello spazio di sei mesi. (Capitolo quinto, Firenze capitale, p. 76) *Gli sventramenti che furono operati {{NDR|a Firenze, nuova capitale del Regno d'Italia}} per alloggiare i Ministeri e i nuovi quartieri che sorsero alla periferia per ospitare i venticinque o trentamila impiegati che calarono da Torino, lasciarono la città orrendamente sfregiata e carica di debiti. (Capitolo quinto, Firenze capitale, p. 78) *{{NDR|[[Carmine Crocco]]}} [...] condannato per diserzione a vent'anni di carcere, ne era evaso, si era dato alla macchia, e in poco tempo era diventato il più temuto e rispettato capobanda della [[Basilicata|Lucania]] non soltanto per il suo coraggio, ma anche per la sua intelligenza di guerrigliero.</br>[...] Crocco venne riconosciuto Generalissimo non solo per l'autorità che gli conferivano le sue gesta, ma anche, perché, sebbene mezzo analfabeta, possedeva un'oratoria immaginosa e apocalittica. (Capitolo sesto, I briganti, pp. 85-89) *{{NDR|[[Giustino Fortunato]]}} [...] il più grande e illuminato studioso del Meridione. (Capitolo sesto, I briganti, p. 86) *Figlio di un fabbro e medico di professione, [[Giovanni Lanza|Lanza]] incarnava, nella Destra piemontese tradizionalmente formata da nobili, militari e grandi borghesi, un tipo umano del tutto insolito: il nuovo piccolo ceto medio, spartano e puritano, formatosi nelle scuole serali e nell'Università popolare. (Capitolo nono, Gli anni della lesina, p. 133) *L'esercito papalino era un'accozzaglia di mercenari delle più svariate nazionalità (c'erano perfino dei turchi). [...] circa 15.000 uomini, al comando del generale [[Hermann Kanzler|Kanzler]]. Compito gentiluomo, ligio al Regolamento come lo era al Catechismo, questi aveva tuttavia un concetto tedesco dell'onore militare e avrebbe preferito una sconfitta a una resa. Ma {{NDR|Il segretario di Stato}} Antonelli non era di questa opinione. Gli ordinò di ritirare le truppe {{NDR|pontificie}} dentro le mura e di limitarsi a un simulacro di resistenza. (Capitolo decimo, Porta Pia, pp. 141-142) *{{NDR|La duchessa [[Eugenia Attendolo Bolognini Litta|Eugenia Litta]]}} Durante la campagna del '59<ref>Seconda guerra d'indipendenza italiana.</ref> era stata il riposo del guerriero più famoso e importante: [[Napoleone III di Francia|Napoleone III]]. E secondo le malelingue era passata subito dopo in eredità a [[Vittorio Emanuele II di Savoia|Vittorio Emanuele]], che però era il meno adatto ad apprezzare la sua vita di vespa, le sue carni pallide e i suoi raffinatissimi gusti. [[Honoré de Balzac|Balzac]] le aveva reso omaggio. [[Arrigo Boito|Boito]] seguitava a rendergliene. [[Gabriele D'Annunzio|D'Annunzio]] dirà ch'essa "aveva rubato il segreto a Ninon de Lenclos<ref>Scrittrice, cortigiana ed epistolografa francese (1620–1705).</ref>". Insomma come iniziatrice all'amore, il giovane principe {{NDR|il futuro [[Umberto I di Savoia|Umberto I]]}} non poteva desiderarne una più fascinosa ed esperta. Lo fu al punto che, nonostante la differenza d'età, egli le rimase devoto – anche se non fedele – fino alla fine dei suoi giorni. (Capitolo quattordicesimo, Il marito di Margherita, p. 196) *{{NDR|[[Margherita di Savoia]]}} [...] era una vera e seria professionista del trono, e gl'italiani lo sentirono. Essi compresero che, anche se non avessero avuto un gran Re, avrebbero avuto una grande Regina. (Capitolo quattordicesimo, Il marito di Margherita, p. 197) *Il trattato {{NDR|della [[Triplice alleanza (1882)|Triplice alleanza]]}} fu firmato a Vienna nel maggio dell'82<ref>20 maggio 1882.</ref>. Esso impegnava le tre Potenze al reciproco aiuto nel caso in cui una fosse aggredita e alla benevola neutralità nel caso che aggredisse. Inoltre Austria e Germania dichiaravano di disinteressarsi del problema del Papa, considerandolo un affare interno italiano.<br>Quest'ultima clausola fu, insieme alla fine dell'isolamento, il grande vantaggio che l'Italia trasse dal patto, ma nient'altro. Essa non vi era entrata su un piede di parità con le consocie. Aveva semplicemente acceduto all'alleanza che già legava le altre due, le quali restavano per così dire le padrone di casa, e Bismarck non perse occasione di farcelo sentire. (Capitolo diciannovesimo, La Triplice, pp. 276-277) *L'unico Stato che ruppe le relazioni con quello italiano in seguito a [[Presa di Roma|Porta Pia]] fu l'Ecuador. Mai la Chiesa si era trovata in condizioni di più completo isolamento. (Capitolo ventitreesimo, I cattolici, p. 334) *Sindaco di Palermo a ventisette anni, {{NDR|[[Antonio Starabba, marchese di Rudinì|il marchese di Rudinì]]}} aveva affrontato con molto coraggio la rivolta che vi era scoppiata nel '66, e questo lo aveva accreditato come il fanciullo-prodigio del moderatismo, destinato a gloriose imprese. Ma, diceva De Sanctis, col passare del tempo, il prodigio dileguò e rimase solo il fanciullo. Ministro degl'Interni a trent'anni in uno dei governi Menabrea, la sua carriera si era fermata lì. Pure, la fama di "uomo forte" gli era rimasta addosso, suffragata anche dalla sua alta statura, dai lampeggiamenti del monocolo, dalla fluente barba, dalla nobilesca alterigia. Idee, non ne aveva. Ma aveva delle impennate che facevano credere alla sua risolutezza. E questo, in una Destra impoverita di personalità di rilevo, gli era bastato per guadagnarsi i galloni di capo. (Capitolo ventiquattresimo, Giolitti, pp. 348-349) *In realtà, del soldato, [[Oreste Baratieri|Baratieri]] non aveva neanche il fisico. Grasso e sgraziato, con gli occhiali a ''pince-nez'', sembrava molto più vecchio dei suoi cinquant'anni e costruito più per la cattedra che per l'elmo. (Capitolo ventisettesimo, Adua, p. 391) *{{NDR|Dopo le dimissioni del generale [[Luigi Pelloux|Pelloux]]}} A succedergli il Re chiamò il Presidente del Senato [[Giuseppe Saracco|Saracco]], un galantuomo ch'era riuscito a conservare intatta la sua reputazione di democratico pur essendo stato due volte Ministro nei governi di Crispi. Aveva quasi ottant'anni, ma conservava una notevole lucidità di cervello, e ne dette prova formando un governo di coalizione che includeva un po' tutte le forze, meno l'Estrema cui diede tuttavia soddisfazione chiamando parecchi suoi uomini nella commissione incaricata di studiare un nuovo regolamento parlamentare che, senza intaccare la libertà di discussione, impedisse l'ostruzionismo, o per meglio dire lo regolasse. (Capitolo ventottesimo, I cannoni di Bava Beccaris, p. 417) ===''L'Italia di Giolitti''=== *Si è detto che {{NDR|[[Egidio Osio]]}} plagiò il suo pupillo {{NDR|il principe ereditario, futuro re [[Vittorio Emanuele III di Savoia|Vittorio Emanuele III]]}} e ne lesionò definitivamente il carattere terrorizzandolo e mortificandone gli slanci. Si è detto che anche sul suo fisico ebbe pessima influenza costringendolo a penosi e logoranti sforzi. Si è detto che furono i suoi metodi repressivi a creare nel Principe quei complessi d'inferiorità da cui fu sempre afflitto, a traumatizzarlo, a inaridirlo, a riempirne l'animo di sordi rancori.<br>Ma se non proprio di falsità, si tratta di verità contraffatte. (cap. I, Il nuovo Re, p. 15) *Militare dalla testa ai piedi, Osio era un uomo duro, imperioso, abituato al comando. [...] Ma era anche un gran signore, perfetto uomo di mondo, e nutrito di buone letture. Sebbene la sua carriera potesse esserne notevolmente avvantaggiata, esitò molto ad accettare l'incarico {{NDR|di tutore del principe ereditario}}, vi si risolse solo dietro garanzia che nemmeno i genitori avrebbero più interferito nell'educazione del ragazzo, di cui egli diventava unico e assoluto responsabile, e al termine della sua missione non beneficiò di nessuno "scatto di grado". (cap. I, Il nuovo Re, pp. 15-16) *[[Elena del Montenegro|Elena]], che da ragazza dipingeva, suonava il violino, componeva poesie come suo padre<ref>Nicola I del Montenegro.</ref>, e amava il tennis e la danza, rinunziò a questi passatempi appena vide che lui {{NDR|il futuro Vittorio Emanuele III}} li detestava, anzi adottò come ''hobbies'' quelli di lui: la numismatica e l'archeologia. Per il resto fu soltanto una donna di casa, come lo era stata a Cettigne<ref>Capitale del Regno del Montenegro.</ref>. Sapendolo insofferente dei camerieri, era lei che lo serviva a tavola, e per farsi i vestiti si prese in casa una sartina. (cap. I, Il nuovo Re, p. 27) *[[Filippo Meda|Meda]] era un avvocato milanese di spirito pratico, che considerava l'astensione dal voto {{NDR|dei cattolici}} un dovere da osservare finché il Papa lo imponeva, ma un grosso errore strategico di cui occorreva sollecitare la revoca. Lo Stato liberale, diceva, c'è e va accettato. Va soltanto salvato dalle sue tentazioni autoritarie e giacobine. E questo i cattolici possono farlo soltanto inserendocisi e riformandolo in modo da tenerlo al riparo dai pericoli d'involuzione. Lo Stato cioè per lui era un "peccatore da salvare". (cap. IV, Cattolici e socialisti, p. 72) *[...] [[Romolo Murri|Murri]] era un giovane sacerdote marchigiano, che aveva conosciuto la povertà e nel Vangelo vedeva soprattutto un messaggio giustizialista. Introverso e malinconico come tutti i fanatici, egli si considerava molto più "avanzato" di Meda per il carattere rivoluzionario che intendeva imprimere al movimento {{NDR|cattolico}}. In realtà era un uomo del ''[[Sillabo]]'' che, pur partendo anche lui dall'accettazione dello Stato unitario, intendeva tramutarlo in una [[teocrazia]] egalitaria e totalitaria, sul tipo di quella che i Gesuiti avevano fondato un paio di secoli prima nel Paraguay. Se a ispirarlo fosse più l'amore del povero o l'odio del ricco, non sappiamo. (cap. IV, Cattolici e socialisti, pp. 72-73) *Meda e Murri furono dapprincipio alleati. Entrambi volevano un grande partito, popolare indipendente dalla Chiesa. Ma Meda lo concepiva come lo sviluppo della organizzazione tradizionale, cioè dell'''Opera''<ref>"Opera dei congressi e dei comitati cattolici", spesso abbreviata in "Opera dei congressi", organizzazione cattolica italiana, sciolta nel 1904.</ref>, una volta strappatala alla vecchia guardia, mentre Murri lo vedeva come un organismo nuovo, un "Fascio", come quelli che pochi anni prima avevano messo a soqquadro e insanguinato la Sicilia. (cap. IV, Cattolici e socialisti, p. 73) *Lo [[Sciopero generale del 1904|sciopero {{NDR|generale del 1904}}]] [...] non fu un fallimento, ma non fu nemmeno un successo perché si esaurì spontaneamente, e il suo più consistente risultato fu la spaccatura delle forze operaie. Lo si vide pochi mesi dopo, quando i sindacalisti bandirono un altro sciopero, quello delle ferrovie, da cui i sindacalisti uscirono demoralizzati e con la truppa dimezzata. (cap. IV, Cattolici e socialisti, p. 85) *[[Alessandro Fortis|Fortis]] era un tipico notabile romagnolo di lungo e contradditorio corso ideologico. Aveva debuttato come repubblicano intransigente, era andato in galera per complotto rivoluzionario con gli anarchici, poi era stato conquistato da [[Francesco Crispi|Crispi]], era finito {{sic|Ministro}} di [[Luigi Pelloux|Pelloux]], e ora militava sotto la bandiera di [[Giovanni Giolitti|Giolitti]]. Come "trasformista", era tra i più qualificati. Ma questa pecca era abbondantemente compensata dai suoi doni di simpatia umana e da una grande esperienza parlamentare. (cap. VI, Il suffragio universale, p. 107) *Quando [[Enrico Corradini|Corradini]] applicò il vocabolario socialista alla Nazione parlando di una "Italia proletaria" in lotta contro le plutocrazie occidentali, e lanciò l'idea di un "imperialismo operaio" da contrapporre a quello capitalistico, riscosse in campo sindacalista vasti consensi e pose le premesse di un pasticcio ideologico in cui Mussolini avrebbe di lì a poco guazzato. (cap. VII, "Tripoli bel suol d'amore", p. 137) *{{NDR|Giolitti}} Più che la Libia, voleva la [[Guerra italo-turca|guerra]], o meglio qualcosa che desse finalmente agl'italiani l'impressione di farne una e di vincerla. (cap. VII, "Tripoli bel suol d'amore", p. 145) *[...] a Vienna l'imperatore Francesco Giuseppe aveva dovuto intervenire di persona per fermare la mano al Capo di Stato Maggiore [[Franz Conrad von Hötzendorf|Conrad]] che voleva una spedizione punitiva contro l'Italia, ora ch'era impegnata in Africa {{NDR|nella guerra di Libia}}, per metterla in ginocchio "prima che avesse il tempo di perpetrare altri tradimenti". (cap. VII, "Tripoli bel suol d'amore", pp. 149-150) *Non si è mai saputo con certezza come si svolse l'operazione {{NDR|del [[patto Gentiloni]]}} che, ben s'intende, doveva restare segretissima. Giolitti negò sempre di avervi partecipato, e infatti d'impronte digitali non ve ne lasciò. Fu probabilmente senza le sue credenziali, ma certamente non senza il suo beneplacito che qualche esponente liberale prese contatto coi cattolici. Questi avevano una "unione elettorale" di cui era Presidente un Conte marchigiano, [[Vincenzo Ottorino Gentiloni|Gentiloni]], politico abile, ma vanesio e chiacchierone. Egli s'impegnò a mobilitare il voto cattolico in favore dei candidati liberali dovunque questi fossero minacciati dalla Estrema Sinistra; e i liberali s'impegnarono a difendere la parificazione delle scuole confessionali a quelle dello Stato, a ripristinare in queste ultime l'istruzione religiosa, a respingere l'introduzione del divorzio, e – pare – a combattere la Massoneria. (cap. VIII, Il crepuscolo degli dei, p. 163) *Se [[Gaetano Salvemini|Salvemini]] incarnava lo spirito protestatario e la sete giustizialista delle plebi meridionali, [[Antonio Salandra|Salandra]] incarnava lo spirito autoritario e conservatore della borghesia terriera. Proveniva da una famiglia di notabili pugliesi con parecchia roba al sole, e alla politica era approdato dalla cattedra universitaria, di cui conservava molti caratteri: una notevole cultura e finezza intellettuale, ma anche un compassato distacco che rasentava la freddezza. Prima di affrontare un problema lo studiava minuziosamente, e nessuno sapeva prospettarlo con più chiarezza di lui. (cap. IX, Sarajevo, p. 168) *[[Paolo Boselli]] {{NDR|incaricato nel 1916 di formare il nuovo governo dopo le dimissioni di Antonio Salandra}}, che fu chiamato a presiederlo, possedeva tutti i requisiti, meno quelli che occorrono per guidare un Paese in guerra. Deputato ligure da parecchie legislature, era stato varie volte Ministro con Crispi, Pelloux e Sonnino, ma nessuno se n'era accorto. [...]. Passava per un esperto di questioni economiche, e moralmente era un personaggio di tutto rispetto. Ma politicamente era scolorito, e per di più aveva quasi ottant'anni. (cap. XVI, La caduta di Salandra, pp. 293-294) *Quanto [[Luigi Cadorna|Cadorna]] era solitario, monacale ruvido e chiuso in un giro di valori e d'idee tradizionali, tanto [[Luigi Capello|Capello]] era brillante, estroverso, moderno, ricco d'immaginazione e maestro di "pubbliche relazioni". (cap. XVI, La caduta di Salandra, pp. 298-299) *Lucano di Melfi, [[Francesco Saverio Nitti]] incarnava anche nel fisico tozzo e grassottello il tipo del notabile meridionale, colto, brillante, scettico e alquanto egocentrico. [...] la sua specialità era il problema del Mezzogiorno, di cui fu tra i primi seri studiosi e che gli fornì anche la base elettorale. [...]. Sul livello medio della classe politica di allora, egli faceva spicco per preparazione, equilibrio e lucidità, ma anche per una certa propensione ad attribuirsi il monopolio di queste virtù. (cap. XXIII, Versaglia, pp. 420-421) ===''L'Italia in camicia nera''=== *Un altro utile incontro fu per Mussolini quello con [[Angelica Balabanoff]], personaggio già di notevole rilevo nel socialismo internazionale. Era una russa di buona famiglia borghese, che fin da giovanissima si era imbrancata con quella ''intellighenzia'' rivoluzionaria da cui venivano anche i Lenin, i Trotzky, e gli altri futuri grandi del bolscevismo. A spingerla era stata la ribellione contro la meschinità, lo snobismo provinciale, il sussiego di casta, i tabù del suo ceto. (cap. 1, p. 23) *Angelica {{NDR|Balabanoff}} non era bella, non aveva la grazia eterea ed esangue di Anna {{NDR|[[Anna Kuliscioff|Kuliscioff]]}}. Ma non era nemmeno sgradevole, nonostante i fianchi massicci e gli zigomi pronunciati, eppoi era una russa, cosa che faceva un grande effetto al piccolo provinciale di Predappio<ref>Mussolini era nato a Dovia, frazione di Predappio.</ref>. Anche se fra loro non divampò la passione che aveva legato Anna ad [[Andrea Costa]], qualcosa ci fu, ed ebbe la sua importanza. Angelica cercò d'incivilire quel selvaggio trasandato che passava da ostinati mutismi a interminabili sproloqui conditi di orrende bestemmie. Lo sfamava, gli lavava la biancheria, lo iniziava, sia pure con poco successo, al marxismo [...]. (cap. 1, p. 25) *Uno dei tre protagonisti del giuoco {{NDR|[[Gabriele D'Annunzio]]}} era eliminato. La partita ora si riduceva agli altri due: Giolitti e Mussolini. (cap. 1, p. 101) *Mussolini aveva vinto, e la sua vittoria significava che il fascismo, abbandonata la pretesa di presentarsi come un movimento rivoluzionario di sinistra, quale lo avrebbero voluto Grandi, Farinacci e Marsich, presentava la sua candidatura a forza egemonica della destra e infilava la «via parlamentare» al potere.<br>C'era un pericolo, e Mussolini lo capì subito: che questa svolta a destra mettesse il partito alla mercé della sua ala reazionaria incarnata soprattutto dal ''ras'' piemontese [[Cesare Maria De Vecchi|De Vecchi]], uomo di poco cervello, ma tutto Trono e Altare, e che quindi poteva anche tornar comodo per il futuro. (cap. 2, p. 127) *[...], i giolittiani riuscirono a portare al governo uno dei suoi {{NDR|di Giolitti}} «ascari» più fedeli, ma anche dei più sbiaditi: [[Luigi Facta]].<br> Facta era un bravo avvocato di provincia piemontese con tutte le virtù, ma anche con tutti i limiti del suo ambiente: un uomo probo e integro, che dopo trent'anni di vita parlamentare ne aveva ormai una certa esperienza, aveva ricoperto con onore alcune cariche ministeriali, non aveva alcuna ambizione che quella di servire fedelmente il suo capo, né altre idee che quelle di lui. Tutto gli si poteva chiedere fuorché risolutezza ed immaginazione, cioè proprio le qualità che più urgevano. (cap. 2, pp. 143-144) *[...] le sue intenzioni {{NDR|Mussolini}} non le confidava nemmeno al segretario del partito, [[Michele Bianchi|Bianchi]], di cui apprezzava la fedeltà e l'impegno, ma non l'intelligenza: lo considerava angoloso, settario, puntiglioso vendicativo e privo d'intuito politico. L'unico con cui si apriva seguitava ad essere [[Cesare Rossi]], l'uomo che gli era stato accanto dal primo momento, lo aveva seguito in tutte le sue palinodie e gli dava sempre dei consigli che corrispondevano ai suoi desideri. (cap. 4, p. 166) *{{NDR|[[Vittorio Emanuele III]]}} non si fidava completamente di Mussolini, ma si fidava ancora meno dei suoi avversari ed era convinto che costoro, se avessero preso il mestolo in mano, avrebbero ricreato il caos del dopoguerra. Comunque, a una cosa era assolutamente deciso: a non farsi coinvolgere nella lotta politica, come del resto gli dettava la Costituzione di cui, quando gli faceva comodo, sapeva ricordarsi. ====[[Explicit]]==== *Resterebbe solo da sapere con che animo Mussolini s'investì, il 3 gennaio, nella parte di dittatore. Se, come molti sostengono, gli sforzi che fino a quel momento aveva fatto per evitarla erano stati solo un giuoco per dimostrare che non era lui a volerla, ma gli eventi ad imporgliela, bisogna riconoscere che come {{sic|giuocatore}} sapeva il fatto suo. ==''Storia dei Greci''== *Il modo migliore per ripagare il nostro contemporaneo [[Heinrich Schliemann|Enrico Schliemann]] degli enormi servigi che ci ha reso nella ricostruzione della civiltà classica, mi pare sia quello di assumerlo fra i suoi protagonisti, com'egli stesso mostrò di desiderare ardentemente, scegliendosi, in pieno secolo decimonono, [[Zeus]] come dio e a lui indirizzando le sue preghiere, battezzando [[Agamennone]] suo figlio, Andromaca sua figlia, Pélope e Telamone i suoi servitori, e dedicando a [[Omero]] tutta la sua vita e i quattrini. (cap. 2; 2004, p. 17) *{{NDR|Su [[Heinrich Schliemann|Schliemann]]}} Era un matto, ma tedesco, cioè organizzatissimo nella sua follia, che la buona sorte volle ricompensare. La prima storia che gli raccontò suo padre, quando aveva cinque o sei anni, non fu quella di [[Cappuccetto Rosso]], ma quella di [[Ulisse]], di [[Achille]] e di Menelao. Ne aveva otto, quando annunziò solennemente in famiglia che intendeva riscoprire Troia e dimostrare, ai professori di storia che lo negavano, ch'essa era realmente esistita. Ne aveva dieci, quando compose in latino un saggio su questo argomento. E ne aveva sedici, quando sembrò che questa infatuazione gli fosse del tutto passata. Infatti s'era impiegato come garzone di una drogheria, dove scoperte archeologiche non c'era da farne di certo, e di lì a poco s'imbarcò non per l'Ellade, ma per l'America, in cerca di fortuna. (cap. 2; 2004, p. 17) *Di nuovo il buon Dio, che per i matti ha un debole, lo compensò di tanta fede, guidando il suo piccone sugli scantinati del palazzo dei discendenti di re Atreo, nei cui sarcofaghi furono ritrovati gli scheletri, le maschere d'oro, i gioielli e il vasellame che si ritenevano esistiti solo nella fantasia di Omero. E Schliemann telegrafò al re di Grecia: ''Maestà, ho ritrovato i vostri antenati''. Poi, ormai sicuro del fatto suo, volle dare il colpo di grazia agli scettici del mondo intero e, sulle indicazioni di [[Pausania]], andò a Tirinto e vi disseppellì le ciclopiche mura del palazzo di Proteo, di Perseo e di [[Andromeda|Andròmeda]]. (cap. 2; 2004, pp. 19-20) *Schliemann morì quasi settantenne nel 1890, dopo aver sconvolto tutte le tesi e le ipotesi su cui si era basata sino ad allora la ricostruzione della preistoria greca, tesa ad esiliare Omero e Pausania nei cieli della pura fantasia. (cap. 2; 2004, p. 20) *Ma ora, dopo le scoperte del tedesco matto, non abbiamo più il diritto di mettere in dubbio la realtà storica di Agamennone, di Menelao, di [[Elena]], di [[Clitennestra]], di Achille e di Patroclo, di Ettore e di Ulisse, anche se le loro avventure non sono state esattamente quelle che Omero ha descritto, facendoci sopra la cresta. Schliemann ha arricchito la storia e impoverito la leggenda, di alcune decine di personaggi di primissimo piano. Grazie a lui alcuni secoli, che prima erano nel buio, sono entrati nella luce, anche se è quella incerta della primissima alba. Ed è solo per mano a lui che possiamo esplorarla. (cap. 2; 2004, p. 21) *Senza dubbio gli [[achei]], a differenza dei pelasgi, furono terrieri, tant'è vero che fino alla guerra di Troia imprese per mare non ne azzardarono, e ogni volta che lo trovavano si fermavano. Essi non tentarono di mettere il piede nemmeno nelle isole più vicine al continente, e tutte le loro capitali e cittadelle erano nell'interno. La Grecia, sotto di loro, si limitava al Peloponneso, all'Attica e alla Beozia; mentre per le popolazioni pelasgiche della civiltà micenea, ch'erano marinare, essa inglobava anche tutti gli arcipelaghi dell'Egeo. (cap. 3, ''Gli Achei''; 2004, p. 25) *[[Diogene di Sinope|Diogene]], che aveva la lingua lunga, disse che la religione greca era quella cosa per cui un ladro che sapeva bene l'Avemaria e il Paternoster era sicuro di potersela cavar meglio, nell'al di là di un galantuomo che li aveva dimenticati. Non aveva torto. La [[Religione dell'antica Grecia|religione]], in Grecia, era soltanto un fatto di procedura, senza contenuto morale. Ai fedeli non si chiedeva la fede né si proponeva il bene. S'imponeva solo il compimento di certe pratiche burocratiche. E non poteva essere diversamente, visto che di contenuto morale gli stessi {{sic|dèi}} ne avevano ben poco e non si poteva certo dire che fornissero un esempio di virtù. (cap. 7, ''Zeus e famiglia''; 2004, p. 54) *Anche [[Pisistrato]] era aristocratico e di famiglia ricca. Ma aveva capito che la [[democrazia]], una volta instaurata, è irreversibile e va sempre a sinistra. (cap. 15, ''Pisistrato''; 2004, p. 98) *Pisistrato, invece di cinquanta uomini, ne arruolò e armò quattrocento, s'impadronì dell'Acròpoli, e proclamò la dittatura. In nome e per il bene del popolo, si capisce, come tutte le dittature. (cap. 15; 2004, p. 91) *La stragrande maggioranza degli ateniesi, dopo averlo a lungo osteggiato e tenuto in gran sospetto, si erano sinceramente affezionati a Pisistrato che aveva dalla sua un'arma formidabile: la simpatia. (cap. 15; 2004, pp. 92-93) *Il tiranno Pisistrato seppe sfuggire a tutte le tentazioni del potere assoluto, meno una: quella di lasciare il «posto» in eredità ai figli, [[Ippia (tiranno)|Ippia]] e [[Ipparco (tiranno)|Ipparco]]. L'amor paterno gl'impedì di vedere con la consueta chiarezza che i totalitarismi non hanno eredi e che quello suo si giustificava soltanto come una eccezione alla democrazia per assicurarle ordine e stabilità. Peccato. (cap. 15; 2004, p. 95) *Pisistrato era morto nel 527 avanti Cristo. Ventun anni dopo, cioè nel 506, troviamo uno dei suoi due figli, da lui designati a succedergli, Ippia, alla corte del re di Persia, [[Dario I di Persia|Dario]], per suggerirgli l'idea di muover guerra contro Atene e la Grecia tutta. I grandi uomini non dovrebbero mai lasciare né vedove né eredi. Sono pericolosissimi. (cap. 16, ''I persiani alle viste''; 2004, p. 103) *Questo Ippia non aveva debuttato male, dopo che suo padre fu calato nella fossa. Era un giovanotto sveglio che, a furia di stare accanto al babbo, ne aveva imparato molte malizie, e alla politica aveva passione, a differenza di suo fratello Ipparco che invece s'interessava soltanto di poesia e di amore, in modo che fra i due non c'erano nemmeno pericolose rivalità. Eppure, a procurare i guai che condussero alla caduta della dinastia, fu proprio Ipparco. (cap. 16; 2004, p. 96) *Ipparco ebbe la disgrazia d'inciampare in un bellissimo guaglione di nome Armodio, che un certo Aristogitone – aristocratico quarantenne, prepotente e geloso – considerava sua proprietà. Costui concepì l'idea di sbarazzarsi del rivale col pugnale e, per dare all'assassinio un'etichetta più pulita che lo rendesse popolare, pensò di estenderlo anche al fratello Ippia facendolo passare per «delitto politico» in nome della libertà e contro la tirannia. Organizzò in questo senso una congiura con altri nobili latifondisti e, in occasione di una festa, tentò il colpo, che andò bene solo a mezzo: Ipparco ci rimise la pelle, ma Ippia scampò. E da quel momento, un po' per rancore, un po' per paura di altri complotti, il figlio e l'allievo di Pisistrato, dittatore liberale indulgente e illuminato, diventò un ''tiranno'' autentico. (cap. 16; pp. 96-97) *Lo scontento del popolo inferocì Ippia, che a sua volta inferocì il popolo. E quando il divorzio fra i due fu totale, i fuoriusciti, che frattanto si erano concentrati a Delfi, chiamarono in aiuto gli spartani, e insieme marciarono contro Atene. (cap. 16; 2004, p. 97) *Ippia si rifugiò sull'Acròpoli coi suoi sostenitori. Ma, per mettere in salvo i suoi figlioletti, cercò di farli segretamente espatriare. Gli assedianti li catturarono e l'infelice padre, per salvar la vita a loro e a se stesso, capitolò e si avviò in volontario esilio. Non bisogna dimenticare che nelle sue vene scorreva tuttavia il sangue di Pisistrato, cioè di un uomo sempre pronto a sacrificare la posizione alla famiglia, ma mai disposto a rassegnarsi alla sconfitta. (cap. 16; 2004, p. 97) *[[Milziade]] aveva capito qual era il debole dei [[Persia|persiani]]: essi erano bravi soldati individualmente, ma non avevano nessuna idea della manovra collettiva. E su questa puntò. A dar retta agli storici del tempo — che purtroppo erano tutti greci, — Dario perse settemila uomini, Milziade neanche duecento. (cap. 17, ''Milziade e Aristide''; 2004, p. 112) *{{NDR|A Milziade}} sopravvisse [[Aristide]], le cui vicende purtroppo ci dimostrano che l'[[onestà]] in [[politica]] non trova sempre i suoi compensi e che la [[storia]], come le [[donna|donne]], ha un debole per i birbaccioni. (cap. 17, ''Milziade e Aristide''; 2004, p. 112) *Nike, diventata ragazza, porta il [[peplo]] di lana, bianca o colorata, ma questa è l'unica scelta che le si lascia. Siccome è confinata in casa, non può nemmeno far quella di un ragazzo che le piace, e deve aspettare che il padre si metta d'accordo con un altro padre per combinare il matrimonio. (cap. 23, ''Una Nike qualsiasi''; 2004, p. 143) *Quando il grande [[Mirone]], rincorbellito dalla vecchiaia, si vide arrivare in studio come modella Laìde<ref>Etera dell'antica Grecia, celebre per la sua bellezza.</ref>, perse la testa e le offrì tutto ciò che possedeva purché restasse la notte. E siccome essa rifiutò, l'indomani il poveruomo si tagliò la barba, si tinse i capelli, indossò un giovanile [[chitone]] color porpora e si passò una mano di carminio sul viso. «Amico mio», gli disse Laìde, «non sperare di ottenere oggi ciò che ieri rifiutai a tuo padre». (cap. 23, ''Una Nike qualsiasi''; 2004, p. 150) *{{NDR|[[Fidia]]}} Qualcosa, nel suo carattere, doveva farne un nemico degli uomini, visto che nessuno lo amava. Eppure egli non fu soltanto un grande scultore, ma anche un grandissimo maestro, che, oltre ad aver creato uno stile, ne fece anche una scuola, trasmettendone le regole ad allievi come Agoracrito e Alcamene, continuatori del «classico». (cap. 25, ''Fidia sul Partenone''; 2004, p. 165) *Gli uomini non sanno apprezzare e misurare che la [[fortuna]] degli altri. La propria, mai. (cap. 25, ''Fidia sul Partenone''; 2004, p. 166) ==''Storia di Roma''== ===[[Incipit]]=== Non sappiamo con precisione quando a Roma furono istituite le prime scuole regolari, cioè «statali». Plutarco dice che nacquero verso il 250 avanti Cristo, cioè circa cinquecent'anni dopo la fondazione della città. Fino a quel momento i ragazzi romani erano stati educati in casa, i più poveri dai genitori, i più ricchi dai ''magistri'', cioè da maestri, o istruttori, scelti di solito nella categoria dei liberti, gli schiavi liberati, che a loro volta erano scelti fra i prigionieri di guerra, e preferibilmente fra quelli di origine greca, che erano i più colti. ===Citazioni=== <!--segui nel riportare le citazioni l'ordine cronologico del libro--> *Non ho scoperto nulla, con questo libro. Esso non pretende di portare "rivelazioni", nemmeno di dare una interpretazione originale della storia dell'Urbe. Tutto ciò che qui racconto è già stato raccontato. Io spero solo di averlo fatto in maniera più semplice e cordiale, attraverso una serie di ritratti che illuminano i protagonisti in una luce più vera, spogliandoli dei paramenti che fin qui ce li nascondevano. (introduzione) *{{NDR|[[Numa Pompilio]]}} Quelle che più lo interessavano erano le questioni religiose. E siccome in questa materia ci doveva essere una grossa anarchia perché ognuno dei tre popoli {{NDR|etruschi, latini e sabini}} venerava i propri {{sic|dèi}}, fra i quali non si riusciva a capire chi fosse il più importante, Numa decise di mettervi ordine. E per imporlo, questo ordine, ai suoi riottosi sudditi, fece spargere la notizia che ogni notte, mentre dormiva, la ninfa Egeria veniva a visitarlo in sogno dall'Olimpo per trasmettergliene direttamente le istruzioni. Chi vi avesse disobbedito, non era col re, uomo fra gli uomini, che avrebbe dovuto vedersela, ma col Padreterno in persona. (Rizzoli 1959, cap. 3, ''I re agrari'', pp. 37-38) *[[Tarquinio Prisco|Lucio Tarquinio]] e i suoi amici etruschi dovettero veder subito che profitto si poteva trarre da questa massa di gente, per la maggior parte esclusa dai comizi curiati, se si fosse potuta convincerla che solo un re forestiero come lui avrebbe potuto farne valere i diritti. E per questo l'arringò, promettendole chissà cosa, magari ciò che poi fece davvero. [...] Certamente ci riuscirono perché Lucio Tarquinio fu eletto col nome di Tarquinio Prisco, rimase sul trono trentotto anni, e per liberarsi di lui i ''patrizi'', cioè i «terrieri», dovettero farlo assassinare. Ma inutilmente. Prima di tutto perché la corona, dopo di lui, passò al figlio, eppoi a suo [[Tarquinio il Superbo|nipote]]. In secondo luogo perché, più che la causa, l'avvento della dinastia dei Tarquini fu l'effetto di una certa svolta che la storia di Roma aveva subìto e che non le consentiva più di tornare al suo primitivo e arcaico ordinamento sociale e alla politica che ne derivava. (RCS 2004, cap. 4, ''I re mercanti'', pp. 38-39) *Questo secondo [[Tarquinio il Superbo|Tarquinio]], prima di rischiare il colpo, tentò di far deporre lo zio per abuso di potere. Servio si presentò alle centurie che lo riconfermarono re con plebiscitaria acclamazione (lo racconta [[Tito Livio]], gran repubblicano, dunque dev'esser vero). Non restava quindi che il pugnale, e Tarquinio lo usò senza troppi scrupoli. Ma il respiro di sollievo che trassero i senatori, coi quali si era alleato, rimase loro in gola, quando videro l'uccisore sedersi a sua volta sul trono d'avorio senza chieder loro permesso, come avveniva a quei buoni vecchi tempi ch'essi speravano di restaurare. Il nuovo sovrano si mostrò subito più tirannico di quello che aveva spedito all'altro mondo. E infatti lo ribattezzarono «il Superbo» per distinguerlo dal fondatore della dinastia. (RCS 2004, cap. 4, ''I re mercanti'', pp. 42-43) *Non sappiamo quasi nulla di [[Lars Porsenna|Porsenna]]. Ma dal modo come si condusse, dobbiamo dedurre che alle doti del bravo generale doveva accoppiare quelle del sagace uomo politico. Egli si rese conto che negli argomenti di [[Tarquinio il Superbo|Tarquinio]] c'era del vero. Ma prima d'impegnarsi, volle essere sicuro di due cose: che il Lazio e la Sabina erno davvero pronti a schierarsi dalla sua parte, e che nella stessa Roma c'era una «quinta colonna» monarchica pronta a facilitargli il compito con un'insurrezione. (RCS 2004, cap. 5, ''Porsenna'', p. 49) *Da quell'anno 508 in cui fu fondata la repubblica, tutti i monumenti che i romani innalzarono un po' dappertutto portarono sempre la sigla SPQR che vuol dire: ''Senatus PopuluSque Romanus'', cioè «il Senato e il popolo romano». Cosa fosse il Senato, già lo abbiamo detto. Viceversa non abbiamo ancora detto cos'era il popolo, che non corrispondeva affatto a ciò che noi intendiamo con questa parola. In quei lontani giorni di Roma esso non comprendeva «tutta» la cittadinanza, come avviene oggi, ma soltanto due «ordini», cioè due classi: quella dei «patrizi» e quella degli ''equites'' o «cavalieri». (RCS 2004, cap. 6, ''SPQR'', p. 54) *{{NDR|[[Sacco di Roma (390 a.C.)]]}} Gli storici che lo hanno raccontato a cose fatte hanno avvolto di molte leggende questo capitolo che dovett'essere per l'Urbe molto spiacevole. Dicono che quando i [[galli]] fecero per dare la scalata al [[Campidoglio]], le oche sacre a Giunone cominciarono a stridere risvegliando così [[Marco Manlio Capitolino|Manlio Capitolino]] che, alla testa dei difensori, respinse l'attacco. Sarà. Però i galli in Campidoglio entrarono ugualmente come in tutto il resto della città, donde la popolazione era fuggita in massa per rifugiarsi su monti circostanti. (Rizzoli 1959, cap. 6, ''SPQR'', pp. 81-82) *[...] i galli espugnarono Roma, la misero a sacco, e se ne andarono incalzati dalle legioni, ma carichi di quattrini. Erano predoni gagliardi e zotici, che non seguivano nessuna linea politica e strategica nelle loro conquiste. Assalivano, depredavano e si ritiravano senza punto preoccuparsi del domani. Avessero potuto immaginare che vendetta Roma avrebbe tratto da quella umiliazione, non vi avrebbero lasciato pietra su pietra. (Rizzoli 1959, cap. 6, ''SPQR'', pp. 82-83) *Tutti i dittatori della Roma repubblicana, meno uno, furono patrizi. Tutti, meno due, rispettarono i limiti di tempo che furono loro imposti. Uno di essi, [[Lucio Quinzio Cincinnato|Cincinnato]], che, dopo soli sedici giorni di esercizio della suprema carica, tornò spontaneamente ad arare il campo coi buoi, è passato alla storia coi colori della leggenda. (RCS 2004, cap. 9, ''La carriera'', p. 85) *Negli ultimi tempi {{NDR|[[Cesare]]}} si era spinto anche più in là: aveva imposto che tutte le discussioni che si svolgevano in quel solenne e aristocratico consesso venissero registrate e pubblicate giorno per giorno. Così nacque il primo giornale. Si chiamò ''[[Acta Diurna|Acta diurna]]'', e fu gratuito, perché, invece di venderlo, lo affiggevano ai muri in modo che tutti i cittadini potessero leggerlo e controllare ciò che facevano e dicevano i loro governanti. L'invenzione fu d'immensa portata perché sancì il più democratico di tutti i diritti. Il Senato, che traeva prestigio anche dalla sua segretezza, fu così sottoposto alla pubblica opinione, e non si riebbe mai più da questo colpo. (RCS 2004, cap. 24, ''Cesare'', p. 214) *Se riuscirò ad affezionare alla storia di Roma qualche migliaio di italiani, sin qui respinti dalla sussiegosità di chi gliel'ha raccontata prima di me, mi riterrò un autore utile, fortunato e pienamente riuscito. (introduzione) *Sull'esattezza di quel che [[Tito Livio|Livio]] riferisce facciamo le nostre riserve, specie là dov'egli mette in bocca ai suoi personaggi interi discorsi che somigliano più a Livio che a loro. La sua è una storia di eroi, un immenso affresco a episodi, e serve più a esaltare il lettore che a informarlo. [[Roma]], a dargli retta, sarebbe stata popolata soltanto, come l'Italia di Mussolini, da guerrieri e navigatori assolutamente disinteressati, che conquistarono il mondo per migliorarlo e moralizzarlo. Gli uomini, secondo lui, sono divisi in buoni e cattivi. A Roma c'erano solamente i buoni, e fuori di Roma solamente i cattivi. Anche un grande generale come [[Annibale]] diventa, sotto la sua penna, un comune mariuolo. Ciò non toglie che la storia di Livio, costata cinquant'anni di fatiche a un autore che si dedicò soltanto ad essa, resti un gran monumento letterario. Forse il più grande fra quelli, piuttosto mediocri, eretti sotto il segno di [[Augusto]]. (cap. 30, ''Orazio e Livio'') *Può darsi che [[Dione Cassio]] e [[Svetonio]], nel loro odio per la monarchia, abbiano un po' calcato la mano. Ma matto, [[Caligola]] doveva esserlo davvero. (cap. 31, ''Tiberio e Caligola'') *[[Vitellio]], quando fu catturato nel suo nascondiglio, dove, tanto per cambiare, banchettava, fu trascinato nudo per la città con un laccio al collo, bersagliato di escrementi, torturato con ponderata lentezza, e alla fine gettato nel Tevere.<br>Questa città che si divertiva al fratricidio, questi eserciti che si ribellavano, questi imperatori che venivano subissati di sterco pochi giorni dopo essere stati coperti di osanna: ecco cos'era diventata la capitale dell'Impero. (Rizzoli 1959, cap. 37, ''I Flavi'', pp. 415-416) *Purtroppo la pace, per ottenerla, bisogna essere in due a volerla. (cap. 37, ''I Flavi'') *Era la prima volta, nella storia di Roma, che una guerra si combatteva in nome della religione. Ma fu la Croce che vinse. E il Tevere, trascinando verso la foce i cadaveri di [[Massenzio]] e dei suoi soldati che lo ingombravano, sembrò che spazzasse via i residui del mondo antico. (cap. 46, ''Costantino'') *Il papa che più contribuì a rassodare l'organizzazione in questi primi difficili anni fu [[Papa Callisto I|Callisto]], che molti consideravano un avventuriero. Dicevano che, prima di convertirsi, aveva fatto i quattrini con sistemi piuttosto equivoci, era diventato banchiere, aveva derubato i suoi clienti, era stato condannato ai lavori forzati ed era fuggito con un inganno. Il fatto che, appena diventato papa, proclamasse valido il pentimento per cancellare qualunque peccato, anche mortale, ci fa sospettare che in queste voci un po' di verità c'è. Comunque, fu un gran papa, che stroncò il pericoloso scisma d'[[Ippolito di Roma|Ippolito]] e affermò definitivamente l'autorità del potere centrale. (RCS 2004, cap. 46, ''Costantino'', p. 367) *Le rivoluzioni vincono non in forza delle loro idee, ma quando riescono a confezionare una classe dirigente migliore di quella precedente. E il [[Cristianesimo]] era riuscito proprio in questa impresa. (cap. 47, ''Il trionfo dei cristiani'') *[[Costantino]] fu uno strano e complesso personaggio. Faceva gran scialo di fervore cristiano, ma nei suoi rapporti di famiglia non si mostrò molto ossequente ai precetti di Gesù. Mandò sua madre Elena a Gerusalemme per distruggere il tempio di Afrodite che gli empi governatori romani avevano elevato sulla tomba del Redentore, dove, secondo Eusebio, fu ritrovata la croce su cui era stato suppliziato. Ma subito dopo mise a morte sua moglie, suo figlio e suo nipote. (cap. 47, ''Il trionfo dei cristiani'') *Come tutti i grandi Imperi, quello romano non fu abbattuto dal nemico esterno, ma roso dai suoi mali interni. (cap. 51, ''Conclusione'') *Una religione conta non in quanto costruisce dei templi e svolge certi riti; ma in quanto fornisce una regola morale di condotta. Il [[paganesimo]] questa regola l'aveva fornita. Ma quando Cristo nacque, essa era già in disuso, e gli uomini, consciamente o inconsciamente, ne aspettavano un'altra. Non fu il sorgere della nuova fede a provocare il declino di quella vecchia; anzi, il contrario. (cap. 51, ''Conclusione'') *Il dispotismo è sempre un malanno. Ma ci sono delle situazioni che lo rendono necessario. (cap. 51, ''Conclusione'') ===[[Explicit]]=== Mai città al mondo ebbe più meravigliosa avventura. La sua storia è talmente grande da far sembrare piccolissimi anche i giganteschi delitti di cui è disseminata. Forse uno dei guai dell'Italia è proprio questo: di avere per capitale una città sproporzionata, come nome e passato, alla modestia di un popolo che, quando grida «Forza Roma!», allude soltanto a una [[Associazione Sportiva Roma|squadra di calcio]]. ==''XX Battaglione eritreo''== ===[[Incipit]]=== Sono letterato. E, a parte il brutto e il meschino di quella parola, il mio mestiere m'innamora. Mi sono sforzato tanti anni, per compiacere a qualcuno o a qualcosa, di tradire questo mio istinto. Ma non ce l'ho fatta. E non ce la fo nemmeno ora, soldato in Africa, in piena guerra. Ma non lo dico per presentare il conto. E a chi, poi? Lo dico per un fenomeno di narcisismo: perché mi garba contemplarmi in questo gesto di fedeltà al mestiere, che poi vuol dire fedeltà a me stesso. ===Citazioni=== *Essere [[Àscari|ascaro]] vuol dire, press'a poco, avere un blasone; vuol dire avere tre lire al giorno, più un'indennità vestiario, più un'indennità farina, più un'indennità carne; vuol dire avere un ''tarbush'' e una fascia coi colori del battaglione; vuol dire soprattutto avere un fucile. La gente di questo Paese segue una logica sistematica semplice e dritta: l'umanità si divide in due categorie: gli armati che sono i forti, i disarmati che sono i deboli. Al culmine della gerarchia sociale sta il possessore di fucile, il guerriero: che è tanto più importante quanto più elevato è il suo grado e quanto è maggiore la sua anzianità. (p. 25) *[[Pietro Toselli|Toselli]]. Questo nome non ha in Italia la risonanza che ha qui. Toselli non è un uomo, è una leggenda: non solo alla cronaca, ma sfugge anche alla storia. È rimasto nei canti di questa gente, nelle sue memorie e anche nelle sue speranze. Pur ieri mi diceva il vecchio Sciumbasci, reduce di Adua e ora capopaese di Digsa, che «le cose che si sanno sono molto meno di quelle che non si sanno» e che «il fatto è questo: che il corpo del maggiore Toselli non era più sul campo dopo la battaglia». Su quello che ne sia avvenuto le opinioni sono discordi, ma nessuno crede che il maggiore sia morto. (pp. 35-36) *Appollaiato ai suoi piedi, nascosto fra il verde tenero degli eucalipti, stava [[Alessandro Pirzio Biroli|Pirzio Biroli]]. Il suo nome era mormorato con circospezione dagli [[Àscari|ascari]] disseminati fra le rocce di Mai Egadà a Saganeiti, da Agordar ad Assab, a Cheren, ad Adi Ugri, ad Adi Caieh. Raramente lo si vedeva e sempre a cavallo. Accanto a lui cavalcava Chiarini, la piccola ombra fedele, il fantasma sorto una notte da un roveto della conca di Adua. Chiarini, settantenne, pallido, non scompariva nell'alone magico che Pirzio, il buon gigante, suscitava intorno. (pp. 87-88) *Poi arrivava anche lui, [[Alessandro Pirzio Biroli|Pirzio]] il leone, altissimo, quadrato, col profilo calmo incorniciato dalla folta criniera. Il cavallo, domo dai suoi ginocchi di ferro, caracollava senza un tentativo di ribellione. Dalla sella pendevano, di qua e di là, due aquile colossali, abbattute in volo dal moschetto infallibile di Pirzio. Nessuna tromba sonava l'attenti al suo ingresso. Non ce n'era bisogno. Tutti, nel quartiere, sentivano come per miracolo la sua presenza e restavano ischeletriti. Pirzio non se n'accorgeva: era uno di quegli uomini pei quali gli uomini sentono rispetto per istinto e che passano attraverso la vita come attraverso un'eterna parata, fra due file di bipedi schiaffati meccanicamente sull'attenti. Gli [[Àscari|ascari]] ebbero ragione quando lo battezzarono «il Leone»: non aveva bisogno di ruggire perché il largo gli si facesse automaticamente intorno. (pp. 88-89) ===[[Explicit]]=== Vorremmo ristare dopo la guerra? Il mondo è così visto che nessun limite precisa al desiderio. Italiani, continuate ad aver fame anche dopo aver mangiato. Questa guerra è per noi come una bella lunga vacanza dataci dal Gran Babbo in premio di tredici anni di banco di scuola. E, detto fra noi, era ora. ==Citazioni su Indro Montanelli== *A leggerlo sembrerebbe un disordinatore di professione: sempre pronto a mugugnare, sempre a prendersela con qualcuno. Poi però, quando si tratta di scendere sul pratico, ci consiglia di turarci il naso e di andare a votare per l'Ordine. vallo a capire. ([[Luciano De Crescenzo]]) *Amo Indro Montanelli, ma non i suoi emuli. I polemisti per posa non mi piacciono, non li ritengo utili. Ma lui non era un polemista fine a se stesso, come tanti dei suoi presunti eredi. Era piuttosto, come da titolo di una sua fortunata rubrica, controcorrente. Non si curava delle convenienze, dei vantaggi che gli sarebbero derivati nel seguire l'onda di [[pensiero]] prevalente. Aveva la sua visione delle cose, sempre originale e spesso esatta. Io credo che dire quel che si pensa premi sempre. Montanelli lo faceva, e andava a letto tranquillo. ([[Fabio Genovesi]]) *C'è davvero qualcosa di singolare nel modo in cui è venuta formandosi la memoria della Repubblica, nel modo in cui tale memoria è stata ed è elaborata dalla cultura ufficiale del Paese. Per molti decenni, ad esempio, a quanto accaduto dal 1943 al '45 fu vietato dare il nome che gli spettava, il nome cioè di [[Guerra civile in Italia (1943-1945)|guerra civile]]. Parlare di guerra civile era giudicato fattualmente falso, e ancor di più ideologicamente sospetto. Bisognava dire che quella che c'era stata era la resistenza, non la guerra civile; di guerra civile parlavano e scrivevano, allora, solo i reduci di Salò, i nostalgici del regime e qualche coraggioso giornalista o pubblicista di rango come Indro Montanelli, che mostravano così da che parte ancora stavano. Le cose andarono in questo modo a lungo. Finché, all'inizio degli anni Novanta, come si sa, uno storico di sinistra, [[Claudio Pavone]], scrisse un libro sul periodo 1943-'45 che si intitolava precisamente ''Una guerra civile'': solamente da allora tutti abbiamo potuto usare senza problemi questa espressione, ben inteso non cancellando certo la parola resistenza. ([[Ernesto Galli della Loggia]]) *È uno che riesce a spiegare agli altri quello che non capisce nemmeno lui. ([[Mario Missiroli]]) *È vero che ha cambiato parere politico più volte, ma sempre perché profondamente preoccupato per le sorti del paese. Ma Indro ha cambiato parere sempre meno di quei giornalisti che da Lotta Continua sono passati a Comunione e Liberazione per approdare infine a dirigere quotidiani di Stato. Senza contare tutti coloro che da stalinisti o maoisti sono diventati prima antimarxisti e ora clintoniani: Montanelli ragiona, loro vogliono avere sempre ragione. ([[Fausto Gianfranceschi]]) *Indro è naturalmente inclinato, direi quasi condannato a vedere più i ''tics'' degli uomini che le loro qualità e nessuno come lui fa più uso, nei suoi ritratti, dell'acido prussico. ([[Eugenio Montale]]) *{{maiuscoletto|Indro Montanelli}}. L'Italia dei Luoghi Comuni. ([[Marcello Marchesi]]) *Io mi sono limitato ad adottare la sua formula giornali­stica. Ma l'ho realizzata meglio perché mi sono sempre esposto, ci ho messo la faccia. Lui invece era come Veltroni: "Sì, ma an­che". Non si schierava nettamente, il suo editoriale era così in chiaroscuro che alla fine non capivi mai se fosse chiaro o scuro. Il che non significa che non resti il migliore di tutti noi. Ho venduto più di lui solo perché a me la gente non fa schifo. ([[Vittorio Feltri]]) *Mi sono sentito in imbarazzo per lui, e il mio primo pensiero è stato il rifiuto – «no, povero Montanelli» – quando all'ingresso dei giardini di via Palestro mi sono trovato davanti alla sua statua, al punto che ho pensato che ci sono vandali che distruggono e vandali che costruiscono, e che anzi, per certi aspetti, il vandalismo che crea è ben peggiore, perché tenta di disarmarti con le sue buone intenzioni. Dunque era di mattina, molto presto, e i giardini erano vuoti, al sole. Ebbene in questo vuoto, la statua mi è apparsa all'improvviso: una figurina in gabbia che non ha niente a che fare con Montanelli, se non perché lo offende anche fisicamente, lui che era così "verticale", e che ci invitava a buttare via «il grasso» e la retorica monumentale. Il giornalista che ogni volta si ri-definiva in una frase, in un concetto, in un aforisma, in una citazione, è stato per sempre imprigionato in una scatola di sardine. Perciò ho provato il disagio che sempre suscita il falso, la patacca, la similpelle che non è pelle, perché non solo questo non è Montanelli, come ci ha insegnato Magritte che dipinse una pipa e ci scrisse sotto "questa non è una pipa". Il punto è che questa non è neppure una statuta di Montanelli, ma di un montanelloide in bronzo color oro, che ha la presunzione ingenua e goffa di imprigionare il Montanelli entelechiale, il Montanelli che era invece l'asciuttezza, era il corpo più "instatuabile" del mondo, troppo alto, troppo energico, troppo nervoso, incontenibile nello spazio e nel tempo com'è l'uomo moderno, che è nomade e ha un'identità al futuro. Era il più grande nemico delle statue il Montanelli che sempre ci sorprendeva, fascista ma con la fronda, conservatore ma anarchico, con la sinistra ma di destra, un uomo di forte fascino maschile che tuttavia non amava raccogliere i trofei del fascino maschile, ingombrante ma discreto, il solo che nella storia d' Italia abbia rifiutato la nomina a senatore a vita perché, diceva, «i monumenti sono fatti per essere abbattuti», come quello di Saddam, o di Stalin o di Mussolini. Come si può fare una statua ingombrante e discreta? Come si può fare un monumento all'antimonumento? ([[Francesco Merlo]]) *Montanelli comprò una sposa ragazzina di 11-12 anni. In realtà non possiamo sapere con precisione l'età perché nei villaggi africani non si registravano le nascite. Ma la comprò, questo lo sappiamo. E la violentò più volte. sappiamo anche questo, è stato lui a raccontare che lei non voleva. [...] Da italiano Montanelli avrebbe potuto riconoscere i segni di quella crudeltà e discostarsene. Non lo fece perché condivideva evidentemente quella cultura patriarcale. Perché non mettere al posto della sua statua quella di una donna della Resistenza? In Italia vorrei vedere più statue di donne partigiane. ([[Maaza Mengiste]]) *Montanelli disprezzava la borghesia che difendeva, e ammirava i comunisti che attaccava. Era convinto che la rivolta di Budapest si dovesse a operai che volevano il vero socialismo; mentre fu una rivolta nazionalista e antisovietica. ([[Enzo Bettiza]]) *Montanelli è il campione di indipendenza dalla politica, anche se sono arrabbiato con lui perché mi ha insegnato regole di comportamento anacronistiche, che nel giornalismo odierno non valgono più. ([[Daniele Vimercati]]) *Montanelli ha sempre avuto una componente di destra. È stato un uomo di destra come fascista, uomo di destra come sostenitore dei governi dc sia pure turandosi il naso. [...] Adesso è un uomo di destra qualunquista, ma sempre di destra. ([[Ugo Intini]]) *Montanelli, un misantropo che cerca compagnia per sentirsi più solo. ([[Leo Longanesi]]) *Quanto mi ha insegnato: le parole da non usare, le cose da non dire, la persone da non frequentare. ([[Beppe Severgnini]]) *Recentemente sono stato insignito del Premio Montanelli alla carriera che dovrebbe essermi consegnato a ottobre a Fucecchio, a meno che nel frattempo non mi sia revocato per indegnità, sempre in nome della libertà di informazione. Sono certo che il vecchio Indro non avrebbe condiviso nemmeno un fonema del mio necrologio sul Mullah {{NDR|Omar}}, ma sono altrettanto certo che non si sarebbe mai sognato di bloccarlo. Caso mai ci avrebbe riso su, considerandolo una provocazione, anche se provocazione non era. Perché Montanelli era un vero liberale. Quando i liberali esistevano ancora. ([[Massimo Fini]]) *Sa spalmare una così giusta misura di miele sull'orlo del nappo avvelenato che prepara per questo o per quello, che spesso la vittima muore senza accorgersene, ingannata dai soavi licori. ([[Paolo Monelli]]) *Scalfari e Montanelli direttori all'antica, padroni, mattatori che ricordano gli Scarfoglio, i vecchi direttori dell'ottocento che non solo incrociavano la penna ma anche la spada in una rissa continua con tutt ([[Ugo Intini]]) *Si può raccontare la [[storia]] in forma lieve, senza essere troppo ponderosi, rispettando tuttavia le fonti e la verità storica. Montanelli era molto bravo a scrivere, ma in fondo ne sapeva poco, gli piaceva gigioneggiare, sprofondava nell'anacronismo. Oggi ci si è accorti che, nel raccontare la storia, essere rigorosi ed essere divertenti non è conflittuale. ([[Alessandro Barbero]]) *So solo che Montanelli è fatto così: un maestro di giornalismo che ogni tanto s'impenna con qualcuna delle sue bizzarrie. ([[Giorgio Bocca]]) *Una volta, parecchi anni fa, Indro Montanelli, dicendosi disgustato della morbidezza e della mollezza della [[Democrazia Cristiana]], che ammorbidiva, incorporava, estenuava e alla fine innocuizzava qualsiasi opposizione, togliendole ogni soddisfazione e dignità, mi mostrò una fotografia, incastonata in una cornicetta d'argento, che teneva, a mo' di santino, come altri fanno con le immagini della madre o della moglie e dei figli, sulla sua scrivania, al «Giornale». Con sorpresa vidi che si trattava di Stalin. «Con questo ci sarebbe stato gusto, a battersi», disse. ([[Massimo Fini]]) *Ognuno può pensarla come vuole, ma quando si passa dalla cronaca alla storia è necessario mantenere un giusto approccio ed essere oggettivi sui valori della persona. Indro Montanelli è stato forse il più autorevole giornalista che l’Italia ha avuto nel ventesimo secolo. La Toscana penserà ad azioni per valorizzarlo. ([[Eugenio Giani]]) ===[[Enzo Biagi]]=== *A Indro Montanelli devo molto: intanto, l'idea che chi conta è il pubblico. Poi la necessità di essere chiari, di far anche fatica, perché chi legge non ha voglia di impegnarsi troppo, e solo se uno si chiama [[James Joyce|Joyce]] può essere difficile. *Montanelli se n'è sempre fregato delle critiche, io molto meno, ho un carattere permaloso, spesso non ho resistito alla tentazione di rispondere a chi mi attaccava. Indro mi sgridava, diceva a mia moglie di tenermi calmo, che non ne valeva la pena, che erano tutte bischerate. [...] Per lui il buon risultato era il sorriso di un passante, l'oste che gli trovava il tavolo. Qualcuno si chiedeva che cos'avesse di speciale. A pensarci bene, niente. Scriveva degli articoli che erano letti e dei libri che si vendevano. *Non è una gran notizia che Indro e io non abbiamo mai fatto parte del coro, ma fu una grande notizia la spiegazione che ne diede Berlusconi: "Biagi e Montanelli hanno invidia del mio successo". La prima cosa che mi venne in mente fu: "Sai che risate si starà facendo Indro adesso". Poi mi dissi che c'era poco da ridere. ==Note== <references/> ==Bibliografia== *Indro Montanelli, ''Qui non riposano'', Marsilio, 1982 (1945). *Indro Montanelli, ''Pantheon minore'' (incontri), Longanesi e C., Milano, 1950. {{NoISBN}} *Indro Montanelli, ''Gli incontri'', Rizzoli, Milano, 1967. {{NoISBN}} *Indro Montanelli, ''Storia dei greci'', Rizzoli, Milano, 1992. ISBN 8817115126 *Indro Montanelli, ''Storia dei greci'', RCS Quotidiani, Milano, 2004. ISBN 1-129-08505-8 *Indro Montanelli, ''Storia di Roma'', Longanesi, Milano, 1957; Rizzoli, Milano, 1959. {{NoISBN}} *Indro Montanelli, ''Storia di Roma'', RCS Quotidiani, Milano, 2004. ISBN 1-129-08505-8 *Indro Montanelli, ''L'Italia giacobina e carbonara (1789-1831)'', Rizzoli, Milano, 1971. {{NoISBN}} *Indro Montanelli, ''L'Italia del Risorgimento (1831-1861)'', terza edizione, Rizzoli, Milano, 1972. {{NoISBN}} *Indro Montanelli, ''L'Italia dei notabili (1861-1900)'', Rizzoli, Milano, 1973. {{NoISBN}} *Indro Montanelli, ''L'Italia di Giolitti (1900-1920)'', Rizzoli, Milano, 1974. {{NoISBN}} *Indro Montanelli, ''L'Italia in camicia nera (1919-3 gennaio 1925)'', Rizzoli, Milano, 1976. *Indro Montanelli, ''Dante e il suo secolo'', Rizzoli, Milano, 1974. {{NoISBN}} *Indro Montanelli, ''I protagonisti'', Rizzoli, Milano, 1976. {{NoISBN}} *Indro Montanelli, ''Controcorrente'', Editoriale Nuova, Milano, 1978. {{NoISBN}} *Indro Montanelli, ''Controcorrente 1974-1986'', Arnoldo Mondadori Editore, Milano, 1987. ISBN 8804300558 *Indro Montanelli, ''Il meglio di «Controcorrente». 1974-1992'', Rizzoli, Milano, 1993. ISBN 8817428078 *Indro Montanelli, ''Il testimone'', TEA, Milano, 1993. ISBN 8878194182 *Indro Montanelli, ''Le Stanze. Dialoghi con gli italiani'', Rizzoli, Milano, 1998. ISBN 8817852597 *Indro Montanelli, ''Le nuove Stanze'', Rizzoli, Milano, 2001. ISBN 8817868426 *Indro Montanelli, ''Soltanto un giornalista. Testimonianza resa a Tiziana Abate'', BUR, Milano, 2003. ISBN 8817107042 *Indro Montanelli, ''I conti con me stesso. Diari 1957-1978'', a cura di [[Sergio Romano]], Rizzoli, Milano, 2010. ISBN 8817028202 ([http://books.google.it/books?id=fuh--fZGHMcC&printsec=frontcover Anteprima su Google Libri]) *Indro Montanelli, ''Ricordi sott'odio'', Milano, Rizzoli, 2011, ISBN 978-88-17-04963-4 *Indro Montanelli, ''Indro al Giro. Viaggio nell'Italia di Coppi e Bartali. Cronache del 1947 e 1948'', a cura di Andrea Schianchi, Collana Saggi italiani, Milano, Rizzoli, 2016. ISBN 978-88-1708-969-2 *Paolo Granzotto, ''Montanelli'', Bologna, Il Mulino. ISBN 88-15-09727-9 *Paolo Occhipinti (a cura di), ''Caro Indro... Dialoghi di Montanelli con il direttore di Oggi. 1993-2001. Il meglio di una rubrica di successo durata otto anni'', RCS, Milano, 2002. ==Voci correlate== *[[Colette Rosselli]] *[[Indro Montanelli e Roberto Gervaso]] *[[Indro Montanelli e Mario Cervi]] *[[Indro Montanelli e Marco Nozza]] *''[[Il generale Della Rovere]]'' (film 1959) ==Altri progetti== {{interprogetto}} ===Opere=== {{Pedia|La Voce (quotidiano)|''La Voce''}} {{Pedia|Storia d'Italia (Montanelli)|''Storia d'Italia''}} {{DEFAULTSORT:Montanelli, Indro}} [[Categoria:Drammaturghi italiani]] [[Categoria:Giornalisti italiani]] [[Categoria:Saggisti italiani]] [[Categoria:Commediografi italiani]] q1auq9uz20fletjxjgkbi7y1q4liy3k 1381949 1381947 2025-07-01T20:19:19Z ~2025-110542 103361 /* La Stampa */ 1381949 wikitext text/x-wiki [[File:IndroMontanelliLettera22.jpg|thumb|upright=1.5|Indro Montanelli alla sede del ''Corriere della Sera'']] '''Indro Montanelli''' (1909 – 2001), giornalista, saggista e commediografo italiano. ==Citazioni di Indro Montanelli== [[File:Indro Montanelli 1936.jpg|miniatura|Indro Montanelli, ufficiale del Regio Esercito, 1936]] *[[Gianni Agnelli|Agnelli]] ha detto che non siamo nella repubblica delle banane, però qualche banana in Italia c'è, perché avvengono cose veramente singolari.<ref>Citato in Marco Travaglio, ''Bananas'', Garzanti, Milano, 5 maggio 2001.</ref> *Al [[conformismo]] l'[[ironia]] fa più paura d'ogni [[Argomentazione|argomentato ragionamento]].<ref>Da ''Controcorrente'', Editoriale Nuova, Milano, 1978.</ref> *{{NDR|[[Ferdinando I delle Due Sicilie]]}} Aveva sulla coscienza la vita di migliaia d'infelici, morti sulla forca e nelle galere solo per aver voluto un po' di libertà. Era stato spergiuro. Non aveva conosciuto che disfatte e fughe ignominiose di fronte al nemico. Politicamente, era rimasto fermo alla concezione settecentesca del più retrivo assolutismo. Non aveva fatto che i propri interessi, e più ancora i propri comodi, della regalità prendendosi solo i piaceri. Non aveva saputo che incrementare l'ignoranza di cui egli stesso era campione. Eppure, il cordoglio popolare per la sua morte non ci stupisce, perché un dono lo aveva avuto: la genuinità. Questo Re fellone e fannullone non aveva mai cercato di apparire diverso da quel che era: uno scugnizzo dei «bassi», prepotente, ridanciano e sboccato, nato per caso con una corona in testa e che aveva sempre concepito la sua parte come quella di un buon capo-camorra. Non aveva interpretato che i caratteri deteriori del popolo napoletano, ma anche i più appariscenti e riconoscibili.<ref>Da ''L'Italia unita. {{small|Da Napoleone alla svolta del Novecento}}'', Rizzoli BUR, Milano, 2015, [https://books.google.it/books?id=8J7tCgAAQBAJ&lpg=PT206&dq=&pg=PT206#v=onepage&q&f=false p. 206]. eISBN 978-88-58-68272-2</ref> *Avevo capito fin dal primo incontro che l'aggressività di [[Anna Magnani|Anna {{NDR|Magnani}}]] era solo la maschera della sua insicurezza. Era una donna difficile e sempre agli estremi di tutto: della dolcezza come del furore, e non si capiva mai bene, forse non lo capiva nemmeno lei, quanto l'uno e l'altra fossero veri, o soltanto scena. Certo è che dall'uno all'altra passava con fulminea velocità e tenendo chiunque in stato di fibrillazione. <ref>Da ''Anna Magnani, la più grande attrice del nostro cinema'', 23 ottobre 1999, in ''Le Nuove stanze'', a cura di Michele Brambilla, RCS Libri, Milano, 2002, p. 280.</ref> *{{NDR|[[Walter Chiari]]}} Avrebbe meritato 30 anni di prigione per lo spreco del suo talento.<ref>Citato in Luciano Giannini, ''[https://www.ilmattino.it/AMP/cultura/walter_chiari_100_walter_sottotitolo_chiari_biografia_di_un_genio_irregolare-7954361.html Walter Chiari genio irregolare che confessava di aver vissuto]'', ''Il Mattino'', 24 febbraio 2024</ref> *[[Silvio Berlusconi|Berlusconi]] è una persona intelligente finché riesce a ragionare col suo cervello: il suo cervello è valido. Ma lui, oltre al cervello, ha le viscere, e molto spesso le viscere prendono la prevalenza sul cervello. E quando lui si abbandona alle viscere, secondo me, diventa uomo pericoloso. Questo lo dico a lei perché l'ho detto a lui, perché gliel'ho anche scritto.<ref name="milano">Dal programma televisivo ''Milano, Italia'', Rai 3, 11 gennaio 1994.</ref> *[[Silvio Berlusconi|Berlusconi]] ha straordinarie qualità di imprenditore – coraggio, fantasia, forza di lavoro – che gli hanno valso il successo in tutti i campi in cui si è cimentato. Una sola cosa non gli riesce di fare, il presidente di una società di calcio.<ref>Da ''[http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/1987/01/20/ora-montanelli-critica-berlusconi.html Ora Montanelli critica Berlusconi]'', ''la Repubblica'', 20 gennaio 1987.</ref> *[[Silvio Berlusconi|Berlusconi]] non ha idee: ha solo interessi.<ref>2001; citato in [[Marco Travaglio]], ''Ad personam'', Chiarelettere, Milano, 2010, p. 39, ISBN 978-88-6190-104-9.</ref> *{{NDR|Su [[Aldo Moro]]}} Calvinista a rovescio, invece che nella predestinazione della [[Grazia divina|grazia]], credeva in quella della [[disgrazia]].<ref>Citato in [[Roberto Gervaso]], ''Ve li racconto io'', Mondadori, Milano, 2006, pp. 310-311, ISBN 88-04-54931-9.</ref> *Certo, per un direttore di giornale, avere sottomano un [[Marco Travaglio|Travaglio]], che su qualsiasi protagonista, comprimario e figurante della vita politica italiana è pronto a fornirti su due piedi una istruttoria rifinita nel minimo dettaglio è un bel conforto. Ma anche una bella inquietudine. Il giorno in cui gli chiesi se in quel suo archivio, in cui non consente a nessuno di ficcare il naso, ci fosse anche un fascicolo intitolato al mio nome, Marco cambiò discorso.<ref>Dalla prefazione a Marco Travaglio, ''Il Pollaio delle Libertà'', Vallecchi, Firenze, 1995.</ref> *Chi di voi vorrà fare il [[giornalista]], si ricordi di scegliere il proprio padrone: il [[lettore]].<ref>Dalla lezione di giornalismo all'Università di Torino, 12 maggio 1997; citato in ''La Stampa'', 14 aprile 2009.</ref> *Conosco molti furfanti che non fanno i [[Morale|moralisti]], ma non conosco nessun moralista che non sia un furfante. Senza, per carità, allusione a [[Eugenio Scalfari|Scalfari]]. Solo come promemoria.<ref>Citato in [[Eugenio Scalfari]], ''Incontro con io'', Rizzoli, Milano, 1994, ISBN 8806200747.</ref> *Cosa c'è meglio di [[Romano Prodi|Prodi]]? Governa fra compromessi e imbroglietti. I nostri soci sanno benissimo che siamo imbroglioni, che sui conti che portiamo all'Europa s'è un po' imbrogliato. Accettano lo stesso, purché non s'esageri. E [[Carlo Azeglio Ciampi|Ciampi]] non esagera, è un economista serio e vero. [...] {{NDR|Romano Prodi}} Con la faccia da mortadella, l'ottimismo inossidabile e l'eterno sorriso, ci porterà in Europa: ringraziamo Dio, e anche [[Massimo D'Alema|D'Alema]], che ci hanno dato Prodi.<ref name=Montanelli>Citato in Francesco Battistini ''[https://web.archive.org/web/20160101000000/http://archiviostorico.corriere.it/1997/dicembre/19/Montanelli_ragazzi_rifate_68_co_0_97121914987.shtml Montanelli: ragazzi, rifate il '68]'', ''Corriere della Sera'', 19 dicembre 1997.</ref> *Dicono che [[Ciriaco De Mita|De Mita]] sia un intellettuale della Magna Grecia. Io però non capisco cosa c'entri la Grecia...<ref>Citato in ''Liberazione'', 22 febbraio 2008.</ref> *{{NDR|Su [[Giulia Maria Crespi]]}} Dispotica guatemalteca.<ref> Citato in Paolo Martini, ''[https://www.adnkronos.com/crespi-la-zarina-del-corriere-della-sera-che-fondo-il-fai_4YA2lu93AIXTzgMw0Wj65x Crespi, la 'zarina' del Corriere della Sera che fondò il Fai]'', adnkronos.com, 19 luglio 2020.</ref> *{{NDR|Su [[Gad Lerner]], nel 2000}} È bravissimo, son contento l'abbian messo al ''Tg1'', è un buon conduttore, buonissimo giornalista. Ma sarà un bravo direttore?<ref>Citato in Antonella Rampino, ''[http://www.archiviolastampa.it/component/option,com_lastampa/task,search/mod,libera/action,viewer/Itemid,3/page,3/articleid,0428_01_2000_0162_0003_4349235/ Il rischio? Una missione impossibile]'', ''La Stampa'', 17 giugno 2000.</ref> *{{NDR|Su [[Concetto Lo Bello]]}} Entra in campo col passo del padrone che ispeziona il proprio podere.<ref>Citato in Marco Innocenti, ''[https://st.ilsole24ore.com/art/SoleOnLine4/dossier/Tempo%20libero%20e%20Cultura/storie-della-storia/archivio-2009/storie-storia-9-settembre-muore-lo-bello.shtml?uuid=4327f496-881f-11de-873c-ca3137183d57&DocRulesView=Libero&refresh_ce=1 9 settembre 1991: se ne va il re degli arbitri, Concetto Lo Bello]'', ''ilsole24ore.com'', 8 settembre 2009.</ref> *{{NDR|Su [[Gaio Giulio Cesare|Giulio Cesare]]}} Grande soldato, grande statista, grande scrittore, grande avventuriero. E grande amatore. C'era di tutto. [...] In questa epoca di Mani Pulite Cesare sarebbe rimasto sicuramente "intangentato". Di tangenti lui ne prese parecchie. Ma a differenza dei mariuoli di oggi era anche un grande legislatore, un grande generale, un uomo di un'efficienza straordinaria. I nostri sono dei ladri. Ladri e basta.<ref>Citato in Mauro Anselmo, ''[http://www.archiviolastampa.it/component/option,com_lastampa/task,search/mod,libera/action,viewer/Itemid,3/page,7/articleid,0797_01_1993_0212_0009_11229316/ Montanelli: così ho finito la mia Storia d'Italia]'', ''La Stampa'', 4 agosto 1993.</ref> *{{NDR|Su [[Clare Boothe Luce]]}} Ha la mentalità schematica di una maestra di scuola.<ref>Citato in Massimo Gaggi, ''Quando il giornale del Pci pensò di pubblicare il nudo dell'ambasciatrice Usa'', ''Corriere della Sera'', 18 dicembre 2022.</ref> *{{NDR|Su [[Lucio Battisti]]}} Ho amato molto le sue canzoni e il suo desiderio di vivere appartato.<ref>Citato in [[Leo Turrini]], ''Lucio Battisti: la vita, le canzoni, il mistero'', Mondadori, 2008, retrocopertina.</ref> *I mariti italiani, per comprar la pelliccia alle mogli, spendono più di tutti i loro colleghi europei. Poveri, ma pelli.<ref name=Controcorrente>Da ''Controcorrente, 1974–1986'', Mondadori, Milano, 1987.</ref> *I nostri uomini politici non fanno che chiederci, a ogni scadenza di legislatura, «un atto di fiducia». Ma qui la fiducia non basta; ci vuole l'atto di fede.<ref name=Controcorrente/> *I [[Ricordo|ricordi]] vanno messi sotto teca, appesi a una parete e guardati. Senza tentare di rinnovarli. Mai.<ref>Da un'intervista di [[Ferruccio de Bortoli]], 1999; in ''[http://www.rai.it/dl/Rai5/programma.html?ContentItem-f04f3982-e954-471e-8242-78f92423550d Indro Montanelli, gli anni della televisione]'', puntata 8, di Nevio Casadio, Rai Premium, 2013.</ref> *Il bello dei [[politologi]] è che, quando rispondono, uno non capisce più cosa gli aveva domandato.<ref name=Controcorrente/> *{{NDR|Su [[Carlo Sforza]]}} Il conte si piega sulle gambe come se volesse saltare in arcione. E io dico: è veramente un bell'uomo.<ref>Citato da Guido Russo Perez nella [https://documenti.camera.it/_dati/leg01/lavori/stenografici/sed0331/sed0331.pdf Seduta pomeridiana del 31 ottobre 1949] della Camera dei deputati.</ref> *Il fascismo privilegiava i somari in divisa. La democrazia privilegia quelli in tuta. In Italia, i regimi politici passano. I somari restano. Trionfanti.<ref name=Controcorrente/> *Il guaio di [[Eugenio Scalfari|Scalfari]] non è che dice quel che pensa. Il guaio di Scalfari è che pensa quel che dice.<ref>Citato in Paolo Granzotto, ''Montanelli'', p. 173.</ref> *In [[Italia]] a fare la dittatura non è tanto il dittatore quanto la paura degli italiani e una certa smania di avere, perché è più comodo, un padrone da servire. Lo diceva [[Benito Mussolini|Mussolini]]: «Come si fa a non diventare padroni di un paese di servitori?».<ref>Dall'intervista di Pasquale Cascella, ''Montanelli: «Il regime? È alle porte, inutile aspettare il dittatore»'', ''l'Unità'', 25 ottobre 1994, p. 5.</ref> *In Italia c'è una frangia d'imbecilli tali che credono si possa resuscitare il comunismo. Seppellire il cadavere del marxismo non è facile, anche perché per molti significa rinnegare l'intera esistenza. Ma certo [[Fausto Bertinotti|Bertinotti]] non è di questi: lui non sa un corno di marxismo, non gl'importa niente, è un piccolo pagliaccio, un populista all'italiana che scalda in piazza maree di poveri diavoli e parla ancora delle masse operaie, che vede solo lui.<ref name=Montanelli></ref> *In Italia non c'è una coscienza civile, non c'è un'identità nazionale che tenga insieme uno Stato federale e garantisca la civile convivenza delle sue parti. Invece io vedo solo nell'Italia Cisalpina qualche barlume di coscienza civile e una vocazione europea. Altrove, invece, è un disastro difficile, se non impossibile, da rimediare. Spero proprio di sbagliarmi.<ref name=Italia>Citato in ''Il grande vecchio del giornalismo rilegge gli ultimi anni della nostra storia'', ''L'Indipendente'', 25 luglio 1995.</ref> *In Italia si può cambiare soltanto la Costituzione. Il resto rimane com'è.<ref>Dall'articolo di Polaczek, ''Teile und sende'', in ''Frankfurter Allgemeine Zeitung'', 15 agosto 1996, p. 29.</ref> *In Italia un colpo di piccone alle [[Casa di tolleranza|case chiuse]] fa crollare l'intero edificio, basato su tre fondamentali puntelli, la Fede cattolica, la Patria e la Famiglia. Perché era nei cosiddetti postriboli che queste tre istituzioni trovavano la più sicura garanzia.<ref>Citato in Daniele Abbiati, [http://www.ilgiornale.it/news/tresse-indro-nella-repubblica-delle-marchette.html ''La maîtresse di Indro nella Prima Repubblica delle marchette''], ''il Giornale.it'', 22 ottobre 2010.</ref> *In nome di quale razza noi faremmo del razzismo? Se c'è un paese (adesso non voglio offendere, perché io sono italiano come tutti gli altri), ma se c'è un paese bastardo è l'Italia, cioè a dire una confluenza di razze diverse.<ref>Dal programma televisivo di Rai 3 ''Eppur si muove'', 20 marzo 1994.</ref> *Io non mi sono mai sognato di contestare alla [[Chiesa (comunità)|Chiesa]] il suo diritto a restare fedele a se stessa, cioè ai comandamenti che le vengono dalla Dottrina... ma che essa pretenda d'imporre questi comandamenti anche a me che non ho la fortuna di essere un credente, cercando di travasarli nella legge civile in modo che diventi obbligatorio anche per noi non credenti, è giusto? A me sembra di no.<ref>Citato in [[Umberto Veronesi]], ''[http://www.repubblica.it/2008/10/sezioni/cronaca/eluana-eutanasia-3/comm-veronesi/comm-veronesi.html Non vince la scienza]'', ''la Repubblica'', 14 novembre 2008.</ref> *Io il giornale urlato non è che non glielo voglio dare, non lo so fare! La clava non è nel mio armamentario! Non lo posso fare e non credo che sia un buon segno di civiltà politica l'uso della clava.<ref name="milano" /> *Io non sono napoletano, ma di fronte a [[Peppino De Filippo|Peppino]], non so come, mi capita sempre di diventarlo.<ref name=Pappagone>Citato in ''Pappagone e non solo'', a cura di Marco Giusti, Mondadori, Milano, 2003.</ref> *{{NDR|Alla nipote Letizia Moizzi}} Io sarò il tuo Jukebox. Tu metti una monetina e io ti racconto un ricordo.<ref>Citato in Elvira Serra, «Scoprii che era importante quando le Br gli spararono. Lo convinsi io a prendere i farmaci per la depressione», ''Corriere della Sera'', 20 gennaio 2025.</ref> *Io non voglio soffrire, io non ho della sofferenza un'idea cristiana. Ci dicono che la sofferenza eleva lo spirito; no la sofferenza è una cosa che fa male e basta, non eleva niente. E quindi io ho paura della sofferenza. Perché nei confronti della morte, io, che in tutto il resto credo di essere un moderato, sono assolutamente radicale. Se noi abbiamo un diritto alla vita, abbiamo anche un diritto alla morte. Sta a noi, deve essere riconosciuto a noi il diritto di scegliere il quando e il come della nostra morte.<ref>Citato in Carlo A. Martigli, ''[http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2002/04/25/sul-diritto-alla-morte-si-discute-su.html Sul diritto alla morte si discute su Internet]'', ''la Repubblica'', 25 aprile 2002.</ref> *Kipling diceva: "un italiano, un bel tipo; due italiani, una discussione; tre italiani, tre partiti politici". I suoi concittadini, invece, li definiva così: "un inglese, un cretino; due inglesi due cretini; tre inglesi, un popolo". Vorrei avere a che fare con dei cretini che, insieme, facessero un popolo.<ref>Citato in Cristina Taglietti, ''[https://web.archive.org/web/20160101000000/http://archiviostorico.corriere.it/1998/dicembre/17/Montanelli_cari_studenti_volete_spaccate_co_0_98121712510.shtml Montanelli: cari studenti, se volete spaccate tutto ma è inutile]'', ''Corriere della Sera'', 17 dicembre 1998.</ref> *{{NDR|Riguardo all'approvazione della legge elettorale nota come mattarellum}} L'unico modello a cui possiamo rifarci è quello francese, non quello inglese. In un paese dove ci sono venti-venticinque partiti, come si fa l'uninominale a turno unico? Qui rischia di vincere un partito che ottiene il dieci percento, perché gli altri hanno ottenuto il sette, il sei. Ma le pare giusto questo? Io non so se è stata una follia o un atto criminale questa riforma elettorale. Io sono per la traduzione in processo dei legislatori, da [[Sergio Mattarella|Mattarella]] agli altri - non è stato il solo - i quali hanno fatto, come al solito, o creduto di fare gli interessi del proprio partito. Hanno fatto questa legge prima che venisse il diluvio universale di [[Mani pulite|Tangentopoli]], convinti che siccome loro erano il partito di maggioranza relativa spazzavano via l'Italia. Poi è venuta tangentopoli e ora piangono. Dovrebbero suicidarsi se avessero un minimo di dignità. Suicidarsi. Perché in nome degli interessi di partito hanno completamente rovinato l'Italia. [...] Questi legislatori che hanno truffato con questa legge - perché questa legge è una truffa - io vorrei sapere come mai non vengono processati. Dovrebbero essere processati per lesa patria.<ref name=conferenza>[https://www.youtube.com/watch?v=snbg12DCPSM Indro Montanelli presenta "La Voce", conferenza stampa integrale], 1994.</ref> *La cosa curiosa di [[Antonino Caponnetto|Caponnetto]] è che si va a schierare con [[Leoluca Orlando|Orlando]] che è stato il peggior denigratore di [[Giovanni Falcone|Falcone]]. E poi dice che fa l'antimafia, io vorrei sapere i voti a Orlando chi glieli ha dati.<ref>Citato in Riccardo Chiaberge ''[https://web.archive.org/web/20160101000000/http://archiviostorico.corriere.it/1994/marzo/21/Montanelli_voce_controcorrente_co_0_94032115801.shtml Montanelli la voce controcorrente]'', ''Corriere della Sera'', 21 marzo 1994.</ref> *La [[cultura]], per un giornalista, è come una puttana: la puoi frequentare ma non devi ostentarla. La cultura si tiene nel cassetto. Il lettore non va trattato dall'alto in basso, ma preso per mano come un amico e portato dove vuoi.<ref>Citato in [[Roberto Gervaso]], ''Ve li racconto io'', Mondadori, Milano, 2006, p. 294, ISBN 88-04-54931-9.</ref> *La cultura si è chiusa nella torre eburnea. Rimane lì, arroccata in sé stessa, perché ha orrore dei contatti col pubblico, si crede diminuita dai contatti col pubblico. Questa è la cultura italiana. È una cultura di cretini.<ref name="montecarlo">Radio Montecarlo, [https://www.youtube.com/watch?v=A77mrwIjSSs Intervista a Indro Montanelli], di Roberto Arnaldi, 1973.</ref> *La [[depressione]] è una malattia democratica: colpisce tutti.<ref>Citato nel programma televisivo ''Ippocrate'', Rai News, 13 giugno 2010.</ref> *La devolution mi preoccupa molto, perché la decomposizione della [[Repubblica Socialista Federale di Jugoslavia|Jugoslavia]] cominciò esattamente così: reclamata e imposta dai due grandi compari Tudjiman e [[Slobodan Milošević|Milosevic]] che distrussero l'unità del Paese per restare padroni in casa propria...<ref>Citato in Gian Guido Vecchi, ''[https://web.archive.org/web/20160101000000/http://archiviostorico.corriere.it/2001/aprile/08/Devolution_traffico_voto_rebus_co_7_0104088547.shtml Devolution e traffico, il voto è un rebus]'', ''Corriere della Sera'', 8 aprile 2001.</ref> *La guerra contro il [[brigantaggio]], insorto contro lo Stato unitario, costò piú morti di tutti quelli del [[Risorgimento]]. Abbiamo sempre vissuto dei falsi: il falso del Risorgimento che assomiglia ben poco a quello che ci fanno studiare a scuola.<ref>Citato in Stefano Preite, ''Il Risorgimento, ovvero, Un passato che pesa sul presente'', Piero Lacaita, 2009.</ref> *La lettura del ''[[Adolf Hitler#Mein Kampf|Mein Kampf]]'' io la renderei, per legge, obbligatoria. Fuori dal contesto in cui fu concepito e scritto, quel libro è un caciucco di coglionerie.<ref>Citato in Cesare Medail, ''Il «Mein Kampf» torna nelle librerie italiane. Grazie a un editore cossuttiano'', ''Corriere della Sera'', 6 maggio 2000.</ref> *La nostra classe politica ha fatto del [[partito]] una specie di totem intoccabile e gli ha attribuito tutti i poteri, con in più un diritto: il diritto di abusarne.<ref name=Dovere>Dal programma televisivo ''Dovere di cronaca'', Rete 4, 1988, [https://www.youtube.com/watch?v=caQgyvTKZS8 visibile su YouTube].</ref> *Le cose non sono importanti per quello che sono, ma per quello che uno ci mette.<ref name="cento">intervista di Enzo Biagi a Indro Montanelli, (1982), da "Cento anni", Fabbri video, 1993.</ref> *Le mie idee sono sempre al vaglio dell'[[esperienza]] e l'esperienza mi impone di rivederle continuamente.<ref name="IIIB">Da un'intervista del 1971, tratta da ''III B, Facciamo l'appello'' di Enzo Biagi; anche in ''[http://www.rai.it/dl/Rai5/programma.html?ContentItem-f04f3982-e954-471e-8242-78f92423550d Indro Montanelli, gli anni della televisione]'', puntata 7, di Nevio Casadio, Rai Premium, 2013.</ref> *[[Leo Longanesi]] che amava [[Marcello Marchesi]] rabbiosamente per lo spreco che faceva del suo talento, quando lo incontrava, gli diceva: "Devo fare una telefonata, mi dai un gettone di intelligenza?". E un giorno mi ordinò un epitaffio per lui. Eccolo: "Qui giace un nessuno — che se avesse voluto — avrebbe potuto diventare — Marcello Marchesi —. Purtroppo o per fortuna — non lo seppe mai —. Come tutti i geni — era un cretino".<ref>Citato in Paola Fallai, ''Marchesi, l'umorista che creò un'atmosfera'', ''La lettura'', ''Corriere della Sera'', 25 marzo 2012; riportato in ''[http://www.cinquantamila.it/storyTellerArticolo.php?storyId=0000001549183 Cinquantamila.it]''.</ref> *Mi accusano molto spesso di avere inventato degli aneddoti. È verissimo. Io ogni tanto invento quando devo descrivere un personaggio, specialmente negli incontri, io invento qualche aneddoto. Però sono sempre aneddoti funzionali, che servono a dimostrare quel certo carattere che mi sembra vero e di dover dimostrare.<ref name="IIIB" /> *Mi avvio verso il mio capolinea con l'angoscia di portare con me le cose che ho più amato: il mio paese e il mio mestiere, temo che non mi sopravviveranno.<ref>Da un'intervista del 1996, tratta da ''Tablet Italiani'', puntata 2, "Montanelli/Bocca", Rai Storia, 25 agosto 2013.</ref> *{{NDR|Su [[Vittorio Mangili]], in riferimento all'[[rivoluzione ungherese del 1956|insurrezione antisovietica in Ungheria nel 1956]]}} Ne ha combinate di tutti i colori. Ha fatto perfino il portaordini dei patrioti, a bordo di una delle loro automobili di collegamento.<ref>Citato in Roberta Scorranese, ''[https://www.corriere.it/cronache/22_ottobre_09/vittorio-mangili-cento-anni-dell-inviato-rai-io-budapest-madre-teresa-1efd76ca-473a-11ed-8ee2-07ab17a2d97d.shtml Vittorio Mangili, i cento anni dell’inviato Rai «Io, da Budapest a Madre Teresa»]'', ''corriere.it'', 8 ottobre 2022.</ref> *Nei grandi [[giornale|giornali]] di oggi, che non possono farne a meno, chi comanda non è più nemmeno il [[direttore]]: è l'ufficio [[marketing]].<ref name="giornalista">Da: ''Repertorio della Fondazione Montanelli'', in ''Indro Montanelli - Gli anni della televisione 4: Io sono soltanto un giornalista'', a cura di Nevio Casadio, Rai Sat, 2009</ref> *{{NDR|Rivolto a [[Silvio Berlusconi|Berlusconi]] che voleva imporsi sulla linea editoriale de ''il Giornale''}} Nell'arte dell'imprenditoria, tu sei di certo un genio, ed io un coglione. Ma nell'arte della polemica il genio sono io, e tu il coglione.<ref name=Travaglio2004>Citato in Marco Travaglio, ''Montanelli e il Cavaliere'', Garzanti, Milano, 2004.</ref> *Nessuno di noi la strada della ribellione la batté sino in fondo, come voleva [[Berto Ricci|Ricci]]: per la semplice ragione che si trattava di una strada che fondi non ne aveva. Qualcuno poi scantonò in questo o in quello dei sette o otto partiti che aprirono le porte a questa generazione perduta. E forse si illuse di aver trovato un’altra bandiera. Io sono tra i rassegnati: so benissimo che di bandiere non posso averne altre e che l'unica che seguiterà a sventolare sulla mia vita è quella che disertai, prima che cadesse.<ref>Citato in Mario Bernardi Guardi, ''La giovinezza di Montanelli ebbe un nome: Berto Ricci'', ''Il Primato Nazionale'', 3 maggio 2016.</ref> *No, [[Marco Travaglio|Travaglio]] non uccide nessuno. Col coltello. Usa un'arma molto più raffinata e non perseguibile penalmente: l'archivio.<ref name=Travaglio2004/> *Noi italiani non crediamo in nulla e tanto meno nelle virtù che qualcuno ci attribuisce. Ma tra di esse ce n'è una nella quale riponiamo una fede incorruttibile: quella della nostra capacità di corrompere tutto.<ref>Citato in Mario Cervi, ''Ti ricordi Indro?'', Società europea di edizioni, Milano, 2017, p. 57. ISBN 9778118178454</ref> *Noi qui buttiamo tutte le colpe addosso agli altri. Ma bisogna fare i conti anche col popolo italiano. Siamo noi che li abbiamo eletti questi signori. Sono mica piovuti dalla luna. E allora non accaniamoci soltanto sulla classe politica. Noi siamo un elettorato disposto a ogni sorta di transazione, quando ci fa comodo.<ref name=conferenza /> *Non credo alle feste comandate. La memoria dovrebbe essere spontanea. L'unica cosa che si dovrebbe fare è raccontare veramente e in maniera spassionata ai giovani, che non lo sanno, cosa è stata la Shoah, senza fare mobilitazioni di folle.<ref>Citato in Marco Cremonesi, ''[https://web.archive.org/web/20160101000000/http://archiviostorico.corriere.it/2001/gennaio/28/Diecimila_piazza_con_nomi_dei_co_0_0101282160.shtml Diecimila in piazza con i nomi dei lager]'', ''Corriere della Sera'', 28 gennaio 2001, p. 31.</ref> *Non do più nessun significato a queste due parole {{NDR|destra e sinistra}}, le ritengo un cascame, un residuato di situazioni oramai defunte. [[Destra e sinistra]] non hanno più nessun significato e credo che noi ci stiamo attardando su una terminologia arcaica, oramai da seppellire.<ref>Radio Radicale, [https://www.radioradicale.it/scheda/598/599-elezioni Elezioni], 38:58-39:26, 25 maggio 1979.</ref> *Non mi si portino i soliti argomenti astratti, tipo la sacralità della vita: nessuno contesta il diritto di ognuno a disporre della sua vita, non vedo perché gli si debba contestare il diritto a scegliere la propria morte.<ref>Citato in Enrico Bonerandi, ''[http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2000/12/13/montanelli-pronto-morire.html Montanelli: pronto a morire]'', '' la Repubblica'', 13 dicembre 2000, p. 36.</ref> *{{NDR|Il Polo delle Libertà}} Non venga a farci credere che è costretto all'[[Aventino (espressione)|Aventino]] dal clima di violenza creato dall'Ulivo. Dove diavolo la vede questa violenza? Mi basta guardare la faccia di [[Romano Prodi|Prodi]] 1996 per metterla a confronto con quella di Mussolini 1924 per escludere che in Italia corriamo il pericolo di una dittatura. Per fare una dittatura ci vuole un dittatore.<ref>Citato in Alessandro Longo, ''[https://rep.repubblica.it/pwa/generale/2018/03/17/news/aventino-191559602/?ref=pwa-rep-hp-2-1-1 Perché si dice Aventino]'', ''Rep.repubblica.it'', 17 marzo 2018.</ref> *{{ndr|su [[Gianni Agnelli]]}} Parla con la propria bocca, pensa con il cervello di Valletta, col cuore di Giulio De Benedetti e con gli interessi polivalenti della Fiat.<ref>Citato in Paolo Granzotto, ''Montanelli'', p. 129.</ref> *{{ndr|su [[Mariano Rumor]]}} Personaggio da commedia [[Carlo Goldoni|goldoniana]] più che da tragedia contemporanea.<ref>Citato in Paolo Granzotto, ''Montanelli'', p. 145.</ref> *Posso solo dire che l'Italia del Cattaneo è quella che conserva qualche probabilità di salvarsi da questo degrado politico, culturale, morale, economico. E l'Italia del Cattaneo è quella Cisalpina. A nord del Po, e forse anche in Emilia, esistono tracce di coscienza civile e anche di classi dirigenti sane. Poi c'è un'Italia centrale, quella toscana e umbra e marchigiana, che conserva le sue peculiarità, i suoi caratteri spiccati che affondano le radici nell'Italia comunale e rinascimentale. Il resto è un disastro che non saprei come salvare. Del resto Cattaneo ci tentò, andò a Napoli e resistette qualche giorno. Poi si arrese e se ne tornò nella sua Lugano, nella sua Svizzera.<ref name=Italia>Citato in ''Il grande vecchio del giornalismo rilegge gli ultimi anni della nostra storia'', ''L'Indipendente'', 25 luglio 1995.</ref> *Pur ricordandovi che la nostra regola è quella di non tener conto delle intemperanze altrui, specie dei politici, e di dire sempre la verità, tutta la verità, senza partito preso né animosità verso nessuno, vi autorizzo a comunicare al [[Bobo Craxi|suddetto signore]], se ve ne capita l'occasione, che l'unica «testa» in pericolo di cadere dopo il 5 aprile non è la vostra ma, casomai, la sua. E potete aggiungere, da parte mia, che non la considererei una gran perdita.<ref>Citato in [[Federico Orlando]], ''Il sabato andavamo ad Arcore'', Larus, Bergamo, 1995.</ref> *[[Sandro Pertini|Pertini]] ha interpretato al meglio il peggio degli italiani.<ref>Citato in Franco Fontanini, ''Piccola antologia del pensiero breve'', Liguori Editore, Napoli, 2007, p. 12.</ref> *Quando mi viene in mente un bell'aforisma, lo metto in conto a [[Montesquieu]], od a [[François de La Rochefoucauld|La Rochefoucauld]]. Non si sono mai lamentati.<ref>Citato in Luigi Mascheroni, ''[http://www.ilgiornale.it/news/mai-dette-ripetiamo-sempre-ecco-frasi-fantasma-storia.html Mai dette, ma le ripetiamo sempre. Ecco le frasi fantasma della storia]'', ''il Giornale'', 21 marzo 2009, p. 22.</ref> *Quello che ci ripugna è che, per mettere un controllo all'autorità politica, ci sia bisogno di ricorrere all'autorità giudiziaria. Cioè che, alla fine, noi avremo le riforme istituzionali non per via politica, ma per via giudiziaria e processuale. Questo ci allarma anche perché, come avrete ben capito, la mia opinione dei politici è molto bassa, ma quella dei giudici non è migliore. Perché anche i giudici sono stati corrotti dalla partitocrazia. Lo dimostra il semplice fatto che molti di loro ostentano la tessera di partito. Un giudice che ha venduto la propria imparzialità ai partiti è un giudice che, prima di processare gli altri, dovrebbe essere processato lui e cacciato in galera. Lo so che a dire queste cose si possono avere dei dispiaceri, ma io di dispiaceri in vita mia ne ho avuti tanti che, uno più o uno meno, non mi fa nessunissimo effetto.<ref name=Dovere/> *{{NDR|[[Carmen Lasorella]]}} Richiama tanta attenzione non solo per la sua bravura ma anche per quel che possiede dal cervello in giù.<ref>Citato in Luigi Mascheroni, ''[https://books.google.it/books?id=gtg7AQAAIAAJ&q=%22Richiama+tanta+attenzione+non+solo+per+la+sua+bravura+ma+anche+per+quel+che+possiede+dal+cervello+in+gi%C3%B9+%22&dq=%22Richiama+tanta+attenzione+non+solo+per+la+sua+bravura+ma+anche+per+quel+che+possiede+dal+cervello+in+gi%C3%B9+%22&hl=it&newbks=1&newbks_redir=0&sa=X&ved=2ahUKEwiC2PXRl5WDAxVs4AIHHazPCd4Q6AF6BAgHEAI Sette, settimanale del Corriere della sera, Edizioni 1-9]'', 1996.</ref> *Sfido io che {{NDR|''il Giornale''}} non va bene come vendite. Non va bene come vendite perché noi siamo ancora alla macchina Olivetti. Qui non è stato fatto mai nessun investimento ed è stato detto chiaro che gli investimenti non sarebbero venuti finché io ne fossi il direttore. Questa è la situazione.<ref name="milano" /> *Siamo un paese cattolico, che nella [[Provvidenza]] ci crede o almeno ne è affascinato. Il pericolo è questo: gli [[italia]]ni sentendo aria di provvidenza sono sempre pronti a mettersi in fila speranzosi.<ref name=Provvidenza>Citato in ''[http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/1994/02/24/rivogliono-uomo-della-provvidenza.html?ref=search Rivogliono l'uomo della provvidenza]'', ''la Repubblica'', 24 febbraio 1994, p. 11.</ref> *Se avessi potuto immaginare come sarebbe stata distrutta la vecchia classe politica italiana - che meritava la distruzione, sia chiaro - se avessi potuto immaginare che la distruzione della vecchia classe politica italiana, in gran parte marcia, avrebbe dischiuso una situazione come quella attuale e che la vecchia legge proporzionale sarebbe stata sostituita dall'attuale legge maggioritaria così come è stata compilata, io avrei forse difeso la vecchia classe. Per lo meno non mi sarei battuto con tanta asprezza e con tanto vigore contro quella classe politica, che meritava di finire, ma a cui si stanno dando dei successori che, ricordatevelo bene, ci faranno rimpiangere quella vecchia. È il peggio che si può dire. Ma io lo dico. Perché non riesco proprio a vedere cosa sta venendo fuori da questo rimescolio di carte.<ref name=conferenza /> *{{NDR|«Se dovesse fondare un giornale a novant'anni, che giornale farebbe?»}} Se io dovessi oggi fare un giornale, farei un ''Foglio'' un po' più grande: invece che di 4 facciate di 10 o di 12. Non di più. Con una redazione ridottissima e facendo un preventivo che mi mettesse al riparo dalle delusioni. Mirerei ad avere non più di venti/trentamila lettori e non avere pubblicità. Su queste basi, forse, riuscirei a fare un [[giornale]] di alto prestigio, ma purtroppo destinato a una élite.<ref name="giornalista" /> *Sta arrivando l'uomo della provvidenza. E io, in vita mia, di questi personaggi ne ho già conosciuto uno. Mi è bastato. Per sempre.<ref name=Provvidenza></ref> *Una cultura che perde i contatti col pubblico si sterilisce e muore. Questa è la verità. E la nostra cultura è assolutamente sterile. Noi culturalmente non contiamo più nulla nel mondo. Perché? Perché è chiusa in sé stessa, la cultura, ha perso i contatti col pubblico, con la vita. Non c'è più. Sono mummie. Non è più cultura: è mafia.<ref name="montecarlo" /> *{{NDR|Su [[Aldo Moro]]}} Un generale che, sfiduciato del proprio esercito, credeva che l'unico modo di combattere il nemico fosse quello di abbracciarlo.<ref>Citato in [[Roberto Gervaso]], ''Ve li racconto io'', Mondadori, Milano, 2006, p. 310, ISBN 88-04-54931-9.</ref> *Un giorno fui convocato a Palazzo Venezia, era il 1932 e avevo 23 anni, perché il duce voleva vedermi. Ero emozionatissimo, entrai e mi misi sull'attenti, e il duce che faceva finta di scrivere mi lasciò lì per un quarto d'ora e alla fine mi disse: "Ho letto il vostro articolo sul razzismo (avevo scritto un articolo contro il razzismo). Bravo, vi elogio. Il razzismo è roba da biondi (non si era accorto che ero biondo), continuate così. Sei anni dopo fece le leggi razziali. Perché questo era [[Benito Mussolini|Mussolini]], diceva una cosa e ne faceva un'altra, secondo il vento del momento. Non creava il vento, vi si accodava da buon italiano.<ref>Citato in Gianna Fregonara, ''[https://web.archive.org/web/20160101000000/http://archiviostorico.corriere.it/2010/gennaio/24/Dal_balcone_Mussolini_bianco_sorriso_co_9_100124324.shtml Dal balcone di Mussolini al bianco sorriso di Belen]'', 24 gennaio 2010, p. 34.</ref> *{{NDR|Su [[Giorgio La Pira]]}} Un pasticcione ben intenzionato che, nel nome del Signore, appoggia le peggiori cause appellandosi ai migliori sentimenti.<ref>Citato in [[Roberto Gervaso]], ''Ve li racconto io'', Mondadori, Milano, 2006, p. 236, ISBN 88-04-54931-9.</ref> ===Citazioni tratte da suoi libri=== *{{NDR|Sul funerale di [[Leo Longanesi]]}} Al cimitero ci si ritrovò in una decina di persone, non di più. Non ci furono cerimonie né discorsi. Solo la piccola Virginia, che avrà avuto quattordici anni, mentre la bara di suo padre calava nella tomba, mormorò: «E dire che gli orfani mi sono sempre stati così antipatici...» Una frase che sarebbe piaciuta moltissimo a Leo.<ref>Dalla presentazione a [[Leo Longanesi]], ''In piedi e seduti'', Longanesi & C., Milano, 1968.</ref> ====''Caro Indro...''==== *L'aureola di martire a Craxi nessuno è disposto a riconoscergliela, proprio perché inconciliabile con l'arroganza con cui si comporta. Nessun paragone col contegno di Andreotti, davvero ineccepibile. Sul banco degli imputati ci sta da imputato, dimentico di essere stato per ben sette volte capo del governo. Parla solo se interrogato, e a bassa voce. Non rinuncia alla propria dignità, ma non la ostenta. Eppoi, le colpe che gli si addebitano saranno anche più gravi di quelle che si addebitano a Craxi, ma meno spregevoli. Potrà anche aver baciato Riina (sebbene a me questo appaia poco credibile). Ma del pubblico denaro non risulta che gli sia scivolata in tasca nemmeno una lira. Forse merita la fucilazione. Lo spregio, no. (31.1.1996) (p. 9) *Non ho mai conosciuto [[Yasser Arafat|Arafat]], né mai ho cercato di conoscerlo: non mi pare che il suo aspetto inviti alla simpatia. Però non l'ho mai considerato un criminale anche se si trovava alla testa di un'[[Organizzazione per la Liberazione della Palestina|organizzazione]] in cui di criminali ce ne sono molti. E oggi non lo considero affatto un eroe, ma un uomo coraggioso sì, perché lo ritengo in costante pericolo di vita. La lotta per il potere, dentro l'Olp, è a coltello: e i nemici di Arafat sono quelli che il coltello lo maneggiano meglio di tutti. Stringendo la mano a [[Yitzhak Rabin|Rabin]], Arafat ha moltiplicato i suoi nemici e li ha resi ancora più rabbiosi. È un uomo a rischio, non c'è dubbio. E se muore lui, addio pace in Medio Oriente. (4.10.1993) (p. 11) *Certo che il passato dell'Olp, carico di bombe e di sangue, non è la migliore referenza per un Nobel, ma Arafat è però anche l'unico interlocutore palestinese: dopo di lui c'è il nulla, o meglio soltanto gruppi di fanatici votati alla violenza e alla distruzione di [[Israele]]. Una volta presa la decisione di premiare i protagonisti del tormentato processodi pace in Medioriente [...] si è dovuto fare di necessità virtù e dare il riconoscimento anche all'uomo che per molti anni è stato un simbolo del terrorismo, nonché l'ispiratore di tante altre «lotte armate»: premiare solo Rabin e [[Shimon Peres|Peres]] sarebbe stato uno schiaffo ai palestinesi, un'iniziativa controproducente. [...] Forse più che il Nobel per la pace meriterebbe quello per il ravvedimento... (30.10.1994) (p. 12) *«Libera Chiesa in libero Stato» è una formula più d'effetto che di sostanza. Potrebbe anche significare che Chiesa e Stato si ignorano a vicenda e ognuno dei due si attribuisce i poteri che più gli aggradono: che è il modo più sicuro per litigare, non certo per convivere. Fra i due ci deve essere un patto improntato al reciproco rispetto: condizione più facile da formulare che da realizzare. Ma sembra che lo sviluppo di questo rapporto negli ultimi anni abbia fatto più passi indietro che avanti. E mi pare che dello stesso parere sia il capo dello Stato, Carlo Azeglio Ciampi. Meno male (7.3.2001) (p. 30) *Ho fiducia in [[Massimo D'Alema|D'alema]], anche se non voterò mai per lui. Ho fiducia per due motivi. Prima di tutto perché, fra i leader di oggi, è l'unico vero professionista della politica. Eppoi perché non ho dubbi sulla sua intenzione di fare del Pds un partito socialdemocratico o laburista. Se non fosse così, non solo Prodi ma nemmeno Veltroni sarebbero al suo fianco. E appunto perché è così, sono convinto che consumerà fino in fondo il divorzio da Rifondazione. Lo consumerà cercando di non farsene portar via molti elettori. Ma lo consumerà per conquistare i moderati: altra strada non può battere. E proprio in questi giorni lo ha dimostrato sacrificando anche quella piccola falce e martello che tuttora sopravviveva nel simbolo del suo partito ai piedi della Quercia. Non era che un «segno», dirà qualcuno. Sì, ma che segno! (17.5.1995) (p. 42) *Anch'io sono stato in passato un fautore dell'elezione diretta, cioè per consultazione popolare, del Capo dello Stato. Mi pareva il mezzo più efficace per sottrarre almeno il Quirinale agl'intrallazzi dei partiti e per avere un garante al di sopra di essi. Ma poi ho dovuto cambiare idea di fronte alle prove di balordaggine, d'ignoranza, di totale mancanza di consapevolezza morale e civile dell'elettorato italiano, o almeno della sua maggioranza. È un elettorato sempre pronto a correre dietro a qualche ciarlatano che sappia vendere bene la sua merce e a lasciarsene trascinare nelle imprese più insensate. Insomma considero la stupidità più pericolosa degl'intrallazzi. (23.12.1998) (p. 47) *Non credo che [[Diana Spencer|Diana]] rimarrà nella memoria dei posteri. Era una bella e simpatica ragazza, che avrebbe anche potuto essere una buona moglie e una buona madre, ma che non aveva certamente la stoffa e le dimensioni umane, comportamentali di una regina. Più e meglio che sul trono, il suo personaggio avrebbe figurato in un romanzo di Liala. Non riesco ad accostarla a figure storiche (17.9.1997) (p. 72) *Mussolini non aveva la stoffa del criminale né di guerra né di pace. Dicendolo, so di espormi alle contumelie della cosiddetta intellighenzia. Ma ne ho già ricevute tante che non mi fanno più nessun effetto. Tuttavia mi rendo conto che alla condanna a morte non avrebbe potuto sfuggire perché almeno un responsabile delle catastrofi che si erano abbattute sull'Italia si doveva pur trovare, e non poteva essere che lui. Però c'è da ringraziare Dio, e per esso, il Comitato di liberazione nazionale che ne ordinò (o avallò) la fucilazione sul posto perché un processo a Mussolini avrebbe ancora più spaccato un Paese già spaccato dalla guerra civile (per chiamare col suo vero nome, la Resistenza). E credo che anche gli Alleati trassero un respiro di sollievo dal venirne esentati. Un processo avrebbe messo in imbarazzo anche loro per le indulgenze che avevano avuto verso di lui e quella parodia di totalitarismo ch'era stata il suo regime. Una Norimberga italiana sarebbe stata anch'essa una parodia. La fucilazione sul posto di Mussolini era un atto dovuto. Quello che non era dovuto, e che per gl'italiani provvisti di qualche senso dell'onore e della decenza rimarrà una indelebile vergogna, fu la scena di piazzale Loreto (30.6.1999) (pp. 89-90) *{{NDR|«Poni che ti regalino una telecamera, con il diritto di spiare per un mese, non visto, un potente della Terra, a tua scelta, dalla regina Elisabetta a Gheddafi, da Saddam a Clinton. Quale personaggio ti incuriosirebbe di più?»}} [[Vladimir Putin|Putin]]. Credo che sia una canaglia perché solo le canaglie potevano arruolarsi e fare carriera in un corpo di polizia come il Kgb. Ma è proprio di una canaglia che la [[Russia]] ha bisogno per ricompattarsi all'interno, risollevarsi dal caos in cui l'ha precipitata il crollo di un regime totalitario durato settant'anni, e riprendere nel gioco delle potenze mondiali il posto che spetta a un Paese di 250 milioni di abitanti, di grandi tradizioni e d'inesauribili risorse naturali. L'Occidente ha bisogno della Russia: è il suo antemurale verso un Oriente che può riservarci amare sorprese. [...] Non facciamoci illusioni sull'avvenire di una democrazia in Russia. Essa ha bisogno [...] di una mano forte e spregiudicata, di una canaglia insomma. [...] Ecco perché mi piacerebbe conoscere Putin: per vedere se è la canaglia di cui mi pare abbia bisogno la Russia in questo momento: un «momento» destinato a durare parecchi decenni. (18.10.2000) (pp. 104-105) ====''Il testimone''==== *[[Corrado Carnevale|Carnevale]] ha dichiarato in un'intervista che la notte non ha bisogno di sonniferi per dormire perché, nei confronti della Legge, la sua coscienza è a posto. Ci crediamo senz'altro. Ma se si ponesse la stessa domanda nei confronti della Giustizia, mi domando se i suoi sogni sarebbero altrettanto tranquilli. E ci rendiamo tuttavia conto che questa domanda non se la porrà mai, e anzi gli sembrerà del tutto stravagante. Perché, per un magistrato italiano, la Legge con la Giustizia non ha nulla a che fare. (da p. 386) ====''Il meglio di «Controcorrente» 1974-1992''==== *Il «comitato permanente antifascista» di Milano ha deciso di chiedere un «riconoscimento» per tutti coloro che sono stati «coinvolti direttamente nella strategia della tensione a partire dal 1º gennaio 1969». Ci risiamo. Tutta la nostra vita è stata angosciata e angariata dagli antemarcia: prima quelli del Littorio, poi quelli della Resistenza, ed ecco che ora spuntano quelli della «tensione». Longanesi aveva ragione: in questo Paese, reduci si nasce. (p. 47) *Agli alunni della terza classe (anni otto-nove) della scuola elementare di via Pisani, Milano, è stato assegnato il seguente problema: «Mario, Gino e Beppino sono i capi della banda. Mario dice a Gino che la banda ha quasi esaurito le munizioni: rimangono solo 5 cassette con 130 pallottole per cassetta. Quante pallottole rimangono?». Debolucci come siamo, in aritmetica, non lo sappiamo nemmeno noi. Ma ci pare che una per l'insegnante e una per il ministro Malfatti ci dovrebbero ancora essere. (p. 79) *Il messaggio di addio che il dimissionario capo dello Stato ha detto alla televisione e che anche noi pubblichiamo, è ineccepibile. Esso dà del presidente [[Giovanni Leone|Leone]] un'immagine che non fa una piega: un galantuomo all'antica, padre di una famiglia esemplare, ingiustamente calunniato da una stampa irresponsabile. Siamo sicuri che tutto questo si può dire di Leone. Ha un solo difetto: che a dirlo è stato Leone. (p. 84) *A Roma, nonostante tutte le ricerche fatte, non è stato possibile trovare un locale disponibile per un convegno di radicali. Non ce n'era uno abbastanza piccolo per contenerli tutti. (p. 103) *Qualcuno teme – e qualche altro spera – che l'Afghanistan diventi il Vietnam dei russi. Niente paura, in Afghanistan non ci sono giornalisti. (p. 112) *Quella del ''Corriere'' non è una situazione invidiabile: il direttore in congedo per l'affare della P2, manager ed articolisti contestati per lo stesso motivo, il maggiore azionista in galera, accusato di reati valutari, montagne di debiti, trasparenza della proprietà limpida come un mare in burrasca. Ci sarebbe davvero da mettersi le mani nei capelli. Se non fosse un giornale di [[Roberto Calvi|Calvi]]. (pp. 125-126) *Quando leggiamo «ministro senza portafoglio», ci viene sempre un dubbio. Che glielo abbia rubato qualche collega? (p. 146) *L'[[Organizzazione per la Liberazione della Palestina|Olp, Organizzazione per la liberazione della Palestina]], è stata ammessa con voto unanime, anche se provvisoriamente, nel Comitato olimpico asiatico. Non sapevamo che il lancio della bomba fosse diventato una disciplina atletica. (pp. 171-172) *A suo tempo imprigionato dagl'israeliani per complicità col terrorismo palestinese, e liberato per l'intervento del Vaticano con l'impegno di astenersi dalla politica, l'Arcivescovo libanese di Gerusalemme [[Hilarion Capucci]] ha dichiarato in un'intervista all'''Europeo'' che i rivoltosi di Gaza e della Cisgiordania non ricevono ordini da nessuno: «Li prendono solo da Dio, loro unico leader». Lo abbiamo sempre detto, noi: a grattare un arabo, anche se cristiano e Monsignore, viene fuori un Ayatollah. Ma forse non c'è neanche bisogno di grattare. (p. 184) *Da Praga [[Bettino Craxi]] proclama che «bisogna liberare l'Italia da Falci e Martelli». Benissimo. Ma chi è Falci? (p. 206) *[[Pino Rauti]] è intenzionato a candidare un africano alle elezioni comunali fiorentine. Più che giusto: il nero si addice al Msi. (p. 209) *Per evitare pubblicità attorno al caso di [[Angelo Peruzzi|Peruzzi]] e [[Andrea Carnevale|Carnevale]], i due giocatori giallo-rossi risultati positivi all'antidoping, il presidente della Roma, [[Dino Viola]], ha deciso di portare tutta la squadra in ritiro. A San Patrignano. (p. 216) *Secondo ''La Notte'' di ieri – che riferisce dichiarazioni d'un capo della Jihad islamica, Ibrahim Serbell – i terroristi arabi hanno nel loro mirino, per quanto riguarda l'Italia, «uomini politici, aeroporti e alcuni obiettivi strategici». Siamo molto preoccupati per gli aeroporti e gli obiettivi strategici. (p. 220) *La fantapolitica non è il nostro esercizio preferito. Ma ci chiediamo che cosa succederebbe se, con un colpo alla Moro, i terroristi si impadronissero di Cossiga e lanciassero al governo il ricattatorio ultimatum: «Se non ci date cento miliardi, lo liberiamo». (p. 228) *Malgrado tutto (e per tutto intendiamo proprio tutto), [[Moana Pozzi]] non è riuscita ad entrare a Montecitorio. Peccato. È l'unica Camera che non potrà dire di aver frequentato. (p. 236) *Sull'''Unità'' è comparsa la lettera di un deputato che, pericolosamente sfiorato da un motociclista, invoca drastiche misure penali contro i «teppisti al volante». Ci associamo alla proposta. L'unica cosa che ci sconcerta è la firma del proponente: è quella dell'onorevole [[Mario Gozzini]], autore della famosa legge che in pratica vorrebbe l'indulgenza plenaria per qualsiasi reo e reato. (p. 244) ===Attribuite=== *Berlusconi non delude mai: quando ti aspetti che dica una scempiaggine, la dice.<ref name=Travaglio2004/> :In ''Io e il cavaliere qualche anno fa'', ''Corriere della Sera'', 25 marzo 2001, p. 1, Montanelli attribuisce la citazione a «un'alta personalità della Finanza, nota anche per il suo infallibile fiuto degli uomini». La frase esatta è: «Avrà anche i suoi difetti, ma un merito bisogna riconoscerglielo: quello di non deludere mai. Quando ti aspetti che dica una scempiaggine, la dice». ==Interviste== {{cronologico}} *{{NDR|La guerra coloniale etiopica}} Considerandola oggi, con la mia maturità d'oggi, {{NDR|è}} un'avventura di una stupidità senza fine. Ma immaginiamo un ragazzo di 24 anni messo al comando di una banda indigena, con 100 uomini neri – lui solo bianco – buttato all'avventura in quella guerra che di combattimenti ne ebbe molto pochi – non voglio passare per un gran guerriero, affatto – ma furono un anno e mezzo a cavallo, di cavalcate in questa natura selvaggia (ripeto, combattimenti ben pochi). {{NDR|«Dicono anche che lei aveva una moglie, diciamo indigena, molto bella, che era la più bella di tutte quelle che avevano gli ufficiali d'allora»}} Sì. {{NDR|«Era molto invidiato per questo»}} Pare che avessi scelto bene, era una bellissima ragazza bilena, di 12 anni – {{NDR|sorridendo}} scusatemi, ma in Africa è un'altra cosa – e così l'avevo sposata, nel senso che l'avevo regolarmente comprata dal padre che mi ha accompagnato insieme alle mogli dei miei ascari. Queste mogli degli ascari non è che seguissero la banda, ma ogni 15 giorni raggiungevano la banda: io non ho mai capito come facessero a trovarci in questo infinito dell'Abissinia. Quelle arrivavano e arrivava anche questa mia moglie con la cesta in testa, che mi portava la biancheria pulita. [...] {{NDR|Domanda del pubblico: «Lei ha detto tranquillamente di avere avuto una sposa, diciamo, di 12 anni e a 25 anni lei non si è peritato affatto di violentare una ragazza di 12 anni, dicendo "Ma in Africa queste cose si fanno". Io vorrei chiedere a lui come intende normalmente i suoi rapporti con le donne date queste due affermazioni»}} No signorina guardi, sulla violenza, nessuna violenza perché le ragazze in Abissinia si sposano a 12 anni. Non è questione, Quindi. {{NDR|Domanda del pubblico: «Su un piano di consapevolezza dell'uomo, insomma, il rapporto con una bambina di 12 anni è il rapporto con una bambina di 12 anni. Se lo facesse in Europa rischierebbe di violentare una bambina, vero?»}} Sì, in Europa sì, ma lì no. {{NDR|«Ecco, appunto»}} Lì no. {{NDR|«Quale differenza crede che esista dal punto di vista biologico, o anche psicologico?»}} No, guardi, {{NDR|«Dal punto di vista del costume»}} lì si sposano a 12 anni, non è questione. A 12 anni si sposano. {{NDR|«Ma non è il matrimonio che lei intende, a 12 anni in Africa. Guardi, io ho vissuto in Africa»}} Sì. {{NDR|«Quindi il vostro era veramente il rapporto violento del colonialista che veniva lì e si impossessava della ragazza di 12 anni»}} No... {{NDR|«Ma glielo garantisco, senza assolutamente tener conto di questo tipo di rapporto sul piano umano. Eravate i vincitori, cioè i militari che hanno fatto le stesse cose ovunque sono stati i vincitori, ovunque gli uomini si sono presentati come dei militari. La Storia è piena di queste situazioni»}} {{NDR|sorridendo}} Signorina, non so se lei vuole istruirmi un processo «a posteriori». {{NDR|«No, no, affatto. Guardi, ho soltanto voluto chiederle, per inciso, come lei intende – dopo le due interpretazioni – i rapporti con le donne»}} Dipende da cosa si mette dentro, dipende anche da cosa le donne mettono dentro di noi. È tutto un giuoco di specchi. {{NDR|«Ma lei vede sempre la donna in questa veste passiva di adulatrice, oppure di compagna – che appare e scompare – dell'uomo, non l'ha mai vista in una funzione diretta, attiva e diversa. Questo è un po' il dramma degli uomini della sua generazione»}} {{NDR|sorridendo}} Può darsi. Della mia generazione? Solo? {{NDR|«Credo»}} {{NDR|sorridendo}} Vabbè. Può darsi. (Da ''L'ora della verità'', 22 ottobre 1969) *{{NDR|Domanda del pubblico: «Io vorrei sapere perché lei, che si ritiene un osservatore, non ha mai affrontato il discorso sulla contestazione giovanile, tenendo anche presente il fatto che lei cerca il lettore. Lei ai giovani non dice assolutamente niente come giornalista»}} Come? {{NDR|«Se c'è un pubblico che lei sta perdendo, e forse non ha mai avuto, è proprio quello dei giovani. Vorrei sapere come mai lei non ha mai affrontato il discorso sulla contestazione, sulla realtà giovanile che è esplosa in questi ultimi anni»}} Signorina, io avrei tanto volentieri affrontato il discorso sulla contestazione se fosse possibile agganciare il discorso coi contestatori. Ma coi contestatori io non faccio il [[Alberto Moravia|Moravia]]. No. Non vado a farmi spernacchiare dai giovani, mi dispiace tanto. Né dai giovani, né da nessun altro. {{NDR|«Lei ha paura, scusi, di affrontare un discorso»}} No, io non ho paura, ma non ammetto di essere accolto a quel modo. È proprio un fatto, così, di dignità. {{NDR|«E allora, scusi, lei a questo punto rinuncia a un pubblico come può essere quello dei giovani semplicemente, così, per non avere degli spernacchiamenti, per non compromettere – diciamo – questo suo successo a cui è arrivato»}} Ma scusi, ma che dialogo sono le pernacchie? Me lo vuole spiegare? (ibidem) *Certamente [[Benito Mussolini|Mussolini]] fu un grossissimo politico, un uomo politico di grandissimo fiuto, di tempismo formidabile: lo dimostrò la facilità con cui vinse. Forse dovuta per metà alle sue capacità, alla sua bravura – parlo sempre come politico – e per metà all'insipienza, alla nullaggine dei suoi avversari, perché è tempo oramai di dire anche questo. Non c'è dubbio che il potere assoluto guastò completamente Mussolini: il Mussolini del 1930 non era certamente quello del 1940, il Mussolini di dieci anni dopo l'avvento al potere era diventato una specie di marionetta, la caricatura di sé stesso. Aveva perso proprio il senso della realtà, che era stato invece il suo forte da principio, il contatto col pubblico lo aveva perso, il senso della misura, e lo aveva dimostrato poi con gli errori madornali che ha fatto. Nei primi dieci anni credo che alcune cose buone le abbia fatte. Non credo che abbia ucciso la democrazia, credo che l'abbia soltanto seppellita perché era già morta. Da quel poco che ricordo l'Italia era un grosso carnevale, e anche abbastanza drammatico, perché la situazione interna era addirittura sfasciata: correva sangue, ne correva molto, noi in Toscana ne sapevamo qualcosa [...]. E quindi non è vero che lui... le democrazie non vengono mai uccise, le democrazie muoiono. Dopodiché si dà la colpa a chi le seppellisce, ma la verità è che si suicidano, e credo che la democrazia italiana del '21-22 si sia suicidata. [...] Mussolini capì una cosa fondamentale: che per piacere agli italiani bisognava dare a ciascuno di essi una piccola fetta di potere col diritto di abusarne. Questo era il fascismo. Il fascismo aveva creato una [[gerarchia]] talmente articolata e complessa che ognuno aveva dei galloni: il capofabbricato, il caposettore... tutti avevano una piccola fetta di potere, di cui naturalmente ognuno abusava, come è nel carattere degli italiani. (da ''Questo secolo'', 18 maggio 1982) *Ero all'estero, lavoravo nel giornalismo americano, alla ''United Press''. Chiesi alla mia agenzia di mandarmi come corrispondente in Abissinia. Giustamente mi dissero: «No, perché lei è un italiano, quindi logicamente non fa delle corrispondenze obiettive». Dico: «Avete ragione. Allora io vi lascio e vado volontario». Feci la mia brava domanda (la feci anche raccomandare). La domanda fu accolta, io fui mandato in Abissinia e, cosa un po' strana [...], a questo ragazzo di 23 anni [...] venne affidata una banda. [...] In quei due anni io contribuii a fare una cosa sbagliata, un'autentica fregnaccia qual era costruire un impero nel '35, quando coloro che lo avevano lo stavano già liquidando perché erano cose antistoriche. Ma io a 23 anni, a 24 anni, non potevo capire questo. Ebbi due anni di vita all'aria aperta, bella, di avventura, in cui credetti di essere un personaggio di Kipling, di contribuire a fare qualcosa di importante. Poi mi accorsi che non era vero, ma le cose non sono importanti per quello che sono, ma per quello che uno ci mette. E io in quel momento ci mettevo un grande entusiasmo: ebbi due anni di vita bellissima, a cavallo, con le tende, i miei uomini, libero, solo (perché non rispondevo a nessuno). Eh beh, compiango i giovani che non hanno avuto una simile esperienza. {{NDR|«E anche con una giovane moglie»}} E anche con una giovane moglie, {{NDR|indicando una fotografia}} eccola lì. Regolarmente sposata in quanto regolarmente comprata dal padre. {{NDR|«Quanti anni aveva?»}} Aveva 12 anni, ma non mi prendere per un Girolimoni. {{NDR|«Per un bruto»}} A 12 anni quelle lì erano già donne. {{NDR|«E tu dove l'avevi comperata?»}} L'avevo comprata a Saganèiti, un paese dove avevo mandato il mio emissario [...]. Me la comprò insieme a un cavallo e a un fucile, in tutto 500 lire. {{NDR|«E lei com'era?»}} Un animalino. Docile. Io le misi su un tucul con dei polli e poi, ogni 15 giorni, mi raggiungeva dovunque fossi, insieme alle mogli degli altri ascari. (ibidem) *Io esclusi immediatamente la responsabilità degli [[Anarchia|anarchici]] {{NDR|dalla [[strage di piazza Fontana]]}} per varie ragioni: prima di tutto, forse, per una specie di istinto, di intuizione, ma poi perché conosco gli anarchici. Gli anarchici non è che sono alieni dalla violenza, ma la usano in un altro modo: non sparano mai nel mucchio, non sparano mai nascondendo la mano. L'anarchico spara al bersaglio, in genere al bersaglio simbolico del potere, e di fronte. Assume sempre la responsabilità del suo gesto. Quindi, quell'infame attentato, evidentemente, non era di marca anarchica o anche se era di marca anarchica veniva da qualcuno che usurpava la qualifica di anarchico, ma che non apparteneva certamente alla vera categoria, che io ho conosciuto ben diversa e che credo sia ancora ben diversa. (da ''La notte della Repubblica'', 12 dicembre 1989) *La [[Lega Nord|Lega]] è una cosa sgradevole. Però le Leghe sono un fenomeno di reazione a una provocazione. È la politica nazionale, che fa nascere le Leghe. Questo non vuol dire che io le approvi. La reazione è sbagliata, ma provocazione c'è, le degenerazioni della partitocrazia ci sono. Che il pubblico denaro sia male amministrato e che a farne le spese siano soprattutto i cittadini del Nord non è contestabile. (da ''La Stampa'', 7 novembre 1990) *Ah, quel maledetto [[Toni Negri]], quel maledetto aizzatore dei sentimenti dei giovani che è vigliaccamente scappato dall'Italia per non affrontare il carcere. Per un Paese non c'è nulla di peggio che i cattivi maestri. Come punirli? Bisognerebbe impiccarli. Ripeto, impiccarli. (da ''L'Italia settimanale'', 1995) *Fu una pulizia etnica, bisognava far fuori gli italiani: allora si chiamarono fascisti e si ammazzarono, e si buttarono nelle [[massacri delle foibe|foibe]]. Questo avvenne dopo la fine della guerra, sia chiaro. Perché gli orrori di guerra, non dico che siano giustificabili, ma sono comprensibili, la guerra è di per sé stessa un orrore. No, queste... le foibe furono un'infamia commessa dopo la Liberazione, dopo la fine della guerra, e purtroppo vi hanno collaborato parecchi comunisti italiani, alcuni dei quali non solo sono ancora a piede libero, pur essendo vivi, ma ricevono delle pensioni di Stato. Ricevono delle pensioni di Stato. Però io ti posso dire questo: che come testimone oculare io ho visto anche in Croazia delle cose, da parte degli italiani, su cui è meglio sorvolare. Perché anche noi le abbiamo commesse, perché la guerra le comporta, questo è fatale, ecco. Quindi non facciamo tanto i moralisti. [...] No, questo {{NDR|tesi sloveno-croata sulla pulizia etnico-culturale da parte degli italiani durante il periodo di occupazione fascista}} è assolutamente falso. Pulizie etniche noi non ne abbiamo mai fatte, in nessun Paese occupato. Quando sento dire che noi facemmo anche la pulizia etnica in Etiopia, beh vabbè, mi cascano le braccia. Mi cascano le braccia. Quelle son menzogne infami, di gente o che non sa nulla, o che mente sapendo di mentire. Non è vero. Furono episodi, ma non di pulizia etnica, di rappresaglie. (dall'intervista al TG2, ''[http://www.youtube.com/watch?v=s9UXM_pKpqY Massacri delle foibe]'', 6 settembre 1996) *Tutto questo mi evoca dei ricordi poco simpatici. Era il [[fascismo]] che si conduceva così. Era il Fascismo che proibiva la satira, che in un paese civile e democratico dovrebbe essere assolutamente indenne da controlli politici; perché la satira non ha niente a che fare con la politica, anche se prende in giro la politica, ma si sa che è satira. Ed ogni regime serio e democratico accetta la satira, come si accettano le caricature. Era [[Benito Mussolini|Mussolini]] che non le sopportava. E qui pensano: «Ripuliremo la stalla», «Faremo piazza pulita». Ma questo linguaggio, al signor [[Gianfranco Fini|Fini]], chi glielo ispira? Ci ricorda delle cose che avremmo voluto dimenticare. Questa non è la destra, questo è il manganello. Gli italiani non sanno andare a destra senza finire nel [[manganello]]. [...] Alla Rai faranno piazza pulita, lo hanno già annunziato. Ma come si fa a definire democratico un partito che annunzia «Quando saremo al potere, noi faremo piazza pulita»? Ma questo è un linguaggio del peggiore squadrismo, che loro non sanno cosa fu, ma io me lo ricordo. Questo è il linguaggio con cui {{NDR|i fascisti}} andarono al potere. (da ''La settimana di Montanelli'', 17 marzo 2001) *Io voglio ringraziare Travaglio, perché ha detto l'assoluta e pura verità. Assolutamente. La versione che ha dato degli avvenimenti è quella esatta. [...] Io ho conosciuto due Berlusconi: il Berlusconi imprenditore privato che comprò ''il Giornale'' – e noi fummo felici di venderglielo, perché non sapevamo come andare avanti – su questo patto: tu, Berlusconi, sei il proprietario de ''il Giornale'', io, direttore, sono il padrone del ''Giornale'', nel senso che la linea politica dipende solo da me. Questo fu il patto fra noi due. Quando Berlusconi mi annunziò che si buttava in politica, io capii subito quello che stava per succedere. Cercai di dissuaderlo [...] ma tutto fu inutile. Dal momento in cui lo decise mi disse: «Ora ''il Giornale'' deve fare la politica della mia politica». Ed io gli dissi: «Non ci pensare nemmeno». Allora lui riunì la redazione come ha raccontato Travaglio – e questo lo fece a mia totale insaputa – e disse: «D'ora in poi ''il Giornale'' farà la politica della mia politica». E a quel momento me ne andai, cos'altro potevo fare? [...] Nella mia vita ci sono stati due Berlusconi, completamente opposti [...] questo fa parte del ritratto di Berlusconi. [...] Come capo politico è quello che io ho conosciuto in quei brutti giorni in cui scorrettamente, nella maniera più scorretta e più volgare, saltandomi, radunò la redazione de ''il Giornale'' per dirgli «Qui si cambia tutto» all'insaputa del direttore. Se questo sembra a Feltri un modo di procedere democratico e civile, è affar suo. (risposta telefonica a [[Marco Travaglio]] e [[Vittorio Feltri]] durante la trasmissione ''Il Raggio Verde'', 23 marzo 2001) *{{NDR|Silvio Berlusconi}} È il bugiardo più sincero che ci sia, è il primo a credere alle proprie menzogne. [...] È questo che lo rende così pericoloso. Non ha nessun pudore. (dall'intervista di Sophie Gherardi, ''L'Europa deve trattare il sig. Berlusconi con sdegno e disprezzo, non con ostilità'', ''Le Monde'', 8 maggio 2001<ref name=Travaglio2004/>) *Spero che l'Europa adotterà nei confronti di Berlusconi l'atteggiamento di indignazione e di disprezzo che merita. (dall'intervista di Sophie Gherardi, ''L'Europa deve trattare il sig. Berlusconi con sdegno e disprezzo, non con ostilità'', ''Le Monde'', 8 maggio 2001<ref name=Travaglio2004/>) {{Int|''Match''|a cura di Arnaldo Bagnasco, Alberto Arbasino e Maria Gefter Cervi, Rete 2, 18 gennaio 1978.}} *Io non stavo con Longanesi per ragioni ideologiche, anche perché io non ho mai capito quale ideologia avesse Longanesi. Longanesi non lo si poteva misurare sul piano ideologico, era sempre contro tutto e contro tutti. Era il frondista principe: lo è stato sotto il fascismo – e in fondo fece il più bel settimanale, forse, che abbia avuto l'Italia in questi ultimi decenni, credo: ''Omnibus'', che fu chiuso dal regime – e si è trovato sempre male con tutti i regimi. Che cosa pensasse in realtà Longanesi io, dopo un'amicizia di trent'anni, non sono mai riuscito a capirlo. Quello che mi affascinava di Longanesi, e che continua ancora oggi ad affascinarmi, è lo straordinario talento, l'inventiva, l'intuito, l'eleganza di Longanesi. Per cui io non consideravo le posizioni ideologiche di Longanesi, questo non m'interessava affatto. Per me era un fatto di vecchia amicizia: io sono un po' cresciuto con Longanesi, l'avrei seguito anche all'inferno perché con Longanesi si poteva andare anche all'inferno, diventava l'eden. *{{NDR|Sull'appello di votare DC nel 1976}} Questa può sembrare una contraddizione, ma che cosa avrei dovuto dire ai miei lettori? Di votare per chi? Questo è il punto. Oggi [...] i partiti laici ai quali io ideologicamente farei capo – liberale, repubblicano, socialdemocratico – fanno i pifferi di accompagnamento a un patto a sei, e questo era già nell'aria, prima del 20 giugno. Che cosa dovevo dire io ai miei lettori, «Votate per i pifferi di accompagnamento»? Francamente non me la sentivo. [...] Nonostante la mia etichetta di destra, io per i partiti di destra non mi schiererò mai. Io vorrei un centro: non lo trovo, non c'è. Un centro di opposizione democratica al regime che è già in atto non c'è. E allora che debbo fare? È colpa mia se la politica italiana non mi offre un centro? Io continuo a battermi per la costituzione di questo centro. *{{NDR|Domanda del pubblico: «Come mai in Italia non ci sono giornali indipendenti?»}} Io, per esempio, ho la presunzione – sarà infondata – di dirigere un giornale indipendente, perché vorrei sapere da chi prendo gli ordini. Me lo dica lei, Padre. {{NDR|«No, beh...»}} E allora, se non potete indicare qualcuno che mi dà gli ordini, io sono indipendente. {{NDR|«Rispondo anch'io da giornalista: è chiaro che un giornale non si sostiene con le idee sull'indipendenza, si sostiene con dei quattrini»}} Certo. {{NDR|«Allora io parlavo di un'indipendenza che, in quanto dipende da chi paga, è comunque una dipendenza ideologica. Questa era la domanda»}} Sì, l'ha scritto molto bene ''Repubblica'' [...] credendo di offendermi. Ha detto: «Il ''Giornale nuovo'' vive di collette». È vero, noi viviamo di collette, e io ne sono fiero perché le collette mi lasciano libero. {{Int|''Mixer''|a cura di Giovanni Minoli, Rete 2, 6 aprile 1981.}} *{{NDR|«Perché fu fascista fino al '37?»}} Questa è la storia della mia generazione, tutta la mia generazione è stata fascista fino al '35, al '36 o al '43. *{{NDR|«E perché smise di esserlo?»}} Perché noi credevamo che il fascismo fosse una cosa, e poi ci accorgemmo che era un'altra. *{{NDR|«Lei ha detto: "Buffoni, cafoni di natura, ''parvenus'', tutta gente in malafede, il bassettume, il pirellume, il cedernismo". Si riferiva alla Milano radical chic, ma che cosa voleva dire, esattamente?»}} Quello che ho detto. Veramente, io ne ho il più profondo disprezzo. Io accetto benissimo i comunisti: i comunisti sono gente seria, pericolosissimi, ma seri. I [[radical chic]] no. *{{NDR|«È sempre convinto del suicidio dell'anarchico Pinelli?»}} Assolutamente. *{{NDR|«Lei a Catanzaro, al processo per la strage di piazza Fontana, ha dichiarato: "Secondo me, il commissario Calabresi fu vittima di una campagna di stampa". Cioè?»}} No, non l'ho dichiarato a Catanzaro, lo dissi molto prima. Basta rileggere i giornali di quei tempi, e soprattutto i rotocalchi: veramente, Calabresi fu vittima di una campagna stampa infame e ingiusta, perché era uno dei funzionari più corretti che ci fossero. *{{NDR|«Pietro Valpreda, qui a ''Mixer'', ha definito Calabresi come "un tecnocrate del potere". Lei che cosa ne pensa?»}} Ma che significa «un tecnocrate del potere»? Un commissario di polizia serve il potere, chi diavolo deve servire? Valpreda? {{Int|''Faccia a Faccia: intervista a Indro Montanelli''|''Mixer'', a cura di Giovanni Minoli, Rai 2, 5 maggio 1985.}} *[[Renato Curcio|Curcio]] non sparava alle spalle, sparava di fronte, andava di persona a sparare. Naturalmente siamo su delle barricate opposte, ma io stimo Curcio. Lo stimo. È un uomo che secondo me ha delle idee sbagliate ma le serve, le serve da soldato vero. Con un suo galateo. Col suo coraggio. Senza mai rinnegarsi. Non si è pentito! *Io sono convinto che la magistratura debba essere indipendente, però chiedo ed esigo che abbia un autogoverno di controllo, e che soprattutto risponda dei suoi gesti. Oggi noi abbiamo una magistratura che non risponde a nessuno dei suoi errori spesso catastrofici, perché hanno distrutto uomini, hanno distrutto aziende per delle cose che poi si son rilevate insussistenti. Mai un magistrato ha pagato per questo. Io voglio che i magistrati paghino. Non dico a dei poteri esterni, ma perlomeno al potere a cui viene affidata la disciplina nella categoria. *Tutta l'intellighenzia italiana ha una vecchia tradizione di servilità, com'è logico, perché si è sviluppata in un Paese analfabeta, per secoli e secoli analfabeta. Non avendo il lettore doveva per forza procurarsi il protettore. Scriveva per il protettore. *{{NDR|«Il suo peggior difetto qual è, Montanelli?»}} Quello di non riconoscermene nessuno. *{{NDR|«[[Leo Longanesi|Longanesi]], parlando di lei, un giorno disse che lei capiva le cose con dieci mesi di anticipo rispetto a tutti gli altri. Ecco, tra dieci mesi cosa vede in [[Italia]]?»}} Queste erano le cose di Longanesi, ma in realtà io non riesco a vedere tra dieci giorni. {{Int|''[http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/1991/11/16/giangi-feltrinelli-io-non-ti-perdono.html 'Giangi' Feltrinelli io non ti perdono]''|''la Repubblica'', 16 novembre 1991, p. 33.}} *[[Giangiacomo Feltrinelli|Lui]] fu l'emblema di tutto quanto accadde in quegli anni {{NDR|Anni della contestazione}}. A differenza della [[Francia]], eravamo un paese da burletta, con una contestazione da burletta e rivoluzionari da burletta. E Feltrinelli ne fu l'esponente più qualificato. *Era il 1940 e a quel tempo Giangi aveva quattordici anni e seguiva i corsi scolastici con pessimo profitto. Giangiacomo era un ragazzetto che voleva a tutti i costi cavalcare qualcosa di rivoluzionario. Non importava il colore. Tanto è vero che il suo sogno fu prima il fascismo e poi Che Guevara. *{{NDR|«L'importante è stare in prima linea il fascismo?»}} Ma sì, negli anni Quaranta lui era fascista. Era talmente fascista che nel 1943, dopo l'8 settembre, voleva denunciare sia me che Barzini per alcune cose che avevamo detto contro i fascisti. Allora pensava di aderire a Salò. La sua dedizione a una causa quale che sia, purché rivoluzionaria, lo spingeva a questi atti pazzeschi. *Generoso? Lo chieda ai suoi collaboratori. Era una specie di padrone delle ferriere che spendeva generosamente solo per soddisfare il suo vizio principale: la rivoluzione. Con chi era in difficoltà non si dimostrò mai particolarmente generoso. *{{NDR|«Perché allora lei è così implacabilmente critico nei suoi riguardi?»}} Non ce l'ho neppure tanto con lui, quanto con tutti coloro che di Feltrinelli hanno fatto un mito. In realtà era un povero uomo. Un ingenuo divorato dall'esibizionismo. *{{NDR|«Come può ridurre tutto alla convinzione che fosse solo un ingenuo e un esibizionista?»}} Anche Starace segnò un decennio della nostra vita. Mica per questo era meno cretino. Se Feltrinelli sia stato qualcosa di più complesso, io non riesco a vederlo. Posso aggiungere questo: quella sua mania di ostentazione, quella voglia di primeggiare su tutte le cose lo ha condotto anche a degli atti di eroismo. Perché uno che sale su un traliccio, con la dinamite che non sa maneggiare e salta per aria, beh almeno il coraggio gli va riconosciuto. O forse chiamiamola incoscienza. {{Int|''[http://www.archiviolastampa.it/component/option,com_lastampa/task,search/mod,libera/action,viewer/Itemid,3/page,15/articleid,0824_01_1992_0072_0015_25082247/ Montanelli e il sacco di Milano]''|''La Stampa'', 14 marzo 1992, p. 14.}} *{{NDR|Il regime corrotto}} C'è ancora. Ma la rivolta non era tanto contro la corruzione e la partitocrazia, che erano senza dubbio un grosso male, ma che non erano il male più letale. In quel momento era proprio la società che si disfaceva, le condizioni della scuola, la predicazione del nulla, insomma la contestazione globale, l'ubriacatura degli Anni Settanta, che fu l'ubriacatura del terrorismo, e quella acquiescenza di una certa borghesia, salottiera, radical chic, che amoreggiava con queste cose, che aveva le smanie maotsetunghiste, che poi parlavano tutti di cose che non sapevano. La corruzione dei partiti invece è quasi immanente. La partitocrazia è destinata a durare almeno finché non si riforma la legge elettorale. Ma questa è la battaglia che noi cerchiamo di fare oggi. *{{NDR|«Ma gli Anni Settanta non hanno anche prodotto qualcosa di positivo nella società italiana?»}} No. Non vedo fatti positivi nel lascito degli [[anni di piombo]]. Vorrei sapere veramente quali. Quando dicono per esempio il divorzio. Ma il divorzio c'era già prima. Quelle sono conquiste sociali. C'era bisogno dei pistoleros per il divorzio? Ma andiamo! *{{NDR|«Però lei difendeva Pannella»}} Sì. A [[Marco Pannella|Pannella]] dobbiamo veramente due cose, malgrado le sue mattane. Effettivamente riuscì a impedire a una certa aliquota di giovani di finire in braccio al terrorismo, cioè gli dette un'altra bandiera. E alcune battaglie sue furono sacrosante, come quella del divorzio che appoggiammo. Poi verso Pannella io ho una certa simpatia, dovuta al mio vecchio fondo anarchico, libertario, che ritrovo in lui. È una simpatia genetica. Ritrovo in lui quello che io sono stato a vent'anni. *{{NDR|«Ma che fine ha fatto quella borghesia, che fine hanno fatto quei salotti buoni? Le sue battaglie contro la Crespi o contro la Cederna sono cosa Passata? Sono cambiati loro, oppure è cambiato lei?»}} Vabbè, con la [[Camilla Cederna|Camilla]] poi siamo ridiventati amici. Con la Crespi no, mai. Ma non ho più rancori, non ho più animosità. Però è un mondo che disprezzo un po', perché è un mondo di pecore che seguono sempre il filo del vento, santoiddio, sono proprio personcine, personcine inconsistenti, pronte ad andare con chiunque. E poi sempre per salvare i propri interessi, non è che abbiano delle idealità, no? Oggi è cambiato il vento, quindi sono cambiati anche loro. Ma non è che sia cambiato il mio giudizio. Quel mondo lì io non lo amo. *La crisi rimane e si riflette nell'amministrazione cittadina. L'amministrazione era sempre stata un autentico specchio. Fino a Bucalossi il Comune di Milano era retto da specchiati galantuomini, che finivano tutti poveri, in miseria, finivano alla Baggina. Gente davvero di una correttezza esemplare. Poi sono venuti gli Aniasi e compagni e guardi qui dove siamo arrivati: siamo arrivati a [[Mario Chiesa|Chiesa]]. {{Int|''[https://web.archive.org/web/20121107180200/http://archiviostorico.corriere.it/1993/giugno/06/Montanelli_tura_naso_come_nel_co_0_93060610816.shtml Montanelli si tura il naso come nel '76: voto l'uomo della Lega]''|''Corriere della Sera'', 6 giugno 1993, p. 3.}} *Mi sono dannato l'anima perché il centro avesse un ''suo'' candidato. Avrei voluto Locatelli: era la persona giusta per portare la bandiera referendaria e raccogliere gli elettori moderati. Era quello il mio sogno. *Segni non ha capito nulla, è arrivato in ritardo, ha candidato una persona che nessuno conosce. Non abbiamo ''un'' rappresentante del centro, ma tre surrogati che si elimineranno a vicenda. E ci toccherà scegliere fra [[Nando dalla Chiesa|Dalla Chiesa]] e Formentini. *{{NDR|«Di qui il suo suggerimento: turarsi il naso e votare Lega»}} No, non dico "Votiamo Lega", dico "Votiamo Formentini". E nel suo caso non ci si deve neppure turare il naso: è modesto, anche mediocre se vogliamo, ma è onesto. Non credo sia marcio. Insomma: è il male minore. *{{NDR|«E Dalla Chiesa?»}} No, il mio voto non lo avrà. Perché io non voto per la sinistra e per un sinistro come quello lì. *{{NDR|«Ma che cosa la preoccupa nella coalizione di Dalla Chiesa?»}} Questi reperti di un mondo fallito vogliono ora governare l'Italia. E io con loro non ci sto. La storia gli ha dato torto, la realtà li svergogna e noi dovremmo fidarci? È stata l'apertura a sinistra a dare inizio alla putredine. {{Int|''Eppur si muove''|a cura di Indro Montanelli e Beniamino Placido, Rai 3, 1994.}} *Ogni italiano è insieme furbo e fesso. L'italiano è furbissimo nella gestione dei suoi affari privati, può ricorrere a tutte le astuzie, è attento, è accorto, ed è assolutamente fesso nel non rendersi conto che se i suoi affari privati rimangono immessi in una società che non funziona – cioè dove gli interessi generali vengono trascurati e negletti – i suoi interessi privati finiscono col soffrirne e col condurlo al fallimento. Questo, a noi italiani, non entra in testa. (6 febbraio 1994) *È probabile che molti stranieri mandino i loro figli, a Roma, a scuola. Ma quali scuole? Alle loro. Gli americani mandano i loro figli alla scuola americana, i tedeschi alla scuola tedesca, i francesi alla scuola francese. Non li mandano mica alla scuola italiana, se ne guardano bene e hanno ragione, visto il modo in cui si insegna in Italia. (ibidem) *Da noi prima uscivano dei ragazzi che sapevano abbastanza di greco, di latino, ma che il carattere non lo avevano formato a scuola: o se lo formavano da soli, oppure non se lo formavano mai. (ibidem) *Lo [[Zingari|zingaro]] che fa tranquillamente la sua vita non dà noia a nessuno, è quando ruba che, naturalmente, suscita qualche perplessità (uso un eufemismo). Diciamo la verità, in Italia il razzismo non c'è. Per inventare una questione razziale ci volle una legge, e una legge fatta da un regime totalitario perché il Paese non la sentiva. Non poteva sentirla perché non è nella nostra tradizione. [...] L'Italiano non ha dei risentimenti razziali. [...] {{NDR|Sugli episodi di intolleranza e di paura per il diverso}} È un fatto di piccolissime minoranze, diciamo la verità. Non inventiamo adesso una questione {{NDR|razziale}}. Io ho vissuto nelle società veramente razziste, è tutta un'altra faccenda. (con [[Serena Dandini]], 20 marzo 1994) *Io ebbi una moglie etiopica, nel senso che la comprai secondo l'uso locale. {{NDR|«Come, scusi?»}} Eh beh, ma gli usi locali erano questi. Tutti, anche gli etiopici, compravano la moglie. {{NDR|«Quanto costava una moglie?»}} Poco. Costava poco, mi pare che mi costò – allora, però (anno 1935) – 500 lire e un tucul {{NDR|trattando}} col suocero. Perché queste furono transazioni fatte dal mio emissario, che era il più anziano graduato della mia banda, col padre della ragazza. [...] Questo matrimonio durò finché noi stemmo di stanza a Saganèiti, cioè a dire prima che scoppiasse la guerra con l'Abissinia (che non fu precisamente una guerra, fu una specie di avventura). [...] Poi questa mia moglie, perché era considerata tale, quando io partii sposò un mio graduato e al primo figlio – è vivo tuttora, mi hanno detto – diede il mio nome, per cui alcuni credettero che fosse figlio mio. Non era figlio mio. Soltanto che per deferenza... {{NDR|«Lei non pensò mai di portarla con se in Italia?»}} Beh, no. No, anche perché era molto difficile strapparla ai suoi costumi. Lei stessa, in fondo, non voleva venire. Lei apparteneva alla sua terra, io le feci una piccola dote e quindi andò tutto regolarmente. Era molto bellina. (ibidem) *Gran parte delle forze leghiste, quelle che accennano a qualche razzismo nei confronti del meridionale, sono composte da meridionali che si sono milanesizzati e ci si trovano talmente bene a Milano che non vogliono che altri arrivino dal sud. (ibidem) *Per me la [[destra]] non è una [[ideologia]]: è un modello di comportamento. Si può essere di destra anche a sinistra. Questo comportamento è il criterio rigoroso del servizio della vita pubblica. (con [[Arnoldo Foà]], 17 aprile 1994) *Nella storia della [[Italia|nazione italiana]] io vedo pochi uomini all'altezza della qualifica di una destra illuminata che non solo accetta ma vuole le [[Riformismo|riforme]]. Un uomo di destra certamente io non credo che fosse [[Camillo Benso, conte di Cavour|Cavour]], del resto il suo connubio lo dimostra, la sua disinvoltura nelle alleanze politiche lo dimostra. Certamente di destra era [[Bettino Ricasoli|Ricasoli]]. Certamente era [[Quintino Sella|Sella]]. Certamente era [[Giovanni Giolitti|Giolitti]]: uomo che dette il suffragio universale, e che riconobbe il diritto di [[sciopero]]. Questo è un uomo di destra. Certamente un uomo di destra era [[Alcide De Gasperi|De Gasperi]], senza dubbio. E, adesso non vorrei scandalizzare la gente, ma direi che uomo di destra per il concetto che aveva dello [[Stato]] e del [[potere]] era anche [[Palmiro Togliatti|Togliatti]]. E questo dimostra che si può essere uomini di destra anche a [[sinistra]]. La destra è una regola di comportamento, una regola [[morale]] di comportamento. (ibidem) {{Int|''[https://web.archive.org/web/20101005073648/http://archiviostorico.corriere.it/1997/novembre/09/Montanelli_gambizzato_cinque_mesi_prima_co_0_9711098446.shtml Montanelli "gambizzato" cinque mesi prima: "Mi salvò una promessa a Mussolini"]''|''Corriere della Sera'', 9 novembre 1997, p. 29.}} *Quella mattina {{NDR|2 giugno 1977}} sono in due nei giardini di piazza Cavour, a Milano. Uno mi spara alle gambe. L'altro mi tiene nel mirino della sua pistola. I primi due – tre proiettili entrano nelle mie lunghe zampe di pollo. Non devastano né ossa né arterie. Ma sarebbero sufficienti per far cadere a terra qualsiasi cristiano. In quegli attimi ricordo la promessa che avevo fatto a Mussolini, e a me stesso, quando, bambino, mi ritrovai intruppato nei balilla: "Se devi morire, muori in piedi!" Davanti a questi vigliacchi che non hanno il coraggio di affrontarmi in faccia, penso, non posso morire in ginocchio. E mi aggrappo alla cancellata dei giardini. Non sto in piedi sulle gambe, ma mi reggo dritto con la forza delle braccia. E quello continua a sparare e a centrare le mie zampe di pollo. Se mi fossi accasciato, se mi fossi inginocchiato davanti a lui, a quell'ora sarei morto. *Per [[Renato Curcio|lui]] ho sempre avuto rispetto. Penso che la sua autoemarginazione dalla società prima e l'emarginazione che la società gli ha imposto poi ci abbiano privato di un uomo di valore. Non lo conosco di persona, ma lo stimo, anche se poteva essere lui quello che ha mandato i due ragazzi a spararmi. Non ho rancore: quando la guerra è finita gli avversari si devono stringere la mano e devono brindare alla pace ritrovata. *Apprezzo il coraggio di chi non si pente per ricavarne un utile, di chi non denuncia il compagno di errori ma riconosce i propri torti. Almeno i brigatisti lottavano per ideali diversi da quelli dello stalinismo e del comunismo sovietico. I terroristi neri, invece, volevano soltanto restaurare un regime sepolto dalla storia. I rossi non sapevano bene cosa ma avevano in mente qualcosa di nuovo. *{{NDR|«E se avessero vinto loro?»}} Impossibile. L'esistenza del terrorismo ha soltanto ribadito le manchevolezze del nostro Paese: uno Stato inefficiente e un popolo codardo e conformista. *{{NDR|Sui burattinai, i Grandi Vecchi, la Cia, i Servizi segreti}} Fregnacce: che gliene poteva importare alla Cia di fucilare gente come il buon Casalegno o quel galantuomo di Emilio Rossi, vent'anni fa direttore del Tg Uno, o quel bischero di Montanelli? La dietrologia era una divagazione di intellettuali perditempo. Il vero problema era ed è un altro: finché non ci decideremo a riconoscere la mancanza negli italiani di una coscienza nazionale e civile questo pericolo del terrorismo lo correremo sempre. E questa fabbrica di una coscienza nazionale e civile io non la vedo nascere. *{{NDR|Sul dolore che il tempo non ha cancellato nei parenti delle vittime}} Anche noi italiani dobbiamo imparare a pagare gli inevitabili tributi dovuti alla Storia come hanno saputo fare tutti i Paesi occidentali. Il dolore resta, ma la piaga va ricucita. Una volta per tutte. {{Int|''[http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/1998/07/25/borghesia-vile-deludente.html Borghesia vile e deludente]''|''la Repubblica'', 25 luglio 1998, p. 8.}} *È la solita bruciante delusione, questa nostra borghesia. Non cambia mai, è sempre la stessa: la più vile di tutto l'Occidente. Gente portata a correr dietro a chi alza la voce, a chi minaccia, al primo manganello che passa per la strada. Questo sono i nostri borghesi: tutti fascisti sotto il fascismo, poi tutti antifascisti fin dall'indomani. Quando il comunismo era forte e faceva paura, e io fondai ''il Giornale'', mi lasciarono solo e senza un soldo. Ai tempi del terrorismo, amoreggiavano con gli estremisti nella speranza che quelli – andati al potere – gli risparmiassero la villa e il portafoglio. E ora che il comunismo non c'è più, si scoprono tutti anticomunisti, questi sedicenti liberaloni. *Il loro eroe è sempre chi brandisce il [[manganello]]. Ieri, il manganello vero. Oggi, quello catodico delle televisioni. Il liberalismo vero l'hanno sempre tradito, anzi non hanno mai saputo che cosa sia. Non vogliono le regole, detestano le leggi, vogliono avere le mani libere per fare quello che gli pare, in nome della loro cosiddetta «[[efficienza]]». Quando abbiamo fondato ''la Voce'' l'abbiamo toccato con mano: parlare di regole e di legalità a questa gente è peggio di un insulto, una bestemmia in chiesa. *L'ho sempre detto che fu un errore, quattro anni fa, defenestrarlo. Bisognava lasciarlo lì ancora un bel po', così tutti avrebbero capito quanto vale, che razza di statista è... Magari adesso non saremmo in Europa, ma non avremmo così tante gente che si lascia ubriacare dalla sua propaganda, che prova nostalgia per lui. *{{NDR|«E se un giorno si andasse a votare per il suo referendum, quello per abolire i reati del Cavaliere?»}} In quella forma, mi pare difficile che si arrivi, anche se in Italia non si sa mai. Comunque, se si votasse, credo che anche lì vincerebbe lui. Perché è quello che vuole questa nostra borghesia. Ormai è ufficiale: Berlusconi ce lo meritiamo. {{Int|''[http://www.repubblica.it/online/politica/satiquattro/montanelli/montanelli.html L'Italia di Berlusconi è la peggiore mai vista]''|''la Repubblica'', 26 marzo 2001.}} *Io voglio che vinca, faccio voti e faccio fioretti alla Madonna perché lui vinca, in modo che gli italiani vedano chi è questo signore. [[Silvio Berlusconi|Berlusconi]] è una malattia che si cura soltanto con il vaccino, con una bella iniezione di Berlusconi a Palazzo Chigi, Berlusconi anche al Quirinale, Berlusconi dove vuole, Berlusconi al Vaticano. Soltanto dopo saremo immuni. L'immunità che si ottiene col vaccino. *È strano: io non avevo mai preso parte alla campagna di demonizzazione: tutt'al più lo avevo definito un pagliaccio, un burattino. Però tutte queste storie su Berlusconi uomo della mafia mi lasciavano molto incerto. Adesso invece qualsiasi cosa è possibile: non per quello che succede a me, a me non succede nulla, non è che io rischi qualcosa, è chiaro. Quello che fa male è vedere questo berlusconismo in cui purtroppo è coinvolta l'Italia e anche tante persone perbene. *La scoperta che c'è un'Italia berlusconiana mi colpisce molto: è la peggiore delle Italie che io ho mai visto, e dire che di Italie brutte nella mia lunga vita ne ho viste moltissime. L'Italia della [[marcia su Roma]], becera e violenta, animata però forse anche da belle speranze. L'Italia del 25 luglio, l'Italia dell'8 settembre, e anche l'Italia di piazzale Loreto, animata dalla voglia di vendetta. Però la volgarità, la bassezza di questa Italia qui non l'avevo vista né sentita mai. Il berlusconismo è veramente la feccia che risale il pozzo. {{Int|''La Storia d'Italia di Indro Montanelli''|a cura di Mario Cervi, interviste di Alain Elkann, ''Cecchi Gori Editoria Elettronica Home Video'', 1999.}} *Il silenzio mantenuto finora {{NDR|sui massacri delle foibe}}, o quasi silenzio, si spiega facilissimamente: tutta la storiografia italiana del dopoguerra era di sinistra, apparteneva all'intellighenzia di sinistra, la quale era completamente succuba del Partito Comunista. Quindi non si poteva parlare delle foibe, che non appartenevano al comunismo italiano, ma appartenevano certamente al comunismo slavo, di cui però il comunismo italiano era alleato e faceva gli interessi. Quindi di questo non si poteva parlare, e non si poteva parlare delle stragi del triangolo della morte, perché anche queste ricadevano sulla coscienza – ammesso che ce ne sia una – del Partito Comunista, il che sta a dimostrare quello che dicevo prima, cioè che la Resistenza non fu una resistenza, fu una guerra civile tra italiani che continuò anche dopo il 25 aprile. [...] {{NDR|Sull'eccidio dei conti Manzoni}} Andai come giornalista [...] per appurare com'era andata la strage dei conti Manzoni, dopo la fine della guerra. [...] Una famiglia di persone che col fascismo non aveva niente a che fare, ci aveva convissuto come tutti gli italiani. Bene, nessuno mi voleva parlare di questa faccenda. [...] Nessuno ne aveva parlato, né dei Carabinieri né della Polizia e tantomeno della magistratura, eppure lo sapevano. [...] C'era una complicità assoluta, una complicità dannata. [...] Se ne parla ora perché il Muro di Berlino è crollato, ma si ricordi che trent'anni fa, quando [[Renzo De Felice|De Felice]] annunziò di mettere allo studio il ventennio fascista per sapere com'era andata, fu proposta la sua estromissione dalla cattedra universitaria, solo perché metteva allo studio un ventennio di storia italiana che, bella o brutta, c'era stata. [...] Non era possibile inquadrare storicamente il fascismo: chi lo faceva, cercando di spiegare i perché della sua durata, ed anche i perché della sua catastrofe, veniva accusato di fascismo. (da ''Dalla Monarchia alla Repubblica'') *È difficile sapere che cosa fu [[Palmiro Togliatti|Togliatti]], perché Togliatti non ha lasciato memoriali, non ha lasciato diario, che cosa pensasse Togliatti non lo sapeva nessuno, credo nemmeno la sua compagna Nilde Iotti. Si può dire che è stato un esecutore fedele degli ordini di [[Stalin]]. Lo è stato sempre, e per questo godeva la fiducia di Stalin. [...] Era un diplomatico per sé, soprattutto, perché é un uomo sopravvissuto a venticinque o trent'anni anni di Mosca, senza finire in galera, processato o contro il muro. Beh, questo è uno dei grandi personaggi. Sono pochi. {{NDR|«Non era uno statista, per esempio?»}} Non poteva essere uno statista perché i comunisti non hanno lo Stato nel sangue, i comunisti hanno il partito. Stalin non è mai stato Capo dello Stato, e nemmeno Capo del Governo, era capo del partito. Il potere nei regimi comunisti non sta né nello Stato né nel governo, sta nel partito. (da ''Dalla proclamazione della Repubblica al Trattato di pace'') *Questa [[Costituzione della Repubblica italiana|Costituzione]] porta male gli anni da quando aveva un giorno, perché fu subito chiaro quali erano i suoi difetti. Del resto furono anche denunciati da uomini come, per esempio, [[Piero Calamandrei|Calamandrei]], come Mario Paggi. (da ''Dall'assemblea costituente alla vigilia delle elezioni del 1948'') *I difetti furono soprattutto due. Il primo difetto fu di ripartizione dei lavori. La Costituente era formata da 600 membri eletti di passaggio. Voglio {{NDR|far}} notare che quella fu la prima elezione che si tenne in Italia – per la Costituente, non per il Parlamento – ma dove ci fu lo spiegamento dei partiti. Ogni partito portò i suoi candidati, cioè dei giuristi che facevano capo alla propria ideologia. Bene, in quella prima elezione il 35% dei voti andò ai democristiani, il 21% andò ai socialisti di [[Pietro Nenni|Nenni]], il 19% ai comunisti. Quindi in quel momento... non c'era ancora il Fronte ma in quel momento i socialisti facevano premio sui comunisti. Erano di poco, ma un po' più forti dei comunisti. [...] Questi 600 costituenti non potevano lavorare tutti insieme, era impossibile mandare avanti 600 persone a dibattere all'infinto le stesse cose, e allora i lavori furono devoluti a una commissione che si chiamò la ''Commissione dei Settantacinque'', perché erano 75 membri della Costituente che venivano incaricati per le loro competenze specifiche di redigere il testo. Ma anche 75 erano troppi, e allora anche i 75 si frazionarono in sotto-commissioni, ognuna delle quali lavorò per conto suo. Non ci fu un piano di insieme. {{NDR|«Quindi non fu un vero lavoro collettivo»}} Non fu un vero lavoro collettivo. Calamandrei lo disse subito: «Noi stiamo montando una macchina, che magari pezzo per pezzo sarà anche ben fatta, ma le cui giunture non coincidono con le giunture di altri pezzi». [...] Fu lasciata così perché nessuno volle rinunziare al proprio elaborato, e questo è tipico degli italiani. (da ''Dall'assemblea costituente alla vigilia delle elezioni del 1948'') *Il secondo motivo che rese questa Costituzione veramente impalatabile e nociva per il regime che ne doveva nascere, fu che i nostri costituenti partirono dal punto di vista opposto a quello da cui sarebbero partiti i costituenti tedeschi quando la Germania fu libera di elaborare una sua Costituzione. Da che cosa partirono i costituenti tedeschi? Da questo ragionamento: il nazismo fu il frutto della Repubblica di Weimar. Cos'era la Repubblica di Weimar? Era l'impotenza del potere esecutivo, cioè del Governo. [...] La Germania rimase nel disordine, nel caos, nella Babele dei partiti che non riuscivano a trovare mai delle maggioranze stabili, quindi dei governi efficaci. Ecco perché Hitler vinse, perché il nazismo vinse. I costituenti nostri partirono dal presupposto contrario, cioè dissero: «Cos'era il fascismo? Il fascismo era il premio dato a un potere esecutivo che governava senza i partiti, senza controlli eccetera. Quindi noi dobbiamo esautorare completamente il potere esecutivo, {{NDR|negando}} la possibilità di dare ai governi una stabilità, eccetera». Per rifare che cosa? Weimar. Cioè, mentre i tedeschi partivano dalla negazione di Weimar, noi arrivavamo {{NDR|a Weimar}} senza dirlo. Nessuno lo disse, ma questo fu il risultato. [...] Non fu possibile nemmeno introdurre quella solita linea di sbarramento che invece fu introdotta in Germania, per cui i partiti che non raggiungevano non ricordo se il 5 o il 3%, non avevano diritto a una rappresentanza. No, tutti i partiti dovevano esserci e tutti avevano un potere di ricatto sulle maggioranze, che erano per forza di cose di coalizioni. (da ''Dall'assemblea costituente alla vigilia delle elezioni del 1948'') *Gli italiani non imparano niente dalla Storia, anche perché non la sanno. {{NDR|«Forse non amano la Storia»}} Non la amano, non la leggono, non se ne interessano, ma questo anche le classi dirigenti: sono uguali, intendiamoci. {{NDR|«Lei auspica che venga rifatta questa Costituzione»}} Sì, ma che venga rifatta secondo criteri logici, non {{NDR|secondo}} criteri illogici. Tutte le volte che si diceva «Ma qui bisogna restituire un po' di autorità al potere esecutivo, bisogna mettere i governi in condizione di governare» si diceva: «Fascista! Fascista!». Con questo ricatto qui abbiamo fatto le più grosse scempiaggini che si potesse immaginare. (da ''Dall'assemblea costituente alla vigilia delle elezioni del 1948'') *La fine di [[Alcide De Gasperi|De Gasperi]] è la fine di un'epoca: con lui finisce un'epoca e ne comincia un'altra non certamente migliore. [...] C'è una bella pagina della figlia di De Gasperi, Maria Romana, che ha scritto un bel libro sul padre. Un libro tutto vero in cui racconta anche i funerali su in Val Sugana: c'era naturalmente tutta la nomenclatura democristiana che accompagnava la bara. Oramai De Gasperi era morto, si poteva anche fingere il compianto, e a un certo momento un passante che era lì – uno che guardava, che non aveva niente a che fare con la politica, con la Democrazia Cristiana eccetera eccetera – si avvicinò al feretro e scansando questi turiferari della DC disse: «No, non è vostro! De Gasperi è nostro! Era un italiano!». E aveva ragione. De Gasperi era nostro, non un democristiano. (da ''Gli anni di Alcide De Gasperi'') *{{NDR|[[Giovanni Gronchi]]}} Era un uomo molto abile, brillante parlatore, molto abile anche negli affari. Era molto più libertino di [[Carlo Sforza|Sforza]], quindi la Democrazia Cristiana [...] era cambiata, evidentemente, e Gronchi fu eletto per una faida interna della Democrazia Cristiana, perché [[Amintore Fanfani|Fanfani]] voleva [[Cesare Merzagora|Merzagora]]. Allora per fare dispetto a Fanfani, invece gli buttarono fra i piedi [[Giovanni Gronchi|Gronchi]], il quale seppe benissimo tessere la sua trama fra Sinistra, Destra eccetera e far diventare gronchiani anche quelli degli altri partiti. Dicendosi agli uni uomo di Destra e agli altri uomo di Sinistra, facendo insomma il giuoco personale di Gronchi, con cui entrò in Quirinale il vero grande corruttore della vita politica italiana. [...] Dopo l'onestissimo [[Luigi Einaudi|Einaudi]] viene Gronchi, che è l'indulgenza plenaria verso tutte le deviazioni e i deviazionisti d'Italia. (da ''La rivolta in Ungheria e l'elezione di Giovannni XXIII'') *Questa storia dell'MSI è una delle grandi truffe della Prima Repubblica: nella Costituzione c'è un articolo che proibisce la rinascita di un partito fascista. Ecco. Ora, l'MSI era chiaramente un partito fascista. Non lo negava, anzi si faceva gloria del fatto di essere l'erede eccetera. Perché lo avevano messo, allora? Lo avevano messo perché questo partito fascista, che avrebbe dovuto essere escluso dalla vita politica, serviva a captare un certo numero di voti che, senza questo partito, sarebbero andati a dei partiti moderati di Centro e soprattutto, forse, alla Democrazia Cristiana. Quindi quale fu il gioco delle Sinistre, a cui la Democrazia Cristiana però si piegò e si rassegnò: è consentito di esistere all'MSI, però l'MSI quando è in Parlamento è escluso dal gioco parlamentare. Così si mettevano i voti dell'MSI in ''frigidaire'', e così non andavano alla Democrazia Cristiana e ai partiti {{NDR|di Centro}}. È una delle peggiori truffe che è stata inventata dalla classe politica che ci ha governato per cinquant'anni. (da ''I successori di De Gasperi e la politica italiana fino alla morte di Togliatti'') *Io vorrei sapere quali furono le crescite... di civiltà che il [[Sessantotto]] pretende di averci lasciato. Io vedo tutt'altra cosa: io vidi nascere, dal Sessantotto, una bella torma di analfabeti che poi invasero la vita pubblica italiana, e anche quella privata, portando dovunque i segni della propria ignoranza. Io ho visto questo. Può darsi che sia affetto da sordità o da cecità ma io non ho visto altro, come frutti del Sessantotto. (da ''Il Sessantotto e la politica di Berlinguer'') *{{NDR|La differenza tra il Sessantotto francese e quello italiano è}} La differenza che passa fra l'originale e il fac simile perché il Sessantotto nacque in [[Francia]] e in [[Italia]] fu un fatto di riporto, di imitazione. {{NDR|«Che vi fu in tutto il mondo, però, questo»}} Un po' in tutto il mondo ma particolarmente in Italia dove non nasce mai niente, è sempre qualcosa di imitato dagli altri. Bene o male, insomma, i francesi ebbero... anche una certa cultura del Sessantotto, ebbero [[Jean-Paul Sartre|Sartre]]. Oddio, Sartre rivisto con gli occhi di oggi naturalmente scende molto dal suo mitico piedestallo. [...] In Italia non ci fu neanche un Sartre. (da ''Il Sessantotto e la politica di Berlinguer'') *Credo che su [[Pier Paolo Pasolini|Pasolini]] si sia preso un grosso abbaglio: Pasolini è passato per uno scrittore di sinistra perché aveva preso come sfondo dei suoi racconti – bellissimi del resto – il sottoproletariato delle borgate romane, i ragazzi di vita, insomma, la schiuma della società. Ma lo aveva fatto per dei gusti e dei motivi del tutto personali sui quali è inutile tornare a far commenti. Questo lo aveva fatto considerare come uno scrittore, un difensore del proletariato, ma non era una scelta politica quella che aveva fatto Pasolini. Non c'entrava niente, assolutamente nulla. Quindi quello che lui disse era assolutamente vero, cioè dire che nei tafferugli, dove spesso ci scappava il morto, tra quei dilettanti delle barricate che erano {{NDR|dei borghesi}}, i veri proletari erano i poliziotti, tutti figli di famiglie povere, eccetera eccetera. I dilettanti delle barricate erano tutti o quasi tutti figli di papà: aveva ragione Pasolini! Ma come no! E questo fu considerato un tradimento all'ideologia di sinistra. (da ''Il Sessantotto e la politica di Berlinguer'') *Il primo fenomeno fu il Sessantotto, e il Sessantotto partorì poi il terrorismo, il brigatismo rosso eccetera eccetera. Su questo non ci son dubbi, insomma. Dirò di più: i più seri, e forse gli unici seri, furono quelli che poi diventarono dei terroristi e che quindi rischiarono la loro vita, almeno. Gli altri erano quello che diceva Pasolini, dei figli di papà. (da ''Il Sessantotto e la politica di Berlinguer'') *{{NDR|La figura del Grande Vecchio}} È una di quelle fandonie, di quelle stupidaggini che piacciono tanto a noi italiani: l'idea di un Grande Vecchio che organizzasse tutte queste stragi, attentati eccetera eccetera. È un affare da Simenon di borgata insomma – no? Piaceva l'idea che ci fosse dietro tutta una strategia. Sennonché poi non si sapeva chi fosse il Grande Vecchio. {{NDR|«Aveva un volto questo grande vecchio?»}} Ne ha avuti molti: naturalmente [[Giulio Andreotti|Andreotti]] – quello non manca mai, quando si cerca un ''deus ex macchina'' di tutto ciò che di più criminale è avvenuto in questo Paese {{NDR|c'è}} Andreotti. {{NDR|«Però in quel momento non era tanto vecchio»}} In quel momento non era tanto vecchio, ma il Grande Vecchio non ha nulla di anagrafico, è il Grande Vecchio così – poi Gelli, poi Sindona. Ha avuto varie raffigurazioni che sono tutte di fantasia. (da ''Piazza Fontana e dintorni'') *Se c'era un funzionario corretto, che veniva portato come esempio da tutti i suoi colleghi, era Calabresi. Per quale motivo si scatenò questa campagna contro di lui non lo so. È vero che aveva interrogato [[Giuseppe Pinelli|Pinelli]], ma gli interrogatori di Calabresi facevano testo per la loro correttezza. Sempre. [...] Non so per quale motivo, a un certo momento, la stampa s'incendiò e cominciò ad additare Calabresi come «il bruto», come «lo scherano del potere sopraffattore e assassino». Questo si lesse in vari giornali. Ora, il potere sopraffattore assassino in quel momento era rappresentato da [[Mariano Rumor|Rumor]] e da [[Emilio Colombo|Colombo]]: mi dica lei se hanno il viso dei sopraffattori assassini. Magari lo fossero stati un po', ma immaginiamoci. E questa campagna fu implacabile, assolutamente implacabile. (da ''Piazza Fontana e dintorni'') *Come in tutti i processi italiani anche questi, che poi volevano arrivare all'identificazione dei responsabili e non ci arrivarono quasi mai, erano dominati dal cosiddetto «teorema»: si partiva dal presupposto... a un certo momento si mise di parlare degli anarchici – si smise quasi subito di parlare {{NDR|degli anarchici}} – e tutte le lampadine furono rivolte ai partiti e alle forze di Destra. Erano quelle le forze stragiste. [...] I nostri bravi giudici, salvo alcuni, partivano dal presupposto che {{NDR|i colpevoli}} certamente venivano di lì, venivano dalle Destre, dalle Destre più violente. Alle quali si attribuiva, sempre per «teorema», questa idea: creare una tensione nel Paese in modo da impaurire gli italiani e metterli alla scelta «o la libertà o l'ordine», perché insieme non potevano andare. Nella libertà era chiaro che non si poteva mantenere l'ordine, e loro dicevano: «Qualunque popolo messo a questa scelta sceglie l'ordine». Ecco. È un teorema. È un teorema che ha sempre cercato dimostrazione e non l'ha trovata mai. (da ''Piazza Fontana e dintorni'') *[[Bettino Craxi|Craxi]] era un uomo di partito certamente molto accorto, era un uomo valido di governo perché sapeva decidere. Che cosa fosse lo Stato, da buon socialista, non lo sapeva. (da ''Il terrorismo fino al sequestro e all'uccisione di Aldo Moro'') *Quelle lettere erano tutte farina del sacco di [[Aldo Moro|Moro]], e questa farina non è molto encomiabile perché, vede, tutti gli uomini hanno diritto ad avere paura. Tutti. Però quando un uomo sceglie la politica, e nella politica emerge a [[Statista|uomo di Stato]] – a uomo rappresentativo dello Stato – non perde il diritto a avere paura, ma perde il diritto a mostrarla. Questo sì. Questo è uno dei principi che dovrebbe essere affermato. L'incidente, tipo quello di Moro, fa parte del mestiere. Chi affronta quel mestiere deve sapere che può incorrere in quell'incidente e deve avere i nervi, e diciamo gli altri attributi, per resistere. Moro era lo Stato. Lo Stato si raccomandava, implorava, minacciava la classe politica che facesse di tutto, anche che si prostituisse, per salvargli la vita: eh, no. No. Moro era certamente un politico a modo suo, estremamente abile – era anche un galantuomo, credo – ma uomo di Stato non era nemmeno lui. [...] Anch'io mi sono posto questa domanda molto spesso: «Ma se Moro fosse tornato in politica dopo aver costretto lo Stato a prostituirsi, a inginocchiarsi di fronte ai terroristi, avrebbe potuto restarci?». Avrebbe potuto restare? Con che faccia? Vabbè che siamo in Italia. {{NDR|«Forse lo Stato sarebbe stato un altro perché i terroristi avrebbero vinto»}} Appunto. I terroristi avrebbero vinto. Quindi lui che cosa diventava, il braccio politico del terrorismo? Che cosa diventava? Come poteva ripresentarsi? Va bene, gli italiani hanno lo stomaco forte, inghiottono tutto – noi italiani abbiamo lo stomaco forte e inghiottiamo tutto – ma, insomma, di fronte a un uomo la cui vita, la cui sopravvivenza, aveva avuto quel prezzo per noi non credo che avrebbe potuto ripresentarsi all'opinione pubblica italiana. (da ''Il terrorismo fino al sequestro e all'uccisione di Aldo Moro'') *Noi naturalmente abbiamo il dovere di ringraziare [[Michail Gorbačëv|Gorbačëv]] per quello che ha fatto, però se lei mi chiede se lo ha fatto bene o lo ha fatto male io debbo rispondere che lo ha fatto malissimo. Io non so se lui... che lui volesse salvare la Patria sovietica questo non lo metto in dubbio. Che lui volesse salvare il comunismo... io debbo risponderle di no, perché quello che lui ha fatto per affossare il comunismo lo ha fatto. (da ''Giovanni Paolo II e la fine dell'URSS'') *Anche i cinesi si erano accorti che il sistema comunista era arrivato al capolinea, era fallito. Fallito perché non regge, assolutamente non regge. {{NDR|Il sistema comunista}} Aveva portato il Paese, e i Paesi che lo avevano adottato, al fallimento. Anche i cinesi si erano accorti di questo, però avevano capito che per trasformare un sistema oramai ancestralmente totalitario, statalizzato, che aveva tolto ogni libertà a tutti, che aveva disabituato tutti da ogni spirito di iniziativa e di impresa... per trasformare un'economia basata su questi principi fallimentari in un'economia capitalista basata sul libero mercato, sulla libera concorrenza eccetera, bisognava tenere in mano il potere politico per controllare questo passaggio. I cinesi lo fecero. Quando gli studenti di Pechino credettero di potergli {{NDR|al governo cinese}} prendere la mano scendendo in [[Protesta di piazza Tienanmen|piazza Tienanmen]] i cinesi non esitarono a mitragliarli e, per quanto un massacro non possa che essere esecrato, io dico questo: i cinesi erano obbligati a farlo. Se non lo facevano la Cina si dissolveva, ritornava quella di [[Chiang Kai-shek]]: ritornava quella dei signori della guerra, cioè il Paese si disfaceva. Il Paese che bene o male [[Mao Tse-tung]] aveva unificato e a cui aveva dato un'anima di Nazione si sarebbe disfatto. (da ''Giovanni Paolo II e la fine dell'URSS'') *{{NDR|Su [[Licio Gelli]]}} L'avevo visto una volta e questo [...] rendeva ancora più grande la mia sorpresa. Io avevo un giornale, ''il Giornale'', che non aveva patroni, non aveva pubblicità, che quindi aveva delle grosse difficoltà di tirare avanti. La proprietà era divisa fra me e una trentina di altri redattori, e non avevamo niente in mano. Io non trovavo una banca che mi facesse un fido, non trovavo una società pubblicitaria che mi garantisse un minimo decente delle cose [...]. A un certo momento il capo del nostro ufficio romano, Trionfera – che era massone, ma non P2 – mi disse «Senti, vieni a Roma perché so che c'è un signore che sta diventando il padrone della stampa italiana». Dico «Come? Il padrone della stampa italiana?» «Sì, c'è un signore che, a quanto pare, ha assunto un potere straordinario nel mondo dell’editoria e forse lui può anche aiutarci». [...] Andai a Roma e allora {{NDR|Renzo Trionfera}} mi disse che lui aveva appuntamento con questo signor Gelli, di cui io sentivo il nome per la prima volta [...], però dovevamo andarci quasi di nascosto. [...] Andammo [...] e così vidi Gelli per la prima e unica volta. Gli esposi la situazione e lui mi disse: «Ma questi sono dettagli, queste sono piccolezze, non sono problemi gravi perché qui, oramai, bisogna procedere a ben altro. Bisogna chiamare a raccolta tutta questa stampa italiana che è litigiosa, che è settaria. Bisogna darle un indirizzo unico». Allora io lì lo fermai. Dissi: «Come fa a darle un indirizzo unico? La stampa segue criteri diversi, i giornalisti...». «Macché giornalisti – disse lui – qui ci vuole un padrone della stampa!». Dico «Ma non esiste un padrone della stampa, a meno che non rifacciamo il Minculpop fascista, allora c'era un padrone perché c'era un regime che faceva il padrone». {{NDR|Licio Gelli}} Dice «Basta comprare la proprietà dei giornali». Dissi «Ma scusi, ci sono degli editori che non vendono» [...] «Questione di prezzo». Il discorso andò avanti su questi binari, quando uscimmo io dissi a Trionfera: «Senti, ma questo qui è il più grosso farabolano con cui abbiamo avuto a che fare, uno che si immagina di comprare tutta la stampa e di ridurla ai suoi ordini, va be', o è un matto, o è un matto, oppure è proprio un piazzista, un fregnacciaro qualsiasi insomma». Questo fu l'unico incontro. [...] Uno che faceva questi discorsi naturalmente mi sembrava inutile continuare a frequentarlo. Di lì a poco venne fuori la lista degli iscritti alla P2 e venne fuori l'identificazione di Gelli col Grande Vecchio, col famoso Grande Vecchio. {{NDR|«Finalmente si era trovato»}} Finalmente si era trovato il Grande Vecchio autore di tutte le stragi, le cose..., {{NDR|«Il vero Grande Vecchio»}} il bieco Grande Vecchio. Naturalmente non credetti nemmeno a questo. (da ''Il caso Sindona e la P2'') *Per istinto, e per come avevo visto e conosciuto [[Licio Gelli|Gelli]], io sono convinto che {{NDR|la [[P2|Loggia P2]]}} era una cricca di affaristi e basta. Era una cricca di affaristi condotta da un uomo che, evidentemente, come intrallazzatore doveva essere geniale. Era un pataccaro, indiscutibilmente era un pataccaro, ma che a tutto pensava fuorché a un ''golpe''. Non ci pensava nemmeno. Lui procurava affari e soprattutto fomentava carriere. Lui aveva capito qual è la struttura del potere in Italia, sempre, non soltanto allora, sempre: è una struttura mafiosa. Bisogna far parte di una cricca, di una conventicola in cui ognuno aiuta l'altro, e questo era la P2. [...] Ma che interesse poteva avere Gelli a rovesciare un sistema che gli consentiva di influire sino a quel punto? Quale interesse poteva avere? E poi, Gelli era un farabolano ma non doveva essere del tutto sprovveduto, doveva sapere che l'[[Italia]] non è terra da ''golpe''. Ma chi lo fa il ''golpe''? E anche se qualcuno lo fa, come fa a resistere? Che cos'ha dalla sua per fare il ''golpe''? Non ho mai creduto al golpismo di Gelli. (da ''Il caso Sindona e la P2'') *Il caso Chiesa era un caso modestissimo. Fece da detonatore perché il momento era maturo per arrivare a ''Tangentopoli'', che era dovuto a una cosa molto più complessa che era questa: che ci fosse la corruzione in Italia si è sempre saputo, la classe dominante promanava questo puzzo di fogna che tutti sentivano, il famoso «turarsi il naso». Soltanto che fin quando l'alternativa di questa classe politica allora al potere era un Partito comunista, che era un fac-simile di quello sovietico, basato sui carri armati, sulla polizia segreta, sulle delazioni, sui processi, [...] finché c'era questo spettro noi non potevamo prenderci il lusso di mettere sotto processo e mandare in galera la classe politica dirigente allora. Fu quando, col Muro di Berlino, crollò questo incubo che i tempi furono maturi perché questo avvenisse. (da ''Tangentopoli'') *Che {{NDR|la [[corruzione]]}} sia inestirpabile, di questo sono sicuro perché dura da 2000 anni. La corruzione non è soltanto nella politica: è nella società italiana! Noi italiani abbiamo sempre corrotto tutti! Tutti coloro che sono venuti in Italia a fare i padroni li abbiamo corrotti. [...] Noi dobbiamo metterci in testa che la lotta alla corruzione la si fa in un modo solo: cambiando gli italiani, non cambiando le classi politiche. Le classi politiche, anche quelle nuove, si corrompono. È inevitabile. (da ''Tangentopoli'') *[[Silvio Berlusconi|Berlusconi]] ha un sacco di qualità. C'è da dire, ha una grande immaginazione, una grande fantasia; ha un coraggio leonino nel buttarsi nelle imprese; sa trascinare molto bene; è un comunicatore eccezionale, sa accendere i suoi seguaci di entusiasmi eccetera eccetera, mi ricordo che una volta gli dissi: «Io sono sicuro che se tu ti mettessi a fabbricare dei vasi da notte, faresti venire la voglia di fare pipì a tutta l'Italia». (da ''Verso il bipolarismo'') *[[Silvio Berlusconi|Lui]] è un uomo d'attacco: se avesse fatto la carriera militare lui non sarebbe diventato né un [[Gerd von Rundstedt|Rundstedt]] né un [[Erich von Manstein|Manstein]], che furono i grandi strateghi tedeschi dell'ultima guerra. [...] Lui sarebbe diventato un [[Erwin Rommel|Rommel]] o un [[George Smith Patton|Patton]]. Cioè dire: è un generale di straccio e di rottura che, appunto, sullo slancio può compiere qualsiasi cosa. Se lo metti poi a difendere le posizioni conquistate con lo slancio, eh no, lì non ci sta. Come Rommel: Rommel finché poté attaccare in Libia e in Egitto attaccò. Quando dovette mettersi sulla difensiva chiese il rimpatrio. [...] Non sarebbe uomo di Curia e non è un uomo di pazienza, non è un uomo da guerra di posizione e di logoramento. (da ''Verso il bipolarismo'') *Lui Arrivò a Palazzo Chigi credendo, e facendo credere, che uno Stato si poteva condurre con gli stessi criteri di un'azienda privata. Io su questo avevo avuto serie discussioni con lui – non litigi, non ho mai litigato con Berlusconi – gli avevo detto: «Guarda che lo Stato non è un'azienda privata». [...] Lui credeva di potersi comportare a Palazzo Chigi, e con la macchina dello Stato, come si comportava con la sua organizzazione, dove la gente frullava e, se non frullava, lui la cacciava via, com'è giusto che faccia un imprenditore. Ma lui non poteva applicare questi metodi e sistemi allo Stato. Quando si trovò di fronte alla muraglia grigia, sorda e ottusa della burocrazia italiana, che è la peggiore, ma anche la più resistente del mondo, lui rimase senz'armi: non poteva licenziare neanche un usciere. Nel gioco parlamentare lui naufraga perché non è abituato a queste cose. La politica – non dico che sia solo un mestiere – ma è anche un mestiere. Questo mestiere lui non lo aveva. (da ''Verso il bipolarismo'') *Che gli italiani siano capaci di emanare leggi di riforma, ci credo senz'altro. L'Italia è la più grande produttrice di regole, ognuna delle quali è una riforma, è la riforma di un'altra regola. Gli stessi esperti pare che abbiano perso il conteggio delle leggi, dei regolamenti che vigono in Italia: c'è qualcuno che parla di 200.000, altri di 250.000. Ora, quando si pensa che la [[Germania]] ha in tutto 5.000 leggi, la [[Francia]] pare 7.000, l'[[Inghilterra]] nessuna, quasi nessuna – ha dei principi, così stabiliti. A cosa ha portato tutta questa proliferazione? A riempire gli scantinati dei nostri pubblici uffici, dove ci sono questi mucchi di legge che nessuno va nemmeno a consultare perché ognuna di queste leggi poi offre il modo di evaderle. Questa è la grande abilità dei legislatori italiani. I legislatori italiani sono quasi tutti degli avvocati. E gli avvocati a che cosa pensano? A ingarbugliare le leggi in modo da restarne loro i supremi e unici depositari. [...] Riforme: hai voglia se ne faremo, continuiamo a farne, è la nostra vocazione, questa. Quanto poi all'attuazione, allora è un altro discorso: le leggi in Italia non vengono osservate, anche perché sono formulate in modo che si possano non osservare. Ed è questo che spiega l'abbondanza, la prodigalità delle nostre classi politiche, delle nostre classi dirigenti, nello sfornarne di continuo. (da ''Dal Governo Dini all'Ulivo'') *Un Paese che ignora il proprio Ieri, di cui non sa assolutamente nulla e non si cura di sapere nulla, non può avere un Domani. Io mi ricordo una definizione dell'Italia che mi dette in tempi lontanissimi un mio maestro e anche benefattore, che fu un grande giornalista, [[Ugo Ojetti]], il quale mi disse: «Ma tu non hai ancora capito che l'Italia è un Paese di contemporanei, senza antenati né posteri perché senza memoria». Io avevo 25-26 anni e la presi per una ''boutade'', per una battuta, un paradosso. Mi sono accorto che aveva assolutamente ragione. Questo è un Paese che {{NDR|«È un Paese che non ama la Storia»}} ha una storia straordinaria, {{NDR|«Ma non la ama»}} ma non la studia, non la sa. È un Paese assolutamente ignaro di se stesso. Se tu mi dici cosa sarà un domani per gli italiani, forse sarà un domani brillantissimo. Per gli italiani, non per l'Italia. Perché gli italiani sono i meglio qualificati a entrare in un calderone multinazionale perché non hanno resistenze nazionali. Intanto hanno dei mestieri in cui sono insuperabili. [...] Voglio dirlo senza intonazioni spregiative, nei mestieri servili noi siamo imbattibili, assolutamente imbattibili. Ma non lo siamo soltanto in quelli. L'individualità italiana si può benissimo affermare in tutti i campi, anche scientifici. Io sono sicuro che gli scienziati italiani, i medici italiani, gli specialisti italiani, i chimici, i fisici italiani quando avranno a disposizione dei gabinetti europei veramente attrezzati brilleranno. Gli italiani, l'Italia no. L'Italia non ci sarà, non c'è. Perché gli italiani che vanno in Germania diventeranno tedeschi. [...] Alla seconda generazione sono assimilati. Dovunque vadano, sono assimilati. {{NDR|«Ma questo è un difetto?»}} No... è un difetto... è un difetto ed è anche una virtù. È una qualità. Voglio dire: per l'Italia non vedo un futuro, per gli italiani ne vedo uno brillante. (da ''Dal Governo Dini all'Ulivo'') ==Citazioni tratte dai giornali== ===''Corriere della Sera''=== <!--ordine cronologico--> *Gli eroi sono sempre immortali, agli occhi di chi in essi crede. E così crederanno, i ragazzi, che il «[[Grande Torino|Torino]]» non è morto: è soltanto «in trasferta». (7 maggio 1949) *{{NDR|A proposito di [[Maratea]]}} Forse in Italia non c'è paesaggio e panorama più superbi. Immaginate decine e decine di chilometri di scogliera frastagliata di grotte, faraglioni, strapiombi e morbide spiagge davanti al più spettacoloso dei mari, ora spalancato e aperto, ora chiuso in rade piccole come darsene. (4 ottobre 1957) *{{NDR|Su ''[[La dolce vita]]''}} Ma non c'è dubbio che qui ci si trova di fronte a qualcosa di eccezione (sic!) non perché rappresenti un meglio o un di più di ciò che finora si è fatto sullo schermo, ma perché ne va nettamente al di là, violando tutte le regole e convenzioni, a cominciare da quelle della durata, che supera le tre ore di spettacolo, per finire a quelle della trama, o meglio della non trama, perché non c'è. (''[http://cinquantamila.corriere.it/storyTellerArticolo.php?storyId=4d44ab344c050 Montanelli vede La Dolce Vita]'', 22 gennaio 1960) *{{NDR|Su ''[[La dolce vita]]''}} Non siamo più nel cinematografo, qui. Siamo nel grande affresco. Fellini secondo me non vi tocca vette meno alte di quelle che Goya toccò in pittura, come potenza di requisitoria contro la sua e la nostra società. (''ibidem'') *Il suo reportage non è una "patacca". Il poco – oh, molto poco! – che vi luce è proprio oro. E il molto che vi puzza è proprio fogna. Del resto, se così non fosse, il film sarebbe fallito come falliscono i reportages quando eludono la verità o non riescono a centrarla. Quindi, amici, vi prevengo se domani ''[[La dolce vita]]'' vi farà inorridire, non confutàtela dicendo: "Non è vero". Perché per esser vero, tutto ciò che qui è raccontato, lo è. D'altronde Fellini è ricorso al mezzo più spicciativo (e più diabolico) per dimostrarlo. (''ibidem'') *Ma mi affretto subito ad aggiungere che ''[[La dolce vita]]'' non è una polemica a sfondo giustizialista, che appunta i suoi strali sulle cosiddette classi alte. Non convincerebbe, in questo caso, o convincerebbe meno. Gli altri ambienti, che si srotolano giù giù negli appunti di questo reporter d'eccezione, sono descritti con la identica spietatezza, convalidata dalla stessa tecnica di rappresentare ciascuno nei propri panni. Lasciatemi testimoniare in tutta onestà che raramente ho visto qualcosa di più vero di quel salotto intellettuale. Esso ha dato perfino a me, che non ne frequento nessuno, un senso profondo di mortificazione, un vago anelito a cambiar mestiere e a iscrivermi, fo' per dire, ai coltivatori diretti. (''ibidem'') *Non è necessario essere socialisti per amare e stimare [[Sandro Pertini|Pertini]]. Qualunque cosa egli dica o faccia, odora di pulizia, di lealtà e di sincerità. (27 ottobre 1963) *Che i [[Rifugiati palestinesi|profughi palestinesi]] siano delle povere vittime, non c'è dubbio. Ma lo sono degli Stati arabi, non d'[[Israele]]. Quanto ai loro diritti sulla casa dei padri, non ne hanno nessuno perché i loro padri erano dei senzatetto. Il tetto apparteneva solo a una piccola categoria di sceicchi, che se lo vendettero allegramente e di loro propria scelta. Oggi, ubriacato da una propaganda di stampo razzista e nazionalsocialista, lo sciagurato ''fedain'' scarica su Israele l'odio che dovrebbe rivolgere contro coloro che lo mandarono allo sbaraglio. E il suo pietoso caso, in un modo o nell'altro, bisognerà pure risolverlo. Ma non ci si venga a dire che i responsabili di questa sua miseranda condizione sono gli «usurpatori» ebrei. Questo è storicamente, politicamente e giuridicamente falso. (16 settembre 1972) *[[Alexis de Tocqueville|Tocqueville]] diceva che «è nel sonno della pubblica coscienza che maturano le dittature». (da ''[https://web.archive.org/web/20160101000000/http://archiviostorico.corriere.it/1996/gennaio/13/platea_resta_assente_co_0_9601133631.shtml La platea resta assente]'', 13 gennaio 1996, p. 1) *Se si mettono a raffronto i due rivali come faccia, come presenza, come eloquio, come cordialità, insomma come simpatia umana, non c'è dubbio che Albertini ne ispira molto meno di Fumagalli, anzi diciamo la verità tutta intera: non ne ispira punta. Ed io, cittadino ed elettore milanese, proprio di questo sentivo il bisogno: di un sindaco antipatico, di faccia arcigna e poco invogliante alla pacca sulla spalla, al confidenziale «tu» e al pappecciccia coi sottoposti, e poco, anzi punto disponibile a quelle benevolenze, condiscendenze e indulgenze che rappresentano le supposte di glicerina di tutte le corruzioni. [...] Con Albertini ho parlato una sola volta. Ma mi è bastata per capire che, per rendersi antipatico, non ha bisogno di fare sforzi. Basta che si mostri com'è e come spero che rimanga: una specie di Molotov di Palazzo Marino, chiuso nei suoi caparbi ''niet'', diffidente, scostante e culdipietra. Che abbia una compagna fermamente decisa a non partecipare alla vita pubblica del compagno, anche questo ci va bene. [...] Si ricordi, signor Sindaco, che noi abbiamo votato per lei, non per questi papponi. (da ''[https://web.archive.org/web/20160101000000/http://archiviostorico.corriere.it/1997/maggio/13/tradito_Ulivo_co_0_9705136733.shtml Sì, ho tradito l'Ulivo]'', 13 maggio 1997, p. 1) *Non vorremmo, dopo averne deplorato il brutto vezzo, contribuire alle polemiche nel momento in cui bisogna invece accantonarle per fare compatto fronte per il salvataggio del salvabile. Ma basta con le «regole» che servono soltanto a rendere impenetrabili le responsabilità dei disastri quando i disastri si possono ricondurre a delle responsabilità umane (come non accade, per esempio, nei terremoti). Ma quando verrà l'ora della ricostruzione, ricordiamoci che l'[[urbanistica]] e il paesaggio italiani hanno bisogno non di altre, ma di meno «regole». E, più che di cemento, di dinamite. (da ''[https://web.archive.org/web/20160101000000/http://archiviostorico.corriere.it/1998/maggio/09/licenze_facili_leggi_oscure_co_0_9805099009.shtml Le licenze facili e le leggi oscure]'', 9 maggio 1998, p. 1) *Qualche dichiarazione meno infuocata contro la Giustizia di regime, come il [[Silvio Berlusconi|Cavaliere]] si ostina a definirla, avrebbe meglio aiutato la politica italiana a rimuovere il macigno che la paralizza, e che è lui, Berlusconi. (da ''[https://web.archive.org/web/20160101000000/http://archiviostorico.corriere.it/1998/luglio/14/RESTO_SIA_SILENZIO_co_0_9807143775.shtml E il resto sia silenzio]'', 14 luglio 1998, p. 1) *L'Italia sarà anche, come dicono i nostri tromboni universitari, «la culla del diritto». Ma è anche il sepolcro di una giustizia che, per decidere se un imputato è innocente o colpevole, aspetta il suo certificato di morte che la esenta dal dirlo. Il secondo problema è il reclutamento e la selezione [[magistratura|del personale]]. Come in tutte le altre pubbliche attività, anche nella giustizia c'è un dieci per cento di autentici eroi pronti a sacrificarle carriera e vita, ma senza voce in un coro di «gaglioffi» che c'è da ringraziare Dio quando sono mossi soltanto da smania di protagonismo. (da ''[https://web.archive.org/web/20160101000000/http://archiviostorico.corriere.it/1998/agosto/24/CARDINALE_MAGISTRATO_co_0_9808244892.shtml Il Cardinale e il Magistrato]'', 24 agosto 1998, p. 1) *Tutto si è risolto in un colpo solo, non si sa con precisione quando e come combinato, che ha tagliato la strada alla bagarre prima che cominciasse. E che, per quanto mi riguarda, mi ha liberato dall'incubo che turbava i miei inquieti sonni, e in cui mi vedevo in fuga da un mostro senza volto, ma che m'incalzava con la logorrea del presidente uscente, aggravata dall'accento irpino di Mancino e dalle corde vocali della signora Jervolino. [...] Siamo sicuri che il popolo, chiamato a pronunciarsi fra un [[Carlo Azeglio Ciampi|Ciampi]] e – faccio per dire – un [[Antonio Di Pietro|Di Pietro]], si sarebbe pronunciato per Ciampi? È una domanda che non aspetta risposta, ma che mi permetto di proporre ai lettori. Gran bella parola «il Popolo». E riconosciamogli pure l'attributo, che gli spetta, di «Sovrano». Ma insomma, meditate gente, meditate. (da ''[https://web.archive.org/web/20160101000000/http://archiviostorico.corriere.it/1999/maggio/14/QUASI_NON_CREDO_co_0_9905146643.shtml Quasi non ci credo]'', 14 maggio 1999, p. 1) *Tutti coloro che hanno svolto pubbliche funzioni in Sicilia sono rimasti e sono tuttora in qualche modo «collusi» con la mafia. Lo furono quotidianamente, e per secoli, il governo e la polizia borbonica. Lo fu [[Giuseppe Garibaldi|Garibaldi]] che in essa trovò, dopo lo sbarco, la sua prima alleata. Lo furono i governi nazionali sia di destra che di sinistra. Lo fu [[Giovanni Giolitti|Giolitti]] che pure non scese mai, a ch'io sappia, a sud di Napoli. Lo fu il presidente della vittoria, [[Vittorio Emanuele Orlando|Orlando]], che quando tornava a Palermo, la prima visita che rendeva non era al prefetto né all'arcivescovo, ma al capomafia. Tentò di non esserlo Mori che aveva licenza di uccidere garantita da un regime totalitario, e ci rimise il posto. Lo sono stati tutti i politiconi e politicastri della Prima Repubblica. Anche il cautissimo [[Giulio Andreotti|Andreotti]]? Può darsi, attraverso i suoi proconsoli ''in loco''. Ma il Tribunale deve aver capito che l'imputato non era lui. Era il costume morale e politico della nostra vita pubblica, sul quale un Tribunale non ha, né può né deve avere competenza. [...] E il problema, secondo me, è questo: che fin quando noi italiani crederemo di salvarci dalla peste mandando sul rogo una strega o un untore, dalla peste non ci libereremo mai. (da ''[https://web.archive.org/web/20160101000000/http://archiviostorico.corriere.it/1999/ottobre/24/TRIBUNALE_DELLA_STORIA_co_0_991024441.shtml Il tribunale della storia]'', 24 ottobre 1999, p. 1) *Ci dicano chiaro e tondo perché hanno smembrato il Ros, e hanno ridimensionato l'attività di Sco e Gico. Non ci raccontino che hanno voluto mettere al riparo il capitano Ultimo e i suoi uomini dalle possibili vendette della malavita. E soprattutto non vengano a ripeterci che il ''modus operandi'' dei servizi segreti, per impedirne le «deviazioni», dev'essere «trasparente». Questa, che un segreto possa essere trasparente, è un'idea da primato della cretineria. E, se non della cretineria, lo è della retorica virtuista o della menzogna truffaldina. (da ''[https://web.archive.org/web/20160101000000/http://archiviostorico.corriere.it/1999/novembre/02/PROCURATORE_BATTA_PUGNO_co_0_9911021451.shtml Procuratore batta il pugno]'', 2 novembre 1999, p. 1) *Era la prima volta che il partito socialista italiano aveva trovato un uomo {{NDR|Bettino Craxi}}, se non di Stato, almeno di governo, che lo aveva liberato dalla subalternanza al Pci, e condotto su posizioni democratiche, europeistiche e atlantiche. Lo avrà anche fatto con metodi alquanto spicciativi e disinvolti, più da padrino che da ''leader''. Ma mi chiedo se avrebbe potuto usarne di diversi per avere ragione dei vecchi tromboni del massimalismo populista e piazzaiolo con le loro clientele incrostate da decenni. E mi chiedo anche quanto contribuirono alla sua crocefissione i rancori e le acredini che si era lasciato dietro. Ma nella difesa si perse, e non per mancanza, ma forse per eccesso di coraggio. (da ''[https://web.archive.org/web/20160101000000/http://archiviostorico.corriere.it/2000/gennaio/20/STATISTA_LATITANTE_co_0_0001201104.shtml Lo statista latitante]'', 20 gennaio 2000, p. 1) *Anche noi siamo convinti che il Paese ha il diritto di conoscere la verità (che non riguarda soltanto quella di Piazza Fontana). Ma non ci riusciamo. Anche perché se la pista rimane, come sembra accertato, quella del terrorismo nero, non sappiamo quali nomi l'accusa potrà tirar fuori dal suo cappello. I tre maggiori indiziati sono già stati assolti con sentenza passata in giudicato che non consente di richiamarli sul banco degli imputati. Gli altri di cui si fa il nome non sarebbero che comparse, la più importante delle quali, Delfo Zorzi, risiede a Tokio con passaporto giapponese che lo mette al riparo da ogni pericolo di estradizione. Vale la pena ricominciare? L'''ouverture'' dei dibattimenti non è stata incoraggiante. Il proscenio era occupato da Capanna, Valpreda, [[Dario Fo]] e altri reduci sessantottini, cui si era aggiunto anche Sergio Cusani, l'intangentato convertitosi (lo diciamo senza nessuna ironia) al missionarismo. [...] Invano i portaparola della parte lesa, cioè dei familiari delle vittime, si sono dichiarati estranei e contrari a ogni tentativo di politicizzare il processo. Una parola. Non ci riescono nemmeno [[Jovanotti]] e [[Teo Teocoli|Teocoli]] con le loro filastrocche dal palcoscenico di Sanremo. Figuriamoci se potranno riuscirci i registi di questo processo ''rouge et noir'', se mai ve ne furono. [...] Ecco a cosa servono i processi come questo: non a cercare la verità, ma a fornire argomenti al ''rouge'' o al ''noir''. (da ''[https://web.archive.org/web/20160101000000/http://archiviostorico.corriere.it/2000/febbraio/26/QUELLA_VERITA_CHE_CERCHIAMO_co_0_0002264627.shtml Quella verità che cerchiamo]'', 26 febbraio 2000, p. 1) *Cosa c'entri la giustizia italiana in fatti e misfatti capitati trent'anni fa in un Paese {{NDR|l'[[Argentina]]}} di cui la metà della popolazione è di origine italiana, non riusciamo a capire. Ma ci pareva impossibile che l'iniziativa del giudice spagnolo Garzon per trascinare l'ex dittatore cileno [[Augusto Pinochet|Pinochet]] sul banco degli accusati di un tribunale madrileno non trovasse imitatori in un Paese di scimmie come il nostro. Grazie ad essa, il nome e il volto di Garzon sono noti in tutto il mondo. Ed è probabile che tra poco lo siano anche quelli del pubblico ministero Caporale. Vi pare poco in un'era dell'effimero come quella in cui stiamo vivendo, e che vede l'infittirsi di processi ai defunti, su cui le nuove leve della [[storiografia]] vorrebbero riscrivere il passato? (da ''[https://web.archive.org/web/20160101000000/http://archiviostorico.corriere.it/2000/aprile/03/QUEI_PROCESSI_CARO_ESTINTO_co_0_0004033275.shtml Quei processi al caro estinto]'', 3 aprile 2000, p. 1) *Dobbiamo avere la modestia di riconoscere che noi, come venditori, non leghiamo nemmeno le scarpe a un piazzista che se un giorno si mettesse a produrre vasi da notte, farebbe scappare la voglia di urinare a tutta l'Italia. (da ''[https://web.archive.org/web/20130619122825/http://archiviostorico.corriere.it/2001/febbraio/15/PREDICATORI_COMPARSE_co_0_0102158858.shtml I predicatori e le comparse]'', 15 febbraio 2001, p. 1) *Non sono mai venuto meno all'impegno, preso non con il Cavaliere, ma con me stesso, di non associarmi mai alla sua demonizzazione. Ma non posso sottacere ai lettori i pericoli che si nascondono sotto questa sua allergia alla verità, questa sua voluttuaria e voluttuosa propensione alle menzogne, la naturalezza con cui riesce a pronunziarle. (da ''Io e il cavaliere qualche anno fa'', 25 marzo 2001, p. 1) *Berlusconi, cui nulla riesce tanto bene quanto la parte di vittima e perseguitato. «[[Chiagne e fotte]]» dicono a Napoli dei tipi come lui. E si prepara a farlo per cinque anni di seguito. (da ''Io e il cavaliere qualche anno fa'', 25 marzo 2001, p. 1) ====''La stanza di Montanelli – rubrica''==== {{cronologico}} *{{NDR|[[Vittorio Sgarbi]]}} È un volgare calunniatore, che non disonora se stesso, ma anche il suo committente e padrone (tutti sappiamo chi è) che si serve di un simile scherano. (8 novembre 1995) *I [[Riformismo|riformatori]] italiani, quando si tratta di riformare ciò che non ha bisogno di essere riformato, sono instancabili. L'attività dell'Ucas, Ufficio complicazioni affari semplici, come ricordava un altro lettore esasperato, è frenetica. ([https://web.archive.org/web/20160101000000/http://archiviostorico.corriere.it/1995/dicembre/13/Ufficio_complicazioni_affari_semplici_co_0_9512139920.shtml 13 dicembre 1995]) *Io credo che il miglior omaggio che si può rendere a [[Aldo Moro|Moro]] sia quello di archiviare l'episodio che ne segnò la fine e dal quale, diciamo la verità, la sua immagine esce tutt'altro che bene. Quando sento dire che, oltre a quelle conosciute, ci sono anche altre lettere di Moro, prego Iddio che non vengano trovate. So già cosa contengono, e preferisco non leggerlo. (21 dicembre 1995) *È assolutamente impossibile istillare negli [[zingari]] il concetto di proprietà e quindi educarli al lavoro come mezzo per conquistarsela. Ma temo che sia altrettanto impossibile far capire tutto questo ai nostri pietisti, religiosi e laici, che farneticano di «integrarli». ([https://web.archive.org/web/20160101000000/http://archiviostorico.corriere.it/1995/dicembre/30/Viaggiai_sul_carrozzone_degli_zingari_co_0_95123012229.shtml 30 dicembre 1995]) *A me, invece, [[Beppe Grillo|Grillo]] piace. Lo considero il più efficace comico in circolazione. Anzi: «comico» non è la parola giusta. Grillo non è un comico, non è un moralista, non è un predicatore: è tutte queste cose insieme. Nel panorama dello spettacolo italiano, dove abbonda il bollito misto, è un'eccezione ambulante (e urlante). Lei ha ragione quando dice che Grillo esagera. Non soltanto esagera; provoca anche, e insulta, e offende. Ma tutte le categorie di giudizio, con un tipo così, risultano inadeguate. Grillo appartiene ad una specie animale particolare, formata da un solo esemplare: lui. O lo strozziamo o lo applaudiamo. Io, appena posso, lo applaudo. Perché i suoi eccessi, a differenza di quelli di [[Vittorio Sgarbi|Sgarbi]], odorano di bucato. ([https://web.archive.org/web/20160101000000/http://archiviostorico.corriere.it/1996/gennaio/11/Beppe_Grillo_incubo_esilarante_co_0_9601114281.shtml 11 gennaio 1996]) *Una delle eterne regole italiane: nel settore pubblico, tutto è difficile; la buona volontà è sgradita; la correttezza, sospetta. Per questo, le persone capaci continueranno a tenersi a distanza di sicurezza dalla «cosa pubblica», lasciando il posto ai furbastri (magari bravi) e alle mezze cartucce (magari oneste). Così, purtroppo, vanno le cose in questo bizzarro paese. ([https://web.archive.org/web/20160101000000/http://archiviostorico.corriere.it/1996/gennaio/26/Impegno_politico_caduta_delle_illusioni_co_0_9601261298.shtml 26 gennaio 1996]) *In una società libera il compito dei media non è «edificare la morale»; è informare, denunciare, stimolare, far riflettere, occasionalmente divertire. (28 gennaio 1996) *L'unico incoraggiamento che posso dare ai giovani, e che regolarmente gli do, è questo: «Battetevi sempre per le cose in cui credete. Perderete, come le ho perse io, tutte le battaglie. Una sola potete vincerne: quella che s'ingaggia ogni mattina, quando ci si fa la barba, davanti allo [[specchio]]. Se vi ci potete guardare senza arrossire, contentatevi». (20 febbraio 1996) *Non so se il Pci sia sotterraneamente sceso a trattative con le Br per convincerle a secondare questo piano. So soltanto che le Br, le quali invece la rivoluzione la volevano sul serio, lo rifiutarono, e fu proprio per farlo naufragare che rapirono e poi uccisero colui che doveva esserne lo strumento. [...] Fu il risoluto e quasi furibondo (oltre che sacrosanto) no dei comunisti che fece naufragare il tentativo {{NDR|Trattativa Stato-BR durante il sequestro [[Aldo Moro|Moro]]}}, che invece in seno alla Dc aveva parecchi sostenitori, anche se non osavano dirlo apertamente. Di qui le accuse e le insinuazioni contro i suoi compagni di partito, lanciate da Moro in quelle famose lettere, che avrebbe fatto meglio a non scrivere perché indegne di un vero uomo di Stato, anzi di un uomo tout court, e che ancor oggi forniscono materia al sospetto di una congiura fra democristiani – con l'aiuto dei soliti servizi segreti «deviati» – per sbarazzarsi di lui. Vero nulla. Forse nella Dc le forze «trattativiste», praticamente disposte alla resa alle Br, avrebbero vinto, se non ne fossero state impedite dalla risolutezza del Pci, che di un brigatismo assurto ad interlocutore dello Stato non voleva sentir parlare e di un Moro salvato al prezzo di una simile capitolazione non avrebbe più saputo che farsi. (26 marzo 1996) *No, è stata la persecuzione che ha costretto gli ebrei, per resisterle, a tendere ed affinare tutte le loro risorse intellettuali. Ecco il segreto dei loro primati. In tutto. E talvolta anche nella cretineria. (3 aprile 1996) *L'[[Allargamento della NATO|allargamento della Nato]] è una cosa maledettamente seria, e decisamente complessa. Parlarne prima delle elezioni presidenziali russe vuol dire buttare benzina sul fuoco; non parlarne oggi significa, forse, non parlarne più. [...] Innanzitutto, dobbiamo renderci conto che la Nato è un'organizzazione basata sul consenso: se si estende verso Oriente [...], la compattezza dell'alleanza rischia di incrinarsi. Ancor più delicata è una seconda questione. Governi e opinione pubblica occidentali devono capire le implicazioni della loro decisione. In seguito all'allargamento, i nuovi membri orientali della Nato (che siano solo Repubblica Ceca e Ungheria; o anche Polonia e Paesi Baltici) diventano nostri alleati, a tutti gli effetti. Questo vuol dire che, se venissero attaccati, dovremmo correre a difenderli. Domanda: siamo disposti a morire per Varsavia e Tallin? Se la risposta è «sì», allarghiamo pure la Nato. Se la risposta è «ma, forse...» – e in Italia sarebbe sicuramente «ma, forse...» – è meglio che lasciamo perdere. In quella parte del mondo hanno già sofferto abbastanza. Non è il caso che ci mettiamo anche noi. ([https://web.archive.org/web/20151025020316/http://archiviostorico.corriere.it/1996/aprile/20/Allargamento_della_Nato_Lasciamo_perdere_co_0_960420535.shtml 20 aprile 1996]) *Io non mi considero affatto ateo e non capisco come si possa esserlo. ([https://web.archive.org/web/20160101000000/http://archiviostorico.corriere.it/1996/maggio/23/dove_comincia_grande_mistero_Dio_co_0_9605235872.shtml 23 maggio 1996]) *{{NDR|Riferito alla [[crisi di Sigonella]]}} Ho sempre considerato il rilascio di Abu Abbas un gesto semplicemente criminale o almeno di complicità col crimine. ([https://web.archive.org/web/20151107235857/http://archiviostorico.corriere.it/1996/luglio/07/Caro_Ottiero_Ottieri_diamoci_del_co_0_9607072658.shtml 7 luglio 1996]) *Quanto scrivi {{NDR|riferito a una lettrice}} sull'insegnamento della Storia nelle nostre scuole è sacrosantamente vero. I testi su cui ve la fanno studiare sono o reticenti o faziosi, ma più spesso l'una cosa e l'altra, e soprattutto scritti coi piedi. (4 settembre 1996) *No, caro N***, non mi basta che il Pool abbia perseguito e persegua una buona Causa. Doveva farlo anche con buoni mezzi e criteri. E il caso Di Pietro basta a dimostrare che questo non è sempre avvenuto. (24 ottobre 1996) *È dalla piazza e dai cosiddetti «bagni di folla» che nascono i dittatori e vengono consacrati i fanatismi più orrendi, fra cui il più orrendo di tutti: il razzismo. ([https://www.fondazionemontanelli.it/sito/pagina.php?IDarticolo=432 24 novembre 1996]) *Io non ho titoli culturali che mi qualifichino a lezioni su una tematica come quella del [[calvinismo]]. Ma credo di averne afferrato l'essenziale: la concezione della Ricchezza come segno della Grazia, di cui quindi non si è proprietari, ma amministratori per conto del Signore col compito di moltiplicarla per il bene di tutti. (21 dicembre 1996) *[[Daniele Vimercati|Vimercati]] è un leghista antemarcia. Lo era anche quando lavorava con me al ''Giornale''. Ma è soprattutto un signor giornalista, che conosce perfettamente la linea di demarcazione fra l'opinione personale e il dovere professionale, e non c'è interesse né calcolo di opportunità che possa indurlo a varcarla. Per questo godeva di tutta la mia fiducia, né mai ho avuto occasione di pentirmi di avergliela concessa. (1996).<ref>Citato in Pierluigi Saurgnani, ''[https://www.ecodibergamo.it/stories/Cronaca/274325_vimercati_gran_borghese_il_giornalista_che_scopr_bossi/ Vimercati, gran borghese. Il giornalista che scoprì Bossi]'', ''ecodibergamo.it'', 13 marzo 2012.</ref> *Di commissioni d'inchiesta il nostro parlamento ne ha partorite a dozzine. Me ne citi una sola che abbia raggiunto dei risultati, anche semplicemente conoscitivi. Per un Parlamento come il nostro (e mi trattengo a fatica dal qualificarlo) anche la ricerca della verità è materia di lottizzazione. ([https://web.archive.org/web/20151118213258/http://archiviostorico.corriere.it/1996/dicembre/23/Ormai_non_resta_che_amnistia_co_0_96122312669.shtml 23 dicembre 1996]) *Quando ebbi, fra i tanti, un processo non con un magistrato, ma con un politico del rango di De Mita che avevo coinvolto nella mala amministrazione dei fondi stanziati per l'Irpinia dopo il [[Terremoto dell'Irpinia del 1980|terremoto]], non trovai, in tutta quella vasta regione, una toga che venisse a testimoniare in mio favore. L'unico che mi difese fu colui che avrebbe dovuto accusarmi: il pubblico ministero del tribunale di Monza, Mariconda: non sul merito delle mie accuse, ch'egli non aveva elementi per valutare, ma sul diritto che mi riconosceva di lanciarle. Anche l'uso dei cinquanta–sessantamila miliardi stanziati per l'Irpinia rimase un porto delle nebbie. ([https://web.archive.org/web/20160101000000/http://archiviostorico.corriere.it/1997/gennaio/12/Magistratura_porti_delle_nebbie_co_0_9701123652.shtml 12 gennaio 1997]) *La sola parola «ingegneria genetica» mi mette i brividi. (14 marzo 1997) *Io non mi sono mai [[Impiccagione|impiccato]]. Ma a Norimberga assistetti a diciassette impiccagioni, compresa quella di un cadavere, il cadavere di Göring che si era suicidato il giorno prima. Be', mi resi conto [...] che ficcare la testa nel nodo scorsoio di una corda non è un esercizio da mezzetacche o quacquaracquà. (15 maggio 1997) *{{NDR|Gladio}} Era stato istituito in quasi tutti i Paesi che facevano parte della Nato, e per volontà della Nato, consapevole che i suoi soci europei non avrebbero potuto resistere all'attacco di una Potenza superarmata qual era l'[[Unione Sovietica]]: avrebbero dovuto aspettare, per la riscossa, l'intervento dell'[[Stati Uniti d'America|America]]. Lo dimostra il fatto che quando questo piano fu rivelato, nessun altro Paese trovò nulla da ridirne. Solo noi italiani – i soliti romanzieri imbecilli e peggio che imbecilli – ne facemmo materia di scandalo e pretesto di «gialli» che tuttora trovano credito, come la sua lettera dimostra. Anch'io mi sento scandalizzato, e un poco offeso. Ma solo dal fatto che nessuno mi abbia sollecitato l'adesione al [[Organizzazione Gladio|Gladio]]: l'avrei data con entusiasmo. ([https://web.archive.org/web/20150623163829/http://archiviostorico.corriere.it/1997/giugno/07/Avrei_dato_con_entusiasmo_adesione_co_0_97060710388.shtml 7 giugno 1997]) *A fare l'Italia alcuni pochi italiani ci sono, senza e contro i più, riusciti. A fare gl'italiani, l'Italia, in centocinquant'anni, non c'è riuscita; anzi non ci s'è nemmeno provata. (19 giugno 1997). *Il vero cacciatore ama gli animali a cui dà la caccia, forse anche perché li considera complici di questo gioco in cui ritrova la sua origine esistenziale. Non spara, per esempio, sul bersaglio fermo: lo considera sleale. (9 luglio 1997) *Al matrimonio misto, che dell'integrazione razziale è la condizione genetica, sono i neri, molto più dei bianchi, che si rifiutano. Non è quindi colpa degl'italiani, o almeno non tutta questa colpa è degl'italiani, se anche da noi l'integrazione con gl'immigrati africani incontra degli ostacoli. Quella con gli oriundi dei Paesi europei non ne incontra nessuno, salvo quelli che frappone la burocrazia, la quale ne pone tanti anche a noi, e anzi campa solo di questo. Non ho mai sentito un francese, o un inglese, o un tedesco, o un bulgaro o un ukraino lamentarsi di una apartheid italiana. Ci sono anche da noi, purtroppo, delle manifestazioni di razzismo. Ma queste sono dovunque, e in Italia meno violente che altrove. L'Italia è un Paese che va a catafascio. Ma non buttiamogli addosso anche delle croci che non merita. Quelle che merita bastano, e ne avanza. (24 agosto 1997) *Io sono un italiano, fra i pochi rimasti che nei confronti dell'Italia s'ispirano all'adagio inglese: «Che abbia ragione o torto, sto col mio Paese». Anch'io sto col mio paese quando ha torto, ma senza pretendere che il suo torto sia considerato ragione. (23 settembre 1997) *Sono e rimango convinto che fin quando noi italiani ci affideremo soltanto alla Legge – o, come ora usa chiamarla, alle «regole» –, rimarremo quello che siamo, coi vizi che abbiamo, fra cui quello di accatastare regole su regole al solo scopo di metterle in contraddizione l'una con l'altra per poterle meglio evadere. (16 ottobre 1997) *Forse farebbe meglio ad astenersi a dare lezioni di liberalismo a me che sono stato, in tutto il giornalismo italiano, l'unico a difenderlo negli anni Settanta e Ottanta, quando difenderlo era difficile e poteva anche costar caro. Non me ne faccio un vanto perché, quando alla fine ha vinto, ho visto di che liberalismo si trattava, ed è per questo che ho votato Ulivo. (23 ottobre 1997) *Le confesso che il suo piglio perentorio e inquisitorio mi disturba alquanto, anche perché mi lascia capire che lei parte da convinzioni così granitiche da rendere vano ogni tentativo d'insinuarvi almeno un dubbio. (23 ottobre 1997) *È importante tutto questo? No. Non lo è per me né per lei, che sappiamo cosa è accaduto. E non lo è per i leghisti doc, secondo cui qualunque cosa propone il capo è Vangelo. Se Bossi decide di andare in Bicamerale, applaudono. Se decide di abbandonare la Bicamerale, esultano. Se va con Berlusconi, assentono. Se lascia Berlusconi, approvano. E se un giorno si sveglia e cambia i confini della Padania, accettano i nuovi confini. Tempo fa, rispondendo a un lettore, scrissi che «i leghisti sono pronti a inneggiare anche all'annessione della Yakuzia, e non solo perché non sanno dove sta». Arrivarono molte lettere indispettite. Ma nessuna contro l'annessione della Yakuzia. (29 ottobre 1997) *Se sono – come sono – uno di quegli uomini di Destra che ultimamente hanno votato, sia pure controvoglia, per la Sinistra (annacquata) dell'Ulivo, è perché da questa, che non è mai stata la mia bandiera, non mi sento tradito. Essa sta facendo ciò che prometteva di fare, ma lo fa con molta moderazione, e con una squadra di uomini che magari non saranno (meno qualcuno, come per esempio Ciampi) di serie A, ma da cui non temo, e credo che nessuna persona ragionevole possa temere, l'instaurazione di un regime. (10 dicembre 1997) *E lo specchio non vi giudica dai successi che avrete ottenuto nella corsa al denaro, al potere, agli onori; ma soltanto dalla Causa che avrete servito. Tenendo bene a mente il motto degli ''hidalgos'' spagnoli: «La sconfitta è il blasone delle anime nobili». (31 dicembre 1997) *Che cosa io pensi dell'onorevole Previti mi pare di averlo detto in termini talmente espliciti da apparire – a più d'uno – brutali: un personaggio che solo a guardarlo in faccia verrebbe voglia di applicargli le manette ai polsi prima ancora di sapere chi è e cosa ha fatto. (31 gennaio 1998) *Infine, c'è quello che io considero il vero, grande vantaggio dell'euro: una volta dentro, non potremo tornare all'allegra finanza pubblica d'un tempo. ([https://web.archive.org/web/20151203232056/http://archiviostorico.corriere.it/1998/febbraio/20/Che_cosa_succedera_quando_avremo_co_0_9802206445.shtml 20 febbraio 1998]) *Tutti hanno diritto di credere nel miracolo, quando non c'è altro a cui aggrapparsi. La scienza no: se lo ricordi anche il Papa. (23 febbraio 1998) *I conti col passato, si capisce, bisogna farli. Ma a un certo punto bisogna chiuderli. Perché nella Storia non ce n'è mai stato uno che, protratto all'infinito, non ne abbia innescato un altro. (10 marzo 1998) *Perché, caro B***? Perché la vocazione a dividerci sempre e su tutto per il nostro «particulare», come lo chiamava Guicciardini, noi italiani ce la portiamo nel sangue, e non c'è legge che possa estirparla. (18 aprile 1998) *Vero che nei ricordi sui quali vengo sollecitato, il nome di [[Cesco Tomaselli|Tomaselli]] ricorre meno frequentemente di quelli di Longanesi, di Buzzati, di Piovene, di Barzini ecc. Ma ciò dipende solo dal fatto che costoro appartenevano alla mia leva, e in comune con loro avevo avuto tante esperienze, perfino la stanza di lavoro. Tomaselli, quando io entrai al ''Corriere'', apparteneva già alla sua vecchia guardia, e come notorietà ne aveva raggiunto il tetto proprio grazie alle sue corrispondenze sull'impresa del dirigibile «Italia» di Umberto Nobile, di cui fu dal principio alla fine lo scrupoloso cronista. A salvargli la vita dalla catastrofe fu soltanto la sorte, contro cui egli imprecò considerandola avversa. Per l'ultima tappa, quella che avrebbe dovuto sorvolare il Polo, dei due giornalisti aggregati a quella spedizione — Tomaselli per il ''Corriere'', e Ugo Lago per il ''Popolo d'Italia'' di Mussolini —, c'era posto, sulla navicella, per uno solo. Lago e Tomaselli se lo giocarono a testa o croce. Con gran dispetto di Tomaselli, che non smise mai di considerarsene tradito, vinse e partì Lago, che non tornò più: quando l'aeromobile precipitò sul pack, lui rimase aggrappato insieme ad altri compagni al cordame dell'involucro col quale scomparve nel deserto bianco. Ma tutte le volte che se ne parlava, Tomaselli seguitava ad inveire contro la scalogna che lo aveva escluso da quel drammatico finale, come se gli avesse tolto la fortuna di descriverlo. Questo era Tomaselli, l'inviato speciale che nel suo mestiere di giornalista portava lo stesso spirito che aveva fatto di lui, nella Prima Guerra Mondiale, un superdecorato ufficiale di artiglieria alpina e gli ispirava una concezione quasi religiosa del «servizio». Non era un «brillante» né come scrittore né come parlatore. Ma di tutto quello che diceva, sia con la bocca che con la penna, si poteva stare sicuri che di inesatto o di inventato non c'era nemmeno una virgola. [...] Se raramente mi capita di parlare di lui, è perché l'ho conosciuto e frequentato sul declino della sua intemerata e ineccepibile carriera di testimone, e perché lui, nel raccontarla, non l'animava mai di aneddoti o di battute come, per esempio, il suo coetaneo Monelli. Ma se ai giovani che si avviano (poveretti!) a questo mestiere dovessi indicare un modello di dignità, serietà, dedizione e correttezza professionale non avrei dubbi sulla scelta: Cesco Tomaselli. ([https://web.archive.org/web/20151009153047/http://archiviostorico.corriere.it/1998/maggio/07/Cesco_Tomaselli_inviato_speciale_Polo_co_0_9805078688.shtml 7 maggio 1998]) *Che un giudice spagnolo in vena di protagonismo abbia chiesto all'[[Inghilterra]] la consegna di un ospite straniero andato a Londra in forma privatissima per ragioni di salute, non mi stupisce: un [[Antonio Di Pietro|Di Pietro]] può nascere dovunque. Ma che l'Inghilterra si proponga di consentire, non mi stupisce. Mi sbalordisce, come ha sbalordito e indignato la signora Thatcher che aveva ospitato in casa il Generale. Ma ancora di più mi sbalordirebbe che la Giustizia spagnola, cioè di un Paese che non solo ha accettato per quarant'anni il potere di un Generale, ma gli ha consentito (per sua fortuna) di disporne anche dopo morto, portasse davanti a una Corte di Giustizia quello cileno. Per non parlare delle conseguenze che tutto questo potrebbe provocare in [[Cile]] dove, nel caso che il governo Frei si mostrasse esitante e accomodante, le Forze Armate potrebbero riprendere il potere per rompere i rapporti diplomatici con [[Spagna]] e Inghilterra e dimostrare al mondo che i processi alla Norimberga hanno fatto il loro tempo. Se a qualcuno il Generale cileno Pinochet deve rendere conto del suo operato, è soltanto al Cile e ai suoi tribunali. E se io fossi un cileno che ha votato Frei (come certamente avrei fatto se fossi stato un cileno), in questa occasione mi schiererei con le Forze Armate. Con tanti saluti a tutto il sinistrume italiano passato, presente e futuro. (24 ottobre 1998) *Che gli [[Stati Uniti d'America|Usa]] siano in tutto il mondo odiati dagli uomini come lei {{NDR|riferito a un lettore}}, è verosimile, e quindi più che credibile. Un po' meno credibile è che gli uomini di tutto il mondo siano e la pensino come lei. Comunque, il giorno in cui quel Paese venisse chiamato (ma da chi?) sul banco degl'imputati come il nemico dell'umanità, io chiederò di essere ascoltato come testimone. Per dire alla Corte dei Vecchio di turno che io, uomo qualunque, mi considero graziato tre volte da questo grande nemico dell'umanità. La prima fu quando mi strappò al pericolo di diventare – per bene che mi fosse andata – l'attendente di un colonnello tedesco. La seconda fu quando mi sottrasse a quello di finire i miei giorni in un kolkos siberiano. La terza fu quando, invece di rimettermi la parcella di questi favori, mi aiutò a rifarmi la casa senza contestarmi il diritto di invitarvi anche coloro che pensano (si fa per dire) e parlano (o meglio sbraitano) come lei. ([https://web.archive.org/web/20160101000000/http://archiviostorico.corriere.it/1999/aprile/10/Fermare_genocidio_Kosovo_co_0_9904103314.shtml 10 aprile 1999]) *Tradotto in politica, non c'è nulla di più intollerante e fazioso, e quindi di meno pacifico, del [[pacifismo]] in generale, e di quello italiano in particolare. È un pacifismo a fasi alterne, e che si sveglia soprattutto, anzi quasi esclusivamente, quando a fare la guerra sono gli americani. Furioso e devastatore imperversò, non soltanto in Europa, ma nella stessa America, al tempo del Vietnam: al punto che quando [[Richard Nixon|Nixon]] venne in visita in Italia (quell'Italia che poteva fare ciò che voleva grazie agli americani) dovettero mandarlo a prendere a Fiumicino con un elicottero e trasportarlo via aria in Quirinale perché via terra avrebbe rischiato la pelle. Ma questo stesso pacifismo rimase impassibile quando i carri armati sovietici schiacciarono l'Ungheria (e a Montecitorio risuonò il grido: «Viva l'[[Armata Rossa]]!»), e poco dopo la Cecoslovacchia e da ultimo l'Afghanistan. Sono sempre gli stessi, i pacifisti italiani. Con una bandiera in mano come quella della pace (chi può infatti invocare la guerra?), si sentono invulnerabili. Ma la sventolano solo per il povero Milosevic; il genocidio del Kosovo li lascia del tutto indifferenti. (5 maggio 1999) *Non sempre condivido le opinioni di [[Giovanni Sartori|Sartori]]. Qualche volta, anzi spesso, abbiamo litigato, anche perché a lui litigare piace moltissimo: da buon toscano, è nella polemica che lui, e forse anch'io, diamo il meglio di noi. E anche sull'articolo del 25 maggio non siamo in tutto e per tutto d'accordo. Lo siamo nel respingere la qualifica di «pacifista», che entrambi lasciamo in esclusiva alle «anime belle» che, sventolando la bandiera della [[pace]], sperano di raccogliere intorno a essa tutti gl'ipocriti e gl'imbecilli che, sommati insieme, costituiscono certamente la stragrande maggioranza degl'italiani. (29 maggio 1999) *Lo Stato di [[Platone]], quello che lui chiamava la polis, e che poi era Atene, aveva, al tempo di Platone, cioè nel momento del suo massimo splendore, ventimila abitanti, di cui solo cinquemila avevano diritto al voto. E veda un po' come quei civilissimi cittadini lo usarono nelle assemblee dell'Acropoli: mettendo sotto processo [[Pericle]] e [[Aspasia di Mileto|Aspasia]], condannando a morte [[Socrate]] e provocando la guerra del Peloponneso, che fu la rovina non solo di Atene, ma di tutta la Grecia e della sua civiltà. Ora se il sistema della «democrazia diretta» o, come lei la chiama, «partecipatoria», non funzionò nemmeno in una polis di ventimila abitanti, s'immagini un po' cosa diventerebbe nei formicai umani cui si sono ridotte le polis attuali, e non soltanto quelle italiane. [...] Lei ha tutte le ragioni del mondo a dire che l'attuale sistema di democrazia «rappresentativa» o «delegata» ha dei vizi gravissimi e spesso provoca disastri, compresa quella americana, che pure è una di quelle che meglio funzionano. Ma, mi creda, quella «diretta» o «di piazza» è ancora molto più pericolosa perché continuamente a rischio di cadere in balia di qualche ciarlatano che sappia soltanto vendere bene la sua merce. Certo, quella indiretta esige, da parte del cittadino, una partecipazione che in Italia manca. Ma non è certo coi referendum che si può sostituirla. Almeno questo mi ha insegnato l'esperienza. (22 agosto 1999) *Quello di [[Francisco Franco|Franco]], se proprio vogliamo chiamarlo regime, fu un regime di polizia, di una polizia molto più dura di quella fascista, ma un totalitarismo no. Ecco perché, quando sentì avvicinarsi il momento della fine, Franco poté liquidare il franchismo con relativa facilità: perché di totalitario non aveva altro che le galere. Però bisogna anche riconoscere che questo soldataccio squallido e ottuso (sul piano umano era repellente), il ritorno al regime democratico seppe compierlo da maestro, facendosi consegnare dal pretendente al trono, Don Juan, ch'egli considerava (non a torto) poco affidabile, il figlio Juan Carlos per prepararlo – operazione riuscitissima – ai suoi compiti di Re, e mettendogli accanto un uomo di primissimo ordine come Suarez. ([https://web.archive.org/web/20130331034046/http://archiviostorico.corriere.it/1999/ottobre/24/differenza_fra_regimi_totalitari_dittature_co_0_991024459.shtml 24 ottobre 1999]) *La servitù, in molti casi, non è una violenza dei padroni, ma una tentazione dei servi. (2 gennaio 2000) *Non conosco Haider, e quindi nemmeno i fondamenti della sua ideologia, ammesso che ne abbia una. A occhio e croce, più che un nazista, mi sembra un qualunquista che interpreta, o cerca d'interpretare i sentimenti e i risentimenti di una pubblica opinione di livello bossiano, scontenta di tante cose, e a cui l'Austria attuale va stretta. [...] Non so se anche Haider – ripeto: non lo conosco – sia un omuncolo. Ma penso che l'Europa, ponendo il veto a un suo eventuale governo, costringerà gli austriaci ad affidargliene l'incarico, come avvenne per Waldheim. Io al pericolo di un rigurgito nazista non ci credo. Come ho letto in un articolo (mi pare di Enzo Bettiza, ma potrei sbagliarmi) penso che Jorg Haider somigli più a un Poujade che a un Le Pen, cioè più a una miscela di [[Umberto Bossi|Bossi]] e di Giannini che a un [[Pino Rauti]]. Ciò che mi allarma è l'incapacità dell'Europa a riflettere sulle sue proprie esperienze a trarne qualche insegnamento. Questo, sì, mi fa paura. (3 febbraio 2000) *Li conosco e riconosco, quei regimi {{NDR|di dittatura e di censura}}. Ne avverto il passo anche di lontano, e convengo che in Italia il pericolo di vederne arrivare qualcuno c'è. Ma sa quando si realizzerà? L'anno venturo, dopo la vittoria – che io do per certa – del Polo alle Politiche. Vedrà. La prima cosa che farà Berlusconi, come la fece nel '94, sarà di spazzare via l'attuale dirigenza Rai per omologarne le tre Reti a quelle sue. (26 febbraio 2000) *Quando s'accendono i [[Morte sul rogo|roghi]], mettiti dalla parte della strega, anche a costo di bruciare con lei. ([https://www.corriere.it/solferino/montanelli/00-05-31/02.spm 31 maggio 2000]) *Una Giustizia che per istruire un processo impiega sei o sette anni e poi non riesce a chiuderlo con una sentenza che non si presti a rimetterlo, con qualche marchingegno, in gioco, è un meccanismo di cui bisogna assolutamente rivedere e rifare gl'ingranaggi: «Giustizia ritardata – dice [[Montesquieu]] – è Giustizia negata». ([http://www.corriere.it/solferino/montanelli/00-06-07/01.spm 7 giugno 2000]) *Il [[revisionismo]] è la materia prima della [[storiografia]] che, senza di esso, sarebbe una disciplina morta. ([http://www.corriere.it/solferino/montanelli/00-06-16/01.spm 16 giugno 2000]) *Il mio giudizio su [[Baltasar Garzón|Garzón]] resta quello di prima, solo un po' rinforzato: un garzoncello smanioso soltanto di leggere il proprio nome sulle prime pagine di tutti i giornali e di vedere la propria effigie sugli schermi televisivi di tutto il mondo: il che rafforza la mia ipotesi che si tratti di un italiano nato per sbaglio in Spagna. ([http://www.corriere.it/solferino/montanelli/00-06-30/01.spm 30 giugno 2000]) *La pena di morte americana esiste e resiste in America perché fu un elemento base e costitutivo della sua nascita e sviluppo. Dei famosi 102 «Padri Pellegrini» che per primi sbarcarono dal «Mayflower» in quel Continente non per saccheggiare le ricchezze come facevano spagnoli e portoghesi in Messico e nell'America del Sud, ma per costruirvi una società nuova e libera, circa i due terzi erano avanzi di galera che fuggivano la Giustizia e le prigioni dell'Europa, e un terzo erano uomini che cercavano la libertà, e soprattutto quella religiosa. I primi avevano in tasca la pistola, i secondi la Bibbia, ma nella sua versione calvinista quella del taglione, basata sulla concezione di un Dio giustiziere che esige la morte di chi senza giusto motivo la dà. (9 luglio 2000) *A Rimini, cioè in casa propria (ma anche nostra, almeno per il momento), questi signorini {{NDR|di [[Comunione e Liberazione]]}} non hanno fatto altro che fischiare tutto ciò che è italiano, acclamare al nuovo beato [[Pio IX]], il Papa-Re che pretendeva di impedire il processo di unificazione nazionale, ed esaltare come i veri eroi del risorgimento i Borboni e i briganti del Cardinale Ruffo. A lei, tutto questo va bene? A me, dà il vomito. ([http://www.corriere.it/solferino/montanelli/00-09-13/02.spm 13 settembre 2000]). *Il mio parere è rimasto quello che espressi sul mio ''Giornale'' l'indomani del fattaccio {{NDR|l'[[agguato di via Fani]]}}. «Se lo Stato, piegandosi al ricatto, tratta con la violenza che ha già lasciato sul selciato i cinque cadaveri della scorta, in tal modo riconoscendo il crimine come suo legittimo interlocutore, non ha più ragione, come Stato, di esistere». Questa fu la posizione che prendemmo sin dal primo giorno e che per fortuna trovò in Parlamento due patroni risoluti (il Pci di [[Enrico Berlinguer|Berlinguer]] e il Pri di [[Ugo La Malfa|La Malfa]]) e uno riluttante fra lacrime e singhiozzi (la Dc del moroteo [[Benigno Zaccagnini|Zaccagnini]]). Fu questa la «trama» che condusse al tentennante «no» dello Stato, alla conseguente morte di Moro, ma poco dopo anche alla resa delle Brigate rosse. Delle chiacchiere e sospetti che vi sono stati ricamati intorno, e che ogni tanto tuttora affiorano, non è stato mai portato uno straccio di prova, e sono soltanto il frutto del mammismo piagnone di questo popolo imbelle, incapace perfino di concepire che uno Stato possa reagire, a chi ne offende la legge, da Stato. ([http://www.corriere.it/solferino/montanelli/00-09-22/03.spm 22 settembre 2000]) *La Serbia ha perduto la guerra e ha vinto la pace: ora deve voltar pagina. Sarà la storia – un giudice non imparziale, ma efficace – a decidere cos'è stato giusto e cos'è stato sbagliato. Tuttavia, una ritorsione serba verso l'Occidente avverrà. E ci troverà disarmati. Sa di cosa parlo? Delle rivendicazioni sul Kosovo, che è amministrato dalla Nazioni Unite ma è ancora Jugoslavia (lo dice la risoluzione dell'Onu). I serbi chiederanno di tornare a controllarne le frontiere, per esempio. E dire no a un Kostunica buono è più difficile che dire sì a un Milosevic cattivo. Gli albanesi del Kosovo, sono certo, lo hanno già capito. ([http://www.corriere.it/solferino/montanelli/00-10-08/01.spm 8 ottobre 2000]) *È un dimenticato, [[Ugo Ojetti|Ojetti]], come in questo Paese lo sono quasi tutti coloro che valgono. Se io dirigessi una scuola di giornalismo, renderei obbligatori per i miei allievi i testi di tre Maestri: [[Luigi Barzini (1908-1984)|Barzini]], per il grande reportage; [[Benito Mussolini|Mussolini]] (non trasalire!), quello dell'''Avanti!'' e del primo ''Popolo d'Italia'', per l'editoriale politico; e Ojetti, per il ritratto e l'articolo di arte e di cultura. ([http://www.corriere.it/solferino/montanelli/00-11-13/01.spm 13 novembre 2000]) *In Italia fu il potere temporale a soffocare negl'italiani la voce della coscienza e a spegnere in loro ogni senso di responsabilità. Ma fu la Controriforma a fornire al prete le armi per accaparrarsi l'una e l'altra: il Sant'Uffizio, le scomuniche e, nei casi estremi, il patibolo. Con questo risultato: l'aborto del «cittadino» e la trasformazione di quello che avrebbe dovuto e potuto diventare un «popolo» in un gregge (come con inconsapevole spudoratezza i preti lo chiamano), e in un gregge di pecore indisciplinate che credono di affermare il loro ribelle individualismo non rispettando il semaforo rosso. ([http://www.corriere.it/solferino/montanelli/00-11-20/01.spm 20 novembre 2000]) *{{NDR|Su [[Slobodan Milošević]]}} Oltre che un despota, lo ritengo anche un satrapo della razza dei [[Nicolae Ceaușescu|Ceausescu]], avido non solo di potere, ma anche di denaro, e credo che la sorte che si merita sia un bel plotone di esecuzione. Purché composto da serbi, al comando di un serbo, e in esecuzione di una sentenza emessa da un tribunale serbo e motivata non tanto da generici crimini contro l'umanità, che sono sempre – salvo casi di monumenti all'orrore come l'[[Olocausto]] – oggetto di discussione e dissensi; ma dal più grande e imperdonabile delitto di cui Milosevic si è macchiato nei confronti non soltanto dei serbi: la distruzione della Nazione Jugoslava, che la Monarchia serba aveva fondato dopo la prima guerra mondiale; che il croato [[Josip Broz Tito|Tito]] aveva difeso coi denti e restaurato dopo la seconda, dando alla Balcania un esempio e un puntello di stabilità; e che Milosevic e il suo compare croato [[Franjo Tuđman|Tudjman]] distrussero per poter restare ciascuno padrone in casa sua; e sulle cui macerie si scatenarono tutte le violenze (Bosnia, [[Kosovo]]) che hanno insanguinato e continuano a insanguinare quel povero Paese. ([http://www.corriere.it/solferino/montanelli/01-04-29/01.spm 29 aprile 2001]) *Questo mondo materialista, edonista ed esibizionista non entusiasma neanche me; e, visto che mi legge, dovrebbe saperlo. Ma vorrei conoscere il sistema che voi avete in mente, e non avete il coraggio, o la capacità, di proporre. Un mondo francescano? Bello: ma guardatevi intorno, e ditemi se vedete un saio. Un comunismo riveduto e corretto? Farebbe la fine dell'altro, anche se non riuscirà a ripeterne i disastri. Mi creda, G.: l'unico sistema sociale ed economico oggi accettabile, in Occidente, è quello basato sul mercato: un capitalismo controllato e temperato, per intenderci. È auspicabile che sia anche corretto: e questo non sempre accade, è vero. Il guaio è che il capitalismo è fatto dai capitalisti – e quelli, devo ammettere, sono spesso difficili da digerire. Non cerchi di confondermi le idee, quindi. Non ci riuscirà. Probabilmente ho tre volte i suoi anni, e ho visto dove conducono queste generiche tirate contro «le multinazionali»: prima o poi, qualcuno deporrà la spranga e prenderà la pistola. Dimenticavo: io firmo le mie opinioni, lei tira il sasso e nasconde la mano. Tutti coraggiosi così, voi ragazzi di Seattle? ([http://www.corriere.it/solferino/montanelli/01-06-09/01.spm 9 giugno 2001]) *Non erano, le mie, parole di circostanza. Erano – e rimangono – quelle di un conservatore abbastanza spassionato e nutrito di Storia da capire che non c'è, per la conservazione di ciò che va conservato, nemico più mortale dei conservatori che vogliono conservare tutto; e che un sistema capitalistico senza un correttivo socialista diventa una jungla che conduce pari pari a [[Karl Marx|Carlo Marx]]. Di qui il mio amore per uno dei personaggi meno amabili, sul piano umano, della nostra Storia, [[Giovanni Giolitti|Giolitti]], che sempre cercò l'accordo con [[Filippo Turati|Turati]], a cui il cretinume massimalista – che nel vostro partito ha sempre dominato – lo impedì. Il vedervi – sbriciolati in gruppi, gruppetti e gruppuscoli – annaspare nell'attuale centro-sinistra in cui nessuno riesce a recitare la parte di se stesso, fa male al cuore di un vecchio autentico liberal-conservatore come me. Cosa aspettate, caro Tamburrano, a ridarci il socialismo, ma che sia quello e quello solo: ''il'' socialismo di Turati e di Massarenti? [...] Credo che come forza politica siate abbastanza mal messi. Ma in compenso avete in mano una grande bandiera che prima o poi un esercito la ritroverà. Arrivederci, al primo settembre, cari lettori. ([http://www.corriere.it/solferino/montanelli/01-07-04/01.spm?refresh_ce-cp 4 luglio 2001]) ===''il Giornale''=== <!--ordine cronologico--> *Chi sarà il nostro lettore noi non lo sappiamo perché non siamo un giornale di parte, e tanto meno di partito, e nemmeno di classi o di ceti. In compenso, sappiamo benissimo chi non lo sarà. Non lo sarà chi dal giornale vuole soltanto la «sensazione» [...] Non lo sarà chi crede che un gol di Riva sia più importante di una crisi di governo. E infine non lo sarà chi concepisce il giornale come una fonte inesauribile di scandali fine a se stessi. Di scandali purtroppo la vita del nostro Paese è gremita, e noi non mancheremo di denunciarli con quella franchezza di cui crediamo che i nostri nomi bastino a fornire garanzia. Ma non lo faremo per metterci al rimorchio di quella insensata e cupa frenesia di dissoluzione in cui si sfoga un certo qualunquismo, non importa se di destra o di sinistra. [...] Vogliamo creare, o ricreare un certo costume giornalistico di serietà e di rigore. E soprattutto aspiriamo al grande onore di venire riconosciuti come il volto e la voce di quell'Italia laboriosa e produttiva che non è soltanto Milano e la Lombardia, ma che in Milano e nella Lombardia ha la sua roccaforte e la sua guida. [...] A questo lettore non abbiamo «messaggi» da lanciare. Una cosa sola vogliamo dirgli: questo giornale non ha padroni perché nemmeno noi lo siamo. Tu solo, lettore, puoi esserlo, se lo vuoi. Noi te l'offriamo. (25 giugno 1974) *Checché ne dicano gli agiografi della Resistenza, la guerra l'abbiamo persa, e c'è un conto da pagare. Che l'Italia lo saldi a spese dei suoi figli minori – i Dalmati e gli Istriani – è un ghigno del destino. Ma in compenso può considerarsi miracolata. Quando si pensa a cosa ha pagato la sua sconfitta la Germania, amputata d'intere province e dimezzata in due nazioni diverse e ostili, e quando si pensa a cosa ha pagato l'Inghilterra, precipitata dalla condizione di massimo impero mondiale a quella di piccola isola alla periferia d'Europa; non possiamo lamentarci del trattamento che gli alleati ci fecero. (30 settembre 1975) *Siamo stati accusati di aver fatto, nei confronti dei comunisti, il processo alle intenzioni. Non vediamo su cos'altro avremmo dovuto giudicarli, visto che sono sempre rimasti all'opposizione, ed è di lì che ancora si affannano a dire che cosa si propongono di fare se andassero al potere, anzi quando andranno al potere (perché ormai lo danno per scontato). E cosa sono, queste, se non intenzioni? (19 giugno 1976) *Che cerchino di eliminarmi perché sono un avversario, questo lo posso anche capire; ma perché – a quanto mi riferiscono – hanno detto che io sono un servo delle [[Multinazionale|multinazionali]], allora questo sta a dimostrare la confusione di idee di questi poveretti che, evidentemente, non sanno cosa sono le multinazionali. (3 giugno 1977) *I giuochi sono fatti. E sono fatti non soltanto per [[Aldo Moro|Moro]], cui va tutta la nostra più fraterna e rispettiva pietà. Sono fatti anche per una politica da ''belle époque'', che la distruzione – fisica o morale – di Moro chiude e conclude. La Storia sta riprendendo i suoi connotati di tragedia, e costringe coloro che la fanno, o ambiscono o s'illudono di farla, ad adeguarsi al repertorio. Stiamo entrando in una di quelle «età di ferro» in cui il potere si paga, o si può pagarlo col ferro. Nessuno è obbligato a sfidare questo rischio. Chi lo fa, sappia che oggi è toccato a Moro, domani può toccare a lui. Solo se si rende conto di questo e lo accetta, la classe politica troverà la forza di archiviare il caso Moro. Ed è tempo che lo faccia. (7 maggio 1978) *Quattr'anni e mezzo orsono, quando questo giornale nacque, un «ragazzo del '68» (con tante scuse a quelli veri, del '99), [[Mario Capanna]], oggi gerarchetto regionale (che belle carriere, questi rivoluzionari!), dichiarò che, come nemici del «pubblico» e del «sociale» e come assertori del «privato», e quindi della reazione, noi saremmo diventati il più bel museo della città, dove babbi e mamme avrebbero potuto condurre in gita ricreativa i loro figlioletti per mostrargli, dal vivo, com'erano buffi i loro nonni e bisnonni: noi. Bene. Se il vento seguita a soffiare come soffia, saremo noi che di qui a un po' condurremo i nostri figlioletti dal signor Capanna per mostrargli com'erano buffi i loro nonni e bisnonni di dieci anni fa. Ma non lo faremo. Lo spettacolo di questi ragazzi-prodigio abortiti, di questi barricadieri con pancia e cellulite che credevano di camminare con la Storia, e invece camminavano solo con la moda, non ha nulla di edificante. (16 gennaio 1979) *In una sua memorabile inchiesta un giornalista d'incrollabile fede sinistrorsa, ma di esemplare onestà, [[Giampaolo Pansa]], mise benissimo in luce questo contrasto fra i due atteggiamenti e mentalità, che ieri ha trovato una eloquente conferma nella manifestazione di Torino. Niente chiasso, niente sceneggiate, niente slogans, niente insomma che appartenga al repertorio del buffonismo nazionale. Nessuno ha rotto le righe per andare a rovesciare auto o a fracassar vetrine. Questa, sì, era Danzica, sia pure senza Madonne; non i picchettaggi e i pestaggi di Mirafiori, sia pure con le Madonne. Ora sappiamo già cosa diranno gli altri, oggi e domani. Diranno che gli operai non c'erano. Infatti. Doveva trattarsi di quarantamila presidenti, consiglieri delegati, ingegneri: insomma, la solita «[[maggioranza silenziosa]]»: termine che soltanto nella lingua italiana ha significato spregiativo. La maggioranza silenziosa esiste in tutti i Paesi del mondo, dove nessuno si vergogna di appartenervi perché è essa, in definitiva, che ristabilisce gli equilibri. Fu la maggioranza silenziosa – autoqualificatasi come tale – di seicentomila parigini che dodici anni fa pose fine al carnevale sessantottesco, riportò [[Charles de Gaulle|De Gaulle]] all'Eliseo e restituì alla Francia la stabilità di cui tuttora essa gode. [...] Il motivo vero che farà i dimostranti bersaglio delle peggiori critiche e accuse è ch'essi rappresentano la rivolta delle persone serie contro gli arruffoni della «conflittualità permanente», dei «modelli di sviluppo» e via baggianando. E in questo Paese nulla fa più paura, perché nulla è più rivoluzionario, della serietà. (15 ottobre 1980) *[[Anwar al-Sadat|Sadat]] non era popolare. Gli mancava quel tocco di magia, o di cialtronismo, che consentiva a [[Gamal Abd el-Nasser|Nasser]] di bandire guerre come crociate e di annunciare disfatte come trionfi. [...] Sadat amava il popolo, il popolo contadino del profondo Sud nubiano, di cui era egli stesso originario. Ma non amava le masse, e le masse lo sentivano. [...] Sapeva, quando andò a Gerusalemme, di lanciare a quelle arabe una sfida più pericolosa di quella che lanciava a Begin. [...] Ma all'impopolarità di Sadat contribuiva anche un altro elemento: il fatto di essere un vero riformatore. [...] [[Mohammad Reza Pahlavi|Rehza Pahlevi]] volle applicare gli stessi metodi di [[Mustafa Kemal Atatürk|Atatürk]] senz'averne l'autorità e il prestigio, e per questo lo cacciarono. Ma dopo due anni di [[Ruhollah Khomeyni|Khomeini]], anche i più ciechi e idioti fra i progressisti occidentali, che ne avevano salutato l'avvento come quello del Redentore, si saranno accorti che il progresso, sia pure a forza di polizia segreta e di plotoni di esecuzione, era lo Scià. L'''ayatollah'' è il medioevo. Sadat non seguì i metodi satrapeschi del suo amico Pahlevi, ma ne condivise i fini. [...] Il Rais che ha restituito all'Egitto l'integrità territoriale, l'indipendenza politica, il prestigio militare e il rilancio della sua più proficua industria, il canale di Suez, è giusto che susciti meno rimpianto di chi tutto questo all'Egitto fece perdere. Nasser era un «personaggio», Sadat una «personalità». Il personaggio fa colore e diverte, la personalità incute rispetto e disturba. (9 ottobre 1981) *Nessuna parentela, né vicina né lontana, con l'altro grande d'Israele, [[David Ben Gurion|Ben Gurion]], il Fondatore. [...] {{NDR|David Ben Gurion}} Faceva tutto a caldo, anche la guerra. [[Menachem Begin|Begin]] fa tutto a freddo: anche l'amore, credo, ammesso che lo faccia. Non riuscì a commuoverlo nemmeno [[Anwar al-Sadat|Sadat]], quando gli piombò, da nemico tuttora belligerante, a Gerusalemme, per chiedergli la pace. Il mondo, che vide in televisione la scena, quel giorno fu tutto per l'egiziano che, per la pace, firmava la propria condanna a morte, contro l'israeliano che lo accoglieva senza un sorriso e con visibile fastidio. [...] È l'uomo che non ha esitato un istante [...] a distruggere in pochi minuti tutto l'armamento corazzato, aereo e missilistico siriano sotto l'occhio stupefatto degli osservatori e «consiglieri» russi che lo avevano fornito. È l'uomo che ha messo alla porta l'ambasciatore di Mosca respingendone la nota di protesta addirittura con disprezzo, come se fosse stato lui la Grande Potenza che parlava a un subalterno. È l'uomo che ha picchiato i pugni sul tavolo di [[Ronald Reagan|Reagan]], e a un certo punto aveva rotto anche con lui. Se avesse perso, sarebbe finito al muro e passato ai posteri come il distruttore d'Israele. Ma ha vinto. E la Storia, iscrivendolo nei suoi registri come «Il Salvatore», dirà che solo un uomo come lui, «antipatico» come lui, e come lui disposto anche a scatenare un'altra ondata di antisemitismo, poteva vincere. E avrà ragione di dirlo. Perché è così. Alla fine lo diranno, vedrete, anche gli antisemiti. E forse perfino i semiti. (27 agosto 1982) *L'idea che domani potremmo incontrare per strada, a piede libero e magari oggetti di compassione, gli assassini di [[Walter Tobagi]], ci riempie, più che di furore, di orrore. [...] Avevano scelto lui non per la sua tessera socialista, ma perché era una di quelle prede più facili: indifeso e abitudinario, e quindi bersaglio di facilissima mira, quasi da fermo. Tutto qui il movente del delitto: tutto nella fregola di protagonismo di due coccolatissimi giovanotti della Milano bene che giuocavano a fare i terroristi. [...] Che ora dobbiamo prendere per vero il loro pentimento e assolverli, ci rivolta lo stomaco. Ma è la legge: iniqua, infame, infamante. Ma è la legge. Noi stessi l'abbiamo auspicata e voluta. Il magistrato deve applicarla. E noi [...] accettarla. Ma una cosa reclamiamo, e ci spetta: di essere liberati dall'incubo d'incontrare questi figuri per strada per non veder riflessa nei loro occhi la nostra vergogna di aver avuto bisogno di loro e di aver risposto al loro falso rimorso con un perdono altrettanto falso. Un Curcio, se tornasse in circolazione, ci farebbe forse più paura, ma meno, anzi punto disgusto. [...] Ma i Barbone e i Morandini non li vogliamo tra i piedi. Se ne vadano. E soprattutto ci risparmino memoriali. La speranza di farci dimenticare i loro delitti, gliela passiamo. La pretesa di camparci sopra, no. (29 novembre 1983) *Per i falchi del Pci, [[Enrico Berlinguer|Berlinguer]] era ormai un personaggio scomodo e pericoloso, specie da quando aveva cominciato ad allentare gli ormeggi che lo legavano a Mosca. Gli era perfino scappato di dire (a [[Giampaolo Pansa|Pansa]]) che voleva per l'Italia un regime comunista, ma sotto l'ombrello della Nato che la tenesse al riparo dalle soperchierie del padrone sovietico: la più grave e blasfema di tutte le eresie in cui un capo comunista possa incorrere. (12 giugno 1984) *Se fino a che punto i piduisti – a parte il manipolatore Gelli, e forse qualche altro – fossero un branco di delinquenti golpisti, non siamo riusciti a capirlo. Abbiamo capito soltanto che gran parte di essi occupavano, forse grazie alla P2, posizioni di rilievo, e quindi parecchio ambite, ma ambite anche da molte persone che, per il fatto di non appartenere alla P2, avevano ora, grazie anch'esse alla P2, la possibilità di occuparle. Di fatti accertati e meno ancora di crimini provati, siamo andati invano alla ricerca delle 34.847 pagine della commissione. Vi abbiamo trovato soltanto ipotesi, illazioni, accostamenti di nomi e di episodi. Tutta roba che in mano a Le Carré poteva fruttare chissà quali affascinanti trame. In mano alla signorina [[Tina Anselmi|Anselmi]], resta cicaleccio di portineria. Ma questa è un'altra storia. (19 marzo 1985) *Quanto al moribondo [[Michele Sindona|Sindona]] [...] se fossi stato uno dei giudici popolari che l'altro giorno gli comminarono l'ergastolo, anche io avrei votato come loro pur sapendo che la mia endemica insonnia non ne avrebbe avuto giovamento. Comunque mi sembra che con questa fine, preceduta da quasi un decennio di rovine, umiliazioni, fughe e galere, egli abbia abbondantemente scontato, quali che siano, i suoi delitti. Che ora lo lascino riposare in pace e che pace sia all'anima sua. (22 marzo 1986) *I dieci giorni che sconvolsero il mondo furono in realtà dieci ore: quante ne bastarono alle poche «guardie rosse» reclutate in fretta e furia dai bolscevichi per occupare, senza nessuna resistenza, la Centrale delle poste e telefoni, la stazione ferroviaria, la Banca di Stato, e per spostare l'incrociatore ''Aurora'' di fronte al palazzo d'Inverno, dove ancora si trova, cimelio e monumento al fatidico evento, e dove il governo sedeva [...]. Non fu un assalto. Fu una «retata». L'''Aurora'' non sparò che una dozzina di colpi, di cui solo tre andarono a segno. In tutto, la conquista di questa Bastiglia russa costò, da ambo le parti, un morto, anzi una morta – perché fu una soldatessa che, pare, si suicidò – e diciotto feriti. Il [[Rivoluzione russa|Fasto]] [...] è un falso in atto pubblico. Si dirà che una rivoluzione non si misura dal numero dei morti. Certo: l'abbiamo detto anche noi. La rivoluzione poi venne, e che rivoluzione! Ma venne dall'alto, e per mano di despoti che di morti ne fecero in pochi anni più di quanti lo zarismo ne avesse fatti in secoli. (6 novembre 1987) *Tutto pensavo che potesse capitarmi, fuorché di essere un giorno tentato di spendere qualche parola, per poco che valga, in difesa di Togliatti. [...] Un processo a Togliatti per stalinismo, se glielo intentano i socialisti, che nell'era dello Stalinismo gli fecero da mosca cocchiera, è una burletta. Se lo intentano i comunisti – come sembra che qualcuno di loro voglia fare –, oltre che oltraggio al pudore, diventa quiescenza alla voce del nuovo padrone, cioè stalinismo della più brutt'acqua, anzi una parodia dello Stalinismo. Per la caccia alle streghe, anche dello Stalinismo, ci vogliono degli stalinisti doc, qual era Togliatti. Non è roba da dilettanti, quali sono i suoi pallidi epigoni. (3 marzo 1988) *La fine del Muro è una cosa buona, la fine di una vergogna: non possiamo che salutarla con soddisfazione. Ma guardiamoci dal prendere abbaglio sui suoi moventi. Ulbricht concepì e Honecker realizzò il muro per impedire che i tedeschi dell'Est fuggissero in massa nella Germania dell'Ovest: già 9 (diconsi nove) milioni lo avevano fatto fin allora. E il rimedio fu, come tutti quelli che escogitano nei regimi totalitari, drastico e semplicistico: murare viva la gente dietro una colata di cemento, senza pertugi. [...] Abbiamo in uggia le astrazioni. Ma ciò che distingueva le due Germanie è l'idea morale e giuridica dell'uomo: che a Ovest è padrone di se stesso, e quindi può andarsene dove vuole: ad Est è proprietà dello Stato che ne regola i movimenti. Per chi non ricorda questo, il [[Muro di Berlino]] era, oltre che barbaro, incomprensibile e irrazionale: mentre invece ha obbedito a una sua logica. Nel momento in cui il bunker si affloscia e sopravvive come mero ammasso di cemento ricordandoci un altro bunker, quello che fece da fossa di [[Adolf Hitler|Hitler]] (anche questo pare impossibile: ma i regimi in Germania muoiono nei bunker), il Muro va ricordato per ciò che è stato: non un'aberrazione del comunismo, ma una sua conseguente applicazione. E se crolla così, nel silenzio assordante di un giornale-radio, è perché è crollata, prima, l'ideologia che lo aveva eretto. (11 novembre 1989) *Negli anni Trenta, per le strade di Berlino, risuonava il grido: ''ein Volk, ein Reich, ein Führer'': un popolo, uno Stato, un capo. Stavolta si sono contentati di scandire ''ein Volk, ein Reich''. Non potevano aggiungere, checché ne dica il sig. Ridley, ''ein Kohl'', che fra l'altro significa «cavolo». Ma {{NDR|ai tedeschi}} per diventare i padroni dell'Europa anche un cavolo gli basta. (3 ottobre 1990) *Abbiamo fatto poco: il poco che il Paese dei [[Roberto Formigoni|Formigoni]], dei Cristofori, degli Sbardella, dei [[Ernesto Balducci|Balducci]], dei [[Antonio Bello|vescovi di Molfetta]] poteva fare. Non lamentiamoci se il posto che ci verrà assegnato nel ristabilimento dell'ordine internazionale sarà nell'anticamera, non nella camera dei bottoni. Però sia chiara una cosa: che a gridare «Viva la pace!» siamo qualificati oggi soltanto noi che abbiamo auspicato la guerra contro chi la pace l'aveva turbata e, se lo si lasciava fare (non è un ipotesi, è una constatazione), avrebbe continuato a turbarla in un crescendo di colpi e di aggressioni. (1º marzo 1991) *I voti dei democristiani novaresi non sono andati al partito; sono andati a [[Oscar Luigi Scalfaro|Scalfaro]], democristiano talmente anomalo, che si permette persino di credere in Dio. [...] Il vecchio magistrato conosce il suo mestiere, e sa benissimo di operare in un Paese in cui la mamma dei Casson è sempre incinta. In nome della Legge, le leggi le farà funzionare. Insomma siamo sicuri che starà in Quirinale come un italiano deve starci: da straniero. Unico pericolo: le prediche. Anche [[Luigi Einaudi|Einaudi]] le faceva. Ma le chiamava «inutili». (26 maggio 1992) *Da dove siano venuti tutti i «no» non lo sapremo mai con precisione, ma una cosa è certa. Questo è il colpo di grazia al sistema dei partiti e della classe politica che lo rappresenta, e un colpo durissimo all'immagine del Paese pronto a fare pulizia che l'Italia si stava faticosamente costruendo all'estero. Senza giovare nemmeno a [[Bettino Craxi|Craxi]], che non potrà certo ricostruire la sua carriera sulla votazione di ieri, anzi. Se c'è ancora qualcuno che dubita sulla necessità di un pubblico processo, non solo a lui, ma a tutta la corte di faccendieri che lo circondava, alzi la mano, o meglio nasconda la faccia. (30 aprile 1993) *Questo è l'ultimo articolo che compare a mia firma sul giornale da me fondato e diretto per vent'anni. Per vent'anni esso è stato – i miei compagni di lavoro possono testimoniarlo – la mia passione, il mio orgoglio, il mio tormento, la mia vita. Ma ciò che provo a lasciarlo riguarda solo me: i toni patetici non sono nelle mie corde e nulla mi riesce più insopportabile del piagnisteo. [...] A presto dunque, cari lettori. Anche a costo di ridurlo, per i primi numeri, a poche pagine, riavrete il nostro e vostro giornale. Si chiamerà ''La Voce''. In ricordo non di quella di [[Frank Sinatra|Sinatra]]. Ma di quella del mio vecchio maestro – maestro soprattutto di libertà e indipendenza – [[Giuseppe Prezzolini|Prezzolini]]. (12 gennaio 1994) {{Int|''Rituale barbarico''|Articolo su ''il Giornale nuovo'', 10 maggio 1978.|h=4}} *La fine di [[Aldo Moro]] ci rende sgomenti, il fanatismo di chi lo ha ucciso lentamente, togliendogli la speranza prima di toglierli la vita, ci riempie di orrore. Speriamo ancora che la tracotanza dei criminali sia un giorno punita. L'importante, adesso, è che il Paese, proprio per rendere omaggio a Moro, e proprio in memoria di lui, sappia trarre da questa tragedia l'amara lezione che essa comporta. La democrazia non deve, anzi non può essere debole. La libertà, che la rende superiore a qualsiasi altro regime, ma anche più vulnerabile, non va conclusa con la indulgenza verso i nemici, la imprevidenza, la leggerezza. *Lo Stato italiano ha superato con onore questa prova difficile, ma la magistratura e gli organi di polizia hanno denunciato, nella loro azione, una desolante inefficienza, che ha permesso alle brigate rosse di operare con irridente spavalderia. Ne va data colpa non tanto alle forze dell'ordine quanto a chi ha voluto, per demagogia, per compiacere le sinistre, per acquistare facile popolarità, smobilitare i servizi segreti, rimuovere i funzionari più ligi al dovere, trasformare le carceri in alloggi con libera uscita quotidiana. Gli eversori della democrazia, i contestatori della legalità hanno potuto predicare e demolire senza ostacoli. Ci auguriamo di non vederli ora associati ipocritamente al compianto per un delitto del quale sono, ideologicamente se non materialmente, corresponsabili. Le loro non erano soltanto parole. Un giovane sfracellato da un ordigno sulla ferrovia Trapani-Palermo – l'episodio è di ieri – apparteneva a Democrazia proletaria. I banditi che hanno assalito a Bologna un grande magazzino venivano dal Movimento studentesco. È inutile che questi gruppi ostentino adesso costernazione e stupore per le belluine imprese delle brigate rosse. Il terrorismo è figlio loro. *All'annuncio della fine di Aldo Moro i sindacati si sono mossi, hanno indetto manifestazioni e proclamato uno sciopero generale. Siamo certi della loro profonda esecrazione, e della loro sincera partecipazione al cordoglio nazionale. Pensiamo tuttavia che i lavoratori e i loro rappresentanti darebbero un apporto più costruttivo alla lotta contro i terroristi tenendo d'occhio gli estremisti delle fabbriche, troppe volte protetti e difesi. Così pure gli studenti «impegnati», se proprio vogliono dissociarsi dalle brigate rosse, devono estromettere dalle loro file gli agitatori deliranti, e dinamitardi che nascondono bottiglie molotov e armi negli scantinati delle facoltà. Chi ha chiuso gli occhi di fronte alla ''escalation'' di violenza degli anni scorsi, li chiuda oggi per non lasciar scorrere lagrime di coccodrillo. {{Int|''Poveri morti poveri vivi''|Articolo su ''il Giornale'', 31 maggio 1985.|h=4}} *L'[[Inghilterra]] non sono i forsennati che abbiamo visto all'opera nello stadio di Bruxelles. L'Inghilterra sono la [[Margaret Thatcher|Thatcher]], i politici, i commentatori di stampa, radio e televisione, la gente intervistata per strada, che hanno confessato la loro vergogna a una voce, con una sola stecca: quella del ministro dello Sport che con le sue dichiarazioni si è messo sullo stesso piano degl'imbestialiti. Comunque, Dio ci guardi ora dai soliti sproloqui e dibattiti dei sociologi sui motivi di «tifo» e sui mezzi d'impedirne gli eccessi. Non ce ne sono, se non nel controllo che ognuno può e deve esercitare su di sé. *La strega non è il «tifo» che dallo sport è inseparabile. E non siamo nemmeno noi, come vogliono i cantautori del «siamo tutti colpevoli» che ieri giornali e radio hanno intitolato. Perché, se di qualcosa siamo colpevoli, è di aver sempre secondato la corruttrice e demagogica tendenza a scaricare l'individuo di ogni responsabilità, rigettandola regolarmente e interamente sulla società. È la società che ci obbliga a rubare, è la società che ci obbliga ad uccidere. E si capisce che quando si offrono alla gente di questi alibi, c'è sempre qualcuno che ne approfitta. Stamane leggevo su un giornale francese un dotto articolo in cui si spiegava che la furia dei tifosi del [[Liverpool Football Club|Liverpool]] era dovuta al fatto che, essendo quasi tutti minatori, per un anno erano rimasti senza lavoro a causa dello sciopero: il che gli aveva fatto accumulare la rabbia che poi era scoppiata a Bruxelles. Insomma, senza dirlo, l'articolo induceva alla conclusione che il vero responsabile del massacro era la signora Thatcher. Ecco in che senso siamo tutti colpevoli. Siamo colpevoli di assolvere tutti come vittime innocenti di una società iniqua che, a furia di essere tutti noi, non è nessuno. È un giuoco a cui non ci stiamo. I responsabili di Bruxelles sappiamo chi sono: sono i delinquenti che abbiamo visto avventarsi, prima che la partita cominciasse, e quindi senza alcuna provocazione, contro i tifosi italiani con sbarre e coltelli di cui erano accorsi armati, con l'evidente intenzione di farne l'uso che ne hanno fatto. Delinquenti, non vittime. La società non c'entra, non c'entrano le miniere. Casomai l'alcol. Ma ne avevano ingerito per delinquere meglio. Speriamo che la polizia li identifichi e li consegni a quella inglese. Della quale possiamo fidarci. {{Int|''I rieccoli''|Articolo su ''il Giornale'', 20 gennaio 1990.|h=4}} *Scorrendo le cronache delle agitazioni studentesche di questi giorni avevo avuto per un momento l'impressione, o l'illusione, che esse si fondassero sui problemi concreti dell'università, e che fossero qualcosa di diverso, e di migliore della grottesca ubriacatura sessantottina. Ma quando giovedì sera, nella trasmissione televisiva ''Samarcanda'', è stato lanciato contro [[Mario Cervi]] il rituale e vile epiteto «fascista!» (e questo solo perché aveva mosso obiezioni agli sproloqui assembleari di Roma e di Palermo), ho capito che vent'anni dopo è come vent'anni prima. La protesta è un pretesto, il legittimo scontento diventa arma politica, gli appelli al dialogo si risolvono in volontà di sopraffazione, di discussione su ciò che nell'università deve essere cambiato sfocia in un attacco globale al governo, alla società, al sistema. L'unica connotazione sessantottina che ancora manca è la violenza fisica. Ma temo che non tarderà ad arrivare se chi dissente è bollato come fascista e chi governa (è capitato ad [[Giulio Andreotti|Andreotti]], a Palermo) come mafioso. *Quanto alla legge Ruberti, Cervi ha osservato che viene presa di mira perché consentirebbe un limitato ingresso dei privati nella gestione delle università: e al solo sentir parlare di «privato» – che le folle e i giovani dell'Est chiedono con slancio entusiastico – gli epigoni nostrani del [[marxismo-leninismo]] sono presi da convulsioni. [...] La legge Ruberti è passata in sott'ordine, il punto centrale del dibattito – o piuttosto della successione di sproloqui, intimazioni e insulti – è diventato il degrado di questa povera Italia privatizzata, che invece conoscerebbe fulgidi destini se fosse tutta pubblica e stabilizzata. Gli ''slogans'', le utopie, le bugie e le dissennatezze sessantottine o settantasettine riemergevano dalle pagine dei libri e dalla polvere degli archivi, per imitazione o per transfert generazionale. *Tirava aria romena o cecoslovacca in quelle assemblee: ma della Romania e della Cecoslovacchia di [[Nicolae Ceaușescu|Ceausescu]] e di Husak, con l'idolatria dello Stato, con gli applausi unanimi, con la riduzione al silenzio degli oppositori. S'è sentito, a proposito sempre di Cervi, il sinistro termine «provocazione» con cui tutti gli oppressori legittimano i loro soprusi. Qualcuno di quei ragazzi pretende che esistano parentele tra questo movimento e quelli dell'Est, dimenticando che là ci si batte, a rischio della pelle, per instaurare non il regime dello statalismo, ma al contrario per abbatterlo e introdurre o reintrodurre quello di iniziativa privata in tutti i campi, compreso quello della cultura e della scuola. Che siano diventati, gli studenti di Berlino, di Praga, di Bucarest, fascisti anche loro? ====''Controcorrente – rubrica''==== {{cronologico}} *La cosa che più ci turba, delle nostre sconfitte sportive, è il grande, alluvionale bisticcio che si scatena fra i «tecnici» per giustificarle. Per quella di Stoccarda, che ci ha eliminato dal campionato del mondo, ne avremo – temiamo – per tutta l'estate: se ne parlerà più che di Caporetto. Noi tecnici non siamo, ma abbiamo la nostra idea. È questa: che non si possono mandare dei polli di batteria a competere con quelli ruspanti. Resta da capire perché noialtri non sappiamo allevare che polli di batteria. Ma ci sembra che questo sia sufficientemente spiegato da un piccolo episodio occorso a Roma, dove un gruppo di tifosi ha creduto di «vendicare» i suoi campioni (si fa per dire) assalendo con pomodori e uova l'ambasciata di Polonia. Ecco. Per un paese in cui la «sana passione sportiva» si effonde in simili manifestazioni, quegli undici mammozzi dalle gambe molli sono fin troppo, e fin troppo misericordiose le disfatte che subiscono. (25 giugno 1974) *Noi, di [[Fascismo|fascismi]] ne conosciamo e ne esacriamo uno solo: quello di chi appiccica questa etichetta a qualunque idea o opinione che non corrisponde alle sue. Di questo giuoco, la nostra [[sinistra in Italia|sinistra]] è spesso maestra. Non per nulla lo stesso [[Benito Mussolini|Mussolini]] veniva dai suoi ranghi. (10 luglio 1974) *In una conferenza stampa a Nuova Delhi, [[Henry Kissinger]] ha dichiarato che verrà a Roma e andrà a pranzo dal presidente Leone, ma non parlerà di politica perché quella italiana è, per lui, troppo difficile da capire. È la prima volta che Kissinger riconosce i limiti della propria intelligenza. Ma vogliamo rassicurarlo. A non capire la politica italiana ci sono anche cinquantacinque milioni di italiani, compresi coloro che la fanno. (31 ottobre 1974) *[[Dario Fo]], poeta di corte dell'ultrasinistra, flagella nella sua ultima fatica teatrale il senatore [[Amintore Fanfani]], responsabile di ogni nequizia passata, presente e futura. I sarcasmi più grevi hanno però come bersaglio il metraggio del notabile democristiano che, come tutti sanno, non è quello di un granatiere. [[Henri de Toulouse-Lautrec|Toulouse-Lautrec]], che per gli stessi motivi dovette per tutta la vita subire analoghe canzonature, disse una volta, giocando sulla lunghezza del suo doppio casato: «Ho la statura del mio nome». Non sappiamo se questo discorso si possa applicare a Fanfani. Certo, si applica a Fo. (11 giugno 1975) *[[Winston Churchill|Churchill]] diceva che «i panni dei servizi segreti si possono, anzi si devono lavare più spesso degli altri; ma, a differenza degli altri, non si possono mettere ad asciugare alla finestra». Dello stesso parere era [[Stalin]] che regolarmente, ogni tre o quattro anni, il lavaggio lo praticava facendo accoppare al buio i capi della sua polizia, nel presupposto – probabilmente fondato – che a far quel mestiere non potevano essere che arnesi da forca, e quindi era giusto che ci finissero. Gli [[Stati Uniti d'America|americani]] seguono tutt'altro criterio. Essi hanno trascinato la ''[[Central Intelligence Agency|Cia]]'' in televisione denunciandone ''coram populo'' fatti e misfatti. I suoi capi ne hanno commessi, dicono, di grossi. Ma il più grosso è forse quello di non aver capito che l'America non li paga per svolgere servizi segreti, ma per offrire agli americani il pretesto per vergognarsene. È l'unico popolo che goda più nel pentimento che nel peccato. (28 novembre 1975) *Non sempre, per redigere questa piccola rubrica, occorre forzare la fantasia. Qualche volta basta lasciare la parola alle agenzie di stampa ufficiali. Eccone un caso. L'agenzia Adn Kronos comunica: «Due giorni di sciopero sono stati dichiarati dai sindacati postelegrafonici milanesi per il 28 gennaio e per il 6 febbraio per protesta contro gli scioperi e i disservizi». (25 gennaio 1976) *L'Unità ci rimprovera di aver pubblicato il manifesto degl'intellettuali in favore della libertà. E ha ragione. Si tratta infatti di una illecita concorrenza perché finora i manifesti, gli appelli, le «veglie» e tutto il resto sono stati monopolio del Pci, unico partito capace di far cantare la gente in coro. Ma appunto per questo non vediamo di che si preoccupi. Gl'[[intellettuale|intellettuali]] italiani che preferiscono aver ragione da soli piuttosto che torto con gli altri, sono pochi. I più seguono la massima di [[Paul-Jean Toulet|Toulet]]: «Quando i lupi urlano, urla con loro». (1º giugno 1976) *Ieri [[Mario Melloni|Fortebraccio]], dalle colonne dell'«[[l'Unità|Unità]]», ha invocato per noi, previa qualche iniezione, il ricovero immediato, e a titolo definitivo, in manicomio. La cosa non ci stupisce: sappiamo benissimo che di manicomi e di iniezioni nessuno s'intende più dei comunisti: chi c'è passato giura che ci hanno fatto una mano da maestri. Ci stupisce però che Fortebraccio lo abbia implicitamente – e un po' anzitempo – riconosciuto. Forse gli è scappata. Alla sua età, succede. (10 dicembre 1976) *Cadendo oggi il trigesimo della scomparsa di Pietro Valdoni, vogliamo rievocare un episodio del grande chirurgo. Come tutti ricorderanno, fu lui ad operare, salvandogli la vita, [[Palmiro Togliatti]], ferito alla testa dalla rivoltella di Pallante. Quando ricevette la parcella, Togliatti la trovò salata, e accompagnò il pagamento con queste parole: «Eccole il saldo, ma è denaro rubato». Valdoni rispose: «Grazie per l'assegno. La provenienza non mi interessa» (23 dicembre 1976) *«Dio non è un maschio» assicura alle femministe Civiltà Cattolica, l'autorevole rivista dei gesuiti, scusandosi «delle tracce di antifemminismo che ancora sono nella Chiesa». Brutto segno quando i teologi si mettono a discutere di sesso. Fu mentre i bizantini si accapigliavano su quello degli angeli che arrivarono i turchi. (21 giugno 1977) *Riferiscono le cronache che l'America è in subbuglio per la morte di [[Elvis Presley]]. Oltre centomila persone si sono riversate a Memphis, sua ultima dimora, due donne sono rimaste uccise nella calca che si stringeva intorno alle spoglie del cantante. Il sindaco ha fatto abbrunare le bandiere in tutta la città, il presidente [[Jimmy Carter|Carter]] è stato flagellato di proteste perché non aveva proclamato il lutto nazionale e uno gli ha gridato al microfono: «Noi americani dobbiamo più a Presley che a [[George Washington|Washington]] e a [[Abraham Lincoln|Lincoln]] sommati insieme». Anche noi italiani dobbiamo qualcosa a Presley: una delle rare occasioni in cui preferiamo essere italiani piuttosto che americani. (20 agosto 1977) *È in corso una iniziativa per l'abolizione, nelle aule scolastiche, della pedana su cui si eleva la cattedra. Il perché lo avrete già capito: l'insegnante deve mettersi, anche materialmente, a livello degli alunni per non lederne la dignità e dimostrare con l'esempio che siamo tutti uguali. Giusto. «La via dell'uguaglianza – dice Rivarol – si percorre solo in discesa: all'altezza dei somari è facilissimo instaurarla». (29 ottobre 1977) *Fra gli annunci economici di Lotta Continua, ne è comparso uno che dice: «Compero a L. 100.000 una tesi di laurea, anche già presentata, purché tratti un argomento attinente all'[[Inghilterra]], o alla lingua, storia, letteratura inglese. Meglio se con una impostazione femminista». Curioso. Questi grandi [[Rivoluzione|rivoluzionari]], che dicono di battersi per costruire una società nuova di zecca, quando si tratta di lauree, si contentano anche di quelle usate e di seconda mano. (3 marzo 1978) *Credevamo che l'assassinio di Aldo Moro, così come è stato eseguito, fosse il colmo dell'infamia. Abbiamo dovuto ricrederci. Al comizio di protesta svoltosi in piazza Duomo a Milano subito dopo la macabra scoperta in via Caetani a Roma, un gruppo di ultrà ha gridato: «Moro fascista!». Preferiamo le [[zanne]] delle belve alla [[bava]] degli [[Sciacallo|sciacalli]]. (10 maggio 1978) *Ecco il nostro telegramma di congratulazioni e auguri a Pertini: «Che Dio le conceda il coraggio, Presidente, di fare le cose che si possono e che si debbono fare; l'umiltà di rinunziare a quelle che si possono ma non si debbono, e a quelle che si debbono ma non si possono fare; e la saggezza di distinguere sempre le une dalle altre». (9 luglio 1978) *Dall'indagine svolta da uno dei più seri istituti di ricerche demografiche, lo svizzero Scope, risulta che la professione più ammirata e rispettata, nel mondo, è quella dei medici. I giornalisti sono al penultimo posto. Ce ne sentiremmo profondamente avviliti se all'ultimo non vedessimo catalogati gli editori. (29 novembre 1978) *In un convegno su «Terrorismo e informazione», a Roma, è stato unanimemente riconosciuto che il [[segreto istruttorio]] in Italia non esiste. Lo trasgrediscono tutti. Non solo giornalisti e avvocati – e ancora passi – ma perfino magistrati che anticipano e propalano, il più delle volte per farne strumento politico, notizie riservate. «È il segreto di Pulcinella» si è lamentato il procuratore capo della Capitale, De Matteo. È vero. Ma Pulcinella non era giudice. E i giudici non dovrebbero essere Pulcinella. (25 aprile 1979<ref>Da ''Il meglio di "Controcorrente": {{small|1974-1992}}'', Fabbri Editori-Corriere della Sera, La biblioteca del Corriere della sera, Milano, 1995, p. 104.</ref>) *Solo il tempo non perde tempo, diceva [[Jules Renard|Renard]]. E così, a furia di annunciarne i cambiamenti, il tempo è passato anche per il colonnello [[Edmondo Bernacca|Bernacca]], che ora deve rassegnarsi alla pensione. Peccato. Gli dobbiamo parecchi raffreddori e reumatismi. Ma nessuno riuscirà meglio e con più grazia di lui a farci capire ed accettare l'inutilità della meteorologia. (10 luglio 1979<ref>Citato in ''Il meglio di controcorrente'', p. 108.</ref>) *Prima di partire per Vienna, il presidente {{NDR|degli Stati Uniti}} [[Jimmy Carter|Carter]] ha fatto due dichiarazioni. La prima: «Ci auguriamo che il signor Breznev {{NDR|allora presidente dell'Unione Sovietica e Primo Segretario del PCUS}} abbia per le nostre ragioni la stessa comprensione che noi abbiamo per le sue». La seconda: «Se Ted Kennedy si presenta contro di me alle elezioni presidenziali, gli faccio un c.o così» Il triviale [[Richard Nixon|Nixon]] avrebbe potuto dire le stesse cose, ma certamente ne avrebbe invertito l'ordine di priorità riservando la comprensione a Kennedy ed il c.o a Breznev. La differenza fra i due è tutta qui. (16 giugno 1979) *Avvicinandosi il 25 dicembre, decine di migliaia di teneri [[abete|abeti]] vengono strappati dai boschi della Penisola per allestire il tradizionale albero di Natale. Ogni anno lo scempio si ripete, tra la generale indifferenza. Soppresso l'Ente protezione animali, figuriamoci se qualcuno ha voglia di proteggere gli alberi. Diciamo la verità: la sola pianta che interessi all'[[italiano medio]] è la pianta stabile. (19 dicembre 1979) *Nel Manifesto di domenica scorsa tale K.S. Karol faceva considerazioni amare sulla rivoluzione cubana e sui suoi fallimenti: «[[Fidel Castro|Fidél]] – ha ricordato il commentatore, uno dei tanti orfani delle illusioni di sinistra – prometteva ai cubani per il 1965 un tenore di vita pari a quello svedese». Certo Fidél si è sbagliato di grosso; non per cattiva volontà, ma per mancanza di uomini, anzi di un uomo. Sarebbe bastato che anche la Svezia avesse uno suo Castro al potere per ritrovarsi in pochissimi anni con un tenore di vita pari a quello cubano. (15 aprile 1980) *Riferiscono le cronache che quando è giunta in tribunale la notizia dell'assassinio di Walter Tobagi, il brigatista Corrado Alunni l'ha accolta con una sghignazzata di tripudio. Abbiamo sempre combattuto la pena di morte sul presupposto che l'uomo non ha il diritto di uccidere l'uomo. Il presupposto lo confermiamo. Ciò di cui cominciamo a dubitare è che gli Alunni e quelli come lui siano uomini. Sui cadaveri sghignazzano le jene. (30 maggio 1980) *A Mirafiori, parlando agli operai della Fiat in sciopero, il sindaco di Torino, Novelli, se l'è presa coi giornalisti e li ha additati all'uditorio come falsari che ricalcano i loro resoconti non sui fatti, ma sulle «veline» distribuite loro dai «padroni». Anche Novelli ha fatto il giornalista in un foglio comunista, e quindi di veline e di padroni è certamente un intenditore. Ma se dopo questa denuncia ci scappa un altro Casalegno, sarà molto gradita la sua assenza ai funerali. (8 ottobre 1980) *Grandi elogi – dopo il successo del blitz di Trani – alle «teste di cuoio» italiane. La loro azione ha dimostrato quanto poco valesse la strategia della flessione propugnata di alcuni personaggi. Teste anche loro: ma di che? (31 dicembre 1980) *Fra i tanti slogans che il partito socialista francese ha lanciato in occasione delle elezioni presidenziali per rassicurare i bravi borghesi sottolineando il proprio carattere moderato e riformista, abbiamo letto anche questo: «Il socialismo può fare di chiunque un milionario». Ci crediamo senz'altro. A patto che quel chiunque fosse prima un miliardario. (8 maggio 1981) *Per gl'italiani, finora, il nome di Gelli era quello dell'autore del più famoso e autorevole codice cavalleresco. Anche oggi rimane legato a un codice. Quello penale. (9 maggio 1981) *L'elenco degli affiliati alla P2 comprende, dicono, 953 nomi, cui corrispondono i più alti gradi della politica, della magistratura, delle forze armate, della burocrazia, dell'industria, della finanza. Tutti «fratelli». È la riprova che, in questo Paese, guai ai figli unici. (11 maggio 1981) *Macché pazzo! L'attentatore del Papa deve essere un furbo matricolato. Dichiarandosi seguace di George Habbas e della causa palestinese, ha cercato di procurarsi la solidarietà dei molti, dei moltissimi, che non battono ciglio quando un terrorista cerca di spedire qualcuno all'altro mondo. Purché il terrorista appartenga al terzo. (16 maggio 1981) *Studiosi cinesi, mettendo a confronto reperti di ominidi dissimili tra loro tanto da far pensare che l'uomo discenda anche da animali diversi dalla [[scimmia]], sono arrivati alla conclusione che i nostri progenitori erano comunque scimmie, ancorché di specie differenti. Ci pare logico. Quale altro animale avrebbe potuto imitare la scimmia che ha dato l'avvio alla razza umana se non un'altra scimmia priva di senso critico? (19 maggio 1981) *Una nostra redattrice andata per una sua cronaca sul femminismo alla «libreria delle donne» in via Dogana a Milano, è stata accolta da una di loro con queste parole: «Con te non parlo perché sei di un giornale fascista, e anche tu hai la faccia da fascista». La nostra redattrice, che ha ventun anni, probabilmente non sapeva bene cosa fosse il fascismo. Ora lo sa: lo ha imparato in quella libreria. (4 novembre 1981) *Come previsto, la Juventus ha conquistato il [[Serie A 1981-1982|ventesimo scudetto]] battendo il Catanzaro. Una vittoria di rigore. (17 maggio 1982) *Socialisti e comunisti si sono opposti alle sanzioni economiche contro l'Argentina perché, hanno detto, una buona metà degli argentini sono di origine italiana, e molti di loro conservano tutt'ora la nostra nazionalità. Vero. Ma non ci eravamo accorti che queste sinistre spasimassero tanto d'amore per i nostri connazionali di laggiù quando si trattava di riconoscergli il diritto di voto. (22 maggio 1982) *Se si va avanti di questo passo, la [[guerra delle Falkland]] (o Malvine) finirà quando l'ultimo aereo argentino sarà abbattuto col suo carico di bombe sull'ultima nave inglese. E dire che questa lotta di leoni si svolge per un'isola di Pecore. (27 maggio 1982) *Tutti abbiamo trepidato ieri, davanti al televisore, per le sorti della squadra azzurra, tutti ci siamo entusiasmati alle sue gesta, tutti abbiamo salutato con orgoglio la sua vittoria. Ma il tipo di patriottismo che questa ha suscitato nelle strade delle nostre città, messe a soqquadro dai tifosi scalmanati che usavano il tricolore a copertura del peggior teppismo, ci ha fatto rimpiangere di non essere nati brasiliani. (6 luglio 1982) *Mai visto così tanto entusiasmo patriottico, tanti tricolori per le strade come per la finale degli azzurri al Mundial. Nella tomba di Caprera, le ossa di [[Giuseppe Garibaldi|Garibaldi]] fremono di invidia. Per unificare l'Italia «in un solo grido, in una sola passione» gli erano accorsi mille uomini. A [[Enzo Bearzot|Bearzot]] ne sono bastati undici. (12 luglio 1982) *Gli scrittori [[Mario Soldati]] (Psi) e [[Gianni Brera]] (Psi) sono stati trombati {{NDR|non sono stati eletti}}. Peccato. Il Parlamento era l'unico posto in cui, dovendo parlare per gli altri, forse avrebbero finalmente taciuto. (1º luglio 1983) *Che [[Bettino Craxi|Craxi]] sia uomo di grandi capacità e ambizioni, lo si sapeva. Che sia anche uomo di grande coraggio, lo si è visto ieri, quando pronunciava alla Camera il suo discorso di replica. Per due volte si è interrotto alla ricerca di un bicchier d'acqua. Per due volte [[Giulio Andreotti|Andreotti]] glielo ha riempito o porto. E per due volte lui lo ha bevuto. (13 agosto 1983) *Condannato dal tribunale di Reggio Emilia per bestemmie e turpiloquio contro la Chiesa, [[Roberto Benigni]] avrebbe qualche ragione di considerarsi vittima di un'ingiustizia. Proprio il giorno prima la Chiesa riabilitava [[Martin Lutero]], scomunicato ai suoi tempi pressappoco per gli stessi motivi. Come cambia, coi tempi, la sorte degli uomini! È inquietante pensare che Benigni, se fosse vissuto cinquecent'anni fa, sarebbe forse diventato Lutero. Ma addirittura sconvolgente è che Lutero, se fosse nato cinquecent'anni dopo, sarebbe forse diventato Benigni! (8 novembre 1983) *Il più autorevole giornale americano di economia e finanza, il Wall Street Journal di martedì 10 gennaio, è incorso in un curioso lapsus. Parlando del concordato fra lo Stato italiano e la Santa Sede, scrive che esso «venne firmato nel 1929 da Bettino Mussolini». Chissà, se lo legge, come si arrabbia Benito Craxi. (12 gennaio 1984) *È comparsa sui giornali la pubblicità di una nuova opera di Fanfani, intitolata «La Dc e la svolta degli anni 80». L'editore avverte che si tratta di un libro formato «tascabile». Dato l'autore, poteva andare diversamente? (16 gennaio 1984) *È vero: la [[Juventus Football Club|Juventus]], a Basilea, non ha fatto una gran figura. Giocando con più cervello, poteva vincere comodamente 4-0. Ma attenti a non giudicare troppo severamente il Porto. Quello di Genova va molto peggio. (18 maggio 1984) *Il trentanovenne James Nelson, condannato da un tribunale di Londra a quindici anni per avere ucciso la madre a colpi di mattone, ha sentito, chiuso in cella, la vocazione sacerdotale: si è messo a studiare teologia, e ora sta per diventare prete nella chiesa scozzese. «È mia intenzione – ha dichiarato – contribuire alla edificazione di una nuova società». Si può credergli: i mattoni ha dimostrato di saperli usare. (25 maggio 1984) *L'agenzia Agi informa, con un drammatico flash, che il ministro [[Giulio Andreotti|Andreotti]], «impegnato in una riunione superistretta con gli altri 15 ministri degli esteri della Nato, perderà la partita [[Associazione Sportiva Roma|Roma]]-[[Liverpool Football Club|Liverpool]]». È giusto il fatto che faccia notizia: è la prima volta che Andreotti perde qualcosa. (31 maggio 1984) *Presso la Presidenza del Consiglio, a palazzo Chigi, è stata istituita una commissione di giuristi per la completa parificazione dei diritti fra i due sessi. Finalmente! Era ora che ce la riconoscessero, a noi uomini. (16 ottobre 1984) *La riforma dei programmi della scuola elementare, cui sta lavorando il Ministro Falcucci, introdurrà nella terza, quarta e quinta classe l'insegnamento di una lingua straniera. Non è specificato quale. Speriamo che si tratti dell'italiano. (21 gennaio 1985) *Un certo [[Nichi Vendola]], dirigente della Federazione giovanile comunista, ha lanciato l'idea di riconoscere formalmente un «diritto dei bambini ad avere rapporti sessuali tra loro o con gli adulti». Vendola ha detto di aver attinto questa idea all'esperienza di molti padri. A conferma di quanto scrive [[Georges Courteline|Courteline]] nella sua «Filosofia»: «Uno dei più chiari effetti della presenza di un bambino in una casa è di rendere completamente idioti dei genitori che forse, senza di lui, sarebbero stati degl'imbecilli comuni». (26 marzo 1985) *I tecnici di calcio sono rimasti stupiti dalla prova del [[Real Madrid Club de Fútbol|Real Madrid]] che nella semifinale della coppa Uefa ha letteralmente travolto i modesti giocatori dell'[[Football Club Internazionale Milano|Inter]]. I madrileni hanno proprio vinto a biglia sciolta. (26 aprile 1985) *Quando [[Sandro Pertini]] è apparso sul video di Raiuno che trasmetteva la premiazione del concorso ippico di Roma, il cronista ha commentato: «Anche i cavalli, come vedete, sono gentili col Presidente». Era vero. Forse meritano di essere fatti cavalieri. (5 maggio 1985) *I tifosi rossoneri sono in festa per la notizia che Berlusconi sta per acquistare il loro Milan. Sono convinti che in un battibaleno ne farà una squadra da scudetto, da coppa delle coppe, da tutto, e forse hanno ragione. C'è un solo pericolo: che il neo-presidente voglia fare anche il direttore tecnico, l'allenatore, il massaggiatore, il capitano e il centrattacco. Il che potrebbe andar anche bene. Ma ad una condizione: che possa fare anche l'arbitro. (27 dicembre 1985) *Rete Quattro e Italia 1 sono state multate per violazione del decreto che proibisce la propaganda al consumo del tabacco. Lo spot incriminato è quello che, parlando del «Camel Trophy», ostentava un pacchetto di sigarette della ditta sponsorizzatrice. Strano Paese, il nostro. Colpisce i venditori di sigarette, ma premia i venditori di fumo. (13 marzo 1986) *Molti lettori ci chiedono quale missione sta svolgendo l'on. Capanna a Tripoli, quali motivi l'hanno spinto da Gheddafi. Non ne sappiamo granché: non siamo abituati a ficcare il naso nelle altrui questioni di famiglia. (1º giugno 1986) *Oggi Paolo Pillitteri sarà designato alla successione di Tognoli come sindaco di Milano. Lo dipingono come uomo intelligente, efficace, insomma pieno di qualità. Purtroppo, gli manca quella fondamentale: il celibato. (5 dicembre 1986) *Finalmente, dopo sette anni di esilio a Gorky, l'impavido Andrei Sacharov è tornato a Mosca. Speriamo che Gorbaciov ci resti. (24 dicembre 1986) *L'agenzia Ansa riferisce che da un sondaggio operato in Francia su un pubblico internazionale, risulterebbe che il maschio italiano detiene ancora il primato mondiale della seduzione. Speriamo che i giornali non riportino la notizia: gl'italiani sarebbero capaci di crederci. (15 marzo 1987) *Per la prima volta nella storia della Corte Costituzionale, il nuovo presidente, Francesco Saja, è stato eletto al primo scrutinio. Ma il rivale sconfitto, Ferrari, ha sollevato eccezione accusando il vincitore di averlo battuto grazie a un «compromesso storico» fra elettori democristiani e comunisti, aggravato da un intrallazzo fra siciliani. Vero o falso, dalla Corte al cortile. (5 giugno 1987) *Ieri tutti i telegiornali ci hanno martellato negli occhi le immagini dei capibastone – Craxi, De Mita, Spadolini, Altissimo ecc. – che infilavano la scheda nell'urna. I loro volti raggiavano di soddisfazione. Erano gli unici elettori matematicamente sicuri di aver dato il voto al candidato ideale. (15 giugno 1987) *In una scuola di Chattanooga, nel Tennesse (Usa), due sedicenni, approfittando dell'assenza dell'insegnante, si sono baciati e hanno fatto l'amore davanti a una decina di compagni, niente affatto scandalizzati. Dato il lassismo di certe scuole americane, gli esami in cui gli studenti riescono meglio sono proprio queste prove orali. (4 giugno 1988) *Diciannove persone hanno dichiarato d'aver visto aggirarsi, tra le quinte della Scala, il fantasma di [[Maria Callas]]. Non ci meravigliamo, anche perché migliaia di altri frequentatori del massimo teatro lirico italiano sostengono da tempo di vedere, alla Scala, il fantasma della Scala. (28 giugno 1988) *Scoprendo le istituzioni britanniche con un secolo e mezzo di ritardo, i comunisti sembrano fermamente intenzionati a formare il loro «shadow Cabinet». Ma onestamente non ne afferriamo la ragione. Non c'è nessun bisogno di un governo ombra per contrastare quest'ombra di governo. (5 maggio 1989) *Da un sondaggio condotto tra i francesi risulta che il personaggio più noto d'Oltralpe è [[Marcello Mastroianni]], conosciuto dall'83 per cento degli intervistati. Il 97 per cento dei francesi invece confessa di non sapere chi sia [[Ciriaco de Mita|Ciriaco De Mita]]. Quando si dice un Paese fortunato... (20 maggio 1989) *Gerardo Iglesias, che fu segretario generale del partito comunista spagnolo dall'82 all'88, ha lasciato l'attività politica per riprendere il suo lavoro di minatore di carbone, «l'unico modo in cui posso guadagnarmi degnamente la vita». Alcuni dirigenti del Pci, a quanto risulta, vorrebbero imitarne l'esempio, tornando al vecchio lavoro. Il difficile è trovare chi ne aveva uno. (1º giugno 1990) *Durante la festosa «notte del mondiale», la polizia romana ha arrestato, nelle vicinanze dello stadio olimpico, 29 borsaioli e scippatori. Il signor [[Edgardo Codesal Méndez|Codesal Mendez]], arbitro della partita [[Nazionale di calcio della Germania|Germania]]-[[Nazionale di calcio dell'Argentina|Argentina]], non figura nell'elenco. (10 luglio 1990) *Il giudice veneziano Casson ha convocato, per la storia del Gladio, il presidente [[Francesco Cossiga|Cossiga]], e l'Italia leguleia è in subbuglio: la Costituzione, pure, si è dimenticata di precisare se il Capo di Stato può essere chiamato a rispondere, sia pure da testimone, a un qualunque magistrato. Il quale però ha ora la fotografia su tutti i giornali. E tutti possono ammirarla chiedendosi che cosa passa in quella testa, la testa di Casson. (10 novembre 1990) *Gli studenti italiani manifestano rumorosamente per la [[pace e guerra|pace]] e contro la [[pace e guerra|guerra]]. La guerra, diceva [[Georges Clemenceau|Clemenceau]], è una cosa troppo seria per lasciarla fare ai militari. Ma anche la pace è una cosa troppo seria per lasciarla fare ai pacifisti. (20 gennaio 1991) *Occupandosi – tra tanto Golfo – del Festival di Sanremo il Tg3 ci ha dato, finalmente, ieri sera, una notizia credibile: il livello delle canzoni, ha detto, è destinato a salire. Infatti: sentite le prime è impossibile che scenda. (1º marzo 1991) *Da un'indagine risulta che il 41,9% degli italiani non considera illecito l'assenteismo dal lavoro e che il 41,3% non considera peccato le infedeltà coniugali. La coincidenza delle due cifre spiega in che modo gli statali impiegano il tempo che dovrebbero dedicare all'ufficio. (3 ottobre 1991) *A quest'ora [[Ernesto Balducci|Padre Balducci]] è di fronte al Supremo Giudice, nel quale affermava di credere. Almeno a Lui dovrà spiegare non ciò che diceva contro la Chiesa, ma perché lo diceva travestito da frate. (26 aprile 1992) *Nell'ultima tornata presidenziale è emerso, con un bel pacchetto di 20 voti, Aldo Aniasi. Finalmente. In questo imperversare di tangenti e bustarelle, era ora che qualcuno si ricordasse di lui. (24 maggio 1992) *Per sfatare le malevole dicerie su certe bestie, il presidente degli «animalisti» italiani ha offerto un premio di 200 milioni a chi potrà dimostrare che i corvi scrivono lettere anonime e che le talpe fanno le spie. È vero: di simili casi non ne conosciamo. Ma di somari che fanno i presidenti, ne conosciamo parecchi. (5 luglio 1992) *Dopo le invettive e i clamori da cui il presidente del consiglio [[Giuliano Amato|Amato]] è stato accolto in Senato per la sua insensibilità alla crisi morale che investe il Paese, il dibattito sulla medesima si è svolto, a Montecitorio, in un'aula deserta. Sì, una crisi morale, per la nostra classe politica esiste: lo dimostra il vuoto in cui l'ha lasciata cadere. (14 marzo 1993) *«I socialisti – ha detto l'ex ministro della Difesa Salvo Andò – devono andare tutti nudi verso la meta di un nuovo sistema politico». Come faranno senza le tasche? (24 maggio 1993) *Il candidato del Psi per le elezioni a sindaco di Roma sarà Niccolò Amato. Assennata scelta. Ex direttore delle carceri, Amato è certamente il più qualificato a rappresentare quel partito. (23 settembre 1993) *Giovedì sera annuncio a sorpresa di [[Emilio Fede]] nel suo Tg4: «Adesso – ha detto – voglio parlarvi di informazione». C'è sempre una prima volta. (8 gennaio 1994) *Secondo un sondaggio della Diacron (gruppo Fininvest), l'82 per cento dei lettori del «Giornale» sarebbe schierato con Berlusconi. Vero. Almeno com'è vero che Berlusconi diventerà presidente del Consiglio. (12 gennaio 1994) ====''La parola ai lettori – rubrica''==== *I tennisti italiani hanno disputato la finalissima di Coppa Davis a Praga, e nessuno ha battuto ciglio. Le squadre di calcio italiane frequentano gli stadi dell'Est, a cominciare da quelli russi, e i puristi della democrazia non ci trovano nulla a ridire. Ma per l'[[Uruguay]] – che con i suoi tre milioni di abitanti e la sua posizione geografica non mi pare possa essere considerato una minaccia troppo grave alla libertà dei Paesi democratici – c'è puntuale la protesta. Come se l'Uruguay potesse invadere, espandersi, insidiare, inviare – direttamente o indirettamente – eserciti di mercenari in mezzo mondo, e l'[[Unione Sovietica]] no. Possiamo capire gli intransigenti della democrazia: ma possiamo soltanto disprezzare i farisei che hanno l'indignazione dimezzata. Si calmino Bruno Conti e Pruzzo. Né l'Uruguay, né il suo regime, meritano tante ansie e tanta ostilità. Mosca è più vicina – lo sanno bene i polacchi – e Kabul anche. (31 dicembre 1980) *Non abbiamo mai «coperto», come si usa dire, questo nostro socio (che ha il 37, non il 36% del Giornale), anche perché non vediamo da cosa dovremmo coprirlo. [[Silvio Berlusconi|Berlusconi]] non è né un politico né un gerarca civile o militare, e non svolge nessuna pubblica funzione incompatibile con l'appartenenza alla massoneria. È un privato imprenditore e cittadino che quando fa una balordaggine (e l'iscrizione alla P2 lo è) la fa a proprio rischio e pericolo. Come lei avrà visto, il suo coinvolgimento nella P2 non ci ha impedito di dire, di Gelli e della sua banda, tutto il male che ne pensiamo. (31 maggio 1981) *In tutti questi anni che è stato con noi, {{NDR|Silvio Berlusconi}} si è sempre comportato nella maniera più signorile, ed anche in questa circostanza ci ha dato le più ampie garanzie. (14 aprile 1987) *Nel panorama sudamericano il [[Cile]] è oggi uno di quei paesi economicamente più solidi e con maggior progresso, tanto da meritare gli elogi del Fondo monetario internazionale. Ma la postilla impone a sua volta una precisazione. È più facile fare il risanamento economico monetario in Cile, dove i sindacati sono inesistenti o impotenti, che non in [[Argentina]], dove il sindacato incalza il governo e pretende aumenti salariali il cui ritmo sia adeguato al ritmo dell'inflazione. [...] Pinochet è quello che è. Il suo plebiscito per la Costituzione del 1980 fu indetto in circostanze che gli tolgono ogni valore. E gli inizi del regime militare furono sanguinari. Però il Cile di oggi ha un livello di libertà e di dialettica politica – nonostante Pinochet – che tanti paesi del Terzo mondo vezzeggiati dai nostri democratici dovrebbero invidiargli. Come ha osservato un lettore, né l'Etiopia né lo Zaire né la Siria, né il Nicaragua avrebbero tollerato corrispondenze come quelle che gli inviati della Rai diffondono, in diretta dal Cile. (16 aprile 1987) *Mai le nostre prese di posizione su problemi e personaggi sono state non dico condizionate, ma influenzate dalle personali amicizie o preferenze di Berlusconi. Per la verità, l'editore chiese una volta a titolo di favore, un «occhio di riguardo» per la sua creatura prediletta. Non la televisione, come i lettori saranno stati forse indotti a pensare, ma il [[Associazione Calcio Milan|Milan]]. Sottoposi questa sommessa istanza alla redazione sportiva. La risposta fu una lettera collettiva di dimissioni. Caso chiuso. Da allora rinuncio a leggere le cronache delle partite del Milan, per non dovermi dispiacere del dispiacere che ne prova probabilmente Berlusconi. (17 aprile 1988) *Come già ho scritto, e qui mi piace ripetere, la designazione di [[Francesco Cossiga|Cossiga]] al Quirinale fu la scelta dell'uomo giusto al posto sbagliato. Sappiamo benissimo chi la volle. Ma sappiamo altrettanto bene che fu avallata anche da quegli uomini e partiti che ora si scagliano contro di lui e lo accusano, apertamente o copertamente, di fellonia. La classe politica, nella quale egli ha militato da sempre e che quindi da sempre lo conosceva, doveva sapere che l'onesto (perché tale è) Cossiga non era uomo da Quirinale. Eppure, per i suoi sporchi giochi di potere, ce lo mandò. Ora dovrebbe sentire il dovere di difenderlo dagli sciacalli che lo attaccano da tutte le parti. (22 dicembre 1990) ===''La Stampa''=== <!--ordine cronologico--> *Intorno alle «cattedrali nel deserto» impiantatevi dalla cosiddetta mano pubblica, [...] o trasferitevi dal Nord con l'adescamento degli «incentivi», e sotto la nuvolaglia di fumo che sgorga dalle loro ciminiere, si gonfiano alla carlona e selvaggiamente dirompono, senza nessun criterio urbanistico, senza piano regolatore, senza servizi, spesso anche senza acquedotto e senza fogna, degli agglomerati urbani che solo per il numero degli abitanti si possono chiamare città. [...] È nata soltanto, insieme a una forsennata speculazione edilizia che per sfruttare all'osso l'area fabbricabile accumula con cattivo cemento un piano sull'altro finché crollano sulla testa degl'inquilini, la sorda rabbia contro la città di un contadiname analfabeta che se n'è visto succhiare la linfa vitale, e quando vi cala, lo fa da nemico e vandalo. Questo è il panorama del Mezzogiorno dopo vent'anni e più di Cassa, che hanno raschiato dalle tasche dei contribuenti migliaia di miliardi. (da ''[http://www.archiviolastampa.it/component/option,com_lastampa/task,search/mod,libera/action,viewer/Itemid,3/page,3/articleid,1118_01_1973_0272_0003_16218908/ La protesta contadina]'', 18 novembre 1973, p. 3) *La politica meridionalistica è tutta dominata da questo sottofondo psicologico. Essa vuole l'industrializzazione di Stato non soltanto perché [...] l'industrializzazione può essere fatta soltanto dallo Stato o da imprese al servizio dello Stato; ma anche perché più queste imprese si sviluppano, e più si riduce il margine di quell'imprenditoria privata che i meridionali, non riuscendo a emularla, mirano a ostacolare e ridurre, sottraendole il pubblico risparmio. Con l'agricoltura non avrebbero potuto perseguire questi scopi punitivi. L'unica arma per mortificare e battere l'industria privata è l'industria statale o parastatale. Questa, intendiamoci, esisteva digià: è un portato dei tempi moderni. Ma non c'è dubbio che la politica meridionalistica, come la si è praticata finora e tutto lascia credere che si seguiterà a praticarla, le ha offerto un'ideale occasione. (da ''[http://www.archiviolastampa.it/component/option,com_lastampa/task,search/mod,libera/action,viewer/Itemid,3/page,3/articleid,1118_01_1973_0284_0003_16222766/ Industrie "in colonia"]'', 2 dicembre 1973, p. 3) *Lo Stato, con [[Venezia]], ha contratto un solo impegno: di destinare al suo risanamento 300 miliardi di lire in cinque anni. Di dove li prenda, non ha nessun interesse. Può darsi che una parte li attinga proprio a quel prestito. Ma non vi è tenuto, né si vede perché dovrebbe esserlo. Ciò che da esso si può e si deve esigere è che eroghi effettivamente quei 300 miliardi alle scadenze per le quali si è impegnato: 25 miliardi per il '73, 60 nel '74, 90 nel '75, e su su fino alla chiusura dei conti nel '77. Due sole cose restano da dire. Primo. All'origine dell'equivoco c'è di certo quello che i francesi chiamano l'''esprit mal tourné'', cioè la diffidenza degl'italiani nei confronti dello Stato. Ma all'origine di questa diffidenza c'è altrettanto certamente l'incapacità o la renitenza dei nostri governanti a spiegare [...] ciò che fanno. Secondo. I soldi [...] stavolta ci sono. E diamo pure per scontato che saranno erogati con puntualità. Ma dove sono gli strumenti per spenderli, specie quelli affidati in gestione a degli Enti locali, che fin qui non sono stati capaci di dragare un canale né di riparare la spalletta d'un ponte? Non vorremmo che anche tutti questi miliardi andassero ad alimentare l'immenso deposito di «residui passivi», cioè di somme stanziate ma non impiegate, che già affligge il nostro Paese. Non lo vorremmo. Ma lo temiamo. (da ''[http://www.archiviolastampa.it/component/option,com_lastampa/task,search/mod,libera/action,viewer/Itemid,3/page,1/articleid,1111_01_1974_0009_0001_21345708/ Venezia, molti miliardi e lo Stato]'', 11 gennaio 1974, p. 1) *E ora addio, caro lettore, e grazie dell’ospitalità. Ti confesso che, entrando in casa tua, ero molto imbarazzato. Ma mi bastò poco per accorgermi che di questo imbarazzo voi soffrite quasi quanto coloro a cui lo incutete. Esentàtemi da una dichiarazione di amore perché a gente come voi è difficile farne. Ma in questo pudore mi sento vostro pari e vostro complice. Avrò un giornale a Milano e, e cercherò di farlo molto bello, bellissimo. Ma anche se ci sarò riuscito, seguiterò a rimpiangere il vostro. Mi dicevano che ci avrei sofferto il freddo. Ci ho trovato, sotto una coltre di silenzio, il caldo. (da ''[http://www.archiviolastampa.it/component/option,com_lastampa/task,search/mod,libera/action,viewer/Itemid,3/page,3/articleid,1112_01_1974_0087_0003_16390798/ Congedo dal Piemonte]'', 21 aprile 1974, p. 3) {{Int|''[http://www.archiviolastampa.it/component/option,com_lastampa/task,search/mod,libera/action,viewer/Itemid,3/page,9/articleid,1118_01_1973_0284_0009_16222725/ Chi era il vecchio leone del deserto]''|Articolo su ''La Stampa'', 2 dicembre 1973.|h=4}} *Senza Ben Gurion, non so se Israele sarebbe stato migliore o peggiore di quel che è. Certo, sarebbe stato diverso. Il titolo di «Padre della Patria» non può contestarglielo nessuno. [...] Egli stesso mi raccontò lo sgomento da cui fu còlto quando, non ancora ventenne, sbarcò a Giaffa dopo un lungo periplo a bordo d'un cargo. A procurarglielo non furono i funzionari turchi che allora governavano il Paese, e nemmeno gli arabi che formavano il grosso della popolazione; ma gli ebrei, quasi tutti latifondisti e mercanti perfettamente inseriti nel «sistema» e unicamente intesi ai propri affari. Erano dunque quelli i depositari della Terra Promessa, che non sapevano neanche l'ebraico, o comunque si rifiutavano di parlarlo? Forse ne sarebbe fuggito, se nell'interno non avesse scoperto alcune isolate fattorie collettive, dove i nuovi immigrati lavoravano la terra con le proprie mani e di notte montavano la guardia, uomini e donne, per difendere le loro vite e i loro raccolti dalle razzie degli arabi. *Egli fu sin da principio organizzatore sindacale e propagandista politico, ma ciò non toglie che la sua ideologia si sia sviluppata da questa esperienza pionieristica. Non era uomo di studio e di cultura. Ma, pur combattendolo, era rimasto influenzato dal socialismo tolstoiano che aveva respirato a Plonsk. [...] Comprese subito che solo redimendo la terra col loro lavoro manuale e contrapponendo al latifondismo arabo la fattoria collettiva, gli ebrei potevano legittimare la riconquista dei loro antico «focolare». Militarmente, egli non attaccò mai gli arabi. Aspettò che il loro sistema si disgregasse da sé, e ci volle poco. Battuti sul mercato dai prodotti del ''kibbutz'', i latifondisti arabi vendettero i loro feudi al «Fondo Nazionale Ebraico» per andare a sperperare l'incasso nei ''Casinos'' di Beirut e della Costa Azzurra, e i braccianti rimasero senza lavoro perché i nuovi padroni usavano le braccia proprie. Il conflitto è tutto qui: nell'impossibilità di coabitazione di una scalcagnata economia feudale con un'efficientissima economia socialista. I motivi religiosi e razziali li ha aggiunti la propaganda. Prima del ''kibbutz'', arabi ed ebrei avevano pacificamente convissuto in un avanzo di mondo medievale, garantito dal satrapesco governo turco, coi suoi privilegi e le sue glebe. Il ''kibbutz'' fu una rovina anche per il latifondo ebraico. [...] Il suo programma era questo: conquistare la Palestina «pertica dopo pertica, capra dopo capra», ma senza costituirla in uno Stato, un po' perché a questo si sarebbe opposta l'Inghilterra […] un po' per non provocare un «fronte» di nazioni arabe, come poi in realtà avvenne. Ma la rivelazione del [[Olocausto|genocidio]] gl'ispirò il famoso ''mai più''. E mai più significava questo: che d'allora in poi gli ebrei dovevano avere un rifugio sicuro, pronto ad accoglierli e in grado di farlo, cioè uno Stato. *Gli rimproverano anche di non aver mai svolto una coerente politica araba, cioè di intesa con gli arabi. E anche in questo c'è del vero, ma ha il suo perché. Come tutti i veri politici, Ben Gurion era un pragmatista, cioè un uomo che attingeva le idee dalla pratica delle «cose», non viceversa. E l'esperienza fatta nella lotta per la manodopera ebraica lo aveva persuaso che con gli arabi non c'era [...] possibilità di compromesso. Uno Stato palestinese misto di arabi e di ebrei, lo considerò sempre una chimera per il semplice motivo che in poche generazioni, col loro potenziale demografico quattro volte superiore, gli arabi avrebbero mangiato gli ebrei. Questo scrupolo [...] sa un po' di razzismo. Ma l'unico rimprovero che si può muovere a Ben Gurion è di non averlo abbastanza mascherato. Già nella guerra del '48 egli avrebbe potuto annettersi la Cisgiordania: ci rinunziò per non mettersi in corpo seicentomila arabi. L'anno dopo rifiutò per lo stesso motivo la cosiddetta «striscia di Ghaza» che il suo brillante generale Allon aveva sforbiciato dall'Egitto. E dopo la guerra dei sei giorni, sebbene ormai lontano dal potere, non ha fatto che ammonire contro una politica di annessioni territoriali disgiunta da un adeguato incremento di popolazione ebraica. Non ha mai dialogato che con l'Occidente. Con gli arabi, non ha seguito che una diplomazia: quella dei confini. *Le nuove esigenze della produzione e della guerra imponevano un altro «rovesciamento della piramide»: il miracolo della guerra dei sei giorni fu dovuto a un esercito di tecnici altamente specializzati, in cui anche il semplice aviere era un ingegnere. Il posto del ''kibbutz'' [...] veniva preso dall'Università che riconvertiva il contadino in professore. Ben Gurion non poteva interpretare questo nuovo corso. Era troppo vecchio e legato all'altro. Ma non lo comprese, non poteva comprenderlo, per conservare il potere ricorse a tutte le armi del suo repertorio, anche le meno regolamentari, giunse a rinnegare e a rompere il proprio ribelle partito. E neppure a battaglia persa si rassegnò. Dal fondo del suo rifugio alle soglie del deserto ha continuato tutti questi anni ad alluvionare di ammonimenti, maledizioni, anatemi i suoi vecchi amici trattandoli da nemici. [...] Quello che si chiude con Ben Gurion è il capitolo del pionierismo: il più eroico e glorioso, quello destinato, via via che si allontanerà nel tempo, ad essere ricordato dagl'israeliani con sempre più struggente nostalgia. {{Int|''[http://www.archiviolastampa.it/component/option,com_lastampa/task,search/mod,libera/action,viewer/Itemid,3/page,3/articleid,1112_01_1974_0081_0003_16388814/ La strada lunga di Golda]''|Articolo su ''La Stampa'', 14 aprile 1974.|h=4}} *{{NDR|[[Golda Meir]]}} Aveva poco più di vent'anni quando approdò in Israele, frammista ai «padri pellegrini» della «seconda ondata» che subito dopo la [[prima guerra mondiale]] vennero a riprendere possesso della loro antica terra con la ferma intenzione non d'insabbiarcisi com'era successo ai loro predecessori della fine dell'Ottocento, ma di riscattarla e di farne il «focolare» degli ebrei. Tutta la sua visione politica [...] era condizionata da questa esperienza di oltre mezzo secolo di sacrifici e di lotte. Tecnicamente, non so se si possa catalogarla fra i «falchi». Anzi, mi sembra che abbia fatto tutto il possibile per non confondersi con essi e per presentarsi come mediatrice fra loro e le «colombe». Ma, cresciuta nell'accampamento, ne aveva acquisito la mentalità guerriera. Oggi molti in Israele si domandano se a questi pionieri non restava davvero altra strada che quella dell'urto frontale con la popolazione araba della Palestina. Ma questi dubbi sono un lusso ch'essi si possono concedere solo perché i loro babbi e nonni non ne ebbero. Costoro fecero quello che fecero perché non potevano far altro. Ciò che rendeva impossibile la coabitazione fra le due popolazioni non era la incompatibilità razziale e religiosa, ma quella economica e sociale. Il latifondo sceiccale non poteva convivere col ''kibbutz'' socialista. È qui l'origine di un conflitto che nessuna diplomazia poteva sanare. Una pace fra israeliani e arabi è possibile; una simbiosi, no. Ancor oggi chi parla di «Stato misto» si gingilla con le astrazioni. *Fu lei che, mentre la lotta infuriava e il sangue correva, raggiunse travestita da cammelliere l'emiro Abdullah di Giordania – il nonno di [[Husayn di Giordania|Hussein]] –, e da nemico se lo fece amico, o almeno neutrale. Non sono mai riuscito ad appurare se [[David Ben Gurion|Ben Gurion]] ebbe una parte, e quale, in questo «giallo» fra il diplomatico e lo spionistico. Ma molte cose m'inducono a credere che a programmarlo fu proprio lei, Golda, anch'essa ben decisa a innalzare, fra arabi ed ebrei, una cortina di ferro, ma con qualche porta che consentisse all'occorrenza il dialogo. [...] I due furono amici e compari per decenni. [...] Per entrambi, la unica e vera ragione di vita era la politica, una passione che esclude tutte le altre, e alla quale chi ne è tocco tutto sacrifica, a cominciare proprio dai sentimenti. Ciò non vuol dire che i loro rapporti siano stati dominati unicamente dal calcolo [...] e che Golda si sia tenuta stretta a Ben per spiarlo, controllarlo e, al momento opportuno, divorarlo. Io ho visto alcuni scampoli della loro corrispondenza privata, quando l'amicizia era diventata aperta inimicizia. Roba da far impallidire un caporale degli alpini. Ma proprio da questo vocabolario si capiva quanto profonda e indistruttibile [...] fosse la loro solidarietà. Probabilmente anche al tempo in cui facevano coppia nel partito e nel governo si parlavano tra loro in quel linguaggio da fureria. Quanto a imperiosità e autoritarismo, si valevano. [...] Non era, come Ben Gurion, un'incantatrice, non aveva mai una immagine colorita, un paradosso, una battuta a effetto. Con la sua voce arrugginita dalle sigarette (ne fuma una settantina al giorno, e di tabacco nero), diceva piattamente e banalmente delle cose piatte e banali, solo ravvivate da qualche squarcio d'un umorismo massiccio come una scarpa di soldato; ma senza mai togliere di dosso all'interlocutore il suo vigile sguardo cilestrino alla fiamma ossidrica. E da quella specie di sporta per la spesa che, adibita a borsa, essa tiene al braccio anche nei ricevimenti ufficiali, ci si aspettava sempre di veder saltar fuori, oltre a qualche mazzo d'agli e di cipolle, una pistola o una fiala di veleno. *Di Golda si può dire tutto il male che si vuole: la materia non manca. Non c'è dubbio che sapeva odiare e che anche quando amava lo faceva da mantide, soffocando e stritolando. Ma Israele non troverà mai più una madre come lei, che sapeva anche fargli da padre. Nella sua tenacia, nel suo coraggio, nella sua volontà d'acciaio, essa riassumeva la storia di questo piccolo grande Paese. Lo ha dimostrato col suo ritiro. Quando si è trattato di pagare, essa si è offerta in sacrificio pur sapendo che per lei la rinunzia al potere è la rinunzia alla vita. «''Sono giunta al termine della mia strada''», ha detto. Ma che strada! Nessuno ne ha mai percorsa una più ripida e accidentata, più paurosamente librata tra abissi e strapiombi. Sono sicuro che Golda non si volterà indietro a guardarla, e non ce ne dirà nulla. Come tutti i grandi costruttori, essa sa soltanto costruire. Il resto, per lei, è silenzio. ===''la Voce''=== <!--ordine cronologico--> *Uscendo dal ''Giornale'', io feci a me stesso, ma pubblicamente, un giuramento: «Mai più un padrone». Qui padroni non ce ne sono. La proprietà è ripartita fra alcune centinaia di azionisti, di cui nessuno può, per statuto detenere più del 4 per cento. Fra di essi, e per primi, ci siamo stati tutti noi: redattori, impiegati, fattorini, autisti. [...] Per questa sua pulviscolarità, il nostro azionariato è stato definito, nei quartieri alti della Finanza, «straccione». La qualifica non ci dispiace: coi tempi che corrono, meglio stare tra gli stracci che tra le tangenti. (22 marzo 1994) *Di insurrezione generale non c'era bisogno, il 25 aprile, perché il Terzo Reich non esisteva più. Se l'insurrezione generale fosse avvenuta avrebbe dovuto avere come primo obiettivo, a Milano, il quartier generale delle SS all'Hotel Regina. Le SS furono invece lasciate del tutto tranquille, mentre si provvedeva a trascinare in piazzale Loreto, per la fucilazione Achille Starace [...]. Non sono contro la Resistenza, anzi: sono contro la retorica, inguaribile vizio italiano. Proprio questa retorica ha fatto sì che un sindaco democristiano di Roma, in un manifesto dedicato anni or sono alla liberazione della città non accennasse nemmeno con una parola agli Alleati. Ed ha fatto sì che in quest'ultimo 25 aprile si sia parlato ai giovani che affollavano piazza del Duomo a Milano o che stavano davanti ai televisori, ingannandoli – ossia raccontando loro che i tedeschi erano stati sconfitti dai partigiani, e che da questi l'Italia era stata liberata. Se questa è la «memoria storica» evocata da tanti commentatori, stiamo freschi. (28 aprile 1994) *Intorno a Berlusconi vedo agitarsi una falange di Starace, convinti non meno di Achille che il padrone (e con lui, si capisce, la carriera) si serve sbattendo i talloni e gridando: «Forza, Italia!». Di tutto questo, intendiamoci, Berlusconi non può essere tenuto responsabile. Gli Starace – a differenza di Mussolini che si scelse il suo vedendolo com'era – gli sono germinati e gli pullulano intorno d'irresistibile forza propria cercando di sopraffarsi in una gara di servilismo, che trova soprattutto nel video la propria arena. E per ora la gente pensa: «Povero Cavaliere, da chi è circondato». Ma prima o poi – forse più prima che poi – comincerà a dire anche di lui: «Vedi un po' di chi si circonda». (18 giugno 1994) *Dobbiamo prepararci a presentare le nostre scuse a [[Emilio Fede]]. L'abbiamo sempre dipinto come un leccapiedi, anzi come l'archetipo di questa giullaresca fauna, con l'aggravante del gaudio. Spesso i [[leccapiedi]], dopo aver leccato, e quando il padrone non li vede, fanno la faccia schifata e diventano malmostosi. Fede no. Assolta la bisogna, ne sorride e se ne estasia, da oco giulivo. Ma temo che di qui a un po' dovremo ricrederci sul suo conto, rimpiangere i suoi interventi e additarli a modello di obiettività. (26 novembre 1994) *Il presidente della Repubblica non può contrattare. Ma deve trovare qualcuno che abbia l'autorità morale di farlo. Un ''kamikaze''. E di ''kamikaze'' ne vediamo uno solo che, non avendo veste politica, né alcuna ambizione di indossarla, può anche affrontare una simile responsabilità: [[Antonio Di Pietro|Di Pietro]]. Ma temiamo che l'idea sia soltanto nostra. [...] Una delle pochissime cose che nella presente situazione ci confortano è di vedere in Quirinale un difensore delle Regole come [[Oscar Luigi Scalfaro|lui]]. Vorremmo solo sommessamente avvertirlo che l'Italia che noi conosciamo somiglia poco all'immagine angelica ch'egli ce ne ha fornito la sera di Capodanno, e che anche quando vi avremo messo a posto tutte le Regole, ne mancherà sempre una: quella che dall'interno della sua coscienza fa obbligo ad ogni cittadino di regolarsi secondo le regole. (3 gennaio 1995) *Noi volevamo fare, da uomini di [[Destra]], il quotidiano di una Destra veramente liberale, ancorata ai suoi storici valori: lo spirito di servizio (quello vero, taciuto e praticato), il senso dello Stato, il rigoroso codice di comportamento che furono appannaggio dei suoi rari campioni da Giolitti a Einaudi a De Gasperi. Insomma, l'organo di una Destra che oggi si sente oltraggiata dall'abuso che ne fanno gli attuali contraffattori. Questa Destra fedele a se stessa in Italia c'è. Ma è un'élite troppo esigua per nutrire un quotidiano. (12 aprile 1995) {{Int|''Il realista inviso agli snob''|Articolo su ''la Voce'', 24 aprile 1994.|h=4}} *Fino ad una decina di anni orsono, la maggioranza degli americani erano convinti che, se [[Richard Nixon|Nixon]] fosse rimasto nella Storia del loro Paese – cosa che al loro orecchio suonava come un obbrobrio – vi sarebbe rimasto solo per il [[Scandalo Watergate|Watergate]], cioè appunto per l'obbrobrio. Negli ultimi tempi tutto si è rovesciato: l'obbrobrio non è stato più il Watergate, ma la campagna scandalistica che lo aveva provocato. Gli stessi protagonisti che l'avevano montata – [[Bob Woodward]] e [[Carl Bernstein]] del ''Washington Post'' – ne riconobbero le forzature e fecero atto di contrizione. Non avevano inventato nulla, ma avevano deformato tutto. [...] La sorte è stata, tutto sommato, clemente con Nixon dandogli il tempo di vedere questo capovolgimento. *Ultimamente era ricevuto, ed anzi continuamente sollecitato alla Casa Bianca, dove lo si accoglieva come lo ''Elder Statesman'', lo statista anziano da consultare come un vecchio saggio sui problemi difficili. Fu a lui che [[George H. W. Bush|Bush]] si rivolse per riallacciare un dialogo con Pechino dopo la rottura seguita al fattaccio di Tienanmen. E lui a Pechino lo riallacciò: i cinesi non avevano dimenticato che quel dialogo erano stati Nixon e [[Henry Kissinger|Kissinger]] ad aprirlo, quando l'America aveva deciso di chiudere l'avventura del Vietnam in cui [[John Fitzgerald Kennedy|Kennedy]] e [[Lyndon B. Johnson|Johnson]] l'avevano malaccortamente cacciata. Ma anche [[Bill Clinton|Clinton]] è ricorso alla sua esperienza per capire cosa succedeva in Russia e trarne qualche insegnamento. Nixon andò a Mosca, e ne tornò con cattivi presagi sulla sorte di [[Boris Nikolaevič El'cin|Eltsin]] che i successivi avvenimenti hanno confermato. *Non era un uomo «simpatico», e soprattutto non aveva nulla che potesse sedurre l'America dei salotti e della ''intellighenzia'', che gli uomini politici li misurano a modo loro, mai quello giusto. Scambiarono per un grande intellettuale Kennedy, che in vita sua aveva visto migliaia di film, ma mai letto un libro. E prendevano Nixon, che di libri ne ha letti ed ha continuato a leggerne (ed a scriverne, niente male), fino all'ultimo giorno per una specie di Bossi californiano, rozzo e triviale. [...] Ma forse quello che più infastidiva gli americani era la renitenza di Nixon ad appelli e richiami tanto più sonori quanto più vacui, come «la nuova frontiera» e simili. Nixon era un professionista della politica, uno dei pochissimi che l'America abbia mandato alla Casa Bianca. Non andava per sogni e per versetti del Vangelo. Conosceva il suo [[Otto von Bismarck|Bismarck]], il suo [[Benjamin Disraeli|Disraeli]], e credo anche il suo [[Niccolò Machiavelli|Machiavelli]] che in America basta nominarli per finire scomunicati. Per questo lo consideravano un mestierante, e per questo si era scelto come consigliere un altro mestierante, l'ebreo tedesco Kissinger. Furono questi due uomini che ridiedero all'America la ''leadership'' nella politica estera coinvolgendo nel gioco la Cina e scavandone il solco da Mosca. I successori di Nixon, e specialmente [[Ronald Reagan|Reagan]], vissero in gran parte di questa eredità. ===''Oggi''=== <!--ordine cronologico--> *Mi confermo in due mie vecchie opinioni. Il guaio del socialismo è il socialismo, cioè sta proprio nel suo sistema statalistico. Il guaio del capitalismo sono i capitalisti che, quasi sempre bravissimi all'interno della loro azienda, fuori di lì sono spesso degli ottusi e noiosi imbecilli, e talvolta anche peggio.<ref>Citato in ''Dizionario delle citazioni'', a cura di Italo Sordi, BUR, 1992. ISBN 88-17-14603-X</ref> (n. 22, 1983) *{{NDR|Sull'offerta di [[Massimo D'Alema]] a concedere, come «atto dovuto», i funerali di Stato a [[Bettino Craxi]]}} "Atto dovuto"? Ma dovuto a chi? Anche a un latitante: quale, dal punto di vista legale, era Craxi? Concedere i funerali di Stato a un latitante significa sconfessare la Giustizia che lo ha condannato. [...] Ma può lo Stato sconfessare la propria Giustizia senza sconfessare se stesso? Mi sembra di vivere in un Paese che di senso dello Stato ne ha meno di una tribù del Ghana.<ref>Citato in ''La morte incute rispetto, ma su Craxi non cambio idea''-</ref> (2 febbraio 2000) *La [[democrazia]] è sempre, per sua natura e costituzione, il trionfo della mediocrità. (11 ottobre 2000) ==''Dante e il suo secolo''== ===[[Incipit]]=== Uno dei tanti meriti che si suole attribuire a [[Dante Alighieri|Dante]] è quello di essere stato il primo italiano ad avere una «coscienza nazionale». Noi non vorremmo cominciare questo libro con una detrazione, ma non ci sembra che a dimostrare questa coscienza basti l'allusione che Dante fa a una entità geografica italiana, di cui egli fissava i punti terminali al Brennero e al Carnaro. E non vediamo del resto cosa aggiunga alla sua grandezza questa specie d'irredentismo avanti lettera. Se per qualcuno Dante spasimò fu, caso mai, per un Imperatore tedesco. ===Citazioni=== *[[Roma]] era stata la capitale di un impero cosmopolita, non di una Nazione. (Parte prima. Capitolo primo, p. 12) *Non è necessario essere degli adepti del "materialismo storico" per attribuire il risveglio delle inquietudini intellettuali, fra il Millecento e il Milleduecento, al progresso economico e al generale miglioramento delle condizioni i di vita. È a stomaco pieno che si comincia a pensare a qualcosa che non sia soltanto lo stomaco. (Parte prima. Capitolo terzo, p. 131) *Il [[pudore]] femminile non è mai stato altro che un incentivo alla civetteria. (Parte seconda, Capitolo quarto, p. 174) *Da consumato giurista qual era, {{NDR|[[papa Bonifacio VIII]]}} prese a rimaneggiare tutti i precedenti storici, su cui poteva basare le sue pretese di dominio universale. E trovò un valido aiuto nel canonista [[Egidio Romano|Egidio Colonna]] il quale scrisse un trattato, ''De ecclesiastica potestate'', per avvalorare queste tesi. Egli sostenne che la Chiesa era padrona e proprietaria non soltanto delle anime, ma di tutto. Era solo per bontà e condiscendenza che metteva le cose a disposizione dei fedeli, ma conservando il diritto di ritorgliele quando voleva. Quindi anche i troni appartenevano ad essa, che li lasciava ai Re solo in momentaneo appalto. Questa teoria tanto piacque a Bonifacio, che ne ricompensò l'autore con la nomina ad arcivescovo di Bourges. (Parte seconda, Capitolo nono, p. 312) *Peccato che un simile uomo {{NDR|papa Bonifacio VIII}} avesse così clamorosamente sbagliato generazione e carriera. Fosse nato cinquant'anni dopo sarebbe stato un magnifico Principe del [[Rinascimento]]: avido, crudele e gagliardo. (Parte seconda, Capitolo undicesimo, p. 372) *Dante qui {{NDR|nel ''De vulgari eloquentia''}} ha visto ciò che molti filòlogi ancora oggi non vedono. Egli difende il "volgare", cioè la lingua viva, quella parlata dal popolo, fatalmente destinata a soppiantare il latino. Ma ne vorrebbe una illustre e aulica, al di sopra di quelle "municipali", cioè dei dialetti, contro i quali si scaglia con furore. In Italia ne classifica quattordici e li detesta tutti, compreso il toscano che chiama "turpiloquio". Ma il più orrendo gli sembra il romano, "e non deve fare meraviglia dacché i romani, anche per deformità di costumi e abiti, appaiono i più fetidi di tutti". Chissà cosa direbbe, povero Dante, se tornasse fra noi e andasse al cinematografo. (Parte seconda, Capitolo quindicesimo, p. 483) ==''Gli incontri''== *[[Giovanni Porzio|Porzio]] non è alto di statura, ma diritto come un fuso nonostante i settantaquattro anni suonati e porta, sui pantaloni a righe stretti e lunghi come quelli degli antichi ufficiali in grande uniforme, una giacca nera che l'alta bottonatura fa simile a una ''redingote''. Il volto è bello, di colore olivastro, e aristocratico nella modellatura del naso e nel taglio breve dei baffi e della barbetta ancora pepe e sale. (Porzio, p. 91) *Non avevo mai visto da vicino [[Cécile Sorel]], quando essa mi apparve, per la prima volta, di lontano, sul palcoscenico allestito nella corte d'onore degli Invalides per le feste celebrative del bimillenario di Parigi. [...] Drappeggiata in una sontuosa cappa di [[Elsa Schiaparelli|Schiaparelli]] a strascico di ''lamé'' d'argento e porpora, dritta su un podio sotto la statua di [[Napoleone Bonaparte|Bonaparte]], accolse a braccia spalancate lo scrosciante omaggio, sincopato dalle salve di artiglieria, dei cinquemila spettatori ammassati nell'immenso cortile. Sorrise. Sfiorò con uno sguardo altero le teste della folla, lo alzò verso l'imperatore, ma senza implorazione né umiltà, da pari a pari. Poi, in un silenzio di tomba, prese a modulare l'ode di Bruyez: "''Vous qui êtes morts pieusement pour la patrie...''". Ed era una voce incredibilmente limpida e squillante, senza traccia di ruggine. (Cècile, pp. 226-227) *[[Saul Steinberg|Steinberg]] ha la faccia dei suoi pupazzi: una faccia malinconica, lunga e triangolare, di cavallo tirato su a paglia soltanto, senza biada, e condannato a trascinare un carretto su per un'erta interminabile, in cima alla quale non si sa cosa ci aspetta, ma certo un'altra condanna, forse più pesante del carretto. Anche i baffi ha, come i suoi pupazzi: a doppia virgola orizzontale, sebbene meno lunghi e senza le intenzioni esibizionistiche di quelli di Dalì; e anche le lenti a stanghetta traverso cui ti fissano intensamente, di sotto in su, due occhi azzurri e mortificati, di uomo che non si è reso conto di essere Saul Steinberg; o essendosene reso conto, non ci prova alcun piacere. (Steinberg, p. 289) *[[Harukichi Shimoi]] è uno di quei giapponesi che gli altri giapponesi considerano di statura piccola. Tanto piccola che [[Gabriele D'Annunzio|D'Annunzio]], per abbracciarlo, dovette curvarsi (lui!) e, dopo essergli andato incontro gridando, con le braccia alzate: "Fratello!... Fratello mio!..." lo guardò, ci ripensò e aggiunse: "Sebbene non di sangue...". (Shimoi, p. 389) *Quanti anni avrà, ora, Harukichi Shimoi? Forse cinquanta, forse centocinquanta. Come per [[Guelfo Civinini]], suo amico, anche per lui il problema dell'età non si pone. Quale che essa sia, egli la porta esattamente come deve averla portata mezzo secolo fa. Il suo corpo è stortignaccolo, ma diritto, e i suoi capelli son nerissimi. Ma il tratto che più lo caratterizza sono le sopracciglia, che madre natura gli ha piantato a mezza strada, come due ciuffi di foltissimo bosco, tra gli occhi e la chioma, in modo che, per quanto vasti i suoi occhiali, esse li sormontano e risucchiano come se fossero due monocoli. (Shimoi, pp. 389-390) *Il più favoloso e colorito personaggio del [[Brasile]] è [[Assis Chateaubriand]], proprietario di ventun giornali, diciotto stazioni radiotrasmittenti, di una flotta aerea, di alcune ''fazendas'' vaste come l'intera Sicilia, di un museo che vale venti milioni di dollari, di una Compagnia nazionale per la puericoltura, e di un'ambizione pari soltanto al suo coraggio, alla sua insolenza e alla sua spavalderia. (Chateaubriand, p. 495) *Assis {{NDR|Chateaubriand}} ha un debole per i tedeschi e per gli italiani. Come faccia a conciliare questi due amori, non si sa; ma le sue pene, durante la guerra, furono grandi, anche se irreprensibile fu la sua condotta<ref>Dal 1942, nel corso della seconda guerra mondiale, il Brasile fu in stato di guerra con Germania e Italia.</ref>. Quando però il governo comminò l'arresto a chiunque parlasse italiano, scese in lotta con i suoi giornali contro l'assurda disposizione. Scrisse che quello non era patriottismo, ma un nazionalismo di bassa lega, degno soltanto di una colonia, e che lui si vergognava d'esser brasiliano. Fece un tale baccano, che alla fine dovettero revocare il provvedimento e quello del sequestro dei beni dei nostri compatrioti. (Chateaubriand, p. 502) *Quando nacque sessantadue anni orsono, ne aveva già a dir poco settecento. Perché [[Ottone Rosai|Rosai]] veniva dritto dritto dal Medioevo, dopo aver saltato a piè pari Rinascimento ed età moderna, e nei momenti di sincerità confessava che Giotto gli pareva un "deviazionista" rispetto a Cimabue, il quale gli andava molto più a sangue. (Rosai, p. 544) *Dopo essere stato fascista della prima ora, nella seconda col fascismo {{NDR|Ottone Rosai}} s'era trovato male, e si capiva benissimo che era sempre per via delle mani. Tornato dalla guerra, lo squadrismo gli aveva consentito di menarle, come a lui piaceva, e ci aveva dato dentro senza risparmio. Forse l'unico momento felice della vita di Rosai fu quello: quando a gambe larghe di traverso alla strada aspettava, col giornale aperto davanti agli occhi in un gesto di sfida ribalda, il corteo rosso in arrivo da San Frediano, che alla vista di quelle manacce aggrappate ai bordi del foglio e pesanti come macigni, esitava. (Rosai, p. 547) *[[Paolo Monelli|Monelli]], se seguisse le proprie inclinazioni, andrebbe a letto coi polli. Ma cosa direbbe la gente, se non lo vedesse più vagabondare nei vari ritrovi frequentati dai nottambuli della città? Direbbe senza dubbio: "Comincia a invecchiare". E a questa idea Monelli balza dalla sua poltrona e si attacca al telefono per mobilitare qualche amica che lo accompagni nei suoi vagabondaggi. Giovani colleghe come Livia Serini, attrici giovanissime come Lea Massari sono state ridotte sull'orlo dell'esaurimento nervoso da queste prolungate ronde notturne senz'altro costrutto che quello di ribadire agli occhi di tutti l'intramontabilità di Monelli. Egli non le porta a spasso. Le porta all'occhiello, come gardenie. (Monelli al girarrosto, p. 592) *{{NDR|Paolo Monelli}} Fuma la pipa come Churchill il sigaro, cioè soltanto quando lo guardano. (Monelli al girarrosto, p. 593) ==''I conti con me stesso''== ===[[Incipit]]=== Una telefonata da Milano m'informa che Longanesi è morto. È stato colpito dall'infarto davanti al suo tavolo di lavoro, su cui era spiegata una mia lettera di dieci giorni fa, che cominciava così: «Caro Leo, stanotte ho sognato ch'eri morto...». (27 settembre 1957) ===Citazioni=== *Tutta la mia vita è stata contesa fra la noia di vivere insieme e la paura di vivere [[Solitudine|solo]]. (4 ottobre 1957) *Di nuovo il Polesine. Pare impossibile: durante le inondazioni, la prima cosa che viene a mancare è l'acqua. (dicembre 1957) *[[Colette Rosselli|Colette]]. Invecchia gentilmente, senza catastrofi. Ha su tutte le altre donne un vantaggio incolmabile: quello di essere stata il mio ultimo e più grande amore. Così grande che possiamo camparci di rendita, comodamente, tutti e due per il resto dei nostri giorni. (gennaio 1958) *Il destino di [[Riccardo Bacchelli|Bacchelli]] sarà l'opposto di quello del maiale: di lui, dopo morto, ci sarà da buttar via tutto. (gennaio 1958) *[[Olga Villi]]. Non è punto grata alla sua bellezza che le ha consentito di diventare principessa di Trabia. Punta solo sul talento che non ha. Ma è talmente priva di ''sense of humour'' che forse diventerà una buona attrice. (gennaio 1958) *[[Gaston Palewski|Palewski]]. L'ambasciata a Roma è per lui soltanto uno dei più importanti capitoli del libro di memorie che scriverà. (gennaio 1958) *Non è che [[Luigi Barzini (1908-1984)|Barzini]] abbia un'altissima opinione di sé. Ne ha una bassissima degli altri. (gennaio 1958) *Piccolo incidente d'auto. La nostra, per evitare un ciclista, picchia contro un muro e resta piuttosto acciaccata. [[Colette Rosselli|Colette]], che la guida, dice: «Meglio così. Dovevo farla revisionare, e non mi decidevo mai...». (gennaio 1958) *[[Razzismo]]: pensarci sempre, parlarne mai. [[Risorgimento]]: parlarne sempre, pensarci mai. (gennaio 1958) *[[Fascismo]]. Il più comico tentativo per instaurare la serietà. (gennaio 1958) *Il guaio più grosso della Repubblica è che, mentre il Re poteva essere di sangue straniero e di solito lo era, il presidente bisogna sceglierlo fra gl'italiani. (gennaio 1958) *Bacchelli lavora infaticabilmente, da sessant'anni, alla costruzione di un piedestallo su cui, alla sua morte, non sapremo cosa posare. (gennaio 1958) *A pranzo da [[Vittorio Cini]] con una ventina di altri invitati. A colazione ne aveva avuti altrettanti. E così ieri. E così avantieri. E così sempre. A ottantadue anni suonati, è fresco, roseo, insaziabilmente voglioso di intrattenere e di essere intrattenuto. A conclusione della serata, mi sfida a una gara di canto. Scegliamo come banco di prova ''Vecchia zimarra'', e stoniamo maledettamente entrambi, ma io meno di lui. I presenti mi assegnano la vittoria. Di colpo, Vittorio perde il suo buon umore. È talmente abituato a vincere, che non accetta di perdere nemmeno nel canto. (7 settembre 1966) *{{NDR|Su [[Nicola Bombacci]]}} Io l'ho conosciuto soltanto cadavere, quando penzolava accanto a quello di Mussolini, in piazza Loreto, e una folla messicana lo bersagliava bestialmente di sputi. Anni dopo, volli tentarne la riabilitazione ritracciandone la patetica vicenda, ma non riuscii a trovarne gli elementi biografici. Compaesano e compagno di scuola di Mussolini, maestro elementare e autodidatta come lui, ne era stato il grande amico quando entrambi militavano nel socialismo. Eppoi il suo nemico giurato, la bestia nera degli squadristi. Esule con la famiglia prima in Francia, poi (credo) in Russia, rimpatria col permesso del Duce, si affida alla sua generosità, per ricambiarla gli resta al fianco anche a Salò, e lo accompagna fin nell'ultimo viaggio verso la morte. (23 ottobre 1966) *Colloquio segreto con l'ex comunista [[Giulio Seniga|Seniga]] per una storia del [[PCI|Pci]] che devo scrivere con [[Roberto Gervaso|Gervaso]] per la «Domenica». Ė un uomo piuttosto affascinante, dallo sguardo chiaro, freddo e innocente: lo sguardo del fanatico. Mi ha detto che sua moglie, cresciuta in Russia dove suo padre era fuoruscito, e autrice di un interessante libro – ''I figli del partito'' –, nel partito è rimasta, non ha trovato il coraggio di uscirne, sebbene approvi e condivida la secessione del marito, con cui è sentimentalmente unitissima. Non riesco a capire questa gente. Cioè capisco soltanto che è diversa da noi non sul piano ideologico, ma su quello umano. (25 novembre 1966) *È morto [[Uguccione Ranieri di Sorbello]]. Era venuto a Roma da sua suocera. Stava benissimo. Era anzi particolarmente sereno e contento perché aveva finito un suo lavoro di ricerca storica cui attendeva da anni. A fine pranzo ha detto: «Non mi sento bene». Si è alzato, ed è crollato a terra. Stecchito. (29 maggio 1969) *{{NDR|Su Uguccione Ranieri di Sorbello}} Era un gran signore e un gran galantuomo che ha trascorso la sua vita in crociate nelle quali non aveva nulla da guadagnare. L'ultima è stata la campagna propagandista negli Usa per convincere gli americani a dare il nome [[Giovanni da Verrazzano|Da Verrazzano]] al grande ponte sull'Hudson. Nel suo perfetto inglese (lo scriveva meglio dell'italiano) inondò l'America di articoli e conferenze (parlava benissimo, con molto humor e senza enfasi oratorie) cercando i familiarizzare gli ascoltatori col nome Da Verrazzano, la cui pronuncia rappresentava per essi la difficoltà più grossa all'adozione di quel nome. Questa smania missionaria credo che l'avesse ereditata da sua madre americana. E per seguirla aveva trascurato le sue proprietà terriere. Le sue campagne erano in uno stato pietoso, la sua bella villa sul Trasimeno mezza disunta. (29 maggio 1969) *{{NDR|Su Uguccione Ranieri di Sorbello}} Era un buon scrittore, un infaticabile sommozzatore di articoli, un ricercatore attento e scrupoloso di curiosità storiche, un umanista moderno che aveva allargato i suoi orizzonti a tutta la cultura contemporanea, specie anglo-sassone: un uomo insomma che ha realizzato un centesimo di quello che poteva per via di quel suo dispersivo correre dietro a un'infinità di altri interessi. Era stato anche un autentico combattente della [[Resistenza italiana|Resistenza]]: per ben sedici volte si era fatto paracadutare dagli Alleati dietro le linee tedesche: impresa che chiunque altro si sarebbe fatto ripagare con altrettante medaglie. Lui non aveva ricevuto nemmeno una citazione, e di questi episodi non ha mai parlato. (29 maggio 1969) *Anche [[Irene Brin]] se n'è andata. Mi avevano detto che era malata di un cancro; ma era una notizia vaga e incerta, ch'essa aveva fatto di tutto per smentire. Fino in fondo ha lavorato e ha partecipato ai riti della mondanità: sfilate di moda, ricevimenti, eccetera. (1 giugno 1969) *{{NDR|Su Irene Brin}} Quando [[Giovanni Ansaldo|Ansaldo]] la scovò e cominciò a farla scrivere sul «Lavoro» di Genova, sua città natale, era soltanto Mariù Rossi: una ragazza timida e incerta, molto provinciale, figlia di un Generale e di un'ebrea austriaca. L'unica fama di cui godeva era quella, equivoca e velata sotto un nome d'accatto, che le aveva procurato [[Elio Vittorini|Vittorini]] prendendola a protagonista, con sua sorella, di un racconto: ''Le figlie del Generale'' in cui entrambe erano presentate come lesbiche. Se lo fossero veramente, non so. Il sesso è uno dei tanti capitoli misteriosi di questa donna. (1 giugno 1969) *In mano a [[Leo Longanesi|Longanesi]], che le aveva regalato anche lo pseudonimo d'Irene Brin, aveva rivelato autentiche qualità di scrittrice. I profili che pubblicò su «Omnibus» erano deliziosi. Fosse rimasta fra biografia e memorialismo, poteva diventare qualcosa di mezzo fra [[Henri de Saint-Simon|Saint-Simon]] e [[Lytton Strachey|Strachey]] con un tocco alla [[Madame de Sévigné|Sévigné]]. Altro che la [[Maria Bellonci|Bellonci]]! Era un'osservatrice attenta (sebbene non ci vedesse da qui a lì) e penetrante, nutrita di vastissime letture: la sua prosa aveva ritmo, calore, l'aggettivazione precisa, l'ironia tagliente. Ma era un cavallo che aveva bisogno del fantino. Chiuso «Omnibus» e cessata la regia di Longanesi, Irene infilò la pista sbagliata – quella della cronista mondana –, e non è più uscita. (1 giugno 1969) *Finito di scrivere il capitolo sull'[[Giulio Alberoni|Alberoni]] per ''L'Italia del Settecento''. Ho riprodotto la pagina di [[Henri de Saint-Simon|Saint-Simon]], che lo descrive mentre assiste impavido alle evacuazioni corporali di Vendôme per guadagnarsene i favori, eppoi inginocchiandosi davanti a lui gli grida estasiato: «Oh, culo d'angelo!», e glielo bacia. Come inizio di "carriera" italiana, mi sembra esemplare. Poi mi torna a mente un'osservazione di [[Jules Renard|Renard]]: «Se in un periodo c'è la parola culo, il lettore non si ricorderà che di quella dimenticando tutto il resto, anche se è sublime». Renard ha ragione. Ma io, a un culo autenticato da Saint-Simon, non rinuncio. (3 luglio 1969) *Le Soroptimists hanno dato un pranzo a [[Colette Rosselli|Colette]], in qualità di "Donna Letizia". Colette ha accettato dopo molti rifiuti. Il suo fastidio per queste cose di donne, lo so, è sincero. Ma, una volta preso l'impegno, ha trascorso la giornata a preparare il suo discorsino col puntiglio che la distingue. Non è per nulla ambiziosa, non tiene affatto a reclamizzare il proprio talento, sottovaluta quello che mette nella sua rubrica di «Grazia» (ma se lo fa pagare profumatamente), rifiuta di fare una mostra dei suoi deliziosi quadri. Ma il suo suscettibilissimo amor proprio non le consente di rischiare una brutta figura nemmeno nelle cose che disprezza. Infatti anche stasera ne ha fatta una eccellente, leggendo con molto garbo le due paginette che aveva preparato con un sapiente dosaggio di humour autentico, e di pathos e di umiltà fasulli. Ha avuto gran successo. Per la prima volta mi son visto guardato come un personaggio-satellite, una specie di principe consorte. Cosa che a me non dispiace affatto, ma a lei moltissimo. In questo, è proprio femmina. (13 agosto 1969) *Mi riferiscono, di [[Giorgio Bocca|Bocca]], questo giudizio su di me: «Sempre il più bravo di tutti. Bravissimo. Troppo bravo. Ma mettendo lo stesso impegno a scrivere gli articoli su Venezia e quello sull'arbitro [[Concetto Lo Bello|Lo Bello]], dimostra che in realtà non è impegnato in nulla». È vero. Non sono impegnato in nulla. In nulla, meno che nel mio mestiere. Fiorentina-Bari 3-0. E Chiarugi capo-cannoniere! (16 novembre 1969) *Sciopero generale per il caro-case. Un pretesto da nulla. Ma è bastato per immergere Milano in un'atmosfera da 8 settembre. Strade vuote. Saracinesche abbassate. Enorme spiegamento di polizia. Mentre pranzo con [[Giovanni Spadolini|Spadolini]], [[Mario Cervi|Cervi]] e Zappulli, giunge notizia che in un tafferuglio al Lirico un agente è stato ucciso dai "cinesi". «Meno male che è toccata a un agente» diciamo in coro, eppoi non osiamo guardarci negli occhi. Anche noi apparteniamo a questa borghesia codarda che pretende appaltare alle forze dell'ordine il compito di farsi sputacchiare, pestare e ammazzare per tenerne al riparo se stessa. E non vuole nemmeno pagargli uno stipendio decente. (19 novembre 1969) *[[Alberto Moravia|Moravia]] ha fondato, insieme a [[Pier Paolo Pasolini|Pasolini]] e a [[Dacia Maraini]], un "comitato contro la repressione". È la riprova che la repressione non c'è. Se ci fosse, Moravia sarebbe coi repressori, come ha dimostrato avallando col suo silenzio la persecuzione di [[Aleksandr Isaevič Solženicyn|Solženicyn]] in Russia. (28 dicembre 1969) *Moravia si è ritirato dal comitato che lui stesso aveva fondato. Ma non per i silenzi di [[Giovanni Spadolini|Spadolini]]. Si è ritirato perché «l'Unità» ha disapprovato. Gl'italiani sono sempre pronti a fare la rivoluzione, purché i carabinieri siano d'accordo. E Moravia è sempre pronto a battersi per la libertà, purché sia d'accordo il piccì. (2 gennaio 1970) *Arrivati i rendiconti dei miei diritti d'autore: 28 milioni nell'ultimo semestre. Supero dunque i 50 milioni annui. Anche ammettendo che l'editore non ci faccia sopra punta cresta (il che mi sembra, a dir poco, improbabile), non c'è male. Credo di essere l'autore italiano che più guadagna, anche perché sono l'unico che questa cifra la guadagna ogni anno, e senz'aiuto di premi letterari. Non ne sono contento per il denaro, di cui non so che farmi e che serve solo a pagare i capricci di Colette (ne ha tanti!). Ne sono contento, anzi felice, per il mio status da autore stipendiato unicamente dal pubblico. C'è chi vive di partito. C'è chi vive di Eni. C'è chi vive di Agnelli, o di Perrone, o di Crespi. Io vivo di [[lettore|lettori]]. I lettori non m'impongono altra servitù che la sincerità: l'unica che non pesi. (3 marzo 1970) *Più che comunanza di vedute, fra [[Denis Mack Smith|Mack Smith]] e me c'è comunanza di nemici: quegl'insopportabili pedanti accademici che a Palermo lo hanno violentemente attaccato qualificandolo «il Montanelli di Oxford». Implicitamente egli accetta di far fronte con me contro di loro. Credo che facciamo entrambi un buon affare, e anche un affare buono: se riusciamo a squalificare agli occhi del pubblico la [[storiografia]] accademica (e coi nostri libri ci stiamo riuscendo), avremo reso un grosso servigio alla cultura italiana. (2 maggio 1970) *Sosta a Venezia, dopo il voto a Cortina. Visita d'obbligo a Vittorio Cini, e passeggiata con lui sulle Zattere. Vedendolo, un vecchietto sdrucito, ma dignitoso, si leva il cappello e gli tende la mano, evidentemente per mendicare. Vittorio gliel'afferra e gliela stringe con effusione dicendogli: «Caro!... Caro!... Caro!... Coma la va?» È in perfetta buona fede: la buona fede di un doge lontanissimo dalle afflizioni della miseria e perfino incapace di immaginare che ce ne siano. (8 giugno 1970) *Leggo in [[Giorgio Candeloro|Candeloro]]: «... Nel processo generale di sviluppo della Storia, il carattere dei personaggi, anche dei più grandi, ha un peso limitato...». Ah, sì? E cosa dunque se non il carattere di Alessandro, cioè la sua follia, può spiegare la conquista macedone fino all'India e la diaspora dell'ellenismo che ne deriva? L'Islam è concepibile senza il "carattere" di [[Maometto]]? E cosa divise la Riforma se non i diversi "caratteri" di [[Martin Lutero|Lutero]] e di Calvino? I nostri storici odiano i caratteri e i personaggi, perché questi richiedono immaginazione e intuito, cioè doti di scrittore, di cui essi sono disperatamente vedovi. Non sono storici. Sono soltanto degli archivisti, e molto spesso disonesti. (10 novembre 1970) *Milano è in fiamme per l'affare Feltrinelli, e [[Piero Ottone|Ottone]] mi chiede un articolo contro la [[Camilla Cederna|Cederna]], firmatario di un manifesto in cui, a due ore di distanza dal rinvenimento del cadavere e prima ancora che esso sia ufficialmente riconosciuto, proclama che Feltrinelli è rimasto vittima della «reazione internazionale». Se la Cederna avesse una testa, direi che l'ha persa. Ma perché Ottone vuole un articolo contro di lei, intima amica e direttrice di coscienza di [[Giulia Maria Crespi|Giulia Maria]], nonché regina del suo sinistrorso salotto? Comunque, a mettere una zeppa fra direttore e proprietaria, è doveroso collaborare. E faccio l'articolo in forma di "lettera a Camilla". (25 marzo 1972) *Pare che l'articolo abbia rimesso fuoco a Milano, creandovi una irreparabile frattura fra montanellisti e cedernisti. I primi sono più numerosi, ma i secondi più rumorosi. Ricevo pacchi di telegrammi di plauso e altrettanti d'insulti. Il giornale è sommerso di lettere, e io prego Ottone di pubblicare anche quelle di protesta. Ha scritto anche la Cederna annunziando una replica sull'«Espresso» (Ottone ha cancellato il titolo del settimanale, commettendo una meschineria). Quanto a Giulia Maria, mi dicono che schiuma di rabbia. Se è vero, devo riconoscere che il giornalismo qualche soddisfazione la dà. [[Umberto Eco]] mi attacca sul «manifesto» riproducendo una mia frase di ammirazione per Mussolini scritta quando avevo ventidue anni (in dieci anni di giornalismo sotto il defunto regime, non sono mai riusciti a trovare, di mio, altre prove di zelo fascista) e accusandomi di mancanza di cavalleria verso una donna. O bella! Come se una donna, quando si mette a far politica – e che politica! – come un uomo, potesse ancora accampare l'impunità! Anche la [[Maria Callas|Callas]] è una donna. Eppure, quando stona, la si fischia. (27 marzo 1972) *Ho scritto un fondo in difesa della Cederna, incriminata dal magistrato per aver diffuso notizie false e tendenziose. Che abbia commesso questo peccato, ho detto, è vero. Ma si tratta di peccato, non di reato. E a giudicarne dev'essere il lettore, non il tribunale. Verità lapalissiane. Dice che è sempre stata molto più impegnata e coraggiosa di me perché con le sue campagne in favore di Valpreda e di [[Giuseppe Pinelli|Pinelli]], tiene fronte alla polizia. Potrei incenerirla chiedendole dov'era e cosa faceva quando io ero in galera per aver tenuto fronte non alla polizia d'oggi, ma a quella fascista e nazista. Ma non ne vale la pena. (28 marzo 1972) *Più approfondisco questo tema delle regioni (sono a Milano per questo), e più mi sgomenta il doverne scrivere. Ci vuol poco a capire che questi regionalisti lombardi perseguono, consapevolmente o inconsapevolmente, un piano secessionista cisalpino. E, una volta che ne abbiano lo strumento, riusciranno a realizzarlo. Non per nulla Bassetti parla già non più di «regione lombarda», ma di «[[Padania|regione padana]]», di cui il resto d'Italia non sarebbe che un'appendice. Se ce la fanno (e ce la faranno), addio Risorgimento! Non era che una finzione, d'accordo, e in pratica ha fallito. Ma con che lo sostituiremo? (26 settembre 1972) *Volo a Lussemburgo sul solito bireattore di Berlusconi, che ci accompagna, felice di esibirsi e di esibire il suo status in una cerimonia internazionale. La medaglia d'oro (ma è proprio d'oro?) me la consegna Gaston Thorn, capo del governo lussemburghese. Berlusconi riempie il suo taccuino di indirizzi: quelli di tutte le personalità che ha incontrato. È il vero ''climber'' che approfitta di tutto e non butta via nulla. (23 maggio 1977) *Kappler è fuggito. Ha fatto bene. Ma ora chi ci salverà dai conculcati "valori della Resistenza"? (15 agosto 1977) *A colazione da [[Vittorio Cini|Cini]]. Ha avuto un brutto crollo, ma ha ancora risorse. Le tira fuori quando è in compagnia. Ma quando è solo, mi dice sua moglie, sprofonda in quei tetri silenzi che sono i colloqui di un uomo con la morte. (19 agosto 1977) *De Carolis m'informa che il vero autore della operazione «Corriere» è un certo [[Licio Gelli|Gelli]], misterioso personaggio massonico, di Arezzo (Fanfani), che vuole incontrarmi per un accordo fra i due giornali. (24 settembre 1977) *Secondo quanto mi era stato raccomandato, dovevo salire direttamente alla camera 219 dell'Excelsior. Ma alla camera 219 non c'era nessuno, e così dovetti chiedere al portiere del signor Gelli. Poi Gelli arrivò, mi condusse furtivamente nel suo appartamento e mi fece un lungo discorso pieno di allusioni, dal quale dovevo comprendere che lui è un pezzo grosso – forse il più grosso – della massoneria (Palazzo Giustiniani), che come tale era stato il vero padrino della operazione Rizzoli, e che in questa operazione potevamo rientrare anche noi. Mi ha detto che quattro ministri dell'attuale governo, otto sottosegretari e centoquaranta parlamentari dipendono da lui. Questi massoni sono tutti uguali: credono che la loro potenza sia direttamente proporzionale al mistero di cui si circondano e prendono per cose fatte quelle per le quali complottano. (4 ottobre 1977) *Da Fanfani, al Senato. È talmente infuriato che diventa perfino sincero. «Dica al suo amico che è un traditore!» «Perché non glielo dice lei?» Mi spiega che Forlani non mira alla segreteria del partito, come io credevo, ma alla presidenza del Consiglio, quando Andreotti sarà consumato. Mi dice anche che condivide l'idea di Donat-Cattin di lasciare il Quirinale a un laico. «Altrimenti fra noi democristiani ci sbraniamo e ci sbrachiamo nella corsa a chi concede di più ai comunisti.» È sincero anche stavolta, o lo dice perché, avendo perso ogni speranza per sé, vuole prepararsi un buon argomento per Maria Pia («Stavolta toccava ai laici»)? (29 ottobre 1977) *A cena da Gervaso con Cossiga. Non si lamenta dei nostri attacchi, ma sono io a dirgli: «Noi esprimiamo lo scontento, e talvolta la rabbia, della pubblica opinione. La gente vuole un ministro degl'Interni che agisca e che faccia agire la polizia». «Ma lei sa com'è ridotta la polizia?» «In qualunque modo sia ridotta, siete voi che l'avete ridotta così. E quindi sta a voi rimediare.» Mi dice che non c'è da farsi illusioni: la situazione si aggraverà. Il terrorismo è finanziato coi sequestri, ha solidi agganci internazionali, e segue una tattica ben studiata. «L'attentato a lei fu un errore. Se a essere colpite fossero le personalità di rilievo, la gente media, cioè la grande massa della popolazione, sarebbe tranquilla. Invece hanno deciso di colpire i gradi subalterni – consiglieri comunali della Dc, capireparto della Fiat eccetera – per togliere il sonno a tutti.» Forse è vero. (29 ottobre 1977) *Quattro revolverate in faccia a [[Carlo Casalegno|Casalegno]], che ora è grave. Alzano la mira. (16 novembre 1977) *«La Stampa» riporta tutti gli articoli di solidarietà per Casalegno apparsi sugli altri giornali. Ma omette il mio, ch'era forse il più caldo: la solidarietà nostra la imbarazza. (18 novembre 1977) *Casalegno è morto. Ho telegrafato alla vedova, ma non al figlio – iscritto a [[Lotta Continua|Lotta continua]] –, né a [[Arrigo Levi|Levi]] e ai colleghi della «Stampa». Purtroppo, la loro faziosità condiziona la nostra solidarietà. Al funerale andrà Biazzi. (29 novembre 1977) *Incontro risolutivo a Roma tra Ferrauto e quelli della Sipra. Affare fatto e a condizioni molto più favorevoli di quelle sperate. Sei miliardi e settecento milioni come minimo annuo garantito, per cinque anni. Firmeremo il compromesso martedì 16. (10 maggio 1978) *Vista in tv la cerimonia funebre per Moro in San Giovanni Laterano. Dentro la basilica, tutti i dignitari Dc e quelli Pci inginocchiati sotto la mano benedicente del papa. E, fuori, la piazza sventolante di bandiere bianche e rosse. Non ho potuto fare a meno di rilevarlo in un "Controcorrente". (13 maggio 1978) *Batosta comunista alle amministrative parziali di ieri (4.000.000 di elettori). La Dc sale dal 38 al 42 per cento, il Pci scende dal 35 al 26. Successo dei socialisti che guadagnano il 4 per cento. Un risultato sconvolgente (in positivo). Uniche delusioni: il guadagno – sia pur minimo – del Pri, e la mancata rianimazione del Pli. (15 maggio 1978) *Firmato oggi l'accordo con la Sipra. Minimo garantito: 6.800.000.000 all'anno per cinque anni. Il presidente, D'Amico, è un ex operaio della Fiat, ora deputato comunista: un uomo concreto, franco, di poche parole. Era più soddisfatto lui dell'accordo con noi, che il direttore generale, il democristiano Pasquarelli. Io ho fatto la mia parte, da buon attore. Arrivato all'ultimo momento, ho detto: «Per impedire ripensamenti ed equivoci, trasformiamo il compromesso in vero e proprio contratto, e firmiamo subito». Lo champagne era già pronto. (16 maggio 1978) ==''I protagonisti''== *Nel settembre di quell'anno {{NDR|1956}} il partito lo spedì {{NDR|[[Gian Carlo Pajetta]]}} a Mosca insieme a Pellegrini e a [[Celeste Negarville|Negarville]] per sentire direttamente da [[Nikita Sergeevič Chruščёv|Kruscev]] come ci si doveva comportare nella crisi, ormai aperta, dell'antistalinismo. Kruscev li accolse affabilmente, li invitò a cena. E qui, trascinato da bocconi e libagioni ad una espansiva euforia come spesso gli capita, a un certo punto disse: «Beh, ora vi voglio raccontare come strangolammo [[Lavrentij Pavlovič Berija|Beria]]». E descrisse l'agguato che gli avevano teso al Cremlino, come gli erano saltati addosso e come gli avevano serrato la gola con le mani fino alla soffocazione. Lo descrisse ridendo allegramente, forse senz'accorgersi del pallore che soffondeva il volto dei suoi ospiti, o per lo meno quelli di Pajetta e di Negarville.<br />L'indomani li convocò nuovamente e, come non ricordando affatto ciò che gli aveva raccontato la sera prima, disse loro in tono solenne: «Beh, ora vi farò sentire il processo di Beria registrato sul nastro». E glielo fece sentire davvero come lo avevano inventato ''post mortem'', con la voce del defunto falsificata.<br />Quando si ritrovarono fra loro, Negarville e Pajetta si guardarono con gli occhi pieni di lacrime. «Ma allora – dissero –. Ma allora...». E non aggiunsero altro. (pp. 66-67) *{{NDR|Su [[Anna Magnani]]}} Ci sarebbe da scrivere un trattato sul modo di usare Anna. La prima precauzione da prendere è quella di non farla ritrovare in mezzo a estranei. Timida com'è, pur dopo un'esistenza trascorsa sotto i ''flashes'', la gente la raggela e la chiude in un mutismo ostile o l'aizza ad atteggiamenti protervi. Delle poche persone che le ho presentato, l'unica che la sedusse immediatamente fu il mio collega [[Augusto Guerriero]], perché il discorso cadde sui cani e sui gatti: e questo è un argomento su cui il cuore di Anna si scioglie e la mente le si ottenebra. Si mise in testa che noi due, con un articolo, potevamo far riformare la legge sulla protezione degli animali. E invano cercammo di dimostrarle che il problema non era di leggi, ma di costume. Non sentì ragioni. Dovemmo prometterle l'articolo (che poi infatti scrivemmo). (pp. 177-178) *{{NDR|Su [[Ignazio Silone]]}} Leggendo i suoi primi romanzi, ''Fontamara'', ''Pane e vino'', ''Il seme sotto la neve'', e pur ammirandoli, ero caduto in abbaglio sull'autore. Lo avevo preso per uno di quegl'industriali dell'antifascismo che, riparati all'estero, avevano trovato nella universale avversione alla dittatura una comoda scorciatoia al successo dei libri di denunzia. Lo consideravo insomma un profittatore del regime a rovescio (come del resto ce ne sono stati). E una conferma mi era parso di vederla nel fatto che finito, col fascismo, l'antifascismo, parve finito anche il narratore Silone.<br />Poi vennero ''Una manciata di more'', ''Il segreto di Luca'', ''La volpe e le camelie''. Ma vennero soprattutto alcuni saggi politici che mi costrinsero a ricredermi. Ed era proprio questo che non riuscivo a perdonargli. Mi era antipatico non per i suoi, ma per i miei errori. Più lo conoscevo attraverso i suoi scritti, e più dovevo constatare che non solo egli non somiglia affatto al personaggio che m'ero immaginato, ma che anzi ne rappresenta la flagrante contraddizione. (pp. 180-181) *{{NDR|Su ''[[Ignazio Silone#Uscita di sicurezza|Uscita di sicurezza]]''}} Come documento umano, non ne conosco di più alti, nobili e appassionati. Fenomeno unico, o quasi unico, fra gli sconsacrati del comunismo che di solito non superano mai più il trauma e trascorrono il resto della loro vita a ritorcere l'anatema, Silone non recrimina. Egli rifiuta i grintosi e uggiosi atteggiamenti del moralista, o meglio ne è incapace. Domenicano con se stesso, è francescano con gli altri, e quindi restio a coinvolgerli nella propria autocritica. Cerca di metterne al riparo persino [[Palmiro Togliatti|Togliatti]]; e se non ci riesce che in parte, non è certo colpa sua. Qui non c'è che un accusato: Silone. E non c'è che un giudice: la sua coscienza. (pp. 186-187) *Noi crediamo di scoprire dei modelli. In realtà non scopriamo che degli antenati. [[Carlo Cassola|Cassola]] s'illude di aver imparato da [[James Joyce|Joyce]] quello che già sapeva. Joyce gli avrà fornito, al massimo, qualche mezzo tecnico per esprimerlo. Uno [[scrittore]] vero (e Cassola lo è) non cerca in un altro scrittore che se stesso. (p. 207) *{{NDR|Su [[Enrico Mattei]]}} Egli amava solo il [[potere]], e l'amore del potere esclude tutti gli altri. (p. 265) *{{NDR|Su [[Giulio Andreotti]]}} Andava anche, mi dicono, a messa insieme a lui {{NDR|[[Alcide De Gasperi|De Gasperi]]}}, e tutti credevano che facessero la stessa cosa. Ma non era così. In chiesa, De Gasperi parlava con Dio; Andreotti col prete. Era una divisione di compiti perfetta. (pp. 271-272) ==''Indro al Giro''== ===[[Incipit]]=== Il destino è stampato sulla carta d'identità e scritto nelle stelle. Indro Montanelli nasce il 22 aprile 1909, il primo Giro d'Italia prende il via il 13 maggio 1909. Stesso anno, stesso segno zodiacale: Toro. Potevano, queste due creature quasi gemelle, non percorrere un tratto di strada insieme? Potevano ignorarsi? ===Citazioni=== *Come i bersaglieri quando smettono di correre, così i ciclisti, quando cessano di pedalare ingrassano. *Il [[Giro d'Italia]] parla milanese, anche se poi, a vincerlo, è qualche toscano o qualche romagnolo. *I corridori sono come [[Anteo]]: il contatto con la loro terra gli dà forza. *Ma sapete voi con precisione che cosa sia una fuga, lo sapete? Non lo sapevo nemmeno io prima di vederla. Credevo che fosse l'uomo che, a un certo punto, si mette a pedalare più forte degli altri e li semina per via. Errattissima nozione. La fuga è invece un grande urlo e un gesto disperato che mettono d'improvviso in confusione tutta la carovana del Giro. *Quello della bicicletta è un mondo buono: e credo sinceramente che venga da questa bontà il fascino ch'esso esercita sulle folle. *Lasciatelo com'è questo Giro provinciale e festoso: lo sport di un popolo che, nella corsa verso il progresso meccanico, è rimasto alla bicicletta, tappa intermedia fra il cavallo e l'automobile, ritrovato artigiano e arnese di famiglia. *Se Parigi avesse il mare sarebbe una piccola Bari, ma non saprebbe accogliere i forestieri con tanto calore e sportiva cordialità. *Leoni, che oltre a tutto è un bellissimo ragazzo, ha una fidanzata la quale gli scrive raccomandandogli di non vincere, altrimenti troppe ragazze lo abbracciano porgendogli i fiori. Leoni è innamoratissimo della sua fidanzata ma non è certo per obbedire a lei che non vince. È solo per obbedire a [[Fausto Coppi|Coppi]] e restargli a fianco. *Gli assi possono permettersi di arrivare ultimi. E lo fanno senza risparmio. Possono permettersi di disprezzare i loro adoratori e lo fanno senza ritegno. L'adorazione rimane. *I corridori di bicicletta sono gente semplice, che non è mai stata in collegio. [...] Nessuno ha insegnato loro i dettami dello stile e della cavalleria. Li posseggono per natura. Difficilmente essi cercano di sminuire la vittoria dell'avversario e non gliene serbano rancore. Sono capaci di delicatezze che non credo esistano negli altri sport. *I corridori non si dovrebbero sposare; e, quando lo fanno, dovrebbero scegliere delle donne brutte. *È la specialità dei padri quella di sognare per i figli i trofei che loro non convengono, ed è la specialità dei figli quella di procurarsi trofei che ai loro padri non piacciono. ==''Le nuove Stanze''== *Ribadisco la mia avversione alla pena di morte. Ma non me la sento d'impartire lezioni a chi tuttora la pratica. Non mi pare che, con la Giustizia che ci troviamo in casa, noi italiani possiamo impartire lezioni agli altri. (p. 46) *Toglietevi la parrucca, cari storici italiani. E invece di continuare a parlarvi tra voi, parlate, andando incontro alle sue curiosità, alla gente comune, quella che ha più bisogno del vostro sapere, e che sa benissimo distinguere il volgare pettegolezzo dall'aneddoto illuminante, di cui gli storici stranieri, soprattutto inglesi, compreso [[Denis Mack Smith|Mack Smith]], sanno fare buono e largo uso. (p. 81) *Io non sono piemontese né savoiardo, e la tradizione della mia famiglia è, caso mai, repubblicana. Ma la verità sono abituato a rispettarla, e non ad accomodarmela secondo i miei gusti e pregiudizi. Nel '46 votai monarchico non perché ero amico di Umberto e di Maria José, che sarebbero stati un Re e una Regina esemplari. Ma perché capivo ch'essi rappresentavano l'unico filo che ci legava all'unica nostra tradizione nazionale: il Risorgimento. La rigiri come vuole [...] ma la verità è questa: che senza Risorgimento non esiste una Storia nazionale italiana, e senza i Savoia non esiste Risorgimento. Ecco perché io dico e ripeto che la Repubblica italiana può tenere i Savoia [...] fuori dal territorio italiano. Ma chi tenta di estrometterli dalla Storia d'Italia, se non è un analfabeta è certamente un falsario. (pp. 112-113) *{{NDR|[[Luigi Cadorna]]}} Fu un generale di grande e inflessibile carattere, ma non un grande stratega. La sua fu dal primo all'ultimo giorno una guerra «di posizione», e quindi di logoramento, muro contro muro. Una «manovra» non la tentò mai, anzi non la concepì nemmeno. Stava [...] al «Regolamento», secondo il quale «le battaglie si vincono sulle cime». Sicché quando arrivò un battaglione tedesco al comando di un giovane capitano di nome Rommel che [...] s'insinuò nottetempo nelle valli, tutto il nostro schieramento ne venne preso alle spalle, e si liquefece, consentendo a Rommel di arrivare fino al Piave, dove si fermò: non per la resistenza dei nostri [...] ma per la mancanza di rifornimenti e di munizioni, che non avevano fatto in tempo a seguirlo. (pp. 118-119). *Quanto alla somiglianza fra noi e gli spagnoli, sì, c'è. Io, in Spagna, mi sento come a casa mia. Una sola cosa ci trovo in più: una dimestichezza con la morte che dà ai valori della Vita (la Dignità, il Coraggio, l'Onore) un peso ben diverso da quello che hanno da noi. E glielo invidio tanto. (p. 157) *Quanto alla sua supposizione che, se non ci fossero stati i russi, gli Alleati non avrebbero potuto sbarcare in Normandia e salvare i loro regimi democratici, mi permetta di sorriderne. Hitler perse la [[Seconda guerra mondiale|guerra]] prima ancora di dichiararla, quando scatenò la persecuzione razziale, che mise il mondo di fronte alla pretesa della sua «razza eletta» al dominio del pianeta e costrinse alla fuga il fior fiore della Scienza ebraica, che diede all'America la bomba atomica, la quale avrebbe reso superfluo anche lo sbarco in Normandia. (pp. 177-178) *In [[Alessandro Pavolini|Pavolini]] [...] è riassunto il dramma di una generazione che nel fascismo era cresciuta [...] e si sentiva impegnata a crederci anche in quell'ultima disperata fase. In lui ritrovo un po' di quel [[Berto Ricci]] [...] che, partendo volontario per la Libia, mi disse: «Una volta, nella vita, ci si può convertire. Io già lo feci rinnegando, per il fascismo, il mio passato di anarchico. Ora col fascismo devo morire». E morì. (p. 192) *Come lei certamente sa, furono i russi a giungere per primi sul famoso bunker di Berlino, fra le cui macerie si diedero subito a cercare il cadavere del Fuhrer, e lo trovarono, ma quasi completamente carbonizzato (egli aveva lasciato ai suoi l'ordine di bruciarlo con una tanica di benzina). D'intatto era rimasto solo il teschio con la sua dentatura costellata di ponti e protesi. Immediatamente fu ricercato e trascinato sul posto l'odontoiatra che glieli aveva sistemati. Dapprima gli fu chiesto in cosa erano consistiti i suoi interventi. Poi vi fu messo davanti, e lui li riconobbe senza esitazioni. Quel giorno il poveretto non tornò a casa. Dopo alcuni anni si seppe che esercitava il suo mestiere in non so quale città di provincia russa, ma sotto stretto controllo della polizia. Dopo qualche altro anno poté tornare in Germania, ma in [[Repubblica Democratica Tedesca|quella comunista]], sotto il controllo di una polizia ancora più efficiente di quella sovietica, e lì morì, non so quando. Perché i sovietici vollero sempre mantenere quel segreto? Perché alla loro propaganda [...] faceva comodo accreditare la favola di un Hitler salvato dagli americani, che lo tenevano sotto naftalina in qualche loro dorato ripostiglio per poterlo un giorno utilizzare in una nuova guerra contro la Russia. (pp. 257-258) *Da anticomunista, oserei dire «storico» quale mi considero, io sono pieno di rispetto sia per i Nagy nostrani quali i D'Alema e i Veltroni, che per i Kádár, quali i Cossutta e i Diliberto. Non so se come classe dirigente siano il meglio. Ma come sincerità di conversione democratica, ci credo (come credo, intendiamoci, a quella di un Fini, anche se viene da un passato molto meno intenso, drammatico e dilacerante di quello comunista). (p. 306) *{{NDR|A [[Mario Tuti]]}} Ho ben presente [...] il suo nome e il suo volto, e le azioni terribili che lei ha compiuto. [...] Da come scrive [...], lei è in grado di capire [...] quello che dico. È vero che «sul nemico vinto non si infierisce»: ma il sangue non si cancella con la gomma delle parole. Solo le vittime possono concedere il perdono; e io non sono stato, fortunatamente, davanti al mirino della sua pistola. Solo la giustizia può concedere sconti: e io non sono un magistrato. Non ho invece difficoltà a condividere una sua osservazione: alcuni disgraziati [...] sono più disgraziati di altri. E [...] i disgraziati di destra se la passano peggio dei disgraziati di sinistra, che hanno di solito qualche amico di gioventù ben piazzato, in grado di dare una mano. Ma il perdonismo peloso di alcuni non può giustificare la distrazione di tutti. (p. 322) *[[Yasser Arafat|Arafat]] non ha mai avuto né uno Stato, né un esercito, né un titolo che lo qualificassero a parlare a nome del suo popolo. Erano il carisma, l'autorità, il prestigio suoi personali che gli permettevano di svolgere questo compito. Ma questo dipendeva dal fatto che il suo popolo glieli riconosce in quanto si sente da lui «rappresentato». [...] Io sono e mi sento profondamente filo-israeliano perché negli ebrei riconosco i miei fratelli e in molte cose anche i miei maestri (anche se non sempre facili). Ma appunto per questo apprezzo ed ammiro gli Hussein, i Sadat e gli Arafat. Ai quali si possono anche rimproverare degli errori nella conduzione della loro politica. Ma non certo le intenzioni e il coraggio. Arafat è brutto [...] e non so come facciano i suoi amici (e i suoi nemici) [...] a ricambiarne i baci. Ma di quelli suoi credo proprio che ci si possa fidare. Che Dio, anzi Allah, ce lo mantenga ancora per molti anni. (pp. 387-389) *Come veterano del ''Corriere'' e un po' depositario della tradizione di una certa civiltà nei rapporti fra i suoi uomini, io rimasi offeso non dal licenziamento di Spadolini [...] ma dall'insolito modo – che io definii appunto «guatemalteco» – in cui era stato trattato e da cui trapelava la mano di un [[Giulia Maria Crespi|editore]] che, anche se portava il nome di quello vecchio [...], intendeva introdurre nuove regole nella gestione del giornale, di cui era praticamente diventata [...] la titolare. E lo dissi, e lo scrissi, e lo ripetei in varie interviste. Forse tuttavia questo strappo si sarebbe potuto rammendare se il cambiamento del direttore non avesse comportato anche un cambiamento di linea politica che saltava agli occhi di chiunque non volesse tenerli chiusi. [...] Quando dal ''Giornale'' uscii per ragioni abbastanza analoghe a quelle che mi avevano spinto fuori da via Solferino, il primo a venirmi incontro fu il direttore del ''Corriere'', Paolo Mieli, che [...] mi offrì il suo posto: un gesto che non dimenticherò mai. Avrei potuto [...] accettarlo solo a titolo onorario. Ma non potevo abbandonare gli uomini che ancora una volta mi avevano seguito. Da quel momento però fu chiaro che il ''Corriere'' era ridiventato quello che noi, vent'anni prima, avremmo voluto che restasse. Ecco perché, al termine delle mie battaglie e delle mie sconfitte (che considero il mio blasone), sono tornato al ''Corriere''. (pp. 406-408) *I politici della Sinistra, compresi i componenti dell'attuale «squadra» governativa sono dieci, venti, cento volte meglio della loro ''intellighenzia''. Anche se dicono fregnacce, le dicono a bassa voce, senza salire in cattedra, di dove l'''intellighenzia'' invece non scende mai, nemmeno per andare in bagno. (pp. 477-478) *Spero che ora avrai capito cos'è la mia dichiarazione di voto: non un sì all'Ulivo, da cui spero poco, ma in compenso non temo niente; ma il no a un Polo che, se riportasse davvero la schiacciante vittoria che si aspetta il suo ''Caudillo'', potrebbe creare nel nostro Paese una situazione davvero inquietante. Un voto di difesa sarà dunque il mio, come lo è sempre stato da oltre cinquant'anni a questa parte. (p. 496) *Sappi soltanto che, passato per una ventina di anni – quelli del ''Giornale'' – per «fascista» e negli ultimi dieci per «comunista», me la rido di entrambe le etichette. (p. 536) ==''Le Stanze''== ===[[Incipit]]=== Di tutta la mia attività giornalistica [...] considero questi colloqui col lettore come l'impegno che mi è riuscito meglio, o meno peggio. Se qualcuno mi chiedesse: «Cosa vorresti che, dopo di te, di te rimanesse?», risponderei senza esitare: «Questi colloqui». Mi rendo conto che un'affermazione del genere può apparire demagogica: in fondo, perché dovrei preferire queste risposte quotidiane [...] alla ''Storia d'Italia'' o agli ''Incontri''? È presto detto: perché, grazie a lettere e risposte, ho potuto restare vicino ai miei lettori, che mi hanno ricordato – con più o meno garbo, ma sempre con affetto – quello che un giornalista non deve mai scordare: che i padroni sono loro. ===Citazioni=== *Io non ho mai conosciuto un conservatore inglese che abbia mosso a Churchill il rimprovero di essersi alleato con Stalin – altro che il naso dovette strizzarsi! – quando le armate di Hitler spazzavano tutta l'Europa. Ma trovo ancora degl'italiani [...] che danno la colpa a me dello stato di necessità in cui ci trovammo nel '48 e nel '76 e che rendeva obbligata la nostra scelta. Oggi che il muro di Berlino ci ha liberato dall'incubo del comunismo [...], è facile fare processi a chi non aveva in mano altra arma elettorale che il voto alla Dc. Ed una cosa mi chiedo: tutti questi intransigenti eroi dell'anticomunismo, che oggi mi scrivono lettere d'insulti accusandomi di averlo tradito, dov'erano al tempo del comunismo vero, quando io ero uno dei pochissimi a combatterlo di fronte [...], e loro, incontrandomi per strada, fingevano di non conoscermi? (p. 12) *Hiroshima, se fossi americano, non porrebbe [...] nessun caso di coscienza. L'arma atomica era in fase di studio e di preparazione sia in Germania che in America, e si poteva supporre che lo fosse anche in Russia e in Giappone. Avrebbe vinto la guerra e deciso le sorti del mondo chi ci fosse arrivato per primo. Hiroshima fece della popolazione civile, dicono, duecentocinquantamila vittime. Quante ne risparmiò inducendo alla resa i giapponesi che sembravano vicini all'olocausto? E quanto servì a smorzare la pretesa sovietica d'imporre il suo «diktat» a tutta l'Europa? [...] Essa a tal punto sorprese Stalin che dapprincipio non ci volle credere [...]. Nessuno può applaudire un massacro come quello di Hiroshima né andarne fiero. E posso capire come coloro che vi hanno partecipato dandone l'ordine o eseguendolo possano aver avuto dei problemi di coscienza. Ma gli aviatori inglesi che rasero al suolo l'inerme Dresda abitata solo da civili, facendo tra di loro pressappoco lo stesso numero di vittime che a Hiroshima, questi problemi, da quanto se ne sa, non li ebbero. Forse che la guerra all'atomo è più crudele di quella al fosforo? (p. 62) *De Gasperi non fu mai uomo di partito. E fu proprio per questo che riuscirono ad emarginarlo con tanta facilità, relegandolo in una Presidenza grondante omaggi ed ex voto, ma priva di qualunque potere reale. È vero che lui non lottò, anche perché era ormai a corto di fiato. Glielo toglieva non solo l'azotemia, ma anche il fallimento della Ced, la Comunità Europea di Difesa su cui De Gasperi fondava [...] i suoi sogni di salvezza e di grandezza europea, che i francesi di Mendès-France condannarono al naufragio. [...] De Gasperi era uomo di Stato, l'ultimo che l'Italia ha avuto dopo Giolitti. Ecco perché [...] non ha né può avere eredi. (p. 86) *{{NDR|[[Che Guevara]]}} Era uomo di Rivoluzione, che mai si sarebbe rassegnato ad una comoda esistenza di ben pasciuto gerarca. Doveva tornare alla Rivoluzione, pur consapevole della sua impossibilità in Paesi che lui ben conosceva, ma appunto proprio per questo: per cercare una morte coerente con la sua vita. [...] Avessi trenta o quarant'anni di meno, anch'io forse avrei nel mio modesto appartamento una stanza attrezzata a mausoleo del Che, e lo conserverei come souvenir di un Sogno sbagliato, ma pulito, e comunque pagato. È a coloro che non vogliono mai pagare nulla che va tutto il mio disprezzo. (p. 121) *Non mi stupirei [...] se il ragazzotto Clinton, nei suoi anni da governatore, avesse ingannato la noia dell'Arkansas inseguendo le minigonne di passaggio. [...] Il paragone con Berlusconi mi sembra un po' stiracchiato. Se Clinton venisse trovato colpevole, sapremmo che è un adultero (affari suoi); se Berlusconi venisse condannato, sapremmo che è un corruttore non occasionale (affari anche nostri, dal momento che s'atteggia a statista). (p. 154) *Mi permetto solo di aggiungervi qualcosa sull'imbecillità, l'ipocrisia e i vaniloqui delle nostre «anime belle» pronte a cadere in deliquio e a mobilitare le piazze per un O'Dell che, anche se qualche tenue dubbio sulla sua colpevolezza poteva sussistere, uno stinco di santo certamente non era, e per una Karla Tucker, rea confessa, anche se poi arcipentita e sinceramente convertita al credo della carità cristiana (e, sia chiaro, anch'io avrei per entrambi preferito la revoca della pena di morte); ma sono rimaste impassibili o quasi di fronte alla proposta condanna di lapidazione (di lapidazione!) di un cittadino tedesco e della sua compagna iraniana, rei di aver fatto l'amore (soltanto l'amore). Queste sono le nostre «anime belle» laiche ed ecclesiastiche, pronte a commuoversi e a sproloquiare contro la sedia elettrica americana [...], ma indifferenti alla lapidazione [...] per una «contaminazione» di lenzuola cristiane e musulmane. Io [...] queste anime belle – che oltre tutto hanno quasi sempre delle facce bruttissime e jettatorie – le odio di un odio viscerale. (p. 206) *Sul nemico vinto e che si riconosce vinto non s'infierisce. In fondo questi brigatisti hanno avuto, nella sconfitta, una loro dignità. Non sono dei «pentiti» al modo dei mafiosi e camorristi che si pentono per procurarsi dei vantaggi e denunziano i propri ex compari. Non sono dei delatori. Sono, a loro modo, dei prigionieri di guerra, di una guerra grazie a Dio finita con la nostra vittoria, e che quindi, sia pure con le debite precauzioni, possiamo rimandare a casa. Non è vero che non hanno pagato: me ne citi uno che non abbia scontato quindici o vent'anni di galera e che non ne abbia distrutta la vita. Qualche sconto possiamo farglielo: la generosità è segno di forza, non di debolezza. (pp. 283-284) *In una società «aperta» come la nostra, che rende impossibile qualsiasi controllo e in cui il sequestro è un'industria di antica tradizione che dispone di un personale altamente specializzato; e con una Giustizia che invece di affibbiare un ergastolo senza indulgenza ai colpevoli, si accontenta di infliggergli qualche anno alleviato dai permessi di libera uscita; cosa possono fare le forze dell'ordine? Starebbe a noi cittadini trovare quella di resistere al ricatto. Da noi italiani tenerelli non si può pretendere tanto? E sia. Ma allora abroghiamo la legge. Perché, come italiano, nulla mi ha mortificato di più che sentire [...] [[Giovanni Maria Flick|un ministro della Giustizia]] e alcuni dei più alti dignitari della toga proporne un'interpretazione che costituiva un chiaro invito a evaderla suggerendo il cavillo a cui ci si poteva aggrappare per legalizzare la contravvenzione. [...] No, a questo non ci sto. Cerchiamo almeno di avere il coraggio della nostra vigliaccheria riconoscendo che, dati i pericoli che possono comportare, i risoluti «No!» al sopruso non appartengono al nostro armamentario caratteriale, e aboliamo la legge. Ma non perché è sbagliata: in sé quella legge è sacrosanta. Ma perché noi cittadini non abbiamo la forza di adeguarcisi e coloro che dovrebbero imporcerne l'osservanza [...] ci suggeriscono il modo di evaderla. Questo è il cosiddetto «Paese reale». (p. 286) *Che un processo possa essere oggetto di revisione è, per il cittadino, una garanzia irrinunciabile, specie quando si tratta di processi indiziari, e quindi rimessi a valutazioni soggettive e pertanto sempre discutibili. Nessuno è infallibile, nemmeno i giudici, e quindi il diritto di appello è sacrosanto. Quello che sacrosanto non è, sono gl'interminabili tempi che questa operazione solitamente richiede, dovuti a due motivi chiaramente visibili: i grovigli procedurali in cui il processo è avvolto, delizia del genio cavillesco italiano, e l'inefficienza del personale che vi è addetto. (p. 327) *Che cosa io pensi dell'onorevole [[Cesare Previti|Previti]] mi pare di averlo detto in termini talmente espliciti da apparire – a più d'uno – brutali: un personaggio che solo a guardarlo in faccia verrebbe voglia di applicargli le manette ai polsi prima ancora di sapere chi è e cosa ha fatto. (p. 356) *Non credo che, all'apertura totale delle frontiere, avremo un Parma composto soltanto di irlandesi, o una Cremonese modello ellenico. Avremo invece un vero mercato, dove il costo e lo stipendio di un professionista verranno stabiliti in base alla domanda e all'offerta. È questo ridimensionamento, mi sa, che non piace ai calciatori nostrani. Non la «sottoutilizzazione delle risorse sportive nazionali e locali». Non penso che i nostri calciatori abbiano altri motivi di preoccuparsi. Perché mai dovrebbero venire accantonati? Sono tra i più bravi del mondo, e la bravura, per un professionista (che calci una palla o calchi una scena), è la garanzia migliore. (p. 379) *Le mie dimissioni da italiano sono soltanto quelle da una grande illusione: quella che l'Italia fosse una Patria da potere in qualche modo servire. Io, pur commettendo parecchi errori, ho cercato di farlo. Ma forse, di questi errori, il più grosso è stato quello di credere che fare si potesse. A consolarmene c'è una cosa sola: che questo errore lo hanno commesso tutti i migliori uomini che l'Italia ha avuto nel suo secolo e mezzo di vita unitaria. (pp. 410-411) ==''Pantheon minore''== ===[[Incipit]]=== '''Einaudi'''<br>Avendo saputo che sollecitavo l'onore e il piacere di incontrarlo, il Presidente, che non mi aveva mai visto, trovò del tutto naturale invitarmi a colazione. «Quando vuol venire?» mi fece chiedere, «giovedì mattina, per esempio?» Giovedì voglio stappare una nuova bottiglia del mio 'barolo' e ci sarà anche la signorina Barbara Ward dell{{'}}''Economist''. Vino piemontese, giornalismo ed economia politica, pensa: sarebbe difficile sorprendere [[Luigi Einaudi|Einaudi]] in una cornice più einaudiana di questa. ===Citazioni=== *{{NDR|Luigi Einaudi}} E in quei pochi minuti aveva ancora tante cose da dire a due giornalisti per ricordare loro, [[Alessandro Manzoni|manzonianamente]], che l'[[uomo]] è «buono», come dice [[Jean-Jacques Rousseau|Rousseau]], ma tale può diventare solo in grazia delle buone istituzioni (in ciò consiste la sua posizione conservatrice e cattolicamente pessimistica). *[[Ingrid Bergman]] è forse la sola persona al mondo che non consideri Ingrid Bergman un'attrice completamente riuscita e definitivamente arrivata. (p. 195) *Non ho mai visto in vita mia, nemmeno nei film di cui la Bergman è protagonista, una donna così trasparentemente pulita. (p. 195) *Ogni buon [[padre]] di [[famiglia]] deve, al principio della giornata, sapere quanto la famiglia ha in cassa e quanto può spendere.<br>Einaudi conosce a memoria le cifre dell'economia italiana, come i re che lo precedettero conoscevano a memoria i nomi e i motti dei reggimenti. *«''Venez, mademoiselle, venez''», disse [[Anatole France]] a [[Emma Gramatica]] che, poco più che ventenne, si trovò un giorno a viaggiare con lui in automobile a Palermo, e aveva paura di essere troppo ingombrante sul sedile. «''Vous êtes comme les anges, qui n'ont pas de derrière!''»<br>Qualcosa come mezzo secolo dev'esser trascorso da allora, ed Emma somiglia un po' meno a un angelo, ma grassa non la si può dire nemmeno adesso. La vita che mena, d'altronde, non lo consentirebbe di diventarlo. Alla sua età, ha girato per tre anni consecutivi, tutti i teatri dell'America del Sud, volando da Buenos Aires a Santiago, da Santiago a Lima, da Lima a Caracas, e recitando una sera in italiano e la sera dopo in spagnolo, lingua che, sino al momento di partire, ignorava totalmente. Ora è tornata per girare un film con [[Vittorio De Sica|De Sica]], e sono fatiche a cui molti giovani non resistono. *Il [[fascismo]] trovò, tra i suoi oppositori più accaniti, [[Mario Missiroli]], che si batté a duello con [[Benito Mussolini|Mussolini]]. Egli non credette alla [[forza]] e al successo delle «camicie nere» fino al [[giorno]] in cui, mentre cercava faticosamente di salire sul tram, uno squadrista che lo incalzava, dopo avergli inflitto una serie di spintoni, non gli ebbe affibbiato, in risposta alle sue proteste, due sonori schiaffi che gli fecero volar via gli occhiali cerchiati d'[[oro]]. Mario li raccolse con [[dignità]], vi fiatò sopra, li ripulì col fazzoletto e concluse in tono ammirativo: «Però!... Picchiano bene, veh!...» ==''Qui non riposano''== *{{NDR|Sulla [[guerra d'Etiopia]]}} Quella fu una guerra ideale, la guerra-tipo della borghesia italiana: con pochi morti e molte medaglie. Io presi a capirne la miseria solo all'ultimo capitolo: quando, per la marcia su Addis Abeba, cominciarono a piovere dall'Italia e da Asmara gerarchi e aspiranti gerarchi, smaniosi di gloria a buon mercato: e Badoglio dovette emanare un ordine per cui solo chi presentava "un biglietto di autorizzazione" poteva marciare sulla capitale nemica. Solo in tempo fascista si poteva escogitare un finale di guerra con un biglietto per la capitale nemica. (pp. 107-108) *Io non volevo far politica. Ha il diritto un uomo della strada di non far politica? Ha il diritto un uomo della strada a dire che il governo ha fatto bene a far questo e male a far quest'altro? Ha diritto un giornalista, che è un uomo della strada, il quale va a vedere e riferire le cose per conto degli altri uomini della strada, ha il diritto di riferire che i fatti si svolsero così e così, e che in essi c'era tanto il bello e tanto il brutto, tanto di giusto e tanto d'ingiusto? No, il [[fascismo]] disse che un uomo della strada non ha tutti questi diritti. Ecco perché diventai antifascista. Non perché al posto di [[Benito Mussolini|Mussolini]] ci volevo un altro, ma perché non ci volevo nessuno. Io volevo stare alla finestra, come stanno i giornalisti, mestiere di spettatore e non di attore.<ref>Citato in Paolo Granzotto, ''Indro Montanelli'', p. 92.</ref> (p. 189) *[...] volevo avere il diritto di non pensare alla [[politica]], di disinteressarmi della politica, perché la politica la gente dabbene non la fa. La gente dabbene lavora in ufficio, viaggia, commercia, produce, ama una donna che può anche essere sua moglie (come è il mio caso), ama i suoi figli, ama la sua casa, paga le tasse, e di politica ne parla un quarto d'ora al giorno. (p. 190) == ''Ricordi sott'odio'' == *''Non piangete | per | [[Cesare Zavattini]] | ha già pianto | lui per tutti noi.''<ref name=ricordi>Il libro raccoglie gli "epitaffi" scritti su personaggi al momento viventi (talvolta insieme a [[Leo Longanesi]]) e quasi tutti inediti.</ref> (p. IV dell'Introduzione di Marcello Staglieno) *''Qui | per la prima volta | [[Alida Valli]] | giace | sola''.<ref name=ricordi/> (p. 11) *''Qui | riposa | [[Amintore Fanfani]] | amico | dei nemici | nemico | degli amici | figlio | di [[Alcide De Gasperi|De Gasperi]] | padre | di nessuno.''<ref name=ricordi/> (p. 31) *''Qui | riposa | [[Mario Melloni]] | inquieto | transfugo | di sé stesso | momentaneamente | scomparso | a sinistra | in cerca | di una croce | su cui | inchiodarsi.''<ref name=ricordi/> (p. 65) *''Qui giace | Alba {{ndr|[[Alba de Céspedes]]}} | scrittrice scialba. | Divorò uomini e gloria | La Boria | la divorò''.<ref name=ricordi/> (p. 95) *''Qui | riposa | [[Mario Soldati]] | padre | figlio | autore | regista | interprete | di | Mario Soldati.''<ref name=ricordi/> (p. 123) *''Qui giace | [[Davide Lajolo]] | Segretario federale | Legionario di Spagna | Repubblichino di Salò | chiese | di passare all'anilina | la sua camicia nera. | E com'era | Rimase.''<ref name=ricordi/> (p. 179) *''In pace | qui giace | orbato | d'orbace | [[Achille Starace]].''<ref name=ricordi/> (p. 181) ==''Soltanto un giornalista''== *Da quando ho cominciato a pensare, ho pensato che sarei stato un giornalista. Non è stata una scelta. Non ho deciso nulla. Il giornalismo ha deciso per me. E questa è stata una delle mie tante fortune, posto che tutto quel che ho fatto lo debbo soprattutto a un alleato ch'è sempre rimasto al mio fianco: il caso. (p. 5) *Per sua disgrazia, [[Massimo Bontempelli|Bontempelli]] fu nominato accademico d'Italia da un fascismo che puzzava già di morto. Eletto senatore nelle liste del Fronte popolare dopo la guerra, non esitò a pronunziare giudizi brucianti su chi aveva collaborato col regime. Quel voltafaccia gli costò caro, perché a un certo punto saltarono fuori le lettere che aveva scritto a Mussolini per impetrare la sua nomina: i comunisti lo scaricarono e lui cadde in un tale stato di prostrazione da morirne. (p. 26) *A Salò ci fu di tutto. Ci furono le squadracce assetate di vendetta e di saccheggio che provocarono il disgusto agli stessi tedeschi. Ma anche uomini per i quali quello fu il banco di prova d'una coerenza e d'una lealtà che non possono non incuter rispetto. E l'unica ragione per la quale benedico le mie cosiddette benemerenze antifasciste è che mi han dato il diritto di difenderle. (p. 119) *Il 2 giugno del '46, giorno del referendum istituzionale, votai per la monarchia. Lo feci perché ritenevo fosse pericoloso recidere il tenue filo che legava l'Italia all'unica sua tradizione nazionale: quella monarchica, appunto. L'Italia non s'era "fatta da sé", come pretendeva la nostra storiografia ufficiale. Era stata fatta dalla monarchia sabauda guidata dal genio diplomatico d'un suo diplomatico, Cavour, che voleva estendere il Regno di Sardegna al Lombardo-Veneto. Se poi ci scappò fuori l'Italia, non fu grazie al contributo degl'italiani, che non ne diedero punto. Fu perché la storia dell'Europa andava verso la costituzione degli Stati nazionali, e condannava a morte quelli plurinazionali come l'Impero austriaco. [...] Al posto di quel patrimonio, sia pure modesto, cosa prometteva la Repubblica? Si presentava come depositaria dei valori della Resistenza, un mito ancora più falso di quello del Risorgimento. Che non era stata affatto, come pretendeva d'essere, la lotta d'un popolo in armi contro l'invasore, bensì una lotta fratricida tra i residuati fascisti della Repubblica di Salò e le forze partigiane, di cui l'80 per cento si batteva (quasi mai contro i tedeschi) sotto le bandiere d'un partito a sua volta al servizio d'una potenza straniera. (pp. 125-126) *Un'altra scelta s'era imposta, quella delle elezioni del '48. Per l'Italia era una scelta vitale: o con l'Est o con l'Ovest, ossia con i totalitarismi rossi oppure con le democrazie occidentali. Ergo, o con il Fronte popolare oppure con la Dc. E lì ebbe inizio il mio dramma, ch'è poi quello eterno del laico italiano: il quale, messo davanti al boia, vede comparire al suo fianco il prete che solo può salvarlo. (pp. 135-136) *Mi proposi due obiettivi, entrambi falliti: il primo era farmi intentare un processo dagli amministratori della città che attirasse l'attenzione sui pericoli che [[Venezia]] stava correndo. Il secondo era rendere pubblica la convinzione che m'ero formato: che per salvare Venezia la prima cosa da fare era sottrarla allo Stato italiano e affidarlo a un organismo internazionale come l'Onu, con le sue cospicue possibilità finanziarie e i suoi agguerriti uffici tecnici. [...] Il Comune di Venezia non aveva più nulla di veneziano, salvo la sede. A dominarlo erano gli elettori di Mestre e Marghera, che con quelli di Venezia si trovavano nella proporzione di tre a uno, e dalla loro avevano tutto: i soldi delle industrie, i sindacati e quindi anche i partiti. Decidendo di restare amministrativamente unita, Venezia ha preferito mettersi al rimorchio delle ciminiere e petroliere di Marghera, alle quali ha sacrificato il suo delicatissimo sistema idraulico. Fu allora che, con grande amarezza, feci atto di rinunzia a Venezia, convinto come ero, e come son rimasto, che una città si può salvare solo se sono i suoi abitanti a volerlo. (pp. 216-217) *Una sera, uscendo solo soletto dal «Giornale», mi trovai davanti il solito muro di folla tumultuante con le bandiere rosse spiegate. Dalla piazza si levò un urlo: «Tel chi el Muntanel!». In un attimo cinquanta scalmanati mi s'avventarono contro. Temendo il linciaggio, arretrai fino a trovarmi con le spalle al muro. Ma non feci in tempo a dire be' che mi ritrovai issato in spalla a una mezza dozzina d'energumeni, fra salve d'evviva. Erano i tifosi del [[Torino Football Club|Torino]] che quel giorno {{NDR|16 maggio 1976}} aveva vinto lo scudetto, e le bandiere non eran rosse, ma granata. E siccome i cronisti sportivi del «Giornale» erano sempre stati favorevoli al Torino, m'acclamavano come un loro idolo. (p. 241) *La Dc era il partito dei maneggi e dell'inefficienze. Ma se avesse perso il 4 o il 5 per cento dei suoi voti, il partito di maggioranza relativa destinato a formare il nuovo governo sarebbe diventato quello comunista. Ch'era ancora molto pericoloso. Perché è vero che in Italia c'era Berlinguer, ma io sapevo bene che col comunismo d'allora poteva ancora succedere di tutto: bastava un cambiamento al vertice e un Berlinguer poteva diventare un [[Alexander Dubček|Dubček]] come un [[Walter Ulbricht|Ulbricht]]. Il «Giornale» era certamente laico, ma prima di essere laico era italiano, e cercava d'operare con qualche senso di responsabilità. E negli anni Settanta solo gl'irresponsabili potevano augurarsi il crollo della Dc, cui eravamo condannati anche perché la cosiddetta Alleanza laica, l'accordo fra Pli, Pri e Psdi, non sortì mai i numeri per sostituirvisi. (pp. 243-244) *Ci fu un'unica battaglia sulla quale il «Giornale» si trovò allineato con Craxi e il nostro editore: quello per la libertà d'antenna. Battaglia sacrosanta. Berlusconi è tutt'altro che un idealista disinteressato e nessuno sa agire come lui aggirando, quando non calpestando, le regole. Ma i panni nobili coi quali i difensori della Rai rivestivano la loro offensiva politico-giudiziaria erano grotteschi. Se il peccato di Berlusconi stava nell'essere troppo amico del Psi, quello della Rai era d'essere troppo amica di tutti i partiti. A fornirci il destro furono poi i pretori coi loro interventi oscurantisti, peraltro prontamente sventati dai decreti di Craxi. E quindi la crociata dell'etere libero, che rientrava fra l'altro nella nostra tradizione antistatalista, divenne una campagna contro il "pretore selvaggio", che con i suoi abusi toglieva ogni certezza del diritto al cittadino. (pp. 275-276) *Le vere novità erano nate fuori dal Palazzo: come la Lega di [[Umberto Bossi]]. Che all'inizio anche il «Giornale», come molti altri, sottovalutò. Come si faceva a prender sul serio un invasato che nutriva le sue invettive di sfondoni storici e grammaticali da far accapponare la pelle? [...] Che Roma fosse ladrona, era indubitabile. E l'avversione per la burocrazia parassitaria e per il meridionalismo piagnone e sprecone andava a nozze con le tradizioni del «Giornale». Bossi quindi incarnava un sentimento molto diffuso anche fra i nostri lettori, una protesta genuinamente qualunquista che, per certi versi, all'inizio anche noi appoggiammo. Ma dovemmo prenderne le distanze quando Bossi cominciò a condire le sue contumelie contro il Palazzo con propositi secessionisti. (pp. 279-280) *Con Berlusconi, tuttavia, poi feci pace. Fu lui a telefonarmi: forse, aveva captato in qualche mio articolo un'ombra di rimpianto per il vecchio amico. Era il '96 e dopo il ribaltone le cose per lui si mettevano di male in peggio. [...] Così, una sera mi ritrovai di nuovo seduto alla sua mensa ad Arcore. [...] Riparlammo senza rancore dei nostri trascorsi. Gli domandai quale garanzia avesse ricevuto da [[Massimo D'Alema|D'Alema]] sulle sue aziende in cambio dell'opposizione inesistente che gli assicurava. Rise. «Ma perché, ora che hai sistemato i tuoi affari, non ti chiami fuori dalla politica?» gli chiesi. «È una parola» mi rispose rabbuiandosi. «I giudici non obbediscono neppure a D'Alema». E lì capii quale era, ormai, la vera sostanza del suo dramma. (p. 312) *Se anch'io sono diventato europeista, è per disperazione: l'Europa è forse l'unica possibilità di sopravvivere per noi italiani, che come italiani non siamo riusciti a vivere. Questo è sempre stato l'europeismo degl'italiani di più alta coscienza, a partire da [[Alcide De Gasperi|De Gasperi]], che fu il primo a capire i rischi d'un Italia lasciata in balìa degl'italiani. (p. 315) *Pur fra tante fortune, purtroppo a me la sorte ha riservato di portarmi nella tomba le due cose che ho più amato: il mio mestiere e il mio Paese. Che cosa sia diventato il primo, annientato da computer e televisione, è sotto gli occhi di tutti. Quanto al secondo, la cancrena è ormai inarrestabile e la decomposizione sta avvenendo per dissoluzione di quel poco che resta dello Stato. E dico decomposizione, non secessione. La secessione si fa anche con la violenza, e dove lo troviamo oggi un solo plotone di soldati disposto a imbracciare le armi pro o contro l'Unità dello Stato? Che, se resta ancora in piedi, è solo perché non ha neppure la forza di cadere. Quello di rinunziare alla nazione poi, è un sacrificio che non saprei compiere, anche se razionalmente mi rendessi conto ch'è necessario, oppure inevitabile. E ringrazio l'anagrafe che mi esclude dal problema. (p. 316) ==''Storia d'Italia''== {{vedi anche|Indro Montanelli e Roberto Gervaso|Indro Montanelli e Mario Cervi}} ===''L'Italia giacobina e carbonara''=== *I [[cinismo|cinici]] sono tutti moralisti, e spietati per giunta. (cap. 10, p. 144) *[[Francesco Melzi d'Eril|Melzi]] apparteneva a una delle più grandi famiglie dell'aristocrazia lombarda, e ne portava nel sangue le doti migliori: la rettitudine, la cultura, la cortesia, ma anche una certa alterigia, che probabilmente gli veniva dalla madre spagnola. (cap. 11, p. 152) *{{NDR|Francesco Melzi d'Eril}} Aveva fatto parte dei circoli illuministici dei Serbelloni, dei Beccaria e di Pietro Verri, di cui era anche cognato. [[Napoleone Bonaparte|Napoleone]] lo aveva conosciuto al tempo della sua prima campagna d'Italia, dopo la battaglia di Lodi lo aveva invitato a Mombello, e ne aveva fatto il proprio consigliere. Quel signore che portava ancora il costume settecentesco, le calze bianche e la parrucca incipriata, gli piaceva. Gli piaceva perché non era servile, perché non era venale, perché non era nemmeno ambizioso. Una leggera sordità e una salute piuttosto precaria, insidiata da un forte artritismo, l'obbligavano a riguardi incompatibili con l'esercizio del potere. Più che il protagonista, preferiva fare il suggeritore. (cap. 11, p. 152) *L'unico che avesse qualità di uomo di Stato era il ministro delle finanze, [[Giuseppe Prina|Prina]], anche perché era piemontese, cioè veniva da un paese che uno Stato lo era da secoli. Ex procuratore generale della Corte dei Conti di Torino e membro del governo provvisorio del '99<ref>1799.</ref>, si era poi trasferito nella [[Repubblica Cisalpina|Cisalpina]] e ne aveva preso la cittadinanza. Non aveva un carattere che attirasse simpatie. Anzi, chiuso e freddo com'era, le respingeva. Ma era un lavoratore instancabile e scrupoloso, dotato di un acuto senso politico e – diceva [[Stendhal]] – "ha del grande in testa". (cap. 12, p. 164) *Perché non andassero perse neanche le briciole {{NDR|delle entrate della Repubblica Cisalpina}}, Prina riformò tutto il sistema fiscale riducendone il personale e facendone una macchina di straordinaria efficienza. Fu lui a inventare la "tassa di famiglia", o meglio a ripristinarla, perché la sua vera iniziatrice era stata [[Maria Teresa d'Austria|Maria Teresa]]. Ma la maggior pressione la esercitò nel campo delle imposte indirette che colpivano tutti i consumi senza distinguere fra quelli di lusso e quelli di prima necessità. Naturalmente a farne le spese furono soprattutto le classi popolari, che di lì a pochi anni gliel'avrebbero fatta pagare<ref>Prina, dopo l'abdicazione di Napoleone, fu linciato dalla folla a Milano il 20 aprile 1814.</ref>. Ma con questi sistemi riuscì a portare le entrate da settanta a oltre cento milioni e a pareggiare il bilancio. (cap. 12, p. 165) *[[Carlo II di Parma|Carlo Ludovico]] era stato talmente oppresso dalla madre<ref>Maria Luisa di Borbone-Spagna (1782–1824).</ref> che sognava di disfare tutto ciò ch'essa aveva fatto, compreso il proprio matrimonio; e quando le successe nel '24<ref>Come duca di Lucca nel 1824.</ref>, introdusse anche per buona fortuna dei lucchesi, metodi di governo diametralmente opposti a quelli di lei. Ridusse l'appannaggio che Maria Luisa esigeva per alimentare i suoi fasti spagnoli, liberalizzò i commerci, e alla fine si convertì addirittura al luteranesimo, mentre sua moglie diventava Terziaria domenicana. Fu un cattivo marito, ma non un cattivo sovrano. E Lucca, sotto di lui, respirò. (cap. 25, p. 375) *[...], {{NDR|la [[Carboneria]]}} non fu certo una scuola di educazione politica, e probabilmente è anche al suo esempio e modello che sono dovute le malformazioni della nostra democrazia e la sua intrinseca debolezza. Figli e nipoti dei Carbonari furono quei "notabili" che governarono l'Italia fino alla prima guerra mondiale e che, insieme a innegabili virtù, ebbero anche il vizio di considerare il Paese una "clientela" di Apprendisti esclusi dai "sacri travagli". (cap. 26, p. 395) *Fu qui {{NDR|al Teatro alla Scala}} che {{NDR|[[Ugo Foscolo]]}} vide [[Antonietta Fagnani Arese]], già famosa a ventitré anni non soltanto per la sua bellezza, ma anche per lo sfruttamento intensivo che ne aveva fatto. Probabilmente era una frigida, ma che sapeva recitare la sua parte: tutti i giovani più in vista di Milano cadevano nelle reti di questa Circe, e forse fu anche questo a stimolarlo. (cap. 35, p. 510) *Misto di genio e di ciarlatano, [[Domenico Barbaja|Barbaja]] aveva debuttato come sguattero, aveva fatti primi soldi inventando un dolce di panna e cioccolato, la "barbajada", li aveva moltiplicati con la gestione del Ridotto da giuoco della Scala, e ormai tanti ne aveva che quando il San Carlo andò distrutto da un incendio, lo ricostruì a proprie spese. (cap. 39, pp. 608-609) *{{NDR|Domenico Barbaja}} Era semianalfabeta, e di musica non conosceva una nota, ma conosceva il pubblico, era un infallibile scopritore di talenti, e nel 1815 si assicurò quello di un compositore ventitreenne, in cui già aveva identificato la figura più rappresentativa della lirica contemporanea: [[Gioacchino Rossini]]. (cap. 39, p. 609) *{{NDR|[[Ciro Menotti]]}} Uomo onesto, ma di un candore che sconfinava nella sprovvedutezza, [...]. (cap. 40, p. 635) ===''L'Italia del Risorgimento''=== *{{NDR|[[Giuseppe Mazzini]]}} Due mesi d'intenso lavoro gli bastarono a maturare il piano. Più che una setta, la sua organizzazione sarebbe stata un vero e proprio partito, anche se clandestino, senza l'oscura simbologia e i complicati rituali carbonari. Si sarebbe chiamata ''[[Giovine Italia]]'' e lo sarebbe stata anche di fatto perché, salvo casi eccezionali, era preclusa a chi avesse superato i quarant'anni di età. (cap. 4, pp. 54-55) *D'irresolutezza, [[Carlo Alberto di Savoia|Carlo Alberto]] aveva dato prova anche prima di salire sul trono, e lo aveva dimostrato anche il suo contraddittorio atteggiamento nel '21<ref>Nei moti piemontesi del 1821, Carlo Alberto aveva prima dato e poi ritirato il suo appoggio ai congiurati.</ref>. Il coraggio e la volontà non gli mancavano; ma gli mancava il carattere. Nella guerra di Spagna era stato un valoroso combattente<ref>Nel 1823, Carlo Alberto aveva partecipato alla campagna militare per ristabilire l'assolutismo regio in Spagna.</ref>, e la disciplina a cui si sottoponeva era spartana. Ma le responsabilità morali lo sgomentavano. (cap. 9, pp. 135-136) *{{NDR|Carlo Alberto}} Non era né intelligente né colto. Ma certi movimenti di opinione pubblica e orientamenti di pensiero li coglieva e ne restava influenzato. Nel '38 aveva mandato in galera e poi in esilio [[Vincenzo Gioberti|Gioberti]], ma nel '43 ne leggeva con interesse il ''Primato''. Se [[Massimo d'Azeglio|D'Azeglio]] avesse scritto il suo libro<ref>''Degli ultimi casi di Romagna'' (1846).</ref> due anni prima, avrebbe mandato in esilio anche lui. Ora in pratica ne aveva fatto una specie di agente segreto. I tempi insomma li sentiva e con essi andava. (cap. 9, p. 136) *Questo grande soldato {{NDR|[[Josef Radetzky]]}} non aveva mai conosciuto sconfitte, e a ottant'anni suonati conservava intatte prestanza fisica ed energia morale. Come tutti i militari, credeva soltanto nella spada e nella disciplina. Ma non somigliava affatto all'immagine che di lui ci ha tramandato la storiografia risorgimentale: quella del crudele "impiccatore", del caporalaccio ottuso, grossolano e brutale. Era al contrario un grande signore, di tratto ruvido ma generoso, perpetuamente alle prese con problemi di bilancio perché aveva le mani bucate. (cap. 13, p. 194) *{{NDR|Radetzky}} Aveva sposato una Contessa austriaca che viveva a Vienna e gli aveva dato otto figli da cui non gli venivano che dispiaceri. Uno militava ai suoi ordini lì a Milano, ma era un così cattivo arnese che un prete un giorno lo schiaffeggio per strada. Radetzky mandò a chiamare il prete, gli strinse la mano e gli disse: "''{{sic|Crazzie}}''". Per amante si era presa una brava stiratrice lombarda che sapeva cucinare bene gli gnocchi, di cui era ghiottissimo, e dalla quale ebbe altri quattro figli. Non era affatto un odiatore degl'italiani: tant'è vero che, quando andò in pensione, rimase a Milano, e lì morì nel '58. Era soltanto un fedele servitore del suo Paese, di cui non discuteva la causa. E soprattutto era un vecchio lupo di guerra coraggioso, astuto e risoluto. (cap. 13, p. 195) *La notizia si diffuse prima ancora che lo [[Statuto Albertino|Statuto]] fosse firmato, e in un battibaleno le piazze di Torino, eppoi di tutto il Piemonte, eppoi di tutto il Reame, si riempirono di folla esultante. Essa non conosceva il contenuto del documento che introduceva, sì, un regime rappresentativo, ma circondandolo delle maggiori cautele [...]. Più che del suo contenuto, la pubblica opinione era innamorata della parola ''Costituzione'', che aveva finito, per assumere ai suoi occhi magici significati, e la salutava con luminarie, canti e bandiere. (cap. 14, p. 218) *[...] [[Francesco Anzani|Anzani]], il più serio e autorevole degli esuli italiani, che aveva combattuto per la libertà in Grecia e in Spagna. Le sue parole avevano gran peso anche perché fra tutti quei chiacchieroni, ne pronunziava poche. (cap. 18, p. 281) *[...] [[Giuseppe Montanelli|Montanelli]] era così infatuato {{NDR|del progetto di Costituente italiana}} e tanto ne parlava nei suoi discorsi che il popolino – dicono – finì per credere che la Costituente fosse il nome di sua moglie. (cap. 19, p. 298) *[[Pellegrino Rossi|Rossi]] era un toscano della Lunigiana, ma solo all'anagrafe. Come formazione e mentalità, apparteneva ancora a quel tipo di {{sic|apòlidi}} che l'Italia del Settecento sfornava doviziosamente e che, non trovando in patria un terreno per i loro talenti, andavano da mercenari a investirli all'estero. Professore d'Università a poco più di vent'anni, poi commissario di [[Gioacchino Murat|Murat]] al tempo del suo infelice tentativo di unificare l'Italia sotto il suo scettro, era l'unico cattolico cui l'Accademia calvinista di Ginevra avesse mai affidato una cattedra. (cap. 19, p. 301) *{{NDR|Pellegrino Rossi}} Fu sin dal principio un fautore di [[Papa Pio IX|Pio IX]] fino a partecipare di persona alle manifestazioni popolari in suo favore, ma vide subito la pochezza e ambiguità dell'uomo e ne denunziò i pericoli. (cap. 19, pp. 302-303) *Sebbene gli avessero affidato pieni poteri, [[Daniele Manin|Manin]] era un uomo discusso. Molti lo consideravano un malaccorto maneggione, un improvvisatore digiuno di problemi economici e militari, bravo soltanto ad attribuirsi i meriti degli altri. Secondo [[Niccolò Tommaseo|Tommaseo]], ch'era fra i suoi più insidiosi diffamatori, il potere gli aveva dato "una scossa da intorbidargli la mente e far più grave e manifesta la sua inesperienza". (cap. 23, p. 354) *{{NDR|Daniele Manin}} Intellettualmente, non era al livello di un [[Giuseppe Mazzini|Mazzini]] o di un [[Carlo Cattaneo|Cattaneo]]. Ma era, come loro, inattaccabile sul piano morale. E, in mancanza di un vero e proprio potere carismatico, esercitava sulle folle un notevole fascino per la sua gioviale e arguta "venezianità". Parlava sempre in dialetto con battute raccattate sulla bocca dei gondolieri, e anche nel dramma portava un pizzico di [[Carlo Goldoni|Goldoni]]. I suoi limiti li conosceva, e non è vero che l'autorità gli avesse dato alla testa, come diceva Tommaseo che diceva male di tutti. Anzi la esercitava bonariamente e cercava di circondarsi di uomini validi che sopperissero alla sua incompetenza. (cap. 23, pp. 354-355) *Eran trascorsi pochi mesi {{NDR|dal suo matrimonio con Vittorio Emanuele}}, che [[Maria Adelaide d'Asburgo-Lorena|Maria Adelaide]] lo sorprendeva nel giardino di Moncalieri con una diva del teatro, Laura Bon, ma si guardò dal farne un dramma. Perfettamente educata al mestiere di Regina, essa sapeva che la rassegnazione alle infedeltà ne è parte imprescindibile, e le sopportò sempre con garbo e dignità. (cap. 25, p. 390) *Sfruttando la devozione di Carlo Alberto, [[Clemente Solaro della Margarita|Solaro della Margarita]] aveva regolato i rapporti con la Chiesa in modo tale da fare del clero piemontese il più potente d'Italia dopo quello dello [[Stato Pontificio|Stato pontificio]]. Esso aveva ancora i suoi tribunali in concorrenza con quelli dello Stato e poteva concedere il diritto d'asilo ai delinquenti. (cap. 26, p. 410) *[...] {{NDR|Giuseppe}} Montanelli, gran galantuomo e ricco d'ingegno, non lo era altrettanto di carattere. Idee ne aveva, anzi ne aveva troppe; ma, facilmente suggestionabile, finiva sempre per adottare quelle dell'ambiente in cui viveva. (cap. 29, pp. 464-465) *Il primo a trarne le conclusioni {{NDR|dalle tesi favorevoli alla monarchia piemontese esposte nel libro di [[Vincenzo Gioberti|Gioberti]] ''Del rinnovamento civile d'Italia''}} fu [[Giorgio Pallavicino Trivulzio|Pallavicino]], l'ex prigioniero dello Spielberg, da un pezzo rifugiato a Torino. Di scarso cervello politico, impetuoso fino alla leggerezza, teatrale e un po' troppo portato a ostentare i suoi titoli di "martire", aveva fino allora militato sotto bandiera rivoluzionaria. (cap. 32, p. 514) *{{NDR|Tra i Mille di Garibaldi}} C'era il malinconico ex prete [[Giuseppe Sirtori|Sirtori]], che della guerra aveva fatto una mistica e sul campo sembrava che officiasse. (cap. 40, p. 635) ===''L'Italia dei notabili''=== *La [[Convenzione di settembre|Convenzione]], che fu detta "di Settembre" dal mese in cui venne concordata, si componeva di cinque articoli e stabiliva: che l'Italia rinunziava ad ogni atto di ostilità contro il territorio pontificio; che la Francia ne avrebbe ritirato le sue truppe via via che il governo del Papa le avesse rimpiazzate con volontari indigeni e stranieri, e comunque entro due anni; e che questo doppio impegno sarebbe entrato in vigore dal momento in cui il governo italiano avesse decretato il trasferimento della capitale da operarsi nello spazio di sei mesi. (Capitolo quinto, Firenze capitale, p. 76) *Gli sventramenti che furono operati {{NDR|a Firenze, nuova capitale del Regno d'Italia}} per alloggiare i Ministeri e i nuovi quartieri che sorsero alla periferia per ospitare i venticinque o trentamila impiegati che calarono da Torino, lasciarono la città orrendamente sfregiata e carica di debiti. (Capitolo quinto, Firenze capitale, p. 78) *{{NDR|[[Carmine Crocco]]}} [...] condannato per diserzione a vent'anni di carcere, ne era evaso, si era dato alla macchia, e in poco tempo era diventato il più temuto e rispettato capobanda della [[Basilicata|Lucania]] non soltanto per il suo coraggio, ma anche per la sua intelligenza di guerrigliero.</br>[...] Crocco venne riconosciuto Generalissimo non solo per l'autorità che gli conferivano le sue gesta, ma anche, perché, sebbene mezzo analfabeta, possedeva un'oratoria immaginosa e apocalittica. (Capitolo sesto, I briganti, pp. 85-89) *{{NDR|[[Giustino Fortunato]]}} [...] il più grande e illuminato studioso del Meridione. (Capitolo sesto, I briganti, p. 86) *Figlio di un fabbro e medico di professione, [[Giovanni Lanza|Lanza]] incarnava, nella Destra piemontese tradizionalmente formata da nobili, militari e grandi borghesi, un tipo umano del tutto insolito: il nuovo piccolo ceto medio, spartano e puritano, formatosi nelle scuole serali e nell'Università popolare. (Capitolo nono, Gli anni della lesina, p. 133) *L'esercito papalino era un'accozzaglia di mercenari delle più svariate nazionalità (c'erano perfino dei turchi). [...] circa 15.000 uomini, al comando del generale [[Hermann Kanzler|Kanzler]]. Compito gentiluomo, ligio al Regolamento come lo era al Catechismo, questi aveva tuttavia un concetto tedesco dell'onore militare e avrebbe preferito una sconfitta a una resa. Ma {{NDR|Il segretario di Stato}} Antonelli non era di questa opinione. Gli ordinò di ritirare le truppe {{NDR|pontificie}} dentro le mura e di limitarsi a un simulacro di resistenza. (Capitolo decimo, Porta Pia, pp. 141-142) *{{NDR|La duchessa [[Eugenia Attendolo Bolognini Litta|Eugenia Litta]]}} Durante la campagna del '59<ref>Seconda guerra d'indipendenza italiana.</ref> era stata il riposo del guerriero più famoso e importante: [[Napoleone III di Francia|Napoleone III]]. E secondo le malelingue era passata subito dopo in eredità a [[Vittorio Emanuele II di Savoia|Vittorio Emanuele]], che però era il meno adatto ad apprezzare la sua vita di vespa, le sue carni pallide e i suoi raffinatissimi gusti. [[Honoré de Balzac|Balzac]] le aveva reso omaggio. [[Arrigo Boito|Boito]] seguitava a rendergliene. [[Gabriele D'Annunzio|D'Annunzio]] dirà ch'essa "aveva rubato il segreto a Ninon de Lenclos<ref>Scrittrice, cortigiana ed epistolografa francese (1620–1705).</ref>". Insomma come iniziatrice all'amore, il giovane principe {{NDR|il futuro [[Umberto I di Savoia|Umberto I]]}} non poteva desiderarne una più fascinosa ed esperta. Lo fu al punto che, nonostante la differenza d'età, egli le rimase devoto – anche se non fedele – fino alla fine dei suoi giorni. (Capitolo quattordicesimo, Il marito di Margherita, p. 196) *{{NDR|[[Margherita di Savoia]]}} [...] era una vera e seria professionista del trono, e gl'italiani lo sentirono. Essi compresero che, anche se non avessero avuto un gran Re, avrebbero avuto una grande Regina. (Capitolo quattordicesimo, Il marito di Margherita, p. 197) *Il trattato {{NDR|della [[Triplice alleanza (1882)|Triplice alleanza]]}} fu firmato a Vienna nel maggio dell'82<ref>20 maggio 1882.</ref>. Esso impegnava le tre Potenze al reciproco aiuto nel caso in cui una fosse aggredita e alla benevola neutralità nel caso che aggredisse. Inoltre Austria e Germania dichiaravano di disinteressarsi del problema del Papa, considerandolo un affare interno italiano.<br>Quest'ultima clausola fu, insieme alla fine dell'isolamento, il grande vantaggio che l'Italia trasse dal patto, ma nient'altro. Essa non vi era entrata su un piede di parità con le consocie. Aveva semplicemente acceduto all'alleanza che già legava le altre due, le quali restavano per così dire le padrone di casa, e Bismarck non perse occasione di farcelo sentire. (Capitolo diciannovesimo, La Triplice, pp. 276-277) *L'unico Stato che ruppe le relazioni con quello italiano in seguito a [[Presa di Roma|Porta Pia]] fu l'Ecuador. Mai la Chiesa si era trovata in condizioni di più completo isolamento. (Capitolo ventitreesimo, I cattolici, p. 334) *Sindaco di Palermo a ventisette anni, {{NDR|[[Antonio Starabba, marchese di Rudinì|il marchese di Rudinì]]}} aveva affrontato con molto coraggio la rivolta che vi era scoppiata nel '66, e questo lo aveva accreditato come il fanciullo-prodigio del moderatismo, destinato a gloriose imprese. Ma, diceva De Sanctis, col passare del tempo, il prodigio dileguò e rimase solo il fanciullo. Ministro degl'Interni a trent'anni in uno dei governi Menabrea, la sua carriera si era fermata lì. Pure, la fama di "uomo forte" gli era rimasta addosso, suffragata anche dalla sua alta statura, dai lampeggiamenti del monocolo, dalla fluente barba, dalla nobilesca alterigia. Idee, non ne aveva. Ma aveva delle impennate che facevano credere alla sua risolutezza. E questo, in una Destra impoverita di personalità di rilevo, gli era bastato per guadagnarsi i galloni di capo. (Capitolo ventiquattresimo, Giolitti, pp. 348-349) *In realtà, del soldato, [[Oreste Baratieri|Baratieri]] non aveva neanche il fisico. Grasso e sgraziato, con gli occhiali a ''pince-nez'', sembrava molto più vecchio dei suoi cinquant'anni e costruito più per la cattedra che per l'elmo. (Capitolo ventisettesimo, Adua, p. 391) *{{NDR|Dopo le dimissioni del generale [[Luigi Pelloux|Pelloux]]}} A succedergli il Re chiamò il Presidente del Senato [[Giuseppe Saracco|Saracco]], un galantuomo ch'era riuscito a conservare intatta la sua reputazione di democratico pur essendo stato due volte Ministro nei governi di Crispi. Aveva quasi ottant'anni, ma conservava una notevole lucidità di cervello, e ne dette prova formando un governo di coalizione che includeva un po' tutte le forze, meno l'Estrema cui diede tuttavia soddisfazione chiamando parecchi suoi uomini nella commissione incaricata di studiare un nuovo regolamento parlamentare che, senza intaccare la libertà di discussione, impedisse l'ostruzionismo, o per meglio dire lo regolasse. (Capitolo ventottesimo, I cannoni di Bava Beccaris, p. 417) ===''L'Italia di Giolitti''=== *Si è detto che {{NDR|[[Egidio Osio]]}} plagiò il suo pupillo {{NDR|il principe ereditario, futuro re [[Vittorio Emanuele III di Savoia|Vittorio Emanuele III]]}} e ne lesionò definitivamente il carattere terrorizzandolo e mortificandone gli slanci. Si è detto che anche sul suo fisico ebbe pessima influenza costringendolo a penosi e logoranti sforzi. Si è detto che furono i suoi metodi repressivi a creare nel Principe quei complessi d'inferiorità da cui fu sempre afflitto, a traumatizzarlo, a inaridirlo, a riempirne l'animo di sordi rancori.<br>Ma se non proprio di falsità, si tratta di verità contraffatte. (cap. I, Il nuovo Re, p. 15) *Militare dalla testa ai piedi, Osio era un uomo duro, imperioso, abituato al comando. [...] Ma era anche un gran signore, perfetto uomo di mondo, e nutrito di buone letture. Sebbene la sua carriera potesse esserne notevolmente avvantaggiata, esitò molto ad accettare l'incarico {{NDR|di tutore del principe ereditario}}, vi si risolse solo dietro garanzia che nemmeno i genitori avrebbero più interferito nell'educazione del ragazzo, di cui egli diventava unico e assoluto responsabile, e al termine della sua missione non beneficiò di nessuno "scatto di grado". (cap. I, Il nuovo Re, pp. 15-16) *[[Elena del Montenegro|Elena]], che da ragazza dipingeva, suonava il violino, componeva poesie come suo padre<ref>Nicola I del Montenegro.</ref>, e amava il tennis e la danza, rinunziò a questi passatempi appena vide che lui {{NDR|il futuro Vittorio Emanuele III}} li detestava, anzi adottò come ''hobbies'' quelli di lui: la numismatica e l'archeologia. Per il resto fu soltanto una donna di casa, come lo era stata a Cettigne<ref>Capitale del Regno del Montenegro.</ref>. Sapendolo insofferente dei camerieri, era lei che lo serviva a tavola, e per farsi i vestiti si prese in casa una sartina. (cap. I, Il nuovo Re, p. 27) *[[Filippo Meda|Meda]] era un avvocato milanese di spirito pratico, che considerava l'astensione dal voto {{NDR|dei cattolici}} un dovere da osservare finché il Papa lo imponeva, ma un grosso errore strategico di cui occorreva sollecitare la revoca. Lo Stato liberale, diceva, c'è e va accettato. Va soltanto salvato dalle sue tentazioni autoritarie e giacobine. E questo i cattolici possono farlo soltanto inserendocisi e riformandolo in modo da tenerlo al riparo dai pericoli d'involuzione. Lo Stato cioè per lui era un "peccatore da salvare". (cap. IV, Cattolici e socialisti, p. 72) *[...] [[Romolo Murri|Murri]] era un giovane sacerdote marchigiano, che aveva conosciuto la povertà e nel Vangelo vedeva soprattutto un messaggio giustizialista. Introverso e malinconico come tutti i fanatici, egli si considerava molto più "avanzato" di Meda per il carattere rivoluzionario che intendeva imprimere al movimento {{NDR|cattolico}}. In realtà era un uomo del ''[[Sillabo]]'' che, pur partendo anche lui dall'accettazione dello Stato unitario, intendeva tramutarlo in una [[teocrazia]] egalitaria e totalitaria, sul tipo di quella che i Gesuiti avevano fondato un paio di secoli prima nel Paraguay. Se a ispirarlo fosse più l'amore del povero o l'odio del ricco, non sappiamo. (cap. IV, Cattolici e socialisti, pp. 72-73) *Meda e Murri furono dapprincipio alleati. Entrambi volevano un grande partito, popolare indipendente dalla Chiesa. Ma Meda lo concepiva come lo sviluppo della organizzazione tradizionale, cioè dell'''Opera''<ref>"Opera dei congressi e dei comitati cattolici", spesso abbreviata in "Opera dei congressi", organizzazione cattolica italiana, sciolta nel 1904.</ref>, una volta strappatala alla vecchia guardia, mentre Murri lo vedeva come un organismo nuovo, un "Fascio", come quelli che pochi anni prima avevano messo a soqquadro e insanguinato la Sicilia. (cap. IV, Cattolici e socialisti, p. 73) *Lo [[Sciopero generale del 1904|sciopero {{NDR|generale del 1904}}]] [...] non fu un fallimento, ma non fu nemmeno un successo perché si esaurì spontaneamente, e il suo più consistente risultato fu la spaccatura delle forze operaie. Lo si vide pochi mesi dopo, quando i sindacalisti bandirono un altro sciopero, quello delle ferrovie, da cui i sindacalisti uscirono demoralizzati e con la truppa dimezzata. (cap. IV, Cattolici e socialisti, p. 85) *[[Alessandro Fortis|Fortis]] era un tipico notabile romagnolo di lungo e contradditorio corso ideologico. Aveva debuttato come repubblicano intransigente, era andato in galera per complotto rivoluzionario con gli anarchici, poi era stato conquistato da [[Francesco Crispi|Crispi]], era finito {{sic|Ministro}} di [[Luigi Pelloux|Pelloux]], e ora militava sotto la bandiera di [[Giovanni Giolitti|Giolitti]]. Come "trasformista", era tra i più qualificati. Ma questa pecca era abbondantemente compensata dai suoi doni di simpatia umana e da una grande esperienza parlamentare. (cap. VI, Il suffragio universale, p. 107) *Quando [[Enrico Corradini|Corradini]] applicò il vocabolario socialista alla Nazione parlando di una "Italia proletaria" in lotta contro le plutocrazie occidentali, e lanciò l'idea di un "imperialismo operaio" da contrapporre a quello capitalistico, riscosse in campo sindacalista vasti consensi e pose le premesse di un pasticcio ideologico in cui Mussolini avrebbe di lì a poco guazzato. (cap. VII, "Tripoli bel suol d'amore", p. 137) *{{NDR|Giolitti}} Più che la Libia, voleva la [[Guerra italo-turca|guerra]], o meglio qualcosa che desse finalmente agl'italiani l'impressione di farne una e di vincerla. (cap. VII, "Tripoli bel suol d'amore", p. 145) *[...] a Vienna l'imperatore Francesco Giuseppe aveva dovuto intervenire di persona per fermare la mano al Capo di Stato Maggiore [[Franz Conrad von Hötzendorf|Conrad]] che voleva una spedizione punitiva contro l'Italia, ora ch'era impegnata in Africa {{NDR|nella guerra di Libia}}, per metterla in ginocchio "prima che avesse il tempo di perpetrare altri tradimenti". (cap. VII, "Tripoli bel suol d'amore", pp. 149-150) *Non si è mai saputo con certezza come si svolse l'operazione {{NDR|del [[patto Gentiloni]]}} che, ben s'intende, doveva restare segretissima. Giolitti negò sempre di avervi partecipato, e infatti d'impronte digitali non ve ne lasciò. Fu probabilmente senza le sue credenziali, ma certamente non senza il suo beneplacito che qualche esponente liberale prese contatto coi cattolici. Questi avevano una "unione elettorale" di cui era Presidente un Conte marchigiano, [[Vincenzo Ottorino Gentiloni|Gentiloni]], politico abile, ma vanesio e chiacchierone. Egli s'impegnò a mobilitare il voto cattolico in favore dei candidati liberali dovunque questi fossero minacciati dalla Estrema Sinistra; e i liberali s'impegnarono a difendere la parificazione delle scuole confessionali a quelle dello Stato, a ripristinare in queste ultime l'istruzione religiosa, a respingere l'introduzione del divorzio, e – pare – a combattere la Massoneria. (cap. VIII, Il crepuscolo degli dei, p. 163) *Se [[Gaetano Salvemini|Salvemini]] incarnava lo spirito protestatario e la sete giustizialista delle plebi meridionali, [[Antonio Salandra|Salandra]] incarnava lo spirito autoritario e conservatore della borghesia terriera. Proveniva da una famiglia di notabili pugliesi con parecchia roba al sole, e alla politica era approdato dalla cattedra universitaria, di cui conservava molti caratteri: una notevole cultura e finezza intellettuale, ma anche un compassato distacco che rasentava la freddezza. Prima di affrontare un problema lo studiava minuziosamente, e nessuno sapeva prospettarlo con più chiarezza di lui. (cap. IX, Sarajevo, p. 168) *[[Paolo Boselli]] {{NDR|incaricato nel 1916 di formare il nuovo governo dopo le dimissioni di Antonio Salandra}}, che fu chiamato a presiederlo, possedeva tutti i requisiti, meno quelli che occorrono per guidare un Paese in guerra. Deputato ligure da parecchie legislature, era stato varie volte Ministro con Crispi, Pelloux e Sonnino, ma nessuno se n'era accorto. [...]. Passava per un esperto di questioni economiche, e moralmente era un personaggio di tutto rispetto. Ma politicamente era scolorito, e per di più aveva quasi ottant'anni. (cap. XVI, La caduta di Salandra, pp. 293-294) *Quanto [[Luigi Cadorna|Cadorna]] era solitario, monacale ruvido e chiuso in un giro di valori e d'idee tradizionali, tanto [[Luigi Capello|Capello]] era brillante, estroverso, moderno, ricco d'immaginazione e maestro di "pubbliche relazioni". (cap. XVI, La caduta di Salandra, pp. 298-299) *Lucano di Melfi, [[Francesco Saverio Nitti]] incarnava anche nel fisico tozzo e grassottello il tipo del notabile meridionale, colto, brillante, scettico e alquanto egocentrico. [...] la sua specialità era il problema del Mezzogiorno, di cui fu tra i primi seri studiosi e che gli fornì anche la base elettorale. [...]. Sul livello medio della classe politica di allora, egli faceva spicco per preparazione, equilibrio e lucidità, ma anche per una certa propensione ad attribuirsi il monopolio di queste virtù. (cap. XXIII, Versaglia, pp. 420-421) ===''L'Italia in camicia nera''=== *Un altro utile incontro fu per Mussolini quello con [[Angelica Balabanoff]], personaggio già di notevole rilevo nel socialismo internazionale. Era una russa di buona famiglia borghese, che fin da giovanissima si era imbrancata con quella ''intellighenzia'' rivoluzionaria da cui venivano anche i Lenin, i Trotzky, e gli altri futuri grandi del bolscevismo. A spingerla era stata la ribellione contro la meschinità, lo snobismo provinciale, il sussiego di casta, i tabù del suo ceto. (cap. 1, p. 23) *Angelica {{NDR|Balabanoff}} non era bella, non aveva la grazia eterea ed esangue di Anna {{NDR|[[Anna Kuliscioff|Kuliscioff]]}}. Ma non era nemmeno sgradevole, nonostante i fianchi massicci e gli zigomi pronunciati, eppoi era una russa, cosa che faceva un grande effetto al piccolo provinciale di Predappio<ref>Mussolini era nato a Dovia, frazione di Predappio.</ref>. Anche se fra loro non divampò la passione che aveva legato Anna ad [[Andrea Costa]], qualcosa ci fu, ed ebbe la sua importanza. Angelica cercò d'incivilire quel selvaggio trasandato che passava da ostinati mutismi a interminabili sproloqui conditi di orrende bestemmie. Lo sfamava, gli lavava la biancheria, lo iniziava, sia pure con poco successo, al marxismo [...]. (cap. 1, p. 25) *Uno dei tre protagonisti del giuoco {{NDR|[[Gabriele D'Annunzio]]}} era eliminato. La partita ora si riduceva agli altri due: Giolitti e Mussolini. (cap. 1, p. 101) *Mussolini aveva vinto, e la sua vittoria significava che il fascismo, abbandonata la pretesa di presentarsi come un movimento rivoluzionario di sinistra, quale lo avrebbero voluto Grandi, Farinacci e Marsich, presentava la sua candidatura a forza egemonica della destra e infilava la «via parlamentare» al potere.<br>C'era un pericolo, e Mussolini lo capì subito: che questa svolta a destra mettesse il partito alla mercé della sua ala reazionaria incarnata soprattutto dal ''ras'' piemontese [[Cesare Maria De Vecchi|De Vecchi]], uomo di poco cervello, ma tutto Trono e Altare, e che quindi poteva anche tornar comodo per il futuro. (cap. 2, p. 127) *[...], i giolittiani riuscirono a portare al governo uno dei suoi {{NDR|di Giolitti}} «ascari» più fedeli, ma anche dei più sbiaditi: [[Luigi Facta]].<br> Facta era un bravo avvocato di provincia piemontese con tutte le virtù, ma anche con tutti i limiti del suo ambiente: un uomo probo e integro, che dopo trent'anni di vita parlamentare ne aveva ormai una certa esperienza, aveva ricoperto con onore alcune cariche ministeriali, non aveva alcuna ambizione che quella di servire fedelmente il suo capo, né altre idee che quelle di lui. Tutto gli si poteva chiedere fuorché risolutezza ed immaginazione, cioè proprio le qualità che più urgevano. (cap. 2, pp. 143-144) *[...] le sue intenzioni {{NDR|Mussolini}} non le confidava nemmeno al segretario del partito, [[Michele Bianchi|Bianchi]], di cui apprezzava la fedeltà e l'impegno, ma non l'intelligenza: lo considerava angoloso, settario, puntiglioso vendicativo e privo d'intuito politico. L'unico con cui si apriva seguitava ad essere [[Cesare Rossi]], l'uomo che gli era stato accanto dal primo momento, lo aveva seguito in tutte le sue palinodie e gli dava sempre dei consigli che corrispondevano ai suoi desideri. (cap. 4, p. 166) *{{NDR|[[Vittorio Emanuele III]]}} non si fidava completamente di Mussolini, ma si fidava ancora meno dei suoi avversari ed era convinto che costoro, se avessero preso il mestolo in mano, avrebbero ricreato il caos del dopoguerra. Comunque, a una cosa era assolutamente deciso: a non farsi coinvolgere nella lotta politica, come del resto gli dettava la Costituzione di cui, quando gli faceva comodo, sapeva ricordarsi. ====[[Explicit]]==== *Resterebbe solo da sapere con che animo Mussolini s'investì, il 3 gennaio, nella parte di dittatore. Se, come molti sostengono, gli sforzi che fino a quel momento aveva fatto per evitarla erano stati solo un giuoco per dimostrare che non era lui a volerla, ma gli eventi ad imporgliela, bisogna riconoscere che come {{sic|giuocatore}} sapeva il fatto suo. ==''Storia dei Greci''== *Il modo migliore per ripagare il nostro contemporaneo [[Heinrich Schliemann|Enrico Schliemann]] degli enormi servigi che ci ha reso nella ricostruzione della civiltà classica, mi pare sia quello di assumerlo fra i suoi protagonisti, com'egli stesso mostrò di desiderare ardentemente, scegliendosi, in pieno secolo decimonono, [[Zeus]] come dio e a lui indirizzando le sue preghiere, battezzando [[Agamennone]] suo figlio, Andromaca sua figlia, Pélope e Telamone i suoi servitori, e dedicando a [[Omero]] tutta la sua vita e i quattrini. (cap. 2; 2004, p. 17) *{{NDR|Su [[Heinrich Schliemann|Schliemann]]}} Era un matto, ma tedesco, cioè organizzatissimo nella sua follia, che la buona sorte volle ricompensare. La prima storia che gli raccontò suo padre, quando aveva cinque o sei anni, non fu quella di [[Cappuccetto Rosso]], ma quella di [[Ulisse]], di [[Achille]] e di Menelao. Ne aveva otto, quando annunziò solennemente in famiglia che intendeva riscoprire Troia e dimostrare, ai professori di storia che lo negavano, ch'essa era realmente esistita. Ne aveva dieci, quando compose in latino un saggio su questo argomento. E ne aveva sedici, quando sembrò che questa infatuazione gli fosse del tutto passata. Infatti s'era impiegato come garzone di una drogheria, dove scoperte archeologiche non c'era da farne di certo, e di lì a poco s'imbarcò non per l'Ellade, ma per l'America, in cerca di fortuna. (cap. 2; 2004, p. 17) *Di nuovo il buon Dio, che per i matti ha un debole, lo compensò di tanta fede, guidando il suo piccone sugli scantinati del palazzo dei discendenti di re Atreo, nei cui sarcofaghi furono ritrovati gli scheletri, le maschere d'oro, i gioielli e il vasellame che si ritenevano esistiti solo nella fantasia di Omero. E Schliemann telegrafò al re di Grecia: ''Maestà, ho ritrovato i vostri antenati''. Poi, ormai sicuro del fatto suo, volle dare il colpo di grazia agli scettici del mondo intero e, sulle indicazioni di [[Pausania]], andò a Tirinto e vi disseppellì le ciclopiche mura del palazzo di Proteo, di Perseo e di [[Andromeda|Andròmeda]]. (cap. 2; 2004, pp. 19-20) *Schliemann morì quasi settantenne nel 1890, dopo aver sconvolto tutte le tesi e le ipotesi su cui si era basata sino ad allora la ricostruzione della preistoria greca, tesa ad esiliare Omero e Pausania nei cieli della pura fantasia. (cap. 2; 2004, p. 20) *Ma ora, dopo le scoperte del tedesco matto, non abbiamo più il diritto di mettere in dubbio la realtà storica di Agamennone, di Menelao, di [[Elena]], di [[Clitennestra]], di Achille e di Patroclo, di Ettore e di Ulisse, anche se le loro avventure non sono state esattamente quelle che Omero ha descritto, facendoci sopra la cresta. Schliemann ha arricchito la storia e impoverito la leggenda, di alcune decine di personaggi di primissimo piano. Grazie a lui alcuni secoli, che prima erano nel buio, sono entrati nella luce, anche se è quella incerta della primissima alba. Ed è solo per mano a lui che possiamo esplorarla. (cap. 2; 2004, p. 21) *Senza dubbio gli [[achei]], a differenza dei pelasgi, furono terrieri, tant'è vero che fino alla guerra di Troia imprese per mare non ne azzardarono, e ogni volta che lo trovavano si fermavano. Essi non tentarono di mettere il piede nemmeno nelle isole più vicine al continente, e tutte le loro capitali e cittadelle erano nell'interno. La Grecia, sotto di loro, si limitava al Peloponneso, all'Attica e alla Beozia; mentre per le popolazioni pelasgiche della civiltà micenea, ch'erano marinare, essa inglobava anche tutti gli arcipelaghi dell'Egeo. (cap. 3, ''Gli Achei''; 2004, p. 25) *[[Diogene di Sinope|Diogene]], che aveva la lingua lunga, disse che la religione greca era quella cosa per cui un ladro che sapeva bene l'Avemaria e il Paternoster era sicuro di potersela cavar meglio, nell'al di là di un galantuomo che li aveva dimenticati. Non aveva torto. La [[Religione dell'antica Grecia|religione]], in Grecia, era soltanto un fatto di procedura, senza contenuto morale. Ai fedeli non si chiedeva la fede né si proponeva il bene. S'imponeva solo il compimento di certe pratiche burocratiche. E non poteva essere diversamente, visto che di contenuto morale gli stessi {{sic|dèi}} ne avevano ben poco e non si poteva certo dire che fornissero un esempio di virtù. (cap. 7, ''Zeus e famiglia''; 2004, p. 54) *Anche [[Pisistrato]] era aristocratico e di famiglia ricca. Ma aveva capito che la [[democrazia]], una volta instaurata, è irreversibile e va sempre a sinistra. (cap. 15, ''Pisistrato''; 2004, p. 98) *Pisistrato, invece di cinquanta uomini, ne arruolò e armò quattrocento, s'impadronì dell'Acròpoli, e proclamò la dittatura. In nome e per il bene del popolo, si capisce, come tutte le dittature. (cap. 15; 2004, p. 91) *La stragrande maggioranza degli ateniesi, dopo averlo a lungo osteggiato e tenuto in gran sospetto, si erano sinceramente affezionati a Pisistrato che aveva dalla sua un'arma formidabile: la simpatia. (cap. 15; 2004, pp. 92-93) *Il tiranno Pisistrato seppe sfuggire a tutte le tentazioni del potere assoluto, meno una: quella di lasciare il «posto» in eredità ai figli, [[Ippia (tiranno)|Ippia]] e [[Ipparco (tiranno)|Ipparco]]. L'amor paterno gl'impedì di vedere con la consueta chiarezza che i totalitarismi non hanno eredi e che quello suo si giustificava soltanto come una eccezione alla democrazia per assicurarle ordine e stabilità. Peccato. (cap. 15; 2004, p. 95) *Pisistrato era morto nel 527 avanti Cristo. Ventun anni dopo, cioè nel 506, troviamo uno dei suoi due figli, da lui designati a succedergli, Ippia, alla corte del re di Persia, [[Dario I di Persia|Dario]], per suggerirgli l'idea di muover guerra contro Atene e la Grecia tutta. I grandi uomini non dovrebbero mai lasciare né vedove né eredi. Sono pericolosissimi. (cap. 16, ''I persiani alle viste''; 2004, p. 103) *Questo Ippia non aveva debuttato male, dopo che suo padre fu calato nella fossa. Era un giovanotto sveglio che, a furia di stare accanto al babbo, ne aveva imparato molte malizie, e alla politica aveva passione, a differenza di suo fratello Ipparco che invece s'interessava soltanto di poesia e di amore, in modo che fra i due non c'erano nemmeno pericolose rivalità. Eppure, a procurare i guai che condussero alla caduta della dinastia, fu proprio Ipparco. (cap. 16; 2004, p. 96) *Ipparco ebbe la disgrazia d'inciampare in un bellissimo guaglione di nome Armodio, che un certo Aristogitone – aristocratico quarantenne, prepotente e geloso – considerava sua proprietà. Costui concepì l'idea di sbarazzarsi del rivale col pugnale e, per dare all'assassinio un'etichetta più pulita che lo rendesse popolare, pensò di estenderlo anche al fratello Ippia facendolo passare per «delitto politico» in nome della libertà e contro la tirannia. Organizzò in questo senso una congiura con altri nobili latifondisti e, in occasione di una festa, tentò il colpo, che andò bene solo a mezzo: Ipparco ci rimise la pelle, ma Ippia scampò. E da quel momento, un po' per rancore, un po' per paura di altri complotti, il figlio e l'allievo di Pisistrato, dittatore liberale indulgente e illuminato, diventò un ''tiranno'' autentico. (cap. 16; pp. 96-97) *Lo scontento del popolo inferocì Ippia, che a sua volta inferocì il popolo. E quando il divorzio fra i due fu totale, i fuoriusciti, che frattanto si erano concentrati a Delfi, chiamarono in aiuto gli spartani, e insieme marciarono contro Atene. (cap. 16; 2004, p. 97) *Ippia si rifugiò sull'Acròpoli coi suoi sostenitori. Ma, per mettere in salvo i suoi figlioletti, cercò di farli segretamente espatriare. Gli assedianti li catturarono e l'infelice padre, per salvar la vita a loro e a se stesso, capitolò e si avviò in volontario esilio. Non bisogna dimenticare che nelle sue vene scorreva tuttavia il sangue di Pisistrato, cioè di un uomo sempre pronto a sacrificare la posizione alla famiglia, ma mai disposto a rassegnarsi alla sconfitta. (cap. 16; 2004, p. 97) *[[Milziade]] aveva capito qual era il debole dei [[Persia|persiani]]: essi erano bravi soldati individualmente, ma non avevano nessuna idea della manovra collettiva. E su questa puntò. A dar retta agli storici del tempo — che purtroppo erano tutti greci, — Dario perse settemila uomini, Milziade neanche duecento. (cap. 17, ''Milziade e Aristide''; 2004, p. 112) *{{NDR|A Milziade}} sopravvisse [[Aristide]], le cui vicende purtroppo ci dimostrano che l'[[onestà]] in [[politica]] non trova sempre i suoi compensi e che la [[storia]], come le [[donna|donne]], ha un debole per i birbaccioni. (cap. 17, ''Milziade e Aristide''; 2004, p. 112) *Nike, diventata ragazza, porta il [[peplo]] di lana, bianca o colorata, ma questa è l'unica scelta che le si lascia. Siccome è confinata in casa, non può nemmeno far quella di un ragazzo che le piace, e deve aspettare che il padre si metta d'accordo con un altro padre per combinare il matrimonio. (cap. 23, ''Una Nike qualsiasi''; 2004, p. 143) *Quando il grande [[Mirone]], rincorbellito dalla vecchiaia, si vide arrivare in studio come modella Laìde<ref>Etera dell'antica Grecia, celebre per la sua bellezza.</ref>, perse la testa e le offrì tutto ciò che possedeva purché restasse la notte. E siccome essa rifiutò, l'indomani il poveruomo si tagliò la barba, si tinse i capelli, indossò un giovanile [[chitone]] color porpora e si passò una mano di carminio sul viso. «Amico mio», gli disse Laìde, «non sperare di ottenere oggi ciò che ieri rifiutai a tuo padre». (cap. 23, ''Una Nike qualsiasi''; 2004, p. 150) *{{NDR|[[Fidia]]}} Qualcosa, nel suo carattere, doveva farne un nemico degli uomini, visto che nessuno lo amava. Eppure egli non fu soltanto un grande scultore, ma anche un grandissimo maestro, che, oltre ad aver creato uno stile, ne fece anche una scuola, trasmettendone le regole ad allievi come Agoracrito e Alcamene, continuatori del «classico». (cap. 25, ''Fidia sul Partenone''; 2004, p. 165) *Gli uomini non sanno apprezzare e misurare che la [[fortuna]] degli altri. La propria, mai. (cap. 25, ''Fidia sul Partenone''; 2004, p. 166) ==''Storia di Roma''== ===[[Incipit]]=== Non sappiamo con precisione quando a Roma furono istituite le prime scuole regolari, cioè «statali». Plutarco dice che nacquero verso il 250 avanti Cristo, cioè circa cinquecent'anni dopo la fondazione della città. Fino a quel momento i ragazzi romani erano stati educati in casa, i più poveri dai genitori, i più ricchi dai ''magistri'', cioè da maestri, o istruttori, scelti di solito nella categoria dei liberti, gli schiavi liberati, che a loro volta erano scelti fra i prigionieri di guerra, e preferibilmente fra quelli di origine greca, che erano i più colti. ===Citazioni=== <!--segui nel riportare le citazioni l'ordine cronologico del libro--> *Non ho scoperto nulla, con questo libro. Esso non pretende di portare "rivelazioni", nemmeno di dare una interpretazione originale della storia dell'Urbe. Tutto ciò che qui racconto è già stato raccontato. Io spero solo di averlo fatto in maniera più semplice e cordiale, attraverso una serie di ritratti che illuminano i protagonisti in una luce più vera, spogliandoli dei paramenti che fin qui ce li nascondevano. (introduzione) *{{NDR|[[Numa Pompilio]]}} Quelle che più lo interessavano erano le questioni religiose. E siccome in questa materia ci doveva essere una grossa anarchia perché ognuno dei tre popoli {{NDR|etruschi, latini e sabini}} venerava i propri {{sic|dèi}}, fra i quali non si riusciva a capire chi fosse il più importante, Numa decise di mettervi ordine. E per imporlo, questo ordine, ai suoi riottosi sudditi, fece spargere la notizia che ogni notte, mentre dormiva, la ninfa Egeria veniva a visitarlo in sogno dall'Olimpo per trasmettergliene direttamente le istruzioni. Chi vi avesse disobbedito, non era col re, uomo fra gli uomini, che avrebbe dovuto vedersela, ma col Padreterno in persona. (Rizzoli 1959, cap. 3, ''I re agrari'', pp. 37-38) *[[Tarquinio Prisco|Lucio Tarquinio]] e i suoi amici etruschi dovettero veder subito che profitto si poteva trarre da questa massa di gente, per la maggior parte esclusa dai comizi curiati, se si fosse potuta convincerla che solo un re forestiero come lui avrebbe potuto farne valere i diritti. E per questo l'arringò, promettendole chissà cosa, magari ciò che poi fece davvero. [...] Certamente ci riuscirono perché Lucio Tarquinio fu eletto col nome di Tarquinio Prisco, rimase sul trono trentotto anni, e per liberarsi di lui i ''patrizi'', cioè i «terrieri», dovettero farlo assassinare. Ma inutilmente. Prima di tutto perché la corona, dopo di lui, passò al figlio, eppoi a suo [[Tarquinio il Superbo|nipote]]. In secondo luogo perché, più che la causa, l'avvento della dinastia dei Tarquini fu l'effetto di una certa svolta che la storia di Roma aveva subìto e che non le consentiva più di tornare al suo primitivo e arcaico ordinamento sociale e alla politica che ne derivava. (RCS 2004, cap. 4, ''I re mercanti'', pp. 38-39) *Questo secondo [[Tarquinio il Superbo|Tarquinio]], prima di rischiare il colpo, tentò di far deporre lo zio per abuso di potere. Servio si presentò alle centurie che lo riconfermarono re con plebiscitaria acclamazione (lo racconta [[Tito Livio]], gran repubblicano, dunque dev'esser vero). Non restava quindi che il pugnale, e Tarquinio lo usò senza troppi scrupoli. Ma il respiro di sollievo che trassero i senatori, coi quali si era alleato, rimase loro in gola, quando videro l'uccisore sedersi a sua volta sul trono d'avorio senza chieder loro permesso, come avveniva a quei buoni vecchi tempi ch'essi speravano di restaurare. Il nuovo sovrano si mostrò subito più tirannico di quello che aveva spedito all'altro mondo. E infatti lo ribattezzarono «il Superbo» per distinguerlo dal fondatore della dinastia. (RCS 2004, cap. 4, ''I re mercanti'', pp. 42-43) *Non sappiamo quasi nulla di [[Lars Porsenna|Porsenna]]. Ma dal modo come si condusse, dobbiamo dedurre che alle doti del bravo generale doveva accoppiare quelle del sagace uomo politico. Egli si rese conto che negli argomenti di [[Tarquinio il Superbo|Tarquinio]] c'era del vero. Ma prima d'impegnarsi, volle essere sicuro di due cose: che il Lazio e la Sabina erno davvero pronti a schierarsi dalla sua parte, e che nella stessa Roma c'era una «quinta colonna» monarchica pronta a facilitargli il compito con un'insurrezione. (RCS 2004, cap. 5, ''Porsenna'', p. 49) *Da quell'anno 508 in cui fu fondata la repubblica, tutti i monumenti che i romani innalzarono un po' dappertutto portarono sempre la sigla SPQR che vuol dire: ''Senatus PopuluSque Romanus'', cioè «il Senato e il popolo romano». Cosa fosse il Senato, già lo abbiamo detto. Viceversa non abbiamo ancora detto cos'era il popolo, che non corrispondeva affatto a ciò che noi intendiamo con questa parola. In quei lontani giorni di Roma esso non comprendeva «tutta» la cittadinanza, come avviene oggi, ma soltanto due «ordini», cioè due classi: quella dei «patrizi» e quella degli ''equites'' o «cavalieri». (RCS 2004, cap. 6, ''SPQR'', p. 54) *{{NDR|[[Sacco di Roma (390 a.C.)]]}} Gli storici che lo hanno raccontato a cose fatte hanno avvolto di molte leggende questo capitolo che dovett'essere per l'Urbe molto spiacevole. Dicono che quando i [[galli]] fecero per dare la scalata al [[Campidoglio]], le oche sacre a Giunone cominciarono a stridere risvegliando così [[Marco Manlio Capitolino|Manlio Capitolino]] che, alla testa dei difensori, respinse l'attacco. Sarà. Però i galli in Campidoglio entrarono ugualmente come in tutto il resto della città, donde la popolazione era fuggita in massa per rifugiarsi su monti circostanti. (Rizzoli 1959, cap. 6, ''SPQR'', pp. 81-82) *[...] i galli espugnarono Roma, la misero a sacco, e se ne andarono incalzati dalle legioni, ma carichi di quattrini. Erano predoni gagliardi e zotici, che non seguivano nessuna linea politica e strategica nelle loro conquiste. Assalivano, depredavano e si ritiravano senza punto preoccuparsi del domani. Avessero potuto immaginare che vendetta Roma avrebbe tratto da quella umiliazione, non vi avrebbero lasciato pietra su pietra. (Rizzoli 1959, cap. 6, ''SPQR'', pp. 82-83) *Tutti i dittatori della Roma repubblicana, meno uno, furono patrizi. Tutti, meno due, rispettarono i limiti di tempo che furono loro imposti. Uno di essi, [[Lucio Quinzio Cincinnato|Cincinnato]], che, dopo soli sedici giorni di esercizio della suprema carica, tornò spontaneamente ad arare il campo coi buoi, è passato alla storia coi colori della leggenda. (RCS 2004, cap. 9, ''La carriera'', p. 85) *Negli ultimi tempi {{NDR|[[Cesare]]}} si era spinto anche più in là: aveva imposto che tutte le discussioni che si svolgevano in quel solenne e aristocratico consesso venissero registrate e pubblicate giorno per giorno. Così nacque il primo giornale. Si chiamò ''[[Acta Diurna|Acta diurna]]'', e fu gratuito, perché, invece di venderlo, lo affiggevano ai muri in modo che tutti i cittadini potessero leggerlo e controllare ciò che facevano e dicevano i loro governanti. L'invenzione fu d'immensa portata perché sancì il più democratico di tutti i diritti. Il Senato, che traeva prestigio anche dalla sua segretezza, fu così sottoposto alla pubblica opinione, e non si riebbe mai più da questo colpo. (RCS 2004, cap. 24, ''Cesare'', p. 214) *Se riuscirò ad affezionare alla storia di Roma qualche migliaio di italiani, sin qui respinti dalla sussiegosità di chi gliel'ha raccontata prima di me, mi riterrò un autore utile, fortunato e pienamente riuscito. (introduzione) *Sull'esattezza di quel che [[Tito Livio|Livio]] riferisce facciamo le nostre riserve, specie là dov'egli mette in bocca ai suoi personaggi interi discorsi che somigliano più a Livio che a loro. La sua è una storia di eroi, un immenso affresco a episodi, e serve più a esaltare il lettore che a informarlo. [[Roma]], a dargli retta, sarebbe stata popolata soltanto, come l'Italia di Mussolini, da guerrieri e navigatori assolutamente disinteressati, che conquistarono il mondo per migliorarlo e moralizzarlo. Gli uomini, secondo lui, sono divisi in buoni e cattivi. A Roma c'erano solamente i buoni, e fuori di Roma solamente i cattivi. Anche un grande generale come [[Annibale]] diventa, sotto la sua penna, un comune mariuolo. Ciò non toglie che la storia di Livio, costata cinquant'anni di fatiche a un autore che si dedicò soltanto ad essa, resti un gran monumento letterario. Forse il più grande fra quelli, piuttosto mediocri, eretti sotto il segno di [[Augusto]]. (cap. 30, ''Orazio e Livio'') *Può darsi che [[Dione Cassio]] e [[Svetonio]], nel loro odio per la monarchia, abbiano un po' calcato la mano. Ma matto, [[Caligola]] doveva esserlo davvero. (cap. 31, ''Tiberio e Caligola'') *[[Vitellio]], quando fu catturato nel suo nascondiglio, dove, tanto per cambiare, banchettava, fu trascinato nudo per la città con un laccio al collo, bersagliato di escrementi, torturato con ponderata lentezza, e alla fine gettato nel Tevere.<br>Questa città che si divertiva al fratricidio, questi eserciti che si ribellavano, questi imperatori che venivano subissati di sterco pochi giorni dopo essere stati coperti di osanna: ecco cos'era diventata la capitale dell'Impero. (Rizzoli 1959, cap. 37, ''I Flavi'', pp. 415-416) *Purtroppo la pace, per ottenerla, bisogna essere in due a volerla. (cap. 37, ''I Flavi'') *Era la prima volta, nella storia di Roma, che una guerra si combatteva in nome della religione. Ma fu la Croce che vinse. E il Tevere, trascinando verso la foce i cadaveri di [[Massenzio]] e dei suoi soldati che lo ingombravano, sembrò che spazzasse via i residui del mondo antico. (cap. 46, ''Costantino'') *Il papa che più contribuì a rassodare l'organizzazione in questi primi difficili anni fu [[Papa Callisto I|Callisto]], che molti consideravano un avventuriero. Dicevano che, prima di convertirsi, aveva fatto i quattrini con sistemi piuttosto equivoci, era diventato banchiere, aveva derubato i suoi clienti, era stato condannato ai lavori forzati ed era fuggito con un inganno. Il fatto che, appena diventato papa, proclamasse valido il pentimento per cancellare qualunque peccato, anche mortale, ci fa sospettare che in queste voci un po' di verità c'è. Comunque, fu un gran papa, che stroncò il pericoloso scisma d'[[Ippolito di Roma|Ippolito]] e affermò definitivamente l'autorità del potere centrale. (RCS 2004, cap. 46, ''Costantino'', p. 367) *Le rivoluzioni vincono non in forza delle loro idee, ma quando riescono a confezionare una classe dirigente migliore di quella precedente. E il [[Cristianesimo]] era riuscito proprio in questa impresa. (cap. 47, ''Il trionfo dei cristiani'') *[[Costantino]] fu uno strano e complesso personaggio. Faceva gran scialo di fervore cristiano, ma nei suoi rapporti di famiglia non si mostrò molto ossequente ai precetti di Gesù. Mandò sua madre Elena a Gerusalemme per distruggere il tempio di Afrodite che gli empi governatori romani avevano elevato sulla tomba del Redentore, dove, secondo Eusebio, fu ritrovata la croce su cui era stato suppliziato. Ma subito dopo mise a morte sua moglie, suo figlio e suo nipote. (cap. 47, ''Il trionfo dei cristiani'') *Come tutti i grandi Imperi, quello romano non fu abbattuto dal nemico esterno, ma roso dai suoi mali interni. (cap. 51, ''Conclusione'') *Una religione conta non in quanto costruisce dei templi e svolge certi riti; ma in quanto fornisce una regola morale di condotta. Il [[paganesimo]] questa regola l'aveva fornita. Ma quando Cristo nacque, essa era già in disuso, e gli uomini, consciamente o inconsciamente, ne aspettavano un'altra. Non fu il sorgere della nuova fede a provocare il declino di quella vecchia; anzi, il contrario. (cap. 51, ''Conclusione'') *Il dispotismo è sempre un malanno. Ma ci sono delle situazioni che lo rendono necessario. (cap. 51, ''Conclusione'') ===[[Explicit]]=== Mai città al mondo ebbe più meravigliosa avventura. La sua storia è talmente grande da far sembrare piccolissimi anche i giganteschi delitti di cui è disseminata. Forse uno dei guai dell'Italia è proprio questo: di avere per capitale una città sproporzionata, come nome e passato, alla modestia di un popolo che, quando grida «Forza Roma!», allude soltanto a una [[Associazione Sportiva Roma|squadra di calcio]]. ==''XX Battaglione eritreo''== ===[[Incipit]]=== Sono letterato. E, a parte il brutto e il meschino di quella parola, il mio mestiere m'innamora. Mi sono sforzato tanti anni, per compiacere a qualcuno o a qualcosa, di tradire questo mio istinto. Ma non ce l'ho fatta. E non ce la fo nemmeno ora, soldato in Africa, in piena guerra. Ma non lo dico per presentare il conto. E a chi, poi? Lo dico per un fenomeno di narcisismo: perché mi garba contemplarmi in questo gesto di fedeltà al mestiere, che poi vuol dire fedeltà a me stesso. ===Citazioni=== *Essere [[Àscari|ascaro]] vuol dire, press'a poco, avere un blasone; vuol dire avere tre lire al giorno, più un'indennità vestiario, più un'indennità farina, più un'indennità carne; vuol dire avere un ''tarbush'' e una fascia coi colori del battaglione; vuol dire soprattutto avere un fucile. La gente di questo Paese segue una logica sistematica semplice e dritta: l'umanità si divide in due categorie: gli armati che sono i forti, i disarmati che sono i deboli. Al culmine della gerarchia sociale sta il possessore di fucile, il guerriero: che è tanto più importante quanto più elevato è il suo grado e quanto è maggiore la sua anzianità. (p. 25) *[[Pietro Toselli|Toselli]]. Questo nome non ha in Italia la risonanza che ha qui. Toselli non è un uomo, è una leggenda: non solo alla cronaca, ma sfugge anche alla storia. È rimasto nei canti di questa gente, nelle sue memorie e anche nelle sue speranze. Pur ieri mi diceva il vecchio Sciumbasci, reduce di Adua e ora capopaese di Digsa, che «le cose che si sanno sono molto meno di quelle che non si sanno» e che «il fatto è questo: che il corpo del maggiore Toselli non era più sul campo dopo la battaglia». Su quello che ne sia avvenuto le opinioni sono discordi, ma nessuno crede che il maggiore sia morto. (pp. 35-36) *Appollaiato ai suoi piedi, nascosto fra il verde tenero degli eucalipti, stava [[Alessandro Pirzio Biroli|Pirzio Biroli]]. Il suo nome era mormorato con circospezione dagli [[Àscari|ascari]] disseminati fra le rocce di Mai Egadà a Saganeiti, da Agordar ad Assab, a Cheren, ad Adi Ugri, ad Adi Caieh. Raramente lo si vedeva e sempre a cavallo. Accanto a lui cavalcava Chiarini, la piccola ombra fedele, il fantasma sorto una notte da un roveto della conca di Adua. Chiarini, settantenne, pallido, non scompariva nell'alone magico che Pirzio, il buon gigante, suscitava intorno. (pp. 87-88) *Poi arrivava anche lui, [[Alessandro Pirzio Biroli|Pirzio]] il leone, altissimo, quadrato, col profilo calmo incorniciato dalla folta criniera. Il cavallo, domo dai suoi ginocchi di ferro, caracollava senza un tentativo di ribellione. Dalla sella pendevano, di qua e di là, due aquile colossali, abbattute in volo dal moschetto infallibile di Pirzio. Nessuna tromba sonava l'attenti al suo ingresso. Non ce n'era bisogno. Tutti, nel quartiere, sentivano come per miracolo la sua presenza e restavano ischeletriti. Pirzio non se n'accorgeva: era uno di quegli uomini pei quali gli uomini sentono rispetto per istinto e che passano attraverso la vita come attraverso un'eterna parata, fra due file di bipedi schiaffati meccanicamente sull'attenti. Gli [[Àscari|ascari]] ebbero ragione quando lo battezzarono «il Leone»: non aveva bisogno di ruggire perché il largo gli si facesse automaticamente intorno. (pp. 88-89) ===[[Explicit]]=== Vorremmo ristare dopo la guerra? Il mondo è così visto che nessun limite precisa al desiderio. Italiani, continuate ad aver fame anche dopo aver mangiato. Questa guerra è per noi come una bella lunga vacanza dataci dal Gran Babbo in premio di tredici anni di banco di scuola. E, detto fra noi, era ora. ==Citazioni su Indro Montanelli== *A leggerlo sembrerebbe un disordinatore di professione: sempre pronto a mugugnare, sempre a prendersela con qualcuno. Poi però, quando si tratta di scendere sul pratico, ci consiglia di turarci il naso e di andare a votare per l'Ordine. vallo a capire. ([[Luciano De Crescenzo]]) *Amo Indro Montanelli, ma non i suoi emuli. I polemisti per posa non mi piacciono, non li ritengo utili. Ma lui non era un polemista fine a se stesso, come tanti dei suoi presunti eredi. Era piuttosto, come da titolo di una sua fortunata rubrica, controcorrente. Non si curava delle convenienze, dei vantaggi che gli sarebbero derivati nel seguire l'onda di [[pensiero]] prevalente. Aveva la sua visione delle cose, sempre originale e spesso esatta. Io credo che dire quel che si pensa premi sempre. Montanelli lo faceva, e andava a letto tranquillo. ([[Fabio Genovesi]]) *C'è davvero qualcosa di singolare nel modo in cui è venuta formandosi la memoria della Repubblica, nel modo in cui tale memoria è stata ed è elaborata dalla cultura ufficiale del Paese. Per molti decenni, ad esempio, a quanto accaduto dal 1943 al '45 fu vietato dare il nome che gli spettava, il nome cioè di [[Guerra civile in Italia (1943-1945)|guerra civile]]. Parlare di guerra civile era giudicato fattualmente falso, e ancor di più ideologicamente sospetto. Bisognava dire che quella che c'era stata era la resistenza, non la guerra civile; di guerra civile parlavano e scrivevano, allora, solo i reduci di Salò, i nostalgici del regime e qualche coraggioso giornalista o pubblicista di rango come Indro Montanelli, che mostravano così da che parte ancora stavano. Le cose andarono in questo modo a lungo. Finché, all'inizio degli anni Novanta, come si sa, uno storico di sinistra, [[Claudio Pavone]], scrisse un libro sul periodo 1943-'45 che si intitolava precisamente ''Una guerra civile'': solamente da allora tutti abbiamo potuto usare senza problemi questa espressione, ben inteso non cancellando certo la parola resistenza. ([[Ernesto Galli della Loggia]]) *È uno che riesce a spiegare agli altri quello che non capisce nemmeno lui. ([[Mario Missiroli]]) *È vero che ha cambiato parere politico più volte, ma sempre perché profondamente preoccupato per le sorti del paese. Ma Indro ha cambiato parere sempre meno di quei giornalisti che da Lotta Continua sono passati a Comunione e Liberazione per approdare infine a dirigere quotidiani di Stato. Senza contare tutti coloro che da stalinisti o maoisti sono diventati prima antimarxisti e ora clintoniani: Montanelli ragiona, loro vogliono avere sempre ragione. ([[Fausto Gianfranceschi]]) *Indro è naturalmente inclinato, direi quasi condannato a vedere più i ''tics'' degli uomini che le loro qualità e nessuno come lui fa più uso, nei suoi ritratti, dell'acido prussico. ([[Eugenio Montale]]) *{{maiuscoletto|Indro Montanelli}}. L'Italia dei Luoghi Comuni. ([[Marcello Marchesi]]) *Io mi sono limitato ad adottare la sua formula giornali­stica. Ma l'ho realizzata meglio perché mi sono sempre esposto, ci ho messo la faccia. Lui invece era come Veltroni: "Sì, ma an­che". Non si schierava nettamente, il suo editoriale era così in chiaroscuro che alla fine non capivi mai se fosse chiaro o scuro. Il che non significa che non resti il migliore di tutti noi. Ho venduto più di lui solo perché a me la gente non fa schifo. ([[Vittorio Feltri]]) *Mi sono sentito in imbarazzo per lui, e il mio primo pensiero è stato il rifiuto – «no, povero Montanelli» – quando all'ingresso dei giardini di via Palestro mi sono trovato davanti alla sua statua, al punto che ho pensato che ci sono vandali che distruggono e vandali che costruiscono, e che anzi, per certi aspetti, il vandalismo che crea è ben peggiore, perché tenta di disarmarti con le sue buone intenzioni. Dunque era di mattina, molto presto, e i giardini erano vuoti, al sole. Ebbene in questo vuoto, la statua mi è apparsa all'improvviso: una figurina in gabbia che non ha niente a che fare con Montanelli, se non perché lo offende anche fisicamente, lui che era così "verticale", e che ci invitava a buttare via «il grasso» e la retorica monumentale. Il giornalista che ogni volta si ri-definiva in una frase, in un concetto, in un aforisma, in una citazione, è stato per sempre imprigionato in una scatola di sardine. Perciò ho provato il disagio che sempre suscita il falso, la patacca, la similpelle che non è pelle, perché non solo questo non è Montanelli, come ci ha insegnato Magritte che dipinse una pipa e ci scrisse sotto "questa non è una pipa". Il punto è che questa non è neppure una statuta di Montanelli, ma di un montanelloide in bronzo color oro, che ha la presunzione ingenua e goffa di imprigionare il Montanelli entelechiale, il Montanelli che era invece l'asciuttezza, era il corpo più "instatuabile" del mondo, troppo alto, troppo energico, troppo nervoso, incontenibile nello spazio e nel tempo com'è l'uomo moderno, che è nomade e ha un'identità al futuro. Era il più grande nemico delle statue il Montanelli che sempre ci sorprendeva, fascista ma con la fronda, conservatore ma anarchico, con la sinistra ma di destra, un uomo di forte fascino maschile che tuttavia non amava raccogliere i trofei del fascino maschile, ingombrante ma discreto, il solo che nella storia d' Italia abbia rifiutato la nomina a senatore a vita perché, diceva, «i monumenti sono fatti per essere abbattuti», come quello di Saddam, o di Stalin o di Mussolini. Come si può fare una statua ingombrante e discreta? Come si può fare un monumento all'antimonumento? ([[Francesco Merlo]]) *Montanelli comprò una sposa ragazzina di 11-12 anni. In realtà non possiamo sapere con precisione l'età perché nei villaggi africani non si registravano le nascite. Ma la comprò, questo lo sappiamo. E la violentò più volte. sappiamo anche questo, è stato lui a raccontare che lei non voleva. [...] Da italiano Montanelli avrebbe potuto riconoscere i segni di quella crudeltà e discostarsene. Non lo fece perché condivideva evidentemente quella cultura patriarcale. Perché non mettere al posto della sua statua quella di una donna della Resistenza? In Italia vorrei vedere più statue di donne partigiane. ([[Maaza Mengiste]]) *Montanelli disprezzava la borghesia che difendeva, e ammirava i comunisti che attaccava. Era convinto che la rivolta di Budapest si dovesse a operai che volevano il vero socialismo; mentre fu una rivolta nazionalista e antisovietica. ([[Enzo Bettiza]]) *Montanelli è il campione di indipendenza dalla politica, anche se sono arrabbiato con lui perché mi ha insegnato regole di comportamento anacronistiche, che nel giornalismo odierno non valgono più. ([[Daniele Vimercati]]) *Montanelli ha sempre avuto una componente di destra. È stato un uomo di destra come fascista, uomo di destra come sostenitore dei governi dc sia pure turandosi il naso. [...] Adesso è un uomo di destra qualunquista, ma sempre di destra. ([[Ugo Intini]]) *Montanelli, un misantropo che cerca compagnia per sentirsi più solo. ([[Leo Longanesi]]) *Quanto mi ha insegnato: le parole da non usare, le cose da non dire, la persone da non frequentare. ([[Beppe Severgnini]]) *Recentemente sono stato insignito del Premio Montanelli alla carriera che dovrebbe essermi consegnato a ottobre a Fucecchio, a meno che nel frattempo non mi sia revocato per indegnità, sempre in nome della libertà di informazione. Sono certo che il vecchio Indro non avrebbe condiviso nemmeno un fonema del mio necrologio sul Mullah {{NDR|Omar}}, ma sono altrettanto certo che non si sarebbe mai sognato di bloccarlo. Caso mai ci avrebbe riso su, considerandolo una provocazione, anche se provocazione non era. Perché Montanelli era un vero liberale. Quando i liberali esistevano ancora. ([[Massimo Fini]]) *Sa spalmare una così giusta misura di miele sull'orlo del nappo avvelenato che prepara per questo o per quello, che spesso la vittima muore senza accorgersene, ingannata dai soavi licori. ([[Paolo Monelli]]) *Scalfari e Montanelli direttori all'antica, padroni, mattatori che ricordano gli Scarfoglio, i vecchi direttori dell'ottocento che non solo incrociavano la penna ma anche la spada in una rissa continua con tutt ([[Ugo Intini]]) *Si può raccontare la [[storia]] in forma lieve, senza essere troppo ponderosi, rispettando tuttavia le fonti e la verità storica. Montanelli era molto bravo a scrivere, ma in fondo ne sapeva poco, gli piaceva gigioneggiare, sprofondava nell'anacronismo. Oggi ci si è accorti che, nel raccontare la storia, essere rigorosi ed essere divertenti non è conflittuale. ([[Alessandro Barbero]]) *So solo che Montanelli è fatto così: un maestro di giornalismo che ogni tanto s'impenna con qualcuna delle sue bizzarrie. ([[Giorgio Bocca]]) *Una volta, parecchi anni fa, Indro Montanelli, dicendosi disgustato della morbidezza e della mollezza della [[Democrazia Cristiana]], che ammorbidiva, incorporava, estenuava e alla fine innocuizzava qualsiasi opposizione, togliendole ogni soddisfazione e dignità, mi mostrò una fotografia, incastonata in una cornicetta d'argento, che teneva, a mo' di santino, come altri fanno con le immagini della madre o della moglie e dei figli, sulla sua scrivania, al «Giornale». Con sorpresa vidi che si trattava di Stalin. «Con questo ci sarebbe stato gusto, a battersi», disse. ([[Massimo Fini]]) *Ognuno può pensarla come vuole, ma quando si passa dalla cronaca alla storia è necessario mantenere un giusto approccio ed essere oggettivi sui valori della persona. Indro Montanelli è stato forse il più autorevole giornalista che l’Italia ha avuto nel ventesimo secolo. La Toscana penserà ad azioni per valorizzarlo. ([[Eugenio Giani]]) ===[[Enzo Biagi]]=== *A Indro Montanelli devo molto: intanto, l'idea che chi conta è il pubblico. Poi la necessità di essere chiari, di far anche fatica, perché chi legge non ha voglia di impegnarsi troppo, e solo se uno si chiama [[James Joyce|Joyce]] può essere difficile. *Montanelli se n'è sempre fregato delle critiche, io molto meno, ho un carattere permaloso, spesso non ho resistito alla tentazione di rispondere a chi mi attaccava. Indro mi sgridava, diceva a mia moglie di tenermi calmo, che non ne valeva la pena, che erano tutte bischerate. [...] Per lui il buon risultato era il sorriso di un passante, l'oste che gli trovava il tavolo. Qualcuno si chiedeva che cos'avesse di speciale. A pensarci bene, niente. Scriveva degli articoli che erano letti e dei libri che si vendevano. *Non è una gran notizia che Indro e io non abbiamo mai fatto parte del coro, ma fu una grande notizia la spiegazione che ne diede Berlusconi: "Biagi e Montanelli hanno invidia del mio successo". La prima cosa che mi venne in mente fu: "Sai che risate si starà facendo Indro adesso". Poi mi dissi che c'era poco da ridere. ==Note== <references/> ==Bibliografia== *Indro Montanelli, ''Qui non riposano'', Marsilio, 1982 (1945). *Indro Montanelli, ''Pantheon minore'' (incontri), Longanesi e C., Milano, 1950. {{NoISBN}} *Indro Montanelli, ''Gli incontri'', Rizzoli, Milano, 1967. {{NoISBN}} *Indro Montanelli, ''Storia dei greci'', Rizzoli, Milano, 1992. ISBN 8817115126 *Indro Montanelli, ''Storia dei greci'', RCS Quotidiani, Milano, 2004. ISBN 1-129-08505-8 *Indro Montanelli, ''Storia di Roma'', Longanesi, Milano, 1957; Rizzoli, Milano, 1959. {{NoISBN}} *Indro Montanelli, ''Storia di Roma'', RCS Quotidiani, Milano, 2004. ISBN 1-129-08505-8 *Indro Montanelli, ''L'Italia giacobina e carbonara (1789-1831)'', Rizzoli, Milano, 1971. {{NoISBN}} *Indro Montanelli, ''L'Italia del Risorgimento (1831-1861)'', terza edizione, Rizzoli, Milano, 1972. {{NoISBN}} *Indro Montanelli, ''L'Italia dei notabili (1861-1900)'', Rizzoli, Milano, 1973. {{NoISBN}} *Indro Montanelli, ''L'Italia di Giolitti (1900-1920)'', Rizzoli, Milano, 1974. {{NoISBN}} *Indro Montanelli, ''L'Italia in camicia nera (1919-3 gennaio 1925)'', Rizzoli, Milano, 1976. *Indro Montanelli, ''Dante e il suo secolo'', Rizzoli, Milano, 1974. {{NoISBN}} *Indro Montanelli, ''I protagonisti'', Rizzoli, Milano, 1976. {{NoISBN}} *Indro Montanelli, ''Controcorrente'', Editoriale Nuova, Milano, 1978. {{NoISBN}} *Indro Montanelli, ''Controcorrente 1974-1986'', Arnoldo Mondadori Editore, Milano, 1987. ISBN 8804300558 *Indro Montanelli, ''Il meglio di «Controcorrente». 1974-1992'', Rizzoli, Milano, 1993. ISBN 8817428078 *Indro Montanelli, ''Il testimone'', TEA, Milano, 1993. ISBN 8878194182 *Indro Montanelli, ''Le Stanze. Dialoghi con gli italiani'', Rizzoli, Milano, 1998. ISBN 8817852597 *Indro Montanelli, ''Le nuove Stanze'', Rizzoli, Milano, 2001. ISBN 8817868426 *Indro Montanelli, ''Soltanto un giornalista. Testimonianza resa a Tiziana Abate'', BUR, Milano, 2003. ISBN 8817107042 *Indro Montanelli, ''I conti con me stesso. Diari 1957-1978'', a cura di [[Sergio Romano]], Rizzoli, Milano, 2010. ISBN 8817028202 ([http://books.google.it/books?id=fuh--fZGHMcC&printsec=frontcover Anteprima su Google Libri]) *Indro Montanelli, ''Ricordi sott'odio'', Milano, Rizzoli, 2011, ISBN 978-88-17-04963-4 *Indro Montanelli, ''Indro al Giro. Viaggio nell'Italia di Coppi e Bartali. Cronache del 1947 e 1948'', a cura di Andrea Schianchi, Collana Saggi italiani, Milano, Rizzoli, 2016. ISBN 978-88-1708-969-2 *Paolo Granzotto, ''Montanelli'', Bologna, Il Mulino. ISBN 88-15-09727-9 *Paolo Occhipinti (a cura di), ''Caro Indro... Dialoghi di Montanelli con il direttore di Oggi. 1993-2001. Il meglio di una rubrica di successo durata otto anni'', RCS, Milano, 2002. ==Voci correlate== *[[Colette Rosselli]] *[[Indro Montanelli e Roberto Gervaso]] *[[Indro Montanelli e Mario Cervi]] *[[Indro Montanelli e Marco Nozza]] *''[[Il generale Della Rovere]]'' (film 1959) ==Altri progetti== {{interprogetto}} ===Opere=== {{Pedia|La Voce (quotidiano)|''La Voce''}} {{Pedia|Storia d'Italia (Montanelli)|''Storia d'Italia''}} {{DEFAULTSORT:Montanelli, Indro}} [[Categoria:Drammaturghi italiani]] [[Categoria:Giornalisti italiani]] [[Categoria:Saggisti italiani]] [[Categoria:Commediografi italiani]] qmcyumnqdn8rdi0y8mct3habnn7bswa 1381953 1381949 2025-07-01T20:30:45Z ~2025-110542 103361 /* La Stampa */ fatti dei tagli 1381953 wikitext text/x-wiki [[File:IndroMontanelliLettera22.jpg|thumb|upright=1.5|Indro Montanelli alla sede del ''Corriere della Sera'']] '''Indro Montanelli''' (1909 – 2001), giornalista, saggista e commediografo italiano. ==Citazioni di Indro Montanelli== [[File:Indro Montanelli 1936.jpg|miniatura|Indro Montanelli, ufficiale del Regio Esercito, 1936]] *[[Gianni Agnelli|Agnelli]] ha detto che non siamo nella repubblica delle banane, però qualche banana in Italia c'è, perché avvengono cose veramente singolari.<ref>Citato in Marco Travaglio, ''Bananas'', Garzanti, Milano, 5 maggio 2001.</ref> *Al [[conformismo]] l'[[ironia]] fa più paura d'ogni [[Argomentazione|argomentato ragionamento]].<ref>Da ''Controcorrente'', Editoriale Nuova, Milano, 1978.</ref> *{{NDR|[[Ferdinando I delle Due Sicilie]]}} Aveva sulla coscienza la vita di migliaia d'infelici, morti sulla forca e nelle galere solo per aver voluto un po' di libertà. Era stato spergiuro. Non aveva conosciuto che disfatte e fughe ignominiose di fronte al nemico. Politicamente, era rimasto fermo alla concezione settecentesca del più retrivo assolutismo. Non aveva fatto che i propri interessi, e più ancora i propri comodi, della regalità prendendosi solo i piaceri. Non aveva saputo che incrementare l'ignoranza di cui egli stesso era campione. Eppure, il cordoglio popolare per la sua morte non ci stupisce, perché un dono lo aveva avuto: la genuinità. Questo Re fellone e fannullone non aveva mai cercato di apparire diverso da quel che era: uno scugnizzo dei «bassi», prepotente, ridanciano e sboccato, nato per caso con una corona in testa e che aveva sempre concepito la sua parte come quella di un buon capo-camorra. Non aveva interpretato che i caratteri deteriori del popolo napoletano, ma anche i più appariscenti e riconoscibili.<ref>Da ''L'Italia unita. {{small|Da Napoleone alla svolta del Novecento}}'', Rizzoli BUR, Milano, 2015, [https://books.google.it/books?id=8J7tCgAAQBAJ&lpg=PT206&dq=&pg=PT206#v=onepage&q&f=false p. 206]. eISBN 978-88-58-68272-2</ref> *Avevo capito fin dal primo incontro che l'aggressività di [[Anna Magnani|Anna {{NDR|Magnani}}]] era solo la maschera della sua insicurezza. Era una donna difficile e sempre agli estremi di tutto: della dolcezza come del furore, e non si capiva mai bene, forse non lo capiva nemmeno lei, quanto l'uno e l'altra fossero veri, o soltanto scena. Certo è che dall'uno all'altra passava con fulminea velocità e tenendo chiunque in stato di fibrillazione. <ref>Da ''Anna Magnani, la più grande attrice del nostro cinema'', 23 ottobre 1999, in ''Le Nuove stanze'', a cura di Michele Brambilla, RCS Libri, Milano, 2002, p. 280.</ref> *{{NDR|[[Walter Chiari]]}} Avrebbe meritato 30 anni di prigione per lo spreco del suo talento.<ref>Citato in Luciano Giannini, ''[https://www.ilmattino.it/AMP/cultura/walter_chiari_100_walter_sottotitolo_chiari_biografia_di_un_genio_irregolare-7954361.html Walter Chiari genio irregolare che confessava di aver vissuto]'', ''Il Mattino'', 24 febbraio 2024</ref> *[[Silvio Berlusconi|Berlusconi]] è una persona intelligente finché riesce a ragionare col suo cervello: il suo cervello è valido. Ma lui, oltre al cervello, ha le viscere, e molto spesso le viscere prendono la prevalenza sul cervello. E quando lui si abbandona alle viscere, secondo me, diventa uomo pericoloso. Questo lo dico a lei perché l'ho detto a lui, perché gliel'ho anche scritto.<ref name="milano">Dal programma televisivo ''Milano, Italia'', Rai 3, 11 gennaio 1994.</ref> *[[Silvio Berlusconi|Berlusconi]] ha straordinarie qualità di imprenditore – coraggio, fantasia, forza di lavoro – che gli hanno valso il successo in tutti i campi in cui si è cimentato. Una sola cosa non gli riesce di fare, il presidente di una società di calcio.<ref>Da ''[http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/1987/01/20/ora-montanelli-critica-berlusconi.html Ora Montanelli critica Berlusconi]'', ''la Repubblica'', 20 gennaio 1987.</ref> *[[Silvio Berlusconi|Berlusconi]] non ha idee: ha solo interessi.<ref>2001; citato in [[Marco Travaglio]], ''Ad personam'', Chiarelettere, Milano, 2010, p. 39, ISBN 978-88-6190-104-9.</ref> *{{NDR|Su [[Aldo Moro]]}} Calvinista a rovescio, invece che nella predestinazione della [[Grazia divina|grazia]], credeva in quella della [[disgrazia]].<ref>Citato in [[Roberto Gervaso]], ''Ve li racconto io'', Mondadori, Milano, 2006, pp. 310-311, ISBN 88-04-54931-9.</ref> *Certo, per un direttore di giornale, avere sottomano un [[Marco Travaglio|Travaglio]], che su qualsiasi protagonista, comprimario e figurante della vita politica italiana è pronto a fornirti su due piedi una istruttoria rifinita nel minimo dettaglio è un bel conforto. Ma anche una bella inquietudine. Il giorno in cui gli chiesi se in quel suo archivio, in cui non consente a nessuno di ficcare il naso, ci fosse anche un fascicolo intitolato al mio nome, Marco cambiò discorso.<ref>Dalla prefazione a Marco Travaglio, ''Il Pollaio delle Libertà'', Vallecchi, Firenze, 1995.</ref> *Chi di voi vorrà fare il [[giornalista]], si ricordi di scegliere il proprio padrone: il [[lettore]].<ref>Dalla lezione di giornalismo all'Università di Torino, 12 maggio 1997; citato in ''La Stampa'', 14 aprile 2009.</ref> *Conosco molti furfanti che non fanno i [[Morale|moralisti]], ma non conosco nessun moralista che non sia un furfante. Senza, per carità, allusione a [[Eugenio Scalfari|Scalfari]]. Solo come promemoria.<ref>Citato in [[Eugenio Scalfari]], ''Incontro con io'', Rizzoli, Milano, 1994, ISBN 8806200747.</ref> *Cosa c'è meglio di [[Romano Prodi|Prodi]]? Governa fra compromessi e imbroglietti. I nostri soci sanno benissimo che siamo imbroglioni, che sui conti che portiamo all'Europa s'è un po' imbrogliato. Accettano lo stesso, purché non s'esageri. E [[Carlo Azeglio Ciampi|Ciampi]] non esagera, è un economista serio e vero. [...] {{NDR|Romano Prodi}} Con la faccia da mortadella, l'ottimismo inossidabile e l'eterno sorriso, ci porterà in Europa: ringraziamo Dio, e anche [[Massimo D'Alema|D'Alema]], che ci hanno dato Prodi.<ref name=Montanelli>Citato in Francesco Battistini ''[https://web.archive.org/web/20160101000000/http://archiviostorico.corriere.it/1997/dicembre/19/Montanelli_ragazzi_rifate_68_co_0_97121914987.shtml Montanelli: ragazzi, rifate il '68]'', ''Corriere della Sera'', 19 dicembre 1997.</ref> *Dicono che [[Ciriaco De Mita|De Mita]] sia un intellettuale della Magna Grecia. Io però non capisco cosa c'entri la Grecia...<ref>Citato in ''Liberazione'', 22 febbraio 2008.</ref> *{{NDR|Su [[Giulia Maria Crespi]]}} Dispotica guatemalteca.<ref> Citato in Paolo Martini, ''[https://www.adnkronos.com/crespi-la-zarina-del-corriere-della-sera-che-fondo-il-fai_4YA2lu93AIXTzgMw0Wj65x Crespi, la 'zarina' del Corriere della Sera che fondò il Fai]'', adnkronos.com, 19 luglio 2020.</ref> *{{NDR|Su [[Gad Lerner]], nel 2000}} È bravissimo, son contento l'abbian messo al ''Tg1'', è un buon conduttore, buonissimo giornalista. Ma sarà un bravo direttore?<ref>Citato in Antonella Rampino, ''[http://www.archiviolastampa.it/component/option,com_lastampa/task,search/mod,libera/action,viewer/Itemid,3/page,3/articleid,0428_01_2000_0162_0003_4349235/ Il rischio? Una missione impossibile]'', ''La Stampa'', 17 giugno 2000.</ref> *{{NDR|Su [[Concetto Lo Bello]]}} Entra in campo col passo del padrone che ispeziona il proprio podere.<ref>Citato in Marco Innocenti, ''[https://st.ilsole24ore.com/art/SoleOnLine4/dossier/Tempo%20libero%20e%20Cultura/storie-della-storia/archivio-2009/storie-storia-9-settembre-muore-lo-bello.shtml?uuid=4327f496-881f-11de-873c-ca3137183d57&DocRulesView=Libero&refresh_ce=1 9 settembre 1991: se ne va il re degli arbitri, Concetto Lo Bello]'', ''ilsole24ore.com'', 8 settembre 2009.</ref> *{{NDR|Su [[Gaio Giulio Cesare|Giulio Cesare]]}} Grande soldato, grande statista, grande scrittore, grande avventuriero. E grande amatore. C'era di tutto. [...] In questa epoca di Mani Pulite Cesare sarebbe rimasto sicuramente "intangentato". Di tangenti lui ne prese parecchie. Ma a differenza dei mariuoli di oggi era anche un grande legislatore, un grande generale, un uomo di un'efficienza straordinaria. I nostri sono dei ladri. Ladri e basta.<ref>Citato in Mauro Anselmo, ''[http://www.archiviolastampa.it/component/option,com_lastampa/task,search/mod,libera/action,viewer/Itemid,3/page,7/articleid,0797_01_1993_0212_0009_11229316/ Montanelli: così ho finito la mia Storia d'Italia]'', ''La Stampa'', 4 agosto 1993.</ref> *{{NDR|Su [[Clare Boothe Luce]]}} Ha la mentalità schematica di una maestra di scuola.<ref>Citato in Massimo Gaggi, ''Quando il giornale del Pci pensò di pubblicare il nudo dell'ambasciatrice Usa'', ''Corriere della Sera'', 18 dicembre 2022.</ref> *{{NDR|Su [[Lucio Battisti]]}} Ho amato molto le sue canzoni e il suo desiderio di vivere appartato.<ref>Citato in [[Leo Turrini]], ''Lucio Battisti: la vita, le canzoni, il mistero'', Mondadori, 2008, retrocopertina.</ref> *I mariti italiani, per comprar la pelliccia alle mogli, spendono più di tutti i loro colleghi europei. Poveri, ma pelli.<ref name=Controcorrente>Da ''Controcorrente, 1974–1986'', Mondadori, Milano, 1987.</ref> *I nostri uomini politici non fanno che chiederci, a ogni scadenza di legislatura, «un atto di fiducia». Ma qui la fiducia non basta; ci vuole l'atto di fede.<ref name=Controcorrente/> *I [[Ricordo|ricordi]] vanno messi sotto teca, appesi a una parete e guardati. Senza tentare di rinnovarli. Mai.<ref>Da un'intervista di [[Ferruccio de Bortoli]], 1999; in ''[http://www.rai.it/dl/Rai5/programma.html?ContentItem-f04f3982-e954-471e-8242-78f92423550d Indro Montanelli, gli anni della televisione]'', puntata 8, di Nevio Casadio, Rai Premium, 2013.</ref> *Il bello dei [[politologi]] è che, quando rispondono, uno non capisce più cosa gli aveva domandato.<ref name=Controcorrente/> *{{NDR|Su [[Carlo Sforza]]}} Il conte si piega sulle gambe come se volesse saltare in arcione. E io dico: è veramente un bell'uomo.<ref>Citato da Guido Russo Perez nella [https://documenti.camera.it/_dati/leg01/lavori/stenografici/sed0331/sed0331.pdf Seduta pomeridiana del 31 ottobre 1949] della Camera dei deputati.</ref> *Il fascismo privilegiava i somari in divisa. La democrazia privilegia quelli in tuta. In Italia, i regimi politici passano. I somari restano. Trionfanti.<ref name=Controcorrente/> *Il guaio di [[Eugenio Scalfari|Scalfari]] non è che dice quel che pensa. Il guaio di Scalfari è che pensa quel che dice.<ref>Citato in Paolo Granzotto, ''Montanelli'', p. 173.</ref> *In [[Italia]] a fare la dittatura non è tanto il dittatore quanto la paura degli italiani e una certa smania di avere, perché è più comodo, un padrone da servire. Lo diceva [[Benito Mussolini|Mussolini]]: «Come si fa a non diventare padroni di un paese di servitori?».<ref>Dall'intervista di Pasquale Cascella, ''Montanelli: «Il regime? È alle porte, inutile aspettare il dittatore»'', ''l'Unità'', 25 ottobre 1994, p. 5.</ref> *In Italia c'è una frangia d'imbecilli tali che credono si possa resuscitare il comunismo. Seppellire il cadavere del marxismo non è facile, anche perché per molti significa rinnegare l'intera esistenza. Ma certo [[Fausto Bertinotti|Bertinotti]] non è di questi: lui non sa un corno di marxismo, non gl'importa niente, è un piccolo pagliaccio, un populista all'italiana che scalda in piazza maree di poveri diavoli e parla ancora delle masse operaie, che vede solo lui.<ref name=Montanelli></ref> *In Italia non c'è una coscienza civile, non c'è un'identità nazionale che tenga insieme uno Stato federale e garantisca la civile convivenza delle sue parti. Invece io vedo solo nell'Italia Cisalpina qualche barlume di coscienza civile e una vocazione europea. Altrove, invece, è un disastro difficile, se non impossibile, da rimediare. Spero proprio di sbagliarmi.<ref name=Italia>Citato in ''Il grande vecchio del giornalismo rilegge gli ultimi anni della nostra storia'', ''L'Indipendente'', 25 luglio 1995.</ref> *In Italia si può cambiare soltanto la Costituzione. Il resto rimane com'è.<ref>Dall'articolo di Polaczek, ''Teile und sende'', in ''Frankfurter Allgemeine Zeitung'', 15 agosto 1996, p. 29.</ref> *In Italia un colpo di piccone alle [[Casa di tolleranza|case chiuse]] fa crollare l'intero edificio, basato su tre fondamentali puntelli, la Fede cattolica, la Patria e la Famiglia. Perché era nei cosiddetti postriboli che queste tre istituzioni trovavano la più sicura garanzia.<ref>Citato in Daniele Abbiati, [http://www.ilgiornale.it/news/tresse-indro-nella-repubblica-delle-marchette.html ''La maîtresse di Indro nella Prima Repubblica delle marchette''], ''il Giornale.it'', 22 ottobre 2010.</ref> *In nome di quale razza noi faremmo del razzismo? Se c'è un paese (adesso non voglio offendere, perché io sono italiano come tutti gli altri), ma se c'è un paese bastardo è l'Italia, cioè a dire una confluenza di razze diverse.<ref>Dal programma televisivo di Rai 3 ''Eppur si muove'', 20 marzo 1994.</ref> *Io non mi sono mai sognato di contestare alla [[Chiesa (comunità)|Chiesa]] il suo diritto a restare fedele a se stessa, cioè ai comandamenti che le vengono dalla Dottrina... ma che essa pretenda d'imporre questi comandamenti anche a me che non ho la fortuna di essere un credente, cercando di travasarli nella legge civile in modo che diventi obbligatorio anche per noi non credenti, è giusto? A me sembra di no.<ref>Citato in [[Umberto Veronesi]], ''[http://www.repubblica.it/2008/10/sezioni/cronaca/eluana-eutanasia-3/comm-veronesi/comm-veronesi.html Non vince la scienza]'', ''la Repubblica'', 14 novembre 2008.</ref> *Io il giornale urlato non è che non glielo voglio dare, non lo so fare! La clava non è nel mio armamentario! Non lo posso fare e non credo che sia un buon segno di civiltà politica l'uso della clava.<ref name="milano" /> *Io non sono napoletano, ma di fronte a [[Peppino De Filippo|Peppino]], non so come, mi capita sempre di diventarlo.<ref name=Pappagone>Citato in ''Pappagone e non solo'', a cura di Marco Giusti, Mondadori, Milano, 2003.</ref> *{{NDR|Alla nipote Letizia Moizzi}} Io sarò il tuo Jukebox. Tu metti una monetina e io ti racconto un ricordo.<ref>Citato in Elvira Serra, «Scoprii che era importante quando le Br gli spararono. Lo convinsi io a prendere i farmaci per la depressione», ''Corriere della Sera'', 20 gennaio 2025.</ref> *Io non voglio soffrire, io non ho della sofferenza un'idea cristiana. Ci dicono che la sofferenza eleva lo spirito; no la sofferenza è una cosa che fa male e basta, non eleva niente. E quindi io ho paura della sofferenza. Perché nei confronti della morte, io, che in tutto il resto credo di essere un moderato, sono assolutamente radicale. Se noi abbiamo un diritto alla vita, abbiamo anche un diritto alla morte. Sta a noi, deve essere riconosciuto a noi il diritto di scegliere il quando e il come della nostra morte.<ref>Citato in Carlo A. Martigli, ''[http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2002/04/25/sul-diritto-alla-morte-si-discute-su.html Sul diritto alla morte si discute su Internet]'', ''la Repubblica'', 25 aprile 2002.</ref> *Kipling diceva: "un italiano, un bel tipo; due italiani, una discussione; tre italiani, tre partiti politici". I suoi concittadini, invece, li definiva così: "un inglese, un cretino; due inglesi due cretini; tre inglesi, un popolo". Vorrei avere a che fare con dei cretini che, insieme, facessero un popolo.<ref>Citato in Cristina Taglietti, ''[https://web.archive.org/web/20160101000000/http://archiviostorico.corriere.it/1998/dicembre/17/Montanelli_cari_studenti_volete_spaccate_co_0_98121712510.shtml Montanelli: cari studenti, se volete spaccate tutto ma è inutile]'', ''Corriere della Sera'', 17 dicembre 1998.</ref> *{{NDR|Riguardo all'approvazione della legge elettorale nota come mattarellum}} L'unico modello a cui possiamo rifarci è quello francese, non quello inglese. In un paese dove ci sono venti-venticinque partiti, come si fa l'uninominale a turno unico? Qui rischia di vincere un partito che ottiene il dieci percento, perché gli altri hanno ottenuto il sette, il sei. Ma le pare giusto questo? Io non so se è stata una follia o un atto criminale questa riforma elettorale. Io sono per la traduzione in processo dei legislatori, da [[Sergio Mattarella|Mattarella]] agli altri - non è stato il solo - i quali hanno fatto, come al solito, o creduto di fare gli interessi del proprio partito. Hanno fatto questa legge prima che venisse il diluvio universale di [[Mani pulite|Tangentopoli]], convinti che siccome loro erano il partito di maggioranza relativa spazzavano via l'Italia. Poi è venuta tangentopoli e ora piangono. Dovrebbero suicidarsi se avessero un minimo di dignità. Suicidarsi. Perché in nome degli interessi di partito hanno completamente rovinato l'Italia. [...] Questi legislatori che hanno truffato con questa legge - perché questa legge è una truffa - io vorrei sapere come mai non vengono processati. Dovrebbero essere processati per lesa patria.<ref name=conferenza>[https://www.youtube.com/watch?v=snbg12DCPSM Indro Montanelli presenta "La Voce", conferenza stampa integrale], 1994.</ref> *La cosa curiosa di [[Antonino Caponnetto|Caponnetto]] è che si va a schierare con [[Leoluca Orlando|Orlando]] che è stato il peggior denigratore di [[Giovanni Falcone|Falcone]]. E poi dice che fa l'antimafia, io vorrei sapere i voti a Orlando chi glieli ha dati.<ref>Citato in Riccardo Chiaberge ''[https://web.archive.org/web/20160101000000/http://archiviostorico.corriere.it/1994/marzo/21/Montanelli_voce_controcorrente_co_0_94032115801.shtml Montanelli la voce controcorrente]'', ''Corriere della Sera'', 21 marzo 1994.</ref> *La [[cultura]], per un giornalista, è come una puttana: la puoi frequentare ma non devi ostentarla. La cultura si tiene nel cassetto. Il lettore non va trattato dall'alto in basso, ma preso per mano come un amico e portato dove vuoi.<ref>Citato in [[Roberto Gervaso]], ''Ve li racconto io'', Mondadori, Milano, 2006, p. 294, ISBN 88-04-54931-9.</ref> *La cultura si è chiusa nella torre eburnea. Rimane lì, arroccata in sé stessa, perché ha orrore dei contatti col pubblico, si crede diminuita dai contatti col pubblico. Questa è la cultura italiana. È una cultura di cretini.<ref name="montecarlo">Radio Montecarlo, [https://www.youtube.com/watch?v=A77mrwIjSSs Intervista a Indro Montanelli], di Roberto Arnaldi, 1973.</ref> *La [[depressione]] è una malattia democratica: colpisce tutti.<ref>Citato nel programma televisivo ''Ippocrate'', Rai News, 13 giugno 2010.</ref> *La devolution mi preoccupa molto, perché la decomposizione della [[Repubblica Socialista Federale di Jugoslavia|Jugoslavia]] cominciò esattamente così: reclamata e imposta dai due grandi compari Tudjiman e [[Slobodan Milošević|Milosevic]] che distrussero l'unità del Paese per restare padroni in casa propria...<ref>Citato in Gian Guido Vecchi, ''[https://web.archive.org/web/20160101000000/http://archiviostorico.corriere.it/2001/aprile/08/Devolution_traffico_voto_rebus_co_7_0104088547.shtml Devolution e traffico, il voto è un rebus]'', ''Corriere della Sera'', 8 aprile 2001.</ref> *La guerra contro il [[brigantaggio]], insorto contro lo Stato unitario, costò piú morti di tutti quelli del [[Risorgimento]]. Abbiamo sempre vissuto dei falsi: il falso del Risorgimento che assomiglia ben poco a quello che ci fanno studiare a scuola.<ref>Citato in Stefano Preite, ''Il Risorgimento, ovvero, Un passato che pesa sul presente'', Piero Lacaita, 2009.</ref> *La lettura del ''[[Adolf Hitler#Mein Kampf|Mein Kampf]]'' io la renderei, per legge, obbligatoria. Fuori dal contesto in cui fu concepito e scritto, quel libro è un caciucco di coglionerie.<ref>Citato in Cesare Medail, ''Il «Mein Kampf» torna nelle librerie italiane. Grazie a un editore cossuttiano'', ''Corriere della Sera'', 6 maggio 2000.</ref> *La nostra classe politica ha fatto del [[partito]] una specie di totem intoccabile e gli ha attribuito tutti i poteri, con in più un diritto: il diritto di abusarne.<ref name=Dovere>Dal programma televisivo ''Dovere di cronaca'', Rete 4, 1988, [https://www.youtube.com/watch?v=caQgyvTKZS8 visibile su YouTube].</ref> *Le cose non sono importanti per quello che sono, ma per quello che uno ci mette.<ref name="cento">intervista di Enzo Biagi a Indro Montanelli, (1982), da "Cento anni", Fabbri video, 1993.</ref> *Le mie idee sono sempre al vaglio dell'[[esperienza]] e l'esperienza mi impone di rivederle continuamente.<ref name="IIIB">Da un'intervista del 1971, tratta da ''III B, Facciamo l'appello'' di Enzo Biagi; anche in ''[http://www.rai.it/dl/Rai5/programma.html?ContentItem-f04f3982-e954-471e-8242-78f92423550d Indro Montanelli, gli anni della televisione]'', puntata 7, di Nevio Casadio, Rai Premium, 2013.</ref> *[[Leo Longanesi]] che amava [[Marcello Marchesi]] rabbiosamente per lo spreco che faceva del suo talento, quando lo incontrava, gli diceva: "Devo fare una telefonata, mi dai un gettone di intelligenza?". E un giorno mi ordinò un epitaffio per lui. Eccolo: "Qui giace un nessuno — che se avesse voluto — avrebbe potuto diventare — Marcello Marchesi —. Purtroppo o per fortuna — non lo seppe mai —. Come tutti i geni — era un cretino".<ref>Citato in Paola Fallai, ''Marchesi, l'umorista che creò un'atmosfera'', ''La lettura'', ''Corriere della Sera'', 25 marzo 2012; riportato in ''[http://www.cinquantamila.it/storyTellerArticolo.php?storyId=0000001549183 Cinquantamila.it]''.</ref> *Mi accusano molto spesso di avere inventato degli aneddoti. È verissimo. Io ogni tanto invento quando devo descrivere un personaggio, specialmente negli incontri, io invento qualche aneddoto. Però sono sempre aneddoti funzionali, che servono a dimostrare quel certo carattere che mi sembra vero e di dover dimostrare.<ref name="IIIB" /> *Mi avvio verso il mio capolinea con l'angoscia di portare con me le cose che ho più amato: il mio paese e il mio mestiere, temo che non mi sopravviveranno.<ref>Da un'intervista del 1996, tratta da ''Tablet Italiani'', puntata 2, "Montanelli/Bocca", Rai Storia, 25 agosto 2013.</ref> *{{NDR|Su [[Vittorio Mangili]], in riferimento all'[[rivoluzione ungherese del 1956|insurrezione antisovietica in Ungheria nel 1956]]}} Ne ha combinate di tutti i colori. Ha fatto perfino il portaordini dei patrioti, a bordo di una delle loro automobili di collegamento.<ref>Citato in Roberta Scorranese, ''[https://www.corriere.it/cronache/22_ottobre_09/vittorio-mangili-cento-anni-dell-inviato-rai-io-budapest-madre-teresa-1efd76ca-473a-11ed-8ee2-07ab17a2d97d.shtml Vittorio Mangili, i cento anni dell’inviato Rai «Io, da Budapest a Madre Teresa»]'', ''corriere.it'', 8 ottobre 2022.</ref> *Nei grandi [[giornale|giornali]] di oggi, che non possono farne a meno, chi comanda non è più nemmeno il [[direttore]]: è l'ufficio [[marketing]].<ref name="giornalista">Da: ''Repertorio della Fondazione Montanelli'', in ''Indro Montanelli - Gli anni della televisione 4: Io sono soltanto un giornalista'', a cura di Nevio Casadio, Rai Sat, 2009</ref> *{{NDR|Rivolto a [[Silvio Berlusconi|Berlusconi]] che voleva imporsi sulla linea editoriale de ''il Giornale''}} Nell'arte dell'imprenditoria, tu sei di certo un genio, ed io un coglione. Ma nell'arte della polemica il genio sono io, e tu il coglione.<ref name=Travaglio2004>Citato in Marco Travaglio, ''Montanelli e il Cavaliere'', Garzanti, Milano, 2004.</ref> *Nessuno di noi la strada della ribellione la batté sino in fondo, come voleva [[Berto Ricci|Ricci]]: per la semplice ragione che si trattava di una strada che fondi non ne aveva. Qualcuno poi scantonò in questo o in quello dei sette o otto partiti che aprirono le porte a questa generazione perduta. E forse si illuse di aver trovato un’altra bandiera. Io sono tra i rassegnati: so benissimo che di bandiere non posso averne altre e che l'unica che seguiterà a sventolare sulla mia vita è quella che disertai, prima che cadesse.<ref>Citato in Mario Bernardi Guardi, ''La giovinezza di Montanelli ebbe un nome: Berto Ricci'', ''Il Primato Nazionale'', 3 maggio 2016.</ref> *No, [[Marco Travaglio|Travaglio]] non uccide nessuno. Col coltello. Usa un'arma molto più raffinata e non perseguibile penalmente: l'archivio.<ref name=Travaglio2004/> *Noi italiani non crediamo in nulla e tanto meno nelle virtù che qualcuno ci attribuisce. Ma tra di esse ce n'è una nella quale riponiamo una fede incorruttibile: quella della nostra capacità di corrompere tutto.<ref>Citato in Mario Cervi, ''Ti ricordi Indro?'', Società europea di edizioni, Milano, 2017, p. 57. ISBN 9778118178454</ref> *Noi qui buttiamo tutte le colpe addosso agli altri. Ma bisogna fare i conti anche col popolo italiano. Siamo noi che li abbiamo eletti questi signori. Sono mica piovuti dalla luna. E allora non accaniamoci soltanto sulla classe politica. Noi siamo un elettorato disposto a ogni sorta di transazione, quando ci fa comodo.<ref name=conferenza /> *Non credo alle feste comandate. La memoria dovrebbe essere spontanea. L'unica cosa che si dovrebbe fare è raccontare veramente e in maniera spassionata ai giovani, che non lo sanno, cosa è stata la Shoah, senza fare mobilitazioni di folle.<ref>Citato in Marco Cremonesi, ''[https://web.archive.org/web/20160101000000/http://archiviostorico.corriere.it/2001/gennaio/28/Diecimila_piazza_con_nomi_dei_co_0_0101282160.shtml Diecimila in piazza con i nomi dei lager]'', ''Corriere della Sera'', 28 gennaio 2001, p. 31.</ref> *Non do più nessun significato a queste due parole {{NDR|destra e sinistra}}, le ritengo un cascame, un residuato di situazioni oramai defunte. [[Destra e sinistra]] non hanno più nessun significato e credo che noi ci stiamo attardando su una terminologia arcaica, oramai da seppellire.<ref>Radio Radicale, [https://www.radioradicale.it/scheda/598/599-elezioni Elezioni], 38:58-39:26, 25 maggio 1979.</ref> *Non mi si portino i soliti argomenti astratti, tipo la sacralità della vita: nessuno contesta il diritto di ognuno a disporre della sua vita, non vedo perché gli si debba contestare il diritto a scegliere la propria morte.<ref>Citato in Enrico Bonerandi, ''[http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2000/12/13/montanelli-pronto-morire.html Montanelli: pronto a morire]'', '' la Repubblica'', 13 dicembre 2000, p. 36.</ref> *{{NDR|Il Polo delle Libertà}} Non venga a farci credere che è costretto all'[[Aventino (espressione)|Aventino]] dal clima di violenza creato dall'Ulivo. Dove diavolo la vede questa violenza? Mi basta guardare la faccia di [[Romano Prodi|Prodi]] 1996 per metterla a confronto con quella di Mussolini 1924 per escludere che in Italia corriamo il pericolo di una dittatura. Per fare una dittatura ci vuole un dittatore.<ref>Citato in Alessandro Longo, ''[https://rep.repubblica.it/pwa/generale/2018/03/17/news/aventino-191559602/?ref=pwa-rep-hp-2-1-1 Perché si dice Aventino]'', ''Rep.repubblica.it'', 17 marzo 2018.</ref> *{{ndr|su [[Gianni Agnelli]]}} Parla con la propria bocca, pensa con il cervello di Valletta, col cuore di Giulio De Benedetti e con gli interessi polivalenti della Fiat.<ref>Citato in Paolo Granzotto, ''Montanelli'', p. 129.</ref> *{{ndr|su [[Mariano Rumor]]}} Personaggio da commedia [[Carlo Goldoni|goldoniana]] più che da tragedia contemporanea.<ref>Citato in Paolo Granzotto, ''Montanelli'', p. 145.</ref> *Posso solo dire che l'Italia del Cattaneo è quella che conserva qualche probabilità di salvarsi da questo degrado politico, culturale, morale, economico. E l'Italia del Cattaneo è quella Cisalpina. A nord del Po, e forse anche in Emilia, esistono tracce di coscienza civile e anche di classi dirigenti sane. Poi c'è un'Italia centrale, quella toscana e umbra e marchigiana, che conserva le sue peculiarità, i suoi caratteri spiccati che affondano le radici nell'Italia comunale e rinascimentale. Il resto è un disastro che non saprei come salvare. Del resto Cattaneo ci tentò, andò a Napoli e resistette qualche giorno. Poi si arrese e se ne tornò nella sua Lugano, nella sua Svizzera.<ref name=Italia>Citato in ''Il grande vecchio del giornalismo rilegge gli ultimi anni della nostra storia'', ''L'Indipendente'', 25 luglio 1995.</ref> *Pur ricordandovi che la nostra regola è quella di non tener conto delle intemperanze altrui, specie dei politici, e di dire sempre la verità, tutta la verità, senza partito preso né animosità verso nessuno, vi autorizzo a comunicare al [[Bobo Craxi|suddetto signore]], se ve ne capita l'occasione, che l'unica «testa» in pericolo di cadere dopo il 5 aprile non è la vostra ma, casomai, la sua. E potete aggiungere, da parte mia, che non la considererei una gran perdita.<ref>Citato in [[Federico Orlando]], ''Il sabato andavamo ad Arcore'', Larus, Bergamo, 1995.</ref> *[[Sandro Pertini|Pertini]] ha interpretato al meglio il peggio degli italiani.<ref>Citato in Franco Fontanini, ''Piccola antologia del pensiero breve'', Liguori Editore, Napoli, 2007, p. 12.</ref> *Quando mi viene in mente un bell'aforisma, lo metto in conto a [[Montesquieu]], od a [[François de La Rochefoucauld|La Rochefoucauld]]. Non si sono mai lamentati.<ref>Citato in Luigi Mascheroni, ''[http://www.ilgiornale.it/news/mai-dette-ripetiamo-sempre-ecco-frasi-fantasma-storia.html Mai dette, ma le ripetiamo sempre. Ecco le frasi fantasma della storia]'', ''il Giornale'', 21 marzo 2009, p. 22.</ref> *Quello che ci ripugna è che, per mettere un controllo all'autorità politica, ci sia bisogno di ricorrere all'autorità giudiziaria. Cioè che, alla fine, noi avremo le riforme istituzionali non per via politica, ma per via giudiziaria e processuale. Questo ci allarma anche perché, come avrete ben capito, la mia opinione dei politici è molto bassa, ma quella dei giudici non è migliore. Perché anche i giudici sono stati corrotti dalla partitocrazia. Lo dimostra il semplice fatto che molti di loro ostentano la tessera di partito. Un giudice che ha venduto la propria imparzialità ai partiti è un giudice che, prima di processare gli altri, dovrebbe essere processato lui e cacciato in galera. Lo so che a dire queste cose si possono avere dei dispiaceri, ma io di dispiaceri in vita mia ne ho avuti tanti che, uno più o uno meno, non mi fa nessunissimo effetto.<ref name=Dovere/> *{{NDR|[[Carmen Lasorella]]}} Richiama tanta attenzione non solo per la sua bravura ma anche per quel che possiede dal cervello in giù.<ref>Citato in Luigi Mascheroni, ''[https://books.google.it/books?id=gtg7AQAAIAAJ&q=%22Richiama+tanta+attenzione+non+solo+per+la+sua+bravura+ma+anche+per+quel+che+possiede+dal+cervello+in+gi%C3%B9+%22&dq=%22Richiama+tanta+attenzione+non+solo+per+la+sua+bravura+ma+anche+per+quel+che+possiede+dal+cervello+in+gi%C3%B9+%22&hl=it&newbks=1&newbks_redir=0&sa=X&ved=2ahUKEwiC2PXRl5WDAxVs4AIHHazPCd4Q6AF6BAgHEAI Sette, settimanale del Corriere della sera, Edizioni 1-9]'', 1996.</ref> *Sfido io che {{NDR|''il Giornale''}} non va bene come vendite. Non va bene come vendite perché noi siamo ancora alla macchina Olivetti. Qui non è stato fatto mai nessun investimento ed è stato detto chiaro che gli investimenti non sarebbero venuti finché io ne fossi il direttore. Questa è la situazione.<ref name="milano" /> *Siamo un paese cattolico, che nella [[Provvidenza]] ci crede o almeno ne è affascinato. Il pericolo è questo: gli [[italia]]ni sentendo aria di provvidenza sono sempre pronti a mettersi in fila speranzosi.<ref name=Provvidenza>Citato in ''[http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/1994/02/24/rivogliono-uomo-della-provvidenza.html?ref=search Rivogliono l'uomo della provvidenza]'', ''la Repubblica'', 24 febbraio 1994, p. 11.</ref> *Se avessi potuto immaginare come sarebbe stata distrutta la vecchia classe politica italiana - che meritava la distruzione, sia chiaro - se avessi potuto immaginare che la distruzione della vecchia classe politica italiana, in gran parte marcia, avrebbe dischiuso una situazione come quella attuale e che la vecchia legge proporzionale sarebbe stata sostituita dall'attuale legge maggioritaria così come è stata compilata, io avrei forse difeso la vecchia classe. Per lo meno non mi sarei battuto con tanta asprezza e con tanto vigore contro quella classe politica, che meritava di finire, ma a cui si stanno dando dei successori che, ricordatevelo bene, ci faranno rimpiangere quella vecchia. È il peggio che si può dire. Ma io lo dico. Perché non riesco proprio a vedere cosa sta venendo fuori da questo rimescolio di carte.<ref name=conferenza /> *{{NDR|«Se dovesse fondare un giornale a novant'anni, che giornale farebbe?»}} Se io dovessi oggi fare un giornale, farei un ''Foglio'' un po' più grande: invece che di 4 facciate di 10 o di 12. Non di più. Con una redazione ridottissima e facendo un preventivo che mi mettesse al riparo dalle delusioni. Mirerei ad avere non più di venti/trentamila lettori e non avere pubblicità. Su queste basi, forse, riuscirei a fare un [[giornale]] di alto prestigio, ma purtroppo destinato a una élite.<ref name="giornalista" /> *Sta arrivando l'uomo della provvidenza. E io, in vita mia, di questi personaggi ne ho già conosciuto uno. Mi è bastato. Per sempre.<ref name=Provvidenza></ref> *Una cultura che perde i contatti col pubblico si sterilisce e muore. Questa è la verità. E la nostra cultura è assolutamente sterile. Noi culturalmente non contiamo più nulla nel mondo. Perché? Perché è chiusa in sé stessa, la cultura, ha perso i contatti col pubblico, con la vita. Non c'è più. Sono mummie. Non è più cultura: è mafia.<ref name="montecarlo" /> *{{NDR|Su [[Aldo Moro]]}} Un generale che, sfiduciato del proprio esercito, credeva che l'unico modo di combattere il nemico fosse quello di abbracciarlo.<ref>Citato in [[Roberto Gervaso]], ''Ve li racconto io'', Mondadori, Milano, 2006, p. 310, ISBN 88-04-54931-9.</ref> *Un giorno fui convocato a Palazzo Venezia, era il 1932 e avevo 23 anni, perché il duce voleva vedermi. Ero emozionatissimo, entrai e mi misi sull'attenti, e il duce che faceva finta di scrivere mi lasciò lì per un quarto d'ora e alla fine mi disse: "Ho letto il vostro articolo sul razzismo (avevo scritto un articolo contro il razzismo). Bravo, vi elogio. Il razzismo è roba da biondi (non si era accorto che ero biondo), continuate così. Sei anni dopo fece le leggi razziali. Perché questo era [[Benito Mussolini|Mussolini]], diceva una cosa e ne faceva un'altra, secondo il vento del momento. Non creava il vento, vi si accodava da buon italiano.<ref>Citato in Gianna Fregonara, ''[https://web.archive.org/web/20160101000000/http://archiviostorico.corriere.it/2010/gennaio/24/Dal_balcone_Mussolini_bianco_sorriso_co_9_100124324.shtml Dal balcone di Mussolini al bianco sorriso di Belen]'', 24 gennaio 2010, p. 34.</ref> *{{NDR|Su [[Giorgio La Pira]]}} Un pasticcione ben intenzionato che, nel nome del Signore, appoggia le peggiori cause appellandosi ai migliori sentimenti.<ref>Citato in [[Roberto Gervaso]], ''Ve li racconto io'', Mondadori, Milano, 2006, p. 236, ISBN 88-04-54931-9.</ref> ===Citazioni tratte da suoi libri=== *{{NDR|Sul funerale di [[Leo Longanesi]]}} Al cimitero ci si ritrovò in una decina di persone, non di più. Non ci furono cerimonie né discorsi. Solo la piccola Virginia, che avrà avuto quattordici anni, mentre la bara di suo padre calava nella tomba, mormorò: «E dire che gli orfani mi sono sempre stati così antipatici...» Una frase che sarebbe piaciuta moltissimo a Leo.<ref>Dalla presentazione a [[Leo Longanesi]], ''In piedi e seduti'', Longanesi & C., Milano, 1968.</ref> ====''Caro Indro...''==== *L'aureola di martire a Craxi nessuno è disposto a riconoscergliela, proprio perché inconciliabile con l'arroganza con cui si comporta. Nessun paragone col contegno di Andreotti, davvero ineccepibile. Sul banco degli imputati ci sta da imputato, dimentico di essere stato per ben sette volte capo del governo. Parla solo se interrogato, e a bassa voce. Non rinuncia alla propria dignità, ma non la ostenta. Eppoi, le colpe che gli si addebitano saranno anche più gravi di quelle che si addebitano a Craxi, ma meno spregevoli. Potrà anche aver baciato Riina (sebbene a me questo appaia poco credibile). Ma del pubblico denaro non risulta che gli sia scivolata in tasca nemmeno una lira. Forse merita la fucilazione. Lo spregio, no. (31.1.1996) (p. 9) *Non ho mai conosciuto [[Yasser Arafat|Arafat]], né mai ho cercato di conoscerlo: non mi pare che il suo aspetto inviti alla simpatia. Però non l'ho mai considerato un criminale anche se si trovava alla testa di un'[[Organizzazione per la Liberazione della Palestina|organizzazione]] in cui di criminali ce ne sono molti. E oggi non lo considero affatto un eroe, ma un uomo coraggioso sì, perché lo ritengo in costante pericolo di vita. La lotta per il potere, dentro l'Olp, è a coltello: e i nemici di Arafat sono quelli che il coltello lo maneggiano meglio di tutti. Stringendo la mano a [[Yitzhak Rabin|Rabin]], Arafat ha moltiplicato i suoi nemici e li ha resi ancora più rabbiosi. È un uomo a rischio, non c'è dubbio. E se muore lui, addio pace in Medio Oriente. (4.10.1993) (p. 11) *Certo che il passato dell'Olp, carico di bombe e di sangue, non è la migliore referenza per un Nobel, ma Arafat è però anche l'unico interlocutore palestinese: dopo di lui c'è il nulla, o meglio soltanto gruppi di fanatici votati alla violenza e alla distruzione di [[Israele]]. Una volta presa la decisione di premiare i protagonisti del tormentato processodi pace in Medioriente [...] si è dovuto fare di necessità virtù e dare il riconoscimento anche all'uomo che per molti anni è stato un simbolo del terrorismo, nonché l'ispiratore di tante altre «lotte armate»: premiare solo Rabin e [[Shimon Peres|Peres]] sarebbe stato uno schiaffo ai palestinesi, un'iniziativa controproducente. [...] Forse più che il Nobel per la pace meriterebbe quello per il ravvedimento... (30.10.1994) (p. 12) *«Libera Chiesa in libero Stato» è una formula più d'effetto che di sostanza. Potrebbe anche significare che Chiesa e Stato si ignorano a vicenda e ognuno dei due si attribuisce i poteri che più gli aggradono: che è il modo più sicuro per litigare, non certo per convivere. Fra i due ci deve essere un patto improntato al reciproco rispetto: condizione più facile da formulare che da realizzare. Ma sembra che lo sviluppo di questo rapporto negli ultimi anni abbia fatto più passi indietro che avanti. E mi pare che dello stesso parere sia il capo dello Stato, Carlo Azeglio Ciampi. Meno male (7.3.2001) (p. 30) *Ho fiducia in [[Massimo D'Alema|D'alema]], anche se non voterò mai per lui. Ho fiducia per due motivi. Prima di tutto perché, fra i leader di oggi, è l'unico vero professionista della politica. Eppoi perché non ho dubbi sulla sua intenzione di fare del Pds un partito socialdemocratico o laburista. Se non fosse così, non solo Prodi ma nemmeno Veltroni sarebbero al suo fianco. E appunto perché è così, sono convinto che consumerà fino in fondo il divorzio da Rifondazione. Lo consumerà cercando di non farsene portar via molti elettori. Ma lo consumerà per conquistare i moderati: altra strada non può battere. E proprio in questi giorni lo ha dimostrato sacrificando anche quella piccola falce e martello che tuttora sopravviveva nel simbolo del suo partito ai piedi della Quercia. Non era che un «segno», dirà qualcuno. Sì, ma che segno! (17.5.1995) (p. 42) *Anch'io sono stato in passato un fautore dell'elezione diretta, cioè per consultazione popolare, del Capo dello Stato. Mi pareva il mezzo più efficace per sottrarre almeno il Quirinale agl'intrallazzi dei partiti e per avere un garante al di sopra di essi. Ma poi ho dovuto cambiare idea di fronte alle prove di balordaggine, d'ignoranza, di totale mancanza di consapevolezza morale e civile dell'elettorato italiano, o almeno della sua maggioranza. È un elettorato sempre pronto a correre dietro a qualche ciarlatano che sappia vendere bene la sua merce e a lasciarsene trascinare nelle imprese più insensate. Insomma considero la stupidità più pericolosa degl'intrallazzi. (23.12.1998) (p. 47) *Non credo che [[Diana Spencer|Diana]] rimarrà nella memoria dei posteri. Era una bella e simpatica ragazza, che avrebbe anche potuto essere una buona moglie e una buona madre, ma che non aveva certamente la stoffa e le dimensioni umane, comportamentali di una regina. Più e meglio che sul trono, il suo personaggio avrebbe figurato in un romanzo di Liala. Non riesco ad accostarla a figure storiche (17.9.1997) (p. 72) *Mussolini non aveva la stoffa del criminale né di guerra né di pace. Dicendolo, so di espormi alle contumelie della cosiddetta intellighenzia. Ma ne ho già ricevute tante che non mi fanno più nessun effetto. Tuttavia mi rendo conto che alla condanna a morte non avrebbe potuto sfuggire perché almeno un responsabile delle catastrofi che si erano abbattute sull'Italia si doveva pur trovare, e non poteva essere che lui. Però c'è da ringraziare Dio, e per esso, il Comitato di liberazione nazionale che ne ordinò (o avallò) la fucilazione sul posto perché un processo a Mussolini avrebbe ancora più spaccato un Paese già spaccato dalla guerra civile (per chiamare col suo vero nome, la Resistenza). E credo che anche gli Alleati trassero un respiro di sollievo dal venirne esentati. Un processo avrebbe messo in imbarazzo anche loro per le indulgenze che avevano avuto verso di lui e quella parodia di totalitarismo ch'era stata il suo regime. Una Norimberga italiana sarebbe stata anch'essa una parodia. La fucilazione sul posto di Mussolini era un atto dovuto. Quello che non era dovuto, e che per gl'italiani provvisti di qualche senso dell'onore e della decenza rimarrà una indelebile vergogna, fu la scena di piazzale Loreto (30.6.1999) (pp. 89-90) *{{NDR|«Poni che ti regalino una telecamera, con il diritto di spiare per un mese, non visto, un potente della Terra, a tua scelta, dalla regina Elisabetta a Gheddafi, da Saddam a Clinton. Quale personaggio ti incuriosirebbe di più?»}} [[Vladimir Putin|Putin]]. Credo che sia una canaglia perché solo le canaglie potevano arruolarsi e fare carriera in un corpo di polizia come il Kgb. Ma è proprio di una canaglia che la [[Russia]] ha bisogno per ricompattarsi all'interno, risollevarsi dal caos in cui l'ha precipitata il crollo di un regime totalitario durato settant'anni, e riprendere nel gioco delle potenze mondiali il posto che spetta a un Paese di 250 milioni di abitanti, di grandi tradizioni e d'inesauribili risorse naturali. L'Occidente ha bisogno della Russia: è il suo antemurale verso un Oriente che può riservarci amare sorprese. [...] Non facciamoci illusioni sull'avvenire di una democrazia in Russia. Essa ha bisogno [...] di una mano forte e spregiudicata, di una canaglia insomma. [...] Ecco perché mi piacerebbe conoscere Putin: per vedere se è la canaglia di cui mi pare abbia bisogno la Russia in questo momento: un «momento» destinato a durare parecchi decenni. (18.10.2000) (pp. 104-105) ====''Il testimone''==== *[[Corrado Carnevale|Carnevale]] ha dichiarato in un'intervista che la notte non ha bisogno di sonniferi per dormire perché, nei confronti della Legge, la sua coscienza è a posto. Ci crediamo senz'altro. Ma se si ponesse la stessa domanda nei confronti della Giustizia, mi domando se i suoi sogni sarebbero altrettanto tranquilli. E ci rendiamo tuttavia conto che questa domanda non se la porrà mai, e anzi gli sembrerà del tutto stravagante. Perché, per un magistrato italiano, la Legge con la Giustizia non ha nulla a che fare. (da p. 386) ====''Il meglio di «Controcorrente» 1974-1992''==== *Il «comitato permanente antifascista» di Milano ha deciso di chiedere un «riconoscimento» per tutti coloro che sono stati «coinvolti direttamente nella strategia della tensione a partire dal 1º gennaio 1969». Ci risiamo. Tutta la nostra vita è stata angosciata e angariata dagli antemarcia: prima quelli del Littorio, poi quelli della Resistenza, ed ecco che ora spuntano quelli della «tensione». Longanesi aveva ragione: in questo Paese, reduci si nasce. (p. 47) *Agli alunni della terza classe (anni otto-nove) della scuola elementare di via Pisani, Milano, è stato assegnato il seguente problema: «Mario, Gino e Beppino sono i capi della banda. Mario dice a Gino che la banda ha quasi esaurito le munizioni: rimangono solo 5 cassette con 130 pallottole per cassetta. Quante pallottole rimangono?». Debolucci come siamo, in aritmetica, non lo sappiamo nemmeno noi. Ma ci pare che una per l'insegnante e una per il ministro Malfatti ci dovrebbero ancora essere. (p. 79) *Il messaggio di addio che il dimissionario capo dello Stato ha detto alla televisione e che anche noi pubblichiamo, è ineccepibile. Esso dà del presidente [[Giovanni Leone|Leone]] un'immagine che non fa una piega: un galantuomo all'antica, padre di una famiglia esemplare, ingiustamente calunniato da una stampa irresponsabile. Siamo sicuri che tutto questo si può dire di Leone. Ha un solo difetto: che a dirlo è stato Leone. (p. 84) *A Roma, nonostante tutte le ricerche fatte, non è stato possibile trovare un locale disponibile per un convegno di radicali. Non ce n'era uno abbastanza piccolo per contenerli tutti. (p. 103) *Qualcuno teme – e qualche altro spera – che l'Afghanistan diventi il Vietnam dei russi. Niente paura, in Afghanistan non ci sono giornalisti. (p. 112) *Quella del ''Corriere'' non è una situazione invidiabile: il direttore in congedo per l'affare della P2, manager ed articolisti contestati per lo stesso motivo, il maggiore azionista in galera, accusato di reati valutari, montagne di debiti, trasparenza della proprietà limpida come un mare in burrasca. Ci sarebbe davvero da mettersi le mani nei capelli. Se non fosse un giornale di [[Roberto Calvi|Calvi]]. (pp. 125-126) *Quando leggiamo «ministro senza portafoglio», ci viene sempre un dubbio. Che glielo abbia rubato qualche collega? (p. 146) *L'[[Organizzazione per la Liberazione della Palestina|Olp, Organizzazione per la liberazione della Palestina]], è stata ammessa con voto unanime, anche se provvisoriamente, nel Comitato olimpico asiatico. Non sapevamo che il lancio della bomba fosse diventato una disciplina atletica. (pp. 171-172) *A suo tempo imprigionato dagl'israeliani per complicità col terrorismo palestinese, e liberato per l'intervento del Vaticano con l'impegno di astenersi dalla politica, l'Arcivescovo libanese di Gerusalemme [[Hilarion Capucci]] ha dichiarato in un'intervista all'''Europeo'' che i rivoltosi di Gaza e della Cisgiordania non ricevono ordini da nessuno: «Li prendono solo da Dio, loro unico leader». Lo abbiamo sempre detto, noi: a grattare un arabo, anche se cristiano e Monsignore, viene fuori un Ayatollah. Ma forse non c'è neanche bisogno di grattare. (p. 184) *Da Praga [[Bettino Craxi]] proclama che «bisogna liberare l'Italia da Falci e Martelli». Benissimo. Ma chi è Falci? (p. 206) *[[Pino Rauti]] è intenzionato a candidare un africano alle elezioni comunali fiorentine. Più che giusto: il nero si addice al Msi. (p. 209) *Per evitare pubblicità attorno al caso di [[Angelo Peruzzi|Peruzzi]] e [[Andrea Carnevale|Carnevale]], i due giocatori giallo-rossi risultati positivi all'antidoping, il presidente della Roma, [[Dino Viola]], ha deciso di portare tutta la squadra in ritiro. A San Patrignano. (p. 216) *Secondo ''La Notte'' di ieri – che riferisce dichiarazioni d'un capo della Jihad islamica, Ibrahim Serbell – i terroristi arabi hanno nel loro mirino, per quanto riguarda l'Italia, «uomini politici, aeroporti e alcuni obiettivi strategici». Siamo molto preoccupati per gli aeroporti e gli obiettivi strategici. (p. 220) *La fantapolitica non è il nostro esercizio preferito. Ma ci chiediamo che cosa succederebbe se, con un colpo alla Moro, i terroristi si impadronissero di Cossiga e lanciassero al governo il ricattatorio ultimatum: «Se non ci date cento miliardi, lo liberiamo». (p. 228) *Malgrado tutto (e per tutto intendiamo proprio tutto), [[Moana Pozzi]] non è riuscita ad entrare a Montecitorio. Peccato. È l'unica Camera che non potrà dire di aver frequentato. (p. 236) *Sull'''Unità'' è comparsa la lettera di un deputato che, pericolosamente sfiorato da un motociclista, invoca drastiche misure penali contro i «teppisti al volante». Ci associamo alla proposta. L'unica cosa che ci sconcerta è la firma del proponente: è quella dell'onorevole [[Mario Gozzini]], autore della famosa legge che in pratica vorrebbe l'indulgenza plenaria per qualsiasi reo e reato. (p. 244) ===Attribuite=== *Berlusconi non delude mai: quando ti aspetti che dica una scempiaggine, la dice.<ref name=Travaglio2004/> :In ''Io e il cavaliere qualche anno fa'', ''Corriere della Sera'', 25 marzo 2001, p. 1, Montanelli attribuisce la citazione a «un'alta personalità della Finanza, nota anche per il suo infallibile fiuto degli uomini». La frase esatta è: «Avrà anche i suoi difetti, ma un merito bisogna riconoscerglielo: quello di non deludere mai. Quando ti aspetti che dica una scempiaggine, la dice». ==Interviste== {{cronologico}} *{{NDR|La guerra coloniale etiopica}} Considerandola oggi, con la mia maturità d'oggi, {{NDR|è}} un'avventura di una stupidità senza fine. Ma immaginiamo un ragazzo di 24 anni messo al comando di una banda indigena, con 100 uomini neri – lui solo bianco – buttato all'avventura in quella guerra che di combattimenti ne ebbe molto pochi – non voglio passare per un gran guerriero, affatto – ma furono un anno e mezzo a cavallo, di cavalcate in questa natura selvaggia (ripeto, combattimenti ben pochi). {{NDR|«Dicono anche che lei aveva una moglie, diciamo indigena, molto bella, che era la più bella di tutte quelle che avevano gli ufficiali d'allora»}} Sì. {{NDR|«Era molto invidiato per questo»}} Pare che avessi scelto bene, era una bellissima ragazza bilena, di 12 anni – {{NDR|sorridendo}} scusatemi, ma in Africa è un'altra cosa – e così l'avevo sposata, nel senso che l'avevo regolarmente comprata dal padre che mi ha accompagnato insieme alle mogli dei miei ascari. Queste mogli degli ascari non è che seguissero la banda, ma ogni 15 giorni raggiungevano la banda: io non ho mai capito come facessero a trovarci in questo infinito dell'Abissinia. Quelle arrivavano e arrivava anche questa mia moglie con la cesta in testa, che mi portava la biancheria pulita. [...] {{NDR|Domanda del pubblico: «Lei ha detto tranquillamente di avere avuto una sposa, diciamo, di 12 anni e a 25 anni lei non si è peritato affatto di violentare una ragazza di 12 anni, dicendo "Ma in Africa queste cose si fanno". Io vorrei chiedere a lui come intende normalmente i suoi rapporti con le donne date queste due affermazioni»}} No signorina guardi, sulla violenza, nessuna violenza perché le ragazze in Abissinia si sposano a 12 anni. Non è questione, Quindi. {{NDR|Domanda del pubblico: «Su un piano di consapevolezza dell'uomo, insomma, il rapporto con una bambina di 12 anni è il rapporto con una bambina di 12 anni. Se lo facesse in Europa rischierebbe di violentare una bambina, vero?»}} Sì, in Europa sì, ma lì no. {{NDR|«Ecco, appunto»}} Lì no. {{NDR|«Quale differenza crede che esista dal punto di vista biologico, o anche psicologico?»}} No, guardi, {{NDR|«Dal punto di vista del costume»}} lì si sposano a 12 anni, non è questione. A 12 anni si sposano. {{NDR|«Ma non è il matrimonio che lei intende, a 12 anni in Africa. Guardi, io ho vissuto in Africa»}} Sì. {{NDR|«Quindi il vostro era veramente il rapporto violento del colonialista che veniva lì e si impossessava della ragazza di 12 anni»}} No... {{NDR|«Ma glielo garantisco, senza assolutamente tener conto di questo tipo di rapporto sul piano umano. Eravate i vincitori, cioè i militari che hanno fatto le stesse cose ovunque sono stati i vincitori, ovunque gli uomini si sono presentati come dei militari. La Storia è piena di queste situazioni»}} {{NDR|sorridendo}} Signorina, non so se lei vuole istruirmi un processo «a posteriori». {{NDR|«No, no, affatto. Guardi, ho soltanto voluto chiederle, per inciso, come lei intende – dopo le due interpretazioni – i rapporti con le donne»}} Dipende da cosa si mette dentro, dipende anche da cosa le donne mettono dentro di noi. È tutto un giuoco di specchi. {{NDR|«Ma lei vede sempre la donna in questa veste passiva di adulatrice, oppure di compagna – che appare e scompare – dell'uomo, non l'ha mai vista in una funzione diretta, attiva e diversa. Questo è un po' il dramma degli uomini della sua generazione»}} {{NDR|sorridendo}} Può darsi. Della mia generazione? Solo? {{NDR|«Credo»}} {{NDR|sorridendo}} Vabbè. Può darsi. (Da ''L'ora della verità'', 22 ottobre 1969) *{{NDR|Domanda del pubblico: «Io vorrei sapere perché lei, che si ritiene un osservatore, non ha mai affrontato il discorso sulla contestazione giovanile, tenendo anche presente il fatto che lei cerca il lettore. Lei ai giovani non dice assolutamente niente come giornalista»}} Come? {{NDR|«Se c'è un pubblico che lei sta perdendo, e forse non ha mai avuto, è proprio quello dei giovani. Vorrei sapere come mai lei non ha mai affrontato il discorso sulla contestazione, sulla realtà giovanile che è esplosa in questi ultimi anni»}} Signorina, io avrei tanto volentieri affrontato il discorso sulla contestazione se fosse possibile agganciare il discorso coi contestatori. Ma coi contestatori io non faccio il [[Alberto Moravia|Moravia]]. No. Non vado a farmi spernacchiare dai giovani, mi dispiace tanto. Né dai giovani, né da nessun altro. {{NDR|«Lei ha paura, scusi, di affrontare un discorso»}} No, io non ho paura, ma non ammetto di essere accolto a quel modo. È proprio un fatto, così, di dignità. {{NDR|«E allora, scusi, lei a questo punto rinuncia a un pubblico come può essere quello dei giovani semplicemente, così, per non avere degli spernacchiamenti, per non compromettere – diciamo – questo suo successo a cui è arrivato»}} Ma scusi, ma che dialogo sono le pernacchie? Me lo vuole spiegare? (ibidem) *Certamente [[Benito Mussolini|Mussolini]] fu un grossissimo politico, un uomo politico di grandissimo fiuto, di tempismo formidabile: lo dimostrò la facilità con cui vinse. Forse dovuta per metà alle sue capacità, alla sua bravura – parlo sempre come politico – e per metà all'insipienza, alla nullaggine dei suoi avversari, perché è tempo oramai di dire anche questo. Non c'è dubbio che il potere assoluto guastò completamente Mussolini: il Mussolini del 1930 non era certamente quello del 1940, il Mussolini di dieci anni dopo l'avvento al potere era diventato una specie di marionetta, la caricatura di sé stesso. Aveva perso proprio il senso della realtà, che era stato invece il suo forte da principio, il contatto col pubblico lo aveva perso, il senso della misura, e lo aveva dimostrato poi con gli errori madornali che ha fatto. Nei primi dieci anni credo che alcune cose buone le abbia fatte. Non credo che abbia ucciso la democrazia, credo che l'abbia soltanto seppellita perché era già morta. Da quel poco che ricordo l'Italia era un grosso carnevale, e anche abbastanza drammatico, perché la situazione interna era addirittura sfasciata: correva sangue, ne correva molto, noi in Toscana ne sapevamo qualcosa [...]. E quindi non è vero che lui... le democrazie non vengono mai uccise, le democrazie muoiono. Dopodiché si dà la colpa a chi le seppellisce, ma la verità è che si suicidano, e credo che la democrazia italiana del '21-22 si sia suicidata. [...] Mussolini capì una cosa fondamentale: che per piacere agli italiani bisognava dare a ciascuno di essi una piccola fetta di potere col diritto di abusarne. Questo era il fascismo. Il fascismo aveva creato una [[gerarchia]] talmente articolata e complessa che ognuno aveva dei galloni: il capofabbricato, il caposettore... tutti avevano una piccola fetta di potere, di cui naturalmente ognuno abusava, come è nel carattere degli italiani. (da ''Questo secolo'', 18 maggio 1982) *Ero all'estero, lavoravo nel giornalismo americano, alla ''United Press''. Chiesi alla mia agenzia di mandarmi come corrispondente in Abissinia. Giustamente mi dissero: «No, perché lei è un italiano, quindi logicamente non fa delle corrispondenze obiettive». Dico: «Avete ragione. Allora io vi lascio e vado volontario». Feci la mia brava domanda (la feci anche raccomandare). La domanda fu accolta, io fui mandato in Abissinia e, cosa un po' strana [...], a questo ragazzo di 23 anni [...] venne affidata una banda. [...] In quei due anni io contribuii a fare una cosa sbagliata, un'autentica fregnaccia qual era costruire un impero nel '35, quando coloro che lo avevano lo stavano già liquidando perché erano cose antistoriche. Ma io a 23 anni, a 24 anni, non potevo capire questo. Ebbi due anni di vita all'aria aperta, bella, di avventura, in cui credetti di essere un personaggio di Kipling, di contribuire a fare qualcosa di importante. Poi mi accorsi che non era vero, ma le cose non sono importanti per quello che sono, ma per quello che uno ci mette. E io in quel momento ci mettevo un grande entusiasmo: ebbi due anni di vita bellissima, a cavallo, con le tende, i miei uomini, libero, solo (perché non rispondevo a nessuno). Eh beh, compiango i giovani che non hanno avuto una simile esperienza. {{NDR|«E anche con una giovane moglie»}} E anche con una giovane moglie, {{NDR|indicando una fotografia}} eccola lì. Regolarmente sposata in quanto regolarmente comprata dal padre. {{NDR|«Quanti anni aveva?»}} Aveva 12 anni, ma non mi prendere per un Girolimoni. {{NDR|«Per un bruto»}} A 12 anni quelle lì erano già donne. {{NDR|«E tu dove l'avevi comperata?»}} L'avevo comprata a Saganèiti, un paese dove avevo mandato il mio emissario [...]. Me la comprò insieme a un cavallo e a un fucile, in tutto 500 lire. {{NDR|«E lei com'era?»}} Un animalino. Docile. Io le misi su un tucul con dei polli e poi, ogni 15 giorni, mi raggiungeva dovunque fossi, insieme alle mogli degli altri ascari. (ibidem) *Io esclusi immediatamente la responsabilità degli [[Anarchia|anarchici]] {{NDR|dalla [[strage di piazza Fontana]]}} per varie ragioni: prima di tutto, forse, per una specie di istinto, di intuizione, ma poi perché conosco gli anarchici. Gli anarchici non è che sono alieni dalla violenza, ma la usano in un altro modo: non sparano mai nel mucchio, non sparano mai nascondendo la mano. L'anarchico spara al bersaglio, in genere al bersaglio simbolico del potere, e di fronte. Assume sempre la responsabilità del suo gesto. Quindi, quell'infame attentato, evidentemente, non era di marca anarchica o anche se era di marca anarchica veniva da qualcuno che usurpava la qualifica di anarchico, ma che non apparteneva certamente alla vera categoria, che io ho conosciuto ben diversa e che credo sia ancora ben diversa. (da ''La notte della Repubblica'', 12 dicembre 1989) *La [[Lega Nord|Lega]] è una cosa sgradevole. Però le Leghe sono un fenomeno di reazione a una provocazione. È la politica nazionale, che fa nascere le Leghe. Questo non vuol dire che io le approvi. La reazione è sbagliata, ma provocazione c'è, le degenerazioni della partitocrazia ci sono. Che il pubblico denaro sia male amministrato e che a farne le spese siano soprattutto i cittadini del Nord non è contestabile. (da ''La Stampa'', 7 novembre 1990) *Ah, quel maledetto [[Toni Negri]], quel maledetto aizzatore dei sentimenti dei giovani che è vigliaccamente scappato dall'Italia per non affrontare il carcere. Per un Paese non c'è nulla di peggio che i cattivi maestri. Come punirli? Bisognerebbe impiccarli. Ripeto, impiccarli. (da ''L'Italia settimanale'', 1995) *Fu una pulizia etnica, bisognava far fuori gli italiani: allora si chiamarono fascisti e si ammazzarono, e si buttarono nelle [[massacri delle foibe|foibe]]. Questo avvenne dopo la fine della guerra, sia chiaro. Perché gli orrori di guerra, non dico che siano giustificabili, ma sono comprensibili, la guerra è di per sé stessa un orrore. No, queste... le foibe furono un'infamia commessa dopo la Liberazione, dopo la fine della guerra, e purtroppo vi hanno collaborato parecchi comunisti italiani, alcuni dei quali non solo sono ancora a piede libero, pur essendo vivi, ma ricevono delle pensioni di Stato. Ricevono delle pensioni di Stato. Però io ti posso dire questo: che come testimone oculare io ho visto anche in Croazia delle cose, da parte degli italiani, su cui è meglio sorvolare. Perché anche noi le abbiamo commesse, perché la guerra le comporta, questo è fatale, ecco. Quindi non facciamo tanto i moralisti. [...] No, questo {{NDR|tesi sloveno-croata sulla pulizia etnico-culturale da parte degli italiani durante il periodo di occupazione fascista}} è assolutamente falso. Pulizie etniche noi non ne abbiamo mai fatte, in nessun Paese occupato. Quando sento dire che noi facemmo anche la pulizia etnica in Etiopia, beh vabbè, mi cascano le braccia. Mi cascano le braccia. Quelle son menzogne infami, di gente o che non sa nulla, o che mente sapendo di mentire. Non è vero. Furono episodi, ma non di pulizia etnica, di rappresaglie. (dall'intervista al TG2, ''[http://www.youtube.com/watch?v=s9UXM_pKpqY Massacri delle foibe]'', 6 settembre 1996) *Tutto questo mi evoca dei ricordi poco simpatici. Era il [[fascismo]] che si conduceva così. Era il Fascismo che proibiva la satira, che in un paese civile e democratico dovrebbe essere assolutamente indenne da controlli politici; perché la satira non ha niente a che fare con la politica, anche se prende in giro la politica, ma si sa che è satira. Ed ogni regime serio e democratico accetta la satira, come si accettano le caricature. Era [[Benito Mussolini|Mussolini]] che non le sopportava. E qui pensano: «Ripuliremo la stalla», «Faremo piazza pulita». Ma questo linguaggio, al signor [[Gianfranco Fini|Fini]], chi glielo ispira? Ci ricorda delle cose che avremmo voluto dimenticare. Questa non è la destra, questo è il manganello. Gli italiani non sanno andare a destra senza finire nel [[manganello]]. [...] Alla Rai faranno piazza pulita, lo hanno già annunziato. Ma come si fa a definire democratico un partito che annunzia «Quando saremo al potere, noi faremo piazza pulita»? Ma questo è un linguaggio del peggiore squadrismo, che loro non sanno cosa fu, ma io me lo ricordo. Questo è il linguaggio con cui {{NDR|i fascisti}} andarono al potere. (da ''La settimana di Montanelli'', 17 marzo 2001) *Io voglio ringraziare Travaglio, perché ha detto l'assoluta e pura verità. Assolutamente. La versione che ha dato degli avvenimenti è quella esatta. [...] Io ho conosciuto due Berlusconi: il Berlusconi imprenditore privato che comprò ''il Giornale'' – e noi fummo felici di venderglielo, perché non sapevamo come andare avanti – su questo patto: tu, Berlusconi, sei il proprietario de ''il Giornale'', io, direttore, sono il padrone del ''Giornale'', nel senso che la linea politica dipende solo da me. Questo fu il patto fra noi due. Quando Berlusconi mi annunziò che si buttava in politica, io capii subito quello che stava per succedere. Cercai di dissuaderlo [...] ma tutto fu inutile. Dal momento in cui lo decise mi disse: «Ora ''il Giornale'' deve fare la politica della mia politica». Ed io gli dissi: «Non ci pensare nemmeno». Allora lui riunì la redazione come ha raccontato Travaglio – e questo lo fece a mia totale insaputa – e disse: «D'ora in poi ''il Giornale'' farà la politica della mia politica». E a quel momento me ne andai, cos'altro potevo fare? [...] Nella mia vita ci sono stati due Berlusconi, completamente opposti [...] questo fa parte del ritratto di Berlusconi. [...] Come capo politico è quello che io ho conosciuto in quei brutti giorni in cui scorrettamente, nella maniera più scorretta e più volgare, saltandomi, radunò la redazione de ''il Giornale'' per dirgli «Qui si cambia tutto» all'insaputa del direttore. Se questo sembra a Feltri un modo di procedere democratico e civile, è affar suo. (risposta telefonica a [[Marco Travaglio]] e [[Vittorio Feltri]] durante la trasmissione ''Il Raggio Verde'', 23 marzo 2001) *{{NDR|Silvio Berlusconi}} È il bugiardo più sincero che ci sia, è il primo a credere alle proprie menzogne. [...] È questo che lo rende così pericoloso. Non ha nessun pudore. (dall'intervista di Sophie Gherardi, ''L'Europa deve trattare il sig. Berlusconi con sdegno e disprezzo, non con ostilità'', ''Le Monde'', 8 maggio 2001<ref name=Travaglio2004/>) *Spero che l'Europa adotterà nei confronti di Berlusconi l'atteggiamento di indignazione e di disprezzo che merita. (dall'intervista di Sophie Gherardi, ''L'Europa deve trattare il sig. Berlusconi con sdegno e disprezzo, non con ostilità'', ''Le Monde'', 8 maggio 2001<ref name=Travaglio2004/>) {{Int|''Match''|a cura di Arnaldo Bagnasco, Alberto Arbasino e Maria Gefter Cervi, Rete 2, 18 gennaio 1978.}} *Io non stavo con Longanesi per ragioni ideologiche, anche perché io non ho mai capito quale ideologia avesse Longanesi. Longanesi non lo si poteva misurare sul piano ideologico, era sempre contro tutto e contro tutti. Era il frondista principe: lo è stato sotto il fascismo – e in fondo fece il più bel settimanale, forse, che abbia avuto l'Italia in questi ultimi decenni, credo: ''Omnibus'', che fu chiuso dal regime – e si è trovato sempre male con tutti i regimi. Che cosa pensasse in realtà Longanesi io, dopo un'amicizia di trent'anni, non sono mai riuscito a capirlo. Quello che mi affascinava di Longanesi, e che continua ancora oggi ad affascinarmi, è lo straordinario talento, l'inventiva, l'intuito, l'eleganza di Longanesi. Per cui io non consideravo le posizioni ideologiche di Longanesi, questo non m'interessava affatto. Per me era un fatto di vecchia amicizia: io sono un po' cresciuto con Longanesi, l'avrei seguito anche all'inferno perché con Longanesi si poteva andare anche all'inferno, diventava l'eden. *{{NDR|Sull'appello di votare DC nel 1976}} Questa può sembrare una contraddizione, ma che cosa avrei dovuto dire ai miei lettori? Di votare per chi? Questo è il punto. Oggi [...] i partiti laici ai quali io ideologicamente farei capo – liberale, repubblicano, socialdemocratico – fanno i pifferi di accompagnamento a un patto a sei, e questo era già nell'aria, prima del 20 giugno. Che cosa dovevo dire io ai miei lettori, «Votate per i pifferi di accompagnamento»? Francamente non me la sentivo. [...] Nonostante la mia etichetta di destra, io per i partiti di destra non mi schiererò mai. Io vorrei un centro: non lo trovo, non c'è. Un centro di opposizione democratica al regime che è già in atto non c'è. E allora che debbo fare? È colpa mia se la politica italiana non mi offre un centro? Io continuo a battermi per la costituzione di questo centro. *{{NDR|Domanda del pubblico: «Come mai in Italia non ci sono giornali indipendenti?»}} Io, per esempio, ho la presunzione – sarà infondata – di dirigere un giornale indipendente, perché vorrei sapere da chi prendo gli ordini. Me lo dica lei, Padre. {{NDR|«No, beh...»}} E allora, se non potete indicare qualcuno che mi dà gli ordini, io sono indipendente. {{NDR|«Rispondo anch'io da giornalista: è chiaro che un giornale non si sostiene con le idee sull'indipendenza, si sostiene con dei quattrini»}} Certo. {{NDR|«Allora io parlavo di un'indipendenza che, in quanto dipende da chi paga, è comunque una dipendenza ideologica. Questa era la domanda»}} Sì, l'ha scritto molto bene ''Repubblica'' [...] credendo di offendermi. Ha detto: «Il ''Giornale nuovo'' vive di collette». È vero, noi viviamo di collette, e io ne sono fiero perché le collette mi lasciano libero. {{Int|''Mixer''|a cura di Giovanni Minoli, Rete 2, 6 aprile 1981.}} *{{NDR|«Perché fu fascista fino al '37?»}} Questa è la storia della mia generazione, tutta la mia generazione è stata fascista fino al '35, al '36 o al '43. *{{NDR|«E perché smise di esserlo?»}} Perché noi credevamo che il fascismo fosse una cosa, e poi ci accorgemmo che era un'altra. *{{NDR|«Lei ha detto: "Buffoni, cafoni di natura, ''parvenus'', tutta gente in malafede, il bassettume, il pirellume, il cedernismo". Si riferiva alla Milano radical chic, ma che cosa voleva dire, esattamente?»}} Quello che ho detto. Veramente, io ne ho il più profondo disprezzo. Io accetto benissimo i comunisti: i comunisti sono gente seria, pericolosissimi, ma seri. I [[radical chic]] no. *{{NDR|«È sempre convinto del suicidio dell'anarchico Pinelli?»}} Assolutamente. *{{NDR|«Lei a Catanzaro, al processo per la strage di piazza Fontana, ha dichiarato: "Secondo me, il commissario Calabresi fu vittima di una campagna di stampa". Cioè?»}} No, non l'ho dichiarato a Catanzaro, lo dissi molto prima. Basta rileggere i giornali di quei tempi, e soprattutto i rotocalchi: veramente, Calabresi fu vittima di una campagna stampa infame e ingiusta, perché era uno dei funzionari più corretti che ci fossero. *{{NDR|«Pietro Valpreda, qui a ''Mixer'', ha definito Calabresi come "un tecnocrate del potere". Lei che cosa ne pensa?»}} Ma che significa «un tecnocrate del potere»? Un commissario di polizia serve il potere, chi diavolo deve servire? Valpreda? {{Int|''Faccia a Faccia: intervista a Indro Montanelli''|''Mixer'', a cura di Giovanni Minoli, Rai 2, 5 maggio 1985.}} *[[Renato Curcio|Curcio]] non sparava alle spalle, sparava di fronte, andava di persona a sparare. Naturalmente siamo su delle barricate opposte, ma io stimo Curcio. Lo stimo. È un uomo che secondo me ha delle idee sbagliate ma le serve, le serve da soldato vero. Con un suo galateo. Col suo coraggio. Senza mai rinnegarsi. Non si è pentito! *Io sono convinto che la magistratura debba essere indipendente, però chiedo ed esigo che abbia un autogoverno di controllo, e che soprattutto risponda dei suoi gesti. Oggi noi abbiamo una magistratura che non risponde a nessuno dei suoi errori spesso catastrofici, perché hanno distrutto uomini, hanno distrutto aziende per delle cose che poi si son rilevate insussistenti. Mai un magistrato ha pagato per questo. Io voglio che i magistrati paghino. Non dico a dei poteri esterni, ma perlomeno al potere a cui viene affidata la disciplina nella categoria. *Tutta l'intellighenzia italiana ha una vecchia tradizione di servilità, com'è logico, perché si è sviluppata in un Paese analfabeta, per secoli e secoli analfabeta. Non avendo il lettore doveva per forza procurarsi il protettore. Scriveva per il protettore. *{{NDR|«Il suo peggior difetto qual è, Montanelli?»}} Quello di non riconoscermene nessuno. *{{NDR|«[[Leo Longanesi|Longanesi]], parlando di lei, un giorno disse che lei capiva le cose con dieci mesi di anticipo rispetto a tutti gli altri. Ecco, tra dieci mesi cosa vede in [[Italia]]?»}} Queste erano le cose di Longanesi, ma in realtà io non riesco a vedere tra dieci giorni. {{Int|''[http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/1991/11/16/giangi-feltrinelli-io-non-ti-perdono.html 'Giangi' Feltrinelli io non ti perdono]''|''la Repubblica'', 16 novembre 1991, p. 33.}} *[[Giangiacomo Feltrinelli|Lui]] fu l'emblema di tutto quanto accadde in quegli anni {{NDR|Anni della contestazione}}. A differenza della [[Francia]], eravamo un paese da burletta, con una contestazione da burletta e rivoluzionari da burletta. E Feltrinelli ne fu l'esponente più qualificato. *Era il 1940 e a quel tempo Giangi aveva quattordici anni e seguiva i corsi scolastici con pessimo profitto. Giangiacomo era un ragazzetto che voleva a tutti i costi cavalcare qualcosa di rivoluzionario. Non importava il colore. Tanto è vero che il suo sogno fu prima il fascismo e poi Che Guevara. *{{NDR|«L'importante è stare in prima linea il fascismo?»}} Ma sì, negli anni Quaranta lui era fascista. Era talmente fascista che nel 1943, dopo l'8 settembre, voleva denunciare sia me che Barzini per alcune cose che avevamo detto contro i fascisti. Allora pensava di aderire a Salò. La sua dedizione a una causa quale che sia, purché rivoluzionaria, lo spingeva a questi atti pazzeschi. *Generoso? Lo chieda ai suoi collaboratori. Era una specie di padrone delle ferriere che spendeva generosamente solo per soddisfare il suo vizio principale: la rivoluzione. Con chi era in difficoltà non si dimostrò mai particolarmente generoso. *{{NDR|«Perché allora lei è così implacabilmente critico nei suoi riguardi?»}} Non ce l'ho neppure tanto con lui, quanto con tutti coloro che di Feltrinelli hanno fatto un mito. In realtà era un povero uomo. Un ingenuo divorato dall'esibizionismo. *{{NDR|«Come può ridurre tutto alla convinzione che fosse solo un ingenuo e un esibizionista?»}} Anche Starace segnò un decennio della nostra vita. Mica per questo era meno cretino. Se Feltrinelli sia stato qualcosa di più complesso, io non riesco a vederlo. Posso aggiungere questo: quella sua mania di ostentazione, quella voglia di primeggiare su tutte le cose lo ha condotto anche a degli atti di eroismo. Perché uno che sale su un traliccio, con la dinamite che non sa maneggiare e salta per aria, beh almeno il coraggio gli va riconosciuto. O forse chiamiamola incoscienza. {{Int|''[http://www.archiviolastampa.it/component/option,com_lastampa/task,search/mod,libera/action,viewer/Itemid,3/page,15/articleid,0824_01_1992_0072_0015_25082247/ Montanelli e il sacco di Milano]''|''La Stampa'', 14 marzo 1992, p. 14.}} *{{NDR|Il regime corrotto}} C'è ancora. Ma la rivolta non era tanto contro la corruzione e la partitocrazia, che erano senza dubbio un grosso male, ma che non erano il male più letale. In quel momento era proprio la società che si disfaceva, le condizioni della scuola, la predicazione del nulla, insomma la contestazione globale, l'ubriacatura degli Anni Settanta, che fu l'ubriacatura del terrorismo, e quella acquiescenza di una certa borghesia, salottiera, radical chic, che amoreggiava con queste cose, che aveva le smanie maotsetunghiste, che poi parlavano tutti di cose che non sapevano. La corruzione dei partiti invece è quasi immanente. La partitocrazia è destinata a durare almeno finché non si riforma la legge elettorale. Ma questa è la battaglia che noi cerchiamo di fare oggi. *{{NDR|«Ma gli Anni Settanta non hanno anche prodotto qualcosa di positivo nella società italiana?»}} No. Non vedo fatti positivi nel lascito degli [[anni di piombo]]. Vorrei sapere veramente quali. Quando dicono per esempio il divorzio. Ma il divorzio c'era già prima. Quelle sono conquiste sociali. C'era bisogno dei pistoleros per il divorzio? Ma andiamo! *{{NDR|«Però lei difendeva Pannella»}} Sì. A [[Marco Pannella|Pannella]] dobbiamo veramente due cose, malgrado le sue mattane. Effettivamente riuscì a impedire a una certa aliquota di giovani di finire in braccio al terrorismo, cioè gli dette un'altra bandiera. E alcune battaglie sue furono sacrosante, come quella del divorzio che appoggiammo. Poi verso Pannella io ho una certa simpatia, dovuta al mio vecchio fondo anarchico, libertario, che ritrovo in lui. È una simpatia genetica. Ritrovo in lui quello che io sono stato a vent'anni. *{{NDR|«Ma che fine ha fatto quella borghesia, che fine hanno fatto quei salotti buoni? Le sue battaglie contro la Crespi o contro la Cederna sono cosa Passata? Sono cambiati loro, oppure è cambiato lei?»}} Vabbè, con la [[Camilla Cederna|Camilla]] poi siamo ridiventati amici. Con la Crespi no, mai. Ma non ho più rancori, non ho più animosità. Però è un mondo che disprezzo un po', perché è un mondo di pecore che seguono sempre il filo del vento, santoiddio, sono proprio personcine, personcine inconsistenti, pronte ad andare con chiunque. E poi sempre per salvare i propri interessi, non è che abbiano delle idealità, no? Oggi è cambiato il vento, quindi sono cambiati anche loro. Ma non è che sia cambiato il mio giudizio. Quel mondo lì io non lo amo. *La crisi rimane e si riflette nell'amministrazione cittadina. L'amministrazione era sempre stata un autentico specchio. Fino a Bucalossi il Comune di Milano era retto da specchiati galantuomini, che finivano tutti poveri, in miseria, finivano alla Baggina. Gente davvero di una correttezza esemplare. Poi sono venuti gli Aniasi e compagni e guardi qui dove siamo arrivati: siamo arrivati a [[Mario Chiesa|Chiesa]]. {{Int|''[https://web.archive.org/web/20121107180200/http://archiviostorico.corriere.it/1993/giugno/06/Montanelli_tura_naso_come_nel_co_0_93060610816.shtml Montanelli si tura il naso come nel '76: voto l'uomo della Lega]''|''Corriere della Sera'', 6 giugno 1993, p. 3.}} *Mi sono dannato l'anima perché il centro avesse un ''suo'' candidato. Avrei voluto Locatelli: era la persona giusta per portare la bandiera referendaria e raccogliere gli elettori moderati. Era quello il mio sogno. *Segni non ha capito nulla, è arrivato in ritardo, ha candidato una persona che nessuno conosce. Non abbiamo ''un'' rappresentante del centro, ma tre surrogati che si elimineranno a vicenda. E ci toccherà scegliere fra [[Nando dalla Chiesa|Dalla Chiesa]] e Formentini. *{{NDR|«Di qui il suo suggerimento: turarsi il naso e votare Lega»}} No, non dico "Votiamo Lega", dico "Votiamo Formentini". E nel suo caso non ci si deve neppure turare il naso: è modesto, anche mediocre se vogliamo, ma è onesto. Non credo sia marcio. Insomma: è il male minore. *{{NDR|«E Dalla Chiesa?»}} No, il mio voto non lo avrà. Perché io non voto per la sinistra e per un sinistro come quello lì. *{{NDR|«Ma che cosa la preoccupa nella coalizione di Dalla Chiesa?»}} Questi reperti di un mondo fallito vogliono ora governare l'Italia. E io con loro non ci sto. La storia gli ha dato torto, la realtà li svergogna e noi dovremmo fidarci? È stata l'apertura a sinistra a dare inizio alla putredine. {{Int|''Eppur si muove''|a cura di Indro Montanelli e Beniamino Placido, Rai 3, 1994.}} *Ogni italiano è insieme furbo e fesso. L'italiano è furbissimo nella gestione dei suoi affari privati, può ricorrere a tutte le astuzie, è attento, è accorto, ed è assolutamente fesso nel non rendersi conto che se i suoi affari privati rimangono immessi in una società che non funziona – cioè dove gli interessi generali vengono trascurati e negletti – i suoi interessi privati finiscono col soffrirne e col condurlo al fallimento. Questo, a noi italiani, non entra in testa. (6 febbraio 1994) *È probabile che molti stranieri mandino i loro figli, a Roma, a scuola. Ma quali scuole? Alle loro. Gli americani mandano i loro figli alla scuola americana, i tedeschi alla scuola tedesca, i francesi alla scuola francese. Non li mandano mica alla scuola italiana, se ne guardano bene e hanno ragione, visto il modo in cui si insegna in Italia. (ibidem) *Da noi prima uscivano dei ragazzi che sapevano abbastanza di greco, di latino, ma che il carattere non lo avevano formato a scuola: o se lo formavano da soli, oppure non se lo formavano mai. (ibidem) *Lo [[Zingari|zingaro]] che fa tranquillamente la sua vita non dà noia a nessuno, è quando ruba che, naturalmente, suscita qualche perplessità (uso un eufemismo). Diciamo la verità, in Italia il razzismo non c'è. Per inventare una questione razziale ci volle una legge, e una legge fatta da un regime totalitario perché il Paese non la sentiva. Non poteva sentirla perché non è nella nostra tradizione. [...] L'Italiano non ha dei risentimenti razziali. [...] {{NDR|Sugli episodi di intolleranza e di paura per il diverso}} È un fatto di piccolissime minoranze, diciamo la verità. Non inventiamo adesso una questione {{NDR|razziale}}. Io ho vissuto nelle società veramente razziste, è tutta un'altra faccenda. (con [[Serena Dandini]], 20 marzo 1994) *Io ebbi una moglie etiopica, nel senso che la comprai secondo l'uso locale. {{NDR|«Come, scusi?»}} Eh beh, ma gli usi locali erano questi. Tutti, anche gli etiopici, compravano la moglie. {{NDR|«Quanto costava una moglie?»}} Poco. Costava poco, mi pare che mi costò – allora, però (anno 1935) – 500 lire e un tucul {{NDR|trattando}} col suocero. Perché queste furono transazioni fatte dal mio emissario, che era il più anziano graduato della mia banda, col padre della ragazza. [...] Questo matrimonio durò finché noi stemmo di stanza a Saganèiti, cioè a dire prima che scoppiasse la guerra con l'Abissinia (che non fu precisamente una guerra, fu una specie di avventura). [...] Poi questa mia moglie, perché era considerata tale, quando io partii sposò un mio graduato e al primo figlio – è vivo tuttora, mi hanno detto – diede il mio nome, per cui alcuni credettero che fosse figlio mio. Non era figlio mio. Soltanto che per deferenza... {{NDR|«Lei non pensò mai di portarla con se in Italia?»}} Beh, no. No, anche perché era molto difficile strapparla ai suoi costumi. Lei stessa, in fondo, non voleva venire. Lei apparteneva alla sua terra, io le feci una piccola dote e quindi andò tutto regolarmente. Era molto bellina. (ibidem) *Gran parte delle forze leghiste, quelle che accennano a qualche razzismo nei confronti del meridionale, sono composte da meridionali che si sono milanesizzati e ci si trovano talmente bene a Milano che non vogliono che altri arrivino dal sud. (ibidem) *Per me la [[destra]] non è una [[ideologia]]: è un modello di comportamento. Si può essere di destra anche a sinistra. Questo comportamento è il criterio rigoroso del servizio della vita pubblica. (con [[Arnoldo Foà]], 17 aprile 1994) *Nella storia della [[Italia|nazione italiana]] io vedo pochi uomini all'altezza della qualifica di una destra illuminata che non solo accetta ma vuole le [[Riformismo|riforme]]. Un uomo di destra certamente io non credo che fosse [[Camillo Benso, conte di Cavour|Cavour]], del resto il suo connubio lo dimostra, la sua disinvoltura nelle alleanze politiche lo dimostra. Certamente di destra era [[Bettino Ricasoli|Ricasoli]]. Certamente era [[Quintino Sella|Sella]]. Certamente era [[Giovanni Giolitti|Giolitti]]: uomo che dette il suffragio universale, e che riconobbe il diritto di [[sciopero]]. Questo è un uomo di destra. Certamente un uomo di destra era [[Alcide De Gasperi|De Gasperi]], senza dubbio. E, adesso non vorrei scandalizzare la gente, ma direi che uomo di destra per il concetto che aveva dello [[Stato]] e del [[potere]] era anche [[Palmiro Togliatti|Togliatti]]. E questo dimostra che si può essere uomini di destra anche a [[sinistra]]. La destra è una regola di comportamento, una regola [[morale]] di comportamento. (ibidem) {{Int|''[https://web.archive.org/web/20101005073648/http://archiviostorico.corriere.it/1997/novembre/09/Montanelli_gambizzato_cinque_mesi_prima_co_0_9711098446.shtml Montanelli "gambizzato" cinque mesi prima: "Mi salvò una promessa a Mussolini"]''|''Corriere della Sera'', 9 novembre 1997, p. 29.}} *Quella mattina {{NDR|2 giugno 1977}} sono in due nei giardini di piazza Cavour, a Milano. Uno mi spara alle gambe. L'altro mi tiene nel mirino della sua pistola. I primi due – tre proiettili entrano nelle mie lunghe zampe di pollo. Non devastano né ossa né arterie. Ma sarebbero sufficienti per far cadere a terra qualsiasi cristiano. In quegli attimi ricordo la promessa che avevo fatto a Mussolini, e a me stesso, quando, bambino, mi ritrovai intruppato nei balilla: "Se devi morire, muori in piedi!" Davanti a questi vigliacchi che non hanno il coraggio di affrontarmi in faccia, penso, non posso morire in ginocchio. E mi aggrappo alla cancellata dei giardini. Non sto in piedi sulle gambe, ma mi reggo dritto con la forza delle braccia. E quello continua a sparare e a centrare le mie zampe di pollo. Se mi fossi accasciato, se mi fossi inginocchiato davanti a lui, a quell'ora sarei morto. *Per [[Renato Curcio|lui]] ho sempre avuto rispetto. Penso che la sua autoemarginazione dalla società prima e l'emarginazione che la società gli ha imposto poi ci abbiano privato di un uomo di valore. Non lo conosco di persona, ma lo stimo, anche se poteva essere lui quello che ha mandato i due ragazzi a spararmi. Non ho rancore: quando la guerra è finita gli avversari si devono stringere la mano e devono brindare alla pace ritrovata. *Apprezzo il coraggio di chi non si pente per ricavarne un utile, di chi non denuncia il compagno di errori ma riconosce i propri torti. Almeno i brigatisti lottavano per ideali diversi da quelli dello stalinismo e del comunismo sovietico. I terroristi neri, invece, volevano soltanto restaurare un regime sepolto dalla storia. I rossi non sapevano bene cosa ma avevano in mente qualcosa di nuovo. *{{NDR|«E se avessero vinto loro?»}} Impossibile. L'esistenza del terrorismo ha soltanto ribadito le manchevolezze del nostro Paese: uno Stato inefficiente e un popolo codardo e conformista. *{{NDR|Sui burattinai, i Grandi Vecchi, la Cia, i Servizi segreti}} Fregnacce: che gliene poteva importare alla Cia di fucilare gente come il buon Casalegno o quel galantuomo di Emilio Rossi, vent'anni fa direttore del Tg Uno, o quel bischero di Montanelli? La dietrologia era una divagazione di intellettuali perditempo. Il vero problema era ed è un altro: finché non ci decideremo a riconoscere la mancanza negli italiani di una coscienza nazionale e civile questo pericolo del terrorismo lo correremo sempre. E questa fabbrica di una coscienza nazionale e civile io non la vedo nascere. *{{NDR|Sul dolore che il tempo non ha cancellato nei parenti delle vittime}} Anche noi italiani dobbiamo imparare a pagare gli inevitabili tributi dovuti alla Storia come hanno saputo fare tutti i Paesi occidentali. Il dolore resta, ma la piaga va ricucita. Una volta per tutte. {{Int|''[http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/1998/07/25/borghesia-vile-deludente.html Borghesia vile e deludente]''|''la Repubblica'', 25 luglio 1998, p. 8.}} *È la solita bruciante delusione, questa nostra borghesia. Non cambia mai, è sempre la stessa: la più vile di tutto l'Occidente. Gente portata a correr dietro a chi alza la voce, a chi minaccia, al primo manganello che passa per la strada. Questo sono i nostri borghesi: tutti fascisti sotto il fascismo, poi tutti antifascisti fin dall'indomani. Quando il comunismo era forte e faceva paura, e io fondai ''il Giornale'', mi lasciarono solo e senza un soldo. Ai tempi del terrorismo, amoreggiavano con gli estremisti nella speranza che quelli – andati al potere – gli risparmiassero la villa e il portafoglio. E ora che il comunismo non c'è più, si scoprono tutti anticomunisti, questi sedicenti liberaloni. *Il loro eroe è sempre chi brandisce il [[manganello]]. Ieri, il manganello vero. Oggi, quello catodico delle televisioni. Il liberalismo vero l'hanno sempre tradito, anzi non hanno mai saputo che cosa sia. Non vogliono le regole, detestano le leggi, vogliono avere le mani libere per fare quello che gli pare, in nome della loro cosiddetta «[[efficienza]]». Quando abbiamo fondato ''la Voce'' l'abbiamo toccato con mano: parlare di regole e di legalità a questa gente è peggio di un insulto, una bestemmia in chiesa. *L'ho sempre detto che fu un errore, quattro anni fa, defenestrarlo. Bisognava lasciarlo lì ancora un bel po', così tutti avrebbero capito quanto vale, che razza di statista è... Magari adesso non saremmo in Europa, ma non avremmo così tante gente che si lascia ubriacare dalla sua propaganda, che prova nostalgia per lui. *{{NDR|«E se un giorno si andasse a votare per il suo referendum, quello per abolire i reati del Cavaliere?»}} In quella forma, mi pare difficile che si arrivi, anche se in Italia non si sa mai. Comunque, se si votasse, credo che anche lì vincerebbe lui. Perché è quello che vuole questa nostra borghesia. Ormai è ufficiale: Berlusconi ce lo meritiamo. {{Int|''[http://www.repubblica.it/online/politica/satiquattro/montanelli/montanelli.html L'Italia di Berlusconi è la peggiore mai vista]''|''la Repubblica'', 26 marzo 2001.}} *Io voglio che vinca, faccio voti e faccio fioretti alla Madonna perché lui vinca, in modo che gli italiani vedano chi è questo signore. [[Silvio Berlusconi|Berlusconi]] è una malattia che si cura soltanto con il vaccino, con una bella iniezione di Berlusconi a Palazzo Chigi, Berlusconi anche al Quirinale, Berlusconi dove vuole, Berlusconi al Vaticano. Soltanto dopo saremo immuni. L'immunità che si ottiene col vaccino. *È strano: io non avevo mai preso parte alla campagna di demonizzazione: tutt'al più lo avevo definito un pagliaccio, un burattino. Però tutte queste storie su Berlusconi uomo della mafia mi lasciavano molto incerto. Adesso invece qualsiasi cosa è possibile: non per quello che succede a me, a me non succede nulla, non è che io rischi qualcosa, è chiaro. Quello che fa male è vedere questo berlusconismo in cui purtroppo è coinvolta l'Italia e anche tante persone perbene. *La scoperta che c'è un'Italia berlusconiana mi colpisce molto: è la peggiore delle Italie che io ho mai visto, e dire che di Italie brutte nella mia lunga vita ne ho viste moltissime. L'Italia della [[marcia su Roma]], becera e violenta, animata però forse anche da belle speranze. L'Italia del 25 luglio, l'Italia dell'8 settembre, e anche l'Italia di piazzale Loreto, animata dalla voglia di vendetta. Però la volgarità, la bassezza di questa Italia qui non l'avevo vista né sentita mai. Il berlusconismo è veramente la feccia che risale il pozzo. {{Int|''La Storia d'Italia di Indro Montanelli''|a cura di Mario Cervi, interviste di Alain Elkann, ''Cecchi Gori Editoria Elettronica Home Video'', 1999.}} *Il silenzio mantenuto finora {{NDR|sui massacri delle foibe}}, o quasi silenzio, si spiega facilissimamente: tutta la storiografia italiana del dopoguerra era di sinistra, apparteneva all'intellighenzia di sinistra, la quale era completamente succuba del Partito Comunista. Quindi non si poteva parlare delle foibe, che non appartenevano al comunismo italiano, ma appartenevano certamente al comunismo slavo, di cui però il comunismo italiano era alleato e faceva gli interessi. Quindi di questo non si poteva parlare, e non si poteva parlare delle stragi del triangolo della morte, perché anche queste ricadevano sulla coscienza – ammesso che ce ne sia una – del Partito Comunista, il che sta a dimostrare quello che dicevo prima, cioè che la Resistenza non fu una resistenza, fu una guerra civile tra italiani che continuò anche dopo il 25 aprile. [...] {{NDR|Sull'eccidio dei conti Manzoni}} Andai come giornalista [...] per appurare com'era andata la strage dei conti Manzoni, dopo la fine della guerra. [...] Una famiglia di persone che col fascismo non aveva niente a che fare, ci aveva convissuto come tutti gli italiani. Bene, nessuno mi voleva parlare di questa faccenda. [...] Nessuno ne aveva parlato, né dei Carabinieri né della Polizia e tantomeno della magistratura, eppure lo sapevano. [...] C'era una complicità assoluta, una complicità dannata. [...] Se ne parla ora perché il Muro di Berlino è crollato, ma si ricordi che trent'anni fa, quando [[Renzo De Felice|De Felice]] annunziò di mettere allo studio il ventennio fascista per sapere com'era andata, fu proposta la sua estromissione dalla cattedra universitaria, solo perché metteva allo studio un ventennio di storia italiana che, bella o brutta, c'era stata. [...] Non era possibile inquadrare storicamente il fascismo: chi lo faceva, cercando di spiegare i perché della sua durata, ed anche i perché della sua catastrofe, veniva accusato di fascismo. (da ''Dalla Monarchia alla Repubblica'') *È difficile sapere che cosa fu [[Palmiro Togliatti|Togliatti]], perché Togliatti non ha lasciato memoriali, non ha lasciato diario, che cosa pensasse Togliatti non lo sapeva nessuno, credo nemmeno la sua compagna Nilde Iotti. Si può dire che è stato un esecutore fedele degli ordini di [[Stalin]]. Lo è stato sempre, e per questo godeva la fiducia di Stalin. [...] Era un diplomatico per sé, soprattutto, perché é un uomo sopravvissuto a venticinque o trent'anni anni di Mosca, senza finire in galera, processato o contro il muro. Beh, questo è uno dei grandi personaggi. Sono pochi. {{NDR|«Non era uno statista, per esempio?»}} Non poteva essere uno statista perché i comunisti non hanno lo Stato nel sangue, i comunisti hanno il partito. Stalin non è mai stato Capo dello Stato, e nemmeno Capo del Governo, era capo del partito. Il potere nei regimi comunisti non sta né nello Stato né nel governo, sta nel partito. (da ''Dalla proclamazione della Repubblica al Trattato di pace'') *Questa [[Costituzione della Repubblica italiana|Costituzione]] porta male gli anni da quando aveva un giorno, perché fu subito chiaro quali erano i suoi difetti. Del resto furono anche denunciati da uomini come, per esempio, [[Piero Calamandrei|Calamandrei]], come Mario Paggi. (da ''Dall'assemblea costituente alla vigilia delle elezioni del 1948'') *I difetti furono soprattutto due. Il primo difetto fu di ripartizione dei lavori. La Costituente era formata da 600 membri eletti di passaggio. Voglio {{NDR|far}} notare che quella fu la prima elezione che si tenne in Italia – per la Costituente, non per il Parlamento – ma dove ci fu lo spiegamento dei partiti. Ogni partito portò i suoi candidati, cioè dei giuristi che facevano capo alla propria ideologia. Bene, in quella prima elezione il 35% dei voti andò ai democristiani, il 21% andò ai socialisti di [[Pietro Nenni|Nenni]], il 19% ai comunisti. Quindi in quel momento... non c'era ancora il Fronte ma in quel momento i socialisti facevano premio sui comunisti. Erano di poco, ma un po' più forti dei comunisti. [...] Questi 600 costituenti non potevano lavorare tutti insieme, era impossibile mandare avanti 600 persone a dibattere all'infinto le stesse cose, e allora i lavori furono devoluti a una commissione che si chiamò la ''Commissione dei Settantacinque'', perché erano 75 membri della Costituente che venivano incaricati per le loro competenze specifiche di redigere il testo. Ma anche 75 erano troppi, e allora anche i 75 si frazionarono in sotto-commissioni, ognuna delle quali lavorò per conto suo. Non ci fu un piano di insieme. {{NDR|«Quindi non fu un vero lavoro collettivo»}} Non fu un vero lavoro collettivo. Calamandrei lo disse subito: «Noi stiamo montando una macchina, che magari pezzo per pezzo sarà anche ben fatta, ma le cui giunture non coincidono con le giunture di altri pezzi». [...] Fu lasciata così perché nessuno volle rinunziare al proprio elaborato, e questo è tipico degli italiani. (da ''Dall'assemblea costituente alla vigilia delle elezioni del 1948'') *Il secondo motivo che rese questa Costituzione veramente impalatabile e nociva per il regime che ne doveva nascere, fu che i nostri costituenti partirono dal punto di vista opposto a quello da cui sarebbero partiti i costituenti tedeschi quando la Germania fu libera di elaborare una sua Costituzione. Da che cosa partirono i costituenti tedeschi? Da questo ragionamento: il nazismo fu il frutto della Repubblica di Weimar. Cos'era la Repubblica di Weimar? Era l'impotenza del potere esecutivo, cioè del Governo. [...] La Germania rimase nel disordine, nel caos, nella Babele dei partiti che non riuscivano a trovare mai delle maggioranze stabili, quindi dei governi efficaci. Ecco perché Hitler vinse, perché il nazismo vinse. I costituenti nostri partirono dal presupposto contrario, cioè dissero: «Cos'era il fascismo? Il fascismo era il premio dato a un potere esecutivo che governava senza i partiti, senza controlli eccetera. Quindi noi dobbiamo esautorare completamente il potere esecutivo, {{NDR|negando}} la possibilità di dare ai governi una stabilità, eccetera». Per rifare che cosa? Weimar. Cioè, mentre i tedeschi partivano dalla negazione di Weimar, noi arrivavamo {{NDR|a Weimar}} senza dirlo. Nessuno lo disse, ma questo fu il risultato. [...] Non fu possibile nemmeno introdurre quella solita linea di sbarramento che invece fu introdotta in Germania, per cui i partiti che non raggiungevano non ricordo se il 5 o il 3%, non avevano diritto a una rappresentanza. No, tutti i partiti dovevano esserci e tutti avevano un potere di ricatto sulle maggioranze, che erano per forza di cose di coalizioni. (da ''Dall'assemblea costituente alla vigilia delle elezioni del 1948'') *Gli italiani non imparano niente dalla Storia, anche perché non la sanno. {{NDR|«Forse non amano la Storia»}} Non la amano, non la leggono, non se ne interessano, ma questo anche le classi dirigenti: sono uguali, intendiamoci. {{NDR|«Lei auspica che venga rifatta questa Costituzione»}} Sì, ma che venga rifatta secondo criteri logici, non {{NDR|secondo}} criteri illogici. Tutte le volte che si diceva «Ma qui bisogna restituire un po' di autorità al potere esecutivo, bisogna mettere i governi in condizione di governare» si diceva: «Fascista! Fascista!». Con questo ricatto qui abbiamo fatto le più grosse scempiaggini che si potesse immaginare. (da ''Dall'assemblea costituente alla vigilia delle elezioni del 1948'') *La fine di [[Alcide De Gasperi|De Gasperi]] è la fine di un'epoca: con lui finisce un'epoca e ne comincia un'altra non certamente migliore. [...] C'è una bella pagina della figlia di De Gasperi, Maria Romana, che ha scritto un bel libro sul padre. Un libro tutto vero in cui racconta anche i funerali su in Val Sugana: c'era naturalmente tutta la nomenclatura democristiana che accompagnava la bara. Oramai De Gasperi era morto, si poteva anche fingere il compianto, e a un certo momento un passante che era lì – uno che guardava, che non aveva niente a che fare con la politica, con la Democrazia Cristiana eccetera eccetera – si avvicinò al feretro e scansando questi turiferari della DC disse: «No, non è vostro! De Gasperi è nostro! Era un italiano!». E aveva ragione. De Gasperi era nostro, non un democristiano. (da ''Gli anni di Alcide De Gasperi'') *{{NDR|[[Giovanni Gronchi]]}} Era un uomo molto abile, brillante parlatore, molto abile anche negli affari. Era molto più libertino di [[Carlo Sforza|Sforza]], quindi la Democrazia Cristiana [...] era cambiata, evidentemente, e Gronchi fu eletto per una faida interna della Democrazia Cristiana, perché [[Amintore Fanfani|Fanfani]] voleva [[Cesare Merzagora|Merzagora]]. Allora per fare dispetto a Fanfani, invece gli buttarono fra i piedi [[Giovanni Gronchi|Gronchi]], il quale seppe benissimo tessere la sua trama fra Sinistra, Destra eccetera e far diventare gronchiani anche quelli degli altri partiti. Dicendosi agli uni uomo di Destra e agli altri uomo di Sinistra, facendo insomma il giuoco personale di Gronchi, con cui entrò in Quirinale il vero grande corruttore della vita politica italiana. [...] Dopo l'onestissimo [[Luigi Einaudi|Einaudi]] viene Gronchi, che è l'indulgenza plenaria verso tutte le deviazioni e i deviazionisti d'Italia. (da ''La rivolta in Ungheria e l'elezione di Giovannni XXIII'') *Questa storia dell'MSI è una delle grandi truffe della Prima Repubblica: nella Costituzione c'è un articolo che proibisce la rinascita di un partito fascista. Ecco. Ora, l'MSI era chiaramente un partito fascista. Non lo negava, anzi si faceva gloria del fatto di essere l'erede eccetera. Perché lo avevano messo, allora? Lo avevano messo perché questo partito fascista, che avrebbe dovuto essere escluso dalla vita politica, serviva a captare un certo numero di voti che, senza questo partito, sarebbero andati a dei partiti moderati di Centro e soprattutto, forse, alla Democrazia Cristiana. Quindi quale fu il gioco delle Sinistre, a cui la Democrazia Cristiana però si piegò e si rassegnò: è consentito di esistere all'MSI, però l'MSI quando è in Parlamento è escluso dal gioco parlamentare. Così si mettevano i voti dell'MSI in ''frigidaire'', e così non andavano alla Democrazia Cristiana e ai partiti {{NDR|di Centro}}. È una delle peggiori truffe che è stata inventata dalla classe politica che ci ha governato per cinquant'anni. (da ''I successori di De Gasperi e la politica italiana fino alla morte di Togliatti'') *Io vorrei sapere quali furono le crescite... di civiltà che il [[Sessantotto]] pretende di averci lasciato. Io vedo tutt'altra cosa: io vidi nascere, dal Sessantotto, una bella torma di analfabeti che poi invasero la vita pubblica italiana, e anche quella privata, portando dovunque i segni della propria ignoranza. Io ho visto questo. Può darsi che sia affetto da sordità o da cecità ma io non ho visto altro, come frutti del Sessantotto. (da ''Il Sessantotto e la politica di Berlinguer'') *{{NDR|La differenza tra il Sessantotto francese e quello italiano è}} La differenza che passa fra l'originale e il fac simile perché il Sessantotto nacque in [[Francia]] e in [[Italia]] fu un fatto di riporto, di imitazione. {{NDR|«Che vi fu in tutto il mondo, però, questo»}} Un po' in tutto il mondo ma particolarmente in Italia dove non nasce mai niente, è sempre qualcosa di imitato dagli altri. Bene o male, insomma, i francesi ebbero... anche una certa cultura del Sessantotto, ebbero [[Jean-Paul Sartre|Sartre]]. Oddio, Sartre rivisto con gli occhi di oggi naturalmente scende molto dal suo mitico piedestallo. [...] In Italia non ci fu neanche un Sartre. (da ''Il Sessantotto e la politica di Berlinguer'') *Credo che su [[Pier Paolo Pasolini|Pasolini]] si sia preso un grosso abbaglio: Pasolini è passato per uno scrittore di sinistra perché aveva preso come sfondo dei suoi racconti – bellissimi del resto – il sottoproletariato delle borgate romane, i ragazzi di vita, insomma, la schiuma della società. Ma lo aveva fatto per dei gusti e dei motivi del tutto personali sui quali è inutile tornare a far commenti. Questo lo aveva fatto considerare come uno scrittore, un difensore del proletariato, ma non era una scelta politica quella che aveva fatto Pasolini. Non c'entrava niente, assolutamente nulla. Quindi quello che lui disse era assolutamente vero, cioè dire che nei tafferugli, dove spesso ci scappava il morto, tra quei dilettanti delle barricate che erano {{NDR|dei borghesi}}, i veri proletari erano i poliziotti, tutti figli di famiglie povere, eccetera eccetera. I dilettanti delle barricate erano tutti o quasi tutti figli di papà: aveva ragione Pasolini! Ma come no! E questo fu considerato un tradimento all'ideologia di sinistra. (da ''Il Sessantotto e la politica di Berlinguer'') *Il primo fenomeno fu il Sessantotto, e il Sessantotto partorì poi il terrorismo, il brigatismo rosso eccetera eccetera. Su questo non ci son dubbi, insomma. Dirò di più: i più seri, e forse gli unici seri, furono quelli che poi diventarono dei terroristi e che quindi rischiarono la loro vita, almeno. Gli altri erano quello che diceva Pasolini, dei figli di papà. (da ''Il Sessantotto e la politica di Berlinguer'') *{{NDR|La figura del Grande Vecchio}} È una di quelle fandonie, di quelle stupidaggini che piacciono tanto a noi italiani: l'idea di un Grande Vecchio che organizzasse tutte queste stragi, attentati eccetera eccetera. È un affare da Simenon di borgata insomma – no? Piaceva l'idea che ci fosse dietro tutta una strategia. Sennonché poi non si sapeva chi fosse il Grande Vecchio. {{NDR|«Aveva un volto questo grande vecchio?»}} Ne ha avuti molti: naturalmente [[Giulio Andreotti|Andreotti]] – quello non manca mai, quando si cerca un ''deus ex macchina'' di tutto ciò che di più criminale è avvenuto in questo Paese {{NDR|c'è}} Andreotti. {{NDR|«Però in quel momento non era tanto vecchio»}} In quel momento non era tanto vecchio, ma il Grande Vecchio non ha nulla di anagrafico, è il Grande Vecchio così – poi Gelli, poi Sindona. Ha avuto varie raffigurazioni che sono tutte di fantasia. (da ''Piazza Fontana e dintorni'') *Se c'era un funzionario corretto, che veniva portato come esempio da tutti i suoi colleghi, era Calabresi. Per quale motivo si scatenò questa campagna contro di lui non lo so. È vero che aveva interrogato [[Giuseppe Pinelli|Pinelli]], ma gli interrogatori di Calabresi facevano testo per la loro correttezza. Sempre. [...] Non so per quale motivo, a un certo momento, la stampa s'incendiò e cominciò ad additare Calabresi come «il bruto», come «lo scherano del potere sopraffattore e assassino». Questo si lesse in vari giornali. Ora, il potere sopraffattore assassino in quel momento era rappresentato da [[Mariano Rumor|Rumor]] e da [[Emilio Colombo|Colombo]]: mi dica lei se hanno il viso dei sopraffattori assassini. Magari lo fossero stati un po', ma immaginiamoci. E questa campagna fu implacabile, assolutamente implacabile. (da ''Piazza Fontana e dintorni'') *Come in tutti i processi italiani anche questi, che poi volevano arrivare all'identificazione dei responsabili e non ci arrivarono quasi mai, erano dominati dal cosiddetto «teorema»: si partiva dal presupposto... a un certo momento si mise di parlare degli anarchici – si smise quasi subito di parlare {{NDR|degli anarchici}} – e tutte le lampadine furono rivolte ai partiti e alle forze di Destra. Erano quelle le forze stragiste. [...] I nostri bravi giudici, salvo alcuni, partivano dal presupposto che {{NDR|i colpevoli}} certamente venivano di lì, venivano dalle Destre, dalle Destre più violente. Alle quali si attribuiva, sempre per «teorema», questa idea: creare una tensione nel Paese in modo da impaurire gli italiani e metterli alla scelta «o la libertà o l'ordine», perché insieme non potevano andare. Nella libertà era chiaro che non si poteva mantenere l'ordine, e loro dicevano: «Qualunque popolo messo a questa scelta sceglie l'ordine». Ecco. È un teorema. È un teorema che ha sempre cercato dimostrazione e non l'ha trovata mai. (da ''Piazza Fontana e dintorni'') *[[Bettino Craxi|Craxi]] era un uomo di partito certamente molto accorto, era un uomo valido di governo perché sapeva decidere. Che cosa fosse lo Stato, da buon socialista, non lo sapeva. (da ''Il terrorismo fino al sequestro e all'uccisione di Aldo Moro'') *Quelle lettere erano tutte farina del sacco di [[Aldo Moro|Moro]], e questa farina non è molto encomiabile perché, vede, tutti gli uomini hanno diritto ad avere paura. Tutti. Però quando un uomo sceglie la politica, e nella politica emerge a [[Statista|uomo di Stato]] – a uomo rappresentativo dello Stato – non perde il diritto a avere paura, ma perde il diritto a mostrarla. Questo sì. Questo è uno dei principi che dovrebbe essere affermato. L'incidente, tipo quello di Moro, fa parte del mestiere. Chi affronta quel mestiere deve sapere che può incorrere in quell'incidente e deve avere i nervi, e diciamo gli altri attributi, per resistere. Moro era lo Stato. Lo Stato si raccomandava, implorava, minacciava la classe politica che facesse di tutto, anche che si prostituisse, per salvargli la vita: eh, no. No. Moro era certamente un politico a modo suo, estremamente abile – era anche un galantuomo, credo – ma uomo di Stato non era nemmeno lui. [...] Anch'io mi sono posto questa domanda molto spesso: «Ma se Moro fosse tornato in politica dopo aver costretto lo Stato a prostituirsi, a inginocchiarsi di fronte ai terroristi, avrebbe potuto restarci?». Avrebbe potuto restare? Con che faccia? Vabbè che siamo in Italia. {{NDR|«Forse lo Stato sarebbe stato un altro perché i terroristi avrebbero vinto»}} Appunto. I terroristi avrebbero vinto. Quindi lui che cosa diventava, il braccio politico del terrorismo? Che cosa diventava? Come poteva ripresentarsi? Va bene, gli italiani hanno lo stomaco forte, inghiottono tutto – noi italiani abbiamo lo stomaco forte e inghiottiamo tutto – ma, insomma, di fronte a un uomo la cui vita, la cui sopravvivenza, aveva avuto quel prezzo per noi non credo che avrebbe potuto ripresentarsi all'opinione pubblica italiana. (da ''Il terrorismo fino al sequestro e all'uccisione di Aldo Moro'') *Noi naturalmente abbiamo il dovere di ringraziare [[Michail Gorbačëv|Gorbačëv]] per quello che ha fatto, però se lei mi chiede se lo ha fatto bene o lo ha fatto male io debbo rispondere che lo ha fatto malissimo. Io non so se lui... che lui volesse salvare la Patria sovietica questo non lo metto in dubbio. Che lui volesse salvare il comunismo... io debbo risponderle di no, perché quello che lui ha fatto per affossare il comunismo lo ha fatto. (da ''Giovanni Paolo II e la fine dell'URSS'') *Anche i cinesi si erano accorti che il sistema comunista era arrivato al capolinea, era fallito. Fallito perché non regge, assolutamente non regge. {{NDR|Il sistema comunista}} Aveva portato il Paese, e i Paesi che lo avevano adottato, al fallimento. Anche i cinesi si erano accorti di questo, però avevano capito che per trasformare un sistema oramai ancestralmente totalitario, statalizzato, che aveva tolto ogni libertà a tutti, che aveva disabituato tutti da ogni spirito di iniziativa e di impresa... per trasformare un'economia basata su questi principi fallimentari in un'economia capitalista basata sul libero mercato, sulla libera concorrenza eccetera, bisognava tenere in mano il potere politico per controllare questo passaggio. I cinesi lo fecero. Quando gli studenti di Pechino credettero di potergli {{NDR|al governo cinese}} prendere la mano scendendo in [[Protesta di piazza Tienanmen|piazza Tienanmen]] i cinesi non esitarono a mitragliarli e, per quanto un massacro non possa che essere esecrato, io dico questo: i cinesi erano obbligati a farlo. Se non lo facevano la Cina si dissolveva, ritornava quella di [[Chiang Kai-shek]]: ritornava quella dei signori della guerra, cioè il Paese si disfaceva. Il Paese che bene o male [[Mao Tse-tung]] aveva unificato e a cui aveva dato un'anima di Nazione si sarebbe disfatto. (da ''Giovanni Paolo II e la fine dell'URSS'') *{{NDR|Su [[Licio Gelli]]}} L'avevo visto una volta e questo [...] rendeva ancora più grande la mia sorpresa. Io avevo un giornale, ''il Giornale'', che non aveva patroni, non aveva pubblicità, che quindi aveva delle grosse difficoltà di tirare avanti. La proprietà era divisa fra me e una trentina di altri redattori, e non avevamo niente in mano. Io non trovavo una banca che mi facesse un fido, non trovavo una società pubblicitaria che mi garantisse un minimo decente delle cose [...]. A un certo momento il capo del nostro ufficio romano, Trionfera – che era massone, ma non P2 – mi disse «Senti, vieni a Roma perché so che c'è un signore che sta diventando il padrone della stampa italiana». Dico «Come? Il padrone della stampa italiana?» «Sì, c'è un signore che, a quanto pare, ha assunto un potere straordinario nel mondo dell’editoria e forse lui può anche aiutarci». [...] Andai a Roma e allora {{NDR|Renzo Trionfera}} mi disse che lui aveva appuntamento con questo signor Gelli, di cui io sentivo il nome per la prima volta [...], però dovevamo andarci quasi di nascosto. [...] Andammo [...] e così vidi Gelli per la prima e unica volta. Gli esposi la situazione e lui mi disse: «Ma questi sono dettagli, queste sono piccolezze, non sono problemi gravi perché qui, oramai, bisogna procedere a ben altro. Bisogna chiamare a raccolta tutta questa stampa italiana che è litigiosa, che è settaria. Bisogna darle un indirizzo unico». Allora io lì lo fermai. Dissi: «Come fa a darle un indirizzo unico? La stampa segue criteri diversi, i giornalisti...». «Macché giornalisti – disse lui – qui ci vuole un padrone della stampa!». Dico «Ma non esiste un padrone della stampa, a meno che non rifacciamo il Minculpop fascista, allora c'era un padrone perché c'era un regime che faceva il padrone». {{NDR|Licio Gelli}} Dice «Basta comprare la proprietà dei giornali». Dissi «Ma scusi, ci sono degli editori che non vendono» [...] «Questione di prezzo». Il discorso andò avanti su questi binari, quando uscimmo io dissi a Trionfera: «Senti, ma questo qui è il più grosso farabolano con cui abbiamo avuto a che fare, uno che si immagina di comprare tutta la stampa e di ridurla ai suoi ordini, va be', o è un matto, o è un matto, oppure è proprio un piazzista, un fregnacciaro qualsiasi insomma». Questo fu l'unico incontro. [...] Uno che faceva questi discorsi naturalmente mi sembrava inutile continuare a frequentarlo. Di lì a poco venne fuori la lista degli iscritti alla P2 e venne fuori l'identificazione di Gelli col Grande Vecchio, col famoso Grande Vecchio. {{NDR|«Finalmente si era trovato»}} Finalmente si era trovato il Grande Vecchio autore di tutte le stragi, le cose..., {{NDR|«Il vero Grande Vecchio»}} il bieco Grande Vecchio. Naturalmente non credetti nemmeno a questo. (da ''Il caso Sindona e la P2'') *Per istinto, e per come avevo visto e conosciuto [[Licio Gelli|Gelli]], io sono convinto che {{NDR|la [[P2|Loggia P2]]}} era una cricca di affaristi e basta. Era una cricca di affaristi condotta da un uomo che, evidentemente, come intrallazzatore doveva essere geniale. Era un pataccaro, indiscutibilmente era un pataccaro, ma che a tutto pensava fuorché a un ''golpe''. Non ci pensava nemmeno. Lui procurava affari e soprattutto fomentava carriere. Lui aveva capito qual è la struttura del potere in Italia, sempre, non soltanto allora, sempre: è una struttura mafiosa. Bisogna far parte di una cricca, di una conventicola in cui ognuno aiuta l'altro, e questo era la P2. [...] Ma che interesse poteva avere Gelli a rovesciare un sistema che gli consentiva di influire sino a quel punto? Quale interesse poteva avere? E poi, Gelli era un farabolano ma non doveva essere del tutto sprovveduto, doveva sapere che l'[[Italia]] non è terra da ''golpe''. Ma chi lo fa il ''golpe''? E anche se qualcuno lo fa, come fa a resistere? Che cos'ha dalla sua per fare il ''golpe''? Non ho mai creduto al golpismo di Gelli. (da ''Il caso Sindona e la P2'') *Il caso Chiesa era un caso modestissimo. Fece da detonatore perché il momento era maturo per arrivare a ''Tangentopoli'', che era dovuto a una cosa molto più complessa che era questa: che ci fosse la corruzione in Italia si è sempre saputo, la classe dominante promanava questo puzzo di fogna che tutti sentivano, il famoso «turarsi il naso». Soltanto che fin quando l'alternativa di questa classe politica allora al potere era un Partito comunista, che era un fac-simile di quello sovietico, basato sui carri armati, sulla polizia segreta, sulle delazioni, sui processi, [...] finché c'era questo spettro noi non potevamo prenderci il lusso di mettere sotto processo e mandare in galera la classe politica dirigente allora. Fu quando, col Muro di Berlino, crollò questo incubo che i tempi furono maturi perché questo avvenisse. (da ''Tangentopoli'') *Che {{NDR|la [[corruzione]]}} sia inestirpabile, di questo sono sicuro perché dura da 2000 anni. La corruzione non è soltanto nella politica: è nella società italiana! Noi italiani abbiamo sempre corrotto tutti! Tutti coloro che sono venuti in Italia a fare i padroni li abbiamo corrotti. [...] Noi dobbiamo metterci in testa che la lotta alla corruzione la si fa in un modo solo: cambiando gli italiani, non cambiando le classi politiche. Le classi politiche, anche quelle nuove, si corrompono. È inevitabile. (da ''Tangentopoli'') *[[Silvio Berlusconi|Berlusconi]] ha un sacco di qualità. C'è da dire, ha una grande immaginazione, una grande fantasia; ha un coraggio leonino nel buttarsi nelle imprese; sa trascinare molto bene; è un comunicatore eccezionale, sa accendere i suoi seguaci di entusiasmi eccetera eccetera, mi ricordo che una volta gli dissi: «Io sono sicuro che se tu ti mettessi a fabbricare dei vasi da notte, faresti venire la voglia di fare pipì a tutta l'Italia». (da ''Verso il bipolarismo'') *[[Silvio Berlusconi|Lui]] è un uomo d'attacco: se avesse fatto la carriera militare lui non sarebbe diventato né un [[Gerd von Rundstedt|Rundstedt]] né un [[Erich von Manstein|Manstein]], che furono i grandi strateghi tedeschi dell'ultima guerra. [...] Lui sarebbe diventato un [[Erwin Rommel|Rommel]] o un [[George Smith Patton|Patton]]. Cioè dire: è un generale di straccio e di rottura che, appunto, sullo slancio può compiere qualsiasi cosa. Se lo metti poi a difendere le posizioni conquistate con lo slancio, eh no, lì non ci sta. Come Rommel: Rommel finché poté attaccare in Libia e in Egitto attaccò. Quando dovette mettersi sulla difensiva chiese il rimpatrio. [...] Non sarebbe uomo di Curia e non è un uomo di pazienza, non è un uomo da guerra di posizione e di logoramento. (da ''Verso il bipolarismo'') *Lui Arrivò a Palazzo Chigi credendo, e facendo credere, che uno Stato si poteva condurre con gli stessi criteri di un'azienda privata. Io su questo avevo avuto serie discussioni con lui – non litigi, non ho mai litigato con Berlusconi – gli avevo detto: «Guarda che lo Stato non è un'azienda privata». [...] Lui credeva di potersi comportare a Palazzo Chigi, e con la macchina dello Stato, come si comportava con la sua organizzazione, dove la gente frullava e, se non frullava, lui la cacciava via, com'è giusto che faccia un imprenditore. Ma lui non poteva applicare questi metodi e sistemi allo Stato. Quando si trovò di fronte alla muraglia grigia, sorda e ottusa della burocrazia italiana, che è la peggiore, ma anche la più resistente del mondo, lui rimase senz'armi: non poteva licenziare neanche un usciere. Nel gioco parlamentare lui naufraga perché non è abituato a queste cose. La politica – non dico che sia solo un mestiere – ma è anche un mestiere. Questo mestiere lui non lo aveva. (da ''Verso il bipolarismo'') *Che gli italiani siano capaci di emanare leggi di riforma, ci credo senz'altro. L'Italia è la più grande produttrice di regole, ognuna delle quali è una riforma, è la riforma di un'altra regola. Gli stessi esperti pare che abbiano perso il conteggio delle leggi, dei regolamenti che vigono in Italia: c'è qualcuno che parla di 200.000, altri di 250.000. Ora, quando si pensa che la [[Germania]] ha in tutto 5.000 leggi, la [[Francia]] pare 7.000, l'[[Inghilterra]] nessuna, quasi nessuna – ha dei principi, così stabiliti. A cosa ha portato tutta questa proliferazione? A riempire gli scantinati dei nostri pubblici uffici, dove ci sono questi mucchi di legge che nessuno va nemmeno a consultare perché ognuna di queste leggi poi offre il modo di evaderle. Questa è la grande abilità dei legislatori italiani. I legislatori italiani sono quasi tutti degli avvocati. E gli avvocati a che cosa pensano? A ingarbugliare le leggi in modo da restarne loro i supremi e unici depositari. [...] Riforme: hai voglia se ne faremo, continuiamo a farne, è la nostra vocazione, questa. Quanto poi all'attuazione, allora è un altro discorso: le leggi in Italia non vengono osservate, anche perché sono formulate in modo che si possano non osservare. Ed è questo che spiega l'abbondanza, la prodigalità delle nostre classi politiche, delle nostre classi dirigenti, nello sfornarne di continuo. (da ''Dal Governo Dini all'Ulivo'') *Un Paese che ignora il proprio Ieri, di cui non sa assolutamente nulla e non si cura di sapere nulla, non può avere un Domani. Io mi ricordo una definizione dell'Italia che mi dette in tempi lontanissimi un mio maestro e anche benefattore, che fu un grande giornalista, [[Ugo Ojetti]], il quale mi disse: «Ma tu non hai ancora capito che l'Italia è un Paese di contemporanei, senza antenati né posteri perché senza memoria». Io avevo 25-26 anni e la presi per una ''boutade'', per una battuta, un paradosso. Mi sono accorto che aveva assolutamente ragione. Questo è un Paese che {{NDR|«È un Paese che non ama la Storia»}} ha una storia straordinaria, {{NDR|«Ma non la ama»}} ma non la studia, non la sa. È un Paese assolutamente ignaro di se stesso. Se tu mi dici cosa sarà un domani per gli italiani, forse sarà un domani brillantissimo. Per gli italiani, non per l'Italia. Perché gli italiani sono i meglio qualificati a entrare in un calderone multinazionale perché non hanno resistenze nazionali. Intanto hanno dei mestieri in cui sono insuperabili. [...] Voglio dirlo senza intonazioni spregiative, nei mestieri servili noi siamo imbattibili, assolutamente imbattibili. Ma non lo siamo soltanto in quelli. L'individualità italiana si può benissimo affermare in tutti i campi, anche scientifici. Io sono sicuro che gli scienziati italiani, i medici italiani, gli specialisti italiani, i chimici, i fisici italiani quando avranno a disposizione dei gabinetti europei veramente attrezzati brilleranno. Gli italiani, l'Italia no. L'Italia non ci sarà, non c'è. Perché gli italiani che vanno in Germania diventeranno tedeschi. [...] Alla seconda generazione sono assimilati. Dovunque vadano, sono assimilati. {{NDR|«Ma questo è un difetto?»}} No... è un difetto... è un difetto ed è anche una virtù. È una qualità. Voglio dire: per l'Italia non vedo un futuro, per gli italiani ne vedo uno brillante. (da ''Dal Governo Dini all'Ulivo'') ==Citazioni tratte dai giornali== ===''Corriere della Sera''=== <!--ordine cronologico--> *Gli eroi sono sempre immortali, agli occhi di chi in essi crede. E così crederanno, i ragazzi, che il «[[Grande Torino|Torino]]» non è morto: è soltanto «in trasferta». (7 maggio 1949) *{{NDR|A proposito di [[Maratea]]}} Forse in Italia non c'è paesaggio e panorama più superbi. Immaginate decine e decine di chilometri di scogliera frastagliata di grotte, faraglioni, strapiombi e morbide spiagge davanti al più spettacoloso dei mari, ora spalancato e aperto, ora chiuso in rade piccole come darsene. (4 ottobre 1957) *{{NDR|Su ''[[La dolce vita]]''}} Ma non c'è dubbio che qui ci si trova di fronte a qualcosa di eccezione (sic!) non perché rappresenti un meglio o un di più di ciò che finora si è fatto sullo schermo, ma perché ne va nettamente al di là, violando tutte le regole e convenzioni, a cominciare da quelle della durata, che supera le tre ore di spettacolo, per finire a quelle della trama, o meglio della non trama, perché non c'è. (''[http://cinquantamila.corriere.it/storyTellerArticolo.php?storyId=4d44ab344c050 Montanelli vede La Dolce Vita]'', 22 gennaio 1960) *{{NDR|Su ''[[La dolce vita]]''}} Non siamo più nel cinematografo, qui. Siamo nel grande affresco. Fellini secondo me non vi tocca vette meno alte di quelle che Goya toccò in pittura, come potenza di requisitoria contro la sua e la nostra società. (''ibidem'') *Il suo reportage non è una "patacca". Il poco – oh, molto poco! – che vi luce è proprio oro. E il molto che vi puzza è proprio fogna. Del resto, se così non fosse, il film sarebbe fallito come falliscono i reportages quando eludono la verità o non riescono a centrarla. Quindi, amici, vi prevengo se domani ''[[La dolce vita]]'' vi farà inorridire, non confutàtela dicendo: "Non è vero". Perché per esser vero, tutto ciò che qui è raccontato, lo è. D'altronde Fellini è ricorso al mezzo più spicciativo (e più diabolico) per dimostrarlo. (''ibidem'') *Ma mi affretto subito ad aggiungere che ''[[La dolce vita]]'' non è una polemica a sfondo giustizialista, che appunta i suoi strali sulle cosiddette classi alte. Non convincerebbe, in questo caso, o convincerebbe meno. Gli altri ambienti, che si srotolano giù giù negli appunti di questo reporter d'eccezione, sono descritti con la identica spietatezza, convalidata dalla stessa tecnica di rappresentare ciascuno nei propri panni. Lasciatemi testimoniare in tutta onestà che raramente ho visto qualcosa di più vero di quel salotto intellettuale. Esso ha dato perfino a me, che non ne frequento nessuno, un senso profondo di mortificazione, un vago anelito a cambiar mestiere e a iscrivermi, fo' per dire, ai coltivatori diretti. (''ibidem'') *Non è necessario essere socialisti per amare e stimare [[Sandro Pertini|Pertini]]. Qualunque cosa egli dica o faccia, odora di pulizia, di lealtà e di sincerità. (27 ottobre 1963) *Che i [[Rifugiati palestinesi|profughi palestinesi]] siano delle povere vittime, non c'è dubbio. Ma lo sono degli Stati arabi, non d'[[Israele]]. Quanto ai loro diritti sulla casa dei padri, non ne hanno nessuno perché i loro padri erano dei senzatetto. Il tetto apparteneva solo a una piccola categoria di sceicchi, che se lo vendettero allegramente e di loro propria scelta. Oggi, ubriacato da una propaganda di stampo razzista e nazionalsocialista, lo sciagurato ''fedain'' scarica su Israele l'odio che dovrebbe rivolgere contro coloro che lo mandarono allo sbaraglio. E il suo pietoso caso, in un modo o nell'altro, bisognerà pure risolverlo. Ma non ci si venga a dire che i responsabili di questa sua miseranda condizione sono gli «usurpatori» ebrei. Questo è storicamente, politicamente e giuridicamente falso. (16 settembre 1972) *[[Alexis de Tocqueville|Tocqueville]] diceva che «è nel sonno della pubblica coscienza che maturano le dittature». (da ''[https://web.archive.org/web/20160101000000/http://archiviostorico.corriere.it/1996/gennaio/13/platea_resta_assente_co_0_9601133631.shtml La platea resta assente]'', 13 gennaio 1996, p. 1) *Se si mettono a raffronto i due rivali come faccia, come presenza, come eloquio, come cordialità, insomma come simpatia umana, non c'è dubbio che Albertini ne ispira molto meno di Fumagalli, anzi diciamo la verità tutta intera: non ne ispira punta. Ed io, cittadino ed elettore milanese, proprio di questo sentivo il bisogno: di un sindaco antipatico, di faccia arcigna e poco invogliante alla pacca sulla spalla, al confidenziale «tu» e al pappecciccia coi sottoposti, e poco, anzi punto disponibile a quelle benevolenze, condiscendenze e indulgenze che rappresentano le supposte di glicerina di tutte le corruzioni. [...] Con Albertini ho parlato una sola volta. Ma mi è bastata per capire che, per rendersi antipatico, non ha bisogno di fare sforzi. Basta che si mostri com'è e come spero che rimanga: una specie di Molotov di Palazzo Marino, chiuso nei suoi caparbi ''niet'', diffidente, scostante e culdipietra. Che abbia una compagna fermamente decisa a non partecipare alla vita pubblica del compagno, anche questo ci va bene. [...] Si ricordi, signor Sindaco, che noi abbiamo votato per lei, non per questi papponi. (da ''[https://web.archive.org/web/20160101000000/http://archiviostorico.corriere.it/1997/maggio/13/tradito_Ulivo_co_0_9705136733.shtml Sì, ho tradito l'Ulivo]'', 13 maggio 1997, p. 1) *Non vorremmo, dopo averne deplorato il brutto vezzo, contribuire alle polemiche nel momento in cui bisogna invece accantonarle per fare compatto fronte per il salvataggio del salvabile. Ma basta con le «regole» che servono soltanto a rendere impenetrabili le responsabilità dei disastri quando i disastri si possono ricondurre a delle responsabilità umane (come non accade, per esempio, nei terremoti). Ma quando verrà l'ora della ricostruzione, ricordiamoci che l'[[urbanistica]] e il paesaggio italiani hanno bisogno non di altre, ma di meno «regole». E, più che di cemento, di dinamite. (da ''[https://web.archive.org/web/20160101000000/http://archiviostorico.corriere.it/1998/maggio/09/licenze_facili_leggi_oscure_co_0_9805099009.shtml Le licenze facili e le leggi oscure]'', 9 maggio 1998, p. 1) *Qualche dichiarazione meno infuocata contro la Giustizia di regime, come il [[Silvio Berlusconi|Cavaliere]] si ostina a definirla, avrebbe meglio aiutato la politica italiana a rimuovere il macigno che la paralizza, e che è lui, Berlusconi. (da ''[https://web.archive.org/web/20160101000000/http://archiviostorico.corriere.it/1998/luglio/14/RESTO_SIA_SILENZIO_co_0_9807143775.shtml E il resto sia silenzio]'', 14 luglio 1998, p. 1) *L'Italia sarà anche, come dicono i nostri tromboni universitari, «la culla del diritto». Ma è anche il sepolcro di una giustizia che, per decidere se un imputato è innocente o colpevole, aspetta il suo certificato di morte che la esenta dal dirlo. Il secondo problema è il reclutamento e la selezione [[magistratura|del personale]]. Come in tutte le altre pubbliche attività, anche nella giustizia c'è un dieci per cento di autentici eroi pronti a sacrificarle carriera e vita, ma senza voce in un coro di «gaglioffi» che c'è da ringraziare Dio quando sono mossi soltanto da smania di protagonismo. (da ''[https://web.archive.org/web/20160101000000/http://archiviostorico.corriere.it/1998/agosto/24/CARDINALE_MAGISTRATO_co_0_9808244892.shtml Il Cardinale e il Magistrato]'', 24 agosto 1998, p. 1) *Tutto si è risolto in un colpo solo, non si sa con precisione quando e come combinato, che ha tagliato la strada alla bagarre prima che cominciasse. E che, per quanto mi riguarda, mi ha liberato dall'incubo che turbava i miei inquieti sonni, e in cui mi vedevo in fuga da un mostro senza volto, ma che m'incalzava con la logorrea del presidente uscente, aggravata dall'accento irpino di Mancino e dalle corde vocali della signora Jervolino. [...] Siamo sicuri che il popolo, chiamato a pronunciarsi fra un [[Carlo Azeglio Ciampi|Ciampi]] e – faccio per dire – un [[Antonio Di Pietro|Di Pietro]], si sarebbe pronunciato per Ciampi? È una domanda che non aspetta risposta, ma che mi permetto di proporre ai lettori. Gran bella parola «il Popolo». E riconosciamogli pure l'attributo, che gli spetta, di «Sovrano». Ma insomma, meditate gente, meditate. (da ''[https://web.archive.org/web/20160101000000/http://archiviostorico.corriere.it/1999/maggio/14/QUASI_NON_CREDO_co_0_9905146643.shtml Quasi non ci credo]'', 14 maggio 1999, p. 1) *Tutti coloro che hanno svolto pubbliche funzioni in Sicilia sono rimasti e sono tuttora in qualche modo «collusi» con la mafia. Lo furono quotidianamente, e per secoli, il governo e la polizia borbonica. Lo fu [[Giuseppe Garibaldi|Garibaldi]] che in essa trovò, dopo lo sbarco, la sua prima alleata. Lo furono i governi nazionali sia di destra che di sinistra. Lo fu [[Giovanni Giolitti|Giolitti]] che pure non scese mai, a ch'io sappia, a sud di Napoli. Lo fu il presidente della vittoria, [[Vittorio Emanuele Orlando|Orlando]], che quando tornava a Palermo, la prima visita che rendeva non era al prefetto né all'arcivescovo, ma al capomafia. Tentò di non esserlo Mori che aveva licenza di uccidere garantita da un regime totalitario, e ci rimise il posto. Lo sono stati tutti i politiconi e politicastri della Prima Repubblica. Anche il cautissimo [[Giulio Andreotti|Andreotti]]? Può darsi, attraverso i suoi proconsoli ''in loco''. Ma il Tribunale deve aver capito che l'imputato non era lui. Era il costume morale e politico della nostra vita pubblica, sul quale un Tribunale non ha, né può né deve avere competenza. [...] E il problema, secondo me, è questo: che fin quando noi italiani crederemo di salvarci dalla peste mandando sul rogo una strega o un untore, dalla peste non ci libereremo mai. (da ''[https://web.archive.org/web/20160101000000/http://archiviostorico.corriere.it/1999/ottobre/24/TRIBUNALE_DELLA_STORIA_co_0_991024441.shtml Il tribunale della storia]'', 24 ottobre 1999, p. 1) *Ci dicano chiaro e tondo perché hanno smembrato il Ros, e hanno ridimensionato l'attività di Sco e Gico. Non ci raccontino che hanno voluto mettere al riparo il capitano Ultimo e i suoi uomini dalle possibili vendette della malavita. E soprattutto non vengano a ripeterci che il ''modus operandi'' dei servizi segreti, per impedirne le «deviazioni», dev'essere «trasparente». Questa, che un segreto possa essere trasparente, è un'idea da primato della cretineria. E, se non della cretineria, lo è della retorica virtuista o della menzogna truffaldina. (da ''[https://web.archive.org/web/20160101000000/http://archiviostorico.corriere.it/1999/novembre/02/PROCURATORE_BATTA_PUGNO_co_0_9911021451.shtml Procuratore batta il pugno]'', 2 novembre 1999, p. 1) *Era la prima volta che il partito socialista italiano aveva trovato un uomo {{NDR|Bettino Craxi}}, se non di Stato, almeno di governo, che lo aveva liberato dalla subalternanza al Pci, e condotto su posizioni democratiche, europeistiche e atlantiche. Lo avrà anche fatto con metodi alquanto spicciativi e disinvolti, più da padrino che da ''leader''. Ma mi chiedo se avrebbe potuto usarne di diversi per avere ragione dei vecchi tromboni del massimalismo populista e piazzaiolo con le loro clientele incrostate da decenni. E mi chiedo anche quanto contribuirono alla sua crocefissione i rancori e le acredini che si era lasciato dietro. Ma nella difesa si perse, e non per mancanza, ma forse per eccesso di coraggio. (da ''[https://web.archive.org/web/20160101000000/http://archiviostorico.corriere.it/2000/gennaio/20/STATISTA_LATITANTE_co_0_0001201104.shtml Lo statista latitante]'', 20 gennaio 2000, p. 1) *Anche noi siamo convinti che il Paese ha il diritto di conoscere la verità (che non riguarda soltanto quella di Piazza Fontana). Ma non ci riusciamo. Anche perché se la pista rimane, come sembra accertato, quella del terrorismo nero, non sappiamo quali nomi l'accusa potrà tirar fuori dal suo cappello. I tre maggiori indiziati sono già stati assolti con sentenza passata in giudicato che non consente di richiamarli sul banco degli imputati. Gli altri di cui si fa il nome non sarebbero che comparse, la più importante delle quali, Delfo Zorzi, risiede a Tokio con passaporto giapponese che lo mette al riparo da ogni pericolo di estradizione. Vale la pena ricominciare? L'''ouverture'' dei dibattimenti non è stata incoraggiante. Il proscenio era occupato da Capanna, Valpreda, [[Dario Fo]] e altri reduci sessantottini, cui si era aggiunto anche Sergio Cusani, l'intangentato convertitosi (lo diciamo senza nessuna ironia) al missionarismo. [...] Invano i portaparola della parte lesa, cioè dei familiari delle vittime, si sono dichiarati estranei e contrari a ogni tentativo di politicizzare il processo. Una parola. Non ci riescono nemmeno [[Jovanotti]] e [[Teo Teocoli|Teocoli]] con le loro filastrocche dal palcoscenico di Sanremo. Figuriamoci se potranno riuscirci i registi di questo processo ''rouge et noir'', se mai ve ne furono. [...] Ecco a cosa servono i processi come questo: non a cercare la verità, ma a fornire argomenti al ''rouge'' o al ''noir''. (da ''[https://web.archive.org/web/20160101000000/http://archiviostorico.corriere.it/2000/febbraio/26/QUELLA_VERITA_CHE_CERCHIAMO_co_0_0002264627.shtml Quella verità che cerchiamo]'', 26 febbraio 2000, p. 1) *Cosa c'entri la giustizia italiana in fatti e misfatti capitati trent'anni fa in un Paese {{NDR|l'[[Argentina]]}} di cui la metà della popolazione è di origine italiana, non riusciamo a capire. Ma ci pareva impossibile che l'iniziativa del giudice spagnolo Garzon per trascinare l'ex dittatore cileno [[Augusto Pinochet|Pinochet]] sul banco degli accusati di un tribunale madrileno non trovasse imitatori in un Paese di scimmie come il nostro. Grazie ad essa, il nome e il volto di Garzon sono noti in tutto il mondo. Ed è probabile che tra poco lo siano anche quelli del pubblico ministero Caporale. Vi pare poco in un'era dell'effimero come quella in cui stiamo vivendo, e che vede l'infittirsi di processi ai defunti, su cui le nuove leve della [[storiografia]] vorrebbero riscrivere il passato? (da ''[https://web.archive.org/web/20160101000000/http://archiviostorico.corriere.it/2000/aprile/03/QUEI_PROCESSI_CARO_ESTINTO_co_0_0004033275.shtml Quei processi al caro estinto]'', 3 aprile 2000, p. 1) *Dobbiamo avere la modestia di riconoscere che noi, come venditori, non leghiamo nemmeno le scarpe a un piazzista che se un giorno si mettesse a produrre vasi da notte, farebbe scappare la voglia di urinare a tutta l'Italia. (da ''[https://web.archive.org/web/20130619122825/http://archiviostorico.corriere.it/2001/febbraio/15/PREDICATORI_COMPARSE_co_0_0102158858.shtml I predicatori e le comparse]'', 15 febbraio 2001, p. 1) *Non sono mai venuto meno all'impegno, preso non con il Cavaliere, ma con me stesso, di non associarmi mai alla sua demonizzazione. Ma non posso sottacere ai lettori i pericoli che si nascondono sotto questa sua allergia alla verità, questa sua voluttuaria e voluttuosa propensione alle menzogne, la naturalezza con cui riesce a pronunziarle. (da ''Io e il cavaliere qualche anno fa'', 25 marzo 2001, p. 1) *Berlusconi, cui nulla riesce tanto bene quanto la parte di vittima e perseguitato. «[[Chiagne e fotte]]» dicono a Napoli dei tipi come lui. E si prepara a farlo per cinque anni di seguito. (da ''Io e il cavaliere qualche anno fa'', 25 marzo 2001, p. 1) ====''La stanza di Montanelli – rubrica''==== {{cronologico}} *{{NDR|[[Vittorio Sgarbi]]}} È un volgare calunniatore, che non disonora se stesso, ma anche il suo committente e padrone (tutti sappiamo chi è) che si serve di un simile scherano. (8 novembre 1995) *I [[Riformismo|riformatori]] italiani, quando si tratta di riformare ciò che non ha bisogno di essere riformato, sono instancabili. L'attività dell'Ucas, Ufficio complicazioni affari semplici, come ricordava un altro lettore esasperato, è frenetica. ([https://web.archive.org/web/20160101000000/http://archiviostorico.corriere.it/1995/dicembre/13/Ufficio_complicazioni_affari_semplici_co_0_9512139920.shtml 13 dicembre 1995]) *Io credo che il miglior omaggio che si può rendere a [[Aldo Moro|Moro]] sia quello di archiviare l'episodio che ne segnò la fine e dal quale, diciamo la verità, la sua immagine esce tutt'altro che bene. Quando sento dire che, oltre a quelle conosciute, ci sono anche altre lettere di Moro, prego Iddio che non vengano trovate. So già cosa contengono, e preferisco non leggerlo. (21 dicembre 1995) *È assolutamente impossibile istillare negli [[zingari]] il concetto di proprietà e quindi educarli al lavoro come mezzo per conquistarsela. Ma temo che sia altrettanto impossibile far capire tutto questo ai nostri pietisti, religiosi e laici, che farneticano di «integrarli». ([https://web.archive.org/web/20160101000000/http://archiviostorico.corriere.it/1995/dicembre/30/Viaggiai_sul_carrozzone_degli_zingari_co_0_95123012229.shtml 30 dicembre 1995]) *A me, invece, [[Beppe Grillo|Grillo]] piace. Lo considero il più efficace comico in circolazione. Anzi: «comico» non è la parola giusta. Grillo non è un comico, non è un moralista, non è un predicatore: è tutte queste cose insieme. Nel panorama dello spettacolo italiano, dove abbonda il bollito misto, è un'eccezione ambulante (e urlante). Lei ha ragione quando dice che Grillo esagera. Non soltanto esagera; provoca anche, e insulta, e offende. Ma tutte le categorie di giudizio, con un tipo così, risultano inadeguate. Grillo appartiene ad una specie animale particolare, formata da un solo esemplare: lui. O lo strozziamo o lo applaudiamo. Io, appena posso, lo applaudo. Perché i suoi eccessi, a differenza di quelli di [[Vittorio Sgarbi|Sgarbi]], odorano di bucato. ([https://web.archive.org/web/20160101000000/http://archiviostorico.corriere.it/1996/gennaio/11/Beppe_Grillo_incubo_esilarante_co_0_9601114281.shtml 11 gennaio 1996]) *Una delle eterne regole italiane: nel settore pubblico, tutto è difficile; la buona volontà è sgradita; la correttezza, sospetta. Per questo, le persone capaci continueranno a tenersi a distanza di sicurezza dalla «cosa pubblica», lasciando il posto ai furbastri (magari bravi) e alle mezze cartucce (magari oneste). Così, purtroppo, vanno le cose in questo bizzarro paese. ([https://web.archive.org/web/20160101000000/http://archiviostorico.corriere.it/1996/gennaio/26/Impegno_politico_caduta_delle_illusioni_co_0_9601261298.shtml 26 gennaio 1996]) *In una società libera il compito dei media non è «edificare la morale»; è informare, denunciare, stimolare, far riflettere, occasionalmente divertire. (28 gennaio 1996) *L'unico incoraggiamento che posso dare ai giovani, e che regolarmente gli do, è questo: «Battetevi sempre per le cose in cui credete. Perderete, come le ho perse io, tutte le battaglie. Una sola potete vincerne: quella che s'ingaggia ogni mattina, quando ci si fa la barba, davanti allo [[specchio]]. Se vi ci potete guardare senza arrossire, contentatevi». (20 febbraio 1996) *Non so se il Pci sia sotterraneamente sceso a trattative con le Br per convincerle a secondare questo piano. So soltanto che le Br, le quali invece la rivoluzione la volevano sul serio, lo rifiutarono, e fu proprio per farlo naufragare che rapirono e poi uccisero colui che doveva esserne lo strumento. [...] Fu il risoluto e quasi furibondo (oltre che sacrosanto) no dei comunisti che fece naufragare il tentativo {{NDR|Trattativa Stato-BR durante il sequestro [[Aldo Moro|Moro]]}}, che invece in seno alla Dc aveva parecchi sostenitori, anche se non osavano dirlo apertamente. Di qui le accuse e le insinuazioni contro i suoi compagni di partito, lanciate da Moro in quelle famose lettere, che avrebbe fatto meglio a non scrivere perché indegne di un vero uomo di Stato, anzi di un uomo tout court, e che ancor oggi forniscono materia al sospetto di una congiura fra democristiani – con l'aiuto dei soliti servizi segreti «deviati» – per sbarazzarsi di lui. Vero nulla. Forse nella Dc le forze «trattativiste», praticamente disposte alla resa alle Br, avrebbero vinto, se non ne fossero state impedite dalla risolutezza del Pci, che di un brigatismo assurto ad interlocutore dello Stato non voleva sentir parlare e di un Moro salvato al prezzo di una simile capitolazione non avrebbe più saputo che farsi. (26 marzo 1996) *No, è stata la persecuzione che ha costretto gli ebrei, per resisterle, a tendere ed affinare tutte le loro risorse intellettuali. Ecco il segreto dei loro primati. In tutto. E talvolta anche nella cretineria. (3 aprile 1996) *L'[[Allargamento della NATO|allargamento della Nato]] è una cosa maledettamente seria, e decisamente complessa. Parlarne prima delle elezioni presidenziali russe vuol dire buttare benzina sul fuoco; non parlarne oggi significa, forse, non parlarne più. [...] Innanzitutto, dobbiamo renderci conto che la Nato è un'organizzazione basata sul consenso: se si estende verso Oriente [...], la compattezza dell'alleanza rischia di incrinarsi. Ancor più delicata è una seconda questione. Governi e opinione pubblica occidentali devono capire le implicazioni della loro decisione. In seguito all'allargamento, i nuovi membri orientali della Nato (che siano solo Repubblica Ceca e Ungheria; o anche Polonia e Paesi Baltici) diventano nostri alleati, a tutti gli effetti. Questo vuol dire che, se venissero attaccati, dovremmo correre a difenderli. Domanda: siamo disposti a morire per Varsavia e Tallin? Se la risposta è «sì», allarghiamo pure la Nato. Se la risposta è «ma, forse...» – e in Italia sarebbe sicuramente «ma, forse...» – è meglio che lasciamo perdere. In quella parte del mondo hanno già sofferto abbastanza. Non è il caso che ci mettiamo anche noi. ([https://web.archive.org/web/20151025020316/http://archiviostorico.corriere.it/1996/aprile/20/Allargamento_della_Nato_Lasciamo_perdere_co_0_960420535.shtml 20 aprile 1996]) *Io non mi considero affatto ateo e non capisco come si possa esserlo. ([https://web.archive.org/web/20160101000000/http://archiviostorico.corriere.it/1996/maggio/23/dove_comincia_grande_mistero_Dio_co_0_9605235872.shtml 23 maggio 1996]) *{{NDR|Riferito alla [[crisi di Sigonella]]}} Ho sempre considerato il rilascio di Abu Abbas un gesto semplicemente criminale o almeno di complicità col crimine. ([https://web.archive.org/web/20151107235857/http://archiviostorico.corriere.it/1996/luglio/07/Caro_Ottiero_Ottieri_diamoci_del_co_0_9607072658.shtml 7 luglio 1996]) *Quanto scrivi {{NDR|riferito a una lettrice}} sull'insegnamento della Storia nelle nostre scuole è sacrosantamente vero. I testi su cui ve la fanno studiare sono o reticenti o faziosi, ma più spesso l'una cosa e l'altra, e soprattutto scritti coi piedi. (4 settembre 1996) *No, caro N***, non mi basta che il Pool abbia perseguito e persegua una buona Causa. Doveva farlo anche con buoni mezzi e criteri. E il caso Di Pietro basta a dimostrare che questo non è sempre avvenuto. (24 ottobre 1996) *È dalla piazza e dai cosiddetti «bagni di folla» che nascono i dittatori e vengono consacrati i fanatismi più orrendi, fra cui il più orrendo di tutti: il razzismo. ([https://www.fondazionemontanelli.it/sito/pagina.php?IDarticolo=432 24 novembre 1996]) *Io non ho titoli culturali che mi qualifichino a lezioni su una tematica come quella del [[calvinismo]]. Ma credo di averne afferrato l'essenziale: la concezione della Ricchezza come segno della Grazia, di cui quindi non si è proprietari, ma amministratori per conto del Signore col compito di moltiplicarla per il bene di tutti. (21 dicembre 1996) *[[Daniele Vimercati|Vimercati]] è un leghista antemarcia. Lo era anche quando lavorava con me al ''Giornale''. Ma è soprattutto un signor giornalista, che conosce perfettamente la linea di demarcazione fra l'opinione personale e il dovere professionale, e non c'è interesse né calcolo di opportunità che possa indurlo a varcarla. Per questo godeva di tutta la mia fiducia, né mai ho avuto occasione di pentirmi di avergliela concessa. (1996).<ref>Citato in Pierluigi Saurgnani, ''[https://www.ecodibergamo.it/stories/Cronaca/274325_vimercati_gran_borghese_il_giornalista_che_scopr_bossi/ Vimercati, gran borghese. Il giornalista che scoprì Bossi]'', ''ecodibergamo.it'', 13 marzo 2012.</ref> *Di commissioni d'inchiesta il nostro parlamento ne ha partorite a dozzine. Me ne citi una sola che abbia raggiunto dei risultati, anche semplicemente conoscitivi. Per un Parlamento come il nostro (e mi trattengo a fatica dal qualificarlo) anche la ricerca della verità è materia di lottizzazione. ([https://web.archive.org/web/20151118213258/http://archiviostorico.corriere.it/1996/dicembre/23/Ormai_non_resta_che_amnistia_co_0_96122312669.shtml 23 dicembre 1996]) *Quando ebbi, fra i tanti, un processo non con un magistrato, ma con un politico del rango di De Mita che avevo coinvolto nella mala amministrazione dei fondi stanziati per l'Irpinia dopo il [[Terremoto dell'Irpinia del 1980|terremoto]], non trovai, in tutta quella vasta regione, una toga che venisse a testimoniare in mio favore. L'unico che mi difese fu colui che avrebbe dovuto accusarmi: il pubblico ministero del tribunale di Monza, Mariconda: non sul merito delle mie accuse, ch'egli non aveva elementi per valutare, ma sul diritto che mi riconosceva di lanciarle. Anche l'uso dei cinquanta–sessantamila miliardi stanziati per l'Irpinia rimase un porto delle nebbie. ([https://web.archive.org/web/20160101000000/http://archiviostorico.corriere.it/1997/gennaio/12/Magistratura_porti_delle_nebbie_co_0_9701123652.shtml 12 gennaio 1997]) *La sola parola «ingegneria genetica» mi mette i brividi. (14 marzo 1997) *Io non mi sono mai [[Impiccagione|impiccato]]. Ma a Norimberga assistetti a diciassette impiccagioni, compresa quella di un cadavere, il cadavere di Göring che si era suicidato il giorno prima. Be', mi resi conto [...] che ficcare la testa nel nodo scorsoio di una corda non è un esercizio da mezzetacche o quacquaracquà. (15 maggio 1997) *{{NDR|Gladio}} Era stato istituito in quasi tutti i Paesi che facevano parte della Nato, e per volontà della Nato, consapevole che i suoi soci europei non avrebbero potuto resistere all'attacco di una Potenza superarmata qual era l'[[Unione Sovietica]]: avrebbero dovuto aspettare, per la riscossa, l'intervento dell'[[Stati Uniti d'America|America]]. Lo dimostra il fatto che quando questo piano fu rivelato, nessun altro Paese trovò nulla da ridirne. Solo noi italiani – i soliti romanzieri imbecilli e peggio che imbecilli – ne facemmo materia di scandalo e pretesto di «gialli» che tuttora trovano credito, come la sua lettera dimostra. Anch'io mi sento scandalizzato, e un poco offeso. Ma solo dal fatto che nessuno mi abbia sollecitato l'adesione al [[Organizzazione Gladio|Gladio]]: l'avrei data con entusiasmo. ([https://web.archive.org/web/20150623163829/http://archiviostorico.corriere.it/1997/giugno/07/Avrei_dato_con_entusiasmo_adesione_co_0_97060710388.shtml 7 giugno 1997]) *A fare l'Italia alcuni pochi italiani ci sono, senza e contro i più, riusciti. A fare gl'italiani, l'Italia, in centocinquant'anni, non c'è riuscita; anzi non ci s'è nemmeno provata. (19 giugno 1997). *Il vero cacciatore ama gli animali a cui dà la caccia, forse anche perché li considera complici di questo gioco in cui ritrova la sua origine esistenziale. Non spara, per esempio, sul bersaglio fermo: lo considera sleale. (9 luglio 1997) *Al matrimonio misto, che dell'integrazione razziale è la condizione genetica, sono i neri, molto più dei bianchi, che si rifiutano. Non è quindi colpa degl'italiani, o almeno non tutta questa colpa è degl'italiani, se anche da noi l'integrazione con gl'immigrati africani incontra degli ostacoli. Quella con gli oriundi dei Paesi europei non ne incontra nessuno, salvo quelli che frappone la burocrazia, la quale ne pone tanti anche a noi, e anzi campa solo di questo. Non ho mai sentito un francese, o un inglese, o un tedesco, o un bulgaro o un ukraino lamentarsi di una apartheid italiana. Ci sono anche da noi, purtroppo, delle manifestazioni di razzismo. Ma queste sono dovunque, e in Italia meno violente che altrove. L'Italia è un Paese che va a catafascio. Ma non buttiamogli addosso anche delle croci che non merita. Quelle che merita bastano, e ne avanza. (24 agosto 1997) *Io sono un italiano, fra i pochi rimasti che nei confronti dell'Italia s'ispirano all'adagio inglese: «Che abbia ragione o torto, sto col mio Paese». Anch'io sto col mio paese quando ha torto, ma senza pretendere che il suo torto sia considerato ragione. (23 settembre 1997) *Sono e rimango convinto che fin quando noi italiani ci affideremo soltanto alla Legge – o, come ora usa chiamarla, alle «regole» –, rimarremo quello che siamo, coi vizi che abbiamo, fra cui quello di accatastare regole su regole al solo scopo di metterle in contraddizione l'una con l'altra per poterle meglio evadere. (16 ottobre 1997) *Forse farebbe meglio ad astenersi a dare lezioni di liberalismo a me che sono stato, in tutto il giornalismo italiano, l'unico a difenderlo negli anni Settanta e Ottanta, quando difenderlo era difficile e poteva anche costar caro. Non me ne faccio un vanto perché, quando alla fine ha vinto, ho visto di che liberalismo si trattava, ed è per questo che ho votato Ulivo. (23 ottobre 1997) *Le confesso che il suo piglio perentorio e inquisitorio mi disturba alquanto, anche perché mi lascia capire che lei parte da convinzioni così granitiche da rendere vano ogni tentativo d'insinuarvi almeno un dubbio. (23 ottobre 1997) *È importante tutto questo? No. Non lo è per me né per lei, che sappiamo cosa è accaduto. E non lo è per i leghisti doc, secondo cui qualunque cosa propone il capo è Vangelo. Se Bossi decide di andare in Bicamerale, applaudono. Se decide di abbandonare la Bicamerale, esultano. Se va con Berlusconi, assentono. Se lascia Berlusconi, approvano. E se un giorno si sveglia e cambia i confini della Padania, accettano i nuovi confini. Tempo fa, rispondendo a un lettore, scrissi che «i leghisti sono pronti a inneggiare anche all'annessione della Yakuzia, e non solo perché non sanno dove sta». Arrivarono molte lettere indispettite. Ma nessuna contro l'annessione della Yakuzia. (29 ottobre 1997) *Se sono – come sono – uno di quegli uomini di Destra che ultimamente hanno votato, sia pure controvoglia, per la Sinistra (annacquata) dell'Ulivo, è perché da questa, che non è mai stata la mia bandiera, non mi sento tradito. Essa sta facendo ciò che prometteva di fare, ma lo fa con molta moderazione, e con una squadra di uomini che magari non saranno (meno qualcuno, come per esempio Ciampi) di serie A, ma da cui non temo, e credo che nessuna persona ragionevole possa temere, l'instaurazione di un regime. (10 dicembre 1997) *E lo specchio non vi giudica dai successi che avrete ottenuto nella corsa al denaro, al potere, agli onori; ma soltanto dalla Causa che avrete servito. Tenendo bene a mente il motto degli ''hidalgos'' spagnoli: «La sconfitta è il blasone delle anime nobili». (31 dicembre 1997) *Che cosa io pensi dell'onorevole Previti mi pare di averlo detto in termini talmente espliciti da apparire – a più d'uno – brutali: un personaggio che solo a guardarlo in faccia verrebbe voglia di applicargli le manette ai polsi prima ancora di sapere chi è e cosa ha fatto. (31 gennaio 1998) *Infine, c'è quello che io considero il vero, grande vantaggio dell'euro: una volta dentro, non potremo tornare all'allegra finanza pubblica d'un tempo. ([https://web.archive.org/web/20151203232056/http://archiviostorico.corriere.it/1998/febbraio/20/Che_cosa_succedera_quando_avremo_co_0_9802206445.shtml 20 febbraio 1998]) *Tutti hanno diritto di credere nel miracolo, quando non c'è altro a cui aggrapparsi. La scienza no: se lo ricordi anche il Papa. (23 febbraio 1998) *I conti col passato, si capisce, bisogna farli. Ma a un certo punto bisogna chiuderli. Perché nella Storia non ce n'è mai stato uno che, protratto all'infinito, non ne abbia innescato un altro. (10 marzo 1998) *Perché, caro B***? Perché la vocazione a dividerci sempre e su tutto per il nostro «particulare», come lo chiamava Guicciardini, noi italiani ce la portiamo nel sangue, e non c'è legge che possa estirparla. (18 aprile 1998) *Vero che nei ricordi sui quali vengo sollecitato, il nome di [[Cesco Tomaselli|Tomaselli]] ricorre meno frequentemente di quelli di Longanesi, di Buzzati, di Piovene, di Barzini ecc. Ma ciò dipende solo dal fatto che costoro appartenevano alla mia leva, e in comune con loro avevo avuto tante esperienze, perfino la stanza di lavoro. Tomaselli, quando io entrai al ''Corriere'', apparteneva già alla sua vecchia guardia, e come notorietà ne aveva raggiunto il tetto proprio grazie alle sue corrispondenze sull'impresa del dirigibile «Italia» di Umberto Nobile, di cui fu dal principio alla fine lo scrupoloso cronista. A salvargli la vita dalla catastrofe fu soltanto la sorte, contro cui egli imprecò considerandola avversa. Per l'ultima tappa, quella che avrebbe dovuto sorvolare il Polo, dei due giornalisti aggregati a quella spedizione — Tomaselli per il ''Corriere'', e Ugo Lago per il ''Popolo d'Italia'' di Mussolini —, c'era posto, sulla navicella, per uno solo. Lago e Tomaselli se lo giocarono a testa o croce. Con gran dispetto di Tomaselli, che non smise mai di considerarsene tradito, vinse e partì Lago, che non tornò più: quando l'aeromobile precipitò sul pack, lui rimase aggrappato insieme ad altri compagni al cordame dell'involucro col quale scomparve nel deserto bianco. Ma tutte le volte che se ne parlava, Tomaselli seguitava ad inveire contro la scalogna che lo aveva escluso da quel drammatico finale, come se gli avesse tolto la fortuna di descriverlo. Questo era Tomaselli, l'inviato speciale che nel suo mestiere di giornalista portava lo stesso spirito che aveva fatto di lui, nella Prima Guerra Mondiale, un superdecorato ufficiale di artiglieria alpina e gli ispirava una concezione quasi religiosa del «servizio». Non era un «brillante» né come scrittore né come parlatore. Ma di tutto quello che diceva, sia con la bocca che con la penna, si poteva stare sicuri che di inesatto o di inventato non c'era nemmeno una virgola. [...] Se raramente mi capita di parlare di lui, è perché l'ho conosciuto e frequentato sul declino della sua intemerata e ineccepibile carriera di testimone, e perché lui, nel raccontarla, non l'animava mai di aneddoti o di battute come, per esempio, il suo coetaneo Monelli. Ma se ai giovani che si avviano (poveretti!) a questo mestiere dovessi indicare un modello di dignità, serietà, dedizione e correttezza professionale non avrei dubbi sulla scelta: Cesco Tomaselli. ([https://web.archive.org/web/20151009153047/http://archiviostorico.corriere.it/1998/maggio/07/Cesco_Tomaselli_inviato_speciale_Polo_co_0_9805078688.shtml 7 maggio 1998]) *Che un giudice spagnolo in vena di protagonismo abbia chiesto all'[[Inghilterra]] la consegna di un ospite straniero andato a Londra in forma privatissima per ragioni di salute, non mi stupisce: un [[Antonio Di Pietro|Di Pietro]] può nascere dovunque. Ma che l'Inghilterra si proponga di consentire, non mi stupisce. Mi sbalordisce, come ha sbalordito e indignato la signora Thatcher che aveva ospitato in casa il Generale. Ma ancora di più mi sbalordirebbe che la Giustizia spagnola, cioè di un Paese che non solo ha accettato per quarant'anni il potere di un Generale, ma gli ha consentito (per sua fortuna) di disporne anche dopo morto, portasse davanti a una Corte di Giustizia quello cileno. Per non parlare delle conseguenze che tutto questo potrebbe provocare in [[Cile]] dove, nel caso che il governo Frei si mostrasse esitante e accomodante, le Forze Armate potrebbero riprendere il potere per rompere i rapporti diplomatici con [[Spagna]] e Inghilterra e dimostrare al mondo che i processi alla Norimberga hanno fatto il loro tempo. Se a qualcuno il Generale cileno Pinochet deve rendere conto del suo operato, è soltanto al Cile e ai suoi tribunali. E se io fossi un cileno che ha votato Frei (come certamente avrei fatto se fossi stato un cileno), in questa occasione mi schiererei con le Forze Armate. Con tanti saluti a tutto il sinistrume italiano passato, presente e futuro. (24 ottobre 1998) *Che gli [[Stati Uniti d'America|Usa]] siano in tutto il mondo odiati dagli uomini come lei {{NDR|riferito a un lettore}}, è verosimile, e quindi più che credibile. Un po' meno credibile è che gli uomini di tutto il mondo siano e la pensino come lei. Comunque, il giorno in cui quel Paese venisse chiamato (ma da chi?) sul banco degl'imputati come il nemico dell'umanità, io chiederò di essere ascoltato come testimone. Per dire alla Corte dei Vecchio di turno che io, uomo qualunque, mi considero graziato tre volte da questo grande nemico dell'umanità. La prima fu quando mi strappò al pericolo di diventare – per bene che mi fosse andata – l'attendente di un colonnello tedesco. La seconda fu quando mi sottrasse a quello di finire i miei giorni in un kolkos siberiano. La terza fu quando, invece di rimettermi la parcella di questi favori, mi aiutò a rifarmi la casa senza contestarmi il diritto di invitarvi anche coloro che pensano (si fa per dire) e parlano (o meglio sbraitano) come lei. ([https://web.archive.org/web/20160101000000/http://archiviostorico.corriere.it/1999/aprile/10/Fermare_genocidio_Kosovo_co_0_9904103314.shtml 10 aprile 1999]) *Tradotto in politica, non c'è nulla di più intollerante e fazioso, e quindi di meno pacifico, del [[pacifismo]] in generale, e di quello italiano in particolare. È un pacifismo a fasi alterne, e che si sveglia soprattutto, anzi quasi esclusivamente, quando a fare la guerra sono gli americani. Furioso e devastatore imperversò, non soltanto in Europa, ma nella stessa America, al tempo del Vietnam: al punto che quando [[Richard Nixon|Nixon]] venne in visita in Italia (quell'Italia che poteva fare ciò che voleva grazie agli americani) dovettero mandarlo a prendere a Fiumicino con un elicottero e trasportarlo via aria in Quirinale perché via terra avrebbe rischiato la pelle. Ma questo stesso pacifismo rimase impassibile quando i carri armati sovietici schiacciarono l'Ungheria (e a Montecitorio risuonò il grido: «Viva l'[[Armata Rossa]]!»), e poco dopo la Cecoslovacchia e da ultimo l'Afghanistan. Sono sempre gli stessi, i pacifisti italiani. Con una bandiera in mano come quella della pace (chi può infatti invocare la guerra?), si sentono invulnerabili. Ma la sventolano solo per il povero Milosevic; il genocidio del Kosovo li lascia del tutto indifferenti. (5 maggio 1999) *Non sempre condivido le opinioni di [[Giovanni Sartori|Sartori]]. Qualche volta, anzi spesso, abbiamo litigato, anche perché a lui litigare piace moltissimo: da buon toscano, è nella polemica che lui, e forse anch'io, diamo il meglio di noi. E anche sull'articolo del 25 maggio non siamo in tutto e per tutto d'accordo. Lo siamo nel respingere la qualifica di «pacifista», che entrambi lasciamo in esclusiva alle «anime belle» che, sventolando la bandiera della [[pace]], sperano di raccogliere intorno a essa tutti gl'ipocriti e gl'imbecilli che, sommati insieme, costituiscono certamente la stragrande maggioranza degl'italiani. (29 maggio 1999) *Lo Stato di [[Platone]], quello che lui chiamava la polis, e che poi era Atene, aveva, al tempo di Platone, cioè nel momento del suo massimo splendore, ventimila abitanti, di cui solo cinquemila avevano diritto al voto. E veda un po' come quei civilissimi cittadini lo usarono nelle assemblee dell'Acropoli: mettendo sotto processo [[Pericle]] e [[Aspasia di Mileto|Aspasia]], condannando a morte [[Socrate]] e provocando la guerra del Peloponneso, che fu la rovina non solo di Atene, ma di tutta la Grecia e della sua civiltà. Ora se il sistema della «democrazia diretta» o, come lei la chiama, «partecipatoria», non funzionò nemmeno in una polis di ventimila abitanti, s'immagini un po' cosa diventerebbe nei formicai umani cui si sono ridotte le polis attuali, e non soltanto quelle italiane. [...] Lei ha tutte le ragioni del mondo a dire che l'attuale sistema di democrazia «rappresentativa» o «delegata» ha dei vizi gravissimi e spesso provoca disastri, compresa quella americana, che pure è una di quelle che meglio funzionano. Ma, mi creda, quella «diretta» o «di piazza» è ancora molto più pericolosa perché continuamente a rischio di cadere in balia di qualche ciarlatano che sappia soltanto vendere bene la sua merce. Certo, quella indiretta esige, da parte del cittadino, una partecipazione che in Italia manca. Ma non è certo coi referendum che si può sostituirla. Almeno questo mi ha insegnato l'esperienza. (22 agosto 1999) *Quello di [[Francisco Franco|Franco]], se proprio vogliamo chiamarlo regime, fu un regime di polizia, di una polizia molto più dura di quella fascista, ma un totalitarismo no. Ecco perché, quando sentì avvicinarsi il momento della fine, Franco poté liquidare il franchismo con relativa facilità: perché di totalitario non aveva altro che le galere. Però bisogna anche riconoscere che questo soldataccio squallido e ottuso (sul piano umano era repellente), il ritorno al regime democratico seppe compierlo da maestro, facendosi consegnare dal pretendente al trono, Don Juan, ch'egli considerava (non a torto) poco affidabile, il figlio Juan Carlos per prepararlo – operazione riuscitissima – ai suoi compiti di Re, e mettendogli accanto un uomo di primissimo ordine come Suarez. ([https://web.archive.org/web/20130331034046/http://archiviostorico.corriere.it/1999/ottobre/24/differenza_fra_regimi_totalitari_dittature_co_0_991024459.shtml 24 ottobre 1999]) *La servitù, in molti casi, non è una violenza dei padroni, ma una tentazione dei servi. (2 gennaio 2000) *Non conosco Haider, e quindi nemmeno i fondamenti della sua ideologia, ammesso che ne abbia una. A occhio e croce, più che un nazista, mi sembra un qualunquista che interpreta, o cerca d'interpretare i sentimenti e i risentimenti di una pubblica opinione di livello bossiano, scontenta di tante cose, e a cui l'Austria attuale va stretta. [...] Non so se anche Haider – ripeto: non lo conosco – sia un omuncolo. Ma penso che l'Europa, ponendo il veto a un suo eventuale governo, costringerà gli austriaci ad affidargliene l'incarico, come avvenne per Waldheim. Io al pericolo di un rigurgito nazista non ci credo. Come ho letto in un articolo (mi pare di Enzo Bettiza, ma potrei sbagliarmi) penso che Jorg Haider somigli più a un Poujade che a un Le Pen, cioè più a una miscela di [[Umberto Bossi|Bossi]] e di Giannini che a un [[Pino Rauti]]. Ciò che mi allarma è l'incapacità dell'Europa a riflettere sulle sue proprie esperienze a trarne qualche insegnamento. Questo, sì, mi fa paura. (3 febbraio 2000) *Li conosco e riconosco, quei regimi {{NDR|di dittatura e di censura}}. Ne avverto il passo anche di lontano, e convengo che in Italia il pericolo di vederne arrivare qualcuno c'è. Ma sa quando si realizzerà? L'anno venturo, dopo la vittoria – che io do per certa – del Polo alle Politiche. Vedrà. La prima cosa che farà Berlusconi, come la fece nel '94, sarà di spazzare via l'attuale dirigenza Rai per omologarne le tre Reti a quelle sue. (26 febbraio 2000) *Quando s'accendono i [[Morte sul rogo|roghi]], mettiti dalla parte della strega, anche a costo di bruciare con lei. ([https://www.corriere.it/solferino/montanelli/00-05-31/02.spm 31 maggio 2000]) *Una Giustizia che per istruire un processo impiega sei o sette anni e poi non riesce a chiuderlo con una sentenza che non si presti a rimetterlo, con qualche marchingegno, in gioco, è un meccanismo di cui bisogna assolutamente rivedere e rifare gl'ingranaggi: «Giustizia ritardata – dice [[Montesquieu]] – è Giustizia negata». ([http://www.corriere.it/solferino/montanelli/00-06-07/01.spm 7 giugno 2000]) *Il [[revisionismo]] è la materia prima della [[storiografia]] che, senza di esso, sarebbe una disciplina morta. ([http://www.corriere.it/solferino/montanelli/00-06-16/01.spm 16 giugno 2000]) *Il mio giudizio su [[Baltasar Garzón|Garzón]] resta quello di prima, solo un po' rinforzato: un garzoncello smanioso soltanto di leggere il proprio nome sulle prime pagine di tutti i giornali e di vedere la propria effigie sugli schermi televisivi di tutto il mondo: il che rafforza la mia ipotesi che si tratti di un italiano nato per sbaglio in Spagna. ([http://www.corriere.it/solferino/montanelli/00-06-30/01.spm 30 giugno 2000]) *La pena di morte americana esiste e resiste in America perché fu un elemento base e costitutivo della sua nascita e sviluppo. Dei famosi 102 «Padri Pellegrini» che per primi sbarcarono dal «Mayflower» in quel Continente non per saccheggiare le ricchezze come facevano spagnoli e portoghesi in Messico e nell'America del Sud, ma per costruirvi una società nuova e libera, circa i due terzi erano avanzi di galera che fuggivano la Giustizia e le prigioni dell'Europa, e un terzo erano uomini che cercavano la libertà, e soprattutto quella religiosa. I primi avevano in tasca la pistola, i secondi la Bibbia, ma nella sua versione calvinista quella del taglione, basata sulla concezione di un Dio giustiziere che esige la morte di chi senza giusto motivo la dà. (9 luglio 2000) *A Rimini, cioè in casa propria (ma anche nostra, almeno per il momento), questi signorini {{NDR|di [[Comunione e Liberazione]]}} non hanno fatto altro che fischiare tutto ciò che è italiano, acclamare al nuovo beato [[Pio IX]], il Papa-Re che pretendeva di impedire il processo di unificazione nazionale, ed esaltare come i veri eroi del risorgimento i Borboni e i briganti del Cardinale Ruffo. A lei, tutto questo va bene? A me, dà il vomito. ([http://www.corriere.it/solferino/montanelli/00-09-13/02.spm 13 settembre 2000]). *Il mio parere è rimasto quello che espressi sul mio ''Giornale'' l'indomani del fattaccio {{NDR|l'[[agguato di via Fani]]}}. «Se lo Stato, piegandosi al ricatto, tratta con la violenza che ha già lasciato sul selciato i cinque cadaveri della scorta, in tal modo riconoscendo il crimine come suo legittimo interlocutore, non ha più ragione, come Stato, di esistere». Questa fu la posizione che prendemmo sin dal primo giorno e che per fortuna trovò in Parlamento due patroni risoluti (il Pci di [[Enrico Berlinguer|Berlinguer]] e il Pri di [[Ugo La Malfa|La Malfa]]) e uno riluttante fra lacrime e singhiozzi (la Dc del moroteo [[Benigno Zaccagnini|Zaccagnini]]). Fu questa la «trama» che condusse al tentennante «no» dello Stato, alla conseguente morte di Moro, ma poco dopo anche alla resa delle Brigate rosse. Delle chiacchiere e sospetti che vi sono stati ricamati intorno, e che ogni tanto tuttora affiorano, non è stato mai portato uno straccio di prova, e sono soltanto il frutto del mammismo piagnone di questo popolo imbelle, incapace perfino di concepire che uno Stato possa reagire, a chi ne offende la legge, da Stato. ([http://www.corriere.it/solferino/montanelli/00-09-22/03.spm 22 settembre 2000]) *La Serbia ha perduto la guerra e ha vinto la pace: ora deve voltar pagina. Sarà la storia – un giudice non imparziale, ma efficace – a decidere cos'è stato giusto e cos'è stato sbagliato. Tuttavia, una ritorsione serba verso l'Occidente avverrà. E ci troverà disarmati. Sa di cosa parlo? Delle rivendicazioni sul Kosovo, che è amministrato dalla Nazioni Unite ma è ancora Jugoslavia (lo dice la risoluzione dell'Onu). I serbi chiederanno di tornare a controllarne le frontiere, per esempio. E dire no a un Kostunica buono è più difficile che dire sì a un Milosevic cattivo. Gli albanesi del Kosovo, sono certo, lo hanno già capito. ([http://www.corriere.it/solferino/montanelli/00-10-08/01.spm 8 ottobre 2000]) *È un dimenticato, [[Ugo Ojetti|Ojetti]], come in questo Paese lo sono quasi tutti coloro che valgono. Se io dirigessi una scuola di giornalismo, renderei obbligatori per i miei allievi i testi di tre Maestri: [[Luigi Barzini (1908-1984)|Barzini]], per il grande reportage; [[Benito Mussolini|Mussolini]] (non trasalire!), quello dell'''Avanti!'' e del primo ''Popolo d'Italia'', per l'editoriale politico; e Ojetti, per il ritratto e l'articolo di arte e di cultura. ([http://www.corriere.it/solferino/montanelli/00-11-13/01.spm 13 novembre 2000]) *In Italia fu il potere temporale a soffocare negl'italiani la voce della coscienza e a spegnere in loro ogni senso di responsabilità. Ma fu la Controriforma a fornire al prete le armi per accaparrarsi l'una e l'altra: il Sant'Uffizio, le scomuniche e, nei casi estremi, il patibolo. Con questo risultato: l'aborto del «cittadino» e la trasformazione di quello che avrebbe dovuto e potuto diventare un «popolo» in un gregge (come con inconsapevole spudoratezza i preti lo chiamano), e in un gregge di pecore indisciplinate che credono di affermare il loro ribelle individualismo non rispettando il semaforo rosso. ([http://www.corriere.it/solferino/montanelli/00-11-20/01.spm 20 novembre 2000]) *{{NDR|Su [[Slobodan Milošević]]}} Oltre che un despota, lo ritengo anche un satrapo della razza dei [[Nicolae Ceaușescu|Ceausescu]], avido non solo di potere, ma anche di denaro, e credo che la sorte che si merita sia un bel plotone di esecuzione. Purché composto da serbi, al comando di un serbo, e in esecuzione di una sentenza emessa da un tribunale serbo e motivata non tanto da generici crimini contro l'umanità, che sono sempre – salvo casi di monumenti all'orrore come l'[[Olocausto]] – oggetto di discussione e dissensi; ma dal più grande e imperdonabile delitto di cui Milosevic si è macchiato nei confronti non soltanto dei serbi: la distruzione della Nazione Jugoslava, che la Monarchia serba aveva fondato dopo la prima guerra mondiale; che il croato [[Josip Broz Tito|Tito]] aveva difeso coi denti e restaurato dopo la seconda, dando alla Balcania un esempio e un puntello di stabilità; e che Milosevic e il suo compare croato [[Franjo Tuđman|Tudjman]] distrussero per poter restare ciascuno padrone in casa sua; e sulle cui macerie si scatenarono tutte le violenze (Bosnia, [[Kosovo]]) che hanno insanguinato e continuano a insanguinare quel povero Paese. ([http://www.corriere.it/solferino/montanelli/01-04-29/01.spm 29 aprile 2001]) *Questo mondo materialista, edonista ed esibizionista non entusiasma neanche me; e, visto che mi legge, dovrebbe saperlo. Ma vorrei conoscere il sistema che voi avete in mente, e non avete il coraggio, o la capacità, di proporre. Un mondo francescano? Bello: ma guardatevi intorno, e ditemi se vedete un saio. Un comunismo riveduto e corretto? Farebbe la fine dell'altro, anche se non riuscirà a ripeterne i disastri. Mi creda, G.: l'unico sistema sociale ed economico oggi accettabile, in Occidente, è quello basato sul mercato: un capitalismo controllato e temperato, per intenderci. È auspicabile che sia anche corretto: e questo non sempre accade, è vero. Il guaio è che il capitalismo è fatto dai capitalisti – e quelli, devo ammettere, sono spesso difficili da digerire. Non cerchi di confondermi le idee, quindi. Non ci riuscirà. Probabilmente ho tre volte i suoi anni, e ho visto dove conducono queste generiche tirate contro «le multinazionali»: prima o poi, qualcuno deporrà la spranga e prenderà la pistola. Dimenticavo: io firmo le mie opinioni, lei tira il sasso e nasconde la mano. Tutti coraggiosi così, voi ragazzi di Seattle? ([http://www.corriere.it/solferino/montanelli/01-06-09/01.spm 9 giugno 2001]) *Non erano, le mie, parole di circostanza. Erano – e rimangono – quelle di un conservatore abbastanza spassionato e nutrito di Storia da capire che non c'è, per la conservazione di ciò che va conservato, nemico più mortale dei conservatori che vogliono conservare tutto; e che un sistema capitalistico senza un correttivo socialista diventa una jungla che conduce pari pari a [[Karl Marx|Carlo Marx]]. Di qui il mio amore per uno dei personaggi meno amabili, sul piano umano, della nostra Storia, [[Giovanni Giolitti|Giolitti]], che sempre cercò l'accordo con [[Filippo Turati|Turati]], a cui il cretinume massimalista – che nel vostro partito ha sempre dominato – lo impedì. Il vedervi – sbriciolati in gruppi, gruppetti e gruppuscoli – annaspare nell'attuale centro-sinistra in cui nessuno riesce a recitare la parte di se stesso, fa male al cuore di un vecchio autentico liberal-conservatore come me. Cosa aspettate, caro Tamburrano, a ridarci il socialismo, ma che sia quello e quello solo: ''il'' socialismo di Turati e di Massarenti? [...] Credo che come forza politica siate abbastanza mal messi. Ma in compenso avete in mano una grande bandiera che prima o poi un esercito la ritroverà. Arrivederci, al primo settembre, cari lettori. ([http://www.corriere.it/solferino/montanelli/01-07-04/01.spm?refresh_ce-cp 4 luglio 2001]) ===''il Giornale''=== <!--ordine cronologico--> *Chi sarà il nostro lettore noi non lo sappiamo perché non siamo un giornale di parte, e tanto meno di partito, e nemmeno di classi o di ceti. In compenso, sappiamo benissimo chi non lo sarà. Non lo sarà chi dal giornale vuole soltanto la «sensazione» [...] Non lo sarà chi crede che un gol di Riva sia più importante di una crisi di governo. E infine non lo sarà chi concepisce il giornale come una fonte inesauribile di scandali fine a se stessi. Di scandali purtroppo la vita del nostro Paese è gremita, e noi non mancheremo di denunciarli con quella franchezza di cui crediamo che i nostri nomi bastino a fornire garanzia. Ma non lo faremo per metterci al rimorchio di quella insensata e cupa frenesia di dissoluzione in cui si sfoga un certo qualunquismo, non importa se di destra o di sinistra. [...] Vogliamo creare, o ricreare un certo costume giornalistico di serietà e di rigore. E soprattutto aspiriamo al grande onore di venire riconosciuti come il volto e la voce di quell'Italia laboriosa e produttiva che non è soltanto Milano e la Lombardia, ma che in Milano e nella Lombardia ha la sua roccaforte e la sua guida. [...] A questo lettore non abbiamo «messaggi» da lanciare. Una cosa sola vogliamo dirgli: questo giornale non ha padroni perché nemmeno noi lo siamo. Tu solo, lettore, puoi esserlo, se lo vuoi. Noi te l'offriamo. (25 giugno 1974) *Checché ne dicano gli agiografi della Resistenza, la guerra l'abbiamo persa, e c'è un conto da pagare. Che l'Italia lo saldi a spese dei suoi figli minori – i Dalmati e gli Istriani – è un ghigno del destino. Ma in compenso può considerarsi miracolata. Quando si pensa a cosa ha pagato la sua sconfitta la Germania, amputata d'intere province e dimezzata in due nazioni diverse e ostili, e quando si pensa a cosa ha pagato l'Inghilterra, precipitata dalla condizione di massimo impero mondiale a quella di piccola isola alla periferia d'Europa; non possiamo lamentarci del trattamento che gli alleati ci fecero. (30 settembre 1975) *Siamo stati accusati di aver fatto, nei confronti dei comunisti, il processo alle intenzioni. Non vediamo su cos'altro avremmo dovuto giudicarli, visto che sono sempre rimasti all'opposizione, ed è di lì che ancora si affannano a dire che cosa si propongono di fare se andassero al potere, anzi quando andranno al potere (perché ormai lo danno per scontato). E cosa sono, queste, se non intenzioni? (19 giugno 1976) *Che cerchino di eliminarmi perché sono un avversario, questo lo posso anche capire; ma perché – a quanto mi riferiscono – hanno detto che io sono un servo delle [[Multinazionale|multinazionali]], allora questo sta a dimostrare la confusione di idee di questi poveretti che, evidentemente, non sanno cosa sono le multinazionali. (3 giugno 1977) *I giuochi sono fatti. E sono fatti non soltanto per [[Aldo Moro|Moro]], cui va tutta la nostra più fraterna e rispettiva pietà. Sono fatti anche per una politica da ''belle époque'', che la distruzione – fisica o morale – di Moro chiude e conclude. La Storia sta riprendendo i suoi connotati di tragedia, e costringe coloro che la fanno, o ambiscono o s'illudono di farla, ad adeguarsi al repertorio. Stiamo entrando in una di quelle «età di ferro» in cui il potere si paga, o si può pagarlo col ferro. Nessuno è obbligato a sfidare questo rischio. Chi lo fa, sappia che oggi è toccato a Moro, domani può toccare a lui. Solo se si rende conto di questo e lo accetta, la classe politica troverà la forza di archiviare il caso Moro. Ed è tempo che lo faccia. (7 maggio 1978) *Quattr'anni e mezzo orsono, quando questo giornale nacque, un «ragazzo del '68» (con tante scuse a quelli veri, del '99), [[Mario Capanna]], oggi gerarchetto regionale (che belle carriere, questi rivoluzionari!), dichiarò che, come nemici del «pubblico» e del «sociale» e come assertori del «privato», e quindi della reazione, noi saremmo diventati il più bel museo della città, dove babbi e mamme avrebbero potuto condurre in gita ricreativa i loro figlioletti per mostrargli, dal vivo, com'erano buffi i loro nonni e bisnonni: noi. Bene. Se il vento seguita a soffiare come soffia, saremo noi che di qui a un po' condurremo i nostri figlioletti dal signor Capanna per mostrargli com'erano buffi i loro nonni e bisnonni di dieci anni fa. Ma non lo faremo. Lo spettacolo di questi ragazzi-prodigio abortiti, di questi barricadieri con pancia e cellulite che credevano di camminare con la Storia, e invece camminavano solo con la moda, non ha nulla di edificante. (16 gennaio 1979) *In una sua memorabile inchiesta un giornalista d'incrollabile fede sinistrorsa, ma di esemplare onestà, [[Giampaolo Pansa]], mise benissimo in luce questo contrasto fra i due atteggiamenti e mentalità, che ieri ha trovato una eloquente conferma nella manifestazione di Torino. Niente chiasso, niente sceneggiate, niente slogans, niente insomma che appartenga al repertorio del buffonismo nazionale. Nessuno ha rotto le righe per andare a rovesciare auto o a fracassar vetrine. Questa, sì, era Danzica, sia pure senza Madonne; non i picchettaggi e i pestaggi di Mirafiori, sia pure con le Madonne. Ora sappiamo già cosa diranno gli altri, oggi e domani. Diranno che gli operai non c'erano. Infatti. Doveva trattarsi di quarantamila presidenti, consiglieri delegati, ingegneri: insomma, la solita «[[maggioranza silenziosa]]»: termine che soltanto nella lingua italiana ha significato spregiativo. La maggioranza silenziosa esiste in tutti i Paesi del mondo, dove nessuno si vergogna di appartenervi perché è essa, in definitiva, che ristabilisce gli equilibri. Fu la maggioranza silenziosa – autoqualificatasi come tale – di seicentomila parigini che dodici anni fa pose fine al carnevale sessantottesco, riportò [[Charles de Gaulle|De Gaulle]] all'Eliseo e restituì alla Francia la stabilità di cui tuttora essa gode. [...] Il motivo vero che farà i dimostranti bersaglio delle peggiori critiche e accuse è ch'essi rappresentano la rivolta delle persone serie contro gli arruffoni della «conflittualità permanente», dei «modelli di sviluppo» e via baggianando. E in questo Paese nulla fa più paura, perché nulla è più rivoluzionario, della serietà. (15 ottobre 1980) *[[Anwar al-Sadat|Sadat]] non era popolare. Gli mancava quel tocco di magia, o di cialtronismo, che consentiva a [[Gamal Abd el-Nasser|Nasser]] di bandire guerre come crociate e di annunciare disfatte come trionfi. [...] Sadat amava il popolo, il popolo contadino del profondo Sud nubiano, di cui era egli stesso originario. Ma non amava le masse, e le masse lo sentivano. [...] Sapeva, quando andò a Gerusalemme, di lanciare a quelle arabe una sfida più pericolosa di quella che lanciava a Begin. [...] Ma all'impopolarità di Sadat contribuiva anche un altro elemento: il fatto di essere un vero riformatore. [...] [[Mohammad Reza Pahlavi|Rehza Pahlevi]] volle applicare gli stessi metodi di [[Mustafa Kemal Atatürk|Atatürk]] senz'averne l'autorità e il prestigio, e per questo lo cacciarono. Ma dopo due anni di [[Ruhollah Khomeyni|Khomeini]], anche i più ciechi e idioti fra i progressisti occidentali, che ne avevano salutato l'avvento come quello del Redentore, si saranno accorti che il progresso, sia pure a forza di polizia segreta e di plotoni di esecuzione, era lo Scià. L'''ayatollah'' è il medioevo. Sadat non seguì i metodi satrapeschi del suo amico Pahlevi, ma ne condivise i fini. [...] Il Rais che ha restituito all'Egitto l'integrità territoriale, l'indipendenza politica, il prestigio militare e il rilancio della sua più proficua industria, il canale di Suez, è giusto che susciti meno rimpianto di chi tutto questo all'Egitto fece perdere. Nasser era un «personaggio», Sadat una «personalità». Il personaggio fa colore e diverte, la personalità incute rispetto e disturba. (9 ottobre 1981) *Nessuna parentela, né vicina né lontana, con l'altro grande d'Israele, [[David Ben Gurion|Ben Gurion]], il Fondatore. [...] {{NDR|David Ben Gurion}} Faceva tutto a caldo, anche la guerra. [[Menachem Begin|Begin]] fa tutto a freddo: anche l'amore, credo, ammesso che lo faccia. Non riuscì a commuoverlo nemmeno [[Anwar al-Sadat|Sadat]], quando gli piombò, da nemico tuttora belligerante, a Gerusalemme, per chiedergli la pace. Il mondo, che vide in televisione la scena, quel giorno fu tutto per l'egiziano che, per la pace, firmava la propria condanna a morte, contro l'israeliano che lo accoglieva senza un sorriso e con visibile fastidio. [...] È l'uomo che non ha esitato un istante [...] a distruggere in pochi minuti tutto l'armamento corazzato, aereo e missilistico siriano sotto l'occhio stupefatto degli osservatori e «consiglieri» russi che lo avevano fornito. È l'uomo che ha messo alla porta l'ambasciatore di Mosca respingendone la nota di protesta addirittura con disprezzo, come se fosse stato lui la Grande Potenza che parlava a un subalterno. È l'uomo che ha picchiato i pugni sul tavolo di [[Ronald Reagan|Reagan]], e a un certo punto aveva rotto anche con lui. Se avesse perso, sarebbe finito al muro e passato ai posteri come il distruttore d'Israele. Ma ha vinto. E la Storia, iscrivendolo nei suoi registri come «Il Salvatore», dirà che solo un uomo come lui, «antipatico» come lui, e come lui disposto anche a scatenare un'altra ondata di antisemitismo, poteva vincere. E avrà ragione di dirlo. Perché è così. Alla fine lo diranno, vedrete, anche gli antisemiti. E forse perfino i semiti. (27 agosto 1982) *L'idea che domani potremmo incontrare per strada, a piede libero e magari oggetti di compassione, gli assassini di [[Walter Tobagi]], ci riempie, più che di furore, di orrore. [...] Avevano scelto lui non per la sua tessera socialista, ma perché era una di quelle prede più facili: indifeso e abitudinario, e quindi bersaglio di facilissima mira, quasi da fermo. Tutto qui il movente del delitto: tutto nella fregola di protagonismo di due coccolatissimi giovanotti della Milano bene che giuocavano a fare i terroristi. [...] Che ora dobbiamo prendere per vero il loro pentimento e assolverli, ci rivolta lo stomaco. Ma è la legge: iniqua, infame, infamante. Ma è la legge. Noi stessi l'abbiamo auspicata e voluta. Il magistrato deve applicarla. E noi [...] accettarla. Ma una cosa reclamiamo, e ci spetta: di essere liberati dall'incubo d'incontrare questi figuri per strada per non veder riflessa nei loro occhi la nostra vergogna di aver avuto bisogno di loro e di aver risposto al loro falso rimorso con un perdono altrettanto falso. Un Curcio, se tornasse in circolazione, ci farebbe forse più paura, ma meno, anzi punto disgusto. [...] Ma i Barbone e i Morandini non li vogliamo tra i piedi. Se ne vadano. E soprattutto ci risparmino memoriali. La speranza di farci dimenticare i loro delitti, gliela passiamo. La pretesa di camparci sopra, no. (29 novembre 1983) *Per i falchi del Pci, [[Enrico Berlinguer|Berlinguer]] era ormai un personaggio scomodo e pericoloso, specie da quando aveva cominciato ad allentare gli ormeggi che lo legavano a Mosca. Gli era perfino scappato di dire (a [[Giampaolo Pansa|Pansa]]) che voleva per l'Italia un regime comunista, ma sotto l'ombrello della Nato che la tenesse al riparo dalle soperchierie del padrone sovietico: la più grave e blasfema di tutte le eresie in cui un capo comunista possa incorrere. (12 giugno 1984) *Se fino a che punto i piduisti – a parte il manipolatore Gelli, e forse qualche altro – fossero un branco di delinquenti golpisti, non siamo riusciti a capirlo. Abbiamo capito soltanto che gran parte di essi occupavano, forse grazie alla P2, posizioni di rilievo, e quindi parecchio ambite, ma ambite anche da molte persone che, per il fatto di non appartenere alla P2, avevano ora, grazie anch'esse alla P2, la possibilità di occuparle. Di fatti accertati e meno ancora di crimini provati, siamo andati invano alla ricerca delle 34.847 pagine della commissione. Vi abbiamo trovato soltanto ipotesi, illazioni, accostamenti di nomi e di episodi. Tutta roba che in mano a Le Carré poteva fruttare chissà quali affascinanti trame. In mano alla signorina [[Tina Anselmi|Anselmi]], resta cicaleccio di portineria. Ma questa è un'altra storia. (19 marzo 1985) *Quanto al moribondo [[Michele Sindona|Sindona]] [...] se fossi stato uno dei giudici popolari che l'altro giorno gli comminarono l'ergastolo, anche io avrei votato come loro pur sapendo che la mia endemica insonnia non ne avrebbe avuto giovamento. Comunque mi sembra che con questa fine, preceduta da quasi un decennio di rovine, umiliazioni, fughe e galere, egli abbia abbondantemente scontato, quali che siano, i suoi delitti. Che ora lo lascino riposare in pace e che pace sia all'anima sua. (22 marzo 1986) *I dieci giorni che sconvolsero il mondo furono in realtà dieci ore: quante ne bastarono alle poche «guardie rosse» reclutate in fretta e furia dai bolscevichi per occupare, senza nessuna resistenza, la Centrale delle poste e telefoni, la stazione ferroviaria, la Banca di Stato, e per spostare l'incrociatore ''Aurora'' di fronte al palazzo d'Inverno, dove ancora si trova, cimelio e monumento al fatidico evento, e dove il governo sedeva [...]. Non fu un assalto. Fu una «retata». L'''Aurora'' non sparò che una dozzina di colpi, di cui solo tre andarono a segno. In tutto, la conquista di questa Bastiglia russa costò, da ambo le parti, un morto, anzi una morta – perché fu una soldatessa che, pare, si suicidò – e diciotto feriti. Il [[Rivoluzione russa|Fasto]] [...] è un falso in atto pubblico. Si dirà che una rivoluzione non si misura dal numero dei morti. Certo: l'abbiamo detto anche noi. La rivoluzione poi venne, e che rivoluzione! Ma venne dall'alto, e per mano di despoti che di morti ne fecero in pochi anni più di quanti lo zarismo ne avesse fatti in secoli. (6 novembre 1987) *Tutto pensavo che potesse capitarmi, fuorché di essere un giorno tentato di spendere qualche parola, per poco che valga, in difesa di Togliatti. [...] Un processo a Togliatti per stalinismo, se glielo intentano i socialisti, che nell'era dello Stalinismo gli fecero da mosca cocchiera, è una burletta. Se lo intentano i comunisti – come sembra che qualcuno di loro voglia fare –, oltre che oltraggio al pudore, diventa quiescenza alla voce del nuovo padrone, cioè stalinismo della più brutt'acqua, anzi una parodia dello Stalinismo. Per la caccia alle streghe, anche dello Stalinismo, ci vogliono degli stalinisti doc, qual era Togliatti. Non è roba da dilettanti, quali sono i suoi pallidi epigoni. (3 marzo 1988) *La fine del Muro è una cosa buona, la fine di una vergogna: non possiamo che salutarla con soddisfazione. Ma guardiamoci dal prendere abbaglio sui suoi moventi. Ulbricht concepì e Honecker realizzò il muro per impedire che i tedeschi dell'Est fuggissero in massa nella Germania dell'Ovest: già 9 (diconsi nove) milioni lo avevano fatto fin allora. E il rimedio fu, come tutti quelli che escogitano nei regimi totalitari, drastico e semplicistico: murare viva la gente dietro una colata di cemento, senza pertugi. [...] Abbiamo in uggia le astrazioni. Ma ciò che distingueva le due Germanie è l'idea morale e giuridica dell'uomo: che a Ovest è padrone di se stesso, e quindi può andarsene dove vuole: ad Est è proprietà dello Stato che ne regola i movimenti. Per chi non ricorda questo, il [[Muro di Berlino]] era, oltre che barbaro, incomprensibile e irrazionale: mentre invece ha obbedito a una sua logica. Nel momento in cui il bunker si affloscia e sopravvive come mero ammasso di cemento ricordandoci un altro bunker, quello che fece da fossa di [[Adolf Hitler|Hitler]] (anche questo pare impossibile: ma i regimi in Germania muoiono nei bunker), il Muro va ricordato per ciò che è stato: non un'aberrazione del comunismo, ma una sua conseguente applicazione. E se crolla così, nel silenzio assordante di un giornale-radio, è perché è crollata, prima, l'ideologia che lo aveva eretto. (11 novembre 1989) *Negli anni Trenta, per le strade di Berlino, risuonava il grido: ''ein Volk, ein Reich, ein Führer'': un popolo, uno Stato, un capo. Stavolta si sono contentati di scandire ''ein Volk, ein Reich''. Non potevano aggiungere, checché ne dica il sig. Ridley, ''ein Kohl'', che fra l'altro significa «cavolo». Ma {{NDR|ai tedeschi}} per diventare i padroni dell'Europa anche un cavolo gli basta. (3 ottobre 1990) *Abbiamo fatto poco: il poco che il Paese dei [[Roberto Formigoni|Formigoni]], dei Cristofori, degli Sbardella, dei [[Ernesto Balducci|Balducci]], dei [[Antonio Bello|vescovi di Molfetta]] poteva fare. Non lamentiamoci se il posto che ci verrà assegnato nel ristabilimento dell'ordine internazionale sarà nell'anticamera, non nella camera dei bottoni. Però sia chiara una cosa: che a gridare «Viva la pace!» siamo qualificati oggi soltanto noi che abbiamo auspicato la guerra contro chi la pace l'aveva turbata e, se lo si lasciava fare (non è un ipotesi, è una constatazione), avrebbe continuato a turbarla in un crescendo di colpi e di aggressioni. (1º marzo 1991) *I voti dei democristiani novaresi non sono andati al partito; sono andati a [[Oscar Luigi Scalfaro|Scalfaro]], democristiano talmente anomalo, che si permette persino di credere in Dio. [...] Il vecchio magistrato conosce il suo mestiere, e sa benissimo di operare in un Paese in cui la mamma dei Casson è sempre incinta. In nome della Legge, le leggi le farà funzionare. Insomma siamo sicuri che starà in Quirinale come un italiano deve starci: da straniero. Unico pericolo: le prediche. Anche [[Luigi Einaudi|Einaudi]] le faceva. Ma le chiamava «inutili». (26 maggio 1992) *Da dove siano venuti tutti i «no» non lo sapremo mai con precisione, ma una cosa è certa. Questo è il colpo di grazia al sistema dei partiti e della classe politica che lo rappresenta, e un colpo durissimo all'immagine del Paese pronto a fare pulizia che l'Italia si stava faticosamente costruendo all'estero. Senza giovare nemmeno a [[Bettino Craxi|Craxi]], che non potrà certo ricostruire la sua carriera sulla votazione di ieri, anzi. Se c'è ancora qualcuno che dubita sulla necessità di un pubblico processo, non solo a lui, ma a tutta la corte di faccendieri che lo circondava, alzi la mano, o meglio nasconda la faccia. (30 aprile 1993) *Questo è l'ultimo articolo che compare a mia firma sul giornale da me fondato e diretto per vent'anni. Per vent'anni esso è stato – i miei compagni di lavoro possono testimoniarlo – la mia passione, il mio orgoglio, il mio tormento, la mia vita. Ma ciò che provo a lasciarlo riguarda solo me: i toni patetici non sono nelle mie corde e nulla mi riesce più insopportabile del piagnisteo. [...] A presto dunque, cari lettori. Anche a costo di ridurlo, per i primi numeri, a poche pagine, riavrete il nostro e vostro giornale. Si chiamerà ''La Voce''. In ricordo non di quella di [[Frank Sinatra|Sinatra]]. Ma di quella del mio vecchio maestro – maestro soprattutto di libertà e indipendenza – [[Giuseppe Prezzolini|Prezzolini]]. (12 gennaio 1994) {{Int|''Rituale barbarico''|Articolo su ''il Giornale nuovo'', 10 maggio 1978.|h=4}} *La fine di [[Aldo Moro]] ci rende sgomenti, il fanatismo di chi lo ha ucciso lentamente, togliendogli la speranza prima di toglierli la vita, ci riempie di orrore. Speriamo ancora che la tracotanza dei criminali sia un giorno punita. L'importante, adesso, è che il Paese, proprio per rendere omaggio a Moro, e proprio in memoria di lui, sappia trarre da questa tragedia l'amara lezione che essa comporta. La democrazia non deve, anzi non può essere debole. La libertà, che la rende superiore a qualsiasi altro regime, ma anche più vulnerabile, non va conclusa con la indulgenza verso i nemici, la imprevidenza, la leggerezza. *Lo Stato italiano ha superato con onore questa prova difficile, ma la magistratura e gli organi di polizia hanno denunciato, nella loro azione, una desolante inefficienza, che ha permesso alle brigate rosse di operare con irridente spavalderia. Ne va data colpa non tanto alle forze dell'ordine quanto a chi ha voluto, per demagogia, per compiacere le sinistre, per acquistare facile popolarità, smobilitare i servizi segreti, rimuovere i funzionari più ligi al dovere, trasformare le carceri in alloggi con libera uscita quotidiana. Gli eversori della democrazia, i contestatori della legalità hanno potuto predicare e demolire senza ostacoli. Ci auguriamo di non vederli ora associati ipocritamente al compianto per un delitto del quale sono, ideologicamente se non materialmente, corresponsabili. Le loro non erano soltanto parole. Un giovane sfracellato da un ordigno sulla ferrovia Trapani-Palermo – l'episodio è di ieri – apparteneva a Democrazia proletaria. I banditi che hanno assalito a Bologna un grande magazzino venivano dal Movimento studentesco. È inutile che questi gruppi ostentino adesso costernazione e stupore per le belluine imprese delle brigate rosse. Il terrorismo è figlio loro. *All'annuncio della fine di Aldo Moro i sindacati si sono mossi, hanno indetto manifestazioni e proclamato uno sciopero generale. Siamo certi della loro profonda esecrazione, e della loro sincera partecipazione al cordoglio nazionale. Pensiamo tuttavia che i lavoratori e i loro rappresentanti darebbero un apporto più costruttivo alla lotta contro i terroristi tenendo d'occhio gli estremisti delle fabbriche, troppe volte protetti e difesi. Così pure gli studenti «impegnati», se proprio vogliono dissociarsi dalle brigate rosse, devono estromettere dalle loro file gli agitatori deliranti, e dinamitardi che nascondono bottiglie molotov e armi negli scantinati delle facoltà. Chi ha chiuso gli occhi di fronte alla ''escalation'' di violenza degli anni scorsi, li chiuda oggi per non lasciar scorrere lagrime di coccodrillo. {{Int|''Poveri morti poveri vivi''|Articolo su ''il Giornale'', 31 maggio 1985.|h=4}} *L'[[Inghilterra]] non sono i forsennati che abbiamo visto all'opera nello stadio di Bruxelles. L'Inghilterra sono la [[Margaret Thatcher|Thatcher]], i politici, i commentatori di stampa, radio e televisione, la gente intervistata per strada, che hanno confessato la loro vergogna a una voce, con una sola stecca: quella del ministro dello Sport che con le sue dichiarazioni si è messo sullo stesso piano degl'imbestialiti. Comunque, Dio ci guardi ora dai soliti sproloqui e dibattiti dei sociologi sui motivi di «tifo» e sui mezzi d'impedirne gli eccessi. Non ce ne sono, se non nel controllo che ognuno può e deve esercitare su di sé. *La strega non è il «tifo» che dallo sport è inseparabile. E non siamo nemmeno noi, come vogliono i cantautori del «siamo tutti colpevoli» che ieri giornali e radio hanno intitolato. Perché, se di qualcosa siamo colpevoli, è di aver sempre secondato la corruttrice e demagogica tendenza a scaricare l'individuo di ogni responsabilità, rigettandola regolarmente e interamente sulla società. È la società che ci obbliga a rubare, è la società che ci obbliga ad uccidere. E si capisce che quando si offrono alla gente di questi alibi, c'è sempre qualcuno che ne approfitta. Stamane leggevo su un giornale francese un dotto articolo in cui si spiegava che la furia dei tifosi del [[Liverpool Football Club|Liverpool]] era dovuta al fatto che, essendo quasi tutti minatori, per un anno erano rimasti senza lavoro a causa dello sciopero: il che gli aveva fatto accumulare la rabbia che poi era scoppiata a Bruxelles. Insomma, senza dirlo, l'articolo induceva alla conclusione che il vero responsabile del massacro era la signora Thatcher. Ecco in che senso siamo tutti colpevoli. Siamo colpevoli di assolvere tutti come vittime innocenti di una società iniqua che, a furia di essere tutti noi, non è nessuno. È un giuoco a cui non ci stiamo. I responsabili di Bruxelles sappiamo chi sono: sono i delinquenti che abbiamo visto avventarsi, prima che la partita cominciasse, e quindi senza alcuna provocazione, contro i tifosi italiani con sbarre e coltelli di cui erano accorsi armati, con l'evidente intenzione di farne l'uso che ne hanno fatto. Delinquenti, non vittime. La società non c'entra, non c'entrano le miniere. Casomai l'alcol. Ma ne avevano ingerito per delinquere meglio. Speriamo che la polizia li identifichi e li consegni a quella inglese. Della quale possiamo fidarci. {{Int|''I rieccoli''|Articolo su ''il Giornale'', 20 gennaio 1990.|h=4}} *Scorrendo le cronache delle agitazioni studentesche di questi giorni avevo avuto per un momento l'impressione, o l'illusione, che esse si fondassero sui problemi concreti dell'università, e che fossero qualcosa di diverso, e di migliore della grottesca ubriacatura sessantottina. Ma quando giovedì sera, nella trasmissione televisiva ''Samarcanda'', è stato lanciato contro [[Mario Cervi]] il rituale e vile epiteto «fascista!» (e questo solo perché aveva mosso obiezioni agli sproloqui assembleari di Roma e di Palermo), ho capito che vent'anni dopo è come vent'anni prima. La protesta è un pretesto, il legittimo scontento diventa arma politica, gli appelli al dialogo si risolvono in volontà di sopraffazione, di discussione su ciò che nell'università deve essere cambiato sfocia in un attacco globale al governo, alla società, al sistema. L'unica connotazione sessantottina che ancora manca è la violenza fisica. Ma temo che non tarderà ad arrivare se chi dissente è bollato come fascista e chi governa (è capitato ad [[Giulio Andreotti|Andreotti]], a Palermo) come mafioso. *Quanto alla legge Ruberti, Cervi ha osservato che viene presa di mira perché consentirebbe un limitato ingresso dei privati nella gestione delle università: e al solo sentir parlare di «privato» – che le folle e i giovani dell'Est chiedono con slancio entusiastico – gli epigoni nostrani del [[marxismo-leninismo]] sono presi da convulsioni. [...] La legge Ruberti è passata in sott'ordine, il punto centrale del dibattito – o piuttosto della successione di sproloqui, intimazioni e insulti – è diventato il degrado di questa povera Italia privatizzata, che invece conoscerebbe fulgidi destini se fosse tutta pubblica e stabilizzata. Gli ''slogans'', le utopie, le bugie e le dissennatezze sessantottine o settantasettine riemergevano dalle pagine dei libri e dalla polvere degli archivi, per imitazione o per transfert generazionale. *Tirava aria romena o cecoslovacca in quelle assemblee: ma della Romania e della Cecoslovacchia di [[Nicolae Ceaușescu|Ceausescu]] e di Husak, con l'idolatria dello Stato, con gli applausi unanimi, con la riduzione al silenzio degli oppositori. S'è sentito, a proposito sempre di Cervi, il sinistro termine «provocazione» con cui tutti gli oppressori legittimano i loro soprusi. Qualcuno di quei ragazzi pretende che esistano parentele tra questo movimento e quelli dell'Est, dimenticando che là ci si batte, a rischio della pelle, per instaurare non il regime dello statalismo, ma al contrario per abbatterlo e introdurre o reintrodurre quello di iniziativa privata in tutti i campi, compreso quello della cultura e della scuola. Che siano diventati, gli studenti di Berlino, di Praga, di Bucarest, fascisti anche loro? ====''Controcorrente – rubrica''==== {{cronologico}} *La cosa che più ci turba, delle nostre sconfitte sportive, è il grande, alluvionale bisticcio che si scatena fra i «tecnici» per giustificarle. Per quella di Stoccarda, che ci ha eliminato dal campionato del mondo, ne avremo – temiamo – per tutta l'estate: se ne parlerà più che di Caporetto. Noi tecnici non siamo, ma abbiamo la nostra idea. È questa: che non si possono mandare dei polli di batteria a competere con quelli ruspanti. Resta da capire perché noialtri non sappiamo allevare che polli di batteria. Ma ci sembra che questo sia sufficientemente spiegato da un piccolo episodio occorso a Roma, dove un gruppo di tifosi ha creduto di «vendicare» i suoi campioni (si fa per dire) assalendo con pomodori e uova l'ambasciata di Polonia. Ecco. Per un paese in cui la «sana passione sportiva» si effonde in simili manifestazioni, quegli undici mammozzi dalle gambe molli sono fin troppo, e fin troppo misericordiose le disfatte che subiscono. (25 giugno 1974) *Noi, di [[Fascismo|fascismi]] ne conosciamo e ne esacriamo uno solo: quello di chi appiccica questa etichetta a qualunque idea o opinione che non corrisponde alle sue. Di questo giuoco, la nostra [[sinistra in Italia|sinistra]] è spesso maestra. Non per nulla lo stesso [[Benito Mussolini|Mussolini]] veniva dai suoi ranghi. (10 luglio 1974) *In una conferenza stampa a Nuova Delhi, [[Henry Kissinger]] ha dichiarato che verrà a Roma e andrà a pranzo dal presidente Leone, ma non parlerà di politica perché quella italiana è, per lui, troppo difficile da capire. È la prima volta che Kissinger riconosce i limiti della propria intelligenza. Ma vogliamo rassicurarlo. A non capire la politica italiana ci sono anche cinquantacinque milioni di italiani, compresi coloro che la fanno. (31 ottobre 1974) *[[Dario Fo]], poeta di corte dell'ultrasinistra, flagella nella sua ultima fatica teatrale il senatore [[Amintore Fanfani]], responsabile di ogni nequizia passata, presente e futura. I sarcasmi più grevi hanno però come bersaglio il metraggio del notabile democristiano che, come tutti sanno, non è quello di un granatiere. [[Henri de Toulouse-Lautrec|Toulouse-Lautrec]], che per gli stessi motivi dovette per tutta la vita subire analoghe canzonature, disse una volta, giocando sulla lunghezza del suo doppio casato: «Ho la statura del mio nome». Non sappiamo se questo discorso si possa applicare a Fanfani. Certo, si applica a Fo. (11 giugno 1975) *[[Winston Churchill|Churchill]] diceva che «i panni dei servizi segreti si possono, anzi si devono lavare più spesso degli altri; ma, a differenza degli altri, non si possono mettere ad asciugare alla finestra». Dello stesso parere era [[Stalin]] che regolarmente, ogni tre o quattro anni, il lavaggio lo praticava facendo accoppare al buio i capi della sua polizia, nel presupposto – probabilmente fondato – che a far quel mestiere non potevano essere che arnesi da forca, e quindi era giusto che ci finissero. Gli [[Stati Uniti d'America|americani]] seguono tutt'altro criterio. Essi hanno trascinato la ''[[Central Intelligence Agency|Cia]]'' in televisione denunciandone ''coram populo'' fatti e misfatti. I suoi capi ne hanno commessi, dicono, di grossi. Ma il più grosso è forse quello di non aver capito che l'America non li paga per svolgere servizi segreti, ma per offrire agli americani il pretesto per vergognarsene. È l'unico popolo che goda più nel pentimento che nel peccato. (28 novembre 1975) *Non sempre, per redigere questa piccola rubrica, occorre forzare la fantasia. Qualche volta basta lasciare la parola alle agenzie di stampa ufficiali. Eccone un caso. L'agenzia Adn Kronos comunica: «Due giorni di sciopero sono stati dichiarati dai sindacati postelegrafonici milanesi per il 28 gennaio e per il 6 febbraio per protesta contro gli scioperi e i disservizi». (25 gennaio 1976) *L'Unità ci rimprovera di aver pubblicato il manifesto degl'intellettuali in favore della libertà. E ha ragione. Si tratta infatti di una illecita concorrenza perché finora i manifesti, gli appelli, le «veglie» e tutto il resto sono stati monopolio del Pci, unico partito capace di far cantare la gente in coro. Ma appunto per questo non vediamo di che si preoccupi. Gl'[[intellettuale|intellettuali]] italiani che preferiscono aver ragione da soli piuttosto che torto con gli altri, sono pochi. I più seguono la massima di [[Paul-Jean Toulet|Toulet]]: «Quando i lupi urlano, urla con loro». (1º giugno 1976) *Ieri [[Mario Melloni|Fortebraccio]], dalle colonne dell'«[[l'Unità|Unità]]», ha invocato per noi, previa qualche iniezione, il ricovero immediato, e a titolo definitivo, in manicomio. La cosa non ci stupisce: sappiamo benissimo che di manicomi e di iniezioni nessuno s'intende più dei comunisti: chi c'è passato giura che ci hanno fatto una mano da maestri. Ci stupisce però che Fortebraccio lo abbia implicitamente – e un po' anzitempo – riconosciuto. Forse gli è scappata. Alla sua età, succede. (10 dicembre 1976) *Cadendo oggi il trigesimo della scomparsa di Pietro Valdoni, vogliamo rievocare un episodio del grande chirurgo. Come tutti ricorderanno, fu lui ad operare, salvandogli la vita, [[Palmiro Togliatti]], ferito alla testa dalla rivoltella di Pallante. Quando ricevette la parcella, Togliatti la trovò salata, e accompagnò il pagamento con queste parole: «Eccole il saldo, ma è denaro rubato». Valdoni rispose: «Grazie per l'assegno. La provenienza non mi interessa» (23 dicembre 1976) *«Dio non è un maschio» assicura alle femministe Civiltà Cattolica, l'autorevole rivista dei gesuiti, scusandosi «delle tracce di antifemminismo che ancora sono nella Chiesa». Brutto segno quando i teologi si mettono a discutere di sesso. Fu mentre i bizantini si accapigliavano su quello degli angeli che arrivarono i turchi. (21 giugno 1977) *Riferiscono le cronache che l'America è in subbuglio per la morte di [[Elvis Presley]]. Oltre centomila persone si sono riversate a Memphis, sua ultima dimora, due donne sono rimaste uccise nella calca che si stringeva intorno alle spoglie del cantante. Il sindaco ha fatto abbrunare le bandiere in tutta la città, il presidente [[Jimmy Carter|Carter]] è stato flagellato di proteste perché non aveva proclamato il lutto nazionale e uno gli ha gridato al microfono: «Noi americani dobbiamo più a Presley che a [[George Washington|Washington]] e a [[Abraham Lincoln|Lincoln]] sommati insieme». Anche noi italiani dobbiamo qualcosa a Presley: una delle rare occasioni in cui preferiamo essere italiani piuttosto che americani. (20 agosto 1977) *È in corso una iniziativa per l'abolizione, nelle aule scolastiche, della pedana su cui si eleva la cattedra. Il perché lo avrete già capito: l'insegnante deve mettersi, anche materialmente, a livello degli alunni per non lederne la dignità e dimostrare con l'esempio che siamo tutti uguali. Giusto. «La via dell'uguaglianza – dice Rivarol – si percorre solo in discesa: all'altezza dei somari è facilissimo instaurarla». (29 ottobre 1977) *Fra gli annunci economici di Lotta Continua, ne è comparso uno che dice: «Compero a L. 100.000 una tesi di laurea, anche già presentata, purché tratti un argomento attinente all'[[Inghilterra]], o alla lingua, storia, letteratura inglese. Meglio se con una impostazione femminista». Curioso. Questi grandi [[Rivoluzione|rivoluzionari]], che dicono di battersi per costruire una società nuova di zecca, quando si tratta di lauree, si contentano anche di quelle usate e di seconda mano. (3 marzo 1978) *Credevamo che l'assassinio di Aldo Moro, così come è stato eseguito, fosse il colmo dell'infamia. Abbiamo dovuto ricrederci. Al comizio di protesta svoltosi in piazza Duomo a Milano subito dopo la macabra scoperta in via Caetani a Roma, un gruppo di ultrà ha gridato: «Moro fascista!». Preferiamo le [[zanne]] delle belve alla [[bava]] degli [[Sciacallo|sciacalli]]. (10 maggio 1978) *Ecco il nostro telegramma di congratulazioni e auguri a Pertini: «Che Dio le conceda il coraggio, Presidente, di fare le cose che si possono e che si debbono fare; l'umiltà di rinunziare a quelle che si possono ma non si debbono, e a quelle che si debbono ma non si possono fare; e la saggezza di distinguere sempre le une dalle altre». (9 luglio 1978) *Dall'indagine svolta da uno dei più seri istituti di ricerche demografiche, lo svizzero Scope, risulta che la professione più ammirata e rispettata, nel mondo, è quella dei medici. I giornalisti sono al penultimo posto. Ce ne sentiremmo profondamente avviliti se all'ultimo non vedessimo catalogati gli editori. (29 novembre 1978) *In un convegno su «Terrorismo e informazione», a Roma, è stato unanimemente riconosciuto che il [[segreto istruttorio]] in Italia non esiste. Lo trasgrediscono tutti. Non solo giornalisti e avvocati – e ancora passi – ma perfino magistrati che anticipano e propalano, il più delle volte per farne strumento politico, notizie riservate. «È il segreto di Pulcinella» si è lamentato il procuratore capo della Capitale, De Matteo. È vero. Ma Pulcinella non era giudice. E i giudici non dovrebbero essere Pulcinella. (25 aprile 1979<ref>Da ''Il meglio di "Controcorrente": {{small|1974-1992}}'', Fabbri Editori-Corriere della Sera, La biblioteca del Corriere della sera, Milano, 1995, p. 104.</ref>) *Solo il tempo non perde tempo, diceva [[Jules Renard|Renard]]. E così, a furia di annunciarne i cambiamenti, il tempo è passato anche per il colonnello [[Edmondo Bernacca|Bernacca]], che ora deve rassegnarsi alla pensione. Peccato. Gli dobbiamo parecchi raffreddori e reumatismi. Ma nessuno riuscirà meglio e con più grazia di lui a farci capire ed accettare l'inutilità della meteorologia. (10 luglio 1979<ref>Citato in ''Il meglio di controcorrente'', p. 108.</ref>) *Prima di partire per Vienna, il presidente {{NDR|degli Stati Uniti}} [[Jimmy Carter|Carter]] ha fatto due dichiarazioni. La prima: «Ci auguriamo che il signor Breznev {{NDR|allora presidente dell'Unione Sovietica e Primo Segretario del PCUS}} abbia per le nostre ragioni la stessa comprensione che noi abbiamo per le sue». La seconda: «Se Ted Kennedy si presenta contro di me alle elezioni presidenziali, gli faccio un c.o così» Il triviale [[Richard Nixon|Nixon]] avrebbe potuto dire le stesse cose, ma certamente ne avrebbe invertito l'ordine di priorità riservando la comprensione a Kennedy ed il c.o a Breznev. La differenza fra i due è tutta qui. (16 giugno 1979) *Avvicinandosi il 25 dicembre, decine di migliaia di teneri [[abete|abeti]] vengono strappati dai boschi della Penisola per allestire il tradizionale albero di Natale. Ogni anno lo scempio si ripete, tra la generale indifferenza. Soppresso l'Ente protezione animali, figuriamoci se qualcuno ha voglia di proteggere gli alberi. Diciamo la verità: la sola pianta che interessi all'[[italiano medio]] è la pianta stabile. (19 dicembre 1979) *Nel Manifesto di domenica scorsa tale K.S. Karol faceva considerazioni amare sulla rivoluzione cubana e sui suoi fallimenti: «[[Fidel Castro|Fidél]] – ha ricordato il commentatore, uno dei tanti orfani delle illusioni di sinistra – prometteva ai cubani per il 1965 un tenore di vita pari a quello svedese». Certo Fidél si è sbagliato di grosso; non per cattiva volontà, ma per mancanza di uomini, anzi di un uomo. Sarebbe bastato che anche la Svezia avesse uno suo Castro al potere per ritrovarsi in pochissimi anni con un tenore di vita pari a quello cubano. (15 aprile 1980) *Riferiscono le cronache che quando è giunta in tribunale la notizia dell'assassinio di Walter Tobagi, il brigatista Corrado Alunni l'ha accolta con una sghignazzata di tripudio. Abbiamo sempre combattuto la pena di morte sul presupposto che l'uomo non ha il diritto di uccidere l'uomo. Il presupposto lo confermiamo. Ciò di cui cominciamo a dubitare è che gli Alunni e quelli come lui siano uomini. Sui cadaveri sghignazzano le jene. (30 maggio 1980) *A Mirafiori, parlando agli operai della Fiat in sciopero, il sindaco di Torino, Novelli, se l'è presa coi giornalisti e li ha additati all'uditorio come falsari che ricalcano i loro resoconti non sui fatti, ma sulle «veline» distribuite loro dai «padroni». Anche Novelli ha fatto il giornalista in un foglio comunista, e quindi di veline e di padroni è certamente un intenditore. Ma se dopo questa denuncia ci scappa un altro Casalegno, sarà molto gradita la sua assenza ai funerali. (8 ottobre 1980) *Grandi elogi – dopo il successo del blitz di Trani – alle «teste di cuoio» italiane. La loro azione ha dimostrato quanto poco valesse la strategia della flessione propugnata di alcuni personaggi. Teste anche loro: ma di che? (31 dicembre 1980) *Fra i tanti slogans che il partito socialista francese ha lanciato in occasione delle elezioni presidenziali per rassicurare i bravi borghesi sottolineando il proprio carattere moderato e riformista, abbiamo letto anche questo: «Il socialismo può fare di chiunque un milionario». Ci crediamo senz'altro. A patto che quel chiunque fosse prima un miliardario. (8 maggio 1981) *Per gl'italiani, finora, il nome di Gelli era quello dell'autore del più famoso e autorevole codice cavalleresco. Anche oggi rimane legato a un codice. Quello penale. (9 maggio 1981) *L'elenco degli affiliati alla P2 comprende, dicono, 953 nomi, cui corrispondono i più alti gradi della politica, della magistratura, delle forze armate, della burocrazia, dell'industria, della finanza. Tutti «fratelli». È la riprova che, in questo Paese, guai ai figli unici. (11 maggio 1981) *Macché pazzo! L'attentatore del Papa deve essere un furbo matricolato. Dichiarandosi seguace di George Habbas e della causa palestinese, ha cercato di procurarsi la solidarietà dei molti, dei moltissimi, che non battono ciglio quando un terrorista cerca di spedire qualcuno all'altro mondo. Purché il terrorista appartenga al terzo. (16 maggio 1981) *Studiosi cinesi, mettendo a confronto reperti di ominidi dissimili tra loro tanto da far pensare che l'uomo discenda anche da animali diversi dalla [[scimmia]], sono arrivati alla conclusione che i nostri progenitori erano comunque scimmie, ancorché di specie differenti. Ci pare logico. Quale altro animale avrebbe potuto imitare la scimmia che ha dato l'avvio alla razza umana se non un'altra scimmia priva di senso critico? (19 maggio 1981) *Una nostra redattrice andata per una sua cronaca sul femminismo alla «libreria delle donne» in via Dogana a Milano, è stata accolta da una di loro con queste parole: «Con te non parlo perché sei di un giornale fascista, e anche tu hai la faccia da fascista». La nostra redattrice, che ha ventun anni, probabilmente non sapeva bene cosa fosse il fascismo. Ora lo sa: lo ha imparato in quella libreria. (4 novembre 1981) *Come previsto, la Juventus ha conquistato il [[Serie A 1981-1982|ventesimo scudetto]] battendo il Catanzaro. Una vittoria di rigore. (17 maggio 1982) *Socialisti e comunisti si sono opposti alle sanzioni economiche contro l'Argentina perché, hanno detto, una buona metà degli argentini sono di origine italiana, e molti di loro conservano tutt'ora la nostra nazionalità. Vero. Ma non ci eravamo accorti che queste sinistre spasimassero tanto d'amore per i nostri connazionali di laggiù quando si trattava di riconoscergli il diritto di voto. (22 maggio 1982) *Se si va avanti di questo passo, la [[guerra delle Falkland]] (o Malvine) finirà quando l'ultimo aereo argentino sarà abbattuto col suo carico di bombe sull'ultima nave inglese. E dire che questa lotta di leoni si svolge per un'isola di Pecore. (27 maggio 1982) *Tutti abbiamo trepidato ieri, davanti al televisore, per le sorti della squadra azzurra, tutti ci siamo entusiasmati alle sue gesta, tutti abbiamo salutato con orgoglio la sua vittoria. Ma il tipo di patriottismo che questa ha suscitato nelle strade delle nostre città, messe a soqquadro dai tifosi scalmanati che usavano il tricolore a copertura del peggior teppismo, ci ha fatto rimpiangere di non essere nati brasiliani. (6 luglio 1982) *Mai visto così tanto entusiasmo patriottico, tanti tricolori per le strade come per la finale degli azzurri al Mundial. Nella tomba di Caprera, le ossa di [[Giuseppe Garibaldi|Garibaldi]] fremono di invidia. Per unificare l'Italia «in un solo grido, in una sola passione» gli erano accorsi mille uomini. A [[Enzo Bearzot|Bearzot]] ne sono bastati undici. (12 luglio 1982) *Gli scrittori [[Mario Soldati]] (Psi) e [[Gianni Brera]] (Psi) sono stati trombati {{NDR|non sono stati eletti}}. Peccato. Il Parlamento era l'unico posto in cui, dovendo parlare per gli altri, forse avrebbero finalmente taciuto. (1º luglio 1983) *Che [[Bettino Craxi|Craxi]] sia uomo di grandi capacità e ambizioni, lo si sapeva. Che sia anche uomo di grande coraggio, lo si è visto ieri, quando pronunciava alla Camera il suo discorso di replica. Per due volte si è interrotto alla ricerca di un bicchier d'acqua. Per due volte [[Giulio Andreotti|Andreotti]] glielo ha riempito o porto. E per due volte lui lo ha bevuto. (13 agosto 1983) *Condannato dal tribunale di Reggio Emilia per bestemmie e turpiloquio contro la Chiesa, [[Roberto Benigni]] avrebbe qualche ragione di considerarsi vittima di un'ingiustizia. Proprio il giorno prima la Chiesa riabilitava [[Martin Lutero]], scomunicato ai suoi tempi pressappoco per gli stessi motivi. Come cambia, coi tempi, la sorte degli uomini! È inquietante pensare che Benigni, se fosse vissuto cinquecent'anni fa, sarebbe forse diventato Lutero. Ma addirittura sconvolgente è che Lutero, se fosse nato cinquecent'anni dopo, sarebbe forse diventato Benigni! (8 novembre 1983) *Il più autorevole giornale americano di economia e finanza, il Wall Street Journal di martedì 10 gennaio, è incorso in un curioso lapsus. Parlando del concordato fra lo Stato italiano e la Santa Sede, scrive che esso «venne firmato nel 1929 da Bettino Mussolini». Chissà, se lo legge, come si arrabbia Benito Craxi. (12 gennaio 1984) *È comparsa sui giornali la pubblicità di una nuova opera di Fanfani, intitolata «La Dc e la svolta degli anni 80». L'editore avverte che si tratta di un libro formato «tascabile». Dato l'autore, poteva andare diversamente? (16 gennaio 1984) *È vero: la [[Juventus Football Club|Juventus]], a Basilea, non ha fatto una gran figura. Giocando con più cervello, poteva vincere comodamente 4-0. Ma attenti a non giudicare troppo severamente il Porto. Quello di Genova va molto peggio. (18 maggio 1984) *Il trentanovenne James Nelson, condannato da un tribunale di Londra a quindici anni per avere ucciso la madre a colpi di mattone, ha sentito, chiuso in cella, la vocazione sacerdotale: si è messo a studiare teologia, e ora sta per diventare prete nella chiesa scozzese. «È mia intenzione – ha dichiarato – contribuire alla edificazione di una nuova società». Si può credergli: i mattoni ha dimostrato di saperli usare. (25 maggio 1984) *L'agenzia Agi informa, con un drammatico flash, che il ministro [[Giulio Andreotti|Andreotti]], «impegnato in una riunione superistretta con gli altri 15 ministri degli esteri della Nato, perderà la partita [[Associazione Sportiva Roma|Roma]]-[[Liverpool Football Club|Liverpool]]». È giusto il fatto che faccia notizia: è la prima volta che Andreotti perde qualcosa. (31 maggio 1984) *Presso la Presidenza del Consiglio, a palazzo Chigi, è stata istituita una commissione di giuristi per la completa parificazione dei diritti fra i due sessi. Finalmente! Era ora che ce la riconoscessero, a noi uomini. (16 ottobre 1984) *La riforma dei programmi della scuola elementare, cui sta lavorando il Ministro Falcucci, introdurrà nella terza, quarta e quinta classe l'insegnamento di una lingua straniera. Non è specificato quale. Speriamo che si tratti dell'italiano. (21 gennaio 1985) *Un certo [[Nichi Vendola]], dirigente della Federazione giovanile comunista, ha lanciato l'idea di riconoscere formalmente un «diritto dei bambini ad avere rapporti sessuali tra loro o con gli adulti». Vendola ha detto di aver attinto questa idea all'esperienza di molti padri. A conferma di quanto scrive [[Georges Courteline|Courteline]] nella sua «Filosofia»: «Uno dei più chiari effetti della presenza di un bambino in una casa è di rendere completamente idioti dei genitori che forse, senza di lui, sarebbero stati degl'imbecilli comuni». (26 marzo 1985) *I tecnici di calcio sono rimasti stupiti dalla prova del [[Real Madrid Club de Fútbol|Real Madrid]] che nella semifinale della coppa Uefa ha letteralmente travolto i modesti giocatori dell'[[Football Club Internazionale Milano|Inter]]. I madrileni hanno proprio vinto a biglia sciolta. (26 aprile 1985) *Quando [[Sandro Pertini]] è apparso sul video di Raiuno che trasmetteva la premiazione del concorso ippico di Roma, il cronista ha commentato: «Anche i cavalli, come vedete, sono gentili col Presidente». Era vero. Forse meritano di essere fatti cavalieri. (5 maggio 1985) *I tifosi rossoneri sono in festa per la notizia che Berlusconi sta per acquistare il loro Milan. Sono convinti che in un battibaleno ne farà una squadra da scudetto, da coppa delle coppe, da tutto, e forse hanno ragione. C'è un solo pericolo: che il neo-presidente voglia fare anche il direttore tecnico, l'allenatore, il massaggiatore, il capitano e il centrattacco. Il che potrebbe andar anche bene. Ma ad una condizione: che possa fare anche l'arbitro. (27 dicembre 1985) *Rete Quattro e Italia 1 sono state multate per violazione del decreto che proibisce la propaganda al consumo del tabacco. Lo spot incriminato è quello che, parlando del «Camel Trophy», ostentava un pacchetto di sigarette della ditta sponsorizzatrice. Strano Paese, il nostro. Colpisce i venditori di sigarette, ma premia i venditori di fumo. (13 marzo 1986) *Molti lettori ci chiedono quale missione sta svolgendo l'on. Capanna a Tripoli, quali motivi l'hanno spinto da Gheddafi. Non ne sappiamo granché: non siamo abituati a ficcare il naso nelle altrui questioni di famiglia. (1º giugno 1986) *Oggi Paolo Pillitteri sarà designato alla successione di Tognoli come sindaco di Milano. Lo dipingono come uomo intelligente, efficace, insomma pieno di qualità. Purtroppo, gli manca quella fondamentale: il celibato. (5 dicembre 1986) *Finalmente, dopo sette anni di esilio a Gorky, l'impavido Andrei Sacharov è tornato a Mosca. Speriamo che Gorbaciov ci resti. (24 dicembre 1986) *L'agenzia Ansa riferisce che da un sondaggio operato in Francia su un pubblico internazionale, risulterebbe che il maschio italiano detiene ancora il primato mondiale della seduzione. Speriamo che i giornali non riportino la notizia: gl'italiani sarebbero capaci di crederci. (15 marzo 1987) *Per la prima volta nella storia della Corte Costituzionale, il nuovo presidente, Francesco Saja, è stato eletto al primo scrutinio. Ma il rivale sconfitto, Ferrari, ha sollevato eccezione accusando il vincitore di averlo battuto grazie a un «compromesso storico» fra elettori democristiani e comunisti, aggravato da un intrallazzo fra siciliani. Vero o falso, dalla Corte al cortile. (5 giugno 1987) *Ieri tutti i telegiornali ci hanno martellato negli occhi le immagini dei capibastone – Craxi, De Mita, Spadolini, Altissimo ecc. – che infilavano la scheda nell'urna. I loro volti raggiavano di soddisfazione. Erano gli unici elettori matematicamente sicuri di aver dato il voto al candidato ideale. (15 giugno 1987) *In una scuola di Chattanooga, nel Tennesse (Usa), due sedicenni, approfittando dell'assenza dell'insegnante, si sono baciati e hanno fatto l'amore davanti a una decina di compagni, niente affatto scandalizzati. Dato il lassismo di certe scuole americane, gli esami in cui gli studenti riescono meglio sono proprio queste prove orali. (4 giugno 1988) *Diciannove persone hanno dichiarato d'aver visto aggirarsi, tra le quinte della Scala, il fantasma di [[Maria Callas]]. Non ci meravigliamo, anche perché migliaia di altri frequentatori del massimo teatro lirico italiano sostengono da tempo di vedere, alla Scala, il fantasma della Scala. (28 giugno 1988) *Scoprendo le istituzioni britanniche con un secolo e mezzo di ritardo, i comunisti sembrano fermamente intenzionati a formare il loro «shadow Cabinet». Ma onestamente non ne afferriamo la ragione. Non c'è nessun bisogno di un governo ombra per contrastare quest'ombra di governo. (5 maggio 1989) *Da un sondaggio condotto tra i francesi risulta che il personaggio più noto d'Oltralpe è [[Marcello Mastroianni]], conosciuto dall'83 per cento degli intervistati. Il 97 per cento dei francesi invece confessa di non sapere chi sia [[Ciriaco de Mita|Ciriaco De Mita]]. Quando si dice un Paese fortunato... (20 maggio 1989) *Gerardo Iglesias, che fu segretario generale del partito comunista spagnolo dall'82 all'88, ha lasciato l'attività politica per riprendere il suo lavoro di minatore di carbone, «l'unico modo in cui posso guadagnarmi degnamente la vita». Alcuni dirigenti del Pci, a quanto risulta, vorrebbero imitarne l'esempio, tornando al vecchio lavoro. Il difficile è trovare chi ne aveva uno. (1º giugno 1990) *Durante la festosa «notte del mondiale», la polizia romana ha arrestato, nelle vicinanze dello stadio olimpico, 29 borsaioli e scippatori. Il signor [[Edgardo Codesal Méndez|Codesal Mendez]], arbitro della partita [[Nazionale di calcio della Germania|Germania]]-[[Nazionale di calcio dell'Argentina|Argentina]], non figura nell'elenco. (10 luglio 1990) *Il giudice veneziano Casson ha convocato, per la storia del Gladio, il presidente [[Francesco Cossiga|Cossiga]], e l'Italia leguleia è in subbuglio: la Costituzione, pure, si è dimenticata di precisare se il Capo di Stato può essere chiamato a rispondere, sia pure da testimone, a un qualunque magistrato. Il quale però ha ora la fotografia su tutti i giornali. E tutti possono ammirarla chiedendosi che cosa passa in quella testa, la testa di Casson. (10 novembre 1990) *Gli studenti italiani manifestano rumorosamente per la [[pace e guerra|pace]] e contro la [[pace e guerra|guerra]]. La guerra, diceva [[Georges Clemenceau|Clemenceau]], è una cosa troppo seria per lasciarla fare ai militari. Ma anche la pace è una cosa troppo seria per lasciarla fare ai pacifisti. (20 gennaio 1991) *Occupandosi – tra tanto Golfo – del Festival di Sanremo il Tg3 ci ha dato, finalmente, ieri sera, una notizia credibile: il livello delle canzoni, ha detto, è destinato a salire. Infatti: sentite le prime è impossibile che scenda. (1º marzo 1991) *Da un'indagine risulta che il 41,9% degli italiani non considera illecito l'assenteismo dal lavoro e che il 41,3% non considera peccato le infedeltà coniugali. La coincidenza delle due cifre spiega in che modo gli statali impiegano il tempo che dovrebbero dedicare all'ufficio. (3 ottobre 1991) *A quest'ora [[Ernesto Balducci|Padre Balducci]] è di fronte al Supremo Giudice, nel quale affermava di credere. Almeno a Lui dovrà spiegare non ciò che diceva contro la Chiesa, ma perché lo diceva travestito da frate. (26 aprile 1992) *Nell'ultima tornata presidenziale è emerso, con un bel pacchetto di 20 voti, Aldo Aniasi. Finalmente. In questo imperversare di tangenti e bustarelle, era ora che qualcuno si ricordasse di lui. (24 maggio 1992) *Per sfatare le malevole dicerie su certe bestie, il presidente degli «animalisti» italiani ha offerto un premio di 200 milioni a chi potrà dimostrare che i corvi scrivono lettere anonime e che le talpe fanno le spie. È vero: di simili casi non ne conosciamo. Ma di somari che fanno i presidenti, ne conosciamo parecchi. (5 luglio 1992) *Dopo le invettive e i clamori da cui il presidente del consiglio [[Giuliano Amato|Amato]] è stato accolto in Senato per la sua insensibilità alla crisi morale che investe il Paese, il dibattito sulla medesima si è svolto, a Montecitorio, in un'aula deserta. Sì, una crisi morale, per la nostra classe politica esiste: lo dimostra il vuoto in cui l'ha lasciata cadere. (14 marzo 1993) *«I socialisti – ha detto l'ex ministro della Difesa Salvo Andò – devono andare tutti nudi verso la meta di un nuovo sistema politico». Come faranno senza le tasche? (24 maggio 1993) *Il candidato del Psi per le elezioni a sindaco di Roma sarà Niccolò Amato. Assennata scelta. Ex direttore delle carceri, Amato è certamente il più qualificato a rappresentare quel partito. (23 settembre 1993) *Giovedì sera annuncio a sorpresa di [[Emilio Fede]] nel suo Tg4: «Adesso – ha detto – voglio parlarvi di informazione». C'è sempre una prima volta. (8 gennaio 1994) *Secondo un sondaggio della Diacron (gruppo Fininvest), l'82 per cento dei lettori del «Giornale» sarebbe schierato con Berlusconi. Vero. Almeno com'è vero che Berlusconi diventerà presidente del Consiglio. (12 gennaio 1994) ====''La parola ai lettori – rubrica''==== *I tennisti italiani hanno disputato la finalissima di Coppa Davis a Praga, e nessuno ha battuto ciglio. Le squadre di calcio italiane frequentano gli stadi dell'Est, a cominciare da quelli russi, e i puristi della democrazia non ci trovano nulla a ridire. Ma per l'[[Uruguay]] – che con i suoi tre milioni di abitanti e la sua posizione geografica non mi pare possa essere considerato una minaccia troppo grave alla libertà dei Paesi democratici – c'è puntuale la protesta. Come se l'Uruguay potesse invadere, espandersi, insidiare, inviare – direttamente o indirettamente – eserciti di mercenari in mezzo mondo, e l'[[Unione Sovietica]] no. Possiamo capire gli intransigenti della democrazia: ma possiamo soltanto disprezzare i farisei che hanno l'indignazione dimezzata. Si calmino Bruno Conti e Pruzzo. Né l'Uruguay, né il suo regime, meritano tante ansie e tanta ostilità. Mosca è più vicina – lo sanno bene i polacchi – e Kabul anche. (31 dicembre 1980) *Non abbiamo mai «coperto», come si usa dire, questo nostro socio (che ha il 37, non il 36% del Giornale), anche perché non vediamo da cosa dovremmo coprirlo. [[Silvio Berlusconi|Berlusconi]] non è né un politico né un gerarca civile o militare, e non svolge nessuna pubblica funzione incompatibile con l'appartenenza alla massoneria. È un privato imprenditore e cittadino che quando fa una balordaggine (e l'iscrizione alla P2 lo è) la fa a proprio rischio e pericolo. Come lei avrà visto, il suo coinvolgimento nella P2 non ci ha impedito di dire, di Gelli e della sua banda, tutto il male che ne pensiamo. (31 maggio 1981) *In tutti questi anni che è stato con noi, {{NDR|Silvio Berlusconi}} si è sempre comportato nella maniera più signorile, ed anche in questa circostanza ci ha dato le più ampie garanzie. (14 aprile 1987) *Nel panorama sudamericano il [[Cile]] è oggi uno di quei paesi economicamente più solidi e con maggior progresso, tanto da meritare gli elogi del Fondo monetario internazionale. Ma la postilla impone a sua volta una precisazione. È più facile fare il risanamento economico monetario in Cile, dove i sindacati sono inesistenti o impotenti, che non in [[Argentina]], dove il sindacato incalza il governo e pretende aumenti salariali il cui ritmo sia adeguato al ritmo dell'inflazione. [...] Pinochet è quello che è. Il suo plebiscito per la Costituzione del 1980 fu indetto in circostanze che gli tolgono ogni valore. E gli inizi del regime militare furono sanguinari. Però il Cile di oggi ha un livello di libertà e di dialettica politica – nonostante Pinochet – che tanti paesi del Terzo mondo vezzeggiati dai nostri democratici dovrebbero invidiargli. Come ha osservato un lettore, né l'Etiopia né lo Zaire né la Siria, né il Nicaragua avrebbero tollerato corrispondenze come quelle che gli inviati della Rai diffondono, in diretta dal Cile. (16 aprile 1987) *Mai le nostre prese di posizione su problemi e personaggi sono state non dico condizionate, ma influenzate dalle personali amicizie o preferenze di Berlusconi. Per la verità, l'editore chiese una volta a titolo di favore, un «occhio di riguardo» per la sua creatura prediletta. Non la televisione, come i lettori saranno stati forse indotti a pensare, ma il [[Associazione Calcio Milan|Milan]]. Sottoposi questa sommessa istanza alla redazione sportiva. La risposta fu una lettera collettiva di dimissioni. Caso chiuso. Da allora rinuncio a leggere le cronache delle partite del Milan, per non dovermi dispiacere del dispiacere che ne prova probabilmente Berlusconi. (17 aprile 1988) *Come già ho scritto, e qui mi piace ripetere, la designazione di [[Francesco Cossiga|Cossiga]] al Quirinale fu la scelta dell'uomo giusto al posto sbagliato. Sappiamo benissimo chi la volle. Ma sappiamo altrettanto bene che fu avallata anche da quegli uomini e partiti che ora si scagliano contro di lui e lo accusano, apertamente o copertamente, di fellonia. La classe politica, nella quale egli ha militato da sempre e che quindi da sempre lo conosceva, doveva sapere che l'onesto (perché tale è) Cossiga non era uomo da Quirinale. Eppure, per i suoi sporchi giochi di potere, ce lo mandò. Ora dovrebbe sentire il dovere di difenderlo dagli sciacalli che lo attaccano da tutte le parti. (22 dicembre 1990) ===''La Stampa''=== <!--ordine cronologico--> *Intorno alle «cattedrali nel deserto» impiantatevi dalla cosiddetta mano pubblica, [...] o trasferitevi dal Nord con l'adescamento degli «incentivi», e sotto la nuvolaglia di fumo che sgorga dalle loro ciminiere, si gonfiano alla carlona e selvaggiamente dirompono, senza nessun criterio urbanistico, senza piano regolatore, senza servizi, spesso anche senza acquedotto e senza fogna, degli agglomerati urbani che solo per il numero degli abitanti si possono chiamare città. [...] È nata soltanto, insieme a una forsennata speculazione edilizia che per sfruttare all'osso l'area fabbricabile accumula con cattivo cemento un piano sull'altro finché crollano sulla testa degl'inquilini, la sorda rabbia contro la città di un contadiname analfabeta che se n'è visto succhiare la linfa vitale, e quando vi cala, lo fa da nemico e vandalo. Questo è il panorama del Mezzogiorno dopo vent'anni e più di Cassa, che hanno raschiato dalle tasche dei contribuenti migliaia di miliardi. (da ''[http://www.archiviolastampa.it/component/option,com_lastampa/task,search/mod,libera/action,viewer/Itemid,3/page,3/articleid,1118_01_1973_0272_0003_16218908/ La protesta contadina]'', 18 novembre 1973, p. 3) *La politica meridionalistica è tutta dominata da questo sottofondo psicologico. Essa vuole l'industrializzazione di Stato non soltanto perché [...] l'industrializzazione può essere fatta soltanto dallo Stato o da imprese al servizio dello Stato; ma anche perché più queste imprese si sviluppano, e più si riduce il margine di quell'imprenditoria privata che i meridionali, non riuscendo a emularla, mirano a ostacolare e ridurre, sottraendole il pubblico risparmio. Con l'agricoltura non avrebbero potuto perseguire questi scopi punitivi. L'unica arma per mortificare e battere l'industria privata è l'industria statale o parastatale. Questa, intendiamoci, esisteva digià: è un portato dei tempi moderni. Ma non c'è dubbio che la politica meridionalistica, come la si è praticata finora e tutto lascia credere che si seguiterà a praticarla, le ha offerto un'ideale occasione. (da ''[http://www.archiviolastampa.it/component/option,com_lastampa/task,search/mod,libera/action,viewer/Itemid,3/page,3/articleid,1118_01_1973_0284_0003_16222766/ Industrie "in colonia"]'', 2 dicembre 1973, p. 3) *Lo Stato, con [[Venezia]], ha contratto un solo impegno: di destinare al suo risanamento 300 miliardi di lire in cinque anni. Di dove li prenda, non ha nessun interesse. Può darsi che una parte li attinga proprio a quel prestito. Ma non vi è tenuto, né si vede perché dovrebbe esserlo. Ciò che da esso si può e si deve esigere è che eroghi effettivamente quei 300 miliardi alle scadenze per le quali si è impegnato: 25 miliardi per il '73, 60 nel '74, 90 nel '75, e su su fino alla chiusura dei conti nel '77. Due sole cose restano da dire. Primo. All'origine dell'equivoco c'è di certo quello che i francesi chiamano l'''esprit mal tourné'', cioè la diffidenza degl'italiani nei confronti dello Stato. Ma all'origine di questa diffidenza c'è altrettanto certamente l'incapacità o la renitenza dei nostri governanti a spiegare [...] ciò che fanno. Secondo. I soldi [...] stavolta ci sono. E diamo pure per scontato che saranno erogati con puntualità. Ma dove sono gli strumenti per spenderli, specie quelli affidati in gestione a degli Enti locali, che fin qui non sono stati capaci di dragare un canale né di riparare la spalletta d'un ponte? Non vorremmo che anche tutti questi miliardi andassero ad alimentare l'immenso deposito di «residui passivi», cioè di somme stanziate ma non impiegate, che già affligge il nostro Paese. Non lo vorremmo. Ma lo temiamo. (da ''[http://www.archiviolastampa.it/component/option,com_lastampa/task,search/mod,libera/action,viewer/Itemid,3/page,1/articleid,1111_01_1974_0009_0001_21345708/ Venezia, molti miliardi e lo Stato]'', 11 gennaio 1974, p. 1) *E ora addio, caro lettore, e grazie dell’ospitalità. Ti confesso che, entrando in casa tua, ero molto imbarazzato. Ma mi bastò poco per accorgermi che di questo imbarazzo voi soffrite quasi quanto coloro a cui lo incutete. Esentàtemi da una dichiarazione di amore perché a gente come voi è difficile farne. Ma in questo pudore mi sento vostro pari e vostro complice. Avrò un giornale a Milano e, e cercherò di farlo molto bello, bellissimo. Ma anche se ci sarò riuscito, seguiterò a rimpiangere il vostro. Mi dicevano che ci avrei sofferto il freddo. Ci ho trovato, sotto una coltre di silenzio, il caldo. (da ''[http://www.archiviolastampa.it/component/option,com_lastampa/task,search/mod,libera/action,viewer/Itemid,3/page,3/articleid,1112_01_1974_0087_0003_16390798/ Congedo dal Piemonte]'', 21 aprile 1974, p. 3) {{Int|''[http://www.archiviolastampa.it/component/option,com_lastampa/task,search/mod,libera/action,viewer/Itemid,3/page,9/articleid,1118_01_1973_0284_0009_16222725/ Chi era il vecchio leone del deserto]''|Articolo su ''La Stampa'', 2 dicembre 1973.|h=4}} *Senza Ben Gurion, non so se Israele sarebbe stato migliore o peggiore di quel che è. Certo, sarebbe stato diverso. Il titolo di «Padre della Patria» non può contestarglielo nessuno. [...] Egli stesso mi raccontò lo sgomento da cui fu còlto quando, non ancora ventenne, sbarcò a Giaffa dopo un lungo periplo a bordo d'un cargo. A procurarglielo non furono i funzionari turchi che allora governavano il Paese, e nemmeno gli arabi che formavano il grosso della popolazione; ma gli ebrei, quasi tutti latifondisti e mercanti perfettamente inseriti nel «sistema» e unicamente intesi ai propri affari. Erano dunque quelli i depositari della Terra Promessa, che non sapevano neanche l'ebraico, o comunque si rifiutavano di parlarlo? Forse ne sarebbe fuggito, se nell'interno non avesse scoperto alcune isolate fattorie collettive, dove i nuovi immigrati lavoravano la terra con le proprie mani e di notte montavano la guardia, uomini e donne, per difendere le loro vite e i loro raccolti dalle razzie degli arabi. *Comprese subito che solo redimendo la terra col loro lavoro manuale e contrapponendo al latifondismo arabo la fattoria collettiva, gli ebrei potevano legittimare la riconquista dei loro antico «focolare». Militarmente, egli non attaccò mai gli arabi. Aspettò che il loro sistema si disgregasse da sé, e ci volle poco. Battuti sul mercato dai prodotti del ''kibbutz'', i latifondisti arabi vendettero i loro feudi al «Fondo Nazionale Ebraico» per andare a sperperare l'incasso nei ''Casinos'' di Beirut e della Costa Azzurra, e i braccianti rimasero senza lavoro perché i nuovi padroni usavano le braccia proprie. Il conflitto è tutto qui: nell'impossibilità di coabitazione di una scalcagnata economia feudale con un'efficientissima economia socialista. I motivi religiosi e razziali li ha aggiunti la propaganda. *Come tutti i veri politici, Ben Gurion era un pragmatista, cioè un uomo che attingeva le idee dalla pratica delle «cose», non viceversa. E l'esperienza fatta nella lotta per la manodopera ebraica lo aveva persuaso che con gli arabi non c'era [...] possibilità di compromesso. Uno Stato palestinese misto di arabi e di ebrei, lo considerò sempre una chimera per il semplice motivo che in poche generazioni, col loro potenziale demografico quattro volte superiore, gli arabi avrebbero mangiato gli ebrei. [...] Già nella guerra del '48 egli avrebbe potuto annettersi la Cisgiordania: ci rinunziò per non mettersi in corpo seicentomila arabi. L'anno dopo rifiutò per lo stesso motivo la cosiddetta «striscia di Ghaza» che il suo brillante generale Allon aveva sforbiciato dall'Egitto. E dopo la guerra dei sei giorni, sebbene ormai lontano dal potere, non ha fatto che ammonire contro una politica di annessioni territoriali disgiunta da un adeguato incremento di popolazione ebraica. Non ha mai dialogato che con l'Occidente. Con gli arabi, non ha seguito che una diplomazia: quella dei confini. *Le nuove esigenze della produzione e della guerra imponevano un altro «rovesciamento della piramide»: il miracolo della guerra dei sei giorni fu dovuto a un esercito di tecnici altamente specializzati, in cui anche il semplice aviere era un ingegnere. Il posto del ''kibbutz'' [...] veniva preso dall'Università che riconvertiva il contadino in professore. Ben Gurion non poteva interpretare questo nuovo corso. Era troppo vecchio e legato all'altro. Ma non lo comprese, non poteva comprenderlo, per conservare il potere ricorse a tutte le armi del suo repertorio, anche le meno regolamentari, giunse a rinnegare e a rompere il proprio ribelle partito. E neppure a battaglia persa si rassegnò. Dal fondo del suo rifugio alle soglie del deserto ha continuato tutti questi anni ad alluvionare di ammonimenti, maledizioni, anatemi i suoi vecchi amici trattandoli da nemici. [...] Quello che si chiude con Ben Gurion è il capitolo del pionierismo: il più eroico e glorioso, quello destinato, via via che si allontanerà nel tempo, ad essere ricordato dagl'israeliani con sempre più struggente nostalgia. {{Int|''[http://www.archiviolastampa.it/component/option,com_lastampa/task,search/mod,libera/action,viewer/Itemid,3/page,3/articleid,1112_01_1974_0081_0003_16388814/ La strada lunga di Golda]''|Articolo su ''La Stampa'', 14 aprile 1974.|h=4}} *{{NDR|[[Golda Meir]]}} Aveva poco più di vent'anni quando approdò in Israele, frammista ai «padri pellegrini» della «seconda ondata» che subito dopo la [[prima guerra mondiale]] vennero a riprendere possesso della loro antica terra con la ferma intenzione non d'insabbiarcisi com'era successo ai loro predecessori della fine dell'Ottocento, ma di riscattarla e di farne il «focolare» degli ebrei. Tutta la sua visione politica [...] era condizionata da questa esperienza di oltre mezzo secolo di sacrifici e di lotte. [...] Oggi molti in Israele si domandano se a questi pionieri non restava davvero altra strada che quella dell'urto frontale con la popolazione araba della Palestina. Ma questi dubbi sono un lusso ch'essi si possono concedere solo perché i loro babbi e nonni non ne ebbero. Costoro fecero quello che fecero perché non potevano far altro. Ciò che rendeva impossibile la coabitazione fra le due popolazioni non era la incompatibilità razziale e religiosa, ma quella economica e sociale. Il latifondo sceiccale non poteva convivere col ''kibbutz'' socialista. È qui l'origine di un conflitto che nessuna diplomazia poteva sanare. Una pace fra israeliani e arabi è possibile; una simbiosi, no. Ancor oggi chi parla di «Stato misto» si gingilla con le astrazioni. *Fu lei che [...] raggiunse travestita da cammelliere l'emiro Abdullah di Giordania [...] e da nemico se lo fece amico, o almeno neutrale. Non sono mai riuscito ad appurare se [[David Ben Gurion|Ben Gurion]] ebbe una parte, e quale, in questo «giallo» fra il diplomatico e lo spionistico. Ma molte cose m'inducono a credere che a programmarlo fu proprio lei, Golda, anch'essa ben decisa a innalzare, fra arabi ed ebrei, una cortina di ferro, ma con qualche porta che consentisse all'occorrenza il dialogo. [...] I due furono amici e compari per decenni. [...] Probabilmente anche al tempo in cui facevano coppia nel partito e nel governo si parlavano tra loro in quel linguaggio da fureria. Quanto a imperiosità e autoritarismo, si valevano. [...] Con la sua voce arrugginita dalle sigarette [...] diceva piattamente e banalmente delle cose piatte e banali, solo ravvivate da qualche squarcio d'un umorismo massiccio come una scarpa di soldato; ma senza mai togliere di dosso all'interlocutore il suo vigile sguardo cilestrino alla fiamma ossidrica. E da quella specie di sporta per la spesa che, adibita a borsa, essa tiene al braccio anche nei ricevimenti ufficiali, ci si aspettava sempre di veder saltar fuori, oltre a qualche mazzo d'agli e di cipolle, una pistola o una fiala di veleno. *Non c'è dubbio che sapeva odiare e che anche quando amava lo faceva da mantide, soffocando e stritolando. Ma Israele non troverà mai più una madre come lei, che sapeva anche fargli da padre. Nella sua tenacia, nel suo coraggio, nella sua volontà d'acciaio, essa riassumeva la storia di questo piccolo grande Paese. Lo ha dimostrato col suo ritiro. Quando si è trattato di pagare, essa si è offerta in sacrificio pur sapendo che per lei la rinunzia al potere è la rinunzia alla vita. «''Sono giunta al termine della mia strada''», ha detto. Ma che strada! Nessuno ne ha mai percorsa una più ripida e accidentata, più paurosamente librata tra abissi e strapiombi. Sono sicuro che Golda non si volterà indietro a guardarla, e non ce ne dirà nulla. Come tutti i grandi costruttori, essa sa soltanto costruire. Il resto, per lei, è silenzio. ===''la Voce''=== <!--ordine cronologico--> *Uscendo dal ''Giornale'', io feci a me stesso, ma pubblicamente, un giuramento: «Mai più un padrone». Qui padroni non ce ne sono. La proprietà è ripartita fra alcune centinaia di azionisti, di cui nessuno può, per statuto detenere più del 4 per cento. Fra di essi, e per primi, ci siamo stati tutti noi: redattori, impiegati, fattorini, autisti. [...] Per questa sua pulviscolarità, il nostro azionariato è stato definito, nei quartieri alti della Finanza, «straccione». La qualifica non ci dispiace: coi tempi che corrono, meglio stare tra gli stracci che tra le tangenti. (22 marzo 1994) *Di insurrezione generale non c'era bisogno, il 25 aprile, perché il Terzo Reich non esisteva più. Se l'insurrezione generale fosse avvenuta avrebbe dovuto avere come primo obiettivo, a Milano, il quartier generale delle SS all'Hotel Regina. Le SS furono invece lasciate del tutto tranquille, mentre si provvedeva a trascinare in piazzale Loreto, per la fucilazione Achille Starace [...]. Non sono contro la Resistenza, anzi: sono contro la retorica, inguaribile vizio italiano. Proprio questa retorica ha fatto sì che un sindaco democristiano di Roma, in un manifesto dedicato anni or sono alla liberazione della città non accennasse nemmeno con una parola agli Alleati. Ed ha fatto sì che in quest'ultimo 25 aprile si sia parlato ai giovani che affollavano piazza del Duomo a Milano o che stavano davanti ai televisori, ingannandoli – ossia raccontando loro che i tedeschi erano stati sconfitti dai partigiani, e che da questi l'Italia era stata liberata. Se questa è la «memoria storica» evocata da tanti commentatori, stiamo freschi. (28 aprile 1994) *Intorno a Berlusconi vedo agitarsi una falange di Starace, convinti non meno di Achille che il padrone (e con lui, si capisce, la carriera) si serve sbattendo i talloni e gridando: «Forza, Italia!». Di tutto questo, intendiamoci, Berlusconi non può essere tenuto responsabile. Gli Starace – a differenza di Mussolini che si scelse il suo vedendolo com'era – gli sono germinati e gli pullulano intorno d'irresistibile forza propria cercando di sopraffarsi in una gara di servilismo, che trova soprattutto nel video la propria arena. E per ora la gente pensa: «Povero Cavaliere, da chi è circondato». Ma prima o poi – forse più prima che poi – comincerà a dire anche di lui: «Vedi un po' di chi si circonda». (18 giugno 1994) *Dobbiamo prepararci a presentare le nostre scuse a [[Emilio Fede]]. L'abbiamo sempre dipinto come un leccapiedi, anzi come l'archetipo di questa giullaresca fauna, con l'aggravante del gaudio. Spesso i [[leccapiedi]], dopo aver leccato, e quando il padrone non li vede, fanno la faccia schifata e diventano malmostosi. Fede no. Assolta la bisogna, ne sorride e se ne estasia, da oco giulivo. Ma temo che di qui a un po' dovremo ricrederci sul suo conto, rimpiangere i suoi interventi e additarli a modello di obiettività. (26 novembre 1994) *Il presidente della Repubblica non può contrattare. Ma deve trovare qualcuno che abbia l'autorità morale di farlo. Un ''kamikaze''. E di ''kamikaze'' ne vediamo uno solo che, non avendo veste politica, né alcuna ambizione di indossarla, può anche affrontare una simile responsabilità: [[Antonio Di Pietro|Di Pietro]]. Ma temiamo che l'idea sia soltanto nostra. [...] Una delle pochissime cose che nella presente situazione ci confortano è di vedere in Quirinale un difensore delle Regole come [[Oscar Luigi Scalfaro|lui]]. Vorremmo solo sommessamente avvertirlo che l'Italia che noi conosciamo somiglia poco all'immagine angelica ch'egli ce ne ha fornito la sera di Capodanno, e che anche quando vi avremo messo a posto tutte le Regole, ne mancherà sempre una: quella che dall'interno della sua coscienza fa obbligo ad ogni cittadino di regolarsi secondo le regole. (3 gennaio 1995) *Noi volevamo fare, da uomini di [[Destra]], il quotidiano di una Destra veramente liberale, ancorata ai suoi storici valori: lo spirito di servizio (quello vero, taciuto e praticato), il senso dello Stato, il rigoroso codice di comportamento che furono appannaggio dei suoi rari campioni da Giolitti a Einaudi a De Gasperi. Insomma, l'organo di una Destra che oggi si sente oltraggiata dall'abuso che ne fanno gli attuali contraffattori. Questa Destra fedele a se stessa in Italia c'è. Ma è un'élite troppo esigua per nutrire un quotidiano. (12 aprile 1995) {{Int|''Il realista inviso agli snob''|Articolo su ''la Voce'', 24 aprile 1994.|h=4}} *Fino ad una decina di anni orsono, la maggioranza degli americani erano convinti che, se [[Richard Nixon|Nixon]] fosse rimasto nella Storia del loro Paese – cosa che al loro orecchio suonava come un obbrobrio – vi sarebbe rimasto solo per il [[Scandalo Watergate|Watergate]], cioè appunto per l'obbrobrio. Negli ultimi tempi tutto si è rovesciato: l'obbrobrio non è stato più il Watergate, ma la campagna scandalistica che lo aveva provocato. Gli stessi protagonisti che l'avevano montata – [[Bob Woodward]] e [[Carl Bernstein]] del ''Washington Post'' – ne riconobbero le forzature e fecero atto di contrizione. Non avevano inventato nulla, ma avevano deformato tutto. [...] La sorte è stata, tutto sommato, clemente con Nixon dandogli il tempo di vedere questo capovolgimento. *Ultimamente era ricevuto, ed anzi continuamente sollecitato alla Casa Bianca, dove lo si accoglieva come lo ''Elder Statesman'', lo statista anziano da consultare come un vecchio saggio sui problemi difficili. Fu a lui che [[George H. W. Bush|Bush]] si rivolse per riallacciare un dialogo con Pechino dopo la rottura seguita al fattaccio di Tienanmen. E lui a Pechino lo riallacciò: i cinesi non avevano dimenticato che quel dialogo erano stati Nixon e [[Henry Kissinger|Kissinger]] ad aprirlo, quando l'America aveva deciso di chiudere l'avventura del Vietnam in cui [[John Fitzgerald Kennedy|Kennedy]] e [[Lyndon B. Johnson|Johnson]] l'avevano malaccortamente cacciata. Ma anche [[Bill Clinton|Clinton]] è ricorso alla sua esperienza per capire cosa succedeva in Russia e trarne qualche insegnamento. Nixon andò a Mosca, e ne tornò con cattivi presagi sulla sorte di [[Boris Nikolaevič El'cin|Eltsin]] che i successivi avvenimenti hanno confermato. *Non era un uomo «simpatico», e soprattutto non aveva nulla che potesse sedurre l'America dei salotti e della ''intellighenzia'', che gli uomini politici li misurano a modo loro, mai quello giusto. Scambiarono per un grande intellettuale Kennedy, che in vita sua aveva visto migliaia di film, ma mai letto un libro. E prendevano Nixon, che di libri ne ha letti ed ha continuato a leggerne (ed a scriverne, niente male), fino all'ultimo giorno per una specie di Bossi californiano, rozzo e triviale. [...] Ma forse quello che più infastidiva gli americani era la renitenza di Nixon ad appelli e richiami tanto più sonori quanto più vacui, come «la nuova frontiera» e simili. Nixon era un professionista della politica, uno dei pochissimi che l'America abbia mandato alla Casa Bianca. Non andava per sogni e per versetti del Vangelo. Conosceva il suo [[Otto von Bismarck|Bismarck]], il suo [[Benjamin Disraeli|Disraeli]], e credo anche il suo [[Niccolò Machiavelli|Machiavelli]] che in America basta nominarli per finire scomunicati. Per questo lo consideravano un mestierante, e per questo si era scelto come consigliere un altro mestierante, l'ebreo tedesco Kissinger. Furono questi due uomini che ridiedero all'America la ''leadership'' nella politica estera coinvolgendo nel gioco la Cina e scavandone il solco da Mosca. I successori di Nixon, e specialmente [[Ronald Reagan|Reagan]], vissero in gran parte di questa eredità. ===''Oggi''=== <!--ordine cronologico--> *Mi confermo in due mie vecchie opinioni. Il guaio del socialismo è il socialismo, cioè sta proprio nel suo sistema statalistico. Il guaio del capitalismo sono i capitalisti che, quasi sempre bravissimi all'interno della loro azienda, fuori di lì sono spesso degli ottusi e noiosi imbecilli, e talvolta anche peggio.<ref>Citato in ''Dizionario delle citazioni'', a cura di Italo Sordi, BUR, 1992. ISBN 88-17-14603-X</ref> (n. 22, 1983) *{{NDR|Sull'offerta di [[Massimo D'Alema]] a concedere, come «atto dovuto», i funerali di Stato a [[Bettino Craxi]]}} "Atto dovuto"? Ma dovuto a chi? Anche a un latitante: quale, dal punto di vista legale, era Craxi? Concedere i funerali di Stato a un latitante significa sconfessare la Giustizia che lo ha condannato. [...] Ma può lo Stato sconfessare la propria Giustizia senza sconfessare se stesso? Mi sembra di vivere in un Paese che di senso dello Stato ne ha meno di una tribù del Ghana.<ref>Citato in ''La morte incute rispetto, ma su Craxi non cambio idea''-</ref> (2 febbraio 2000) *La [[democrazia]] è sempre, per sua natura e costituzione, il trionfo della mediocrità. (11 ottobre 2000) ==''Dante e il suo secolo''== ===[[Incipit]]=== Uno dei tanti meriti che si suole attribuire a [[Dante Alighieri|Dante]] è quello di essere stato il primo italiano ad avere una «coscienza nazionale». Noi non vorremmo cominciare questo libro con una detrazione, ma non ci sembra che a dimostrare questa coscienza basti l'allusione che Dante fa a una entità geografica italiana, di cui egli fissava i punti terminali al Brennero e al Carnaro. E non vediamo del resto cosa aggiunga alla sua grandezza questa specie d'irredentismo avanti lettera. Se per qualcuno Dante spasimò fu, caso mai, per un Imperatore tedesco. ===Citazioni=== *[[Roma]] era stata la capitale di un impero cosmopolita, non di una Nazione. (Parte prima. Capitolo primo, p. 12) *Non è necessario essere degli adepti del "materialismo storico" per attribuire il risveglio delle inquietudini intellettuali, fra il Millecento e il Milleduecento, al progresso economico e al generale miglioramento delle condizioni i di vita. È a stomaco pieno che si comincia a pensare a qualcosa che non sia soltanto lo stomaco. (Parte prima. Capitolo terzo, p. 131) *Il [[pudore]] femminile non è mai stato altro che un incentivo alla civetteria. (Parte seconda, Capitolo quarto, p. 174) *Da consumato giurista qual era, {{NDR|[[papa Bonifacio VIII]]}} prese a rimaneggiare tutti i precedenti storici, su cui poteva basare le sue pretese di dominio universale. E trovò un valido aiuto nel canonista [[Egidio Romano|Egidio Colonna]] il quale scrisse un trattato, ''De ecclesiastica potestate'', per avvalorare queste tesi. Egli sostenne che la Chiesa era padrona e proprietaria non soltanto delle anime, ma di tutto. Era solo per bontà e condiscendenza che metteva le cose a disposizione dei fedeli, ma conservando il diritto di ritorgliele quando voleva. Quindi anche i troni appartenevano ad essa, che li lasciava ai Re solo in momentaneo appalto. Questa teoria tanto piacque a Bonifacio, che ne ricompensò l'autore con la nomina ad arcivescovo di Bourges. (Parte seconda, Capitolo nono, p. 312) *Peccato che un simile uomo {{NDR|papa Bonifacio VIII}} avesse così clamorosamente sbagliato generazione e carriera. Fosse nato cinquant'anni dopo sarebbe stato un magnifico Principe del [[Rinascimento]]: avido, crudele e gagliardo. (Parte seconda, Capitolo undicesimo, p. 372) *Dante qui {{NDR|nel ''De vulgari eloquentia''}} ha visto ciò che molti filòlogi ancora oggi non vedono. Egli difende il "volgare", cioè la lingua viva, quella parlata dal popolo, fatalmente destinata a soppiantare il latino. Ma ne vorrebbe una illustre e aulica, al di sopra di quelle "municipali", cioè dei dialetti, contro i quali si scaglia con furore. In Italia ne classifica quattordici e li detesta tutti, compreso il toscano che chiama "turpiloquio". Ma il più orrendo gli sembra il romano, "e non deve fare meraviglia dacché i romani, anche per deformità di costumi e abiti, appaiono i più fetidi di tutti". Chissà cosa direbbe, povero Dante, se tornasse fra noi e andasse al cinematografo. (Parte seconda, Capitolo quindicesimo, p. 483) ==''Gli incontri''== *[[Giovanni Porzio|Porzio]] non è alto di statura, ma diritto come un fuso nonostante i settantaquattro anni suonati e porta, sui pantaloni a righe stretti e lunghi come quelli degli antichi ufficiali in grande uniforme, una giacca nera che l'alta bottonatura fa simile a una ''redingote''. Il volto è bello, di colore olivastro, e aristocratico nella modellatura del naso e nel taglio breve dei baffi e della barbetta ancora pepe e sale. (Porzio, p. 91) *Non avevo mai visto da vicino [[Cécile Sorel]], quando essa mi apparve, per la prima volta, di lontano, sul palcoscenico allestito nella corte d'onore degli Invalides per le feste celebrative del bimillenario di Parigi. [...] Drappeggiata in una sontuosa cappa di [[Elsa Schiaparelli|Schiaparelli]] a strascico di ''lamé'' d'argento e porpora, dritta su un podio sotto la statua di [[Napoleone Bonaparte|Bonaparte]], accolse a braccia spalancate lo scrosciante omaggio, sincopato dalle salve di artiglieria, dei cinquemila spettatori ammassati nell'immenso cortile. Sorrise. Sfiorò con uno sguardo altero le teste della folla, lo alzò verso l'imperatore, ma senza implorazione né umiltà, da pari a pari. Poi, in un silenzio di tomba, prese a modulare l'ode di Bruyez: "''Vous qui êtes morts pieusement pour la patrie...''". Ed era una voce incredibilmente limpida e squillante, senza traccia di ruggine. (Cècile, pp. 226-227) *[[Saul Steinberg|Steinberg]] ha la faccia dei suoi pupazzi: una faccia malinconica, lunga e triangolare, di cavallo tirato su a paglia soltanto, senza biada, e condannato a trascinare un carretto su per un'erta interminabile, in cima alla quale non si sa cosa ci aspetta, ma certo un'altra condanna, forse più pesante del carretto. Anche i baffi ha, come i suoi pupazzi: a doppia virgola orizzontale, sebbene meno lunghi e senza le intenzioni esibizionistiche di quelli di Dalì; e anche le lenti a stanghetta traverso cui ti fissano intensamente, di sotto in su, due occhi azzurri e mortificati, di uomo che non si è reso conto di essere Saul Steinberg; o essendosene reso conto, non ci prova alcun piacere. (Steinberg, p. 289) *[[Harukichi Shimoi]] è uno di quei giapponesi che gli altri giapponesi considerano di statura piccola. Tanto piccola che [[Gabriele D'Annunzio|D'Annunzio]], per abbracciarlo, dovette curvarsi (lui!) e, dopo essergli andato incontro gridando, con le braccia alzate: "Fratello!... Fratello mio!..." lo guardò, ci ripensò e aggiunse: "Sebbene non di sangue...". (Shimoi, p. 389) *Quanti anni avrà, ora, Harukichi Shimoi? Forse cinquanta, forse centocinquanta. Come per [[Guelfo Civinini]], suo amico, anche per lui il problema dell'età non si pone. Quale che essa sia, egli la porta esattamente come deve averla portata mezzo secolo fa. Il suo corpo è stortignaccolo, ma diritto, e i suoi capelli son nerissimi. Ma il tratto che più lo caratterizza sono le sopracciglia, che madre natura gli ha piantato a mezza strada, come due ciuffi di foltissimo bosco, tra gli occhi e la chioma, in modo che, per quanto vasti i suoi occhiali, esse li sormontano e risucchiano come se fossero due monocoli. (Shimoi, pp. 389-390) *Il più favoloso e colorito personaggio del [[Brasile]] è [[Assis Chateaubriand]], proprietario di ventun giornali, diciotto stazioni radiotrasmittenti, di una flotta aerea, di alcune ''fazendas'' vaste come l'intera Sicilia, di un museo che vale venti milioni di dollari, di una Compagnia nazionale per la puericoltura, e di un'ambizione pari soltanto al suo coraggio, alla sua insolenza e alla sua spavalderia. (Chateaubriand, p. 495) *Assis {{NDR|Chateaubriand}} ha un debole per i tedeschi e per gli italiani. Come faccia a conciliare questi due amori, non si sa; ma le sue pene, durante la guerra, furono grandi, anche se irreprensibile fu la sua condotta<ref>Dal 1942, nel corso della seconda guerra mondiale, il Brasile fu in stato di guerra con Germania e Italia.</ref>. Quando però il governo comminò l'arresto a chiunque parlasse italiano, scese in lotta con i suoi giornali contro l'assurda disposizione. Scrisse che quello non era patriottismo, ma un nazionalismo di bassa lega, degno soltanto di una colonia, e che lui si vergognava d'esser brasiliano. Fece un tale baccano, che alla fine dovettero revocare il provvedimento e quello del sequestro dei beni dei nostri compatrioti. (Chateaubriand, p. 502) *Quando nacque sessantadue anni orsono, ne aveva già a dir poco settecento. Perché [[Ottone Rosai|Rosai]] veniva dritto dritto dal Medioevo, dopo aver saltato a piè pari Rinascimento ed età moderna, e nei momenti di sincerità confessava che Giotto gli pareva un "deviazionista" rispetto a Cimabue, il quale gli andava molto più a sangue. (Rosai, p. 544) *Dopo essere stato fascista della prima ora, nella seconda col fascismo {{NDR|Ottone Rosai}} s'era trovato male, e si capiva benissimo che era sempre per via delle mani. Tornato dalla guerra, lo squadrismo gli aveva consentito di menarle, come a lui piaceva, e ci aveva dato dentro senza risparmio. Forse l'unico momento felice della vita di Rosai fu quello: quando a gambe larghe di traverso alla strada aspettava, col giornale aperto davanti agli occhi in un gesto di sfida ribalda, il corteo rosso in arrivo da San Frediano, che alla vista di quelle manacce aggrappate ai bordi del foglio e pesanti come macigni, esitava. (Rosai, p. 547) *[[Paolo Monelli|Monelli]], se seguisse le proprie inclinazioni, andrebbe a letto coi polli. Ma cosa direbbe la gente, se non lo vedesse più vagabondare nei vari ritrovi frequentati dai nottambuli della città? Direbbe senza dubbio: "Comincia a invecchiare". E a questa idea Monelli balza dalla sua poltrona e si attacca al telefono per mobilitare qualche amica che lo accompagni nei suoi vagabondaggi. Giovani colleghe come Livia Serini, attrici giovanissime come Lea Massari sono state ridotte sull'orlo dell'esaurimento nervoso da queste prolungate ronde notturne senz'altro costrutto che quello di ribadire agli occhi di tutti l'intramontabilità di Monelli. Egli non le porta a spasso. Le porta all'occhiello, come gardenie. (Monelli al girarrosto, p. 592) *{{NDR|Paolo Monelli}} Fuma la pipa come Churchill il sigaro, cioè soltanto quando lo guardano. (Monelli al girarrosto, p. 593) ==''I conti con me stesso''== ===[[Incipit]]=== Una telefonata da Milano m'informa che Longanesi è morto. È stato colpito dall'infarto davanti al suo tavolo di lavoro, su cui era spiegata una mia lettera di dieci giorni fa, che cominciava così: «Caro Leo, stanotte ho sognato ch'eri morto...». (27 settembre 1957) ===Citazioni=== *Tutta la mia vita è stata contesa fra la noia di vivere insieme e la paura di vivere [[Solitudine|solo]]. (4 ottobre 1957) *Di nuovo il Polesine. Pare impossibile: durante le inondazioni, la prima cosa che viene a mancare è l'acqua. (dicembre 1957) *[[Colette Rosselli|Colette]]. Invecchia gentilmente, senza catastrofi. Ha su tutte le altre donne un vantaggio incolmabile: quello di essere stata il mio ultimo e più grande amore. Così grande che possiamo camparci di rendita, comodamente, tutti e due per il resto dei nostri giorni. (gennaio 1958) *Il destino di [[Riccardo Bacchelli|Bacchelli]] sarà l'opposto di quello del maiale: di lui, dopo morto, ci sarà da buttar via tutto. (gennaio 1958) *[[Olga Villi]]. Non è punto grata alla sua bellezza che le ha consentito di diventare principessa di Trabia. Punta solo sul talento che non ha. Ma è talmente priva di ''sense of humour'' che forse diventerà una buona attrice. (gennaio 1958) *[[Gaston Palewski|Palewski]]. L'ambasciata a Roma è per lui soltanto uno dei più importanti capitoli del libro di memorie che scriverà. (gennaio 1958) *Non è che [[Luigi Barzini (1908-1984)|Barzini]] abbia un'altissima opinione di sé. Ne ha una bassissima degli altri. (gennaio 1958) *Piccolo incidente d'auto. La nostra, per evitare un ciclista, picchia contro un muro e resta piuttosto acciaccata. [[Colette Rosselli|Colette]], che la guida, dice: «Meglio così. Dovevo farla revisionare, e non mi decidevo mai...». (gennaio 1958) *[[Razzismo]]: pensarci sempre, parlarne mai. [[Risorgimento]]: parlarne sempre, pensarci mai. (gennaio 1958) *[[Fascismo]]. Il più comico tentativo per instaurare la serietà. (gennaio 1958) *Il guaio più grosso della Repubblica è che, mentre il Re poteva essere di sangue straniero e di solito lo era, il presidente bisogna sceglierlo fra gl'italiani. (gennaio 1958) *Bacchelli lavora infaticabilmente, da sessant'anni, alla costruzione di un piedestallo su cui, alla sua morte, non sapremo cosa posare. (gennaio 1958) *A pranzo da [[Vittorio Cini]] con una ventina di altri invitati. A colazione ne aveva avuti altrettanti. E così ieri. E così avantieri. E così sempre. A ottantadue anni suonati, è fresco, roseo, insaziabilmente voglioso di intrattenere e di essere intrattenuto. A conclusione della serata, mi sfida a una gara di canto. Scegliamo come banco di prova ''Vecchia zimarra'', e stoniamo maledettamente entrambi, ma io meno di lui. I presenti mi assegnano la vittoria. Di colpo, Vittorio perde il suo buon umore. È talmente abituato a vincere, che non accetta di perdere nemmeno nel canto. (7 settembre 1966) *{{NDR|Su [[Nicola Bombacci]]}} Io l'ho conosciuto soltanto cadavere, quando penzolava accanto a quello di Mussolini, in piazza Loreto, e una folla messicana lo bersagliava bestialmente di sputi. Anni dopo, volli tentarne la riabilitazione ritracciandone la patetica vicenda, ma non riuscii a trovarne gli elementi biografici. Compaesano e compagno di scuola di Mussolini, maestro elementare e autodidatta come lui, ne era stato il grande amico quando entrambi militavano nel socialismo. Eppoi il suo nemico giurato, la bestia nera degli squadristi. Esule con la famiglia prima in Francia, poi (credo) in Russia, rimpatria col permesso del Duce, si affida alla sua generosità, per ricambiarla gli resta al fianco anche a Salò, e lo accompagna fin nell'ultimo viaggio verso la morte. (23 ottobre 1966) *Colloquio segreto con l'ex comunista [[Giulio Seniga|Seniga]] per una storia del [[PCI|Pci]] che devo scrivere con [[Roberto Gervaso|Gervaso]] per la «Domenica». Ė un uomo piuttosto affascinante, dallo sguardo chiaro, freddo e innocente: lo sguardo del fanatico. Mi ha detto che sua moglie, cresciuta in Russia dove suo padre era fuoruscito, e autrice di un interessante libro – ''I figli del partito'' –, nel partito è rimasta, non ha trovato il coraggio di uscirne, sebbene approvi e condivida la secessione del marito, con cui è sentimentalmente unitissima. Non riesco a capire questa gente. Cioè capisco soltanto che è diversa da noi non sul piano ideologico, ma su quello umano. (25 novembre 1966) *È morto [[Uguccione Ranieri di Sorbello]]. Era venuto a Roma da sua suocera. Stava benissimo. Era anzi particolarmente sereno e contento perché aveva finito un suo lavoro di ricerca storica cui attendeva da anni. A fine pranzo ha detto: «Non mi sento bene». Si è alzato, ed è crollato a terra. Stecchito. (29 maggio 1969) *{{NDR|Su Uguccione Ranieri di Sorbello}} Era un gran signore e un gran galantuomo che ha trascorso la sua vita in crociate nelle quali non aveva nulla da guadagnare. L'ultima è stata la campagna propagandista negli Usa per convincere gli americani a dare il nome [[Giovanni da Verrazzano|Da Verrazzano]] al grande ponte sull'Hudson. Nel suo perfetto inglese (lo scriveva meglio dell'italiano) inondò l'America di articoli e conferenze (parlava benissimo, con molto humor e senza enfasi oratorie) cercando i familiarizzare gli ascoltatori col nome Da Verrazzano, la cui pronuncia rappresentava per essi la difficoltà più grossa all'adozione di quel nome. Questa smania missionaria credo che l'avesse ereditata da sua madre americana. E per seguirla aveva trascurato le sue proprietà terriere. Le sue campagne erano in uno stato pietoso, la sua bella villa sul Trasimeno mezza disunta. (29 maggio 1969) *{{NDR|Su Uguccione Ranieri di Sorbello}} Era un buon scrittore, un infaticabile sommozzatore di articoli, un ricercatore attento e scrupoloso di curiosità storiche, un umanista moderno che aveva allargato i suoi orizzonti a tutta la cultura contemporanea, specie anglo-sassone: un uomo insomma che ha realizzato un centesimo di quello che poteva per via di quel suo dispersivo correre dietro a un'infinità di altri interessi. Era stato anche un autentico combattente della [[Resistenza italiana|Resistenza]]: per ben sedici volte si era fatto paracadutare dagli Alleati dietro le linee tedesche: impresa che chiunque altro si sarebbe fatto ripagare con altrettante medaglie. Lui non aveva ricevuto nemmeno una citazione, e di questi episodi non ha mai parlato. (29 maggio 1969) *Anche [[Irene Brin]] se n'è andata. Mi avevano detto che era malata di un cancro; ma era una notizia vaga e incerta, ch'essa aveva fatto di tutto per smentire. Fino in fondo ha lavorato e ha partecipato ai riti della mondanità: sfilate di moda, ricevimenti, eccetera. (1 giugno 1969) *{{NDR|Su Irene Brin}} Quando [[Giovanni Ansaldo|Ansaldo]] la scovò e cominciò a farla scrivere sul «Lavoro» di Genova, sua città natale, era soltanto Mariù Rossi: una ragazza timida e incerta, molto provinciale, figlia di un Generale e di un'ebrea austriaca. L'unica fama di cui godeva era quella, equivoca e velata sotto un nome d'accatto, che le aveva procurato [[Elio Vittorini|Vittorini]] prendendola a protagonista, con sua sorella, di un racconto: ''Le figlie del Generale'' in cui entrambe erano presentate come lesbiche. Se lo fossero veramente, non so. Il sesso è uno dei tanti capitoli misteriosi di questa donna. (1 giugno 1969) *In mano a [[Leo Longanesi|Longanesi]], che le aveva regalato anche lo pseudonimo d'Irene Brin, aveva rivelato autentiche qualità di scrittrice. I profili che pubblicò su «Omnibus» erano deliziosi. Fosse rimasta fra biografia e memorialismo, poteva diventare qualcosa di mezzo fra [[Henri de Saint-Simon|Saint-Simon]] e [[Lytton Strachey|Strachey]] con un tocco alla [[Madame de Sévigné|Sévigné]]. Altro che la [[Maria Bellonci|Bellonci]]! Era un'osservatrice attenta (sebbene non ci vedesse da qui a lì) e penetrante, nutrita di vastissime letture: la sua prosa aveva ritmo, calore, l'aggettivazione precisa, l'ironia tagliente. Ma era un cavallo che aveva bisogno del fantino. Chiuso «Omnibus» e cessata la regia di Longanesi, Irene infilò la pista sbagliata – quella della cronista mondana –, e non è più uscita. (1 giugno 1969) *Finito di scrivere il capitolo sull'[[Giulio Alberoni|Alberoni]] per ''L'Italia del Settecento''. Ho riprodotto la pagina di [[Henri de Saint-Simon|Saint-Simon]], che lo descrive mentre assiste impavido alle evacuazioni corporali di Vendôme per guadagnarsene i favori, eppoi inginocchiandosi davanti a lui gli grida estasiato: «Oh, culo d'angelo!», e glielo bacia. Come inizio di "carriera" italiana, mi sembra esemplare. Poi mi torna a mente un'osservazione di [[Jules Renard|Renard]]: «Se in un periodo c'è la parola culo, il lettore non si ricorderà che di quella dimenticando tutto il resto, anche se è sublime». Renard ha ragione. Ma io, a un culo autenticato da Saint-Simon, non rinuncio. (3 luglio 1969) *Le Soroptimists hanno dato un pranzo a [[Colette Rosselli|Colette]], in qualità di "Donna Letizia". Colette ha accettato dopo molti rifiuti. Il suo fastidio per queste cose di donne, lo so, è sincero. Ma, una volta preso l'impegno, ha trascorso la giornata a preparare il suo discorsino col puntiglio che la distingue. Non è per nulla ambiziosa, non tiene affatto a reclamizzare il proprio talento, sottovaluta quello che mette nella sua rubrica di «Grazia» (ma se lo fa pagare profumatamente), rifiuta di fare una mostra dei suoi deliziosi quadri. Ma il suo suscettibilissimo amor proprio non le consente di rischiare una brutta figura nemmeno nelle cose che disprezza. Infatti anche stasera ne ha fatta una eccellente, leggendo con molto garbo le due paginette che aveva preparato con un sapiente dosaggio di humour autentico, e di pathos e di umiltà fasulli. Ha avuto gran successo. Per la prima volta mi son visto guardato come un personaggio-satellite, una specie di principe consorte. Cosa che a me non dispiace affatto, ma a lei moltissimo. In questo, è proprio femmina. (13 agosto 1969) *Mi riferiscono, di [[Giorgio Bocca|Bocca]], questo giudizio su di me: «Sempre il più bravo di tutti. Bravissimo. Troppo bravo. Ma mettendo lo stesso impegno a scrivere gli articoli su Venezia e quello sull'arbitro [[Concetto Lo Bello|Lo Bello]], dimostra che in realtà non è impegnato in nulla». È vero. Non sono impegnato in nulla. In nulla, meno che nel mio mestiere. Fiorentina-Bari 3-0. E Chiarugi capo-cannoniere! (16 novembre 1969) *Sciopero generale per il caro-case. Un pretesto da nulla. Ma è bastato per immergere Milano in un'atmosfera da 8 settembre. Strade vuote. Saracinesche abbassate. Enorme spiegamento di polizia. Mentre pranzo con [[Giovanni Spadolini|Spadolini]], [[Mario Cervi|Cervi]] e Zappulli, giunge notizia che in un tafferuglio al Lirico un agente è stato ucciso dai "cinesi". «Meno male che è toccata a un agente» diciamo in coro, eppoi non osiamo guardarci negli occhi. Anche noi apparteniamo a questa borghesia codarda che pretende appaltare alle forze dell'ordine il compito di farsi sputacchiare, pestare e ammazzare per tenerne al riparo se stessa. E non vuole nemmeno pagargli uno stipendio decente. (19 novembre 1969) *[[Alberto Moravia|Moravia]] ha fondato, insieme a [[Pier Paolo Pasolini|Pasolini]] e a [[Dacia Maraini]], un "comitato contro la repressione". È la riprova che la repressione non c'è. Se ci fosse, Moravia sarebbe coi repressori, come ha dimostrato avallando col suo silenzio la persecuzione di [[Aleksandr Isaevič Solženicyn|Solženicyn]] in Russia. (28 dicembre 1969) *Moravia si è ritirato dal comitato che lui stesso aveva fondato. Ma non per i silenzi di [[Giovanni Spadolini|Spadolini]]. Si è ritirato perché «l'Unità» ha disapprovato. Gl'italiani sono sempre pronti a fare la rivoluzione, purché i carabinieri siano d'accordo. E Moravia è sempre pronto a battersi per la libertà, purché sia d'accordo il piccì. (2 gennaio 1970) *Arrivati i rendiconti dei miei diritti d'autore: 28 milioni nell'ultimo semestre. Supero dunque i 50 milioni annui. Anche ammettendo che l'editore non ci faccia sopra punta cresta (il che mi sembra, a dir poco, improbabile), non c'è male. Credo di essere l'autore italiano che più guadagna, anche perché sono l'unico che questa cifra la guadagna ogni anno, e senz'aiuto di premi letterari. Non ne sono contento per il denaro, di cui non so che farmi e che serve solo a pagare i capricci di Colette (ne ha tanti!). Ne sono contento, anzi felice, per il mio status da autore stipendiato unicamente dal pubblico. C'è chi vive di partito. C'è chi vive di Eni. C'è chi vive di Agnelli, o di Perrone, o di Crespi. Io vivo di [[lettore|lettori]]. I lettori non m'impongono altra servitù che la sincerità: l'unica che non pesi. (3 marzo 1970) *Più che comunanza di vedute, fra [[Denis Mack Smith|Mack Smith]] e me c'è comunanza di nemici: quegl'insopportabili pedanti accademici che a Palermo lo hanno violentemente attaccato qualificandolo «il Montanelli di Oxford». Implicitamente egli accetta di far fronte con me contro di loro. Credo che facciamo entrambi un buon affare, e anche un affare buono: se riusciamo a squalificare agli occhi del pubblico la [[storiografia]] accademica (e coi nostri libri ci stiamo riuscendo), avremo reso un grosso servigio alla cultura italiana. (2 maggio 1970) *Sosta a Venezia, dopo il voto a Cortina. Visita d'obbligo a Vittorio Cini, e passeggiata con lui sulle Zattere. Vedendolo, un vecchietto sdrucito, ma dignitoso, si leva il cappello e gli tende la mano, evidentemente per mendicare. Vittorio gliel'afferra e gliela stringe con effusione dicendogli: «Caro!... Caro!... Caro!... Coma la va?» È in perfetta buona fede: la buona fede di un doge lontanissimo dalle afflizioni della miseria e perfino incapace di immaginare che ce ne siano. (8 giugno 1970) *Leggo in [[Giorgio Candeloro|Candeloro]]: «... Nel processo generale di sviluppo della Storia, il carattere dei personaggi, anche dei più grandi, ha un peso limitato...». Ah, sì? E cosa dunque se non il carattere di Alessandro, cioè la sua follia, può spiegare la conquista macedone fino all'India e la diaspora dell'ellenismo che ne deriva? L'Islam è concepibile senza il "carattere" di [[Maometto]]? E cosa divise la Riforma se non i diversi "caratteri" di [[Martin Lutero|Lutero]] e di Calvino? I nostri storici odiano i caratteri e i personaggi, perché questi richiedono immaginazione e intuito, cioè doti di scrittore, di cui essi sono disperatamente vedovi. Non sono storici. Sono soltanto degli archivisti, e molto spesso disonesti. (10 novembre 1970) *Milano è in fiamme per l'affare Feltrinelli, e [[Piero Ottone|Ottone]] mi chiede un articolo contro la [[Camilla Cederna|Cederna]], firmatario di un manifesto in cui, a due ore di distanza dal rinvenimento del cadavere e prima ancora che esso sia ufficialmente riconosciuto, proclama che Feltrinelli è rimasto vittima della «reazione internazionale». Se la Cederna avesse una testa, direi che l'ha persa. Ma perché Ottone vuole un articolo contro di lei, intima amica e direttrice di coscienza di [[Giulia Maria Crespi|Giulia Maria]], nonché regina del suo sinistrorso salotto? Comunque, a mettere una zeppa fra direttore e proprietaria, è doveroso collaborare. E faccio l'articolo in forma di "lettera a Camilla". (25 marzo 1972) *Pare che l'articolo abbia rimesso fuoco a Milano, creandovi una irreparabile frattura fra montanellisti e cedernisti. I primi sono più numerosi, ma i secondi più rumorosi. Ricevo pacchi di telegrammi di plauso e altrettanti d'insulti. Il giornale è sommerso di lettere, e io prego Ottone di pubblicare anche quelle di protesta. Ha scritto anche la Cederna annunziando una replica sull'«Espresso» (Ottone ha cancellato il titolo del settimanale, commettendo una meschineria). Quanto a Giulia Maria, mi dicono che schiuma di rabbia. Se è vero, devo riconoscere che il giornalismo qualche soddisfazione la dà. [[Umberto Eco]] mi attacca sul «manifesto» riproducendo una mia frase di ammirazione per Mussolini scritta quando avevo ventidue anni (in dieci anni di giornalismo sotto il defunto regime, non sono mai riusciti a trovare, di mio, altre prove di zelo fascista) e accusandomi di mancanza di cavalleria verso una donna. O bella! Come se una donna, quando si mette a far politica – e che politica! – come un uomo, potesse ancora accampare l'impunità! Anche la [[Maria Callas|Callas]] è una donna. Eppure, quando stona, la si fischia. (27 marzo 1972) *Ho scritto un fondo in difesa della Cederna, incriminata dal magistrato per aver diffuso notizie false e tendenziose. Che abbia commesso questo peccato, ho detto, è vero. Ma si tratta di peccato, non di reato. E a giudicarne dev'essere il lettore, non il tribunale. Verità lapalissiane. Dice che è sempre stata molto più impegnata e coraggiosa di me perché con le sue campagne in favore di Valpreda e di [[Giuseppe Pinelli|Pinelli]], tiene fronte alla polizia. Potrei incenerirla chiedendole dov'era e cosa faceva quando io ero in galera per aver tenuto fronte non alla polizia d'oggi, ma a quella fascista e nazista. Ma non ne vale la pena. (28 marzo 1972) *Più approfondisco questo tema delle regioni (sono a Milano per questo), e più mi sgomenta il doverne scrivere. Ci vuol poco a capire che questi regionalisti lombardi perseguono, consapevolmente o inconsapevolmente, un piano secessionista cisalpino. E, una volta che ne abbiano lo strumento, riusciranno a realizzarlo. Non per nulla Bassetti parla già non più di «regione lombarda», ma di «[[Padania|regione padana]]», di cui il resto d'Italia non sarebbe che un'appendice. Se ce la fanno (e ce la faranno), addio Risorgimento! Non era che una finzione, d'accordo, e in pratica ha fallito. Ma con che lo sostituiremo? (26 settembre 1972) *Volo a Lussemburgo sul solito bireattore di Berlusconi, che ci accompagna, felice di esibirsi e di esibire il suo status in una cerimonia internazionale. La medaglia d'oro (ma è proprio d'oro?) me la consegna Gaston Thorn, capo del governo lussemburghese. Berlusconi riempie il suo taccuino di indirizzi: quelli di tutte le personalità che ha incontrato. È il vero ''climber'' che approfitta di tutto e non butta via nulla. (23 maggio 1977) *Kappler è fuggito. Ha fatto bene. Ma ora chi ci salverà dai conculcati "valori della Resistenza"? (15 agosto 1977) *A colazione da [[Vittorio Cini|Cini]]. Ha avuto un brutto crollo, ma ha ancora risorse. Le tira fuori quando è in compagnia. Ma quando è solo, mi dice sua moglie, sprofonda in quei tetri silenzi che sono i colloqui di un uomo con la morte. (19 agosto 1977) *De Carolis m'informa che il vero autore della operazione «Corriere» è un certo [[Licio Gelli|Gelli]], misterioso personaggio massonico, di Arezzo (Fanfani), che vuole incontrarmi per un accordo fra i due giornali. (24 settembre 1977) *Secondo quanto mi era stato raccomandato, dovevo salire direttamente alla camera 219 dell'Excelsior. Ma alla camera 219 non c'era nessuno, e così dovetti chiedere al portiere del signor Gelli. Poi Gelli arrivò, mi condusse furtivamente nel suo appartamento e mi fece un lungo discorso pieno di allusioni, dal quale dovevo comprendere che lui è un pezzo grosso – forse il più grosso – della massoneria (Palazzo Giustiniani), che come tale era stato il vero padrino della operazione Rizzoli, e che in questa operazione potevamo rientrare anche noi. Mi ha detto che quattro ministri dell'attuale governo, otto sottosegretari e centoquaranta parlamentari dipendono da lui. Questi massoni sono tutti uguali: credono che la loro potenza sia direttamente proporzionale al mistero di cui si circondano e prendono per cose fatte quelle per le quali complottano. (4 ottobre 1977) *Da Fanfani, al Senato. È talmente infuriato che diventa perfino sincero. «Dica al suo amico che è un traditore!» «Perché non glielo dice lei?» Mi spiega che Forlani non mira alla segreteria del partito, come io credevo, ma alla presidenza del Consiglio, quando Andreotti sarà consumato. Mi dice anche che condivide l'idea di Donat-Cattin di lasciare il Quirinale a un laico. «Altrimenti fra noi democristiani ci sbraniamo e ci sbrachiamo nella corsa a chi concede di più ai comunisti.» È sincero anche stavolta, o lo dice perché, avendo perso ogni speranza per sé, vuole prepararsi un buon argomento per Maria Pia («Stavolta toccava ai laici»)? (29 ottobre 1977) *A cena da Gervaso con Cossiga. Non si lamenta dei nostri attacchi, ma sono io a dirgli: «Noi esprimiamo lo scontento, e talvolta la rabbia, della pubblica opinione. La gente vuole un ministro degl'Interni che agisca e che faccia agire la polizia». «Ma lei sa com'è ridotta la polizia?» «In qualunque modo sia ridotta, siete voi che l'avete ridotta così. E quindi sta a voi rimediare.» Mi dice che non c'è da farsi illusioni: la situazione si aggraverà. Il terrorismo è finanziato coi sequestri, ha solidi agganci internazionali, e segue una tattica ben studiata. «L'attentato a lei fu un errore. Se a essere colpite fossero le personalità di rilievo, la gente media, cioè la grande massa della popolazione, sarebbe tranquilla. Invece hanno deciso di colpire i gradi subalterni – consiglieri comunali della Dc, capireparto della Fiat eccetera – per togliere il sonno a tutti.» Forse è vero. (29 ottobre 1977) *Quattro revolverate in faccia a [[Carlo Casalegno|Casalegno]], che ora è grave. Alzano la mira. (16 novembre 1977) *«La Stampa» riporta tutti gli articoli di solidarietà per Casalegno apparsi sugli altri giornali. Ma omette il mio, ch'era forse il più caldo: la solidarietà nostra la imbarazza. (18 novembre 1977) *Casalegno è morto. Ho telegrafato alla vedova, ma non al figlio – iscritto a [[Lotta Continua|Lotta continua]] –, né a [[Arrigo Levi|Levi]] e ai colleghi della «Stampa». Purtroppo, la loro faziosità condiziona la nostra solidarietà. Al funerale andrà Biazzi. (29 novembre 1977) *Incontro risolutivo a Roma tra Ferrauto e quelli della Sipra. Affare fatto e a condizioni molto più favorevoli di quelle sperate. Sei miliardi e settecento milioni come minimo annuo garantito, per cinque anni. Firmeremo il compromesso martedì 16. (10 maggio 1978) *Vista in tv la cerimonia funebre per Moro in San Giovanni Laterano. Dentro la basilica, tutti i dignitari Dc e quelli Pci inginocchiati sotto la mano benedicente del papa. E, fuori, la piazza sventolante di bandiere bianche e rosse. Non ho potuto fare a meno di rilevarlo in un "Controcorrente". (13 maggio 1978) *Batosta comunista alle amministrative parziali di ieri (4.000.000 di elettori). La Dc sale dal 38 al 42 per cento, il Pci scende dal 35 al 26. Successo dei socialisti che guadagnano il 4 per cento. Un risultato sconvolgente (in positivo). Uniche delusioni: il guadagno – sia pur minimo – del Pri, e la mancata rianimazione del Pli. (15 maggio 1978) *Firmato oggi l'accordo con la Sipra. Minimo garantito: 6.800.000.000 all'anno per cinque anni. Il presidente, D'Amico, è un ex operaio della Fiat, ora deputato comunista: un uomo concreto, franco, di poche parole. Era più soddisfatto lui dell'accordo con noi, che il direttore generale, il democristiano Pasquarelli. Io ho fatto la mia parte, da buon attore. Arrivato all'ultimo momento, ho detto: «Per impedire ripensamenti ed equivoci, trasformiamo il compromesso in vero e proprio contratto, e firmiamo subito». Lo champagne era già pronto. (16 maggio 1978) ==''I protagonisti''== *Nel settembre di quell'anno {{NDR|1956}} il partito lo spedì {{NDR|[[Gian Carlo Pajetta]]}} a Mosca insieme a Pellegrini e a [[Celeste Negarville|Negarville]] per sentire direttamente da [[Nikita Sergeevič Chruščёv|Kruscev]] come ci si doveva comportare nella crisi, ormai aperta, dell'antistalinismo. Kruscev li accolse affabilmente, li invitò a cena. E qui, trascinato da bocconi e libagioni ad una espansiva euforia come spesso gli capita, a un certo punto disse: «Beh, ora vi voglio raccontare come strangolammo [[Lavrentij Pavlovič Berija|Beria]]». E descrisse l'agguato che gli avevano teso al Cremlino, come gli erano saltati addosso e come gli avevano serrato la gola con le mani fino alla soffocazione. Lo descrisse ridendo allegramente, forse senz'accorgersi del pallore che soffondeva il volto dei suoi ospiti, o per lo meno quelli di Pajetta e di Negarville.<br />L'indomani li convocò nuovamente e, come non ricordando affatto ciò che gli aveva raccontato la sera prima, disse loro in tono solenne: «Beh, ora vi farò sentire il processo di Beria registrato sul nastro». E glielo fece sentire davvero come lo avevano inventato ''post mortem'', con la voce del defunto falsificata.<br />Quando si ritrovarono fra loro, Negarville e Pajetta si guardarono con gli occhi pieni di lacrime. «Ma allora – dissero –. Ma allora...». E non aggiunsero altro. (pp. 66-67) *{{NDR|Su [[Anna Magnani]]}} Ci sarebbe da scrivere un trattato sul modo di usare Anna. La prima precauzione da prendere è quella di non farla ritrovare in mezzo a estranei. Timida com'è, pur dopo un'esistenza trascorsa sotto i ''flashes'', la gente la raggela e la chiude in un mutismo ostile o l'aizza ad atteggiamenti protervi. Delle poche persone che le ho presentato, l'unica che la sedusse immediatamente fu il mio collega [[Augusto Guerriero]], perché il discorso cadde sui cani e sui gatti: e questo è un argomento su cui il cuore di Anna si scioglie e la mente le si ottenebra. Si mise in testa che noi due, con un articolo, potevamo far riformare la legge sulla protezione degli animali. E invano cercammo di dimostrarle che il problema non era di leggi, ma di costume. Non sentì ragioni. Dovemmo prometterle l'articolo (che poi infatti scrivemmo). (pp. 177-178) *{{NDR|Su [[Ignazio Silone]]}} Leggendo i suoi primi romanzi, ''Fontamara'', ''Pane e vino'', ''Il seme sotto la neve'', e pur ammirandoli, ero caduto in abbaglio sull'autore. Lo avevo preso per uno di quegl'industriali dell'antifascismo che, riparati all'estero, avevano trovato nella universale avversione alla dittatura una comoda scorciatoia al successo dei libri di denunzia. Lo consideravo insomma un profittatore del regime a rovescio (come del resto ce ne sono stati). E una conferma mi era parso di vederla nel fatto che finito, col fascismo, l'antifascismo, parve finito anche il narratore Silone.<br />Poi vennero ''Una manciata di more'', ''Il segreto di Luca'', ''La volpe e le camelie''. Ma vennero soprattutto alcuni saggi politici che mi costrinsero a ricredermi. Ed era proprio questo che non riuscivo a perdonargli. Mi era antipatico non per i suoi, ma per i miei errori. Più lo conoscevo attraverso i suoi scritti, e più dovevo constatare che non solo egli non somiglia affatto al personaggio che m'ero immaginato, ma che anzi ne rappresenta la flagrante contraddizione. (pp. 180-181) *{{NDR|Su ''[[Ignazio Silone#Uscita di sicurezza|Uscita di sicurezza]]''}} Come documento umano, non ne conosco di più alti, nobili e appassionati. Fenomeno unico, o quasi unico, fra gli sconsacrati del comunismo che di solito non superano mai più il trauma e trascorrono il resto della loro vita a ritorcere l'anatema, Silone non recrimina. Egli rifiuta i grintosi e uggiosi atteggiamenti del moralista, o meglio ne è incapace. Domenicano con se stesso, è francescano con gli altri, e quindi restio a coinvolgerli nella propria autocritica. Cerca di metterne al riparo persino [[Palmiro Togliatti|Togliatti]]; e se non ci riesce che in parte, non è certo colpa sua. Qui non c'è che un accusato: Silone. E non c'è che un giudice: la sua coscienza. (pp. 186-187) *Noi crediamo di scoprire dei modelli. In realtà non scopriamo che degli antenati. [[Carlo Cassola|Cassola]] s'illude di aver imparato da [[James Joyce|Joyce]] quello che già sapeva. Joyce gli avrà fornito, al massimo, qualche mezzo tecnico per esprimerlo. Uno [[scrittore]] vero (e Cassola lo è) non cerca in un altro scrittore che se stesso. (p. 207) *{{NDR|Su [[Enrico Mattei]]}} Egli amava solo il [[potere]], e l'amore del potere esclude tutti gli altri. (p. 265) *{{NDR|Su [[Giulio Andreotti]]}} Andava anche, mi dicono, a messa insieme a lui {{NDR|[[Alcide De Gasperi|De Gasperi]]}}, e tutti credevano che facessero la stessa cosa. Ma non era così. In chiesa, De Gasperi parlava con Dio; Andreotti col prete. Era una divisione di compiti perfetta. (pp. 271-272) ==''Indro al Giro''== ===[[Incipit]]=== Il destino è stampato sulla carta d'identità e scritto nelle stelle. Indro Montanelli nasce il 22 aprile 1909, il primo Giro d'Italia prende il via il 13 maggio 1909. Stesso anno, stesso segno zodiacale: Toro. Potevano, queste due creature quasi gemelle, non percorrere un tratto di strada insieme? Potevano ignorarsi? ===Citazioni=== *Come i bersaglieri quando smettono di correre, così i ciclisti, quando cessano di pedalare ingrassano. *Il [[Giro d'Italia]] parla milanese, anche se poi, a vincerlo, è qualche toscano o qualche romagnolo. *I corridori sono come [[Anteo]]: il contatto con la loro terra gli dà forza. *Ma sapete voi con precisione che cosa sia una fuga, lo sapete? Non lo sapevo nemmeno io prima di vederla. Credevo che fosse l'uomo che, a un certo punto, si mette a pedalare più forte degli altri e li semina per via. Errattissima nozione. La fuga è invece un grande urlo e un gesto disperato che mettono d'improvviso in confusione tutta la carovana del Giro. *Quello della bicicletta è un mondo buono: e credo sinceramente che venga da questa bontà il fascino ch'esso esercita sulle folle. *Lasciatelo com'è questo Giro provinciale e festoso: lo sport di un popolo che, nella corsa verso il progresso meccanico, è rimasto alla bicicletta, tappa intermedia fra il cavallo e l'automobile, ritrovato artigiano e arnese di famiglia. *Se Parigi avesse il mare sarebbe una piccola Bari, ma non saprebbe accogliere i forestieri con tanto calore e sportiva cordialità. *Leoni, che oltre a tutto è un bellissimo ragazzo, ha una fidanzata la quale gli scrive raccomandandogli di non vincere, altrimenti troppe ragazze lo abbracciano porgendogli i fiori. Leoni è innamoratissimo della sua fidanzata ma non è certo per obbedire a lei che non vince. È solo per obbedire a [[Fausto Coppi|Coppi]] e restargli a fianco. *Gli assi possono permettersi di arrivare ultimi. E lo fanno senza risparmio. Possono permettersi di disprezzare i loro adoratori e lo fanno senza ritegno. L'adorazione rimane. *I corridori di bicicletta sono gente semplice, che non è mai stata in collegio. [...] Nessuno ha insegnato loro i dettami dello stile e della cavalleria. Li posseggono per natura. Difficilmente essi cercano di sminuire la vittoria dell'avversario e non gliene serbano rancore. Sono capaci di delicatezze che non credo esistano negli altri sport. *I corridori non si dovrebbero sposare; e, quando lo fanno, dovrebbero scegliere delle donne brutte. *È la specialità dei padri quella di sognare per i figli i trofei che loro non convengono, ed è la specialità dei figli quella di procurarsi trofei che ai loro padri non piacciono. ==''Le nuove Stanze''== *Ribadisco la mia avversione alla pena di morte. Ma non me la sento d'impartire lezioni a chi tuttora la pratica. Non mi pare che, con la Giustizia che ci troviamo in casa, noi italiani possiamo impartire lezioni agli altri. (p. 46) *Toglietevi la parrucca, cari storici italiani. E invece di continuare a parlarvi tra voi, parlate, andando incontro alle sue curiosità, alla gente comune, quella che ha più bisogno del vostro sapere, e che sa benissimo distinguere il volgare pettegolezzo dall'aneddoto illuminante, di cui gli storici stranieri, soprattutto inglesi, compreso [[Denis Mack Smith|Mack Smith]], sanno fare buono e largo uso. (p. 81) *Io non sono piemontese né savoiardo, e la tradizione della mia famiglia è, caso mai, repubblicana. Ma la verità sono abituato a rispettarla, e non ad accomodarmela secondo i miei gusti e pregiudizi. Nel '46 votai monarchico non perché ero amico di Umberto e di Maria José, che sarebbero stati un Re e una Regina esemplari. Ma perché capivo ch'essi rappresentavano l'unico filo che ci legava all'unica nostra tradizione nazionale: il Risorgimento. La rigiri come vuole [...] ma la verità è questa: che senza Risorgimento non esiste una Storia nazionale italiana, e senza i Savoia non esiste Risorgimento. Ecco perché io dico e ripeto che la Repubblica italiana può tenere i Savoia [...] fuori dal territorio italiano. Ma chi tenta di estrometterli dalla Storia d'Italia, se non è un analfabeta è certamente un falsario. (pp. 112-113) *{{NDR|[[Luigi Cadorna]]}} Fu un generale di grande e inflessibile carattere, ma non un grande stratega. La sua fu dal primo all'ultimo giorno una guerra «di posizione», e quindi di logoramento, muro contro muro. Una «manovra» non la tentò mai, anzi non la concepì nemmeno. Stava [...] al «Regolamento», secondo il quale «le battaglie si vincono sulle cime». Sicché quando arrivò un battaglione tedesco al comando di un giovane capitano di nome Rommel che [...] s'insinuò nottetempo nelle valli, tutto il nostro schieramento ne venne preso alle spalle, e si liquefece, consentendo a Rommel di arrivare fino al Piave, dove si fermò: non per la resistenza dei nostri [...] ma per la mancanza di rifornimenti e di munizioni, che non avevano fatto in tempo a seguirlo. (pp. 118-119). *Quanto alla somiglianza fra noi e gli spagnoli, sì, c'è. Io, in Spagna, mi sento come a casa mia. Una sola cosa ci trovo in più: una dimestichezza con la morte che dà ai valori della Vita (la Dignità, il Coraggio, l'Onore) un peso ben diverso da quello che hanno da noi. E glielo invidio tanto. (p. 157) *Quanto alla sua supposizione che, se non ci fossero stati i russi, gli Alleati non avrebbero potuto sbarcare in Normandia e salvare i loro regimi democratici, mi permetta di sorriderne. Hitler perse la [[Seconda guerra mondiale|guerra]] prima ancora di dichiararla, quando scatenò la persecuzione razziale, che mise il mondo di fronte alla pretesa della sua «razza eletta» al dominio del pianeta e costrinse alla fuga il fior fiore della Scienza ebraica, che diede all'America la bomba atomica, la quale avrebbe reso superfluo anche lo sbarco in Normandia. (pp. 177-178) *In [[Alessandro Pavolini|Pavolini]] [...] è riassunto il dramma di una generazione che nel fascismo era cresciuta [...] e si sentiva impegnata a crederci anche in quell'ultima disperata fase. In lui ritrovo un po' di quel [[Berto Ricci]] [...] che, partendo volontario per la Libia, mi disse: «Una volta, nella vita, ci si può convertire. Io già lo feci rinnegando, per il fascismo, il mio passato di anarchico. Ora col fascismo devo morire». E morì. (p. 192) *Come lei certamente sa, furono i russi a giungere per primi sul famoso bunker di Berlino, fra le cui macerie si diedero subito a cercare il cadavere del Fuhrer, e lo trovarono, ma quasi completamente carbonizzato (egli aveva lasciato ai suoi l'ordine di bruciarlo con una tanica di benzina). D'intatto era rimasto solo il teschio con la sua dentatura costellata di ponti e protesi. Immediatamente fu ricercato e trascinato sul posto l'odontoiatra che glieli aveva sistemati. Dapprima gli fu chiesto in cosa erano consistiti i suoi interventi. Poi vi fu messo davanti, e lui li riconobbe senza esitazioni. Quel giorno il poveretto non tornò a casa. Dopo alcuni anni si seppe che esercitava il suo mestiere in non so quale città di provincia russa, ma sotto stretto controllo della polizia. Dopo qualche altro anno poté tornare in Germania, ma in [[Repubblica Democratica Tedesca|quella comunista]], sotto il controllo di una polizia ancora più efficiente di quella sovietica, e lì morì, non so quando. Perché i sovietici vollero sempre mantenere quel segreto? Perché alla loro propaganda [...] faceva comodo accreditare la favola di un Hitler salvato dagli americani, che lo tenevano sotto naftalina in qualche loro dorato ripostiglio per poterlo un giorno utilizzare in una nuova guerra contro la Russia. (pp. 257-258) *Da anticomunista, oserei dire «storico» quale mi considero, io sono pieno di rispetto sia per i Nagy nostrani quali i D'Alema e i Veltroni, che per i Kádár, quali i Cossutta e i Diliberto. Non so se come classe dirigente siano il meglio. Ma come sincerità di conversione democratica, ci credo (come credo, intendiamoci, a quella di un Fini, anche se viene da un passato molto meno intenso, drammatico e dilacerante di quello comunista). (p. 306) *{{NDR|A [[Mario Tuti]]}} Ho ben presente [...] il suo nome e il suo volto, e le azioni terribili che lei ha compiuto. [...] Da come scrive [...], lei è in grado di capire [...] quello che dico. È vero che «sul nemico vinto non si infierisce»: ma il sangue non si cancella con la gomma delle parole. Solo le vittime possono concedere il perdono; e io non sono stato, fortunatamente, davanti al mirino della sua pistola. Solo la giustizia può concedere sconti: e io non sono un magistrato. Non ho invece difficoltà a condividere una sua osservazione: alcuni disgraziati [...] sono più disgraziati di altri. E [...] i disgraziati di destra se la passano peggio dei disgraziati di sinistra, che hanno di solito qualche amico di gioventù ben piazzato, in grado di dare una mano. Ma il perdonismo peloso di alcuni non può giustificare la distrazione di tutti. (p. 322) *[[Yasser Arafat|Arafat]] non ha mai avuto né uno Stato, né un esercito, né un titolo che lo qualificassero a parlare a nome del suo popolo. Erano il carisma, l'autorità, il prestigio suoi personali che gli permettevano di svolgere questo compito. Ma questo dipendeva dal fatto che il suo popolo glieli riconosce in quanto si sente da lui «rappresentato». [...] Io sono e mi sento profondamente filo-israeliano perché negli ebrei riconosco i miei fratelli e in molte cose anche i miei maestri (anche se non sempre facili). Ma appunto per questo apprezzo ed ammiro gli Hussein, i Sadat e gli Arafat. Ai quali si possono anche rimproverare degli errori nella conduzione della loro politica. Ma non certo le intenzioni e il coraggio. Arafat è brutto [...] e non so come facciano i suoi amici (e i suoi nemici) [...] a ricambiarne i baci. Ma di quelli suoi credo proprio che ci si possa fidare. Che Dio, anzi Allah, ce lo mantenga ancora per molti anni. (pp. 387-389) *Come veterano del ''Corriere'' e un po' depositario della tradizione di una certa civiltà nei rapporti fra i suoi uomini, io rimasi offeso non dal licenziamento di Spadolini [...] ma dall'insolito modo – che io definii appunto «guatemalteco» – in cui era stato trattato e da cui trapelava la mano di un [[Giulia Maria Crespi|editore]] che, anche se portava il nome di quello vecchio [...], intendeva introdurre nuove regole nella gestione del giornale, di cui era praticamente diventata [...] la titolare. E lo dissi, e lo scrissi, e lo ripetei in varie interviste. Forse tuttavia questo strappo si sarebbe potuto rammendare se il cambiamento del direttore non avesse comportato anche un cambiamento di linea politica che saltava agli occhi di chiunque non volesse tenerli chiusi. [...] Quando dal ''Giornale'' uscii per ragioni abbastanza analoghe a quelle che mi avevano spinto fuori da via Solferino, il primo a venirmi incontro fu il direttore del ''Corriere'', Paolo Mieli, che [...] mi offrì il suo posto: un gesto che non dimenticherò mai. Avrei potuto [...] accettarlo solo a titolo onorario. Ma non potevo abbandonare gli uomini che ancora una volta mi avevano seguito. Da quel momento però fu chiaro che il ''Corriere'' era ridiventato quello che noi, vent'anni prima, avremmo voluto che restasse. Ecco perché, al termine delle mie battaglie e delle mie sconfitte (che considero il mio blasone), sono tornato al ''Corriere''. (pp. 406-408) *I politici della Sinistra, compresi i componenti dell'attuale «squadra» governativa sono dieci, venti, cento volte meglio della loro ''intellighenzia''. Anche se dicono fregnacce, le dicono a bassa voce, senza salire in cattedra, di dove l'''intellighenzia'' invece non scende mai, nemmeno per andare in bagno. (pp. 477-478) *Spero che ora avrai capito cos'è la mia dichiarazione di voto: non un sì all'Ulivo, da cui spero poco, ma in compenso non temo niente; ma il no a un Polo che, se riportasse davvero la schiacciante vittoria che si aspetta il suo ''Caudillo'', potrebbe creare nel nostro Paese una situazione davvero inquietante. Un voto di difesa sarà dunque il mio, come lo è sempre stato da oltre cinquant'anni a questa parte. (p. 496) *Sappi soltanto che, passato per una ventina di anni – quelli del ''Giornale'' – per «fascista» e negli ultimi dieci per «comunista», me la rido di entrambe le etichette. (p. 536) ==''Le Stanze''== ===[[Incipit]]=== Di tutta la mia attività giornalistica [...] considero questi colloqui col lettore come l'impegno che mi è riuscito meglio, o meno peggio. Se qualcuno mi chiedesse: «Cosa vorresti che, dopo di te, di te rimanesse?», risponderei senza esitare: «Questi colloqui». Mi rendo conto che un'affermazione del genere può apparire demagogica: in fondo, perché dovrei preferire queste risposte quotidiane [...] alla ''Storia d'Italia'' o agli ''Incontri''? È presto detto: perché, grazie a lettere e risposte, ho potuto restare vicino ai miei lettori, che mi hanno ricordato – con più o meno garbo, ma sempre con affetto – quello che un giornalista non deve mai scordare: che i padroni sono loro. ===Citazioni=== *Io non ho mai conosciuto un conservatore inglese che abbia mosso a Churchill il rimprovero di essersi alleato con Stalin – altro che il naso dovette strizzarsi! – quando le armate di Hitler spazzavano tutta l'Europa. Ma trovo ancora degl'italiani [...] che danno la colpa a me dello stato di necessità in cui ci trovammo nel '48 e nel '76 e che rendeva obbligata la nostra scelta. Oggi che il muro di Berlino ci ha liberato dall'incubo del comunismo [...], è facile fare processi a chi non aveva in mano altra arma elettorale che il voto alla Dc. Ed una cosa mi chiedo: tutti questi intransigenti eroi dell'anticomunismo, che oggi mi scrivono lettere d'insulti accusandomi di averlo tradito, dov'erano al tempo del comunismo vero, quando io ero uno dei pochissimi a combatterlo di fronte [...], e loro, incontrandomi per strada, fingevano di non conoscermi? (p. 12) *Hiroshima, se fossi americano, non porrebbe [...] nessun caso di coscienza. L'arma atomica era in fase di studio e di preparazione sia in Germania che in America, e si poteva supporre che lo fosse anche in Russia e in Giappone. Avrebbe vinto la guerra e deciso le sorti del mondo chi ci fosse arrivato per primo. Hiroshima fece della popolazione civile, dicono, duecentocinquantamila vittime. Quante ne risparmiò inducendo alla resa i giapponesi che sembravano vicini all'olocausto? E quanto servì a smorzare la pretesa sovietica d'imporre il suo «diktat» a tutta l'Europa? [...] Essa a tal punto sorprese Stalin che dapprincipio non ci volle credere [...]. Nessuno può applaudire un massacro come quello di Hiroshima né andarne fiero. E posso capire come coloro che vi hanno partecipato dandone l'ordine o eseguendolo possano aver avuto dei problemi di coscienza. Ma gli aviatori inglesi che rasero al suolo l'inerme Dresda abitata solo da civili, facendo tra di loro pressappoco lo stesso numero di vittime che a Hiroshima, questi problemi, da quanto se ne sa, non li ebbero. Forse che la guerra all'atomo è più crudele di quella al fosforo? (p. 62) *De Gasperi non fu mai uomo di partito. E fu proprio per questo che riuscirono ad emarginarlo con tanta facilità, relegandolo in una Presidenza grondante omaggi ed ex voto, ma priva di qualunque potere reale. È vero che lui non lottò, anche perché era ormai a corto di fiato. Glielo toglieva non solo l'azotemia, ma anche il fallimento della Ced, la Comunità Europea di Difesa su cui De Gasperi fondava [...] i suoi sogni di salvezza e di grandezza europea, che i francesi di Mendès-France condannarono al naufragio. [...] De Gasperi era uomo di Stato, l'ultimo che l'Italia ha avuto dopo Giolitti. Ecco perché [...] non ha né può avere eredi. (p. 86) *{{NDR|[[Che Guevara]]}} Era uomo di Rivoluzione, che mai si sarebbe rassegnato ad una comoda esistenza di ben pasciuto gerarca. Doveva tornare alla Rivoluzione, pur consapevole della sua impossibilità in Paesi che lui ben conosceva, ma appunto proprio per questo: per cercare una morte coerente con la sua vita. [...] Avessi trenta o quarant'anni di meno, anch'io forse avrei nel mio modesto appartamento una stanza attrezzata a mausoleo del Che, e lo conserverei come souvenir di un Sogno sbagliato, ma pulito, e comunque pagato. È a coloro che non vogliono mai pagare nulla che va tutto il mio disprezzo. (p. 121) *Non mi stupirei [...] se il ragazzotto Clinton, nei suoi anni da governatore, avesse ingannato la noia dell'Arkansas inseguendo le minigonne di passaggio. [...] Il paragone con Berlusconi mi sembra un po' stiracchiato. Se Clinton venisse trovato colpevole, sapremmo che è un adultero (affari suoi); se Berlusconi venisse condannato, sapremmo che è un corruttore non occasionale (affari anche nostri, dal momento che s'atteggia a statista). (p. 154) *Mi permetto solo di aggiungervi qualcosa sull'imbecillità, l'ipocrisia e i vaniloqui delle nostre «anime belle» pronte a cadere in deliquio e a mobilitare le piazze per un O'Dell che, anche se qualche tenue dubbio sulla sua colpevolezza poteva sussistere, uno stinco di santo certamente non era, e per una Karla Tucker, rea confessa, anche se poi arcipentita e sinceramente convertita al credo della carità cristiana (e, sia chiaro, anch'io avrei per entrambi preferito la revoca della pena di morte); ma sono rimaste impassibili o quasi di fronte alla proposta condanna di lapidazione (di lapidazione!) di un cittadino tedesco e della sua compagna iraniana, rei di aver fatto l'amore (soltanto l'amore). Queste sono le nostre «anime belle» laiche ed ecclesiastiche, pronte a commuoversi e a sproloquiare contro la sedia elettrica americana [...], ma indifferenti alla lapidazione [...] per una «contaminazione» di lenzuola cristiane e musulmane. Io [...] queste anime belle – che oltre tutto hanno quasi sempre delle facce bruttissime e jettatorie – le odio di un odio viscerale. (p. 206) *Sul nemico vinto e che si riconosce vinto non s'infierisce. In fondo questi brigatisti hanno avuto, nella sconfitta, una loro dignità. Non sono dei «pentiti» al modo dei mafiosi e camorristi che si pentono per procurarsi dei vantaggi e denunziano i propri ex compari. Non sono dei delatori. Sono, a loro modo, dei prigionieri di guerra, di una guerra grazie a Dio finita con la nostra vittoria, e che quindi, sia pure con le debite precauzioni, possiamo rimandare a casa. Non è vero che non hanno pagato: me ne citi uno che non abbia scontato quindici o vent'anni di galera e che non ne abbia distrutta la vita. Qualche sconto possiamo farglielo: la generosità è segno di forza, non di debolezza. (pp. 283-284) *In una società «aperta» come la nostra, che rende impossibile qualsiasi controllo e in cui il sequestro è un'industria di antica tradizione che dispone di un personale altamente specializzato; e con una Giustizia che invece di affibbiare un ergastolo senza indulgenza ai colpevoli, si accontenta di infliggergli qualche anno alleviato dai permessi di libera uscita; cosa possono fare le forze dell'ordine? Starebbe a noi cittadini trovare quella di resistere al ricatto. Da noi italiani tenerelli non si può pretendere tanto? E sia. Ma allora abroghiamo la legge. Perché, come italiano, nulla mi ha mortificato di più che sentire [...] [[Giovanni Maria Flick|un ministro della Giustizia]] e alcuni dei più alti dignitari della toga proporne un'interpretazione che costituiva un chiaro invito a evaderla suggerendo il cavillo a cui ci si poteva aggrappare per legalizzare la contravvenzione. [...] No, a questo non ci sto. Cerchiamo almeno di avere il coraggio della nostra vigliaccheria riconoscendo che, dati i pericoli che possono comportare, i risoluti «No!» al sopruso non appartengono al nostro armamentario caratteriale, e aboliamo la legge. Ma non perché è sbagliata: in sé quella legge è sacrosanta. Ma perché noi cittadini non abbiamo la forza di adeguarcisi e coloro che dovrebbero imporcerne l'osservanza [...] ci suggeriscono il modo di evaderla. Questo è il cosiddetto «Paese reale». (p. 286) *Che un processo possa essere oggetto di revisione è, per il cittadino, una garanzia irrinunciabile, specie quando si tratta di processi indiziari, e quindi rimessi a valutazioni soggettive e pertanto sempre discutibili. Nessuno è infallibile, nemmeno i giudici, e quindi il diritto di appello è sacrosanto. Quello che sacrosanto non è, sono gl'interminabili tempi che questa operazione solitamente richiede, dovuti a due motivi chiaramente visibili: i grovigli procedurali in cui il processo è avvolto, delizia del genio cavillesco italiano, e l'inefficienza del personale che vi è addetto. (p. 327) *Che cosa io pensi dell'onorevole [[Cesare Previti|Previti]] mi pare di averlo detto in termini talmente espliciti da apparire – a più d'uno – brutali: un personaggio che solo a guardarlo in faccia verrebbe voglia di applicargli le manette ai polsi prima ancora di sapere chi è e cosa ha fatto. (p. 356) *Non credo che, all'apertura totale delle frontiere, avremo un Parma composto soltanto di irlandesi, o una Cremonese modello ellenico. Avremo invece un vero mercato, dove il costo e lo stipendio di un professionista verranno stabiliti in base alla domanda e all'offerta. È questo ridimensionamento, mi sa, che non piace ai calciatori nostrani. Non la «sottoutilizzazione delle risorse sportive nazionali e locali». Non penso che i nostri calciatori abbiano altri motivi di preoccuparsi. Perché mai dovrebbero venire accantonati? Sono tra i più bravi del mondo, e la bravura, per un professionista (che calci una palla o calchi una scena), è la garanzia migliore. (p. 379) *Le mie dimissioni da italiano sono soltanto quelle da una grande illusione: quella che l'Italia fosse una Patria da potere in qualche modo servire. Io, pur commettendo parecchi errori, ho cercato di farlo. Ma forse, di questi errori, il più grosso è stato quello di credere che fare si potesse. A consolarmene c'è una cosa sola: che questo errore lo hanno commesso tutti i migliori uomini che l'Italia ha avuto nel suo secolo e mezzo di vita unitaria. (pp. 410-411) ==''Pantheon minore''== ===[[Incipit]]=== '''Einaudi'''<br>Avendo saputo che sollecitavo l'onore e il piacere di incontrarlo, il Presidente, che non mi aveva mai visto, trovò del tutto naturale invitarmi a colazione. «Quando vuol venire?» mi fece chiedere, «giovedì mattina, per esempio?» Giovedì voglio stappare una nuova bottiglia del mio 'barolo' e ci sarà anche la signorina Barbara Ward dell{{'}}''Economist''. Vino piemontese, giornalismo ed economia politica, pensa: sarebbe difficile sorprendere [[Luigi Einaudi|Einaudi]] in una cornice più einaudiana di questa. ===Citazioni=== *{{NDR|Luigi Einaudi}} E in quei pochi minuti aveva ancora tante cose da dire a due giornalisti per ricordare loro, [[Alessandro Manzoni|manzonianamente]], che l'[[uomo]] è «buono», come dice [[Jean-Jacques Rousseau|Rousseau]], ma tale può diventare solo in grazia delle buone istituzioni (in ciò consiste la sua posizione conservatrice e cattolicamente pessimistica). *[[Ingrid Bergman]] è forse la sola persona al mondo che non consideri Ingrid Bergman un'attrice completamente riuscita e definitivamente arrivata. (p. 195) *Non ho mai visto in vita mia, nemmeno nei film di cui la Bergman è protagonista, una donna così trasparentemente pulita. (p. 195) *Ogni buon [[padre]] di [[famiglia]] deve, al principio della giornata, sapere quanto la famiglia ha in cassa e quanto può spendere.<br>Einaudi conosce a memoria le cifre dell'economia italiana, come i re che lo precedettero conoscevano a memoria i nomi e i motti dei reggimenti. *«''Venez, mademoiselle, venez''», disse [[Anatole France]] a [[Emma Gramatica]] che, poco più che ventenne, si trovò un giorno a viaggiare con lui in automobile a Palermo, e aveva paura di essere troppo ingombrante sul sedile. «''Vous êtes comme les anges, qui n'ont pas de derrière!''»<br>Qualcosa come mezzo secolo dev'esser trascorso da allora, ed Emma somiglia un po' meno a un angelo, ma grassa non la si può dire nemmeno adesso. La vita che mena, d'altronde, non lo consentirebbe di diventarlo. Alla sua età, ha girato per tre anni consecutivi, tutti i teatri dell'America del Sud, volando da Buenos Aires a Santiago, da Santiago a Lima, da Lima a Caracas, e recitando una sera in italiano e la sera dopo in spagnolo, lingua che, sino al momento di partire, ignorava totalmente. Ora è tornata per girare un film con [[Vittorio De Sica|De Sica]], e sono fatiche a cui molti giovani non resistono. *Il [[fascismo]] trovò, tra i suoi oppositori più accaniti, [[Mario Missiroli]], che si batté a duello con [[Benito Mussolini|Mussolini]]. Egli non credette alla [[forza]] e al successo delle «camicie nere» fino al [[giorno]] in cui, mentre cercava faticosamente di salire sul tram, uno squadrista che lo incalzava, dopo avergli inflitto una serie di spintoni, non gli ebbe affibbiato, in risposta alle sue proteste, due sonori schiaffi che gli fecero volar via gli occhiali cerchiati d'[[oro]]. Mario li raccolse con [[dignità]], vi fiatò sopra, li ripulì col fazzoletto e concluse in tono ammirativo: «Però!... Picchiano bene, veh!...» ==''Qui non riposano''== *{{NDR|Sulla [[guerra d'Etiopia]]}} Quella fu una guerra ideale, la guerra-tipo della borghesia italiana: con pochi morti e molte medaglie. Io presi a capirne la miseria solo all'ultimo capitolo: quando, per la marcia su Addis Abeba, cominciarono a piovere dall'Italia e da Asmara gerarchi e aspiranti gerarchi, smaniosi di gloria a buon mercato: e Badoglio dovette emanare un ordine per cui solo chi presentava "un biglietto di autorizzazione" poteva marciare sulla capitale nemica. Solo in tempo fascista si poteva escogitare un finale di guerra con un biglietto per la capitale nemica. (pp. 107-108) *Io non volevo far politica. Ha il diritto un uomo della strada di non far politica? Ha il diritto un uomo della strada a dire che il governo ha fatto bene a far questo e male a far quest'altro? Ha diritto un giornalista, che è un uomo della strada, il quale va a vedere e riferire le cose per conto degli altri uomini della strada, ha il diritto di riferire che i fatti si svolsero così e così, e che in essi c'era tanto il bello e tanto il brutto, tanto di giusto e tanto d'ingiusto? No, il [[fascismo]] disse che un uomo della strada non ha tutti questi diritti. Ecco perché diventai antifascista. Non perché al posto di [[Benito Mussolini|Mussolini]] ci volevo un altro, ma perché non ci volevo nessuno. Io volevo stare alla finestra, come stanno i giornalisti, mestiere di spettatore e non di attore.<ref>Citato in Paolo Granzotto, ''Indro Montanelli'', p. 92.</ref> (p. 189) *[...] volevo avere il diritto di non pensare alla [[politica]], di disinteressarmi della politica, perché la politica la gente dabbene non la fa. La gente dabbene lavora in ufficio, viaggia, commercia, produce, ama una donna che può anche essere sua moglie (come è il mio caso), ama i suoi figli, ama la sua casa, paga le tasse, e di politica ne parla un quarto d'ora al giorno. (p. 190) == ''Ricordi sott'odio'' == *''Non piangete | per | [[Cesare Zavattini]] | ha già pianto | lui per tutti noi.''<ref name=ricordi>Il libro raccoglie gli "epitaffi" scritti su personaggi al momento viventi (talvolta insieme a [[Leo Longanesi]]) e quasi tutti inediti.</ref> (p. IV dell'Introduzione di Marcello Staglieno) *''Qui | per la prima volta | [[Alida Valli]] | giace | sola''.<ref name=ricordi/> (p. 11) *''Qui | riposa | [[Amintore Fanfani]] | amico | dei nemici | nemico | degli amici | figlio | di [[Alcide De Gasperi|De Gasperi]] | padre | di nessuno.''<ref name=ricordi/> (p. 31) *''Qui | riposa | [[Mario Melloni]] | inquieto | transfugo | di sé stesso | momentaneamente | scomparso | a sinistra | in cerca | di una croce | su cui | inchiodarsi.''<ref name=ricordi/> (p. 65) *''Qui giace | Alba {{ndr|[[Alba de Céspedes]]}} | scrittrice scialba. | Divorò uomini e gloria | La Boria | la divorò''.<ref name=ricordi/> (p. 95) *''Qui | riposa | [[Mario Soldati]] | padre | figlio | autore | regista | interprete | di | Mario Soldati.''<ref name=ricordi/> (p. 123) *''Qui giace | [[Davide Lajolo]] | Segretario federale | Legionario di Spagna | Repubblichino di Salò | chiese | di passare all'anilina | la sua camicia nera. | E com'era | Rimase.''<ref name=ricordi/> (p. 179) *''In pace | qui giace | orbato | d'orbace | [[Achille Starace]].''<ref name=ricordi/> (p. 181) ==''Soltanto un giornalista''== *Da quando ho cominciato a pensare, ho pensato che sarei stato un giornalista. Non è stata una scelta. Non ho deciso nulla. Il giornalismo ha deciso per me. E questa è stata una delle mie tante fortune, posto che tutto quel che ho fatto lo debbo soprattutto a un alleato ch'è sempre rimasto al mio fianco: il caso. (p. 5) *Per sua disgrazia, [[Massimo Bontempelli|Bontempelli]] fu nominato accademico d'Italia da un fascismo che puzzava già di morto. Eletto senatore nelle liste del Fronte popolare dopo la guerra, non esitò a pronunziare giudizi brucianti su chi aveva collaborato col regime. Quel voltafaccia gli costò caro, perché a un certo punto saltarono fuori le lettere che aveva scritto a Mussolini per impetrare la sua nomina: i comunisti lo scaricarono e lui cadde in un tale stato di prostrazione da morirne. (p. 26) *A Salò ci fu di tutto. Ci furono le squadracce assetate di vendetta e di saccheggio che provocarono il disgusto agli stessi tedeschi. Ma anche uomini per i quali quello fu il banco di prova d'una coerenza e d'una lealtà che non possono non incuter rispetto. E l'unica ragione per la quale benedico le mie cosiddette benemerenze antifasciste è che mi han dato il diritto di difenderle. (p. 119) *Il 2 giugno del '46, giorno del referendum istituzionale, votai per la monarchia. Lo feci perché ritenevo fosse pericoloso recidere il tenue filo che legava l'Italia all'unica sua tradizione nazionale: quella monarchica, appunto. L'Italia non s'era "fatta da sé", come pretendeva la nostra storiografia ufficiale. Era stata fatta dalla monarchia sabauda guidata dal genio diplomatico d'un suo diplomatico, Cavour, che voleva estendere il Regno di Sardegna al Lombardo-Veneto. Se poi ci scappò fuori l'Italia, non fu grazie al contributo degl'italiani, che non ne diedero punto. Fu perché la storia dell'Europa andava verso la costituzione degli Stati nazionali, e condannava a morte quelli plurinazionali come l'Impero austriaco. [...] Al posto di quel patrimonio, sia pure modesto, cosa prometteva la Repubblica? Si presentava come depositaria dei valori della Resistenza, un mito ancora più falso di quello del Risorgimento. Che non era stata affatto, come pretendeva d'essere, la lotta d'un popolo in armi contro l'invasore, bensì una lotta fratricida tra i residuati fascisti della Repubblica di Salò e le forze partigiane, di cui l'80 per cento si batteva (quasi mai contro i tedeschi) sotto le bandiere d'un partito a sua volta al servizio d'una potenza straniera. (pp. 125-126) *Un'altra scelta s'era imposta, quella delle elezioni del '48. Per l'Italia era una scelta vitale: o con l'Est o con l'Ovest, ossia con i totalitarismi rossi oppure con le democrazie occidentali. Ergo, o con il Fronte popolare oppure con la Dc. E lì ebbe inizio il mio dramma, ch'è poi quello eterno del laico italiano: il quale, messo davanti al boia, vede comparire al suo fianco il prete che solo può salvarlo. (pp. 135-136) *Mi proposi due obiettivi, entrambi falliti: il primo era farmi intentare un processo dagli amministratori della città che attirasse l'attenzione sui pericoli che [[Venezia]] stava correndo. Il secondo era rendere pubblica la convinzione che m'ero formato: che per salvare Venezia la prima cosa da fare era sottrarla allo Stato italiano e affidarlo a un organismo internazionale come l'Onu, con le sue cospicue possibilità finanziarie e i suoi agguerriti uffici tecnici. [...] Il Comune di Venezia non aveva più nulla di veneziano, salvo la sede. A dominarlo erano gli elettori di Mestre e Marghera, che con quelli di Venezia si trovavano nella proporzione di tre a uno, e dalla loro avevano tutto: i soldi delle industrie, i sindacati e quindi anche i partiti. Decidendo di restare amministrativamente unita, Venezia ha preferito mettersi al rimorchio delle ciminiere e petroliere di Marghera, alle quali ha sacrificato il suo delicatissimo sistema idraulico. Fu allora che, con grande amarezza, feci atto di rinunzia a Venezia, convinto come ero, e come son rimasto, che una città si può salvare solo se sono i suoi abitanti a volerlo. (pp. 216-217) *Una sera, uscendo solo soletto dal «Giornale», mi trovai davanti il solito muro di folla tumultuante con le bandiere rosse spiegate. Dalla piazza si levò un urlo: «Tel chi el Muntanel!». In un attimo cinquanta scalmanati mi s'avventarono contro. Temendo il linciaggio, arretrai fino a trovarmi con le spalle al muro. Ma non feci in tempo a dire be' che mi ritrovai issato in spalla a una mezza dozzina d'energumeni, fra salve d'evviva. Erano i tifosi del [[Torino Football Club|Torino]] che quel giorno {{NDR|16 maggio 1976}} aveva vinto lo scudetto, e le bandiere non eran rosse, ma granata. E siccome i cronisti sportivi del «Giornale» erano sempre stati favorevoli al Torino, m'acclamavano come un loro idolo. (p. 241) *La Dc era il partito dei maneggi e dell'inefficienze. Ma se avesse perso il 4 o il 5 per cento dei suoi voti, il partito di maggioranza relativa destinato a formare il nuovo governo sarebbe diventato quello comunista. Ch'era ancora molto pericoloso. Perché è vero che in Italia c'era Berlinguer, ma io sapevo bene che col comunismo d'allora poteva ancora succedere di tutto: bastava un cambiamento al vertice e un Berlinguer poteva diventare un [[Alexander Dubček|Dubček]] come un [[Walter Ulbricht|Ulbricht]]. Il «Giornale» era certamente laico, ma prima di essere laico era italiano, e cercava d'operare con qualche senso di responsabilità. E negli anni Settanta solo gl'irresponsabili potevano augurarsi il crollo della Dc, cui eravamo condannati anche perché la cosiddetta Alleanza laica, l'accordo fra Pli, Pri e Psdi, non sortì mai i numeri per sostituirvisi. (pp. 243-244) *Ci fu un'unica battaglia sulla quale il «Giornale» si trovò allineato con Craxi e il nostro editore: quello per la libertà d'antenna. Battaglia sacrosanta. Berlusconi è tutt'altro che un idealista disinteressato e nessuno sa agire come lui aggirando, quando non calpestando, le regole. Ma i panni nobili coi quali i difensori della Rai rivestivano la loro offensiva politico-giudiziaria erano grotteschi. Se il peccato di Berlusconi stava nell'essere troppo amico del Psi, quello della Rai era d'essere troppo amica di tutti i partiti. A fornirci il destro furono poi i pretori coi loro interventi oscurantisti, peraltro prontamente sventati dai decreti di Craxi. E quindi la crociata dell'etere libero, che rientrava fra l'altro nella nostra tradizione antistatalista, divenne una campagna contro il "pretore selvaggio", che con i suoi abusi toglieva ogni certezza del diritto al cittadino. (pp. 275-276) *Le vere novità erano nate fuori dal Palazzo: come la Lega di [[Umberto Bossi]]. Che all'inizio anche il «Giornale», come molti altri, sottovalutò. Come si faceva a prender sul serio un invasato che nutriva le sue invettive di sfondoni storici e grammaticali da far accapponare la pelle? [...] Che Roma fosse ladrona, era indubitabile. E l'avversione per la burocrazia parassitaria e per il meridionalismo piagnone e sprecone andava a nozze con le tradizioni del «Giornale». Bossi quindi incarnava un sentimento molto diffuso anche fra i nostri lettori, una protesta genuinamente qualunquista che, per certi versi, all'inizio anche noi appoggiammo. Ma dovemmo prenderne le distanze quando Bossi cominciò a condire le sue contumelie contro il Palazzo con propositi secessionisti. (pp. 279-280) *Con Berlusconi, tuttavia, poi feci pace. Fu lui a telefonarmi: forse, aveva captato in qualche mio articolo un'ombra di rimpianto per il vecchio amico. Era il '96 e dopo il ribaltone le cose per lui si mettevano di male in peggio. [...] Così, una sera mi ritrovai di nuovo seduto alla sua mensa ad Arcore. [...] Riparlammo senza rancore dei nostri trascorsi. Gli domandai quale garanzia avesse ricevuto da [[Massimo D'Alema|D'Alema]] sulle sue aziende in cambio dell'opposizione inesistente che gli assicurava. Rise. «Ma perché, ora che hai sistemato i tuoi affari, non ti chiami fuori dalla politica?» gli chiesi. «È una parola» mi rispose rabbuiandosi. «I giudici non obbediscono neppure a D'Alema». E lì capii quale era, ormai, la vera sostanza del suo dramma. (p. 312) *Se anch'io sono diventato europeista, è per disperazione: l'Europa è forse l'unica possibilità di sopravvivere per noi italiani, che come italiani non siamo riusciti a vivere. Questo è sempre stato l'europeismo degl'italiani di più alta coscienza, a partire da [[Alcide De Gasperi|De Gasperi]], che fu il primo a capire i rischi d'un Italia lasciata in balìa degl'italiani. (p. 315) *Pur fra tante fortune, purtroppo a me la sorte ha riservato di portarmi nella tomba le due cose che ho più amato: il mio mestiere e il mio Paese. Che cosa sia diventato il primo, annientato da computer e televisione, è sotto gli occhi di tutti. Quanto al secondo, la cancrena è ormai inarrestabile e la decomposizione sta avvenendo per dissoluzione di quel poco che resta dello Stato. E dico decomposizione, non secessione. La secessione si fa anche con la violenza, e dove lo troviamo oggi un solo plotone di soldati disposto a imbracciare le armi pro o contro l'Unità dello Stato? Che, se resta ancora in piedi, è solo perché non ha neppure la forza di cadere. Quello di rinunziare alla nazione poi, è un sacrificio che non saprei compiere, anche se razionalmente mi rendessi conto ch'è necessario, oppure inevitabile. E ringrazio l'anagrafe che mi esclude dal problema. (p. 316) ==''Storia d'Italia''== {{vedi anche|Indro Montanelli e Roberto Gervaso|Indro Montanelli e Mario Cervi}} ===''L'Italia giacobina e carbonara''=== *I [[cinismo|cinici]] sono tutti moralisti, e spietati per giunta. (cap. 10, p. 144) *[[Francesco Melzi d'Eril|Melzi]] apparteneva a una delle più grandi famiglie dell'aristocrazia lombarda, e ne portava nel sangue le doti migliori: la rettitudine, la cultura, la cortesia, ma anche una certa alterigia, che probabilmente gli veniva dalla madre spagnola. (cap. 11, p. 152) *{{NDR|Francesco Melzi d'Eril}} Aveva fatto parte dei circoli illuministici dei Serbelloni, dei Beccaria e di Pietro Verri, di cui era anche cognato. [[Napoleone Bonaparte|Napoleone]] lo aveva conosciuto al tempo della sua prima campagna d'Italia, dopo la battaglia di Lodi lo aveva invitato a Mombello, e ne aveva fatto il proprio consigliere. Quel signore che portava ancora il costume settecentesco, le calze bianche e la parrucca incipriata, gli piaceva. Gli piaceva perché non era servile, perché non era venale, perché non era nemmeno ambizioso. Una leggera sordità e una salute piuttosto precaria, insidiata da un forte artritismo, l'obbligavano a riguardi incompatibili con l'esercizio del potere. Più che il protagonista, preferiva fare il suggeritore. (cap. 11, p. 152) *L'unico che avesse qualità di uomo di Stato era il ministro delle finanze, [[Giuseppe Prina|Prina]], anche perché era piemontese, cioè veniva da un paese che uno Stato lo era da secoli. Ex procuratore generale della Corte dei Conti di Torino e membro del governo provvisorio del '99<ref>1799.</ref>, si era poi trasferito nella [[Repubblica Cisalpina|Cisalpina]] e ne aveva preso la cittadinanza. Non aveva un carattere che attirasse simpatie. Anzi, chiuso e freddo com'era, le respingeva. Ma era un lavoratore instancabile e scrupoloso, dotato di un acuto senso politico e – diceva [[Stendhal]] – "ha del grande in testa". (cap. 12, p. 164) *Perché non andassero perse neanche le briciole {{NDR|delle entrate della Repubblica Cisalpina}}, Prina riformò tutto il sistema fiscale riducendone il personale e facendone una macchina di straordinaria efficienza. Fu lui a inventare la "tassa di famiglia", o meglio a ripristinarla, perché la sua vera iniziatrice era stata [[Maria Teresa d'Austria|Maria Teresa]]. Ma la maggior pressione la esercitò nel campo delle imposte indirette che colpivano tutti i consumi senza distinguere fra quelli di lusso e quelli di prima necessità. Naturalmente a farne le spese furono soprattutto le classi popolari, che di lì a pochi anni gliel'avrebbero fatta pagare<ref>Prina, dopo l'abdicazione di Napoleone, fu linciato dalla folla a Milano il 20 aprile 1814.</ref>. Ma con questi sistemi riuscì a portare le entrate da settanta a oltre cento milioni e a pareggiare il bilancio. (cap. 12, p. 165) *[[Carlo II di Parma|Carlo Ludovico]] era stato talmente oppresso dalla madre<ref>Maria Luisa di Borbone-Spagna (1782–1824).</ref> che sognava di disfare tutto ciò ch'essa aveva fatto, compreso il proprio matrimonio; e quando le successe nel '24<ref>Come duca di Lucca nel 1824.</ref>, introdusse anche per buona fortuna dei lucchesi, metodi di governo diametralmente opposti a quelli di lei. Ridusse l'appannaggio che Maria Luisa esigeva per alimentare i suoi fasti spagnoli, liberalizzò i commerci, e alla fine si convertì addirittura al luteranesimo, mentre sua moglie diventava Terziaria domenicana. Fu un cattivo marito, ma non un cattivo sovrano. E Lucca, sotto di lui, respirò. (cap. 25, p. 375) *[...], {{NDR|la [[Carboneria]]}} non fu certo una scuola di educazione politica, e probabilmente è anche al suo esempio e modello che sono dovute le malformazioni della nostra democrazia e la sua intrinseca debolezza. Figli e nipoti dei Carbonari furono quei "notabili" che governarono l'Italia fino alla prima guerra mondiale e che, insieme a innegabili virtù, ebbero anche il vizio di considerare il Paese una "clientela" di Apprendisti esclusi dai "sacri travagli". (cap. 26, p. 395) *Fu qui {{NDR|al Teatro alla Scala}} che {{NDR|[[Ugo Foscolo]]}} vide [[Antonietta Fagnani Arese]], già famosa a ventitré anni non soltanto per la sua bellezza, ma anche per lo sfruttamento intensivo che ne aveva fatto. Probabilmente era una frigida, ma che sapeva recitare la sua parte: tutti i giovani più in vista di Milano cadevano nelle reti di questa Circe, e forse fu anche questo a stimolarlo. (cap. 35, p. 510) *Misto di genio e di ciarlatano, [[Domenico Barbaja|Barbaja]] aveva debuttato come sguattero, aveva fatti primi soldi inventando un dolce di panna e cioccolato, la "barbajada", li aveva moltiplicati con la gestione del Ridotto da giuoco della Scala, e ormai tanti ne aveva che quando il San Carlo andò distrutto da un incendio, lo ricostruì a proprie spese. (cap. 39, pp. 608-609) *{{NDR|Domenico Barbaja}} Era semianalfabeta, e di musica non conosceva una nota, ma conosceva il pubblico, era un infallibile scopritore di talenti, e nel 1815 si assicurò quello di un compositore ventitreenne, in cui già aveva identificato la figura più rappresentativa della lirica contemporanea: [[Gioacchino Rossini]]. (cap. 39, p. 609) *{{NDR|[[Ciro Menotti]]}} Uomo onesto, ma di un candore che sconfinava nella sprovvedutezza, [...]. (cap. 40, p. 635) ===''L'Italia del Risorgimento''=== *{{NDR|[[Giuseppe Mazzini]]}} Due mesi d'intenso lavoro gli bastarono a maturare il piano. Più che una setta, la sua organizzazione sarebbe stata un vero e proprio partito, anche se clandestino, senza l'oscura simbologia e i complicati rituali carbonari. Si sarebbe chiamata ''[[Giovine Italia]]'' e lo sarebbe stata anche di fatto perché, salvo casi eccezionali, era preclusa a chi avesse superato i quarant'anni di età. (cap. 4, pp. 54-55) *D'irresolutezza, [[Carlo Alberto di Savoia|Carlo Alberto]] aveva dato prova anche prima di salire sul trono, e lo aveva dimostrato anche il suo contraddittorio atteggiamento nel '21<ref>Nei moti piemontesi del 1821, Carlo Alberto aveva prima dato e poi ritirato il suo appoggio ai congiurati.</ref>. Il coraggio e la volontà non gli mancavano; ma gli mancava il carattere. Nella guerra di Spagna era stato un valoroso combattente<ref>Nel 1823, Carlo Alberto aveva partecipato alla campagna militare per ristabilire l'assolutismo regio in Spagna.</ref>, e la disciplina a cui si sottoponeva era spartana. Ma le responsabilità morali lo sgomentavano. (cap. 9, pp. 135-136) *{{NDR|Carlo Alberto}} Non era né intelligente né colto. Ma certi movimenti di opinione pubblica e orientamenti di pensiero li coglieva e ne restava influenzato. Nel '38 aveva mandato in galera e poi in esilio [[Vincenzo Gioberti|Gioberti]], ma nel '43 ne leggeva con interesse il ''Primato''. Se [[Massimo d'Azeglio|D'Azeglio]] avesse scritto il suo libro<ref>''Degli ultimi casi di Romagna'' (1846).</ref> due anni prima, avrebbe mandato in esilio anche lui. Ora in pratica ne aveva fatto una specie di agente segreto. I tempi insomma li sentiva e con essi andava. (cap. 9, p. 136) *Questo grande soldato {{NDR|[[Josef Radetzky]]}} non aveva mai conosciuto sconfitte, e a ottant'anni suonati conservava intatte prestanza fisica ed energia morale. Come tutti i militari, credeva soltanto nella spada e nella disciplina. Ma non somigliava affatto all'immagine che di lui ci ha tramandato la storiografia risorgimentale: quella del crudele "impiccatore", del caporalaccio ottuso, grossolano e brutale. Era al contrario un grande signore, di tratto ruvido ma generoso, perpetuamente alle prese con problemi di bilancio perché aveva le mani bucate. (cap. 13, p. 194) *{{NDR|Radetzky}} Aveva sposato una Contessa austriaca che viveva a Vienna e gli aveva dato otto figli da cui non gli venivano che dispiaceri. Uno militava ai suoi ordini lì a Milano, ma era un così cattivo arnese che un prete un giorno lo schiaffeggio per strada. Radetzky mandò a chiamare il prete, gli strinse la mano e gli disse: "''{{sic|Crazzie}}''". Per amante si era presa una brava stiratrice lombarda che sapeva cucinare bene gli gnocchi, di cui era ghiottissimo, e dalla quale ebbe altri quattro figli. Non era affatto un odiatore degl'italiani: tant'è vero che, quando andò in pensione, rimase a Milano, e lì morì nel '58. Era soltanto un fedele servitore del suo Paese, di cui non discuteva la causa. E soprattutto era un vecchio lupo di guerra coraggioso, astuto e risoluto. (cap. 13, p. 195) *La notizia si diffuse prima ancora che lo [[Statuto Albertino|Statuto]] fosse firmato, e in un battibaleno le piazze di Torino, eppoi di tutto il Piemonte, eppoi di tutto il Reame, si riempirono di folla esultante. Essa non conosceva il contenuto del documento che introduceva, sì, un regime rappresentativo, ma circondandolo delle maggiori cautele [...]. Più che del suo contenuto, la pubblica opinione era innamorata della parola ''Costituzione'', che aveva finito, per assumere ai suoi occhi magici significati, e la salutava con luminarie, canti e bandiere. (cap. 14, p. 218) *[...] [[Francesco Anzani|Anzani]], il più serio e autorevole degli esuli italiani, che aveva combattuto per la libertà in Grecia e in Spagna. Le sue parole avevano gran peso anche perché fra tutti quei chiacchieroni, ne pronunziava poche. (cap. 18, p. 281) *[...] [[Giuseppe Montanelli|Montanelli]] era così infatuato {{NDR|del progetto di Costituente italiana}} e tanto ne parlava nei suoi discorsi che il popolino – dicono – finì per credere che la Costituente fosse il nome di sua moglie. (cap. 19, p. 298) *[[Pellegrino Rossi|Rossi]] era un toscano della Lunigiana, ma solo all'anagrafe. Come formazione e mentalità, apparteneva ancora a quel tipo di {{sic|apòlidi}} che l'Italia del Settecento sfornava doviziosamente e che, non trovando in patria un terreno per i loro talenti, andavano da mercenari a investirli all'estero. Professore d'Università a poco più di vent'anni, poi commissario di [[Gioacchino Murat|Murat]] al tempo del suo infelice tentativo di unificare l'Italia sotto il suo scettro, era l'unico cattolico cui l'Accademia calvinista di Ginevra avesse mai affidato una cattedra. (cap. 19, p. 301) *{{NDR|Pellegrino Rossi}} Fu sin dal principio un fautore di [[Papa Pio IX|Pio IX]] fino a partecipare di persona alle manifestazioni popolari in suo favore, ma vide subito la pochezza e ambiguità dell'uomo e ne denunziò i pericoli. (cap. 19, pp. 302-303) *Sebbene gli avessero affidato pieni poteri, [[Daniele Manin|Manin]] era un uomo discusso. Molti lo consideravano un malaccorto maneggione, un improvvisatore digiuno di problemi economici e militari, bravo soltanto ad attribuirsi i meriti degli altri. Secondo [[Niccolò Tommaseo|Tommaseo]], ch'era fra i suoi più insidiosi diffamatori, il potere gli aveva dato "una scossa da intorbidargli la mente e far più grave e manifesta la sua inesperienza". (cap. 23, p. 354) *{{NDR|Daniele Manin}} Intellettualmente, non era al livello di un [[Giuseppe Mazzini|Mazzini]] o di un [[Carlo Cattaneo|Cattaneo]]. Ma era, come loro, inattaccabile sul piano morale. E, in mancanza di un vero e proprio potere carismatico, esercitava sulle folle un notevole fascino per la sua gioviale e arguta "venezianità". Parlava sempre in dialetto con battute raccattate sulla bocca dei gondolieri, e anche nel dramma portava un pizzico di [[Carlo Goldoni|Goldoni]]. I suoi limiti li conosceva, e non è vero che l'autorità gli avesse dato alla testa, come diceva Tommaseo che diceva male di tutti. Anzi la esercitava bonariamente e cercava di circondarsi di uomini validi che sopperissero alla sua incompetenza. (cap. 23, pp. 354-355) *Eran trascorsi pochi mesi {{NDR|dal suo matrimonio con Vittorio Emanuele}}, che [[Maria Adelaide d'Asburgo-Lorena|Maria Adelaide]] lo sorprendeva nel giardino di Moncalieri con una diva del teatro, Laura Bon, ma si guardò dal farne un dramma. Perfettamente educata al mestiere di Regina, essa sapeva che la rassegnazione alle infedeltà ne è parte imprescindibile, e le sopportò sempre con garbo e dignità. (cap. 25, p. 390) *Sfruttando la devozione di Carlo Alberto, [[Clemente Solaro della Margarita|Solaro della Margarita]] aveva regolato i rapporti con la Chiesa in modo tale da fare del clero piemontese il più potente d'Italia dopo quello dello [[Stato Pontificio|Stato pontificio]]. Esso aveva ancora i suoi tribunali in concorrenza con quelli dello Stato e poteva concedere il diritto d'asilo ai delinquenti. (cap. 26, p. 410) *[...] {{NDR|Giuseppe}} Montanelli, gran galantuomo e ricco d'ingegno, non lo era altrettanto di carattere. Idee ne aveva, anzi ne aveva troppe; ma, facilmente suggestionabile, finiva sempre per adottare quelle dell'ambiente in cui viveva. (cap. 29, pp. 464-465) *Il primo a trarne le conclusioni {{NDR|dalle tesi favorevoli alla monarchia piemontese esposte nel libro di [[Vincenzo Gioberti|Gioberti]] ''Del rinnovamento civile d'Italia''}} fu [[Giorgio Pallavicino Trivulzio|Pallavicino]], l'ex prigioniero dello Spielberg, da un pezzo rifugiato a Torino. Di scarso cervello politico, impetuoso fino alla leggerezza, teatrale e un po' troppo portato a ostentare i suoi titoli di "martire", aveva fino allora militato sotto bandiera rivoluzionaria. (cap. 32, p. 514) *{{NDR|Tra i Mille di Garibaldi}} C'era il malinconico ex prete [[Giuseppe Sirtori|Sirtori]], che della guerra aveva fatto una mistica e sul campo sembrava che officiasse. (cap. 40, p. 635) ===''L'Italia dei notabili''=== *La [[Convenzione di settembre|Convenzione]], che fu detta "di Settembre" dal mese in cui venne concordata, si componeva di cinque articoli e stabiliva: che l'Italia rinunziava ad ogni atto di ostilità contro il territorio pontificio; che la Francia ne avrebbe ritirato le sue truppe via via che il governo del Papa le avesse rimpiazzate con volontari indigeni e stranieri, e comunque entro due anni; e che questo doppio impegno sarebbe entrato in vigore dal momento in cui il governo italiano avesse decretato il trasferimento della capitale da operarsi nello spazio di sei mesi. (Capitolo quinto, Firenze capitale, p. 76) *Gli sventramenti che furono operati {{NDR|a Firenze, nuova capitale del Regno d'Italia}} per alloggiare i Ministeri e i nuovi quartieri che sorsero alla periferia per ospitare i venticinque o trentamila impiegati che calarono da Torino, lasciarono la città orrendamente sfregiata e carica di debiti. (Capitolo quinto, Firenze capitale, p. 78) *{{NDR|[[Carmine Crocco]]}} [...] condannato per diserzione a vent'anni di carcere, ne era evaso, si era dato alla macchia, e in poco tempo era diventato il più temuto e rispettato capobanda della [[Basilicata|Lucania]] non soltanto per il suo coraggio, ma anche per la sua intelligenza di guerrigliero.</br>[...] Crocco venne riconosciuto Generalissimo non solo per l'autorità che gli conferivano le sue gesta, ma anche, perché, sebbene mezzo analfabeta, possedeva un'oratoria immaginosa e apocalittica. (Capitolo sesto, I briganti, pp. 85-89) *{{NDR|[[Giustino Fortunato]]}} [...] il più grande e illuminato studioso del Meridione. (Capitolo sesto, I briganti, p. 86) *Figlio di un fabbro e medico di professione, [[Giovanni Lanza|Lanza]] incarnava, nella Destra piemontese tradizionalmente formata da nobili, militari e grandi borghesi, un tipo umano del tutto insolito: il nuovo piccolo ceto medio, spartano e puritano, formatosi nelle scuole serali e nell'Università popolare. (Capitolo nono, Gli anni della lesina, p. 133) *L'esercito papalino era un'accozzaglia di mercenari delle più svariate nazionalità (c'erano perfino dei turchi). [...] circa 15.000 uomini, al comando del generale [[Hermann Kanzler|Kanzler]]. Compito gentiluomo, ligio al Regolamento come lo era al Catechismo, questi aveva tuttavia un concetto tedesco dell'onore militare e avrebbe preferito una sconfitta a una resa. Ma {{NDR|Il segretario di Stato}} Antonelli non era di questa opinione. Gli ordinò di ritirare le truppe {{NDR|pontificie}} dentro le mura e di limitarsi a un simulacro di resistenza. (Capitolo decimo, Porta Pia, pp. 141-142) *{{NDR|La duchessa [[Eugenia Attendolo Bolognini Litta|Eugenia Litta]]}} Durante la campagna del '59<ref>Seconda guerra d'indipendenza italiana.</ref> era stata il riposo del guerriero più famoso e importante: [[Napoleone III di Francia|Napoleone III]]. E secondo le malelingue era passata subito dopo in eredità a [[Vittorio Emanuele II di Savoia|Vittorio Emanuele]], che però era il meno adatto ad apprezzare la sua vita di vespa, le sue carni pallide e i suoi raffinatissimi gusti. [[Honoré de Balzac|Balzac]] le aveva reso omaggio. [[Arrigo Boito|Boito]] seguitava a rendergliene. [[Gabriele D'Annunzio|D'Annunzio]] dirà ch'essa "aveva rubato il segreto a Ninon de Lenclos<ref>Scrittrice, cortigiana ed epistolografa francese (1620–1705).</ref>". Insomma come iniziatrice all'amore, il giovane principe {{NDR|il futuro [[Umberto I di Savoia|Umberto I]]}} non poteva desiderarne una più fascinosa ed esperta. Lo fu al punto che, nonostante la differenza d'età, egli le rimase devoto – anche se non fedele – fino alla fine dei suoi giorni. (Capitolo quattordicesimo, Il marito di Margherita, p. 196) *{{NDR|[[Margherita di Savoia]]}} [...] era una vera e seria professionista del trono, e gl'italiani lo sentirono. Essi compresero che, anche se non avessero avuto un gran Re, avrebbero avuto una grande Regina. (Capitolo quattordicesimo, Il marito di Margherita, p. 197) *Il trattato {{NDR|della [[Triplice alleanza (1882)|Triplice alleanza]]}} fu firmato a Vienna nel maggio dell'82<ref>20 maggio 1882.</ref>. Esso impegnava le tre Potenze al reciproco aiuto nel caso in cui una fosse aggredita e alla benevola neutralità nel caso che aggredisse. Inoltre Austria e Germania dichiaravano di disinteressarsi del problema del Papa, considerandolo un affare interno italiano.<br>Quest'ultima clausola fu, insieme alla fine dell'isolamento, il grande vantaggio che l'Italia trasse dal patto, ma nient'altro. Essa non vi era entrata su un piede di parità con le consocie. Aveva semplicemente acceduto all'alleanza che già legava le altre due, le quali restavano per così dire le padrone di casa, e Bismarck non perse occasione di farcelo sentire. (Capitolo diciannovesimo, La Triplice, pp. 276-277) *L'unico Stato che ruppe le relazioni con quello italiano in seguito a [[Presa di Roma|Porta Pia]] fu l'Ecuador. Mai la Chiesa si era trovata in condizioni di più completo isolamento. (Capitolo ventitreesimo, I cattolici, p. 334) *Sindaco di Palermo a ventisette anni, {{NDR|[[Antonio Starabba, marchese di Rudinì|il marchese di Rudinì]]}} aveva affrontato con molto coraggio la rivolta che vi era scoppiata nel '66, e questo lo aveva accreditato come il fanciullo-prodigio del moderatismo, destinato a gloriose imprese. Ma, diceva De Sanctis, col passare del tempo, il prodigio dileguò e rimase solo il fanciullo. Ministro degl'Interni a trent'anni in uno dei governi Menabrea, la sua carriera si era fermata lì. Pure, la fama di "uomo forte" gli era rimasta addosso, suffragata anche dalla sua alta statura, dai lampeggiamenti del monocolo, dalla fluente barba, dalla nobilesca alterigia. Idee, non ne aveva. Ma aveva delle impennate che facevano credere alla sua risolutezza. E questo, in una Destra impoverita di personalità di rilevo, gli era bastato per guadagnarsi i galloni di capo. (Capitolo ventiquattresimo, Giolitti, pp. 348-349) *In realtà, del soldato, [[Oreste Baratieri|Baratieri]] non aveva neanche il fisico. Grasso e sgraziato, con gli occhiali a ''pince-nez'', sembrava molto più vecchio dei suoi cinquant'anni e costruito più per la cattedra che per l'elmo. (Capitolo ventisettesimo, Adua, p. 391) *{{NDR|Dopo le dimissioni del generale [[Luigi Pelloux|Pelloux]]}} A succedergli il Re chiamò il Presidente del Senato [[Giuseppe Saracco|Saracco]], un galantuomo ch'era riuscito a conservare intatta la sua reputazione di democratico pur essendo stato due volte Ministro nei governi di Crispi. Aveva quasi ottant'anni, ma conservava una notevole lucidità di cervello, e ne dette prova formando un governo di coalizione che includeva un po' tutte le forze, meno l'Estrema cui diede tuttavia soddisfazione chiamando parecchi suoi uomini nella commissione incaricata di studiare un nuovo regolamento parlamentare che, senza intaccare la libertà di discussione, impedisse l'ostruzionismo, o per meglio dire lo regolasse. (Capitolo ventottesimo, I cannoni di Bava Beccaris, p. 417) ===''L'Italia di Giolitti''=== *Si è detto che {{NDR|[[Egidio Osio]]}} plagiò il suo pupillo {{NDR|il principe ereditario, futuro re [[Vittorio Emanuele III di Savoia|Vittorio Emanuele III]]}} e ne lesionò definitivamente il carattere terrorizzandolo e mortificandone gli slanci. Si è detto che anche sul suo fisico ebbe pessima influenza costringendolo a penosi e logoranti sforzi. Si è detto che furono i suoi metodi repressivi a creare nel Principe quei complessi d'inferiorità da cui fu sempre afflitto, a traumatizzarlo, a inaridirlo, a riempirne l'animo di sordi rancori.<br>Ma se non proprio di falsità, si tratta di verità contraffatte. (cap. I, Il nuovo Re, p. 15) *Militare dalla testa ai piedi, Osio era un uomo duro, imperioso, abituato al comando. [...] Ma era anche un gran signore, perfetto uomo di mondo, e nutrito di buone letture. Sebbene la sua carriera potesse esserne notevolmente avvantaggiata, esitò molto ad accettare l'incarico {{NDR|di tutore del principe ereditario}}, vi si risolse solo dietro garanzia che nemmeno i genitori avrebbero più interferito nell'educazione del ragazzo, di cui egli diventava unico e assoluto responsabile, e al termine della sua missione non beneficiò di nessuno "scatto di grado". (cap. I, Il nuovo Re, pp. 15-16) *[[Elena del Montenegro|Elena]], che da ragazza dipingeva, suonava il violino, componeva poesie come suo padre<ref>Nicola I del Montenegro.</ref>, e amava il tennis e la danza, rinunziò a questi passatempi appena vide che lui {{NDR|il futuro Vittorio Emanuele III}} li detestava, anzi adottò come ''hobbies'' quelli di lui: la numismatica e l'archeologia. Per il resto fu soltanto una donna di casa, come lo era stata a Cettigne<ref>Capitale del Regno del Montenegro.</ref>. Sapendolo insofferente dei camerieri, era lei che lo serviva a tavola, e per farsi i vestiti si prese in casa una sartina. (cap. I, Il nuovo Re, p. 27) *[[Filippo Meda|Meda]] era un avvocato milanese di spirito pratico, che considerava l'astensione dal voto {{NDR|dei cattolici}} un dovere da osservare finché il Papa lo imponeva, ma un grosso errore strategico di cui occorreva sollecitare la revoca. Lo Stato liberale, diceva, c'è e va accettato. Va soltanto salvato dalle sue tentazioni autoritarie e giacobine. E questo i cattolici possono farlo soltanto inserendocisi e riformandolo in modo da tenerlo al riparo dai pericoli d'involuzione. Lo Stato cioè per lui era un "peccatore da salvare". (cap. IV, Cattolici e socialisti, p. 72) *[...] [[Romolo Murri|Murri]] era un giovane sacerdote marchigiano, che aveva conosciuto la povertà e nel Vangelo vedeva soprattutto un messaggio giustizialista. Introverso e malinconico come tutti i fanatici, egli si considerava molto più "avanzato" di Meda per il carattere rivoluzionario che intendeva imprimere al movimento {{NDR|cattolico}}. In realtà era un uomo del ''[[Sillabo]]'' che, pur partendo anche lui dall'accettazione dello Stato unitario, intendeva tramutarlo in una [[teocrazia]] egalitaria e totalitaria, sul tipo di quella che i Gesuiti avevano fondato un paio di secoli prima nel Paraguay. Se a ispirarlo fosse più l'amore del povero o l'odio del ricco, non sappiamo. (cap. IV, Cattolici e socialisti, pp. 72-73) *Meda e Murri furono dapprincipio alleati. Entrambi volevano un grande partito, popolare indipendente dalla Chiesa. Ma Meda lo concepiva come lo sviluppo della organizzazione tradizionale, cioè dell'''Opera''<ref>"Opera dei congressi e dei comitati cattolici", spesso abbreviata in "Opera dei congressi", organizzazione cattolica italiana, sciolta nel 1904.</ref>, una volta strappatala alla vecchia guardia, mentre Murri lo vedeva come un organismo nuovo, un "Fascio", come quelli che pochi anni prima avevano messo a soqquadro e insanguinato la Sicilia. (cap. IV, Cattolici e socialisti, p. 73) *Lo [[Sciopero generale del 1904|sciopero {{NDR|generale del 1904}}]] [...] non fu un fallimento, ma non fu nemmeno un successo perché si esaurì spontaneamente, e il suo più consistente risultato fu la spaccatura delle forze operaie. Lo si vide pochi mesi dopo, quando i sindacalisti bandirono un altro sciopero, quello delle ferrovie, da cui i sindacalisti uscirono demoralizzati e con la truppa dimezzata. (cap. IV, Cattolici e socialisti, p. 85) *[[Alessandro Fortis|Fortis]] era un tipico notabile romagnolo di lungo e contradditorio corso ideologico. Aveva debuttato come repubblicano intransigente, era andato in galera per complotto rivoluzionario con gli anarchici, poi era stato conquistato da [[Francesco Crispi|Crispi]], era finito {{sic|Ministro}} di [[Luigi Pelloux|Pelloux]], e ora militava sotto la bandiera di [[Giovanni Giolitti|Giolitti]]. Come "trasformista", era tra i più qualificati. Ma questa pecca era abbondantemente compensata dai suoi doni di simpatia umana e da una grande esperienza parlamentare. (cap. VI, Il suffragio universale, p. 107) *Quando [[Enrico Corradini|Corradini]] applicò il vocabolario socialista alla Nazione parlando di una "Italia proletaria" in lotta contro le plutocrazie occidentali, e lanciò l'idea di un "imperialismo operaio" da contrapporre a quello capitalistico, riscosse in campo sindacalista vasti consensi e pose le premesse di un pasticcio ideologico in cui Mussolini avrebbe di lì a poco guazzato. (cap. VII, "Tripoli bel suol d'amore", p. 137) *{{NDR|Giolitti}} Più che la Libia, voleva la [[Guerra italo-turca|guerra]], o meglio qualcosa che desse finalmente agl'italiani l'impressione di farne una e di vincerla. (cap. VII, "Tripoli bel suol d'amore", p. 145) *[...] a Vienna l'imperatore Francesco Giuseppe aveva dovuto intervenire di persona per fermare la mano al Capo di Stato Maggiore [[Franz Conrad von Hötzendorf|Conrad]] che voleva una spedizione punitiva contro l'Italia, ora ch'era impegnata in Africa {{NDR|nella guerra di Libia}}, per metterla in ginocchio "prima che avesse il tempo di perpetrare altri tradimenti". (cap. VII, "Tripoli bel suol d'amore", pp. 149-150) *Non si è mai saputo con certezza come si svolse l'operazione {{NDR|del [[patto Gentiloni]]}} che, ben s'intende, doveva restare segretissima. Giolitti negò sempre di avervi partecipato, e infatti d'impronte digitali non ve ne lasciò. Fu probabilmente senza le sue credenziali, ma certamente non senza il suo beneplacito che qualche esponente liberale prese contatto coi cattolici. Questi avevano una "unione elettorale" di cui era Presidente un Conte marchigiano, [[Vincenzo Ottorino Gentiloni|Gentiloni]], politico abile, ma vanesio e chiacchierone. Egli s'impegnò a mobilitare il voto cattolico in favore dei candidati liberali dovunque questi fossero minacciati dalla Estrema Sinistra; e i liberali s'impegnarono a difendere la parificazione delle scuole confessionali a quelle dello Stato, a ripristinare in queste ultime l'istruzione religiosa, a respingere l'introduzione del divorzio, e – pare – a combattere la Massoneria. (cap. VIII, Il crepuscolo degli dei, p. 163) *Se [[Gaetano Salvemini|Salvemini]] incarnava lo spirito protestatario e la sete giustizialista delle plebi meridionali, [[Antonio Salandra|Salandra]] incarnava lo spirito autoritario e conservatore della borghesia terriera. Proveniva da una famiglia di notabili pugliesi con parecchia roba al sole, e alla politica era approdato dalla cattedra universitaria, di cui conservava molti caratteri: una notevole cultura e finezza intellettuale, ma anche un compassato distacco che rasentava la freddezza. Prima di affrontare un problema lo studiava minuziosamente, e nessuno sapeva prospettarlo con più chiarezza di lui. (cap. IX, Sarajevo, p. 168) *[[Paolo Boselli]] {{NDR|incaricato nel 1916 di formare il nuovo governo dopo le dimissioni di Antonio Salandra}}, che fu chiamato a presiederlo, possedeva tutti i requisiti, meno quelli che occorrono per guidare un Paese in guerra. Deputato ligure da parecchie legislature, era stato varie volte Ministro con Crispi, Pelloux e Sonnino, ma nessuno se n'era accorto. [...]. Passava per un esperto di questioni economiche, e moralmente era un personaggio di tutto rispetto. Ma politicamente era scolorito, e per di più aveva quasi ottant'anni. (cap. XVI, La caduta di Salandra, pp. 293-294) *Quanto [[Luigi Cadorna|Cadorna]] era solitario, monacale ruvido e chiuso in un giro di valori e d'idee tradizionali, tanto [[Luigi Capello|Capello]] era brillante, estroverso, moderno, ricco d'immaginazione e maestro di "pubbliche relazioni". (cap. XVI, La caduta di Salandra, pp. 298-299) *Lucano di Melfi, [[Francesco Saverio Nitti]] incarnava anche nel fisico tozzo e grassottello il tipo del notabile meridionale, colto, brillante, scettico e alquanto egocentrico. [...] la sua specialità era il problema del Mezzogiorno, di cui fu tra i primi seri studiosi e che gli fornì anche la base elettorale. [...]. Sul livello medio della classe politica di allora, egli faceva spicco per preparazione, equilibrio e lucidità, ma anche per una certa propensione ad attribuirsi il monopolio di queste virtù. (cap. XXIII, Versaglia, pp. 420-421) ===''L'Italia in camicia nera''=== *Un altro utile incontro fu per Mussolini quello con [[Angelica Balabanoff]], personaggio già di notevole rilevo nel socialismo internazionale. Era una russa di buona famiglia borghese, che fin da giovanissima si era imbrancata con quella ''intellighenzia'' rivoluzionaria da cui venivano anche i Lenin, i Trotzky, e gli altri futuri grandi del bolscevismo. A spingerla era stata la ribellione contro la meschinità, lo snobismo provinciale, il sussiego di casta, i tabù del suo ceto. (cap. 1, p. 23) *Angelica {{NDR|Balabanoff}} non era bella, non aveva la grazia eterea ed esangue di Anna {{NDR|[[Anna Kuliscioff|Kuliscioff]]}}. Ma non era nemmeno sgradevole, nonostante i fianchi massicci e gli zigomi pronunciati, eppoi era una russa, cosa che faceva un grande effetto al piccolo provinciale di Predappio<ref>Mussolini era nato a Dovia, frazione di Predappio.</ref>. Anche se fra loro non divampò la passione che aveva legato Anna ad [[Andrea Costa]], qualcosa ci fu, ed ebbe la sua importanza. Angelica cercò d'incivilire quel selvaggio trasandato che passava da ostinati mutismi a interminabili sproloqui conditi di orrende bestemmie. Lo sfamava, gli lavava la biancheria, lo iniziava, sia pure con poco successo, al marxismo [...]. (cap. 1, p. 25) *Uno dei tre protagonisti del giuoco {{NDR|[[Gabriele D'Annunzio]]}} era eliminato. La partita ora si riduceva agli altri due: Giolitti e Mussolini. (cap. 1, p. 101) *Mussolini aveva vinto, e la sua vittoria significava che il fascismo, abbandonata la pretesa di presentarsi come un movimento rivoluzionario di sinistra, quale lo avrebbero voluto Grandi, Farinacci e Marsich, presentava la sua candidatura a forza egemonica della destra e infilava la «via parlamentare» al potere.<br>C'era un pericolo, e Mussolini lo capì subito: che questa svolta a destra mettesse il partito alla mercé della sua ala reazionaria incarnata soprattutto dal ''ras'' piemontese [[Cesare Maria De Vecchi|De Vecchi]], uomo di poco cervello, ma tutto Trono e Altare, e che quindi poteva anche tornar comodo per il futuro. (cap. 2, p. 127) *[...], i giolittiani riuscirono a portare al governo uno dei suoi {{NDR|di Giolitti}} «ascari» più fedeli, ma anche dei più sbiaditi: [[Luigi Facta]].<br> Facta era un bravo avvocato di provincia piemontese con tutte le virtù, ma anche con tutti i limiti del suo ambiente: un uomo probo e integro, che dopo trent'anni di vita parlamentare ne aveva ormai una certa esperienza, aveva ricoperto con onore alcune cariche ministeriali, non aveva alcuna ambizione che quella di servire fedelmente il suo capo, né altre idee che quelle di lui. Tutto gli si poteva chiedere fuorché risolutezza ed immaginazione, cioè proprio le qualità che più urgevano. (cap. 2, pp. 143-144) *[...] le sue intenzioni {{NDR|Mussolini}} non le confidava nemmeno al segretario del partito, [[Michele Bianchi|Bianchi]], di cui apprezzava la fedeltà e l'impegno, ma non l'intelligenza: lo considerava angoloso, settario, puntiglioso vendicativo e privo d'intuito politico. L'unico con cui si apriva seguitava ad essere [[Cesare Rossi]], l'uomo che gli era stato accanto dal primo momento, lo aveva seguito in tutte le sue palinodie e gli dava sempre dei consigli che corrispondevano ai suoi desideri. (cap. 4, p. 166) *{{NDR|[[Vittorio Emanuele III]]}} non si fidava completamente di Mussolini, ma si fidava ancora meno dei suoi avversari ed era convinto che costoro, se avessero preso il mestolo in mano, avrebbero ricreato il caos del dopoguerra. Comunque, a una cosa era assolutamente deciso: a non farsi coinvolgere nella lotta politica, come del resto gli dettava la Costituzione di cui, quando gli faceva comodo, sapeva ricordarsi. ====[[Explicit]]==== *Resterebbe solo da sapere con che animo Mussolini s'investì, il 3 gennaio, nella parte di dittatore. Se, come molti sostengono, gli sforzi che fino a quel momento aveva fatto per evitarla erano stati solo un giuoco per dimostrare che non era lui a volerla, ma gli eventi ad imporgliela, bisogna riconoscere che come {{sic|giuocatore}} sapeva il fatto suo. ==''Storia dei Greci''== *Il modo migliore per ripagare il nostro contemporaneo [[Heinrich Schliemann|Enrico Schliemann]] degli enormi servigi che ci ha reso nella ricostruzione della civiltà classica, mi pare sia quello di assumerlo fra i suoi protagonisti, com'egli stesso mostrò di desiderare ardentemente, scegliendosi, in pieno secolo decimonono, [[Zeus]] come dio e a lui indirizzando le sue preghiere, battezzando [[Agamennone]] suo figlio, Andromaca sua figlia, Pélope e Telamone i suoi servitori, e dedicando a [[Omero]] tutta la sua vita e i quattrini. (cap. 2; 2004, p. 17) *{{NDR|Su [[Heinrich Schliemann|Schliemann]]}} Era un matto, ma tedesco, cioè organizzatissimo nella sua follia, che la buona sorte volle ricompensare. La prima storia che gli raccontò suo padre, quando aveva cinque o sei anni, non fu quella di [[Cappuccetto Rosso]], ma quella di [[Ulisse]], di [[Achille]] e di Menelao. Ne aveva otto, quando annunziò solennemente in famiglia che intendeva riscoprire Troia e dimostrare, ai professori di storia che lo negavano, ch'essa era realmente esistita. Ne aveva dieci, quando compose in latino un saggio su questo argomento. E ne aveva sedici, quando sembrò che questa infatuazione gli fosse del tutto passata. Infatti s'era impiegato come garzone di una drogheria, dove scoperte archeologiche non c'era da farne di certo, e di lì a poco s'imbarcò non per l'Ellade, ma per l'America, in cerca di fortuna. (cap. 2; 2004, p. 17) *Di nuovo il buon Dio, che per i matti ha un debole, lo compensò di tanta fede, guidando il suo piccone sugli scantinati del palazzo dei discendenti di re Atreo, nei cui sarcofaghi furono ritrovati gli scheletri, le maschere d'oro, i gioielli e il vasellame che si ritenevano esistiti solo nella fantasia di Omero. E Schliemann telegrafò al re di Grecia: ''Maestà, ho ritrovato i vostri antenati''. Poi, ormai sicuro del fatto suo, volle dare il colpo di grazia agli scettici del mondo intero e, sulle indicazioni di [[Pausania]], andò a Tirinto e vi disseppellì le ciclopiche mura del palazzo di Proteo, di Perseo e di [[Andromeda|Andròmeda]]. (cap. 2; 2004, pp. 19-20) *Schliemann morì quasi settantenne nel 1890, dopo aver sconvolto tutte le tesi e le ipotesi su cui si era basata sino ad allora la ricostruzione della preistoria greca, tesa ad esiliare Omero e Pausania nei cieli della pura fantasia. (cap. 2; 2004, p. 20) *Ma ora, dopo le scoperte del tedesco matto, non abbiamo più il diritto di mettere in dubbio la realtà storica di Agamennone, di Menelao, di [[Elena]], di [[Clitennestra]], di Achille e di Patroclo, di Ettore e di Ulisse, anche se le loro avventure non sono state esattamente quelle che Omero ha descritto, facendoci sopra la cresta. Schliemann ha arricchito la storia e impoverito la leggenda, di alcune decine di personaggi di primissimo piano. Grazie a lui alcuni secoli, che prima erano nel buio, sono entrati nella luce, anche se è quella incerta della primissima alba. Ed è solo per mano a lui che possiamo esplorarla. (cap. 2; 2004, p. 21) *Senza dubbio gli [[achei]], a differenza dei pelasgi, furono terrieri, tant'è vero che fino alla guerra di Troia imprese per mare non ne azzardarono, e ogni volta che lo trovavano si fermavano. Essi non tentarono di mettere il piede nemmeno nelle isole più vicine al continente, e tutte le loro capitali e cittadelle erano nell'interno. La Grecia, sotto di loro, si limitava al Peloponneso, all'Attica e alla Beozia; mentre per le popolazioni pelasgiche della civiltà micenea, ch'erano marinare, essa inglobava anche tutti gli arcipelaghi dell'Egeo. (cap. 3, ''Gli Achei''; 2004, p. 25) *[[Diogene di Sinope|Diogene]], che aveva la lingua lunga, disse che la religione greca era quella cosa per cui un ladro che sapeva bene l'Avemaria e il Paternoster era sicuro di potersela cavar meglio, nell'al di là di un galantuomo che li aveva dimenticati. Non aveva torto. La [[Religione dell'antica Grecia|religione]], in Grecia, era soltanto un fatto di procedura, senza contenuto morale. Ai fedeli non si chiedeva la fede né si proponeva il bene. S'imponeva solo il compimento di certe pratiche burocratiche. E non poteva essere diversamente, visto che di contenuto morale gli stessi {{sic|dèi}} ne avevano ben poco e non si poteva certo dire che fornissero un esempio di virtù. (cap. 7, ''Zeus e famiglia''; 2004, p. 54) *Anche [[Pisistrato]] era aristocratico e di famiglia ricca. Ma aveva capito che la [[democrazia]], una volta instaurata, è irreversibile e va sempre a sinistra. (cap. 15, ''Pisistrato''; 2004, p. 98) *Pisistrato, invece di cinquanta uomini, ne arruolò e armò quattrocento, s'impadronì dell'Acròpoli, e proclamò la dittatura. In nome e per il bene del popolo, si capisce, come tutte le dittature. (cap. 15; 2004, p. 91) *La stragrande maggioranza degli ateniesi, dopo averlo a lungo osteggiato e tenuto in gran sospetto, si erano sinceramente affezionati a Pisistrato che aveva dalla sua un'arma formidabile: la simpatia. (cap. 15; 2004, pp. 92-93) *Il tiranno Pisistrato seppe sfuggire a tutte le tentazioni del potere assoluto, meno una: quella di lasciare il «posto» in eredità ai figli, [[Ippia (tiranno)|Ippia]] e [[Ipparco (tiranno)|Ipparco]]. L'amor paterno gl'impedì di vedere con la consueta chiarezza che i totalitarismi non hanno eredi e che quello suo si giustificava soltanto come una eccezione alla democrazia per assicurarle ordine e stabilità. Peccato. (cap. 15; 2004, p. 95) *Pisistrato era morto nel 527 avanti Cristo. Ventun anni dopo, cioè nel 506, troviamo uno dei suoi due figli, da lui designati a succedergli, Ippia, alla corte del re di Persia, [[Dario I di Persia|Dario]], per suggerirgli l'idea di muover guerra contro Atene e la Grecia tutta. I grandi uomini non dovrebbero mai lasciare né vedove né eredi. Sono pericolosissimi. (cap. 16, ''I persiani alle viste''; 2004, p. 103) *Questo Ippia non aveva debuttato male, dopo che suo padre fu calato nella fossa. Era un giovanotto sveglio che, a furia di stare accanto al babbo, ne aveva imparato molte malizie, e alla politica aveva passione, a differenza di suo fratello Ipparco che invece s'interessava soltanto di poesia e di amore, in modo che fra i due non c'erano nemmeno pericolose rivalità. Eppure, a procurare i guai che condussero alla caduta della dinastia, fu proprio Ipparco. (cap. 16; 2004, p. 96) *Ipparco ebbe la disgrazia d'inciampare in un bellissimo guaglione di nome Armodio, che un certo Aristogitone – aristocratico quarantenne, prepotente e geloso – considerava sua proprietà. Costui concepì l'idea di sbarazzarsi del rivale col pugnale e, per dare all'assassinio un'etichetta più pulita che lo rendesse popolare, pensò di estenderlo anche al fratello Ippia facendolo passare per «delitto politico» in nome della libertà e contro la tirannia. Organizzò in questo senso una congiura con altri nobili latifondisti e, in occasione di una festa, tentò il colpo, che andò bene solo a mezzo: Ipparco ci rimise la pelle, ma Ippia scampò. E da quel momento, un po' per rancore, un po' per paura di altri complotti, il figlio e l'allievo di Pisistrato, dittatore liberale indulgente e illuminato, diventò un ''tiranno'' autentico. (cap. 16; pp. 96-97) *Lo scontento del popolo inferocì Ippia, che a sua volta inferocì il popolo. E quando il divorzio fra i due fu totale, i fuoriusciti, che frattanto si erano concentrati a Delfi, chiamarono in aiuto gli spartani, e insieme marciarono contro Atene. (cap. 16; 2004, p. 97) *Ippia si rifugiò sull'Acròpoli coi suoi sostenitori. Ma, per mettere in salvo i suoi figlioletti, cercò di farli segretamente espatriare. Gli assedianti li catturarono e l'infelice padre, per salvar la vita a loro e a se stesso, capitolò e si avviò in volontario esilio. Non bisogna dimenticare che nelle sue vene scorreva tuttavia il sangue di Pisistrato, cioè di un uomo sempre pronto a sacrificare la posizione alla famiglia, ma mai disposto a rassegnarsi alla sconfitta. (cap. 16; 2004, p. 97) *[[Milziade]] aveva capito qual era il debole dei [[Persia|persiani]]: essi erano bravi soldati individualmente, ma non avevano nessuna idea della manovra collettiva. E su questa puntò. A dar retta agli storici del tempo — che purtroppo erano tutti greci, — Dario perse settemila uomini, Milziade neanche duecento. (cap. 17, ''Milziade e Aristide''; 2004, p. 112) *{{NDR|A Milziade}} sopravvisse [[Aristide]], le cui vicende purtroppo ci dimostrano che l'[[onestà]] in [[politica]] non trova sempre i suoi compensi e che la [[storia]], come le [[donna|donne]], ha un debole per i birbaccioni. (cap. 17, ''Milziade e Aristide''; 2004, p. 112) *Nike, diventata ragazza, porta il [[peplo]] di lana, bianca o colorata, ma questa è l'unica scelta che le si lascia. Siccome è confinata in casa, non può nemmeno far quella di un ragazzo che le piace, e deve aspettare che il padre si metta d'accordo con un altro padre per combinare il matrimonio. (cap. 23, ''Una Nike qualsiasi''; 2004, p. 143) *Quando il grande [[Mirone]], rincorbellito dalla vecchiaia, si vide arrivare in studio come modella Laìde<ref>Etera dell'antica Grecia, celebre per la sua bellezza.</ref>, perse la testa e le offrì tutto ciò che possedeva purché restasse la notte. E siccome essa rifiutò, l'indomani il poveruomo si tagliò la barba, si tinse i capelli, indossò un giovanile [[chitone]] color porpora e si passò una mano di carminio sul viso. «Amico mio», gli disse Laìde, «non sperare di ottenere oggi ciò che ieri rifiutai a tuo padre». (cap. 23, ''Una Nike qualsiasi''; 2004, p. 150) *{{NDR|[[Fidia]]}} Qualcosa, nel suo carattere, doveva farne un nemico degli uomini, visto che nessuno lo amava. Eppure egli non fu soltanto un grande scultore, ma anche un grandissimo maestro, che, oltre ad aver creato uno stile, ne fece anche una scuola, trasmettendone le regole ad allievi come Agoracrito e Alcamene, continuatori del «classico». (cap. 25, ''Fidia sul Partenone''; 2004, p. 165) *Gli uomini non sanno apprezzare e misurare che la [[fortuna]] degli altri. La propria, mai. (cap. 25, ''Fidia sul Partenone''; 2004, p. 166) ==''Storia di Roma''== ===[[Incipit]]=== Non sappiamo con precisione quando a Roma furono istituite le prime scuole regolari, cioè «statali». Plutarco dice che nacquero verso il 250 avanti Cristo, cioè circa cinquecent'anni dopo la fondazione della città. Fino a quel momento i ragazzi romani erano stati educati in casa, i più poveri dai genitori, i più ricchi dai ''magistri'', cioè da maestri, o istruttori, scelti di solito nella categoria dei liberti, gli schiavi liberati, che a loro volta erano scelti fra i prigionieri di guerra, e preferibilmente fra quelli di origine greca, che erano i più colti. ===Citazioni=== <!--segui nel riportare le citazioni l'ordine cronologico del libro--> *Non ho scoperto nulla, con questo libro. Esso non pretende di portare "rivelazioni", nemmeno di dare una interpretazione originale della storia dell'Urbe. Tutto ciò che qui racconto è già stato raccontato. Io spero solo di averlo fatto in maniera più semplice e cordiale, attraverso una serie di ritratti che illuminano i protagonisti in una luce più vera, spogliandoli dei paramenti che fin qui ce li nascondevano. (introduzione) *{{NDR|[[Numa Pompilio]]}} Quelle che più lo interessavano erano le questioni religiose. E siccome in questa materia ci doveva essere una grossa anarchia perché ognuno dei tre popoli {{NDR|etruschi, latini e sabini}} venerava i propri {{sic|dèi}}, fra i quali non si riusciva a capire chi fosse il più importante, Numa decise di mettervi ordine. E per imporlo, questo ordine, ai suoi riottosi sudditi, fece spargere la notizia che ogni notte, mentre dormiva, la ninfa Egeria veniva a visitarlo in sogno dall'Olimpo per trasmettergliene direttamente le istruzioni. Chi vi avesse disobbedito, non era col re, uomo fra gli uomini, che avrebbe dovuto vedersela, ma col Padreterno in persona. (Rizzoli 1959, cap. 3, ''I re agrari'', pp. 37-38) *[[Tarquinio Prisco|Lucio Tarquinio]] e i suoi amici etruschi dovettero veder subito che profitto si poteva trarre da questa massa di gente, per la maggior parte esclusa dai comizi curiati, se si fosse potuta convincerla che solo un re forestiero come lui avrebbe potuto farne valere i diritti. E per questo l'arringò, promettendole chissà cosa, magari ciò che poi fece davvero. [...] Certamente ci riuscirono perché Lucio Tarquinio fu eletto col nome di Tarquinio Prisco, rimase sul trono trentotto anni, e per liberarsi di lui i ''patrizi'', cioè i «terrieri», dovettero farlo assassinare. Ma inutilmente. Prima di tutto perché la corona, dopo di lui, passò al figlio, eppoi a suo [[Tarquinio il Superbo|nipote]]. In secondo luogo perché, più che la causa, l'avvento della dinastia dei Tarquini fu l'effetto di una certa svolta che la storia di Roma aveva subìto e che non le consentiva più di tornare al suo primitivo e arcaico ordinamento sociale e alla politica che ne derivava. (RCS 2004, cap. 4, ''I re mercanti'', pp. 38-39) *Questo secondo [[Tarquinio il Superbo|Tarquinio]], prima di rischiare il colpo, tentò di far deporre lo zio per abuso di potere. Servio si presentò alle centurie che lo riconfermarono re con plebiscitaria acclamazione (lo racconta [[Tito Livio]], gran repubblicano, dunque dev'esser vero). Non restava quindi che il pugnale, e Tarquinio lo usò senza troppi scrupoli. Ma il respiro di sollievo che trassero i senatori, coi quali si era alleato, rimase loro in gola, quando videro l'uccisore sedersi a sua volta sul trono d'avorio senza chieder loro permesso, come avveniva a quei buoni vecchi tempi ch'essi speravano di restaurare. Il nuovo sovrano si mostrò subito più tirannico di quello che aveva spedito all'altro mondo. E infatti lo ribattezzarono «il Superbo» per distinguerlo dal fondatore della dinastia. (RCS 2004, cap. 4, ''I re mercanti'', pp. 42-43) *Non sappiamo quasi nulla di [[Lars Porsenna|Porsenna]]. Ma dal modo come si condusse, dobbiamo dedurre che alle doti del bravo generale doveva accoppiare quelle del sagace uomo politico. Egli si rese conto che negli argomenti di [[Tarquinio il Superbo|Tarquinio]] c'era del vero. Ma prima d'impegnarsi, volle essere sicuro di due cose: che il Lazio e la Sabina erno davvero pronti a schierarsi dalla sua parte, e che nella stessa Roma c'era una «quinta colonna» monarchica pronta a facilitargli il compito con un'insurrezione. (RCS 2004, cap. 5, ''Porsenna'', p. 49) *Da quell'anno 508 in cui fu fondata la repubblica, tutti i monumenti che i romani innalzarono un po' dappertutto portarono sempre la sigla SPQR che vuol dire: ''Senatus PopuluSque Romanus'', cioè «il Senato e il popolo romano». Cosa fosse il Senato, già lo abbiamo detto. Viceversa non abbiamo ancora detto cos'era il popolo, che non corrispondeva affatto a ciò che noi intendiamo con questa parola. In quei lontani giorni di Roma esso non comprendeva «tutta» la cittadinanza, come avviene oggi, ma soltanto due «ordini», cioè due classi: quella dei «patrizi» e quella degli ''equites'' o «cavalieri». (RCS 2004, cap. 6, ''SPQR'', p. 54) *{{NDR|[[Sacco di Roma (390 a.C.)]]}} Gli storici che lo hanno raccontato a cose fatte hanno avvolto di molte leggende questo capitolo che dovett'essere per l'Urbe molto spiacevole. Dicono che quando i [[galli]] fecero per dare la scalata al [[Campidoglio]], le oche sacre a Giunone cominciarono a stridere risvegliando così [[Marco Manlio Capitolino|Manlio Capitolino]] che, alla testa dei difensori, respinse l'attacco. Sarà. Però i galli in Campidoglio entrarono ugualmente come in tutto il resto della città, donde la popolazione era fuggita in massa per rifugiarsi su monti circostanti. (Rizzoli 1959, cap. 6, ''SPQR'', pp. 81-82) *[...] i galli espugnarono Roma, la misero a sacco, e se ne andarono incalzati dalle legioni, ma carichi di quattrini. Erano predoni gagliardi e zotici, che non seguivano nessuna linea politica e strategica nelle loro conquiste. Assalivano, depredavano e si ritiravano senza punto preoccuparsi del domani. Avessero potuto immaginare che vendetta Roma avrebbe tratto da quella umiliazione, non vi avrebbero lasciato pietra su pietra. (Rizzoli 1959, cap. 6, ''SPQR'', pp. 82-83) *Tutti i dittatori della Roma repubblicana, meno uno, furono patrizi. Tutti, meno due, rispettarono i limiti di tempo che furono loro imposti. Uno di essi, [[Lucio Quinzio Cincinnato|Cincinnato]], che, dopo soli sedici giorni di esercizio della suprema carica, tornò spontaneamente ad arare il campo coi buoi, è passato alla storia coi colori della leggenda. (RCS 2004, cap. 9, ''La carriera'', p. 85) *Negli ultimi tempi {{NDR|[[Cesare]]}} si era spinto anche più in là: aveva imposto che tutte le discussioni che si svolgevano in quel solenne e aristocratico consesso venissero registrate e pubblicate giorno per giorno. Così nacque il primo giornale. Si chiamò ''[[Acta Diurna|Acta diurna]]'', e fu gratuito, perché, invece di venderlo, lo affiggevano ai muri in modo che tutti i cittadini potessero leggerlo e controllare ciò che facevano e dicevano i loro governanti. L'invenzione fu d'immensa portata perché sancì il più democratico di tutti i diritti. Il Senato, che traeva prestigio anche dalla sua segretezza, fu così sottoposto alla pubblica opinione, e non si riebbe mai più da questo colpo. (RCS 2004, cap. 24, ''Cesare'', p. 214) *Se riuscirò ad affezionare alla storia di Roma qualche migliaio di italiani, sin qui respinti dalla sussiegosità di chi gliel'ha raccontata prima di me, mi riterrò un autore utile, fortunato e pienamente riuscito. (introduzione) *Sull'esattezza di quel che [[Tito Livio|Livio]] riferisce facciamo le nostre riserve, specie là dov'egli mette in bocca ai suoi personaggi interi discorsi che somigliano più a Livio che a loro. La sua è una storia di eroi, un immenso affresco a episodi, e serve più a esaltare il lettore che a informarlo. [[Roma]], a dargli retta, sarebbe stata popolata soltanto, come l'Italia di Mussolini, da guerrieri e navigatori assolutamente disinteressati, che conquistarono il mondo per migliorarlo e moralizzarlo. Gli uomini, secondo lui, sono divisi in buoni e cattivi. A Roma c'erano solamente i buoni, e fuori di Roma solamente i cattivi. Anche un grande generale come [[Annibale]] diventa, sotto la sua penna, un comune mariuolo. Ciò non toglie che la storia di Livio, costata cinquant'anni di fatiche a un autore che si dedicò soltanto ad essa, resti un gran monumento letterario. Forse il più grande fra quelli, piuttosto mediocri, eretti sotto il segno di [[Augusto]]. (cap. 30, ''Orazio e Livio'') *Può darsi che [[Dione Cassio]] e [[Svetonio]], nel loro odio per la monarchia, abbiano un po' calcato la mano. Ma matto, [[Caligola]] doveva esserlo davvero. (cap. 31, ''Tiberio e Caligola'') *[[Vitellio]], quando fu catturato nel suo nascondiglio, dove, tanto per cambiare, banchettava, fu trascinato nudo per la città con un laccio al collo, bersagliato di escrementi, torturato con ponderata lentezza, e alla fine gettato nel Tevere.<br>Questa città che si divertiva al fratricidio, questi eserciti che si ribellavano, questi imperatori che venivano subissati di sterco pochi giorni dopo essere stati coperti di osanna: ecco cos'era diventata la capitale dell'Impero. (Rizzoli 1959, cap. 37, ''I Flavi'', pp. 415-416) *Purtroppo la pace, per ottenerla, bisogna essere in due a volerla. (cap. 37, ''I Flavi'') *Era la prima volta, nella storia di Roma, che una guerra si combatteva in nome della religione. Ma fu la Croce che vinse. E il Tevere, trascinando verso la foce i cadaveri di [[Massenzio]] e dei suoi soldati che lo ingombravano, sembrò che spazzasse via i residui del mondo antico. (cap. 46, ''Costantino'') *Il papa che più contribuì a rassodare l'organizzazione in questi primi difficili anni fu [[Papa Callisto I|Callisto]], che molti consideravano un avventuriero. Dicevano che, prima di convertirsi, aveva fatto i quattrini con sistemi piuttosto equivoci, era diventato banchiere, aveva derubato i suoi clienti, era stato condannato ai lavori forzati ed era fuggito con un inganno. Il fatto che, appena diventato papa, proclamasse valido il pentimento per cancellare qualunque peccato, anche mortale, ci fa sospettare che in queste voci un po' di verità c'è. Comunque, fu un gran papa, che stroncò il pericoloso scisma d'[[Ippolito di Roma|Ippolito]] e affermò definitivamente l'autorità del potere centrale. (RCS 2004, cap. 46, ''Costantino'', p. 367) *Le rivoluzioni vincono non in forza delle loro idee, ma quando riescono a confezionare una classe dirigente migliore di quella precedente. E il [[Cristianesimo]] era riuscito proprio in questa impresa. (cap. 47, ''Il trionfo dei cristiani'') *[[Costantino]] fu uno strano e complesso personaggio. Faceva gran scialo di fervore cristiano, ma nei suoi rapporti di famiglia non si mostrò molto ossequente ai precetti di Gesù. Mandò sua madre Elena a Gerusalemme per distruggere il tempio di Afrodite che gli empi governatori romani avevano elevato sulla tomba del Redentore, dove, secondo Eusebio, fu ritrovata la croce su cui era stato suppliziato. Ma subito dopo mise a morte sua moglie, suo figlio e suo nipote. (cap. 47, ''Il trionfo dei cristiani'') *Come tutti i grandi Imperi, quello romano non fu abbattuto dal nemico esterno, ma roso dai suoi mali interni. (cap. 51, ''Conclusione'') *Una religione conta non in quanto costruisce dei templi e svolge certi riti; ma in quanto fornisce una regola morale di condotta. Il [[paganesimo]] questa regola l'aveva fornita. Ma quando Cristo nacque, essa era già in disuso, e gli uomini, consciamente o inconsciamente, ne aspettavano un'altra. Non fu il sorgere della nuova fede a provocare il declino di quella vecchia; anzi, il contrario. (cap. 51, ''Conclusione'') *Il dispotismo è sempre un malanno. Ma ci sono delle situazioni che lo rendono necessario. (cap. 51, ''Conclusione'') ===[[Explicit]]=== Mai città al mondo ebbe più meravigliosa avventura. La sua storia è talmente grande da far sembrare piccolissimi anche i giganteschi delitti di cui è disseminata. Forse uno dei guai dell'Italia è proprio questo: di avere per capitale una città sproporzionata, come nome e passato, alla modestia di un popolo che, quando grida «Forza Roma!», allude soltanto a una [[Associazione Sportiva Roma|squadra di calcio]]. ==''XX Battaglione eritreo''== ===[[Incipit]]=== Sono letterato. E, a parte il brutto e il meschino di quella parola, il mio mestiere m'innamora. Mi sono sforzato tanti anni, per compiacere a qualcuno o a qualcosa, di tradire questo mio istinto. Ma non ce l'ho fatta. E non ce la fo nemmeno ora, soldato in Africa, in piena guerra. Ma non lo dico per presentare il conto. E a chi, poi? Lo dico per un fenomeno di narcisismo: perché mi garba contemplarmi in questo gesto di fedeltà al mestiere, che poi vuol dire fedeltà a me stesso. ===Citazioni=== *Essere [[Àscari|ascaro]] vuol dire, press'a poco, avere un blasone; vuol dire avere tre lire al giorno, più un'indennità vestiario, più un'indennità farina, più un'indennità carne; vuol dire avere un ''tarbush'' e una fascia coi colori del battaglione; vuol dire soprattutto avere un fucile. La gente di questo Paese segue una logica sistematica semplice e dritta: l'umanità si divide in due categorie: gli armati che sono i forti, i disarmati che sono i deboli. Al culmine della gerarchia sociale sta il possessore di fucile, il guerriero: che è tanto più importante quanto più elevato è il suo grado e quanto è maggiore la sua anzianità. (p. 25) *[[Pietro Toselli|Toselli]]. Questo nome non ha in Italia la risonanza che ha qui. Toselli non è un uomo, è una leggenda: non solo alla cronaca, ma sfugge anche alla storia. È rimasto nei canti di questa gente, nelle sue memorie e anche nelle sue speranze. Pur ieri mi diceva il vecchio Sciumbasci, reduce di Adua e ora capopaese di Digsa, che «le cose che si sanno sono molto meno di quelle che non si sanno» e che «il fatto è questo: che il corpo del maggiore Toselli non era più sul campo dopo la battaglia». Su quello che ne sia avvenuto le opinioni sono discordi, ma nessuno crede che il maggiore sia morto. (pp. 35-36) *Appollaiato ai suoi piedi, nascosto fra il verde tenero degli eucalipti, stava [[Alessandro Pirzio Biroli|Pirzio Biroli]]. Il suo nome era mormorato con circospezione dagli [[Àscari|ascari]] disseminati fra le rocce di Mai Egadà a Saganeiti, da Agordar ad Assab, a Cheren, ad Adi Ugri, ad Adi Caieh. Raramente lo si vedeva e sempre a cavallo. Accanto a lui cavalcava Chiarini, la piccola ombra fedele, il fantasma sorto una notte da un roveto della conca di Adua. Chiarini, settantenne, pallido, non scompariva nell'alone magico che Pirzio, il buon gigante, suscitava intorno. (pp. 87-88) *Poi arrivava anche lui, [[Alessandro Pirzio Biroli|Pirzio]] il leone, altissimo, quadrato, col profilo calmo incorniciato dalla folta criniera. Il cavallo, domo dai suoi ginocchi di ferro, caracollava senza un tentativo di ribellione. Dalla sella pendevano, di qua e di là, due aquile colossali, abbattute in volo dal moschetto infallibile di Pirzio. Nessuna tromba sonava l'attenti al suo ingresso. Non ce n'era bisogno. Tutti, nel quartiere, sentivano come per miracolo la sua presenza e restavano ischeletriti. Pirzio non se n'accorgeva: era uno di quegli uomini pei quali gli uomini sentono rispetto per istinto e che passano attraverso la vita come attraverso un'eterna parata, fra due file di bipedi schiaffati meccanicamente sull'attenti. Gli [[Àscari|ascari]] ebbero ragione quando lo battezzarono «il Leone»: non aveva bisogno di ruggire perché il largo gli si facesse automaticamente intorno. (pp. 88-89) ===[[Explicit]]=== Vorremmo ristare dopo la guerra? Il mondo è così visto che nessun limite precisa al desiderio. Italiani, continuate ad aver fame anche dopo aver mangiato. Questa guerra è per noi come una bella lunga vacanza dataci dal Gran Babbo in premio di tredici anni di banco di scuola. E, detto fra noi, era ora. ==Citazioni su Indro Montanelli== *A leggerlo sembrerebbe un disordinatore di professione: sempre pronto a mugugnare, sempre a prendersela con qualcuno. Poi però, quando si tratta di scendere sul pratico, ci consiglia di turarci il naso e di andare a votare per l'Ordine. vallo a capire. ([[Luciano De Crescenzo]]) *Amo Indro Montanelli, ma non i suoi emuli. I polemisti per posa non mi piacciono, non li ritengo utili. Ma lui non era un polemista fine a se stesso, come tanti dei suoi presunti eredi. Era piuttosto, come da titolo di una sua fortunata rubrica, controcorrente. Non si curava delle convenienze, dei vantaggi che gli sarebbero derivati nel seguire l'onda di [[pensiero]] prevalente. Aveva la sua visione delle cose, sempre originale e spesso esatta. Io credo che dire quel che si pensa premi sempre. Montanelli lo faceva, e andava a letto tranquillo. ([[Fabio Genovesi]]) *C'è davvero qualcosa di singolare nel modo in cui è venuta formandosi la memoria della Repubblica, nel modo in cui tale memoria è stata ed è elaborata dalla cultura ufficiale del Paese. Per molti decenni, ad esempio, a quanto accaduto dal 1943 al '45 fu vietato dare il nome che gli spettava, il nome cioè di [[Guerra civile in Italia (1943-1945)|guerra civile]]. Parlare di guerra civile era giudicato fattualmente falso, e ancor di più ideologicamente sospetto. Bisognava dire che quella che c'era stata era la resistenza, non la guerra civile; di guerra civile parlavano e scrivevano, allora, solo i reduci di Salò, i nostalgici del regime e qualche coraggioso giornalista o pubblicista di rango come Indro Montanelli, che mostravano così da che parte ancora stavano. Le cose andarono in questo modo a lungo. Finché, all'inizio degli anni Novanta, come si sa, uno storico di sinistra, [[Claudio Pavone]], scrisse un libro sul periodo 1943-'45 che si intitolava precisamente ''Una guerra civile'': solamente da allora tutti abbiamo potuto usare senza problemi questa espressione, ben inteso non cancellando certo la parola resistenza. ([[Ernesto Galli della Loggia]]) *È uno che riesce a spiegare agli altri quello che non capisce nemmeno lui. ([[Mario Missiroli]]) *È vero che ha cambiato parere politico più volte, ma sempre perché profondamente preoccupato per le sorti del paese. Ma Indro ha cambiato parere sempre meno di quei giornalisti che da Lotta Continua sono passati a Comunione e Liberazione per approdare infine a dirigere quotidiani di Stato. Senza contare tutti coloro che da stalinisti o maoisti sono diventati prima antimarxisti e ora clintoniani: Montanelli ragiona, loro vogliono avere sempre ragione. ([[Fausto Gianfranceschi]]) *Indro è naturalmente inclinato, direi quasi condannato a vedere più i ''tics'' degli uomini che le loro qualità e nessuno come lui fa più uso, nei suoi ritratti, dell'acido prussico. ([[Eugenio Montale]]) *{{maiuscoletto|Indro Montanelli}}. L'Italia dei Luoghi Comuni. ([[Marcello Marchesi]]) *Io mi sono limitato ad adottare la sua formula giornali­stica. Ma l'ho realizzata meglio perché mi sono sempre esposto, ci ho messo la faccia. Lui invece era come Veltroni: "Sì, ma an­che". Non si schierava nettamente, il suo editoriale era così in chiaroscuro che alla fine non capivi mai se fosse chiaro o scuro. Il che non significa che non resti il migliore di tutti noi. Ho venduto più di lui solo perché a me la gente non fa schifo. ([[Vittorio Feltri]]) *Mi sono sentito in imbarazzo per lui, e il mio primo pensiero è stato il rifiuto – «no, povero Montanelli» – quando all'ingresso dei giardini di via Palestro mi sono trovato davanti alla sua statua, al punto che ho pensato che ci sono vandali che distruggono e vandali che costruiscono, e che anzi, per certi aspetti, il vandalismo che crea è ben peggiore, perché tenta di disarmarti con le sue buone intenzioni. Dunque era di mattina, molto presto, e i giardini erano vuoti, al sole. Ebbene in questo vuoto, la statua mi è apparsa all'improvviso: una figurina in gabbia che non ha niente a che fare con Montanelli, se non perché lo offende anche fisicamente, lui che era così "verticale", e che ci invitava a buttare via «il grasso» e la retorica monumentale. Il giornalista che ogni volta si ri-definiva in una frase, in un concetto, in un aforisma, in una citazione, è stato per sempre imprigionato in una scatola di sardine. Perciò ho provato il disagio che sempre suscita il falso, la patacca, la similpelle che non è pelle, perché non solo questo non è Montanelli, come ci ha insegnato Magritte che dipinse una pipa e ci scrisse sotto "questa non è una pipa". Il punto è che questa non è neppure una statuta di Montanelli, ma di un montanelloide in bronzo color oro, che ha la presunzione ingenua e goffa di imprigionare il Montanelli entelechiale, il Montanelli che era invece l'asciuttezza, era il corpo più "instatuabile" del mondo, troppo alto, troppo energico, troppo nervoso, incontenibile nello spazio e nel tempo com'è l'uomo moderno, che è nomade e ha un'identità al futuro. Era il più grande nemico delle statue il Montanelli che sempre ci sorprendeva, fascista ma con la fronda, conservatore ma anarchico, con la sinistra ma di destra, un uomo di forte fascino maschile che tuttavia non amava raccogliere i trofei del fascino maschile, ingombrante ma discreto, il solo che nella storia d' Italia abbia rifiutato la nomina a senatore a vita perché, diceva, «i monumenti sono fatti per essere abbattuti», come quello di Saddam, o di Stalin o di Mussolini. Come si può fare una statua ingombrante e discreta? Come si può fare un monumento all'antimonumento? ([[Francesco Merlo]]) *Montanelli comprò una sposa ragazzina di 11-12 anni. In realtà non possiamo sapere con precisione l'età perché nei villaggi africani non si registravano le nascite. Ma la comprò, questo lo sappiamo. E la violentò più volte. sappiamo anche questo, è stato lui a raccontare che lei non voleva. [...] Da italiano Montanelli avrebbe potuto riconoscere i segni di quella crudeltà e discostarsene. Non lo fece perché condivideva evidentemente quella cultura patriarcale. Perché non mettere al posto della sua statua quella di una donna della Resistenza? In Italia vorrei vedere più statue di donne partigiane. ([[Maaza Mengiste]]) *Montanelli disprezzava la borghesia che difendeva, e ammirava i comunisti che attaccava. Era convinto che la rivolta di Budapest si dovesse a operai che volevano il vero socialismo; mentre fu una rivolta nazionalista e antisovietica. ([[Enzo Bettiza]]) *Montanelli è il campione di indipendenza dalla politica, anche se sono arrabbiato con lui perché mi ha insegnato regole di comportamento anacronistiche, che nel giornalismo odierno non valgono più. ([[Daniele Vimercati]]) *Montanelli ha sempre avuto una componente di destra. È stato un uomo di destra come fascista, uomo di destra come sostenitore dei governi dc sia pure turandosi il naso. [...] Adesso è un uomo di destra qualunquista, ma sempre di destra. ([[Ugo Intini]]) *Montanelli, un misantropo che cerca compagnia per sentirsi più solo. ([[Leo Longanesi]]) *Quanto mi ha insegnato: le parole da non usare, le cose da non dire, la persone da non frequentare. ([[Beppe Severgnini]]) *Recentemente sono stato insignito del Premio Montanelli alla carriera che dovrebbe essermi consegnato a ottobre a Fucecchio, a meno che nel frattempo non mi sia revocato per indegnità, sempre in nome della libertà di informazione. Sono certo che il vecchio Indro non avrebbe condiviso nemmeno un fonema del mio necrologio sul Mullah {{NDR|Omar}}, ma sono altrettanto certo che non si sarebbe mai sognato di bloccarlo. Caso mai ci avrebbe riso su, considerandolo una provocazione, anche se provocazione non era. Perché Montanelli era un vero liberale. Quando i liberali esistevano ancora. ([[Massimo Fini]]) *Sa spalmare una così giusta misura di miele sull'orlo del nappo avvelenato che prepara per questo o per quello, che spesso la vittima muore senza accorgersene, ingannata dai soavi licori. ([[Paolo Monelli]]) *Scalfari e Montanelli direttori all'antica, padroni, mattatori che ricordano gli Scarfoglio, i vecchi direttori dell'ottocento che non solo incrociavano la penna ma anche la spada in una rissa continua con tutt ([[Ugo Intini]]) *Si può raccontare la [[storia]] in forma lieve, senza essere troppo ponderosi, rispettando tuttavia le fonti e la verità storica. Montanelli era molto bravo a scrivere, ma in fondo ne sapeva poco, gli piaceva gigioneggiare, sprofondava nell'anacronismo. Oggi ci si è accorti che, nel raccontare la storia, essere rigorosi ed essere divertenti non è conflittuale. ([[Alessandro Barbero]]) *So solo che Montanelli è fatto così: un maestro di giornalismo che ogni tanto s'impenna con qualcuna delle sue bizzarrie. ([[Giorgio Bocca]]) *Una volta, parecchi anni fa, Indro Montanelli, dicendosi disgustato della morbidezza e della mollezza della [[Democrazia Cristiana]], che ammorbidiva, incorporava, estenuava e alla fine innocuizzava qualsiasi opposizione, togliendole ogni soddisfazione e dignità, mi mostrò una fotografia, incastonata in una cornicetta d'argento, che teneva, a mo' di santino, come altri fanno con le immagini della madre o della moglie e dei figli, sulla sua scrivania, al «Giornale». Con sorpresa vidi che si trattava di Stalin. «Con questo ci sarebbe stato gusto, a battersi», disse. ([[Massimo Fini]]) *Ognuno può pensarla come vuole, ma quando si passa dalla cronaca alla storia è necessario mantenere un giusto approccio ed essere oggettivi sui valori della persona. Indro Montanelli è stato forse il più autorevole giornalista che l’Italia ha avuto nel ventesimo secolo. La Toscana penserà ad azioni per valorizzarlo. ([[Eugenio Giani]]) ===[[Enzo Biagi]]=== *A Indro Montanelli devo molto: intanto, l'idea che chi conta è il pubblico. Poi la necessità di essere chiari, di far anche fatica, perché chi legge non ha voglia di impegnarsi troppo, e solo se uno si chiama [[James Joyce|Joyce]] può essere difficile. *Montanelli se n'è sempre fregato delle critiche, io molto meno, ho un carattere permaloso, spesso non ho resistito alla tentazione di rispondere a chi mi attaccava. Indro mi sgridava, diceva a mia moglie di tenermi calmo, che non ne valeva la pena, che erano tutte bischerate. [...] Per lui il buon risultato era il sorriso di un passante, l'oste che gli trovava il tavolo. Qualcuno si chiedeva che cos'avesse di speciale. A pensarci bene, niente. Scriveva degli articoli che erano letti e dei libri che si vendevano. *Non è una gran notizia che Indro e io non abbiamo mai fatto parte del coro, ma fu una grande notizia la spiegazione che ne diede Berlusconi: "Biagi e Montanelli hanno invidia del mio successo". La prima cosa che mi venne in mente fu: "Sai che risate si starà facendo Indro adesso". Poi mi dissi che c'era poco da ridere. ==Note== <references/> ==Bibliografia== *Indro Montanelli, ''Qui non riposano'', Marsilio, 1982 (1945). *Indro Montanelli, ''Pantheon minore'' (incontri), Longanesi e C., Milano, 1950. {{NoISBN}} *Indro Montanelli, ''Gli incontri'', Rizzoli, Milano, 1967. {{NoISBN}} *Indro Montanelli, ''Storia dei greci'', Rizzoli, Milano, 1992. ISBN 8817115126 *Indro Montanelli, ''Storia dei greci'', RCS Quotidiani, Milano, 2004. ISBN 1-129-08505-8 *Indro Montanelli, ''Storia di Roma'', Longanesi, Milano, 1957; Rizzoli, Milano, 1959. {{NoISBN}} *Indro Montanelli, ''Storia di Roma'', RCS Quotidiani, Milano, 2004. ISBN 1-129-08505-8 *Indro Montanelli, ''L'Italia giacobina e carbonara (1789-1831)'', Rizzoli, Milano, 1971. {{NoISBN}} *Indro Montanelli, ''L'Italia del Risorgimento (1831-1861)'', terza edizione, Rizzoli, Milano, 1972. {{NoISBN}} *Indro Montanelli, ''L'Italia dei notabili (1861-1900)'', Rizzoli, Milano, 1973. {{NoISBN}} *Indro Montanelli, ''L'Italia di Giolitti (1900-1920)'', Rizzoli, Milano, 1974. {{NoISBN}} *Indro Montanelli, ''L'Italia in camicia nera (1919-3 gennaio 1925)'', Rizzoli, Milano, 1976. *Indro Montanelli, ''Dante e il suo secolo'', Rizzoli, Milano, 1974. {{NoISBN}} *Indro Montanelli, ''I protagonisti'', Rizzoli, Milano, 1976. {{NoISBN}} *Indro Montanelli, ''Controcorrente'', Editoriale Nuova, Milano, 1978. {{NoISBN}} *Indro Montanelli, ''Controcorrente 1974-1986'', Arnoldo Mondadori Editore, Milano, 1987. ISBN 8804300558 *Indro Montanelli, ''Il meglio di «Controcorrente». 1974-1992'', Rizzoli, Milano, 1993. ISBN 8817428078 *Indro Montanelli, ''Il testimone'', TEA, Milano, 1993. ISBN 8878194182 *Indro Montanelli, ''Le Stanze. Dialoghi con gli italiani'', Rizzoli, Milano, 1998. ISBN 8817852597 *Indro Montanelli, ''Le nuove Stanze'', Rizzoli, Milano, 2001. ISBN 8817868426 *Indro Montanelli, ''Soltanto un giornalista. Testimonianza resa a Tiziana Abate'', BUR, Milano, 2003. ISBN 8817107042 *Indro Montanelli, ''I conti con me stesso. Diari 1957-1978'', a cura di [[Sergio Romano]], Rizzoli, Milano, 2010. ISBN 8817028202 ([http://books.google.it/books?id=fuh--fZGHMcC&printsec=frontcover Anteprima su Google Libri]) *Indro Montanelli, ''Ricordi sott'odio'', Milano, Rizzoli, 2011, ISBN 978-88-17-04963-4 *Indro Montanelli, ''Indro al Giro. Viaggio nell'Italia di Coppi e Bartali. Cronache del 1947 e 1948'', a cura di Andrea Schianchi, Collana Saggi italiani, Milano, Rizzoli, 2016. ISBN 978-88-1708-969-2 *Paolo Granzotto, ''Montanelli'', Bologna, Il Mulino. ISBN 88-15-09727-9 *Paolo Occhipinti (a cura di), ''Caro Indro... Dialoghi di Montanelli con il direttore di Oggi. 1993-2001. Il meglio di una rubrica di successo durata otto anni'', RCS, Milano, 2002. ==Voci correlate== *[[Colette Rosselli]] *[[Indro Montanelli e Roberto Gervaso]] *[[Indro Montanelli e Mario Cervi]] *[[Indro Montanelli e Marco Nozza]] *''[[Il generale Della Rovere]]'' (film 1959) ==Altri progetti== {{interprogetto}} ===Opere=== {{Pedia|La Voce (quotidiano)|''La Voce''}} {{Pedia|Storia d'Italia (Montanelli)|''Storia d'Italia''}} {{DEFAULTSORT:Montanelli, Indro}} [[Categoria:Drammaturghi italiani]] [[Categoria:Giornalisti italiani]] [[Categoria:Saggisti italiani]] [[Categoria:Commediografi italiani]] dk6swdsdbtrcgrl9rosd8uf74i2u478 1381956 1381953 2025-07-01T20:54:11Z ~2025-110542 103361 1381956 wikitext text/x-wiki [[File:IndroMontanelliLettera22.jpg|thumb|upright=1.5|Indro Montanelli alla sede del ''Corriere della Sera'']] '''Indro Montanelli''' (1909 – 2001), giornalista, saggista e commediografo italiano. ==Citazioni di Indro Montanelli== [[File:Indro Montanelli 1936.jpg|miniatura|Indro Montanelli, ufficiale del Regio Esercito, 1936]] *[[Gianni Agnelli|Agnelli]] ha detto che non siamo nella repubblica delle banane, però qualche banana in Italia c'è, perché avvengono cose veramente singolari.<ref>Citato in Marco Travaglio, ''Bananas'', Garzanti, Milano, 5 maggio 2001.</ref> *Al [[conformismo]] l'[[ironia]] fa più paura d'ogni [[Argomentazione|argomentato ragionamento]].<ref>Da ''Controcorrente'', Editoriale Nuova, Milano, 1978.</ref> *{{NDR|[[Ferdinando I delle Due Sicilie]]}} Aveva sulla coscienza la vita di migliaia d'infelici, morti sulla forca e nelle galere solo per aver voluto un po' di libertà. Era stato spergiuro. Non aveva conosciuto che disfatte e fughe ignominiose di fronte al nemico. Politicamente, era rimasto fermo alla concezione settecentesca del più retrivo assolutismo. Non aveva fatto che i propri interessi, e più ancora i propri comodi, della regalità prendendosi solo i piaceri. Non aveva saputo che incrementare l'ignoranza di cui egli stesso era campione. Eppure, il cordoglio popolare per la sua morte non ci stupisce, perché un dono lo aveva avuto: la genuinità. Questo Re fellone e fannullone non aveva mai cercato di apparire diverso da quel che era: uno scugnizzo dei «bassi», prepotente, ridanciano e sboccato, nato per caso con una corona in testa e che aveva sempre concepito la sua parte come quella di un buon capo-camorra. Non aveva interpretato che i caratteri deteriori del popolo napoletano, ma anche i più appariscenti e riconoscibili.<ref>Da ''L'Italia unita. {{small|Da Napoleone alla svolta del Novecento}}'', Rizzoli BUR, Milano, 2015, [https://books.google.it/books?id=8J7tCgAAQBAJ&lpg=PT206&dq=&pg=PT206#v=onepage&q&f=false p. 206]. eISBN 978-88-58-68272-2</ref> *Avevo capito fin dal primo incontro che l'aggressività di [[Anna Magnani|Anna {{NDR|Magnani}}]] era solo la maschera della sua insicurezza. Era una donna difficile e sempre agli estremi di tutto: della dolcezza come del furore, e non si capiva mai bene, forse non lo capiva nemmeno lei, quanto l'uno e l'altra fossero veri, o soltanto scena. Certo è che dall'uno all'altra passava con fulminea velocità e tenendo chiunque in stato di fibrillazione. <ref>Da ''Anna Magnani, la più grande attrice del nostro cinema'', 23 ottobre 1999, in ''Le Nuove stanze'', a cura di Michele Brambilla, RCS Libri, Milano, 2002, p. 280.</ref> *{{NDR|[[Walter Chiari]]}} Avrebbe meritato 30 anni di prigione per lo spreco del suo talento.<ref>Citato in Luciano Giannini, ''[https://www.ilmattino.it/AMP/cultura/walter_chiari_100_walter_sottotitolo_chiari_biografia_di_un_genio_irregolare-7954361.html Walter Chiari genio irregolare che confessava di aver vissuto]'', ''Il Mattino'', 24 febbraio 2024</ref> *[[Silvio Berlusconi|Berlusconi]] è una persona intelligente finché riesce a ragionare col suo cervello: il suo cervello è valido. Ma lui, oltre al cervello, ha le viscere, e molto spesso le viscere prendono la prevalenza sul cervello. E quando lui si abbandona alle viscere, secondo me, diventa uomo pericoloso. Questo lo dico a lei perché l'ho detto a lui, perché gliel'ho anche scritto.<ref name="milano">Dal programma televisivo ''Milano, Italia'', Rai 3, 11 gennaio 1994.</ref> *[[Silvio Berlusconi|Berlusconi]] ha straordinarie qualità di imprenditore – coraggio, fantasia, forza di lavoro – che gli hanno valso il successo in tutti i campi in cui si è cimentato. Una sola cosa non gli riesce di fare, il presidente di una società di calcio.<ref>Da ''[http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/1987/01/20/ora-montanelli-critica-berlusconi.html Ora Montanelli critica Berlusconi]'', ''la Repubblica'', 20 gennaio 1987.</ref> *[[Silvio Berlusconi|Berlusconi]] non ha idee: ha solo interessi.<ref>2001; citato in [[Marco Travaglio]], ''Ad personam'', Chiarelettere, Milano, 2010, p. 39, ISBN 978-88-6190-104-9.</ref> *{{NDR|Su [[Aldo Moro]]}} Calvinista a rovescio, invece che nella predestinazione della [[Grazia divina|grazia]], credeva in quella della [[disgrazia]].<ref>Citato in [[Roberto Gervaso]], ''Ve li racconto io'', Mondadori, Milano, 2006, pp. 310-311, ISBN 88-04-54931-9.</ref> *Certo, per un direttore di giornale, avere sottomano un [[Marco Travaglio|Travaglio]], che su qualsiasi protagonista, comprimario e figurante della vita politica italiana è pronto a fornirti su due piedi una istruttoria rifinita nel minimo dettaglio è un bel conforto. Ma anche una bella inquietudine. Il giorno in cui gli chiesi se in quel suo archivio, in cui non consente a nessuno di ficcare il naso, ci fosse anche un fascicolo intitolato al mio nome, Marco cambiò discorso.<ref>Dalla prefazione a Marco Travaglio, ''Il Pollaio delle Libertà'', Vallecchi, Firenze, 1995.</ref> *Chi di voi vorrà fare il [[giornalista]], si ricordi di scegliere il proprio padrone: il [[lettore]].<ref>Dalla lezione di giornalismo all'Università di Torino, 12 maggio 1997; citato in ''La Stampa'', 14 aprile 2009.</ref> *Conosco molti furfanti che non fanno i [[Morale|moralisti]], ma non conosco nessun moralista che non sia un furfante. Senza, per carità, allusione a [[Eugenio Scalfari|Scalfari]]. Solo come promemoria.<ref>Citato in [[Eugenio Scalfari]], ''Incontro con io'', Rizzoli, Milano, 1994, ISBN 8806200747.</ref> *Cosa c'è meglio di [[Romano Prodi|Prodi]]? Governa fra compromessi e imbroglietti. I nostri soci sanno benissimo che siamo imbroglioni, che sui conti che portiamo all'Europa s'è un po' imbrogliato. Accettano lo stesso, purché non s'esageri. E [[Carlo Azeglio Ciampi|Ciampi]] non esagera, è un economista serio e vero. [...] {{NDR|Romano Prodi}} Con la faccia da mortadella, l'ottimismo inossidabile e l'eterno sorriso, ci porterà in Europa: ringraziamo Dio, e anche [[Massimo D'Alema|D'Alema]], che ci hanno dato Prodi.<ref name=Montanelli>Citato in Francesco Battistini ''[https://web.archive.org/web/20160101000000/http://archiviostorico.corriere.it/1997/dicembre/19/Montanelli_ragazzi_rifate_68_co_0_97121914987.shtml Montanelli: ragazzi, rifate il '68]'', ''Corriere della Sera'', 19 dicembre 1997.</ref> *Dicono che [[Ciriaco De Mita|De Mita]] sia un intellettuale della Magna Grecia. Io però non capisco cosa c'entri la Grecia...<ref>Citato in ''Liberazione'', 22 febbraio 2008.</ref> *{{NDR|Su [[Giulia Maria Crespi]]}} Dispotica guatemalteca.<ref> Citato in Paolo Martini, ''[https://www.adnkronos.com/crespi-la-zarina-del-corriere-della-sera-che-fondo-il-fai_4YA2lu93AIXTzgMw0Wj65x Crespi, la 'zarina' del Corriere della Sera che fondò il Fai]'', adnkronos.com, 19 luglio 2020.</ref> *{{NDR|Su [[Gad Lerner]], nel 2000}} È bravissimo, son contento l'abbian messo al ''Tg1'', è un buon conduttore, buonissimo giornalista. Ma sarà un bravo direttore?<ref>Citato in Antonella Rampino, ''[http://www.archiviolastampa.it/component/option,com_lastampa/task,search/mod,libera/action,viewer/Itemid,3/page,3/articleid,0428_01_2000_0162_0003_4349235/ Il rischio? Una missione impossibile]'', ''La Stampa'', 17 giugno 2000.</ref> *{{NDR|Su [[Concetto Lo Bello]]}} Entra in campo col passo del padrone che ispeziona il proprio podere.<ref>Citato in Marco Innocenti, ''[https://st.ilsole24ore.com/art/SoleOnLine4/dossier/Tempo%20libero%20e%20Cultura/storie-della-storia/archivio-2009/storie-storia-9-settembre-muore-lo-bello.shtml?uuid=4327f496-881f-11de-873c-ca3137183d57&DocRulesView=Libero&refresh_ce=1 9 settembre 1991: se ne va il re degli arbitri, Concetto Lo Bello]'', ''ilsole24ore.com'', 8 settembre 2009.</ref> *{{NDR|Su [[Gaio Giulio Cesare|Giulio Cesare]]}} Grande soldato, grande statista, grande scrittore, grande avventuriero. E grande amatore. C'era di tutto. [...] In questa epoca di Mani Pulite Cesare sarebbe rimasto sicuramente "intangentato". Di tangenti lui ne prese parecchie. Ma a differenza dei mariuoli di oggi era anche un grande legislatore, un grande generale, un uomo di un'efficienza straordinaria. I nostri sono dei ladri. Ladri e basta.<ref>Citato in Mauro Anselmo, ''[http://www.archiviolastampa.it/component/option,com_lastampa/task,search/mod,libera/action,viewer/Itemid,3/page,7/articleid,0797_01_1993_0212_0009_11229316/ Montanelli: così ho finito la mia Storia d'Italia]'', ''La Stampa'', 4 agosto 1993.</ref> *{{NDR|Su [[Clare Boothe Luce]]}} Ha la mentalità schematica di una maestra di scuola.<ref>Citato in Massimo Gaggi, ''Quando il giornale del Pci pensò di pubblicare il nudo dell'ambasciatrice Usa'', ''Corriere della Sera'', 18 dicembre 2022.</ref> *{{NDR|Su [[Lucio Battisti]]}} Ho amato molto le sue canzoni e il suo desiderio di vivere appartato.<ref>Citato in [[Leo Turrini]], ''Lucio Battisti: la vita, le canzoni, il mistero'', Mondadori, 2008, retrocopertina.</ref> *I mariti italiani, per comprar la pelliccia alle mogli, spendono più di tutti i loro colleghi europei. Poveri, ma pelli.<ref name=Controcorrente>Da ''Controcorrente, 1974–1986'', Mondadori, Milano, 1987.</ref> *I nostri uomini politici non fanno che chiederci, a ogni scadenza di legislatura, «un atto di fiducia». Ma qui la fiducia non basta; ci vuole l'atto di fede.<ref name=Controcorrente/> *I [[Ricordo|ricordi]] vanno messi sotto teca, appesi a una parete e guardati. Senza tentare di rinnovarli. Mai.<ref>Da un'intervista di [[Ferruccio de Bortoli]], 1999; in ''[http://www.rai.it/dl/Rai5/programma.html?ContentItem-f04f3982-e954-471e-8242-78f92423550d Indro Montanelli, gli anni della televisione]'', puntata 8, di Nevio Casadio, Rai Premium, 2013.</ref> *Il bello dei [[politologi]] è che, quando rispondono, uno non capisce più cosa gli aveva domandato.<ref name=Controcorrente/> *{{NDR|Su [[Carlo Sforza]]}} Il conte si piega sulle gambe come se volesse saltare in arcione. E io dico: è veramente un bell'uomo.<ref>Citato da Guido Russo Perez nella [https://documenti.camera.it/_dati/leg01/lavori/stenografici/sed0331/sed0331.pdf Seduta pomeridiana del 31 ottobre 1949] della Camera dei deputati.</ref> *Il fascismo privilegiava i somari in divisa. La democrazia privilegia quelli in tuta. In Italia, i regimi politici passano. I somari restano. Trionfanti.<ref name=Controcorrente/> *Il guaio di [[Eugenio Scalfari|Scalfari]] non è che dice quel che pensa. Il guaio di Scalfari è che pensa quel che dice.<ref>Citato in Paolo Granzotto, ''Montanelli'', p. 173.</ref> *In [[Italia]] a fare la dittatura non è tanto il dittatore quanto la paura degli italiani e una certa smania di avere, perché è più comodo, un padrone da servire. Lo diceva [[Benito Mussolini|Mussolini]]: «Come si fa a non diventare padroni di un paese di servitori?».<ref>Dall'intervista di Pasquale Cascella, ''Montanelli: «Il regime? È alle porte, inutile aspettare il dittatore»'', ''l'Unità'', 25 ottobre 1994, p. 5.</ref> *In Italia c'è una frangia d'imbecilli tali che credono si possa resuscitare il comunismo. Seppellire il cadavere del marxismo non è facile, anche perché per molti significa rinnegare l'intera esistenza. Ma certo [[Fausto Bertinotti|Bertinotti]] non è di questi: lui non sa un corno di marxismo, non gl'importa niente, è un piccolo pagliaccio, un populista all'italiana che scalda in piazza maree di poveri diavoli e parla ancora delle masse operaie, che vede solo lui.<ref name=Montanelli></ref> *In Italia non c'è una coscienza civile, non c'è un'identità nazionale che tenga insieme uno Stato federale e garantisca la civile convivenza delle sue parti. Invece io vedo solo nell'Italia Cisalpina qualche barlume di coscienza civile e una vocazione europea. Altrove, invece, è un disastro difficile, se non impossibile, da rimediare. Spero proprio di sbagliarmi.<ref name=Italia>Citato in ''Il grande vecchio del giornalismo rilegge gli ultimi anni della nostra storia'', ''L'Indipendente'', 25 luglio 1995.</ref> *In Italia si può cambiare soltanto la Costituzione. Il resto rimane com'è.<ref>Dall'articolo di Polaczek, ''Teile und sende'', in ''Frankfurter Allgemeine Zeitung'', 15 agosto 1996, p. 29.</ref> *In Italia un colpo di piccone alle [[Casa di tolleranza|case chiuse]] fa crollare l'intero edificio, basato su tre fondamentali puntelli, la Fede cattolica, la Patria e la Famiglia. Perché era nei cosiddetti postriboli che queste tre istituzioni trovavano la più sicura garanzia.<ref>Citato in Daniele Abbiati, [http://www.ilgiornale.it/news/tresse-indro-nella-repubblica-delle-marchette.html ''La maîtresse di Indro nella Prima Repubblica delle marchette''], ''il Giornale.it'', 22 ottobre 2010.</ref> *In nome di quale razza noi faremmo del razzismo? Se c'è un paese (adesso non voglio offendere, perché io sono italiano come tutti gli altri), ma se c'è un paese bastardo è l'Italia, cioè a dire una confluenza di razze diverse.<ref>Dal programma televisivo di Rai 3 ''Eppur si muove'', 20 marzo 1994.</ref> *Io non mi sono mai sognato di contestare alla [[Chiesa (comunità)|Chiesa]] il suo diritto a restare fedele a se stessa, cioè ai comandamenti che le vengono dalla Dottrina... ma che essa pretenda d'imporre questi comandamenti anche a me che non ho la fortuna di essere un credente, cercando di travasarli nella legge civile in modo che diventi obbligatorio anche per noi non credenti, è giusto? A me sembra di no.<ref>Citato in [[Umberto Veronesi]], ''[http://www.repubblica.it/2008/10/sezioni/cronaca/eluana-eutanasia-3/comm-veronesi/comm-veronesi.html Non vince la scienza]'', ''la Repubblica'', 14 novembre 2008.</ref> *Io il giornale urlato non è che non glielo voglio dare, non lo so fare! La clava non è nel mio armamentario! Non lo posso fare e non credo che sia un buon segno di civiltà politica l'uso della clava.<ref name="milano" /> *Io non sono napoletano, ma di fronte a [[Peppino De Filippo|Peppino]], non so come, mi capita sempre di diventarlo.<ref name=Pappagone>Citato in ''Pappagone e non solo'', a cura di Marco Giusti, Mondadori, Milano, 2003.</ref> *{{NDR|Alla nipote Letizia Moizzi}} Io sarò il tuo Jukebox. Tu metti una monetina e io ti racconto un ricordo.<ref>Citato in Elvira Serra, «Scoprii che era importante quando le Br gli spararono. Lo convinsi io a prendere i farmaci per la depressione», ''Corriere della Sera'', 20 gennaio 2025.</ref> *Io non voglio soffrire, io non ho della sofferenza un'idea cristiana. Ci dicono che la sofferenza eleva lo spirito; no la sofferenza è una cosa che fa male e basta, non eleva niente. E quindi io ho paura della sofferenza. Perché nei confronti della morte, io, che in tutto il resto credo di essere un moderato, sono assolutamente radicale. Se noi abbiamo un diritto alla vita, abbiamo anche un diritto alla morte. Sta a noi, deve essere riconosciuto a noi il diritto di scegliere il quando e il come della nostra morte.<ref>Citato in Carlo A. Martigli, ''[http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2002/04/25/sul-diritto-alla-morte-si-discute-su.html Sul diritto alla morte si discute su Internet]'', ''la Repubblica'', 25 aprile 2002.</ref> *Kipling diceva: "un italiano, un bel tipo; due italiani, una discussione; tre italiani, tre partiti politici". I suoi concittadini, invece, li definiva così: "un inglese, un cretino; due inglesi due cretini; tre inglesi, un popolo". Vorrei avere a che fare con dei cretini che, insieme, facessero un popolo.<ref>Citato in Cristina Taglietti, ''[https://web.archive.org/web/20160101000000/http://archiviostorico.corriere.it/1998/dicembre/17/Montanelli_cari_studenti_volete_spaccate_co_0_98121712510.shtml Montanelli: cari studenti, se volete spaccate tutto ma è inutile]'', ''Corriere della Sera'', 17 dicembre 1998.</ref> *{{NDR|Riguardo all'approvazione della legge elettorale nota come mattarellum}} L'unico modello a cui possiamo rifarci è quello francese, non quello inglese. In un paese dove ci sono venti-venticinque partiti, come si fa l'uninominale a turno unico? Qui rischia di vincere un partito che ottiene il dieci percento, perché gli altri hanno ottenuto il sette, il sei. Ma le pare giusto questo? Io non so se è stata una follia o un atto criminale questa riforma elettorale. Io sono per la traduzione in processo dei legislatori, da [[Sergio Mattarella|Mattarella]] agli altri - non è stato il solo - i quali hanno fatto, come al solito, o creduto di fare gli interessi del proprio partito. Hanno fatto questa legge prima che venisse il diluvio universale di [[Mani pulite|Tangentopoli]], convinti che siccome loro erano il partito di maggioranza relativa spazzavano via l'Italia. Poi è venuta tangentopoli e ora piangono. Dovrebbero suicidarsi se avessero un minimo di dignità. Suicidarsi. Perché in nome degli interessi di partito hanno completamente rovinato l'Italia. [...] Questi legislatori che hanno truffato con questa legge - perché questa legge è una truffa - io vorrei sapere come mai non vengono processati. Dovrebbero essere processati per lesa patria.<ref name=conferenza>[https://www.youtube.com/watch?v=snbg12DCPSM Indro Montanelli presenta "La Voce", conferenza stampa integrale], 1994.</ref> *La cosa curiosa di [[Antonino Caponnetto|Caponnetto]] è che si va a schierare con [[Leoluca Orlando|Orlando]] che è stato il peggior denigratore di [[Giovanni Falcone|Falcone]]. E poi dice che fa l'antimafia, io vorrei sapere i voti a Orlando chi glieli ha dati.<ref>Citato in Riccardo Chiaberge ''[https://web.archive.org/web/20160101000000/http://archiviostorico.corriere.it/1994/marzo/21/Montanelli_voce_controcorrente_co_0_94032115801.shtml Montanelli la voce controcorrente]'', ''Corriere della Sera'', 21 marzo 1994.</ref> *La [[cultura]], per un giornalista, è come una puttana: la puoi frequentare ma non devi ostentarla. La cultura si tiene nel cassetto. Il lettore non va trattato dall'alto in basso, ma preso per mano come un amico e portato dove vuoi.<ref>Citato in [[Roberto Gervaso]], ''Ve li racconto io'', Mondadori, Milano, 2006, p. 294, ISBN 88-04-54931-9.</ref> *La cultura si è chiusa nella torre eburnea. Rimane lì, arroccata in sé stessa, perché ha orrore dei contatti col pubblico, si crede diminuita dai contatti col pubblico. Questa è la cultura italiana. È una cultura di cretini.<ref name="montecarlo">Radio Montecarlo, [https://www.youtube.com/watch?v=A77mrwIjSSs Intervista a Indro Montanelli], di Roberto Arnaldi, 1973.</ref> *La [[depressione]] è una malattia democratica: colpisce tutti.<ref>Citato nel programma televisivo ''Ippocrate'', Rai News, 13 giugno 2010.</ref> *La devolution mi preoccupa molto, perché la decomposizione della [[Repubblica Socialista Federale di Jugoslavia|Jugoslavia]] cominciò esattamente così: reclamata e imposta dai due grandi compari Tudjiman e [[Slobodan Milošević|Milosevic]] che distrussero l'unità del Paese per restare padroni in casa propria...<ref>Citato in Gian Guido Vecchi, ''[https://web.archive.org/web/20160101000000/http://archiviostorico.corriere.it/2001/aprile/08/Devolution_traffico_voto_rebus_co_7_0104088547.shtml Devolution e traffico, il voto è un rebus]'', ''Corriere della Sera'', 8 aprile 2001.</ref> *La guerra contro il [[brigantaggio]], insorto contro lo Stato unitario, costò piú morti di tutti quelli del [[Risorgimento]]. Abbiamo sempre vissuto dei falsi: il falso del Risorgimento che assomiglia ben poco a quello che ci fanno studiare a scuola.<ref>Citato in Stefano Preite, ''Il Risorgimento, ovvero, Un passato che pesa sul presente'', Piero Lacaita, 2009.</ref> *La lettura del ''[[Adolf Hitler#Mein Kampf|Mein Kampf]]'' io la renderei, per legge, obbligatoria. Fuori dal contesto in cui fu concepito e scritto, quel libro è un caciucco di coglionerie.<ref>Citato in Cesare Medail, ''Il «Mein Kampf» torna nelle librerie italiane. Grazie a un editore cossuttiano'', ''Corriere della Sera'', 6 maggio 2000.</ref> *La nostra classe politica ha fatto del [[partito]] una specie di totem intoccabile e gli ha attribuito tutti i poteri, con in più un diritto: il diritto di abusarne.<ref name=Dovere>Dal programma televisivo ''Dovere di cronaca'', Rete 4, 1988, [https://www.youtube.com/watch?v=caQgyvTKZS8 visibile su YouTube].</ref> *Le cose non sono importanti per quello che sono, ma per quello che uno ci mette.<ref name="cento">intervista di Enzo Biagi a Indro Montanelli, (1982), da "Cento anni", Fabbri video, 1993.</ref> *Le mie idee sono sempre al vaglio dell'[[esperienza]] e l'esperienza mi impone di rivederle continuamente.<ref name="IIIB">Da un'intervista del 1971, tratta da ''III B, Facciamo l'appello'' di Enzo Biagi; anche in ''[http://www.rai.it/dl/Rai5/programma.html?ContentItem-f04f3982-e954-471e-8242-78f92423550d Indro Montanelli, gli anni della televisione]'', puntata 7, di Nevio Casadio, Rai Premium, 2013.</ref> *[[Leo Longanesi]] che amava [[Marcello Marchesi]] rabbiosamente per lo spreco che faceva del suo talento, quando lo incontrava, gli diceva: "Devo fare una telefonata, mi dai un gettone di intelligenza?". E un giorno mi ordinò un epitaffio per lui. Eccolo: "Qui giace un nessuno — che se avesse voluto — avrebbe potuto diventare — Marcello Marchesi —. Purtroppo o per fortuna — non lo seppe mai —. Come tutti i geni — era un cretino".<ref>Citato in Paola Fallai, ''Marchesi, l'umorista che creò un'atmosfera'', ''La lettura'', ''Corriere della Sera'', 25 marzo 2012; riportato in ''[http://www.cinquantamila.it/storyTellerArticolo.php?storyId=0000001549183 Cinquantamila.it]''.</ref> *Mi accusano molto spesso di avere inventato degli aneddoti. È verissimo. Io ogni tanto invento quando devo descrivere un personaggio, specialmente negli incontri, io invento qualche aneddoto. Però sono sempre aneddoti funzionali, che servono a dimostrare quel certo carattere che mi sembra vero e di dover dimostrare.<ref name="IIIB" /> *Mi avvio verso il mio capolinea con l'angoscia di portare con me le cose che ho più amato: il mio paese e il mio mestiere, temo che non mi sopravviveranno.<ref>Da un'intervista del 1996, tratta da ''Tablet Italiani'', puntata 2, "Montanelli/Bocca", Rai Storia, 25 agosto 2013.</ref> *{{NDR|Su [[Vittorio Mangili]], in riferimento all'[[rivoluzione ungherese del 1956|insurrezione antisovietica in Ungheria nel 1956]]}} Ne ha combinate di tutti i colori. Ha fatto perfino il portaordini dei patrioti, a bordo di una delle loro automobili di collegamento.<ref>Citato in Roberta Scorranese, ''[https://www.corriere.it/cronache/22_ottobre_09/vittorio-mangili-cento-anni-dell-inviato-rai-io-budapest-madre-teresa-1efd76ca-473a-11ed-8ee2-07ab17a2d97d.shtml Vittorio Mangili, i cento anni dell’inviato Rai «Io, da Budapest a Madre Teresa»]'', ''corriere.it'', 8 ottobre 2022.</ref> *Nei grandi [[giornale|giornali]] di oggi, che non possono farne a meno, chi comanda non è più nemmeno il [[direttore]]: è l'ufficio [[marketing]].<ref name="giornalista">Da: ''Repertorio della Fondazione Montanelli'', in ''Indro Montanelli - Gli anni della televisione 4: Io sono soltanto un giornalista'', a cura di Nevio Casadio, Rai Sat, 2009</ref> *{{NDR|Rivolto a [[Silvio Berlusconi|Berlusconi]] che voleva imporsi sulla linea editoriale de ''il Giornale''}} Nell'arte dell'imprenditoria, tu sei di certo un genio, ed io un coglione. Ma nell'arte della polemica il genio sono io, e tu il coglione.<ref name=Travaglio2004>Citato in Marco Travaglio, ''Montanelli e il Cavaliere'', Garzanti, Milano, 2004.</ref> *Nessuno di noi la strada della ribellione la batté sino in fondo, come voleva [[Berto Ricci|Ricci]]: per la semplice ragione che si trattava di una strada che fondi non ne aveva. Qualcuno poi scantonò in questo o in quello dei sette o otto partiti che aprirono le porte a questa generazione perduta. E forse si illuse di aver trovato un’altra bandiera. Io sono tra i rassegnati: so benissimo che di bandiere non posso averne altre e che l'unica che seguiterà a sventolare sulla mia vita è quella che disertai, prima che cadesse.<ref>Citato in Mario Bernardi Guardi, ''La giovinezza di Montanelli ebbe un nome: Berto Ricci'', ''Il Primato Nazionale'', 3 maggio 2016.</ref> *No, [[Marco Travaglio|Travaglio]] non uccide nessuno. Col coltello. Usa un'arma molto più raffinata e non perseguibile penalmente: l'archivio.<ref name=Travaglio2004/> *Noi italiani non crediamo in nulla e tanto meno nelle virtù che qualcuno ci attribuisce. Ma tra di esse ce n'è una nella quale riponiamo una fede incorruttibile: quella della nostra capacità di corrompere tutto.<ref>Citato in Mario Cervi, ''Ti ricordi Indro?'', Società europea di edizioni, Milano, 2017, p. 57. ISBN 9778118178454</ref> *Noi qui buttiamo tutte le colpe addosso agli altri. Ma bisogna fare i conti anche col popolo italiano. Siamo noi che li abbiamo eletti questi signori. Sono mica piovuti dalla luna. E allora non accaniamoci soltanto sulla classe politica. Noi siamo un elettorato disposto a ogni sorta di transazione, quando ci fa comodo.<ref name=conferenza /> *Non credo alle feste comandate. La memoria dovrebbe essere spontanea. L'unica cosa che si dovrebbe fare è raccontare veramente e in maniera spassionata ai giovani, che non lo sanno, cosa è stata la Shoah, senza fare mobilitazioni di folle.<ref>Citato in Marco Cremonesi, ''[https://web.archive.org/web/20160101000000/http://archiviostorico.corriere.it/2001/gennaio/28/Diecimila_piazza_con_nomi_dei_co_0_0101282160.shtml Diecimila in piazza con i nomi dei lager]'', ''Corriere della Sera'', 28 gennaio 2001, p. 31.</ref> *Non do più nessun significato a queste due parole {{NDR|destra e sinistra}}, le ritengo un cascame, un residuato di situazioni oramai defunte. [[Destra e sinistra]] non hanno più nessun significato e credo che noi ci stiamo attardando su una terminologia arcaica, oramai da seppellire.<ref>Radio Radicale, [https://www.radioradicale.it/scheda/598/599-elezioni Elezioni], 38:58-39:26, 25 maggio 1979.</ref> *Non mi si portino i soliti argomenti astratti, tipo la sacralità della vita: nessuno contesta il diritto di ognuno a disporre della sua vita, non vedo perché gli si debba contestare il diritto a scegliere la propria morte.<ref>Citato in Enrico Bonerandi, ''[http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2000/12/13/montanelli-pronto-morire.html Montanelli: pronto a morire]'', '' la Repubblica'', 13 dicembre 2000, p. 36.</ref> *{{NDR|Il Polo delle Libertà}} Non venga a farci credere che è costretto all'[[Aventino (espressione)|Aventino]] dal clima di violenza creato dall'Ulivo. Dove diavolo la vede questa violenza? Mi basta guardare la faccia di [[Romano Prodi|Prodi]] 1996 per metterla a confronto con quella di Mussolini 1924 per escludere che in Italia corriamo il pericolo di una dittatura. Per fare una dittatura ci vuole un dittatore.<ref>Citato in Alessandro Longo, ''[https://rep.repubblica.it/pwa/generale/2018/03/17/news/aventino-191559602/?ref=pwa-rep-hp-2-1-1 Perché si dice Aventino]'', ''Rep.repubblica.it'', 17 marzo 2018.</ref> *{{ndr|su [[Gianni Agnelli]]}} Parla con la propria bocca, pensa con il cervello di Valletta, col cuore di Giulio De Benedetti e con gli interessi polivalenti della Fiat.<ref>Citato in Paolo Granzotto, ''Montanelli'', p. 129.</ref> *{{ndr|su [[Mariano Rumor]]}} Personaggio da commedia [[Carlo Goldoni|goldoniana]] più che da tragedia contemporanea.<ref>Citato in Paolo Granzotto, ''Montanelli'', p. 145.</ref> *Posso solo dire che l'Italia del Cattaneo è quella che conserva qualche probabilità di salvarsi da questo degrado politico, culturale, morale, economico. E l'Italia del Cattaneo è quella Cisalpina. A nord del Po, e forse anche in Emilia, esistono tracce di coscienza civile e anche di classi dirigenti sane. Poi c'è un'Italia centrale, quella toscana e umbra e marchigiana, che conserva le sue peculiarità, i suoi caratteri spiccati che affondano le radici nell'Italia comunale e rinascimentale. Il resto è un disastro che non saprei come salvare. Del resto Cattaneo ci tentò, andò a Napoli e resistette qualche giorno. Poi si arrese e se ne tornò nella sua Lugano, nella sua Svizzera.<ref name=Italia>Citato in ''Il grande vecchio del giornalismo rilegge gli ultimi anni della nostra storia'', ''L'Indipendente'', 25 luglio 1995.</ref> *Pur ricordandovi che la nostra regola è quella di non tener conto delle intemperanze altrui, specie dei politici, e di dire sempre la verità, tutta la verità, senza partito preso né animosità verso nessuno, vi autorizzo a comunicare al [[Bobo Craxi|suddetto signore]], se ve ne capita l'occasione, che l'unica «testa» in pericolo di cadere dopo il 5 aprile non è la vostra ma, casomai, la sua. E potete aggiungere, da parte mia, che non la considererei una gran perdita.<ref>Citato in [[Federico Orlando]], ''Il sabato andavamo ad Arcore'', Larus, Bergamo, 1995.</ref> *[[Sandro Pertini|Pertini]] ha interpretato al meglio il peggio degli italiani.<ref>Citato in Franco Fontanini, ''Piccola antologia del pensiero breve'', Liguori Editore, Napoli, 2007, p. 12.</ref> *Quando mi viene in mente un bell'aforisma, lo metto in conto a [[Montesquieu]], od a [[François de La Rochefoucauld|La Rochefoucauld]]. Non si sono mai lamentati.<ref>Citato in Luigi Mascheroni, ''[http://www.ilgiornale.it/news/mai-dette-ripetiamo-sempre-ecco-frasi-fantasma-storia.html Mai dette, ma le ripetiamo sempre. Ecco le frasi fantasma della storia]'', ''il Giornale'', 21 marzo 2009, p. 22.</ref> *Quello che ci ripugna è che, per mettere un controllo all'autorità politica, ci sia bisogno di ricorrere all'autorità giudiziaria. Cioè che, alla fine, noi avremo le riforme istituzionali non per via politica, ma per via giudiziaria e processuale. Questo ci allarma anche perché, come avrete ben capito, la mia opinione dei politici è molto bassa, ma quella dei giudici non è migliore. Perché anche i giudici sono stati corrotti dalla partitocrazia. Lo dimostra il semplice fatto che molti di loro ostentano la tessera di partito. Un giudice che ha venduto la propria imparzialità ai partiti è un giudice che, prima di processare gli altri, dovrebbe essere processato lui e cacciato in galera. Lo so che a dire queste cose si possono avere dei dispiaceri, ma io di dispiaceri in vita mia ne ho avuti tanti che, uno più o uno meno, non mi fa nessunissimo effetto.<ref name=Dovere/> *{{NDR|[[Carmen Lasorella]]}} Richiama tanta attenzione non solo per la sua bravura ma anche per quel che possiede dal cervello in giù.<ref>Citato in Luigi Mascheroni, ''[https://books.google.it/books?id=gtg7AQAAIAAJ&q=%22Richiama+tanta+attenzione+non+solo+per+la+sua+bravura+ma+anche+per+quel+che+possiede+dal+cervello+in+gi%C3%B9+%22&dq=%22Richiama+tanta+attenzione+non+solo+per+la+sua+bravura+ma+anche+per+quel+che+possiede+dal+cervello+in+gi%C3%B9+%22&hl=it&newbks=1&newbks_redir=0&sa=X&ved=2ahUKEwiC2PXRl5WDAxVs4AIHHazPCd4Q6AF6BAgHEAI Sette, settimanale del Corriere della sera, Edizioni 1-9]'', 1996.</ref> *Sfido io che {{NDR|''il Giornale''}} non va bene come vendite. Non va bene come vendite perché noi siamo ancora alla macchina Olivetti. Qui non è stato fatto mai nessun investimento ed è stato detto chiaro che gli investimenti non sarebbero venuti finché io ne fossi il direttore. Questa è la situazione.<ref name="milano" /> *Siamo un paese cattolico, che nella [[Provvidenza]] ci crede o almeno ne è affascinato. Il pericolo è questo: gli [[italia]]ni sentendo aria di provvidenza sono sempre pronti a mettersi in fila speranzosi.<ref name=Provvidenza>Citato in ''[http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/1994/02/24/rivogliono-uomo-della-provvidenza.html?ref=search Rivogliono l'uomo della provvidenza]'', ''la Repubblica'', 24 febbraio 1994, p. 11.</ref> *Se avessi potuto immaginare come sarebbe stata distrutta la vecchia classe politica italiana - che meritava la distruzione, sia chiaro - se avessi potuto immaginare che la distruzione della vecchia classe politica italiana, in gran parte marcia, avrebbe dischiuso una situazione come quella attuale e che la vecchia legge proporzionale sarebbe stata sostituita dall'attuale legge maggioritaria così come è stata compilata, io avrei forse difeso la vecchia classe. Per lo meno non mi sarei battuto con tanta asprezza e con tanto vigore contro quella classe politica, che meritava di finire, ma a cui si stanno dando dei successori che, ricordatevelo bene, ci faranno rimpiangere quella vecchia. È il peggio che si può dire. Ma io lo dico. Perché non riesco proprio a vedere cosa sta venendo fuori da questo rimescolio di carte.<ref name=conferenza /> *{{NDR|«Se dovesse fondare un giornale a novant'anni, che giornale farebbe?»}} Se io dovessi oggi fare un giornale, farei un ''Foglio'' un po' più grande: invece che di 4 facciate di 10 o di 12. Non di più. Con una redazione ridottissima e facendo un preventivo che mi mettesse al riparo dalle delusioni. Mirerei ad avere non più di venti/trentamila lettori e non avere pubblicità. Su queste basi, forse, riuscirei a fare un [[giornale]] di alto prestigio, ma purtroppo destinato a una élite.<ref name="giornalista" /> *Sta arrivando l'uomo della provvidenza. E io, in vita mia, di questi personaggi ne ho già conosciuto uno. Mi è bastato. Per sempre.<ref name=Provvidenza></ref> *Una cultura che perde i contatti col pubblico si sterilisce e muore. Questa è la verità. E la nostra cultura è assolutamente sterile. Noi culturalmente non contiamo più nulla nel mondo. Perché? Perché è chiusa in sé stessa, la cultura, ha perso i contatti col pubblico, con la vita. Non c'è più. Sono mummie. Non è più cultura: è mafia.<ref name="montecarlo" /> *{{NDR|Su [[Aldo Moro]]}} Un generale che, sfiduciato del proprio esercito, credeva che l'unico modo di combattere il nemico fosse quello di abbracciarlo.<ref>Citato in [[Roberto Gervaso]], ''Ve li racconto io'', Mondadori, Milano, 2006, p. 310, ISBN 88-04-54931-9.</ref> *Un giorno fui convocato a Palazzo Venezia, era il 1932 e avevo 23 anni, perché il duce voleva vedermi. Ero emozionatissimo, entrai e mi misi sull'attenti, e il duce che faceva finta di scrivere mi lasciò lì per un quarto d'ora e alla fine mi disse: "Ho letto il vostro articolo sul razzismo (avevo scritto un articolo contro il razzismo). Bravo, vi elogio. Il razzismo è roba da biondi (non si era accorto che ero biondo), continuate così. Sei anni dopo fece le leggi razziali. Perché questo era [[Benito Mussolini|Mussolini]], diceva una cosa e ne faceva un'altra, secondo il vento del momento. Non creava il vento, vi si accodava da buon italiano.<ref>Citato in Gianna Fregonara, ''[https://web.archive.org/web/20160101000000/http://archiviostorico.corriere.it/2010/gennaio/24/Dal_balcone_Mussolini_bianco_sorriso_co_9_100124324.shtml Dal balcone di Mussolini al bianco sorriso di Belen]'', 24 gennaio 2010, p. 34.</ref> *{{NDR|Su [[Giorgio La Pira]]}} Un pasticcione ben intenzionato che, nel nome del Signore, appoggia le peggiori cause appellandosi ai migliori sentimenti.<ref>Citato in [[Roberto Gervaso]], ''Ve li racconto io'', Mondadori, Milano, 2006, p. 236, ISBN 88-04-54931-9.</ref> ===Citazioni tratte da suoi libri=== *{{NDR|Sul funerale di [[Leo Longanesi]]}} Al cimitero ci si ritrovò in una decina di persone, non di più. Non ci furono cerimonie né discorsi. Solo la piccola Virginia, che avrà avuto quattordici anni, mentre la bara di suo padre calava nella tomba, mormorò: «E dire che gli orfani mi sono sempre stati così antipatici...» Una frase che sarebbe piaciuta moltissimo a Leo.<ref>Dalla presentazione a [[Leo Longanesi]], ''In piedi e seduti'', Longanesi & C., Milano, 1968.</ref> ====''Caro Indro...''==== *L'aureola di martire a Craxi nessuno è disposto a riconoscergliela, proprio perché inconciliabile con l'arroganza con cui si comporta. Nessun paragone col contegno di Andreotti, davvero ineccepibile. Sul banco degli imputati ci sta da imputato, dimentico di essere stato per ben sette volte capo del governo. Parla solo se interrogato, e a bassa voce. Non rinuncia alla propria dignità, ma non la ostenta. Eppoi, le colpe che gli si addebitano saranno anche più gravi di quelle che si addebitano a Craxi, ma meno spregevoli. Potrà anche aver baciato Riina (sebbene a me questo appaia poco credibile). Ma del pubblico denaro non risulta che gli sia scivolata in tasca nemmeno una lira. Forse merita la fucilazione. Lo spregio, no. (31.1.1996) (p. 9) *Non ho mai conosciuto [[Yasser Arafat|Arafat]], né mai ho cercato di conoscerlo: non mi pare che il suo aspetto inviti alla simpatia. Però non l'ho mai considerato un criminale anche se si trovava alla testa di un'[[Organizzazione per la Liberazione della Palestina|organizzazione]] in cui di criminali ce ne sono molti. E oggi non lo considero affatto un eroe, ma un uomo coraggioso sì, perché lo ritengo in costante pericolo di vita. La lotta per il potere, dentro l'Olp, è a coltello: e i nemici di Arafat sono quelli che il coltello lo maneggiano meglio di tutti. Stringendo la mano a [[Yitzhak Rabin|Rabin]], Arafat ha moltiplicato i suoi nemici e li ha resi ancora più rabbiosi. È un uomo a rischio, non c'è dubbio. E se muore lui, addio pace in Medio Oriente. (4.10.1993) (p. 11) *Certo che il passato dell'Olp, carico di bombe e di sangue, non è la migliore referenza per un Nobel, ma Arafat è però anche l'unico interlocutore palestinese: dopo di lui c'è il nulla, o meglio soltanto gruppi di fanatici votati alla violenza e alla distruzione di [[Israele]]. Una volta presa la decisione di premiare i protagonisti del tormentato processodi pace in Medioriente [...] si è dovuto fare di necessità virtù e dare il riconoscimento anche all'uomo che per molti anni è stato un simbolo del terrorismo, nonché l'ispiratore di tante altre «lotte armate»: premiare solo Rabin e [[Shimon Peres|Peres]] sarebbe stato uno schiaffo ai palestinesi, un'iniziativa controproducente. [...] Forse più che il Nobel per la pace meriterebbe quello per il ravvedimento... (30.10.1994) (p. 12) *«Libera Chiesa in libero Stato» è una formula più d'effetto che di sostanza. Potrebbe anche significare che Chiesa e Stato si ignorano a vicenda e ognuno dei due si attribuisce i poteri che più gli aggradono: che è il modo più sicuro per litigare, non certo per convivere. Fra i due ci deve essere un patto improntato al reciproco rispetto: condizione più facile da formulare che da realizzare. Ma sembra che lo sviluppo di questo rapporto negli ultimi anni abbia fatto più passi indietro che avanti. E mi pare che dello stesso parere sia il capo dello Stato, Carlo Azeglio Ciampi. Meno male (7.3.2001) (p. 30) *Ho fiducia in [[Massimo D'Alema|D'alema]], anche se non voterò mai per lui. Ho fiducia per due motivi. Prima di tutto perché, fra i leader di oggi, è l'unico vero professionista della politica. Eppoi perché non ho dubbi sulla sua intenzione di fare del Pds un partito socialdemocratico o laburista. Se non fosse così, non solo Prodi ma nemmeno Veltroni sarebbero al suo fianco. E appunto perché è così, sono convinto che consumerà fino in fondo il divorzio da Rifondazione. Lo consumerà cercando di non farsene portar via molti elettori. Ma lo consumerà per conquistare i moderati: altra strada non può battere. E proprio in questi giorni lo ha dimostrato sacrificando anche quella piccola falce e martello che tuttora sopravviveva nel simbolo del suo partito ai piedi della Quercia. Non era che un «segno», dirà qualcuno. Sì, ma che segno! (17.5.1995) (p. 42) *Anch'io sono stato in passato un fautore dell'elezione diretta, cioè per consultazione popolare, del Capo dello Stato. Mi pareva il mezzo più efficace per sottrarre almeno il Quirinale agl'intrallazzi dei partiti e per avere un garante al di sopra di essi. Ma poi ho dovuto cambiare idea di fronte alle prove di balordaggine, d'ignoranza, di totale mancanza di consapevolezza morale e civile dell'elettorato italiano, o almeno della sua maggioranza. È un elettorato sempre pronto a correre dietro a qualche ciarlatano che sappia vendere bene la sua merce e a lasciarsene trascinare nelle imprese più insensate. Insomma considero la stupidità più pericolosa degl'intrallazzi. (23.12.1998) (p. 47) *Non credo che [[Diana Spencer|Diana]] rimarrà nella memoria dei posteri. Era una bella e simpatica ragazza, che avrebbe anche potuto essere una buona moglie e una buona madre, ma che non aveva certamente la stoffa e le dimensioni umane, comportamentali di una regina. Più e meglio che sul trono, il suo personaggio avrebbe figurato in un romanzo di Liala. Non riesco ad accostarla a figure storiche (17.9.1997) (p. 72) *Mussolini non aveva la stoffa del criminale né di guerra né di pace. Dicendolo, so di espormi alle contumelie della cosiddetta intellighenzia. Ma ne ho già ricevute tante che non mi fanno più nessun effetto. Tuttavia mi rendo conto che alla condanna a morte non avrebbe potuto sfuggire perché almeno un responsabile delle catastrofi che si erano abbattute sull'Italia si doveva pur trovare, e non poteva essere che lui. Però c'è da ringraziare Dio, e per esso, il Comitato di liberazione nazionale che ne ordinò (o avallò) la fucilazione sul posto perché un processo a Mussolini avrebbe ancora più spaccato un Paese già spaccato dalla guerra civile (per chiamare col suo vero nome, la Resistenza). E credo che anche gli Alleati trassero un respiro di sollievo dal venirne esentati. Un processo avrebbe messo in imbarazzo anche loro per le indulgenze che avevano avuto verso di lui e quella parodia di totalitarismo ch'era stata il suo regime. Una Norimberga italiana sarebbe stata anch'essa una parodia. La fucilazione sul posto di Mussolini era un atto dovuto. Quello che non era dovuto, e che per gl'italiani provvisti di qualche senso dell'onore e della decenza rimarrà una indelebile vergogna, fu la scena di piazzale Loreto (30.6.1999) (pp. 89-90) *{{NDR|«Poni che ti regalino una telecamera, con il diritto di spiare per un mese, non visto, un potente della Terra, a tua scelta, dalla regina Elisabetta a Gheddafi, da Saddam a Clinton. Quale personaggio ti incuriosirebbe di più?»}} [[Vladimir Putin|Putin]]. Credo che sia una canaglia perché solo le canaglie potevano arruolarsi e fare carriera in un corpo di polizia come il Kgb. Ma è proprio di una canaglia che la [[Russia]] ha bisogno per ricompattarsi all'interno, risollevarsi dal caos in cui l'ha precipitata il crollo di un regime totalitario durato settant'anni, e riprendere nel gioco delle potenze mondiali il posto che spetta a un Paese di 250 milioni di abitanti, di grandi tradizioni e d'inesauribili risorse naturali. L'Occidente ha bisogno della Russia: è il suo antemurale verso un Oriente che può riservarci amare sorprese. [...] Non facciamoci illusioni sull'avvenire di una democrazia in Russia. Essa ha bisogno [...] di una mano forte e spregiudicata, di una canaglia insomma. [...] Ecco perché mi piacerebbe conoscere Putin: per vedere se è la canaglia di cui mi pare abbia bisogno la Russia in questo momento: un «momento» destinato a durare parecchi decenni. (18.10.2000) (pp. 104-105) ===Attribuite=== *Berlusconi non delude mai: quando ti aspetti che dica una scempiaggine, la dice.<ref name=Travaglio2004/> :In ''Io e il cavaliere qualche anno fa'', ''Corriere della Sera'', 25 marzo 2001, p. 1, Montanelli attribuisce la citazione a «un'alta personalità della Finanza, nota anche per il suo infallibile fiuto degli uomini». La frase esatta è: «Avrà anche i suoi difetti, ma un merito bisogna riconoscerglielo: quello di non deludere mai. Quando ti aspetti che dica una scempiaggine, la dice». ==Interviste== {{cronologico}} *{{NDR|La guerra coloniale etiopica}} Considerandola oggi, con la mia maturità d'oggi, {{NDR|è}} un'avventura di una stupidità senza fine. Ma immaginiamo un ragazzo di 24 anni messo al comando di una banda indigena, con 100 uomini neri – lui solo bianco – buttato all'avventura in quella guerra che di combattimenti ne ebbe molto pochi – non voglio passare per un gran guerriero, affatto – ma furono un anno e mezzo a cavallo, di cavalcate in questa natura selvaggia (ripeto, combattimenti ben pochi). {{NDR|«Dicono anche che lei aveva una moglie, diciamo indigena, molto bella, che era la più bella di tutte quelle che avevano gli ufficiali d'allora»}} Sì. {{NDR|«Era molto invidiato per questo»}} Pare che avessi scelto bene, era una bellissima ragazza bilena, di 12 anni – {{NDR|sorridendo}} scusatemi, ma in Africa è un'altra cosa – e così l'avevo sposata, nel senso che l'avevo regolarmente comprata dal padre che mi ha accompagnato insieme alle mogli dei miei ascari. Queste mogli degli ascari non è che seguissero la banda, ma ogni 15 giorni raggiungevano la banda: io non ho mai capito come facessero a trovarci in questo infinito dell'Abissinia. Quelle arrivavano e arrivava anche questa mia moglie con la cesta in testa, che mi portava la biancheria pulita. [...] {{NDR|Domanda del pubblico: «Lei ha detto tranquillamente di avere avuto una sposa, diciamo, di 12 anni e a 25 anni lei non si è peritato affatto di violentare una ragazza di 12 anni, dicendo "Ma in Africa queste cose si fanno". Io vorrei chiedere a lui come intende normalmente i suoi rapporti con le donne date queste due affermazioni»}} No signorina guardi, sulla violenza, nessuna violenza perché le ragazze in Abissinia si sposano a 12 anni. Non è questione, Quindi. {{NDR|Domanda del pubblico: «Su un piano di consapevolezza dell'uomo, insomma, il rapporto con una bambina di 12 anni è il rapporto con una bambina di 12 anni. Se lo facesse in Europa rischierebbe di violentare una bambina, vero?»}} Sì, in Europa sì, ma lì no. {{NDR|«Ecco, appunto»}} Lì no. {{NDR|«Quale differenza crede che esista dal punto di vista biologico, o anche psicologico?»}} No, guardi, {{NDR|«Dal punto di vista del costume»}} lì si sposano a 12 anni, non è questione. A 12 anni si sposano. {{NDR|«Ma non è il matrimonio che lei intende, a 12 anni in Africa. Guardi, io ho vissuto in Africa»}} Sì. {{NDR|«Quindi il vostro era veramente il rapporto violento del colonialista che veniva lì e si impossessava della ragazza di 12 anni»}} No... {{NDR|«Ma glielo garantisco, senza assolutamente tener conto di questo tipo di rapporto sul piano umano. Eravate i vincitori, cioè i militari che hanno fatto le stesse cose ovunque sono stati i vincitori, ovunque gli uomini si sono presentati come dei militari. La Storia è piena di queste situazioni»}} {{NDR|sorridendo}} Signorina, non so se lei vuole istruirmi un processo «a posteriori». {{NDR|«No, no, affatto. Guardi, ho soltanto voluto chiederle, per inciso, come lei intende – dopo le due interpretazioni – i rapporti con le donne»}} Dipende da cosa si mette dentro, dipende anche da cosa le donne mettono dentro di noi. È tutto un giuoco di specchi. {{NDR|«Ma lei vede sempre la donna in questa veste passiva di adulatrice, oppure di compagna – che appare e scompare – dell'uomo, non l'ha mai vista in una funzione diretta, attiva e diversa. Questo è un po' il dramma degli uomini della sua generazione»}} {{NDR|sorridendo}} Può darsi. Della mia generazione? Solo? {{NDR|«Credo»}} {{NDR|sorridendo}} Vabbè. Può darsi. (Da ''L'ora della verità'', 22 ottobre 1969) *{{NDR|Domanda del pubblico: «Io vorrei sapere perché lei, che si ritiene un osservatore, non ha mai affrontato il discorso sulla contestazione giovanile, tenendo anche presente il fatto che lei cerca il lettore. Lei ai giovani non dice assolutamente niente come giornalista»}} Come? {{NDR|«Se c'è un pubblico che lei sta perdendo, e forse non ha mai avuto, è proprio quello dei giovani. Vorrei sapere come mai lei non ha mai affrontato il discorso sulla contestazione, sulla realtà giovanile che è esplosa in questi ultimi anni»}} Signorina, io avrei tanto volentieri affrontato il discorso sulla contestazione se fosse possibile agganciare il discorso coi contestatori. Ma coi contestatori io non faccio il [[Alberto Moravia|Moravia]]. No. Non vado a farmi spernacchiare dai giovani, mi dispiace tanto. Né dai giovani, né da nessun altro. {{NDR|«Lei ha paura, scusi, di affrontare un discorso»}} No, io non ho paura, ma non ammetto di essere accolto a quel modo. È proprio un fatto, così, di dignità. {{NDR|«E allora, scusi, lei a questo punto rinuncia a un pubblico come può essere quello dei giovani semplicemente, così, per non avere degli spernacchiamenti, per non compromettere – diciamo – questo suo successo a cui è arrivato»}} Ma scusi, ma che dialogo sono le pernacchie? Me lo vuole spiegare? (ibidem) *Certamente [[Benito Mussolini|Mussolini]] fu un grossissimo politico, un uomo politico di grandissimo fiuto, di tempismo formidabile: lo dimostrò la facilità con cui vinse. Forse dovuta per metà alle sue capacità, alla sua bravura – parlo sempre come politico – e per metà all'insipienza, alla nullaggine dei suoi avversari, perché è tempo oramai di dire anche questo. Non c'è dubbio che il potere assoluto guastò completamente Mussolini: il Mussolini del 1930 non era certamente quello del 1940, il Mussolini di dieci anni dopo l'avvento al potere era diventato una specie di marionetta, la caricatura di sé stesso. Aveva perso proprio il senso della realtà, che era stato invece il suo forte da principio, il contatto col pubblico lo aveva perso, il senso della misura, e lo aveva dimostrato poi con gli errori madornali che ha fatto. Nei primi dieci anni credo che alcune cose buone le abbia fatte. Non credo che abbia ucciso la democrazia, credo che l'abbia soltanto seppellita perché era già morta. Da quel poco che ricordo l'Italia era un grosso carnevale, e anche abbastanza drammatico, perché la situazione interna era addirittura sfasciata: correva sangue, ne correva molto, noi in Toscana ne sapevamo qualcosa [...]. E quindi non è vero che lui... le democrazie non vengono mai uccise, le democrazie muoiono. Dopodiché si dà la colpa a chi le seppellisce, ma la verità è che si suicidano, e credo che la democrazia italiana del '21-22 si sia suicidata. [...] Mussolini capì una cosa fondamentale: che per piacere agli italiani bisognava dare a ciascuno di essi una piccola fetta di potere col diritto di abusarne. Questo era il fascismo. Il fascismo aveva creato una [[gerarchia]] talmente articolata e complessa che ognuno aveva dei galloni: il capofabbricato, il caposettore... tutti avevano una piccola fetta di potere, di cui naturalmente ognuno abusava, come è nel carattere degli italiani. (da ''Questo secolo'', 18 maggio 1982) *Ero all'estero, lavoravo nel giornalismo americano, alla ''United Press''. Chiesi alla mia agenzia di mandarmi come corrispondente in Abissinia. Giustamente mi dissero: «No, perché lei è un italiano, quindi logicamente non fa delle corrispondenze obiettive». Dico: «Avete ragione. Allora io vi lascio e vado volontario». Feci la mia brava domanda (la feci anche raccomandare). La domanda fu accolta, io fui mandato in Abissinia e, cosa un po' strana [...], a questo ragazzo di 23 anni [...] venne affidata una banda. [...] In quei due anni io contribuii a fare una cosa sbagliata, un'autentica fregnaccia qual era costruire un impero nel '35, quando coloro che lo avevano lo stavano già liquidando perché erano cose antistoriche. Ma io a 23 anni, a 24 anni, non potevo capire questo. Ebbi due anni di vita all'aria aperta, bella, di avventura, in cui credetti di essere un personaggio di Kipling, di contribuire a fare qualcosa di importante. Poi mi accorsi che non era vero, ma le cose non sono importanti per quello che sono, ma per quello che uno ci mette. E io in quel momento ci mettevo un grande entusiasmo: ebbi due anni di vita bellissima, a cavallo, con le tende, i miei uomini, libero, solo (perché non rispondevo a nessuno). Eh beh, compiango i giovani che non hanno avuto una simile esperienza. {{NDR|«E anche con una giovane moglie»}} E anche con una giovane moglie, {{NDR|indicando una fotografia}} eccola lì. Regolarmente sposata in quanto regolarmente comprata dal padre. {{NDR|«Quanti anni aveva?»}} Aveva 12 anni, ma non mi prendere per un Girolimoni. {{NDR|«Per un bruto»}} A 12 anni quelle lì erano già donne. {{NDR|«E tu dove l'avevi comperata?»}} L'avevo comprata a Saganèiti, un paese dove avevo mandato il mio emissario [...]. Me la comprò insieme a un cavallo e a un fucile, in tutto 500 lire. {{NDR|«E lei com'era?»}} Un animalino. Docile. Io le misi su un tucul con dei polli e poi, ogni 15 giorni, mi raggiungeva dovunque fossi, insieme alle mogli degli altri ascari. (ibidem) *Io esclusi immediatamente la responsabilità degli [[Anarchia|anarchici]] {{NDR|dalla [[strage di piazza Fontana]]}} per varie ragioni: prima di tutto, forse, per una specie di istinto, di intuizione, ma poi perché conosco gli anarchici. Gli anarchici non è che sono alieni dalla violenza, ma la usano in un altro modo: non sparano mai nel mucchio, non sparano mai nascondendo la mano. L'anarchico spara al bersaglio, in genere al bersaglio simbolico del potere, e di fronte. Assume sempre la responsabilità del suo gesto. Quindi, quell'infame attentato, evidentemente, non era di marca anarchica o anche se era di marca anarchica veniva da qualcuno che usurpava la qualifica di anarchico, ma che non apparteneva certamente alla vera categoria, che io ho conosciuto ben diversa e che credo sia ancora ben diversa. (da ''La notte della Repubblica'', 12 dicembre 1989) *La [[Lega Nord|Lega]] è una cosa sgradevole. Però le Leghe sono un fenomeno di reazione a una provocazione. È la politica nazionale, che fa nascere le Leghe. Questo non vuol dire che io le approvi. La reazione è sbagliata, ma provocazione c'è, le degenerazioni della partitocrazia ci sono. Che il pubblico denaro sia male amministrato e che a farne le spese siano soprattutto i cittadini del Nord non è contestabile. (da ''La Stampa'', 7 novembre 1990) *Ah, quel maledetto [[Toni Negri]], quel maledetto aizzatore dei sentimenti dei giovani che è vigliaccamente scappato dall'Italia per non affrontare il carcere. Per un Paese non c'è nulla di peggio che i cattivi maestri. Come punirli? Bisognerebbe impiccarli. Ripeto, impiccarli. (da ''L'Italia settimanale'', 1995) *Fu una pulizia etnica, bisognava far fuori gli italiani: allora si chiamarono fascisti e si ammazzarono, e si buttarono nelle [[massacri delle foibe|foibe]]. Questo avvenne dopo la fine della guerra, sia chiaro. Perché gli orrori di guerra, non dico che siano giustificabili, ma sono comprensibili, la guerra è di per sé stessa un orrore. No, queste... le foibe furono un'infamia commessa dopo la Liberazione, dopo la fine della guerra, e purtroppo vi hanno collaborato parecchi comunisti italiani, alcuni dei quali non solo sono ancora a piede libero, pur essendo vivi, ma ricevono delle pensioni di Stato. Ricevono delle pensioni di Stato. Però io ti posso dire questo: che come testimone oculare io ho visto anche in Croazia delle cose, da parte degli italiani, su cui è meglio sorvolare. Perché anche noi le abbiamo commesse, perché la guerra le comporta, questo è fatale, ecco. Quindi non facciamo tanto i moralisti. [...] No, questo {{NDR|tesi sloveno-croata sulla pulizia etnico-culturale da parte degli italiani durante il periodo di occupazione fascista}} è assolutamente falso. Pulizie etniche noi non ne abbiamo mai fatte, in nessun Paese occupato. Quando sento dire che noi facemmo anche la pulizia etnica in Etiopia, beh vabbè, mi cascano le braccia. Mi cascano le braccia. Quelle son menzogne infami, di gente o che non sa nulla, o che mente sapendo di mentire. Non è vero. Furono episodi, ma non di pulizia etnica, di rappresaglie. (dall'intervista al TG2, ''[http://www.youtube.com/watch?v=s9UXM_pKpqY Massacri delle foibe]'', 6 settembre 1996) *Tutto questo mi evoca dei ricordi poco simpatici. Era il [[fascismo]] che si conduceva così. Era il Fascismo che proibiva la satira, che in un paese civile e democratico dovrebbe essere assolutamente indenne da controlli politici; perché la satira non ha niente a che fare con la politica, anche se prende in giro la politica, ma si sa che è satira. Ed ogni regime serio e democratico accetta la satira, come si accettano le caricature. Era [[Benito Mussolini|Mussolini]] che non le sopportava. E qui pensano: «Ripuliremo la stalla», «Faremo piazza pulita». Ma questo linguaggio, al signor [[Gianfranco Fini|Fini]], chi glielo ispira? Ci ricorda delle cose che avremmo voluto dimenticare. Questa non è la destra, questo è il manganello. Gli italiani non sanno andare a destra senza finire nel [[manganello]]. [...] Alla Rai faranno piazza pulita, lo hanno già annunziato. Ma come si fa a definire democratico un partito che annunzia «Quando saremo al potere, noi faremo piazza pulita»? Ma questo è un linguaggio del peggiore squadrismo, che loro non sanno cosa fu, ma io me lo ricordo. Questo è il linguaggio con cui {{NDR|i fascisti}} andarono al potere. (da ''La settimana di Montanelli'', 17 marzo 2001) *Io voglio ringraziare Travaglio, perché ha detto l'assoluta e pura verità. Assolutamente. La versione che ha dato degli avvenimenti è quella esatta. [...] Io ho conosciuto due Berlusconi: il Berlusconi imprenditore privato che comprò ''il Giornale'' – e noi fummo felici di venderglielo, perché non sapevamo come andare avanti – su questo patto: tu, Berlusconi, sei il proprietario de ''il Giornale'', io, direttore, sono il padrone del ''Giornale'', nel senso che la linea politica dipende solo da me. Questo fu il patto fra noi due. Quando Berlusconi mi annunziò che si buttava in politica, io capii subito quello che stava per succedere. Cercai di dissuaderlo [...] ma tutto fu inutile. Dal momento in cui lo decise mi disse: «Ora ''il Giornale'' deve fare la politica della mia politica». Ed io gli dissi: «Non ci pensare nemmeno». Allora lui riunì la redazione come ha raccontato Travaglio – e questo lo fece a mia totale insaputa – e disse: «D'ora in poi ''il Giornale'' farà la politica della mia politica». E a quel momento me ne andai, cos'altro potevo fare? [...] Nella mia vita ci sono stati due Berlusconi, completamente opposti [...] questo fa parte del ritratto di Berlusconi. [...] Come capo politico è quello che io ho conosciuto in quei brutti giorni in cui scorrettamente, nella maniera più scorretta e più volgare, saltandomi, radunò la redazione de ''il Giornale'' per dirgli «Qui si cambia tutto» all'insaputa del direttore. Se questo sembra a Feltri un modo di procedere democratico e civile, è affar suo. (risposta telefonica a [[Marco Travaglio]] e [[Vittorio Feltri]] durante la trasmissione ''Il Raggio Verde'', 23 marzo 2001) *{{NDR|Silvio Berlusconi}} È il bugiardo più sincero che ci sia, è il primo a credere alle proprie menzogne. [...] È questo che lo rende così pericoloso. Non ha nessun pudore. (dall'intervista di Sophie Gherardi, ''L'Europa deve trattare il sig. Berlusconi con sdegno e disprezzo, non con ostilità'', ''Le Monde'', 8 maggio 2001<ref name=Travaglio2004/>) *Spero che l'Europa adotterà nei confronti di Berlusconi l'atteggiamento di indignazione e di disprezzo che merita. (dall'intervista di Sophie Gherardi, ''L'Europa deve trattare il sig. Berlusconi con sdegno e disprezzo, non con ostilità'', ''Le Monde'', 8 maggio 2001<ref name=Travaglio2004/>) {{Int|''Match''|a cura di Arnaldo Bagnasco, Alberto Arbasino e Maria Gefter Cervi, Rete 2, 18 gennaio 1978.}} *Io non stavo con Longanesi per ragioni ideologiche, anche perché io non ho mai capito quale ideologia avesse Longanesi. Longanesi non lo si poteva misurare sul piano ideologico, era sempre contro tutto e contro tutti. Era il frondista principe: lo è stato sotto il fascismo – e in fondo fece il più bel settimanale, forse, che abbia avuto l'Italia in questi ultimi decenni, credo: ''Omnibus'', che fu chiuso dal regime – e si è trovato sempre male con tutti i regimi. Che cosa pensasse in realtà Longanesi io, dopo un'amicizia di trent'anni, non sono mai riuscito a capirlo. Quello che mi affascinava di Longanesi, e che continua ancora oggi ad affascinarmi, è lo straordinario talento, l'inventiva, l'intuito, l'eleganza di Longanesi. Per cui io non consideravo le posizioni ideologiche di Longanesi, questo non m'interessava affatto. Per me era un fatto di vecchia amicizia: io sono un po' cresciuto con Longanesi, l'avrei seguito anche all'inferno perché con Longanesi si poteva andare anche all'inferno, diventava l'eden. *{{NDR|Sull'appello di votare DC nel 1976}} Questa può sembrare una contraddizione, ma che cosa avrei dovuto dire ai miei lettori? Di votare per chi? Questo è il punto. Oggi [...] i partiti laici ai quali io ideologicamente farei capo – liberale, repubblicano, socialdemocratico – fanno i pifferi di accompagnamento a un patto a sei, e questo era già nell'aria, prima del 20 giugno. Che cosa dovevo dire io ai miei lettori, «Votate per i pifferi di accompagnamento»? Francamente non me la sentivo. [...] Nonostante la mia etichetta di destra, io per i partiti di destra non mi schiererò mai. Io vorrei un centro: non lo trovo, non c'è. Un centro di opposizione democratica al regime che è già in atto non c'è. E allora che debbo fare? È colpa mia se la politica italiana non mi offre un centro? Io continuo a battermi per la costituzione di questo centro. *{{NDR|Domanda del pubblico: «Come mai in Italia non ci sono giornali indipendenti?»}} Io, per esempio, ho la presunzione – sarà infondata – di dirigere un giornale indipendente, perché vorrei sapere da chi prendo gli ordini. Me lo dica lei, Padre. {{NDR|«No, beh...»}} E allora, se non potete indicare qualcuno che mi dà gli ordini, io sono indipendente. {{NDR|«Rispondo anch'io da giornalista: è chiaro che un giornale non si sostiene con le idee sull'indipendenza, si sostiene con dei quattrini»}} Certo. {{NDR|«Allora io parlavo di un'indipendenza che, in quanto dipende da chi paga, è comunque una dipendenza ideologica. Questa era la domanda»}} Sì, l'ha scritto molto bene ''Repubblica'' [...] credendo di offendermi. Ha detto: «Il ''Giornale nuovo'' vive di collette». È vero, noi viviamo di collette, e io ne sono fiero perché le collette mi lasciano libero. {{Int|''Mixer''|a cura di Giovanni Minoli, Rete 2, 6 aprile 1981.}} *{{NDR|«Perché fu fascista fino al '37?»}} Questa è la storia della mia generazione, tutta la mia generazione è stata fascista fino al '35, al '36 o al '43. *{{NDR|«E perché smise di esserlo?»}} Perché noi credevamo che il fascismo fosse una cosa, e poi ci accorgemmo che era un'altra. *{{NDR|«Lei ha detto: "Buffoni, cafoni di natura, ''parvenus'', tutta gente in malafede, il bassettume, il pirellume, il cedernismo". Si riferiva alla Milano radical chic, ma che cosa voleva dire, esattamente?»}} Quello che ho detto. Veramente, io ne ho il più profondo disprezzo. Io accetto benissimo i comunisti: i comunisti sono gente seria, pericolosissimi, ma seri. I [[radical chic]] no. *{{NDR|«È sempre convinto del suicidio dell'anarchico Pinelli?»}} Assolutamente. *{{NDR|«Lei a Catanzaro, al processo per la strage di piazza Fontana, ha dichiarato: "Secondo me, il commissario Calabresi fu vittima di una campagna di stampa". Cioè?»}} No, non l'ho dichiarato a Catanzaro, lo dissi molto prima. Basta rileggere i giornali di quei tempi, e soprattutto i rotocalchi: veramente, Calabresi fu vittima di una campagna stampa infame e ingiusta, perché era uno dei funzionari più corretti che ci fossero. *{{NDR|«Pietro Valpreda, qui a ''Mixer'', ha definito Calabresi come "un tecnocrate del potere". Lei che cosa ne pensa?»}} Ma che significa «un tecnocrate del potere»? Un commissario di polizia serve il potere, chi diavolo deve servire? Valpreda? {{Int|''Faccia a Faccia: intervista a Indro Montanelli''|''Mixer'', a cura di Giovanni Minoli, Rai 2, 5 maggio 1985.}} *[[Renato Curcio|Curcio]] non sparava alle spalle, sparava di fronte, andava di persona a sparare. Naturalmente siamo su delle barricate opposte, ma io stimo Curcio. Lo stimo. È un uomo che secondo me ha delle idee sbagliate ma le serve, le serve da soldato vero. Con un suo galateo. Col suo coraggio. Senza mai rinnegarsi. Non si è pentito! *Io sono convinto che la magistratura debba essere indipendente, però chiedo ed esigo che abbia un autogoverno di controllo, e che soprattutto risponda dei suoi gesti. Oggi noi abbiamo una magistratura che non risponde a nessuno dei suoi errori spesso catastrofici, perché hanno distrutto uomini, hanno distrutto aziende per delle cose che poi si son rilevate insussistenti. Mai un magistrato ha pagato per questo. Io voglio che i magistrati paghino. Non dico a dei poteri esterni, ma perlomeno al potere a cui viene affidata la disciplina nella categoria. *Tutta l'intellighenzia italiana ha una vecchia tradizione di servilità, com'è logico, perché si è sviluppata in un Paese analfabeta, per secoli e secoli analfabeta. Non avendo il lettore doveva per forza procurarsi il protettore. Scriveva per il protettore. *{{NDR|«Il suo peggior difetto qual è, Montanelli?»}} Quello di non riconoscermene nessuno. *{{NDR|«[[Leo Longanesi|Longanesi]], parlando di lei, un giorno disse che lei capiva le cose con dieci mesi di anticipo rispetto a tutti gli altri. Ecco, tra dieci mesi cosa vede in [[Italia]]?»}} Queste erano le cose di Longanesi, ma in realtà io non riesco a vedere tra dieci giorni. {{Int|''[http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/1991/11/16/giangi-feltrinelli-io-non-ti-perdono.html 'Giangi' Feltrinelli io non ti perdono]''|''la Repubblica'', 16 novembre 1991, p. 33.}} *[[Giangiacomo Feltrinelli|Lui]] fu l'emblema di tutto quanto accadde in quegli anni {{NDR|Anni della contestazione}}. A differenza della [[Francia]], eravamo un paese da burletta, con una contestazione da burletta e rivoluzionari da burletta. E Feltrinelli ne fu l'esponente più qualificato. *Era il 1940 e a quel tempo Giangi aveva quattordici anni e seguiva i corsi scolastici con pessimo profitto. Giangiacomo era un ragazzetto che voleva a tutti i costi cavalcare qualcosa di rivoluzionario. Non importava il colore. Tanto è vero che il suo sogno fu prima il fascismo e poi Che Guevara. *{{NDR|«L'importante è stare in prima linea il fascismo?»}} Ma sì, negli anni Quaranta lui era fascista. Era talmente fascista che nel 1943, dopo l'8 settembre, voleva denunciare sia me che Barzini per alcune cose che avevamo detto contro i fascisti. Allora pensava di aderire a Salò. La sua dedizione a una causa quale che sia, purché rivoluzionaria, lo spingeva a questi atti pazzeschi. *Generoso? Lo chieda ai suoi collaboratori. Era una specie di padrone delle ferriere che spendeva generosamente solo per soddisfare il suo vizio principale: la rivoluzione. Con chi era in difficoltà non si dimostrò mai particolarmente generoso. *{{NDR|«Perché allora lei è così implacabilmente critico nei suoi riguardi?»}} Non ce l'ho neppure tanto con lui, quanto con tutti coloro che di Feltrinelli hanno fatto un mito. In realtà era un povero uomo. Un ingenuo divorato dall'esibizionismo. *{{NDR|«Come può ridurre tutto alla convinzione che fosse solo un ingenuo e un esibizionista?»}} Anche Starace segnò un decennio della nostra vita. Mica per questo era meno cretino. Se Feltrinelli sia stato qualcosa di più complesso, io non riesco a vederlo. Posso aggiungere questo: quella sua mania di ostentazione, quella voglia di primeggiare su tutte le cose lo ha condotto anche a degli atti di eroismo. Perché uno che sale su un traliccio, con la dinamite che non sa maneggiare e salta per aria, beh almeno il coraggio gli va riconosciuto. O forse chiamiamola incoscienza. {{Int|''[http://www.archiviolastampa.it/component/option,com_lastampa/task,search/mod,libera/action,viewer/Itemid,3/page,15/articleid,0824_01_1992_0072_0015_25082247/ Montanelli e il sacco di Milano]''|''La Stampa'', 14 marzo 1992, p. 14.}} *{{NDR|Il regime corrotto}} C'è ancora. Ma la rivolta non era tanto contro la corruzione e la partitocrazia, che erano senza dubbio un grosso male, ma che non erano il male più letale. In quel momento era proprio la società che si disfaceva, le condizioni della scuola, la predicazione del nulla, insomma la contestazione globale, l'ubriacatura degli Anni Settanta, che fu l'ubriacatura del terrorismo, e quella acquiescenza di una certa borghesia, salottiera, radical chic, che amoreggiava con queste cose, che aveva le smanie maotsetunghiste, che poi parlavano tutti di cose che non sapevano. La corruzione dei partiti invece è quasi immanente. La partitocrazia è destinata a durare almeno finché non si riforma la legge elettorale. Ma questa è la battaglia che noi cerchiamo di fare oggi. *{{NDR|«Ma gli Anni Settanta non hanno anche prodotto qualcosa di positivo nella società italiana?»}} No. Non vedo fatti positivi nel lascito degli [[anni di piombo]]. Vorrei sapere veramente quali. Quando dicono per esempio il divorzio. Ma il divorzio c'era già prima. Quelle sono conquiste sociali. C'era bisogno dei pistoleros per il divorzio? Ma andiamo! *{{NDR|«Però lei difendeva Pannella»}} Sì. A [[Marco Pannella|Pannella]] dobbiamo veramente due cose, malgrado le sue mattane. Effettivamente riuscì a impedire a una certa aliquota di giovani di finire in braccio al terrorismo, cioè gli dette un'altra bandiera. E alcune battaglie sue furono sacrosante, come quella del divorzio che appoggiammo. Poi verso Pannella io ho una certa simpatia, dovuta al mio vecchio fondo anarchico, libertario, che ritrovo in lui. È una simpatia genetica. Ritrovo in lui quello che io sono stato a vent'anni. *{{NDR|«Ma che fine ha fatto quella borghesia, che fine hanno fatto quei salotti buoni? Le sue battaglie contro la Crespi o contro la Cederna sono cosa Passata? Sono cambiati loro, oppure è cambiato lei?»}} Vabbè, con la [[Camilla Cederna|Camilla]] poi siamo ridiventati amici. Con la Crespi no, mai. Ma non ho più rancori, non ho più animosità. Però è un mondo che disprezzo un po', perché è un mondo di pecore che seguono sempre il filo del vento, santoiddio, sono proprio personcine, personcine inconsistenti, pronte ad andare con chiunque. E poi sempre per salvare i propri interessi, non è che abbiano delle idealità, no? Oggi è cambiato il vento, quindi sono cambiati anche loro. Ma non è che sia cambiato il mio giudizio. Quel mondo lì io non lo amo. *La crisi rimane e si riflette nell'amministrazione cittadina. L'amministrazione era sempre stata un autentico specchio. Fino a Bucalossi il Comune di Milano era retto da specchiati galantuomini, che finivano tutti poveri, in miseria, finivano alla Baggina. Gente davvero di una correttezza esemplare. Poi sono venuti gli Aniasi e compagni e guardi qui dove siamo arrivati: siamo arrivati a [[Mario Chiesa|Chiesa]]. {{Int|''[https://web.archive.org/web/20121107180200/http://archiviostorico.corriere.it/1993/giugno/06/Montanelli_tura_naso_come_nel_co_0_93060610816.shtml Montanelli si tura il naso come nel '76: voto l'uomo della Lega]''|''Corriere della Sera'', 6 giugno 1993, p. 3.}} *Mi sono dannato l'anima perché il centro avesse un ''suo'' candidato. Avrei voluto Locatelli: era la persona giusta per portare la bandiera referendaria e raccogliere gli elettori moderati. Era quello il mio sogno. *Segni non ha capito nulla, è arrivato in ritardo, ha candidato una persona che nessuno conosce. Non abbiamo ''un'' rappresentante del centro, ma tre surrogati che si elimineranno a vicenda. E ci toccherà scegliere fra [[Nando dalla Chiesa|Dalla Chiesa]] e Formentini. *{{NDR|«Di qui il suo suggerimento: turarsi il naso e votare Lega»}} No, non dico "Votiamo Lega", dico "Votiamo Formentini". E nel suo caso non ci si deve neppure turare il naso: è modesto, anche mediocre se vogliamo, ma è onesto. Non credo sia marcio. Insomma: è il male minore. *{{NDR|«E Dalla Chiesa?»}} No, il mio voto non lo avrà. Perché io non voto per la sinistra e per un sinistro come quello lì. *{{NDR|«Ma che cosa la preoccupa nella coalizione di Dalla Chiesa?»}} Questi reperti di un mondo fallito vogliono ora governare l'Italia. E io con loro non ci sto. La storia gli ha dato torto, la realtà li svergogna e noi dovremmo fidarci? È stata l'apertura a sinistra a dare inizio alla putredine. {{Int|''Eppur si muove''|a cura di Indro Montanelli e Beniamino Placido, Rai 3, 1994.}} *Ogni italiano è insieme furbo e fesso. L'italiano è furbissimo nella gestione dei suoi affari privati, può ricorrere a tutte le astuzie, è attento, è accorto, ed è assolutamente fesso nel non rendersi conto che se i suoi affari privati rimangono immessi in una società che non funziona – cioè dove gli interessi generali vengono trascurati e negletti – i suoi interessi privati finiscono col soffrirne e col condurlo al fallimento. Questo, a noi italiani, non entra in testa. (6 febbraio 1994) *È probabile che molti stranieri mandino i loro figli, a Roma, a scuola. Ma quali scuole? Alle loro. Gli americani mandano i loro figli alla scuola americana, i tedeschi alla scuola tedesca, i francesi alla scuola francese. Non li mandano mica alla scuola italiana, se ne guardano bene e hanno ragione, visto il modo in cui si insegna in Italia. (ibidem) *Da noi prima uscivano dei ragazzi che sapevano abbastanza di greco, di latino, ma che il carattere non lo avevano formato a scuola: o se lo formavano da soli, oppure non se lo formavano mai. (ibidem) *Lo [[Zingari|zingaro]] che fa tranquillamente la sua vita non dà noia a nessuno, è quando ruba che, naturalmente, suscita qualche perplessità (uso un eufemismo). Diciamo la verità, in Italia il razzismo non c'è. Per inventare una questione razziale ci volle una legge, e una legge fatta da un regime totalitario perché il Paese non la sentiva. Non poteva sentirla perché non è nella nostra tradizione. [...] L'Italiano non ha dei risentimenti razziali. [...] {{NDR|Sugli episodi di intolleranza e di paura per il diverso}} È un fatto di piccolissime minoranze, diciamo la verità. Non inventiamo adesso una questione {{NDR|razziale}}. Io ho vissuto nelle società veramente razziste, è tutta un'altra faccenda. (con [[Serena Dandini]], 20 marzo 1994) *Io ebbi una moglie etiopica, nel senso che la comprai secondo l'uso locale. {{NDR|«Come, scusi?»}} Eh beh, ma gli usi locali erano questi. Tutti, anche gli etiopici, compravano la moglie. {{NDR|«Quanto costava una moglie?»}} Poco. Costava poco, mi pare che mi costò – allora, però (anno 1935) – 500 lire e un tucul {{NDR|trattando}} col suocero. Perché queste furono transazioni fatte dal mio emissario, che era il più anziano graduato della mia banda, col padre della ragazza. [...] Questo matrimonio durò finché noi stemmo di stanza a Saganèiti, cioè a dire prima che scoppiasse la guerra con l'Abissinia (che non fu precisamente una guerra, fu una specie di avventura). [...] Poi questa mia moglie, perché era considerata tale, quando io partii sposò un mio graduato e al primo figlio – è vivo tuttora, mi hanno detto – diede il mio nome, per cui alcuni credettero che fosse figlio mio. Non era figlio mio. Soltanto che per deferenza... {{NDR|«Lei non pensò mai di portarla con se in Italia?»}} Beh, no. No, anche perché era molto difficile strapparla ai suoi costumi. Lei stessa, in fondo, non voleva venire. Lei apparteneva alla sua terra, io le feci una piccola dote e quindi andò tutto regolarmente. Era molto bellina. (ibidem) *Gran parte delle forze leghiste, quelle che accennano a qualche razzismo nei confronti del meridionale, sono composte da meridionali che si sono milanesizzati e ci si trovano talmente bene a Milano che non vogliono che altri arrivino dal sud. (ibidem) *Per me la [[destra]] non è una [[ideologia]]: è un modello di comportamento. Si può essere di destra anche a sinistra. Questo comportamento è il criterio rigoroso del servizio della vita pubblica. (con [[Arnoldo Foà]], 17 aprile 1994) *Nella storia della [[Italia|nazione italiana]] io vedo pochi uomini all'altezza della qualifica di una destra illuminata che non solo accetta ma vuole le [[Riformismo|riforme]]. Un uomo di destra certamente io non credo che fosse [[Camillo Benso, conte di Cavour|Cavour]], del resto il suo connubio lo dimostra, la sua disinvoltura nelle alleanze politiche lo dimostra. Certamente di destra era [[Bettino Ricasoli|Ricasoli]]. Certamente era [[Quintino Sella|Sella]]. Certamente era [[Giovanni Giolitti|Giolitti]]: uomo che dette il suffragio universale, e che riconobbe il diritto di [[sciopero]]. Questo è un uomo di destra. Certamente un uomo di destra era [[Alcide De Gasperi|De Gasperi]], senza dubbio. E, adesso non vorrei scandalizzare la gente, ma direi che uomo di destra per il concetto che aveva dello [[Stato]] e del [[potere]] era anche [[Palmiro Togliatti|Togliatti]]. E questo dimostra che si può essere uomini di destra anche a [[sinistra]]. La destra è una regola di comportamento, una regola [[morale]] di comportamento. (ibidem) {{Int|''[https://web.archive.org/web/20101005073648/http://archiviostorico.corriere.it/1997/novembre/09/Montanelli_gambizzato_cinque_mesi_prima_co_0_9711098446.shtml Montanelli "gambizzato" cinque mesi prima: "Mi salvò una promessa a Mussolini"]''|''Corriere della Sera'', 9 novembre 1997, p. 29.}} *Quella mattina {{NDR|2 giugno 1977}} sono in due nei giardini di piazza Cavour, a Milano. Uno mi spara alle gambe. L'altro mi tiene nel mirino della sua pistola. I primi due – tre proiettili entrano nelle mie lunghe zampe di pollo. Non devastano né ossa né arterie. Ma sarebbero sufficienti per far cadere a terra qualsiasi cristiano. In quegli attimi ricordo la promessa che avevo fatto a Mussolini, e a me stesso, quando, bambino, mi ritrovai intruppato nei balilla: "Se devi morire, muori in piedi!" Davanti a questi vigliacchi che non hanno il coraggio di affrontarmi in faccia, penso, non posso morire in ginocchio. E mi aggrappo alla cancellata dei giardini. Non sto in piedi sulle gambe, ma mi reggo dritto con la forza delle braccia. E quello continua a sparare e a centrare le mie zampe di pollo. Se mi fossi accasciato, se mi fossi inginocchiato davanti a lui, a quell'ora sarei morto. *Per [[Renato Curcio|lui]] ho sempre avuto rispetto. Penso che la sua autoemarginazione dalla società prima e l'emarginazione che la società gli ha imposto poi ci abbiano privato di un uomo di valore. Non lo conosco di persona, ma lo stimo, anche se poteva essere lui quello che ha mandato i due ragazzi a spararmi. Non ho rancore: quando la guerra è finita gli avversari si devono stringere la mano e devono brindare alla pace ritrovata. *Apprezzo il coraggio di chi non si pente per ricavarne un utile, di chi non denuncia il compagno di errori ma riconosce i propri torti. Almeno i brigatisti lottavano per ideali diversi da quelli dello stalinismo e del comunismo sovietico. I terroristi neri, invece, volevano soltanto restaurare un regime sepolto dalla storia. I rossi non sapevano bene cosa ma avevano in mente qualcosa di nuovo. *{{NDR|«E se avessero vinto loro?»}} Impossibile. L'esistenza del terrorismo ha soltanto ribadito le manchevolezze del nostro Paese: uno Stato inefficiente e un popolo codardo e conformista. *{{NDR|Sui burattinai, i Grandi Vecchi, la Cia, i Servizi segreti}} Fregnacce: che gliene poteva importare alla Cia di fucilare gente come il buon Casalegno o quel galantuomo di Emilio Rossi, vent'anni fa direttore del Tg Uno, o quel bischero di Montanelli? La dietrologia era una divagazione di intellettuali perditempo. Il vero problema era ed è un altro: finché non ci decideremo a riconoscere la mancanza negli italiani di una coscienza nazionale e civile questo pericolo del terrorismo lo correremo sempre. E questa fabbrica di una coscienza nazionale e civile io non la vedo nascere. *{{NDR|Sul dolore che il tempo non ha cancellato nei parenti delle vittime}} Anche noi italiani dobbiamo imparare a pagare gli inevitabili tributi dovuti alla Storia come hanno saputo fare tutti i Paesi occidentali. Il dolore resta, ma la piaga va ricucita. Una volta per tutte. {{Int|''[http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/1998/07/25/borghesia-vile-deludente.html Borghesia vile e deludente]''|''la Repubblica'', 25 luglio 1998, p. 8.}} *È la solita bruciante delusione, questa nostra borghesia. Non cambia mai, è sempre la stessa: la più vile di tutto l'Occidente. Gente portata a correr dietro a chi alza la voce, a chi minaccia, al primo manganello che passa per la strada. Questo sono i nostri borghesi: tutti fascisti sotto il fascismo, poi tutti antifascisti fin dall'indomani. Quando il comunismo era forte e faceva paura, e io fondai ''il Giornale'', mi lasciarono solo e senza un soldo. Ai tempi del terrorismo, amoreggiavano con gli estremisti nella speranza che quelli – andati al potere – gli risparmiassero la villa e il portafoglio. E ora che il comunismo non c'è più, si scoprono tutti anticomunisti, questi sedicenti liberaloni. *Il loro eroe è sempre chi brandisce il [[manganello]]. Ieri, il manganello vero. Oggi, quello catodico delle televisioni. Il liberalismo vero l'hanno sempre tradito, anzi non hanno mai saputo che cosa sia. Non vogliono le regole, detestano le leggi, vogliono avere le mani libere per fare quello che gli pare, in nome della loro cosiddetta «[[efficienza]]». Quando abbiamo fondato ''la Voce'' l'abbiamo toccato con mano: parlare di regole e di legalità a questa gente è peggio di un insulto, una bestemmia in chiesa. *L'ho sempre detto che fu un errore, quattro anni fa, defenestrarlo. Bisognava lasciarlo lì ancora un bel po', così tutti avrebbero capito quanto vale, che razza di statista è... Magari adesso non saremmo in Europa, ma non avremmo così tante gente che si lascia ubriacare dalla sua propaganda, che prova nostalgia per lui. *{{NDR|«E se un giorno si andasse a votare per il suo referendum, quello per abolire i reati del Cavaliere?»}} In quella forma, mi pare difficile che si arrivi, anche se in Italia non si sa mai. Comunque, se si votasse, credo che anche lì vincerebbe lui. Perché è quello che vuole questa nostra borghesia. Ormai è ufficiale: Berlusconi ce lo meritiamo. {{Int|''[http://www.repubblica.it/online/politica/satiquattro/montanelli/montanelli.html L'Italia di Berlusconi è la peggiore mai vista]''|''la Repubblica'', 26 marzo 2001.}} *Io voglio che vinca, faccio voti e faccio fioretti alla Madonna perché lui vinca, in modo che gli italiani vedano chi è questo signore. [[Silvio Berlusconi|Berlusconi]] è una malattia che si cura soltanto con il vaccino, con una bella iniezione di Berlusconi a Palazzo Chigi, Berlusconi anche al Quirinale, Berlusconi dove vuole, Berlusconi al Vaticano. Soltanto dopo saremo immuni. L'immunità che si ottiene col vaccino. *È strano: io non avevo mai preso parte alla campagna di demonizzazione: tutt'al più lo avevo definito un pagliaccio, un burattino. Però tutte queste storie su Berlusconi uomo della mafia mi lasciavano molto incerto. Adesso invece qualsiasi cosa è possibile: non per quello che succede a me, a me non succede nulla, non è che io rischi qualcosa, è chiaro. Quello che fa male è vedere questo berlusconismo in cui purtroppo è coinvolta l'Italia e anche tante persone perbene. *La scoperta che c'è un'Italia berlusconiana mi colpisce molto: è la peggiore delle Italie che io ho mai visto, e dire che di Italie brutte nella mia lunga vita ne ho viste moltissime. L'Italia della [[marcia su Roma]], becera e violenta, animata però forse anche da belle speranze. L'Italia del 25 luglio, l'Italia dell'8 settembre, e anche l'Italia di piazzale Loreto, animata dalla voglia di vendetta. Però la volgarità, la bassezza di questa Italia qui non l'avevo vista né sentita mai. Il berlusconismo è veramente la feccia che risale il pozzo. {{Int|''La Storia d'Italia di Indro Montanelli''|a cura di Mario Cervi, interviste di Alain Elkann, ''Cecchi Gori Editoria Elettronica Home Video'', 1999.}} *Il silenzio mantenuto finora {{NDR|sui massacri delle foibe}}, o quasi silenzio, si spiega facilissimamente: tutta la storiografia italiana del dopoguerra era di sinistra, apparteneva all'intellighenzia di sinistra, la quale era completamente succuba del Partito Comunista. Quindi non si poteva parlare delle foibe, che non appartenevano al comunismo italiano, ma appartenevano certamente al comunismo slavo, di cui però il comunismo italiano era alleato e faceva gli interessi. Quindi di questo non si poteva parlare, e non si poteva parlare delle stragi del triangolo della morte, perché anche queste ricadevano sulla coscienza – ammesso che ce ne sia una – del Partito Comunista, il che sta a dimostrare quello che dicevo prima, cioè che la Resistenza non fu una resistenza, fu una guerra civile tra italiani che continuò anche dopo il 25 aprile. [...] {{NDR|Sull'eccidio dei conti Manzoni}} Andai come giornalista [...] per appurare com'era andata la strage dei conti Manzoni, dopo la fine della guerra. [...] Una famiglia di persone che col fascismo non aveva niente a che fare, ci aveva convissuto come tutti gli italiani. Bene, nessuno mi voleva parlare di questa faccenda. [...] Nessuno ne aveva parlato, né dei Carabinieri né della Polizia e tantomeno della magistratura, eppure lo sapevano. [...] C'era una complicità assoluta, una complicità dannata. [...] Se ne parla ora perché il Muro di Berlino è crollato, ma si ricordi che trent'anni fa, quando [[Renzo De Felice|De Felice]] annunziò di mettere allo studio il ventennio fascista per sapere com'era andata, fu proposta la sua estromissione dalla cattedra universitaria, solo perché metteva allo studio un ventennio di storia italiana che, bella o brutta, c'era stata. [...] Non era possibile inquadrare storicamente il fascismo: chi lo faceva, cercando di spiegare i perché della sua durata, ed anche i perché della sua catastrofe, veniva accusato di fascismo. (da ''Dalla Monarchia alla Repubblica'') *È difficile sapere che cosa fu [[Palmiro Togliatti|Togliatti]], perché Togliatti non ha lasciato memoriali, non ha lasciato diario, che cosa pensasse Togliatti non lo sapeva nessuno, credo nemmeno la sua compagna Nilde Iotti. Si può dire che è stato un esecutore fedele degli ordini di [[Stalin]]. Lo è stato sempre, e per questo godeva la fiducia di Stalin. [...] Era un diplomatico per sé, soprattutto, perché é un uomo sopravvissuto a venticinque o trent'anni anni di Mosca, senza finire in galera, processato o contro il muro. Beh, questo è uno dei grandi personaggi. Sono pochi. {{NDR|«Non era uno statista, per esempio?»}} Non poteva essere uno statista perché i comunisti non hanno lo Stato nel sangue, i comunisti hanno il partito. Stalin non è mai stato Capo dello Stato, e nemmeno Capo del Governo, era capo del partito. Il potere nei regimi comunisti non sta né nello Stato né nel governo, sta nel partito. (da ''Dalla proclamazione della Repubblica al Trattato di pace'') *Questa [[Costituzione della Repubblica italiana|Costituzione]] porta male gli anni da quando aveva un giorno, perché fu subito chiaro quali erano i suoi difetti. Del resto furono anche denunciati da uomini come, per esempio, [[Piero Calamandrei|Calamandrei]], come Mario Paggi. (da ''Dall'assemblea costituente alla vigilia delle elezioni del 1948'') *I difetti furono soprattutto due. Il primo difetto fu di ripartizione dei lavori. La Costituente era formata da 600 membri eletti di passaggio. Voglio {{NDR|far}} notare che quella fu la prima elezione che si tenne in Italia – per la Costituente, non per il Parlamento – ma dove ci fu lo spiegamento dei partiti. Ogni partito portò i suoi candidati, cioè dei giuristi che facevano capo alla propria ideologia. Bene, in quella prima elezione il 35% dei voti andò ai democristiani, il 21% andò ai socialisti di [[Pietro Nenni|Nenni]], il 19% ai comunisti. Quindi in quel momento... non c'era ancora il Fronte ma in quel momento i socialisti facevano premio sui comunisti. Erano di poco, ma un po' più forti dei comunisti. [...] Questi 600 costituenti non potevano lavorare tutti insieme, era impossibile mandare avanti 600 persone a dibattere all'infinto le stesse cose, e allora i lavori furono devoluti a una commissione che si chiamò la ''Commissione dei Settantacinque'', perché erano 75 membri della Costituente che venivano incaricati per le loro competenze specifiche di redigere il testo. Ma anche 75 erano troppi, e allora anche i 75 si frazionarono in sotto-commissioni, ognuna delle quali lavorò per conto suo. Non ci fu un piano di insieme. {{NDR|«Quindi non fu un vero lavoro collettivo»}} Non fu un vero lavoro collettivo. Calamandrei lo disse subito: «Noi stiamo montando una macchina, che magari pezzo per pezzo sarà anche ben fatta, ma le cui giunture non coincidono con le giunture di altri pezzi». [...] Fu lasciata così perché nessuno volle rinunziare al proprio elaborato, e questo è tipico degli italiani. (da ''Dall'assemblea costituente alla vigilia delle elezioni del 1948'') *Il secondo motivo che rese questa Costituzione veramente impalatabile e nociva per il regime che ne doveva nascere, fu che i nostri costituenti partirono dal punto di vista opposto a quello da cui sarebbero partiti i costituenti tedeschi quando la Germania fu libera di elaborare una sua Costituzione. Da che cosa partirono i costituenti tedeschi? Da questo ragionamento: il nazismo fu il frutto della Repubblica di Weimar. Cos'era la Repubblica di Weimar? Era l'impotenza del potere esecutivo, cioè del Governo. [...] La Germania rimase nel disordine, nel caos, nella Babele dei partiti che non riuscivano a trovare mai delle maggioranze stabili, quindi dei governi efficaci. Ecco perché Hitler vinse, perché il nazismo vinse. I costituenti nostri partirono dal presupposto contrario, cioè dissero: «Cos'era il fascismo? Il fascismo era il premio dato a un potere esecutivo che governava senza i partiti, senza controlli eccetera. Quindi noi dobbiamo esautorare completamente il potere esecutivo, {{NDR|negando}} la possibilità di dare ai governi una stabilità, eccetera». Per rifare che cosa? Weimar. Cioè, mentre i tedeschi partivano dalla negazione di Weimar, noi arrivavamo {{NDR|a Weimar}} senza dirlo. Nessuno lo disse, ma questo fu il risultato. [...] Non fu possibile nemmeno introdurre quella solita linea di sbarramento che invece fu introdotta in Germania, per cui i partiti che non raggiungevano non ricordo se il 5 o il 3%, non avevano diritto a una rappresentanza. No, tutti i partiti dovevano esserci e tutti avevano un potere di ricatto sulle maggioranze, che erano per forza di cose di coalizioni. (da ''Dall'assemblea costituente alla vigilia delle elezioni del 1948'') *Gli italiani non imparano niente dalla Storia, anche perché non la sanno. {{NDR|«Forse non amano la Storia»}} Non la amano, non la leggono, non se ne interessano, ma questo anche le classi dirigenti: sono uguali, intendiamoci. {{NDR|«Lei auspica che venga rifatta questa Costituzione»}} Sì, ma che venga rifatta secondo criteri logici, non {{NDR|secondo}} criteri illogici. Tutte le volte che si diceva «Ma qui bisogna restituire un po' di autorità al potere esecutivo, bisogna mettere i governi in condizione di governare» si diceva: «Fascista! Fascista!». Con questo ricatto qui abbiamo fatto le più grosse scempiaggini che si potesse immaginare. (da ''Dall'assemblea costituente alla vigilia delle elezioni del 1948'') *La fine di [[Alcide De Gasperi|De Gasperi]] è la fine di un'epoca: con lui finisce un'epoca e ne comincia un'altra non certamente migliore. [...] C'è una bella pagina della figlia di De Gasperi, Maria Romana, che ha scritto un bel libro sul padre. Un libro tutto vero in cui racconta anche i funerali su in Val Sugana: c'era naturalmente tutta la nomenclatura democristiana che accompagnava la bara. Oramai De Gasperi era morto, si poteva anche fingere il compianto, e a un certo momento un passante che era lì – uno che guardava, che non aveva niente a che fare con la politica, con la Democrazia Cristiana eccetera eccetera – si avvicinò al feretro e scansando questi turiferari della DC disse: «No, non è vostro! De Gasperi è nostro! Era un italiano!». E aveva ragione. De Gasperi era nostro, non un democristiano. (da ''Gli anni di Alcide De Gasperi'') *{{NDR|[[Giovanni Gronchi]]}} Era un uomo molto abile, brillante parlatore, molto abile anche negli affari. Era molto più libertino di [[Carlo Sforza|Sforza]], quindi la Democrazia Cristiana [...] era cambiata, evidentemente, e Gronchi fu eletto per una faida interna della Democrazia Cristiana, perché [[Amintore Fanfani|Fanfani]] voleva [[Cesare Merzagora|Merzagora]]. Allora per fare dispetto a Fanfani, invece gli buttarono fra i piedi [[Giovanni Gronchi|Gronchi]], il quale seppe benissimo tessere la sua trama fra Sinistra, Destra eccetera e far diventare gronchiani anche quelli degli altri partiti. Dicendosi agli uni uomo di Destra e agli altri uomo di Sinistra, facendo insomma il giuoco personale di Gronchi, con cui entrò in Quirinale il vero grande corruttore della vita politica italiana. [...] Dopo l'onestissimo [[Luigi Einaudi|Einaudi]] viene Gronchi, che è l'indulgenza plenaria verso tutte le deviazioni e i deviazionisti d'Italia. (da ''La rivolta in Ungheria e l'elezione di Giovannni XXIII'') *Questa storia dell'MSI è una delle grandi truffe della Prima Repubblica: nella Costituzione c'è un articolo che proibisce la rinascita di un partito fascista. Ecco. Ora, l'MSI era chiaramente un partito fascista. Non lo negava, anzi si faceva gloria del fatto di essere l'erede eccetera. Perché lo avevano messo, allora? Lo avevano messo perché questo partito fascista, che avrebbe dovuto essere escluso dalla vita politica, serviva a captare un certo numero di voti che, senza questo partito, sarebbero andati a dei partiti moderati di Centro e soprattutto, forse, alla Democrazia Cristiana. Quindi quale fu il gioco delle Sinistre, a cui la Democrazia Cristiana però si piegò e si rassegnò: è consentito di esistere all'MSI, però l'MSI quando è in Parlamento è escluso dal gioco parlamentare. Così si mettevano i voti dell'MSI in ''frigidaire'', e così non andavano alla Democrazia Cristiana e ai partiti {{NDR|di Centro}}. È una delle peggiori truffe che è stata inventata dalla classe politica che ci ha governato per cinquant'anni. (da ''I successori di De Gasperi e la politica italiana fino alla morte di Togliatti'') *Io vorrei sapere quali furono le crescite... di civiltà che il [[Sessantotto]] pretende di averci lasciato. Io vedo tutt'altra cosa: io vidi nascere, dal Sessantotto, una bella torma di analfabeti che poi invasero la vita pubblica italiana, e anche quella privata, portando dovunque i segni della propria ignoranza. Io ho visto questo. Può darsi che sia affetto da sordità o da cecità ma io non ho visto altro, come frutti del Sessantotto. (da ''Il Sessantotto e la politica di Berlinguer'') *{{NDR|La differenza tra il Sessantotto francese e quello italiano è}} La differenza che passa fra l'originale e il fac simile perché il Sessantotto nacque in [[Francia]] e in [[Italia]] fu un fatto di riporto, di imitazione. {{NDR|«Che vi fu in tutto il mondo, però, questo»}} Un po' in tutto il mondo ma particolarmente in Italia dove non nasce mai niente, è sempre qualcosa di imitato dagli altri. Bene o male, insomma, i francesi ebbero... anche una certa cultura del Sessantotto, ebbero [[Jean-Paul Sartre|Sartre]]. Oddio, Sartre rivisto con gli occhi di oggi naturalmente scende molto dal suo mitico piedestallo. [...] In Italia non ci fu neanche un Sartre. (da ''Il Sessantotto e la politica di Berlinguer'') *Credo che su [[Pier Paolo Pasolini|Pasolini]] si sia preso un grosso abbaglio: Pasolini è passato per uno scrittore di sinistra perché aveva preso come sfondo dei suoi racconti – bellissimi del resto – il sottoproletariato delle borgate romane, i ragazzi di vita, insomma, la schiuma della società. Ma lo aveva fatto per dei gusti e dei motivi del tutto personali sui quali è inutile tornare a far commenti. Questo lo aveva fatto considerare come uno scrittore, un difensore del proletariato, ma non era una scelta politica quella che aveva fatto Pasolini. Non c'entrava niente, assolutamente nulla. Quindi quello che lui disse era assolutamente vero, cioè dire che nei tafferugli, dove spesso ci scappava il morto, tra quei dilettanti delle barricate che erano {{NDR|dei borghesi}}, i veri proletari erano i poliziotti, tutti figli di famiglie povere, eccetera eccetera. I dilettanti delle barricate erano tutti o quasi tutti figli di papà: aveva ragione Pasolini! Ma come no! E questo fu considerato un tradimento all'ideologia di sinistra. (da ''Il Sessantotto e la politica di Berlinguer'') *Il primo fenomeno fu il Sessantotto, e il Sessantotto partorì poi il terrorismo, il brigatismo rosso eccetera eccetera. Su questo non ci son dubbi, insomma. Dirò di più: i più seri, e forse gli unici seri, furono quelli che poi diventarono dei terroristi e che quindi rischiarono la loro vita, almeno. Gli altri erano quello che diceva Pasolini, dei figli di papà. (da ''Il Sessantotto e la politica di Berlinguer'') *{{NDR|La figura del Grande Vecchio}} È una di quelle fandonie, di quelle stupidaggini che piacciono tanto a noi italiani: l'idea di un Grande Vecchio che organizzasse tutte queste stragi, attentati eccetera eccetera. È un affare da Simenon di borgata insomma – no? Piaceva l'idea che ci fosse dietro tutta una strategia. Sennonché poi non si sapeva chi fosse il Grande Vecchio. {{NDR|«Aveva un volto questo grande vecchio?»}} Ne ha avuti molti: naturalmente [[Giulio Andreotti|Andreotti]] – quello non manca mai, quando si cerca un ''deus ex macchina'' di tutto ciò che di più criminale è avvenuto in questo Paese {{NDR|c'è}} Andreotti. {{NDR|«Però in quel momento non era tanto vecchio»}} In quel momento non era tanto vecchio, ma il Grande Vecchio non ha nulla di anagrafico, è il Grande Vecchio così – poi Gelli, poi Sindona. Ha avuto varie raffigurazioni che sono tutte di fantasia. (da ''Piazza Fontana e dintorni'') *Se c'era un funzionario corretto, che veniva portato come esempio da tutti i suoi colleghi, era Calabresi. Per quale motivo si scatenò questa campagna contro di lui non lo so. È vero che aveva interrogato [[Giuseppe Pinelli|Pinelli]], ma gli interrogatori di Calabresi facevano testo per la loro correttezza. Sempre. [...] Non so per quale motivo, a un certo momento, la stampa s'incendiò e cominciò ad additare Calabresi come «il bruto», come «lo scherano del potere sopraffattore e assassino». Questo si lesse in vari giornali. Ora, il potere sopraffattore assassino in quel momento era rappresentato da [[Mariano Rumor|Rumor]] e da [[Emilio Colombo|Colombo]]: mi dica lei se hanno il viso dei sopraffattori assassini. Magari lo fossero stati un po', ma immaginiamoci. E questa campagna fu implacabile, assolutamente implacabile. (da ''Piazza Fontana e dintorni'') *Come in tutti i processi italiani anche questi, che poi volevano arrivare all'identificazione dei responsabili e non ci arrivarono quasi mai, erano dominati dal cosiddetto «teorema»: si partiva dal presupposto... a un certo momento si mise di parlare degli anarchici – si smise quasi subito di parlare {{NDR|degli anarchici}} – e tutte le lampadine furono rivolte ai partiti e alle forze di Destra. Erano quelle le forze stragiste. [...] I nostri bravi giudici, salvo alcuni, partivano dal presupposto che {{NDR|i colpevoli}} certamente venivano di lì, venivano dalle Destre, dalle Destre più violente. Alle quali si attribuiva, sempre per «teorema», questa idea: creare una tensione nel Paese in modo da impaurire gli italiani e metterli alla scelta «o la libertà o l'ordine», perché insieme non potevano andare. Nella libertà era chiaro che non si poteva mantenere l'ordine, e loro dicevano: «Qualunque popolo messo a questa scelta sceglie l'ordine». Ecco. È un teorema. È un teorema che ha sempre cercato dimostrazione e non l'ha trovata mai. (da ''Piazza Fontana e dintorni'') *[[Bettino Craxi|Craxi]] era un uomo di partito certamente molto accorto, era un uomo valido di governo perché sapeva decidere. Che cosa fosse lo Stato, da buon socialista, non lo sapeva. (da ''Il terrorismo fino al sequestro e all'uccisione di Aldo Moro'') *Quelle lettere erano tutte farina del sacco di [[Aldo Moro|Moro]], e questa farina non è molto encomiabile perché, vede, tutti gli uomini hanno diritto ad avere paura. Tutti. Però quando un uomo sceglie la politica, e nella politica emerge a [[Statista|uomo di Stato]] – a uomo rappresentativo dello Stato – non perde il diritto a avere paura, ma perde il diritto a mostrarla. Questo sì. Questo è uno dei principi che dovrebbe essere affermato. L'incidente, tipo quello di Moro, fa parte del mestiere. Chi affronta quel mestiere deve sapere che può incorrere in quell'incidente e deve avere i nervi, e diciamo gli altri attributi, per resistere. Moro era lo Stato. Lo Stato si raccomandava, implorava, minacciava la classe politica che facesse di tutto, anche che si prostituisse, per salvargli la vita: eh, no. No. Moro era certamente un politico a modo suo, estremamente abile – era anche un galantuomo, credo – ma uomo di Stato non era nemmeno lui. [...] Anch'io mi sono posto questa domanda molto spesso: «Ma se Moro fosse tornato in politica dopo aver costretto lo Stato a prostituirsi, a inginocchiarsi di fronte ai terroristi, avrebbe potuto restarci?». Avrebbe potuto restare? Con che faccia? Vabbè che siamo in Italia. {{NDR|«Forse lo Stato sarebbe stato un altro perché i terroristi avrebbero vinto»}} Appunto. I terroristi avrebbero vinto. Quindi lui che cosa diventava, il braccio politico del terrorismo? Che cosa diventava? Come poteva ripresentarsi? Va bene, gli italiani hanno lo stomaco forte, inghiottono tutto – noi italiani abbiamo lo stomaco forte e inghiottiamo tutto – ma, insomma, di fronte a un uomo la cui vita, la cui sopravvivenza, aveva avuto quel prezzo per noi non credo che avrebbe potuto ripresentarsi all'opinione pubblica italiana. (da ''Il terrorismo fino al sequestro e all'uccisione di Aldo Moro'') *Noi naturalmente abbiamo il dovere di ringraziare [[Michail Gorbačëv|Gorbačëv]] per quello che ha fatto, però se lei mi chiede se lo ha fatto bene o lo ha fatto male io debbo rispondere che lo ha fatto malissimo. Io non so se lui... che lui volesse salvare la Patria sovietica questo non lo metto in dubbio. Che lui volesse salvare il comunismo... io debbo risponderle di no, perché quello che lui ha fatto per affossare il comunismo lo ha fatto. (da ''Giovanni Paolo II e la fine dell'URSS'') *Anche i cinesi si erano accorti che il sistema comunista era arrivato al capolinea, era fallito. Fallito perché non regge, assolutamente non regge. {{NDR|Il sistema comunista}} Aveva portato il Paese, e i Paesi che lo avevano adottato, al fallimento. Anche i cinesi si erano accorti di questo, però avevano capito che per trasformare un sistema oramai ancestralmente totalitario, statalizzato, che aveva tolto ogni libertà a tutti, che aveva disabituato tutti da ogni spirito di iniziativa e di impresa... per trasformare un'economia basata su questi principi fallimentari in un'economia capitalista basata sul libero mercato, sulla libera concorrenza eccetera, bisognava tenere in mano il potere politico per controllare questo passaggio. I cinesi lo fecero. Quando gli studenti di Pechino credettero di potergli {{NDR|al governo cinese}} prendere la mano scendendo in [[Protesta di piazza Tienanmen|piazza Tienanmen]] i cinesi non esitarono a mitragliarli e, per quanto un massacro non possa che essere esecrato, io dico questo: i cinesi erano obbligati a farlo. Se non lo facevano la Cina si dissolveva, ritornava quella di [[Chiang Kai-shek]]: ritornava quella dei signori della guerra, cioè il Paese si disfaceva. Il Paese che bene o male [[Mao Tse-tung]] aveva unificato e a cui aveva dato un'anima di Nazione si sarebbe disfatto. (da ''Giovanni Paolo II e la fine dell'URSS'') *{{NDR|Su [[Licio Gelli]]}} L'avevo visto una volta e questo [...] rendeva ancora più grande la mia sorpresa. Io avevo un giornale, ''il Giornale'', che non aveva patroni, non aveva pubblicità, che quindi aveva delle grosse difficoltà di tirare avanti. La proprietà era divisa fra me e una trentina di altri redattori, e non avevamo niente in mano. Io non trovavo una banca che mi facesse un fido, non trovavo una società pubblicitaria che mi garantisse un minimo decente delle cose [...]. A un certo momento il capo del nostro ufficio romano, Trionfera – che era massone, ma non P2 – mi disse «Senti, vieni a Roma perché so che c'è un signore che sta diventando il padrone della stampa italiana». Dico «Come? Il padrone della stampa italiana?» «Sì, c'è un signore che, a quanto pare, ha assunto un potere straordinario nel mondo dell’editoria e forse lui può anche aiutarci». [...] Andai a Roma e allora {{NDR|Renzo Trionfera}} mi disse che lui aveva appuntamento con questo signor Gelli, di cui io sentivo il nome per la prima volta [...], però dovevamo andarci quasi di nascosto. [...] Andammo [...] e così vidi Gelli per la prima e unica volta. Gli esposi la situazione e lui mi disse: «Ma questi sono dettagli, queste sono piccolezze, non sono problemi gravi perché qui, oramai, bisogna procedere a ben altro. Bisogna chiamare a raccolta tutta questa stampa italiana che è litigiosa, che è settaria. Bisogna darle un indirizzo unico». Allora io lì lo fermai. Dissi: «Come fa a darle un indirizzo unico? La stampa segue criteri diversi, i giornalisti...». «Macché giornalisti – disse lui – qui ci vuole un padrone della stampa!». Dico «Ma non esiste un padrone della stampa, a meno che non rifacciamo il Minculpop fascista, allora c'era un padrone perché c'era un regime che faceva il padrone». {{NDR|Licio Gelli}} Dice «Basta comprare la proprietà dei giornali». Dissi «Ma scusi, ci sono degli editori che non vendono» [...] «Questione di prezzo». Il discorso andò avanti su questi binari, quando uscimmo io dissi a Trionfera: «Senti, ma questo qui è il più grosso farabolano con cui abbiamo avuto a che fare, uno che si immagina di comprare tutta la stampa e di ridurla ai suoi ordini, va be', o è un matto, o è un matto, oppure è proprio un piazzista, un fregnacciaro qualsiasi insomma». Questo fu l'unico incontro. [...] Uno che faceva questi discorsi naturalmente mi sembrava inutile continuare a frequentarlo. Di lì a poco venne fuori la lista degli iscritti alla P2 e venne fuori l'identificazione di Gelli col Grande Vecchio, col famoso Grande Vecchio. {{NDR|«Finalmente si era trovato»}} Finalmente si era trovato il Grande Vecchio autore di tutte le stragi, le cose..., {{NDR|«Il vero Grande Vecchio»}} il bieco Grande Vecchio. Naturalmente non credetti nemmeno a questo. (da ''Il caso Sindona e la P2'') *Per istinto, e per come avevo visto e conosciuto [[Licio Gelli|Gelli]], io sono convinto che {{NDR|la [[P2|Loggia P2]]}} era una cricca di affaristi e basta. Era una cricca di affaristi condotta da un uomo che, evidentemente, come intrallazzatore doveva essere geniale. Era un pataccaro, indiscutibilmente era un pataccaro, ma che a tutto pensava fuorché a un ''golpe''. Non ci pensava nemmeno. Lui procurava affari e soprattutto fomentava carriere. Lui aveva capito qual è la struttura del potere in Italia, sempre, non soltanto allora, sempre: è una struttura mafiosa. Bisogna far parte di una cricca, di una conventicola in cui ognuno aiuta l'altro, e questo era la P2. [...] Ma che interesse poteva avere Gelli a rovesciare un sistema che gli consentiva di influire sino a quel punto? Quale interesse poteva avere? E poi, Gelli era un farabolano ma non doveva essere del tutto sprovveduto, doveva sapere che l'[[Italia]] non è terra da ''golpe''. Ma chi lo fa il ''golpe''? E anche se qualcuno lo fa, come fa a resistere? Che cos'ha dalla sua per fare il ''golpe''? Non ho mai creduto al golpismo di Gelli. (da ''Il caso Sindona e la P2'') *Il caso Chiesa era un caso modestissimo. Fece da detonatore perché il momento era maturo per arrivare a ''Tangentopoli'', che era dovuto a una cosa molto più complessa che era questa: che ci fosse la corruzione in Italia si è sempre saputo, la classe dominante promanava questo puzzo di fogna che tutti sentivano, il famoso «turarsi il naso». Soltanto che fin quando l'alternativa di questa classe politica allora al potere era un Partito comunista, che era un fac-simile di quello sovietico, basato sui carri armati, sulla polizia segreta, sulle delazioni, sui processi, [...] finché c'era questo spettro noi non potevamo prenderci il lusso di mettere sotto processo e mandare in galera la classe politica dirigente allora. Fu quando, col Muro di Berlino, crollò questo incubo che i tempi furono maturi perché questo avvenisse. (da ''Tangentopoli'') *Che {{NDR|la [[corruzione]]}} sia inestirpabile, di questo sono sicuro perché dura da 2000 anni. La corruzione non è soltanto nella politica: è nella società italiana! Noi italiani abbiamo sempre corrotto tutti! Tutti coloro che sono venuti in Italia a fare i padroni li abbiamo corrotti. [...] Noi dobbiamo metterci in testa che la lotta alla corruzione la si fa in un modo solo: cambiando gli italiani, non cambiando le classi politiche. Le classi politiche, anche quelle nuove, si corrompono. È inevitabile. (da ''Tangentopoli'') *[[Silvio Berlusconi|Berlusconi]] ha un sacco di qualità. C'è da dire, ha una grande immaginazione, una grande fantasia; ha un coraggio leonino nel buttarsi nelle imprese; sa trascinare molto bene; è un comunicatore eccezionale, sa accendere i suoi seguaci di entusiasmi eccetera eccetera, mi ricordo che una volta gli dissi: «Io sono sicuro che se tu ti mettessi a fabbricare dei vasi da notte, faresti venire la voglia di fare pipì a tutta l'Italia». (da ''Verso il bipolarismo'') *[[Silvio Berlusconi|Lui]] è un uomo d'attacco: se avesse fatto la carriera militare lui non sarebbe diventato né un [[Gerd von Rundstedt|Rundstedt]] né un [[Erich von Manstein|Manstein]], che furono i grandi strateghi tedeschi dell'ultima guerra. [...] Lui sarebbe diventato un [[Erwin Rommel|Rommel]] o un [[George Smith Patton|Patton]]. Cioè dire: è un generale di straccio e di rottura che, appunto, sullo slancio può compiere qualsiasi cosa. Se lo metti poi a difendere le posizioni conquistate con lo slancio, eh no, lì non ci sta. Come Rommel: Rommel finché poté attaccare in Libia e in Egitto attaccò. Quando dovette mettersi sulla difensiva chiese il rimpatrio. [...] Non sarebbe uomo di Curia e non è un uomo di pazienza, non è un uomo da guerra di posizione e di logoramento. (da ''Verso il bipolarismo'') *Lui Arrivò a Palazzo Chigi credendo, e facendo credere, che uno Stato si poteva condurre con gli stessi criteri di un'azienda privata. Io su questo avevo avuto serie discussioni con lui – non litigi, non ho mai litigato con Berlusconi – gli avevo detto: «Guarda che lo Stato non è un'azienda privata». [...] Lui credeva di potersi comportare a Palazzo Chigi, e con la macchina dello Stato, come si comportava con la sua organizzazione, dove la gente frullava e, se non frullava, lui la cacciava via, com'è giusto che faccia un imprenditore. Ma lui non poteva applicare questi metodi e sistemi allo Stato. Quando si trovò di fronte alla muraglia grigia, sorda e ottusa della burocrazia italiana, che è la peggiore, ma anche la più resistente del mondo, lui rimase senz'armi: non poteva licenziare neanche un usciere. Nel gioco parlamentare lui naufraga perché non è abituato a queste cose. La politica – non dico che sia solo un mestiere – ma è anche un mestiere. Questo mestiere lui non lo aveva. (da ''Verso il bipolarismo'') *Che gli italiani siano capaci di emanare leggi di riforma, ci credo senz'altro. L'Italia è la più grande produttrice di regole, ognuna delle quali è una riforma, è la riforma di un'altra regola. Gli stessi esperti pare che abbiano perso il conteggio delle leggi, dei regolamenti che vigono in Italia: c'è qualcuno che parla di 200.000, altri di 250.000. Ora, quando si pensa che la [[Germania]] ha in tutto 5.000 leggi, la [[Francia]] pare 7.000, l'[[Inghilterra]] nessuna, quasi nessuna – ha dei principi, così stabiliti. A cosa ha portato tutta questa proliferazione? A riempire gli scantinati dei nostri pubblici uffici, dove ci sono questi mucchi di legge che nessuno va nemmeno a consultare perché ognuna di queste leggi poi offre il modo di evaderle. Questa è la grande abilità dei legislatori italiani. I legislatori italiani sono quasi tutti degli avvocati. E gli avvocati a che cosa pensano? A ingarbugliare le leggi in modo da restarne loro i supremi e unici depositari. [...] Riforme: hai voglia se ne faremo, continuiamo a farne, è la nostra vocazione, questa. Quanto poi all'attuazione, allora è un altro discorso: le leggi in Italia non vengono osservate, anche perché sono formulate in modo che si possano non osservare. Ed è questo che spiega l'abbondanza, la prodigalità delle nostre classi politiche, delle nostre classi dirigenti, nello sfornarne di continuo. (da ''Dal Governo Dini all'Ulivo'') *Un Paese che ignora il proprio Ieri, di cui non sa assolutamente nulla e non si cura di sapere nulla, non può avere un Domani. Io mi ricordo una definizione dell'Italia che mi dette in tempi lontanissimi un mio maestro e anche benefattore, che fu un grande giornalista, [[Ugo Ojetti]], il quale mi disse: «Ma tu non hai ancora capito che l'Italia è un Paese di contemporanei, senza antenati né posteri perché senza memoria». Io avevo 25-26 anni e la presi per una ''boutade'', per una battuta, un paradosso. Mi sono accorto che aveva assolutamente ragione. Questo è un Paese che {{NDR|«È un Paese che non ama la Storia»}} ha una storia straordinaria, {{NDR|«Ma non la ama»}} ma non la studia, non la sa. È un Paese assolutamente ignaro di se stesso. Se tu mi dici cosa sarà un domani per gli italiani, forse sarà un domani brillantissimo. Per gli italiani, non per l'Italia. Perché gli italiani sono i meglio qualificati a entrare in un calderone multinazionale perché non hanno resistenze nazionali. Intanto hanno dei mestieri in cui sono insuperabili. [...] Voglio dirlo senza intonazioni spregiative, nei mestieri servili noi siamo imbattibili, assolutamente imbattibili. Ma non lo siamo soltanto in quelli. L'individualità italiana si può benissimo affermare in tutti i campi, anche scientifici. Io sono sicuro che gli scienziati italiani, i medici italiani, gli specialisti italiani, i chimici, i fisici italiani quando avranno a disposizione dei gabinetti europei veramente attrezzati brilleranno. Gli italiani, l'Italia no. L'Italia non ci sarà, non c'è. Perché gli italiani che vanno in Germania diventeranno tedeschi. [...] Alla seconda generazione sono assimilati. Dovunque vadano, sono assimilati. {{NDR|«Ma questo è un difetto?»}} No... è un difetto... è un difetto ed è anche una virtù. È una qualità. Voglio dire: per l'Italia non vedo un futuro, per gli italiani ne vedo uno brillante. (da ''Dal Governo Dini all'Ulivo'') ==Citazioni tratte dai giornali== ===''Corriere della Sera''=== <!--ordine cronologico--> *Gli eroi sono sempre immortali, agli occhi di chi in essi crede. E così crederanno, i ragazzi, che il «[[Grande Torino|Torino]]» non è morto: è soltanto «in trasferta». (7 maggio 1949) *{{NDR|A proposito di [[Maratea]]}} Forse in Italia non c'è paesaggio e panorama più superbi. Immaginate decine e decine di chilometri di scogliera frastagliata di grotte, faraglioni, strapiombi e morbide spiagge davanti al più spettacoloso dei mari, ora spalancato e aperto, ora chiuso in rade piccole come darsene. (4 ottobre 1957) *{{NDR|Su ''[[La dolce vita]]''}} Ma non c'è dubbio che qui ci si trova di fronte a qualcosa di eccezione (sic!) non perché rappresenti un meglio o un di più di ciò che finora si è fatto sullo schermo, ma perché ne va nettamente al di là, violando tutte le regole e convenzioni, a cominciare da quelle della durata, che supera le tre ore di spettacolo, per finire a quelle della trama, o meglio della non trama, perché non c'è. (''[http://cinquantamila.corriere.it/storyTellerArticolo.php?storyId=4d44ab344c050 Montanelli vede La Dolce Vita]'', 22 gennaio 1960) *{{NDR|Su ''[[La dolce vita]]''}} Non siamo più nel cinematografo, qui. Siamo nel grande affresco. Fellini secondo me non vi tocca vette meno alte di quelle che Goya toccò in pittura, come potenza di requisitoria contro la sua e la nostra società. (''ibidem'') *Il suo reportage non è una "patacca". Il poco – oh, molto poco! – che vi luce è proprio oro. E il molto che vi puzza è proprio fogna. Del resto, se così non fosse, il film sarebbe fallito come falliscono i reportages quando eludono la verità o non riescono a centrarla. Quindi, amici, vi prevengo se domani ''[[La dolce vita]]'' vi farà inorridire, non confutàtela dicendo: "Non è vero". Perché per esser vero, tutto ciò che qui è raccontato, lo è. D'altronde Fellini è ricorso al mezzo più spicciativo (e più diabolico) per dimostrarlo. (''ibidem'') *Ma mi affretto subito ad aggiungere che ''[[La dolce vita]]'' non è una polemica a sfondo giustizialista, che appunta i suoi strali sulle cosiddette classi alte. Non convincerebbe, in questo caso, o convincerebbe meno. Gli altri ambienti, che si srotolano giù giù negli appunti di questo reporter d'eccezione, sono descritti con la identica spietatezza, convalidata dalla stessa tecnica di rappresentare ciascuno nei propri panni. Lasciatemi testimoniare in tutta onestà che raramente ho visto qualcosa di più vero di quel salotto intellettuale. Esso ha dato perfino a me, che non ne frequento nessuno, un senso profondo di mortificazione, un vago anelito a cambiar mestiere e a iscrivermi, fo' per dire, ai coltivatori diretti. (''ibidem'') *Non è necessario essere socialisti per amare e stimare [[Sandro Pertini|Pertini]]. Qualunque cosa egli dica o faccia, odora di pulizia, di lealtà e di sincerità. (27 ottobre 1963) *Che i [[Rifugiati palestinesi|profughi palestinesi]] siano delle povere vittime, non c'è dubbio. Ma lo sono degli Stati arabi, non d'[[Israele]]. Quanto ai loro diritti sulla casa dei padri, non ne hanno nessuno perché i loro padri erano dei senzatetto. Il tetto apparteneva solo a una piccola categoria di sceicchi, che se lo vendettero allegramente e di loro propria scelta. Oggi, ubriacato da una propaganda di stampo razzista e nazionalsocialista, lo sciagurato ''fedain'' scarica su Israele l'odio che dovrebbe rivolgere contro coloro che lo mandarono allo sbaraglio. E il suo pietoso caso, in un modo o nell'altro, bisognerà pure risolverlo. Ma non ci si venga a dire che i responsabili di questa sua miseranda condizione sono gli «usurpatori» ebrei. Questo è storicamente, politicamente e giuridicamente falso. (16 settembre 1972) *[[Alexis de Tocqueville|Tocqueville]] diceva che «è nel sonno della pubblica coscienza che maturano le dittature». (da ''[https://web.archive.org/web/20160101000000/http://archiviostorico.corriere.it/1996/gennaio/13/platea_resta_assente_co_0_9601133631.shtml La platea resta assente]'', 13 gennaio 1996, p. 1) *Se si mettono a raffronto i due rivali come faccia, come presenza, come eloquio, come cordialità, insomma come simpatia umana, non c'è dubbio che Albertini ne ispira molto meno di Fumagalli, anzi diciamo la verità tutta intera: non ne ispira punta. Ed io, cittadino ed elettore milanese, proprio di questo sentivo il bisogno: di un sindaco antipatico, di faccia arcigna e poco invogliante alla pacca sulla spalla, al confidenziale «tu» e al pappecciccia coi sottoposti, e poco, anzi punto disponibile a quelle benevolenze, condiscendenze e indulgenze che rappresentano le supposte di glicerina di tutte le corruzioni. [...] Con Albertini ho parlato una sola volta. Ma mi è bastata per capire che, per rendersi antipatico, non ha bisogno di fare sforzi. Basta che si mostri com'è e come spero che rimanga: una specie di Molotov di Palazzo Marino, chiuso nei suoi caparbi ''niet'', diffidente, scostante e culdipietra. Che abbia una compagna fermamente decisa a non partecipare alla vita pubblica del compagno, anche questo ci va bene. [...] Si ricordi, signor Sindaco, che noi abbiamo votato per lei, non per questi papponi. (da ''[https://web.archive.org/web/20160101000000/http://archiviostorico.corriere.it/1997/maggio/13/tradito_Ulivo_co_0_9705136733.shtml Sì, ho tradito l'Ulivo]'', 13 maggio 1997, p. 1) *Non vorremmo, dopo averne deplorato il brutto vezzo, contribuire alle polemiche nel momento in cui bisogna invece accantonarle per fare compatto fronte per il salvataggio del salvabile. Ma basta con le «regole» che servono soltanto a rendere impenetrabili le responsabilità dei disastri quando i disastri si possono ricondurre a delle responsabilità umane (come non accade, per esempio, nei terremoti). Ma quando verrà l'ora della ricostruzione, ricordiamoci che l'[[urbanistica]] e il paesaggio italiani hanno bisogno non di altre, ma di meno «regole». E, più che di cemento, di dinamite. (da ''[https://web.archive.org/web/20160101000000/http://archiviostorico.corriere.it/1998/maggio/09/licenze_facili_leggi_oscure_co_0_9805099009.shtml Le licenze facili e le leggi oscure]'', 9 maggio 1998, p. 1) *Qualche dichiarazione meno infuocata contro la Giustizia di regime, come il [[Silvio Berlusconi|Cavaliere]] si ostina a definirla, avrebbe meglio aiutato la politica italiana a rimuovere il macigno che la paralizza, e che è lui, Berlusconi. (da ''[https://web.archive.org/web/20160101000000/http://archiviostorico.corriere.it/1998/luglio/14/RESTO_SIA_SILENZIO_co_0_9807143775.shtml E il resto sia silenzio]'', 14 luglio 1998, p. 1) *L'Italia sarà anche, come dicono i nostri tromboni universitari, «la culla del diritto». Ma è anche il sepolcro di una giustizia che, per decidere se un imputato è innocente o colpevole, aspetta il suo certificato di morte che la esenta dal dirlo. Il secondo problema è il reclutamento e la selezione [[magistratura|del personale]]. Come in tutte le altre pubbliche attività, anche nella giustizia c'è un dieci per cento di autentici eroi pronti a sacrificarle carriera e vita, ma senza voce in un coro di «gaglioffi» che c'è da ringraziare Dio quando sono mossi soltanto da smania di protagonismo. (da ''[https://web.archive.org/web/20160101000000/http://archiviostorico.corriere.it/1998/agosto/24/CARDINALE_MAGISTRATO_co_0_9808244892.shtml Il Cardinale e il Magistrato]'', 24 agosto 1998, p. 1) *Tutto si è risolto in un colpo solo, non si sa con precisione quando e come combinato, che ha tagliato la strada alla bagarre prima che cominciasse. E che, per quanto mi riguarda, mi ha liberato dall'incubo che turbava i miei inquieti sonni, e in cui mi vedevo in fuga da un mostro senza volto, ma che m'incalzava con la logorrea del presidente uscente, aggravata dall'accento irpino di Mancino e dalle corde vocali della signora Jervolino. [...] Siamo sicuri che il popolo, chiamato a pronunciarsi fra un [[Carlo Azeglio Ciampi|Ciampi]] e – faccio per dire – un [[Antonio Di Pietro|Di Pietro]], si sarebbe pronunciato per Ciampi? È una domanda che non aspetta risposta, ma che mi permetto di proporre ai lettori. Gran bella parola «il Popolo». E riconosciamogli pure l'attributo, che gli spetta, di «Sovrano». Ma insomma, meditate gente, meditate. (da ''[https://web.archive.org/web/20160101000000/http://archiviostorico.corriere.it/1999/maggio/14/QUASI_NON_CREDO_co_0_9905146643.shtml Quasi non ci credo]'', 14 maggio 1999, p. 1) *Tutti coloro che hanno svolto pubbliche funzioni in Sicilia sono rimasti e sono tuttora in qualche modo «collusi» con la mafia. Lo furono quotidianamente, e per secoli, il governo e la polizia borbonica. Lo fu [[Giuseppe Garibaldi|Garibaldi]] che in essa trovò, dopo lo sbarco, la sua prima alleata. Lo furono i governi nazionali sia di destra che di sinistra. Lo fu [[Giovanni Giolitti|Giolitti]] che pure non scese mai, a ch'io sappia, a sud di Napoli. Lo fu il presidente della vittoria, [[Vittorio Emanuele Orlando|Orlando]], che quando tornava a Palermo, la prima visita che rendeva non era al prefetto né all'arcivescovo, ma al capomafia. Tentò di non esserlo Mori che aveva licenza di uccidere garantita da un regime totalitario, e ci rimise il posto. Lo sono stati tutti i politiconi e politicastri della Prima Repubblica. Anche il cautissimo [[Giulio Andreotti|Andreotti]]? Può darsi, attraverso i suoi proconsoli ''in loco''. Ma il Tribunale deve aver capito che l'imputato non era lui. Era il costume morale e politico della nostra vita pubblica, sul quale un Tribunale non ha, né può né deve avere competenza. [...] E il problema, secondo me, è questo: che fin quando noi italiani crederemo di salvarci dalla peste mandando sul rogo una strega o un untore, dalla peste non ci libereremo mai. (da ''[https://web.archive.org/web/20160101000000/http://archiviostorico.corriere.it/1999/ottobre/24/TRIBUNALE_DELLA_STORIA_co_0_991024441.shtml Il tribunale della storia]'', 24 ottobre 1999, p. 1) *Ci dicano chiaro e tondo perché hanno smembrato il Ros, e hanno ridimensionato l'attività di Sco e Gico. Non ci raccontino che hanno voluto mettere al riparo il capitano Ultimo e i suoi uomini dalle possibili vendette della malavita. E soprattutto non vengano a ripeterci che il ''modus operandi'' dei servizi segreti, per impedirne le «deviazioni», dev'essere «trasparente». Questa, che un segreto possa essere trasparente, è un'idea da primato della cretineria. E, se non della cretineria, lo è della retorica virtuista o della menzogna truffaldina. (da ''[https://web.archive.org/web/20160101000000/http://archiviostorico.corriere.it/1999/novembre/02/PROCURATORE_BATTA_PUGNO_co_0_9911021451.shtml Procuratore batta il pugno]'', 2 novembre 1999, p. 1) *Era la prima volta che il partito socialista italiano aveva trovato un uomo {{NDR|Bettino Craxi}}, se non di Stato, almeno di governo, che lo aveva liberato dalla subalternanza al Pci, e condotto su posizioni democratiche, europeistiche e atlantiche. Lo avrà anche fatto con metodi alquanto spicciativi e disinvolti, più da padrino che da ''leader''. Ma mi chiedo se avrebbe potuto usarne di diversi per avere ragione dei vecchi tromboni del massimalismo populista e piazzaiolo con le loro clientele incrostate da decenni. E mi chiedo anche quanto contribuirono alla sua crocefissione i rancori e le acredini che si era lasciato dietro. Ma nella difesa si perse, e non per mancanza, ma forse per eccesso di coraggio. (da ''[https://web.archive.org/web/20160101000000/http://archiviostorico.corriere.it/2000/gennaio/20/STATISTA_LATITANTE_co_0_0001201104.shtml Lo statista latitante]'', 20 gennaio 2000, p. 1) *Anche noi siamo convinti che il Paese ha il diritto di conoscere la verità (che non riguarda soltanto quella di Piazza Fontana). Ma non ci riusciamo. Anche perché se la pista rimane, come sembra accertato, quella del terrorismo nero, non sappiamo quali nomi l'accusa potrà tirar fuori dal suo cappello. I tre maggiori indiziati sono già stati assolti con sentenza passata in giudicato che non consente di richiamarli sul banco degli imputati. Gli altri di cui si fa il nome non sarebbero che comparse, la più importante delle quali, Delfo Zorzi, risiede a Tokio con passaporto giapponese che lo mette al riparo da ogni pericolo di estradizione. Vale la pena ricominciare? L'''ouverture'' dei dibattimenti non è stata incoraggiante. Il proscenio era occupato da Capanna, Valpreda, [[Dario Fo]] e altri reduci sessantottini, cui si era aggiunto anche Sergio Cusani, l'intangentato convertitosi (lo diciamo senza nessuna ironia) al missionarismo. [...] Invano i portaparola della parte lesa, cioè dei familiari delle vittime, si sono dichiarati estranei e contrari a ogni tentativo di politicizzare il processo. Una parola. Non ci riescono nemmeno [[Jovanotti]] e [[Teo Teocoli|Teocoli]] con le loro filastrocche dal palcoscenico di Sanremo. Figuriamoci se potranno riuscirci i registi di questo processo ''rouge et noir'', se mai ve ne furono. [...] Ecco a cosa servono i processi come questo: non a cercare la verità, ma a fornire argomenti al ''rouge'' o al ''noir''. (da ''[https://web.archive.org/web/20160101000000/http://archiviostorico.corriere.it/2000/febbraio/26/QUELLA_VERITA_CHE_CERCHIAMO_co_0_0002264627.shtml Quella verità che cerchiamo]'', 26 febbraio 2000, p. 1) *Cosa c'entri la giustizia italiana in fatti e misfatti capitati trent'anni fa in un Paese {{NDR|l'[[Argentina]]}} di cui la metà della popolazione è di origine italiana, non riusciamo a capire. Ma ci pareva impossibile che l'iniziativa del giudice spagnolo Garzon per trascinare l'ex dittatore cileno [[Augusto Pinochet|Pinochet]] sul banco degli accusati di un tribunale madrileno non trovasse imitatori in un Paese di scimmie come il nostro. Grazie ad essa, il nome e il volto di Garzon sono noti in tutto il mondo. Ed è probabile che tra poco lo siano anche quelli del pubblico ministero Caporale. Vi pare poco in un'era dell'effimero come quella in cui stiamo vivendo, e che vede l'infittirsi di processi ai defunti, su cui le nuove leve della [[storiografia]] vorrebbero riscrivere il passato? (da ''[https://web.archive.org/web/20160101000000/http://archiviostorico.corriere.it/2000/aprile/03/QUEI_PROCESSI_CARO_ESTINTO_co_0_0004033275.shtml Quei processi al caro estinto]'', 3 aprile 2000, p. 1) *Dobbiamo avere la modestia di riconoscere che noi, come venditori, non leghiamo nemmeno le scarpe a un piazzista che se un giorno si mettesse a produrre vasi da notte, farebbe scappare la voglia di urinare a tutta l'Italia. (da ''[https://web.archive.org/web/20130619122825/http://archiviostorico.corriere.it/2001/febbraio/15/PREDICATORI_COMPARSE_co_0_0102158858.shtml I predicatori e le comparse]'', 15 febbraio 2001, p. 1) *Non sono mai venuto meno all'impegno, preso non con il Cavaliere, ma con me stesso, di non associarmi mai alla sua demonizzazione. Ma non posso sottacere ai lettori i pericoli che si nascondono sotto questa sua allergia alla verità, questa sua voluttuaria e voluttuosa propensione alle menzogne, la naturalezza con cui riesce a pronunziarle. (da ''Io e il cavaliere qualche anno fa'', 25 marzo 2001, p. 1) *Berlusconi, cui nulla riesce tanto bene quanto la parte di vittima e perseguitato. «[[Chiagne e fotte]]» dicono a Napoli dei tipi come lui. E si prepara a farlo per cinque anni di seguito. (da ''Io e il cavaliere qualche anno fa'', 25 marzo 2001, p. 1) ====''La stanza di Montanelli – rubrica''==== {{cronologico}} *{{NDR|[[Vittorio Sgarbi]]}} È un volgare calunniatore, che non disonora se stesso, ma anche il suo committente e padrone (tutti sappiamo chi è) che si serve di un simile scherano. (8 novembre 1995) *I [[Riformismo|riformatori]] italiani, quando si tratta di riformare ciò che non ha bisogno di essere riformato, sono instancabili. L'attività dell'Ucas, Ufficio complicazioni affari semplici, come ricordava un altro lettore esasperato, è frenetica. ([https://web.archive.org/web/20160101000000/http://archiviostorico.corriere.it/1995/dicembre/13/Ufficio_complicazioni_affari_semplici_co_0_9512139920.shtml 13 dicembre 1995]) *Io credo che il miglior omaggio che si può rendere a [[Aldo Moro|Moro]] sia quello di archiviare l'episodio che ne segnò la fine e dal quale, diciamo la verità, la sua immagine esce tutt'altro che bene. Quando sento dire che, oltre a quelle conosciute, ci sono anche altre lettere di Moro, prego Iddio che non vengano trovate. So già cosa contengono, e preferisco non leggerlo. (21 dicembre 1995) *È assolutamente impossibile istillare negli [[zingari]] il concetto di proprietà e quindi educarli al lavoro come mezzo per conquistarsela. Ma temo che sia altrettanto impossibile far capire tutto questo ai nostri pietisti, religiosi e laici, che farneticano di «integrarli». ([https://web.archive.org/web/20160101000000/http://archiviostorico.corriere.it/1995/dicembre/30/Viaggiai_sul_carrozzone_degli_zingari_co_0_95123012229.shtml 30 dicembre 1995]) *A me, invece, [[Beppe Grillo|Grillo]] piace. Lo considero il più efficace comico in circolazione. Anzi: «comico» non è la parola giusta. Grillo non è un comico, non è un moralista, non è un predicatore: è tutte queste cose insieme. Nel panorama dello spettacolo italiano, dove abbonda il bollito misto, è un'eccezione ambulante (e urlante). Lei ha ragione quando dice che Grillo esagera. Non soltanto esagera; provoca anche, e insulta, e offende. Ma tutte le categorie di giudizio, con un tipo così, risultano inadeguate. Grillo appartiene ad una specie animale particolare, formata da un solo esemplare: lui. O lo strozziamo o lo applaudiamo. Io, appena posso, lo applaudo. Perché i suoi eccessi, a differenza di quelli di [[Vittorio Sgarbi|Sgarbi]], odorano di bucato. ([https://web.archive.org/web/20160101000000/http://archiviostorico.corriere.it/1996/gennaio/11/Beppe_Grillo_incubo_esilarante_co_0_9601114281.shtml 11 gennaio 1996]) *Una delle eterne regole italiane: nel settore pubblico, tutto è difficile; la buona volontà è sgradita; la correttezza, sospetta. Per questo, le persone capaci continueranno a tenersi a distanza di sicurezza dalla «cosa pubblica», lasciando il posto ai furbastri (magari bravi) e alle mezze cartucce (magari oneste). Così, purtroppo, vanno le cose in questo bizzarro paese. ([https://web.archive.org/web/20160101000000/http://archiviostorico.corriere.it/1996/gennaio/26/Impegno_politico_caduta_delle_illusioni_co_0_9601261298.shtml 26 gennaio 1996]) *In una società libera il compito dei media non è «edificare la morale»; è informare, denunciare, stimolare, far riflettere, occasionalmente divertire. (28 gennaio 1996) *L'unico incoraggiamento che posso dare ai giovani, e che regolarmente gli do, è questo: «Battetevi sempre per le cose in cui credete. Perderete, come le ho perse io, tutte le battaglie. Una sola potete vincerne: quella che s'ingaggia ogni mattina, quando ci si fa la barba, davanti allo [[specchio]]. Se vi ci potete guardare senza arrossire, contentatevi». (20 febbraio 1996) *Non so se il Pci sia sotterraneamente sceso a trattative con le Br per convincerle a secondare questo piano. So soltanto che le Br, le quali invece la rivoluzione la volevano sul serio, lo rifiutarono, e fu proprio per farlo naufragare che rapirono e poi uccisero colui che doveva esserne lo strumento. [...] Fu il risoluto e quasi furibondo (oltre che sacrosanto) no dei comunisti che fece naufragare il tentativo {{NDR|Trattativa Stato-BR durante il sequestro [[Aldo Moro|Moro]]}}, che invece in seno alla Dc aveva parecchi sostenitori, anche se non osavano dirlo apertamente. Di qui le accuse e le insinuazioni contro i suoi compagni di partito, lanciate da Moro in quelle famose lettere, che avrebbe fatto meglio a non scrivere perché indegne di un vero uomo di Stato, anzi di un uomo tout court, e che ancor oggi forniscono materia al sospetto di una congiura fra democristiani – con l'aiuto dei soliti servizi segreti «deviati» – per sbarazzarsi di lui. Vero nulla. Forse nella Dc le forze «trattativiste», praticamente disposte alla resa alle Br, avrebbero vinto, se non ne fossero state impedite dalla risolutezza del Pci, che di un brigatismo assurto ad interlocutore dello Stato non voleva sentir parlare e di un Moro salvato al prezzo di una simile capitolazione non avrebbe più saputo che farsi. (26 marzo 1996) *No, è stata la persecuzione che ha costretto gli ebrei, per resisterle, a tendere ed affinare tutte le loro risorse intellettuali. Ecco il segreto dei loro primati. In tutto. E talvolta anche nella cretineria. (3 aprile 1996) *L'[[Allargamento della NATO|allargamento della Nato]] è una cosa maledettamente seria, e decisamente complessa. Parlarne prima delle elezioni presidenziali russe vuol dire buttare benzina sul fuoco; non parlarne oggi significa, forse, non parlarne più. [...] Innanzitutto, dobbiamo renderci conto che la Nato è un'organizzazione basata sul consenso: se si estende verso Oriente [...], la compattezza dell'alleanza rischia di incrinarsi. Ancor più delicata è una seconda questione. Governi e opinione pubblica occidentali devono capire le implicazioni della loro decisione. In seguito all'allargamento, i nuovi membri orientali della Nato (che siano solo Repubblica Ceca e Ungheria; o anche Polonia e Paesi Baltici) diventano nostri alleati, a tutti gli effetti. Questo vuol dire che, se venissero attaccati, dovremmo correre a difenderli. Domanda: siamo disposti a morire per Varsavia e Tallin? Se la risposta è «sì», allarghiamo pure la Nato. Se la risposta è «ma, forse...» – e in Italia sarebbe sicuramente «ma, forse...» – è meglio che lasciamo perdere. In quella parte del mondo hanno già sofferto abbastanza. Non è il caso che ci mettiamo anche noi. ([https://web.archive.org/web/20151025020316/http://archiviostorico.corriere.it/1996/aprile/20/Allargamento_della_Nato_Lasciamo_perdere_co_0_960420535.shtml 20 aprile 1996]) *Io non mi considero affatto ateo e non capisco come si possa esserlo. ([https://web.archive.org/web/20160101000000/http://archiviostorico.corriere.it/1996/maggio/23/dove_comincia_grande_mistero_Dio_co_0_9605235872.shtml 23 maggio 1996]) *{{NDR|Riferito alla [[crisi di Sigonella]]}} Ho sempre considerato il rilascio di Abu Abbas un gesto semplicemente criminale o almeno di complicità col crimine. ([https://web.archive.org/web/20151107235857/http://archiviostorico.corriere.it/1996/luglio/07/Caro_Ottiero_Ottieri_diamoci_del_co_0_9607072658.shtml 7 luglio 1996]) *Quanto scrivi {{NDR|riferito a una lettrice}} sull'insegnamento della Storia nelle nostre scuole è sacrosantamente vero. I testi su cui ve la fanno studiare sono o reticenti o faziosi, ma più spesso l'una cosa e l'altra, e soprattutto scritti coi piedi. (4 settembre 1996) *No, caro N***, non mi basta che il Pool abbia perseguito e persegua una buona Causa. Doveva farlo anche con buoni mezzi e criteri. E il caso Di Pietro basta a dimostrare che questo non è sempre avvenuto. (24 ottobre 1996) *È dalla piazza e dai cosiddetti «bagni di folla» che nascono i dittatori e vengono consacrati i fanatismi più orrendi, fra cui il più orrendo di tutti: il razzismo. ([https://www.fondazionemontanelli.it/sito/pagina.php?IDarticolo=432 24 novembre 1996]) *Io non ho titoli culturali che mi qualifichino a lezioni su una tematica come quella del [[calvinismo]]. Ma credo di averne afferrato l'essenziale: la concezione della Ricchezza come segno della Grazia, di cui quindi non si è proprietari, ma amministratori per conto del Signore col compito di moltiplicarla per il bene di tutti. (21 dicembre 1996) *[[Daniele Vimercati|Vimercati]] è un leghista antemarcia. Lo era anche quando lavorava con me al ''Giornale''. Ma è soprattutto un signor giornalista, che conosce perfettamente la linea di demarcazione fra l'opinione personale e il dovere professionale, e non c'è interesse né calcolo di opportunità che possa indurlo a varcarla. Per questo godeva di tutta la mia fiducia, né mai ho avuto occasione di pentirmi di avergliela concessa. (1996).<ref>Citato in Pierluigi Saurgnani, ''[https://www.ecodibergamo.it/stories/Cronaca/274325_vimercati_gran_borghese_il_giornalista_che_scopr_bossi/ Vimercati, gran borghese. Il giornalista che scoprì Bossi]'', ''ecodibergamo.it'', 13 marzo 2012.</ref> *Di commissioni d'inchiesta il nostro parlamento ne ha partorite a dozzine. Me ne citi una sola che abbia raggiunto dei risultati, anche semplicemente conoscitivi. Per un Parlamento come il nostro (e mi trattengo a fatica dal qualificarlo) anche la ricerca della verità è materia di lottizzazione. ([https://web.archive.org/web/20151118213258/http://archiviostorico.corriere.it/1996/dicembre/23/Ormai_non_resta_che_amnistia_co_0_96122312669.shtml 23 dicembre 1996]) *Quando ebbi, fra i tanti, un processo non con un magistrato, ma con un politico del rango di De Mita che avevo coinvolto nella mala amministrazione dei fondi stanziati per l'Irpinia dopo il [[Terremoto dell'Irpinia del 1980|terremoto]], non trovai, in tutta quella vasta regione, una toga che venisse a testimoniare in mio favore. L'unico che mi difese fu colui che avrebbe dovuto accusarmi: il pubblico ministero del tribunale di Monza, Mariconda: non sul merito delle mie accuse, ch'egli non aveva elementi per valutare, ma sul diritto che mi riconosceva di lanciarle. Anche l'uso dei cinquanta–sessantamila miliardi stanziati per l'Irpinia rimase un porto delle nebbie. ([https://web.archive.org/web/20160101000000/http://archiviostorico.corriere.it/1997/gennaio/12/Magistratura_porti_delle_nebbie_co_0_9701123652.shtml 12 gennaio 1997]) *La sola parola «ingegneria genetica» mi mette i brividi. (14 marzo 1997) *Io non mi sono mai [[Impiccagione|impiccato]]. Ma a Norimberga assistetti a diciassette impiccagioni, compresa quella di un cadavere, il cadavere di Göring che si era suicidato il giorno prima. Be', mi resi conto [...] che ficcare la testa nel nodo scorsoio di una corda non è un esercizio da mezzetacche o quacquaracquà. (15 maggio 1997) *{{NDR|Gladio}} Era stato istituito in quasi tutti i Paesi che facevano parte della Nato, e per volontà della Nato, consapevole che i suoi soci europei non avrebbero potuto resistere all'attacco di una Potenza superarmata qual era l'[[Unione Sovietica]]: avrebbero dovuto aspettare, per la riscossa, l'intervento dell'[[Stati Uniti d'America|America]]. Lo dimostra il fatto che quando questo piano fu rivelato, nessun altro Paese trovò nulla da ridirne. Solo noi italiani – i soliti romanzieri imbecilli e peggio che imbecilli – ne facemmo materia di scandalo e pretesto di «gialli» che tuttora trovano credito, come la sua lettera dimostra. Anch'io mi sento scandalizzato, e un poco offeso. Ma solo dal fatto che nessuno mi abbia sollecitato l'adesione al [[Organizzazione Gladio|Gladio]]: l'avrei data con entusiasmo. ([https://web.archive.org/web/20150623163829/http://archiviostorico.corriere.it/1997/giugno/07/Avrei_dato_con_entusiasmo_adesione_co_0_97060710388.shtml 7 giugno 1997]) *A fare l'Italia alcuni pochi italiani ci sono, senza e contro i più, riusciti. A fare gl'italiani, l'Italia, in centocinquant'anni, non c'è riuscita; anzi non ci s'è nemmeno provata. (19 giugno 1997). *Il vero cacciatore ama gli animali a cui dà la caccia, forse anche perché li considera complici di questo gioco in cui ritrova la sua origine esistenziale. Non spara, per esempio, sul bersaglio fermo: lo considera sleale. (9 luglio 1997) *Al matrimonio misto, che dell'integrazione razziale è la condizione genetica, sono i neri, molto più dei bianchi, che si rifiutano. Non è quindi colpa degl'italiani, o almeno non tutta questa colpa è degl'italiani, se anche da noi l'integrazione con gl'immigrati africani incontra degli ostacoli. Quella con gli oriundi dei Paesi europei non ne incontra nessuno, salvo quelli che frappone la burocrazia, la quale ne pone tanti anche a noi, e anzi campa solo di questo. Non ho mai sentito un francese, o un inglese, o un tedesco, o un bulgaro o un ukraino lamentarsi di una apartheid italiana. Ci sono anche da noi, purtroppo, delle manifestazioni di razzismo. Ma queste sono dovunque, e in Italia meno violente che altrove. L'Italia è un Paese che va a catafascio. Ma non buttiamogli addosso anche delle croci che non merita. Quelle che merita bastano, e ne avanza. (24 agosto 1997) *Io sono un italiano, fra i pochi rimasti che nei confronti dell'Italia s'ispirano all'adagio inglese: «Che abbia ragione o torto, sto col mio Paese». Anch'io sto col mio paese quando ha torto, ma senza pretendere che il suo torto sia considerato ragione. (23 settembre 1997) *Sono e rimango convinto che fin quando noi italiani ci affideremo soltanto alla Legge – o, come ora usa chiamarla, alle «regole» –, rimarremo quello che siamo, coi vizi che abbiamo, fra cui quello di accatastare regole su regole al solo scopo di metterle in contraddizione l'una con l'altra per poterle meglio evadere. (16 ottobre 1997) *Forse farebbe meglio ad astenersi a dare lezioni di liberalismo a me che sono stato, in tutto il giornalismo italiano, l'unico a difenderlo negli anni Settanta e Ottanta, quando difenderlo era difficile e poteva anche costar caro. Non me ne faccio un vanto perché, quando alla fine ha vinto, ho visto di che liberalismo si trattava, ed è per questo che ho votato Ulivo. (23 ottobre 1997) *Le confesso che il suo piglio perentorio e inquisitorio mi disturba alquanto, anche perché mi lascia capire che lei parte da convinzioni così granitiche da rendere vano ogni tentativo d'insinuarvi almeno un dubbio. (23 ottobre 1997) *È importante tutto questo? No. Non lo è per me né per lei, che sappiamo cosa è accaduto. E non lo è per i leghisti doc, secondo cui qualunque cosa propone il capo è Vangelo. Se Bossi decide di andare in Bicamerale, applaudono. Se decide di abbandonare la Bicamerale, esultano. Se va con Berlusconi, assentono. Se lascia Berlusconi, approvano. E se un giorno si sveglia e cambia i confini della Padania, accettano i nuovi confini. Tempo fa, rispondendo a un lettore, scrissi che «i leghisti sono pronti a inneggiare anche all'annessione della Yakuzia, e non solo perché non sanno dove sta». Arrivarono molte lettere indispettite. Ma nessuna contro l'annessione della Yakuzia. (29 ottobre 1997) *Se sono – come sono – uno di quegli uomini di Destra che ultimamente hanno votato, sia pure controvoglia, per la Sinistra (annacquata) dell'Ulivo, è perché da questa, che non è mai stata la mia bandiera, non mi sento tradito. Essa sta facendo ciò che prometteva di fare, ma lo fa con molta moderazione, e con una squadra di uomini che magari non saranno (meno qualcuno, come per esempio Ciampi) di serie A, ma da cui non temo, e credo che nessuna persona ragionevole possa temere, l'instaurazione di un regime. (10 dicembre 1997) *E lo specchio non vi giudica dai successi che avrete ottenuto nella corsa al denaro, al potere, agli onori; ma soltanto dalla Causa che avrete servito. Tenendo bene a mente il motto degli ''hidalgos'' spagnoli: «La sconfitta è il blasone delle anime nobili». (31 dicembre 1997) *Che cosa io pensi dell'onorevole Previti mi pare di averlo detto in termini talmente espliciti da apparire – a più d'uno – brutali: un personaggio che solo a guardarlo in faccia verrebbe voglia di applicargli le manette ai polsi prima ancora di sapere chi è e cosa ha fatto. (31 gennaio 1998) *Infine, c'è quello che io considero il vero, grande vantaggio dell'euro: una volta dentro, non potremo tornare all'allegra finanza pubblica d'un tempo. ([https://web.archive.org/web/20151203232056/http://archiviostorico.corriere.it/1998/febbraio/20/Che_cosa_succedera_quando_avremo_co_0_9802206445.shtml 20 febbraio 1998]) *Tutti hanno diritto di credere nel miracolo, quando non c'è altro a cui aggrapparsi. La scienza no: se lo ricordi anche il Papa. (23 febbraio 1998) *I conti col passato, si capisce, bisogna farli. Ma a un certo punto bisogna chiuderli. Perché nella Storia non ce n'è mai stato uno che, protratto all'infinito, non ne abbia innescato un altro. (10 marzo 1998) *Perché, caro B***? Perché la vocazione a dividerci sempre e su tutto per il nostro «particulare», come lo chiamava Guicciardini, noi italiani ce la portiamo nel sangue, e non c'è legge che possa estirparla. (18 aprile 1998) *Vero che nei ricordi sui quali vengo sollecitato, il nome di [[Cesco Tomaselli|Tomaselli]] ricorre meno frequentemente di quelli di Longanesi, di Buzzati, di Piovene, di Barzini ecc. Ma ciò dipende solo dal fatto che costoro appartenevano alla mia leva, e in comune con loro avevo avuto tante esperienze, perfino la stanza di lavoro. Tomaselli, quando io entrai al ''Corriere'', apparteneva già alla sua vecchia guardia, e come notorietà ne aveva raggiunto il tetto proprio grazie alle sue corrispondenze sull'impresa del dirigibile «Italia» di Umberto Nobile, di cui fu dal principio alla fine lo scrupoloso cronista. A salvargli la vita dalla catastrofe fu soltanto la sorte, contro cui egli imprecò considerandola avversa. Per l'ultima tappa, quella che avrebbe dovuto sorvolare il Polo, dei due giornalisti aggregati a quella spedizione — Tomaselli per il ''Corriere'', e Ugo Lago per il ''Popolo d'Italia'' di Mussolini —, c'era posto, sulla navicella, per uno solo. Lago e Tomaselli se lo giocarono a testa o croce. Con gran dispetto di Tomaselli, che non smise mai di considerarsene tradito, vinse e partì Lago, che non tornò più: quando l'aeromobile precipitò sul pack, lui rimase aggrappato insieme ad altri compagni al cordame dell'involucro col quale scomparve nel deserto bianco. Ma tutte le volte che se ne parlava, Tomaselli seguitava ad inveire contro la scalogna che lo aveva escluso da quel drammatico finale, come se gli avesse tolto la fortuna di descriverlo. Questo era Tomaselli, l'inviato speciale che nel suo mestiere di giornalista portava lo stesso spirito che aveva fatto di lui, nella Prima Guerra Mondiale, un superdecorato ufficiale di artiglieria alpina e gli ispirava una concezione quasi religiosa del «servizio». Non era un «brillante» né come scrittore né come parlatore. Ma di tutto quello che diceva, sia con la bocca che con la penna, si poteva stare sicuri che di inesatto o di inventato non c'era nemmeno una virgola. [...] Se raramente mi capita di parlare di lui, è perché l'ho conosciuto e frequentato sul declino della sua intemerata e ineccepibile carriera di testimone, e perché lui, nel raccontarla, non l'animava mai di aneddoti o di battute come, per esempio, il suo coetaneo Monelli. Ma se ai giovani che si avviano (poveretti!) a questo mestiere dovessi indicare un modello di dignità, serietà, dedizione e correttezza professionale non avrei dubbi sulla scelta: Cesco Tomaselli. ([https://web.archive.org/web/20151009153047/http://archiviostorico.corriere.it/1998/maggio/07/Cesco_Tomaselli_inviato_speciale_Polo_co_0_9805078688.shtml 7 maggio 1998]) *Che un giudice spagnolo in vena di protagonismo abbia chiesto all'[[Inghilterra]] la consegna di un ospite straniero andato a Londra in forma privatissima per ragioni di salute, non mi stupisce: un [[Antonio Di Pietro|Di Pietro]] può nascere dovunque. Ma che l'Inghilterra si proponga di consentire, non mi stupisce. Mi sbalordisce, come ha sbalordito e indignato la signora Thatcher che aveva ospitato in casa il Generale. Ma ancora di più mi sbalordirebbe che la Giustizia spagnola, cioè di un Paese che non solo ha accettato per quarant'anni il potere di un Generale, ma gli ha consentito (per sua fortuna) di disporne anche dopo morto, portasse davanti a una Corte di Giustizia quello cileno. Per non parlare delle conseguenze che tutto questo potrebbe provocare in [[Cile]] dove, nel caso che il governo Frei si mostrasse esitante e accomodante, le Forze Armate potrebbero riprendere il potere per rompere i rapporti diplomatici con [[Spagna]] e Inghilterra e dimostrare al mondo che i processi alla Norimberga hanno fatto il loro tempo. Se a qualcuno il Generale cileno Pinochet deve rendere conto del suo operato, è soltanto al Cile e ai suoi tribunali. E se io fossi un cileno che ha votato Frei (come certamente avrei fatto se fossi stato un cileno), in questa occasione mi schiererei con le Forze Armate. Con tanti saluti a tutto il sinistrume italiano passato, presente e futuro. (24 ottobre 1998) *Che gli [[Stati Uniti d'America|Usa]] siano in tutto il mondo odiati dagli uomini come lei {{NDR|riferito a un lettore}}, è verosimile, e quindi più che credibile. Un po' meno credibile è che gli uomini di tutto il mondo siano e la pensino come lei. Comunque, il giorno in cui quel Paese venisse chiamato (ma da chi?) sul banco degl'imputati come il nemico dell'umanità, io chiederò di essere ascoltato come testimone. Per dire alla Corte dei Vecchio di turno che io, uomo qualunque, mi considero graziato tre volte da questo grande nemico dell'umanità. La prima fu quando mi strappò al pericolo di diventare – per bene che mi fosse andata – l'attendente di un colonnello tedesco. La seconda fu quando mi sottrasse a quello di finire i miei giorni in un kolkos siberiano. La terza fu quando, invece di rimettermi la parcella di questi favori, mi aiutò a rifarmi la casa senza contestarmi il diritto di invitarvi anche coloro che pensano (si fa per dire) e parlano (o meglio sbraitano) come lei. ([https://web.archive.org/web/20160101000000/http://archiviostorico.corriere.it/1999/aprile/10/Fermare_genocidio_Kosovo_co_0_9904103314.shtml 10 aprile 1999]) *Tradotto in politica, non c'è nulla di più intollerante e fazioso, e quindi di meno pacifico, del [[pacifismo]] in generale, e di quello italiano in particolare. È un pacifismo a fasi alterne, e che si sveglia soprattutto, anzi quasi esclusivamente, quando a fare la guerra sono gli americani. Furioso e devastatore imperversò, non soltanto in Europa, ma nella stessa America, al tempo del Vietnam: al punto che quando [[Richard Nixon|Nixon]] venne in visita in Italia (quell'Italia che poteva fare ciò che voleva grazie agli americani) dovettero mandarlo a prendere a Fiumicino con un elicottero e trasportarlo via aria in Quirinale perché via terra avrebbe rischiato la pelle. Ma questo stesso pacifismo rimase impassibile quando i carri armati sovietici schiacciarono l'Ungheria (e a Montecitorio risuonò il grido: «Viva l'[[Armata Rossa]]!»), e poco dopo la Cecoslovacchia e da ultimo l'Afghanistan. Sono sempre gli stessi, i pacifisti italiani. Con una bandiera in mano come quella della pace (chi può infatti invocare la guerra?), si sentono invulnerabili. Ma la sventolano solo per il povero Milosevic; il genocidio del Kosovo li lascia del tutto indifferenti. (5 maggio 1999) *Non sempre condivido le opinioni di [[Giovanni Sartori|Sartori]]. Qualche volta, anzi spesso, abbiamo litigato, anche perché a lui litigare piace moltissimo: da buon toscano, è nella polemica che lui, e forse anch'io, diamo il meglio di noi. E anche sull'articolo del 25 maggio non siamo in tutto e per tutto d'accordo. Lo siamo nel respingere la qualifica di «pacifista», che entrambi lasciamo in esclusiva alle «anime belle» che, sventolando la bandiera della [[pace]], sperano di raccogliere intorno a essa tutti gl'ipocriti e gl'imbecilli che, sommati insieme, costituiscono certamente la stragrande maggioranza degl'italiani. (29 maggio 1999) *Lo Stato di [[Platone]], quello che lui chiamava la polis, e che poi era Atene, aveva, al tempo di Platone, cioè nel momento del suo massimo splendore, ventimila abitanti, di cui solo cinquemila avevano diritto al voto. E veda un po' come quei civilissimi cittadini lo usarono nelle assemblee dell'Acropoli: mettendo sotto processo [[Pericle]] e [[Aspasia di Mileto|Aspasia]], condannando a morte [[Socrate]] e provocando la guerra del Peloponneso, che fu la rovina non solo di Atene, ma di tutta la Grecia e della sua civiltà. Ora se il sistema della «democrazia diretta» o, come lei la chiama, «partecipatoria», non funzionò nemmeno in una polis di ventimila abitanti, s'immagini un po' cosa diventerebbe nei formicai umani cui si sono ridotte le polis attuali, e non soltanto quelle italiane. [...] Lei ha tutte le ragioni del mondo a dire che l'attuale sistema di democrazia «rappresentativa» o «delegata» ha dei vizi gravissimi e spesso provoca disastri, compresa quella americana, che pure è una di quelle che meglio funzionano. Ma, mi creda, quella «diretta» o «di piazza» è ancora molto più pericolosa perché continuamente a rischio di cadere in balia di qualche ciarlatano che sappia soltanto vendere bene la sua merce. Certo, quella indiretta esige, da parte del cittadino, una partecipazione che in Italia manca. Ma non è certo coi referendum che si può sostituirla. Almeno questo mi ha insegnato l'esperienza. (22 agosto 1999) *Quello di [[Francisco Franco|Franco]], se proprio vogliamo chiamarlo regime, fu un regime di polizia, di una polizia molto più dura di quella fascista, ma un totalitarismo no. Ecco perché, quando sentì avvicinarsi il momento della fine, Franco poté liquidare il franchismo con relativa facilità: perché di totalitario non aveva altro che le galere. Però bisogna anche riconoscere che questo soldataccio squallido e ottuso (sul piano umano era repellente), il ritorno al regime democratico seppe compierlo da maestro, facendosi consegnare dal pretendente al trono, Don Juan, ch'egli considerava (non a torto) poco affidabile, il figlio Juan Carlos per prepararlo – operazione riuscitissima – ai suoi compiti di Re, e mettendogli accanto un uomo di primissimo ordine come Suarez. ([https://web.archive.org/web/20130331034046/http://archiviostorico.corriere.it/1999/ottobre/24/differenza_fra_regimi_totalitari_dittature_co_0_991024459.shtml 24 ottobre 1999]) *La servitù, in molti casi, non è una violenza dei padroni, ma una tentazione dei servi. (2 gennaio 2000) *Non conosco Haider, e quindi nemmeno i fondamenti della sua ideologia, ammesso che ne abbia una. A occhio e croce, più che un nazista, mi sembra un qualunquista che interpreta, o cerca d'interpretare i sentimenti e i risentimenti di una pubblica opinione di livello bossiano, scontenta di tante cose, e a cui l'Austria attuale va stretta. [...] Non so se anche Haider – ripeto: non lo conosco – sia un omuncolo. Ma penso che l'Europa, ponendo il veto a un suo eventuale governo, costringerà gli austriaci ad affidargliene l'incarico, come avvenne per Waldheim. Io al pericolo di un rigurgito nazista non ci credo. Come ho letto in un articolo (mi pare di Enzo Bettiza, ma potrei sbagliarmi) penso che Jorg Haider somigli più a un Poujade che a un Le Pen, cioè più a una miscela di [[Umberto Bossi|Bossi]] e di Giannini che a un [[Pino Rauti]]. Ciò che mi allarma è l'incapacità dell'Europa a riflettere sulle sue proprie esperienze a trarne qualche insegnamento. Questo, sì, mi fa paura. (3 febbraio 2000) *Li conosco e riconosco, quei regimi {{NDR|di dittatura e di censura}}. Ne avverto il passo anche di lontano, e convengo che in Italia il pericolo di vederne arrivare qualcuno c'è. Ma sa quando si realizzerà? L'anno venturo, dopo la vittoria – che io do per certa – del Polo alle Politiche. Vedrà. La prima cosa che farà Berlusconi, come la fece nel '94, sarà di spazzare via l'attuale dirigenza Rai per omologarne le tre Reti a quelle sue. (26 febbraio 2000) *Quando s'accendono i [[Morte sul rogo|roghi]], mettiti dalla parte della strega, anche a costo di bruciare con lei. ([https://www.corriere.it/solferino/montanelli/00-05-31/02.spm 31 maggio 2000]) *Una Giustizia che per istruire un processo impiega sei o sette anni e poi non riesce a chiuderlo con una sentenza che non si presti a rimetterlo, con qualche marchingegno, in gioco, è un meccanismo di cui bisogna assolutamente rivedere e rifare gl'ingranaggi: «Giustizia ritardata – dice [[Montesquieu]] – è Giustizia negata». ([http://www.corriere.it/solferino/montanelli/00-06-07/01.spm 7 giugno 2000]) *Il [[revisionismo]] è la materia prima della [[storiografia]] che, senza di esso, sarebbe una disciplina morta. ([http://www.corriere.it/solferino/montanelli/00-06-16/01.spm 16 giugno 2000]) *Il mio giudizio su [[Baltasar Garzón|Garzón]] resta quello di prima, solo un po' rinforzato: un garzoncello smanioso soltanto di leggere il proprio nome sulle prime pagine di tutti i giornali e di vedere la propria effigie sugli schermi televisivi di tutto il mondo: il che rafforza la mia ipotesi che si tratti di un italiano nato per sbaglio in Spagna. ([http://www.corriere.it/solferino/montanelli/00-06-30/01.spm 30 giugno 2000]) *La pena di morte americana esiste e resiste in America perché fu un elemento base e costitutivo della sua nascita e sviluppo. Dei famosi 102 «Padri Pellegrini» che per primi sbarcarono dal «Mayflower» in quel Continente non per saccheggiare le ricchezze come facevano spagnoli e portoghesi in Messico e nell'America del Sud, ma per costruirvi una società nuova e libera, circa i due terzi erano avanzi di galera che fuggivano la Giustizia e le prigioni dell'Europa, e un terzo erano uomini che cercavano la libertà, e soprattutto quella religiosa. I primi avevano in tasca la pistola, i secondi la Bibbia, ma nella sua versione calvinista quella del taglione, basata sulla concezione di un Dio giustiziere che esige la morte di chi senza giusto motivo la dà. (9 luglio 2000) *A Rimini, cioè in casa propria (ma anche nostra, almeno per il momento), questi signorini {{NDR|di [[Comunione e Liberazione]]}} non hanno fatto altro che fischiare tutto ciò che è italiano, acclamare al nuovo beato [[Pio IX]], il Papa-Re che pretendeva di impedire il processo di unificazione nazionale, ed esaltare come i veri eroi del risorgimento i Borboni e i briganti del Cardinale Ruffo. A lei, tutto questo va bene? A me, dà il vomito. ([http://www.corriere.it/solferino/montanelli/00-09-13/02.spm 13 settembre 2000]). *Il mio parere è rimasto quello che espressi sul mio ''Giornale'' l'indomani del fattaccio {{NDR|l'[[agguato di via Fani]]}}. «Se lo Stato, piegandosi al ricatto, tratta con la violenza che ha già lasciato sul selciato i cinque cadaveri della scorta, in tal modo riconoscendo il crimine come suo legittimo interlocutore, non ha più ragione, come Stato, di esistere». Questa fu la posizione che prendemmo sin dal primo giorno e che per fortuna trovò in Parlamento due patroni risoluti (il Pci di [[Enrico Berlinguer|Berlinguer]] e il Pri di [[Ugo La Malfa|La Malfa]]) e uno riluttante fra lacrime e singhiozzi (la Dc del moroteo [[Benigno Zaccagnini|Zaccagnini]]). Fu questa la «trama» che condusse al tentennante «no» dello Stato, alla conseguente morte di Moro, ma poco dopo anche alla resa delle Brigate rosse. Delle chiacchiere e sospetti che vi sono stati ricamati intorno, e che ogni tanto tuttora affiorano, non è stato mai portato uno straccio di prova, e sono soltanto il frutto del mammismo piagnone di questo popolo imbelle, incapace perfino di concepire che uno Stato possa reagire, a chi ne offende la legge, da Stato. ([http://www.corriere.it/solferino/montanelli/00-09-22/03.spm 22 settembre 2000]) *La Serbia ha perduto la guerra e ha vinto la pace: ora deve voltar pagina. Sarà la storia – un giudice non imparziale, ma efficace – a decidere cos'è stato giusto e cos'è stato sbagliato. Tuttavia, una ritorsione serba verso l'Occidente avverrà. E ci troverà disarmati. Sa di cosa parlo? Delle rivendicazioni sul Kosovo, che è amministrato dalla Nazioni Unite ma è ancora Jugoslavia (lo dice la risoluzione dell'Onu). I serbi chiederanno di tornare a controllarne le frontiere, per esempio. E dire no a un Kostunica buono è più difficile che dire sì a un Milosevic cattivo. Gli albanesi del Kosovo, sono certo, lo hanno già capito. ([http://www.corriere.it/solferino/montanelli/00-10-08/01.spm 8 ottobre 2000]) *È un dimenticato, [[Ugo Ojetti|Ojetti]], come in questo Paese lo sono quasi tutti coloro che valgono. Se io dirigessi una scuola di giornalismo, renderei obbligatori per i miei allievi i testi di tre Maestri: [[Luigi Barzini (1908-1984)|Barzini]], per il grande reportage; [[Benito Mussolini|Mussolini]] (non trasalire!), quello dell'''Avanti!'' e del primo ''Popolo d'Italia'', per l'editoriale politico; e Ojetti, per il ritratto e l'articolo di arte e di cultura. ([http://www.corriere.it/solferino/montanelli/00-11-13/01.spm 13 novembre 2000]) *In Italia fu il potere temporale a soffocare negl'italiani la voce della coscienza e a spegnere in loro ogni senso di responsabilità. Ma fu la Controriforma a fornire al prete le armi per accaparrarsi l'una e l'altra: il Sant'Uffizio, le scomuniche e, nei casi estremi, il patibolo. Con questo risultato: l'aborto del «cittadino» e la trasformazione di quello che avrebbe dovuto e potuto diventare un «popolo» in un gregge (come con inconsapevole spudoratezza i preti lo chiamano), e in un gregge di pecore indisciplinate che credono di affermare il loro ribelle individualismo non rispettando il semaforo rosso. ([http://www.corriere.it/solferino/montanelli/00-11-20/01.spm 20 novembre 2000]) *{{NDR|Su [[Slobodan Milošević]]}} Oltre che un despota, lo ritengo anche un satrapo della razza dei [[Nicolae Ceaușescu|Ceausescu]], avido non solo di potere, ma anche di denaro, e credo che la sorte che si merita sia un bel plotone di esecuzione. Purché composto da serbi, al comando di un serbo, e in esecuzione di una sentenza emessa da un tribunale serbo e motivata non tanto da generici crimini contro l'umanità, che sono sempre – salvo casi di monumenti all'orrore come l'[[Olocausto]] – oggetto di discussione e dissensi; ma dal più grande e imperdonabile delitto di cui Milosevic si è macchiato nei confronti non soltanto dei serbi: la distruzione della Nazione Jugoslava, che la Monarchia serba aveva fondato dopo la prima guerra mondiale; che il croato [[Josip Broz Tito|Tito]] aveva difeso coi denti e restaurato dopo la seconda, dando alla Balcania un esempio e un puntello di stabilità; e che Milosevic e il suo compare croato [[Franjo Tuđman|Tudjman]] distrussero per poter restare ciascuno padrone in casa sua; e sulle cui macerie si scatenarono tutte le violenze (Bosnia, [[Kosovo]]) che hanno insanguinato e continuano a insanguinare quel povero Paese. ([http://www.corriere.it/solferino/montanelli/01-04-29/01.spm 29 aprile 2001]) *Questo mondo materialista, edonista ed esibizionista non entusiasma neanche me; e, visto che mi legge, dovrebbe saperlo. Ma vorrei conoscere il sistema che voi avete in mente, e non avete il coraggio, o la capacità, di proporre. Un mondo francescano? Bello: ma guardatevi intorno, e ditemi se vedete un saio. Un comunismo riveduto e corretto? Farebbe la fine dell'altro, anche se non riuscirà a ripeterne i disastri. Mi creda, G.: l'unico sistema sociale ed economico oggi accettabile, in Occidente, è quello basato sul mercato: un capitalismo controllato e temperato, per intenderci. È auspicabile che sia anche corretto: e questo non sempre accade, è vero. Il guaio è che il capitalismo è fatto dai capitalisti – e quelli, devo ammettere, sono spesso difficili da digerire. Non cerchi di confondermi le idee, quindi. Non ci riuscirà. Probabilmente ho tre volte i suoi anni, e ho visto dove conducono queste generiche tirate contro «le multinazionali»: prima o poi, qualcuno deporrà la spranga e prenderà la pistola. Dimenticavo: io firmo le mie opinioni, lei tira il sasso e nasconde la mano. Tutti coraggiosi così, voi ragazzi di Seattle? ([http://www.corriere.it/solferino/montanelli/01-06-09/01.spm 9 giugno 2001]) *Non erano, le mie, parole di circostanza. Erano – e rimangono – quelle di un conservatore abbastanza spassionato e nutrito di Storia da capire che non c'è, per la conservazione di ciò che va conservato, nemico più mortale dei conservatori che vogliono conservare tutto; e che un sistema capitalistico senza un correttivo socialista diventa una jungla che conduce pari pari a [[Karl Marx|Carlo Marx]]. Di qui il mio amore per uno dei personaggi meno amabili, sul piano umano, della nostra Storia, [[Giovanni Giolitti|Giolitti]], che sempre cercò l'accordo con [[Filippo Turati|Turati]], a cui il cretinume massimalista – che nel vostro partito ha sempre dominato – lo impedì. Il vedervi – sbriciolati in gruppi, gruppetti e gruppuscoli – annaspare nell'attuale centro-sinistra in cui nessuno riesce a recitare la parte di se stesso, fa male al cuore di un vecchio autentico liberal-conservatore come me. Cosa aspettate, caro Tamburrano, a ridarci il socialismo, ma che sia quello e quello solo: ''il'' socialismo di Turati e di Massarenti? [...] Credo che come forza politica siate abbastanza mal messi. Ma in compenso avete in mano una grande bandiera che prima o poi un esercito la ritroverà. Arrivederci, al primo settembre, cari lettori. ([http://www.corriere.it/solferino/montanelli/01-07-04/01.spm?refresh_ce-cp 4 luglio 2001]) ===''il Giornale''=== <!--ordine cronologico--> *Chi sarà il nostro lettore noi non lo sappiamo perché non siamo un giornale di parte, e tanto meno di partito, e nemmeno di classi o di ceti. In compenso, sappiamo benissimo chi non lo sarà. Non lo sarà chi dal giornale vuole soltanto la «sensazione» [...] Non lo sarà chi crede che un gol di Riva sia più importante di una crisi di governo. E infine non lo sarà chi concepisce il giornale come una fonte inesauribile di scandali fine a se stessi. Di scandali purtroppo la vita del nostro Paese è gremita, e noi non mancheremo di denunciarli con quella franchezza di cui crediamo che i nostri nomi bastino a fornire garanzia. Ma non lo faremo per metterci al rimorchio di quella insensata e cupa frenesia di dissoluzione in cui si sfoga un certo qualunquismo, non importa se di destra o di sinistra. [...] Vogliamo creare, o ricreare un certo costume giornalistico di serietà e di rigore. E soprattutto aspiriamo al grande onore di venire riconosciuti come il volto e la voce di quell'Italia laboriosa e produttiva che non è soltanto Milano e la Lombardia, ma che in Milano e nella Lombardia ha la sua roccaforte e la sua guida. [...] A questo lettore non abbiamo «messaggi» da lanciare. Una cosa sola vogliamo dirgli: questo giornale non ha padroni perché nemmeno noi lo siamo. Tu solo, lettore, puoi esserlo, se lo vuoi. Noi te l'offriamo. (25 giugno 1974) *Checché ne dicano gli agiografi della Resistenza, la guerra l'abbiamo persa, e c'è un conto da pagare. Che l'Italia lo saldi a spese dei suoi figli minori – i Dalmati e gli Istriani – è un ghigno del destino. Ma in compenso può considerarsi miracolata. Quando si pensa a cosa ha pagato la sua sconfitta la Germania, amputata d'intere province e dimezzata in due nazioni diverse e ostili, e quando si pensa a cosa ha pagato l'Inghilterra, precipitata dalla condizione di massimo impero mondiale a quella di piccola isola alla periferia d'Europa; non possiamo lamentarci del trattamento che gli alleati ci fecero. (30 settembre 1975) *Siamo stati accusati di aver fatto, nei confronti dei comunisti, il processo alle intenzioni. Non vediamo su cos'altro avremmo dovuto giudicarli, visto che sono sempre rimasti all'opposizione, ed è di lì che ancora si affannano a dire che cosa si propongono di fare se andassero al potere, anzi quando andranno al potere (perché ormai lo danno per scontato). E cosa sono, queste, se non intenzioni? (19 giugno 1976) *Che cerchino di eliminarmi perché sono un avversario, questo lo posso anche capire; ma perché – a quanto mi riferiscono – hanno detto che io sono un servo delle [[Multinazionale|multinazionali]], allora questo sta a dimostrare la confusione di idee di questi poveretti che, evidentemente, non sanno cosa sono le multinazionali. (3 giugno 1977) *I giuochi sono fatti. E sono fatti non soltanto per [[Aldo Moro|Moro]], cui va tutta la nostra più fraterna e rispettiva pietà. Sono fatti anche per una politica da ''belle époque'', che la distruzione – fisica o morale – di Moro chiude e conclude. La Storia sta riprendendo i suoi connotati di tragedia, e costringe coloro che la fanno, o ambiscono o s'illudono di farla, ad adeguarsi al repertorio. Stiamo entrando in una di quelle «età di ferro» in cui il potere si paga, o si può pagarlo col ferro. Nessuno è obbligato a sfidare questo rischio. Chi lo fa, sappia che oggi è toccato a Moro, domani può toccare a lui. Solo se si rende conto di questo e lo accetta, la classe politica troverà la forza di archiviare il caso Moro. Ed è tempo che lo faccia. (7 maggio 1978) *Quattr'anni e mezzo orsono, quando questo giornale nacque, un «ragazzo del '68» (con tante scuse a quelli veri, del '99), [[Mario Capanna]], oggi gerarchetto regionale (che belle carriere, questi rivoluzionari!), dichiarò che, come nemici del «pubblico» e del «sociale» e come assertori del «privato», e quindi della reazione, noi saremmo diventati il più bel museo della città, dove babbi e mamme avrebbero potuto condurre in gita ricreativa i loro figlioletti per mostrargli, dal vivo, com'erano buffi i loro nonni e bisnonni: noi. Bene. Se il vento seguita a soffiare come soffia, saremo noi che di qui a un po' condurremo i nostri figlioletti dal signor Capanna per mostrargli com'erano buffi i loro nonni e bisnonni di dieci anni fa. Ma non lo faremo. Lo spettacolo di questi ragazzi-prodigio abortiti, di questi barricadieri con pancia e cellulite che credevano di camminare con la Storia, e invece camminavano solo con la moda, non ha nulla di edificante. (16 gennaio 1979) *In una sua memorabile inchiesta un giornalista d'incrollabile fede sinistrorsa, ma di esemplare onestà, [[Giampaolo Pansa]], mise benissimo in luce questo contrasto fra i due atteggiamenti e mentalità, che ieri ha trovato una eloquente conferma nella manifestazione di Torino. Niente chiasso, niente sceneggiate, niente slogans, niente insomma che appartenga al repertorio del buffonismo nazionale. Nessuno ha rotto le righe per andare a rovesciare auto o a fracassar vetrine. Questa, sì, era Danzica, sia pure senza Madonne; non i picchettaggi e i pestaggi di Mirafiori, sia pure con le Madonne. Ora sappiamo già cosa diranno gli altri, oggi e domani. Diranno che gli operai non c'erano. Infatti. Doveva trattarsi di quarantamila presidenti, consiglieri delegati, ingegneri: insomma, la solita «[[maggioranza silenziosa]]»: termine che soltanto nella lingua italiana ha significato spregiativo. La maggioranza silenziosa esiste in tutti i Paesi del mondo, dove nessuno si vergogna di appartenervi perché è essa, in definitiva, che ristabilisce gli equilibri. Fu la maggioranza silenziosa – autoqualificatasi come tale – di seicentomila parigini che dodici anni fa pose fine al carnevale sessantottesco, riportò [[Charles de Gaulle|De Gaulle]] all'Eliseo e restituì alla Francia la stabilità di cui tuttora essa gode. [...] Il motivo vero che farà i dimostranti bersaglio delle peggiori critiche e accuse è ch'essi rappresentano la rivolta delle persone serie contro gli arruffoni della «conflittualità permanente», dei «modelli di sviluppo» e via baggianando. E in questo Paese nulla fa più paura, perché nulla è più rivoluzionario, della serietà. (15 ottobre 1980) *[[Anwar al-Sadat|Sadat]] non era popolare. Gli mancava quel tocco di magia, o di cialtronismo, che consentiva a [[Gamal Abd el-Nasser|Nasser]] di bandire guerre come crociate e di annunciare disfatte come trionfi. [...] Sadat amava il popolo, il popolo contadino del profondo Sud nubiano, di cui era egli stesso originario. Ma non amava le masse, e le masse lo sentivano. [...] Sapeva, quando andò a Gerusalemme, di lanciare a quelle arabe una sfida più pericolosa di quella che lanciava a Begin. [...] Ma all'impopolarità di Sadat contribuiva anche un altro elemento: il fatto di essere un vero riformatore. [...] [[Mohammad Reza Pahlavi|Rehza Pahlevi]] volle applicare gli stessi metodi di [[Mustafa Kemal Atatürk|Atatürk]] senz'averne l'autorità e il prestigio, e per questo lo cacciarono. Ma dopo due anni di [[Ruhollah Khomeyni|Khomeini]], anche i più ciechi e idioti fra i progressisti occidentali, che ne avevano salutato l'avvento come quello del Redentore, si saranno accorti che il progresso, sia pure a forza di polizia segreta e di plotoni di esecuzione, era lo Scià. L'''ayatollah'' è il medioevo. Sadat non seguì i metodi satrapeschi del suo amico Pahlevi, ma ne condivise i fini. [...] Il Rais che ha restituito all'Egitto l'integrità territoriale, l'indipendenza politica, il prestigio militare e il rilancio della sua più proficua industria, il canale di Suez, è giusto che susciti meno rimpianto di chi tutto questo all'Egitto fece perdere. Nasser era un «personaggio», Sadat una «personalità». Il personaggio fa colore e diverte, la personalità incute rispetto e disturba. (9 ottobre 1981) *Nessuna parentela, né vicina né lontana, con l'altro grande d'Israele, [[David Ben Gurion|Ben Gurion]], il Fondatore. [...] {{NDR|David Ben Gurion}} Faceva tutto a caldo, anche la guerra. [[Menachem Begin|Begin]] fa tutto a freddo: anche l'amore, credo, ammesso che lo faccia. Non riuscì a commuoverlo nemmeno [[Anwar al-Sadat|Sadat]], quando gli piombò, da nemico tuttora belligerante, a Gerusalemme, per chiedergli la pace. Il mondo, che vide in televisione la scena, quel giorno fu tutto per l'egiziano che, per la pace, firmava la propria condanna a morte, contro l'israeliano che lo accoglieva senza un sorriso e con visibile fastidio. [...] È l'uomo che non ha esitato un istante [...] a distruggere in pochi minuti tutto l'armamento corazzato, aereo e missilistico siriano sotto l'occhio stupefatto degli osservatori e «consiglieri» russi che lo avevano fornito. È l'uomo che ha messo alla porta l'ambasciatore di Mosca respingendone la nota di protesta addirittura con disprezzo, come se fosse stato lui la Grande Potenza che parlava a un subalterno. È l'uomo che ha picchiato i pugni sul tavolo di [[Ronald Reagan|Reagan]], e a un certo punto aveva rotto anche con lui. Se avesse perso, sarebbe finito al muro e passato ai posteri come il distruttore d'Israele. Ma ha vinto. E la Storia, iscrivendolo nei suoi registri come «Il Salvatore», dirà che solo un uomo come lui, «antipatico» come lui, e come lui disposto anche a scatenare un'altra ondata di antisemitismo, poteva vincere. E avrà ragione di dirlo. Perché è così. Alla fine lo diranno, vedrete, anche gli antisemiti. E forse perfino i semiti. (27 agosto 1982) *L'idea che domani potremmo incontrare per strada, a piede libero e magari oggetti di compassione, gli assassini di [[Walter Tobagi]], ci riempie, più che di furore, di orrore. [...] Avevano scelto lui non per la sua tessera socialista, ma perché era una di quelle prede più facili: indifeso e abitudinario, e quindi bersaglio di facilissima mira, quasi da fermo. Tutto qui il movente del delitto: tutto nella fregola di protagonismo di due coccolatissimi giovanotti della Milano bene che giuocavano a fare i terroristi. [...] Che ora dobbiamo prendere per vero il loro pentimento e assolverli, ci rivolta lo stomaco. Ma è la legge: iniqua, infame, infamante. Ma è la legge. Noi stessi l'abbiamo auspicata e voluta. Il magistrato deve applicarla. E noi [...] accettarla. Ma una cosa reclamiamo, e ci spetta: di essere liberati dall'incubo d'incontrare questi figuri per strada per non veder riflessa nei loro occhi la nostra vergogna di aver avuto bisogno di loro e di aver risposto al loro falso rimorso con un perdono altrettanto falso. Un Curcio, se tornasse in circolazione, ci farebbe forse più paura, ma meno, anzi punto disgusto. [...] Ma i Barbone e i Morandini non li vogliamo tra i piedi. Se ne vadano. E soprattutto ci risparmino memoriali. La speranza di farci dimenticare i loro delitti, gliela passiamo. La pretesa di camparci sopra, no. (29 novembre 1983) *Per i falchi del Pci, [[Enrico Berlinguer|Berlinguer]] era ormai un personaggio scomodo e pericoloso, specie da quando aveva cominciato ad allentare gli ormeggi che lo legavano a Mosca. Gli era perfino scappato di dire (a [[Giampaolo Pansa|Pansa]]) che voleva per l'Italia un regime comunista, ma sotto l'ombrello della Nato che la tenesse al riparo dalle soperchierie del padrone sovietico: la più grave e blasfema di tutte le eresie in cui un capo comunista possa incorrere. (12 giugno 1984) *Se fino a che punto i piduisti – a parte il manipolatore Gelli, e forse qualche altro – fossero un branco di delinquenti golpisti, non siamo riusciti a capirlo. Abbiamo capito soltanto che gran parte di essi occupavano, forse grazie alla P2, posizioni di rilievo, e quindi parecchio ambite, ma ambite anche da molte persone che, per il fatto di non appartenere alla P2, avevano ora, grazie anch'esse alla P2, la possibilità di occuparle. Di fatti accertati e meno ancora di crimini provati, siamo andati invano alla ricerca delle 34.847 pagine della commissione. Vi abbiamo trovato soltanto ipotesi, illazioni, accostamenti di nomi e di episodi. Tutta roba che in mano a Le Carré poteva fruttare chissà quali affascinanti trame. In mano alla signorina [[Tina Anselmi|Anselmi]], resta cicaleccio di portineria. Ma questa è un'altra storia. (19 marzo 1985) *Quanto al moribondo [[Michele Sindona|Sindona]] [...] se fossi stato uno dei giudici popolari che l'altro giorno gli comminarono l'ergastolo, anche io avrei votato come loro pur sapendo che la mia endemica insonnia non ne avrebbe avuto giovamento. Comunque mi sembra che con questa fine, preceduta da quasi un decennio di rovine, umiliazioni, fughe e galere, egli abbia abbondantemente scontato, quali che siano, i suoi delitti. Che ora lo lascino riposare in pace e che pace sia all'anima sua. (22 marzo 1986) *I dieci giorni che sconvolsero il mondo furono in realtà dieci ore: quante ne bastarono alle poche «guardie rosse» reclutate in fretta e furia dai bolscevichi per occupare, senza nessuna resistenza, la Centrale delle poste e telefoni, la stazione ferroviaria, la Banca di Stato, e per spostare l'incrociatore ''Aurora'' di fronte al palazzo d'Inverno, dove ancora si trova, cimelio e monumento al fatidico evento, e dove il governo sedeva [...]. Non fu un assalto. Fu una «retata». L'''Aurora'' non sparò che una dozzina di colpi, di cui solo tre andarono a segno. In tutto, la conquista di questa Bastiglia russa costò, da ambo le parti, un morto, anzi una morta – perché fu una soldatessa che, pare, si suicidò – e diciotto feriti. Il [[Rivoluzione russa|Fasto]] [...] è un falso in atto pubblico. Si dirà che una rivoluzione non si misura dal numero dei morti. Certo: l'abbiamo detto anche noi. La rivoluzione poi venne, e che rivoluzione! Ma venne dall'alto, e per mano di despoti che di morti ne fecero in pochi anni più di quanti lo zarismo ne avesse fatti in secoli. (6 novembre 1987) *Tutto pensavo che potesse capitarmi, fuorché di essere un giorno tentato di spendere qualche parola, per poco che valga, in difesa di Togliatti. [...] Un processo a Togliatti per stalinismo, se glielo intentano i socialisti, che nell'era dello Stalinismo gli fecero da mosca cocchiera, è una burletta. Se lo intentano i comunisti – come sembra che qualcuno di loro voglia fare –, oltre che oltraggio al pudore, diventa quiescenza alla voce del nuovo padrone, cioè stalinismo della più brutt'acqua, anzi una parodia dello Stalinismo. Per la caccia alle streghe, anche dello Stalinismo, ci vogliono degli stalinisti doc, qual era Togliatti. Non è roba da dilettanti, quali sono i suoi pallidi epigoni. (3 marzo 1988) *La fine del Muro è una cosa buona, la fine di una vergogna: non possiamo che salutarla con soddisfazione. Ma guardiamoci dal prendere abbaglio sui suoi moventi. Ulbricht concepì e Honecker realizzò il muro per impedire che i tedeschi dell'Est fuggissero in massa nella Germania dell'Ovest: già 9 (diconsi nove) milioni lo avevano fatto fin allora. E il rimedio fu, come tutti quelli che escogitano nei regimi totalitari, drastico e semplicistico: murare viva la gente dietro una colata di cemento, senza pertugi. [...] Abbiamo in uggia le astrazioni. Ma ciò che distingueva le due Germanie è l'idea morale e giuridica dell'uomo: che a Ovest è padrone di se stesso, e quindi può andarsene dove vuole: ad Est è proprietà dello Stato che ne regola i movimenti. Per chi non ricorda questo, il [[Muro di Berlino]] era, oltre che barbaro, incomprensibile e irrazionale: mentre invece ha obbedito a una sua logica. Nel momento in cui il bunker si affloscia e sopravvive come mero ammasso di cemento ricordandoci un altro bunker, quello che fece da fossa di [[Adolf Hitler|Hitler]] (anche questo pare impossibile: ma i regimi in Germania muoiono nei bunker), il Muro va ricordato per ciò che è stato: non un'aberrazione del comunismo, ma una sua conseguente applicazione. E se crolla così, nel silenzio assordante di un giornale-radio, è perché è crollata, prima, l'ideologia che lo aveva eretto. (11 novembre 1989) *Negli anni Trenta, per le strade di Berlino, risuonava il grido: ''ein Volk, ein Reich, ein Führer'': un popolo, uno Stato, un capo. Stavolta si sono contentati di scandire ''ein Volk, ein Reich''. Non potevano aggiungere, checché ne dica il sig. Ridley, ''ein Kohl'', che fra l'altro significa «cavolo». Ma {{NDR|ai tedeschi}} per diventare i padroni dell'Europa anche un cavolo gli basta. (3 ottobre 1990) *Abbiamo fatto poco: il poco che il Paese dei [[Roberto Formigoni|Formigoni]], dei Cristofori, degli Sbardella, dei [[Ernesto Balducci|Balducci]], dei [[Antonio Bello|vescovi di Molfetta]] poteva fare. Non lamentiamoci se il posto che ci verrà assegnato nel ristabilimento dell'ordine internazionale sarà nell'anticamera, non nella camera dei bottoni. Però sia chiara una cosa: che a gridare «Viva la pace!» siamo qualificati oggi soltanto noi che abbiamo auspicato la guerra contro chi la pace l'aveva turbata e, se lo si lasciava fare (non è un ipotesi, è una constatazione), avrebbe continuato a turbarla in un crescendo di colpi e di aggressioni. (1º marzo 1991) *I voti dei democristiani novaresi non sono andati al partito; sono andati a [[Oscar Luigi Scalfaro|Scalfaro]], democristiano talmente anomalo, che si permette persino di credere in Dio. [...] Il vecchio magistrato conosce il suo mestiere, e sa benissimo di operare in un Paese in cui la mamma dei Casson è sempre incinta. In nome della Legge, le leggi le farà funzionare. Insomma siamo sicuri che starà in Quirinale come un italiano deve starci: da straniero. Unico pericolo: le prediche. Anche [[Luigi Einaudi|Einaudi]] le faceva. Ma le chiamava «inutili». (26 maggio 1992) *Da dove siano venuti tutti i «no» non lo sapremo mai con precisione, ma una cosa è certa. Questo è il colpo di grazia al sistema dei partiti e della classe politica che lo rappresenta, e un colpo durissimo all'immagine del Paese pronto a fare pulizia che l'Italia si stava faticosamente costruendo all'estero. Senza giovare nemmeno a [[Bettino Craxi|Craxi]], che non potrà certo ricostruire la sua carriera sulla votazione di ieri, anzi. Se c'è ancora qualcuno che dubita sulla necessità di un pubblico processo, non solo a lui, ma a tutta la corte di faccendieri che lo circondava, alzi la mano, o meglio nasconda la faccia. (30 aprile 1993) *Questo è l'ultimo articolo che compare a mia firma sul giornale da me fondato e diretto per vent'anni. Per vent'anni esso è stato – i miei compagni di lavoro possono testimoniarlo – la mia passione, il mio orgoglio, il mio tormento, la mia vita. Ma ciò che provo a lasciarlo riguarda solo me: i toni patetici non sono nelle mie corde e nulla mi riesce più insopportabile del piagnisteo. [...] A presto dunque, cari lettori. Anche a costo di ridurlo, per i primi numeri, a poche pagine, riavrete il nostro e vostro giornale. Si chiamerà ''La Voce''. In ricordo non di quella di [[Frank Sinatra|Sinatra]]. Ma di quella del mio vecchio maestro – maestro soprattutto di libertà e indipendenza – [[Giuseppe Prezzolini|Prezzolini]]. (12 gennaio 1994) {{Int|''Rituale barbarico''|Articolo su ''il Giornale nuovo'', 10 maggio 1978.|h=4}} *La fine di [[Aldo Moro]] ci rende sgomenti, il fanatismo di chi lo ha ucciso lentamente, togliendogli la speranza prima di toglierli la vita, ci riempie di orrore. Speriamo ancora che la tracotanza dei criminali sia un giorno punita. L'importante, adesso, è che il Paese, proprio per rendere omaggio a Moro, e proprio in memoria di lui, sappia trarre da questa tragedia l'amara lezione che essa comporta. La democrazia non deve, anzi non può essere debole. La libertà, che la rende superiore a qualsiasi altro regime, ma anche più vulnerabile, non va conclusa con la indulgenza verso i nemici, la imprevidenza, la leggerezza. *Lo Stato italiano ha superato con onore questa prova difficile, ma la magistratura e gli organi di polizia hanno denunciato, nella loro azione, una desolante inefficienza, che ha permesso alle brigate rosse di operare con irridente spavalderia. Ne va data colpa non tanto alle forze dell'ordine quanto a chi ha voluto, per demagogia, per compiacere le sinistre, per acquistare facile popolarità, smobilitare i servizi segreti, rimuovere i funzionari più ligi al dovere, trasformare le carceri in alloggi con libera uscita quotidiana. Gli eversori della democrazia, i contestatori della legalità hanno potuto predicare e demolire senza ostacoli. Ci auguriamo di non vederli ora associati ipocritamente al compianto per un delitto del quale sono, ideologicamente se non materialmente, corresponsabili. Le loro non erano soltanto parole. Un giovane sfracellato da un ordigno sulla ferrovia Trapani-Palermo – l'episodio è di ieri – apparteneva a Democrazia proletaria. I banditi che hanno assalito a Bologna un grande magazzino venivano dal Movimento studentesco. È inutile che questi gruppi ostentino adesso costernazione e stupore per le belluine imprese delle brigate rosse. Il terrorismo è figlio loro. *All'annuncio della fine di Aldo Moro i sindacati si sono mossi, hanno indetto manifestazioni e proclamato uno sciopero generale. Siamo certi della loro profonda esecrazione, e della loro sincera partecipazione al cordoglio nazionale. Pensiamo tuttavia che i lavoratori e i loro rappresentanti darebbero un apporto più costruttivo alla lotta contro i terroristi tenendo d'occhio gli estremisti delle fabbriche, troppe volte protetti e difesi. Così pure gli studenti «impegnati», se proprio vogliono dissociarsi dalle brigate rosse, devono estromettere dalle loro file gli agitatori deliranti, e dinamitardi che nascondono bottiglie molotov e armi negli scantinati delle facoltà. Chi ha chiuso gli occhi di fronte alla ''escalation'' di violenza degli anni scorsi, li chiuda oggi per non lasciar scorrere lagrime di coccodrillo. {{Int|''Poveri morti poveri vivi''|Articolo su ''il Giornale'', 31 maggio 1985.|h=4}} *L'[[Inghilterra]] non sono i forsennati che abbiamo visto all'opera nello stadio di Bruxelles. L'Inghilterra sono la [[Margaret Thatcher|Thatcher]], i politici, i commentatori di stampa, radio e televisione, la gente intervistata per strada, che hanno confessato la loro vergogna a una voce, con una sola stecca: quella del ministro dello Sport che con le sue dichiarazioni si è messo sullo stesso piano degl'imbestialiti. Comunque, Dio ci guardi ora dai soliti sproloqui e dibattiti dei sociologi sui motivi di «tifo» e sui mezzi d'impedirne gli eccessi. Non ce ne sono, se non nel controllo che ognuno può e deve esercitare su di sé. *La strega non è il «tifo» che dallo sport è inseparabile. E non siamo nemmeno noi, come vogliono i cantautori del «siamo tutti colpevoli» che ieri giornali e radio hanno intitolato. Perché, se di qualcosa siamo colpevoli, è di aver sempre secondato la corruttrice e demagogica tendenza a scaricare l'individuo di ogni responsabilità, rigettandola regolarmente e interamente sulla società. È la società che ci obbliga a rubare, è la società che ci obbliga ad uccidere. E si capisce che quando si offrono alla gente di questi alibi, c'è sempre qualcuno che ne approfitta. Stamane leggevo su un giornale francese un dotto articolo in cui si spiegava che la furia dei tifosi del [[Liverpool Football Club|Liverpool]] era dovuta al fatto che, essendo quasi tutti minatori, per un anno erano rimasti senza lavoro a causa dello sciopero: il che gli aveva fatto accumulare la rabbia che poi era scoppiata a Bruxelles. Insomma, senza dirlo, l'articolo induceva alla conclusione che il vero responsabile del massacro era la signora Thatcher. Ecco in che senso siamo tutti colpevoli. Siamo colpevoli di assolvere tutti come vittime innocenti di una società iniqua che, a furia di essere tutti noi, non è nessuno. È un giuoco a cui non ci stiamo. I responsabili di Bruxelles sappiamo chi sono: sono i delinquenti che abbiamo visto avventarsi, prima che la partita cominciasse, e quindi senza alcuna provocazione, contro i tifosi italiani con sbarre e coltelli di cui erano accorsi armati, con l'evidente intenzione di farne l'uso che ne hanno fatto. Delinquenti, non vittime. La società non c'entra, non c'entrano le miniere. Casomai l'alcol. Ma ne avevano ingerito per delinquere meglio. Speriamo che la polizia li identifichi e li consegni a quella inglese. Della quale possiamo fidarci. {{Int|''I rieccoli''|Articolo su ''il Giornale'', 20 gennaio 1990.|h=4}} *Scorrendo le cronache delle agitazioni studentesche di questi giorni avevo avuto per un momento l'impressione, o l'illusione, che esse si fondassero sui problemi concreti dell'università, e che fossero qualcosa di diverso, e di migliore della grottesca ubriacatura sessantottina. Ma quando giovedì sera, nella trasmissione televisiva ''Samarcanda'', è stato lanciato contro [[Mario Cervi]] il rituale e vile epiteto «fascista!» (e questo solo perché aveva mosso obiezioni agli sproloqui assembleari di Roma e di Palermo), ho capito che vent'anni dopo è come vent'anni prima. La protesta è un pretesto, il legittimo scontento diventa arma politica, gli appelli al dialogo si risolvono in volontà di sopraffazione, di discussione su ciò che nell'università deve essere cambiato sfocia in un attacco globale al governo, alla società, al sistema. L'unica connotazione sessantottina che ancora manca è la violenza fisica. Ma temo che non tarderà ad arrivare se chi dissente è bollato come fascista e chi governa (è capitato ad [[Giulio Andreotti|Andreotti]], a Palermo) come mafioso. *Quanto alla legge Ruberti, Cervi ha osservato che viene presa di mira perché consentirebbe un limitato ingresso dei privati nella gestione delle università: e al solo sentir parlare di «privato» – che le folle e i giovani dell'Est chiedono con slancio entusiastico – gli epigoni nostrani del [[marxismo-leninismo]] sono presi da convulsioni. [...] La legge Ruberti è passata in sott'ordine, il punto centrale del dibattito – o piuttosto della successione di sproloqui, intimazioni e insulti – è diventato il degrado di questa povera Italia privatizzata, che invece conoscerebbe fulgidi destini se fosse tutta pubblica e stabilizzata. Gli ''slogans'', le utopie, le bugie e le dissennatezze sessantottine o settantasettine riemergevano dalle pagine dei libri e dalla polvere degli archivi, per imitazione o per transfert generazionale. *Tirava aria romena o cecoslovacca in quelle assemblee: ma della Romania e della Cecoslovacchia di [[Nicolae Ceaușescu|Ceausescu]] e di Husak, con l'idolatria dello Stato, con gli applausi unanimi, con la riduzione al silenzio degli oppositori. S'è sentito, a proposito sempre di Cervi, il sinistro termine «provocazione» con cui tutti gli oppressori legittimano i loro soprusi. Qualcuno di quei ragazzi pretende che esistano parentele tra questo movimento e quelli dell'Est, dimenticando che là ci si batte, a rischio della pelle, per instaurare non il regime dello statalismo, ma al contrario per abbatterlo e introdurre o reintrodurre quello di iniziativa privata in tutti i campi, compreso quello della cultura e della scuola. Che siano diventati, gli studenti di Berlino, di Praga, di Bucarest, fascisti anche loro? ====''Controcorrente – rubrica''==== {{cronologico}} *La cosa che più ci turba, delle nostre sconfitte sportive, è il grande, alluvionale bisticcio che si scatena fra i «tecnici» per giustificarle. Per quella di Stoccarda, che ci ha eliminato dal campionato del mondo, ne avremo – temiamo – per tutta l'estate: se ne parlerà più che di Caporetto. Noi tecnici non siamo, ma abbiamo la nostra idea. È questa: che non si possono mandare dei polli di batteria a competere con quelli ruspanti. Resta da capire perché noialtri non sappiamo allevare che polli di batteria. Ma ci sembra che questo sia sufficientemente spiegato da un piccolo episodio occorso a Roma, dove un gruppo di tifosi ha creduto di «vendicare» i suoi campioni (si fa per dire) assalendo con pomodori e uova l'ambasciata di Polonia. Ecco. Per un paese in cui la «sana passione sportiva» si effonde in simili manifestazioni, quegli undici mammozzi dalle gambe molli sono fin troppo, e fin troppo misericordiose le disfatte che subiscono. (25 giugno 1974) *Noi, di [[Fascismo|fascismi]] ne conosciamo e ne esacriamo uno solo: quello di chi appiccica questa etichetta a qualunque idea o opinione che non corrisponde alle sue. Di questo giuoco, la nostra [[sinistra in Italia|sinistra]] è spesso maestra. Non per nulla lo stesso [[Benito Mussolini|Mussolini]] veniva dai suoi ranghi. (10 luglio 1974) *In una conferenza stampa a Nuova Delhi, [[Henry Kissinger]] ha dichiarato che verrà a Roma e andrà a pranzo dal presidente Leone, ma non parlerà di politica perché quella italiana è, per lui, troppo difficile da capire. È la prima volta che Kissinger riconosce i limiti della propria intelligenza. Ma vogliamo rassicurarlo. A non capire la politica italiana ci sono anche cinquantacinque milioni di italiani, compresi coloro che la fanno. (31 ottobre 1974) *[[Dario Fo]], poeta di corte dell'ultrasinistra, flagella nella sua ultima fatica teatrale il senatore [[Amintore Fanfani]], responsabile di ogni nequizia passata, presente e futura. I sarcasmi più grevi hanno però come bersaglio il metraggio del notabile democristiano che, come tutti sanno, non è quello di un granatiere. [[Henri de Toulouse-Lautrec|Toulouse-Lautrec]], che per gli stessi motivi dovette per tutta la vita subire analoghe canzonature, disse una volta, giocando sulla lunghezza del suo doppio casato: «Ho la statura del mio nome». Non sappiamo se questo discorso si possa applicare a Fanfani. Certo, si applica a Fo. (11 giugno 1975) *[[Winston Churchill|Churchill]] diceva che «i panni dei servizi segreti si possono, anzi si devono lavare più spesso degli altri; ma, a differenza degli altri, non si possono mettere ad asciugare alla finestra». Dello stesso parere era [[Stalin]] che regolarmente, ogni tre o quattro anni, il lavaggio lo praticava facendo accoppare al buio i capi della sua polizia, nel presupposto – probabilmente fondato – che a far quel mestiere non potevano essere che arnesi da forca, e quindi era giusto che ci finissero. Gli [[Stati Uniti d'America|americani]] seguono tutt'altro criterio. Essi hanno trascinato la ''[[Central Intelligence Agency|Cia]]'' in televisione denunciandone ''coram populo'' fatti e misfatti. I suoi capi ne hanno commessi, dicono, di grossi. Ma il più grosso è forse quello di non aver capito che l'America non li paga per svolgere servizi segreti, ma per offrire agli americani il pretesto per vergognarsene. È l'unico popolo che goda più nel pentimento che nel peccato. (28 novembre 1975) *Non sempre, per redigere questa piccola rubrica, occorre forzare la fantasia. Qualche volta basta lasciare la parola alle agenzie di stampa ufficiali. Eccone un caso. L'agenzia Adn Kronos comunica: «Due giorni di sciopero sono stati dichiarati dai sindacati postelegrafonici milanesi per il 28 gennaio e per il 6 febbraio per protesta contro gli scioperi e i disservizi». (25 gennaio 1976) *L'Unità ci rimprovera di aver pubblicato il manifesto degl'intellettuali in favore della libertà. E ha ragione. Si tratta infatti di una illecita concorrenza perché finora i manifesti, gli appelli, le «veglie» e tutto il resto sono stati monopolio del Pci, unico partito capace di far cantare la gente in coro. Ma appunto per questo non vediamo di che si preoccupi. Gl'[[intellettuale|intellettuali]] italiani che preferiscono aver ragione da soli piuttosto che torto con gli altri, sono pochi. I più seguono la massima di [[Paul-Jean Toulet|Toulet]]: «Quando i lupi urlano, urla con loro». (1º giugno 1976) *Ieri [[Mario Melloni|Fortebraccio]], dalle colonne dell'«[[l'Unità|Unità]]», ha invocato per noi, previa qualche iniezione, il ricovero immediato, e a titolo definitivo, in manicomio. La cosa non ci stupisce: sappiamo benissimo che di manicomi e di iniezioni nessuno s'intende più dei comunisti: chi c'è passato giura che ci hanno fatto una mano da maestri. Ci stupisce però che Fortebraccio lo abbia implicitamente – e un po' anzitempo – riconosciuto. Forse gli è scappata. Alla sua età, succede. (10 dicembre 1976) *Cadendo oggi il trigesimo della scomparsa di Pietro Valdoni, vogliamo rievocare un episodio del grande chirurgo. Come tutti ricorderanno, fu lui ad operare, salvandogli la vita, [[Palmiro Togliatti]], ferito alla testa dalla rivoltella di Pallante. Quando ricevette la parcella, Togliatti la trovò salata, e accompagnò il pagamento con queste parole: «Eccole il saldo, ma è denaro rubato». Valdoni rispose: «Grazie per l'assegno. La provenienza non mi interessa» (23 dicembre 1976) *«Dio non è un maschio» assicura alle femministe Civiltà Cattolica, l'autorevole rivista dei gesuiti, scusandosi «delle tracce di antifemminismo che ancora sono nella Chiesa». Brutto segno quando i teologi si mettono a discutere di sesso. Fu mentre i bizantini si accapigliavano su quello degli angeli che arrivarono i turchi. (21 giugno 1977) *Riferiscono le cronache che l'America è in subbuglio per la morte di [[Elvis Presley]]. Oltre centomila persone si sono riversate a Memphis, sua ultima dimora, due donne sono rimaste uccise nella calca che si stringeva intorno alle spoglie del cantante. Il sindaco ha fatto abbrunare le bandiere in tutta la città, il presidente [[Jimmy Carter|Carter]] è stato flagellato di proteste perché non aveva proclamato il lutto nazionale e uno gli ha gridato al microfono: «Noi americani dobbiamo più a Presley che a [[George Washington|Washington]] e a [[Abraham Lincoln|Lincoln]] sommati insieme». Anche noi italiani dobbiamo qualcosa a Presley: una delle rare occasioni in cui preferiamo essere italiani piuttosto che americani. (20 agosto 1977) *È in corso una iniziativa per l'abolizione, nelle aule scolastiche, della pedana su cui si eleva la cattedra. Il perché lo avrete già capito: l'insegnante deve mettersi, anche materialmente, a livello degli alunni per non lederne la dignità e dimostrare con l'esempio che siamo tutti uguali. Giusto. «La via dell'uguaglianza – dice Rivarol – si percorre solo in discesa: all'altezza dei somari è facilissimo instaurarla». (29 ottobre 1977) *Fra gli annunci economici di Lotta Continua, ne è comparso uno che dice: «Compero a L. 100.000 una tesi di laurea, anche già presentata, purché tratti un argomento attinente all'[[Inghilterra]], o alla lingua, storia, letteratura inglese. Meglio se con una impostazione femminista». Curioso. Questi grandi [[Rivoluzione|rivoluzionari]], che dicono di battersi per costruire una società nuova di zecca, quando si tratta di lauree, si contentano anche di quelle usate e di seconda mano. (3 marzo 1978) *Credevamo che l'assassinio di Aldo Moro, così come è stato eseguito, fosse il colmo dell'infamia. Abbiamo dovuto ricrederci. Al comizio di protesta svoltosi in piazza Duomo a Milano subito dopo la macabra scoperta in via Caetani a Roma, un gruppo di ultrà ha gridato: «Moro fascista!». Preferiamo le [[zanne]] delle belve alla [[bava]] degli [[Sciacallo|sciacalli]]. (10 maggio 1978) *Ecco il nostro telegramma di congratulazioni e auguri a Pertini: «Che Dio le conceda il coraggio, Presidente, di fare le cose che si possono e che si debbono fare; l'umiltà di rinunziare a quelle che si possono ma non si debbono, e a quelle che si debbono ma non si possono fare; e la saggezza di distinguere sempre le une dalle altre». (9 luglio 1978) *Dall'indagine svolta da uno dei più seri istituti di ricerche demografiche, lo svizzero Scope, risulta che la professione più ammirata e rispettata, nel mondo, è quella dei medici. I giornalisti sono al penultimo posto. Ce ne sentiremmo profondamente avviliti se all'ultimo non vedessimo catalogati gli editori. (29 novembre 1978) *Prima di partire per Vienna, il presidente {{NDR|degli Stati Uniti}} [[Jimmy Carter|Carter]] ha fatto due dichiarazioni. La prima: «Ci auguriamo che il signor Breznev {{NDR|allora presidente dell'Unione Sovietica e Primo Segretario del PCUS}} abbia per le nostre ragioni la stessa comprensione che noi abbiamo per le sue». La seconda: «Se Ted Kennedy si presenta contro di me alle elezioni presidenziali, gli faccio un c.o così» Il triviale [[Richard Nixon|Nixon]] avrebbe potuto dire le stesse cose, ma certamente ne avrebbe invertito l'ordine di priorità riservando la comprensione a Kennedy ed il c.o a Breznev. La differenza fra i due è tutta qui. (16 giugno 1979) *Avvicinandosi il 25 dicembre, decine di migliaia di teneri [[abete|abeti]] vengono strappati dai boschi della Penisola per allestire il tradizionale albero di Natale. Ogni anno lo scempio si ripete, tra la generale indifferenza. Soppresso l'Ente protezione animali, figuriamoci se qualcuno ha voglia di proteggere gli alberi. Diciamo la verità: la sola pianta che interessi all'[[italiano medio]] è la pianta stabile. (19 dicembre 1979) *Nel Manifesto di domenica scorsa tale K.S. Karol faceva considerazioni amare sulla rivoluzione cubana e sui suoi fallimenti: «[[Fidel Castro|Fidél]] – ha ricordato il commentatore, uno dei tanti orfani delle illusioni di sinistra – prometteva ai cubani per il 1965 un tenore di vita pari a quello svedese». Certo Fidél si è sbagliato di grosso; non per cattiva volontà, ma per mancanza di uomini, anzi di un uomo. Sarebbe bastato che anche la Svezia avesse uno suo Castro al potere per ritrovarsi in pochissimi anni con un tenore di vita pari a quello cubano. (15 aprile 1980) *Riferiscono le cronache che quando è giunta in tribunale la notizia dell'assassinio di Walter Tobagi, il brigatista Corrado Alunni l'ha accolta con una sghignazzata di tripudio. Abbiamo sempre combattuto la pena di morte sul presupposto che l'uomo non ha il diritto di uccidere l'uomo. Il presupposto lo confermiamo. Ciò di cui cominciamo a dubitare è che gli Alunni e quelli come lui siano uomini. Sui cadaveri sghignazzano le jene. (30 maggio 1980) *A Mirafiori, parlando agli operai della Fiat in sciopero, il sindaco di Torino, Novelli, se l'è presa coi giornalisti e li ha additati all'uditorio come falsari che ricalcano i loro resoconti non sui fatti, ma sulle «veline» distribuite loro dai «padroni». Anche Novelli ha fatto il giornalista in un foglio comunista, e quindi di veline e di padroni è certamente un intenditore. Ma se dopo questa denuncia ci scappa un altro Casalegno, sarà molto gradita la sua assenza ai funerali. (8 ottobre 1980) *Grandi elogi – dopo il successo del blitz di Trani – alle «teste di cuoio» italiane. La loro azione ha dimostrato quanto poco valesse la strategia della flessione propugnata di alcuni personaggi. Teste anche loro: ma di che? (31 dicembre 1980) *Fra i tanti slogans che il partito socialista francese ha lanciato in occasione delle elezioni presidenziali per rassicurare i bravi borghesi sottolineando il proprio carattere moderato e riformista, abbiamo letto anche questo: «Il socialismo può fare di chiunque un milionario». Ci crediamo senz'altro. A patto che quel chiunque fosse prima un miliardario. (8 maggio 1981) *Per gl'italiani, finora, il nome di Gelli era quello dell'autore del più famoso e autorevole codice cavalleresco. Anche oggi rimane legato a un codice. Quello penale. (9 maggio 1981) *L'elenco degli affiliati alla P2 comprende, dicono, 953 nomi, cui corrispondono i più alti gradi della politica, della magistratura, delle forze armate, della burocrazia, dell'industria, della finanza. Tutti «fratelli». È la riprova che, in questo Paese, guai ai figli unici. (11 maggio 1981) *Macché pazzo! L'attentatore del Papa deve essere un furbo matricolato. Dichiarandosi seguace di George Habbas e della causa palestinese, ha cercato di procurarsi la solidarietà dei molti, dei moltissimi, che non battono ciglio quando un terrorista cerca di spedire qualcuno all'altro mondo. Purché il terrorista appartenga al terzo. (16 maggio 1981) *Studiosi cinesi, mettendo a confronto reperti di ominidi dissimili tra loro tanto da far pensare che l'uomo discenda anche da animali diversi dalla [[scimmia]], sono arrivati alla conclusione che i nostri progenitori erano comunque scimmie, ancorché di specie differenti. Ci pare logico. Quale altro animale avrebbe potuto imitare la scimmia che ha dato l'avvio alla razza umana se non un'altra scimmia priva di senso critico? (19 maggio 1981) *Una nostra redattrice andata per una sua cronaca sul femminismo alla «libreria delle donne» in via Dogana a Milano, è stata accolta da una di loro con queste parole: «Con te non parlo perché sei di un giornale fascista, e anche tu hai la faccia da fascista». La nostra redattrice, che ha ventun anni, probabilmente non sapeva bene cosa fosse il fascismo. Ora lo sa: lo ha imparato in quella libreria. (4 novembre 1981) *Come previsto, la Juventus ha conquistato il [[Serie A 1981-1982|ventesimo scudetto]] battendo il Catanzaro. Una vittoria di rigore. (17 maggio 1982) *Socialisti e comunisti si sono opposti alle sanzioni economiche contro l'Argentina perché, hanno detto, una buona metà degli argentini sono di origine italiana, e molti di loro conservano tutt'ora la nostra nazionalità. Vero. Ma non ci eravamo accorti che queste sinistre spasimassero tanto d'amore per i nostri connazionali di laggiù quando si trattava di riconoscergli il diritto di voto. (22 maggio 1982) *Se si va avanti di questo passo, la [[guerra delle Falkland]] (o Malvine) finirà quando l'ultimo aereo argentino sarà abbattuto col suo carico di bombe sull'ultima nave inglese. E dire che questa lotta di leoni si svolge per un'isola di Pecore. (27 maggio 1982) *Tutti abbiamo trepidato ieri, davanti al televisore, per le sorti della squadra azzurra, tutti ci siamo entusiasmati alle sue gesta, tutti abbiamo salutato con orgoglio la sua vittoria. Ma il tipo di patriottismo che questa ha suscitato nelle strade delle nostre città, messe a soqquadro dai tifosi scalmanati che usavano il tricolore a copertura del peggior teppismo, ci ha fatto rimpiangere di non essere nati brasiliani. (6 luglio 1982) *Mai visto così tanto entusiasmo patriottico, tanti tricolori per le strade come per la finale degli azzurri al Mundial. Nella tomba di Caprera, le ossa di [[Giuseppe Garibaldi|Garibaldi]] fremono di invidia. Per unificare l'Italia «in un solo grido, in una sola passione» gli erano accorsi mille uomini. A [[Enzo Bearzot|Bearzot]] ne sono bastati undici. (12 luglio 1982) *Gli scrittori [[Mario Soldati]] (Psi) e [[Gianni Brera]] (Psi) sono stati trombati {{NDR|non sono stati eletti}}. Peccato. Il Parlamento era l'unico posto in cui, dovendo parlare per gli altri, forse avrebbero finalmente taciuto. (1º luglio 1983) *Che [[Bettino Craxi|Craxi]] sia uomo di grandi capacità e ambizioni, lo si sapeva. Che sia anche uomo di grande coraggio, lo si è visto ieri, quando pronunciava alla Camera il suo discorso di replica. Per due volte si è interrotto alla ricerca di un bicchier d'acqua. Per due volte [[Giulio Andreotti|Andreotti]] glielo ha riempito o porto. E per due volte lui lo ha bevuto. (13 agosto 1983) *Condannato dal tribunale di Reggio Emilia per bestemmie e turpiloquio contro la Chiesa, [[Roberto Benigni]] avrebbe qualche ragione di considerarsi vittima di un'ingiustizia. Proprio il giorno prima la Chiesa riabilitava [[Martin Lutero]], scomunicato ai suoi tempi pressappoco per gli stessi motivi. Come cambia, coi tempi, la sorte degli uomini! È inquietante pensare che Benigni, se fosse vissuto cinquecent'anni fa, sarebbe forse diventato Lutero. Ma addirittura sconvolgente è che Lutero, se fosse nato cinquecent'anni dopo, sarebbe forse diventato Benigni! (8 novembre 1983) *Il più autorevole giornale americano di economia e finanza, il Wall Street Journal di martedì 10 gennaio, è incorso in un curioso lapsus. Parlando del concordato fra lo Stato italiano e la Santa Sede, scrive che esso «venne firmato nel 1929 da Bettino Mussolini». Chissà, se lo legge, come si arrabbia Benito Craxi. (12 gennaio 1984) *È comparsa sui giornali la pubblicità di una nuova opera di Fanfani, intitolata «La Dc e la svolta degli anni 80». L'editore avverte che si tratta di un libro formato «tascabile». Dato l'autore, poteva andare diversamente? (16 gennaio 1984) *È vero: la [[Juventus Football Club|Juventus]], a Basilea, non ha fatto una gran figura. Giocando con più cervello, poteva vincere comodamente 4-0. Ma attenti a non giudicare troppo severamente il Porto. Quello di Genova va molto peggio. (18 maggio 1984) *Il trentanovenne James Nelson, condannato da un tribunale di Londra a quindici anni per avere ucciso la madre a colpi di mattone, ha sentito, chiuso in cella, la vocazione sacerdotale: si è messo a studiare teologia, e ora sta per diventare prete nella chiesa scozzese. «È mia intenzione – ha dichiarato – contribuire alla edificazione di una nuova società». Si può credergli: i mattoni ha dimostrato di saperli usare. (25 maggio 1984) *L'agenzia Agi informa, con un drammatico flash, che il ministro [[Giulio Andreotti|Andreotti]], «impegnato in una riunione superistretta con gli altri 15 ministri degli esteri della Nato, perderà la partita [[Associazione Sportiva Roma|Roma]]-[[Liverpool Football Club|Liverpool]]». È giusto il fatto che faccia notizia: è la prima volta che Andreotti perde qualcosa. (31 maggio 1984) *Presso la Presidenza del Consiglio, a palazzo Chigi, è stata istituita una commissione di giuristi per la completa parificazione dei diritti fra i due sessi. Finalmente! Era ora che ce la riconoscessero, a noi uomini. (16 ottobre 1984) *La riforma dei programmi della scuola elementare, cui sta lavorando il Ministro Falcucci, introdurrà nella terza, quarta e quinta classe l'insegnamento di una lingua straniera. Non è specificato quale. Speriamo che si tratti dell'italiano. (21 gennaio 1985) *Un certo [[Nichi Vendola]], dirigente della Federazione giovanile comunista, ha lanciato l'idea di riconoscere formalmente un «diritto dei bambini ad avere rapporti sessuali tra loro o con gli adulti». Vendola ha detto di aver attinto questa idea all'esperienza di molti padri. A conferma di quanto scrive [[Georges Courteline|Courteline]] nella sua «Filosofia»: «Uno dei più chiari effetti della presenza di un bambino in una casa è di rendere completamente idioti dei genitori che forse, senza di lui, sarebbero stati degl'imbecilli comuni». (26 marzo 1985) *I tecnici di calcio sono rimasti stupiti dalla prova del [[Real Madrid Club de Fútbol|Real Madrid]] che nella semifinale della coppa Uefa ha letteralmente travolto i modesti giocatori dell'[[Football Club Internazionale Milano|Inter]]. I madrileni hanno proprio vinto a biglia sciolta. (26 aprile 1985) *Quando [[Sandro Pertini]] è apparso sul video di Raiuno che trasmetteva la premiazione del concorso ippico di Roma, il cronista ha commentato: «Anche i cavalli, come vedete, sono gentili col Presidente». Era vero. Forse meritano di essere fatti cavalieri. (5 maggio 1985) *I tifosi rossoneri sono in festa per la notizia che Berlusconi sta per acquistare il loro Milan. Sono convinti che in un battibaleno ne farà una squadra da scudetto, da coppa delle coppe, da tutto, e forse hanno ragione. C'è un solo pericolo: che il neo-presidente voglia fare anche il direttore tecnico, l'allenatore, il massaggiatore, il capitano e il centrattacco. Il che potrebbe andar anche bene. Ma ad una condizione: che possa fare anche l'arbitro. (27 dicembre 1985) *Rete Quattro e Italia 1 sono state multate per violazione del decreto che proibisce la propaganda al consumo del tabacco. Lo spot incriminato è quello che, parlando del «Camel Trophy», ostentava un pacchetto di sigarette della ditta sponsorizzatrice. Strano Paese, il nostro. Colpisce i venditori di sigarette, ma premia i venditori di fumo. (13 marzo 1986) *Molti lettori ci chiedono quale missione sta svolgendo l'on. Capanna a Tripoli, quali motivi l'hanno spinto da Gheddafi. Non ne sappiamo granché: non siamo abituati a ficcare il naso nelle altrui questioni di famiglia. (1º giugno 1986) *Oggi Paolo Pillitteri sarà designato alla successione di Tognoli come sindaco di Milano. Lo dipingono come uomo intelligente, efficace, insomma pieno di qualità. Purtroppo, gli manca quella fondamentale: il celibato. (5 dicembre 1986) *Finalmente, dopo sette anni di esilio a Gorky, l'impavido Andrei Sacharov è tornato a Mosca. Speriamo che Gorbaciov ci resti. (24 dicembre 1986) *L'agenzia Ansa riferisce che da un sondaggio operato in Francia su un pubblico internazionale, risulterebbe che il maschio italiano detiene ancora il primato mondiale della seduzione. Speriamo che i giornali non riportino la notizia: gl'italiani sarebbero capaci di crederci. (15 marzo 1987) *Per la prima volta nella storia della Corte Costituzionale, il nuovo presidente, Francesco Saja, è stato eletto al primo scrutinio. Ma il rivale sconfitto, Ferrari, ha sollevato eccezione accusando il vincitore di averlo battuto grazie a un «compromesso storico» fra elettori democristiani e comunisti, aggravato da un intrallazzo fra siciliani. Vero o falso, dalla Corte al cortile. (5 giugno 1987) *Ieri tutti i telegiornali ci hanno martellato negli occhi le immagini dei capibastone – Craxi, De Mita, Spadolini, Altissimo ecc. – che infilavano la scheda nell'urna. I loro volti raggiavano di soddisfazione. Erano gli unici elettori matematicamente sicuri di aver dato il voto al candidato ideale. (15 giugno 1987) *In una scuola di Chattanooga, nel Tennesse (Usa), due sedicenni, approfittando dell'assenza dell'insegnante, si sono baciati e hanno fatto l'amore davanti a una decina di compagni, niente affatto scandalizzati. Dato il lassismo di certe scuole americane, gli esami in cui gli studenti riescono meglio sono proprio queste prove orali. (4 giugno 1988) *Diciannove persone hanno dichiarato d'aver visto aggirarsi, tra le quinte della Scala, il fantasma di [[Maria Callas]]. Non ci meravigliamo, anche perché migliaia di altri frequentatori del massimo teatro lirico italiano sostengono da tempo di vedere, alla Scala, il fantasma della Scala. (28 giugno 1988) *Scoprendo le istituzioni britanniche con un secolo e mezzo di ritardo, i comunisti sembrano fermamente intenzionati a formare il loro «shadow Cabinet». Ma onestamente non ne afferriamo la ragione. Non c'è nessun bisogno di un governo ombra per contrastare quest'ombra di governo. (5 maggio 1989) *Da un sondaggio condotto tra i francesi risulta che il personaggio più noto d'Oltralpe è [[Marcello Mastroianni]], conosciuto dall'83 per cento degli intervistati. Il 97 per cento dei francesi invece confessa di non sapere chi sia [[Ciriaco de Mita|Ciriaco De Mita]]. Quando si dice un Paese fortunato... (20 maggio 1989) *Gerardo Iglesias, che fu segretario generale del partito comunista spagnolo dall'82 all'88, ha lasciato l'attività politica per riprendere il suo lavoro di minatore di carbone, «l'unico modo in cui posso guadagnarmi degnamente la vita». Alcuni dirigenti del Pci, a quanto risulta, vorrebbero imitarne l'esempio, tornando al vecchio lavoro. Il difficile è trovare chi ne aveva uno. (1º giugno 1990) *Durante la festosa «notte del mondiale», la polizia romana ha arrestato, nelle vicinanze dello stadio olimpico, 29 borsaioli e scippatori. Il signor [[Edgardo Codesal Méndez|Codesal Mendez]], arbitro della partita [[Nazionale di calcio della Germania|Germania]]-[[Nazionale di calcio dell'Argentina|Argentina]], non figura nell'elenco. (10 luglio 1990) *Il giudice veneziano Casson ha convocato, per la storia del Gladio, il presidente [[Francesco Cossiga|Cossiga]], e l'Italia leguleia è in subbuglio: la Costituzione, pure, si è dimenticata di precisare se il Capo di Stato può essere chiamato a rispondere, sia pure da testimone, a un qualunque magistrato. Il quale però ha ora la fotografia su tutti i giornali. E tutti possono ammirarla chiedendosi che cosa passa in quella testa, la testa di Casson. (10 novembre 1990) *Gli studenti italiani manifestano rumorosamente per la [[pace e guerra|pace]] e contro la [[pace e guerra|guerra]]. La guerra, diceva [[Georges Clemenceau|Clemenceau]], è una cosa troppo seria per lasciarla fare ai militari. Ma anche la pace è una cosa troppo seria per lasciarla fare ai pacifisti. (20 gennaio 1991) *Occupandosi – tra tanto Golfo – del Festival di Sanremo il Tg3 ci ha dato, finalmente, ieri sera, una notizia credibile: il livello delle canzoni, ha detto, è destinato a salire. Infatti: sentite le prime è impossibile che scenda. (1º marzo 1991) *Da un'indagine risulta che il 41,9% degli italiani non considera illecito l'assenteismo dal lavoro e che il 41,3% non considera peccato le infedeltà coniugali. La coincidenza delle due cifre spiega in che modo gli statali impiegano il tempo che dovrebbero dedicare all'ufficio. (3 ottobre 1991) *A quest'ora [[Ernesto Balducci|Padre Balducci]] è di fronte al Supremo Giudice, nel quale affermava di credere. Almeno a Lui dovrà spiegare non ciò che diceva contro la Chiesa, ma perché lo diceva travestito da frate. (26 aprile 1992) *Nell'ultima tornata presidenziale è emerso, con un bel pacchetto di 20 voti, Aldo Aniasi. Finalmente. In questo imperversare di tangenti e bustarelle, era ora che qualcuno si ricordasse di lui. (24 maggio 1992) *Per sfatare le malevole dicerie su certe bestie, il presidente degli «animalisti» italiani ha offerto un premio di 200 milioni a chi potrà dimostrare che i corvi scrivono lettere anonime e che le talpe fanno le spie. È vero: di simili casi non ne conosciamo. Ma di somari che fanno i presidenti, ne conosciamo parecchi. (5 luglio 1992) *Dopo le invettive e i clamori da cui il presidente del consiglio [[Giuliano Amato|Amato]] è stato accolto in Senato per la sua insensibilità alla crisi morale che investe il Paese, il dibattito sulla medesima si è svolto, a Montecitorio, in un'aula deserta. Sì, una crisi morale, per la nostra classe politica esiste: lo dimostra il vuoto in cui l'ha lasciata cadere. (14 marzo 1993) *«I socialisti – ha detto l'ex ministro della Difesa Salvo Andò – devono andare tutti nudi verso la meta di un nuovo sistema politico». Come faranno senza le tasche? (24 maggio 1993) *Il candidato del Psi per le elezioni a sindaco di Roma sarà Niccolò Amato. Assennata scelta. Ex direttore delle carceri, Amato è certamente il più qualificato a rappresentare quel partito. (23 settembre 1993) *Giovedì sera annuncio a sorpresa di [[Emilio Fede]] nel suo Tg4: «Adesso – ha detto – voglio parlarvi di informazione». C'è sempre una prima volta. (8 gennaio 1994) *Secondo un sondaggio della Diacron (gruppo Fininvest), l'82 per cento dei lettori del «Giornale» sarebbe schierato con Berlusconi. Vero. Almeno com'è vero che Berlusconi diventerà presidente del Consiglio. (12 gennaio 1994) ====''La parola ai lettori – rubrica''==== *I tennisti italiani hanno disputato la finalissima di Coppa Davis a Praga, e nessuno ha battuto ciglio. Le squadre di calcio italiane frequentano gli stadi dell'Est, a cominciare da quelli russi, e i puristi della democrazia non ci trovano nulla a ridire. Ma per l'[[Uruguay]] – che con i suoi tre milioni di abitanti e la sua posizione geografica non mi pare possa essere considerato una minaccia troppo grave alla libertà dei Paesi democratici – c'è puntuale la protesta. Come se l'Uruguay potesse invadere, espandersi, insidiare, inviare – direttamente o indirettamente – eserciti di mercenari in mezzo mondo, e l'[[Unione Sovietica]] no. Possiamo capire gli intransigenti della democrazia: ma possiamo soltanto disprezzare i farisei che hanno l'indignazione dimezzata. Si calmino Bruno Conti e Pruzzo. Né l'Uruguay, né il suo regime, meritano tante ansie e tanta ostilità. Mosca è più vicina – lo sanno bene i polacchi – e Kabul anche. (31 dicembre 1980) *Non abbiamo mai «coperto», come si usa dire, questo nostro socio (che ha il 37, non il 36% del Giornale), anche perché non vediamo da cosa dovremmo coprirlo. [[Silvio Berlusconi|Berlusconi]] non è né un politico né un gerarca civile o militare, e non svolge nessuna pubblica funzione incompatibile con l'appartenenza alla massoneria. È un privato imprenditore e cittadino che quando fa una balordaggine (e l'iscrizione alla P2 lo è) la fa a proprio rischio e pericolo. Come lei avrà visto, il suo coinvolgimento nella P2 non ci ha impedito di dire, di Gelli e della sua banda, tutto il male che ne pensiamo. (31 maggio 1981) *In tutti questi anni che è stato con noi, {{NDR|Silvio Berlusconi}} si è sempre comportato nella maniera più signorile, ed anche in questa circostanza ci ha dato le più ampie garanzie. (14 aprile 1987) *Nel panorama sudamericano il [[Cile]] è oggi uno di quei paesi economicamente più solidi e con maggior progresso, tanto da meritare gli elogi del Fondo monetario internazionale. Ma la postilla impone a sua volta una precisazione. È più facile fare il risanamento economico monetario in Cile, dove i sindacati sono inesistenti o impotenti, che non in [[Argentina]], dove il sindacato incalza il governo e pretende aumenti salariali il cui ritmo sia adeguato al ritmo dell'inflazione. [...] Pinochet è quello che è. Il suo plebiscito per la Costituzione del 1980 fu indetto in circostanze che gli tolgono ogni valore. E gli inizi del regime militare furono sanguinari. Però il Cile di oggi ha un livello di libertà e di dialettica politica – nonostante Pinochet – che tanti paesi del Terzo mondo vezzeggiati dai nostri democratici dovrebbero invidiargli. Come ha osservato un lettore, né l'Etiopia né lo Zaire né la Siria, né il Nicaragua avrebbero tollerato corrispondenze come quelle che gli inviati della Rai diffondono, in diretta dal Cile. (16 aprile 1987) *Mai le nostre prese di posizione su problemi e personaggi sono state non dico condizionate, ma influenzate dalle personali amicizie o preferenze di Berlusconi. Per la verità, l'editore chiese una volta a titolo di favore, un «occhio di riguardo» per la sua creatura prediletta. Non la televisione, come i lettori saranno stati forse indotti a pensare, ma il [[Associazione Calcio Milan|Milan]]. Sottoposi questa sommessa istanza alla redazione sportiva. La risposta fu una lettera collettiva di dimissioni. Caso chiuso. Da allora rinuncio a leggere le cronache delle partite del Milan, per non dovermi dispiacere del dispiacere che ne prova probabilmente Berlusconi. (17 aprile 1988) *Come già ho scritto, e qui mi piace ripetere, la designazione di [[Francesco Cossiga|Cossiga]] al Quirinale fu la scelta dell'uomo giusto al posto sbagliato. Sappiamo benissimo chi la volle. Ma sappiamo altrettanto bene che fu avallata anche da quegli uomini e partiti che ora si scagliano contro di lui e lo accusano, apertamente o copertamente, di fellonia. La classe politica, nella quale egli ha militato da sempre e che quindi da sempre lo conosceva, doveva sapere che l'onesto (perché tale è) Cossiga non era uomo da Quirinale. Eppure, per i suoi sporchi giochi di potere, ce lo mandò. Ora dovrebbe sentire il dovere di difenderlo dagli sciacalli che lo attaccano da tutte le parti. (22 dicembre 1990) ===''La Stampa''=== <!--ordine cronologico--> *Intorno alle «cattedrali nel deserto» impiantatevi dalla cosiddetta mano pubblica, [...] o trasferitevi dal Nord con l'adescamento degli «incentivi», e sotto la nuvolaglia di fumo che sgorga dalle loro ciminiere, si gonfiano alla carlona e selvaggiamente dirompono, senza nessun criterio urbanistico, senza piano regolatore, senza servizi, spesso anche senza acquedotto e senza fogna, degli agglomerati urbani che solo per il numero degli abitanti si possono chiamare città. [...] È nata soltanto, insieme a una forsennata speculazione edilizia che per sfruttare all'osso l'area fabbricabile accumula con cattivo cemento un piano sull'altro finché crollano sulla testa degl'inquilini, la sorda rabbia contro la città di un contadiname analfabeta che se n'è visto succhiare la linfa vitale, e quando vi cala, lo fa da nemico e vandalo. Questo è il panorama del Mezzogiorno dopo vent'anni e più di Cassa, che hanno raschiato dalle tasche dei contribuenti migliaia di miliardi. (da ''[http://www.archiviolastampa.it/component/option,com_lastampa/task,search/mod,libera/action,viewer/Itemid,3/page,3/articleid,1118_01_1973_0272_0003_16218908/ La protesta contadina]'', 18 novembre 1973, p. 3) *La politica meridionalistica è tutta dominata da questo sottofondo psicologico. Essa vuole l'industrializzazione di Stato non soltanto perché [...] l'industrializzazione può essere fatta soltanto dallo Stato o da imprese al servizio dello Stato; ma anche perché più queste imprese si sviluppano, e più si riduce il margine di quell'imprenditoria privata che i meridionali, non riuscendo a emularla, mirano a ostacolare e ridurre, sottraendole il pubblico risparmio. Con l'agricoltura non avrebbero potuto perseguire questi scopi punitivi. L'unica arma per mortificare e battere l'industria privata è l'industria statale o parastatale. Questa, intendiamoci, esisteva digià: è un portato dei tempi moderni. Ma non c'è dubbio che la politica meridionalistica, come la si è praticata finora e tutto lascia credere che si seguiterà a praticarla, le ha offerto un'ideale occasione. (da ''[http://www.archiviolastampa.it/component/option,com_lastampa/task,search/mod,libera/action,viewer/Itemid,3/page,3/articleid,1118_01_1973_0284_0003_16222766/ Industrie "in colonia"]'', 2 dicembre 1973, p. 3) *Lo Stato, con [[Venezia]], ha contratto un solo impegno: di destinare al suo risanamento 300 miliardi di lire in cinque anni. Di dove li prenda, non ha nessun interesse. Può darsi che una parte li attinga proprio a quel prestito. Ma non vi è tenuto, né si vede perché dovrebbe esserlo. Ciò che da esso si può e si deve esigere è che eroghi effettivamente quei 300 miliardi alle scadenze per le quali si è impegnato: 25 miliardi per il '73, 60 nel '74, 90 nel '75, e su su fino alla chiusura dei conti nel '77. Due sole cose restano da dire. Primo. All'origine dell'equivoco c'è di certo quello che i francesi chiamano l'''esprit mal tourné'', cioè la diffidenza degl'italiani nei confronti dello Stato. Ma all'origine di questa diffidenza c'è altrettanto certamente l'incapacità o la renitenza dei nostri governanti a spiegare [...] ciò che fanno. Secondo. I soldi [...] stavolta ci sono. E diamo pure per scontato che saranno erogati con puntualità. Ma dove sono gli strumenti per spenderli, specie quelli affidati in gestione a degli Enti locali, che fin qui non sono stati capaci di dragare un canale né di riparare la spalletta d'un ponte? Non vorremmo che anche tutti questi miliardi andassero ad alimentare l'immenso deposito di «residui passivi», cioè di somme stanziate ma non impiegate, che già affligge il nostro Paese. Non lo vorremmo. Ma lo temiamo. (da ''[http://www.archiviolastampa.it/component/option,com_lastampa/task,search/mod,libera/action,viewer/Itemid,3/page,1/articleid,1111_01_1974_0009_0001_21345708/ Venezia, molti miliardi e lo Stato]'', 11 gennaio 1974, p. 1) *E ora addio, caro lettore, e grazie dell’ospitalità. Ti confesso che, entrando in casa tua, ero molto imbarazzato. Ma mi bastò poco per accorgermi che di questo imbarazzo voi soffrite quasi quanto coloro a cui lo incutete. Esentàtemi da una dichiarazione di amore perché a gente come voi è difficile farne. Ma in questo pudore mi sento vostro pari e vostro complice. Avrò un giornale a Milano e, e cercherò di farlo molto bello, bellissimo. Ma anche se ci sarò riuscito, seguiterò a rimpiangere il vostro. Mi dicevano che ci avrei sofferto il freddo. Ci ho trovato, sotto una coltre di silenzio, il caldo. (da ''[http://www.archiviolastampa.it/component/option,com_lastampa/task,search/mod,libera/action,viewer/Itemid,3/page,3/articleid,1112_01_1974_0087_0003_16390798/ Congedo dal Piemonte]'', 21 aprile 1974, p. 3) {{Int|''[http://www.archiviolastampa.it/component/option,com_lastampa/task,search/mod,libera/action,viewer/Itemid,3/page,9/articleid,1118_01_1973_0284_0009_16222725/ Chi era il vecchio leone del deserto]''|Articolo su ''La Stampa'', 2 dicembre 1973.|h=4}} *Senza Ben Gurion, non so se Israele sarebbe stato migliore o peggiore di quel che è. Certo, sarebbe stato diverso. Il titolo di «Padre della Patria» non può contestarglielo nessuno. [...] Egli stesso mi raccontò lo sgomento da cui fu còlto quando, non ancora ventenne, sbarcò a Giaffa dopo un lungo periplo a bordo d'un cargo. A procurarglielo non furono i funzionari turchi che allora governavano il Paese, e nemmeno gli arabi che formavano il grosso della popolazione; ma gli ebrei, quasi tutti latifondisti e mercanti perfettamente inseriti nel «sistema» e unicamente intesi ai propri affari. Erano dunque quelli i depositari della Terra Promessa, che non sapevano neanche l'ebraico, o comunque si rifiutavano di parlarlo? Forse ne sarebbe fuggito, se nell'interno non avesse scoperto alcune isolate fattorie collettive, dove i nuovi immigrati lavoravano la terra con le proprie mani e di notte montavano la guardia, uomini e donne, per difendere le loro vite e i loro raccolti dalle razzie degli arabi. *Comprese subito che solo redimendo la terra col loro lavoro manuale e contrapponendo al latifondismo arabo la fattoria collettiva, gli ebrei potevano legittimare la riconquista dei loro antico «focolare». Militarmente, egli non attaccò mai gli arabi. Aspettò che il loro sistema si disgregasse da sé, e ci volle poco. Battuti sul mercato dai prodotti del ''kibbutz'', i latifondisti arabi vendettero i loro feudi al «Fondo Nazionale Ebraico» per andare a sperperare l'incasso nei ''Casinos'' di Beirut e della Costa Azzurra, e i braccianti rimasero senza lavoro perché i nuovi padroni usavano le braccia proprie. Il conflitto è tutto qui: nell'impossibilità di coabitazione di una scalcagnata economia feudale con un'efficientissima economia socialista. I motivi religiosi e razziali li ha aggiunti la propaganda. *Come tutti i veri politici, Ben Gurion era un pragmatista, cioè un uomo che attingeva le idee dalla pratica delle «cose», non viceversa. E l'esperienza fatta nella lotta per la manodopera ebraica lo aveva persuaso che con gli arabi non c'era [...] possibilità di compromesso. Uno Stato palestinese misto di arabi e di ebrei, lo considerò sempre una chimera per il semplice motivo che in poche generazioni, col loro potenziale demografico quattro volte superiore, gli arabi avrebbero mangiato gli ebrei. [...] Già nella guerra del '48 egli avrebbe potuto annettersi la Cisgiordania: ci rinunziò per non mettersi in corpo seicentomila arabi. L'anno dopo rifiutò per lo stesso motivo la cosiddetta «striscia di Ghaza» che il suo brillante generale Allon aveva sforbiciato dall'Egitto. E dopo la guerra dei sei giorni, sebbene ormai lontano dal potere, non ha fatto che ammonire contro una politica di annessioni territoriali disgiunta da un adeguato incremento di popolazione ebraica. Non ha mai dialogato che con l'Occidente. Con gli arabi, non ha seguito che una diplomazia: quella dei confini. *Le nuove esigenze della produzione e della guerra imponevano un altro «rovesciamento della piramide»: il miracolo della guerra dei sei giorni fu dovuto a un esercito di tecnici altamente specializzati, in cui anche il semplice aviere era un ingegnere. Il posto del ''kibbutz'' [...] veniva preso dall'Università che riconvertiva il contadino in professore. Ben Gurion non poteva interpretare questo nuovo corso. Era troppo vecchio e legato all'altro. Ma non lo comprese, non poteva comprenderlo, per conservare il potere ricorse a tutte le armi del suo repertorio, anche le meno regolamentari, giunse a rinnegare e a rompere il proprio ribelle partito. E neppure a battaglia persa si rassegnò. Dal fondo del suo rifugio alle soglie del deserto ha continuato tutti questi anni ad alluvionare di ammonimenti, maledizioni, anatemi i suoi vecchi amici trattandoli da nemici. [...] Quello che si chiude con Ben Gurion è il capitolo del pionierismo: il più eroico e glorioso, quello destinato, via via che si allontanerà nel tempo, ad essere ricordato dagl'israeliani con sempre più struggente nostalgia. {{Int|''[http://www.archiviolastampa.it/component/option,com_lastampa/task,search/mod,libera/action,viewer/Itemid,3/page,3/articleid,1112_01_1974_0081_0003_16388814/ La strada lunga di Golda]''|Articolo su ''La Stampa'', 14 aprile 1974.|h=4}} *{{NDR|[[Golda Meir]]}} Aveva poco più di vent'anni quando approdò in Israele, frammista ai «padri pellegrini» della «seconda ondata» che subito dopo la [[prima guerra mondiale]] vennero a riprendere possesso della loro antica terra con la ferma intenzione non d'insabbiarcisi com'era successo ai loro predecessori della fine dell'Ottocento, ma di riscattarla e di farne il «focolare» degli ebrei. Tutta la sua visione politica [...] era condizionata da questa esperienza di oltre mezzo secolo di sacrifici e di lotte. [...] Oggi molti in Israele si domandano se a questi pionieri non restava davvero altra strada che quella dell'urto frontale con la popolazione araba della Palestina. Ma questi dubbi sono un lusso ch'essi si possono concedere solo perché i loro babbi e nonni non ne ebbero. Costoro fecero quello che fecero perché non potevano far altro. Ciò che rendeva impossibile la coabitazione fra le due popolazioni non era la incompatibilità razziale e religiosa, ma quella economica e sociale. Il latifondo sceiccale non poteva convivere col ''kibbutz'' socialista. È qui l'origine di un conflitto che nessuna diplomazia poteva sanare. Una pace fra israeliani e arabi è possibile; una simbiosi, no. Ancor oggi chi parla di «Stato misto» si gingilla con le astrazioni. *Fu lei che [...] raggiunse travestita da cammelliere l'emiro Abdullah di Giordania [...] e da nemico se lo fece amico, o almeno neutrale. Non sono mai riuscito ad appurare se [[David Ben Gurion|Ben Gurion]] ebbe una parte, e quale, in questo «giallo» fra il diplomatico e lo spionistico. Ma molte cose m'inducono a credere che a programmarlo fu proprio lei, Golda, anch'essa ben decisa a innalzare, fra arabi ed ebrei, una cortina di ferro, ma con qualche porta che consentisse all'occorrenza il dialogo. [...] I due furono amici e compari per decenni. [...] Probabilmente anche al tempo in cui facevano coppia nel partito e nel governo si parlavano tra loro in quel linguaggio da fureria. Quanto a imperiosità e autoritarismo, si valevano. [...] Con la sua voce arrugginita dalle sigarette [...] diceva piattamente e banalmente delle cose piatte e banali, solo ravvivate da qualche squarcio d'un umorismo massiccio come una scarpa di soldato; ma senza mai togliere di dosso all'interlocutore il suo vigile sguardo cilestrino alla fiamma ossidrica. E da quella specie di sporta per la spesa che, adibita a borsa, essa tiene al braccio anche nei ricevimenti ufficiali, ci si aspettava sempre di veder saltar fuori, oltre a qualche mazzo d'agli e di cipolle, una pistola o una fiala di veleno. *Non c'è dubbio che sapeva odiare e che anche quando amava lo faceva da mantide, soffocando e stritolando. Ma Israele non troverà mai più una madre come lei, che sapeva anche fargli da padre. Nella sua tenacia, nel suo coraggio, nella sua volontà d'acciaio, essa riassumeva la storia di questo piccolo grande Paese. Lo ha dimostrato col suo ritiro. Quando si è trattato di pagare, essa si è offerta in sacrificio pur sapendo che per lei la rinunzia al potere è la rinunzia alla vita. «''Sono giunta al termine della mia strada''», ha detto. Ma che strada! Nessuno ne ha mai percorsa una più ripida e accidentata, più paurosamente librata tra abissi e strapiombi. Sono sicuro che Golda non si volterà indietro a guardarla, e non ce ne dirà nulla. Come tutti i grandi costruttori, essa sa soltanto costruire. Il resto, per lei, è silenzio. ===''la Voce''=== <!--ordine cronologico--> *Uscendo dal ''Giornale'', io feci a me stesso, ma pubblicamente, un giuramento: «Mai più un padrone». Qui padroni non ce ne sono. La proprietà è ripartita fra alcune centinaia di azionisti, di cui nessuno può, per statuto detenere più del 4 per cento. Fra di essi, e per primi, ci siamo stati tutti noi: redattori, impiegati, fattorini, autisti. [...] Per questa sua pulviscolarità, il nostro azionariato è stato definito, nei quartieri alti della Finanza, «straccione». La qualifica non ci dispiace: coi tempi che corrono, meglio stare tra gli stracci che tra le tangenti. (22 marzo 1994) *Di insurrezione generale non c'era bisogno, il 25 aprile, perché il Terzo Reich non esisteva più. Se l'insurrezione generale fosse avvenuta avrebbe dovuto avere come primo obiettivo, a Milano, il quartier generale delle SS all'Hotel Regina. Le SS furono invece lasciate del tutto tranquille, mentre si provvedeva a trascinare in piazzale Loreto, per la fucilazione Achille Starace [...]. Non sono contro la Resistenza, anzi: sono contro la retorica, inguaribile vizio italiano. Proprio questa retorica ha fatto sì che un sindaco democristiano di Roma, in un manifesto dedicato anni or sono alla liberazione della città non accennasse nemmeno con una parola agli Alleati. Ed ha fatto sì che in quest'ultimo 25 aprile si sia parlato ai giovani che affollavano piazza del Duomo a Milano o che stavano davanti ai televisori, ingannandoli – ossia raccontando loro che i tedeschi erano stati sconfitti dai partigiani, e che da questi l'Italia era stata liberata. Se questa è la «memoria storica» evocata da tanti commentatori, stiamo freschi. (28 aprile 1994) *Intorno a Berlusconi vedo agitarsi una falange di Starace, convinti non meno di Achille che il padrone (e con lui, si capisce, la carriera) si serve sbattendo i talloni e gridando: «Forza, Italia!». Di tutto questo, intendiamoci, Berlusconi non può essere tenuto responsabile. Gli Starace – a differenza di Mussolini che si scelse il suo vedendolo com'era – gli sono germinati e gli pullulano intorno d'irresistibile forza propria cercando di sopraffarsi in una gara di servilismo, che trova soprattutto nel video la propria arena. E per ora la gente pensa: «Povero Cavaliere, da chi è circondato». Ma prima o poi – forse più prima che poi – comincerà a dire anche di lui: «Vedi un po' di chi si circonda». (18 giugno 1994) *Dobbiamo prepararci a presentare le nostre scuse a [[Emilio Fede]]. L'abbiamo sempre dipinto come un leccapiedi, anzi come l'archetipo di questa giullaresca fauna, con l'aggravante del gaudio. Spesso i [[leccapiedi]], dopo aver leccato, e quando il padrone non li vede, fanno la faccia schifata e diventano malmostosi. Fede no. Assolta la bisogna, ne sorride e se ne estasia, da oco giulivo. Ma temo che di qui a un po' dovremo ricrederci sul suo conto, rimpiangere i suoi interventi e additarli a modello di obiettività. (26 novembre 1994) *Il presidente della Repubblica non può contrattare. Ma deve trovare qualcuno che abbia l'autorità morale di farlo. Un ''kamikaze''. E di ''kamikaze'' ne vediamo uno solo che, non avendo veste politica, né alcuna ambizione di indossarla, può anche affrontare una simile responsabilità: [[Antonio Di Pietro|Di Pietro]]. Ma temiamo che l'idea sia soltanto nostra. [...] Una delle pochissime cose che nella presente situazione ci confortano è di vedere in Quirinale un difensore delle Regole come [[Oscar Luigi Scalfaro|lui]]. Vorremmo solo sommessamente avvertirlo che l'Italia che noi conosciamo somiglia poco all'immagine angelica ch'egli ce ne ha fornito la sera di Capodanno, e che anche quando vi avremo messo a posto tutte le Regole, ne mancherà sempre una: quella che dall'interno della sua coscienza fa obbligo ad ogni cittadino di regolarsi secondo le regole. (3 gennaio 1995) *Noi volevamo fare, da uomini di [[Destra]], il quotidiano di una Destra veramente liberale, ancorata ai suoi storici valori: lo spirito di servizio (quello vero, taciuto e praticato), il senso dello Stato, il rigoroso codice di comportamento che furono appannaggio dei suoi rari campioni da Giolitti a Einaudi a De Gasperi. Insomma, l'organo di una Destra che oggi si sente oltraggiata dall'abuso che ne fanno gli attuali contraffattori. Questa Destra fedele a se stessa in Italia c'è. Ma è un'élite troppo esigua per nutrire un quotidiano. (12 aprile 1995) {{Int|''Il realista inviso agli snob''|Articolo su ''la Voce'', 24 aprile 1994.|h=4}} *Fino ad una decina di anni orsono, la maggioranza degli americani erano convinti che, se [[Richard Nixon|Nixon]] fosse rimasto nella Storia del loro Paese – cosa che al loro orecchio suonava come un obbrobrio – vi sarebbe rimasto solo per il [[Scandalo Watergate|Watergate]], cioè appunto per l'obbrobrio. Negli ultimi tempi tutto si è rovesciato: l'obbrobrio non è stato più il Watergate, ma la campagna scandalistica che lo aveva provocato. Gli stessi protagonisti che l'avevano montata – [[Bob Woodward]] e [[Carl Bernstein]] del ''Washington Post'' – ne riconobbero le forzature e fecero atto di contrizione. Non avevano inventato nulla, ma avevano deformato tutto. [...] La sorte è stata, tutto sommato, clemente con Nixon dandogli il tempo di vedere questo capovolgimento. *Ultimamente era ricevuto, ed anzi continuamente sollecitato alla Casa Bianca, dove lo si accoglieva come lo ''Elder Statesman'', lo statista anziano da consultare come un vecchio saggio sui problemi difficili. Fu a lui che [[George H. W. Bush|Bush]] si rivolse per riallacciare un dialogo con Pechino dopo la rottura seguita al fattaccio di Tienanmen. E lui a Pechino lo riallacciò: i cinesi non avevano dimenticato che quel dialogo erano stati Nixon e [[Henry Kissinger|Kissinger]] ad aprirlo, quando l'America aveva deciso di chiudere l'avventura del Vietnam in cui [[John Fitzgerald Kennedy|Kennedy]] e [[Lyndon B. Johnson|Johnson]] l'avevano malaccortamente cacciata. Ma anche [[Bill Clinton|Clinton]] è ricorso alla sua esperienza per capire cosa succedeva in Russia e trarne qualche insegnamento. Nixon andò a Mosca, e ne tornò con cattivi presagi sulla sorte di [[Boris Nikolaevič El'cin|Eltsin]] che i successivi avvenimenti hanno confermato. *Non era un uomo «simpatico», e soprattutto non aveva nulla che potesse sedurre l'America dei salotti e della ''intellighenzia'', che gli uomini politici li misurano a modo loro, mai quello giusto. Scambiarono per un grande intellettuale Kennedy, che in vita sua aveva visto migliaia di film, ma mai letto un libro. E prendevano Nixon, che di libri ne ha letti ed ha continuato a leggerne (ed a scriverne, niente male), fino all'ultimo giorno per una specie di Bossi californiano, rozzo e triviale. [...] Ma forse quello che più infastidiva gli americani era la renitenza di Nixon ad appelli e richiami tanto più sonori quanto più vacui, come «la nuova frontiera» e simili. Nixon era un professionista della politica, uno dei pochissimi che l'America abbia mandato alla Casa Bianca. Non andava per sogni e per versetti del Vangelo. Conosceva il suo [[Otto von Bismarck|Bismarck]], il suo [[Benjamin Disraeli|Disraeli]], e credo anche il suo [[Niccolò Machiavelli|Machiavelli]] che in America basta nominarli per finire scomunicati. Per questo lo consideravano un mestierante, e per questo si era scelto come consigliere un altro mestierante, l'ebreo tedesco Kissinger. Furono questi due uomini che ridiedero all'America la ''leadership'' nella politica estera coinvolgendo nel gioco la Cina e scavandone il solco da Mosca. I successori di Nixon, e specialmente [[Ronald Reagan|Reagan]], vissero in gran parte di questa eredità. ===''Oggi''=== <!--ordine cronologico--> *Mi confermo in due mie vecchie opinioni. Il guaio del socialismo è il socialismo, cioè sta proprio nel suo sistema statalistico. Il guaio del capitalismo sono i capitalisti che, quasi sempre bravissimi all'interno della loro azienda, fuori di lì sono spesso degli ottusi e noiosi imbecilli, e talvolta anche peggio.<ref>Citato in ''Dizionario delle citazioni'', a cura di Italo Sordi, BUR, 1992. ISBN 88-17-14603-X</ref> (n. 22, 1983) *{{NDR|Sull'offerta di [[Massimo D'Alema]] a concedere, come «atto dovuto», i funerali di Stato a [[Bettino Craxi]]}} "Atto dovuto"? Ma dovuto a chi? Anche a un latitante: quale, dal punto di vista legale, era Craxi? Concedere i funerali di Stato a un latitante significa sconfessare la Giustizia che lo ha condannato. [...] Ma può lo Stato sconfessare la propria Giustizia senza sconfessare se stesso? Mi sembra di vivere in un Paese che di senso dello Stato ne ha meno di una tribù del Ghana.<ref>Citato in ''La morte incute rispetto, ma su Craxi non cambio idea''-</ref> (2 febbraio 2000) *La [[democrazia]] è sempre, per sua natura e costituzione, il trionfo della mediocrità. (11 ottobre 2000) ==''Caro direttore''== ===[[Incipit]]=== Mettersi nel '74 contro il vento che soffiava tutto nella direzione del «compromesso storico» con la codarda quiescenza di gran parte della borghesia e di quasi tutti gli intellettuali; scoprire (oggi sembra acqua calda, ma allora era un'eresia) che, oltre al terrorismo di destra, ce n'era uno, molto più violento e pericoloso, di sinistra, figlio – sia pure degenere e ripudiato – del Pci, un partito che raggiungeva il 36 per cento dei voti e che condizionava pesantemente scuola, magistratura, cultura, mezzi di comunicazione; schierarsi dalla parte dell'ordine contro l'eversione; istruire il processo contro il sinistrume, effettivo e di complemento, che mortificava l'iniziativa privata e l'economia di mercato con tutti i valori che vi sono connessi; battersi contro il bugiardo e demagogico giustizialismo populista per il ripristino della meritocrazia nel campo del lavoro e degli studi; denunziare il grande pericolo che circondava il sistema: la partitocrazia; tutto questo sembrava follia, e forse lo era. Ma di questa follia noi siamo fieri. ===Citazioni=== *In Francia c'è molta gente che tuttora si domanda se De Gaulle era proprio De Gaulle, o un matto che si credeva De Gaulle. Ebbene, io nutro per La Malfa lo stesso dubbio. Ed è appunto perché nutro questo dubbio che voto La Malfa. (p. 12) *Il capitalismo vero, che permise alla borghesia di liquidare il Medio Evo e di sostituire, a quella feudale, basata sul parassitismo redditiero, una nuova società basata sul lavoro e sul risparmio, nacque nei Paesi protestanti. E sa perché? Perché Calvino insegnò questo ai suoi seguaci: che il denaro, essendo un segno della Grazia Divina non si poteva scialacquarlo. Chi lo aveva guadagnato per un particolare favore concessogli da Dio, aveva il dovere di considerarsene soltanto il depositario, e di reimpiegarlo, cioè di reinvestirlo perché altri uomini potessero beneficiare dello stesso favore. Fu questa base morale che dette al capitalismo protestante la forza di vincere e di costruire la nuova società: la società borghese del lavoro e del risparmio al posto di quella del sangue e del blasone. (p. 25) *Lei ha ragione di essere soddisfatto. Dopo aver ricevuto una discreta istruzione nelle nostre costose scuole private potrà andare a completarla a Parigi, o a Harvard, o a Oxford, dove il figlio del suo mezzadro o del suo trombaio, magari molto più intelligente e volenteroso di lei, non potrà seguirla. Egli dovrà contentarsi dello svalutato pezzo di carta che la nostra Università rilascerà a lui come a qualsiasi analfabeta, e probabilmente, per campare, dovrà rassegnarsi a fare il mezzadro o il trombaio come suo padre. Grazie agli amici del popolo e ai campioni del proletariato. (p. 91) *L'Italia ha scelto lo sciopero, per risanarsi, e non il lavoro, i «ponti», e non il sacrificio; i comizi e le adunate, non le valutazioni responsabili che non possono venire dagli urli di una folla eccitata. La Germania federale, retta dai socialdemocratici, persegue una strada ben diversa. Ciascuno raggiunge i traguardi che si propone, e che merita. (p. 156) *Noi crediamo che in certi casi di carattere eccezionale il giornalista abbia il diritto, e qualche volta il dovere, di dire la verità, se ne è convinto, anche se non è in grado di dimostrarla. Ma a una condizione: che, non potendo o non volendo rivelare le fonti a cui l'ha attinta, se ne assuma in proprio la responsabilità con tutte le conseguenze, anche giudiziarie che ne derivano. (p. 173) *Il temuto cambio di regime non c'è stato, nonostante il tentativo dei partiti e della grande stampa fiancheggiatrice di gabellarlo come una operazione innocua e indolore. La necessità d'interpretare queste consultazioni come un referendum ci ha costretti a sostenere, con tutte le nostre forze, la Democrazia cristiana riconoscendole, però, il merito importante di non aver mai messo in pericolo le nostre libertà, anzi di averle sostenute e difese. Ora che abbiamo contribuito, non poco, a rimettere in piedi la grande malata, dobbiamo adoperarci a guarirla. (p. 193) *Ho avuto una tessera ''ad honorem'' di una federazione anarchica catalana (quella del famoso ''Campesino'') perché, durante la guerra civile spagnola, trafugai oltre frontiera un suo affiliato caduto prigioniero dei nazionalisti e condannato a morte. Ti prego di felicitarmene. Subito. Senza esitazioni. (p. 227) *Anche se aveva tutte le ragioni di sentirsi ingiustamente perseguitato e colpito nel suo onore di galantuomo, Malizia non doveva piangere, per il semplice motivo che i generali non hanno il diritto di piangere almeno in pubblico. Mai. Per nessuna ragione. Lei mi dirà che queste sono fisime da gente sorpassata. Può darsi. Ma io sono convinto che l'etica militare è fatta appunto di queste fisime. Sono stato per lunghi anni ufficiale di guerra, e credo di esserlo stato con onore – tanto da guadagnarmi alcune decorazioni –, appunto perché avevo queste fisime. (p. 261) ==''Caro lettore''== ===[[Incipit]]=== Questi volumi sono in fondo la ''summa'' del ''Giornale'', il riassunto e il breviario di un libero pensiero, cioè di un pensiero libero da qualsiasi condizionamento, che dovrebbe far riflettere gl'intellettuali. Ma noi ci crediamo poco. Ed uno dei motivi è proprio questo: che stavolta gl'intellettuali difficilmente potranno rinverdire lo slogan sotto il quale, negli anni di piombo, mascherarono la loro codardia: «Né con le brigate rosse né con lo Stato», come se lo Stato e le brigate rosse fossero sullo stesso piano e fra l'uno e le altre fosse possibile una neutralità. Pur appartenendo – almeno dal punto di vista sindacale – alla categoria, o forse proprio perché vi apparteniamo, non abbiamo molta stima degl'intellettuali, e troviamo poco meno che ridicola la loro pretesa di fare i direttori di coscienza della società. ===Citazioni=== *Lei ci accusa di eccessiva indulgenza verso i regimi sudamericani. Ma l'accusa è ingiusta. Non perdiamo occasione di dire che Pinochet è una disgrazia. Ma non possiamo fare a meno di aggiungere che questa disgrazia è nata da un'altra disgrazia di nome Allende. In Argentina, a portare al governo il generale Videla (che, glielo posso assicurare, non aveva nessuna voglia di andarci) sono stati i «montoneros» coi loro rapimenti e omicidi, dai quali più nessuno si sentiva al riparo. (p. 42) *Io lavorai al ''Borghese'', sotto vari pseudonimi, finché ci fu lui e perché c'era lui. Dal rapporto personale, quotidiano e strettissimo, esulava qualsiasi pregiudiziale ideologica. Io del resto, non ho mai capito quale ideologia avesse Longanesi. Sapevo soltanto che non era mai del gregge; e siccome nemmeno io lo sono, questo bastava a tenerci uniti. Dopo di lui il ''Borghese'' assunse una fisionomia ideologica precisa, di cui non discuto la legittimità, ma che non corrispondeva alla mia. E quindi la mia collaborazione vi sarebbe stata fuori posto. (p. 50) *Anche ai cattolici osservanti e militanti è consentito, si capisce, far politica. Ma, per amor del cielo, non la confondano con la religione invocando i «valori cristiani» mentre si mettono l'un l'altro l'arsenico nella minestra. Questo si può farlo in nome di Marx, e magari anche di Cavour. In nome di Dio, dovrebb'essere proibito. (p. 193) *Hai ragione interamente, là dove dici che chi nasce come me figlio di un professore (non di un magistrato) ha una partenza più facile di chi nasce come te, figlio di un operaio. Questo è vero. E infatti il gran problema di un regime politico serio dovrebb'essere proprio quello di ridurre al minimo le diseguaglianze al palo di partenza. Per raggiungere questo scopo, non smetterò mai di battermi. Ma nemmeno smetterò di battermi contro il tentativo di mortificare l'interesse privato fino al punto di togliere agli uomini la molla dell'iniziativa. Sono per un fisco severo. Ma voglio che colpisca gli sciali e i lussi, non gl'investimenti perché questi producono lavoro e ricchezza. Ecco il mio socialismo. (p. 202) *L'Islam ebbe una grande cultura solo quando, nella loro cavalcata conquistatrice, i suoi Califfi incontrarono la cultura greca, quella egiziana e quella ebraica. Ma questo risale a Averroè e ad Avicenna, cioè a mille anni fa pressappoco. Da allora l'atteggiamento dell'Islam verso la cultura è sempre rimasto quello del famoso Califfo che, quando gli chiesero cosa dovevano fare della grande biblioteca di Alessandria, da lui conquistata, rispose: «Se tutti quei libri dicono ciò che dice il Corano, sono inutili. Se dicono cose diverse, sono dannosi. Nell'un caso e nell'altro, meglio bruciarli». Si dirà: «Altri tempi». No, Khomeini pensa e parla come quel Califfo. L'Islam è una religione di analfabeti, in cui la cultura è monopolio degli Ulema, che sanno solo di Corano e passano la vita a indagarne i misteri (che non ci sono). Mi citi Alberoni un'opera d'arte e di pensiero islamica degli ultimi due o trecent'anni. I mussulmani colti sono quelli che escono dalle ''nostre'' università. (p. 259) *Ognuno ha il diritto ad avere una sua opinione. Ma nessuno ha quello di distorcere l'opinione degli altri. La mia era è la seguente: che, dopo l'esperienza in Ungheria, non mi sentivo d'incoraggiare i polacchi a una rivolta, in cui l'Occidente li avrebbe lasciati soli a vedersela coi carri armati sovietici, e quindi a finire sotto i loro cingoli come avvenne a Budapest nel '56. Questo non era un invito a «calar le brache». Era una messa in guardia da quelle pericolose illusioni di aiuti esterni che ebbero tanta parte nello spingere gli ungheresi a un olocausto rivelatosi poi del tutto inutile. (p. 271) *Io non sono affatto convinto dell'innocenza di Freda e Ventura (Giannettini non c'entrava niente) come non lo sono di quella di Valpreda. Ma anch'io avrei assolto per mancanza di prove. E non c'è da scandalizzarsene perché queste cose succedono in tutto il mondo. A vent'anni di distanza, la polizia americana non sa ancora con certezza chi uccise Kennedy. Solo la polizia sovietica sa sempre chi uccide per il semplice motivo che è sempre essa a farlo. Con questo, sia chiaro, non voglio dire che la nostra Giustizia funziona bene. Funziona malissimo, e qualche volta non funziona affatto. Ma che copra le stragi di Stato, i nostri intellettuali di sinistra vadano a raccontarlo agli zulù. (pp. 330-331) *Io non so se qualche omosessuale fra noi c'è. È un problema che non mi sono mai posto. Ma anche se ce ne fossero e io me ne accorgessi, non muoverei un dito contro di loro e seguiterei a stimarli per quel che valgono o a disistimarli per quel che non valgono. Tutto ciò, caro amico, la deluderà. Ma il mio stomaco, evidentemente, è soggetto a impulsi diversi da quello suo. Se c'è una cosa su cui mi rifiuto di giudicare gli uomini (e le donne) è proprio il sesso. Ho conosciuto degli omosessuali meravigliosi anche sul piano morale, e degli eterosessuali orrendi. E sono troppo geloso della privatezza mia per non rispettare quella altrui. (p. 343) ==''Dante e il suo secolo''== ===[[Incipit]]=== Uno dei tanti meriti che si suole attribuire a [[Dante Alighieri|Dante]] è quello di essere stato il primo italiano ad avere una «coscienza nazionale». Noi non vorremmo cominciare questo libro con una detrazione, ma non ci sembra che a dimostrare questa coscienza basti l'allusione che Dante fa a una entità geografica italiana, di cui egli fissava i punti terminali al Brennero e al Carnaro. E non vediamo del resto cosa aggiunga alla sua grandezza questa specie d'irredentismo avanti lettera. Se per qualcuno Dante spasimò fu, caso mai, per un Imperatore tedesco. ===Citazioni=== *[[Roma]] era stata la capitale di un impero cosmopolita, non di una Nazione. (Parte prima. Capitolo primo, p. 12) *Non è necessario essere degli adepti del "materialismo storico" per attribuire il risveglio delle inquietudini intellettuali, fra il Millecento e il Milleduecento, al progresso economico e al generale miglioramento delle condizioni i di vita. È a stomaco pieno che si comincia a pensare a qualcosa che non sia soltanto lo stomaco. (Parte prima. Capitolo terzo, p. 131) *Il [[pudore]] femminile non è mai stato altro che un incentivo alla civetteria. (Parte seconda, Capitolo quarto, p. 174) *Da consumato giurista qual era, {{NDR|[[papa Bonifacio VIII]]}} prese a rimaneggiare tutti i precedenti storici, su cui poteva basare le sue pretese di dominio universale. E trovò un valido aiuto nel canonista [[Egidio Romano|Egidio Colonna]] il quale scrisse un trattato, ''De ecclesiastica potestate'', per avvalorare queste tesi. Egli sostenne che la Chiesa era padrona e proprietaria non soltanto delle anime, ma di tutto. Era solo per bontà e condiscendenza che metteva le cose a disposizione dei fedeli, ma conservando il diritto di ritorgliele quando voleva. Quindi anche i troni appartenevano ad essa, che li lasciava ai Re solo in momentaneo appalto. Questa teoria tanto piacque a Bonifacio, che ne ricompensò l'autore con la nomina ad arcivescovo di Bourges. (Parte seconda, Capitolo nono, p. 312) *Peccato che un simile uomo {{NDR|papa Bonifacio VIII}} avesse così clamorosamente sbagliato generazione e carriera. Fosse nato cinquant'anni dopo sarebbe stato un magnifico Principe del [[Rinascimento]]: avido, crudele e gagliardo. (Parte seconda, Capitolo undicesimo, p. 372) *Dante qui {{NDR|nel ''De vulgari eloquentia''}} ha visto ciò che molti filòlogi ancora oggi non vedono. Egli difende il "volgare", cioè la lingua viva, quella parlata dal popolo, fatalmente destinata a soppiantare il latino. Ma ne vorrebbe una illustre e aulica, al di sopra di quelle "municipali", cioè dei dialetti, contro i quali si scaglia con furore. In Italia ne classifica quattordici e li detesta tutti, compreso il toscano che chiama "turpiloquio". Ma il più orrendo gli sembra il romano, "e non deve fare meraviglia dacché i romani, anche per deformità di costumi e abiti, appaiono i più fetidi di tutti". Chissà cosa direbbe, povero Dante, se tornasse fra noi e andasse al cinematografo. (Parte seconda, Capitolo quindicesimo, p. 483) ==''Gli incontri''== *[[Giovanni Porzio|Porzio]] non è alto di statura, ma diritto come un fuso nonostante i settantaquattro anni suonati e porta, sui pantaloni a righe stretti e lunghi come quelli degli antichi ufficiali in grande uniforme, una giacca nera che l'alta bottonatura fa simile a una ''redingote''. Il volto è bello, di colore olivastro, e aristocratico nella modellatura del naso e nel taglio breve dei baffi e della barbetta ancora pepe e sale. (Porzio, p. 91) *Non avevo mai visto da vicino [[Cécile Sorel]], quando essa mi apparve, per la prima volta, di lontano, sul palcoscenico allestito nella corte d'onore degli Invalides per le feste celebrative del bimillenario di Parigi. [...] Drappeggiata in una sontuosa cappa di [[Elsa Schiaparelli|Schiaparelli]] a strascico di ''lamé'' d'argento e porpora, dritta su un podio sotto la statua di [[Napoleone Bonaparte|Bonaparte]], accolse a braccia spalancate lo scrosciante omaggio, sincopato dalle salve di artiglieria, dei cinquemila spettatori ammassati nell'immenso cortile. Sorrise. Sfiorò con uno sguardo altero le teste della folla, lo alzò verso l'imperatore, ma senza implorazione né umiltà, da pari a pari. Poi, in un silenzio di tomba, prese a modulare l'ode di Bruyez: "''Vous qui êtes morts pieusement pour la patrie...''". Ed era una voce incredibilmente limpida e squillante, senza traccia di ruggine. (Cècile, pp. 226-227) *[[Saul Steinberg|Steinberg]] ha la faccia dei suoi pupazzi: una faccia malinconica, lunga e triangolare, di cavallo tirato su a paglia soltanto, senza biada, e condannato a trascinare un carretto su per un'erta interminabile, in cima alla quale non si sa cosa ci aspetta, ma certo un'altra condanna, forse più pesante del carretto. Anche i baffi ha, come i suoi pupazzi: a doppia virgola orizzontale, sebbene meno lunghi e senza le intenzioni esibizionistiche di quelli di Dalì; e anche le lenti a stanghetta traverso cui ti fissano intensamente, di sotto in su, due occhi azzurri e mortificati, di uomo che non si è reso conto di essere Saul Steinberg; o essendosene reso conto, non ci prova alcun piacere. (Steinberg, p. 289) *[[Harukichi Shimoi]] è uno di quei giapponesi che gli altri giapponesi considerano di statura piccola. Tanto piccola che [[Gabriele D'Annunzio|D'Annunzio]], per abbracciarlo, dovette curvarsi (lui!) e, dopo essergli andato incontro gridando, con le braccia alzate: "Fratello!... Fratello mio!..." lo guardò, ci ripensò e aggiunse: "Sebbene non di sangue...". (Shimoi, p. 389) *Quanti anni avrà, ora, Harukichi Shimoi? Forse cinquanta, forse centocinquanta. Come per [[Guelfo Civinini]], suo amico, anche per lui il problema dell'età non si pone. Quale che essa sia, egli la porta esattamente come deve averla portata mezzo secolo fa. Il suo corpo è stortignaccolo, ma diritto, e i suoi capelli son nerissimi. Ma il tratto che più lo caratterizza sono le sopracciglia, che madre natura gli ha piantato a mezza strada, come due ciuffi di foltissimo bosco, tra gli occhi e la chioma, in modo che, per quanto vasti i suoi occhiali, esse li sormontano e risucchiano come se fossero due monocoli. (Shimoi, pp. 389-390) *Il più favoloso e colorito personaggio del [[Brasile]] è [[Assis Chateaubriand]], proprietario di ventun giornali, diciotto stazioni radiotrasmittenti, di una flotta aerea, di alcune ''fazendas'' vaste come l'intera Sicilia, di un museo che vale venti milioni di dollari, di una Compagnia nazionale per la puericoltura, e di un'ambizione pari soltanto al suo coraggio, alla sua insolenza e alla sua spavalderia. (Chateaubriand, p. 495) *Assis {{NDR|Chateaubriand}} ha un debole per i tedeschi e per gli italiani. Come faccia a conciliare questi due amori, non si sa; ma le sue pene, durante la guerra, furono grandi, anche se irreprensibile fu la sua condotta<ref>Dal 1942, nel corso della seconda guerra mondiale, il Brasile fu in stato di guerra con Germania e Italia.</ref>. Quando però il governo comminò l'arresto a chiunque parlasse italiano, scese in lotta con i suoi giornali contro l'assurda disposizione. Scrisse che quello non era patriottismo, ma un nazionalismo di bassa lega, degno soltanto di una colonia, e che lui si vergognava d'esser brasiliano. Fece un tale baccano, che alla fine dovettero revocare il provvedimento e quello del sequestro dei beni dei nostri compatrioti. (Chateaubriand, p. 502) *Quando nacque sessantadue anni orsono, ne aveva già a dir poco settecento. Perché [[Ottone Rosai|Rosai]] veniva dritto dritto dal Medioevo, dopo aver saltato a piè pari Rinascimento ed età moderna, e nei momenti di sincerità confessava che Giotto gli pareva un "deviazionista" rispetto a Cimabue, il quale gli andava molto più a sangue. (Rosai, p. 544) *Dopo essere stato fascista della prima ora, nella seconda col fascismo {{NDR|Ottone Rosai}} s'era trovato male, e si capiva benissimo che era sempre per via delle mani. Tornato dalla guerra, lo squadrismo gli aveva consentito di menarle, come a lui piaceva, e ci aveva dato dentro senza risparmio. Forse l'unico momento felice della vita di Rosai fu quello: quando a gambe larghe di traverso alla strada aspettava, col giornale aperto davanti agli occhi in un gesto di sfida ribalda, il corteo rosso in arrivo da San Frediano, che alla vista di quelle manacce aggrappate ai bordi del foglio e pesanti come macigni, esitava. (Rosai, p. 547) *[[Paolo Monelli|Monelli]], se seguisse le proprie inclinazioni, andrebbe a letto coi polli. Ma cosa direbbe la gente, se non lo vedesse più vagabondare nei vari ritrovi frequentati dai nottambuli della città? Direbbe senza dubbio: "Comincia a invecchiare". E a questa idea Monelli balza dalla sua poltrona e si attacca al telefono per mobilitare qualche amica che lo accompagni nei suoi vagabondaggi. Giovani colleghe come Livia Serini, attrici giovanissime come Lea Massari sono state ridotte sull'orlo dell'esaurimento nervoso da queste prolungate ronde notturne senz'altro costrutto che quello di ribadire agli occhi di tutti l'intramontabilità di Monelli. Egli non le porta a spasso. Le porta all'occhiello, come gardenie. (Monelli al girarrosto, p. 592) *{{NDR|Paolo Monelli}} Fuma la pipa come Churchill il sigaro, cioè soltanto quando lo guardano. (Monelli al girarrosto, p. 593) ==''I conti con me stesso''== ===[[Incipit]]=== Una telefonata da Milano m'informa che Longanesi è morto. È stato colpito dall'infarto davanti al suo tavolo di lavoro, su cui era spiegata una mia lettera di dieci giorni fa, che cominciava così: «Caro Leo, stanotte ho sognato ch'eri morto...». (27 settembre 1957) ===Citazioni=== *Tutta la mia vita è stata contesa fra la noia di vivere insieme e la paura di vivere [[Solitudine|solo]]. (4 ottobre 1957) *Di nuovo il Polesine. Pare impossibile: durante le inondazioni, la prima cosa che viene a mancare è l'acqua. (dicembre 1957) *[[Colette Rosselli|Colette]]. Invecchia gentilmente, senza catastrofi. Ha su tutte le altre donne un vantaggio incolmabile: quello di essere stata il mio ultimo e più grande amore. Così grande che possiamo camparci di rendita, comodamente, tutti e due per il resto dei nostri giorni. (gennaio 1958) *Il destino di [[Riccardo Bacchelli|Bacchelli]] sarà l'opposto di quello del maiale: di lui, dopo morto, ci sarà da buttar via tutto. (gennaio 1958) *[[Olga Villi]]. Non è punto grata alla sua bellezza che le ha consentito di diventare principessa di Trabia. Punta solo sul talento che non ha. Ma è talmente priva di ''sense of humour'' che forse diventerà una buona attrice. (gennaio 1958) *[[Gaston Palewski|Palewski]]. L'ambasciata a Roma è per lui soltanto uno dei più importanti capitoli del libro di memorie che scriverà. (gennaio 1958) *Non è che [[Luigi Barzini (1908-1984)|Barzini]] abbia un'altissima opinione di sé. Ne ha una bassissima degli altri. (gennaio 1958) *Piccolo incidente d'auto. La nostra, per evitare un ciclista, picchia contro un muro e resta piuttosto acciaccata. [[Colette Rosselli|Colette]], che la guida, dice: «Meglio così. Dovevo farla revisionare, e non mi decidevo mai...». (gennaio 1958) *[[Razzismo]]: pensarci sempre, parlarne mai. [[Risorgimento]]: parlarne sempre, pensarci mai. (gennaio 1958) *[[Fascismo]]. Il più comico tentativo per instaurare la serietà. (gennaio 1958) *Il guaio più grosso della Repubblica è che, mentre il Re poteva essere di sangue straniero e di solito lo era, il presidente bisogna sceglierlo fra gl'italiani. (gennaio 1958) *Bacchelli lavora infaticabilmente, da sessant'anni, alla costruzione di un piedestallo su cui, alla sua morte, non sapremo cosa posare. (gennaio 1958) *A pranzo da [[Vittorio Cini]] con una ventina di altri invitati. A colazione ne aveva avuti altrettanti. E così ieri. E così avantieri. E così sempre. A ottantadue anni suonati, è fresco, roseo, insaziabilmente voglioso di intrattenere e di essere intrattenuto. A conclusione della serata, mi sfida a una gara di canto. Scegliamo come banco di prova ''Vecchia zimarra'', e stoniamo maledettamente entrambi, ma io meno di lui. I presenti mi assegnano la vittoria. Di colpo, Vittorio perde il suo buon umore. È talmente abituato a vincere, che non accetta di perdere nemmeno nel canto. (7 settembre 1966) *{{NDR|Su [[Nicola Bombacci]]}} Io l'ho conosciuto soltanto cadavere, quando penzolava accanto a quello di Mussolini, in piazza Loreto, e una folla messicana lo bersagliava bestialmente di sputi. Anni dopo, volli tentarne la riabilitazione ritracciandone la patetica vicenda, ma non riuscii a trovarne gli elementi biografici. Compaesano e compagno di scuola di Mussolini, maestro elementare e autodidatta come lui, ne era stato il grande amico quando entrambi militavano nel socialismo. Eppoi il suo nemico giurato, la bestia nera degli squadristi. Esule con la famiglia prima in Francia, poi (credo) in Russia, rimpatria col permesso del Duce, si affida alla sua generosità, per ricambiarla gli resta al fianco anche a Salò, e lo accompagna fin nell'ultimo viaggio verso la morte. (23 ottobre 1966) *Colloquio segreto con l'ex comunista [[Giulio Seniga|Seniga]] per una storia del [[PCI|Pci]] che devo scrivere con [[Roberto Gervaso|Gervaso]] per la «Domenica». Ė un uomo piuttosto affascinante, dallo sguardo chiaro, freddo e innocente: lo sguardo del fanatico. Mi ha detto che sua moglie, cresciuta in Russia dove suo padre era fuoruscito, e autrice di un interessante libro – ''I figli del partito'' –, nel partito è rimasta, non ha trovato il coraggio di uscirne, sebbene approvi e condivida la secessione del marito, con cui è sentimentalmente unitissima. Non riesco a capire questa gente. Cioè capisco soltanto che è diversa da noi non sul piano ideologico, ma su quello umano. (25 novembre 1966) *È morto [[Uguccione Ranieri di Sorbello]]. Era venuto a Roma da sua suocera. Stava benissimo. Era anzi particolarmente sereno e contento perché aveva finito un suo lavoro di ricerca storica cui attendeva da anni. A fine pranzo ha detto: «Non mi sento bene». Si è alzato, ed è crollato a terra. Stecchito. (29 maggio 1969) *{{NDR|Su Uguccione Ranieri di Sorbello}} Era un gran signore e un gran galantuomo che ha trascorso la sua vita in crociate nelle quali non aveva nulla da guadagnare. L'ultima è stata la campagna propagandista negli Usa per convincere gli americani a dare il nome [[Giovanni da Verrazzano|Da Verrazzano]] al grande ponte sull'Hudson. Nel suo perfetto inglese (lo scriveva meglio dell'italiano) inondò l'America di articoli e conferenze (parlava benissimo, con molto humor e senza enfasi oratorie) cercando i familiarizzare gli ascoltatori col nome Da Verrazzano, la cui pronuncia rappresentava per essi la difficoltà più grossa all'adozione di quel nome. Questa smania missionaria credo che l'avesse ereditata da sua madre americana. E per seguirla aveva trascurato le sue proprietà terriere. Le sue campagne erano in uno stato pietoso, la sua bella villa sul Trasimeno mezza disunta. (29 maggio 1969) *{{NDR|Su Uguccione Ranieri di Sorbello}} Era un buon scrittore, un infaticabile sommozzatore di articoli, un ricercatore attento e scrupoloso di curiosità storiche, un umanista moderno che aveva allargato i suoi orizzonti a tutta la cultura contemporanea, specie anglo-sassone: un uomo insomma che ha realizzato un centesimo di quello che poteva per via di quel suo dispersivo correre dietro a un'infinità di altri interessi. Era stato anche un autentico combattente della [[Resistenza italiana|Resistenza]]: per ben sedici volte si era fatto paracadutare dagli Alleati dietro le linee tedesche: impresa che chiunque altro si sarebbe fatto ripagare con altrettante medaglie. Lui non aveva ricevuto nemmeno una citazione, e di questi episodi non ha mai parlato. (29 maggio 1969) *Anche [[Irene Brin]] se n'è andata. Mi avevano detto che era malata di un cancro; ma era una notizia vaga e incerta, ch'essa aveva fatto di tutto per smentire. Fino in fondo ha lavorato e ha partecipato ai riti della mondanità: sfilate di moda, ricevimenti, eccetera. (1 giugno 1969) *{{NDR|Su Irene Brin}} Quando [[Giovanni Ansaldo|Ansaldo]] la scovò e cominciò a farla scrivere sul «Lavoro» di Genova, sua città natale, era soltanto Mariù Rossi: una ragazza timida e incerta, molto provinciale, figlia di un Generale e di un'ebrea austriaca. L'unica fama di cui godeva era quella, equivoca e velata sotto un nome d'accatto, che le aveva procurato [[Elio Vittorini|Vittorini]] prendendola a protagonista, con sua sorella, di un racconto: ''Le figlie del Generale'' in cui entrambe erano presentate come lesbiche. Se lo fossero veramente, non so. Il sesso è uno dei tanti capitoli misteriosi di questa donna. (1 giugno 1969) *In mano a [[Leo Longanesi|Longanesi]], che le aveva regalato anche lo pseudonimo d'Irene Brin, aveva rivelato autentiche qualità di scrittrice. I profili che pubblicò su «Omnibus» erano deliziosi. Fosse rimasta fra biografia e memorialismo, poteva diventare qualcosa di mezzo fra [[Henri de Saint-Simon|Saint-Simon]] e [[Lytton Strachey|Strachey]] con un tocco alla [[Madame de Sévigné|Sévigné]]. Altro che la [[Maria Bellonci|Bellonci]]! Era un'osservatrice attenta (sebbene non ci vedesse da qui a lì) e penetrante, nutrita di vastissime letture: la sua prosa aveva ritmo, calore, l'aggettivazione precisa, l'ironia tagliente. Ma era un cavallo che aveva bisogno del fantino. Chiuso «Omnibus» e cessata la regia di Longanesi, Irene infilò la pista sbagliata – quella della cronista mondana –, e non è più uscita. (1 giugno 1969) *Finito di scrivere il capitolo sull'[[Giulio Alberoni|Alberoni]] per ''L'Italia del Settecento''. Ho riprodotto la pagina di [[Henri de Saint-Simon|Saint-Simon]], che lo descrive mentre assiste impavido alle evacuazioni corporali di Vendôme per guadagnarsene i favori, eppoi inginocchiandosi davanti a lui gli grida estasiato: «Oh, culo d'angelo!», e glielo bacia. Come inizio di "carriera" italiana, mi sembra esemplare. Poi mi torna a mente un'osservazione di [[Jules Renard|Renard]]: «Se in un periodo c'è la parola culo, il lettore non si ricorderà che di quella dimenticando tutto il resto, anche se è sublime». Renard ha ragione. Ma io, a un culo autenticato da Saint-Simon, non rinuncio. (3 luglio 1969) *Le Soroptimists hanno dato un pranzo a [[Colette Rosselli|Colette]], in qualità di "Donna Letizia". Colette ha accettato dopo molti rifiuti. Il suo fastidio per queste cose di donne, lo so, è sincero. Ma, una volta preso l'impegno, ha trascorso la giornata a preparare il suo discorsino col puntiglio che la distingue. Non è per nulla ambiziosa, non tiene affatto a reclamizzare il proprio talento, sottovaluta quello che mette nella sua rubrica di «Grazia» (ma se lo fa pagare profumatamente), rifiuta di fare una mostra dei suoi deliziosi quadri. Ma il suo suscettibilissimo amor proprio non le consente di rischiare una brutta figura nemmeno nelle cose che disprezza. Infatti anche stasera ne ha fatta una eccellente, leggendo con molto garbo le due paginette che aveva preparato con un sapiente dosaggio di humour autentico, e di pathos e di umiltà fasulli. Ha avuto gran successo. Per la prima volta mi son visto guardato come un personaggio-satellite, una specie di principe consorte. Cosa che a me non dispiace affatto, ma a lei moltissimo. In questo, è proprio femmina. (13 agosto 1969) *Mi riferiscono, di [[Giorgio Bocca|Bocca]], questo giudizio su di me: «Sempre il più bravo di tutti. Bravissimo. Troppo bravo. Ma mettendo lo stesso impegno a scrivere gli articoli su Venezia e quello sull'arbitro [[Concetto Lo Bello|Lo Bello]], dimostra che in realtà non è impegnato in nulla». È vero. Non sono impegnato in nulla. In nulla, meno che nel mio mestiere. Fiorentina-Bari 3-0. E Chiarugi capo-cannoniere! (16 novembre 1969) *Sciopero generale per il caro-case. Un pretesto da nulla. Ma è bastato per immergere Milano in un'atmosfera da 8 settembre. Strade vuote. Saracinesche abbassate. Enorme spiegamento di polizia. Mentre pranzo con [[Giovanni Spadolini|Spadolini]], [[Mario Cervi|Cervi]] e Zappulli, giunge notizia che in un tafferuglio al Lirico un agente è stato ucciso dai "cinesi". «Meno male che è toccata a un agente» diciamo in coro, eppoi non osiamo guardarci negli occhi. Anche noi apparteniamo a questa borghesia codarda che pretende appaltare alle forze dell'ordine il compito di farsi sputacchiare, pestare e ammazzare per tenerne al riparo se stessa. E non vuole nemmeno pagargli uno stipendio decente. (19 novembre 1969) *[[Alberto Moravia|Moravia]] ha fondato, insieme a [[Pier Paolo Pasolini|Pasolini]] e a [[Dacia Maraini]], un "comitato contro la repressione". È la riprova che la repressione non c'è. Se ci fosse, Moravia sarebbe coi repressori, come ha dimostrato avallando col suo silenzio la persecuzione di [[Aleksandr Isaevič Solženicyn|Solženicyn]] in Russia. (28 dicembre 1969) *Moravia si è ritirato dal comitato che lui stesso aveva fondato. Ma non per i silenzi di [[Giovanni Spadolini|Spadolini]]. Si è ritirato perché «l'Unità» ha disapprovato. Gl'italiani sono sempre pronti a fare la rivoluzione, purché i carabinieri siano d'accordo. E Moravia è sempre pronto a battersi per la libertà, purché sia d'accordo il piccì. (2 gennaio 1970) *Arrivati i rendiconti dei miei diritti d'autore: 28 milioni nell'ultimo semestre. Supero dunque i 50 milioni annui. Anche ammettendo che l'editore non ci faccia sopra punta cresta (il che mi sembra, a dir poco, improbabile), non c'è male. Credo di essere l'autore italiano che più guadagna, anche perché sono l'unico che questa cifra la guadagna ogni anno, e senz'aiuto di premi letterari. Non ne sono contento per il denaro, di cui non so che farmi e che serve solo a pagare i capricci di Colette (ne ha tanti!). Ne sono contento, anzi felice, per il mio status da autore stipendiato unicamente dal pubblico. C'è chi vive di partito. C'è chi vive di Eni. C'è chi vive di Agnelli, o di Perrone, o di Crespi. Io vivo di [[lettore|lettori]]. I lettori non m'impongono altra servitù che la sincerità: l'unica che non pesi. (3 marzo 1970) *Più che comunanza di vedute, fra [[Denis Mack Smith|Mack Smith]] e me c'è comunanza di nemici: quegl'insopportabili pedanti accademici che a Palermo lo hanno violentemente attaccato qualificandolo «il Montanelli di Oxford». Implicitamente egli accetta di far fronte con me contro di loro. Credo che facciamo entrambi un buon affare, e anche un affare buono: se riusciamo a squalificare agli occhi del pubblico la [[storiografia]] accademica (e coi nostri libri ci stiamo riuscendo), avremo reso un grosso servigio alla cultura italiana. (2 maggio 1970) *Sosta a Venezia, dopo il voto a Cortina. Visita d'obbligo a Vittorio Cini, e passeggiata con lui sulle Zattere. Vedendolo, un vecchietto sdrucito, ma dignitoso, si leva il cappello e gli tende la mano, evidentemente per mendicare. Vittorio gliel'afferra e gliela stringe con effusione dicendogli: «Caro!... Caro!... Caro!... Coma la va?» È in perfetta buona fede: la buona fede di un doge lontanissimo dalle afflizioni della miseria e perfino incapace di immaginare che ce ne siano. (8 giugno 1970) *Leggo in [[Giorgio Candeloro|Candeloro]]: «... Nel processo generale di sviluppo della Storia, il carattere dei personaggi, anche dei più grandi, ha un peso limitato...». Ah, sì? E cosa dunque se non il carattere di Alessandro, cioè la sua follia, può spiegare la conquista macedone fino all'India e la diaspora dell'ellenismo che ne deriva? L'Islam è concepibile senza il "carattere" di [[Maometto]]? E cosa divise la Riforma se non i diversi "caratteri" di [[Martin Lutero|Lutero]] e di Calvino? I nostri storici odiano i caratteri e i personaggi, perché questi richiedono immaginazione e intuito, cioè doti di scrittore, di cui essi sono disperatamente vedovi. Non sono storici. Sono soltanto degli archivisti, e molto spesso disonesti. (10 novembre 1970) *Milano è in fiamme per l'affare Feltrinelli, e [[Piero Ottone|Ottone]] mi chiede un articolo contro la [[Camilla Cederna|Cederna]], firmatario di un manifesto in cui, a due ore di distanza dal rinvenimento del cadavere e prima ancora che esso sia ufficialmente riconosciuto, proclama che Feltrinelli è rimasto vittima della «reazione internazionale». Se la Cederna avesse una testa, direi che l'ha persa. Ma perché Ottone vuole un articolo contro di lei, intima amica e direttrice di coscienza di [[Giulia Maria Crespi|Giulia Maria]], nonché regina del suo sinistrorso salotto? Comunque, a mettere una zeppa fra direttore e proprietaria, è doveroso collaborare. E faccio l'articolo in forma di "lettera a Camilla". (25 marzo 1972) *Pare che l'articolo abbia rimesso fuoco a Milano, creandovi una irreparabile frattura fra montanellisti e cedernisti. I primi sono più numerosi, ma i secondi più rumorosi. Ricevo pacchi di telegrammi di plauso e altrettanti d'insulti. Il giornale è sommerso di lettere, e io prego Ottone di pubblicare anche quelle di protesta. Ha scritto anche la Cederna annunziando una replica sull'«Espresso» (Ottone ha cancellato il titolo del settimanale, commettendo una meschineria). Quanto a Giulia Maria, mi dicono che schiuma di rabbia. Se è vero, devo riconoscere che il giornalismo qualche soddisfazione la dà. [[Umberto Eco]] mi attacca sul «manifesto» riproducendo una mia frase di ammirazione per Mussolini scritta quando avevo ventidue anni (in dieci anni di giornalismo sotto il defunto regime, non sono mai riusciti a trovare, di mio, altre prove di zelo fascista) e accusandomi di mancanza di cavalleria verso una donna. O bella! Come se una donna, quando si mette a far politica – e che politica! – come un uomo, potesse ancora accampare l'impunità! Anche la [[Maria Callas|Callas]] è una donna. Eppure, quando stona, la si fischia. (27 marzo 1972) *Ho scritto un fondo in difesa della Cederna, incriminata dal magistrato per aver diffuso notizie false e tendenziose. Che abbia commesso questo peccato, ho detto, è vero. Ma si tratta di peccato, non di reato. E a giudicarne dev'essere il lettore, non il tribunale. Verità lapalissiane. Dice che è sempre stata molto più impegnata e coraggiosa di me perché con le sue campagne in favore di Valpreda e di [[Giuseppe Pinelli|Pinelli]], tiene fronte alla polizia. Potrei incenerirla chiedendole dov'era e cosa faceva quando io ero in galera per aver tenuto fronte non alla polizia d'oggi, ma a quella fascista e nazista. Ma non ne vale la pena. (28 marzo 1972) *Più approfondisco questo tema delle regioni (sono a Milano per questo), e più mi sgomenta il doverne scrivere. Ci vuol poco a capire che questi regionalisti lombardi perseguono, consapevolmente o inconsapevolmente, un piano secessionista cisalpino. E, una volta che ne abbiano lo strumento, riusciranno a realizzarlo. Non per nulla Bassetti parla già non più di «regione lombarda», ma di «[[Padania|regione padana]]», di cui il resto d'Italia non sarebbe che un'appendice. Se ce la fanno (e ce la faranno), addio Risorgimento! Non era che una finzione, d'accordo, e in pratica ha fallito. Ma con che lo sostituiremo? (26 settembre 1972) *Volo a Lussemburgo sul solito bireattore di Berlusconi, che ci accompagna, felice di esibirsi e di esibire il suo status in una cerimonia internazionale. La medaglia d'oro (ma è proprio d'oro?) me la consegna Gaston Thorn, capo del governo lussemburghese. Berlusconi riempie il suo taccuino di indirizzi: quelli di tutte le personalità che ha incontrato. È il vero ''climber'' che approfitta di tutto e non butta via nulla. (23 maggio 1977) *Kappler è fuggito. Ha fatto bene. Ma ora chi ci salverà dai conculcati "valori della Resistenza"? (15 agosto 1977) *A colazione da [[Vittorio Cini|Cini]]. Ha avuto un brutto crollo, ma ha ancora risorse. Le tira fuori quando è in compagnia. Ma quando è solo, mi dice sua moglie, sprofonda in quei tetri silenzi che sono i colloqui di un uomo con la morte. (19 agosto 1977) *De Carolis m'informa che il vero autore della operazione «Corriere» è un certo [[Licio Gelli|Gelli]], misterioso personaggio massonico, di Arezzo (Fanfani), che vuole incontrarmi per un accordo fra i due giornali. (24 settembre 1977) *Secondo quanto mi era stato raccomandato, dovevo salire direttamente alla camera 219 dell'Excelsior. Ma alla camera 219 non c'era nessuno, e così dovetti chiedere al portiere del signor Gelli. Poi Gelli arrivò, mi condusse furtivamente nel suo appartamento e mi fece un lungo discorso pieno di allusioni, dal quale dovevo comprendere che lui è un pezzo grosso – forse il più grosso – della massoneria (Palazzo Giustiniani), che come tale era stato il vero padrino della operazione Rizzoli, e che in questa operazione potevamo rientrare anche noi. Mi ha detto che quattro ministri dell'attuale governo, otto sottosegretari e centoquaranta parlamentari dipendono da lui. Questi massoni sono tutti uguali: credono che la loro potenza sia direttamente proporzionale al mistero di cui si circondano e prendono per cose fatte quelle per le quali complottano. (4 ottobre 1977) *Da Fanfani, al Senato. È talmente infuriato che diventa perfino sincero. «Dica al suo amico che è un traditore!» «Perché non glielo dice lei?» Mi spiega che Forlani non mira alla segreteria del partito, come io credevo, ma alla presidenza del Consiglio, quando Andreotti sarà consumato. Mi dice anche che condivide l'idea di Donat-Cattin di lasciare il Quirinale a un laico. «Altrimenti fra noi democristiani ci sbraniamo e ci sbrachiamo nella corsa a chi concede di più ai comunisti.» È sincero anche stavolta, o lo dice perché, avendo perso ogni speranza per sé, vuole prepararsi un buon argomento per Maria Pia («Stavolta toccava ai laici»)? (29 ottobre 1977) *A cena da Gervaso con Cossiga. Non si lamenta dei nostri attacchi, ma sono io a dirgli: «Noi esprimiamo lo scontento, e talvolta la rabbia, della pubblica opinione. La gente vuole un ministro degl'Interni che agisca e che faccia agire la polizia». «Ma lei sa com'è ridotta la polizia?» «In qualunque modo sia ridotta, siete voi che l'avete ridotta così. E quindi sta a voi rimediare.» Mi dice che non c'è da farsi illusioni: la situazione si aggraverà. Il terrorismo è finanziato coi sequestri, ha solidi agganci internazionali, e segue una tattica ben studiata. «L'attentato a lei fu un errore. Se a essere colpite fossero le personalità di rilievo, la gente media, cioè la grande massa della popolazione, sarebbe tranquilla. Invece hanno deciso di colpire i gradi subalterni – consiglieri comunali della Dc, capireparto della Fiat eccetera – per togliere il sonno a tutti.» Forse è vero. (29 ottobre 1977) *Quattro revolverate in faccia a [[Carlo Casalegno|Casalegno]], che ora è grave. Alzano la mira. (16 novembre 1977) *«La Stampa» riporta tutti gli articoli di solidarietà per Casalegno apparsi sugli altri giornali. Ma omette il mio, ch'era forse il più caldo: la solidarietà nostra la imbarazza. (18 novembre 1977) *Casalegno è morto. Ho telegrafato alla vedova, ma non al figlio – iscritto a [[Lotta Continua|Lotta continua]] –, né a [[Arrigo Levi|Levi]] e ai colleghi della «Stampa». Purtroppo, la loro faziosità condiziona la nostra solidarietà. Al funerale andrà Biazzi. (29 novembre 1977) *Incontro risolutivo a Roma tra Ferrauto e quelli della Sipra. Affare fatto e a condizioni molto più favorevoli di quelle sperate. Sei miliardi e settecento milioni come minimo annuo garantito, per cinque anni. Firmeremo il compromesso martedì 16. (10 maggio 1978) *Vista in tv la cerimonia funebre per Moro in San Giovanni Laterano. Dentro la basilica, tutti i dignitari Dc e quelli Pci inginocchiati sotto la mano benedicente del papa. E, fuori, la piazza sventolante di bandiere bianche e rosse. Non ho potuto fare a meno di rilevarlo in un "Controcorrente". (13 maggio 1978) *Batosta comunista alle amministrative parziali di ieri (4.000.000 di elettori). La Dc sale dal 38 al 42 per cento, il Pci scende dal 35 al 26. Successo dei socialisti che guadagnano il 4 per cento. Un risultato sconvolgente (in positivo). Uniche delusioni: il guadagno – sia pur minimo – del Pri, e la mancata rianimazione del Pli. (15 maggio 1978) *Firmato oggi l'accordo con la Sipra. Minimo garantito: 6.800.000.000 all'anno per cinque anni. Il presidente, D'Amico, è un ex operaio della Fiat, ora deputato comunista: un uomo concreto, franco, di poche parole. Era più soddisfatto lui dell'accordo con noi, che il direttore generale, il democristiano Pasquarelli. Io ho fatto la mia parte, da buon attore. Arrivato all'ultimo momento, ho detto: «Per impedire ripensamenti ed equivoci, trasformiamo il compromesso in vero e proprio contratto, e firmiamo subito». Lo champagne era già pronto. (16 maggio 1978) ==''I protagonisti''== *Nel settembre di quell'anno {{NDR|1956}} il partito lo spedì {{NDR|[[Gian Carlo Pajetta]]}} a Mosca insieme a Pellegrini e a [[Celeste Negarville|Negarville]] per sentire direttamente da [[Nikita Sergeevič Chruščёv|Kruscev]] come ci si doveva comportare nella crisi, ormai aperta, dell'antistalinismo. Kruscev li accolse affabilmente, li invitò a cena. E qui, trascinato da bocconi e libagioni ad una espansiva euforia come spesso gli capita, a un certo punto disse: «Beh, ora vi voglio raccontare come strangolammo [[Lavrentij Pavlovič Berija|Beria]]». E descrisse l'agguato che gli avevano teso al Cremlino, come gli erano saltati addosso e come gli avevano serrato la gola con le mani fino alla soffocazione. Lo descrisse ridendo allegramente, forse senz'accorgersi del pallore che soffondeva il volto dei suoi ospiti, o per lo meno quelli di Pajetta e di Negarville.<br />L'indomani li convocò nuovamente e, come non ricordando affatto ciò che gli aveva raccontato la sera prima, disse loro in tono solenne: «Beh, ora vi farò sentire il processo di Beria registrato sul nastro». E glielo fece sentire davvero come lo avevano inventato ''post mortem'', con la voce del defunto falsificata.<br />Quando si ritrovarono fra loro, Negarville e Pajetta si guardarono con gli occhi pieni di lacrime. «Ma allora – dissero –. Ma allora...». E non aggiunsero altro. (pp. 66-67) *{{NDR|Su [[Anna Magnani]]}} Ci sarebbe da scrivere un trattato sul modo di usare Anna. La prima precauzione da prendere è quella di non farla ritrovare in mezzo a estranei. Timida com'è, pur dopo un'esistenza trascorsa sotto i ''flashes'', la gente la raggela e la chiude in un mutismo ostile o l'aizza ad atteggiamenti protervi. Delle poche persone che le ho presentato, l'unica che la sedusse immediatamente fu il mio collega [[Augusto Guerriero]], perché il discorso cadde sui cani e sui gatti: e questo è un argomento su cui il cuore di Anna si scioglie e la mente le si ottenebra. Si mise in testa che noi due, con un articolo, potevamo far riformare la legge sulla protezione degli animali. E invano cercammo di dimostrarle che il problema non era di leggi, ma di costume. Non sentì ragioni. Dovemmo prometterle l'articolo (che poi infatti scrivemmo). (pp. 177-178) *{{NDR|Su [[Ignazio Silone]]}} Leggendo i suoi primi romanzi, ''Fontamara'', ''Pane e vino'', ''Il seme sotto la neve'', e pur ammirandoli, ero caduto in abbaglio sull'autore. Lo avevo preso per uno di quegl'industriali dell'antifascismo che, riparati all'estero, avevano trovato nella universale avversione alla dittatura una comoda scorciatoia al successo dei libri di denunzia. Lo consideravo insomma un profittatore del regime a rovescio (come del resto ce ne sono stati). E una conferma mi era parso di vederla nel fatto che finito, col fascismo, l'antifascismo, parve finito anche il narratore Silone.<br />Poi vennero ''Una manciata di more'', ''Il segreto di Luca'', ''La volpe e le camelie''. Ma vennero soprattutto alcuni saggi politici che mi costrinsero a ricredermi. Ed era proprio questo che non riuscivo a perdonargli. Mi era antipatico non per i suoi, ma per i miei errori. Più lo conoscevo attraverso i suoi scritti, e più dovevo constatare che non solo egli non somiglia affatto al personaggio che m'ero immaginato, ma che anzi ne rappresenta la flagrante contraddizione. (pp. 180-181) *{{NDR|Su ''[[Ignazio Silone#Uscita di sicurezza|Uscita di sicurezza]]''}} Come documento umano, non ne conosco di più alti, nobili e appassionati. Fenomeno unico, o quasi unico, fra gli sconsacrati del comunismo che di solito non superano mai più il trauma e trascorrono il resto della loro vita a ritorcere l'anatema, Silone non recrimina. Egli rifiuta i grintosi e uggiosi atteggiamenti del moralista, o meglio ne è incapace. Domenicano con se stesso, è francescano con gli altri, e quindi restio a coinvolgerli nella propria autocritica. Cerca di metterne al riparo persino [[Palmiro Togliatti|Togliatti]]; e se non ci riesce che in parte, non è certo colpa sua. Qui non c'è che un accusato: Silone. E non c'è che un giudice: la sua coscienza. (pp. 186-187) *Noi crediamo di scoprire dei modelli. In realtà non scopriamo che degli antenati. [[Carlo Cassola|Cassola]] s'illude di aver imparato da [[James Joyce|Joyce]] quello che già sapeva. Joyce gli avrà fornito, al massimo, qualche mezzo tecnico per esprimerlo. Uno [[scrittore]] vero (e Cassola lo è) non cerca in un altro scrittore che se stesso. (p. 207) *{{NDR|Su [[Enrico Mattei]]}} Egli amava solo il [[potere]], e l'amore del potere esclude tutti gli altri. (p. 265) *{{NDR|Su [[Giulio Andreotti]]}} Andava anche, mi dicono, a messa insieme a lui {{NDR|[[Alcide De Gasperi|De Gasperi]]}}, e tutti credevano che facessero la stessa cosa. Ma non era così. In chiesa, De Gasperi parlava con Dio; Andreotti col prete. Era una divisione di compiti perfetta. (pp. 271-272) ====''Il meglio di «Controcorrente»''==== *Il «comitato permanente antifascista» di Milano ha deciso di chiedere un «riconoscimento» per tutti coloro che sono stati «coinvolti direttamente nella strategia della tensione a partire dal 1º gennaio 1969». Ci risiamo. Tutta la nostra vita è stata angosciata e angariata dagli antemarcia: prima quelli del Littorio, poi quelli della Resistenza, ed ecco che ora spuntano quelli della «tensione». Longanesi aveva ragione: in questo Paese, reduci si nasce. (p. 47) *Agli alunni della terza classe (anni otto-nove) della scuola elementare di via Pisani, Milano, è stato assegnato il seguente problema: «Mario, Gino e Beppino sono i capi della banda. Mario dice a Gino che la banda ha quasi esaurito le munizioni: rimangono solo 5 cassette con 130 pallottole per cassetta. Quante pallottole rimangono?». Debolucci come siamo, in aritmetica, non lo sappiamo nemmeno noi. Ma ci pare che una per l'insegnante e una per il ministro Malfatti ci dovrebbero ancora essere. (p. 79) *Il messaggio di addio che il dimissionario capo dello Stato ha detto alla televisione e che anche noi pubblichiamo, è ineccepibile. Esso dà del presidente [[Giovanni Leone|Leone]] un'immagine che non fa una piega: un galantuomo all'antica, padre di una famiglia esemplare, ingiustamente calunniato da una stampa irresponsabile. Siamo sicuri che tutto questo si può dire di Leone. Ha un solo difetto: che a dirlo è stato Leone. (p. 84) *A Roma, nonostante tutte le ricerche fatte, non è stato possibile trovare un locale disponibile per un convegno di radicali. Non ce n'era uno abbastanza piccolo per contenerli tutti. (p. 103) *In un convegno su «Terrorismo e informazione», a Roma, è stato unanimemente riconosciuto che il [[segreto istruttorio]] in Italia non esiste. Lo trasgrediscono tutti. Non solo giornalisti e avvocati – e ancora passi – ma perfino magistrati che anticipano e propalano, il più delle volte per farne strumento politico, notizie riservate. «È il segreto di Pulcinella» si è lamentato il procuratore capo della Capitale, De Matteo. È vero. Ma Pulcinella non era giudice. E i giudici non dovrebbero essere Pulcinella. (p. 104) *Solo il tempo non perde tempo, diceva [[Jules Renard|Renard]]. E così, a furia di annunciarne i cambiamenti, il tempo è passato anche per il colonnello [[Edmondo Bernacca|Bernacca]], che ora deve rassegnarsi alla pensione. Peccato. Gli dobbiamo parecchi raffreddori e reumatismi. Ma nessuno riuscirà meglio e con più grazia di lui a farci capire ed accettare l'inutilità della meteorologia. (p. 108) *Qualcuno teme – e qualche altro spera – che l'Afghanistan diventi il Vietnam dei russi. Niente paura, in Afghanistan non ci sono giornalisti. (p. 112) *Quella del ''Corriere'' non è una situazione invidiabile: il direttore in congedo per l'affare della P2, manager ed articolisti contestati per lo stesso motivo, il maggiore azionista in galera, accusato di reati valutari, montagne di debiti, trasparenza della proprietà limpida come un mare in burrasca. Ci sarebbe davvero da mettersi le mani nei capelli. Se non fosse un giornale di [[Roberto Calvi|Calvi]]. (pp. 125-126) *Quando leggiamo «ministro senza portafoglio», ci viene sempre un dubbio. Che glielo abbia rubato qualche collega? (p. 146) *L'[[Organizzazione per la Liberazione della Palestina|Olp, Organizzazione per la liberazione della Palestina]], è stata ammessa con voto unanime, anche se provvisoriamente, nel Comitato olimpico asiatico. Non sapevamo che il lancio della bomba fosse diventato una disciplina atletica. (pp. 171-172) *A suo tempo imprigionato dagl'israeliani per complicità col terrorismo palestinese, e liberato per l'intervento del Vaticano con l'impegno di astenersi dalla politica, l'Arcivescovo libanese di Gerusalemme [[Hilarion Capucci]] ha dichiarato in un'intervista all'''Europeo'' che i rivoltosi di Gaza e della Cisgiordania non ricevono ordini da nessuno: «Li prendono solo da Dio, loro unico leader». Lo abbiamo sempre detto, noi: a grattare un arabo, anche se cristiano e Monsignore, viene fuori un Ayatollah. Ma forse non c'è neanche bisogno di grattare. (p. 184) *Da Praga [[Bettino Craxi]] proclama che «bisogna liberare l'Italia da Falci e Martelli». Benissimo. Ma chi è Falci? (p. 206) *[[Pino Rauti]] è intenzionato a candidare un africano alle elezioni comunali fiorentine. Più che giusto: il nero si addice al Msi. (p. 209) *Per evitare pubblicità attorno al caso di [[Angelo Peruzzi|Peruzzi]] e [[Andrea Carnevale|Carnevale]], i due giocatori giallo-rossi risultati positivi all'antidoping, il presidente della Roma, [[Dino Viola]], ha deciso di portare tutta la squadra in ritiro. A San Patrignano. (p. 216) *Secondo ''La Notte'' di ieri – che riferisce dichiarazioni d'un capo della Jihad islamica, Ibrahim Serbell – i terroristi arabi hanno nel loro mirino, per quanto riguarda l'Italia, «uomini politici, aeroporti e alcuni obiettivi strategici». Siamo molto preoccupati per gli aeroporti e gli obiettivi strategici. (p. 220) *La fantapolitica non è il nostro esercizio preferito. Ma ci chiediamo che cosa succederebbe se, con un colpo alla Moro, i terroristi si impadronissero di Cossiga e lanciassero al governo il ricattatorio ultimatum: «Se non ci date cento miliardi, lo liberiamo». (p. 228) *Malgrado tutto (e per tutto intendiamo proprio tutto), [[Moana Pozzi]] non è riuscita ad entrare a Montecitorio. Peccato. È l'unica Camera che non potrà dire di aver frequentato. (p. 236) *Sull'''Unità'' è comparsa la lettera di un deputato che, pericolosamente sfiorato da un motociclista, invoca drastiche misure penali contro i «teppisti al volante». Ci associamo alla proposta. L'unica cosa che ci sconcerta è la firma del proponente: è quella dell'onorevole [[Mario Gozzini]], autore della famosa legge che in pratica vorrebbe l'indulgenza plenaria per qualsiasi reo e reato. (p. 244) ==''Il testimone''== *Per restituire efficienza e prestigio alla polizia, bisogna prima restituirli allo Stato. E in che condizioni lo Stato italiano sia ridotto, tutti lo sappiamo e lo vediamo. Dovrebbero vederlo e saperlo anche i nostri uomini politici, e trovare il coraggio di riconoscerlo pubblicamente, invece di occultare la verità dietro la cortina fumogena di dichiarazioni pompose e altisonanti sulla «saldezza delle istituzioni» e simili. Furono questi proclami retorici e vuoti a provocare la bordata di fischi che accolse a Brescia [[Giovanni Leone|Leone]] e [[Mariano Rumor|Rumor]] all'indomani della strage. [...] La gente è stanca di una politica che cerca ma non trova, di una magistratura che istruisce ma non giudica, e soprattutto di partiti che strumentalizzano i morti per la loro propaganda politica. Con questi sistemi non si ricostruisce la fiducia. Si rende obbligatoria la sfiducia, condizione e prefazione della resa. (p. 33) *La Lombardia seguita a sfornare energie di prim'ordine. E da tutta Italia coloro che, come i soldati di Napoleone, credono di portare nel loro zaino il bastone di maresciallo, continuano a fare di Milano la loro mecca. Le difficoltà fra cui si dibattono sono molto più ardue di quelle che affrontano i loro predecessori per fare le fortune proprie e quelle di Milano. Ma la più ardua di tutte è il riciclaggio dei valori morali. Se Milano non restaura il culo dell'uomo, della sua iniziativa, del suo coraggio, del suo orgoglio di costruire, di rischiare e di vincere, e se non restituisce il premio a queste virtù, tanto vale che si arrenda allo Stato, al parastato e al sindacato, e si rassegni a diventare il ''bazar'' di un'Italia da terzo mondo. (p. 69) *Chi sia, cosa voglia e cosa valga Rizzoli, non c'interessa. C'interessa solo l'operazione cui egli presta il nome e il braccio (la mente lasciamola stare). Il tentativo di fare di Rizzoli, coi soldi del contribuente, l'editore del regime, è chiaro. E se di lui si vuol fare l'editore del regime, è altrettanto chiaro che si punta a una stampa di regime. Ma di quale regime? Evidentemente di un regime bisognoso di quei silenzi che solo una stampa di regime, affiancata da una RAI-TV di regime, può garantire. Se l'operazione riesce, caro lettore, dovremo dirci addio, perché per le voci libere e indipendenti non ci sarà più posto. Per soffocarle, non è necessaria nemmeno una legge: basterà lasciar aumentare il costo del prodotto bloccandone il prezzo. (p. 80) *Frondista sotto il fascismo, ribelle sotto la democrazia, Longanesi rimase sempre lo stesso. Il suo sogno sarebbe stato di fare l'anarchico in un regime autoritario borghese. Una volta lo condussi a parlare di un vecchio artigiano toscano, che diceva di essere stato in Russia a organizzare complotti e a fabbricare bombe contro lo zar. A tal punto Longanesi si entusiasmò di lui da rifiutare i miei sospetti sull'autenticità della storia. «È vera, è vera», diceva: «non hai sentito con che effetto e rimpianto parlava dello zar? L'affetto e il rimpianto del vero anarchico che, quando c'era lo zar, saoeva almeno contro chi buttare le bombe.» Ed era chiaro che anche lui rimpiangeva lo zar, per gli stessi motivi. (pp. 103-104) *In Italia i rappresentanti del popolo non sono popolari. Nessuno, nemmeno fra quelli che raccolgono centinaia di migliaia di voti, è veramente amato e rispettato. [...] I rappresentanti del popolo non parlano quasi mai col popolo. Parlano solo col partito, cioè fra loro, in un linguaggio ermetico che dà corpo ai peggiori sospetti. E in più c'è il borbonico attaccamento agli orpelli del potere. Questi capi di Stato e di governo, questi ministri [...] è fatale che agli occhi della gente appaiano come ''loro'', e ne subiscano le conseguenze. Non la si prenda per una dichiarazione di fede antirepubblicana. Ma [...] l'uccisione di [[Umberto I di Savoia|Umberto I]] che, come re, era il supremo dei ''loro'', sollevò un'ondata di commozione popolare più diffusa e spontanea di quella suscitata dal brutale sequestro di [[Aldo Moro|Moro]] (p. 114) *Sui feretri di coloro che sono caduti per ragioni ideologiche hanno diritto di sventolare solo le bandiere dei rispettivi partiti, e bisogna riconoscere che quelle della Democrazia cristiana possono vantare precedenza. Su quelli di tutti gli altri – magistrati, poliziotti, carabinieri, guardie e medici di carcere – può e deve sventolare solo il tricolore, se in qualche soffitta ce ne sono ancora degli scapoli. Il tempo delle usurpazioni e delle confische è finito. A ciascuno il suo. (p. 137) *In Germania c'è una norma statuaria che vieta di rovesciare un governo se prima non si sia trovata la maggioranza per formarne un altro. Da noi, ogni limitazione alla spensieratezza è considerata antidemocratica. Come diceva Longanesi: «Chi rompe, non paga, e siede al governo». (p. 161) *In questi venticinque anni, Kekkonen si è adoperato a «finlandizzare» la Finlandia: non aveva altra scelta, e c'è riuscito. La Finlandia è l'unico satellite dell'URSS in cui le fondamentali libertà democratiche sono rispettate, e di cui la porta è rimasta aperta all'Occidente. Ma non credo che questo miracolo sia dovuto solo a lui. Esso è dovuto soprattutto alla Finlandia e a quello che nel suo giovanile estremismo nazionalista egli stesso aveva chiamato «l'inutile sacrificio». Quel sacrificio fu invece utilissimo. È grazie a esso che la Finlandia non ha seguito la sorte degli altri tre Paesi Baltici – Estonia, Lettonia e Lituania –, ormai cancellati dalla carta politica dell'Europa. (p. 195) *Non vengano i sociologi a ripeterci la solita filastrocca che la mafia non è colpa di nessuno, neanche dei mafiosi, ma solo delle «strutture» e della povertà. Forse un tempo era così: il tempo in cui la mafia aveva qualche diritto di fregiarsi del titolo di «onorata società», e anche se avesse ammazzato un [[Carlo Alberto dalla Chiesa|Dalla Chiesa]], avrebbero risparmiato sua moglie. Oggi la mafia naviga nell'oro, e forse Dalla Chiesa è morto proprio perché aveva messo le mani su certe carte che riguardano finanziamenti per 880 miliardi ad aziende ancora più fantomatiche del Banco Andino di calvesca memoria. Il che dovrebbe indurci a qualche riflessione sui contributi che lo Stato fornisce alla Regione siciliana per aiutare l'isola a recuperare i suoi «ritardi». (pp. 215-216) *C'è chi chiede il rigore nella lotta all'inflazione, c'è chi lo chiede in quella della disoccupazione, c'è perfino chi lo chiede nello sviluppo dell'assistenzialismo. [[Guido Carli]] [...] ha detto ch'esso va applicato principalmente alla spesa pubblica, da contenersi entro l'invalicabile limite della «sopportabilità»: cosa su cui tutti hanno convenuto, essendo questo [...] il rigore che più piace agl'italiani (oltre quelli che gli arbitri di calcio assegnano in favore della squadra di casa). (p. 222) *La colpa dei Paesi sviluppati non è di far troppo poco per quelli di sottosviluppo, ma di farlo male. Qualcuno ha riassunto la lezione dei fatti nella massima: «Non date il pesce alla gente affamata; insegnatele a pescarlo». Ma per questo i miliardi non bastano: ci vogliono i missionari alla [[Marcello Candia]] e alla [[Madre Teresa di Calcutta|Suor Teresa di Calcutta]], molto più difficili da stanziare. Comunque, una cosa bisogna esigerla: l'eliminazione delle strozzature che impediscono agli aiuti di arrivare a chi ne ha veramente bisogno. Oggi come oggi, essi si fermano regolarmente sulle mense e nelle tasche di politici e burocrati delle nuove satrapie. Ma nella legge varata ieri non mi sembra che ci sia accenno allo smantellamento di questo perverso sistema. Che l'amministrazione di quei millenovecento miliardi [...] sia affidata a un sottosegretario invece che a un commissario, non mi pare una gran trovata. Si tratterà [...] del solito carrozzone lottizzato fra partiti, che farà presto a intendersi, via mance e bustarelle, coi carrozzoni dei Paesi da soccorrere. (pp. 257-258) *La [[Resistenza italiana|Resistenza]] un grande servigio all'Italia lo rese: ci procurò un notevole ribasso sul conto della sconfitta. Senza la Resistenza, non c'è dubbio che avremmo pagato molto più caro il nostro dissennato intervento a fianco della Germania. [...] Essa ha tutti i titoli per essere ricordata. Ma come la fine di una lunga sconfitta, la chiusura del capitolo più nero della nostra storia unitaria; non come il coronamento di una radiosa vittoria. Noi non ci liberammo; fummo liberati, L'aiuto – modestissimo, sul piano militare – che con la Resistenza demmo ai liberatori merita la gratitudine di tutti i disastri che ci risparmiò e le indulgenze che ci procurò al tavolo della pace. Ma la pretesa di confonderci coi vincitori, e perfino di parlare in loro nome, non può tirarci addosso che disprezzo e sarcarmi. (pp. 266-267) *Per Menichella, la ricostruzione e il grande decollo industriale erano possibili a una condizione: la stabilità della moneta. I capitali per gl'investimenti dovevano essere attinti non alla Zecca, ma al risparmio, che in caso contrario sarebbe stato distrutto dall'inflazione. E per accumulare il risparmio non c'era che una ricetta, la solita: lavorare di più e consumare di meno. Lo accusarono di rozzezza, di passatismo, lo tacciarono di «guardia bianca del capitalismo» che voleva «arricchire i padroni sulla pelle degli operai» [...] e un tenore della sinistra giunse a definirlo «un analfabeta dell'economia». E niente poteva essere più menzognero. Menichella aveva una preparazione di ferro. Di economia sapeva tutto. Solo lo traduceva [...] in un linguaggio spicciolo e sempre rapportato al concreto. I fatti gli diedero ragione. Ricostruzione e stabilità monetaria camminarono di pari passo; l'Italia raggiunse il ''boom'' nel momento in cui la lira si guadagnava l'Oscar. (p. 282) *Noi che laici siamo sul serio, non abbiamo nessuna nostalgia dello Stato crispino che credeva di fare del laicismo silurando i prefetti che andavano a messa e destituendo il sindaco di Roma per un atto di omaggio al Papa. Come non ne abbiamo per una Chiesa che umiliava padre Tosti e il vescovo Bonomelli, costringendoli a pubblici atti di contrizione per avere avanzato proposte di conciliazione. Uno dei motivi, forse il maggiore, per cui amammo e rispettammo De Gasperi è per la peitra tombale che ci sembrava avere messo su questo passato, dimostrando col proprio esempio come si possa essere insieme il più cattolico degl'italiani e il più italiano dei cattolici. [...] Non abbiamo titoli né qualifiche per rivolgerci al Papa. Ma se potessimo, gli porremmo una sola domanda che non dovrebbe [...] dispiacergli. Gli chiederemmo se per essere insieme buoni patrioti e buoni cattolici sia proprio indispensabile nascere polacchi. (pp. 306-307) *[[Walter Cronkite|Cronkite]] non ebbe mai dubbi sulla «obbiettività» delle sue immagini. «Parlano da sole», diceva. E in un certo senso è vero. [...] In questo lavoro di montaggio [...] fu un vero maestro. Come lo è stato nell'arte delle omissioni. Perché l'immagine del colonnello che sparava alla tempia del vietcong diceva, sì, la verità. Ma taceva, ignorandola, quella dello sfondo su cui la scena si svolgeva: il suolo tappezzato dai cadaveri seviziati dei ''marines'' sorpresi nel villaggio, delle donne sventrate e dei bambini abbruciacchiati per sospetto di collaborazionismo: tutte immagini che non avrebbero tolto nulla alla verità di quella della pistola sparata alla tempia, ma l'avrebbero spiegata sminuendo l'effetto dell'errore e del capriccio. Così come sono vere, verissime, le sequenze [...] della ritirata (si fa per dire) degli americani da Saigon: roba che quasi rivaluta l'8 settembre italiano, da arrossire di vergogna nei secoli. Peccato che Cronkite non abbia fatto riprendere le scene che contemporaneamente si svolgevano nelle strade della città via via che i ''liberatori'' del Nord vi s'inoltravano: roba da impallidire di orrore anche oggi. [...] Cronkite seguita a dire che la verità sul Vietnam è la sua. Ma è rimasto il solo a dirlo. Tutti i suoi ''fans'' lo hanno abbandonato e rinnegato. Compresa [[Jane Fonda]], che da cacciatrice di streghe e pasionaria del colpevolismo si è trasformata in missionaria del pentitismo e invoca il perdono dei reduci battendosi il petto. Con la stessa sincerità e buona fede, credo, con cui prima li indicava al crucifige. [...] È vero, putroppo, che la sorte del Vietnam fu decisa dalle «patacche» di Cronkite. In fatto di mestiere, possiamo imparare tutto da lui. Ma in fatto di verità, nulla. Salvo l'arte di contraffarla con l'aria di servirla (pp. 328-329) *Conosciamo dei comunisti che nel comunismo ci hanno creduto sul serio, e forse tanto più ciecamente quanto più bisognava essere ciechi per continuare a crederci. Sono quelli che l'abiura se la tengono in corpo, e che non imprecano contro l'idolo infranto. Sappiamo benissimo che, se avessero vinto, in nome di quell'idolo ci avrebbero, sia pure a malincuore, impiccati. Ma oggi il loro silenzio c'incute il più grande rispetto. Non altrettanto ne proviamo per i cosiddetti «emergenti» che, per continuare a emergere, inneggiano a tutto: alle macerie del Muro, alla perestroika, alla libertà, perfino al capitalismo, e si atteggiano a precursori e battistrada di questa totale, anzi totalitaria palinodia. Ma si tratta di una truffa bell'e buona. (pp. 343-344) *L'Expo è una grande abbuffata. E quando sono in gioco migliaia di miliardi, l'importante non è vincere; è partecipare. Che Venezia venga ridotta a un luna-park per la gioia a un luna-park per la gioia delle torme di straccioni (trenta milioni, secondo i preventivi più cauti) che la sommergerebbero rinnovando e centuplicando l'alluvione dei Pink Floyd era – ed è – per i fautori dell'Expo un'obbiezione facilmente superabile col discorso del Grande Progetto. [...] Venezia [...] appartiene al mondo, o per lo meno alla cultura di quello occidentale, di cui invochiamo [...] l'intervento per salvarla da quella masnada di locuste impazzite, disposte a farne un incrocio tra Las Vegas e Disneyland. (pp. 357-358) *[[Corrado Carnevale|Carnevale]] [...] ha dichiarato in un'intervista [...] che la notte non ha bisogno di sonniferi perché, nei confronti della Legge, la sua coscienza è a posto. Ci crediamo senz'altro. Ma se si ponesse la stessa domanda nei confronti della Giustizia, mi domando se i suoi sonni sarebbero altrettanto tranquilli. E tuttavia ci rendiamo conto che questa domanda non se la porrà mai, e anzi gli sembrerà del tutto stravagante. Perché, per un magistrato italiano, la Legge con la Giustizia non ha nulla a che fare. (pp. 387-388) *Dopo la liberazione, [[Luigi Durand de la Penne|de la Penne]] fu tentato dalla politica, e andò alla Camera prima sotto la bandiera democristiana, poi sotto quella liberale. In realtà, di bandiere, de la Penne non conosceva né riconosceva che il tricolore, e sperava ancora una volta di servirlo propugnando una riforma delle forze armate che le adeguasse alle nuove esigenze. Ma quando si accorse di non riuscire a combinar nulla, si ritirò; aveva capito che questi sono tempi per uomini di mare alla Accame, non alla de la Penne. Non fece mai l'eroe. [...] Ora, se qualcuno mi domanda perché ho dedicato alla sua scomparsa uno di quegli editoriali che di solito si riservano solo agli avvenimenti e ai personaggi della politica, rispondo che l'ho fatto per meglio sottolineare che per me e per gli uomini di questo giornale gli eroi delle guerre perdute non sono meno rispettabili e ammirevoli di quelle delle guerre vinte. E, in ogni caso, meritano il posto d'onore del giornale ben più dei personaggi di cui siamo costretti ogni giorno a interessarci. (p. 402) ==''Indro al Giro''== ===[[Incipit]]=== Il destino è stampato sulla carta d'identità e scritto nelle stelle. Indro Montanelli nasce il 22 aprile 1909, il primo Giro d'Italia prende il via il 13 maggio 1909. Stesso anno, stesso segno zodiacale: Toro. Potevano, queste due creature quasi gemelle, non percorrere un tratto di strada insieme? Potevano ignorarsi? ===Citazioni=== *Come i bersaglieri quando smettono di correre, così i ciclisti, quando cessano di pedalare ingrassano. *Il [[Giro d'Italia]] parla milanese, anche se poi, a vincerlo, è qualche toscano o qualche romagnolo. *I corridori sono come [[Anteo]]: il contatto con la loro terra gli dà forza. *Ma sapete voi con precisione che cosa sia una fuga, lo sapete? Non lo sapevo nemmeno io prima di vederla. Credevo che fosse l'uomo che, a un certo punto, si mette a pedalare più forte degli altri e li semina per via. Errattissima nozione. La fuga è invece un grande urlo e un gesto disperato che mettono d'improvviso in confusione tutta la carovana del Giro. *Quello della bicicletta è un mondo buono: e credo sinceramente che venga da questa bontà il fascino ch'esso esercita sulle folle. *Lasciatelo com'è questo Giro provinciale e festoso: lo sport di un popolo che, nella corsa verso il progresso meccanico, è rimasto alla bicicletta, tappa intermedia fra il cavallo e l'automobile, ritrovato artigiano e arnese di famiglia. *Se Parigi avesse il mare sarebbe una piccola Bari, ma non saprebbe accogliere i forestieri con tanto calore e sportiva cordialità. *Leoni, che oltre a tutto è un bellissimo ragazzo, ha una fidanzata la quale gli scrive raccomandandogli di non vincere, altrimenti troppe ragazze lo abbracciano porgendogli i fiori. Leoni è innamoratissimo della sua fidanzata ma non è certo per obbedire a lei che non vince. È solo per obbedire a [[Fausto Coppi|Coppi]] e restargli a fianco. *Gli assi possono permettersi di arrivare ultimi. E lo fanno senza risparmio. Possono permettersi di disprezzare i loro adoratori e lo fanno senza ritegno. L'adorazione rimane. *I corridori di bicicletta sono gente semplice, che non è mai stata in collegio. [...] Nessuno ha insegnato loro i dettami dello stile e della cavalleria. Li posseggono per natura. Difficilmente essi cercano di sminuire la vittoria dell'avversario e non gliene serbano rancore. Sono capaci di delicatezze che non credo esistano negli altri sport. *I corridori non si dovrebbero sposare; e, quando lo fanno, dovrebbero scegliere delle donne brutte. *È la specialità dei padri quella di sognare per i figli i trofei che loro non convengono, ed è la specialità dei figli quella di procurarsi trofei che ai loro padri non piacciono. ==''La stecca nel coro''== ===[[Incipit]]=== Non è questa la sede per rifare la storia del ''Giornale''. Ma voglio ricordare ai vecchi lettori e a spiegare a quelli nuovi ch'esso non fu un giornale, ma una battaglia, di cui può essere istruttivo ricostruire gli episodi. Quelli, decisivi, degli anni Settanta e Ottanta, in questa raccolta ci sono tutti, chiosati. E di queste chiose, ho l'immodestia di dire che non ce n'è una di cui debba pentirmi nemmeno ora che i pentimenti vanno di moda, anzi sembrano diventati un genere di prima necessità. Questa raccolta è dedicata a tutti i miei compagni di lavoro, defunti e sopravvissuti, italiani e stranieri, che condivisero con me i rischi (e ce ne furono) di questa avventura, la più bella di tutta la mia carriera di giornalista, e ai lettori che ci permisero di combatterla. Anche se tuttora ignoro se l'abbiamo vinta o persa. ===Citazioni=== *Anche a detrarne tutto ciò che vi avrà aggiunto la propaganda di parte, crediamo che di soprusi, sopraffazioni e sangue ce ne siano stati abbastanza, nel regime dei colonnelli, per giustificarne l'incriminazione. Tuttavia vorremmo che accanto a loro, sul banco degli accusati, venissero chiamati anche Papandreu e altri campioni del massimalismo piazzaiolo e di certo radicalismo snob, per spiegare ai giurati e alla pubblica opinione, non soltanto di Grecia, come mai i colonnelli giunsero al potere senza sforzo e senza sforzo lo conservarono fino a quando per propria insipienza lo persero. Solo così il processo acquisterebbe un senso, oltre quello della pura vendetta. Le colpe dei vari Ghizikis e Papadopulos non ne risulterebbero affato sminuite. Ma finalmente si capirebbe che i colonnelli non sono dei trovatelli e che per impedire i golpe non c'è che un sistema: far funzionare la democrazia. [...] Non auguriamo la forca a nessuno. Ma se ungiorno qualche colonnello dovesse venirvi appeso, speriamo che ai Papandreu sia almeno proibito di partecipare alla festa. Perché i veri padri del golpe, le Circi che tramutono i colonnelli in dittatori, furono loro. (pp. 15-16) *Rivendicato il diritto alla scelta, gli elettori portoghesi l'hanno espressa con chiarezza lampante. Hanno votato per l'Occidente, per un Portogallo che sia socialmente più giusto di quello uscito dalla penombra salazariana, ma che rimanga saldamente ancorato all'Europa libera, alle sue alleanze, agli ideali della democrazia senza virgolette e sottintesi: una democrazia di cui i militari, con l'aiuto dei loro reggicoda comunisti, potranno conculcare le libertà fondamentali, ma coi carri armati, non in nome del popolo. [...] Due piccole nazioni, il Portogallo e la Grecia, uscite entrambe dalla prova di regimi dittatoriali, hanno votato, a breve distanza l'una dall'altra, con esemplare equilibrio, senza cedere alle tentazioni ed ai miti delle catarsi rivoluzionarie. È una grande lezione per altri Paesi che, avendo assaporato la libertà da molti anni, sembrano smaniosi soltanto di perderla. (pp. 44-45) *Per formare la maggioranza, la Dc non ha più a disposizione le tre forze laiche su cui De Gasperi fondò i suoi più fortunati e redditizi Governi: se i repubblicani hanno alla bell'e meglio temuto, liberali e socialdemocratici sono stati spazzati via. Occorrerebbero i socialisti, ma costoro hanno già dichiarato di non essere disponibili a maggioranze che escludano i comunisti. [...] Che razza di democrazia verrebbe fuori da un'ammucchiata totalitaria di queste tre forze che lasciasse l'opposizione al Movimento sociale, Dio solo lo sa. [...] I milioni d'italiani che [...] hanno votato Dc, lo hanno fatto ''unicamente'' perché la Dc si è presentata come il ''no'' al comunismo. Mai come stavolta il patto tra candidato ed elettore è stato così esplicito. Se lo ricordino bene i professionisti del tradimento [...]. Come li abbiamo aiutati a vincere, saremo i primi a denunciarli con nome e cognome. Il tempo delle deleghe in bianco è finito. Dando le – «preferenze» come noi avevamo suggerito –, il ciattadino stavolta sa per ''chi'' ha votato, e lo tiene personalmente responsabile. (p. 78) *Cosa vuol dire […] «gli chiediamo fino a che punto si spinge il suo disaccordo con la proposta di unità e di collaborazione democratica che noi avanziamo e sosteniamo, se al suo disaccordo c'è il limite fissato della difesa e della sopravvivenza del quadro costituzionale e repubblicano?» Vuol forse dire, senza dirlo, che chi si oppone a questa proposta, cioè in parole povere chi si oppone al compromesso storico, si mette automaticamente fuori da quel quadro e va considerato un eversore? Capisco che, a furia di praticarlo […] questo giuoco del fuorigiuoco sia diventato per voi un vizio. […] Ma stavolta l'impresa è più ardua del solito: non sono molti gl'italiani disposti a credere che rifiutare i comunisti al Governo significa rifiutare la democrazia e a considerare chi lo fa alla stregua di un killer o di un pistolero (pp. 104-105). *Noi non chiediamo la legge marziale. Basta la rivalutazione materiale e morale di quelle forze dell'ordine, i cui sacrifici sono stati fin qui regolarmente pagati ripagati con stipendi da fame, castighi disciplinari e campagne denigratorie. Basta insomma che sia affermato nei fatti, e non soltanto nelle parole, il supremo impegno a trattare il terrorismo come va trattato: in termini di scontro, non di «confronto». Faccia a faccia. Lo Stato italiano non può chiedere fermezza ai cittadini, se non ne dà esso stesso l'esempio. Spietatamente, quando occorre. E in questo caso occorre. (p. 119). *Noi […] non possiamo pronunciarci in favore di [[Marco Pannella|Pannella]]: egli giuoca in un campo che non è il nostro. Ma quattro cose dobbiamo dire, da avversari, di questo anomalo personaggio. La prima è che Pannella è [...] un personaggio su una scena politica popolata quasi esclusivamente di comparse e coristi. La seconda è che i suoi digiuni sono autentici e le sue tasche autenticamente vuote. La terza è che, se domani ci sarà un regime – ipotesi che si fa sempre più possibile – all'opposizione di questo regime ci saremo solo noi e Pannella, socio scomodo, ma di tutta affidanza. E infine dobbiamo riconoscere che fra noi e lui c'è [...] un fatto di sangue. Anche se scatena la sua buriana da sinistra facendo d'ogni erba un fascio […] e chiama la sua gente «compagni», ricordiamoci che Pannella è figlio nostro, non loro. Un figlio discolo e protervo, un giamburrasca devastatore che dopo aver appiccato il fuoco ai mobili e spicinato il vasellame, è scappato di casa per correre le sue avventure di prateria. Ma in caso di pericolo o di carestia, ve lo vedremo tornare portandosi al seguito mandrie di cavalli e di bufali selvaggi, quali noi non ci sogneremmo mai di catturare e domare. Questo è Pannella. Voti non possiamo dargliene. Ma ci auguriamo che sia lui a mietere quelli che non ci appartengono. (pp. 156-157) *Noi siamo contrari alle leggi speciali. Ma proprio per non dovervi ricorrere, siamo per l'applicazione più dura e risoluta di quelle vigenti. La Costituzione per esempio non prescrive che l'Italia ospiti, senza possibilità di esercitare su di essi alcun controllo, centinaia di migliaia di stranieri dal passato incerto, e tavolta fin troppo certo. E le Forze dell'ordine non possono essere condannate a giuocare eternamente «di rimessa» [...]. In queste condizioni, non si lotta. Si subisce soltanto. Ed è di questo che il Paese non vuol più sapere. [...] Ci risparmino i discorsi sulla bara di [[Vittorio Bachelet]]. [...] Il funerale di Stato, va bene. Ma in silenzio, ministro Rognoni, per l'amor di Dio. Siamo stufi di sentir dire che «il popolo italiano è compatto nel ripudio dell'eversione», che «fa quadrato intorno ai valori e alle istituzioni consacrate dalla Resistenza», che i terroristi ''no pasarán'' (uno slogan che, oltre tutto, ha sempre portato jella). Non ne possono più neanche i morti. S'immagini i vivi. (p. 179) *I vizi italiani vengono da molto più lontano della Costituzione: sono scolpiti nei secoli della nostra storia incivile. Ma fra i segni di questa inciviltà c'è appunto anche quello di rendere tabù i temi scomodi e di condannare al ghetto chi osa affrontarli [...]. Come se non vi fossero Paesi, quali gli [[Stati Uniti d'America|Stati Uniti]] e la [[Francia]], che in fatto di democrazia possono impartirci lezioni, e che tuttavia si reggono a sistema presidenziale. Come se non ve ne fossero altri, quale la Germania che, pur reggendosi a sistema parlamentare, vi ha introdotto correttivi che lo rendono radicalmente diverso dal nostro. E come se questi correttivi [...] non fossero stati discussi e decisi senza farne drammi né scatenare, contro chi li proponeva, cacce alla strega nazista. (p. 207) *Il terrorismo italiano non può contare su consensi e simpatie d'ambiente come quello palestinese, o irlandese, o basco, che una motivazione l'hanno, sia pure distorta dalle passioni e strumentalizzata da qualche «Grande Vecchio». Il terrorismo italiano poteva contare solo sulla connivenza della paura: e infatti, finché ne ha incussa, di connivenze ne ha trovate, anche fra gli intellettuali, anzi specialmente fra gli intellettuali. [...] Fino a quattro o cinque anni fa, a dire che i volantini delle Br e i loro opuscoletti di propaganda non erano che una serqua [...] dei più vieti luoghi comuni ripescati tra i rifiuti di Bakunin, Kropotkin, Stirner e altri profeti del Nulla [...] c'era da essere linciati. Non dai brigatisti [...] ma dai ''maîtres à penser'' della sociologia radical-chic, per i quali il terrorismo, prima che da combattere, era da comprendere nei suoi «contenuti di pensiero». In cosa consistessero e quanto rigorosi fossero questi contenuti, ce lo dice appunto la scoperta negli ultimi giorni di questa nuova Trimurti – terrorismo rosso, terrorismo nero, camorra – che come ammucchiata ideologica, non so se mi spiego. Può darsi ch'essa esploda e [...] devasti. Ma, costretta ad assumere i suoi veri connotati, che sono quelli della criminalità senza aggettivi, il suo potere d'inquinamento e di equivoco, che ne costituiva l'aspetto più pericoloso, finisce. Da [[Toni Negri]] a [[Raffaele Cutolo|Cutolo]], la parabola si è conclusa. (pp. 236-237) *Non abbiamo con [[Bettino Craxi|Craxi]] nessuna familiarità: avremo parlato con lui, sì e no, tre volte. Ci ha dato una incoraggiante impressione di energia, risolutezza, rapidità di riflessi. Ma da certe sue reazioni, ci è parso di capire ch'egli ha anche una spiccata – e funesta – propensione a considerare nemici tutti coloro che non si rassegnano a fargli da servitori. Sono pochi, intendiamoci, i politici immuni da questo vizio. Ma alcuni di essi sanno almeno mascherarlo. Craxi è di quelli che l'ostentano sino a esporsi all'accusa di «culto della personalità»: un culto [...] che [...] potrebbe procurargli seri guai. Non perché a noi italiani certi atteggiamenti dispiacciano, anzi. Ma perché in fatto di guappi siamo diventati, dopo Mussolini, molto più esigenti: quelli di cartone li annusiamo subito. (p. 271) *[[Vincenzo Muccioli|Muccioli]] ha operato in condizioni diverse. [...] Ha impiantato la sua comunità con criteri imprenditoriali, facendone una specie di ''kibbutz'' ormai vicino all'autosufficienza. [...] Uno che, senza essere un ''compagno'', conduce una sua guerra privata contro la droga, è doppiamente esecrabile. Per il vescovo [...] per il quale un'opera di redenzione intrapresa da un laico come Muccioli merita in ogni caso l'anatema. Ma la partigianeria del presidente Righi è inesplicabile, e riduce questo processo a una caccia alle streghe, che getta la Giustizia nel pantano. (pp. 301-302) *[[Enver Hoxha|Hoxha]] non aveva dalla sua nulla, quando si presentò alla Conferenza: null'altro [...] che il proprio coraggio, spinto fino alla protervia. [...] I primi proseliti li fece solo sul finire della guerra, quando prese corpo un po' di resistenza, ma li fece in nome dell'Albania, non del comunismo. [...] Era un satrapo anche lui [...]. Ma non indulgeva alle debolezze e alle pacchiane ostentazioni dei Ceausescu e dei [[Kim Il-sung|Kim Il Sung]]. Esigeva l'obbedienza più assoluta, ma in pubblico si mostrava di rado, e la sua era l'unica giacchetta di comunista da ''nomenklatura'' che non grondasse medaglie fino all'ombelico. (pp. 310-311) *{{NDR|Sulla [[rivoluzione ungherese del 1956]]}} Il motivo per cui divampò coinvolgendo tutta la popolazione è semplicissimo: gl'intellettuali e gli studenti che la capeggiavano erano i figli degli operai e dei contadini che la traducevano in sollevazione del popolo. Lo erano non in senso ideale ed astratto, ma in senso anagrafico [...]. E questo fu, per i comunisti, la vera beffa. Essi avevano abolito le classi, e ora questo creava una unanimità di partecipazione, quale credo che nessun'altra rivoluzione abbia mai avuto. E come poteva non essere socialista? [...] L'unica cosa che non si può è che i «quadri» del Pci [...] non avessero visto, né udito, né capito come oggi vorrebbero farci credere per avallare la tesi dell'«errore». [...] L'unico che, in mezzo a tanti contorcimenti e frullati di parole, ha avuto l'onestà di riconoscerlo è stato [[Gian Carlo Pajetta|Pajetta]], sempre lui. «Io non mi pento di nulla», ha detto «schierandoci con gl'insorti e condannando la repressione sovietica, avremmo spaccato il Pci; per questo accettammo e approvammo.» Alla buon'ora. (pp. 354-355) *Se l'unica maggioranza possibile è così risicata, lo si deve anche e soprattutto alla poltiglia di partiti – verdi, rossi e «lighe» varie – che il nostro sistema elettorale favorisce. Se ne sono contati [...] trentotto, più o meno combinati con liste locali in un groviglio di piccoli interessi regionali, corporativi, personali, uniti solo da un incoffessato e forse inconscio anelito sanfedista allo sfascio dello Stato unitario. Se non si pone termine a queste insensate dispersioni, è inutile chiamare gli elettori alle urne. Una maggioranza e un Governo degni di questo nome non li avremo mai. (p. 368) *Certamente [[Michail Gorbačëv|Gorbaciov]] aveva previsto le tremende resistenze della sua ''perestroika'' aveva trovato nella cosiddetta ''nomenklatura'', detentrice del potere con diritto di abusarne, e quindi ben risoluta a difenderlo. Ma forse non immaginava che la minaccia più grossa al suo riformismo decentratore sarebbe venuta dall'esplosione dei nazionalismi, che ora rischiano di travolgerlo. [...] Comunque, due lezioni ci sembra di poter trarre sin d'ora da questa vicenda. La prima è che se settant'anni d'internazionalismo proletario praticato senza esclusione di colpi non sono bastati a debellare i nazionalismi, vuol dire che il sangue, la lingua, la religione, la cultura sono più forti di qualunque ideologia. La seconda è che i totalitarismi sono più facili, o meno difficili, da montare che da smontare. A liberalizzare la Russia e a guarirla dallo Stalinismo poteva forse riuscire un solo uomo: [[Iosif Stalin|Stalin]]. (p. 403) *Quanti miliardi si sperperano oggi in Italia in premi e feste letterarie accompagnate da rinfreschi e pranzi per centinaia di coperti, targhe, medaglie, e gettoni di presenza? Basterebbe un centesimo, un millesimo, di ciò che si spende in queste fiere della vanità per salvare la Crusca raddoppiando il miserabile contributo statale. [...] Forse c'illudiamo. Ma noi ci ostiniamo a credere che in Italia ci siano ancora degl'italiani convinti che una cultura senza una sua lingua non è una cultura [...] e che un Paese senza cultura [...] non è un Paese; ma soltanto un accampamento di apolidi. (p. 419) *Era fatale che, una volta allentatesi le maglie della Dc, l'integralismo di un certo mondo cattolico lo avrebbe portato a confluire sulle posizioni delle leghe. Le ispirazioni sono diverse, ma il nemico è comune: lo Stato unitario e laico. [...] Dileguatosi, o in via di dileguarsi il pericolo comunista, e caduto quello di Berlino, è questo il Muro che ci dividerà nel prossimo futuro. Da che parte [...] stiamo noi, mi sembra superfluo dirlo. Ci stiamo [...] con la piena consapevolezza dei nostri errori passati e presenti e della nostra intrinseca debolezza. Ma anche con la coscienza che se con noi non c'è tutto il meglio, contro di noi c'è sicuramente tutto il peggio. Basta tendere l'orecchio ai discorsi di Rimini e alle acclamazioni che li hanno salutati. I «lumbard» hanno ragione di chiedere il gemellaggio con quella platea: come livello mentale e di cultura, siamo lì. (p. 442) *Uomo di governo, [[Mario Scelba|Scelba]] non fu mai uomo di partito. Lo frequentava poco, non fu mai partecipe di giochi di «correnti», e credo che sotto sotto li disprezzasse. [...] Se fu De Gasperi a guidare [...] la barca, fu Scelba a reggerla e non vedo chi altro, nella pattuglia democristiana, avrebbe avuto gli attributi per farlo. Sul suo feretro ci saranno poche lacrime, pochi fiori, pochi discorsi. Nessuno del cosiddetto ''establishment'' vorrà ricordare che se in casa non ci siamo ritrovati qualche Husak o [[Nicolae Ceaușescu|Ceausescu]], per gran parte lo dobbiamo a lui. Ma qualche italiano non lo ha dimenticato. (pp. 471-472) *Non c'è democrazia, diceva Clemanceau, senza un minimo di corruzione. D'accordo. Ma quando la democrazia degenera in partitocrazia, il minimo diventa il massimo e succede quello che abbiamo sotto gli occhi. E finché noi concederemo ai partiti – contro il dettato costituzionale che li considera semplici associazioni private – d'irretire tutta la vita pubblica e di arruolare, per le loro operazioni di saccheggio, un milione di lanzichenecchi con relative famiglie, di cosa c'indignamo? E cosa ci aspettiamo dal Palazzo romano, proiezione su scala nazionale delle situazioni locali tipo Milano? (p. 489) *Con qualsiasi legge si vada alle nuove elezioni, e specialmente se si va col papocchio escogitato da [[Sergio Mattarella|Mattarella]], esse riprodurranno molto probabilmente [...] la situazione che i risultati dell'altro ieri hanno soltanto anticipato: un'Italia divisa in tre: un Nord in mano alla [[Lega Nord|Lega]], un Centro alla mercé dei comunisti (ex o neo, non importa), un Sud in preda al caos. In questa situazione, cosa farà Bossi? Cioè [...] cercherà di frenare la spinta che fatalmente ne verrà alle tentazioni secessionistiche della Padania dal resto del Paese, o la seconderà? A differenza di Miglio, Bossi di secessione non ha mai parlato. Parla di «federalismo», e forse lo ritiene possibile. Noi crediamo che il federalismo sia soltanto la foglia di fico della secessione, e che nei precordi di molti leghisti covi una gran voglia di fare i cosacchi del Po. (p. 515). *La nuova legge elettorale, se non fosse stata tradita dai suoi soloni col turno unico, avrebbe dovuto condurre al confronto fra due ''rassemblements'', uno di centrosinistra con l'esclusione di Rifondazione, l'altro di centrodestra con l'esclusione del Msi, a garanzia di democraticità di entrambi. Stando le cose come stanno, il confronto non ci sarà perché di ''rassemblements'' ce n'è in campo uno solo: quello del Pds, che così sarà libero d'includervi anche Rifondazione. Per questo esso si batte contro la dilazione. Per questo noi la auspichiamo: nella (pallida) speranza ch'essa ci dia il tempo di uscire dallo stato confusionale in cui versiamo. Non è nostro diritto; è semplicemente nostro interesse spostare le urne al 12 giugno. Ma un interesse del tutto legittimo. Come legittimo è l'interesse del Pds ad anticiparle addirittura a marzo. La difesa del sistema e dei suoi papponi non c'entra. Che si voti a marzo od a giugno, l'uno e gli altri sono già cadaveri, e non c'è miracolo che possa resuscitarli. (p. 528) ==''Le nuove Stanze''== *Ribadisco la mia avversione alla pena di morte. Ma non me la sento d'impartire lezioni a chi tuttora la pratica. Non mi pare che, con la Giustizia che ci troviamo in casa, noi italiani possiamo impartire lezioni agli altri. (p. 46) *Toglietevi la parrucca, cari storici italiani. E invece di continuare a parlarvi tra voi, parlate, andando incontro alle sue curiosità, alla gente comune, quella che ha più bisogno del vostro sapere, e che sa benissimo distinguere il volgare pettegolezzo dall'aneddoto illuminante, di cui gli storici stranieri, soprattutto inglesi, compreso [[Denis Mack Smith|Mack Smith]], sanno fare buono e largo uso. (p. 81) *Io non sono piemontese né savoiardo, e la tradizione della mia famiglia è, caso mai, repubblicana. Ma la verità sono abituato a rispettarla, e non ad accomodarmela secondo i miei gusti e pregiudizi. Nel '46 votai monarchico non perché ero amico di Umberto e di Maria José, che sarebbero stati un Re e una Regina esemplari. Ma perché capivo ch'essi rappresentavano l'unico filo che ci legava all'unica nostra tradizione nazionale: il Risorgimento. La rigiri come vuole [...] ma la verità è questa: che senza Risorgimento non esiste una Storia nazionale italiana, e senza i Savoia non esiste Risorgimento. Ecco perché io dico e ripeto che la Repubblica italiana può tenere i Savoia [...] fuori dal territorio italiano. Ma chi tenta di estrometterli dalla Storia d'Italia, se non è un analfabeta è certamente un falsario. (pp. 112-113) *{{NDR|[[Luigi Cadorna]]}} Fu un generale di grande e inflessibile carattere, ma non un grande stratega. La sua fu dal primo all'ultimo giorno una guerra «di posizione», e quindi di logoramento, muro contro muro. Una «manovra» non la tentò mai, anzi non la concepì nemmeno. Stava [...] al «Regolamento», secondo il quale «le battaglie si vincono sulle cime». Sicché quando arrivò un battaglione tedesco al comando di un giovane capitano di nome Rommel che [...] s'insinuò nottetempo nelle valli, tutto il nostro schieramento ne venne preso alle spalle, e si liquefece, consentendo a Rommel di arrivare fino al Piave, dove si fermò: non per la resistenza dei nostri [...] ma per la mancanza di rifornimenti e di munizioni, che non avevano fatto in tempo a seguirlo. (pp. 118-119). *Quanto alla somiglianza fra noi e gli spagnoli, sì, c'è. Io, in Spagna, mi sento come a casa mia. Una sola cosa ci trovo in più: una dimestichezza con la morte che dà ai valori della Vita (la Dignità, il Coraggio, l'Onore) un peso ben diverso da quello che hanno da noi. E glielo invidio tanto. (p. 157) *Quanto alla sua supposizione che, se non ci fossero stati i russi, gli Alleati non avrebbero potuto sbarcare in Normandia e salvare i loro regimi democratici, mi permetta di sorriderne. Hitler perse la [[Seconda guerra mondiale|guerra]] prima ancora di dichiararla, quando scatenò la persecuzione razziale, che mise il mondo di fronte alla pretesa della sua «razza eletta» al dominio del pianeta e costrinse alla fuga il fior fiore della Scienza ebraica, che diede all'America la bomba atomica, la quale avrebbe reso superfluo anche lo sbarco in Normandia. (pp. 177-178) *In [[Alessandro Pavolini|Pavolini]] [...] è riassunto il dramma di una generazione che nel fascismo era cresciuta [...] e si sentiva impegnata a crederci anche in quell'ultima disperata fase. In lui ritrovo un po' di quel [[Berto Ricci]] [...] che, partendo volontario per la Libia, mi disse: «Una volta, nella vita, ci si può convertire. Io già lo feci rinnegando, per il fascismo, il mio passato di anarchico. Ora col fascismo devo morire». E morì. (p. 192) *Come lei certamente sa, furono i russi a giungere per primi sul famoso bunker di Berlino, fra le cui macerie si diedero subito a cercare il cadavere del Fuhrer, e lo trovarono, ma quasi completamente carbonizzato (egli aveva lasciato ai suoi l'ordine di bruciarlo con una tanica di benzina). D'intatto era rimasto solo il teschio con la sua dentatura costellata di ponti e protesi. Immediatamente fu ricercato e trascinato sul posto l'odontoiatra che glieli aveva sistemati. Dapprima gli fu chiesto in cosa erano consistiti i suoi interventi. Poi vi fu messo davanti, e lui li riconobbe senza esitazioni. Quel giorno il poveretto non tornò a casa. Dopo alcuni anni si seppe che esercitava il suo mestiere in non so quale città di provincia russa, ma sotto stretto controllo della polizia. Dopo qualche altro anno poté tornare in Germania, ma in [[Repubblica Democratica Tedesca|quella comunista]], sotto il controllo di una polizia ancora più efficiente di quella sovietica, e lì morì, non so quando. Perché i sovietici vollero sempre mantenere quel segreto? Perché alla loro propaganda [...] faceva comodo accreditare la favola di un Hitler salvato dagli americani, che lo tenevano sotto naftalina in qualche loro dorato ripostiglio per poterlo un giorno utilizzare in una nuova guerra contro la Russia. (pp. 257-258) *Da anticomunista, oserei dire «storico» quale mi considero, io sono pieno di rispetto sia per i Nagy nostrani quali i D'Alema e i Veltroni, che per i Kádár, quali i Cossutta e i Diliberto. Non so se come classe dirigente siano il meglio. Ma come sincerità di conversione democratica, ci credo (come credo, intendiamoci, a quella di un Fini, anche se viene da un passato molto meno intenso, drammatico e dilacerante di quello comunista). (p. 306) *{{NDR|A [[Mario Tuti]]}} Ho ben presente [...] il suo nome e il suo volto, e le azioni terribili che lei ha compiuto. [...] Da come scrive [...], lei è in grado di capire [...] quello che dico. È vero che «sul nemico vinto non si infierisce»: ma il sangue non si cancella con la gomma delle parole. Solo le vittime possono concedere il perdono; e io non sono stato, fortunatamente, davanti al mirino della sua pistola. Solo la giustizia può concedere sconti: e io non sono un magistrato. Non ho invece difficoltà a condividere una sua osservazione: alcuni disgraziati [...] sono più disgraziati di altri. E [...] i disgraziati di destra se la passano peggio dei disgraziati di sinistra, che hanno di solito qualche amico di gioventù ben piazzato, in grado di dare una mano. Ma il perdonismo peloso di alcuni non può giustificare la distrazione di tutti. (p. 322) *[[Yasser Arafat|Arafat]] non ha mai avuto né uno Stato, né un esercito, né un titolo che lo qualificassero a parlare a nome del suo popolo. Erano il carisma, l'autorità, il prestigio suoi personali che gli permettevano di svolgere questo compito. Ma questo dipendeva dal fatto che il suo popolo glieli riconosce in quanto si sente da lui «rappresentato». [...] Io sono e mi sento profondamente filo-israeliano perché negli ebrei riconosco i miei fratelli e in molte cose anche i miei maestri (anche se non sempre facili). Ma appunto per questo apprezzo ed ammiro gli Hussein, i Sadat e gli Arafat. Ai quali si possono anche rimproverare degli errori nella conduzione della loro politica. Ma non certo le intenzioni e il coraggio. Arafat è brutto [...] e non so come facciano i suoi amici (e i suoi nemici) [...] a ricambiarne i baci. Ma di quelli suoi credo proprio che ci si possa fidare. Che Dio, anzi Allah, ce lo mantenga ancora per molti anni. (pp. 387-389) *Come veterano del ''Corriere'' e un po' depositario della tradizione di una certa civiltà nei rapporti fra i suoi uomini, io rimasi offeso non dal licenziamento di Spadolini [...] ma dall'insolito modo – che io definii appunto «guatemalteco» – in cui era stato trattato e da cui trapelava la mano di un [[Giulia Maria Crespi|editore]] che, anche se portava il nome di quello vecchio [...], intendeva introdurre nuove regole nella gestione del giornale, di cui era praticamente diventata [...] la titolare. E lo dissi, e lo scrissi, e lo ripetei in varie interviste. Forse tuttavia questo strappo si sarebbe potuto rammendare se il cambiamento del direttore non avesse comportato anche un cambiamento di linea politica che saltava agli occhi di chiunque non volesse tenerli chiusi. [...] Quando dal ''Giornale'' uscii per ragioni abbastanza analoghe a quelle che mi avevano spinto fuori da via Solferino, il primo a venirmi incontro fu il direttore del ''Corriere'', Paolo Mieli, che [...] mi offrì il suo posto: un gesto che non dimenticherò mai. Avrei potuto [...] accettarlo solo a titolo onorario. Ma non potevo abbandonare gli uomini che ancora una volta mi avevano seguito. Da quel momento però fu chiaro che il ''Corriere'' era ridiventato quello che noi, vent'anni prima, avremmo voluto che restasse. Ecco perché, al termine delle mie battaglie e delle mie sconfitte (che considero il mio blasone), sono tornato al ''Corriere''. (pp. 406-408) *I politici della Sinistra, compresi i componenti dell'attuale «squadra» governativa sono dieci, venti, cento volte meglio della loro ''intellighenzia''. Anche se dicono fregnacce, le dicono a bassa voce, senza salire in cattedra, di dove l'''intellighenzia'' invece non scende mai, nemmeno per andare in bagno. (pp. 477-478) *Spero che ora avrai capito cos'è la mia dichiarazione di voto: non un sì all'Ulivo, da cui spero poco, ma in compenso non temo niente; ma il no a un Polo che, se riportasse davvero la schiacciante vittoria che si aspetta il suo ''Caudillo'', potrebbe creare nel nostro Paese una situazione davvero inquietante. Un voto di difesa sarà dunque il mio, come lo è sempre stato da oltre cinquant'anni a questa parte. (p. 496) *Sappi soltanto che, passato per una ventina di anni – quelli del ''Giornale'' – per «fascista» e negli ultimi dieci per «comunista», me la rido di entrambe le etichette. (p. 536) ==''Le Stanze''== ===[[Incipit]]=== Di tutta la mia attività giornalistica [...] considero questi colloqui col lettore come l'impegno che mi è riuscito meglio, o meno peggio. Se qualcuno mi chiedesse: «Cosa vorresti che, dopo di te, di te rimanesse?», risponderei senza esitare: «Questi colloqui». Mi rendo conto che un'affermazione del genere può apparire demagogica: in fondo, perché dovrei preferire queste risposte quotidiane [...] alla ''Storia d'Italia'' o agli ''Incontri''? È presto detto: perché, grazie a lettere e risposte, ho potuto restare vicino ai miei lettori, che mi hanno ricordato – con più o meno garbo, ma sempre con affetto – quello che un giornalista non deve mai scordare: che i padroni sono loro. ===Citazioni=== *Io non ho mai conosciuto un conservatore inglese che abbia mosso a Churchill il rimprovero di essersi alleato con Stalin – altro che il naso dovette strizzarsi! – quando le armate di Hitler spazzavano tutta l'Europa. Ma trovo ancora degl'italiani [...] che danno la colpa a me dello stato di necessità in cui ci trovammo nel '48 e nel '76 e che rendeva obbligata la nostra scelta. Oggi che il muro di Berlino ci ha liberato dall'incubo del comunismo [...], è facile fare processi a chi non aveva in mano altra arma elettorale che il voto alla Dc. Ed una cosa mi chiedo: tutti questi intransigenti eroi dell'anticomunismo, che oggi mi scrivono lettere d'insulti accusandomi di averlo tradito, dov'erano al tempo del comunismo vero, quando io ero uno dei pochissimi a combatterlo di fronte [...], e loro, incontrandomi per strada, fingevano di non conoscermi? (p. 12) *Hiroshima, se fossi americano, non porrebbe [...] nessun caso di coscienza. L'arma atomica era in fase di studio e di preparazione sia in Germania che in America, e si poteva supporre che lo fosse anche in Russia e in Giappone. Avrebbe vinto la guerra e deciso le sorti del mondo chi ci fosse arrivato per primo. Hiroshima fece della popolazione civile, dicono, duecentocinquantamila vittime. Quante ne risparmiò inducendo alla resa i giapponesi che sembravano vicini all'olocausto? E quanto servì a smorzare la pretesa sovietica d'imporre il suo «diktat» a tutta l'Europa? [...] Essa a tal punto sorprese Stalin che dapprincipio non ci volle credere [...]. Nessuno può applaudire un massacro come quello di Hiroshima né andarne fiero. E posso capire come coloro che vi hanno partecipato dandone l'ordine o eseguendolo possano aver avuto dei problemi di coscienza. Ma gli aviatori inglesi che rasero al suolo l'inerme Dresda abitata solo da civili, facendo tra di loro pressappoco lo stesso numero di vittime che a Hiroshima, questi problemi, da quanto se ne sa, non li ebbero. Forse che la guerra all'atomo è più crudele di quella al fosforo? (p. 62) *De Gasperi non fu mai uomo di partito. E fu proprio per questo che riuscirono ad emarginarlo con tanta facilità, relegandolo in una Presidenza grondante omaggi ed ex voto, ma priva di qualunque potere reale. È vero che lui non lottò, anche perché era ormai a corto di fiato. Glielo toglieva non solo l'azotemia, ma anche il fallimento della Ced, la Comunità Europea di Difesa su cui De Gasperi fondava [...] i suoi sogni di salvezza e di grandezza europea, che i francesi di Mendès-France condannarono al naufragio. [...] De Gasperi era uomo di Stato, l'ultimo che l'Italia ha avuto dopo Giolitti. Ecco perché [...] non ha né può avere eredi. (p. 86) *{{NDR|[[Che Guevara]]}} Era uomo di Rivoluzione, che mai si sarebbe rassegnato ad una comoda esistenza di ben pasciuto gerarca. Doveva tornare alla Rivoluzione, pur consapevole della sua impossibilità in Paesi che lui ben conosceva, ma appunto proprio per questo: per cercare una morte coerente con la sua vita. [...] Avessi trenta o quarant'anni di meno, anch'io forse avrei nel mio modesto appartamento una stanza attrezzata a mausoleo del Che, e lo conserverei come souvenir di un Sogno sbagliato, ma pulito, e comunque pagato. È a coloro che non vogliono mai pagare nulla che va tutto il mio disprezzo. (p. 121) *Non mi stupirei [...] se il ragazzotto Clinton, nei suoi anni da governatore, avesse ingannato la noia dell'Arkansas inseguendo le minigonne di passaggio. [...] Il paragone con Berlusconi mi sembra un po' stiracchiato. Se Clinton venisse trovato colpevole, sapremmo che è un adultero (affari suoi); se Berlusconi venisse condannato, sapremmo che è un corruttore non occasionale (affari anche nostri, dal momento che s'atteggia a statista). (p. 154) *Mi permetto solo di aggiungervi qualcosa sull'imbecillità, l'ipocrisia e i vaniloqui delle nostre «anime belle» pronte a cadere in deliquio e a mobilitare le piazze per un O'Dell che, anche se qualche tenue dubbio sulla sua colpevolezza poteva sussistere, uno stinco di santo certamente non era, e per una Karla Tucker, rea confessa, anche se poi arcipentita e sinceramente convertita al credo della carità cristiana (e, sia chiaro, anch'io avrei per entrambi preferito la revoca della pena di morte); ma sono rimaste impassibili o quasi di fronte alla proposta condanna di lapidazione (di lapidazione!) di un cittadino tedesco e della sua compagna iraniana, rei di aver fatto l'amore (soltanto l'amore). Queste sono le nostre «anime belle» laiche ed ecclesiastiche, pronte a commuoversi e a sproloquiare contro la sedia elettrica americana [...], ma indifferenti alla lapidazione [...] per una «contaminazione» di lenzuola cristiane e musulmane. Io [...] queste anime belle – che oltre tutto hanno quasi sempre delle facce bruttissime e jettatorie – le odio di un odio viscerale. (p. 206) *Sul nemico vinto e che si riconosce vinto non s'infierisce. In fondo questi brigatisti hanno avuto, nella sconfitta, una loro dignità. Non sono dei «pentiti» al modo dei mafiosi e camorristi che si pentono per procurarsi dei vantaggi e denunziano i propri ex compari. Non sono dei delatori. Sono, a loro modo, dei prigionieri di guerra, di una guerra grazie a Dio finita con la nostra vittoria, e che quindi, sia pure con le debite precauzioni, possiamo rimandare a casa. Non è vero che non hanno pagato: me ne citi uno che non abbia scontato quindici o vent'anni di galera e che non ne abbia distrutta la vita. Qualche sconto possiamo farglielo: la generosità è segno di forza, non di debolezza. (pp. 283-284) *In una società «aperta» come la nostra, che rende impossibile qualsiasi controllo e in cui il sequestro è un'industria di antica tradizione che dispone di un personale altamente specializzato; e con una Giustizia che invece di affibbiare un ergastolo senza indulgenza ai colpevoli, si accontenta di infliggergli qualche anno alleviato dai permessi di libera uscita; cosa possono fare le forze dell'ordine? Starebbe a noi cittadini trovare quella di resistere al ricatto. Da noi italiani tenerelli non si può pretendere tanto? E sia. Ma allora abroghiamo la legge. Perché, come italiano, nulla mi ha mortificato di più che sentire [...] [[Giovanni Maria Flick|un ministro della Giustizia]] e alcuni dei più alti dignitari della toga proporne un'interpretazione che costituiva un chiaro invito a evaderla suggerendo il cavillo a cui ci si poteva aggrappare per legalizzare la contravvenzione. [...] No, a questo non ci sto. Cerchiamo almeno di avere il coraggio della nostra vigliaccheria riconoscendo che, dati i pericoli che possono comportare, i risoluti «No!» al sopruso non appartengono al nostro armamentario caratteriale, e aboliamo la legge. Ma non perché è sbagliata: in sé quella legge è sacrosanta. Ma perché noi cittadini non abbiamo la forza di adeguarcisi e coloro che dovrebbero imporcerne l'osservanza [...] ci suggeriscono il modo di evaderla. Questo è il cosiddetto «Paese reale». (p. 286) *Che un processo possa essere oggetto di revisione è, per il cittadino, una garanzia irrinunciabile, specie quando si tratta di processi indiziari, e quindi rimessi a valutazioni soggettive e pertanto sempre discutibili. Nessuno è infallibile, nemmeno i giudici, e quindi il diritto di appello è sacrosanto. Quello che sacrosanto non è, sono gl'interminabili tempi che questa operazione solitamente richiede, dovuti a due motivi chiaramente visibili: i grovigli procedurali in cui il processo è avvolto, delizia del genio cavillesco italiano, e l'inefficienza del personale che vi è addetto. (p. 327) *Che cosa io pensi dell'onorevole [[Cesare Previti|Previti]] mi pare di averlo detto in termini talmente espliciti da apparire – a più d'uno – brutali: un personaggio che solo a guardarlo in faccia verrebbe voglia di applicargli le manette ai polsi prima ancora di sapere chi è e cosa ha fatto. (p. 356) *Non credo che, all'apertura totale delle frontiere, avremo un Parma composto soltanto di irlandesi, o una Cremonese modello ellenico. Avremo invece un vero mercato, dove il costo e lo stipendio di un professionista verranno stabiliti in base alla domanda e all'offerta. È questo ridimensionamento, mi sa, che non piace ai calciatori nostrani. Non la «sottoutilizzazione delle risorse sportive nazionali e locali». Non penso che i nostri calciatori abbiano altri motivi di preoccuparsi. Perché mai dovrebbero venire accantonati? Sono tra i più bravi del mondo, e la bravura, per un professionista (che calci una palla o calchi una scena), è la garanzia migliore. (p. 379) *Le mie dimissioni da italiano sono soltanto quelle da una grande illusione: quella che l'Italia fosse una Patria da potere in qualche modo servire. Io, pur commettendo parecchi errori, ho cercato di farlo. Ma forse, di questi errori, il più grosso è stato quello di credere che fare si potesse. A consolarmene c'è una cosa sola: che questo errore lo hanno commesso tutti i migliori uomini che l'Italia ha avuto nel suo secolo e mezzo di vita unitaria. (pp. 410-411) ==''Pantheon minore''== ===[[Incipit]]=== '''Einaudi'''<br>Avendo saputo che sollecitavo l'onore e il piacere di incontrarlo, il Presidente, che non mi aveva mai visto, trovò del tutto naturale invitarmi a colazione. «Quando vuol venire?» mi fece chiedere, «giovedì mattina, per esempio?» Giovedì voglio stappare una nuova bottiglia del mio 'barolo' e ci sarà anche la signorina Barbara Ward dell{{'}}''Economist''. Vino piemontese, giornalismo ed economia politica, pensa: sarebbe difficile sorprendere [[Luigi Einaudi|Einaudi]] in una cornice più einaudiana di questa. ===Citazioni=== *{{NDR|Luigi Einaudi}} E in quei pochi minuti aveva ancora tante cose da dire a due giornalisti per ricordare loro, [[Alessandro Manzoni|manzonianamente]], che l'[[uomo]] è «buono», come dice [[Jean-Jacques Rousseau|Rousseau]], ma tale può diventare solo in grazia delle buone istituzioni (in ciò consiste la sua posizione conservatrice e cattolicamente pessimistica). *[[Ingrid Bergman]] è forse la sola persona al mondo che non consideri Ingrid Bergman un'attrice completamente riuscita e definitivamente arrivata. (p. 195) *Non ho mai visto in vita mia, nemmeno nei film di cui la Bergman è protagonista, una donna così trasparentemente pulita. (p. 195) *Ogni buon [[padre]] di [[famiglia]] deve, al principio della giornata, sapere quanto la famiglia ha in cassa e quanto può spendere.<br>Einaudi conosce a memoria le cifre dell'economia italiana, come i re che lo precedettero conoscevano a memoria i nomi e i motti dei reggimenti. *«''Venez, mademoiselle, venez''», disse [[Anatole France]] a [[Emma Gramatica]] che, poco più che ventenne, si trovò un giorno a viaggiare con lui in automobile a Palermo, e aveva paura di essere troppo ingombrante sul sedile. «''Vous êtes comme les anges, qui n'ont pas de derrière!''»<br>Qualcosa come mezzo secolo dev'esser trascorso da allora, ed Emma somiglia un po' meno a un angelo, ma grassa non la si può dire nemmeno adesso. La vita che mena, d'altronde, non lo consentirebbe di diventarlo. Alla sua età, ha girato per tre anni consecutivi, tutti i teatri dell'America del Sud, volando da Buenos Aires a Santiago, da Santiago a Lima, da Lima a Caracas, e recitando una sera in italiano e la sera dopo in spagnolo, lingua che, sino al momento di partire, ignorava totalmente. Ora è tornata per girare un film con [[Vittorio De Sica|De Sica]], e sono fatiche a cui molti giovani non resistono. *Il [[fascismo]] trovò, tra i suoi oppositori più accaniti, [[Mario Missiroli]], che si batté a duello con [[Benito Mussolini|Mussolini]]. Egli non credette alla [[forza]] e al successo delle «camicie nere» fino al [[giorno]] in cui, mentre cercava faticosamente di salire sul tram, uno squadrista che lo incalzava, dopo avergli inflitto una serie di spintoni, non gli ebbe affibbiato, in risposta alle sue proteste, due sonori schiaffi che gli fecero volar via gli occhiali cerchiati d'[[oro]]. Mario li raccolse con [[dignità]], vi fiatò sopra, li ripulì col fazzoletto e concluse in tono ammirativo: «Però!... Picchiano bene, veh!...» ==''Qui non riposano''== *{{NDR|Sulla [[guerra d'Etiopia]]}} Quella fu una guerra ideale, la guerra-tipo della borghesia italiana: con pochi morti e molte medaglie. Io presi a capirne la miseria solo all'ultimo capitolo: quando, per la marcia su Addis Abeba, cominciarono a piovere dall'Italia e da Asmara gerarchi e aspiranti gerarchi, smaniosi di gloria a buon mercato: e Badoglio dovette emanare un ordine per cui solo chi presentava "un biglietto di autorizzazione" poteva marciare sulla capitale nemica. Solo in tempo fascista si poteva escogitare un finale di guerra con un biglietto per la capitale nemica. (pp. 107-108) *Io non volevo far politica. Ha il diritto un uomo della strada di non far politica? Ha il diritto un uomo della strada a dire che il governo ha fatto bene a far questo e male a far quest'altro? Ha diritto un giornalista, che è un uomo della strada, il quale va a vedere e riferire le cose per conto degli altri uomini della strada, ha il diritto di riferire che i fatti si svolsero così e così, e che in essi c'era tanto il bello e tanto il brutto, tanto di giusto e tanto d'ingiusto? No, il [[fascismo]] disse che un uomo della strada non ha tutti questi diritti. Ecco perché diventai antifascista. Non perché al posto di [[Benito Mussolini|Mussolini]] ci volevo un altro, ma perché non ci volevo nessuno. Io volevo stare alla finestra, come stanno i giornalisti, mestiere di spettatore e non di attore.<ref>Citato in Paolo Granzotto, ''Indro Montanelli'', p. 92.</ref> (p. 189) *[...] volevo avere il diritto di non pensare alla [[politica]], di disinteressarmi della politica, perché la politica la gente dabbene non la fa. La gente dabbene lavora in ufficio, viaggia, commercia, produce, ama una donna che può anche essere sua moglie (come è il mio caso), ama i suoi figli, ama la sua casa, paga le tasse, e di politica ne parla un quarto d'ora al giorno. (p. 190) ==''Reportage su Israele''== *Il fenomeno più interessante è forse quello ch'è stato meno sottolineato dagli osservatori stranieri: le minoranze arabe disseminate nel [[Israele|Paese]] hanno abbandonato i loro notabili che facevano lista per conto proprio, e hanno votato per i partiti nazionali infischiandosi ch'essi siano completamente in mani ebraiche. Sarebbe come se gli altoatesini, invece che per la ''Volkspartei'', votassero per i partiti italiani. Il partito comunista, verso cui li spingeva Radio-Cairo, è sbaragliato. Evidentemente la politica d'integrazione applicata nei loro confronti ha avuto il più completo successo, malgrado la guerra fredda, e tavolta calda, in cui si ostinano le nazioni arabe contro Israele (o forse proprio per essa). (p. 6) *Probabilmente i pionieri di Degania non si resero conto dell'importanza di ciò che facevano o forse non osarono nemmeno sperare che quel loro esperimento ne avesse tanta. Erano imbevuti di quel socialismo umanitario d'ispirazione tolstoiana che allora permeava gli ambienti intellettuali russi dai quali provenivano. Ma un'idea la ebbero chiara di certo: e cioè che l'unico modo di radicarsi in quella che la Bibbia e la Tradizione indicavano come loro Patria era di mettersi a lavorare la terra. (pp. 14-15) *L'esercito naturalmente serve ad Israele per difendere le sue ardue frontiere, e ha dimostrato di saperlo fare in maniera superlativa; ma i suoi sforzi quotidiani li concentra sulla formazione, più che del soldato, del cittadino. Esso prende i giovani di ambo i sessi e di qualunque condizione a diciotto anni, e per due anni e mezzo gli uomini, due le donne, li rimescola, li tritura e li macina. Insegna non soltanto il maneggio delle armi, ma anche la lingua a chi non la sa e il mestiere a chi non lo ha. La mattina, dall'alba a mezzogiorno, è tutta dedicata all'addestramento fisico delle reclute. Ma il pomeriggio è diviso fra il lavoro e la scuola. La caserma è di tipo ''kibbutz'', dove ci si prepara a quel solidarismo della vita collettiva che è l'ideale di questo popolo. Ed è qui che si forma l'israeliano non più ''azkenazi'', non più ''sefardita'', ma nazionale. (pp. 28-29) *[[Theodor Herzl|Herzl]] non era che un giornalista, redattore della ''Neue Freie Presse'' di Vienna. A proprie spese, viaggiando in terza classe, si mise alla ricerca in tutto il mondo dei correligionari danarosi, la maggiorparte gli rise in faccia. Il "Fondo nazionale ebraico per la terra" di quattrini ne raccolse pochi. Ma Herzl non si diede per vinto. Cominciò a visitare anche i potenti, dal Kaiser al Sultano fino a Vittorio Emanuele e al Papa per interessarli al progetto. E, sebbene questo non avanzasse, nel 1898 scrisse nel suo diario: «La mia sembra una chimera. Ma fra cinquant'anni lo Stato ebraico sarà una realtà». Si può essere scettici quanto si vuole, sulle profezie. Ma bisogna constatare che dal 1898 al 1948 [...] corrono esattamente cinquant'anni. Gli unici miliardari ebrei che presero sul serio Herzl furono i Rothschild. Essi non diedero capitali al ''Fondo'' forse perché avevano qualche dubbio sulla sua efficienza [...], ma per conto loro comprarono tutto ciò che in Palestina, allora provincia ottomana, c'era di comprabile, eppoi lo regalarono agli ebrei che ci andavano, per sé serbando soltanto il pezzo di terra necessario a ospitare le proprie tombe. (pp. 33-34) *Il partito di Ben Gurion, il ''Mapai'', ha riportato, contro quasi tutti i pronostici, una smagliante vittoria. E ora lui, ''Bigì'', deve formare il ministero, operazione che si presenta piuttosto complicata anche qui in Isarele. [...] Non dico che detesti la politica; anzi, ne è intriso. Ma non ama, della politica, questo aspetto minore – che purtroppo è quello quotidiano – delle estenuanti contrattazioni, del piccolo cabotaggio, delle furberie, dei compromessi, o per lo meno così dice. E ogni tanto pianta baracca e burattini, e se ne va. Dove? In mezzo al deserto del Negev, si capisce. La sua Riviera è lì, in un ''kibbutz'' poco distante da Beersheba, circondato dalle dune di sabbia e dai cammelli dei beduini. Ci resta tre giorni, una settimana, due, senza che nessuno osi disturbarlo. (pp. 40-41) *Gerusalemme è la città che fa maggiormente le spese di questa situazione manicomiale, quella nuova in mani israeliane è divisa da quella vecchia in mani arabe non da una frontiera ma da un muro, reso impenetrabile dall'intolleranza. In teoria, essa dovrebb'essere internazionalizzata, e per questo le potenze occidentali si rifiutano di riconoscerla come capitale di Israele e vietano ai loro ambasciatori di risiedervi. Ma siccome Israele vi sta ugualmente accentrando i suoi ministeri, questi poveri ambasciatori sono costretti quasi quotidianamente a farvi il su e giù da Tel Aviv dove sono obbligati a risiedere e che ne dista comunque oltre settanta chilometri. [...] Così a Gerusalemme non ci sono, come rappresentanti stranieri, che dei consoli, accreditati imparzialmente presso le due autorità locali, il prefetto israeliano nella città nuova e il governatore arabo in quella vecchia. Sono gli unici che possono attraversare la porta di Mandelbaum. (pp. 49-50) *Israele è estremamente utile agli arabi, o per meglio dire ai capi arabi, da un lato per sostenere di fronte al mondo la grossa menzogna dell'unità araba, e dall'altro per combattere fra loro la battaglia dell'egemonia. […] Se questo odio ci sia veramente, non lo so. So soltanto ch'è l'unico filo che tiene cucita la "fraternità" araba: questa curiosa fraternità punteggiata di congiure, di attentati, di assassinii caineschi, tra "fratelli" di cui ognuno accusa l'altro di non esserlo abbastanza. (pp. 51-52) *Se l'esistenza d'Israele serve agli arabi per puntellare alla meglio la loro convenzionale unità, la minaccia araba ha servito agl'israeliani per fare ciò che senza di essa avrebbero ugualmente, fatto, ma in cinquant'anni invece che in dieci. Il blocco e il boicottaggio arabo hanno paradossalmente funzionato, per Israele, da piano quinquennale senza bisogno delle imposizioni poliziesche di un regime comunista. [...] Psicologicamente, la tensione senza intermittenze con gli arabi ha sortito e seguita a sortire sulla società israeliana gli stessi effetti che la "frontiera", cioè la conquista dell'Ovest, ha prodotto alla società americana, obbligandola a restare per decenni e decenni tuffata in un'atmosfera pioneristica. [...] Morale: ognuno ha il nemico che si merita. (pp. 55-56) *Gl'israeliani hanno piantato in poco più di dieci anni trenta o quaranta milioni di alberi. E bisogna vedere con che orgoglio te li mostrano, con che incantamento se li guardano, con che passione li annacquano, li potano e li pettinano. Le case non sono granché: le costruiscono in fretta, senza varietà, e piuttosto "alla carlona". Ma non ce n'è una, nemmeno nelle città, che non abbia un giardino e nel giardino, insieme ai fiori, i suoi alberi. (p. 59) *Il teatro ''yiddish'', che pure era un grande teatro, v'incontra poca fortuna. Esso era nato in Germania e in Polonia, come uno specchio deformante di quelle società che relegavano gli ebrei nel ghetto e che essi ripagavano con la caricatura. Ora che dal ghetto sono usciti, essi stessi non comprendono più il significato di quei ghigni e di quelle smorfie. Il pubblico che ci va è tutto dai quaranta in su. (p. 62) *Lo Stato mostra parecchia tenerezza [...] per quelle due o trecento famiglie di ortodossi acquartierati in Gerusalemme, che lo negano e si rifiutano perfino di votare perché nella Bibbia sta scritto che uno Stato ebraico sarebbe rinato solo dopo l'apparizione del Messia in Terra [...]. Questi protestanti assolvono anch'essi una funzione. Servono a dimostrare che in Israele alla Bibbia ci si crede. [...] Ben Gurion è un laico puro. E tutta laica è la nuova generazione. Non è vero che Israele sia uno Stato confessionale. Lo è meno dell'Italia. (p. 66) *Non so a che punto siamo con la letteratura e la poesia, qui in Israele. [...] Ora che hanno una lingua propria a disposizione, i giovani scrittori d'Israele la usano [...] su tutt'un altro registro. Intanto, hanno scoperto anch'essi la natura. [...] Essi erano amari e disperati quando scrivevano in tedesco o in russo. Ora che scrivono in ebraico, le loro parole sono piene di sole e di sangue: cioè di gioia di vivere, anche quando descrivono la morte. (pp. 67-68) *[[Golda Meir]] è la "madre del Paese", anzi la mamma. E con le mamme, si sa, complimenti non se ne fanno. Per questo la chiamano soltanto Golda, la salutano alla voce, invece di baciarle la mano, quando passa per strada, e insomma le danno del tu. Essa è la meno ossequiata, ma la più amata e popolare, di tutte le donne d'Israele. [...] Essa rappresenta la vecchia guardia, la fedeltà all'uomo, al suo socialismo democratico, al collettivismo del ''kibbutz'' nel quale è anche lei maturata. (pp. 70-74) *I Paesi asiatici non hanno visto di buon occhio la nazionalizzazione del Canale di Suez, anche se per pregiudiziali anticolonialistiche hanno dovuto appoggiare [[Gamal Abd el-Nasser|Nasser]] e fingere di applaudirla. [...] Tempo fa il dittatore egiziano, per ritorsione contro Ceylon che gli aveva votato contro all'O.N.U., le ha bloccato tutta l'esportazione del tè, conducendo quel Paese sull'orlo del fallimento. Domani potrebbe fare altrettanto contro la Birmania. Il Canale non rende all'Egitto che dieci milioni di dollari l'anno. Ma gli consente di ricattare tutti i Paesi asiatici, che per quella via devono ancora passare. (p. 80) *{{NDR|Nel 1956}} [[Moshe Dayan|Dayan]] aveva in quel momento quarant'anni. Egli diresse le operazioni da un piccolo aereo di ricognizione che guidò da solo tenendolo librato qualche centinaio di metri sulla zona di combattimento. [...] Quando, in fase di armistizio, si trattò di scambiare i prigionieri, gl'israeliani ne restituirono seimila, gli egiziani uno: un pilota che aveva dovuto atterrare dentro le loro linee. Dopodiché il generale dal volto di ragazzo, invece di sfilare in parata per le vie di Gerusalemme alla testa delle truppe vittoriose, svestì la divisa, diede le dimissioni dall'esercito, e si mise a fare l'archeologo, fino al giorno in cui Ben Gurion gli propose di portarsi candidato nelle liste del suo partito. (p. 88) *Per Israele, l'unico lato negativo della campagna del Sinai del '56 ha rischiato di essere proprio questo: il pericolo di un "complesso di superiorità" che poteva indurre alla smobilitazione non tanto delle armi, quanto degli animi. Il lettore italiano non saprà con quanta cura [...] Governo, Parlamento e stampa si sono adoperati per "minimizzare" quella folgorante vittoria, che qualunque altro popolo avrebbe annaffiato di chissà quali fiumi di retorica. (p. 101) *In Israele sono stati investiti [...] oltre sei miliardi di dollari. Ma oggi rendono, eccome. Questo non è uno dei tanti pozzi di San Patrizio arabi, dove prestiti e finanziamenti finiscono in ville satrapesche o vengono ritrasferiti pari pari nelle banche svizzere. Israele è una grande impresa industriale, dove ogni dollaro dell'azionista si è tradotto in un albero o in un telaio. Oggi Israele è effettivamente alla vigilia di una crisi: ma si tratta di una crisi di sovraproduzione. [...] Le materie prime d'Israele sono l'ingegno, la disciplina, la fede in se stessi. Ma ce n'è in tale abbondanza che sui risultati finali non possono sussistere dubbi. (pp. 102-103) *Dicono che quello israeliano è un regime di socialismo addomesticato. Sarà. Ma è l'unico socialismo volontario che io abbia visto in atto, l'unico che abbia raggiunto forme anche estreme di vita collettivizzata per spontanea scelta di chi deve subirne i non piccoli inconvenienti. Eppure, in pochi Paesi si respira a pieni polmoni la libertà come in Israele. Non vi conosco un ricco. Non vi conosco un povero. Ma soprattutto non vi conosco un servo. (p. 104) *[[Chaim Weizmann|Weizmann]] voleva fare di questo Paese un gabinetto scientifico, il focolare dell'intelligenza umana applicata alla tecnica, un'appendice del suo Istituto, meraviglia del mondo. Ma anche questo è parso troppo poco. Secondo altri, Israele deve trasformarsi nel laboratorio della coscienza ebraica per la ricerca di un nuovo Verbo in cui il mondo trovi pace, libertà e giustizia. Se mi avessero detto queste cose prima di andare in Israele, credo che anch'io ne avrei sorriso, come forse sorrideranno alcuni lettori. Ma sul posto ci si accorge quanto profondamente sentite esse siano. (p. 108) *Per liberare il mondo dagli ebrei e gli ebrei da se stessi [[Theodor Herzl|egli]] aveva pochi anni prima lanciato l'idea di adunare a Roma tutti i rabbini e farli convertire dal Papa. L'affare Dreyfus gli dimostrò che nemmeno questo sarebbe bastato. E allora egli si diede a predicare lo Stato ebraico: ma sempre per liberare il mondo dagli ebrei e gli ebrei da se stessi. Herzl era una delle più affascinanti personalità che l'ebraismo abbia mai prodotto […]. Le sue ''illuminazioni'' si sono dimostrate alla prova dei fatti più valide della logica e della ragione. Mi piace concludere questo rapporto sulle cose d'Israele rendendo omaggio a questo singolare profeta, che nelle sue sconnesse visioni, in mezzo a fallimenti di ogni genere, non solo previde la nascita dello Stato ebraico, ma gli assegnò con cinquant'anni di anticipo la data esatta (il 1948) e la ''missione'' che gli spettava: quella di ''sconfiggere'' gli ebrei liberandoli da se stessi, cioè da quel fardello di miserie e di dolori che per due millenni ne hanno fatto il più tragico popolo del mondo. (pp. 109-110) ==''Ricordi sott'odio''== *''Non piangete | per | [[Cesare Zavattini]] | ha già pianto | lui per tutti noi.''<ref name=ricordi>Il libro raccoglie gli "epitaffi" scritti su personaggi al momento viventi (talvolta insieme a [[Leo Longanesi]]) e quasi tutti inediti.</ref> (p. IV dell'Introduzione di Marcello Staglieno) *''Qui | per la prima volta | [[Alida Valli]] | giace | sola''.<ref name=ricordi/> (p. 11) *''Qui | riposa | [[Amintore Fanfani]] | amico | dei nemici | nemico | degli amici | figlio | di [[Alcide De Gasperi|De Gasperi]] | padre | di nessuno.''<ref name=ricordi/> (p. 31) *''Qui | riposa | [[Mario Melloni]] | inquieto | transfugo | di sé stesso | momentaneamente | scomparso | a sinistra | in cerca | di una croce | su cui | inchiodarsi.''<ref name=ricordi/> (p. 65) *''Qui giace | Alba {{ndr|[[Alba de Céspedes]]}} | scrittrice scialba. | Divorò uomini e gloria | La Boria | la divorò''.<ref name=ricordi/> (p. 95) *''Qui | riposa | [[Mario Soldati]] | padre | figlio | autore | regista | interprete | di | Mario Soldati.''<ref name=ricordi/> (p. 123) *''Qui giace | [[Davide Lajolo]] | Segretario federale | Legionario di Spagna | Repubblichino di Salò | chiese | di passare all'anilina | la sua camicia nera. | E com'era | Rimase.''<ref name=ricordi/> (p. 179) *''In pace | qui giace | orbato | d'orbace | [[Achille Starace]].''<ref name=ricordi/> (p. 181) ==''Soltanto un giornalista''== *Da quando ho cominciato a pensare, ho pensato che sarei stato un giornalista. Non è stata una scelta. Non ho deciso nulla. Il giornalismo ha deciso per me. E questa è stata una delle mie tante fortune, posto che tutto quel che ho fatto lo debbo soprattutto a un alleato ch'è sempre rimasto al mio fianco: il caso. (p. 5) *Per sua disgrazia, [[Massimo Bontempelli|Bontempelli]] fu nominato accademico d'Italia da un fascismo che puzzava già di morto. Eletto senatore nelle liste del Fronte popolare dopo la guerra, non esitò a pronunziare giudizi brucianti su chi aveva collaborato col regime. Quel voltafaccia gli costò caro, perché a un certo punto saltarono fuori le lettere che aveva scritto a Mussolini per impetrare la sua nomina: i comunisti lo scaricarono e lui cadde in un tale stato di prostrazione da morirne. (p. 26) *A Salò ci fu di tutto. Ci furono le squadracce assetate di vendetta e di saccheggio che provocarono il disgusto agli stessi tedeschi. Ma anche uomini per i quali quello fu il banco di prova d'una coerenza e d'una lealtà che non possono non incuter rispetto. E l'unica ragione per la quale benedico le mie cosiddette benemerenze antifasciste è che mi han dato il diritto di difenderle. (p. 119) *Il 2 giugno del '46, giorno del referendum istituzionale, votai per la monarchia. Lo feci perché ritenevo fosse pericoloso recidere il tenue filo che legava l'Italia all'unica sua tradizione nazionale: quella monarchica, appunto. L'Italia non s'era "fatta da sé", come pretendeva la nostra storiografia ufficiale. Era stata fatta dalla monarchia sabauda guidata dal genio diplomatico d'un suo diplomatico, Cavour, che voleva estendere il Regno di Sardegna al Lombardo-Veneto. Se poi ci scappò fuori l'Italia, non fu grazie al contributo degl'italiani, che non ne diedero punto. Fu perché la storia dell'Europa andava verso la costituzione degli Stati nazionali, e condannava a morte quelli plurinazionali come l'Impero austriaco. [...] Al posto di quel patrimonio, sia pure modesto, cosa prometteva la Repubblica? Si presentava come depositaria dei valori della Resistenza, un mito ancora più falso di quello del Risorgimento. Che non era stata affatto, come pretendeva d'essere, la lotta d'un popolo in armi contro l'invasore, bensì una lotta fratricida tra i residuati fascisti della Repubblica di Salò e le forze partigiane, di cui l'80 per cento si batteva (quasi mai contro i tedeschi) sotto le bandiere d'un partito a sua volta al servizio d'una potenza straniera. (pp. 125-126) *Un'altra scelta s'era imposta, quella delle elezioni del '48. Per l'Italia era una scelta vitale: o con l'Est o con l'Ovest, ossia con i totalitarismi rossi oppure con le democrazie occidentali. Ergo, o con il Fronte popolare oppure con la Dc. E lì ebbe inizio il mio dramma, ch'è poi quello eterno del laico italiano: il quale, messo davanti al boia, vede comparire al suo fianco il prete che solo può salvarlo. (pp. 135-136) *Mi proposi due obiettivi, entrambi falliti: il primo era farmi intentare un processo dagli amministratori della città che attirasse l'attenzione sui pericoli che [[Venezia]] stava correndo. Il secondo era rendere pubblica la convinzione che m'ero formato: che per salvare Venezia la prima cosa da fare era sottrarla allo Stato italiano e affidarlo a un organismo internazionale come l'Onu, con le sue cospicue possibilità finanziarie e i suoi agguerriti uffici tecnici. [...] Il Comune di Venezia non aveva più nulla di veneziano, salvo la sede. A dominarlo erano gli elettori di Mestre e Marghera, che con quelli di Venezia si trovavano nella proporzione di tre a uno, e dalla loro avevano tutto: i soldi delle industrie, i sindacati e quindi anche i partiti. Decidendo di restare amministrativamente unita, Venezia ha preferito mettersi al rimorchio delle ciminiere e petroliere di Marghera, alle quali ha sacrificato il suo delicatissimo sistema idraulico. Fu allora che, con grande amarezza, feci atto di rinunzia a Venezia, convinto come ero, e come son rimasto, che una città si può salvare solo se sono i suoi abitanti a volerlo. (pp. 216-217) *Una sera, uscendo solo soletto dal «Giornale», mi trovai davanti il solito muro di folla tumultuante con le bandiere rosse spiegate. Dalla piazza si levò un urlo: «Tel chi el Muntanel!». In un attimo cinquanta scalmanati mi s'avventarono contro. Temendo il linciaggio, arretrai fino a trovarmi con le spalle al muro. Ma non feci in tempo a dire be' che mi ritrovai issato in spalla a una mezza dozzina d'energumeni, fra salve d'evviva. Erano i tifosi del [[Torino Football Club|Torino]] che quel giorno {{NDR|16 maggio 1976}} aveva vinto lo scudetto, e le bandiere non eran rosse, ma granata. E siccome i cronisti sportivi del «Giornale» erano sempre stati favorevoli al Torino, m'acclamavano come un loro idolo. (p. 241) *La Dc era il partito dei maneggi e dell'inefficienze. Ma se avesse perso il 4 o il 5 per cento dei suoi voti, il partito di maggioranza relativa destinato a formare il nuovo governo sarebbe diventato quello comunista. Ch'era ancora molto pericoloso. Perché è vero che in Italia c'era Berlinguer, ma io sapevo bene che col comunismo d'allora poteva ancora succedere di tutto: bastava un cambiamento al vertice e un Berlinguer poteva diventare un [[Alexander Dubček|Dubček]] come un [[Walter Ulbricht|Ulbricht]]. Il «Giornale» era certamente laico, ma prima di essere laico era italiano, e cercava d'operare con qualche senso di responsabilità. E negli anni Settanta solo gl'irresponsabili potevano augurarsi il crollo della Dc, cui eravamo condannati anche perché la cosiddetta Alleanza laica, l'accordo fra Pli, Pri e Psdi, non sortì mai i numeri per sostituirvisi. (pp. 243-244) *Ci fu un'unica battaglia sulla quale il «Giornale» si trovò allineato con Craxi e il nostro editore: quello per la libertà d'antenna. Battaglia sacrosanta. Berlusconi è tutt'altro che un idealista disinteressato e nessuno sa agire come lui aggirando, quando non calpestando, le regole. Ma i panni nobili coi quali i difensori della Rai rivestivano la loro offensiva politico-giudiziaria erano grotteschi. Se il peccato di Berlusconi stava nell'essere troppo amico del Psi, quello della Rai era d'essere troppo amica di tutti i partiti. A fornirci il destro furono poi i pretori coi loro interventi oscurantisti, peraltro prontamente sventati dai decreti di Craxi. E quindi la crociata dell'etere libero, che rientrava fra l'altro nella nostra tradizione antistatalista, divenne una campagna contro il "pretore selvaggio", che con i suoi abusi toglieva ogni certezza del diritto al cittadino. (pp. 275-276) *Le vere novità erano nate fuori dal Palazzo: come la Lega di [[Umberto Bossi]]. Che all'inizio anche il «Giornale», come molti altri, sottovalutò. Come si faceva a prender sul serio un invasato che nutriva le sue invettive di sfondoni storici e grammaticali da far accapponare la pelle? [...] Che Roma fosse ladrona, era indubitabile. E l'avversione per la burocrazia parassitaria e per il meridionalismo piagnone e sprecone andava a nozze con le tradizioni del «Giornale». Bossi quindi incarnava un sentimento molto diffuso anche fra i nostri lettori, una protesta genuinamente qualunquista che, per certi versi, all'inizio anche noi appoggiammo. Ma dovemmo prenderne le distanze quando Bossi cominciò a condire le sue contumelie contro il Palazzo con propositi secessionisti. (pp. 279-280) *Con Berlusconi, tuttavia, poi feci pace. Fu lui a telefonarmi: forse, aveva captato in qualche mio articolo un'ombra di rimpianto per il vecchio amico. Era il '96 e dopo il ribaltone le cose per lui si mettevano di male in peggio. [...] Così, una sera mi ritrovai di nuovo seduto alla sua mensa ad Arcore. [...] Riparlammo senza rancore dei nostri trascorsi. Gli domandai quale garanzia avesse ricevuto da [[Massimo D'Alema|D'Alema]] sulle sue aziende in cambio dell'opposizione inesistente che gli assicurava. Rise. «Ma perché, ora che hai sistemato i tuoi affari, non ti chiami fuori dalla politica?» gli chiesi. «È una parola» mi rispose rabbuiandosi. «I giudici non obbediscono neppure a D'Alema». E lì capii quale era, ormai, la vera sostanza del suo dramma. (p. 312) *Se anch'io sono diventato europeista, è per disperazione: l'Europa è forse l'unica possibilità di sopravvivere per noi italiani, che come italiani non siamo riusciti a vivere. Questo è sempre stato l'europeismo degl'italiani di più alta coscienza, a partire da [[Alcide De Gasperi|De Gasperi]], che fu il primo a capire i rischi d'un Italia lasciata in balìa degl'italiani. (p. 315) *Pur fra tante fortune, purtroppo a me la sorte ha riservato di portarmi nella tomba le due cose che ho più amato: il mio mestiere e il mio Paese. Che cosa sia diventato il primo, annientato da computer e televisione, è sotto gli occhi di tutti. Quanto al secondo, la cancrena è ormai inarrestabile e la decomposizione sta avvenendo per dissoluzione di quel poco che resta dello Stato. E dico decomposizione, non secessione. La secessione si fa anche con la violenza, e dove lo troviamo oggi un solo plotone di soldati disposto a imbracciare le armi pro o contro l'Unità dello Stato? Che, se resta ancora in piedi, è solo perché non ha neppure la forza di cadere. Quello di rinunziare alla nazione poi, è un sacrificio che non saprei compiere, anche se razionalmente mi rendessi conto ch'è necessario, oppure inevitabile. E ringrazio l'anagrafe che mi esclude dal problema. (p. 316) ==''Storia d'Italia''== {{vedi anche|Indro Montanelli e Roberto Gervaso|Indro Montanelli e Mario Cervi}} ===''L'Italia giacobina e carbonara''=== *I [[cinismo|cinici]] sono tutti moralisti, e spietati per giunta. (cap. 10, p. 144) *[[Francesco Melzi d'Eril|Melzi]] apparteneva a una delle più grandi famiglie dell'aristocrazia lombarda, e ne portava nel sangue le doti migliori: la rettitudine, la cultura, la cortesia, ma anche una certa alterigia, che probabilmente gli veniva dalla madre spagnola. (cap. 11, p. 152) *{{NDR|Francesco Melzi d'Eril}} Aveva fatto parte dei circoli illuministici dei Serbelloni, dei Beccaria e di Pietro Verri, di cui era anche cognato. [[Napoleone Bonaparte|Napoleone]] lo aveva conosciuto al tempo della sua prima campagna d'Italia, dopo la battaglia di Lodi lo aveva invitato a Mombello, e ne aveva fatto il proprio consigliere. Quel signore che portava ancora il costume settecentesco, le calze bianche e la parrucca incipriata, gli piaceva. Gli piaceva perché non era servile, perché non era venale, perché non era nemmeno ambizioso. Una leggera sordità e una salute piuttosto precaria, insidiata da un forte artritismo, l'obbligavano a riguardi incompatibili con l'esercizio del potere. Più che il protagonista, preferiva fare il suggeritore. (cap. 11, p. 152) *L'unico che avesse qualità di uomo di Stato era il ministro delle finanze, [[Giuseppe Prina|Prina]], anche perché era piemontese, cioè veniva da un paese che uno Stato lo era da secoli. Ex procuratore generale della Corte dei Conti di Torino e membro del governo provvisorio del '99<ref>1799.</ref>, si era poi trasferito nella [[Repubblica Cisalpina|Cisalpina]] e ne aveva preso la cittadinanza. Non aveva un carattere che attirasse simpatie. Anzi, chiuso e freddo com'era, le respingeva. Ma era un lavoratore instancabile e scrupoloso, dotato di un acuto senso politico e – diceva [[Stendhal]] – "ha del grande in testa". (cap. 12, p. 164) *Perché non andassero perse neanche le briciole {{NDR|delle entrate della Repubblica Cisalpina}}, Prina riformò tutto il sistema fiscale riducendone il personale e facendone una macchina di straordinaria efficienza. Fu lui a inventare la "tassa di famiglia", o meglio a ripristinarla, perché la sua vera iniziatrice era stata [[Maria Teresa d'Austria|Maria Teresa]]. Ma la maggior pressione la esercitò nel campo delle imposte indirette che colpivano tutti i consumi senza distinguere fra quelli di lusso e quelli di prima necessità. Naturalmente a farne le spese furono soprattutto le classi popolari, che di lì a pochi anni gliel'avrebbero fatta pagare<ref>Prina, dopo l'abdicazione di Napoleone, fu linciato dalla folla a Milano il 20 aprile 1814.</ref>. Ma con questi sistemi riuscì a portare le entrate da settanta a oltre cento milioni e a pareggiare il bilancio. (cap. 12, p. 165) *[[Carlo II di Parma|Carlo Ludovico]] era stato talmente oppresso dalla madre<ref>Maria Luisa di Borbone-Spagna (1782–1824).</ref> che sognava di disfare tutto ciò ch'essa aveva fatto, compreso il proprio matrimonio; e quando le successe nel '24<ref>Come duca di Lucca nel 1824.</ref>, introdusse anche per buona fortuna dei lucchesi, metodi di governo diametralmente opposti a quelli di lei. Ridusse l'appannaggio che Maria Luisa esigeva per alimentare i suoi fasti spagnoli, liberalizzò i commerci, e alla fine si convertì addirittura al luteranesimo, mentre sua moglie diventava Terziaria domenicana. Fu un cattivo marito, ma non un cattivo sovrano. E Lucca, sotto di lui, respirò. (cap. 25, p. 375) *[...], {{NDR|la [[Carboneria]]}} non fu certo una scuola di educazione politica, e probabilmente è anche al suo esempio e modello che sono dovute le malformazioni della nostra democrazia e la sua intrinseca debolezza. Figli e nipoti dei Carbonari furono quei "notabili" che governarono l'Italia fino alla prima guerra mondiale e che, insieme a innegabili virtù, ebbero anche il vizio di considerare il Paese una "clientela" di Apprendisti esclusi dai "sacri travagli". (cap. 26, p. 395) *Fu qui {{NDR|al Teatro alla Scala}} che {{NDR|[[Ugo Foscolo]]}} vide [[Antonietta Fagnani Arese]], già famosa a ventitré anni non soltanto per la sua bellezza, ma anche per lo sfruttamento intensivo che ne aveva fatto. Probabilmente era una frigida, ma che sapeva recitare la sua parte: tutti i giovani più in vista di Milano cadevano nelle reti di questa Circe, e forse fu anche questo a stimolarlo. (cap. 35, p. 510) *Misto di genio e di ciarlatano, [[Domenico Barbaja|Barbaja]] aveva debuttato come sguattero, aveva fatti primi soldi inventando un dolce di panna e cioccolato, la "barbajada", li aveva moltiplicati con la gestione del Ridotto da giuoco della Scala, e ormai tanti ne aveva che quando il San Carlo andò distrutto da un incendio, lo ricostruì a proprie spese. (cap. 39, pp. 608-609) *{{NDR|Domenico Barbaja}} Era semianalfabeta, e di musica non conosceva una nota, ma conosceva il pubblico, era un infallibile scopritore di talenti, e nel 1815 si assicurò quello di un compositore ventitreenne, in cui già aveva identificato la figura più rappresentativa della lirica contemporanea: [[Gioacchino Rossini]]. (cap. 39, p. 609) *{{NDR|[[Ciro Menotti]]}} Uomo onesto, ma di un candore che sconfinava nella sprovvedutezza, [...]. (cap. 40, p. 635) ===''L'Italia del Risorgimento''=== *{{NDR|[[Giuseppe Mazzini]]}} Due mesi d'intenso lavoro gli bastarono a maturare il piano. Più che una setta, la sua organizzazione sarebbe stata un vero e proprio partito, anche se clandestino, senza l'oscura simbologia e i complicati rituali carbonari. Si sarebbe chiamata ''[[Giovine Italia]]'' e lo sarebbe stata anche di fatto perché, salvo casi eccezionali, era preclusa a chi avesse superato i quarant'anni di età. (cap. 4, pp. 54-55) *D'irresolutezza, [[Carlo Alberto di Savoia|Carlo Alberto]] aveva dato prova anche prima di salire sul trono, e lo aveva dimostrato anche il suo contraddittorio atteggiamento nel '21<ref>Nei moti piemontesi del 1821, Carlo Alberto aveva prima dato e poi ritirato il suo appoggio ai congiurati.</ref>. Il coraggio e la volontà non gli mancavano; ma gli mancava il carattere. Nella guerra di Spagna era stato un valoroso combattente<ref>Nel 1823, Carlo Alberto aveva partecipato alla campagna militare per ristabilire l'assolutismo regio in Spagna.</ref>, e la disciplina a cui si sottoponeva era spartana. Ma le responsabilità morali lo sgomentavano. (cap. 9, pp. 135-136) *{{NDR|Carlo Alberto}} Non era né intelligente né colto. Ma certi movimenti di opinione pubblica e orientamenti di pensiero li coglieva e ne restava influenzato. Nel '38 aveva mandato in galera e poi in esilio [[Vincenzo Gioberti|Gioberti]], ma nel '43 ne leggeva con interesse il ''Primato''. Se [[Massimo d'Azeglio|D'Azeglio]] avesse scritto il suo libro<ref>''Degli ultimi casi di Romagna'' (1846).</ref> due anni prima, avrebbe mandato in esilio anche lui. Ora in pratica ne aveva fatto una specie di agente segreto. I tempi insomma li sentiva e con essi andava. (cap. 9, p. 136) *Questo grande soldato {{NDR|[[Josef Radetzky]]}} non aveva mai conosciuto sconfitte, e a ottant'anni suonati conservava intatte prestanza fisica ed energia morale. Come tutti i militari, credeva soltanto nella spada e nella disciplina. Ma non somigliava affatto all'immagine che di lui ci ha tramandato la storiografia risorgimentale: quella del crudele "impiccatore", del caporalaccio ottuso, grossolano e brutale. Era al contrario un grande signore, di tratto ruvido ma generoso, perpetuamente alle prese con problemi di bilancio perché aveva le mani bucate. (cap. 13, p. 194) *{{NDR|Radetzky}} Aveva sposato una Contessa austriaca che viveva a Vienna e gli aveva dato otto figli da cui non gli venivano che dispiaceri. Uno militava ai suoi ordini lì a Milano, ma era un così cattivo arnese che un prete un giorno lo schiaffeggio per strada. Radetzky mandò a chiamare il prete, gli strinse la mano e gli disse: "''{{sic|Crazzie}}''". Per amante si era presa una brava stiratrice lombarda che sapeva cucinare bene gli gnocchi, di cui era ghiottissimo, e dalla quale ebbe altri quattro figli. Non era affatto un odiatore degl'italiani: tant'è vero che, quando andò in pensione, rimase a Milano, e lì morì nel '58. Era soltanto un fedele servitore del suo Paese, di cui non discuteva la causa. E soprattutto era un vecchio lupo di guerra coraggioso, astuto e risoluto. (cap. 13, p. 195) *La notizia si diffuse prima ancora che lo [[Statuto Albertino|Statuto]] fosse firmato, e in un battibaleno le piazze di Torino, eppoi di tutto il Piemonte, eppoi di tutto il Reame, si riempirono di folla esultante. Essa non conosceva il contenuto del documento che introduceva, sì, un regime rappresentativo, ma circondandolo delle maggiori cautele [...]. Più che del suo contenuto, la pubblica opinione era innamorata della parola ''Costituzione'', che aveva finito, per assumere ai suoi occhi magici significati, e la salutava con luminarie, canti e bandiere. (cap. 14, p. 218) *[...] [[Francesco Anzani|Anzani]], il più serio e autorevole degli esuli italiani, che aveva combattuto per la libertà in Grecia e in Spagna. Le sue parole avevano gran peso anche perché fra tutti quei chiacchieroni, ne pronunziava poche. (cap. 18, p. 281) *[...] [[Giuseppe Montanelli|Montanelli]] era così infatuato {{NDR|del progetto di Costituente italiana}} e tanto ne parlava nei suoi discorsi che il popolino – dicono – finì per credere che la Costituente fosse il nome di sua moglie. (cap. 19, p. 298) *[[Pellegrino Rossi|Rossi]] era un toscano della Lunigiana, ma solo all'anagrafe. Come formazione e mentalità, apparteneva ancora a quel tipo di {{sic|apòlidi}} che l'Italia del Settecento sfornava doviziosamente e che, non trovando in patria un terreno per i loro talenti, andavano da mercenari a investirli all'estero. Professore d'Università a poco più di vent'anni, poi commissario di [[Gioacchino Murat|Murat]] al tempo del suo infelice tentativo di unificare l'Italia sotto il suo scettro, era l'unico cattolico cui l'Accademia calvinista di Ginevra avesse mai affidato una cattedra. (cap. 19, p. 301) *{{NDR|Pellegrino Rossi}} Fu sin dal principio un fautore di [[Papa Pio IX|Pio IX]] fino a partecipare di persona alle manifestazioni popolari in suo favore, ma vide subito la pochezza e ambiguità dell'uomo e ne denunziò i pericoli. (cap. 19, pp. 302-303) *Sebbene gli avessero affidato pieni poteri, [[Daniele Manin|Manin]] era un uomo discusso. Molti lo consideravano un malaccorto maneggione, un improvvisatore digiuno di problemi economici e militari, bravo soltanto ad attribuirsi i meriti degli altri. Secondo [[Niccolò Tommaseo|Tommaseo]], ch'era fra i suoi più insidiosi diffamatori, il potere gli aveva dato "una scossa da intorbidargli la mente e far più grave e manifesta la sua inesperienza". (cap. 23, p. 354) *{{NDR|Daniele Manin}} Intellettualmente, non era al livello di un [[Giuseppe Mazzini|Mazzini]] o di un [[Carlo Cattaneo|Cattaneo]]. Ma era, come loro, inattaccabile sul piano morale. E, in mancanza di un vero e proprio potere carismatico, esercitava sulle folle un notevole fascino per la sua gioviale e arguta "venezianità". Parlava sempre in dialetto con battute raccattate sulla bocca dei gondolieri, e anche nel dramma portava un pizzico di [[Carlo Goldoni|Goldoni]]. I suoi limiti li conosceva, e non è vero che l'autorità gli avesse dato alla testa, come diceva Tommaseo che diceva male di tutti. Anzi la esercitava bonariamente e cercava di circondarsi di uomini validi che sopperissero alla sua incompetenza. (cap. 23, pp. 354-355) *Eran trascorsi pochi mesi {{NDR|dal suo matrimonio con Vittorio Emanuele}}, che [[Maria Adelaide d'Asburgo-Lorena|Maria Adelaide]] lo sorprendeva nel giardino di Moncalieri con una diva del teatro, Laura Bon, ma si guardò dal farne un dramma. Perfettamente educata al mestiere di Regina, essa sapeva che la rassegnazione alle infedeltà ne è parte imprescindibile, e le sopportò sempre con garbo e dignità. (cap. 25, p. 390) *Sfruttando la devozione di Carlo Alberto, [[Clemente Solaro della Margarita|Solaro della Margarita]] aveva regolato i rapporti con la Chiesa in modo tale da fare del clero piemontese il più potente d'Italia dopo quello dello [[Stato Pontificio|Stato pontificio]]. Esso aveva ancora i suoi tribunali in concorrenza con quelli dello Stato e poteva concedere il diritto d'asilo ai delinquenti. (cap. 26, p. 410) *[...] {{NDR|Giuseppe}} Montanelli, gran galantuomo e ricco d'ingegno, non lo era altrettanto di carattere. Idee ne aveva, anzi ne aveva troppe; ma, facilmente suggestionabile, finiva sempre per adottare quelle dell'ambiente in cui viveva. (cap. 29, pp. 464-465) *Il primo a trarne le conclusioni {{NDR|dalle tesi favorevoli alla monarchia piemontese esposte nel libro di [[Vincenzo Gioberti|Gioberti]] ''Del rinnovamento civile d'Italia''}} fu [[Giorgio Pallavicino Trivulzio|Pallavicino]], l'ex prigioniero dello Spielberg, da un pezzo rifugiato a Torino. Di scarso cervello politico, impetuoso fino alla leggerezza, teatrale e un po' troppo portato a ostentare i suoi titoli di "martire", aveva fino allora militato sotto bandiera rivoluzionaria. (cap. 32, p. 514) *{{NDR|Tra i Mille di Garibaldi}} C'era il malinconico ex prete [[Giuseppe Sirtori|Sirtori]], che della guerra aveva fatto una mistica e sul campo sembrava che officiasse. (cap. 40, p. 635) ===''L'Italia dei notabili''=== *La [[Convenzione di settembre|Convenzione]], che fu detta "di Settembre" dal mese in cui venne concordata, si componeva di cinque articoli e stabiliva: che l'Italia rinunziava ad ogni atto di ostilità contro il territorio pontificio; che la Francia ne avrebbe ritirato le sue truppe via via che il governo del Papa le avesse rimpiazzate con volontari indigeni e stranieri, e comunque entro due anni; e che questo doppio impegno sarebbe entrato in vigore dal momento in cui il governo italiano avesse decretato il trasferimento della capitale da operarsi nello spazio di sei mesi. (Capitolo quinto, Firenze capitale, p. 76) *Gli sventramenti che furono operati {{NDR|a Firenze, nuova capitale del Regno d'Italia}} per alloggiare i Ministeri e i nuovi quartieri che sorsero alla periferia per ospitare i venticinque o trentamila impiegati che calarono da Torino, lasciarono la città orrendamente sfregiata e carica di debiti. (Capitolo quinto, Firenze capitale, p. 78) *{{NDR|[[Carmine Crocco]]}} [...] condannato per diserzione a vent'anni di carcere, ne era evaso, si era dato alla macchia, e in poco tempo era diventato il più temuto e rispettato capobanda della [[Basilicata|Lucania]] non soltanto per il suo coraggio, ma anche per la sua intelligenza di guerrigliero.</br>[...] Crocco venne riconosciuto Generalissimo non solo per l'autorità che gli conferivano le sue gesta, ma anche, perché, sebbene mezzo analfabeta, possedeva un'oratoria immaginosa e apocalittica. (Capitolo sesto, I briganti, pp. 85-89) *{{NDR|[[Giustino Fortunato]]}} [...] il più grande e illuminato studioso del Meridione. (Capitolo sesto, I briganti, p. 86) *Figlio di un fabbro e medico di professione, [[Giovanni Lanza|Lanza]] incarnava, nella Destra piemontese tradizionalmente formata da nobili, militari e grandi borghesi, un tipo umano del tutto insolito: il nuovo piccolo ceto medio, spartano e puritano, formatosi nelle scuole serali e nell'Università popolare. (Capitolo nono, Gli anni della lesina, p. 133) *L'esercito papalino era un'accozzaglia di mercenari delle più svariate nazionalità (c'erano perfino dei turchi). [...] circa 15.000 uomini, al comando del generale [[Hermann Kanzler|Kanzler]]. Compito gentiluomo, ligio al Regolamento come lo era al Catechismo, questi aveva tuttavia un concetto tedesco dell'onore militare e avrebbe preferito una sconfitta a una resa. Ma {{NDR|Il segretario di Stato}} Antonelli non era di questa opinione. Gli ordinò di ritirare le truppe {{NDR|pontificie}} dentro le mura e di limitarsi a un simulacro di resistenza. (Capitolo decimo, Porta Pia, pp. 141-142) *{{NDR|La duchessa [[Eugenia Attendolo Bolognini Litta|Eugenia Litta]]}} Durante la campagna del '59<ref>Seconda guerra d'indipendenza italiana.</ref> era stata il riposo del guerriero più famoso e importante: [[Napoleone III di Francia|Napoleone III]]. E secondo le malelingue era passata subito dopo in eredità a [[Vittorio Emanuele II di Savoia|Vittorio Emanuele]], che però era il meno adatto ad apprezzare la sua vita di vespa, le sue carni pallide e i suoi raffinatissimi gusti. [[Honoré de Balzac|Balzac]] le aveva reso omaggio. [[Arrigo Boito|Boito]] seguitava a rendergliene. [[Gabriele D'Annunzio|D'Annunzio]] dirà ch'essa "aveva rubato il segreto a Ninon de Lenclos<ref>Scrittrice, cortigiana ed epistolografa francese (1620–1705).</ref>". Insomma come iniziatrice all'amore, il giovane principe {{NDR|il futuro [[Umberto I di Savoia|Umberto I]]}} non poteva desiderarne una più fascinosa ed esperta. Lo fu al punto che, nonostante la differenza d'età, egli le rimase devoto – anche se non fedele – fino alla fine dei suoi giorni. (Capitolo quattordicesimo, Il marito di Margherita, p. 196) *{{NDR|[[Margherita di Savoia]]}} [...] era una vera e seria professionista del trono, e gl'italiani lo sentirono. Essi compresero che, anche se non avessero avuto un gran Re, avrebbero avuto una grande Regina. (Capitolo quattordicesimo, Il marito di Margherita, p. 197) *Il trattato {{NDR|della [[Triplice alleanza (1882)|Triplice alleanza]]}} fu firmato a Vienna nel maggio dell'82<ref>20 maggio 1882.</ref>. Esso impegnava le tre Potenze al reciproco aiuto nel caso in cui una fosse aggredita e alla benevola neutralità nel caso che aggredisse. Inoltre Austria e Germania dichiaravano di disinteressarsi del problema del Papa, considerandolo un affare interno italiano.<br>Quest'ultima clausola fu, insieme alla fine dell'isolamento, il grande vantaggio che l'Italia trasse dal patto, ma nient'altro. Essa non vi era entrata su un piede di parità con le consocie. Aveva semplicemente acceduto all'alleanza che già legava le altre due, le quali restavano per così dire le padrone di casa, e Bismarck non perse occasione di farcelo sentire. (Capitolo diciannovesimo, La Triplice, pp. 276-277) *L'unico Stato che ruppe le relazioni con quello italiano in seguito a [[Presa di Roma|Porta Pia]] fu l'Ecuador. Mai la Chiesa si era trovata in condizioni di più completo isolamento. (Capitolo ventitreesimo, I cattolici, p. 334) *Sindaco di Palermo a ventisette anni, {{NDR|[[Antonio Starabba, marchese di Rudinì|il marchese di Rudinì]]}} aveva affrontato con molto coraggio la rivolta che vi era scoppiata nel '66, e questo lo aveva accreditato come il fanciullo-prodigio del moderatismo, destinato a gloriose imprese. Ma, diceva De Sanctis, col passare del tempo, il prodigio dileguò e rimase solo il fanciullo. Ministro degl'Interni a trent'anni in uno dei governi Menabrea, la sua carriera si era fermata lì. Pure, la fama di "uomo forte" gli era rimasta addosso, suffragata anche dalla sua alta statura, dai lampeggiamenti del monocolo, dalla fluente barba, dalla nobilesca alterigia. Idee, non ne aveva. Ma aveva delle impennate che facevano credere alla sua risolutezza. E questo, in una Destra impoverita di personalità di rilevo, gli era bastato per guadagnarsi i galloni di capo. (Capitolo ventiquattresimo, Giolitti, pp. 348-349) *In realtà, del soldato, [[Oreste Baratieri|Baratieri]] non aveva neanche il fisico. Grasso e sgraziato, con gli occhiali a ''pince-nez'', sembrava molto più vecchio dei suoi cinquant'anni e costruito più per la cattedra che per l'elmo. (Capitolo ventisettesimo, Adua, p. 391) *{{NDR|Dopo le dimissioni del generale [[Luigi Pelloux|Pelloux]]}} A succedergli il Re chiamò il Presidente del Senato [[Giuseppe Saracco|Saracco]], un galantuomo ch'era riuscito a conservare intatta la sua reputazione di democratico pur essendo stato due volte Ministro nei governi di Crispi. Aveva quasi ottant'anni, ma conservava una notevole lucidità di cervello, e ne dette prova formando un governo di coalizione che includeva un po' tutte le forze, meno l'Estrema cui diede tuttavia soddisfazione chiamando parecchi suoi uomini nella commissione incaricata di studiare un nuovo regolamento parlamentare che, senza intaccare la libertà di discussione, impedisse l'ostruzionismo, o per meglio dire lo regolasse. (Capitolo ventottesimo, I cannoni di Bava Beccaris, p. 417) ===''L'Italia di Giolitti''=== *Si è detto che {{NDR|[[Egidio Osio]]}} plagiò il suo pupillo {{NDR|il principe ereditario, futuro re [[Vittorio Emanuele III di Savoia|Vittorio Emanuele III]]}} e ne lesionò definitivamente il carattere terrorizzandolo e mortificandone gli slanci. Si è detto che anche sul suo fisico ebbe pessima influenza costringendolo a penosi e logoranti sforzi. Si è detto che furono i suoi metodi repressivi a creare nel Principe quei complessi d'inferiorità da cui fu sempre afflitto, a traumatizzarlo, a inaridirlo, a riempirne l'animo di sordi rancori.<br>Ma se non proprio di falsità, si tratta di verità contraffatte. (cap. I, Il nuovo Re, p. 15) *Militare dalla testa ai piedi, Osio era un uomo duro, imperioso, abituato al comando. [...] Ma era anche un gran signore, perfetto uomo di mondo, e nutrito di buone letture. Sebbene la sua carriera potesse esserne notevolmente avvantaggiata, esitò molto ad accettare l'incarico {{NDR|di tutore del principe ereditario}}, vi si risolse solo dietro garanzia che nemmeno i genitori avrebbero più interferito nell'educazione del ragazzo, di cui egli diventava unico e assoluto responsabile, e al termine della sua missione non beneficiò di nessuno "scatto di grado". (cap. I, Il nuovo Re, pp. 15-16) *[[Elena del Montenegro|Elena]], che da ragazza dipingeva, suonava il violino, componeva poesie come suo padre<ref>Nicola I del Montenegro.</ref>, e amava il tennis e la danza, rinunziò a questi passatempi appena vide che lui {{NDR|il futuro Vittorio Emanuele III}} li detestava, anzi adottò come ''hobbies'' quelli di lui: la numismatica e l'archeologia. Per il resto fu soltanto una donna di casa, come lo era stata a Cettigne<ref>Capitale del Regno del Montenegro.</ref>. Sapendolo insofferente dei camerieri, era lei che lo serviva a tavola, e per farsi i vestiti si prese in casa una sartina. (cap. I, Il nuovo Re, p. 27) *[[Filippo Meda|Meda]] era un avvocato milanese di spirito pratico, che considerava l'astensione dal voto {{NDR|dei cattolici}} un dovere da osservare finché il Papa lo imponeva, ma un grosso errore strategico di cui occorreva sollecitare la revoca. Lo Stato liberale, diceva, c'è e va accettato. Va soltanto salvato dalle sue tentazioni autoritarie e giacobine. E questo i cattolici possono farlo soltanto inserendocisi e riformandolo in modo da tenerlo al riparo dai pericoli d'involuzione. Lo Stato cioè per lui era un "peccatore da salvare". (cap. IV, Cattolici e socialisti, p. 72) *[...] [[Romolo Murri|Murri]] era un giovane sacerdote marchigiano, che aveva conosciuto la povertà e nel Vangelo vedeva soprattutto un messaggio giustizialista. Introverso e malinconico come tutti i fanatici, egli si considerava molto più "avanzato" di Meda per il carattere rivoluzionario che intendeva imprimere al movimento {{NDR|cattolico}}. In realtà era un uomo del ''[[Sillabo]]'' che, pur partendo anche lui dall'accettazione dello Stato unitario, intendeva tramutarlo in una [[teocrazia]] egalitaria e totalitaria, sul tipo di quella che i Gesuiti avevano fondato un paio di secoli prima nel Paraguay. Se a ispirarlo fosse più l'amore del povero o l'odio del ricco, non sappiamo. (cap. IV, Cattolici e socialisti, pp. 72-73) *Meda e Murri furono dapprincipio alleati. Entrambi volevano un grande partito, popolare indipendente dalla Chiesa. Ma Meda lo concepiva come lo sviluppo della organizzazione tradizionale, cioè dell'''Opera''<ref>"Opera dei congressi e dei comitati cattolici", spesso abbreviata in "Opera dei congressi", organizzazione cattolica italiana, sciolta nel 1904.</ref>, una volta strappatala alla vecchia guardia, mentre Murri lo vedeva come un organismo nuovo, un "Fascio", come quelli che pochi anni prima avevano messo a soqquadro e insanguinato la Sicilia. (cap. IV, Cattolici e socialisti, p. 73) *Lo [[Sciopero generale del 1904|sciopero {{NDR|generale del 1904}}]] [...] non fu un fallimento, ma non fu nemmeno un successo perché si esaurì spontaneamente, e il suo più consistente risultato fu la spaccatura delle forze operaie. Lo si vide pochi mesi dopo, quando i sindacalisti bandirono un altro sciopero, quello delle ferrovie, da cui i sindacalisti uscirono demoralizzati e con la truppa dimezzata. (cap. IV, Cattolici e socialisti, p. 85) *[[Alessandro Fortis|Fortis]] era un tipico notabile romagnolo di lungo e contradditorio corso ideologico. Aveva debuttato come repubblicano intransigente, era andato in galera per complotto rivoluzionario con gli anarchici, poi era stato conquistato da [[Francesco Crispi|Crispi]], era finito {{sic|Ministro}} di [[Luigi Pelloux|Pelloux]], e ora militava sotto la bandiera di [[Giovanni Giolitti|Giolitti]]. Come "trasformista", era tra i più qualificati. Ma questa pecca era abbondantemente compensata dai suoi doni di simpatia umana e da una grande esperienza parlamentare. (cap. VI, Il suffragio universale, p. 107) *Quando [[Enrico Corradini|Corradini]] applicò il vocabolario socialista alla Nazione parlando di una "Italia proletaria" in lotta contro le plutocrazie occidentali, e lanciò l'idea di un "imperialismo operaio" da contrapporre a quello capitalistico, riscosse in campo sindacalista vasti consensi e pose le premesse di un pasticcio ideologico in cui Mussolini avrebbe di lì a poco guazzato. (cap. VII, "Tripoli bel suol d'amore", p. 137) *{{NDR|Giolitti}} Più che la Libia, voleva la [[Guerra italo-turca|guerra]], o meglio qualcosa che desse finalmente agl'italiani l'impressione di farne una e di vincerla. (cap. VII, "Tripoli bel suol d'amore", p. 145) *[...] a Vienna l'imperatore Francesco Giuseppe aveva dovuto intervenire di persona per fermare la mano al Capo di Stato Maggiore [[Franz Conrad von Hötzendorf|Conrad]] che voleva una spedizione punitiva contro l'Italia, ora ch'era impegnata in Africa {{NDR|nella guerra di Libia}}, per metterla in ginocchio "prima che avesse il tempo di perpetrare altri tradimenti". (cap. VII, "Tripoli bel suol d'amore", pp. 149-150) *Non si è mai saputo con certezza come si svolse l'operazione {{NDR|del [[patto Gentiloni]]}} che, ben s'intende, doveva restare segretissima. Giolitti negò sempre di avervi partecipato, e infatti d'impronte digitali non ve ne lasciò. Fu probabilmente senza le sue credenziali, ma certamente non senza il suo beneplacito che qualche esponente liberale prese contatto coi cattolici. Questi avevano una "unione elettorale" di cui era Presidente un Conte marchigiano, [[Vincenzo Ottorino Gentiloni|Gentiloni]], politico abile, ma vanesio e chiacchierone. Egli s'impegnò a mobilitare il voto cattolico in favore dei candidati liberali dovunque questi fossero minacciati dalla Estrema Sinistra; e i liberali s'impegnarono a difendere la parificazione delle scuole confessionali a quelle dello Stato, a ripristinare in queste ultime l'istruzione religiosa, a respingere l'introduzione del divorzio, e – pare – a combattere la Massoneria. (cap. VIII, Il crepuscolo degli dei, p. 163) *Se [[Gaetano Salvemini|Salvemini]] incarnava lo spirito protestatario e la sete giustizialista delle plebi meridionali, [[Antonio Salandra|Salandra]] incarnava lo spirito autoritario e conservatore della borghesia terriera. Proveniva da una famiglia di notabili pugliesi con parecchia roba al sole, e alla politica era approdato dalla cattedra universitaria, di cui conservava molti caratteri: una notevole cultura e finezza intellettuale, ma anche un compassato distacco che rasentava la freddezza. Prima di affrontare un problema lo studiava minuziosamente, e nessuno sapeva prospettarlo con più chiarezza di lui. (cap. IX, Sarajevo, p. 168) *[[Paolo Boselli]] {{NDR|incaricato nel 1916 di formare il nuovo governo dopo le dimissioni di Antonio Salandra}}, che fu chiamato a presiederlo, possedeva tutti i requisiti, meno quelli che occorrono per guidare un Paese in guerra. Deputato ligure da parecchie legislature, era stato varie volte Ministro con Crispi, Pelloux e Sonnino, ma nessuno se n'era accorto. [...]. Passava per un esperto di questioni economiche, e moralmente era un personaggio di tutto rispetto. Ma politicamente era scolorito, e per di più aveva quasi ottant'anni. (cap. XVI, La caduta di Salandra, pp. 293-294) *Quanto [[Luigi Cadorna|Cadorna]] era solitario, monacale ruvido e chiuso in un giro di valori e d'idee tradizionali, tanto [[Luigi Capello|Capello]] era brillante, estroverso, moderno, ricco d'immaginazione e maestro di "pubbliche relazioni". (cap. XVI, La caduta di Salandra, pp. 298-299) *Lucano di Melfi, [[Francesco Saverio Nitti]] incarnava anche nel fisico tozzo e grassottello il tipo del notabile meridionale, colto, brillante, scettico e alquanto egocentrico. [...] la sua specialità era il problema del Mezzogiorno, di cui fu tra i primi seri studiosi e che gli fornì anche la base elettorale. [...]. Sul livello medio della classe politica di allora, egli faceva spicco per preparazione, equilibrio e lucidità, ma anche per una certa propensione ad attribuirsi il monopolio di queste virtù. (cap. XXIII, Versaglia, pp. 420-421) ===''L'Italia in camicia nera''=== *Un altro utile incontro fu per Mussolini quello con [[Angelica Balabanoff]], personaggio già di notevole rilevo nel socialismo internazionale. Era una russa di buona famiglia borghese, che fin da giovanissima si era imbrancata con quella ''intellighenzia'' rivoluzionaria da cui venivano anche i Lenin, i Trotzky, e gli altri futuri grandi del bolscevismo. A spingerla era stata la ribellione contro la meschinità, lo snobismo provinciale, il sussiego di casta, i tabù del suo ceto. (cap. 1, p. 23) *Angelica {{NDR|Balabanoff}} non era bella, non aveva la grazia eterea ed esangue di Anna {{NDR|[[Anna Kuliscioff|Kuliscioff]]}}. Ma non era nemmeno sgradevole, nonostante i fianchi massicci e gli zigomi pronunciati, eppoi era una russa, cosa che faceva un grande effetto al piccolo provinciale di Predappio<ref>Mussolini era nato a Dovia, frazione di Predappio.</ref>. Anche se fra loro non divampò la passione che aveva legato Anna ad [[Andrea Costa]], qualcosa ci fu, ed ebbe la sua importanza. Angelica cercò d'incivilire quel selvaggio trasandato che passava da ostinati mutismi a interminabili sproloqui conditi di orrende bestemmie. Lo sfamava, gli lavava la biancheria, lo iniziava, sia pure con poco successo, al marxismo [...]. (cap. 1, p. 25) *Uno dei tre protagonisti del giuoco {{NDR|[[Gabriele D'Annunzio]]}} era eliminato. La partita ora si riduceva agli altri due: Giolitti e Mussolini. (cap. 1, p. 101) *Mussolini aveva vinto, e la sua vittoria significava che il fascismo, abbandonata la pretesa di presentarsi come un movimento rivoluzionario di sinistra, quale lo avrebbero voluto Grandi, Farinacci e Marsich, presentava la sua candidatura a forza egemonica della destra e infilava la «via parlamentare» al potere.<br>C'era un pericolo, e Mussolini lo capì subito: che questa svolta a destra mettesse il partito alla mercé della sua ala reazionaria incarnata soprattutto dal ''ras'' piemontese [[Cesare Maria De Vecchi|De Vecchi]], uomo di poco cervello, ma tutto Trono e Altare, e che quindi poteva anche tornar comodo per il futuro. (cap. 2, p. 127) *[...], i giolittiani riuscirono a portare al governo uno dei suoi {{NDR|di Giolitti}} «ascari» più fedeli, ma anche dei più sbiaditi: [[Luigi Facta]].<br> Facta era un bravo avvocato di provincia piemontese con tutte le virtù, ma anche con tutti i limiti del suo ambiente: un uomo probo e integro, che dopo trent'anni di vita parlamentare ne aveva ormai una certa esperienza, aveva ricoperto con onore alcune cariche ministeriali, non aveva alcuna ambizione che quella di servire fedelmente il suo capo, né altre idee che quelle di lui. Tutto gli si poteva chiedere fuorché risolutezza ed immaginazione, cioè proprio le qualità che più urgevano. (cap. 2, pp. 143-144) *[...] le sue intenzioni {{NDR|Mussolini}} non le confidava nemmeno al segretario del partito, [[Michele Bianchi|Bianchi]], di cui apprezzava la fedeltà e l'impegno, ma non l'intelligenza: lo considerava angoloso, settario, puntiglioso vendicativo e privo d'intuito politico. L'unico con cui si apriva seguitava ad essere [[Cesare Rossi]], l'uomo che gli era stato accanto dal primo momento, lo aveva seguito in tutte le sue palinodie e gli dava sempre dei consigli che corrispondevano ai suoi desideri. (cap. 4, p. 166) *{{NDR|[[Vittorio Emanuele III]]}} non si fidava completamente di Mussolini, ma si fidava ancora meno dei suoi avversari ed era convinto che costoro, se avessero preso il mestolo in mano, avrebbero ricreato il caos del dopoguerra. Comunque, a una cosa era assolutamente deciso: a non farsi coinvolgere nella lotta politica, come del resto gli dettava la Costituzione di cui, quando gli faceva comodo, sapeva ricordarsi. ====[[Explicit]]==== *Resterebbe solo da sapere con che animo Mussolini s'investì, il 3 gennaio, nella parte di dittatore. Se, come molti sostengono, gli sforzi che fino a quel momento aveva fatto per evitarla erano stati solo un giuoco per dimostrare che non era lui a volerla, ma gli eventi ad imporgliela, bisogna riconoscere che come {{sic|giuocatore}} sapeva il fatto suo. ==''Storia dei Greci''== *Il modo migliore per ripagare il nostro contemporaneo [[Heinrich Schliemann|Enrico Schliemann]] degli enormi servigi che ci ha reso nella ricostruzione della civiltà classica, mi pare sia quello di assumerlo fra i suoi protagonisti, com'egli stesso mostrò di desiderare ardentemente, scegliendosi, in pieno secolo decimonono, [[Zeus]] come dio e a lui indirizzando le sue preghiere, battezzando [[Agamennone]] suo figlio, Andromaca sua figlia, Pélope e Telamone i suoi servitori, e dedicando a [[Omero]] tutta la sua vita e i quattrini. (cap. 2; 2004, p. 17) *{{NDR|Su [[Heinrich Schliemann|Schliemann]]}} Era un matto, ma tedesco, cioè organizzatissimo nella sua follia, che la buona sorte volle ricompensare. La prima storia che gli raccontò suo padre, quando aveva cinque o sei anni, non fu quella di [[Cappuccetto Rosso]], ma quella di [[Ulisse]], di [[Achille]] e di Menelao. Ne aveva otto, quando annunziò solennemente in famiglia che intendeva riscoprire Troia e dimostrare, ai professori di storia che lo negavano, ch'essa era realmente esistita. Ne aveva dieci, quando compose in latino un saggio su questo argomento. E ne aveva sedici, quando sembrò che questa infatuazione gli fosse del tutto passata. Infatti s'era impiegato come garzone di una drogheria, dove scoperte archeologiche non c'era da farne di certo, e di lì a poco s'imbarcò non per l'Ellade, ma per l'America, in cerca di fortuna. (cap. 2; 2004, p. 17) *Di nuovo il buon Dio, che per i matti ha un debole, lo compensò di tanta fede, guidando il suo piccone sugli scantinati del palazzo dei discendenti di re Atreo, nei cui sarcofaghi furono ritrovati gli scheletri, le maschere d'oro, i gioielli e il vasellame che si ritenevano esistiti solo nella fantasia di Omero. E Schliemann telegrafò al re di Grecia: ''Maestà, ho ritrovato i vostri antenati''. Poi, ormai sicuro del fatto suo, volle dare il colpo di grazia agli scettici del mondo intero e, sulle indicazioni di [[Pausania]], andò a Tirinto e vi disseppellì le ciclopiche mura del palazzo di Proteo, di Perseo e di [[Andromeda|Andròmeda]]. (cap. 2; 2004, pp. 19-20) *Schliemann morì quasi settantenne nel 1890, dopo aver sconvolto tutte le tesi e le ipotesi su cui si era basata sino ad allora la ricostruzione della preistoria greca, tesa ad esiliare Omero e Pausania nei cieli della pura fantasia. (cap. 2; 2004, p. 20) *Ma ora, dopo le scoperte del tedesco matto, non abbiamo più il diritto di mettere in dubbio la realtà storica di Agamennone, di Menelao, di [[Elena]], di [[Clitennestra]], di Achille e di Patroclo, di Ettore e di Ulisse, anche se le loro avventure non sono state esattamente quelle che Omero ha descritto, facendoci sopra la cresta. Schliemann ha arricchito la storia e impoverito la leggenda, di alcune decine di personaggi di primissimo piano. Grazie a lui alcuni secoli, che prima erano nel buio, sono entrati nella luce, anche se è quella incerta della primissima alba. Ed è solo per mano a lui che possiamo esplorarla. (cap. 2; 2004, p. 21) *Senza dubbio gli [[achei]], a differenza dei pelasgi, furono terrieri, tant'è vero che fino alla guerra di Troia imprese per mare non ne azzardarono, e ogni volta che lo trovavano si fermavano. Essi non tentarono di mettere il piede nemmeno nelle isole più vicine al continente, e tutte le loro capitali e cittadelle erano nell'interno. La Grecia, sotto di loro, si limitava al Peloponneso, all'Attica e alla Beozia; mentre per le popolazioni pelasgiche della civiltà micenea, ch'erano marinare, essa inglobava anche tutti gli arcipelaghi dell'Egeo. (cap. 3, ''Gli Achei''; 2004, p. 25) *[[Diogene di Sinope|Diogene]], che aveva la lingua lunga, disse che la religione greca era quella cosa per cui un ladro che sapeva bene l'Avemaria e il Paternoster era sicuro di potersela cavar meglio, nell'al di là di un galantuomo che li aveva dimenticati. Non aveva torto. La [[Religione dell'antica Grecia|religione]], in Grecia, era soltanto un fatto di procedura, senza contenuto morale. Ai fedeli non si chiedeva la fede né si proponeva il bene. S'imponeva solo il compimento di certe pratiche burocratiche. E non poteva essere diversamente, visto che di contenuto morale gli stessi {{sic|dèi}} ne avevano ben poco e non si poteva certo dire che fornissero un esempio di virtù. (cap. 7, ''Zeus e famiglia''; 2004, p. 54) *Anche [[Pisistrato]] era aristocratico e di famiglia ricca. Ma aveva capito che la [[democrazia]], una volta instaurata, è irreversibile e va sempre a sinistra. (cap. 15, ''Pisistrato''; 2004, p. 98) *Pisistrato, invece di cinquanta uomini, ne arruolò e armò quattrocento, s'impadronì dell'Acròpoli, e proclamò la dittatura. In nome e per il bene del popolo, si capisce, come tutte le dittature. (cap. 15; 2004, p. 91) *La stragrande maggioranza degli ateniesi, dopo averlo a lungo osteggiato e tenuto in gran sospetto, si erano sinceramente affezionati a Pisistrato che aveva dalla sua un'arma formidabile: la simpatia. (cap. 15; 2004, pp. 92-93) *Il tiranno Pisistrato seppe sfuggire a tutte le tentazioni del potere assoluto, meno una: quella di lasciare il «posto» in eredità ai figli, [[Ippia (tiranno)|Ippia]] e [[Ipparco (tiranno)|Ipparco]]. L'amor paterno gl'impedì di vedere con la consueta chiarezza che i totalitarismi non hanno eredi e che quello suo si giustificava soltanto come una eccezione alla democrazia per assicurarle ordine e stabilità. Peccato. (cap. 15; 2004, p. 95) *Pisistrato era morto nel 527 avanti Cristo. Ventun anni dopo, cioè nel 506, troviamo uno dei suoi due figli, da lui designati a succedergli, Ippia, alla corte del re di Persia, [[Dario I di Persia|Dario]], per suggerirgli l'idea di muover guerra contro Atene e la Grecia tutta. I grandi uomini non dovrebbero mai lasciare né vedove né eredi. Sono pericolosissimi. (cap. 16, ''I persiani alle viste''; 2004, p. 103) *Questo Ippia non aveva debuttato male, dopo che suo padre fu calato nella fossa. Era un giovanotto sveglio che, a furia di stare accanto al babbo, ne aveva imparato molte malizie, e alla politica aveva passione, a differenza di suo fratello Ipparco che invece s'interessava soltanto di poesia e di amore, in modo che fra i due non c'erano nemmeno pericolose rivalità. Eppure, a procurare i guai che condussero alla caduta della dinastia, fu proprio Ipparco. (cap. 16; 2004, p. 96) *Ipparco ebbe la disgrazia d'inciampare in un bellissimo guaglione di nome Armodio, che un certo Aristogitone – aristocratico quarantenne, prepotente e geloso – considerava sua proprietà. Costui concepì l'idea di sbarazzarsi del rivale col pugnale e, per dare all'assassinio un'etichetta più pulita che lo rendesse popolare, pensò di estenderlo anche al fratello Ippia facendolo passare per «delitto politico» in nome della libertà e contro la tirannia. Organizzò in questo senso una congiura con altri nobili latifondisti e, in occasione di una festa, tentò il colpo, che andò bene solo a mezzo: Ipparco ci rimise la pelle, ma Ippia scampò. E da quel momento, un po' per rancore, un po' per paura di altri complotti, il figlio e l'allievo di Pisistrato, dittatore liberale indulgente e illuminato, diventò un ''tiranno'' autentico. (cap. 16; pp. 96-97) *Lo scontento del popolo inferocì Ippia, che a sua volta inferocì il popolo. E quando il divorzio fra i due fu totale, i fuoriusciti, che frattanto si erano concentrati a Delfi, chiamarono in aiuto gli spartani, e insieme marciarono contro Atene. (cap. 16; 2004, p. 97) *Ippia si rifugiò sull'Acròpoli coi suoi sostenitori. Ma, per mettere in salvo i suoi figlioletti, cercò di farli segretamente espatriare. Gli assedianti li catturarono e l'infelice padre, per salvar la vita a loro e a se stesso, capitolò e si avviò in volontario esilio. Non bisogna dimenticare che nelle sue vene scorreva tuttavia il sangue di Pisistrato, cioè di un uomo sempre pronto a sacrificare la posizione alla famiglia, ma mai disposto a rassegnarsi alla sconfitta. (cap. 16; 2004, p. 97) *[[Milziade]] aveva capito qual era il debole dei [[Persia|persiani]]: essi erano bravi soldati individualmente, ma non avevano nessuna idea della manovra collettiva. E su questa puntò. A dar retta agli storici del tempo — che purtroppo erano tutti greci, — Dario perse settemila uomini, Milziade neanche duecento. (cap. 17, ''Milziade e Aristide''; 2004, p. 112) *{{NDR|A Milziade}} sopravvisse [[Aristide]], le cui vicende purtroppo ci dimostrano che l'[[onestà]] in [[politica]] non trova sempre i suoi compensi e che la [[storia]], come le [[donna|donne]], ha un debole per i birbaccioni. (cap. 17, ''Milziade e Aristide''; 2004, p. 112) *Nike, diventata ragazza, porta il [[peplo]] di lana, bianca o colorata, ma questa è l'unica scelta che le si lascia. Siccome è confinata in casa, non può nemmeno far quella di un ragazzo che le piace, e deve aspettare che il padre si metta d'accordo con un altro padre per combinare il matrimonio. (cap. 23, ''Una Nike qualsiasi''; 2004, p. 143) *Quando il grande [[Mirone]], rincorbellito dalla vecchiaia, si vide arrivare in studio come modella Laìde<ref>Etera dell'antica Grecia, celebre per la sua bellezza.</ref>, perse la testa e le offrì tutto ciò che possedeva purché restasse la notte. E siccome essa rifiutò, l'indomani il poveruomo si tagliò la barba, si tinse i capelli, indossò un giovanile [[chitone]] color porpora e si passò una mano di carminio sul viso. «Amico mio», gli disse Laìde, «non sperare di ottenere oggi ciò che ieri rifiutai a tuo padre». (cap. 23, ''Una Nike qualsiasi''; 2004, p. 150) *{{NDR|[[Fidia]]}} Qualcosa, nel suo carattere, doveva farne un nemico degli uomini, visto che nessuno lo amava. Eppure egli non fu soltanto un grande scultore, ma anche un grandissimo maestro, che, oltre ad aver creato uno stile, ne fece anche una scuola, trasmettendone le regole ad allievi come Agoracrito e Alcamene, continuatori del «classico». (cap. 25, ''Fidia sul Partenone''; 2004, p. 165) *Gli uomini non sanno apprezzare e misurare che la [[fortuna]] degli altri. La propria, mai. (cap. 25, ''Fidia sul Partenone''; 2004, p. 166) ==''Storia di Roma''== ===[[Incipit]]=== Non sappiamo con precisione quando a Roma furono istituite le prime scuole regolari, cioè «statali». Plutarco dice che nacquero verso il 250 avanti Cristo, cioè circa cinquecent'anni dopo la fondazione della città. Fino a quel momento i ragazzi romani erano stati educati in casa, i più poveri dai genitori, i più ricchi dai ''magistri'', cioè da maestri, o istruttori, scelti di solito nella categoria dei liberti, gli schiavi liberati, che a loro volta erano scelti fra i prigionieri di guerra, e preferibilmente fra quelli di origine greca, che erano i più colti. ===Citazioni=== <!--segui nel riportare le citazioni l'ordine cronologico del libro--> *Non ho scoperto nulla, con questo libro. Esso non pretende di portare "rivelazioni", nemmeno di dare una interpretazione originale della storia dell'Urbe. Tutto ciò che qui racconto è già stato raccontato. Io spero solo di averlo fatto in maniera più semplice e cordiale, attraverso una serie di ritratti che illuminano i protagonisti in una luce più vera, spogliandoli dei paramenti che fin qui ce li nascondevano. (introduzione) *{{NDR|[[Numa Pompilio]]}} Quelle che più lo interessavano erano le questioni religiose. E siccome in questa materia ci doveva essere una grossa anarchia perché ognuno dei tre popoli {{NDR|etruschi, latini e sabini}} venerava i propri {{sic|dèi}}, fra i quali non si riusciva a capire chi fosse il più importante, Numa decise di mettervi ordine. E per imporlo, questo ordine, ai suoi riottosi sudditi, fece spargere la notizia che ogni notte, mentre dormiva, la ninfa Egeria veniva a visitarlo in sogno dall'Olimpo per trasmettergliene direttamente le istruzioni. Chi vi avesse disobbedito, non era col re, uomo fra gli uomini, che avrebbe dovuto vedersela, ma col Padreterno in persona. (Rizzoli 1959, cap. 3, ''I re agrari'', pp. 37-38) *[[Tarquinio Prisco|Lucio Tarquinio]] e i suoi amici etruschi dovettero veder subito che profitto si poteva trarre da questa massa di gente, per la maggior parte esclusa dai comizi curiati, se si fosse potuta convincerla che solo un re forestiero come lui avrebbe potuto farne valere i diritti. E per questo l'arringò, promettendole chissà cosa, magari ciò che poi fece davvero. [...] Certamente ci riuscirono perché Lucio Tarquinio fu eletto col nome di Tarquinio Prisco, rimase sul trono trentotto anni, e per liberarsi di lui i ''patrizi'', cioè i «terrieri», dovettero farlo assassinare. Ma inutilmente. Prima di tutto perché la corona, dopo di lui, passò al figlio, eppoi a suo [[Tarquinio il Superbo|nipote]]. In secondo luogo perché, più che la causa, l'avvento della dinastia dei Tarquini fu l'effetto di una certa svolta che la storia di Roma aveva subìto e che non le consentiva più di tornare al suo primitivo e arcaico ordinamento sociale e alla politica che ne derivava. (RCS 2004, cap. 4, ''I re mercanti'', pp. 38-39) *Questo secondo [[Tarquinio il Superbo|Tarquinio]], prima di rischiare il colpo, tentò di far deporre lo zio per abuso di potere. Servio si presentò alle centurie che lo riconfermarono re con plebiscitaria acclamazione (lo racconta [[Tito Livio]], gran repubblicano, dunque dev'esser vero). Non restava quindi che il pugnale, e Tarquinio lo usò senza troppi scrupoli. Ma il respiro di sollievo che trassero i senatori, coi quali si era alleato, rimase loro in gola, quando videro l'uccisore sedersi a sua volta sul trono d'avorio senza chieder loro permesso, come avveniva a quei buoni vecchi tempi ch'essi speravano di restaurare. Il nuovo sovrano si mostrò subito più tirannico di quello che aveva spedito all'altro mondo. E infatti lo ribattezzarono «il Superbo» per distinguerlo dal fondatore della dinastia. (RCS 2004, cap. 4, ''I re mercanti'', pp. 42-43) *Non sappiamo quasi nulla di [[Lars Porsenna|Porsenna]]. Ma dal modo come si condusse, dobbiamo dedurre che alle doti del bravo generale doveva accoppiare quelle del sagace uomo politico. Egli si rese conto che negli argomenti di [[Tarquinio il Superbo|Tarquinio]] c'era del vero. Ma prima d'impegnarsi, volle essere sicuro di due cose: che il Lazio e la Sabina erno davvero pronti a schierarsi dalla sua parte, e che nella stessa Roma c'era una «quinta colonna» monarchica pronta a facilitargli il compito con un'insurrezione. (RCS 2004, cap. 5, ''Porsenna'', p. 49) *Da quell'anno 508 in cui fu fondata la repubblica, tutti i monumenti che i romani innalzarono un po' dappertutto portarono sempre la sigla SPQR che vuol dire: ''Senatus PopuluSque Romanus'', cioè «il Senato e il popolo romano». Cosa fosse il Senato, già lo abbiamo detto. Viceversa non abbiamo ancora detto cos'era il popolo, che non corrispondeva affatto a ciò che noi intendiamo con questa parola. In quei lontani giorni di Roma esso non comprendeva «tutta» la cittadinanza, come avviene oggi, ma soltanto due «ordini», cioè due classi: quella dei «patrizi» e quella degli ''equites'' o «cavalieri». (RCS 2004, cap. 6, ''SPQR'', p. 54) *{{NDR|[[Sacco di Roma (390 a.C.)]]}} Gli storici che lo hanno raccontato a cose fatte hanno avvolto di molte leggende questo capitolo che dovett'essere per l'Urbe molto spiacevole. Dicono che quando i [[galli]] fecero per dare la scalata al [[Campidoglio]], le oche sacre a Giunone cominciarono a stridere risvegliando così [[Marco Manlio Capitolino|Manlio Capitolino]] che, alla testa dei difensori, respinse l'attacco. Sarà. Però i galli in Campidoglio entrarono ugualmente come in tutto il resto della città, donde la popolazione era fuggita in massa per rifugiarsi su monti circostanti. (Rizzoli 1959, cap. 6, ''SPQR'', pp. 81-82) *[...] i galli espugnarono Roma, la misero a sacco, e se ne andarono incalzati dalle legioni, ma carichi di quattrini. Erano predoni gagliardi e zotici, che non seguivano nessuna linea politica e strategica nelle loro conquiste. Assalivano, depredavano e si ritiravano senza punto preoccuparsi del domani. Avessero potuto immaginare che vendetta Roma avrebbe tratto da quella umiliazione, non vi avrebbero lasciato pietra su pietra. (Rizzoli 1959, cap. 6, ''SPQR'', pp. 82-83) *Tutti i dittatori della Roma repubblicana, meno uno, furono patrizi. Tutti, meno due, rispettarono i limiti di tempo che furono loro imposti. Uno di essi, [[Lucio Quinzio Cincinnato|Cincinnato]], che, dopo soli sedici giorni di esercizio della suprema carica, tornò spontaneamente ad arare il campo coi buoi, è passato alla storia coi colori della leggenda. (RCS 2004, cap. 9, ''La carriera'', p. 85) *Negli ultimi tempi {{NDR|[[Cesare]]}} si era spinto anche più in là: aveva imposto che tutte le discussioni che si svolgevano in quel solenne e aristocratico consesso venissero registrate e pubblicate giorno per giorno. Così nacque il primo giornale. Si chiamò ''[[Acta Diurna|Acta diurna]]'', e fu gratuito, perché, invece di venderlo, lo affiggevano ai muri in modo che tutti i cittadini potessero leggerlo e controllare ciò che facevano e dicevano i loro governanti. L'invenzione fu d'immensa portata perché sancì il più democratico di tutti i diritti. Il Senato, che traeva prestigio anche dalla sua segretezza, fu così sottoposto alla pubblica opinione, e non si riebbe mai più da questo colpo. (RCS 2004, cap. 24, ''Cesare'', p. 214) *Se riuscirò ad affezionare alla storia di Roma qualche migliaio di italiani, sin qui respinti dalla sussiegosità di chi gliel'ha raccontata prima di me, mi riterrò un autore utile, fortunato e pienamente riuscito. (introduzione) *Sull'esattezza di quel che [[Tito Livio|Livio]] riferisce facciamo le nostre riserve, specie là dov'egli mette in bocca ai suoi personaggi interi discorsi che somigliano più a Livio che a loro. La sua è una storia di eroi, un immenso affresco a episodi, e serve più a esaltare il lettore che a informarlo. [[Roma]], a dargli retta, sarebbe stata popolata soltanto, come l'Italia di Mussolini, da guerrieri e navigatori assolutamente disinteressati, che conquistarono il mondo per migliorarlo e moralizzarlo. Gli uomini, secondo lui, sono divisi in buoni e cattivi. A Roma c'erano solamente i buoni, e fuori di Roma solamente i cattivi. Anche un grande generale come [[Annibale]] diventa, sotto la sua penna, un comune mariuolo. Ciò non toglie che la storia di Livio, costata cinquant'anni di fatiche a un autore che si dedicò soltanto ad essa, resti un gran monumento letterario. Forse il più grande fra quelli, piuttosto mediocri, eretti sotto il segno di [[Augusto]]. (cap. 30, ''Orazio e Livio'') *Può darsi che [[Dione Cassio]] e [[Svetonio]], nel loro odio per la monarchia, abbiano un po' calcato la mano. Ma matto, [[Caligola]] doveva esserlo davvero. (cap. 31, ''Tiberio e Caligola'') *[[Vitellio]], quando fu catturato nel suo nascondiglio, dove, tanto per cambiare, banchettava, fu trascinato nudo per la città con un laccio al collo, bersagliato di escrementi, torturato con ponderata lentezza, e alla fine gettato nel Tevere.<br>Questa città che si divertiva al fratricidio, questi eserciti che si ribellavano, questi imperatori che venivano subissati di sterco pochi giorni dopo essere stati coperti di osanna: ecco cos'era diventata la capitale dell'Impero. (Rizzoli 1959, cap. 37, ''I Flavi'', pp. 415-416) *Purtroppo la pace, per ottenerla, bisogna essere in due a volerla. (cap. 37, ''I Flavi'') *Era la prima volta, nella storia di Roma, che una guerra si combatteva in nome della religione. Ma fu la Croce che vinse. E il Tevere, trascinando verso la foce i cadaveri di [[Massenzio]] e dei suoi soldati che lo ingombravano, sembrò che spazzasse via i residui del mondo antico. (cap. 46, ''Costantino'') *Il papa che più contribuì a rassodare l'organizzazione in questi primi difficili anni fu [[Papa Callisto I|Callisto]], che molti consideravano un avventuriero. Dicevano che, prima di convertirsi, aveva fatto i quattrini con sistemi piuttosto equivoci, era diventato banchiere, aveva derubato i suoi clienti, era stato condannato ai lavori forzati ed era fuggito con un inganno. Il fatto che, appena diventato papa, proclamasse valido il pentimento per cancellare qualunque peccato, anche mortale, ci fa sospettare che in queste voci un po' di verità c'è. Comunque, fu un gran papa, che stroncò il pericoloso scisma d'[[Ippolito di Roma|Ippolito]] e affermò definitivamente l'autorità del potere centrale. (RCS 2004, cap. 46, ''Costantino'', p. 367) *Le rivoluzioni vincono non in forza delle loro idee, ma quando riescono a confezionare una classe dirigente migliore di quella precedente. E il [[Cristianesimo]] era riuscito proprio in questa impresa. (cap. 47, ''Il trionfo dei cristiani'') *[[Costantino]] fu uno strano e complesso personaggio. Faceva gran scialo di fervore cristiano, ma nei suoi rapporti di famiglia non si mostrò molto ossequente ai precetti di Gesù. Mandò sua madre Elena a Gerusalemme per distruggere il tempio di Afrodite che gli empi governatori romani avevano elevato sulla tomba del Redentore, dove, secondo Eusebio, fu ritrovata la croce su cui era stato suppliziato. Ma subito dopo mise a morte sua moglie, suo figlio e suo nipote. (cap. 47, ''Il trionfo dei cristiani'') *Come tutti i grandi Imperi, quello romano non fu abbattuto dal nemico esterno, ma roso dai suoi mali interni. (cap. 51, ''Conclusione'') *Una religione conta non in quanto costruisce dei templi e svolge certi riti; ma in quanto fornisce una regola morale di condotta. Il [[paganesimo]] questa regola l'aveva fornita. Ma quando Cristo nacque, essa era già in disuso, e gli uomini, consciamente o inconsciamente, ne aspettavano un'altra. Non fu il sorgere della nuova fede a provocare il declino di quella vecchia; anzi, il contrario. (cap. 51, ''Conclusione'') *Il dispotismo è sempre un malanno. Ma ci sono delle situazioni che lo rendono necessario. (cap. 51, ''Conclusione'') ===[[Explicit]]=== Mai città al mondo ebbe più meravigliosa avventura. La sua storia è talmente grande da far sembrare piccolissimi anche i giganteschi delitti di cui è disseminata. Forse uno dei guai dell'Italia è proprio questo: di avere per capitale una città sproporzionata, come nome e passato, alla modestia di un popolo che, quando grida «Forza Roma!», allude soltanto a una [[Associazione Sportiva Roma|squadra di calcio]]. ==''XX Battaglione eritreo''== ===[[Incipit]]=== Sono letterato. E, a parte il brutto e il meschino di quella parola, il mio mestiere m'innamora. Mi sono sforzato tanti anni, per compiacere a qualcuno o a qualcosa, di tradire questo mio istinto. Ma non ce l'ho fatta. E non ce la fo nemmeno ora, soldato in Africa, in piena guerra. Ma non lo dico per presentare il conto. E a chi, poi? Lo dico per un fenomeno di narcisismo: perché mi garba contemplarmi in questo gesto di fedeltà al mestiere, che poi vuol dire fedeltà a me stesso. ===Citazioni=== *Essere [[Àscari|ascaro]] vuol dire, press'a poco, avere un blasone; vuol dire avere tre lire al giorno, più un'indennità vestiario, più un'indennità farina, più un'indennità carne; vuol dire avere un ''tarbush'' e una fascia coi colori del battaglione; vuol dire soprattutto avere un fucile. La gente di questo Paese segue una logica sistematica semplice e dritta: l'umanità si divide in due categorie: gli armati che sono i forti, i disarmati che sono i deboli. Al culmine della gerarchia sociale sta il possessore di fucile, il guerriero: che è tanto più importante quanto più elevato è il suo grado e quanto è maggiore la sua anzianità. (p. 25) *[[Pietro Toselli|Toselli]]. Questo nome non ha in Italia la risonanza che ha qui. Toselli non è un uomo, è una leggenda: non solo alla cronaca, ma sfugge anche alla storia. È rimasto nei canti di questa gente, nelle sue memorie e anche nelle sue speranze. Pur ieri mi diceva il vecchio Sciumbasci, reduce di Adua e ora capopaese di Digsa, che «le cose che si sanno sono molto meno di quelle che non si sanno» e che «il fatto è questo: che il corpo del maggiore Toselli non era più sul campo dopo la battaglia». Su quello che ne sia avvenuto le opinioni sono discordi, ma nessuno crede che il maggiore sia morto. (pp. 35-36) *Appollaiato ai suoi piedi, nascosto fra il verde tenero degli eucalipti, stava [[Alessandro Pirzio Biroli|Pirzio Biroli]]. Il suo nome era mormorato con circospezione dagli [[Àscari|ascari]] disseminati fra le rocce di Mai Egadà a Saganeiti, da Agordar ad Assab, a Cheren, ad Adi Ugri, ad Adi Caieh. Raramente lo si vedeva e sempre a cavallo. Accanto a lui cavalcava Chiarini, la piccola ombra fedele, il fantasma sorto una notte da un roveto della conca di Adua. Chiarini, settantenne, pallido, non scompariva nell'alone magico che Pirzio, il buon gigante, suscitava intorno. (pp. 87-88) *Poi arrivava anche lui, [[Alessandro Pirzio Biroli|Pirzio]] il leone, altissimo, quadrato, col profilo calmo incorniciato dalla folta criniera. Il cavallo, domo dai suoi ginocchi di ferro, caracollava senza un tentativo di ribellione. Dalla sella pendevano, di qua e di là, due aquile colossali, abbattute in volo dal moschetto infallibile di Pirzio. Nessuna tromba sonava l'attenti al suo ingresso. Non ce n'era bisogno. Tutti, nel quartiere, sentivano come per miracolo la sua presenza e restavano ischeletriti. Pirzio non se n'accorgeva: era uno di quegli uomini pei quali gli uomini sentono rispetto per istinto e che passano attraverso la vita come attraverso un'eterna parata, fra due file di bipedi schiaffati meccanicamente sull'attenti. Gli [[Àscari|ascari]] ebbero ragione quando lo battezzarono «il Leone»: non aveva bisogno di ruggire perché il largo gli si facesse automaticamente intorno. (pp. 88-89) ===[[Explicit]]=== Vorremmo ristare dopo la guerra? Il mondo è così visto che nessun limite precisa al desiderio. Italiani, continuate ad aver fame anche dopo aver mangiato. Questa guerra è per noi come una bella lunga vacanza dataci dal Gran Babbo in premio di tredici anni di banco di scuola. E, detto fra noi, era ora. ==Citazioni su Indro Montanelli== *A leggerlo sembrerebbe un disordinatore di professione: sempre pronto a mugugnare, sempre a prendersela con qualcuno. Poi però, quando si tratta di scendere sul pratico, ci consiglia di turarci il naso e di andare a votare per l'Ordine. vallo a capire. ([[Luciano De Crescenzo]]) *Amo Indro Montanelli, ma non i suoi emuli. I polemisti per posa non mi piacciono, non li ritengo utili. Ma lui non era un polemista fine a se stesso, come tanti dei suoi presunti eredi. Era piuttosto, come da titolo di una sua fortunata rubrica, controcorrente. Non si curava delle convenienze, dei vantaggi che gli sarebbero derivati nel seguire l'onda di [[pensiero]] prevalente. Aveva la sua visione delle cose, sempre originale e spesso esatta. Io credo che dire quel che si pensa premi sempre. Montanelli lo faceva, e andava a letto tranquillo. ([[Fabio Genovesi]]) *C'è davvero qualcosa di singolare nel modo in cui è venuta formandosi la memoria della Repubblica, nel modo in cui tale memoria è stata ed è elaborata dalla cultura ufficiale del Paese. Per molti decenni, ad esempio, a quanto accaduto dal 1943 al '45 fu vietato dare il nome che gli spettava, il nome cioè di [[Guerra civile in Italia (1943-1945)|guerra civile]]. Parlare di guerra civile era giudicato fattualmente falso, e ancor di più ideologicamente sospetto. Bisognava dire che quella che c'era stata era la resistenza, non la guerra civile; di guerra civile parlavano e scrivevano, allora, solo i reduci di Salò, i nostalgici del regime e qualche coraggioso giornalista o pubblicista di rango come Indro Montanelli, che mostravano così da che parte ancora stavano. Le cose andarono in questo modo a lungo. Finché, all'inizio degli anni Novanta, come si sa, uno storico di sinistra, [[Claudio Pavone]], scrisse un libro sul periodo 1943-'45 che si intitolava precisamente ''Una guerra civile'': solamente da allora tutti abbiamo potuto usare senza problemi questa espressione, ben inteso non cancellando certo la parola resistenza. ([[Ernesto Galli della Loggia]]) *È uno che riesce a spiegare agli altri quello che non capisce nemmeno lui. ([[Mario Missiroli]]) *È vero che ha cambiato parere politico più volte, ma sempre perché profondamente preoccupato per le sorti del paese. Ma Indro ha cambiato parere sempre meno di quei giornalisti che da Lotta Continua sono passati a Comunione e Liberazione per approdare infine a dirigere quotidiani di Stato. Senza contare tutti coloro che da stalinisti o maoisti sono diventati prima antimarxisti e ora clintoniani: Montanelli ragiona, loro vogliono avere sempre ragione. ([[Fausto Gianfranceschi]]) *Indro è naturalmente inclinato, direi quasi condannato a vedere più i ''tics'' degli uomini che le loro qualità e nessuno come lui fa più uso, nei suoi ritratti, dell'acido prussico. ([[Eugenio Montale]]) *{{maiuscoletto|Indro Montanelli}}. L'Italia dei Luoghi Comuni. ([[Marcello Marchesi]]) *Io mi sono limitato ad adottare la sua formula giornali­stica. Ma l'ho realizzata meglio perché mi sono sempre esposto, ci ho messo la faccia. Lui invece era come Veltroni: "Sì, ma an­che". Non si schierava nettamente, il suo editoriale era così in chiaroscuro che alla fine non capivi mai se fosse chiaro o scuro. Il che non significa che non resti il migliore di tutti noi. Ho venduto più di lui solo perché a me la gente non fa schifo. ([[Vittorio Feltri]]) *Mi sono sentito in imbarazzo per lui, e il mio primo pensiero è stato il rifiuto – «no, povero Montanelli» – quando all'ingresso dei giardini di via Palestro mi sono trovato davanti alla sua statua, al punto che ho pensato che ci sono vandali che distruggono e vandali che costruiscono, e che anzi, per certi aspetti, il vandalismo che crea è ben peggiore, perché tenta di disarmarti con le sue buone intenzioni. Dunque era di mattina, molto presto, e i giardini erano vuoti, al sole. Ebbene in questo vuoto, la statua mi è apparsa all'improvviso: una figurina in gabbia che non ha niente a che fare con Montanelli, se non perché lo offende anche fisicamente, lui che era così "verticale", e che ci invitava a buttare via «il grasso» e la retorica monumentale. Il giornalista che ogni volta si ri-definiva in una frase, in un concetto, in un aforisma, in una citazione, è stato per sempre imprigionato in una scatola di sardine. Perciò ho provato il disagio che sempre suscita il falso, la patacca, la similpelle che non è pelle, perché non solo questo non è Montanelli, come ci ha insegnato Magritte che dipinse una pipa e ci scrisse sotto "questa non è una pipa". Il punto è che questa non è neppure una statuta di Montanelli, ma di un montanelloide in bronzo color oro, che ha la presunzione ingenua e goffa di imprigionare il Montanelli entelechiale, il Montanelli che era invece l'asciuttezza, era il corpo più "instatuabile" del mondo, troppo alto, troppo energico, troppo nervoso, incontenibile nello spazio e nel tempo com'è l'uomo moderno, che è nomade e ha un'identità al futuro. Era il più grande nemico delle statue il Montanelli che sempre ci sorprendeva, fascista ma con la fronda, conservatore ma anarchico, con la sinistra ma di destra, un uomo di forte fascino maschile che tuttavia non amava raccogliere i trofei del fascino maschile, ingombrante ma discreto, il solo che nella storia d' Italia abbia rifiutato la nomina a senatore a vita perché, diceva, «i monumenti sono fatti per essere abbattuti», come quello di Saddam, o di Stalin o di Mussolini. Come si può fare una statua ingombrante e discreta? Come si può fare un monumento all'antimonumento? ([[Francesco Merlo]]) *Montanelli comprò una sposa ragazzina di 11-12 anni. In realtà non possiamo sapere con precisione l'età perché nei villaggi africani non si registravano le nascite. Ma la comprò, questo lo sappiamo. E la violentò più volte. sappiamo anche questo, è stato lui a raccontare che lei non voleva. [...] Da italiano Montanelli avrebbe potuto riconoscere i segni di quella crudeltà e discostarsene. Non lo fece perché condivideva evidentemente quella cultura patriarcale. Perché non mettere al posto della sua statua quella di una donna della Resistenza? In Italia vorrei vedere più statue di donne partigiane. ([[Maaza Mengiste]]) *Montanelli disprezzava la borghesia che difendeva, e ammirava i comunisti che attaccava. Era convinto che la rivolta di Budapest si dovesse a operai che volevano il vero socialismo; mentre fu una rivolta nazionalista e antisovietica. ([[Enzo Bettiza]]) *Montanelli è il campione di indipendenza dalla politica, anche se sono arrabbiato con lui perché mi ha insegnato regole di comportamento anacronistiche, che nel giornalismo odierno non valgono più. ([[Daniele Vimercati]]) *Montanelli ha sempre avuto una componente di destra. È stato un uomo di destra come fascista, uomo di destra come sostenitore dei governi dc sia pure turandosi il naso. [...] Adesso è un uomo di destra qualunquista, ma sempre di destra. ([[Ugo Intini]]) *Montanelli, un misantropo che cerca compagnia per sentirsi più solo. ([[Leo Longanesi]]) *Quanto mi ha insegnato: le parole da non usare, le cose da non dire, la persone da non frequentare. ([[Beppe Severgnini]]) *Recentemente sono stato insignito del Premio Montanelli alla carriera che dovrebbe essermi consegnato a ottobre a Fucecchio, a meno che nel frattempo non mi sia revocato per indegnità, sempre in nome della libertà di informazione. Sono certo che il vecchio Indro non avrebbe condiviso nemmeno un fonema del mio necrologio sul Mullah {{NDR|Omar}}, ma sono altrettanto certo che non si sarebbe mai sognato di bloccarlo. Caso mai ci avrebbe riso su, considerandolo una provocazione, anche se provocazione non era. Perché Montanelli era un vero liberale. Quando i liberali esistevano ancora. ([[Massimo Fini]]) *Sa spalmare una così giusta misura di miele sull'orlo del nappo avvelenato che prepara per questo o per quello, che spesso la vittima muore senza accorgersene, ingannata dai soavi licori. ([[Paolo Monelli]]) *Scalfari e Montanelli direttori all'antica, padroni, mattatori che ricordano gli Scarfoglio, i vecchi direttori dell'ottocento che non solo incrociavano la penna ma anche la spada in una rissa continua con tutt ([[Ugo Intini]]) *Si può raccontare la [[storia]] in forma lieve, senza essere troppo ponderosi, rispettando tuttavia le fonti e la verità storica. Montanelli era molto bravo a scrivere, ma in fondo ne sapeva poco, gli piaceva gigioneggiare, sprofondava nell'anacronismo. Oggi ci si è accorti che, nel raccontare la storia, essere rigorosi ed essere divertenti non è conflittuale. ([[Alessandro Barbero]]) *So solo che Montanelli è fatto così: un maestro di giornalismo che ogni tanto s'impenna con qualcuna delle sue bizzarrie. ([[Giorgio Bocca]]) *Una volta, parecchi anni fa, Indro Montanelli, dicendosi disgustato della morbidezza e della mollezza della [[Democrazia Cristiana]], che ammorbidiva, incorporava, estenuava e alla fine innocuizzava qualsiasi opposizione, togliendole ogni soddisfazione e dignità, mi mostrò una fotografia, incastonata in una cornicetta d'argento, che teneva, a mo' di santino, come altri fanno con le immagini della madre o della moglie e dei figli, sulla sua scrivania, al «Giornale». Con sorpresa vidi che si trattava di Stalin. «Con questo ci sarebbe stato gusto, a battersi», disse. ([[Massimo Fini]]) *Ognuno può pensarla come vuole, ma quando si passa dalla cronaca alla storia è necessario mantenere un giusto approccio ed essere oggettivi sui valori della persona. Indro Montanelli è stato forse il più autorevole giornalista che l’Italia ha avuto nel ventesimo secolo. La Toscana penserà ad azioni per valorizzarlo. ([[Eugenio Giani]]) ===[[Enzo Biagi]]=== *A Indro Montanelli devo molto: intanto, l'idea che chi conta è il pubblico. Poi la necessità di essere chiari, di far anche fatica, perché chi legge non ha voglia di impegnarsi troppo, e solo se uno si chiama [[James Joyce|Joyce]] può essere difficile. *Montanelli se n'è sempre fregato delle critiche, io molto meno, ho un carattere permaloso, spesso non ho resistito alla tentazione di rispondere a chi mi attaccava. Indro mi sgridava, diceva a mia moglie di tenermi calmo, che non ne valeva la pena, che erano tutte bischerate. [...] Per lui il buon risultato era il sorriso di un passante, l'oste che gli trovava il tavolo. Qualcuno si chiedeva che cos'avesse di speciale. A pensarci bene, niente. Scriveva degli articoli che erano letti e dei libri che si vendevano. *Non è una gran notizia che Indro e io non abbiamo mai fatto parte del coro, ma fu una grande notizia la spiegazione che ne diede Berlusconi: "Biagi e Montanelli hanno invidia del mio successo". La prima cosa che mi venne in mente fu: "Sai che risate si starà facendo Indro adesso". Poi mi dissi che c'era poco da ridere. ==Note== <references/> ==Bibliografia== *Indro Montanelli, ''Qui non riposano'', Marsilio, 1982 (1945). *Indro Montanelli, ''Pantheon minore'' (incontri), Longanesi e C., Milano, 1950. {{NoISBN}} *Indro Montanelli, ''Reportage su Israele'', Derby, Milano, 1960. {{NoISBN}} *Indro Montanelli, ''Gli incontri'', Rizzoli, Milano, 1967. {{NoISBN}} *Indro Montanelli, ''Storia dei greci'', Rizzoli, Milano, 1992. ISBN 8817115126 *Indro Montanelli, ''Storia dei greci'', RCS Quotidiani, Milano, 2004. ISBN 1-129-08505-8 *Indro Montanelli, ''Storia di Roma'', Longanesi, Milano, 1957; Rizzoli, Milano, 1959. {{NoISBN}} *Indro Montanelli, ''Storia di Roma'', RCS Quotidiani, Milano, 2004. ISBN 1-129-08505-8 *Indro Montanelli, ''L'Italia giacobina e carbonara (1789-1831)'', Rizzoli, Milano, 1971. {{NoISBN}} *Indro Montanelli, ''L'Italia del Risorgimento (1831-1861)'', terza edizione, Rizzoli, Milano, 1972. {{NoISBN}} *Indro Montanelli, ''L'Italia dei notabili (1861-1900)'', Rizzoli, Milano, 1973. {{NoISBN}} *Indro Montanelli, ''L'Italia di Giolitti (1900-1920)'', Rizzoli, Milano, 1974. {{NoISBN}} *Indro Montanelli, ''L'Italia in camicia nera (1919-3 gennaio 1925)'', Rizzoli, Milano, 1976. *Indro Montanelli, ''Dante e il suo secolo'', Rizzoli, Milano, 1974. {{NoISBN}} *Indro Montanelli, ''I protagonisti'', Rizzoli, Milano, 1976. {{NoISBN}} *Indro Montanelli, ''Controcorrente'', Editoriale Nuova, Milano, 1978. {{NoISBN}} *Indro Montanelli, ''Controcorrente 1974-1986'', Arnoldo Mondadori Editore, Milano, 1987. ISBN 8804300558 *Indro Montanelli, ''Caro direttore. 1974-1977. Il meglio della rubrica "La parola ai lettori"'', Rizzoli, Milano, 1991, ISBN 88-17-42728-4. *Indro Montanelli, ''Il testimone'', Longanesi & C., Milano, 1992, ISBN 88-304-1063-2. *Indro Montanelli, ''Il meglio di «Controcorrente» 1974-1992'', Rizzoli, Milano, 1993, ISBN 88-17-42807-8. *Indro Montanelli, ''Caro lettore. Il meglio della rubrica "La parola ai lettori". 1978-1981'', Rizzoli, Milano, 1994, ISBN 88-17-42730-6. *Indro Montanelli, ''Le Stanze. Dialoghi con gli italiani'', Rizzoli, Milano, 1998, ISBN 88-17-85259-7. *Indro Montanelli, ''La stecca nel coro. 1974-1994: una battaglia contro il mio tempo'', Rizzoli, Milano, 1999, ISBN 88-17-868284-3. *Indro Montanelli, ''Le nuove Stanze'', Rizzoli, Milano, 2001, ISBN 88-17-86842-6. *Indro Montanelli, ''Soltanto un giornalista. Testimonianza resa a Tiziana Abate'', BUR, Milano, 2003. ISBN 8817107042 *Indro Montanelli, ''I conti con me stesso. Diari 1957-1978'', a cura di [[Sergio Romano]], Rizzoli, Milano, 2010. ISBN 8817028202 ([http://books.google.it/books?id=fuh--fZGHMcC&printsec=frontcover Anteprima su Google Libri]) *Indro Montanelli, ''Ricordi sott'odio'', Milano, Rizzoli, 2011, ISBN 978-88-17-04963-4 *Indro Montanelli, ''Indro al Giro. Viaggio nell'Italia di Coppi e Bartali. Cronache del 1947 e 1948'', a cura di Andrea Schianchi, Collana Saggi italiani, Milano, Rizzoli, 2016. ISBN 978-88-1708-969-2 *Paolo Granzotto, ''Montanelli'', Bologna, Il Mulino. ISBN 88-15-09727-9 *Paolo Occhipinti (a cura di), ''Caro Indro... Dialoghi di Montanelli con il direttore di Oggi. 1993-2001. Il meglio di una rubrica di successo durata otto anni'', RCS, Milano, 2002. ==Voci correlate== *[[Colette Rosselli]] *[[Indro Montanelli e Roberto Gervaso]] *[[Indro Montanelli e Mario Cervi]] *[[Indro Montanelli e Marco Nozza]] *''[[Il generale Della Rovere]]'' (film 1959) ==Altri progetti== {{interprogetto}} ===Opere=== {{Pedia|La Voce (quotidiano)|''La Voce''}} {{Pedia|Storia d'Italia (Montanelli)|''Storia d'Italia''}} {{DEFAULTSORT:Montanelli, Indro}} [[Categoria:Drammaturghi italiani]] [[Categoria:Giornalisti italiani]] [[Categoria:Saggisti italiani]] [[Categoria:Commediografi italiani]] rtj73ily6r26hrns77te14kmpj65utx 1381958 1381956 2025-07-01T21:02:23Z ~2025-110542 103361 /* Citazioni */ 1381958 wikitext text/x-wiki [[File:IndroMontanelliLettera22.jpg|thumb|upright=1.5|Indro Montanelli alla sede del ''Corriere della Sera'']] '''Indro Montanelli''' (1909 – 2001), giornalista, saggista e commediografo italiano. ==Citazioni di Indro Montanelli== [[File:Indro Montanelli 1936.jpg|miniatura|Indro Montanelli, ufficiale del Regio Esercito, 1936]] *[[Gianni Agnelli|Agnelli]] ha detto che non siamo nella repubblica delle banane, però qualche banana in Italia c'è, perché avvengono cose veramente singolari.<ref>Citato in Marco Travaglio, ''Bananas'', Garzanti, Milano, 5 maggio 2001.</ref> *Al [[conformismo]] l'[[ironia]] fa più paura d'ogni [[Argomentazione|argomentato ragionamento]].<ref>Da ''Controcorrente'', Editoriale Nuova, Milano, 1978.</ref> *{{NDR|[[Ferdinando I delle Due Sicilie]]}} Aveva sulla coscienza la vita di migliaia d'infelici, morti sulla forca e nelle galere solo per aver voluto un po' di libertà. Era stato spergiuro. Non aveva conosciuto che disfatte e fughe ignominiose di fronte al nemico. Politicamente, era rimasto fermo alla concezione settecentesca del più retrivo assolutismo. Non aveva fatto che i propri interessi, e più ancora i propri comodi, della regalità prendendosi solo i piaceri. Non aveva saputo che incrementare l'ignoranza di cui egli stesso era campione. Eppure, il cordoglio popolare per la sua morte non ci stupisce, perché un dono lo aveva avuto: la genuinità. Questo Re fellone e fannullone non aveva mai cercato di apparire diverso da quel che era: uno scugnizzo dei «bassi», prepotente, ridanciano e sboccato, nato per caso con una corona in testa e che aveva sempre concepito la sua parte come quella di un buon capo-camorra. Non aveva interpretato che i caratteri deteriori del popolo napoletano, ma anche i più appariscenti e riconoscibili.<ref>Da ''L'Italia unita. {{small|Da Napoleone alla svolta del Novecento}}'', Rizzoli BUR, Milano, 2015, [https://books.google.it/books?id=8J7tCgAAQBAJ&lpg=PT206&dq=&pg=PT206#v=onepage&q&f=false p. 206]. eISBN 978-88-58-68272-2</ref> *Avevo capito fin dal primo incontro che l'aggressività di [[Anna Magnani|Anna {{NDR|Magnani}}]] era solo la maschera della sua insicurezza. Era una donna difficile e sempre agli estremi di tutto: della dolcezza come del furore, e non si capiva mai bene, forse non lo capiva nemmeno lei, quanto l'uno e l'altra fossero veri, o soltanto scena. Certo è che dall'uno all'altra passava con fulminea velocità e tenendo chiunque in stato di fibrillazione. <ref>Da ''Anna Magnani, la più grande attrice del nostro cinema'', 23 ottobre 1999, in ''Le Nuove stanze'', a cura di Michele Brambilla, RCS Libri, Milano, 2002, p. 280.</ref> *{{NDR|[[Walter Chiari]]}} Avrebbe meritato 30 anni di prigione per lo spreco del suo talento.<ref>Citato in Luciano Giannini, ''[https://www.ilmattino.it/AMP/cultura/walter_chiari_100_walter_sottotitolo_chiari_biografia_di_un_genio_irregolare-7954361.html Walter Chiari genio irregolare che confessava di aver vissuto]'', ''Il Mattino'', 24 febbraio 2024</ref> *[[Silvio Berlusconi|Berlusconi]] è una persona intelligente finché riesce a ragionare col suo cervello: il suo cervello è valido. Ma lui, oltre al cervello, ha le viscere, e molto spesso le viscere prendono la prevalenza sul cervello. E quando lui si abbandona alle viscere, secondo me, diventa uomo pericoloso. Questo lo dico a lei perché l'ho detto a lui, perché gliel'ho anche scritto.<ref name="milano">Dal programma televisivo ''Milano, Italia'', Rai 3, 11 gennaio 1994.</ref> *[[Silvio Berlusconi|Berlusconi]] ha straordinarie qualità di imprenditore – coraggio, fantasia, forza di lavoro – che gli hanno valso il successo in tutti i campi in cui si è cimentato. Una sola cosa non gli riesce di fare, il presidente di una società di calcio.<ref>Da ''[http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/1987/01/20/ora-montanelli-critica-berlusconi.html Ora Montanelli critica Berlusconi]'', ''la Repubblica'', 20 gennaio 1987.</ref> *[[Silvio Berlusconi|Berlusconi]] non ha idee: ha solo interessi.<ref>2001; citato in [[Marco Travaglio]], ''Ad personam'', Chiarelettere, Milano, 2010, p. 39, ISBN 978-88-6190-104-9.</ref> *{{NDR|Su [[Aldo Moro]]}} Calvinista a rovescio, invece che nella predestinazione della [[Grazia divina|grazia]], credeva in quella della [[disgrazia]].<ref>Citato in [[Roberto Gervaso]], ''Ve li racconto io'', Mondadori, Milano, 2006, pp. 310-311, ISBN 88-04-54931-9.</ref> *Certo, per un direttore di giornale, avere sottomano un [[Marco Travaglio|Travaglio]], che su qualsiasi protagonista, comprimario e figurante della vita politica italiana è pronto a fornirti su due piedi una istruttoria rifinita nel minimo dettaglio è un bel conforto. Ma anche una bella inquietudine. Il giorno in cui gli chiesi se in quel suo archivio, in cui non consente a nessuno di ficcare il naso, ci fosse anche un fascicolo intitolato al mio nome, Marco cambiò discorso.<ref>Dalla prefazione a Marco Travaglio, ''Il Pollaio delle Libertà'', Vallecchi, Firenze, 1995.</ref> *Chi di voi vorrà fare il [[giornalista]], si ricordi di scegliere il proprio padrone: il [[lettore]].<ref>Dalla lezione di giornalismo all'Università di Torino, 12 maggio 1997; citato in ''La Stampa'', 14 aprile 2009.</ref> *Conosco molti furfanti che non fanno i [[Morale|moralisti]], ma non conosco nessun moralista che non sia un furfante. Senza, per carità, allusione a [[Eugenio Scalfari|Scalfari]]. Solo come promemoria.<ref>Citato in [[Eugenio Scalfari]], ''Incontro con io'', Rizzoli, Milano, 1994, ISBN 8806200747.</ref> *Cosa c'è meglio di [[Romano Prodi|Prodi]]? Governa fra compromessi e imbroglietti. I nostri soci sanno benissimo che siamo imbroglioni, che sui conti che portiamo all'Europa s'è un po' imbrogliato. Accettano lo stesso, purché non s'esageri. E [[Carlo Azeglio Ciampi|Ciampi]] non esagera, è un economista serio e vero. [...] {{NDR|Romano Prodi}} Con la faccia da mortadella, l'ottimismo inossidabile e l'eterno sorriso, ci porterà in Europa: ringraziamo Dio, e anche [[Massimo D'Alema|D'Alema]], che ci hanno dato Prodi.<ref name=Montanelli>Citato in Francesco Battistini ''[https://web.archive.org/web/20160101000000/http://archiviostorico.corriere.it/1997/dicembre/19/Montanelli_ragazzi_rifate_68_co_0_97121914987.shtml Montanelli: ragazzi, rifate il '68]'', ''Corriere della Sera'', 19 dicembre 1997.</ref> *Dicono che [[Ciriaco De Mita|De Mita]] sia un intellettuale della Magna Grecia. Io però non capisco cosa c'entri la Grecia...<ref>Citato in ''Liberazione'', 22 febbraio 2008.</ref> *{{NDR|Su [[Giulia Maria Crespi]]}} Dispotica guatemalteca.<ref> Citato in Paolo Martini, ''[https://www.adnkronos.com/crespi-la-zarina-del-corriere-della-sera-che-fondo-il-fai_4YA2lu93AIXTzgMw0Wj65x Crespi, la 'zarina' del Corriere della Sera che fondò il Fai]'', adnkronos.com, 19 luglio 2020.</ref> *{{NDR|Su [[Gad Lerner]], nel 2000}} È bravissimo, son contento l'abbian messo al ''Tg1'', è un buon conduttore, buonissimo giornalista. Ma sarà un bravo direttore?<ref>Citato in Antonella Rampino, ''[http://www.archiviolastampa.it/component/option,com_lastampa/task,search/mod,libera/action,viewer/Itemid,3/page,3/articleid,0428_01_2000_0162_0003_4349235/ Il rischio? Una missione impossibile]'', ''La Stampa'', 17 giugno 2000.</ref> *{{NDR|Su [[Concetto Lo Bello]]}} Entra in campo col passo del padrone che ispeziona il proprio podere.<ref>Citato in Marco Innocenti, ''[https://st.ilsole24ore.com/art/SoleOnLine4/dossier/Tempo%20libero%20e%20Cultura/storie-della-storia/archivio-2009/storie-storia-9-settembre-muore-lo-bello.shtml?uuid=4327f496-881f-11de-873c-ca3137183d57&DocRulesView=Libero&refresh_ce=1 9 settembre 1991: se ne va il re degli arbitri, Concetto Lo Bello]'', ''ilsole24ore.com'', 8 settembre 2009.</ref> *{{NDR|Su [[Gaio Giulio Cesare|Giulio Cesare]]}} Grande soldato, grande statista, grande scrittore, grande avventuriero. E grande amatore. C'era di tutto. [...] In questa epoca di Mani Pulite Cesare sarebbe rimasto sicuramente "intangentato". Di tangenti lui ne prese parecchie. Ma a differenza dei mariuoli di oggi era anche un grande legislatore, un grande generale, un uomo di un'efficienza straordinaria. I nostri sono dei ladri. Ladri e basta.<ref>Citato in Mauro Anselmo, ''[http://www.archiviolastampa.it/component/option,com_lastampa/task,search/mod,libera/action,viewer/Itemid,3/page,7/articleid,0797_01_1993_0212_0009_11229316/ Montanelli: così ho finito la mia Storia d'Italia]'', ''La Stampa'', 4 agosto 1993.</ref> *{{NDR|Su [[Clare Boothe Luce]]}} Ha la mentalità schematica di una maestra di scuola.<ref>Citato in Massimo Gaggi, ''Quando il giornale del Pci pensò di pubblicare il nudo dell'ambasciatrice Usa'', ''Corriere della Sera'', 18 dicembre 2022.</ref> *{{NDR|Su [[Lucio Battisti]]}} Ho amato molto le sue canzoni e il suo desiderio di vivere appartato.<ref>Citato in [[Leo Turrini]], ''Lucio Battisti: la vita, le canzoni, il mistero'', Mondadori, 2008, retrocopertina.</ref> *I mariti italiani, per comprar la pelliccia alle mogli, spendono più di tutti i loro colleghi europei. Poveri, ma pelli.<ref name=Controcorrente>Da ''Controcorrente, 1974–1986'', Mondadori, Milano, 1987.</ref> *I nostri uomini politici non fanno che chiederci, a ogni scadenza di legislatura, «un atto di fiducia». Ma qui la fiducia non basta; ci vuole l'atto di fede.<ref name=Controcorrente/> *I [[Ricordo|ricordi]] vanno messi sotto teca, appesi a una parete e guardati. Senza tentare di rinnovarli. Mai.<ref>Da un'intervista di [[Ferruccio de Bortoli]], 1999; in ''[http://www.rai.it/dl/Rai5/programma.html?ContentItem-f04f3982-e954-471e-8242-78f92423550d Indro Montanelli, gli anni della televisione]'', puntata 8, di Nevio Casadio, Rai Premium, 2013.</ref> *Il bello dei [[politologi]] è che, quando rispondono, uno non capisce più cosa gli aveva domandato.<ref name=Controcorrente/> *{{NDR|Su [[Carlo Sforza]]}} Il conte si piega sulle gambe come se volesse saltare in arcione. E io dico: è veramente un bell'uomo.<ref>Citato da Guido Russo Perez nella [https://documenti.camera.it/_dati/leg01/lavori/stenografici/sed0331/sed0331.pdf Seduta pomeridiana del 31 ottobre 1949] della Camera dei deputati.</ref> *Il fascismo privilegiava i somari in divisa. La democrazia privilegia quelli in tuta. In Italia, i regimi politici passano. I somari restano. Trionfanti.<ref name=Controcorrente/> *Il guaio di [[Eugenio Scalfari|Scalfari]] non è che dice quel che pensa. Il guaio di Scalfari è che pensa quel che dice.<ref>Citato in Paolo Granzotto, ''Montanelli'', p. 173.</ref> *In [[Italia]] a fare la dittatura non è tanto il dittatore quanto la paura degli italiani e una certa smania di avere, perché è più comodo, un padrone da servire. Lo diceva [[Benito Mussolini|Mussolini]]: «Come si fa a non diventare padroni di un paese di servitori?».<ref>Dall'intervista di Pasquale Cascella, ''Montanelli: «Il regime? È alle porte, inutile aspettare il dittatore»'', ''l'Unità'', 25 ottobre 1994, p. 5.</ref> *In Italia c'è una frangia d'imbecilli tali che credono si possa resuscitare il comunismo. Seppellire il cadavere del marxismo non è facile, anche perché per molti significa rinnegare l'intera esistenza. Ma certo [[Fausto Bertinotti|Bertinotti]] non è di questi: lui non sa un corno di marxismo, non gl'importa niente, è un piccolo pagliaccio, un populista all'italiana che scalda in piazza maree di poveri diavoli e parla ancora delle masse operaie, che vede solo lui.<ref name=Montanelli></ref> *In Italia non c'è una coscienza civile, non c'è un'identità nazionale che tenga insieme uno Stato federale e garantisca la civile convivenza delle sue parti. Invece io vedo solo nell'Italia Cisalpina qualche barlume di coscienza civile e una vocazione europea. Altrove, invece, è un disastro difficile, se non impossibile, da rimediare. Spero proprio di sbagliarmi.<ref name=Italia>Citato in ''Il grande vecchio del giornalismo rilegge gli ultimi anni della nostra storia'', ''L'Indipendente'', 25 luglio 1995.</ref> *In Italia si può cambiare soltanto la Costituzione. Il resto rimane com'è.<ref>Dall'articolo di Polaczek, ''Teile und sende'', in ''Frankfurter Allgemeine Zeitung'', 15 agosto 1996, p. 29.</ref> *In Italia un colpo di piccone alle [[Casa di tolleranza|case chiuse]] fa crollare l'intero edificio, basato su tre fondamentali puntelli, la Fede cattolica, la Patria e la Famiglia. Perché era nei cosiddetti postriboli che queste tre istituzioni trovavano la più sicura garanzia.<ref>Citato in Daniele Abbiati, [http://www.ilgiornale.it/news/tresse-indro-nella-repubblica-delle-marchette.html ''La maîtresse di Indro nella Prima Repubblica delle marchette''], ''il Giornale.it'', 22 ottobre 2010.</ref> *In nome di quale razza noi faremmo del razzismo? Se c'è un paese (adesso non voglio offendere, perché io sono italiano come tutti gli altri), ma se c'è un paese bastardo è l'Italia, cioè a dire una confluenza di razze diverse.<ref>Dal programma televisivo di Rai 3 ''Eppur si muove'', 20 marzo 1994.</ref> *Io non mi sono mai sognato di contestare alla [[Chiesa (comunità)|Chiesa]] il suo diritto a restare fedele a se stessa, cioè ai comandamenti che le vengono dalla Dottrina... ma che essa pretenda d'imporre questi comandamenti anche a me che non ho la fortuna di essere un credente, cercando di travasarli nella legge civile in modo che diventi obbligatorio anche per noi non credenti, è giusto? A me sembra di no.<ref>Citato in [[Umberto Veronesi]], ''[http://www.repubblica.it/2008/10/sezioni/cronaca/eluana-eutanasia-3/comm-veronesi/comm-veronesi.html Non vince la scienza]'', ''la Repubblica'', 14 novembre 2008.</ref> *Io il giornale urlato non è che non glielo voglio dare, non lo so fare! La clava non è nel mio armamentario! Non lo posso fare e non credo che sia un buon segno di civiltà politica l'uso della clava.<ref name="milano" /> *Io non sono napoletano, ma di fronte a [[Peppino De Filippo|Peppino]], non so come, mi capita sempre di diventarlo.<ref name=Pappagone>Citato in ''Pappagone e non solo'', a cura di Marco Giusti, Mondadori, Milano, 2003.</ref> *{{NDR|Alla nipote Letizia Moizzi}} Io sarò il tuo Jukebox. Tu metti una monetina e io ti racconto un ricordo.<ref>Citato in Elvira Serra, «Scoprii che era importante quando le Br gli spararono. Lo convinsi io a prendere i farmaci per la depressione», ''Corriere della Sera'', 20 gennaio 2025.</ref> *Io non voglio soffrire, io non ho della sofferenza un'idea cristiana. Ci dicono che la sofferenza eleva lo spirito; no la sofferenza è una cosa che fa male e basta, non eleva niente. E quindi io ho paura della sofferenza. Perché nei confronti della morte, io, che in tutto il resto credo di essere un moderato, sono assolutamente radicale. Se noi abbiamo un diritto alla vita, abbiamo anche un diritto alla morte. Sta a noi, deve essere riconosciuto a noi il diritto di scegliere il quando e il come della nostra morte.<ref>Citato in Carlo A. Martigli, ''[http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2002/04/25/sul-diritto-alla-morte-si-discute-su.html Sul diritto alla morte si discute su Internet]'', ''la Repubblica'', 25 aprile 2002.</ref> *Kipling diceva: "un italiano, un bel tipo; due italiani, una discussione; tre italiani, tre partiti politici". I suoi concittadini, invece, li definiva così: "un inglese, un cretino; due inglesi due cretini; tre inglesi, un popolo". Vorrei avere a che fare con dei cretini che, insieme, facessero un popolo.<ref>Citato in Cristina Taglietti, ''[https://web.archive.org/web/20160101000000/http://archiviostorico.corriere.it/1998/dicembre/17/Montanelli_cari_studenti_volete_spaccate_co_0_98121712510.shtml Montanelli: cari studenti, se volete spaccate tutto ma è inutile]'', ''Corriere della Sera'', 17 dicembre 1998.</ref> *{{NDR|Riguardo all'approvazione della legge elettorale nota come mattarellum}} L'unico modello a cui possiamo rifarci è quello francese, non quello inglese. In un paese dove ci sono venti-venticinque partiti, come si fa l'uninominale a turno unico? Qui rischia di vincere un partito che ottiene il dieci percento, perché gli altri hanno ottenuto il sette, il sei. Ma le pare giusto questo? Io non so se è stata una follia o un atto criminale questa riforma elettorale. Io sono per la traduzione in processo dei legislatori, da [[Sergio Mattarella|Mattarella]] agli altri - non è stato il solo - i quali hanno fatto, come al solito, o creduto di fare gli interessi del proprio partito. Hanno fatto questa legge prima che venisse il diluvio universale di [[Mani pulite|Tangentopoli]], convinti che siccome loro erano il partito di maggioranza relativa spazzavano via l'Italia. Poi è venuta tangentopoli e ora piangono. Dovrebbero suicidarsi se avessero un minimo di dignità. Suicidarsi. Perché in nome degli interessi di partito hanno completamente rovinato l'Italia. [...] Questi legislatori che hanno truffato con questa legge - perché questa legge è una truffa - io vorrei sapere come mai non vengono processati. Dovrebbero essere processati per lesa patria.<ref name=conferenza>[https://www.youtube.com/watch?v=snbg12DCPSM Indro Montanelli presenta "La Voce", conferenza stampa integrale], 1994.</ref> *La cosa curiosa di [[Antonino Caponnetto|Caponnetto]] è che si va a schierare con [[Leoluca Orlando|Orlando]] che è stato il peggior denigratore di [[Giovanni Falcone|Falcone]]. E poi dice che fa l'antimafia, io vorrei sapere i voti a Orlando chi glieli ha dati.<ref>Citato in Riccardo Chiaberge ''[https://web.archive.org/web/20160101000000/http://archiviostorico.corriere.it/1994/marzo/21/Montanelli_voce_controcorrente_co_0_94032115801.shtml Montanelli la voce controcorrente]'', ''Corriere della Sera'', 21 marzo 1994.</ref> *La [[cultura]], per un giornalista, è come una puttana: la puoi frequentare ma non devi ostentarla. La cultura si tiene nel cassetto. Il lettore non va trattato dall'alto in basso, ma preso per mano come un amico e portato dove vuoi.<ref>Citato in [[Roberto Gervaso]], ''Ve li racconto io'', Mondadori, Milano, 2006, p. 294, ISBN 88-04-54931-9.</ref> *La cultura si è chiusa nella torre eburnea. Rimane lì, arroccata in sé stessa, perché ha orrore dei contatti col pubblico, si crede diminuita dai contatti col pubblico. Questa è la cultura italiana. È una cultura di cretini.<ref name="montecarlo">Radio Montecarlo, [https://www.youtube.com/watch?v=A77mrwIjSSs Intervista a Indro Montanelli], di Roberto Arnaldi, 1973.</ref> *La [[depressione]] è una malattia democratica: colpisce tutti.<ref>Citato nel programma televisivo ''Ippocrate'', Rai News, 13 giugno 2010.</ref> *La devolution mi preoccupa molto, perché la decomposizione della [[Repubblica Socialista Federale di Jugoslavia|Jugoslavia]] cominciò esattamente così: reclamata e imposta dai due grandi compari Tudjiman e [[Slobodan Milošević|Milosevic]] che distrussero l'unità del Paese per restare padroni in casa propria...<ref>Citato in Gian Guido Vecchi, ''[https://web.archive.org/web/20160101000000/http://archiviostorico.corriere.it/2001/aprile/08/Devolution_traffico_voto_rebus_co_7_0104088547.shtml Devolution e traffico, il voto è un rebus]'', ''Corriere della Sera'', 8 aprile 2001.</ref> *La guerra contro il [[brigantaggio]], insorto contro lo Stato unitario, costò piú morti di tutti quelli del [[Risorgimento]]. Abbiamo sempre vissuto dei falsi: il falso del Risorgimento che assomiglia ben poco a quello che ci fanno studiare a scuola.<ref>Citato in Stefano Preite, ''Il Risorgimento, ovvero, Un passato che pesa sul presente'', Piero Lacaita, 2009.</ref> *La lettura del ''[[Adolf Hitler#Mein Kampf|Mein Kampf]]'' io la renderei, per legge, obbligatoria. Fuori dal contesto in cui fu concepito e scritto, quel libro è un caciucco di coglionerie.<ref>Citato in Cesare Medail, ''Il «Mein Kampf» torna nelle librerie italiane. Grazie a un editore cossuttiano'', ''Corriere della Sera'', 6 maggio 2000.</ref> *La nostra classe politica ha fatto del [[partito]] una specie di totem intoccabile e gli ha attribuito tutti i poteri, con in più un diritto: il diritto di abusarne.<ref name=Dovere>Dal programma televisivo ''Dovere di cronaca'', Rete 4, 1988, [https://www.youtube.com/watch?v=caQgyvTKZS8 visibile su YouTube].</ref> *Le cose non sono importanti per quello che sono, ma per quello che uno ci mette.<ref name="cento">intervista di Enzo Biagi a Indro Montanelli, (1982), da "Cento anni", Fabbri video, 1993.</ref> *Le mie idee sono sempre al vaglio dell'[[esperienza]] e l'esperienza mi impone di rivederle continuamente.<ref name="IIIB">Da un'intervista del 1971, tratta da ''III B, Facciamo l'appello'' di Enzo Biagi; anche in ''[http://www.rai.it/dl/Rai5/programma.html?ContentItem-f04f3982-e954-471e-8242-78f92423550d Indro Montanelli, gli anni della televisione]'', puntata 7, di Nevio Casadio, Rai Premium, 2013.</ref> *[[Leo Longanesi]] che amava [[Marcello Marchesi]] rabbiosamente per lo spreco che faceva del suo talento, quando lo incontrava, gli diceva: "Devo fare una telefonata, mi dai un gettone di intelligenza?". E un giorno mi ordinò un epitaffio per lui. Eccolo: "Qui giace un nessuno — che se avesse voluto — avrebbe potuto diventare — Marcello Marchesi —. Purtroppo o per fortuna — non lo seppe mai —. Come tutti i geni — era un cretino".<ref>Citato in Paola Fallai, ''Marchesi, l'umorista che creò un'atmosfera'', ''La lettura'', ''Corriere della Sera'', 25 marzo 2012; riportato in ''[http://www.cinquantamila.it/storyTellerArticolo.php?storyId=0000001549183 Cinquantamila.it]''.</ref> *Mi accusano molto spesso di avere inventato degli aneddoti. È verissimo. Io ogni tanto invento quando devo descrivere un personaggio, specialmente negli incontri, io invento qualche aneddoto. Però sono sempre aneddoti funzionali, che servono a dimostrare quel certo carattere che mi sembra vero e di dover dimostrare.<ref name="IIIB" /> *Mi avvio verso il mio capolinea con l'angoscia di portare con me le cose che ho più amato: il mio paese e il mio mestiere, temo che non mi sopravviveranno.<ref>Da un'intervista del 1996, tratta da ''Tablet Italiani'', puntata 2, "Montanelli/Bocca", Rai Storia, 25 agosto 2013.</ref> *{{NDR|Su [[Vittorio Mangili]], in riferimento all'[[rivoluzione ungherese del 1956|insurrezione antisovietica in Ungheria nel 1956]]}} Ne ha combinate di tutti i colori. Ha fatto perfino il portaordini dei patrioti, a bordo di una delle loro automobili di collegamento.<ref>Citato in Roberta Scorranese, ''[https://www.corriere.it/cronache/22_ottobre_09/vittorio-mangili-cento-anni-dell-inviato-rai-io-budapest-madre-teresa-1efd76ca-473a-11ed-8ee2-07ab17a2d97d.shtml Vittorio Mangili, i cento anni dell’inviato Rai «Io, da Budapest a Madre Teresa»]'', ''corriere.it'', 8 ottobre 2022.</ref> *Nei grandi [[giornale|giornali]] di oggi, che non possono farne a meno, chi comanda non è più nemmeno il [[direttore]]: è l'ufficio [[marketing]].<ref name="giornalista">Da: ''Repertorio della Fondazione Montanelli'', in ''Indro Montanelli - Gli anni della televisione 4: Io sono soltanto un giornalista'', a cura di Nevio Casadio, Rai Sat, 2009</ref> *{{NDR|Rivolto a [[Silvio Berlusconi|Berlusconi]] che voleva imporsi sulla linea editoriale de ''il Giornale''}} Nell'arte dell'imprenditoria, tu sei di certo un genio, ed io un coglione. Ma nell'arte della polemica il genio sono io, e tu il coglione.<ref name=Travaglio2004>Citato in Marco Travaglio, ''Montanelli e il Cavaliere'', Garzanti, Milano, 2004.</ref> *Nessuno di noi la strada della ribellione la batté sino in fondo, come voleva [[Berto Ricci|Ricci]]: per la semplice ragione che si trattava di una strada che fondi non ne aveva. Qualcuno poi scantonò in questo o in quello dei sette o otto partiti che aprirono le porte a questa generazione perduta. E forse si illuse di aver trovato un’altra bandiera. Io sono tra i rassegnati: so benissimo che di bandiere non posso averne altre e che l'unica che seguiterà a sventolare sulla mia vita è quella che disertai, prima che cadesse.<ref>Citato in Mario Bernardi Guardi, ''La giovinezza di Montanelli ebbe un nome: Berto Ricci'', ''Il Primato Nazionale'', 3 maggio 2016.</ref> *No, [[Marco Travaglio|Travaglio]] non uccide nessuno. Col coltello. Usa un'arma molto più raffinata e non perseguibile penalmente: l'archivio.<ref name=Travaglio2004/> *Noi italiani non crediamo in nulla e tanto meno nelle virtù che qualcuno ci attribuisce. Ma tra di esse ce n'è una nella quale riponiamo una fede incorruttibile: quella della nostra capacità di corrompere tutto.<ref>Citato in Mario Cervi, ''Ti ricordi Indro?'', Società europea di edizioni, Milano, 2017, p. 57. ISBN 9778118178454</ref> *Noi qui buttiamo tutte le colpe addosso agli altri. Ma bisogna fare i conti anche col popolo italiano. Siamo noi che li abbiamo eletti questi signori. Sono mica piovuti dalla luna. E allora non accaniamoci soltanto sulla classe politica. Noi siamo un elettorato disposto a ogni sorta di transazione, quando ci fa comodo.<ref name=conferenza /> *Non credo alle feste comandate. La memoria dovrebbe essere spontanea. L'unica cosa che si dovrebbe fare è raccontare veramente e in maniera spassionata ai giovani, che non lo sanno, cosa è stata la Shoah, senza fare mobilitazioni di folle.<ref>Citato in Marco Cremonesi, ''[https://web.archive.org/web/20160101000000/http://archiviostorico.corriere.it/2001/gennaio/28/Diecimila_piazza_con_nomi_dei_co_0_0101282160.shtml Diecimila in piazza con i nomi dei lager]'', ''Corriere della Sera'', 28 gennaio 2001, p. 31.</ref> *Non do più nessun significato a queste due parole {{NDR|destra e sinistra}}, le ritengo un cascame, un residuato di situazioni oramai defunte. [[Destra e sinistra]] non hanno più nessun significato e credo che noi ci stiamo attardando su una terminologia arcaica, oramai da seppellire.<ref>Radio Radicale, [https://www.radioradicale.it/scheda/598/599-elezioni Elezioni], 38:58-39:26, 25 maggio 1979.</ref> *Non mi si portino i soliti argomenti astratti, tipo la sacralità della vita: nessuno contesta il diritto di ognuno a disporre della sua vita, non vedo perché gli si debba contestare il diritto a scegliere la propria morte.<ref>Citato in Enrico Bonerandi, ''[http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2000/12/13/montanelli-pronto-morire.html Montanelli: pronto a morire]'', '' la Repubblica'', 13 dicembre 2000, p. 36.</ref> *{{NDR|Il Polo delle Libertà}} Non venga a farci credere che è costretto all'[[Aventino (espressione)|Aventino]] dal clima di violenza creato dall'Ulivo. Dove diavolo la vede questa violenza? Mi basta guardare la faccia di [[Romano Prodi|Prodi]] 1996 per metterla a confronto con quella di Mussolini 1924 per escludere che in Italia corriamo il pericolo di una dittatura. Per fare una dittatura ci vuole un dittatore.<ref>Citato in Alessandro Longo, ''[https://rep.repubblica.it/pwa/generale/2018/03/17/news/aventino-191559602/?ref=pwa-rep-hp-2-1-1 Perché si dice Aventino]'', ''Rep.repubblica.it'', 17 marzo 2018.</ref> *{{ndr|su [[Gianni Agnelli]]}} Parla con la propria bocca, pensa con il cervello di Valletta, col cuore di Giulio De Benedetti e con gli interessi polivalenti della Fiat.<ref>Citato in Paolo Granzotto, ''Montanelli'', p. 129.</ref> *{{ndr|su [[Mariano Rumor]]}} Personaggio da commedia [[Carlo Goldoni|goldoniana]] più che da tragedia contemporanea.<ref>Citato in Paolo Granzotto, ''Montanelli'', p. 145.</ref> *Posso solo dire che l'Italia del Cattaneo è quella che conserva qualche probabilità di salvarsi da questo degrado politico, culturale, morale, economico. E l'Italia del Cattaneo è quella Cisalpina. A nord del Po, e forse anche in Emilia, esistono tracce di coscienza civile e anche di classi dirigenti sane. Poi c'è un'Italia centrale, quella toscana e umbra e marchigiana, che conserva le sue peculiarità, i suoi caratteri spiccati che affondano le radici nell'Italia comunale e rinascimentale. Il resto è un disastro che non saprei come salvare. Del resto Cattaneo ci tentò, andò a Napoli e resistette qualche giorno. Poi si arrese e se ne tornò nella sua Lugano, nella sua Svizzera.<ref name=Italia>Citato in ''Il grande vecchio del giornalismo rilegge gli ultimi anni della nostra storia'', ''L'Indipendente'', 25 luglio 1995.</ref> *Pur ricordandovi che la nostra regola è quella di non tener conto delle intemperanze altrui, specie dei politici, e di dire sempre la verità, tutta la verità, senza partito preso né animosità verso nessuno, vi autorizzo a comunicare al [[Bobo Craxi|suddetto signore]], se ve ne capita l'occasione, che l'unica «testa» in pericolo di cadere dopo il 5 aprile non è la vostra ma, casomai, la sua. E potete aggiungere, da parte mia, che non la considererei una gran perdita.<ref>Citato in [[Federico Orlando]], ''Il sabato andavamo ad Arcore'', Larus, Bergamo, 1995.</ref> *[[Sandro Pertini|Pertini]] ha interpretato al meglio il peggio degli italiani.<ref>Citato in Franco Fontanini, ''Piccola antologia del pensiero breve'', Liguori Editore, Napoli, 2007, p. 12.</ref> *Quando mi viene in mente un bell'aforisma, lo metto in conto a [[Montesquieu]], od a [[François de La Rochefoucauld|La Rochefoucauld]]. Non si sono mai lamentati.<ref>Citato in Luigi Mascheroni, ''[http://www.ilgiornale.it/news/mai-dette-ripetiamo-sempre-ecco-frasi-fantasma-storia.html Mai dette, ma le ripetiamo sempre. Ecco le frasi fantasma della storia]'', ''il Giornale'', 21 marzo 2009, p. 22.</ref> *Quello che ci ripugna è che, per mettere un controllo all'autorità politica, ci sia bisogno di ricorrere all'autorità giudiziaria. Cioè che, alla fine, noi avremo le riforme istituzionali non per via politica, ma per via giudiziaria e processuale. Questo ci allarma anche perché, come avrete ben capito, la mia opinione dei politici è molto bassa, ma quella dei giudici non è migliore. Perché anche i giudici sono stati corrotti dalla partitocrazia. Lo dimostra il semplice fatto che molti di loro ostentano la tessera di partito. Un giudice che ha venduto la propria imparzialità ai partiti è un giudice che, prima di processare gli altri, dovrebbe essere processato lui e cacciato in galera. Lo so che a dire queste cose si possono avere dei dispiaceri, ma io di dispiaceri in vita mia ne ho avuti tanti che, uno più o uno meno, non mi fa nessunissimo effetto.<ref name=Dovere/> *{{NDR|[[Carmen Lasorella]]}} Richiama tanta attenzione non solo per la sua bravura ma anche per quel che possiede dal cervello in giù.<ref>Citato in Luigi Mascheroni, ''[https://books.google.it/books?id=gtg7AQAAIAAJ&q=%22Richiama+tanta+attenzione+non+solo+per+la+sua+bravura+ma+anche+per+quel+che+possiede+dal+cervello+in+gi%C3%B9+%22&dq=%22Richiama+tanta+attenzione+non+solo+per+la+sua+bravura+ma+anche+per+quel+che+possiede+dal+cervello+in+gi%C3%B9+%22&hl=it&newbks=1&newbks_redir=0&sa=X&ved=2ahUKEwiC2PXRl5WDAxVs4AIHHazPCd4Q6AF6BAgHEAI Sette, settimanale del Corriere della sera, Edizioni 1-9]'', 1996.</ref> *Sfido io che {{NDR|''il Giornale''}} non va bene come vendite. Non va bene come vendite perché noi siamo ancora alla macchina Olivetti. Qui non è stato fatto mai nessun investimento ed è stato detto chiaro che gli investimenti non sarebbero venuti finché io ne fossi il direttore. Questa è la situazione.<ref name="milano" /> *Siamo un paese cattolico, che nella [[Provvidenza]] ci crede o almeno ne è affascinato. Il pericolo è questo: gli [[italia]]ni sentendo aria di provvidenza sono sempre pronti a mettersi in fila speranzosi.<ref name=Provvidenza>Citato in ''[http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/1994/02/24/rivogliono-uomo-della-provvidenza.html?ref=search Rivogliono l'uomo della provvidenza]'', ''la Repubblica'', 24 febbraio 1994, p. 11.</ref> *Se avessi potuto immaginare come sarebbe stata distrutta la vecchia classe politica italiana - che meritava la distruzione, sia chiaro - se avessi potuto immaginare che la distruzione della vecchia classe politica italiana, in gran parte marcia, avrebbe dischiuso una situazione come quella attuale e che la vecchia legge proporzionale sarebbe stata sostituita dall'attuale legge maggioritaria così come è stata compilata, io avrei forse difeso la vecchia classe. Per lo meno non mi sarei battuto con tanta asprezza e con tanto vigore contro quella classe politica, che meritava di finire, ma a cui si stanno dando dei successori che, ricordatevelo bene, ci faranno rimpiangere quella vecchia. È il peggio che si può dire. Ma io lo dico. Perché non riesco proprio a vedere cosa sta venendo fuori da questo rimescolio di carte.<ref name=conferenza /> *{{NDR|«Se dovesse fondare un giornale a novant'anni, che giornale farebbe?»}} Se io dovessi oggi fare un giornale, farei un ''Foglio'' un po' più grande: invece che di 4 facciate di 10 o di 12. Non di più. Con una redazione ridottissima e facendo un preventivo che mi mettesse al riparo dalle delusioni. Mirerei ad avere non più di venti/trentamila lettori e non avere pubblicità. Su queste basi, forse, riuscirei a fare un [[giornale]] di alto prestigio, ma purtroppo destinato a una élite.<ref name="giornalista" /> *Sta arrivando l'uomo della provvidenza. E io, in vita mia, di questi personaggi ne ho già conosciuto uno. Mi è bastato. Per sempre.<ref name=Provvidenza></ref> *Una cultura che perde i contatti col pubblico si sterilisce e muore. Questa è la verità. E la nostra cultura è assolutamente sterile. Noi culturalmente non contiamo più nulla nel mondo. Perché? Perché è chiusa in sé stessa, la cultura, ha perso i contatti col pubblico, con la vita. Non c'è più. Sono mummie. Non è più cultura: è mafia.<ref name="montecarlo" /> *{{NDR|Su [[Aldo Moro]]}} Un generale che, sfiduciato del proprio esercito, credeva che l'unico modo di combattere il nemico fosse quello di abbracciarlo.<ref>Citato in [[Roberto Gervaso]], ''Ve li racconto io'', Mondadori, Milano, 2006, p. 310, ISBN 88-04-54931-9.</ref> *Un giorno fui convocato a Palazzo Venezia, era il 1932 e avevo 23 anni, perché il duce voleva vedermi. Ero emozionatissimo, entrai e mi misi sull'attenti, e il duce che faceva finta di scrivere mi lasciò lì per un quarto d'ora e alla fine mi disse: "Ho letto il vostro articolo sul razzismo (avevo scritto un articolo contro il razzismo). Bravo, vi elogio. Il razzismo è roba da biondi (non si era accorto che ero biondo), continuate così. Sei anni dopo fece le leggi razziali. Perché questo era [[Benito Mussolini|Mussolini]], diceva una cosa e ne faceva un'altra, secondo il vento del momento. Non creava il vento, vi si accodava da buon italiano.<ref>Citato in Gianna Fregonara, ''[https://web.archive.org/web/20160101000000/http://archiviostorico.corriere.it/2010/gennaio/24/Dal_balcone_Mussolini_bianco_sorriso_co_9_100124324.shtml Dal balcone di Mussolini al bianco sorriso di Belen]'', 24 gennaio 2010, p. 34.</ref> *{{NDR|Su [[Giorgio La Pira]]}} Un pasticcione ben intenzionato che, nel nome del Signore, appoggia le peggiori cause appellandosi ai migliori sentimenti.<ref>Citato in [[Roberto Gervaso]], ''Ve li racconto io'', Mondadori, Milano, 2006, p. 236, ISBN 88-04-54931-9.</ref> ===Citazioni tratte da suoi libri=== *{{NDR|Sul funerale di [[Leo Longanesi]]}} Al cimitero ci si ritrovò in una decina di persone, non di più. Non ci furono cerimonie né discorsi. Solo la piccola Virginia, che avrà avuto quattordici anni, mentre la bara di suo padre calava nella tomba, mormorò: «E dire che gli orfani mi sono sempre stati così antipatici...» Una frase che sarebbe piaciuta moltissimo a Leo.<ref>Dalla presentazione a [[Leo Longanesi]], ''In piedi e seduti'', Longanesi & C., Milano, 1968.</ref> ====''Caro Indro...''==== *L'aureola di martire a Craxi nessuno è disposto a riconoscergliela, proprio perché inconciliabile con l'arroganza con cui si comporta. Nessun paragone col contegno di Andreotti, davvero ineccepibile. Sul banco degli imputati ci sta da imputato, dimentico di essere stato per ben sette volte capo del governo. Parla solo se interrogato, e a bassa voce. Non rinuncia alla propria dignità, ma non la ostenta. Eppoi, le colpe che gli si addebitano saranno anche più gravi di quelle che si addebitano a Craxi, ma meno spregevoli. Potrà anche aver baciato Riina (sebbene a me questo appaia poco credibile). Ma del pubblico denaro non risulta che gli sia scivolata in tasca nemmeno una lira. Forse merita la fucilazione. Lo spregio, no. (31.1.1996) (p. 9) *Non ho mai conosciuto [[Yasser Arafat|Arafat]], né mai ho cercato di conoscerlo: non mi pare che il suo aspetto inviti alla simpatia. Però non l'ho mai considerato un criminale anche se si trovava alla testa di un'[[Organizzazione per la Liberazione della Palestina|organizzazione]] in cui di criminali ce ne sono molti. E oggi non lo considero affatto un eroe, ma un uomo coraggioso sì, perché lo ritengo in costante pericolo di vita. La lotta per il potere, dentro l'Olp, è a coltello: e i nemici di Arafat sono quelli che il coltello lo maneggiano meglio di tutti. Stringendo la mano a [[Yitzhak Rabin|Rabin]], Arafat ha moltiplicato i suoi nemici e li ha resi ancora più rabbiosi. È un uomo a rischio, non c'è dubbio. E se muore lui, addio pace in Medio Oriente. (4.10.1993) (p. 11) *Certo che il passato dell'Olp, carico di bombe e di sangue, non è la migliore referenza per un Nobel, ma Arafat è però anche l'unico interlocutore palestinese: dopo di lui c'è il nulla, o meglio soltanto gruppi di fanatici votati alla violenza e alla distruzione di [[Israele]]. Una volta presa la decisione di premiare i protagonisti del tormentato processodi pace in Medioriente [...] si è dovuto fare di necessità virtù e dare il riconoscimento anche all'uomo che per molti anni è stato un simbolo del terrorismo, nonché l'ispiratore di tante altre «lotte armate»: premiare solo Rabin e [[Shimon Peres|Peres]] sarebbe stato uno schiaffo ai palestinesi, un'iniziativa controproducente. [...] Forse più che il Nobel per la pace meriterebbe quello per il ravvedimento... (30.10.1994) (p. 12) *«Libera Chiesa in libero Stato» è una formula più d'effetto che di sostanza. Potrebbe anche significare che Chiesa e Stato si ignorano a vicenda e ognuno dei due si attribuisce i poteri che più gli aggradono: che è il modo più sicuro per litigare, non certo per convivere. Fra i due ci deve essere un patto improntato al reciproco rispetto: condizione più facile da formulare che da realizzare. Ma sembra che lo sviluppo di questo rapporto negli ultimi anni abbia fatto più passi indietro che avanti. E mi pare che dello stesso parere sia il capo dello Stato, Carlo Azeglio Ciampi. Meno male (7.3.2001) (p. 30) *Ho fiducia in [[Massimo D'Alema|D'alema]], anche se non voterò mai per lui. Ho fiducia per due motivi. Prima di tutto perché, fra i leader di oggi, è l'unico vero professionista della politica. Eppoi perché non ho dubbi sulla sua intenzione di fare del Pds un partito socialdemocratico o laburista. Se non fosse così, non solo Prodi ma nemmeno Veltroni sarebbero al suo fianco. E appunto perché è così, sono convinto che consumerà fino in fondo il divorzio da Rifondazione. Lo consumerà cercando di non farsene portar via molti elettori. Ma lo consumerà per conquistare i moderati: altra strada non può battere. E proprio in questi giorni lo ha dimostrato sacrificando anche quella piccola falce e martello che tuttora sopravviveva nel simbolo del suo partito ai piedi della Quercia. Non era che un «segno», dirà qualcuno. Sì, ma che segno! (17.5.1995) (p. 42) *Anch'io sono stato in passato un fautore dell'elezione diretta, cioè per consultazione popolare, del Capo dello Stato. Mi pareva il mezzo più efficace per sottrarre almeno il Quirinale agl'intrallazzi dei partiti e per avere un garante al di sopra di essi. Ma poi ho dovuto cambiare idea di fronte alle prove di balordaggine, d'ignoranza, di totale mancanza di consapevolezza morale e civile dell'elettorato italiano, o almeno della sua maggioranza. È un elettorato sempre pronto a correre dietro a qualche ciarlatano che sappia vendere bene la sua merce e a lasciarsene trascinare nelle imprese più insensate. Insomma considero la stupidità più pericolosa degl'intrallazzi. (23.12.1998) (p. 47) *Non credo che [[Diana Spencer|Diana]] rimarrà nella memoria dei posteri. Era una bella e simpatica ragazza, che avrebbe anche potuto essere una buona moglie e una buona madre, ma che non aveva certamente la stoffa e le dimensioni umane, comportamentali di una regina. Più e meglio che sul trono, il suo personaggio avrebbe figurato in un romanzo di Liala. Non riesco ad accostarla a figure storiche (17.9.1997) (p. 72) *Mussolini non aveva la stoffa del criminale né di guerra né di pace. Dicendolo, so di espormi alle contumelie della cosiddetta intellighenzia. Ma ne ho già ricevute tante che non mi fanno più nessun effetto. Tuttavia mi rendo conto che alla condanna a morte non avrebbe potuto sfuggire perché almeno un responsabile delle catastrofi che si erano abbattute sull'Italia si doveva pur trovare, e non poteva essere che lui. Però c'è da ringraziare Dio, e per esso, il Comitato di liberazione nazionale che ne ordinò (o avallò) la fucilazione sul posto perché un processo a Mussolini avrebbe ancora più spaccato un Paese già spaccato dalla guerra civile (per chiamare col suo vero nome, la Resistenza). E credo che anche gli Alleati trassero un respiro di sollievo dal venirne esentati. Un processo avrebbe messo in imbarazzo anche loro per le indulgenze che avevano avuto verso di lui e quella parodia di totalitarismo ch'era stata il suo regime. Una Norimberga italiana sarebbe stata anch'essa una parodia. La fucilazione sul posto di Mussolini era un atto dovuto. Quello che non era dovuto, e che per gl'italiani provvisti di qualche senso dell'onore e della decenza rimarrà una indelebile vergogna, fu la scena di piazzale Loreto (30.6.1999) (pp. 89-90) *{{NDR|«Poni che ti regalino una telecamera, con il diritto di spiare per un mese, non visto, un potente della Terra, a tua scelta, dalla regina Elisabetta a Gheddafi, da Saddam a Clinton. Quale personaggio ti incuriosirebbe di più?»}} [[Vladimir Putin|Putin]]. Credo che sia una canaglia perché solo le canaglie potevano arruolarsi e fare carriera in un corpo di polizia come il Kgb. Ma è proprio di una canaglia che la [[Russia]] ha bisogno per ricompattarsi all'interno, risollevarsi dal caos in cui l'ha precipitata il crollo di un regime totalitario durato settant'anni, e riprendere nel gioco delle potenze mondiali il posto che spetta a un Paese di 250 milioni di abitanti, di grandi tradizioni e d'inesauribili risorse naturali. L'Occidente ha bisogno della Russia: è il suo antemurale verso un Oriente che può riservarci amare sorprese. [...] Non facciamoci illusioni sull'avvenire di una democrazia in Russia. Essa ha bisogno [...] di una mano forte e spregiudicata, di una canaglia insomma. [...] Ecco perché mi piacerebbe conoscere Putin: per vedere se è la canaglia di cui mi pare abbia bisogno la Russia in questo momento: un «momento» destinato a durare parecchi decenni. (18.10.2000) (pp. 104-105) ===Attribuite=== *Berlusconi non delude mai: quando ti aspetti che dica una scempiaggine, la dice.<ref name=Travaglio2004/> :In ''Io e il cavaliere qualche anno fa'', ''Corriere della Sera'', 25 marzo 2001, p. 1, Montanelli attribuisce la citazione a «un'alta personalità della Finanza, nota anche per il suo infallibile fiuto degli uomini». La frase esatta è: «Avrà anche i suoi difetti, ma un merito bisogna riconoscerglielo: quello di non deludere mai. Quando ti aspetti che dica una scempiaggine, la dice». ==Interviste== {{cronologico}} *{{NDR|La guerra coloniale etiopica}} Considerandola oggi, con la mia maturità d'oggi, {{NDR|è}} un'avventura di una stupidità senza fine. Ma immaginiamo un ragazzo di 24 anni messo al comando di una banda indigena, con 100 uomini neri – lui solo bianco – buttato all'avventura in quella guerra che di combattimenti ne ebbe molto pochi – non voglio passare per un gran guerriero, affatto – ma furono un anno e mezzo a cavallo, di cavalcate in questa natura selvaggia (ripeto, combattimenti ben pochi). {{NDR|«Dicono anche che lei aveva una moglie, diciamo indigena, molto bella, che era la più bella di tutte quelle che avevano gli ufficiali d'allora»}} Sì. {{NDR|«Era molto invidiato per questo»}} Pare che avessi scelto bene, era una bellissima ragazza bilena, di 12 anni – {{NDR|sorridendo}} scusatemi, ma in Africa è un'altra cosa – e così l'avevo sposata, nel senso che l'avevo regolarmente comprata dal padre che mi ha accompagnato insieme alle mogli dei miei ascari. Queste mogli degli ascari non è che seguissero la banda, ma ogni 15 giorni raggiungevano la banda: io non ho mai capito come facessero a trovarci in questo infinito dell'Abissinia. Quelle arrivavano e arrivava anche questa mia moglie con la cesta in testa, che mi portava la biancheria pulita. [...] {{NDR|Domanda del pubblico: «Lei ha detto tranquillamente di avere avuto una sposa, diciamo, di 12 anni e a 25 anni lei non si è peritato affatto di violentare una ragazza di 12 anni, dicendo "Ma in Africa queste cose si fanno". Io vorrei chiedere a lui come intende normalmente i suoi rapporti con le donne date queste due affermazioni»}} No signorina guardi, sulla violenza, nessuna violenza perché le ragazze in Abissinia si sposano a 12 anni. Non è questione, Quindi. {{NDR|Domanda del pubblico: «Su un piano di consapevolezza dell'uomo, insomma, il rapporto con una bambina di 12 anni è il rapporto con una bambina di 12 anni. Se lo facesse in Europa rischierebbe di violentare una bambina, vero?»}} Sì, in Europa sì, ma lì no. {{NDR|«Ecco, appunto»}} Lì no. {{NDR|«Quale differenza crede che esista dal punto di vista biologico, o anche psicologico?»}} No, guardi, {{NDR|«Dal punto di vista del costume»}} lì si sposano a 12 anni, non è questione. A 12 anni si sposano. {{NDR|«Ma non è il matrimonio che lei intende, a 12 anni in Africa. Guardi, io ho vissuto in Africa»}} Sì. {{NDR|«Quindi il vostro era veramente il rapporto violento del colonialista che veniva lì e si impossessava della ragazza di 12 anni»}} No... {{NDR|«Ma glielo garantisco, senza assolutamente tener conto di questo tipo di rapporto sul piano umano. Eravate i vincitori, cioè i militari che hanno fatto le stesse cose ovunque sono stati i vincitori, ovunque gli uomini si sono presentati come dei militari. La Storia è piena di queste situazioni»}} {{NDR|sorridendo}} Signorina, non so se lei vuole istruirmi un processo «a posteriori». {{NDR|«No, no, affatto. Guardi, ho soltanto voluto chiederle, per inciso, come lei intende – dopo le due interpretazioni – i rapporti con le donne»}} Dipende da cosa si mette dentro, dipende anche da cosa le donne mettono dentro di noi. È tutto un giuoco di specchi. {{NDR|«Ma lei vede sempre la donna in questa veste passiva di adulatrice, oppure di compagna – che appare e scompare – dell'uomo, non l'ha mai vista in una funzione diretta, attiva e diversa. Questo è un po' il dramma degli uomini della sua generazione»}} {{NDR|sorridendo}} Può darsi. Della mia generazione? Solo? {{NDR|«Credo»}} {{NDR|sorridendo}} Vabbè. Può darsi. (Da ''L'ora della verità'', 22 ottobre 1969) *{{NDR|Domanda del pubblico: «Io vorrei sapere perché lei, che si ritiene un osservatore, non ha mai affrontato il discorso sulla contestazione giovanile, tenendo anche presente il fatto che lei cerca il lettore. Lei ai giovani non dice assolutamente niente come giornalista»}} Come? {{NDR|«Se c'è un pubblico che lei sta perdendo, e forse non ha mai avuto, è proprio quello dei giovani. Vorrei sapere come mai lei non ha mai affrontato il discorso sulla contestazione, sulla realtà giovanile che è esplosa in questi ultimi anni»}} Signorina, io avrei tanto volentieri affrontato il discorso sulla contestazione se fosse possibile agganciare il discorso coi contestatori. Ma coi contestatori io non faccio il [[Alberto Moravia|Moravia]]. No. Non vado a farmi spernacchiare dai giovani, mi dispiace tanto. Né dai giovani, né da nessun altro. {{NDR|«Lei ha paura, scusi, di affrontare un discorso»}} No, io non ho paura, ma non ammetto di essere accolto a quel modo. È proprio un fatto, così, di dignità. {{NDR|«E allora, scusi, lei a questo punto rinuncia a un pubblico come può essere quello dei giovani semplicemente, così, per non avere degli spernacchiamenti, per non compromettere – diciamo – questo suo successo a cui è arrivato»}} Ma scusi, ma che dialogo sono le pernacchie? Me lo vuole spiegare? (ibidem) *Certamente [[Benito Mussolini|Mussolini]] fu un grossissimo politico, un uomo politico di grandissimo fiuto, di tempismo formidabile: lo dimostrò la facilità con cui vinse. Forse dovuta per metà alle sue capacità, alla sua bravura – parlo sempre come politico – e per metà all'insipienza, alla nullaggine dei suoi avversari, perché è tempo oramai di dire anche questo. Non c'è dubbio che il potere assoluto guastò completamente Mussolini: il Mussolini del 1930 non era certamente quello del 1940, il Mussolini di dieci anni dopo l'avvento al potere era diventato una specie di marionetta, la caricatura di sé stesso. Aveva perso proprio il senso della realtà, che era stato invece il suo forte da principio, il contatto col pubblico lo aveva perso, il senso della misura, e lo aveva dimostrato poi con gli errori madornali che ha fatto. Nei primi dieci anni credo che alcune cose buone le abbia fatte. Non credo che abbia ucciso la democrazia, credo che l'abbia soltanto seppellita perché era già morta. Da quel poco che ricordo l'Italia era un grosso carnevale, e anche abbastanza drammatico, perché la situazione interna era addirittura sfasciata: correva sangue, ne correva molto, noi in Toscana ne sapevamo qualcosa [...]. E quindi non è vero che lui... le democrazie non vengono mai uccise, le democrazie muoiono. Dopodiché si dà la colpa a chi le seppellisce, ma la verità è che si suicidano, e credo che la democrazia italiana del '21-22 si sia suicidata. [...] Mussolini capì una cosa fondamentale: che per piacere agli italiani bisognava dare a ciascuno di essi una piccola fetta di potere col diritto di abusarne. Questo era il fascismo. Il fascismo aveva creato una [[gerarchia]] talmente articolata e complessa che ognuno aveva dei galloni: il capofabbricato, il caposettore... tutti avevano una piccola fetta di potere, di cui naturalmente ognuno abusava, come è nel carattere degli italiani. (da ''Questo secolo'', 18 maggio 1982) *Ero all'estero, lavoravo nel giornalismo americano, alla ''United Press''. Chiesi alla mia agenzia di mandarmi come corrispondente in Abissinia. Giustamente mi dissero: «No, perché lei è un italiano, quindi logicamente non fa delle corrispondenze obiettive». Dico: «Avete ragione. Allora io vi lascio e vado volontario». Feci la mia brava domanda (la feci anche raccomandare). La domanda fu accolta, io fui mandato in Abissinia e, cosa un po' strana [...], a questo ragazzo di 23 anni [...] venne affidata una banda. [...] In quei due anni io contribuii a fare una cosa sbagliata, un'autentica fregnaccia qual era costruire un impero nel '35, quando coloro che lo avevano lo stavano già liquidando perché erano cose antistoriche. Ma io a 23 anni, a 24 anni, non potevo capire questo. Ebbi due anni di vita all'aria aperta, bella, di avventura, in cui credetti di essere un personaggio di Kipling, di contribuire a fare qualcosa di importante. Poi mi accorsi che non era vero, ma le cose non sono importanti per quello che sono, ma per quello che uno ci mette. E io in quel momento ci mettevo un grande entusiasmo: ebbi due anni di vita bellissima, a cavallo, con le tende, i miei uomini, libero, solo (perché non rispondevo a nessuno). Eh beh, compiango i giovani che non hanno avuto una simile esperienza. {{NDR|«E anche con una giovane moglie»}} E anche con una giovane moglie, {{NDR|indicando una fotografia}} eccola lì. Regolarmente sposata in quanto regolarmente comprata dal padre. {{NDR|«Quanti anni aveva?»}} Aveva 12 anni, ma non mi prendere per un Girolimoni. {{NDR|«Per un bruto»}} A 12 anni quelle lì erano già donne. {{NDR|«E tu dove l'avevi comperata?»}} L'avevo comprata a Saganèiti, un paese dove avevo mandato il mio emissario [...]. Me la comprò insieme a un cavallo e a un fucile, in tutto 500 lire. {{NDR|«E lei com'era?»}} Un animalino. Docile. Io le misi su un tucul con dei polli e poi, ogni 15 giorni, mi raggiungeva dovunque fossi, insieme alle mogli degli altri ascari. (ibidem) *Io esclusi immediatamente la responsabilità degli [[Anarchia|anarchici]] {{NDR|dalla [[strage di piazza Fontana]]}} per varie ragioni: prima di tutto, forse, per una specie di istinto, di intuizione, ma poi perché conosco gli anarchici. Gli anarchici non è che sono alieni dalla violenza, ma la usano in un altro modo: non sparano mai nel mucchio, non sparano mai nascondendo la mano. L'anarchico spara al bersaglio, in genere al bersaglio simbolico del potere, e di fronte. Assume sempre la responsabilità del suo gesto. Quindi, quell'infame attentato, evidentemente, non era di marca anarchica o anche se era di marca anarchica veniva da qualcuno che usurpava la qualifica di anarchico, ma che non apparteneva certamente alla vera categoria, che io ho conosciuto ben diversa e che credo sia ancora ben diversa. (da ''La notte della Repubblica'', 12 dicembre 1989) *La [[Lega Nord|Lega]] è una cosa sgradevole. Però le Leghe sono un fenomeno di reazione a una provocazione. È la politica nazionale, che fa nascere le Leghe. Questo non vuol dire che io le approvi. La reazione è sbagliata, ma provocazione c'è, le degenerazioni della partitocrazia ci sono. Che il pubblico denaro sia male amministrato e che a farne le spese siano soprattutto i cittadini del Nord non è contestabile. (da ''La Stampa'', 7 novembre 1990) *Ah, quel maledetto [[Toni Negri]], quel maledetto aizzatore dei sentimenti dei giovani che è vigliaccamente scappato dall'Italia per non affrontare il carcere. Per un Paese non c'è nulla di peggio che i cattivi maestri. Come punirli? Bisognerebbe impiccarli. Ripeto, impiccarli. (da ''L'Italia settimanale'', 1995) *Fu una pulizia etnica, bisognava far fuori gli italiani: allora si chiamarono fascisti e si ammazzarono, e si buttarono nelle [[massacri delle foibe|foibe]]. Questo avvenne dopo la fine della guerra, sia chiaro. Perché gli orrori di guerra, non dico che siano giustificabili, ma sono comprensibili, la guerra è di per sé stessa un orrore. No, queste... le foibe furono un'infamia commessa dopo la Liberazione, dopo la fine della guerra, e purtroppo vi hanno collaborato parecchi comunisti italiani, alcuni dei quali non solo sono ancora a piede libero, pur essendo vivi, ma ricevono delle pensioni di Stato. Ricevono delle pensioni di Stato. Però io ti posso dire questo: che come testimone oculare io ho visto anche in Croazia delle cose, da parte degli italiani, su cui è meglio sorvolare. Perché anche noi le abbiamo commesse, perché la guerra le comporta, questo è fatale, ecco. Quindi non facciamo tanto i moralisti. [...] No, questo {{NDR|tesi sloveno-croata sulla pulizia etnico-culturale da parte degli italiani durante il periodo di occupazione fascista}} è assolutamente falso. Pulizie etniche noi non ne abbiamo mai fatte, in nessun Paese occupato. Quando sento dire che noi facemmo anche la pulizia etnica in Etiopia, beh vabbè, mi cascano le braccia. Mi cascano le braccia. Quelle son menzogne infami, di gente o che non sa nulla, o che mente sapendo di mentire. Non è vero. Furono episodi, ma non di pulizia etnica, di rappresaglie. (dall'intervista al TG2, ''[http://www.youtube.com/watch?v=s9UXM_pKpqY Massacri delle foibe]'', 6 settembre 1996) *Tutto questo mi evoca dei ricordi poco simpatici. Era il [[fascismo]] che si conduceva così. Era il Fascismo che proibiva la satira, che in un paese civile e democratico dovrebbe essere assolutamente indenne da controlli politici; perché la satira non ha niente a che fare con la politica, anche se prende in giro la politica, ma si sa che è satira. Ed ogni regime serio e democratico accetta la satira, come si accettano le caricature. Era [[Benito Mussolini|Mussolini]] che non le sopportava. E qui pensano: «Ripuliremo la stalla», «Faremo piazza pulita». Ma questo linguaggio, al signor [[Gianfranco Fini|Fini]], chi glielo ispira? Ci ricorda delle cose che avremmo voluto dimenticare. Questa non è la destra, questo è il manganello. Gli italiani non sanno andare a destra senza finire nel [[manganello]]. [...] Alla Rai faranno piazza pulita, lo hanno già annunziato. Ma come si fa a definire democratico un partito che annunzia «Quando saremo al potere, noi faremo piazza pulita»? Ma questo è un linguaggio del peggiore squadrismo, che loro non sanno cosa fu, ma io me lo ricordo. Questo è il linguaggio con cui {{NDR|i fascisti}} andarono al potere. (da ''La settimana di Montanelli'', 17 marzo 2001) *Io voglio ringraziare Travaglio, perché ha detto l'assoluta e pura verità. Assolutamente. La versione che ha dato degli avvenimenti è quella esatta. [...] Io ho conosciuto due Berlusconi: il Berlusconi imprenditore privato che comprò ''il Giornale'' – e noi fummo felici di venderglielo, perché non sapevamo come andare avanti – su questo patto: tu, Berlusconi, sei il proprietario de ''il Giornale'', io, direttore, sono il padrone del ''Giornale'', nel senso che la linea politica dipende solo da me. Questo fu il patto fra noi due. Quando Berlusconi mi annunziò che si buttava in politica, io capii subito quello che stava per succedere. Cercai di dissuaderlo [...] ma tutto fu inutile. Dal momento in cui lo decise mi disse: «Ora ''il Giornale'' deve fare la politica della mia politica». Ed io gli dissi: «Non ci pensare nemmeno». Allora lui riunì la redazione come ha raccontato Travaglio – e questo lo fece a mia totale insaputa – e disse: «D'ora in poi ''il Giornale'' farà la politica della mia politica». E a quel momento me ne andai, cos'altro potevo fare? [...] Nella mia vita ci sono stati due Berlusconi, completamente opposti [...] questo fa parte del ritratto di Berlusconi. [...] Come capo politico è quello che io ho conosciuto in quei brutti giorni in cui scorrettamente, nella maniera più scorretta e più volgare, saltandomi, radunò la redazione de ''il Giornale'' per dirgli «Qui si cambia tutto» all'insaputa del direttore. Se questo sembra a Feltri un modo di procedere democratico e civile, è affar suo. (risposta telefonica a [[Marco Travaglio]] e [[Vittorio Feltri]] durante la trasmissione ''Il Raggio Verde'', 23 marzo 2001) *{{NDR|Silvio Berlusconi}} È il bugiardo più sincero che ci sia, è il primo a credere alle proprie menzogne. [...] È questo che lo rende così pericoloso. Non ha nessun pudore. (dall'intervista di Sophie Gherardi, ''L'Europa deve trattare il sig. Berlusconi con sdegno e disprezzo, non con ostilità'', ''Le Monde'', 8 maggio 2001<ref name=Travaglio2004/>) *Spero che l'Europa adotterà nei confronti di Berlusconi l'atteggiamento di indignazione e di disprezzo che merita. (dall'intervista di Sophie Gherardi, ''L'Europa deve trattare il sig. Berlusconi con sdegno e disprezzo, non con ostilità'', ''Le Monde'', 8 maggio 2001<ref name=Travaglio2004/>) {{Int|''Match''|a cura di Arnaldo Bagnasco, Alberto Arbasino e Maria Gefter Cervi, Rete 2, 18 gennaio 1978.}} *Io non stavo con Longanesi per ragioni ideologiche, anche perché io non ho mai capito quale ideologia avesse Longanesi. Longanesi non lo si poteva misurare sul piano ideologico, era sempre contro tutto e contro tutti. Era il frondista principe: lo è stato sotto il fascismo – e in fondo fece il più bel settimanale, forse, che abbia avuto l'Italia in questi ultimi decenni, credo: ''Omnibus'', che fu chiuso dal regime – e si è trovato sempre male con tutti i regimi. Che cosa pensasse in realtà Longanesi io, dopo un'amicizia di trent'anni, non sono mai riuscito a capirlo. Quello che mi affascinava di Longanesi, e che continua ancora oggi ad affascinarmi, è lo straordinario talento, l'inventiva, l'intuito, l'eleganza di Longanesi. Per cui io non consideravo le posizioni ideologiche di Longanesi, questo non m'interessava affatto. Per me era un fatto di vecchia amicizia: io sono un po' cresciuto con Longanesi, l'avrei seguito anche all'inferno perché con Longanesi si poteva andare anche all'inferno, diventava l'eden. *{{NDR|Sull'appello di votare DC nel 1976}} Questa può sembrare una contraddizione, ma che cosa avrei dovuto dire ai miei lettori? Di votare per chi? Questo è il punto. Oggi [...] i partiti laici ai quali io ideologicamente farei capo – liberale, repubblicano, socialdemocratico – fanno i pifferi di accompagnamento a un patto a sei, e questo era già nell'aria, prima del 20 giugno. Che cosa dovevo dire io ai miei lettori, «Votate per i pifferi di accompagnamento»? Francamente non me la sentivo. [...] Nonostante la mia etichetta di destra, io per i partiti di destra non mi schiererò mai. Io vorrei un centro: non lo trovo, non c'è. Un centro di opposizione democratica al regime che è già in atto non c'è. E allora che debbo fare? È colpa mia se la politica italiana non mi offre un centro? Io continuo a battermi per la costituzione di questo centro. *{{NDR|Domanda del pubblico: «Come mai in Italia non ci sono giornali indipendenti?»}} Io, per esempio, ho la presunzione – sarà infondata – di dirigere un giornale indipendente, perché vorrei sapere da chi prendo gli ordini. Me lo dica lei, Padre. {{NDR|«No, beh...»}} E allora, se non potete indicare qualcuno che mi dà gli ordini, io sono indipendente. {{NDR|«Rispondo anch'io da giornalista: è chiaro che un giornale non si sostiene con le idee sull'indipendenza, si sostiene con dei quattrini»}} Certo. {{NDR|«Allora io parlavo di un'indipendenza che, in quanto dipende da chi paga, è comunque una dipendenza ideologica. Questa era la domanda»}} Sì, l'ha scritto molto bene ''Repubblica'' [...] credendo di offendermi. Ha detto: «Il ''Giornale nuovo'' vive di collette». È vero, noi viviamo di collette, e io ne sono fiero perché le collette mi lasciano libero. {{Int|''Mixer''|a cura di Giovanni Minoli, Rete 2, 6 aprile 1981.}} *{{NDR|«Perché fu fascista fino al '37?»}} Questa è la storia della mia generazione, tutta la mia generazione è stata fascista fino al '35, al '36 o al '43. *{{NDR|«E perché smise di esserlo?»}} Perché noi credevamo che il fascismo fosse una cosa, e poi ci accorgemmo che era un'altra. *{{NDR|«Lei ha detto: "Buffoni, cafoni di natura, ''parvenus'', tutta gente in malafede, il bassettume, il pirellume, il cedernismo". Si riferiva alla Milano radical chic, ma che cosa voleva dire, esattamente?»}} Quello che ho detto. Veramente, io ne ho il più profondo disprezzo. Io accetto benissimo i comunisti: i comunisti sono gente seria, pericolosissimi, ma seri. I [[radical chic]] no. *{{NDR|«È sempre convinto del suicidio dell'anarchico Pinelli?»}} Assolutamente. *{{NDR|«Lei a Catanzaro, al processo per la strage di piazza Fontana, ha dichiarato: "Secondo me, il commissario Calabresi fu vittima di una campagna di stampa". Cioè?»}} No, non l'ho dichiarato a Catanzaro, lo dissi molto prima. Basta rileggere i giornali di quei tempi, e soprattutto i rotocalchi: veramente, Calabresi fu vittima di una campagna stampa infame e ingiusta, perché era uno dei funzionari più corretti che ci fossero. *{{NDR|«Pietro Valpreda, qui a ''Mixer'', ha definito Calabresi come "un tecnocrate del potere". Lei che cosa ne pensa?»}} Ma che significa «un tecnocrate del potere»? Un commissario di polizia serve il potere, chi diavolo deve servire? Valpreda? {{Int|''Faccia a Faccia: intervista a Indro Montanelli''|''Mixer'', a cura di Giovanni Minoli, Rai 2, 5 maggio 1985.}} *[[Renato Curcio|Curcio]] non sparava alle spalle, sparava di fronte, andava di persona a sparare. Naturalmente siamo su delle barricate opposte, ma io stimo Curcio. Lo stimo. È un uomo che secondo me ha delle idee sbagliate ma le serve, le serve da soldato vero. Con un suo galateo. Col suo coraggio. Senza mai rinnegarsi. Non si è pentito! *Io sono convinto che la magistratura debba essere indipendente, però chiedo ed esigo che abbia un autogoverno di controllo, e che soprattutto risponda dei suoi gesti. Oggi noi abbiamo una magistratura che non risponde a nessuno dei suoi errori spesso catastrofici, perché hanno distrutto uomini, hanno distrutto aziende per delle cose che poi si son rilevate insussistenti. Mai un magistrato ha pagato per questo. Io voglio che i magistrati paghino. Non dico a dei poteri esterni, ma perlomeno al potere a cui viene affidata la disciplina nella categoria. *Tutta l'intellighenzia italiana ha una vecchia tradizione di servilità, com'è logico, perché si è sviluppata in un Paese analfabeta, per secoli e secoli analfabeta. Non avendo il lettore doveva per forza procurarsi il protettore. Scriveva per il protettore. *{{NDR|«Il suo peggior difetto qual è, Montanelli?»}} Quello di non riconoscermene nessuno. *{{NDR|«[[Leo Longanesi|Longanesi]], parlando di lei, un giorno disse che lei capiva le cose con dieci mesi di anticipo rispetto a tutti gli altri. Ecco, tra dieci mesi cosa vede in [[Italia]]?»}} Queste erano le cose di Longanesi, ma in realtà io non riesco a vedere tra dieci giorni. {{Int|''[http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/1991/11/16/giangi-feltrinelli-io-non-ti-perdono.html 'Giangi' Feltrinelli io non ti perdono]''|''la Repubblica'', 16 novembre 1991, p. 33.}} *[[Giangiacomo Feltrinelli|Lui]] fu l'emblema di tutto quanto accadde in quegli anni {{NDR|Anni della contestazione}}. A differenza della [[Francia]], eravamo un paese da burletta, con una contestazione da burletta e rivoluzionari da burletta. E Feltrinelli ne fu l'esponente più qualificato. *Era il 1940 e a quel tempo Giangi aveva quattordici anni e seguiva i corsi scolastici con pessimo profitto. Giangiacomo era un ragazzetto che voleva a tutti i costi cavalcare qualcosa di rivoluzionario. Non importava il colore. Tanto è vero che il suo sogno fu prima il fascismo e poi Che Guevara. *{{NDR|«L'importante è stare in prima linea il fascismo?»}} Ma sì, negli anni Quaranta lui era fascista. Era talmente fascista che nel 1943, dopo l'8 settembre, voleva denunciare sia me che Barzini per alcune cose che avevamo detto contro i fascisti. Allora pensava di aderire a Salò. La sua dedizione a una causa quale che sia, purché rivoluzionaria, lo spingeva a questi atti pazzeschi. *Generoso? Lo chieda ai suoi collaboratori. Era una specie di padrone delle ferriere che spendeva generosamente solo per soddisfare il suo vizio principale: la rivoluzione. Con chi era in difficoltà non si dimostrò mai particolarmente generoso. *{{NDR|«Perché allora lei è così implacabilmente critico nei suoi riguardi?»}} Non ce l'ho neppure tanto con lui, quanto con tutti coloro che di Feltrinelli hanno fatto un mito. In realtà era un povero uomo. Un ingenuo divorato dall'esibizionismo. *{{NDR|«Come può ridurre tutto alla convinzione che fosse solo un ingenuo e un esibizionista?»}} Anche Starace segnò un decennio della nostra vita. Mica per questo era meno cretino. Se Feltrinelli sia stato qualcosa di più complesso, io non riesco a vederlo. Posso aggiungere questo: quella sua mania di ostentazione, quella voglia di primeggiare su tutte le cose lo ha condotto anche a degli atti di eroismo. Perché uno che sale su un traliccio, con la dinamite che non sa maneggiare e salta per aria, beh almeno il coraggio gli va riconosciuto. O forse chiamiamola incoscienza. {{Int|''[http://www.archiviolastampa.it/component/option,com_lastampa/task,search/mod,libera/action,viewer/Itemid,3/page,15/articleid,0824_01_1992_0072_0015_25082247/ Montanelli e il sacco di Milano]''|''La Stampa'', 14 marzo 1992, p. 14.}} *{{NDR|Il regime corrotto}} C'è ancora. Ma la rivolta non era tanto contro la corruzione e la partitocrazia, che erano senza dubbio un grosso male, ma che non erano il male più letale. In quel momento era proprio la società che si disfaceva, le condizioni della scuola, la predicazione del nulla, insomma la contestazione globale, l'ubriacatura degli Anni Settanta, che fu l'ubriacatura del terrorismo, e quella acquiescenza di una certa borghesia, salottiera, radical chic, che amoreggiava con queste cose, che aveva le smanie maotsetunghiste, che poi parlavano tutti di cose che non sapevano. La corruzione dei partiti invece è quasi immanente. La partitocrazia è destinata a durare almeno finché non si riforma la legge elettorale. Ma questa è la battaglia che noi cerchiamo di fare oggi. *{{NDR|«Ma gli Anni Settanta non hanno anche prodotto qualcosa di positivo nella società italiana?»}} No. Non vedo fatti positivi nel lascito degli [[anni di piombo]]. Vorrei sapere veramente quali. Quando dicono per esempio il divorzio. Ma il divorzio c'era già prima. Quelle sono conquiste sociali. C'era bisogno dei pistoleros per il divorzio? Ma andiamo! *{{NDR|«Però lei difendeva Pannella»}} Sì. A [[Marco Pannella|Pannella]] dobbiamo veramente due cose, malgrado le sue mattane. Effettivamente riuscì a impedire a una certa aliquota di giovani di finire in braccio al terrorismo, cioè gli dette un'altra bandiera. E alcune battaglie sue furono sacrosante, come quella del divorzio che appoggiammo. Poi verso Pannella io ho una certa simpatia, dovuta al mio vecchio fondo anarchico, libertario, che ritrovo in lui. È una simpatia genetica. Ritrovo in lui quello che io sono stato a vent'anni. *{{NDR|«Ma che fine ha fatto quella borghesia, che fine hanno fatto quei salotti buoni? Le sue battaglie contro la Crespi o contro la Cederna sono cosa Passata? Sono cambiati loro, oppure è cambiato lei?»}} Vabbè, con la [[Camilla Cederna|Camilla]] poi siamo ridiventati amici. Con la Crespi no, mai. Ma non ho più rancori, non ho più animosità. Però è un mondo che disprezzo un po', perché è un mondo di pecore che seguono sempre il filo del vento, santoiddio, sono proprio personcine, personcine inconsistenti, pronte ad andare con chiunque. E poi sempre per salvare i propri interessi, non è che abbiano delle idealità, no? Oggi è cambiato il vento, quindi sono cambiati anche loro. Ma non è che sia cambiato il mio giudizio. Quel mondo lì io non lo amo. *La crisi rimane e si riflette nell'amministrazione cittadina. L'amministrazione era sempre stata un autentico specchio. Fino a Bucalossi il Comune di Milano era retto da specchiati galantuomini, che finivano tutti poveri, in miseria, finivano alla Baggina. Gente davvero di una correttezza esemplare. Poi sono venuti gli Aniasi e compagni e guardi qui dove siamo arrivati: siamo arrivati a [[Mario Chiesa|Chiesa]]. {{Int|''[https://web.archive.org/web/20121107180200/http://archiviostorico.corriere.it/1993/giugno/06/Montanelli_tura_naso_come_nel_co_0_93060610816.shtml Montanelli si tura il naso come nel '76: voto l'uomo della Lega]''|''Corriere della Sera'', 6 giugno 1993, p. 3.}} *Mi sono dannato l'anima perché il centro avesse un ''suo'' candidato. Avrei voluto Locatelli: era la persona giusta per portare la bandiera referendaria e raccogliere gli elettori moderati. Era quello il mio sogno. *Segni non ha capito nulla, è arrivato in ritardo, ha candidato una persona che nessuno conosce. Non abbiamo ''un'' rappresentante del centro, ma tre surrogati che si elimineranno a vicenda. E ci toccherà scegliere fra [[Nando dalla Chiesa|Dalla Chiesa]] e Formentini. *{{NDR|«Di qui il suo suggerimento: turarsi il naso e votare Lega»}} No, non dico "Votiamo Lega", dico "Votiamo Formentini". E nel suo caso non ci si deve neppure turare il naso: è modesto, anche mediocre se vogliamo, ma è onesto. Non credo sia marcio. Insomma: è il male minore. *{{NDR|«E Dalla Chiesa?»}} No, il mio voto non lo avrà. Perché io non voto per la sinistra e per un sinistro come quello lì. *{{NDR|«Ma che cosa la preoccupa nella coalizione di Dalla Chiesa?»}} Questi reperti di un mondo fallito vogliono ora governare l'Italia. E io con loro non ci sto. La storia gli ha dato torto, la realtà li svergogna e noi dovremmo fidarci? È stata l'apertura a sinistra a dare inizio alla putredine. {{Int|''Eppur si muove''|a cura di Indro Montanelli e Beniamino Placido, Rai 3, 1994.}} *Ogni italiano è insieme furbo e fesso. L'italiano è furbissimo nella gestione dei suoi affari privati, può ricorrere a tutte le astuzie, è attento, è accorto, ed è assolutamente fesso nel non rendersi conto che se i suoi affari privati rimangono immessi in una società che non funziona – cioè dove gli interessi generali vengono trascurati e negletti – i suoi interessi privati finiscono col soffrirne e col condurlo al fallimento. Questo, a noi italiani, non entra in testa. (6 febbraio 1994) *È probabile che molti stranieri mandino i loro figli, a Roma, a scuola. Ma quali scuole? Alle loro. Gli americani mandano i loro figli alla scuola americana, i tedeschi alla scuola tedesca, i francesi alla scuola francese. Non li mandano mica alla scuola italiana, se ne guardano bene e hanno ragione, visto il modo in cui si insegna in Italia. (ibidem) *Da noi prima uscivano dei ragazzi che sapevano abbastanza di greco, di latino, ma che il carattere non lo avevano formato a scuola: o se lo formavano da soli, oppure non se lo formavano mai. (ibidem) *Lo [[Zingari|zingaro]] che fa tranquillamente la sua vita non dà noia a nessuno, è quando ruba che, naturalmente, suscita qualche perplessità (uso un eufemismo). Diciamo la verità, in Italia il razzismo non c'è. Per inventare una questione razziale ci volle una legge, e una legge fatta da un regime totalitario perché il Paese non la sentiva. Non poteva sentirla perché non è nella nostra tradizione. [...] L'Italiano non ha dei risentimenti razziali. [...] {{NDR|Sugli episodi di intolleranza e di paura per il diverso}} È un fatto di piccolissime minoranze, diciamo la verità. Non inventiamo adesso una questione {{NDR|razziale}}. Io ho vissuto nelle società veramente razziste, è tutta un'altra faccenda. (con [[Serena Dandini]], 20 marzo 1994) *Io ebbi una moglie etiopica, nel senso che la comprai secondo l'uso locale. {{NDR|«Come, scusi?»}} Eh beh, ma gli usi locali erano questi. Tutti, anche gli etiopici, compravano la moglie. {{NDR|«Quanto costava una moglie?»}} Poco. Costava poco, mi pare che mi costò – allora, però (anno 1935) – 500 lire e un tucul {{NDR|trattando}} col suocero. Perché queste furono transazioni fatte dal mio emissario, che era il più anziano graduato della mia banda, col padre della ragazza. [...] Questo matrimonio durò finché noi stemmo di stanza a Saganèiti, cioè a dire prima che scoppiasse la guerra con l'Abissinia (che non fu precisamente una guerra, fu una specie di avventura). [...] Poi questa mia moglie, perché era considerata tale, quando io partii sposò un mio graduato e al primo figlio – è vivo tuttora, mi hanno detto – diede il mio nome, per cui alcuni credettero che fosse figlio mio. Non era figlio mio. Soltanto che per deferenza... {{NDR|«Lei non pensò mai di portarla con se in Italia?»}} Beh, no. No, anche perché era molto difficile strapparla ai suoi costumi. Lei stessa, in fondo, non voleva venire. Lei apparteneva alla sua terra, io le feci una piccola dote e quindi andò tutto regolarmente. Era molto bellina. (ibidem) *Gran parte delle forze leghiste, quelle che accennano a qualche razzismo nei confronti del meridionale, sono composte da meridionali che si sono milanesizzati e ci si trovano talmente bene a Milano che non vogliono che altri arrivino dal sud. (ibidem) *Per me la [[destra]] non è una [[ideologia]]: è un modello di comportamento. Si può essere di destra anche a sinistra. Questo comportamento è il criterio rigoroso del servizio della vita pubblica. (con [[Arnoldo Foà]], 17 aprile 1994) *Nella storia della [[Italia|nazione italiana]] io vedo pochi uomini all'altezza della qualifica di una destra illuminata che non solo accetta ma vuole le [[Riformismo|riforme]]. Un uomo di destra certamente io non credo che fosse [[Camillo Benso, conte di Cavour|Cavour]], del resto il suo connubio lo dimostra, la sua disinvoltura nelle alleanze politiche lo dimostra. Certamente di destra era [[Bettino Ricasoli|Ricasoli]]. Certamente era [[Quintino Sella|Sella]]. Certamente era [[Giovanni Giolitti|Giolitti]]: uomo che dette il suffragio universale, e che riconobbe il diritto di [[sciopero]]. Questo è un uomo di destra. Certamente un uomo di destra era [[Alcide De Gasperi|De Gasperi]], senza dubbio. E, adesso non vorrei scandalizzare la gente, ma direi che uomo di destra per il concetto che aveva dello [[Stato]] e del [[potere]] era anche [[Palmiro Togliatti|Togliatti]]. E questo dimostra che si può essere uomini di destra anche a [[sinistra]]. La destra è una regola di comportamento, una regola [[morale]] di comportamento. (ibidem) {{Int|''[https://web.archive.org/web/20101005073648/http://archiviostorico.corriere.it/1997/novembre/09/Montanelli_gambizzato_cinque_mesi_prima_co_0_9711098446.shtml Montanelli "gambizzato" cinque mesi prima: "Mi salvò una promessa a Mussolini"]''|''Corriere della Sera'', 9 novembre 1997, p. 29.}} *Quella mattina {{NDR|2 giugno 1977}} sono in due nei giardini di piazza Cavour, a Milano. Uno mi spara alle gambe. L'altro mi tiene nel mirino della sua pistola. I primi due – tre proiettili entrano nelle mie lunghe zampe di pollo. Non devastano né ossa né arterie. Ma sarebbero sufficienti per far cadere a terra qualsiasi cristiano. In quegli attimi ricordo la promessa che avevo fatto a Mussolini, e a me stesso, quando, bambino, mi ritrovai intruppato nei balilla: "Se devi morire, muori in piedi!" Davanti a questi vigliacchi che non hanno il coraggio di affrontarmi in faccia, penso, non posso morire in ginocchio. E mi aggrappo alla cancellata dei giardini. Non sto in piedi sulle gambe, ma mi reggo dritto con la forza delle braccia. E quello continua a sparare e a centrare le mie zampe di pollo. Se mi fossi accasciato, se mi fossi inginocchiato davanti a lui, a quell'ora sarei morto. *Per [[Renato Curcio|lui]] ho sempre avuto rispetto. Penso che la sua autoemarginazione dalla società prima e l'emarginazione che la società gli ha imposto poi ci abbiano privato di un uomo di valore. Non lo conosco di persona, ma lo stimo, anche se poteva essere lui quello che ha mandato i due ragazzi a spararmi. Non ho rancore: quando la guerra è finita gli avversari si devono stringere la mano e devono brindare alla pace ritrovata. *Apprezzo il coraggio di chi non si pente per ricavarne un utile, di chi non denuncia il compagno di errori ma riconosce i propri torti. Almeno i brigatisti lottavano per ideali diversi da quelli dello stalinismo e del comunismo sovietico. I terroristi neri, invece, volevano soltanto restaurare un regime sepolto dalla storia. I rossi non sapevano bene cosa ma avevano in mente qualcosa di nuovo. *{{NDR|«E se avessero vinto loro?»}} Impossibile. L'esistenza del terrorismo ha soltanto ribadito le manchevolezze del nostro Paese: uno Stato inefficiente e un popolo codardo e conformista. *{{NDR|Sui burattinai, i Grandi Vecchi, la Cia, i Servizi segreti}} Fregnacce: che gliene poteva importare alla Cia di fucilare gente come il buon Casalegno o quel galantuomo di Emilio Rossi, vent'anni fa direttore del Tg Uno, o quel bischero di Montanelli? La dietrologia era una divagazione di intellettuali perditempo. Il vero problema era ed è un altro: finché non ci decideremo a riconoscere la mancanza negli italiani di una coscienza nazionale e civile questo pericolo del terrorismo lo correremo sempre. E questa fabbrica di una coscienza nazionale e civile io non la vedo nascere. *{{NDR|Sul dolore che il tempo non ha cancellato nei parenti delle vittime}} Anche noi italiani dobbiamo imparare a pagare gli inevitabili tributi dovuti alla Storia come hanno saputo fare tutti i Paesi occidentali. Il dolore resta, ma la piaga va ricucita. Una volta per tutte. {{Int|''[http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/1998/07/25/borghesia-vile-deludente.html Borghesia vile e deludente]''|''la Repubblica'', 25 luglio 1998, p. 8.}} *È la solita bruciante delusione, questa nostra borghesia. Non cambia mai, è sempre la stessa: la più vile di tutto l'Occidente. Gente portata a correr dietro a chi alza la voce, a chi minaccia, al primo manganello che passa per la strada. Questo sono i nostri borghesi: tutti fascisti sotto il fascismo, poi tutti antifascisti fin dall'indomani. Quando il comunismo era forte e faceva paura, e io fondai ''il Giornale'', mi lasciarono solo e senza un soldo. Ai tempi del terrorismo, amoreggiavano con gli estremisti nella speranza che quelli – andati al potere – gli risparmiassero la villa e il portafoglio. E ora che il comunismo non c'è più, si scoprono tutti anticomunisti, questi sedicenti liberaloni. *Il loro eroe è sempre chi brandisce il [[manganello]]. Ieri, il manganello vero. Oggi, quello catodico delle televisioni. Il liberalismo vero l'hanno sempre tradito, anzi non hanno mai saputo che cosa sia. Non vogliono le regole, detestano le leggi, vogliono avere le mani libere per fare quello che gli pare, in nome della loro cosiddetta «[[efficienza]]». Quando abbiamo fondato ''la Voce'' l'abbiamo toccato con mano: parlare di regole e di legalità a questa gente è peggio di un insulto, una bestemmia in chiesa. *L'ho sempre detto che fu un errore, quattro anni fa, defenestrarlo. Bisognava lasciarlo lì ancora un bel po', così tutti avrebbero capito quanto vale, che razza di statista è... Magari adesso non saremmo in Europa, ma non avremmo così tante gente che si lascia ubriacare dalla sua propaganda, che prova nostalgia per lui. *{{NDR|«E se un giorno si andasse a votare per il suo referendum, quello per abolire i reati del Cavaliere?»}} In quella forma, mi pare difficile che si arrivi, anche se in Italia non si sa mai. Comunque, se si votasse, credo che anche lì vincerebbe lui. Perché è quello che vuole questa nostra borghesia. Ormai è ufficiale: Berlusconi ce lo meritiamo. {{Int|''[http://www.repubblica.it/online/politica/satiquattro/montanelli/montanelli.html L'Italia di Berlusconi è la peggiore mai vista]''|''la Repubblica'', 26 marzo 2001.}} *Io voglio che vinca, faccio voti e faccio fioretti alla Madonna perché lui vinca, in modo che gli italiani vedano chi è questo signore. [[Silvio Berlusconi|Berlusconi]] è una malattia che si cura soltanto con il vaccino, con una bella iniezione di Berlusconi a Palazzo Chigi, Berlusconi anche al Quirinale, Berlusconi dove vuole, Berlusconi al Vaticano. Soltanto dopo saremo immuni. L'immunità che si ottiene col vaccino. *È strano: io non avevo mai preso parte alla campagna di demonizzazione: tutt'al più lo avevo definito un pagliaccio, un burattino. Però tutte queste storie su Berlusconi uomo della mafia mi lasciavano molto incerto. Adesso invece qualsiasi cosa è possibile: non per quello che succede a me, a me non succede nulla, non è che io rischi qualcosa, è chiaro. Quello che fa male è vedere questo berlusconismo in cui purtroppo è coinvolta l'Italia e anche tante persone perbene. *La scoperta che c'è un'Italia berlusconiana mi colpisce molto: è la peggiore delle Italie che io ho mai visto, e dire che di Italie brutte nella mia lunga vita ne ho viste moltissime. L'Italia della [[marcia su Roma]], becera e violenta, animata però forse anche da belle speranze. L'Italia del 25 luglio, l'Italia dell'8 settembre, e anche l'Italia di piazzale Loreto, animata dalla voglia di vendetta. Però la volgarità, la bassezza di questa Italia qui non l'avevo vista né sentita mai. Il berlusconismo è veramente la feccia che risale il pozzo. {{Int|''La Storia d'Italia di Indro Montanelli''|a cura di Mario Cervi, interviste di Alain Elkann, ''Cecchi Gori Editoria Elettronica Home Video'', 1999.}} *Il silenzio mantenuto finora {{NDR|sui massacri delle foibe}}, o quasi silenzio, si spiega facilissimamente: tutta la storiografia italiana del dopoguerra era di sinistra, apparteneva all'intellighenzia di sinistra, la quale era completamente succuba del Partito Comunista. Quindi non si poteva parlare delle foibe, che non appartenevano al comunismo italiano, ma appartenevano certamente al comunismo slavo, di cui però il comunismo italiano era alleato e faceva gli interessi. Quindi di questo non si poteva parlare, e non si poteva parlare delle stragi del triangolo della morte, perché anche queste ricadevano sulla coscienza – ammesso che ce ne sia una – del Partito Comunista, il che sta a dimostrare quello che dicevo prima, cioè che la Resistenza non fu una resistenza, fu una guerra civile tra italiani che continuò anche dopo il 25 aprile. [...] {{NDR|Sull'eccidio dei conti Manzoni}} Andai come giornalista [...] per appurare com'era andata la strage dei conti Manzoni, dopo la fine della guerra. [...] Una famiglia di persone che col fascismo non aveva niente a che fare, ci aveva convissuto come tutti gli italiani. Bene, nessuno mi voleva parlare di questa faccenda. [...] Nessuno ne aveva parlato, né dei Carabinieri né della Polizia e tantomeno della magistratura, eppure lo sapevano. [...] C'era una complicità assoluta, una complicità dannata. [...] Se ne parla ora perché il Muro di Berlino è crollato, ma si ricordi che trent'anni fa, quando [[Renzo De Felice|De Felice]] annunziò di mettere allo studio il ventennio fascista per sapere com'era andata, fu proposta la sua estromissione dalla cattedra universitaria, solo perché metteva allo studio un ventennio di storia italiana che, bella o brutta, c'era stata. [...] Non era possibile inquadrare storicamente il fascismo: chi lo faceva, cercando di spiegare i perché della sua durata, ed anche i perché della sua catastrofe, veniva accusato di fascismo. (da ''Dalla Monarchia alla Repubblica'') *È difficile sapere che cosa fu [[Palmiro Togliatti|Togliatti]], perché Togliatti non ha lasciato memoriali, non ha lasciato diario, che cosa pensasse Togliatti non lo sapeva nessuno, credo nemmeno la sua compagna Nilde Iotti. Si può dire che è stato un esecutore fedele degli ordini di [[Stalin]]. Lo è stato sempre, e per questo godeva la fiducia di Stalin. [...] Era un diplomatico per sé, soprattutto, perché é un uomo sopravvissuto a venticinque o trent'anni anni di Mosca, senza finire in galera, processato o contro il muro. Beh, questo è uno dei grandi personaggi. Sono pochi. {{NDR|«Non era uno statista, per esempio?»}} Non poteva essere uno statista perché i comunisti non hanno lo Stato nel sangue, i comunisti hanno il partito. Stalin non è mai stato Capo dello Stato, e nemmeno Capo del Governo, era capo del partito. Il potere nei regimi comunisti non sta né nello Stato né nel governo, sta nel partito. (da ''Dalla proclamazione della Repubblica al Trattato di pace'') *Questa [[Costituzione della Repubblica italiana|Costituzione]] porta male gli anni da quando aveva un giorno, perché fu subito chiaro quali erano i suoi difetti. Del resto furono anche denunciati da uomini come, per esempio, [[Piero Calamandrei|Calamandrei]], come Mario Paggi. (da ''Dall'assemblea costituente alla vigilia delle elezioni del 1948'') *I difetti furono soprattutto due. Il primo difetto fu di ripartizione dei lavori. La Costituente era formata da 600 membri eletti di passaggio. Voglio {{NDR|far}} notare che quella fu la prima elezione che si tenne in Italia – per la Costituente, non per il Parlamento – ma dove ci fu lo spiegamento dei partiti. Ogni partito portò i suoi candidati, cioè dei giuristi che facevano capo alla propria ideologia. Bene, in quella prima elezione il 35% dei voti andò ai democristiani, il 21% andò ai socialisti di [[Pietro Nenni|Nenni]], il 19% ai comunisti. Quindi in quel momento... non c'era ancora il Fronte ma in quel momento i socialisti facevano premio sui comunisti. Erano di poco, ma un po' più forti dei comunisti. [...] Questi 600 costituenti non potevano lavorare tutti insieme, era impossibile mandare avanti 600 persone a dibattere all'infinto le stesse cose, e allora i lavori furono devoluti a una commissione che si chiamò la ''Commissione dei Settantacinque'', perché erano 75 membri della Costituente che venivano incaricati per le loro competenze specifiche di redigere il testo. Ma anche 75 erano troppi, e allora anche i 75 si frazionarono in sotto-commissioni, ognuna delle quali lavorò per conto suo. Non ci fu un piano di insieme. {{NDR|«Quindi non fu un vero lavoro collettivo»}} Non fu un vero lavoro collettivo. Calamandrei lo disse subito: «Noi stiamo montando una macchina, che magari pezzo per pezzo sarà anche ben fatta, ma le cui giunture non coincidono con le giunture di altri pezzi». [...] Fu lasciata così perché nessuno volle rinunziare al proprio elaborato, e questo è tipico degli italiani. (da ''Dall'assemblea costituente alla vigilia delle elezioni del 1948'') *Il secondo motivo che rese questa Costituzione veramente impalatabile e nociva per il regime che ne doveva nascere, fu che i nostri costituenti partirono dal punto di vista opposto a quello da cui sarebbero partiti i costituenti tedeschi quando la Germania fu libera di elaborare una sua Costituzione. Da che cosa partirono i costituenti tedeschi? Da questo ragionamento: il nazismo fu il frutto della Repubblica di Weimar. Cos'era la Repubblica di Weimar? Era l'impotenza del potere esecutivo, cioè del Governo. [...] La Germania rimase nel disordine, nel caos, nella Babele dei partiti che non riuscivano a trovare mai delle maggioranze stabili, quindi dei governi efficaci. Ecco perché Hitler vinse, perché il nazismo vinse. I costituenti nostri partirono dal presupposto contrario, cioè dissero: «Cos'era il fascismo? Il fascismo era il premio dato a un potere esecutivo che governava senza i partiti, senza controlli eccetera. Quindi noi dobbiamo esautorare completamente il potere esecutivo, {{NDR|negando}} la possibilità di dare ai governi una stabilità, eccetera». Per rifare che cosa? Weimar. Cioè, mentre i tedeschi partivano dalla negazione di Weimar, noi arrivavamo {{NDR|a Weimar}} senza dirlo. Nessuno lo disse, ma questo fu il risultato. [...] Non fu possibile nemmeno introdurre quella solita linea di sbarramento che invece fu introdotta in Germania, per cui i partiti che non raggiungevano non ricordo se il 5 o il 3%, non avevano diritto a una rappresentanza. No, tutti i partiti dovevano esserci e tutti avevano un potere di ricatto sulle maggioranze, che erano per forza di cose di coalizioni. (da ''Dall'assemblea costituente alla vigilia delle elezioni del 1948'') *Gli italiani non imparano niente dalla Storia, anche perché non la sanno. {{NDR|«Forse non amano la Storia»}} Non la amano, non la leggono, non se ne interessano, ma questo anche le classi dirigenti: sono uguali, intendiamoci. {{NDR|«Lei auspica che venga rifatta questa Costituzione»}} Sì, ma che venga rifatta secondo criteri logici, non {{NDR|secondo}} criteri illogici. Tutte le volte che si diceva «Ma qui bisogna restituire un po' di autorità al potere esecutivo, bisogna mettere i governi in condizione di governare» si diceva: «Fascista! Fascista!». Con questo ricatto qui abbiamo fatto le più grosse scempiaggini che si potesse immaginare. (da ''Dall'assemblea costituente alla vigilia delle elezioni del 1948'') *La fine di [[Alcide De Gasperi|De Gasperi]] è la fine di un'epoca: con lui finisce un'epoca e ne comincia un'altra non certamente migliore. [...] C'è una bella pagina della figlia di De Gasperi, Maria Romana, che ha scritto un bel libro sul padre. Un libro tutto vero in cui racconta anche i funerali su in Val Sugana: c'era naturalmente tutta la nomenclatura democristiana che accompagnava la bara. Oramai De Gasperi era morto, si poteva anche fingere il compianto, e a un certo momento un passante che era lì – uno che guardava, che non aveva niente a che fare con la politica, con la Democrazia Cristiana eccetera eccetera – si avvicinò al feretro e scansando questi turiferari della DC disse: «No, non è vostro! De Gasperi è nostro! Era un italiano!». E aveva ragione. De Gasperi era nostro, non un democristiano. (da ''Gli anni di Alcide De Gasperi'') *{{NDR|[[Giovanni Gronchi]]}} Era un uomo molto abile, brillante parlatore, molto abile anche negli affari. Era molto più libertino di [[Carlo Sforza|Sforza]], quindi la Democrazia Cristiana [...] era cambiata, evidentemente, e Gronchi fu eletto per una faida interna della Democrazia Cristiana, perché [[Amintore Fanfani|Fanfani]] voleva [[Cesare Merzagora|Merzagora]]. Allora per fare dispetto a Fanfani, invece gli buttarono fra i piedi [[Giovanni Gronchi|Gronchi]], il quale seppe benissimo tessere la sua trama fra Sinistra, Destra eccetera e far diventare gronchiani anche quelli degli altri partiti. Dicendosi agli uni uomo di Destra e agli altri uomo di Sinistra, facendo insomma il giuoco personale di Gronchi, con cui entrò in Quirinale il vero grande corruttore della vita politica italiana. [...] Dopo l'onestissimo [[Luigi Einaudi|Einaudi]] viene Gronchi, che è l'indulgenza plenaria verso tutte le deviazioni e i deviazionisti d'Italia. (da ''La rivolta in Ungheria e l'elezione di Giovannni XXIII'') *Questa storia dell'MSI è una delle grandi truffe della Prima Repubblica: nella Costituzione c'è un articolo che proibisce la rinascita di un partito fascista. Ecco. Ora, l'MSI era chiaramente un partito fascista. Non lo negava, anzi si faceva gloria del fatto di essere l'erede eccetera. Perché lo avevano messo, allora? Lo avevano messo perché questo partito fascista, che avrebbe dovuto essere escluso dalla vita politica, serviva a captare un certo numero di voti che, senza questo partito, sarebbero andati a dei partiti moderati di Centro e soprattutto, forse, alla Democrazia Cristiana. Quindi quale fu il gioco delle Sinistre, a cui la Democrazia Cristiana però si piegò e si rassegnò: è consentito di esistere all'MSI, però l'MSI quando è in Parlamento è escluso dal gioco parlamentare. Così si mettevano i voti dell'MSI in ''frigidaire'', e così non andavano alla Democrazia Cristiana e ai partiti {{NDR|di Centro}}. È una delle peggiori truffe che è stata inventata dalla classe politica che ci ha governato per cinquant'anni. (da ''I successori di De Gasperi e la politica italiana fino alla morte di Togliatti'') *Io vorrei sapere quali furono le crescite... di civiltà che il [[Sessantotto]] pretende di averci lasciato. Io vedo tutt'altra cosa: io vidi nascere, dal Sessantotto, una bella torma di analfabeti che poi invasero la vita pubblica italiana, e anche quella privata, portando dovunque i segni della propria ignoranza. Io ho visto questo. Può darsi che sia affetto da sordità o da cecità ma io non ho visto altro, come frutti del Sessantotto. (da ''Il Sessantotto e la politica di Berlinguer'') *{{NDR|La differenza tra il Sessantotto francese e quello italiano è}} La differenza che passa fra l'originale e il fac simile perché il Sessantotto nacque in [[Francia]] e in [[Italia]] fu un fatto di riporto, di imitazione. {{NDR|«Che vi fu in tutto il mondo, però, questo»}} Un po' in tutto il mondo ma particolarmente in Italia dove non nasce mai niente, è sempre qualcosa di imitato dagli altri. Bene o male, insomma, i francesi ebbero... anche una certa cultura del Sessantotto, ebbero [[Jean-Paul Sartre|Sartre]]. Oddio, Sartre rivisto con gli occhi di oggi naturalmente scende molto dal suo mitico piedestallo. [...] In Italia non ci fu neanche un Sartre. (da ''Il Sessantotto e la politica di Berlinguer'') *Credo che su [[Pier Paolo Pasolini|Pasolini]] si sia preso un grosso abbaglio: Pasolini è passato per uno scrittore di sinistra perché aveva preso come sfondo dei suoi racconti – bellissimi del resto – il sottoproletariato delle borgate romane, i ragazzi di vita, insomma, la schiuma della società. Ma lo aveva fatto per dei gusti e dei motivi del tutto personali sui quali è inutile tornare a far commenti. Questo lo aveva fatto considerare come uno scrittore, un difensore del proletariato, ma non era una scelta politica quella che aveva fatto Pasolini. Non c'entrava niente, assolutamente nulla. Quindi quello che lui disse era assolutamente vero, cioè dire che nei tafferugli, dove spesso ci scappava il morto, tra quei dilettanti delle barricate che erano {{NDR|dei borghesi}}, i veri proletari erano i poliziotti, tutti figli di famiglie povere, eccetera eccetera. I dilettanti delle barricate erano tutti o quasi tutti figli di papà: aveva ragione Pasolini! Ma come no! E questo fu considerato un tradimento all'ideologia di sinistra. (da ''Il Sessantotto e la politica di Berlinguer'') *Il primo fenomeno fu il Sessantotto, e il Sessantotto partorì poi il terrorismo, il brigatismo rosso eccetera eccetera. Su questo non ci son dubbi, insomma. Dirò di più: i più seri, e forse gli unici seri, furono quelli che poi diventarono dei terroristi e che quindi rischiarono la loro vita, almeno. Gli altri erano quello che diceva Pasolini, dei figli di papà. (da ''Il Sessantotto e la politica di Berlinguer'') *{{NDR|La figura del Grande Vecchio}} È una di quelle fandonie, di quelle stupidaggini che piacciono tanto a noi italiani: l'idea di un Grande Vecchio che organizzasse tutte queste stragi, attentati eccetera eccetera. È un affare da Simenon di borgata insomma – no? Piaceva l'idea che ci fosse dietro tutta una strategia. Sennonché poi non si sapeva chi fosse il Grande Vecchio. {{NDR|«Aveva un volto questo grande vecchio?»}} Ne ha avuti molti: naturalmente [[Giulio Andreotti|Andreotti]] – quello non manca mai, quando si cerca un ''deus ex macchina'' di tutto ciò che di più criminale è avvenuto in questo Paese {{NDR|c'è}} Andreotti. {{NDR|«Però in quel momento non era tanto vecchio»}} In quel momento non era tanto vecchio, ma il Grande Vecchio non ha nulla di anagrafico, è il Grande Vecchio così – poi Gelli, poi Sindona. Ha avuto varie raffigurazioni che sono tutte di fantasia. (da ''Piazza Fontana e dintorni'') *Se c'era un funzionario corretto, che veniva portato come esempio da tutti i suoi colleghi, era Calabresi. Per quale motivo si scatenò questa campagna contro di lui non lo so. È vero che aveva interrogato [[Giuseppe Pinelli|Pinelli]], ma gli interrogatori di Calabresi facevano testo per la loro correttezza. Sempre. [...] Non so per quale motivo, a un certo momento, la stampa s'incendiò e cominciò ad additare Calabresi come «il bruto», come «lo scherano del potere sopraffattore e assassino». Questo si lesse in vari giornali. Ora, il potere sopraffattore assassino in quel momento era rappresentato da [[Mariano Rumor|Rumor]] e da [[Emilio Colombo|Colombo]]: mi dica lei se hanno il viso dei sopraffattori assassini. Magari lo fossero stati un po', ma immaginiamoci. E questa campagna fu implacabile, assolutamente implacabile. (da ''Piazza Fontana e dintorni'') *Come in tutti i processi italiani anche questi, che poi volevano arrivare all'identificazione dei responsabili e non ci arrivarono quasi mai, erano dominati dal cosiddetto «teorema»: si partiva dal presupposto... a un certo momento si mise di parlare degli anarchici – si smise quasi subito di parlare {{NDR|degli anarchici}} – e tutte le lampadine furono rivolte ai partiti e alle forze di Destra. Erano quelle le forze stragiste. [...] I nostri bravi giudici, salvo alcuni, partivano dal presupposto che {{NDR|i colpevoli}} certamente venivano di lì, venivano dalle Destre, dalle Destre più violente. Alle quali si attribuiva, sempre per «teorema», questa idea: creare una tensione nel Paese in modo da impaurire gli italiani e metterli alla scelta «o la libertà o l'ordine», perché insieme non potevano andare. Nella libertà era chiaro che non si poteva mantenere l'ordine, e loro dicevano: «Qualunque popolo messo a questa scelta sceglie l'ordine». Ecco. È un teorema. È un teorema che ha sempre cercato dimostrazione e non l'ha trovata mai. (da ''Piazza Fontana e dintorni'') *[[Bettino Craxi|Craxi]] era un uomo di partito certamente molto accorto, era un uomo valido di governo perché sapeva decidere. Che cosa fosse lo Stato, da buon socialista, non lo sapeva. (da ''Il terrorismo fino al sequestro e all'uccisione di Aldo Moro'') *Quelle lettere erano tutte farina del sacco di [[Aldo Moro|Moro]], e questa farina non è molto encomiabile perché, vede, tutti gli uomini hanno diritto ad avere paura. Tutti. Però quando un uomo sceglie la politica, e nella politica emerge a [[Statista|uomo di Stato]] – a uomo rappresentativo dello Stato – non perde il diritto a avere paura, ma perde il diritto a mostrarla. Questo sì. Questo è uno dei principi che dovrebbe essere affermato. L'incidente, tipo quello di Moro, fa parte del mestiere. Chi affronta quel mestiere deve sapere che può incorrere in quell'incidente e deve avere i nervi, e diciamo gli altri attributi, per resistere. Moro era lo Stato. Lo Stato si raccomandava, implorava, minacciava la classe politica che facesse di tutto, anche che si prostituisse, per salvargli la vita: eh, no. No. Moro era certamente un politico a modo suo, estremamente abile – era anche un galantuomo, credo – ma uomo di Stato non era nemmeno lui. [...] Anch'io mi sono posto questa domanda molto spesso: «Ma se Moro fosse tornato in politica dopo aver costretto lo Stato a prostituirsi, a inginocchiarsi di fronte ai terroristi, avrebbe potuto restarci?». Avrebbe potuto restare? Con che faccia? Vabbè che siamo in Italia. {{NDR|«Forse lo Stato sarebbe stato un altro perché i terroristi avrebbero vinto»}} Appunto. I terroristi avrebbero vinto. Quindi lui che cosa diventava, il braccio politico del terrorismo? Che cosa diventava? Come poteva ripresentarsi? Va bene, gli italiani hanno lo stomaco forte, inghiottono tutto – noi italiani abbiamo lo stomaco forte e inghiottiamo tutto – ma, insomma, di fronte a un uomo la cui vita, la cui sopravvivenza, aveva avuto quel prezzo per noi non credo che avrebbe potuto ripresentarsi all'opinione pubblica italiana. (da ''Il terrorismo fino al sequestro e all'uccisione di Aldo Moro'') *Noi naturalmente abbiamo il dovere di ringraziare [[Michail Gorbačëv|Gorbačëv]] per quello che ha fatto, però se lei mi chiede se lo ha fatto bene o lo ha fatto male io debbo rispondere che lo ha fatto malissimo. Io non so se lui... che lui volesse salvare la Patria sovietica questo non lo metto in dubbio. Che lui volesse salvare il comunismo... io debbo risponderle di no, perché quello che lui ha fatto per affossare il comunismo lo ha fatto. (da ''Giovanni Paolo II e la fine dell'URSS'') *Anche i cinesi si erano accorti che il sistema comunista era arrivato al capolinea, era fallito. Fallito perché non regge, assolutamente non regge. {{NDR|Il sistema comunista}} Aveva portato il Paese, e i Paesi che lo avevano adottato, al fallimento. Anche i cinesi si erano accorti di questo, però avevano capito che per trasformare un sistema oramai ancestralmente totalitario, statalizzato, che aveva tolto ogni libertà a tutti, che aveva disabituato tutti da ogni spirito di iniziativa e di impresa... per trasformare un'economia basata su questi principi fallimentari in un'economia capitalista basata sul libero mercato, sulla libera concorrenza eccetera, bisognava tenere in mano il potere politico per controllare questo passaggio. I cinesi lo fecero. Quando gli studenti di Pechino credettero di potergli {{NDR|al governo cinese}} prendere la mano scendendo in [[Protesta di piazza Tienanmen|piazza Tienanmen]] i cinesi non esitarono a mitragliarli e, per quanto un massacro non possa che essere esecrato, io dico questo: i cinesi erano obbligati a farlo. Se non lo facevano la Cina si dissolveva, ritornava quella di [[Chiang Kai-shek]]: ritornava quella dei signori della guerra, cioè il Paese si disfaceva. Il Paese che bene o male [[Mao Tse-tung]] aveva unificato e a cui aveva dato un'anima di Nazione si sarebbe disfatto. (da ''Giovanni Paolo II e la fine dell'URSS'') *{{NDR|Su [[Licio Gelli]]}} L'avevo visto una volta e questo [...] rendeva ancora più grande la mia sorpresa. Io avevo un giornale, ''il Giornale'', che non aveva patroni, non aveva pubblicità, che quindi aveva delle grosse difficoltà di tirare avanti. La proprietà era divisa fra me e una trentina di altri redattori, e non avevamo niente in mano. Io non trovavo una banca che mi facesse un fido, non trovavo una società pubblicitaria che mi garantisse un minimo decente delle cose [...]. A un certo momento il capo del nostro ufficio romano, Trionfera – che era massone, ma non P2 – mi disse «Senti, vieni a Roma perché so che c'è un signore che sta diventando il padrone della stampa italiana». Dico «Come? Il padrone della stampa italiana?» «Sì, c'è un signore che, a quanto pare, ha assunto un potere straordinario nel mondo dell’editoria e forse lui può anche aiutarci». [...] Andai a Roma e allora {{NDR|Renzo Trionfera}} mi disse che lui aveva appuntamento con questo signor Gelli, di cui io sentivo il nome per la prima volta [...], però dovevamo andarci quasi di nascosto. [...] Andammo [...] e così vidi Gelli per la prima e unica volta. Gli esposi la situazione e lui mi disse: «Ma questi sono dettagli, queste sono piccolezze, non sono problemi gravi perché qui, oramai, bisogna procedere a ben altro. Bisogna chiamare a raccolta tutta questa stampa italiana che è litigiosa, che è settaria. Bisogna darle un indirizzo unico». Allora io lì lo fermai. Dissi: «Come fa a darle un indirizzo unico? La stampa segue criteri diversi, i giornalisti...». «Macché giornalisti – disse lui – qui ci vuole un padrone della stampa!». Dico «Ma non esiste un padrone della stampa, a meno che non rifacciamo il Minculpop fascista, allora c'era un padrone perché c'era un regime che faceva il padrone». {{NDR|Licio Gelli}} Dice «Basta comprare la proprietà dei giornali». Dissi «Ma scusi, ci sono degli editori che non vendono» [...] «Questione di prezzo». Il discorso andò avanti su questi binari, quando uscimmo io dissi a Trionfera: «Senti, ma questo qui è il più grosso farabolano con cui abbiamo avuto a che fare, uno che si immagina di comprare tutta la stampa e di ridurla ai suoi ordini, va be', o è un matto, o è un matto, oppure è proprio un piazzista, un fregnacciaro qualsiasi insomma». Questo fu l'unico incontro. [...] Uno che faceva questi discorsi naturalmente mi sembrava inutile continuare a frequentarlo. Di lì a poco venne fuori la lista degli iscritti alla P2 e venne fuori l'identificazione di Gelli col Grande Vecchio, col famoso Grande Vecchio. {{NDR|«Finalmente si era trovato»}} Finalmente si era trovato il Grande Vecchio autore di tutte le stragi, le cose..., {{NDR|«Il vero Grande Vecchio»}} il bieco Grande Vecchio. Naturalmente non credetti nemmeno a questo. (da ''Il caso Sindona e la P2'') *Per istinto, e per come avevo visto e conosciuto [[Licio Gelli|Gelli]], io sono convinto che {{NDR|la [[P2|Loggia P2]]}} era una cricca di affaristi e basta. Era una cricca di affaristi condotta da un uomo che, evidentemente, come intrallazzatore doveva essere geniale. Era un pataccaro, indiscutibilmente era un pataccaro, ma che a tutto pensava fuorché a un ''golpe''. Non ci pensava nemmeno. Lui procurava affari e soprattutto fomentava carriere. Lui aveva capito qual è la struttura del potere in Italia, sempre, non soltanto allora, sempre: è una struttura mafiosa. Bisogna far parte di una cricca, di una conventicola in cui ognuno aiuta l'altro, e questo era la P2. [...] Ma che interesse poteva avere Gelli a rovesciare un sistema che gli consentiva di influire sino a quel punto? Quale interesse poteva avere? E poi, Gelli era un farabolano ma non doveva essere del tutto sprovveduto, doveva sapere che l'[[Italia]] non è terra da ''golpe''. Ma chi lo fa il ''golpe''? E anche se qualcuno lo fa, come fa a resistere? Che cos'ha dalla sua per fare il ''golpe''? Non ho mai creduto al golpismo di Gelli. (da ''Il caso Sindona e la P2'') *Il caso Chiesa era un caso modestissimo. Fece da detonatore perché il momento era maturo per arrivare a ''Tangentopoli'', che era dovuto a una cosa molto più complessa che era questa: che ci fosse la corruzione in Italia si è sempre saputo, la classe dominante promanava questo puzzo di fogna che tutti sentivano, il famoso «turarsi il naso». Soltanto che fin quando l'alternativa di questa classe politica allora al potere era un Partito comunista, che era un fac-simile di quello sovietico, basato sui carri armati, sulla polizia segreta, sulle delazioni, sui processi, [...] finché c'era questo spettro noi non potevamo prenderci il lusso di mettere sotto processo e mandare in galera la classe politica dirigente allora. Fu quando, col Muro di Berlino, crollò questo incubo che i tempi furono maturi perché questo avvenisse. (da ''Tangentopoli'') *Che {{NDR|la [[corruzione]]}} sia inestirpabile, di questo sono sicuro perché dura da 2000 anni. La corruzione non è soltanto nella politica: è nella società italiana! Noi italiani abbiamo sempre corrotto tutti! Tutti coloro che sono venuti in Italia a fare i padroni li abbiamo corrotti. [...] Noi dobbiamo metterci in testa che la lotta alla corruzione la si fa in un modo solo: cambiando gli italiani, non cambiando le classi politiche. Le classi politiche, anche quelle nuove, si corrompono. È inevitabile. (da ''Tangentopoli'') *[[Silvio Berlusconi|Berlusconi]] ha un sacco di qualità. C'è da dire, ha una grande immaginazione, una grande fantasia; ha un coraggio leonino nel buttarsi nelle imprese; sa trascinare molto bene; è un comunicatore eccezionale, sa accendere i suoi seguaci di entusiasmi eccetera eccetera, mi ricordo che una volta gli dissi: «Io sono sicuro che se tu ti mettessi a fabbricare dei vasi da notte, faresti venire la voglia di fare pipì a tutta l'Italia». (da ''Verso il bipolarismo'') *[[Silvio Berlusconi|Lui]] è un uomo d'attacco: se avesse fatto la carriera militare lui non sarebbe diventato né un [[Gerd von Rundstedt|Rundstedt]] né un [[Erich von Manstein|Manstein]], che furono i grandi strateghi tedeschi dell'ultima guerra. [...] Lui sarebbe diventato un [[Erwin Rommel|Rommel]] o un [[George Smith Patton|Patton]]. Cioè dire: è un generale di straccio e di rottura che, appunto, sullo slancio può compiere qualsiasi cosa. Se lo metti poi a difendere le posizioni conquistate con lo slancio, eh no, lì non ci sta. Come Rommel: Rommel finché poté attaccare in Libia e in Egitto attaccò. Quando dovette mettersi sulla difensiva chiese il rimpatrio. [...] Non sarebbe uomo di Curia e non è un uomo di pazienza, non è un uomo da guerra di posizione e di logoramento. (da ''Verso il bipolarismo'') *Lui Arrivò a Palazzo Chigi credendo, e facendo credere, che uno Stato si poteva condurre con gli stessi criteri di un'azienda privata. Io su questo avevo avuto serie discussioni con lui – non litigi, non ho mai litigato con Berlusconi – gli avevo detto: «Guarda che lo Stato non è un'azienda privata». [...] Lui credeva di potersi comportare a Palazzo Chigi, e con la macchina dello Stato, come si comportava con la sua organizzazione, dove la gente frullava e, se non frullava, lui la cacciava via, com'è giusto che faccia un imprenditore. Ma lui non poteva applicare questi metodi e sistemi allo Stato. Quando si trovò di fronte alla muraglia grigia, sorda e ottusa della burocrazia italiana, che è la peggiore, ma anche la più resistente del mondo, lui rimase senz'armi: non poteva licenziare neanche un usciere. Nel gioco parlamentare lui naufraga perché non è abituato a queste cose. La politica – non dico che sia solo un mestiere – ma è anche un mestiere. Questo mestiere lui non lo aveva. (da ''Verso il bipolarismo'') *Che gli italiani siano capaci di emanare leggi di riforma, ci credo senz'altro. L'Italia è la più grande produttrice di regole, ognuna delle quali è una riforma, è la riforma di un'altra regola. Gli stessi esperti pare che abbiano perso il conteggio delle leggi, dei regolamenti che vigono in Italia: c'è qualcuno che parla di 200.000, altri di 250.000. Ora, quando si pensa che la [[Germania]] ha in tutto 5.000 leggi, la [[Francia]] pare 7.000, l'[[Inghilterra]] nessuna, quasi nessuna – ha dei principi, così stabiliti. A cosa ha portato tutta questa proliferazione? A riempire gli scantinati dei nostri pubblici uffici, dove ci sono questi mucchi di legge che nessuno va nemmeno a consultare perché ognuna di queste leggi poi offre il modo di evaderle. Questa è la grande abilità dei legislatori italiani. I legislatori italiani sono quasi tutti degli avvocati. E gli avvocati a che cosa pensano? A ingarbugliare le leggi in modo da restarne loro i supremi e unici depositari. [...] Riforme: hai voglia se ne faremo, continuiamo a farne, è la nostra vocazione, questa. Quanto poi all'attuazione, allora è un altro discorso: le leggi in Italia non vengono osservate, anche perché sono formulate in modo che si possano non osservare. Ed è questo che spiega l'abbondanza, la prodigalità delle nostre classi politiche, delle nostre classi dirigenti, nello sfornarne di continuo. (da ''Dal Governo Dini all'Ulivo'') *Un Paese che ignora il proprio Ieri, di cui non sa assolutamente nulla e non si cura di sapere nulla, non può avere un Domani. Io mi ricordo una definizione dell'Italia che mi dette in tempi lontanissimi un mio maestro e anche benefattore, che fu un grande giornalista, [[Ugo Ojetti]], il quale mi disse: «Ma tu non hai ancora capito che l'Italia è un Paese di contemporanei, senza antenati né posteri perché senza memoria». Io avevo 25-26 anni e la presi per una ''boutade'', per una battuta, un paradosso. Mi sono accorto che aveva assolutamente ragione. Questo è un Paese che {{NDR|«È un Paese che non ama la Storia»}} ha una storia straordinaria, {{NDR|«Ma non la ama»}} ma non la studia, non la sa. È un Paese assolutamente ignaro di se stesso. Se tu mi dici cosa sarà un domani per gli italiani, forse sarà un domani brillantissimo. Per gli italiani, non per l'Italia. Perché gli italiani sono i meglio qualificati a entrare in un calderone multinazionale perché non hanno resistenze nazionali. Intanto hanno dei mestieri in cui sono insuperabili. [...] Voglio dirlo senza intonazioni spregiative, nei mestieri servili noi siamo imbattibili, assolutamente imbattibili. Ma non lo siamo soltanto in quelli. L'individualità italiana si può benissimo affermare in tutti i campi, anche scientifici. Io sono sicuro che gli scienziati italiani, i medici italiani, gli specialisti italiani, i chimici, i fisici italiani quando avranno a disposizione dei gabinetti europei veramente attrezzati brilleranno. Gli italiani, l'Italia no. L'Italia non ci sarà, non c'è. Perché gli italiani che vanno in Germania diventeranno tedeschi. [...] Alla seconda generazione sono assimilati. Dovunque vadano, sono assimilati. {{NDR|«Ma questo è un difetto?»}} No... è un difetto... è un difetto ed è anche una virtù. È una qualità. Voglio dire: per l'Italia non vedo un futuro, per gli italiani ne vedo uno brillante. (da ''Dal Governo Dini all'Ulivo'') ==Citazioni tratte dai giornali== ===''Corriere della Sera''=== <!--ordine cronologico--> *Gli eroi sono sempre immortali, agli occhi di chi in essi crede. E così crederanno, i ragazzi, che il «[[Grande Torino|Torino]]» non è morto: è soltanto «in trasferta». (7 maggio 1949) *{{NDR|A proposito di [[Maratea]]}} Forse in Italia non c'è paesaggio e panorama più superbi. Immaginate decine e decine di chilometri di scogliera frastagliata di grotte, faraglioni, strapiombi e morbide spiagge davanti al più spettacoloso dei mari, ora spalancato e aperto, ora chiuso in rade piccole come darsene. (4 ottobre 1957) *{{NDR|Su ''[[La dolce vita]]''}} Ma non c'è dubbio che qui ci si trova di fronte a qualcosa di eccezione (sic!) non perché rappresenti un meglio o un di più di ciò che finora si è fatto sullo schermo, ma perché ne va nettamente al di là, violando tutte le regole e convenzioni, a cominciare da quelle della durata, che supera le tre ore di spettacolo, per finire a quelle della trama, o meglio della non trama, perché non c'è. (''[http://cinquantamila.corriere.it/storyTellerArticolo.php?storyId=4d44ab344c050 Montanelli vede La Dolce Vita]'', 22 gennaio 1960) *{{NDR|Su ''[[La dolce vita]]''}} Non siamo più nel cinematografo, qui. Siamo nel grande affresco. Fellini secondo me non vi tocca vette meno alte di quelle che Goya toccò in pittura, come potenza di requisitoria contro la sua e la nostra società. (''ibidem'') *Il suo reportage non è una "patacca". Il poco – oh, molto poco! – che vi luce è proprio oro. E il molto che vi puzza è proprio fogna. Del resto, se così non fosse, il film sarebbe fallito come falliscono i reportages quando eludono la verità o non riescono a centrarla. Quindi, amici, vi prevengo se domani ''[[La dolce vita]]'' vi farà inorridire, non confutàtela dicendo: "Non è vero". Perché per esser vero, tutto ciò che qui è raccontato, lo è. D'altronde Fellini è ricorso al mezzo più spicciativo (e più diabolico) per dimostrarlo. (''ibidem'') *Ma mi affretto subito ad aggiungere che ''[[La dolce vita]]'' non è una polemica a sfondo giustizialista, che appunta i suoi strali sulle cosiddette classi alte. Non convincerebbe, in questo caso, o convincerebbe meno. Gli altri ambienti, che si srotolano giù giù negli appunti di questo reporter d'eccezione, sono descritti con la identica spietatezza, convalidata dalla stessa tecnica di rappresentare ciascuno nei propri panni. Lasciatemi testimoniare in tutta onestà che raramente ho visto qualcosa di più vero di quel salotto intellettuale. Esso ha dato perfino a me, che non ne frequento nessuno, un senso profondo di mortificazione, un vago anelito a cambiar mestiere e a iscrivermi, fo' per dire, ai coltivatori diretti. (''ibidem'') *Non è necessario essere socialisti per amare e stimare [[Sandro Pertini|Pertini]]. Qualunque cosa egli dica o faccia, odora di pulizia, di lealtà e di sincerità. (27 ottobre 1963) *Che i [[Rifugiati palestinesi|profughi palestinesi]] siano delle povere vittime, non c'è dubbio. Ma lo sono degli Stati arabi, non d'[[Israele]]. Quanto ai loro diritti sulla casa dei padri, non ne hanno nessuno perché i loro padri erano dei senzatetto. Il tetto apparteneva solo a una piccola categoria di sceicchi, che se lo vendettero allegramente e di loro propria scelta. Oggi, ubriacato da una propaganda di stampo razzista e nazionalsocialista, lo sciagurato ''fedain'' scarica su Israele l'odio che dovrebbe rivolgere contro coloro che lo mandarono allo sbaraglio. E il suo pietoso caso, in un modo o nell'altro, bisognerà pure risolverlo. Ma non ci si venga a dire che i responsabili di questa sua miseranda condizione sono gli «usurpatori» ebrei. Questo è storicamente, politicamente e giuridicamente falso. (16 settembre 1972) *[[Alexis de Tocqueville|Tocqueville]] diceva che «è nel sonno della pubblica coscienza che maturano le dittature». (da ''[https://web.archive.org/web/20160101000000/http://archiviostorico.corriere.it/1996/gennaio/13/platea_resta_assente_co_0_9601133631.shtml La platea resta assente]'', 13 gennaio 1996, p. 1) *Se si mettono a raffronto i due rivali come faccia, come presenza, come eloquio, come cordialità, insomma come simpatia umana, non c'è dubbio che Albertini ne ispira molto meno di Fumagalli, anzi diciamo la verità tutta intera: non ne ispira punta. Ed io, cittadino ed elettore milanese, proprio di questo sentivo il bisogno: di un sindaco antipatico, di faccia arcigna e poco invogliante alla pacca sulla spalla, al confidenziale «tu» e al pappecciccia coi sottoposti, e poco, anzi punto disponibile a quelle benevolenze, condiscendenze e indulgenze che rappresentano le supposte di glicerina di tutte le corruzioni. [...] Con Albertini ho parlato una sola volta. Ma mi è bastata per capire che, per rendersi antipatico, non ha bisogno di fare sforzi. Basta che si mostri com'è e come spero che rimanga: una specie di Molotov di Palazzo Marino, chiuso nei suoi caparbi ''niet'', diffidente, scostante e culdipietra. Che abbia una compagna fermamente decisa a non partecipare alla vita pubblica del compagno, anche questo ci va bene. [...] Si ricordi, signor Sindaco, che noi abbiamo votato per lei, non per questi papponi. (da ''[https://web.archive.org/web/20160101000000/http://archiviostorico.corriere.it/1997/maggio/13/tradito_Ulivo_co_0_9705136733.shtml Sì, ho tradito l'Ulivo]'', 13 maggio 1997, p. 1) *Non vorremmo, dopo averne deplorato il brutto vezzo, contribuire alle polemiche nel momento in cui bisogna invece accantonarle per fare compatto fronte per il salvataggio del salvabile. Ma basta con le «regole» che servono soltanto a rendere impenetrabili le responsabilità dei disastri quando i disastri si possono ricondurre a delle responsabilità umane (come non accade, per esempio, nei terremoti). Ma quando verrà l'ora della ricostruzione, ricordiamoci che l'[[urbanistica]] e il paesaggio italiani hanno bisogno non di altre, ma di meno «regole». E, più che di cemento, di dinamite. (da ''[https://web.archive.org/web/20160101000000/http://archiviostorico.corriere.it/1998/maggio/09/licenze_facili_leggi_oscure_co_0_9805099009.shtml Le licenze facili e le leggi oscure]'', 9 maggio 1998, p. 1) *Qualche dichiarazione meno infuocata contro la Giustizia di regime, come il [[Silvio Berlusconi|Cavaliere]] si ostina a definirla, avrebbe meglio aiutato la politica italiana a rimuovere il macigno che la paralizza, e che è lui, Berlusconi. (da ''[https://web.archive.org/web/20160101000000/http://archiviostorico.corriere.it/1998/luglio/14/RESTO_SIA_SILENZIO_co_0_9807143775.shtml E il resto sia silenzio]'', 14 luglio 1998, p. 1) *L'Italia sarà anche, come dicono i nostri tromboni universitari, «la culla del diritto». Ma è anche il sepolcro di una giustizia che, per decidere se un imputato è innocente o colpevole, aspetta il suo certificato di morte che la esenta dal dirlo. Il secondo problema è il reclutamento e la selezione [[magistratura|del personale]]. Come in tutte le altre pubbliche attività, anche nella giustizia c'è un dieci per cento di autentici eroi pronti a sacrificarle carriera e vita, ma senza voce in un coro di «gaglioffi» che c'è da ringraziare Dio quando sono mossi soltanto da smania di protagonismo. (da ''[https://web.archive.org/web/20160101000000/http://archiviostorico.corriere.it/1998/agosto/24/CARDINALE_MAGISTRATO_co_0_9808244892.shtml Il Cardinale e il Magistrato]'', 24 agosto 1998, p. 1) *Tutto si è risolto in un colpo solo, non si sa con precisione quando e come combinato, che ha tagliato la strada alla bagarre prima che cominciasse. E che, per quanto mi riguarda, mi ha liberato dall'incubo che turbava i miei inquieti sonni, e in cui mi vedevo in fuga da un mostro senza volto, ma che m'incalzava con la logorrea del presidente uscente, aggravata dall'accento irpino di Mancino e dalle corde vocali della signora Jervolino. [...] Siamo sicuri che il popolo, chiamato a pronunciarsi fra un [[Carlo Azeglio Ciampi|Ciampi]] e – faccio per dire – un [[Antonio Di Pietro|Di Pietro]], si sarebbe pronunciato per Ciampi? È una domanda che non aspetta risposta, ma che mi permetto di proporre ai lettori. Gran bella parola «il Popolo». E riconosciamogli pure l'attributo, che gli spetta, di «Sovrano». Ma insomma, meditate gente, meditate. (da ''[https://web.archive.org/web/20160101000000/http://archiviostorico.corriere.it/1999/maggio/14/QUASI_NON_CREDO_co_0_9905146643.shtml Quasi non ci credo]'', 14 maggio 1999, p. 1) *Tutti coloro che hanno svolto pubbliche funzioni in Sicilia sono rimasti e sono tuttora in qualche modo «collusi» con la mafia. Lo furono quotidianamente, e per secoli, il governo e la polizia borbonica. Lo fu [[Giuseppe Garibaldi|Garibaldi]] che in essa trovò, dopo lo sbarco, la sua prima alleata. Lo furono i governi nazionali sia di destra che di sinistra. Lo fu [[Giovanni Giolitti|Giolitti]] che pure non scese mai, a ch'io sappia, a sud di Napoli. Lo fu il presidente della vittoria, [[Vittorio Emanuele Orlando|Orlando]], che quando tornava a Palermo, la prima visita che rendeva non era al prefetto né all'arcivescovo, ma al capomafia. Tentò di non esserlo Mori che aveva licenza di uccidere garantita da un regime totalitario, e ci rimise il posto. Lo sono stati tutti i politiconi e politicastri della Prima Repubblica. Anche il cautissimo [[Giulio Andreotti|Andreotti]]? Può darsi, attraverso i suoi proconsoli ''in loco''. Ma il Tribunale deve aver capito che l'imputato non era lui. Era il costume morale e politico della nostra vita pubblica, sul quale un Tribunale non ha, né può né deve avere competenza. [...] E il problema, secondo me, è questo: che fin quando noi italiani crederemo di salvarci dalla peste mandando sul rogo una strega o un untore, dalla peste non ci libereremo mai. (da ''[https://web.archive.org/web/20160101000000/http://archiviostorico.corriere.it/1999/ottobre/24/TRIBUNALE_DELLA_STORIA_co_0_991024441.shtml Il tribunale della storia]'', 24 ottobre 1999, p. 1) *Ci dicano chiaro e tondo perché hanno smembrato il Ros, e hanno ridimensionato l'attività di Sco e Gico. Non ci raccontino che hanno voluto mettere al riparo il capitano Ultimo e i suoi uomini dalle possibili vendette della malavita. E soprattutto non vengano a ripeterci che il ''modus operandi'' dei servizi segreti, per impedirne le «deviazioni», dev'essere «trasparente». Questa, che un segreto possa essere trasparente, è un'idea da primato della cretineria. E, se non della cretineria, lo è della retorica virtuista o della menzogna truffaldina. (da ''[https://web.archive.org/web/20160101000000/http://archiviostorico.corriere.it/1999/novembre/02/PROCURATORE_BATTA_PUGNO_co_0_9911021451.shtml Procuratore batta il pugno]'', 2 novembre 1999, p. 1) *Era la prima volta che il partito socialista italiano aveva trovato un uomo {{NDR|Bettino Craxi}}, se non di Stato, almeno di governo, che lo aveva liberato dalla subalternanza al Pci, e condotto su posizioni democratiche, europeistiche e atlantiche. Lo avrà anche fatto con metodi alquanto spicciativi e disinvolti, più da padrino che da ''leader''. Ma mi chiedo se avrebbe potuto usarne di diversi per avere ragione dei vecchi tromboni del massimalismo populista e piazzaiolo con le loro clientele incrostate da decenni. E mi chiedo anche quanto contribuirono alla sua crocefissione i rancori e le acredini che si era lasciato dietro. Ma nella difesa si perse, e non per mancanza, ma forse per eccesso di coraggio. (da ''[https://web.archive.org/web/20160101000000/http://archiviostorico.corriere.it/2000/gennaio/20/STATISTA_LATITANTE_co_0_0001201104.shtml Lo statista latitante]'', 20 gennaio 2000, p. 1) *Anche noi siamo convinti che il Paese ha il diritto di conoscere la verità (che non riguarda soltanto quella di Piazza Fontana). Ma non ci riusciamo. Anche perché se la pista rimane, come sembra accertato, quella del terrorismo nero, non sappiamo quali nomi l'accusa potrà tirar fuori dal suo cappello. I tre maggiori indiziati sono già stati assolti con sentenza passata in giudicato che non consente di richiamarli sul banco degli imputati. Gli altri di cui si fa il nome non sarebbero che comparse, la più importante delle quali, Delfo Zorzi, risiede a Tokio con passaporto giapponese che lo mette al riparo da ogni pericolo di estradizione. Vale la pena ricominciare? L'''ouverture'' dei dibattimenti non è stata incoraggiante. Il proscenio era occupato da Capanna, Valpreda, [[Dario Fo]] e altri reduci sessantottini, cui si era aggiunto anche Sergio Cusani, l'intangentato convertitosi (lo diciamo senza nessuna ironia) al missionarismo. [...] Invano i portaparola della parte lesa, cioè dei familiari delle vittime, si sono dichiarati estranei e contrari a ogni tentativo di politicizzare il processo. Una parola. Non ci riescono nemmeno [[Jovanotti]] e [[Teo Teocoli|Teocoli]] con le loro filastrocche dal palcoscenico di Sanremo. Figuriamoci se potranno riuscirci i registi di questo processo ''rouge et noir'', se mai ve ne furono. [...] Ecco a cosa servono i processi come questo: non a cercare la verità, ma a fornire argomenti al ''rouge'' o al ''noir''. (da ''[https://web.archive.org/web/20160101000000/http://archiviostorico.corriere.it/2000/febbraio/26/QUELLA_VERITA_CHE_CERCHIAMO_co_0_0002264627.shtml Quella verità che cerchiamo]'', 26 febbraio 2000, p. 1) *Cosa c'entri la giustizia italiana in fatti e misfatti capitati trent'anni fa in un Paese {{NDR|l'[[Argentina]]}} di cui la metà della popolazione è di origine italiana, non riusciamo a capire. Ma ci pareva impossibile che l'iniziativa del giudice spagnolo Garzon per trascinare l'ex dittatore cileno [[Augusto Pinochet|Pinochet]] sul banco degli accusati di un tribunale madrileno non trovasse imitatori in un Paese di scimmie come il nostro. Grazie ad essa, il nome e il volto di Garzon sono noti in tutto il mondo. Ed è probabile che tra poco lo siano anche quelli del pubblico ministero Caporale. Vi pare poco in un'era dell'effimero come quella in cui stiamo vivendo, e che vede l'infittirsi di processi ai defunti, su cui le nuove leve della [[storiografia]] vorrebbero riscrivere il passato? (da ''[https://web.archive.org/web/20160101000000/http://archiviostorico.corriere.it/2000/aprile/03/QUEI_PROCESSI_CARO_ESTINTO_co_0_0004033275.shtml Quei processi al caro estinto]'', 3 aprile 2000, p. 1) *Dobbiamo avere la modestia di riconoscere che noi, come venditori, non leghiamo nemmeno le scarpe a un piazzista che se un giorno si mettesse a produrre vasi da notte, farebbe scappare la voglia di urinare a tutta l'Italia. (da ''[https://web.archive.org/web/20130619122825/http://archiviostorico.corriere.it/2001/febbraio/15/PREDICATORI_COMPARSE_co_0_0102158858.shtml I predicatori e le comparse]'', 15 febbraio 2001, p. 1) *Non sono mai venuto meno all'impegno, preso non con il Cavaliere, ma con me stesso, di non associarmi mai alla sua demonizzazione. Ma non posso sottacere ai lettori i pericoli che si nascondono sotto questa sua allergia alla verità, questa sua voluttuaria e voluttuosa propensione alle menzogne, la naturalezza con cui riesce a pronunziarle. (da ''Io e il cavaliere qualche anno fa'', 25 marzo 2001, p. 1) *Berlusconi, cui nulla riesce tanto bene quanto la parte di vittima e perseguitato. «[[Chiagne e fotte]]» dicono a Napoli dei tipi come lui. E si prepara a farlo per cinque anni di seguito. (da ''Io e il cavaliere qualche anno fa'', 25 marzo 2001, p. 1) ====''La stanza di Montanelli – rubrica''==== {{cronologico}} *{{NDR|[[Vittorio Sgarbi]]}} È un volgare calunniatore, che non disonora se stesso, ma anche il suo committente e padrone (tutti sappiamo chi è) che si serve di un simile scherano. (8 novembre 1995) *I [[Riformismo|riformatori]] italiani, quando si tratta di riformare ciò che non ha bisogno di essere riformato, sono instancabili. L'attività dell'Ucas, Ufficio complicazioni affari semplici, come ricordava un altro lettore esasperato, è frenetica. ([https://web.archive.org/web/20160101000000/http://archiviostorico.corriere.it/1995/dicembre/13/Ufficio_complicazioni_affari_semplici_co_0_9512139920.shtml 13 dicembre 1995]) *Io credo che il miglior omaggio che si può rendere a [[Aldo Moro|Moro]] sia quello di archiviare l'episodio che ne segnò la fine e dal quale, diciamo la verità, la sua immagine esce tutt'altro che bene. Quando sento dire che, oltre a quelle conosciute, ci sono anche altre lettere di Moro, prego Iddio che non vengano trovate. So già cosa contengono, e preferisco non leggerlo. (21 dicembre 1995) *È assolutamente impossibile istillare negli [[zingari]] il concetto di proprietà e quindi educarli al lavoro come mezzo per conquistarsela. Ma temo che sia altrettanto impossibile far capire tutto questo ai nostri pietisti, religiosi e laici, che farneticano di «integrarli». ([https://web.archive.org/web/20160101000000/http://archiviostorico.corriere.it/1995/dicembre/30/Viaggiai_sul_carrozzone_degli_zingari_co_0_95123012229.shtml 30 dicembre 1995]) *A me, invece, [[Beppe Grillo|Grillo]] piace. Lo considero il più efficace comico in circolazione. Anzi: «comico» non è la parola giusta. Grillo non è un comico, non è un moralista, non è un predicatore: è tutte queste cose insieme. Nel panorama dello spettacolo italiano, dove abbonda il bollito misto, è un'eccezione ambulante (e urlante). Lei ha ragione quando dice che Grillo esagera. Non soltanto esagera; provoca anche, e insulta, e offende. Ma tutte le categorie di giudizio, con un tipo così, risultano inadeguate. Grillo appartiene ad una specie animale particolare, formata da un solo esemplare: lui. O lo strozziamo o lo applaudiamo. Io, appena posso, lo applaudo. Perché i suoi eccessi, a differenza di quelli di [[Vittorio Sgarbi|Sgarbi]], odorano di bucato. ([https://web.archive.org/web/20160101000000/http://archiviostorico.corriere.it/1996/gennaio/11/Beppe_Grillo_incubo_esilarante_co_0_9601114281.shtml 11 gennaio 1996]) *Una delle eterne regole italiane: nel settore pubblico, tutto è difficile; la buona volontà è sgradita; la correttezza, sospetta. Per questo, le persone capaci continueranno a tenersi a distanza di sicurezza dalla «cosa pubblica», lasciando il posto ai furbastri (magari bravi) e alle mezze cartucce (magari oneste). Così, purtroppo, vanno le cose in questo bizzarro paese. ([https://web.archive.org/web/20160101000000/http://archiviostorico.corriere.it/1996/gennaio/26/Impegno_politico_caduta_delle_illusioni_co_0_9601261298.shtml 26 gennaio 1996]) *In una società libera il compito dei media non è «edificare la morale»; è informare, denunciare, stimolare, far riflettere, occasionalmente divertire. (28 gennaio 1996) *L'unico incoraggiamento che posso dare ai giovani, e che regolarmente gli do, è questo: «Battetevi sempre per le cose in cui credete. Perderete, come le ho perse io, tutte le battaglie. Una sola potete vincerne: quella che s'ingaggia ogni mattina, quando ci si fa la barba, davanti allo [[specchio]]. Se vi ci potete guardare senza arrossire, contentatevi». (20 febbraio 1996) *Non so se il Pci sia sotterraneamente sceso a trattative con le Br per convincerle a secondare questo piano. So soltanto che le Br, le quali invece la rivoluzione la volevano sul serio, lo rifiutarono, e fu proprio per farlo naufragare che rapirono e poi uccisero colui che doveva esserne lo strumento. [...] Fu il risoluto e quasi furibondo (oltre che sacrosanto) no dei comunisti che fece naufragare il tentativo {{NDR|Trattativa Stato-BR durante il sequestro [[Aldo Moro|Moro]]}}, che invece in seno alla Dc aveva parecchi sostenitori, anche se non osavano dirlo apertamente. Di qui le accuse e le insinuazioni contro i suoi compagni di partito, lanciate da Moro in quelle famose lettere, che avrebbe fatto meglio a non scrivere perché indegne di un vero uomo di Stato, anzi di un uomo tout court, e che ancor oggi forniscono materia al sospetto di una congiura fra democristiani – con l'aiuto dei soliti servizi segreti «deviati» – per sbarazzarsi di lui. Vero nulla. Forse nella Dc le forze «trattativiste», praticamente disposte alla resa alle Br, avrebbero vinto, se non ne fossero state impedite dalla risolutezza del Pci, che di un brigatismo assurto ad interlocutore dello Stato non voleva sentir parlare e di un Moro salvato al prezzo di una simile capitolazione non avrebbe più saputo che farsi. (26 marzo 1996) *No, è stata la persecuzione che ha costretto gli ebrei, per resisterle, a tendere ed affinare tutte le loro risorse intellettuali. Ecco il segreto dei loro primati. In tutto. E talvolta anche nella cretineria. (3 aprile 1996) *L'[[Allargamento della NATO|allargamento della Nato]] è una cosa maledettamente seria, e decisamente complessa. Parlarne prima delle elezioni presidenziali russe vuol dire buttare benzina sul fuoco; non parlarne oggi significa, forse, non parlarne più. [...] Innanzitutto, dobbiamo renderci conto che la Nato è un'organizzazione basata sul consenso: se si estende verso Oriente [...], la compattezza dell'alleanza rischia di incrinarsi. Ancor più delicata è una seconda questione. Governi e opinione pubblica occidentali devono capire le implicazioni della loro decisione. In seguito all'allargamento, i nuovi membri orientali della Nato (che siano solo Repubblica Ceca e Ungheria; o anche Polonia e Paesi Baltici) diventano nostri alleati, a tutti gli effetti. Questo vuol dire che, se venissero attaccati, dovremmo correre a difenderli. Domanda: siamo disposti a morire per Varsavia e Tallin? Se la risposta è «sì», allarghiamo pure la Nato. Se la risposta è «ma, forse...» – e in Italia sarebbe sicuramente «ma, forse...» – è meglio che lasciamo perdere. In quella parte del mondo hanno già sofferto abbastanza. Non è il caso che ci mettiamo anche noi. ([https://web.archive.org/web/20151025020316/http://archiviostorico.corriere.it/1996/aprile/20/Allargamento_della_Nato_Lasciamo_perdere_co_0_960420535.shtml 20 aprile 1996]) *Io non mi considero affatto ateo e non capisco come si possa esserlo. ([https://web.archive.org/web/20160101000000/http://archiviostorico.corriere.it/1996/maggio/23/dove_comincia_grande_mistero_Dio_co_0_9605235872.shtml 23 maggio 1996]) *{{NDR|Riferito alla [[crisi di Sigonella]]}} Ho sempre considerato il rilascio di Abu Abbas un gesto semplicemente criminale o almeno di complicità col crimine. ([https://web.archive.org/web/20151107235857/http://archiviostorico.corriere.it/1996/luglio/07/Caro_Ottiero_Ottieri_diamoci_del_co_0_9607072658.shtml 7 luglio 1996]) *Quanto scrivi {{NDR|riferito a una lettrice}} sull'insegnamento della Storia nelle nostre scuole è sacrosantamente vero. I testi su cui ve la fanno studiare sono o reticenti o faziosi, ma più spesso l'una cosa e l'altra, e soprattutto scritti coi piedi. (4 settembre 1996) *No, caro N***, non mi basta che il Pool abbia perseguito e persegua una buona Causa. Doveva farlo anche con buoni mezzi e criteri. E il caso Di Pietro basta a dimostrare che questo non è sempre avvenuto. (24 ottobre 1996) *È dalla piazza e dai cosiddetti «bagni di folla» che nascono i dittatori e vengono consacrati i fanatismi più orrendi, fra cui il più orrendo di tutti: il razzismo. ([https://www.fondazionemontanelli.it/sito/pagina.php?IDarticolo=432 24 novembre 1996]) *Io non ho titoli culturali che mi qualifichino a lezioni su una tematica come quella del [[calvinismo]]. Ma credo di averne afferrato l'essenziale: la concezione della Ricchezza come segno della Grazia, di cui quindi non si è proprietari, ma amministratori per conto del Signore col compito di moltiplicarla per il bene di tutti. (21 dicembre 1996) *[[Daniele Vimercati|Vimercati]] è un leghista antemarcia. Lo era anche quando lavorava con me al ''Giornale''. Ma è soprattutto un signor giornalista, che conosce perfettamente la linea di demarcazione fra l'opinione personale e il dovere professionale, e non c'è interesse né calcolo di opportunità che possa indurlo a varcarla. Per questo godeva di tutta la mia fiducia, né mai ho avuto occasione di pentirmi di avergliela concessa. (1996).<ref>Citato in Pierluigi Saurgnani, ''[https://www.ecodibergamo.it/stories/Cronaca/274325_vimercati_gran_borghese_il_giornalista_che_scopr_bossi/ Vimercati, gran borghese. Il giornalista che scoprì Bossi]'', ''ecodibergamo.it'', 13 marzo 2012.</ref> *Di commissioni d'inchiesta il nostro parlamento ne ha partorite a dozzine. Me ne citi una sola che abbia raggiunto dei risultati, anche semplicemente conoscitivi. Per un Parlamento come il nostro (e mi trattengo a fatica dal qualificarlo) anche la ricerca della verità è materia di lottizzazione. ([https://web.archive.org/web/20151118213258/http://archiviostorico.corriere.it/1996/dicembre/23/Ormai_non_resta_che_amnistia_co_0_96122312669.shtml 23 dicembre 1996]) *Quando ebbi, fra i tanti, un processo non con un magistrato, ma con un politico del rango di De Mita che avevo coinvolto nella mala amministrazione dei fondi stanziati per l'Irpinia dopo il [[Terremoto dell'Irpinia del 1980|terremoto]], non trovai, in tutta quella vasta regione, una toga che venisse a testimoniare in mio favore. L'unico che mi difese fu colui che avrebbe dovuto accusarmi: il pubblico ministero del tribunale di Monza, Mariconda: non sul merito delle mie accuse, ch'egli non aveva elementi per valutare, ma sul diritto che mi riconosceva di lanciarle. Anche l'uso dei cinquanta–sessantamila miliardi stanziati per l'Irpinia rimase un porto delle nebbie. ([https://web.archive.org/web/20160101000000/http://archiviostorico.corriere.it/1997/gennaio/12/Magistratura_porti_delle_nebbie_co_0_9701123652.shtml 12 gennaio 1997]) *La sola parola «ingegneria genetica» mi mette i brividi. (14 marzo 1997) *Io non mi sono mai [[Impiccagione|impiccato]]. Ma a Norimberga assistetti a diciassette impiccagioni, compresa quella di un cadavere, il cadavere di Göring che si era suicidato il giorno prima. Be', mi resi conto [...] che ficcare la testa nel nodo scorsoio di una corda non è un esercizio da mezzetacche o quacquaracquà. (15 maggio 1997) *{{NDR|Gladio}} Era stato istituito in quasi tutti i Paesi che facevano parte della Nato, e per volontà della Nato, consapevole che i suoi soci europei non avrebbero potuto resistere all'attacco di una Potenza superarmata qual era l'[[Unione Sovietica]]: avrebbero dovuto aspettare, per la riscossa, l'intervento dell'[[Stati Uniti d'America|America]]. Lo dimostra il fatto che quando questo piano fu rivelato, nessun altro Paese trovò nulla da ridirne. Solo noi italiani – i soliti romanzieri imbecilli e peggio che imbecilli – ne facemmo materia di scandalo e pretesto di «gialli» che tuttora trovano credito, come la sua lettera dimostra. Anch'io mi sento scandalizzato, e un poco offeso. Ma solo dal fatto che nessuno mi abbia sollecitato l'adesione al [[Organizzazione Gladio|Gladio]]: l'avrei data con entusiasmo. ([https://web.archive.org/web/20150623163829/http://archiviostorico.corriere.it/1997/giugno/07/Avrei_dato_con_entusiasmo_adesione_co_0_97060710388.shtml 7 giugno 1997]) *A fare l'Italia alcuni pochi italiani ci sono, senza e contro i più, riusciti. A fare gl'italiani, l'Italia, in centocinquant'anni, non c'è riuscita; anzi non ci s'è nemmeno provata. (19 giugno 1997). *Il vero cacciatore ama gli animali a cui dà la caccia, forse anche perché li considera complici di questo gioco in cui ritrova la sua origine esistenziale. Non spara, per esempio, sul bersaglio fermo: lo considera sleale. (9 luglio 1997) *Al matrimonio misto, che dell'integrazione razziale è la condizione genetica, sono i neri, molto più dei bianchi, che si rifiutano. Non è quindi colpa degl'italiani, o almeno non tutta questa colpa è degl'italiani, se anche da noi l'integrazione con gl'immigrati africani incontra degli ostacoli. Quella con gli oriundi dei Paesi europei non ne incontra nessuno, salvo quelli che frappone la burocrazia, la quale ne pone tanti anche a noi, e anzi campa solo di questo. Non ho mai sentito un francese, o un inglese, o un tedesco, o un bulgaro o un ukraino lamentarsi di una apartheid italiana. Ci sono anche da noi, purtroppo, delle manifestazioni di razzismo. Ma queste sono dovunque, e in Italia meno violente che altrove. L'Italia è un Paese che va a catafascio. Ma non buttiamogli addosso anche delle croci che non merita. Quelle che merita bastano, e ne avanza. (24 agosto 1997) *Io sono un italiano, fra i pochi rimasti che nei confronti dell'Italia s'ispirano all'adagio inglese: «Che abbia ragione o torto, sto col mio Paese». Anch'io sto col mio paese quando ha torto, ma senza pretendere che il suo torto sia considerato ragione. (23 settembre 1997) *Sono e rimango convinto che fin quando noi italiani ci affideremo soltanto alla Legge – o, come ora usa chiamarla, alle «regole» –, rimarremo quello che siamo, coi vizi che abbiamo, fra cui quello di accatastare regole su regole al solo scopo di metterle in contraddizione l'una con l'altra per poterle meglio evadere. (16 ottobre 1997) *Forse farebbe meglio ad astenersi a dare lezioni di liberalismo a me che sono stato, in tutto il giornalismo italiano, l'unico a difenderlo negli anni Settanta e Ottanta, quando difenderlo era difficile e poteva anche costar caro. Non me ne faccio un vanto perché, quando alla fine ha vinto, ho visto di che liberalismo si trattava, ed è per questo che ho votato Ulivo. (23 ottobre 1997) *Le confesso che il suo piglio perentorio e inquisitorio mi disturba alquanto, anche perché mi lascia capire che lei parte da convinzioni così granitiche da rendere vano ogni tentativo d'insinuarvi almeno un dubbio. (23 ottobre 1997) *È importante tutto questo? No. Non lo è per me né per lei, che sappiamo cosa è accaduto. E non lo è per i leghisti doc, secondo cui qualunque cosa propone il capo è Vangelo. Se Bossi decide di andare in Bicamerale, applaudono. Se decide di abbandonare la Bicamerale, esultano. Se va con Berlusconi, assentono. Se lascia Berlusconi, approvano. E se un giorno si sveglia e cambia i confini della Padania, accettano i nuovi confini. Tempo fa, rispondendo a un lettore, scrissi che «i leghisti sono pronti a inneggiare anche all'annessione della Yakuzia, e non solo perché non sanno dove sta». Arrivarono molte lettere indispettite. Ma nessuna contro l'annessione della Yakuzia. (29 ottobre 1997) *Se sono – come sono – uno di quegli uomini di Destra che ultimamente hanno votato, sia pure controvoglia, per la Sinistra (annacquata) dell'Ulivo, è perché da questa, che non è mai stata la mia bandiera, non mi sento tradito. Essa sta facendo ciò che prometteva di fare, ma lo fa con molta moderazione, e con una squadra di uomini che magari non saranno (meno qualcuno, come per esempio Ciampi) di serie A, ma da cui non temo, e credo che nessuna persona ragionevole possa temere, l'instaurazione di un regime. (10 dicembre 1997) *E lo specchio non vi giudica dai successi che avrete ottenuto nella corsa al denaro, al potere, agli onori; ma soltanto dalla Causa che avrete servito. Tenendo bene a mente il motto degli ''hidalgos'' spagnoli: «La sconfitta è il blasone delle anime nobili». (31 dicembre 1997) *Che cosa io pensi dell'onorevole Previti mi pare di averlo detto in termini talmente espliciti da apparire – a più d'uno – brutali: un personaggio che solo a guardarlo in faccia verrebbe voglia di applicargli le manette ai polsi prima ancora di sapere chi è e cosa ha fatto. (31 gennaio 1998) *Infine, c'è quello che io considero il vero, grande vantaggio dell'euro: una volta dentro, non potremo tornare all'allegra finanza pubblica d'un tempo. ([https://web.archive.org/web/20151203232056/http://archiviostorico.corriere.it/1998/febbraio/20/Che_cosa_succedera_quando_avremo_co_0_9802206445.shtml 20 febbraio 1998]) *Tutti hanno diritto di credere nel miracolo, quando non c'è altro a cui aggrapparsi. La scienza no: se lo ricordi anche il Papa. (23 febbraio 1998) *I conti col passato, si capisce, bisogna farli. Ma a un certo punto bisogna chiuderli. Perché nella Storia non ce n'è mai stato uno che, protratto all'infinito, non ne abbia innescato un altro. (10 marzo 1998) *Perché, caro B***? Perché la vocazione a dividerci sempre e su tutto per il nostro «particulare», come lo chiamava Guicciardini, noi italiani ce la portiamo nel sangue, e non c'è legge che possa estirparla. (18 aprile 1998) *Vero che nei ricordi sui quali vengo sollecitato, il nome di [[Cesco Tomaselli|Tomaselli]] ricorre meno frequentemente di quelli di Longanesi, di Buzzati, di Piovene, di Barzini ecc. Ma ciò dipende solo dal fatto che costoro appartenevano alla mia leva, e in comune con loro avevo avuto tante esperienze, perfino la stanza di lavoro. Tomaselli, quando io entrai al ''Corriere'', apparteneva già alla sua vecchia guardia, e come notorietà ne aveva raggiunto il tetto proprio grazie alle sue corrispondenze sull'impresa del dirigibile «Italia» di Umberto Nobile, di cui fu dal principio alla fine lo scrupoloso cronista. A salvargli la vita dalla catastrofe fu soltanto la sorte, contro cui egli imprecò considerandola avversa. Per l'ultima tappa, quella che avrebbe dovuto sorvolare il Polo, dei due giornalisti aggregati a quella spedizione — Tomaselli per il ''Corriere'', e Ugo Lago per il ''Popolo d'Italia'' di Mussolini —, c'era posto, sulla navicella, per uno solo. Lago e Tomaselli se lo giocarono a testa o croce. Con gran dispetto di Tomaselli, che non smise mai di considerarsene tradito, vinse e partì Lago, che non tornò più: quando l'aeromobile precipitò sul pack, lui rimase aggrappato insieme ad altri compagni al cordame dell'involucro col quale scomparve nel deserto bianco. Ma tutte le volte che se ne parlava, Tomaselli seguitava ad inveire contro la scalogna che lo aveva escluso da quel drammatico finale, come se gli avesse tolto la fortuna di descriverlo. Questo era Tomaselli, l'inviato speciale che nel suo mestiere di giornalista portava lo stesso spirito che aveva fatto di lui, nella Prima Guerra Mondiale, un superdecorato ufficiale di artiglieria alpina e gli ispirava una concezione quasi religiosa del «servizio». Non era un «brillante» né come scrittore né come parlatore. Ma di tutto quello che diceva, sia con la bocca che con la penna, si poteva stare sicuri che di inesatto o di inventato non c'era nemmeno una virgola. [...] Se raramente mi capita di parlare di lui, è perché l'ho conosciuto e frequentato sul declino della sua intemerata e ineccepibile carriera di testimone, e perché lui, nel raccontarla, non l'animava mai di aneddoti o di battute come, per esempio, il suo coetaneo Monelli. Ma se ai giovani che si avviano (poveretti!) a questo mestiere dovessi indicare un modello di dignità, serietà, dedizione e correttezza professionale non avrei dubbi sulla scelta: Cesco Tomaselli. ([https://web.archive.org/web/20151009153047/http://archiviostorico.corriere.it/1998/maggio/07/Cesco_Tomaselli_inviato_speciale_Polo_co_0_9805078688.shtml 7 maggio 1998]) *Che un giudice spagnolo in vena di protagonismo abbia chiesto all'[[Inghilterra]] la consegna di un ospite straniero andato a Londra in forma privatissima per ragioni di salute, non mi stupisce: un [[Antonio Di Pietro|Di Pietro]] può nascere dovunque. Ma che l'Inghilterra si proponga di consentire, non mi stupisce. Mi sbalordisce, come ha sbalordito e indignato la signora Thatcher che aveva ospitato in casa il Generale. Ma ancora di più mi sbalordirebbe che la Giustizia spagnola, cioè di un Paese che non solo ha accettato per quarant'anni il potere di un Generale, ma gli ha consentito (per sua fortuna) di disporne anche dopo morto, portasse davanti a una Corte di Giustizia quello cileno. Per non parlare delle conseguenze che tutto questo potrebbe provocare in [[Cile]] dove, nel caso che il governo Frei si mostrasse esitante e accomodante, le Forze Armate potrebbero riprendere il potere per rompere i rapporti diplomatici con [[Spagna]] e Inghilterra e dimostrare al mondo che i processi alla Norimberga hanno fatto il loro tempo. Se a qualcuno il Generale cileno Pinochet deve rendere conto del suo operato, è soltanto al Cile e ai suoi tribunali. E se io fossi un cileno che ha votato Frei (come certamente avrei fatto se fossi stato un cileno), in questa occasione mi schiererei con le Forze Armate. Con tanti saluti a tutto il sinistrume italiano passato, presente e futuro. (24 ottobre 1998) *Che gli [[Stati Uniti d'America|Usa]] siano in tutto il mondo odiati dagli uomini come lei {{NDR|riferito a un lettore}}, è verosimile, e quindi più che credibile. Un po' meno credibile è che gli uomini di tutto il mondo siano e la pensino come lei. Comunque, il giorno in cui quel Paese venisse chiamato (ma da chi?) sul banco degl'imputati come il nemico dell'umanità, io chiederò di essere ascoltato come testimone. Per dire alla Corte dei Vecchio di turno che io, uomo qualunque, mi considero graziato tre volte da questo grande nemico dell'umanità. La prima fu quando mi strappò al pericolo di diventare – per bene che mi fosse andata – l'attendente di un colonnello tedesco. La seconda fu quando mi sottrasse a quello di finire i miei giorni in un kolkos siberiano. La terza fu quando, invece di rimettermi la parcella di questi favori, mi aiutò a rifarmi la casa senza contestarmi il diritto di invitarvi anche coloro che pensano (si fa per dire) e parlano (o meglio sbraitano) come lei. ([https://web.archive.org/web/20160101000000/http://archiviostorico.corriere.it/1999/aprile/10/Fermare_genocidio_Kosovo_co_0_9904103314.shtml 10 aprile 1999]) *Tradotto in politica, non c'è nulla di più intollerante e fazioso, e quindi di meno pacifico, del [[pacifismo]] in generale, e di quello italiano in particolare. È un pacifismo a fasi alterne, e che si sveglia soprattutto, anzi quasi esclusivamente, quando a fare la guerra sono gli americani. Furioso e devastatore imperversò, non soltanto in Europa, ma nella stessa America, al tempo del Vietnam: al punto che quando [[Richard Nixon|Nixon]] venne in visita in Italia (quell'Italia che poteva fare ciò che voleva grazie agli americani) dovettero mandarlo a prendere a Fiumicino con un elicottero e trasportarlo via aria in Quirinale perché via terra avrebbe rischiato la pelle. Ma questo stesso pacifismo rimase impassibile quando i carri armati sovietici schiacciarono l'Ungheria (e a Montecitorio risuonò il grido: «Viva l'[[Armata Rossa]]!»), e poco dopo la Cecoslovacchia e da ultimo l'Afghanistan. Sono sempre gli stessi, i pacifisti italiani. Con una bandiera in mano come quella della pace (chi può infatti invocare la guerra?), si sentono invulnerabili. Ma la sventolano solo per il povero Milosevic; il genocidio del Kosovo li lascia del tutto indifferenti. (5 maggio 1999) *Non sempre condivido le opinioni di [[Giovanni Sartori|Sartori]]. Qualche volta, anzi spesso, abbiamo litigato, anche perché a lui litigare piace moltissimo: da buon toscano, è nella polemica che lui, e forse anch'io, diamo il meglio di noi. E anche sull'articolo del 25 maggio non siamo in tutto e per tutto d'accordo. Lo siamo nel respingere la qualifica di «pacifista», che entrambi lasciamo in esclusiva alle «anime belle» che, sventolando la bandiera della [[pace]], sperano di raccogliere intorno a essa tutti gl'ipocriti e gl'imbecilli che, sommati insieme, costituiscono certamente la stragrande maggioranza degl'italiani. (29 maggio 1999) *Lo Stato di [[Platone]], quello che lui chiamava la polis, e che poi era Atene, aveva, al tempo di Platone, cioè nel momento del suo massimo splendore, ventimila abitanti, di cui solo cinquemila avevano diritto al voto. E veda un po' come quei civilissimi cittadini lo usarono nelle assemblee dell'Acropoli: mettendo sotto processo [[Pericle]] e [[Aspasia di Mileto|Aspasia]], condannando a morte [[Socrate]] e provocando la guerra del Peloponneso, che fu la rovina non solo di Atene, ma di tutta la Grecia e della sua civiltà. Ora se il sistema della «democrazia diretta» o, come lei la chiama, «partecipatoria», non funzionò nemmeno in una polis di ventimila abitanti, s'immagini un po' cosa diventerebbe nei formicai umani cui si sono ridotte le polis attuali, e non soltanto quelle italiane. [...] Lei ha tutte le ragioni del mondo a dire che l'attuale sistema di democrazia «rappresentativa» o «delegata» ha dei vizi gravissimi e spesso provoca disastri, compresa quella americana, che pure è una di quelle che meglio funzionano. Ma, mi creda, quella «diretta» o «di piazza» è ancora molto più pericolosa perché continuamente a rischio di cadere in balia di qualche ciarlatano che sappia soltanto vendere bene la sua merce. Certo, quella indiretta esige, da parte del cittadino, una partecipazione che in Italia manca. Ma non è certo coi referendum che si può sostituirla. Almeno questo mi ha insegnato l'esperienza. (22 agosto 1999) *Quello di [[Francisco Franco|Franco]], se proprio vogliamo chiamarlo regime, fu un regime di polizia, di una polizia molto più dura di quella fascista, ma un totalitarismo no. Ecco perché, quando sentì avvicinarsi il momento della fine, Franco poté liquidare il franchismo con relativa facilità: perché di totalitario non aveva altro che le galere. Però bisogna anche riconoscere che questo soldataccio squallido e ottuso (sul piano umano era repellente), il ritorno al regime democratico seppe compierlo da maestro, facendosi consegnare dal pretendente al trono, Don Juan, ch'egli considerava (non a torto) poco affidabile, il figlio Juan Carlos per prepararlo – operazione riuscitissima – ai suoi compiti di Re, e mettendogli accanto un uomo di primissimo ordine come Suarez. ([https://web.archive.org/web/20130331034046/http://archiviostorico.corriere.it/1999/ottobre/24/differenza_fra_regimi_totalitari_dittature_co_0_991024459.shtml 24 ottobre 1999]) *La servitù, in molti casi, non è una violenza dei padroni, ma una tentazione dei servi. (2 gennaio 2000) *Non conosco Haider, e quindi nemmeno i fondamenti della sua ideologia, ammesso che ne abbia una. A occhio e croce, più che un nazista, mi sembra un qualunquista che interpreta, o cerca d'interpretare i sentimenti e i risentimenti di una pubblica opinione di livello bossiano, scontenta di tante cose, e a cui l'Austria attuale va stretta. [...] Non so se anche Haider – ripeto: non lo conosco – sia un omuncolo. Ma penso che l'Europa, ponendo il veto a un suo eventuale governo, costringerà gli austriaci ad affidargliene l'incarico, come avvenne per Waldheim. Io al pericolo di un rigurgito nazista non ci credo. Come ho letto in un articolo (mi pare di Enzo Bettiza, ma potrei sbagliarmi) penso che Jorg Haider somigli più a un Poujade che a un Le Pen, cioè più a una miscela di [[Umberto Bossi|Bossi]] e di Giannini che a un [[Pino Rauti]]. Ciò che mi allarma è l'incapacità dell'Europa a riflettere sulle sue proprie esperienze a trarne qualche insegnamento. Questo, sì, mi fa paura. (3 febbraio 2000) *Li conosco e riconosco, quei regimi {{NDR|di dittatura e di censura}}. Ne avverto il passo anche di lontano, e convengo che in Italia il pericolo di vederne arrivare qualcuno c'è. Ma sa quando si realizzerà? L'anno venturo, dopo la vittoria – che io do per certa – del Polo alle Politiche. Vedrà. La prima cosa che farà Berlusconi, come la fece nel '94, sarà di spazzare via l'attuale dirigenza Rai per omologarne le tre Reti a quelle sue. (26 febbraio 2000) *Quando s'accendono i [[Morte sul rogo|roghi]], mettiti dalla parte della strega, anche a costo di bruciare con lei. ([https://www.corriere.it/solferino/montanelli/00-05-31/02.spm 31 maggio 2000]) *Una Giustizia che per istruire un processo impiega sei o sette anni e poi non riesce a chiuderlo con una sentenza che non si presti a rimetterlo, con qualche marchingegno, in gioco, è un meccanismo di cui bisogna assolutamente rivedere e rifare gl'ingranaggi: «Giustizia ritardata – dice [[Montesquieu]] – è Giustizia negata». ([http://www.corriere.it/solferino/montanelli/00-06-07/01.spm 7 giugno 2000]) *Il [[revisionismo]] è la materia prima della [[storiografia]] che, senza di esso, sarebbe una disciplina morta. ([http://www.corriere.it/solferino/montanelli/00-06-16/01.spm 16 giugno 2000]) *Il mio giudizio su [[Baltasar Garzón|Garzón]] resta quello di prima, solo un po' rinforzato: un garzoncello smanioso soltanto di leggere il proprio nome sulle prime pagine di tutti i giornali e di vedere la propria effigie sugli schermi televisivi di tutto il mondo: il che rafforza la mia ipotesi che si tratti di un italiano nato per sbaglio in Spagna. ([http://www.corriere.it/solferino/montanelli/00-06-30/01.spm 30 giugno 2000]) *La pena di morte americana esiste e resiste in America perché fu un elemento base e costitutivo della sua nascita e sviluppo. Dei famosi 102 «Padri Pellegrini» che per primi sbarcarono dal «Mayflower» in quel Continente non per saccheggiare le ricchezze come facevano spagnoli e portoghesi in Messico e nell'America del Sud, ma per costruirvi una società nuova e libera, circa i due terzi erano avanzi di galera che fuggivano la Giustizia e le prigioni dell'Europa, e un terzo erano uomini che cercavano la libertà, e soprattutto quella religiosa. I primi avevano in tasca la pistola, i secondi la Bibbia, ma nella sua versione calvinista quella del taglione, basata sulla concezione di un Dio giustiziere che esige la morte di chi senza giusto motivo la dà. (9 luglio 2000) *A Rimini, cioè in casa propria (ma anche nostra, almeno per il momento), questi signorini {{NDR|di [[Comunione e Liberazione]]}} non hanno fatto altro che fischiare tutto ciò che è italiano, acclamare al nuovo beato [[Pio IX]], il Papa-Re che pretendeva di impedire il processo di unificazione nazionale, ed esaltare come i veri eroi del risorgimento i Borboni e i briganti del Cardinale Ruffo. A lei, tutto questo va bene? A me, dà il vomito. ([http://www.corriere.it/solferino/montanelli/00-09-13/02.spm 13 settembre 2000]). *Il mio parere è rimasto quello che espressi sul mio ''Giornale'' l'indomani del fattaccio {{NDR|l'[[agguato di via Fani]]}}. «Se lo Stato, piegandosi al ricatto, tratta con la violenza che ha già lasciato sul selciato i cinque cadaveri della scorta, in tal modo riconoscendo il crimine come suo legittimo interlocutore, non ha più ragione, come Stato, di esistere». Questa fu la posizione che prendemmo sin dal primo giorno e che per fortuna trovò in Parlamento due patroni risoluti (il Pci di [[Enrico Berlinguer|Berlinguer]] e il Pri di [[Ugo La Malfa|La Malfa]]) e uno riluttante fra lacrime e singhiozzi (la Dc del moroteo [[Benigno Zaccagnini|Zaccagnini]]). Fu questa la «trama» che condusse al tentennante «no» dello Stato, alla conseguente morte di Moro, ma poco dopo anche alla resa delle Brigate rosse. Delle chiacchiere e sospetti che vi sono stati ricamati intorno, e che ogni tanto tuttora affiorano, non è stato mai portato uno straccio di prova, e sono soltanto il frutto del mammismo piagnone di questo popolo imbelle, incapace perfino di concepire che uno Stato possa reagire, a chi ne offende la legge, da Stato. ([http://www.corriere.it/solferino/montanelli/00-09-22/03.spm 22 settembre 2000]) *La Serbia ha perduto la guerra e ha vinto la pace: ora deve voltar pagina. Sarà la storia – un giudice non imparziale, ma efficace – a decidere cos'è stato giusto e cos'è stato sbagliato. Tuttavia, una ritorsione serba verso l'Occidente avverrà. E ci troverà disarmati. Sa di cosa parlo? Delle rivendicazioni sul Kosovo, che è amministrato dalla Nazioni Unite ma è ancora Jugoslavia (lo dice la risoluzione dell'Onu). I serbi chiederanno di tornare a controllarne le frontiere, per esempio. E dire no a un Kostunica buono è più difficile che dire sì a un Milosevic cattivo. Gli albanesi del Kosovo, sono certo, lo hanno già capito. ([http://www.corriere.it/solferino/montanelli/00-10-08/01.spm 8 ottobre 2000]) *È un dimenticato, [[Ugo Ojetti|Ojetti]], come in questo Paese lo sono quasi tutti coloro che valgono. Se io dirigessi una scuola di giornalismo, renderei obbligatori per i miei allievi i testi di tre Maestri: [[Luigi Barzini (1908-1984)|Barzini]], per il grande reportage; [[Benito Mussolini|Mussolini]] (non trasalire!), quello dell'''Avanti!'' e del primo ''Popolo d'Italia'', per l'editoriale politico; e Ojetti, per il ritratto e l'articolo di arte e di cultura. ([http://www.corriere.it/solferino/montanelli/00-11-13/01.spm 13 novembre 2000]) *In Italia fu il potere temporale a soffocare negl'italiani la voce della coscienza e a spegnere in loro ogni senso di responsabilità. Ma fu la Controriforma a fornire al prete le armi per accaparrarsi l'una e l'altra: il Sant'Uffizio, le scomuniche e, nei casi estremi, il patibolo. Con questo risultato: l'aborto del «cittadino» e la trasformazione di quello che avrebbe dovuto e potuto diventare un «popolo» in un gregge (come con inconsapevole spudoratezza i preti lo chiamano), e in un gregge di pecore indisciplinate che credono di affermare il loro ribelle individualismo non rispettando il semaforo rosso. ([http://www.corriere.it/solferino/montanelli/00-11-20/01.spm 20 novembre 2000]) *{{NDR|Su [[Slobodan Milošević]]}} Oltre che un despota, lo ritengo anche un satrapo della razza dei [[Nicolae Ceaușescu|Ceausescu]], avido non solo di potere, ma anche di denaro, e credo che la sorte che si merita sia un bel plotone di esecuzione. Purché composto da serbi, al comando di un serbo, e in esecuzione di una sentenza emessa da un tribunale serbo e motivata non tanto da generici crimini contro l'umanità, che sono sempre – salvo casi di monumenti all'orrore come l'[[Olocausto]] – oggetto di discussione e dissensi; ma dal più grande e imperdonabile delitto di cui Milosevic si è macchiato nei confronti non soltanto dei serbi: la distruzione della Nazione Jugoslava, che la Monarchia serba aveva fondato dopo la prima guerra mondiale; che il croato [[Josip Broz Tito|Tito]] aveva difeso coi denti e restaurato dopo la seconda, dando alla Balcania un esempio e un puntello di stabilità; e che Milosevic e il suo compare croato [[Franjo Tuđman|Tudjman]] distrussero per poter restare ciascuno padrone in casa sua; e sulle cui macerie si scatenarono tutte le violenze (Bosnia, [[Kosovo]]) che hanno insanguinato e continuano a insanguinare quel povero Paese. ([http://www.corriere.it/solferino/montanelli/01-04-29/01.spm 29 aprile 2001]) *Questo mondo materialista, edonista ed esibizionista non entusiasma neanche me; e, visto che mi legge, dovrebbe saperlo. Ma vorrei conoscere il sistema che voi avete in mente, e non avete il coraggio, o la capacità, di proporre. Un mondo francescano? Bello: ma guardatevi intorno, e ditemi se vedete un saio. Un comunismo riveduto e corretto? Farebbe la fine dell'altro, anche se non riuscirà a ripeterne i disastri. Mi creda, G.: l'unico sistema sociale ed economico oggi accettabile, in Occidente, è quello basato sul mercato: un capitalismo controllato e temperato, per intenderci. È auspicabile che sia anche corretto: e questo non sempre accade, è vero. Il guaio è che il capitalismo è fatto dai capitalisti – e quelli, devo ammettere, sono spesso difficili da digerire. Non cerchi di confondermi le idee, quindi. Non ci riuscirà. Probabilmente ho tre volte i suoi anni, e ho visto dove conducono queste generiche tirate contro «le multinazionali»: prima o poi, qualcuno deporrà la spranga e prenderà la pistola. Dimenticavo: io firmo le mie opinioni, lei tira il sasso e nasconde la mano. Tutti coraggiosi così, voi ragazzi di Seattle? ([http://www.corriere.it/solferino/montanelli/01-06-09/01.spm 9 giugno 2001]) *Non erano, le mie, parole di circostanza. Erano – e rimangono – quelle di un conservatore abbastanza spassionato e nutrito di Storia da capire che non c'è, per la conservazione di ciò che va conservato, nemico più mortale dei conservatori che vogliono conservare tutto; e che un sistema capitalistico senza un correttivo socialista diventa una jungla che conduce pari pari a [[Karl Marx|Carlo Marx]]. Di qui il mio amore per uno dei personaggi meno amabili, sul piano umano, della nostra Storia, [[Giovanni Giolitti|Giolitti]], che sempre cercò l'accordo con [[Filippo Turati|Turati]], a cui il cretinume massimalista – che nel vostro partito ha sempre dominato – lo impedì. Il vedervi – sbriciolati in gruppi, gruppetti e gruppuscoli – annaspare nell'attuale centro-sinistra in cui nessuno riesce a recitare la parte di se stesso, fa male al cuore di un vecchio autentico liberal-conservatore come me. Cosa aspettate, caro Tamburrano, a ridarci il socialismo, ma che sia quello e quello solo: ''il'' socialismo di Turati e di Massarenti? [...] Credo che come forza politica siate abbastanza mal messi. Ma in compenso avete in mano una grande bandiera che prima o poi un esercito la ritroverà. Arrivederci, al primo settembre, cari lettori. ([http://www.corriere.it/solferino/montanelli/01-07-04/01.spm?refresh_ce-cp 4 luglio 2001]) ===''il Giornale''=== <!--ordine cronologico--> *Chi sarà il nostro lettore noi non lo sappiamo perché non siamo un giornale di parte, e tanto meno di partito, e nemmeno di classi o di ceti. In compenso, sappiamo benissimo chi non lo sarà. Non lo sarà chi dal giornale vuole soltanto la «sensazione» [...] Non lo sarà chi crede che un gol di Riva sia più importante di una crisi di governo. E infine non lo sarà chi concepisce il giornale come una fonte inesauribile di scandali fine a se stessi. Di scandali purtroppo la vita del nostro Paese è gremita, e noi non mancheremo di denunciarli con quella franchezza di cui crediamo che i nostri nomi bastino a fornire garanzia. Ma non lo faremo per metterci al rimorchio di quella insensata e cupa frenesia di dissoluzione in cui si sfoga un certo qualunquismo, non importa se di destra o di sinistra. [...] Vogliamo creare, o ricreare un certo costume giornalistico di serietà e di rigore. E soprattutto aspiriamo al grande onore di venire riconosciuti come il volto e la voce di quell'Italia laboriosa e produttiva che non è soltanto Milano e la Lombardia, ma che in Milano e nella Lombardia ha la sua roccaforte e la sua guida. [...] A questo lettore non abbiamo «messaggi» da lanciare. Una cosa sola vogliamo dirgli: questo giornale non ha padroni perché nemmeno noi lo siamo. Tu solo, lettore, puoi esserlo, se lo vuoi. Noi te l'offriamo. (25 giugno 1974) *Checché ne dicano gli agiografi della Resistenza, la guerra l'abbiamo persa, e c'è un conto da pagare. Che l'Italia lo saldi a spese dei suoi figli minori – i Dalmati e gli Istriani – è un ghigno del destino. Ma in compenso può considerarsi miracolata. Quando si pensa a cosa ha pagato la sua sconfitta la Germania, amputata d'intere province e dimezzata in due nazioni diverse e ostili, e quando si pensa a cosa ha pagato l'Inghilterra, precipitata dalla condizione di massimo impero mondiale a quella di piccola isola alla periferia d'Europa; non possiamo lamentarci del trattamento che gli alleati ci fecero. (30 settembre 1975) *Siamo stati accusati di aver fatto, nei confronti dei comunisti, il processo alle intenzioni. Non vediamo su cos'altro avremmo dovuto giudicarli, visto che sono sempre rimasti all'opposizione, ed è di lì che ancora si affannano a dire che cosa si propongono di fare se andassero al potere, anzi quando andranno al potere (perché ormai lo danno per scontato). E cosa sono, queste, se non intenzioni? (19 giugno 1976) *Che cerchino di eliminarmi perché sono un avversario, questo lo posso anche capire; ma perché – a quanto mi riferiscono – hanno detto che io sono un servo delle [[Multinazionale|multinazionali]], allora questo sta a dimostrare la confusione di idee di questi poveretti che, evidentemente, non sanno cosa sono le multinazionali. (3 giugno 1977) *I giuochi sono fatti. E sono fatti non soltanto per [[Aldo Moro|Moro]], cui va tutta la nostra più fraterna e rispettiva pietà. Sono fatti anche per una politica da ''belle époque'', che la distruzione – fisica o morale – di Moro chiude e conclude. La Storia sta riprendendo i suoi connotati di tragedia, e costringe coloro che la fanno, o ambiscono o s'illudono di farla, ad adeguarsi al repertorio. Stiamo entrando in una di quelle «età di ferro» in cui il potere si paga, o si può pagarlo col ferro. Nessuno è obbligato a sfidare questo rischio. Chi lo fa, sappia che oggi è toccato a Moro, domani può toccare a lui. Solo se si rende conto di questo e lo accetta, la classe politica troverà la forza di archiviare il caso Moro. Ed è tempo che lo faccia. (7 maggio 1978) *Quattr'anni e mezzo orsono, quando questo giornale nacque, un «ragazzo del '68» (con tante scuse a quelli veri, del '99), [[Mario Capanna]], oggi gerarchetto regionale (che belle carriere, questi rivoluzionari!), dichiarò che, come nemici del «pubblico» e del «sociale» e come assertori del «privato», e quindi della reazione, noi saremmo diventati il più bel museo della città, dove babbi e mamme avrebbero potuto condurre in gita ricreativa i loro figlioletti per mostrargli, dal vivo, com'erano buffi i loro nonni e bisnonni: noi. Bene. Se il vento seguita a soffiare come soffia, saremo noi che di qui a un po' condurremo i nostri figlioletti dal signor Capanna per mostrargli com'erano buffi i loro nonni e bisnonni di dieci anni fa. Ma non lo faremo. Lo spettacolo di questi ragazzi-prodigio abortiti, di questi barricadieri con pancia e cellulite che credevano di camminare con la Storia, e invece camminavano solo con la moda, non ha nulla di edificante. (16 gennaio 1979) *In una sua memorabile inchiesta un giornalista d'incrollabile fede sinistrorsa, ma di esemplare onestà, [[Giampaolo Pansa]], mise benissimo in luce questo contrasto fra i due atteggiamenti e mentalità, che ieri ha trovato una eloquente conferma nella manifestazione di Torino. Niente chiasso, niente sceneggiate, niente slogans, niente insomma che appartenga al repertorio del buffonismo nazionale. Nessuno ha rotto le righe per andare a rovesciare auto o a fracassar vetrine. Questa, sì, era Danzica, sia pure senza Madonne; non i picchettaggi e i pestaggi di Mirafiori, sia pure con le Madonne. Ora sappiamo già cosa diranno gli altri, oggi e domani. Diranno che gli operai non c'erano. Infatti. Doveva trattarsi di quarantamila presidenti, consiglieri delegati, ingegneri: insomma, la solita «[[maggioranza silenziosa]]»: termine che soltanto nella lingua italiana ha significato spregiativo. La maggioranza silenziosa esiste in tutti i Paesi del mondo, dove nessuno si vergogna di appartenervi perché è essa, in definitiva, che ristabilisce gli equilibri. Fu la maggioranza silenziosa – autoqualificatasi come tale – di seicentomila parigini che dodici anni fa pose fine al carnevale sessantottesco, riportò [[Charles de Gaulle|De Gaulle]] all'Eliseo e restituì alla Francia la stabilità di cui tuttora essa gode. [...] Il motivo vero che farà i dimostranti bersaglio delle peggiori critiche e accuse è ch'essi rappresentano la rivolta delle persone serie contro gli arruffoni della «conflittualità permanente», dei «modelli di sviluppo» e via baggianando. E in questo Paese nulla fa più paura, perché nulla è più rivoluzionario, della serietà. (15 ottobre 1980) *[[Anwar al-Sadat|Sadat]] non era popolare. Gli mancava quel tocco di magia, o di cialtronismo, che consentiva a [[Gamal Abd el-Nasser|Nasser]] di bandire guerre come crociate e di annunciare disfatte come trionfi. [...] Sadat amava il popolo, il popolo contadino del profondo Sud nubiano, di cui era egli stesso originario. Ma non amava le masse, e le masse lo sentivano. [...] Sapeva, quando andò a Gerusalemme, di lanciare a quelle arabe una sfida più pericolosa di quella che lanciava a Begin. [...] Ma all'impopolarità di Sadat contribuiva anche un altro elemento: il fatto di essere un vero riformatore. [...] [[Mohammad Reza Pahlavi|Rehza Pahlevi]] volle applicare gli stessi metodi di [[Mustafa Kemal Atatürk|Atatürk]] senz'averne l'autorità e il prestigio, e per questo lo cacciarono. Ma dopo due anni di [[Ruhollah Khomeyni|Khomeini]], anche i più ciechi e idioti fra i progressisti occidentali, che ne avevano salutato l'avvento come quello del Redentore, si saranno accorti che il progresso, sia pure a forza di polizia segreta e di plotoni di esecuzione, era lo Scià. L'''ayatollah'' è il medioevo. Sadat non seguì i metodi satrapeschi del suo amico Pahlevi, ma ne condivise i fini. [...] Il Rais che ha restituito all'Egitto l'integrità territoriale, l'indipendenza politica, il prestigio militare e il rilancio della sua più proficua industria, il canale di Suez, è giusto che susciti meno rimpianto di chi tutto questo all'Egitto fece perdere. Nasser era un «personaggio», Sadat una «personalità». Il personaggio fa colore e diverte, la personalità incute rispetto e disturba. (9 ottobre 1981) *Nessuna parentela, né vicina né lontana, con l'altro grande d'Israele, [[David Ben Gurion|Ben Gurion]], il Fondatore. [...] {{NDR|David Ben Gurion}} Faceva tutto a caldo, anche la guerra. [[Menachem Begin|Begin]] fa tutto a freddo: anche l'amore, credo, ammesso che lo faccia. Non riuscì a commuoverlo nemmeno [[Anwar al-Sadat|Sadat]], quando gli piombò, da nemico tuttora belligerante, a Gerusalemme, per chiedergli la pace. Il mondo, che vide in televisione la scena, quel giorno fu tutto per l'egiziano che, per la pace, firmava la propria condanna a morte, contro l'israeliano che lo accoglieva senza un sorriso e con visibile fastidio. [...] È l'uomo che non ha esitato un istante [...] a distruggere in pochi minuti tutto l'armamento corazzato, aereo e missilistico siriano sotto l'occhio stupefatto degli osservatori e «consiglieri» russi che lo avevano fornito. È l'uomo che ha messo alla porta l'ambasciatore di Mosca respingendone la nota di protesta addirittura con disprezzo, come se fosse stato lui la Grande Potenza che parlava a un subalterno. È l'uomo che ha picchiato i pugni sul tavolo di [[Ronald Reagan|Reagan]], e a un certo punto aveva rotto anche con lui. Se avesse perso, sarebbe finito al muro e passato ai posteri come il distruttore d'Israele. Ma ha vinto. E la Storia, iscrivendolo nei suoi registri come «Il Salvatore», dirà che solo un uomo come lui, «antipatico» come lui, e come lui disposto anche a scatenare un'altra ondata di antisemitismo, poteva vincere. E avrà ragione di dirlo. Perché è così. Alla fine lo diranno, vedrete, anche gli antisemiti. E forse perfino i semiti. (27 agosto 1982) *L'idea che domani potremmo incontrare per strada, a piede libero e magari oggetti di compassione, gli assassini di [[Walter Tobagi]], ci riempie, più che di furore, di orrore. [...] Avevano scelto lui non per la sua tessera socialista, ma perché era una di quelle prede più facili: indifeso e abitudinario, e quindi bersaglio di facilissima mira, quasi da fermo. Tutto qui il movente del delitto: tutto nella fregola di protagonismo di due coccolatissimi giovanotti della Milano bene che giuocavano a fare i terroristi. [...] Che ora dobbiamo prendere per vero il loro pentimento e assolverli, ci rivolta lo stomaco. Ma è la legge: iniqua, infame, infamante. Ma è la legge. Noi stessi l'abbiamo auspicata e voluta. Il magistrato deve applicarla. E noi [...] accettarla. Ma una cosa reclamiamo, e ci spetta: di essere liberati dall'incubo d'incontrare questi figuri per strada per non veder riflessa nei loro occhi la nostra vergogna di aver avuto bisogno di loro e di aver risposto al loro falso rimorso con un perdono altrettanto falso. Un Curcio, se tornasse in circolazione, ci farebbe forse più paura, ma meno, anzi punto disgusto. [...] Ma i Barbone e i Morandini non li vogliamo tra i piedi. Se ne vadano. E soprattutto ci risparmino memoriali. La speranza di farci dimenticare i loro delitti, gliela passiamo. La pretesa di camparci sopra, no. (29 novembre 1983) *Per i falchi del Pci, [[Enrico Berlinguer|Berlinguer]] era ormai un personaggio scomodo e pericoloso, specie da quando aveva cominciato ad allentare gli ormeggi che lo legavano a Mosca. Gli era perfino scappato di dire (a [[Giampaolo Pansa|Pansa]]) che voleva per l'Italia un regime comunista, ma sotto l'ombrello della Nato che la tenesse al riparo dalle soperchierie del padrone sovietico: la più grave e blasfema di tutte le eresie in cui un capo comunista possa incorrere. (12 giugno 1984) *Se fino a che punto i piduisti – a parte il manipolatore Gelli, e forse qualche altro – fossero un branco di delinquenti golpisti, non siamo riusciti a capirlo. Abbiamo capito soltanto che gran parte di essi occupavano, forse grazie alla P2, posizioni di rilievo, e quindi parecchio ambite, ma ambite anche da molte persone che, per il fatto di non appartenere alla P2, avevano ora, grazie anch'esse alla P2, la possibilità di occuparle. Di fatti accertati e meno ancora di crimini provati, siamo andati invano alla ricerca delle 34.847 pagine della commissione. Vi abbiamo trovato soltanto ipotesi, illazioni, accostamenti di nomi e di episodi. Tutta roba che in mano a Le Carré poteva fruttare chissà quali affascinanti trame. In mano alla signorina [[Tina Anselmi|Anselmi]], resta cicaleccio di portineria. Ma questa è un'altra storia. (19 marzo 1985) *Quanto al moribondo [[Michele Sindona|Sindona]] [...] se fossi stato uno dei giudici popolari che l'altro giorno gli comminarono l'ergastolo, anche io avrei votato come loro pur sapendo che la mia endemica insonnia non ne avrebbe avuto giovamento. Comunque mi sembra che con questa fine, preceduta da quasi un decennio di rovine, umiliazioni, fughe e galere, egli abbia abbondantemente scontato, quali che siano, i suoi delitti. Che ora lo lascino riposare in pace e che pace sia all'anima sua. (22 marzo 1986) *I dieci giorni che sconvolsero il mondo furono in realtà dieci ore: quante ne bastarono alle poche «guardie rosse» reclutate in fretta e furia dai bolscevichi per occupare, senza nessuna resistenza, la Centrale delle poste e telefoni, la stazione ferroviaria, la Banca di Stato, e per spostare l'incrociatore ''Aurora'' di fronte al palazzo d'Inverno, dove ancora si trova, cimelio e monumento al fatidico evento, e dove il governo sedeva [...]. Non fu un assalto. Fu una «retata». L'''Aurora'' non sparò che una dozzina di colpi, di cui solo tre andarono a segno. In tutto, la conquista di questa Bastiglia russa costò, da ambo le parti, un morto, anzi una morta – perché fu una soldatessa che, pare, si suicidò – e diciotto feriti. Il [[Rivoluzione russa|Fasto]] [...] è un falso in atto pubblico. Si dirà che una rivoluzione non si misura dal numero dei morti. Certo: l'abbiamo detto anche noi. La rivoluzione poi venne, e che rivoluzione! Ma venne dall'alto, e per mano di despoti che di morti ne fecero in pochi anni più di quanti lo zarismo ne avesse fatti in secoli. (6 novembre 1987) *Tutto pensavo che potesse capitarmi, fuorché di essere un giorno tentato di spendere qualche parola, per poco che valga, in difesa di Togliatti. [...] Un processo a Togliatti per stalinismo, se glielo intentano i socialisti, che nell'era dello Stalinismo gli fecero da mosca cocchiera, è una burletta. Se lo intentano i comunisti – come sembra che qualcuno di loro voglia fare –, oltre che oltraggio al pudore, diventa quiescenza alla voce del nuovo padrone, cioè stalinismo della più brutt'acqua, anzi una parodia dello Stalinismo. Per la caccia alle streghe, anche dello Stalinismo, ci vogliono degli stalinisti doc, qual era Togliatti. Non è roba da dilettanti, quali sono i suoi pallidi epigoni. (3 marzo 1988) *La fine del Muro è una cosa buona, la fine di una vergogna: non possiamo che salutarla con soddisfazione. Ma guardiamoci dal prendere abbaglio sui suoi moventi. Ulbricht concepì e Honecker realizzò il muro per impedire che i tedeschi dell'Est fuggissero in massa nella Germania dell'Ovest: già 9 (diconsi nove) milioni lo avevano fatto fin allora. E il rimedio fu, come tutti quelli che escogitano nei regimi totalitari, drastico e semplicistico: murare viva la gente dietro una colata di cemento, senza pertugi. [...] Abbiamo in uggia le astrazioni. Ma ciò che distingueva le due Germanie è l'idea morale e giuridica dell'uomo: che a Ovest è padrone di se stesso, e quindi può andarsene dove vuole: ad Est è proprietà dello Stato che ne regola i movimenti. Per chi non ricorda questo, il [[Muro di Berlino]] era, oltre che barbaro, incomprensibile e irrazionale: mentre invece ha obbedito a una sua logica. Nel momento in cui il bunker si affloscia e sopravvive come mero ammasso di cemento ricordandoci un altro bunker, quello che fece da fossa di [[Adolf Hitler|Hitler]] (anche questo pare impossibile: ma i regimi in Germania muoiono nei bunker), il Muro va ricordato per ciò che è stato: non un'aberrazione del comunismo, ma una sua conseguente applicazione. E se crolla così, nel silenzio assordante di un giornale-radio, è perché è crollata, prima, l'ideologia che lo aveva eretto. (11 novembre 1989) *Negli anni Trenta, per le strade di Berlino, risuonava il grido: ''ein Volk, ein Reich, ein Führer'': un popolo, uno Stato, un capo. Stavolta si sono contentati di scandire ''ein Volk, ein Reich''. Non potevano aggiungere, checché ne dica il sig. Ridley, ''ein Kohl'', che fra l'altro significa «cavolo». Ma {{NDR|ai tedeschi}} per diventare i padroni dell'Europa anche un cavolo gli basta. (3 ottobre 1990) *Abbiamo fatto poco: il poco che il Paese dei [[Roberto Formigoni|Formigoni]], dei Cristofori, degli Sbardella, dei [[Ernesto Balducci|Balducci]], dei [[Antonio Bello|vescovi di Molfetta]] poteva fare. Non lamentiamoci se il posto che ci verrà assegnato nel ristabilimento dell'ordine internazionale sarà nell'anticamera, non nella camera dei bottoni. Però sia chiara una cosa: che a gridare «Viva la pace!» siamo qualificati oggi soltanto noi che abbiamo auspicato la guerra contro chi la pace l'aveva turbata e, se lo si lasciava fare (non è un ipotesi, è una constatazione), avrebbe continuato a turbarla in un crescendo di colpi e di aggressioni. (1º marzo 1991) *I voti dei democristiani novaresi non sono andati al partito; sono andati a [[Oscar Luigi Scalfaro|Scalfaro]], democristiano talmente anomalo, che si permette persino di credere in Dio. [...] Il vecchio magistrato conosce il suo mestiere, e sa benissimo di operare in un Paese in cui la mamma dei Casson è sempre incinta. In nome della Legge, le leggi le farà funzionare. Insomma siamo sicuri che starà in Quirinale come un italiano deve starci: da straniero. Unico pericolo: le prediche. Anche [[Luigi Einaudi|Einaudi]] le faceva. Ma le chiamava «inutili». (26 maggio 1992) *Da dove siano venuti tutti i «no» non lo sapremo mai con precisione, ma una cosa è certa. Questo è il colpo di grazia al sistema dei partiti e della classe politica che lo rappresenta, e un colpo durissimo all'immagine del Paese pronto a fare pulizia che l'Italia si stava faticosamente costruendo all'estero. Senza giovare nemmeno a [[Bettino Craxi|Craxi]], che non potrà certo ricostruire la sua carriera sulla votazione di ieri, anzi. Se c'è ancora qualcuno che dubita sulla necessità di un pubblico processo, non solo a lui, ma a tutta la corte di faccendieri che lo circondava, alzi la mano, o meglio nasconda la faccia. (30 aprile 1993) *Questo è l'ultimo articolo che compare a mia firma sul giornale da me fondato e diretto per vent'anni. Per vent'anni esso è stato – i miei compagni di lavoro possono testimoniarlo – la mia passione, il mio orgoglio, il mio tormento, la mia vita. Ma ciò che provo a lasciarlo riguarda solo me: i toni patetici non sono nelle mie corde e nulla mi riesce più insopportabile del piagnisteo. [...] A presto dunque, cari lettori. Anche a costo di ridurlo, per i primi numeri, a poche pagine, riavrete il nostro e vostro giornale. Si chiamerà ''La Voce''. In ricordo non di quella di [[Frank Sinatra|Sinatra]]. Ma di quella del mio vecchio maestro – maestro soprattutto di libertà e indipendenza – [[Giuseppe Prezzolini|Prezzolini]]. (12 gennaio 1994) {{Int|''Rituale barbarico''|Articolo su ''il Giornale nuovo'', 10 maggio 1978.|h=4}} *La fine di [[Aldo Moro]] ci rende sgomenti, il fanatismo di chi lo ha ucciso lentamente, togliendogli la speranza prima di toglierli la vita, ci riempie di orrore. Speriamo ancora che la tracotanza dei criminali sia un giorno punita. L'importante, adesso, è che il Paese, proprio per rendere omaggio a Moro, e proprio in memoria di lui, sappia trarre da questa tragedia l'amara lezione che essa comporta. La democrazia non deve, anzi non può essere debole. La libertà, che la rende superiore a qualsiasi altro regime, ma anche più vulnerabile, non va conclusa con la indulgenza verso i nemici, la imprevidenza, la leggerezza. *Lo Stato italiano ha superato con onore questa prova difficile, ma la magistratura e gli organi di polizia hanno denunciato, nella loro azione, una desolante inefficienza, che ha permesso alle brigate rosse di operare con irridente spavalderia. Ne va data colpa non tanto alle forze dell'ordine quanto a chi ha voluto, per demagogia, per compiacere le sinistre, per acquistare facile popolarità, smobilitare i servizi segreti, rimuovere i funzionari più ligi al dovere, trasformare le carceri in alloggi con libera uscita quotidiana. Gli eversori della democrazia, i contestatori della legalità hanno potuto predicare e demolire senza ostacoli. Ci auguriamo di non vederli ora associati ipocritamente al compianto per un delitto del quale sono, ideologicamente se non materialmente, corresponsabili. Le loro non erano soltanto parole. Un giovane sfracellato da un ordigno sulla ferrovia Trapani-Palermo – l'episodio è di ieri – apparteneva a Democrazia proletaria. I banditi che hanno assalito a Bologna un grande magazzino venivano dal Movimento studentesco. È inutile che questi gruppi ostentino adesso costernazione e stupore per le belluine imprese delle brigate rosse. Il terrorismo è figlio loro. *All'annuncio della fine di Aldo Moro i sindacati si sono mossi, hanno indetto manifestazioni e proclamato uno sciopero generale. Siamo certi della loro profonda esecrazione, e della loro sincera partecipazione al cordoglio nazionale. Pensiamo tuttavia che i lavoratori e i loro rappresentanti darebbero un apporto più costruttivo alla lotta contro i terroristi tenendo d'occhio gli estremisti delle fabbriche, troppe volte protetti e difesi. Così pure gli studenti «impegnati», se proprio vogliono dissociarsi dalle brigate rosse, devono estromettere dalle loro file gli agitatori deliranti, e dinamitardi che nascondono bottiglie molotov e armi negli scantinati delle facoltà. Chi ha chiuso gli occhi di fronte alla ''escalation'' di violenza degli anni scorsi, li chiuda oggi per non lasciar scorrere lagrime di coccodrillo. {{Int|''Poveri morti poveri vivi''|Articolo su ''il Giornale'', 31 maggio 1985.|h=4}} *L'[[Inghilterra]] non sono i forsennati che abbiamo visto all'opera nello stadio di Bruxelles. L'Inghilterra sono la [[Margaret Thatcher|Thatcher]], i politici, i commentatori di stampa, radio e televisione, la gente intervistata per strada, che hanno confessato la loro vergogna a una voce, con una sola stecca: quella del ministro dello Sport che con le sue dichiarazioni si è messo sullo stesso piano degl'imbestialiti. Comunque, Dio ci guardi ora dai soliti sproloqui e dibattiti dei sociologi sui motivi di «tifo» e sui mezzi d'impedirne gli eccessi. Non ce ne sono, se non nel controllo che ognuno può e deve esercitare su di sé. *La strega non è il «tifo» che dallo sport è inseparabile. E non siamo nemmeno noi, come vogliono i cantautori del «siamo tutti colpevoli» che ieri giornali e radio hanno intitolato. Perché, se di qualcosa siamo colpevoli, è di aver sempre secondato la corruttrice e demagogica tendenza a scaricare l'individuo di ogni responsabilità, rigettandola regolarmente e interamente sulla società. È la società che ci obbliga a rubare, è la società che ci obbliga ad uccidere. E si capisce che quando si offrono alla gente di questi alibi, c'è sempre qualcuno che ne approfitta. Stamane leggevo su un giornale francese un dotto articolo in cui si spiegava che la furia dei tifosi del [[Liverpool Football Club|Liverpool]] era dovuta al fatto che, essendo quasi tutti minatori, per un anno erano rimasti senza lavoro a causa dello sciopero: il che gli aveva fatto accumulare la rabbia che poi era scoppiata a Bruxelles. Insomma, senza dirlo, l'articolo induceva alla conclusione che il vero responsabile del massacro era la signora Thatcher. Ecco in che senso siamo tutti colpevoli. Siamo colpevoli di assolvere tutti come vittime innocenti di una società iniqua che, a furia di essere tutti noi, non è nessuno. È un giuoco a cui non ci stiamo. I responsabili di Bruxelles sappiamo chi sono: sono i delinquenti che abbiamo visto avventarsi, prima che la partita cominciasse, e quindi senza alcuna provocazione, contro i tifosi italiani con sbarre e coltelli di cui erano accorsi armati, con l'evidente intenzione di farne l'uso che ne hanno fatto. Delinquenti, non vittime. La società non c'entra, non c'entrano le miniere. Casomai l'alcol. Ma ne avevano ingerito per delinquere meglio. Speriamo che la polizia li identifichi e li consegni a quella inglese. Della quale possiamo fidarci. {{Int|''I rieccoli''|Articolo su ''il Giornale'', 20 gennaio 1990.|h=4}} *Scorrendo le cronache delle agitazioni studentesche di questi giorni avevo avuto per un momento l'impressione, o l'illusione, che esse si fondassero sui problemi concreti dell'università, e che fossero qualcosa di diverso, e di migliore della grottesca ubriacatura sessantottina. Ma quando giovedì sera, nella trasmissione televisiva ''Samarcanda'', è stato lanciato contro [[Mario Cervi]] il rituale e vile epiteto «fascista!» (e questo solo perché aveva mosso obiezioni agli sproloqui assembleari di Roma e di Palermo), ho capito che vent'anni dopo è come vent'anni prima. La protesta è un pretesto, il legittimo scontento diventa arma politica, gli appelli al dialogo si risolvono in volontà di sopraffazione, di discussione su ciò che nell'università deve essere cambiato sfocia in un attacco globale al governo, alla società, al sistema. L'unica connotazione sessantottina che ancora manca è la violenza fisica. Ma temo che non tarderà ad arrivare se chi dissente è bollato come fascista e chi governa (è capitato ad [[Giulio Andreotti|Andreotti]], a Palermo) come mafioso. *Quanto alla legge Ruberti, Cervi ha osservato che viene presa di mira perché consentirebbe un limitato ingresso dei privati nella gestione delle università: e al solo sentir parlare di «privato» – che le folle e i giovani dell'Est chiedono con slancio entusiastico – gli epigoni nostrani del [[marxismo-leninismo]] sono presi da convulsioni. [...] La legge Ruberti è passata in sott'ordine, il punto centrale del dibattito – o piuttosto della successione di sproloqui, intimazioni e insulti – è diventato il degrado di questa povera Italia privatizzata, che invece conoscerebbe fulgidi destini se fosse tutta pubblica e stabilizzata. Gli ''slogans'', le utopie, le bugie e le dissennatezze sessantottine o settantasettine riemergevano dalle pagine dei libri e dalla polvere degli archivi, per imitazione o per transfert generazionale. *Tirava aria romena o cecoslovacca in quelle assemblee: ma della Romania e della Cecoslovacchia di [[Nicolae Ceaușescu|Ceausescu]] e di Husak, con l'idolatria dello Stato, con gli applausi unanimi, con la riduzione al silenzio degli oppositori. S'è sentito, a proposito sempre di Cervi, il sinistro termine «provocazione» con cui tutti gli oppressori legittimano i loro soprusi. Qualcuno di quei ragazzi pretende che esistano parentele tra questo movimento e quelli dell'Est, dimenticando che là ci si batte, a rischio della pelle, per instaurare non il regime dello statalismo, ma al contrario per abbatterlo e introdurre o reintrodurre quello di iniziativa privata in tutti i campi, compreso quello della cultura e della scuola. Che siano diventati, gli studenti di Berlino, di Praga, di Bucarest, fascisti anche loro? ====''Controcorrente – rubrica''==== {{cronologico}} *La cosa che più ci turba, delle nostre sconfitte sportive, è il grande, alluvionale bisticcio che si scatena fra i «tecnici» per giustificarle. Per quella di Stoccarda, che ci ha eliminato dal campionato del mondo, ne avremo – temiamo – per tutta l'estate: se ne parlerà più che di Caporetto. Noi tecnici non siamo, ma abbiamo la nostra idea. È questa: che non si possono mandare dei polli di batteria a competere con quelli ruspanti. Resta da capire perché noialtri non sappiamo allevare che polli di batteria. Ma ci sembra che questo sia sufficientemente spiegato da un piccolo episodio occorso a Roma, dove un gruppo di tifosi ha creduto di «vendicare» i suoi campioni (si fa per dire) assalendo con pomodori e uova l'ambasciata di Polonia. Ecco. Per un paese in cui la «sana passione sportiva» si effonde in simili manifestazioni, quegli undici mammozzi dalle gambe molli sono fin troppo, e fin troppo misericordiose le disfatte che subiscono. (25 giugno 1974) *Noi, di [[Fascismo|fascismi]] ne conosciamo e ne esacriamo uno solo: quello di chi appiccica questa etichetta a qualunque idea o opinione che non corrisponde alle sue. Di questo giuoco, la nostra [[sinistra in Italia|sinistra]] è spesso maestra. Non per nulla lo stesso [[Benito Mussolini|Mussolini]] veniva dai suoi ranghi. (10 luglio 1974) *In una conferenza stampa a Nuova Delhi, [[Henry Kissinger]] ha dichiarato che verrà a Roma e andrà a pranzo dal presidente Leone, ma non parlerà di politica perché quella italiana è, per lui, troppo difficile da capire. È la prima volta che Kissinger riconosce i limiti della propria intelligenza. Ma vogliamo rassicurarlo. A non capire la politica italiana ci sono anche cinquantacinque milioni di italiani, compresi coloro che la fanno. (31 ottobre 1974) *[[Dario Fo]], poeta di corte dell'ultrasinistra, flagella nella sua ultima fatica teatrale il senatore [[Amintore Fanfani]], responsabile di ogni nequizia passata, presente e futura. I sarcasmi più grevi hanno però come bersaglio il metraggio del notabile democristiano che, come tutti sanno, non è quello di un granatiere. [[Henri de Toulouse-Lautrec|Toulouse-Lautrec]], che per gli stessi motivi dovette per tutta la vita subire analoghe canzonature, disse una volta, giocando sulla lunghezza del suo doppio casato: «Ho la statura del mio nome». Non sappiamo se questo discorso si possa applicare a Fanfani. Certo, si applica a Fo. (11 giugno 1975) *[[Winston Churchill|Churchill]] diceva che «i panni dei servizi segreti si possono, anzi si devono lavare più spesso degli altri; ma, a differenza degli altri, non si possono mettere ad asciugare alla finestra». Dello stesso parere era [[Stalin]] che regolarmente, ogni tre o quattro anni, il lavaggio lo praticava facendo accoppare al buio i capi della sua polizia, nel presupposto – probabilmente fondato – che a far quel mestiere non potevano essere che arnesi da forca, e quindi era giusto che ci finissero. Gli [[Stati Uniti d'America|americani]] seguono tutt'altro criterio. Essi hanno trascinato la ''[[Central Intelligence Agency|Cia]]'' in televisione denunciandone ''coram populo'' fatti e misfatti. I suoi capi ne hanno commessi, dicono, di grossi. Ma il più grosso è forse quello di non aver capito che l'America non li paga per svolgere servizi segreti, ma per offrire agli americani il pretesto per vergognarsene. È l'unico popolo che goda più nel pentimento che nel peccato. (28 novembre 1975) *Non sempre, per redigere questa piccola rubrica, occorre forzare la fantasia. Qualche volta basta lasciare la parola alle agenzie di stampa ufficiali. Eccone un caso. L'agenzia Adn Kronos comunica: «Due giorni di sciopero sono stati dichiarati dai sindacati postelegrafonici milanesi per il 28 gennaio e per il 6 febbraio per protesta contro gli scioperi e i disservizi». (25 gennaio 1976) *L'Unità ci rimprovera di aver pubblicato il manifesto degl'intellettuali in favore della libertà. E ha ragione. Si tratta infatti di una illecita concorrenza perché finora i manifesti, gli appelli, le «veglie» e tutto il resto sono stati monopolio del Pci, unico partito capace di far cantare la gente in coro. Ma appunto per questo non vediamo di che si preoccupi. Gl'[[intellettuale|intellettuali]] italiani che preferiscono aver ragione da soli piuttosto che torto con gli altri, sono pochi. I più seguono la massima di [[Paul-Jean Toulet|Toulet]]: «Quando i lupi urlano, urla con loro». (1º giugno 1976) *Ieri [[Mario Melloni|Fortebraccio]], dalle colonne dell'«[[l'Unità|Unità]]», ha invocato per noi, previa qualche iniezione, il ricovero immediato, e a titolo definitivo, in manicomio. La cosa non ci stupisce: sappiamo benissimo che di manicomi e di iniezioni nessuno s'intende più dei comunisti: chi c'è passato giura che ci hanno fatto una mano da maestri. Ci stupisce però che Fortebraccio lo abbia implicitamente – e un po' anzitempo – riconosciuto. Forse gli è scappata. Alla sua età, succede. (10 dicembre 1976) *Cadendo oggi il trigesimo della scomparsa di Pietro Valdoni, vogliamo rievocare un episodio del grande chirurgo. Come tutti ricorderanno, fu lui ad operare, salvandogli la vita, [[Palmiro Togliatti]], ferito alla testa dalla rivoltella di Pallante. Quando ricevette la parcella, Togliatti la trovò salata, e accompagnò il pagamento con queste parole: «Eccole il saldo, ma è denaro rubato». Valdoni rispose: «Grazie per l'assegno. La provenienza non mi interessa» (23 dicembre 1976) *«Dio non è un maschio» assicura alle femministe Civiltà Cattolica, l'autorevole rivista dei gesuiti, scusandosi «delle tracce di antifemminismo che ancora sono nella Chiesa». Brutto segno quando i teologi si mettono a discutere di sesso. Fu mentre i bizantini si accapigliavano su quello degli angeli che arrivarono i turchi. (21 giugno 1977) *Riferiscono le cronache che l'America è in subbuglio per la morte di [[Elvis Presley]]. Oltre centomila persone si sono riversate a Memphis, sua ultima dimora, due donne sono rimaste uccise nella calca che si stringeva intorno alle spoglie del cantante. Il sindaco ha fatto abbrunare le bandiere in tutta la città, il presidente [[Jimmy Carter|Carter]] è stato flagellato di proteste perché non aveva proclamato il lutto nazionale e uno gli ha gridato al microfono: «Noi americani dobbiamo più a Presley che a [[George Washington|Washington]] e a [[Abraham Lincoln|Lincoln]] sommati insieme». Anche noi italiani dobbiamo qualcosa a Presley: una delle rare occasioni in cui preferiamo essere italiani piuttosto che americani. (20 agosto 1977) *È in corso una iniziativa per l'abolizione, nelle aule scolastiche, della pedana su cui si eleva la cattedra. Il perché lo avrete già capito: l'insegnante deve mettersi, anche materialmente, a livello degli alunni per non lederne la dignità e dimostrare con l'esempio che siamo tutti uguali. Giusto. «La via dell'uguaglianza – dice Rivarol – si percorre solo in discesa: all'altezza dei somari è facilissimo instaurarla». (29 ottobre 1977) *Fra gli annunci economici di Lotta Continua, ne è comparso uno che dice: «Compero a L. 100.000 una tesi di laurea, anche già presentata, purché tratti un argomento attinente all'[[Inghilterra]], o alla lingua, storia, letteratura inglese. Meglio se con una impostazione femminista». Curioso. Questi grandi [[Rivoluzione|rivoluzionari]], che dicono di battersi per costruire una società nuova di zecca, quando si tratta di lauree, si contentano anche di quelle usate e di seconda mano. (3 marzo 1978) *Credevamo che l'assassinio di Aldo Moro, così come è stato eseguito, fosse il colmo dell'infamia. Abbiamo dovuto ricrederci. Al comizio di protesta svoltosi in piazza Duomo a Milano subito dopo la macabra scoperta in via Caetani a Roma, un gruppo di ultrà ha gridato: «Moro fascista!». Preferiamo le [[zanne]] delle belve alla [[bava]] degli [[Sciacallo|sciacalli]]. (10 maggio 1978) *Ecco il nostro telegramma di congratulazioni e auguri a Pertini: «Che Dio le conceda il coraggio, Presidente, di fare le cose che si possono e che si debbono fare; l'umiltà di rinunziare a quelle che si possono ma non si debbono, e a quelle che si debbono ma non si possono fare; e la saggezza di distinguere sempre le une dalle altre». (9 luglio 1978) *Dall'indagine svolta da uno dei più seri istituti di ricerche demografiche, lo svizzero Scope, risulta che la professione più ammirata e rispettata, nel mondo, è quella dei medici. I giornalisti sono al penultimo posto. Ce ne sentiremmo profondamente avviliti se all'ultimo non vedessimo catalogati gli editori. (29 novembre 1978) *Prima di partire per Vienna, il presidente {{NDR|degli Stati Uniti}} [[Jimmy Carter|Carter]] ha fatto due dichiarazioni. La prima: «Ci auguriamo che il signor Breznev {{NDR|allora presidente dell'Unione Sovietica e Primo Segretario del PCUS}} abbia per le nostre ragioni la stessa comprensione che noi abbiamo per le sue». La seconda: «Se Ted Kennedy si presenta contro di me alle elezioni presidenziali, gli faccio un c.o così» Il triviale [[Richard Nixon|Nixon]] avrebbe potuto dire le stesse cose, ma certamente ne avrebbe invertito l'ordine di priorità riservando la comprensione a Kennedy ed il c.o a Breznev. La differenza fra i due è tutta qui. (16 giugno 1979) *Avvicinandosi il 25 dicembre, decine di migliaia di teneri [[abete|abeti]] vengono strappati dai boschi della Penisola per allestire il tradizionale albero di Natale. Ogni anno lo scempio si ripete, tra la generale indifferenza. Soppresso l'Ente protezione animali, figuriamoci se qualcuno ha voglia di proteggere gli alberi. Diciamo la verità: la sola pianta che interessi all'[[italiano medio]] è la pianta stabile. (19 dicembre 1979) *Nel Manifesto di domenica scorsa tale K.S. Karol faceva considerazioni amare sulla rivoluzione cubana e sui suoi fallimenti: «[[Fidel Castro|Fidél]] – ha ricordato il commentatore, uno dei tanti orfani delle illusioni di sinistra – prometteva ai cubani per il 1965 un tenore di vita pari a quello svedese». Certo Fidél si è sbagliato di grosso; non per cattiva volontà, ma per mancanza di uomini, anzi di un uomo. Sarebbe bastato che anche la Svezia avesse uno suo Castro al potere per ritrovarsi in pochissimi anni con un tenore di vita pari a quello cubano. (15 aprile 1980) *Riferiscono le cronache che quando è giunta in tribunale la notizia dell'assassinio di Walter Tobagi, il brigatista Corrado Alunni l'ha accolta con una sghignazzata di tripudio. Abbiamo sempre combattuto la pena di morte sul presupposto che l'uomo non ha il diritto di uccidere l'uomo. Il presupposto lo confermiamo. Ciò di cui cominciamo a dubitare è che gli Alunni e quelli come lui siano uomini. Sui cadaveri sghignazzano le jene. (30 maggio 1980) *A Mirafiori, parlando agli operai della Fiat in sciopero, il sindaco di Torino, Novelli, se l'è presa coi giornalisti e li ha additati all'uditorio come falsari che ricalcano i loro resoconti non sui fatti, ma sulle «veline» distribuite loro dai «padroni». Anche Novelli ha fatto il giornalista in un foglio comunista, e quindi di veline e di padroni è certamente un intenditore. Ma se dopo questa denuncia ci scappa un altro Casalegno, sarà molto gradita la sua assenza ai funerali. (8 ottobre 1980) *Grandi elogi – dopo il successo del blitz di Trani – alle «teste di cuoio» italiane. La loro azione ha dimostrato quanto poco valesse la strategia della flessione propugnata di alcuni personaggi. Teste anche loro: ma di che? (31 dicembre 1980) *Fra i tanti slogans che il partito socialista francese ha lanciato in occasione delle elezioni presidenziali per rassicurare i bravi borghesi sottolineando il proprio carattere moderato e riformista, abbiamo letto anche questo: «Il socialismo può fare di chiunque un milionario». Ci crediamo senz'altro. A patto che quel chiunque fosse prima un miliardario. (8 maggio 1981) *Per gl'italiani, finora, il nome di Gelli era quello dell'autore del più famoso e autorevole codice cavalleresco. Anche oggi rimane legato a un codice. Quello penale. (9 maggio 1981) *L'elenco degli affiliati alla P2 comprende, dicono, 953 nomi, cui corrispondono i più alti gradi della politica, della magistratura, delle forze armate, della burocrazia, dell'industria, della finanza. Tutti «fratelli». È la riprova che, in questo Paese, guai ai figli unici. (11 maggio 1981) *Macché pazzo! L'attentatore del Papa deve essere un furbo matricolato. Dichiarandosi seguace di George Habbas e della causa palestinese, ha cercato di procurarsi la solidarietà dei molti, dei moltissimi, che non battono ciglio quando un terrorista cerca di spedire qualcuno all'altro mondo. Purché il terrorista appartenga al terzo. (16 maggio 1981) *Studiosi cinesi, mettendo a confronto reperti di ominidi dissimili tra loro tanto da far pensare che l'uomo discenda anche da animali diversi dalla [[scimmia]], sono arrivati alla conclusione che i nostri progenitori erano comunque scimmie, ancorché di specie differenti. Ci pare logico. Quale altro animale avrebbe potuto imitare la scimmia che ha dato l'avvio alla razza umana se non un'altra scimmia priva di senso critico? (19 maggio 1981) *Una nostra redattrice andata per una sua cronaca sul femminismo alla «libreria delle donne» in via Dogana a Milano, è stata accolta da una di loro con queste parole: «Con te non parlo perché sei di un giornale fascista, e anche tu hai la faccia da fascista». La nostra redattrice, che ha ventun anni, probabilmente non sapeva bene cosa fosse il fascismo. Ora lo sa: lo ha imparato in quella libreria. (4 novembre 1981) *Come previsto, la Juventus ha conquistato il [[Serie A 1981-1982|ventesimo scudetto]] battendo il Catanzaro. Una vittoria di rigore. (17 maggio 1982) *Socialisti e comunisti si sono opposti alle sanzioni economiche contro l'Argentina perché, hanno detto, una buona metà degli argentini sono di origine italiana, e molti di loro conservano tutt'ora la nostra nazionalità. Vero. Ma non ci eravamo accorti che queste sinistre spasimassero tanto d'amore per i nostri connazionali di laggiù quando si trattava di riconoscergli il diritto di voto. (22 maggio 1982) *Se si va avanti di questo passo, la [[guerra delle Falkland]] (o Malvine) finirà quando l'ultimo aereo argentino sarà abbattuto col suo carico di bombe sull'ultima nave inglese. E dire che questa lotta di leoni si svolge per un'isola di Pecore. (27 maggio 1982) *Tutti abbiamo trepidato ieri, davanti al televisore, per le sorti della squadra azzurra, tutti ci siamo entusiasmati alle sue gesta, tutti abbiamo salutato con orgoglio la sua vittoria. Ma il tipo di patriottismo che questa ha suscitato nelle strade delle nostre città, messe a soqquadro dai tifosi scalmanati che usavano il tricolore a copertura del peggior teppismo, ci ha fatto rimpiangere di non essere nati brasiliani. (6 luglio 1982) *Mai visto così tanto entusiasmo patriottico, tanti tricolori per le strade come per la finale degli azzurri al Mundial. Nella tomba di Caprera, le ossa di [[Giuseppe Garibaldi|Garibaldi]] fremono di invidia. Per unificare l'Italia «in un solo grido, in una sola passione» gli erano accorsi mille uomini. A [[Enzo Bearzot|Bearzot]] ne sono bastati undici. (12 luglio 1982) *Gli scrittori [[Mario Soldati]] (Psi) e [[Gianni Brera]] (Psi) sono stati trombati {{NDR|non sono stati eletti}}. Peccato. Il Parlamento era l'unico posto in cui, dovendo parlare per gli altri, forse avrebbero finalmente taciuto. (1º luglio 1983) *Che [[Bettino Craxi|Craxi]] sia uomo di grandi capacità e ambizioni, lo si sapeva. Che sia anche uomo di grande coraggio, lo si è visto ieri, quando pronunciava alla Camera il suo discorso di replica. Per due volte si è interrotto alla ricerca di un bicchier d'acqua. Per due volte [[Giulio Andreotti|Andreotti]] glielo ha riempito o porto. E per due volte lui lo ha bevuto. (13 agosto 1983) *Condannato dal tribunale di Reggio Emilia per bestemmie e turpiloquio contro la Chiesa, [[Roberto Benigni]] avrebbe qualche ragione di considerarsi vittima di un'ingiustizia. Proprio il giorno prima la Chiesa riabilitava [[Martin Lutero]], scomunicato ai suoi tempi pressappoco per gli stessi motivi. Come cambia, coi tempi, la sorte degli uomini! È inquietante pensare che Benigni, se fosse vissuto cinquecent'anni fa, sarebbe forse diventato Lutero. Ma addirittura sconvolgente è che Lutero, se fosse nato cinquecent'anni dopo, sarebbe forse diventato Benigni! (8 novembre 1983) *Il più autorevole giornale americano di economia e finanza, il Wall Street Journal di martedì 10 gennaio, è incorso in un curioso lapsus. Parlando del concordato fra lo Stato italiano e la Santa Sede, scrive che esso «venne firmato nel 1929 da Bettino Mussolini». Chissà, se lo legge, come si arrabbia Benito Craxi. (12 gennaio 1984) *È comparsa sui giornali la pubblicità di una nuova opera di Fanfani, intitolata «La Dc e la svolta degli anni 80». L'editore avverte che si tratta di un libro formato «tascabile». Dato l'autore, poteva andare diversamente? (16 gennaio 1984) *È vero: la [[Juventus Football Club|Juventus]], a Basilea, non ha fatto una gran figura. Giocando con più cervello, poteva vincere comodamente 4-0. Ma attenti a non giudicare troppo severamente il Porto. Quello di Genova va molto peggio. (18 maggio 1984) *Il trentanovenne James Nelson, condannato da un tribunale di Londra a quindici anni per avere ucciso la madre a colpi di mattone, ha sentito, chiuso in cella, la vocazione sacerdotale: si è messo a studiare teologia, e ora sta per diventare prete nella chiesa scozzese. «È mia intenzione – ha dichiarato – contribuire alla edificazione di una nuova società». Si può credergli: i mattoni ha dimostrato di saperli usare. (25 maggio 1984) *L'agenzia Agi informa, con un drammatico flash, che il ministro [[Giulio Andreotti|Andreotti]], «impegnato in una riunione superistretta con gli altri 15 ministri degli esteri della Nato, perderà la partita [[Associazione Sportiva Roma|Roma]]-[[Liverpool Football Club|Liverpool]]». È giusto il fatto che faccia notizia: è la prima volta che Andreotti perde qualcosa. (31 maggio 1984) *Presso la Presidenza del Consiglio, a palazzo Chigi, è stata istituita una commissione di giuristi per la completa parificazione dei diritti fra i due sessi. Finalmente! Era ora che ce la riconoscessero, a noi uomini. (16 ottobre 1984) *La riforma dei programmi della scuola elementare, cui sta lavorando il Ministro Falcucci, introdurrà nella terza, quarta e quinta classe l'insegnamento di una lingua straniera. Non è specificato quale. Speriamo che si tratti dell'italiano. (21 gennaio 1985) *Un certo [[Nichi Vendola]], dirigente della Federazione giovanile comunista, ha lanciato l'idea di riconoscere formalmente un «diritto dei bambini ad avere rapporti sessuali tra loro o con gli adulti». Vendola ha detto di aver attinto questa idea all'esperienza di molti padri. A conferma di quanto scrive [[Georges Courteline|Courteline]] nella sua «Filosofia»: «Uno dei più chiari effetti della presenza di un bambino in una casa è di rendere completamente idioti dei genitori che forse, senza di lui, sarebbero stati degl'imbecilli comuni». (26 marzo 1985) *I tecnici di calcio sono rimasti stupiti dalla prova del [[Real Madrid Club de Fútbol|Real Madrid]] che nella semifinale della coppa Uefa ha letteralmente travolto i modesti giocatori dell'[[Football Club Internazionale Milano|Inter]]. I madrileni hanno proprio vinto a biglia sciolta. (26 aprile 1985) *Quando [[Sandro Pertini]] è apparso sul video di Raiuno che trasmetteva la premiazione del concorso ippico di Roma, il cronista ha commentato: «Anche i cavalli, come vedete, sono gentili col Presidente». Era vero. Forse meritano di essere fatti cavalieri. (5 maggio 1985) *I tifosi rossoneri sono in festa per la notizia che Berlusconi sta per acquistare il loro Milan. Sono convinti che in un battibaleno ne farà una squadra da scudetto, da coppa delle coppe, da tutto, e forse hanno ragione. C'è un solo pericolo: che il neo-presidente voglia fare anche il direttore tecnico, l'allenatore, il massaggiatore, il capitano e il centrattacco. Il che potrebbe andar anche bene. Ma ad una condizione: che possa fare anche l'arbitro. (27 dicembre 1985) *Rete Quattro e Italia 1 sono state multate per violazione del decreto che proibisce la propaganda al consumo del tabacco. Lo spot incriminato è quello che, parlando del «Camel Trophy», ostentava un pacchetto di sigarette della ditta sponsorizzatrice. Strano Paese, il nostro. Colpisce i venditori di sigarette, ma premia i venditori di fumo. (13 marzo 1986) *Molti lettori ci chiedono quale missione sta svolgendo l'on. Capanna a Tripoli, quali motivi l'hanno spinto da Gheddafi. Non ne sappiamo granché: non siamo abituati a ficcare il naso nelle altrui questioni di famiglia. (1º giugno 1986) *Oggi Paolo Pillitteri sarà designato alla successione di Tognoli come sindaco di Milano. Lo dipingono come uomo intelligente, efficace, insomma pieno di qualità. Purtroppo, gli manca quella fondamentale: il celibato. (5 dicembre 1986) *Finalmente, dopo sette anni di esilio a Gorky, l'impavido Andrei Sacharov è tornato a Mosca. Speriamo che Gorbaciov ci resti. (24 dicembre 1986) *L'agenzia Ansa riferisce che da un sondaggio operato in Francia su un pubblico internazionale, risulterebbe che il maschio italiano detiene ancora il primato mondiale della seduzione. Speriamo che i giornali non riportino la notizia: gl'italiani sarebbero capaci di crederci. (15 marzo 1987) *Per la prima volta nella storia della Corte Costituzionale, il nuovo presidente, Francesco Saja, è stato eletto al primo scrutinio. Ma il rivale sconfitto, Ferrari, ha sollevato eccezione accusando il vincitore di averlo battuto grazie a un «compromesso storico» fra elettori democristiani e comunisti, aggravato da un intrallazzo fra siciliani. Vero o falso, dalla Corte al cortile. (5 giugno 1987) *Ieri tutti i telegiornali ci hanno martellato negli occhi le immagini dei capibastone – Craxi, De Mita, Spadolini, Altissimo ecc. – che infilavano la scheda nell'urna. I loro volti raggiavano di soddisfazione. Erano gli unici elettori matematicamente sicuri di aver dato il voto al candidato ideale. (15 giugno 1987) *In una scuola di Chattanooga, nel Tennesse (Usa), due sedicenni, approfittando dell'assenza dell'insegnante, si sono baciati e hanno fatto l'amore davanti a una decina di compagni, niente affatto scandalizzati. Dato il lassismo di certe scuole americane, gli esami in cui gli studenti riescono meglio sono proprio queste prove orali. (4 giugno 1988) *Diciannove persone hanno dichiarato d'aver visto aggirarsi, tra le quinte della Scala, il fantasma di [[Maria Callas]]. Non ci meravigliamo, anche perché migliaia di altri frequentatori del massimo teatro lirico italiano sostengono da tempo di vedere, alla Scala, il fantasma della Scala. (28 giugno 1988) *Scoprendo le istituzioni britanniche con un secolo e mezzo di ritardo, i comunisti sembrano fermamente intenzionati a formare il loro «shadow Cabinet». Ma onestamente non ne afferriamo la ragione. Non c'è nessun bisogno di un governo ombra per contrastare quest'ombra di governo. (5 maggio 1989) *Da un sondaggio condotto tra i francesi risulta che il personaggio più noto d'Oltralpe è [[Marcello Mastroianni]], conosciuto dall'83 per cento degli intervistati. Il 97 per cento dei francesi invece confessa di non sapere chi sia [[Ciriaco de Mita|Ciriaco De Mita]]. Quando si dice un Paese fortunato... (20 maggio 1989) *Gerardo Iglesias, che fu segretario generale del partito comunista spagnolo dall'82 all'88, ha lasciato l'attività politica per riprendere il suo lavoro di minatore di carbone, «l'unico modo in cui posso guadagnarmi degnamente la vita». Alcuni dirigenti del Pci, a quanto risulta, vorrebbero imitarne l'esempio, tornando al vecchio lavoro. Il difficile è trovare chi ne aveva uno. (1º giugno 1990) *Durante la festosa «notte del mondiale», la polizia romana ha arrestato, nelle vicinanze dello stadio olimpico, 29 borsaioli e scippatori. Il signor [[Edgardo Codesal Méndez|Codesal Mendez]], arbitro della partita [[Nazionale di calcio della Germania|Germania]]-[[Nazionale di calcio dell'Argentina|Argentina]], non figura nell'elenco. (10 luglio 1990) *Il giudice veneziano Casson ha convocato, per la storia del Gladio, il presidente [[Francesco Cossiga|Cossiga]], e l'Italia leguleia è in subbuglio: la Costituzione, pure, si è dimenticata di precisare se il Capo di Stato può essere chiamato a rispondere, sia pure da testimone, a un qualunque magistrato. Il quale però ha ora la fotografia su tutti i giornali. E tutti possono ammirarla chiedendosi che cosa passa in quella testa, la testa di Casson. (10 novembre 1990) *Gli studenti italiani manifestano rumorosamente per la [[pace e guerra|pace]] e contro la [[pace e guerra|guerra]]. La guerra, diceva [[Georges Clemenceau|Clemenceau]], è una cosa troppo seria per lasciarla fare ai militari. Ma anche la pace è una cosa troppo seria per lasciarla fare ai pacifisti. (20 gennaio 1991) *Occupandosi – tra tanto Golfo – del Festival di Sanremo il Tg3 ci ha dato, finalmente, ieri sera, una notizia credibile: il livello delle canzoni, ha detto, è destinato a salire. Infatti: sentite le prime è impossibile che scenda. (1º marzo 1991) *Da un'indagine risulta che il 41,9% degli italiani non considera illecito l'assenteismo dal lavoro e che il 41,3% non considera peccato le infedeltà coniugali. La coincidenza delle due cifre spiega in che modo gli statali impiegano il tempo che dovrebbero dedicare all'ufficio. (3 ottobre 1991) *A quest'ora [[Ernesto Balducci|Padre Balducci]] è di fronte al Supremo Giudice, nel quale affermava di credere. Almeno a Lui dovrà spiegare non ciò che diceva contro la Chiesa, ma perché lo diceva travestito da frate. (26 aprile 1992) *Nell'ultima tornata presidenziale è emerso, con un bel pacchetto di 20 voti, Aldo Aniasi. Finalmente. In questo imperversare di tangenti e bustarelle, era ora che qualcuno si ricordasse di lui. (24 maggio 1992) *Per sfatare le malevole dicerie su certe bestie, il presidente degli «animalisti» italiani ha offerto un premio di 200 milioni a chi potrà dimostrare che i corvi scrivono lettere anonime e che le talpe fanno le spie. È vero: di simili casi non ne conosciamo. Ma di somari che fanno i presidenti, ne conosciamo parecchi. (5 luglio 1992) *Dopo le invettive e i clamori da cui il presidente del consiglio [[Giuliano Amato|Amato]] è stato accolto in Senato per la sua insensibilità alla crisi morale che investe il Paese, il dibattito sulla medesima si è svolto, a Montecitorio, in un'aula deserta. Sì, una crisi morale, per la nostra classe politica esiste: lo dimostra il vuoto in cui l'ha lasciata cadere. (14 marzo 1993) *«I socialisti – ha detto l'ex ministro della Difesa Salvo Andò – devono andare tutti nudi verso la meta di un nuovo sistema politico». Come faranno senza le tasche? (24 maggio 1993) *Il candidato del Psi per le elezioni a sindaco di Roma sarà Niccolò Amato. Assennata scelta. Ex direttore delle carceri, Amato è certamente il più qualificato a rappresentare quel partito. (23 settembre 1993) *Giovedì sera annuncio a sorpresa di [[Emilio Fede]] nel suo Tg4: «Adesso – ha detto – voglio parlarvi di informazione». C'è sempre una prima volta. (8 gennaio 1994) *Secondo un sondaggio della Diacron (gruppo Fininvest), l'82 per cento dei lettori del «Giornale» sarebbe schierato con Berlusconi. Vero. Almeno com'è vero che Berlusconi diventerà presidente del Consiglio. (12 gennaio 1994) ====''La parola ai lettori – rubrica''==== *I tennisti italiani hanno disputato la finalissima di Coppa Davis a Praga, e nessuno ha battuto ciglio. Le squadre di calcio italiane frequentano gli stadi dell'Est, a cominciare da quelli russi, e i puristi della democrazia non ci trovano nulla a ridire. Ma per l'[[Uruguay]] – che con i suoi tre milioni di abitanti e la sua posizione geografica non mi pare possa essere considerato una minaccia troppo grave alla libertà dei Paesi democratici – c'è puntuale la protesta. Come se l'Uruguay potesse invadere, espandersi, insidiare, inviare – direttamente o indirettamente – eserciti di mercenari in mezzo mondo, e l'[[Unione Sovietica]] no. Possiamo capire gli intransigenti della democrazia: ma possiamo soltanto disprezzare i farisei che hanno l'indignazione dimezzata. Si calmino Bruno Conti e Pruzzo. Né l'Uruguay, né il suo regime, meritano tante ansie e tanta ostilità. Mosca è più vicina – lo sanno bene i polacchi – e Kabul anche. (31 dicembre 1980) *Non abbiamo mai «coperto», come si usa dire, questo nostro socio (che ha il 37, non il 36% del Giornale), anche perché non vediamo da cosa dovremmo coprirlo. [[Silvio Berlusconi|Berlusconi]] non è né un politico né un gerarca civile o militare, e non svolge nessuna pubblica funzione incompatibile con l'appartenenza alla massoneria. È un privato imprenditore e cittadino che quando fa una balordaggine (e l'iscrizione alla P2 lo è) la fa a proprio rischio e pericolo. Come lei avrà visto, il suo coinvolgimento nella P2 non ci ha impedito di dire, di Gelli e della sua banda, tutto il male che ne pensiamo. (31 maggio 1981) *In tutti questi anni che è stato con noi, {{NDR|Silvio Berlusconi}} si è sempre comportato nella maniera più signorile, ed anche in questa circostanza ci ha dato le più ampie garanzie. (14 aprile 1987) *Nel panorama sudamericano il [[Cile]] è oggi uno di quei paesi economicamente più solidi e con maggior progresso, tanto da meritare gli elogi del Fondo monetario internazionale. Ma la postilla impone a sua volta una precisazione. È più facile fare il risanamento economico monetario in Cile, dove i sindacati sono inesistenti o impotenti, che non in [[Argentina]], dove il sindacato incalza il governo e pretende aumenti salariali il cui ritmo sia adeguato al ritmo dell'inflazione. [...] Pinochet è quello che è. Il suo plebiscito per la Costituzione del 1980 fu indetto in circostanze che gli tolgono ogni valore. E gli inizi del regime militare furono sanguinari. Però il Cile di oggi ha un livello di libertà e di dialettica politica – nonostante Pinochet – che tanti paesi del Terzo mondo vezzeggiati dai nostri democratici dovrebbero invidiargli. Come ha osservato un lettore, né l'Etiopia né lo Zaire né la Siria, né il Nicaragua avrebbero tollerato corrispondenze come quelle che gli inviati della Rai diffondono, in diretta dal Cile. (16 aprile 1987) *Mai le nostre prese di posizione su problemi e personaggi sono state non dico condizionate, ma influenzate dalle personali amicizie o preferenze di Berlusconi. Per la verità, l'editore chiese una volta a titolo di favore, un «occhio di riguardo» per la sua creatura prediletta. Non la televisione, come i lettori saranno stati forse indotti a pensare, ma il [[Associazione Calcio Milan|Milan]]. Sottoposi questa sommessa istanza alla redazione sportiva. La risposta fu una lettera collettiva di dimissioni. Caso chiuso. Da allora rinuncio a leggere le cronache delle partite del Milan, per non dovermi dispiacere del dispiacere che ne prova probabilmente Berlusconi. (17 aprile 1988) *Come già ho scritto, e qui mi piace ripetere, la designazione di [[Francesco Cossiga|Cossiga]] al Quirinale fu la scelta dell'uomo giusto al posto sbagliato. Sappiamo benissimo chi la volle. Ma sappiamo altrettanto bene che fu avallata anche da quegli uomini e partiti che ora si scagliano contro di lui e lo accusano, apertamente o copertamente, di fellonia. La classe politica, nella quale egli ha militato da sempre e che quindi da sempre lo conosceva, doveva sapere che l'onesto (perché tale è) Cossiga non era uomo da Quirinale. Eppure, per i suoi sporchi giochi di potere, ce lo mandò. Ora dovrebbe sentire il dovere di difenderlo dagli sciacalli che lo attaccano da tutte le parti. (22 dicembre 1990) ===''La Stampa''=== <!--ordine cronologico--> *Intorno alle «cattedrali nel deserto» impiantatevi dalla cosiddetta mano pubblica, [...] o trasferitevi dal Nord con l'adescamento degli «incentivi», e sotto la nuvolaglia di fumo che sgorga dalle loro ciminiere, si gonfiano alla carlona e selvaggiamente dirompono, senza nessun criterio urbanistico, senza piano regolatore, senza servizi, spesso anche senza acquedotto e senza fogna, degli agglomerati urbani che solo per il numero degli abitanti si possono chiamare città. [...] È nata soltanto, insieme a una forsennata speculazione edilizia che per sfruttare all'osso l'area fabbricabile accumula con cattivo cemento un piano sull'altro finché crollano sulla testa degl'inquilini, la sorda rabbia contro la città di un contadiname analfabeta che se n'è visto succhiare la linfa vitale, e quando vi cala, lo fa da nemico e vandalo. Questo è il panorama del Mezzogiorno dopo vent'anni e più di Cassa, che hanno raschiato dalle tasche dei contribuenti migliaia di miliardi. (da ''[http://www.archiviolastampa.it/component/option,com_lastampa/task,search/mod,libera/action,viewer/Itemid,3/page,3/articleid,1118_01_1973_0272_0003_16218908/ La protesta contadina]'', 18 novembre 1973, p. 3) *La politica meridionalistica è tutta dominata da questo sottofondo psicologico. Essa vuole l'industrializzazione di Stato non soltanto perché [...] l'industrializzazione può essere fatta soltanto dallo Stato o da imprese al servizio dello Stato; ma anche perché più queste imprese si sviluppano, e più si riduce il margine di quell'imprenditoria privata che i meridionali, non riuscendo a emularla, mirano a ostacolare e ridurre, sottraendole il pubblico risparmio. Con l'agricoltura non avrebbero potuto perseguire questi scopi punitivi. L'unica arma per mortificare e battere l'industria privata è l'industria statale o parastatale. Questa, intendiamoci, esisteva digià: è un portato dei tempi moderni. Ma non c'è dubbio che la politica meridionalistica, come la si è praticata finora e tutto lascia credere che si seguiterà a praticarla, le ha offerto un'ideale occasione. (da ''[http://www.archiviolastampa.it/component/option,com_lastampa/task,search/mod,libera/action,viewer/Itemid,3/page,3/articleid,1118_01_1973_0284_0003_16222766/ Industrie "in colonia"]'', 2 dicembre 1973, p. 3) *Lo Stato, con [[Venezia]], ha contratto un solo impegno: di destinare al suo risanamento 300 miliardi di lire in cinque anni. Di dove li prenda, non ha nessun interesse. Può darsi che una parte li attinga proprio a quel prestito. Ma non vi è tenuto, né si vede perché dovrebbe esserlo. Ciò che da esso si può e si deve esigere è che eroghi effettivamente quei 300 miliardi alle scadenze per le quali si è impegnato: 25 miliardi per il '73, 60 nel '74, 90 nel '75, e su su fino alla chiusura dei conti nel '77. Due sole cose restano da dire. Primo. All'origine dell'equivoco c'è di certo quello che i francesi chiamano l'''esprit mal tourné'', cioè la diffidenza degl'italiani nei confronti dello Stato. Ma all'origine di questa diffidenza c'è altrettanto certamente l'incapacità o la renitenza dei nostri governanti a spiegare [...] ciò che fanno. Secondo. I soldi [...] stavolta ci sono. E diamo pure per scontato che saranno erogati con puntualità. Ma dove sono gli strumenti per spenderli, specie quelli affidati in gestione a degli Enti locali, che fin qui non sono stati capaci di dragare un canale né di riparare la spalletta d'un ponte? Non vorremmo che anche tutti questi miliardi andassero ad alimentare l'immenso deposito di «residui passivi», cioè di somme stanziate ma non impiegate, che già affligge il nostro Paese. Non lo vorremmo. Ma lo temiamo. (da ''[http://www.archiviolastampa.it/component/option,com_lastampa/task,search/mod,libera/action,viewer/Itemid,3/page,1/articleid,1111_01_1974_0009_0001_21345708/ Venezia, molti miliardi e lo Stato]'', 11 gennaio 1974, p. 1) *E ora addio, caro lettore, e grazie dell’ospitalità. Ti confesso che, entrando in casa tua, ero molto imbarazzato. Ma mi bastò poco per accorgermi che di questo imbarazzo voi soffrite quasi quanto coloro a cui lo incutete. Esentàtemi da una dichiarazione di amore perché a gente come voi è difficile farne. Ma in questo pudore mi sento vostro pari e vostro complice. Avrò un giornale a Milano e, e cercherò di farlo molto bello, bellissimo. Ma anche se ci sarò riuscito, seguiterò a rimpiangere il vostro. Mi dicevano che ci avrei sofferto il freddo. Ci ho trovato, sotto una coltre di silenzio, il caldo. (da ''[http://www.archiviolastampa.it/component/option,com_lastampa/task,search/mod,libera/action,viewer/Itemid,3/page,3/articleid,1112_01_1974_0087_0003_16390798/ Congedo dal Piemonte]'', 21 aprile 1974, p. 3) {{Int|''[http://www.archiviolastampa.it/component/option,com_lastampa/task,search/mod,libera/action,viewer/Itemid,3/page,9/articleid,1118_01_1973_0284_0009_16222725/ Chi era il vecchio leone del deserto]''|Articolo su ''La Stampa'', 2 dicembre 1973.|h=4}} *Senza Ben Gurion, non so se Israele sarebbe stato migliore o peggiore di quel che è. Certo, sarebbe stato diverso. Il titolo di «Padre della Patria» non può contestarglielo nessuno. [...] Egli stesso mi raccontò lo sgomento da cui fu còlto quando, non ancora ventenne, sbarcò a Giaffa dopo un lungo periplo a bordo d'un cargo. A procurarglielo non furono i funzionari turchi che allora governavano il Paese, e nemmeno gli arabi che formavano il grosso della popolazione; ma gli ebrei, quasi tutti latifondisti e mercanti perfettamente inseriti nel «sistema» e unicamente intesi ai propri affari. Erano dunque quelli i depositari della Terra Promessa, che non sapevano neanche l'ebraico, o comunque si rifiutavano di parlarlo? Forse ne sarebbe fuggito, se nell'interno non avesse scoperto alcune isolate fattorie collettive, dove i nuovi immigrati lavoravano la terra con le proprie mani e di notte montavano la guardia, uomini e donne, per difendere le loro vite e i loro raccolti dalle razzie degli arabi. *Comprese subito che solo redimendo la terra col loro lavoro manuale e contrapponendo al latifondismo arabo la fattoria collettiva, gli ebrei potevano legittimare la riconquista dei loro antico «focolare». Militarmente, egli non attaccò mai gli arabi. Aspettò che il loro sistema si disgregasse da sé, e ci volle poco. Battuti sul mercato dai prodotti del ''kibbutz'', i latifondisti arabi vendettero i loro feudi al «Fondo Nazionale Ebraico» per andare a sperperare l'incasso nei ''Casinos'' di Beirut e della Costa Azzurra, e i braccianti rimasero senza lavoro perché i nuovi padroni usavano le braccia proprie. Il conflitto è tutto qui: nell'impossibilità di coabitazione di una scalcagnata economia feudale con un'efficientissima economia socialista. I motivi religiosi e razziali li ha aggiunti la propaganda. *Come tutti i veri politici, Ben Gurion era un pragmatista, cioè un uomo che attingeva le idee dalla pratica delle «cose», non viceversa. E l'esperienza fatta nella lotta per la manodopera ebraica lo aveva persuaso che con gli arabi non c'era [...] possibilità di compromesso. Uno Stato palestinese misto di arabi e di ebrei, lo considerò sempre una chimera per il semplice motivo che in poche generazioni, col loro potenziale demografico quattro volte superiore, gli arabi avrebbero mangiato gli ebrei. [...] Già nella guerra del '48 egli avrebbe potuto annettersi la Cisgiordania: ci rinunziò per non mettersi in corpo seicentomila arabi. L'anno dopo rifiutò per lo stesso motivo la cosiddetta «striscia di Ghaza» che il suo brillante generale Allon aveva sforbiciato dall'Egitto. E dopo la guerra dei sei giorni, sebbene ormai lontano dal potere, non ha fatto che ammonire contro una politica di annessioni territoriali disgiunta da un adeguato incremento di popolazione ebraica. Non ha mai dialogato che con l'Occidente. Con gli arabi, non ha seguito che una diplomazia: quella dei confini. *Le nuove esigenze della produzione e della guerra imponevano un altro «rovesciamento della piramide»: il miracolo della guerra dei sei giorni fu dovuto a un esercito di tecnici altamente specializzati, in cui anche il semplice aviere era un ingegnere. Il posto del ''kibbutz'' [...] veniva preso dall'Università che riconvertiva il contadino in professore. Ben Gurion non poteva interpretare questo nuovo corso. Era troppo vecchio e legato all'altro. Ma non lo comprese, non poteva comprenderlo, per conservare il potere ricorse a tutte le armi del suo repertorio, anche le meno regolamentari, giunse a rinnegare e a rompere il proprio ribelle partito. E neppure a battaglia persa si rassegnò. Dal fondo del suo rifugio alle soglie del deserto ha continuato tutti questi anni ad alluvionare di ammonimenti, maledizioni, anatemi i suoi vecchi amici trattandoli da nemici. [...] Quello che si chiude con Ben Gurion è il capitolo del pionierismo: il più eroico e glorioso, quello destinato, via via che si allontanerà nel tempo, ad essere ricordato dagl'israeliani con sempre più struggente nostalgia. {{Int|''[http://www.archiviolastampa.it/component/option,com_lastampa/task,search/mod,libera/action,viewer/Itemid,3/page,3/articleid,1112_01_1974_0081_0003_16388814/ La strada lunga di Golda]''|Articolo su ''La Stampa'', 14 aprile 1974.|h=4}} *{{NDR|[[Golda Meir]]}} Aveva poco più di vent'anni quando approdò in Israele, frammista ai «padri pellegrini» della «seconda ondata» che subito dopo la [[prima guerra mondiale]] vennero a riprendere possesso della loro antica terra con la ferma intenzione non d'insabbiarcisi com'era successo ai loro predecessori della fine dell'Ottocento, ma di riscattarla e di farne il «focolare» degli ebrei. Tutta la sua visione politica [...] era condizionata da questa esperienza di oltre mezzo secolo di sacrifici e di lotte. [...] Oggi molti in Israele si domandano se a questi pionieri non restava davvero altra strada che quella dell'urto frontale con la popolazione araba della Palestina. Ma questi dubbi sono un lusso ch'essi si possono concedere solo perché i loro babbi e nonni non ne ebbero. Costoro fecero quello che fecero perché non potevano far altro. Ciò che rendeva impossibile la coabitazione fra le due popolazioni non era la incompatibilità razziale e religiosa, ma quella economica e sociale. Il latifondo sceiccale non poteva convivere col ''kibbutz'' socialista. È qui l'origine di un conflitto che nessuna diplomazia poteva sanare. Una pace fra israeliani e arabi è possibile; una simbiosi, no. Ancor oggi chi parla di «Stato misto» si gingilla con le astrazioni. *Fu lei che [...] raggiunse travestita da cammelliere l'emiro Abdullah di Giordania [...] e da nemico se lo fece amico, o almeno neutrale. Non sono mai riuscito ad appurare se [[David Ben Gurion|Ben Gurion]] ebbe una parte, e quale, in questo «giallo» fra il diplomatico e lo spionistico. Ma molte cose m'inducono a credere che a programmarlo fu proprio lei, Golda, anch'essa ben decisa a innalzare, fra arabi ed ebrei, una cortina di ferro, ma con qualche porta che consentisse all'occorrenza il dialogo. [...] I due furono amici e compari per decenni. [...] Probabilmente anche al tempo in cui facevano coppia nel partito e nel governo si parlavano tra loro in quel linguaggio da fureria. Quanto a imperiosità e autoritarismo, si valevano. [...] Con la sua voce arrugginita dalle sigarette [...] diceva piattamente e banalmente delle cose piatte e banali, solo ravvivate da qualche squarcio d'un umorismo massiccio come una scarpa di soldato; ma senza mai togliere di dosso all'interlocutore il suo vigile sguardo cilestrino alla fiamma ossidrica. E da quella specie di sporta per la spesa che, adibita a borsa, essa tiene al braccio anche nei ricevimenti ufficiali, ci si aspettava sempre di veder saltar fuori, oltre a qualche mazzo d'agli e di cipolle, una pistola o una fiala di veleno. *Non c'è dubbio che sapeva odiare e che anche quando amava lo faceva da mantide, soffocando e stritolando. Ma Israele non troverà mai più una madre come lei, che sapeva anche fargli da padre. Nella sua tenacia, nel suo coraggio, nella sua volontà d'acciaio, essa riassumeva la storia di questo piccolo grande Paese. Lo ha dimostrato col suo ritiro. Quando si è trattato di pagare, essa si è offerta in sacrificio pur sapendo che per lei la rinunzia al potere è la rinunzia alla vita. «''Sono giunta al termine della mia strada''», ha detto. Ma che strada! Nessuno ne ha mai percorsa una più ripida e accidentata, più paurosamente librata tra abissi e strapiombi. Sono sicuro che Golda non si volterà indietro a guardarla, e non ce ne dirà nulla. Come tutti i grandi costruttori, essa sa soltanto costruire. Il resto, per lei, è silenzio. ===''la Voce''=== <!--ordine cronologico--> *Uscendo dal ''Giornale'', io feci a me stesso, ma pubblicamente, un giuramento: «Mai più un padrone». Qui padroni non ce ne sono. La proprietà è ripartita fra alcune centinaia di azionisti, di cui nessuno può, per statuto detenere più del 4 per cento. Fra di essi, e per primi, ci siamo stati tutti noi: redattori, impiegati, fattorini, autisti. [...] Per questa sua pulviscolarità, il nostro azionariato è stato definito, nei quartieri alti della Finanza, «straccione». La qualifica non ci dispiace: coi tempi che corrono, meglio stare tra gli stracci che tra le tangenti. (22 marzo 1994) *Di insurrezione generale non c'era bisogno, il 25 aprile, perché il Terzo Reich non esisteva più. Se l'insurrezione generale fosse avvenuta avrebbe dovuto avere come primo obiettivo, a Milano, il quartier generale delle SS all'Hotel Regina. Le SS furono invece lasciate del tutto tranquille, mentre si provvedeva a trascinare in piazzale Loreto, per la fucilazione Achille Starace [...]. Non sono contro la Resistenza, anzi: sono contro la retorica, inguaribile vizio italiano. Proprio questa retorica ha fatto sì che un sindaco democristiano di Roma, in un manifesto dedicato anni or sono alla liberazione della città non accennasse nemmeno con una parola agli Alleati. Ed ha fatto sì che in quest'ultimo 25 aprile si sia parlato ai giovani che affollavano piazza del Duomo a Milano o che stavano davanti ai televisori, ingannandoli – ossia raccontando loro che i tedeschi erano stati sconfitti dai partigiani, e che da questi l'Italia era stata liberata. Se questa è la «memoria storica» evocata da tanti commentatori, stiamo freschi. (28 aprile 1994) *Intorno a Berlusconi vedo agitarsi una falange di Starace, convinti non meno di Achille che il padrone (e con lui, si capisce, la carriera) si serve sbattendo i talloni e gridando: «Forza, Italia!». Di tutto questo, intendiamoci, Berlusconi non può essere tenuto responsabile. Gli Starace – a differenza di Mussolini che si scelse il suo vedendolo com'era – gli sono germinati e gli pullulano intorno d'irresistibile forza propria cercando di sopraffarsi in una gara di servilismo, che trova soprattutto nel video la propria arena. E per ora la gente pensa: «Povero Cavaliere, da chi è circondato». Ma prima o poi – forse più prima che poi – comincerà a dire anche di lui: «Vedi un po' di chi si circonda». (18 giugno 1994) *Dobbiamo prepararci a presentare le nostre scuse a [[Emilio Fede]]. L'abbiamo sempre dipinto come un leccapiedi, anzi come l'archetipo di questa giullaresca fauna, con l'aggravante del gaudio. Spesso i [[leccapiedi]], dopo aver leccato, e quando il padrone non li vede, fanno la faccia schifata e diventano malmostosi. Fede no. Assolta la bisogna, ne sorride e se ne estasia, da oco giulivo. Ma temo che di qui a un po' dovremo ricrederci sul suo conto, rimpiangere i suoi interventi e additarli a modello di obiettività. (26 novembre 1994) *Il presidente della Repubblica non può contrattare. Ma deve trovare qualcuno che abbia l'autorità morale di farlo. Un ''kamikaze''. E di ''kamikaze'' ne vediamo uno solo che, non avendo veste politica, né alcuna ambizione di indossarla, può anche affrontare una simile responsabilità: [[Antonio Di Pietro|Di Pietro]]. Ma temiamo che l'idea sia soltanto nostra. [...] Una delle pochissime cose che nella presente situazione ci confortano è di vedere in Quirinale un difensore delle Regole come [[Oscar Luigi Scalfaro|lui]]. Vorremmo solo sommessamente avvertirlo che l'Italia che noi conosciamo somiglia poco all'immagine angelica ch'egli ce ne ha fornito la sera di Capodanno, e che anche quando vi avremo messo a posto tutte le Regole, ne mancherà sempre una: quella che dall'interno della sua coscienza fa obbligo ad ogni cittadino di regolarsi secondo le regole. (3 gennaio 1995) *Noi volevamo fare, da uomini di [[Destra]], il quotidiano di una Destra veramente liberale, ancorata ai suoi storici valori: lo spirito di servizio (quello vero, taciuto e praticato), il senso dello Stato, il rigoroso codice di comportamento che furono appannaggio dei suoi rari campioni da Giolitti a Einaudi a De Gasperi. Insomma, l'organo di una Destra che oggi si sente oltraggiata dall'abuso che ne fanno gli attuali contraffattori. Questa Destra fedele a se stessa in Italia c'è. Ma è un'élite troppo esigua per nutrire un quotidiano. (12 aprile 1995) {{Int|''Il realista inviso agli snob''|Articolo su ''la Voce'', 24 aprile 1994.|h=4}} *Fino ad una decina di anni orsono, la maggioranza degli americani erano convinti che, se [[Richard Nixon|Nixon]] fosse rimasto nella Storia del loro Paese – cosa che al loro orecchio suonava come un obbrobrio – vi sarebbe rimasto solo per il [[Scandalo Watergate|Watergate]], cioè appunto per l'obbrobrio. Negli ultimi tempi tutto si è rovesciato: l'obbrobrio non è stato più il Watergate, ma la campagna scandalistica che lo aveva provocato. Gli stessi protagonisti che l'avevano montata – [[Bob Woodward]] e [[Carl Bernstein]] del ''Washington Post'' – ne riconobbero le forzature e fecero atto di contrizione. Non avevano inventato nulla, ma avevano deformato tutto. [...] La sorte è stata, tutto sommato, clemente con Nixon dandogli il tempo di vedere questo capovolgimento. *Ultimamente era ricevuto, ed anzi continuamente sollecitato alla Casa Bianca, dove lo si accoglieva come lo ''Elder Statesman'', lo statista anziano da consultare come un vecchio saggio sui problemi difficili. Fu a lui che [[George H. W. Bush|Bush]] si rivolse per riallacciare un dialogo con Pechino dopo la rottura seguita al fattaccio di Tienanmen. E lui a Pechino lo riallacciò: i cinesi non avevano dimenticato che quel dialogo erano stati Nixon e [[Henry Kissinger|Kissinger]] ad aprirlo, quando l'America aveva deciso di chiudere l'avventura del Vietnam in cui [[John Fitzgerald Kennedy|Kennedy]] e [[Lyndon B. Johnson|Johnson]] l'avevano malaccortamente cacciata. Ma anche [[Bill Clinton|Clinton]] è ricorso alla sua esperienza per capire cosa succedeva in Russia e trarne qualche insegnamento. Nixon andò a Mosca, e ne tornò con cattivi presagi sulla sorte di [[Boris Nikolaevič El'cin|Eltsin]] che i successivi avvenimenti hanno confermato. *Non era un uomo «simpatico», e soprattutto non aveva nulla che potesse sedurre l'America dei salotti e della ''intellighenzia'', che gli uomini politici li misurano a modo loro, mai quello giusto. Scambiarono per un grande intellettuale Kennedy, che in vita sua aveva visto migliaia di film, ma mai letto un libro. E prendevano Nixon, che di libri ne ha letti ed ha continuato a leggerne (ed a scriverne, niente male), fino all'ultimo giorno per una specie di Bossi californiano, rozzo e triviale. [...] Ma forse quello che più infastidiva gli americani era la renitenza di Nixon ad appelli e richiami tanto più sonori quanto più vacui, come «la nuova frontiera» e simili. Nixon era un professionista della politica, uno dei pochissimi che l'America abbia mandato alla Casa Bianca. Non andava per sogni e per versetti del Vangelo. Conosceva il suo [[Otto von Bismarck|Bismarck]], il suo [[Benjamin Disraeli|Disraeli]], e credo anche il suo [[Niccolò Machiavelli|Machiavelli]] che in America basta nominarli per finire scomunicati. Per questo lo consideravano un mestierante, e per questo si era scelto come consigliere un altro mestierante, l'ebreo tedesco Kissinger. Furono questi due uomini che ridiedero all'America la ''leadership'' nella politica estera coinvolgendo nel gioco la Cina e scavandone il solco da Mosca. I successori di Nixon, e specialmente [[Ronald Reagan|Reagan]], vissero in gran parte di questa eredità. ===''Oggi''=== <!--ordine cronologico--> *Mi confermo in due mie vecchie opinioni. Il guaio del socialismo è il socialismo, cioè sta proprio nel suo sistema statalistico. Il guaio del capitalismo sono i capitalisti che, quasi sempre bravissimi all'interno della loro azienda, fuori di lì sono spesso degli ottusi e noiosi imbecilli, e talvolta anche peggio.<ref>Citato in ''Dizionario delle citazioni'', a cura di Italo Sordi, BUR, 1992. ISBN 88-17-14603-X</ref> (n. 22, 1983) *{{NDR|Sull'offerta di [[Massimo D'Alema]] a concedere, come «atto dovuto», i funerali di Stato a [[Bettino Craxi]]}} "Atto dovuto"? Ma dovuto a chi? Anche a un latitante: quale, dal punto di vista legale, era Craxi? Concedere i funerali di Stato a un latitante significa sconfessare la Giustizia che lo ha condannato. [...] Ma può lo Stato sconfessare la propria Giustizia senza sconfessare se stesso? Mi sembra di vivere in un Paese che di senso dello Stato ne ha meno di una tribù del Ghana.<ref>Citato in ''La morte incute rispetto, ma su Craxi non cambio idea''-</ref> (2 febbraio 2000) *La [[democrazia]] è sempre, per sua natura e costituzione, il trionfo della mediocrità. (11 ottobre 2000) ==''Caro direttore''== ===[[Incipit]]=== Mettersi nel '74 contro il vento che soffiava tutto nella direzione del «compromesso storico» con la codarda quiescenza di gran parte della borghesia e di quasi tutti gli intellettuali; scoprire (oggi sembra acqua calda, ma allora era un'eresia) che, oltre al terrorismo di destra, ce n'era uno, molto più violento e pericoloso, di sinistra, figlio – sia pure degenere e ripudiato – del Pci, un partito che raggiungeva il 36 per cento dei voti e che condizionava pesantemente scuola, magistratura, cultura, mezzi di comunicazione; schierarsi dalla parte dell'ordine contro l'eversione; istruire il processo contro il sinistrume, effettivo e di complemento, che mortificava l'iniziativa privata e l'economia di mercato con tutti i valori che vi sono connessi; battersi contro il bugiardo e demagogico giustizialismo populista per il ripristino della meritocrazia nel campo del lavoro e degli studi; denunziare il grande pericolo che circondava il sistema: la partitocrazia; tutto questo sembrava follia, e forse lo era. Ma di questa follia noi siamo fieri. ===Citazioni=== *In Francia c'è molta gente che tuttora si domanda se De Gaulle era proprio De Gaulle, o un matto che si credeva De Gaulle. Ebbene, io nutro per La Malfa lo stesso dubbio. Ed è appunto perché nutro questo dubbio che voto La Malfa. (p. 12) *Il capitalismo vero, che permise alla borghesia di liquidare il Medio Evo e di sostituire, a quella feudale, basata sul parassitismo redditiero, una nuova società basata sul lavoro e sul risparmio, nacque nei Paesi protestanti. E sa perché? Perché Calvino insegnò questo ai suoi seguaci: che il denaro, essendo un segno della Grazia Divina non si poteva scialacquarlo. Chi lo aveva guadagnato per un particolare favore concessogli da Dio, aveva il dovere di considerarsene soltanto il depositario, e di reimpiegarlo, cioè di reinvestirlo perché altri uomini potessero beneficiare dello stesso favore. Fu questa base morale che dette al capitalismo protestante la forza di vincere e di costruire la nuova società: la società borghese del lavoro e del risparmio al posto di quella del sangue e del blasone. (p. 25) *Lei ha ragione di essere soddisfatto. Dopo aver ricevuto una discreta istruzione nelle nostre costose scuole private potrà andare a completarla a Parigi, o a Harvard, o a Oxford, dove il figlio del suo mezzadro o del suo trombaio, magari molto più intelligente e volenteroso di lei, non potrà seguirla. Egli dovrà contentarsi dello svalutato pezzo di carta che la nostra Università rilascerà a lui come a qualsiasi analfabeta, e probabilmente, per campare, dovrà rassegnarsi a fare il mezzadro o il trombaio come suo padre. Grazie agli amici del popolo e ai campioni del proletariato. (p. 91) *L'Italia ha scelto lo sciopero, per risanarsi, e non il lavoro, i «ponti», e non il sacrificio; i comizi e le adunate, non le valutazioni responsabili che non possono venire dagli urli di una folla eccitata. La Germania federale, retta dai socialdemocratici, persegue una strada ben diversa. Ciascuno raggiunge i traguardi che si propone, e che merita. (p. 156) *Noi crediamo che in certi casi di carattere eccezionale il giornalista abbia il diritto, e qualche volta il dovere, di dire la verità, se ne è convinto, anche se non è in grado di dimostrarla. Ma a una condizione: che, non potendo o non volendo rivelare le fonti a cui l'ha attinta, se ne assuma in proprio la responsabilità con tutte le conseguenze, anche giudiziarie che ne derivano. (p. 173) *Il temuto cambio di regime non c'è stato, nonostante il tentativo dei partiti e della grande stampa fiancheggiatrice di gabellarlo come una operazione innocua e indolore. La necessità d'interpretare queste consultazioni come un referendum ci ha costretti a sostenere, con tutte le nostre forze, la Democrazia cristiana riconoscendole, però, il merito importante di non aver mai messo in pericolo le nostre libertà, anzi di averle sostenute e difese. Ora che abbiamo contribuito, non poco, a rimettere in piedi la grande malata, dobbiamo adoperarci a guarirla. (p. 193) *Ho avuto una tessera ''ad honorem'' di una federazione anarchica catalana (quella del famoso ''Campesino'') perché, durante la guerra civile spagnola, trafugai oltre frontiera un suo affiliato caduto prigioniero dei nazionalisti e condannato a morte. Ti prego di felicitarmene. Subito. Senza esitazioni. (p. 227) *Anche se aveva tutte le ragioni di sentirsi ingiustamente perseguitato e colpito nel suo onore di galantuomo, Malizia non doveva piangere, per il semplice motivo che i generali non hanno il diritto di piangere almeno in pubblico. Mai. Per nessuna ragione. Lei mi dirà che queste sono fisime da gente sorpassata. Può darsi. Ma io sono convinto che l'etica militare è fatta appunto di queste fisime. Sono stato per lunghi anni ufficiale di guerra, e credo di esserlo stato con onore – tanto da guadagnarmi alcune decorazioni –, appunto perché avevo queste fisime. (p. 261) ==''Caro lettore''== ===[[Incipit]]=== Questi volumi sono in fondo la ''summa'' del ''Giornale'', il riassunto e il breviario di un libero pensiero, cioè di un pensiero libero da qualsiasi condizionamento, che dovrebbe far riflettere gl'intellettuali. Ma noi ci crediamo poco. Ed uno dei motivi è proprio questo: che stavolta gl'intellettuali difficilmente potranno rinverdire lo slogan sotto il quale, negli anni di piombo, mascherarono la loro codardia: «Né con le brigate rosse né con lo Stato», come se lo Stato e le brigate rosse fossero sullo stesso piano e fra l'uno e le altre fosse possibile una neutralità. Pur appartenendo – almeno dal punto di vista sindacale – alla categoria, o forse proprio perché vi apparteniamo, non abbiamo molta stima degl'intellettuali, e troviamo poco meno che ridicola la loro pretesa di fare i direttori di coscienza della società. ===Citazioni=== *Lei ci accusa di eccessiva indulgenza verso i regimi sudamericani. Ma l'accusa è ingiusta. Non perdiamo occasione di dire che Pinochet è una disgrazia. Ma non possiamo fare a meno di aggiungere che questa disgrazia è nata da un'altra disgrazia di nome Allende. In Argentina, a portare al governo il generale Videla (che, glielo posso assicurare, non aveva nessuna voglia di andarci) sono stati i «montoneros» coi loro rapimenti e omicidi, dai quali più nessuno si sentiva al riparo. (p. 42) *Io lavorai al ''Borghese'', sotto vari pseudonimi, finché ci fu lui e perché c'era lui. Dal rapporto personale, quotidiano e strettissimo, esulava qualsiasi pregiudiziale ideologica. Io del resto, non ho mai capito quale ideologia avesse Longanesi. Sapevo soltanto che non era mai del gregge; e siccome nemmeno io lo sono, questo bastava a tenerci uniti. Dopo di lui il ''Borghese'' assunse una fisionomia ideologica precisa, di cui non discuto la legittimità, ma che non corrispondeva alla mia. E quindi la mia collaborazione vi sarebbe stata fuori posto. (p. 50) *Anche ai cattolici osservanti e militanti è consentito, si capisce, far politica. Ma, per amor del cielo, non la confondano con la religione invocando i «valori cristiani» mentre si mettono l'un l'altro l'arsenico nella minestra. Questo si può farlo in nome di Marx, e magari anche di Cavour. In nome di Dio, dovrebb'essere proibito. (p. 193) *Hai ragione interamente, là dove dici che chi nasce come me figlio di un professore (non di un magistrato) ha una partenza più facile di chi nasce come te, figlio di un operaio. Questo è vero. E infatti il gran problema di un regime politico serio dovrebb'essere proprio quello di ridurre al minimo le diseguaglianze al palo di partenza. Per raggiungere questo scopo, non smetterò mai di battermi. Ma nemmeno smetterò di battermi contro il tentativo di mortificare l'interesse privato fino al punto di togliere agli uomini la molla dell'iniziativa. Sono per un fisco severo. Ma voglio che colpisca gli sciali e i lussi, non gl'investimenti perché questi producono lavoro e ricchezza. Ecco il mio socialismo. (p. 202) *L'Islam ebbe una grande cultura solo quando, nella loro cavalcata conquistatrice, i suoi Califfi incontrarono la cultura greca, quella egiziana e quella ebraica. Ma questo risale a Averroè e ad Avicenna, cioè a mille anni fa pressappoco. Da allora l'atteggiamento dell'Islam verso la cultura è sempre rimasto quello del famoso Califfo che, quando gli chiesero cosa dovevano fare della grande biblioteca di Alessandria, da lui conquistata, rispose: «Se tutti quei libri dicono ciò che dice il Corano, sono inutili. Se dicono cose diverse, sono dannosi. Nell'un caso e nell'altro, meglio bruciarli». Si dirà: «Altri tempi». No, Khomeini pensa e parla come quel Califfo. L'Islam è una religione di analfabeti, in cui la cultura è monopolio degli Ulema, che sanno solo di Corano e passano la vita a indagarne i misteri (che non ci sono). Mi citi Alberoni un'opera d'arte e di pensiero islamica degli ultimi due o trecent'anni. I mussulmani colti sono quelli che escono dalle ''nostre'' università. (p. 259) *Ognuno ha il diritto ad avere una sua opinione. Ma nessuno ha quello di distorcere l'opinione degli altri. La mia era è la seguente: che, dopo l'esperienza in Ungheria, non mi sentivo d'incoraggiare i polacchi a una rivolta, in cui l'Occidente li avrebbe lasciati soli a vedersela coi carri armati sovietici, e quindi a finire sotto i loro cingoli come avvenne a Budapest nel '56. Questo non era un invito a «calar le brache». Era una messa in guardia da quelle pericolose illusioni di aiuti esterni che ebbero tanta parte nello spingere gli ungheresi a un olocausto rivelatosi poi del tutto inutile. (p. 271) *Io non sono affatto convinto dell'innocenza di Freda e Ventura (Giannettini non c'entrava niente) come non lo sono di quella di Valpreda. Ma anch'io avrei assolto per mancanza di prove. E non c'è da scandalizzarsene perché queste cose succedono in tutto il mondo. A vent'anni di distanza, la polizia americana non sa ancora con certezza chi uccise Kennedy. Solo la polizia sovietica sa sempre chi uccide per il semplice motivo che è sempre essa a farlo. Con questo, sia chiaro, non voglio dire che la nostra Giustizia funziona bene. Funziona malissimo, e qualche volta non funziona affatto. Ma che copra le stragi di Stato, i nostri intellettuali di sinistra vadano a raccontarlo agli zulù. (pp. 330-331) *Io non so se qualche omosessuale fra noi c'è. È un problema che non mi sono mai posto. Ma anche se ce ne fossero e io me ne accorgessi, non muoverei un dito contro di loro e seguiterei a stimarli per quel che valgono o a disistimarli per quel che non valgono. Tutto ciò, caro amico, la deluderà. Ma il mio stomaco, evidentemente, è soggetto a impulsi diversi da quello suo. Se c'è una cosa su cui mi rifiuto di giudicare gli uomini (e le donne) è proprio il sesso. Ho conosciuto degli omosessuali meravigliosi anche sul piano morale, e degli eterosessuali orrendi. E sono troppo geloso della privatezza mia per non rispettare quella altrui. (p. 343) ==''Dante e il suo secolo''== ===[[Incipit]]=== Uno dei tanti meriti che si suole attribuire a [[Dante Alighieri|Dante]] è quello di essere stato il primo italiano ad avere una «coscienza nazionale». Noi non vorremmo cominciare questo libro con una detrazione, ma non ci sembra che a dimostrare questa coscienza basti l'allusione che Dante fa a una entità geografica italiana, di cui egli fissava i punti terminali al Brennero e al Carnaro. E non vediamo del resto cosa aggiunga alla sua grandezza questa specie d'irredentismo avanti lettera. Se per qualcuno Dante spasimò fu, caso mai, per un Imperatore tedesco. ===Citazioni=== *[[Roma]] era stata la capitale di un impero cosmopolita, non di una Nazione. (Parte prima. Capitolo primo, p. 12) *Non è necessario essere degli adepti del "materialismo storico" per attribuire il risveglio delle inquietudini intellettuali, fra il Millecento e il Milleduecento, al progresso economico e al generale miglioramento delle condizioni i di vita. È a stomaco pieno che si comincia a pensare a qualcosa che non sia soltanto lo stomaco. (Parte prima. Capitolo terzo, p. 131) *Il [[pudore]] femminile non è mai stato altro che un incentivo alla civetteria. (Parte seconda, Capitolo quarto, p. 174) *Da consumato giurista qual era, {{NDR|[[papa Bonifacio VIII]]}} prese a rimaneggiare tutti i precedenti storici, su cui poteva basare le sue pretese di dominio universale. E trovò un valido aiuto nel canonista [[Egidio Romano|Egidio Colonna]] il quale scrisse un trattato, ''De ecclesiastica potestate'', per avvalorare queste tesi. Egli sostenne che la Chiesa era padrona e proprietaria non soltanto delle anime, ma di tutto. Era solo per bontà e condiscendenza che metteva le cose a disposizione dei fedeli, ma conservando il diritto di ritorgliele quando voleva. Quindi anche i troni appartenevano ad essa, che li lasciava ai Re solo in momentaneo appalto. Questa teoria tanto piacque a Bonifacio, che ne ricompensò l'autore con la nomina ad arcivescovo di Bourges. (Parte seconda, Capitolo nono, p. 312) *Peccato che un simile uomo {{NDR|papa Bonifacio VIII}} avesse così clamorosamente sbagliato generazione e carriera. Fosse nato cinquant'anni dopo sarebbe stato un magnifico Principe del [[Rinascimento]]: avido, crudele e gagliardo. (Parte seconda, Capitolo undicesimo, p. 372) *Dante qui {{NDR|nel ''De vulgari eloquentia''}} ha visto ciò che molti filòlogi ancora oggi non vedono. Egli difende il "volgare", cioè la lingua viva, quella parlata dal popolo, fatalmente destinata a soppiantare il latino. Ma ne vorrebbe una illustre e aulica, al di sopra di quelle "municipali", cioè dei dialetti, contro i quali si scaglia con furore. In Italia ne classifica quattordici e li detesta tutti, compreso il toscano che chiama "turpiloquio". Ma il più orrendo gli sembra il romano, "e non deve fare meraviglia dacché i romani, anche per deformità di costumi e abiti, appaiono i più fetidi di tutti". Chissà cosa direbbe, povero Dante, se tornasse fra noi e andasse al cinematografo. (Parte seconda, Capitolo quindicesimo, p. 483) ==''Gli incontri''== *[[Giovanni Porzio|Porzio]] non è alto di statura, ma diritto come un fuso nonostante i settantaquattro anni suonati e porta, sui pantaloni a righe stretti e lunghi come quelli degli antichi ufficiali in grande uniforme, una giacca nera che l'alta bottonatura fa simile a una ''redingote''. Il volto è bello, di colore olivastro, e aristocratico nella modellatura del naso e nel taglio breve dei baffi e della barbetta ancora pepe e sale. (Porzio, p. 91) *Non avevo mai visto da vicino [[Cécile Sorel]], quando essa mi apparve, per la prima volta, di lontano, sul palcoscenico allestito nella corte d'onore degli Invalides per le feste celebrative del bimillenario di Parigi. [...] Drappeggiata in una sontuosa cappa di [[Elsa Schiaparelli|Schiaparelli]] a strascico di ''lamé'' d'argento e porpora, dritta su un podio sotto la statua di [[Napoleone Bonaparte|Bonaparte]], accolse a braccia spalancate lo scrosciante omaggio, sincopato dalle salve di artiglieria, dei cinquemila spettatori ammassati nell'immenso cortile. Sorrise. Sfiorò con uno sguardo altero le teste della folla, lo alzò verso l'imperatore, ma senza implorazione né umiltà, da pari a pari. Poi, in un silenzio di tomba, prese a modulare l'ode di Bruyez: "''Vous qui êtes morts pieusement pour la patrie...''". Ed era una voce incredibilmente limpida e squillante, senza traccia di ruggine. (Cècile, pp. 226-227) *[[Saul Steinberg|Steinberg]] ha la faccia dei suoi pupazzi: una faccia malinconica, lunga e triangolare, di cavallo tirato su a paglia soltanto, senza biada, e condannato a trascinare un carretto su per un'erta interminabile, in cima alla quale non si sa cosa ci aspetta, ma certo un'altra condanna, forse più pesante del carretto. Anche i baffi ha, come i suoi pupazzi: a doppia virgola orizzontale, sebbene meno lunghi e senza le intenzioni esibizionistiche di quelli di Dalì; e anche le lenti a stanghetta traverso cui ti fissano intensamente, di sotto in su, due occhi azzurri e mortificati, di uomo che non si è reso conto di essere Saul Steinberg; o essendosene reso conto, non ci prova alcun piacere. (Steinberg, p. 289) *[[Harukichi Shimoi]] è uno di quei giapponesi che gli altri giapponesi considerano di statura piccola. Tanto piccola che [[Gabriele D'Annunzio|D'Annunzio]], per abbracciarlo, dovette curvarsi (lui!) e, dopo essergli andato incontro gridando, con le braccia alzate: "Fratello!... Fratello mio!..." lo guardò, ci ripensò e aggiunse: "Sebbene non di sangue...". (Shimoi, p. 389) *Quanti anni avrà, ora, Harukichi Shimoi? Forse cinquanta, forse centocinquanta. Come per [[Guelfo Civinini]], suo amico, anche per lui il problema dell'età non si pone. Quale che essa sia, egli la porta esattamente come deve averla portata mezzo secolo fa. Il suo corpo è stortignaccolo, ma diritto, e i suoi capelli son nerissimi. Ma il tratto che più lo caratterizza sono le sopracciglia, che madre natura gli ha piantato a mezza strada, come due ciuffi di foltissimo bosco, tra gli occhi e la chioma, in modo che, per quanto vasti i suoi occhiali, esse li sormontano e risucchiano come se fossero due monocoli. (Shimoi, pp. 389-390) *Il più favoloso e colorito personaggio del [[Brasile]] è [[Assis Chateaubriand]], proprietario di ventun giornali, diciotto stazioni radiotrasmittenti, di una flotta aerea, di alcune ''fazendas'' vaste come l'intera Sicilia, di un museo che vale venti milioni di dollari, di una Compagnia nazionale per la puericoltura, e di un'ambizione pari soltanto al suo coraggio, alla sua insolenza e alla sua spavalderia. (Chateaubriand, p. 495) *Assis {{NDR|Chateaubriand}} ha un debole per i tedeschi e per gli italiani. Come faccia a conciliare questi due amori, non si sa; ma le sue pene, durante la guerra, furono grandi, anche se irreprensibile fu la sua condotta<ref>Dal 1942, nel corso della seconda guerra mondiale, il Brasile fu in stato di guerra con Germania e Italia.</ref>. Quando però il governo comminò l'arresto a chiunque parlasse italiano, scese in lotta con i suoi giornali contro l'assurda disposizione. Scrisse che quello non era patriottismo, ma un nazionalismo di bassa lega, degno soltanto di una colonia, e che lui si vergognava d'esser brasiliano. Fece un tale baccano, che alla fine dovettero revocare il provvedimento e quello del sequestro dei beni dei nostri compatrioti. (Chateaubriand, p. 502) *Quando nacque sessantadue anni orsono, ne aveva già a dir poco settecento. Perché [[Ottone Rosai|Rosai]] veniva dritto dritto dal Medioevo, dopo aver saltato a piè pari Rinascimento ed età moderna, e nei momenti di sincerità confessava che Giotto gli pareva un "deviazionista" rispetto a Cimabue, il quale gli andava molto più a sangue. (Rosai, p. 544) *Dopo essere stato fascista della prima ora, nella seconda col fascismo {{NDR|Ottone Rosai}} s'era trovato male, e si capiva benissimo che era sempre per via delle mani. Tornato dalla guerra, lo squadrismo gli aveva consentito di menarle, come a lui piaceva, e ci aveva dato dentro senza risparmio. Forse l'unico momento felice della vita di Rosai fu quello: quando a gambe larghe di traverso alla strada aspettava, col giornale aperto davanti agli occhi in un gesto di sfida ribalda, il corteo rosso in arrivo da San Frediano, che alla vista di quelle manacce aggrappate ai bordi del foglio e pesanti come macigni, esitava. (Rosai, p. 547) *[[Paolo Monelli|Monelli]], se seguisse le proprie inclinazioni, andrebbe a letto coi polli. Ma cosa direbbe la gente, se non lo vedesse più vagabondare nei vari ritrovi frequentati dai nottambuli della città? Direbbe senza dubbio: "Comincia a invecchiare". E a questa idea Monelli balza dalla sua poltrona e si attacca al telefono per mobilitare qualche amica che lo accompagni nei suoi vagabondaggi. Giovani colleghe come Livia Serini, attrici giovanissime come Lea Massari sono state ridotte sull'orlo dell'esaurimento nervoso da queste prolungate ronde notturne senz'altro costrutto che quello di ribadire agli occhi di tutti l'intramontabilità di Monelli. Egli non le porta a spasso. Le porta all'occhiello, come gardenie. (Monelli al girarrosto, p. 592) *{{NDR|Paolo Monelli}} Fuma la pipa come Churchill il sigaro, cioè soltanto quando lo guardano. (Monelli al girarrosto, p. 593) ==''I conti con me stesso''== ===[[Incipit]]=== Una telefonata da Milano m'informa che Longanesi è morto. È stato colpito dall'infarto davanti al suo tavolo di lavoro, su cui era spiegata una mia lettera di dieci giorni fa, che cominciava così: «Caro Leo, stanotte ho sognato ch'eri morto...». (27 settembre 1957) ===Citazioni=== *Tutta la mia vita è stata contesa fra la noia di vivere insieme e la paura di vivere [[Solitudine|solo]]. (4 ottobre 1957) *Di nuovo il Polesine. Pare impossibile: durante le inondazioni, la prima cosa che viene a mancare è l'acqua. (dicembre 1957) *[[Colette Rosselli|Colette]]. Invecchia gentilmente, senza catastrofi. Ha su tutte le altre donne un vantaggio incolmabile: quello di essere stata il mio ultimo e più grande amore. Così grande che possiamo camparci di rendita, comodamente, tutti e due per il resto dei nostri giorni. (gennaio 1958) *Il destino di [[Riccardo Bacchelli|Bacchelli]] sarà l'opposto di quello del maiale: di lui, dopo morto, ci sarà da buttar via tutto. (gennaio 1958) *[[Olga Villi]]. Non è punto grata alla sua bellezza che le ha consentito di diventare principessa di Trabia. Punta solo sul talento che non ha. Ma è talmente priva di ''sense of humour'' che forse diventerà una buona attrice. (gennaio 1958) *[[Gaston Palewski|Palewski]]. L'ambasciata a Roma è per lui soltanto uno dei più importanti capitoli del libro di memorie che scriverà. (gennaio 1958) *Non è che [[Luigi Barzini (1908-1984)|Barzini]] abbia un'altissima opinione di sé. Ne ha una bassissima degli altri. (gennaio 1958) *Piccolo incidente d'auto. La nostra, per evitare un ciclista, picchia contro un muro e resta piuttosto acciaccata. [[Colette Rosselli|Colette]], che la guida, dice: «Meglio così. Dovevo farla revisionare, e non mi decidevo mai...». (gennaio 1958) *[[Razzismo]]: pensarci sempre, parlarne mai. [[Risorgimento]]: parlarne sempre, pensarci mai. (gennaio 1958) *[[Fascismo]]. Il più comico tentativo per instaurare la serietà. (gennaio 1958) *Il guaio più grosso della Repubblica è che, mentre il Re poteva essere di sangue straniero e di solito lo era, il presidente bisogna sceglierlo fra gl'italiani. (gennaio 1958) *Bacchelli lavora infaticabilmente, da sessant'anni, alla costruzione di un piedestallo su cui, alla sua morte, non sapremo cosa posare. (gennaio 1958) *A pranzo da [[Vittorio Cini]] con una ventina di altri invitati. A colazione ne aveva avuti altrettanti. E così ieri. E così avantieri. E così sempre. A ottantadue anni suonati, è fresco, roseo, insaziabilmente voglioso di intrattenere e di essere intrattenuto. A conclusione della serata, mi sfida a una gara di canto. Scegliamo come banco di prova ''Vecchia zimarra'', e stoniamo maledettamente entrambi, ma io meno di lui. I presenti mi assegnano la vittoria. Di colpo, Vittorio perde il suo buon umore. È talmente abituato a vincere, che non accetta di perdere nemmeno nel canto. (7 settembre 1966) *{{NDR|Su [[Nicola Bombacci]]}} Io l'ho conosciuto soltanto cadavere, quando penzolava accanto a quello di Mussolini, in piazza Loreto, e una folla messicana lo bersagliava bestialmente di sputi. Anni dopo, volli tentarne la riabilitazione ritracciandone la patetica vicenda, ma non riuscii a trovarne gli elementi biografici. Compaesano e compagno di scuola di Mussolini, maestro elementare e autodidatta come lui, ne era stato il grande amico quando entrambi militavano nel socialismo. Eppoi il suo nemico giurato, la bestia nera degli squadristi. Esule con la famiglia prima in Francia, poi (credo) in Russia, rimpatria col permesso del Duce, si affida alla sua generosità, per ricambiarla gli resta al fianco anche a Salò, e lo accompagna fin nell'ultimo viaggio verso la morte. (23 ottobre 1966) *Colloquio segreto con l'ex comunista [[Giulio Seniga|Seniga]] per una storia del [[PCI|Pci]] che devo scrivere con [[Roberto Gervaso|Gervaso]] per la «Domenica». Ė un uomo piuttosto affascinante, dallo sguardo chiaro, freddo e innocente: lo sguardo del fanatico. Mi ha detto che sua moglie, cresciuta in Russia dove suo padre era fuoruscito, e autrice di un interessante libro – ''I figli del partito'' –, nel partito è rimasta, non ha trovato il coraggio di uscirne, sebbene approvi e condivida la secessione del marito, con cui è sentimentalmente unitissima. Non riesco a capire questa gente. Cioè capisco soltanto che è diversa da noi non sul piano ideologico, ma su quello umano. (25 novembre 1966) *È morto [[Uguccione Ranieri di Sorbello]]. Era venuto a Roma da sua suocera. Stava benissimo. Era anzi particolarmente sereno e contento perché aveva finito un suo lavoro di ricerca storica cui attendeva da anni. A fine pranzo ha detto: «Non mi sento bene». Si è alzato, ed è crollato a terra. Stecchito. (29 maggio 1969) *{{NDR|Su Uguccione Ranieri di Sorbello}} Era un gran signore e un gran galantuomo che ha trascorso la sua vita in crociate nelle quali non aveva nulla da guadagnare. L'ultima è stata la campagna propagandista negli Usa per convincere gli americani a dare il nome [[Giovanni da Verrazzano|Da Verrazzano]] al grande ponte sull'Hudson. Nel suo perfetto inglese (lo scriveva meglio dell'italiano) inondò l'America di articoli e conferenze (parlava benissimo, con molto humor e senza enfasi oratorie) cercando i familiarizzare gli ascoltatori col nome Da Verrazzano, la cui pronuncia rappresentava per essi la difficoltà più grossa all'adozione di quel nome. Questa smania missionaria credo che l'avesse ereditata da sua madre americana. E per seguirla aveva trascurato le sue proprietà terriere. Le sue campagne erano in uno stato pietoso, la sua bella villa sul Trasimeno mezza disunta. (29 maggio 1969) *{{NDR|Su Uguccione Ranieri di Sorbello}} Era un buon scrittore, un infaticabile sommozzatore di articoli, un ricercatore attento e scrupoloso di curiosità storiche, un umanista moderno che aveva allargato i suoi orizzonti a tutta la cultura contemporanea, specie anglo-sassone: un uomo insomma che ha realizzato un centesimo di quello che poteva per via di quel suo dispersivo correre dietro a un'infinità di altri interessi. Era stato anche un autentico combattente della [[Resistenza italiana|Resistenza]]: per ben sedici volte si era fatto paracadutare dagli Alleati dietro le linee tedesche: impresa che chiunque altro si sarebbe fatto ripagare con altrettante medaglie. Lui non aveva ricevuto nemmeno una citazione, e di questi episodi non ha mai parlato. (29 maggio 1969) *Anche [[Irene Brin]] se n'è andata. Mi avevano detto che era malata di un cancro; ma era una notizia vaga e incerta, ch'essa aveva fatto di tutto per smentire. Fino in fondo ha lavorato e ha partecipato ai riti della mondanità: sfilate di moda, ricevimenti, eccetera. (1 giugno 1969) *{{NDR|Su Irene Brin}} Quando [[Giovanni Ansaldo|Ansaldo]] la scovò e cominciò a farla scrivere sul «Lavoro» di Genova, sua città natale, era soltanto Mariù Rossi: una ragazza timida e incerta, molto provinciale, figlia di un Generale e di un'ebrea austriaca. L'unica fama di cui godeva era quella, equivoca e velata sotto un nome d'accatto, che le aveva procurato [[Elio Vittorini|Vittorini]] prendendola a protagonista, con sua sorella, di un racconto: ''Le figlie del Generale'' in cui entrambe erano presentate come lesbiche. Se lo fossero veramente, non so. Il sesso è uno dei tanti capitoli misteriosi di questa donna. (1 giugno 1969) *In mano a [[Leo Longanesi|Longanesi]], che le aveva regalato anche lo pseudonimo d'Irene Brin, aveva rivelato autentiche qualità di scrittrice. I profili che pubblicò su «Omnibus» erano deliziosi. Fosse rimasta fra biografia e memorialismo, poteva diventare qualcosa di mezzo fra [[Henri de Saint-Simon|Saint-Simon]] e [[Lytton Strachey|Strachey]] con un tocco alla [[Madame de Sévigné|Sévigné]]. Altro che la [[Maria Bellonci|Bellonci]]! Era un'osservatrice attenta (sebbene non ci vedesse da qui a lì) e penetrante, nutrita di vastissime letture: la sua prosa aveva ritmo, calore, l'aggettivazione precisa, l'ironia tagliente. Ma era un cavallo che aveva bisogno del fantino. Chiuso «Omnibus» e cessata la regia di Longanesi, Irene infilò la pista sbagliata – quella della cronista mondana –, e non è più uscita. (1 giugno 1969) *Finito di scrivere il capitolo sull'[[Giulio Alberoni|Alberoni]] per ''L'Italia del Settecento''. Ho riprodotto la pagina di [[Henri de Saint-Simon|Saint-Simon]], che lo descrive mentre assiste impavido alle evacuazioni corporali di Vendôme per guadagnarsene i favori, eppoi inginocchiandosi davanti a lui gli grida estasiato: «Oh, culo d'angelo!», e glielo bacia. Come inizio di "carriera" italiana, mi sembra esemplare. Poi mi torna a mente un'osservazione di [[Jules Renard|Renard]]: «Se in un periodo c'è la parola culo, il lettore non si ricorderà che di quella dimenticando tutto il resto, anche se è sublime». Renard ha ragione. Ma io, a un culo autenticato da Saint-Simon, non rinuncio. (3 luglio 1969) *Le Soroptimists hanno dato un pranzo a [[Colette Rosselli|Colette]], in qualità di "Donna Letizia". Colette ha accettato dopo molti rifiuti. Il suo fastidio per queste cose di donne, lo so, è sincero. Ma, una volta preso l'impegno, ha trascorso la giornata a preparare il suo discorsino col puntiglio che la distingue. Non è per nulla ambiziosa, non tiene affatto a reclamizzare il proprio talento, sottovaluta quello che mette nella sua rubrica di «Grazia» (ma se lo fa pagare profumatamente), rifiuta di fare una mostra dei suoi deliziosi quadri. Ma il suo suscettibilissimo amor proprio non le consente di rischiare una brutta figura nemmeno nelle cose che disprezza. Infatti anche stasera ne ha fatta una eccellente, leggendo con molto garbo le due paginette che aveva preparato con un sapiente dosaggio di humour autentico, e di pathos e di umiltà fasulli. Ha avuto gran successo. Per la prima volta mi son visto guardato come un personaggio-satellite, una specie di principe consorte. Cosa che a me non dispiace affatto, ma a lei moltissimo. In questo, è proprio femmina. (13 agosto 1969) *Mi riferiscono, di [[Giorgio Bocca|Bocca]], questo giudizio su di me: «Sempre il più bravo di tutti. Bravissimo. Troppo bravo. Ma mettendo lo stesso impegno a scrivere gli articoli su Venezia e quello sull'arbitro [[Concetto Lo Bello|Lo Bello]], dimostra che in realtà non è impegnato in nulla». È vero. Non sono impegnato in nulla. In nulla, meno che nel mio mestiere. Fiorentina-Bari 3-0. E Chiarugi capo-cannoniere! (16 novembre 1969) *Sciopero generale per il caro-case. Un pretesto da nulla. Ma è bastato per immergere Milano in un'atmosfera da 8 settembre. Strade vuote. Saracinesche abbassate. Enorme spiegamento di polizia. Mentre pranzo con [[Giovanni Spadolini|Spadolini]], [[Mario Cervi|Cervi]] e Zappulli, giunge notizia che in un tafferuglio al Lirico un agente è stato ucciso dai "cinesi". «Meno male che è toccata a un agente» diciamo in coro, eppoi non osiamo guardarci negli occhi. Anche noi apparteniamo a questa borghesia codarda che pretende appaltare alle forze dell'ordine il compito di farsi sputacchiare, pestare e ammazzare per tenerne al riparo se stessa. E non vuole nemmeno pagargli uno stipendio decente. (19 novembre 1969) *[[Alberto Moravia|Moravia]] ha fondato, insieme a [[Pier Paolo Pasolini|Pasolini]] e a [[Dacia Maraini]], un "comitato contro la repressione". È la riprova che la repressione non c'è. Se ci fosse, Moravia sarebbe coi repressori, come ha dimostrato avallando col suo silenzio la persecuzione di [[Aleksandr Isaevič Solženicyn|Solženicyn]] in Russia. (28 dicembre 1969) *Moravia si è ritirato dal comitato che lui stesso aveva fondato. Ma non per i silenzi di [[Giovanni Spadolini|Spadolini]]. Si è ritirato perché «l'Unità» ha disapprovato. Gl'italiani sono sempre pronti a fare la rivoluzione, purché i carabinieri siano d'accordo. E Moravia è sempre pronto a battersi per la libertà, purché sia d'accordo il piccì. (2 gennaio 1970) *Arrivati i rendiconti dei miei diritti d'autore: 28 milioni nell'ultimo semestre. Supero dunque i 50 milioni annui. Anche ammettendo che l'editore non ci faccia sopra punta cresta (il che mi sembra, a dir poco, improbabile), non c'è male. Credo di essere l'autore italiano che più guadagna, anche perché sono l'unico che questa cifra la guadagna ogni anno, e senz'aiuto di premi letterari. Non ne sono contento per il denaro, di cui non so che farmi e che serve solo a pagare i capricci di Colette (ne ha tanti!). Ne sono contento, anzi felice, per il mio status da autore stipendiato unicamente dal pubblico. C'è chi vive di partito. C'è chi vive di Eni. C'è chi vive di Agnelli, o di Perrone, o di Crespi. Io vivo di [[lettore|lettori]]. I lettori non m'impongono altra servitù che la sincerità: l'unica che non pesi. (3 marzo 1970) *Più che comunanza di vedute, fra [[Denis Mack Smith|Mack Smith]] e me c'è comunanza di nemici: quegl'insopportabili pedanti accademici che a Palermo lo hanno violentemente attaccato qualificandolo «il Montanelli di Oxford». Implicitamente egli accetta di far fronte con me contro di loro. Credo che facciamo entrambi un buon affare, e anche un affare buono: se riusciamo a squalificare agli occhi del pubblico la [[storiografia]] accademica (e coi nostri libri ci stiamo riuscendo), avremo reso un grosso servigio alla cultura italiana. (2 maggio 1970) *Sosta a Venezia, dopo il voto a Cortina. Visita d'obbligo a Vittorio Cini, e passeggiata con lui sulle Zattere. Vedendolo, un vecchietto sdrucito, ma dignitoso, si leva il cappello e gli tende la mano, evidentemente per mendicare. Vittorio gliel'afferra e gliela stringe con effusione dicendogli: «Caro!... Caro!... Caro!... Coma la va?» È in perfetta buona fede: la buona fede di un doge lontanissimo dalle afflizioni della miseria e perfino incapace di immaginare che ce ne siano. (8 giugno 1970) *Leggo in [[Giorgio Candeloro|Candeloro]]: «... Nel processo generale di sviluppo della Storia, il carattere dei personaggi, anche dei più grandi, ha un peso limitato...». Ah, sì? E cosa dunque se non il carattere di Alessandro, cioè la sua follia, può spiegare la conquista macedone fino all'India e la diaspora dell'ellenismo che ne deriva? L'Islam è concepibile senza il "carattere" di [[Maometto]]? E cosa divise la Riforma se non i diversi "caratteri" di [[Martin Lutero|Lutero]] e di Calvino? I nostri storici odiano i caratteri e i personaggi, perché questi richiedono immaginazione e intuito, cioè doti di scrittore, di cui essi sono disperatamente vedovi. Non sono storici. Sono soltanto degli archivisti, e molto spesso disonesti. (10 novembre 1970) *Milano è in fiamme per l'affare Feltrinelli, e [[Piero Ottone|Ottone]] mi chiede un articolo contro la [[Camilla Cederna|Cederna]], firmatario di un manifesto in cui, a due ore di distanza dal rinvenimento del cadavere e prima ancora che esso sia ufficialmente riconosciuto, proclama che Feltrinelli è rimasto vittima della «reazione internazionale». Se la Cederna avesse una testa, direi che l'ha persa. Ma perché Ottone vuole un articolo contro di lei, intima amica e direttrice di coscienza di [[Giulia Maria Crespi|Giulia Maria]], nonché regina del suo sinistrorso salotto? Comunque, a mettere una zeppa fra direttore e proprietaria, è doveroso collaborare. E faccio l'articolo in forma di "lettera a Camilla". (25 marzo 1972) *Pare che l'articolo abbia rimesso fuoco a Milano, creandovi una irreparabile frattura fra montanellisti e cedernisti. I primi sono più numerosi, ma i secondi più rumorosi. Ricevo pacchi di telegrammi di plauso e altrettanti d'insulti. Il giornale è sommerso di lettere, e io prego Ottone di pubblicare anche quelle di protesta. Ha scritto anche la Cederna annunziando una replica sull'«Espresso» (Ottone ha cancellato il titolo del settimanale, commettendo una meschineria). Quanto a Giulia Maria, mi dicono che schiuma di rabbia. Se è vero, devo riconoscere che il giornalismo qualche soddisfazione la dà. [[Umberto Eco]] mi attacca sul «manifesto» riproducendo una mia frase di ammirazione per Mussolini scritta quando avevo ventidue anni (in dieci anni di giornalismo sotto il defunto regime, non sono mai riusciti a trovare, di mio, altre prove di zelo fascista) e accusandomi di mancanza di cavalleria verso una donna. O bella! Come se una donna, quando si mette a far politica – e che politica! – come un uomo, potesse ancora accampare l'impunità! Anche la [[Maria Callas|Callas]] è una donna. Eppure, quando stona, la si fischia. (27 marzo 1972) *Ho scritto un fondo in difesa della Cederna, incriminata dal magistrato per aver diffuso notizie false e tendenziose. Che abbia commesso questo peccato, ho detto, è vero. Ma si tratta di peccato, non di reato. E a giudicarne dev'essere il lettore, non il tribunale. Verità lapalissiane. Dice che è sempre stata molto più impegnata e coraggiosa di me perché con le sue campagne in favore di Valpreda e di [[Giuseppe Pinelli|Pinelli]], tiene fronte alla polizia. Potrei incenerirla chiedendole dov'era e cosa faceva quando io ero in galera per aver tenuto fronte non alla polizia d'oggi, ma a quella fascista e nazista. Ma non ne vale la pena. (28 marzo 1972) *Più approfondisco questo tema delle regioni (sono a Milano per questo), e più mi sgomenta il doverne scrivere. Ci vuol poco a capire che questi regionalisti lombardi perseguono, consapevolmente o inconsapevolmente, un piano secessionista cisalpino. E, una volta che ne abbiano lo strumento, riusciranno a realizzarlo. Non per nulla Bassetti parla già non più di «regione lombarda», ma di «[[Padania|regione padana]]», di cui il resto d'Italia non sarebbe che un'appendice. Se ce la fanno (e ce la faranno), addio Risorgimento! Non era che una finzione, d'accordo, e in pratica ha fallito. Ma con che lo sostituiremo? (26 settembre 1972) *Volo a Lussemburgo sul solito bireattore di Berlusconi, che ci accompagna, felice di esibirsi e di esibire il suo status in una cerimonia internazionale. La medaglia d'oro (ma è proprio d'oro?) me la consegna Gaston Thorn, capo del governo lussemburghese. Berlusconi riempie il suo taccuino di indirizzi: quelli di tutte le personalità che ha incontrato. È il vero ''climber'' che approfitta di tutto e non butta via nulla. (23 maggio 1977) *Kappler è fuggito. Ha fatto bene. Ma ora chi ci salverà dai conculcati "valori della Resistenza"? (15 agosto 1977) *A colazione da [[Vittorio Cini|Cini]]. Ha avuto un brutto crollo, ma ha ancora risorse. Le tira fuori quando è in compagnia. Ma quando è solo, mi dice sua moglie, sprofonda in quei tetri silenzi che sono i colloqui di un uomo con la morte. (19 agosto 1977) *De Carolis m'informa che il vero autore della operazione «Corriere» è un certo [[Licio Gelli|Gelli]], misterioso personaggio massonico, di Arezzo (Fanfani), che vuole incontrarmi per un accordo fra i due giornali. (24 settembre 1977) *Secondo quanto mi era stato raccomandato, dovevo salire direttamente alla camera 219 dell'Excelsior. Ma alla camera 219 non c'era nessuno, e così dovetti chiedere al portiere del signor Gelli. Poi Gelli arrivò, mi condusse furtivamente nel suo appartamento e mi fece un lungo discorso pieno di allusioni, dal quale dovevo comprendere che lui è un pezzo grosso – forse il più grosso – della massoneria (Palazzo Giustiniani), che come tale era stato il vero padrino della operazione Rizzoli, e che in questa operazione potevamo rientrare anche noi. Mi ha detto che quattro ministri dell'attuale governo, otto sottosegretari e centoquaranta parlamentari dipendono da lui. Questi massoni sono tutti uguali: credono che la loro potenza sia direttamente proporzionale al mistero di cui si circondano e prendono per cose fatte quelle per le quali complottano. (4 ottobre 1977) *Da Fanfani, al Senato. È talmente infuriato che diventa perfino sincero. «Dica al suo amico che è un traditore!» «Perché non glielo dice lei?» Mi spiega che Forlani non mira alla segreteria del partito, come io credevo, ma alla presidenza del Consiglio, quando Andreotti sarà consumato. Mi dice anche che condivide l'idea di Donat-Cattin di lasciare il Quirinale a un laico. «Altrimenti fra noi democristiani ci sbraniamo e ci sbrachiamo nella corsa a chi concede di più ai comunisti.» È sincero anche stavolta, o lo dice perché, avendo perso ogni speranza per sé, vuole prepararsi un buon argomento per Maria Pia («Stavolta toccava ai laici»)? (29 ottobre 1977) *A cena da Gervaso con Cossiga. Non si lamenta dei nostri attacchi, ma sono io a dirgli: «Noi esprimiamo lo scontento, e talvolta la rabbia, della pubblica opinione. La gente vuole un ministro degl'Interni che agisca e che faccia agire la polizia». «Ma lei sa com'è ridotta la polizia?» «In qualunque modo sia ridotta, siete voi che l'avete ridotta così. E quindi sta a voi rimediare.» Mi dice che non c'è da farsi illusioni: la situazione si aggraverà. Il terrorismo è finanziato coi sequestri, ha solidi agganci internazionali, e segue una tattica ben studiata. «L'attentato a lei fu un errore. Se a essere colpite fossero le personalità di rilievo, la gente media, cioè la grande massa della popolazione, sarebbe tranquilla. Invece hanno deciso di colpire i gradi subalterni – consiglieri comunali della Dc, capireparto della Fiat eccetera – per togliere il sonno a tutti.» Forse è vero. (29 ottobre 1977) *Quattro revolverate in faccia a [[Carlo Casalegno|Casalegno]], che ora è grave. Alzano la mira. (16 novembre 1977) *«La Stampa» riporta tutti gli articoli di solidarietà per Casalegno apparsi sugli altri giornali. Ma omette il mio, ch'era forse il più caldo: la solidarietà nostra la imbarazza. (18 novembre 1977) *Casalegno è morto. Ho telegrafato alla vedova, ma non al figlio – iscritto a [[Lotta Continua|Lotta continua]] –, né a [[Arrigo Levi|Levi]] e ai colleghi della «Stampa». Purtroppo, la loro faziosità condiziona la nostra solidarietà. Al funerale andrà Biazzi. (29 novembre 1977) *Incontro risolutivo a Roma tra Ferrauto e quelli della Sipra. Affare fatto e a condizioni molto più favorevoli di quelle sperate. Sei miliardi e settecento milioni come minimo annuo garantito, per cinque anni. Firmeremo il compromesso martedì 16. (10 maggio 1978) *Vista in tv la cerimonia funebre per Moro in San Giovanni Laterano. Dentro la basilica, tutti i dignitari Dc e quelli Pci inginocchiati sotto la mano benedicente del papa. E, fuori, la piazza sventolante di bandiere bianche e rosse. Non ho potuto fare a meno di rilevarlo in un "Controcorrente". (13 maggio 1978) *Batosta comunista alle amministrative parziali di ieri (4.000.000 di elettori). La Dc sale dal 38 al 42 per cento, il Pci scende dal 35 al 26. Successo dei socialisti che guadagnano il 4 per cento. Un risultato sconvolgente (in positivo). Uniche delusioni: il guadagno – sia pur minimo – del Pri, e la mancata rianimazione del Pli. (15 maggio 1978) *Firmato oggi l'accordo con la Sipra. Minimo garantito: 6.800.000.000 all'anno per cinque anni. Il presidente, D'Amico, è un ex operaio della Fiat, ora deputato comunista: un uomo concreto, franco, di poche parole. Era più soddisfatto lui dell'accordo con noi, che il direttore generale, il democristiano Pasquarelli. Io ho fatto la mia parte, da buon attore. Arrivato all'ultimo momento, ho detto: «Per impedire ripensamenti ed equivoci, trasformiamo il compromesso in vero e proprio contratto, e firmiamo subito». Lo champagne era già pronto. (16 maggio 1978) ==''I protagonisti''== *Nel settembre di quell'anno {{NDR|1956}} il partito lo spedì {{NDR|[[Gian Carlo Pajetta]]}} a Mosca insieme a Pellegrini e a [[Celeste Negarville|Negarville]] per sentire direttamente da [[Nikita Sergeevič Chruščёv|Kruscev]] come ci si doveva comportare nella crisi, ormai aperta, dell'antistalinismo. Kruscev li accolse affabilmente, li invitò a cena. E qui, trascinato da bocconi e libagioni ad una espansiva euforia come spesso gli capita, a un certo punto disse: «Beh, ora vi voglio raccontare come strangolammo [[Lavrentij Pavlovič Berija|Beria]]». E descrisse l'agguato che gli avevano teso al Cremlino, come gli erano saltati addosso e come gli avevano serrato la gola con le mani fino alla soffocazione. Lo descrisse ridendo allegramente, forse senz'accorgersi del pallore che soffondeva il volto dei suoi ospiti, o per lo meno quelli di Pajetta e di Negarville.<br />L'indomani li convocò nuovamente e, come non ricordando affatto ciò che gli aveva raccontato la sera prima, disse loro in tono solenne: «Beh, ora vi farò sentire il processo di Beria registrato sul nastro». E glielo fece sentire davvero come lo avevano inventato ''post mortem'', con la voce del defunto falsificata.<br />Quando si ritrovarono fra loro, Negarville e Pajetta si guardarono con gli occhi pieni di lacrime. «Ma allora – dissero –. Ma allora...». E non aggiunsero altro. (pp. 66-67) *{{NDR|Su [[Anna Magnani]]}} Ci sarebbe da scrivere un trattato sul modo di usare Anna. La prima precauzione da prendere è quella di non farla ritrovare in mezzo a estranei. Timida com'è, pur dopo un'esistenza trascorsa sotto i ''flashes'', la gente la raggela e la chiude in un mutismo ostile o l'aizza ad atteggiamenti protervi. Delle poche persone che le ho presentato, l'unica che la sedusse immediatamente fu il mio collega [[Augusto Guerriero]], perché il discorso cadde sui cani e sui gatti: e questo è un argomento su cui il cuore di Anna si scioglie e la mente le si ottenebra. Si mise in testa che noi due, con un articolo, potevamo far riformare la legge sulla protezione degli animali. E invano cercammo di dimostrarle che il problema non era di leggi, ma di costume. Non sentì ragioni. Dovemmo prometterle l'articolo (che poi infatti scrivemmo). (pp. 177-178) *{{NDR|Su [[Ignazio Silone]]}} Leggendo i suoi primi romanzi, ''Fontamara'', ''Pane e vino'', ''Il seme sotto la neve'', e pur ammirandoli, ero caduto in abbaglio sull'autore. Lo avevo preso per uno di quegl'industriali dell'antifascismo che, riparati all'estero, avevano trovato nella universale avversione alla dittatura una comoda scorciatoia al successo dei libri di denunzia. Lo consideravo insomma un profittatore del regime a rovescio (come del resto ce ne sono stati). E una conferma mi era parso di vederla nel fatto che finito, col fascismo, l'antifascismo, parve finito anche il narratore Silone.<br />Poi vennero ''Una manciata di more'', ''Il segreto di Luca'', ''La volpe e le camelie''. Ma vennero soprattutto alcuni saggi politici che mi costrinsero a ricredermi. Ed era proprio questo che non riuscivo a perdonargli. Mi era antipatico non per i suoi, ma per i miei errori. Più lo conoscevo attraverso i suoi scritti, e più dovevo constatare che non solo egli non somiglia affatto al personaggio che m'ero immaginato, ma che anzi ne rappresenta la flagrante contraddizione. (pp. 180-181) *{{NDR|Su ''[[Ignazio Silone#Uscita di sicurezza|Uscita di sicurezza]]''}} Come documento umano, non ne conosco di più alti, nobili e appassionati. Fenomeno unico, o quasi unico, fra gli sconsacrati del comunismo che di solito non superano mai più il trauma e trascorrono il resto della loro vita a ritorcere l'anatema, Silone non recrimina. Egli rifiuta i grintosi e uggiosi atteggiamenti del moralista, o meglio ne è incapace. Domenicano con se stesso, è francescano con gli altri, e quindi restio a coinvolgerli nella propria autocritica. Cerca di metterne al riparo persino [[Palmiro Togliatti|Togliatti]]; e se non ci riesce che in parte, non è certo colpa sua. Qui non c'è che un accusato: Silone. E non c'è che un giudice: la sua coscienza. (pp. 186-187) *Noi crediamo di scoprire dei modelli. In realtà non scopriamo che degli antenati. [[Carlo Cassola|Cassola]] s'illude di aver imparato da [[James Joyce|Joyce]] quello che già sapeva. Joyce gli avrà fornito, al massimo, qualche mezzo tecnico per esprimerlo. Uno [[scrittore]] vero (e Cassola lo è) non cerca in un altro scrittore che se stesso. (p. 207) *{{NDR|Su [[Enrico Mattei]]}} Egli amava solo il [[potere]], e l'amore del potere esclude tutti gli altri. (p. 265) *{{NDR|Su [[Giulio Andreotti]]}} Andava anche, mi dicono, a messa insieme a lui {{NDR|[[Alcide De Gasperi|De Gasperi]]}}, e tutti credevano che facessero la stessa cosa. Ma non era così. In chiesa, De Gasperi parlava con Dio; Andreotti col prete. Era una divisione di compiti perfetta. (pp. 271-272) ====''Il meglio di «Controcorrente»''==== *Il «comitato permanente antifascista» di Milano ha deciso di chiedere un «riconoscimento» per tutti coloro che sono stati «coinvolti direttamente nella strategia della tensione a partire dal 1º gennaio 1969». Ci risiamo. Tutta la nostra vita è stata angosciata e angariata dagli antemarcia: prima quelli del Littorio, poi quelli della Resistenza, ed ecco che ora spuntano quelli della «tensione». Longanesi aveva ragione: in questo Paese, reduci si nasce. (p. 47) *Agli alunni della terza classe (anni otto-nove) della scuola elementare di via Pisani, Milano, è stato assegnato il seguente problema: «Mario, Gino e Beppino sono i capi della banda. Mario dice a Gino che la banda ha quasi esaurito le munizioni: rimangono solo 5 cassette con 130 pallottole per cassetta. Quante pallottole rimangono?». Debolucci come siamo, in aritmetica, non lo sappiamo nemmeno noi. Ma ci pare che una per l'insegnante e una per il ministro Malfatti ci dovrebbero ancora essere. (p. 79) *Il messaggio di addio che il dimissionario capo dello Stato ha detto alla televisione e che anche noi pubblichiamo, è ineccepibile. Esso dà del presidente [[Giovanni Leone|Leone]] un'immagine che non fa una piega: un galantuomo all'antica, padre di una famiglia esemplare, ingiustamente calunniato da una stampa irresponsabile. Siamo sicuri che tutto questo si può dire di Leone. Ha un solo difetto: che a dirlo è stato Leone. (p. 84) *A Roma, nonostante tutte le ricerche fatte, non è stato possibile trovare un locale disponibile per un convegno di radicali. Non ce n'era uno abbastanza piccolo per contenerli tutti. (p. 103) *In un convegno su «Terrorismo e informazione», a Roma, è stato unanimemente riconosciuto che il [[segreto istruttorio]] in Italia non esiste. Lo trasgrediscono tutti. Non solo giornalisti e avvocati – e ancora passi – ma perfino magistrati che anticipano e propalano, il più delle volte per farne strumento politico, notizie riservate. «È il segreto di Pulcinella» si è lamentato il procuratore capo della Capitale, De Matteo. È vero. Ma Pulcinella non era giudice. E i giudici non dovrebbero essere Pulcinella. (p. 104) *Solo il tempo non perde tempo, diceva [[Jules Renard|Renard]]. E così, a furia di annunciarne i cambiamenti, il tempo è passato anche per il colonnello [[Edmondo Bernacca|Bernacca]], che ora deve rassegnarsi alla pensione. Peccato. Gli dobbiamo parecchi raffreddori e reumatismi. Ma nessuno riuscirà meglio e con più grazia di lui a farci capire ed accettare l'inutilità della meteorologia. (p. 108) *Qualcuno teme – e qualche altro spera – che l'Afghanistan diventi il Vietnam dei russi. Niente paura, in Afghanistan non ci sono giornalisti. (p. 112) *Quella del ''Corriere'' non è una situazione invidiabile: il direttore in congedo per l'affare della P2, manager ed articolisti contestati per lo stesso motivo, il maggiore azionista in galera, accusato di reati valutari, montagne di debiti, trasparenza della proprietà limpida come un mare in burrasca. Ci sarebbe davvero da mettersi le mani nei capelli. Se non fosse un giornale di [[Roberto Calvi|Calvi]]. (pp. 125-126) *Quando leggiamo «ministro senza portafoglio», ci viene sempre un dubbio. Che glielo abbia rubato qualche collega? (p. 146) *L'[[Organizzazione per la Liberazione della Palestina|Olp, Organizzazione per la liberazione della Palestina]], è stata ammessa con voto unanime, anche se provvisoriamente, nel Comitato olimpico asiatico. Non sapevamo che il lancio della bomba fosse diventato una disciplina atletica. (pp. 171-172) *A suo tempo imprigionato dagl'israeliani per complicità col terrorismo palestinese, e liberato per l'intervento del Vaticano con l'impegno di astenersi dalla politica, l'Arcivescovo libanese di Gerusalemme [[Hilarion Capucci]] ha dichiarato in un'intervista all'''Europeo'' che i rivoltosi di Gaza e della Cisgiordania non ricevono ordini da nessuno: «Li prendono solo da Dio, loro unico leader». Lo abbiamo sempre detto, noi: a grattare un arabo, anche se cristiano e Monsignore, viene fuori un Ayatollah. Ma forse non c'è neanche bisogno di grattare. (p. 184) *Da Praga [[Bettino Craxi]] proclama che «bisogna liberare l'Italia da Falci e Martelli». Benissimo. Ma chi è Falci? (p. 206) *[[Pino Rauti]] è intenzionato a candidare un africano alle elezioni comunali fiorentine. Più che giusto: il nero si addice al Msi. (p. 209) *Per evitare pubblicità attorno al caso di [[Angelo Peruzzi|Peruzzi]] e [[Andrea Carnevale|Carnevale]], i due giocatori giallo-rossi risultati positivi all'antidoping, il presidente della Roma, [[Dino Viola]], ha deciso di portare tutta la squadra in ritiro. A San Patrignano. (p. 216) *Secondo ''La Notte'' di ieri – che riferisce dichiarazioni d'un capo della Jihad islamica, Ibrahim Serbell – i terroristi arabi hanno nel loro mirino, per quanto riguarda l'Italia, «uomini politici, aeroporti e alcuni obiettivi strategici». Siamo molto preoccupati per gli aeroporti e gli obiettivi strategici. (p. 220) *La fantapolitica non è il nostro esercizio preferito. Ma ci chiediamo che cosa succederebbe se, con un colpo alla Moro, i terroristi si impadronissero di Cossiga e lanciassero al governo il ricattatorio ultimatum: «Se non ci date cento miliardi, lo liberiamo». (p. 228) *Malgrado tutto (e per tutto intendiamo proprio tutto), [[Moana Pozzi]] non è riuscita ad entrare a Montecitorio. Peccato. È l'unica Camera che non potrà dire di aver frequentato. (p. 236) *Sull'''Unità'' è comparsa la lettera di un deputato che, pericolosamente sfiorato da un motociclista, invoca drastiche misure penali contro i «teppisti al volante». Ci associamo alla proposta. L'unica cosa che ci sconcerta è la firma del proponente: è quella dell'onorevole [[Mario Gozzini]], autore della famosa legge che in pratica vorrebbe l'indulgenza plenaria per qualsiasi reo e reato. (p. 244) ==''Il testimone''== *Per restituire efficienza e prestigio alla polizia, bisogna prima restituirli allo Stato. E in che condizioni lo Stato italiano sia ridotto, tutti lo sappiamo e lo vediamo. Dovrebbero vederlo e saperlo anche i nostri uomini politici, e trovare il coraggio di riconoscerlo pubblicamente, invece di occultare la verità dietro la cortina fumogena di dichiarazioni pompose e altisonanti sulla «saldezza delle istituzioni» e simili. Furono questi proclami retorici e vuoti a provocare la bordata di fischi che accolse a Brescia [[Giovanni Leone|Leone]] e [[Mariano Rumor|Rumor]] all'indomani della strage. [...] La gente è stanca di una politica che cerca ma non trova, di una magistratura che istruisce ma non giudica, e soprattutto di partiti che strumentalizzano i morti per la loro propaganda politica. Con questi sistemi non si ricostruisce la fiducia. Si rende obbligatoria la sfiducia, condizione e prefazione della resa. (p. 33) *La Lombardia seguita a sfornare energie di prim'ordine. E da tutta Italia coloro che, come i soldati di Napoleone, credono di portare nel loro zaino il bastone di maresciallo, continuano a fare di Milano la loro mecca. Le difficoltà fra cui si dibattono sono molto più ardue di quelle che affrontano i loro predecessori per fare le fortune proprie e quelle di Milano. Ma la più ardua di tutte è il riciclaggio dei valori morali. Se Milano non restaura il culo dell'uomo, della sua iniziativa, del suo coraggio, del suo orgoglio di costruire, di rischiare e di vincere, e se non restituisce il premio a queste virtù, tanto vale che si arrenda allo Stato, al parastato e al sindacato, e si rassegni a diventare il ''bazar'' di un'Italia da terzo mondo. (p. 69) *Chi sia, cosa voglia e cosa valga Rizzoli, non c'interessa. C'interessa solo l'operazione cui egli presta il nome e il braccio (la mente lasciamola stare). Il tentativo di fare di Rizzoli, coi soldi del contribuente, l'editore del regime, è chiaro. E se di lui si vuol fare l'editore del regime, è altrettanto chiaro che si punta a una stampa di regime. Ma di quale regime? Evidentemente di un regime bisognoso di quei silenzi che solo una stampa di regime, affiancata da una RAI-TV di regime, può garantire. Se l'operazione riesce, caro lettore, dovremo dirci addio, perché per le voci libere e indipendenti non ci sarà più posto. Per soffocarle, non è necessaria nemmeno una legge: basterà lasciar aumentare il costo del prodotto bloccandone il prezzo. (p. 80) *Frondista sotto il fascismo, ribelle sotto la democrazia, Longanesi rimase sempre lo stesso. Il suo sogno sarebbe stato di fare l'anarchico in un regime autoritario borghese. Una volta lo condussi a parlare di un vecchio artigiano toscano, che diceva di essere stato in Russia a organizzare complotti e a fabbricare bombe contro lo zar. A tal punto Longanesi si entusiasmò di lui da rifiutare i miei sospetti sull'autenticità della storia. «È vera, è vera», diceva: «non hai sentito con che effetto e rimpianto parlava dello zar? L'affetto e il rimpianto del vero anarchico che, quando c'era lo zar, saoeva almeno contro chi buttare le bombe.» Ed era chiaro che anche lui rimpiangeva lo zar, per gli stessi motivi. (pp. 103-104) *In Italia i rappresentanti del popolo non sono popolari. Nessuno, nemmeno fra quelli che raccolgono centinaia di migliaia di voti, è veramente amato e rispettato. [...] I rappresentanti del popolo non parlano quasi mai col popolo. Parlano solo col partito, cioè fra loro, in un linguaggio ermetico che dà corpo ai peggiori sospetti. E in più c'è il borbonico attaccamento agli orpelli del potere. Questi capi di Stato e di governo, questi ministri [...] è fatale che agli occhi della gente appaiano come ''loro'', e ne subiscano le conseguenze. Non la si prenda per una dichiarazione di fede antirepubblicana. Ma [...] l'uccisione di [[Umberto I di Savoia|Umberto I]] che, come re, era il supremo dei ''loro'', sollevò un'ondata di commozione popolare più diffusa e spontanea di quella suscitata dal brutale sequestro di [[Aldo Moro|Moro]] (p. 114) *Sui feretri di coloro che sono caduti per ragioni ideologiche hanno diritto di sventolare solo le bandiere dei rispettivi partiti, e bisogna riconoscere che quelle della Democrazia cristiana possono vantare precedenza. Su quelli di tutti gli altri – magistrati, poliziotti, carabinieri, guardie e medici di carcere – può e deve sventolare solo il tricolore, se in qualche soffitta ce ne sono ancora degli scapoli. Il tempo delle usurpazioni e delle confische è finito. A ciascuno il suo. (p. 137) *In Germania c'è una norma statuaria che vieta di rovesciare un governo se prima non si sia trovata la maggioranza per formarne un altro. Da noi, ogni limitazione alla spensieratezza è considerata antidemocratica. Come diceva Longanesi: «Chi rompe, non paga, e siede al governo». (p. 161) *In questi venticinque anni, Kekkonen si è adoperato a «finlandizzare» la Finlandia: non aveva altra scelta, e c'è riuscito. La Finlandia è l'unico satellite dell'URSS in cui le fondamentali libertà democratiche sono rispettate, e di cui la porta è rimasta aperta all'Occidente. Ma non credo che questo miracolo sia dovuto solo a lui. Esso è dovuto soprattutto alla Finlandia e a quello che nel suo giovanile estremismo nazionalista egli stesso aveva chiamato «l'inutile sacrificio». Quel sacrificio fu invece utilissimo. È grazie a esso che la Finlandia non ha seguito la sorte degli altri tre Paesi Baltici – Estonia, Lettonia e Lituania –, ormai cancellati dalla carta politica dell'Europa. (p. 195) *Non vengano i sociologi a ripeterci la solita filastrocca che la mafia non è colpa di nessuno, neanche dei mafiosi, ma solo delle «strutture» e della povertà. Forse un tempo era così: il tempo in cui la mafia aveva qualche diritto di fregiarsi del titolo di «onorata società», e anche se avesse ammazzato un [[Carlo Alberto dalla Chiesa|Dalla Chiesa]], avrebbero risparmiato sua moglie. Oggi la mafia naviga nell'oro, e forse Dalla Chiesa è morto proprio perché aveva messo le mani su certe carte che riguardano finanziamenti per 880 miliardi ad aziende ancora più fantomatiche del Banco Andino di calvesca memoria. Il che dovrebbe indurci a qualche riflessione sui contributi che lo Stato fornisce alla Regione siciliana per aiutare l'isola a recuperare i suoi «ritardi». (pp. 215-216) *C'è chi chiede il rigore nella lotta all'inflazione, c'è chi lo chiede in quella della disoccupazione, c'è perfino chi lo chiede nello sviluppo dell'assistenzialismo. [[Guido Carli]] [...] ha detto ch'esso va applicato principalmente alla spesa pubblica, da contenersi entro l'invalicabile limite della «sopportabilità»: cosa su cui tutti hanno convenuto, essendo questo [...] il rigore che più piace agl'italiani (oltre quelli che gli arbitri di calcio assegnano in favore della squadra di casa). (p. 222) *La colpa dei Paesi sviluppati non è di far troppo poco per quelli di sottosviluppo, ma di farlo male. Qualcuno ha riassunto la lezione dei fatti nella massima: «Non date il pesce alla gente affamata; insegnatele a pescarlo». Ma per questo i miliardi non bastano: ci vogliono i missionari alla [[Marcello Candia]] e alla [[Madre Teresa di Calcutta|Suor Teresa di Calcutta]], molto più difficili da stanziare. Comunque, una cosa bisogna esigerla: l'eliminazione delle strozzature che impediscono agli aiuti di arrivare a chi ne ha veramente bisogno. Oggi come oggi, essi si fermano regolarmente sulle mense e nelle tasche di politici e burocrati delle nuove satrapie. Ma nella legge varata ieri non mi sembra che ci sia accenno allo smantellamento di questo perverso sistema. Che l'amministrazione di quei millenovecento miliardi [...] sia affidata a un sottosegretario invece che a un commissario, non mi pare una gran trovata. Si tratterà [...] del solito carrozzone lottizzato fra partiti, che farà presto a intendersi, via mance e bustarelle, coi carrozzoni dei Paesi da soccorrere. (pp. 257-258) *La [[Resistenza italiana|Resistenza]] un grande servigio all'Italia lo rese: ci procurò un notevole ribasso sul conto della sconfitta. Senza la Resistenza, non c'è dubbio che avremmo pagato molto più caro il nostro dissennato intervento a fianco della Germania. [...] Essa ha tutti i titoli per essere ricordata. Ma come la fine di una lunga sconfitta, la chiusura del capitolo più nero della nostra storia unitaria; non come il coronamento di una radiosa vittoria. Noi non ci liberammo; fummo liberati, L'aiuto – modestissimo, sul piano militare – che con la Resistenza demmo ai liberatori merita la gratitudine di tutti i disastri che ci risparmiò e le indulgenze che ci procurò al tavolo della pace. Ma la pretesa di confonderci coi vincitori, e perfino di parlare in loro nome, non può tirarci addosso che disprezzo e sarcarmi. (pp. 266-267) *Per Menichella, la ricostruzione e il grande decollo industriale erano possibili a una condizione: la stabilità della moneta. I capitali per gl'investimenti dovevano essere attinti non alla Zecca, ma al risparmio, che in caso contrario sarebbe stato distrutto dall'inflazione. E per accumulare il risparmio non c'era che una ricetta, la solita: lavorare di più e consumare di meno. Lo accusarono di rozzezza, di passatismo, lo tacciarono di «guardia bianca del capitalismo» che voleva «arricchire i padroni sulla pelle degli operai» [...] e un tenore della sinistra giunse a definirlo «un analfabeta dell'economia». E niente poteva essere più menzognero. Menichella aveva una preparazione di ferro. Di economia sapeva tutto. Solo lo traduceva [...] in un linguaggio spicciolo e sempre rapportato al concreto. I fatti gli diedero ragione. Ricostruzione e stabilità monetaria camminarono di pari passo; l'Italia raggiunse il ''boom'' nel momento in cui la lira si guadagnava l'Oscar. (p. 282) *Noi che laici siamo sul serio, non abbiamo nessuna nostalgia dello Stato crispino che credeva di fare del laicismo silurando i prefetti che andavano a messa e destituendo il sindaco di Roma per un atto di omaggio al Papa. Come non ne abbiamo per una Chiesa che umiliava padre Tosti e il vescovo Bonomelli, costringendoli a pubblici atti di contrizione per avere avanzato proposte di conciliazione. Uno dei motivi, forse il maggiore, per cui amammo e rispettammo De Gasperi è per la peitra tombale che ci sembrava avere messo su questo passato, dimostrando col proprio esempio come si possa essere insieme il più cattolico degl'italiani e il più italiano dei cattolici. [...] Non abbiamo titoli né qualifiche per rivolgerci al Papa. Ma se potessimo, gli porremmo una sola domanda che non dovrebbe [...] dispiacergli. Gli chiederemmo se per essere insieme buoni patrioti e buoni cattolici sia proprio indispensabile nascere polacchi. (pp. 306-307) *[[Walter Cronkite|Cronkite]] non ebbe mai dubbi sulla «obbiettività» delle sue immagini. «Parlano da sole», diceva. E in un certo senso è vero. [...] In questo lavoro di montaggio [...] fu un vero maestro. Come lo è stato nell'arte delle omissioni. Perché l'immagine del colonnello che sparava alla tempia del vietcong diceva, sì, la verità. Ma taceva, ignorandola, quella dello sfondo su cui la scena si svolgeva: il suolo tappezzato dai cadaveri seviziati dei ''marines'' sorpresi nel villaggio, delle donne sventrate e dei bambini abbruciacchiati per sospetto di collaborazionismo: tutte immagini che non avrebbero tolto nulla alla verità di quella della pistola sparata alla tempia, ma l'avrebbero spiegata sminuendo l'effetto dell'errore e del capriccio. Così come sono vere, verissime, le sequenze [...] della ritirata (si fa per dire) degli americani da Saigon: roba che quasi rivaluta l'8 settembre italiano, da arrossire di vergogna nei secoli. Peccato che Cronkite non abbia fatto riprendere le scene che contemporaneamente si svolgevano nelle strade della città via via che i ''liberatori'' del Nord vi s'inoltravano: roba da impallidire di orrore anche oggi. [...] Cronkite seguita a dire che la verità sul Vietnam è la sua. Ma è rimasto il solo a dirlo. Tutti i suoi ''fans'' lo hanno abbandonato e rinnegato. Compresa [[Jane Fonda]], che da cacciatrice di streghe e pasionaria del colpevolismo si è trasformata in missionaria del pentitismo e invoca il perdono dei reduci battendosi il petto. Con la stessa sincerità e buona fede, credo, con cui prima li indicava al crucifige. [...] È vero, putroppo, che la sorte del Vietnam fu decisa dalle «patacche» di Cronkite. In fatto di mestiere, possiamo imparare tutto da lui. Ma in fatto di verità, nulla. Salvo l'arte di contraffarla con l'aria di servirla (pp. 328-329) *Conosciamo dei comunisti che nel comunismo ci hanno creduto sul serio, e forse tanto più ciecamente quanto più bisognava essere ciechi per continuare a crederci. Sono quelli che l'abiura se la tengono in corpo, e che non imprecano contro l'idolo infranto. Sappiamo benissimo che, se avessero vinto, in nome di quell'idolo ci avrebbero, sia pure a malincuore, impiccati. Ma oggi il loro silenzio c'incute il più grande rispetto. Non altrettanto ne proviamo per i cosiddetti «emergenti» che, per continuare a emergere, inneggiano a tutto: alle macerie del Muro, alla perestroika, alla libertà, perfino al capitalismo, e si atteggiano a precursori e battistrada di questa totale, anzi totalitaria palinodia. Ma si tratta di una truffa bell'e buona. (pp. 343-344) *L'Expo è una grande abbuffata. E quando sono in gioco migliaia di miliardi, l'importante non è vincere; è partecipare. Che Venezia venga ridotta a un luna-park per la gioia a un luna-park per la gioia delle torme di straccioni (trenta milioni, secondo i preventivi più cauti) che la sommergerebbero rinnovando e centuplicando l'alluvione dei Pink Floyd era – ed è – per i fautori dell'Expo un'obbiezione facilmente superabile col discorso del Grande Progetto. [...] Venezia [...] appartiene al mondo, o per lo meno alla cultura di quello occidentale, di cui invochiamo [...] l'intervento per salvarla da quella masnada di locuste impazzite, disposte a farne un incrocio tra Las Vegas e Disneyland. (pp. 357-358) *[[Corrado Carnevale|Carnevale]] [...] ha dichiarato in un'intervista [...] che la notte non ha bisogno di sonniferi perché, nei confronti della Legge, la sua coscienza è a posto. Ci crediamo senz'altro. Ma se si ponesse la stessa domanda nei confronti della Giustizia, mi domando se i suoi sonni sarebbero altrettanto tranquilli. E tuttavia ci rendiamo conto che questa domanda non se la porrà mai, e anzi gli sembrerà del tutto stravagante. Perché, per un magistrato italiano, la Legge con la Giustizia non ha nulla a che fare. (pp. 387-388) *Dopo la liberazione, [[Luigi Durand de la Penne|de la Penne]] fu tentato dalla politica, e andò alla Camera prima sotto la bandiera democristiana, poi sotto quella liberale. In realtà, di bandiere, de la Penne non conosceva né riconosceva che il tricolore, e sperava ancora una volta di servirlo propugnando una riforma delle forze armate che le adeguasse alle nuove esigenze. Ma quando si accorse di non riuscire a combinar nulla, si ritirò; aveva capito che questi sono tempi per uomini di mare alla Accame, non alla de la Penne. Non fece mai l'eroe. [...] Ora, se qualcuno mi domanda perché ho dedicato alla sua scomparsa uno di quegli editoriali che di solito si riservano solo agli avvenimenti e ai personaggi della politica, rispondo che l'ho fatto per meglio sottolineare che per me e per gli uomini di questo giornale gli eroi delle guerre perdute non sono meno rispettabili e ammirevoli di quelle delle guerre vinte. E, in ogni caso, meritano il posto d'onore del giornale ben più dei personaggi di cui siamo costretti ogni giorno a interessarci. (p. 402) ==''Indro al Giro''== ===[[Incipit]]=== Il destino è stampato sulla carta d'identità e scritto nelle stelle. Indro Montanelli nasce il 22 aprile 1909, il primo Giro d'Italia prende il via il 13 maggio 1909. Stesso anno, stesso segno zodiacale: Toro. Potevano, queste due creature quasi gemelle, non percorrere un tratto di strada insieme? Potevano ignorarsi? ===Citazioni=== *Come i bersaglieri quando smettono di correre, così i ciclisti, quando cessano di pedalare ingrassano. *Il [[Giro d'Italia]] parla milanese, anche se poi, a vincerlo, è qualche toscano o qualche romagnolo. *I corridori sono come [[Anteo]]: il contatto con la loro terra gli dà forza. *Ma sapete voi con precisione che cosa sia una fuga, lo sapete? Non lo sapevo nemmeno io prima di vederla. Credevo che fosse l'uomo che, a un certo punto, si mette a pedalare più forte degli altri e li semina per via. Errattissima nozione. La fuga è invece un grande urlo e un gesto disperato che mettono d'improvviso in confusione tutta la carovana del Giro. *Quello della bicicletta è un mondo buono: e credo sinceramente che venga da questa bontà il fascino ch'esso esercita sulle folle. *Lasciatelo com'è questo Giro provinciale e festoso: lo sport di un popolo che, nella corsa verso il progresso meccanico, è rimasto alla bicicletta, tappa intermedia fra il cavallo e l'automobile, ritrovato artigiano e arnese di famiglia. *Se Parigi avesse il mare sarebbe una piccola Bari, ma non saprebbe accogliere i forestieri con tanto calore e sportiva cordialità. *Leoni, che oltre a tutto è un bellissimo ragazzo, ha una fidanzata la quale gli scrive raccomandandogli di non vincere, altrimenti troppe ragazze lo abbracciano porgendogli i fiori. Leoni è innamoratissimo della sua fidanzata ma non è certo per obbedire a lei che non vince. È solo per obbedire a [[Fausto Coppi|Coppi]] e restargli a fianco. *Gli assi possono permettersi di arrivare ultimi. E lo fanno senza risparmio. Possono permettersi di disprezzare i loro adoratori e lo fanno senza ritegno. L'adorazione rimane. *I corridori di bicicletta sono gente semplice, che non è mai stata in collegio. [...] Nessuno ha insegnato loro i dettami dello stile e della cavalleria. Li posseggono per natura. Difficilmente essi cercano di sminuire la vittoria dell'avversario e non gliene serbano rancore. Sono capaci di delicatezze che non credo esistano negli altri sport. *I corridori non si dovrebbero sposare; e, quando lo fanno, dovrebbero scegliere delle donne brutte. *È la specialità dei padri quella di sognare per i figli i trofei che loro non convengono, ed è la specialità dei figli quella di procurarsi trofei che ai loro padri non piacciono. ==''La stecca nel coro''== ===[[Incipit]]=== Non è questa la sede per rifare la storia del ''Giornale''. Ma voglio ricordare ai vecchi lettori e a spiegare a quelli nuovi ch'esso non fu un giornale, ma una battaglia, di cui può essere istruttivo ricostruire gli episodi. Quelli, decisivi, degli anni Settanta e Ottanta, in questa raccolta ci sono tutti, chiosati. E di queste chiose, ho l'immodestia di dire che non ce n'è una di cui debba pentirmi nemmeno ora che i pentimenti vanno di moda, anzi sembrano diventati un genere di prima necessità. Questa raccolta è dedicata a tutti i miei compagni di lavoro, defunti e sopravvissuti, italiani e stranieri, che condivisero con me i rischi (e ce ne furono) di questa avventura, la più bella di tutta la mia carriera di giornalista, e ai lettori che ci permisero di combatterla. Anche se tuttora ignoro se l'abbiamo vinta o persa. ===Citazioni=== *Anche a detrarne tutto ciò che vi avrà aggiunto la propaganda di parte, crediamo che di soprusi, sopraffazioni e sangue ce ne siano stati abbastanza, nel regime dei colonnelli, per giustificarne l'incriminazione. Tuttavia vorremmo che accanto a loro, sul banco degli accusati, venissero chiamati anche Papandreu e altri campioni del massimalismo piazzaiolo e di certo radicalismo snob, per spiegare ai giurati e alla pubblica opinione, non soltanto di Grecia, come mai i colonnelli giunsero al potere senza sforzo e senza sforzo lo conservarono fino a quando per propria insipienza lo persero. Solo così il processo acquisterebbe un senso, oltre quello della pura vendetta. Le colpe dei vari Ghizikis e Papadopulos non ne risulterebbero affato sminuite. Ma finalmente si capirebbe che i colonnelli non sono dei trovatelli e che per impedire i golpe non c'è che un sistema: far funzionare la democrazia. [...] Non auguriamo la forca a nessuno. Ma se un giorno qualche colonnello dovesse venirvi appeso, speriamo che ai Papandreu sia almeno proibito di partecipare alla festa. Perché i veri padri del golpe, le Circi che tramutono i colonnelli in dittatori, furono loro. (pp. 15-16) *Rivendicato il diritto alla scelta, gli elettori portoghesi l'hanno espressa con chiarezza lampante. Hanno votato per l'Occidente, per un Portogallo che sia socialmente più giusto di quello uscito dalla penombra salazariana, ma che rimanga saldamente ancorato all'Europa libera, alle sue alleanze, agli ideali della democrazia senza virgolette e sottintesi: una democrazia di cui i militari, con l'aiuto dei loro reggicoda comunisti, potranno conculcare le libertà fondamentali, ma coi carri armati, non in nome del popolo. [...] Due piccole nazioni, il Portogallo e la Grecia, uscite entrambe dalla prova di regimi dittatoriali, hanno votato, a breve distanza l'una dall'altra, con esemplare equilibrio, senza cedere alle tentazioni ed ai miti delle catarsi rivoluzionarie. È una grande lezione per altri Paesi che, avendo assaporato la libertà da molti anni, sembrano smaniosi soltanto di perderla. (pp. 44-45) *Per formare la maggioranza, la Dc non ha più a disposizione le tre forze laiche su cui De Gasperi fondò i suoi più fortunati e redditizi Governi: se i repubblicani hanno alla bell'e meglio temuto, liberali e socialdemocratici sono stati spazzati via. Occorrerebbero i socialisti, ma costoro hanno già dichiarato di non essere disponibili a maggioranze che escludano i comunisti. [...] Che razza di democrazia verrebbe fuori da un'ammucchiata totalitaria di queste tre forze che lasciasse l'opposizione al Movimento sociale, Dio solo lo sa. [...] I milioni d'italiani che [...] hanno votato Dc, lo hanno fatto ''unicamente'' perché la Dc si è presentata come il ''no'' al comunismo. Mai come stavolta il patto tra candidato ed elettore è stato così esplicito. Se lo ricordino bene i professionisti del tradimento [...]. Come li abbiamo aiutati a vincere, saremo i primi a denunciarli con nome e cognome. Il tempo delle deleghe in bianco è finito. Dando le – «preferenze» come noi avevamo suggerito –, il ciattadino stavolta sa per ''chi'' ha votato, e lo tiene personalmente responsabile. (p. 78) *Cosa vuol dire […] «gli chiediamo fino a che punto si spinge il suo disaccordo con la proposta di unità e di collaborazione democratica che noi avanziamo e sosteniamo, se al suo disaccordo c'è il limite fissato della difesa e della sopravvivenza del quadro costituzionale e repubblicano?» Vuol forse dire, senza dirlo, che chi si oppone a questa proposta, cioè in parole povere chi si oppone al compromesso storico, si mette automaticamente fuori da quel quadro e va considerato un eversore? Capisco che, a furia di praticarlo […] questo giuoco del fuorigiuoco sia diventato per voi un vizio. […] Ma stavolta l'impresa è più ardua del solito: non sono molti gl'italiani disposti a credere che rifiutare i comunisti al Governo significa rifiutare la democrazia e a considerare chi lo fa alla stregua di un killer o di un pistolero (pp. 104-105). *Noi non chiediamo la legge marziale. Basta la rivalutazione materiale e morale di quelle forze dell'ordine, i cui sacrifici sono stati fin qui regolarmente pagati ripagati con stipendi da fame, castighi disciplinari e campagne denigratorie. Basta insomma che sia affermato nei fatti, e non soltanto nelle parole, il supremo impegno a trattare il terrorismo come va trattato: in termini di scontro, non di «confronto». Faccia a faccia. Lo Stato italiano non può chiedere fermezza ai cittadini, se non ne dà esso stesso l'esempio. Spietatamente, quando occorre. E in questo caso occorre. (p. 119). *Noi […] non possiamo pronunciarci in favore di [[Marco Pannella|Pannella]]: egli giuoca in un campo che non è il nostro. Ma quattro cose dobbiamo dire, da avversari, di questo anomalo personaggio. La prima è che Pannella è [...] un personaggio su una scena politica popolata quasi esclusivamente di comparse e coristi. La seconda è che i suoi digiuni sono autentici e le sue tasche autenticamente vuote. La terza è che, se domani ci sarà un regime – ipotesi che si fa sempre più possibile – all'opposizione di questo regime ci saremo solo noi e Pannella, socio scomodo, ma di tutta affidanza. E infine dobbiamo riconoscere che fra noi e lui c'è [...] un fatto di sangue. Anche se scatena la sua buriana da sinistra facendo d'ogni erba un fascio […] e chiama la sua gente «compagni», ricordiamoci che Pannella è figlio nostro, non loro. Un figlio discolo e protervo, un giamburrasca devastatore che dopo aver appiccato il fuoco ai mobili e spicinato il vasellame, è scappato di casa per correre le sue avventure di prateria. Ma in caso di pericolo o di carestia, ve lo vedremo tornare portandosi al seguito mandrie di cavalli e di bufali selvaggi, quali noi non ci sogneremmo mai di catturare e domare. Questo è Pannella. Voti non possiamo dargliene. Ma ci auguriamo che sia lui a mietere quelli che non ci appartengono. (pp. 156-157) *Noi siamo contrari alle leggi speciali. Ma proprio per non dovervi ricorrere, siamo per l'applicazione più dura e risoluta di quelle vigenti. La Costituzione per esempio non prescrive che l'Italia ospiti, senza possibilità di esercitare su di essi alcun controllo, centinaia di migliaia di stranieri dal passato incerto, e tavolta fin troppo certo. E le Forze dell'ordine non possono essere condannate a giuocare eternamente «di rimessa» [...]. In queste condizioni, non si lotta. Si subisce soltanto. Ed è di questo che il Paese non vuol più sapere. [...] Ci risparmino i discorsi sulla bara di [[Vittorio Bachelet]]. [...] Il funerale di Stato, va bene. Ma in silenzio, ministro Rognoni, per l'amor di Dio. Siamo stufi di sentir dire che «il popolo italiano è compatto nel ripudio dell'eversione», che «fa quadrato intorno ai valori e alle istituzioni consacrate dalla Resistenza», che i terroristi ''no pasarán'' (uno slogan che, oltre tutto, ha sempre portato jella). Non ne possono più neanche i morti. S'immagini i vivi. (p. 179) *I vizi italiani vengono da molto più lontano della Costituzione: sono scolpiti nei secoli della nostra storia incivile. Ma fra i segni di questa inciviltà c'è appunto anche quello di rendere tabù i temi scomodi e di condannare al ghetto chi osa affrontarli [...]. Come se non vi fossero Paesi, quali gli [[Stati Uniti d'America|Stati Uniti]] e la [[Francia]], che in fatto di democrazia possono impartirci lezioni, e che tuttavia si reggono a sistema presidenziale. Come se non ve ne fossero altri, quale la Germania che, pur reggendosi a sistema parlamentare, vi ha introdotto correttivi che lo rendono radicalmente diverso dal nostro. E come se questi correttivi [...] non fossero stati discussi e decisi senza farne drammi né scatenare, contro chi li proponeva, cacce alla strega nazista. (p. 207) *Il terrorismo italiano non può contare su consensi e simpatie d'ambiente come quello palestinese, o irlandese, o basco, che una motivazione l'hanno, sia pure distorta dalle passioni e strumentalizzata da qualche «Grande Vecchio». Il terrorismo italiano poteva contare solo sulla connivenza della paura: e infatti, finché ne ha incussa, di connivenze ne ha trovate, anche fra gli intellettuali, anzi specialmente fra gli intellettuali. [...] Fino a quattro o cinque anni fa, a dire che i volantini delle Br e i loro opuscoletti di propaganda non erano che una serqua [...] dei più vieti luoghi comuni ripescati tra i rifiuti di Bakunin, Kropotkin, Stirner e altri profeti del Nulla [...] c'era da essere linciati. Non dai brigatisti [...] ma dai ''maîtres à penser'' della sociologia radical-chic, per i quali il terrorismo, prima che da combattere, era da comprendere nei suoi «contenuti di pensiero». In cosa consistessero e quanto rigorosi fossero questi contenuti, ce lo dice appunto la scoperta negli ultimi giorni di questa nuova Trimurti – terrorismo rosso, terrorismo nero, camorra – che come ammucchiata ideologica, non so se mi spiego. Può darsi ch'essa esploda e [...] devasti. Ma, costretta ad assumere i suoi veri connotati, che sono quelli della criminalità senza aggettivi, il suo potere d'inquinamento e di equivoco, che ne costituiva l'aspetto più pericoloso, finisce. Da [[Toni Negri]] a [[Raffaele Cutolo|Cutolo]], la parabola si è conclusa. (pp. 236-237) *Non abbiamo con [[Bettino Craxi|Craxi]] nessuna familiarità: avremo parlato con lui, sì e no, tre volte. Ci ha dato una incoraggiante impressione di energia, risolutezza, rapidità di riflessi. Ma da certe sue reazioni, ci è parso di capire ch'egli ha anche una spiccata – e funesta – propensione a considerare nemici tutti coloro che non si rassegnano a fargli da servitori. Sono pochi, intendiamoci, i politici immuni da questo vizio. Ma alcuni di essi sanno almeno mascherarlo. Craxi è di quelli che l'ostentano sino a esporsi all'accusa di «culto della personalità»: un culto [...] che [...] potrebbe procurargli seri guai. Non perché a noi italiani certi atteggiamenti dispiacciano, anzi. Ma perché in fatto di guappi siamo diventati, dopo Mussolini, molto più esigenti: quelli di cartone li annusiamo subito. (p. 271) *[[Vincenzo Muccioli|Muccioli]] ha operato in condizioni diverse. [...] Ha impiantato la sua comunità con criteri imprenditoriali, facendone una specie di ''kibbutz'' ormai vicino all'autosufficienza. [...] Uno che, senza essere un ''compagno'', conduce una sua guerra privata contro la droga, è doppiamente esecrabile. Per il vescovo [...] per il quale un'opera di redenzione intrapresa da un laico come Muccioli merita in ogni caso l'anatema. Ma la partigianeria del presidente Righi è inesplicabile, e riduce questo processo a una caccia alle streghe, che getta la Giustizia nel pantano. (pp. 301-302) *[[Enver Hoxha|Hoxha]] non aveva dalla sua nulla, quando si presentò alla Conferenza: null'altro [...] che il proprio coraggio, spinto fino alla protervia. [...] I primi proseliti li fece solo sul finire della guerra, quando prese corpo un po' di resistenza, ma li fece in nome dell'Albania, non del comunismo. [...] Era un satrapo anche lui [...]. Ma non indulgeva alle debolezze e alle pacchiane ostentazioni dei Ceausescu e dei [[Kim Il-sung|Kim Il Sung]]. Esigeva l'obbedienza più assoluta, ma in pubblico si mostrava di rado, e la sua era l'unica giacchetta di comunista da ''nomenklatura'' che non grondasse medaglie fino all'ombelico. (pp. 310-311) *{{NDR|Sulla [[rivoluzione ungherese del 1956]]}} Il motivo per cui divampò coinvolgendo tutta la popolazione è semplicissimo: gl'intellettuali e gli studenti che la capeggiavano erano i figli degli operai e dei contadini che la traducevano in sollevazione del popolo. Lo erano non in senso ideale ed astratto, ma in senso anagrafico [...]. E questo fu, per i comunisti, la vera beffa. Essi avevano abolito le classi, e ora questo creava una unanimità di partecipazione, quale credo che nessun'altra rivoluzione abbia mai avuto. E come poteva non essere socialista? [...] L'unica cosa che non si può è che i «quadri» del Pci [...] non avessero visto, né udito, né capito come oggi vorrebbero farci credere per avallare la tesi dell'«errore». [...] L'unico che, in mezzo a tanti contorcimenti e frullati di parole, ha avuto l'onestà di riconoscerlo è stato [[Gian Carlo Pajetta|Pajetta]], sempre lui. «Io non mi pento di nulla», ha detto «schierandoci con gl'insorti e condannando la repressione sovietica, avremmo spaccato il Pci; per questo accettammo e approvammo.» Alla buon'ora. (pp. 354-355) *Se l'unica maggioranza possibile è così risicata, lo si deve anche e soprattutto alla poltiglia di partiti – verdi, rossi e «lighe» varie – che il nostro sistema elettorale favorisce. Se ne sono contati [...] trentotto, più o meno combinati con liste locali in un groviglio di piccoli interessi regionali, corporativi, personali, uniti solo da un incoffessato e forse inconscio anelito sanfedista allo sfascio dello Stato unitario. Se non si pone termine a queste insensate dispersioni, è inutile chiamare gli elettori alle urne. Una maggioranza e un Governo degni di questo nome non li avremo mai. (p. 368) *Certamente [[Michail Gorbačëv|Gorbaciov]] aveva previsto le tremende resistenze della sua ''perestroika'' aveva trovato nella cosiddetta ''nomenklatura'', detentrice del potere con diritto di abusarne, e quindi ben risoluta a difenderlo. Ma forse non immaginava che la minaccia più grossa al suo riformismo decentratore sarebbe venuta dall'esplosione dei nazionalismi, che ora rischiano di travolgerlo. [...] Comunque, due lezioni ci sembra di poter trarre sin d'ora da questa vicenda. La prima è che se settant'anni d'internazionalismo proletario praticato senza esclusione di colpi non sono bastati a debellare i nazionalismi, vuol dire che il sangue, la lingua, la religione, la cultura sono più forti di qualunque ideologia. La seconda è che i totalitarismi sono più facili, o meno difficili, da montare che da smontare. A liberalizzare la Russia e a guarirla dallo Stalinismo poteva forse riuscire un solo uomo: [[Iosif Stalin|Stalin]]. (p. 403) *Quanti miliardi si sperperano oggi in Italia in premi e feste letterarie accompagnate da rinfreschi e pranzi per centinaia di coperti, targhe, medaglie, e gettoni di presenza? Basterebbe un centesimo, un millesimo, di ciò che si spende in queste fiere della vanità per salvare la Crusca raddoppiando il miserabile contributo statale. [...] Forse c'illudiamo. Ma noi ci ostiniamo a credere che in Italia ci siano ancora degl'italiani convinti che una cultura senza una sua lingua non è una cultura [...] e che un Paese senza cultura [...] non è un Paese; ma soltanto un accampamento di apolidi. (p. 419) *Era fatale che, una volta allentatesi le maglie della Dc, l'integralismo di un certo mondo cattolico lo avrebbe portato a confluire sulle posizioni delle leghe. Le ispirazioni sono diverse, ma il nemico è comune: lo Stato unitario e laico. [...] Dileguatosi, o in via di dileguarsi il pericolo comunista, e caduto quello di Berlino, è questo il Muro che ci dividerà nel prossimo futuro. Da che parte [...] stiamo noi, mi sembra superfluo dirlo. Ci stiamo [...] con la piena consapevolezza dei nostri errori passati e presenti e della nostra intrinseca debolezza. Ma anche con la coscienza che se con noi non c'è tutto il meglio, contro di noi c'è sicuramente tutto il peggio. Basta tendere l'orecchio ai discorsi di Rimini e alle acclamazioni che li hanno salutati. I «lumbard» hanno ragione di chiedere il gemellaggio con quella platea: come livello mentale e di cultura, siamo lì. (p. 442) *Uomo di governo, [[Mario Scelba|Scelba]] non fu mai uomo di partito. Lo frequentava poco, non fu mai partecipe di giochi di «correnti», e credo che sotto sotto li disprezzasse. [...] Se fu De Gasperi a guidare [...] la barca, fu Scelba a reggerla e non vedo chi altro, nella pattuglia democristiana, avrebbe avuto gli attributi per farlo. Sul suo feretro ci saranno poche lacrime, pochi fiori, pochi discorsi. Nessuno del cosiddetto ''establishment'' vorrà ricordare che se in casa non ci siamo ritrovati qualche Husak o [[Nicolae Ceaușescu|Ceausescu]], per gran parte lo dobbiamo a lui. Ma qualche italiano non lo ha dimenticato. (pp. 471-472) *Non c'è democrazia, diceva Clemanceau, senza un minimo di corruzione. D'accordo. Ma quando la democrazia degenera in partitocrazia, il minimo diventa il massimo e succede quello che abbiamo sotto gli occhi. E finché noi concederemo ai partiti – contro il dettato costituzionale che li considera semplici associazioni private – d'irretire tutta la vita pubblica e di arruolare, per le loro operazioni di saccheggio, un milione di lanzichenecchi con relative famiglie, di cosa c'indignamo? E cosa ci aspettiamo dal Palazzo romano, proiezione su scala nazionale delle situazioni locali tipo Milano? (p. 489) *Con qualsiasi legge si vada alle nuove elezioni, e specialmente se si va col papocchio escogitato da [[Sergio Mattarella|Mattarella]], esse riprodurranno molto probabilmente [...] la situazione che i risultati dell'altro ieri hanno soltanto anticipato: un'Italia divisa in tre: un Nord in mano alla [[Lega Nord|Lega]], un Centro alla mercé dei comunisti (ex o neo, non importa), un Sud in preda al caos. In questa situazione, cosa farà Bossi? Cioè [...] cercherà di frenare la spinta che fatalmente ne verrà alle tentazioni secessionistiche della Padania dal resto del Paese, o la seconderà? A differenza di Miglio, Bossi di secessione non ha mai parlato. Parla di «federalismo», e forse lo ritiene possibile. Noi crediamo che il federalismo sia soltanto la foglia di fico della secessione, e che nei precordi di molti leghisti covi una gran voglia di fare i cosacchi del Po. (p. 515). *La nuova legge elettorale, se non fosse stata tradita dai suoi soloni col turno unico, avrebbe dovuto condurre al confronto fra due ''rassemblements'', uno di centrosinistra con l'esclusione di Rifondazione, l'altro di centrodestra con l'esclusione del Msi, a garanzia di democraticità di entrambi. Stando le cose come stanno, il confronto non ci sarà perché di ''rassemblements'' ce n'è in campo uno solo: quello del Pds, che così sarà libero d'includervi anche Rifondazione. Per questo esso si batte contro la dilazione. Per questo noi la auspichiamo: nella (pallida) speranza ch'essa ci dia il tempo di uscire dallo stato confusionale in cui versiamo. Non è nostro diritto; è semplicemente nostro interesse spostare le urne al 12 giugno. Ma un interesse del tutto legittimo. Come legittimo è l'interesse del Pds ad anticiparle addirittura a marzo. La difesa del sistema e dei suoi papponi non c'entra. Che si voti a marzo od a giugno, l'uno e gli altri sono già cadaveri, e non c'è miracolo che possa resuscitarli. (p. 528) ==''Le nuove Stanze''== *Ribadisco la mia avversione alla pena di morte. Ma non me la sento d'impartire lezioni a chi tuttora la pratica. Non mi pare che, con la Giustizia che ci troviamo in casa, noi italiani possiamo impartire lezioni agli altri. (p. 46) *Toglietevi la parrucca, cari storici italiani. E invece di continuare a parlarvi tra voi, parlate, andando incontro alle sue curiosità, alla gente comune, quella che ha più bisogno del vostro sapere, e che sa benissimo distinguere il volgare pettegolezzo dall'aneddoto illuminante, di cui gli storici stranieri, soprattutto inglesi, compreso [[Denis Mack Smith|Mack Smith]], sanno fare buono e largo uso. (p. 81) *Io non sono piemontese né savoiardo, e la tradizione della mia famiglia è, caso mai, repubblicana. Ma la verità sono abituato a rispettarla, e non ad accomodarmela secondo i miei gusti e pregiudizi. Nel '46 votai monarchico non perché ero amico di Umberto e di Maria José, che sarebbero stati un Re e una Regina esemplari. Ma perché capivo ch'essi rappresentavano l'unico filo che ci legava all'unica nostra tradizione nazionale: il Risorgimento. La rigiri come vuole [...] ma la verità è questa: che senza Risorgimento non esiste una Storia nazionale italiana, e senza i Savoia non esiste Risorgimento. Ecco perché io dico e ripeto che la Repubblica italiana può tenere i Savoia [...] fuori dal territorio italiano. Ma chi tenta di estrometterli dalla Storia d'Italia, se non è un analfabeta è certamente un falsario. (pp. 112-113) *{{NDR|[[Luigi Cadorna]]}} Fu un generale di grande e inflessibile carattere, ma non un grande stratega. La sua fu dal primo all'ultimo giorno una guerra «di posizione», e quindi di logoramento, muro contro muro. Una «manovra» non la tentò mai, anzi non la concepì nemmeno. Stava [...] al «Regolamento», secondo il quale «le battaglie si vincono sulle cime». Sicché quando arrivò un battaglione tedesco al comando di un giovane capitano di nome Rommel che [...] s'insinuò nottetempo nelle valli, tutto il nostro schieramento ne venne preso alle spalle, e si liquefece, consentendo a Rommel di arrivare fino al Piave, dove si fermò: non per la resistenza dei nostri [...] ma per la mancanza di rifornimenti e di munizioni, che non avevano fatto in tempo a seguirlo. (pp. 118-119). *Quanto alla somiglianza fra noi e gli spagnoli, sì, c'è. Io, in Spagna, mi sento come a casa mia. Una sola cosa ci trovo in più: una dimestichezza con la morte che dà ai valori della Vita (la Dignità, il Coraggio, l'Onore) un peso ben diverso da quello che hanno da noi. E glielo invidio tanto. (p. 157) *Quanto alla sua supposizione che, se non ci fossero stati i russi, gli Alleati non avrebbero potuto sbarcare in Normandia e salvare i loro regimi democratici, mi permetta di sorriderne. Hitler perse la [[Seconda guerra mondiale|guerra]] prima ancora di dichiararla, quando scatenò la persecuzione razziale, che mise il mondo di fronte alla pretesa della sua «razza eletta» al dominio del pianeta e costrinse alla fuga il fior fiore della Scienza ebraica, che diede all'America la bomba atomica, la quale avrebbe reso superfluo anche lo sbarco in Normandia. (pp. 177-178) *In [[Alessandro Pavolini|Pavolini]] [...] è riassunto il dramma di una generazione che nel fascismo era cresciuta [...] e si sentiva impegnata a crederci anche in quell'ultima disperata fase. In lui ritrovo un po' di quel [[Berto Ricci]] [...] che, partendo volontario per la Libia, mi disse: «Una volta, nella vita, ci si può convertire. Io già lo feci rinnegando, per il fascismo, il mio passato di anarchico. Ora col fascismo devo morire». E morì. (p. 192) *Come lei certamente sa, furono i russi a giungere per primi sul famoso bunker di Berlino, fra le cui macerie si diedero subito a cercare il cadavere del Fuhrer, e lo trovarono, ma quasi completamente carbonizzato (egli aveva lasciato ai suoi l'ordine di bruciarlo con una tanica di benzina). D'intatto era rimasto solo il teschio con la sua dentatura costellata di ponti e protesi. Immediatamente fu ricercato e trascinato sul posto l'odontoiatra che glieli aveva sistemati. Dapprima gli fu chiesto in cosa erano consistiti i suoi interventi. Poi vi fu messo davanti, e lui li riconobbe senza esitazioni. Quel giorno il poveretto non tornò a casa. Dopo alcuni anni si seppe che esercitava il suo mestiere in non so quale città di provincia russa, ma sotto stretto controllo della polizia. Dopo qualche altro anno poté tornare in Germania, ma in [[Repubblica Democratica Tedesca|quella comunista]], sotto il controllo di una polizia ancora più efficiente di quella sovietica, e lì morì, non so quando. Perché i sovietici vollero sempre mantenere quel segreto? Perché alla loro propaganda [...] faceva comodo accreditare la favola di un Hitler salvato dagli americani, che lo tenevano sotto naftalina in qualche loro dorato ripostiglio per poterlo un giorno utilizzare in una nuova guerra contro la Russia. (pp. 257-258) *Da anticomunista, oserei dire «storico» quale mi considero, io sono pieno di rispetto sia per i Nagy nostrani quali i D'Alema e i Veltroni, che per i Kádár, quali i Cossutta e i Diliberto. Non so se come classe dirigente siano il meglio. Ma come sincerità di conversione democratica, ci credo (come credo, intendiamoci, a quella di un Fini, anche se viene da un passato molto meno intenso, drammatico e dilacerante di quello comunista). (p. 306) *{{NDR|A [[Mario Tuti]]}} Ho ben presente [...] il suo nome e il suo volto, e le azioni terribili che lei ha compiuto. [...] Da come scrive [...], lei è in grado di capire [...] quello che dico. È vero che «sul nemico vinto non si infierisce»: ma il sangue non si cancella con la gomma delle parole. Solo le vittime possono concedere il perdono; e io non sono stato, fortunatamente, davanti al mirino della sua pistola. Solo la giustizia può concedere sconti: e io non sono un magistrato. Non ho invece difficoltà a condividere una sua osservazione: alcuni disgraziati [...] sono più disgraziati di altri. E [...] i disgraziati di destra se la passano peggio dei disgraziati di sinistra, che hanno di solito qualche amico di gioventù ben piazzato, in grado di dare una mano. Ma il perdonismo peloso di alcuni non può giustificare la distrazione di tutti. (p. 322) *[[Yasser Arafat|Arafat]] non ha mai avuto né uno Stato, né un esercito, né un titolo che lo qualificassero a parlare a nome del suo popolo. Erano il carisma, l'autorità, il prestigio suoi personali che gli permettevano di svolgere questo compito. Ma questo dipendeva dal fatto che il suo popolo glieli riconosce in quanto si sente da lui «rappresentato». [...] Io sono e mi sento profondamente filo-israeliano perché negli ebrei riconosco i miei fratelli e in molte cose anche i miei maestri (anche se non sempre facili). Ma appunto per questo apprezzo ed ammiro gli Hussein, i Sadat e gli Arafat. Ai quali si possono anche rimproverare degli errori nella conduzione della loro politica. Ma non certo le intenzioni e il coraggio. Arafat è brutto [...] e non so come facciano i suoi amici (e i suoi nemici) [...] a ricambiarne i baci. Ma di quelli suoi credo proprio che ci si possa fidare. Che Dio, anzi Allah, ce lo mantenga ancora per molti anni. (pp. 387-389) *Come veterano del ''Corriere'' e un po' depositario della tradizione di una certa civiltà nei rapporti fra i suoi uomini, io rimasi offeso non dal licenziamento di Spadolini [...] ma dall'insolito modo – che io definii appunto «guatemalteco» – in cui era stato trattato e da cui trapelava la mano di un [[Giulia Maria Crespi|editore]] che, anche se portava il nome di quello vecchio [...], intendeva introdurre nuove regole nella gestione del giornale, di cui era praticamente diventata [...] la titolare. E lo dissi, e lo scrissi, e lo ripetei in varie interviste. Forse tuttavia questo strappo si sarebbe potuto rammendare se il cambiamento del direttore non avesse comportato anche un cambiamento di linea politica che saltava agli occhi di chiunque non volesse tenerli chiusi. [...] Quando dal ''Giornale'' uscii per ragioni abbastanza analoghe a quelle che mi avevano spinto fuori da via Solferino, il primo a venirmi incontro fu il direttore del ''Corriere'', Paolo Mieli, che [...] mi offrì il suo posto: un gesto che non dimenticherò mai. Avrei potuto [...] accettarlo solo a titolo onorario. Ma non potevo abbandonare gli uomini che ancora una volta mi avevano seguito. Da quel momento però fu chiaro che il ''Corriere'' era ridiventato quello che noi, vent'anni prima, avremmo voluto che restasse. Ecco perché, al termine delle mie battaglie e delle mie sconfitte (che considero il mio blasone), sono tornato al ''Corriere''. (pp. 406-408) *I politici della Sinistra, compresi i componenti dell'attuale «squadra» governativa sono dieci, venti, cento volte meglio della loro ''intellighenzia''. Anche se dicono fregnacce, le dicono a bassa voce, senza salire in cattedra, di dove l'''intellighenzia'' invece non scende mai, nemmeno per andare in bagno. (pp. 477-478) *Spero che ora avrai capito cos'è la mia dichiarazione di voto: non un sì all'Ulivo, da cui spero poco, ma in compenso non temo niente; ma il no a un Polo che, se riportasse davvero la schiacciante vittoria che si aspetta il suo ''Caudillo'', potrebbe creare nel nostro Paese una situazione davvero inquietante. Un voto di difesa sarà dunque il mio, come lo è sempre stato da oltre cinquant'anni a questa parte. (p. 496) *Sappi soltanto che, passato per una ventina di anni – quelli del ''Giornale'' – per «fascista» e negli ultimi dieci per «comunista», me la rido di entrambe le etichette. (p. 536) ==''Le Stanze''== ===[[Incipit]]=== Di tutta la mia attività giornalistica [...] considero questi colloqui col lettore come l'impegno che mi è riuscito meglio, o meno peggio. Se qualcuno mi chiedesse: «Cosa vorresti che, dopo di te, di te rimanesse?», risponderei senza esitare: «Questi colloqui». Mi rendo conto che un'affermazione del genere può apparire demagogica: in fondo, perché dovrei preferire queste risposte quotidiane [...] alla ''Storia d'Italia'' o agli ''Incontri''? È presto detto: perché, grazie a lettere e risposte, ho potuto restare vicino ai miei lettori, che mi hanno ricordato – con più o meno garbo, ma sempre con affetto – quello che un giornalista non deve mai scordare: che i padroni sono loro. ===Citazioni=== *Io non ho mai conosciuto un conservatore inglese che abbia mosso a Churchill il rimprovero di essersi alleato con Stalin – altro che il naso dovette strizzarsi! – quando le armate di Hitler spazzavano tutta l'Europa. Ma trovo ancora degl'italiani [...] che danno la colpa a me dello stato di necessità in cui ci trovammo nel '48 e nel '76 e che rendeva obbligata la nostra scelta. Oggi che il muro di Berlino ci ha liberato dall'incubo del comunismo [...], è facile fare processi a chi non aveva in mano altra arma elettorale che il voto alla Dc. Ed una cosa mi chiedo: tutti questi intransigenti eroi dell'anticomunismo, che oggi mi scrivono lettere d'insulti accusandomi di averlo tradito, dov'erano al tempo del comunismo vero, quando io ero uno dei pochissimi a combatterlo di fronte [...], e loro, incontrandomi per strada, fingevano di non conoscermi? (p. 12) *Hiroshima, se fossi americano, non porrebbe [...] nessun caso di coscienza. L'arma atomica era in fase di studio e di preparazione sia in Germania che in America, e si poteva supporre che lo fosse anche in Russia e in Giappone. Avrebbe vinto la guerra e deciso le sorti del mondo chi ci fosse arrivato per primo. Hiroshima fece della popolazione civile, dicono, duecentocinquantamila vittime. Quante ne risparmiò inducendo alla resa i giapponesi che sembravano vicini all'olocausto? E quanto servì a smorzare la pretesa sovietica d'imporre il suo «diktat» a tutta l'Europa? [...] Essa a tal punto sorprese Stalin che dapprincipio non ci volle credere [...]. Nessuno può applaudire un massacro come quello di Hiroshima né andarne fiero. E posso capire come coloro che vi hanno partecipato dandone l'ordine o eseguendolo possano aver avuto dei problemi di coscienza. Ma gli aviatori inglesi che rasero al suolo l'inerme Dresda abitata solo da civili, facendo tra di loro pressappoco lo stesso numero di vittime che a Hiroshima, questi problemi, da quanto se ne sa, non li ebbero. Forse che la guerra all'atomo è più crudele di quella al fosforo? (p. 62) *De Gasperi non fu mai uomo di partito. E fu proprio per questo che riuscirono ad emarginarlo con tanta facilità, relegandolo in una Presidenza grondante omaggi ed ex voto, ma priva di qualunque potere reale. È vero che lui non lottò, anche perché era ormai a corto di fiato. Glielo toglieva non solo l'azotemia, ma anche il fallimento della Ced, la Comunità Europea di Difesa su cui De Gasperi fondava [...] i suoi sogni di salvezza e di grandezza europea, che i francesi di Mendès-France condannarono al naufragio. [...] De Gasperi era uomo di Stato, l'ultimo che l'Italia ha avuto dopo Giolitti. Ecco perché [...] non ha né può avere eredi. (p. 86) *{{NDR|[[Che Guevara]]}} Era uomo di Rivoluzione, che mai si sarebbe rassegnato ad una comoda esistenza di ben pasciuto gerarca. Doveva tornare alla Rivoluzione, pur consapevole della sua impossibilità in Paesi che lui ben conosceva, ma appunto proprio per questo: per cercare una morte coerente con la sua vita. [...] Avessi trenta o quarant'anni di meno, anch'io forse avrei nel mio modesto appartamento una stanza attrezzata a mausoleo del Che, e lo conserverei come souvenir di un Sogno sbagliato, ma pulito, e comunque pagato. È a coloro che non vogliono mai pagare nulla che va tutto il mio disprezzo. (p. 121) *Non mi stupirei [...] se il ragazzotto Clinton, nei suoi anni da governatore, avesse ingannato la noia dell'Arkansas inseguendo le minigonne di passaggio. [...] Il paragone con Berlusconi mi sembra un po' stiracchiato. Se Clinton venisse trovato colpevole, sapremmo che è un adultero (affari suoi); se Berlusconi venisse condannato, sapremmo che è un corruttore non occasionale (affari anche nostri, dal momento che s'atteggia a statista). (p. 154) *Mi permetto solo di aggiungervi qualcosa sull'imbecillità, l'ipocrisia e i vaniloqui delle nostre «anime belle» pronte a cadere in deliquio e a mobilitare le piazze per un O'Dell che, anche se qualche tenue dubbio sulla sua colpevolezza poteva sussistere, uno stinco di santo certamente non era, e per una Karla Tucker, rea confessa, anche se poi arcipentita e sinceramente convertita al credo della carità cristiana (e, sia chiaro, anch'io avrei per entrambi preferito la revoca della pena di morte); ma sono rimaste impassibili o quasi di fronte alla proposta condanna di lapidazione (di lapidazione!) di un cittadino tedesco e della sua compagna iraniana, rei di aver fatto l'amore (soltanto l'amore). Queste sono le nostre «anime belle» laiche ed ecclesiastiche, pronte a commuoversi e a sproloquiare contro la sedia elettrica americana [...], ma indifferenti alla lapidazione [...] per una «contaminazione» di lenzuola cristiane e musulmane. Io [...] queste anime belle – che oltre tutto hanno quasi sempre delle facce bruttissime e jettatorie – le odio di un odio viscerale. (p. 206) *Sul nemico vinto e che si riconosce vinto non s'infierisce. In fondo questi brigatisti hanno avuto, nella sconfitta, una loro dignità. Non sono dei «pentiti» al modo dei mafiosi e camorristi che si pentono per procurarsi dei vantaggi e denunziano i propri ex compari. Non sono dei delatori. Sono, a loro modo, dei prigionieri di guerra, di una guerra grazie a Dio finita con la nostra vittoria, e che quindi, sia pure con le debite precauzioni, possiamo rimandare a casa. Non è vero che non hanno pagato: me ne citi uno che non abbia scontato quindici o vent'anni di galera e che non ne abbia distrutta la vita. Qualche sconto possiamo farglielo: la generosità è segno di forza, non di debolezza. (pp. 283-284) *In una società «aperta» come la nostra, che rende impossibile qualsiasi controllo e in cui il sequestro è un'industria di antica tradizione che dispone di un personale altamente specializzato; e con una Giustizia che invece di affibbiare un ergastolo senza indulgenza ai colpevoli, si accontenta di infliggergli qualche anno alleviato dai permessi di libera uscita; cosa possono fare le forze dell'ordine? Starebbe a noi cittadini trovare quella di resistere al ricatto. Da noi italiani tenerelli non si può pretendere tanto? E sia. Ma allora abroghiamo la legge. Perché, come italiano, nulla mi ha mortificato di più che sentire [...] [[Giovanni Maria Flick|un ministro della Giustizia]] e alcuni dei più alti dignitari della toga proporne un'interpretazione che costituiva un chiaro invito a evaderla suggerendo il cavillo a cui ci si poteva aggrappare per legalizzare la contravvenzione. [...] No, a questo non ci sto. Cerchiamo almeno di avere il coraggio della nostra vigliaccheria riconoscendo che, dati i pericoli che possono comportare, i risoluti «No!» al sopruso non appartengono al nostro armamentario caratteriale, e aboliamo la legge. Ma non perché è sbagliata: in sé quella legge è sacrosanta. Ma perché noi cittadini non abbiamo la forza di adeguarcisi e coloro che dovrebbero imporcerne l'osservanza [...] ci suggeriscono il modo di evaderla. Questo è il cosiddetto «Paese reale». (p. 286) *Che un processo possa essere oggetto di revisione è, per il cittadino, una garanzia irrinunciabile, specie quando si tratta di processi indiziari, e quindi rimessi a valutazioni soggettive e pertanto sempre discutibili. Nessuno è infallibile, nemmeno i giudici, e quindi il diritto di appello è sacrosanto. Quello che sacrosanto non è, sono gl'interminabili tempi che questa operazione solitamente richiede, dovuti a due motivi chiaramente visibili: i grovigli procedurali in cui il processo è avvolto, delizia del genio cavillesco italiano, e l'inefficienza del personale che vi è addetto. (p. 327) *Che cosa io pensi dell'onorevole [[Cesare Previti|Previti]] mi pare di averlo detto in termini talmente espliciti da apparire – a più d'uno – brutali: un personaggio che solo a guardarlo in faccia verrebbe voglia di applicargli le manette ai polsi prima ancora di sapere chi è e cosa ha fatto. (p. 356) *Non credo che, all'apertura totale delle frontiere, avremo un Parma composto soltanto di irlandesi, o una Cremonese modello ellenico. Avremo invece un vero mercato, dove il costo e lo stipendio di un professionista verranno stabiliti in base alla domanda e all'offerta. È questo ridimensionamento, mi sa, che non piace ai calciatori nostrani. Non la «sottoutilizzazione delle risorse sportive nazionali e locali». Non penso che i nostri calciatori abbiano altri motivi di preoccuparsi. Perché mai dovrebbero venire accantonati? Sono tra i più bravi del mondo, e la bravura, per un professionista (che calci una palla o calchi una scena), è la garanzia migliore. (p. 379) *Le mie dimissioni da italiano sono soltanto quelle da una grande illusione: quella che l'Italia fosse una Patria da potere in qualche modo servire. Io, pur commettendo parecchi errori, ho cercato di farlo. Ma forse, di questi errori, il più grosso è stato quello di credere che fare si potesse. A consolarmene c'è una cosa sola: che questo errore lo hanno commesso tutti i migliori uomini che l'Italia ha avuto nel suo secolo e mezzo di vita unitaria. (pp. 410-411) ==''Pantheon minore''== ===[[Incipit]]=== '''Einaudi'''<br>Avendo saputo che sollecitavo l'onore e il piacere di incontrarlo, il Presidente, che non mi aveva mai visto, trovò del tutto naturale invitarmi a colazione. «Quando vuol venire?» mi fece chiedere, «giovedì mattina, per esempio?» Giovedì voglio stappare una nuova bottiglia del mio 'barolo' e ci sarà anche la signorina Barbara Ward dell{{'}}''Economist''. Vino piemontese, giornalismo ed economia politica, pensa: sarebbe difficile sorprendere [[Luigi Einaudi|Einaudi]] in una cornice più einaudiana di questa. ===Citazioni=== *{{NDR|Luigi Einaudi}} E in quei pochi minuti aveva ancora tante cose da dire a due giornalisti per ricordare loro, [[Alessandro Manzoni|manzonianamente]], che l'[[uomo]] è «buono», come dice [[Jean-Jacques Rousseau|Rousseau]], ma tale può diventare solo in grazia delle buone istituzioni (in ciò consiste la sua posizione conservatrice e cattolicamente pessimistica). *[[Ingrid Bergman]] è forse la sola persona al mondo che non consideri Ingrid Bergman un'attrice completamente riuscita e definitivamente arrivata. (p. 195) *Non ho mai visto in vita mia, nemmeno nei film di cui la Bergman è protagonista, una donna così trasparentemente pulita. (p. 195) *Ogni buon [[padre]] di [[famiglia]] deve, al principio della giornata, sapere quanto la famiglia ha in cassa e quanto può spendere.<br>Einaudi conosce a memoria le cifre dell'economia italiana, come i re che lo precedettero conoscevano a memoria i nomi e i motti dei reggimenti. *«''Venez, mademoiselle, venez''», disse [[Anatole France]] a [[Emma Gramatica]] che, poco più che ventenne, si trovò un giorno a viaggiare con lui in automobile a Palermo, e aveva paura di essere troppo ingombrante sul sedile. «''Vous êtes comme les anges, qui n'ont pas de derrière!''»<br>Qualcosa come mezzo secolo dev'esser trascorso da allora, ed Emma somiglia un po' meno a un angelo, ma grassa non la si può dire nemmeno adesso. La vita che mena, d'altronde, non lo consentirebbe di diventarlo. Alla sua età, ha girato per tre anni consecutivi, tutti i teatri dell'America del Sud, volando da Buenos Aires a Santiago, da Santiago a Lima, da Lima a Caracas, e recitando una sera in italiano e la sera dopo in spagnolo, lingua che, sino al momento di partire, ignorava totalmente. Ora è tornata per girare un film con [[Vittorio De Sica|De Sica]], e sono fatiche a cui molti giovani non resistono. *Il [[fascismo]] trovò, tra i suoi oppositori più accaniti, [[Mario Missiroli]], che si batté a duello con [[Benito Mussolini|Mussolini]]. Egli non credette alla [[forza]] e al successo delle «camicie nere» fino al [[giorno]] in cui, mentre cercava faticosamente di salire sul tram, uno squadrista che lo incalzava, dopo avergli inflitto una serie di spintoni, non gli ebbe affibbiato, in risposta alle sue proteste, due sonori schiaffi che gli fecero volar via gli occhiali cerchiati d'[[oro]]. Mario li raccolse con [[dignità]], vi fiatò sopra, li ripulì col fazzoletto e concluse in tono ammirativo: «Però!... Picchiano bene, veh!...» ==''Qui non riposano''== *{{NDR|Sulla [[guerra d'Etiopia]]}} Quella fu una guerra ideale, la guerra-tipo della borghesia italiana: con pochi morti e molte medaglie. Io presi a capirne la miseria solo all'ultimo capitolo: quando, per la marcia su Addis Abeba, cominciarono a piovere dall'Italia e da Asmara gerarchi e aspiranti gerarchi, smaniosi di gloria a buon mercato: e Badoglio dovette emanare un ordine per cui solo chi presentava "un biglietto di autorizzazione" poteva marciare sulla capitale nemica. Solo in tempo fascista si poteva escogitare un finale di guerra con un biglietto per la capitale nemica. (pp. 107-108) *Io non volevo far politica. Ha il diritto un uomo della strada di non far politica? Ha il diritto un uomo della strada a dire che il governo ha fatto bene a far questo e male a far quest'altro? Ha diritto un giornalista, che è un uomo della strada, il quale va a vedere e riferire le cose per conto degli altri uomini della strada, ha il diritto di riferire che i fatti si svolsero così e così, e che in essi c'era tanto il bello e tanto il brutto, tanto di giusto e tanto d'ingiusto? No, il [[fascismo]] disse che un uomo della strada non ha tutti questi diritti. Ecco perché diventai antifascista. Non perché al posto di [[Benito Mussolini|Mussolini]] ci volevo un altro, ma perché non ci volevo nessuno. Io volevo stare alla finestra, come stanno i giornalisti, mestiere di spettatore e non di attore.<ref>Citato in Paolo Granzotto, ''Indro Montanelli'', p. 92.</ref> (p. 189) *[...] volevo avere il diritto di non pensare alla [[politica]], di disinteressarmi della politica, perché la politica la gente dabbene non la fa. La gente dabbene lavora in ufficio, viaggia, commercia, produce, ama una donna che può anche essere sua moglie (come è il mio caso), ama i suoi figli, ama la sua casa, paga le tasse, e di politica ne parla un quarto d'ora al giorno. (p. 190) ==''Reportage su Israele''== *Il fenomeno più interessante è forse quello ch'è stato meno sottolineato dagli osservatori stranieri: le minoranze arabe disseminate nel [[Israele|Paese]] hanno abbandonato i loro notabili che facevano lista per conto proprio, e hanno votato per i partiti nazionali infischiandosi ch'essi siano completamente in mani ebraiche. Sarebbe come se gli altoatesini, invece che per la ''Volkspartei'', votassero per i partiti italiani. Il partito comunista, verso cui li spingeva Radio-Cairo, è sbaragliato. Evidentemente la politica d'integrazione applicata nei loro confronti ha avuto il più completo successo, malgrado la guerra fredda, e tavolta calda, in cui si ostinano le nazioni arabe contro Israele (o forse proprio per essa). (p. 6) *Probabilmente i pionieri di Degania non si resero conto dell'importanza di ciò che facevano o forse non osarono nemmeno sperare che quel loro esperimento ne avesse tanta. Erano imbevuti di quel socialismo umanitario d'ispirazione tolstoiana che allora permeava gli ambienti intellettuali russi dai quali provenivano. Ma un'idea la ebbero chiara di certo: e cioè che l'unico modo di radicarsi in quella che la Bibbia e la Tradizione indicavano come loro Patria era di mettersi a lavorare la terra. (pp. 14-15) *L'esercito naturalmente serve ad Israele per difendere le sue ardue frontiere, e ha dimostrato di saperlo fare in maniera superlativa; ma i suoi sforzi quotidiani li concentra sulla formazione, più che del soldato, del cittadino. Esso prende i giovani di ambo i sessi e di qualunque condizione a diciotto anni, e per due anni e mezzo gli uomini, due le donne, li rimescola, li tritura e li macina. Insegna non soltanto il maneggio delle armi, ma anche la lingua a chi non la sa e il mestiere a chi non lo ha. La mattina, dall'alba a mezzogiorno, è tutta dedicata all'addestramento fisico delle reclute. Ma il pomeriggio è diviso fra il lavoro e la scuola. La caserma è di tipo ''kibbutz'', dove ci si prepara a quel solidarismo della vita collettiva che è l'ideale di questo popolo. Ed è qui che si forma l'israeliano non più ''azkenazi'', non più ''sefardita'', ma nazionale. (pp. 28-29) *[[Theodor Herzl|Herzl]] non era che un giornalista, redattore della ''Neue Freie Presse'' di Vienna. A proprie spese, viaggiando in terza classe, si mise alla ricerca in tutto il mondo dei correligionari danarosi, la maggiorparte gli rise in faccia. Il "Fondo nazionale ebraico per la terra" di quattrini ne raccolse pochi. Ma Herzl non si diede per vinto. Cominciò a visitare anche i potenti, dal Kaiser al Sultano fino a Vittorio Emanuele e al Papa per interessarli al progetto. E, sebbene questo non avanzasse, nel 1898 scrisse nel suo diario: «La mia sembra una chimera. Ma fra cinquant'anni lo Stato ebraico sarà una realtà». Si può essere scettici quanto si vuole, sulle profezie. Ma bisogna constatare che dal 1898 al 1948 [...] corrono esattamente cinquant'anni. Gli unici miliardari ebrei che presero sul serio Herzl furono i Rothschild. Essi non diedero capitali al ''Fondo'' forse perché avevano qualche dubbio sulla sua efficienza [...], ma per conto loro comprarono tutto ciò che in Palestina, allora provincia ottomana, c'era di comprabile, eppoi lo regalarono agli ebrei che ci andavano, per sé serbando soltanto il pezzo di terra necessario a ospitare le proprie tombe. (pp. 33-34) *Il partito di Ben Gurion, il ''Mapai'', ha riportato, contro quasi tutti i pronostici, una smagliante vittoria. E ora lui, ''Bigì'', deve formare il ministero, operazione che si presenta piuttosto complicata anche qui in Isarele. [...] Non dico che detesti la politica; anzi, ne è intriso. Ma non ama, della politica, questo aspetto minore – che purtroppo è quello quotidiano – delle estenuanti contrattazioni, del piccolo cabotaggio, delle furberie, dei compromessi, o per lo meno così dice. E ogni tanto pianta baracca e burattini, e se ne va. Dove? In mezzo al deserto del Negev, si capisce. La sua Riviera è lì, in un ''kibbutz'' poco distante da Beersheba, circondato dalle dune di sabbia e dai cammelli dei beduini. Ci resta tre giorni, una settimana, due, senza che nessuno osi disturbarlo. (pp. 40-41) *Gerusalemme è la città che fa maggiormente le spese di questa situazione manicomiale, quella nuova in mani israeliane è divisa da quella vecchia in mani arabe non da una frontiera ma da un muro, reso impenetrabile dall'intolleranza. In teoria, essa dovrebb'essere internazionalizzata, e per questo le potenze occidentali si rifiutano di riconoscerla come capitale di Israele e vietano ai loro ambasciatori di risiedervi. Ma siccome Israele vi sta ugualmente accentrando i suoi ministeri, questi poveri ambasciatori sono costretti quasi quotidianamente a farvi il su e giù da Tel Aviv dove sono obbligati a risiedere e che ne dista comunque oltre settanta chilometri. [...] Così a Gerusalemme non ci sono, come rappresentanti stranieri, che dei consoli, accreditati imparzialmente presso le due autorità locali, il prefetto israeliano nella città nuova e il governatore arabo in quella vecchia. Sono gli unici che possono attraversare la porta di Mandelbaum. (pp. 49-50) *Israele è estremamente utile agli arabi, o per meglio dire ai capi arabi, da un lato per sostenere di fronte al mondo la grossa menzogna dell'unità araba, e dall'altro per combattere fra loro la battaglia dell'egemonia. […] Se questo odio ci sia veramente, non lo so. So soltanto ch'è l'unico filo che tiene cucita la "fraternità" araba: questa curiosa fraternità punteggiata di congiure, di attentati, di assassinii caineschi, tra "fratelli" di cui ognuno accusa l'altro di non esserlo abbastanza. (pp. 51-52) *Se l'esistenza d'Israele serve agli arabi per puntellare alla meglio la loro convenzionale unità, la minaccia araba ha servito agl'israeliani per fare ciò che senza di essa avrebbero ugualmente, fatto, ma in cinquant'anni invece che in dieci. Il blocco e il boicottaggio arabo hanno paradossalmente funzionato, per Israele, da piano quinquennale senza bisogno delle imposizioni poliziesche di un regime comunista. [...] Psicologicamente, la tensione senza intermittenze con gli arabi ha sortito e seguita a sortire sulla società israeliana gli stessi effetti che la "frontiera", cioè la conquista dell'Ovest, ha prodotto alla società americana, obbligandola a restare per decenni e decenni tuffata in un'atmosfera pioneristica. [...] Morale: ognuno ha il nemico che si merita. (pp. 55-56) *Gl'israeliani hanno piantato in poco più di dieci anni trenta o quaranta milioni di alberi. E bisogna vedere con che orgoglio te li mostrano, con che incantamento se li guardano, con che passione li annacquano, li potano e li pettinano. Le case non sono granché: le costruiscono in fretta, senza varietà, e piuttosto "alla carlona". Ma non ce n'è una, nemmeno nelle città, che non abbia un giardino e nel giardino, insieme ai fiori, i suoi alberi. (p. 59) *Il teatro ''yiddish'', che pure era un grande teatro, v'incontra poca fortuna. Esso era nato in Germania e in Polonia, come uno specchio deformante di quelle società che relegavano gli ebrei nel ghetto e che essi ripagavano con la caricatura. Ora che dal ghetto sono usciti, essi stessi non comprendono più il significato di quei ghigni e di quelle smorfie. Il pubblico che ci va è tutto dai quaranta in su. (p. 62) *Lo Stato mostra parecchia tenerezza [...] per quelle due o trecento famiglie di ortodossi acquartierati in Gerusalemme, che lo negano e si rifiutano perfino di votare perché nella Bibbia sta scritto che uno Stato ebraico sarebbe rinato solo dopo l'apparizione del Messia in Terra [...]. Questi protestanti assolvono anch'essi una funzione. Servono a dimostrare che in Israele alla Bibbia ci si crede. [...] Ben Gurion è un laico puro. E tutta laica è la nuova generazione. Non è vero che Israele sia uno Stato confessionale. Lo è meno dell'Italia. (p. 66) *Non so a che punto siamo con la letteratura e la poesia, qui in Israele. [...] Ora che hanno una lingua propria a disposizione, i giovani scrittori d'Israele la usano [...] su tutt'un altro registro. Intanto, hanno scoperto anch'essi la natura. [...] Essi erano amari e disperati quando scrivevano in tedesco o in russo. Ora che scrivono in ebraico, le loro parole sono piene di sole e di sangue: cioè di gioia di vivere, anche quando descrivono la morte. (pp. 67-68) *[[Golda Meir]] è la "madre del Paese", anzi la mamma. E con le mamme, si sa, complimenti non se ne fanno. Per questo la chiamano soltanto Golda, la salutano alla voce, invece di baciarle la mano, quando passa per strada, e insomma le danno del tu. Essa è la meno ossequiata, ma la più amata e popolare, di tutte le donne d'Israele. [...] Essa rappresenta la vecchia guardia, la fedeltà all'uomo, al suo socialismo democratico, al collettivismo del ''kibbutz'' nel quale è anche lei maturata. (pp. 70-74) *I Paesi asiatici non hanno visto di buon occhio la nazionalizzazione del Canale di Suez, anche se per pregiudiziali anticolonialistiche hanno dovuto appoggiare [[Gamal Abd el-Nasser|Nasser]] e fingere di applaudirla. [...] Tempo fa il dittatore egiziano, per ritorsione contro Ceylon che gli aveva votato contro all'O.N.U., le ha bloccato tutta l'esportazione del tè, conducendo quel Paese sull'orlo del fallimento. Domani potrebbe fare altrettanto contro la Birmania. Il Canale non rende all'Egitto che dieci milioni di dollari l'anno. Ma gli consente di ricattare tutti i Paesi asiatici, che per quella via devono ancora passare. (p. 80) *{{NDR|Nel 1956}} [[Moshe Dayan|Dayan]] aveva in quel momento quarant'anni. Egli diresse le operazioni da un piccolo aereo di ricognizione che guidò da solo tenendolo librato qualche centinaio di metri sulla zona di combattimento. [...] Quando, in fase di armistizio, si trattò di scambiare i prigionieri, gl'israeliani ne restituirono seimila, gli egiziani uno: un pilota che aveva dovuto atterrare dentro le loro linee. Dopodiché il generale dal volto di ragazzo, invece di sfilare in parata per le vie di Gerusalemme alla testa delle truppe vittoriose, svestì la divisa, diede le dimissioni dall'esercito, e si mise a fare l'archeologo, fino al giorno in cui Ben Gurion gli propose di portarsi candidato nelle liste del suo partito. (p. 88) *Per Israele, l'unico lato negativo della campagna del Sinai del '56 ha rischiato di essere proprio questo: il pericolo di un "complesso di superiorità" che poteva indurre alla smobilitazione non tanto delle armi, quanto degli animi. Il lettore italiano non saprà con quanta cura [...] Governo, Parlamento e stampa si sono adoperati per "minimizzare" quella folgorante vittoria, che qualunque altro popolo avrebbe annaffiato di chissà quali fiumi di retorica. (p. 101) *In Israele sono stati investiti [...] oltre sei miliardi di dollari. Ma oggi rendono, eccome. Questo non è uno dei tanti pozzi di San Patrizio arabi, dove prestiti e finanziamenti finiscono in ville satrapesche o vengono ritrasferiti pari pari nelle banche svizzere. Israele è una grande impresa industriale, dove ogni dollaro dell'azionista si è tradotto in un albero o in un telaio. Oggi Israele è effettivamente alla vigilia di una crisi: ma si tratta di una crisi di sovraproduzione. [...] Le materie prime d'Israele sono l'ingegno, la disciplina, la fede in se stessi. Ma ce n'è in tale abbondanza che sui risultati finali non possono sussistere dubbi. (pp. 102-103) *Dicono che quello israeliano è un regime di socialismo addomesticato. Sarà. Ma è l'unico socialismo volontario che io abbia visto in atto, l'unico che abbia raggiunto forme anche estreme di vita collettivizzata per spontanea scelta di chi deve subirne i non piccoli inconvenienti. Eppure, in pochi Paesi si respira a pieni polmoni la libertà come in Israele. Non vi conosco un ricco. Non vi conosco un povero. Ma soprattutto non vi conosco un servo. (p. 104) *[[Chaim Weizmann|Weizmann]] voleva fare di questo Paese un gabinetto scientifico, il focolare dell'intelligenza umana applicata alla tecnica, un'appendice del suo Istituto, meraviglia del mondo. Ma anche questo è parso troppo poco. Secondo altri, Israele deve trasformarsi nel laboratorio della coscienza ebraica per la ricerca di un nuovo Verbo in cui il mondo trovi pace, libertà e giustizia. Se mi avessero detto queste cose prima di andare in Israele, credo che anch'io ne avrei sorriso, come forse sorrideranno alcuni lettori. Ma sul posto ci si accorge quanto profondamente sentite esse siano. (p. 108) *Per liberare il mondo dagli ebrei e gli ebrei da se stessi [[Theodor Herzl|egli]] aveva pochi anni prima lanciato l'idea di adunare a Roma tutti i rabbini e farli convertire dal Papa. L'affare Dreyfus gli dimostrò che nemmeno questo sarebbe bastato. E allora egli si diede a predicare lo Stato ebraico: ma sempre per liberare il mondo dagli ebrei e gli ebrei da se stessi. Herzl era una delle più affascinanti personalità che l'ebraismo abbia mai prodotto […]. Le sue ''illuminazioni'' si sono dimostrate alla prova dei fatti più valide della logica e della ragione. Mi piace concludere questo rapporto sulle cose d'Israele rendendo omaggio a questo singolare profeta, che nelle sue sconnesse visioni, in mezzo a fallimenti di ogni genere, non solo previde la nascita dello Stato ebraico, ma gli assegnò con cinquant'anni di anticipo la data esatta (il 1948) e la ''missione'' che gli spettava: quella di ''sconfiggere'' gli ebrei liberandoli da se stessi, cioè da quel fardello di miserie e di dolori che per due millenni ne hanno fatto il più tragico popolo del mondo. (pp. 109-110) ==''Ricordi sott'odio''== *''Non piangete | per | [[Cesare Zavattini]] | ha già pianto | lui per tutti noi.''<ref name=ricordi>Il libro raccoglie gli "epitaffi" scritti su personaggi al momento viventi (talvolta insieme a [[Leo Longanesi]]) e quasi tutti inediti.</ref> (p. IV dell'Introduzione di Marcello Staglieno) *''Qui | per la prima volta | [[Alida Valli]] | giace | sola''.<ref name=ricordi/> (p. 11) *''Qui | riposa | [[Amintore Fanfani]] | amico | dei nemici | nemico | degli amici | figlio | di [[Alcide De Gasperi|De Gasperi]] | padre | di nessuno.''<ref name=ricordi/> (p. 31) *''Qui | riposa | [[Mario Melloni]] | inquieto | transfugo | di sé stesso | momentaneamente | scomparso | a sinistra | in cerca | di una croce | su cui | inchiodarsi.''<ref name=ricordi/> (p. 65) *''Qui giace | Alba {{ndr|[[Alba de Céspedes]]}} | scrittrice scialba. | Divorò uomini e gloria | La Boria | la divorò''.<ref name=ricordi/> (p. 95) *''Qui | riposa | [[Mario Soldati]] | padre | figlio | autore | regista | interprete | di | Mario Soldati.''<ref name=ricordi/> (p. 123) *''Qui giace | [[Davide Lajolo]] | Segretario federale | Legionario di Spagna | Repubblichino di Salò | chiese | di passare all'anilina | la sua camicia nera. | E com'era | Rimase.''<ref name=ricordi/> (p. 179) *''In pace | qui giace | orbato | d'orbace | [[Achille Starace]].''<ref name=ricordi/> (p. 181) ==''Soltanto un giornalista''== *Da quando ho cominciato a pensare, ho pensato che sarei stato un giornalista. Non è stata una scelta. Non ho deciso nulla. Il giornalismo ha deciso per me. E questa è stata una delle mie tante fortune, posto che tutto quel che ho fatto lo debbo soprattutto a un alleato ch'è sempre rimasto al mio fianco: il caso. (p. 5) *Per sua disgrazia, [[Massimo Bontempelli|Bontempelli]] fu nominato accademico d'Italia da un fascismo che puzzava già di morto. Eletto senatore nelle liste del Fronte popolare dopo la guerra, non esitò a pronunziare giudizi brucianti su chi aveva collaborato col regime. Quel voltafaccia gli costò caro, perché a un certo punto saltarono fuori le lettere che aveva scritto a Mussolini per impetrare la sua nomina: i comunisti lo scaricarono e lui cadde in un tale stato di prostrazione da morirne. (p. 26) *A Salò ci fu di tutto. Ci furono le squadracce assetate di vendetta e di saccheggio che provocarono il disgusto agli stessi tedeschi. Ma anche uomini per i quali quello fu il banco di prova d'una coerenza e d'una lealtà che non possono non incuter rispetto. E l'unica ragione per la quale benedico le mie cosiddette benemerenze antifasciste è che mi han dato il diritto di difenderle. (p. 119) *Il 2 giugno del '46, giorno del referendum istituzionale, votai per la monarchia. Lo feci perché ritenevo fosse pericoloso recidere il tenue filo che legava l'Italia all'unica sua tradizione nazionale: quella monarchica, appunto. L'Italia non s'era "fatta da sé", come pretendeva la nostra storiografia ufficiale. Era stata fatta dalla monarchia sabauda guidata dal genio diplomatico d'un suo diplomatico, Cavour, che voleva estendere il Regno di Sardegna al Lombardo-Veneto. Se poi ci scappò fuori l'Italia, non fu grazie al contributo degl'italiani, che non ne diedero punto. Fu perché la storia dell'Europa andava verso la costituzione degli Stati nazionali, e condannava a morte quelli plurinazionali come l'Impero austriaco. [...] Al posto di quel patrimonio, sia pure modesto, cosa prometteva la Repubblica? Si presentava come depositaria dei valori della Resistenza, un mito ancora più falso di quello del Risorgimento. Che non era stata affatto, come pretendeva d'essere, la lotta d'un popolo in armi contro l'invasore, bensì una lotta fratricida tra i residuati fascisti della Repubblica di Salò e le forze partigiane, di cui l'80 per cento si batteva (quasi mai contro i tedeschi) sotto le bandiere d'un partito a sua volta al servizio d'una potenza straniera. (pp. 125-126) *Un'altra scelta s'era imposta, quella delle elezioni del '48. Per l'Italia era una scelta vitale: o con l'Est o con l'Ovest, ossia con i totalitarismi rossi oppure con le democrazie occidentali. Ergo, o con il Fronte popolare oppure con la Dc. E lì ebbe inizio il mio dramma, ch'è poi quello eterno del laico italiano: il quale, messo davanti al boia, vede comparire al suo fianco il prete che solo può salvarlo. (pp. 135-136) *Mi proposi due obiettivi, entrambi falliti: il primo era farmi intentare un processo dagli amministratori della città che attirasse l'attenzione sui pericoli che [[Venezia]] stava correndo. Il secondo era rendere pubblica la convinzione che m'ero formato: che per salvare Venezia la prima cosa da fare era sottrarla allo Stato italiano e affidarlo a un organismo internazionale come l'Onu, con le sue cospicue possibilità finanziarie e i suoi agguerriti uffici tecnici. [...] Il Comune di Venezia non aveva più nulla di veneziano, salvo la sede. A dominarlo erano gli elettori di Mestre e Marghera, che con quelli di Venezia si trovavano nella proporzione di tre a uno, e dalla loro avevano tutto: i soldi delle industrie, i sindacati e quindi anche i partiti. Decidendo di restare amministrativamente unita, Venezia ha preferito mettersi al rimorchio delle ciminiere e petroliere di Marghera, alle quali ha sacrificato il suo delicatissimo sistema idraulico. Fu allora che, con grande amarezza, feci atto di rinunzia a Venezia, convinto come ero, e come son rimasto, che una città si può salvare solo se sono i suoi abitanti a volerlo. (pp. 216-217) *Una sera, uscendo solo soletto dal «Giornale», mi trovai davanti il solito muro di folla tumultuante con le bandiere rosse spiegate. Dalla piazza si levò un urlo: «Tel chi el Muntanel!». In un attimo cinquanta scalmanati mi s'avventarono contro. Temendo il linciaggio, arretrai fino a trovarmi con le spalle al muro. Ma non feci in tempo a dire be' che mi ritrovai issato in spalla a una mezza dozzina d'energumeni, fra salve d'evviva. Erano i tifosi del [[Torino Football Club|Torino]] che quel giorno {{NDR|16 maggio 1976}} aveva vinto lo scudetto, e le bandiere non eran rosse, ma granata. E siccome i cronisti sportivi del «Giornale» erano sempre stati favorevoli al Torino, m'acclamavano come un loro idolo. (p. 241) *La Dc era il partito dei maneggi e dell'inefficienze. Ma se avesse perso il 4 o il 5 per cento dei suoi voti, il partito di maggioranza relativa destinato a formare il nuovo governo sarebbe diventato quello comunista. Ch'era ancora molto pericoloso. Perché è vero che in Italia c'era Berlinguer, ma io sapevo bene che col comunismo d'allora poteva ancora succedere di tutto: bastava un cambiamento al vertice e un Berlinguer poteva diventare un [[Alexander Dubček|Dubček]] come un [[Walter Ulbricht|Ulbricht]]. Il «Giornale» era certamente laico, ma prima di essere laico era italiano, e cercava d'operare con qualche senso di responsabilità. E negli anni Settanta solo gl'irresponsabili potevano augurarsi il crollo della Dc, cui eravamo condannati anche perché la cosiddetta Alleanza laica, l'accordo fra Pli, Pri e Psdi, non sortì mai i numeri per sostituirvisi. (pp. 243-244) *Ci fu un'unica battaglia sulla quale il «Giornale» si trovò allineato con Craxi e il nostro editore: quello per la libertà d'antenna. Battaglia sacrosanta. Berlusconi è tutt'altro che un idealista disinteressato e nessuno sa agire come lui aggirando, quando non calpestando, le regole. Ma i panni nobili coi quali i difensori della Rai rivestivano la loro offensiva politico-giudiziaria erano grotteschi. Se il peccato di Berlusconi stava nell'essere troppo amico del Psi, quello della Rai era d'essere troppo amica di tutti i partiti. A fornirci il destro furono poi i pretori coi loro interventi oscurantisti, peraltro prontamente sventati dai decreti di Craxi. E quindi la crociata dell'etere libero, che rientrava fra l'altro nella nostra tradizione antistatalista, divenne una campagna contro il "pretore selvaggio", che con i suoi abusi toglieva ogni certezza del diritto al cittadino. (pp. 275-276) *Le vere novità erano nate fuori dal Palazzo: come la Lega di [[Umberto Bossi]]. Che all'inizio anche il «Giornale», come molti altri, sottovalutò. Come si faceva a prender sul serio un invasato che nutriva le sue invettive di sfondoni storici e grammaticali da far accapponare la pelle? [...] Che Roma fosse ladrona, era indubitabile. E l'avversione per la burocrazia parassitaria e per il meridionalismo piagnone e sprecone andava a nozze con le tradizioni del «Giornale». Bossi quindi incarnava un sentimento molto diffuso anche fra i nostri lettori, una protesta genuinamente qualunquista che, per certi versi, all'inizio anche noi appoggiammo. Ma dovemmo prenderne le distanze quando Bossi cominciò a condire le sue contumelie contro il Palazzo con propositi secessionisti. (pp. 279-280) *Con Berlusconi, tuttavia, poi feci pace. Fu lui a telefonarmi: forse, aveva captato in qualche mio articolo un'ombra di rimpianto per il vecchio amico. Era il '96 e dopo il ribaltone le cose per lui si mettevano di male in peggio. [...] Così, una sera mi ritrovai di nuovo seduto alla sua mensa ad Arcore. [...] Riparlammo senza rancore dei nostri trascorsi. Gli domandai quale garanzia avesse ricevuto da [[Massimo D'Alema|D'Alema]] sulle sue aziende in cambio dell'opposizione inesistente che gli assicurava. Rise. «Ma perché, ora che hai sistemato i tuoi affari, non ti chiami fuori dalla politica?» gli chiesi. «È una parola» mi rispose rabbuiandosi. «I giudici non obbediscono neppure a D'Alema». E lì capii quale era, ormai, la vera sostanza del suo dramma. (p. 312) *Se anch'io sono diventato europeista, è per disperazione: l'Europa è forse l'unica possibilità di sopravvivere per noi italiani, che come italiani non siamo riusciti a vivere. Questo è sempre stato l'europeismo degl'italiani di più alta coscienza, a partire da [[Alcide De Gasperi|De Gasperi]], che fu il primo a capire i rischi d'un Italia lasciata in balìa degl'italiani. (p. 315) *Pur fra tante fortune, purtroppo a me la sorte ha riservato di portarmi nella tomba le due cose che ho più amato: il mio mestiere e il mio Paese. Che cosa sia diventato il primo, annientato da computer e televisione, è sotto gli occhi di tutti. Quanto al secondo, la cancrena è ormai inarrestabile e la decomposizione sta avvenendo per dissoluzione di quel poco che resta dello Stato. E dico decomposizione, non secessione. La secessione si fa anche con la violenza, e dove lo troviamo oggi un solo plotone di soldati disposto a imbracciare le armi pro o contro l'Unità dello Stato? Che, se resta ancora in piedi, è solo perché non ha neppure la forza di cadere. Quello di rinunziare alla nazione poi, è un sacrificio che non saprei compiere, anche se razionalmente mi rendessi conto ch'è necessario, oppure inevitabile. E ringrazio l'anagrafe che mi esclude dal problema. (p. 316) ==''Storia d'Italia''== {{vedi anche|Indro Montanelli e Roberto Gervaso|Indro Montanelli e Mario Cervi}} ===''L'Italia giacobina e carbonara''=== *I [[cinismo|cinici]] sono tutti moralisti, e spietati per giunta. (cap. 10, p. 144) *[[Francesco Melzi d'Eril|Melzi]] apparteneva a una delle più grandi famiglie dell'aristocrazia lombarda, e ne portava nel sangue le doti migliori: la rettitudine, la cultura, la cortesia, ma anche una certa alterigia, che probabilmente gli veniva dalla madre spagnola. (cap. 11, p. 152) *{{NDR|Francesco Melzi d'Eril}} Aveva fatto parte dei circoli illuministici dei Serbelloni, dei Beccaria e di Pietro Verri, di cui era anche cognato. [[Napoleone Bonaparte|Napoleone]] lo aveva conosciuto al tempo della sua prima campagna d'Italia, dopo la battaglia di Lodi lo aveva invitato a Mombello, e ne aveva fatto il proprio consigliere. Quel signore che portava ancora il costume settecentesco, le calze bianche e la parrucca incipriata, gli piaceva. Gli piaceva perché non era servile, perché non era venale, perché non era nemmeno ambizioso. Una leggera sordità e una salute piuttosto precaria, insidiata da un forte artritismo, l'obbligavano a riguardi incompatibili con l'esercizio del potere. Più che il protagonista, preferiva fare il suggeritore. (cap. 11, p. 152) *L'unico che avesse qualità di uomo di Stato era il ministro delle finanze, [[Giuseppe Prina|Prina]], anche perché era piemontese, cioè veniva da un paese che uno Stato lo era da secoli. Ex procuratore generale della Corte dei Conti di Torino e membro del governo provvisorio del '99<ref>1799.</ref>, si era poi trasferito nella [[Repubblica Cisalpina|Cisalpina]] e ne aveva preso la cittadinanza. Non aveva un carattere che attirasse simpatie. Anzi, chiuso e freddo com'era, le respingeva. Ma era un lavoratore instancabile e scrupoloso, dotato di un acuto senso politico e – diceva [[Stendhal]] – "ha del grande in testa". (cap. 12, p. 164) *Perché non andassero perse neanche le briciole {{NDR|delle entrate della Repubblica Cisalpina}}, Prina riformò tutto il sistema fiscale riducendone il personale e facendone una macchina di straordinaria efficienza. Fu lui a inventare la "tassa di famiglia", o meglio a ripristinarla, perché la sua vera iniziatrice era stata [[Maria Teresa d'Austria|Maria Teresa]]. Ma la maggior pressione la esercitò nel campo delle imposte indirette che colpivano tutti i consumi senza distinguere fra quelli di lusso e quelli di prima necessità. Naturalmente a farne le spese furono soprattutto le classi popolari, che di lì a pochi anni gliel'avrebbero fatta pagare<ref>Prina, dopo l'abdicazione di Napoleone, fu linciato dalla folla a Milano il 20 aprile 1814.</ref>. Ma con questi sistemi riuscì a portare le entrate da settanta a oltre cento milioni e a pareggiare il bilancio. (cap. 12, p. 165) *[[Carlo II di Parma|Carlo Ludovico]] era stato talmente oppresso dalla madre<ref>Maria Luisa di Borbone-Spagna (1782–1824).</ref> che sognava di disfare tutto ciò ch'essa aveva fatto, compreso il proprio matrimonio; e quando le successe nel '24<ref>Come duca di Lucca nel 1824.</ref>, introdusse anche per buona fortuna dei lucchesi, metodi di governo diametralmente opposti a quelli di lei. Ridusse l'appannaggio che Maria Luisa esigeva per alimentare i suoi fasti spagnoli, liberalizzò i commerci, e alla fine si convertì addirittura al luteranesimo, mentre sua moglie diventava Terziaria domenicana. Fu un cattivo marito, ma non un cattivo sovrano. E Lucca, sotto di lui, respirò. (cap. 25, p. 375) *[...], {{NDR|la [[Carboneria]]}} non fu certo una scuola di educazione politica, e probabilmente è anche al suo esempio e modello che sono dovute le malformazioni della nostra democrazia e la sua intrinseca debolezza. Figli e nipoti dei Carbonari furono quei "notabili" che governarono l'Italia fino alla prima guerra mondiale e che, insieme a innegabili virtù, ebbero anche il vizio di considerare il Paese una "clientela" di Apprendisti esclusi dai "sacri travagli". (cap. 26, p. 395) *Fu qui {{NDR|al Teatro alla Scala}} che {{NDR|[[Ugo Foscolo]]}} vide [[Antonietta Fagnani Arese]], già famosa a ventitré anni non soltanto per la sua bellezza, ma anche per lo sfruttamento intensivo che ne aveva fatto. Probabilmente era una frigida, ma che sapeva recitare la sua parte: tutti i giovani più in vista di Milano cadevano nelle reti di questa Circe, e forse fu anche questo a stimolarlo. (cap. 35, p. 510) *Misto di genio e di ciarlatano, [[Domenico Barbaja|Barbaja]] aveva debuttato come sguattero, aveva fatti primi soldi inventando un dolce di panna e cioccolato, la "barbajada", li aveva moltiplicati con la gestione del Ridotto da giuoco della Scala, e ormai tanti ne aveva che quando il San Carlo andò distrutto da un incendio, lo ricostruì a proprie spese. (cap. 39, pp. 608-609) *{{NDR|Domenico Barbaja}} Era semianalfabeta, e di musica non conosceva una nota, ma conosceva il pubblico, era un infallibile scopritore di talenti, e nel 1815 si assicurò quello di un compositore ventitreenne, in cui già aveva identificato la figura più rappresentativa della lirica contemporanea: [[Gioacchino Rossini]]. (cap. 39, p. 609) *{{NDR|[[Ciro Menotti]]}} Uomo onesto, ma di un candore che sconfinava nella sprovvedutezza, [...]. (cap. 40, p. 635) ===''L'Italia del Risorgimento''=== *{{NDR|[[Giuseppe Mazzini]]}} Due mesi d'intenso lavoro gli bastarono a maturare il piano. Più che una setta, la sua organizzazione sarebbe stata un vero e proprio partito, anche se clandestino, senza l'oscura simbologia e i complicati rituali carbonari. Si sarebbe chiamata ''[[Giovine Italia]]'' e lo sarebbe stata anche di fatto perché, salvo casi eccezionali, era preclusa a chi avesse superato i quarant'anni di età. (cap. 4, pp. 54-55) *D'irresolutezza, [[Carlo Alberto di Savoia|Carlo Alberto]] aveva dato prova anche prima di salire sul trono, e lo aveva dimostrato anche il suo contraddittorio atteggiamento nel '21<ref>Nei moti piemontesi del 1821, Carlo Alberto aveva prima dato e poi ritirato il suo appoggio ai congiurati.</ref>. Il coraggio e la volontà non gli mancavano; ma gli mancava il carattere. Nella guerra di Spagna era stato un valoroso combattente<ref>Nel 1823, Carlo Alberto aveva partecipato alla campagna militare per ristabilire l'assolutismo regio in Spagna.</ref>, e la disciplina a cui si sottoponeva era spartana. Ma le responsabilità morali lo sgomentavano. (cap. 9, pp. 135-136) *{{NDR|Carlo Alberto}} Non era né intelligente né colto. Ma certi movimenti di opinione pubblica e orientamenti di pensiero li coglieva e ne restava influenzato. Nel '38 aveva mandato in galera e poi in esilio [[Vincenzo Gioberti|Gioberti]], ma nel '43 ne leggeva con interesse il ''Primato''. Se [[Massimo d'Azeglio|D'Azeglio]] avesse scritto il suo libro<ref>''Degli ultimi casi di Romagna'' (1846).</ref> due anni prima, avrebbe mandato in esilio anche lui. Ora in pratica ne aveva fatto una specie di agente segreto. I tempi insomma li sentiva e con essi andava. (cap. 9, p. 136) *Questo grande soldato {{NDR|[[Josef Radetzky]]}} non aveva mai conosciuto sconfitte, e a ottant'anni suonati conservava intatte prestanza fisica ed energia morale. Come tutti i militari, credeva soltanto nella spada e nella disciplina. Ma non somigliava affatto all'immagine che di lui ci ha tramandato la storiografia risorgimentale: quella del crudele "impiccatore", del caporalaccio ottuso, grossolano e brutale. Era al contrario un grande signore, di tratto ruvido ma generoso, perpetuamente alle prese con problemi di bilancio perché aveva le mani bucate. (cap. 13, p. 194) *{{NDR|Radetzky}} Aveva sposato una Contessa austriaca che viveva a Vienna e gli aveva dato otto figli da cui non gli venivano che dispiaceri. Uno militava ai suoi ordini lì a Milano, ma era un così cattivo arnese che un prete un giorno lo schiaffeggio per strada. Radetzky mandò a chiamare il prete, gli strinse la mano e gli disse: "''{{sic|Crazzie}}''". Per amante si era presa una brava stiratrice lombarda che sapeva cucinare bene gli gnocchi, di cui era ghiottissimo, e dalla quale ebbe altri quattro figli. Non era affatto un odiatore degl'italiani: tant'è vero che, quando andò in pensione, rimase a Milano, e lì morì nel '58. Era soltanto un fedele servitore del suo Paese, di cui non discuteva la causa. E soprattutto era un vecchio lupo di guerra coraggioso, astuto e risoluto. (cap. 13, p. 195) *La notizia si diffuse prima ancora che lo [[Statuto Albertino|Statuto]] fosse firmato, e in un battibaleno le piazze di Torino, eppoi di tutto il Piemonte, eppoi di tutto il Reame, si riempirono di folla esultante. Essa non conosceva il contenuto del documento che introduceva, sì, un regime rappresentativo, ma circondandolo delle maggiori cautele [...]. Più che del suo contenuto, la pubblica opinione era innamorata della parola ''Costituzione'', che aveva finito, per assumere ai suoi occhi magici significati, e la salutava con luminarie, canti e bandiere. (cap. 14, p. 218) *[...] [[Francesco Anzani|Anzani]], il più serio e autorevole degli esuli italiani, che aveva combattuto per la libertà in Grecia e in Spagna. Le sue parole avevano gran peso anche perché fra tutti quei chiacchieroni, ne pronunziava poche. (cap. 18, p. 281) *[...] [[Giuseppe Montanelli|Montanelli]] era così infatuato {{NDR|del progetto di Costituente italiana}} e tanto ne parlava nei suoi discorsi che il popolino – dicono – finì per credere che la Costituente fosse il nome di sua moglie. (cap. 19, p. 298) *[[Pellegrino Rossi|Rossi]] era un toscano della Lunigiana, ma solo all'anagrafe. Come formazione e mentalità, apparteneva ancora a quel tipo di {{sic|apòlidi}} che l'Italia del Settecento sfornava doviziosamente e che, non trovando in patria un terreno per i loro talenti, andavano da mercenari a investirli all'estero. Professore d'Università a poco più di vent'anni, poi commissario di [[Gioacchino Murat|Murat]] al tempo del suo infelice tentativo di unificare l'Italia sotto il suo scettro, era l'unico cattolico cui l'Accademia calvinista di Ginevra avesse mai affidato una cattedra. (cap. 19, p. 301) *{{NDR|Pellegrino Rossi}} Fu sin dal principio un fautore di [[Papa Pio IX|Pio IX]] fino a partecipare di persona alle manifestazioni popolari in suo favore, ma vide subito la pochezza e ambiguità dell'uomo e ne denunziò i pericoli. (cap. 19, pp. 302-303) *Sebbene gli avessero affidato pieni poteri, [[Daniele Manin|Manin]] era un uomo discusso. Molti lo consideravano un malaccorto maneggione, un improvvisatore digiuno di problemi economici e militari, bravo soltanto ad attribuirsi i meriti degli altri. Secondo [[Niccolò Tommaseo|Tommaseo]], ch'era fra i suoi più insidiosi diffamatori, il potere gli aveva dato "una scossa da intorbidargli la mente e far più grave e manifesta la sua inesperienza". (cap. 23, p. 354) *{{NDR|Daniele Manin}} Intellettualmente, non era al livello di un [[Giuseppe Mazzini|Mazzini]] o di un [[Carlo Cattaneo|Cattaneo]]. Ma era, come loro, inattaccabile sul piano morale. E, in mancanza di un vero e proprio potere carismatico, esercitava sulle folle un notevole fascino per la sua gioviale e arguta "venezianità". Parlava sempre in dialetto con battute raccattate sulla bocca dei gondolieri, e anche nel dramma portava un pizzico di [[Carlo Goldoni|Goldoni]]. I suoi limiti li conosceva, e non è vero che l'autorità gli avesse dato alla testa, come diceva Tommaseo che diceva male di tutti. Anzi la esercitava bonariamente e cercava di circondarsi di uomini validi che sopperissero alla sua incompetenza. (cap. 23, pp. 354-355) *Eran trascorsi pochi mesi {{NDR|dal suo matrimonio con Vittorio Emanuele}}, che [[Maria Adelaide d'Asburgo-Lorena|Maria Adelaide]] lo sorprendeva nel giardino di Moncalieri con una diva del teatro, Laura Bon, ma si guardò dal farne un dramma. Perfettamente educata al mestiere di Regina, essa sapeva che la rassegnazione alle infedeltà ne è parte imprescindibile, e le sopportò sempre con garbo e dignità. (cap. 25, p. 390) *Sfruttando la devozione di Carlo Alberto, [[Clemente Solaro della Margarita|Solaro della Margarita]] aveva regolato i rapporti con la Chiesa in modo tale da fare del clero piemontese il più potente d'Italia dopo quello dello [[Stato Pontificio|Stato pontificio]]. Esso aveva ancora i suoi tribunali in concorrenza con quelli dello Stato e poteva concedere il diritto d'asilo ai delinquenti. (cap. 26, p. 410) *[...] {{NDR|Giuseppe}} Montanelli, gran galantuomo e ricco d'ingegno, non lo era altrettanto di carattere. Idee ne aveva, anzi ne aveva troppe; ma, facilmente suggestionabile, finiva sempre per adottare quelle dell'ambiente in cui viveva. (cap. 29, pp. 464-465) *Il primo a trarne le conclusioni {{NDR|dalle tesi favorevoli alla monarchia piemontese esposte nel libro di [[Vincenzo Gioberti|Gioberti]] ''Del rinnovamento civile d'Italia''}} fu [[Giorgio Pallavicino Trivulzio|Pallavicino]], l'ex prigioniero dello Spielberg, da un pezzo rifugiato a Torino. Di scarso cervello politico, impetuoso fino alla leggerezza, teatrale e un po' troppo portato a ostentare i suoi titoli di "martire", aveva fino allora militato sotto bandiera rivoluzionaria. (cap. 32, p. 514) *{{NDR|Tra i Mille di Garibaldi}} C'era il malinconico ex prete [[Giuseppe Sirtori|Sirtori]], che della guerra aveva fatto una mistica e sul campo sembrava che officiasse. (cap. 40, p. 635) ===''L'Italia dei notabili''=== *La [[Convenzione di settembre|Convenzione]], che fu detta "di Settembre" dal mese in cui venne concordata, si componeva di cinque articoli e stabiliva: che l'Italia rinunziava ad ogni atto di ostilità contro il territorio pontificio; che la Francia ne avrebbe ritirato le sue truppe via via che il governo del Papa le avesse rimpiazzate con volontari indigeni e stranieri, e comunque entro due anni; e che questo doppio impegno sarebbe entrato in vigore dal momento in cui il governo italiano avesse decretato il trasferimento della capitale da operarsi nello spazio di sei mesi. (Capitolo quinto, Firenze capitale, p. 76) *Gli sventramenti che furono operati {{NDR|a Firenze, nuova capitale del Regno d'Italia}} per alloggiare i Ministeri e i nuovi quartieri che sorsero alla periferia per ospitare i venticinque o trentamila impiegati che calarono da Torino, lasciarono la città orrendamente sfregiata e carica di debiti. (Capitolo quinto, Firenze capitale, p. 78) *{{NDR|[[Carmine Crocco]]}} [...] condannato per diserzione a vent'anni di carcere, ne era evaso, si era dato alla macchia, e in poco tempo era diventato il più temuto e rispettato capobanda della [[Basilicata|Lucania]] non soltanto per il suo coraggio, ma anche per la sua intelligenza di guerrigliero.</br>[...] Crocco venne riconosciuto Generalissimo non solo per l'autorità che gli conferivano le sue gesta, ma anche, perché, sebbene mezzo analfabeta, possedeva un'oratoria immaginosa e apocalittica. (Capitolo sesto, I briganti, pp. 85-89) *{{NDR|[[Giustino Fortunato]]}} [...] il più grande e illuminato studioso del Meridione. (Capitolo sesto, I briganti, p. 86) *Figlio di un fabbro e medico di professione, [[Giovanni Lanza|Lanza]] incarnava, nella Destra piemontese tradizionalmente formata da nobili, militari e grandi borghesi, un tipo umano del tutto insolito: il nuovo piccolo ceto medio, spartano e puritano, formatosi nelle scuole serali e nell'Università popolare. (Capitolo nono, Gli anni della lesina, p. 133) *L'esercito papalino era un'accozzaglia di mercenari delle più svariate nazionalità (c'erano perfino dei turchi). [...] circa 15.000 uomini, al comando del generale [[Hermann Kanzler|Kanzler]]. Compito gentiluomo, ligio al Regolamento come lo era al Catechismo, questi aveva tuttavia un concetto tedesco dell'onore militare e avrebbe preferito una sconfitta a una resa. Ma {{NDR|Il segretario di Stato}} Antonelli non era di questa opinione. Gli ordinò di ritirare le truppe {{NDR|pontificie}} dentro le mura e di limitarsi a un simulacro di resistenza. (Capitolo decimo, Porta Pia, pp. 141-142) *{{NDR|La duchessa [[Eugenia Attendolo Bolognini Litta|Eugenia Litta]]}} Durante la campagna del '59<ref>Seconda guerra d'indipendenza italiana.</ref> era stata il riposo del guerriero più famoso e importante: [[Napoleone III di Francia|Napoleone III]]. E secondo le malelingue era passata subito dopo in eredità a [[Vittorio Emanuele II di Savoia|Vittorio Emanuele]], che però era il meno adatto ad apprezzare la sua vita di vespa, le sue carni pallide e i suoi raffinatissimi gusti. [[Honoré de Balzac|Balzac]] le aveva reso omaggio. [[Arrigo Boito|Boito]] seguitava a rendergliene. [[Gabriele D'Annunzio|D'Annunzio]] dirà ch'essa "aveva rubato il segreto a Ninon de Lenclos<ref>Scrittrice, cortigiana ed epistolografa francese (1620–1705).</ref>". Insomma come iniziatrice all'amore, il giovane principe {{NDR|il futuro [[Umberto I di Savoia|Umberto I]]}} non poteva desiderarne una più fascinosa ed esperta. Lo fu al punto che, nonostante la differenza d'età, egli le rimase devoto – anche se non fedele – fino alla fine dei suoi giorni. (Capitolo quattordicesimo, Il marito di Margherita, p. 196) *{{NDR|[[Margherita di Savoia]]}} [...] era una vera e seria professionista del trono, e gl'italiani lo sentirono. Essi compresero che, anche se non avessero avuto un gran Re, avrebbero avuto una grande Regina. (Capitolo quattordicesimo, Il marito di Margherita, p. 197) *Il trattato {{NDR|della [[Triplice alleanza (1882)|Triplice alleanza]]}} fu firmato a Vienna nel maggio dell'82<ref>20 maggio 1882.</ref>. Esso impegnava le tre Potenze al reciproco aiuto nel caso in cui una fosse aggredita e alla benevola neutralità nel caso che aggredisse. Inoltre Austria e Germania dichiaravano di disinteressarsi del problema del Papa, considerandolo un affare interno italiano.<br>Quest'ultima clausola fu, insieme alla fine dell'isolamento, il grande vantaggio che l'Italia trasse dal patto, ma nient'altro. Essa non vi era entrata su un piede di parità con le consocie. Aveva semplicemente acceduto all'alleanza che già legava le altre due, le quali restavano per così dire le padrone di casa, e Bismarck non perse occasione di farcelo sentire. (Capitolo diciannovesimo, La Triplice, pp. 276-277) *L'unico Stato che ruppe le relazioni con quello italiano in seguito a [[Presa di Roma|Porta Pia]] fu l'Ecuador. Mai la Chiesa si era trovata in condizioni di più completo isolamento. (Capitolo ventitreesimo, I cattolici, p. 334) *Sindaco di Palermo a ventisette anni, {{NDR|[[Antonio Starabba, marchese di Rudinì|il marchese di Rudinì]]}} aveva affrontato con molto coraggio la rivolta che vi era scoppiata nel '66, e questo lo aveva accreditato come il fanciullo-prodigio del moderatismo, destinato a gloriose imprese. Ma, diceva De Sanctis, col passare del tempo, il prodigio dileguò e rimase solo il fanciullo. Ministro degl'Interni a trent'anni in uno dei governi Menabrea, la sua carriera si era fermata lì. Pure, la fama di "uomo forte" gli era rimasta addosso, suffragata anche dalla sua alta statura, dai lampeggiamenti del monocolo, dalla fluente barba, dalla nobilesca alterigia. Idee, non ne aveva. Ma aveva delle impennate che facevano credere alla sua risolutezza. E questo, in una Destra impoverita di personalità di rilevo, gli era bastato per guadagnarsi i galloni di capo. (Capitolo ventiquattresimo, Giolitti, pp. 348-349) *In realtà, del soldato, [[Oreste Baratieri|Baratieri]] non aveva neanche il fisico. Grasso e sgraziato, con gli occhiali a ''pince-nez'', sembrava molto più vecchio dei suoi cinquant'anni e costruito più per la cattedra che per l'elmo. (Capitolo ventisettesimo, Adua, p. 391) *{{NDR|Dopo le dimissioni del generale [[Luigi Pelloux|Pelloux]]}} A succedergli il Re chiamò il Presidente del Senato [[Giuseppe Saracco|Saracco]], un galantuomo ch'era riuscito a conservare intatta la sua reputazione di democratico pur essendo stato due volte Ministro nei governi di Crispi. Aveva quasi ottant'anni, ma conservava una notevole lucidità di cervello, e ne dette prova formando un governo di coalizione che includeva un po' tutte le forze, meno l'Estrema cui diede tuttavia soddisfazione chiamando parecchi suoi uomini nella commissione incaricata di studiare un nuovo regolamento parlamentare che, senza intaccare la libertà di discussione, impedisse l'ostruzionismo, o per meglio dire lo regolasse. (Capitolo ventottesimo, I cannoni di Bava Beccaris, p. 417) ===''L'Italia di Giolitti''=== *Si è detto che {{NDR|[[Egidio Osio]]}} plagiò il suo pupillo {{NDR|il principe ereditario, futuro re [[Vittorio Emanuele III di Savoia|Vittorio Emanuele III]]}} e ne lesionò definitivamente il carattere terrorizzandolo e mortificandone gli slanci. Si è detto che anche sul suo fisico ebbe pessima influenza costringendolo a penosi e logoranti sforzi. Si è detto che furono i suoi metodi repressivi a creare nel Principe quei complessi d'inferiorità da cui fu sempre afflitto, a traumatizzarlo, a inaridirlo, a riempirne l'animo di sordi rancori.<br>Ma se non proprio di falsità, si tratta di verità contraffatte. (cap. I, Il nuovo Re, p. 15) *Militare dalla testa ai piedi, Osio era un uomo duro, imperioso, abituato al comando. [...] Ma era anche un gran signore, perfetto uomo di mondo, e nutrito di buone letture. Sebbene la sua carriera potesse esserne notevolmente avvantaggiata, esitò molto ad accettare l'incarico {{NDR|di tutore del principe ereditario}}, vi si risolse solo dietro garanzia che nemmeno i genitori avrebbero più interferito nell'educazione del ragazzo, di cui egli diventava unico e assoluto responsabile, e al termine della sua missione non beneficiò di nessuno "scatto di grado". (cap. I, Il nuovo Re, pp. 15-16) *[[Elena del Montenegro|Elena]], che da ragazza dipingeva, suonava il violino, componeva poesie come suo padre<ref>Nicola I del Montenegro.</ref>, e amava il tennis e la danza, rinunziò a questi passatempi appena vide che lui {{NDR|il futuro Vittorio Emanuele III}} li detestava, anzi adottò come ''hobbies'' quelli di lui: la numismatica e l'archeologia. Per il resto fu soltanto una donna di casa, come lo era stata a Cettigne<ref>Capitale del Regno del Montenegro.</ref>. Sapendolo insofferente dei camerieri, era lei che lo serviva a tavola, e per farsi i vestiti si prese in casa una sartina. (cap. I, Il nuovo Re, p. 27) *[[Filippo Meda|Meda]] era un avvocato milanese di spirito pratico, che considerava l'astensione dal voto {{NDR|dei cattolici}} un dovere da osservare finché il Papa lo imponeva, ma un grosso errore strategico di cui occorreva sollecitare la revoca. Lo Stato liberale, diceva, c'è e va accettato. Va soltanto salvato dalle sue tentazioni autoritarie e giacobine. E questo i cattolici possono farlo soltanto inserendocisi e riformandolo in modo da tenerlo al riparo dai pericoli d'involuzione. Lo Stato cioè per lui era un "peccatore da salvare". (cap. IV, Cattolici e socialisti, p. 72) *[...] [[Romolo Murri|Murri]] era un giovane sacerdote marchigiano, che aveva conosciuto la povertà e nel Vangelo vedeva soprattutto un messaggio giustizialista. Introverso e malinconico come tutti i fanatici, egli si considerava molto più "avanzato" di Meda per il carattere rivoluzionario che intendeva imprimere al movimento {{NDR|cattolico}}. In realtà era un uomo del ''[[Sillabo]]'' che, pur partendo anche lui dall'accettazione dello Stato unitario, intendeva tramutarlo in una [[teocrazia]] egalitaria e totalitaria, sul tipo di quella che i Gesuiti avevano fondato un paio di secoli prima nel Paraguay. Se a ispirarlo fosse più l'amore del povero o l'odio del ricco, non sappiamo. (cap. IV, Cattolici e socialisti, pp. 72-73) *Meda e Murri furono dapprincipio alleati. Entrambi volevano un grande partito, popolare indipendente dalla Chiesa. Ma Meda lo concepiva come lo sviluppo della organizzazione tradizionale, cioè dell'''Opera''<ref>"Opera dei congressi e dei comitati cattolici", spesso abbreviata in "Opera dei congressi", organizzazione cattolica italiana, sciolta nel 1904.</ref>, una volta strappatala alla vecchia guardia, mentre Murri lo vedeva come un organismo nuovo, un "Fascio", come quelli che pochi anni prima avevano messo a soqquadro e insanguinato la Sicilia. (cap. IV, Cattolici e socialisti, p. 73) *Lo [[Sciopero generale del 1904|sciopero {{NDR|generale del 1904}}]] [...] non fu un fallimento, ma non fu nemmeno un successo perché si esaurì spontaneamente, e il suo più consistente risultato fu la spaccatura delle forze operaie. Lo si vide pochi mesi dopo, quando i sindacalisti bandirono un altro sciopero, quello delle ferrovie, da cui i sindacalisti uscirono demoralizzati e con la truppa dimezzata. (cap. IV, Cattolici e socialisti, p. 85) *[[Alessandro Fortis|Fortis]] era un tipico notabile romagnolo di lungo e contradditorio corso ideologico. Aveva debuttato come repubblicano intransigente, era andato in galera per complotto rivoluzionario con gli anarchici, poi era stato conquistato da [[Francesco Crispi|Crispi]], era finito {{sic|Ministro}} di [[Luigi Pelloux|Pelloux]], e ora militava sotto la bandiera di [[Giovanni Giolitti|Giolitti]]. Come "trasformista", era tra i più qualificati. Ma questa pecca era abbondantemente compensata dai suoi doni di simpatia umana e da una grande esperienza parlamentare. (cap. VI, Il suffragio universale, p. 107) *Quando [[Enrico Corradini|Corradini]] applicò il vocabolario socialista alla Nazione parlando di una "Italia proletaria" in lotta contro le plutocrazie occidentali, e lanciò l'idea di un "imperialismo operaio" da contrapporre a quello capitalistico, riscosse in campo sindacalista vasti consensi e pose le premesse di un pasticcio ideologico in cui Mussolini avrebbe di lì a poco guazzato. (cap. VII, "Tripoli bel suol d'amore", p. 137) *{{NDR|Giolitti}} Più che la Libia, voleva la [[Guerra italo-turca|guerra]], o meglio qualcosa che desse finalmente agl'italiani l'impressione di farne una e di vincerla. (cap. VII, "Tripoli bel suol d'amore", p. 145) *[...] a Vienna l'imperatore Francesco Giuseppe aveva dovuto intervenire di persona per fermare la mano al Capo di Stato Maggiore [[Franz Conrad von Hötzendorf|Conrad]] che voleva una spedizione punitiva contro l'Italia, ora ch'era impegnata in Africa {{NDR|nella guerra di Libia}}, per metterla in ginocchio "prima che avesse il tempo di perpetrare altri tradimenti". (cap. VII, "Tripoli bel suol d'amore", pp. 149-150) *Non si è mai saputo con certezza come si svolse l'operazione {{NDR|del [[patto Gentiloni]]}} che, ben s'intende, doveva restare segretissima. Giolitti negò sempre di avervi partecipato, e infatti d'impronte digitali non ve ne lasciò. Fu probabilmente senza le sue credenziali, ma certamente non senza il suo beneplacito che qualche esponente liberale prese contatto coi cattolici. Questi avevano una "unione elettorale" di cui era Presidente un Conte marchigiano, [[Vincenzo Ottorino Gentiloni|Gentiloni]], politico abile, ma vanesio e chiacchierone. Egli s'impegnò a mobilitare il voto cattolico in favore dei candidati liberali dovunque questi fossero minacciati dalla Estrema Sinistra; e i liberali s'impegnarono a difendere la parificazione delle scuole confessionali a quelle dello Stato, a ripristinare in queste ultime l'istruzione religiosa, a respingere l'introduzione del divorzio, e – pare – a combattere la Massoneria. (cap. VIII, Il crepuscolo degli dei, p. 163) *Se [[Gaetano Salvemini|Salvemini]] incarnava lo spirito protestatario e la sete giustizialista delle plebi meridionali, [[Antonio Salandra|Salandra]] incarnava lo spirito autoritario e conservatore della borghesia terriera. Proveniva da una famiglia di notabili pugliesi con parecchia roba al sole, e alla politica era approdato dalla cattedra universitaria, di cui conservava molti caratteri: una notevole cultura e finezza intellettuale, ma anche un compassato distacco che rasentava la freddezza. Prima di affrontare un problema lo studiava minuziosamente, e nessuno sapeva prospettarlo con più chiarezza di lui. (cap. IX, Sarajevo, p. 168) *[[Paolo Boselli]] {{NDR|incaricato nel 1916 di formare il nuovo governo dopo le dimissioni di Antonio Salandra}}, che fu chiamato a presiederlo, possedeva tutti i requisiti, meno quelli che occorrono per guidare un Paese in guerra. Deputato ligure da parecchie legislature, era stato varie volte Ministro con Crispi, Pelloux e Sonnino, ma nessuno se n'era accorto. [...]. Passava per un esperto di questioni economiche, e moralmente era un personaggio di tutto rispetto. Ma politicamente era scolorito, e per di più aveva quasi ottant'anni. (cap. XVI, La caduta di Salandra, pp. 293-294) *Quanto [[Luigi Cadorna|Cadorna]] era solitario, monacale ruvido e chiuso in un giro di valori e d'idee tradizionali, tanto [[Luigi Capello|Capello]] era brillante, estroverso, moderno, ricco d'immaginazione e maestro di "pubbliche relazioni". (cap. XVI, La caduta di Salandra, pp. 298-299) *Lucano di Melfi, [[Francesco Saverio Nitti]] incarnava anche nel fisico tozzo e grassottello il tipo del notabile meridionale, colto, brillante, scettico e alquanto egocentrico. [...] la sua specialità era il problema del Mezzogiorno, di cui fu tra i primi seri studiosi e che gli fornì anche la base elettorale. [...]. Sul livello medio della classe politica di allora, egli faceva spicco per preparazione, equilibrio e lucidità, ma anche per una certa propensione ad attribuirsi il monopolio di queste virtù. (cap. XXIII, Versaglia, pp. 420-421) ===''L'Italia in camicia nera''=== *Un altro utile incontro fu per Mussolini quello con [[Angelica Balabanoff]], personaggio già di notevole rilevo nel socialismo internazionale. Era una russa di buona famiglia borghese, che fin da giovanissima si era imbrancata con quella ''intellighenzia'' rivoluzionaria da cui venivano anche i Lenin, i Trotzky, e gli altri futuri grandi del bolscevismo. A spingerla era stata la ribellione contro la meschinità, lo snobismo provinciale, il sussiego di casta, i tabù del suo ceto. (cap. 1, p. 23) *Angelica {{NDR|Balabanoff}} non era bella, non aveva la grazia eterea ed esangue di Anna {{NDR|[[Anna Kuliscioff|Kuliscioff]]}}. Ma non era nemmeno sgradevole, nonostante i fianchi massicci e gli zigomi pronunciati, eppoi era una russa, cosa che faceva un grande effetto al piccolo provinciale di Predappio<ref>Mussolini era nato a Dovia, frazione di Predappio.</ref>. Anche se fra loro non divampò la passione che aveva legato Anna ad [[Andrea Costa]], qualcosa ci fu, ed ebbe la sua importanza. Angelica cercò d'incivilire quel selvaggio trasandato che passava da ostinati mutismi a interminabili sproloqui conditi di orrende bestemmie. Lo sfamava, gli lavava la biancheria, lo iniziava, sia pure con poco successo, al marxismo [...]. (cap. 1, p. 25) *Uno dei tre protagonisti del giuoco {{NDR|[[Gabriele D'Annunzio]]}} era eliminato. La partita ora si riduceva agli altri due: Giolitti e Mussolini. (cap. 1, p. 101) *Mussolini aveva vinto, e la sua vittoria significava che il fascismo, abbandonata la pretesa di presentarsi come un movimento rivoluzionario di sinistra, quale lo avrebbero voluto Grandi, Farinacci e Marsich, presentava la sua candidatura a forza egemonica della destra e infilava la «via parlamentare» al potere.<br>C'era un pericolo, e Mussolini lo capì subito: che questa svolta a destra mettesse il partito alla mercé della sua ala reazionaria incarnata soprattutto dal ''ras'' piemontese [[Cesare Maria De Vecchi|De Vecchi]], uomo di poco cervello, ma tutto Trono e Altare, e che quindi poteva anche tornar comodo per il futuro. (cap. 2, p. 127) *[...], i giolittiani riuscirono a portare al governo uno dei suoi {{NDR|di Giolitti}} «ascari» più fedeli, ma anche dei più sbiaditi: [[Luigi Facta]].<br> Facta era un bravo avvocato di provincia piemontese con tutte le virtù, ma anche con tutti i limiti del suo ambiente: un uomo probo e integro, che dopo trent'anni di vita parlamentare ne aveva ormai una certa esperienza, aveva ricoperto con onore alcune cariche ministeriali, non aveva alcuna ambizione che quella di servire fedelmente il suo capo, né altre idee che quelle di lui. Tutto gli si poteva chiedere fuorché risolutezza ed immaginazione, cioè proprio le qualità che più urgevano. (cap. 2, pp. 143-144) *[...] le sue intenzioni {{NDR|Mussolini}} non le confidava nemmeno al segretario del partito, [[Michele Bianchi|Bianchi]], di cui apprezzava la fedeltà e l'impegno, ma non l'intelligenza: lo considerava angoloso, settario, puntiglioso vendicativo e privo d'intuito politico. L'unico con cui si apriva seguitava ad essere [[Cesare Rossi]], l'uomo che gli era stato accanto dal primo momento, lo aveva seguito in tutte le sue palinodie e gli dava sempre dei consigli che corrispondevano ai suoi desideri. (cap. 4, p. 166) *{{NDR|[[Vittorio Emanuele III]]}} non si fidava completamente di Mussolini, ma si fidava ancora meno dei suoi avversari ed era convinto che costoro, se avessero preso il mestolo in mano, avrebbero ricreato il caos del dopoguerra. Comunque, a una cosa era assolutamente deciso: a non farsi coinvolgere nella lotta politica, come del resto gli dettava la Costituzione di cui, quando gli faceva comodo, sapeva ricordarsi. ====[[Explicit]]==== *Resterebbe solo da sapere con che animo Mussolini s'investì, il 3 gennaio, nella parte di dittatore. Se, come molti sostengono, gli sforzi che fino a quel momento aveva fatto per evitarla erano stati solo un giuoco per dimostrare che non era lui a volerla, ma gli eventi ad imporgliela, bisogna riconoscere che come {{sic|giuocatore}} sapeva il fatto suo. ==''Storia dei Greci''== *Il modo migliore per ripagare il nostro contemporaneo [[Heinrich Schliemann|Enrico Schliemann]] degli enormi servigi che ci ha reso nella ricostruzione della civiltà classica, mi pare sia quello di assumerlo fra i suoi protagonisti, com'egli stesso mostrò di desiderare ardentemente, scegliendosi, in pieno secolo decimonono, [[Zeus]] come dio e a lui indirizzando le sue preghiere, battezzando [[Agamennone]] suo figlio, Andromaca sua figlia, Pélope e Telamone i suoi servitori, e dedicando a [[Omero]] tutta la sua vita e i quattrini. (cap. 2; 2004, p. 17) *{{NDR|Su [[Heinrich Schliemann|Schliemann]]}} Era un matto, ma tedesco, cioè organizzatissimo nella sua follia, che la buona sorte volle ricompensare. La prima storia che gli raccontò suo padre, quando aveva cinque o sei anni, non fu quella di [[Cappuccetto Rosso]], ma quella di [[Ulisse]], di [[Achille]] e di Menelao. Ne aveva otto, quando annunziò solennemente in famiglia che intendeva riscoprire Troia e dimostrare, ai professori di storia che lo negavano, ch'essa era realmente esistita. Ne aveva dieci, quando compose in latino un saggio su questo argomento. E ne aveva sedici, quando sembrò che questa infatuazione gli fosse del tutto passata. Infatti s'era impiegato come garzone di una drogheria, dove scoperte archeologiche non c'era da farne di certo, e di lì a poco s'imbarcò non per l'Ellade, ma per l'America, in cerca di fortuna. (cap. 2; 2004, p. 17) *Di nuovo il buon Dio, che per i matti ha un debole, lo compensò di tanta fede, guidando il suo piccone sugli scantinati del palazzo dei discendenti di re Atreo, nei cui sarcofaghi furono ritrovati gli scheletri, le maschere d'oro, i gioielli e il vasellame che si ritenevano esistiti solo nella fantasia di Omero. E Schliemann telegrafò al re di Grecia: ''Maestà, ho ritrovato i vostri antenati''. Poi, ormai sicuro del fatto suo, volle dare il colpo di grazia agli scettici del mondo intero e, sulle indicazioni di [[Pausania]], andò a Tirinto e vi disseppellì le ciclopiche mura del palazzo di Proteo, di Perseo e di [[Andromeda|Andròmeda]]. (cap. 2; 2004, pp. 19-20) *Schliemann morì quasi settantenne nel 1890, dopo aver sconvolto tutte le tesi e le ipotesi su cui si era basata sino ad allora la ricostruzione della preistoria greca, tesa ad esiliare Omero e Pausania nei cieli della pura fantasia. (cap. 2; 2004, p. 20) *Ma ora, dopo le scoperte del tedesco matto, non abbiamo più il diritto di mettere in dubbio la realtà storica di Agamennone, di Menelao, di [[Elena]], di [[Clitennestra]], di Achille e di Patroclo, di Ettore e di Ulisse, anche se le loro avventure non sono state esattamente quelle che Omero ha descritto, facendoci sopra la cresta. Schliemann ha arricchito la storia e impoverito la leggenda, di alcune decine di personaggi di primissimo piano. Grazie a lui alcuni secoli, che prima erano nel buio, sono entrati nella luce, anche se è quella incerta della primissima alba. Ed è solo per mano a lui che possiamo esplorarla. (cap. 2; 2004, p. 21) *Senza dubbio gli [[achei]], a differenza dei pelasgi, furono terrieri, tant'è vero che fino alla guerra di Troia imprese per mare non ne azzardarono, e ogni volta che lo trovavano si fermavano. Essi non tentarono di mettere il piede nemmeno nelle isole più vicine al continente, e tutte le loro capitali e cittadelle erano nell'interno. La Grecia, sotto di loro, si limitava al Peloponneso, all'Attica e alla Beozia; mentre per le popolazioni pelasgiche della civiltà micenea, ch'erano marinare, essa inglobava anche tutti gli arcipelaghi dell'Egeo. (cap. 3, ''Gli Achei''; 2004, p. 25) *[[Diogene di Sinope|Diogene]], che aveva la lingua lunga, disse che la religione greca era quella cosa per cui un ladro che sapeva bene l'Avemaria e il Paternoster era sicuro di potersela cavar meglio, nell'al di là di un galantuomo che li aveva dimenticati. Non aveva torto. La [[Religione dell'antica Grecia|religione]], in Grecia, era soltanto un fatto di procedura, senza contenuto morale. Ai fedeli non si chiedeva la fede né si proponeva il bene. S'imponeva solo il compimento di certe pratiche burocratiche. E non poteva essere diversamente, visto che di contenuto morale gli stessi {{sic|dèi}} ne avevano ben poco e non si poteva certo dire che fornissero un esempio di virtù. (cap. 7, ''Zeus e famiglia''; 2004, p. 54) *Anche [[Pisistrato]] era aristocratico e di famiglia ricca. Ma aveva capito che la [[democrazia]], una volta instaurata, è irreversibile e va sempre a sinistra. (cap. 15, ''Pisistrato''; 2004, p. 98) *Pisistrato, invece di cinquanta uomini, ne arruolò e armò quattrocento, s'impadronì dell'Acròpoli, e proclamò la dittatura. In nome e per il bene del popolo, si capisce, come tutte le dittature. (cap. 15; 2004, p. 91) *La stragrande maggioranza degli ateniesi, dopo averlo a lungo osteggiato e tenuto in gran sospetto, si erano sinceramente affezionati a Pisistrato che aveva dalla sua un'arma formidabile: la simpatia. (cap. 15; 2004, pp. 92-93) *Il tiranno Pisistrato seppe sfuggire a tutte le tentazioni del potere assoluto, meno una: quella di lasciare il «posto» in eredità ai figli, [[Ippia (tiranno)|Ippia]] e [[Ipparco (tiranno)|Ipparco]]. L'amor paterno gl'impedì di vedere con la consueta chiarezza che i totalitarismi non hanno eredi e che quello suo si giustificava soltanto come una eccezione alla democrazia per assicurarle ordine e stabilità. Peccato. (cap. 15; 2004, p. 95) *Pisistrato era morto nel 527 avanti Cristo. Ventun anni dopo, cioè nel 506, troviamo uno dei suoi due figli, da lui designati a succedergli, Ippia, alla corte del re di Persia, [[Dario I di Persia|Dario]], per suggerirgli l'idea di muover guerra contro Atene e la Grecia tutta. I grandi uomini non dovrebbero mai lasciare né vedove né eredi. Sono pericolosissimi. (cap. 16, ''I persiani alle viste''; 2004, p. 103) *Questo Ippia non aveva debuttato male, dopo che suo padre fu calato nella fossa. Era un giovanotto sveglio che, a furia di stare accanto al babbo, ne aveva imparato molte malizie, e alla politica aveva passione, a differenza di suo fratello Ipparco che invece s'interessava soltanto di poesia e di amore, in modo che fra i due non c'erano nemmeno pericolose rivalità. Eppure, a procurare i guai che condussero alla caduta della dinastia, fu proprio Ipparco. (cap. 16; 2004, p. 96) *Ipparco ebbe la disgrazia d'inciampare in un bellissimo guaglione di nome Armodio, che un certo Aristogitone – aristocratico quarantenne, prepotente e geloso – considerava sua proprietà. Costui concepì l'idea di sbarazzarsi del rivale col pugnale e, per dare all'assassinio un'etichetta più pulita che lo rendesse popolare, pensò di estenderlo anche al fratello Ippia facendolo passare per «delitto politico» in nome della libertà e contro la tirannia. Organizzò in questo senso una congiura con altri nobili latifondisti e, in occasione di una festa, tentò il colpo, che andò bene solo a mezzo: Ipparco ci rimise la pelle, ma Ippia scampò. E da quel momento, un po' per rancore, un po' per paura di altri complotti, il figlio e l'allievo di Pisistrato, dittatore liberale indulgente e illuminato, diventò un ''tiranno'' autentico. (cap. 16; pp. 96-97) *Lo scontento del popolo inferocì Ippia, che a sua volta inferocì il popolo. E quando il divorzio fra i due fu totale, i fuoriusciti, che frattanto si erano concentrati a Delfi, chiamarono in aiuto gli spartani, e insieme marciarono contro Atene. (cap. 16; 2004, p. 97) *Ippia si rifugiò sull'Acròpoli coi suoi sostenitori. Ma, per mettere in salvo i suoi figlioletti, cercò di farli segretamente espatriare. Gli assedianti li catturarono e l'infelice padre, per salvar la vita a loro e a se stesso, capitolò e si avviò in volontario esilio. Non bisogna dimenticare che nelle sue vene scorreva tuttavia il sangue di Pisistrato, cioè di un uomo sempre pronto a sacrificare la posizione alla famiglia, ma mai disposto a rassegnarsi alla sconfitta. (cap. 16; 2004, p. 97) *[[Milziade]] aveva capito qual era il debole dei [[Persia|persiani]]: essi erano bravi soldati individualmente, ma non avevano nessuna idea della manovra collettiva. E su questa puntò. A dar retta agli storici del tempo — che purtroppo erano tutti greci, — Dario perse settemila uomini, Milziade neanche duecento. (cap. 17, ''Milziade e Aristide''; 2004, p. 112) *{{NDR|A Milziade}} sopravvisse [[Aristide]], le cui vicende purtroppo ci dimostrano che l'[[onestà]] in [[politica]] non trova sempre i suoi compensi e che la [[storia]], come le [[donna|donne]], ha un debole per i birbaccioni. (cap. 17, ''Milziade e Aristide''; 2004, p. 112) *Nike, diventata ragazza, porta il [[peplo]] di lana, bianca o colorata, ma questa è l'unica scelta che le si lascia. Siccome è confinata in casa, non può nemmeno far quella di un ragazzo che le piace, e deve aspettare che il padre si metta d'accordo con un altro padre per combinare il matrimonio. (cap. 23, ''Una Nike qualsiasi''; 2004, p. 143) *Quando il grande [[Mirone]], rincorbellito dalla vecchiaia, si vide arrivare in studio come modella Laìde<ref>Etera dell'antica Grecia, celebre per la sua bellezza.</ref>, perse la testa e le offrì tutto ciò che possedeva purché restasse la notte. E siccome essa rifiutò, l'indomani il poveruomo si tagliò la barba, si tinse i capelli, indossò un giovanile [[chitone]] color porpora e si passò una mano di carminio sul viso. «Amico mio», gli disse Laìde, «non sperare di ottenere oggi ciò che ieri rifiutai a tuo padre». (cap. 23, ''Una Nike qualsiasi''; 2004, p. 150) *{{NDR|[[Fidia]]}} Qualcosa, nel suo carattere, doveva farne un nemico degli uomini, visto che nessuno lo amava. Eppure egli non fu soltanto un grande scultore, ma anche un grandissimo maestro, che, oltre ad aver creato uno stile, ne fece anche una scuola, trasmettendone le regole ad allievi come Agoracrito e Alcamene, continuatori del «classico». (cap. 25, ''Fidia sul Partenone''; 2004, p. 165) *Gli uomini non sanno apprezzare e misurare che la [[fortuna]] degli altri. La propria, mai. (cap. 25, ''Fidia sul Partenone''; 2004, p. 166) ==''Storia di Roma''== ===[[Incipit]]=== Non sappiamo con precisione quando a Roma furono istituite le prime scuole regolari, cioè «statali». Plutarco dice che nacquero verso il 250 avanti Cristo, cioè circa cinquecent'anni dopo la fondazione della città. Fino a quel momento i ragazzi romani erano stati educati in casa, i più poveri dai genitori, i più ricchi dai ''magistri'', cioè da maestri, o istruttori, scelti di solito nella categoria dei liberti, gli schiavi liberati, che a loro volta erano scelti fra i prigionieri di guerra, e preferibilmente fra quelli di origine greca, che erano i più colti. ===Citazioni=== <!--segui nel riportare le citazioni l'ordine cronologico del libro--> *Non ho scoperto nulla, con questo libro. Esso non pretende di portare "rivelazioni", nemmeno di dare una interpretazione originale della storia dell'Urbe. Tutto ciò che qui racconto è già stato raccontato. Io spero solo di averlo fatto in maniera più semplice e cordiale, attraverso una serie di ritratti che illuminano i protagonisti in una luce più vera, spogliandoli dei paramenti che fin qui ce li nascondevano. (introduzione) *{{NDR|[[Numa Pompilio]]}} Quelle che più lo interessavano erano le questioni religiose. E siccome in questa materia ci doveva essere una grossa anarchia perché ognuno dei tre popoli {{NDR|etruschi, latini e sabini}} venerava i propri {{sic|dèi}}, fra i quali non si riusciva a capire chi fosse il più importante, Numa decise di mettervi ordine. E per imporlo, questo ordine, ai suoi riottosi sudditi, fece spargere la notizia che ogni notte, mentre dormiva, la ninfa Egeria veniva a visitarlo in sogno dall'Olimpo per trasmettergliene direttamente le istruzioni. Chi vi avesse disobbedito, non era col re, uomo fra gli uomini, che avrebbe dovuto vedersela, ma col Padreterno in persona. (Rizzoli 1959, cap. 3, ''I re agrari'', pp. 37-38) *[[Tarquinio Prisco|Lucio Tarquinio]] e i suoi amici etruschi dovettero veder subito che profitto si poteva trarre da questa massa di gente, per la maggior parte esclusa dai comizi curiati, se si fosse potuta convincerla che solo un re forestiero come lui avrebbe potuto farne valere i diritti. E per questo l'arringò, promettendole chissà cosa, magari ciò che poi fece davvero. [...] Certamente ci riuscirono perché Lucio Tarquinio fu eletto col nome di Tarquinio Prisco, rimase sul trono trentotto anni, e per liberarsi di lui i ''patrizi'', cioè i «terrieri», dovettero farlo assassinare. Ma inutilmente. Prima di tutto perché la corona, dopo di lui, passò al figlio, eppoi a suo [[Tarquinio il Superbo|nipote]]. In secondo luogo perché, più che la causa, l'avvento della dinastia dei Tarquini fu l'effetto di una certa svolta che la storia di Roma aveva subìto e che non le consentiva più di tornare al suo primitivo e arcaico ordinamento sociale e alla politica che ne derivava. (RCS 2004, cap. 4, ''I re mercanti'', pp. 38-39) *Questo secondo [[Tarquinio il Superbo|Tarquinio]], prima di rischiare il colpo, tentò di far deporre lo zio per abuso di potere. Servio si presentò alle centurie che lo riconfermarono re con plebiscitaria acclamazione (lo racconta [[Tito Livio]], gran repubblicano, dunque dev'esser vero). Non restava quindi che il pugnale, e Tarquinio lo usò senza troppi scrupoli. Ma il respiro di sollievo che trassero i senatori, coi quali si era alleato, rimase loro in gola, quando videro l'uccisore sedersi a sua volta sul trono d'avorio senza chieder loro permesso, come avveniva a quei buoni vecchi tempi ch'essi speravano di restaurare. Il nuovo sovrano si mostrò subito più tirannico di quello che aveva spedito all'altro mondo. E infatti lo ribattezzarono «il Superbo» per distinguerlo dal fondatore della dinastia. (RCS 2004, cap. 4, ''I re mercanti'', pp. 42-43) *Non sappiamo quasi nulla di [[Lars Porsenna|Porsenna]]. Ma dal modo come si condusse, dobbiamo dedurre che alle doti del bravo generale doveva accoppiare quelle del sagace uomo politico. Egli si rese conto che negli argomenti di [[Tarquinio il Superbo|Tarquinio]] c'era del vero. Ma prima d'impegnarsi, volle essere sicuro di due cose: che il Lazio e la Sabina erno davvero pronti a schierarsi dalla sua parte, e che nella stessa Roma c'era una «quinta colonna» monarchica pronta a facilitargli il compito con un'insurrezione. (RCS 2004, cap. 5, ''Porsenna'', p. 49) *Da quell'anno 508 in cui fu fondata la repubblica, tutti i monumenti che i romani innalzarono un po' dappertutto portarono sempre la sigla SPQR che vuol dire: ''Senatus PopuluSque Romanus'', cioè «il Senato e il popolo romano». Cosa fosse il Senato, già lo abbiamo detto. Viceversa non abbiamo ancora detto cos'era il popolo, che non corrispondeva affatto a ciò che noi intendiamo con questa parola. In quei lontani giorni di Roma esso non comprendeva «tutta» la cittadinanza, come avviene oggi, ma soltanto due «ordini», cioè due classi: quella dei «patrizi» e quella degli ''equites'' o «cavalieri». (RCS 2004, cap. 6, ''SPQR'', p. 54) *{{NDR|[[Sacco di Roma (390 a.C.)]]}} Gli storici che lo hanno raccontato a cose fatte hanno avvolto di molte leggende questo capitolo che dovett'essere per l'Urbe molto spiacevole. Dicono che quando i [[galli]] fecero per dare la scalata al [[Campidoglio]], le oche sacre a Giunone cominciarono a stridere risvegliando così [[Marco Manlio Capitolino|Manlio Capitolino]] che, alla testa dei difensori, respinse l'attacco. Sarà. Però i galli in Campidoglio entrarono ugualmente come in tutto il resto della città, donde la popolazione era fuggita in massa per rifugiarsi su monti circostanti. (Rizzoli 1959, cap. 6, ''SPQR'', pp. 81-82) *[...] i galli espugnarono Roma, la misero a sacco, e se ne andarono incalzati dalle legioni, ma carichi di quattrini. Erano predoni gagliardi e zotici, che non seguivano nessuna linea politica e strategica nelle loro conquiste. Assalivano, depredavano e si ritiravano senza punto preoccuparsi del domani. Avessero potuto immaginare che vendetta Roma avrebbe tratto da quella umiliazione, non vi avrebbero lasciato pietra su pietra. (Rizzoli 1959, cap. 6, ''SPQR'', pp. 82-83) *Tutti i dittatori della Roma repubblicana, meno uno, furono patrizi. Tutti, meno due, rispettarono i limiti di tempo che furono loro imposti. Uno di essi, [[Lucio Quinzio Cincinnato|Cincinnato]], che, dopo soli sedici giorni di esercizio della suprema carica, tornò spontaneamente ad arare il campo coi buoi, è passato alla storia coi colori della leggenda. (RCS 2004, cap. 9, ''La carriera'', p. 85) *Negli ultimi tempi {{NDR|[[Cesare]]}} si era spinto anche più in là: aveva imposto che tutte le discussioni che si svolgevano in quel solenne e aristocratico consesso venissero registrate e pubblicate giorno per giorno. Così nacque il primo giornale. Si chiamò ''[[Acta Diurna|Acta diurna]]'', e fu gratuito, perché, invece di venderlo, lo affiggevano ai muri in modo che tutti i cittadini potessero leggerlo e controllare ciò che facevano e dicevano i loro governanti. L'invenzione fu d'immensa portata perché sancì il più democratico di tutti i diritti. Il Senato, che traeva prestigio anche dalla sua segretezza, fu così sottoposto alla pubblica opinione, e non si riebbe mai più da questo colpo. (RCS 2004, cap. 24, ''Cesare'', p. 214) *Se riuscirò ad affezionare alla storia di Roma qualche migliaio di italiani, sin qui respinti dalla sussiegosità di chi gliel'ha raccontata prima di me, mi riterrò un autore utile, fortunato e pienamente riuscito. (introduzione) *Sull'esattezza di quel che [[Tito Livio|Livio]] riferisce facciamo le nostre riserve, specie là dov'egli mette in bocca ai suoi personaggi interi discorsi che somigliano più a Livio che a loro. La sua è una storia di eroi, un immenso affresco a episodi, e serve più a esaltare il lettore che a informarlo. [[Roma]], a dargli retta, sarebbe stata popolata soltanto, come l'Italia di Mussolini, da guerrieri e navigatori assolutamente disinteressati, che conquistarono il mondo per migliorarlo e moralizzarlo. Gli uomini, secondo lui, sono divisi in buoni e cattivi. A Roma c'erano solamente i buoni, e fuori di Roma solamente i cattivi. Anche un grande generale come [[Annibale]] diventa, sotto la sua penna, un comune mariuolo. Ciò non toglie che la storia di Livio, costata cinquant'anni di fatiche a un autore che si dedicò soltanto ad essa, resti un gran monumento letterario. Forse il più grande fra quelli, piuttosto mediocri, eretti sotto il segno di [[Augusto]]. (cap. 30, ''Orazio e Livio'') *Può darsi che [[Dione Cassio]] e [[Svetonio]], nel loro odio per la monarchia, abbiano un po' calcato la mano. Ma matto, [[Caligola]] doveva esserlo davvero. (cap. 31, ''Tiberio e Caligola'') *[[Vitellio]], quando fu catturato nel suo nascondiglio, dove, tanto per cambiare, banchettava, fu trascinato nudo per la città con un laccio al collo, bersagliato di escrementi, torturato con ponderata lentezza, e alla fine gettato nel Tevere.<br>Questa città che si divertiva al fratricidio, questi eserciti che si ribellavano, questi imperatori che venivano subissati di sterco pochi giorni dopo essere stati coperti di osanna: ecco cos'era diventata la capitale dell'Impero. (Rizzoli 1959, cap. 37, ''I Flavi'', pp. 415-416) *Purtroppo la pace, per ottenerla, bisogna essere in due a volerla. (cap. 37, ''I Flavi'') *Era la prima volta, nella storia di Roma, che una guerra si combatteva in nome della religione. Ma fu la Croce che vinse. E il Tevere, trascinando verso la foce i cadaveri di [[Massenzio]] e dei suoi soldati che lo ingombravano, sembrò che spazzasse via i residui del mondo antico. (cap. 46, ''Costantino'') *Il papa che più contribuì a rassodare l'organizzazione in questi primi difficili anni fu [[Papa Callisto I|Callisto]], che molti consideravano un avventuriero. Dicevano che, prima di convertirsi, aveva fatto i quattrini con sistemi piuttosto equivoci, era diventato banchiere, aveva derubato i suoi clienti, era stato condannato ai lavori forzati ed era fuggito con un inganno. Il fatto che, appena diventato papa, proclamasse valido il pentimento per cancellare qualunque peccato, anche mortale, ci fa sospettare che in queste voci un po' di verità c'è. Comunque, fu un gran papa, che stroncò il pericoloso scisma d'[[Ippolito di Roma|Ippolito]] e affermò definitivamente l'autorità del potere centrale. (RCS 2004, cap. 46, ''Costantino'', p. 367) *Le rivoluzioni vincono non in forza delle loro idee, ma quando riescono a confezionare una classe dirigente migliore di quella precedente. E il [[Cristianesimo]] era riuscito proprio in questa impresa. (cap. 47, ''Il trionfo dei cristiani'') *[[Costantino]] fu uno strano e complesso personaggio. Faceva gran scialo di fervore cristiano, ma nei suoi rapporti di famiglia non si mostrò molto ossequente ai precetti di Gesù. Mandò sua madre Elena a Gerusalemme per distruggere il tempio di Afrodite che gli empi governatori romani avevano elevato sulla tomba del Redentore, dove, secondo Eusebio, fu ritrovata la croce su cui era stato suppliziato. Ma subito dopo mise a morte sua moglie, suo figlio e suo nipote. (cap. 47, ''Il trionfo dei cristiani'') *Come tutti i grandi Imperi, quello romano non fu abbattuto dal nemico esterno, ma roso dai suoi mali interni. (cap. 51, ''Conclusione'') *Una religione conta non in quanto costruisce dei templi e svolge certi riti; ma in quanto fornisce una regola morale di condotta. Il [[paganesimo]] questa regola l'aveva fornita. Ma quando Cristo nacque, essa era già in disuso, e gli uomini, consciamente o inconsciamente, ne aspettavano un'altra. Non fu il sorgere della nuova fede a provocare il declino di quella vecchia; anzi, il contrario. (cap. 51, ''Conclusione'') *Il dispotismo è sempre un malanno. Ma ci sono delle situazioni che lo rendono necessario. (cap. 51, ''Conclusione'') ===[[Explicit]]=== Mai città al mondo ebbe più meravigliosa avventura. La sua storia è talmente grande da far sembrare piccolissimi anche i giganteschi delitti di cui è disseminata. Forse uno dei guai dell'Italia è proprio questo: di avere per capitale una città sproporzionata, come nome e passato, alla modestia di un popolo che, quando grida «Forza Roma!», allude soltanto a una [[Associazione Sportiva Roma|squadra di calcio]]. ==''XX Battaglione eritreo''== ===[[Incipit]]=== Sono letterato. E, a parte il brutto e il meschino di quella parola, il mio mestiere m'innamora. Mi sono sforzato tanti anni, per compiacere a qualcuno o a qualcosa, di tradire questo mio istinto. Ma non ce l'ho fatta. E non ce la fo nemmeno ora, soldato in Africa, in piena guerra. Ma non lo dico per presentare il conto. E a chi, poi? Lo dico per un fenomeno di narcisismo: perché mi garba contemplarmi in questo gesto di fedeltà al mestiere, che poi vuol dire fedeltà a me stesso. ===Citazioni=== *Essere [[Àscari|ascaro]] vuol dire, press'a poco, avere un blasone; vuol dire avere tre lire al giorno, più un'indennità vestiario, più un'indennità farina, più un'indennità carne; vuol dire avere un ''tarbush'' e una fascia coi colori del battaglione; vuol dire soprattutto avere un fucile. La gente di questo Paese segue una logica sistematica semplice e dritta: l'umanità si divide in due categorie: gli armati che sono i forti, i disarmati che sono i deboli. Al culmine della gerarchia sociale sta il possessore di fucile, il guerriero: che è tanto più importante quanto più elevato è il suo grado e quanto è maggiore la sua anzianità. (p. 25) *[[Pietro Toselli|Toselli]]. Questo nome non ha in Italia la risonanza che ha qui. Toselli non è un uomo, è una leggenda: non solo alla cronaca, ma sfugge anche alla storia. È rimasto nei canti di questa gente, nelle sue memorie e anche nelle sue speranze. Pur ieri mi diceva il vecchio Sciumbasci, reduce di Adua e ora capopaese di Digsa, che «le cose che si sanno sono molto meno di quelle che non si sanno» e che «il fatto è questo: che il corpo del maggiore Toselli non era più sul campo dopo la battaglia». Su quello che ne sia avvenuto le opinioni sono discordi, ma nessuno crede che il maggiore sia morto. (pp. 35-36) *Appollaiato ai suoi piedi, nascosto fra il verde tenero degli eucalipti, stava [[Alessandro Pirzio Biroli|Pirzio Biroli]]. Il suo nome era mormorato con circospezione dagli [[Àscari|ascari]] disseminati fra le rocce di Mai Egadà a Saganeiti, da Agordar ad Assab, a Cheren, ad Adi Ugri, ad Adi Caieh. Raramente lo si vedeva e sempre a cavallo. Accanto a lui cavalcava Chiarini, la piccola ombra fedele, il fantasma sorto una notte da un roveto della conca di Adua. Chiarini, settantenne, pallido, non scompariva nell'alone magico che Pirzio, il buon gigante, suscitava intorno. (pp. 87-88) *Poi arrivava anche lui, [[Alessandro Pirzio Biroli|Pirzio]] il leone, altissimo, quadrato, col profilo calmo incorniciato dalla folta criniera. Il cavallo, domo dai suoi ginocchi di ferro, caracollava senza un tentativo di ribellione. Dalla sella pendevano, di qua e di là, due aquile colossali, abbattute in volo dal moschetto infallibile di Pirzio. Nessuna tromba sonava l'attenti al suo ingresso. Non ce n'era bisogno. Tutti, nel quartiere, sentivano come per miracolo la sua presenza e restavano ischeletriti. Pirzio non se n'accorgeva: era uno di quegli uomini pei quali gli uomini sentono rispetto per istinto e che passano attraverso la vita come attraverso un'eterna parata, fra due file di bipedi schiaffati meccanicamente sull'attenti. Gli [[Àscari|ascari]] ebbero ragione quando lo battezzarono «il Leone»: non aveva bisogno di ruggire perché il largo gli si facesse automaticamente intorno. (pp. 88-89) ===[[Explicit]]=== Vorremmo ristare dopo la guerra? Il mondo è così visto che nessun limite precisa al desiderio. Italiani, continuate ad aver fame anche dopo aver mangiato. Questa guerra è per noi come una bella lunga vacanza dataci dal Gran Babbo in premio di tredici anni di banco di scuola. E, detto fra noi, era ora. ==Citazioni su Indro Montanelli== *A leggerlo sembrerebbe un disordinatore di professione: sempre pronto a mugugnare, sempre a prendersela con qualcuno. Poi però, quando si tratta di scendere sul pratico, ci consiglia di turarci il naso e di andare a votare per l'Ordine. vallo a capire. ([[Luciano De Crescenzo]]) *Amo Indro Montanelli, ma non i suoi emuli. I polemisti per posa non mi piacciono, non li ritengo utili. Ma lui non era un polemista fine a se stesso, come tanti dei suoi presunti eredi. Era piuttosto, come da titolo di una sua fortunata rubrica, controcorrente. Non si curava delle convenienze, dei vantaggi che gli sarebbero derivati nel seguire l'onda di [[pensiero]] prevalente. Aveva la sua visione delle cose, sempre originale e spesso esatta. Io credo che dire quel che si pensa premi sempre. Montanelli lo faceva, e andava a letto tranquillo. ([[Fabio Genovesi]]) *C'è davvero qualcosa di singolare nel modo in cui è venuta formandosi la memoria della Repubblica, nel modo in cui tale memoria è stata ed è elaborata dalla cultura ufficiale del Paese. Per molti decenni, ad esempio, a quanto accaduto dal 1943 al '45 fu vietato dare il nome che gli spettava, il nome cioè di [[Guerra civile in Italia (1943-1945)|guerra civile]]. Parlare di guerra civile era giudicato fattualmente falso, e ancor di più ideologicamente sospetto. Bisognava dire che quella che c'era stata era la resistenza, non la guerra civile; di guerra civile parlavano e scrivevano, allora, solo i reduci di Salò, i nostalgici del regime e qualche coraggioso giornalista o pubblicista di rango come Indro Montanelli, che mostravano così da che parte ancora stavano. Le cose andarono in questo modo a lungo. Finché, all'inizio degli anni Novanta, come si sa, uno storico di sinistra, [[Claudio Pavone]], scrisse un libro sul periodo 1943-'45 che si intitolava precisamente ''Una guerra civile'': solamente da allora tutti abbiamo potuto usare senza problemi questa espressione, ben inteso non cancellando certo la parola resistenza. ([[Ernesto Galli della Loggia]]) *È uno che riesce a spiegare agli altri quello che non capisce nemmeno lui. ([[Mario Missiroli]]) *È vero che ha cambiato parere politico più volte, ma sempre perché profondamente preoccupato per le sorti del paese. Ma Indro ha cambiato parere sempre meno di quei giornalisti che da Lotta Continua sono passati a Comunione e Liberazione per approdare infine a dirigere quotidiani di Stato. Senza contare tutti coloro che da stalinisti o maoisti sono diventati prima antimarxisti e ora clintoniani: Montanelli ragiona, loro vogliono avere sempre ragione. ([[Fausto Gianfranceschi]]) *Indro è naturalmente inclinato, direi quasi condannato a vedere più i ''tics'' degli uomini che le loro qualità e nessuno come lui fa più uso, nei suoi ritratti, dell'acido prussico. ([[Eugenio Montale]]) *{{maiuscoletto|Indro Montanelli}}. L'Italia dei Luoghi Comuni. ([[Marcello Marchesi]]) *Io mi sono limitato ad adottare la sua formula giornali­stica. Ma l'ho realizzata meglio perché mi sono sempre esposto, ci ho messo la faccia. Lui invece era come Veltroni: "Sì, ma an­che". Non si schierava nettamente, il suo editoriale era così in chiaroscuro che alla fine non capivi mai se fosse chiaro o scuro. Il che non significa che non resti il migliore di tutti noi. Ho venduto più di lui solo perché a me la gente non fa schifo. ([[Vittorio Feltri]]) *Mi sono sentito in imbarazzo per lui, e il mio primo pensiero è stato il rifiuto – «no, povero Montanelli» – quando all'ingresso dei giardini di via Palestro mi sono trovato davanti alla sua statua, al punto che ho pensato che ci sono vandali che distruggono e vandali che costruiscono, e che anzi, per certi aspetti, il vandalismo che crea è ben peggiore, perché tenta di disarmarti con le sue buone intenzioni. Dunque era di mattina, molto presto, e i giardini erano vuoti, al sole. Ebbene in questo vuoto, la statua mi è apparsa all'improvviso: una figurina in gabbia che non ha niente a che fare con Montanelli, se non perché lo offende anche fisicamente, lui che era così "verticale", e che ci invitava a buttare via «il grasso» e la retorica monumentale. Il giornalista che ogni volta si ri-definiva in una frase, in un concetto, in un aforisma, in una citazione, è stato per sempre imprigionato in una scatola di sardine. Perciò ho provato il disagio che sempre suscita il falso, la patacca, la similpelle che non è pelle, perché non solo questo non è Montanelli, come ci ha insegnato Magritte che dipinse una pipa e ci scrisse sotto "questa non è una pipa". Il punto è che questa non è neppure una statuta di Montanelli, ma di un montanelloide in bronzo color oro, che ha la presunzione ingenua e goffa di imprigionare il Montanelli entelechiale, il Montanelli che era invece l'asciuttezza, era il corpo più "instatuabile" del mondo, troppo alto, troppo energico, troppo nervoso, incontenibile nello spazio e nel tempo com'è l'uomo moderno, che è nomade e ha un'identità al futuro. Era il più grande nemico delle statue il Montanelli che sempre ci sorprendeva, fascista ma con la fronda, conservatore ma anarchico, con la sinistra ma di destra, un uomo di forte fascino maschile che tuttavia non amava raccogliere i trofei del fascino maschile, ingombrante ma discreto, il solo che nella storia d' Italia abbia rifiutato la nomina a senatore a vita perché, diceva, «i monumenti sono fatti per essere abbattuti», come quello di Saddam, o di Stalin o di Mussolini. Come si può fare una statua ingombrante e discreta? Come si può fare un monumento all'antimonumento? ([[Francesco Merlo]]) *Montanelli comprò una sposa ragazzina di 11-12 anni. In realtà non possiamo sapere con precisione l'età perché nei villaggi africani non si registravano le nascite. Ma la comprò, questo lo sappiamo. E la violentò più volte. sappiamo anche questo, è stato lui a raccontare che lei non voleva. [...] Da italiano Montanelli avrebbe potuto riconoscere i segni di quella crudeltà e discostarsene. Non lo fece perché condivideva evidentemente quella cultura patriarcale. Perché non mettere al posto della sua statua quella di una donna della Resistenza? In Italia vorrei vedere più statue di donne partigiane. ([[Maaza Mengiste]]) *Montanelli disprezzava la borghesia che difendeva, e ammirava i comunisti che attaccava. Era convinto che la rivolta di Budapest si dovesse a operai che volevano il vero socialismo; mentre fu una rivolta nazionalista e antisovietica. ([[Enzo Bettiza]]) *Montanelli è il campione di indipendenza dalla politica, anche se sono arrabbiato con lui perché mi ha insegnato regole di comportamento anacronistiche, che nel giornalismo odierno non valgono più. ([[Daniele Vimercati]]) *Montanelli ha sempre avuto una componente di destra. È stato un uomo di destra come fascista, uomo di destra come sostenitore dei governi dc sia pure turandosi il naso. [...] Adesso è un uomo di destra qualunquista, ma sempre di destra. ([[Ugo Intini]]) *Montanelli, un misantropo che cerca compagnia per sentirsi più solo. ([[Leo Longanesi]]) *Quanto mi ha insegnato: le parole da non usare, le cose da non dire, la persone da non frequentare. ([[Beppe Severgnini]]) *Recentemente sono stato insignito del Premio Montanelli alla carriera che dovrebbe essermi consegnato a ottobre a Fucecchio, a meno che nel frattempo non mi sia revocato per indegnità, sempre in nome della libertà di informazione. Sono certo che il vecchio Indro non avrebbe condiviso nemmeno un fonema del mio necrologio sul Mullah {{NDR|Omar}}, ma sono altrettanto certo che non si sarebbe mai sognato di bloccarlo. Caso mai ci avrebbe riso su, considerandolo una provocazione, anche se provocazione non era. Perché Montanelli era un vero liberale. Quando i liberali esistevano ancora. ([[Massimo Fini]]) *Sa spalmare una così giusta misura di miele sull'orlo del nappo avvelenato che prepara per questo o per quello, che spesso la vittima muore senza accorgersene, ingannata dai soavi licori. ([[Paolo Monelli]]) *Scalfari e Montanelli direttori all'antica, padroni, mattatori che ricordano gli Scarfoglio, i vecchi direttori dell'ottocento che non solo incrociavano la penna ma anche la spada in una rissa continua con tutt ([[Ugo Intini]]) *Si può raccontare la [[storia]] in forma lieve, senza essere troppo ponderosi, rispettando tuttavia le fonti e la verità storica. Montanelli era molto bravo a scrivere, ma in fondo ne sapeva poco, gli piaceva gigioneggiare, sprofondava nell'anacronismo. Oggi ci si è accorti che, nel raccontare la storia, essere rigorosi ed essere divertenti non è conflittuale. ([[Alessandro Barbero]]) *So solo che Montanelli è fatto così: un maestro di giornalismo che ogni tanto s'impenna con qualcuna delle sue bizzarrie. ([[Giorgio Bocca]]) *Una volta, parecchi anni fa, Indro Montanelli, dicendosi disgustato della morbidezza e della mollezza della [[Democrazia Cristiana]], che ammorbidiva, incorporava, estenuava e alla fine innocuizzava qualsiasi opposizione, togliendole ogni soddisfazione e dignità, mi mostrò una fotografia, incastonata in una cornicetta d'argento, che teneva, a mo' di santino, come altri fanno con le immagini della madre o della moglie e dei figli, sulla sua scrivania, al «Giornale». Con sorpresa vidi che si trattava di Stalin. «Con questo ci sarebbe stato gusto, a battersi», disse. ([[Massimo Fini]]) *Ognuno può pensarla come vuole, ma quando si passa dalla cronaca alla storia è necessario mantenere un giusto approccio ed essere oggettivi sui valori della persona. Indro Montanelli è stato forse il più autorevole giornalista che l’Italia ha avuto nel ventesimo secolo. La Toscana penserà ad azioni per valorizzarlo. ([[Eugenio Giani]]) ===[[Enzo Biagi]]=== *A Indro Montanelli devo molto: intanto, l'idea che chi conta è il pubblico. Poi la necessità di essere chiari, di far anche fatica, perché chi legge non ha voglia di impegnarsi troppo, e solo se uno si chiama [[James Joyce|Joyce]] può essere difficile. *Montanelli se n'è sempre fregato delle critiche, io molto meno, ho un carattere permaloso, spesso non ho resistito alla tentazione di rispondere a chi mi attaccava. Indro mi sgridava, diceva a mia moglie di tenermi calmo, che non ne valeva la pena, che erano tutte bischerate. [...] Per lui il buon risultato era il sorriso di un passante, l'oste che gli trovava il tavolo. Qualcuno si chiedeva che cos'avesse di speciale. A pensarci bene, niente. Scriveva degli articoli che erano letti e dei libri che si vendevano. *Non è una gran notizia che Indro e io non abbiamo mai fatto parte del coro, ma fu una grande notizia la spiegazione che ne diede Berlusconi: "Biagi e Montanelli hanno invidia del mio successo". La prima cosa che mi venne in mente fu: "Sai che risate si starà facendo Indro adesso". Poi mi dissi che c'era poco da ridere. ==Note== <references/> ==Bibliografia== *Indro Montanelli, ''Qui non riposano'', Marsilio, 1982 (1945). *Indro Montanelli, ''Pantheon minore'' (incontri), Longanesi e C., Milano, 1950. {{NoISBN}} *Indro Montanelli, ''Reportage su Israele'', Derby, Milano, 1960. {{NoISBN}} *Indro Montanelli, ''Gli incontri'', Rizzoli, Milano, 1967. {{NoISBN}} *Indro Montanelli, ''Storia dei greci'', Rizzoli, Milano, 1992. ISBN 8817115126 *Indro Montanelli, ''Storia dei greci'', RCS Quotidiani, Milano, 2004. ISBN 1-129-08505-8 *Indro Montanelli, ''Storia di Roma'', Longanesi, Milano, 1957; Rizzoli, Milano, 1959. {{NoISBN}} *Indro Montanelli, ''Storia di Roma'', RCS Quotidiani, Milano, 2004. ISBN 1-129-08505-8 *Indro Montanelli, ''L'Italia giacobina e carbonara (1789-1831)'', Rizzoli, Milano, 1971. {{NoISBN}} *Indro Montanelli, ''L'Italia del Risorgimento (1831-1861)'', terza edizione, Rizzoli, Milano, 1972. {{NoISBN}} *Indro Montanelli, ''L'Italia dei notabili (1861-1900)'', Rizzoli, Milano, 1973. {{NoISBN}} *Indro Montanelli, ''L'Italia di Giolitti (1900-1920)'', Rizzoli, Milano, 1974. {{NoISBN}} *Indro Montanelli, ''L'Italia in camicia nera (1919-3 gennaio 1925)'', Rizzoli, Milano, 1976. *Indro Montanelli, ''Dante e il suo secolo'', Rizzoli, Milano, 1974. {{NoISBN}} *Indro Montanelli, ''I protagonisti'', Rizzoli, Milano, 1976. {{NoISBN}} *Indro Montanelli, ''Controcorrente'', Editoriale Nuova, Milano, 1978. {{NoISBN}} *Indro Montanelli, ''Controcorrente 1974-1986'', Arnoldo Mondadori Editore, Milano, 1987. ISBN 8804300558 *Indro Montanelli, ''Caro direttore. 1974-1977. Il meglio della rubrica "La parola ai lettori"'', Rizzoli, Milano, 1991, ISBN 88-17-42728-4. *Indro Montanelli, ''Il testimone'', Longanesi & C., Milano, 1992, ISBN 88-304-1063-2. *Indro Montanelli, ''Il meglio di «Controcorrente» 1974-1992'', Rizzoli, Milano, 1993, ISBN 88-17-42807-8. *Indro Montanelli, ''Caro lettore. Il meglio della rubrica "La parola ai lettori". 1978-1981'', Rizzoli, Milano, 1994, ISBN 88-17-42730-6. *Indro Montanelli, ''Le Stanze. Dialoghi con gli italiani'', Rizzoli, Milano, 1998, ISBN 88-17-85259-7. *Indro Montanelli, ''La stecca nel coro. 1974-1994: una battaglia contro il mio tempo'', Rizzoli, Milano, 1999, ISBN 88-17-868284-3. *Indro Montanelli, ''Le nuove Stanze'', Rizzoli, Milano, 2001, ISBN 88-17-86842-6. *Indro Montanelli, ''Soltanto un giornalista. Testimonianza resa a Tiziana Abate'', BUR, Milano, 2003. ISBN 8817107042 *Indro Montanelli, ''I conti con me stesso. Diari 1957-1978'', a cura di [[Sergio Romano]], Rizzoli, Milano, 2010. ISBN 8817028202 ([http://books.google.it/books?id=fuh--fZGHMcC&printsec=frontcover Anteprima su Google Libri]) *Indro Montanelli, ''Ricordi sott'odio'', Milano, Rizzoli, 2011, ISBN 978-88-17-04963-4 *Indro Montanelli, ''Indro al Giro. Viaggio nell'Italia di Coppi e Bartali. Cronache del 1947 e 1948'', a cura di Andrea Schianchi, Collana Saggi italiani, Milano, Rizzoli, 2016. ISBN 978-88-1708-969-2 *Paolo Granzotto, ''Montanelli'', Bologna, Il Mulino. ISBN 88-15-09727-9 *Paolo Occhipinti (a cura di), ''Caro Indro... Dialoghi di Montanelli con il direttore di Oggi. 1993-2001. Il meglio di una rubrica di successo durata otto anni'', RCS, Milano, 2002. ==Voci correlate== *[[Colette Rosselli]] *[[Indro Montanelli e Roberto Gervaso]] *[[Indro Montanelli e Mario Cervi]] *[[Indro Montanelli e Marco Nozza]] *''[[Il generale Della Rovere]]'' (film 1959) ==Altri progetti== {{interprogetto}} ===Opere=== {{Pedia|La Voce (quotidiano)|''La Voce''}} {{Pedia|Storia d'Italia (Montanelli)|''Storia d'Italia''}} {{DEFAULTSORT:Montanelli, Indro}} [[Categoria:Drammaturghi italiani]] [[Categoria:Giornalisti italiani]] [[Categoria:Saggisti italiani]] [[Categoria:Commediografi italiani]] bdsmu2ntduays3clppp0807y59ygn78 1381960 1381958 2025-07-01T21:16:34Z ~2025-110542 103361 /* Citazioni tratte da suoi libri */ 1381960 wikitext text/x-wiki [[File:IndroMontanelliLettera22.jpg|thumb|upright=1.5|Indro Montanelli alla sede del ''Corriere della Sera'']] '''Indro Montanelli''' (1909 – 2001), giornalista, saggista e commediografo italiano. ==Citazioni di Indro Montanelli== [[File:Indro Montanelli 1936.jpg|miniatura|Indro Montanelli, ufficiale del Regio Esercito, 1936]] *[[Gianni Agnelli|Agnelli]] ha detto che non siamo nella repubblica delle banane, però qualche banana in Italia c'è, perché avvengono cose veramente singolari.<ref>Citato in Marco Travaglio, ''Bananas'', Garzanti, Milano, 5 maggio 2001.</ref> *Al [[conformismo]] l'[[ironia]] fa più paura d'ogni [[Argomentazione|argomentato ragionamento]].<ref>Da ''Controcorrente'', Editoriale Nuova, Milano, 1978.</ref> *{{NDR|[[Ferdinando I delle Due Sicilie]]}} Aveva sulla coscienza la vita di migliaia d'infelici, morti sulla forca e nelle galere solo per aver voluto un po' di libertà. Era stato spergiuro. Non aveva conosciuto che disfatte e fughe ignominiose di fronte al nemico. Politicamente, era rimasto fermo alla concezione settecentesca del più retrivo assolutismo. Non aveva fatto che i propri interessi, e più ancora i propri comodi, della regalità prendendosi solo i piaceri. Non aveva saputo che incrementare l'ignoranza di cui egli stesso era campione. Eppure, il cordoglio popolare per la sua morte non ci stupisce, perché un dono lo aveva avuto: la genuinità. Questo Re fellone e fannullone non aveva mai cercato di apparire diverso da quel che era: uno scugnizzo dei «bassi», prepotente, ridanciano e sboccato, nato per caso con una corona in testa e che aveva sempre concepito la sua parte come quella di un buon capo-camorra. Non aveva interpretato che i caratteri deteriori del popolo napoletano, ma anche i più appariscenti e riconoscibili.<ref>Da ''L'Italia unita. {{small|Da Napoleone alla svolta del Novecento}}'', Rizzoli BUR, Milano, 2015, [https://books.google.it/books?id=8J7tCgAAQBAJ&lpg=PT206&dq=&pg=PT206#v=onepage&q&f=false p. 206]. eISBN 978-88-58-68272-2</ref> *Avevo capito fin dal primo incontro che l'aggressività di [[Anna Magnani|Anna {{NDR|Magnani}}]] era solo la maschera della sua insicurezza. Era una donna difficile e sempre agli estremi di tutto: della dolcezza come del furore, e non si capiva mai bene, forse non lo capiva nemmeno lei, quanto l'uno e l'altra fossero veri, o soltanto scena. Certo è che dall'uno all'altra passava con fulminea velocità e tenendo chiunque in stato di fibrillazione. <ref>Da ''Anna Magnani, la più grande attrice del nostro cinema'', 23 ottobre 1999, in ''Le Nuove stanze'', a cura di Michele Brambilla, RCS Libri, Milano, 2002, p. 280.</ref> *{{NDR|[[Walter Chiari]]}} Avrebbe meritato 30 anni di prigione per lo spreco del suo talento.<ref>Citato in Luciano Giannini, ''[https://www.ilmattino.it/AMP/cultura/walter_chiari_100_walter_sottotitolo_chiari_biografia_di_un_genio_irregolare-7954361.html Walter Chiari genio irregolare che confessava di aver vissuto]'', ''Il Mattino'', 24 febbraio 2024</ref> *[[Silvio Berlusconi|Berlusconi]] è una persona intelligente finché riesce a ragionare col suo cervello: il suo cervello è valido. Ma lui, oltre al cervello, ha le viscere, e molto spesso le viscere prendono la prevalenza sul cervello. E quando lui si abbandona alle viscere, secondo me, diventa uomo pericoloso. Questo lo dico a lei perché l'ho detto a lui, perché gliel'ho anche scritto.<ref name="milano">Dal programma televisivo ''Milano, Italia'', Rai 3, 11 gennaio 1994.</ref> *[[Silvio Berlusconi|Berlusconi]] ha straordinarie qualità di imprenditore – coraggio, fantasia, forza di lavoro – che gli hanno valso il successo in tutti i campi in cui si è cimentato. Una sola cosa non gli riesce di fare, il presidente di una società di calcio.<ref>Da ''[http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/1987/01/20/ora-montanelli-critica-berlusconi.html Ora Montanelli critica Berlusconi]'', ''la Repubblica'', 20 gennaio 1987.</ref> *[[Silvio Berlusconi|Berlusconi]] non ha idee: ha solo interessi.<ref>2001; citato in [[Marco Travaglio]], ''Ad personam'', Chiarelettere, Milano, 2010, p. 39, ISBN 978-88-6190-104-9.</ref> *{{NDR|Su [[Aldo Moro]]}} Calvinista a rovescio, invece che nella predestinazione della [[Grazia divina|grazia]], credeva in quella della [[disgrazia]].<ref>Citato in [[Roberto Gervaso]], ''Ve li racconto io'', Mondadori, Milano, 2006, pp. 310-311, ISBN 88-04-54931-9.</ref> *Certo, per un direttore di giornale, avere sottomano un [[Marco Travaglio|Travaglio]], che su qualsiasi protagonista, comprimario e figurante della vita politica italiana è pronto a fornirti su due piedi una istruttoria rifinita nel minimo dettaglio è un bel conforto. Ma anche una bella inquietudine. Il giorno in cui gli chiesi se in quel suo archivio, in cui non consente a nessuno di ficcare il naso, ci fosse anche un fascicolo intitolato al mio nome, Marco cambiò discorso.<ref>Dalla prefazione a Marco Travaglio, ''Il Pollaio delle Libertà'', Vallecchi, Firenze, 1995.</ref> *Chi di voi vorrà fare il [[giornalista]], si ricordi di scegliere il proprio padrone: il [[lettore]].<ref>Dalla lezione di giornalismo all'Università di Torino, 12 maggio 1997; citato in ''La Stampa'', 14 aprile 2009.</ref> *Conosco molti furfanti che non fanno i [[Morale|moralisti]], ma non conosco nessun moralista che non sia un furfante. Senza, per carità, allusione a [[Eugenio Scalfari|Scalfari]]. Solo come promemoria.<ref>Citato in [[Eugenio Scalfari]], ''Incontro con io'', Rizzoli, Milano, 1994, ISBN 8806200747.</ref> *Cosa c'è meglio di [[Romano Prodi|Prodi]]? Governa fra compromessi e imbroglietti. I nostri soci sanno benissimo che siamo imbroglioni, che sui conti che portiamo all'Europa s'è un po' imbrogliato. Accettano lo stesso, purché non s'esageri. E [[Carlo Azeglio Ciampi|Ciampi]] non esagera, è un economista serio e vero. [...] {{NDR|Romano Prodi}} Con la faccia da mortadella, l'ottimismo inossidabile e l'eterno sorriso, ci porterà in Europa: ringraziamo Dio, e anche [[Massimo D'Alema|D'Alema]], che ci hanno dato Prodi.<ref name=Montanelli>Citato in Francesco Battistini ''[https://web.archive.org/web/20160101000000/http://archiviostorico.corriere.it/1997/dicembre/19/Montanelli_ragazzi_rifate_68_co_0_97121914987.shtml Montanelli: ragazzi, rifate il '68]'', ''Corriere della Sera'', 19 dicembre 1997.</ref> *Dicono che [[Ciriaco De Mita|De Mita]] sia un intellettuale della Magna Grecia. Io però non capisco cosa c'entri la Grecia...<ref>Citato in ''Liberazione'', 22 febbraio 2008.</ref> *{{NDR|Su [[Giulia Maria Crespi]]}} Dispotica guatemalteca.<ref> Citato in Paolo Martini, ''[https://www.adnkronos.com/crespi-la-zarina-del-corriere-della-sera-che-fondo-il-fai_4YA2lu93AIXTzgMw0Wj65x Crespi, la 'zarina' del Corriere della Sera che fondò il Fai]'', adnkronos.com, 19 luglio 2020.</ref> *{{NDR|Su [[Gad Lerner]], nel 2000}} È bravissimo, son contento l'abbian messo al ''Tg1'', è un buon conduttore, buonissimo giornalista. Ma sarà un bravo direttore?<ref>Citato in Antonella Rampino, ''[http://www.archiviolastampa.it/component/option,com_lastampa/task,search/mod,libera/action,viewer/Itemid,3/page,3/articleid,0428_01_2000_0162_0003_4349235/ Il rischio? Una missione impossibile]'', ''La Stampa'', 17 giugno 2000.</ref> *{{NDR|Su [[Concetto Lo Bello]]}} Entra in campo col passo del padrone che ispeziona il proprio podere.<ref>Citato in Marco Innocenti, ''[https://st.ilsole24ore.com/art/SoleOnLine4/dossier/Tempo%20libero%20e%20Cultura/storie-della-storia/archivio-2009/storie-storia-9-settembre-muore-lo-bello.shtml?uuid=4327f496-881f-11de-873c-ca3137183d57&DocRulesView=Libero&refresh_ce=1 9 settembre 1991: se ne va il re degli arbitri, Concetto Lo Bello]'', ''ilsole24ore.com'', 8 settembre 2009.</ref> *{{NDR|Su [[Gaio Giulio Cesare|Giulio Cesare]]}} Grande soldato, grande statista, grande scrittore, grande avventuriero. E grande amatore. C'era di tutto. [...] In questa epoca di Mani Pulite Cesare sarebbe rimasto sicuramente "intangentato". Di tangenti lui ne prese parecchie. Ma a differenza dei mariuoli di oggi era anche un grande legislatore, un grande generale, un uomo di un'efficienza straordinaria. I nostri sono dei ladri. Ladri e basta.<ref>Citato in Mauro Anselmo, ''[http://www.archiviolastampa.it/component/option,com_lastampa/task,search/mod,libera/action,viewer/Itemid,3/page,7/articleid,0797_01_1993_0212_0009_11229316/ Montanelli: così ho finito la mia Storia d'Italia]'', ''La Stampa'', 4 agosto 1993.</ref> *{{NDR|Su [[Clare Boothe Luce]]}} Ha la mentalità schematica di una maestra di scuola.<ref>Citato in Massimo Gaggi, ''Quando il giornale del Pci pensò di pubblicare il nudo dell'ambasciatrice Usa'', ''Corriere della Sera'', 18 dicembre 2022.</ref> *{{NDR|Su [[Lucio Battisti]]}} Ho amato molto le sue canzoni e il suo desiderio di vivere appartato.<ref>Citato in [[Leo Turrini]], ''Lucio Battisti: la vita, le canzoni, il mistero'', Mondadori, 2008, retrocopertina.</ref> *I mariti italiani, per comprar la pelliccia alle mogli, spendono più di tutti i loro colleghi europei. Poveri, ma pelli.<ref name=Controcorrente>Da ''Controcorrente, 1974–1986'', Mondadori, Milano, 1987.</ref> *I nostri uomini politici non fanno che chiederci, a ogni scadenza di legislatura, «un atto di fiducia». Ma qui la fiducia non basta; ci vuole l'atto di fede.<ref name=Controcorrente/> *I [[Ricordo|ricordi]] vanno messi sotto teca, appesi a una parete e guardati. Senza tentare di rinnovarli. Mai.<ref>Da un'intervista di [[Ferruccio de Bortoli]], 1999; in ''[http://www.rai.it/dl/Rai5/programma.html?ContentItem-f04f3982-e954-471e-8242-78f92423550d Indro Montanelli, gli anni della televisione]'', puntata 8, di Nevio Casadio, Rai Premium, 2013.</ref> *Il bello dei [[politologi]] è che, quando rispondono, uno non capisce più cosa gli aveva domandato.<ref name=Controcorrente/> *{{NDR|Su [[Carlo Sforza]]}} Il conte si piega sulle gambe come se volesse saltare in arcione. E io dico: è veramente un bell'uomo.<ref>Citato da Guido Russo Perez nella [https://documenti.camera.it/_dati/leg01/lavori/stenografici/sed0331/sed0331.pdf Seduta pomeridiana del 31 ottobre 1949] della Camera dei deputati.</ref> *Il fascismo privilegiava i somari in divisa. La democrazia privilegia quelli in tuta. In Italia, i regimi politici passano. I somari restano. Trionfanti.<ref name=Controcorrente/> *Il guaio di [[Eugenio Scalfari|Scalfari]] non è che dice quel che pensa. Il guaio di Scalfari è che pensa quel che dice.<ref>Citato in Paolo Granzotto, ''Montanelli'', p. 173.</ref> *In [[Italia]] a fare la dittatura non è tanto il dittatore quanto la paura degli italiani e una certa smania di avere, perché è più comodo, un padrone da servire. Lo diceva [[Benito Mussolini|Mussolini]]: «Come si fa a non diventare padroni di un paese di servitori?».<ref>Dall'intervista di Pasquale Cascella, ''Montanelli: «Il regime? È alle porte, inutile aspettare il dittatore»'', ''l'Unità'', 25 ottobre 1994, p. 5.</ref> *In Italia c'è una frangia d'imbecilli tali che credono si possa resuscitare il comunismo. Seppellire il cadavere del marxismo non è facile, anche perché per molti significa rinnegare l'intera esistenza. Ma certo [[Fausto Bertinotti|Bertinotti]] non è di questi: lui non sa un corno di marxismo, non gl'importa niente, è un piccolo pagliaccio, un populista all'italiana che scalda in piazza maree di poveri diavoli e parla ancora delle masse operaie, che vede solo lui.<ref name=Montanelli></ref> *In Italia non c'è una coscienza civile, non c'è un'identità nazionale che tenga insieme uno Stato federale e garantisca la civile convivenza delle sue parti. Invece io vedo solo nell'Italia Cisalpina qualche barlume di coscienza civile e una vocazione europea. Altrove, invece, è un disastro difficile, se non impossibile, da rimediare. Spero proprio di sbagliarmi.<ref name=Italia>Citato in ''Il grande vecchio del giornalismo rilegge gli ultimi anni della nostra storia'', ''L'Indipendente'', 25 luglio 1995.</ref> *In Italia si può cambiare soltanto la Costituzione. Il resto rimane com'è.<ref>Dall'articolo di Polaczek, ''Teile und sende'', in ''Frankfurter Allgemeine Zeitung'', 15 agosto 1996, p. 29.</ref> *In Italia un colpo di piccone alle [[Casa di tolleranza|case chiuse]] fa crollare l'intero edificio, basato su tre fondamentali puntelli, la Fede cattolica, la Patria e la Famiglia. Perché era nei cosiddetti postriboli che queste tre istituzioni trovavano la più sicura garanzia.<ref>Citato in Daniele Abbiati, [http://www.ilgiornale.it/news/tresse-indro-nella-repubblica-delle-marchette.html ''La maîtresse di Indro nella Prima Repubblica delle marchette''], ''il Giornale.it'', 22 ottobre 2010.</ref> *In nome di quale razza noi faremmo del razzismo? Se c'è un paese (adesso non voglio offendere, perché io sono italiano come tutti gli altri), ma se c'è un paese bastardo è l'Italia, cioè a dire una confluenza di razze diverse.<ref>Dal programma televisivo di Rai 3 ''Eppur si muove'', 20 marzo 1994.</ref> *Io non mi sono mai sognato di contestare alla [[Chiesa (comunità)|Chiesa]] il suo diritto a restare fedele a se stessa, cioè ai comandamenti che le vengono dalla Dottrina... ma che essa pretenda d'imporre questi comandamenti anche a me che non ho la fortuna di essere un credente, cercando di travasarli nella legge civile in modo che diventi obbligatorio anche per noi non credenti, è giusto? A me sembra di no.<ref>Citato in [[Umberto Veronesi]], ''[http://www.repubblica.it/2008/10/sezioni/cronaca/eluana-eutanasia-3/comm-veronesi/comm-veronesi.html Non vince la scienza]'', ''la Repubblica'', 14 novembre 2008.</ref> *Io il giornale urlato non è che non glielo voglio dare, non lo so fare! La clava non è nel mio armamentario! Non lo posso fare e non credo che sia un buon segno di civiltà politica l'uso della clava.<ref name="milano" /> *Io non sono napoletano, ma di fronte a [[Peppino De Filippo|Peppino]], non so come, mi capita sempre di diventarlo.<ref name=Pappagone>Citato in ''Pappagone e non solo'', a cura di Marco Giusti, Mondadori, Milano, 2003.</ref> *{{NDR|Alla nipote Letizia Moizzi}} Io sarò il tuo Jukebox. Tu metti una monetina e io ti racconto un ricordo.<ref>Citato in Elvira Serra, «Scoprii che era importante quando le Br gli spararono. Lo convinsi io a prendere i farmaci per la depressione», ''Corriere della Sera'', 20 gennaio 2025.</ref> *Io non voglio soffrire, io non ho della sofferenza un'idea cristiana. Ci dicono che la sofferenza eleva lo spirito; no la sofferenza è una cosa che fa male e basta, non eleva niente. E quindi io ho paura della sofferenza. Perché nei confronti della morte, io, che in tutto il resto credo di essere un moderato, sono assolutamente radicale. Se noi abbiamo un diritto alla vita, abbiamo anche un diritto alla morte. Sta a noi, deve essere riconosciuto a noi il diritto di scegliere il quando e il come della nostra morte.<ref>Citato in Carlo A. Martigli, ''[http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2002/04/25/sul-diritto-alla-morte-si-discute-su.html Sul diritto alla morte si discute su Internet]'', ''la Repubblica'', 25 aprile 2002.</ref> *Kipling diceva: "un italiano, un bel tipo; due italiani, una discussione; tre italiani, tre partiti politici". I suoi concittadini, invece, li definiva così: "un inglese, un cretino; due inglesi due cretini; tre inglesi, un popolo". Vorrei avere a che fare con dei cretini che, insieme, facessero un popolo.<ref>Citato in Cristina Taglietti, ''[https://web.archive.org/web/20160101000000/http://archiviostorico.corriere.it/1998/dicembre/17/Montanelli_cari_studenti_volete_spaccate_co_0_98121712510.shtml Montanelli: cari studenti, se volete spaccate tutto ma è inutile]'', ''Corriere della Sera'', 17 dicembre 1998.</ref> *{{NDR|Riguardo all'approvazione della legge elettorale nota come mattarellum}} L'unico modello a cui possiamo rifarci è quello francese, non quello inglese. In un paese dove ci sono venti-venticinque partiti, come si fa l'uninominale a turno unico? Qui rischia di vincere un partito che ottiene il dieci percento, perché gli altri hanno ottenuto il sette, il sei. Ma le pare giusto questo? Io non so se è stata una follia o un atto criminale questa riforma elettorale. Io sono per la traduzione in processo dei legislatori, da [[Sergio Mattarella|Mattarella]] agli altri - non è stato il solo - i quali hanno fatto, come al solito, o creduto di fare gli interessi del proprio partito. Hanno fatto questa legge prima che venisse il diluvio universale di [[Mani pulite|Tangentopoli]], convinti che siccome loro erano il partito di maggioranza relativa spazzavano via l'Italia. Poi è venuta tangentopoli e ora piangono. Dovrebbero suicidarsi se avessero un minimo di dignità. Suicidarsi. Perché in nome degli interessi di partito hanno completamente rovinato l'Italia. [...] Questi legislatori che hanno truffato con questa legge - perché questa legge è una truffa - io vorrei sapere come mai non vengono processati. Dovrebbero essere processati per lesa patria.<ref name=conferenza>[https://www.youtube.com/watch?v=snbg12DCPSM Indro Montanelli presenta "La Voce", conferenza stampa integrale], 1994.</ref> *La cosa curiosa di [[Antonino Caponnetto|Caponnetto]] è che si va a schierare con [[Leoluca Orlando|Orlando]] che è stato il peggior denigratore di [[Giovanni Falcone|Falcone]]. E poi dice che fa l'antimafia, io vorrei sapere i voti a Orlando chi glieli ha dati.<ref>Citato in Riccardo Chiaberge ''[https://web.archive.org/web/20160101000000/http://archiviostorico.corriere.it/1994/marzo/21/Montanelli_voce_controcorrente_co_0_94032115801.shtml Montanelli la voce controcorrente]'', ''Corriere della Sera'', 21 marzo 1994.</ref> *La [[cultura]], per un giornalista, è come una puttana: la puoi frequentare ma non devi ostentarla. La cultura si tiene nel cassetto. Il lettore non va trattato dall'alto in basso, ma preso per mano come un amico e portato dove vuoi.<ref>Citato in [[Roberto Gervaso]], ''Ve li racconto io'', Mondadori, Milano, 2006, p. 294, ISBN 88-04-54931-9.</ref> *La cultura si è chiusa nella torre eburnea. Rimane lì, arroccata in sé stessa, perché ha orrore dei contatti col pubblico, si crede diminuita dai contatti col pubblico. Questa è la cultura italiana. È una cultura di cretini.<ref name="montecarlo">Radio Montecarlo, [https://www.youtube.com/watch?v=A77mrwIjSSs Intervista a Indro Montanelli], di Roberto Arnaldi, 1973.</ref> *La [[depressione]] è una malattia democratica: colpisce tutti.<ref>Citato nel programma televisivo ''Ippocrate'', Rai News, 13 giugno 2010.</ref> *La devolution mi preoccupa molto, perché la decomposizione della [[Repubblica Socialista Federale di Jugoslavia|Jugoslavia]] cominciò esattamente così: reclamata e imposta dai due grandi compari Tudjiman e [[Slobodan Milošević|Milosevic]] che distrussero l'unità del Paese per restare padroni in casa propria...<ref>Citato in Gian Guido Vecchi, ''[https://web.archive.org/web/20160101000000/http://archiviostorico.corriere.it/2001/aprile/08/Devolution_traffico_voto_rebus_co_7_0104088547.shtml Devolution e traffico, il voto è un rebus]'', ''Corriere della Sera'', 8 aprile 2001.</ref> *La guerra contro il [[brigantaggio]], insorto contro lo Stato unitario, costò piú morti di tutti quelli del [[Risorgimento]]. Abbiamo sempre vissuto dei falsi: il falso del Risorgimento che assomiglia ben poco a quello che ci fanno studiare a scuola.<ref>Citato in Stefano Preite, ''Il Risorgimento, ovvero, Un passato che pesa sul presente'', Piero Lacaita, 2009.</ref> *La lettura del ''[[Adolf Hitler#Mein Kampf|Mein Kampf]]'' io la renderei, per legge, obbligatoria. Fuori dal contesto in cui fu concepito e scritto, quel libro è un caciucco di coglionerie.<ref>Citato in Cesare Medail, ''Il «Mein Kampf» torna nelle librerie italiane. Grazie a un editore cossuttiano'', ''Corriere della Sera'', 6 maggio 2000.</ref> *La nostra classe politica ha fatto del [[partito]] una specie di totem intoccabile e gli ha attribuito tutti i poteri, con in più un diritto: il diritto di abusarne.<ref name=Dovere>Dal programma televisivo ''Dovere di cronaca'', Rete 4, 1988, [https://www.youtube.com/watch?v=caQgyvTKZS8 visibile su YouTube].</ref> *Le cose non sono importanti per quello che sono, ma per quello che uno ci mette.<ref name="cento">intervista di Enzo Biagi a Indro Montanelli, (1982), da "Cento anni", Fabbri video, 1993.</ref> *Le mie idee sono sempre al vaglio dell'[[esperienza]] e l'esperienza mi impone di rivederle continuamente.<ref name="IIIB">Da un'intervista del 1971, tratta da ''III B, Facciamo l'appello'' di Enzo Biagi; anche in ''[http://www.rai.it/dl/Rai5/programma.html?ContentItem-f04f3982-e954-471e-8242-78f92423550d Indro Montanelli, gli anni della televisione]'', puntata 7, di Nevio Casadio, Rai Premium, 2013.</ref> *[[Leo Longanesi]] che amava [[Marcello Marchesi]] rabbiosamente per lo spreco che faceva del suo talento, quando lo incontrava, gli diceva: "Devo fare una telefonata, mi dai un gettone di intelligenza?". E un giorno mi ordinò un epitaffio per lui. Eccolo: "Qui giace un nessuno — che se avesse voluto — avrebbe potuto diventare — Marcello Marchesi —. Purtroppo o per fortuna — non lo seppe mai —. Come tutti i geni — era un cretino".<ref>Citato in Paola Fallai, ''Marchesi, l'umorista che creò un'atmosfera'', ''La lettura'', ''Corriere della Sera'', 25 marzo 2012; riportato in ''[http://www.cinquantamila.it/storyTellerArticolo.php?storyId=0000001549183 Cinquantamila.it]''.</ref> *Mi accusano molto spesso di avere inventato degli aneddoti. È verissimo. Io ogni tanto invento quando devo descrivere un personaggio, specialmente negli incontri, io invento qualche aneddoto. Però sono sempre aneddoti funzionali, che servono a dimostrare quel certo carattere che mi sembra vero e di dover dimostrare.<ref name="IIIB" /> *Mi avvio verso il mio capolinea con l'angoscia di portare con me le cose che ho più amato: il mio paese e il mio mestiere, temo che non mi sopravviveranno.<ref>Da un'intervista del 1996, tratta da ''Tablet Italiani'', puntata 2, "Montanelli/Bocca", Rai Storia, 25 agosto 2013.</ref> *{{NDR|Su [[Vittorio Mangili]], in riferimento all'[[rivoluzione ungherese del 1956|insurrezione antisovietica in Ungheria nel 1956]]}} Ne ha combinate di tutti i colori. Ha fatto perfino il portaordini dei patrioti, a bordo di una delle loro automobili di collegamento.<ref>Citato in Roberta Scorranese, ''[https://www.corriere.it/cronache/22_ottobre_09/vittorio-mangili-cento-anni-dell-inviato-rai-io-budapest-madre-teresa-1efd76ca-473a-11ed-8ee2-07ab17a2d97d.shtml Vittorio Mangili, i cento anni dell’inviato Rai «Io, da Budapest a Madre Teresa»]'', ''corriere.it'', 8 ottobre 2022.</ref> *Nei grandi [[giornale|giornali]] di oggi, che non possono farne a meno, chi comanda non è più nemmeno il [[direttore]]: è l'ufficio [[marketing]].<ref name="giornalista">Da: ''Repertorio della Fondazione Montanelli'', in ''Indro Montanelli - Gli anni della televisione 4: Io sono soltanto un giornalista'', a cura di Nevio Casadio, Rai Sat, 2009</ref> *{{NDR|Rivolto a [[Silvio Berlusconi|Berlusconi]] che voleva imporsi sulla linea editoriale de ''il Giornale''}} Nell'arte dell'imprenditoria, tu sei di certo un genio, ed io un coglione. Ma nell'arte della polemica il genio sono io, e tu il coglione.<ref name=Travaglio2004>Citato in Marco Travaglio, ''Montanelli e il Cavaliere'', Garzanti, Milano, 2004.</ref> *Nessuno di noi la strada della ribellione la batté sino in fondo, come voleva [[Berto Ricci|Ricci]]: per la semplice ragione che si trattava di una strada che fondi non ne aveva. Qualcuno poi scantonò in questo o in quello dei sette o otto partiti che aprirono le porte a questa generazione perduta. E forse si illuse di aver trovato un’altra bandiera. Io sono tra i rassegnati: so benissimo che di bandiere non posso averne altre e che l'unica che seguiterà a sventolare sulla mia vita è quella che disertai, prima che cadesse.<ref>Citato in Mario Bernardi Guardi, ''La giovinezza di Montanelli ebbe un nome: Berto Ricci'', ''Il Primato Nazionale'', 3 maggio 2016.</ref> *No, [[Marco Travaglio|Travaglio]] non uccide nessuno. Col coltello. Usa un'arma molto più raffinata e non perseguibile penalmente: l'archivio.<ref name=Travaglio2004/> *Noi italiani non crediamo in nulla e tanto meno nelle virtù che qualcuno ci attribuisce. Ma tra di esse ce n'è una nella quale riponiamo una fede incorruttibile: quella della nostra capacità di corrompere tutto.<ref>Citato in Mario Cervi, ''Ti ricordi Indro?'', Società europea di edizioni, Milano, 2017, p. 57. ISBN 9778118178454</ref> *Noi qui buttiamo tutte le colpe addosso agli altri. Ma bisogna fare i conti anche col popolo italiano. Siamo noi che li abbiamo eletti questi signori. Sono mica piovuti dalla luna. E allora non accaniamoci soltanto sulla classe politica. Noi siamo un elettorato disposto a ogni sorta di transazione, quando ci fa comodo.<ref name=conferenza /> *Non credo alle feste comandate. La memoria dovrebbe essere spontanea. L'unica cosa che si dovrebbe fare è raccontare veramente e in maniera spassionata ai giovani, che non lo sanno, cosa è stata la Shoah, senza fare mobilitazioni di folle.<ref>Citato in Marco Cremonesi, ''[https://web.archive.org/web/20160101000000/http://archiviostorico.corriere.it/2001/gennaio/28/Diecimila_piazza_con_nomi_dei_co_0_0101282160.shtml Diecimila in piazza con i nomi dei lager]'', ''Corriere della Sera'', 28 gennaio 2001, p. 31.</ref> *Non do più nessun significato a queste due parole {{NDR|destra e sinistra}}, le ritengo un cascame, un residuato di situazioni oramai defunte. [[Destra e sinistra]] non hanno più nessun significato e credo che noi ci stiamo attardando su una terminologia arcaica, oramai da seppellire.<ref>Radio Radicale, [https://www.radioradicale.it/scheda/598/599-elezioni Elezioni], 38:58-39:26, 25 maggio 1979.</ref> *Non mi si portino i soliti argomenti astratti, tipo la sacralità della vita: nessuno contesta il diritto di ognuno a disporre della sua vita, non vedo perché gli si debba contestare il diritto a scegliere la propria morte.<ref>Citato in Enrico Bonerandi, ''[http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2000/12/13/montanelli-pronto-morire.html Montanelli: pronto a morire]'', '' la Repubblica'', 13 dicembre 2000, p. 36.</ref> *{{NDR|Il Polo delle Libertà}} Non venga a farci credere che è costretto all'[[Aventino (espressione)|Aventino]] dal clima di violenza creato dall'Ulivo. Dove diavolo la vede questa violenza? Mi basta guardare la faccia di [[Romano Prodi|Prodi]] 1996 per metterla a confronto con quella di Mussolini 1924 per escludere che in Italia corriamo il pericolo di una dittatura. Per fare una dittatura ci vuole un dittatore.<ref>Citato in Alessandro Longo, ''[https://rep.repubblica.it/pwa/generale/2018/03/17/news/aventino-191559602/?ref=pwa-rep-hp-2-1-1 Perché si dice Aventino]'', ''Rep.repubblica.it'', 17 marzo 2018.</ref> *{{ndr|su [[Gianni Agnelli]]}} Parla con la propria bocca, pensa con il cervello di Valletta, col cuore di Giulio De Benedetti e con gli interessi polivalenti della Fiat.<ref>Citato in Paolo Granzotto, ''Montanelli'', p. 129.</ref> *{{ndr|su [[Mariano Rumor]]}} Personaggio da commedia [[Carlo Goldoni|goldoniana]] più che da tragedia contemporanea.<ref>Citato in Paolo Granzotto, ''Montanelli'', p. 145.</ref> *Posso solo dire che l'Italia del Cattaneo è quella che conserva qualche probabilità di salvarsi da questo degrado politico, culturale, morale, economico. E l'Italia del Cattaneo è quella Cisalpina. A nord del Po, e forse anche in Emilia, esistono tracce di coscienza civile e anche di classi dirigenti sane. Poi c'è un'Italia centrale, quella toscana e umbra e marchigiana, che conserva le sue peculiarità, i suoi caratteri spiccati che affondano le radici nell'Italia comunale e rinascimentale. Il resto è un disastro che non saprei come salvare. Del resto Cattaneo ci tentò, andò a Napoli e resistette qualche giorno. Poi si arrese e se ne tornò nella sua Lugano, nella sua Svizzera.<ref name=Italia>Citato in ''Il grande vecchio del giornalismo rilegge gli ultimi anni della nostra storia'', ''L'Indipendente'', 25 luglio 1995.</ref> *Pur ricordandovi che la nostra regola è quella di non tener conto delle intemperanze altrui, specie dei politici, e di dire sempre la verità, tutta la verità, senza partito preso né animosità verso nessuno, vi autorizzo a comunicare al [[Bobo Craxi|suddetto signore]], se ve ne capita l'occasione, che l'unica «testa» in pericolo di cadere dopo il 5 aprile non è la vostra ma, casomai, la sua. E potete aggiungere, da parte mia, che non la considererei una gran perdita.<ref>Citato in [[Federico Orlando]], ''Il sabato andavamo ad Arcore'', Larus, Bergamo, 1995.</ref> *[[Sandro Pertini|Pertini]] ha interpretato al meglio il peggio degli italiani.<ref>Citato in Franco Fontanini, ''Piccola antologia del pensiero breve'', Liguori Editore, Napoli, 2007, p. 12.</ref> *Quando mi viene in mente un bell'aforisma, lo metto in conto a [[Montesquieu]], od a [[François de La Rochefoucauld|La Rochefoucauld]]. Non si sono mai lamentati.<ref>Citato in Luigi Mascheroni, ''[http://www.ilgiornale.it/news/mai-dette-ripetiamo-sempre-ecco-frasi-fantasma-storia.html Mai dette, ma le ripetiamo sempre. Ecco le frasi fantasma della storia]'', ''il Giornale'', 21 marzo 2009, p. 22.</ref> *Quello che ci ripugna è che, per mettere un controllo all'autorità politica, ci sia bisogno di ricorrere all'autorità giudiziaria. Cioè che, alla fine, noi avremo le riforme istituzionali non per via politica, ma per via giudiziaria e processuale. Questo ci allarma anche perché, come avrete ben capito, la mia opinione dei politici è molto bassa, ma quella dei giudici non è migliore. Perché anche i giudici sono stati corrotti dalla partitocrazia. Lo dimostra il semplice fatto che molti di loro ostentano la tessera di partito. Un giudice che ha venduto la propria imparzialità ai partiti è un giudice che, prima di processare gli altri, dovrebbe essere processato lui e cacciato in galera. Lo so che a dire queste cose si possono avere dei dispiaceri, ma io di dispiaceri in vita mia ne ho avuti tanti che, uno più o uno meno, non mi fa nessunissimo effetto.<ref name=Dovere/> *{{NDR|[[Carmen Lasorella]]}} Richiama tanta attenzione non solo per la sua bravura ma anche per quel che possiede dal cervello in giù.<ref>Citato in Luigi Mascheroni, ''[https://books.google.it/books?id=gtg7AQAAIAAJ&q=%22Richiama+tanta+attenzione+non+solo+per+la+sua+bravura+ma+anche+per+quel+che+possiede+dal+cervello+in+gi%C3%B9+%22&dq=%22Richiama+tanta+attenzione+non+solo+per+la+sua+bravura+ma+anche+per+quel+che+possiede+dal+cervello+in+gi%C3%B9+%22&hl=it&newbks=1&newbks_redir=0&sa=X&ved=2ahUKEwiC2PXRl5WDAxVs4AIHHazPCd4Q6AF6BAgHEAI Sette, settimanale del Corriere della sera, Edizioni 1-9]'', 1996.</ref> *Sfido io che {{NDR|''il Giornale''}} non va bene come vendite. Non va bene come vendite perché noi siamo ancora alla macchina Olivetti. Qui non è stato fatto mai nessun investimento ed è stato detto chiaro che gli investimenti non sarebbero venuti finché io ne fossi il direttore. Questa è la situazione.<ref name="milano" /> *Siamo un paese cattolico, che nella [[Provvidenza]] ci crede o almeno ne è affascinato. Il pericolo è questo: gli [[italia]]ni sentendo aria di provvidenza sono sempre pronti a mettersi in fila speranzosi.<ref name=Provvidenza>Citato in ''[http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/1994/02/24/rivogliono-uomo-della-provvidenza.html?ref=search Rivogliono l'uomo della provvidenza]'', ''la Repubblica'', 24 febbraio 1994, p. 11.</ref> *Se avessi potuto immaginare come sarebbe stata distrutta la vecchia classe politica italiana - che meritava la distruzione, sia chiaro - se avessi potuto immaginare che la distruzione della vecchia classe politica italiana, in gran parte marcia, avrebbe dischiuso una situazione come quella attuale e che la vecchia legge proporzionale sarebbe stata sostituita dall'attuale legge maggioritaria così come è stata compilata, io avrei forse difeso la vecchia classe. Per lo meno non mi sarei battuto con tanta asprezza e con tanto vigore contro quella classe politica, che meritava di finire, ma a cui si stanno dando dei successori che, ricordatevelo bene, ci faranno rimpiangere quella vecchia. È il peggio che si può dire. Ma io lo dico. Perché non riesco proprio a vedere cosa sta venendo fuori da questo rimescolio di carte.<ref name=conferenza /> *{{NDR|«Se dovesse fondare un giornale a novant'anni, che giornale farebbe?»}} Se io dovessi oggi fare un giornale, farei un ''Foglio'' un po' più grande: invece che di 4 facciate di 10 o di 12. Non di più. Con una redazione ridottissima e facendo un preventivo che mi mettesse al riparo dalle delusioni. Mirerei ad avere non più di venti/trentamila lettori e non avere pubblicità. Su queste basi, forse, riuscirei a fare un [[giornale]] di alto prestigio, ma purtroppo destinato a una élite.<ref name="giornalista" /> *Sta arrivando l'uomo della provvidenza. E io, in vita mia, di questi personaggi ne ho già conosciuto uno. Mi è bastato. Per sempre.<ref name=Provvidenza></ref> *Una cultura che perde i contatti col pubblico si sterilisce e muore. Questa è la verità. E la nostra cultura è assolutamente sterile. Noi culturalmente non contiamo più nulla nel mondo. Perché? Perché è chiusa in sé stessa, la cultura, ha perso i contatti col pubblico, con la vita. Non c'è più. Sono mummie. Non è più cultura: è mafia.<ref name="montecarlo" /> *{{NDR|Su [[Aldo Moro]]}} Un generale che, sfiduciato del proprio esercito, credeva che l'unico modo di combattere il nemico fosse quello di abbracciarlo.<ref>Citato in [[Roberto Gervaso]], ''Ve li racconto io'', Mondadori, Milano, 2006, p. 310, ISBN 88-04-54931-9.</ref> *Un giorno fui convocato a Palazzo Venezia, era il 1932 e avevo 23 anni, perché il duce voleva vedermi. Ero emozionatissimo, entrai e mi misi sull'attenti, e il duce che faceva finta di scrivere mi lasciò lì per un quarto d'ora e alla fine mi disse: "Ho letto il vostro articolo sul razzismo (avevo scritto un articolo contro il razzismo). Bravo, vi elogio. Il razzismo è roba da biondi (non si era accorto che ero biondo), continuate così. Sei anni dopo fece le leggi razziali. Perché questo era [[Benito Mussolini|Mussolini]], diceva una cosa e ne faceva un'altra, secondo il vento del momento. Non creava il vento, vi si accodava da buon italiano.<ref>Citato in Gianna Fregonara, ''[https://web.archive.org/web/20160101000000/http://archiviostorico.corriere.it/2010/gennaio/24/Dal_balcone_Mussolini_bianco_sorriso_co_9_100124324.shtml Dal balcone di Mussolini al bianco sorriso di Belen]'', 24 gennaio 2010, p. 34.</ref> *{{NDR|Su [[Giorgio La Pira]]}} Un pasticcione ben intenzionato che, nel nome del Signore, appoggia le peggiori cause appellandosi ai migliori sentimenti.<ref>Citato in [[Roberto Gervaso]], ''Ve li racconto io'', Mondadori, Milano, 2006, p. 236, ISBN 88-04-54931-9.</ref> ===Citazioni tratte da suoi libri=== *{{NDR|Sul funerale di [[Leo Longanesi]]}} Al cimitero ci si ritrovò in una decina di persone, non di più. Non ci furono cerimonie né discorsi. Solo la piccola Virginia, che avrà avuto quattordici anni, mentre la bara di suo padre calava nella tomba, mormorò: «E dire che gli orfani mi sono sempre stati così antipatici...» Una frase che sarebbe piaciuta moltissimo a Leo.<ref>Dalla presentazione a [[Leo Longanesi]], ''In piedi e seduti'', Longanesi & C., Milano, 1968.</ref> ====''Caro Indro...''==== *L'aureola di martire a Craxi nessuno è disposto a riconoscergliela, proprio perché inconciliabile con l'arroganza con cui si comporta. Nessun paragone col contegno di Andreotti, davvero ineccepibile. Sul banco degli imputati ci sta da imputato, dimentico di essere stato per ben sette volte capo del governo. Parla solo se interrogato, e a bassa voce. Non rinuncia alla propria dignità, ma non la ostenta. Eppoi, le colpe che gli si addebitano saranno anche più gravi di quelle che si addebitano a Craxi, ma meno spregevoli. Potrà anche aver baciato Riina (sebbene a me questo appaia poco credibile). Ma del pubblico denaro non risulta che gli sia scivolata in tasca nemmeno una lira. Forse merita la fucilazione. Lo spregio, no. (31.1.1996) (p. 9) *Non ho mai conosciuto [[Yasser Arafat|Arafat]], né mai ho cercato di conoscerlo: non mi pare che il suo aspetto inviti alla simpatia. Però non l'ho mai considerato un criminale anche se si trovava alla testa di un'[[Organizzazione per la Liberazione della Palestina|organizzazione]] in cui di criminali ce ne sono molti. E oggi non lo considero affatto un eroe, ma un uomo coraggioso sì, perché lo ritengo in costante pericolo di vita. La lotta per il potere, dentro l'Olp, è a coltello: e i nemici di Arafat sono quelli che il coltello lo maneggiano meglio di tutti. Stringendo la mano a [[Yitzhak Rabin|Rabin]], Arafat ha moltiplicato i suoi nemici e li ha resi ancora più rabbiosi. È un uomo a rischio, non c'è dubbio. E se muore lui, addio pace in Medio Oriente. (4.10.1993) (p. 11) *Certo che il passato dell'Olp, carico di bombe e di sangue, non è la migliore referenza per un Nobel, ma Arafat è però anche l'unico interlocutore palestinese: dopo di lui c'è il nulla, o meglio soltanto gruppi di fanatici votati alla violenza e alla distruzione di [[Israele]]. Una volta presa la decisione di premiare i protagonisti del tormentato processo di pace in Medioriente [...] si è dovuto fare di necessità virtù e dare il riconoscimento anche all'uomo che per molti anni è stato un simbolo del terrorismo, nonché l'ispiratore di tante altre «lotte armate»: premiare solo Rabin e [[Shimon Peres|Peres]] sarebbe stato uno schiaffo ai palestinesi, un'iniziativa controproducente. [...] Forse più che il Nobel per la pace meriterebbe quello per il ravvedimento... (30.10.1994) (p. 12) *«Libera Chiesa in libero Stato» è una formula più d'effetto che di sostanza. Potrebbe anche significare che Chiesa e Stato si ignorano a vicenda e ognuno dei due si attribuisce i poteri che più gli aggradono: che è il modo più sicuro per litigare, non certo per convivere. Fra i due ci deve essere un patto improntato al reciproco rispetto: condizione più facile da formulare che da realizzare. Ma sembra che lo sviluppo di questo rapporto negli ultimi anni abbia fatto più passi indietro che avanti. E mi pare che dello stesso parere sia il capo dello Stato, Carlo Azeglio Ciampi. Meno male (7.3.2001) (p. 30) *Ho fiducia in [[Massimo D'Alema|D'alema]], anche se non voterò mai per lui. Ho fiducia per due motivi. Prima di tutto perché, fra i leader di oggi, è l'unico vero professionista della politica. Eppoi perché non ho dubbi sulla sua intenzione di fare del Pds un partito socialdemocratico o laburista. Se non fosse così, non solo Prodi ma nemmeno Veltroni sarebbero al suo fianco. E appunto perché è così, sono convinto che consumerà fino in fondo il divorzio da Rifondazione. Lo consumerà cercando di non farsene portar via molti elettori. Ma lo consumerà per conquistare i moderati: altra strada non può battere. E proprio in questi giorni lo ha dimostrato sacrificando anche quella piccola falce e martello che tuttora sopravviveva nel simbolo del suo partito ai piedi della Quercia. Non era che un «segno», dirà qualcuno. Sì, ma che segno! (17.5.1995) (p. 42) *Anch'io sono stato in passato un fautore dell'elezione diretta, cioè per consultazione popolare, del Capo dello Stato. Mi pareva il mezzo più efficace per sottrarre almeno il Quirinale agl'intrallazzi dei partiti e per avere un garante al di sopra di essi. Ma poi ho dovuto cambiare idea di fronte alle prove di balordaggine, d'ignoranza, di totale mancanza di consapevolezza morale e civile dell'elettorato italiano, o almeno della sua maggioranza. È un elettorato sempre pronto a correre dietro a qualche ciarlatano che sappia vendere bene la sua merce e a lasciarsene trascinare nelle imprese più insensate. Insomma considero la stupidità più pericolosa degl'intrallazzi. (23.12.1998) (p. 47) *Non credo che [[Diana Spencer|Diana]] rimarrà nella memoria dei posteri. Era una bella e simpatica ragazza, che avrebbe anche potuto essere una buona moglie e una buona madre, ma che non aveva certamente la stoffa e le dimensioni umane, comportamentali di una regina. Più e meglio che sul trono, il suo personaggio avrebbe figurato in un romanzo di Liala. Non riesco ad accostarla a figure storiche (17.9.1997) (p. 72) *Mussolini non aveva la stoffa del criminale né di guerra né di pace. Dicendolo, so di espormi alle contumelie della cosiddetta intellighenzia. Ma ne ho già ricevute tante che non mi fanno più nessun effetto. Tuttavia mi rendo conto che alla condanna a morte non avrebbe potuto sfuggire perché almeno un responsabile delle catastrofi che si erano abbattute sull'Italia si doveva pur trovare, e non poteva essere che lui. Però c'è da ringraziare Dio, e per esso, il Comitato di liberazione nazionale che ne ordinò (o avallò) la fucilazione sul posto perché un processo a Mussolini avrebbe ancora più spaccato un Paese già spaccato dalla guerra civile (per chiamare col suo vero nome, la Resistenza). E credo che anche gli Alleati trassero un respiro di sollievo dal venirne esentati. Un processo avrebbe messo in imbarazzo anche loro per le indulgenze che avevano avuto verso di lui e quella parodia di totalitarismo ch'era stata il suo regime. Una Norimberga italiana sarebbe stata anch'essa una parodia. La fucilazione sul posto di Mussolini era un atto dovuto. Quello che non era dovuto, e che per gl'italiani provvisti di qualche senso dell'onore e della decenza rimarrà una indelebile vergogna, fu la scena di piazzale Loreto (30.6.1999) (pp. 89-90) *{{NDR|«Poni che ti regalino una telecamera, con il diritto di spiare per un mese, non visto, un potente della Terra, a tua scelta, dalla regina Elisabetta a Gheddafi, da Saddam a Clinton. Quale personaggio ti incuriosirebbe di più?»}} [[Vladimir Putin|Putin]]. Credo che sia una canaglia perché solo le canaglie potevano arruolarsi e fare carriera in un corpo di polizia come il Kgb. Ma è proprio di una canaglia che la [[Russia]] ha bisogno per ricompattarsi all'interno, risollevarsi dal caos in cui l'ha precipitata il crollo di un regime totalitario durato settant'anni, e riprendere nel gioco delle potenze mondiali il posto che spetta a un Paese di 250 milioni di abitanti, di grandi tradizioni e d'inesauribili risorse naturali. L'Occidente ha bisogno della Russia: è il suo antemurale verso un Oriente che può riservarci amare sorprese. [...] Non facciamoci illusioni sull'avvenire di una democrazia in Russia. Essa ha bisogno [...] di una mano forte e spregiudicata, di una canaglia insomma. [...] Ecco perché mi piacerebbe conoscere Putin: per vedere se è la canaglia di cui mi pare abbia bisogno la Russia in questo momento: un «momento» destinato a durare parecchi decenni. (18.10.2000) (pp. 104-105) ===Attribuite=== *Berlusconi non delude mai: quando ti aspetti che dica una scempiaggine, la dice.<ref name=Travaglio2004/> :In ''Io e il cavaliere qualche anno fa'', ''Corriere della Sera'', 25 marzo 2001, p. 1, Montanelli attribuisce la citazione a «un'alta personalità della Finanza, nota anche per il suo infallibile fiuto degli uomini». La frase esatta è: «Avrà anche i suoi difetti, ma un merito bisogna riconoscerglielo: quello di non deludere mai. Quando ti aspetti che dica una scempiaggine, la dice». ==Interviste== {{cronologico}} *{{NDR|La guerra coloniale etiopica}} Considerandola oggi, con la mia maturità d'oggi, {{NDR|è}} un'avventura di una stupidità senza fine. Ma immaginiamo un ragazzo di 24 anni messo al comando di una banda indigena, con 100 uomini neri – lui solo bianco – buttato all'avventura in quella guerra che di combattimenti ne ebbe molto pochi – non voglio passare per un gran guerriero, affatto – ma furono un anno e mezzo a cavallo, di cavalcate in questa natura selvaggia (ripeto, combattimenti ben pochi). {{NDR|«Dicono anche che lei aveva una moglie, diciamo indigena, molto bella, che era la più bella di tutte quelle che avevano gli ufficiali d'allora»}} Sì. {{NDR|«Era molto invidiato per questo»}} Pare che avessi scelto bene, era una bellissima ragazza bilena, di 12 anni – {{NDR|sorridendo}} scusatemi, ma in Africa è un'altra cosa – e così l'avevo sposata, nel senso che l'avevo regolarmente comprata dal padre che mi ha accompagnato insieme alle mogli dei miei ascari. Queste mogli degli ascari non è che seguissero la banda, ma ogni 15 giorni raggiungevano la banda: io non ho mai capito come facessero a trovarci in questo infinito dell'Abissinia. Quelle arrivavano e arrivava anche questa mia moglie con la cesta in testa, che mi portava la biancheria pulita. [...] {{NDR|Domanda del pubblico: «Lei ha detto tranquillamente di avere avuto una sposa, diciamo, di 12 anni e a 25 anni lei non si è peritato affatto di violentare una ragazza di 12 anni, dicendo "Ma in Africa queste cose si fanno". Io vorrei chiedere a lui come intende normalmente i suoi rapporti con le donne date queste due affermazioni»}} No signorina guardi, sulla violenza, nessuna violenza perché le ragazze in Abissinia si sposano a 12 anni. Non è questione, Quindi. {{NDR|Domanda del pubblico: «Su un piano di consapevolezza dell'uomo, insomma, il rapporto con una bambina di 12 anni è il rapporto con una bambina di 12 anni. Se lo facesse in Europa rischierebbe di violentare una bambina, vero?»}} Sì, in Europa sì, ma lì no. {{NDR|«Ecco, appunto»}} Lì no. {{NDR|«Quale differenza crede che esista dal punto di vista biologico, o anche psicologico?»}} No, guardi, {{NDR|«Dal punto di vista del costume»}} lì si sposano a 12 anni, non è questione. A 12 anni si sposano. {{NDR|«Ma non è il matrimonio che lei intende, a 12 anni in Africa. Guardi, io ho vissuto in Africa»}} Sì. {{NDR|«Quindi il vostro era veramente il rapporto violento del colonialista che veniva lì e si impossessava della ragazza di 12 anni»}} No... {{NDR|«Ma glielo garantisco, senza assolutamente tener conto di questo tipo di rapporto sul piano umano. Eravate i vincitori, cioè i militari che hanno fatto le stesse cose ovunque sono stati i vincitori, ovunque gli uomini si sono presentati come dei militari. La Storia è piena di queste situazioni»}} {{NDR|sorridendo}} Signorina, non so se lei vuole istruirmi un processo «a posteriori». {{NDR|«No, no, affatto. Guardi, ho soltanto voluto chiederle, per inciso, come lei intende – dopo le due interpretazioni – i rapporti con le donne»}} Dipende da cosa si mette dentro, dipende anche da cosa le donne mettono dentro di noi. È tutto un giuoco di specchi. {{NDR|«Ma lei vede sempre la donna in questa veste passiva di adulatrice, oppure di compagna – che appare e scompare – dell'uomo, non l'ha mai vista in una funzione diretta, attiva e diversa. Questo è un po' il dramma degli uomini della sua generazione»}} {{NDR|sorridendo}} Può darsi. Della mia generazione? Solo? {{NDR|«Credo»}} {{NDR|sorridendo}} Vabbè. Può darsi. (Da ''L'ora della verità'', 22 ottobre 1969) *{{NDR|Domanda del pubblico: «Io vorrei sapere perché lei, che si ritiene un osservatore, non ha mai affrontato il discorso sulla contestazione giovanile, tenendo anche presente il fatto che lei cerca il lettore. Lei ai giovani non dice assolutamente niente come giornalista»}} Come? {{NDR|«Se c'è un pubblico che lei sta perdendo, e forse non ha mai avuto, è proprio quello dei giovani. Vorrei sapere come mai lei non ha mai affrontato il discorso sulla contestazione, sulla realtà giovanile che è esplosa in questi ultimi anni»}} Signorina, io avrei tanto volentieri affrontato il discorso sulla contestazione se fosse possibile agganciare il discorso coi contestatori. Ma coi contestatori io non faccio il [[Alberto Moravia|Moravia]]. No. Non vado a farmi spernacchiare dai giovani, mi dispiace tanto. Né dai giovani, né da nessun altro. {{NDR|«Lei ha paura, scusi, di affrontare un discorso»}} No, io non ho paura, ma non ammetto di essere accolto a quel modo. È proprio un fatto, così, di dignità. {{NDR|«E allora, scusi, lei a questo punto rinuncia a un pubblico come può essere quello dei giovani semplicemente, così, per non avere degli spernacchiamenti, per non compromettere – diciamo – questo suo successo a cui è arrivato»}} Ma scusi, ma che dialogo sono le pernacchie? Me lo vuole spiegare? (ibidem) *Certamente [[Benito Mussolini|Mussolini]] fu un grossissimo politico, un uomo politico di grandissimo fiuto, di tempismo formidabile: lo dimostrò la facilità con cui vinse. Forse dovuta per metà alle sue capacità, alla sua bravura – parlo sempre come politico – e per metà all'insipienza, alla nullaggine dei suoi avversari, perché è tempo oramai di dire anche questo. Non c'è dubbio che il potere assoluto guastò completamente Mussolini: il Mussolini del 1930 non era certamente quello del 1940, il Mussolini di dieci anni dopo l'avvento al potere era diventato una specie di marionetta, la caricatura di sé stesso. Aveva perso proprio il senso della realtà, che era stato invece il suo forte da principio, il contatto col pubblico lo aveva perso, il senso della misura, e lo aveva dimostrato poi con gli errori madornali che ha fatto. Nei primi dieci anni credo che alcune cose buone le abbia fatte. Non credo che abbia ucciso la democrazia, credo che l'abbia soltanto seppellita perché era già morta. Da quel poco che ricordo l'Italia era un grosso carnevale, e anche abbastanza drammatico, perché la situazione interna era addirittura sfasciata: correva sangue, ne correva molto, noi in Toscana ne sapevamo qualcosa [...]. E quindi non è vero che lui... le democrazie non vengono mai uccise, le democrazie muoiono. Dopodiché si dà la colpa a chi le seppellisce, ma la verità è che si suicidano, e credo che la democrazia italiana del '21-22 si sia suicidata. [...] Mussolini capì una cosa fondamentale: che per piacere agli italiani bisognava dare a ciascuno di essi una piccola fetta di potere col diritto di abusarne. Questo era il fascismo. Il fascismo aveva creato una [[gerarchia]] talmente articolata e complessa che ognuno aveva dei galloni: il capofabbricato, il caposettore... tutti avevano una piccola fetta di potere, di cui naturalmente ognuno abusava, come è nel carattere degli italiani. (da ''Questo secolo'', 18 maggio 1982) *Ero all'estero, lavoravo nel giornalismo americano, alla ''United Press''. Chiesi alla mia agenzia di mandarmi come corrispondente in Abissinia. Giustamente mi dissero: «No, perché lei è un italiano, quindi logicamente non fa delle corrispondenze obiettive». Dico: «Avete ragione. Allora io vi lascio e vado volontario». Feci la mia brava domanda (la feci anche raccomandare). La domanda fu accolta, io fui mandato in Abissinia e, cosa un po' strana [...], a questo ragazzo di 23 anni [...] venne affidata una banda. [...] In quei due anni io contribuii a fare una cosa sbagliata, un'autentica fregnaccia qual era costruire un impero nel '35, quando coloro che lo avevano lo stavano già liquidando perché erano cose antistoriche. Ma io a 23 anni, a 24 anni, non potevo capire questo. Ebbi due anni di vita all'aria aperta, bella, di avventura, in cui credetti di essere un personaggio di Kipling, di contribuire a fare qualcosa di importante. Poi mi accorsi che non era vero, ma le cose non sono importanti per quello che sono, ma per quello che uno ci mette. E io in quel momento ci mettevo un grande entusiasmo: ebbi due anni di vita bellissima, a cavallo, con le tende, i miei uomini, libero, solo (perché non rispondevo a nessuno). Eh beh, compiango i giovani che non hanno avuto una simile esperienza. {{NDR|«E anche con una giovane moglie»}} E anche con una giovane moglie, {{NDR|indicando una fotografia}} eccola lì. Regolarmente sposata in quanto regolarmente comprata dal padre. {{NDR|«Quanti anni aveva?»}} Aveva 12 anni, ma non mi prendere per un Girolimoni. {{NDR|«Per un bruto»}} A 12 anni quelle lì erano già donne. {{NDR|«E tu dove l'avevi comperata?»}} L'avevo comprata a Saganèiti, un paese dove avevo mandato il mio emissario [...]. Me la comprò insieme a un cavallo e a un fucile, in tutto 500 lire. {{NDR|«E lei com'era?»}} Un animalino. Docile. Io le misi su un tucul con dei polli e poi, ogni 15 giorni, mi raggiungeva dovunque fossi, insieme alle mogli degli altri ascari. (ibidem) *Io esclusi immediatamente la responsabilità degli [[Anarchia|anarchici]] {{NDR|dalla [[strage di piazza Fontana]]}} per varie ragioni: prima di tutto, forse, per una specie di istinto, di intuizione, ma poi perché conosco gli anarchici. Gli anarchici non è che sono alieni dalla violenza, ma la usano in un altro modo: non sparano mai nel mucchio, non sparano mai nascondendo la mano. L'anarchico spara al bersaglio, in genere al bersaglio simbolico del potere, e di fronte. Assume sempre la responsabilità del suo gesto. Quindi, quell'infame attentato, evidentemente, non era di marca anarchica o anche se era di marca anarchica veniva da qualcuno che usurpava la qualifica di anarchico, ma che non apparteneva certamente alla vera categoria, che io ho conosciuto ben diversa e che credo sia ancora ben diversa. (da ''La notte della Repubblica'', 12 dicembre 1989) *La [[Lega Nord|Lega]] è una cosa sgradevole. Però le Leghe sono un fenomeno di reazione a una provocazione. È la politica nazionale, che fa nascere le Leghe. Questo non vuol dire che io le approvi. La reazione è sbagliata, ma provocazione c'è, le degenerazioni della partitocrazia ci sono. Che il pubblico denaro sia male amministrato e che a farne le spese siano soprattutto i cittadini del Nord non è contestabile. (da ''La Stampa'', 7 novembre 1990) *Ah, quel maledetto [[Toni Negri]], quel maledetto aizzatore dei sentimenti dei giovani che è vigliaccamente scappato dall'Italia per non affrontare il carcere. Per un Paese non c'è nulla di peggio che i cattivi maestri. Come punirli? Bisognerebbe impiccarli. Ripeto, impiccarli. (da ''L'Italia settimanale'', 1995) *Fu una pulizia etnica, bisognava far fuori gli italiani: allora si chiamarono fascisti e si ammazzarono, e si buttarono nelle [[massacri delle foibe|foibe]]. Questo avvenne dopo la fine della guerra, sia chiaro. Perché gli orrori di guerra, non dico che siano giustificabili, ma sono comprensibili, la guerra è di per sé stessa un orrore. No, queste... le foibe furono un'infamia commessa dopo la Liberazione, dopo la fine della guerra, e purtroppo vi hanno collaborato parecchi comunisti italiani, alcuni dei quali non solo sono ancora a piede libero, pur essendo vivi, ma ricevono delle pensioni di Stato. Ricevono delle pensioni di Stato. Però io ti posso dire questo: che come testimone oculare io ho visto anche in Croazia delle cose, da parte degli italiani, su cui è meglio sorvolare. Perché anche noi le abbiamo commesse, perché la guerra le comporta, questo è fatale, ecco. Quindi non facciamo tanto i moralisti. [...] No, questo {{NDR|tesi sloveno-croata sulla pulizia etnico-culturale da parte degli italiani durante il periodo di occupazione fascista}} è assolutamente falso. Pulizie etniche noi non ne abbiamo mai fatte, in nessun Paese occupato. Quando sento dire che noi facemmo anche la pulizia etnica in Etiopia, beh vabbè, mi cascano le braccia. Mi cascano le braccia. Quelle son menzogne infami, di gente o che non sa nulla, o che mente sapendo di mentire. Non è vero. Furono episodi, ma non di pulizia etnica, di rappresaglie. (dall'intervista al TG2, ''[http://www.youtube.com/watch?v=s9UXM_pKpqY Massacri delle foibe]'', 6 settembre 1996) *Tutto questo mi evoca dei ricordi poco simpatici. Era il [[fascismo]] che si conduceva così. Era il Fascismo che proibiva la satira, che in un paese civile e democratico dovrebbe essere assolutamente indenne da controlli politici; perché la satira non ha niente a che fare con la politica, anche se prende in giro la politica, ma si sa che è satira. Ed ogni regime serio e democratico accetta la satira, come si accettano le caricature. Era [[Benito Mussolini|Mussolini]] che non le sopportava. E qui pensano: «Ripuliremo la stalla», «Faremo piazza pulita». Ma questo linguaggio, al signor [[Gianfranco Fini|Fini]], chi glielo ispira? Ci ricorda delle cose che avremmo voluto dimenticare. Questa non è la destra, questo è il manganello. Gli italiani non sanno andare a destra senza finire nel [[manganello]]. [...] Alla Rai faranno piazza pulita, lo hanno già annunziato. Ma come si fa a definire democratico un partito che annunzia «Quando saremo al potere, noi faremo piazza pulita»? Ma questo è un linguaggio del peggiore squadrismo, che loro non sanno cosa fu, ma io me lo ricordo. Questo è il linguaggio con cui {{NDR|i fascisti}} andarono al potere. (da ''La settimana di Montanelli'', 17 marzo 2001) *Io voglio ringraziare Travaglio, perché ha detto l'assoluta e pura verità. Assolutamente. La versione che ha dato degli avvenimenti è quella esatta. [...] Io ho conosciuto due Berlusconi: il Berlusconi imprenditore privato che comprò ''il Giornale'' – e noi fummo felici di venderglielo, perché non sapevamo come andare avanti – su questo patto: tu, Berlusconi, sei il proprietario de ''il Giornale'', io, direttore, sono il padrone del ''Giornale'', nel senso che la linea politica dipende solo da me. Questo fu il patto fra noi due. Quando Berlusconi mi annunziò che si buttava in politica, io capii subito quello che stava per succedere. Cercai di dissuaderlo [...] ma tutto fu inutile. Dal momento in cui lo decise mi disse: «Ora ''il Giornale'' deve fare la politica della mia politica». Ed io gli dissi: «Non ci pensare nemmeno». Allora lui riunì la redazione come ha raccontato Travaglio – e questo lo fece a mia totale insaputa – e disse: «D'ora in poi ''il Giornale'' farà la politica della mia politica». E a quel momento me ne andai, cos'altro potevo fare? [...] Nella mia vita ci sono stati due Berlusconi, completamente opposti [...] questo fa parte del ritratto di Berlusconi. [...] Come capo politico è quello che io ho conosciuto in quei brutti giorni in cui scorrettamente, nella maniera più scorretta e più volgare, saltandomi, radunò la redazione de ''il Giornale'' per dirgli «Qui si cambia tutto» all'insaputa del direttore. Se questo sembra a Feltri un modo di procedere democratico e civile, è affar suo. (risposta telefonica a [[Marco Travaglio]] e [[Vittorio Feltri]] durante la trasmissione ''Il Raggio Verde'', 23 marzo 2001) *{{NDR|Silvio Berlusconi}} È il bugiardo più sincero che ci sia, è il primo a credere alle proprie menzogne. [...] È questo che lo rende così pericoloso. Non ha nessun pudore. (dall'intervista di Sophie Gherardi, ''L'Europa deve trattare il sig. Berlusconi con sdegno e disprezzo, non con ostilità'', ''Le Monde'', 8 maggio 2001<ref name=Travaglio2004/>) *Spero che l'Europa adotterà nei confronti di Berlusconi l'atteggiamento di indignazione e di disprezzo che merita. (dall'intervista di Sophie Gherardi, ''L'Europa deve trattare il sig. Berlusconi con sdegno e disprezzo, non con ostilità'', ''Le Monde'', 8 maggio 2001<ref name=Travaglio2004/>) {{Int|''Match''|a cura di Arnaldo Bagnasco, Alberto Arbasino e Maria Gefter Cervi, Rete 2, 18 gennaio 1978.}} *Io non stavo con Longanesi per ragioni ideologiche, anche perché io non ho mai capito quale ideologia avesse Longanesi. Longanesi non lo si poteva misurare sul piano ideologico, era sempre contro tutto e contro tutti. Era il frondista principe: lo è stato sotto il fascismo – e in fondo fece il più bel settimanale, forse, che abbia avuto l'Italia in questi ultimi decenni, credo: ''Omnibus'', che fu chiuso dal regime – e si è trovato sempre male con tutti i regimi. Che cosa pensasse in realtà Longanesi io, dopo un'amicizia di trent'anni, non sono mai riuscito a capirlo. Quello che mi affascinava di Longanesi, e che continua ancora oggi ad affascinarmi, è lo straordinario talento, l'inventiva, l'intuito, l'eleganza di Longanesi. Per cui io non consideravo le posizioni ideologiche di Longanesi, questo non m'interessava affatto. Per me era un fatto di vecchia amicizia: io sono un po' cresciuto con Longanesi, l'avrei seguito anche all'inferno perché con Longanesi si poteva andare anche all'inferno, diventava l'eden. *{{NDR|Sull'appello di votare DC nel 1976}} Questa può sembrare una contraddizione, ma che cosa avrei dovuto dire ai miei lettori? Di votare per chi? Questo è il punto. Oggi [...] i partiti laici ai quali io ideologicamente farei capo – liberale, repubblicano, socialdemocratico – fanno i pifferi di accompagnamento a un patto a sei, e questo era già nell'aria, prima del 20 giugno. Che cosa dovevo dire io ai miei lettori, «Votate per i pifferi di accompagnamento»? Francamente non me la sentivo. [...] Nonostante la mia etichetta di destra, io per i partiti di destra non mi schiererò mai. Io vorrei un centro: non lo trovo, non c'è. Un centro di opposizione democratica al regime che è già in atto non c'è. E allora che debbo fare? È colpa mia se la politica italiana non mi offre un centro? Io continuo a battermi per la costituzione di questo centro. *{{NDR|Domanda del pubblico: «Come mai in Italia non ci sono giornali indipendenti?»}} Io, per esempio, ho la presunzione – sarà infondata – di dirigere un giornale indipendente, perché vorrei sapere da chi prendo gli ordini. Me lo dica lei, Padre. {{NDR|«No, beh...»}} E allora, se non potete indicare qualcuno che mi dà gli ordini, io sono indipendente. {{NDR|«Rispondo anch'io da giornalista: è chiaro che un giornale non si sostiene con le idee sull'indipendenza, si sostiene con dei quattrini»}} Certo. {{NDR|«Allora io parlavo di un'indipendenza che, in quanto dipende da chi paga, è comunque una dipendenza ideologica. Questa era la domanda»}} Sì, l'ha scritto molto bene ''Repubblica'' [...] credendo di offendermi. Ha detto: «Il ''Giornale nuovo'' vive di collette». È vero, noi viviamo di collette, e io ne sono fiero perché le collette mi lasciano libero. {{Int|''Mixer''|a cura di Giovanni Minoli, Rete 2, 6 aprile 1981.}} *{{NDR|«Perché fu fascista fino al '37?»}} Questa è la storia della mia generazione, tutta la mia generazione è stata fascista fino al '35, al '36 o al '43. *{{NDR|«E perché smise di esserlo?»}} Perché noi credevamo che il fascismo fosse una cosa, e poi ci accorgemmo che era un'altra. *{{NDR|«Lei ha detto: "Buffoni, cafoni di natura, ''parvenus'', tutta gente in malafede, il bassettume, il pirellume, il cedernismo". Si riferiva alla Milano radical chic, ma che cosa voleva dire, esattamente?»}} Quello che ho detto. Veramente, io ne ho il più profondo disprezzo. Io accetto benissimo i comunisti: i comunisti sono gente seria, pericolosissimi, ma seri. I [[radical chic]] no. *{{NDR|«È sempre convinto del suicidio dell'anarchico Pinelli?»}} Assolutamente. *{{NDR|«Lei a Catanzaro, al processo per la strage di piazza Fontana, ha dichiarato: "Secondo me, il commissario Calabresi fu vittima di una campagna di stampa". Cioè?»}} No, non l'ho dichiarato a Catanzaro, lo dissi molto prima. Basta rileggere i giornali di quei tempi, e soprattutto i rotocalchi: veramente, Calabresi fu vittima di una campagna stampa infame e ingiusta, perché era uno dei funzionari più corretti che ci fossero. *{{NDR|«Pietro Valpreda, qui a ''Mixer'', ha definito Calabresi come "un tecnocrate del potere". Lei che cosa ne pensa?»}} Ma che significa «un tecnocrate del potere»? Un commissario di polizia serve il potere, chi diavolo deve servire? Valpreda? {{Int|''Faccia a Faccia: intervista a Indro Montanelli''|''Mixer'', a cura di Giovanni Minoli, Rai 2, 5 maggio 1985.}} *[[Renato Curcio|Curcio]] non sparava alle spalle, sparava di fronte, andava di persona a sparare. Naturalmente siamo su delle barricate opposte, ma io stimo Curcio. Lo stimo. È un uomo che secondo me ha delle idee sbagliate ma le serve, le serve da soldato vero. Con un suo galateo. Col suo coraggio. Senza mai rinnegarsi. Non si è pentito! *Io sono convinto che la magistratura debba essere indipendente, però chiedo ed esigo che abbia un autogoverno di controllo, e che soprattutto risponda dei suoi gesti. Oggi noi abbiamo una magistratura che non risponde a nessuno dei suoi errori spesso catastrofici, perché hanno distrutto uomini, hanno distrutto aziende per delle cose che poi si son rilevate insussistenti. Mai un magistrato ha pagato per questo. Io voglio che i magistrati paghino. Non dico a dei poteri esterni, ma perlomeno al potere a cui viene affidata la disciplina nella categoria. *Tutta l'intellighenzia italiana ha una vecchia tradizione di servilità, com'è logico, perché si è sviluppata in un Paese analfabeta, per secoli e secoli analfabeta. Non avendo il lettore doveva per forza procurarsi il protettore. Scriveva per il protettore. *{{NDR|«Il suo peggior difetto qual è, Montanelli?»}} Quello di non riconoscermene nessuno. *{{NDR|«[[Leo Longanesi|Longanesi]], parlando di lei, un giorno disse che lei capiva le cose con dieci mesi di anticipo rispetto a tutti gli altri. Ecco, tra dieci mesi cosa vede in [[Italia]]?»}} Queste erano le cose di Longanesi, ma in realtà io non riesco a vedere tra dieci giorni. {{Int|''[http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/1991/11/16/giangi-feltrinelli-io-non-ti-perdono.html 'Giangi' Feltrinelli io non ti perdono]''|''la Repubblica'', 16 novembre 1991, p. 33.}} *[[Giangiacomo Feltrinelli|Lui]] fu l'emblema di tutto quanto accadde in quegli anni {{NDR|Anni della contestazione}}. A differenza della [[Francia]], eravamo un paese da burletta, con una contestazione da burletta e rivoluzionari da burletta. E Feltrinelli ne fu l'esponente più qualificato. *Era il 1940 e a quel tempo Giangi aveva quattordici anni e seguiva i corsi scolastici con pessimo profitto. Giangiacomo era un ragazzetto che voleva a tutti i costi cavalcare qualcosa di rivoluzionario. Non importava il colore. Tanto è vero che il suo sogno fu prima il fascismo e poi Che Guevara. *{{NDR|«L'importante è stare in prima linea il fascismo?»}} Ma sì, negli anni Quaranta lui era fascista. Era talmente fascista che nel 1943, dopo l'8 settembre, voleva denunciare sia me che Barzini per alcune cose che avevamo detto contro i fascisti. Allora pensava di aderire a Salò. La sua dedizione a una causa quale che sia, purché rivoluzionaria, lo spingeva a questi atti pazzeschi. *Generoso? Lo chieda ai suoi collaboratori. Era una specie di padrone delle ferriere che spendeva generosamente solo per soddisfare il suo vizio principale: la rivoluzione. Con chi era in difficoltà non si dimostrò mai particolarmente generoso. *{{NDR|«Perché allora lei è così implacabilmente critico nei suoi riguardi?»}} Non ce l'ho neppure tanto con lui, quanto con tutti coloro che di Feltrinelli hanno fatto un mito. In realtà era un povero uomo. Un ingenuo divorato dall'esibizionismo. *{{NDR|«Come può ridurre tutto alla convinzione che fosse solo un ingenuo e un esibizionista?»}} Anche Starace segnò un decennio della nostra vita. Mica per questo era meno cretino. Se Feltrinelli sia stato qualcosa di più complesso, io non riesco a vederlo. Posso aggiungere questo: quella sua mania di ostentazione, quella voglia di primeggiare su tutte le cose lo ha condotto anche a degli atti di eroismo. Perché uno che sale su un traliccio, con la dinamite che non sa maneggiare e salta per aria, beh almeno il coraggio gli va riconosciuto. O forse chiamiamola incoscienza. {{Int|''[http://www.archiviolastampa.it/component/option,com_lastampa/task,search/mod,libera/action,viewer/Itemid,3/page,15/articleid,0824_01_1992_0072_0015_25082247/ Montanelli e il sacco di Milano]''|''La Stampa'', 14 marzo 1992, p. 14.}} *{{NDR|Il regime corrotto}} C'è ancora. Ma la rivolta non era tanto contro la corruzione e la partitocrazia, che erano senza dubbio un grosso male, ma che non erano il male più letale. In quel momento era proprio la società che si disfaceva, le condizioni della scuola, la predicazione del nulla, insomma la contestazione globale, l'ubriacatura degli Anni Settanta, che fu l'ubriacatura del terrorismo, e quella acquiescenza di una certa borghesia, salottiera, radical chic, che amoreggiava con queste cose, che aveva le smanie maotsetunghiste, che poi parlavano tutti di cose che non sapevano. La corruzione dei partiti invece è quasi immanente. La partitocrazia è destinata a durare almeno finché non si riforma la legge elettorale. Ma questa è la battaglia che noi cerchiamo di fare oggi. *{{NDR|«Ma gli Anni Settanta non hanno anche prodotto qualcosa di positivo nella società italiana?»}} No. Non vedo fatti positivi nel lascito degli [[anni di piombo]]. Vorrei sapere veramente quali. Quando dicono per esempio il divorzio. Ma il divorzio c'era già prima. Quelle sono conquiste sociali. C'era bisogno dei pistoleros per il divorzio? Ma andiamo! *{{NDR|«Però lei difendeva Pannella»}} Sì. A [[Marco Pannella|Pannella]] dobbiamo veramente due cose, malgrado le sue mattane. Effettivamente riuscì a impedire a una certa aliquota di giovani di finire in braccio al terrorismo, cioè gli dette un'altra bandiera. E alcune battaglie sue furono sacrosante, come quella del divorzio che appoggiammo. Poi verso Pannella io ho una certa simpatia, dovuta al mio vecchio fondo anarchico, libertario, che ritrovo in lui. È una simpatia genetica. Ritrovo in lui quello che io sono stato a vent'anni. *{{NDR|«Ma che fine ha fatto quella borghesia, che fine hanno fatto quei salotti buoni? Le sue battaglie contro la Crespi o contro la Cederna sono cosa Passata? Sono cambiati loro, oppure è cambiato lei?»}} Vabbè, con la [[Camilla Cederna|Camilla]] poi siamo ridiventati amici. Con la Crespi no, mai. Ma non ho più rancori, non ho più animosità. Però è un mondo che disprezzo un po', perché è un mondo di pecore che seguono sempre il filo del vento, santoiddio, sono proprio personcine, personcine inconsistenti, pronte ad andare con chiunque. E poi sempre per salvare i propri interessi, non è che abbiano delle idealità, no? Oggi è cambiato il vento, quindi sono cambiati anche loro. Ma non è che sia cambiato il mio giudizio. Quel mondo lì io non lo amo. *La crisi rimane e si riflette nell'amministrazione cittadina. L'amministrazione era sempre stata un autentico specchio. Fino a Bucalossi il Comune di Milano era retto da specchiati galantuomini, che finivano tutti poveri, in miseria, finivano alla Baggina. Gente davvero di una correttezza esemplare. Poi sono venuti gli Aniasi e compagni e guardi qui dove siamo arrivati: siamo arrivati a [[Mario Chiesa|Chiesa]]. {{Int|''[https://web.archive.org/web/20121107180200/http://archiviostorico.corriere.it/1993/giugno/06/Montanelli_tura_naso_come_nel_co_0_93060610816.shtml Montanelli si tura il naso come nel '76: voto l'uomo della Lega]''|''Corriere della Sera'', 6 giugno 1993, p. 3.}} *Mi sono dannato l'anima perché il centro avesse un ''suo'' candidato. Avrei voluto Locatelli: era la persona giusta per portare la bandiera referendaria e raccogliere gli elettori moderati. Era quello il mio sogno. *Segni non ha capito nulla, è arrivato in ritardo, ha candidato una persona che nessuno conosce. Non abbiamo ''un'' rappresentante del centro, ma tre surrogati che si elimineranno a vicenda. E ci toccherà scegliere fra [[Nando dalla Chiesa|Dalla Chiesa]] e Formentini. *{{NDR|«Di qui il suo suggerimento: turarsi il naso e votare Lega»}} No, non dico "Votiamo Lega", dico "Votiamo Formentini". E nel suo caso non ci si deve neppure turare il naso: è modesto, anche mediocre se vogliamo, ma è onesto. Non credo sia marcio. Insomma: è il male minore. *{{NDR|«E Dalla Chiesa?»}} No, il mio voto non lo avrà. Perché io non voto per la sinistra e per un sinistro come quello lì. *{{NDR|«Ma che cosa la preoccupa nella coalizione di Dalla Chiesa?»}} Questi reperti di un mondo fallito vogliono ora governare l'Italia. E io con loro non ci sto. La storia gli ha dato torto, la realtà li svergogna e noi dovremmo fidarci? È stata l'apertura a sinistra a dare inizio alla putredine. {{Int|''Eppur si muove''|a cura di Indro Montanelli e Beniamino Placido, Rai 3, 1994.}} *Ogni italiano è insieme furbo e fesso. L'italiano è furbissimo nella gestione dei suoi affari privati, può ricorrere a tutte le astuzie, è attento, è accorto, ed è assolutamente fesso nel non rendersi conto che se i suoi affari privati rimangono immessi in una società che non funziona – cioè dove gli interessi generali vengono trascurati e negletti – i suoi interessi privati finiscono col soffrirne e col condurlo al fallimento. Questo, a noi italiani, non entra in testa. (6 febbraio 1994) *È probabile che molti stranieri mandino i loro figli, a Roma, a scuola. Ma quali scuole? Alle loro. Gli americani mandano i loro figli alla scuola americana, i tedeschi alla scuola tedesca, i francesi alla scuola francese. Non li mandano mica alla scuola italiana, se ne guardano bene e hanno ragione, visto il modo in cui si insegna in Italia. (ibidem) *Da noi prima uscivano dei ragazzi che sapevano abbastanza di greco, di latino, ma che il carattere non lo avevano formato a scuola: o se lo formavano da soli, oppure non se lo formavano mai. (ibidem) *Lo [[Zingari|zingaro]] che fa tranquillamente la sua vita non dà noia a nessuno, è quando ruba che, naturalmente, suscita qualche perplessità (uso un eufemismo). Diciamo la verità, in Italia il razzismo non c'è. Per inventare una questione razziale ci volle una legge, e una legge fatta da un regime totalitario perché il Paese non la sentiva. Non poteva sentirla perché non è nella nostra tradizione. [...] L'Italiano non ha dei risentimenti razziali. [...] {{NDR|Sugli episodi di intolleranza e di paura per il diverso}} È un fatto di piccolissime minoranze, diciamo la verità. Non inventiamo adesso una questione {{NDR|razziale}}. Io ho vissuto nelle società veramente razziste, è tutta un'altra faccenda. (con [[Serena Dandini]], 20 marzo 1994) *Io ebbi una moglie etiopica, nel senso che la comprai secondo l'uso locale. {{NDR|«Come, scusi?»}} Eh beh, ma gli usi locali erano questi. Tutti, anche gli etiopici, compravano la moglie. {{NDR|«Quanto costava una moglie?»}} Poco. Costava poco, mi pare che mi costò – allora, però (anno 1935) – 500 lire e un tucul {{NDR|trattando}} col suocero. Perché queste furono transazioni fatte dal mio emissario, che era il più anziano graduato della mia banda, col padre della ragazza. [...] Questo matrimonio durò finché noi stemmo di stanza a Saganèiti, cioè a dire prima che scoppiasse la guerra con l'Abissinia (che non fu precisamente una guerra, fu una specie di avventura). [...] Poi questa mia moglie, perché era considerata tale, quando io partii sposò un mio graduato e al primo figlio – è vivo tuttora, mi hanno detto – diede il mio nome, per cui alcuni credettero che fosse figlio mio. Non era figlio mio. Soltanto che per deferenza... {{NDR|«Lei non pensò mai di portarla con se in Italia?»}} Beh, no. No, anche perché era molto difficile strapparla ai suoi costumi. Lei stessa, in fondo, non voleva venire. Lei apparteneva alla sua terra, io le feci una piccola dote e quindi andò tutto regolarmente. Era molto bellina. (ibidem) *Gran parte delle forze leghiste, quelle che accennano a qualche razzismo nei confronti del meridionale, sono composte da meridionali che si sono milanesizzati e ci si trovano talmente bene a Milano che non vogliono che altri arrivino dal sud. (ibidem) *Per me la [[destra]] non è una [[ideologia]]: è un modello di comportamento. Si può essere di destra anche a sinistra. Questo comportamento è il criterio rigoroso del servizio della vita pubblica. (con [[Arnoldo Foà]], 17 aprile 1994) *Nella storia della [[Italia|nazione italiana]] io vedo pochi uomini all'altezza della qualifica di una destra illuminata che non solo accetta ma vuole le [[Riformismo|riforme]]. Un uomo di destra certamente io non credo che fosse [[Camillo Benso, conte di Cavour|Cavour]], del resto il suo connubio lo dimostra, la sua disinvoltura nelle alleanze politiche lo dimostra. Certamente di destra era [[Bettino Ricasoli|Ricasoli]]. Certamente era [[Quintino Sella|Sella]]. Certamente era [[Giovanni Giolitti|Giolitti]]: uomo che dette il suffragio universale, e che riconobbe il diritto di [[sciopero]]. Questo è un uomo di destra. Certamente un uomo di destra era [[Alcide De Gasperi|De Gasperi]], senza dubbio. E, adesso non vorrei scandalizzare la gente, ma direi che uomo di destra per il concetto che aveva dello [[Stato]] e del [[potere]] era anche [[Palmiro Togliatti|Togliatti]]. E questo dimostra che si può essere uomini di destra anche a [[sinistra]]. La destra è una regola di comportamento, una regola [[morale]] di comportamento. (ibidem) {{Int|''[https://web.archive.org/web/20101005073648/http://archiviostorico.corriere.it/1997/novembre/09/Montanelli_gambizzato_cinque_mesi_prima_co_0_9711098446.shtml Montanelli "gambizzato" cinque mesi prima: "Mi salvò una promessa a Mussolini"]''|''Corriere della Sera'', 9 novembre 1997, p. 29.}} *Quella mattina {{NDR|2 giugno 1977}} sono in due nei giardini di piazza Cavour, a Milano. Uno mi spara alle gambe. L'altro mi tiene nel mirino della sua pistola. I primi due – tre proiettili entrano nelle mie lunghe zampe di pollo. Non devastano né ossa né arterie. Ma sarebbero sufficienti per far cadere a terra qualsiasi cristiano. In quegli attimi ricordo la promessa che avevo fatto a Mussolini, e a me stesso, quando, bambino, mi ritrovai intruppato nei balilla: "Se devi morire, muori in piedi!" Davanti a questi vigliacchi che non hanno il coraggio di affrontarmi in faccia, penso, non posso morire in ginocchio. E mi aggrappo alla cancellata dei giardini. Non sto in piedi sulle gambe, ma mi reggo dritto con la forza delle braccia. E quello continua a sparare e a centrare le mie zampe di pollo. Se mi fossi accasciato, se mi fossi inginocchiato davanti a lui, a quell'ora sarei morto. *Per [[Renato Curcio|lui]] ho sempre avuto rispetto. Penso che la sua autoemarginazione dalla società prima e l'emarginazione che la società gli ha imposto poi ci abbiano privato di un uomo di valore. Non lo conosco di persona, ma lo stimo, anche se poteva essere lui quello che ha mandato i due ragazzi a spararmi. Non ho rancore: quando la guerra è finita gli avversari si devono stringere la mano e devono brindare alla pace ritrovata. *Apprezzo il coraggio di chi non si pente per ricavarne un utile, di chi non denuncia il compagno di errori ma riconosce i propri torti. Almeno i brigatisti lottavano per ideali diversi da quelli dello stalinismo e del comunismo sovietico. I terroristi neri, invece, volevano soltanto restaurare un regime sepolto dalla storia. I rossi non sapevano bene cosa ma avevano in mente qualcosa di nuovo. *{{NDR|«E se avessero vinto loro?»}} Impossibile. L'esistenza del terrorismo ha soltanto ribadito le manchevolezze del nostro Paese: uno Stato inefficiente e un popolo codardo e conformista. *{{NDR|Sui burattinai, i Grandi Vecchi, la Cia, i Servizi segreti}} Fregnacce: che gliene poteva importare alla Cia di fucilare gente come il buon Casalegno o quel galantuomo di Emilio Rossi, vent'anni fa direttore del Tg Uno, o quel bischero di Montanelli? La dietrologia era una divagazione di intellettuali perditempo. Il vero problema era ed è un altro: finché non ci decideremo a riconoscere la mancanza negli italiani di una coscienza nazionale e civile questo pericolo del terrorismo lo correremo sempre. E questa fabbrica di una coscienza nazionale e civile io non la vedo nascere. *{{NDR|Sul dolore che il tempo non ha cancellato nei parenti delle vittime}} Anche noi italiani dobbiamo imparare a pagare gli inevitabili tributi dovuti alla Storia come hanno saputo fare tutti i Paesi occidentali. Il dolore resta, ma la piaga va ricucita. Una volta per tutte. {{Int|''[http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/1998/07/25/borghesia-vile-deludente.html Borghesia vile e deludente]''|''la Repubblica'', 25 luglio 1998, p. 8.}} *È la solita bruciante delusione, questa nostra borghesia. Non cambia mai, è sempre la stessa: la più vile di tutto l'Occidente. Gente portata a correr dietro a chi alza la voce, a chi minaccia, al primo manganello che passa per la strada. Questo sono i nostri borghesi: tutti fascisti sotto il fascismo, poi tutti antifascisti fin dall'indomani. Quando il comunismo era forte e faceva paura, e io fondai ''il Giornale'', mi lasciarono solo e senza un soldo. Ai tempi del terrorismo, amoreggiavano con gli estremisti nella speranza che quelli – andati al potere – gli risparmiassero la villa e il portafoglio. E ora che il comunismo non c'è più, si scoprono tutti anticomunisti, questi sedicenti liberaloni. *Il loro eroe è sempre chi brandisce il [[manganello]]. Ieri, il manganello vero. Oggi, quello catodico delle televisioni. Il liberalismo vero l'hanno sempre tradito, anzi non hanno mai saputo che cosa sia. Non vogliono le regole, detestano le leggi, vogliono avere le mani libere per fare quello che gli pare, in nome della loro cosiddetta «[[efficienza]]». Quando abbiamo fondato ''la Voce'' l'abbiamo toccato con mano: parlare di regole e di legalità a questa gente è peggio di un insulto, una bestemmia in chiesa. *L'ho sempre detto che fu un errore, quattro anni fa, defenestrarlo. Bisognava lasciarlo lì ancora un bel po', così tutti avrebbero capito quanto vale, che razza di statista è... Magari adesso non saremmo in Europa, ma non avremmo così tante gente che si lascia ubriacare dalla sua propaganda, che prova nostalgia per lui. *{{NDR|«E se un giorno si andasse a votare per il suo referendum, quello per abolire i reati del Cavaliere?»}} In quella forma, mi pare difficile che si arrivi, anche se in Italia non si sa mai. Comunque, se si votasse, credo che anche lì vincerebbe lui. Perché è quello che vuole questa nostra borghesia. Ormai è ufficiale: Berlusconi ce lo meritiamo. {{Int|''[http://www.repubblica.it/online/politica/satiquattro/montanelli/montanelli.html L'Italia di Berlusconi è la peggiore mai vista]''|''la Repubblica'', 26 marzo 2001.}} *Io voglio che vinca, faccio voti e faccio fioretti alla Madonna perché lui vinca, in modo che gli italiani vedano chi è questo signore. [[Silvio Berlusconi|Berlusconi]] è una malattia che si cura soltanto con il vaccino, con una bella iniezione di Berlusconi a Palazzo Chigi, Berlusconi anche al Quirinale, Berlusconi dove vuole, Berlusconi al Vaticano. Soltanto dopo saremo immuni. L'immunità che si ottiene col vaccino. *È strano: io non avevo mai preso parte alla campagna di demonizzazione: tutt'al più lo avevo definito un pagliaccio, un burattino. Però tutte queste storie su Berlusconi uomo della mafia mi lasciavano molto incerto. Adesso invece qualsiasi cosa è possibile: non per quello che succede a me, a me non succede nulla, non è che io rischi qualcosa, è chiaro. Quello che fa male è vedere questo berlusconismo in cui purtroppo è coinvolta l'Italia e anche tante persone perbene. *La scoperta che c'è un'Italia berlusconiana mi colpisce molto: è la peggiore delle Italie che io ho mai visto, e dire che di Italie brutte nella mia lunga vita ne ho viste moltissime. L'Italia della [[marcia su Roma]], becera e violenta, animata però forse anche da belle speranze. L'Italia del 25 luglio, l'Italia dell'8 settembre, e anche l'Italia di piazzale Loreto, animata dalla voglia di vendetta. Però la volgarità, la bassezza di questa Italia qui non l'avevo vista né sentita mai. Il berlusconismo è veramente la feccia che risale il pozzo. {{Int|''La Storia d'Italia di Indro Montanelli''|a cura di Mario Cervi, interviste di Alain Elkann, ''Cecchi Gori Editoria Elettronica Home Video'', 1999.}} *Il silenzio mantenuto finora {{NDR|sui massacri delle foibe}}, o quasi silenzio, si spiega facilissimamente: tutta la storiografia italiana del dopoguerra era di sinistra, apparteneva all'intellighenzia di sinistra, la quale era completamente succuba del Partito Comunista. Quindi non si poteva parlare delle foibe, che non appartenevano al comunismo italiano, ma appartenevano certamente al comunismo slavo, di cui però il comunismo italiano era alleato e faceva gli interessi. Quindi di questo non si poteva parlare, e non si poteva parlare delle stragi del triangolo della morte, perché anche queste ricadevano sulla coscienza – ammesso che ce ne sia una – del Partito Comunista, il che sta a dimostrare quello che dicevo prima, cioè che la Resistenza non fu una resistenza, fu una guerra civile tra italiani che continuò anche dopo il 25 aprile. [...] {{NDR|Sull'eccidio dei conti Manzoni}} Andai come giornalista [...] per appurare com'era andata la strage dei conti Manzoni, dopo la fine della guerra. [...] Una famiglia di persone che col fascismo non aveva niente a che fare, ci aveva convissuto come tutti gli italiani. Bene, nessuno mi voleva parlare di questa faccenda. [...] Nessuno ne aveva parlato, né dei Carabinieri né della Polizia e tantomeno della magistratura, eppure lo sapevano. [...] C'era una complicità assoluta, una complicità dannata. [...] Se ne parla ora perché il Muro di Berlino è crollato, ma si ricordi che trent'anni fa, quando [[Renzo De Felice|De Felice]] annunziò di mettere allo studio il ventennio fascista per sapere com'era andata, fu proposta la sua estromissione dalla cattedra universitaria, solo perché metteva allo studio un ventennio di storia italiana che, bella o brutta, c'era stata. [...] Non era possibile inquadrare storicamente il fascismo: chi lo faceva, cercando di spiegare i perché della sua durata, ed anche i perché della sua catastrofe, veniva accusato di fascismo. (da ''Dalla Monarchia alla Repubblica'') *È difficile sapere che cosa fu [[Palmiro Togliatti|Togliatti]], perché Togliatti non ha lasciato memoriali, non ha lasciato diario, che cosa pensasse Togliatti non lo sapeva nessuno, credo nemmeno la sua compagna Nilde Iotti. Si può dire che è stato un esecutore fedele degli ordini di [[Stalin]]. Lo è stato sempre, e per questo godeva la fiducia di Stalin. [...] Era un diplomatico per sé, soprattutto, perché é un uomo sopravvissuto a venticinque o trent'anni anni di Mosca, senza finire in galera, processato o contro il muro. Beh, questo è uno dei grandi personaggi. Sono pochi. {{NDR|«Non era uno statista, per esempio?»}} Non poteva essere uno statista perché i comunisti non hanno lo Stato nel sangue, i comunisti hanno il partito. Stalin non è mai stato Capo dello Stato, e nemmeno Capo del Governo, era capo del partito. Il potere nei regimi comunisti non sta né nello Stato né nel governo, sta nel partito. (da ''Dalla proclamazione della Repubblica al Trattato di pace'') *Questa [[Costituzione della Repubblica italiana|Costituzione]] porta male gli anni da quando aveva un giorno, perché fu subito chiaro quali erano i suoi difetti. Del resto furono anche denunciati da uomini come, per esempio, [[Piero Calamandrei|Calamandrei]], come Mario Paggi. (da ''Dall'assemblea costituente alla vigilia delle elezioni del 1948'') *I difetti furono soprattutto due. Il primo difetto fu di ripartizione dei lavori. La Costituente era formata da 600 membri eletti di passaggio. Voglio {{NDR|far}} notare che quella fu la prima elezione che si tenne in Italia – per la Costituente, non per il Parlamento – ma dove ci fu lo spiegamento dei partiti. Ogni partito portò i suoi candidati, cioè dei giuristi che facevano capo alla propria ideologia. Bene, in quella prima elezione il 35% dei voti andò ai democristiani, il 21% andò ai socialisti di [[Pietro Nenni|Nenni]], il 19% ai comunisti. Quindi in quel momento... non c'era ancora il Fronte ma in quel momento i socialisti facevano premio sui comunisti. Erano di poco, ma un po' più forti dei comunisti. [...] Questi 600 costituenti non potevano lavorare tutti insieme, era impossibile mandare avanti 600 persone a dibattere all'infinto le stesse cose, e allora i lavori furono devoluti a una commissione che si chiamò la ''Commissione dei Settantacinque'', perché erano 75 membri della Costituente che venivano incaricati per le loro competenze specifiche di redigere il testo. Ma anche 75 erano troppi, e allora anche i 75 si frazionarono in sotto-commissioni, ognuna delle quali lavorò per conto suo. Non ci fu un piano di insieme. {{NDR|«Quindi non fu un vero lavoro collettivo»}} Non fu un vero lavoro collettivo. Calamandrei lo disse subito: «Noi stiamo montando una macchina, che magari pezzo per pezzo sarà anche ben fatta, ma le cui giunture non coincidono con le giunture di altri pezzi». [...] Fu lasciata così perché nessuno volle rinunziare al proprio elaborato, e questo è tipico degli italiani. (da ''Dall'assemblea costituente alla vigilia delle elezioni del 1948'') *Il secondo motivo che rese questa Costituzione veramente impalatabile e nociva per il regime che ne doveva nascere, fu che i nostri costituenti partirono dal punto di vista opposto a quello da cui sarebbero partiti i costituenti tedeschi quando la Germania fu libera di elaborare una sua Costituzione. Da che cosa partirono i costituenti tedeschi? Da questo ragionamento: il nazismo fu il frutto della Repubblica di Weimar. Cos'era la Repubblica di Weimar? Era l'impotenza del potere esecutivo, cioè del Governo. [...] La Germania rimase nel disordine, nel caos, nella Babele dei partiti che non riuscivano a trovare mai delle maggioranze stabili, quindi dei governi efficaci. Ecco perché Hitler vinse, perché il nazismo vinse. I costituenti nostri partirono dal presupposto contrario, cioè dissero: «Cos'era il fascismo? Il fascismo era il premio dato a un potere esecutivo che governava senza i partiti, senza controlli eccetera. Quindi noi dobbiamo esautorare completamente il potere esecutivo, {{NDR|negando}} la possibilità di dare ai governi una stabilità, eccetera». Per rifare che cosa? Weimar. Cioè, mentre i tedeschi partivano dalla negazione di Weimar, noi arrivavamo {{NDR|a Weimar}} senza dirlo. Nessuno lo disse, ma questo fu il risultato. [...] Non fu possibile nemmeno introdurre quella solita linea di sbarramento che invece fu introdotta in Germania, per cui i partiti che non raggiungevano non ricordo se il 5 o il 3%, non avevano diritto a una rappresentanza. No, tutti i partiti dovevano esserci e tutti avevano un potere di ricatto sulle maggioranze, che erano per forza di cose di coalizioni. (da ''Dall'assemblea costituente alla vigilia delle elezioni del 1948'') *Gli italiani non imparano niente dalla Storia, anche perché non la sanno. {{NDR|«Forse non amano la Storia»}} Non la amano, non la leggono, non se ne interessano, ma questo anche le classi dirigenti: sono uguali, intendiamoci. {{NDR|«Lei auspica che venga rifatta questa Costituzione»}} Sì, ma che venga rifatta secondo criteri logici, non {{NDR|secondo}} criteri illogici. Tutte le volte che si diceva «Ma qui bisogna restituire un po' di autorità al potere esecutivo, bisogna mettere i governi in condizione di governare» si diceva: «Fascista! Fascista!». Con questo ricatto qui abbiamo fatto le più grosse scempiaggini che si potesse immaginare. (da ''Dall'assemblea costituente alla vigilia delle elezioni del 1948'') *La fine di [[Alcide De Gasperi|De Gasperi]] è la fine di un'epoca: con lui finisce un'epoca e ne comincia un'altra non certamente migliore. [...] C'è una bella pagina della figlia di De Gasperi, Maria Romana, che ha scritto un bel libro sul padre. Un libro tutto vero in cui racconta anche i funerali su in Val Sugana: c'era naturalmente tutta la nomenclatura democristiana che accompagnava la bara. Oramai De Gasperi era morto, si poteva anche fingere il compianto, e a un certo momento un passante che era lì – uno che guardava, che non aveva niente a che fare con la politica, con la Democrazia Cristiana eccetera eccetera – si avvicinò al feretro e scansando questi turiferari della DC disse: «No, non è vostro! De Gasperi è nostro! Era un italiano!». E aveva ragione. De Gasperi era nostro, non un democristiano. (da ''Gli anni di Alcide De Gasperi'') *{{NDR|[[Giovanni Gronchi]]}} Era un uomo molto abile, brillante parlatore, molto abile anche negli affari. Era molto più libertino di [[Carlo Sforza|Sforza]], quindi la Democrazia Cristiana [...] era cambiata, evidentemente, e Gronchi fu eletto per una faida interna della Democrazia Cristiana, perché [[Amintore Fanfani|Fanfani]] voleva [[Cesare Merzagora|Merzagora]]. Allora per fare dispetto a Fanfani, invece gli buttarono fra i piedi [[Giovanni Gronchi|Gronchi]], il quale seppe benissimo tessere la sua trama fra Sinistra, Destra eccetera e far diventare gronchiani anche quelli degli altri partiti. Dicendosi agli uni uomo di Destra e agli altri uomo di Sinistra, facendo insomma il giuoco personale di Gronchi, con cui entrò in Quirinale il vero grande corruttore della vita politica italiana. [...] Dopo l'onestissimo [[Luigi Einaudi|Einaudi]] viene Gronchi, che è l'indulgenza plenaria verso tutte le deviazioni e i deviazionisti d'Italia. (da ''La rivolta in Ungheria e l'elezione di Giovannni XXIII'') *Questa storia dell'MSI è una delle grandi truffe della Prima Repubblica: nella Costituzione c'è un articolo che proibisce la rinascita di un partito fascista. Ecco. Ora, l'MSI era chiaramente un partito fascista. Non lo negava, anzi si faceva gloria del fatto di essere l'erede eccetera. Perché lo avevano messo, allora? Lo avevano messo perché questo partito fascista, che avrebbe dovuto essere escluso dalla vita politica, serviva a captare un certo numero di voti che, senza questo partito, sarebbero andati a dei partiti moderati di Centro e soprattutto, forse, alla Democrazia Cristiana. Quindi quale fu il gioco delle Sinistre, a cui la Democrazia Cristiana però si piegò e si rassegnò: è consentito di esistere all'MSI, però l'MSI quando è in Parlamento è escluso dal gioco parlamentare. Così si mettevano i voti dell'MSI in ''frigidaire'', e così non andavano alla Democrazia Cristiana e ai partiti {{NDR|di Centro}}. È una delle peggiori truffe che è stata inventata dalla classe politica che ci ha governato per cinquant'anni. (da ''I successori di De Gasperi e la politica italiana fino alla morte di Togliatti'') *Io vorrei sapere quali furono le crescite... di civiltà che il [[Sessantotto]] pretende di averci lasciato. Io vedo tutt'altra cosa: io vidi nascere, dal Sessantotto, una bella torma di analfabeti che poi invasero la vita pubblica italiana, e anche quella privata, portando dovunque i segni della propria ignoranza. Io ho visto questo. Può darsi che sia affetto da sordità o da cecità ma io non ho visto altro, come frutti del Sessantotto. (da ''Il Sessantotto e la politica di Berlinguer'') *{{NDR|La differenza tra il Sessantotto francese e quello italiano è}} La differenza che passa fra l'originale e il fac simile perché il Sessantotto nacque in [[Francia]] e in [[Italia]] fu un fatto di riporto, di imitazione. {{NDR|«Che vi fu in tutto il mondo, però, questo»}} Un po' in tutto il mondo ma particolarmente in Italia dove non nasce mai niente, è sempre qualcosa di imitato dagli altri. Bene o male, insomma, i francesi ebbero... anche una certa cultura del Sessantotto, ebbero [[Jean-Paul Sartre|Sartre]]. Oddio, Sartre rivisto con gli occhi di oggi naturalmente scende molto dal suo mitico piedestallo. [...] In Italia non ci fu neanche un Sartre. (da ''Il Sessantotto e la politica di Berlinguer'') *Credo che su [[Pier Paolo Pasolini|Pasolini]] si sia preso un grosso abbaglio: Pasolini è passato per uno scrittore di sinistra perché aveva preso come sfondo dei suoi racconti – bellissimi del resto – il sottoproletariato delle borgate romane, i ragazzi di vita, insomma, la schiuma della società. Ma lo aveva fatto per dei gusti e dei motivi del tutto personali sui quali è inutile tornare a far commenti. Questo lo aveva fatto considerare come uno scrittore, un difensore del proletariato, ma non era una scelta politica quella che aveva fatto Pasolini. Non c'entrava niente, assolutamente nulla. Quindi quello che lui disse era assolutamente vero, cioè dire che nei tafferugli, dove spesso ci scappava il morto, tra quei dilettanti delle barricate che erano {{NDR|dei borghesi}}, i veri proletari erano i poliziotti, tutti figli di famiglie povere, eccetera eccetera. I dilettanti delle barricate erano tutti o quasi tutti figli di papà: aveva ragione Pasolini! Ma come no! E questo fu considerato un tradimento all'ideologia di sinistra. (da ''Il Sessantotto e la politica di Berlinguer'') *Il primo fenomeno fu il Sessantotto, e il Sessantotto partorì poi il terrorismo, il brigatismo rosso eccetera eccetera. Su questo non ci son dubbi, insomma. Dirò di più: i più seri, e forse gli unici seri, furono quelli che poi diventarono dei terroristi e che quindi rischiarono la loro vita, almeno. Gli altri erano quello che diceva Pasolini, dei figli di papà. (da ''Il Sessantotto e la politica di Berlinguer'') *{{NDR|La figura del Grande Vecchio}} È una di quelle fandonie, di quelle stupidaggini che piacciono tanto a noi italiani: l'idea di un Grande Vecchio che organizzasse tutte queste stragi, attentati eccetera eccetera. È un affare da Simenon di borgata insomma – no? Piaceva l'idea che ci fosse dietro tutta una strategia. Sennonché poi non si sapeva chi fosse il Grande Vecchio. {{NDR|«Aveva un volto questo grande vecchio?»}} Ne ha avuti molti: naturalmente [[Giulio Andreotti|Andreotti]] – quello non manca mai, quando si cerca un ''deus ex macchina'' di tutto ciò che di più criminale è avvenuto in questo Paese {{NDR|c'è}} Andreotti. {{NDR|«Però in quel momento non era tanto vecchio»}} In quel momento non era tanto vecchio, ma il Grande Vecchio non ha nulla di anagrafico, è il Grande Vecchio così – poi Gelli, poi Sindona. Ha avuto varie raffigurazioni che sono tutte di fantasia. (da ''Piazza Fontana e dintorni'') *Se c'era un funzionario corretto, che veniva portato come esempio da tutti i suoi colleghi, era Calabresi. Per quale motivo si scatenò questa campagna contro di lui non lo so. È vero che aveva interrogato [[Giuseppe Pinelli|Pinelli]], ma gli interrogatori di Calabresi facevano testo per la loro correttezza. Sempre. [...] Non so per quale motivo, a un certo momento, la stampa s'incendiò e cominciò ad additare Calabresi come «il bruto», come «lo scherano del potere sopraffattore e assassino». Questo si lesse in vari giornali. Ora, il potere sopraffattore assassino in quel momento era rappresentato da [[Mariano Rumor|Rumor]] e da [[Emilio Colombo|Colombo]]: mi dica lei se hanno il viso dei sopraffattori assassini. Magari lo fossero stati un po', ma immaginiamoci. E questa campagna fu implacabile, assolutamente implacabile. (da ''Piazza Fontana e dintorni'') *Come in tutti i processi italiani anche questi, che poi volevano arrivare all'identificazione dei responsabili e non ci arrivarono quasi mai, erano dominati dal cosiddetto «teorema»: si partiva dal presupposto... a un certo momento si mise di parlare degli anarchici – si smise quasi subito di parlare {{NDR|degli anarchici}} – e tutte le lampadine furono rivolte ai partiti e alle forze di Destra. Erano quelle le forze stragiste. [...] I nostri bravi giudici, salvo alcuni, partivano dal presupposto che {{NDR|i colpevoli}} certamente venivano di lì, venivano dalle Destre, dalle Destre più violente. Alle quali si attribuiva, sempre per «teorema», questa idea: creare una tensione nel Paese in modo da impaurire gli italiani e metterli alla scelta «o la libertà o l'ordine», perché insieme non potevano andare. Nella libertà era chiaro che non si poteva mantenere l'ordine, e loro dicevano: «Qualunque popolo messo a questa scelta sceglie l'ordine». Ecco. È un teorema. È un teorema che ha sempre cercato dimostrazione e non l'ha trovata mai. (da ''Piazza Fontana e dintorni'') *[[Bettino Craxi|Craxi]] era un uomo di partito certamente molto accorto, era un uomo valido di governo perché sapeva decidere. Che cosa fosse lo Stato, da buon socialista, non lo sapeva. (da ''Il terrorismo fino al sequestro e all'uccisione di Aldo Moro'') *Quelle lettere erano tutte farina del sacco di [[Aldo Moro|Moro]], e questa farina non è molto encomiabile perché, vede, tutti gli uomini hanno diritto ad avere paura. Tutti. Però quando un uomo sceglie la politica, e nella politica emerge a [[Statista|uomo di Stato]] – a uomo rappresentativo dello Stato – non perde il diritto a avere paura, ma perde il diritto a mostrarla. Questo sì. Questo è uno dei principi che dovrebbe essere affermato. L'incidente, tipo quello di Moro, fa parte del mestiere. Chi affronta quel mestiere deve sapere che può incorrere in quell'incidente e deve avere i nervi, e diciamo gli altri attributi, per resistere. Moro era lo Stato. Lo Stato si raccomandava, implorava, minacciava la classe politica che facesse di tutto, anche che si prostituisse, per salvargli la vita: eh, no. No. Moro era certamente un politico a modo suo, estremamente abile – era anche un galantuomo, credo – ma uomo di Stato non era nemmeno lui. [...] Anch'io mi sono posto questa domanda molto spesso: «Ma se Moro fosse tornato in politica dopo aver costretto lo Stato a prostituirsi, a inginocchiarsi di fronte ai terroristi, avrebbe potuto restarci?». Avrebbe potuto restare? Con che faccia? Vabbè che siamo in Italia. {{NDR|«Forse lo Stato sarebbe stato un altro perché i terroristi avrebbero vinto»}} Appunto. I terroristi avrebbero vinto. Quindi lui che cosa diventava, il braccio politico del terrorismo? Che cosa diventava? Come poteva ripresentarsi? Va bene, gli italiani hanno lo stomaco forte, inghiottono tutto – noi italiani abbiamo lo stomaco forte e inghiottiamo tutto – ma, insomma, di fronte a un uomo la cui vita, la cui sopravvivenza, aveva avuto quel prezzo per noi non credo che avrebbe potuto ripresentarsi all'opinione pubblica italiana. (da ''Il terrorismo fino al sequestro e all'uccisione di Aldo Moro'') *Noi naturalmente abbiamo il dovere di ringraziare [[Michail Gorbačëv|Gorbačëv]] per quello che ha fatto, però se lei mi chiede se lo ha fatto bene o lo ha fatto male io debbo rispondere che lo ha fatto malissimo. Io non so se lui... che lui volesse salvare la Patria sovietica questo non lo metto in dubbio. Che lui volesse salvare il comunismo... io debbo risponderle di no, perché quello che lui ha fatto per affossare il comunismo lo ha fatto. (da ''Giovanni Paolo II e la fine dell'URSS'') *Anche i cinesi si erano accorti che il sistema comunista era arrivato al capolinea, era fallito. Fallito perché non regge, assolutamente non regge. {{NDR|Il sistema comunista}} Aveva portato il Paese, e i Paesi che lo avevano adottato, al fallimento. Anche i cinesi si erano accorti di questo, però avevano capito che per trasformare un sistema oramai ancestralmente totalitario, statalizzato, che aveva tolto ogni libertà a tutti, che aveva disabituato tutti da ogni spirito di iniziativa e di impresa... per trasformare un'economia basata su questi principi fallimentari in un'economia capitalista basata sul libero mercato, sulla libera concorrenza eccetera, bisognava tenere in mano il potere politico per controllare questo passaggio. I cinesi lo fecero. Quando gli studenti di Pechino credettero di potergli {{NDR|al governo cinese}} prendere la mano scendendo in [[Protesta di piazza Tienanmen|piazza Tienanmen]] i cinesi non esitarono a mitragliarli e, per quanto un massacro non possa che essere esecrato, io dico questo: i cinesi erano obbligati a farlo. Se non lo facevano la Cina si dissolveva, ritornava quella di [[Chiang Kai-shek]]: ritornava quella dei signori della guerra, cioè il Paese si disfaceva. Il Paese che bene o male [[Mao Tse-tung]] aveva unificato e a cui aveva dato un'anima di Nazione si sarebbe disfatto. (da ''Giovanni Paolo II e la fine dell'URSS'') *{{NDR|Su [[Licio Gelli]]}} L'avevo visto una volta e questo [...] rendeva ancora più grande la mia sorpresa. Io avevo un giornale, ''il Giornale'', che non aveva patroni, non aveva pubblicità, che quindi aveva delle grosse difficoltà di tirare avanti. La proprietà era divisa fra me e una trentina di altri redattori, e non avevamo niente in mano. Io non trovavo una banca che mi facesse un fido, non trovavo una società pubblicitaria che mi garantisse un minimo decente delle cose [...]. A un certo momento il capo del nostro ufficio romano, Trionfera – che era massone, ma non P2 – mi disse «Senti, vieni a Roma perché so che c'è un signore che sta diventando il padrone della stampa italiana». Dico «Come? Il padrone della stampa italiana?» «Sì, c'è un signore che, a quanto pare, ha assunto un potere straordinario nel mondo dell’editoria e forse lui può anche aiutarci». [...] Andai a Roma e allora {{NDR|Renzo Trionfera}} mi disse che lui aveva appuntamento con questo signor Gelli, di cui io sentivo il nome per la prima volta [...], però dovevamo andarci quasi di nascosto. [...] Andammo [...] e così vidi Gelli per la prima e unica volta. Gli esposi la situazione e lui mi disse: «Ma questi sono dettagli, queste sono piccolezze, non sono problemi gravi perché qui, oramai, bisogna procedere a ben altro. Bisogna chiamare a raccolta tutta questa stampa italiana che è litigiosa, che è settaria. Bisogna darle un indirizzo unico». Allora io lì lo fermai. Dissi: «Come fa a darle un indirizzo unico? La stampa segue criteri diversi, i giornalisti...». «Macché giornalisti – disse lui – qui ci vuole un padrone della stampa!». Dico «Ma non esiste un padrone della stampa, a meno che non rifacciamo il Minculpop fascista, allora c'era un padrone perché c'era un regime che faceva il padrone». {{NDR|Licio Gelli}} Dice «Basta comprare la proprietà dei giornali». Dissi «Ma scusi, ci sono degli editori che non vendono» [...] «Questione di prezzo». Il discorso andò avanti su questi binari, quando uscimmo io dissi a Trionfera: «Senti, ma questo qui è il più grosso farabolano con cui abbiamo avuto a che fare, uno che si immagina di comprare tutta la stampa e di ridurla ai suoi ordini, va be', o è un matto, o è un matto, oppure è proprio un piazzista, un fregnacciaro qualsiasi insomma». Questo fu l'unico incontro. [...] Uno che faceva questi discorsi naturalmente mi sembrava inutile continuare a frequentarlo. Di lì a poco venne fuori la lista degli iscritti alla P2 e venne fuori l'identificazione di Gelli col Grande Vecchio, col famoso Grande Vecchio. {{NDR|«Finalmente si era trovato»}} Finalmente si era trovato il Grande Vecchio autore di tutte le stragi, le cose..., {{NDR|«Il vero Grande Vecchio»}} il bieco Grande Vecchio. Naturalmente non credetti nemmeno a questo. (da ''Il caso Sindona e la P2'') *Per istinto, e per come avevo visto e conosciuto [[Licio Gelli|Gelli]], io sono convinto che {{NDR|la [[P2|Loggia P2]]}} era una cricca di affaristi e basta. Era una cricca di affaristi condotta da un uomo che, evidentemente, come intrallazzatore doveva essere geniale. Era un pataccaro, indiscutibilmente era un pataccaro, ma che a tutto pensava fuorché a un ''golpe''. Non ci pensava nemmeno. Lui procurava affari e soprattutto fomentava carriere. Lui aveva capito qual è la struttura del potere in Italia, sempre, non soltanto allora, sempre: è una struttura mafiosa. Bisogna far parte di una cricca, di una conventicola in cui ognuno aiuta l'altro, e questo era la P2. [...] Ma che interesse poteva avere Gelli a rovesciare un sistema che gli consentiva di influire sino a quel punto? Quale interesse poteva avere? E poi, Gelli era un farabolano ma non doveva essere del tutto sprovveduto, doveva sapere che l'[[Italia]] non è terra da ''golpe''. Ma chi lo fa il ''golpe''? E anche se qualcuno lo fa, come fa a resistere? Che cos'ha dalla sua per fare il ''golpe''? Non ho mai creduto al golpismo di Gelli. (da ''Il caso Sindona e la P2'') *Il caso Chiesa era un caso modestissimo. Fece da detonatore perché il momento era maturo per arrivare a ''Tangentopoli'', che era dovuto a una cosa molto più complessa che era questa: che ci fosse la corruzione in Italia si è sempre saputo, la classe dominante promanava questo puzzo di fogna che tutti sentivano, il famoso «turarsi il naso». Soltanto che fin quando l'alternativa di questa classe politica allora al potere era un Partito comunista, che era un fac-simile di quello sovietico, basato sui carri armati, sulla polizia segreta, sulle delazioni, sui processi, [...] finché c'era questo spettro noi non potevamo prenderci il lusso di mettere sotto processo e mandare in galera la classe politica dirigente allora. Fu quando, col Muro di Berlino, crollò questo incubo che i tempi furono maturi perché questo avvenisse. (da ''Tangentopoli'') *Che {{NDR|la [[corruzione]]}} sia inestirpabile, di questo sono sicuro perché dura da 2000 anni. La corruzione non è soltanto nella politica: è nella società italiana! Noi italiani abbiamo sempre corrotto tutti! Tutti coloro che sono venuti in Italia a fare i padroni li abbiamo corrotti. [...] Noi dobbiamo metterci in testa che la lotta alla corruzione la si fa in un modo solo: cambiando gli italiani, non cambiando le classi politiche. Le classi politiche, anche quelle nuove, si corrompono. È inevitabile. (da ''Tangentopoli'') *[[Silvio Berlusconi|Berlusconi]] ha un sacco di qualità. C'è da dire, ha una grande immaginazione, una grande fantasia; ha un coraggio leonino nel buttarsi nelle imprese; sa trascinare molto bene; è un comunicatore eccezionale, sa accendere i suoi seguaci di entusiasmi eccetera eccetera, mi ricordo che una volta gli dissi: «Io sono sicuro che se tu ti mettessi a fabbricare dei vasi da notte, faresti venire la voglia di fare pipì a tutta l'Italia». (da ''Verso il bipolarismo'') *[[Silvio Berlusconi|Lui]] è un uomo d'attacco: se avesse fatto la carriera militare lui non sarebbe diventato né un [[Gerd von Rundstedt|Rundstedt]] né un [[Erich von Manstein|Manstein]], che furono i grandi strateghi tedeschi dell'ultima guerra. [...] Lui sarebbe diventato un [[Erwin Rommel|Rommel]] o un [[George Smith Patton|Patton]]. Cioè dire: è un generale di straccio e di rottura che, appunto, sullo slancio può compiere qualsiasi cosa. Se lo metti poi a difendere le posizioni conquistate con lo slancio, eh no, lì non ci sta. Come Rommel: Rommel finché poté attaccare in Libia e in Egitto attaccò. Quando dovette mettersi sulla difensiva chiese il rimpatrio. [...] Non sarebbe uomo di Curia e non è un uomo di pazienza, non è un uomo da guerra di posizione e di logoramento. (da ''Verso il bipolarismo'') *Lui Arrivò a Palazzo Chigi credendo, e facendo credere, che uno Stato si poteva condurre con gli stessi criteri di un'azienda privata. Io su questo avevo avuto serie discussioni con lui – non litigi, non ho mai litigato con Berlusconi – gli avevo detto: «Guarda che lo Stato non è un'azienda privata». [...] Lui credeva di potersi comportare a Palazzo Chigi, e con la macchina dello Stato, come si comportava con la sua organizzazione, dove la gente frullava e, se non frullava, lui la cacciava via, com'è giusto che faccia un imprenditore. Ma lui non poteva applicare questi metodi e sistemi allo Stato. Quando si trovò di fronte alla muraglia grigia, sorda e ottusa della burocrazia italiana, che è la peggiore, ma anche la più resistente del mondo, lui rimase senz'armi: non poteva licenziare neanche un usciere. Nel gioco parlamentare lui naufraga perché non è abituato a queste cose. La politica – non dico che sia solo un mestiere – ma è anche un mestiere. Questo mestiere lui non lo aveva. (da ''Verso il bipolarismo'') *Che gli italiani siano capaci di emanare leggi di riforma, ci credo senz'altro. L'Italia è la più grande produttrice di regole, ognuna delle quali è una riforma, è la riforma di un'altra regola. Gli stessi esperti pare che abbiano perso il conteggio delle leggi, dei regolamenti che vigono in Italia: c'è qualcuno che parla di 200.000, altri di 250.000. Ora, quando si pensa che la [[Germania]] ha in tutto 5.000 leggi, la [[Francia]] pare 7.000, l'[[Inghilterra]] nessuna, quasi nessuna – ha dei principi, così stabiliti. A cosa ha portato tutta questa proliferazione? A riempire gli scantinati dei nostri pubblici uffici, dove ci sono questi mucchi di legge che nessuno va nemmeno a consultare perché ognuna di queste leggi poi offre il modo di evaderle. Questa è la grande abilità dei legislatori italiani. I legislatori italiani sono quasi tutti degli avvocati. E gli avvocati a che cosa pensano? A ingarbugliare le leggi in modo da restarne loro i supremi e unici depositari. [...] Riforme: hai voglia se ne faremo, continuiamo a farne, è la nostra vocazione, questa. Quanto poi all'attuazione, allora è un altro discorso: le leggi in Italia non vengono osservate, anche perché sono formulate in modo che si possano non osservare. Ed è questo che spiega l'abbondanza, la prodigalità delle nostre classi politiche, delle nostre classi dirigenti, nello sfornarne di continuo. (da ''Dal Governo Dini all'Ulivo'') *Un Paese che ignora il proprio Ieri, di cui non sa assolutamente nulla e non si cura di sapere nulla, non può avere un Domani. Io mi ricordo una definizione dell'Italia che mi dette in tempi lontanissimi un mio maestro e anche benefattore, che fu un grande giornalista, [[Ugo Ojetti]], il quale mi disse: «Ma tu non hai ancora capito che l'Italia è un Paese di contemporanei, senza antenati né posteri perché senza memoria». Io avevo 25-26 anni e la presi per una ''boutade'', per una battuta, un paradosso. Mi sono accorto che aveva assolutamente ragione. Questo è un Paese che {{NDR|«È un Paese che non ama la Storia»}} ha una storia straordinaria, {{NDR|«Ma non la ama»}} ma non la studia, non la sa. È un Paese assolutamente ignaro di se stesso. Se tu mi dici cosa sarà un domani per gli italiani, forse sarà un domani brillantissimo. Per gli italiani, non per l'Italia. Perché gli italiani sono i meglio qualificati a entrare in un calderone multinazionale perché non hanno resistenze nazionali. Intanto hanno dei mestieri in cui sono insuperabili. [...] Voglio dirlo senza intonazioni spregiative, nei mestieri servili noi siamo imbattibili, assolutamente imbattibili. Ma non lo siamo soltanto in quelli. L'individualità italiana si può benissimo affermare in tutti i campi, anche scientifici. Io sono sicuro che gli scienziati italiani, i medici italiani, gli specialisti italiani, i chimici, i fisici italiani quando avranno a disposizione dei gabinetti europei veramente attrezzati brilleranno. Gli italiani, l'Italia no. L'Italia non ci sarà, non c'è. Perché gli italiani che vanno in Germania diventeranno tedeschi. [...] Alla seconda generazione sono assimilati. Dovunque vadano, sono assimilati. {{NDR|«Ma questo è un difetto?»}} No... è un difetto... è un difetto ed è anche una virtù. È una qualità. Voglio dire: per l'Italia non vedo un futuro, per gli italiani ne vedo uno brillante. (da ''Dal Governo Dini all'Ulivo'') ==Citazioni tratte dai giornali== ===''Corriere della Sera''=== <!--ordine cronologico--> *Gli eroi sono sempre immortali, agli occhi di chi in essi crede. E così crederanno, i ragazzi, che il «[[Grande Torino|Torino]]» non è morto: è soltanto «in trasferta». (7 maggio 1949) *{{NDR|A proposito di [[Maratea]]}} Forse in Italia non c'è paesaggio e panorama più superbi. Immaginate decine e decine di chilometri di scogliera frastagliata di grotte, faraglioni, strapiombi e morbide spiagge davanti al più spettacoloso dei mari, ora spalancato e aperto, ora chiuso in rade piccole come darsene. (4 ottobre 1957) *{{NDR|Su ''[[La dolce vita]]''}} Ma non c'è dubbio che qui ci si trova di fronte a qualcosa di eccezione (sic!) non perché rappresenti un meglio o un di più di ciò che finora si è fatto sullo schermo, ma perché ne va nettamente al di là, violando tutte le regole e convenzioni, a cominciare da quelle della durata, che supera le tre ore di spettacolo, per finire a quelle della trama, o meglio della non trama, perché non c'è. (''[http://cinquantamila.corriere.it/storyTellerArticolo.php?storyId=4d44ab344c050 Montanelli vede La Dolce Vita]'', 22 gennaio 1960) *{{NDR|Su ''[[La dolce vita]]''}} Non siamo più nel cinematografo, qui. Siamo nel grande affresco. Fellini secondo me non vi tocca vette meno alte di quelle che Goya toccò in pittura, come potenza di requisitoria contro la sua e la nostra società. (''ibidem'') *Il suo reportage non è una "patacca". Il poco – oh, molto poco! – che vi luce è proprio oro. E il molto che vi puzza è proprio fogna. Del resto, se così non fosse, il film sarebbe fallito come falliscono i reportages quando eludono la verità o non riescono a centrarla. Quindi, amici, vi prevengo se domani ''[[La dolce vita]]'' vi farà inorridire, non confutàtela dicendo: "Non è vero". Perché per esser vero, tutto ciò che qui è raccontato, lo è. D'altronde Fellini è ricorso al mezzo più spicciativo (e più diabolico) per dimostrarlo. (''ibidem'') *Ma mi affretto subito ad aggiungere che ''[[La dolce vita]]'' non è una polemica a sfondo giustizialista, che appunta i suoi strali sulle cosiddette classi alte. Non convincerebbe, in questo caso, o convincerebbe meno. Gli altri ambienti, che si srotolano giù giù negli appunti di questo reporter d'eccezione, sono descritti con la identica spietatezza, convalidata dalla stessa tecnica di rappresentare ciascuno nei propri panni. Lasciatemi testimoniare in tutta onestà che raramente ho visto qualcosa di più vero di quel salotto intellettuale. Esso ha dato perfino a me, che non ne frequento nessuno, un senso profondo di mortificazione, un vago anelito a cambiar mestiere e a iscrivermi, fo' per dire, ai coltivatori diretti. (''ibidem'') *Non è necessario essere socialisti per amare e stimare [[Sandro Pertini|Pertini]]. Qualunque cosa egli dica o faccia, odora di pulizia, di lealtà e di sincerità. (27 ottobre 1963) *Che i [[Rifugiati palestinesi|profughi palestinesi]] siano delle povere vittime, non c'è dubbio. Ma lo sono degli Stati arabi, non d'[[Israele]]. Quanto ai loro diritti sulla casa dei padri, non ne hanno nessuno perché i loro padri erano dei senzatetto. Il tetto apparteneva solo a una piccola categoria di sceicchi, che se lo vendettero allegramente e di loro propria scelta. Oggi, ubriacato da una propaganda di stampo razzista e nazionalsocialista, lo sciagurato ''fedain'' scarica su Israele l'odio che dovrebbe rivolgere contro coloro che lo mandarono allo sbaraglio. E il suo pietoso caso, in un modo o nell'altro, bisognerà pure risolverlo. Ma non ci si venga a dire che i responsabili di questa sua miseranda condizione sono gli «usurpatori» ebrei. Questo è storicamente, politicamente e giuridicamente falso. (16 settembre 1972) *[[Alexis de Tocqueville|Tocqueville]] diceva che «è nel sonno della pubblica coscienza che maturano le dittature». (da ''[https://web.archive.org/web/20160101000000/http://archiviostorico.corriere.it/1996/gennaio/13/platea_resta_assente_co_0_9601133631.shtml La platea resta assente]'', 13 gennaio 1996, p. 1) *Se si mettono a raffronto i due rivali come faccia, come presenza, come eloquio, come cordialità, insomma come simpatia umana, non c'è dubbio che Albertini ne ispira molto meno di Fumagalli, anzi diciamo la verità tutta intera: non ne ispira punta. Ed io, cittadino ed elettore milanese, proprio di questo sentivo il bisogno: di un sindaco antipatico, di faccia arcigna e poco invogliante alla pacca sulla spalla, al confidenziale «tu» e al pappecciccia coi sottoposti, e poco, anzi punto disponibile a quelle benevolenze, condiscendenze e indulgenze che rappresentano le supposte di glicerina di tutte le corruzioni. [...] Con Albertini ho parlato una sola volta. Ma mi è bastata per capire che, per rendersi antipatico, non ha bisogno di fare sforzi. Basta che si mostri com'è e come spero che rimanga: una specie di Molotov di Palazzo Marino, chiuso nei suoi caparbi ''niet'', diffidente, scostante e culdipietra. Che abbia una compagna fermamente decisa a non partecipare alla vita pubblica del compagno, anche questo ci va bene. [...] Si ricordi, signor Sindaco, che noi abbiamo votato per lei, non per questi papponi. (da ''[https://web.archive.org/web/20160101000000/http://archiviostorico.corriere.it/1997/maggio/13/tradito_Ulivo_co_0_9705136733.shtml Sì, ho tradito l'Ulivo]'', 13 maggio 1997, p. 1) *Non vorremmo, dopo averne deplorato il brutto vezzo, contribuire alle polemiche nel momento in cui bisogna invece accantonarle per fare compatto fronte per il salvataggio del salvabile. Ma basta con le «regole» che servono soltanto a rendere impenetrabili le responsabilità dei disastri quando i disastri si possono ricondurre a delle responsabilità umane (come non accade, per esempio, nei terremoti). Ma quando verrà l'ora della ricostruzione, ricordiamoci che l'[[urbanistica]] e il paesaggio italiani hanno bisogno non di altre, ma di meno «regole». E, più che di cemento, di dinamite. (da ''[https://web.archive.org/web/20160101000000/http://archiviostorico.corriere.it/1998/maggio/09/licenze_facili_leggi_oscure_co_0_9805099009.shtml Le licenze facili e le leggi oscure]'', 9 maggio 1998, p. 1) *Qualche dichiarazione meno infuocata contro la Giustizia di regime, come il [[Silvio Berlusconi|Cavaliere]] si ostina a definirla, avrebbe meglio aiutato la politica italiana a rimuovere il macigno che la paralizza, e che è lui, Berlusconi. (da ''[https://web.archive.org/web/20160101000000/http://archiviostorico.corriere.it/1998/luglio/14/RESTO_SIA_SILENZIO_co_0_9807143775.shtml E il resto sia silenzio]'', 14 luglio 1998, p. 1) *L'Italia sarà anche, come dicono i nostri tromboni universitari, «la culla del diritto». Ma è anche il sepolcro di una giustizia che, per decidere se un imputato è innocente o colpevole, aspetta il suo certificato di morte che la esenta dal dirlo. Il secondo problema è il reclutamento e la selezione [[magistratura|del personale]]. Come in tutte le altre pubbliche attività, anche nella giustizia c'è un dieci per cento di autentici eroi pronti a sacrificarle carriera e vita, ma senza voce in un coro di «gaglioffi» che c'è da ringraziare Dio quando sono mossi soltanto da smania di protagonismo. (da ''[https://web.archive.org/web/20160101000000/http://archiviostorico.corriere.it/1998/agosto/24/CARDINALE_MAGISTRATO_co_0_9808244892.shtml Il Cardinale e il Magistrato]'', 24 agosto 1998, p. 1) *Tutto si è risolto in un colpo solo, non si sa con precisione quando e come combinato, che ha tagliato la strada alla bagarre prima che cominciasse. E che, per quanto mi riguarda, mi ha liberato dall'incubo che turbava i miei inquieti sonni, e in cui mi vedevo in fuga da un mostro senza volto, ma che m'incalzava con la logorrea del presidente uscente, aggravata dall'accento irpino di Mancino e dalle corde vocali della signora Jervolino. [...] Siamo sicuri che il popolo, chiamato a pronunciarsi fra un [[Carlo Azeglio Ciampi|Ciampi]] e – faccio per dire – un [[Antonio Di Pietro|Di Pietro]], si sarebbe pronunciato per Ciampi? È una domanda che non aspetta risposta, ma che mi permetto di proporre ai lettori. Gran bella parola «il Popolo». E riconosciamogli pure l'attributo, che gli spetta, di «Sovrano». Ma insomma, meditate gente, meditate. (da ''[https://web.archive.org/web/20160101000000/http://archiviostorico.corriere.it/1999/maggio/14/QUASI_NON_CREDO_co_0_9905146643.shtml Quasi non ci credo]'', 14 maggio 1999, p. 1) *Tutti coloro che hanno svolto pubbliche funzioni in Sicilia sono rimasti e sono tuttora in qualche modo «collusi» con la mafia. Lo furono quotidianamente, e per secoli, il governo e la polizia borbonica. Lo fu [[Giuseppe Garibaldi|Garibaldi]] che in essa trovò, dopo lo sbarco, la sua prima alleata. Lo furono i governi nazionali sia di destra che di sinistra. Lo fu [[Giovanni Giolitti|Giolitti]] che pure non scese mai, a ch'io sappia, a sud di Napoli. Lo fu il presidente della vittoria, [[Vittorio Emanuele Orlando|Orlando]], che quando tornava a Palermo, la prima visita che rendeva non era al prefetto né all'arcivescovo, ma al capomafia. Tentò di non esserlo Mori che aveva licenza di uccidere garantita da un regime totalitario, e ci rimise il posto. Lo sono stati tutti i politiconi e politicastri della Prima Repubblica. Anche il cautissimo [[Giulio Andreotti|Andreotti]]? Può darsi, attraverso i suoi proconsoli ''in loco''. Ma il Tribunale deve aver capito che l'imputato non era lui. Era il costume morale e politico della nostra vita pubblica, sul quale un Tribunale non ha, né può né deve avere competenza. [...] E il problema, secondo me, è questo: che fin quando noi italiani crederemo di salvarci dalla peste mandando sul rogo una strega o un untore, dalla peste non ci libereremo mai. (da ''[https://web.archive.org/web/20160101000000/http://archiviostorico.corriere.it/1999/ottobre/24/TRIBUNALE_DELLA_STORIA_co_0_991024441.shtml Il tribunale della storia]'', 24 ottobre 1999, p. 1) *Ci dicano chiaro e tondo perché hanno smembrato il Ros, e hanno ridimensionato l'attività di Sco e Gico. Non ci raccontino che hanno voluto mettere al riparo il capitano Ultimo e i suoi uomini dalle possibili vendette della malavita. E soprattutto non vengano a ripeterci che il ''modus operandi'' dei servizi segreti, per impedirne le «deviazioni», dev'essere «trasparente». Questa, che un segreto possa essere trasparente, è un'idea da primato della cretineria. E, se non della cretineria, lo è della retorica virtuista o della menzogna truffaldina. (da ''[https://web.archive.org/web/20160101000000/http://archiviostorico.corriere.it/1999/novembre/02/PROCURATORE_BATTA_PUGNO_co_0_9911021451.shtml Procuratore batta il pugno]'', 2 novembre 1999, p. 1) *Era la prima volta che il partito socialista italiano aveva trovato un uomo {{NDR|Bettino Craxi}}, se non di Stato, almeno di governo, che lo aveva liberato dalla subalternanza al Pci, e condotto su posizioni democratiche, europeistiche e atlantiche. Lo avrà anche fatto con metodi alquanto spicciativi e disinvolti, più da padrino che da ''leader''. Ma mi chiedo se avrebbe potuto usarne di diversi per avere ragione dei vecchi tromboni del massimalismo populista e piazzaiolo con le loro clientele incrostate da decenni. E mi chiedo anche quanto contribuirono alla sua crocefissione i rancori e le acredini che si era lasciato dietro. Ma nella difesa si perse, e non per mancanza, ma forse per eccesso di coraggio. (da ''[https://web.archive.org/web/20160101000000/http://archiviostorico.corriere.it/2000/gennaio/20/STATISTA_LATITANTE_co_0_0001201104.shtml Lo statista latitante]'', 20 gennaio 2000, p. 1) *Anche noi siamo convinti che il Paese ha il diritto di conoscere la verità (che non riguarda soltanto quella di Piazza Fontana). Ma non ci riusciamo. Anche perché se la pista rimane, come sembra accertato, quella del terrorismo nero, non sappiamo quali nomi l'accusa potrà tirar fuori dal suo cappello. I tre maggiori indiziati sono già stati assolti con sentenza passata in giudicato che non consente di richiamarli sul banco degli imputati. Gli altri di cui si fa il nome non sarebbero che comparse, la più importante delle quali, Delfo Zorzi, risiede a Tokio con passaporto giapponese che lo mette al riparo da ogni pericolo di estradizione. Vale la pena ricominciare? L'''ouverture'' dei dibattimenti non è stata incoraggiante. Il proscenio era occupato da Capanna, Valpreda, [[Dario Fo]] e altri reduci sessantottini, cui si era aggiunto anche Sergio Cusani, l'intangentato convertitosi (lo diciamo senza nessuna ironia) al missionarismo. [...] Invano i portaparola della parte lesa, cioè dei familiari delle vittime, si sono dichiarati estranei e contrari a ogni tentativo di politicizzare il processo. Una parola. Non ci riescono nemmeno [[Jovanotti]] e [[Teo Teocoli|Teocoli]] con le loro filastrocche dal palcoscenico di Sanremo. Figuriamoci se potranno riuscirci i registi di questo processo ''rouge et noir'', se mai ve ne furono. [...] Ecco a cosa servono i processi come questo: non a cercare la verità, ma a fornire argomenti al ''rouge'' o al ''noir''. (da ''[https://web.archive.org/web/20160101000000/http://archiviostorico.corriere.it/2000/febbraio/26/QUELLA_VERITA_CHE_CERCHIAMO_co_0_0002264627.shtml Quella verità che cerchiamo]'', 26 febbraio 2000, p. 1) *Cosa c'entri la giustizia italiana in fatti e misfatti capitati trent'anni fa in un Paese {{NDR|l'[[Argentina]]}} di cui la metà della popolazione è di origine italiana, non riusciamo a capire. Ma ci pareva impossibile che l'iniziativa del giudice spagnolo Garzon per trascinare l'ex dittatore cileno [[Augusto Pinochet|Pinochet]] sul banco degli accusati di un tribunale madrileno non trovasse imitatori in un Paese di scimmie come il nostro. Grazie ad essa, il nome e il volto di Garzon sono noti in tutto il mondo. Ed è probabile che tra poco lo siano anche quelli del pubblico ministero Caporale. Vi pare poco in un'era dell'effimero come quella in cui stiamo vivendo, e che vede l'infittirsi di processi ai defunti, su cui le nuove leve della [[storiografia]] vorrebbero riscrivere il passato? (da ''[https://web.archive.org/web/20160101000000/http://archiviostorico.corriere.it/2000/aprile/03/QUEI_PROCESSI_CARO_ESTINTO_co_0_0004033275.shtml Quei processi al caro estinto]'', 3 aprile 2000, p. 1) *Dobbiamo avere la modestia di riconoscere che noi, come venditori, non leghiamo nemmeno le scarpe a un piazzista che se un giorno si mettesse a produrre vasi da notte, farebbe scappare la voglia di urinare a tutta l'Italia. (da ''[https://web.archive.org/web/20130619122825/http://archiviostorico.corriere.it/2001/febbraio/15/PREDICATORI_COMPARSE_co_0_0102158858.shtml I predicatori e le comparse]'', 15 febbraio 2001, p. 1) *Non sono mai venuto meno all'impegno, preso non con il Cavaliere, ma con me stesso, di non associarmi mai alla sua demonizzazione. Ma non posso sottacere ai lettori i pericoli che si nascondono sotto questa sua allergia alla verità, questa sua voluttuaria e voluttuosa propensione alle menzogne, la naturalezza con cui riesce a pronunziarle. (da ''Io e il cavaliere qualche anno fa'', 25 marzo 2001, p. 1) *Berlusconi, cui nulla riesce tanto bene quanto la parte di vittima e perseguitato. «[[Chiagne e fotte]]» dicono a Napoli dei tipi come lui. E si prepara a farlo per cinque anni di seguito. (da ''Io e il cavaliere qualche anno fa'', 25 marzo 2001, p. 1) ====''La stanza di Montanelli – rubrica''==== {{cronologico}} *{{NDR|[[Vittorio Sgarbi]]}} È un volgare calunniatore, che non disonora se stesso, ma anche il suo committente e padrone (tutti sappiamo chi è) che si serve di un simile scherano. (8 novembre 1995) *I [[Riformismo|riformatori]] italiani, quando si tratta di riformare ciò che non ha bisogno di essere riformato, sono instancabili. L'attività dell'Ucas, Ufficio complicazioni affari semplici, come ricordava un altro lettore esasperato, è frenetica. ([https://web.archive.org/web/20160101000000/http://archiviostorico.corriere.it/1995/dicembre/13/Ufficio_complicazioni_affari_semplici_co_0_9512139920.shtml 13 dicembre 1995]) *Io credo che il miglior omaggio che si può rendere a [[Aldo Moro|Moro]] sia quello di archiviare l'episodio che ne segnò la fine e dal quale, diciamo la verità, la sua immagine esce tutt'altro che bene. Quando sento dire che, oltre a quelle conosciute, ci sono anche altre lettere di Moro, prego Iddio che non vengano trovate. So già cosa contengono, e preferisco non leggerlo. (21 dicembre 1995) *È assolutamente impossibile istillare negli [[zingari]] il concetto di proprietà e quindi educarli al lavoro come mezzo per conquistarsela. Ma temo che sia altrettanto impossibile far capire tutto questo ai nostri pietisti, religiosi e laici, che farneticano di «integrarli». ([https://web.archive.org/web/20160101000000/http://archiviostorico.corriere.it/1995/dicembre/30/Viaggiai_sul_carrozzone_degli_zingari_co_0_95123012229.shtml 30 dicembre 1995]) *A me, invece, [[Beppe Grillo|Grillo]] piace. Lo considero il più efficace comico in circolazione. Anzi: «comico» non è la parola giusta. Grillo non è un comico, non è un moralista, non è un predicatore: è tutte queste cose insieme. Nel panorama dello spettacolo italiano, dove abbonda il bollito misto, è un'eccezione ambulante (e urlante). Lei ha ragione quando dice che Grillo esagera. Non soltanto esagera; provoca anche, e insulta, e offende. Ma tutte le categorie di giudizio, con un tipo così, risultano inadeguate. Grillo appartiene ad una specie animale particolare, formata da un solo esemplare: lui. O lo strozziamo o lo applaudiamo. Io, appena posso, lo applaudo. Perché i suoi eccessi, a differenza di quelli di [[Vittorio Sgarbi|Sgarbi]], odorano di bucato. ([https://web.archive.org/web/20160101000000/http://archiviostorico.corriere.it/1996/gennaio/11/Beppe_Grillo_incubo_esilarante_co_0_9601114281.shtml 11 gennaio 1996]) *Una delle eterne regole italiane: nel settore pubblico, tutto è difficile; la buona volontà è sgradita; la correttezza, sospetta. Per questo, le persone capaci continueranno a tenersi a distanza di sicurezza dalla «cosa pubblica», lasciando il posto ai furbastri (magari bravi) e alle mezze cartucce (magari oneste). Così, purtroppo, vanno le cose in questo bizzarro paese. ([https://web.archive.org/web/20160101000000/http://archiviostorico.corriere.it/1996/gennaio/26/Impegno_politico_caduta_delle_illusioni_co_0_9601261298.shtml 26 gennaio 1996]) *In una società libera il compito dei media non è «edificare la morale»; è informare, denunciare, stimolare, far riflettere, occasionalmente divertire. (28 gennaio 1996) *L'unico incoraggiamento che posso dare ai giovani, e che regolarmente gli do, è questo: «Battetevi sempre per le cose in cui credete. Perderete, come le ho perse io, tutte le battaglie. Una sola potete vincerne: quella che s'ingaggia ogni mattina, quando ci si fa la barba, davanti allo [[specchio]]. Se vi ci potete guardare senza arrossire, contentatevi». (20 febbraio 1996) *Non so se il Pci sia sotterraneamente sceso a trattative con le Br per convincerle a secondare questo piano. So soltanto che le Br, le quali invece la rivoluzione la volevano sul serio, lo rifiutarono, e fu proprio per farlo naufragare che rapirono e poi uccisero colui che doveva esserne lo strumento. [...] Fu il risoluto e quasi furibondo (oltre che sacrosanto) no dei comunisti che fece naufragare il tentativo {{NDR|Trattativa Stato-BR durante il sequestro [[Aldo Moro|Moro]]}}, che invece in seno alla Dc aveva parecchi sostenitori, anche se non osavano dirlo apertamente. Di qui le accuse e le insinuazioni contro i suoi compagni di partito, lanciate da Moro in quelle famose lettere, che avrebbe fatto meglio a non scrivere perché indegne di un vero uomo di Stato, anzi di un uomo tout court, e che ancor oggi forniscono materia al sospetto di una congiura fra democristiani – con l'aiuto dei soliti servizi segreti «deviati» – per sbarazzarsi di lui. Vero nulla. Forse nella Dc le forze «trattativiste», praticamente disposte alla resa alle Br, avrebbero vinto, se non ne fossero state impedite dalla risolutezza del Pci, che di un brigatismo assurto ad interlocutore dello Stato non voleva sentir parlare e di un Moro salvato al prezzo di una simile capitolazione non avrebbe più saputo che farsi. (26 marzo 1996) *No, è stata la persecuzione che ha costretto gli ebrei, per resisterle, a tendere ed affinare tutte le loro risorse intellettuali. Ecco il segreto dei loro primati. In tutto. E talvolta anche nella cretineria. (3 aprile 1996) *L'[[Allargamento della NATO|allargamento della Nato]] è una cosa maledettamente seria, e decisamente complessa. Parlarne prima delle elezioni presidenziali russe vuol dire buttare benzina sul fuoco; non parlarne oggi significa, forse, non parlarne più. [...] Innanzitutto, dobbiamo renderci conto che la Nato è un'organizzazione basata sul consenso: se si estende verso Oriente [...], la compattezza dell'alleanza rischia di incrinarsi. Ancor più delicata è una seconda questione. Governi e opinione pubblica occidentali devono capire le implicazioni della loro decisione. In seguito all'allargamento, i nuovi membri orientali della Nato (che siano solo Repubblica Ceca e Ungheria; o anche Polonia e Paesi Baltici) diventano nostri alleati, a tutti gli effetti. Questo vuol dire che, se venissero attaccati, dovremmo correre a difenderli. Domanda: siamo disposti a morire per Varsavia e Tallin? Se la risposta è «sì», allarghiamo pure la Nato. Se la risposta è «ma, forse...» – e in Italia sarebbe sicuramente «ma, forse...» – è meglio che lasciamo perdere. In quella parte del mondo hanno già sofferto abbastanza. Non è il caso che ci mettiamo anche noi. ([https://web.archive.org/web/20151025020316/http://archiviostorico.corriere.it/1996/aprile/20/Allargamento_della_Nato_Lasciamo_perdere_co_0_960420535.shtml 20 aprile 1996]) *Io non mi considero affatto ateo e non capisco come si possa esserlo. ([https://web.archive.org/web/20160101000000/http://archiviostorico.corriere.it/1996/maggio/23/dove_comincia_grande_mistero_Dio_co_0_9605235872.shtml 23 maggio 1996]) *{{NDR|Riferito alla [[crisi di Sigonella]]}} Ho sempre considerato il rilascio di Abu Abbas un gesto semplicemente criminale o almeno di complicità col crimine. ([https://web.archive.org/web/20151107235857/http://archiviostorico.corriere.it/1996/luglio/07/Caro_Ottiero_Ottieri_diamoci_del_co_0_9607072658.shtml 7 luglio 1996]) *Quanto scrivi {{NDR|riferito a una lettrice}} sull'insegnamento della Storia nelle nostre scuole è sacrosantamente vero. I testi su cui ve la fanno studiare sono o reticenti o faziosi, ma più spesso l'una cosa e l'altra, e soprattutto scritti coi piedi. (4 settembre 1996) *No, caro N***, non mi basta che il Pool abbia perseguito e persegua una buona Causa. Doveva farlo anche con buoni mezzi e criteri. E il caso Di Pietro basta a dimostrare che questo non è sempre avvenuto. (24 ottobre 1996) *È dalla piazza e dai cosiddetti «bagni di folla» che nascono i dittatori e vengono consacrati i fanatismi più orrendi, fra cui il più orrendo di tutti: il razzismo. ([https://www.fondazionemontanelli.it/sito/pagina.php?IDarticolo=432 24 novembre 1996]) *Io non ho titoli culturali che mi qualifichino a lezioni su una tematica come quella del [[calvinismo]]. Ma credo di averne afferrato l'essenziale: la concezione della Ricchezza come segno della Grazia, di cui quindi non si è proprietari, ma amministratori per conto del Signore col compito di moltiplicarla per il bene di tutti. (21 dicembre 1996) *[[Daniele Vimercati|Vimercati]] è un leghista antemarcia. Lo era anche quando lavorava con me al ''Giornale''. Ma è soprattutto un signor giornalista, che conosce perfettamente la linea di demarcazione fra l'opinione personale e il dovere professionale, e non c'è interesse né calcolo di opportunità che possa indurlo a varcarla. Per questo godeva di tutta la mia fiducia, né mai ho avuto occasione di pentirmi di avergliela concessa. (1996).<ref>Citato in Pierluigi Saurgnani, ''[https://www.ecodibergamo.it/stories/Cronaca/274325_vimercati_gran_borghese_il_giornalista_che_scopr_bossi/ Vimercati, gran borghese. Il giornalista che scoprì Bossi]'', ''ecodibergamo.it'', 13 marzo 2012.</ref> *Di commissioni d'inchiesta il nostro parlamento ne ha partorite a dozzine. Me ne citi una sola che abbia raggiunto dei risultati, anche semplicemente conoscitivi. Per un Parlamento come il nostro (e mi trattengo a fatica dal qualificarlo) anche la ricerca della verità è materia di lottizzazione. ([https://web.archive.org/web/20151118213258/http://archiviostorico.corriere.it/1996/dicembre/23/Ormai_non_resta_che_amnistia_co_0_96122312669.shtml 23 dicembre 1996]) *Quando ebbi, fra i tanti, un processo non con un magistrato, ma con un politico del rango di De Mita che avevo coinvolto nella mala amministrazione dei fondi stanziati per l'Irpinia dopo il [[Terremoto dell'Irpinia del 1980|terremoto]], non trovai, in tutta quella vasta regione, una toga che venisse a testimoniare in mio favore. L'unico che mi difese fu colui che avrebbe dovuto accusarmi: il pubblico ministero del tribunale di Monza, Mariconda: non sul merito delle mie accuse, ch'egli non aveva elementi per valutare, ma sul diritto che mi riconosceva di lanciarle. Anche l'uso dei cinquanta–sessantamila miliardi stanziati per l'Irpinia rimase un porto delle nebbie. ([https://web.archive.org/web/20160101000000/http://archiviostorico.corriere.it/1997/gennaio/12/Magistratura_porti_delle_nebbie_co_0_9701123652.shtml 12 gennaio 1997]) *La sola parola «ingegneria genetica» mi mette i brividi. (14 marzo 1997) *Io non mi sono mai [[Impiccagione|impiccato]]. Ma a Norimberga assistetti a diciassette impiccagioni, compresa quella di un cadavere, il cadavere di Göring che si era suicidato il giorno prima. Be', mi resi conto [...] che ficcare la testa nel nodo scorsoio di una corda non è un esercizio da mezzetacche o quacquaracquà. (15 maggio 1997) *{{NDR|Gladio}} Era stato istituito in quasi tutti i Paesi che facevano parte della Nato, e per volontà della Nato, consapevole che i suoi soci europei non avrebbero potuto resistere all'attacco di una Potenza superarmata qual era l'[[Unione Sovietica]]: avrebbero dovuto aspettare, per la riscossa, l'intervento dell'[[Stati Uniti d'America|America]]. Lo dimostra il fatto che quando questo piano fu rivelato, nessun altro Paese trovò nulla da ridirne. Solo noi italiani – i soliti romanzieri imbecilli e peggio che imbecilli – ne facemmo materia di scandalo e pretesto di «gialli» che tuttora trovano credito, come la sua lettera dimostra. Anch'io mi sento scandalizzato, e un poco offeso. Ma solo dal fatto che nessuno mi abbia sollecitato l'adesione al [[Organizzazione Gladio|Gladio]]: l'avrei data con entusiasmo. ([https://web.archive.org/web/20150623163829/http://archiviostorico.corriere.it/1997/giugno/07/Avrei_dato_con_entusiasmo_adesione_co_0_97060710388.shtml 7 giugno 1997]) *A fare l'Italia alcuni pochi italiani ci sono, senza e contro i più, riusciti. A fare gl'italiani, l'Italia, in centocinquant'anni, non c'è riuscita; anzi non ci s'è nemmeno provata. (19 giugno 1997). *Il vero cacciatore ama gli animali a cui dà la caccia, forse anche perché li considera complici di questo gioco in cui ritrova la sua origine esistenziale. Non spara, per esempio, sul bersaglio fermo: lo considera sleale. (9 luglio 1997) *Al matrimonio misto, che dell'integrazione razziale è la condizione genetica, sono i neri, molto più dei bianchi, che si rifiutano. Non è quindi colpa degl'italiani, o almeno non tutta questa colpa è degl'italiani, se anche da noi l'integrazione con gl'immigrati africani incontra degli ostacoli. Quella con gli oriundi dei Paesi europei non ne incontra nessuno, salvo quelli che frappone la burocrazia, la quale ne pone tanti anche a noi, e anzi campa solo di questo. Non ho mai sentito un francese, o un inglese, o un tedesco, o un bulgaro o un ukraino lamentarsi di una apartheid italiana. Ci sono anche da noi, purtroppo, delle manifestazioni di razzismo. Ma queste sono dovunque, e in Italia meno violente che altrove. L'Italia è un Paese che va a catafascio. Ma non buttiamogli addosso anche delle croci che non merita. Quelle che merita bastano, e ne avanza. (24 agosto 1997) *Io sono un italiano, fra i pochi rimasti che nei confronti dell'Italia s'ispirano all'adagio inglese: «Che abbia ragione o torto, sto col mio Paese». Anch'io sto col mio paese quando ha torto, ma senza pretendere che il suo torto sia considerato ragione. (23 settembre 1997) *Sono e rimango convinto che fin quando noi italiani ci affideremo soltanto alla Legge – o, come ora usa chiamarla, alle «regole» –, rimarremo quello che siamo, coi vizi che abbiamo, fra cui quello di accatastare regole su regole al solo scopo di metterle in contraddizione l'una con l'altra per poterle meglio evadere. (16 ottobre 1997) *Forse farebbe meglio ad astenersi a dare lezioni di liberalismo a me che sono stato, in tutto il giornalismo italiano, l'unico a difenderlo negli anni Settanta e Ottanta, quando difenderlo era difficile e poteva anche costar caro. Non me ne faccio un vanto perché, quando alla fine ha vinto, ho visto di che liberalismo si trattava, ed è per questo che ho votato Ulivo. (23 ottobre 1997) *Le confesso che il suo piglio perentorio e inquisitorio mi disturba alquanto, anche perché mi lascia capire che lei parte da convinzioni così granitiche da rendere vano ogni tentativo d'insinuarvi almeno un dubbio. (23 ottobre 1997) *È importante tutto questo? No. Non lo è per me né per lei, che sappiamo cosa è accaduto. E non lo è per i leghisti doc, secondo cui qualunque cosa propone il capo è Vangelo. Se Bossi decide di andare in Bicamerale, applaudono. Se decide di abbandonare la Bicamerale, esultano. Se va con Berlusconi, assentono. Se lascia Berlusconi, approvano. E se un giorno si sveglia e cambia i confini della Padania, accettano i nuovi confini. Tempo fa, rispondendo a un lettore, scrissi che «i leghisti sono pronti a inneggiare anche all'annessione della Yakuzia, e non solo perché non sanno dove sta». Arrivarono molte lettere indispettite. Ma nessuna contro l'annessione della Yakuzia. (29 ottobre 1997) *Se sono – come sono – uno di quegli uomini di Destra che ultimamente hanno votato, sia pure controvoglia, per la Sinistra (annacquata) dell'Ulivo, è perché da questa, che non è mai stata la mia bandiera, non mi sento tradito. Essa sta facendo ciò che prometteva di fare, ma lo fa con molta moderazione, e con una squadra di uomini che magari non saranno (meno qualcuno, come per esempio Ciampi) di serie A, ma da cui non temo, e credo che nessuna persona ragionevole possa temere, l'instaurazione di un regime. (10 dicembre 1997) *E lo specchio non vi giudica dai successi che avrete ottenuto nella corsa al denaro, al potere, agli onori; ma soltanto dalla Causa che avrete servito. Tenendo bene a mente il motto degli ''hidalgos'' spagnoli: «La sconfitta è il blasone delle anime nobili». (31 dicembre 1997) *Che cosa io pensi dell'onorevole Previti mi pare di averlo detto in termini talmente espliciti da apparire – a più d'uno – brutali: un personaggio che solo a guardarlo in faccia verrebbe voglia di applicargli le manette ai polsi prima ancora di sapere chi è e cosa ha fatto. (31 gennaio 1998) *Infine, c'è quello che io considero il vero, grande vantaggio dell'euro: una volta dentro, non potremo tornare all'allegra finanza pubblica d'un tempo. ([https://web.archive.org/web/20151203232056/http://archiviostorico.corriere.it/1998/febbraio/20/Che_cosa_succedera_quando_avremo_co_0_9802206445.shtml 20 febbraio 1998]) *Tutti hanno diritto di credere nel miracolo, quando non c'è altro a cui aggrapparsi. La scienza no: se lo ricordi anche il Papa. (23 febbraio 1998) *I conti col passato, si capisce, bisogna farli. Ma a un certo punto bisogna chiuderli. Perché nella Storia non ce n'è mai stato uno che, protratto all'infinito, non ne abbia innescato un altro. (10 marzo 1998) *Perché, caro B***? Perché la vocazione a dividerci sempre e su tutto per il nostro «particulare», come lo chiamava Guicciardini, noi italiani ce la portiamo nel sangue, e non c'è legge che possa estirparla. (18 aprile 1998) *Vero che nei ricordi sui quali vengo sollecitato, il nome di [[Cesco Tomaselli|Tomaselli]] ricorre meno frequentemente di quelli di Longanesi, di Buzzati, di Piovene, di Barzini ecc. Ma ciò dipende solo dal fatto che costoro appartenevano alla mia leva, e in comune con loro avevo avuto tante esperienze, perfino la stanza di lavoro. Tomaselli, quando io entrai al ''Corriere'', apparteneva già alla sua vecchia guardia, e come notorietà ne aveva raggiunto il tetto proprio grazie alle sue corrispondenze sull'impresa del dirigibile «Italia» di Umberto Nobile, di cui fu dal principio alla fine lo scrupoloso cronista. A salvargli la vita dalla catastrofe fu soltanto la sorte, contro cui egli imprecò considerandola avversa. Per l'ultima tappa, quella che avrebbe dovuto sorvolare il Polo, dei due giornalisti aggregati a quella spedizione — Tomaselli per il ''Corriere'', e Ugo Lago per il ''Popolo d'Italia'' di Mussolini —, c'era posto, sulla navicella, per uno solo. Lago e Tomaselli se lo giocarono a testa o croce. Con gran dispetto di Tomaselli, che non smise mai di considerarsene tradito, vinse e partì Lago, che non tornò più: quando l'aeromobile precipitò sul pack, lui rimase aggrappato insieme ad altri compagni al cordame dell'involucro col quale scomparve nel deserto bianco. Ma tutte le volte che se ne parlava, Tomaselli seguitava ad inveire contro la scalogna che lo aveva escluso da quel drammatico finale, come se gli avesse tolto la fortuna di descriverlo. Questo era Tomaselli, l'inviato speciale che nel suo mestiere di giornalista portava lo stesso spirito che aveva fatto di lui, nella Prima Guerra Mondiale, un superdecorato ufficiale di artiglieria alpina e gli ispirava una concezione quasi religiosa del «servizio». Non era un «brillante» né come scrittore né come parlatore. Ma di tutto quello che diceva, sia con la bocca che con la penna, si poteva stare sicuri che di inesatto o di inventato non c'era nemmeno una virgola. [...] Se raramente mi capita di parlare di lui, è perché l'ho conosciuto e frequentato sul declino della sua intemerata e ineccepibile carriera di testimone, e perché lui, nel raccontarla, non l'animava mai di aneddoti o di battute come, per esempio, il suo coetaneo Monelli. Ma se ai giovani che si avviano (poveretti!) a questo mestiere dovessi indicare un modello di dignità, serietà, dedizione e correttezza professionale non avrei dubbi sulla scelta: Cesco Tomaselli. ([https://web.archive.org/web/20151009153047/http://archiviostorico.corriere.it/1998/maggio/07/Cesco_Tomaselli_inviato_speciale_Polo_co_0_9805078688.shtml 7 maggio 1998]) *Che un giudice spagnolo in vena di protagonismo abbia chiesto all'[[Inghilterra]] la consegna di un ospite straniero andato a Londra in forma privatissima per ragioni di salute, non mi stupisce: un [[Antonio Di Pietro|Di Pietro]] può nascere dovunque. Ma che l'Inghilterra si proponga di consentire, non mi stupisce. Mi sbalordisce, come ha sbalordito e indignato la signora Thatcher che aveva ospitato in casa il Generale. Ma ancora di più mi sbalordirebbe che la Giustizia spagnola, cioè di un Paese che non solo ha accettato per quarant'anni il potere di un Generale, ma gli ha consentito (per sua fortuna) di disporne anche dopo morto, portasse davanti a una Corte di Giustizia quello cileno. Per non parlare delle conseguenze che tutto questo potrebbe provocare in [[Cile]] dove, nel caso che il governo Frei si mostrasse esitante e accomodante, le Forze Armate potrebbero riprendere il potere per rompere i rapporti diplomatici con [[Spagna]] e Inghilterra e dimostrare al mondo che i processi alla Norimberga hanno fatto il loro tempo. Se a qualcuno il Generale cileno Pinochet deve rendere conto del suo operato, è soltanto al Cile e ai suoi tribunali. E se io fossi un cileno che ha votato Frei (come certamente avrei fatto se fossi stato un cileno), in questa occasione mi schiererei con le Forze Armate. Con tanti saluti a tutto il sinistrume italiano passato, presente e futuro. (24 ottobre 1998) *Che gli [[Stati Uniti d'America|Usa]] siano in tutto il mondo odiati dagli uomini come lei {{NDR|riferito a un lettore}}, è verosimile, e quindi più che credibile. Un po' meno credibile è che gli uomini di tutto il mondo siano e la pensino come lei. Comunque, il giorno in cui quel Paese venisse chiamato (ma da chi?) sul banco degl'imputati come il nemico dell'umanità, io chiederò di essere ascoltato come testimone. Per dire alla Corte dei Vecchio di turno che io, uomo qualunque, mi considero graziato tre volte da questo grande nemico dell'umanità. La prima fu quando mi strappò al pericolo di diventare – per bene che mi fosse andata – l'attendente di un colonnello tedesco. La seconda fu quando mi sottrasse a quello di finire i miei giorni in un kolkos siberiano. La terza fu quando, invece di rimettermi la parcella di questi favori, mi aiutò a rifarmi la casa senza contestarmi il diritto di invitarvi anche coloro che pensano (si fa per dire) e parlano (o meglio sbraitano) come lei. ([https://web.archive.org/web/20160101000000/http://archiviostorico.corriere.it/1999/aprile/10/Fermare_genocidio_Kosovo_co_0_9904103314.shtml 10 aprile 1999]) *Tradotto in politica, non c'è nulla di più intollerante e fazioso, e quindi di meno pacifico, del [[pacifismo]] in generale, e di quello italiano in particolare. È un pacifismo a fasi alterne, e che si sveglia soprattutto, anzi quasi esclusivamente, quando a fare la guerra sono gli americani. Furioso e devastatore imperversò, non soltanto in Europa, ma nella stessa America, al tempo del Vietnam: al punto che quando [[Richard Nixon|Nixon]] venne in visita in Italia (quell'Italia che poteva fare ciò che voleva grazie agli americani) dovettero mandarlo a prendere a Fiumicino con un elicottero e trasportarlo via aria in Quirinale perché via terra avrebbe rischiato la pelle. Ma questo stesso pacifismo rimase impassibile quando i carri armati sovietici schiacciarono l'Ungheria (e a Montecitorio risuonò il grido: «Viva l'[[Armata Rossa]]!»), e poco dopo la Cecoslovacchia e da ultimo l'Afghanistan. Sono sempre gli stessi, i pacifisti italiani. Con una bandiera in mano come quella della pace (chi può infatti invocare la guerra?), si sentono invulnerabili. Ma la sventolano solo per il povero Milosevic; il genocidio del Kosovo li lascia del tutto indifferenti. (5 maggio 1999) *Non sempre condivido le opinioni di [[Giovanni Sartori|Sartori]]. Qualche volta, anzi spesso, abbiamo litigato, anche perché a lui litigare piace moltissimo: da buon toscano, è nella polemica che lui, e forse anch'io, diamo il meglio di noi. E anche sull'articolo del 25 maggio non siamo in tutto e per tutto d'accordo. Lo siamo nel respingere la qualifica di «pacifista», che entrambi lasciamo in esclusiva alle «anime belle» che, sventolando la bandiera della [[pace]], sperano di raccogliere intorno a essa tutti gl'ipocriti e gl'imbecilli che, sommati insieme, costituiscono certamente la stragrande maggioranza degl'italiani. (29 maggio 1999) *Lo Stato di [[Platone]], quello che lui chiamava la polis, e che poi era Atene, aveva, al tempo di Platone, cioè nel momento del suo massimo splendore, ventimila abitanti, di cui solo cinquemila avevano diritto al voto. E veda un po' come quei civilissimi cittadini lo usarono nelle assemblee dell'Acropoli: mettendo sotto processo [[Pericle]] e [[Aspasia di Mileto|Aspasia]], condannando a morte [[Socrate]] e provocando la guerra del Peloponneso, che fu la rovina non solo di Atene, ma di tutta la Grecia e della sua civiltà. Ora se il sistema della «democrazia diretta» o, come lei la chiama, «partecipatoria», non funzionò nemmeno in una polis di ventimila abitanti, s'immagini un po' cosa diventerebbe nei formicai umani cui si sono ridotte le polis attuali, e non soltanto quelle italiane. [...] Lei ha tutte le ragioni del mondo a dire che l'attuale sistema di democrazia «rappresentativa» o «delegata» ha dei vizi gravissimi e spesso provoca disastri, compresa quella americana, che pure è una di quelle che meglio funzionano. Ma, mi creda, quella «diretta» o «di piazza» è ancora molto più pericolosa perché continuamente a rischio di cadere in balia di qualche ciarlatano che sappia soltanto vendere bene la sua merce. Certo, quella indiretta esige, da parte del cittadino, una partecipazione che in Italia manca. Ma non è certo coi referendum che si può sostituirla. Almeno questo mi ha insegnato l'esperienza. (22 agosto 1999) *Quello di [[Francisco Franco|Franco]], se proprio vogliamo chiamarlo regime, fu un regime di polizia, di una polizia molto più dura di quella fascista, ma un totalitarismo no. Ecco perché, quando sentì avvicinarsi il momento della fine, Franco poté liquidare il franchismo con relativa facilità: perché di totalitario non aveva altro che le galere. Però bisogna anche riconoscere che questo soldataccio squallido e ottuso (sul piano umano era repellente), il ritorno al regime democratico seppe compierlo da maestro, facendosi consegnare dal pretendente al trono, Don Juan, ch'egli considerava (non a torto) poco affidabile, il figlio Juan Carlos per prepararlo – operazione riuscitissima – ai suoi compiti di Re, e mettendogli accanto un uomo di primissimo ordine come Suarez. ([https://web.archive.org/web/20130331034046/http://archiviostorico.corriere.it/1999/ottobre/24/differenza_fra_regimi_totalitari_dittature_co_0_991024459.shtml 24 ottobre 1999]) *La servitù, in molti casi, non è una violenza dei padroni, ma una tentazione dei servi. (2 gennaio 2000) *Non conosco Haider, e quindi nemmeno i fondamenti della sua ideologia, ammesso che ne abbia una. A occhio e croce, più che un nazista, mi sembra un qualunquista che interpreta, o cerca d'interpretare i sentimenti e i risentimenti di una pubblica opinione di livello bossiano, scontenta di tante cose, e a cui l'Austria attuale va stretta. [...] Non so se anche Haider – ripeto: non lo conosco – sia un omuncolo. Ma penso che l'Europa, ponendo il veto a un suo eventuale governo, costringerà gli austriaci ad affidargliene l'incarico, come avvenne per Waldheim. Io al pericolo di un rigurgito nazista non ci credo. Come ho letto in un articolo (mi pare di Enzo Bettiza, ma potrei sbagliarmi) penso che Jorg Haider somigli più a un Poujade che a un Le Pen, cioè più a una miscela di [[Umberto Bossi|Bossi]] e di Giannini che a un [[Pino Rauti]]. Ciò che mi allarma è l'incapacità dell'Europa a riflettere sulle sue proprie esperienze a trarne qualche insegnamento. Questo, sì, mi fa paura. (3 febbraio 2000) *Li conosco e riconosco, quei regimi {{NDR|di dittatura e di censura}}. Ne avverto il passo anche di lontano, e convengo che in Italia il pericolo di vederne arrivare qualcuno c'è. Ma sa quando si realizzerà? L'anno venturo, dopo la vittoria – che io do per certa – del Polo alle Politiche. Vedrà. La prima cosa che farà Berlusconi, come la fece nel '94, sarà di spazzare via l'attuale dirigenza Rai per omologarne le tre Reti a quelle sue. (26 febbraio 2000) *Quando s'accendono i [[Morte sul rogo|roghi]], mettiti dalla parte della strega, anche a costo di bruciare con lei. ([https://www.corriere.it/solferino/montanelli/00-05-31/02.spm 31 maggio 2000]) *Una Giustizia che per istruire un processo impiega sei o sette anni e poi non riesce a chiuderlo con una sentenza che non si presti a rimetterlo, con qualche marchingegno, in gioco, è un meccanismo di cui bisogna assolutamente rivedere e rifare gl'ingranaggi: «Giustizia ritardata – dice [[Montesquieu]] – è Giustizia negata». ([http://www.corriere.it/solferino/montanelli/00-06-07/01.spm 7 giugno 2000]) *Il [[revisionismo]] è la materia prima della [[storiografia]] che, senza di esso, sarebbe una disciplina morta. ([http://www.corriere.it/solferino/montanelli/00-06-16/01.spm 16 giugno 2000]) *Il mio giudizio su [[Baltasar Garzón|Garzón]] resta quello di prima, solo un po' rinforzato: un garzoncello smanioso soltanto di leggere il proprio nome sulle prime pagine di tutti i giornali e di vedere la propria effigie sugli schermi televisivi di tutto il mondo: il che rafforza la mia ipotesi che si tratti di un italiano nato per sbaglio in Spagna. ([http://www.corriere.it/solferino/montanelli/00-06-30/01.spm 30 giugno 2000]) *La pena di morte americana esiste e resiste in America perché fu un elemento base e costitutivo della sua nascita e sviluppo. Dei famosi 102 «Padri Pellegrini» che per primi sbarcarono dal «Mayflower» in quel Continente non per saccheggiare le ricchezze come facevano spagnoli e portoghesi in Messico e nell'America del Sud, ma per costruirvi una società nuova e libera, circa i due terzi erano avanzi di galera che fuggivano la Giustizia e le prigioni dell'Europa, e un terzo erano uomini che cercavano la libertà, e soprattutto quella religiosa. I primi avevano in tasca la pistola, i secondi la Bibbia, ma nella sua versione calvinista quella del taglione, basata sulla concezione di un Dio giustiziere che esige la morte di chi senza giusto motivo la dà. (9 luglio 2000) *A Rimini, cioè in casa propria (ma anche nostra, almeno per il momento), questi signorini {{NDR|di [[Comunione e Liberazione]]}} non hanno fatto altro che fischiare tutto ciò che è italiano, acclamare al nuovo beato [[Pio IX]], il Papa-Re che pretendeva di impedire il processo di unificazione nazionale, ed esaltare come i veri eroi del risorgimento i Borboni e i briganti del Cardinale Ruffo. A lei, tutto questo va bene? A me, dà il vomito. ([http://www.corriere.it/solferino/montanelli/00-09-13/02.spm 13 settembre 2000]). *Il mio parere è rimasto quello che espressi sul mio ''Giornale'' l'indomani del fattaccio {{NDR|l'[[agguato di via Fani]]}}. «Se lo Stato, piegandosi al ricatto, tratta con la violenza che ha già lasciato sul selciato i cinque cadaveri della scorta, in tal modo riconoscendo il crimine come suo legittimo interlocutore, non ha più ragione, come Stato, di esistere». Questa fu la posizione che prendemmo sin dal primo giorno e che per fortuna trovò in Parlamento due patroni risoluti (il Pci di [[Enrico Berlinguer|Berlinguer]] e il Pri di [[Ugo La Malfa|La Malfa]]) e uno riluttante fra lacrime e singhiozzi (la Dc del moroteo [[Benigno Zaccagnini|Zaccagnini]]). Fu questa la «trama» che condusse al tentennante «no» dello Stato, alla conseguente morte di Moro, ma poco dopo anche alla resa delle Brigate rosse. Delle chiacchiere e sospetti che vi sono stati ricamati intorno, e che ogni tanto tuttora affiorano, non è stato mai portato uno straccio di prova, e sono soltanto il frutto del mammismo piagnone di questo popolo imbelle, incapace perfino di concepire che uno Stato possa reagire, a chi ne offende la legge, da Stato. ([http://www.corriere.it/solferino/montanelli/00-09-22/03.spm 22 settembre 2000]) *La Serbia ha perduto la guerra e ha vinto la pace: ora deve voltar pagina. Sarà la storia – un giudice non imparziale, ma efficace – a decidere cos'è stato giusto e cos'è stato sbagliato. Tuttavia, una ritorsione serba verso l'Occidente avverrà. E ci troverà disarmati. Sa di cosa parlo? Delle rivendicazioni sul Kosovo, che è amministrato dalla Nazioni Unite ma è ancora Jugoslavia (lo dice la risoluzione dell'Onu). I serbi chiederanno di tornare a controllarne le frontiere, per esempio. E dire no a un Kostunica buono è più difficile che dire sì a un Milosevic cattivo. Gli albanesi del Kosovo, sono certo, lo hanno già capito. ([http://www.corriere.it/solferino/montanelli/00-10-08/01.spm 8 ottobre 2000]) *È un dimenticato, [[Ugo Ojetti|Ojetti]], come in questo Paese lo sono quasi tutti coloro che valgono. Se io dirigessi una scuola di giornalismo, renderei obbligatori per i miei allievi i testi di tre Maestri: [[Luigi Barzini (1908-1984)|Barzini]], per il grande reportage; [[Benito Mussolini|Mussolini]] (non trasalire!), quello dell'''Avanti!'' e del primo ''Popolo d'Italia'', per l'editoriale politico; e Ojetti, per il ritratto e l'articolo di arte e di cultura. ([http://www.corriere.it/solferino/montanelli/00-11-13/01.spm 13 novembre 2000]) *In Italia fu il potere temporale a soffocare negl'italiani la voce della coscienza e a spegnere in loro ogni senso di responsabilità. Ma fu la Controriforma a fornire al prete le armi per accaparrarsi l'una e l'altra: il Sant'Uffizio, le scomuniche e, nei casi estremi, il patibolo. Con questo risultato: l'aborto del «cittadino» e la trasformazione di quello che avrebbe dovuto e potuto diventare un «popolo» in un gregge (come con inconsapevole spudoratezza i preti lo chiamano), e in un gregge di pecore indisciplinate che credono di affermare il loro ribelle individualismo non rispettando il semaforo rosso. ([http://www.corriere.it/solferino/montanelli/00-11-20/01.spm 20 novembre 2000]) *{{NDR|Su [[Slobodan Milošević]]}} Oltre che un despota, lo ritengo anche un satrapo della razza dei [[Nicolae Ceaușescu|Ceausescu]], avido non solo di potere, ma anche di denaro, e credo che la sorte che si merita sia un bel plotone di esecuzione. Purché composto da serbi, al comando di un serbo, e in esecuzione di una sentenza emessa da un tribunale serbo e motivata non tanto da generici crimini contro l'umanità, che sono sempre – salvo casi di monumenti all'orrore come l'[[Olocausto]] – oggetto di discussione e dissensi; ma dal più grande e imperdonabile delitto di cui Milosevic si è macchiato nei confronti non soltanto dei serbi: la distruzione della Nazione Jugoslava, che la Monarchia serba aveva fondato dopo la prima guerra mondiale; che il croato [[Josip Broz Tito|Tito]] aveva difeso coi denti e restaurato dopo la seconda, dando alla Balcania un esempio e un puntello di stabilità; e che Milosevic e il suo compare croato [[Franjo Tuđman|Tudjman]] distrussero per poter restare ciascuno padrone in casa sua; e sulle cui macerie si scatenarono tutte le violenze (Bosnia, [[Kosovo]]) che hanno insanguinato e continuano a insanguinare quel povero Paese. ([http://www.corriere.it/solferino/montanelli/01-04-29/01.spm 29 aprile 2001]) *Questo mondo materialista, edonista ed esibizionista non entusiasma neanche me; e, visto che mi legge, dovrebbe saperlo. Ma vorrei conoscere il sistema che voi avete in mente, e non avete il coraggio, o la capacità, di proporre. Un mondo francescano? Bello: ma guardatevi intorno, e ditemi se vedete un saio. Un comunismo riveduto e corretto? Farebbe la fine dell'altro, anche se non riuscirà a ripeterne i disastri. Mi creda, G.: l'unico sistema sociale ed economico oggi accettabile, in Occidente, è quello basato sul mercato: un capitalismo controllato e temperato, per intenderci. È auspicabile che sia anche corretto: e questo non sempre accade, è vero. Il guaio è che il capitalismo è fatto dai capitalisti – e quelli, devo ammettere, sono spesso difficili da digerire. Non cerchi di confondermi le idee, quindi. Non ci riuscirà. Probabilmente ho tre volte i suoi anni, e ho visto dove conducono queste generiche tirate contro «le multinazionali»: prima o poi, qualcuno deporrà la spranga e prenderà la pistola. Dimenticavo: io firmo le mie opinioni, lei tira il sasso e nasconde la mano. Tutti coraggiosi così, voi ragazzi di Seattle? ([http://www.corriere.it/solferino/montanelli/01-06-09/01.spm 9 giugno 2001]) *Non erano, le mie, parole di circostanza. Erano – e rimangono – quelle di un conservatore abbastanza spassionato e nutrito di Storia da capire che non c'è, per la conservazione di ciò che va conservato, nemico più mortale dei conservatori che vogliono conservare tutto; e che un sistema capitalistico senza un correttivo socialista diventa una jungla che conduce pari pari a [[Karl Marx|Carlo Marx]]. Di qui il mio amore per uno dei personaggi meno amabili, sul piano umano, della nostra Storia, [[Giovanni Giolitti|Giolitti]], che sempre cercò l'accordo con [[Filippo Turati|Turati]], a cui il cretinume massimalista – che nel vostro partito ha sempre dominato – lo impedì. Il vedervi – sbriciolati in gruppi, gruppetti e gruppuscoli – annaspare nell'attuale centro-sinistra in cui nessuno riesce a recitare la parte di se stesso, fa male al cuore di un vecchio autentico liberal-conservatore come me. Cosa aspettate, caro Tamburrano, a ridarci il socialismo, ma che sia quello e quello solo: ''il'' socialismo di Turati e di Massarenti? [...] Credo che come forza politica siate abbastanza mal messi. Ma in compenso avete in mano una grande bandiera che prima o poi un esercito la ritroverà. Arrivederci, al primo settembre, cari lettori. ([http://www.corriere.it/solferino/montanelli/01-07-04/01.spm?refresh_ce-cp 4 luglio 2001]) ===''il Giornale''=== <!--ordine cronologico--> *Chi sarà il nostro lettore noi non lo sappiamo perché non siamo un giornale di parte, e tanto meno di partito, e nemmeno di classi o di ceti. In compenso, sappiamo benissimo chi non lo sarà. Non lo sarà chi dal giornale vuole soltanto la «sensazione» [...] Non lo sarà chi crede che un gol di Riva sia più importante di una crisi di governo. E infine non lo sarà chi concepisce il giornale come una fonte inesauribile di scandali fine a se stessi. Di scandali purtroppo la vita del nostro Paese è gremita, e noi non mancheremo di denunciarli con quella franchezza di cui crediamo che i nostri nomi bastino a fornire garanzia. Ma non lo faremo per metterci al rimorchio di quella insensata e cupa frenesia di dissoluzione in cui si sfoga un certo qualunquismo, non importa se di destra o di sinistra. [...] Vogliamo creare, o ricreare un certo costume giornalistico di serietà e di rigore. E soprattutto aspiriamo al grande onore di venire riconosciuti come il volto e la voce di quell'Italia laboriosa e produttiva che non è soltanto Milano e la Lombardia, ma che in Milano e nella Lombardia ha la sua roccaforte e la sua guida. [...] A questo lettore non abbiamo «messaggi» da lanciare. Una cosa sola vogliamo dirgli: questo giornale non ha padroni perché nemmeno noi lo siamo. Tu solo, lettore, puoi esserlo, se lo vuoi. Noi te l'offriamo. (25 giugno 1974) *Checché ne dicano gli agiografi della Resistenza, la guerra l'abbiamo persa, e c'è un conto da pagare. Che l'Italia lo saldi a spese dei suoi figli minori – i Dalmati e gli Istriani – è un ghigno del destino. Ma in compenso può considerarsi miracolata. Quando si pensa a cosa ha pagato la sua sconfitta la Germania, amputata d'intere province e dimezzata in due nazioni diverse e ostili, e quando si pensa a cosa ha pagato l'Inghilterra, precipitata dalla condizione di massimo impero mondiale a quella di piccola isola alla periferia d'Europa; non possiamo lamentarci del trattamento che gli alleati ci fecero. (30 settembre 1975) *Siamo stati accusati di aver fatto, nei confronti dei comunisti, il processo alle intenzioni. Non vediamo su cos'altro avremmo dovuto giudicarli, visto che sono sempre rimasti all'opposizione, ed è di lì che ancora si affannano a dire che cosa si propongono di fare se andassero al potere, anzi quando andranno al potere (perché ormai lo danno per scontato). E cosa sono, queste, se non intenzioni? (19 giugno 1976) *Che cerchino di eliminarmi perché sono un avversario, questo lo posso anche capire; ma perché – a quanto mi riferiscono – hanno detto che io sono un servo delle [[Multinazionale|multinazionali]], allora questo sta a dimostrare la confusione di idee di questi poveretti che, evidentemente, non sanno cosa sono le multinazionali. (3 giugno 1977) *I giuochi sono fatti. E sono fatti non soltanto per [[Aldo Moro|Moro]], cui va tutta la nostra più fraterna e rispettiva pietà. Sono fatti anche per una politica da ''belle époque'', che la distruzione – fisica o morale – di Moro chiude e conclude. La Storia sta riprendendo i suoi connotati di tragedia, e costringe coloro che la fanno, o ambiscono o s'illudono di farla, ad adeguarsi al repertorio. Stiamo entrando in una di quelle «età di ferro» in cui il potere si paga, o si può pagarlo col ferro. Nessuno è obbligato a sfidare questo rischio. Chi lo fa, sappia che oggi è toccato a Moro, domani può toccare a lui. Solo se si rende conto di questo e lo accetta, la classe politica troverà la forza di archiviare il caso Moro. Ed è tempo che lo faccia. (7 maggio 1978) *Quattr'anni e mezzo orsono, quando questo giornale nacque, un «ragazzo del '68» (con tante scuse a quelli veri, del '99), [[Mario Capanna]], oggi gerarchetto regionale (che belle carriere, questi rivoluzionari!), dichiarò che, come nemici del «pubblico» e del «sociale» e come assertori del «privato», e quindi della reazione, noi saremmo diventati il più bel museo della città, dove babbi e mamme avrebbero potuto condurre in gita ricreativa i loro figlioletti per mostrargli, dal vivo, com'erano buffi i loro nonni e bisnonni: noi. Bene. Se il vento seguita a soffiare come soffia, saremo noi che di qui a un po' condurremo i nostri figlioletti dal signor Capanna per mostrargli com'erano buffi i loro nonni e bisnonni di dieci anni fa. Ma non lo faremo. Lo spettacolo di questi ragazzi-prodigio abortiti, di questi barricadieri con pancia e cellulite che credevano di camminare con la Storia, e invece camminavano solo con la moda, non ha nulla di edificante. (16 gennaio 1979) *In una sua memorabile inchiesta un giornalista d'incrollabile fede sinistrorsa, ma di esemplare onestà, [[Giampaolo Pansa]], mise benissimo in luce questo contrasto fra i due atteggiamenti e mentalità, che ieri ha trovato una eloquente conferma nella manifestazione di Torino. Niente chiasso, niente sceneggiate, niente slogans, niente insomma che appartenga al repertorio del buffonismo nazionale. Nessuno ha rotto le righe per andare a rovesciare auto o a fracassar vetrine. Questa, sì, era Danzica, sia pure senza Madonne; non i picchettaggi e i pestaggi di Mirafiori, sia pure con le Madonne. Ora sappiamo già cosa diranno gli altri, oggi e domani. Diranno che gli operai non c'erano. Infatti. Doveva trattarsi di quarantamila presidenti, consiglieri delegati, ingegneri: insomma, la solita «[[maggioranza silenziosa]]»: termine che soltanto nella lingua italiana ha significato spregiativo. La maggioranza silenziosa esiste in tutti i Paesi del mondo, dove nessuno si vergogna di appartenervi perché è essa, in definitiva, che ristabilisce gli equilibri. Fu la maggioranza silenziosa – autoqualificatasi come tale – di seicentomila parigini che dodici anni fa pose fine al carnevale sessantottesco, riportò [[Charles de Gaulle|De Gaulle]] all'Eliseo e restituì alla Francia la stabilità di cui tuttora essa gode. [...] Il motivo vero che farà i dimostranti bersaglio delle peggiori critiche e accuse è ch'essi rappresentano la rivolta delle persone serie contro gli arruffoni della «conflittualità permanente», dei «modelli di sviluppo» e via baggianando. E in questo Paese nulla fa più paura, perché nulla è più rivoluzionario, della serietà. (15 ottobre 1980) *[[Anwar al-Sadat|Sadat]] non era popolare. Gli mancava quel tocco di magia, o di cialtronismo, che consentiva a [[Gamal Abd el-Nasser|Nasser]] di bandire guerre come crociate e di annunciare disfatte come trionfi. [...] Sadat amava il popolo, il popolo contadino del profondo Sud nubiano, di cui era egli stesso originario. Ma non amava le masse, e le masse lo sentivano. [...] Sapeva, quando andò a Gerusalemme, di lanciare a quelle arabe una sfida più pericolosa di quella che lanciava a Begin. [...] Ma all'impopolarità di Sadat contribuiva anche un altro elemento: il fatto di essere un vero riformatore. [...] [[Mohammad Reza Pahlavi|Rehza Pahlevi]] volle applicare gli stessi metodi di [[Mustafa Kemal Atatürk|Atatürk]] senz'averne l'autorità e il prestigio, e per questo lo cacciarono. Ma dopo due anni di [[Ruhollah Khomeyni|Khomeini]], anche i più ciechi e idioti fra i progressisti occidentali, che ne avevano salutato l'avvento come quello del Redentore, si saranno accorti che il progresso, sia pure a forza di polizia segreta e di plotoni di esecuzione, era lo Scià. L'''ayatollah'' è il medioevo. Sadat non seguì i metodi satrapeschi del suo amico Pahlevi, ma ne condivise i fini. [...] Il Rais che ha restituito all'Egitto l'integrità territoriale, l'indipendenza politica, il prestigio militare e il rilancio della sua più proficua industria, il canale di Suez, è giusto che susciti meno rimpianto di chi tutto questo all'Egitto fece perdere. Nasser era un «personaggio», Sadat una «personalità». Il personaggio fa colore e diverte, la personalità incute rispetto e disturba. (9 ottobre 1981) *Nessuna parentela, né vicina né lontana, con l'altro grande d'Israele, [[David Ben Gurion|Ben Gurion]], il Fondatore. [...] {{NDR|David Ben Gurion}} Faceva tutto a caldo, anche la guerra. [[Menachem Begin|Begin]] fa tutto a freddo: anche l'amore, credo, ammesso che lo faccia. Non riuscì a commuoverlo nemmeno [[Anwar al-Sadat|Sadat]], quando gli piombò, da nemico tuttora belligerante, a Gerusalemme, per chiedergli la pace. Il mondo, che vide in televisione la scena, quel giorno fu tutto per l'egiziano che, per la pace, firmava la propria condanna a morte, contro l'israeliano che lo accoglieva senza un sorriso e con visibile fastidio. [...] È l'uomo che non ha esitato un istante [...] a distruggere in pochi minuti tutto l'armamento corazzato, aereo e missilistico siriano sotto l'occhio stupefatto degli osservatori e «consiglieri» russi che lo avevano fornito. È l'uomo che ha messo alla porta l'ambasciatore di Mosca respingendone la nota di protesta addirittura con disprezzo, come se fosse stato lui la Grande Potenza che parlava a un subalterno. È l'uomo che ha picchiato i pugni sul tavolo di [[Ronald Reagan|Reagan]], e a un certo punto aveva rotto anche con lui. Se avesse perso, sarebbe finito al muro e passato ai posteri come il distruttore d'Israele. Ma ha vinto. E la Storia, iscrivendolo nei suoi registri come «Il Salvatore», dirà che solo un uomo come lui, «antipatico» come lui, e come lui disposto anche a scatenare un'altra ondata di antisemitismo, poteva vincere. E avrà ragione di dirlo. Perché è così. Alla fine lo diranno, vedrete, anche gli antisemiti. E forse perfino i semiti. (27 agosto 1982) *L'idea che domani potremmo incontrare per strada, a piede libero e magari oggetti di compassione, gli assassini di [[Walter Tobagi]], ci riempie, più che di furore, di orrore. [...] Avevano scelto lui non per la sua tessera socialista, ma perché era una di quelle prede più facili: indifeso e abitudinario, e quindi bersaglio di facilissima mira, quasi da fermo. Tutto qui il movente del delitto: tutto nella fregola di protagonismo di due coccolatissimi giovanotti della Milano bene che giuocavano a fare i terroristi. [...] Che ora dobbiamo prendere per vero il loro pentimento e assolverli, ci rivolta lo stomaco. Ma è la legge: iniqua, infame, infamante. Ma è la legge. Noi stessi l'abbiamo auspicata e voluta. Il magistrato deve applicarla. E noi [...] accettarla. Ma una cosa reclamiamo, e ci spetta: di essere liberati dall'incubo d'incontrare questi figuri per strada per non veder riflessa nei loro occhi la nostra vergogna di aver avuto bisogno di loro e di aver risposto al loro falso rimorso con un perdono altrettanto falso. Un Curcio, se tornasse in circolazione, ci farebbe forse più paura, ma meno, anzi punto disgusto. [...] Ma i Barbone e i Morandini non li vogliamo tra i piedi. Se ne vadano. E soprattutto ci risparmino memoriali. La speranza di farci dimenticare i loro delitti, gliela passiamo. La pretesa di camparci sopra, no. (29 novembre 1983) *Per i falchi del Pci, [[Enrico Berlinguer|Berlinguer]] era ormai un personaggio scomodo e pericoloso, specie da quando aveva cominciato ad allentare gli ormeggi che lo legavano a Mosca. Gli era perfino scappato di dire (a [[Giampaolo Pansa|Pansa]]) che voleva per l'Italia un regime comunista, ma sotto l'ombrello della Nato che la tenesse al riparo dalle soperchierie del padrone sovietico: la più grave e blasfema di tutte le eresie in cui un capo comunista possa incorrere. (12 giugno 1984) *Se fino a che punto i piduisti – a parte il manipolatore Gelli, e forse qualche altro – fossero un branco di delinquenti golpisti, non siamo riusciti a capirlo. Abbiamo capito soltanto che gran parte di essi occupavano, forse grazie alla P2, posizioni di rilievo, e quindi parecchio ambite, ma ambite anche da molte persone che, per il fatto di non appartenere alla P2, avevano ora, grazie anch'esse alla P2, la possibilità di occuparle. Di fatti accertati e meno ancora di crimini provati, siamo andati invano alla ricerca delle 34.847 pagine della commissione. Vi abbiamo trovato soltanto ipotesi, illazioni, accostamenti di nomi e di episodi. Tutta roba che in mano a Le Carré poteva fruttare chissà quali affascinanti trame. In mano alla signorina [[Tina Anselmi|Anselmi]], resta cicaleccio di portineria. Ma questa è un'altra storia. (19 marzo 1985) *Quanto al moribondo [[Michele Sindona|Sindona]] [...] se fossi stato uno dei giudici popolari che l'altro giorno gli comminarono l'ergastolo, anche io avrei votato come loro pur sapendo che la mia endemica insonnia non ne avrebbe avuto giovamento. Comunque mi sembra che con questa fine, preceduta da quasi un decennio di rovine, umiliazioni, fughe e galere, egli abbia abbondantemente scontato, quali che siano, i suoi delitti. Che ora lo lascino riposare in pace e che pace sia all'anima sua. (22 marzo 1986) *I dieci giorni che sconvolsero il mondo furono in realtà dieci ore: quante ne bastarono alle poche «guardie rosse» reclutate in fretta e furia dai bolscevichi per occupare, senza nessuna resistenza, la Centrale delle poste e telefoni, la stazione ferroviaria, la Banca di Stato, e per spostare l'incrociatore ''Aurora'' di fronte al palazzo d'Inverno, dove ancora si trova, cimelio e monumento al fatidico evento, e dove il governo sedeva [...]. Non fu un assalto. Fu una «retata». L'''Aurora'' non sparò che una dozzina di colpi, di cui solo tre andarono a segno. In tutto, la conquista di questa Bastiglia russa costò, da ambo le parti, un morto, anzi una morta – perché fu una soldatessa che, pare, si suicidò – e diciotto feriti. Il [[Rivoluzione russa|Fasto]] [...] è un falso in atto pubblico. Si dirà che una rivoluzione non si misura dal numero dei morti. Certo: l'abbiamo detto anche noi. La rivoluzione poi venne, e che rivoluzione! Ma venne dall'alto, e per mano di despoti che di morti ne fecero in pochi anni più di quanti lo zarismo ne avesse fatti in secoli. (6 novembre 1987) *Tutto pensavo che potesse capitarmi, fuorché di essere un giorno tentato di spendere qualche parola, per poco che valga, in difesa di Togliatti. [...] Un processo a Togliatti per stalinismo, se glielo intentano i socialisti, che nell'era dello Stalinismo gli fecero da mosca cocchiera, è una burletta. Se lo intentano i comunisti – come sembra che qualcuno di loro voglia fare –, oltre che oltraggio al pudore, diventa quiescenza alla voce del nuovo padrone, cioè stalinismo della più brutt'acqua, anzi una parodia dello Stalinismo. Per la caccia alle streghe, anche dello Stalinismo, ci vogliono degli stalinisti doc, qual era Togliatti. Non è roba da dilettanti, quali sono i suoi pallidi epigoni. (3 marzo 1988) *La fine del Muro è una cosa buona, la fine di una vergogna: non possiamo che salutarla con soddisfazione. Ma guardiamoci dal prendere abbaglio sui suoi moventi. Ulbricht concepì e Honecker realizzò il muro per impedire che i tedeschi dell'Est fuggissero in massa nella Germania dell'Ovest: già 9 (diconsi nove) milioni lo avevano fatto fin allora. E il rimedio fu, come tutti quelli che escogitano nei regimi totalitari, drastico e semplicistico: murare viva la gente dietro una colata di cemento, senza pertugi. [...] Abbiamo in uggia le astrazioni. Ma ciò che distingueva le due Germanie è l'idea morale e giuridica dell'uomo: che a Ovest è padrone di se stesso, e quindi può andarsene dove vuole: ad Est è proprietà dello Stato che ne regola i movimenti. Per chi non ricorda questo, il [[Muro di Berlino]] era, oltre che barbaro, incomprensibile e irrazionale: mentre invece ha obbedito a una sua logica. Nel momento in cui il bunker si affloscia e sopravvive come mero ammasso di cemento ricordandoci un altro bunker, quello che fece da fossa di [[Adolf Hitler|Hitler]] (anche questo pare impossibile: ma i regimi in Germania muoiono nei bunker), il Muro va ricordato per ciò che è stato: non un'aberrazione del comunismo, ma una sua conseguente applicazione. E se crolla così, nel silenzio assordante di un giornale-radio, è perché è crollata, prima, l'ideologia che lo aveva eretto. (11 novembre 1989) *Negli anni Trenta, per le strade di Berlino, risuonava il grido: ''ein Volk, ein Reich, ein Führer'': un popolo, uno Stato, un capo. Stavolta si sono contentati di scandire ''ein Volk, ein Reich''. Non potevano aggiungere, checché ne dica il sig. Ridley, ''ein Kohl'', che fra l'altro significa «cavolo». Ma {{NDR|ai tedeschi}} per diventare i padroni dell'Europa anche un cavolo gli basta. (3 ottobre 1990) *Abbiamo fatto poco: il poco che il Paese dei [[Roberto Formigoni|Formigoni]], dei Cristofori, degli Sbardella, dei [[Ernesto Balducci|Balducci]], dei [[Antonio Bello|vescovi di Molfetta]] poteva fare. Non lamentiamoci se il posto che ci verrà assegnato nel ristabilimento dell'ordine internazionale sarà nell'anticamera, non nella camera dei bottoni. Però sia chiara una cosa: che a gridare «Viva la pace!» siamo qualificati oggi soltanto noi che abbiamo auspicato la guerra contro chi la pace l'aveva turbata e, se lo si lasciava fare (non è un ipotesi, è una constatazione), avrebbe continuato a turbarla in un crescendo di colpi e di aggressioni. (1º marzo 1991) *I voti dei democristiani novaresi non sono andati al partito; sono andati a [[Oscar Luigi Scalfaro|Scalfaro]], democristiano talmente anomalo, che si permette persino di credere in Dio. [...] Il vecchio magistrato conosce il suo mestiere, e sa benissimo di operare in un Paese in cui la mamma dei Casson è sempre incinta. In nome della Legge, le leggi le farà funzionare. Insomma siamo sicuri che starà in Quirinale come un italiano deve starci: da straniero. Unico pericolo: le prediche. Anche [[Luigi Einaudi|Einaudi]] le faceva. Ma le chiamava «inutili». (26 maggio 1992) *Da dove siano venuti tutti i «no» non lo sapremo mai con precisione, ma una cosa è certa. Questo è il colpo di grazia al sistema dei partiti e della classe politica che lo rappresenta, e un colpo durissimo all'immagine del Paese pronto a fare pulizia che l'Italia si stava faticosamente costruendo all'estero. Senza giovare nemmeno a [[Bettino Craxi|Craxi]], che non potrà certo ricostruire la sua carriera sulla votazione di ieri, anzi. Se c'è ancora qualcuno che dubita sulla necessità di un pubblico processo, non solo a lui, ma a tutta la corte di faccendieri che lo circondava, alzi la mano, o meglio nasconda la faccia. (30 aprile 1993) *Questo è l'ultimo articolo che compare a mia firma sul giornale da me fondato e diretto per vent'anni. Per vent'anni esso è stato – i miei compagni di lavoro possono testimoniarlo – la mia passione, il mio orgoglio, il mio tormento, la mia vita. Ma ciò che provo a lasciarlo riguarda solo me: i toni patetici non sono nelle mie corde e nulla mi riesce più insopportabile del piagnisteo. [...] A presto dunque, cari lettori. Anche a costo di ridurlo, per i primi numeri, a poche pagine, riavrete il nostro e vostro giornale. Si chiamerà ''La Voce''. In ricordo non di quella di [[Frank Sinatra|Sinatra]]. Ma di quella del mio vecchio maestro – maestro soprattutto di libertà e indipendenza – [[Giuseppe Prezzolini|Prezzolini]]. (12 gennaio 1994) {{Int|''Rituale barbarico''|Articolo su ''il Giornale nuovo'', 10 maggio 1978.|h=4}} *La fine di [[Aldo Moro]] ci rende sgomenti, il fanatismo di chi lo ha ucciso lentamente, togliendogli la speranza prima di toglierli la vita, ci riempie di orrore. Speriamo ancora che la tracotanza dei criminali sia un giorno punita. L'importante, adesso, è che il Paese, proprio per rendere omaggio a Moro, e proprio in memoria di lui, sappia trarre da questa tragedia l'amara lezione che essa comporta. La democrazia non deve, anzi non può essere debole. La libertà, che la rende superiore a qualsiasi altro regime, ma anche più vulnerabile, non va conclusa con la indulgenza verso i nemici, la imprevidenza, la leggerezza. *Lo Stato italiano ha superato con onore questa prova difficile, ma la magistratura e gli organi di polizia hanno denunciato, nella loro azione, una desolante inefficienza, che ha permesso alle brigate rosse di operare con irridente spavalderia. Ne va data colpa non tanto alle forze dell'ordine quanto a chi ha voluto, per demagogia, per compiacere le sinistre, per acquistare facile popolarità, smobilitare i servizi segreti, rimuovere i funzionari più ligi al dovere, trasformare le carceri in alloggi con libera uscita quotidiana. Gli eversori della democrazia, i contestatori della legalità hanno potuto predicare e demolire senza ostacoli. Ci auguriamo di non vederli ora associati ipocritamente al compianto per un delitto del quale sono, ideologicamente se non materialmente, corresponsabili. Le loro non erano soltanto parole. Un giovane sfracellato da un ordigno sulla ferrovia Trapani-Palermo – l'episodio è di ieri – apparteneva a Democrazia proletaria. I banditi che hanno assalito a Bologna un grande magazzino venivano dal Movimento studentesco. È inutile che questi gruppi ostentino adesso costernazione e stupore per le belluine imprese delle brigate rosse. Il terrorismo è figlio loro. *All'annuncio della fine di Aldo Moro i sindacati si sono mossi, hanno indetto manifestazioni e proclamato uno sciopero generale. Siamo certi della loro profonda esecrazione, e della loro sincera partecipazione al cordoglio nazionale. Pensiamo tuttavia che i lavoratori e i loro rappresentanti darebbero un apporto più costruttivo alla lotta contro i terroristi tenendo d'occhio gli estremisti delle fabbriche, troppe volte protetti e difesi. Così pure gli studenti «impegnati», se proprio vogliono dissociarsi dalle brigate rosse, devono estromettere dalle loro file gli agitatori deliranti, e dinamitardi che nascondono bottiglie molotov e armi negli scantinati delle facoltà. Chi ha chiuso gli occhi di fronte alla ''escalation'' di violenza degli anni scorsi, li chiuda oggi per non lasciar scorrere lagrime di coccodrillo. {{Int|''Poveri morti poveri vivi''|Articolo su ''il Giornale'', 31 maggio 1985.|h=4}} *L'[[Inghilterra]] non sono i forsennati che abbiamo visto all'opera nello stadio di Bruxelles. L'Inghilterra sono la [[Margaret Thatcher|Thatcher]], i politici, i commentatori di stampa, radio e televisione, la gente intervistata per strada, che hanno confessato la loro vergogna a una voce, con una sola stecca: quella del ministro dello Sport che con le sue dichiarazioni si è messo sullo stesso piano degl'imbestialiti. Comunque, Dio ci guardi ora dai soliti sproloqui e dibattiti dei sociologi sui motivi di «tifo» e sui mezzi d'impedirne gli eccessi. Non ce ne sono, se non nel controllo che ognuno può e deve esercitare su di sé. *La strega non è il «tifo» che dallo sport è inseparabile. E non siamo nemmeno noi, come vogliono i cantautori del «siamo tutti colpevoli» che ieri giornali e radio hanno intitolato. Perché, se di qualcosa siamo colpevoli, è di aver sempre secondato la corruttrice e demagogica tendenza a scaricare l'individuo di ogni responsabilità, rigettandola regolarmente e interamente sulla società. È la società che ci obbliga a rubare, è la società che ci obbliga ad uccidere. E si capisce che quando si offrono alla gente di questi alibi, c'è sempre qualcuno che ne approfitta. Stamane leggevo su un giornale francese un dotto articolo in cui si spiegava che la furia dei tifosi del [[Liverpool Football Club|Liverpool]] era dovuta al fatto che, essendo quasi tutti minatori, per un anno erano rimasti senza lavoro a causa dello sciopero: il che gli aveva fatto accumulare la rabbia che poi era scoppiata a Bruxelles. Insomma, senza dirlo, l'articolo induceva alla conclusione che il vero responsabile del massacro era la signora Thatcher. Ecco in che senso siamo tutti colpevoli. Siamo colpevoli di assolvere tutti come vittime innocenti di una società iniqua che, a furia di essere tutti noi, non è nessuno. È un giuoco a cui non ci stiamo. I responsabili di Bruxelles sappiamo chi sono: sono i delinquenti che abbiamo visto avventarsi, prima che la partita cominciasse, e quindi senza alcuna provocazione, contro i tifosi italiani con sbarre e coltelli di cui erano accorsi armati, con l'evidente intenzione di farne l'uso che ne hanno fatto. Delinquenti, non vittime. La società non c'entra, non c'entrano le miniere. Casomai l'alcol. Ma ne avevano ingerito per delinquere meglio. Speriamo che la polizia li identifichi e li consegni a quella inglese. Della quale possiamo fidarci. {{Int|''I rieccoli''|Articolo su ''il Giornale'', 20 gennaio 1990.|h=4}} *Scorrendo le cronache delle agitazioni studentesche di questi giorni avevo avuto per un momento l'impressione, o l'illusione, che esse si fondassero sui problemi concreti dell'università, e che fossero qualcosa di diverso, e di migliore della grottesca ubriacatura sessantottina. Ma quando giovedì sera, nella trasmissione televisiva ''Samarcanda'', è stato lanciato contro [[Mario Cervi]] il rituale e vile epiteto «fascista!» (e questo solo perché aveva mosso obiezioni agli sproloqui assembleari di Roma e di Palermo), ho capito che vent'anni dopo è come vent'anni prima. La protesta è un pretesto, il legittimo scontento diventa arma politica, gli appelli al dialogo si risolvono in volontà di sopraffazione, di discussione su ciò che nell'università deve essere cambiato sfocia in un attacco globale al governo, alla società, al sistema. L'unica connotazione sessantottina che ancora manca è la violenza fisica. Ma temo che non tarderà ad arrivare se chi dissente è bollato come fascista e chi governa (è capitato ad [[Giulio Andreotti|Andreotti]], a Palermo) come mafioso. *Quanto alla legge Ruberti, Cervi ha osservato che viene presa di mira perché consentirebbe un limitato ingresso dei privati nella gestione delle università: e al solo sentir parlare di «privato» – che le folle e i giovani dell'Est chiedono con slancio entusiastico – gli epigoni nostrani del [[marxismo-leninismo]] sono presi da convulsioni. [...] La legge Ruberti è passata in sott'ordine, il punto centrale del dibattito – o piuttosto della successione di sproloqui, intimazioni e insulti – è diventato il degrado di questa povera Italia privatizzata, che invece conoscerebbe fulgidi destini se fosse tutta pubblica e stabilizzata. Gli ''slogans'', le utopie, le bugie e le dissennatezze sessantottine o settantasettine riemergevano dalle pagine dei libri e dalla polvere degli archivi, per imitazione o per transfert generazionale. *Tirava aria romena o cecoslovacca in quelle assemblee: ma della Romania e della Cecoslovacchia di [[Nicolae Ceaușescu|Ceausescu]] e di Husak, con l'idolatria dello Stato, con gli applausi unanimi, con la riduzione al silenzio degli oppositori. S'è sentito, a proposito sempre di Cervi, il sinistro termine «provocazione» con cui tutti gli oppressori legittimano i loro soprusi. Qualcuno di quei ragazzi pretende che esistano parentele tra questo movimento e quelli dell'Est, dimenticando che là ci si batte, a rischio della pelle, per instaurare non il regime dello statalismo, ma al contrario per abbatterlo e introdurre o reintrodurre quello di iniziativa privata in tutti i campi, compreso quello della cultura e della scuola. Che siano diventati, gli studenti di Berlino, di Praga, di Bucarest, fascisti anche loro? ====''Controcorrente – rubrica''==== {{cronologico}} *La cosa che più ci turba, delle nostre sconfitte sportive, è il grande, alluvionale bisticcio che si scatena fra i «tecnici» per giustificarle. Per quella di Stoccarda, che ci ha eliminato dal campionato del mondo, ne avremo – temiamo – per tutta l'estate: se ne parlerà più che di Caporetto. Noi tecnici non siamo, ma abbiamo la nostra idea. È questa: che non si possono mandare dei polli di batteria a competere con quelli ruspanti. Resta da capire perché noialtri non sappiamo allevare che polli di batteria. Ma ci sembra che questo sia sufficientemente spiegato da un piccolo episodio occorso a Roma, dove un gruppo di tifosi ha creduto di «vendicare» i suoi campioni (si fa per dire) assalendo con pomodori e uova l'ambasciata di Polonia. Ecco. Per un paese in cui la «sana passione sportiva» si effonde in simili manifestazioni, quegli undici mammozzi dalle gambe molli sono fin troppo, e fin troppo misericordiose le disfatte che subiscono. (25 giugno 1974) *Noi, di [[Fascismo|fascismi]] ne conosciamo e ne esacriamo uno solo: quello di chi appiccica questa etichetta a qualunque idea o opinione che non corrisponde alle sue. Di questo giuoco, la nostra [[sinistra in Italia|sinistra]] è spesso maestra. Non per nulla lo stesso [[Benito Mussolini|Mussolini]] veniva dai suoi ranghi. (10 luglio 1974) *In una conferenza stampa a Nuova Delhi, [[Henry Kissinger]] ha dichiarato che verrà a Roma e andrà a pranzo dal presidente Leone, ma non parlerà di politica perché quella italiana è, per lui, troppo difficile da capire. È la prima volta che Kissinger riconosce i limiti della propria intelligenza. Ma vogliamo rassicurarlo. A non capire la politica italiana ci sono anche cinquantacinque milioni di italiani, compresi coloro che la fanno. (31 ottobre 1974) *[[Dario Fo]], poeta di corte dell'ultrasinistra, flagella nella sua ultima fatica teatrale il senatore [[Amintore Fanfani]], responsabile di ogni nequizia passata, presente e futura. I sarcasmi più grevi hanno però come bersaglio il metraggio del notabile democristiano che, come tutti sanno, non è quello di un granatiere. [[Henri de Toulouse-Lautrec|Toulouse-Lautrec]], che per gli stessi motivi dovette per tutta la vita subire analoghe canzonature, disse una volta, giocando sulla lunghezza del suo doppio casato: «Ho la statura del mio nome». Non sappiamo se questo discorso si possa applicare a Fanfani. Certo, si applica a Fo. (11 giugno 1975) *[[Winston Churchill|Churchill]] diceva che «i panni dei servizi segreti si possono, anzi si devono lavare più spesso degli altri; ma, a differenza degli altri, non si possono mettere ad asciugare alla finestra». Dello stesso parere era [[Stalin]] che regolarmente, ogni tre o quattro anni, il lavaggio lo praticava facendo accoppare al buio i capi della sua polizia, nel presupposto – probabilmente fondato – che a far quel mestiere non potevano essere che arnesi da forca, e quindi era giusto che ci finissero. Gli [[Stati Uniti d'America|americani]] seguono tutt'altro criterio. Essi hanno trascinato la ''[[Central Intelligence Agency|Cia]]'' in televisione denunciandone ''coram populo'' fatti e misfatti. I suoi capi ne hanno commessi, dicono, di grossi. Ma il più grosso è forse quello di non aver capito che l'America non li paga per svolgere servizi segreti, ma per offrire agli americani il pretesto per vergognarsene. È l'unico popolo che goda più nel pentimento che nel peccato. (28 novembre 1975) *Non sempre, per redigere questa piccola rubrica, occorre forzare la fantasia. Qualche volta basta lasciare la parola alle agenzie di stampa ufficiali. Eccone un caso. L'agenzia Adn Kronos comunica: «Due giorni di sciopero sono stati dichiarati dai sindacati postelegrafonici milanesi per il 28 gennaio e per il 6 febbraio per protesta contro gli scioperi e i disservizi». (25 gennaio 1976) *L'Unità ci rimprovera di aver pubblicato il manifesto degl'intellettuali in favore della libertà. E ha ragione. Si tratta infatti di una illecita concorrenza perché finora i manifesti, gli appelli, le «veglie» e tutto il resto sono stati monopolio del Pci, unico partito capace di far cantare la gente in coro. Ma appunto per questo non vediamo di che si preoccupi. Gl'[[intellettuale|intellettuali]] italiani che preferiscono aver ragione da soli piuttosto che torto con gli altri, sono pochi. I più seguono la massima di [[Paul-Jean Toulet|Toulet]]: «Quando i lupi urlano, urla con loro». (1º giugno 1976) *Ieri [[Mario Melloni|Fortebraccio]], dalle colonne dell'«[[l'Unità|Unità]]», ha invocato per noi, previa qualche iniezione, il ricovero immediato, e a titolo definitivo, in manicomio. La cosa non ci stupisce: sappiamo benissimo che di manicomi e di iniezioni nessuno s'intende più dei comunisti: chi c'è passato giura che ci hanno fatto una mano da maestri. Ci stupisce però che Fortebraccio lo abbia implicitamente – e un po' anzitempo – riconosciuto. Forse gli è scappata. Alla sua età, succede. (10 dicembre 1976) *Cadendo oggi il trigesimo della scomparsa di Pietro Valdoni, vogliamo rievocare un episodio del grande chirurgo. Come tutti ricorderanno, fu lui ad operare, salvandogli la vita, [[Palmiro Togliatti]], ferito alla testa dalla rivoltella di Pallante. Quando ricevette la parcella, Togliatti la trovò salata, e accompagnò il pagamento con queste parole: «Eccole il saldo, ma è denaro rubato». Valdoni rispose: «Grazie per l'assegno. La provenienza non mi interessa» (23 dicembre 1976) *«Dio non è un maschio» assicura alle femministe Civiltà Cattolica, l'autorevole rivista dei gesuiti, scusandosi «delle tracce di antifemminismo che ancora sono nella Chiesa». Brutto segno quando i teologi si mettono a discutere di sesso. Fu mentre i bizantini si accapigliavano su quello degli angeli che arrivarono i turchi. (21 giugno 1977) *Riferiscono le cronache che l'America è in subbuglio per la morte di [[Elvis Presley]]. Oltre centomila persone si sono riversate a Memphis, sua ultima dimora, due donne sono rimaste uccise nella calca che si stringeva intorno alle spoglie del cantante. Il sindaco ha fatto abbrunare le bandiere in tutta la città, il presidente [[Jimmy Carter|Carter]] è stato flagellato di proteste perché non aveva proclamato il lutto nazionale e uno gli ha gridato al microfono: «Noi americani dobbiamo più a Presley che a [[George Washington|Washington]] e a [[Abraham Lincoln|Lincoln]] sommati insieme». Anche noi italiani dobbiamo qualcosa a Presley: una delle rare occasioni in cui preferiamo essere italiani piuttosto che americani. (20 agosto 1977) *È in corso una iniziativa per l'abolizione, nelle aule scolastiche, della pedana su cui si eleva la cattedra. Il perché lo avrete già capito: l'insegnante deve mettersi, anche materialmente, a livello degli alunni per non lederne la dignità e dimostrare con l'esempio che siamo tutti uguali. Giusto. «La via dell'uguaglianza – dice Rivarol – si percorre solo in discesa: all'altezza dei somari è facilissimo instaurarla». (29 ottobre 1977) *Fra gli annunci economici di Lotta Continua, ne è comparso uno che dice: «Compero a L. 100.000 una tesi di laurea, anche già presentata, purché tratti un argomento attinente all'[[Inghilterra]], o alla lingua, storia, letteratura inglese. Meglio se con una impostazione femminista». Curioso. Questi grandi [[Rivoluzione|rivoluzionari]], che dicono di battersi per costruire una società nuova di zecca, quando si tratta di lauree, si contentano anche di quelle usate e di seconda mano. (3 marzo 1978) *Credevamo che l'assassinio di Aldo Moro, così come è stato eseguito, fosse il colmo dell'infamia. Abbiamo dovuto ricrederci. Al comizio di protesta svoltosi in piazza Duomo a Milano subito dopo la macabra scoperta in via Caetani a Roma, un gruppo di ultrà ha gridato: «Moro fascista!». Preferiamo le [[zanne]] delle belve alla [[bava]] degli [[Sciacallo|sciacalli]]. (10 maggio 1978) *Ecco il nostro telegramma di congratulazioni e auguri a Pertini: «Che Dio le conceda il coraggio, Presidente, di fare le cose che si possono e che si debbono fare; l'umiltà di rinunziare a quelle che si possono ma non si debbono, e a quelle che si debbono ma non si possono fare; e la saggezza di distinguere sempre le une dalle altre». (9 luglio 1978) *Dall'indagine svolta da uno dei più seri istituti di ricerche demografiche, lo svizzero Scope, risulta che la professione più ammirata e rispettata, nel mondo, è quella dei medici. I giornalisti sono al penultimo posto. Ce ne sentiremmo profondamente avviliti se all'ultimo non vedessimo catalogati gli editori. (29 novembre 1978) *Prima di partire per Vienna, il presidente {{NDR|degli Stati Uniti}} [[Jimmy Carter|Carter]] ha fatto due dichiarazioni. La prima: «Ci auguriamo che il signor Breznev {{NDR|allora presidente dell'Unione Sovietica e Primo Segretario del PCUS}} abbia per le nostre ragioni la stessa comprensione che noi abbiamo per le sue». La seconda: «Se Ted Kennedy si presenta contro di me alle elezioni presidenziali, gli faccio un c.o così» Il triviale [[Richard Nixon|Nixon]] avrebbe potuto dire le stesse cose, ma certamente ne avrebbe invertito l'ordine di priorità riservando la comprensione a Kennedy ed il c.o a Breznev. La differenza fra i due è tutta qui. (16 giugno 1979) *Avvicinandosi il 25 dicembre, decine di migliaia di teneri [[abete|abeti]] vengono strappati dai boschi della Penisola per allestire il tradizionale albero di Natale. Ogni anno lo scempio si ripete, tra la generale indifferenza. Soppresso l'Ente protezione animali, figuriamoci se qualcuno ha voglia di proteggere gli alberi. Diciamo la verità: la sola pianta che interessi all'[[italiano medio]] è la pianta stabile. (19 dicembre 1979) *Nel Manifesto di domenica scorsa tale K.S. Karol faceva considerazioni amare sulla rivoluzione cubana e sui suoi fallimenti: «[[Fidel Castro|Fidél]] – ha ricordato il commentatore, uno dei tanti orfani delle illusioni di sinistra – prometteva ai cubani per il 1965 un tenore di vita pari a quello svedese». Certo Fidél si è sbagliato di grosso; non per cattiva volontà, ma per mancanza di uomini, anzi di un uomo. Sarebbe bastato che anche la Svezia avesse uno suo Castro al potere per ritrovarsi in pochissimi anni con un tenore di vita pari a quello cubano. (15 aprile 1980) *Riferiscono le cronache che quando è giunta in tribunale la notizia dell'assassinio di Walter Tobagi, il brigatista Corrado Alunni l'ha accolta con una sghignazzata di tripudio. Abbiamo sempre combattuto la pena di morte sul presupposto che l'uomo non ha il diritto di uccidere l'uomo. Il presupposto lo confermiamo. Ciò di cui cominciamo a dubitare è che gli Alunni e quelli come lui siano uomini. Sui cadaveri sghignazzano le jene. (30 maggio 1980) *A Mirafiori, parlando agli operai della Fiat in sciopero, il sindaco di Torino, Novelli, se l'è presa coi giornalisti e li ha additati all'uditorio come falsari che ricalcano i loro resoconti non sui fatti, ma sulle «veline» distribuite loro dai «padroni». Anche Novelli ha fatto il giornalista in un foglio comunista, e quindi di veline e di padroni è certamente un intenditore. Ma se dopo questa denuncia ci scappa un altro Casalegno, sarà molto gradita la sua assenza ai funerali. (8 ottobre 1980) *Grandi elogi – dopo il successo del blitz di Trani – alle «teste di cuoio» italiane. La loro azione ha dimostrato quanto poco valesse la strategia della flessione propugnata di alcuni personaggi. Teste anche loro: ma di che? (31 dicembre 1980) *Fra i tanti slogans che il partito socialista francese ha lanciato in occasione delle elezioni presidenziali per rassicurare i bravi borghesi sottolineando il proprio carattere moderato e riformista, abbiamo letto anche questo: «Il socialismo può fare di chiunque un milionario». Ci crediamo senz'altro. A patto che quel chiunque fosse prima un miliardario. (8 maggio 1981) *Per gl'italiani, finora, il nome di Gelli era quello dell'autore del più famoso e autorevole codice cavalleresco. Anche oggi rimane legato a un codice. Quello penale. (9 maggio 1981) *L'elenco degli affiliati alla P2 comprende, dicono, 953 nomi, cui corrispondono i più alti gradi della politica, della magistratura, delle forze armate, della burocrazia, dell'industria, della finanza. Tutti «fratelli». È la riprova che, in questo Paese, guai ai figli unici. (11 maggio 1981) *Macché pazzo! L'attentatore del Papa deve essere un furbo matricolato. Dichiarandosi seguace di George Habbas e della causa palestinese, ha cercato di procurarsi la solidarietà dei molti, dei moltissimi, che non battono ciglio quando un terrorista cerca di spedire qualcuno all'altro mondo. Purché il terrorista appartenga al terzo. (16 maggio 1981) *Studiosi cinesi, mettendo a confronto reperti di ominidi dissimili tra loro tanto da far pensare che l'uomo discenda anche da animali diversi dalla [[scimmia]], sono arrivati alla conclusione che i nostri progenitori erano comunque scimmie, ancorché di specie differenti. Ci pare logico. Quale altro animale avrebbe potuto imitare la scimmia che ha dato l'avvio alla razza umana se non un'altra scimmia priva di senso critico? (19 maggio 1981) *Una nostra redattrice andata per una sua cronaca sul femminismo alla «libreria delle donne» in via Dogana a Milano, è stata accolta da una di loro con queste parole: «Con te non parlo perché sei di un giornale fascista, e anche tu hai la faccia da fascista». La nostra redattrice, che ha ventun anni, probabilmente non sapeva bene cosa fosse il fascismo. Ora lo sa: lo ha imparato in quella libreria. (4 novembre 1981) *Come previsto, la Juventus ha conquistato il [[Serie A 1981-1982|ventesimo scudetto]] battendo il Catanzaro. Una vittoria di rigore. (17 maggio 1982) *Socialisti e comunisti si sono opposti alle sanzioni economiche contro l'Argentina perché, hanno detto, una buona metà degli argentini sono di origine italiana, e molti di loro conservano tutt'ora la nostra nazionalità. Vero. Ma non ci eravamo accorti che queste sinistre spasimassero tanto d'amore per i nostri connazionali di laggiù quando si trattava di riconoscergli il diritto di voto. (22 maggio 1982) *Se si va avanti di questo passo, la [[guerra delle Falkland]] (o Malvine) finirà quando l'ultimo aereo argentino sarà abbattuto col suo carico di bombe sull'ultima nave inglese. E dire che questa lotta di leoni si svolge per un'isola di Pecore. (27 maggio 1982) *Tutti abbiamo trepidato ieri, davanti al televisore, per le sorti della squadra azzurra, tutti ci siamo entusiasmati alle sue gesta, tutti abbiamo salutato con orgoglio la sua vittoria. Ma il tipo di patriottismo che questa ha suscitato nelle strade delle nostre città, messe a soqquadro dai tifosi scalmanati che usavano il tricolore a copertura del peggior teppismo, ci ha fatto rimpiangere di non essere nati brasiliani. (6 luglio 1982) *Mai visto così tanto entusiasmo patriottico, tanti tricolori per le strade come per la finale degli azzurri al Mundial. Nella tomba di Caprera, le ossa di [[Giuseppe Garibaldi|Garibaldi]] fremono di invidia. Per unificare l'Italia «in un solo grido, in una sola passione» gli erano accorsi mille uomini. A [[Enzo Bearzot|Bearzot]] ne sono bastati undici. (12 luglio 1982) *Gli scrittori [[Mario Soldati]] (Psi) e [[Gianni Brera]] (Psi) sono stati trombati {{NDR|non sono stati eletti}}. Peccato. Il Parlamento era l'unico posto in cui, dovendo parlare per gli altri, forse avrebbero finalmente taciuto. (1º luglio 1983) *Che [[Bettino Craxi|Craxi]] sia uomo di grandi capacità e ambizioni, lo si sapeva. Che sia anche uomo di grande coraggio, lo si è visto ieri, quando pronunciava alla Camera il suo discorso di replica. Per due volte si è interrotto alla ricerca di un bicchier d'acqua. Per due volte [[Giulio Andreotti|Andreotti]] glielo ha riempito o porto. E per due volte lui lo ha bevuto. (13 agosto 1983) *Condannato dal tribunale di Reggio Emilia per bestemmie e turpiloquio contro la Chiesa, [[Roberto Benigni]] avrebbe qualche ragione di considerarsi vittima di un'ingiustizia. Proprio il giorno prima la Chiesa riabilitava [[Martin Lutero]], scomunicato ai suoi tempi pressappoco per gli stessi motivi. Come cambia, coi tempi, la sorte degli uomini! È inquietante pensare che Benigni, se fosse vissuto cinquecent'anni fa, sarebbe forse diventato Lutero. Ma addirittura sconvolgente è che Lutero, se fosse nato cinquecent'anni dopo, sarebbe forse diventato Benigni! (8 novembre 1983) *Il più autorevole giornale americano di economia e finanza, il Wall Street Journal di martedì 10 gennaio, è incorso in un curioso lapsus. Parlando del concordato fra lo Stato italiano e la Santa Sede, scrive che esso «venne firmato nel 1929 da Bettino Mussolini». Chissà, se lo legge, come si arrabbia Benito Craxi. (12 gennaio 1984) *È comparsa sui giornali la pubblicità di una nuova opera di Fanfani, intitolata «La Dc e la svolta degli anni 80». L'editore avverte che si tratta di un libro formato «tascabile». Dato l'autore, poteva andare diversamente? (16 gennaio 1984) *È vero: la [[Juventus Football Club|Juventus]], a Basilea, non ha fatto una gran figura. Giocando con più cervello, poteva vincere comodamente 4-0. Ma attenti a non giudicare troppo severamente il Porto. Quello di Genova va molto peggio. (18 maggio 1984) *Il trentanovenne James Nelson, condannato da un tribunale di Londra a quindici anni per avere ucciso la madre a colpi di mattone, ha sentito, chiuso in cella, la vocazione sacerdotale: si è messo a studiare teologia, e ora sta per diventare prete nella chiesa scozzese. «È mia intenzione – ha dichiarato – contribuire alla edificazione di una nuova società». Si può credergli: i mattoni ha dimostrato di saperli usare. (25 maggio 1984) *L'agenzia Agi informa, con un drammatico flash, che il ministro [[Giulio Andreotti|Andreotti]], «impegnato in una riunione superistretta con gli altri 15 ministri degli esteri della Nato, perderà la partita [[Associazione Sportiva Roma|Roma]]-[[Liverpool Football Club|Liverpool]]». È giusto il fatto che faccia notizia: è la prima volta che Andreotti perde qualcosa. (31 maggio 1984) *Presso la Presidenza del Consiglio, a palazzo Chigi, è stata istituita una commissione di giuristi per la completa parificazione dei diritti fra i due sessi. Finalmente! Era ora che ce la riconoscessero, a noi uomini. (16 ottobre 1984) *La riforma dei programmi della scuola elementare, cui sta lavorando il Ministro Falcucci, introdurrà nella terza, quarta e quinta classe l'insegnamento di una lingua straniera. Non è specificato quale. Speriamo che si tratti dell'italiano. (21 gennaio 1985) *Un certo [[Nichi Vendola]], dirigente della Federazione giovanile comunista, ha lanciato l'idea di riconoscere formalmente un «diritto dei bambini ad avere rapporti sessuali tra loro o con gli adulti». Vendola ha detto di aver attinto questa idea all'esperienza di molti padri. A conferma di quanto scrive [[Georges Courteline|Courteline]] nella sua «Filosofia»: «Uno dei più chiari effetti della presenza di un bambino in una casa è di rendere completamente idioti dei genitori che forse, senza di lui, sarebbero stati degl'imbecilli comuni». (26 marzo 1985) *I tecnici di calcio sono rimasti stupiti dalla prova del [[Real Madrid Club de Fútbol|Real Madrid]] che nella semifinale della coppa Uefa ha letteralmente travolto i modesti giocatori dell'[[Football Club Internazionale Milano|Inter]]. I madrileni hanno proprio vinto a biglia sciolta. (26 aprile 1985) *Quando [[Sandro Pertini]] è apparso sul video di Raiuno che trasmetteva la premiazione del concorso ippico di Roma, il cronista ha commentato: «Anche i cavalli, come vedete, sono gentili col Presidente». Era vero. Forse meritano di essere fatti cavalieri. (5 maggio 1985) *I tifosi rossoneri sono in festa per la notizia che Berlusconi sta per acquistare il loro Milan. Sono convinti che in un battibaleno ne farà una squadra da scudetto, da coppa delle coppe, da tutto, e forse hanno ragione. C'è un solo pericolo: che il neo-presidente voglia fare anche il direttore tecnico, l'allenatore, il massaggiatore, il capitano e il centrattacco. Il che potrebbe andar anche bene. Ma ad una condizione: che possa fare anche l'arbitro. (27 dicembre 1985) *Rete Quattro e Italia 1 sono state multate per violazione del decreto che proibisce la propaganda al consumo del tabacco. Lo spot incriminato è quello che, parlando del «Camel Trophy», ostentava un pacchetto di sigarette della ditta sponsorizzatrice. Strano Paese, il nostro. Colpisce i venditori di sigarette, ma premia i venditori di fumo. (13 marzo 1986) *Molti lettori ci chiedono quale missione sta svolgendo l'on. Capanna a Tripoli, quali motivi l'hanno spinto da Gheddafi. Non ne sappiamo granché: non siamo abituati a ficcare il naso nelle altrui questioni di famiglia. (1º giugno 1986) *Oggi Paolo Pillitteri sarà designato alla successione di Tognoli come sindaco di Milano. Lo dipingono come uomo intelligente, efficace, insomma pieno di qualità. Purtroppo, gli manca quella fondamentale: il celibato. (5 dicembre 1986) *Finalmente, dopo sette anni di esilio a Gorky, l'impavido Andrei Sacharov è tornato a Mosca. Speriamo che Gorbaciov ci resti. (24 dicembre 1986) *L'agenzia Ansa riferisce che da un sondaggio operato in Francia su un pubblico internazionale, risulterebbe che il maschio italiano detiene ancora il primato mondiale della seduzione. Speriamo che i giornali non riportino la notizia: gl'italiani sarebbero capaci di crederci. (15 marzo 1987) *Per la prima volta nella storia della Corte Costituzionale, il nuovo presidente, Francesco Saja, è stato eletto al primo scrutinio. Ma il rivale sconfitto, Ferrari, ha sollevato eccezione accusando il vincitore di averlo battuto grazie a un «compromesso storico» fra elettori democristiani e comunisti, aggravato da un intrallazzo fra siciliani. Vero o falso, dalla Corte al cortile. (5 giugno 1987) *Ieri tutti i telegiornali ci hanno martellato negli occhi le immagini dei capibastone – Craxi, De Mita, Spadolini, Altissimo ecc. – che infilavano la scheda nell'urna. I loro volti raggiavano di soddisfazione. Erano gli unici elettori matematicamente sicuri di aver dato il voto al candidato ideale. (15 giugno 1987) *In una scuola di Chattanooga, nel Tennesse (Usa), due sedicenni, approfittando dell'assenza dell'insegnante, si sono baciati e hanno fatto l'amore davanti a una decina di compagni, niente affatto scandalizzati. Dato il lassismo di certe scuole americane, gli esami in cui gli studenti riescono meglio sono proprio queste prove orali. (4 giugno 1988) *Diciannove persone hanno dichiarato d'aver visto aggirarsi, tra le quinte della Scala, il fantasma di [[Maria Callas]]. Non ci meravigliamo, anche perché migliaia di altri frequentatori del massimo teatro lirico italiano sostengono da tempo di vedere, alla Scala, il fantasma della Scala. (28 giugno 1988) *Scoprendo le istituzioni britanniche con un secolo e mezzo di ritardo, i comunisti sembrano fermamente intenzionati a formare il loro «shadow Cabinet». Ma onestamente non ne afferriamo la ragione. Non c'è nessun bisogno di un governo ombra per contrastare quest'ombra di governo. (5 maggio 1989) *Da un sondaggio condotto tra i francesi risulta che il personaggio più noto d'Oltralpe è [[Marcello Mastroianni]], conosciuto dall'83 per cento degli intervistati. Il 97 per cento dei francesi invece confessa di non sapere chi sia [[Ciriaco de Mita|Ciriaco De Mita]]. Quando si dice un Paese fortunato... (20 maggio 1989) *Gerardo Iglesias, che fu segretario generale del partito comunista spagnolo dall'82 all'88, ha lasciato l'attività politica per riprendere il suo lavoro di minatore di carbone, «l'unico modo in cui posso guadagnarmi degnamente la vita». Alcuni dirigenti del Pci, a quanto risulta, vorrebbero imitarne l'esempio, tornando al vecchio lavoro. Il difficile è trovare chi ne aveva uno. (1º giugno 1990) *Durante la festosa «notte del mondiale», la polizia romana ha arrestato, nelle vicinanze dello stadio olimpico, 29 borsaioli e scippatori. Il signor [[Edgardo Codesal Méndez|Codesal Mendez]], arbitro della partita [[Nazionale di calcio della Germania|Germania]]-[[Nazionale di calcio dell'Argentina|Argentina]], non figura nell'elenco. (10 luglio 1990) *Il giudice veneziano Casson ha convocato, per la storia del Gladio, il presidente [[Francesco Cossiga|Cossiga]], e l'Italia leguleia è in subbuglio: la Costituzione, pure, si è dimenticata di precisare se il Capo di Stato può essere chiamato a rispondere, sia pure da testimone, a un qualunque magistrato. Il quale però ha ora la fotografia su tutti i giornali. E tutti possono ammirarla chiedendosi che cosa passa in quella testa, la testa di Casson. (10 novembre 1990) *Gli studenti italiani manifestano rumorosamente per la [[pace e guerra|pace]] e contro la [[pace e guerra|guerra]]. La guerra, diceva [[Georges Clemenceau|Clemenceau]], è una cosa troppo seria per lasciarla fare ai militari. Ma anche la pace è una cosa troppo seria per lasciarla fare ai pacifisti. (20 gennaio 1991) *Occupandosi – tra tanto Golfo – del Festival di Sanremo il Tg3 ci ha dato, finalmente, ieri sera, una notizia credibile: il livello delle canzoni, ha detto, è destinato a salire. Infatti: sentite le prime è impossibile che scenda. (1º marzo 1991) *Da un'indagine risulta che il 41,9% degli italiani non considera illecito l'assenteismo dal lavoro e che il 41,3% non considera peccato le infedeltà coniugali. La coincidenza delle due cifre spiega in che modo gli statali impiegano il tempo che dovrebbero dedicare all'ufficio. (3 ottobre 1991) *A quest'ora [[Ernesto Balducci|Padre Balducci]] è di fronte al Supremo Giudice, nel quale affermava di credere. Almeno a Lui dovrà spiegare non ciò che diceva contro la Chiesa, ma perché lo diceva travestito da frate. (26 aprile 1992) *Nell'ultima tornata presidenziale è emerso, con un bel pacchetto di 20 voti, Aldo Aniasi. Finalmente. In questo imperversare di tangenti e bustarelle, era ora che qualcuno si ricordasse di lui. (24 maggio 1992) *Per sfatare le malevole dicerie su certe bestie, il presidente degli «animalisti» italiani ha offerto un premio di 200 milioni a chi potrà dimostrare che i corvi scrivono lettere anonime e che le talpe fanno le spie. È vero: di simili casi non ne conosciamo. Ma di somari che fanno i presidenti, ne conosciamo parecchi. (5 luglio 1992) *Dopo le invettive e i clamori da cui il presidente del consiglio [[Giuliano Amato|Amato]] è stato accolto in Senato per la sua insensibilità alla crisi morale che investe il Paese, il dibattito sulla medesima si è svolto, a Montecitorio, in un'aula deserta. Sì, una crisi morale, per la nostra classe politica esiste: lo dimostra il vuoto in cui l'ha lasciata cadere. (14 marzo 1993) *«I socialisti – ha detto l'ex ministro della Difesa Salvo Andò – devono andare tutti nudi verso la meta di un nuovo sistema politico». Come faranno senza le tasche? (24 maggio 1993) *Il candidato del Psi per le elezioni a sindaco di Roma sarà Niccolò Amato. Assennata scelta. Ex direttore delle carceri, Amato è certamente il più qualificato a rappresentare quel partito. (23 settembre 1993) *Giovedì sera annuncio a sorpresa di [[Emilio Fede]] nel suo Tg4: «Adesso – ha detto – voglio parlarvi di informazione». C'è sempre una prima volta. (8 gennaio 1994) *Secondo un sondaggio della Diacron (gruppo Fininvest), l'82 per cento dei lettori del «Giornale» sarebbe schierato con Berlusconi. Vero. Almeno com'è vero che Berlusconi diventerà presidente del Consiglio. (12 gennaio 1994) ====''La parola ai lettori – rubrica''==== *I tennisti italiani hanno disputato la finalissima di Coppa Davis a Praga, e nessuno ha battuto ciglio. Le squadre di calcio italiane frequentano gli stadi dell'Est, a cominciare da quelli russi, e i puristi della democrazia non ci trovano nulla a ridire. Ma per l'[[Uruguay]] – che con i suoi tre milioni di abitanti e la sua posizione geografica non mi pare possa essere considerato una minaccia troppo grave alla libertà dei Paesi democratici – c'è puntuale la protesta. Come se l'Uruguay potesse invadere, espandersi, insidiare, inviare – direttamente o indirettamente – eserciti di mercenari in mezzo mondo, e l'[[Unione Sovietica]] no. Possiamo capire gli intransigenti della democrazia: ma possiamo soltanto disprezzare i farisei che hanno l'indignazione dimezzata. Si calmino Bruno Conti e Pruzzo. Né l'Uruguay, né il suo regime, meritano tante ansie e tanta ostilità. Mosca è più vicina – lo sanno bene i polacchi – e Kabul anche. (31 dicembre 1980) *Non abbiamo mai «coperto», come si usa dire, questo nostro socio (che ha il 37, non il 36% del Giornale), anche perché non vediamo da cosa dovremmo coprirlo. [[Silvio Berlusconi|Berlusconi]] non è né un politico né un gerarca civile o militare, e non svolge nessuna pubblica funzione incompatibile con l'appartenenza alla massoneria. È un privato imprenditore e cittadino che quando fa una balordaggine (e l'iscrizione alla P2 lo è) la fa a proprio rischio e pericolo. Come lei avrà visto, il suo coinvolgimento nella P2 non ci ha impedito di dire, di Gelli e della sua banda, tutto il male che ne pensiamo. (31 maggio 1981) *In tutti questi anni che è stato con noi, {{NDR|Silvio Berlusconi}} si è sempre comportato nella maniera più signorile, ed anche in questa circostanza ci ha dato le più ampie garanzie. (14 aprile 1987) *Nel panorama sudamericano il [[Cile]] è oggi uno di quei paesi economicamente più solidi e con maggior progresso, tanto da meritare gli elogi del Fondo monetario internazionale. Ma la postilla impone a sua volta una precisazione. È più facile fare il risanamento economico monetario in Cile, dove i sindacati sono inesistenti o impotenti, che non in [[Argentina]], dove il sindacato incalza il governo e pretende aumenti salariali il cui ritmo sia adeguato al ritmo dell'inflazione. [...] Pinochet è quello che è. Il suo plebiscito per la Costituzione del 1980 fu indetto in circostanze che gli tolgono ogni valore. E gli inizi del regime militare furono sanguinari. Però il Cile di oggi ha un livello di libertà e di dialettica politica – nonostante Pinochet – che tanti paesi del Terzo mondo vezzeggiati dai nostri democratici dovrebbero invidiargli. Come ha osservato un lettore, né l'Etiopia né lo Zaire né la Siria, né il Nicaragua avrebbero tollerato corrispondenze come quelle che gli inviati della Rai diffondono, in diretta dal Cile. (16 aprile 1987) *Mai le nostre prese di posizione su problemi e personaggi sono state non dico condizionate, ma influenzate dalle personali amicizie o preferenze di Berlusconi. Per la verità, l'editore chiese una volta a titolo di favore, un «occhio di riguardo» per la sua creatura prediletta. Non la televisione, come i lettori saranno stati forse indotti a pensare, ma il [[Associazione Calcio Milan|Milan]]. Sottoposi questa sommessa istanza alla redazione sportiva. La risposta fu una lettera collettiva di dimissioni. Caso chiuso. Da allora rinuncio a leggere le cronache delle partite del Milan, per non dovermi dispiacere del dispiacere che ne prova probabilmente Berlusconi. (17 aprile 1988) *Come già ho scritto, e qui mi piace ripetere, la designazione di [[Francesco Cossiga|Cossiga]] al Quirinale fu la scelta dell'uomo giusto al posto sbagliato. Sappiamo benissimo chi la volle. Ma sappiamo altrettanto bene che fu avallata anche da quegli uomini e partiti che ora si scagliano contro di lui e lo accusano, apertamente o copertamente, di fellonia. La classe politica, nella quale egli ha militato da sempre e che quindi da sempre lo conosceva, doveva sapere che l'onesto (perché tale è) Cossiga non era uomo da Quirinale. Eppure, per i suoi sporchi giochi di potere, ce lo mandò. Ora dovrebbe sentire il dovere di difenderlo dagli sciacalli che lo attaccano da tutte le parti. (22 dicembre 1990) ===''La Stampa''=== <!--ordine cronologico--> *Intorno alle «cattedrali nel deserto» impiantatevi dalla cosiddetta mano pubblica, [...] o trasferitevi dal Nord con l'adescamento degli «incentivi», e sotto la nuvolaglia di fumo che sgorga dalle loro ciminiere, si gonfiano alla carlona e selvaggiamente dirompono, senza nessun criterio urbanistico, senza piano regolatore, senza servizi, spesso anche senza acquedotto e senza fogna, degli agglomerati urbani che solo per il numero degli abitanti si possono chiamare città. [...] È nata soltanto, insieme a una forsennata speculazione edilizia che per sfruttare all'osso l'area fabbricabile accumula con cattivo cemento un piano sull'altro finché crollano sulla testa degl'inquilini, la sorda rabbia contro la città di un contadiname analfabeta che se n'è visto succhiare la linfa vitale, e quando vi cala, lo fa da nemico e vandalo. Questo è il panorama del Mezzogiorno dopo vent'anni e più di Cassa, che hanno raschiato dalle tasche dei contribuenti migliaia di miliardi. (da ''[http://www.archiviolastampa.it/component/option,com_lastampa/task,search/mod,libera/action,viewer/Itemid,3/page,3/articleid,1118_01_1973_0272_0003_16218908/ La protesta contadina]'', 18 novembre 1973, p. 3) *La politica meridionalistica è tutta dominata da questo sottofondo psicologico. Essa vuole l'industrializzazione di Stato non soltanto perché [...] l'industrializzazione può essere fatta soltanto dallo Stato o da imprese al servizio dello Stato; ma anche perché più queste imprese si sviluppano, e più si riduce il margine di quell'imprenditoria privata che i meridionali, non riuscendo a emularla, mirano a ostacolare e ridurre, sottraendole il pubblico risparmio. Con l'agricoltura non avrebbero potuto perseguire questi scopi punitivi. L'unica arma per mortificare e battere l'industria privata è l'industria statale o parastatale. Questa, intendiamoci, esisteva digià: è un portato dei tempi moderni. Ma non c'è dubbio che la politica meridionalistica, come la si è praticata finora e tutto lascia credere che si seguiterà a praticarla, le ha offerto un'ideale occasione. (da ''[http://www.archiviolastampa.it/component/option,com_lastampa/task,search/mod,libera/action,viewer/Itemid,3/page,3/articleid,1118_01_1973_0284_0003_16222766/ Industrie "in colonia"]'', 2 dicembre 1973, p. 3) *Lo Stato, con [[Venezia]], ha contratto un solo impegno: di destinare al suo risanamento 300 miliardi di lire in cinque anni. Di dove li prenda, non ha nessun interesse. Può darsi che una parte li attinga proprio a quel prestito. Ma non vi è tenuto, né si vede perché dovrebbe esserlo. Ciò che da esso si può e si deve esigere è che eroghi effettivamente quei 300 miliardi alle scadenze per le quali si è impegnato: 25 miliardi per il '73, 60 nel '74, 90 nel '75, e su su fino alla chiusura dei conti nel '77. Due sole cose restano da dire. Primo. All'origine dell'equivoco c'è di certo quello che i francesi chiamano l'''esprit mal tourné'', cioè la diffidenza degl'italiani nei confronti dello Stato. Ma all'origine di questa diffidenza c'è altrettanto certamente l'incapacità o la renitenza dei nostri governanti a spiegare [...] ciò che fanno. Secondo. I soldi [...] stavolta ci sono. E diamo pure per scontato che saranno erogati con puntualità. Ma dove sono gli strumenti per spenderli, specie quelli affidati in gestione a degli Enti locali, che fin qui non sono stati capaci di dragare un canale né di riparare la spalletta d'un ponte? Non vorremmo che anche tutti questi miliardi andassero ad alimentare l'immenso deposito di «residui passivi», cioè di somme stanziate ma non impiegate, che già affligge il nostro Paese. Non lo vorremmo. Ma lo temiamo. (da ''[http://www.archiviolastampa.it/component/option,com_lastampa/task,search/mod,libera/action,viewer/Itemid,3/page,1/articleid,1111_01_1974_0009_0001_21345708/ Venezia, molti miliardi e lo Stato]'', 11 gennaio 1974, p. 1) *E ora addio, caro lettore, e grazie dell’ospitalità. Ti confesso che, entrando in casa tua, ero molto imbarazzato. Ma mi bastò poco per accorgermi che di questo imbarazzo voi soffrite quasi quanto coloro a cui lo incutete. Esentàtemi da una dichiarazione di amore perché a gente come voi è difficile farne. Ma in questo pudore mi sento vostro pari e vostro complice. Avrò un giornale a Milano e, e cercherò di farlo molto bello, bellissimo. Ma anche se ci sarò riuscito, seguiterò a rimpiangere il vostro. Mi dicevano che ci avrei sofferto il freddo. Ci ho trovato, sotto una coltre di silenzio, il caldo. (da ''[http://www.archiviolastampa.it/component/option,com_lastampa/task,search/mod,libera/action,viewer/Itemid,3/page,3/articleid,1112_01_1974_0087_0003_16390798/ Congedo dal Piemonte]'', 21 aprile 1974, p. 3) {{Int|''[http://www.archiviolastampa.it/component/option,com_lastampa/task,search/mod,libera/action,viewer/Itemid,3/page,9/articleid,1118_01_1973_0284_0009_16222725/ Chi era il vecchio leone del deserto]''|Articolo su ''La Stampa'', 2 dicembre 1973.|h=4}} *Senza Ben Gurion, non so se Israele sarebbe stato migliore o peggiore di quel che è. Certo, sarebbe stato diverso. Il titolo di «Padre della Patria» non può contestarglielo nessuno. [...] Egli stesso mi raccontò lo sgomento da cui fu còlto quando, non ancora ventenne, sbarcò a Giaffa dopo un lungo periplo a bordo d'un cargo. A procurarglielo non furono i funzionari turchi che allora governavano il Paese, e nemmeno gli arabi che formavano il grosso della popolazione; ma gli ebrei, quasi tutti latifondisti e mercanti perfettamente inseriti nel «sistema» e unicamente intesi ai propri affari. Erano dunque quelli i depositari della Terra Promessa, che non sapevano neanche l'ebraico, o comunque si rifiutavano di parlarlo? Forse ne sarebbe fuggito, se nell'interno non avesse scoperto alcune isolate fattorie collettive, dove i nuovi immigrati lavoravano la terra con le proprie mani e di notte montavano la guardia, uomini e donne, per difendere le loro vite e i loro raccolti dalle razzie degli arabi. *Comprese subito che solo redimendo la terra col loro lavoro manuale e contrapponendo al latifondismo arabo la fattoria collettiva, gli ebrei potevano legittimare la riconquista dei loro antico «focolare». Militarmente, egli non attaccò mai gli arabi. Aspettò che il loro sistema si disgregasse da sé, e ci volle poco. Battuti sul mercato dai prodotti del ''kibbutz'', i latifondisti arabi vendettero i loro feudi al «Fondo Nazionale Ebraico» per andare a sperperare l'incasso nei ''Casinos'' di Beirut e della Costa Azzurra, e i braccianti rimasero senza lavoro perché i nuovi padroni usavano le braccia proprie. Il conflitto è tutto qui: nell'impossibilità di coabitazione di una scalcagnata economia feudale con un'efficientissima economia socialista. I motivi religiosi e razziali li ha aggiunti la propaganda. *Come tutti i veri politici, Ben Gurion era un pragmatista, cioè un uomo che attingeva le idee dalla pratica delle «cose», non viceversa. E l'esperienza fatta nella lotta per la manodopera ebraica lo aveva persuaso che con gli arabi non c'era [...] possibilità di compromesso. Uno Stato palestinese misto di arabi e di ebrei, lo considerò sempre una chimera per il semplice motivo che in poche generazioni, col loro potenziale demografico quattro volte superiore, gli arabi avrebbero mangiato gli ebrei. [...] Già nella guerra del '48 egli avrebbe potuto annettersi la Cisgiordania: ci rinunziò per non mettersi in corpo seicentomila arabi. L'anno dopo rifiutò per lo stesso motivo la cosiddetta «striscia di Ghaza» che il suo brillante generale Allon aveva sforbiciato dall'Egitto. E dopo la guerra dei sei giorni, sebbene ormai lontano dal potere, non ha fatto che ammonire contro una politica di annessioni territoriali disgiunta da un adeguato incremento di popolazione ebraica. Non ha mai dialogato che con l'Occidente. Con gli arabi, non ha seguito che una diplomazia: quella dei confini. *Le nuove esigenze della produzione e della guerra imponevano un altro «rovesciamento della piramide»: il miracolo della guerra dei sei giorni fu dovuto a un esercito di tecnici altamente specializzati, in cui anche il semplice aviere era un ingegnere. Il posto del ''kibbutz'' [...] veniva preso dall'Università che riconvertiva il contadino in professore. Ben Gurion non poteva interpretare questo nuovo corso. Era troppo vecchio e legato all'altro. Ma non lo comprese, non poteva comprenderlo, per conservare il potere ricorse a tutte le armi del suo repertorio, anche le meno regolamentari, giunse a rinnegare e a rompere il proprio ribelle partito. E neppure a battaglia persa si rassegnò. Dal fondo del suo rifugio alle soglie del deserto ha continuato tutti questi anni ad alluvionare di ammonimenti, maledizioni, anatemi i suoi vecchi amici trattandoli da nemici. [...] Quello che si chiude con Ben Gurion è il capitolo del pionierismo: il più eroico e glorioso, quello destinato, via via che si allontanerà nel tempo, ad essere ricordato dagl'israeliani con sempre più struggente nostalgia. {{Int|''[http://www.archiviolastampa.it/component/option,com_lastampa/task,search/mod,libera/action,viewer/Itemid,3/page,3/articleid,1112_01_1974_0081_0003_16388814/ La strada lunga di Golda]''|Articolo su ''La Stampa'', 14 aprile 1974.|h=4}} *{{NDR|[[Golda Meir]]}} Aveva poco più di vent'anni quando approdò in Israele, frammista ai «padri pellegrini» della «seconda ondata» che subito dopo la [[prima guerra mondiale]] vennero a riprendere possesso della loro antica terra con la ferma intenzione non d'insabbiarcisi com'era successo ai loro predecessori della fine dell'Ottocento, ma di riscattarla e di farne il «focolare» degli ebrei. Tutta la sua visione politica [...] era condizionata da questa esperienza di oltre mezzo secolo di sacrifici e di lotte. [...] Oggi molti in Israele si domandano se a questi pionieri non restava davvero altra strada che quella dell'urto frontale con la popolazione araba della Palestina. Ma questi dubbi sono un lusso ch'essi si possono concedere solo perché i loro babbi e nonni non ne ebbero. Costoro fecero quello che fecero perché non potevano far altro. Ciò che rendeva impossibile la coabitazione fra le due popolazioni non era la incompatibilità razziale e religiosa, ma quella economica e sociale. Il latifondo sceiccale non poteva convivere col ''kibbutz'' socialista. È qui l'origine di un conflitto che nessuna diplomazia poteva sanare. Una pace fra israeliani e arabi è possibile; una simbiosi, no. Ancor oggi chi parla di «Stato misto» si gingilla con le astrazioni. *Fu lei che [...] raggiunse travestita da cammelliere l'emiro Abdullah di Giordania [...] e da nemico se lo fece amico, o almeno neutrale. Non sono mai riuscito ad appurare se [[David Ben Gurion|Ben Gurion]] ebbe una parte, e quale, in questo «giallo» fra il diplomatico e lo spionistico. Ma molte cose m'inducono a credere che a programmarlo fu proprio lei, Golda, anch'essa ben decisa a innalzare, fra arabi ed ebrei, una cortina di ferro, ma con qualche porta che consentisse all'occorrenza il dialogo. [...] I due furono amici e compari per decenni. [...] Probabilmente anche al tempo in cui facevano coppia nel partito e nel governo si parlavano tra loro in quel linguaggio da fureria. Quanto a imperiosità e autoritarismo, si valevano. [...] Con la sua voce arrugginita dalle sigarette [...] diceva piattamente e banalmente delle cose piatte e banali, solo ravvivate da qualche squarcio d'un umorismo massiccio come una scarpa di soldato; ma senza mai togliere di dosso all'interlocutore il suo vigile sguardo cilestrino alla fiamma ossidrica. E da quella specie di sporta per la spesa che, adibita a borsa, essa tiene al braccio anche nei ricevimenti ufficiali, ci si aspettava sempre di veder saltar fuori, oltre a qualche mazzo d'agli e di cipolle, una pistola o una fiala di veleno. *Non c'è dubbio che sapeva odiare e che anche quando amava lo faceva da mantide, soffocando e stritolando. Ma Israele non troverà mai più una madre come lei, che sapeva anche fargli da padre. Nella sua tenacia, nel suo coraggio, nella sua volontà d'acciaio, essa riassumeva la storia di questo piccolo grande Paese. Lo ha dimostrato col suo ritiro. Quando si è trattato di pagare, essa si è offerta in sacrificio pur sapendo che per lei la rinunzia al potere è la rinunzia alla vita. «''Sono giunta al termine della mia strada''», ha detto. Ma che strada! Nessuno ne ha mai percorsa una più ripida e accidentata, più paurosamente librata tra abissi e strapiombi. Sono sicuro che Golda non si volterà indietro a guardarla, e non ce ne dirà nulla. Come tutti i grandi costruttori, essa sa soltanto costruire. Il resto, per lei, è silenzio. ===''la Voce''=== <!--ordine cronologico--> *Uscendo dal ''Giornale'', io feci a me stesso, ma pubblicamente, un giuramento: «Mai più un padrone». Qui padroni non ce ne sono. La proprietà è ripartita fra alcune centinaia di azionisti, di cui nessuno può, per statuto detenere più del 4 per cento. Fra di essi, e per primi, ci siamo stati tutti noi: redattori, impiegati, fattorini, autisti. [...] Per questa sua pulviscolarità, il nostro azionariato è stato definito, nei quartieri alti della Finanza, «straccione». La qualifica non ci dispiace: coi tempi che corrono, meglio stare tra gli stracci che tra le tangenti. (22 marzo 1994) *Di insurrezione generale non c'era bisogno, il 25 aprile, perché il Terzo Reich non esisteva più. Se l'insurrezione generale fosse avvenuta avrebbe dovuto avere come primo obiettivo, a Milano, il quartier generale delle SS all'Hotel Regina. Le SS furono invece lasciate del tutto tranquille, mentre si provvedeva a trascinare in piazzale Loreto, per la fucilazione Achille Starace [...]. Non sono contro la Resistenza, anzi: sono contro la retorica, inguaribile vizio italiano. Proprio questa retorica ha fatto sì che un sindaco democristiano di Roma, in un manifesto dedicato anni or sono alla liberazione della città non accennasse nemmeno con una parola agli Alleati. Ed ha fatto sì che in quest'ultimo 25 aprile si sia parlato ai giovani che affollavano piazza del Duomo a Milano o che stavano davanti ai televisori, ingannandoli – ossia raccontando loro che i tedeschi erano stati sconfitti dai partigiani, e che da questi l'Italia era stata liberata. Se questa è la «memoria storica» evocata da tanti commentatori, stiamo freschi. (28 aprile 1994) *Intorno a Berlusconi vedo agitarsi una falange di Starace, convinti non meno di Achille che il padrone (e con lui, si capisce, la carriera) si serve sbattendo i talloni e gridando: «Forza, Italia!». Di tutto questo, intendiamoci, Berlusconi non può essere tenuto responsabile. Gli Starace – a differenza di Mussolini che si scelse il suo vedendolo com'era – gli sono germinati e gli pullulano intorno d'irresistibile forza propria cercando di sopraffarsi in una gara di servilismo, che trova soprattutto nel video la propria arena. E per ora la gente pensa: «Povero Cavaliere, da chi è circondato». Ma prima o poi – forse più prima che poi – comincerà a dire anche di lui: «Vedi un po' di chi si circonda». (18 giugno 1994) *Dobbiamo prepararci a presentare le nostre scuse a [[Emilio Fede]]. L'abbiamo sempre dipinto come un leccapiedi, anzi come l'archetipo di questa giullaresca fauna, con l'aggravante del gaudio. Spesso i [[leccapiedi]], dopo aver leccato, e quando il padrone non li vede, fanno la faccia schifata e diventano malmostosi. Fede no. Assolta la bisogna, ne sorride e se ne estasia, da oco giulivo. Ma temo che di qui a un po' dovremo ricrederci sul suo conto, rimpiangere i suoi interventi e additarli a modello di obiettività. (26 novembre 1994) *Il presidente della Repubblica non può contrattare. Ma deve trovare qualcuno che abbia l'autorità morale di farlo. Un ''kamikaze''. E di ''kamikaze'' ne vediamo uno solo che, non avendo veste politica, né alcuna ambizione di indossarla, può anche affrontare una simile responsabilità: [[Antonio Di Pietro|Di Pietro]]. Ma temiamo che l'idea sia soltanto nostra. [...] Una delle pochissime cose che nella presente situazione ci confortano è di vedere in Quirinale un difensore delle Regole come [[Oscar Luigi Scalfaro|lui]]. Vorremmo solo sommessamente avvertirlo che l'Italia che noi conosciamo somiglia poco all'immagine angelica ch'egli ce ne ha fornito la sera di Capodanno, e che anche quando vi avremo messo a posto tutte le Regole, ne mancherà sempre una: quella che dall'interno della sua coscienza fa obbligo ad ogni cittadino di regolarsi secondo le regole. (3 gennaio 1995) *Noi volevamo fare, da uomini di [[Destra]], il quotidiano di una Destra veramente liberale, ancorata ai suoi storici valori: lo spirito di servizio (quello vero, taciuto e praticato), il senso dello Stato, il rigoroso codice di comportamento che furono appannaggio dei suoi rari campioni da Giolitti a Einaudi a De Gasperi. Insomma, l'organo di una Destra che oggi si sente oltraggiata dall'abuso che ne fanno gli attuali contraffattori. Questa Destra fedele a se stessa in Italia c'è. Ma è un'élite troppo esigua per nutrire un quotidiano. (12 aprile 1995) {{Int|''Il realista inviso agli snob''|Articolo su ''la Voce'', 24 aprile 1994.|h=4}} *Fino ad una decina di anni orsono, la maggioranza degli americani erano convinti che, se [[Richard Nixon|Nixon]] fosse rimasto nella Storia del loro Paese – cosa che al loro orecchio suonava come un obbrobrio – vi sarebbe rimasto solo per il [[Scandalo Watergate|Watergate]], cioè appunto per l'obbrobrio. Negli ultimi tempi tutto si è rovesciato: l'obbrobrio non è stato più il Watergate, ma la campagna scandalistica che lo aveva provocato. Gli stessi protagonisti che l'avevano montata – [[Bob Woodward]] e [[Carl Bernstein]] del ''Washington Post'' – ne riconobbero le forzature e fecero atto di contrizione. Non avevano inventato nulla, ma avevano deformato tutto. [...] La sorte è stata, tutto sommato, clemente con Nixon dandogli il tempo di vedere questo capovolgimento. *Ultimamente era ricevuto, ed anzi continuamente sollecitato alla Casa Bianca, dove lo si accoglieva come lo ''Elder Statesman'', lo statista anziano da consultare come un vecchio saggio sui problemi difficili. Fu a lui che [[George H. W. Bush|Bush]] si rivolse per riallacciare un dialogo con Pechino dopo la rottura seguita al fattaccio di Tienanmen. E lui a Pechino lo riallacciò: i cinesi non avevano dimenticato che quel dialogo erano stati Nixon e [[Henry Kissinger|Kissinger]] ad aprirlo, quando l'America aveva deciso di chiudere l'avventura del Vietnam in cui [[John Fitzgerald Kennedy|Kennedy]] e [[Lyndon B. Johnson|Johnson]] l'avevano malaccortamente cacciata. Ma anche [[Bill Clinton|Clinton]] è ricorso alla sua esperienza per capire cosa succedeva in Russia e trarne qualche insegnamento. Nixon andò a Mosca, e ne tornò con cattivi presagi sulla sorte di [[Boris Nikolaevič El'cin|Eltsin]] che i successivi avvenimenti hanno confermato. *Non era un uomo «simpatico», e soprattutto non aveva nulla che potesse sedurre l'America dei salotti e della ''intellighenzia'', che gli uomini politici li misurano a modo loro, mai quello giusto. Scambiarono per un grande intellettuale Kennedy, che in vita sua aveva visto migliaia di film, ma mai letto un libro. E prendevano Nixon, che di libri ne ha letti ed ha continuato a leggerne (ed a scriverne, niente male), fino all'ultimo giorno per una specie di Bossi californiano, rozzo e triviale. [...] Ma forse quello che più infastidiva gli americani era la renitenza di Nixon ad appelli e richiami tanto più sonori quanto più vacui, come «la nuova frontiera» e simili. Nixon era un professionista della politica, uno dei pochissimi che l'America abbia mandato alla Casa Bianca. Non andava per sogni e per versetti del Vangelo. Conosceva il suo [[Otto von Bismarck|Bismarck]], il suo [[Benjamin Disraeli|Disraeli]], e credo anche il suo [[Niccolò Machiavelli|Machiavelli]] che in America basta nominarli per finire scomunicati. Per questo lo consideravano un mestierante, e per questo si era scelto come consigliere un altro mestierante, l'ebreo tedesco Kissinger. Furono questi due uomini che ridiedero all'America la ''leadership'' nella politica estera coinvolgendo nel gioco la Cina e scavandone il solco da Mosca. I successori di Nixon, e specialmente [[Ronald Reagan|Reagan]], vissero in gran parte di questa eredità. ===''Oggi''=== <!--ordine cronologico--> *Mi confermo in due mie vecchie opinioni. Il guaio del socialismo è il socialismo, cioè sta proprio nel suo sistema statalistico. Il guaio del capitalismo sono i capitalisti che, quasi sempre bravissimi all'interno della loro azienda, fuori di lì sono spesso degli ottusi e noiosi imbecilli, e talvolta anche peggio.<ref>Citato in ''Dizionario delle citazioni'', a cura di Italo Sordi, BUR, 1992. ISBN 88-17-14603-X</ref> (n. 22, 1983) *{{NDR|Sull'offerta di [[Massimo D'Alema]] a concedere, come «atto dovuto», i funerali di Stato a [[Bettino Craxi]]}} "Atto dovuto"? Ma dovuto a chi? Anche a un latitante: quale, dal punto di vista legale, era Craxi? Concedere i funerali di Stato a un latitante significa sconfessare la Giustizia che lo ha condannato. [...] Ma può lo Stato sconfessare la propria Giustizia senza sconfessare se stesso? Mi sembra di vivere in un Paese che di senso dello Stato ne ha meno di una tribù del Ghana.<ref>Citato in ''La morte incute rispetto, ma su Craxi non cambio idea''-</ref> (2 febbraio 2000) *La [[democrazia]] è sempre, per sua natura e costituzione, il trionfo della mediocrità. (11 ottobre 2000) ==''Caro direttore''== ===[[Incipit]]=== Mettersi nel '74 contro il vento che soffiava tutto nella direzione del «compromesso storico» con la codarda quiescenza di gran parte della borghesia e di quasi tutti gli intellettuali; scoprire (oggi sembra acqua calda, ma allora era un'eresia) che, oltre al terrorismo di destra, ce n'era uno, molto più violento e pericoloso, di sinistra, figlio – sia pure degenere e ripudiato – del Pci, un partito che raggiungeva il 36 per cento dei voti e che condizionava pesantemente scuola, magistratura, cultura, mezzi di comunicazione; schierarsi dalla parte dell'ordine contro l'eversione; istruire il processo contro il sinistrume, effettivo e di complemento, che mortificava l'iniziativa privata e l'economia di mercato con tutti i valori che vi sono connessi; battersi contro il bugiardo e demagogico giustizialismo populista per il ripristino della meritocrazia nel campo del lavoro e degli studi; denunziare il grande pericolo che circondava il sistema: la partitocrazia; tutto questo sembrava follia, e forse lo era. Ma di questa follia noi siamo fieri. ===Citazioni=== *In Francia c'è molta gente che tuttora si domanda se De Gaulle era proprio De Gaulle, o un matto che si credeva De Gaulle. Ebbene, io nutro per La Malfa lo stesso dubbio. Ed è appunto perché nutro questo dubbio che voto La Malfa. (p. 12) *Il capitalismo vero, che permise alla borghesia di liquidare il Medio Evo e di sostituire, a quella feudale, basata sul parassitismo redditiero, una nuova società basata sul lavoro e sul risparmio, nacque nei Paesi protestanti. E sa perché? Perché Calvino insegnò questo ai suoi seguaci: che il denaro, essendo un segno della Grazia Divina non si poteva scialacquarlo. Chi lo aveva guadagnato per un particolare favore concessogli da Dio, aveva il dovere di considerarsene soltanto il depositario, e di reimpiegarlo, cioè di reinvestirlo perché altri uomini potessero beneficiare dello stesso favore. Fu questa base morale che dette al capitalismo protestante la forza di vincere e di costruire la nuova società: la società borghese del lavoro e del risparmio al posto di quella del sangue e del blasone. (p. 25) *Lei ha ragione di essere soddisfatto. Dopo aver ricevuto una discreta istruzione nelle nostre costose scuole private potrà andare a completarla a Parigi, o a Harvard, o a Oxford, dove il figlio del suo mezzadro o del suo trombaio, magari molto più intelligente e volenteroso di lei, non potrà seguirla. Egli dovrà contentarsi dello svalutato pezzo di carta che la nostra Università rilascerà a lui come a qualsiasi analfabeta, e probabilmente, per campare, dovrà rassegnarsi a fare il mezzadro o il trombaio come suo padre. Grazie agli amici del popolo e ai campioni del proletariato. (p. 91) *L'Italia ha scelto lo sciopero, per risanarsi, e non il lavoro, i «ponti», e non il sacrificio; i comizi e le adunate, non le valutazioni responsabili che non possono venire dagli urli di una folla eccitata. La Germania federale, retta dai socialdemocratici, persegue una strada ben diversa. Ciascuno raggiunge i traguardi che si propone, e che merita. (p. 156) *Noi crediamo che in certi casi di carattere eccezionale il giornalista abbia il diritto, e qualche volta il dovere, di dire la verità, se ne è convinto, anche se non è in grado di dimostrarla. Ma a una condizione: che, non potendo o non volendo rivelare le fonti a cui l'ha attinta, se ne assuma in proprio la responsabilità con tutte le conseguenze, anche giudiziarie che ne derivano. (p. 173) *Il temuto cambio di regime non c'è stato, nonostante il tentativo dei partiti e della grande stampa fiancheggiatrice di gabellarlo come una operazione innocua e indolore. La necessità d'interpretare queste consultazioni come un referendum ci ha costretti a sostenere, con tutte le nostre forze, la Democrazia cristiana riconoscendole, però, il merito importante di non aver mai messo in pericolo le nostre libertà, anzi di averle sostenute e difese. Ora che abbiamo contribuito, non poco, a rimettere in piedi la grande malata, dobbiamo adoperarci a guarirla. (p. 193) *Ho avuto una tessera ''ad honorem'' di una federazione anarchica catalana (quella del famoso ''Campesino'') perché, durante la guerra civile spagnola, trafugai oltre frontiera un suo affiliato caduto prigioniero dei nazionalisti e condannato a morte. Ti prego di felicitarmene. Subito. Senza esitazioni. (p. 227) *Anche se aveva tutte le ragioni di sentirsi ingiustamente perseguitato e colpito nel suo onore di galantuomo, Malizia non doveva piangere, per il semplice motivo che i generali non hanno il diritto di piangere almeno in pubblico. Mai. Per nessuna ragione. Lei mi dirà che queste sono fisime da gente sorpassata. Può darsi. Ma io sono convinto che l'etica militare è fatta appunto di queste fisime. Sono stato per lunghi anni ufficiale di guerra, e credo di esserlo stato con onore – tanto da guadagnarmi alcune decorazioni –, appunto perché avevo queste fisime. (p. 261) ==''Caro lettore''== ===[[Incipit]]=== Questi volumi sono in fondo la ''summa'' del ''Giornale'', il riassunto e il breviario di un libero pensiero, cioè di un pensiero libero da qualsiasi condizionamento, che dovrebbe far riflettere gl'intellettuali. Ma noi ci crediamo poco. Ed uno dei motivi è proprio questo: che stavolta gl'intellettuali difficilmente potranno rinverdire lo slogan sotto il quale, negli anni di piombo, mascherarono la loro codardia: «Né con le brigate rosse né con lo Stato», come se lo Stato e le brigate rosse fossero sullo stesso piano e fra l'uno e le altre fosse possibile una neutralità. Pur appartenendo – almeno dal punto di vista sindacale – alla categoria, o forse proprio perché vi apparteniamo, non abbiamo molta stima degl'intellettuali, e troviamo poco meno che ridicola la loro pretesa di fare i direttori di coscienza della società. ===Citazioni=== *Lei ci accusa di eccessiva indulgenza verso i regimi sudamericani. Ma l'accusa è ingiusta. Non perdiamo occasione di dire che Pinochet è una disgrazia. Ma non possiamo fare a meno di aggiungere che questa disgrazia è nata da un'altra disgrazia di nome Allende. In Argentina, a portare al governo il generale Videla (che, glielo posso assicurare, non aveva nessuna voglia di andarci) sono stati i «montoneros» coi loro rapimenti e omicidi, dai quali più nessuno si sentiva al riparo. (p. 42) *Io lavorai al ''Borghese'', sotto vari pseudonimi, finché ci fu lui e perché c'era lui. Dal rapporto personale, quotidiano e strettissimo, esulava qualsiasi pregiudiziale ideologica. Io del resto, non ho mai capito quale ideologia avesse Longanesi. Sapevo soltanto che non era mai del gregge; e siccome nemmeno io lo sono, questo bastava a tenerci uniti. Dopo di lui il ''Borghese'' assunse una fisionomia ideologica precisa, di cui non discuto la legittimità, ma che non corrispondeva alla mia. E quindi la mia collaborazione vi sarebbe stata fuori posto. (p. 50) *Anche ai cattolici osservanti e militanti è consentito, si capisce, far politica. Ma, per amor del cielo, non la confondano con la religione invocando i «valori cristiani» mentre si mettono l'un l'altro l'arsenico nella minestra. Questo si può farlo in nome di Marx, e magari anche di Cavour. In nome di Dio, dovrebb'essere proibito. (p. 193) *Hai ragione interamente, là dove dici che chi nasce come me figlio di un professore (non di un magistrato) ha una partenza più facile di chi nasce come te, figlio di un operaio. Questo è vero. E infatti il gran problema di un regime politico serio dovrebb'essere proprio quello di ridurre al minimo le diseguaglianze al palo di partenza. Per raggiungere questo scopo, non smetterò mai di battermi. Ma nemmeno smetterò di battermi contro il tentativo di mortificare l'interesse privato fino al punto di togliere agli uomini la molla dell'iniziativa. Sono per un fisco severo. Ma voglio che colpisca gli sciali e i lussi, non gl'investimenti perché questi producono lavoro e ricchezza. Ecco il mio socialismo. (p. 202) *L'Islam ebbe una grande cultura solo quando, nella loro cavalcata conquistatrice, i suoi Califfi incontrarono la cultura greca, quella egiziana e quella ebraica. Ma questo risale a Averroè e ad Avicenna, cioè a mille anni fa pressappoco. Da allora l'atteggiamento dell'Islam verso la cultura è sempre rimasto quello del famoso Califfo che, quando gli chiesero cosa dovevano fare della grande biblioteca di Alessandria, da lui conquistata, rispose: «Se tutti quei libri dicono ciò che dice il Corano, sono inutili. Se dicono cose diverse, sono dannosi. Nell'un caso e nell'altro, meglio bruciarli». Si dirà: «Altri tempi». No, Khomeini pensa e parla come quel Califfo. L'Islam è una religione di analfabeti, in cui la cultura è monopolio degli Ulema, che sanno solo di Corano e passano la vita a indagarne i misteri (che non ci sono). Mi citi Alberoni un'opera d'arte e di pensiero islamica degli ultimi due o trecent'anni. I mussulmani colti sono quelli che escono dalle ''nostre'' università. (p. 259) *Ognuno ha il diritto ad avere una sua opinione. Ma nessuno ha quello di distorcere l'opinione degli altri. La mia era è la seguente: che, dopo l'esperienza in Ungheria, non mi sentivo d'incoraggiare i polacchi a una rivolta, in cui l'Occidente li avrebbe lasciati soli a vedersela coi carri armati sovietici, e quindi a finire sotto i loro cingoli come avvenne a Budapest nel '56. Questo non era un invito a «calar le brache». Era una messa in guardia da quelle pericolose illusioni di aiuti esterni che ebbero tanta parte nello spingere gli ungheresi a un olocausto rivelatosi poi del tutto inutile. (p. 271) *Io non sono affatto convinto dell'innocenza di Freda e Ventura (Giannettini non c'entrava niente) come non lo sono di quella di Valpreda. Ma anch'io avrei assolto per mancanza di prove. E non c'è da scandalizzarsene perché queste cose succedono in tutto il mondo. A vent'anni di distanza, la polizia americana non sa ancora con certezza chi uccise Kennedy. Solo la polizia sovietica sa sempre chi uccide per il semplice motivo che è sempre essa a farlo. Con questo, sia chiaro, non voglio dire che la nostra Giustizia funziona bene. Funziona malissimo, e qualche volta non funziona affatto. Ma che copra le stragi di Stato, i nostri intellettuali di sinistra vadano a raccontarlo agli zulù. (pp. 330-331) *Io non so se qualche omosessuale fra noi c'è. È un problema che non mi sono mai posto. Ma anche se ce ne fossero e io me ne accorgessi, non muoverei un dito contro di loro e seguiterei a stimarli per quel che valgono o a disistimarli per quel che non valgono. Tutto ciò, caro amico, la deluderà. Ma il mio stomaco, evidentemente, è soggetto a impulsi diversi da quello suo. Se c'è una cosa su cui mi rifiuto di giudicare gli uomini (e le donne) è proprio il sesso. Ho conosciuto degli omosessuali meravigliosi anche sul piano morale, e degli eterosessuali orrendi. E sono troppo geloso della privatezza mia per non rispettare quella altrui. (p. 343) ==''Dante e il suo secolo''== ===[[Incipit]]=== Uno dei tanti meriti che si suole attribuire a [[Dante Alighieri|Dante]] è quello di essere stato il primo italiano ad avere una «coscienza nazionale». Noi non vorremmo cominciare questo libro con una detrazione, ma non ci sembra che a dimostrare questa coscienza basti l'allusione che Dante fa a una entità geografica italiana, di cui egli fissava i punti terminali al Brennero e al Carnaro. E non vediamo del resto cosa aggiunga alla sua grandezza questa specie d'irredentismo avanti lettera. Se per qualcuno Dante spasimò fu, caso mai, per un Imperatore tedesco. ===Citazioni=== *[[Roma]] era stata la capitale di un impero cosmopolita, non di una Nazione. (Parte prima. Capitolo primo, p. 12) *Non è necessario essere degli adepti del "materialismo storico" per attribuire il risveglio delle inquietudini intellettuali, fra il Millecento e il Milleduecento, al progresso economico e al generale miglioramento delle condizioni i di vita. È a stomaco pieno che si comincia a pensare a qualcosa che non sia soltanto lo stomaco. (Parte prima. Capitolo terzo, p. 131) *Il [[pudore]] femminile non è mai stato altro che un incentivo alla civetteria. (Parte seconda, Capitolo quarto, p. 174) *Da consumato giurista qual era, {{NDR|[[papa Bonifacio VIII]]}} prese a rimaneggiare tutti i precedenti storici, su cui poteva basare le sue pretese di dominio universale. E trovò un valido aiuto nel canonista [[Egidio Romano|Egidio Colonna]] il quale scrisse un trattato, ''De ecclesiastica potestate'', per avvalorare queste tesi. Egli sostenne che la Chiesa era padrona e proprietaria non soltanto delle anime, ma di tutto. Era solo per bontà e condiscendenza che metteva le cose a disposizione dei fedeli, ma conservando il diritto di ritorgliele quando voleva. Quindi anche i troni appartenevano ad essa, che li lasciava ai Re solo in momentaneo appalto. Questa teoria tanto piacque a Bonifacio, che ne ricompensò l'autore con la nomina ad arcivescovo di Bourges. (Parte seconda, Capitolo nono, p. 312) *Peccato che un simile uomo {{NDR|papa Bonifacio VIII}} avesse così clamorosamente sbagliato generazione e carriera. Fosse nato cinquant'anni dopo sarebbe stato un magnifico Principe del [[Rinascimento]]: avido, crudele e gagliardo. (Parte seconda, Capitolo undicesimo, p. 372) *Dante qui {{NDR|nel ''De vulgari eloquentia''}} ha visto ciò che molti filòlogi ancora oggi non vedono. Egli difende il "volgare", cioè la lingua viva, quella parlata dal popolo, fatalmente destinata a soppiantare il latino. Ma ne vorrebbe una illustre e aulica, al di sopra di quelle "municipali", cioè dei dialetti, contro i quali si scaglia con furore. In Italia ne classifica quattordici e li detesta tutti, compreso il toscano che chiama "turpiloquio". Ma il più orrendo gli sembra il romano, "e non deve fare meraviglia dacché i romani, anche per deformità di costumi e abiti, appaiono i più fetidi di tutti". Chissà cosa direbbe, povero Dante, se tornasse fra noi e andasse al cinematografo. (Parte seconda, Capitolo quindicesimo, p. 483) ==''Gli incontri''== *[[Giovanni Porzio|Porzio]] non è alto di statura, ma diritto come un fuso nonostante i settantaquattro anni suonati e porta, sui pantaloni a righe stretti e lunghi come quelli degli antichi ufficiali in grande uniforme, una giacca nera che l'alta bottonatura fa simile a una ''redingote''. Il volto è bello, di colore olivastro, e aristocratico nella modellatura del naso e nel taglio breve dei baffi e della barbetta ancora pepe e sale. (Porzio, p. 91) *Non avevo mai visto da vicino [[Cécile Sorel]], quando essa mi apparve, per la prima volta, di lontano, sul palcoscenico allestito nella corte d'onore degli Invalides per le feste celebrative del bimillenario di Parigi. [...] Drappeggiata in una sontuosa cappa di [[Elsa Schiaparelli|Schiaparelli]] a strascico di ''lamé'' d'argento e porpora, dritta su un podio sotto la statua di [[Napoleone Bonaparte|Bonaparte]], accolse a braccia spalancate lo scrosciante omaggio, sincopato dalle salve di artiglieria, dei cinquemila spettatori ammassati nell'immenso cortile. Sorrise. Sfiorò con uno sguardo altero le teste della folla, lo alzò verso l'imperatore, ma senza implorazione né umiltà, da pari a pari. Poi, in un silenzio di tomba, prese a modulare l'ode di Bruyez: "''Vous qui êtes morts pieusement pour la patrie...''". Ed era una voce incredibilmente limpida e squillante, senza traccia di ruggine. (Cècile, pp. 226-227) *[[Saul Steinberg|Steinberg]] ha la faccia dei suoi pupazzi: una faccia malinconica, lunga e triangolare, di cavallo tirato su a paglia soltanto, senza biada, e condannato a trascinare un carretto su per un'erta interminabile, in cima alla quale non si sa cosa ci aspetta, ma certo un'altra condanna, forse più pesante del carretto. Anche i baffi ha, come i suoi pupazzi: a doppia virgola orizzontale, sebbene meno lunghi e senza le intenzioni esibizionistiche di quelli di Dalì; e anche le lenti a stanghetta traverso cui ti fissano intensamente, di sotto in su, due occhi azzurri e mortificati, di uomo che non si è reso conto di essere Saul Steinberg; o essendosene reso conto, non ci prova alcun piacere. (Steinberg, p. 289) *[[Harukichi Shimoi]] è uno di quei giapponesi che gli altri giapponesi considerano di statura piccola. Tanto piccola che [[Gabriele D'Annunzio|D'Annunzio]], per abbracciarlo, dovette curvarsi (lui!) e, dopo essergli andato incontro gridando, con le braccia alzate: "Fratello!... Fratello mio!..." lo guardò, ci ripensò e aggiunse: "Sebbene non di sangue...". (Shimoi, p. 389) *Quanti anni avrà, ora, Harukichi Shimoi? Forse cinquanta, forse centocinquanta. Come per [[Guelfo Civinini]], suo amico, anche per lui il problema dell'età non si pone. Quale che essa sia, egli la porta esattamente come deve averla portata mezzo secolo fa. Il suo corpo è stortignaccolo, ma diritto, e i suoi capelli son nerissimi. Ma il tratto che più lo caratterizza sono le sopracciglia, che madre natura gli ha piantato a mezza strada, come due ciuffi di foltissimo bosco, tra gli occhi e la chioma, in modo che, per quanto vasti i suoi occhiali, esse li sormontano e risucchiano come se fossero due monocoli. (Shimoi, pp. 389-390) *Il più favoloso e colorito personaggio del [[Brasile]] è [[Assis Chateaubriand]], proprietario di ventun giornali, diciotto stazioni radiotrasmittenti, di una flotta aerea, di alcune ''fazendas'' vaste come l'intera Sicilia, di un museo che vale venti milioni di dollari, di una Compagnia nazionale per la puericoltura, e di un'ambizione pari soltanto al suo coraggio, alla sua insolenza e alla sua spavalderia. (Chateaubriand, p. 495) *Assis {{NDR|Chateaubriand}} ha un debole per i tedeschi e per gli italiani. Come faccia a conciliare questi due amori, non si sa; ma le sue pene, durante la guerra, furono grandi, anche se irreprensibile fu la sua condotta<ref>Dal 1942, nel corso della seconda guerra mondiale, il Brasile fu in stato di guerra con Germania e Italia.</ref>. Quando però il governo comminò l'arresto a chiunque parlasse italiano, scese in lotta con i suoi giornali contro l'assurda disposizione. Scrisse che quello non era patriottismo, ma un nazionalismo di bassa lega, degno soltanto di una colonia, e che lui si vergognava d'esser brasiliano. Fece un tale baccano, che alla fine dovettero revocare il provvedimento e quello del sequestro dei beni dei nostri compatrioti. (Chateaubriand, p. 502) *Quando nacque sessantadue anni orsono, ne aveva già a dir poco settecento. Perché [[Ottone Rosai|Rosai]] veniva dritto dritto dal Medioevo, dopo aver saltato a piè pari Rinascimento ed età moderna, e nei momenti di sincerità confessava che Giotto gli pareva un "deviazionista" rispetto a Cimabue, il quale gli andava molto più a sangue. (Rosai, p. 544) *Dopo essere stato fascista della prima ora, nella seconda col fascismo {{NDR|Ottone Rosai}} s'era trovato male, e si capiva benissimo che era sempre per via delle mani. Tornato dalla guerra, lo squadrismo gli aveva consentito di menarle, come a lui piaceva, e ci aveva dato dentro senza risparmio. Forse l'unico momento felice della vita di Rosai fu quello: quando a gambe larghe di traverso alla strada aspettava, col giornale aperto davanti agli occhi in un gesto di sfida ribalda, il corteo rosso in arrivo da San Frediano, che alla vista di quelle manacce aggrappate ai bordi del foglio e pesanti come macigni, esitava. (Rosai, p. 547) *[[Paolo Monelli|Monelli]], se seguisse le proprie inclinazioni, andrebbe a letto coi polli. Ma cosa direbbe la gente, se non lo vedesse più vagabondare nei vari ritrovi frequentati dai nottambuli della città? Direbbe senza dubbio: "Comincia a invecchiare". E a questa idea Monelli balza dalla sua poltrona e si attacca al telefono per mobilitare qualche amica che lo accompagni nei suoi vagabondaggi. Giovani colleghe come Livia Serini, attrici giovanissime come Lea Massari sono state ridotte sull'orlo dell'esaurimento nervoso da queste prolungate ronde notturne senz'altro costrutto che quello di ribadire agli occhi di tutti l'intramontabilità di Monelli. Egli non le porta a spasso. Le porta all'occhiello, come gardenie. (Monelli al girarrosto, p. 592) *{{NDR|Paolo Monelli}} Fuma la pipa come Churchill il sigaro, cioè soltanto quando lo guardano. (Monelli al girarrosto, p. 593) ==''I conti con me stesso''== ===[[Incipit]]=== Una telefonata da Milano m'informa che Longanesi è morto. È stato colpito dall'infarto davanti al suo tavolo di lavoro, su cui era spiegata una mia lettera di dieci giorni fa, che cominciava così: «Caro Leo, stanotte ho sognato ch'eri morto...». (27 settembre 1957) ===Citazioni=== *Tutta la mia vita è stata contesa fra la noia di vivere insieme e la paura di vivere [[Solitudine|solo]]. (4 ottobre 1957) *Di nuovo il Polesine. Pare impossibile: durante le inondazioni, la prima cosa che viene a mancare è l'acqua. (dicembre 1957) *[[Colette Rosselli|Colette]]. Invecchia gentilmente, senza catastrofi. Ha su tutte le altre donne un vantaggio incolmabile: quello di essere stata il mio ultimo e più grande amore. Così grande che possiamo camparci di rendita, comodamente, tutti e due per il resto dei nostri giorni. (gennaio 1958) *Il destino di [[Riccardo Bacchelli|Bacchelli]] sarà l'opposto di quello del maiale: di lui, dopo morto, ci sarà da buttar via tutto. (gennaio 1958) *[[Olga Villi]]. Non è punto grata alla sua bellezza che le ha consentito di diventare principessa di Trabia. Punta solo sul talento che non ha. Ma è talmente priva di ''sense of humour'' che forse diventerà una buona attrice. (gennaio 1958) *[[Gaston Palewski|Palewski]]. L'ambasciata a Roma è per lui soltanto uno dei più importanti capitoli del libro di memorie che scriverà. (gennaio 1958) *Non è che [[Luigi Barzini (1908-1984)|Barzini]] abbia un'altissima opinione di sé. Ne ha una bassissima degli altri. (gennaio 1958) *Piccolo incidente d'auto. La nostra, per evitare un ciclista, picchia contro un muro e resta piuttosto acciaccata. [[Colette Rosselli|Colette]], che la guida, dice: «Meglio così. Dovevo farla revisionare, e non mi decidevo mai...». (gennaio 1958) *[[Razzismo]]: pensarci sempre, parlarne mai. [[Risorgimento]]: parlarne sempre, pensarci mai. (gennaio 1958) *[[Fascismo]]. Il più comico tentativo per instaurare la serietà. (gennaio 1958) *Il guaio più grosso della Repubblica è che, mentre il Re poteva essere di sangue straniero e di solito lo era, il presidente bisogna sceglierlo fra gl'italiani. (gennaio 1958) *Bacchelli lavora infaticabilmente, da sessant'anni, alla costruzione di un piedestallo su cui, alla sua morte, non sapremo cosa posare. (gennaio 1958) *A pranzo da [[Vittorio Cini]] con una ventina di altri invitati. A colazione ne aveva avuti altrettanti. E così ieri. E così avantieri. E così sempre. A ottantadue anni suonati, è fresco, roseo, insaziabilmente voglioso di intrattenere e di essere intrattenuto. A conclusione della serata, mi sfida a una gara di canto. Scegliamo come banco di prova ''Vecchia zimarra'', e stoniamo maledettamente entrambi, ma io meno di lui. I presenti mi assegnano la vittoria. Di colpo, Vittorio perde il suo buon umore. È talmente abituato a vincere, che non accetta di perdere nemmeno nel canto. (7 settembre 1966) *{{NDR|Su [[Nicola Bombacci]]}} Io l'ho conosciuto soltanto cadavere, quando penzolava accanto a quello di Mussolini, in piazza Loreto, e una folla messicana lo bersagliava bestialmente di sputi. Anni dopo, volli tentarne la riabilitazione ritracciandone la patetica vicenda, ma non riuscii a trovarne gli elementi biografici. Compaesano e compagno di scuola di Mussolini, maestro elementare e autodidatta come lui, ne era stato il grande amico quando entrambi militavano nel socialismo. Eppoi il suo nemico giurato, la bestia nera degli squadristi. Esule con la famiglia prima in Francia, poi (credo) in Russia, rimpatria col permesso del Duce, si affida alla sua generosità, per ricambiarla gli resta al fianco anche a Salò, e lo accompagna fin nell'ultimo viaggio verso la morte. (23 ottobre 1966) *Colloquio segreto con l'ex comunista [[Giulio Seniga|Seniga]] per una storia del [[PCI|Pci]] che devo scrivere con [[Roberto Gervaso|Gervaso]] per la «Domenica». Ė un uomo piuttosto affascinante, dallo sguardo chiaro, freddo e innocente: lo sguardo del fanatico. Mi ha detto che sua moglie, cresciuta in Russia dove suo padre era fuoruscito, e autrice di un interessante libro – ''I figli del partito'' –, nel partito è rimasta, non ha trovato il coraggio di uscirne, sebbene approvi e condivida la secessione del marito, con cui è sentimentalmente unitissima. Non riesco a capire questa gente. Cioè capisco soltanto che è diversa da noi non sul piano ideologico, ma su quello umano. (25 novembre 1966) *È morto [[Uguccione Ranieri di Sorbello]]. Era venuto a Roma da sua suocera. Stava benissimo. Era anzi particolarmente sereno e contento perché aveva finito un suo lavoro di ricerca storica cui attendeva da anni. A fine pranzo ha detto: «Non mi sento bene». Si è alzato, ed è crollato a terra. Stecchito. (29 maggio 1969) *{{NDR|Su Uguccione Ranieri di Sorbello}} Era un gran signore e un gran galantuomo che ha trascorso la sua vita in crociate nelle quali non aveva nulla da guadagnare. L'ultima è stata la campagna propagandista negli Usa per convincere gli americani a dare il nome [[Giovanni da Verrazzano|Da Verrazzano]] al grande ponte sull'Hudson. Nel suo perfetto inglese (lo scriveva meglio dell'italiano) inondò l'America di articoli e conferenze (parlava benissimo, con molto humor e senza enfasi oratorie) cercando i familiarizzare gli ascoltatori col nome Da Verrazzano, la cui pronuncia rappresentava per essi la difficoltà più grossa all'adozione di quel nome. Questa smania missionaria credo che l'avesse ereditata da sua madre americana. E per seguirla aveva trascurato le sue proprietà terriere. Le sue campagne erano in uno stato pietoso, la sua bella villa sul Trasimeno mezza disunta. (29 maggio 1969) *{{NDR|Su Uguccione Ranieri di Sorbello}} Era un buon scrittore, un infaticabile sommozzatore di articoli, un ricercatore attento e scrupoloso di curiosità storiche, un umanista moderno che aveva allargato i suoi orizzonti a tutta la cultura contemporanea, specie anglo-sassone: un uomo insomma che ha realizzato un centesimo di quello che poteva per via di quel suo dispersivo correre dietro a un'infinità di altri interessi. Era stato anche un autentico combattente della [[Resistenza italiana|Resistenza]]: per ben sedici volte si era fatto paracadutare dagli Alleati dietro le linee tedesche: impresa che chiunque altro si sarebbe fatto ripagare con altrettante medaglie. Lui non aveva ricevuto nemmeno una citazione, e di questi episodi non ha mai parlato. (29 maggio 1969) *Anche [[Irene Brin]] se n'è andata. Mi avevano detto che era malata di un cancro; ma era una notizia vaga e incerta, ch'essa aveva fatto di tutto per smentire. Fino in fondo ha lavorato e ha partecipato ai riti della mondanità: sfilate di moda, ricevimenti, eccetera. (1 giugno 1969) *{{NDR|Su Irene Brin}} Quando [[Giovanni Ansaldo|Ansaldo]] la scovò e cominciò a farla scrivere sul «Lavoro» di Genova, sua città natale, era soltanto Mariù Rossi: una ragazza timida e incerta, molto provinciale, figlia di un Generale e di un'ebrea austriaca. L'unica fama di cui godeva era quella, equivoca e velata sotto un nome d'accatto, che le aveva procurato [[Elio Vittorini|Vittorini]] prendendola a protagonista, con sua sorella, di un racconto: ''Le figlie del Generale'' in cui entrambe erano presentate come lesbiche. Se lo fossero veramente, non so. Il sesso è uno dei tanti capitoli misteriosi di questa donna. (1 giugno 1969) *In mano a [[Leo Longanesi|Longanesi]], che le aveva regalato anche lo pseudonimo d'Irene Brin, aveva rivelato autentiche qualità di scrittrice. I profili che pubblicò su «Omnibus» erano deliziosi. Fosse rimasta fra biografia e memorialismo, poteva diventare qualcosa di mezzo fra [[Henri de Saint-Simon|Saint-Simon]] e [[Lytton Strachey|Strachey]] con un tocco alla [[Madame de Sévigné|Sévigné]]. Altro che la [[Maria Bellonci|Bellonci]]! Era un'osservatrice attenta (sebbene non ci vedesse da qui a lì) e penetrante, nutrita di vastissime letture: la sua prosa aveva ritmo, calore, l'aggettivazione precisa, l'ironia tagliente. Ma era un cavallo che aveva bisogno del fantino. Chiuso «Omnibus» e cessata la regia di Longanesi, Irene infilò la pista sbagliata – quella della cronista mondana –, e non è più uscita. (1 giugno 1969) *Finito di scrivere il capitolo sull'[[Giulio Alberoni|Alberoni]] per ''L'Italia del Settecento''. Ho riprodotto la pagina di [[Henri de Saint-Simon|Saint-Simon]], che lo descrive mentre assiste impavido alle evacuazioni corporali di Vendôme per guadagnarsene i favori, eppoi inginocchiandosi davanti a lui gli grida estasiato: «Oh, culo d'angelo!», e glielo bacia. Come inizio di "carriera" italiana, mi sembra esemplare. Poi mi torna a mente un'osservazione di [[Jules Renard|Renard]]: «Se in un periodo c'è la parola culo, il lettore non si ricorderà che di quella dimenticando tutto il resto, anche se è sublime». Renard ha ragione. Ma io, a un culo autenticato da Saint-Simon, non rinuncio. (3 luglio 1969) *Le Soroptimists hanno dato un pranzo a [[Colette Rosselli|Colette]], in qualità di "Donna Letizia". Colette ha accettato dopo molti rifiuti. Il suo fastidio per queste cose di donne, lo so, è sincero. Ma, una volta preso l'impegno, ha trascorso la giornata a preparare il suo discorsino col puntiglio che la distingue. Non è per nulla ambiziosa, non tiene affatto a reclamizzare il proprio talento, sottovaluta quello che mette nella sua rubrica di «Grazia» (ma se lo fa pagare profumatamente), rifiuta di fare una mostra dei suoi deliziosi quadri. Ma il suo suscettibilissimo amor proprio non le consente di rischiare una brutta figura nemmeno nelle cose che disprezza. Infatti anche stasera ne ha fatta una eccellente, leggendo con molto garbo le due paginette che aveva preparato con un sapiente dosaggio di humour autentico, e di pathos e di umiltà fasulli. Ha avuto gran successo. Per la prima volta mi son visto guardato come un personaggio-satellite, una specie di principe consorte. Cosa che a me non dispiace affatto, ma a lei moltissimo. In questo, è proprio femmina. (13 agosto 1969) *Mi riferiscono, di [[Giorgio Bocca|Bocca]], questo giudizio su di me: «Sempre il più bravo di tutti. Bravissimo. Troppo bravo. Ma mettendo lo stesso impegno a scrivere gli articoli su Venezia e quello sull'arbitro [[Concetto Lo Bello|Lo Bello]], dimostra che in realtà non è impegnato in nulla». È vero. Non sono impegnato in nulla. In nulla, meno che nel mio mestiere. Fiorentina-Bari 3-0. E Chiarugi capo-cannoniere! (16 novembre 1969) *Sciopero generale per il caro-case. Un pretesto da nulla. Ma è bastato per immergere Milano in un'atmosfera da 8 settembre. Strade vuote. Saracinesche abbassate. Enorme spiegamento di polizia. Mentre pranzo con [[Giovanni Spadolini|Spadolini]], [[Mario Cervi|Cervi]] e Zappulli, giunge notizia che in un tafferuglio al Lirico un agente è stato ucciso dai "cinesi". «Meno male che è toccata a un agente» diciamo in coro, eppoi non osiamo guardarci negli occhi. Anche noi apparteniamo a questa borghesia codarda che pretende appaltare alle forze dell'ordine il compito di farsi sputacchiare, pestare e ammazzare per tenerne al riparo se stessa. E non vuole nemmeno pagargli uno stipendio decente. (19 novembre 1969) *[[Alberto Moravia|Moravia]] ha fondato, insieme a [[Pier Paolo Pasolini|Pasolini]] e a [[Dacia Maraini]], un "comitato contro la repressione". È la riprova che la repressione non c'è. Se ci fosse, Moravia sarebbe coi repressori, come ha dimostrato avallando col suo silenzio la persecuzione di [[Aleksandr Isaevič Solženicyn|Solženicyn]] in Russia. (28 dicembre 1969) *Moravia si è ritirato dal comitato che lui stesso aveva fondato. Ma non per i silenzi di [[Giovanni Spadolini|Spadolini]]. Si è ritirato perché «l'Unità» ha disapprovato. Gl'italiani sono sempre pronti a fare la rivoluzione, purché i carabinieri siano d'accordo. E Moravia è sempre pronto a battersi per la libertà, purché sia d'accordo il piccì. (2 gennaio 1970) *Arrivati i rendiconti dei miei diritti d'autore: 28 milioni nell'ultimo semestre. Supero dunque i 50 milioni annui. Anche ammettendo che l'editore non ci faccia sopra punta cresta (il che mi sembra, a dir poco, improbabile), non c'è male. Credo di essere l'autore italiano che più guadagna, anche perché sono l'unico che questa cifra la guadagna ogni anno, e senz'aiuto di premi letterari. Non ne sono contento per il denaro, di cui non so che farmi e che serve solo a pagare i capricci di Colette (ne ha tanti!). Ne sono contento, anzi felice, per il mio status da autore stipendiato unicamente dal pubblico. C'è chi vive di partito. C'è chi vive di Eni. C'è chi vive di Agnelli, o di Perrone, o di Crespi. Io vivo di [[lettore|lettori]]. I lettori non m'impongono altra servitù che la sincerità: l'unica che non pesi. (3 marzo 1970) *Più che comunanza di vedute, fra [[Denis Mack Smith|Mack Smith]] e me c'è comunanza di nemici: quegl'insopportabili pedanti accademici che a Palermo lo hanno violentemente attaccato qualificandolo «il Montanelli di Oxford». Implicitamente egli accetta di far fronte con me contro di loro. Credo che facciamo entrambi un buon affare, e anche un affare buono: se riusciamo a squalificare agli occhi del pubblico la [[storiografia]] accademica (e coi nostri libri ci stiamo riuscendo), avremo reso un grosso servigio alla cultura italiana. (2 maggio 1970) *Sosta a Venezia, dopo il voto a Cortina. Visita d'obbligo a Vittorio Cini, e passeggiata con lui sulle Zattere. Vedendolo, un vecchietto sdrucito, ma dignitoso, si leva il cappello e gli tende la mano, evidentemente per mendicare. Vittorio gliel'afferra e gliela stringe con effusione dicendogli: «Caro!... Caro!... Caro!... Coma la va?» È in perfetta buona fede: la buona fede di un doge lontanissimo dalle afflizioni della miseria e perfino incapace di immaginare che ce ne siano. (8 giugno 1970) *Leggo in [[Giorgio Candeloro|Candeloro]]: «... Nel processo generale di sviluppo della Storia, il carattere dei personaggi, anche dei più grandi, ha un peso limitato...». Ah, sì? E cosa dunque se non il carattere di Alessandro, cioè la sua follia, può spiegare la conquista macedone fino all'India e la diaspora dell'ellenismo che ne deriva? L'Islam è concepibile senza il "carattere" di [[Maometto]]? E cosa divise la Riforma se non i diversi "caratteri" di [[Martin Lutero|Lutero]] e di Calvino? I nostri storici odiano i caratteri e i personaggi, perché questi richiedono immaginazione e intuito, cioè doti di scrittore, di cui essi sono disperatamente vedovi. Non sono storici. Sono soltanto degli archivisti, e molto spesso disonesti. (10 novembre 1970) *Milano è in fiamme per l'affare Feltrinelli, e [[Piero Ottone|Ottone]] mi chiede un articolo contro la [[Camilla Cederna|Cederna]], firmatario di un manifesto in cui, a due ore di distanza dal rinvenimento del cadavere e prima ancora che esso sia ufficialmente riconosciuto, proclama che Feltrinelli è rimasto vittima della «reazione internazionale». Se la Cederna avesse una testa, direi che l'ha persa. Ma perché Ottone vuole un articolo contro di lei, intima amica e direttrice di coscienza di [[Giulia Maria Crespi|Giulia Maria]], nonché regina del suo sinistrorso salotto? Comunque, a mettere una zeppa fra direttore e proprietaria, è doveroso collaborare. E faccio l'articolo in forma di "lettera a Camilla". (25 marzo 1972) *Pare che l'articolo abbia rimesso fuoco a Milano, creandovi una irreparabile frattura fra montanellisti e cedernisti. I primi sono più numerosi, ma i secondi più rumorosi. Ricevo pacchi di telegrammi di plauso e altrettanti d'insulti. Il giornale è sommerso di lettere, e io prego Ottone di pubblicare anche quelle di protesta. Ha scritto anche la Cederna annunziando una replica sull'«Espresso» (Ottone ha cancellato il titolo del settimanale, commettendo una meschineria). Quanto a Giulia Maria, mi dicono che schiuma di rabbia. Se è vero, devo riconoscere che il giornalismo qualche soddisfazione la dà. [[Umberto Eco]] mi attacca sul «manifesto» riproducendo una mia frase di ammirazione per Mussolini scritta quando avevo ventidue anni (in dieci anni di giornalismo sotto il defunto regime, non sono mai riusciti a trovare, di mio, altre prove di zelo fascista) e accusandomi di mancanza di cavalleria verso una donna. O bella! Come se una donna, quando si mette a far politica – e che politica! – come un uomo, potesse ancora accampare l'impunità! Anche la [[Maria Callas|Callas]] è una donna. Eppure, quando stona, la si fischia. (27 marzo 1972) *Ho scritto un fondo in difesa della Cederna, incriminata dal magistrato per aver diffuso notizie false e tendenziose. Che abbia commesso questo peccato, ho detto, è vero. Ma si tratta di peccato, non di reato. E a giudicarne dev'essere il lettore, non il tribunale. Verità lapalissiane. Dice che è sempre stata molto più impegnata e coraggiosa di me perché con le sue campagne in favore di Valpreda e di [[Giuseppe Pinelli|Pinelli]], tiene fronte alla polizia. Potrei incenerirla chiedendole dov'era e cosa faceva quando io ero in galera per aver tenuto fronte non alla polizia d'oggi, ma a quella fascista e nazista. Ma non ne vale la pena. (28 marzo 1972) *Più approfondisco questo tema delle regioni (sono a Milano per questo), e più mi sgomenta il doverne scrivere. Ci vuol poco a capire che questi regionalisti lombardi perseguono, consapevolmente o inconsapevolmente, un piano secessionista cisalpino. E, una volta che ne abbiano lo strumento, riusciranno a realizzarlo. Non per nulla Bassetti parla già non più di «regione lombarda», ma di «[[Padania|regione padana]]», di cui il resto d'Italia non sarebbe che un'appendice. Se ce la fanno (e ce la faranno), addio Risorgimento! Non era che una finzione, d'accordo, e in pratica ha fallito. Ma con che lo sostituiremo? (26 settembre 1972) *Volo a Lussemburgo sul solito bireattore di Berlusconi, che ci accompagna, felice di esibirsi e di esibire il suo status in una cerimonia internazionale. La medaglia d'oro (ma è proprio d'oro?) me la consegna Gaston Thorn, capo del governo lussemburghese. Berlusconi riempie il suo taccuino di indirizzi: quelli di tutte le personalità che ha incontrato. È il vero ''climber'' che approfitta di tutto e non butta via nulla. (23 maggio 1977) *Kappler è fuggito. Ha fatto bene. Ma ora chi ci salverà dai conculcati "valori della Resistenza"? (15 agosto 1977) *A colazione da [[Vittorio Cini|Cini]]. Ha avuto un brutto crollo, ma ha ancora risorse. Le tira fuori quando è in compagnia. Ma quando è solo, mi dice sua moglie, sprofonda in quei tetri silenzi che sono i colloqui di un uomo con la morte. (19 agosto 1977) *De Carolis m'informa che il vero autore della operazione «Corriere» è un certo [[Licio Gelli|Gelli]], misterioso personaggio massonico, di Arezzo (Fanfani), che vuole incontrarmi per un accordo fra i due giornali. (24 settembre 1977) *Secondo quanto mi era stato raccomandato, dovevo salire direttamente alla camera 219 dell'Excelsior. Ma alla camera 219 non c'era nessuno, e così dovetti chiedere al portiere del signor Gelli. Poi Gelli arrivò, mi condusse furtivamente nel suo appartamento e mi fece un lungo discorso pieno di allusioni, dal quale dovevo comprendere che lui è un pezzo grosso – forse il più grosso – della massoneria (Palazzo Giustiniani), che come tale era stato il vero padrino della operazione Rizzoli, e che in questa operazione potevamo rientrare anche noi. Mi ha detto che quattro ministri dell'attuale governo, otto sottosegretari e centoquaranta parlamentari dipendono da lui. Questi massoni sono tutti uguali: credono che la loro potenza sia direttamente proporzionale al mistero di cui si circondano e prendono per cose fatte quelle per le quali complottano. (4 ottobre 1977) *Da Fanfani, al Senato. È talmente infuriato che diventa perfino sincero. «Dica al suo amico che è un traditore!» «Perché non glielo dice lei?» Mi spiega che Forlani non mira alla segreteria del partito, come io credevo, ma alla presidenza del Consiglio, quando Andreotti sarà consumato. Mi dice anche che condivide l'idea di Donat-Cattin di lasciare il Quirinale a un laico. «Altrimenti fra noi democristiani ci sbraniamo e ci sbrachiamo nella corsa a chi concede di più ai comunisti.» È sincero anche stavolta, o lo dice perché, avendo perso ogni speranza per sé, vuole prepararsi un buon argomento per Maria Pia («Stavolta toccava ai laici»)? (29 ottobre 1977) *A cena da Gervaso con Cossiga. Non si lamenta dei nostri attacchi, ma sono io a dirgli: «Noi esprimiamo lo scontento, e talvolta la rabbia, della pubblica opinione. La gente vuole un ministro degl'Interni che agisca e che faccia agire la polizia». «Ma lei sa com'è ridotta la polizia?» «In qualunque modo sia ridotta, siete voi che l'avete ridotta così. E quindi sta a voi rimediare.» Mi dice che non c'è da farsi illusioni: la situazione si aggraverà. Il terrorismo è finanziato coi sequestri, ha solidi agganci internazionali, e segue una tattica ben studiata. «L'attentato a lei fu un errore. Se a essere colpite fossero le personalità di rilievo, la gente media, cioè la grande massa della popolazione, sarebbe tranquilla. Invece hanno deciso di colpire i gradi subalterni – consiglieri comunali della Dc, capireparto della Fiat eccetera – per togliere il sonno a tutti.» Forse è vero. (29 ottobre 1977) *Quattro revolverate in faccia a [[Carlo Casalegno|Casalegno]], che ora è grave. Alzano la mira. (16 novembre 1977) *«La Stampa» riporta tutti gli articoli di solidarietà per Casalegno apparsi sugli altri giornali. Ma omette il mio, ch'era forse il più caldo: la solidarietà nostra la imbarazza. (18 novembre 1977) *Casalegno è morto. Ho telegrafato alla vedova, ma non al figlio – iscritto a [[Lotta Continua|Lotta continua]] –, né a [[Arrigo Levi|Levi]] e ai colleghi della «Stampa». Purtroppo, la loro faziosità condiziona la nostra solidarietà. Al funerale andrà Biazzi. (29 novembre 1977) *Incontro risolutivo a Roma tra Ferrauto e quelli della Sipra. Affare fatto e a condizioni molto più favorevoli di quelle sperate. Sei miliardi e settecento milioni come minimo annuo garantito, per cinque anni. Firmeremo il compromesso martedì 16. (10 maggio 1978) *Vista in tv la cerimonia funebre per Moro in San Giovanni Laterano. Dentro la basilica, tutti i dignitari Dc e quelli Pci inginocchiati sotto la mano benedicente del papa. E, fuori, la piazza sventolante di bandiere bianche e rosse. Non ho potuto fare a meno di rilevarlo in un "Controcorrente". (13 maggio 1978) *Batosta comunista alle amministrative parziali di ieri (4.000.000 di elettori). La Dc sale dal 38 al 42 per cento, il Pci scende dal 35 al 26. Successo dei socialisti che guadagnano il 4 per cento. Un risultato sconvolgente (in positivo). Uniche delusioni: il guadagno – sia pur minimo – del Pri, e la mancata rianimazione del Pli. (15 maggio 1978) *Firmato oggi l'accordo con la Sipra. Minimo garantito: 6.800.000.000 all'anno per cinque anni. Il presidente, D'Amico, è un ex operaio della Fiat, ora deputato comunista: un uomo concreto, franco, di poche parole. Era più soddisfatto lui dell'accordo con noi, che il direttore generale, il democristiano Pasquarelli. Io ho fatto la mia parte, da buon attore. Arrivato all'ultimo momento, ho detto: «Per impedire ripensamenti ed equivoci, trasformiamo il compromesso in vero e proprio contratto, e firmiamo subito». Lo champagne era già pronto. (16 maggio 1978) ==''I protagonisti''== *Nel settembre di quell'anno {{NDR|1956}} il partito lo spedì {{NDR|[[Gian Carlo Pajetta]]}} a Mosca insieme a Pellegrini e a [[Celeste Negarville|Negarville]] per sentire direttamente da [[Nikita Sergeevič Chruščёv|Kruscev]] come ci si doveva comportare nella crisi, ormai aperta, dell'antistalinismo. Kruscev li accolse affabilmente, li invitò a cena. E qui, trascinato da bocconi e libagioni ad una espansiva euforia come spesso gli capita, a un certo punto disse: «Beh, ora vi voglio raccontare come strangolammo [[Lavrentij Pavlovič Berija|Beria]]». E descrisse l'agguato che gli avevano teso al Cremlino, come gli erano saltati addosso e come gli avevano serrato la gola con le mani fino alla soffocazione. Lo descrisse ridendo allegramente, forse senz'accorgersi del pallore che soffondeva il volto dei suoi ospiti, o per lo meno quelli di Pajetta e di Negarville.<br />L'indomani li convocò nuovamente e, come non ricordando affatto ciò che gli aveva raccontato la sera prima, disse loro in tono solenne: «Beh, ora vi farò sentire il processo di Beria registrato sul nastro». E glielo fece sentire davvero come lo avevano inventato ''post mortem'', con la voce del defunto falsificata.<br />Quando si ritrovarono fra loro, Negarville e Pajetta si guardarono con gli occhi pieni di lacrime. «Ma allora – dissero –. Ma allora...». E non aggiunsero altro. (pp. 66-67) *{{NDR|Su [[Anna Magnani]]}} Ci sarebbe da scrivere un trattato sul modo di usare Anna. La prima precauzione da prendere è quella di non farla ritrovare in mezzo a estranei. Timida com'è, pur dopo un'esistenza trascorsa sotto i ''flashes'', la gente la raggela e la chiude in un mutismo ostile o l'aizza ad atteggiamenti protervi. Delle poche persone che le ho presentato, l'unica che la sedusse immediatamente fu il mio collega [[Augusto Guerriero]], perché il discorso cadde sui cani e sui gatti: e questo è un argomento su cui il cuore di Anna si scioglie e la mente le si ottenebra. Si mise in testa che noi due, con un articolo, potevamo far riformare la legge sulla protezione degli animali. E invano cercammo di dimostrarle che il problema non era di leggi, ma di costume. Non sentì ragioni. Dovemmo prometterle l'articolo (che poi infatti scrivemmo). (pp. 177-178) *{{NDR|Su [[Ignazio Silone]]}} Leggendo i suoi primi romanzi, ''Fontamara'', ''Pane e vino'', ''Il seme sotto la neve'', e pur ammirandoli, ero caduto in abbaglio sull'autore. Lo avevo preso per uno di quegl'industriali dell'antifascismo che, riparati all'estero, avevano trovato nella universale avversione alla dittatura una comoda scorciatoia al successo dei libri di denunzia. Lo consideravo insomma un profittatore del regime a rovescio (come del resto ce ne sono stati). E una conferma mi era parso di vederla nel fatto che finito, col fascismo, l'antifascismo, parve finito anche il narratore Silone.<br />Poi vennero ''Una manciata di more'', ''Il segreto di Luca'', ''La volpe e le camelie''. Ma vennero soprattutto alcuni saggi politici che mi costrinsero a ricredermi. Ed era proprio questo che non riuscivo a perdonargli. Mi era antipatico non per i suoi, ma per i miei errori. Più lo conoscevo attraverso i suoi scritti, e più dovevo constatare che non solo egli non somiglia affatto al personaggio che m'ero immaginato, ma che anzi ne rappresenta la flagrante contraddizione. (pp. 180-181) *{{NDR|Su ''[[Ignazio Silone#Uscita di sicurezza|Uscita di sicurezza]]''}} Come documento umano, non ne conosco di più alti, nobili e appassionati. Fenomeno unico, o quasi unico, fra gli sconsacrati del comunismo che di solito non superano mai più il trauma e trascorrono il resto della loro vita a ritorcere l'anatema, Silone non recrimina. Egli rifiuta i grintosi e uggiosi atteggiamenti del moralista, o meglio ne è incapace. Domenicano con se stesso, è francescano con gli altri, e quindi restio a coinvolgerli nella propria autocritica. Cerca di metterne al riparo persino [[Palmiro Togliatti|Togliatti]]; e se non ci riesce che in parte, non è certo colpa sua. Qui non c'è che un accusato: Silone. E non c'è che un giudice: la sua coscienza. (pp. 186-187) *Noi crediamo di scoprire dei modelli. In realtà non scopriamo che degli antenati. [[Carlo Cassola|Cassola]] s'illude di aver imparato da [[James Joyce|Joyce]] quello che già sapeva. Joyce gli avrà fornito, al massimo, qualche mezzo tecnico per esprimerlo. Uno [[scrittore]] vero (e Cassola lo è) non cerca in un altro scrittore che se stesso. (p. 207) *{{NDR|Su [[Enrico Mattei]]}} Egli amava solo il [[potere]], e l'amore del potere esclude tutti gli altri. (p. 265) *{{NDR|Su [[Giulio Andreotti]]}} Andava anche, mi dicono, a messa insieme a lui {{NDR|[[Alcide De Gasperi|De Gasperi]]}}, e tutti credevano che facessero la stessa cosa. Ma non era così. In chiesa, De Gasperi parlava con Dio; Andreotti col prete. Era una divisione di compiti perfetta. (pp. 271-272) ====''Il meglio di «Controcorrente»''==== *Il «comitato permanente antifascista» di Milano ha deciso di chiedere un «riconoscimento» per tutti coloro che sono stati «coinvolti direttamente nella strategia della tensione a partire dal 1º gennaio 1969». Ci risiamo. Tutta la nostra vita è stata angosciata e angariata dagli antemarcia: prima quelli del Littorio, poi quelli della Resistenza, ed ecco che ora spuntano quelli della «tensione». Longanesi aveva ragione: in questo Paese, reduci si nasce. (p. 47) *Agli alunni della terza classe (anni otto-nove) della scuola elementare di via Pisani, Milano, è stato assegnato il seguente problema: «Mario, Gino e Beppino sono i capi della banda. Mario dice a Gino che la banda ha quasi esaurito le munizioni: rimangono solo 5 cassette con 130 pallottole per cassetta. Quante pallottole rimangono?». Debolucci come siamo, in aritmetica, non lo sappiamo nemmeno noi. Ma ci pare che una per l'insegnante e una per il ministro Malfatti ci dovrebbero ancora essere. (p. 79) *Il messaggio di addio che il dimissionario capo dello Stato ha detto alla televisione e che anche noi pubblichiamo, è ineccepibile. Esso dà del presidente [[Giovanni Leone|Leone]] un'immagine che non fa una piega: un galantuomo all'antica, padre di una famiglia esemplare, ingiustamente calunniato da una stampa irresponsabile. Siamo sicuri che tutto questo si può dire di Leone. Ha un solo difetto: che a dirlo è stato Leone. (p. 84) *A Roma, nonostante tutte le ricerche fatte, non è stato possibile trovare un locale disponibile per un convegno di radicali. Non ce n'era uno abbastanza piccolo per contenerli tutti. (p. 103) *In un convegno su «Terrorismo e informazione», a Roma, è stato unanimemente riconosciuto che il [[segreto istruttorio]] in Italia non esiste. Lo trasgrediscono tutti. Non solo giornalisti e avvocati – e ancora passi – ma perfino magistrati che anticipano e propalano, il più delle volte per farne strumento politico, notizie riservate. «È il segreto di Pulcinella» si è lamentato il procuratore capo della Capitale, De Matteo. È vero. Ma Pulcinella non era giudice. E i giudici non dovrebbero essere Pulcinella. (p. 104) *Solo il tempo non perde tempo, diceva [[Jules Renard|Renard]]. E così, a furia di annunciarne i cambiamenti, il tempo è passato anche per il colonnello [[Edmondo Bernacca|Bernacca]], che ora deve rassegnarsi alla pensione. Peccato. Gli dobbiamo parecchi raffreddori e reumatismi. Ma nessuno riuscirà meglio e con più grazia di lui a farci capire ed accettare l'inutilità della meteorologia. (p. 108) *Qualcuno teme – e qualche altro spera – che l'Afghanistan diventi il Vietnam dei russi. Niente paura, in Afghanistan non ci sono giornalisti. (p. 112) *Quella del ''Corriere'' non è una situazione invidiabile: il direttore in congedo per l'affare della P2, manager ed articolisti contestati per lo stesso motivo, il maggiore azionista in galera, accusato di reati valutari, montagne di debiti, trasparenza della proprietà limpida come un mare in burrasca. Ci sarebbe davvero da mettersi le mani nei capelli. Se non fosse un giornale di [[Roberto Calvi|Calvi]]. (pp. 125-126) *Quando leggiamo «ministro senza portafoglio», ci viene sempre un dubbio. Che glielo abbia rubato qualche collega? (p. 146) *L'[[Organizzazione per la Liberazione della Palestina|Olp, Organizzazione per la liberazione della Palestina]], è stata ammessa con voto unanime, anche se provvisoriamente, nel Comitato olimpico asiatico. Non sapevamo che il lancio della bomba fosse diventato una disciplina atletica. (pp. 171-172) *A suo tempo imprigionato dagl'israeliani per complicità col terrorismo palestinese, e liberato per l'intervento del Vaticano con l'impegno di astenersi dalla politica, l'Arcivescovo libanese di Gerusalemme [[Hilarion Capucci]] ha dichiarato in un'intervista all'''Europeo'' che i rivoltosi di Gaza e della Cisgiordania non ricevono ordini da nessuno: «Li prendono solo da Dio, loro unico leader». Lo abbiamo sempre detto, noi: a grattare un arabo, anche se cristiano e Monsignore, viene fuori un Ayatollah. Ma forse non c'è neanche bisogno di grattare. (p. 184) *Da Praga [[Bettino Craxi]] proclama che «bisogna liberare l'Italia da Falci e Martelli». Benissimo. Ma chi è Falci? (p. 206) *[[Pino Rauti]] è intenzionato a candidare un africano alle elezioni comunali fiorentine. Più che giusto: il nero si addice al Msi. (p. 209) *Per evitare pubblicità attorno al caso di [[Angelo Peruzzi|Peruzzi]] e [[Andrea Carnevale|Carnevale]], i due giocatori giallo-rossi risultati positivi all'antidoping, il presidente della Roma, [[Dino Viola]], ha deciso di portare tutta la squadra in ritiro. A San Patrignano. (p. 216) *Secondo ''La Notte'' di ieri – che riferisce dichiarazioni d'un capo della Jihad islamica, Ibrahim Serbell – i terroristi arabi hanno nel loro mirino, per quanto riguarda l'Italia, «uomini politici, aeroporti e alcuni obiettivi strategici». Siamo molto preoccupati per gli aeroporti e gli obiettivi strategici. (p. 220) *La fantapolitica non è il nostro esercizio preferito. Ma ci chiediamo che cosa succederebbe se, con un colpo alla Moro, i terroristi si impadronissero di Cossiga e lanciassero al governo il ricattatorio ultimatum: «Se non ci date cento miliardi, lo liberiamo». (p. 228) *Malgrado tutto (e per tutto intendiamo proprio tutto), [[Moana Pozzi]] non è riuscita ad entrare a Montecitorio. Peccato. È l'unica Camera che non potrà dire di aver frequentato. (p. 236) *Sull'''Unità'' è comparsa la lettera di un deputato che, pericolosamente sfiorato da un motociclista, invoca drastiche misure penali contro i «teppisti al volante». Ci associamo alla proposta. L'unica cosa che ci sconcerta è la firma del proponente: è quella dell'onorevole [[Mario Gozzini]], autore della famosa legge che in pratica vorrebbe l'indulgenza plenaria per qualsiasi reo e reato. (p. 244) ==''Il testimone''== *Per restituire efficienza e prestigio alla polizia, bisogna prima restituirli allo Stato. E in che condizioni lo Stato italiano sia ridotto, tutti lo sappiamo e lo vediamo. Dovrebbero vederlo e saperlo anche i nostri uomini politici, e trovare il coraggio di riconoscerlo pubblicamente, invece di occultare la verità dietro la cortina fumogena di dichiarazioni pompose e altisonanti sulla «saldezza delle istituzioni» e simili. Furono questi proclami retorici e vuoti a provocare la bordata di fischi che accolse a Brescia [[Giovanni Leone|Leone]] e [[Mariano Rumor|Rumor]] all'indomani della strage. [...] La gente è stanca di una politica che cerca ma non trova, di una magistratura che istruisce ma non giudica, e soprattutto di partiti che strumentalizzano i morti per la loro propaganda politica. Con questi sistemi non si ricostruisce la fiducia. Si rende obbligatoria la sfiducia, condizione e prefazione della resa. (p. 33) *La Lombardia seguita a sfornare energie di prim'ordine. E da tutta Italia coloro che, come i soldati di Napoleone, credono di portare nel loro zaino il bastone di maresciallo, continuano a fare di Milano la loro mecca. Le difficoltà fra cui si dibattono sono molto più ardue di quelle che affrontano i loro predecessori per fare le fortune proprie e quelle di Milano. Ma la più ardua di tutte è il riciclaggio dei valori morali. Se Milano non restaura il culo dell'uomo, della sua iniziativa, del suo coraggio, del suo orgoglio di costruire, di rischiare e di vincere, e se non restituisce il premio a queste virtù, tanto vale che si arrenda allo Stato, al parastato e al sindacato, e si rassegni a diventare il ''bazar'' di un'Italia da terzo mondo. (p. 69) *Chi sia, cosa voglia e cosa valga Rizzoli, non c'interessa. C'interessa solo l'operazione cui egli presta il nome e il braccio (la mente lasciamola stare). Il tentativo di fare di Rizzoli, coi soldi del contribuente, l'editore del regime, è chiaro. E se di lui si vuol fare l'editore del regime, è altrettanto chiaro che si punta a una stampa di regime. Ma di quale regime? Evidentemente di un regime bisognoso di quei silenzi che solo una stampa di regime, affiancata da una RAI-TV di regime, può garantire. Se l'operazione riesce, caro lettore, dovremo dirci addio, perché per le voci libere e indipendenti non ci sarà più posto. Per soffocarle, non è necessaria nemmeno una legge: basterà lasciar aumentare il costo del prodotto bloccandone il prezzo. (p. 80) *Frondista sotto il fascismo, ribelle sotto la democrazia, Longanesi rimase sempre lo stesso. Il suo sogno sarebbe stato di fare l'anarchico in un regime autoritario borghese. Una volta lo condussi a parlare di un vecchio artigiano toscano, che diceva di essere stato in Russia a organizzare complotti e a fabbricare bombe contro lo zar. A tal punto Longanesi si entusiasmò di lui da rifiutare i miei sospetti sull'autenticità della storia. «È vera, è vera», diceva: «non hai sentito con che effetto e rimpianto parlava dello zar? L'affetto e il rimpianto del vero anarchico che, quando c'era lo zar, saoeva almeno contro chi buttare le bombe.» Ed era chiaro che anche lui rimpiangeva lo zar, per gli stessi motivi. (pp. 103-104) *In Italia i rappresentanti del popolo non sono popolari. Nessuno, nemmeno fra quelli che raccolgono centinaia di migliaia di voti, è veramente amato e rispettato. [...] I rappresentanti del popolo non parlano quasi mai col popolo. Parlano solo col partito, cioè fra loro, in un linguaggio ermetico che dà corpo ai peggiori sospetti. E in più c'è il borbonico attaccamento agli orpelli del potere. Questi capi di Stato e di governo, questi ministri [...] è fatale che agli occhi della gente appaiano come ''loro'', e ne subiscano le conseguenze. Non la si prenda per una dichiarazione di fede antirepubblicana. Ma [...] l'uccisione di [[Umberto I di Savoia|Umberto I]] che, come re, era il supremo dei ''loro'', sollevò un'ondata di commozione popolare più diffusa e spontanea di quella suscitata dal brutale sequestro di [[Aldo Moro|Moro]] (p. 114) *Sui feretri di coloro che sono caduti per ragioni ideologiche hanno diritto di sventolare solo le bandiere dei rispettivi partiti, e bisogna riconoscere che quelle della Democrazia cristiana possono vantare precedenza. Su quelli di tutti gli altri – magistrati, poliziotti, carabinieri, guardie e medici di carcere – può e deve sventolare solo il tricolore, se in qualche soffitta ce ne sono ancora degli scapoli. Il tempo delle usurpazioni e delle confische è finito. A ciascuno il suo. (p. 137) *In Germania c'è una norma statuaria che vieta di rovesciare un governo se prima non si sia trovata la maggioranza per formarne un altro. Da noi, ogni limitazione alla spensieratezza è considerata antidemocratica. Come diceva Longanesi: «Chi rompe, non paga, e siede al governo». (p. 161) *In questi venticinque anni, Kekkonen si è adoperato a «finlandizzare» la Finlandia: non aveva altra scelta, e c'è riuscito. La Finlandia è l'unico satellite dell'URSS in cui le fondamentali libertà democratiche sono rispettate, e di cui la porta è rimasta aperta all'Occidente. Ma non credo che questo miracolo sia dovuto solo a lui. Esso è dovuto soprattutto alla Finlandia e a quello che nel suo giovanile estremismo nazionalista egli stesso aveva chiamato «l'inutile sacrificio». Quel sacrificio fu invece utilissimo. È grazie a esso che la Finlandia non ha seguito la sorte degli altri tre Paesi Baltici – Estonia, Lettonia e Lituania –, ormai cancellati dalla carta politica dell'Europa. (p. 195) *Non vengano i sociologi a ripeterci la solita filastrocca che la mafia non è colpa di nessuno, neanche dei mafiosi, ma solo delle «strutture» e della povertà. Forse un tempo era così: il tempo in cui la mafia aveva qualche diritto di fregiarsi del titolo di «onorata società», e anche se avesse ammazzato un [[Carlo Alberto dalla Chiesa|Dalla Chiesa]], avrebbero risparmiato sua moglie. Oggi la mafia naviga nell'oro, e forse Dalla Chiesa è morto proprio perché aveva messo le mani su certe carte che riguardano finanziamenti per 880 miliardi ad aziende ancora più fantomatiche del Banco Andino di calvesca memoria. Il che dovrebbe indurci a qualche riflessione sui contributi che lo Stato fornisce alla Regione siciliana per aiutare l'isola a recuperare i suoi «ritardi». (pp. 215-216) *C'è chi chiede il rigore nella lotta all'inflazione, c'è chi lo chiede in quella della disoccupazione, c'è perfino chi lo chiede nello sviluppo dell'assistenzialismo. [[Guido Carli]] [...] ha detto ch'esso va applicato principalmente alla spesa pubblica, da contenersi entro l'invalicabile limite della «sopportabilità»: cosa su cui tutti hanno convenuto, essendo questo [...] il rigore che più piace agl'italiani (oltre quelli che gli arbitri di calcio assegnano in favore della squadra di casa). (p. 222) *La colpa dei Paesi sviluppati non è di far troppo poco per quelli di sottosviluppo, ma di farlo male. Qualcuno ha riassunto la lezione dei fatti nella massima: «Non date il pesce alla gente affamata; insegnatele a pescarlo». Ma per questo i miliardi non bastano: ci vogliono i missionari alla [[Marcello Candia]] e alla [[Madre Teresa di Calcutta|Suor Teresa di Calcutta]], molto più difficili da stanziare. Comunque, una cosa bisogna esigerla: l'eliminazione delle strozzature che impediscono agli aiuti di arrivare a chi ne ha veramente bisogno. Oggi come oggi, essi si fermano regolarmente sulle mense e nelle tasche di politici e burocrati delle nuove satrapie. Ma nella legge varata ieri non mi sembra che ci sia accenno allo smantellamento di questo perverso sistema. Che l'amministrazione di quei millenovecento miliardi [...] sia affidata a un sottosegretario invece che a un commissario, non mi pare una gran trovata. Si tratterà [...] del solito carrozzone lottizzato fra partiti, che farà presto a intendersi, via mance e bustarelle, coi carrozzoni dei Paesi da soccorrere. (pp. 257-258) *La [[Resistenza italiana|Resistenza]] un grande servigio all'Italia lo rese: ci procurò un notevole ribasso sul conto della sconfitta. Senza la Resistenza, non c'è dubbio che avremmo pagato molto più caro il nostro dissennato intervento a fianco della Germania. [...] Essa ha tutti i titoli per essere ricordata. Ma come la fine di una lunga sconfitta, la chiusura del capitolo più nero della nostra storia unitaria; non come il coronamento di una radiosa vittoria. Noi non ci liberammo; fummo liberati, L'aiuto – modestissimo, sul piano militare – che con la Resistenza demmo ai liberatori merita la gratitudine di tutti i disastri che ci risparmiò e le indulgenze che ci procurò al tavolo della pace. Ma la pretesa di confonderci coi vincitori, e perfino di parlare in loro nome, non può tirarci addosso che disprezzo e sarcarmi. (pp. 266-267) *Per Menichella, la ricostruzione e il grande decollo industriale erano possibili a una condizione: la stabilità della moneta. I capitali per gl'investimenti dovevano essere attinti non alla Zecca, ma al risparmio, che in caso contrario sarebbe stato distrutto dall'inflazione. E per accumulare il risparmio non c'era che una ricetta, la solita: lavorare di più e consumare di meno. Lo accusarono di rozzezza, di passatismo, lo tacciarono di «guardia bianca del capitalismo» che voleva «arricchire i padroni sulla pelle degli operai» [...] e un tenore della sinistra giunse a definirlo «un analfabeta dell'economia». E niente poteva essere più menzognero. Menichella aveva una preparazione di ferro. Di economia sapeva tutto. Solo lo traduceva [...] in un linguaggio spicciolo e sempre rapportato al concreto. I fatti gli diedero ragione. Ricostruzione e stabilità monetaria camminarono di pari passo; l'Italia raggiunse il ''boom'' nel momento in cui la lira si guadagnava l'Oscar. (p. 282) *Noi che laici siamo sul serio, non abbiamo nessuna nostalgia dello Stato crispino che credeva di fare del laicismo silurando i prefetti che andavano a messa e destituendo il sindaco di Roma per un atto di omaggio al Papa. Come non ne abbiamo per una Chiesa che umiliava padre Tosti e il vescovo Bonomelli, costringendoli a pubblici atti di contrizione per avere avanzato proposte di conciliazione. Uno dei motivi, forse il maggiore, per cui amammo e rispettammo De Gasperi è per la peitra tombale che ci sembrava avere messo su questo passato, dimostrando col proprio esempio come si possa essere insieme il più cattolico degl'italiani e il più italiano dei cattolici. [...] Non abbiamo titoli né qualifiche per rivolgerci al Papa. Ma se potessimo, gli porremmo una sola domanda che non dovrebbe [...] dispiacergli. Gli chiederemmo se per essere insieme buoni patrioti e buoni cattolici sia proprio indispensabile nascere polacchi. (pp. 306-307) *[[Walter Cronkite|Cronkite]] non ebbe mai dubbi sulla «obbiettività» delle sue immagini. «Parlano da sole», diceva. E in un certo senso è vero. [...] In questo lavoro di montaggio [...] fu un vero maestro. Come lo è stato nell'arte delle omissioni. Perché l'immagine del colonnello che sparava alla tempia del vietcong diceva, sì, la verità. Ma taceva, ignorandola, quella dello sfondo su cui la scena si svolgeva: il suolo tappezzato dai cadaveri seviziati dei ''marines'' sorpresi nel villaggio, delle donne sventrate e dei bambini abbruciacchiati per sospetto di collaborazionismo: tutte immagini che non avrebbero tolto nulla alla verità di quella della pistola sparata alla tempia, ma l'avrebbero spiegata sminuendo l'effetto dell'errore e del capriccio. Così come sono vere, verissime, le sequenze [...] della ritirata (si fa per dire) degli americani da Saigon: roba che quasi rivaluta l'8 settembre italiano, da arrossire di vergogna nei secoli. Peccato che Cronkite non abbia fatto riprendere le scene che contemporaneamente si svolgevano nelle strade della città via via che i ''liberatori'' del Nord vi s'inoltravano: roba da impallidire di orrore anche oggi. [...] Cronkite seguita a dire che la verità sul Vietnam è la sua. Ma è rimasto il solo a dirlo. Tutti i suoi ''fans'' lo hanno abbandonato e rinnegato. Compresa [[Jane Fonda]], che da cacciatrice di streghe e pasionaria del colpevolismo si è trasformata in missionaria del pentitismo e invoca il perdono dei reduci battendosi il petto. Con la stessa sincerità e buona fede, credo, con cui prima li indicava al crucifige. [...] È vero, putroppo, che la sorte del Vietnam fu decisa dalle «patacche» di Cronkite. In fatto di mestiere, possiamo imparare tutto da lui. Ma in fatto di verità, nulla. Salvo l'arte di contraffarla con l'aria di servirla (pp. 328-329) *Conosciamo dei comunisti che nel comunismo ci hanno creduto sul serio, e forse tanto più ciecamente quanto più bisognava essere ciechi per continuare a crederci. Sono quelli che l'abiura se la tengono in corpo, e che non imprecano contro l'idolo infranto. Sappiamo benissimo che, se avessero vinto, in nome di quell'idolo ci avrebbero, sia pure a malincuore, impiccati. Ma oggi il loro silenzio c'incute il più grande rispetto. Non altrettanto ne proviamo per i cosiddetti «emergenti» che, per continuare a emergere, inneggiano a tutto: alle macerie del Muro, alla perestroika, alla libertà, perfino al capitalismo, e si atteggiano a precursori e battistrada di questa totale, anzi totalitaria palinodia. Ma si tratta di una truffa bell'e buona. (pp. 343-344) *L'Expo è una grande abbuffata. E quando sono in gioco migliaia di miliardi, l'importante non è vincere; è partecipare. Che Venezia venga ridotta a un luna-park per la gioia a un luna-park per la gioia delle torme di straccioni (trenta milioni, secondo i preventivi più cauti) che la sommergerebbero rinnovando e centuplicando l'alluvione dei Pink Floyd era – ed è – per i fautori dell'Expo un'obbiezione facilmente superabile col discorso del Grande Progetto. [...] Venezia [...] appartiene al mondo, o per lo meno alla cultura di quello occidentale, di cui invochiamo [...] l'intervento per salvarla da quella masnada di locuste impazzite, disposte a farne un incrocio tra Las Vegas e Disneyland. (pp. 357-358) *[[Corrado Carnevale|Carnevale]] [...] ha dichiarato in un'intervista [...] che la notte non ha bisogno di sonniferi perché, nei confronti della Legge, la sua coscienza è a posto. Ci crediamo senz'altro. Ma se si ponesse la stessa domanda nei confronti della Giustizia, mi domando se i suoi sonni sarebbero altrettanto tranquilli. E tuttavia ci rendiamo conto che questa domanda non se la porrà mai, e anzi gli sembrerà del tutto stravagante. Perché, per un magistrato italiano, la Legge con la Giustizia non ha nulla a che fare. (pp. 387-388) *Dopo la liberazione, [[Luigi Durand de la Penne|de la Penne]] fu tentato dalla politica, e andò alla Camera prima sotto la bandiera democristiana, poi sotto quella liberale. In realtà, di bandiere, de la Penne non conosceva né riconosceva che il tricolore, e sperava ancora una volta di servirlo propugnando una riforma delle forze armate che le adeguasse alle nuove esigenze. Ma quando si accorse di non riuscire a combinar nulla, si ritirò; aveva capito che questi sono tempi per uomini di mare alla Accame, non alla de la Penne. Non fece mai l'eroe. [...] Ora, se qualcuno mi domanda perché ho dedicato alla sua scomparsa uno di quegli editoriali che di solito si riservano solo agli avvenimenti e ai personaggi della politica, rispondo che l'ho fatto per meglio sottolineare che per me e per gli uomini di questo giornale gli eroi delle guerre perdute non sono meno rispettabili e ammirevoli di quelle delle guerre vinte. E, in ogni caso, meritano il posto d'onore del giornale ben più dei personaggi di cui siamo costretti ogni giorno a interessarci. (p. 402) ==''Indro al Giro''== ===[[Incipit]]=== Il destino è stampato sulla carta d'identità e scritto nelle stelle. Indro Montanelli nasce il 22 aprile 1909, il primo Giro d'Italia prende il via il 13 maggio 1909. Stesso anno, stesso segno zodiacale: Toro. Potevano, queste due creature quasi gemelle, non percorrere un tratto di strada insieme? Potevano ignorarsi? ===Citazioni=== *Come i bersaglieri quando smettono di correre, così i ciclisti, quando cessano di pedalare ingrassano. *Il [[Giro d'Italia]] parla milanese, anche se poi, a vincerlo, è qualche toscano o qualche romagnolo. *I corridori sono come [[Anteo]]: il contatto con la loro terra gli dà forza. *Ma sapete voi con precisione che cosa sia una fuga, lo sapete? Non lo sapevo nemmeno io prima di vederla. Credevo che fosse l'uomo che, a un certo punto, si mette a pedalare più forte degli altri e li semina per via. Errattissima nozione. La fuga è invece un grande urlo e un gesto disperato che mettono d'improvviso in confusione tutta la carovana del Giro. *Quello della bicicletta è un mondo buono: e credo sinceramente che venga da questa bontà il fascino ch'esso esercita sulle folle. *Lasciatelo com'è questo Giro provinciale e festoso: lo sport di un popolo che, nella corsa verso il progresso meccanico, è rimasto alla bicicletta, tappa intermedia fra il cavallo e l'automobile, ritrovato artigiano e arnese di famiglia. *Se Parigi avesse il mare sarebbe una piccola Bari, ma non saprebbe accogliere i forestieri con tanto calore e sportiva cordialità. *Leoni, che oltre a tutto è un bellissimo ragazzo, ha una fidanzata la quale gli scrive raccomandandogli di non vincere, altrimenti troppe ragazze lo abbracciano porgendogli i fiori. Leoni è innamoratissimo della sua fidanzata ma non è certo per obbedire a lei che non vince. È solo per obbedire a [[Fausto Coppi|Coppi]] e restargli a fianco. *Gli assi possono permettersi di arrivare ultimi. E lo fanno senza risparmio. Possono permettersi di disprezzare i loro adoratori e lo fanno senza ritegno. L'adorazione rimane. *I corridori di bicicletta sono gente semplice, che non è mai stata in collegio. [...] Nessuno ha insegnato loro i dettami dello stile e della cavalleria. Li posseggono per natura. Difficilmente essi cercano di sminuire la vittoria dell'avversario e non gliene serbano rancore. Sono capaci di delicatezze che non credo esistano negli altri sport. *I corridori non si dovrebbero sposare; e, quando lo fanno, dovrebbero scegliere delle donne brutte. *È la specialità dei padri quella di sognare per i figli i trofei che loro non convengono, ed è la specialità dei figli quella di procurarsi trofei che ai loro padri non piacciono. ==''La stecca nel coro''== ===[[Incipit]]=== Non è questa la sede per rifare la storia del ''Giornale''. Ma voglio ricordare ai vecchi lettori e a spiegare a quelli nuovi ch'esso non fu un giornale, ma una battaglia, di cui può essere istruttivo ricostruire gli episodi. Quelli, decisivi, degli anni Settanta e Ottanta, in questa raccolta ci sono tutti, chiosati. E di queste chiose, ho l'immodestia di dire che non ce n'è una di cui debba pentirmi nemmeno ora che i pentimenti vanno di moda, anzi sembrano diventati un genere di prima necessità. Questa raccolta è dedicata a tutti i miei compagni di lavoro, defunti e sopravvissuti, italiani e stranieri, che condivisero con me i rischi (e ce ne furono) di questa avventura, la più bella di tutta la mia carriera di giornalista, e ai lettori che ci permisero di combatterla. Anche se tuttora ignoro se l'abbiamo vinta o persa. ===Citazioni=== *Anche a detrarne tutto ciò che vi avrà aggiunto la propaganda di parte, crediamo che di soprusi, sopraffazioni e sangue ce ne siano stati abbastanza, nel regime dei colonnelli, per giustificarne l'incriminazione. Tuttavia vorremmo che accanto a loro, sul banco degli accusati, venissero chiamati anche Papandreu e altri campioni del massimalismo piazzaiolo e di certo radicalismo snob, per spiegare ai giurati e alla pubblica opinione, non soltanto di Grecia, come mai i colonnelli giunsero al potere senza sforzo e senza sforzo lo conservarono fino a quando per propria insipienza lo persero. Solo così il processo acquisterebbe un senso, oltre quello della pura vendetta. Le colpe dei vari Ghizikis e Papadopulos non ne risulterebbero affato sminuite. Ma finalmente si capirebbe che i colonnelli non sono dei trovatelli e che per impedire i golpe non c'è che un sistema: far funzionare la democrazia. [...] Non auguriamo la forca a nessuno. Ma se un giorno qualche colonnello dovesse venirvi appeso, speriamo che ai Papandreu sia almeno proibito di partecipare alla festa. Perché i veri padri del golpe, le Circi che tramutono i colonnelli in dittatori, furono loro. (pp. 15-16) *Rivendicato il diritto alla scelta, gli elettori portoghesi l'hanno espressa con chiarezza lampante. Hanno votato per l'Occidente, per un Portogallo che sia socialmente più giusto di quello uscito dalla penombra salazariana, ma che rimanga saldamente ancorato all'Europa libera, alle sue alleanze, agli ideali della democrazia senza virgolette e sottintesi: una democrazia di cui i militari, con l'aiuto dei loro reggicoda comunisti, potranno conculcare le libertà fondamentali, ma coi carri armati, non in nome del popolo. [...] Due piccole nazioni, il Portogallo e la Grecia, uscite entrambe dalla prova di regimi dittatoriali, hanno votato, a breve distanza l'una dall'altra, con esemplare equilibrio, senza cedere alle tentazioni ed ai miti delle catarsi rivoluzionarie. È una grande lezione per altri Paesi che, avendo assaporato la libertà da molti anni, sembrano smaniosi soltanto di perderla. (pp. 44-45) *Per formare la maggioranza, la Dc non ha più a disposizione le tre forze laiche su cui De Gasperi fondò i suoi più fortunati e redditizi Governi: se i repubblicani hanno alla bell'e meglio temuto, liberali e socialdemocratici sono stati spazzati via. Occorrerebbero i socialisti, ma costoro hanno già dichiarato di non essere disponibili a maggioranze che escludano i comunisti. [...] Che razza di democrazia verrebbe fuori da un'ammucchiata totalitaria di queste tre forze che lasciasse l'opposizione al Movimento sociale, Dio solo lo sa. [...] I milioni d'italiani che [...] hanno votato Dc, lo hanno fatto ''unicamente'' perché la Dc si è presentata come il ''no'' al comunismo. Mai come stavolta il patto tra candidato ed elettore è stato così esplicito. Se lo ricordino bene i professionisti del tradimento [...]. Come li abbiamo aiutati a vincere, saremo i primi a denunciarli con nome e cognome. Il tempo delle deleghe in bianco è finito. Dando le – «preferenze» come noi avevamo suggerito –, il ciattadino stavolta sa per ''chi'' ha votato, e lo tiene personalmente responsabile. (p. 78) *Cosa vuol dire […] «gli chiediamo fino a che punto si spinge il suo disaccordo con la proposta di unità e di collaborazione democratica che noi avanziamo e sosteniamo, se al suo disaccordo c'è il limite fissato della difesa e della sopravvivenza del quadro costituzionale e repubblicano?» Vuol forse dire, senza dirlo, che chi si oppone a questa proposta, cioè in parole povere chi si oppone al compromesso storico, si mette automaticamente fuori da quel quadro e va considerato un eversore? Capisco che, a furia di praticarlo […] questo giuoco del fuorigiuoco sia diventato per voi un vizio. […] Ma stavolta l'impresa è più ardua del solito: non sono molti gl'italiani disposti a credere che rifiutare i comunisti al Governo significa rifiutare la democrazia e a considerare chi lo fa alla stregua di un killer o di un pistolero (pp. 104-105). *Noi non chiediamo la legge marziale. Basta la rivalutazione materiale e morale di quelle forze dell'ordine, i cui sacrifici sono stati fin qui regolarmente pagati ripagati con stipendi da fame, castighi disciplinari e campagne denigratorie. Basta insomma che sia affermato nei fatti, e non soltanto nelle parole, il supremo impegno a trattare il terrorismo come va trattato: in termini di scontro, non di «confronto». Faccia a faccia. Lo Stato italiano non può chiedere fermezza ai cittadini, se non ne dà esso stesso l'esempio. Spietatamente, quando occorre. E in questo caso occorre. (p. 119). *Noi […] non possiamo pronunciarci in favore di [[Marco Pannella|Pannella]]: egli giuoca in un campo che non è il nostro. Ma quattro cose dobbiamo dire, da avversari, di questo anomalo personaggio. La prima è che Pannella è [...] un personaggio su una scena politica popolata quasi esclusivamente di comparse e coristi. La seconda è che i suoi digiuni sono autentici e le sue tasche autenticamente vuote. La terza è che, se domani ci sarà un regime – ipotesi che si fa sempre più possibile – all'opposizione di questo regime ci saremo solo noi e Pannella, socio scomodo, ma di tutta affidanza. E infine dobbiamo riconoscere che fra noi e lui c'è [...] un fatto di sangue. Anche se scatena la sua buriana da sinistra facendo d'ogni erba un fascio […] e chiama la sua gente «compagni», ricordiamoci che Pannella è figlio nostro, non loro. Un figlio discolo e protervo, un giamburrasca devastatore che dopo aver appiccato il fuoco ai mobili e spicinato il vasellame, è scappato di casa per correre le sue avventure di prateria. Ma in caso di pericolo o di carestia, ve lo vedremo tornare portandosi al seguito mandrie di cavalli e di bufali selvaggi, quali noi non ci sogneremmo mai di catturare e domare. Questo è Pannella. Voti non possiamo dargliene. Ma ci auguriamo che sia lui a mietere quelli che non ci appartengono. (pp. 156-157) *Noi siamo contrari alle leggi speciali. Ma proprio per non dovervi ricorrere, siamo per l'applicazione più dura e risoluta di quelle vigenti. La Costituzione per esempio non prescrive che l'Italia ospiti, senza possibilità di esercitare su di essi alcun controllo, centinaia di migliaia di stranieri dal passato incerto, e tavolta fin troppo certo. E le Forze dell'ordine non possono essere condannate a giuocare eternamente «di rimessa» [...]. In queste condizioni, non si lotta. Si subisce soltanto. Ed è di questo che il Paese non vuol più sapere. [...] Ci risparmino i discorsi sulla bara di [[Vittorio Bachelet]]. [...] Il funerale di Stato, va bene. Ma in silenzio, ministro Rognoni, per l'amor di Dio. Siamo stufi di sentir dire che «il popolo italiano è compatto nel ripudio dell'eversione», che «fa quadrato intorno ai valori e alle istituzioni consacrate dalla Resistenza», che i terroristi ''no pasarán'' (uno slogan che, oltre tutto, ha sempre portato jella). Non ne possono più neanche i morti. S'immagini i vivi. (p. 179) *I vizi italiani vengono da molto più lontano della Costituzione: sono scolpiti nei secoli della nostra storia incivile. Ma fra i segni di questa inciviltà c'è appunto anche quello di rendere tabù i temi scomodi e di condannare al ghetto chi osa affrontarli [...]. Come se non vi fossero Paesi, quali gli [[Stati Uniti d'America|Stati Uniti]] e la [[Francia]], che in fatto di democrazia possono impartirci lezioni, e che tuttavia si reggono a sistema presidenziale. Come se non ve ne fossero altri, quale la Germania che, pur reggendosi a sistema parlamentare, vi ha introdotto correttivi che lo rendono radicalmente diverso dal nostro. E come se questi correttivi [...] non fossero stati discussi e decisi senza farne drammi né scatenare, contro chi li proponeva, cacce alla strega nazista. (p. 207) *Il terrorismo italiano non può contare su consensi e simpatie d'ambiente come quello palestinese, o irlandese, o basco, che una motivazione l'hanno, sia pure distorta dalle passioni e strumentalizzata da qualche «Grande Vecchio». Il terrorismo italiano poteva contare solo sulla connivenza della paura: e infatti, finché ne ha incussa, di connivenze ne ha trovate, anche fra gli intellettuali, anzi specialmente fra gli intellettuali. [...] Fino a quattro o cinque anni fa, a dire che i volantini delle Br e i loro opuscoletti di propaganda non erano che una serqua [...] dei più vieti luoghi comuni ripescati tra i rifiuti di Bakunin, Kropotkin, Stirner e altri profeti del Nulla [...] c'era da essere linciati. Non dai brigatisti [...] ma dai ''maîtres à penser'' della sociologia radical-chic, per i quali il terrorismo, prima che da combattere, era da comprendere nei suoi «contenuti di pensiero». In cosa consistessero e quanto rigorosi fossero questi contenuti, ce lo dice appunto la scoperta negli ultimi giorni di questa nuova Trimurti – terrorismo rosso, terrorismo nero, camorra – che come ammucchiata ideologica, non so se mi spiego. Può darsi ch'essa esploda e [...] devasti. Ma, costretta ad assumere i suoi veri connotati, che sono quelli della criminalità senza aggettivi, il suo potere d'inquinamento e di equivoco, che ne costituiva l'aspetto più pericoloso, finisce. Da [[Toni Negri]] a [[Raffaele Cutolo|Cutolo]], la parabola si è conclusa. (pp. 236-237) *Non abbiamo con [[Bettino Craxi|Craxi]] nessuna familiarità: avremo parlato con lui, sì e no, tre volte. Ci ha dato una incoraggiante impressione di energia, risolutezza, rapidità di riflessi. Ma da certe sue reazioni, ci è parso di capire ch'egli ha anche una spiccata – e funesta – propensione a considerare nemici tutti coloro che non si rassegnano a fargli da servitori. Sono pochi, intendiamoci, i politici immuni da questo vizio. Ma alcuni di essi sanno almeno mascherarlo. Craxi è di quelli che l'ostentano sino a esporsi all'accusa di «culto della personalità»: un culto [...] che [...] potrebbe procurargli seri guai. Non perché a noi italiani certi atteggiamenti dispiacciano, anzi. Ma perché in fatto di guappi siamo diventati, dopo Mussolini, molto più esigenti: quelli di cartone li annusiamo subito. (p. 271) *[[Vincenzo Muccioli|Muccioli]] ha operato in condizioni diverse. [...] Ha impiantato la sua comunità con criteri imprenditoriali, facendone una specie di ''kibbutz'' ormai vicino all'autosufficienza. [...] Uno che, senza essere un ''compagno'', conduce una sua guerra privata contro la droga, è doppiamente esecrabile. Per il vescovo [...] per il quale un'opera di redenzione intrapresa da un laico come Muccioli merita in ogni caso l'anatema. Ma la partigianeria del presidente Righi è inesplicabile, e riduce questo processo a una caccia alle streghe, che getta la Giustizia nel pantano. (pp. 301-302) *[[Enver Hoxha|Hoxha]] non aveva dalla sua nulla, quando si presentò alla Conferenza: null'altro [...] che il proprio coraggio, spinto fino alla protervia. [...] I primi proseliti li fece solo sul finire della guerra, quando prese corpo un po' di resistenza, ma li fece in nome dell'Albania, non del comunismo. [...] Era un satrapo anche lui [...]. Ma non indulgeva alle debolezze e alle pacchiane ostentazioni dei Ceausescu e dei [[Kim Il-sung|Kim Il Sung]]. Esigeva l'obbedienza più assoluta, ma in pubblico si mostrava di rado, e la sua era l'unica giacchetta di comunista da ''nomenklatura'' che non grondasse medaglie fino all'ombelico. (pp. 310-311) *{{NDR|Sulla [[rivoluzione ungherese del 1956]]}} Il motivo per cui divampò coinvolgendo tutta la popolazione è semplicissimo: gl'intellettuali e gli studenti che la capeggiavano erano i figli degli operai e dei contadini che la traducevano in sollevazione del popolo. Lo erano non in senso ideale ed astratto, ma in senso anagrafico [...]. E questo fu, per i comunisti, la vera beffa. Essi avevano abolito le classi, e ora questo creava una unanimità di partecipazione, quale credo che nessun'altra rivoluzione abbia mai avuto. E come poteva non essere socialista? [...] L'unica cosa che non si può è che i «quadri» del Pci [...] non avessero visto, né udito, né capito come oggi vorrebbero farci credere per avallare la tesi dell'«errore». [...] L'unico che, in mezzo a tanti contorcimenti e frullati di parole, ha avuto l'onestà di riconoscerlo è stato [[Gian Carlo Pajetta|Pajetta]], sempre lui. «Io non mi pento di nulla», ha detto «schierandoci con gl'insorti e condannando la repressione sovietica, avremmo spaccato il Pci; per questo accettammo e approvammo.» Alla buon'ora. (pp. 354-355) *Se l'unica maggioranza possibile è così risicata, lo si deve anche e soprattutto alla poltiglia di partiti – verdi, rossi e «lighe» varie – che il nostro sistema elettorale favorisce. Se ne sono contati [...] trentotto, più o meno combinati con liste locali in un groviglio di piccoli interessi regionali, corporativi, personali, uniti solo da un incoffessato e forse inconscio anelito sanfedista allo sfascio dello Stato unitario. Se non si pone termine a queste insensate dispersioni, è inutile chiamare gli elettori alle urne. Una maggioranza e un Governo degni di questo nome non li avremo mai. (p. 368) *Certamente [[Michail Gorbačëv|Gorbaciov]] aveva previsto le tremende resistenze della sua ''perestroika'' aveva trovato nella cosiddetta ''nomenklatura'', detentrice del potere con diritto di abusarne, e quindi ben risoluta a difenderlo. Ma forse non immaginava che la minaccia più grossa al suo riformismo decentratore sarebbe venuta dall'esplosione dei nazionalismi, che ora rischiano di travolgerlo. [...] Comunque, due lezioni ci sembra di poter trarre sin d'ora da questa vicenda. La prima è che se settant'anni d'internazionalismo proletario praticato senza esclusione di colpi non sono bastati a debellare i nazionalismi, vuol dire che il sangue, la lingua, la religione, la cultura sono più forti di qualunque ideologia. La seconda è che i totalitarismi sono più facili, o meno difficili, da montare che da smontare. A liberalizzare la Russia e a guarirla dallo Stalinismo poteva forse riuscire un solo uomo: [[Iosif Stalin|Stalin]]. (p. 403) *Quanti miliardi si sperperano oggi in Italia in premi e feste letterarie accompagnate da rinfreschi e pranzi per centinaia di coperti, targhe, medaglie, e gettoni di presenza? Basterebbe un centesimo, un millesimo, di ciò che si spende in queste fiere della vanità per salvare la Crusca raddoppiando il miserabile contributo statale. [...] Forse c'illudiamo. Ma noi ci ostiniamo a credere che in Italia ci siano ancora degl'italiani convinti che una cultura senza una sua lingua non è una cultura [...] e che un Paese senza cultura [...] non è un Paese; ma soltanto un accampamento di apolidi. (p. 419) *Era fatale che, una volta allentatesi le maglie della Dc, l'integralismo di un certo mondo cattolico lo avrebbe portato a confluire sulle posizioni delle leghe. Le ispirazioni sono diverse, ma il nemico è comune: lo Stato unitario e laico. [...] Dileguatosi, o in via di dileguarsi il pericolo comunista, e caduto quello di Berlino, è questo il Muro che ci dividerà nel prossimo futuro. Da che parte [...] stiamo noi, mi sembra superfluo dirlo. Ci stiamo [...] con la piena consapevolezza dei nostri errori passati e presenti e della nostra intrinseca debolezza. Ma anche con la coscienza che se con noi non c'è tutto il meglio, contro di noi c'è sicuramente tutto il peggio. Basta tendere l'orecchio ai discorsi di Rimini e alle acclamazioni che li hanno salutati. I «lumbard» hanno ragione di chiedere il gemellaggio con quella platea: come livello mentale e di cultura, siamo lì. (p. 442) *Uomo di governo, [[Mario Scelba|Scelba]] non fu mai uomo di partito. Lo frequentava poco, non fu mai partecipe di giochi di «correnti», e credo che sotto sotto li disprezzasse. [...] Se fu De Gasperi a guidare [...] la barca, fu Scelba a reggerla e non vedo chi altro, nella pattuglia democristiana, avrebbe avuto gli attributi per farlo. Sul suo feretro ci saranno poche lacrime, pochi fiori, pochi discorsi. Nessuno del cosiddetto ''establishment'' vorrà ricordare che se in casa non ci siamo ritrovati qualche Husak o [[Nicolae Ceaușescu|Ceausescu]], per gran parte lo dobbiamo a lui. Ma qualche italiano non lo ha dimenticato. (pp. 471-472) *Non c'è democrazia, diceva Clemanceau, senza un minimo di corruzione. D'accordo. Ma quando la democrazia degenera in partitocrazia, il minimo diventa il massimo e succede quello che abbiamo sotto gli occhi. E finché noi concederemo ai partiti – contro il dettato costituzionale che li considera semplici associazioni private – d'irretire tutta la vita pubblica e di arruolare, per le loro operazioni di saccheggio, un milione di lanzichenecchi con relative famiglie, di cosa c'indignamo? E cosa ci aspettiamo dal Palazzo romano, proiezione su scala nazionale delle situazioni locali tipo Milano? (p. 489) *Con qualsiasi legge si vada alle nuove elezioni, e specialmente se si va col papocchio escogitato da [[Sergio Mattarella|Mattarella]], esse riprodurranno molto probabilmente [...] la situazione che i risultati dell'altro ieri hanno soltanto anticipato: un'Italia divisa in tre: un Nord in mano alla [[Lega Nord|Lega]], un Centro alla mercé dei comunisti (ex o neo, non importa), un Sud in preda al caos. In questa situazione, cosa farà Bossi? Cioè [...] cercherà di frenare la spinta che fatalmente ne verrà alle tentazioni secessionistiche della Padania dal resto del Paese, o la seconderà? A differenza di Miglio, Bossi di secessione non ha mai parlato. Parla di «federalismo», e forse lo ritiene possibile. Noi crediamo che il federalismo sia soltanto la foglia di fico della secessione, e che nei precordi di molti leghisti covi una gran voglia di fare i cosacchi del Po. (p. 515). *La nuova legge elettorale, se non fosse stata tradita dai suoi soloni col turno unico, avrebbe dovuto condurre al confronto fra due ''rassemblements'', uno di centrosinistra con l'esclusione di Rifondazione, l'altro di centrodestra con l'esclusione del Msi, a garanzia di democraticità di entrambi. Stando le cose come stanno, il confronto non ci sarà perché di ''rassemblements'' ce n'è in campo uno solo: quello del Pds, che così sarà libero d'includervi anche Rifondazione. Per questo esso si batte contro la dilazione. Per questo noi la auspichiamo: nella (pallida) speranza ch'essa ci dia il tempo di uscire dallo stato confusionale in cui versiamo. Non è nostro diritto; è semplicemente nostro interesse spostare le urne al 12 giugno. Ma un interesse del tutto legittimo. Come legittimo è l'interesse del Pds ad anticiparle addirittura a marzo. La difesa del sistema e dei suoi papponi non c'entra. Che si voti a marzo od a giugno, l'uno e gli altri sono già cadaveri, e non c'è miracolo che possa resuscitarli. (p. 528) ==''Le nuove Stanze''== *Ribadisco la mia avversione alla pena di morte. Ma non me la sento d'impartire lezioni a chi tuttora la pratica. Non mi pare che, con la Giustizia che ci troviamo in casa, noi italiani possiamo impartire lezioni agli altri. (p. 46) *Toglietevi la parrucca, cari storici italiani. E invece di continuare a parlarvi tra voi, parlate, andando incontro alle sue curiosità, alla gente comune, quella che ha più bisogno del vostro sapere, e che sa benissimo distinguere il volgare pettegolezzo dall'aneddoto illuminante, di cui gli storici stranieri, soprattutto inglesi, compreso [[Denis Mack Smith|Mack Smith]], sanno fare buono e largo uso. (p. 81) *Io non sono piemontese né savoiardo, e la tradizione della mia famiglia è, caso mai, repubblicana. Ma la verità sono abituato a rispettarla, e non ad accomodarmela secondo i miei gusti e pregiudizi. Nel '46 votai monarchico non perché ero amico di Umberto e di Maria José, che sarebbero stati un Re e una Regina esemplari. Ma perché capivo ch'essi rappresentavano l'unico filo che ci legava all'unica nostra tradizione nazionale: il Risorgimento. La rigiri come vuole [...] ma la verità è questa: che senza Risorgimento non esiste una Storia nazionale italiana, e senza i Savoia non esiste Risorgimento. Ecco perché io dico e ripeto che la Repubblica italiana può tenere i Savoia [...] fuori dal territorio italiano. Ma chi tenta di estrometterli dalla Storia d'Italia, se non è un analfabeta è certamente un falsario. (pp. 112-113) *{{NDR|[[Luigi Cadorna]]}} Fu un generale di grande e inflessibile carattere, ma non un grande stratega. La sua fu dal primo all'ultimo giorno una guerra «di posizione», e quindi di logoramento, muro contro muro. Una «manovra» non la tentò mai, anzi non la concepì nemmeno. Stava [...] al «Regolamento», secondo il quale «le battaglie si vincono sulle cime». Sicché quando arrivò un battaglione tedesco al comando di un giovane capitano di nome Rommel che [...] s'insinuò nottetempo nelle valli, tutto il nostro schieramento ne venne preso alle spalle, e si liquefece, consentendo a Rommel di arrivare fino al Piave, dove si fermò: non per la resistenza dei nostri [...] ma per la mancanza di rifornimenti e di munizioni, che non avevano fatto in tempo a seguirlo. (pp. 118-119). *Quanto alla somiglianza fra noi e gli spagnoli, sì, c'è. Io, in Spagna, mi sento come a casa mia. Una sola cosa ci trovo in più: una dimestichezza con la morte che dà ai valori della Vita (la Dignità, il Coraggio, l'Onore) un peso ben diverso da quello che hanno da noi. E glielo invidio tanto. (p. 157) *Quanto alla sua supposizione che, se non ci fossero stati i russi, gli Alleati non avrebbero potuto sbarcare in Normandia e salvare i loro regimi democratici, mi permetta di sorriderne. Hitler perse la [[Seconda guerra mondiale|guerra]] prima ancora di dichiararla, quando scatenò la persecuzione razziale, che mise il mondo di fronte alla pretesa della sua «razza eletta» al dominio del pianeta e costrinse alla fuga il fior fiore della Scienza ebraica, che diede all'America la bomba atomica, la quale avrebbe reso superfluo anche lo sbarco in Normandia. (pp. 177-178) *In [[Alessandro Pavolini|Pavolini]] [...] è riassunto il dramma di una generazione che nel fascismo era cresciuta [...] e si sentiva impegnata a crederci anche in quell'ultima disperata fase. In lui ritrovo un po' di quel [[Berto Ricci]] [...] che, partendo volontario per la Libia, mi disse: «Una volta, nella vita, ci si può convertire. Io già lo feci rinnegando, per il fascismo, il mio passato di anarchico. Ora col fascismo devo morire». E morì. (p. 192) *Come lei certamente sa, furono i russi a giungere per primi sul famoso bunker di Berlino, fra le cui macerie si diedero subito a cercare il cadavere del Fuhrer, e lo trovarono, ma quasi completamente carbonizzato (egli aveva lasciato ai suoi l'ordine di bruciarlo con una tanica di benzina). D'intatto era rimasto solo il teschio con la sua dentatura costellata di ponti e protesi. Immediatamente fu ricercato e trascinato sul posto l'odontoiatra che glieli aveva sistemati. Dapprima gli fu chiesto in cosa erano consistiti i suoi interventi. Poi vi fu messo davanti, e lui li riconobbe senza esitazioni. Quel giorno il poveretto non tornò a casa. Dopo alcuni anni si seppe che esercitava il suo mestiere in non so quale città di provincia russa, ma sotto stretto controllo della polizia. Dopo qualche altro anno poté tornare in Germania, ma in [[Repubblica Democratica Tedesca|quella comunista]], sotto il controllo di una polizia ancora più efficiente di quella sovietica, e lì morì, non so quando. Perché i sovietici vollero sempre mantenere quel segreto? Perché alla loro propaganda [...] faceva comodo accreditare la favola di un Hitler salvato dagli americani, che lo tenevano sotto naftalina in qualche loro dorato ripostiglio per poterlo un giorno utilizzare in una nuova guerra contro la Russia. (pp. 257-258) *Da anticomunista, oserei dire «storico» quale mi considero, io sono pieno di rispetto sia per i Nagy nostrani quali i D'Alema e i Veltroni, che per i Kádár, quali i Cossutta e i Diliberto. Non so se come classe dirigente siano il meglio. Ma come sincerità di conversione democratica, ci credo (come credo, intendiamoci, a quella di un Fini, anche se viene da un passato molto meno intenso, drammatico e dilacerante di quello comunista). (p. 306) *{{NDR|A [[Mario Tuti]]}} Ho ben presente [...] il suo nome e il suo volto, e le azioni terribili che lei ha compiuto. [...] Da come scrive [...], lei è in grado di capire [...] quello che dico. È vero che «sul nemico vinto non si infierisce»: ma il sangue non si cancella con la gomma delle parole. Solo le vittime possono concedere il perdono; e io non sono stato, fortunatamente, davanti al mirino della sua pistola. Solo la giustizia può concedere sconti: e io non sono un magistrato. Non ho invece difficoltà a condividere una sua osservazione: alcuni disgraziati [...] sono più disgraziati di altri. E [...] i disgraziati di destra se la passano peggio dei disgraziati di sinistra, che hanno di solito qualche amico di gioventù ben piazzato, in grado di dare una mano. Ma il perdonismo peloso di alcuni non può giustificare la distrazione di tutti. (p. 322) *[[Yasser Arafat|Arafat]] non ha mai avuto né uno Stato, né un esercito, né un titolo che lo qualificassero a parlare a nome del suo popolo. Erano il carisma, l'autorità, il prestigio suoi personali che gli permettevano di svolgere questo compito. Ma questo dipendeva dal fatto che il suo popolo glieli riconosce in quanto si sente da lui «rappresentato». [...] Io sono e mi sento profondamente filo-israeliano perché negli ebrei riconosco i miei fratelli e in molte cose anche i miei maestri (anche se non sempre facili). Ma appunto per questo apprezzo ed ammiro gli Hussein, i Sadat e gli Arafat. Ai quali si possono anche rimproverare degli errori nella conduzione della loro politica. Ma non certo le intenzioni e il coraggio. Arafat è brutto [...] e non so come facciano i suoi amici (e i suoi nemici) [...] a ricambiarne i baci. Ma di quelli suoi credo proprio che ci si possa fidare. Che Dio, anzi Allah, ce lo mantenga ancora per molti anni. (pp. 387-389) *Come veterano del ''Corriere'' e un po' depositario della tradizione di una certa civiltà nei rapporti fra i suoi uomini, io rimasi offeso non dal licenziamento di Spadolini [...] ma dall'insolito modo – che io definii appunto «guatemalteco» – in cui era stato trattato e da cui trapelava la mano di un [[Giulia Maria Crespi|editore]] che, anche se portava il nome di quello vecchio [...], intendeva introdurre nuove regole nella gestione del giornale, di cui era praticamente diventata [...] la titolare. E lo dissi, e lo scrissi, e lo ripetei in varie interviste. Forse tuttavia questo strappo si sarebbe potuto rammendare se il cambiamento del direttore non avesse comportato anche un cambiamento di linea politica che saltava agli occhi di chiunque non volesse tenerli chiusi. [...] Quando dal ''Giornale'' uscii per ragioni abbastanza analoghe a quelle che mi avevano spinto fuori da via Solferino, il primo a venirmi incontro fu il direttore del ''Corriere'', Paolo Mieli, che [...] mi offrì il suo posto: un gesto che non dimenticherò mai. Avrei potuto [...] accettarlo solo a titolo onorario. Ma non potevo abbandonare gli uomini che ancora una volta mi avevano seguito. Da quel momento però fu chiaro che il ''Corriere'' era ridiventato quello che noi, vent'anni prima, avremmo voluto che restasse. Ecco perché, al termine delle mie battaglie e delle mie sconfitte (che considero il mio blasone), sono tornato al ''Corriere''. (pp. 406-408) *I politici della Sinistra, compresi i componenti dell'attuale «squadra» governativa sono dieci, venti, cento volte meglio della loro ''intellighenzia''. Anche se dicono fregnacce, le dicono a bassa voce, senza salire in cattedra, di dove l'''intellighenzia'' invece non scende mai, nemmeno per andare in bagno. (pp. 477-478) *Spero che ora avrai capito cos'è la mia dichiarazione di voto: non un sì all'Ulivo, da cui spero poco, ma in compenso non temo niente; ma il no a un Polo che, se riportasse davvero la schiacciante vittoria che si aspetta il suo ''Caudillo'', potrebbe creare nel nostro Paese una situazione davvero inquietante. Un voto di difesa sarà dunque il mio, come lo è sempre stato da oltre cinquant'anni a questa parte. (p. 496) *Sappi soltanto che, passato per una ventina di anni – quelli del ''Giornale'' – per «fascista» e negli ultimi dieci per «comunista», me la rido di entrambe le etichette. (p. 536) ==''Le Stanze''== ===[[Incipit]]=== Di tutta la mia attività giornalistica [...] considero questi colloqui col lettore come l'impegno che mi è riuscito meglio, o meno peggio. Se qualcuno mi chiedesse: «Cosa vorresti che, dopo di te, di te rimanesse?», risponderei senza esitare: «Questi colloqui». Mi rendo conto che un'affermazione del genere può apparire demagogica: in fondo, perché dovrei preferire queste risposte quotidiane [...] alla ''Storia d'Italia'' o agli ''Incontri''? È presto detto: perché, grazie a lettere e risposte, ho potuto restare vicino ai miei lettori, che mi hanno ricordato – con più o meno garbo, ma sempre con affetto – quello che un giornalista non deve mai scordare: che i padroni sono loro. ===Citazioni=== *Io non ho mai conosciuto un conservatore inglese che abbia mosso a Churchill il rimprovero di essersi alleato con Stalin – altro che il naso dovette strizzarsi! – quando le armate di Hitler spazzavano tutta l'Europa. Ma trovo ancora degl'italiani [...] che danno la colpa a me dello stato di necessità in cui ci trovammo nel '48 e nel '76 e che rendeva obbligata la nostra scelta. Oggi che il muro di Berlino ci ha liberato dall'incubo del comunismo [...], è facile fare processi a chi non aveva in mano altra arma elettorale che il voto alla Dc. Ed una cosa mi chiedo: tutti questi intransigenti eroi dell'anticomunismo, che oggi mi scrivono lettere d'insulti accusandomi di averlo tradito, dov'erano al tempo del comunismo vero, quando io ero uno dei pochissimi a combatterlo di fronte [...], e loro, incontrandomi per strada, fingevano di non conoscermi? (p. 12) *Hiroshima, se fossi americano, non porrebbe [...] nessun caso di coscienza. L'arma atomica era in fase di studio e di preparazione sia in Germania che in America, e si poteva supporre che lo fosse anche in Russia e in Giappone. Avrebbe vinto la guerra e deciso le sorti del mondo chi ci fosse arrivato per primo. Hiroshima fece della popolazione civile, dicono, duecentocinquantamila vittime. Quante ne risparmiò inducendo alla resa i giapponesi che sembravano vicini all'olocausto? E quanto servì a smorzare la pretesa sovietica d'imporre il suo «diktat» a tutta l'Europa? [...] Essa a tal punto sorprese Stalin che dapprincipio non ci volle credere [...]. Nessuno può applaudire un massacro come quello di Hiroshima né andarne fiero. E posso capire come coloro che vi hanno partecipato dandone l'ordine o eseguendolo possano aver avuto dei problemi di coscienza. Ma gli aviatori inglesi che rasero al suolo l'inerme Dresda abitata solo da civili, facendo tra di loro pressappoco lo stesso numero di vittime che a Hiroshima, questi problemi, da quanto se ne sa, non li ebbero. Forse che la guerra all'atomo è più crudele di quella al fosforo? (p. 62) *De Gasperi non fu mai uomo di partito. E fu proprio per questo che riuscirono ad emarginarlo con tanta facilità, relegandolo in una Presidenza grondante omaggi ed ex voto, ma priva di qualunque potere reale. È vero che lui non lottò, anche perché era ormai a corto di fiato. Glielo toglieva non solo l'azotemia, ma anche il fallimento della Ced, la Comunità Europea di Difesa su cui De Gasperi fondava [...] i suoi sogni di salvezza e di grandezza europea, che i francesi di Mendès-France condannarono al naufragio. [...] De Gasperi era uomo di Stato, l'ultimo che l'Italia ha avuto dopo Giolitti. Ecco perché [...] non ha né può avere eredi. (p. 86) *{{NDR|[[Che Guevara]]}} Era uomo di Rivoluzione, che mai si sarebbe rassegnato ad una comoda esistenza di ben pasciuto gerarca. Doveva tornare alla Rivoluzione, pur consapevole della sua impossibilità in Paesi che lui ben conosceva, ma appunto proprio per questo: per cercare una morte coerente con la sua vita. [...] Avessi trenta o quarant'anni di meno, anch'io forse avrei nel mio modesto appartamento una stanza attrezzata a mausoleo del Che, e lo conserverei come souvenir di un Sogno sbagliato, ma pulito, e comunque pagato. È a coloro che non vogliono mai pagare nulla che va tutto il mio disprezzo. (p. 121) *Non mi stupirei [...] se il ragazzotto Clinton, nei suoi anni da governatore, avesse ingannato la noia dell'Arkansas inseguendo le minigonne di passaggio. [...] Il paragone con Berlusconi mi sembra un po' stiracchiato. Se Clinton venisse trovato colpevole, sapremmo che è un adultero (affari suoi); se Berlusconi venisse condannato, sapremmo che è un corruttore non occasionale (affari anche nostri, dal momento che s'atteggia a statista). (p. 154) *Mi permetto solo di aggiungervi qualcosa sull'imbecillità, l'ipocrisia e i vaniloqui delle nostre «anime belle» pronte a cadere in deliquio e a mobilitare le piazze per un O'Dell che, anche se qualche tenue dubbio sulla sua colpevolezza poteva sussistere, uno stinco di santo certamente non era, e per una Karla Tucker, rea confessa, anche se poi arcipentita e sinceramente convertita al credo della carità cristiana (e, sia chiaro, anch'io avrei per entrambi preferito la revoca della pena di morte); ma sono rimaste impassibili o quasi di fronte alla proposta condanna di lapidazione (di lapidazione!) di un cittadino tedesco e della sua compagna iraniana, rei di aver fatto l'amore (soltanto l'amore). Queste sono le nostre «anime belle» laiche ed ecclesiastiche, pronte a commuoversi e a sproloquiare contro la sedia elettrica americana [...], ma indifferenti alla lapidazione [...] per una «contaminazione» di lenzuola cristiane e musulmane. Io [...] queste anime belle – che oltre tutto hanno quasi sempre delle facce bruttissime e jettatorie – le odio di un odio viscerale. (p. 206) *Sul nemico vinto e che si riconosce vinto non s'infierisce. In fondo questi brigatisti hanno avuto, nella sconfitta, una loro dignità. Non sono dei «pentiti» al modo dei mafiosi e camorristi che si pentono per procurarsi dei vantaggi e denunziano i propri ex compari. Non sono dei delatori. Sono, a loro modo, dei prigionieri di guerra, di una guerra grazie a Dio finita con la nostra vittoria, e che quindi, sia pure con le debite precauzioni, possiamo rimandare a casa. Non è vero che non hanno pagato: me ne citi uno che non abbia scontato quindici o vent'anni di galera e che non ne abbia distrutta la vita. Qualche sconto possiamo farglielo: la generosità è segno di forza, non di debolezza. (pp. 283-284) *In una società «aperta» come la nostra, che rende impossibile qualsiasi controllo e in cui il sequestro è un'industria di antica tradizione che dispone di un personale altamente specializzato; e con una Giustizia che invece di affibbiare un ergastolo senza indulgenza ai colpevoli, si accontenta di infliggergli qualche anno alleviato dai permessi di libera uscita; cosa possono fare le forze dell'ordine? Starebbe a noi cittadini trovare quella di resistere al ricatto. Da noi italiani tenerelli non si può pretendere tanto? E sia. Ma allora abroghiamo la legge. Perché, come italiano, nulla mi ha mortificato di più che sentire [...] [[Giovanni Maria Flick|un ministro della Giustizia]] e alcuni dei più alti dignitari della toga proporne un'interpretazione che costituiva un chiaro invito a evaderla suggerendo il cavillo a cui ci si poteva aggrappare per legalizzare la contravvenzione. [...] No, a questo non ci sto. Cerchiamo almeno di avere il coraggio della nostra vigliaccheria riconoscendo che, dati i pericoli che possono comportare, i risoluti «No!» al sopruso non appartengono al nostro armamentario caratteriale, e aboliamo la legge. Ma non perché è sbagliata: in sé quella legge è sacrosanta. Ma perché noi cittadini non abbiamo la forza di adeguarcisi e coloro che dovrebbero imporcerne l'osservanza [...] ci suggeriscono il modo di evaderla. Questo è il cosiddetto «Paese reale». (p. 286) *Che un processo possa essere oggetto di revisione è, per il cittadino, una garanzia irrinunciabile, specie quando si tratta di processi indiziari, e quindi rimessi a valutazioni soggettive e pertanto sempre discutibili. Nessuno è infallibile, nemmeno i giudici, e quindi il diritto di appello è sacrosanto. Quello che sacrosanto non è, sono gl'interminabili tempi che questa operazione solitamente richiede, dovuti a due motivi chiaramente visibili: i grovigli procedurali in cui il processo è avvolto, delizia del genio cavillesco italiano, e l'inefficienza del personale che vi è addetto. (p. 327) *Che cosa io pensi dell'onorevole [[Cesare Previti|Previti]] mi pare di averlo detto in termini talmente espliciti da apparire – a più d'uno – brutali: un personaggio che solo a guardarlo in faccia verrebbe voglia di applicargli le manette ai polsi prima ancora di sapere chi è e cosa ha fatto. (p. 356) *Non credo che, all'apertura totale delle frontiere, avremo un Parma composto soltanto di irlandesi, o una Cremonese modello ellenico. Avremo invece un vero mercato, dove il costo e lo stipendio di un professionista verranno stabiliti in base alla domanda e all'offerta. È questo ridimensionamento, mi sa, che non piace ai calciatori nostrani. Non la «sottoutilizzazione delle risorse sportive nazionali e locali». Non penso che i nostri calciatori abbiano altri motivi di preoccuparsi. Perché mai dovrebbero venire accantonati? Sono tra i più bravi del mondo, e la bravura, per un professionista (che calci una palla o calchi una scena), è la garanzia migliore. (p. 379) *Le mie dimissioni da italiano sono soltanto quelle da una grande illusione: quella che l'Italia fosse una Patria da potere in qualche modo servire. Io, pur commettendo parecchi errori, ho cercato di farlo. Ma forse, di questi errori, il più grosso è stato quello di credere che fare si potesse. A consolarmene c'è una cosa sola: che questo errore lo hanno commesso tutti i migliori uomini che l'Italia ha avuto nel suo secolo e mezzo di vita unitaria. (pp. 410-411) ==''Pantheon minore''== ===[[Incipit]]=== '''Einaudi'''<br>Avendo saputo che sollecitavo l'onore e il piacere di incontrarlo, il Presidente, che non mi aveva mai visto, trovò del tutto naturale invitarmi a colazione. «Quando vuol venire?» mi fece chiedere, «giovedì mattina, per esempio?» Giovedì voglio stappare una nuova bottiglia del mio 'barolo' e ci sarà anche la signorina Barbara Ward dell{{'}}''Economist''. Vino piemontese, giornalismo ed economia politica, pensa: sarebbe difficile sorprendere [[Luigi Einaudi|Einaudi]] in una cornice più einaudiana di questa. ===Citazioni=== *{{NDR|Luigi Einaudi}} E in quei pochi minuti aveva ancora tante cose da dire a due giornalisti per ricordare loro, [[Alessandro Manzoni|manzonianamente]], che l'[[uomo]] è «buono», come dice [[Jean-Jacques Rousseau|Rousseau]], ma tale può diventare solo in grazia delle buone istituzioni (in ciò consiste la sua posizione conservatrice e cattolicamente pessimistica). *[[Ingrid Bergman]] è forse la sola persona al mondo che non consideri Ingrid Bergman un'attrice completamente riuscita e definitivamente arrivata. (p. 195) *Non ho mai visto in vita mia, nemmeno nei film di cui la Bergman è protagonista, una donna così trasparentemente pulita. (p. 195) *Ogni buon [[padre]] di [[famiglia]] deve, al principio della giornata, sapere quanto la famiglia ha in cassa e quanto può spendere.<br>Einaudi conosce a memoria le cifre dell'economia italiana, come i re che lo precedettero conoscevano a memoria i nomi e i motti dei reggimenti. *«''Venez, mademoiselle, venez''», disse [[Anatole France]] a [[Emma Gramatica]] che, poco più che ventenne, si trovò un giorno a viaggiare con lui in automobile a Palermo, e aveva paura di essere troppo ingombrante sul sedile. «''Vous êtes comme les anges, qui n'ont pas de derrière!''»<br>Qualcosa come mezzo secolo dev'esser trascorso da allora, ed Emma somiglia un po' meno a un angelo, ma grassa non la si può dire nemmeno adesso. La vita che mena, d'altronde, non lo consentirebbe di diventarlo. Alla sua età, ha girato per tre anni consecutivi, tutti i teatri dell'America del Sud, volando da Buenos Aires a Santiago, da Santiago a Lima, da Lima a Caracas, e recitando una sera in italiano e la sera dopo in spagnolo, lingua che, sino al momento di partire, ignorava totalmente. Ora è tornata per girare un film con [[Vittorio De Sica|De Sica]], e sono fatiche a cui molti giovani non resistono. *Il [[fascismo]] trovò, tra i suoi oppositori più accaniti, [[Mario Missiroli]], che si batté a duello con [[Benito Mussolini|Mussolini]]. Egli non credette alla [[forza]] e al successo delle «camicie nere» fino al [[giorno]] in cui, mentre cercava faticosamente di salire sul tram, uno squadrista che lo incalzava, dopo avergli inflitto una serie di spintoni, non gli ebbe affibbiato, in risposta alle sue proteste, due sonori schiaffi che gli fecero volar via gli occhiali cerchiati d'[[oro]]. Mario li raccolse con [[dignità]], vi fiatò sopra, li ripulì col fazzoletto e concluse in tono ammirativo: «Però!... Picchiano bene, veh!...» ==''Qui non riposano''== *{{NDR|Sulla [[guerra d'Etiopia]]}} Quella fu una guerra ideale, la guerra-tipo della borghesia italiana: con pochi morti e molte medaglie. Io presi a capirne la miseria solo all'ultimo capitolo: quando, per la marcia su Addis Abeba, cominciarono a piovere dall'Italia e da Asmara gerarchi e aspiranti gerarchi, smaniosi di gloria a buon mercato: e Badoglio dovette emanare un ordine per cui solo chi presentava "un biglietto di autorizzazione" poteva marciare sulla capitale nemica. Solo in tempo fascista si poteva escogitare un finale di guerra con un biglietto per la capitale nemica. (pp. 107-108) *Io non volevo far politica. Ha il diritto un uomo della strada di non far politica? Ha il diritto un uomo della strada a dire che il governo ha fatto bene a far questo e male a far quest'altro? Ha diritto un giornalista, che è un uomo della strada, il quale va a vedere e riferire le cose per conto degli altri uomini della strada, ha il diritto di riferire che i fatti si svolsero così e così, e che in essi c'era tanto il bello e tanto il brutto, tanto di giusto e tanto d'ingiusto? No, il [[fascismo]] disse che un uomo della strada non ha tutti questi diritti. Ecco perché diventai antifascista. Non perché al posto di [[Benito Mussolini|Mussolini]] ci volevo un altro, ma perché non ci volevo nessuno. Io volevo stare alla finestra, come stanno i giornalisti, mestiere di spettatore e non di attore.<ref>Citato in Paolo Granzotto, ''Indro Montanelli'', p. 92.</ref> (p. 189) *[...] volevo avere il diritto di non pensare alla [[politica]], di disinteressarmi della politica, perché la politica la gente dabbene non la fa. La gente dabbene lavora in ufficio, viaggia, commercia, produce, ama una donna che può anche essere sua moglie (come è il mio caso), ama i suoi figli, ama la sua casa, paga le tasse, e di politica ne parla un quarto d'ora al giorno. (p. 190) ==''Reportage su Israele''== *Il fenomeno più interessante è forse quello ch'è stato meno sottolineato dagli osservatori stranieri: le minoranze arabe disseminate nel [[Israele|Paese]] hanno abbandonato i loro notabili che facevano lista per conto proprio, e hanno votato per i partiti nazionali infischiandosi ch'essi siano completamente in mani ebraiche. Sarebbe come se gli altoatesini, invece che per la ''Volkspartei'', votassero per i partiti italiani. Il partito comunista, verso cui li spingeva Radio-Cairo, è sbaragliato. Evidentemente la politica d'integrazione applicata nei loro confronti ha avuto il più completo successo, malgrado la guerra fredda, e tavolta calda, in cui si ostinano le nazioni arabe contro Israele (o forse proprio per essa). (p. 6) *Probabilmente i pionieri di Degania non si resero conto dell'importanza di ciò che facevano o forse non osarono nemmeno sperare che quel loro esperimento ne avesse tanta. Erano imbevuti di quel socialismo umanitario d'ispirazione tolstoiana che allora permeava gli ambienti intellettuali russi dai quali provenivano. Ma un'idea la ebbero chiara di certo: e cioè che l'unico modo di radicarsi in quella che la Bibbia e la Tradizione indicavano come loro Patria era di mettersi a lavorare la terra. (pp. 14-15) *L'esercito naturalmente serve ad Israele per difendere le sue ardue frontiere, e ha dimostrato di saperlo fare in maniera superlativa; ma i suoi sforzi quotidiani li concentra sulla formazione, più che del soldato, del cittadino. Esso prende i giovani di ambo i sessi e di qualunque condizione a diciotto anni, e per due anni e mezzo gli uomini, due le donne, li rimescola, li tritura e li macina. Insegna non soltanto il maneggio delle armi, ma anche la lingua a chi non la sa e il mestiere a chi non lo ha. La mattina, dall'alba a mezzogiorno, è tutta dedicata all'addestramento fisico delle reclute. Ma il pomeriggio è diviso fra il lavoro e la scuola. La caserma è di tipo ''kibbutz'', dove ci si prepara a quel solidarismo della vita collettiva che è l'ideale di questo popolo. Ed è qui che si forma l'israeliano non più ''azkenazi'', non più ''sefardita'', ma nazionale. (pp. 28-29) *[[Theodor Herzl|Herzl]] non era che un giornalista, redattore della ''Neue Freie Presse'' di Vienna. A proprie spese, viaggiando in terza classe, si mise alla ricerca in tutto il mondo dei correligionari danarosi, la maggiorparte gli rise in faccia. Il "Fondo nazionale ebraico per la terra" di quattrini ne raccolse pochi. Ma Herzl non si diede per vinto. Cominciò a visitare anche i potenti, dal Kaiser al Sultano fino a Vittorio Emanuele e al Papa per interessarli al progetto. E, sebbene questo non avanzasse, nel 1898 scrisse nel suo diario: «La mia sembra una chimera. Ma fra cinquant'anni lo Stato ebraico sarà una realtà». Si può essere scettici quanto si vuole, sulle profezie. Ma bisogna constatare che dal 1898 al 1948 [...] corrono esattamente cinquant'anni. Gli unici miliardari ebrei che presero sul serio Herzl furono i Rothschild. Essi non diedero capitali al ''Fondo'' forse perché avevano qualche dubbio sulla sua efficienza [...], ma per conto loro comprarono tutto ciò che in Palestina, allora provincia ottomana, c'era di comprabile, eppoi lo regalarono agli ebrei che ci andavano, per sé serbando soltanto il pezzo di terra necessario a ospitare le proprie tombe. (pp. 33-34) *Il partito di Ben Gurion, il ''Mapai'', ha riportato, contro quasi tutti i pronostici, una smagliante vittoria. E ora lui, ''Bigì'', deve formare il ministero, operazione che si presenta piuttosto complicata anche qui in Isarele. [...] Non dico che detesti la politica; anzi, ne è intriso. Ma non ama, della politica, questo aspetto minore – che purtroppo è quello quotidiano – delle estenuanti contrattazioni, del piccolo cabotaggio, delle furberie, dei compromessi, o per lo meno così dice. E ogni tanto pianta baracca e burattini, e se ne va. Dove? In mezzo al deserto del Negev, si capisce. La sua Riviera è lì, in un ''kibbutz'' poco distante da Beersheba, circondato dalle dune di sabbia e dai cammelli dei beduini. Ci resta tre giorni, una settimana, due, senza che nessuno osi disturbarlo. (pp. 40-41) *Gerusalemme è la città che fa maggiormente le spese di questa situazione manicomiale, quella nuova in mani israeliane è divisa da quella vecchia in mani arabe non da una frontiera ma da un muro, reso impenetrabile dall'intolleranza. In teoria, essa dovrebb'essere internazionalizzata, e per questo le potenze occidentali si rifiutano di riconoscerla come capitale di Israele e vietano ai loro ambasciatori di risiedervi. Ma siccome Israele vi sta ugualmente accentrando i suoi ministeri, questi poveri ambasciatori sono costretti quasi quotidianamente a farvi il su e giù da Tel Aviv dove sono obbligati a risiedere e che ne dista comunque oltre settanta chilometri. [...] Così a Gerusalemme non ci sono, come rappresentanti stranieri, che dei consoli, accreditati imparzialmente presso le due autorità locali, il prefetto israeliano nella città nuova e il governatore arabo in quella vecchia. Sono gli unici che possono attraversare la porta di Mandelbaum. (pp. 49-50) *Israele è estremamente utile agli arabi, o per meglio dire ai capi arabi, da un lato per sostenere di fronte al mondo la grossa menzogna dell'unità araba, e dall'altro per combattere fra loro la battaglia dell'egemonia. […] Se questo odio ci sia veramente, non lo so. So soltanto ch'è l'unico filo che tiene cucita la "fraternità" araba: questa curiosa fraternità punteggiata di congiure, di attentati, di assassinii caineschi, tra "fratelli" di cui ognuno accusa l'altro di non esserlo abbastanza. (pp. 51-52) *Se l'esistenza d'Israele serve agli arabi per puntellare alla meglio la loro convenzionale unità, la minaccia araba ha servito agl'israeliani per fare ciò che senza di essa avrebbero ugualmente, fatto, ma in cinquant'anni invece che in dieci. Il blocco e il boicottaggio arabo hanno paradossalmente funzionato, per Israele, da piano quinquennale senza bisogno delle imposizioni poliziesche di un regime comunista. [...] Psicologicamente, la tensione senza intermittenze con gli arabi ha sortito e seguita a sortire sulla società israeliana gli stessi effetti che la "frontiera", cioè la conquista dell'Ovest, ha prodotto alla società americana, obbligandola a restare per decenni e decenni tuffata in un'atmosfera pioneristica. [...] Morale: ognuno ha il nemico che si merita. (pp. 55-56) *Gl'israeliani hanno piantato in poco più di dieci anni trenta o quaranta milioni di alberi. E bisogna vedere con che orgoglio te li mostrano, con che incantamento se li guardano, con che passione li annacquano, li potano e li pettinano. Le case non sono granché: le costruiscono in fretta, senza varietà, e piuttosto "alla carlona". Ma non ce n'è una, nemmeno nelle città, che non abbia un giardino e nel giardino, insieme ai fiori, i suoi alberi. (p. 59) *Il teatro ''yiddish'', che pure era un grande teatro, v'incontra poca fortuna. Esso era nato in Germania e in Polonia, come uno specchio deformante di quelle società che relegavano gli ebrei nel ghetto e che essi ripagavano con la caricatura. Ora che dal ghetto sono usciti, essi stessi non comprendono più il significato di quei ghigni e di quelle smorfie. Il pubblico che ci va è tutto dai quaranta in su. (p. 62) *Lo Stato mostra parecchia tenerezza [...] per quelle due o trecento famiglie di ortodossi acquartierati in Gerusalemme, che lo negano e si rifiutano perfino di votare perché nella Bibbia sta scritto che uno Stato ebraico sarebbe rinato solo dopo l'apparizione del Messia in Terra [...]. Questi protestanti assolvono anch'essi una funzione. Servono a dimostrare che in Israele alla Bibbia ci si crede. [...] Ben Gurion è un laico puro. E tutta laica è la nuova generazione. Non è vero che Israele sia uno Stato confessionale. Lo è meno dell'Italia. (p. 66) *Non so a che punto siamo con la letteratura e la poesia, qui in Israele. [...] Ora che hanno una lingua propria a disposizione, i giovani scrittori d'Israele la usano [...] su tutt'un altro registro. Intanto, hanno scoperto anch'essi la natura. [...] Essi erano amari e disperati quando scrivevano in tedesco o in russo. Ora che scrivono in ebraico, le loro parole sono piene di sole e di sangue: cioè di gioia di vivere, anche quando descrivono la morte. (pp. 67-68) *[[Golda Meir]] è la "madre del Paese", anzi la mamma. E con le mamme, si sa, complimenti non se ne fanno. Per questo la chiamano soltanto Golda, la salutano alla voce, invece di baciarle la mano, quando passa per strada, e insomma le danno del tu. Essa è la meno ossequiata, ma la più amata e popolare, di tutte le donne d'Israele. [...] Essa rappresenta la vecchia guardia, la fedeltà all'uomo, al suo socialismo democratico, al collettivismo del ''kibbutz'' nel quale è anche lei maturata. (pp. 70-74) *I Paesi asiatici non hanno visto di buon occhio la nazionalizzazione del Canale di Suez, anche se per pregiudiziali anticolonialistiche hanno dovuto appoggiare [[Gamal Abd el-Nasser|Nasser]] e fingere di applaudirla. [...] Tempo fa il dittatore egiziano, per ritorsione contro Ceylon che gli aveva votato contro all'O.N.U., le ha bloccato tutta l'esportazione del tè, conducendo quel Paese sull'orlo del fallimento. Domani potrebbe fare altrettanto contro la Birmania. Il Canale non rende all'Egitto che dieci milioni di dollari l'anno. Ma gli consente di ricattare tutti i Paesi asiatici, che per quella via devono ancora passare. (p. 80) *{{NDR|Nel 1956}} [[Moshe Dayan|Dayan]] aveva in quel momento quarant'anni. Egli diresse le operazioni da un piccolo aereo di ricognizione che guidò da solo tenendolo librato qualche centinaio di metri sulla zona di combattimento. [...] Quando, in fase di armistizio, si trattò di scambiare i prigionieri, gl'israeliani ne restituirono seimila, gli egiziani uno: un pilota che aveva dovuto atterrare dentro le loro linee. Dopodiché il generale dal volto di ragazzo, invece di sfilare in parata per le vie di Gerusalemme alla testa delle truppe vittoriose, svestì la divisa, diede le dimissioni dall'esercito, e si mise a fare l'archeologo, fino al giorno in cui Ben Gurion gli propose di portarsi candidato nelle liste del suo partito. (p. 88) *Per Israele, l'unico lato negativo della campagna del Sinai del '56 ha rischiato di essere proprio questo: il pericolo di un "complesso di superiorità" che poteva indurre alla smobilitazione non tanto delle armi, quanto degli animi. Il lettore italiano non saprà con quanta cura [...] Governo, Parlamento e stampa si sono adoperati per "minimizzare" quella folgorante vittoria, che qualunque altro popolo avrebbe annaffiato di chissà quali fiumi di retorica. (p. 101) *In Israele sono stati investiti [...] oltre sei miliardi di dollari. Ma oggi rendono, eccome. Questo non è uno dei tanti pozzi di San Patrizio arabi, dove prestiti e finanziamenti finiscono in ville satrapesche o vengono ritrasferiti pari pari nelle banche svizzere. Israele è una grande impresa industriale, dove ogni dollaro dell'azionista si è tradotto in un albero o in un telaio. Oggi Israele è effettivamente alla vigilia di una crisi: ma si tratta di una crisi di sovraproduzione. [...] Le materie prime d'Israele sono l'ingegno, la disciplina, la fede in se stessi. Ma ce n'è in tale abbondanza che sui risultati finali non possono sussistere dubbi. (pp. 102-103) *Dicono che quello israeliano è un regime di socialismo addomesticato. Sarà. Ma è l'unico socialismo volontario che io abbia visto in atto, l'unico che abbia raggiunto forme anche estreme di vita collettivizzata per spontanea scelta di chi deve subirne i non piccoli inconvenienti. Eppure, in pochi Paesi si respira a pieni polmoni la libertà come in Israele. Non vi conosco un ricco. Non vi conosco un povero. Ma soprattutto non vi conosco un servo. (p. 104) *[[Chaim Weizmann|Weizmann]] voleva fare di questo Paese un gabinetto scientifico, il focolare dell'intelligenza umana applicata alla tecnica, un'appendice del suo Istituto, meraviglia del mondo. Ma anche questo è parso troppo poco. Secondo altri, Israele deve trasformarsi nel laboratorio della coscienza ebraica per la ricerca di un nuovo Verbo in cui il mondo trovi pace, libertà e giustizia. Se mi avessero detto queste cose prima di andare in Israele, credo che anch'io ne avrei sorriso, come forse sorrideranno alcuni lettori. Ma sul posto ci si accorge quanto profondamente sentite esse siano. (p. 108) *Per liberare il mondo dagli ebrei e gli ebrei da se stessi [[Theodor Herzl|egli]] aveva pochi anni prima lanciato l'idea di adunare a Roma tutti i rabbini e farli convertire dal Papa. L'affare Dreyfus gli dimostrò che nemmeno questo sarebbe bastato. E allora egli si diede a predicare lo Stato ebraico: ma sempre per liberare il mondo dagli ebrei e gli ebrei da se stessi. Herzl era una delle più affascinanti personalità che l'ebraismo abbia mai prodotto […]. Le sue ''illuminazioni'' si sono dimostrate alla prova dei fatti più valide della logica e della ragione. Mi piace concludere questo rapporto sulle cose d'Israele rendendo omaggio a questo singolare profeta, che nelle sue sconnesse visioni, in mezzo a fallimenti di ogni genere, non solo previde la nascita dello Stato ebraico, ma gli assegnò con cinquant'anni di anticipo la data esatta (il 1948) e la ''missione'' che gli spettava: quella di ''sconfiggere'' gli ebrei liberandoli da se stessi, cioè da quel fardello di miserie e di dolori che per due millenni ne hanno fatto il più tragico popolo del mondo. (pp. 109-110) ==''Ricordi sott'odio''== *''Non piangete | per | [[Cesare Zavattini]] | ha già pianto | lui per tutti noi.''<ref name=ricordi>Il libro raccoglie gli "epitaffi" scritti su personaggi al momento viventi (talvolta insieme a [[Leo Longanesi]]) e quasi tutti inediti.</ref> (p. IV dell'Introduzione di Marcello Staglieno) *''Qui | per la prima volta | [[Alida Valli]] | giace | sola''.<ref name=ricordi/> (p. 11) *''Qui | riposa | [[Amintore Fanfani]] | amico | dei nemici | nemico | degli amici | figlio | di [[Alcide De Gasperi|De Gasperi]] | padre | di nessuno.''<ref name=ricordi/> (p. 31) *''Qui | riposa | [[Mario Melloni]] | inquieto | transfugo | di sé stesso | momentaneamente | scomparso | a sinistra | in cerca | di una croce | su cui | inchiodarsi.''<ref name=ricordi/> (p. 65) *''Qui giace | Alba {{ndr|[[Alba de Céspedes]]}} | scrittrice scialba. | Divorò uomini e gloria | La Boria | la divorò''.<ref name=ricordi/> (p. 95) *''Qui | riposa | [[Mario Soldati]] | padre | figlio | autore | regista | interprete | di | Mario Soldati.''<ref name=ricordi/> (p. 123) *''Qui giace | [[Davide Lajolo]] | Segretario federale | Legionario di Spagna | Repubblichino di Salò | chiese | di passare all'anilina | la sua camicia nera. | E com'era | Rimase.''<ref name=ricordi/> (p. 179) *''In pace | qui giace | orbato | d'orbace | [[Achille Starace]].''<ref name=ricordi/> (p. 181) ==''Soltanto un giornalista''== *Da quando ho cominciato a pensare, ho pensato che sarei stato un giornalista. Non è stata una scelta. Non ho deciso nulla. Il giornalismo ha deciso per me. E questa è stata una delle mie tante fortune, posto che tutto quel che ho fatto lo debbo soprattutto a un alleato ch'è sempre rimasto al mio fianco: il caso. (p. 5) *Per sua disgrazia, [[Massimo Bontempelli|Bontempelli]] fu nominato accademico d'Italia da un fascismo che puzzava già di morto. Eletto senatore nelle liste del Fronte popolare dopo la guerra, non esitò a pronunziare giudizi brucianti su chi aveva collaborato col regime. Quel voltafaccia gli costò caro, perché a un certo punto saltarono fuori le lettere che aveva scritto a Mussolini per impetrare la sua nomina: i comunisti lo scaricarono e lui cadde in un tale stato di prostrazione da morirne. (p. 26) *A Salò ci fu di tutto. Ci furono le squadracce assetate di vendetta e di saccheggio che provocarono il disgusto agli stessi tedeschi. Ma anche uomini per i quali quello fu il banco di prova d'una coerenza e d'una lealtà che non possono non incuter rispetto. E l'unica ragione per la quale benedico le mie cosiddette benemerenze antifasciste è che mi han dato il diritto di difenderle. (p. 119) *Il 2 giugno del '46, giorno del referendum istituzionale, votai per la monarchia. Lo feci perché ritenevo fosse pericoloso recidere il tenue filo che legava l'Italia all'unica sua tradizione nazionale: quella monarchica, appunto. L'Italia non s'era "fatta da sé", come pretendeva la nostra storiografia ufficiale. Era stata fatta dalla monarchia sabauda guidata dal genio diplomatico d'un suo diplomatico, Cavour, che voleva estendere il Regno di Sardegna al Lombardo-Veneto. Se poi ci scappò fuori l'Italia, non fu grazie al contributo degl'italiani, che non ne diedero punto. Fu perché la storia dell'Europa andava verso la costituzione degli Stati nazionali, e condannava a morte quelli plurinazionali come l'Impero austriaco. [...] Al posto di quel patrimonio, sia pure modesto, cosa prometteva la Repubblica? Si presentava come depositaria dei valori della Resistenza, un mito ancora più falso di quello del Risorgimento. Che non era stata affatto, come pretendeva d'essere, la lotta d'un popolo in armi contro l'invasore, bensì una lotta fratricida tra i residuati fascisti della Repubblica di Salò e le forze partigiane, di cui l'80 per cento si batteva (quasi mai contro i tedeschi) sotto le bandiere d'un partito a sua volta al servizio d'una potenza straniera. (pp. 125-126) *Un'altra scelta s'era imposta, quella delle elezioni del '48. Per l'Italia era una scelta vitale: o con l'Est o con l'Ovest, ossia con i totalitarismi rossi oppure con le democrazie occidentali. Ergo, o con il Fronte popolare oppure con la Dc. E lì ebbe inizio il mio dramma, ch'è poi quello eterno del laico italiano: il quale, messo davanti al boia, vede comparire al suo fianco il prete che solo può salvarlo. (pp. 135-136) *Mi proposi due obiettivi, entrambi falliti: il primo era farmi intentare un processo dagli amministratori della città che attirasse l'attenzione sui pericoli che [[Venezia]] stava correndo. Il secondo era rendere pubblica la convinzione che m'ero formato: che per salvare Venezia la prima cosa da fare era sottrarla allo Stato italiano e affidarlo a un organismo internazionale come l'Onu, con le sue cospicue possibilità finanziarie e i suoi agguerriti uffici tecnici. [...] Il Comune di Venezia non aveva più nulla di veneziano, salvo la sede. A dominarlo erano gli elettori di Mestre e Marghera, che con quelli di Venezia si trovavano nella proporzione di tre a uno, e dalla loro avevano tutto: i soldi delle industrie, i sindacati e quindi anche i partiti. Decidendo di restare amministrativamente unita, Venezia ha preferito mettersi al rimorchio delle ciminiere e petroliere di Marghera, alle quali ha sacrificato il suo delicatissimo sistema idraulico. Fu allora che, con grande amarezza, feci atto di rinunzia a Venezia, convinto come ero, e come son rimasto, che una città si può salvare solo se sono i suoi abitanti a volerlo. (pp. 216-217) *Una sera, uscendo solo soletto dal «Giornale», mi trovai davanti il solito muro di folla tumultuante con le bandiere rosse spiegate. Dalla piazza si levò un urlo: «Tel chi el Muntanel!». In un attimo cinquanta scalmanati mi s'avventarono contro. Temendo il linciaggio, arretrai fino a trovarmi con le spalle al muro. Ma non feci in tempo a dire be' che mi ritrovai issato in spalla a una mezza dozzina d'energumeni, fra salve d'evviva. Erano i tifosi del [[Torino Football Club|Torino]] che quel giorno {{NDR|16 maggio 1976}} aveva vinto lo scudetto, e le bandiere non eran rosse, ma granata. E siccome i cronisti sportivi del «Giornale» erano sempre stati favorevoli al Torino, m'acclamavano come un loro idolo. (p. 241) *La Dc era il partito dei maneggi e dell'inefficienze. Ma se avesse perso il 4 o il 5 per cento dei suoi voti, il partito di maggioranza relativa destinato a formare il nuovo governo sarebbe diventato quello comunista. Ch'era ancora molto pericoloso. Perché è vero che in Italia c'era Berlinguer, ma io sapevo bene che col comunismo d'allora poteva ancora succedere di tutto: bastava un cambiamento al vertice e un Berlinguer poteva diventare un [[Alexander Dubček|Dubček]] come un [[Walter Ulbricht|Ulbricht]]. Il «Giornale» era certamente laico, ma prima di essere laico era italiano, e cercava d'operare con qualche senso di responsabilità. E negli anni Settanta solo gl'irresponsabili potevano augurarsi il crollo della Dc, cui eravamo condannati anche perché la cosiddetta Alleanza laica, l'accordo fra Pli, Pri e Psdi, non sortì mai i numeri per sostituirvisi. (pp. 243-244) *Ci fu un'unica battaglia sulla quale il «Giornale» si trovò allineato con Craxi e il nostro editore: quello per la libertà d'antenna. Battaglia sacrosanta. Berlusconi è tutt'altro che un idealista disinteressato e nessuno sa agire come lui aggirando, quando non calpestando, le regole. Ma i panni nobili coi quali i difensori della Rai rivestivano la loro offensiva politico-giudiziaria erano grotteschi. Se il peccato di Berlusconi stava nell'essere troppo amico del Psi, quello della Rai era d'essere troppo amica di tutti i partiti. A fornirci il destro furono poi i pretori coi loro interventi oscurantisti, peraltro prontamente sventati dai decreti di Craxi. E quindi la crociata dell'etere libero, che rientrava fra l'altro nella nostra tradizione antistatalista, divenne una campagna contro il "pretore selvaggio", che con i suoi abusi toglieva ogni certezza del diritto al cittadino. (pp. 275-276) *Le vere novità erano nate fuori dal Palazzo: come la Lega di [[Umberto Bossi]]. Che all'inizio anche il «Giornale», come molti altri, sottovalutò. Come si faceva a prender sul serio un invasato che nutriva le sue invettive di sfondoni storici e grammaticali da far accapponare la pelle? [...] Che Roma fosse ladrona, era indubitabile. E l'avversione per la burocrazia parassitaria e per il meridionalismo piagnone e sprecone andava a nozze con le tradizioni del «Giornale». Bossi quindi incarnava un sentimento molto diffuso anche fra i nostri lettori, una protesta genuinamente qualunquista che, per certi versi, all'inizio anche noi appoggiammo. Ma dovemmo prenderne le distanze quando Bossi cominciò a condire le sue contumelie contro il Palazzo con propositi secessionisti. (pp. 279-280) *Con Berlusconi, tuttavia, poi feci pace. Fu lui a telefonarmi: forse, aveva captato in qualche mio articolo un'ombra di rimpianto per il vecchio amico. Era il '96 e dopo il ribaltone le cose per lui si mettevano di male in peggio. [...] Così, una sera mi ritrovai di nuovo seduto alla sua mensa ad Arcore. [...] Riparlammo senza rancore dei nostri trascorsi. Gli domandai quale garanzia avesse ricevuto da [[Massimo D'Alema|D'Alema]] sulle sue aziende in cambio dell'opposizione inesistente che gli assicurava. Rise. «Ma perché, ora che hai sistemato i tuoi affari, non ti chiami fuori dalla politica?» gli chiesi. «È una parola» mi rispose rabbuiandosi. «I giudici non obbediscono neppure a D'Alema». E lì capii quale era, ormai, la vera sostanza del suo dramma. (p. 312) *Se anch'io sono diventato europeista, è per disperazione: l'Europa è forse l'unica possibilità di sopravvivere per noi italiani, che come italiani non siamo riusciti a vivere. Questo è sempre stato l'europeismo degl'italiani di più alta coscienza, a partire da [[Alcide De Gasperi|De Gasperi]], che fu il primo a capire i rischi d'un Italia lasciata in balìa degl'italiani. (p. 315) *Pur fra tante fortune, purtroppo a me la sorte ha riservato di portarmi nella tomba le due cose che ho più amato: il mio mestiere e il mio Paese. Che cosa sia diventato il primo, annientato da computer e televisione, è sotto gli occhi di tutti. Quanto al secondo, la cancrena è ormai inarrestabile e la decomposizione sta avvenendo per dissoluzione di quel poco che resta dello Stato. E dico decomposizione, non secessione. La secessione si fa anche con la violenza, e dove lo troviamo oggi un solo plotone di soldati disposto a imbracciare le armi pro o contro l'Unità dello Stato? Che, se resta ancora in piedi, è solo perché non ha neppure la forza di cadere. Quello di rinunziare alla nazione poi, è un sacrificio che non saprei compiere, anche se razionalmente mi rendessi conto ch'è necessario, oppure inevitabile. E ringrazio l'anagrafe che mi esclude dal problema. (p. 316) ==''Storia d'Italia''== {{vedi anche|Indro Montanelli e Roberto Gervaso|Indro Montanelli e Mario Cervi}} ===''L'Italia giacobina e carbonara''=== *I [[cinismo|cinici]] sono tutti moralisti, e spietati per giunta. (cap. 10, p. 144) *[[Francesco Melzi d'Eril|Melzi]] apparteneva a una delle più grandi famiglie dell'aristocrazia lombarda, e ne portava nel sangue le doti migliori: la rettitudine, la cultura, la cortesia, ma anche una certa alterigia, che probabilmente gli veniva dalla madre spagnola. (cap. 11, p. 152) *{{NDR|Francesco Melzi d'Eril}} Aveva fatto parte dei circoli illuministici dei Serbelloni, dei Beccaria e di Pietro Verri, di cui era anche cognato. [[Napoleone Bonaparte|Napoleone]] lo aveva conosciuto al tempo della sua prima campagna d'Italia, dopo la battaglia di Lodi lo aveva invitato a Mombello, e ne aveva fatto il proprio consigliere. Quel signore che portava ancora il costume settecentesco, le calze bianche e la parrucca incipriata, gli piaceva. Gli piaceva perché non era servile, perché non era venale, perché non era nemmeno ambizioso. Una leggera sordità e una salute piuttosto precaria, insidiata da un forte artritismo, l'obbligavano a riguardi incompatibili con l'esercizio del potere. Più che il protagonista, preferiva fare il suggeritore. (cap. 11, p. 152) *L'unico che avesse qualità di uomo di Stato era il ministro delle finanze, [[Giuseppe Prina|Prina]], anche perché era piemontese, cioè veniva da un paese che uno Stato lo era da secoli. Ex procuratore generale della Corte dei Conti di Torino e membro del governo provvisorio del '99<ref>1799.</ref>, si era poi trasferito nella [[Repubblica Cisalpina|Cisalpina]] e ne aveva preso la cittadinanza. Non aveva un carattere che attirasse simpatie. Anzi, chiuso e freddo com'era, le respingeva. Ma era un lavoratore instancabile e scrupoloso, dotato di un acuto senso politico e – diceva [[Stendhal]] – "ha del grande in testa". (cap. 12, p. 164) *Perché non andassero perse neanche le briciole {{NDR|delle entrate della Repubblica Cisalpina}}, Prina riformò tutto il sistema fiscale riducendone il personale e facendone una macchina di straordinaria efficienza. Fu lui a inventare la "tassa di famiglia", o meglio a ripristinarla, perché la sua vera iniziatrice era stata [[Maria Teresa d'Austria|Maria Teresa]]. Ma la maggior pressione la esercitò nel campo delle imposte indirette che colpivano tutti i consumi senza distinguere fra quelli di lusso e quelli di prima necessità. Naturalmente a farne le spese furono soprattutto le classi popolari, che di lì a pochi anni gliel'avrebbero fatta pagare<ref>Prina, dopo l'abdicazione di Napoleone, fu linciato dalla folla a Milano il 20 aprile 1814.</ref>. Ma con questi sistemi riuscì a portare le entrate da settanta a oltre cento milioni e a pareggiare il bilancio. (cap. 12, p. 165) *[[Carlo II di Parma|Carlo Ludovico]] era stato talmente oppresso dalla madre<ref>Maria Luisa di Borbone-Spagna (1782–1824).</ref> che sognava di disfare tutto ciò ch'essa aveva fatto, compreso il proprio matrimonio; e quando le successe nel '24<ref>Come duca di Lucca nel 1824.</ref>, introdusse anche per buona fortuna dei lucchesi, metodi di governo diametralmente opposti a quelli di lei. Ridusse l'appannaggio che Maria Luisa esigeva per alimentare i suoi fasti spagnoli, liberalizzò i commerci, e alla fine si convertì addirittura al luteranesimo, mentre sua moglie diventava Terziaria domenicana. Fu un cattivo marito, ma non un cattivo sovrano. E Lucca, sotto di lui, respirò. (cap. 25, p. 375) *[...], {{NDR|la [[Carboneria]]}} non fu certo una scuola di educazione politica, e probabilmente è anche al suo esempio e modello che sono dovute le malformazioni della nostra democrazia e la sua intrinseca debolezza. Figli e nipoti dei Carbonari furono quei "notabili" che governarono l'Italia fino alla prima guerra mondiale e che, insieme a innegabili virtù, ebbero anche il vizio di considerare il Paese una "clientela" di Apprendisti esclusi dai "sacri travagli". (cap. 26, p. 395) *Fu qui {{NDR|al Teatro alla Scala}} che {{NDR|[[Ugo Foscolo]]}} vide [[Antonietta Fagnani Arese]], già famosa a ventitré anni non soltanto per la sua bellezza, ma anche per lo sfruttamento intensivo che ne aveva fatto. Probabilmente era una frigida, ma che sapeva recitare la sua parte: tutti i giovani più in vista di Milano cadevano nelle reti di questa Circe, e forse fu anche questo a stimolarlo. (cap. 35, p. 510) *Misto di genio e di ciarlatano, [[Domenico Barbaja|Barbaja]] aveva debuttato come sguattero, aveva fatti primi soldi inventando un dolce di panna e cioccolato, la "barbajada", li aveva moltiplicati con la gestione del Ridotto da giuoco della Scala, e ormai tanti ne aveva che quando il San Carlo andò distrutto da un incendio, lo ricostruì a proprie spese. (cap. 39, pp. 608-609) *{{NDR|Domenico Barbaja}} Era semianalfabeta, e di musica non conosceva una nota, ma conosceva il pubblico, era un infallibile scopritore di talenti, e nel 1815 si assicurò quello di un compositore ventitreenne, in cui già aveva identificato la figura più rappresentativa della lirica contemporanea: [[Gioacchino Rossini]]. (cap. 39, p. 609) *{{NDR|[[Ciro Menotti]]}} Uomo onesto, ma di un candore che sconfinava nella sprovvedutezza, [...]. (cap. 40, p. 635) ===''L'Italia del Risorgimento''=== *{{NDR|[[Giuseppe Mazzini]]}} Due mesi d'intenso lavoro gli bastarono a maturare il piano. Più che una setta, la sua organizzazione sarebbe stata un vero e proprio partito, anche se clandestino, senza l'oscura simbologia e i complicati rituali carbonari. Si sarebbe chiamata ''[[Giovine Italia]]'' e lo sarebbe stata anche di fatto perché, salvo casi eccezionali, era preclusa a chi avesse superato i quarant'anni di età. (cap. 4, pp. 54-55) *D'irresolutezza, [[Carlo Alberto di Savoia|Carlo Alberto]] aveva dato prova anche prima di salire sul trono, e lo aveva dimostrato anche il suo contraddittorio atteggiamento nel '21<ref>Nei moti piemontesi del 1821, Carlo Alberto aveva prima dato e poi ritirato il suo appoggio ai congiurati.</ref>. Il coraggio e la volontà non gli mancavano; ma gli mancava il carattere. Nella guerra di Spagna era stato un valoroso combattente<ref>Nel 1823, Carlo Alberto aveva partecipato alla campagna militare per ristabilire l'assolutismo regio in Spagna.</ref>, e la disciplina a cui si sottoponeva era spartana. Ma le responsabilità morali lo sgomentavano. (cap. 9, pp. 135-136) *{{NDR|Carlo Alberto}} Non era né intelligente né colto. Ma certi movimenti di opinione pubblica e orientamenti di pensiero li coglieva e ne restava influenzato. Nel '38 aveva mandato in galera e poi in esilio [[Vincenzo Gioberti|Gioberti]], ma nel '43 ne leggeva con interesse il ''Primato''. Se [[Massimo d'Azeglio|D'Azeglio]] avesse scritto il suo libro<ref>''Degli ultimi casi di Romagna'' (1846).</ref> due anni prima, avrebbe mandato in esilio anche lui. Ora in pratica ne aveva fatto una specie di agente segreto. I tempi insomma li sentiva e con essi andava. (cap. 9, p. 136) *Questo grande soldato {{NDR|[[Josef Radetzky]]}} non aveva mai conosciuto sconfitte, e a ottant'anni suonati conservava intatte prestanza fisica ed energia morale. Come tutti i militari, credeva soltanto nella spada e nella disciplina. Ma non somigliava affatto all'immagine che di lui ci ha tramandato la storiografia risorgimentale: quella del crudele "impiccatore", del caporalaccio ottuso, grossolano e brutale. Era al contrario un grande signore, di tratto ruvido ma generoso, perpetuamente alle prese con problemi di bilancio perché aveva le mani bucate. (cap. 13, p. 194) *{{NDR|Radetzky}} Aveva sposato una Contessa austriaca che viveva a Vienna e gli aveva dato otto figli da cui non gli venivano che dispiaceri. Uno militava ai suoi ordini lì a Milano, ma era un così cattivo arnese che un prete un giorno lo schiaffeggio per strada. Radetzky mandò a chiamare il prete, gli strinse la mano e gli disse: "''{{sic|Crazzie}}''". Per amante si era presa una brava stiratrice lombarda che sapeva cucinare bene gli gnocchi, di cui era ghiottissimo, e dalla quale ebbe altri quattro figli. Non era affatto un odiatore degl'italiani: tant'è vero che, quando andò in pensione, rimase a Milano, e lì morì nel '58. Era soltanto un fedele servitore del suo Paese, di cui non discuteva la causa. E soprattutto era un vecchio lupo di guerra coraggioso, astuto e risoluto. (cap. 13, p. 195) *La notizia si diffuse prima ancora che lo [[Statuto Albertino|Statuto]] fosse firmato, e in un battibaleno le piazze di Torino, eppoi di tutto il Piemonte, eppoi di tutto il Reame, si riempirono di folla esultante. Essa non conosceva il contenuto del documento che introduceva, sì, un regime rappresentativo, ma circondandolo delle maggiori cautele [...]. Più che del suo contenuto, la pubblica opinione era innamorata della parola ''Costituzione'', che aveva finito, per assumere ai suoi occhi magici significati, e la salutava con luminarie, canti e bandiere. (cap. 14, p. 218) *[...] [[Francesco Anzani|Anzani]], il più serio e autorevole degli esuli italiani, che aveva combattuto per la libertà in Grecia e in Spagna. Le sue parole avevano gran peso anche perché fra tutti quei chiacchieroni, ne pronunziava poche. (cap. 18, p. 281) *[...] [[Giuseppe Montanelli|Montanelli]] era così infatuato {{NDR|del progetto di Costituente italiana}} e tanto ne parlava nei suoi discorsi che il popolino – dicono – finì per credere che la Costituente fosse il nome di sua moglie. (cap. 19, p. 298) *[[Pellegrino Rossi|Rossi]] era un toscano della Lunigiana, ma solo all'anagrafe. Come formazione e mentalità, apparteneva ancora a quel tipo di {{sic|apòlidi}} che l'Italia del Settecento sfornava doviziosamente e che, non trovando in patria un terreno per i loro talenti, andavano da mercenari a investirli all'estero. Professore d'Università a poco più di vent'anni, poi commissario di [[Gioacchino Murat|Murat]] al tempo del suo infelice tentativo di unificare l'Italia sotto il suo scettro, era l'unico cattolico cui l'Accademia calvinista di Ginevra avesse mai affidato una cattedra. (cap. 19, p. 301) *{{NDR|Pellegrino Rossi}} Fu sin dal principio un fautore di [[Papa Pio IX|Pio IX]] fino a partecipare di persona alle manifestazioni popolari in suo favore, ma vide subito la pochezza e ambiguità dell'uomo e ne denunziò i pericoli. (cap. 19, pp. 302-303) *Sebbene gli avessero affidato pieni poteri, [[Daniele Manin|Manin]] era un uomo discusso. Molti lo consideravano un malaccorto maneggione, un improvvisatore digiuno di problemi economici e militari, bravo soltanto ad attribuirsi i meriti degli altri. Secondo [[Niccolò Tommaseo|Tommaseo]], ch'era fra i suoi più insidiosi diffamatori, il potere gli aveva dato "una scossa da intorbidargli la mente e far più grave e manifesta la sua inesperienza". (cap. 23, p. 354) *{{NDR|Daniele Manin}} Intellettualmente, non era al livello di un [[Giuseppe Mazzini|Mazzini]] o di un [[Carlo Cattaneo|Cattaneo]]. Ma era, come loro, inattaccabile sul piano morale. E, in mancanza di un vero e proprio potere carismatico, esercitava sulle folle un notevole fascino per la sua gioviale e arguta "venezianità". Parlava sempre in dialetto con battute raccattate sulla bocca dei gondolieri, e anche nel dramma portava un pizzico di [[Carlo Goldoni|Goldoni]]. I suoi limiti li conosceva, e non è vero che l'autorità gli avesse dato alla testa, come diceva Tommaseo che diceva male di tutti. Anzi la esercitava bonariamente e cercava di circondarsi di uomini validi che sopperissero alla sua incompetenza. (cap. 23, pp. 354-355) *Eran trascorsi pochi mesi {{NDR|dal suo matrimonio con Vittorio Emanuele}}, che [[Maria Adelaide d'Asburgo-Lorena|Maria Adelaide]] lo sorprendeva nel giardino di Moncalieri con una diva del teatro, Laura Bon, ma si guardò dal farne un dramma. Perfettamente educata al mestiere di Regina, essa sapeva che la rassegnazione alle infedeltà ne è parte imprescindibile, e le sopportò sempre con garbo e dignità. (cap. 25, p. 390) *Sfruttando la devozione di Carlo Alberto, [[Clemente Solaro della Margarita|Solaro della Margarita]] aveva regolato i rapporti con la Chiesa in modo tale da fare del clero piemontese il più potente d'Italia dopo quello dello [[Stato Pontificio|Stato pontificio]]. Esso aveva ancora i suoi tribunali in concorrenza con quelli dello Stato e poteva concedere il diritto d'asilo ai delinquenti. (cap. 26, p. 410) *[...] {{NDR|Giuseppe}} Montanelli, gran galantuomo e ricco d'ingegno, non lo era altrettanto di carattere. Idee ne aveva, anzi ne aveva troppe; ma, facilmente suggestionabile, finiva sempre per adottare quelle dell'ambiente in cui viveva. (cap. 29, pp. 464-465) *Il primo a trarne le conclusioni {{NDR|dalle tesi favorevoli alla monarchia piemontese esposte nel libro di [[Vincenzo Gioberti|Gioberti]] ''Del rinnovamento civile d'Italia''}} fu [[Giorgio Pallavicino Trivulzio|Pallavicino]], l'ex prigioniero dello Spielberg, da un pezzo rifugiato a Torino. Di scarso cervello politico, impetuoso fino alla leggerezza, teatrale e un po' troppo portato a ostentare i suoi titoli di "martire", aveva fino allora militato sotto bandiera rivoluzionaria. (cap. 32, p. 514) *{{NDR|Tra i Mille di Garibaldi}} C'era il malinconico ex prete [[Giuseppe Sirtori|Sirtori]], che della guerra aveva fatto una mistica e sul campo sembrava che officiasse. (cap. 40, p. 635) ===''L'Italia dei notabili''=== *La [[Convenzione di settembre|Convenzione]], che fu detta "di Settembre" dal mese in cui venne concordata, si componeva di cinque articoli e stabiliva: che l'Italia rinunziava ad ogni atto di ostilità contro il territorio pontificio; che la Francia ne avrebbe ritirato le sue truppe via via che il governo del Papa le avesse rimpiazzate con volontari indigeni e stranieri, e comunque entro due anni; e che questo doppio impegno sarebbe entrato in vigore dal momento in cui il governo italiano avesse decretato il trasferimento della capitale da operarsi nello spazio di sei mesi. (Capitolo quinto, Firenze capitale, p. 76) *Gli sventramenti che furono operati {{NDR|a Firenze, nuova capitale del Regno d'Italia}} per alloggiare i Ministeri e i nuovi quartieri che sorsero alla periferia per ospitare i venticinque o trentamila impiegati che calarono da Torino, lasciarono la città orrendamente sfregiata e carica di debiti. (Capitolo quinto, Firenze capitale, p. 78) *{{NDR|[[Carmine Crocco]]}} [...] condannato per diserzione a vent'anni di carcere, ne era evaso, si era dato alla macchia, e in poco tempo era diventato il più temuto e rispettato capobanda della [[Basilicata|Lucania]] non soltanto per il suo coraggio, ma anche per la sua intelligenza di guerrigliero.</br>[...] Crocco venne riconosciuto Generalissimo non solo per l'autorità che gli conferivano le sue gesta, ma anche, perché, sebbene mezzo analfabeta, possedeva un'oratoria immaginosa e apocalittica. (Capitolo sesto, I briganti, pp. 85-89) *{{NDR|[[Giustino Fortunato]]}} [...] il più grande e illuminato studioso del Meridione. (Capitolo sesto, I briganti, p. 86) *Figlio di un fabbro e medico di professione, [[Giovanni Lanza|Lanza]] incarnava, nella Destra piemontese tradizionalmente formata da nobili, militari e grandi borghesi, un tipo umano del tutto insolito: il nuovo piccolo ceto medio, spartano e puritano, formatosi nelle scuole serali e nell'Università popolare. (Capitolo nono, Gli anni della lesina, p. 133) *L'esercito papalino era un'accozzaglia di mercenari delle più svariate nazionalità (c'erano perfino dei turchi). [...] circa 15.000 uomini, al comando del generale [[Hermann Kanzler|Kanzler]]. Compito gentiluomo, ligio al Regolamento come lo era al Catechismo, questi aveva tuttavia un concetto tedesco dell'onore militare e avrebbe preferito una sconfitta a una resa. Ma {{NDR|Il segretario di Stato}} Antonelli non era di questa opinione. Gli ordinò di ritirare le truppe {{NDR|pontificie}} dentro le mura e di limitarsi a un simulacro di resistenza. (Capitolo decimo, Porta Pia, pp. 141-142) *{{NDR|La duchessa [[Eugenia Attendolo Bolognini Litta|Eugenia Litta]]}} Durante la campagna del '59<ref>Seconda guerra d'indipendenza italiana.</ref> era stata il riposo del guerriero più famoso e importante: [[Napoleone III di Francia|Napoleone III]]. E secondo le malelingue era passata subito dopo in eredità a [[Vittorio Emanuele II di Savoia|Vittorio Emanuele]], che però era il meno adatto ad apprezzare la sua vita di vespa, le sue carni pallide e i suoi raffinatissimi gusti. [[Honoré de Balzac|Balzac]] le aveva reso omaggio. [[Arrigo Boito|Boito]] seguitava a rendergliene. [[Gabriele D'Annunzio|D'Annunzio]] dirà ch'essa "aveva rubato il segreto a Ninon de Lenclos<ref>Scrittrice, cortigiana ed epistolografa francese (1620–1705).</ref>". Insomma come iniziatrice all'amore, il giovane principe {{NDR|il futuro [[Umberto I di Savoia|Umberto I]]}} non poteva desiderarne una più fascinosa ed esperta. Lo fu al punto che, nonostante la differenza d'età, egli le rimase devoto – anche se non fedele – fino alla fine dei suoi giorni. (Capitolo quattordicesimo, Il marito di Margherita, p. 196) *{{NDR|[[Margherita di Savoia]]}} [...] era una vera e seria professionista del trono, e gl'italiani lo sentirono. Essi compresero che, anche se non avessero avuto un gran Re, avrebbero avuto una grande Regina. (Capitolo quattordicesimo, Il marito di Margherita, p. 197) *Il trattato {{NDR|della [[Triplice alleanza (1882)|Triplice alleanza]]}} fu firmato a Vienna nel maggio dell'82<ref>20 maggio 1882.</ref>. Esso impegnava le tre Potenze al reciproco aiuto nel caso in cui una fosse aggredita e alla benevola neutralità nel caso che aggredisse. Inoltre Austria e Germania dichiaravano di disinteressarsi del problema del Papa, considerandolo un affare interno italiano.<br>Quest'ultima clausola fu, insieme alla fine dell'isolamento, il grande vantaggio che l'Italia trasse dal patto, ma nient'altro. Essa non vi era entrata su un piede di parità con le consocie. Aveva semplicemente acceduto all'alleanza che già legava le altre due, le quali restavano per così dire le padrone di casa, e Bismarck non perse occasione di farcelo sentire. (Capitolo diciannovesimo, La Triplice, pp. 276-277) *L'unico Stato che ruppe le relazioni con quello italiano in seguito a [[Presa di Roma|Porta Pia]] fu l'Ecuador. Mai la Chiesa si era trovata in condizioni di più completo isolamento. (Capitolo ventitreesimo, I cattolici, p. 334) *Sindaco di Palermo a ventisette anni, {{NDR|[[Antonio Starabba, marchese di Rudinì|il marchese di Rudinì]]}} aveva affrontato con molto coraggio la rivolta che vi era scoppiata nel '66, e questo lo aveva accreditato come il fanciullo-prodigio del moderatismo, destinato a gloriose imprese. Ma, diceva De Sanctis, col passare del tempo, il prodigio dileguò e rimase solo il fanciullo. Ministro degl'Interni a trent'anni in uno dei governi Menabrea, la sua carriera si era fermata lì. Pure, la fama di "uomo forte" gli era rimasta addosso, suffragata anche dalla sua alta statura, dai lampeggiamenti del monocolo, dalla fluente barba, dalla nobilesca alterigia. Idee, non ne aveva. Ma aveva delle impennate che facevano credere alla sua risolutezza. E questo, in una Destra impoverita di personalità di rilevo, gli era bastato per guadagnarsi i galloni di capo. (Capitolo ventiquattresimo, Giolitti, pp. 348-349) *In realtà, del soldato, [[Oreste Baratieri|Baratieri]] non aveva neanche il fisico. Grasso e sgraziato, con gli occhiali a ''pince-nez'', sembrava molto più vecchio dei suoi cinquant'anni e costruito più per la cattedra che per l'elmo. (Capitolo ventisettesimo, Adua, p. 391) *{{NDR|Dopo le dimissioni del generale [[Luigi Pelloux|Pelloux]]}} A succedergli il Re chiamò il Presidente del Senato [[Giuseppe Saracco|Saracco]], un galantuomo ch'era riuscito a conservare intatta la sua reputazione di democratico pur essendo stato due volte Ministro nei governi di Crispi. Aveva quasi ottant'anni, ma conservava una notevole lucidità di cervello, e ne dette prova formando un governo di coalizione che includeva un po' tutte le forze, meno l'Estrema cui diede tuttavia soddisfazione chiamando parecchi suoi uomini nella commissione incaricata di studiare un nuovo regolamento parlamentare che, senza intaccare la libertà di discussione, impedisse l'ostruzionismo, o per meglio dire lo regolasse. (Capitolo ventottesimo, I cannoni di Bava Beccaris, p. 417) ===''L'Italia di Giolitti''=== *Si è detto che {{NDR|[[Egidio Osio]]}} plagiò il suo pupillo {{NDR|il principe ereditario, futuro re [[Vittorio Emanuele III di Savoia|Vittorio Emanuele III]]}} e ne lesionò definitivamente il carattere terrorizzandolo e mortificandone gli slanci. Si è detto che anche sul suo fisico ebbe pessima influenza costringendolo a penosi e logoranti sforzi. Si è detto che furono i suoi metodi repressivi a creare nel Principe quei complessi d'inferiorità da cui fu sempre afflitto, a traumatizzarlo, a inaridirlo, a riempirne l'animo di sordi rancori.<br>Ma se non proprio di falsità, si tratta di verità contraffatte. (cap. I, Il nuovo Re, p. 15) *Militare dalla testa ai piedi, Osio era un uomo duro, imperioso, abituato al comando. [...] Ma era anche un gran signore, perfetto uomo di mondo, e nutrito di buone letture. Sebbene la sua carriera potesse esserne notevolmente avvantaggiata, esitò molto ad accettare l'incarico {{NDR|di tutore del principe ereditario}}, vi si risolse solo dietro garanzia che nemmeno i genitori avrebbero più interferito nell'educazione del ragazzo, di cui egli diventava unico e assoluto responsabile, e al termine della sua missione non beneficiò di nessuno "scatto di grado". (cap. I, Il nuovo Re, pp. 15-16) *[[Elena del Montenegro|Elena]], che da ragazza dipingeva, suonava il violino, componeva poesie come suo padre<ref>Nicola I del Montenegro.</ref>, e amava il tennis e la danza, rinunziò a questi passatempi appena vide che lui {{NDR|il futuro Vittorio Emanuele III}} li detestava, anzi adottò come ''hobbies'' quelli di lui: la numismatica e l'archeologia. Per il resto fu soltanto una donna di casa, come lo era stata a Cettigne<ref>Capitale del Regno del Montenegro.</ref>. Sapendolo insofferente dei camerieri, era lei che lo serviva a tavola, e per farsi i vestiti si prese in casa una sartina. (cap. I, Il nuovo Re, p. 27) *[[Filippo Meda|Meda]] era un avvocato milanese di spirito pratico, che considerava l'astensione dal voto {{NDR|dei cattolici}} un dovere da osservare finché il Papa lo imponeva, ma un grosso errore strategico di cui occorreva sollecitare la revoca. Lo Stato liberale, diceva, c'è e va accettato. Va soltanto salvato dalle sue tentazioni autoritarie e giacobine. E questo i cattolici possono farlo soltanto inserendocisi e riformandolo in modo da tenerlo al riparo dai pericoli d'involuzione. Lo Stato cioè per lui era un "peccatore da salvare". (cap. IV, Cattolici e socialisti, p. 72) *[...] [[Romolo Murri|Murri]] era un giovane sacerdote marchigiano, che aveva conosciuto la povertà e nel Vangelo vedeva soprattutto un messaggio giustizialista. Introverso e malinconico come tutti i fanatici, egli si considerava molto più "avanzato" di Meda per il carattere rivoluzionario che intendeva imprimere al movimento {{NDR|cattolico}}. In realtà era un uomo del ''[[Sillabo]]'' che, pur partendo anche lui dall'accettazione dello Stato unitario, intendeva tramutarlo in una [[teocrazia]] egalitaria e totalitaria, sul tipo di quella che i Gesuiti avevano fondato un paio di secoli prima nel Paraguay. Se a ispirarlo fosse più l'amore del povero o l'odio del ricco, non sappiamo. (cap. IV, Cattolici e socialisti, pp. 72-73) *Meda e Murri furono dapprincipio alleati. Entrambi volevano un grande partito, popolare indipendente dalla Chiesa. Ma Meda lo concepiva come lo sviluppo della organizzazione tradizionale, cioè dell'''Opera''<ref>"Opera dei congressi e dei comitati cattolici", spesso abbreviata in "Opera dei congressi", organizzazione cattolica italiana, sciolta nel 1904.</ref>, una volta strappatala alla vecchia guardia, mentre Murri lo vedeva come un organismo nuovo, un "Fascio", come quelli che pochi anni prima avevano messo a soqquadro e insanguinato la Sicilia. (cap. IV, Cattolici e socialisti, p. 73) *Lo [[Sciopero generale del 1904|sciopero {{NDR|generale del 1904}}]] [...] non fu un fallimento, ma non fu nemmeno un successo perché si esaurì spontaneamente, e il suo più consistente risultato fu la spaccatura delle forze operaie. Lo si vide pochi mesi dopo, quando i sindacalisti bandirono un altro sciopero, quello delle ferrovie, da cui i sindacalisti uscirono demoralizzati e con la truppa dimezzata. (cap. IV, Cattolici e socialisti, p. 85) *[[Alessandro Fortis|Fortis]] era un tipico notabile romagnolo di lungo e contradditorio corso ideologico. Aveva debuttato come repubblicano intransigente, era andato in galera per complotto rivoluzionario con gli anarchici, poi era stato conquistato da [[Francesco Crispi|Crispi]], era finito {{sic|Ministro}} di [[Luigi Pelloux|Pelloux]], e ora militava sotto la bandiera di [[Giovanni Giolitti|Giolitti]]. Come "trasformista", era tra i più qualificati. Ma questa pecca era abbondantemente compensata dai suoi doni di simpatia umana e da una grande esperienza parlamentare. (cap. VI, Il suffragio universale, p. 107) *Quando [[Enrico Corradini|Corradini]] applicò il vocabolario socialista alla Nazione parlando di una "Italia proletaria" in lotta contro le plutocrazie occidentali, e lanciò l'idea di un "imperialismo operaio" da contrapporre a quello capitalistico, riscosse in campo sindacalista vasti consensi e pose le premesse di un pasticcio ideologico in cui Mussolini avrebbe di lì a poco guazzato. (cap. VII, "Tripoli bel suol d'amore", p. 137) *{{NDR|Giolitti}} Più che la Libia, voleva la [[Guerra italo-turca|guerra]], o meglio qualcosa che desse finalmente agl'italiani l'impressione di farne una e di vincerla. (cap. VII, "Tripoli bel suol d'amore", p. 145) *[...] a Vienna l'imperatore Francesco Giuseppe aveva dovuto intervenire di persona per fermare la mano al Capo di Stato Maggiore [[Franz Conrad von Hötzendorf|Conrad]] che voleva una spedizione punitiva contro l'Italia, ora ch'era impegnata in Africa {{NDR|nella guerra di Libia}}, per metterla in ginocchio "prima che avesse il tempo di perpetrare altri tradimenti". (cap. VII, "Tripoli bel suol d'amore", pp. 149-150) *Non si è mai saputo con certezza come si svolse l'operazione {{NDR|del [[patto Gentiloni]]}} che, ben s'intende, doveva restare segretissima. Giolitti negò sempre di avervi partecipato, e infatti d'impronte digitali non ve ne lasciò. Fu probabilmente senza le sue credenziali, ma certamente non senza il suo beneplacito che qualche esponente liberale prese contatto coi cattolici. Questi avevano una "unione elettorale" di cui era Presidente un Conte marchigiano, [[Vincenzo Ottorino Gentiloni|Gentiloni]], politico abile, ma vanesio e chiacchierone. Egli s'impegnò a mobilitare il voto cattolico in favore dei candidati liberali dovunque questi fossero minacciati dalla Estrema Sinistra; e i liberali s'impegnarono a difendere la parificazione delle scuole confessionali a quelle dello Stato, a ripristinare in queste ultime l'istruzione religiosa, a respingere l'introduzione del divorzio, e – pare – a combattere la Massoneria. (cap. VIII, Il crepuscolo degli dei, p. 163) *Se [[Gaetano Salvemini|Salvemini]] incarnava lo spirito protestatario e la sete giustizialista delle plebi meridionali, [[Antonio Salandra|Salandra]] incarnava lo spirito autoritario e conservatore della borghesia terriera. Proveniva da una famiglia di notabili pugliesi con parecchia roba al sole, e alla politica era approdato dalla cattedra universitaria, di cui conservava molti caratteri: una notevole cultura e finezza intellettuale, ma anche un compassato distacco che rasentava la freddezza. Prima di affrontare un problema lo studiava minuziosamente, e nessuno sapeva prospettarlo con più chiarezza di lui. (cap. IX, Sarajevo, p. 168) *[[Paolo Boselli]] {{NDR|incaricato nel 1916 di formare il nuovo governo dopo le dimissioni di Antonio Salandra}}, che fu chiamato a presiederlo, possedeva tutti i requisiti, meno quelli che occorrono per guidare un Paese in guerra. Deputato ligure da parecchie legislature, era stato varie volte Ministro con Crispi, Pelloux e Sonnino, ma nessuno se n'era accorto. [...]. Passava per un esperto di questioni economiche, e moralmente era un personaggio di tutto rispetto. Ma politicamente era scolorito, e per di più aveva quasi ottant'anni. (cap. XVI, La caduta di Salandra, pp. 293-294) *Quanto [[Luigi Cadorna|Cadorna]] era solitario, monacale ruvido e chiuso in un giro di valori e d'idee tradizionali, tanto [[Luigi Capello|Capello]] era brillante, estroverso, moderno, ricco d'immaginazione e maestro di "pubbliche relazioni". (cap. XVI, La caduta di Salandra, pp. 298-299) *Lucano di Melfi, [[Francesco Saverio Nitti]] incarnava anche nel fisico tozzo e grassottello il tipo del notabile meridionale, colto, brillante, scettico e alquanto egocentrico. [...] la sua specialità era il problema del Mezzogiorno, di cui fu tra i primi seri studiosi e che gli fornì anche la base elettorale. [...]. Sul livello medio della classe politica di allora, egli faceva spicco per preparazione, equilibrio e lucidità, ma anche per una certa propensione ad attribuirsi il monopolio di queste virtù. (cap. XXIII, Versaglia, pp. 420-421) ===''L'Italia in camicia nera''=== *Un altro utile incontro fu per Mussolini quello con [[Angelica Balabanoff]], personaggio già di notevole rilevo nel socialismo internazionale. Era una russa di buona famiglia borghese, che fin da giovanissima si era imbrancata con quella ''intellighenzia'' rivoluzionaria da cui venivano anche i Lenin, i Trotzky, e gli altri futuri grandi del bolscevismo. A spingerla era stata la ribellione contro la meschinità, lo snobismo provinciale, il sussiego di casta, i tabù del suo ceto. (cap. 1, p. 23) *Angelica {{NDR|Balabanoff}} non era bella, non aveva la grazia eterea ed esangue di Anna {{NDR|[[Anna Kuliscioff|Kuliscioff]]}}. Ma non era nemmeno sgradevole, nonostante i fianchi massicci e gli zigomi pronunciati, eppoi era una russa, cosa che faceva un grande effetto al piccolo provinciale di Predappio<ref>Mussolini era nato a Dovia, frazione di Predappio.</ref>. Anche se fra loro non divampò la passione che aveva legato Anna ad [[Andrea Costa]], qualcosa ci fu, ed ebbe la sua importanza. Angelica cercò d'incivilire quel selvaggio trasandato che passava da ostinati mutismi a interminabili sproloqui conditi di orrende bestemmie. Lo sfamava, gli lavava la biancheria, lo iniziava, sia pure con poco successo, al marxismo [...]. (cap. 1, p. 25) *Uno dei tre protagonisti del giuoco {{NDR|[[Gabriele D'Annunzio]]}} era eliminato. La partita ora si riduceva agli altri due: Giolitti e Mussolini. (cap. 1, p. 101) *Mussolini aveva vinto, e la sua vittoria significava che il fascismo, abbandonata la pretesa di presentarsi come un movimento rivoluzionario di sinistra, quale lo avrebbero voluto Grandi, Farinacci e Marsich, presentava la sua candidatura a forza egemonica della destra e infilava la «via parlamentare» al potere.<br>C'era un pericolo, e Mussolini lo capì subito: che questa svolta a destra mettesse il partito alla mercé della sua ala reazionaria incarnata soprattutto dal ''ras'' piemontese [[Cesare Maria De Vecchi|De Vecchi]], uomo di poco cervello, ma tutto Trono e Altare, e che quindi poteva anche tornar comodo per il futuro. (cap. 2, p. 127) *[...], i giolittiani riuscirono a portare al governo uno dei suoi {{NDR|di Giolitti}} «ascari» più fedeli, ma anche dei più sbiaditi: [[Luigi Facta]].<br> Facta era un bravo avvocato di provincia piemontese con tutte le virtù, ma anche con tutti i limiti del suo ambiente: un uomo probo e integro, che dopo trent'anni di vita parlamentare ne aveva ormai una certa esperienza, aveva ricoperto con onore alcune cariche ministeriali, non aveva alcuna ambizione che quella di servire fedelmente il suo capo, né altre idee che quelle di lui. Tutto gli si poteva chiedere fuorché risolutezza ed immaginazione, cioè proprio le qualità che più urgevano. (cap. 2, pp. 143-144) *[...] le sue intenzioni {{NDR|Mussolini}} non le confidava nemmeno al segretario del partito, [[Michele Bianchi|Bianchi]], di cui apprezzava la fedeltà e l'impegno, ma non l'intelligenza: lo considerava angoloso, settario, puntiglioso vendicativo e privo d'intuito politico. L'unico con cui si apriva seguitava ad essere [[Cesare Rossi]], l'uomo che gli era stato accanto dal primo momento, lo aveva seguito in tutte le sue palinodie e gli dava sempre dei consigli che corrispondevano ai suoi desideri. (cap. 4, p. 166) *{{NDR|[[Vittorio Emanuele III]]}} non si fidava completamente di Mussolini, ma si fidava ancora meno dei suoi avversari ed era convinto che costoro, se avessero preso il mestolo in mano, avrebbero ricreato il caos del dopoguerra. Comunque, a una cosa era assolutamente deciso: a non farsi coinvolgere nella lotta politica, come del resto gli dettava la Costituzione di cui, quando gli faceva comodo, sapeva ricordarsi. ====[[Explicit]]==== *Resterebbe solo da sapere con che animo Mussolini s'investì, il 3 gennaio, nella parte di dittatore. Se, come molti sostengono, gli sforzi che fino a quel momento aveva fatto per evitarla erano stati solo un giuoco per dimostrare che non era lui a volerla, ma gli eventi ad imporgliela, bisogna riconoscere che come {{sic|giuocatore}} sapeva il fatto suo. ==''Storia dei Greci''== *Il modo migliore per ripagare il nostro contemporaneo [[Heinrich Schliemann|Enrico Schliemann]] degli enormi servigi che ci ha reso nella ricostruzione della civiltà classica, mi pare sia quello di assumerlo fra i suoi protagonisti, com'egli stesso mostrò di desiderare ardentemente, scegliendosi, in pieno secolo decimonono, [[Zeus]] come dio e a lui indirizzando le sue preghiere, battezzando [[Agamennone]] suo figlio, Andromaca sua figlia, Pélope e Telamone i suoi servitori, e dedicando a [[Omero]] tutta la sua vita e i quattrini. (cap. 2; 2004, p. 17) *{{NDR|Su [[Heinrich Schliemann|Schliemann]]}} Era un matto, ma tedesco, cioè organizzatissimo nella sua follia, che la buona sorte volle ricompensare. La prima storia che gli raccontò suo padre, quando aveva cinque o sei anni, non fu quella di [[Cappuccetto Rosso]], ma quella di [[Ulisse]], di [[Achille]] e di Menelao. Ne aveva otto, quando annunziò solennemente in famiglia che intendeva riscoprire Troia e dimostrare, ai professori di storia che lo negavano, ch'essa era realmente esistita. Ne aveva dieci, quando compose in latino un saggio su questo argomento. E ne aveva sedici, quando sembrò che questa infatuazione gli fosse del tutto passata. Infatti s'era impiegato come garzone di una drogheria, dove scoperte archeologiche non c'era da farne di certo, e di lì a poco s'imbarcò non per l'Ellade, ma per l'America, in cerca di fortuna. (cap. 2; 2004, p. 17) *Di nuovo il buon Dio, che per i matti ha un debole, lo compensò di tanta fede, guidando il suo piccone sugli scantinati del palazzo dei discendenti di re Atreo, nei cui sarcofaghi furono ritrovati gli scheletri, le maschere d'oro, i gioielli e il vasellame che si ritenevano esistiti solo nella fantasia di Omero. E Schliemann telegrafò al re di Grecia: ''Maestà, ho ritrovato i vostri antenati''. Poi, ormai sicuro del fatto suo, volle dare il colpo di grazia agli scettici del mondo intero e, sulle indicazioni di [[Pausania]], andò a Tirinto e vi disseppellì le ciclopiche mura del palazzo di Proteo, di Perseo e di [[Andromeda|Andròmeda]]. (cap. 2; 2004, pp. 19-20) *Schliemann morì quasi settantenne nel 1890, dopo aver sconvolto tutte le tesi e le ipotesi su cui si era basata sino ad allora la ricostruzione della preistoria greca, tesa ad esiliare Omero e Pausania nei cieli della pura fantasia. (cap. 2; 2004, p. 20) *Ma ora, dopo le scoperte del tedesco matto, non abbiamo più il diritto di mettere in dubbio la realtà storica di Agamennone, di Menelao, di [[Elena]], di [[Clitennestra]], di Achille e di Patroclo, di Ettore e di Ulisse, anche se le loro avventure non sono state esattamente quelle che Omero ha descritto, facendoci sopra la cresta. Schliemann ha arricchito la storia e impoverito la leggenda, di alcune decine di personaggi di primissimo piano. Grazie a lui alcuni secoli, che prima erano nel buio, sono entrati nella luce, anche se è quella incerta della primissima alba. Ed è solo per mano a lui che possiamo esplorarla. (cap. 2; 2004, p. 21) *Senza dubbio gli [[achei]], a differenza dei pelasgi, furono terrieri, tant'è vero che fino alla guerra di Troia imprese per mare non ne azzardarono, e ogni volta che lo trovavano si fermavano. Essi non tentarono di mettere il piede nemmeno nelle isole più vicine al continente, e tutte le loro capitali e cittadelle erano nell'interno. La Grecia, sotto di loro, si limitava al Peloponneso, all'Attica e alla Beozia; mentre per le popolazioni pelasgiche della civiltà micenea, ch'erano marinare, essa inglobava anche tutti gli arcipelaghi dell'Egeo. (cap. 3, ''Gli Achei''; 2004, p. 25) *[[Diogene di Sinope|Diogene]], che aveva la lingua lunga, disse che la religione greca era quella cosa per cui un ladro che sapeva bene l'Avemaria e il Paternoster era sicuro di potersela cavar meglio, nell'al di là di un galantuomo che li aveva dimenticati. Non aveva torto. La [[Religione dell'antica Grecia|religione]], in Grecia, era soltanto un fatto di procedura, senza contenuto morale. Ai fedeli non si chiedeva la fede né si proponeva il bene. S'imponeva solo il compimento di certe pratiche burocratiche. E non poteva essere diversamente, visto che di contenuto morale gli stessi {{sic|dèi}} ne avevano ben poco e non si poteva certo dire che fornissero un esempio di virtù. (cap. 7, ''Zeus e famiglia''; 2004, p. 54) *Anche [[Pisistrato]] era aristocratico e di famiglia ricca. Ma aveva capito che la [[democrazia]], una volta instaurata, è irreversibile e va sempre a sinistra. (cap. 15, ''Pisistrato''; 2004, p. 98) *Pisistrato, invece di cinquanta uomini, ne arruolò e armò quattrocento, s'impadronì dell'Acròpoli, e proclamò la dittatura. In nome e per il bene del popolo, si capisce, come tutte le dittature. (cap. 15; 2004, p. 91) *La stragrande maggioranza degli ateniesi, dopo averlo a lungo osteggiato e tenuto in gran sospetto, si erano sinceramente affezionati a Pisistrato che aveva dalla sua un'arma formidabile: la simpatia. (cap. 15; 2004, pp. 92-93) *Il tiranno Pisistrato seppe sfuggire a tutte le tentazioni del potere assoluto, meno una: quella di lasciare il «posto» in eredità ai figli, [[Ippia (tiranno)|Ippia]] e [[Ipparco (tiranno)|Ipparco]]. L'amor paterno gl'impedì di vedere con la consueta chiarezza che i totalitarismi non hanno eredi e che quello suo si giustificava soltanto come una eccezione alla democrazia per assicurarle ordine e stabilità. Peccato. (cap. 15; 2004, p. 95) *Pisistrato era morto nel 527 avanti Cristo. Ventun anni dopo, cioè nel 506, troviamo uno dei suoi due figli, da lui designati a succedergli, Ippia, alla corte del re di Persia, [[Dario I di Persia|Dario]], per suggerirgli l'idea di muover guerra contro Atene e la Grecia tutta. I grandi uomini non dovrebbero mai lasciare né vedove né eredi. Sono pericolosissimi. (cap. 16, ''I persiani alle viste''; 2004, p. 103) *Questo Ippia non aveva debuttato male, dopo che suo padre fu calato nella fossa. Era un giovanotto sveglio che, a furia di stare accanto al babbo, ne aveva imparato molte malizie, e alla politica aveva passione, a differenza di suo fratello Ipparco che invece s'interessava soltanto di poesia e di amore, in modo che fra i due non c'erano nemmeno pericolose rivalità. Eppure, a procurare i guai che condussero alla caduta della dinastia, fu proprio Ipparco. (cap. 16; 2004, p. 96) *Ipparco ebbe la disgrazia d'inciampare in un bellissimo guaglione di nome Armodio, che un certo Aristogitone – aristocratico quarantenne, prepotente e geloso – considerava sua proprietà. Costui concepì l'idea di sbarazzarsi del rivale col pugnale e, per dare all'assassinio un'etichetta più pulita che lo rendesse popolare, pensò di estenderlo anche al fratello Ippia facendolo passare per «delitto politico» in nome della libertà e contro la tirannia. Organizzò in questo senso una congiura con altri nobili latifondisti e, in occasione di una festa, tentò il colpo, che andò bene solo a mezzo: Ipparco ci rimise la pelle, ma Ippia scampò. E da quel momento, un po' per rancore, un po' per paura di altri complotti, il figlio e l'allievo di Pisistrato, dittatore liberale indulgente e illuminato, diventò un ''tiranno'' autentico. (cap. 16; pp. 96-97) *Lo scontento del popolo inferocì Ippia, che a sua volta inferocì il popolo. E quando il divorzio fra i due fu totale, i fuoriusciti, che frattanto si erano concentrati a Delfi, chiamarono in aiuto gli spartani, e insieme marciarono contro Atene. (cap. 16; 2004, p. 97) *Ippia si rifugiò sull'Acròpoli coi suoi sostenitori. Ma, per mettere in salvo i suoi figlioletti, cercò di farli segretamente espatriare. Gli assedianti li catturarono e l'infelice padre, per salvar la vita a loro e a se stesso, capitolò e si avviò in volontario esilio. Non bisogna dimenticare che nelle sue vene scorreva tuttavia il sangue di Pisistrato, cioè di un uomo sempre pronto a sacrificare la posizione alla famiglia, ma mai disposto a rassegnarsi alla sconfitta. (cap. 16; 2004, p. 97) *[[Milziade]] aveva capito qual era il debole dei [[Persia|persiani]]: essi erano bravi soldati individualmente, ma non avevano nessuna idea della manovra collettiva. E su questa puntò. A dar retta agli storici del tempo — che purtroppo erano tutti greci, — Dario perse settemila uomini, Milziade neanche duecento. (cap. 17, ''Milziade e Aristide''; 2004, p. 112) *{{NDR|A Milziade}} sopravvisse [[Aristide]], le cui vicende purtroppo ci dimostrano che l'[[onestà]] in [[politica]] non trova sempre i suoi compensi e che la [[storia]], come le [[donna|donne]], ha un debole per i birbaccioni. (cap. 17, ''Milziade e Aristide''; 2004, p. 112) *Nike, diventata ragazza, porta il [[peplo]] di lana, bianca o colorata, ma questa è l'unica scelta che le si lascia. Siccome è confinata in casa, non può nemmeno far quella di un ragazzo che le piace, e deve aspettare che il padre si metta d'accordo con un altro padre per combinare il matrimonio. (cap. 23, ''Una Nike qualsiasi''; 2004, p. 143) *Quando il grande [[Mirone]], rincorbellito dalla vecchiaia, si vide arrivare in studio come modella Laìde<ref>Etera dell'antica Grecia, celebre per la sua bellezza.</ref>, perse la testa e le offrì tutto ciò che possedeva purché restasse la notte. E siccome essa rifiutò, l'indomani il poveruomo si tagliò la barba, si tinse i capelli, indossò un giovanile [[chitone]] color porpora e si passò una mano di carminio sul viso. «Amico mio», gli disse Laìde, «non sperare di ottenere oggi ciò che ieri rifiutai a tuo padre». (cap. 23, ''Una Nike qualsiasi''; 2004, p. 150) *{{NDR|[[Fidia]]}} Qualcosa, nel suo carattere, doveva farne un nemico degli uomini, visto che nessuno lo amava. Eppure egli non fu soltanto un grande scultore, ma anche un grandissimo maestro, che, oltre ad aver creato uno stile, ne fece anche una scuola, trasmettendone le regole ad allievi come Agoracrito e Alcamene, continuatori del «classico». (cap. 25, ''Fidia sul Partenone''; 2004, p. 165) *Gli uomini non sanno apprezzare e misurare che la [[fortuna]] degli altri. La propria, mai. (cap. 25, ''Fidia sul Partenone''; 2004, p. 166) ==''Storia di Roma''== ===[[Incipit]]=== Non sappiamo con precisione quando a Roma furono istituite le prime scuole regolari, cioè «statali». Plutarco dice che nacquero verso il 250 avanti Cristo, cioè circa cinquecent'anni dopo la fondazione della città. Fino a quel momento i ragazzi romani erano stati educati in casa, i più poveri dai genitori, i più ricchi dai ''magistri'', cioè da maestri, o istruttori, scelti di solito nella categoria dei liberti, gli schiavi liberati, che a loro volta erano scelti fra i prigionieri di guerra, e preferibilmente fra quelli di origine greca, che erano i più colti. ===Citazioni=== <!--segui nel riportare le citazioni l'ordine cronologico del libro--> *Non ho scoperto nulla, con questo libro. Esso non pretende di portare "rivelazioni", nemmeno di dare una interpretazione originale della storia dell'Urbe. Tutto ciò che qui racconto è già stato raccontato. Io spero solo di averlo fatto in maniera più semplice e cordiale, attraverso una serie di ritratti che illuminano i protagonisti in una luce più vera, spogliandoli dei paramenti che fin qui ce li nascondevano. (introduzione) *{{NDR|[[Numa Pompilio]]}} Quelle che più lo interessavano erano le questioni religiose. E siccome in questa materia ci doveva essere una grossa anarchia perché ognuno dei tre popoli {{NDR|etruschi, latini e sabini}} venerava i propri {{sic|dèi}}, fra i quali non si riusciva a capire chi fosse il più importante, Numa decise di mettervi ordine. E per imporlo, questo ordine, ai suoi riottosi sudditi, fece spargere la notizia che ogni notte, mentre dormiva, la ninfa Egeria veniva a visitarlo in sogno dall'Olimpo per trasmettergliene direttamente le istruzioni. Chi vi avesse disobbedito, non era col re, uomo fra gli uomini, che avrebbe dovuto vedersela, ma col Padreterno in persona. (Rizzoli 1959, cap. 3, ''I re agrari'', pp. 37-38) *[[Tarquinio Prisco|Lucio Tarquinio]] e i suoi amici etruschi dovettero veder subito che profitto si poteva trarre da questa massa di gente, per la maggior parte esclusa dai comizi curiati, se si fosse potuta convincerla che solo un re forestiero come lui avrebbe potuto farne valere i diritti. E per questo l'arringò, promettendole chissà cosa, magari ciò che poi fece davvero. [...] Certamente ci riuscirono perché Lucio Tarquinio fu eletto col nome di Tarquinio Prisco, rimase sul trono trentotto anni, e per liberarsi di lui i ''patrizi'', cioè i «terrieri», dovettero farlo assassinare. Ma inutilmente. Prima di tutto perché la corona, dopo di lui, passò al figlio, eppoi a suo [[Tarquinio il Superbo|nipote]]. In secondo luogo perché, più che la causa, l'avvento della dinastia dei Tarquini fu l'effetto di una certa svolta che la storia di Roma aveva subìto e che non le consentiva più di tornare al suo primitivo e arcaico ordinamento sociale e alla politica che ne derivava. (RCS 2004, cap. 4, ''I re mercanti'', pp. 38-39) *Questo secondo [[Tarquinio il Superbo|Tarquinio]], prima di rischiare il colpo, tentò di far deporre lo zio per abuso di potere. Servio si presentò alle centurie che lo riconfermarono re con plebiscitaria acclamazione (lo racconta [[Tito Livio]], gran repubblicano, dunque dev'esser vero). Non restava quindi che il pugnale, e Tarquinio lo usò senza troppi scrupoli. Ma il respiro di sollievo che trassero i senatori, coi quali si era alleato, rimase loro in gola, quando videro l'uccisore sedersi a sua volta sul trono d'avorio senza chieder loro permesso, come avveniva a quei buoni vecchi tempi ch'essi speravano di restaurare. Il nuovo sovrano si mostrò subito più tirannico di quello che aveva spedito all'altro mondo. E infatti lo ribattezzarono «il Superbo» per distinguerlo dal fondatore della dinastia. (RCS 2004, cap. 4, ''I re mercanti'', pp. 42-43) *Non sappiamo quasi nulla di [[Lars Porsenna|Porsenna]]. Ma dal modo come si condusse, dobbiamo dedurre che alle doti del bravo generale doveva accoppiare quelle del sagace uomo politico. Egli si rese conto che negli argomenti di [[Tarquinio il Superbo|Tarquinio]] c'era del vero. Ma prima d'impegnarsi, volle essere sicuro di due cose: che il Lazio e la Sabina erno davvero pronti a schierarsi dalla sua parte, e che nella stessa Roma c'era una «quinta colonna» monarchica pronta a facilitargli il compito con un'insurrezione. (RCS 2004, cap. 5, ''Porsenna'', p. 49) *Da quell'anno 508 in cui fu fondata la repubblica, tutti i monumenti che i romani innalzarono un po' dappertutto portarono sempre la sigla SPQR che vuol dire: ''Senatus PopuluSque Romanus'', cioè «il Senato e il popolo romano». Cosa fosse il Senato, già lo abbiamo detto. Viceversa non abbiamo ancora detto cos'era il popolo, che non corrispondeva affatto a ciò che noi intendiamo con questa parola. In quei lontani giorni di Roma esso non comprendeva «tutta» la cittadinanza, come avviene oggi, ma soltanto due «ordini», cioè due classi: quella dei «patrizi» e quella degli ''equites'' o «cavalieri». (RCS 2004, cap. 6, ''SPQR'', p. 54) *{{NDR|[[Sacco di Roma (390 a.C.)]]}} Gli storici che lo hanno raccontato a cose fatte hanno avvolto di molte leggende questo capitolo che dovett'essere per l'Urbe molto spiacevole. Dicono che quando i [[galli]] fecero per dare la scalata al [[Campidoglio]], le oche sacre a Giunone cominciarono a stridere risvegliando così [[Marco Manlio Capitolino|Manlio Capitolino]] che, alla testa dei difensori, respinse l'attacco. Sarà. Però i galli in Campidoglio entrarono ugualmente come in tutto il resto della città, donde la popolazione era fuggita in massa per rifugiarsi su monti circostanti. (Rizzoli 1959, cap. 6, ''SPQR'', pp. 81-82) *[...] i galli espugnarono Roma, la misero a sacco, e se ne andarono incalzati dalle legioni, ma carichi di quattrini. Erano predoni gagliardi e zotici, che non seguivano nessuna linea politica e strategica nelle loro conquiste. Assalivano, depredavano e si ritiravano senza punto preoccuparsi del domani. Avessero potuto immaginare che vendetta Roma avrebbe tratto da quella umiliazione, non vi avrebbero lasciato pietra su pietra. (Rizzoli 1959, cap. 6, ''SPQR'', pp. 82-83) *Tutti i dittatori della Roma repubblicana, meno uno, furono patrizi. Tutti, meno due, rispettarono i limiti di tempo che furono loro imposti. Uno di essi, [[Lucio Quinzio Cincinnato|Cincinnato]], che, dopo soli sedici giorni di esercizio della suprema carica, tornò spontaneamente ad arare il campo coi buoi, è passato alla storia coi colori della leggenda. (RCS 2004, cap. 9, ''La carriera'', p. 85) *Negli ultimi tempi {{NDR|[[Cesare]]}} si era spinto anche più in là: aveva imposto che tutte le discussioni che si svolgevano in quel solenne e aristocratico consesso venissero registrate e pubblicate giorno per giorno. Così nacque il primo giornale. Si chiamò ''[[Acta Diurna|Acta diurna]]'', e fu gratuito, perché, invece di venderlo, lo affiggevano ai muri in modo che tutti i cittadini potessero leggerlo e controllare ciò che facevano e dicevano i loro governanti. L'invenzione fu d'immensa portata perché sancì il più democratico di tutti i diritti. Il Senato, che traeva prestigio anche dalla sua segretezza, fu così sottoposto alla pubblica opinione, e non si riebbe mai più da questo colpo. (RCS 2004, cap. 24, ''Cesare'', p. 214) *Se riuscirò ad affezionare alla storia di Roma qualche migliaio di italiani, sin qui respinti dalla sussiegosità di chi gliel'ha raccontata prima di me, mi riterrò un autore utile, fortunato e pienamente riuscito. (introduzione) *Sull'esattezza di quel che [[Tito Livio|Livio]] riferisce facciamo le nostre riserve, specie là dov'egli mette in bocca ai suoi personaggi interi discorsi che somigliano più a Livio che a loro. La sua è una storia di eroi, un immenso affresco a episodi, e serve più a esaltare il lettore che a informarlo. [[Roma]], a dargli retta, sarebbe stata popolata soltanto, come l'Italia di Mussolini, da guerrieri e navigatori assolutamente disinteressati, che conquistarono il mondo per migliorarlo e moralizzarlo. Gli uomini, secondo lui, sono divisi in buoni e cattivi. A Roma c'erano solamente i buoni, e fuori di Roma solamente i cattivi. Anche un grande generale come [[Annibale]] diventa, sotto la sua penna, un comune mariuolo. Ciò non toglie che la storia di Livio, costata cinquant'anni di fatiche a un autore che si dedicò soltanto ad essa, resti un gran monumento letterario. Forse il più grande fra quelli, piuttosto mediocri, eretti sotto il segno di [[Augusto]]. (cap. 30, ''Orazio e Livio'') *Può darsi che [[Dione Cassio]] e [[Svetonio]], nel loro odio per la monarchia, abbiano un po' calcato la mano. Ma matto, [[Caligola]] doveva esserlo davvero. (cap. 31, ''Tiberio e Caligola'') *[[Vitellio]], quando fu catturato nel suo nascondiglio, dove, tanto per cambiare, banchettava, fu trascinato nudo per la città con un laccio al collo, bersagliato di escrementi, torturato con ponderata lentezza, e alla fine gettato nel Tevere.<br>Questa città che si divertiva al fratricidio, questi eserciti che si ribellavano, questi imperatori che venivano subissati di sterco pochi giorni dopo essere stati coperti di osanna: ecco cos'era diventata la capitale dell'Impero. (Rizzoli 1959, cap. 37, ''I Flavi'', pp. 415-416) *Purtroppo la pace, per ottenerla, bisogna essere in due a volerla. (cap. 37, ''I Flavi'') *Era la prima volta, nella storia di Roma, che una guerra si combatteva in nome della religione. Ma fu la Croce che vinse. E il Tevere, trascinando verso la foce i cadaveri di [[Massenzio]] e dei suoi soldati che lo ingombravano, sembrò che spazzasse via i residui del mondo antico. (cap. 46, ''Costantino'') *Il papa che più contribuì a rassodare l'organizzazione in questi primi difficili anni fu [[Papa Callisto I|Callisto]], che molti consideravano un avventuriero. Dicevano che, prima di convertirsi, aveva fatto i quattrini con sistemi piuttosto equivoci, era diventato banchiere, aveva derubato i suoi clienti, era stato condannato ai lavori forzati ed era fuggito con un inganno. Il fatto che, appena diventato papa, proclamasse valido il pentimento per cancellare qualunque peccato, anche mortale, ci fa sospettare che in queste voci un po' di verità c'è. Comunque, fu un gran papa, che stroncò il pericoloso scisma d'[[Ippolito di Roma|Ippolito]] e affermò definitivamente l'autorità del potere centrale. (RCS 2004, cap. 46, ''Costantino'', p. 367) *Le rivoluzioni vincono non in forza delle loro idee, ma quando riescono a confezionare una classe dirigente migliore di quella precedente. E il [[Cristianesimo]] era riuscito proprio in questa impresa. (cap. 47, ''Il trionfo dei cristiani'') *[[Costantino]] fu uno strano e complesso personaggio. Faceva gran scialo di fervore cristiano, ma nei suoi rapporti di famiglia non si mostrò molto ossequente ai precetti di Gesù. Mandò sua madre Elena a Gerusalemme per distruggere il tempio di Afrodite che gli empi governatori romani avevano elevato sulla tomba del Redentore, dove, secondo Eusebio, fu ritrovata la croce su cui era stato suppliziato. Ma subito dopo mise a morte sua moglie, suo figlio e suo nipote. (cap. 47, ''Il trionfo dei cristiani'') *Come tutti i grandi Imperi, quello romano non fu abbattuto dal nemico esterno, ma roso dai suoi mali interni. (cap. 51, ''Conclusione'') *Una religione conta non in quanto costruisce dei templi e svolge certi riti; ma in quanto fornisce una regola morale di condotta. Il [[paganesimo]] questa regola l'aveva fornita. Ma quando Cristo nacque, essa era già in disuso, e gli uomini, consciamente o inconsciamente, ne aspettavano un'altra. Non fu il sorgere della nuova fede a provocare il declino di quella vecchia; anzi, il contrario. (cap. 51, ''Conclusione'') *Il dispotismo è sempre un malanno. Ma ci sono delle situazioni che lo rendono necessario. (cap. 51, ''Conclusione'') ===[[Explicit]]=== Mai città al mondo ebbe più meravigliosa avventura. La sua storia è talmente grande da far sembrare piccolissimi anche i giganteschi delitti di cui è disseminata. Forse uno dei guai dell'Italia è proprio questo: di avere per capitale una città sproporzionata, come nome e passato, alla modestia di un popolo che, quando grida «Forza Roma!», allude soltanto a una [[Associazione Sportiva Roma|squadra di calcio]]. ==''XX Battaglione eritreo''== ===[[Incipit]]=== Sono letterato. E, a parte il brutto e il meschino di quella parola, il mio mestiere m'innamora. Mi sono sforzato tanti anni, per compiacere a qualcuno o a qualcosa, di tradire questo mio istinto. Ma non ce l'ho fatta. E non ce la fo nemmeno ora, soldato in Africa, in piena guerra. Ma non lo dico per presentare il conto. E a chi, poi? Lo dico per un fenomeno di narcisismo: perché mi garba contemplarmi in questo gesto di fedeltà al mestiere, che poi vuol dire fedeltà a me stesso. ===Citazioni=== *Essere [[Àscari|ascaro]] vuol dire, press'a poco, avere un blasone; vuol dire avere tre lire al giorno, più un'indennità vestiario, più un'indennità farina, più un'indennità carne; vuol dire avere un ''tarbush'' e una fascia coi colori del battaglione; vuol dire soprattutto avere un fucile. La gente di questo Paese segue una logica sistematica semplice e dritta: l'umanità si divide in due categorie: gli armati che sono i forti, i disarmati che sono i deboli. Al culmine della gerarchia sociale sta il possessore di fucile, il guerriero: che è tanto più importante quanto più elevato è il suo grado e quanto è maggiore la sua anzianità. (p. 25) *[[Pietro Toselli|Toselli]]. Questo nome non ha in Italia la risonanza che ha qui. Toselli non è un uomo, è una leggenda: non solo alla cronaca, ma sfugge anche alla storia. È rimasto nei canti di questa gente, nelle sue memorie e anche nelle sue speranze. Pur ieri mi diceva il vecchio Sciumbasci, reduce di Adua e ora capopaese di Digsa, che «le cose che si sanno sono molto meno di quelle che non si sanno» e che «il fatto è questo: che il corpo del maggiore Toselli non era più sul campo dopo la battaglia». Su quello che ne sia avvenuto le opinioni sono discordi, ma nessuno crede che il maggiore sia morto. (pp. 35-36) *Appollaiato ai suoi piedi, nascosto fra il verde tenero degli eucalipti, stava [[Alessandro Pirzio Biroli|Pirzio Biroli]]. Il suo nome era mormorato con circospezione dagli [[Àscari|ascari]] disseminati fra le rocce di Mai Egadà a Saganeiti, da Agordar ad Assab, a Cheren, ad Adi Ugri, ad Adi Caieh. Raramente lo si vedeva e sempre a cavallo. Accanto a lui cavalcava Chiarini, la piccola ombra fedele, il fantasma sorto una notte da un roveto della conca di Adua. Chiarini, settantenne, pallido, non scompariva nell'alone magico che Pirzio, il buon gigante, suscitava intorno. (pp. 87-88) *Poi arrivava anche lui, [[Alessandro Pirzio Biroli|Pirzio]] il leone, altissimo, quadrato, col profilo calmo incorniciato dalla folta criniera. Il cavallo, domo dai suoi ginocchi di ferro, caracollava senza un tentativo di ribellione. Dalla sella pendevano, di qua e di là, due aquile colossali, abbattute in volo dal moschetto infallibile di Pirzio. Nessuna tromba sonava l'attenti al suo ingresso. Non ce n'era bisogno. Tutti, nel quartiere, sentivano come per miracolo la sua presenza e restavano ischeletriti. Pirzio non se n'accorgeva: era uno di quegli uomini pei quali gli uomini sentono rispetto per istinto e che passano attraverso la vita come attraverso un'eterna parata, fra due file di bipedi schiaffati meccanicamente sull'attenti. Gli [[Àscari|ascari]] ebbero ragione quando lo battezzarono «il Leone»: non aveva bisogno di ruggire perché il largo gli si facesse automaticamente intorno. (pp. 88-89) ===[[Explicit]]=== Vorremmo ristare dopo la guerra? Il mondo è così visto che nessun limite precisa al desiderio. Italiani, continuate ad aver fame anche dopo aver mangiato. Questa guerra è per noi come una bella lunga vacanza dataci dal Gran Babbo in premio di tredici anni di banco di scuola. E, detto fra noi, era ora. ==Citazioni su Indro Montanelli== *A leggerlo sembrerebbe un disordinatore di professione: sempre pronto a mugugnare, sempre a prendersela con qualcuno. Poi però, quando si tratta di scendere sul pratico, ci consiglia di turarci il naso e di andare a votare per l'Ordine. vallo a capire. ([[Luciano De Crescenzo]]) *Amo Indro Montanelli, ma non i suoi emuli. I polemisti per posa non mi piacciono, non li ritengo utili. Ma lui non era un polemista fine a se stesso, come tanti dei suoi presunti eredi. Era piuttosto, come da titolo di una sua fortunata rubrica, controcorrente. Non si curava delle convenienze, dei vantaggi che gli sarebbero derivati nel seguire l'onda di [[pensiero]] prevalente. Aveva la sua visione delle cose, sempre originale e spesso esatta. Io credo che dire quel che si pensa premi sempre. Montanelli lo faceva, e andava a letto tranquillo. ([[Fabio Genovesi]]) *C'è davvero qualcosa di singolare nel modo in cui è venuta formandosi la memoria della Repubblica, nel modo in cui tale memoria è stata ed è elaborata dalla cultura ufficiale del Paese. Per molti decenni, ad esempio, a quanto accaduto dal 1943 al '45 fu vietato dare il nome che gli spettava, il nome cioè di [[Guerra civile in Italia (1943-1945)|guerra civile]]. Parlare di guerra civile era giudicato fattualmente falso, e ancor di più ideologicamente sospetto. Bisognava dire che quella che c'era stata era la resistenza, non la guerra civile; di guerra civile parlavano e scrivevano, allora, solo i reduci di Salò, i nostalgici del regime e qualche coraggioso giornalista o pubblicista di rango come Indro Montanelli, che mostravano così da che parte ancora stavano. Le cose andarono in questo modo a lungo. Finché, all'inizio degli anni Novanta, come si sa, uno storico di sinistra, [[Claudio Pavone]], scrisse un libro sul periodo 1943-'45 che si intitolava precisamente ''Una guerra civile'': solamente da allora tutti abbiamo potuto usare senza problemi questa espressione, ben inteso non cancellando certo la parola resistenza. ([[Ernesto Galli della Loggia]]) *È uno che riesce a spiegare agli altri quello che non capisce nemmeno lui. ([[Mario Missiroli]]) *È vero che ha cambiato parere politico più volte, ma sempre perché profondamente preoccupato per le sorti del paese. Ma Indro ha cambiato parere sempre meno di quei giornalisti che da Lotta Continua sono passati a Comunione e Liberazione per approdare infine a dirigere quotidiani di Stato. Senza contare tutti coloro che da stalinisti o maoisti sono diventati prima antimarxisti e ora clintoniani: Montanelli ragiona, loro vogliono avere sempre ragione. ([[Fausto Gianfranceschi]]) *Indro è naturalmente inclinato, direi quasi condannato a vedere più i ''tics'' degli uomini che le loro qualità e nessuno come lui fa più uso, nei suoi ritratti, dell'acido prussico. ([[Eugenio Montale]]) *{{maiuscoletto|Indro Montanelli}}. L'Italia dei Luoghi Comuni. ([[Marcello Marchesi]]) *Io mi sono limitato ad adottare la sua formula giornali­stica. Ma l'ho realizzata meglio perché mi sono sempre esposto, ci ho messo la faccia. Lui invece era come Veltroni: "Sì, ma an­che". Non si schierava nettamente, il suo editoriale era così in chiaroscuro che alla fine non capivi mai se fosse chiaro o scuro. Il che non significa che non resti il migliore di tutti noi. Ho venduto più di lui solo perché a me la gente non fa schifo. ([[Vittorio Feltri]]) *Mi sono sentito in imbarazzo per lui, e il mio primo pensiero è stato il rifiuto – «no, povero Montanelli» – quando all'ingresso dei giardini di via Palestro mi sono trovato davanti alla sua statua, al punto che ho pensato che ci sono vandali che distruggono e vandali che costruiscono, e che anzi, per certi aspetti, il vandalismo che crea è ben peggiore, perché tenta di disarmarti con le sue buone intenzioni. Dunque era di mattina, molto presto, e i giardini erano vuoti, al sole. Ebbene in questo vuoto, la statua mi è apparsa all'improvviso: una figurina in gabbia che non ha niente a che fare con Montanelli, se non perché lo offende anche fisicamente, lui che era così "verticale", e che ci invitava a buttare via «il grasso» e la retorica monumentale. Il giornalista che ogni volta si ri-definiva in una frase, in un concetto, in un aforisma, in una citazione, è stato per sempre imprigionato in una scatola di sardine. Perciò ho provato il disagio che sempre suscita il falso, la patacca, la similpelle che non è pelle, perché non solo questo non è Montanelli, come ci ha insegnato Magritte che dipinse una pipa e ci scrisse sotto "questa non è una pipa". Il punto è che questa non è neppure una statuta di Montanelli, ma di un montanelloide in bronzo color oro, che ha la presunzione ingenua e goffa di imprigionare il Montanelli entelechiale, il Montanelli che era invece l'asciuttezza, era il corpo più "instatuabile" del mondo, troppo alto, troppo energico, troppo nervoso, incontenibile nello spazio e nel tempo com'è l'uomo moderno, che è nomade e ha un'identità al futuro. Era il più grande nemico delle statue il Montanelli che sempre ci sorprendeva, fascista ma con la fronda, conservatore ma anarchico, con la sinistra ma di destra, un uomo di forte fascino maschile che tuttavia non amava raccogliere i trofei del fascino maschile, ingombrante ma discreto, il solo che nella storia d' Italia abbia rifiutato la nomina a senatore a vita perché, diceva, «i monumenti sono fatti per essere abbattuti», come quello di Saddam, o di Stalin o di Mussolini. Come si può fare una statua ingombrante e discreta? Come si può fare un monumento all'antimonumento? ([[Francesco Merlo]]) *Montanelli comprò una sposa ragazzina di 11-12 anni. In realtà non possiamo sapere con precisione l'età perché nei villaggi africani non si registravano le nascite. Ma la comprò, questo lo sappiamo. E la violentò più volte. sappiamo anche questo, è stato lui a raccontare che lei non voleva. [...] Da italiano Montanelli avrebbe potuto riconoscere i segni di quella crudeltà e discostarsene. Non lo fece perché condivideva evidentemente quella cultura patriarcale. Perché non mettere al posto della sua statua quella di una donna della Resistenza? In Italia vorrei vedere più statue di donne partigiane. ([[Maaza Mengiste]]) *Montanelli disprezzava la borghesia che difendeva, e ammirava i comunisti che attaccava. Era convinto che la rivolta di Budapest si dovesse a operai che volevano il vero socialismo; mentre fu una rivolta nazionalista e antisovietica. ([[Enzo Bettiza]]) *Montanelli è il campione di indipendenza dalla politica, anche se sono arrabbiato con lui perché mi ha insegnato regole di comportamento anacronistiche, che nel giornalismo odierno non valgono più. ([[Daniele Vimercati]]) *Montanelli ha sempre avuto una componente di destra. È stato un uomo di destra come fascista, uomo di destra come sostenitore dei governi dc sia pure turandosi il naso. [...] Adesso è un uomo di destra qualunquista, ma sempre di destra. ([[Ugo Intini]]) *Montanelli, un misantropo che cerca compagnia per sentirsi più solo. ([[Leo Longanesi]]) *Quanto mi ha insegnato: le parole da non usare, le cose da non dire, la persone da non frequentare. ([[Beppe Severgnini]]) *Recentemente sono stato insignito del Premio Montanelli alla carriera che dovrebbe essermi consegnato a ottobre a Fucecchio, a meno che nel frattempo non mi sia revocato per indegnità, sempre in nome della libertà di informazione. Sono certo che il vecchio Indro non avrebbe condiviso nemmeno un fonema del mio necrologio sul Mullah {{NDR|Omar}}, ma sono altrettanto certo che non si sarebbe mai sognato di bloccarlo. Caso mai ci avrebbe riso su, considerandolo una provocazione, anche se provocazione non era. Perché Montanelli era un vero liberale. Quando i liberali esistevano ancora. ([[Massimo Fini]]) *Sa spalmare una così giusta misura di miele sull'orlo del nappo avvelenato che prepara per questo o per quello, che spesso la vittima muore senza accorgersene, ingannata dai soavi licori. ([[Paolo Monelli]]) *Scalfari e Montanelli direttori all'antica, padroni, mattatori che ricordano gli Scarfoglio, i vecchi direttori dell'ottocento che non solo incrociavano la penna ma anche la spada in una rissa continua con tutt ([[Ugo Intini]]) *Si può raccontare la [[storia]] in forma lieve, senza essere troppo ponderosi, rispettando tuttavia le fonti e la verità storica. Montanelli era molto bravo a scrivere, ma in fondo ne sapeva poco, gli piaceva gigioneggiare, sprofondava nell'anacronismo. Oggi ci si è accorti che, nel raccontare la storia, essere rigorosi ed essere divertenti non è conflittuale. ([[Alessandro Barbero]]) *So solo che Montanelli è fatto così: un maestro di giornalismo che ogni tanto s'impenna con qualcuna delle sue bizzarrie. ([[Giorgio Bocca]]) *Una volta, parecchi anni fa, Indro Montanelli, dicendosi disgustato della morbidezza e della mollezza della [[Democrazia Cristiana]], che ammorbidiva, incorporava, estenuava e alla fine innocuizzava qualsiasi opposizione, togliendole ogni soddisfazione e dignità, mi mostrò una fotografia, incastonata in una cornicetta d'argento, che teneva, a mo' di santino, come altri fanno con le immagini della madre o della moglie e dei figli, sulla sua scrivania, al «Giornale». Con sorpresa vidi che si trattava di Stalin. «Con questo ci sarebbe stato gusto, a battersi», disse. ([[Massimo Fini]]) *Ognuno può pensarla come vuole, ma quando si passa dalla cronaca alla storia è necessario mantenere un giusto approccio ed essere oggettivi sui valori della persona. Indro Montanelli è stato forse il più autorevole giornalista che l’Italia ha avuto nel ventesimo secolo. La Toscana penserà ad azioni per valorizzarlo. ([[Eugenio Giani]]) ===[[Enzo Biagi]]=== *A Indro Montanelli devo molto: intanto, l'idea che chi conta è il pubblico. Poi la necessità di essere chiari, di far anche fatica, perché chi legge non ha voglia di impegnarsi troppo, e solo se uno si chiama [[James Joyce|Joyce]] può essere difficile. *Montanelli se n'è sempre fregato delle critiche, io molto meno, ho un carattere permaloso, spesso non ho resistito alla tentazione di rispondere a chi mi attaccava. Indro mi sgridava, diceva a mia moglie di tenermi calmo, che non ne valeva la pena, che erano tutte bischerate. [...] Per lui il buon risultato era il sorriso di un passante, l'oste che gli trovava il tavolo. Qualcuno si chiedeva che cos'avesse di speciale. A pensarci bene, niente. Scriveva degli articoli che erano letti e dei libri che si vendevano. *Non è una gran notizia che Indro e io non abbiamo mai fatto parte del coro, ma fu una grande notizia la spiegazione che ne diede Berlusconi: "Biagi e Montanelli hanno invidia del mio successo". La prima cosa che mi venne in mente fu: "Sai che risate si starà facendo Indro adesso". Poi mi dissi che c'era poco da ridere. ==Note== <references/> ==Bibliografia== *Indro Montanelli, ''Qui non riposano'', Marsilio, 1982 (1945). *Indro Montanelli, ''Pantheon minore'' (incontri), Longanesi e C., Milano, 1950. {{NoISBN}} *Indro Montanelli, ''Reportage su Israele'', Derby, Milano, 1960. {{NoISBN}} *Indro Montanelli, ''Gli incontri'', Rizzoli, Milano, 1967. {{NoISBN}} *Indro Montanelli, ''Storia dei greci'', Rizzoli, Milano, 1992. ISBN 8817115126 *Indro Montanelli, ''Storia dei greci'', RCS Quotidiani, Milano, 2004. ISBN 1-129-08505-8 *Indro Montanelli, ''Storia di Roma'', Longanesi, Milano, 1957; Rizzoli, Milano, 1959. {{NoISBN}} *Indro Montanelli, ''Storia di Roma'', RCS Quotidiani, Milano, 2004. ISBN 1-129-08505-8 *Indro Montanelli, ''L'Italia giacobina e carbonara (1789-1831)'', Rizzoli, Milano, 1971. {{NoISBN}} *Indro Montanelli, ''L'Italia del Risorgimento (1831-1861)'', terza edizione, Rizzoli, Milano, 1972. {{NoISBN}} *Indro Montanelli, ''L'Italia dei notabili (1861-1900)'', Rizzoli, Milano, 1973. {{NoISBN}} *Indro Montanelli, ''L'Italia di Giolitti (1900-1920)'', Rizzoli, Milano, 1974. {{NoISBN}} *Indro Montanelli, ''L'Italia in camicia nera (1919-3 gennaio 1925)'', Rizzoli, Milano, 1976. *Indro Montanelli, ''Dante e il suo secolo'', Rizzoli, Milano, 1974. {{NoISBN}} *Indro Montanelli, ''I protagonisti'', Rizzoli, Milano, 1976. {{NoISBN}} *Indro Montanelli, ''Controcorrente'', Editoriale Nuova, Milano, 1978. {{NoISBN}} *Indro Montanelli, ''Controcorrente 1974-1986'', Arnoldo Mondadori Editore, Milano, 1987. ISBN 8804300558 *Indro Montanelli, ''Caro direttore. 1974-1977. Il meglio della rubrica "La parola ai lettori"'', Rizzoli, Milano, 1991, ISBN 88-17-42728-4. *Indro Montanelli, ''Il testimone'', Longanesi & C., Milano, 1992, ISBN 88-304-1063-2. *Indro Montanelli, ''Il meglio di «Controcorrente» 1974-1992'', Rizzoli, Milano, 1993, ISBN 88-17-42807-8. *Indro Montanelli, ''Caro lettore. Il meglio della rubrica "La parola ai lettori". 1978-1981'', Rizzoli, Milano, 1994, ISBN 88-17-42730-6. *Indro Montanelli, ''Le Stanze. Dialoghi con gli italiani'', Rizzoli, Milano, 1998, ISBN 88-17-85259-7. *Indro Montanelli, ''La stecca nel coro. 1974-1994: una battaglia contro il mio tempo'', Rizzoli, Milano, 1999, ISBN 88-17-868284-3. *Indro Montanelli, ''Le nuove Stanze'', Rizzoli, Milano, 2001, ISBN 88-17-86842-6. *Indro Montanelli, ''Soltanto un giornalista. Testimonianza resa a Tiziana Abate'', BUR, Milano, 2003. ISBN 8817107042 *Indro Montanelli, ''I conti con me stesso. Diari 1957-1978'', a cura di [[Sergio Romano]], Rizzoli, Milano, 2010. ISBN 8817028202 ([http://books.google.it/books?id=fuh--fZGHMcC&printsec=frontcover Anteprima su Google Libri]) *Indro Montanelli, ''Ricordi sott'odio'', Milano, Rizzoli, 2011, ISBN 978-88-17-04963-4 *Indro Montanelli, ''Indro al Giro. Viaggio nell'Italia di Coppi e Bartali. Cronache del 1947 e 1948'', a cura di Andrea Schianchi, Collana Saggi italiani, Milano, Rizzoli, 2016. ISBN 978-88-1708-969-2 *Paolo Granzotto, ''Montanelli'', Bologna, Il Mulino. ISBN 88-15-09727-9 *Paolo Occhipinti (a cura di), ''Caro Indro... Dialoghi di Montanelli con il direttore di Oggi. 1993-2001. Il meglio di una rubrica di successo durata otto anni'', RCS, Milano, 2002. ==Voci correlate== *[[Colette Rosselli]] *[[Indro Montanelli e Roberto Gervaso]] *[[Indro Montanelli e Mario Cervi]] *[[Indro Montanelli e Marco Nozza]] *''[[Il generale Della Rovere]]'' (film 1959) ==Altri progetti== {{interprogetto}} ===Opere=== {{Pedia|La Voce (quotidiano)|''La Voce''}} {{Pedia|Storia d'Italia (Montanelli)|''Storia d'Italia''}} {{DEFAULTSORT:Montanelli, Indro}} [[Categoria:Drammaturghi italiani]] [[Categoria:Giornalisti italiani]] [[Categoria:Saggisti italiani]] [[Categoria:Commediografi italiani]] io9svgbddockt5wgimja9a32ptjpw4g 1381962 1381960 2025-07-01T21:34:41Z ~2025-110542 103361 /* Bibliografia */ 1381962 wikitext text/x-wiki [[File:IndroMontanelliLettera22.jpg|thumb|upright=1.5|Indro Montanelli alla sede del ''Corriere della Sera'']] '''Indro Montanelli''' (1909 – 2001), giornalista, saggista e commediografo italiano. ==Citazioni di Indro Montanelli== [[File:Indro Montanelli 1936.jpg|miniatura|Indro Montanelli, ufficiale del Regio Esercito, 1936]] *[[Gianni Agnelli|Agnelli]] ha detto che non siamo nella repubblica delle banane, però qualche banana in Italia c'è, perché avvengono cose veramente singolari.<ref>Citato in Marco Travaglio, ''Bananas'', Garzanti, Milano, 5 maggio 2001.</ref> *Al [[conformismo]] l'[[ironia]] fa più paura d'ogni [[Argomentazione|argomentato ragionamento]].<ref>Da ''Controcorrente'', Editoriale Nuova, Milano, 1978.</ref> *{{NDR|[[Ferdinando I delle Due Sicilie]]}} Aveva sulla coscienza la vita di migliaia d'infelici, morti sulla forca e nelle galere solo per aver voluto un po' di libertà. Era stato spergiuro. Non aveva conosciuto che disfatte e fughe ignominiose di fronte al nemico. Politicamente, era rimasto fermo alla concezione settecentesca del più retrivo assolutismo. Non aveva fatto che i propri interessi, e più ancora i propri comodi, della regalità prendendosi solo i piaceri. Non aveva saputo che incrementare l'ignoranza di cui egli stesso era campione. Eppure, il cordoglio popolare per la sua morte non ci stupisce, perché un dono lo aveva avuto: la genuinità. Questo Re fellone e fannullone non aveva mai cercato di apparire diverso da quel che era: uno scugnizzo dei «bassi», prepotente, ridanciano e sboccato, nato per caso con una corona in testa e che aveva sempre concepito la sua parte come quella di un buon capo-camorra. Non aveva interpretato che i caratteri deteriori del popolo napoletano, ma anche i più appariscenti e riconoscibili.<ref>Da ''L'Italia unita. {{small|Da Napoleone alla svolta del Novecento}}'', Rizzoli BUR, Milano, 2015, [https://books.google.it/books?id=8J7tCgAAQBAJ&lpg=PT206&dq=&pg=PT206#v=onepage&q&f=false p. 206]. eISBN 978-88-58-68272-2</ref> *Avevo capito fin dal primo incontro che l'aggressività di [[Anna Magnani|Anna {{NDR|Magnani}}]] era solo la maschera della sua insicurezza. Era una donna difficile e sempre agli estremi di tutto: della dolcezza come del furore, e non si capiva mai bene, forse non lo capiva nemmeno lei, quanto l'uno e l'altra fossero veri, o soltanto scena. Certo è che dall'uno all'altra passava con fulminea velocità e tenendo chiunque in stato di fibrillazione. <ref>Da ''Anna Magnani, la più grande attrice del nostro cinema'', 23 ottobre 1999, in ''Le Nuove stanze'', a cura di Michele Brambilla, RCS Libri, Milano, 2002, p. 280.</ref> *{{NDR|[[Walter Chiari]]}} Avrebbe meritato 30 anni di prigione per lo spreco del suo talento.<ref>Citato in Luciano Giannini, ''[https://www.ilmattino.it/AMP/cultura/walter_chiari_100_walter_sottotitolo_chiari_biografia_di_un_genio_irregolare-7954361.html Walter Chiari genio irregolare che confessava di aver vissuto]'', ''Il Mattino'', 24 febbraio 2024</ref> *[[Silvio Berlusconi|Berlusconi]] è una persona intelligente finché riesce a ragionare col suo cervello: il suo cervello è valido. Ma lui, oltre al cervello, ha le viscere, e molto spesso le viscere prendono la prevalenza sul cervello. E quando lui si abbandona alle viscere, secondo me, diventa uomo pericoloso. Questo lo dico a lei perché l'ho detto a lui, perché gliel'ho anche scritto.<ref name="milano">Dal programma televisivo ''Milano, Italia'', Rai 3, 11 gennaio 1994.</ref> *[[Silvio Berlusconi|Berlusconi]] ha straordinarie qualità di imprenditore – coraggio, fantasia, forza di lavoro – che gli hanno valso il successo in tutti i campi in cui si è cimentato. Una sola cosa non gli riesce di fare, il presidente di una società di calcio.<ref>Da ''[http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/1987/01/20/ora-montanelli-critica-berlusconi.html Ora Montanelli critica Berlusconi]'', ''la Repubblica'', 20 gennaio 1987.</ref> *[[Silvio Berlusconi|Berlusconi]] non ha idee: ha solo interessi.<ref>2001; citato in [[Marco Travaglio]], ''Ad personam'', Chiarelettere, Milano, 2010, p. 39, ISBN 978-88-6190-104-9.</ref> *{{NDR|Su [[Aldo Moro]]}} Calvinista a rovescio, invece che nella predestinazione della [[Grazia divina|grazia]], credeva in quella della [[disgrazia]].<ref>Citato in [[Roberto Gervaso]], ''Ve li racconto io'', Mondadori, Milano, 2006, pp. 310-311, ISBN 88-04-54931-9.</ref> *Certo, per un direttore di giornale, avere sottomano un [[Marco Travaglio|Travaglio]], che su qualsiasi protagonista, comprimario e figurante della vita politica italiana è pronto a fornirti su due piedi una istruttoria rifinita nel minimo dettaglio è un bel conforto. Ma anche una bella inquietudine. Il giorno in cui gli chiesi se in quel suo archivio, in cui non consente a nessuno di ficcare il naso, ci fosse anche un fascicolo intitolato al mio nome, Marco cambiò discorso.<ref>Dalla prefazione a Marco Travaglio, ''Il Pollaio delle Libertà'', Vallecchi, Firenze, 1995.</ref> *Chi di voi vorrà fare il [[giornalista]], si ricordi di scegliere il proprio padrone: il [[lettore]].<ref>Dalla lezione di giornalismo all'Università di Torino, 12 maggio 1997; citato in ''La Stampa'', 14 aprile 2009.</ref> *Conosco molti furfanti che non fanno i [[Morale|moralisti]], ma non conosco nessun moralista che non sia un furfante. Senza, per carità, allusione a [[Eugenio Scalfari|Scalfari]]. Solo come promemoria.<ref>Citato in [[Eugenio Scalfari]], ''Incontro con io'', Rizzoli, Milano, 1994, ISBN 8806200747.</ref> *Cosa c'è meglio di [[Romano Prodi|Prodi]]? Governa fra compromessi e imbroglietti. I nostri soci sanno benissimo che siamo imbroglioni, che sui conti che portiamo all'Europa s'è un po' imbrogliato. Accettano lo stesso, purché non s'esageri. E [[Carlo Azeglio Ciampi|Ciampi]] non esagera, è un economista serio e vero. [...] {{NDR|Romano Prodi}} Con la faccia da mortadella, l'ottimismo inossidabile e l'eterno sorriso, ci porterà in Europa: ringraziamo Dio, e anche [[Massimo D'Alema|D'Alema]], che ci hanno dato Prodi.<ref name=Montanelli>Citato in Francesco Battistini ''[https://web.archive.org/web/20160101000000/http://archiviostorico.corriere.it/1997/dicembre/19/Montanelli_ragazzi_rifate_68_co_0_97121914987.shtml Montanelli: ragazzi, rifate il '68]'', ''Corriere della Sera'', 19 dicembre 1997.</ref> *Dicono che [[Ciriaco De Mita|De Mita]] sia un intellettuale della Magna Grecia. Io però non capisco cosa c'entri la Grecia...<ref>Citato in ''Liberazione'', 22 febbraio 2008.</ref> *{{NDR|Su [[Giulia Maria Crespi]]}} Dispotica guatemalteca.<ref> Citato in Paolo Martini, ''[https://www.adnkronos.com/crespi-la-zarina-del-corriere-della-sera-che-fondo-il-fai_4YA2lu93AIXTzgMw0Wj65x Crespi, la 'zarina' del Corriere della Sera che fondò il Fai]'', adnkronos.com, 19 luglio 2020.</ref> *{{NDR|Su [[Gad Lerner]], nel 2000}} È bravissimo, son contento l'abbian messo al ''Tg1'', è un buon conduttore, buonissimo giornalista. Ma sarà un bravo direttore?<ref>Citato in Antonella Rampino, ''[http://www.archiviolastampa.it/component/option,com_lastampa/task,search/mod,libera/action,viewer/Itemid,3/page,3/articleid,0428_01_2000_0162_0003_4349235/ Il rischio? Una missione impossibile]'', ''La Stampa'', 17 giugno 2000.</ref> *{{NDR|Su [[Concetto Lo Bello]]}} Entra in campo col passo del padrone che ispeziona il proprio podere.<ref>Citato in Marco Innocenti, ''[https://st.ilsole24ore.com/art/SoleOnLine4/dossier/Tempo%20libero%20e%20Cultura/storie-della-storia/archivio-2009/storie-storia-9-settembre-muore-lo-bello.shtml?uuid=4327f496-881f-11de-873c-ca3137183d57&DocRulesView=Libero&refresh_ce=1 9 settembre 1991: se ne va il re degli arbitri, Concetto Lo Bello]'', ''ilsole24ore.com'', 8 settembre 2009.</ref> *{{NDR|Su [[Gaio Giulio Cesare|Giulio Cesare]]}} Grande soldato, grande statista, grande scrittore, grande avventuriero. E grande amatore. C'era di tutto. [...] In questa epoca di Mani Pulite Cesare sarebbe rimasto sicuramente "intangentato". Di tangenti lui ne prese parecchie. Ma a differenza dei mariuoli di oggi era anche un grande legislatore, un grande generale, un uomo di un'efficienza straordinaria. I nostri sono dei ladri. Ladri e basta.<ref>Citato in Mauro Anselmo, ''[http://www.archiviolastampa.it/component/option,com_lastampa/task,search/mod,libera/action,viewer/Itemid,3/page,7/articleid,0797_01_1993_0212_0009_11229316/ Montanelli: così ho finito la mia Storia d'Italia]'', ''La Stampa'', 4 agosto 1993.</ref> *{{NDR|Su [[Clare Boothe Luce]]}} Ha la mentalità schematica di una maestra di scuola.<ref>Citato in Massimo Gaggi, ''Quando il giornale del Pci pensò di pubblicare il nudo dell'ambasciatrice Usa'', ''Corriere della Sera'', 18 dicembre 2022.</ref> *{{NDR|Su [[Lucio Battisti]]}} Ho amato molto le sue canzoni e il suo desiderio di vivere appartato.<ref>Citato in [[Leo Turrini]], ''Lucio Battisti: la vita, le canzoni, il mistero'', Mondadori, 2008, retrocopertina.</ref> *I mariti italiani, per comprar la pelliccia alle mogli, spendono più di tutti i loro colleghi europei. Poveri, ma pelli.<ref name=Controcorrente>Da ''Controcorrente, 1974–1986'', Mondadori, Milano, 1987.</ref> *I nostri uomini politici non fanno che chiederci, a ogni scadenza di legislatura, «un atto di fiducia». Ma qui la fiducia non basta; ci vuole l'atto di fede.<ref name=Controcorrente/> *I [[Ricordo|ricordi]] vanno messi sotto teca, appesi a una parete e guardati. Senza tentare di rinnovarli. Mai.<ref>Da un'intervista di [[Ferruccio de Bortoli]], 1999; in ''[http://www.rai.it/dl/Rai5/programma.html?ContentItem-f04f3982-e954-471e-8242-78f92423550d Indro Montanelli, gli anni della televisione]'', puntata 8, di Nevio Casadio, Rai Premium, 2013.</ref> *Il bello dei [[politologi]] è che, quando rispondono, uno non capisce più cosa gli aveva domandato.<ref name=Controcorrente/> *{{NDR|Su [[Carlo Sforza]]}} Il conte si piega sulle gambe come se volesse saltare in arcione. E io dico: è veramente un bell'uomo.<ref>Citato da Guido Russo Perez nella [https://documenti.camera.it/_dati/leg01/lavori/stenografici/sed0331/sed0331.pdf Seduta pomeridiana del 31 ottobre 1949] della Camera dei deputati.</ref> *Il fascismo privilegiava i somari in divisa. La democrazia privilegia quelli in tuta. In Italia, i regimi politici passano. I somari restano. Trionfanti.<ref name=Controcorrente/> *Il guaio di [[Eugenio Scalfari|Scalfari]] non è che dice quel che pensa. Il guaio di Scalfari è che pensa quel che dice.<ref>Citato in Paolo Granzotto, ''Montanelli'', p. 173.</ref> *In [[Italia]] a fare la dittatura non è tanto il dittatore quanto la paura degli italiani e una certa smania di avere, perché è più comodo, un padrone da servire. Lo diceva [[Benito Mussolini|Mussolini]]: «Come si fa a non diventare padroni di un paese di servitori?».<ref>Dall'intervista di Pasquale Cascella, ''Montanelli: «Il regime? È alle porte, inutile aspettare il dittatore»'', ''l'Unità'', 25 ottobre 1994, p. 5.</ref> *In Italia c'è una frangia d'imbecilli tali che credono si possa resuscitare il comunismo. Seppellire il cadavere del marxismo non è facile, anche perché per molti significa rinnegare l'intera esistenza. Ma certo [[Fausto Bertinotti|Bertinotti]] non è di questi: lui non sa un corno di marxismo, non gl'importa niente, è un piccolo pagliaccio, un populista all'italiana che scalda in piazza maree di poveri diavoli e parla ancora delle masse operaie, che vede solo lui.<ref name=Montanelli></ref> *In Italia non c'è una coscienza civile, non c'è un'identità nazionale che tenga insieme uno Stato federale e garantisca la civile convivenza delle sue parti. Invece io vedo solo nell'Italia Cisalpina qualche barlume di coscienza civile e una vocazione europea. Altrove, invece, è un disastro difficile, se non impossibile, da rimediare. Spero proprio di sbagliarmi.<ref name=Italia>Citato in ''Il grande vecchio del giornalismo rilegge gli ultimi anni della nostra storia'', ''L'Indipendente'', 25 luglio 1995.</ref> *In Italia si può cambiare soltanto la Costituzione. Il resto rimane com'è.<ref>Dall'articolo di Polaczek, ''Teile und sende'', in ''Frankfurter Allgemeine Zeitung'', 15 agosto 1996, p. 29.</ref> *In Italia un colpo di piccone alle [[Casa di tolleranza|case chiuse]] fa crollare l'intero edificio, basato su tre fondamentali puntelli, la Fede cattolica, la Patria e la Famiglia. Perché era nei cosiddetti postriboli che queste tre istituzioni trovavano la più sicura garanzia.<ref>Citato in Daniele Abbiati, [http://www.ilgiornale.it/news/tresse-indro-nella-repubblica-delle-marchette.html ''La maîtresse di Indro nella Prima Repubblica delle marchette''], ''il Giornale.it'', 22 ottobre 2010.</ref> *In nome di quale razza noi faremmo del razzismo? Se c'è un paese (adesso non voglio offendere, perché io sono italiano come tutti gli altri), ma se c'è un paese bastardo è l'Italia, cioè a dire una confluenza di razze diverse.<ref>Dal programma televisivo di Rai 3 ''Eppur si muove'', 20 marzo 1994.</ref> *Io non mi sono mai sognato di contestare alla [[Chiesa (comunità)|Chiesa]] il suo diritto a restare fedele a se stessa, cioè ai comandamenti che le vengono dalla Dottrina... ma che essa pretenda d'imporre questi comandamenti anche a me che non ho la fortuna di essere un credente, cercando di travasarli nella legge civile in modo che diventi obbligatorio anche per noi non credenti, è giusto? A me sembra di no.<ref>Citato in [[Umberto Veronesi]], ''[http://www.repubblica.it/2008/10/sezioni/cronaca/eluana-eutanasia-3/comm-veronesi/comm-veronesi.html Non vince la scienza]'', ''la Repubblica'', 14 novembre 2008.</ref> *Io il giornale urlato non è che non glielo voglio dare, non lo so fare! La clava non è nel mio armamentario! Non lo posso fare e non credo che sia un buon segno di civiltà politica l'uso della clava.<ref name="milano" /> *Io non sono napoletano, ma di fronte a [[Peppino De Filippo|Peppino]], non so come, mi capita sempre di diventarlo.<ref name=Pappagone>Citato in ''Pappagone e non solo'', a cura di Marco Giusti, Mondadori, Milano, 2003.</ref> *{{NDR|Alla nipote Letizia Moizzi}} Io sarò il tuo Jukebox. Tu metti una monetina e io ti racconto un ricordo.<ref>Citato in Elvira Serra, «Scoprii che era importante quando le Br gli spararono. Lo convinsi io a prendere i farmaci per la depressione», ''Corriere della Sera'', 20 gennaio 2025.</ref> *Io non voglio soffrire, io non ho della sofferenza un'idea cristiana. Ci dicono che la sofferenza eleva lo spirito; no la sofferenza è una cosa che fa male e basta, non eleva niente. E quindi io ho paura della sofferenza. Perché nei confronti della morte, io, che in tutto il resto credo di essere un moderato, sono assolutamente radicale. Se noi abbiamo un diritto alla vita, abbiamo anche un diritto alla morte. Sta a noi, deve essere riconosciuto a noi il diritto di scegliere il quando e il come della nostra morte.<ref>Citato in Carlo A. Martigli, ''[http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2002/04/25/sul-diritto-alla-morte-si-discute-su.html Sul diritto alla morte si discute su Internet]'', ''la Repubblica'', 25 aprile 2002.</ref> *Kipling diceva: "un italiano, un bel tipo; due italiani, una discussione; tre italiani, tre partiti politici". I suoi concittadini, invece, li definiva così: "un inglese, un cretino; due inglesi due cretini; tre inglesi, un popolo". Vorrei avere a che fare con dei cretini che, insieme, facessero un popolo.<ref>Citato in Cristina Taglietti, ''[https://web.archive.org/web/20160101000000/http://archiviostorico.corriere.it/1998/dicembre/17/Montanelli_cari_studenti_volete_spaccate_co_0_98121712510.shtml Montanelli: cari studenti, se volete spaccate tutto ma è inutile]'', ''Corriere della Sera'', 17 dicembre 1998.</ref> *{{NDR|Riguardo all'approvazione della legge elettorale nota come mattarellum}} L'unico modello a cui possiamo rifarci è quello francese, non quello inglese. In un paese dove ci sono venti-venticinque partiti, come si fa l'uninominale a turno unico? Qui rischia di vincere un partito che ottiene il dieci percento, perché gli altri hanno ottenuto il sette, il sei. Ma le pare giusto questo? Io non so se è stata una follia o un atto criminale questa riforma elettorale. Io sono per la traduzione in processo dei legislatori, da [[Sergio Mattarella|Mattarella]] agli altri - non è stato il solo - i quali hanno fatto, come al solito, o creduto di fare gli interessi del proprio partito. Hanno fatto questa legge prima che venisse il diluvio universale di [[Mani pulite|Tangentopoli]], convinti che siccome loro erano il partito di maggioranza relativa spazzavano via l'Italia. Poi è venuta tangentopoli e ora piangono. Dovrebbero suicidarsi se avessero un minimo di dignità. Suicidarsi. Perché in nome degli interessi di partito hanno completamente rovinato l'Italia. [...] Questi legislatori che hanno truffato con questa legge - perché questa legge è una truffa - io vorrei sapere come mai non vengono processati. Dovrebbero essere processati per lesa patria.<ref name=conferenza>[https://www.youtube.com/watch?v=snbg12DCPSM Indro Montanelli presenta "La Voce", conferenza stampa integrale], 1994.</ref> *La cosa curiosa di [[Antonino Caponnetto|Caponnetto]] è che si va a schierare con [[Leoluca Orlando|Orlando]] che è stato il peggior denigratore di [[Giovanni Falcone|Falcone]]. E poi dice che fa l'antimafia, io vorrei sapere i voti a Orlando chi glieli ha dati.<ref>Citato in Riccardo Chiaberge ''[https://web.archive.org/web/20160101000000/http://archiviostorico.corriere.it/1994/marzo/21/Montanelli_voce_controcorrente_co_0_94032115801.shtml Montanelli la voce controcorrente]'', ''Corriere della Sera'', 21 marzo 1994.</ref> *La [[cultura]], per un giornalista, è come una puttana: la puoi frequentare ma non devi ostentarla. La cultura si tiene nel cassetto. Il lettore non va trattato dall'alto in basso, ma preso per mano come un amico e portato dove vuoi.<ref>Citato in [[Roberto Gervaso]], ''Ve li racconto io'', Mondadori, Milano, 2006, p. 294, ISBN 88-04-54931-9.</ref> *La cultura si è chiusa nella torre eburnea. Rimane lì, arroccata in sé stessa, perché ha orrore dei contatti col pubblico, si crede diminuita dai contatti col pubblico. Questa è la cultura italiana. È una cultura di cretini.<ref name="montecarlo">Radio Montecarlo, [https://www.youtube.com/watch?v=A77mrwIjSSs Intervista a Indro Montanelli], di Roberto Arnaldi, 1973.</ref> *La [[depressione]] è una malattia democratica: colpisce tutti.<ref>Citato nel programma televisivo ''Ippocrate'', Rai News, 13 giugno 2010.</ref> *La devolution mi preoccupa molto, perché la decomposizione della [[Repubblica Socialista Federale di Jugoslavia|Jugoslavia]] cominciò esattamente così: reclamata e imposta dai due grandi compari Tudjiman e [[Slobodan Milošević|Milosevic]] che distrussero l'unità del Paese per restare padroni in casa propria...<ref>Citato in Gian Guido Vecchi, ''[https://web.archive.org/web/20160101000000/http://archiviostorico.corriere.it/2001/aprile/08/Devolution_traffico_voto_rebus_co_7_0104088547.shtml Devolution e traffico, il voto è un rebus]'', ''Corriere della Sera'', 8 aprile 2001.</ref> *La guerra contro il [[brigantaggio]], insorto contro lo Stato unitario, costò piú morti di tutti quelli del [[Risorgimento]]. Abbiamo sempre vissuto dei falsi: il falso del Risorgimento che assomiglia ben poco a quello che ci fanno studiare a scuola.<ref>Citato in Stefano Preite, ''Il Risorgimento, ovvero, Un passato che pesa sul presente'', Piero Lacaita, 2009.</ref> *La lettura del ''[[Adolf Hitler#Mein Kampf|Mein Kampf]]'' io la renderei, per legge, obbligatoria. Fuori dal contesto in cui fu concepito e scritto, quel libro è un caciucco di coglionerie.<ref>Citato in Cesare Medail, ''Il «Mein Kampf» torna nelle librerie italiane. Grazie a un editore cossuttiano'', ''Corriere della Sera'', 6 maggio 2000.</ref> *La nostra classe politica ha fatto del [[partito]] una specie di totem intoccabile e gli ha attribuito tutti i poteri, con in più un diritto: il diritto di abusarne.<ref name=Dovere>Dal programma televisivo ''Dovere di cronaca'', Rete 4, 1988, [https://www.youtube.com/watch?v=caQgyvTKZS8 visibile su YouTube].</ref> *Le cose non sono importanti per quello che sono, ma per quello che uno ci mette.<ref name="cento">intervista di Enzo Biagi a Indro Montanelli, (1982), da "Cento anni", Fabbri video, 1993.</ref> *Le mie idee sono sempre al vaglio dell'[[esperienza]] e l'esperienza mi impone di rivederle continuamente.<ref name="IIIB">Da un'intervista del 1971, tratta da ''III B, Facciamo l'appello'' di Enzo Biagi; anche in ''[http://www.rai.it/dl/Rai5/programma.html?ContentItem-f04f3982-e954-471e-8242-78f92423550d Indro Montanelli, gli anni della televisione]'', puntata 7, di Nevio Casadio, Rai Premium, 2013.</ref> *[[Leo Longanesi]] che amava [[Marcello Marchesi]] rabbiosamente per lo spreco che faceva del suo talento, quando lo incontrava, gli diceva: "Devo fare una telefonata, mi dai un gettone di intelligenza?". E un giorno mi ordinò un epitaffio per lui. Eccolo: "Qui giace un nessuno — che se avesse voluto — avrebbe potuto diventare — Marcello Marchesi —. Purtroppo o per fortuna — non lo seppe mai —. Come tutti i geni — era un cretino".<ref>Citato in Paola Fallai, ''Marchesi, l'umorista che creò un'atmosfera'', ''La lettura'', ''Corriere della Sera'', 25 marzo 2012; riportato in ''[http://www.cinquantamila.it/storyTellerArticolo.php?storyId=0000001549183 Cinquantamila.it]''.</ref> *Mi accusano molto spesso di avere inventato degli aneddoti. È verissimo. Io ogni tanto invento quando devo descrivere un personaggio, specialmente negli incontri, io invento qualche aneddoto. Però sono sempre aneddoti funzionali, che servono a dimostrare quel certo carattere che mi sembra vero e di dover dimostrare.<ref name="IIIB" /> *Mi avvio verso il mio capolinea con l'angoscia di portare con me le cose che ho più amato: il mio paese e il mio mestiere, temo che non mi sopravviveranno.<ref>Da un'intervista del 1996, tratta da ''Tablet Italiani'', puntata 2, "Montanelli/Bocca", Rai Storia, 25 agosto 2013.</ref> *{{NDR|Su [[Vittorio Mangili]], in riferimento all'[[rivoluzione ungherese del 1956|insurrezione antisovietica in Ungheria nel 1956]]}} Ne ha combinate di tutti i colori. Ha fatto perfino il portaordini dei patrioti, a bordo di una delle loro automobili di collegamento.<ref>Citato in Roberta Scorranese, ''[https://www.corriere.it/cronache/22_ottobre_09/vittorio-mangili-cento-anni-dell-inviato-rai-io-budapest-madre-teresa-1efd76ca-473a-11ed-8ee2-07ab17a2d97d.shtml Vittorio Mangili, i cento anni dell’inviato Rai «Io, da Budapest a Madre Teresa»]'', ''corriere.it'', 8 ottobre 2022.</ref> *Nei grandi [[giornale|giornali]] di oggi, che non possono farne a meno, chi comanda non è più nemmeno il [[direttore]]: è l'ufficio [[marketing]].<ref name="giornalista">Da: ''Repertorio della Fondazione Montanelli'', in ''Indro Montanelli - Gli anni della televisione 4: Io sono soltanto un giornalista'', a cura di Nevio Casadio, Rai Sat, 2009</ref> *{{NDR|Rivolto a [[Silvio Berlusconi|Berlusconi]] che voleva imporsi sulla linea editoriale de ''il Giornale''}} Nell'arte dell'imprenditoria, tu sei di certo un genio, ed io un coglione. Ma nell'arte della polemica il genio sono io, e tu il coglione.<ref name=Travaglio2004>Citato in Marco Travaglio, ''Montanelli e il Cavaliere'', Garzanti, Milano, 2004.</ref> *Nessuno di noi la strada della ribellione la batté sino in fondo, come voleva [[Berto Ricci|Ricci]]: per la semplice ragione che si trattava di una strada che fondi non ne aveva. Qualcuno poi scantonò in questo o in quello dei sette o otto partiti che aprirono le porte a questa generazione perduta. E forse si illuse di aver trovato un’altra bandiera. Io sono tra i rassegnati: so benissimo che di bandiere non posso averne altre e che l'unica che seguiterà a sventolare sulla mia vita è quella che disertai, prima che cadesse.<ref>Citato in Mario Bernardi Guardi, ''La giovinezza di Montanelli ebbe un nome: Berto Ricci'', ''Il Primato Nazionale'', 3 maggio 2016.</ref> *No, [[Marco Travaglio|Travaglio]] non uccide nessuno. Col coltello. Usa un'arma molto più raffinata e non perseguibile penalmente: l'archivio.<ref name=Travaglio2004/> *Noi italiani non crediamo in nulla e tanto meno nelle virtù che qualcuno ci attribuisce. Ma tra di esse ce n'è una nella quale riponiamo una fede incorruttibile: quella della nostra capacità di corrompere tutto.<ref>Citato in Mario Cervi, ''Ti ricordi Indro?'', Società europea di edizioni, Milano, 2017, p. 57. ISBN 9778118178454</ref> *Noi qui buttiamo tutte le colpe addosso agli altri. Ma bisogna fare i conti anche col popolo italiano. Siamo noi che li abbiamo eletti questi signori. Sono mica piovuti dalla luna. E allora non accaniamoci soltanto sulla classe politica. Noi siamo un elettorato disposto a ogni sorta di transazione, quando ci fa comodo.<ref name=conferenza /> *Non credo alle feste comandate. La memoria dovrebbe essere spontanea. L'unica cosa che si dovrebbe fare è raccontare veramente e in maniera spassionata ai giovani, che non lo sanno, cosa è stata la Shoah, senza fare mobilitazioni di folle.<ref>Citato in Marco Cremonesi, ''[https://web.archive.org/web/20160101000000/http://archiviostorico.corriere.it/2001/gennaio/28/Diecimila_piazza_con_nomi_dei_co_0_0101282160.shtml Diecimila in piazza con i nomi dei lager]'', ''Corriere della Sera'', 28 gennaio 2001, p. 31.</ref> *Non do più nessun significato a queste due parole {{NDR|destra e sinistra}}, le ritengo un cascame, un residuato di situazioni oramai defunte. [[Destra e sinistra]] non hanno più nessun significato e credo che noi ci stiamo attardando su una terminologia arcaica, oramai da seppellire.<ref>Radio Radicale, [https://www.radioradicale.it/scheda/598/599-elezioni Elezioni], 38:58-39:26, 25 maggio 1979.</ref> *Non mi si portino i soliti argomenti astratti, tipo la sacralità della vita: nessuno contesta il diritto di ognuno a disporre della sua vita, non vedo perché gli si debba contestare il diritto a scegliere la propria morte.<ref>Citato in Enrico Bonerandi, ''[http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2000/12/13/montanelli-pronto-morire.html Montanelli: pronto a morire]'', '' la Repubblica'', 13 dicembre 2000, p. 36.</ref> *{{NDR|Il Polo delle Libertà}} Non venga a farci credere che è costretto all'[[Aventino (espressione)|Aventino]] dal clima di violenza creato dall'Ulivo. Dove diavolo la vede questa violenza? Mi basta guardare la faccia di [[Romano Prodi|Prodi]] 1996 per metterla a confronto con quella di Mussolini 1924 per escludere che in Italia corriamo il pericolo di una dittatura. Per fare una dittatura ci vuole un dittatore.<ref>Citato in Alessandro Longo, ''[https://rep.repubblica.it/pwa/generale/2018/03/17/news/aventino-191559602/?ref=pwa-rep-hp-2-1-1 Perché si dice Aventino]'', ''Rep.repubblica.it'', 17 marzo 2018.</ref> *{{ndr|su [[Gianni Agnelli]]}} Parla con la propria bocca, pensa con il cervello di Valletta, col cuore di Giulio De Benedetti e con gli interessi polivalenti della Fiat.<ref>Citato in Paolo Granzotto, ''Montanelli'', p. 129.</ref> *{{ndr|su [[Mariano Rumor]]}} Personaggio da commedia [[Carlo Goldoni|goldoniana]] più che da tragedia contemporanea.<ref>Citato in Paolo Granzotto, ''Montanelli'', p. 145.</ref> *Posso solo dire che l'Italia del Cattaneo è quella che conserva qualche probabilità di salvarsi da questo degrado politico, culturale, morale, economico. E l'Italia del Cattaneo è quella Cisalpina. A nord del Po, e forse anche in Emilia, esistono tracce di coscienza civile e anche di classi dirigenti sane. Poi c'è un'Italia centrale, quella toscana e umbra e marchigiana, che conserva le sue peculiarità, i suoi caratteri spiccati che affondano le radici nell'Italia comunale e rinascimentale. Il resto è un disastro che non saprei come salvare. Del resto Cattaneo ci tentò, andò a Napoli e resistette qualche giorno. Poi si arrese e se ne tornò nella sua Lugano, nella sua Svizzera.<ref name=Italia>Citato in ''Il grande vecchio del giornalismo rilegge gli ultimi anni della nostra storia'', ''L'Indipendente'', 25 luglio 1995.</ref> *Pur ricordandovi che la nostra regola è quella di non tener conto delle intemperanze altrui, specie dei politici, e di dire sempre la verità, tutta la verità, senza partito preso né animosità verso nessuno, vi autorizzo a comunicare al [[Bobo Craxi|suddetto signore]], se ve ne capita l'occasione, che l'unica «testa» in pericolo di cadere dopo il 5 aprile non è la vostra ma, casomai, la sua. E potete aggiungere, da parte mia, che non la considererei una gran perdita.<ref>Citato in [[Federico Orlando]], ''Il sabato andavamo ad Arcore'', Larus, Bergamo, 1995.</ref> *[[Sandro Pertini|Pertini]] ha interpretato al meglio il peggio degli italiani.<ref>Citato in Franco Fontanini, ''Piccola antologia del pensiero breve'', Liguori Editore, Napoli, 2007, p. 12.</ref> *Quando mi viene in mente un bell'aforisma, lo metto in conto a [[Montesquieu]], od a [[François de La Rochefoucauld|La Rochefoucauld]]. Non si sono mai lamentati.<ref>Citato in Luigi Mascheroni, ''[http://www.ilgiornale.it/news/mai-dette-ripetiamo-sempre-ecco-frasi-fantasma-storia.html Mai dette, ma le ripetiamo sempre. Ecco le frasi fantasma della storia]'', ''il Giornale'', 21 marzo 2009, p. 22.</ref> *Quello che ci ripugna è che, per mettere un controllo all'autorità politica, ci sia bisogno di ricorrere all'autorità giudiziaria. Cioè che, alla fine, noi avremo le riforme istituzionali non per via politica, ma per via giudiziaria e processuale. Questo ci allarma anche perché, come avrete ben capito, la mia opinione dei politici è molto bassa, ma quella dei giudici non è migliore. Perché anche i giudici sono stati corrotti dalla partitocrazia. Lo dimostra il semplice fatto che molti di loro ostentano la tessera di partito. Un giudice che ha venduto la propria imparzialità ai partiti è un giudice che, prima di processare gli altri, dovrebbe essere processato lui e cacciato in galera. Lo so che a dire queste cose si possono avere dei dispiaceri, ma io di dispiaceri in vita mia ne ho avuti tanti che, uno più o uno meno, non mi fa nessunissimo effetto.<ref name=Dovere/> *{{NDR|[[Carmen Lasorella]]}} Richiama tanta attenzione non solo per la sua bravura ma anche per quel che possiede dal cervello in giù.<ref>Citato in Luigi Mascheroni, ''[https://books.google.it/books?id=gtg7AQAAIAAJ&q=%22Richiama+tanta+attenzione+non+solo+per+la+sua+bravura+ma+anche+per+quel+che+possiede+dal+cervello+in+gi%C3%B9+%22&dq=%22Richiama+tanta+attenzione+non+solo+per+la+sua+bravura+ma+anche+per+quel+che+possiede+dal+cervello+in+gi%C3%B9+%22&hl=it&newbks=1&newbks_redir=0&sa=X&ved=2ahUKEwiC2PXRl5WDAxVs4AIHHazPCd4Q6AF6BAgHEAI Sette, settimanale del Corriere della sera, Edizioni 1-9]'', 1996.</ref> *Sfido io che {{NDR|''il Giornale''}} non va bene come vendite. Non va bene come vendite perché noi siamo ancora alla macchina Olivetti. Qui non è stato fatto mai nessun investimento ed è stato detto chiaro che gli investimenti non sarebbero venuti finché io ne fossi il direttore. Questa è la situazione.<ref name="milano" /> *Siamo un paese cattolico, che nella [[Provvidenza]] ci crede o almeno ne è affascinato. Il pericolo è questo: gli [[italia]]ni sentendo aria di provvidenza sono sempre pronti a mettersi in fila speranzosi.<ref name=Provvidenza>Citato in ''[http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/1994/02/24/rivogliono-uomo-della-provvidenza.html?ref=search Rivogliono l'uomo della provvidenza]'', ''la Repubblica'', 24 febbraio 1994, p. 11.</ref> *Se avessi potuto immaginare come sarebbe stata distrutta la vecchia classe politica italiana - che meritava la distruzione, sia chiaro - se avessi potuto immaginare che la distruzione della vecchia classe politica italiana, in gran parte marcia, avrebbe dischiuso una situazione come quella attuale e che la vecchia legge proporzionale sarebbe stata sostituita dall'attuale legge maggioritaria così come è stata compilata, io avrei forse difeso la vecchia classe. Per lo meno non mi sarei battuto con tanta asprezza e con tanto vigore contro quella classe politica, che meritava di finire, ma a cui si stanno dando dei successori che, ricordatevelo bene, ci faranno rimpiangere quella vecchia. È il peggio che si può dire. Ma io lo dico. Perché non riesco proprio a vedere cosa sta venendo fuori da questo rimescolio di carte.<ref name=conferenza /> *{{NDR|«Se dovesse fondare un giornale a novant'anni, che giornale farebbe?»}} Se io dovessi oggi fare un giornale, farei un ''Foglio'' un po' più grande: invece che di 4 facciate di 10 o di 12. Non di più. Con una redazione ridottissima e facendo un preventivo che mi mettesse al riparo dalle delusioni. Mirerei ad avere non più di venti/trentamila lettori e non avere pubblicità. Su queste basi, forse, riuscirei a fare un [[giornale]] di alto prestigio, ma purtroppo destinato a una élite.<ref name="giornalista" /> *Sta arrivando l'uomo della provvidenza. E io, in vita mia, di questi personaggi ne ho già conosciuto uno. Mi è bastato. Per sempre.<ref name=Provvidenza></ref> *Una cultura che perde i contatti col pubblico si sterilisce e muore. Questa è la verità. E la nostra cultura è assolutamente sterile. Noi culturalmente non contiamo più nulla nel mondo. Perché? Perché è chiusa in sé stessa, la cultura, ha perso i contatti col pubblico, con la vita. Non c'è più. Sono mummie. Non è più cultura: è mafia.<ref name="montecarlo" /> *{{NDR|Su [[Aldo Moro]]}} Un generale che, sfiduciato del proprio esercito, credeva che l'unico modo di combattere il nemico fosse quello di abbracciarlo.<ref>Citato in [[Roberto Gervaso]], ''Ve li racconto io'', Mondadori, Milano, 2006, p. 310, ISBN 88-04-54931-9.</ref> *Un giorno fui convocato a Palazzo Venezia, era il 1932 e avevo 23 anni, perché il duce voleva vedermi. Ero emozionatissimo, entrai e mi misi sull'attenti, e il duce che faceva finta di scrivere mi lasciò lì per un quarto d'ora e alla fine mi disse: "Ho letto il vostro articolo sul razzismo (avevo scritto un articolo contro il razzismo). Bravo, vi elogio. Il razzismo è roba da biondi (non si era accorto che ero biondo), continuate così. Sei anni dopo fece le leggi razziali. Perché questo era [[Benito Mussolini|Mussolini]], diceva una cosa e ne faceva un'altra, secondo il vento del momento. Non creava il vento, vi si accodava da buon italiano.<ref>Citato in Gianna Fregonara, ''[https://web.archive.org/web/20160101000000/http://archiviostorico.corriere.it/2010/gennaio/24/Dal_balcone_Mussolini_bianco_sorriso_co_9_100124324.shtml Dal balcone di Mussolini al bianco sorriso di Belen]'', 24 gennaio 2010, p. 34.</ref> *{{NDR|Su [[Giorgio La Pira]]}} Un pasticcione ben intenzionato che, nel nome del Signore, appoggia le peggiori cause appellandosi ai migliori sentimenti.<ref>Citato in [[Roberto Gervaso]], ''Ve li racconto io'', Mondadori, Milano, 2006, p. 236, ISBN 88-04-54931-9.</ref> ===Citazioni tratte da suoi libri=== *{{NDR|Sul funerale di [[Leo Longanesi]]}} Al cimitero ci si ritrovò in una decina di persone, non di più. Non ci furono cerimonie né discorsi. Solo la piccola Virginia, che avrà avuto quattordici anni, mentre la bara di suo padre calava nella tomba, mormorò: «E dire che gli orfani mi sono sempre stati così antipatici...» Una frase che sarebbe piaciuta moltissimo a Leo.<ref>Dalla presentazione a [[Leo Longanesi]], ''In piedi e seduti'', Longanesi & C., Milano, 1968.</ref> ====''Caro Indro...''==== *L'aureola di martire a Craxi nessuno è disposto a riconoscergliela, proprio perché inconciliabile con l'arroganza con cui si comporta. Nessun paragone col contegno di Andreotti, davvero ineccepibile. Sul banco degli imputati ci sta da imputato, dimentico di essere stato per ben sette volte capo del governo. Parla solo se interrogato, e a bassa voce. Non rinuncia alla propria dignità, ma non la ostenta. Eppoi, le colpe che gli si addebitano saranno anche più gravi di quelle che si addebitano a Craxi, ma meno spregevoli. Potrà anche aver baciato Riina (sebbene a me questo appaia poco credibile). Ma del pubblico denaro non risulta che gli sia scivolata in tasca nemmeno una lira. Forse merita la fucilazione. Lo spregio, no. (31.1.1996) (p. 9) *Non ho mai conosciuto [[Yasser Arafat|Arafat]], né mai ho cercato di conoscerlo: non mi pare che il suo aspetto inviti alla simpatia. Però non l'ho mai considerato un criminale anche se si trovava alla testa di un'[[Organizzazione per la Liberazione della Palestina|organizzazione]] in cui di criminali ce ne sono molti. E oggi non lo considero affatto un eroe, ma un uomo coraggioso sì, perché lo ritengo in costante pericolo di vita. La lotta per il potere, dentro l'Olp, è a coltello: e i nemici di Arafat sono quelli che il coltello lo maneggiano meglio di tutti. Stringendo la mano a [[Yitzhak Rabin|Rabin]], Arafat ha moltiplicato i suoi nemici e li ha resi ancora più rabbiosi. È un uomo a rischio, non c'è dubbio. E se muore lui, addio pace in Medio Oriente. (4.10.1993) (p. 11) *Certo che il passato dell'Olp, carico di bombe e di sangue, non è la migliore referenza per un Nobel, ma Arafat è però anche l'unico interlocutore palestinese: dopo di lui c'è il nulla, o meglio soltanto gruppi di fanatici votati alla violenza e alla distruzione di [[Israele]]. Una volta presa la decisione di premiare i protagonisti del tormentato processo di pace in Medioriente [...] si è dovuto fare di necessità virtù e dare il riconoscimento anche all'uomo che per molti anni è stato un simbolo del terrorismo, nonché l'ispiratore di tante altre «lotte armate»: premiare solo Rabin e [[Shimon Peres|Peres]] sarebbe stato uno schiaffo ai palestinesi, un'iniziativa controproducente. [...] Forse più che il Nobel per la pace meriterebbe quello per il ravvedimento... (30.10.1994) (p. 12) *«Libera Chiesa in libero Stato» è una formula più d'effetto che di sostanza. Potrebbe anche significare che Chiesa e Stato si ignorano a vicenda e ognuno dei due si attribuisce i poteri che più gli aggradono: che è il modo più sicuro per litigare, non certo per convivere. Fra i due ci deve essere un patto improntato al reciproco rispetto: condizione più facile da formulare che da realizzare. Ma sembra che lo sviluppo di questo rapporto negli ultimi anni abbia fatto più passi indietro che avanti. E mi pare che dello stesso parere sia il capo dello Stato, Carlo Azeglio Ciampi. Meno male (7.3.2001) (p. 30) *Ho fiducia in [[Massimo D'Alema|D'alema]], anche se non voterò mai per lui. Ho fiducia per due motivi. Prima di tutto perché, fra i leader di oggi, è l'unico vero professionista della politica. Eppoi perché non ho dubbi sulla sua intenzione di fare del Pds un partito socialdemocratico o laburista. Se non fosse così, non solo Prodi ma nemmeno Veltroni sarebbero al suo fianco. E appunto perché è così, sono convinto che consumerà fino in fondo il divorzio da Rifondazione. Lo consumerà cercando di non farsene portar via molti elettori. Ma lo consumerà per conquistare i moderati: altra strada non può battere. E proprio in questi giorni lo ha dimostrato sacrificando anche quella piccola falce e martello che tuttora sopravviveva nel simbolo del suo partito ai piedi della Quercia. Non era che un «segno», dirà qualcuno. Sì, ma che segno! (17.5.1995) (p. 42) *Anch'io sono stato in passato un fautore dell'elezione diretta, cioè per consultazione popolare, del Capo dello Stato. Mi pareva il mezzo più efficace per sottrarre almeno il Quirinale agl'intrallazzi dei partiti e per avere un garante al di sopra di essi. Ma poi ho dovuto cambiare idea di fronte alle prove di balordaggine, d'ignoranza, di totale mancanza di consapevolezza morale e civile dell'elettorato italiano, o almeno della sua maggioranza. È un elettorato sempre pronto a correre dietro a qualche ciarlatano che sappia vendere bene la sua merce e a lasciarsene trascinare nelle imprese più insensate. Insomma considero la stupidità più pericolosa degl'intrallazzi. (23.12.1998) (p. 47) *Non credo che [[Diana Spencer|Diana]] rimarrà nella memoria dei posteri. Era una bella e simpatica ragazza, che avrebbe anche potuto essere una buona moglie e una buona madre, ma che non aveva certamente la stoffa e le dimensioni umane, comportamentali di una regina. Più e meglio che sul trono, il suo personaggio avrebbe figurato in un romanzo di Liala. Non riesco ad accostarla a figure storiche (17.9.1997) (p. 72) *Mussolini non aveva la stoffa del criminale né di guerra né di pace. Dicendolo, so di espormi alle contumelie della cosiddetta intellighenzia. Ma ne ho già ricevute tante che non mi fanno più nessun effetto. Tuttavia mi rendo conto che alla condanna a morte non avrebbe potuto sfuggire perché almeno un responsabile delle catastrofi che si erano abbattute sull'Italia si doveva pur trovare, e non poteva essere che lui. Però c'è da ringraziare Dio, e per esso, il Comitato di liberazione nazionale che ne ordinò (o avallò) la fucilazione sul posto perché un processo a Mussolini avrebbe ancora più spaccato un Paese già spaccato dalla guerra civile (per chiamare col suo vero nome, la Resistenza). E credo che anche gli Alleati trassero un respiro di sollievo dal venirne esentati. Un processo avrebbe messo in imbarazzo anche loro per le indulgenze che avevano avuto verso di lui e quella parodia di totalitarismo ch'era stata il suo regime. Una Norimberga italiana sarebbe stata anch'essa una parodia. La fucilazione sul posto di Mussolini era un atto dovuto. Quello che non era dovuto, e che per gl'italiani provvisti di qualche senso dell'onore e della decenza rimarrà una indelebile vergogna, fu la scena di piazzale Loreto (30.6.1999) (pp. 89-90) *{{NDR|«Poni che ti regalino una telecamera, con il diritto di spiare per un mese, non visto, un potente della Terra, a tua scelta, dalla regina Elisabetta a Gheddafi, da Saddam a Clinton. Quale personaggio ti incuriosirebbe di più?»}} [[Vladimir Putin|Putin]]. Credo che sia una canaglia perché solo le canaglie potevano arruolarsi e fare carriera in un corpo di polizia come il Kgb. Ma è proprio di una canaglia che la [[Russia]] ha bisogno per ricompattarsi all'interno, risollevarsi dal caos in cui l'ha precipitata il crollo di un regime totalitario durato settant'anni, e riprendere nel gioco delle potenze mondiali il posto che spetta a un Paese di 250 milioni di abitanti, di grandi tradizioni e d'inesauribili risorse naturali. L'Occidente ha bisogno della Russia: è il suo antemurale verso un Oriente che può riservarci amare sorprese. [...] Non facciamoci illusioni sull'avvenire di una democrazia in Russia. Essa ha bisogno [...] di una mano forte e spregiudicata, di una canaglia insomma. [...] Ecco perché mi piacerebbe conoscere Putin: per vedere se è la canaglia di cui mi pare abbia bisogno la Russia in questo momento: un «momento» destinato a durare parecchi decenni. (18.10.2000) (pp. 104-105) ===Attribuite=== *Berlusconi non delude mai: quando ti aspetti che dica una scempiaggine, la dice.<ref name=Travaglio2004/> :In ''Io e il cavaliere qualche anno fa'', ''Corriere della Sera'', 25 marzo 2001, p. 1, Montanelli attribuisce la citazione a «un'alta personalità della Finanza, nota anche per il suo infallibile fiuto degli uomini». La frase esatta è: «Avrà anche i suoi difetti, ma un merito bisogna riconoscerglielo: quello di non deludere mai. Quando ti aspetti che dica una scempiaggine, la dice». ==Interviste== {{cronologico}} *{{NDR|La guerra coloniale etiopica}} Considerandola oggi, con la mia maturità d'oggi, {{NDR|è}} un'avventura di una stupidità senza fine. Ma immaginiamo un ragazzo di 24 anni messo al comando di una banda indigena, con 100 uomini neri – lui solo bianco – buttato all'avventura in quella guerra che di combattimenti ne ebbe molto pochi – non voglio passare per un gran guerriero, affatto – ma furono un anno e mezzo a cavallo, di cavalcate in questa natura selvaggia (ripeto, combattimenti ben pochi). {{NDR|«Dicono anche che lei aveva una moglie, diciamo indigena, molto bella, che era la più bella di tutte quelle che avevano gli ufficiali d'allora»}} Sì. {{NDR|«Era molto invidiato per questo»}} Pare che avessi scelto bene, era una bellissima ragazza bilena, di 12 anni – {{NDR|sorridendo}} scusatemi, ma in Africa è un'altra cosa – e così l'avevo sposata, nel senso che l'avevo regolarmente comprata dal padre che mi ha accompagnato insieme alle mogli dei miei ascari. Queste mogli degli ascari non è che seguissero la banda, ma ogni 15 giorni raggiungevano la banda: io non ho mai capito come facessero a trovarci in questo infinito dell'Abissinia. Quelle arrivavano e arrivava anche questa mia moglie con la cesta in testa, che mi portava la biancheria pulita. [...] {{NDR|Domanda del pubblico: «Lei ha detto tranquillamente di avere avuto una sposa, diciamo, di 12 anni e a 25 anni lei non si è peritato affatto di violentare una ragazza di 12 anni, dicendo "Ma in Africa queste cose si fanno". Io vorrei chiedere a lui come intende normalmente i suoi rapporti con le donne date queste due affermazioni»}} No signorina guardi, sulla violenza, nessuna violenza perché le ragazze in Abissinia si sposano a 12 anni. Non è questione, Quindi. {{NDR|Domanda del pubblico: «Su un piano di consapevolezza dell'uomo, insomma, il rapporto con una bambina di 12 anni è il rapporto con una bambina di 12 anni. Se lo facesse in Europa rischierebbe di violentare una bambina, vero?»}} Sì, in Europa sì, ma lì no. {{NDR|«Ecco, appunto»}} Lì no. {{NDR|«Quale differenza crede che esista dal punto di vista biologico, o anche psicologico?»}} No, guardi, {{NDR|«Dal punto di vista del costume»}} lì si sposano a 12 anni, non è questione. A 12 anni si sposano. {{NDR|«Ma non è il matrimonio che lei intende, a 12 anni in Africa. Guardi, io ho vissuto in Africa»}} Sì. {{NDR|«Quindi il vostro era veramente il rapporto violento del colonialista che veniva lì e si impossessava della ragazza di 12 anni»}} No... {{NDR|«Ma glielo garantisco, senza assolutamente tener conto di questo tipo di rapporto sul piano umano. Eravate i vincitori, cioè i militari che hanno fatto le stesse cose ovunque sono stati i vincitori, ovunque gli uomini si sono presentati come dei militari. La Storia è piena di queste situazioni»}} {{NDR|sorridendo}} Signorina, non so se lei vuole istruirmi un processo «a posteriori». {{NDR|«No, no, affatto. Guardi, ho soltanto voluto chiederle, per inciso, come lei intende – dopo le due interpretazioni – i rapporti con le donne»}} Dipende da cosa si mette dentro, dipende anche da cosa le donne mettono dentro di noi. È tutto un giuoco di specchi. {{NDR|«Ma lei vede sempre la donna in questa veste passiva di adulatrice, oppure di compagna – che appare e scompare – dell'uomo, non l'ha mai vista in una funzione diretta, attiva e diversa. Questo è un po' il dramma degli uomini della sua generazione»}} {{NDR|sorridendo}} Può darsi. Della mia generazione? Solo? {{NDR|«Credo»}} {{NDR|sorridendo}} Vabbè. Può darsi. (Da ''L'ora della verità'', 22 ottobre 1969) *{{NDR|Domanda del pubblico: «Io vorrei sapere perché lei, che si ritiene un osservatore, non ha mai affrontato il discorso sulla contestazione giovanile, tenendo anche presente il fatto che lei cerca il lettore. Lei ai giovani non dice assolutamente niente come giornalista»}} Come? {{NDR|«Se c'è un pubblico che lei sta perdendo, e forse non ha mai avuto, è proprio quello dei giovani. Vorrei sapere come mai lei non ha mai affrontato il discorso sulla contestazione, sulla realtà giovanile che è esplosa in questi ultimi anni»}} Signorina, io avrei tanto volentieri affrontato il discorso sulla contestazione se fosse possibile agganciare il discorso coi contestatori. Ma coi contestatori io non faccio il [[Alberto Moravia|Moravia]]. No. Non vado a farmi spernacchiare dai giovani, mi dispiace tanto. Né dai giovani, né da nessun altro. {{NDR|«Lei ha paura, scusi, di affrontare un discorso»}} No, io non ho paura, ma non ammetto di essere accolto a quel modo. È proprio un fatto, così, di dignità. {{NDR|«E allora, scusi, lei a questo punto rinuncia a un pubblico come può essere quello dei giovani semplicemente, così, per non avere degli spernacchiamenti, per non compromettere – diciamo – questo suo successo a cui è arrivato»}} Ma scusi, ma che dialogo sono le pernacchie? Me lo vuole spiegare? (ibidem) *Certamente [[Benito Mussolini|Mussolini]] fu un grossissimo politico, un uomo politico di grandissimo fiuto, di tempismo formidabile: lo dimostrò la facilità con cui vinse. Forse dovuta per metà alle sue capacità, alla sua bravura – parlo sempre come politico – e per metà all'insipienza, alla nullaggine dei suoi avversari, perché è tempo oramai di dire anche questo. Non c'è dubbio che il potere assoluto guastò completamente Mussolini: il Mussolini del 1930 non era certamente quello del 1940, il Mussolini di dieci anni dopo l'avvento al potere era diventato una specie di marionetta, la caricatura di sé stesso. Aveva perso proprio il senso della realtà, che era stato invece il suo forte da principio, il contatto col pubblico lo aveva perso, il senso della misura, e lo aveva dimostrato poi con gli errori madornali che ha fatto. Nei primi dieci anni credo che alcune cose buone le abbia fatte. Non credo che abbia ucciso la democrazia, credo che l'abbia soltanto seppellita perché era già morta. Da quel poco che ricordo l'Italia era un grosso carnevale, e anche abbastanza drammatico, perché la situazione interna era addirittura sfasciata: correva sangue, ne correva molto, noi in Toscana ne sapevamo qualcosa [...]. E quindi non è vero che lui... le democrazie non vengono mai uccise, le democrazie muoiono. Dopodiché si dà la colpa a chi le seppellisce, ma la verità è che si suicidano, e credo che la democrazia italiana del '21-22 si sia suicidata. [...] Mussolini capì una cosa fondamentale: che per piacere agli italiani bisognava dare a ciascuno di essi una piccola fetta di potere col diritto di abusarne. Questo era il fascismo. Il fascismo aveva creato una [[gerarchia]] talmente articolata e complessa che ognuno aveva dei galloni: il capofabbricato, il caposettore... tutti avevano una piccola fetta di potere, di cui naturalmente ognuno abusava, come è nel carattere degli italiani. (da ''Questo secolo'', 18 maggio 1982) *Ero all'estero, lavoravo nel giornalismo americano, alla ''United Press''. Chiesi alla mia agenzia di mandarmi come corrispondente in Abissinia. Giustamente mi dissero: «No, perché lei è un italiano, quindi logicamente non fa delle corrispondenze obiettive». Dico: «Avete ragione. Allora io vi lascio e vado volontario». Feci la mia brava domanda (la feci anche raccomandare). La domanda fu accolta, io fui mandato in Abissinia e, cosa un po' strana [...], a questo ragazzo di 23 anni [...] venne affidata una banda. [...] In quei due anni io contribuii a fare una cosa sbagliata, un'autentica fregnaccia qual era costruire un impero nel '35, quando coloro che lo avevano lo stavano già liquidando perché erano cose antistoriche. Ma io a 23 anni, a 24 anni, non potevo capire questo. Ebbi due anni di vita all'aria aperta, bella, di avventura, in cui credetti di essere un personaggio di Kipling, di contribuire a fare qualcosa di importante. Poi mi accorsi che non era vero, ma le cose non sono importanti per quello che sono, ma per quello che uno ci mette. E io in quel momento ci mettevo un grande entusiasmo: ebbi due anni di vita bellissima, a cavallo, con le tende, i miei uomini, libero, solo (perché non rispondevo a nessuno). Eh beh, compiango i giovani che non hanno avuto una simile esperienza. {{NDR|«E anche con una giovane moglie»}} E anche con una giovane moglie, {{NDR|indicando una fotografia}} eccola lì. Regolarmente sposata in quanto regolarmente comprata dal padre. {{NDR|«Quanti anni aveva?»}} Aveva 12 anni, ma non mi prendere per un Girolimoni. {{NDR|«Per un bruto»}} A 12 anni quelle lì erano già donne. {{NDR|«E tu dove l'avevi comperata?»}} L'avevo comprata a Saganèiti, un paese dove avevo mandato il mio emissario [...]. Me la comprò insieme a un cavallo e a un fucile, in tutto 500 lire. {{NDR|«E lei com'era?»}} Un animalino. Docile. Io le misi su un tucul con dei polli e poi, ogni 15 giorni, mi raggiungeva dovunque fossi, insieme alle mogli degli altri ascari. (ibidem) *Io esclusi immediatamente la responsabilità degli [[Anarchia|anarchici]] {{NDR|dalla [[strage di piazza Fontana]]}} per varie ragioni: prima di tutto, forse, per una specie di istinto, di intuizione, ma poi perché conosco gli anarchici. Gli anarchici non è che sono alieni dalla violenza, ma la usano in un altro modo: non sparano mai nel mucchio, non sparano mai nascondendo la mano. L'anarchico spara al bersaglio, in genere al bersaglio simbolico del potere, e di fronte. Assume sempre la responsabilità del suo gesto. Quindi, quell'infame attentato, evidentemente, non era di marca anarchica o anche se era di marca anarchica veniva da qualcuno che usurpava la qualifica di anarchico, ma che non apparteneva certamente alla vera categoria, che io ho conosciuto ben diversa e che credo sia ancora ben diversa. (da ''La notte della Repubblica'', 12 dicembre 1989) *La [[Lega Nord|Lega]] è una cosa sgradevole. Però le Leghe sono un fenomeno di reazione a una provocazione. È la politica nazionale, che fa nascere le Leghe. Questo non vuol dire che io le approvi. La reazione è sbagliata, ma provocazione c'è, le degenerazioni della partitocrazia ci sono. Che il pubblico denaro sia male amministrato e che a farne le spese siano soprattutto i cittadini del Nord non è contestabile. (da ''La Stampa'', 7 novembre 1990) *Ah, quel maledetto [[Toni Negri]], quel maledetto aizzatore dei sentimenti dei giovani che è vigliaccamente scappato dall'Italia per non affrontare il carcere. Per un Paese non c'è nulla di peggio che i cattivi maestri. Come punirli? Bisognerebbe impiccarli. Ripeto, impiccarli. (da ''L'Italia settimanale'', 1995) *Fu una pulizia etnica, bisognava far fuori gli italiani: allora si chiamarono fascisti e si ammazzarono, e si buttarono nelle [[massacri delle foibe|foibe]]. Questo avvenne dopo la fine della guerra, sia chiaro. Perché gli orrori di guerra, non dico che siano giustificabili, ma sono comprensibili, la guerra è di per sé stessa un orrore. No, queste... le foibe furono un'infamia commessa dopo la Liberazione, dopo la fine della guerra, e purtroppo vi hanno collaborato parecchi comunisti italiani, alcuni dei quali non solo sono ancora a piede libero, pur essendo vivi, ma ricevono delle pensioni di Stato. Ricevono delle pensioni di Stato. Però io ti posso dire questo: che come testimone oculare io ho visto anche in Croazia delle cose, da parte degli italiani, su cui è meglio sorvolare. Perché anche noi le abbiamo commesse, perché la guerra le comporta, questo è fatale, ecco. Quindi non facciamo tanto i moralisti. [...] No, questo {{NDR|tesi sloveno-croata sulla pulizia etnico-culturale da parte degli italiani durante il periodo di occupazione fascista}} è assolutamente falso. Pulizie etniche noi non ne abbiamo mai fatte, in nessun Paese occupato. Quando sento dire che noi facemmo anche la pulizia etnica in Etiopia, beh vabbè, mi cascano le braccia. Mi cascano le braccia. Quelle son menzogne infami, di gente o che non sa nulla, o che mente sapendo di mentire. Non è vero. Furono episodi, ma non di pulizia etnica, di rappresaglie. (dall'intervista al TG2, ''[http://www.youtube.com/watch?v=s9UXM_pKpqY Massacri delle foibe]'', 6 settembre 1996) *Tutto questo mi evoca dei ricordi poco simpatici. Era il [[fascismo]] che si conduceva così. Era il Fascismo che proibiva la satira, che in un paese civile e democratico dovrebbe essere assolutamente indenne da controlli politici; perché la satira non ha niente a che fare con la politica, anche se prende in giro la politica, ma si sa che è satira. Ed ogni regime serio e democratico accetta la satira, come si accettano le caricature. Era [[Benito Mussolini|Mussolini]] che non le sopportava. E qui pensano: «Ripuliremo la stalla», «Faremo piazza pulita». Ma questo linguaggio, al signor [[Gianfranco Fini|Fini]], chi glielo ispira? Ci ricorda delle cose che avremmo voluto dimenticare. Questa non è la destra, questo è il manganello. Gli italiani non sanno andare a destra senza finire nel [[manganello]]. [...] Alla Rai faranno piazza pulita, lo hanno già annunziato. Ma come si fa a definire democratico un partito che annunzia «Quando saremo al potere, noi faremo piazza pulita»? Ma questo è un linguaggio del peggiore squadrismo, che loro non sanno cosa fu, ma io me lo ricordo. Questo è il linguaggio con cui {{NDR|i fascisti}} andarono al potere. (da ''La settimana di Montanelli'', 17 marzo 2001) *Io voglio ringraziare Travaglio, perché ha detto l'assoluta e pura verità. Assolutamente. La versione che ha dato degli avvenimenti è quella esatta. [...] Io ho conosciuto due Berlusconi: il Berlusconi imprenditore privato che comprò ''il Giornale'' – e noi fummo felici di venderglielo, perché non sapevamo come andare avanti – su questo patto: tu, Berlusconi, sei il proprietario de ''il Giornale'', io, direttore, sono il padrone del ''Giornale'', nel senso che la linea politica dipende solo da me. Questo fu il patto fra noi due. Quando Berlusconi mi annunziò che si buttava in politica, io capii subito quello che stava per succedere. Cercai di dissuaderlo [...] ma tutto fu inutile. Dal momento in cui lo decise mi disse: «Ora ''il Giornale'' deve fare la politica della mia politica». Ed io gli dissi: «Non ci pensare nemmeno». Allora lui riunì la redazione come ha raccontato Travaglio – e questo lo fece a mia totale insaputa – e disse: «D'ora in poi ''il Giornale'' farà la politica della mia politica». E a quel momento me ne andai, cos'altro potevo fare? [...] Nella mia vita ci sono stati due Berlusconi, completamente opposti [...] questo fa parte del ritratto di Berlusconi. [...] Come capo politico è quello che io ho conosciuto in quei brutti giorni in cui scorrettamente, nella maniera più scorretta e più volgare, saltandomi, radunò la redazione de ''il Giornale'' per dirgli «Qui si cambia tutto» all'insaputa del direttore. Se questo sembra a Feltri un modo di procedere democratico e civile, è affar suo. (risposta telefonica a [[Marco Travaglio]] e [[Vittorio Feltri]] durante la trasmissione ''Il Raggio Verde'', 23 marzo 2001) *{{NDR|Silvio Berlusconi}} È il bugiardo più sincero che ci sia, è il primo a credere alle proprie menzogne. [...] È questo che lo rende così pericoloso. Non ha nessun pudore. (dall'intervista di Sophie Gherardi, ''L'Europa deve trattare il sig. Berlusconi con sdegno e disprezzo, non con ostilità'', ''Le Monde'', 8 maggio 2001<ref name=Travaglio2004/>) *Spero che l'Europa adotterà nei confronti di Berlusconi l'atteggiamento di indignazione e di disprezzo che merita. (dall'intervista di Sophie Gherardi, ''L'Europa deve trattare il sig. Berlusconi con sdegno e disprezzo, non con ostilità'', ''Le Monde'', 8 maggio 2001<ref name=Travaglio2004/>) {{Int|''Match''|a cura di Arnaldo Bagnasco, Alberto Arbasino e Maria Gefter Cervi, Rete 2, 18 gennaio 1978.}} *Io non stavo con Longanesi per ragioni ideologiche, anche perché io non ho mai capito quale ideologia avesse Longanesi. Longanesi non lo si poteva misurare sul piano ideologico, era sempre contro tutto e contro tutti. Era il frondista principe: lo è stato sotto il fascismo – e in fondo fece il più bel settimanale, forse, che abbia avuto l'Italia in questi ultimi decenni, credo: ''Omnibus'', che fu chiuso dal regime – e si è trovato sempre male con tutti i regimi. Che cosa pensasse in realtà Longanesi io, dopo un'amicizia di trent'anni, non sono mai riuscito a capirlo. Quello che mi affascinava di Longanesi, e che continua ancora oggi ad affascinarmi, è lo straordinario talento, l'inventiva, l'intuito, l'eleganza di Longanesi. Per cui io non consideravo le posizioni ideologiche di Longanesi, questo non m'interessava affatto. Per me era un fatto di vecchia amicizia: io sono un po' cresciuto con Longanesi, l'avrei seguito anche all'inferno perché con Longanesi si poteva andare anche all'inferno, diventava l'eden. *{{NDR|Sull'appello di votare DC nel 1976}} Questa può sembrare una contraddizione, ma che cosa avrei dovuto dire ai miei lettori? Di votare per chi? Questo è il punto. Oggi [...] i partiti laici ai quali io ideologicamente farei capo – liberale, repubblicano, socialdemocratico – fanno i pifferi di accompagnamento a un patto a sei, e questo era già nell'aria, prima del 20 giugno. Che cosa dovevo dire io ai miei lettori, «Votate per i pifferi di accompagnamento»? Francamente non me la sentivo. [...] Nonostante la mia etichetta di destra, io per i partiti di destra non mi schiererò mai. Io vorrei un centro: non lo trovo, non c'è. Un centro di opposizione democratica al regime che è già in atto non c'è. E allora che debbo fare? È colpa mia se la politica italiana non mi offre un centro? Io continuo a battermi per la costituzione di questo centro. *{{NDR|Domanda del pubblico: «Come mai in Italia non ci sono giornali indipendenti?»}} Io, per esempio, ho la presunzione – sarà infondata – di dirigere un giornale indipendente, perché vorrei sapere da chi prendo gli ordini. Me lo dica lei, Padre. {{NDR|«No, beh...»}} E allora, se non potete indicare qualcuno che mi dà gli ordini, io sono indipendente. {{NDR|«Rispondo anch'io da giornalista: è chiaro che un giornale non si sostiene con le idee sull'indipendenza, si sostiene con dei quattrini»}} Certo. {{NDR|«Allora io parlavo di un'indipendenza che, in quanto dipende da chi paga, è comunque una dipendenza ideologica. Questa era la domanda»}} Sì, l'ha scritto molto bene ''Repubblica'' [...] credendo di offendermi. Ha detto: «Il ''Giornale nuovo'' vive di collette». È vero, noi viviamo di collette, e io ne sono fiero perché le collette mi lasciano libero. {{Int|''Mixer''|a cura di Giovanni Minoli, Rete 2, 6 aprile 1981.}} *{{NDR|«Perché fu fascista fino al '37?»}} Questa è la storia della mia generazione, tutta la mia generazione è stata fascista fino al '35, al '36 o al '43. *{{NDR|«E perché smise di esserlo?»}} Perché noi credevamo che il fascismo fosse una cosa, e poi ci accorgemmo che era un'altra. *{{NDR|«Lei ha detto: "Buffoni, cafoni di natura, ''parvenus'', tutta gente in malafede, il bassettume, il pirellume, il cedernismo". Si riferiva alla Milano radical chic, ma che cosa voleva dire, esattamente?»}} Quello che ho detto. Veramente, io ne ho il più profondo disprezzo. Io accetto benissimo i comunisti: i comunisti sono gente seria, pericolosissimi, ma seri. I [[radical chic]] no. *{{NDR|«È sempre convinto del suicidio dell'anarchico Pinelli?»}} Assolutamente. *{{NDR|«Lei a Catanzaro, al processo per la strage di piazza Fontana, ha dichiarato: "Secondo me, il commissario Calabresi fu vittima di una campagna di stampa". Cioè?»}} No, non l'ho dichiarato a Catanzaro, lo dissi molto prima. Basta rileggere i giornali di quei tempi, e soprattutto i rotocalchi: veramente, Calabresi fu vittima di una campagna stampa infame e ingiusta, perché era uno dei funzionari più corretti che ci fossero. *{{NDR|«Pietro Valpreda, qui a ''Mixer'', ha definito Calabresi come "un tecnocrate del potere". Lei che cosa ne pensa?»}} Ma che significa «un tecnocrate del potere»? Un commissario di polizia serve il potere, chi diavolo deve servire? Valpreda? {{Int|''Faccia a Faccia: intervista a Indro Montanelli''|''Mixer'', a cura di Giovanni Minoli, Rai 2, 5 maggio 1985.}} *[[Renato Curcio|Curcio]] non sparava alle spalle, sparava di fronte, andava di persona a sparare. Naturalmente siamo su delle barricate opposte, ma io stimo Curcio. Lo stimo. È un uomo che secondo me ha delle idee sbagliate ma le serve, le serve da soldato vero. Con un suo galateo. Col suo coraggio. Senza mai rinnegarsi. Non si è pentito! *Io sono convinto che la magistratura debba essere indipendente, però chiedo ed esigo che abbia un autogoverno di controllo, e che soprattutto risponda dei suoi gesti. Oggi noi abbiamo una magistratura che non risponde a nessuno dei suoi errori spesso catastrofici, perché hanno distrutto uomini, hanno distrutto aziende per delle cose che poi si son rilevate insussistenti. Mai un magistrato ha pagato per questo. Io voglio che i magistrati paghino. Non dico a dei poteri esterni, ma perlomeno al potere a cui viene affidata la disciplina nella categoria. *Tutta l'intellighenzia italiana ha una vecchia tradizione di servilità, com'è logico, perché si è sviluppata in un Paese analfabeta, per secoli e secoli analfabeta. Non avendo il lettore doveva per forza procurarsi il protettore. Scriveva per il protettore. *{{NDR|«Il suo peggior difetto qual è, Montanelli?»}} Quello di non riconoscermene nessuno. *{{NDR|«[[Leo Longanesi|Longanesi]], parlando di lei, un giorno disse che lei capiva le cose con dieci mesi di anticipo rispetto a tutti gli altri. Ecco, tra dieci mesi cosa vede in [[Italia]]?»}} Queste erano le cose di Longanesi, ma in realtà io non riesco a vedere tra dieci giorni. {{Int|''[http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/1991/11/16/giangi-feltrinelli-io-non-ti-perdono.html 'Giangi' Feltrinelli io non ti perdono]''|''la Repubblica'', 16 novembre 1991, p. 33.}} *[[Giangiacomo Feltrinelli|Lui]] fu l'emblema di tutto quanto accadde in quegli anni {{NDR|Anni della contestazione}}. A differenza della [[Francia]], eravamo un paese da burletta, con una contestazione da burletta e rivoluzionari da burletta. E Feltrinelli ne fu l'esponente più qualificato. *Era il 1940 e a quel tempo Giangi aveva quattordici anni e seguiva i corsi scolastici con pessimo profitto. Giangiacomo era un ragazzetto che voleva a tutti i costi cavalcare qualcosa di rivoluzionario. Non importava il colore. Tanto è vero che il suo sogno fu prima il fascismo e poi Che Guevara. *{{NDR|«L'importante è stare in prima linea il fascismo?»}} Ma sì, negli anni Quaranta lui era fascista. Era talmente fascista che nel 1943, dopo l'8 settembre, voleva denunciare sia me che Barzini per alcune cose che avevamo detto contro i fascisti. Allora pensava di aderire a Salò. La sua dedizione a una causa quale che sia, purché rivoluzionaria, lo spingeva a questi atti pazzeschi. *Generoso? Lo chieda ai suoi collaboratori. Era una specie di padrone delle ferriere che spendeva generosamente solo per soddisfare il suo vizio principale: la rivoluzione. Con chi era in difficoltà non si dimostrò mai particolarmente generoso. *{{NDR|«Perché allora lei è così implacabilmente critico nei suoi riguardi?»}} Non ce l'ho neppure tanto con lui, quanto con tutti coloro che di Feltrinelli hanno fatto un mito. In realtà era un povero uomo. Un ingenuo divorato dall'esibizionismo. *{{NDR|«Come può ridurre tutto alla convinzione che fosse solo un ingenuo e un esibizionista?»}} Anche Starace segnò un decennio della nostra vita. Mica per questo era meno cretino. Se Feltrinelli sia stato qualcosa di più complesso, io non riesco a vederlo. Posso aggiungere questo: quella sua mania di ostentazione, quella voglia di primeggiare su tutte le cose lo ha condotto anche a degli atti di eroismo. Perché uno che sale su un traliccio, con la dinamite che non sa maneggiare e salta per aria, beh almeno il coraggio gli va riconosciuto. O forse chiamiamola incoscienza. {{Int|''[http://www.archiviolastampa.it/component/option,com_lastampa/task,search/mod,libera/action,viewer/Itemid,3/page,15/articleid,0824_01_1992_0072_0015_25082247/ Montanelli e il sacco di Milano]''|''La Stampa'', 14 marzo 1992, p. 14.}} *{{NDR|Il regime corrotto}} C'è ancora. Ma la rivolta non era tanto contro la corruzione e la partitocrazia, che erano senza dubbio un grosso male, ma che non erano il male più letale. In quel momento era proprio la società che si disfaceva, le condizioni della scuola, la predicazione del nulla, insomma la contestazione globale, l'ubriacatura degli Anni Settanta, che fu l'ubriacatura del terrorismo, e quella acquiescenza di una certa borghesia, salottiera, radical chic, che amoreggiava con queste cose, che aveva le smanie maotsetunghiste, che poi parlavano tutti di cose che non sapevano. La corruzione dei partiti invece è quasi immanente. La partitocrazia è destinata a durare almeno finché non si riforma la legge elettorale. Ma questa è la battaglia che noi cerchiamo di fare oggi. *{{NDR|«Ma gli Anni Settanta non hanno anche prodotto qualcosa di positivo nella società italiana?»}} No. Non vedo fatti positivi nel lascito degli [[anni di piombo]]. Vorrei sapere veramente quali. Quando dicono per esempio il divorzio. Ma il divorzio c'era già prima. Quelle sono conquiste sociali. C'era bisogno dei pistoleros per il divorzio? Ma andiamo! *{{NDR|«Però lei difendeva Pannella»}} Sì. A [[Marco Pannella|Pannella]] dobbiamo veramente due cose, malgrado le sue mattane. Effettivamente riuscì a impedire a una certa aliquota di giovani di finire in braccio al terrorismo, cioè gli dette un'altra bandiera. E alcune battaglie sue furono sacrosante, come quella del divorzio che appoggiammo. Poi verso Pannella io ho una certa simpatia, dovuta al mio vecchio fondo anarchico, libertario, che ritrovo in lui. È una simpatia genetica. Ritrovo in lui quello che io sono stato a vent'anni. *{{NDR|«Ma che fine ha fatto quella borghesia, che fine hanno fatto quei salotti buoni? Le sue battaglie contro la Crespi o contro la Cederna sono cosa Passata? Sono cambiati loro, oppure è cambiato lei?»}} Vabbè, con la [[Camilla Cederna|Camilla]] poi siamo ridiventati amici. Con la Crespi no, mai. Ma non ho più rancori, non ho più animosità. Però è un mondo che disprezzo un po', perché è un mondo di pecore che seguono sempre il filo del vento, santoiddio, sono proprio personcine, personcine inconsistenti, pronte ad andare con chiunque. E poi sempre per salvare i propri interessi, non è che abbiano delle idealità, no? Oggi è cambiato il vento, quindi sono cambiati anche loro. Ma non è che sia cambiato il mio giudizio. Quel mondo lì io non lo amo. *La crisi rimane e si riflette nell'amministrazione cittadina. L'amministrazione era sempre stata un autentico specchio. Fino a Bucalossi il Comune di Milano era retto da specchiati galantuomini, che finivano tutti poveri, in miseria, finivano alla Baggina. Gente davvero di una correttezza esemplare. Poi sono venuti gli Aniasi e compagni e guardi qui dove siamo arrivati: siamo arrivati a [[Mario Chiesa|Chiesa]]. {{Int|''[https://web.archive.org/web/20121107180200/http://archiviostorico.corriere.it/1993/giugno/06/Montanelli_tura_naso_come_nel_co_0_93060610816.shtml Montanelli si tura il naso come nel '76: voto l'uomo della Lega]''|''Corriere della Sera'', 6 giugno 1993, p. 3.}} *Mi sono dannato l'anima perché il centro avesse un ''suo'' candidato. Avrei voluto Locatelli: era la persona giusta per portare la bandiera referendaria e raccogliere gli elettori moderati. Era quello il mio sogno. *Segni non ha capito nulla, è arrivato in ritardo, ha candidato una persona che nessuno conosce. Non abbiamo ''un'' rappresentante del centro, ma tre surrogati che si elimineranno a vicenda. E ci toccherà scegliere fra [[Nando dalla Chiesa|Dalla Chiesa]] e Formentini. *{{NDR|«Di qui il suo suggerimento: turarsi il naso e votare Lega»}} No, non dico "Votiamo Lega", dico "Votiamo Formentini". E nel suo caso non ci si deve neppure turare il naso: è modesto, anche mediocre se vogliamo, ma è onesto. Non credo sia marcio. Insomma: è il male minore. *{{NDR|«E Dalla Chiesa?»}} No, il mio voto non lo avrà. Perché io non voto per la sinistra e per un sinistro come quello lì. *{{NDR|«Ma che cosa la preoccupa nella coalizione di Dalla Chiesa?»}} Questi reperti di un mondo fallito vogliono ora governare l'Italia. E io con loro non ci sto. La storia gli ha dato torto, la realtà li svergogna e noi dovremmo fidarci? È stata l'apertura a sinistra a dare inizio alla putredine. {{Int|''Eppur si muove''|a cura di Indro Montanelli e Beniamino Placido, Rai 3, 1994.}} *Ogni italiano è insieme furbo e fesso. L'italiano è furbissimo nella gestione dei suoi affari privati, può ricorrere a tutte le astuzie, è attento, è accorto, ed è assolutamente fesso nel non rendersi conto che se i suoi affari privati rimangono immessi in una società che non funziona – cioè dove gli interessi generali vengono trascurati e negletti – i suoi interessi privati finiscono col soffrirne e col condurlo al fallimento. Questo, a noi italiani, non entra in testa. (6 febbraio 1994) *È probabile che molti stranieri mandino i loro figli, a Roma, a scuola. Ma quali scuole? Alle loro. Gli americani mandano i loro figli alla scuola americana, i tedeschi alla scuola tedesca, i francesi alla scuola francese. Non li mandano mica alla scuola italiana, se ne guardano bene e hanno ragione, visto il modo in cui si insegna in Italia. (ibidem) *Da noi prima uscivano dei ragazzi che sapevano abbastanza di greco, di latino, ma che il carattere non lo avevano formato a scuola: o se lo formavano da soli, oppure non se lo formavano mai. (ibidem) *Lo [[Zingari|zingaro]] che fa tranquillamente la sua vita non dà noia a nessuno, è quando ruba che, naturalmente, suscita qualche perplessità (uso un eufemismo). Diciamo la verità, in Italia il razzismo non c'è. Per inventare una questione razziale ci volle una legge, e una legge fatta da un regime totalitario perché il Paese non la sentiva. Non poteva sentirla perché non è nella nostra tradizione. [...] L'Italiano non ha dei risentimenti razziali. [...] {{NDR|Sugli episodi di intolleranza e di paura per il diverso}} È un fatto di piccolissime minoranze, diciamo la verità. Non inventiamo adesso una questione {{NDR|razziale}}. Io ho vissuto nelle società veramente razziste, è tutta un'altra faccenda. (con [[Serena Dandini]], 20 marzo 1994) *Io ebbi una moglie etiopica, nel senso che la comprai secondo l'uso locale. {{NDR|«Come, scusi?»}} Eh beh, ma gli usi locali erano questi. Tutti, anche gli etiopici, compravano la moglie. {{NDR|«Quanto costava una moglie?»}} Poco. Costava poco, mi pare che mi costò – allora, però (anno 1935) – 500 lire e un tucul {{NDR|trattando}} col suocero. Perché queste furono transazioni fatte dal mio emissario, che era il più anziano graduato della mia banda, col padre della ragazza. [...] Questo matrimonio durò finché noi stemmo di stanza a Saganèiti, cioè a dire prima che scoppiasse la guerra con l'Abissinia (che non fu precisamente una guerra, fu una specie di avventura). [...] Poi questa mia moglie, perché era considerata tale, quando io partii sposò un mio graduato e al primo figlio – è vivo tuttora, mi hanno detto – diede il mio nome, per cui alcuni credettero che fosse figlio mio. Non era figlio mio. Soltanto che per deferenza... {{NDR|«Lei non pensò mai di portarla con se in Italia?»}} Beh, no. No, anche perché era molto difficile strapparla ai suoi costumi. Lei stessa, in fondo, non voleva venire. Lei apparteneva alla sua terra, io le feci una piccola dote e quindi andò tutto regolarmente. Era molto bellina. (ibidem) *Gran parte delle forze leghiste, quelle che accennano a qualche razzismo nei confronti del meridionale, sono composte da meridionali che si sono milanesizzati e ci si trovano talmente bene a Milano che non vogliono che altri arrivino dal sud. (ibidem) *Per me la [[destra]] non è una [[ideologia]]: è un modello di comportamento. Si può essere di destra anche a sinistra. Questo comportamento è il criterio rigoroso del servizio della vita pubblica. (con [[Arnoldo Foà]], 17 aprile 1994) *Nella storia della [[Italia|nazione italiana]] io vedo pochi uomini all'altezza della qualifica di una destra illuminata che non solo accetta ma vuole le [[Riformismo|riforme]]. Un uomo di destra certamente io non credo che fosse [[Camillo Benso, conte di Cavour|Cavour]], del resto il suo connubio lo dimostra, la sua disinvoltura nelle alleanze politiche lo dimostra. Certamente di destra era [[Bettino Ricasoli|Ricasoli]]. Certamente era [[Quintino Sella|Sella]]. Certamente era [[Giovanni Giolitti|Giolitti]]: uomo che dette il suffragio universale, e che riconobbe il diritto di [[sciopero]]. Questo è un uomo di destra. Certamente un uomo di destra era [[Alcide De Gasperi|De Gasperi]], senza dubbio. E, adesso non vorrei scandalizzare la gente, ma direi che uomo di destra per il concetto che aveva dello [[Stato]] e del [[potere]] era anche [[Palmiro Togliatti|Togliatti]]. E questo dimostra che si può essere uomini di destra anche a [[sinistra]]. La destra è una regola di comportamento, una regola [[morale]] di comportamento. (ibidem) {{Int|''[https://web.archive.org/web/20101005073648/http://archiviostorico.corriere.it/1997/novembre/09/Montanelli_gambizzato_cinque_mesi_prima_co_0_9711098446.shtml Montanelli "gambizzato" cinque mesi prima: "Mi salvò una promessa a Mussolini"]''|''Corriere della Sera'', 9 novembre 1997, p. 29.}} *Quella mattina {{NDR|2 giugno 1977}} sono in due nei giardini di piazza Cavour, a Milano. Uno mi spara alle gambe. L'altro mi tiene nel mirino della sua pistola. I primi due – tre proiettili entrano nelle mie lunghe zampe di pollo. Non devastano né ossa né arterie. Ma sarebbero sufficienti per far cadere a terra qualsiasi cristiano. In quegli attimi ricordo la promessa che avevo fatto a Mussolini, e a me stesso, quando, bambino, mi ritrovai intruppato nei balilla: "Se devi morire, muori in piedi!" Davanti a questi vigliacchi che non hanno il coraggio di affrontarmi in faccia, penso, non posso morire in ginocchio. E mi aggrappo alla cancellata dei giardini. Non sto in piedi sulle gambe, ma mi reggo dritto con la forza delle braccia. E quello continua a sparare e a centrare le mie zampe di pollo. Se mi fossi accasciato, se mi fossi inginocchiato davanti a lui, a quell'ora sarei morto. *Per [[Renato Curcio|lui]] ho sempre avuto rispetto. Penso che la sua autoemarginazione dalla società prima e l'emarginazione che la società gli ha imposto poi ci abbiano privato di un uomo di valore. Non lo conosco di persona, ma lo stimo, anche se poteva essere lui quello che ha mandato i due ragazzi a spararmi. Non ho rancore: quando la guerra è finita gli avversari si devono stringere la mano e devono brindare alla pace ritrovata. *Apprezzo il coraggio di chi non si pente per ricavarne un utile, di chi non denuncia il compagno di errori ma riconosce i propri torti. Almeno i brigatisti lottavano per ideali diversi da quelli dello stalinismo e del comunismo sovietico. I terroristi neri, invece, volevano soltanto restaurare un regime sepolto dalla storia. I rossi non sapevano bene cosa ma avevano in mente qualcosa di nuovo. *{{NDR|«E se avessero vinto loro?»}} Impossibile. L'esistenza del terrorismo ha soltanto ribadito le manchevolezze del nostro Paese: uno Stato inefficiente e un popolo codardo e conformista. *{{NDR|Sui burattinai, i Grandi Vecchi, la Cia, i Servizi segreti}} Fregnacce: che gliene poteva importare alla Cia di fucilare gente come il buon Casalegno o quel galantuomo di Emilio Rossi, vent'anni fa direttore del Tg Uno, o quel bischero di Montanelli? La dietrologia era una divagazione di intellettuali perditempo. Il vero problema era ed è un altro: finché non ci decideremo a riconoscere la mancanza negli italiani di una coscienza nazionale e civile questo pericolo del terrorismo lo correremo sempre. E questa fabbrica di una coscienza nazionale e civile io non la vedo nascere. *{{NDR|Sul dolore che il tempo non ha cancellato nei parenti delle vittime}} Anche noi italiani dobbiamo imparare a pagare gli inevitabili tributi dovuti alla Storia come hanno saputo fare tutti i Paesi occidentali. Il dolore resta, ma la piaga va ricucita. Una volta per tutte. {{Int|''[http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/1998/07/25/borghesia-vile-deludente.html Borghesia vile e deludente]''|''la Repubblica'', 25 luglio 1998, p. 8.}} *È la solita bruciante delusione, questa nostra borghesia. Non cambia mai, è sempre la stessa: la più vile di tutto l'Occidente. Gente portata a correr dietro a chi alza la voce, a chi minaccia, al primo manganello che passa per la strada. Questo sono i nostri borghesi: tutti fascisti sotto il fascismo, poi tutti antifascisti fin dall'indomani. Quando il comunismo era forte e faceva paura, e io fondai ''il Giornale'', mi lasciarono solo e senza un soldo. Ai tempi del terrorismo, amoreggiavano con gli estremisti nella speranza che quelli – andati al potere – gli risparmiassero la villa e il portafoglio. E ora che il comunismo non c'è più, si scoprono tutti anticomunisti, questi sedicenti liberaloni. *Il loro eroe è sempre chi brandisce il [[manganello]]. Ieri, il manganello vero. Oggi, quello catodico delle televisioni. Il liberalismo vero l'hanno sempre tradito, anzi non hanno mai saputo che cosa sia. Non vogliono le regole, detestano le leggi, vogliono avere le mani libere per fare quello che gli pare, in nome della loro cosiddetta «[[efficienza]]». Quando abbiamo fondato ''la Voce'' l'abbiamo toccato con mano: parlare di regole e di legalità a questa gente è peggio di un insulto, una bestemmia in chiesa. *L'ho sempre detto che fu un errore, quattro anni fa, defenestrarlo. Bisognava lasciarlo lì ancora un bel po', così tutti avrebbero capito quanto vale, che razza di statista è... Magari adesso non saremmo in Europa, ma non avremmo così tante gente che si lascia ubriacare dalla sua propaganda, che prova nostalgia per lui. *{{NDR|«E se un giorno si andasse a votare per il suo referendum, quello per abolire i reati del Cavaliere?»}} In quella forma, mi pare difficile che si arrivi, anche se in Italia non si sa mai. Comunque, se si votasse, credo che anche lì vincerebbe lui. Perché è quello che vuole questa nostra borghesia. Ormai è ufficiale: Berlusconi ce lo meritiamo. {{Int|''[http://www.repubblica.it/online/politica/satiquattro/montanelli/montanelli.html L'Italia di Berlusconi è la peggiore mai vista]''|''la Repubblica'', 26 marzo 2001.}} *Io voglio che vinca, faccio voti e faccio fioretti alla Madonna perché lui vinca, in modo che gli italiani vedano chi è questo signore. [[Silvio Berlusconi|Berlusconi]] è una malattia che si cura soltanto con il vaccino, con una bella iniezione di Berlusconi a Palazzo Chigi, Berlusconi anche al Quirinale, Berlusconi dove vuole, Berlusconi al Vaticano. Soltanto dopo saremo immuni. L'immunità che si ottiene col vaccino. *È strano: io non avevo mai preso parte alla campagna di demonizzazione: tutt'al più lo avevo definito un pagliaccio, un burattino. Però tutte queste storie su Berlusconi uomo della mafia mi lasciavano molto incerto. Adesso invece qualsiasi cosa è possibile: non per quello che succede a me, a me non succede nulla, non è che io rischi qualcosa, è chiaro. Quello che fa male è vedere questo berlusconismo in cui purtroppo è coinvolta l'Italia e anche tante persone perbene. *La scoperta che c'è un'Italia berlusconiana mi colpisce molto: è la peggiore delle Italie che io ho mai visto, e dire che di Italie brutte nella mia lunga vita ne ho viste moltissime. L'Italia della [[marcia su Roma]], becera e violenta, animata però forse anche da belle speranze. L'Italia del 25 luglio, l'Italia dell'8 settembre, e anche l'Italia di piazzale Loreto, animata dalla voglia di vendetta. Però la volgarità, la bassezza di questa Italia qui non l'avevo vista né sentita mai. Il berlusconismo è veramente la feccia che risale il pozzo. {{Int|''La Storia d'Italia di Indro Montanelli''|a cura di Mario Cervi, interviste di Alain Elkann, ''Cecchi Gori Editoria Elettronica Home Video'', 1999.}} *Il silenzio mantenuto finora {{NDR|sui massacri delle foibe}}, o quasi silenzio, si spiega facilissimamente: tutta la storiografia italiana del dopoguerra era di sinistra, apparteneva all'intellighenzia di sinistra, la quale era completamente succuba del Partito Comunista. Quindi non si poteva parlare delle foibe, che non appartenevano al comunismo italiano, ma appartenevano certamente al comunismo slavo, di cui però il comunismo italiano era alleato e faceva gli interessi. Quindi di questo non si poteva parlare, e non si poteva parlare delle stragi del triangolo della morte, perché anche queste ricadevano sulla coscienza – ammesso che ce ne sia una – del Partito Comunista, il che sta a dimostrare quello che dicevo prima, cioè che la Resistenza non fu una resistenza, fu una guerra civile tra italiani che continuò anche dopo il 25 aprile. [...] {{NDR|Sull'eccidio dei conti Manzoni}} Andai come giornalista [...] per appurare com'era andata la strage dei conti Manzoni, dopo la fine della guerra. [...] Una famiglia di persone che col fascismo non aveva niente a che fare, ci aveva convissuto come tutti gli italiani. Bene, nessuno mi voleva parlare di questa faccenda. [...] Nessuno ne aveva parlato, né dei Carabinieri né della Polizia e tantomeno della magistratura, eppure lo sapevano. [...] C'era una complicità assoluta, una complicità dannata. [...] Se ne parla ora perché il Muro di Berlino è crollato, ma si ricordi che trent'anni fa, quando [[Renzo De Felice|De Felice]] annunziò di mettere allo studio il ventennio fascista per sapere com'era andata, fu proposta la sua estromissione dalla cattedra universitaria, solo perché metteva allo studio un ventennio di storia italiana che, bella o brutta, c'era stata. [...] Non era possibile inquadrare storicamente il fascismo: chi lo faceva, cercando di spiegare i perché della sua durata, ed anche i perché della sua catastrofe, veniva accusato di fascismo. (da ''Dalla Monarchia alla Repubblica'') *È difficile sapere che cosa fu [[Palmiro Togliatti|Togliatti]], perché Togliatti non ha lasciato memoriali, non ha lasciato diario, che cosa pensasse Togliatti non lo sapeva nessuno, credo nemmeno la sua compagna Nilde Iotti. Si può dire che è stato un esecutore fedele degli ordini di [[Stalin]]. Lo è stato sempre, e per questo godeva la fiducia di Stalin. [...] Era un diplomatico per sé, soprattutto, perché é un uomo sopravvissuto a venticinque o trent'anni anni di Mosca, senza finire in galera, processato o contro il muro. Beh, questo è uno dei grandi personaggi. Sono pochi. {{NDR|«Non era uno statista, per esempio?»}} Non poteva essere uno statista perché i comunisti non hanno lo Stato nel sangue, i comunisti hanno il partito. Stalin non è mai stato Capo dello Stato, e nemmeno Capo del Governo, era capo del partito. Il potere nei regimi comunisti non sta né nello Stato né nel governo, sta nel partito. (da ''Dalla proclamazione della Repubblica al Trattato di pace'') *Questa [[Costituzione della Repubblica italiana|Costituzione]] porta male gli anni da quando aveva un giorno, perché fu subito chiaro quali erano i suoi difetti. Del resto furono anche denunciati da uomini come, per esempio, [[Piero Calamandrei|Calamandrei]], come Mario Paggi. (da ''Dall'assemblea costituente alla vigilia delle elezioni del 1948'') *I difetti furono soprattutto due. Il primo difetto fu di ripartizione dei lavori. La Costituente era formata da 600 membri eletti di passaggio. Voglio {{NDR|far}} notare che quella fu la prima elezione che si tenne in Italia – per la Costituente, non per il Parlamento – ma dove ci fu lo spiegamento dei partiti. Ogni partito portò i suoi candidati, cioè dei giuristi che facevano capo alla propria ideologia. Bene, in quella prima elezione il 35% dei voti andò ai democristiani, il 21% andò ai socialisti di [[Pietro Nenni|Nenni]], il 19% ai comunisti. Quindi in quel momento... non c'era ancora il Fronte ma in quel momento i socialisti facevano premio sui comunisti. Erano di poco, ma un po' più forti dei comunisti. [...] Questi 600 costituenti non potevano lavorare tutti insieme, era impossibile mandare avanti 600 persone a dibattere all'infinto le stesse cose, e allora i lavori furono devoluti a una commissione che si chiamò la ''Commissione dei Settantacinque'', perché erano 75 membri della Costituente che venivano incaricati per le loro competenze specifiche di redigere il testo. Ma anche 75 erano troppi, e allora anche i 75 si frazionarono in sotto-commissioni, ognuna delle quali lavorò per conto suo. Non ci fu un piano di insieme. {{NDR|«Quindi non fu un vero lavoro collettivo»}} Non fu un vero lavoro collettivo. Calamandrei lo disse subito: «Noi stiamo montando una macchina, che magari pezzo per pezzo sarà anche ben fatta, ma le cui giunture non coincidono con le giunture di altri pezzi». [...] Fu lasciata così perché nessuno volle rinunziare al proprio elaborato, e questo è tipico degli italiani. (da ''Dall'assemblea costituente alla vigilia delle elezioni del 1948'') *Il secondo motivo che rese questa Costituzione veramente impalatabile e nociva per il regime che ne doveva nascere, fu che i nostri costituenti partirono dal punto di vista opposto a quello da cui sarebbero partiti i costituenti tedeschi quando la Germania fu libera di elaborare una sua Costituzione. Da che cosa partirono i costituenti tedeschi? Da questo ragionamento: il nazismo fu il frutto della Repubblica di Weimar. Cos'era la Repubblica di Weimar? Era l'impotenza del potere esecutivo, cioè del Governo. [...] La Germania rimase nel disordine, nel caos, nella Babele dei partiti che non riuscivano a trovare mai delle maggioranze stabili, quindi dei governi efficaci. Ecco perché Hitler vinse, perché il nazismo vinse. I costituenti nostri partirono dal presupposto contrario, cioè dissero: «Cos'era il fascismo? Il fascismo era il premio dato a un potere esecutivo che governava senza i partiti, senza controlli eccetera. Quindi noi dobbiamo esautorare completamente il potere esecutivo, {{NDR|negando}} la possibilità di dare ai governi una stabilità, eccetera». Per rifare che cosa? Weimar. Cioè, mentre i tedeschi partivano dalla negazione di Weimar, noi arrivavamo {{NDR|a Weimar}} senza dirlo. Nessuno lo disse, ma questo fu il risultato. [...] Non fu possibile nemmeno introdurre quella solita linea di sbarramento che invece fu introdotta in Germania, per cui i partiti che non raggiungevano non ricordo se il 5 o il 3%, non avevano diritto a una rappresentanza. No, tutti i partiti dovevano esserci e tutti avevano un potere di ricatto sulle maggioranze, che erano per forza di cose di coalizioni. (da ''Dall'assemblea costituente alla vigilia delle elezioni del 1948'') *Gli italiani non imparano niente dalla Storia, anche perché non la sanno. {{NDR|«Forse non amano la Storia»}} Non la amano, non la leggono, non se ne interessano, ma questo anche le classi dirigenti: sono uguali, intendiamoci. {{NDR|«Lei auspica che venga rifatta questa Costituzione»}} Sì, ma che venga rifatta secondo criteri logici, non {{NDR|secondo}} criteri illogici. Tutte le volte che si diceva «Ma qui bisogna restituire un po' di autorità al potere esecutivo, bisogna mettere i governi in condizione di governare» si diceva: «Fascista! Fascista!». Con questo ricatto qui abbiamo fatto le più grosse scempiaggini che si potesse immaginare. (da ''Dall'assemblea costituente alla vigilia delle elezioni del 1948'') *La fine di [[Alcide De Gasperi|De Gasperi]] è la fine di un'epoca: con lui finisce un'epoca e ne comincia un'altra non certamente migliore. [...] C'è una bella pagina della figlia di De Gasperi, Maria Romana, che ha scritto un bel libro sul padre. Un libro tutto vero in cui racconta anche i funerali su in Val Sugana: c'era naturalmente tutta la nomenclatura democristiana che accompagnava la bara. Oramai De Gasperi era morto, si poteva anche fingere il compianto, e a un certo momento un passante che era lì – uno che guardava, che non aveva niente a che fare con la politica, con la Democrazia Cristiana eccetera eccetera – si avvicinò al feretro e scansando questi turiferari della DC disse: «No, non è vostro! De Gasperi è nostro! Era un italiano!». E aveva ragione. De Gasperi era nostro, non un democristiano. (da ''Gli anni di Alcide De Gasperi'') *{{NDR|[[Giovanni Gronchi]]}} Era un uomo molto abile, brillante parlatore, molto abile anche negli affari. Era molto più libertino di [[Carlo Sforza|Sforza]], quindi la Democrazia Cristiana [...] era cambiata, evidentemente, e Gronchi fu eletto per una faida interna della Democrazia Cristiana, perché [[Amintore Fanfani|Fanfani]] voleva [[Cesare Merzagora|Merzagora]]. Allora per fare dispetto a Fanfani, invece gli buttarono fra i piedi [[Giovanni Gronchi|Gronchi]], il quale seppe benissimo tessere la sua trama fra Sinistra, Destra eccetera e far diventare gronchiani anche quelli degli altri partiti. Dicendosi agli uni uomo di Destra e agli altri uomo di Sinistra, facendo insomma il giuoco personale di Gronchi, con cui entrò in Quirinale il vero grande corruttore della vita politica italiana. [...] Dopo l'onestissimo [[Luigi Einaudi|Einaudi]] viene Gronchi, che è l'indulgenza plenaria verso tutte le deviazioni e i deviazionisti d'Italia. (da ''La rivolta in Ungheria e l'elezione di Giovannni XXIII'') *Questa storia dell'MSI è una delle grandi truffe della Prima Repubblica: nella Costituzione c'è un articolo che proibisce la rinascita di un partito fascista. Ecco. Ora, l'MSI era chiaramente un partito fascista. Non lo negava, anzi si faceva gloria del fatto di essere l'erede eccetera. Perché lo avevano messo, allora? Lo avevano messo perché questo partito fascista, che avrebbe dovuto essere escluso dalla vita politica, serviva a captare un certo numero di voti che, senza questo partito, sarebbero andati a dei partiti moderati di Centro e soprattutto, forse, alla Democrazia Cristiana. Quindi quale fu il gioco delle Sinistre, a cui la Democrazia Cristiana però si piegò e si rassegnò: è consentito di esistere all'MSI, però l'MSI quando è in Parlamento è escluso dal gioco parlamentare. Così si mettevano i voti dell'MSI in ''frigidaire'', e così non andavano alla Democrazia Cristiana e ai partiti {{NDR|di Centro}}. È una delle peggiori truffe che è stata inventata dalla classe politica che ci ha governato per cinquant'anni. (da ''I successori di De Gasperi e la politica italiana fino alla morte di Togliatti'') *Io vorrei sapere quali furono le crescite... di civiltà che il [[Sessantotto]] pretende di averci lasciato. Io vedo tutt'altra cosa: io vidi nascere, dal Sessantotto, una bella torma di analfabeti che poi invasero la vita pubblica italiana, e anche quella privata, portando dovunque i segni della propria ignoranza. Io ho visto questo. Può darsi che sia affetto da sordità o da cecità ma io non ho visto altro, come frutti del Sessantotto. (da ''Il Sessantotto e la politica di Berlinguer'') *{{NDR|La differenza tra il Sessantotto francese e quello italiano è}} La differenza che passa fra l'originale e il fac simile perché il Sessantotto nacque in [[Francia]] e in [[Italia]] fu un fatto di riporto, di imitazione. {{NDR|«Che vi fu in tutto il mondo, però, questo»}} Un po' in tutto il mondo ma particolarmente in Italia dove non nasce mai niente, è sempre qualcosa di imitato dagli altri. Bene o male, insomma, i francesi ebbero... anche una certa cultura del Sessantotto, ebbero [[Jean-Paul Sartre|Sartre]]. Oddio, Sartre rivisto con gli occhi di oggi naturalmente scende molto dal suo mitico piedestallo. [...] In Italia non ci fu neanche un Sartre. (da ''Il Sessantotto e la politica di Berlinguer'') *Credo che su [[Pier Paolo Pasolini|Pasolini]] si sia preso un grosso abbaglio: Pasolini è passato per uno scrittore di sinistra perché aveva preso come sfondo dei suoi racconti – bellissimi del resto – il sottoproletariato delle borgate romane, i ragazzi di vita, insomma, la schiuma della società. Ma lo aveva fatto per dei gusti e dei motivi del tutto personali sui quali è inutile tornare a far commenti. Questo lo aveva fatto considerare come uno scrittore, un difensore del proletariato, ma non era una scelta politica quella che aveva fatto Pasolini. Non c'entrava niente, assolutamente nulla. Quindi quello che lui disse era assolutamente vero, cioè dire che nei tafferugli, dove spesso ci scappava il morto, tra quei dilettanti delle barricate che erano {{NDR|dei borghesi}}, i veri proletari erano i poliziotti, tutti figli di famiglie povere, eccetera eccetera. I dilettanti delle barricate erano tutti o quasi tutti figli di papà: aveva ragione Pasolini! Ma come no! E questo fu considerato un tradimento all'ideologia di sinistra. (da ''Il Sessantotto e la politica di Berlinguer'') *Il primo fenomeno fu il Sessantotto, e il Sessantotto partorì poi il terrorismo, il brigatismo rosso eccetera eccetera. Su questo non ci son dubbi, insomma. Dirò di più: i più seri, e forse gli unici seri, furono quelli che poi diventarono dei terroristi e che quindi rischiarono la loro vita, almeno. Gli altri erano quello che diceva Pasolini, dei figli di papà. (da ''Il Sessantotto e la politica di Berlinguer'') *{{NDR|La figura del Grande Vecchio}} È una di quelle fandonie, di quelle stupidaggini che piacciono tanto a noi italiani: l'idea di un Grande Vecchio che organizzasse tutte queste stragi, attentati eccetera eccetera. È un affare da Simenon di borgata insomma – no? Piaceva l'idea che ci fosse dietro tutta una strategia. Sennonché poi non si sapeva chi fosse il Grande Vecchio. {{NDR|«Aveva un volto questo grande vecchio?»}} Ne ha avuti molti: naturalmente [[Giulio Andreotti|Andreotti]] – quello non manca mai, quando si cerca un ''deus ex macchina'' di tutto ciò che di più criminale è avvenuto in questo Paese {{NDR|c'è}} Andreotti. {{NDR|«Però in quel momento non era tanto vecchio»}} In quel momento non era tanto vecchio, ma il Grande Vecchio non ha nulla di anagrafico, è il Grande Vecchio così – poi Gelli, poi Sindona. Ha avuto varie raffigurazioni che sono tutte di fantasia. (da ''Piazza Fontana e dintorni'') *Se c'era un funzionario corretto, che veniva portato come esempio da tutti i suoi colleghi, era Calabresi. Per quale motivo si scatenò questa campagna contro di lui non lo so. È vero che aveva interrogato [[Giuseppe Pinelli|Pinelli]], ma gli interrogatori di Calabresi facevano testo per la loro correttezza. Sempre. [...] Non so per quale motivo, a un certo momento, la stampa s'incendiò e cominciò ad additare Calabresi come «il bruto», come «lo scherano del potere sopraffattore e assassino». Questo si lesse in vari giornali. Ora, il potere sopraffattore assassino in quel momento era rappresentato da [[Mariano Rumor|Rumor]] e da [[Emilio Colombo|Colombo]]: mi dica lei se hanno il viso dei sopraffattori assassini. Magari lo fossero stati un po', ma immaginiamoci. E questa campagna fu implacabile, assolutamente implacabile. (da ''Piazza Fontana e dintorni'') *Come in tutti i processi italiani anche questi, che poi volevano arrivare all'identificazione dei responsabili e non ci arrivarono quasi mai, erano dominati dal cosiddetto «teorema»: si partiva dal presupposto... a un certo momento si mise di parlare degli anarchici – si smise quasi subito di parlare {{NDR|degli anarchici}} – e tutte le lampadine furono rivolte ai partiti e alle forze di Destra. Erano quelle le forze stragiste. [...] I nostri bravi giudici, salvo alcuni, partivano dal presupposto che {{NDR|i colpevoli}} certamente venivano di lì, venivano dalle Destre, dalle Destre più violente. Alle quali si attribuiva, sempre per «teorema», questa idea: creare una tensione nel Paese in modo da impaurire gli italiani e metterli alla scelta «o la libertà o l'ordine», perché insieme non potevano andare. Nella libertà era chiaro che non si poteva mantenere l'ordine, e loro dicevano: «Qualunque popolo messo a questa scelta sceglie l'ordine». Ecco. È un teorema. È un teorema che ha sempre cercato dimostrazione e non l'ha trovata mai. (da ''Piazza Fontana e dintorni'') *[[Bettino Craxi|Craxi]] era un uomo di partito certamente molto accorto, era un uomo valido di governo perché sapeva decidere. Che cosa fosse lo Stato, da buon socialista, non lo sapeva. (da ''Il terrorismo fino al sequestro e all'uccisione di Aldo Moro'') *Quelle lettere erano tutte farina del sacco di [[Aldo Moro|Moro]], e questa farina non è molto encomiabile perché, vede, tutti gli uomini hanno diritto ad avere paura. Tutti. Però quando un uomo sceglie la politica, e nella politica emerge a [[Statista|uomo di Stato]] – a uomo rappresentativo dello Stato – non perde il diritto a avere paura, ma perde il diritto a mostrarla. Questo sì. Questo è uno dei principi che dovrebbe essere affermato. L'incidente, tipo quello di Moro, fa parte del mestiere. Chi affronta quel mestiere deve sapere che può incorrere in quell'incidente e deve avere i nervi, e diciamo gli altri attributi, per resistere. Moro era lo Stato. Lo Stato si raccomandava, implorava, minacciava la classe politica che facesse di tutto, anche che si prostituisse, per salvargli la vita: eh, no. No. Moro era certamente un politico a modo suo, estremamente abile – era anche un galantuomo, credo – ma uomo di Stato non era nemmeno lui. [...] Anch'io mi sono posto questa domanda molto spesso: «Ma se Moro fosse tornato in politica dopo aver costretto lo Stato a prostituirsi, a inginocchiarsi di fronte ai terroristi, avrebbe potuto restarci?». Avrebbe potuto restare? Con che faccia? Vabbè che siamo in Italia. {{NDR|«Forse lo Stato sarebbe stato un altro perché i terroristi avrebbero vinto»}} Appunto. I terroristi avrebbero vinto. Quindi lui che cosa diventava, il braccio politico del terrorismo? Che cosa diventava? Come poteva ripresentarsi? Va bene, gli italiani hanno lo stomaco forte, inghiottono tutto – noi italiani abbiamo lo stomaco forte e inghiottiamo tutto – ma, insomma, di fronte a un uomo la cui vita, la cui sopravvivenza, aveva avuto quel prezzo per noi non credo che avrebbe potuto ripresentarsi all'opinione pubblica italiana. (da ''Il terrorismo fino al sequestro e all'uccisione di Aldo Moro'') *Noi naturalmente abbiamo il dovere di ringraziare [[Michail Gorbačëv|Gorbačëv]] per quello che ha fatto, però se lei mi chiede se lo ha fatto bene o lo ha fatto male io debbo rispondere che lo ha fatto malissimo. Io non so se lui... che lui volesse salvare la Patria sovietica questo non lo metto in dubbio. Che lui volesse salvare il comunismo... io debbo risponderle di no, perché quello che lui ha fatto per affossare il comunismo lo ha fatto. (da ''Giovanni Paolo II e la fine dell'URSS'') *Anche i cinesi si erano accorti che il sistema comunista era arrivato al capolinea, era fallito. Fallito perché non regge, assolutamente non regge. {{NDR|Il sistema comunista}} Aveva portato il Paese, e i Paesi che lo avevano adottato, al fallimento. Anche i cinesi si erano accorti di questo, però avevano capito che per trasformare un sistema oramai ancestralmente totalitario, statalizzato, che aveva tolto ogni libertà a tutti, che aveva disabituato tutti da ogni spirito di iniziativa e di impresa... per trasformare un'economia basata su questi principi fallimentari in un'economia capitalista basata sul libero mercato, sulla libera concorrenza eccetera, bisognava tenere in mano il potere politico per controllare questo passaggio. I cinesi lo fecero. Quando gli studenti di Pechino credettero di potergli {{NDR|al governo cinese}} prendere la mano scendendo in [[Protesta di piazza Tienanmen|piazza Tienanmen]] i cinesi non esitarono a mitragliarli e, per quanto un massacro non possa che essere esecrato, io dico questo: i cinesi erano obbligati a farlo. Se non lo facevano la Cina si dissolveva, ritornava quella di [[Chiang Kai-shek]]: ritornava quella dei signori della guerra, cioè il Paese si disfaceva. Il Paese che bene o male [[Mao Tse-tung]] aveva unificato e a cui aveva dato un'anima di Nazione si sarebbe disfatto. (da ''Giovanni Paolo II e la fine dell'URSS'') *{{NDR|Su [[Licio Gelli]]}} L'avevo visto una volta e questo [...] rendeva ancora più grande la mia sorpresa. Io avevo un giornale, ''il Giornale'', che non aveva patroni, non aveva pubblicità, che quindi aveva delle grosse difficoltà di tirare avanti. La proprietà era divisa fra me e una trentina di altri redattori, e non avevamo niente in mano. Io non trovavo una banca che mi facesse un fido, non trovavo una società pubblicitaria che mi garantisse un minimo decente delle cose [...]. A un certo momento il capo del nostro ufficio romano, Trionfera – che era massone, ma non P2 – mi disse «Senti, vieni a Roma perché so che c'è un signore che sta diventando il padrone della stampa italiana». Dico «Come? Il padrone della stampa italiana?» «Sì, c'è un signore che, a quanto pare, ha assunto un potere straordinario nel mondo dell’editoria e forse lui può anche aiutarci». [...] Andai a Roma e allora {{NDR|Renzo Trionfera}} mi disse che lui aveva appuntamento con questo signor Gelli, di cui io sentivo il nome per la prima volta [...], però dovevamo andarci quasi di nascosto. [...] Andammo [...] e così vidi Gelli per la prima e unica volta. Gli esposi la situazione e lui mi disse: «Ma questi sono dettagli, queste sono piccolezze, non sono problemi gravi perché qui, oramai, bisogna procedere a ben altro. Bisogna chiamare a raccolta tutta questa stampa italiana che è litigiosa, che è settaria. Bisogna darle un indirizzo unico». Allora io lì lo fermai. Dissi: «Come fa a darle un indirizzo unico? La stampa segue criteri diversi, i giornalisti...». «Macché giornalisti – disse lui – qui ci vuole un padrone della stampa!». Dico «Ma non esiste un padrone della stampa, a meno che non rifacciamo il Minculpop fascista, allora c'era un padrone perché c'era un regime che faceva il padrone». {{NDR|Licio Gelli}} Dice «Basta comprare la proprietà dei giornali». Dissi «Ma scusi, ci sono degli editori che non vendono» [...] «Questione di prezzo». Il discorso andò avanti su questi binari, quando uscimmo io dissi a Trionfera: «Senti, ma questo qui è il più grosso farabolano con cui abbiamo avuto a che fare, uno che si immagina di comprare tutta la stampa e di ridurla ai suoi ordini, va be', o è un matto, o è un matto, oppure è proprio un piazzista, un fregnacciaro qualsiasi insomma». Questo fu l'unico incontro. [...] Uno che faceva questi discorsi naturalmente mi sembrava inutile continuare a frequentarlo. Di lì a poco venne fuori la lista degli iscritti alla P2 e venne fuori l'identificazione di Gelli col Grande Vecchio, col famoso Grande Vecchio. {{NDR|«Finalmente si era trovato»}} Finalmente si era trovato il Grande Vecchio autore di tutte le stragi, le cose..., {{NDR|«Il vero Grande Vecchio»}} il bieco Grande Vecchio. Naturalmente non credetti nemmeno a questo. (da ''Il caso Sindona e la P2'') *Per istinto, e per come avevo visto e conosciuto [[Licio Gelli|Gelli]], io sono convinto che {{NDR|la [[P2|Loggia P2]]}} era una cricca di affaristi e basta. Era una cricca di affaristi condotta da un uomo che, evidentemente, come intrallazzatore doveva essere geniale. Era un pataccaro, indiscutibilmente era un pataccaro, ma che a tutto pensava fuorché a un ''golpe''. Non ci pensava nemmeno. Lui procurava affari e soprattutto fomentava carriere. Lui aveva capito qual è la struttura del potere in Italia, sempre, non soltanto allora, sempre: è una struttura mafiosa. Bisogna far parte di una cricca, di una conventicola in cui ognuno aiuta l'altro, e questo era la P2. [...] Ma che interesse poteva avere Gelli a rovesciare un sistema che gli consentiva di influire sino a quel punto? Quale interesse poteva avere? E poi, Gelli era un farabolano ma non doveva essere del tutto sprovveduto, doveva sapere che l'[[Italia]] non è terra da ''golpe''. Ma chi lo fa il ''golpe''? E anche se qualcuno lo fa, come fa a resistere? Che cos'ha dalla sua per fare il ''golpe''? Non ho mai creduto al golpismo di Gelli. (da ''Il caso Sindona e la P2'') *Il caso Chiesa era un caso modestissimo. Fece da detonatore perché il momento era maturo per arrivare a ''Tangentopoli'', che era dovuto a una cosa molto più complessa che era questa: che ci fosse la corruzione in Italia si è sempre saputo, la classe dominante promanava questo puzzo di fogna che tutti sentivano, il famoso «turarsi il naso». Soltanto che fin quando l'alternativa di questa classe politica allora al potere era un Partito comunista, che era un fac-simile di quello sovietico, basato sui carri armati, sulla polizia segreta, sulle delazioni, sui processi, [...] finché c'era questo spettro noi non potevamo prenderci il lusso di mettere sotto processo e mandare in galera la classe politica dirigente allora. Fu quando, col Muro di Berlino, crollò questo incubo che i tempi furono maturi perché questo avvenisse. (da ''Tangentopoli'') *Che {{NDR|la [[corruzione]]}} sia inestirpabile, di questo sono sicuro perché dura da 2000 anni. La corruzione non è soltanto nella politica: è nella società italiana! Noi italiani abbiamo sempre corrotto tutti! Tutti coloro che sono venuti in Italia a fare i padroni li abbiamo corrotti. [...] Noi dobbiamo metterci in testa che la lotta alla corruzione la si fa in un modo solo: cambiando gli italiani, non cambiando le classi politiche. Le classi politiche, anche quelle nuove, si corrompono. È inevitabile. (da ''Tangentopoli'') *[[Silvio Berlusconi|Berlusconi]] ha un sacco di qualità. C'è da dire, ha una grande immaginazione, una grande fantasia; ha un coraggio leonino nel buttarsi nelle imprese; sa trascinare molto bene; è un comunicatore eccezionale, sa accendere i suoi seguaci di entusiasmi eccetera eccetera, mi ricordo che una volta gli dissi: «Io sono sicuro che se tu ti mettessi a fabbricare dei vasi da notte, faresti venire la voglia di fare pipì a tutta l'Italia». (da ''Verso il bipolarismo'') *[[Silvio Berlusconi|Lui]] è un uomo d'attacco: se avesse fatto la carriera militare lui non sarebbe diventato né un [[Gerd von Rundstedt|Rundstedt]] né un [[Erich von Manstein|Manstein]], che furono i grandi strateghi tedeschi dell'ultima guerra. [...] Lui sarebbe diventato un [[Erwin Rommel|Rommel]] o un [[George Smith Patton|Patton]]. Cioè dire: è un generale di straccio e di rottura che, appunto, sullo slancio può compiere qualsiasi cosa. Se lo metti poi a difendere le posizioni conquistate con lo slancio, eh no, lì non ci sta. Come Rommel: Rommel finché poté attaccare in Libia e in Egitto attaccò. Quando dovette mettersi sulla difensiva chiese il rimpatrio. [...] Non sarebbe uomo di Curia e non è un uomo di pazienza, non è un uomo da guerra di posizione e di logoramento. (da ''Verso il bipolarismo'') *Lui Arrivò a Palazzo Chigi credendo, e facendo credere, che uno Stato si poteva condurre con gli stessi criteri di un'azienda privata. Io su questo avevo avuto serie discussioni con lui – non litigi, non ho mai litigato con Berlusconi – gli avevo detto: «Guarda che lo Stato non è un'azienda privata». [...] Lui credeva di potersi comportare a Palazzo Chigi, e con la macchina dello Stato, come si comportava con la sua organizzazione, dove la gente frullava e, se non frullava, lui la cacciava via, com'è giusto che faccia un imprenditore. Ma lui non poteva applicare questi metodi e sistemi allo Stato. Quando si trovò di fronte alla muraglia grigia, sorda e ottusa della burocrazia italiana, che è la peggiore, ma anche la più resistente del mondo, lui rimase senz'armi: non poteva licenziare neanche un usciere. Nel gioco parlamentare lui naufraga perché non è abituato a queste cose. La politica – non dico che sia solo un mestiere – ma è anche un mestiere. Questo mestiere lui non lo aveva. (da ''Verso il bipolarismo'') *Che gli italiani siano capaci di emanare leggi di riforma, ci credo senz'altro. L'Italia è la più grande produttrice di regole, ognuna delle quali è una riforma, è la riforma di un'altra regola. Gli stessi esperti pare che abbiano perso il conteggio delle leggi, dei regolamenti che vigono in Italia: c'è qualcuno che parla di 200.000, altri di 250.000. Ora, quando si pensa che la [[Germania]] ha in tutto 5.000 leggi, la [[Francia]] pare 7.000, l'[[Inghilterra]] nessuna, quasi nessuna – ha dei principi, così stabiliti. A cosa ha portato tutta questa proliferazione? A riempire gli scantinati dei nostri pubblici uffici, dove ci sono questi mucchi di legge che nessuno va nemmeno a consultare perché ognuna di queste leggi poi offre il modo di evaderle. Questa è la grande abilità dei legislatori italiani. I legislatori italiani sono quasi tutti degli avvocati. E gli avvocati a che cosa pensano? A ingarbugliare le leggi in modo da restarne loro i supremi e unici depositari. [...] Riforme: hai voglia se ne faremo, continuiamo a farne, è la nostra vocazione, questa. Quanto poi all'attuazione, allora è un altro discorso: le leggi in Italia non vengono osservate, anche perché sono formulate in modo che si possano non osservare. Ed è questo che spiega l'abbondanza, la prodigalità delle nostre classi politiche, delle nostre classi dirigenti, nello sfornarne di continuo. (da ''Dal Governo Dini all'Ulivo'') *Un Paese che ignora il proprio Ieri, di cui non sa assolutamente nulla e non si cura di sapere nulla, non può avere un Domani. Io mi ricordo una definizione dell'Italia che mi dette in tempi lontanissimi un mio maestro e anche benefattore, che fu un grande giornalista, [[Ugo Ojetti]], il quale mi disse: «Ma tu non hai ancora capito che l'Italia è un Paese di contemporanei, senza antenati né posteri perché senza memoria». Io avevo 25-26 anni e la presi per una ''boutade'', per una battuta, un paradosso. Mi sono accorto che aveva assolutamente ragione. Questo è un Paese che {{NDR|«È un Paese che non ama la Storia»}} ha una storia straordinaria, {{NDR|«Ma non la ama»}} ma non la studia, non la sa. È un Paese assolutamente ignaro di se stesso. Se tu mi dici cosa sarà un domani per gli italiani, forse sarà un domani brillantissimo. Per gli italiani, non per l'Italia. Perché gli italiani sono i meglio qualificati a entrare in un calderone multinazionale perché non hanno resistenze nazionali. Intanto hanno dei mestieri in cui sono insuperabili. [...] Voglio dirlo senza intonazioni spregiative, nei mestieri servili noi siamo imbattibili, assolutamente imbattibili. Ma non lo siamo soltanto in quelli. L'individualità italiana si può benissimo affermare in tutti i campi, anche scientifici. Io sono sicuro che gli scienziati italiani, i medici italiani, gli specialisti italiani, i chimici, i fisici italiani quando avranno a disposizione dei gabinetti europei veramente attrezzati brilleranno. Gli italiani, l'Italia no. L'Italia non ci sarà, non c'è. Perché gli italiani che vanno in Germania diventeranno tedeschi. [...] Alla seconda generazione sono assimilati. Dovunque vadano, sono assimilati. {{NDR|«Ma questo è un difetto?»}} No... è un difetto... è un difetto ed è anche una virtù. È una qualità. Voglio dire: per l'Italia non vedo un futuro, per gli italiani ne vedo uno brillante. (da ''Dal Governo Dini all'Ulivo'') ==Citazioni tratte dai giornali== ===''Corriere della Sera''=== <!--ordine cronologico--> *Gli eroi sono sempre immortali, agli occhi di chi in essi crede. E così crederanno, i ragazzi, che il «[[Grande Torino|Torino]]» non è morto: è soltanto «in trasferta». (7 maggio 1949) *{{NDR|A proposito di [[Maratea]]}} Forse in Italia non c'è paesaggio e panorama più superbi. Immaginate decine e decine di chilometri di scogliera frastagliata di grotte, faraglioni, strapiombi e morbide spiagge davanti al più spettacoloso dei mari, ora spalancato e aperto, ora chiuso in rade piccole come darsene. (4 ottobre 1957) *{{NDR|Su ''[[La dolce vita]]''}} Ma non c'è dubbio che qui ci si trova di fronte a qualcosa di eccezione (sic!) non perché rappresenti un meglio o un di più di ciò che finora si è fatto sullo schermo, ma perché ne va nettamente al di là, violando tutte le regole e convenzioni, a cominciare da quelle della durata, che supera le tre ore di spettacolo, per finire a quelle della trama, o meglio della non trama, perché non c'è. (''[http://cinquantamila.corriere.it/storyTellerArticolo.php?storyId=4d44ab344c050 Montanelli vede La Dolce Vita]'', 22 gennaio 1960) *{{NDR|Su ''[[La dolce vita]]''}} Non siamo più nel cinematografo, qui. Siamo nel grande affresco. Fellini secondo me non vi tocca vette meno alte di quelle che Goya toccò in pittura, come potenza di requisitoria contro la sua e la nostra società. (''ibidem'') *Il suo reportage non è una "patacca". Il poco – oh, molto poco! – che vi luce è proprio oro. E il molto che vi puzza è proprio fogna. Del resto, se così non fosse, il film sarebbe fallito come falliscono i reportages quando eludono la verità o non riescono a centrarla. Quindi, amici, vi prevengo se domani ''[[La dolce vita]]'' vi farà inorridire, non confutàtela dicendo: "Non è vero". Perché per esser vero, tutto ciò che qui è raccontato, lo è. D'altronde Fellini è ricorso al mezzo più spicciativo (e più diabolico) per dimostrarlo. (''ibidem'') *Ma mi affretto subito ad aggiungere che ''[[La dolce vita]]'' non è una polemica a sfondo giustizialista, che appunta i suoi strali sulle cosiddette classi alte. Non convincerebbe, in questo caso, o convincerebbe meno. Gli altri ambienti, che si srotolano giù giù negli appunti di questo reporter d'eccezione, sono descritti con la identica spietatezza, convalidata dalla stessa tecnica di rappresentare ciascuno nei propri panni. Lasciatemi testimoniare in tutta onestà che raramente ho visto qualcosa di più vero di quel salotto intellettuale. Esso ha dato perfino a me, che non ne frequento nessuno, un senso profondo di mortificazione, un vago anelito a cambiar mestiere e a iscrivermi, fo' per dire, ai coltivatori diretti. (''ibidem'') *Non è necessario essere socialisti per amare e stimare [[Sandro Pertini|Pertini]]. Qualunque cosa egli dica o faccia, odora di pulizia, di lealtà e di sincerità. (27 ottobre 1963) *Che i [[Rifugiati palestinesi|profughi palestinesi]] siano delle povere vittime, non c'è dubbio. Ma lo sono degli Stati arabi, non d'[[Israele]]. Quanto ai loro diritti sulla casa dei padri, non ne hanno nessuno perché i loro padri erano dei senzatetto. Il tetto apparteneva solo a una piccola categoria di sceicchi, che se lo vendettero allegramente e di loro propria scelta. Oggi, ubriacato da una propaganda di stampo razzista e nazionalsocialista, lo sciagurato ''fedain'' scarica su Israele l'odio che dovrebbe rivolgere contro coloro che lo mandarono allo sbaraglio. E il suo pietoso caso, in un modo o nell'altro, bisognerà pure risolverlo. Ma non ci si venga a dire che i responsabili di questa sua miseranda condizione sono gli «usurpatori» ebrei. Questo è storicamente, politicamente e giuridicamente falso. (16 settembre 1972) *[[Alexis de Tocqueville|Tocqueville]] diceva che «è nel sonno della pubblica coscienza che maturano le dittature». (da ''[https://web.archive.org/web/20160101000000/http://archiviostorico.corriere.it/1996/gennaio/13/platea_resta_assente_co_0_9601133631.shtml La platea resta assente]'', 13 gennaio 1996, p. 1) *Se si mettono a raffronto i due rivali come faccia, come presenza, come eloquio, come cordialità, insomma come simpatia umana, non c'è dubbio che Albertini ne ispira molto meno di Fumagalli, anzi diciamo la verità tutta intera: non ne ispira punta. Ed io, cittadino ed elettore milanese, proprio di questo sentivo il bisogno: di un sindaco antipatico, di faccia arcigna e poco invogliante alla pacca sulla spalla, al confidenziale «tu» e al pappecciccia coi sottoposti, e poco, anzi punto disponibile a quelle benevolenze, condiscendenze e indulgenze che rappresentano le supposte di glicerina di tutte le corruzioni. [...] Con Albertini ho parlato una sola volta. Ma mi è bastata per capire che, per rendersi antipatico, non ha bisogno di fare sforzi. Basta che si mostri com'è e come spero che rimanga: una specie di Molotov di Palazzo Marino, chiuso nei suoi caparbi ''niet'', diffidente, scostante e culdipietra. Che abbia una compagna fermamente decisa a non partecipare alla vita pubblica del compagno, anche questo ci va bene. [...] Si ricordi, signor Sindaco, che noi abbiamo votato per lei, non per questi papponi. (da ''[https://web.archive.org/web/20160101000000/http://archiviostorico.corriere.it/1997/maggio/13/tradito_Ulivo_co_0_9705136733.shtml Sì, ho tradito l'Ulivo]'', 13 maggio 1997, p. 1) *Non vorremmo, dopo averne deplorato il brutto vezzo, contribuire alle polemiche nel momento in cui bisogna invece accantonarle per fare compatto fronte per il salvataggio del salvabile. Ma basta con le «regole» che servono soltanto a rendere impenetrabili le responsabilità dei disastri quando i disastri si possono ricondurre a delle responsabilità umane (come non accade, per esempio, nei terremoti). Ma quando verrà l'ora della ricostruzione, ricordiamoci che l'[[urbanistica]] e il paesaggio italiani hanno bisogno non di altre, ma di meno «regole». E, più che di cemento, di dinamite. (da ''[https://web.archive.org/web/20160101000000/http://archiviostorico.corriere.it/1998/maggio/09/licenze_facili_leggi_oscure_co_0_9805099009.shtml Le licenze facili e le leggi oscure]'', 9 maggio 1998, p. 1) *Qualche dichiarazione meno infuocata contro la Giustizia di regime, come il [[Silvio Berlusconi|Cavaliere]] si ostina a definirla, avrebbe meglio aiutato la politica italiana a rimuovere il macigno che la paralizza, e che è lui, Berlusconi. (da ''[https://web.archive.org/web/20160101000000/http://archiviostorico.corriere.it/1998/luglio/14/RESTO_SIA_SILENZIO_co_0_9807143775.shtml E il resto sia silenzio]'', 14 luglio 1998, p. 1) *L'Italia sarà anche, come dicono i nostri tromboni universitari, «la culla del diritto». Ma è anche il sepolcro di una giustizia che, per decidere se un imputato è innocente o colpevole, aspetta il suo certificato di morte che la esenta dal dirlo. Il secondo problema è il reclutamento e la selezione [[magistratura|del personale]]. Come in tutte le altre pubbliche attività, anche nella giustizia c'è un dieci per cento di autentici eroi pronti a sacrificarle carriera e vita, ma senza voce in un coro di «gaglioffi» che c'è da ringraziare Dio quando sono mossi soltanto da smania di protagonismo. (da ''[https://web.archive.org/web/20160101000000/http://archiviostorico.corriere.it/1998/agosto/24/CARDINALE_MAGISTRATO_co_0_9808244892.shtml Il Cardinale e il Magistrato]'', 24 agosto 1998, p. 1) *Tutto si è risolto in un colpo solo, non si sa con precisione quando e come combinato, che ha tagliato la strada alla bagarre prima che cominciasse. E che, per quanto mi riguarda, mi ha liberato dall'incubo che turbava i miei inquieti sonni, e in cui mi vedevo in fuga da un mostro senza volto, ma che m'incalzava con la logorrea del presidente uscente, aggravata dall'accento irpino di Mancino e dalle corde vocali della signora Jervolino. [...] Siamo sicuri che il popolo, chiamato a pronunciarsi fra un [[Carlo Azeglio Ciampi|Ciampi]] e – faccio per dire – un [[Antonio Di Pietro|Di Pietro]], si sarebbe pronunciato per Ciampi? È una domanda che non aspetta risposta, ma che mi permetto di proporre ai lettori. Gran bella parola «il Popolo». E riconosciamogli pure l'attributo, che gli spetta, di «Sovrano». Ma insomma, meditate gente, meditate. (da ''[https://web.archive.org/web/20160101000000/http://archiviostorico.corriere.it/1999/maggio/14/QUASI_NON_CREDO_co_0_9905146643.shtml Quasi non ci credo]'', 14 maggio 1999, p. 1) *Tutti coloro che hanno svolto pubbliche funzioni in Sicilia sono rimasti e sono tuttora in qualche modo «collusi» con la mafia. Lo furono quotidianamente, e per secoli, il governo e la polizia borbonica. Lo fu [[Giuseppe Garibaldi|Garibaldi]] che in essa trovò, dopo lo sbarco, la sua prima alleata. Lo furono i governi nazionali sia di destra che di sinistra. Lo fu [[Giovanni Giolitti|Giolitti]] che pure non scese mai, a ch'io sappia, a sud di Napoli. Lo fu il presidente della vittoria, [[Vittorio Emanuele Orlando|Orlando]], che quando tornava a Palermo, la prima visita che rendeva non era al prefetto né all'arcivescovo, ma al capomafia. Tentò di non esserlo Mori che aveva licenza di uccidere garantita da un regime totalitario, e ci rimise il posto. Lo sono stati tutti i politiconi e politicastri della Prima Repubblica. Anche il cautissimo [[Giulio Andreotti|Andreotti]]? Può darsi, attraverso i suoi proconsoli ''in loco''. Ma il Tribunale deve aver capito che l'imputato non era lui. Era il costume morale e politico della nostra vita pubblica, sul quale un Tribunale non ha, né può né deve avere competenza. [...] E il problema, secondo me, è questo: che fin quando noi italiani crederemo di salvarci dalla peste mandando sul rogo una strega o un untore, dalla peste non ci libereremo mai. (da ''[https://web.archive.org/web/20160101000000/http://archiviostorico.corriere.it/1999/ottobre/24/TRIBUNALE_DELLA_STORIA_co_0_991024441.shtml Il tribunale della storia]'', 24 ottobre 1999, p. 1) *Ci dicano chiaro e tondo perché hanno smembrato il Ros, e hanno ridimensionato l'attività di Sco e Gico. Non ci raccontino che hanno voluto mettere al riparo il capitano Ultimo e i suoi uomini dalle possibili vendette della malavita. E soprattutto non vengano a ripeterci che il ''modus operandi'' dei servizi segreti, per impedirne le «deviazioni», dev'essere «trasparente». Questa, che un segreto possa essere trasparente, è un'idea da primato della cretineria. E, se non della cretineria, lo è della retorica virtuista o della menzogna truffaldina. (da ''[https://web.archive.org/web/20160101000000/http://archiviostorico.corriere.it/1999/novembre/02/PROCURATORE_BATTA_PUGNO_co_0_9911021451.shtml Procuratore batta il pugno]'', 2 novembre 1999, p. 1) *Era la prima volta che il partito socialista italiano aveva trovato un uomo {{NDR|Bettino Craxi}}, se non di Stato, almeno di governo, che lo aveva liberato dalla subalternanza al Pci, e condotto su posizioni democratiche, europeistiche e atlantiche. Lo avrà anche fatto con metodi alquanto spicciativi e disinvolti, più da padrino che da ''leader''. Ma mi chiedo se avrebbe potuto usarne di diversi per avere ragione dei vecchi tromboni del massimalismo populista e piazzaiolo con le loro clientele incrostate da decenni. E mi chiedo anche quanto contribuirono alla sua crocefissione i rancori e le acredini che si era lasciato dietro. Ma nella difesa si perse, e non per mancanza, ma forse per eccesso di coraggio. (da ''[https://web.archive.org/web/20160101000000/http://archiviostorico.corriere.it/2000/gennaio/20/STATISTA_LATITANTE_co_0_0001201104.shtml Lo statista latitante]'', 20 gennaio 2000, p. 1) *Anche noi siamo convinti che il Paese ha il diritto di conoscere la verità (che non riguarda soltanto quella di Piazza Fontana). Ma non ci riusciamo. Anche perché se la pista rimane, come sembra accertato, quella del terrorismo nero, non sappiamo quali nomi l'accusa potrà tirar fuori dal suo cappello. I tre maggiori indiziati sono già stati assolti con sentenza passata in giudicato che non consente di richiamarli sul banco degli imputati. Gli altri di cui si fa il nome non sarebbero che comparse, la più importante delle quali, Delfo Zorzi, risiede a Tokio con passaporto giapponese che lo mette al riparo da ogni pericolo di estradizione. Vale la pena ricominciare? L'''ouverture'' dei dibattimenti non è stata incoraggiante. Il proscenio era occupato da Capanna, Valpreda, [[Dario Fo]] e altri reduci sessantottini, cui si era aggiunto anche Sergio Cusani, l'intangentato convertitosi (lo diciamo senza nessuna ironia) al missionarismo. [...] Invano i portaparola della parte lesa, cioè dei familiari delle vittime, si sono dichiarati estranei e contrari a ogni tentativo di politicizzare il processo. Una parola. Non ci riescono nemmeno [[Jovanotti]] e [[Teo Teocoli|Teocoli]] con le loro filastrocche dal palcoscenico di Sanremo. Figuriamoci se potranno riuscirci i registi di questo processo ''rouge et noir'', se mai ve ne furono. [...] Ecco a cosa servono i processi come questo: non a cercare la verità, ma a fornire argomenti al ''rouge'' o al ''noir''. (da ''[https://web.archive.org/web/20160101000000/http://archiviostorico.corriere.it/2000/febbraio/26/QUELLA_VERITA_CHE_CERCHIAMO_co_0_0002264627.shtml Quella verità che cerchiamo]'', 26 febbraio 2000, p. 1) *Cosa c'entri la giustizia italiana in fatti e misfatti capitati trent'anni fa in un Paese {{NDR|l'[[Argentina]]}} di cui la metà della popolazione è di origine italiana, non riusciamo a capire. Ma ci pareva impossibile che l'iniziativa del giudice spagnolo Garzon per trascinare l'ex dittatore cileno [[Augusto Pinochet|Pinochet]] sul banco degli accusati di un tribunale madrileno non trovasse imitatori in un Paese di scimmie come il nostro. Grazie ad essa, il nome e il volto di Garzon sono noti in tutto il mondo. Ed è probabile che tra poco lo siano anche quelli del pubblico ministero Caporale. Vi pare poco in un'era dell'effimero come quella in cui stiamo vivendo, e che vede l'infittirsi di processi ai defunti, su cui le nuove leve della [[storiografia]] vorrebbero riscrivere il passato? (da ''[https://web.archive.org/web/20160101000000/http://archiviostorico.corriere.it/2000/aprile/03/QUEI_PROCESSI_CARO_ESTINTO_co_0_0004033275.shtml Quei processi al caro estinto]'', 3 aprile 2000, p. 1) *Dobbiamo avere la modestia di riconoscere che noi, come venditori, non leghiamo nemmeno le scarpe a un piazzista che se un giorno si mettesse a produrre vasi da notte, farebbe scappare la voglia di urinare a tutta l'Italia. (da ''[https://web.archive.org/web/20130619122825/http://archiviostorico.corriere.it/2001/febbraio/15/PREDICATORI_COMPARSE_co_0_0102158858.shtml I predicatori e le comparse]'', 15 febbraio 2001, p. 1) *Non sono mai venuto meno all'impegno, preso non con il Cavaliere, ma con me stesso, di non associarmi mai alla sua demonizzazione. Ma non posso sottacere ai lettori i pericoli che si nascondono sotto questa sua allergia alla verità, questa sua voluttuaria e voluttuosa propensione alle menzogne, la naturalezza con cui riesce a pronunziarle. (da ''Io e il cavaliere qualche anno fa'', 25 marzo 2001, p. 1) *Berlusconi, cui nulla riesce tanto bene quanto la parte di vittima e perseguitato. «[[Chiagne e fotte]]» dicono a Napoli dei tipi come lui. E si prepara a farlo per cinque anni di seguito. (da ''Io e il cavaliere qualche anno fa'', 25 marzo 2001, p. 1) ====''La stanza di Montanelli – rubrica''==== {{cronologico}} *{{NDR|[[Vittorio Sgarbi]]}} È un volgare calunniatore, che non disonora se stesso, ma anche il suo committente e padrone (tutti sappiamo chi è) che si serve di un simile scherano. (8 novembre 1995) *I [[Riformismo|riformatori]] italiani, quando si tratta di riformare ciò che non ha bisogno di essere riformato, sono instancabili. L'attività dell'Ucas, Ufficio complicazioni affari semplici, come ricordava un altro lettore esasperato, è frenetica. ([https://web.archive.org/web/20160101000000/http://archiviostorico.corriere.it/1995/dicembre/13/Ufficio_complicazioni_affari_semplici_co_0_9512139920.shtml 13 dicembre 1995]) *Io credo che il miglior omaggio che si può rendere a [[Aldo Moro|Moro]] sia quello di archiviare l'episodio che ne segnò la fine e dal quale, diciamo la verità, la sua immagine esce tutt'altro che bene. Quando sento dire che, oltre a quelle conosciute, ci sono anche altre lettere di Moro, prego Iddio che non vengano trovate. So già cosa contengono, e preferisco non leggerlo. (21 dicembre 1995) *È assolutamente impossibile istillare negli [[zingari]] il concetto di proprietà e quindi educarli al lavoro come mezzo per conquistarsela. Ma temo che sia altrettanto impossibile far capire tutto questo ai nostri pietisti, religiosi e laici, che farneticano di «integrarli». ([https://web.archive.org/web/20160101000000/http://archiviostorico.corriere.it/1995/dicembre/30/Viaggiai_sul_carrozzone_degli_zingari_co_0_95123012229.shtml 30 dicembre 1995]) *A me, invece, [[Beppe Grillo|Grillo]] piace. Lo considero il più efficace comico in circolazione. Anzi: «comico» non è la parola giusta. Grillo non è un comico, non è un moralista, non è un predicatore: è tutte queste cose insieme. Nel panorama dello spettacolo italiano, dove abbonda il bollito misto, è un'eccezione ambulante (e urlante). Lei ha ragione quando dice che Grillo esagera. Non soltanto esagera; provoca anche, e insulta, e offende. Ma tutte le categorie di giudizio, con un tipo così, risultano inadeguate. Grillo appartiene ad una specie animale particolare, formata da un solo esemplare: lui. O lo strozziamo o lo applaudiamo. Io, appena posso, lo applaudo. Perché i suoi eccessi, a differenza di quelli di [[Vittorio Sgarbi|Sgarbi]], odorano di bucato. ([https://web.archive.org/web/20160101000000/http://archiviostorico.corriere.it/1996/gennaio/11/Beppe_Grillo_incubo_esilarante_co_0_9601114281.shtml 11 gennaio 1996]) *Una delle eterne regole italiane: nel settore pubblico, tutto è difficile; la buona volontà è sgradita; la correttezza, sospetta. Per questo, le persone capaci continueranno a tenersi a distanza di sicurezza dalla «cosa pubblica», lasciando il posto ai furbastri (magari bravi) e alle mezze cartucce (magari oneste). Così, purtroppo, vanno le cose in questo bizzarro paese. ([https://web.archive.org/web/20160101000000/http://archiviostorico.corriere.it/1996/gennaio/26/Impegno_politico_caduta_delle_illusioni_co_0_9601261298.shtml 26 gennaio 1996]) *In una società libera il compito dei media non è «edificare la morale»; è informare, denunciare, stimolare, far riflettere, occasionalmente divertire. (28 gennaio 1996) *L'unico incoraggiamento che posso dare ai giovani, e che regolarmente gli do, è questo: «Battetevi sempre per le cose in cui credete. Perderete, come le ho perse io, tutte le battaglie. Una sola potete vincerne: quella che s'ingaggia ogni mattina, quando ci si fa la barba, davanti allo [[specchio]]. Se vi ci potete guardare senza arrossire, contentatevi». (20 febbraio 1996) *Non so se il Pci sia sotterraneamente sceso a trattative con le Br per convincerle a secondare questo piano. So soltanto che le Br, le quali invece la rivoluzione la volevano sul serio, lo rifiutarono, e fu proprio per farlo naufragare che rapirono e poi uccisero colui che doveva esserne lo strumento. [...] Fu il risoluto e quasi furibondo (oltre che sacrosanto) no dei comunisti che fece naufragare il tentativo {{NDR|Trattativa Stato-BR durante il sequestro [[Aldo Moro|Moro]]}}, che invece in seno alla Dc aveva parecchi sostenitori, anche se non osavano dirlo apertamente. Di qui le accuse e le insinuazioni contro i suoi compagni di partito, lanciate da Moro in quelle famose lettere, che avrebbe fatto meglio a non scrivere perché indegne di un vero uomo di Stato, anzi di un uomo tout court, e che ancor oggi forniscono materia al sospetto di una congiura fra democristiani – con l'aiuto dei soliti servizi segreti «deviati» – per sbarazzarsi di lui. Vero nulla. Forse nella Dc le forze «trattativiste», praticamente disposte alla resa alle Br, avrebbero vinto, se non ne fossero state impedite dalla risolutezza del Pci, che di un brigatismo assurto ad interlocutore dello Stato non voleva sentir parlare e di un Moro salvato al prezzo di una simile capitolazione non avrebbe più saputo che farsi. (26 marzo 1996) *No, è stata la persecuzione che ha costretto gli ebrei, per resisterle, a tendere ed affinare tutte le loro risorse intellettuali. Ecco il segreto dei loro primati. In tutto. E talvolta anche nella cretineria. (3 aprile 1996) *L'[[Allargamento della NATO|allargamento della Nato]] è una cosa maledettamente seria, e decisamente complessa. Parlarne prima delle elezioni presidenziali russe vuol dire buttare benzina sul fuoco; non parlarne oggi significa, forse, non parlarne più. [...] Innanzitutto, dobbiamo renderci conto che la Nato è un'organizzazione basata sul consenso: se si estende verso Oriente [...], la compattezza dell'alleanza rischia di incrinarsi. Ancor più delicata è una seconda questione. Governi e opinione pubblica occidentali devono capire le implicazioni della loro decisione. In seguito all'allargamento, i nuovi membri orientali della Nato (che siano solo Repubblica Ceca e Ungheria; o anche Polonia e Paesi Baltici) diventano nostri alleati, a tutti gli effetti. Questo vuol dire che, se venissero attaccati, dovremmo correre a difenderli. Domanda: siamo disposti a morire per Varsavia e Tallin? Se la risposta è «sì», allarghiamo pure la Nato. Se la risposta è «ma, forse...» – e in Italia sarebbe sicuramente «ma, forse...» – è meglio che lasciamo perdere. In quella parte del mondo hanno già sofferto abbastanza. Non è il caso che ci mettiamo anche noi. ([https://web.archive.org/web/20151025020316/http://archiviostorico.corriere.it/1996/aprile/20/Allargamento_della_Nato_Lasciamo_perdere_co_0_960420535.shtml 20 aprile 1996]) *Io non mi considero affatto ateo e non capisco come si possa esserlo. ([https://web.archive.org/web/20160101000000/http://archiviostorico.corriere.it/1996/maggio/23/dove_comincia_grande_mistero_Dio_co_0_9605235872.shtml 23 maggio 1996]) *{{NDR|Riferito alla [[crisi di Sigonella]]}} Ho sempre considerato il rilascio di Abu Abbas un gesto semplicemente criminale o almeno di complicità col crimine. ([https://web.archive.org/web/20151107235857/http://archiviostorico.corriere.it/1996/luglio/07/Caro_Ottiero_Ottieri_diamoci_del_co_0_9607072658.shtml 7 luglio 1996]) *Quanto scrivi {{NDR|riferito a una lettrice}} sull'insegnamento della Storia nelle nostre scuole è sacrosantamente vero. I testi su cui ve la fanno studiare sono o reticenti o faziosi, ma più spesso l'una cosa e l'altra, e soprattutto scritti coi piedi. (4 settembre 1996) *No, caro N***, non mi basta che il Pool abbia perseguito e persegua una buona Causa. Doveva farlo anche con buoni mezzi e criteri. E il caso Di Pietro basta a dimostrare che questo non è sempre avvenuto. (24 ottobre 1996) *È dalla piazza e dai cosiddetti «bagni di folla» che nascono i dittatori e vengono consacrati i fanatismi più orrendi, fra cui il più orrendo di tutti: il razzismo. ([https://www.fondazionemontanelli.it/sito/pagina.php?IDarticolo=432 24 novembre 1996]) *Io non ho titoli culturali che mi qualifichino a lezioni su una tematica come quella del [[calvinismo]]. Ma credo di averne afferrato l'essenziale: la concezione della Ricchezza come segno della Grazia, di cui quindi non si è proprietari, ma amministratori per conto del Signore col compito di moltiplicarla per il bene di tutti. (21 dicembre 1996) *[[Daniele Vimercati|Vimercati]] è un leghista antemarcia. Lo era anche quando lavorava con me al ''Giornale''. Ma è soprattutto un signor giornalista, che conosce perfettamente la linea di demarcazione fra l'opinione personale e il dovere professionale, e non c'è interesse né calcolo di opportunità che possa indurlo a varcarla. Per questo godeva di tutta la mia fiducia, né mai ho avuto occasione di pentirmi di avergliela concessa. (1996).<ref>Citato in Pierluigi Saurgnani, ''[https://www.ecodibergamo.it/stories/Cronaca/274325_vimercati_gran_borghese_il_giornalista_che_scopr_bossi/ Vimercati, gran borghese. Il giornalista che scoprì Bossi]'', ''ecodibergamo.it'', 13 marzo 2012.</ref> *Di commissioni d'inchiesta il nostro parlamento ne ha partorite a dozzine. Me ne citi una sola che abbia raggiunto dei risultati, anche semplicemente conoscitivi. Per un Parlamento come il nostro (e mi trattengo a fatica dal qualificarlo) anche la ricerca della verità è materia di lottizzazione. ([https://web.archive.org/web/20151118213258/http://archiviostorico.corriere.it/1996/dicembre/23/Ormai_non_resta_che_amnistia_co_0_96122312669.shtml 23 dicembre 1996]) *Quando ebbi, fra i tanti, un processo non con un magistrato, ma con un politico del rango di De Mita che avevo coinvolto nella mala amministrazione dei fondi stanziati per l'Irpinia dopo il [[Terremoto dell'Irpinia del 1980|terremoto]], non trovai, in tutta quella vasta regione, una toga che venisse a testimoniare in mio favore. L'unico che mi difese fu colui che avrebbe dovuto accusarmi: il pubblico ministero del tribunale di Monza, Mariconda: non sul merito delle mie accuse, ch'egli non aveva elementi per valutare, ma sul diritto che mi riconosceva di lanciarle. Anche l'uso dei cinquanta–sessantamila miliardi stanziati per l'Irpinia rimase un porto delle nebbie. ([https://web.archive.org/web/20160101000000/http://archiviostorico.corriere.it/1997/gennaio/12/Magistratura_porti_delle_nebbie_co_0_9701123652.shtml 12 gennaio 1997]) *La sola parola «ingegneria genetica» mi mette i brividi. (14 marzo 1997) *Io non mi sono mai [[Impiccagione|impiccato]]. Ma a Norimberga assistetti a diciassette impiccagioni, compresa quella di un cadavere, il cadavere di Göring che si era suicidato il giorno prima. Be', mi resi conto [...] che ficcare la testa nel nodo scorsoio di una corda non è un esercizio da mezzetacche o quacquaracquà. (15 maggio 1997) *{{NDR|Gladio}} Era stato istituito in quasi tutti i Paesi che facevano parte della Nato, e per volontà della Nato, consapevole che i suoi soci europei non avrebbero potuto resistere all'attacco di una Potenza superarmata qual era l'[[Unione Sovietica]]: avrebbero dovuto aspettare, per la riscossa, l'intervento dell'[[Stati Uniti d'America|America]]. Lo dimostra il fatto che quando questo piano fu rivelato, nessun altro Paese trovò nulla da ridirne. Solo noi italiani – i soliti romanzieri imbecilli e peggio che imbecilli – ne facemmo materia di scandalo e pretesto di «gialli» che tuttora trovano credito, come la sua lettera dimostra. Anch'io mi sento scandalizzato, e un poco offeso. Ma solo dal fatto che nessuno mi abbia sollecitato l'adesione al [[Organizzazione Gladio|Gladio]]: l'avrei data con entusiasmo. ([https://web.archive.org/web/20150623163829/http://archiviostorico.corriere.it/1997/giugno/07/Avrei_dato_con_entusiasmo_adesione_co_0_97060710388.shtml 7 giugno 1997]) *A fare l'Italia alcuni pochi italiani ci sono, senza e contro i più, riusciti. A fare gl'italiani, l'Italia, in centocinquant'anni, non c'è riuscita; anzi non ci s'è nemmeno provata. (19 giugno 1997). *Il vero cacciatore ama gli animali a cui dà la caccia, forse anche perché li considera complici di questo gioco in cui ritrova la sua origine esistenziale. Non spara, per esempio, sul bersaglio fermo: lo considera sleale. (9 luglio 1997) *Al matrimonio misto, che dell'integrazione razziale è la condizione genetica, sono i neri, molto più dei bianchi, che si rifiutano. Non è quindi colpa degl'italiani, o almeno non tutta questa colpa è degl'italiani, se anche da noi l'integrazione con gl'immigrati africani incontra degli ostacoli. Quella con gli oriundi dei Paesi europei non ne incontra nessuno, salvo quelli che frappone la burocrazia, la quale ne pone tanti anche a noi, e anzi campa solo di questo. Non ho mai sentito un francese, o un inglese, o un tedesco, o un bulgaro o un ukraino lamentarsi di una apartheid italiana. Ci sono anche da noi, purtroppo, delle manifestazioni di razzismo. Ma queste sono dovunque, e in Italia meno violente che altrove. L'Italia è un Paese che va a catafascio. Ma non buttiamogli addosso anche delle croci che non merita. Quelle che merita bastano, e ne avanza. (24 agosto 1997) *Io sono un italiano, fra i pochi rimasti che nei confronti dell'Italia s'ispirano all'adagio inglese: «Che abbia ragione o torto, sto col mio Paese». Anch'io sto col mio paese quando ha torto, ma senza pretendere che il suo torto sia considerato ragione. (23 settembre 1997) *Sono e rimango convinto che fin quando noi italiani ci affideremo soltanto alla Legge – o, come ora usa chiamarla, alle «regole» –, rimarremo quello che siamo, coi vizi che abbiamo, fra cui quello di accatastare regole su regole al solo scopo di metterle in contraddizione l'una con l'altra per poterle meglio evadere. (16 ottobre 1997) *Forse farebbe meglio ad astenersi a dare lezioni di liberalismo a me che sono stato, in tutto il giornalismo italiano, l'unico a difenderlo negli anni Settanta e Ottanta, quando difenderlo era difficile e poteva anche costar caro. Non me ne faccio un vanto perché, quando alla fine ha vinto, ho visto di che liberalismo si trattava, ed è per questo che ho votato Ulivo. (23 ottobre 1997) *Le confesso che il suo piglio perentorio e inquisitorio mi disturba alquanto, anche perché mi lascia capire che lei parte da convinzioni così granitiche da rendere vano ogni tentativo d'insinuarvi almeno un dubbio. (23 ottobre 1997) *È importante tutto questo? No. Non lo è per me né per lei, che sappiamo cosa è accaduto. E non lo è per i leghisti doc, secondo cui qualunque cosa propone il capo è Vangelo. Se Bossi decide di andare in Bicamerale, applaudono. Se decide di abbandonare la Bicamerale, esultano. Se va con Berlusconi, assentono. Se lascia Berlusconi, approvano. E se un giorno si sveglia e cambia i confini della Padania, accettano i nuovi confini. Tempo fa, rispondendo a un lettore, scrissi che «i leghisti sono pronti a inneggiare anche all'annessione della Yakuzia, e non solo perché non sanno dove sta». Arrivarono molte lettere indispettite. Ma nessuna contro l'annessione della Yakuzia. (29 ottobre 1997) *Se sono – come sono – uno di quegli uomini di Destra che ultimamente hanno votato, sia pure controvoglia, per la Sinistra (annacquata) dell'Ulivo, è perché da questa, che non è mai stata la mia bandiera, non mi sento tradito. Essa sta facendo ciò che prometteva di fare, ma lo fa con molta moderazione, e con una squadra di uomini che magari non saranno (meno qualcuno, come per esempio Ciampi) di serie A, ma da cui non temo, e credo che nessuna persona ragionevole possa temere, l'instaurazione di un regime. (10 dicembre 1997) *E lo specchio non vi giudica dai successi che avrete ottenuto nella corsa al denaro, al potere, agli onori; ma soltanto dalla Causa che avrete servito. Tenendo bene a mente il motto degli ''hidalgos'' spagnoli: «La sconfitta è il blasone delle anime nobili». (31 dicembre 1997) *Che cosa io pensi dell'onorevole Previti mi pare di averlo detto in termini talmente espliciti da apparire – a più d'uno – brutali: un personaggio che solo a guardarlo in faccia verrebbe voglia di applicargli le manette ai polsi prima ancora di sapere chi è e cosa ha fatto. (31 gennaio 1998) *Infine, c'è quello che io considero il vero, grande vantaggio dell'euro: una volta dentro, non potremo tornare all'allegra finanza pubblica d'un tempo. ([https://web.archive.org/web/20151203232056/http://archiviostorico.corriere.it/1998/febbraio/20/Che_cosa_succedera_quando_avremo_co_0_9802206445.shtml 20 febbraio 1998]) *Tutti hanno diritto di credere nel miracolo, quando non c'è altro a cui aggrapparsi. La scienza no: se lo ricordi anche il Papa. (23 febbraio 1998) *I conti col passato, si capisce, bisogna farli. Ma a un certo punto bisogna chiuderli. Perché nella Storia non ce n'è mai stato uno che, protratto all'infinito, non ne abbia innescato un altro. (10 marzo 1998) *Perché, caro B***? Perché la vocazione a dividerci sempre e su tutto per il nostro «particulare», come lo chiamava Guicciardini, noi italiani ce la portiamo nel sangue, e non c'è legge che possa estirparla. (18 aprile 1998) *Vero che nei ricordi sui quali vengo sollecitato, il nome di [[Cesco Tomaselli|Tomaselli]] ricorre meno frequentemente di quelli di Longanesi, di Buzzati, di Piovene, di Barzini ecc. Ma ciò dipende solo dal fatto che costoro appartenevano alla mia leva, e in comune con loro avevo avuto tante esperienze, perfino la stanza di lavoro. Tomaselli, quando io entrai al ''Corriere'', apparteneva già alla sua vecchia guardia, e come notorietà ne aveva raggiunto il tetto proprio grazie alle sue corrispondenze sull'impresa del dirigibile «Italia» di Umberto Nobile, di cui fu dal principio alla fine lo scrupoloso cronista. A salvargli la vita dalla catastrofe fu soltanto la sorte, contro cui egli imprecò considerandola avversa. Per l'ultima tappa, quella che avrebbe dovuto sorvolare il Polo, dei due giornalisti aggregati a quella spedizione — Tomaselli per il ''Corriere'', e Ugo Lago per il ''Popolo d'Italia'' di Mussolini —, c'era posto, sulla navicella, per uno solo. Lago e Tomaselli se lo giocarono a testa o croce. Con gran dispetto di Tomaselli, che non smise mai di considerarsene tradito, vinse e partì Lago, che non tornò più: quando l'aeromobile precipitò sul pack, lui rimase aggrappato insieme ad altri compagni al cordame dell'involucro col quale scomparve nel deserto bianco. Ma tutte le volte che se ne parlava, Tomaselli seguitava ad inveire contro la scalogna che lo aveva escluso da quel drammatico finale, come se gli avesse tolto la fortuna di descriverlo. Questo era Tomaselli, l'inviato speciale che nel suo mestiere di giornalista portava lo stesso spirito che aveva fatto di lui, nella Prima Guerra Mondiale, un superdecorato ufficiale di artiglieria alpina e gli ispirava una concezione quasi religiosa del «servizio». Non era un «brillante» né come scrittore né come parlatore. Ma di tutto quello che diceva, sia con la bocca che con la penna, si poteva stare sicuri che di inesatto o di inventato non c'era nemmeno una virgola. [...] Se raramente mi capita di parlare di lui, è perché l'ho conosciuto e frequentato sul declino della sua intemerata e ineccepibile carriera di testimone, e perché lui, nel raccontarla, non l'animava mai di aneddoti o di battute come, per esempio, il suo coetaneo Monelli. Ma se ai giovani che si avviano (poveretti!) a questo mestiere dovessi indicare un modello di dignità, serietà, dedizione e correttezza professionale non avrei dubbi sulla scelta: Cesco Tomaselli. ([https://web.archive.org/web/20151009153047/http://archiviostorico.corriere.it/1998/maggio/07/Cesco_Tomaselli_inviato_speciale_Polo_co_0_9805078688.shtml 7 maggio 1998]) *Che un giudice spagnolo in vena di protagonismo abbia chiesto all'[[Inghilterra]] la consegna di un ospite straniero andato a Londra in forma privatissima per ragioni di salute, non mi stupisce: un [[Antonio Di Pietro|Di Pietro]] può nascere dovunque. Ma che l'Inghilterra si proponga di consentire, non mi stupisce. Mi sbalordisce, come ha sbalordito e indignato la signora Thatcher che aveva ospitato in casa il Generale. Ma ancora di più mi sbalordirebbe che la Giustizia spagnola, cioè di un Paese che non solo ha accettato per quarant'anni il potere di un Generale, ma gli ha consentito (per sua fortuna) di disporne anche dopo morto, portasse davanti a una Corte di Giustizia quello cileno. Per non parlare delle conseguenze che tutto questo potrebbe provocare in [[Cile]] dove, nel caso che il governo Frei si mostrasse esitante e accomodante, le Forze Armate potrebbero riprendere il potere per rompere i rapporti diplomatici con [[Spagna]] e Inghilterra e dimostrare al mondo che i processi alla Norimberga hanno fatto il loro tempo. Se a qualcuno il Generale cileno Pinochet deve rendere conto del suo operato, è soltanto al Cile e ai suoi tribunali. E se io fossi un cileno che ha votato Frei (come certamente avrei fatto se fossi stato un cileno), in questa occasione mi schiererei con le Forze Armate. Con tanti saluti a tutto il sinistrume italiano passato, presente e futuro. (24 ottobre 1998) *Che gli [[Stati Uniti d'America|Usa]] siano in tutto il mondo odiati dagli uomini come lei {{NDR|riferito a un lettore}}, è verosimile, e quindi più che credibile. Un po' meno credibile è che gli uomini di tutto il mondo siano e la pensino come lei. Comunque, il giorno in cui quel Paese venisse chiamato (ma da chi?) sul banco degl'imputati come il nemico dell'umanità, io chiederò di essere ascoltato come testimone. Per dire alla Corte dei Vecchio di turno che io, uomo qualunque, mi considero graziato tre volte da questo grande nemico dell'umanità. La prima fu quando mi strappò al pericolo di diventare – per bene che mi fosse andata – l'attendente di un colonnello tedesco. La seconda fu quando mi sottrasse a quello di finire i miei giorni in un kolkos siberiano. La terza fu quando, invece di rimettermi la parcella di questi favori, mi aiutò a rifarmi la casa senza contestarmi il diritto di invitarvi anche coloro che pensano (si fa per dire) e parlano (o meglio sbraitano) come lei. ([https://web.archive.org/web/20160101000000/http://archiviostorico.corriere.it/1999/aprile/10/Fermare_genocidio_Kosovo_co_0_9904103314.shtml 10 aprile 1999]) *Tradotto in politica, non c'è nulla di più intollerante e fazioso, e quindi di meno pacifico, del [[pacifismo]] in generale, e di quello italiano in particolare. È un pacifismo a fasi alterne, e che si sveglia soprattutto, anzi quasi esclusivamente, quando a fare la guerra sono gli americani. Furioso e devastatore imperversò, non soltanto in Europa, ma nella stessa America, al tempo del Vietnam: al punto che quando [[Richard Nixon|Nixon]] venne in visita in Italia (quell'Italia che poteva fare ciò che voleva grazie agli americani) dovettero mandarlo a prendere a Fiumicino con un elicottero e trasportarlo via aria in Quirinale perché via terra avrebbe rischiato la pelle. Ma questo stesso pacifismo rimase impassibile quando i carri armati sovietici schiacciarono l'Ungheria (e a Montecitorio risuonò il grido: «Viva l'[[Armata Rossa]]!»), e poco dopo la Cecoslovacchia e da ultimo l'Afghanistan. Sono sempre gli stessi, i pacifisti italiani. Con una bandiera in mano come quella della pace (chi può infatti invocare la guerra?), si sentono invulnerabili. Ma la sventolano solo per il povero Milosevic; il genocidio del Kosovo li lascia del tutto indifferenti. (5 maggio 1999) *Non sempre condivido le opinioni di [[Giovanni Sartori|Sartori]]. Qualche volta, anzi spesso, abbiamo litigato, anche perché a lui litigare piace moltissimo: da buon toscano, è nella polemica che lui, e forse anch'io, diamo il meglio di noi. E anche sull'articolo del 25 maggio non siamo in tutto e per tutto d'accordo. Lo siamo nel respingere la qualifica di «pacifista», che entrambi lasciamo in esclusiva alle «anime belle» che, sventolando la bandiera della [[pace]], sperano di raccogliere intorno a essa tutti gl'ipocriti e gl'imbecilli che, sommati insieme, costituiscono certamente la stragrande maggioranza degl'italiani. (29 maggio 1999) *Lo Stato di [[Platone]], quello che lui chiamava la polis, e che poi era Atene, aveva, al tempo di Platone, cioè nel momento del suo massimo splendore, ventimila abitanti, di cui solo cinquemila avevano diritto al voto. E veda un po' come quei civilissimi cittadini lo usarono nelle assemblee dell'Acropoli: mettendo sotto processo [[Pericle]] e [[Aspasia di Mileto|Aspasia]], condannando a morte [[Socrate]] e provocando la guerra del Peloponneso, che fu la rovina non solo di Atene, ma di tutta la Grecia e della sua civiltà. Ora se il sistema della «democrazia diretta» o, come lei la chiama, «partecipatoria», non funzionò nemmeno in una polis di ventimila abitanti, s'immagini un po' cosa diventerebbe nei formicai umani cui si sono ridotte le polis attuali, e non soltanto quelle italiane. [...] Lei ha tutte le ragioni del mondo a dire che l'attuale sistema di democrazia «rappresentativa» o «delegata» ha dei vizi gravissimi e spesso provoca disastri, compresa quella americana, che pure è una di quelle che meglio funzionano. Ma, mi creda, quella «diretta» o «di piazza» è ancora molto più pericolosa perché continuamente a rischio di cadere in balia di qualche ciarlatano che sappia soltanto vendere bene la sua merce. Certo, quella indiretta esige, da parte del cittadino, una partecipazione che in Italia manca. Ma non è certo coi referendum che si può sostituirla. Almeno questo mi ha insegnato l'esperienza. (22 agosto 1999) *Quello di [[Francisco Franco|Franco]], se proprio vogliamo chiamarlo regime, fu un regime di polizia, di una polizia molto più dura di quella fascista, ma un totalitarismo no. Ecco perché, quando sentì avvicinarsi il momento della fine, Franco poté liquidare il franchismo con relativa facilità: perché di totalitario non aveva altro che le galere. Però bisogna anche riconoscere che questo soldataccio squallido e ottuso (sul piano umano era repellente), il ritorno al regime democratico seppe compierlo da maestro, facendosi consegnare dal pretendente al trono, Don Juan, ch'egli considerava (non a torto) poco affidabile, il figlio Juan Carlos per prepararlo – operazione riuscitissima – ai suoi compiti di Re, e mettendogli accanto un uomo di primissimo ordine come Suarez. ([https://web.archive.org/web/20130331034046/http://archiviostorico.corriere.it/1999/ottobre/24/differenza_fra_regimi_totalitari_dittature_co_0_991024459.shtml 24 ottobre 1999]) *La servitù, in molti casi, non è una violenza dei padroni, ma una tentazione dei servi. (2 gennaio 2000) *Non conosco Haider, e quindi nemmeno i fondamenti della sua ideologia, ammesso che ne abbia una. A occhio e croce, più che un nazista, mi sembra un qualunquista che interpreta, o cerca d'interpretare i sentimenti e i risentimenti di una pubblica opinione di livello bossiano, scontenta di tante cose, e a cui l'Austria attuale va stretta. [...] Non so se anche Haider – ripeto: non lo conosco – sia un omuncolo. Ma penso che l'Europa, ponendo il veto a un suo eventuale governo, costringerà gli austriaci ad affidargliene l'incarico, come avvenne per Waldheim. Io al pericolo di un rigurgito nazista non ci credo. Come ho letto in un articolo (mi pare di Enzo Bettiza, ma potrei sbagliarmi) penso che Jorg Haider somigli più a un Poujade che a un Le Pen, cioè più a una miscela di [[Umberto Bossi|Bossi]] e di Giannini che a un [[Pino Rauti]]. Ciò che mi allarma è l'incapacità dell'Europa a riflettere sulle sue proprie esperienze a trarne qualche insegnamento. Questo, sì, mi fa paura. (3 febbraio 2000) *Li conosco e riconosco, quei regimi {{NDR|di dittatura e di censura}}. Ne avverto il passo anche di lontano, e convengo che in Italia il pericolo di vederne arrivare qualcuno c'è. Ma sa quando si realizzerà? L'anno venturo, dopo la vittoria – che io do per certa – del Polo alle Politiche. Vedrà. La prima cosa che farà Berlusconi, come la fece nel '94, sarà di spazzare via l'attuale dirigenza Rai per omologarne le tre Reti a quelle sue. (26 febbraio 2000) *Quando s'accendono i [[Morte sul rogo|roghi]], mettiti dalla parte della strega, anche a costo di bruciare con lei. ([https://www.corriere.it/solferino/montanelli/00-05-31/02.spm 31 maggio 2000]) *Una Giustizia che per istruire un processo impiega sei o sette anni e poi non riesce a chiuderlo con una sentenza che non si presti a rimetterlo, con qualche marchingegno, in gioco, è un meccanismo di cui bisogna assolutamente rivedere e rifare gl'ingranaggi: «Giustizia ritardata – dice [[Montesquieu]] – è Giustizia negata». ([http://www.corriere.it/solferino/montanelli/00-06-07/01.spm 7 giugno 2000]) *Il [[revisionismo]] è la materia prima della [[storiografia]] che, senza di esso, sarebbe una disciplina morta. ([http://www.corriere.it/solferino/montanelli/00-06-16/01.spm 16 giugno 2000]) *Il mio giudizio su [[Baltasar Garzón|Garzón]] resta quello di prima, solo un po' rinforzato: un garzoncello smanioso soltanto di leggere il proprio nome sulle prime pagine di tutti i giornali e di vedere la propria effigie sugli schermi televisivi di tutto il mondo: il che rafforza la mia ipotesi che si tratti di un italiano nato per sbaglio in Spagna. ([http://www.corriere.it/solferino/montanelli/00-06-30/01.spm 30 giugno 2000]) *La pena di morte americana esiste e resiste in America perché fu un elemento base e costitutivo della sua nascita e sviluppo. Dei famosi 102 «Padri Pellegrini» che per primi sbarcarono dal «Mayflower» in quel Continente non per saccheggiare le ricchezze come facevano spagnoli e portoghesi in Messico e nell'America del Sud, ma per costruirvi una società nuova e libera, circa i due terzi erano avanzi di galera che fuggivano la Giustizia e le prigioni dell'Europa, e un terzo erano uomini che cercavano la libertà, e soprattutto quella religiosa. I primi avevano in tasca la pistola, i secondi la Bibbia, ma nella sua versione calvinista quella del taglione, basata sulla concezione di un Dio giustiziere che esige la morte di chi senza giusto motivo la dà. (9 luglio 2000) *A Rimini, cioè in casa propria (ma anche nostra, almeno per il momento), questi signorini {{NDR|di [[Comunione e Liberazione]]}} non hanno fatto altro che fischiare tutto ciò che è italiano, acclamare al nuovo beato [[Pio IX]], il Papa-Re che pretendeva di impedire il processo di unificazione nazionale, ed esaltare come i veri eroi del risorgimento i Borboni e i briganti del Cardinale Ruffo. A lei, tutto questo va bene? A me, dà il vomito. ([http://www.corriere.it/solferino/montanelli/00-09-13/02.spm 13 settembre 2000]). *Il mio parere è rimasto quello che espressi sul mio ''Giornale'' l'indomani del fattaccio {{NDR|l'[[agguato di via Fani]]}}. «Se lo Stato, piegandosi al ricatto, tratta con la violenza che ha già lasciato sul selciato i cinque cadaveri della scorta, in tal modo riconoscendo il crimine come suo legittimo interlocutore, non ha più ragione, come Stato, di esistere». Questa fu la posizione che prendemmo sin dal primo giorno e che per fortuna trovò in Parlamento due patroni risoluti (il Pci di [[Enrico Berlinguer|Berlinguer]] e il Pri di [[Ugo La Malfa|La Malfa]]) e uno riluttante fra lacrime e singhiozzi (la Dc del moroteo [[Benigno Zaccagnini|Zaccagnini]]). Fu questa la «trama» che condusse al tentennante «no» dello Stato, alla conseguente morte di Moro, ma poco dopo anche alla resa delle Brigate rosse. Delle chiacchiere e sospetti che vi sono stati ricamati intorno, e che ogni tanto tuttora affiorano, non è stato mai portato uno straccio di prova, e sono soltanto il frutto del mammismo piagnone di questo popolo imbelle, incapace perfino di concepire che uno Stato possa reagire, a chi ne offende la legge, da Stato. ([http://www.corriere.it/solferino/montanelli/00-09-22/03.spm 22 settembre 2000]) *La Serbia ha perduto la guerra e ha vinto la pace: ora deve voltar pagina. Sarà la storia – un giudice non imparziale, ma efficace – a decidere cos'è stato giusto e cos'è stato sbagliato. Tuttavia, una ritorsione serba verso l'Occidente avverrà. E ci troverà disarmati. Sa di cosa parlo? Delle rivendicazioni sul Kosovo, che è amministrato dalla Nazioni Unite ma è ancora Jugoslavia (lo dice la risoluzione dell'Onu). I serbi chiederanno di tornare a controllarne le frontiere, per esempio. E dire no a un Kostunica buono è più difficile che dire sì a un Milosevic cattivo. Gli albanesi del Kosovo, sono certo, lo hanno già capito. ([http://www.corriere.it/solferino/montanelli/00-10-08/01.spm 8 ottobre 2000]) *È un dimenticato, [[Ugo Ojetti|Ojetti]], come in questo Paese lo sono quasi tutti coloro che valgono. Se io dirigessi una scuola di giornalismo, renderei obbligatori per i miei allievi i testi di tre Maestri: [[Luigi Barzini (1908-1984)|Barzini]], per il grande reportage; [[Benito Mussolini|Mussolini]] (non trasalire!), quello dell'''Avanti!'' e del primo ''Popolo d'Italia'', per l'editoriale politico; e Ojetti, per il ritratto e l'articolo di arte e di cultura. ([http://www.corriere.it/solferino/montanelli/00-11-13/01.spm 13 novembre 2000]) *In Italia fu il potere temporale a soffocare negl'italiani la voce della coscienza e a spegnere in loro ogni senso di responsabilità. Ma fu la Controriforma a fornire al prete le armi per accaparrarsi l'una e l'altra: il Sant'Uffizio, le scomuniche e, nei casi estremi, il patibolo. Con questo risultato: l'aborto del «cittadino» e la trasformazione di quello che avrebbe dovuto e potuto diventare un «popolo» in un gregge (come con inconsapevole spudoratezza i preti lo chiamano), e in un gregge di pecore indisciplinate che credono di affermare il loro ribelle individualismo non rispettando il semaforo rosso. ([http://www.corriere.it/solferino/montanelli/00-11-20/01.spm 20 novembre 2000]) *{{NDR|Su [[Slobodan Milošević]]}} Oltre che un despota, lo ritengo anche un satrapo della razza dei [[Nicolae Ceaușescu|Ceausescu]], avido non solo di potere, ma anche di denaro, e credo che la sorte che si merita sia un bel plotone di esecuzione. Purché composto da serbi, al comando di un serbo, e in esecuzione di una sentenza emessa da un tribunale serbo e motivata non tanto da generici crimini contro l'umanità, che sono sempre – salvo casi di monumenti all'orrore come l'[[Olocausto]] – oggetto di discussione e dissensi; ma dal più grande e imperdonabile delitto di cui Milosevic si è macchiato nei confronti non soltanto dei serbi: la distruzione della Nazione Jugoslava, che la Monarchia serba aveva fondato dopo la prima guerra mondiale; che il croato [[Josip Broz Tito|Tito]] aveva difeso coi denti e restaurato dopo la seconda, dando alla Balcania un esempio e un puntello di stabilità; e che Milosevic e il suo compare croato [[Franjo Tuđman|Tudjman]] distrussero per poter restare ciascuno padrone in casa sua; e sulle cui macerie si scatenarono tutte le violenze (Bosnia, [[Kosovo]]) che hanno insanguinato e continuano a insanguinare quel povero Paese. ([http://www.corriere.it/solferino/montanelli/01-04-29/01.spm 29 aprile 2001]) *Questo mondo materialista, edonista ed esibizionista non entusiasma neanche me; e, visto che mi legge, dovrebbe saperlo. Ma vorrei conoscere il sistema che voi avete in mente, e non avete il coraggio, o la capacità, di proporre. Un mondo francescano? Bello: ma guardatevi intorno, e ditemi se vedete un saio. Un comunismo riveduto e corretto? Farebbe la fine dell'altro, anche se non riuscirà a ripeterne i disastri. Mi creda, G.: l'unico sistema sociale ed economico oggi accettabile, in Occidente, è quello basato sul mercato: un capitalismo controllato e temperato, per intenderci. È auspicabile che sia anche corretto: e questo non sempre accade, è vero. Il guaio è che il capitalismo è fatto dai capitalisti – e quelli, devo ammettere, sono spesso difficili da digerire. Non cerchi di confondermi le idee, quindi. Non ci riuscirà. Probabilmente ho tre volte i suoi anni, e ho visto dove conducono queste generiche tirate contro «le multinazionali»: prima o poi, qualcuno deporrà la spranga e prenderà la pistola. Dimenticavo: io firmo le mie opinioni, lei tira il sasso e nasconde la mano. Tutti coraggiosi così, voi ragazzi di Seattle? ([http://www.corriere.it/solferino/montanelli/01-06-09/01.spm 9 giugno 2001]) *Non erano, le mie, parole di circostanza. Erano – e rimangono – quelle di un conservatore abbastanza spassionato e nutrito di Storia da capire che non c'è, per la conservazione di ciò che va conservato, nemico più mortale dei conservatori che vogliono conservare tutto; e che un sistema capitalistico senza un correttivo socialista diventa una jungla che conduce pari pari a [[Karl Marx|Carlo Marx]]. Di qui il mio amore per uno dei personaggi meno amabili, sul piano umano, della nostra Storia, [[Giovanni Giolitti|Giolitti]], che sempre cercò l'accordo con [[Filippo Turati|Turati]], a cui il cretinume massimalista – che nel vostro partito ha sempre dominato – lo impedì. Il vedervi – sbriciolati in gruppi, gruppetti e gruppuscoli – annaspare nell'attuale centro-sinistra in cui nessuno riesce a recitare la parte di se stesso, fa male al cuore di un vecchio autentico liberal-conservatore come me. Cosa aspettate, caro Tamburrano, a ridarci il socialismo, ma che sia quello e quello solo: ''il'' socialismo di Turati e di Massarenti? [...] Credo che come forza politica siate abbastanza mal messi. Ma in compenso avete in mano una grande bandiera che prima o poi un esercito la ritroverà. Arrivederci, al primo settembre, cari lettori. ([http://www.corriere.it/solferino/montanelli/01-07-04/01.spm?refresh_ce-cp 4 luglio 2001]) ===''il Giornale''=== <!--ordine cronologico--> *Chi sarà il nostro lettore noi non lo sappiamo perché non siamo un giornale di parte, e tanto meno di partito, e nemmeno di classi o di ceti. In compenso, sappiamo benissimo chi non lo sarà. Non lo sarà chi dal giornale vuole soltanto la «sensazione» [...] Non lo sarà chi crede che un gol di Riva sia più importante di una crisi di governo. E infine non lo sarà chi concepisce il giornale come una fonte inesauribile di scandali fine a se stessi. Di scandali purtroppo la vita del nostro Paese è gremita, e noi non mancheremo di denunciarli con quella franchezza di cui crediamo che i nostri nomi bastino a fornire garanzia. Ma non lo faremo per metterci al rimorchio di quella insensata e cupa frenesia di dissoluzione in cui si sfoga un certo qualunquismo, non importa se di destra o di sinistra. [...] Vogliamo creare, o ricreare un certo costume giornalistico di serietà e di rigore. E soprattutto aspiriamo al grande onore di venire riconosciuti come il volto e la voce di quell'Italia laboriosa e produttiva che non è soltanto Milano e la Lombardia, ma che in Milano e nella Lombardia ha la sua roccaforte e la sua guida. [...] A questo lettore non abbiamo «messaggi» da lanciare. Una cosa sola vogliamo dirgli: questo giornale non ha padroni perché nemmeno noi lo siamo. Tu solo, lettore, puoi esserlo, se lo vuoi. Noi te l'offriamo. (25 giugno 1974) *Checché ne dicano gli agiografi della Resistenza, la guerra l'abbiamo persa, e c'è un conto da pagare. Che l'Italia lo saldi a spese dei suoi figli minori – i Dalmati e gli Istriani – è un ghigno del destino. Ma in compenso può considerarsi miracolata. Quando si pensa a cosa ha pagato la sua sconfitta la Germania, amputata d'intere province e dimezzata in due nazioni diverse e ostili, e quando si pensa a cosa ha pagato l'Inghilterra, precipitata dalla condizione di massimo impero mondiale a quella di piccola isola alla periferia d'Europa; non possiamo lamentarci del trattamento che gli alleati ci fecero. (30 settembre 1975) *Siamo stati accusati di aver fatto, nei confronti dei comunisti, il processo alle intenzioni. Non vediamo su cos'altro avremmo dovuto giudicarli, visto che sono sempre rimasti all'opposizione, ed è di lì che ancora si affannano a dire che cosa si propongono di fare se andassero al potere, anzi quando andranno al potere (perché ormai lo danno per scontato). E cosa sono, queste, se non intenzioni? (19 giugno 1976) *Che cerchino di eliminarmi perché sono un avversario, questo lo posso anche capire; ma perché – a quanto mi riferiscono – hanno detto che io sono un servo delle [[Multinazionale|multinazionali]], allora questo sta a dimostrare la confusione di idee di questi poveretti che, evidentemente, non sanno cosa sono le multinazionali. (3 giugno 1977) *I giuochi sono fatti. E sono fatti non soltanto per [[Aldo Moro|Moro]], cui va tutta la nostra più fraterna e rispettiva pietà. Sono fatti anche per una politica da ''belle époque'', che la distruzione – fisica o morale – di Moro chiude e conclude. La Storia sta riprendendo i suoi connotati di tragedia, e costringe coloro che la fanno, o ambiscono o s'illudono di farla, ad adeguarsi al repertorio. Stiamo entrando in una di quelle «età di ferro» in cui il potere si paga, o si può pagarlo col ferro. Nessuno è obbligato a sfidare questo rischio. Chi lo fa, sappia che oggi è toccato a Moro, domani può toccare a lui. Solo se si rende conto di questo e lo accetta, la classe politica troverà la forza di archiviare il caso Moro. Ed è tempo che lo faccia. (7 maggio 1978) *Quattr'anni e mezzo orsono, quando questo giornale nacque, un «ragazzo del '68» (con tante scuse a quelli veri, del '99), [[Mario Capanna]], oggi gerarchetto regionale (che belle carriere, questi rivoluzionari!), dichiarò che, come nemici del «pubblico» e del «sociale» e come assertori del «privato», e quindi della reazione, noi saremmo diventati il più bel museo della città, dove babbi e mamme avrebbero potuto condurre in gita ricreativa i loro figlioletti per mostrargli, dal vivo, com'erano buffi i loro nonni e bisnonni: noi. Bene. Se il vento seguita a soffiare come soffia, saremo noi che di qui a un po' condurremo i nostri figlioletti dal signor Capanna per mostrargli com'erano buffi i loro nonni e bisnonni di dieci anni fa. Ma non lo faremo. Lo spettacolo di questi ragazzi-prodigio abortiti, di questi barricadieri con pancia e cellulite che credevano di camminare con la Storia, e invece camminavano solo con la moda, non ha nulla di edificante. (16 gennaio 1979) *In una sua memorabile inchiesta un giornalista d'incrollabile fede sinistrorsa, ma di esemplare onestà, [[Giampaolo Pansa]], mise benissimo in luce questo contrasto fra i due atteggiamenti e mentalità, che ieri ha trovato una eloquente conferma nella manifestazione di Torino. Niente chiasso, niente sceneggiate, niente slogans, niente insomma che appartenga al repertorio del buffonismo nazionale. Nessuno ha rotto le righe per andare a rovesciare auto o a fracassar vetrine. Questa, sì, era Danzica, sia pure senza Madonne; non i picchettaggi e i pestaggi di Mirafiori, sia pure con le Madonne. Ora sappiamo già cosa diranno gli altri, oggi e domani. Diranno che gli operai non c'erano. Infatti. Doveva trattarsi di quarantamila presidenti, consiglieri delegati, ingegneri: insomma, la solita «[[maggioranza silenziosa]]»: termine che soltanto nella lingua italiana ha significato spregiativo. La maggioranza silenziosa esiste in tutti i Paesi del mondo, dove nessuno si vergogna di appartenervi perché è essa, in definitiva, che ristabilisce gli equilibri. Fu la maggioranza silenziosa – autoqualificatasi come tale – di seicentomila parigini che dodici anni fa pose fine al carnevale sessantottesco, riportò [[Charles de Gaulle|De Gaulle]] all'Eliseo e restituì alla Francia la stabilità di cui tuttora essa gode. [...] Il motivo vero che farà i dimostranti bersaglio delle peggiori critiche e accuse è ch'essi rappresentano la rivolta delle persone serie contro gli arruffoni della «conflittualità permanente», dei «modelli di sviluppo» e via baggianando. E in questo Paese nulla fa più paura, perché nulla è più rivoluzionario, della serietà. (15 ottobre 1980) *[[Anwar al-Sadat|Sadat]] non era popolare. Gli mancava quel tocco di magia, o di cialtronismo, che consentiva a [[Gamal Abd el-Nasser|Nasser]] di bandire guerre come crociate e di annunciare disfatte come trionfi. [...] Sadat amava il popolo, il popolo contadino del profondo Sud nubiano, di cui era egli stesso originario. Ma non amava le masse, e le masse lo sentivano. [...] Sapeva, quando andò a Gerusalemme, di lanciare a quelle arabe una sfida più pericolosa di quella che lanciava a Begin. [...] Ma all'impopolarità di Sadat contribuiva anche un altro elemento: il fatto di essere un vero riformatore. [...] [[Mohammad Reza Pahlavi|Rehza Pahlevi]] volle applicare gli stessi metodi di [[Mustafa Kemal Atatürk|Atatürk]] senz'averne l'autorità e il prestigio, e per questo lo cacciarono. Ma dopo due anni di [[Ruhollah Khomeyni|Khomeini]], anche i più ciechi e idioti fra i progressisti occidentali, che ne avevano salutato l'avvento come quello del Redentore, si saranno accorti che il progresso, sia pure a forza di polizia segreta e di plotoni di esecuzione, era lo Scià. L'''ayatollah'' è il medioevo. Sadat non seguì i metodi satrapeschi del suo amico Pahlevi, ma ne condivise i fini. [...] Il Rais che ha restituito all'Egitto l'integrità territoriale, l'indipendenza politica, il prestigio militare e il rilancio della sua più proficua industria, il canale di Suez, è giusto che susciti meno rimpianto di chi tutto questo all'Egitto fece perdere. Nasser era un «personaggio», Sadat una «personalità». Il personaggio fa colore e diverte, la personalità incute rispetto e disturba. (9 ottobre 1981) *Nessuna parentela, né vicina né lontana, con l'altro grande d'Israele, [[David Ben Gurion|Ben Gurion]], il Fondatore. [...] {{NDR|David Ben Gurion}} Faceva tutto a caldo, anche la guerra. [[Menachem Begin|Begin]] fa tutto a freddo: anche l'amore, credo, ammesso che lo faccia. Non riuscì a commuoverlo nemmeno [[Anwar al-Sadat|Sadat]], quando gli piombò, da nemico tuttora belligerante, a Gerusalemme, per chiedergli la pace. Il mondo, che vide in televisione la scena, quel giorno fu tutto per l'egiziano che, per la pace, firmava la propria condanna a morte, contro l'israeliano che lo accoglieva senza un sorriso e con visibile fastidio. [...] È l'uomo che non ha esitato un istante [...] a distruggere in pochi minuti tutto l'armamento corazzato, aereo e missilistico siriano sotto l'occhio stupefatto degli osservatori e «consiglieri» russi che lo avevano fornito. È l'uomo che ha messo alla porta l'ambasciatore di Mosca respingendone la nota di protesta addirittura con disprezzo, come se fosse stato lui la Grande Potenza che parlava a un subalterno. È l'uomo che ha picchiato i pugni sul tavolo di [[Ronald Reagan|Reagan]], e a un certo punto aveva rotto anche con lui. Se avesse perso, sarebbe finito al muro e passato ai posteri come il distruttore d'Israele. Ma ha vinto. E la Storia, iscrivendolo nei suoi registri come «Il Salvatore», dirà che solo un uomo come lui, «antipatico» come lui, e come lui disposto anche a scatenare un'altra ondata di antisemitismo, poteva vincere. E avrà ragione di dirlo. Perché è così. Alla fine lo diranno, vedrete, anche gli antisemiti. E forse perfino i semiti. (27 agosto 1982) *L'idea che domani potremmo incontrare per strada, a piede libero e magari oggetti di compassione, gli assassini di [[Walter Tobagi]], ci riempie, più che di furore, di orrore. [...] Avevano scelto lui non per la sua tessera socialista, ma perché era una di quelle prede più facili: indifeso e abitudinario, e quindi bersaglio di facilissima mira, quasi da fermo. Tutto qui il movente del delitto: tutto nella fregola di protagonismo di due coccolatissimi giovanotti della Milano bene che giuocavano a fare i terroristi. [...] Che ora dobbiamo prendere per vero il loro pentimento e assolverli, ci rivolta lo stomaco. Ma è la legge: iniqua, infame, infamante. Ma è la legge. Noi stessi l'abbiamo auspicata e voluta. Il magistrato deve applicarla. E noi [...] accettarla. Ma una cosa reclamiamo, e ci spetta: di essere liberati dall'incubo d'incontrare questi figuri per strada per non veder riflessa nei loro occhi la nostra vergogna di aver avuto bisogno di loro e di aver risposto al loro falso rimorso con un perdono altrettanto falso. Un Curcio, se tornasse in circolazione, ci farebbe forse più paura, ma meno, anzi punto disgusto. [...] Ma i Barbone e i Morandini non li vogliamo tra i piedi. Se ne vadano. E soprattutto ci risparmino memoriali. La speranza di farci dimenticare i loro delitti, gliela passiamo. La pretesa di camparci sopra, no. (29 novembre 1983) *Per i falchi del Pci, [[Enrico Berlinguer|Berlinguer]] era ormai un personaggio scomodo e pericoloso, specie da quando aveva cominciato ad allentare gli ormeggi che lo legavano a Mosca. Gli era perfino scappato di dire (a [[Giampaolo Pansa|Pansa]]) che voleva per l'Italia un regime comunista, ma sotto l'ombrello della Nato che la tenesse al riparo dalle soperchierie del padrone sovietico: la più grave e blasfema di tutte le eresie in cui un capo comunista possa incorrere. (12 giugno 1984) *Se fino a che punto i piduisti – a parte il manipolatore Gelli, e forse qualche altro – fossero un branco di delinquenti golpisti, non siamo riusciti a capirlo. Abbiamo capito soltanto che gran parte di essi occupavano, forse grazie alla P2, posizioni di rilievo, e quindi parecchio ambite, ma ambite anche da molte persone che, per il fatto di non appartenere alla P2, avevano ora, grazie anch'esse alla P2, la possibilità di occuparle. Di fatti accertati e meno ancora di crimini provati, siamo andati invano alla ricerca delle 34.847 pagine della commissione. Vi abbiamo trovato soltanto ipotesi, illazioni, accostamenti di nomi e di episodi. Tutta roba che in mano a Le Carré poteva fruttare chissà quali affascinanti trame. In mano alla signorina [[Tina Anselmi|Anselmi]], resta cicaleccio di portineria. Ma questa è un'altra storia. (19 marzo 1985) *Quanto al moribondo [[Michele Sindona|Sindona]] [...] se fossi stato uno dei giudici popolari che l'altro giorno gli comminarono l'ergastolo, anche io avrei votato come loro pur sapendo che la mia endemica insonnia non ne avrebbe avuto giovamento. Comunque mi sembra che con questa fine, preceduta da quasi un decennio di rovine, umiliazioni, fughe e galere, egli abbia abbondantemente scontato, quali che siano, i suoi delitti. Che ora lo lascino riposare in pace e che pace sia all'anima sua. (22 marzo 1986) *I dieci giorni che sconvolsero il mondo furono in realtà dieci ore: quante ne bastarono alle poche «guardie rosse» reclutate in fretta e furia dai bolscevichi per occupare, senza nessuna resistenza, la Centrale delle poste e telefoni, la stazione ferroviaria, la Banca di Stato, e per spostare l'incrociatore ''Aurora'' di fronte al palazzo d'Inverno, dove ancora si trova, cimelio e monumento al fatidico evento, e dove il governo sedeva [...]. Non fu un assalto. Fu una «retata». L'''Aurora'' non sparò che una dozzina di colpi, di cui solo tre andarono a segno. In tutto, la conquista di questa Bastiglia russa costò, da ambo le parti, un morto, anzi una morta – perché fu una soldatessa che, pare, si suicidò – e diciotto feriti. Il [[Rivoluzione russa|Fasto]] [...] è un falso in atto pubblico. Si dirà che una rivoluzione non si misura dal numero dei morti. Certo: l'abbiamo detto anche noi. La rivoluzione poi venne, e che rivoluzione! Ma venne dall'alto, e per mano di despoti che di morti ne fecero in pochi anni più di quanti lo zarismo ne avesse fatti in secoli. (6 novembre 1987) *Tutto pensavo che potesse capitarmi, fuorché di essere un giorno tentato di spendere qualche parola, per poco che valga, in difesa di Togliatti. [...] Un processo a Togliatti per stalinismo, se glielo intentano i socialisti, che nell'era dello Stalinismo gli fecero da mosca cocchiera, è una burletta. Se lo intentano i comunisti – come sembra che qualcuno di loro voglia fare –, oltre che oltraggio al pudore, diventa quiescenza alla voce del nuovo padrone, cioè stalinismo della più brutt'acqua, anzi una parodia dello Stalinismo. Per la caccia alle streghe, anche dello Stalinismo, ci vogliono degli stalinisti doc, qual era Togliatti. Non è roba da dilettanti, quali sono i suoi pallidi epigoni. (3 marzo 1988) *La fine del Muro è una cosa buona, la fine di una vergogna: non possiamo che salutarla con soddisfazione. Ma guardiamoci dal prendere abbaglio sui suoi moventi. Ulbricht concepì e Honecker realizzò il muro per impedire che i tedeschi dell'Est fuggissero in massa nella Germania dell'Ovest: già 9 (diconsi nove) milioni lo avevano fatto fin allora. E il rimedio fu, come tutti quelli che escogitano nei regimi totalitari, drastico e semplicistico: murare viva la gente dietro una colata di cemento, senza pertugi. [...] Abbiamo in uggia le astrazioni. Ma ciò che distingueva le due Germanie è l'idea morale e giuridica dell'uomo: che a Ovest è padrone di se stesso, e quindi può andarsene dove vuole: ad Est è proprietà dello Stato che ne regola i movimenti. Per chi non ricorda questo, il [[Muro di Berlino]] era, oltre che barbaro, incomprensibile e irrazionale: mentre invece ha obbedito a una sua logica. Nel momento in cui il bunker si affloscia e sopravvive come mero ammasso di cemento ricordandoci un altro bunker, quello che fece da fossa di [[Adolf Hitler|Hitler]] (anche questo pare impossibile: ma i regimi in Germania muoiono nei bunker), il Muro va ricordato per ciò che è stato: non un'aberrazione del comunismo, ma una sua conseguente applicazione. E se crolla così, nel silenzio assordante di un giornale-radio, è perché è crollata, prima, l'ideologia che lo aveva eretto. (11 novembre 1989) *Negli anni Trenta, per le strade di Berlino, risuonava il grido: ''ein Volk, ein Reich, ein Führer'': un popolo, uno Stato, un capo. Stavolta si sono contentati di scandire ''ein Volk, ein Reich''. Non potevano aggiungere, checché ne dica il sig. Ridley, ''ein Kohl'', che fra l'altro significa «cavolo». Ma {{NDR|ai tedeschi}} per diventare i padroni dell'Europa anche un cavolo gli basta. (3 ottobre 1990) *Abbiamo fatto poco: il poco che il Paese dei [[Roberto Formigoni|Formigoni]], dei Cristofori, degli Sbardella, dei [[Ernesto Balducci|Balducci]], dei [[Antonio Bello|vescovi di Molfetta]] poteva fare. Non lamentiamoci se il posto che ci verrà assegnato nel ristabilimento dell'ordine internazionale sarà nell'anticamera, non nella camera dei bottoni. Però sia chiara una cosa: che a gridare «Viva la pace!» siamo qualificati oggi soltanto noi che abbiamo auspicato la guerra contro chi la pace l'aveva turbata e, se lo si lasciava fare (non è un ipotesi, è una constatazione), avrebbe continuato a turbarla in un crescendo di colpi e di aggressioni. (1º marzo 1991) *I voti dei democristiani novaresi non sono andati al partito; sono andati a [[Oscar Luigi Scalfaro|Scalfaro]], democristiano talmente anomalo, che si permette persino di credere in Dio. [...] Il vecchio magistrato conosce il suo mestiere, e sa benissimo di operare in un Paese in cui la mamma dei Casson è sempre incinta. In nome della Legge, le leggi le farà funzionare. Insomma siamo sicuri che starà in Quirinale come un italiano deve starci: da straniero. Unico pericolo: le prediche. Anche [[Luigi Einaudi|Einaudi]] le faceva. Ma le chiamava «inutili». (26 maggio 1992) *Da dove siano venuti tutti i «no» non lo sapremo mai con precisione, ma una cosa è certa. Questo è il colpo di grazia al sistema dei partiti e della classe politica che lo rappresenta, e un colpo durissimo all'immagine del Paese pronto a fare pulizia che l'Italia si stava faticosamente costruendo all'estero. Senza giovare nemmeno a [[Bettino Craxi|Craxi]], che non potrà certo ricostruire la sua carriera sulla votazione di ieri, anzi. Se c'è ancora qualcuno che dubita sulla necessità di un pubblico processo, non solo a lui, ma a tutta la corte di faccendieri che lo circondava, alzi la mano, o meglio nasconda la faccia. (30 aprile 1993) *Questo è l'ultimo articolo che compare a mia firma sul giornale da me fondato e diretto per vent'anni. Per vent'anni esso è stato – i miei compagni di lavoro possono testimoniarlo – la mia passione, il mio orgoglio, il mio tormento, la mia vita. Ma ciò che provo a lasciarlo riguarda solo me: i toni patetici non sono nelle mie corde e nulla mi riesce più insopportabile del piagnisteo. [...] A presto dunque, cari lettori. Anche a costo di ridurlo, per i primi numeri, a poche pagine, riavrete il nostro e vostro giornale. Si chiamerà ''La Voce''. In ricordo non di quella di [[Frank Sinatra|Sinatra]]. Ma di quella del mio vecchio maestro – maestro soprattutto di libertà e indipendenza – [[Giuseppe Prezzolini|Prezzolini]]. (12 gennaio 1994) {{Int|''Rituale barbarico''|Articolo su ''il Giornale nuovo'', 10 maggio 1978.|h=4}} *La fine di [[Aldo Moro]] ci rende sgomenti, il fanatismo di chi lo ha ucciso lentamente, togliendogli la speranza prima di toglierli la vita, ci riempie di orrore. Speriamo ancora che la tracotanza dei criminali sia un giorno punita. L'importante, adesso, è che il Paese, proprio per rendere omaggio a Moro, e proprio in memoria di lui, sappia trarre da questa tragedia l'amara lezione che essa comporta. La democrazia non deve, anzi non può essere debole. La libertà, che la rende superiore a qualsiasi altro regime, ma anche più vulnerabile, non va conclusa con la indulgenza verso i nemici, la imprevidenza, la leggerezza. *Lo Stato italiano ha superato con onore questa prova difficile, ma la magistratura e gli organi di polizia hanno denunciato, nella loro azione, una desolante inefficienza, che ha permesso alle brigate rosse di operare con irridente spavalderia. Ne va data colpa non tanto alle forze dell'ordine quanto a chi ha voluto, per demagogia, per compiacere le sinistre, per acquistare facile popolarità, smobilitare i servizi segreti, rimuovere i funzionari più ligi al dovere, trasformare le carceri in alloggi con libera uscita quotidiana. Gli eversori della democrazia, i contestatori della legalità hanno potuto predicare e demolire senza ostacoli. Ci auguriamo di non vederli ora associati ipocritamente al compianto per un delitto del quale sono, ideologicamente se non materialmente, corresponsabili. Le loro non erano soltanto parole. Un giovane sfracellato da un ordigno sulla ferrovia Trapani-Palermo – l'episodio è di ieri – apparteneva a Democrazia proletaria. I banditi che hanno assalito a Bologna un grande magazzino venivano dal Movimento studentesco. È inutile che questi gruppi ostentino adesso costernazione e stupore per le belluine imprese delle brigate rosse. Il terrorismo è figlio loro. *All'annuncio della fine di Aldo Moro i sindacati si sono mossi, hanno indetto manifestazioni e proclamato uno sciopero generale. Siamo certi della loro profonda esecrazione, e della loro sincera partecipazione al cordoglio nazionale. Pensiamo tuttavia che i lavoratori e i loro rappresentanti darebbero un apporto più costruttivo alla lotta contro i terroristi tenendo d'occhio gli estremisti delle fabbriche, troppe volte protetti e difesi. Così pure gli studenti «impegnati», se proprio vogliono dissociarsi dalle brigate rosse, devono estromettere dalle loro file gli agitatori deliranti, e dinamitardi che nascondono bottiglie molotov e armi negli scantinati delle facoltà. Chi ha chiuso gli occhi di fronte alla ''escalation'' di violenza degli anni scorsi, li chiuda oggi per non lasciar scorrere lagrime di coccodrillo. {{Int|''Poveri morti poveri vivi''|Articolo su ''il Giornale'', 31 maggio 1985.|h=4}} *L'[[Inghilterra]] non sono i forsennati che abbiamo visto all'opera nello stadio di Bruxelles. L'Inghilterra sono la [[Margaret Thatcher|Thatcher]], i politici, i commentatori di stampa, radio e televisione, la gente intervistata per strada, che hanno confessato la loro vergogna a una voce, con una sola stecca: quella del ministro dello Sport che con le sue dichiarazioni si è messo sullo stesso piano degl'imbestialiti. Comunque, Dio ci guardi ora dai soliti sproloqui e dibattiti dei sociologi sui motivi di «tifo» e sui mezzi d'impedirne gli eccessi. Non ce ne sono, se non nel controllo che ognuno può e deve esercitare su di sé. *La strega non è il «tifo» che dallo sport è inseparabile. E non siamo nemmeno noi, come vogliono i cantautori del «siamo tutti colpevoli» che ieri giornali e radio hanno intitolato. Perché, se di qualcosa siamo colpevoli, è di aver sempre secondato la corruttrice e demagogica tendenza a scaricare l'individuo di ogni responsabilità, rigettandola regolarmente e interamente sulla società. È la società che ci obbliga a rubare, è la società che ci obbliga ad uccidere. E si capisce che quando si offrono alla gente di questi alibi, c'è sempre qualcuno che ne approfitta. Stamane leggevo su un giornale francese un dotto articolo in cui si spiegava che la furia dei tifosi del [[Liverpool Football Club|Liverpool]] era dovuta al fatto che, essendo quasi tutti minatori, per un anno erano rimasti senza lavoro a causa dello sciopero: il che gli aveva fatto accumulare la rabbia che poi era scoppiata a Bruxelles. Insomma, senza dirlo, l'articolo induceva alla conclusione che il vero responsabile del massacro era la signora Thatcher. Ecco in che senso siamo tutti colpevoli. Siamo colpevoli di assolvere tutti come vittime innocenti di una società iniqua che, a furia di essere tutti noi, non è nessuno. È un giuoco a cui non ci stiamo. I responsabili di Bruxelles sappiamo chi sono: sono i delinquenti che abbiamo visto avventarsi, prima che la partita cominciasse, e quindi senza alcuna provocazione, contro i tifosi italiani con sbarre e coltelli di cui erano accorsi armati, con l'evidente intenzione di farne l'uso che ne hanno fatto. Delinquenti, non vittime. La società non c'entra, non c'entrano le miniere. Casomai l'alcol. Ma ne avevano ingerito per delinquere meglio. Speriamo che la polizia li identifichi e li consegni a quella inglese. Della quale possiamo fidarci. {{Int|''I rieccoli''|Articolo su ''il Giornale'', 20 gennaio 1990.|h=4}} *Scorrendo le cronache delle agitazioni studentesche di questi giorni avevo avuto per un momento l'impressione, o l'illusione, che esse si fondassero sui problemi concreti dell'università, e che fossero qualcosa di diverso, e di migliore della grottesca ubriacatura sessantottina. Ma quando giovedì sera, nella trasmissione televisiva ''Samarcanda'', è stato lanciato contro [[Mario Cervi]] il rituale e vile epiteto «fascista!» (e questo solo perché aveva mosso obiezioni agli sproloqui assembleari di Roma e di Palermo), ho capito che vent'anni dopo è come vent'anni prima. La protesta è un pretesto, il legittimo scontento diventa arma politica, gli appelli al dialogo si risolvono in volontà di sopraffazione, di discussione su ciò che nell'università deve essere cambiato sfocia in un attacco globale al governo, alla società, al sistema. L'unica connotazione sessantottina che ancora manca è la violenza fisica. Ma temo che non tarderà ad arrivare se chi dissente è bollato come fascista e chi governa (è capitato ad [[Giulio Andreotti|Andreotti]], a Palermo) come mafioso. *Quanto alla legge Ruberti, Cervi ha osservato che viene presa di mira perché consentirebbe un limitato ingresso dei privati nella gestione delle università: e al solo sentir parlare di «privato» – che le folle e i giovani dell'Est chiedono con slancio entusiastico – gli epigoni nostrani del [[marxismo-leninismo]] sono presi da convulsioni. [...] La legge Ruberti è passata in sott'ordine, il punto centrale del dibattito – o piuttosto della successione di sproloqui, intimazioni e insulti – è diventato il degrado di questa povera Italia privatizzata, che invece conoscerebbe fulgidi destini se fosse tutta pubblica e stabilizzata. Gli ''slogans'', le utopie, le bugie e le dissennatezze sessantottine o settantasettine riemergevano dalle pagine dei libri e dalla polvere degli archivi, per imitazione o per transfert generazionale. *Tirava aria romena o cecoslovacca in quelle assemblee: ma della Romania e della Cecoslovacchia di [[Nicolae Ceaușescu|Ceausescu]] e di Husak, con l'idolatria dello Stato, con gli applausi unanimi, con la riduzione al silenzio degli oppositori. S'è sentito, a proposito sempre di Cervi, il sinistro termine «provocazione» con cui tutti gli oppressori legittimano i loro soprusi. Qualcuno di quei ragazzi pretende che esistano parentele tra questo movimento e quelli dell'Est, dimenticando che là ci si batte, a rischio della pelle, per instaurare non il regime dello statalismo, ma al contrario per abbatterlo e introdurre o reintrodurre quello di iniziativa privata in tutti i campi, compreso quello della cultura e della scuola. Che siano diventati, gli studenti di Berlino, di Praga, di Bucarest, fascisti anche loro? ====''Controcorrente – rubrica''==== {{cronologico}} *La cosa che più ci turba, delle nostre sconfitte sportive, è il grande, alluvionale bisticcio che si scatena fra i «tecnici» per giustificarle. Per quella di Stoccarda, che ci ha eliminato dal campionato del mondo, ne avremo – temiamo – per tutta l'estate: se ne parlerà più che di Caporetto. Noi tecnici non siamo, ma abbiamo la nostra idea. È questa: che non si possono mandare dei polli di batteria a competere con quelli ruspanti. Resta da capire perché noialtri non sappiamo allevare che polli di batteria. Ma ci sembra che questo sia sufficientemente spiegato da un piccolo episodio occorso a Roma, dove un gruppo di tifosi ha creduto di «vendicare» i suoi campioni (si fa per dire) assalendo con pomodori e uova l'ambasciata di Polonia. Ecco. Per un paese in cui la «sana passione sportiva» si effonde in simili manifestazioni, quegli undici mammozzi dalle gambe molli sono fin troppo, e fin troppo misericordiose le disfatte che subiscono. (25 giugno 1974) *Noi, di [[Fascismo|fascismi]] ne conosciamo e ne esacriamo uno solo: quello di chi appiccica questa etichetta a qualunque idea o opinione che non corrisponde alle sue. Di questo giuoco, la nostra [[sinistra in Italia|sinistra]] è spesso maestra. Non per nulla lo stesso [[Benito Mussolini|Mussolini]] veniva dai suoi ranghi. (10 luglio 1974) *In una conferenza stampa a Nuova Delhi, [[Henry Kissinger]] ha dichiarato che verrà a Roma e andrà a pranzo dal presidente Leone, ma non parlerà di politica perché quella italiana è, per lui, troppo difficile da capire. È la prima volta che Kissinger riconosce i limiti della propria intelligenza. Ma vogliamo rassicurarlo. A non capire la politica italiana ci sono anche cinquantacinque milioni di italiani, compresi coloro che la fanno. (31 ottobre 1974) *[[Dario Fo]], poeta di corte dell'ultrasinistra, flagella nella sua ultima fatica teatrale il senatore [[Amintore Fanfani]], responsabile di ogni nequizia passata, presente e futura. I sarcasmi più grevi hanno però come bersaglio il metraggio del notabile democristiano che, come tutti sanno, non è quello di un granatiere. [[Henri de Toulouse-Lautrec|Toulouse-Lautrec]], che per gli stessi motivi dovette per tutta la vita subire analoghe canzonature, disse una volta, giocando sulla lunghezza del suo doppio casato: «Ho la statura del mio nome». Non sappiamo se questo discorso si possa applicare a Fanfani. Certo, si applica a Fo. (11 giugno 1975) *[[Winston Churchill|Churchill]] diceva che «i panni dei servizi segreti si possono, anzi si devono lavare più spesso degli altri; ma, a differenza degli altri, non si possono mettere ad asciugare alla finestra». Dello stesso parere era [[Stalin]] che regolarmente, ogni tre o quattro anni, il lavaggio lo praticava facendo accoppare al buio i capi della sua polizia, nel presupposto – probabilmente fondato – che a far quel mestiere non potevano essere che arnesi da forca, e quindi era giusto che ci finissero. Gli [[Stati Uniti d'America|americani]] seguono tutt'altro criterio. Essi hanno trascinato la ''[[Central Intelligence Agency|Cia]]'' in televisione denunciandone ''coram populo'' fatti e misfatti. I suoi capi ne hanno commessi, dicono, di grossi. Ma il più grosso è forse quello di non aver capito che l'America non li paga per svolgere servizi segreti, ma per offrire agli americani il pretesto per vergognarsene. È l'unico popolo che goda più nel pentimento che nel peccato. (28 novembre 1975) *Non sempre, per redigere questa piccola rubrica, occorre forzare la fantasia. Qualche volta basta lasciare la parola alle agenzie di stampa ufficiali. Eccone un caso. L'agenzia Adn Kronos comunica: «Due giorni di sciopero sono stati dichiarati dai sindacati postelegrafonici milanesi per il 28 gennaio e per il 6 febbraio per protesta contro gli scioperi e i disservizi». (25 gennaio 1976) *L'Unità ci rimprovera di aver pubblicato il manifesto degl'intellettuali in favore della libertà. E ha ragione. Si tratta infatti di una illecita concorrenza perché finora i manifesti, gli appelli, le «veglie» e tutto il resto sono stati monopolio del Pci, unico partito capace di far cantare la gente in coro. Ma appunto per questo non vediamo di che si preoccupi. Gl'[[intellettuale|intellettuali]] italiani che preferiscono aver ragione da soli piuttosto che torto con gli altri, sono pochi. I più seguono la massima di [[Paul-Jean Toulet|Toulet]]: «Quando i lupi urlano, urla con loro». (1º giugno 1976) *Ieri [[Mario Melloni|Fortebraccio]], dalle colonne dell'«[[l'Unità|Unità]]», ha invocato per noi, previa qualche iniezione, il ricovero immediato, e a titolo definitivo, in manicomio. La cosa non ci stupisce: sappiamo benissimo che di manicomi e di iniezioni nessuno s'intende più dei comunisti: chi c'è passato giura che ci hanno fatto una mano da maestri. Ci stupisce però che Fortebraccio lo abbia implicitamente – e un po' anzitempo – riconosciuto. Forse gli è scappata. Alla sua età, succede. (10 dicembre 1976) *Cadendo oggi il trigesimo della scomparsa di Pietro Valdoni, vogliamo rievocare un episodio del grande chirurgo. Come tutti ricorderanno, fu lui ad operare, salvandogli la vita, [[Palmiro Togliatti]], ferito alla testa dalla rivoltella di Pallante. Quando ricevette la parcella, Togliatti la trovò salata, e accompagnò il pagamento con queste parole: «Eccole il saldo, ma è denaro rubato». Valdoni rispose: «Grazie per l'assegno. La provenienza non mi interessa» (23 dicembre 1976) *«Dio non è un maschio» assicura alle femministe Civiltà Cattolica, l'autorevole rivista dei gesuiti, scusandosi «delle tracce di antifemminismo che ancora sono nella Chiesa». Brutto segno quando i teologi si mettono a discutere di sesso. Fu mentre i bizantini si accapigliavano su quello degli angeli che arrivarono i turchi. (21 giugno 1977) *Riferiscono le cronache che l'America è in subbuglio per la morte di [[Elvis Presley]]. Oltre centomila persone si sono riversate a Memphis, sua ultima dimora, due donne sono rimaste uccise nella calca che si stringeva intorno alle spoglie del cantante. Il sindaco ha fatto abbrunare le bandiere in tutta la città, il presidente [[Jimmy Carter|Carter]] è stato flagellato di proteste perché non aveva proclamato il lutto nazionale e uno gli ha gridato al microfono: «Noi americani dobbiamo più a Presley che a [[George Washington|Washington]] e a [[Abraham Lincoln|Lincoln]] sommati insieme». Anche noi italiani dobbiamo qualcosa a Presley: una delle rare occasioni in cui preferiamo essere italiani piuttosto che americani. (20 agosto 1977) *È in corso una iniziativa per l'abolizione, nelle aule scolastiche, della pedana su cui si eleva la cattedra. Il perché lo avrete già capito: l'insegnante deve mettersi, anche materialmente, a livello degli alunni per non lederne la dignità e dimostrare con l'esempio che siamo tutti uguali. Giusto. «La via dell'uguaglianza – dice Rivarol – si percorre solo in discesa: all'altezza dei somari è facilissimo instaurarla». (29 ottobre 1977) *Fra gli annunci economici di Lotta Continua, ne è comparso uno che dice: «Compero a L. 100.000 una tesi di laurea, anche già presentata, purché tratti un argomento attinente all'[[Inghilterra]], o alla lingua, storia, letteratura inglese. Meglio se con una impostazione femminista». Curioso. Questi grandi [[Rivoluzione|rivoluzionari]], che dicono di battersi per costruire una società nuova di zecca, quando si tratta di lauree, si contentano anche di quelle usate e di seconda mano. (3 marzo 1978) *Credevamo che l'assassinio di Aldo Moro, così come è stato eseguito, fosse il colmo dell'infamia. Abbiamo dovuto ricrederci. Al comizio di protesta svoltosi in piazza Duomo a Milano subito dopo la macabra scoperta in via Caetani a Roma, un gruppo di ultrà ha gridato: «Moro fascista!». Preferiamo le [[zanne]] delle belve alla [[bava]] degli [[Sciacallo|sciacalli]]. (10 maggio 1978) *Ecco il nostro telegramma di congratulazioni e auguri a Pertini: «Che Dio le conceda il coraggio, Presidente, di fare le cose che si possono e che si debbono fare; l'umiltà di rinunziare a quelle che si possono ma non si debbono, e a quelle che si debbono ma non si possono fare; e la saggezza di distinguere sempre le une dalle altre». (9 luglio 1978) *Dall'indagine svolta da uno dei più seri istituti di ricerche demografiche, lo svizzero Scope, risulta che la professione più ammirata e rispettata, nel mondo, è quella dei medici. I giornalisti sono al penultimo posto. Ce ne sentiremmo profondamente avviliti se all'ultimo non vedessimo catalogati gli editori. (29 novembre 1978) *Prima di partire per Vienna, il presidente {{NDR|degli Stati Uniti}} [[Jimmy Carter|Carter]] ha fatto due dichiarazioni. La prima: «Ci auguriamo che il signor Breznev {{NDR|allora presidente dell'Unione Sovietica e Primo Segretario del PCUS}} abbia per le nostre ragioni la stessa comprensione che noi abbiamo per le sue». La seconda: «Se Ted Kennedy si presenta contro di me alle elezioni presidenziali, gli faccio un c.o così» Il triviale [[Richard Nixon|Nixon]] avrebbe potuto dire le stesse cose, ma certamente ne avrebbe invertito l'ordine di priorità riservando la comprensione a Kennedy ed il c.o a Breznev. La differenza fra i due è tutta qui. (16 giugno 1979) *Avvicinandosi il 25 dicembre, decine di migliaia di teneri [[abete|abeti]] vengono strappati dai boschi della Penisola per allestire il tradizionale albero di Natale. Ogni anno lo scempio si ripete, tra la generale indifferenza. Soppresso l'Ente protezione animali, figuriamoci se qualcuno ha voglia di proteggere gli alberi. Diciamo la verità: la sola pianta che interessi all'[[italiano medio]] è la pianta stabile. (19 dicembre 1979) *Nel Manifesto di domenica scorsa tale K.S. Karol faceva considerazioni amare sulla rivoluzione cubana e sui suoi fallimenti: «[[Fidel Castro|Fidél]] – ha ricordato il commentatore, uno dei tanti orfani delle illusioni di sinistra – prometteva ai cubani per il 1965 un tenore di vita pari a quello svedese». Certo Fidél si è sbagliato di grosso; non per cattiva volontà, ma per mancanza di uomini, anzi di un uomo. Sarebbe bastato che anche la Svezia avesse uno suo Castro al potere per ritrovarsi in pochissimi anni con un tenore di vita pari a quello cubano. (15 aprile 1980) *Riferiscono le cronache che quando è giunta in tribunale la notizia dell'assassinio di Walter Tobagi, il brigatista Corrado Alunni l'ha accolta con una sghignazzata di tripudio. Abbiamo sempre combattuto la pena di morte sul presupposto che l'uomo non ha il diritto di uccidere l'uomo. Il presupposto lo confermiamo. Ciò di cui cominciamo a dubitare è che gli Alunni e quelli come lui siano uomini. Sui cadaveri sghignazzano le jene. (30 maggio 1980) *A Mirafiori, parlando agli operai della Fiat in sciopero, il sindaco di Torino, Novelli, se l'è presa coi giornalisti e li ha additati all'uditorio come falsari che ricalcano i loro resoconti non sui fatti, ma sulle «veline» distribuite loro dai «padroni». Anche Novelli ha fatto il giornalista in un foglio comunista, e quindi di veline e di padroni è certamente un intenditore. Ma se dopo questa denuncia ci scappa un altro Casalegno, sarà molto gradita la sua assenza ai funerali. (8 ottobre 1980) *Grandi elogi – dopo il successo del blitz di Trani – alle «teste di cuoio» italiane. La loro azione ha dimostrato quanto poco valesse la strategia della flessione propugnata di alcuni personaggi. Teste anche loro: ma di che? (31 dicembre 1980) *Fra i tanti slogans che il partito socialista francese ha lanciato in occasione delle elezioni presidenziali per rassicurare i bravi borghesi sottolineando il proprio carattere moderato e riformista, abbiamo letto anche questo: «Il socialismo può fare di chiunque un milionario». Ci crediamo senz'altro. A patto che quel chiunque fosse prima un miliardario. (8 maggio 1981) *Per gl'italiani, finora, il nome di Gelli era quello dell'autore del più famoso e autorevole codice cavalleresco. Anche oggi rimane legato a un codice. Quello penale. (9 maggio 1981) *L'elenco degli affiliati alla P2 comprende, dicono, 953 nomi, cui corrispondono i più alti gradi della politica, della magistratura, delle forze armate, della burocrazia, dell'industria, della finanza. Tutti «fratelli». È la riprova che, in questo Paese, guai ai figli unici. (11 maggio 1981) *Macché pazzo! L'attentatore del Papa deve essere un furbo matricolato. Dichiarandosi seguace di George Habbas e della causa palestinese, ha cercato di procurarsi la solidarietà dei molti, dei moltissimi, che non battono ciglio quando un terrorista cerca di spedire qualcuno all'altro mondo. Purché il terrorista appartenga al terzo. (16 maggio 1981) *Studiosi cinesi, mettendo a confronto reperti di ominidi dissimili tra loro tanto da far pensare che l'uomo discenda anche da animali diversi dalla [[scimmia]], sono arrivati alla conclusione che i nostri progenitori erano comunque scimmie, ancorché di specie differenti. Ci pare logico. Quale altro animale avrebbe potuto imitare la scimmia che ha dato l'avvio alla razza umana se non un'altra scimmia priva di senso critico? (19 maggio 1981) *Una nostra redattrice andata per una sua cronaca sul femminismo alla «libreria delle donne» in via Dogana a Milano, è stata accolta da una di loro con queste parole: «Con te non parlo perché sei di un giornale fascista, e anche tu hai la faccia da fascista». La nostra redattrice, che ha ventun anni, probabilmente non sapeva bene cosa fosse il fascismo. Ora lo sa: lo ha imparato in quella libreria. (4 novembre 1981) *Come previsto, la Juventus ha conquistato il [[Serie A 1981-1982|ventesimo scudetto]] battendo il Catanzaro. Una vittoria di rigore. (17 maggio 1982) *Socialisti e comunisti si sono opposti alle sanzioni economiche contro l'Argentina perché, hanno detto, una buona metà degli argentini sono di origine italiana, e molti di loro conservano tutt'ora la nostra nazionalità. Vero. Ma non ci eravamo accorti che queste sinistre spasimassero tanto d'amore per i nostri connazionali di laggiù quando si trattava di riconoscergli il diritto di voto. (22 maggio 1982) *Se si va avanti di questo passo, la [[guerra delle Falkland]] (o Malvine) finirà quando l'ultimo aereo argentino sarà abbattuto col suo carico di bombe sull'ultima nave inglese. E dire che questa lotta di leoni si svolge per un'isola di Pecore. (27 maggio 1982) *Tutti abbiamo trepidato ieri, davanti al televisore, per le sorti della squadra azzurra, tutti ci siamo entusiasmati alle sue gesta, tutti abbiamo salutato con orgoglio la sua vittoria. Ma il tipo di patriottismo che questa ha suscitato nelle strade delle nostre città, messe a soqquadro dai tifosi scalmanati che usavano il tricolore a copertura del peggior teppismo, ci ha fatto rimpiangere di non essere nati brasiliani. (6 luglio 1982) *Mai visto così tanto entusiasmo patriottico, tanti tricolori per le strade come per la finale degli azzurri al Mundial. Nella tomba di Caprera, le ossa di [[Giuseppe Garibaldi|Garibaldi]] fremono di invidia. Per unificare l'Italia «in un solo grido, in una sola passione» gli erano accorsi mille uomini. A [[Enzo Bearzot|Bearzot]] ne sono bastati undici. (12 luglio 1982) *Gli scrittori [[Mario Soldati]] (Psi) e [[Gianni Brera]] (Psi) sono stati trombati {{NDR|non sono stati eletti}}. Peccato. Il Parlamento era l'unico posto in cui, dovendo parlare per gli altri, forse avrebbero finalmente taciuto. (1º luglio 1983) *Che [[Bettino Craxi|Craxi]] sia uomo di grandi capacità e ambizioni, lo si sapeva. Che sia anche uomo di grande coraggio, lo si è visto ieri, quando pronunciava alla Camera il suo discorso di replica. Per due volte si è interrotto alla ricerca di un bicchier d'acqua. Per due volte [[Giulio Andreotti|Andreotti]] glielo ha riempito o porto. E per due volte lui lo ha bevuto. (13 agosto 1983) *Condannato dal tribunale di Reggio Emilia per bestemmie e turpiloquio contro la Chiesa, [[Roberto Benigni]] avrebbe qualche ragione di considerarsi vittima di un'ingiustizia. Proprio il giorno prima la Chiesa riabilitava [[Martin Lutero]], scomunicato ai suoi tempi pressappoco per gli stessi motivi. Come cambia, coi tempi, la sorte degli uomini! È inquietante pensare che Benigni, se fosse vissuto cinquecent'anni fa, sarebbe forse diventato Lutero. Ma addirittura sconvolgente è che Lutero, se fosse nato cinquecent'anni dopo, sarebbe forse diventato Benigni! (8 novembre 1983) *Il più autorevole giornale americano di economia e finanza, il Wall Street Journal di martedì 10 gennaio, è incorso in un curioso lapsus. Parlando del concordato fra lo Stato italiano e la Santa Sede, scrive che esso «venne firmato nel 1929 da Bettino Mussolini». Chissà, se lo legge, come si arrabbia Benito Craxi. (12 gennaio 1984) *È comparsa sui giornali la pubblicità di una nuova opera di Fanfani, intitolata «La Dc e la svolta degli anni 80». L'editore avverte che si tratta di un libro formato «tascabile». Dato l'autore, poteva andare diversamente? (16 gennaio 1984) *È vero: la [[Juventus Football Club|Juventus]], a Basilea, non ha fatto una gran figura. Giocando con più cervello, poteva vincere comodamente 4-0. Ma attenti a non giudicare troppo severamente il Porto. Quello di Genova va molto peggio. (18 maggio 1984) *Il trentanovenne James Nelson, condannato da un tribunale di Londra a quindici anni per avere ucciso la madre a colpi di mattone, ha sentito, chiuso in cella, la vocazione sacerdotale: si è messo a studiare teologia, e ora sta per diventare prete nella chiesa scozzese. «È mia intenzione – ha dichiarato – contribuire alla edificazione di una nuova società». Si può credergli: i mattoni ha dimostrato di saperli usare. (25 maggio 1984) *L'agenzia Agi informa, con un drammatico flash, che il ministro [[Giulio Andreotti|Andreotti]], «impegnato in una riunione superistretta con gli altri 15 ministri degli esteri della Nato, perderà la partita [[Associazione Sportiva Roma|Roma]]-[[Liverpool Football Club|Liverpool]]». È giusto il fatto che faccia notizia: è la prima volta che Andreotti perde qualcosa. (31 maggio 1984) *Presso la Presidenza del Consiglio, a palazzo Chigi, è stata istituita una commissione di giuristi per la completa parificazione dei diritti fra i due sessi. Finalmente! Era ora che ce la riconoscessero, a noi uomini. (16 ottobre 1984) *La riforma dei programmi della scuola elementare, cui sta lavorando il Ministro Falcucci, introdurrà nella terza, quarta e quinta classe l'insegnamento di una lingua straniera. Non è specificato quale. Speriamo che si tratti dell'italiano. (21 gennaio 1985) *Un certo [[Nichi Vendola]], dirigente della Federazione giovanile comunista, ha lanciato l'idea di riconoscere formalmente un «diritto dei bambini ad avere rapporti sessuali tra loro o con gli adulti». Vendola ha detto di aver attinto questa idea all'esperienza di molti padri. A conferma di quanto scrive [[Georges Courteline|Courteline]] nella sua «Filosofia»: «Uno dei più chiari effetti della presenza di un bambino in una casa è di rendere completamente idioti dei genitori che forse, senza di lui, sarebbero stati degl'imbecilli comuni». (26 marzo 1985) *I tecnici di calcio sono rimasti stupiti dalla prova del [[Real Madrid Club de Fútbol|Real Madrid]] che nella semifinale della coppa Uefa ha letteralmente travolto i modesti giocatori dell'[[Football Club Internazionale Milano|Inter]]. I madrileni hanno proprio vinto a biglia sciolta. (26 aprile 1985) *Quando [[Sandro Pertini]] è apparso sul video di Raiuno che trasmetteva la premiazione del concorso ippico di Roma, il cronista ha commentato: «Anche i cavalli, come vedete, sono gentili col Presidente». Era vero. Forse meritano di essere fatti cavalieri. (5 maggio 1985) *I tifosi rossoneri sono in festa per la notizia che Berlusconi sta per acquistare il loro Milan. Sono convinti che in un battibaleno ne farà una squadra da scudetto, da coppa delle coppe, da tutto, e forse hanno ragione. C'è un solo pericolo: che il neo-presidente voglia fare anche il direttore tecnico, l'allenatore, il massaggiatore, il capitano e il centrattacco. Il che potrebbe andar anche bene. Ma ad una condizione: che possa fare anche l'arbitro. (27 dicembre 1985) *Rete Quattro e Italia 1 sono state multate per violazione del decreto che proibisce la propaganda al consumo del tabacco. Lo spot incriminato è quello che, parlando del «Camel Trophy», ostentava un pacchetto di sigarette della ditta sponsorizzatrice. Strano Paese, il nostro. Colpisce i venditori di sigarette, ma premia i venditori di fumo. (13 marzo 1986) *Molti lettori ci chiedono quale missione sta svolgendo l'on. Capanna a Tripoli, quali motivi l'hanno spinto da Gheddafi. Non ne sappiamo granché: non siamo abituati a ficcare il naso nelle altrui questioni di famiglia. (1º giugno 1986) *Oggi Paolo Pillitteri sarà designato alla successione di Tognoli come sindaco di Milano. Lo dipingono come uomo intelligente, efficace, insomma pieno di qualità. Purtroppo, gli manca quella fondamentale: il celibato. (5 dicembre 1986) *Finalmente, dopo sette anni di esilio a Gorky, l'impavido Andrei Sacharov è tornato a Mosca. Speriamo che Gorbaciov ci resti. (24 dicembre 1986) *L'agenzia Ansa riferisce che da un sondaggio operato in Francia su un pubblico internazionale, risulterebbe che il maschio italiano detiene ancora il primato mondiale della seduzione. Speriamo che i giornali non riportino la notizia: gl'italiani sarebbero capaci di crederci. (15 marzo 1987) *Per la prima volta nella storia della Corte Costituzionale, il nuovo presidente, Francesco Saja, è stato eletto al primo scrutinio. Ma il rivale sconfitto, Ferrari, ha sollevato eccezione accusando il vincitore di averlo battuto grazie a un «compromesso storico» fra elettori democristiani e comunisti, aggravato da un intrallazzo fra siciliani. Vero o falso, dalla Corte al cortile. (5 giugno 1987) *Ieri tutti i telegiornali ci hanno martellato negli occhi le immagini dei capibastone – Craxi, De Mita, Spadolini, Altissimo ecc. – che infilavano la scheda nell'urna. I loro volti raggiavano di soddisfazione. Erano gli unici elettori matematicamente sicuri di aver dato il voto al candidato ideale. (15 giugno 1987) *In una scuola di Chattanooga, nel Tennesse (Usa), due sedicenni, approfittando dell'assenza dell'insegnante, si sono baciati e hanno fatto l'amore davanti a una decina di compagni, niente affatto scandalizzati. Dato il lassismo di certe scuole americane, gli esami in cui gli studenti riescono meglio sono proprio queste prove orali. (4 giugno 1988) *Diciannove persone hanno dichiarato d'aver visto aggirarsi, tra le quinte della Scala, il fantasma di [[Maria Callas]]. Non ci meravigliamo, anche perché migliaia di altri frequentatori del massimo teatro lirico italiano sostengono da tempo di vedere, alla Scala, il fantasma della Scala. (28 giugno 1988) *Scoprendo le istituzioni britanniche con un secolo e mezzo di ritardo, i comunisti sembrano fermamente intenzionati a formare il loro «shadow Cabinet». Ma onestamente non ne afferriamo la ragione. Non c'è nessun bisogno di un governo ombra per contrastare quest'ombra di governo. (5 maggio 1989) *Da un sondaggio condotto tra i francesi risulta che il personaggio più noto d'Oltralpe è [[Marcello Mastroianni]], conosciuto dall'83 per cento degli intervistati. Il 97 per cento dei francesi invece confessa di non sapere chi sia [[Ciriaco de Mita|Ciriaco De Mita]]. Quando si dice un Paese fortunato... (20 maggio 1989) *Gerardo Iglesias, che fu segretario generale del partito comunista spagnolo dall'82 all'88, ha lasciato l'attività politica per riprendere il suo lavoro di minatore di carbone, «l'unico modo in cui posso guadagnarmi degnamente la vita». Alcuni dirigenti del Pci, a quanto risulta, vorrebbero imitarne l'esempio, tornando al vecchio lavoro. Il difficile è trovare chi ne aveva uno. (1º giugno 1990) *Durante la festosa «notte del mondiale», la polizia romana ha arrestato, nelle vicinanze dello stadio olimpico, 29 borsaioli e scippatori. Il signor [[Edgardo Codesal Méndez|Codesal Mendez]], arbitro della partita [[Nazionale di calcio della Germania|Germania]]-[[Nazionale di calcio dell'Argentina|Argentina]], non figura nell'elenco. (10 luglio 1990) *Il giudice veneziano Casson ha convocato, per la storia del Gladio, il presidente [[Francesco Cossiga|Cossiga]], e l'Italia leguleia è in subbuglio: la Costituzione, pure, si è dimenticata di precisare se il Capo di Stato può essere chiamato a rispondere, sia pure da testimone, a un qualunque magistrato. Il quale però ha ora la fotografia su tutti i giornali. E tutti possono ammirarla chiedendosi che cosa passa in quella testa, la testa di Casson. (10 novembre 1990) *Gli studenti italiani manifestano rumorosamente per la [[pace e guerra|pace]] e contro la [[pace e guerra|guerra]]. La guerra, diceva [[Georges Clemenceau|Clemenceau]], è una cosa troppo seria per lasciarla fare ai militari. Ma anche la pace è una cosa troppo seria per lasciarla fare ai pacifisti. (20 gennaio 1991) *Occupandosi – tra tanto Golfo – del Festival di Sanremo il Tg3 ci ha dato, finalmente, ieri sera, una notizia credibile: il livello delle canzoni, ha detto, è destinato a salire. Infatti: sentite le prime è impossibile che scenda. (1º marzo 1991) *Da un'indagine risulta che il 41,9% degli italiani non considera illecito l'assenteismo dal lavoro e che il 41,3% non considera peccato le infedeltà coniugali. La coincidenza delle due cifre spiega in che modo gli statali impiegano il tempo che dovrebbero dedicare all'ufficio. (3 ottobre 1991) *A quest'ora [[Ernesto Balducci|Padre Balducci]] è di fronte al Supremo Giudice, nel quale affermava di credere. Almeno a Lui dovrà spiegare non ciò che diceva contro la Chiesa, ma perché lo diceva travestito da frate. (26 aprile 1992) *Nell'ultima tornata presidenziale è emerso, con un bel pacchetto di 20 voti, Aldo Aniasi. Finalmente. In questo imperversare di tangenti e bustarelle, era ora che qualcuno si ricordasse di lui. (24 maggio 1992) *Per sfatare le malevole dicerie su certe bestie, il presidente degli «animalisti» italiani ha offerto un premio di 200 milioni a chi potrà dimostrare che i corvi scrivono lettere anonime e che le talpe fanno le spie. È vero: di simili casi non ne conosciamo. Ma di somari che fanno i presidenti, ne conosciamo parecchi. (5 luglio 1992) *Dopo le invettive e i clamori da cui il presidente del consiglio [[Giuliano Amato|Amato]] è stato accolto in Senato per la sua insensibilità alla crisi morale che investe il Paese, il dibattito sulla medesima si è svolto, a Montecitorio, in un'aula deserta. Sì, una crisi morale, per la nostra classe politica esiste: lo dimostra il vuoto in cui l'ha lasciata cadere. (14 marzo 1993) *«I socialisti – ha detto l'ex ministro della Difesa Salvo Andò – devono andare tutti nudi verso la meta di un nuovo sistema politico». Come faranno senza le tasche? (24 maggio 1993) *Il candidato del Psi per le elezioni a sindaco di Roma sarà Niccolò Amato. Assennata scelta. Ex direttore delle carceri, Amato è certamente il più qualificato a rappresentare quel partito. (23 settembre 1993) *Giovedì sera annuncio a sorpresa di [[Emilio Fede]] nel suo Tg4: «Adesso – ha detto – voglio parlarvi di informazione». C'è sempre una prima volta. (8 gennaio 1994) *Secondo un sondaggio della Diacron (gruppo Fininvest), l'82 per cento dei lettori del «Giornale» sarebbe schierato con Berlusconi. Vero. Almeno com'è vero che Berlusconi diventerà presidente del Consiglio. (12 gennaio 1994) ====''La parola ai lettori – rubrica''==== *I tennisti italiani hanno disputato la finalissima di Coppa Davis a Praga, e nessuno ha battuto ciglio. Le squadre di calcio italiane frequentano gli stadi dell'Est, a cominciare da quelli russi, e i puristi della democrazia non ci trovano nulla a ridire. Ma per l'[[Uruguay]] – che con i suoi tre milioni di abitanti e la sua posizione geografica non mi pare possa essere considerato una minaccia troppo grave alla libertà dei Paesi democratici – c'è puntuale la protesta. Come se l'Uruguay potesse invadere, espandersi, insidiare, inviare – direttamente o indirettamente – eserciti di mercenari in mezzo mondo, e l'[[Unione Sovietica]] no. Possiamo capire gli intransigenti della democrazia: ma possiamo soltanto disprezzare i farisei che hanno l'indignazione dimezzata. Si calmino Bruno Conti e Pruzzo. Né l'Uruguay, né il suo regime, meritano tante ansie e tanta ostilità. Mosca è più vicina – lo sanno bene i polacchi – e Kabul anche. (31 dicembre 1980) *Non abbiamo mai «coperto», come si usa dire, questo nostro socio (che ha il 37, non il 36% del Giornale), anche perché non vediamo da cosa dovremmo coprirlo. [[Silvio Berlusconi|Berlusconi]] non è né un politico né un gerarca civile o militare, e non svolge nessuna pubblica funzione incompatibile con l'appartenenza alla massoneria. È un privato imprenditore e cittadino che quando fa una balordaggine (e l'iscrizione alla P2 lo è) la fa a proprio rischio e pericolo. Come lei avrà visto, il suo coinvolgimento nella P2 non ci ha impedito di dire, di Gelli e della sua banda, tutto il male che ne pensiamo. (31 maggio 1981) *In tutti questi anni che è stato con noi, {{NDR|Silvio Berlusconi}} si è sempre comportato nella maniera più signorile, ed anche in questa circostanza ci ha dato le più ampie garanzie. (14 aprile 1987) *Nel panorama sudamericano il [[Cile]] è oggi uno di quei paesi economicamente più solidi e con maggior progresso, tanto da meritare gli elogi del Fondo monetario internazionale. Ma la postilla impone a sua volta una precisazione. È più facile fare il risanamento economico monetario in Cile, dove i sindacati sono inesistenti o impotenti, che non in [[Argentina]], dove il sindacato incalza il governo e pretende aumenti salariali il cui ritmo sia adeguato al ritmo dell'inflazione. [...] Pinochet è quello che è. Il suo plebiscito per la Costituzione del 1980 fu indetto in circostanze che gli tolgono ogni valore. E gli inizi del regime militare furono sanguinari. Però il Cile di oggi ha un livello di libertà e di dialettica politica – nonostante Pinochet – che tanti paesi del Terzo mondo vezzeggiati dai nostri democratici dovrebbero invidiargli. Come ha osservato un lettore, né l'Etiopia né lo Zaire né la Siria, né il Nicaragua avrebbero tollerato corrispondenze come quelle che gli inviati della Rai diffondono, in diretta dal Cile. (16 aprile 1987) *Mai le nostre prese di posizione su problemi e personaggi sono state non dico condizionate, ma influenzate dalle personali amicizie o preferenze di Berlusconi. Per la verità, l'editore chiese una volta a titolo di favore, un «occhio di riguardo» per la sua creatura prediletta. Non la televisione, come i lettori saranno stati forse indotti a pensare, ma il [[Associazione Calcio Milan|Milan]]. Sottoposi questa sommessa istanza alla redazione sportiva. La risposta fu una lettera collettiva di dimissioni. Caso chiuso. Da allora rinuncio a leggere le cronache delle partite del Milan, per non dovermi dispiacere del dispiacere che ne prova probabilmente Berlusconi. (17 aprile 1988) *Come già ho scritto, e qui mi piace ripetere, la designazione di [[Francesco Cossiga|Cossiga]] al Quirinale fu la scelta dell'uomo giusto al posto sbagliato. Sappiamo benissimo chi la volle. Ma sappiamo altrettanto bene che fu avallata anche da quegli uomini e partiti che ora si scagliano contro di lui e lo accusano, apertamente o copertamente, di fellonia. La classe politica, nella quale egli ha militato da sempre e che quindi da sempre lo conosceva, doveva sapere che l'onesto (perché tale è) Cossiga non era uomo da Quirinale. Eppure, per i suoi sporchi giochi di potere, ce lo mandò. Ora dovrebbe sentire il dovere di difenderlo dagli sciacalli che lo attaccano da tutte le parti. (22 dicembre 1990) ===''La Stampa''=== <!--ordine cronologico--> *Intorno alle «cattedrali nel deserto» impiantatevi dalla cosiddetta mano pubblica, [...] o trasferitevi dal Nord con l'adescamento degli «incentivi», e sotto la nuvolaglia di fumo che sgorga dalle loro ciminiere, si gonfiano alla carlona e selvaggiamente dirompono, senza nessun criterio urbanistico, senza piano regolatore, senza servizi, spesso anche senza acquedotto e senza fogna, degli agglomerati urbani che solo per il numero degli abitanti si possono chiamare città. [...] È nata soltanto, insieme a una forsennata speculazione edilizia che per sfruttare all'osso l'area fabbricabile accumula con cattivo cemento un piano sull'altro finché crollano sulla testa degl'inquilini, la sorda rabbia contro la città di un contadiname analfabeta che se n'è visto succhiare la linfa vitale, e quando vi cala, lo fa da nemico e vandalo. Questo è il panorama del Mezzogiorno dopo vent'anni e più di Cassa, che hanno raschiato dalle tasche dei contribuenti migliaia di miliardi. (da ''[http://www.archiviolastampa.it/component/option,com_lastampa/task,search/mod,libera/action,viewer/Itemid,3/page,3/articleid,1118_01_1973_0272_0003_16218908/ La protesta contadina]'', 18 novembre 1973, p. 3) *La politica meridionalistica è tutta dominata da questo sottofondo psicologico. Essa vuole l'industrializzazione di Stato non soltanto perché [...] l'industrializzazione può essere fatta soltanto dallo Stato o da imprese al servizio dello Stato; ma anche perché più queste imprese si sviluppano, e più si riduce il margine di quell'imprenditoria privata che i meridionali, non riuscendo a emularla, mirano a ostacolare e ridurre, sottraendole il pubblico risparmio. Con l'agricoltura non avrebbero potuto perseguire questi scopi punitivi. L'unica arma per mortificare e battere l'industria privata è l'industria statale o parastatale. Questa, intendiamoci, esisteva digià: è un portato dei tempi moderni. Ma non c'è dubbio che la politica meridionalistica, come la si è praticata finora e tutto lascia credere che si seguiterà a praticarla, le ha offerto un'ideale occasione. (da ''[http://www.archiviolastampa.it/component/option,com_lastampa/task,search/mod,libera/action,viewer/Itemid,3/page,3/articleid,1118_01_1973_0284_0003_16222766/ Industrie "in colonia"]'', 2 dicembre 1973, p. 3) *Lo Stato, con [[Venezia]], ha contratto un solo impegno: di destinare al suo risanamento 300 miliardi di lire in cinque anni. Di dove li prenda, non ha nessun interesse. Può darsi che una parte li attinga proprio a quel prestito. Ma non vi è tenuto, né si vede perché dovrebbe esserlo. Ciò che da esso si può e si deve esigere è che eroghi effettivamente quei 300 miliardi alle scadenze per le quali si è impegnato: 25 miliardi per il '73, 60 nel '74, 90 nel '75, e su su fino alla chiusura dei conti nel '77. Due sole cose restano da dire. Primo. All'origine dell'equivoco c'è di certo quello che i francesi chiamano l'''esprit mal tourné'', cioè la diffidenza degl'italiani nei confronti dello Stato. Ma all'origine di questa diffidenza c'è altrettanto certamente l'incapacità o la renitenza dei nostri governanti a spiegare [...] ciò che fanno. Secondo. I soldi [...] stavolta ci sono. E diamo pure per scontato che saranno erogati con puntualità. Ma dove sono gli strumenti per spenderli, specie quelli affidati in gestione a degli Enti locali, che fin qui non sono stati capaci di dragare un canale né di riparare la spalletta d'un ponte? Non vorremmo che anche tutti questi miliardi andassero ad alimentare l'immenso deposito di «residui passivi», cioè di somme stanziate ma non impiegate, che già affligge il nostro Paese. Non lo vorremmo. Ma lo temiamo. (da ''[http://www.archiviolastampa.it/component/option,com_lastampa/task,search/mod,libera/action,viewer/Itemid,3/page,1/articleid,1111_01_1974_0009_0001_21345708/ Venezia, molti miliardi e lo Stato]'', 11 gennaio 1974, p. 1) *E ora addio, caro lettore, e grazie dell’ospitalità. Ti confesso che, entrando in casa tua, ero molto imbarazzato. Ma mi bastò poco per accorgermi che di questo imbarazzo voi soffrite quasi quanto coloro a cui lo incutete. Esentàtemi da una dichiarazione di amore perché a gente come voi è difficile farne. Ma in questo pudore mi sento vostro pari e vostro complice. Avrò un giornale a Milano e, e cercherò di farlo molto bello, bellissimo. Ma anche se ci sarò riuscito, seguiterò a rimpiangere il vostro. Mi dicevano che ci avrei sofferto il freddo. Ci ho trovato, sotto una coltre di silenzio, il caldo. (da ''[http://www.archiviolastampa.it/component/option,com_lastampa/task,search/mod,libera/action,viewer/Itemid,3/page,3/articleid,1112_01_1974_0087_0003_16390798/ Congedo dal Piemonte]'', 21 aprile 1974, p. 3) {{Int|''[http://www.archiviolastampa.it/component/option,com_lastampa/task,search/mod,libera/action,viewer/Itemid,3/page,9/articleid,1118_01_1973_0284_0009_16222725/ Chi era il vecchio leone del deserto]''|Articolo su ''La Stampa'', 2 dicembre 1973.|h=4}} *Senza Ben Gurion, non so se Israele sarebbe stato migliore o peggiore di quel che è. Certo, sarebbe stato diverso. Il titolo di «Padre della Patria» non può contestarglielo nessuno. [...] Egli stesso mi raccontò lo sgomento da cui fu còlto quando, non ancora ventenne, sbarcò a Giaffa dopo un lungo periplo a bordo d'un cargo. A procurarglielo non furono i funzionari turchi che allora governavano il Paese, e nemmeno gli arabi che formavano il grosso della popolazione; ma gli ebrei, quasi tutti latifondisti e mercanti perfettamente inseriti nel «sistema» e unicamente intesi ai propri affari. Erano dunque quelli i depositari della Terra Promessa, che non sapevano neanche l'ebraico, o comunque si rifiutavano di parlarlo? Forse ne sarebbe fuggito, se nell'interno non avesse scoperto alcune isolate fattorie collettive, dove i nuovi immigrati lavoravano la terra con le proprie mani e di notte montavano la guardia, uomini e donne, per difendere le loro vite e i loro raccolti dalle razzie degli arabi. *Comprese subito che solo redimendo la terra col loro lavoro manuale e contrapponendo al latifondismo arabo la fattoria collettiva, gli ebrei potevano legittimare la riconquista dei loro antico «focolare». Militarmente, egli non attaccò mai gli arabi. Aspettò che il loro sistema si disgregasse da sé, e ci volle poco. Battuti sul mercato dai prodotti del ''kibbutz'', i latifondisti arabi vendettero i loro feudi al «Fondo Nazionale Ebraico» per andare a sperperare l'incasso nei ''Casinos'' di Beirut e della Costa Azzurra, e i braccianti rimasero senza lavoro perché i nuovi padroni usavano le braccia proprie. Il conflitto è tutto qui: nell'impossibilità di coabitazione di una scalcagnata economia feudale con un'efficientissima economia socialista. I motivi religiosi e razziali li ha aggiunti la propaganda. *Come tutti i veri politici, Ben Gurion era un pragmatista, cioè un uomo che attingeva le idee dalla pratica delle «cose», non viceversa. E l'esperienza fatta nella lotta per la manodopera ebraica lo aveva persuaso che con gli arabi non c'era [...] possibilità di compromesso. Uno Stato palestinese misto di arabi e di ebrei, lo considerò sempre una chimera per il semplice motivo che in poche generazioni, col loro potenziale demografico quattro volte superiore, gli arabi avrebbero mangiato gli ebrei. [...] Già nella guerra del '48 egli avrebbe potuto annettersi la Cisgiordania: ci rinunziò per non mettersi in corpo seicentomila arabi. L'anno dopo rifiutò per lo stesso motivo la cosiddetta «striscia di Ghaza» che il suo brillante generale Allon aveva sforbiciato dall'Egitto. E dopo la guerra dei sei giorni, sebbene ormai lontano dal potere, non ha fatto che ammonire contro una politica di annessioni territoriali disgiunta da un adeguato incremento di popolazione ebraica. Non ha mai dialogato che con l'Occidente. Con gli arabi, non ha seguito che una diplomazia: quella dei confini. *Le nuove esigenze della produzione e della guerra imponevano un altro «rovesciamento della piramide»: il miracolo della guerra dei sei giorni fu dovuto a un esercito di tecnici altamente specializzati, in cui anche il semplice aviere era un ingegnere. Il posto del ''kibbutz'' [...] veniva preso dall'Università che riconvertiva il contadino in professore. Ben Gurion non poteva interpretare questo nuovo corso. Era troppo vecchio e legato all'altro. Ma non lo comprese, non poteva comprenderlo, per conservare il potere ricorse a tutte le armi del suo repertorio, anche le meno regolamentari, giunse a rinnegare e a rompere il proprio ribelle partito. E neppure a battaglia persa si rassegnò. Dal fondo del suo rifugio alle soglie del deserto ha continuato tutti questi anni ad alluvionare di ammonimenti, maledizioni, anatemi i suoi vecchi amici trattandoli da nemici. [...] Quello che si chiude con Ben Gurion è il capitolo del pionierismo: il più eroico e glorioso, quello destinato, via via che si allontanerà nel tempo, ad essere ricordato dagl'israeliani con sempre più struggente nostalgia. {{Int|''[http://www.archiviolastampa.it/component/option,com_lastampa/task,search/mod,libera/action,viewer/Itemid,3/page,3/articleid,1112_01_1974_0081_0003_16388814/ La strada lunga di Golda]''|Articolo su ''La Stampa'', 14 aprile 1974.|h=4}} *{{NDR|[[Golda Meir]]}} Aveva poco più di vent'anni quando approdò in Israele, frammista ai «padri pellegrini» della «seconda ondata» che subito dopo la [[prima guerra mondiale]] vennero a riprendere possesso della loro antica terra con la ferma intenzione non d'insabbiarcisi com'era successo ai loro predecessori della fine dell'Ottocento, ma di riscattarla e di farne il «focolare» degli ebrei. Tutta la sua visione politica [...] era condizionata da questa esperienza di oltre mezzo secolo di sacrifici e di lotte. [...] Oggi molti in Israele si domandano se a questi pionieri non restava davvero altra strada che quella dell'urto frontale con la popolazione araba della Palestina. Ma questi dubbi sono un lusso ch'essi si possono concedere solo perché i loro babbi e nonni non ne ebbero. Costoro fecero quello che fecero perché non potevano far altro. Ciò che rendeva impossibile la coabitazione fra le due popolazioni non era la incompatibilità razziale e religiosa, ma quella economica e sociale. Il latifondo sceiccale non poteva convivere col ''kibbutz'' socialista. È qui l'origine di un conflitto che nessuna diplomazia poteva sanare. Una pace fra israeliani e arabi è possibile; una simbiosi, no. Ancor oggi chi parla di «Stato misto» si gingilla con le astrazioni. *Fu lei che [...] raggiunse travestita da cammelliere l'emiro Abdullah di Giordania [...] e da nemico se lo fece amico, o almeno neutrale. Non sono mai riuscito ad appurare se [[David Ben Gurion|Ben Gurion]] ebbe una parte, e quale, in questo «giallo» fra il diplomatico e lo spionistico. Ma molte cose m'inducono a credere che a programmarlo fu proprio lei, Golda, anch'essa ben decisa a innalzare, fra arabi ed ebrei, una cortina di ferro, ma con qualche porta che consentisse all'occorrenza il dialogo. [...] I due furono amici e compari per decenni. [...] Probabilmente anche al tempo in cui facevano coppia nel partito e nel governo si parlavano tra loro in quel linguaggio da fureria. Quanto a imperiosità e autoritarismo, si valevano. [...] Con la sua voce arrugginita dalle sigarette [...] diceva piattamente e banalmente delle cose piatte e banali, solo ravvivate da qualche squarcio d'un umorismo massiccio come una scarpa di soldato; ma senza mai togliere di dosso all'interlocutore il suo vigile sguardo cilestrino alla fiamma ossidrica. E da quella specie di sporta per la spesa che, adibita a borsa, essa tiene al braccio anche nei ricevimenti ufficiali, ci si aspettava sempre di veder saltar fuori, oltre a qualche mazzo d'agli e di cipolle, una pistola o una fiala di veleno. *Non c'è dubbio che sapeva odiare e che anche quando amava lo faceva da mantide, soffocando e stritolando. Ma Israele non troverà mai più una madre come lei, che sapeva anche fargli da padre. Nella sua tenacia, nel suo coraggio, nella sua volontà d'acciaio, essa riassumeva la storia di questo piccolo grande Paese. Lo ha dimostrato col suo ritiro. Quando si è trattato di pagare, essa si è offerta in sacrificio pur sapendo che per lei la rinunzia al potere è la rinunzia alla vita. «''Sono giunta al termine della mia strada''», ha detto. Ma che strada! Nessuno ne ha mai percorsa una più ripida e accidentata, più paurosamente librata tra abissi e strapiombi. Sono sicuro che Golda non si volterà indietro a guardarla, e non ce ne dirà nulla. Come tutti i grandi costruttori, essa sa soltanto costruire. Il resto, per lei, è silenzio. ===''la Voce''=== <!--ordine cronologico--> *Uscendo dal ''Giornale'', io feci a me stesso, ma pubblicamente, un giuramento: «Mai più un padrone». Qui padroni non ce ne sono. La proprietà è ripartita fra alcune centinaia di azionisti, di cui nessuno può, per statuto detenere più del 4 per cento. Fra di essi, e per primi, ci siamo stati tutti noi: redattori, impiegati, fattorini, autisti. [...] Per questa sua pulviscolarità, il nostro azionariato è stato definito, nei quartieri alti della Finanza, «straccione». La qualifica non ci dispiace: coi tempi che corrono, meglio stare tra gli stracci che tra le tangenti. (22 marzo 1994) *Di insurrezione generale non c'era bisogno, il 25 aprile, perché il Terzo Reich non esisteva più. Se l'insurrezione generale fosse avvenuta avrebbe dovuto avere come primo obiettivo, a Milano, il quartier generale delle SS all'Hotel Regina. Le SS furono invece lasciate del tutto tranquille, mentre si provvedeva a trascinare in piazzale Loreto, per la fucilazione Achille Starace [...]. Non sono contro la Resistenza, anzi: sono contro la retorica, inguaribile vizio italiano. Proprio questa retorica ha fatto sì che un sindaco democristiano di Roma, in un manifesto dedicato anni or sono alla liberazione della città non accennasse nemmeno con una parola agli Alleati. Ed ha fatto sì che in quest'ultimo 25 aprile si sia parlato ai giovani che affollavano piazza del Duomo a Milano o che stavano davanti ai televisori, ingannandoli – ossia raccontando loro che i tedeschi erano stati sconfitti dai partigiani, e che da questi l'Italia era stata liberata. Se questa è la «memoria storica» evocata da tanti commentatori, stiamo freschi. (28 aprile 1994) *Intorno a Berlusconi vedo agitarsi una falange di Starace, convinti non meno di Achille che il padrone (e con lui, si capisce, la carriera) si serve sbattendo i talloni e gridando: «Forza, Italia!». Di tutto questo, intendiamoci, Berlusconi non può essere tenuto responsabile. Gli Starace – a differenza di Mussolini che si scelse il suo vedendolo com'era – gli sono germinati e gli pullulano intorno d'irresistibile forza propria cercando di sopraffarsi in una gara di servilismo, che trova soprattutto nel video la propria arena. E per ora la gente pensa: «Povero Cavaliere, da chi è circondato». Ma prima o poi – forse più prima che poi – comincerà a dire anche di lui: «Vedi un po' di chi si circonda». (18 giugno 1994) *Dobbiamo prepararci a presentare le nostre scuse a [[Emilio Fede]]. L'abbiamo sempre dipinto come un leccapiedi, anzi come l'archetipo di questa giullaresca fauna, con l'aggravante del gaudio. Spesso i [[leccapiedi]], dopo aver leccato, e quando il padrone non li vede, fanno la faccia schifata e diventano malmostosi. Fede no. Assolta la bisogna, ne sorride e se ne estasia, da oco giulivo. Ma temo che di qui a un po' dovremo ricrederci sul suo conto, rimpiangere i suoi interventi e additarli a modello di obiettività. (26 novembre 1994) *Il presidente della Repubblica non può contrattare. Ma deve trovare qualcuno che abbia l'autorità morale di farlo. Un ''kamikaze''. E di ''kamikaze'' ne vediamo uno solo che, non avendo veste politica, né alcuna ambizione di indossarla, può anche affrontare una simile responsabilità: [[Antonio Di Pietro|Di Pietro]]. Ma temiamo che l'idea sia soltanto nostra. [...] Una delle pochissime cose che nella presente situazione ci confortano è di vedere in Quirinale un difensore delle Regole come [[Oscar Luigi Scalfaro|lui]]. Vorremmo solo sommessamente avvertirlo che l'Italia che noi conosciamo somiglia poco all'immagine angelica ch'egli ce ne ha fornito la sera di Capodanno, e che anche quando vi avremo messo a posto tutte le Regole, ne mancherà sempre una: quella che dall'interno della sua coscienza fa obbligo ad ogni cittadino di regolarsi secondo le regole. (3 gennaio 1995) *Noi volevamo fare, da uomini di [[Destra]], il quotidiano di una Destra veramente liberale, ancorata ai suoi storici valori: lo spirito di servizio (quello vero, taciuto e praticato), il senso dello Stato, il rigoroso codice di comportamento che furono appannaggio dei suoi rari campioni da Giolitti a Einaudi a De Gasperi. Insomma, l'organo di una Destra che oggi si sente oltraggiata dall'abuso che ne fanno gli attuali contraffattori. Questa Destra fedele a se stessa in Italia c'è. Ma è un'élite troppo esigua per nutrire un quotidiano. (12 aprile 1995) {{Int|''Il realista inviso agli snob''|Articolo su ''la Voce'', 24 aprile 1994.|h=4}} *Fino ad una decina di anni orsono, la maggioranza degli americani erano convinti che, se [[Richard Nixon|Nixon]] fosse rimasto nella Storia del loro Paese – cosa che al loro orecchio suonava come un obbrobrio – vi sarebbe rimasto solo per il [[Scandalo Watergate|Watergate]], cioè appunto per l'obbrobrio. Negli ultimi tempi tutto si è rovesciato: l'obbrobrio non è stato più il Watergate, ma la campagna scandalistica che lo aveva provocato. Gli stessi protagonisti che l'avevano montata – [[Bob Woodward]] e [[Carl Bernstein]] del ''Washington Post'' – ne riconobbero le forzature e fecero atto di contrizione. Non avevano inventato nulla, ma avevano deformato tutto. [...] La sorte è stata, tutto sommato, clemente con Nixon dandogli il tempo di vedere questo capovolgimento. *Ultimamente era ricevuto, ed anzi continuamente sollecitato alla Casa Bianca, dove lo si accoglieva come lo ''Elder Statesman'', lo statista anziano da consultare come un vecchio saggio sui problemi difficili. Fu a lui che [[George H. W. Bush|Bush]] si rivolse per riallacciare un dialogo con Pechino dopo la rottura seguita al fattaccio di Tienanmen. E lui a Pechino lo riallacciò: i cinesi non avevano dimenticato che quel dialogo erano stati Nixon e [[Henry Kissinger|Kissinger]] ad aprirlo, quando l'America aveva deciso di chiudere l'avventura del Vietnam in cui [[John Fitzgerald Kennedy|Kennedy]] e [[Lyndon B. Johnson|Johnson]] l'avevano malaccortamente cacciata. Ma anche [[Bill Clinton|Clinton]] è ricorso alla sua esperienza per capire cosa succedeva in Russia e trarne qualche insegnamento. Nixon andò a Mosca, e ne tornò con cattivi presagi sulla sorte di [[Boris Nikolaevič El'cin|Eltsin]] che i successivi avvenimenti hanno confermato. *Non era un uomo «simpatico», e soprattutto non aveva nulla che potesse sedurre l'America dei salotti e della ''intellighenzia'', che gli uomini politici li misurano a modo loro, mai quello giusto. Scambiarono per un grande intellettuale Kennedy, che in vita sua aveva visto migliaia di film, ma mai letto un libro. E prendevano Nixon, che di libri ne ha letti ed ha continuato a leggerne (ed a scriverne, niente male), fino all'ultimo giorno per una specie di Bossi californiano, rozzo e triviale. [...] Ma forse quello che più infastidiva gli americani era la renitenza di Nixon ad appelli e richiami tanto più sonori quanto più vacui, come «la nuova frontiera» e simili. Nixon era un professionista della politica, uno dei pochissimi che l'America abbia mandato alla Casa Bianca. Non andava per sogni e per versetti del Vangelo. Conosceva il suo [[Otto von Bismarck|Bismarck]], il suo [[Benjamin Disraeli|Disraeli]], e credo anche il suo [[Niccolò Machiavelli|Machiavelli]] che in America basta nominarli per finire scomunicati. Per questo lo consideravano un mestierante, e per questo si era scelto come consigliere un altro mestierante, l'ebreo tedesco Kissinger. Furono questi due uomini che ridiedero all'America la ''leadership'' nella politica estera coinvolgendo nel gioco la Cina e scavandone il solco da Mosca. I successori di Nixon, e specialmente [[Ronald Reagan|Reagan]], vissero in gran parte di questa eredità. ===''Oggi''=== <!--ordine cronologico--> *Mi confermo in due mie vecchie opinioni. Il guaio del socialismo è il socialismo, cioè sta proprio nel suo sistema statalistico. Il guaio del capitalismo sono i capitalisti che, quasi sempre bravissimi all'interno della loro azienda, fuori di lì sono spesso degli ottusi e noiosi imbecilli, e talvolta anche peggio.<ref>Citato in ''Dizionario delle citazioni'', a cura di Italo Sordi, BUR, 1992. ISBN 88-17-14603-X</ref> (n. 22, 1983) *{{NDR|Sull'offerta di [[Massimo D'Alema]] a concedere, come «atto dovuto», i funerali di Stato a [[Bettino Craxi]]}} "Atto dovuto"? Ma dovuto a chi? Anche a un latitante: quale, dal punto di vista legale, era Craxi? Concedere i funerali di Stato a un latitante significa sconfessare la Giustizia che lo ha condannato. [...] Ma può lo Stato sconfessare la propria Giustizia senza sconfessare se stesso? Mi sembra di vivere in un Paese che di senso dello Stato ne ha meno di una tribù del Ghana.<ref>Citato in ''La morte incute rispetto, ma su Craxi non cambio idea''-</ref> (2 febbraio 2000) *La [[democrazia]] è sempre, per sua natura e costituzione, il trionfo della mediocrità. (11 ottobre 2000) ==''Caro direttore''== ===[[Incipit]]=== Mettersi nel '74 contro il vento che soffiava tutto nella direzione del «compromesso storico» con la codarda quiescenza di gran parte della borghesia e di quasi tutti gli intellettuali; scoprire (oggi sembra acqua calda, ma allora era un'eresia) che, oltre al terrorismo di destra, ce n'era uno, molto più violento e pericoloso, di sinistra, figlio – sia pure degenere e ripudiato – del Pci, un partito che raggiungeva il 36 per cento dei voti e che condizionava pesantemente scuola, magistratura, cultura, mezzi di comunicazione; schierarsi dalla parte dell'ordine contro l'eversione; istruire il processo contro il sinistrume, effettivo e di complemento, che mortificava l'iniziativa privata e l'economia di mercato con tutti i valori che vi sono connessi; battersi contro il bugiardo e demagogico giustizialismo populista per il ripristino della meritocrazia nel campo del lavoro e degli studi; denunziare il grande pericolo che circondava il sistema: la partitocrazia; tutto questo sembrava follia, e forse lo era. Ma di questa follia noi siamo fieri. ===Citazioni=== *In Francia c'è molta gente che tuttora si domanda se De Gaulle era proprio De Gaulle, o un matto che si credeva De Gaulle. Ebbene, io nutro per La Malfa lo stesso dubbio. Ed è appunto perché nutro questo dubbio che voto La Malfa. (p. 12) *Il capitalismo vero, che permise alla borghesia di liquidare il Medio Evo e di sostituire, a quella feudale, basata sul parassitismo redditiero, una nuova società basata sul lavoro e sul risparmio, nacque nei Paesi protestanti. E sa perché? Perché Calvino insegnò questo ai suoi seguaci: che il denaro, essendo un segno della Grazia Divina non si poteva scialacquarlo. Chi lo aveva guadagnato per un particolare favore concessogli da Dio, aveva il dovere di considerarsene soltanto il depositario, e di reimpiegarlo, cioè di reinvestirlo perché altri uomini potessero beneficiare dello stesso favore. Fu questa base morale che dette al capitalismo protestante la forza di vincere e di costruire la nuova società: la società borghese del lavoro e del risparmio al posto di quella del sangue e del blasone. (p. 25) *Lei ha ragione di essere soddisfatto. Dopo aver ricevuto una discreta istruzione nelle nostre costose scuole private potrà andare a completarla a Parigi, o a Harvard, o a Oxford, dove il figlio del suo mezzadro o del suo trombaio, magari molto più intelligente e volenteroso di lei, non potrà seguirla. Egli dovrà contentarsi dello svalutato pezzo di carta che la nostra Università rilascerà a lui come a qualsiasi analfabeta, e probabilmente, per campare, dovrà rassegnarsi a fare il mezzadro o il trombaio come suo padre. Grazie agli amici del popolo e ai campioni del proletariato. (p. 91) *L'Italia ha scelto lo sciopero, per risanarsi, e non il lavoro, i «ponti», e non il sacrificio; i comizi e le adunate, non le valutazioni responsabili che non possono venire dagli urli di una folla eccitata. La Germania federale, retta dai socialdemocratici, persegue una strada ben diversa. Ciascuno raggiunge i traguardi che si propone, e che merita. (p. 156) *Noi crediamo che in certi casi di carattere eccezionale il giornalista abbia il diritto, e qualche volta il dovere, di dire la verità, se ne è convinto, anche se non è in grado di dimostrarla. Ma a una condizione: che, non potendo o non volendo rivelare le fonti a cui l'ha attinta, se ne assuma in proprio la responsabilità con tutte le conseguenze, anche giudiziarie che ne derivano. (p. 173) *Il temuto cambio di regime non c'è stato, nonostante il tentativo dei partiti e della grande stampa fiancheggiatrice di gabellarlo come una operazione innocua e indolore. La necessità d'interpretare queste consultazioni come un referendum ci ha costretti a sostenere, con tutte le nostre forze, la Democrazia cristiana riconoscendole, però, il merito importante di non aver mai messo in pericolo le nostre libertà, anzi di averle sostenute e difese. Ora che abbiamo contribuito, non poco, a rimettere in piedi la grande malata, dobbiamo adoperarci a guarirla. (p. 193) *Ho avuto una tessera ''ad honorem'' di una federazione anarchica catalana (quella del famoso ''Campesino'') perché, durante la guerra civile spagnola, trafugai oltre frontiera un suo affiliato caduto prigioniero dei nazionalisti e condannato a morte. Ti prego di felicitarmene. Subito. Senza esitazioni. (p. 227) *Anche se aveva tutte le ragioni di sentirsi ingiustamente perseguitato e colpito nel suo onore di galantuomo, Malizia non doveva piangere, per il semplice motivo che i generali non hanno il diritto di piangere almeno in pubblico. Mai. Per nessuna ragione. Lei mi dirà che queste sono fisime da gente sorpassata. Può darsi. Ma io sono convinto che l'etica militare è fatta appunto di queste fisime. Sono stato per lunghi anni ufficiale di guerra, e credo di esserlo stato con onore – tanto da guadagnarmi alcune decorazioni –, appunto perché avevo queste fisime. (p. 261) ==''Caro lettore''== ===[[Incipit]]=== Questi volumi sono in fondo la ''summa'' del ''Giornale'', il riassunto e il breviario di un libero pensiero, cioè di un pensiero libero da qualsiasi condizionamento, che dovrebbe far riflettere gl'intellettuali. Ma noi ci crediamo poco. Ed uno dei motivi è proprio questo: che stavolta gl'intellettuali difficilmente potranno rinverdire lo slogan sotto il quale, negli anni di piombo, mascherarono la loro codardia: «Né con le brigate rosse né con lo Stato», come se lo Stato e le brigate rosse fossero sullo stesso piano e fra l'uno e le altre fosse possibile una neutralità. Pur appartenendo – almeno dal punto di vista sindacale – alla categoria, o forse proprio perché vi apparteniamo, non abbiamo molta stima degl'intellettuali, e troviamo poco meno che ridicola la loro pretesa di fare i direttori di coscienza della società. ===Citazioni=== *Lei ci accusa di eccessiva indulgenza verso i regimi sudamericani. Ma l'accusa è ingiusta. Non perdiamo occasione di dire che Pinochet è una disgrazia. Ma non possiamo fare a meno di aggiungere che questa disgrazia è nata da un'altra disgrazia di nome Allende. In Argentina, a portare al governo il generale Videla (che, glielo posso assicurare, non aveva nessuna voglia di andarci) sono stati i «montoneros» coi loro rapimenti e omicidi, dai quali più nessuno si sentiva al riparo. (p. 42) *Io lavorai al ''Borghese'', sotto vari pseudonimi, finché ci fu lui e perché c'era lui. Dal rapporto personale, quotidiano e strettissimo, esulava qualsiasi pregiudiziale ideologica. Io del resto, non ho mai capito quale ideologia avesse Longanesi. Sapevo soltanto che non era mai del gregge; e siccome nemmeno io lo sono, questo bastava a tenerci uniti. Dopo di lui il ''Borghese'' assunse una fisionomia ideologica precisa, di cui non discuto la legittimità, ma che non corrispondeva alla mia. E quindi la mia collaborazione vi sarebbe stata fuori posto. (p. 50) *Anche ai cattolici osservanti e militanti è consentito, si capisce, far politica. Ma, per amor del cielo, non la confondano con la religione invocando i «valori cristiani» mentre si mettono l'un l'altro l'arsenico nella minestra. Questo si può farlo in nome di Marx, e magari anche di Cavour. In nome di Dio, dovrebb'essere proibito. (p. 193) *Hai ragione interamente, là dove dici che chi nasce come me figlio di un professore (non di un magistrato) ha una partenza più facile di chi nasce come te, figlio di un operaio. Questo è vero. E infatti il gran problema di un regime politico serio dovrebb'essere proprio quello di ridurre al minimo le diseguaglianze al palo di partenza. Per raggiungere questo scopo, non smetterò mai di battermi. Ma nemmeno smetterò di battermi contro il tentativo di mortificare l'interesse privato fino al punto di togliere agli uomini la molla dell'iniziativa. Sono per un fisco severo. Ma voglio che colpisca gli sciali e i lussi, non gl'investimenti perché questi producono lavoro e ricchezza. Ecco il mio socialismo. (p. 202) *L'Islam ebbe una grande cultura solo quando, nella loro cavalcata conquistatrice, i suoi Califfi incontrarono la cultura greca, quella egiziana e quella ebraica. Ma questo risale a Averroè e ad Avicenna, cioè a mille anni fa pressappoco. Da allora l'atteggiamento dell'Islam verso la cultura è sempre rimasto quello del famoso Califfo che, quando gli chiesero cosa dovevano fare della grande biblioteca di Alessandria, da lui conquistata, rispose: «Se tutti quei libri dicono ciò che dice il Corano, sono inutili. Se dicono cose diverse, sono dannosi. Nell'un caso e nell'altro, meglio bruciarli». Si dirà: «Altri tempi». No, Khomeini pensa e parla come quel Califfo. L'Islam è una religione di analfabeti, in cui la cultura è monopolio degli Ulema, che sanno solo di Corano e passano la vita a indagarne i misteri (che non ci sono). Mi citi Alberoni un'opera d'arte e di pensiero islamica degli ultimi due o trecent'anni. I mussulmani colti sono quelli che escono dalle ''nostre'' università. (p. 259) *Ognuno ha il diritto ad avere una sua opinione. Ma nessuno ha quello di distorcere l'opinione degli altri. La mia era è la seguente: che, dopo l'esperienza in Ungheria, non mi sentivo d'incoraggiare i polacchi a una rivolta, in cui l'Occidente li avrebbe lasciati soli a vedersela coi carri armati sovietici, e quindi a finire sotto i loro cingoli come avvenne a Budapest nel '56. Questo non era un invito a «calar le brache». Era una messa in guardia da quelle pericolose illusioni di aiuti esterni che ebbero tanta parte nello spingere gli ungheresi a un olocausto rivelatosi poi del tutto inutile. (p. 271) *Io non sono affatto convinto dell'innocenza di Freda e Ventura (Giannettini non c'entrava niente) come non lo sono di quella di Valpreda. Ma anch'io avrei assolto per mancanza di prove. E non c'è da scandalizzarsene perché queste cose succedono in tutto il mondo. A vent'anni di distanza, la polizia americana non sa ancora con certezza chi uccise Kennedy. Solo la polizia sovietica sa sempre chi uccide per il semplice motivo che è sempre essa a farlo. Con questo, sia chiaro, non voglio dire che la nostra Giustizia funziona bene. Funziona malissimo, e qualche volta non funziona affatto. Ma che copra le stragi di Stato, i nostri intellettuali di sinistra vadano a raccontarlo agli zulù. (pp. 330-331) *Io non so se qualche omosessuale fra noi c'è. È un problema che non mi sono mai posto. Ma anche se ce ne fossero e io me ne accorgessi, non muoverei un dito contro di loro e seguiterei a stimarli per quel che valgono o a disistimarli per quel che non valgono. Tutto ciò, caro amico, la deluderà. Ma il mio stomaco, evidentemente, è soggetto a impulsi diversi da quello suo. Se c'è una cosa su cui mi rifiuto di giudicare gli uomini (e le donne) è proprio il sesso. Ho conosciuto degli omosessuali meravigliosi anche sul piano morale, e degli eterosessuali orrendi. E sono troppo geloso della privatezza mia per non rispettare quella altrui. (p. 343) ==''Dante e il suo secolo''== ===[[Incipit]]=== Uno dei tanti meriti che si suole attribuire a [[Dante Alighieri|Dante]] è quello di essere stato il primo italiano ad avere una «coscienza nazionale». Noi non vorremmo cominciare questo libro con una detrazione, ma non ci sembra che a dimostrare questa coscienza basti l'allusione che Dante fa a una entità geografica italiana, di cui egli fissava i punti terminali al Brennero e al Carnaro. E non vediamo del resto cosa aggiunga alla sua grandezza questa specie d'irredentismo avanti lettera. Se per qualcuno Dante spasimò fu, caso mai, per un Imperatore tedesco. ===Citazioni=== *[[Roma]] era stata la capitale di un impero cosmopolita, non di una Nazione. (Parte prima. Capitolo primo, p. 12) *Non è necessario essere degli adepti del "materialismo storico" per attribuire il risveglio delle inquietudini intellettuali, fra il Millecento e il Milleduecento, al progresso economico e al generale miglioramento delle condizioni i di vita. È a stomaco pieno che si comincia a pensare a qualcosa che non sia soltanto lo stomaco. (Parte prima. Capitolo terzo, p. 131) *Il [[pudore]] femminile non è mai stato altro che un incentivo alla civetteria. (Parte seconda, Capitolo quarto, p. 174) *Da consumato giurista qual era, {{NDR|[[papa Bonifacio VIII]]}} prese a rimaneggiare tutti i precedenti storici, su cui poteva basare le sue pretese di dominio universale. E trovò un valido aiuto nel canonista [[Egidio Romano|Egidio Colonna]] il quale scrisse un trattato, ''De ecclesiastica potestate'', per avvalorare queste tesi. Egli sostenne che la Chiesa era padrona e proprietaria non soltanto delle anime, ma di tutto. Era solo per bontà e condiscendenza che metteva le cose a disposizione dei fedeli, ma conservando il diritto di ritorgliele quando voleva. Quindi anche i troni appartenevano ad essa, che li lasciava ai Re solo in momentaneo appalto. Questa teoria tanto piacque a Bonifacio, che ne ricompensò l'autore con la nomina ad arcivescovo di Bourges. (Parte seconda, Capitolo nono, p. 312) *Peccato che un simile uomo {{NDR|papa Bonifacio VIII}} avesse così clamorosamente sbagliato generazione e carriera. Fosse nato cinquant'anni dopo sarebbe stato un magnifico Principe del [[Rinascimento]]: avido, crudele e gagliardo. (Parte seconda, Capitolo undicesimo, p. 372) *Dante qui {{NDR|nel ''De vulgari eloquentia''}} ha visto ciò che molti filòlogi ancora oggi non vedono. Egli difende il "volgare", cioè la lingua viva, quella parlata dal popolo, fatalmente destinata a soppiantare il latino. Ma ne vorrebbe una illustre e aulica, al di sopra di quelle "municipali", cioè dei dialetti, contro i quali si scaglia con furore. In Italia ne classifica quattordici e li detesta tutti, compreso il toscano che chiama "turpiloquio". Ma il più orrendo gli sembra il romano, "e non deve fare meraviglia dacché i romani, anche per deformità di costumi e abiti, appaiono i più fetidi di tutti". Chissà cosa direbbe, povero Dante, se tornasse fra noi e andasse al cinematografo. (Parte seconda, Capitolo quindicesimo, p. 483) ==''Gli incontri''== *[[Giovanni Porzio|Porzio]] non è alto di statura, ma diritto come un fuso nonostante i settantaquattro anni suonati e porta, sui pantaloni a righe stretti e lunghi come quelli degli antichi ufficiali in grande uniforme, una giacca nera che l'alta bottonatura fa simile a una ''redingote''. Il volto è bello, di colore olivastro, e aristocratico nella modellatura del naso e nel taglio breve dei baffi e della barbetta ancora pepe e sale. (Porzio, p. 91) *Non avevo mai visto da vicino [[Cécile Sorel]], quando essa mi apparve, per la prima volta, di lontano, sul palcoscenico allestito nella corte d'onore degli Invalides per le feste celebrative del bimillenario di Parigi. [...] Drappeggiata in una sontuosa cappa di [[Elsa Schiaparelli|Schiaparelli]] a strascico di ''lamé'' d'argento e porpora, dritta su un podio sotto la statua di [[Napoleone Bonaparte|Bonaparte]], accolse a braccia spalancate lo scrosciante omaggio, sincopato dalle salve di artiglieria, dei cinquemila spettatori ammassati nell'immenso cortile. Sorrise. Sfiorò con uno sguardo altero le teste della folla, lo alzò verso l'imperatore, ma senza implorazione né umiltà, da pari a pari. Poi, in un silenzio di tomba, prese a modulare l'ode di Bruyez: "''Vous qui êtes morts pieusement pour la patrie...''". Ed era una voce incredibilmente limpida e squillante, senza traccia di ruggine. (Cècile, pp. 226-227) *[[Saul Steinberg|Steinberg]] ha la faccia dei suoi pupazzi: una faccia malinconica, lunga e triangolare, di cavallo tirato su a paglia soltanto, senza biada, e condannato a trascinare un carretto su per un'erta interminabile, in cima alla quale non si sa cosa ci aspetta, ma certo un'altra condanna, forse più pesante del carretto. Anche i baffi ha, come i suoi pupazzi: a doppia virgola orizzontale, sebbene meno lunghi e senza le intenzioni esibizionistiche di quelli di Dalì; e anche le lenti a stanghetta traverso cui ti fissano intensamente, di sotto in su, due occhi azzurri e mortificati, di uomo che non si è reso conto di essere Saul Steinberg; o essendosene reso conto, non ci prova alcun piacere. (Steinberg, p. 289) *[[Harukichi Shimoi]] è uno di quei giapponesi che gli altri giapponesi considerano di statura piccola. Tanto piccola che [[Gabriele D'Annunzio|D'Annunzio]], per abbracciarlo, dovette curvarsi (lui!) e, dopo essergli andato incontro gridando, con le braccia alzate: "Fratello!... Fratello mio!..." lo guardò, ci ripensò e aggiunse: "Sebbene non di sangue...". (Shimoi, p. 389) *Quanti anni avrà, ora, Harukichi Shimoi? Forse cinquanta, forse centocinquanta. Come per [[Guelfo Civinini]], suo amico, anche per lui il problema dell'età non si pone. Quale che essa sia, egli la porta esattamente come deve averla portata mezzo secolo fa. Il suo corpo è stortignaccolo, ma diritto, e i suoi capelli son nerissimi. Ma il tratto che più lo caratterizza sono le sopracciglia, che madre natura gli ha piantato a mezza strada, come due ciuffi di foltissimo bosco, tra gli occhi e la chioma, in modo che, per quanto vasti i suoi occhiali, esse li sormontano e risucchiano come se fossero due monocoli. (Shimoi, pp. 389-390) *Il più favoloso e colorito personaggio del [[Brasile]] è [[Assis Chateaubriand]], proprietario di ventun giornali, diciotto stazioni radiotrasmittenti, di una flotta aerea, di alcune ''fazendas'' vaste come l'intera Sicilia, di un museo che vale venti milioni di dollari, di una Compagnia nazionale per la puericoltura, e di un'ambizione pari soltanto al suo coraggio, alla sua insolenza e alla sua spavalderia. (Chateaubriand, p. 495) *Assis {{NDR|Chateaubriand}} ha un debole per i tedeschi e per gli italiani. Come faccia a conciliare questi due amori, non si sa; ma le sue pene, durante la guerra, furono grandi, anche se irreprensibile fu la sua condotta<ref>Dal 1942, nel corso della seconda guerra mondiale, il Brasile fu in stato di guerra con Germania e Italia.</ref>. Quando però il governo comminò l'arresto a chiunque parlasse italiano, scese in lotta con i suoi giornali contro l'assurda disposizione. Scrisse che quello non era patriottismo, ma un nazionalismo di bassa lega, degno soltanto di una colonia, e che lui si vergognava d'esser brasiliano. Fece un tale baccano, che alla fine dovettero revocare il provvedimento e quello del sequestro dei beni dei nostri compatrioti. (Chateaubriand, p. 502) *Quando nacque sessantadue anni orsono, ne aveva già a dir poco settecento. Perché [[Ottone Rosai|Rosai]] veniva dritto dritto dal Medioevo, dopo aver saltato a piè pari Rinascimento ed età moderna, e nei momenti di sincerità confessava che Giotto gli pareva un "deviazionista" rispetto a Cimabue, il quale gli andava molto più a sangue. (Rosai, p. 544) *Dopo essere stato fascista della prima ora, nella seconda col fascismo {{NDR|Ottone Rosai}} s'era trovato male, e si capiva benissimo che era sempre per via delle mani. Tornato dalla guerra, lo squadrismo gli aveva consentito di menarle, come a lui piaceva, e ci aveva dato dentro senza risparmio. Forse l'unico momento felice della vita di Rosai fu quello: quando a gambe larghe di traverso alla strada aspettava, col giornale aperto davanti agli occhi in un gesto di sfida ribalda, il corteo rosso in arrivo da San Frediano, che alla vista di quelle manacce aggrappate ai bordi del foglio e pesanti come macigni, esitava. (Rosai, p. 547) *[[Paolo Monelli|Monelli]], se seguisse le proprie inclinazioni, andrebbe a letto coi polli. Ma cosa direbbe la gente, se non lo vedesse più vagabondare nei vari ritrovi frequentati dai nottambuli della città? Direbbe senza dubbio: "Comincia a invecchiare". E a questa idea Monelli balza dalla sua poltrona e si attacca al telefono per mobilitare qualche amica che lo accompagni nei suoi vagabondaggi. Giovani colleghe come Livia Serini, attrici giovanissime come Lea Massari sono state ridotte sull'orlo dell'esaurimento nervoso da queste prolungate ronde notturne senz'altro costrutto che quello di ribadire agli occhi di tutti l'intramontabilità di Monelli. Egli non le porta a spasso. Le porta all'occhiello, come gardenie. (Monelli al girarrosto, p. 592) *{{NDR|Paolo Monelli}} Fuma la pipa come Churchill il sigaro, cioè soltanto quando lo guardano. (Monelli al girarrosto, p. 593) ==''I conti con me stesso''== ===[[Incipit]]=== Una telefonata da Milano m'informa che Longanesi è morto. È stato colpito dall'infarto davanti al suo tavolo di lavoro, su cui era spiegata una mia lettera di dieci giorni fa, che cominciava così: «Caro Leo, stanotte ho sognato ch'eri morto...». (27 settembre 1957) ===Citazioni=== *Tutta la mia vita è stata contesa fra la noia di vivere insieme e la paura di vivere [[Solitudine|solo]]. (4 ottobre 1957) *Di nuovo il Polesine. Pare impossibile: durante le inondazioni, la prima cosa che viene a mancare è l'acqua. (dicembre 1957) *[[Colette Rosselli|Colette]]. Invecchia gentilmente, senza catastrofi. Ha su tutte le altre donne un vantaggio incolmabile: quello di essere stata il mio ultimo e più grande amore. Così grande che possiamo camparci di rendita, comodamente, tutti e due per il resto dei nostri giorni. (gennaio 1958) *Il destino di [[Riccardo Bacchelli|Bacchelli]] sarà l'opposto di quello del maiale: di lui, dopo morto, ci sarà da buttar via tutto. (gennaio 1958) *[[Olga Villi]]. Non è punto grata alla sua bellezza che le ha consentito di diventare principessa di Trabia. Punta solo sul talento che non ha. Ma è talmente priva di ''sense of humour'' che forse diventerà una buona attrice. (gennaio 1958) *[[Gaston Palewski|Palewski]]. L'ambasciata a Roma è per lui soltanto uno dei più importanti capitoli del libro di memorie che scriverà. (gennaio 1958) *Non è che [[Luigi Barzini (1908-1984)|Barzini]] abbia un'altissima opinione di sé. Ne ha una bassissima degli altri. (gennaio 1958) *Piccolo incidente d'auto. La nostra, per evitare un ciclista, picchia contro un muro e resta piuttosto acciaccata. [[Colette Rosselli|Colette]], che la guida, dice: «Meglio così. Dovevo farla revisionare, e non mi decidevo mai...». (gennaio 1958) *[[Razzismo]]: pensarci sempre, parlarne mai. [[Risorgimento]]: parlarne sempre, pensarci mai. (gennaio 1958) *[[Fascismo]]. Il più comico tentativo per instaurare la serietà. (gennaio 1958) *Il guaio più grosso della Repubblica è che, mentre il Re poteva essere di sangue straniero e di solito lo era, il presidente bisogna sceglierlo fra gl'italiani. (gennaio 1958) *Bacchelli lavora infaticabilmente, da sessant'anni, alla costruzione di un piedestallo su cui, alla sua morte, non sapremo cosa posare. (gennaio 1958) *A pranzo da [[Vittorio Cini]] con una ventina di altri invitati. A colazione ne aveva avuti altrettanti. E così ieri. E così avantieri. E così sempre. A ottantadue anni suonati, è fresco, roseo, insaziabilmente voglioso di intrattenere e di essere intrattenuto. A conclusione della serata, mi sfida a una gara di canto. Scegliamo come banco di prova ''Vecchia zimarra'', e stoniamo maledettamente entrambi, ma io meno di lui. I presenti mi assegnano la vittoria. Di colpo, Vittorio perde il suo buon umore. È talmente abituato a vincere, che non accetta di perdere nemmeno nel canto. (7 settembre 1966) *{{NDR|Su [[Nicola Bombacci]]}} Io l'ho conosciuto soltanto cadavere, quando penzolava accanto a quello di Mussolini, in piazza Loreto, e una folla messicana lo bersagliava bestialmente di sputi. Anni dopo, volli tentarne la riabilitazione ritracciandone la patetica vicenda, ma non riuscii a trovarne gli elementi biografici. Compaesano e compagno di scuola di Mussolini, maestro elementare e autodidatta come lui, ne era stato il grande amico quando entrambi militavano nel socialismo. Eppoi il suo nemico giurato, la bestia nera degli squadristi. Esule con la famiglia prima in Francia, poi (credo) in Russia, rimpatria col permesso del Duce, si affida alla sua generosità, per ricambiarla gli resta al fianco anche a Salò, e lo accompagna fin nell'ultimo viaggio verso la morte. (23 ottobre 1966) *Colloquio segreto con l'ex comunista [[Giulio Seniga|Seniga]] per una storia del [[PCI|Pci]] che devo scrivere con [[Roberto Gervaso|Gervaso]] per la «Domenica». Ė un uomo piuttosto affascinante, dallo sguardo chiaro, freddo e innocente: lo sguardo del fanatico. Mi ha detto che sua moglie, cresciuta in Russia dove suo padre era fuoruscito, e autrice di un interessante libro – ''I figli del partito'' –, nel partito è rimasta, non ha trovato il coraggio di uscirne, sebbene approvi e condivida la secessione del marito, con cui è sentimentalmente unitissima. Non riesco a capire questa gente. Cioè capisco soltanto che è diversa da noi non sul piano ideologico, ma su quello umano. (25 novembre 1966) *È morto [[Uguccione Ranieri di Sorbello]]. Era venuto a Roma da sua suocera. Stava benissimo. Era anzi particolarmente sereno e contento perché aveva finito un suo lavoro di ricerca storica cui attendeva da anni. A fine pranzo ha detto: «Non mi sento bene». Si è alzato, ed è crollato a terra. Stecchito. (29 maggio 1969) *{{NDR|Su Uguccione Ranieri di Sorbello}} Era un gran signore e un gran galantuomo che ha trascorso la sua vita in crociate nelle quali non aveva nulla da guadagnare. L'ultima è stata la campagna propagandista negli Usa per convincere gli americani a dare il nome [[Giovanni da Verrazzano|Da Verrazzano]] al grande ponte sull'Hudson. Nel suo perfetto inglese (lo scriveva meglio dell'italiano) inondò l'America di articoli e conferenze (parlava benissimo, con molto humor e senza enfasi oratorie) cercando i familiarizzare gli ascoltatori col nome Da Verrazzano, la cui pronuncia rappresentava per essi la difficoltà più grossa all'adozione di quel nome. Questa smania missionaria credo che l'avesse ereditata da sua madre americana. E per seguirla aveva trascurato le sue proprietà terriere. Le sue campagne erano in uno stato pietoso, la sua bella villa sul Trasimeno mezza disunta. (29 maggio 1969) *{{NDR|Su Uguccione Ranieri di Sorbello}} Era un buon scrittore, un infaticabile sommozzatore di articoli, un ricercatore attento e scrupoloso di curiosità storiche, un umanista moderno che aveva allargato i suoi orizzonti a tutta la cultura contemporanea, specie anglo-sassone: un uomo insomma che ha realizzato un centesimo di quello che poteva per via di quel suo dispersivo correre dietro a un'infinità di altri interessi. Era stato anche un autentico combattente della [[Resistenza italiana|Resistenza]]: per ben sedici volte si era fatto paracadutare dagli Alleati dietro le linee tedesche: impresa che chiunque altro si sarebbe fatto ripagare con altrettante medaglie. Lui non aveva ricevuto nemmeno una citazione, e di questi episodi non ha mai parlato. (29 maggio 1969) *Anche [[Irene Brin]] se n'è andata. Mi avevano detto che era malata di un cancro; ma era una notizia vaga e incerta, ch'essa aveva fatto di tutto per smentire. Fino in fondo ha lavorato e ha partecipato ai riti della mondanità: sfilate di moda, ricevimenti, eccetera. (1 giugno 1969) *{{NDR|Su Irene Brin}} Quando [[Giovanni Ansaldo|Ansaldo]] la scovò e cominciò a farla scrivere sul «Lavoro» di Genova, sua città natale, era soltanto Mariù Rossi: una ragazza timida e incerta, molto provinciale, figlia di un Generale e di un'ebrea austriaca. L'unica fama di cui godeva era quella, equivoca e velata sotto un nome d'accatto, che le aveva procurato [[Elio Vittorini|Vittorini]] prendendola a protagonista, con sua sorella, di un racconto: ''Le figlie del Generale'' in cui entrambe erano presentate come lesbiche. Se lo fossero veramente, non so. Il sesso è uno dei tanti capitoli misteriosi di questa donna. (1 giugno 1969) *In mano a [[Leo Longanesi|Longanesi]], che le aveva regalato anche lo pseudonimo d'Irene Brin, aveva rivelato autentiche qualità di scrittrice. I profili che pubblicò su «Omnibus» erano deliziosi. Fosse rimasta fra biografia e memorialismo, poteva diventare qualcosa di mezzo fra [[Henri de Saint-Simon|Saint-Simon]] e [[Lytton Strachey|Strachey]] con un tocco alla [[Madame de Sévigné|Sévigné]]. Altro che la [[Maria Bellonci|Bellonci]]! Era un'osservatrice attenta (sebbene non ci vedesse da qui a lì) e penetrante, nutrita di vastissime letture: la sua prosa aveva ritmo, calore, l'aggettivazione precisa, l'ironia tagliente. Ma era un cavallo che aveva bisogno del fantino. Chiuso «Omnibus» e cessata la regia di Longanesi, Irene infilò la pista sbagliata – quella della cronista mondana –, e non è più uscita. (1 giugno 1969) *Finito di scrivere il capitolo sull'[[Giulio Alberoni|Alberoni]] per ''L'Italia del Settecento''. Ho riprodotto la pagina di [[Henri de Saint-Simon|Saint-Simon]], che lo descrive mentre assiste impavido alle evacuazioni corporali di Vendôme per guadagnarsene i favori, eppoi inginocchiandosi davanti a lui gli grida estasiato: «Oh, culo d'angelo!», e glielo bacia. Come inizio di "carriera" italiana, mi sembra esemplare. Poi mi torna a mente un'osservazione di [[Jules Renard|Renard]]: «Se in un periodo c'è la parola culo, il lettore non si ricorderà che di quella dimenticando tutto il resto, anche se è sublime». Renard ha ragione. Ma io, a un culo autenticato da Saint-Simon, non rinuncio. (3 luglio 1969) *Le Soroptimists hanno dato un pranzo a [[Colette Rosselli|Colette]], in qualità di "Donna Letizia". Colette ha accettato dopo molti rifiuti. Il suo fastidio per queste cose di donne, lo so, è sincero. Ma, una volta preso l'impegno, ha trascorso la giornata a preparare il suo discorsino col puntiglio che la distingue. Non è per nulla ambiziosa, non tiene affatto a reclamizzare il proprio talento, sottovaluta quello che mette nella sua rubrica di «Grazia» (ma se lo fa pagare profumatamente), rifiuta di fare una mostra dei suoi deliziosi quadri. Ma il suo suscettibilissimo amor proprio non le consente di rischiare una brutta figura nemmeno nelle cose che disprezza. Infatti anche stasera ne ha fatta una eccellente, leggendo con molto garbo le due paginette che aveva preparato con un sapiente dosaggio di humour autentico, e di pathos e di umiltà fasulli. Ha avuto gran successo. Per la prima volta mi son visto guardato come un personaggio-satellite, una specie di principe consorte. Cosa che a me non dispiace affatto, ma a lei moltissimo. In questo, è proprio femmina. (13 agosto 1969) *Mi riferiscono, di [[Giorgio Bocca|Bocca]], questo giudizio su di me: «Sempre il più bravo di tutti. Bravissimo. Troppo bravo. Ma mettendo lo stesso impegno a scrivere gli articoli su Venezia e quello sull'arbitro [[Concetto Lo Bello|Lo Bello]], dimostra che in realtà non è impegnato in nulla». È vero. Non sono impegnato in nulla. In nulla, meno che nel mio mestiere. Fiorentina-Bari 3-0. E Chiarugi capo-cannoniere! (16 novembre 1969) *Sciopero generale per il caro-case. Un pretesto da nulla. Ma è bastato per immergere Milano in un'atmosfera da 8 settembre. Strade vuote. Saracinesche abbassate. Enorme spiegamento di polizia. Mentre pranzo con [[Giovanni Spadolini|Spadolini]], [[Mario Cervi|Cervi]] e Zappulli, giunge notizia che in un tafferuglio al Lirico un agente è stato ucciso dai "cinesi". «Meno male che è toccata a un agente» diciamo in coro, eppoi non osiamo guardarci negli occhi. Anche noi apparteniamo a questa borghesia codarda che pretende appaltare alle forze dell'ordine il compito di farsi sputacchiare, pestare e ammazzare per tenerne al riparo se stessa. E non vuole nemmeno pagargli uno stipendio decente. (19 novembre 1969) *[[Alberto Moravia|Moravia]] ha fondato, insieme a [[Pier Paolo Pasolini|Pasolini]] e a [[Dacia Maraini]], un "comitato contro la repressione". È la riprova che la repressione non c'è. Se ci fosse, Moravia sarebbe coi repressori, come ha dimostrato avallando col suo silenzio la persecuzione di [[Aleksandr Isaevič Solženicyn|Solženicyn]] in Russia. (28 dicembre 1969) *Moravia si è ritirato dal comitato che lui stesso aveva fondato. Ma non per i silenzi di [[Giovanni Spadolini|Spadolini]]. Si è ritirato perché «l'Unità» ha disapprovato. Gl'italiani sono sempre pronti a fare la rivoluzione, purché i carabinieri siano d'accordo. E Moravia è sempre pronto a battersi per la libertà, purché sia d'accordo il piccì. (2 gennaio 1970) *Arrivati i rendiconti dei miei diritti d'autore: 28 milioni nell'ultimo semestre. Supero dunque i 50 milioni annui. Anche ammettendo che l'editore non ci faccia sopra punta cresta (il che mi sembra, a dir poco, improbabile), non c'è male. Credo di essere l'autore italiano che più guadagna, anche perché sono l'unico che questa cifra la guadagna ogni anno, e senz'aiuto di premi letterari. Non ne sono contento per il denaro, di cui non so che farmi e che serve solo a pagare i capricci di Colette (ne ha tanti!). Ne sono contento, anzi felice, per il mio status da autore stipendiato unicamente dal pubblico. C'è chi vive di partito. C'è chi vive di Eni. C'è chi vive di Agnelli, o di Perrone, o di Crespi. Io vivo di [[lettore|lettori]]. I lettori non m'impongono altra servitù che la sincerità: l'unica che non pesi. (3 marzo 1970) *Più che comunanza di vedute, fra [[Denis Mack Smith|Mack Smith]] e me c'è comunanza di nemici: quegl'insopportabili pedanti accademici che a Palermo lo hanno violentemente attaccato qualificandolo «il Montanelli di Oxford». Implicitamente egli accetta di far fronte con me contro di loro. Credo che facciamo entrambi un buon affare, e anche un affare buono: se riusciamo a squalificare agli occhi del pubblico la [[storiografia]] accademica (e coi nostri libri ci stiamo riuscendo), avremo reso un grosso servigio alla cultura italiana. (2 maggio 1970) *Sosta a Venezia, dopo il voto a Cortina. Visita d'obbligo a Vittorio Cini, e passeggiata con lui sulle Zattere. Vedendolo, un vecchietto sdrucito, ma dignitoso, si leva il cappello e gli tende la mano, evidentemente per mendicare. Vittorio gliel'afferra e gliela stringe con effusione dicendogli: «Caro!... Caro!... Caro!... Coma la va?» È in perfetta buona fede: la buona fede di un doge lontanissimo dalle afflizioni della miseria e perfino incapace di immaginare che ce ne siano. (8 giugno 1970) *Leggo in [[Giorgio Candeloro|Candeloro]]: «... Nel processo generale di sviluppo della Storia, il carattere dei personaggi, anche dei più grandi, ha un peso limitato...». Ah, sì? E cosa dunque se non il carattere di Alessandro, cioè la sua follia, può spiegare la conquista macedone fino all'India e la diaspora dell'ellenismo che ne deriva? L'Islam è concepibile senza il "carattere" di [[Maometto]]? E cosa divise la Riforma se non i diversi "caratteri" di [[Martin Lutero|Lutero]] e di Calvino? I nostri storici odiano i caratteri e i personaggi, perché questi richiedono immaginazione e intuito, cioè doti di scrittore, di cui essi sono disperatamente vedovi. Non sono storici. Sono soltanto degli archivisti, e molto spesso disonesti. (10 novembre 1970) *Milano è in fiamme per l'affare Feltrinelli, e [[Piero Ottone|Ottone]] mi chiede un articolo contro la [[Camilla Cederna|Cederna]], firmatario di un manifesto in cui, a due ore di distanza dal rinvenimento del cadavere e prima ancora che esso sia ufficialmente riconosciuto, proclama che Feltrinelli è rimasto vittima della «reazione internazionale». Se la Cederna avesse una testa, direi che l'ha persa. Ma perché Ottone vuole un articolo contro di lei, intima amica e direttrice di coscienza di [[Giulia Maria Crespi|Giulia Maria]], nonché regina del suo sinistrorso salotto? Comunque, a mettere una zeppa fra direttore e proprietaria, è doveroso collaborare. E faccio l'articolo in forma di "lettera a Camilla". (25 marzo 1972) *Pare che l'articolo abbia rimesso fuoco a Milano, creandovi una irreparabile frattura fra montanellisti e cedernisti. I primi sono più numerosi, ma i secondi più rumorosi. Ricevo pacchi di telegrammi di plauso e altrettanti d'insulti. Il giornale è sommerso di lettere, e io prego Ottone di pubblicare anche quelle di protesta. Ha scritto anche la Cederna annunziando una replica sull'«Espresso» (Ottone ha cancellato il titolo del settimanale, commettendo una meschineria). Quanto a Giulia Maria, mi dicono che schiuma di rabbia. Se è vero, devo riconoscere che il giornalismo qualche soddisfazione la dà. [[Umberto Eco]] mi attacca sul «manifesto» riproducendo una mia frase di ammirazione per Mussolini scritta quando avevo ventidue anni (in dieci anni di giornalismo sotto il defunto regime, non sono mai riusciti a trovare, di mio, altre prove di zelo fascista) e accusandomi di mancanza di cavalleria verso una donna. O bella! Come se una donna, quando si mette a far politica – e che politica! – come un uomo, potesse ancora accampare l'impunità! Anche la [[Maria Callas|Callas]] è una donna. Eppure, quando stona, la si fischia. (27 marzo 1972) *Ho scritto un fondo in difesa della Cederna, incriminata dal magistrato per aver diffuso notizie false e tendenziose. Che abbia commesso questo peccato, ho detto, è vero. Ma si tratta di peccato, non di reato. E a giudicarne dev'essere il lettore, non il tribunale. Verità lapalissiane. Dice che è sempre stata molto più impegnata e coraggiosa di me perché con le sue campagne in favore di Valpreda e di [[Giuseppe Pinelli|Pinelli]], tiene fronte alla polizia. Potrei incenerirla chiedendole dov'era e cosa faceva quando io ero in galera per aver tenuto fronte non alla polizia d'oggi, ma a quella fascista e nazista. Ma non ne vale la pena. (28 marzo 1972) *Più approfondisco questo tema delle regioni (sono a Milano per questo), e più mi sgomenta il doverne scrivere. Ci vuol poco a capire che questi regionalisti lombardi perseguono, consapevolmente o inconsapevolmente, un piano secessionista cisalpino. E, una volta che ne abbiano lo strumento, riusciranno a realizzarlo. Non per nulla Bassetti parla già non più di «regione lombarda», ma di «[[Padania|regione padana]]», di cui il resto d'Italia non sarebbe che un'appendice. Se ce la fanno (e ce la faranno), addio Risorgimento! Non era che una finzione, d'accordo, e in pratica ha fallito. Ma con che lo sostituiremo? (26 settembre 1972) *Volo a Lussemburgo sul solito bireattore di Berlusconi, che ci accompagna, felice di esibirsi e di esibire il suo status in una cerimonia internazionale. La medaglia d'oro (ma è proprio d'oro?) me la consegna Gaston Thorn, capo del governo lussemburghese. Berlusconi riempie il suo taccuino di indirizzi: quelli di tutte le personalità che ha incontrato. È il vero ''climber'' che approfitta di tutto e non butta via nulla. (23 maggio 1977) *Kappler è fuggito. Ha fatto bene. Ma ora chi ci salverà dai conculcati "valori della Resistenza"? (15 agosto 1977) *A colazione da [[Vittorio Cini|Cini]]. Ha avuto un brutto crollo, ma ha ancora risorse. Le tira fuori quando è in compagnia. Ma quando è solo, mi dice sua moglie, sprofonda in quei tetri silenzi che sono i colloqui di un uomo con la morte. (19 agosto 1977) *De Carolis m'informa che il vero autore della operazione «Corriere» è un certo [[Licio Gelli|Gelli]], misterioso personaggio massonico, di Arezzo (Fanfani), che vuole incontrarmi per un accordo fra i due giornali. (24 settembre 1977) *Secondo quanto mi era stato raccomandato, dovevo salire direttamente alla camera 219 dell'Excelsior. Ma alla camera 219 non c'era nessuno, e così dovetti chiedere al portiere del signor Gelli. Poi Gelli arrivò, mi condusse furtivamente nel suo appartamento e mi fece un lungo discorso pieno di allusioni, dal quale dovevo comprendere che lui è un pezzo grosso – forse il più grosso – della massoneria (Palazzo Giustiniani), che come tale era stato il vero padrino della operazione Rizzoli, e che in questa operazione potevamo rientrare anche noi. Mi ha detto che quattro ministri dell'attuale governo, otto sottosegretari e centoquaranta parlamentari dipendono da lui. Questi massoni sono tutti uguali: credono che la loro potenza sia direttamente proporzionale al mistero di cui si circondano e prendono per cose fatte quelle per le quali complottano. (4 ottobre 1977) *Da Fanfani, al Senato. È talmente infuriato che diventa perfino sincero. «Dica al suo amico che è un traditore!» «Perché non glielo dice lei?» Mi spiega che Forlani non mira alla segreteria del partito, come io credevo, ma alla presidenza del Consiglio, quando Andreotti sarà consumato. Mi dice anche che condivide l'idea di Donat-Cattin di lasciare il Quirinale a un laico. «Altrimenti fra noi democristiani ci sbraniamo e ci sbrachiamo nella corsa a chi concede di più ai comunisti.» È sincero anche stavolta, o lo dice perché, avendo perso ogni speranza per sé, vuole prepararsi un buon argomento per Maria Pia («Stavolta toccava ai laici»)? (29 ottobre 1977) *A cena da Gervaso con Cossiga. Non si lamenta dei nostri attacchi, ma sono io a dirgli: «Noi esprimiamo lo scontento, e talvolta la rabbia, della pubblica opinione. La gente vuole un ministro degl'Interni che agisca e che faccia agire la polizia». «Ma lei sa com'è ridotta la polizia?» «In qualunque modo sia ridotta, siete voi che l'avete ridotta così. E quindi sta a voi rimediare.» Mi dice che non c'è da farsi illusioni: la situazione si aggraverà. Il terrorismo è finanziato coi sequestri, ha solidi agganci internazionali, e segue una tattica ben studiata. «L'attentato a lei fu un errore. Se a essere colpite fossero le personalità di rilievo, la gente media, cioè la grande massa della popolazione, sarebbe tranquilla. Invece hanno deciso di colpire i gradi subalterni – consiglieri comunali della Dc, capireparto della Fiat eccetera – per togliere il sonno a tutti.» Forse è vero. (29 ottobre 1977) *Quattro revolverate in faccia a [[Carlo Casalegno|Casalegno]], che ora è grave. Alzano la mira. (16 novembre 1977) *«La Stampa» riporta tutti gli articoli di solidarietà per Casalegno apparsi sugli altri giornali. Ma omette il mio, ch'era forse il più caldo: la solidarietà nostra la imbarazza. (18 novembre 1977) *Casalegno è morto. Ho telegrafato alla vedova, ma non al figlio – iscritto a [[Lotta Continua|Lotta continua]] –, né a [[Arrigo Levi|Levi]] e ai colleghi della «Stampa». Purtroppo, la loro faziosità condiziona la nostra solidarietà. Al funerale andrà Biazzi. (29 novembre 1977) *Incontro risolutivo a Roma tra Ferrauto e quelli della Sipra. Affare fatto e a condizioni molto più favorevoli di quelle sperate. Sei miliardi e settecento milioni come minimo annuo garantito, per cinque anni. Firmeremo il compromesso martedì 16. (10 maggio 1978) *Vista in tv la cerimonia funebre per Moro in San Giovanni Laterano. Dentro la basilica, tutti i dignitari Dc e quelli Pci inginocchiati sotto la mano benedicente del papa. E, fuori, la piazza sventolante di bandiere bianche e rosse. Non ho potuto fare a meno di rilevarlo in un "Controcorrente". (13 maggio 1978) *Batosta comunista alle amministrative parziali di ieri (4.000.000 di elettori). La Dc sale dal 38 al 42 per cento, il Pci scende dal 35 al 26. Successo dei socialisti che guadagnano il 4 per cento. Un risultato sconvolgente (in positivo). Uniche delusioni: il guadagno – sia pur minimo – del Pri, e la mancata rianimazione del Pli. (15 maggio 1978) *Firmato oggi l'accordo con la Sipra. Minimo garantito: 6.800.000.000 all'anno per cinque anni. Il presidente, D'Amico, è un ex operaio della Fiat, ora deputato comunista: un uomo concreto, franco, di poche parole. Era più soddisfatto lui dell'accordo con noi, che il direttore generale, il democristiano Pasquarelli. Io ho fatto la mia parte, da buon attore. Arrivato all'ultimo momento, ho detto: «Per impedire ripensamenti ed equivoci, trasformiamo il compromesso in vero e proprio contratto, e firmiamo subito». Lo champagne era già pronto. (16 maggio 1978) ==''I protagonisti''== *Nel settembre di quell'anno {{NDR|1956}} il partito lo spedì {{NDR|[[Gian Carlo Pajetta]]}} a Mosca insieme a Pellegrini e a [[Celeste Negarville|Negarville]] per sentire direttamente da [[Nikita Sergeevič Chruščёv|Kruscev]] come ci si doveva comportare nella crisi, ormai aperta, dell'antistalinismo. Kruscev li accolse affabilmente, li invitò a cena. E qui, trascinato da bocconi e libagioni ad una espansiva euforia come spesso gli capita, a un certo punto disse: «Beh, ora vi voglio raccontare come strangolammo [[Lavrentij Pavlovič Berija|Beria]]». E descrisse l'agguato che gli avevano teso al Cremlino, come gli erano saltati addosso e come gli avevano serrato la gola con le mani fino alla soffocazione. Lo descrisse ridendo allegramente, forse senz'accorgersi del pallore che soffondeva il volto dei suoi ospiti, o per lo meno quelli di Pajetta e di Negarville.<br />L'indomani li convocò nuovamente e, come non ricordando affatto ciò che gli aveva raccontato la sera prima, disse loro in tono solenne: «Beh, ora vi farò sentire il processo di Beria registrato sul nastro». E glielo fece sentire davvero come lo avevano inventato ''post mortem'', con la voce del defunto falsificata.<br />Quando si ritrovarono fra loro, Negarville e Pajetta si guardarono con gli occhi pieni di lacrime. «Ma allora – dissero –. Ma allora...». E non aggiunsero altro. (pp. 66-67) *{{NDR|Su [[Anna Magnani]]}} Ci sarebbe da scrivere un trattato sul modo di usare Anna. La prima precauzione da prendere è quella di non farla ritrovare in mezzo a estranei. Timida com'è, pur dopo un'esistenza trascorsa sotto i ''flashes'', la gente la raggela e la chiude in un mutismo ostile o l'aizza ad atteggiamenti protervi. Delle poche persone che le ho presentato, l'unica che la sedusse immediatamente fu il mio collega [[Augusto Guerriero]], perché il discorso cadde sui cani e sui gatti: e questo è un argomento su cui il cuore di Anna si scioglie e la mente le si ottenebra. Si mise in testa che noi due, con un articolo, potevamo far riformare la legge sulla protezione degli animali. E invano cercammo di dimostrarle che il problema non era di leggi, ma di costume. Non sentì ragioni. Dovemmo prometterle l'articolo (che poi infatti scrivemmo). (pp. 177-178) *{{NDR|Su [[Ignazio Silone]]}} Leggendo i suoi primi romanzi, ''Fontamara'', ''Pane e vino'', ''Il seme sotto la neve'', e pur ammirandoli, ero caduto in abbaglio sull'autore. Lo avevo preso per uno di quegl'industriali dell'antifascismo che, riparati all'estero, avevano trovato nella universale avversione alla dittatura una comoda scorciatoia al successo dei libri di denunzia. Lo consideravo insomma un profittatore del regime a rovescio (come del resto ce ne sono stati). E una conferma mi era parso di vederla nel fatto che finito, col fascismo, l'antifascismo, parve finito anche il narratore Silone.<br />Poi vennero ''Una manciata di more'', ''Il segreto di Luca'', ''La volpe e le camelie''. Ma vennero soprattutto alcuni saggi politici che mi costrinsero a ricredermi. Ed era proprio questo che non riuscivo a perdonargli. Mi era antipatico non per i suoi, ma per i miei errori. Più lo conoscevo attraverso i suoi scritti, e più dovevo constatare che non solo egli non somiglia affatto al personaggio che m'ero immaginato, ma che anzi ne rappresenta la flagrante contraddizione. (pp. 180-181) *{{NDR|Su ''[[Ignazio Silone#Uscita di sicurezza|Uscita di sicurezza]]''}} Come documento umano, non ne conosco di più alti, nobili e appassionati. Fenomeno unico, o quasi unico, fra gli sconsacrati del comunismo che di solito non superano mai più il trauma e trascorrono il resto della loro vita a ritorcere l'anatema, Silone non recrimina. Egli rifiuta i grintosi e uggiosi atteggiamenti del moralista, o meglio ne è incapace. Domenicano con se stesso, è francescano con gli altri, e quindi restio a coinvolgerli nella propria autocritica. Cerca di metterne al riparo persino [[Palmiro Togliatti|Togliatti]]; e se non ci riesce che in parte, non è certo colpa sua. Qui non c'è che un accusato: Silone. E non c'è che un giudice: la sua coscienza. (pp. 186-187) *Noi crediamo di scoprire dei modelli. In realtà non scopriamo che degli antenati. [[Carlo Cassola|Cassola]] s'illude di aver imparato da [[James Joyce|Joyce]] quello che già sapeva. Joyce gli avrà fornito, al massimo, qualche mezzo tecnico per esprimerlo. Uno [[scrittore]] vero (e Cassola lo è) non cerca in un altro scrittore che se stesso. (p. 207) *{{NDR|Su [[Enrico Mattei]]}} Egli amava solo il [[potere]], e l'amore del potere esclude tutti gli altri. (p. 265) *{{NDR|Su [[Giulio Andreotti]]}} Andava anche, mi dicono, a messa insieme a lui {{NDR|[[Alcide De Gasperi|De Gasperi]]}}, e tutti credevano che facessero la stessa cosa. Ma non era così. In chiesa, De Gasperi parlava con Dio; Andreotti col prete. Era una divisione di compiti perfetta. (pp. 271-272) ====''Il meglio di «Controcorrente»''==== *Il «comitato permanente antifascista» di Milano ha deciso di chiedere un «riconoscimento» per tutti coloro che sono stati «coinvolti direttamente nella strategia della tensione a partire dal 1º gennaio 1969». Ci risiamo. Tutta la nostra vita è stata angosciata e angariata dagli antemarcia: prima quelli del Littorio, poi quelli della Resistenza, ed ecco che ora spuntano quelli della «tensione». Longanesi aveva ragione: in questo Paese, reduci si nasce. (p. 47) *Agli alunni della terza classe (anni otto-nove) della scuola elementare di via Pisani, Milano, è stato assegnato il seguente problema: «Mario, Gino e Beppino sono i capi della banda. Mario dice a Gino che la banda ha quasi esaurito le munizioni: rimangono solo 5 cassette con 130 pallottole per cassetta. Quante pallottole rimangono?». Debolucci come siamo, in aritmetica, non lo sappiamo nemmeno noi. Ma ci pare che una per l'insegnante e una per il ministro Malfatti ci dovrebbero ancora essere. (p. 79) *Il messaggio di addio che il dimissionario capo dello Stato ha detto alla televisione e che anche noi pubblichiamo, è ineccepibile. Esso dà del presidente [[Giovanni Leone|Leone]] un'immagine che non fa una piega: un galantuomo all'antica, padre di una famiglia esemplare, ingiustamente calunniato da una stampa irresponsabile. Siamo sicuri che tutto questo si può dire di Leone. Ha un solo difetto: che a dirlo è stato Leone. (p. 84) *A Roma, nonostante tutte le ricerche fatte, non è stato possibile trovare un locale disponibile per un convegno di radicali. Non ce n'era uno abbastanza piccolo per contenerli tutti. (p. 103) *In un convegno su «Terrorismo e informazione», a Roma, è stato unanimemente riconosciuto che il [[segreto istruttorio]] in Italia non esiste. Lo trasgrediscono tutti. Non solo giornalisti e avvocati – e ancora passi – ma perfino magistrati che anticipano e propalano, il più delle volte per farne strumento politico, notizie riservate. «È il segreto di Pulcinella» si è lamentato il procuratore capo della Capitale, De Matteo. È vero. Ma Pulcinella non era giudice. E i giudici non dovrebbero essere Pulcinella. (p. 104) *Solo il tempo non perde tempo, diceva [[Jules Renard|Renard]]. E così, a furia di annunciarne i cambiamenti, il tempo è passato anche per il colonnello [[Edmondo Bernacca|Bernacca]], che ora deve rassegnarsi alla pensione. Peccato. Gli dobbiamo parecchi raffreddori e reumatismi. Ma nessuno riuscirà meglio e con più grazia di lui a farci capire ed accettare l'inutilità della meteorologia. (p. 108) *Qualcuno teme – e qualche altro spera – che l'Afghanistan diventi il Vietnam dei russi. Niente paura, in Afghanistan non ci sono giornalisti. (p. 112) *Quella del ''Corriere'' non è una situazione invidiabile: il direttore in congedo per l'affare della P2, manager ed articolisti contestati per lo stesso motivo, il maggiore azionista in galera, accusato di reati valutari, montagne di debiti, trasparenza della proprietà limpida come un mare in burrasca. Ci sarebbe davvero da mettersi le mani nei capelli. Se non fosse un giornale di [[Roberto Calvi|Calvi]]. (pp. 125-126) *Quando leggiamo «ministro senza portafoglio», ci viene sempre un dubbio. Che glielo abbia rubato qualche collega? (p. 146) *L'[[Organizzazione per la Liberazione della Palestina|Olp, Organizzazione per la liberazione della Palestina]], è stata ammessa con voto unanime, anche se provvisoriamente, nel Comitato olimpico asiatico. Non sapevamo che il lancio della bomba fosse diventato una disciplina atletica. (pp. 171-172) *A suo tempo imprigionato dagl'israeliani per complicità col terrorismo palestinese, e liberato per l'intervento del Vaticano con l'impegno di astenersi dalla politica, l'Arcivescovo libanese di Gerusalemme [[Hilarion Capucci]] ha dichiarato in un'intervista all'''Europeo'' che i rivoltosi di Gaza e della Cisgiordania non ricevono ordini da nessuno: «Li prendono solo da Dio, loro unico leader». Lo abbiamo sempre detto, noi: a grattare un arabo, anche se cristiano e Monsignore, viene fuori un Ayatollah. Ma forse non c'è neanche bisogno di grattare. (p. 184) *Da Praga [[Bettino Craxi]] proclama che «bisogna liberare l'Italia da Falci e Martelli». Benissimo. Ma chi è Falci? (p. 206) *[[Pino Rauti]] è intenzionato a candidare un africano alle elezioni comunali fiorentine. Più che giusto: il nero si addice al Msi. (p. 209) *Per evitare pubblicità attorno al caso di [[Angelo Peruzzi|Peruzzi]] e [[Andrea Carnevale|Carnevale]], i due giocatori giallo-rossi risultati positivi all'antidoping, il presidente della Roma, [[Dino Viola]], ha deciso di portare tutta la squadra in ritiro. A San Patrignano. (p. 216) *Secondo ''La Notte'' di ieri – che riferisce dichiarazioni d'un capo della Jihad islamica, Ibrahim Serbell – i terroristi arabi hanno nel loro mirino, per quanto riguarda l'Italia, «uomini politici, aeroporti e alcuni obiettivi strategici». Siamo molto preoccupati per gli aeroporti e gli obiettivi strategici. (p. 220) *La fantapolitica non è il nostro esercizio preferito. Ma ci chiediamo che cosa succederebbe se, con un colpo alla Moro, i terroristi si impadronissero di Cossiga e lanciassero al governo il ricattatorio ultimatum: «Se non ci date cento miliardi, lo liberiamo». (p. 228) *Malgrado tutto (e per tutto intendiamo proprio tutto), [[Moana Pozzi]] non è riuscita ad entrare a Montecitorio. Peccato. È l'unica Camera che non potrà dire di aver frequentato. (p. 236) *Sull'''Unità'' è comparsa la lettera di un deputato che, pericolosamente sfiorato da un motociclista, invoca drastiche misure penali contro i «teppisti al volante». Ci associamo alla proposta. L'unica cosa che ci sconcerta è la firma del proponente: è quella dell'onorevole [[Mario Gozzini]], autore della famosa legge che in pratica vorrebbe l'indulgenza plenaria per qualsiasi reo e reato. (p. 244) ==''Il testimone''== *Per restituire efficienza e prestigio alla polizia, bisogna prima restituirli allo Stato. E in che condizioni lo Stato italiano sia ridotto, tutti lo sappiamo e lo vediamo. Dovrebbero vederlo e saperlo anche i nostri uomini politici, e trovare il coraggio di riconoscerlo pubblicamente, invece di occultare la verità dietro la cortina fumogena di dichiarazioni pompose e altisonanti sulla «saldezza delle istituzioni» e simili. Furono questi proclami retorici e vuoti a provocare la bordata di fischi che accolse a Brescia [[Giovanni Leone|Leone]] e [[Mariano Rumor|Rumor]] all'indomani della strage. [...] La gente è stanca di una politica che cerca ma non trova, di una magistratura che istruisce ma non giudica, e soprattutto di partiti che strumentalizzano i morti per la loro propaganda politica. Con questi sistemi non si ricostruisce la fiducia. Si rende obbligatoria la sfiducia, condizione e prefazione della resa. (p. 33) *La Lombardia seguita a sfornare energie di prim'ordine. E da tutta Italia coloro che, come i soldati di Napoleone, credono di portare nel loro zaino il bastone di maresciallo, continuano a fare di Milano la loro mecca. Le difficoltà fra cui si dibattono sono molto più ardue di quelle che affrontano i loro predecessori per fare le fortune proprie e quelle di Milano. Ma la più ardua di tutte è il riciclaggio dei valori morali. Se Milano non restaura il culo dell'uomo, della sua iniziativa, del suo coraggio, del suo orgoglio di costruire, di rischiare e di vincere, e se non restituisce il premio a queste virtù, tanto vale che si arrenda allo Stato, al parastato e al sindacato, e si rassegni a diventare il ''bazar'' di un'Italia da terzo mondo. (p. 69) *Chi sia, cosa voglia e cosa valga Rizzoli, non c'interessa. C'interessa solo l'operazione cui egli presta il nome e il braccio (la mente lasciamola stare). Il tentativo di fare di Rizzoli, coi soldi del contribuente, l'editore del regime, è chiaro. E se di lui si vuol fare l'editore del regime, è altrettanto chiaro che si punta a una stampa di regime. Ma di quale regime? Evidentemente di un regime bisognoso di quei silenzi che solo una stampa di regime, affiancata da una RAI-TV di regime, può garantire. Se l'operazione riesce, caro lettore, dovremo dirci addio, perché per le voci libere e indipendenti non ci sarà più posto. Per soffocarle, non è necessaria nemmeno una legge: basterà lasciar aumentare il costo del prodotto bloccandone il prezzo. (p. 80) *Frondista sotto il fascismo, ribelle sotto la democrazia, Longanesi rimase sempre lo stesso. Il suo sogno sarebbe stato di fare l'anarchico in un regime autoritario borghese. Una volta lo condussi a parlare di un vecchio artigiano toscano, che diceva di essere stato in Russia a organizzare complotti e a fabbricare bombe contro lo zar. A tal punto Longanesi si entusiasmò di lui da rifiutare i miei sospetti sull'autenticità della storia. «È vera, è vera», diceva: «non hai sentito con che effetto e rimpianto parlava dello zar? L'affetto e il rimpianto del vero anarchico che, quando c'era lo zar, saoeva almeno contro chi buttare le bombe.» Ed era chiaro che anche lui rimpiangeva lo zar, per gli stessi motivi. (pp. 103-104) *In Italia i rappresentanti del popolo non sono popolari. Nessuno, nemmeno fra quelli che raccolgono centinaia di migliaia di voti, è veramente amato e rispettato. [...] I rappresentanti del popolo non parlano quasi mai col popolo. Parlano solo col partito, cioè fra loro, in un linguaggio ermetico che dà corpo ai peggiori sospetti. E in più c'è il borbonico attaccamento agli orpelli del potere. Questi capi di Stato e di governo, questi ministri [...] è fatale che agli occhi della gente appaiano come ''loro'', e ne subiscano le conseguenze. Non la si prenda per una dichiarazione di fede antirepubblicana. Ma [...] l'uccisione di [[Umberto I di Savoia|Umberto I]] che, come re, era il supremo dei ''loro'', sollevò un'ondata di commozione popolare più diffusa e spontanea di quella suscitata dal brutale sequestro di [[Aldo Moro|Moro]] (p. 114) *Sui feretri di coloro che sono caduti per ragioni ideologiche hanno diritto di sventolare solo le bandiere dei rispettivi partiti, e bisogna riconoscere che quelle della Democrazia cristiana possono vantare precedenza. Su quelli di tutti gli altri – magistrati, poliziotti, carabinieri, guardie e medici di carcere – può e deve sventolare solo il tricolore, se in qualche soffitta ce ne sono ancora degli scapoli. Il tempo delle usurpazioni e delle confische è finito. A ciascuno il suo. (p. 137) *In Germania c'è una norma statuaria che vieta di rovesciare un governo se prima non si sia trovata la maggioranza per formarne un altro. Da noi, ogni limitazione alla spensieratezza è considerata antidemocratica. Come diceva Longanesi: «Chi rompe, non paga, e siede al governo». (p. 161) *In questi venticinque anni, Kekkonen si è adoperato a «finlandizzare» la Finlandia: non aveva altra scelta, e c'è riuscito. La Finlandia è l'unico satellite dell'URSS in cui le fondamentali libertà democratiche sono rispettate, e di cui la porta è rimasta aperta all'Occidente. Ma non credo che questo miracolo sia dovuto solo a lui. Esso è dovuto soprattutto alla Finlandia e a quello che nel suo giovanile estremismo nazionalista egli stesso aveva chiamato «l'inutile sacrificio». Quel sacrificio fu invece utilissimo. È grazie a esso che la Finlandia non ha seguito la sorte degli altri tre Paesi Baltici – Estonia, Lettonia e Lituania –, ormai cancellati dalla carta politica dell'Europa. (p. 195) *Non vengano i sociologi a ripeterci la solita filastrocca che la mafia non è colpa di nessuno, neanche dei mafiosi, ma solo delle «strutture» e della povertà. Forse un tempo era così: il tempo in cui la mafia aveva qualche diritto di fregiarsi del titolo di «onorata società», e anche se avesse ammazzato un [[Carlo Alberto dalla Chiesa|Dalla Chiesa]], avrebbero risparmiato sua moglie. Oggi la mafia naviga nell'oro, e forse Dalla Chiesa è morto proprio perché aveva messo le mani su certe carte che riguardano finanziamenti per 880 miliardi ad aziende ancora più fantomatiche del Banco Andino di calvesca memoria. Il che dovrebbe indurci a qualche riflessione sui contributi che lo Stato fornisce alla Regione siciliana per aiutare l'isola a recuperare i suoi «ritardi». (pp. 215-216) *C'è chi chiede il rigore nella lotta all'inflazione, c'è chi lo chiede in quella della disoccupazione, c'è perfino chi lo chiede nello sviluppo dell'assistenzialismo. [[Guido Carli]] [...] ha detto ch'esso va applicato principalmente alla spesa pubblica, da contenersi entro l'invalicabile limite della «sopportabilità»: cosa su cui tutti hanno convenuto, essendo questo [...] il rigore che più piace agl'italiani (oltre quelli che gli arbitri di calcio assegnano in favore della squadra di casa). (p. 222) *La colpa dei Paesi sviluppati non è di far troppo poco per quelli di sottosviluppo, ma di farlo male. Qualcuno ha riassunto la lezione dei fatti nella massima: «Non date il pesce alla gente affamata; insegnatele a pescarlo». Ma per questo i miliardi non bastano: ci vogliono i missionari alla [[Marcello Candia]] e alla [[Madre Teresa di Calcutta|Suor Teresa di Calcutta]], molto più difficili da stanziare. Comunque, una cosa bisogna esigerla: l'eliminazione delle strozzature che impediscono agli aiuti di arrivare a chi ne ha veramente bisogno. Oggi come oggi, essi si fermano regolarmente sulle mense e nelle tasche di politici e burocrati delle nuove satrapie. Ma nella legge varata ieri non mi sembra che ci sia accenno allo smantellamento di questo perverso sistema. Che l'amministrazione di quei millenovecento miliardi [...] sia affidata a un sottosegretario invece che a un commissario, non mi pare una gran trovata. Si tratterà [...] del solito carrozzone lottizzato fra partiti, che farà presto a intendersi, via mance e bustarelle, coi carrozzoni dei Paesi da soccorrere. (pp. 257-258) *La [[Resistenza italiana|Resistenza]] un grande servigio all'Italia lo rese: ci procurò un notevole ribasso sul conto della sconfitta. Senza la Resistenza, non c'è dubbio che avremmo pagato molto più caro il nostro dissennato intervento a fianco della Germania. [...] Essa ha tutti i titoli per essere ricordata. Ma come la fine di una lunga sconfitta, la chiusura del capitolo più nero della nostra storia unitaria; non come il coronamento di una radiosa vittoria. Noi non ci liberammo; fummo liberati, L'aiuto – modestissimo, sul piano militare – che con la Resistenza demmo ai liberatori merita la gratitudine di tutti i disastri che ci risparmiò e le indulgenze che ci procurò al tavolo della pace. Ma la pretesa di confonderci coi vincitori, e perfino di parlare in loro nome, non può tirarci addosso che disprezzo e sarcarmi. (pp. 266-267) *Per Menichella, la ricostruzione e il grande decollo industriale erano possibili a una condizione: la stabilità della moneta. I capitali per gl'investimenti dovevano essere attinti non alla Zecca, ma al risparmio, che in caso contrario sarebbe stato distrutto dall'inflazione. E per accumulare il risparmio non c'era che una ricetta, la solita: lavorare di più e consumare di meno. Lo accusarono di rozzezza, di passatismo, lo tacciarono di «guardia bianca del capitalismo» che voleva «arricchire i padroni sulla pelle degli operai» [...] e un tenore della sinistra giunse a definirlo «un analfabeta dell'economia». E niente poteva essere più menzognero. Menichella aveva una preparazione di ferro. Di economia sapeva tutto. Solo lo traduceva [...] in un linguaggio spicciolo e sempre rapportato al concreto. I fatti gli diedero ragione. Ricostruzione e stabilità monetaria camminarono di pari passo; l'Italia raggiunse il ''boom'' nel momento in cui la lira si guadagnava l'Oscar. (p. 282) *Noi che laici siamo sul serio, non abbiamo nessuna nostalgia dello Stato crispino che credeva di fare del laicismo silurando i prefetti che andavano a messa e destituendo il sindaco di Roma per un atto di omaggio al Papa. Come non ne abbiamo per una Chiesa che umiliava padre Tosti e il vescovo Bonomelli, costringendoli a pubblici atti di contrizione per avere avanzato proposte di conciliazione. Uno dei motivi, forse il maggiore, per cui amammo e rispettammo De Gasperi è per la peitra tombale che ci sembrava avere messo su questo passato, dimostrando col proprio esempio come si possa essere insieme il più cattolico degl'italiani e il più italiano dei cattolici. [...] Non abbiamo titoli né qualifiche per rivolgerci al Papa. Ma se potessimo, gli porremmo una sola domanda che non dovrebbe [...] dispiacergli. Gli chiederemmo se per essere insieme buoni patrioti e buoni cattolici sia proprio indispensabile nascere polacchi. (pp. 306-307) *[[Walter Cronkite|Cronkite]] non ebbe mai dubbi sulla «obbiettività» delle sue immagini. «Parlano da sole», diceva. E in un certo senso è vero. [...] In questo lavoro di montaggio [...] fu un vero maestro. Come lo è stato nell'arte delle omissioni. Perché l'immagine del colonnello che sparava alla tempia del vietcong diceva, sì, la verità. Ma taceva, ignorandola, quella dello sfondo su cui la scena si svolgeva: il suolo tappezzato dai cadaveri seviziati dei ''marines'' sorpresi nel villaggio, delle donne sventrate e dei bambini abbruciacchiati per sospetto di collaborazionismo: tutte immagini che non avrebbero tolto nulla alla verità di quella della pistola sparata alla tempia, ma l'avrebbero spiegata sminuendo l'effetto dell'errore e del capriccio. Così come sono vere, verissime, le sequenze [...] della ritirata (si fa per dire) degli americani da Saigon: roba che quasi rivaluta l'8 settembre italiano, da arrossire di vergogna nei secoli. Peccato che Cronkite non abbia fatto riprendere le scene che contemporaneamente si svolgevano nelle strade della città via via che i ''liberatori'' del Nord vi s'inoltravano: roba da impallidire di orrore anche oggi. [...] Cronkite seguita a dire che la verità sul Vietnam è la sua. Ma è rimasto il solo a dirlo. Tutti i suoi ''fans'' lo hanno abbandonato e rinnegato. Compresa [[Jane Fonda]], che da cacciatrice di streghe e pasionaria del colpevolismo si è trasformata in missionaria del pentitismo e invoca il perdono dei reduci battendosi il petto. Con la stessa sincerità e buona fede, credo, con cui prima li indicava al crucifige. [...] È vero, putroppo, che la sorte del Vietnam fu decisa dalle «patacche» di Cronkite. In fatto di mestiere, possiamo imparare tutto da lui. Ma in fatto di verità, nulla. Salvo l'arte di contraffarla con l'aria di servirla (pp. 328-329) *Conosciamo dei comunisti che nel comunismo ci hanno creduto sul serio, e forse tanto più ciecamente quanto più bisognava essere ciechi per continuare a crederci. Sono quelli che l'abiura se la tengono in corpo, e che non imprecano contro l'idolo infranto. Sappiamo benissimo che, se avessero vinto, in nome di quell'idolo ci avrebbero, sia pure a malincuore, impiccati. Ma oggi il loro silenzio c'incute il più grande rispetto. Non altrettanto ne proviamo per i cosiddetti «emergenti» che, per continuare a emergere, inneggiano a tutto: alle macerie del Muro, alla perestroika, alla libertà, perfino al capitalismo, e si atteggiano a precursori e battistrada di questa totale, anzi totalitaria palinodia. Ma si tratta di una truffa bell'e buona. (pp. 343-344) *L'Expo è una grande abbuffata. E quando sono in gioco migliaia di miliardi, l'importante non è vincere; è partecipare. Che Venezia venga ridotta a un luna-park per la gioia a un luna-park per la gioia delle torme di straccioni (trenta milioni, secondo i preventivi più cauti) che la sommergerebbero rinnovando e centuplicando l'alluvione dei Pink Floyd era – ed è – per i fautori dell'Expo un'obbiezione facilmente superabile col discorso del Grande Progetto. [...] Venezia [...] appartiene al mondo, o per lo meno alla cultura di quello occidentale, di cui invochiamo [...] l'intervento per salvarla da quella masnada di locuste impazzite, disposte a farne un incrocio tra Las Vegas e Disneyland. (pp. 357-358) *[[Corrado Carnevale|Carnevale]] [...] ha dichiarato in un'intervista [...] che la notte non ha bisogno di sonniferi perché, nei confronti della Legge, la sua coscienza è a posto. Ci crediamo senz'altro. Ma se si ponesse la stessa domanda nei confronti della Giustizia, mi domando se i suoi sonni sarebbero altrettanto tranquilli. E tuttavia ci rendiamo conto che questa domanda non se la porrà mai, e anzi gli sembrerà del tutto stravagante. Perché, per un magistrato italiano, la Legge con la Giustizia non ha nulla a che fare. (pp. 387-388) *Dopo la liberazione, [[Luigi Durand de la Penne|de la Penne]] fu tentato dalla politica, e andò alla Camera prima sotto la bandiera democristiana, poi sotto quella liberale. In realtà, di bandiere, de la Penne non conosceva né riconosceva che il tricolore, e sperava ancora una volta di servirlo propugnando una riforma delle forze armate che le adeguasse alle nuove esigenze. Ma quando si accorse di non riuscire a combinar nulla, si ritirò; aveva capito che questi sono tempi per uomini di mare alla Accame, non alla de la Penne. Non fece mai l'eroe. [...] Ora, se qualcuno mi domanda perché ho dedicato alla sua scomparsa uno di quegli editoriali che di solito si riservano solo agli avvenimenti e ai personaggi della politica, rispondo che l'ho fatto per meglio sottolineare che per me e per gli uomini di questo giornale gli eroi delle guerre perdute non sono meno rispettabili e ammirevoli di quelle delle guerre vinte. E, in ogni caso, meritano il posto d'onore del giornale ben più dei personaggi di cui siamo costretti ogni giorno a interessarci. (p. 402) ==''Indro al Giro''== ===[[Incipit]]=== Il destino è stampato sulla carta d'identità e scritto nelle stelle. Indro Montanelli nasce il 22 aprile 1909, il primo Giro d'Italia prende il via il 13 maggio 1909. Stesso anno, stesso segno zodiacale: Toro. Potevano, queste due creature quasi gemelle, non percorrere un tratto di strada insieme? Potevano ignorarsi? ===Citazioni=== *Come i bersaglieri quando smettono di correre, così i ciclisti, quando cessano di pedalare ingrassano. *Il [[Giro d'Italia]] parla milanese, anche se poi, a vincerlo, è qualche toscano o qualche romagnolo. *I corridori sono come [[Anteo]]: il contatto con la loro terra gli dà forza. *Ma sapete voi con precisione che cosa sia una fuga, lo sapete? Non lo sapevo nemmeno io prima di vederla. Credevo che fosse l'uomo che, a un certo punto, si mette a pedalare più forte degli altri e li semina per via. Errattissima nozione. La fuga è invece un grande urlo e un gesto disperato che mettono d'improvviso in confusione tutta la carovana del Giro. *Quello della bicicletta è un mondo buono: e credo sinceramente che venga da questa bontà il fascino ch'esso esercita sulle folle. *Lasciatelo com'è questo Giro provinciale e festoso: lo sport di un popolo che, nella corsa verso il progresso meccanico, è rimasto alla bicicletta, tappa intermedia fra il cavallo e l'automobile, ritrovato artigiano e arnese di famiglia. *Se Parigi avesse il mare sarebbe una piccola Bari, ma non saprebbe accogliere i forestieri con tanto calore e sportiva cordialità. *Leoni, che oltre a tutto è un bellissimo ragazzo, ha una fidanzata la quale gli scrive raccomandandogli di non vincere, altrimenti troppe ragazze lo abbracciano porgendogli i fiori. Leoni è innamoratissimo della sua fidanzata ma non è certo per obbedire a lei che non vince. È solo per obbedire a [[Fausto Coppi|Coppi]] e restargli a fianco. *Gli assi possono permettersi di arrivare ultimi. E lo fanno senza risparmio. Possono permettersi di disprezzare i loro adoratori e lo fanno senza ritegno. L'adorazione rimane. *I corridori di bicicletta sono gente semplice, che non è mai stata in collegio. [...] Nessuno ha insegnato loro i dettami dello stile e della cavalleria. Li posseggono per natura. Difficilmente essi cercano di sminuire la vittoria dell'avversario e non gliene serbano rancore. Sono capaci di delicatezze che non credo esistano negli altri sport. *I corridori non si dovrebbero sposare; e, quando lo fanno, dovrebbero scegliere delle donne brutte. *È la specialità dei padri quella di sognare per i figli i trofei che loro non convengono, ed è la specialità dei figli quella di procurarsi trofei che ai loro padri non piacciono. ==''La stecca nel coro''== ===[[Incipit]]=== Non è questa la sede per rifare la storia del ''Giornale''. Ma voglio ricordare ai vecchi lettori e a spiegare a quelli nuovi ch'esso non fu un giornale, ma una battaglia, di cui può essere istruttivo ricostruire gli episodi. Quelli, decisivi, degli anni Settanta e Ottanta, in questa raccolta ci sono tutti, chiosati. E di queste chiose, ho l'immodestia di dire che non ce n'è una di cui debba pentirmi nemmeno ora che i pentimenti vanno di moda, anzi sembrano diventati un genere di prima necessità. Questa raccolta è dedicata a tutti i miei compagni di lavoro, defunti e sopravvissuti, italiani e stranieri, che condivisero con me i rischi (e ce ne furono) di questa avventura, la più bella di tutta la mia carriera di giornalista, e ai lettori che ci permisero di combatterla. Anche se tuttora ignoro se l'abbiamo vinta o persa. ===Citazioni=== *Anche a detrarne tutto ciò che vi avrà aggiunto la propaganda di parte, crediamo che di soprusi, sopraffazioni e sangue ce ne siano stati abbastanza, nel regime dei colonnelli, per giustificarne l'incriminazione. Tuttavia vorremmo che accanto a loro, sul banco degli accusati, venissero chiamati anche Papandreu e altri campioni del massimalismo piazzaiolo e di certo radicalismo snob, per spiegare ai giurati e alla pubblica opinione, non soltanto di Grecia, come mai i colonnelli giunsero al potere senza sforzo e senza sforzo lo conservarono fino a quando per propria insipienza lo persero. Solo così il processo acquisterebbe un senso, oltre quello della pura vendetta. Le colpe dei vari Ghizikis e Papadopulos non ne risulterebbero affato sminuite. Ma finalmente si capirebbe che i colonnelli non sono dei trovatelli e che per impedire i golpe non c'è che un sistema: far funzionare la democrazia. [...] Non auguriamo la forca a nessuno. Ma se un giorno qualche colonnello dovesse venirvi appeso, speriamo che ai Papandreu sia almeno proibito di partecipare alla festa. Perché i veri padri del golpe, le Circi che tramutono i colonnelli in dittatori, furono loro. (pp. 15-16) *Rivendicato il diritto alla scelta, gli elettori portoghesi l'hanno espressa con chiarezza lampante. Hanno votato per l'Occidente, per un Portogallo che sia socialmente più giusto di quello uscito dalla penombra salazariana, ma che rimanga saldamente ancorato all'Europa libera, alle sue alleanze, agli ideali della democrazia senza virgolette e sottintesi: una democrazia di cui i militari, con l'aiuto dei loro reggicoda comunisti, potranno conculcare le libertà fondamentali, ma coi carri armati, non in nome del popolo. [...] Due piccole nazioni, il Portogallo e la Grecia, uscite entrambe dalla prova di regimi dittatoriali, hanno votato, a breve distanza l'una dall'altra, con esemplare equilibrio, senza cedere alle tentazioni ed ai miti delle catarsi rivoluzionarie. È una grande lezione per altri Paesi che, avendo assaporato la libertà da molti anni, sembrano smaniosi soltanto di perderla. (pp. 44-45) *Per formare la maggioranza, la Dc non ha più a disposizione le tre forze laiche su cui De Gasperi fondò i suoi più fortunati e redditizi Governi: se i repubblicani hanno alla bell'e meglio temuto, liberali e socialdemocratici sono stati spazzati via. Occorrerebbero i socialisti, ma costoro hanno già dichiarato di non essere disponibili a maggioranze che escludano i comunisti. [...] Che razza di democrazia verrebbe fuori da un'ammucchiata totalitaria di queste tre forze che lasciasse l'opposizione al Movimento sociale, Dio solo lo sa. [...] I milioni d'italiani che [...] hanno votato Dc, lo hanno fatto ''unicamente'' perché la Dc si è presentata come il ''no'' al comunismo. Mai come stavolta il patto tra candidato ed elettore è stato così esplicito. Se lo ricordino bene i professionisti del tradimento [...]. Come li abbiamo aiutati a vincere, saremo i primi a denunciarli con nome e cognome. Il tempo delle deleghe in bianco è finito. Dando le – «preferenze» come noi avevamo suggerito –, il ciattadino stavolta sa per ''chi'' ha votato, e lo tiene personalmente responsabile. (p. 78) *Cosa vuol dire […] «gli chiediamo fino a che punto si spinge il suo disaccordo con la proposta di unità e di collaborazione democratica che noi avanziamo e sosteniamo, se al suo disaccordo c'è il limite fissato della difesa e della sopravvivenza del quadro costituzionale e repubblicano?» Vuol forse dire, senza dirlo, che chi si oppone a questa proposta, cioè in parole povere chi si oppone al compromesso storico, si mette automaticamente fuori da quel quadro e va considerato un eversore? Capisco che, a furia di praticarlo […] questo giuoco del fuorigiuoco sia diventato per voi un vizio. […] Ma stavolta l'impresa è più ardua del solito: non sono molti gl'italiani disposti a credere che rifiutare i comunisti al Governo significa rifiutare la democrazia e a considerare chi lo fa alla stregua di un killer o di un pistolero (pp. 104-105). *Noi non chiediamo la legge marziale. Basta la rivalutazione materiale e morale di quelle forze dell'ordine, i cui sacrifici sono stati fin qui regolarmente pagati ripagati con stipendi da fame, castighi disciplinari e campagne denigratorie. Basta insomma che sia affermato nei fatti, e non soltanto nelle parole, il supremo impegno a trattare il terrorismo come va trattato: in termini di scontro, non di «confronto». Faccia a faccia. Lo Stato italiano non può chiedere fermezza ai cittadini, se non ne dà esso stesso l'esempio. Spietatamente, quando occorre. E in questo caso occorre. (p. 119). *Noi […] non possiamo pronunciarci in favore di [[Marco Pannella|Pannella]]: egli giuoca in un campo che non è il nostro. Ma quattro cose dobbiamo dire, da avversari, di questo anomalo personaggio. La prima è che Pannella è [...] un personaggio su una scena politica popolata quasi esclusivamente di comparse e coristi. La seconda è che i suoi digiuni sono autentici e le sue tasche autenticamente vuote. La terza è che, se domani ci sarà un regime – ipotesi che si fa sempre più possibile – all'opposizione di questo regime ci saremo solo noi e Pannella, socio scomodo, ma di tutta affidanza. E infine dobbiamo riconoscere che fra noi e lui c'è [...] un fatto di sangue. Anche se scatena la sua buriana da sinistra facendo d'ogni erba un fascio […] e chiama la sua gente «compagni», ricordiamoci che Pannella è figlio nostro, non loro. Un figlio discolo e protervo, un giamburrasca devastatore che dopo aver appiccato il fuoco ai mobili e spicinato il vasellame, è scappato di casa per correre le sue avventure di prateria. Ma in caso di pericolo o di carestia, ve lo vedremo tornare portandosi al seguito mandrie di cavalli e di bufali selvaggi, quali noi non ci sogneremmo mai di catturare e domare. Questo è Pannella. Voti non possiamo dargliene. Ma ci auguriamo che sia lui a mietere quelli che non ci appartengono. (pp. 156-157) *Noi siamo contrari alle leggi speciali. Ma proprio per non dovervi ricorrere, siamo per l'applicazione più dura e risoluta di quelle vigenti. La Costituzione per esempio non prescrive che l'Italia ospiti, senza possibilità di esercitare su di essi alcun controllo, centinaia di migliaia di stranieri dal passato incerto, e tavolta fin troppo certo. E le Forze dell'ordine non possono essere condannate a giuocare eternamente «di rimessa» [...]. In queste condizioni, non si lotta. Si subisce soltanto. Ed è di questo che il Paese non vuol più sapere. [...] Ci risparmino i discorsi sulla bara di [[Vittorio Bachelet]]. [...] Il funerale di Stato, va bene. Ma in silenzio, ministro Rognoni, per l'amor di Dio. Siamo stufi di sentir dire che «il popolo italiano è compatto nel ripudio dell'eversione», che «fa quadrato intorno ai valori e alle istituzioni consacrate dalla Resistenza», che i terroristi ''no pasarán'' (uno slogan che, oltre tutto, ha sempre portato jella). Non ne possono più neanche i morti. S'immagini i vivi. (p. 179) *I vizi italiani vengono da molto più lontano della Costituzione: sono scolpiti nei secoli della nostra storia incivile. Ma fra i segni di questa inciviltà c'è appunto anche quello di rendere tabù i temi scomodi e di condannare al ghetto chi osa affrontarli [...]. Come se non vi fossero Paesi, quali gli [[Stati Uniti d'America|Stati Uniti]] e la [[Francia]], che in fatto di democrazia possono impartirci lezioni, e che tuttavia si reggono a sistema presidenziale. Come se non ve ne fossero altri, quale la Germania che, pur reggendosi a sistema parlamentare, vi ha introdotto correttivi che lo rendono radicalmente diverso dal nostro. E come se questi correttivi [...] non fossero stati discussi e decisi senza farne drammi né scatenare, contro chi li proponeva, cacce alla strega nazista. (p. 207) *Il terrorismo italiano non può contare su consensi e simpatie d'ambiente come quello palestinese, o irlandese, o basco, che una motivazione l'hanno, sia pure distorta dalle passioni e strumentalizzata da qualche «Grande Vecchio». Il terrorismo italiano poteva contare solo sulla connivenza della paura: e infatti, finché ne ha incussa, di connivenze ne ha trovate, anche fra gli intellettuali, anzi specialmente fra gli intellettuali. [...] Fino a quattro o cinque anni fa, a dire che i volantini delle Br e i loro opuscoletti di propaganda non erano che una serqua [...] dei più vieti luoghi comuni ripescati tra i rifiuti di Bakunin, Kropotkin, Stirner e altri profeti del Nulla [...] c'era da essere linciati. Non dai brigatisti [...] ma dai ''maîtres à penser'' della sociologia radical-chic, per i quali il terrorismo, prima che da combattere, era da comprendere nei suoi «contenuti di pensiero». In cosa consistessero e quanto rigorosi fossero questi contenuti, ce lo dice appunto la scoperta negli ultimi giorni di questa nuova Trimurti – terrorismo rosso, terrorismo nero, camorra – che come ammucchiata ideologica, non so se mi spiego. Può darsi ch'essa esploda e [...] devasti. Ma, costretta ad assumere i suoi veri connotati, che sono quelli della criminalità senza aggettivi, il suo potere d'inquinamento e di equivoco, che ne costituiva l'aspetto più pericoloso, finisce. Da [[Toni Negri]] a [[Raffaele Cutolo|Cutolo]], la parabola si è conclusa. (pp. 236-237) *Non abbiamo con [[Bettino Craxi|Craxi]] nessuna familiarità: avremo parlato con lui, sì e no, tre volte. Ci ha dato una incoraggiante impressione di energia, risolutezza, rapidità di riflessi. Ma da certe sue reazioni, ci è parso di capire ch'egli ha anche una spiccata – e funesta – propensione a considerare nemici tutti coloro che non si rassegnano a fargli da servitori. Sono pochi, intendiamoci, i politici immuni da questo vizio. Ma alcuni di essi sanno almeno mascherarlo. Craxi è di quelli che l'ostentano sino a esporsi all'accusa di «culto della personalità»: un culto [...] che [...] potrebbe procurargli seri guai. Non perché a noi italiani certi atteggiamenti dispiacciano, anzi. Ma perché in fatto di guappi siamo diventati, dopo Mussolini, molto più esigenti: quelli di cartone li annusiamo subito. (p. 271) *[[Vincenzo Muccioli|Muccioli]] ha operato in condizioni diverse. [...] Ha impiantato la sua comunità con criteri imprenditoriali, facendone una specie di ''kibbutz'' ormai vicino all'autosufficienza. [...] Uno che, senza essere un ''compagno'', conduce una sua guerra privata contro la droga, è doppiamente esecrabile. Per il vescovo [...] per il quale un'opera di redenzione intrapresa da un laico come Muccioli merita in ogni caso l'anatema. Ma la partigianeria del presidente Righi è inesplicabile, e riduce questo processo a una caccia alle streghe, che getta la Giustizia nel pantano. (pp. 301-302) *[[Enver Hoxha|Hoxha]] non aveva dalla sua nulla, quando si presentò alla Conferenza: null'altro [...] che il proprio coraggio, spinto fino alla protervia. [...] I primi proseliti li fece solo sul finire della guerra, quando prese corpo un po' di resistenza, ma li fece in nome dell'Albania, non del comunismo. [...] Era un satrapo anche lui [...]. Ma non indulgeva alle debolezze e alle pacchiane ostentazioni dei Ceausescu e dei [[Kim Il-sung|Kim Il Sung]]. Esigeva l'obbedienza più assoluta, ma in pubblico si mostrava di rado, e la sua era l'unica giacchetta di comunista da ''nomenklatura'' che non grondasse medaglie fino all'ombelico. (pp. 310-311) *{{NDR|Sulla [[rivoluzione ungherese del 1956]]}} Il motivo per cui divampò coinvolgendo tutta la popolazione è semplicissimo: gl'intellettuali e gli studenti che la capeggiavano erano i figli degli operai e dei contadini che la traducevano in sollevazione del popolo. Lo erano non in senso ideale ed astratto, ma in senso anagrafico [...]. E questo fu, per i comunisti, la vera beffa. Essi avevano abolito le classi, e ora questo creava una unanimità di partecipazione, quale credo che nessun'altra rivoluzione abbia mai avuto. E come poteva non essere socialista? [...] L'unica cosa che non si può è che i «quadri» del Pci [...] non avessero visto, né udito, né capito come oggi vorrebbero farci credere per avallare la tesi dell'«errore». [...] L'unico che, in mezzo a tanti contorcimenti e frullati di parole, ha avuto l'onestà di riconoscerlo è stato [[Gian Carlo Pajetta|Pajetta]], sempre lui. «Io non mi pento di nulla», ha detto «schierandoci con gl'insorti e condannando la repressione sovietica, avremmo spaccato il Pci; per questo accettammo e approvammo.» Alla buon'ora. (pp. 354-355) *Se l'unica maggioranza possibile è così risicata, lo si deve anche e soprattutto alla poltiglia di partiti – verdi, rossi e «lighe» varie – che il nostro sistema elettorale favorisce. Se ne sono contati [...] trentotto, più o meno combinati con liste locali in un groviglio di piccoli interessi regionali, corporativi, personali, uniti solo da un incoffessato e forse inconscio anelito sanfedista allo sfascio dello Stato unitario. Se non si pone termine a queste insensate dispersioni, è inutile chiamare gli elettori alle urne. Una maggioranza e un Governo degni di questo nome non li avremo mai. (p. 368) *Certamente [[Michail Gorbačëv|Gorbaciov]] aveva previsto le tremende resistenze della sua ''perestroika'' aveva trovato nella cosiddetta ''nomenklatura'', detentrice del potere con diritto di abusarne, e quindi ben risoluta a difenderlo. Ma forse non immaginava che la minaccia più grossa al suo riformismo decentratore sarebbe venuta dall'esplosione dei nazionalismi, che ora rischiano di travolgerlo. [...] Comunque, due lezioni ci sembra di poter trarre sin d'ora da questa vicenda. La prima è che se settant'anni d'internazionalismo proletario praticato senza esclusione di colpi non sono bastati a debellare i nazionalismi, vuol dire che il sangue, la lingua, la religione, la cultura sono più forti di qualunque ideologia. La seconda è che i totalitarismi sono più facili, o meno difficili, da montare che da smontare. A liberalizzare la Russia e a guarirla dallo Stalinismo poteva forse riuscire un solo uomo: [[Iosif Stalin|Stalin]]. (p. 403) *Quanti miliardi si sperperano oggi in Italia in premi e feste letterarie accompagnate da rinfreschi e pranzi per centinaia di coperti, targhe, medaglie, e gettoni di presenza? Basterebbe un centesimo, un millesimo, di ciò che si spende in queste fiere della vanità per salvare la Crusca raddoppiando il miserabile contributo statale. [...] Forse c'illudiamo. Ma noi ci ostiniamo a credere che in Italia ci siano ancora degl'italiani convinti che una cultura senza una sua lingua non è una cultura [...] e che un Paese senza cultura [...] non è un Paese; ma soltanto un accampamento di apolidi. (p. 419) *Era fatale che, una volta allentatesi le maglie della Dc, l'integralismo di un certo mondo cattolico lo avrebbe portato a confluire sulle posizioni delle leghe. Le ispirazioni sono diverse, ma il nemico è comune: lo Stato unitario e laico. [...] Dileguatosi, o in via di dileguarsi il pericolo comunista, e caduto quello di Berlino, è questo il Muro che ci dividerà nel prossimo futuro. Da che parte [...] stiamo noi, mi sembra superfluo dirlo. Ci stiamo [...] con la piena consapevolezza dei nostri errori passati e presenti e della nostra intrinseca debolezza. Ma anche con la coscienza che se con noi non c'è tutto il meglio, contro di noi c'è sicuramente tutto il peggio. Basta tendere l'orecchio ai discorsi di Rimini e alle acclamazioni che li hanno salutati. I «lumbard» hanno ragione di chiedere il gemellaggio con quella platea: come livello mentale e di cultura, siamo lì. (p. 442) *Uomo di governo, [[Mario Scelba|Scelba]] non fu mai uomo di partito. Lo frequentava poco, non fu mai partecipe di giochi di «correnti», e credo che sotto sotto li disprezzasse. [...] Se fu De Gasperi a guidare [...] la barca, fu Scelba a reggerla e non vedo chi altro, nella pattuglia democristiana, avrebbe avuto gli attributi per farlo. Sul suo feretro ci saranno poche lacrime, pochi fiori, pochi discorsi. Nessuno del cosiddetto ''establishment'' vorrà ricordare che se in casa non ci siamo ritrovati qualche Husak o [[Nicolae Ceaușescu|Ceausescu]], per gran parte lo dobbiamo a lui. Ma qualche italiano non lo ha dimenticato. (pp. 471-472) *Non c'è democrazia, diceva Clemanceau, senza un minimo di corruzione. D'accordo. Ma quando la democrazia degenera in partitocrazia, il minimo diventa il massimo e succede quello che abbiamo sotto gli occhi. E finché noi concederemo ai partiti – contro il dettato costituzionale che li considera semplici associazioni private – d'irretire tutta la vita pubblica e di arruolare, per le loro operazioni di saccheggio, un milione di lanzichenecchi con relative famiglie, di cosa c'indignamo? E cosa ci aspettiamo dal Palazzo romano, proiezione su scala nazionale delle situazioni locali tipo Milano? (p. 489) *Con qualsiasi legge si vada alle nuove elezioni, e specialmente se si va col papocchio escogitato da [[Sergio Mattarella|Mattarella]], esse riprodurranno molto probabilmente [...] la situazione che i risultati dell'altro ieri hanno soltanto anticipato: un'Italia divisa in tre: un Nord in mano alla [[Lega Nord|Lega]], un Centro alla mercé dei comunisti (ex o neo, non importa), un Sud in preda al caos. In questa situazione, cosa farà Bossi? Cioè [...] cercherà di frenare la spinta che fatalmente ne verrà alle tentazioni secessionistiche della Padania dal resto del Paese, o la seconderà? A differenza di Miglio, Bossi di secessione non ha mai parlato. Parla di «federalismo», e forse lo ritiene possibile. Noi crediamo che il federalismo sia soltanto la foglia di fico della secessione, e che nei precordi di molti leghisti covi una gran voglia di fare i cosacchi del Po. (p. 515). *La nuova legge elettorale, se non fosse stata tradita dai suoi soloni col turno unico, avrebbe dovuto condurre al confronto fra due ''rassemblements'', uno di centrosinistra con l'esclusione di Rifondazione, l'altro di centrodestra con l'esclusione del Msi, a garanzia di democraticità di entrambi. Stando le cose come stanno, il confronto non ci sarà perché di ''rassemblements'' ce n'è in campo uno solo: quello del Pds, che così sarà libero d'includervi anche Rifondazione. Per questo esso si batte contro la dilazione. Per questo noi la auspichiamo: nella (pallida) speranza ch'essa ci dia il tempo di uscire dallo stato confusionale in cui versiamo. Non è nostro diritto; è semplicemente nostro interesse spostare le urne al 12 giugno. Ma un interesse del tutto legittimo. Come legittimo è l'interesse del Pds ad anticiparle addirittura a marzo. La difesa del sistema e dei suoi papponi non c'entra. Che si voti a marzo od a giugno, l'uno e gli altri sono già cadaveri, e non c'è miracolo che possa resuscitarli. (p. 528) ==''Le nuove Stanze''== *Ribadisco la mia avversione alla pena di morte. Ma non me la sento d'impartire lezioni a chi tuttora la pratica. Non mi pare che, con la Giustizia che ci troviamo in casa, noi italiani possiamo impartire lezioni agli altri. (p. 46) *Toglietevi la parrucca, cari storici italiani. E invece di continuare a parlarvi tra voi, parlate, andando incontro alle sue curiosità, alla gente comune, quella che ha più bisogno del vostro sapere, e che sa benissimo distinguere il volgare pettegolezzo dall'aneddoto illuminante, di cui gli storici stranieri, soprattutto inglesi, compreso [[Denis Mack Smith|Mack Smith]], sanno fare buono e largo uso. (p. 81) *Io non sono piemontese né savoiardo, e la tradizione della mia famiglia è, caso mai, repubblicana. Ma la verità sono abituato a rispettarla, e non ad accomodarmela secondo i miei gusti e pregiudizi. Nel '46 votai monarchico non perché ero amico di Umberto e di Maria José, che sarebbero stati un Re e una Regina esemplari. Ma perché capivo ch'essi rappresentavano l'unico filo che ci legava all'unica nostra tradizione nazionale: il Risorgimento. La rigiri come vuole [...] ma la verità è questa: che senza Risorgimento non esiste una Storia nazionale italiana, e senza i Savoia non esiste Risorgimento. Ecco perché io dico e ripeto che la Repubblica italiana può tenere i Savoia [...] fuori dal territorio italiano. Ma chi tenta di estrometterli dalla Storia d'Italia, se non è un analfabeta è certamente un falsario. (pp. 112-113) *{{NDR|[[Luigi Cadorna]]}} Fu un generale di grande e inflessibile carattere, ma non un grande stratega. La sua fu dal primo all'ultimo giorno una guerra «di posizione», e quindi di logoramento, muro contro muro. Una «manovra» non la tentò mai, anzi non la concepì nemmeno. Stava [...] al «Regolamento», secondo il quale «le battaglie si vincono sulle cime». Sicché quando arrivò un battaglione tedesco al comando di un giovane capitano di nome Rommel che [...] s'insinuò nottetempo nelle valli, tutto il nostro schieramento ne venne preso alle spalle, e si liquefece, consentendo a Rommel di arrivare fino al Piave, dove si fermò: non per la resistenza dei nostri [...] ma per la mancanza di rifornimenti e di munizioni, che non avevano fatto in tempo a seguirlo. (pp. 118-119). *Quanto alla somiglianza fra noi e gli spagnoli, sì, c'è. Io, in Spagna, mi sento come a casa mia. Una sola cosa ci trovo in più: una dimestichezza con la morte che dà ai valori della Vita (la Dignità, il Coraggio, l'Onore) un peso ben diverso da quello che hanno da noi. E glielo invidio tanto. (p. 157) *Quanto alla sua supposizione che, se non ci fossero stati i russi, gli Alleati non avrebbero potuto sbarcare in Normandia e salvare i loro regimi democratici, mi permetta di sorriderne. Hitler perse la [[Seconda guerra mondiale|guerra]] prima ancora di dichiararla, quando scatenò la persecuzione razziale, che mise il mondo di fronte alla pretesa della sua «razza eletta» al dominio del pianeta e costrinse alla fuga il fior fiore della Scienza ebraica, che diede all'America la bomba atomica, la quale avrebbe reso superfluo anche lo sbarco in Normandia. (pp. 177-178) *In [[Alessandro Pavolini|Pavolini]] [...] è riassunto il dramma di una generazione che nel fascismo era cresciuta [...] e si sentiva impegnata a crederci anche in quell'ultima disperata fase. In lui ritrovo un po' di quel [[Berto Ricci]] [...] che, partendo volontario per la Libia, mi disse: «Una volta, nella vita, ci si può convertire. Io già lo feci rinnegando, per il fascismo, il mio passato di anarchico. Ora col fascismo devo morire». E morì. (p. 192) *Come lei certamente sa, furono i russi a giungere per primi sul famoso bunker di Berlino, fra le cui macerie si diedero subito a cercare il cadavere del Fuhrer, e lo trovarono, ma quasi completamente carbonizzato (egli aveva lasciato ai suoi l'ordine di bruciarlo con una tanica di benzina). D'intatto era rimasto solo il teschio con la sua dentatura costellata di ponti e protesi. Immediatamente fu ricercato e trascinato sul posto l'odontoiatra che glieli aveva sistemati. Dapprima gli fu chiesto in cosa erano consistiti i suoi interventi. Poi vi fu messo davanti, e lui li riconobbe senza esitazioni. Quel giorno il poveretto non tornò a casa. Dopo alcuni anni si seppe che esercitava il suo mestiere in non so quale città di provincia russa, ma sotto stretto controllo della polizia. Dopo qualche altro anno poté tornare in Germania, ma in [[Repubblica Democratica Tedesca|quella comunista]], sotto il controllo di una polizia ancora più efficiente di quella sovietica, e lì morì, non so quando. Perché i sovietici vollero sempre mantenere quel segreto? Perché alla loro propaganda [...] faceva comodo accreditare la favola di un Hitler salvato dagli americani, che lo tenevano sotto naftalina in qualche loro dorato ripostiglio per poterlo un giorno utilizzare in una nuova guerra contro la Russia. (pp. 257-258) *Da anticomunista, oserei dire «storico» quale mi considero, io sono pieno di rispetto sia per i Nagy nostrani quali i D'Alema e i Veltroni, che per i Kádár, quali i Cossutta e i Diliberto. Non so se come classe dirigente siano il meglio. Ma come sincerità di conversione democratica, ci credo (come credo, intendiamoci, a quella di un Fini, anche se viene da un passato molto meno intenso, drammatico e dilacerante di quello comunista). (p. 306) *{{NDR|A [[Mario Tuti]]}} Ho ben presente [...] il suo nome e il suo volto, e le azioni terribili che lei ha compiuto. [...] Da come scrive [...], lei è in grado di capire [...] quello che dico. È vero che «sul nemico vinto non si infierisce»: ma il sangue non si cancella con la gomma delle parole. Solo le vittime possono concedere il perdono; e io non sono stato, fortunatamente, davanti al mirino della sua pistola. Solo la giustizia può concedere sconti: e io non sono un magistrato. Non ho invece difficoltà a condividere una sua osservazione: alcuni disgraziati [...] sono più disgraziati di altri. E [...] i disgraziati di destra se la passano peggio dei disgraziati di sinistra, che hanno di solito qualche amico di gioventù ben piazzato, in grado di dare una mano. Ma il perdonismo peloso di alcuni non può giustificare la distrazione di tutti. (p. 322) *[[Yasser Arafat|Arafat]] non ha mai avuto né uno Stato, né un esercito, né un titolo che lo qualificassero a parlare a nome del suo popolo. Erano il carisma, l'autorità, il prestigio suoi personali che gli permettevano di svolgere questo compito. Ma questo dipendeva dal fatto che il suo popolo glieli riconosce in quanto si sente da lui «rappresentato». [...] Io sono e mi sento profondamente filo-israeliano perché negli ebrei riconosco i miei fratelli e in molte cose anche i miei maestri (anche se non sempre facili). Ma appunto per questo apprezzo ed ammiro gli Hussein, i Sadat e gli Arafat. Ai quali si possono anche rimproverare degli errori nella conduzione della loro politica. Ma non certo le intenzioni e il coraggio. Arafat è brutto [...] e non so come facciano i suoi amici (e i suoi nemici) [...] a ricambiarne i baci. Ma di quelli suoi credo proprio che ci si possa fidare. Che Dio, anzi Allah, ce lo mantenga ancora per molti anni. (pp. 387-389) *Come veterano del ''Corriere'' e un po' depositario della tradizione di una certa civiltà nei rapporti fra i suoi uomini, io rimasi offeso non dal licenziamento di Spadolini [...] ma dall'insolito modo – che io definii appunto «guatemalteco» – in cui era stato trattato e da cui trapelava la mano di un [[Giulia Maria Crespi|editore]] che, anche se portava il nome di quello vecchio [...], intendeva introdurre nuove regole nella gestione del giornale, di cui era praticamente diventata [...] la titolare. E lo dissi, e lo scrissi, e lo ripetei in varie interviste. Forse tuttavia questo strappo si sarebbe potuto rammendare se il cambiamento del direttore non avesse comportato anche un cambiamento di linea politica che saltava agli occhi di chiunque non volesse tenerli chiusi. [...] Quando dal ''Giornale'' uscii per ragioni abbastanza analoghe a quelle che mi avevano spinto fuori da via Solferino, il primo a venirmi incontro fu il direttore del ''Corriere'', Paolo Mieli, che [...] mi offrì il suo posto: un gesto che non dimenticherò mai. Avrei potuto [...] accettarlo solo a titolo onorario. Ma non potevo abbandonare gli uomini che ancora una volta mi avevano seguito. Da quel momento però fu chiaro che il ''Corriere'' era ridiventato quello che noi, vent'anni prima, avremmo voluto che restasse. Ecco perché, al termine delle mie battaglie e delle mie sconfitte (che considero il mio blasone), sono tornato al ''Corriere''. (pp. 406-408) *I politici della Sinistra, compresi i componenti dell'attuale «squadra» governativa sono dieci, venti, cento volte meglio della loro ''intellighenzia''. Anche se dicono fregnacce, le dicono a bassa voce, senza salire in cattedra, di dove l'''intellighenzia'' invece non scende mai, nemmeno per andare in bagno. (pp. 477-478) *Spero che ora avrai capito cos'è la mia dichiarazione di voto: non un sì all'Ulivo, da cui spero poco, ma in compenso non temo niente; ma il no a un Polo che, se riportasse davvero la schiacciante vittoria che si aspetta il suo ''Caudillo'', potrebbe creare nel nostro Paese una situazione davvero inquietante. Un voto di difesa sarà dunque il mio, come lo è sempre stato da oltre cinquant'anni a questa parte. (p. 496) *Sappi soltanto che, passato per una ventina di anni – quelli del ''Giornale'' – per «fascista» e negli ultimi dieci per «comunista», me la rido di entrambe le etichette. (p. 536) ==''Le Stanze''== ===[[Incipit]]=== Di tutta la mia attività giornalistica [...] considero questi colloqui col lettore come l'impegno che mi è riuscito meglio, o meno peggio. Se qualcuno mi chiedesse: «Cosa vorresti che, dopo di te, di te rimanesse?», risponderei senza esitare: «Questi colloqui». Mi rendo conto che un'affermazione del genere può apparire demagogica: in fondo, perché dovrei preferire queste risposte quotidiane [...] alla ''Storia d'Italia'' o agli ''Incontri''? È presto detto: perché, grazie a lettere e risposte, ho potuto restare vicino ai miei lettori, che mi hanno ricordato – con più o meno garbo, ma sempre con affetto – quello che un giornalista non deve mai scordare: che i padroni sono loro. ===Citazioni=== *Io non ho mai conosciuto un conservatore inglese che abbia mosso a Churchill il rimprovero di essersi alleato con Stalin – altro che il naso dovette strizzarsi! – quando le armate di Hitler spazzavano tutta l'Europa. Ma trovo ancora degl'italiani [...] che danno la colpa a me dello stato di necessità in cui ci trovammo nel '48 e nel '76 e che rendeva obbligata la nostra scelta. Oggi che il muro di Berlino ci ha liberato dall'incubo del comunismo [...], è facile fare processi a chi non aveva in mano altra arma elettorale che il voto alla Dc. Ed una cosa mi chiedo: tutti questi intransigenti eroi dell'anticomunismo, che oggi mi scrivono lettere d'insulti accusandomi di averlo tradito, dov'erano al tempo del comunismo vero, quando io ero uno dei pochissimi a combatterlo di fronte [...], e loro, incontrandomi per strada, fingevano di non conoscermi? (p. 12) *Hiroshima, se fossi americano, non porrebbe [...] nessun caso di coscienza. L'arma atomica era in fase di studio e di preparazione sia in Germania che in America, e si poteva supporre che lo fosse anche in Russia e in Giappone. Avrebbe vinto la guerra e deciso le sorti del mondo chi ci fosse arrivato per primo. Hiroshima fece della popolazione civile, dicono, duecentocinquantamila vittime. Quante ne risparmiò inducendo alla resa i giapponesi che sembravano vicini all'olocausto? E quanto servì a smorzare la pretesa sovietica d'imporre il suo «diktat» a tutta l'Europa? [...] Essa a tal punto sorprese Stalin che dapprincipio non ci volle credere [...]. Nessuno può applaudire un massacro come quello di Hiroshima né andarne fiero. E posso capire come coloro che vi hanno partecipato dandone l'ordine o eseguendolo possano aver avuto dei problemi di coscienza. Ma gli aviatori inglesi che rasero al suolo l'inerme Dresda abitata solo da civili, facendo tra di loro pressappoco lo stesso numero di vittime che a Hiroshima, questi problemi, da quanto se ne sa, non li ebbero. Forse che la guerra all'atomo è più crudele di quella al fosforo? (p. 62) *De Gasperi non fu mai uomo di partito. E fu proprio per questo che riuscirono ad emarginarlo con tanta facilità, relegandolo in una Presidenza grondante omaggi ed ex voto, ma priva di qualunque potere reale. È vero che lui non lottò, anche perché era ormai a corto di fiato. Glielo toglieva non solo l'azotemia, ma anche il fallimento della Ced, la Comunità Europea di Difesa su cui De Gasperi fondava [...] i suoi sogni di salvezza e di grandezza europea, che i francesi di Mendès-France condannarono al naufragio. [...] De Gasperi era uomo di Stato, l'ultimo che l'Italia ha avuto dopo Giolitti. Ecco perché [...] non ha né può avere eredi. (p. 86) *{{NDR|[[Che Guevara]]}} Era uomo di Rivoluzione, che mai si sarebbe rassegnato ad una comoda esistenza di ben pasciuto gerarca. Doveva tornare alla Rivoluzione, pur consapevole della sua impossibilità in Paesi che lui ben conosceva, ma appunto proprio per questo: per cercare una morte coerente con la sua vita. [...] Avessi trenta o quarant'anni di meno, anch'io forse avrei nel mio modesto appartamento una stanza attrezzata a mausoleo del Che, e lo conserverei come souvenir di un Sogno sbagliato, ma pulito, e comunque pagato. È a coloro che non vogliono mai pagare nulla che va tutto il mio disprezzo. (p. 121) *Non mi stupirei [...] se il ragazzotto Clinton, nei suoi anni da governatore, avesse ingannato la noia dell'Arkansas inseguendo le minigonne di passaggio. [...] Il paragone con Berlusconi mi sembra un po' stiracchiato. Se Clinton venisse trovato colpevole, sapremmo che è un adultero (affari suoi); se Berlusconi venisse condannato, sapremmo che è un corruttore non occasionale (affari anche nostri, dal momento che s'atteggia a statista). (p. 154) *Mi permetto solo di aggiungervi qualcosa sull'imbecillità, l'ipocrisia e i vaniloqui delle nostre «anime belle» pronte a cadere in deliquio e a mobilitare le piazze per un O'Dell che, anche se qualche tenue dubbio sulla sua colpevolezza poteva sussistere, uno stinco di santo certamente non era, e per una Karla Tucker, rea confessa, anche se poi arcipentita e sinceramente convertita al credo della carità cristiana (e, sia chiaro, anch'io avrei per entrambi preferito la revoca della pena di morte); ma sono rimaste impassibili o quasi di fronte alla proposta condanna di lapidazione (di lapidazione!) di un cittadino tedesco e della sua compagna iraniana, rei di aver fatto l'amore (soltanto l'amore). Queste sono le nostre «anime belle» laiche ed ecclesiastiche, pronte a commuoversi e a sproloquiare contro la sedia elettrica americana [...], ma indifferenti alla lapidazione [...] per una «contaminazione» di lenzuola cristiane e musulmane. Io [...] queste anime belle – che oltre tutto hanno quasi sempre delle facce bruttissime e jettatorie – le odio di un odio viscerale. (p. 206) *Sul nemico vinto e che si riconosce vinto non s'infierisce. In fondo questi brigatisti hanno avuto, nella sconfitta, una loro dignità. Non sono dei «pentiti» al modo dei mafiosi e camorristi che si pentono per procurarsi dei vantaggi e denunziano i propri ex compari. Non sono dei delatori. Sono, a loro modo, dei prigionieri di guerra, di una guerra grazie a Dio finita con la nostra vittoria, e che quindi, sia pure con le debite precauzioni, possiamo rimandare a casa. Non è vero che non hanno pagato: me ne citi uno che non abbia scontato quindici o vent'anni di galera e che non ne abbia distrutta la vita. Qualche sconto possiamo farglielo: la generosità è segno di forza, non di debolezza. (pp. 283-284) *In una società «aperta» come la nostra, che rende impossibile qualsiasi controllo e in cui il sequestro è un'industria di antica tradizione che dispone di un personale altamente specializzato; e con una Giustizia che invece di affibbiare un ergastolo senza indulgenza ai colpevoli, si accontenta di infliggergli qualche anno alleviato dai permessi di libera uscita; cosa possono fare le forze dell'ordine? Starebbe a noi cittadini trovare quella di resistere al ricatto. Da noi italiani tenerelli non si può pretendere tanto? E sia. Ma allora abroghiamo la legge. Perché, come italiano, nulla mi ha mortificato di più che sentire [...] [[Giovanni Maria Flick|un ministro della Giustizia]] e alcuni dei più alti dignitari della toga proporne un'interpretazione che costituiva un chiaro invito a evaderla suggerendo il cavillo a cui ci si poteva aggrappare per legalizzare la contravvenzione. [...] No, a questo non ci sto. Cerchiamo almeno di avere il coraggio della nostra vigliaccheria riconoscendo che, dati i pericoli che possono comportare, i risoluti «No!» al sopruso non appartengono al nostro armamentario caratteriale, e aboliamo la legge. Ma non perché è sbagliata: in sé quella legge è sacrosanta. Ma perché noi cittadini non abbiamo la forza di adeguarcisi e coloro che dovrebbero imporcerne l'osservanza [...] ci suggeriscono il modo di evaderla. Questo è il cosiddetto «Paese reale». (p. 286) *Che un processo possa essere oggetto di revisione è, per il cittadino, una garanzia irrinunciabile, specie quando si tratta di processi indiziari, e quindi rimessi a valutazioni soggettive e pertanto sempre discutibili. Nessuno è infallibile, nemmeno i giudici, e quindi il diritto di appello è sacrosanto. Quello che sacrosanto non è, sono gl'interminabili tempi che questa operazione solitamente richiede, dovuti a due motivi chiaramente visibili: i grovigli procedurali in cui il processo è avvolto, delizia del genio cavillesco italiano, e l'inefficienza del personale che vi è addetto. (p. 327) *Che cosa io pensi dell'onorevole [[Cesare Previti|Previti]] mi pare di averlo detto in termini talmente espliciti da apparire – a più d'uno – brutali: un personaggio che solo a guardarlo in faccia verrebbe voglia di applicargli le manette ai polsi prima ancora di sapere chi è e cosa ha fatto. (p. 356) *Non credo che, all'apertura totale delle frontiere, avremo un Parma composto soltanto di irlandesi, o una Cremonese modello ellenico. Avremo invece un vero mercato, dove il costo e lo stipendio di un professionista verranno stabiliti in base alla domanda e all'offerta. È questo ridimensionamento, mi sa, che non piace ai calciatori nostrani. Non la «sottoutilizzazione delle risorse sportive nazionali e locali». Non penso che i nostri calciatori abbiano altri motivi di preoccuparsi. Perché mai dovrebbero venire accantonati? Sono tra i più bravi del mondo, e la bravura, per un professionista (che calci una palla o calchi una scena), è la garanzia migliore. (p. 379) *Le mie dimissioni da italiano sono soltanto quelle da una grande illusione: quella che l'Italia fosse una Patria da potere in qualche modo servire. Io, pur commettendo parecchi errori, ho cercato di farlo. Ma forse, di questi errori, il più grosso è stato quello di credere che fare si potesse. A consolarmene c'è una cosa sola: che questo errore lo hanno commesso tutti i migliori uomini che l'Italia ha avuto nel suo secolo e mezzo di vita unitaria. (pp. 410-411) ==''Pantheon minore''== ===[[Incipit]]=== '''Einaudi'''<br>Avendo saputo che sollecitavo l'onore e il piacere di incontrarlo, il Presidente, che non mi aveva mai visto, trovò del tutto naturale invitarmi a colazione. «Quando vuol venire?» mi fece chiedere, «giovedì mattina, per esempio?» Giovedì voglio stappare una nuova bottiglia del mio 'barolo' e ci sarà anche la signorina Barbara Ward dell{{'}}''Economist''. Vino piemontese, giornalismo ed economia politica, pensa: sarebbe difficile sorprendere [[Luigi Einaudi|Einaudi]] in una cornice più einaudiana di questa. ===Citazioni=== *{{NDR|Luigi Einaudi}} E in quei pochi minuti aveva ancora tante cose da dire a due giornalisti per ricordare loro, [[Alessandro Manzoni|manzonianamente]], che l'[[uomo]] è «buono», come dice [[Jean-Jacques Rousseau|Rousseau]], ma tale può diventare solo in grazia delle buone istituzioni (in ciò consiste la sua posizione conservatrice e cattolicamente pessimistica). *[[Ingrid Bergman]] è forse la sola persona al mondo che non consideri Ingrid Bergman un'attrice completamente riuscita e definitivamente arrivata. (p. 195) *Non ho mai visto in vita mia, nemmeno nei film di cui la Bergman è protagonista, una donna così trasparentemente pulita. (p. 195) *Ogni buon [[padre]] di [[famiglia]] deve, al principio della giornata, sapere quanto la famiglia ha in cassa e quanto può spendere.<br>Einaudi conosce a memoria le cifre dell'economia italiana, come i re che lo precedettero conoscevano a memoria i nomi e i motti dei reggimenti. *«''Venez, mademoiselle, venez''», disse [[Anatole France]] a [[Emma Gramatica]] che, poco più che ventenne, si trovò un giorno a viaggiare con lui in automobile a Palermo, e aveva paura di essere troppo ingombrante sul sedile. «''Vous êtes comme les anges, qui n'ont pas de derrière!''»<br>Qualcosa come mezzo secolo dev'esser trascorso da allora, ed Emma somiglia un po' meno a un angelo, ma grassa non la si può dire nemmeno adesso. La vita che mena, d'altronde, non lo consentirebbe di diventarlo. Alla sua età, ha girato per tre anni consecutivi, tutti i teatri dell'America del Sud, volando da Buenos Aires a Santiago, da Santiago a Lima, da Lima a Caracas, e recitando una sera in italiano e la sera dopo in spagnolo, lingua che, sino al momento di partire, ignorava totalmente. Ora è tornata per girare un film con [[Vittorio De Sica|De Sica]], e sono fatiche a cui molti giovani non resistono. *Il [[fascismo]] trovò, tra i suoi oppositori più accaniti, [[Mario Missiroli]], che si batté a duello con [[Benito Mussolini|Mussolini]]. Egli non credette alla [[forza]] e al successo delle «camicie nere» fino al [[giorno]] in cui, mentre cercava faticosamente di salire sul tram, uno squadrista che lo incalzava, dopo avergli inflitto una serie di spintoni, non gli ebbe affibbiato, in risposta alle sue proteste, due sonori schiaffi che gli fecero volar via gli occhiali cerchiati d'[[oro]]. Mario li raccolse con [[dignità]], vi fiatò sopra, li ripulì col fazzoletto e concluse in tono ammirativo: «Però!... Picchiano bene, veh!...» ==''Qui non riposano''== *{{NDR|Sulla [[guerra d'Etiopia]]}} Quella fu una guerra ideale, la guerra-tipo della borghesia italiana: con pochi morti e molte medaglie. Io presi a capirne la miseria solo all'ultimo capitolo: quando, per la marcia su Addis Abeba, cominciarono a piovere dall'Italia e da Asmara gerarchi e aspiranti gerarchi, smaniosi di gloria a buon mercato: e Badoglio dovette emanare un ordine per cui solo chi presentava "un biglietto di autorizzazione" poteva marciare sulla capitale nemica. Solo in tempo fascista si poteva escogitare un finale di guerra con un biglietto per la capitale nemica. (pp. 107-108) *Io non volevo far politica. Ha il diritto un uomo della strada di non far politica? Ha il diritto un uomo della strada a dire che il governo ha fatto bene a far questo e male a far quest'altro? Ha diritto un giornalista, che è un uomo della strada, il quale va a vedere e riferire le cose per conto degli altri uomini della strada, ha il diritto di riferire che i fatti si svolsero così e così, e che in essi c'era tanto il bello e tanto il brutto, tanto di giusto e tanto d'ingiusto? No, il [[fascismo]] disse che un uomo della strada non ha tutti questi diritti. Ecco perché diventai antifascista. Non perché al posto di [[Benito Mussolini|Mussolini]] ci volevo un altro, ma perché non ci volevo nessuno. Io volevo stare alla finestra, come stanno i giornalisti, mestiere di spettatore e non di attore.<ref>Citato in Paolo Granzotto, ''Indro Montanelli'', p. 92.</ref> (p. 189) *[...] volevo avere il diritto di non pensare alla [[politica]], di disinteressarmi della politica, perché la politica la gente dabbene non la fa. La gente dabbene lavora in ufficio, viaggia, commercia, produce, ama una donna che può anche essere sua moglie (come è il mio caso), ama i suoi figli, ama la sua casa, paga le tasse, e di politica ne parla un quarto d'ora al giorno. (p. 190) ==''Reportage su Israele''== *Il fenomeno più interessante è forse quello ch'è stato meno sottolineato dagli osservatori stranieri: le minoranze arabe disseminate nel [[Israele|Paese]] hanno abbandonato i loro notabili che facevano lista per conto proprio, e hanno votato per i partiti nazionali infischiandosi ch'essi siano completamente in mani ebraiche. Sarebbe come se gli altoatesini, invece che per la ''Volkspartei'', votassero per i partiti italiani. Il partito comunista, verso cui li spingeva Radio-Cairo, è sbaragliato. Evidentemente la politica d'integrazione applicata nei loro confronti ha avuto il più completo successo, malgrado la guerra fredda, e tavolta calda, in cui si ostinano le nazioni arabe contro Israele (o forse proprio per essa). (p. 6) *Probabilmente i pionieri di Degania non si resero conto dell'importanza di ciò che facevano o forse non osarono nemmeno sperare che quel loro esperimento ne avesse tanta. Erano imbevuti di quel socialismo umanitario d'ispirazione tolstoiana che allora permeava gli ambienti intellettuali russi dai quali provenivano. Ma un'idea la ebbero chiara di certo: e cioè che l'unico modo di radicarsi in quella che la Bibbia e la Tradizione indicavano come loro Patria era di mettersi a lavorare la terra. (pp. 14-15) *L'esercito naturalmente serve ad Israele per difendere le sue ardue frontiere, e ha dimostrato di saperlo fare in maniera superlativa; ma i suoi sforzi quotidiani li concentra sulla formazione, più che del soldato, del cittadino. Esso prende i giovani di ambo i sessi e di qualunque condizione a diciotto anni, e per due anni e mezzo gli uomini, due le donne, li rimescola, li tritura e li macina. Insegna non soltanto il maneggio delle armi, ma anche la lingua a chi non la sa e il mestiere a chi non lo ha. La mattina, dall'alba a mezzogiorno, è tutta dedicata all'addestramento fisico delle reclute. Ma il pomeriggio è diviso fra il lavoro e la scuola. La caserma è di tipo ''kibbutz'', dove ci si prepara a quel solidarismo della vita collettiva che è l'ideale di questo popolo. Ed è qui che si forma l'israeliano non più ''azkenazi'', non più ''sefardita'', ma nazionale. (pp. 28-29) *[[Theodor Herzl|Herzl]] non era che un giornalista, redattore della ''Neue Freie Presse'' di Vienna. A proprie spese, viaggiando in terza classe, si mise alla ricerca in tutto il mondo dei correligionari danarosi, la maggiorparte gli rise in faccia. Il "Fondo nazionale ebraico per la terra" di quattrini ne raccolse pochi. Ma Herzl non si diede per vinto. Cominciò a visitare anche i potenti, dal Kaiser al Sultano fino a Vittorio Emanuele e al Papa per interessarli al progetto. E, sebbene questo non avanzasse, nel 1898 scrisse nel suo diario: «La mia sembra una chimera. Ma fra cinquant'anni lo Stato ebraico sarà una realtà». Si può essere scettici quanto si vuole, sulle profezie. Ma bisogna constatare che dal 1898 al 1948 [...] corrono esattamente cinquant'anni. Gli unici miliardari ebrei che presero sul serio Herzl furono i Rothschild. Essi non diedero capitali al ''Fondo'' forse perché avevano qualche dubbio sulla sua efficienza [...], ma per conto loro comprarono tutto ciò che in Palestina, allora provincia ottomana, c'era di comprabile, eppoi lo regalarono agli ebrei che ci andavano, per sé serbando soltanto il pezzo di terra necessario a ospitare le proprie tombe. (pp. 33-34) *Il partito di Ben Gurion, il ''Mapai'', ha riportato, contro quasi tutti i pronostici, una smagliante vittoria. E ora lui, ''Bigì'', deve formare il ministero, operazione che si presenta piuttosto complicata anche qui in Isarele. [...] Non dico che detesti la politica; anzi, ne è intriso. Ma non ama, della politica, questo aspetto minore – che purtroppo è quello quotidiano – delle estenuanti contrattazioni, del piccolo cabotaggio, delle furberie, dei compromessi, o per lo meno così dice. E ogni tanto pianta baracca e burattini, e se ne va. Dove? In mezzo al deserto del Negev, si capisce. La sua Riviera è lì, in un ''kibbutz'' poco distante da Beersheba, circondato dalle dune di sabbia e dai cammelli dei beduini. Ci resta tre giorni, una settimana, due, senza che nessuno osi disturbarlo. (pp. 40-41) *Gerusalemme è la città che fa maggiormente le spese di questa situazione manicomiale, quella nuova in mani israeliane è divisa da quella vecchia in mani arabe non da una frontiera ma da un muro, reso impenetrabile dall'intolleranza. In teoria, essa dovrebb'essere internazionalizzata, e per questo le potenze occidentali si rifiutano di riconoscerla come capitale di Israele e vietano ai loro ambasciatori di risiedervi. Ma siccome Israele vi sta ugualmente accentrando i suoi ministeri, questi poveri ambasciatori sono costretti quasi quotidianamente a farvi il su e giù da Tel Aviv dove sono obbligati a risiedere e che ne dista comunque oltre settanta chilometri. [...] Così a Gerusalemme non ci sono, come rappresentanti stranieri, che dei consoli, accreditati imparzialmente presso le due autorità locali, il prefetto israeliano nella città nuova e il governatore arabo in quella vecchia. Sono gli unici che possono attraversare la porta di Mandelbaum. (pp. 49-50) *Israele è estremamente utile agli arabi, o per meglio dire ai capi arabi, da un lato per sostenere di fronte al mondo la grossa menzogna dell'unità araba, e dall'altro per combattere fra loro la battaglia dell'egemonia. […] Se questo odio ci sia veramente, non lo so. So soltanto ch'è l'unico filo che tiene cucita la "fraternità" araba: questa curiosa fraternità punteggiata di congiure, di attentati, di assassinii caineschi, tra "fratelli" di cui ognuno accusa l'altro di non esserlo abbastanza. (pp. 51-52) *Se l'esistenza d'Israele serve agli arabi per puntellare alla meglio la loro convenzionale unità, la minaccia araba ha servito agl'israeliani per fare ciò che senza di essa avrebbero ugualmente, fatto, ma in cinquant'anni invece che in dieci. Il blocco e il boicottaggio arabo hanno paradossalmente funzionato, per Israele, da piano quinquennale senza bisogno delle imposizioni poliziesche di un regime comunista. [...] Psicologicamente, la tensione senza intermittenze con gli arabi ha sortito e seguita a sortire sulla società israeliana gli stessi effetti che la "frontiera", cioè la conquista dell'Ovest, ha prodotto alla società americana, obbligandola a restare per decenni e decenni tuffata in un'atmosfera pioneristica. [...] Morale: ognuno ha il nemico che si merita. (pp. 55-56) *Gl'israeliani hanno piantato in poco più di dieci anni trenta o quaranta milioni di alberi. E bisogna vedere con che orgoglio te li mostrano, con che incantamento se li guardano, con che passione li annacquano, li potano e li pettinano. Le case non sono granché: le costruiscono in fretta, senza varietà, e piuttosto "alla carlona". Ma non ce n'è una, nemmeno nelle città, che non abbia un giardino e nel giardino, insieme ai fiori, i suoi alberi. (p. 59) *Il teatro ''yiddish'', che pure era un grande teatro, v'incontra poca fortuna. Esso era nato in Germania e in Polonia, come uno specchio deformante di quelle società che relegavano gli ebrei nel ghetto e che essi ripagavano con la caricatura. Ora che dal ghetto sono usciti, essi stessi non comprendono più il significato di quei ghigni e di quelle smorfie. Il pubblico che ci va è tutto dai quaranta in su. (p. 62) *Lo Stato mostra parecchia tenerezza [...] per quelle due o trecento famiglie di ortodossi acquartierati in Gerusalemme, che lo negano e si rifiutano perfino di votare perché nella Bibbia sta scritto che uno Stato ebraico sarebbe rinato solo dopo l'apparizione del Messia in Terra [...]. Questi protestanti assolvono anch'essi una funzione. Servono a dimostrare che in Israele alla Bibbia ci si crede. [...] Ben Gurion è un laico puro. E tutta laica è la nuova generazione. Non è vero che Israele sia uno Stato confessionale. Lo è meno dell'Italia. (p. 66) *Non so a che punto siamo con la letteratura e la poesia, qui in Israele. [...] Ora che hanno una lingua propria a disposizione, i giovani scrittori d'Israele la usano [...] su tutt'un altro registro. Intanto, hanno scoperto anch'essi la natura. [...] Essi erano amari e disperati quando scrivevano in tedesco o in russo. Ora che scrivono in ebraico, le loro parole sono piene di sole e di sangue: cioè di gioia di vivere, anche quando descrivono la morte. (pp. 67-68) *[[Golda Meir]] è la "madre del Paese", anzi la mamma. E con le mamme, si sa, complimenti non se ne fanno. Per questo la chiamano soltanto Golda, la salutano alla voce, invece di baciarle la mano, quando passa per strada, e insomma le danno del tu. Essa è la meno ossequiata, ma la più amata e popolare, di tutte le donne d'Israele. [...] Essa rappresenta la vecchia guardia, la fedeltà all'uomo, al suo socialismo democratico, al collettivismo del ''kibbutz'' nel quale è anche lei maturata. (pp. 70-74) *I Paesi asiatici non hanno visto di buon occhio la nazionalizzazione del Canale di Suez, anche se per pregiudiziali anticolonialistiche hanno dovuto appoggiare [[Gamal Abd el-Nasser|Nasser]] e fingere di applaudirla. [...] Tempo fa il dittatore egiziano, per ritorsione contro Ceylon che gli aveva votato contro all'O.N.U., le ha bloccato tutta l'esportazione del tè, conducendo quel Paese sull'orlo del fallimento. Domani potrebbe fare altrettanto contro la Birmania. Il Canale non rende all'Egitto che dieci milioni di dollari l'anno. Ma gli consente di ricattare tutti i Paesi asiatici, che per quella via devono ancora passare. (p. 80) *{{NDR|Nel 1956}} [[Moshe Dayan|Dayan]] aveva in quel momento quarant'anni. Egli diresse le operazioni da un piccolo aereo di ricognizione che guidò da solo tenendolo librato qualche centinaio di metri sulla zona di combattimento. [...] Quando, in fase di armistizio, si trattò di scambiare i prigionieri, gl'israeliani ne restituirono seimila, gli egiziani uno: un pilota che aveva dovuto atterrare dentro le loro linee. Dopodiché il generale dal volto di ragazzo, invece di sfilare in parata per le vie di Gerusalemme alla testa delle truppe vittoriose, svestì la divisa, diede le dimissioni dall'esercito, e si mise a fare l'archeologo, fino al giorno in cui Ben Gurion gli propose di portarsi candidato nelle liste del suo partito. (p. 88) *Per Israele, l'unico lato negativo della campagna del Sinai del '56 ha rischiato di essere proprio questo: il pericolo di un "complesso di superiorità" che poteva indurre alla smobilitazione non tanto delle armi, quanto degli animi. Il lettore italiano non saprà con quanta cura [...] Governo, Parlamento e stampa si sono adoperati per "minimizzare" quella folgorante vittoria, che qualunque altro popolo avrebbe annaffiato di chissà quali fiumi di retorica. (p. 101) *In Israele sono stati investiti [...] oltre sei miliardi di dollari. Ma oggi rendono, eccome. Questo non è uno dei tanti pozzi di San Patrizio arabi, dove prestiti e finanziamenti finiscono in ville satrapesche o vengono ritrasferiti pari pari nelle banche svizzere. Israele è una grande impresa industriale, dove ogni dollaro dell'azionista si è tradotto in un albero o in un telaio. Oggi Israele è effettivamente alla vigilia di una crisi: ma si tratta di una crisi di sovraproduzione. [...] Le materie prime d'Israele sono l'ingegno, la disciplina, la fede in se stessi. Ma ce n'è in tale abbondanza che sui risultati finali non possono sussistere dubbi. (pp. 102-103) *Dicono che quello israeliano è un regime di socialismo addomesticato. Sarà. Ma è l'unico socialismo volontario che io abbia visto in atto, l'unico che abbia raggiunto forme anche estreme di vita collettivizzata per spontanea scelta di chi deve subirne i non piccoli inconvenienti. Eppure, in pochi Paesi si respira a pieni polmoni la libertà come in Israele. Non vi conosco un ricco. Non vi conosco un povero. Ma soprattutto non vi conosco un servo. (p. 104) *[[Chaim Weizmann|Weizmann]] voleva fare di questo Paese un gabinetto scientifico, il focolare dell'intelligenza umana applicata alla tecnica, un'appendice del suo Istituto, meraviglia del mondo. Ma anche questo è parso troppo poco. Secondo altri, Israele deve trasformarsi nel laboratorio della coscienza ebraica per la ricerca di un nuovo Verbo in cui il mondo trovi pace, libertà e giustizia. Se mi avessero detto queste cose prima di andare in Israele, credo che anch'io ne avrei sorriso, come forse sorrideranno alcuni lettori. Ma sul posto ci si accorge quanto profondamente sentite esse siano. (p. 108) *Per liberare il mondo dagli ebrei e gli ebrei da se stessi [[Theodor Herzl|egli]] aveva pochi anni prima lanciato l'idea di adunare a Roma tutti i rabbini e farli convertire dal Papa. L'affare Dreyfus gli dimostrò che nemmeno questo sarebbe bastato. E allora egli si diede a predicare lo Stato ebraico: ma sempre per liberare il mondo dagli ebrei e gli ebrei da se stessi. Herzl era una delle più affascinanti personalità che l'ebraismo abbia mai prodotto […]. Le sue ''illuminazioni'' si sono dimostrate alla prova dei fatti più valide della logica e della ragione. Mi piace concludere questo rapporto sulle cose d'Israele rendendo omaggio a questo singolare profeta, che nelle sue sconnesse visioni, in mezzo a fallimenti di ogni genere, non solo previde la nascita dello Stato ebraico, ma gli assegnò con cinquant'anni di anticipo la data esatta (il 1948) e la ''missione'' che gli spettava: quella di ''sconfiggere'' gli ebrei liberandoli da se stessi, cioè da quel fardello di miserie e di dolori che per due millenni ne hanno fatto il più tragico popolo del mondo. (pp. 109-110) ==''Ricordi sott'odio''== *''Non piangete | per | [[Cesare Zavattini]] | ha già pianto | lui per tutti noi.''<ref name=ricordi>Il libro raccoglie gli "epitaffi" scritti su personaggi al momento viventi (talvolta insieme a [[Leo Longanesi]]) e quasi tutti inediti.</ref> (p. IV dell'Introduzione di Marcello Staglieno) *''Qui | per la prima volta | [[Alida Valli]] | giace | sola''.<ref name=ricordi/> (p. 11) *''Qui | riposa | [[Amintore Fanfani]] | amico | dei nemici | nemico | degli amici | figlio | di [[Alcide De Gasperi|De Gasperi]] | padre | di nessuno.''<ref name=ricordi/> (p. 31) *''Qui | riposa | [[Mario Melloni]] | inquieto | transfugo | di sé stesso | momentaneamente | scomparso | a sinistra | in cerca | di una croce | su cui | inchiodarsi.''<ref name=ricordi/> (p. 65) *''Qui giace | Alba {{ndr|[[Alba de Céspedes]]}} | scrittrice scialba. | Divorò uomini e gloria | La Boria | la divorò''.<ref name=ricordi/> (p. 95) *''Qui | riposa | [[Mario Soldati]] | padre | figlio | autore | regista | interprete | di | Mario Soldati.''<ref name=ricordi/> (p. 123) *''Qui giace | [[Davide Lajolo]] | Segretario federale | Legionario di Spagna | Repubblichino di Salò | chiese | di passare all'anilina | la sua camicia nera. | E com'era | Rimase.''<ref name=ricordi/> (p. 179) *''In pace | qui giace | orbato | d'orbace | [[Achille Starace]].''<ref name=ricordi/> (p. 181) ==''Soltanto un giornalista''== *Da quando ho cominciato a pensare, ho pensato che sarei stato un giornalista. Non è stata una scelta. Non ho deciso nulla. Il giornalismo ha deciso per me. E questa è stata una delle mie tante fortune, posto che tutto quel che ho fatto lo debbo soprattutto a un alleato ch'è sempre rimasto al mio fianco: il caso. (p. 5) *Per sua disgrazia, [[Massimo Bontempelli|Bontempelli]] fu nominato accademico d'Italia da un fascismo che puzzava già di morto. Eletto senatore nelle liste del Fronte popolare dopo la guerra, non esitò a pronunziare giudizi brucianti su chi aveva collaborato col regime. Quel voltafaccia gli costò caro, perché a un certo punto saltarono fuori le lettere che aveva scritto a Mussolini per impetrare la sua nomina: i comunisti lo scaricarono e lui cadde in un tale stato di prostrazione da morirne. (p. 26) *A Salò ci fu di tutto. Ci furono le squadracce assetate di vendetta e di saccheggio che provocarono il disgusto agli stessi tedeschi. Ma anche uomini per i quali quello fu il banco di prova d'una coerenza e d'una lealtà che non possono non incuter rispetto. E l'unica ragione per la quale benedico le mie cosiddette benemerenze antifasciste è che mi han dato il diritto di difenderle. (p. 119) *Il 2 giugno del '46, giorno del referendum istituzionale, votai per la monarchia. Lo feci perché ritenevo fosse pericoloso recidere il tenue filo che legava l'Italia all'unica sua tradizione nazionale: quella monarchica, appunto. L'Italia non s'era "fatta da sé", come pretendeva la nostra storiografia ufficiale. Era stata fatta dalla monarchia sabauda guidata dal genio diplomatico d'un suo diplomatico, Cavour, che voleva estendere il Regno di Sardegna al Lombardo-Veneto. Se poi ci scappò fuori l'Italia, non fu grazie al contributo degl'italiani, che non ne diedero punto. Fu perché la storia dell'Europa andava verso la costituzione degli Stati nazionali, e condannava a morte quelli plurinazionali come l'Impero austriaco. [...] Al posto di quel patrimonio, sia pure modesto, cosa prometteva la Repubblica? Si presentava come depositaria dei valori della Resistenza, un mito ancora più falso di quello del Risorgimento. Che non era stata affatto, come pretendeva d'essere, la lotta d'un popolo in armi contro l'invasore, bensì una lotta fratricida tra i residuati fascisti della Repubblica di Salò e le forze partigiane, di cui l'80 per cento si batteva (quasi mai contro i tedeschi) sotto le bandiere d'un partito a sua volta al servizio d'una potenza straniera. (pp. 125-126) *Un'altra scelta s'era imposta, quella delle elezioni del '48. Per l'Italia era una scelta vitale: o con l'Est o con l'Ovest, ossia con i totalitarismi rossi oppure con le democrazie occidentali. Ergo, o con il Fronte popolare oppure con la Dc. E lì ebbe inizio il mio dramma, ch'è poi quello eterno del laico italiano: il quale, messo davanti al boia, vede comparire al suo fianco il prete che solo può salvarlo. (pp. 135-136) *Mi proposi due obiettivi, entrambi falliti: il primo era farmi intentare un processo dagli amministratori della città che attirasse l'attenzione sui pericoli che [[Venezia]] stava correndo. Il secondo era rendere pubblica la convinzione che m'ero formato: che per salvare Venezia la prima cosa da fare era sottrarla allo Stato italiano e affidarlo a un organismo internazionale come l'Onu, con le sue cospicue possibilità finanziarie e i suoi agguerriti uffici tecnici. [...] Il Comune di Venezia non aveva più nulla di veneziano, salvo la sede. A dominarlo erano gli elettori di Mestre e Marghera, che con quelli di Venezia si trovavano nella proporzione di tre a uno, e dalla loro avevano tutto: i soldi delle industrie, i sindacati e quindi anche i partiti. Decidendo di restare amministrativamente unita, Venezia ha preferito mettersi al rimorchio delle ciminiere e petroliere di Marghera, alle quali ha sacrificato il suo delicatissimo sistema idraulico. Fu allora che, con grande amarezza, feci atto di rinunzia a Venezia, convinto come ero, e come son rimasto, che una città si può salvare solo se sono i suoi abitanti a volerlo. (pp. 216-217) *Una sera, uscendo solo soletto dal «Giornale», mi trovai davanti il solito muro di folla tumultuante con le bandiere rosse spiegate. Dalla piazza si levò un urlo: «Tel chi el Muntanel!». In un attimo cinquanta scalmanati mi s'avventarono contro. Temendo il linciaggio, arretrai fino a trovarmi con le spalle al muro. Ma non feci in tempo a dire be' che mi ritrovai issato in spalla a una mezza dozzina d'energumeni, fra salve d'evviva. Erano i tifosi del [[Torino Football Club|Torino]] che quel giorno {{NDR|16 maggio 1976}} aveva vinto lo scudetto, e le bandiere non eran rosse, ma granata. E siccome i cronisti sportivi del «Giornale» erano sempre stati favorevoli al Torino, m'acclamavano come un loro idolo. (p. 241) *La Dc era il partito dei maneggi e dell'inefficienze. Ma se avesse perso il 4 o il 5 per cento dei suoi voti, il partito di maggioranza relativa destinato a formare il nuovo governo sarebbe diventato quello comunista. Ch'era ancora molto pericoloso. Perché è vero che in Italia c'era Berlinguer, ma io sapevo bene che col comunismo d'allora poteva ancora succedere di tutto: bastava un cambiamento al vertice e un Berlinguer poteva diventare un [[Alexander Dubček|Dubček]] come un [[Walter Ulbricht|Ulbricht]]. Il «Giornale» era certamente laico, ma prima di essere laico era italiano, e cercava d'operare con qualche senso di responsabilità. E negli anni Settanta solo gl'irresponsabili potevano augurarsi il crollo della Dc, cui eravamo condannati anche perché la cosiddetta Alleanza laica, l'accordo fra Pli, Pri e Psdi, non sortì mai i numeri per sostituirvisi. (pp. 243-244) *Ci fu un'unica battaglia sulla quale il «Giornale» si trovò allineato con Craxi e il nostro editore: quello per la libertà d'antenna. Battaglia sacrosanta. Berlusconi è tutt'altro che un idealista disinteressato e nessuno sa agire come lui aggirando, quando non calpestando, le regole. Ma i panni nobili coi quali i difensori della Rai rivestivano la loro offensiva politico-giudiziaria erano grotteschi. Se il peccato di Berlusconi stava nell'essere troppo amico del Psi, quello della Rai era d'essere troppo amica di tutti i partiti. A fornirci il destro furono poi i pretori coi loro interventi oscurantisti, peraltro prontamente sventati dai decreti di Craxi. E quindi la crociata dell'etere libero, che rientrava fra l'altro nella nostra tradizione antistatalista, divenne una campagna contro il "pretore selvaggio", che con i suoi abusi toglieva ogni certezza del diritto al cittadino. (pp. 275-276) *Le vere novità erano nate fuori dal Palazzo: come la Lega di [[Umberto Bossi]]. Che all'inizio anche il «Giornale», come molti altri, sottovalutò. Come si faceva a prender sul serio un invasato che nutriva le sue invettive di sfondoni storici e grammaticali da far accapponare la pelle? [...] Che Roma fosse ladrona, era indubitabile. E l'avversione per la burocrazia parassitaria e per il meridionalismo piagnone e sprecone andava a nozze con le tradizioni del «Giornale». Bossi quindi incarnava un sentimento molto diffuso anche fra i nostri lettori, una protesta genuinamente qualunquista che, per certi versi, all'inizio anche noi appoggiammo. Ma dovemmo prenderne le distanze quando Bossi cominciò a condire le sue contumelie contro il Palazzo con propositi secessionisti. (pp. 279-280) *Con Berlusconi, tuttavia, poi feci pace. Fu lui a telefonarmi: forse, aveva captato in qualche mio articolo un'ombra di rimpianto per il vecchio amico. Era il '96 e dopo il ribaltone le cose per lui si mettevano di male in peggio. [...] Così, una sera mi ritrovai di nuovo seduto alla sua mensa ad Arcore. [...] Riparlammo senza rancore dei nostri trascorsi. Gli domandai quale garanzia avesse ricevuto da [[Massimo D'Alema|D'Alema]] sulle sue aziende in cambio dell'opposizione inesistente che gli assicurava. Rise. «Ma perché, ora che hai sistemato i tuoi affari, non ti chiami fuori dalla politica?» gli chiesi. «È una parola» mi rispose rabbuiandosi. «I giudici non obbediscono neppure a D'Alema». E lì capii quale era, ormai, la vera sostanza del suo dramma. (p. 312) *Se anch'io sono diventato europeista, è per disperazione: l'Europa è forse l'unica possibilità di sopravvivere per noi italiani, che come italiani non siamo riusciti a vivere. Questo è sempre stato l'europeismo degl'italiani di più alta coscienza, a partire da [[Alcide De Gasperi|De Gasperi]], che fu il primo a capire i rischi d'un Italia lasciata in balìa degl'italiani. (p. 315) *Pur fra tante fortune, purtroppo a me la sorte ha riservato di portarmi nella tomba le due cose che ho più amato: il mio mestiere e il mio Paese. Che cosa sia diventato il primo, annientato da computer e televisione, è sotto gli occhi di tutti. Quanto al secondo, la cancrena è ormai inarrestabile e la decomposizione sta avvenendo per dissoluzione di quel poco che resta dello Stato. E dico decomposizione, non secessione. La secessione si fa anche con la violenza, e dove lo troviamo oggi un solo plotone di soldati disposto a imbracciare le armi pro o contro l'Unità dello Stato? Che, se resta ancora in piedi, è solo perché non ha neppure la forza di cadere. Quello di rinunziare alla nazione poi, è un sacrificio che non saprei compiere, anche se razionalmente mi rendessi conto ch'è necessario, oppure inevitabile. E ringrazio l'anagrafe che mi esclude dal problema. (p. 316) ==''Storia d'Italia''== {{vedi anche|Indro Montanelli e Roberto Gervaso|Indro Montanelli e Mario Cervi}} ===''L'Italia giacobina e carbonara''=== *I [[cinismo|cinici]] sono tutti moralisti, e spietati per giunta. (cap. 10, p. 144) *[[Francesco Melzi d'Eril|Melzi]] apparteneva a una delle più grandi famiglie dell'aristocrazia lombarda, e ne portava nel sangue le doti migliori: la rettitudine, la cultura, la cortesia, ma anche una certa alterigia, che probabilmente gli veniva dalla madre spagnola. (cap. 11, p. 152) *{{NDR|Francesco Melzi d'Eril}} Aveva fatto parte dei circoli illuministici dei Serbelloni, dei Beccaria e di Pietro Verri, di cui era anche cognato. [[Napoleone Bonaparte|Napoleone]] lo aveva conosciuto al tempo della sua prima campagna d'Italia, dopo la battaglia di Lodi lo aveva invitato a Mombello, e ne aveva fatto il proprio consigliere. Quel signore che portava ancora il costume settecentesco, le calze bianche e la parrucca incipriata, gli piaceva. Gli piaceva perché non era servile, perché non era venale, perché non era nemmeno ambizioso. Una leggera sordità e una salute piuttosto precaria, insidiata da un forte artritismo, l'obbligavano a riguardi incompatibili con l'esercizio del potere. Più che il protagonista, preferiva fare il suggeritore. (cap. 11, p. 152) *L'unico che avesse qualità di uomo di Stato era il ministro delle finanze, [[Giuseppe Prina|Prina]], anche perché era piemontese, cioè veniva da un paese che uno Stato lo era da secoli. Ex procuratore generale della Corte dei Conti di Torino e membro del governo provvisorio del '99<ref>1799.</ref>, si era poi trasferito nella [[Repubblica Cisalpina|Cisalpina]] e ne aveva preso la cittadinanza. Non aveva un carattere che attirasse simpatie. Anzi, chiuso e freddo com'era, le respingeva. Ma era un lavoratore instancabile e scrupoloso, dotato di un acuto senso politico e – diceva [[Stendhal]] – "ha del grande in testa". (cap. 12, p. 164) *Perché non andassero perse neanche le briciole {{NDR|delle entrate della Repubblica Cisalpina}}, Prina riformò tutto il sistema fiscale riducendone il personale e facendone una macchina di straordinaria efficienza. Fu lui a inventare la "tassa di famiglia", o meglio a ripristinarla, perché la sua vera iniziatrice era stata [[Maria Teresa d'Austria|Maria Teresa]]. Ma la maggior pressione la esercitò nel campo delle imposte indirette che colpivano tutti i consumi senza distinguere fra quelli di lusso e quelli di prima necessità. Naturalmente a farne le spese furono soprattutto le classi popolari, che di lì a pochi anni gliel'avrebbero fatta pagare<ref>Prina, dopo l'abdicazione di Napoleone, fu linciato dalla folla a Milano il 20 aprile 1814.</ref>. Ma con questi sistemi riuscì a portare le entrate da settanta a oltre cento milioni e a pareggiare il bilancio. (cap. 12, p. 165) *[[Carlo II di Parma|Carlo Ludovico]] era stato talmente oppresso dalla madre<ref>Maria Luisa di Borbone-Spagna (1782–1824).</ref> che sognava di disfare tutto ciò ch'essa aveva fatto, compreso il proprio matrimonio; e quando le successe nel '24<ref>Come duca di Lucca nel 1824.</ref>, introdusse anche per buona fortuna dei lucchesi, metodi di governo diametralmente opposti a quelli di lei. Ridusse l'appannaggio che Maria Luisa esigeva per alimentare i suoi fasti spagnoli, liberalizzò i commerci, e alla fine si convertì addirittura al luteranesimo, mentre sua moglie diventava Terziaria domenicana. Fu un cattivo marito, ma non un cattivo sovrano. E Lucca, sotto di lui, respirò. (cap. 25, p. 375) *[...], {{NDR|la [[Carboneria]]}} non fu certo una scuola di educazione politica, e probabilmente è anche al suo esempio e modello che sono dovute le malformazioni della nostra democrazia e la sua intrinseca debolezza. Figli e nipoti dei Carbonari furono quei "notabili" che governarono l'Italia fino alla prima guerra mondiale e che, insieme a innegabili virtù, ebbero anche il vizio di considerare il Paese una "clientela" di Apprendisti esclusi dai "sacri travagli". (cap. 26, p. 395) *Fu qui {{NDR|al Teatro alla Scala}} che {{NDR|[[Ugo Foscolo]]}} vide [[Antonietta Fagnani Arese]], già famosa a ventitré anni non soltanto per la sua bellezza, ma anche per lo sfruttamento intensivo che ne aveva fatto. Probabilmente era una frigida, ma che sapeva recitare la sua parte: tutti i giovani più in vista di Milano cadevano nelle reti di questa Circe, e forse fu anche questo a stimolarlo. (cap. 35, p. 510) *Misto di genio e di ciarlatano, [[Domenico Barbaja|Barbaja]] aveva debuttato come sguattero, aveva fatti primi soldi inventando un dolce di panna e cioccolato, la "barbajada", li aveva moltiplicati con la gestione del Ridotto da giuoco della Scala, e ormai tanti ne aveva che quando il San Carlo andò distrutto da un incendio, lo ricostruì a proprie spese. (cap. 39, pp. 608-609) *{{NDR|Domenico Barbaja}} Era semianalfabeta, e di musica non conosceva una nota, ma conosceva il pubblico, era un infallibile scopritore di talenti, e nel 1815 si assicurò quello di un compositore ventitreenne, in cui già aveva identificato la figura più rappresentativa della lirica contemporanea: [[Gioacchino Rossini]]. (cap. 39, p. 609) *{{NDR|[[Ciro Menotti]]}} Uomo onesto, ma di un candore che sconfinava nella sprovvedutezza, [...]. (cap. 40, p. 635) ===''L'Italia del Risorgimento''=== *{{NDR|[[Giuseppe Mazzini]]}} Due mesi d'intenso lavoro gli bastarono a maturare il piano. Più che una setta, la sua organizzazione sarebbe stata un vero e proprio partito, anche se clandestino, senza l'oscura simbologia e i complicati rituali carbonari. Si sarebbe chiamata ''[[Giovine Italia]]'' e lo sarebbe stata anche di fatto perché, salvo casi eccezionali, era preclusa a chi avesse superato i quarant'anni di età. (cap. 4, pp. 54-55) *D'irresolutezza, [[Carlo Alberto di Savoia|Carlo Alberto]] aveva dato prova anche prima di salire sul trono, e lo aveva dimostrato anche il suo contraddittorio atteggiamento nel '21<ref>Nei moti piemontesi del 1821, Carlo Alberto aveva prima dato e poi ritirato il suo appoggio ai congiurati.</ref>. Il coraggio e la volontà non gli mancavano; ma gli mancava il carattere. Nella guerra di Spagna era stato un valoroso combattente<ref>Nel 1823, Carlo Alberto aveva partecipato alla campagna militare per ristabilire l'assolutismo regio in Spagna.</ref>, e la disciplina a cui si sottoponeva era spartana. Ma le responsabilità morali lo sgomentavano. (cap. 9, pp. 135-136) *{{NDR|Carlo Alberto}} Non era né intelligente né colto. Ma certi movimenti di opinione pubblica e orientamenti di pensiero li coglieva e ne restava influenzato. Nel '38 aveva mandato in galera e poi in esilio [[Vincenzo Gioberti|Gioberti]], ma nel '43 ne leggeva con interesse il ''Primato''. Se [[Massimo d'Azeglio|D'Azeglio]] avesse scritto il suo libro<ref>''Degli ultimi casi di Romagna'' (1846).</ref> due anni prima, avrebbe mandato in esilio anche lui. Ora in pratica ne aveva fatto una specie di agente segreto. I tempi insomma li sentiva e con essi andava. (cap. 9, p. 136) *Questo grande soldato {{NDR|[[Josef Radetzky]]}} non aveva mai conosciuto sconfitte, e a ottant'anni suonati conservava intatte prestanza fisica ed energia morale. Come tutti i militari, credeva soltanto nella spada e nella disciplina. Ma non somigliava affatto all'immagine che di lui ci ha tramandato la storiografia risorgimentale: quella del crudele "impiccatore", del caporalaccio ottuso, grossolano e brutale. Era al contrario un grande signore, di tratto ruvido ma generoso, perpetuamente alle prese con problemi di bilancio perché aveva le mani bucate. (cap. 13, p. 194) *{{NDR|Radetzky}} Aveva sposato una Contessa austriaca che viveva a Vienna e gli aveva dato otto figli da cui non gli venivano che dispiaceri. Uno militava ai suoi ordini lì a Milano, ma era un così cattivo arnese che un prete un giorno lo schiaffeggio per strada. Radetzky mandò a chiamare il prete, gli strinse la mano e gli disse: "''{{sic|Crazzie}}''". Per amante si era presa una brava stiratrice lombarda che sapeva cucinare bene gli gnocchi, di cui era ghiottissimo, e dalla quale ebbe altri quattro figli. Non era affatto un odiatore degl'italiani: tant'è vero che, quando andò in pensione, rimase a Milano, e lì morì nel '58. Era soltanto un fedele servitore del suo Paese, di cui non discuteva la causa. E soprattutto era un vecchio lupo di guerra coraggioso, astuto e risoluto. (cap. 13, p. 195) *La notizia si diffuse prima ancora che lo [[Statuto Albertino|Statuto]] fosse firmato, e in un battibaleno le piazze di Torino, eppoi di tutto il Piemonte, eppoi di tutto il Reame, si riempirono di folla esultante. Essa non conosceva il contenuto del documento che introduceva, sì, un regime rappresentativo, ma circondandolo delle maggiori cautele [...]. Più che del suo contenuto, la pubblica opinione era innamorata della parola ''Costituzione'', che aveva finito, per assumere ai suoi occhi magici significati, e la salutava con luminarie, canti e bandiere. (cap. 14, p. 218) *[...] [[Francesco Anzani|Anzani]], il più serio e autorevole degli esuli italiani, che aveva combattuto per la libertà in Grecia e in Spagna. Le sue parole avevano gran peso anche perché fra tutti quei chiacchieroni, ne pronunziava poche. (cap. 18, p. 281) *[...] [[Giuseppe Montanelli|Montanelli]] era così infatuato {{NDR|del progetto di Costituente italiana}} e tanto ne parlava nei suoi discorsi che il popolino – dicono – finì per credere che la Costituente fosse il nome di sua moglie. (cap. 19, p. 298) *[[Pellegrino Rossi|Rossi]] era un toscano della Lunigiana, ma solo all'anagrafe. Come formazione e mentalità, apparteneva ancora a quel tipo di {{sic|apòlidi}} che l'Italia del Settecento sfornava doviziosamente e che, non trovando in patria un terreno per i loro talenti, andavano da mercenari a investirli all'estero. Professore d'Università a poco più di vent'anni, poi commissario di [[Gioacchino Murat|Murat]] al tempo del suo infelice tentativo di unificare l'Italia sotto il suo scettro, era l'unico cattolico cui l'Accademia calvinista di Ginevra avesse mai affidato una cattedra. (cap. 19, p. 301) *{{NDR|Pellegrino Rossi}} Fu sin dal principio un fautore di [[Papa Pio IX|Pio IX]] fino a partecipare di persona alle manifestazioni popolari in suo favore, ma vide subito la pochezza e ambiguità dell'uomo e ne denunziò i pericoli. (cap. 19, pp. 302-303) *Sebbene gli avessero affidato pieni poteri, [[Daniele Manin|Manin]] era un uomo discusso. Molti lo consideravano un malaccorto maneggione, un improvvisatore digiuno di problemi economici e militari, bravo soltanto ad attribuirsi i meriti degli altri. Secondo [[Niccolò Tommaseo|Tommaseo]], ch'era fra i suoi più insidiosi diffamatori, il potere gli aveva dato "una scossa da intorbidargli la mente e far più grave e manifesta la sua inesperienza". (cap. 23, p. 354) *{{NDR|Daniele Manin}} Intellettualmente, non era al livello di un [[Giuseppe Mazzini|Mazzini]] o di un [[Carlo Cattaneo|Cattaneo]]. Ma era, come loro, inattaccabile sul piano morale. E, in mancanza di un vero e proprio potere carismatico, esercitava sulle folle un notevole fascino per la sua gioviale e arguta "venezianità". Parlava sempre in dialetto con battute raccattate sulla bocca dei gondolieri, e anche nel dramma portava un pizzico di [[Carlo Goldoni|Goldoni]]. I suoi limiti li conosceva, e non è vero che l'autorità gli avesse dato alla testa, come diceva Tommaseo che diceva male di tutti. Anzi la esercitava bonariamente e cercava di circondarsi di uomini validi che sopperissero alla sua incompetenza. (cap. 23, pp. 354-355) *Eran trascorsi pochi mesi {{NDR|dal suo matrimonio con Vittorio Emanuele}}, che [[Maria Adelaide d'Asburgo-Lorena|Maria Adelaide]] lo sorprendeva nel giardino di Moncalieri con una diva del teatro, Laura Bon, ma si guardò dal farne un dramma. Perfettamente educata al mestiere di Regina, essa sapeva che la rassegnazione alle infedeltà ne è parte imprescindibile, e le sopportò sempre con garbo e dignità. (cap. 25, p. 390) *Sfruttando la devozione di Carlo Alberto, [[Clemente Solaro della Margarita|Solaro della Margarita]] aveva regolato i rapporti con la Chiesa in modo tale da fare del clero piemontese il più potente d'Italia dopo quello dello [[Stato Pontificio|Stato pontificio]]. Esso aveva ancora i suoi tribunali in concorrenza con quelli dello Stato e poteva concedere il diritto d'asilo ai delinquenti. (cap. 26, p. 410) *[...] {{NDR|Giuseppe}} Montanelli, gran galantuomo e ricco d'ingegno, non lo era altrettanto di carattere. Idee ne aveva, anzi ne aveva troppe; ma, facilmente suggestionabile, finiva sempre per adottare quelle dell'ambiente in cui viveva. (cap. 29, pp. 464-465) *Il primo a trarne le conclusioni {{NDR|dalle tesi favorevoli alla monarchia piemontese esposte nel libro di [[Vincenzo Gioberti|Gioberti]] ''Del rinnovamento civile d'Italia''}} fu [[Giorgio Pallavicino Trivulzio|Pallavicino]], l'ex prigioniero dello Spielberg, da un pezzo rifugiato a Torino. Di scarso cervello politico, impetuoso fino alla leggerezza, teatrale e un po' troppo portato a ostentare i suoi titoli di "martire", aveva fino allora militato sotto bandiera rivoluzionaria. (cap. 32, p. 514) *{{NDR|Tra i Mille di Garibaldi}} C'era il malinconico ex prete [[Giuseppe Sirtori|Sirtori]], che della guerra aveva fatto una mistica e sul campo sembrava che officiasse. (cap. 40, p. 635) ===''L'Italia dei notabili''=== *La [[Convenzione di settembre|Convenzione]], che fu detta "di Settembre" dal mese in cui venne concordata, si componeva di cinque articoli e stabiliva: che l'Italia rinunziava ad ogni atto di ostilità contro il territorio pontificio; che la Francia ne avrebbe ritirato le sue truppe via via che il governo del Papa le avesse rimpiazzate con volontari indigeni e stranieri, e comunque entro due anni; e che questo doppio impegno sarebbe entrato in vigore dal momento in cui il governo italiano avesse decretato il trasferimento della capitale da operarsi nello spazio di sei mesi. (Capitolo quinto, Firenze capitale, p. 76) *Gli sventramenti che furono operati {{NDR|a Firenze, nuova capitale del Regno d'Italia}} per alloggiare i Ministeri e i nuovi quartieri che sorsero alla periferia per ospitare i venticinque o trentamila impiegati che calarono da Torino, lasciarono la città orrendamente sfregiata e carica di debiti. (Capitolo quinto, Firenze capitale, p. 78) *{{NDR|[[Carmine Crocco]]}} [...] condannato per diserzione a vent'anni di carcere, ne era evaso, si era dato alla macchia, e in poco tempo era diventato il più temuto e rispettato capobanda della [[Basilicata|Lucania]] non soltanto per il suo coraggio, ma anche per la sua intelligenza di guerrigliero.</br>[...] Crocco venne riconosciuto Generalissimo non solo per l'autorità che gli conferivano le sue gesta, ma anche, perché, sebbene mezzo analfabeta, possedeva un'oratoria immaginosa e apocalittica. (Capitolo sesto, I briganti, pp. 85-89) *{{NDR|[[Giustino Fortunato]]}} [...] il più grande e illuminato studioso del Meridione. (Capitolo sesto, I briganti, p. 86) *Figlio di un fabbro e medico di professione, [[Giovanni Lanza|Lanza]] incarnava, nella Destra piemontese tradizionalmente formata da nobili, militari e grandi borghesi, un tipo umano del tutto insolito: il nuovo piccolo ceto medio, spartano e puritano, formatosi nelle scuole serali e nell'Università popolare. (Capitolo nono, Gli anni della lesina, p. 133) *L'esercito papalino era un'accozzaglia di mercenari delle più svariate nazionalità (c'erano perfino dei turchi). [...] circa 15.000 uomini, al comando del generale [[Hermann Kanzler|Kanzler]]. Compito gentiluomo, ligio al Regolamento come lo era al Catechismo, questi aveva tuttavia un concetto tedesco dell'onore militare e avrebbe preferito una sconfitta a una resa. Ma {{NDR|Il segretario di Stato}} Antonelli non era di questa opinione. Gli ordinò di ritirare le truppe {{NDR|pontificie}} dentro le mura e di limitarsi a un simulacro di resistenza. (Capitolo decimo, Porta Pia, pp. 141-142) *{{NDR|La duchessa [[Eugenia Attendolo Bolognini Litta|Eugenia Litta]]}} Durante la campagna del '59<ref>Seconda guerra d'indipendenza italiana.</ref> era stata il riposo del guerriero più famoso e importante: [[Napoleone III di Francia|Napoleone III]]. E secondo le malelingue era passata subito dopo in eredità a [[Vittorio Emanuele II di Savoia|Vittorio Emanuele]], che però era il meno adatto ad apprezzare la sua vita di vespa, le sue carni pallide e i suoi raffinatissimi gusti. [[Honoré de Balzac|Balzac]] le aveva reso omaggio. [[Arrigo Boito|Boito]] seguitava a rendergliene. [[Gabriele D'Annunzio|D'Annunzio]] dirà ch'essa "aveva rubato il segreto a Ninon de Lenclos<ref>Scrittrice, cortigiana ed epistolografa francese (1620–1705).</ref>". Insomma come iniziatrice all'amore, il giovane principe {{NDR|il futuro [[Umberto I di Savoia|Umberto I]]}} non poteva desiderarne una più fascinosa ed esperta. Lo fu al punto che, nonostante la differenza d'età, egli le rimase devoto – anche se non fedele – fino alla fine dei suoi giorni. (Capitolo quattordicesimo, Il marito di Margherita, p. 196) *{{NDR|[[Margherita di Savoia]]}} [...] era una vera e seria professionista del trono, e gl'italiani lo sentirono. Essi compresero che, anche se non avessero avuto un gran Re, avrebbero avuto una grande Regina. (Capitolo quattordicesimo, Il marito di Margherita, p. 197) *Il trattato {{NDR|della [[Triplice alleanza (1882)|Triplice alleanza]]}} fu firmato a Vienna nel maggio dell'82<ref>20 maggio 1882.</ref>. Esso impegnava le tre Potenze al reciproco aiuto nel caso in cui una fosse aggredita e alla benevola neutralità nel caso che aggredisse. Inoltre Austria e Germania dichiaravano di disinteressarsi del problema del Papa, considerandolo un affare interno italiano.<br>Quest'ultima clausola fu, insieme alla fine dell'isolamento, il grande vantaggio che l'Italia trasse dal patto, ma nient'altro. Essa non vi era entrata su un piede di parità con le consocie. Aveva semplicemente acceduto all'alleanza che già legava le altre due, le quali restavano per così dire le padrone di casa, e Bismarck non perse occasione di farcelo sentire. (Capitolo diciannovesimo, La Triplice, pp. 276-277) *L'unico Stato che ruppe le relazioni con quello italiano in seguito a [[Presa di Roma|Porta Pia]] fu l'Ecuador. Mai la Chiesa si era trovata in condizioni di più completo isolamento. (Capitolo ventitreesimo, I cattolici, p. 334) *Sindaco di Palermo a ventisette anni, {{NDR|[[Antonio Starabba, marchese di Rudinì|il marchese di Rudinì]]}} aveva affrontato con molto coraggio la rivolta che vi era scoppiata nel '66, e questo lo aveva accreditato come il fanciullo-prodigio del moderatismo, destinato a gloriose imprese. Ma, diceva De Sanctis, col passare del tempo, il prodigio dileguò e rimase solo il fanciullo. Ministro degl'Interni a trent'anni in uno dei governi Menabrea, la sua carriera si era fermata lì. Pure, la fama di "uomo forte" gli era rimasta addosso, suffragata anche dalla sua alta statura, dai lampeggiamenti del monocolo, dalla fluente barba, dalla nobilesca alterigia. Idee, non ne aveva. Ma aveva delle impennate che facevano credere alla sua risolutezza. E questo, in una Destra impoverita di personalità di rilevo, gli era bastato per guadagnarsi i galloni di capo. (Capitolo ventiquattresimo, Giolitti, pp. 348-349) *In realtà, del soldato, [[Oreste Baratieri|Baratieri]] non aveva neanche il fisico. Grasso e sgraziato, con gli occhiali a ''pince-nez'', sembrava molto più vecchio dei suoi cinquant'anni e costruito più per la cattedra che per l'elmo. (Capitolo ventisettesimo, Adua, p. 391) *{{NDR|Dopo le dimissioni del generale [[Luigi Pelloux|Pelloux]]}} A succedergli il Re chiamò il Presidente del Senato [[Giuseppe Saracco|Saracco]], un galantuomo ch'era riuscito a conservare intatta la sua reputazione di democratico pur essendo stato due volte Ministro nei governi di Crispi. Aveva quasi ottant'anni, ma conservava una notevole lucidità di cervello, e ne dette prova formando un governo di coalizione che includeva un po' tutte le forze, meno l'Estrema cui diede tuttavia soddisfazione chiamando parecchi suoi uomini nella commissione incaricata di studiare un nuovo regolamento parlamentare che, senza intaccare la libertà di discussione, impedisse l'ostruzionismo, o per meglio dire lo regolasse. (Capitolo ventottesimo, I cannoni di Bava Beccaris, p. 417) ===''L'Italia di Giolitti''=== *Si è detto che {{NDR|[[Egidio Osio]]}} plagiò il suo pupillo {{NDR|il principe ereditario, futuro re [[Vittorio Emanuele III di Savoia|Vittorio Emanuele III]]}} e ne lesionò definitivamente il carattere terrorizzandolo e mortificandone gli slanci. Si è detto che anche sul suo fisico ebbe pessima influenza costringendolo a penosi e logoranti sforzi. Si è detto che furono i suoi metodi repressivi a creare nel Principe quei complessi d'inferiorità da cui fu sempre afflitto, a traumatizzarlo, a inaridirlo, a riempirne l'animo di sordi rancori.<br>Ma se non proprio di falsità, si tratta di verità contraffatte. (cap. I, Il nuovo Re, p. 15) *Militare dalla testa ai piedi, Osio era un uomo duro, imperioso, abituato al comando. [...] Ma era anche un gran signore, perfetto uomo di mondo, e nutrito di buone letture. Sebbene la sua carriera potesse esserne notevolmente avvantaggiata, esitò molto ad accettare l'incarico {{NDR|di tutore del principe ereditario}}, vi si risolse solo dietro garanzia che nemmeno i genitori avrebbero più interferito nell'educazione del ragazzo, di cui egli diventava unico e assoluto responsabile, e al termine della sua missione non beneficiò di nessuno "scatto di grado". (cap. I, Il nuovo Re, pp. 15-16) *[[Elena del Montenegro|Elena]], che da ragazza dipingeva, suonava il violino, componeva poesie come suo padre<ref>Nicola I del Montenegro.</ref>, e amava il tennis e la danza, rinunziò a questi passatempi appena vide che lui {{NDR|il futuro Vittorio Emanuele III}} li detestava, anzi adottò come ''hobbies'' quelli di lui: la numismatica e l'archeologia. Per il resto fu soltanto una donna di casa, come lo era stata a Cettigne<ref>Capitale del Regno del Montenegro.</ref>. Sapendolo insofferente dei camerieri, era lei che lo serviva a tavola, e per farsi i vestiti si prese in casa una sartina. (cap. I, Il nuovo Re, p. 27) *[[Filippo Meda|Meda]] era un avvocato milanese di spirito pratico, che considerava l'astensione dal voto {{NDR|dei cattolici}} un dovere da osservare finché il Papa lo imponeva, ma un grosso errore strategico di cui occorreva sollecitare la revoca. Lo Stato liberale, diceva, c'è e va accettato. Va soltanto salvato dalle sue tentazioni autoritarie e giacobine. E questo i cattolici possono farlo soltanto inserendocisi e riformandolo in modo da tenerlo al riparo dai pericoli d'involuzione. Lo Stato cioè per lui era un "peccatore da salvare". (cap. IV, Cattolici e socialisti, p. 72) *[...] [[Romolo Murri|Murri]] era un giovane sacerdote marchigiano, che aveva conosciuto la povertà e nel Vangelo vedeva soprattutto un messaggio giustizialista. Introverso e malinconico come tutti i fanatici, egli si considerava molto più "avanzato" di Meda per il carattere rivoluzionario che intendeva imprimere al movimento {{NDR|cattolico}}. In realtà era un uomo del ''[[Sillabo]]'' che, pur partendo anche lui dall'accettazione dello Stato unitario, intendeva tramutarlo in una [[teocrazia]] egalitaria e totalitaria, sul tipo di quella che i Gesuiti avevano fondato un paio di secoli prima nel Paraguay. Se a ispirarlo fosse più l'amore del povero o l'odio del ricco, non sappiamo. (cap. IV, Cattolici e socialisti, pp. 72-73) *Meda e Murri furono dapprincipio alleati. Entrambi volevano un grande partito, popolare indipendente dalla Chiesa. Ma Meda lo concepiva come lo sviluppo della organizzazione tradizionale, cioè dell'''Opera''<ref>"Opera dei congressi e dei comitati cattolici", spesso abbreviata in "Opera dei congressi", organizzazione cattolica italiana, sciolta nel 1904.</ref>, una volta strappatala alla vecchia guardia, mentre Murri lo vedeva come un organismo nuovo, un "Fascio", come quelli che pochi anni prima avevano messo a soqquadro e insanguinato la Sicilia. (cap. IV, Cattolici e socialisti, p. 73) *Lo [[Sciopero generale del 1904|sciopero {{NDR|generale del 1904}}]] [...] non fu un fallimento, ma non fu nemmeno un successo perché si esaurì spontaneamente, e il suo più consistente risultato fu la spaccatura delle forze operaie. Lo si vide pochi mesi dopo, quando i sindacalisti bandirono un altro sciopero, quello delle ferrovie, da cui i sindacalisti uscirono demoralizzati e con la truppa dimezzata. (cap. IV, Cattolici e socialisti, p. 85) *[[Alessandro Fortis|Fortis]] era un tipico notabile romagnolo di lungo e contradditorio corso ideologico. Aveva debuttato come repubblicano intransigente, era andato in galera per complotto rivoluzionario con gli anarchici, poi era stato conquistato da [[Francesco Crispi|Crispi]], era finito {{sic|Ministro}} di [[Luigi Pelloux|Pelloux]], e ora militava sotto la bandiera di [[Giovanni Giolitti|Giolitti]]. Come "trasformista", era tra i più qualificati. Ma questa pecca era abbondantemente compensata dai suoi doni di simpatia umana e da una grande esperienza parlamentare. (cap. VI, Il suffragio universale, p. 107) *Quando [[Enrico Corradini|Corradini]] applicò il vocabolario socialista alla Nazione parlando di una "Italia proletaria" in lotta contro le plutocrazie occidentali, e lanciò l'idea di un "imperialismo operaio" da contrapporre a quello capitalistico, riscosse in campo sindacalista vasti consensi e pose le premesse di un pasticcio ideologico in cui Mussolini avrebbe di lì a poco guazzato. (cap. VII, "Tripoli bel suol d'amore", p. 137) *{{NDR|Giolitti}} Più che la Libia, voleva la [[Guerra italo-turca|guerra]], o meglio qualcosa che desse finalmente agl'italiani l'impressione di farne una e di vincerla. (cap. VII, "Tripoli bel suol d'amore", p. 145) *[...] a Vienna l'imperatore Francesco Giuseppe aveva dovuto intervenire di persona per fermare la mano al Capo di Stato Maggiore [[Franz Conrad von Hötzendorf|Conrad]] che voleva una spedizione punitiva contro l'Italia, ora ch'era impegnata in Africa {{NDR|nella guerra di Libia}}, per metterla in ginocchio "prima che avesse il tempo di perpetrare altri tradimenti". (cap. VII, "Tripoli bel suol d'amore", pp. 149-150) *Non si è mai saputo con certezza come si svolse l'operazione {{NDR|del [[patto Gentiloni]]}} che, ben s'intende, doveva restare segretissima. Giolitti negò sempre di avervi partecipato, e infatti d'impronte digitali non ve ne lasciò. Fu probabilmente senza le sue credenziali, ma certamente non senza il suo beneplacito che qualche esponente liberale prese contatto coi cattolici. Questi avevano una "unione elettorale" di cui era Presidente un Conte marchigiano, [[Vincenzo Ottorino Gentiloni|Gentiloni]], politico abile, ma vanesio e chiacchierone. Egli s'impegnò a mobilitare il voto cattolico in favore dei candidati liberali dovunque questi fossero minacciati dalla Estrema Sinistra; e i liberali s'impegnarono a difendere la parificazione delle scuole confessionali a quelle dello Stato, a ripristinare in queste ultime l'istruzione religiosa, a respingere l'introduzione del divorzio, e – pare – a combattere la Massoneria. (cap. VIII, Il crepuscolo degli dei, p. 163) *Se [[Gaetano Salvemini|Salvemini]] incarnava lo spirito protestatario e la sete giustizialista delle plebi meridionali, [[Antonio Salandra|Salandra]] incarnava lo spirito autoritario e conservatore della borghesia terriera. Proveniva da una famiglia di notabili pugliesi con parecchia roba al sole, e alla politica era approdato dalla cattedra universitaria, di cui conservava molti caratteri: una notevole cultura e finezza intellettuale, ma anche un compassato distacco che rasentava la freddezza. Prima di affrontare un problema lo studiava minuziosamente, e nessuno sapeva prospettarlo con più chiarezza di lui. (cap. IX, Sarajevo, p. 168) *[[Paolo Boselli]] {{NDR|incaricato nel 1916 di formare il nuovo governo dopo le dimissioni di Antonio Salandra}}, che fu chiamato a presiederlo, possedeva tutti i requisiti, meno quelli che occorrono per guidare un Paese in guerra. Deputato ligure da parecchie legislature, era stato varie volte Ministro con Crispi, Pelloux e Sonnino, ma nessuno se n'era accorto. [...]. Passava per un esperto di questioni economiche, e moralmente era un personaggio di tutto rispetto. Ma politicamente era scolorito, e per di più aveva quasi ottant'anni. (cap. XVI, La caduta di Salandra, pp. 293-294) *Quanto [[Luigi Cadorna|Cadorna]] era solitario, monacale ruvido e chiuso in un giro di valori e d'idee tradizionali, tanto [[Luigi Capello|Capello]] era brillante, estroverso, moderno, ricco d'immaginazione e maestro di "pubbliche relazioni". (cap. XVI, La caduta di Salandra, pp. 298-299) *Lucano di Melfi, [[Francesco Saverio Nitti]] incarnava anche nel fisico tozzo e grassottello il tipo del notabile meridionale, colto, brillante, scettico e alquanto egocentrico. [...] la sua specialità era il problema del Mezzogiorno, di cui fu tra i primi seri studiosi e che gli fornì anche la base elettorale. [...]. Sul livello medio della classe politica di allora, egli faceva spicco per preparazione, equilibrio e lucidità, ma anche per una certa propensione ad attribuirsi il monopolio di queste virtù. (cap. XXIII, Versaglia, pp. 420-421) ===''L'Italia in camicia nera''=== *Un altro utile incontro fu per Mussolini quello con [[Angelica Balabanoff]], personaggio già di notevole rilevo nel socialismo internazionale. Era una russa di buona famiglia borghese, che fin da giovanissima si era imbrancata con quella ''intellighenzia'' rivoluzionaria da cui venivano anche i Lenin, i Trotzky, e gli altri futuri grandi del bolscevismo. A spingerla era stata la ribellione contro la meschinità, lo snobismo provinciale, il sussiego di casta, i tabù del suo ceto. (cap. 1, p. 23) *Angelica {{NDR|Balabanoff}} non era bella, non aveva la grazia eterea ed esangue di Anna {{NDR|[[Anna Kuliscioff|Kuliscioff]]}}. Ma non era nemmeno sgradevole, nonostante i fianchi massicci e gli zigomi pronunciati, eppoi era una russa, cosa che faceva un grande effetto al piccolo provinciale di Predappio<ref>Mussolini era nato a Dovia, frazione di Predappio.</ref>. Anche se fra loro non divampò la passione che aveva legato Anna ad [[Andrea Costa]], qualcosa ci fu, ed ebbe la sua importanza. Angelica cercò d'incivilire quel selvaggio trasandato che passava da ostinati mutismi a interminabili sproloqui conditi di orrende bestemmie. Lo sfamava, gli lavava la biancheria, lo iniziava, sia pure con poco successo, al marxismo [...]. (cap. 1, p. 25) *Uno dei tre protagonisti del giuoco {{NDR|[[Gabriele D'Annunzio]]}} era eliminato. La partita ora si riduceva agli altri due: Giolitti e Mussolini. (cap. 1, p. 101) *Mussolini aveva vinto, e la sua vittoria significava che il fascismo, abbandonata la pretesa di presentarsi come un movimento rivoluzionario di sinistra, quale lo avrebbero voluto Grandi, Farinacci e Marsich, presentava la sua candidatura a forza egemonica della destra e infilava la «via parlamentare» al potere.<br>C'era un pericolo, e Mussolini lo capì subito: che questa svolta a destra mettesse il partito alla mercé della sua ala reazionaria incarnata soprattutto dal ''ras'' piemontese [[Cesare Maria De Vecchi|De Vecchi]], uomo di poco cervello, ma tutto Trono e Altare, e che quindi poteva anche tornar comodo per il futuro. (cap. 2, p. 127) *[...], i giolittiani riuscirono a portare al governo uno dei suoi {{NDR|di Giolitti}} «ascari» più fedeli, ma anche dei più sbiaditi: [[Luigi Facta]].<br> Facta era un bravo avvocato di provincia piemontese con tutte le virtù, ma anche con tutti i limiti del suo ambiente: un uomo probo e integro, che dopo trent'anni di vita parlamentare ne aveva ormai una certa esperienza, aveva ricoperto con onore alcune cariche ministeriali, non aveva alcuna ambizione che quella di servire fedelmente il suo capo, né altre idee che quelle di lui. Tutto gli si poteva chiedere fuorché risolutezza ed immaginazione, cioè proprio le qualità che più urgevano. (cap. 2, pp. 143-144) *[...] le sue intenzioni {{NDR|Mussolini}} non le confidava nemmeno al segretario del partito, [[Michele Bianchi|Bianchi]], di cui apprezzava la fedeltà e l'impegno, ma non l'intelligenza: lo considerava angoloso, settario, puntiglioso vendicativo e privo d'intuito politico. L'unico con cui si apriva seguitava ad essere [[Cesare Rossi]], l'uomo che gli era stato accanto dal primo momento, lo aveva seguito in tutte le sue palinodie e gli dava sempre dei consigli che corrispondevano ai suoi desideri. (cap. 4, p. 166) *{{NDR|[[Vittorio Emanuele III]]}} non si fidava completamente di Mussolini, ma si fidava ancora meno dei suoi avversari ed era convinto che costoro, se avessero preso il mestolo in mano, avrebbero ricreato il caos del dopoguerra. Comunque, a una cosa era assolutamente deciso: a non farsi coinvolgere nella lotta politica, come del resto gli dettava la Costituzione di cui, quando gli faceva comodo, sapeva ricordarsi. ====[[Explicit]]==== *Resterebbe solo da sapere con che animo Mussolini s'investì, il 3 gennaio, nella parte di dittatore. Se, come molti sostengono, gli sforzi che fino a quel momento aveva fatto per evitarla erano stati solo un giuoco per dimostrare che non era lui a volerla, ma gli eventi ad imporgliela, bisogna riconoscere che come {{sic|giuocatore}} sapeva il fatto suo. ==''Storia dei Greci''== *Il modo migliore per ripagare il nostro contemporaneo [[Heinrich Schliemann|Enrico Schliemann]] degli enormi servigi che ci ha reso nella ricostruzione della civiltà classica, mi pare sia quello di assumerlo fra i suoi protagonisti, com'egli stesso mostrò di desiderare ardentemente, scegliendosi, in pieno secolo decimonono, [[Zeus]] come dio e a lui indirizzando le sue preghiere, battezzando [[Agamennone]] suo figlio, Andromaca sua figlia, Pélope e Telamone i suoi servitori, e dedicando a [[Omero]] tutta la sua vita e i quattrini. (cap. 2; 2004, p. 17) *{{NDR|Su [[Heinrich Schliemann|Schliemann]]}} Era un matto, ma tedesco, cioè organizzatissimo nella sua follia, che la buona sorte volle ricompensare. La prima storia che gli raccontò suo padre, quando aveva cinque o sei anni, non fu quella di [[Cappuccetto Rosso]], ma quella di [[Ulisse]], di [[Achille]] e di Menelao. Ne aveva otto, quando annunziò solennemente in famiglia che intendeva riscoprire Troia e dimostrare, ai professori di storia che lo negavano, ch'essa era realmente esistita. Ne aveva dieci, quando compose in latino un saggio su questo argomento. E ne aveva sedici, quando sembrò che questa infatuazione gli fosse del tutto passata. Infatti s'era impiegato come garzone di una drogheria, dove scoperte archeologiche non c'era da farne di certo, e di lì a poco s'imbarcò non per l'Ellade, ma per l'America, in cerca di fortuna. (cap. 2; 2004, p. 17) *Di nuovo il buon Dio, che per i matti ha un debole, lo compensò di tanta fede, guidando il suo piccone sugli scantinati del palazzo dei discendenti di re Atreo, nei cui sarcofaghi furono ritrovati gli scheletri, le maschere d'oro, i gioielli e il vasellame che si ritenevano esistiti solo nella fantasia di Omero. E Schliemann telegrafò al re di Grecia: ''Maestà, ho ritrovato i vostri antenati''. Poi, ormai sicuro del fatto suo, volle dare il colpo di grazia agli scettici del mondo intero e, sulle indicazioni di [[Pausania]], andò a Tirinto e vi disseppellì le ciclopiche mura del palazzo di Proteo, di Perseo e di [[Andromeda|Andròmeda]]. (cap. 2; 2004, pp. 19-20) *Schliemann morì quasi settantenne nel 1890, dopo aver sconvolto tutte le tesi e le ipotesi su cui si era basata sino ad allora la ricostruzione della preistoria greca, tesa ad esiliare Omero e Pausania nei cieli della pura fantasia. (cap. 2; 2004, p. 20) *Ma ora, dopo le scoperte del tedesco matto, non abbiamo più il diritto di mettere in dubbio la realtà storica di Agamennone, di Menelao, di [[Elena]], di [[Clitennestra]], di Achille e di Patroclo, di Ettore e di Ulisse, anche se le loro avventure non sono state esattamente quelle che Omero ha descritto, facendoci sopra la cresta. Schliemann ha arricchito la storia e impoverito la leggenda, di alcune decine di personaggi di primissimo piano. Grazie a lui alcuni secoli, che prima erano nel buio, sono entrati nella luce, anche se è quella incerta della primissima alba. Ed è solo per mano a lui che possiamo esplorarla. (cap. 2; 2004, p. 21) *Senza dubbio gli [[achei]], a differenza dei pelasgi, furono terrieri, tant'è vero che fino alla guerra di Troia imprese per mare non ne azzardarono, e ogni volta che lo trovavano si fermavano. Essi non tentarono di mettere il piede nemmeno nelle isole più vicine al continente, e tutte le loro capitali e cittadelle erano nell'interno. La Grecia, sotto di loro, si limitava al Peloponneso, all'Attica e alla Beozia; mentre per le popolazioni pelasgiche della civiltà micenea, ch'erano marinare, essa inglobava anche tutti gli arcipelaghi dell'Egeo. (cap. 3, ''Gli Achei''; 2004, p. 25) *[[Diogene di Sinope|Diogene]], che aveva la lingua lunga, disse che la religione greca era quella cosa per cui un ladro che sapeva bene l'Avemaria e il Paternoster era sicuro di potersela cavar meglio, nell'al di là di un galantuomo che li aveva dimenticati. Non aveva torto. La [[Religione dell'antica Grecia|religione]], in Grecia, era soltanto un fatto di procedura, senza contenuto morale. Ai fedeli non si chiedeva la fede né si proponeva il bene. S'imponeva solo il compimento di certe pratiche burocratiche. E non poteva essere diversamente, visto che di contenuto morale gli stessi {{sic|dèi}} ne avevano ben poco e non si poteva certo dire che fornissero un esempio di virtù. (cap. 7, ''Zeus e famiglia''; 2004, p. 54) *Anche [[Pisistrato]] era aristocratico e di famiglia ricca. Ma aveva capito che la [[democrazia]], una volta instaurata, è irreversibile e va sempre a sinistra. (cap. 15, ''Pisistrato''; 2004, p. 98) *Pisistrato, invece di cinquanta uomini, ne arruolò e armò quattrocento, s'impadronì dell'Acròpoli, e proclamò la dittatura. In nome e per il bene del popolo, si capisce, come tutte le dittature. (cap. 15; 2004, p. 91) *La stragrande maggioranza degli ateniesi, dopo averlo a lungo osteggiato e tenuto in gran sospetto, si erano sinceramente affezionati a Pisistrato che aveva dalla sua un'arma formidabile: la simpatia. (cap. 15; 2004, pp. 92-93) *Il tiranno Pisistrato seppe sfuggire a tutte le tentazioni del potere assoluto, meno una: quella di lasciare il «posto» in eredità ai figli, [[Ippia (tiranno)|Ippia]] e [[Ipparco (tiranno)|Ipparco]]. L'amor paterno gl'impedì di vedere con la consueta chiarezza che i totalitarismi non hanno eredi e che quello suo si giustificava soltanto come una eccezione alla democrazia per assicurarle ordine e stabilità. Peccato. (cap. 15; 2004, p. 95) *Pisistrato era morto nel 527 avanti Cristo. Ventun anni dopo, cioè nel 506, troviamo uno dei suoi due figli, da lui designati a succedergli, Ippia, alla corte del re di Persia, [[Dario I di Persia|Dario]], per suggerirgli l'idea di muover guerra contro Atene e la Grecia tutta. I grandi uomini non dovrebbero mai lasciare né vedove né eredi. Sono pericolosissimi. (cap. 16, ''I persiani alle viste''; 2004, p. 103) *Questo Ippia non aveva debuttato male, dopo che suo padre fu calato nella fossa. Era un giovanotto sveglio che, a furia di stare accanto al babbo, ne aveva imparato molte malizie, e alla politica aveva passione, a differenza di suo fratello Ipparco che invece s'interessava soltanto di poesia e di amore, in modo che fra i due non c'erano nemmeno pericolose rivalità. Eppure, a procurare i guai che condussero alla caduta della dinastia, fu proprio Ipparco. (cap. 16; 2004, p. 96) *Ipparco ebbe la disgrazia d'inciampare in un bellissimo guaglione di nome Armodio, che un certo Aristogitone – aristocratico quarantenne, prepotente e geloso – considerava sua proprietà. Costui concepì l'idea di sbarazzarsi del rivale col pugnale e, per dare all'assassinio un'etichetta più pulita che lo rendesse popolare, pensò di estenderlo anche al fratello Ippia facendolo passare per «delitto politico» in nome della libertà e contro la tirannia. Organizzò in questo senso una congiura con altri nobili latifondisti e, in occasione di una festa, tentò il colpo, che andò bene solo a mezzo: Ipparco ci rimise la pelle, ma Ippia scampò. E da quel momento, un po' per rancore, un po' per paura di altri complotti, il figlio e l'allievo di Pisistrato, dittatore liberale indulgente e illuminato, diventò un ''tiranno'' autentico. (cap. 16; pp. 96-97) *Lo scontento del popolo inferocì Ippia, che a sua volta inferocì il popolo. E quando il divorzio fra i due fu totale, i fuoriusciti, che frattanto si erano concentrati a Delfi, chiamarono in aiuto gli spartani, e insieme marciarono contro Atene. (cap. 16; 2004, p. 97) *Ippia si rifugiò sull'Acròpoli coi suoi sostenitori. Ma, per mettere in salvo i suoi figlioletti, cercò di farli segretamente espatriare. Gli assedianti li catturarono e l'infelice padre, per salvar la vita a loro e a se stesso, capitolò e si avviò in volontario esilio. Non bisogna dimenticare che nelle sue vene scorreva tuttavia il sangue di Pisistrato, cioè di un uomo sempre pronto a sacrificare la posizione alla famiglia, ma mai disposto a rassegnarsi alla sconfitta. (cap. 16; 2004, p. 97) *[[Milziade]] aveva capito qual era il debole dei [[Persia|persiani]]: essi erano bravi soldati individualmente, ma non avevano nessuna idea della manovra collettiva. E su questa puntò. A dar retta agli storici del tempo — che purtroppo erano tutti greci, — Dario perse settemila uomini, Milziade neanche duecento. (cap. 17, ''Milziade e Aristide''; 2004, p. 112) *{{NDR|A Milziade}} sopravvisse [[Aristide]], le cui vicende purtroppo ci dimostrano che l'[[onestà]] in [[politica]] non trova sempre i suoi compensi e che la [[storia]], come le [[donna|donne]], ha un debole per i birbaccioni. (cap. 17, ''Milziade e Aristide''; 2004, p. 112) *Nike, diventata ragazza, porta il [[peplo]] di lana, bianca o colorata, ma questa è l'unica scelta che le si lascia. Siccome è confinata in casa, non può nemmeno far quella di un ragazzo che le piace, e deve aspettare che il padre si metta d'accordo con un altro padre per combinare il matrimonio. (cap. 23, ''Una Nike qualsiasi''; 2004, p. 143) *Quando il grande [[Mirone]], rincorbellito dalla vecchiaia, si vide arrivare in studio come modella Laìde<ref>Etera dell'antica Grecia, celebre per la sua bellezza.</ref>, perse la testa e le offrì tutto ciò che possedeva purché restasse la notte. E siccome essa rifiutò, l'indomani il poveruomo si tagliò la barba, si tinse i capelli, indossò un giovanile [[chitone]] color porpora e si passò una mano di carminio sul viso. «Amico mio», gli disse Laìde, «non sperare di ottenere oggi ciò che ieri rifiutai a tuo padre». (cap. 23, ''Una Nike qualsiasi''; 2004, p. 150) *{{NDR|[[Fidia]]}} Qualcosa, nel suo carattere, doveva farne un nemico degli uomini, visto che nessuno lo amava. Eppure egli non fu soltanto un grande scultore, ma anche un grandissimo maestro, che, oltre ad aver creato uno stile, ne fece anche una scuola, trasmettendone le regole ad allievi come Agoracrito e Alcamene, continuatori del «classico». (cap. 25, ''Fidia sul Partenone''; 2004, p. 165) *Gli uomini non sanno apprezzare e misurare che la [[fortuna]] degli altri. La propria, mai. (cap. 25, ''Fidia sul Partenone''; 2004, p. 166) ==''Storia di Roma''== ===[[Incipit]]=== Non sappiamo con precisione quando a Roma furono istituite le prime scuole regolari, cioè «statali». Plutarco dice che nacquero verso il 250 avanti Cristo, cioè circa cinquecent'anni dopo la fondazione della città. Fino a quel momento i ragazzi romani erano stati educati in casa, i più poveri dai genitori, i più ricchi dai ''magistri'', cioè da maestri, o istruttori, scelti di solito nella categoria dei liberti, gli schiavi liberati, che a loro volta erano scelti fra i prigionieri di guerra, e preferibilmente fra quelli di origine greca, che erano i più colti. ===Citazioni=== <!--segui nel riportare le citazioni l'ordine cronologico del libro--> *Non ho scoperto nulla, con questo libro. Esso non pretende di portare "rivelazioni", nemmeno di dare una interpretazione originale della storia dell'Urbe. Tutto ciò che qui racconto è già stato raccontato. Io spero solo di averlo fatto in maniera più semplice e cordiale, attraverso una serie di ritratti che illuminano i protagonisti in una luce più vera, spogliandoli dei paramenti che fin qui ce li nascondevano. (introduzione) *{{NDR|[[Numa Pompilio]]}} Quelle che più lo interessavano erano le questioni religiose. E siccome in questa materia ci doveva essere una grossa anarchia perché ognuno dei tre popoli {{NDR|etruschi, latini e sabini}} venerava i propri {{sic|dèi}}, fra i quali non si riusciva a capire chi fosse il più importante, Numa decise di mettervi ordine. E per imporlo, questo ordine, ai suoi riottosi sudditi, fece spargere la notizia che ogni notte, mentre dormiva, la ninfa Egeria veniva a visitarlo in sogno dall'Olimpo per trasmettergliene direttamente le istruzioni. Chi vi avesse disobbedito, non era col re, uomo fra gli uomini, che avrebbe dovuto vedersela, ma col Padreterno in persona. (Rizzoli 1959, cap. 3, ''I re agrari'', pp. 37-38) *[[Tarquinio Prisco|Lucio Tarquinio]] e i suoi amici etruschi dovettero veder subito che profitto si poteva trarre da questa massa di gente, per la maggior parte esclusa dai comizi curiati, se si fosse potuta convincerla che solo un re forestiero come lui avrebbe potuto farne valere i diritti. E per questo l'arringò, promettendole chissà cosa, magari ciò che poi fece davvero. [...] Certamente ci riuscirono perché Lucio Tarquinio fu eletto col nome di Tarquinio Prisco, rimase sul trono trentotto anni, e per liberarsi di lui i ''patrizi'', cioè i «terrieri», dovettero farlo assassinare. Ma inutilmente. Prima di tutto perché la corona, dopo di lui, passò al figlio, eppoi a suo [[Tarquinio il Superbo|nipote]]. In secondo luogo perché, più che la causa, l'avvento della dinastia dei Tarquini fu l'effetto di una certa svolta che la storia di Roma aveva subìto e che non le consentiva più di tornare al suo primitivo e arcaico ordinamento sociale e alla politica che ne derivava. (RCS 2004, cap. 4, ''I re mercanti'', pp. 38-39) *Questo secondo [[Tarquinio il Superbo|Tarquinio]], prima di rischiare il colpo, tentò di far deporre lo zio per abuso di potere. Servio si presentò alle centurie che lo riconfermarono re con plebiscitaria acclamazione (lo racconta [[Tito Livio]], gran repubblicano, dunque dev'esser vero). Non restava quindi che il pugnale, e Tarquinio lo usò senza troppi scrupoli. Ma il respiro di sollievo che trassero i senatori, coi quali si era alleato, rimase loro in gola, quando videro l'uccisore sedersi a sua volta sul trono d'avorio senza chieder loro permesso, come avveniva a quei buoni vecchi tempi ch'essi speravano di restaurare. Il nuovo sovrano si mostrò subito più tirannico di quello che aveva spedito all'altro mondo. E infatti lo ribattezzarono «il Superbo» per distinguerlo dal fondatore della dinastia. (RCS 2004, cap. 4, ''I re mercanti'', pp. 42-43) *Non sappiamo quasi nulla di [[Lars Porsenna|Porsenna]]. Ma dal modo come si condusse, dobbiamo dedurre che alle doti del bravo generale doveva accoppiare quelle del sagace uomo politico. Egli si rese conto che negli argomenti di [[Tarquinio il Superbo|Tarquinio]] c'era del vero. Ma prima d'impegnarsi, volle essere sicuro di due cose: che il Lazio e la Sabina erno davvero pronti a schierarsi dalla sua parte, e che nella stessa Roma c'era una «quinta colonna» monarchica pronta a facilitargli il compito con un'insurrezione. (RCS 2004, cap. 5, ''Porsenna'', p. 49) *Da quell'anno 508 in cui fu fondata la repubblica, tutti i monumenti che i romani innalzarono un po' dappertutto portarono sempre la sigla SPQR che vuol dire: ''Senatus PopuluSque Romanus'', cioè «il Senato e il popolo romano». Cosa fosse il Senato, già lo abbiamo detto. Viceversa non abbiamo ancora detto cos'era il popolo, che non corrispondeva affatto a ciò che noi intendiamo con questa parola. In quei lontani giorni di Roma esso non comprendeva «tutta» la cittadinanza, come avviene oggi, ma soltanto due «ordini», cioè due classi: quella dei «patrizi» e quella degli ''equites'' o «cavalieri». (RCS 2004, cap. 6, ''SPQR'', p. 54) *{{NDR|[[Sacco di Roma (390 a.C.)]]}} Gli storici che lo hanno raccontato a cose fatte hanno avvolto di molte leggende questo capitolo che dovett'essere per l'Urbe molto spiacevole. Dicono che quando i [[galli]] fecero per dare la scalata al [[Campidoglio]], le oche sacre a Giunone cominciarono a stridere risvegliando così [[Marco Manlio Capitolino|Manlio Capitolino]] che, alla testa dei difensori, respinse l'attacco. Sarà. Però i galli in Campidoglio entrarono ugualmente come in tutto il resto della città, donde la popolazione era fuggita in massa per rifugiarsi su monti circostanti. (Rizzoli 1959, cap. 6, ''SPQR'', pp. 81-82) *[...] i galli espugnarono Roma, la misero a sacco, e se ne andarono incalzati dalle legioni, ma carichi di quattrini. Erano predoni gagliardi e zotici, che non seguivano nessuna linea politica e strategica nelle loro conquiste. Assalivano, depredavano e si ritiravano senza punto preoccuparsi del domani. Avessero potuto immaginare che vendetta Roma avrebbe tratto da quella umiliazione, non vi avrebbero lasciato pietra su pietra. (Rizzoli 1959, cap. 6, ''SPQR'', pp. 82-83) *Tutti i dittatori della Roma repubblicana, meno uno, furono patrizi. Tutti, meno due, rispettarono i limiti di tempo che furono loro imposti. Uno di essi, [[Lucio Quinzio Cincinnato|Cincinnato]], che, dopo soli sedici giorni di esercizio della suprema carica, tornò spontaneamente ad arare il campo coi buoi, è passato alla storia coi colori della leggenda. (RCS 2004, cap. 9, ''La carriera'', p. 85) *Negli ultimi tempi {{NDR|[[Cesare]]}} si era spinto anche più in là: aveva imposto che tutte le discussioni che si svolgevano in quel solenne e aristocratico consesso venissero registrate e pubblicate giorno per giorno. Così nacque il primo giornale. Si chiamò ''[[Acta Diurna|Acta diurna]]'', e fu gratuito, perché, invece di venderlo, lo affiggevano ai muri in modo che tutti i cittadini potessero leggerlo e controllare ciò che facevano e dicevano i loro governanti. L'invenzione fu d'immensa portata perché sancì il più democratico di tutti i diritti. Il Senato, che traeva prestigio anche dalla sua segretezza, fu così sottoposto alla pubblica opinione, e non si riebbe mai più da questo colpo. (RCS 2004, cap. 24, ''Cesare'', p. 214) *Se riuscirò ad affezionare alla storia di Roma qualche migliaio di italiani, sin qui respinti dalla sussiegosità di chi gliel'ha raccontata prima di me, mi riterrò un autore utile, fortunato e pienamente riuscito. (introduzione) *Sull'esattezza di quel che [[Tito Livio|Livio]] riferisce facciamo le nostre riserve, specie là dov'egli mette in bocca ai suoi personaggi interi discorsi che somigliano più a Livio che a loro. La sua è una storia di eroi, un immenso affresco a episodi, e serve più a esaltare il lettore che a informarlo. [[Roma]], a dargli retta, sarebbe stata popolata soltanto, come l'Italia di Mussolini, da guerrieri e navigatori assolutamente disinteressati, che conquistarono il mondo per migliorarlo e moralizzarlo. Gli uomini, secondo lui, sono divisi in buoni e cattivi. A Roma c'erano solamente i buoni, e fuori di Roma solamente i cattivi. Anche un grande generale come [[Annibale]] diventa, sotto la sua penna, un comune mariuolo. Ciò non toglie che la storia di Livio, costata cinquant'anni di fatiche a un autore che si dedicò soltanto ad essa, resti un gran monumento letterario. Forse il più grande fra quelli, piuttosto mediocri, eretti sotto il segno di [[Augusto]]. (cap. 30, ''Orazio e Livio'') *Può darsi che [[Dione Cassio]] e [[Svetonio]], nel loro odio per la monarchia, abbiano un po' calcato la mano. Ma matto, [[Caligola]] doveva esserlo davvero. (cap. 31, ''Tiberio e Caligola'') *[[Vitellio]], quando fu catturato nel suo nascondiglio, dove, tanto per cambiare, banchettava, fu trascinato nudo per la città con un laccio al collo, bersagliato di escrementi, torturato con ponderata lentezza, e alla fine gettato nel Tevere.<br>Questa città che si divertiva al fratricidio, questi eserciti che si ribellavano, questi imperatori che venivano subissati di sterco pochi giorni dopo essere stati coperti di osanna: ecco cos'era diventata la capitale dell'Impero. (Rizzoli 1959, cap. 37, ''I Flavi'', pp. 415-416) *Purtroppo la pace, per ottenerla, bisogna essere in due a volerla. (cap. 37, ''I Flavi'') *Era la prima volta, nella storia di Roma, che una guerra si combatteva in nome della religione. Ma fu la Croce che vinse. E il Tevere, trascinando verso la foce i cadaveri di [[Massenzio]] e dei suoi soldati che lo ingombravano, sembrò che spazzasse via i residui del mondo antico. (cap. 46, ''Costantino'') *Il papa che più contribuì a rassodare l'organizzazione in questi primi difficili anni fu [[Papa Callisto I|Callisto]], che molti consideravano un avventuriero. Dicevano che, prima di convertirsi, aveva fatto i quattrini con sistemi piuttosto equivoci, era diventato banchiere, aveva derubato i suoi clienti, era stato condannato ai lavori forzati ed era fuggito con un inganno. Il fatto che, appena diventato papa, proclamasse valido il pentimento per cancellare qualunque peccato, anche mortale, ci fa sospettare che in queste voci un po' di verità c'è. Comunque, fu un gran papa, che stroncò il pericoloso scisma d'[[Ippolito di Roma|Ippolito]] e affermò definitivamente l'autorità del potere centrale. (RCS 2004, cap. 46, ''Costantino'', p. 367) *Le rivoluzioni vincono non in forza delle loro idee, ma quando riescono a confezionare una classe dirigente migliore di quella precedente. E il [[Cristianesimo]] era riuscito proprio in questa impresa. (cap. 47, ''Il trionfo dei cristiani'') *[[Costantino]] fu uno strano e complesso personaggio. Faceva gran scialo di fervore cristiano, ma nei suoi rapporti di famiglia non si mostrò molto ossequente ai precetti di Gesù. Mandò sua madre Elena a Gerusalemme per distruggere il tempio di Afrodite che gli empi governatori romani avevano elevato sulla tomba del Redentore, dove, secondo Eusebio, fu ritrovata la croce su cui era stato suppliziato. Ma subito dopo mise a morte sua moglie, suo figlio e suo nipote. (cap. 47, ''Il trionfo dei cristiani'') *Come tutti i grandi Imperi, quello romano non fu abbattuto dal nemico esterno, ma roso dai suoi mali interni. (cap. 51, ''Conclusione'') *Una religione conta non in quanto costruisce dei templi e svolge certi riti; ma in quanto fornisce una regola morale di condotta. Il [[paganesimo]] questa regola l'aveva fornita. Ma quando Cristo nacque, essa era già in disuso, e gli uomini, consciamente o inconsciamente, ne aspettavano un'altra. Non fu il sorgere della nuova fede a provocare il declino di quella vecchia; anzi, il contrario. (cap. 51, ''Conclusione'') *Il dispotismo è sempre un malanno. Ma ci sono delle situazioni che lo rendono necessario. (cap. 51, ''Conclusione'') ===[[Explicit]]=== Mai città al mondo ebbe più meravigliosa avventura. La sua storia è talmente grande da far sembrare piccolissimi anche i giganteschi delitti di cui è disseminata. Forse uno dei guai dell'Italia è proprio questo: di avere per capitale una città sproporzionata, come nome e passato, alla modestia di un popolo che, quando grida «Forza Roma!», allude soltanto a una [[Associazione Sportiva Roma|squadra di calcio]]. ==''XX Battaglione eritreo''== ===[[Incipit]]=== Sono letterato. E, a parte il brutto e il meschino di quella parola, il mio mestiere m'innamora. Mi sono sforzato tanti anni, per compiacere a qualcuno o a qualcosa, di tradire questo mio istinto. Ma non ce l'ho fatta. E non ce la fo nemmeno ora, soldato in Africa, in piena guerra. Ma non lo dico per presentare il conto. E a chi, poi? Lo dico per un fenomeno di narcisismo: perché mi garba contemplarmi in questo gesto di fedeltà al mestiere, che poi vuol dire fedeltà a me stesso. ===Citazioni=== *Essere [[Àscari|ascaro]] vuol dire, press'a poco, avere un blasone; vuol dire avere tre lire al giorno, più un'indennità vestiario, più un'indennità farina, più un'indennità carne; vuol dire avere un ''tarbush'' e una fascia coi colori del battaglione; vuol dire soprattutto avere un fucile. La gente di questo Paese segue una logica sistematica semplice e dritta: l'umanità si divide in due categorie: gli armati che sono i forti, i disarmati che sono i deboli. Al culmine della gerarchia sociale sta il possessore di fucile, il guerriero: che è tanto più importante quanto più elevato è il suo grado e quanto è maggiore la sua anzianità. (p. 25) *[[Pietro Toselli|Toselli]]. Questo nome non ha in Italia la risonanza che ha qui. Toselli non è un uomo, è una leggenda: non solo alla cronaca, ma sfugge anche alla storia. È rimasto nei canti di questa gente, nelle sue memorie e anche nelle sue speranze. Pur ieri mi diceva il vecchio Sciumbasci, reduce di Adua e ora capopaese di Digsa, che «le cose che si sanno sono molto meno di quelle che non si sanno» e che «il fatto è questo: che il corpo del maggiore Toselli non era più sul campo dopo la battaglia». Su quello che ne sia avvenuto le opinioni sono discordi, ma nessuno crede che il maggiore sia morto. (pp. 35-36) *Appollaiato ai suoi piedi, nascosto fra il verde tenero degli eucalipti, stava [[Alessandro Pirzio Biroli|Pirzio Biroli]]. Il suo nome era mormorato con circospezione dagli [[Àscari|ascari]] disseminati fra le rocce di Mai Egadà a Saganeiti, da Agordar ad Assab, a Cheren, ad Adi Ugri, ad Adi Caieh. Raramente lo si vedeva e sempre a cavallo. Accanto a lui cavalcava Chiarini, la piccola ombra fedele, il fantasma sorto una notte da un roveto della conca di Adua. Chiarini, settantenne, pallido, non scompariva nell'alone magico che Pirzio, il buon gigante, suscitava intorno. (pp. 87-88) *Poi arrivava anche lui, [[Alessandro Pirzio Biroli|Pirzio]] il leone, altissimo, quadrato, col profilo calmo incorniciato dalla folta criniera. Il cavallo, domo dai suoi ginocchi di ferro, caracollava senza un tentativo di ribellione. Dalla sella pendevano, di qua e di là, due aquile colossali, abbattute in volo dal moschetto infallibile di Pirzio. Nessuna tromba sonava l'attenti al suo ingresso. Non ce n'era bisogno. Tutti, nel quartiere, sentivano come per miracolo la sua presenza e restavano ischeletriti. Pirzio non se n'accorgeva: era uno di quegli uomini pei quali gli uomini sentono rispetto per istinto e che passano attraverso la vita come attraverso un'eterna parata, fra due file di bipedi schiaffati meccanicamente sull'attenti. Gli [[Àscari|ascari]] ebbero ragione quando lo battezzarono «il Leone»: non aveva bisogno di ruggire perché il largo gli si facesse automaticamente intorno. (pp. 88-89) ===[[Explicit]]=== Vorremmo ristare dopo la guerra? Il mondo è così visto che nessun limite precisa al desiderio. Italiani, continuate ad aver fame anche dopo aver mangiato. Questa guerra è per noi come una bella lunga vacanza dataci dal Gran Babbo in premio di tredici anni di banco di scuola. E, detto fra noi, era ora. ==Citazioni su Indro Montanelli== *A leggerlo sembrerebbe un disordinatore di professione: sempre pronto a mugugnare, sempre a prendersela con qualcuno. Poi però, quando si tratta di scendere sul pratico, ci consiglia di turarci il naso e di andare a votare per l'Ordine. vallo a capire. ([[Luciano De Crescenzo]]) *Amo Indro Montanelli, ma non i suoi emuli. I polemisti per posa non mi piacciono, non li ritengo utili. Ma lui non era un polemista fine a se stesso, come tanti dei suoi presunti eredi. Era piuttosto, come da titolo di una sua fortunata rubrica, controcorrente. Non si curava delle convenienze, dei vantaggi che gli sarebbero derivati nel seguire l'onda di [[pensiero]] prevalente. Aveva la sua visione delle cose, sempre originale e spesso esatta. Io credo che dire quel che si pensa premi sempre. Montanelli lo faceva, e andava a letto tranquillo. ([[Fabio Genovesi]]) *C'è davvero qualcosa di singolare nel modo in cui è venuta formandosi la memoria della Repubblica, nel modo in cui tale memoria è stata ed è elaborata dalla cultura ufficiale del Paese. Per molti decenni, ad esempio, a quanto accaduto dal 1943 al '45 fu vietato dare il nome che gli spettava, il nome cioè di [[Guerra civile in Italia (1943-1945)|guerra civile]]. Parlare di guerra civile era giudicato fattualmente falso, e ancor di più ideologicamente sospetto. Bisognava dire che quella che c'era stata era la resistenza, non la guerra civile; di guerra civile parlavano e scrivevano, allora, solo i reduci di Salò, i nostalgici del regime e qualche coraggioso giornalista o pubblicista di rango come Indro Montanelli, che mostravano così da che parte ancora stavano. Le cose andarono in questo modo a lungo. Finché, all'inizio degli anni Novanta, come si sa, uno storico di sinistra, [[Claudio Pavone]], scrisse un libro sul periodo 1943-'45 che si intitolava precisamente ''Una guerra civile'': solamente da allora tutti abbiamo potuto usare senza problemi questa espressione, ben inteso non cancellando certo la parola resistenza. ([[Ernesto Galli della Loggia]]) *È uno che riesce a spiegare agli altri quello che non capisce nemmeno lui. ([[Mario Missiroli]]) *È vero che ha cambiato parere politico più volte, ma sempre perché profondamente preoccupato per le sorti del paese. Ma Indro ha cambiato parere sempre meno di quei giornalisti che da Lotta Continua sono passati a Comunione e Liberazione per approdare infine a dirigere quotidiani di Stato. Senza contare tutti coloro che da stalinisti o maoisti sono diventati prima antimarxisti e ora clintoniani: Montanelli ragiona, loro vogliono avere sempre ragione. ([[Fausto Gianfranceschi]]) *Indro è naturalmente inclinato, direi quasi condannato a vedere più i ''tics'' degli uomini che le loro qualità e nessuno come lui fa più uso, nei suoi ritratti, dell'acido prussico. ([[Eugenio Montale]]) *{{maiuscoletto|Indro Montanelli}}. L'Italia dei Luoghi Comuni. ([[Marcello Marchesi]]) *Io mi sono limitato ad adottare la sua formula giornali­stica. Ma l'ho realizzata meglio perché mi sono sempre esposto, ci ho messo la faccia. Lui invece era come Veltroni: "Sì, ma an­che". Non si schierava nettamente, il suo editoriale era così in chiaroscuro che alla fine non capivi mai se fosse chiaro o scuro. Il che non significa che non resti il migliore di tutti noi. Ho venduto più di lui solo perché a me la gente non fa schifo. ([[Vittorio Feltri]]) *Mi sono sentito in imbarazzo per lui, e il mio primo pensiero è stato il rifiuto – «no, povero Montanelli» – quando all'ingresso dei giardini di via Palestro mi sono trovato davanti alla sua statua, al punto che ho pensato che ci sono vandali che distruggono e vandali che costruiscono, e che anzi, per certi aspetti, il vandalismo che crea è ben peggiore, perché tenta di disarmarti con le sue buone intenzioni. Dunque era di mattina, molto presto, e i giardini erano vuoti, al sole. Ebbene in questo vuoto, la statua mi è apparsa all'improvviso: una figurina in gabbia che non ha niente a che fare con Montanelli, se non perché lo offende anche fisicamente, lui che era così "verticale", e che ci invitava a buttare via «il grasso» e la retorica monumentale. Il giornalista che ogni volta si ri-definiva in una frase, in un concetto, in un aforisma, in una citazione, è stato per sempre imprigionato in una scatola di sardine. Perciò ho provato il disagio che sempre suscita il falso, la patacca, la similpelle che non è pelle, perché non solo questo non è Montanelli, come ci ha insegnato Magritte che dipinse una pipa e ci scrisse sotto "questa non è una pipa". Il punto è che questa non è neppure una statuta di Montanelli, ma di un montanelloide in bronzo color oro, che ha la presunzione ingenua e goffa di imprigionare il Montanelli entelechiale, il Montanelli che era invece l'asciuttezza, era il corpo più "instatuabile" del mondo, troppo alto, troppo energico, troppo nervoso, incontenibile nello spazio e nel tempo com'è l'uomo moderno, che è nomade e ha un'identità al futuro. Era il più grande nemico delle statue il Montanelli che sempre ci sorprendeva, fascista ma con la fronda, conservatore ma anarchico, con la sinistra ma di destra, un uomo di forte fascino maschile che tuttavia non amava raccogliere i trofei del fascino maschile, ingombrante ma discreto, il solo che nella storia d' Italia abbia rifiutato la nomina a senatore a vita perché, diceva, «i monumenti sono fatti per essere abbattuti», come quello di Saddam, o di Stalin o di Mussolini. Come si può fare una statua ingombrante e discreta? Come si può fare un monumento all'antimonumento? ([[Francesco Merlo]]) *Montanelli comprò una sposa ragazzina di 11-12 anni. In realtà non possiamo sapere con precisione l'età perché nei villaggi africani non si registravano le nascite. Ma la comprò, questo lo sappiamo. E la violentò più volte. sappiamo anche questo, è stato lui a raccontare che lei non voleva. [...] Da italiano Montanelli avrebbe potuto riconoscere i segni di quella crudeltà e discostarsene. Non lo fece perché condivideva evidentemente quella cultura patriarcale. Perché non mettere al posto della sua statua quella di una donna della Resistenza? In Italia vorrei vedere più statue di donne partigiane. ([[Maaza Mengiste]]) *Montanelli disprezzava la borghesia che difendeva, e ammirava i comunisti che attaccava. Era convinto che la rivolta di Budapest si dovesse a operai che volevano il vero socialismo; mentre fu una rivolta nazionalista e antisovietica. ([[Enzo Bettiza]]) *Montanelli è il campione di indipendenza dalla politica, anche se sono arrabbiato con lui perché mi ha insegnato regole di comportamento anacronistiche, che nel giornalismo odierno non valgono più. ([[Daniele Vimercati]]) *Montanelli ha sempre avuto una componente di destra. È stato un uomo di destra come fascista, uomo di destra come sostenitore dei governi dc sia pure turandosi il naso. [...] Adesso è un uomo di destra qualunquista, ma sempre di destra. ([[Ugo Intini]]) *Montanelli, un misantropo che cerca compagnia per sentirsi più solo. ([[Leo Longanesi]]) *Quanto mi ha insegnato: le parole da non usare, le cose da non dire, la persone da non frequentare. ([[Beppe Severgnini]]) *Recentemente sono stato insignito del Premio Montanelli alla carriera che dovrebbe essermi consegnato a ottobre a Fucecchio, a meno che nel frattempo non mi sia revocato per indegnità, sempre in nome della libertà di informazione. Sono certo che il vecchio Indro non avrebbe condiviso nemmeno un fonema del mio necrologio sul Mullah {{NDR|Omar}}, ma sono altrettanto certo che non si sarebbe mai sognato di bloccarlo. Caso mai ci avrebbe riso su, considerandolo una provocazione, anche se provocazione non era. Perché Montanelli era un vero liberale. Quando i liberali esistevano ancora. ([[Massimo Fini]]) *Sa spalmare una così giusta misura di miele sull'orlo del nappo avvelenato che prepara per questo o per quello, che spesso la vittima muore senza accorgersene, ingannata dai soavi licori. ([[Paolo Monelli]]) *Scalfari e Montanelli direttori all'antica, padroni, mattatori che ricordano gli Scarfoglio, i vecchi direttori dell'ottocento che non solo incrociavano la penna ma anche la spada in una rissa continua con tutt ([[Ugo Intini]]) *Si può raccontare la [[storia]] in forma lieve, senza essere troppo ponderosi, rispettando tuttavia le fonti e la verità storica. Montanelli era molto bravo a scrivere, ma in fondo ne sapeva poco, gli piaceva gigioneggiare, sprofondava nell'anacronismo. Oggi ci si è accorti che, nel raccontare la storia, essere rigorosi ed essere divertenti non è conflittuale. ([[Alessandro Barbero]]) *So solo che Montanelli è fatto così: un maestro di giornalismo che ogni tanto s'impenna con qualcuna delle sue bizzarrie. ([[Giorgio Bocca]]) *Una volta, parecchi anni fa, Indro Montanelli, dicendosi disgustato della morbidezza e della mollezza della [[Democrazia Cristiana]], che ammorbidiva, incorporava, estenuava e alla fine innocuizzava qualsiasi opposizione, togliendole ogni soddisfazione e dignità, mi mostrò una fotografia, incastonata in una cornicetta d'argento, che teneva, a mo' di santino, come altri fanno con le immagini della madre o della moglie e dei figli, sulla sua scrivania, al «Giornale». Con sorpresa vidi che si trattava di Stalin. «Con questo ci sarebbe stato gusto, a battersi», disse. ([[Massimo Fini]]) *Ognuno può pensarla come vuole, ma quando si passa dalla cronaca alla storia è necessario mantenere un giusto approccio ed essere oggettivi sui valori della persona. Indro Montanelli è stato forse il più autorevole giornalista che l’Italia ha avuto nel ventesimo secolo. La Toscana penserà ad azioni per valorizzarlo. ([[Eugenio Giani]]) ===[[Enzo Biagi]]=== *A Indro Montanelli devo molto: intanto, l'idea che chi conta è il pubblico. Poi la necessità di essere chiari, di far anche fatica, perché chi legge non ha voglia di impegnarsi troppo, e solo se uno si chiama [[James Joyce|Joyce]] può essere difficile. *Montanelli se n'è sempre fregato delle critiche, io molto meno, ho un carattere permaloso, spesso non ho resistito alla tentazione di rispondere a chi mi attaccava. Indro mi sgridava, diceva a mia moglie di tenermi calmo, che non ne valeva la pena, che erano tutte bischerate. [...] Per lui il buon risultato era il sorriso di un passante, l'oste che gli trovava il tavolo. Qualcuno si chiedeva che cos'avesse di speciale. A pensarci bene, niente. Scriveva degli articoli che erano letti e dei libri che si vendevano. *Non è una gran notizia che Indro e io non abbiamo mai fatto parte del coro, ma fu una grande notizia la spiegazione che ne diede Berlusconi: "Biagi e Montanelli hanno invidia del mio successo". La prima cosa che mi venne in mente fu: "Sai che risate si starà facendo Indro adesso". Poi mi dissi che c'era poco da ridere. ==Note== <references/> ==Bibliografia== *Indro Montanelli, ''Qui non riposano'', Marsilio, 1982 (1945). *Indro Montanelli, ''Pantheon minore'' (incontri), Longanesi e C., Milano, 1950. {{NoISBN}} *Indro Montanelli, ''Reportage su Israele'', Derby, Milano, 1960. {{NoISBN}} *Indro Montanelli, ''Gli incontri'', Rizzoli, Milano, 1967. {{NoISBN}} *Indro Montanelli, ''Storia dei greci'', Rizzoli, Milano, 1992. ISBN 8817115126 *Indro Montanelli, ''Storia dei greci'', RCS Quotidiani, Milano, 2004. ISBN 1-129-08505-8 *Indro Montanelli, ''Storia di Roma'', Longanesi, Milano, 1957; Rizzoli, Milano, 1959. {{NoISBN}} *Indro Montanelli, ''Storia di Roma'', RCS Quotidiani, Milano, 2004. ISBN 1-129-08505-8 *Indro Montanelli, ''L'Italia giacobina e carbonara (1789-1831)'', Rizzoli, Milano, 1971. {{NoISBN}} *Indro Montanelli, ''L'Italia del Risorgimento (1831-1861)'', terza edizione, Rizzoli, Milano, 1972. {{NoISBN}} *Indro Montanelli, ''L'Italia dei notabili (1861-1900)'', Rizzoli, Milano, 1973. {{NoISBN}} *Indro Montanelli, ''L'Italia di Giolitti (1900-1920)'', Rizzoli, Milano, 1974. {{NoISBN}} *Indro Montanelli, ''L'Italia in camicia nera (1919-3 gennaio 1925)'', Rizzoli, Milano, 1976. *Indro Montanelli, ''Dante e il suo secolo'', Rizzoli, Milano, 1974. {{NoISBN}} *Indro Montanelli, ''I protagonisti'', Rizzoli, Milano, 1976. {{NoISBN}} *Indro Montanelli, ''Controcorrente'', Editoriale Nuova, Milano, 1978. {{NoISBN}} *Indro Montanelli, ''Controcorrente 1974-1986'', Arnoldo Mondadori Editore, Milano, 1987. ISBN 8804300558 *Indro Montanelli, ''Caro direttore. 1974-1977. Il meglio della rubrica "La parola ai lettori"'', Rizzoli, Milano, 1991, ISBN 88-17-42728-4. *Indro Montanelli, ''Il testimone'', Longanesi & C., Milano, 1992, ISBN 88-304-1063-2. *Indro Montanelli, ''Il meglio di «Controcorrente» 1974-1992'', Rizzoli, Milano, 1993, ISBN 88-17-42807-8. *Indro Montanelli, ''Caro lettore. Il meglio della rubrica "La parola ai lettori". 1978-1981'', Rizzoli, Milano, 1994, ISBN 88-17-42730-6. *Indro Montanelli, ''Le Stanze. Dialoghi con gli italiani'', Rizzoli, Milano, 1998, ISBN 88-17-85259-7. *Indro Montanelli, ''La stecca nel coro. 1974-1994: una battaglia contro il mio tempo'', Rizzoli, Milano, 1999, ISBN 88-17-86284-3. *Indro Montanelli, ''Le nuove Stanze'', Rizzoli, Milano, 2001, ISBN 88-17-86842-6. *Indro Montanelli, ''Soltanto un giornalista. Testimonianza resa a Tiziana Abate'', BUR, Milano, 2003. ISBN 8817107042 *Indro Montanelli, ''I conti con me stesso. Diari 1957-1978'', a cura di [[Sergio Romano]], Rizzoli, Milano, 2010. ISBN 8817028202 ([http://books.google.it/books?id=fuh--fZGHMcC&printsec=frontcover Anteprima su Google Libri]) *Indro Montanelli, ''Ricordi sott'odio'', Milano, Rizzoli, 2011, ISBN 978-88-17-04963-4 *Indro Montanelli, ''Indro al Giro. Viaggio nell'Italia di Coppi e Bartali. Cronache del 1947 e 1948'', a cura di Andrea Schianchi, Collana Saggi italiani, Milano, Rizzoli, 2016. ISBN 978-88-1708-969-2 *Paolo Granzotto, ''Montanelli'', Bologna, Il Mulino. ISBN 88-15-09727-9 *Paolo Occhipinti (a cura di), ''Caro Indro... Dialoghi di Montanelli con il direttore di Oggi. 1993-2001. Il meglio di una rubrica di successo durata otto anni'', RCS, Milano, 2002. ==Voci correlate== *[[Colette Rosselli]] *[[Indro Montanelli e Roberto Gervaso]] *[[Indro Montanelli e Mario Cervi]] *[[Indro Montanelli e Marco Nozza]] *''[[Il generale Della Rovere]]'' (film 1959) ==Altri progetti== {{interprogetto}} ===Opere=== {{Pedia|La Voce (quotidiano)|''La Voce''}} {{Pedia|Storia d'Italia (Montanelli)|''Storia d'Italia''}} {{DEFAULTSORT:Montanelli, Indro}} [[Categoria:Drammaturghi italiani]] [[Categoria:Giornalisti italiani]] [[Categoria:Saggisti italiani]] [[Categoria:Commediografi italiani]] fh1m2eo35vv6c7s7ts15ylhka8iaabe 1381997 1381962 2025-07-02T05:53:00Z Mariomassone 17056 /* Citazioni */ 1381997 wikitext text/x-wiki [[File:IndroMontanelliLettera22.jpg|thumb|upright=1.5|Indro Montanelli alla sede del ''Corriere della Sera'']] '''Indro Montanelli''' (1909 – 2001), giornalista, saggista e commediografo italiano. ==Citazioni di Indro Montanelli== [[File:Indro Montanelli 1936.jpg|miniatura|Indro Montanelli, ufficiale del Regio Esercito, 1936]] *[[Gianni Agnelli|Agnelli]] ha detto che non siamo nella repubblica delle banane, però qualche banana in Italia c'è, perché avvengono cose veramente singolari.<ref>Citato in Marco Travaglio, ''Bananas'', Garzanti, Milano, 5 maggio 2001.</ref> *Al [[conformismo]] l'[[ironia]] fa più paura d'ogni [[Argomentazione|argomentato ragionamento]].<ref>Da ''Controcorrente'', Editoriale Nuova, Milano, 1978.</ref> *{{NDR|[[Ferdinando I delle Due Sicilie]]}} Aveva sulla coscienza la vita di migliaia d'infelici, morti sulla forca e nelle galere solo per aver voluto un po' di libertà. Era stato spergiuro. Non aveva conosciuto che disfatte e fughe ignominiose di fronte al nemico. Politicamente, era rimasto fermo alla concezione settecentesca del più retrivo assolutismo. Non aveva fatto che i propri interessi, e più ancora i propri comodi, della regalità prendendosi solo i piaceri. Non aveva saputo che incrementare l'ignoranza di cui egli stesso era campione. Eppure, il cordoglio popolare per la sua morte non ci stupisce, perché un dono lo aveva avuto: la genuinità. Questo Re fellone e fannullone non aveva mai cercato di apparire diverso da quel che era: uno scugnizzo dei «bassi», prepotente, ridanciano e sboccato, nato per caso con una corona in testa e che aveva sempre concepito la sua parte come quella di un buon capo-camorra. Non aveva interpretato che i caratteri deteriori del popolo napoletano, ma anche i più appariscenti e riconoscibili.<ref>Da ''L'Italia unita. {{small|Da Napoleone alla svolta del Novecento}}'', Rizzoli BUR, Milano, 2015, [https://books.google.it/books?id=8J7tCgAAQBAJ&lpg=PT206&dq=&pg=PT206#v=onepage&q&f=false p. 206]. eISBN 978-88-58-68272-2</ref> *Avevo capito fin dal primo incontro che l'aggressività di [[Anna Magnani|Anna {{NDR|Magnani}}]] era solo la maschera della sua insicurezza. Era una donna difficile e sempre agli estremi di tutto: della dolcezza come del furore, e non si capiva mai bene, forse non lo capiva nemmeno lei, quanto l'uno e l'altra fossero veri, o soltanto scena. Certo è che dall'uno all'altra passava con fulminea velocità e tenendo chiunque in stato di fibrillazione. <ref>Da ''Anna Magnani, la più grande attrice del nostro cinema'', 23 ottobre 1999, in ''Le Nuove stanze'', a cura di Michele Brambilla, RCS Libri, Milano, 2002, p. 280.</ref> *{{NDR|[[Walter Chiari]]}} Avrebbe meritato 30 anni di prigione per lo spreco del suo talento.<ref>Citato in Luciano Giannini, ''[https://www.ilmattino.it/AMP/cultura/walter_chiari_100_walter_sottotitolo_chiari_biografia_di_un_genio_irregolare-7954361.html Walter Chiari genio irregolare che confessava di aver vissuto]'', ''Il Mattino'', 24 febbraio 2024</ref> *[[Silvio Berlusconi|Berlusconi]] è una persona intelligente finché riesce a ragionare col suo cervello: il suo cervello è valido. Ma lui, oltre al cervello, ha le viscere, e molto spesso le viscere prendono la prevalenza sul cervello. E quando lui si abbandona alle viscere, secondo me, diventa uomo pericoloso. Questo lo dico a lei perché l'ho detto a lui, perché gliel'ho anche scritto.<ref name="milano">Dal programma televisivo ''Milano, Italia'', Rai 3, 11 gennaio 1994.</ref> *[[Silvio Berlusconi|Berlusconi]] ha straordinarie qualità di imprenditore – coraggio, fantasia, forza di lavoro – che gli hanno valso il successo in tutti i campi in cui si è cimentato. Una sola cosa non gli riesce di fare, il presidente di una società di calcio.<ref>Da ''[http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/1987/01/20/ora-montanelli-critica-berlusconi.html Ora Montanelli critica Berlusconi]'', ''la Repubblica'', 20 gennaio 1987.</ref> *[[Silvio Berlusconi|Berlusconi]] non ha idee: ha solo interessi.<ref>2001; citato in [[Marco Travaglio]], ''Ad personam'', Chiarelettere, Milano, 2010, p. 39, ISBN 978-88-6190-104-9.</ref> *{{NDR|Su [[Aldo Moro]]}} Calvinista a rovescio, invece che nella predestinazione della [[Grazia divina|grazia]], credeva in quella della [[disgrazia]].<ref>Citato in [[Roberto Gervaso]], ''Ve li racconto io'', Mondadori, Milano, 2006, pp. 310-311, ISBN 88-04-54931-9.</ref> *Certo, per un direttore di giornale, avere sottomano un [[Marco Travaglio|Travaglio]], che su qualsiasi protagonista, comprimario e figurante della vita politica italiana è pronto a fornirti su due piedi una istruttoria rifinita nel minimo dettaglio è un bel conforto. Ma anche una bella inquietudine. Il giorno in cui gli chiesi se in quel suo archivio, in cui non consente a nessuno di ficcare il naso, ci fosse anche un fascicolo intitolato al mio nome, Marco cambiò discorso.<ref>Dalla prefazione a Marco Travaglio, ''Il Pollaio delle Libertà'', Vallecchi, Firenze, 1995.</ref> *Chi di voi vorrà fare il [[giornalista]], si ricordi di scegliere il proprio padrone: il [[lettore]].<ref>Dalla lezione di giornalismo all'Università di Torino, 12 maggio 1997; citato in ''La Stampa'', 14 aprile 2009.</ref> *Conosco molti furfanti che non fanno i [[Morale|moralisti]], ma non conosco nessun moralista che non sia un furfante. Senza, per carità, allusione a [[Eugenio Scalfari|Scalfari]]. Solo come promemoria.<ref>Citato in [[Eugenio Scalfari]], ''Incontro con io'', Rizzoli, Milano, 1994, ISBN 8806200747.</ref> *Cosa c'è meglio di [[Romano Prodi|Prodi]]? Governa fra compromessi e imbroglietti. I nostri soci sanno benissimo che siamo imbroglioni, che sui conti che portiamo all'Europa s'è un po' imbrogliato. Accettano lo stesso, purché non s'esageri. E [[Carlo Azeglio Ciampi|Ciampi]] non esagera, è un economista serio e vero. [...] {{NDR|Romano Prodi}} Con la faccia da mortadella, l'ottimismo inossidabile e l'eterno sorriso, ci porterà in Europa: ringraziamo Dio, e anche [[Massimo D'Alema|D'Alema]], che ci hanno dato Prodi.<ref name=Montanelli>Citato in Francesco Battistini ''[https://web.archive.org/web/20160101000000/http://archiviostorico.corriere.it/1997/dicembre/19/Montanelli_ragazzi_rifate_68_co_0_97121914987.shtml Montanelli: ragazzi, rifate il '68]'', ''Corriere della Sera'', 19 dicembre 1997.</ref> *Dicono che [[Ciriaco De Mita|De Mita]] sia un intellettuale della Magna Grecia. Io però non capisco cosa c'entri la Grecia...<ref>Citato in ''Liberazione'', 22 febbraio 2008.</ref> *{{NDR|Su [[Giulia Maria Crespi]]}} Dispotica guatemalteca.<ref> Citato in Paolo Martini, ''[https://www.adnkronos.com/crespi-la-zarina-del-corriere-della-sera-che-fondo-il-fai_4YA2lu93AIXTzgMw0Wj65x Crespi, la 'zarina' del Corriere della Sera che fondò il Fai]'', adnkronos.com, 19 luglio 2020.</ref> *{{NDR|Su [[Gad Lerner]], nel 2000}} È bravissimo, son contento l'abbian messo al ''Tg1'', è un buon conduttore, buonissimo giornalista. Ma sarà un bravo direttore?<ref>Citato in Antonella Rampino, ''[http://www.archiviolastampa.it/component/option,com_lastampa/task,search/mod,libera/action,viewer/Itemid,3/page,3/articleid,0428_01_2000_0162_0003_4349235/ Il rischio? Una missione impossibile]'', ''La Stampa'', 17 giugno 2000.</ref> *{{NDR|Su [[Concetto Lo Bello]]}} Entra in campo col passo del padrone che ispeziona il proprio podere.<ref>Citato in Marco Innocenti, ''[https://st.ilsole24ore.com/art/SoleOnLine4/dossier/Tempo%20libero%20e%20Cultura/storie-della-storia/archivio-2009/storie-storia-9-settembre-muore-lo-bello.shtml?uuid=4327f496-881f-11de-873c-ca3137183d57&DocRulesView=Libero&refresh_ce=1 9 settembre 1991: se ne va il re degli arbitri, Concetto Lo Bello]'', ''ilsole24ore.com'', 8 settembre 2009.</ref> *{{NDR|Su [[Gaio Giulio Cesare|Giulio Cesare]]}} Grande soldato, grande statista, grande scrittore, grande avventuriero. E grande amatore. C'era di tutto. [...] In questa epoca di Mani Pulite Cesare sarebbe rimasto sicuramente "intangentato". Di tangenti lui ne prese parecchie. Ma a differenza dei mariuoli di oggi era anche un grande legislatore, un grande generale, un uomo di un'efficienza straordinaria. I nostri sono dei ladri. Ladri e basta.<ref>Citato in Mauro Anselmo, ''[http://www.archiviolastampa.it/component/option,com_lastampa/task,search/mod,libera/action,viewer/Itemid,3/page,7/articleid,0797_01_1993_0212_0009_11229316/ Montanelli: così ho finito la mia Storia d'Italia]'', ''La Stampa'', 4 agosto 1993.</ref> *{{NDR|Su [[Clare Boothe Luce]]}} Ha la mentalità schematica di una maestra di scuola.<ref>Citato in Massimo Gaggi, ''Quando il giornale del Pci pensò di pubblicare il nudo dell'ambasciatrice Usa'', ''Corriere della Sera'', 18 dicembre 2022.</ref> *{{NDR|Su [[Lucio Battisti]]}} Ho amato molto le sue canzoni e il suo desiderio di vivere appartato.<ref>Citato in [[Leo Turrini]], ''Lucio Battisti: la vita, le canzoni, il mistero'', Mondadori, 2008, retrocopertina.</ref> *I mariti italiani, per comprar la pelliccia alle mogli, spendono più di tutti i loro colleghi europei. Poveri, ma pelli.<ref name=Controcorrente>Da ''Controcorrente, 1974–1986'', Mondadori, Milano, 1987.</ref> *I nostri uomini politici non fanno che chiederci, a ogni scadenza di legislatura, «un atto di fiducia». Ma qui la fiducia non basta; ci vuole l'atto di fede.<ref name=Controcorrente/> *I [[Ricordo|ricordi]] vanno messi sotto teca, appesi a una parete e guardati. Senza tentare di rinnovarli. Mai.<ref>Da un'intervista di [[Ferruccio de Bortoli]], 1999; in ''[http://www.rai.it/dl/Rai5/programma.html?ContentItem-f04f3982-e954-471e-8242-78f92423550d Indro Montanelli, gli anni della televisione]'', puntata 8, di Nevio Casadio, Rai Premium, 2013.</ref> *Il bello dei [[politologi]] è che, quando rispondono, uno non capisce più cosa gli aveva domandato.<ref name=Controcorrente/> *{{NDR|Su [[Carlo Sforza]]}} Il conte si piega sulle gambe come se volesse saltare in arcione. E io dico: è veramente un bell'uomo.<ref>Citato da Guido Russo Perez nella [https://documenti.camera.it/_dati/leg01/lavori/stenografici/sed0331/sed0331.pdf Seduta pomeridiana del 31 ottobre 1949] della Camera dei deputati.</ref> *Il fascismo privilegiava i somari in divisa. La democrazia privilegia quelli in tuta. In Italia, i regimi politici passano. I somari restano. Trionfanti.<ref name=Controcorrente/> *Il guaio di [[Eugenio Scalfari|Scalfari]] non è che dice quel che pensa. Il guaio di Scalfari è che pensa quel che dice.<ref>Citato in Paolo Granzotto, ''Montanelli'', p. 173.</ref> *In [[Italia]] a fare la dittatura non è tanto il dittatore quanto la paura degli italiani e una certa smania di avere, perché è più comodo, un padrone da servire. Lo diceva [[Benito Mussolini|Mussolini]]: «Come si fa a non diventare padroni di un paese di servitori?».<ref>Dall'intervista di Pasquale Cascella, ''Montanelli: «Il regime? È alle porte, inutile aspettare il dittatore»'', ''l'Unità'', 25 ottobre 1994, p. 5.</ref> *In Italia c'è una frangia d'imbecilli tali che credono si possa resuscitare il comunismo. Seppellire il cadavere del marxismo non è facile, anche perché per molti significa rinnegare l'intera esistenza. Ma certo [[Fausto Bertinotti|Bertinotti]] non è di questi: lui non sa un corno di marxismo, non gl'importa niente, è un piccolo pagliaccio, un populista all'italiana che scalda in piazza maree di poveri diavoli e parla ancora delle masse operaie, che vede solo lui.<ref name=Montanelli></ref> *In Italia non c'è una coscienza civile, non c'è un'identità nazionale che tenga insieme uno Stato federale e garantisca la civile convivenza delle sue parti. Invece io vedo solo nell'Italia Cisalpina qualche barlume di coscienza civile e una vocazione europea. Altrove, invece, è un disastro difficile, se non impossibile, da rimediare. Spero proprio di sbagliarmi.<ref name=Italia>Citato in ''Il grande vecchio del giornalismo rilegge gli ultimi anni della nostra storia'', ''L'Indipendente'', 25 luglio 1995.</ref> *In Italia si può cambiare soltanto la Costituzione. Il resto rimane com'è.<ref>Dall'articolo di Polaczek, ''Teile und sende'', in ''Frankfurter Allgemeine Zeitung'', 15 agosto 1996, p. 29.</ref> *In Italia un colpo di piccone alle [[Casa di tolleranza|case chiuse]] fa crollare l'intero edificio, basato su tre fondamentali puntelli, la Fede cattolica, la Patria e la Famiglia. Perché era nei cosiddetti postriboli che queste tre istituzioni trovavano la più sicura garanzia.<ref>Citato in Daniele Abbiati, [http://www.ilgiornale.it/news/tresse-indro-nella-repubblica-delle-marchette.html ''La maîtresse di Indro nella Prima Repubblica delle marchette''], ''il Giornale.it'', 22 ottobre 2010.</ref> *In nome di quale razza noi faremmo del razzismo? Se c'è un paese (adesso non voglio offendere, perché io sono italiano come tutti gli altri), ma se c'è un paese bastardo è l'Italia, cioè a dire una confluenza di razze diverse.<ref>Dal programma televisivo di Rai 3 ''Eppur si muove'', 20 marzo 1994.</ref> *Io non mi sono mai sognato di contestare alla [[Chiesa (comunità)|Chiesa]] il suo diritto a restare fedele a se stessa, cioè ai comandamenti che le vengono dalla Dottrina... ma che essa pretenda d'imporre questi comandamenti anche a me che non ho la fortuna di essere un credente, cercando di travasarli nella legge civile in modo che diventi obbligatorio anche per noi non credenti, è giusto? A me sembra di no.<ref>Citato in [[Umberto Veronesi]], ''[http://www.repubblica.it/2008/10/sezioni/cronaca/eluana-eutanasia-3/comm-veronesi/comm-veronesi.html Non vince la scienza]'', ''la Repubblica'', 14 novembre 2008.</ref> *Io il giornale urlato non è che non glielo voglio dare, non lo so fare! La clava non è nel mio armamentario! Non lo posso fare e non credo che sia un buon segno di civiltà politica l'uso della clava.<ref name="milano" /> *Io non sono napoletano, ma di fronte a [[Peppino De Filippo|Peppino]], non so come, mi capita sempre di diventarlo.<ref name=Pappagone>Citato in ''Pappagone e non solo'', a cura di Marco Giusti, Mondadori, Milano, 2003.</ref> *{{NDR|Alla nipote Letizia Moizzi}} Io sarò il tuo Jukebox. Tu metti una monetina e io ti racconto un ricordo.<ref>Citato in Elvira Serra, «Scoprii che era importante quando le Br gli spararono. Lo convinsi io a prendere i farmaci per la depressione», ''Corriere della Sera'', 20 gennaio 2025.</ref> *Io non voglio soffrire, io non ho della sofferenza un'idea cristiana. Ci dicono che la sofferenza eleva lo spirito; no la sofferenza è una cosa che fa male e basta, non eleva niente. E quindi io ho paura della sofferenza. Perché nei confronti della morte, io, che in tutto il resto credo di essere un moderato, sono assolutamente radicale. Se noi abbiamo un diritto alla vita, abbiamo anche un diritto alla morte. Sta a noi, deve essere riconosciuto a noi il diritto di scegliere il quando e il come della nostra morte.<ref>Citato in Carlo A. Martigli, ''[http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2002/04/25/sul-diritto-alla-morte-si-discute-su.html Sul diritto alla morte si discute su Internet]'', ''la Repubblica'', 25 aprile 2002.</ref> *Kipling diceva: "un italiano, un bel tipo; due italiani, una discussione; tre italiani, tre partiti politici". I suoi concittadini, invece, li definiva così: "un inglese, un cretino; due inglesi due cretini; tre inglesi, un popolo". Vorrei avere a che fare con dei cretini che, insieme, facessero un popolo.<ref>Citato in Cristina Taglietti, ''[https://web.archive.org/web/20160101000000/http://archiviostorico.corriere.it/1998/dicembre/17/Montanelli_cari_studenti_volete_spaccate_co_0_98121712510.shtml Montanelli: cari studenti, se volete spaccate tutto ma è inutile]'', ''Corriere della Sera'', 17 dicembre 1998.</ref> *{{NDR|Riguardo all'approvazione della legge elettorale nota come mattarellum}} L'unico modello a cui possiamo rifarci è quello francese, non quello inglese. In un paese dove ci sono venti-venticinque partiti, come si fa l'uninominale a turno unico? Qui rischia di vincere un partito che ottiene il dieci percento, perché gli altri hanno ottenuto il sette, il sei. Ma le pare giusto questo? Io non so se è stata una follia o un atto criminale questa riforma elettorale. Io sono per la traduzione in processo dei legislatori, da [[Sergio Mattarella|Mattarella]] agli altri - non è stato il solo - i quali hanno fatto, come al solito, o creduto di fare gli interessi del proprio partito. Hanno fatto questa legge prima che venisse il diluvio universale di [[Mani pulite|Tangentopoli]], convinti che siccome loro erano il partito di maggioranza relativa spazzavano via l'Italia. Poi è venuta tangentopoli e ora piangono. Dovrebbero suicidarsi se avessero un minimo di dignità. Suicidarsi. Perché in nome degli interessi di partito hanno completamente rovinato l'Italia. [...] Questi legislatori che hanno truffato con questa legge - perché questa legge è una truffa - io vorrei sapere come mai non vengono processati. Dovrebbero essere processati per lesa patria.<ref name=conferenza>[https://www.youtube.com/watch?v=snbg12DCPSM Indro Montanelli presenta "La Voce", conferenza stampa integrale], 1994.</ref> *La cosa curiosa di [[Antonino Caponnetto|Caponnetto]] è che si va a schierare con [[Leoluca Orlando|Orlando]] che è stato il peggior denigratore di [[Giovanni Falcone|Falcone]]. E poi dice che fa l'antimafia, io vorrei sapere i voti a Orlando chi glieli ha dati.<ref>Citato in Riccardo Chiaberge ''[https://web.archive.org/web/20160101000000/http://archiviostorico.corriere.it/1994/marzo/21/Montanelli_voce_controcorrente_co_0_94032115801.shtml Montanelli la voce controcorrente]'', ''Corriere della Sera'', 21 marzo 1994.</ref> *La [[cultura]], per un giornalista, è come una puttana: la puoi frequentare ma non devi ostentarla. La cultura si tiene nel cassetto. Il lettore non va trattato dall'alto in basso, ma preso per mano come un amico e portato dove vuoi.<ref>Citato in [[Roberto Gervaso]], ''Ve li racconto io'', Mondadori, Milano, 2006, p. 294, ISBN 88-04-54931-9.</ref> *La cultura si è chiusa nella torre eburnea. Rimane lì, arroccata in sé stessa, perché ha orrore dei contatti col pubblico, si crede diminuita dai contatti col pubblico. Questa è la cultura italiana. È una cultura di cretini.<ref name="montecarlo">Radio Montecarlo, [https://www.youtube.com/watch?v=A77mrwIjSSs Intervista a Indro Montanelli], di Roberto Arnaldi, 1973.</ref> *La [[depressione]] è una malattia democratica: colpisce tutti.<ref>Citato nel programma televisivo ''Ippocrate'', Rai News, 13 giugno 2010.</ref> *La devolution mi preoccupa molto, perché la decomposizione della [[Repubblica Socialista Federale di Jugoslavia|Jugoslavia]] cominciò esattamente così: reclamata e imposta dai due grandi compari Tudjiman e [[Slobodan Milošević|Milosevic]] che distrussero l'unità del Paese per restare padroni in casa propria...<ref>Citato in Gian Guido Vecchi, ''[https://web.archive.org/web/20160101000000/http://archiviostorico.corriere.it/2001/aprile/08/Devolution_traffico_voto_rebus_co_7_0104088547.shtml Devolution e traffico, il voto è un rebus]'', ''Corriere della Sera'', 8 aprile 2001.</ref> *La guerra contro il [[brigantaggio]], insorto contro lo Stato unitario, costò piú morti di tutti quelli del [[Risorgimento]]. Abbiamo sempre vissuto dei falsi: il falso del Risorgimento che assomiglia ben poco a quello che ci fanno studiare a scuola.<ref>Citato in Stefano Preite, ''Il Risorgimento, ovvero, Un passato che pesa sul presente'', Piero Lacaita, 2009.</ref> *La lettura del ''[[Adolf Hitler#Mein Kampf|Mein Kampf]]'' io la renderei, per legge, obbligatoria. Fuori dal contesto in cui fu concepito e scritto, quel libro è un caciucco di coglionerie.<ref>Citato in Cesare Medail, ''Il «Mein Kampf» torna nelle librerie italiane. Grazie a un editore cossuttiano'', ''Corriere della Sera'', 6 maggio 2000.</ref> *La nostra classe politica ha fatto del [[partito]] una specie di totem intoccabile e gli ha attribuito tutti i poteri, con in più un diritto: il diritto di abusarne.<ref name=Dovere>Dal programma televisivo ''Dovere di cronaca'', Rete 4, 1988, [https://www.youtube.com/watch?v=caQgyvTKZS8 visibile su YouTube].</ref> *Le cose non sono importanti per quello che sono, ma per quello che uno ci mette.<ref name="cento">intervista di Enzo Biagi a Indro Montanelli, (1982), da "Cento anni", Fabbri video, 1993.</ref> *Le mie idee sono sempre al vaglio dell'[[esperienza]] e l'esperienza mi impone di rivederle continuamente.<ref name="IIIB">Da un'intervista del 1971, tratta da ''III B, Facciamo l'appello'' di Enzo Biagi; anche in ''[http://www.rai.it/dl/Rai5/programma.html?ContentItem-f04f3982-e954-471e-8242-78f92423550d Indro Montanelli, gli anni della televisione]'', puntata 7, di Nevio Casadio, Rai Premium, 2013.</ref> *[[Leo Longanesi]] che amava [[Marcello Marchesi]] rabbiosamente per lo spreco che faceva del suo talento, quando lo incontrava, gli diceva: "Devo fare una telefonata, mi dai un gettone di intelligenza?". E un giorno mi ordinò un epitaffio per lui. Eccolo: "Qui giace un nessuno — che se avesse voluto — avrebbe potuto diventare — Marcello Marchesi —. Purtroppo o per fortuna — non lo seppe mai —. Come tutti i geni — era un cretino".<ref>Citato in Paola Fallai, ''Marchesi, l'umorista che creò un'atmosfera'', ''La lettura'', ''Corriere della Sera'', 25 marzo 2012; riportato in ''[http://www.cinquantamila.it/storyTellerArticolo.php?storyId=0000001549183 Cinquantamila.it]''.</ref> *Mi accusano molto spesso di avere inventato degli aneddoti. È verissimo. Io ogni tanto invento quando devo descrivere un personaggio, specialmente negli incontri, io invento qualche aneddoto. Però sono sempre aneddoti funzionali, che servono a dimostrare quel certo carattere che mi sembra vero e di dover dimostrare.<ref name="IIIB" /> *Mi avvio verso il mio capolinea con l'angoscia di portare con me le cose che ho più amato: il mio paese e il mio mestiere, temo che non mi sopravviveranno.<ref>Da un'intervista del 1996, tratta da ''Tablet Italiani'', puntata 2, "Montanelli/Bocca", Rai Storia, 25 agosto 2013.</ref> *{{NDR|Su [[Vittorio Mangili]], in riferimento all'[[rivoluzione ungherese del 1956|insurrezione antisovietica in Ungheria nel 1956]]}} Ne ha combinate di tutti i colori. Ha fatto perfino il portaordini dei patrioti, a bordo di una delle loro automobili di collegamento.<ref>Citato in Roberta Scorranese, ''[https://www.corriere.it/cronache/22_ottobre_09/vittorio-mangili-cento-anni-dell-inviato-rai-io-budapest-madre-teresa-1efd76ca-473a-11ed-8ee2-07ab17a2d97d.shtml Vittorio Mangili, i cento anni dell’inviato Rai «Io, da Budapest a Madre Teresa»]'', ''corriere.it'', 8 ottobre 2022.</ref> *Nei grandi [[giornale|giornali]] di oggi, che non possono farne a meno, chi comanda non è più nemmeno il [[direttore]]: è l'ufficio [[marketing]].<ref name="giornalista">Da: ''Repertorio della Fondazione Montanelli'', in ''Indro Montanelli - Gli anni della televisione 4: Io sono soltanto un giornalista'', a cura di Nevio Casadio, Rai Sat, 2009</ref> *{{NDR|Rivolto a [[Silvio Berlusconi|Berlusconi]] che voleva imporsi sulla linea editoriale de ''il Giornale''}} Nell'arte dell'imprenditoria, tu sei di certo un genio, ed io un coglione. Ma nell'arte della polemica il genio sono io, e tu il coglione.<ref name=Travaglio2004>Citato in Marco Travaglio, ''Montanelli e il Cavaliere'', Garzanti, Milano, 2004.</ref> *Nessuno di noi la strada della ribellione la batté sino in fondo, come voleva [[Berto Ricci|Ricci]]: per la semplice ragione che si trattava di una strada che fondi non ne aveva. Qualcuno poi scantonò in questo o in quello dei sette o otto partiti che aprirono le porte a questa generazione perduta. E forse si illuse di aver trovato un’altra bandiera. Io sono tra i rassegnati: so benissimo che di bandiere non posso averne altre e che l'unica che seguiterà a sventolare sulla mia vita è quella che disertai, prima che cadesse.<ref>Citato in Mario Bernardi Guardi, ''La giovinezza di Montanelli ebbe un nome: Berto Ricci'', ''Il Primato Nazionale'', 3 maggio 2016.</ref> *No, [[Marco Travaglio|Travaglio]] non uccide nessuno. Col coltello. Usa un'arma molto più raffinata e non perseguibile penalmente: l'archivio.<ref name=Travaglio2004/> *Noi italiani non crediamo in nulla e tanto meno nelle virtù che qualcuno ci attribuisce. Ma tra di esse ce n'è una nella quale riponiamo una fede incorruttibile: quella della nostra capacità di corrompere tutto.<ref>Citato in Mario Cervi, ''Ti ricordi Indro?'', Società europea di edizioni, Milano, 2017, p. 57. ISBN 9778118178454</ref> *Noi qui buttiamo tutte le colpe addosso agli altri. Ma bisogna fare i conti anche col popolo italiano. Siamo noi che li abbiamo eletti questi signori. Sono mica piovuti dalla luna. E allora non accaniamoci soltanto sulla classe politica. Noi siamo un elettorato disposto a ogni sorta di transazione, quando ci fa comodo.<ref name=conferenza /> *Non credo alle feste comandate. La memoria dovrebbe essere spontanea. L'unica cosa che si dovrebbe fare è raccontare veramente e in maniera spassionata ai giovani, che non lo sanno, cosa è stata la Shoah, senza fare mobilitazioni di folle.<ref>Citato in Marco Cremonesi, ''[https://web.archive.org/web/20160101000000/http://archiviostorico.corriere.it/2001/gennaio/28/Diecimila_piazza_con_nomi_dei_co_0_0101282160.shtml Diecimila in piazza con i nomi dei lager]'', ''Corriere della Sera'', 28 gennaio 2001, p. 31.</ref> *Non do più nessun significato a queste due parole {{NDR|destra e sinistra}}, le ritengo un cascame, un residuato di situazioni oramai defunte. [[Destra e sinistra]] non hanno più nessun significato e credo che noi ci stiamo attardando su una terminologia arcaica, oramai da seppellire.<ref>Radio Radicale, [https://www.radioradicale.it/scheda/598/599-elezioni Elezioni], 38:58-39:26, 25 maggio 1979.</ref> *Non mi si portino i soliti argomenti astratti, tipo la sacralità della vita: nessuno contesta il diritto di ognuno a disporre della sua vita, non vedo perché gli si debba contestare il diritto a scegliere la propria morte.<ref>Citato in Enrico Bonerandi, ''[http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2000/12/13/montanelli-pronto-morire.html Montanelli: pronto a morire]'', '' la Repubblica'', 13 dicembre 2000, p. 36.</ref> *{{NDR|Il Polo delle Libertà}} Non venga a farci credere che è costretto all'[[Aventino (espressione)|Aventino]] dal clima di violenza creato dall'Ulivo. Dove diavolo la vede questa violenza? Mi basta guardare la faccia di [[Romano Prodi|Prodi]] 1996 per metterla a confronto con quella di Mussolini 1924 per escludere che in Italia corriamo il pericolo di una dittatura. Per fare una dittatura ci vuole un dittatore.<ref>Citato in Alessandro Longo, ''[https://rep.repubblica.it/pwa/generale/2018/03/17/news/aventino-191559602/?ref=pwa-rep-hp-2-1-1 Perché si dice Aventino]'', ''Rep.repubblica.it'', 17 marzo 2018.</ref> *{{ndr|su [[Gianni Agnelli]]}} Parla con la propria bocca, pensa con il cervello di Valletta, col cuore di Giulio De Benedetti e con gli interessi polivalenti della Fiat.<ref>Citato in Paolo Granzotto, ''Montanelli'', p. 129.</ref> *{{ndr|su [[Mariano Rumor]]}} Personaggio da commedia [[Carlo Goldoni|goldoniana]] più che da tragedia contemporanea.<ref>Citato in Paolo Granzotto, ''Montanelli'', p. 145.</ref> *Posso solo dire che l'Italia del Cattaneo è quella che conserva qualche probabilità di salvarsi da questo degrado politico, culturale, morale, economico. E l'Italia del Cattaneo è quella Cisalpina. A nord del Po, e forse anche in Emilia, esistono tracce di coscienza civile e anche di classi dirigenti sane. Poi c'è un'Italia centrale, quella toscana e umbra e marchigiana, che conserva le sue peculiarità, i suoi caratteri spiccati che affondano le radici nell'Italia comunale e rinascimentale. Il resto è un disastro che non saprei come salvare. Del resto Cattaneo ci tentò, andò a Napoli e resistette qualche giorno. Poi si arrese e se ne tornò nella sua Lugano, nella sua Svizzera.<ref name=Italia>Citato in ''Il grande vecchio del giornalismo rilegge gli ultimi anni della nostra storia'', ''L'Indipendente'', 25 luglio 1995.</ref> *Pur ricordandovi che la nostra regola è quella di non tener conto delle intemperanze altrui, specie dei politici, e di dire sempre la verità, tutta la verità, senza partito preso né animosità verso nessuno, vi autorizzo a comunicare al [[Bobo Craxi|suddetto signore]], se ve ne capita l'occasione, che l'unica «testa» in pericolo di cadere dopo il 5 aprile non è la vostra ma, casomai, la sua. E potete aggiungere, da parte mia, che non la considererei una gran perdita.<ref>Citato in [[Federico Orlando]], ''Il sabato andavamo ad Arcore'', Larus, Bergamo, 1995.</ref> *[[Sandro Pertini|Pertini]] ha interpretato al meglio il peggio degli italiani.<ref>Citato in Franco Fontanini, ''Piccola antologia del pensiero breve'', Liguori Editore, Napoli, 2007, p. 12.</ref> *Quando mi viene in mente un bell'aforisma, lo metto in conto a [[Montesquieu]], od a [[François de La Rochefoucauld|La Rochefoucauld]]. Non si sono mai lamentati.<ref>Citato in Luigi Mascheroni, ''[http://www.ilgiornale.it/news/mai-dette-ripetiamo-sempre-ecco-frasi-fantasma-storia.html Mai dette, ma le ripetiamo sempre. Ecco le frasi fantasma della storia]'', ''il Giornale'', 21 marzo 2009, p. 22.</ref> *Quello che ci ripugna è che, per mettere un controllo all'autorità politica, ci sia bisogno di ricorrere all'autorità giudiziaria. Cioè che, alla fine, noi avremo le riforme istituzionali non per via politica, ma per via giudiziaria e processuale. Questo ci allarma anche perché, come avrete ben capito, la mia opinione dei politici è molto bassa, ma quella dei giudici non è migliore. Perché anche i giudici sono stati corrotti dalla partitocrazia. Lo dimostra il semplice fatto che molti di loro ostentano la tessera di partito. Un giudice che ha venduto la propria imparzialità ai partiti è un giudice che, prima di processare gli altri, dovrebbe essere processato lui e cacciato in galera. Lo so che a dire queste cose si possono avere dei dispiaceri, ma io di dispiaceri in vita mia ne ho avuti tanti che, uno più o uno meno, non mi fa nessunissimo effetto.<ref name=Dovere/> *{{NDR|[[Carmen Lasorella]]}} Richiama tanta attenzione non solo per la sua bravura ma anche per quel che possiede dal cervello in giù.<ref>Citato in Luigi Mascheroni, ''[https://books.google.it/books?id=gtg7AQAAIAAJ&q=%22Richiama+tanta+attenzione+non+solo+per+la+sua+bravura+ma+anche+per+quel+che+possiede+dal+cervello+in+gi%C3%B9+%22&dq=%22Richiama+tanta+attenzione+non+solo+per+la+sua+bravura+ma+anche+per+quel+che+possiede+dal+cervello+in+gi%C3%B9+%22&hl=it&newbks=1&newbks_redir=0&sa=X&ved=2ahUKEwiC2PXRl5WDAxVs4AIHHazPCd4Q6AF6BAgHEAI Sette, settimanale del Corriere della sera, Edizioni 1-9]'', 1996.</ref> *Sfido io che {{NDR|''il Giornale''}} non va bene come vendite. Non va bene come vendite perché noi siamo ancora alla macchina Olivetti. Qui non è stato fatto mai nessun investimento ed è stato detto chiaro che gli investimenti non sarebbero venuti finché io ne fossi il direttore. Questa è la situazione.<ref name="milano" /> *Siamo un paese cattolico, che nella [[Provvidenza]] ci crede o almeno ne è affascinato. Il pericolo è questo: gli [[italia]]ni sentendo aria di provvidenza sono sempre pronti a mettersi in fila speranzosi.<ref name=Provvidenza>Citato in ''[http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/1994/02/24/rivogliono-uomo-della-provvidenza.html?ref=search Rivogliono l'uomo della provvidenza]'', ''la Repubblica'', 24 febbraio 1994, p. 11.</ref> *Se avessi potuto immaginare come sarebbe stata distrutta la vecchia classe politica italiana - che meritava la distruzione, sia chiaro - se avessi potuto immaginare che la distruzione della vecchia classe politica italiana, in gran parte marcia, avrebbe dischiuso una situazione come quella attuale e che la vecchia legge proporzionale sarebbe stata sostituita dall'attuale legge maggioritaria così come è stata compilata, io avrei forse difeso la vecchia classe. Per lo meno non mi sarei battuto con tanta asprezza e con tanto vigore contro quella classe politica, che meritava di finire, ma a cui si stanno dando dei successori che, ricordatevelo bene, ci faranno rimpiangere quella vecchia. È il peggio che si può dire. Ma io lo dico. Perché non riesco proprio a vedere cosa sta venendo fuori da questo rimescolio di carte.<ref name=conferenza /> *{{NDR|«Se dovesse fondare un giornale a novant'anni, che giornale farebbe?»}} Se io dovessi oggi fare un giornale, farei un ''Foglio'' un po' più grande: invece che di 4 facciate di 10 o di 12. Non di più. Con una redazione ridottissima e facendo un preventivo che mi mettesse al riparo dalle delusioni. Mirerei ad avere non più di venti/trentamila lettori e non avere pubblicità. Su queste basi, forse, riuscirei a fare un [[giornale]] di alto prestigio, ma purtroppo destinato a una élite.<ref name="giornalista" /> *Sta arrivando l'uomo della provvidenza. E io, in vita mia, di questi personaggi ne ho già conosciuto uno. Mi è bastato. Per sempre.<ref name=Provvidenza></ref> *Una cultura che perde i contatti col pubblico si sterilisce e muore. Questa è la verità. E la nostra cultura è assolutamente sterile. Noi culturalmente non contiamo più nulla nel mondo. Perché? Perché è chiusa in sé stessa, la cultura, ha perso i contatti col pubblico, con la vita. Non c'è più. Sono mummie. Non è più cultura: è mafia.<ref name="montecarlo" /> *{{NDR|Su [[Aldo Moro]]}} Un generale che, sfiduciato del proprio esercito, credeva che l'unico modo di combattere il nemico fosse quello di abbracciarlo.<ref>Citato in [[Roberto Gervaso]], ''Ve li racconto io'', Mondadori, Milano, 2006, p. 310, ISBN 88-04-54931-9.</ref> *Un giorno fui convocato a Palazzo Venezia, era il 1932 e avevo 23 anni, perché il duce voleva vedermi. Ero emozionatissimo, entrai e mi misi sull'attenti, e il duce che faceva finta di scrivere mi lasciò lì per un quarto d'ora e alla fine mi disse: "Ho letto il vostro articolo sul razzismo (avevo scritto un articolo contro il razzismo). Bravo, vi elogio. Il razzismo è roba da biondi (non si era accorto che ero biondo), continuate così. Sei anni dopo fece le leggi razziali. Perché questo era [[Benito Mussolini|Mussolini]], diceva una cosa e ne faceva un'altra, secondo il vento del momento. Non creava il vento, vi si accodava da buon italiano.<ref>Citato in Gianna Fregonara, ''[https://web.archive.org/web/20160101000000/http://archiviostorico.corriere.it/2010/gennaio/24/Dal_balcone_Mussolini_bianco_sorriso_co_9_100124324.shtml Dal balcone di Mussolini al bianco sorriso di Belen]'', 24 gennaio 2010, p. 34.</ref> *{{NDR|Su [[Giorgio La Pira]]}} Un pasticcione ben intenzionato che, nel nome del Signore, appoggia le peggiori cause appellandosi ai migliori sentimenti.<ref>Citato in [[Roberto Gervaso]], ''Ve li racconto io'', Mondadori, Milano, 2006, p. 236, ISBN 88-04-54931-9.</ref> ===Citazioni tratte da suoi libri=== *{{NDR|Sul funerale di [[Leo Longanesi]]}} Al cimitero ci si ritrovò in una decina di persone, non di più. Non ci furono cerimonie né discorsi. Solo la piccola Virginia, che avrà avuto quattordici anni, mentre la bara di suo padre calava nella tomba, mormorò: «E dire che gli orfani mi sono sempre stati così antipatici...» Una frase che sarebbe piaciuta moltissimo a Leo.<ref>Dalla presentazione a [[Leo Longanesi]], ''In piedi e seduti'', Longanesi & C., Milano, 1968.</ref> ====''Caro Indro...''==== *L'aureola di martire a Craxi nessuno è disposto a riconoscergliela, proprio perché inconciliabile con l'arroganza con cui si comporta. Nessun paragone col contegno di Andreotti, davvero ineccepibile. Sul banco degli imputati ci sta da imputato, dimentico di essere stato per ben sette volte capo del governo. Parla solo se interrogato, e a bassa voce. Non rinuncia alla propria dignità, ma non la ostenta. Eppoi, le colpe che gli si addebitano saranno anche più gravi di quelle che si addebitano a Craxi, ma meno spregevoli. Potrà anche aver baciato Riina (sebbene a me questo appaia poco credibile). Ma del pubblico denaro non risulta che gli sia scivolata in tasca nemmeno una lira. Forse merita la fucilazione. Lo spregio, no. (31.1.1996) (p. 9) *Non ho mai conosciuto [[Yasser Arafat|Arafat]], né mai ho cercato di conoscerlo: non mi pare che il suo aspetto inviti alla simpatia. Però non l'ho mai considerato un criminale anche se si trovava alla testa di un'[[Organizzazione per la Liberazione della Palestina|organizzazione]] in cui di criminali ce ne sono molti. E oggi non lo considero affatto un eroe, ma un uomo coraggioso sì, perché lo ritengo in costante pericolo di vita. La lotta per il potere, dentro l'Olp, è a coltello: e i nemici di Arafat sono quelli che il coltello lo maneggiano meglio di tutti. Stringendo la mano a [[Yitzhak Rabin|Rabin]], Arafat ha moltiplicato i suoi nemici e li ha resi ancora più rabbiosi. È un uomo a rischio, non c'è dubbio. E se muore lui, addio pace in Medio Oriente. (4.10.1993) (p. 11) *Certo che il passato dell'Olp, carico di bombe e di sangue, non è la migliore referenza per un Nobel, ma Arafat è però anche l'unico interlocutore palestinese: dopo di lui c'è il nulla, o meglio soltanto gruppi di fanatici votati alla violenza e alla distruzione di [[Israele]]. Una volta presa la decisione di premiare i protagonisti del tormentato processo di pace in Medioriente [...] si è dovuto fare di necessità virtù e dare il riconoscimento anche all'uomo che per molti anni è stato un simbolo del terrorismo, nonché l'ispiratore di tante altre «lotte armate»: premiare solo Rabin e [[Shimon Peres|Peres]] sarebbe stato uno schiaffo ai palestinesi, un'iniziativa controproducente. [...] Forse più che il Nobel per la pace meriterebbe quello per il ravvedimento... (30.10.1994) (p. 12) *«Libera Chiesa in libero Stato» è una formula più d'effetto che di sostanza. Potrebbe anche significare che Chiesa e Stato si ignorano a vicenda e ognuno dei due si attribuisce i poteri che più gli aggradono: che è il modo più sicuro per litigare, non certo per convivere. Fra i due ci deve essere un patto improntato al reciproco rispetto: condizione più facile da formulare che da realizzare. Ma sembra che lo sviluppo di questo rapporto negli ultimi anni abbia fatto più passi indietro che avanti. E mi pare che dello stesso parere sia il capo dello Stato, Carlo Azeglio Ciampi. Meno male (7.3.2001) (p. 30) *Ho fiducia in [[Massimo D'Alema|D'alema]], anche se non voterò mai per lui. Ho fiducia per due motivi. Prima di tutto perché, fra i leader di oggi, è l'unico vero professionista della politica. Eppoi perché non ho dubbi sulla sua intenzione di fare del Pds un partito socialdemocratico o laburista. Se non fosse così, non solo Prodi ma nemmeno Veltroni sarebbero al suo fianco. E appunto perché è così, sono convinto che consumerà fino in fondo il divorzio da Rifondazione. Lo consumerà cercando di non farsene portar via molti elettori. Ma lo consumerà per conquistare i moderati: altra strada non può battere. E proprio in questi giorni lo ha dimostrato sacrificando anche quella piccola falce e martello che tuttora sopravviveva nel simbolo del suo partito ai piedi della Quercia. Non era che un «segno», dirà qualcuno. Sì, ma che segno! (17.5.1995) (p. 42) *Anch'io sono stato in passato un fautore dell'elezione diretta, cioè per consultazione popolare, del Capo dello Stato. Mi pareva il mezzo più efficace per sottrarre almeno il Quirinale agl'intrallazzi dei partiti e per avere un garante al di sopra di essi. Ma poi ho dovuto cambiare idea di fronte alle prove di balordaggine, d'ignoranza, di totale mancanza di consapevolezza morale e civile dell'elettorato italiano, o almeno della sua maggioranza. È un elettorato sempre pronto a correre dietro a qualche ciarlatano che sappia vendere bene la sua merce e a lasciarsene trascinare nelle imprese più insensate. Insomma considero la stupidità più pericolosa degl'intrallazzi. (23.12.1998) (p. 47) *Non credo che [[Diana Spencer|Diana]] rimarrà nella memoria dei posteri. Era una bella e simpatica ragazza, che avrebbe anche potuto essere una buona moglie e una buona madre, ma che non aveva certamente la stoffa e le dimensioni umane, comportamentali di una regina. Più e meglio che sul trono, il suo personaggio avrebbe figurato in un romanzo di Liala. Non riesco ad accostarla a figure storiche (17.9.1997) (p. 72) *Mussolini non aveva la stoffa del criminale né di guerra né di pace. Dicendolo, so di espormi alle contumelie della cosiddetta intellighenzia. Ma ne ho già ricevute tante che non mi fanno più nessun effetto. Tuttavia mi rendo conto che alla condanna a morte non avrebbe potuto sfuggire perché almeno un responsabile delle catastrofi che si erano abbattute sull'Italia si doveva pur trovare, e non poteva essere che lui. Però c'è da ringraziare Dio, e per esso, il Comitato di liberazione nazionale che ne ordinò (o avallò) la fucilazione sul posto perché un processo a Mussolini avrebbe ancora più spaccato un Paese già spaccato dalla guerra civile (per chiamare col suo vero nome, la Resistenza). E credo che anche gli Alleati trassero un respiro di sollievo dal venirne esentati. Un processo avrebbe messo in imbarazzo anche loro per le indulgenze che avevano avuto verso di lui e quella parodia di totalitarismo ch'era stata il suo regime. Una Norimberga italiana sarebbe stata anch'essa una parodia. La fucilazione sul posto di Mussolini era un atto dovuto. Quello che non era dovuto, e che per gl'italiani provvisti di qualche senso dell'onore e della decenza rimarrà una indelebile vergogna, fu la scena di piazzale Loreto (30.6.1999) (pp. 89-90) *{{NDR|«Poni che ti regalino una telecamera, con il diritto di spiare per un mese, non visto, un potente della Terra, a tua scelta, dalla regina Elisabetta a Gheddafi, da Saddam a Clinton. Quale personaggio ti incuriosirebbe di più?»}} [[Vladimir Putin|Putin]]. Credo che sia una canaglia perché solo le canaglie potevano arruolarsi e fare carriera in un corpo di polizia come il Kgb. Ma è proprio di una canaglia che la [[Russia]] ha bisogno per ricompattarsi all'interno, risollevarsi dal caos in cui l'ha precipitata il crollo di un regime totalitario durato settant'anni, e riprendere nel gioco delle potenze mondiali il posto che spetta a un Paese di 250 milioni di abitanti, di grandi tradizioni e d'inesauribili risorse naturali. L'Occidente ha bisogno della Russia: è il suo antemurale verso un Oriente che può riservarci amare sorprese. [...] Non facciamoci illusioni sull'avvenire di una democrazia in Russia. Essa ha bisogno [...] di una mano forte e spregiudicata, di una canaglia insomma. [...] Ecco perché mi piacerebbe conoscere Putin: per vedere se è la canaglia di cui mi pare abbia bisogno la Russia in questo momento: un «momento» destinato a durare parecchi decenni. (18.10.2000) (pp. 104-105) ===Attribuite=== *Berlusconi non delude mai: quando ti aspetti che dica una scempiaggine, la dice.<ref name=Travaglio2004/> :In ''Io e il cavaliere qualche anno fa'', ''Corriere della Sera'', 25 marzo 2001, p. 1, Montanelli attribuisce la citazione a «un'alta personalità della Finanza, nota anche per il suo infallibile fiuto degli uomini». La frase esatta è: «Avrà anche i suoi difetti, ma un merito bisogna riconoscerglielo: quello di non deludere mai. Quando ti aspetti che dica una scempiaggine, la dice». ==Interviste== {{cronologico}} *{{NDR|La guerra coloniale etiopica}} Considerandola oggi, con la mia maturità d'oggi, {{NDR|è}} un'avventura di una stupidità senza fine. Ma immaginiamo un ragazzo di 24 anni messo al comando di una banda indigena, con 100 uomini neri – lui solo bianco – buttato all'avventura in quella guerra che di combattimenti ne ebbe molto pochi – non voglio passare per un gran guerriero, affatto – ma furono un anno e mezzo a cavallo, di cavalcate in questa natura selvaggia (ripeto, combattimenti ben pochi). {{NDR|«Dicono anche che lei aveva una moglie, diciamo indigena, molto bella, che era la più bella di tutte quelle che avevano gli ufficiali d'allora»}} Sì. {{NDR|«Era molto invidiato per questo»}} Pare che avessi scelto bene, era una bellissima ragazza bilena, di 12 anni – {{NDR|sorridendo}} scusatemi, ma in Africa è un'altra cosa – e così l'avevo sposata, nel senso che l'avevo regolarmente comprata dal padre che mi ha accompagnato insieme alle mogli dei miei ascari. Queste mogli degli ascari non è che seguissero la banda, ma ogni 15 giorni raggiungevano la banda: io non ho mai capito come facessero a trovarci in questo infinito dell'Abissinia. Quelle arrivavano e arrivava anche questa mia moglie con la cesta in testa, che mi portava la biancheria pulita. [...] {{NDR|Domanda del pubblico: «Lei ha detto tranquillamente di avere avuto una sposa, diciamo, di 12 anni e a 25 anni lei non si è peritato affatto di violentare una ragazza di 12 anni, dicendo "Ma in Africa queste cose si fanno". Io vorrei chiedere a lui come intende normalmente i suoi rapporti con le donne date queste due affermazioni»}} No signorina guardi, sulla violenza, nessuna violenza perché le ragazze in Abissinia si sposano a 12 anni. Non è questione, Quindi. {{NDR|Domanda del pubblico: «Su un piano di consapevolezza dell'uomo, insomma, il rapporto con una bambina di 12 anni è il rapporto con una bambina di 12 anni. Se lo facesse in Europa rischierebbe di violentare una bambina, vero?»}} Sì, in Europa sì, ma lì no. {{NDR|«Ecco, appunto»}} Lì no. {{NDR|«Quale differenza crede che esista dal punto di vista biologico, o anche psicologico?»}} No, guardi, {{NDR|«Dal punto di vista del costume»}} lì si sposano a 12 anni, non è questione. A 12 anni si sposano. {{NDR|«Ma non è il matrimonio che lei intende, a 12 anni in Africa. Guardi, io ho vissuto in Africa»}} Sì. {{NDR|«Quindi il vostro era veramente il rapporto violento del colonialista che veniva lì e si impossessava della ragazza di 12 anni»}} No... {{NDR|«Ma glielo garantisco, senza assolutamente tener conto di questo tipo di rapporto sul piano umano. Eravate i vincitori, cioè i militari che hanno fatto le stesse cose ovunque sono stati i vincitori, ovunque gli uomini si sono presentati come dei militari. La Storia è piena di queste situazioni»}} {{NDR|sorridendo}} Signorina, non so se lei vuole istruirmi un processo «a posteriori». {{NDR|«No, no, affatto. Guardi, ho soltanto voluto chiederle, per inciso, come lei intende – dopo le due interpretazioni – i rapporti con le donne»}} Dipende da cosa si mette dentro, dipende anche da cosa le donne mettono dentro di noi. È tutto un giuoco di specchi. {{NDR|«Ma lei vede sempre la donna in questa veste passiva di adulatrice, oppure di compagna – che appare e scompare – dell'uomo, non l'ha mai vista in una funzione diretta, attiva e diversa. Questo è un po' il dramma degli uomini della sua generazione»}} {{NDR|sorridendo}} Può darsi. Della mia generazione? Solo? {{NDR|«Credo»}} {{NDR|sorridendo}} Vabbè. Può darsi. (Da ''L'ora della verità'', 22 ottobre 1969) *{{NDR|Domanda del pubblico: «Io vorrei sapere perché lei, che si ritiene un osservatore, non ha mai affrontato il discorso sulla contestazione giovanile, tenendo anche presente il fatto che lei cerca il lettore. Lei ai giovani non dice assolutamente niente come giornalista»}} Come? {{NDR|«Se c'è un pubblico che lei sta perdendo, e forse non ha mai avuto, è proprio quello dei giovani. Vorrei sapere come mai lei non ha mai affrontato il discorso sulla contestazione, sulla realtà giovanile che è esplosa in questi ultimi anni»}} Signorina, io avrei tanto volentieri affrontato il discorso sulla contestazione se fosse possibile agganciare il discorso coi contestatori. Ma coi contestatori io non faccio il [[Alberto Moravia|Moravia]]. No. Non vado a farmi spernacchiare dai giovani, mi dispiace tanto. Né dai giovani, né da nessun altro. {{NDR|«Lei ha paura, scusi, di affrontare un discorso»}} No, io non ho paura, ma non ammetto di essere accolto a quel modo. È proprio un fatto, così, di dignità. {{NDR|«E allora, scusi, lei a questo punto rinuncia a un pubblico come può essere quello dei giovani semplicemente, così, per non avere degli spernacchiamenti, per non compromettere – diciamo – questo suo successo a cui è arrivato»}} Ma scusi, ma che dialogo sono le pernacchie? Me lo vuole spiegare? (ibidem) *Certamente [[Benito Mussolini|Mussolini]] fu un grossissimo politico, un uomo politico di grandissimo fiuto, di tempismo formidabile: lo dimostrò la facilità con cui vinse. Forse dovuta per metà alle sue capacità, alla sua bravura – parlo sempre come politico – e per metà all'insipienza, alla nullaggine dei suoi avversari, perché è tempo oramai di dire anche questo. Non c'è dubbio che il potere assoluto guastò completamente Mussolini: il Mussolini del 1930 non era certamente quello del 1940, il Mussolini di dieci anni dopo l'avvento al potere era diventato una specie di marionetta, la caricatura di sé stesso. Aveva perso proprio il senso della realtà, che era stato invece il suo forte da principio, il contatto col pubblico lo aveva perso, il senso della misura, e lo aveva dimostrato poi con gli errori madornali che ha fatto. Nei primi dieci anni credo che alcune cose buone le abbia fatte. Non credo che abbia ucciso la democrazia, credo che l'abbia soltanto seppellita perché era già morta. Da quel poco che ricordo l'Italia era un grosso carnevale, e anche abbastanza drammatico, perché la situazione interna era addirittura sfasciata: correva sangue, ne correva molto, noi in Toscana ne sapevamo qualcosa [...]. E quindi non è vero che lui... le democrazie non vengono mai uccise, le democrazie muoiono. Dopodiché si dà la colpa a chi le seppellisce, ma la verità è che si suicidano, e credo che la democrazia italiana del '21-22 si sia suicidata. [...] Mussolini capì una cosa fondamentale: che per piacere agli italiani bisognava dare a ciascuno di essi una piccola fetta di potere col diritto di abusarne. Questo era il fascismo. Il fascismo aveva creato una [[gerarchia]] talmente articolata e complessa che ognuno aveva dei galloni: il capofabbricato, il caposettore... tutti avevano una piccola fetta di potere, di cui naturalmente ognuno abusava, come è nel carattere degli italiani. (da ''Questo secolo'', 18 maggio 1982) *Ero all'estero, lavoravo nel giornalismo americano, alla ''United Press''. Chiesi alla mia agenzia di mandarmi come corrispondente in Abissinia. Giustamente mi dissero: «No, perché lei è un italiano, quindi logicamente non fa delle corrispondenze obiettive». Dico: «Avete ragione. Allora io vi lascio e vado volontario». Feci la mia brava domanda (la feci anche raccomandare). La domanda fu accolta, io fui mandato in Abissinia e, cosa un po' strana [...], a questo ragazzo di 23 anni [...] venne affidata una banda. [...] In quei due anni io contribuii a fare una cosa sbagliata, un'autentica fregnaccia qual era costruire un impero nel '35, quando coloro che lo avevano lo stavano già liquidando perché erano cose antistoriche. Ma io a 23 anni, a 24 anni, non potevo capire questo. Ebbi due anni di vita all'aria aperta, bella, di avventura, in cui credetti di essere un personaggio di Kipling, di contribuire a fare qualcosa di importante. Poi mi accorsi che non era vero, ma le cose non sono importanti per quello che sono, ma per quello che uno ci mette. E io in quel momento ci mettevo un grande entusiasmo: ebbi due anni di vita bellissima, a cavallo, con le tende, i miei uomini, libero, solo (perché non rispondevo a nessuno). Eh beh, compiango i giovani che non hanno avuto una simile esperienza. {{NDR|«E anche con una giovane moglie»}} E anche con una giovane moglie, {{NDR|indicando una fotografia}} eccola lì. Regolarmente sposata in quanto regolarmente comprata dal padre. {{NDR|«Quanti anni aveva?»}} Aveva 12 anni, ma non mi prendere per un Girolimoni. {{NDR|«Per un bruto»}} A 12 anni quelle lì erano già donne. {{NDR|«E tu dove l'avevi comperata?»}} L'avevo comprata a Saganèiti, un paese dove avevo mandato il mio emissario [...]. Me la comprò insieme a un cavallo e a un fucile, in tutto 500 lire. {{NDR|«E lei com'era?»}} Un animalino. Docile. Io le misi su un tucul con dei polli e poi, ogni 15 giorni, mi raggiungeva dovunque fossi, insieme alle mogli degli altri ascari. (ibidem) *Io esclusi immediatamente la responsabilità degli [[Anarchia|anarchici]] {{NDR|dalla [[strage di piazza Fontana]]}} per varie ragioni: prima di tutto, forse, per una specie di istinto, di intuizione, ma poi perché conosco gli anarchici. Gli anarchici non è che sono alieni dalla violenza, ma la usano in un altro modo: non sparano mai nel mucchio, non sparano mai nascondendo la mano. L'anarchico spara al bersaglio, in genere al bersaglio simbolico del potere, e di fronte. Assume sempre la responsabilità del suo gesto. Quindi, quell'infame attentato, evidentemente, non era di marca anarchica o anche se era di marca anarchica veniva da qualcuno che usurpava la qualifica di anarchico, ma che non apparteneva certamente alla vera categoria, che io ho conosciuto ben diversa e che credo sia ancora ben diversa. (da ''La notte della Repubblica'', 12 dicembre 1989) *La [[Lega Nord|Lega]] è una cosa sgradevole. Però le Leghe sono un fenomeno di reazione a una provocazione. È la politica nazionale, che fa nascere le Leghe. Questo non vuol dire che io le approvi. La reazione è sbagliata, ma provocazione c'è, le degenerazioni della partitocrazia ci sono. Che il pubblico denaro sia male amministrato e che a farne le spese siano soprattutto i cittadini del Nord non è contestabile. (da ''La Stampa'', 7 novembre 1990) *Ah, quel maledetto [[Toni Negri]], quel maledetto aizzatore dei sentimenti dei giovani che è vigliaccamente scappato dall'Italia per non affrontare il carcere. Per un Paese non c'è nulla di peggio che i cattivi maestri. Come punirli? Bisognerebbe impiccarli. Ripeto, impiccarli. (da ''L'Italia settimanale'', 1995) *Fu una pulizia etnica, bisognava far fuori gli italiani: allora si chiamarono fascisti e si ammazzarono, e si buttarono nelle [[massacri delle foibe|foibe]]. Questo avvenne dopo la fine della guerra, sia chiaro. Perché gli orrori di guerra, non dico che siano giustificabili, ma sono comprensibili, la guerra è di per sé stessa un orrore. No, queste... le foibe furono un'infamia commessa dopo la Liberazione, dopo la fine della guerra, e purtroppo vi hanno collaborato parecchi comunisti italiani, alcuni dei quali non solo sono ancora a piede libero, pur essendo vivi, ma ricevono delle pensioni di Stato. Ricevono delle pensioni di Stato. Però io ti posso dire questo: che come testimone oculare io ho visto anche in Croazia delle cose, da parte degli italiani, su cui è meglio sorvolare. Perché anche noi le abbiamo commesse, perché la guerra le comporta, questo è fatale, ecco. Quindi non facciamo tanto i moralisti. [...] No, questo {{NDR|tesi sloveno-croata sulla pulizia etnico-culturale da parte degli italiani durante il periodo di occupazione fascista}} è assolutamente falso. Pulizie etniche noi non ne abbiamo mai fatte, in nessun Paese occupato. Quando sento dire che noi facemmo anche la pulizia etnica in Etiopia, beh vabbè, mi cascano le braccia. Mi cascano le braccia. Quelle son menzogne infami, di gente o che non sa nulla, o che mente sapendo di mentire. Non è vero. Furono episodi, ma non di pulizia etnica, di rappresaglie. (dall'intervista al TG2, ''[http://www.youtube.com/watch?v=s9UXM_pKpqY Massacri delle foibe]'', 6 settembre 1996) *Tutto questo mi evoca dei ricordi poco simpatici. Era il [[fascismo]] che si conduceva così. Era il Fascismo che proibiva la satira, che in un paese civile e democratico dovrebbe essere assolutamente indenne da controlli politici; perché la satira non ha niente a che fare con la politica, anche se prende in giro la politica, ma si sa che è satira. Ed ogni regime serio e democratico accetta la satira, come si accettano le caricature. Era [[Benito Mussolini|Mussolini]] che non le sopportava. E qui pensano: «Ripuliremo la stalla», «Faremo piazza pulita». Ma questo linguaggio, al signor [[Gianfranco Fini|Fini]], chi glielo ispira? Ci ricorda delle cose che avremmo voluto dimenticare. Questa non è la destra, questo è il manganello. Gli italiani non sanno andare a destra senza finire nel [[manganello]]. [...] Alla Rai faranno piazza pulita, lo hanno già annunziato. Ma come si fa a definire democratico un partito che annunzia «Quando saremo al potere, noi faremo piazza pulita»? Ma questo è un linguaggio del peggiore squadrismo, che loro non sanno cosa fu, ma io me lo ricordo. Questo è il linguaggio con cui {{NDR|i fascisti}} andarono al potere. (da ''La settimana di Montanelli'', 17 marzo 2001) *Io voglio ringraziare Travaglio, perché ha detto l'assoluta e pura verità. Assolutamente. La versione che ha dato degli avvenimenti è quella esatta. [...] Io ho conosciuto due Berlusconi: il Berlusconi imprenditore privato che comprò ''il Giornale'' – e noi fummo felici di venderglielo, perché non sapevamo come andare avanti – su questo patto: tu, Berlusconi, sei il proprietario de ''il Giornale'', io, direttore, sono il padrone del ''Giornale'', nel senso che la linea politica dipende solo da me. Questo fu il patto fra noi due. Quando Berlusconi mi annunziò che si buttava in politica, io capii subito quello che stava per succedere. Cercai di dissuaderlo [...] ma tutto fu inutile. Dal momento in cui lo decise mi disse: «Ora ''il Giornale'' deve fare la politica della mia politica». Ed io gli dissi: «Non ci pensare nemmeno». Allora lui riunì la redazione come ha raccontato Travaglio – e questo lo fece a mia totale insaputa – e disse: «D'ora in poi ''il Giornale'' farà la politica della mia politica». E a quel momento me ne andai, cos'altro potevo fare? [...] Nella mia vita ci sono stati due Berlusconi, completamente opposti [...] questo fa parte del ritratto di Berlusconi. [...] Come capo politico è quello che io ho conosciuto in quei brutti giorni in cui scorrettamente, nella maniera più scorretta e più volgare, saltandomi, radunò la redazione de ''il Giornale'' per dirgli «Qui si cambia tutto» all'insaputa del direttore. Se questo sembra a Feltri un modo di procedere democratico e civile, è affar suo. (risposta telefonica a [[Marco Travaglio]] e [[Vittorio Feltri]] durante la trasmissione ''Il Raggio Verde'', 23 marzo 2001) *{{NDR|Silvio Berlusconi}} È il bugiardo più sincero che ci sia, è il primo a credere alle proprie menzogne. [...] È questo che lo rende così pericoloso. Non ha nessun pudore. (dall'intervista di Sophie Gherardi, ''L'Europa deve trattare il sig. Berlusconi con sdegno e disprezzo, non con ostilità'', ''Le Monde'', 8 maggio 2001<ref name=Travaglio2004/>) *Spero che l'Europa adotterà nei confronti di Berlusconi l'atteggiamento di indignazione e di disprezzo che merita. (dall'intervista di Sophie Gherardi, ''L'Europa deve trattare il sig. Berlusconi con sdegno e disprezzo, non con ostilità'', ''Le Monde'', 8 maggio 2001<ref name=Travaglio2004/>) {{Int|''Match''|a cura di Arnaldo Bagnasco, Alberto Arbasino e Maria Gefter Cervi, Rete 2, 18 gennaio 1978.}} *Io non stavo con Longanesi per ragioni ideologiche, anche perché io non ho mai capito quale ideologia avesse Longanesi. Longanesi non lo si poteva misurare sul piano ideologico, era sempre contro tutto e contro tutti. Era il frondista principe: lo è stato sotto il fascismo – e in fondo fece il più bel settimanale, forse, che abbia avuto l'Italia in questi ultimi decenni, credo: ''Omnibus'', che fu chiuso dal regime – e si è trovato sempre male con tutti i regimi. Che cosa pensasse in realtà Longanesi io, dopo un'amicizia di trent'anni, non sono mai riuscito a capirlo. Quello che mi affascinava di Longanesi, e che continua ancora oggi ad affascinarmi, è lo straordinario talento, l'inventiva, l'intuito, l'eleganza di Longanesi. Per cui io non consideravo le posizioni ideologiche di Longanesi, questo non m'interessava affatto. Per me era un fatto di vecchia amicizia: io sono un po' cresciuto con Longanesi, l'avrei seguito anche all'inferno perché con Longanesi si poteva andare anche all'inferno, diventava l'eden. *{{NDR|Sull'appello di votare DC nel 1976}} Questa può sembrare una contraddizione, ma che cosa avrei dovuto dire ai miei lettori? Di votare per chi? Questo è il punto. Oggi [...] i partiti laici ai quali io ideologicamente farei capo – liberale, repubblicano, socialdemocratico – fanno i pifferi di accompagnamento a un patto a sei, e questo era già nell'aria, prima del 20 giugno. Che cosa dovevo dire io ai miei lettori, «Votate per i pifferi di accompagnamento»? Francamente non me la sentivo. [...] Nonostante la mia etichetta di destra, io per i partiti di destra non mi schiererò mai. Io vorrei un centro: non lo trovo, non c'è. Un centro di opposizione democratica al regime che è già in atto non c'è. E allora che debbo fare? È colpa mia se la politica italiana non mi offre un centro? Io continuo a battermi per la costituzione di questo centro. *{{NDR|Domanda del pubblico: «Come mai in Italia non ci sono giornali indipendenti?»}} Io, per esempio, ho la presunzione – sarà infondata – di dirigere un giornale indipendente, perché vorrei sapere da chi prendo gli ordini. Me lo dica lei, Padre. {{NDR|«No, beh...»}} E allora, se non potete indicare qualcuno che mi dà gli ordini, io sono indipendente. {{NDR|«Rispondo anch'io da giornalista: è chiaro che un giornale non si sostiene con le idee sull'indipendenza, si sostiene con dei quattrini»}} Certo. {{NDR|«Allora io parlavo di un'indipendenza che, in quanto dipende da chi paga, è comunque una dipendenza ideologica. Questa era la domanda»}} Sì, l'ha scritto molto bene ''Repubblica'' [...] credendo di offendermi. Ha detto: «Il ''Giornale nuovo'' vive di collette». È vero, noi viviamo di collette, e io ne sono fiero perché le collette mi lasciano libero. {{Int|''Mixer''|a cura di Giovanni Minoli, Rete 2, 6 aprile 1981.}} *{{NDR|«Perché fu fascista fino al '37?»}} Questa è la storia della mia generazione, tutta la mia generazione è stata fascista fino al '35, al '36 o al '43. *{{NDR|«E perché smise di esserlo?»}} Perché noi credevamo che il fascismo fosse una cosa, e poi ci accorgemmo che era un'altra. *{{NDR|«Lei ha detto: "Buffoni, cafoni di natura, ''parvenus'', tutta gente in malafede, il bassettume, il pirellume, il cedernismo". Si riferiva alla Milano radical chic, ma che cosa voleva dire, esattamente?»}} Quello che ho detto. Veramente, io ne ho il più profondo disprezzo. Io accetto benissimo i comunisti: i comunisti sono gente seria, pericolosissimi, ma seri. I [[radical chic]] no. *{{NDR|«È sempre convinto del suicidio dell'anarchico Pinelli?»}} Assolutamente. *{{NDR|«Lei a Catanzaro, al processo per la strage di piazza Fontana, ha dichiarato: "Secondo me, il commissario Calabresi fu vittima di una campagna di stampa". Cioè?»}} No, non l'ho dichiarato a Catanzaro, lo dissi molto prima. Basta rileggere i giornali di quei tempi, e soprattutto i rotocalchi: veramente, Calabresi fu vittima di una campagna stampa infame e ingiusta, perché era uno dei funzionari più corretti che ci fossero. *{{NDR|«Pietro Valpreda, qui a ''Mixer'', ha definito Calabresi come "un tecnocrate del potere". Lei che cosa ne pensa?»}} Ma che significa «un tecnocrate del potere»? Un commissario di polizia serve il potere, chi diavolo deve servire? Valpreda? {{Int|''Faccia a Faccia: intervista a Indro Montanelli''|''Mixer'', a cura di Giovanni Minoli, Rai 2, 5 maggio 1985.}} *[[Renato Curcio|Curcio]] non sparava alle spalle, sparava di fronte, andava di persona a sparare. Naturalmente siamo su delle barricate opposte, ma io stimo Curcio. Lo stimo. È un uomo che secondo me ha delle idee sbagliate ma le serve, le serve da soldato vero. Con un suo galateo. Col suo coraggio. Senza mai rinnegarsi. Non si è pentito! *Io sono convinto che la magistratura debba essere indipendente, però chiedo ed esigo che abbia un autogoverno di controllo, e che soprattutto risponda dei suoi gesti. Oggi noi abbiamo una magistratura che non risponde a nessuno dei suoi errori spesso catastrofici, perché hanno distrutto uomini, hanno distrutto aziende per delle cose che poi si son rilevate insussistenti. Mai un magistrato ha pagato per questo. Io voglio che i magistrati paghino. Non dico a dei poteri esterni, ma perlomeno al potere a cui viene affidata la disciplina nella categoria. *Tutta l'intellighenzia italiana ha una vecchia tradizione di servilità, com'è logico, perché si è sviluppata in un Paese analfabeta, per secoli e secoli analfabeta. Non avendo il lettore doveva per forza procurarsi il protettore. Scriveva per il protettore. *{{NDR|«Il suo peggior difetto qual è, Montanelli?»}} Quello di non riconoscermene nessuno. *{{NDR|«[[Leo Longanesi|Longanesi]], parlando di lei, un giorno disse che lei capiva le cose con dieci mesi di anticipo rispetto a tutti gli altri. Ecco, tra dieci mesi cosa vede in [[Italia]]?»}} Queste erano le cose di Longanesi, ma in realtà io non riesco a vedere tra dieci giorni. {{Int|''[http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/1991/11/16/giangi-feltrinelli-io-non-ti-perdono.html 'Giangi' Feltrinelli io non ti perdono]''|''la Repubblica'', 16 novembre 1991, p. 33.}} *[[Giangiacomo Feltrinelli|Lui]] fu l'emblema di tutto quanto accadde in quegli anni {{NDR|Anni della contestazione}}. A differenza della [[Francia]], eravamo un paese da burletta, con una contestazione da burletta e rivoluzionari da burletta. E Feltrinelli ne fu l'esponente più qualificato. *Era il 1940 e a quel tempo Giangi aveva quattordici anni e seguiva i corsi scolastici con pessimo profitto. Giangiacomo era un ragazzetto che voleva a tutti i costi cavalcare qualcosa di rivoluzionario. Non importava il colore. Tanto è vero che il suo sogno fu prima il fascismo e poi Che Guevara. *{{NDR|«L'importante è stare in prima linea il fascismo?»}} Ma sì, negli anni Quaranta lui era fascista. Era talmente fascista che nel 1943, dopo l'8 settembre, voleva denunciare sia me che Barzini per alcune cose che avevamo detto contro i fascisti. Allora pensava di aderire a Salò. La sua dedizione a una causa quale che sia, purché rivoluzionaria, lo spingeva a questi atti pazzeschi. *Generoso? Lo chieda ai suoi collaboratori. Era una specie di padrone delle ferriere che spendeva generosamente solo per soddisfare il suo vizio principale: la rivoluzione. Con chi era in difficoltà non si dimostrò mai particolarmente generoso. *{{NDR|«Perché allora lei è così implacabilmente critico nei suoi riguardi?»}} Non ce l'ho neppure tanto con lui, quanto con tutti coloro che di Feltrinelli hanno fatto un mito. In realtà era un povero uomo. Un ingenuo divorato dall'esibizionismo. *{{NDR|«Come può ridurre tutto alla convinzione che fosse solo un ingenuo e un esibizionista?»}} Anche Starace segnò un decennio della nostra vita. Mica per questo era meno cretino. Se Feltrinelli sia stato qualcosa di più complesso, io non riesco a vederlo. Posso aggiungere questo: quella sua mania di ostentazione, quella voglia di primeggiare su tutte le cose lo ha condotto anche a degli atti di eroismo. Perché uno che sale su un traliccio, con la dinamite che non sa maneggiare e salta per aria, beh almeno il coraggio gli va riconosciuto. O forse chiamiamola incoscienza. {{Int|''[http://www.archiviolastampa.it/component/option,com_lastampa/task,search/mod,libera/action,viewer/Itemid,3/page,15/articleid,0824_01_1992_0072_0015_25082247/ Montanelli e il sacco di Milano]''|''La Stampa'', 14 marzo 1992, p. 14.}} *{{NDR|Il regime corrotto}} C'è ancora. Ma la rivolta non era tanto contro la corruzione e la partitocrazia, che erano senza dubbio un grosso male, ma che non erano il male più letale. In quel momento era proprio la società che si disfaceva, le condizioni della scuola, la predicazione del nulla, insomma la contestazione globale, l'ubriacatura degli Anni Settanta, che fu l'ubriacatura del terrorismo, e quella acquiescenza di una certa borghesia, salottiera, radical chic, che amoreggiava con queste cose, che aveva le smanie maotsetunghiste, che poi parlavano tutti di cose che non sapevano. La corruzione dei partiti invece è quasi immanente. La partitocrazia è destinata a durare almeno finché non si riforma la legge elettorale. Ma questa è la battaglia che noi cerchiamo di fare oggi. *{{NDR|«Ma gli Anni Settanta non hanno anche prodotto qualcosa di positivo nella società italiana?»}} No. Non vedo fatti positivi nel lascito degli [[anni di piombo]]. Vorrei sapere veramente quali. Quando dicono per esempio il divorzio. Ma il divorzio c'era già prima. Quelle sono conquiste sociali. C'era bisogno dei pistoleros per il divorzio? Ma andiamo! *{{NDR|«Però lei difendeva Pannella»}} Sì. A [[Marco Pannella|Pannella]] dobbiamo veramente due cose, malgrado le sue mattane. Effettivamente riuscì a impedire a una certa aliquota di giovani di finire in braccio al terrorismo, cioè gli dette un'altra bandiera. E alcune battaglie sue furono sacrosante, come quella del divorzio che appoggiammo. Poi verso Pannella io ho una certa simpatia, dovuta al mio vecchio fondo anarchico, libertario, che ritrovo in lui. È una simpatia genetica. Ritrovo in lui quello che io sono stato a vent'anni. *{{NDR|«Ma che fine ha fatto quella borghesia, che fine hanno fatto quei salotti buoni? Le sue battaglie contro la Crespi o contro la Cederna sono cosa Passata? Sono cambiati loro, oppure è cambiato lei?»}} Vabbè, con la [[Camilla Cederna|Camilla]] poi siamo ridiventati amici. Con la Crespi no, mai. Ma non ho più rancori, non ho più animosità. Però è un mondo che disprezzo un po', perché è un mondo di pecore che seguono sempre il filo del vento, santoiddio, sono proprio personcine, personcine inconsistenti, pronte ad andare con chiunque. E poi sempre per salvare i propri interessi, non è che abbiano delle idealità, no? Oggi è cambiato il vento, quindi sono cambiati anche loro. Ma non è che sia cambiato il mio giudizio. Quel mondo lì io non lo amo. *La crisi rimane e si riflette nell'amministrazione cittadina. L'amministrazione era sempre stata un autentico specchio. Fino a Bucalossi il Comune di Milano era retto da specchiati galantuomini, che finivano tutti poveri, in miseria, finivano alla Baggina. Gente davvero di una correttezza esemplare. Poi sono venuti gli Aniasi e compagni e guardi qui dove siamo arrivati: siamo arrivati a [[Mario Chiesa|Chiesa]]. {{Int|''[https://web.archive.org/web/20121107180200/http://archiviostorico.corriere.it/1993/giugno/06/Montanelli_tura_naso_come_nel_co_0_93060610816.shtml Montanelli si tura il naso come nel '76: voto l'uomo della Lega]''|''Corriere della Sera'', 6 giugno 1993, p. 3.}} *Mi sono dannato l'anima perché il centro avesse un ''suo'' candidato. Avrei voluto Locatelli: era la persona giusta per portare la bandiera referendaria e raccogliere gli elettori moderati. Era quello il mio sogno. *Segni non ha capito nulla, è arrivato in ritardo, ha candidato una persona che nessuno conosce. Non abbiamo ''un'' rappresentante del centro, ma tre surrogati che si elimineranno a vicenda. E ci toccherà scegliere fra [[Nando dalla Chiesa|Dalla Chiesa]] e Formentini. *{{NDR|«Di qui il suo suggerimento: turarsi il naso e votare Lega»}} No, non dico "Votiamo Lega", dico "Votiamo Formentini". E nel suo caso non ci si deve neppure turare il naso: è modesto, anche mediocre se vogliamo, ma è onesto. Non credo sia marcio. Insomma: è il male minore. *{{NDR|«E Dalla Chiesa?»}} No, il mio voto non lo avrà. Perché io non voto per la sinistra e per un sinistro come quello lì. *{{NDR|«Ma che cosa la preoccupa nella coalizione di Dalla Chiesa?»}} Questi reperti di un mondo fallito vogliono ora governare l'Italia. E io con loro non ci sto. La storia gli ha dato torto, la realtà li svergogna e noi dovremmo fidarci? È stata l'apertura a sinistra a dare inizio alla putredine. {{Int|''Eppur si muove''|a cura di Indro Montanelli e Beniamino Placido, Rai 3, 1994.}} *Ogni italiano è insieme furbo e fesso. L'italiano è furbissimo nella gestione dei suoi affari privati, può ricorrere a tutte le astuzie, è attento, è accorto, ed è assolutamente fesso nel non rendersi conto che se i suoi affari privati rimangono immessi in una società che non funziona – cioè dove gli interessi generali vengono trascurati e negletti – i suoi interessi privati finiscono col soffrirne e col condurlo al fallimento. Questo, a noi italiani, non entra in testa. (6 febbraio 1994) *È probabile che molti stranieri mandino i loro figli, a Roma, a scuola. Ma quali scuole? Alle loro. Gli americani mandano i loro figli alla scuola americana, i tedeschi alla scuola tedesca, i francesi alla scuola francese. Non li mandano mica alla scuola italiana, se ne guardano bene e hanno ragione, visto il modo in cui si insegna in Italia. (ibidem) *Da noi prima uscivano dei ragazzi che sapevano abbastanza di greco, di latino, ma che il carattere non lo avevano formato a scuola: o se lo formavano da soli, oppure non se lo formavano mai. (ibidem) *Lo [[Zingari|zingaro]] che fa tranquillamente la sua vita non dà noia a nessuno, è quando ruba che, naturalmente, suscita qualche perplessità (uso un eufemismo). Diciamo la verità, in Italia il razzismo non c'è. Per inventare una questione razziale ci volle una legge, e una legge fatta da un regime totalitario perché il Paese non la sentiva. Non poteva sentirla perché non è nella nostra tradizione. [...] L'Italiano non ha dei risentimenti razziali. [...] {{NDR|Sugli episodi di intolleranza e di paura per il diverso}} È un fatto di piccolissime minoranze, diciamo la verità. Non inventiamo adesso una questione {{NDR|razziale}}. Io ho vissuto nelle società veramente razziste, è tutta un'altra faccenda. (con [[Serena Dandini]], 20 marzo 1994) *Io ebbi una moglie etiopica, nel senso che la comprai secondo l'uso locale. {{NDR|«Come, scusi?»}} Eh beh, ma gli usi locali erano questi. Tutti, anche gli etiopici, compravano la moglie. {{NDR|«Quanto costava una moglie?»}} Poco. Costava poco, mi pare che mi costò – allora, però (anno 1935) – 500 lire e un tucul {{NDR|trattando}} col suocero. Perché queste furono transazioni fatte dal mio emissario, che era il più anziano graduato della mia banda, col padre della ragazza. [...] Questo matrimonio durò finché noi stemmo di stanza a Saganèiti, cioè a dire prima che scoppiasse la guerra con l'Abissinia (che non fu precisamente una guerra, fu una specie di avventura). [...] Poi questa mia moglie, perché era considerata tale, quando io partii sposò un mio graduato e al primo figlio – è vivo tuttora, mi hanno detto – diede il mio nome, per cui alcuni credettero che fosse figlio mio. Non era figlio mio. Soltanto che per deferenza... {{NDR|«Lei non pensò mai di portarla con se in Italia?»}} Beh, no. No, anche perché era molto difficile strapparla ai suoi costumi. Lei stessa, in fondo, non voleva venire. Lei apparteneva alla sua terra, io le feci una piccola dote e quindi andò tutto regolarmente. Era molto bellina. (ibidem) *Gran parte delle forze leghiste, quelle che accennano a qualche razzismo nei confronti del meridionale, sono composte da meridionali che si sono milanesizzati e ci si trovano talmente bene a Milano che non vogliono che altri arrivino dal sud. (ibidem) *Per me la [[destra]] non è una [[ideologia]]: è un modello di comportamento. Si può essere di destra anche a sinistra. Questo comportamento è il criterio rigoroso del servizio della vita pubblica. (con [[Arnoldo Foà]], 17 aprile 1994) *Nella storia della [[Italia|nazione italiana]] io vedo pochi uomini all'altezza della qualifica di una destra illuminata che non solo accetta ma vuole le [[Riformismo|riforme]]. Un uomo di destra certamente io non credo che fosse [[Camillo Benso, conte di Cavour|Cavour]], del resto il suo connubio lo dimostra, la sua disinvoltura nelle alleanze politiche lo dimostra. Certamente di destra era [[Bettino Ricasoli|Ricasoli]]. Certamente era [[Quintino Sella|Sella]]. Certamente era [[Giovanni Giolitti|Giolitti]]: uomo che dette il suffragio universale, e che riconobbe il diritto di [[sciopero]]. Questo è un uomo di destra. Certamente un uomo di destra era [[Alcide De Gasperi|De Gasperi]], senza dubbio. E, adesso non vorrei scandalizzare la gente, ma direi che uomo di destra per il concetto che aveva dello [[Stato]] e del [[potere]] era anche [[Palmiro Togliatti|Togliatti]]. E questo dimostra che si può essere uomini di destra anche a [[sinistra]]. La destra è una regola di comportamento, una regola [[morale]] di comportamento. (ibidem) {{Int|''[https://web.archive.org/web/20101005073648/http://archiviostorico.corriere.it/1997/novembre/09/Montanelli_gambizzato_cinque_mesi_prima_co_0_9711098446.shtml Montanelli "gambizzato" cinque mesi prima: "Mi salvò una promessa a Mussolini"]''|''Corriere della Sera'', 9 novembre 1997, p. 29.}} *Quella mattina {{NDR|2 giugno 1977}} sono in due nei giardini di piazza Cavour, a Milano. Uno mi spara alle gambe. L'altro mi tiene nel mirino della sua pistola. I primi due – tre proiettili entrano nelle mie lunghe zampe di pollo. Non devastano né ossa né arterie. Ma sarebbero sufficienti per far cadere a terra qualsiasi cristiano. In quegli attimi ricordo la promessa che avevo fatto a Mussolini, e a me stesso, quando, bambino, mi ritrovai intruppato nei balilla: "Se devi morire, muori in piedi!" Davanti a questi vigliacchi che non hanno il coraggio di affrontarmi in faccia, penso, non posso morire in ginocchio. E mi aggrappo alla cancellata dei giardini. Non sto in piedi sulle gambe, ma mi reggo dritto con la forza delle braccia. E quello continua a sparare e a centrare le mie zampe di pollo. Se mi fossi accasciato, se mi fossi inginocchiato davanti a lui, a quell'ora sarei morto. *Per [[Renato Curcio|lui]] ho sempre avuto rispetto. Penso che la sua autoemarginazione dalla società prima e l'emarginazione che la società gli ha imposto poi ci abbiano privato di un uomo di valore. Non lo conosco di persona, ma lo stimo, anche se poteva essere lui quello che ha mandato i due ragazzi a spararmi. Non ho rancore: quando la guerra è finita gli avversari si devono stringere la mano e devono brindare alla pace ritrovata. *Apprezzo il coraggio di chi non si pente per ricavarne un utile, di chi non denuncia il compagno di errori ma riconosce i propri torti. Almeno i brigatisti lottavano per ideali diversi da quelli dello stalinismo e del comunismo sovietico. I terroristi neri, invece, volevano soltanto restaurare un regime sepolto dalla storia. I rossi non sapevano bene cosa ma avevano in mente qualcosa di nuovo. *{{NDR|«E se avessero vinto loro?»}} Impossibile. L'esistenza del terrorismo ha soltanto ribadito le manchevolezze del nostro Paese: uno Stato inefficiente e un popolo codardo e conformista. *{{NDR|Sui burattinai, i Grandi Vecchi, la Cia, i Servizi segreti}} Fregnacce: che gliene poteva importare alla Cia di fucilare gente come il buon Casalegno o quel galantuomo di Emilio Rossi, vent'anni fa direttore del Tg Uno, o quel bischero di Montanelli? La dietrologia era una divagazione di intellettuali perditempo. Il vero problema era ed è un altro: finché non ci decideremo a riconoscere la mancanza negli italiani di una coscienza nazionale e civile questo pericolo del terrorismo lo correremo sempre. E questa fabbrica di una coscienza nazionale e civile io non la vedo nascere. *{{NDR|Sul dolore che il tempo non ha cancellato nei parenti delle vittime}} Anche noi italiani dobbiamo imparare a pagare gli inevitabili tributi dovuti alla Storia come hanno saputo fare tutti i Paesi occidentali. Il dolore resta, ma la piaga va ricucita. Una volta per tutte. {{Int|''[http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/1998/07/25/borghesia-vile-deludente.html Borghesia vile e deludente]''|''la Repubblica'', 25 luglio 1998, p. 8.}} *È la solita bruciante delusione, questa nostra borghesia. Non cambia mai, è sempre la stessa: la più vile di tutto l'Occidente. Gente portata a correr dietro a chi alza la voce, a chi minaccia, al primo manganello che passa per la strada. Questo sono i nostri borghesi: tutti fascisti sotto il fascismo, poi tutti antifascisti fin dall'indomani. Quando il comunismo era forte e faceva paura, e io fondai ''il Giornale'', mi lasciarono solo e senza un soldo. Ai tempi del terrorismo, amoreggiavano con gli estremisti nella speranza che quelli – andati al potere – gli risparmiassero la villa e il portafoglio. E ora che il comunismo non c'è più, si scoprono tutti anticomunisti, questi sedicenti liberaloni. *Il loro eroe è sempre chi brandisce il [[manganello]]. Ieri, il manganello vero. Oggi, quello catodico delle televisioni. Il liberalismo vero l'hanno sempre tradito, anzi non hanno mai saputo che cosa sia. Non vogliono le regole, detestano le leggi, vogliono avere le mani libere per fare quello che gli pare, in nome della loro cosiddetta «[[efficienza]]». Quando abbiamo fondato ''la Voce'' l'abbiamo toccato con mano: parlare di regole e di legalità a questa gente è peggio di un insulto, una bestemmia in chiesa. *L'ho sempre detto che fu un errore, quattro anni fa, defenestrarlo. Bisognava lasciarlo lì ancora un bel po', così tutti avrebbero capito quanto vale, che razza di statista è... Magari adesso non saremmo in Europa, ma non avremmo così tante gente che si lascia ubriacare dalla sua propaganda, che prova nostalgia per lui. *{{NDR|«E se un giorno si andasse a votare per il suo referendum, quello per abolire i reati del Cavaliere?»}} In quella forma, mi pare difficile che si arrivi, anche se in Italia non si sa mai. Comunque, se si votasse, credo che anche lì vincerebbe lui. Perché è quello che vuole questa nostra borghesia. Ormai è ufficiale: Berlusconi ce lo meritiamo. {{Int|''[http://www.repubblica.it/online/politica/satiquattro/montanelli/montanelli.html L'Italia di Berlusconi è la peggiore mai vista]''|''la Repubblica'', 26 marzo 2001.}} *Io voglio che vinca, faccio voti e faccio fioretti alla Madonna perché lui vinca, in modo che gli italiani vedano chi è questo signore. [[Silvio Berlusconi|Berlusconi]] è una malattia che si cura soltanto con il vaccino, con una bella iniezione di Berlusconi a Palazzo Chigi, Berlusconi anche al Quirinale, Berlusconi dove vuole, Berlusconi al Vaticano. Soltanto dopo saremo immuni. L'immunità che si ottiene col vaccino. *È strano: io non avevo mai preso parte alla campagna di demonizzazione: tutt'al più lo avevo definito un pagliaccio, un burattino. Però tutte queste storie su Berlusconi uomo della mafia mi lasciavano molto incerto. Adesso invece qualsiasi cosa è possibile: non per quello che succede a me, a me non succede nulla, non è che io rischi qualcosa, è chiaro. Quello che fa male è vedere questo berlusconismo in cui purtroppo è coinvolta l'Italia e anche tante persone perbene. *La scoperta che c'è un'Italia berlusconiana mi colpisce molto: è la peggiore delle Italie che io ho mai visto, e dire che di Italie brutte nella mia lunga vita ne ho viste moltissime. L'Italia della [[marcia su Roma]], becera e violenta, animata però forse anche da belle speranze. L'Italia del 25 luglio, l'Italia dell'8 settembre, e anche l'Italia di piazzale Loreto, animata dalla voglia di vendetta. Però la volgarità, la bassezza di questa Italia qui non l'avevo vista né sentita mai. Il berlusconismo è veramente la feccia che risale il pozzo. {{Int|''La Storia d'Italia di Indro Montanelli''|a cura di Mario Cervi, interviste di Alain Elkann, ''Cecchi Gori Editoria Elettronica Home Video'', 1999.}} *Il silenzio mantenuto finora {{NDR|sui massacri delle foibe}}, o quasi silenzio, si spiega facilissimamente: tutta la storiografia italiana del dopoguerra era di sinistra, apparteneva all'intellighenzia di sinistra, la quale era completamente succuba del Partito Comunista. Quindi non si poteva parlare delle foibe, che non appartenevano al comunismo italiano, ma appartenevano certamente al comunismo slavo, di cui però il comunismo italiano era alleato e faceva gli interessi. Quindi di questo non si poteva parlare, e non si poteva parlare delle stragi del triangolo della morte, perché anche queste ricadevano sulla coscienza – ammesso che ce ne sia una – del Partito Comunista, il che sta a dimostrare quello che dicevo prima, cioè che la Resistenza non fu una resistenza, fu una guerra civile tra italiani che continuò anche dopo il 25 aprile. [...] {{NDR|Sull'eccidio dei conti Manzoni}} Andai come giornalista [...] per appurare com'era andata la strage dei conti Manzoni, dopo la fine della guerra. [...] Una famiglia di persone che col fascismo non aveva niente a che fare, ci aveva convissuto come tutti gli italiani. Bene, nessuno mi voleva parlare di questa faccenda. [...] Nessuno ne aveva parlato, né dei Carabinieri né della Polizia e tantomeno della magistratura, eppure lo sapevano. [...] C'era una complicità assoluta, una complicità dannata. [...] Se ne parla ora perché il Muro di Berlino è crollato, ma si ricordi che trent'anni fa, quando [[Renzo De Felice|De Felice]] annunziò di mettere allo studio il ventennio fascista per sapere com'era andata, fu proposta la sua estromissione dalla cattedra universitaria, solo perché metteva allo studio un ventennio di storia italiana che, bella o brutta, c'era stata. [...] Non era possibile inquadrare storicamente il fascismo: chi lo faceva, cercando di spiegare i perché della sua durata, ed anche i perché della sua catastrofe, veniva accusato di fascismo. (da ''Dalla Monarchia alla Repubblica'') *È difficile sapere che cosa fu [[Palmiro Togliatti|Togliatti]], perché Togliatti non ha lasciato memoriali, non ha lasciato diario, che cosa pensasse Togliatti non lo sapeva nessuno, credo nemmeno la sua compagna Nilde Iotti. Si può dire che è stato un esecutore fedele degli ordini di [[Stalin]]. Lo è stato sempre, e per questo godeva la fiducia di Stalin. [...] Era un diplomatico per sé, soprattutto, perché é un uomo sopravvissuto a venticinque o trent'anni anni di Mosca, senza finire in galera, processato o contro il muro. Beh, questo è uno dei grandi personaggi. Sono pochi. {{NDR|«Non era uno statista, per esempio?»}} Non poteva essere uno statista perché i comunisti non hanno lo Stato nel sangue, i comunisti hanno il partito. Stalin non è mai stato Capo dello Stato, e nemmeno Capo del Governo, era capo del partito. Il potere nei regimi comunisti non sta né nello Stato né nel governo, sta nel partito. (da ''Dalla proclamazione della Repubblica al Trattato di pace'') *Questa [[Costituzione della Repubblica italiana|Costituzione]] porta male gli anni da quando aveva un giorno, perché fu subito chiaro quali erano i suoi difetti. Del resto furono anche denunciati da uomini come, per esempio, [[Piero Calamandrei|Calamandrei]], come Mario Paggi. (da ''Dall'assemblea costituente alla vigilia delle elezioni del 1948'') *I difetti furono soprattutto due. Il primo difetto fu di ripartizione dei lavori. La Costituente era formata da 600 membri eletti di passaggio. Voglio {{NDR|far}} notare che quella fu la prima elezione che si tenne in Italia – per la Costituente, non per il Parlamento – ma dove ci fu lo spiegamento dei partiti. Ogni partito portò i suoi candidati, cioè dei giuristi che facevano capo alla propria ideologia. Bene, in quella prima elezione il 35% dei voti andò ai democristiani, il 21% andò ai socialisti di [[Pietro Nenni|Nenni]], il 19% ai comunisti. Quindi in quel momento... non c'era ancora il Fronte ma in quel momento i socialisti facevano premio sui comunisti. Erano di poco, ma un po' più forti dei comunisti. [...] Questi 600 costituenti non potevano lavorare tutti insieme, era impossibile mandare avanti 600 persone a dibattere all'infinto le stesse cose, e allora i lavori furono devoluti a una commissione che si chiamò la ''Commissione dei Settantacinque'', perché erano 75 membri della Costituente che venivano incaricati per le loro competenze specifiche di redigere il testo. Ma anche 75 erano troppi, e allora anche i 75 si frazionarono in sotto-commissioni, ognuna delle quali lavorò per conto suo. Non ci fu un piano di insieme. {{NDR|«Quindi non fu un vero lavoro collettivo»}} Non fu un vero lavoro collettivo. Calamandrei lo disse subito: «Noi stiamo montando una macchina, che magari pezzo per pezzo sarà anche ben fatta, ma le cui giunture non coincidono con le giunture di altri pezzi». [...] Fu lasciata così perché nessuno volle rinunziare al proprio elaborato, e questo è tipico degli italiani. (da ''Dall'assemblea costituente alla vigilia delle elezioni del 1948'') *Il secondo motivo che rese questa Costituzione veramente impalatabile e nociva per il regime che ne doveva nascere, fu che i nostri costituenti partirono dal punto di vista opposto a quello da cui sarebbero partiti i costituenti tedeschi quando la Germania fu libera di elaborare una sua Costituzione. Da che cosa partirono i costituenti tedeschi? Da questo ragionamento: il nazismo fu il frutto della Repubblica di Weimar. Cos'era la Repubblica di Weimar? Era l'impotenza del potere esecutivo, cioè del Governo. [...] La Germania rimase nel disordine, nel caos, nella Babele dei partiti che non riuscivano a trovare mai delle maggioranze stabili, quindi dei governi efficaci. Ecco perché Hitler vinse, perché il nazismo vinse. I costituenti nostri partirono dal presupposto contrario, cioè dissero: «Cos'era il fascismo? Il fascismo era il premio dato a un potere esecutivo che governava senza i partiti, senza controlli eccetera. Quindi noi dobbiamo esautorare completamente il potere esecutivo, {{NDR|negando}} la possibilità di dare ai governi una stabilità, eccetera». Per rifare che cosa? Weimar. Cioè, mentre i tedeschi partivano dalla negazione di Weimar, noi arrivavamo {{NDR|a Weimar}} senza dirlo. Nessuno lo disse, ma questo fu il risultato. [...] Non fu possibile nemmeno introdurre quella solita linea di sbarramento che invece fu introdotta in Germania, per cui i partiti che non raggiungevano non ricordo se il 5 o il 3%, non avevano diritto a una rappresentanza. No, tutti i partiti dovevano esserci e tutti avevano un potere di ricatto sulle maggioranze, che erano per forza di cose di coalizioni. (da ''Dall'assemblea costituente alla vigilia delle elezioni del 1948'') *Gli italiani non imparano niente dalla Storia, anche perché non la sanno. {{NDR|«Forse non amano la Storia»}} Non la amano, non la leggono, non se ne interessano, ma questo anche le classi dirigenti: sono uguali, intendiamoci. {{NDR|«Lei auspica che venga rifatta questa Costituzione»}} Sì, ma che venga rifatta secondo criteri logici, non {{NDR|secondo}} criteri illogici. Tutte le volte che si diceva «Ma qui bisogna restituire un po' di autorità al potere esecutivo, bisogna mettere i governi in condizione di governare» si diceva: «Fascista! Fascista!». Con questo ricatto qui abbiamo fatto le più grosse scempiaggini che si potesse immaginare. (da ''Dall'assemblea costituente alla vigilia delle elezioni del 1948'') *La fine di [[Alcide De Gasperi|De Gasperi]] è la fine di un'epoca: con lui finisce un'epoca e ne comincia un'altra non certamente migliore. [...] C'è una bella pagina della figlia di De Gasperi, Maria Romana, che ha scritto un bel libro sul padre. Un libro tutto vero in cui racconta anche i funerali su in Val Sugana: c'era naturalmente tutta la nomenclatura democristiana che accompagnava la bara. Oramai De Gasperi era morto, si poteva anche fingere il compianto, e a un certo momento un passante che era lì – uno che guardava, che non aveva niente a che fare con la politica, con la Democrazia Cristiana eccetera eccetera – si avvicinò al feretro e scansando questi turiferari della DC disse: «No, non è vostro! De Gasperi è nostro! Era un italiano!». E aveva ragione. De Gasperi era nostro, non un democristiano. (da ''Gli anni di Alcide De Gasperi'') *{{NDR|[[Giovanni Gronchi]]}} Era un uomo molto abile, brillante parlatore, molto abile anche negli affari. Era molto più libertino di [[Carlo Sforza|Sforza]], quindi la Democrazia Cristiana [...] era cambiata, evidentemente, e Gronchi fu eletto per una faida interna della Democrazia Cristiana, perché [[Amintore Fanfani|Fanfani]] voleva [[Cesare Merzagora|Merzagora]]. Allora per fare dispetto a Fanfani, invece gli buttarono fra i piedi [[Giovanni Gronchi|Gronchi]], il quale seppe benissimo tessere la sua trama fra Sinistra, Destra eccetera e far diventare gronchiani anche quelli degli altri partiti. Dicendosi agli uni uomo di Destra e agli altri uomo di Sinistra, facendo insomma il giuoco personale di Gronchi, con cui entrò in Quirinale il vero grande corruttore della vita politica italiana. [...] Dopo l'onestissimo [[Luigi Einaudi|Einaudi]] viene Gronchi, che è l'indulgenza plenaria verso tutte le deviazioni e i deviazionisti d'Italia. (da ''La rivolta in Ungheria e l'elezione di Giovannni XXIII'') *Questa storia dell'MSI è una delle grandi truffe della Prima Repubblica: nella Costituzione c'è un articolo che proibisce la rinascita di un partito fascista. Ecco. Ora, l'MSI era chiaramente un partito fascista. Non lo negava, anzi si faceva gloria del fatto di essere l'erede eccetera. Perché lo avevano messo, allora? Lo avevano messo perché questo partito fascista, che avrebbe dovuto essere escluso dalla vita politica, serviva a captare un certo numero di voti che, senza questo partito, sarebbero andati a dei partiti moderati di Centro e soprattutto, forse, alla Democrazia Cristiana. Quindi quale fu il gioco delle Sinistre, a cui la Democrazia Cristiana però si piegò e si rassegnò: è consentito di esistere all'MSI, però l'MSI quando è in Parlamento è escluso dal gioco parlamentare. Così si mettevano i voti dell'MSI in ''frigidaire'', e così non andavano alla Democrazia Cristiana e ai partiti {{NDR|di Centro}}. È una delle peggiori truffe che è stata inventata dalla classe politica che ci ha governato per cinquant'anni. (da ''I successori di De Gasperi e la politica italiana fino alla morte di Togliatti'') *Io vorrei sapere quali furono le crescite... di civiltà che il [[Sessantotto]] pretende di averci lasciato. Io vedo tutt'altra cosa: io vidi nascere, dal Sessantotto, una bella torma di analfabeti che poi invasero la vita pubblica italiana, e anche quella privata, portando dovunque i segni della propria ignoranza. Io ho visto questo. Può darsi che sia affetto da sordità o da cecità ma io non ho visto altro, come frutti del Sessantotto. (da ''Il Sessantotto e la politica di Berlinguer'') *{{NDR|La differenza tra il Sessantotto francese e quello italiano è}} La differenza che passa fra l'originale e il fac simile perché il Sessantotto nacque in [[Francia]] e in [[Italia]] fu un fatto di riporto, di imitazione. {{NDR|«Che vi fu in tutto il mondo, però, questo»}} Un po' in tutto il mondo ma particolarmente in Italia dove non nasce mai niente, è sempre qualcosa di imitato dagli altri. Bene o male, insomma, i francesi ebbero... anche una certa cultura del Sessantotto, ebbero [[Jean-Paul Sartre|Sartre]]. Oddio, Sartre rivisto con gli occhi di oggi naturalmente scende molto dal suo mitico piedestallo. [...] In Italia non ci fu neanche un Sartre. (da ''Il Sessantotto e la politica di Berlinguer'') *Credo che su [[Pier Paolo Pasolini|Pasolini]] si sia preso un grosso abbaglio: Pasolini è passato per uno scrittore di sinistra perché aveva preso come sfondo dei suoi racconti – bellissimi del resto – il sottoproletariato delle borgate romane, i ragazzi di vita, insomma, la schiuma della società. Ma lo aveva fatto per dei gusti e dei motivi del tutto personali sui quali è inutile tornare a far commenti. Questo lo aveva fatto considerare come uno scrittore, un difensore del proletariato, ma non era una scelta politica quella che aveva fatto Pasolini. Non c'entrava niente, assolutamente nulla. Quindi quello che lui disse era assolutamente vero, cioè dire che nei tafferugli, dove spesso ci scappava il morto, tra quei dilettanti delle barricate che erano {{NDR|dei borghesi}}, i veri proletari erano i poliziotti, tutti figli di famiglie povere, eccetera eccetera. I dilettanti delle barricate erano tutti o quasi tutti figli di papà: aveva ragione Pasolini! Ma come no! E questo fu considerato un tradimento all'ideologia di sinistra. (da ''Il Sessantotto e la politica di Berlinguer'') *Il primo fenomeno fu il Sessantotto, e il Sessantotto partorì poi il terrorismo, il brigatismo rosso eccetera eccetera. Su questo non ci son dubbi, insomma. Dirò di più: i più seri, e forse gli unici seri, furono quelli che poi diventarono dei terroristi e che quindi rischiarono la loro vita, almeno. Gli altri erano quello che diceva Pasolini, dei figli di papà. (da ''Il Sessantotto e la politica di Berlinguer'') *{{NDR|La figura del Grande Vecchio}} È una di quelle fandonie, di quelle stupidaggini che piacciono tanto a noi italiani: l'idea di un Grande Vecchio che organizzasse tutte queste stragi, attentati eccetera eccetera. È un affare da Simenon di borgata insomma – no? Piaceva l'idea che ci fosse dietro tutta una strategia. Sennonché poi non si sapeva chi fosse il Grande Vecchio. {{NDR|«Aveva un volto questo grande vecchio?»}} Ne ha avuti molti: naturalmente [[Giulio Andreotti|Andreotti]] – quello non manca mai, quando si cerca un ''deus ex macchina'' di tutto ciò che di più criminale è avvenuto in questo Paese {{NDR|c'è}} Andreotti. {{NDR|«Però in quel momento non era tanto vecchio»}} In quel momento non era tanto vecchio, ma il Grande Vecchio non ha nulla di anagrafico, è il Grande Vecchio così – poi Gelli, poi Sindona. Ha avuto varie raffigurazioni che sono tutte di fantasia. (da ''Piazza Fontana e dintorni'') *Se c'era un funzionario corretto, che veniva portato come esempio da tutti i suoi colleghi, era Calabresi. Per quale motivo si scatenò questa campagna contro di lui non lo so. È vero che aveva interrogato [[Giuseppe Pinelli|Pinelli]], ma gli interrogatori di Calabresi facevano testo per la loro correttezza. Sempre. [...] Non so per quale motivo, a un certo momento, la stampa s'incendiò e cominciò ad additare Calabresi come «il bruto», come «lo scherano del potere sopraffattore e assassino». Questo si lesse in vari giornali. Ora, il potere sopraffattore assassino in quel momento era rappresentato da [[Mariano Rumor|Rumor]] e da [[Emilio Colombo|Colombo]]: mi dica lei se hanno il viso dei sopraffattori assassini. Magari lo fossero stati un po', ma immaginiamoci. E questa campagna fu implacabile, assolutamente implacabile. (da ''Piazza Fontana e dintorni'') *Come in tutti i processi italiani anche questi, che poi volevano arrivare all'identificazione dei responsabili e non ci arrivarono quasi mai, erano dominati dal cosiddetto «teorema»: si partiva dal presupposto... a un certo momento si mise di parlare degli anarchici – si smise quasi subito di parlare {{NDR|degli anarchici}} – e tutte le lampadine furono rivolte ai partiti e alle forze di Destra. Erano quelle le forze stragiste. [...] I nostri bravi giudici, salvo alcuni, partivano dal presupposto che {{NDR|i colpevoli}} certamente venivano di lì, venivano dalle Destre, dalle Destre più violente. Alle quali si attribuiva, sempre per «teorema», questa idea: creare una tensione nel Paese in modo da impaurire gli italiani e metterli alla scelta «o la libertà o l'ordine», perché insieme non potevano andare. Nella libertà era chiaro che non si poteva mantenere l'ordine, e loro dicevano: «Qualunque popolo messo a questa scelta sceglie l'ordine». Ecco. È un teorema. È un teorema che ha sempre cercato dimostrazione e non l'ha trovata mai. (da ''Piazza Fontana e dintorni'') *[[Bettino Craxi|Craxi]] era un uomo di partito certamente molto accorto, era un uomo valido di governo perché sapeva decidere. Che cosa fosse lo Stato, da buon socialista, non lo sapeva. (da ''Il terrorismo fino al sequestro e all'uccisione di Aldo Moro'') *Quelle lettere erano tutte farina del sacco di [[Aldo Moro|Moro]], e questa farina non è molto encomiabile perché, vede, tutti gli uomini hanno diritto ad avere paura. Tutti. Però quando un uomo sceglie la politica, e nella politica emerge a [[Statista|uomo di Stato]] – a uomo rappresentativo dello Stato – non perde il diritto a avere paura, ma perde il diritto a mostrarla. Questo sì. Questo è uno dei principi che dovrebbe essere affermato. L'incidente, tipo quello di Moro, fa parte del mestiere. Chi affronta quel mestiere deve sapere che può incorrere in quell'incidente e deve avere i nervi, e diciamo gli altri attributi, per resistere. Moro era lo Stato. Lo Stato si raccomandava, implorava, minacciava la classe politica che facesse di tutto, anche che si prostituisse, per salvargli la vita: eh, no. No. Moro era certamente un politico a modo suo, estremamente abile – era anche un galantuomo, credo – ma uomo di Stato non era nemmeno lui. [...] Anch'io mi sono posto questa domanda molto spesso: «Ma se Moro fosse tornato in politica dopo aver costretto lo Stato a prostituirsi, a inginocchiarsi di fronte ai terroristi, avrebbe potuto restarci?». Avrebbe potuto restare? Con che faccia? Vabbè che siamo in Italia. {{NDR|«Forse lo Stato sarebbe stato un altro perché i terroristi avrebbero vinto»}} Appunto. I terroristi avrebbero vinto. Quindi lui che cosa diventava, il braccio politico del terrorismo? Che cosa diventava? Come poteva ripresentarsi? Va bene, gli italiani hanno lo stomaco forte, inghiottono tutto – noi italiani abbiamo lo stomaco forte e inghiottiamo tutto – ma, insomma, di fronte a un uomo la cui vita, la cui sopravvivenza, aveva avuto quel prezzo per noi non credo che avrebbe potuto ripresentarsi all'opinione pubblica italiana. (da ''Il terrorismo fino al sequestro e all'uccisione di Aldo Moro'') *Noi naturalmente abbiamo il dovere di ringraziare [[Michail Gorbačëv|Gorbačëv]] per quello che ha fatto, però se lei mi chiede se lo ha fatto bene o lo ha fatto male io debbo rispondere che lo ha fatto malissimo. Io non so se lui... che lui volesse salvare la Patria sovietica questo non lo metto in dubbio. Che lui volesse salvare il comunismo... io debbo risponderle di no, perché quello che lui ha fatto per affossare il comunismo lo ha fatto. (da ''Giovanni Paolo II e la fine dell'URSS'') *Anche i cinesi si erano accorti che il sistema comunista era arrivato al capolinea, era fallito. Fallito perché non regge, assolutamente non regge. {{NDR|Il sistema comunista}} Aveva portato il Paese, e i Paesi che lo avevano adottato, al fallimento. Anche i cinesi si erano accorti di questo, però avevano capito che per trasformare un sistema oramai ancestralmente totalitario, statalizzato, che aveva tolto ogni libertà a tutti, che aveva disabituato tutti da ogni spirito di iniziativa e di impresa... per trasformare un'economia basata su questi principi fallimentari in un'economia capitalista basata sul libero mercato, sulla libera concorrenza eccetera, bisognava tenere in mano il potere politico per controllare questo passaggio. I cinesi lo fecero. Quando gli studenti di Pechino credettero di potergli {{NDR|al governo cinese}} prendere la mano scendendo in [[Protesta di piazza Tienanmen|piazza Tienanmen]] i cinesi non esitarono a mitragliarli e, per quanto un massacro non possa che essere esecrato, io dico questo: i cinesi erano obbligati a farlo. Se non lo facevano la Cina si dissolveva, ritornava quella di [[Chiang Kai-shek]]: ritornava quella dei signori della guerra, cioè il Paese si disfaceva. Il Paese che bene o male [[Mao Tse-tung]] aveva unificato e a cui aveva dato un'anima di Nazione si sarebbe disfatto. (da ''Giovanni Paolo II e la fine dell'URSS'') *{{NDR|Su [[Licio Gelli]]}} L'avevo visto una volta e questo [...] rendeva ancora più grande la mia sorpresa. Io avevo un giornale, ''il Giornale'', che non aveva patroni, non aveva pubblicità, che quindi aveva delle grosse difficoltà di tirare avanti. La proprietà era divisa fra me e una trentina di altri redattori, e non avevamo niente in mano. Io non trovavo una banca che mi facesse un fido, non trovavo una società pubblicitaria che mi garantisse un minimo decente delle cose [...]. A un certo momento il capo del nostro ufficio romano, Trionfera – che era massone, ma non P2 – mi disse «Senti, vieni a Roma perché so che c'è un signore che sta diventando il padrone della stampa italiana». Dico «Come? Il padrone della stampa italiana?» «Sì, c'è un signore che, a quanto pare, ha assunto un potere straordinario nel mondo dell’editoria e forse lui può anche aiutarci». [...] Andai a Roma e allora {{NDR|Renzo Trionfera}} mi disse che lui aveva appuntamento con questo signor Gelli, di cui io sentivo il nome per la prima volta [...], però dovevamo andarci quasi di nascosto. [...] Andammo [...] e così vidi Gelli per la prima e unica volta. Gli esposi la situazione e lui mi disse: «Ma questi sono dettagli, queste sono piccolezze, non sono problemi gravi perché qui, oramai, bisogna procedere a ben altro. Bisogna chiamare a raccolta tutta questa stampa italiana che è litigiosa, che è settaria. Bisogna darle un indirizzo unico». Allora io lì lo fermai. Dissi: «Come fa a darle un indirizzo unico? La stampa segue criteri diversi, i giornalisti...». «Macché giornalisti – disse lui – qui ci vuole un padrone della stampa!». Dico «Ma non esiste un padrone della stampa, a meno che non rifacciamo il Minculpop fascista, allora c'era un padrone perché c'era un regime che faceva il padrone». {{NDR|Licio Gelli}} Dice «Basta comprare la proprietà dei giornali». Dissi «Ma scusi, ci sono degli editori che non vendono» [...] «Questione di prezzo». Il discorso andò avanti su questi binari, quando uscimmo io dissi a Trionfera: «Senti, ma questo qui è il più grosso farabolano con cui abbiamo avuto a che fare, uno che si immagina di comprare tutta la stampa e di ridurla ai suoi ordini, va be', o è un matto, o è un matto, oppure è proprio un piazzista, un fregnacciaro qualsiasi insomma». Questo fu l'unico incontro. [...] Uno che faceva questi discorsi naturalmente mi sembrava inutile continuare a frequentarlo. Di lì a poco venne fuori la lista degli iscritti alla P2 e venne fuori l'identificazione di Gelli col Grande Vecchio, col famoso Grande Vecchio. {{NDR|«Finalmente si era trovato»}} Finalmente si era trovato il Grande Vecchio autore di tutte le stragi, le cose..., {{NDR|«Il vero Grande Vecchio»}} il bieco Grande Vecchio. Naturalmente non credetti nemmeno a questo. (da ''Il caso Sindona e la P2'') *Per istinto, e per come avevo visto e conosciuto [[Licio Gelli|Gelli]], io sono convinto che {{NDR|la [[P2|Loggia P2]]}} era una cricca di affaristi e basta. Era una cricca di affaristi condotta da un uomo che, evidentemente, come intrallazzatore doveva essere geniale. Era un pataccaro, indiscutibilmente era un pataccaro, ma che a tutto pensava fuorché a un ''golpe''. Non ci pensava nemmeno. Lui procurava affari e soprattutto fomentava carriere. Lui aveva capito qual è la struttura del potere in Italia, sempre, non soltanto allora, sempre: è una struttura mafiosa. Bisogna far parte di una cricca, di una conventicola in cui ognuno aiuta l'altro, e questo era la P2. [...] Ma che interesse poteva avere Gelli a rovesciare un sistema che gli consentiva di influire sino a quel punto? Quale interesse poteva avere? E poi, Gelli era un farabolano ma non doveva essere del tutto sprovveduto, doveva sapere che l'[[Italia]] non è terra da ''golpe''. Ma chi lo fa il ''golpe''? E anche se qualcuno lo fa, come fa a resistere? Che cos'ha dalla sua per fare il ''golpe''? Non ho mai creduto al golpismo di Gelli. (da ''Il caso Sindona e la P2'') *Il caso Chiesa era un caso modestissimo. Fece da detonatore perché il momento era maturo per arrivare a ''Tangentopoli'', che era dovuto a una cosa molto più complessa che era questa: che ci fosse la corruzione in Italia si è sempre saputo, la classe dominante promanava questo puzzo di fogna che tutti sentivano, il famoso «turarsi il naso». Soltanto che fin quando l'alternativa di questa classe politica allora al potere era un Partito comunista, che era un fac-simile di quello sovietico, basato sui carri armati, sulla polizia segreta, sulle delazioni, sui processi, [...] finché c'era questo spettro noi non potevamo prenderci il lusso di mettere sotto processo e mandare in galera la classe politica dirigente allora. Fu quando, col Muro di Berlino, crollò questo incubo che i tempi furono maturi perché questo avvenisse. (da ''Tangentopoli'') *Che {{NDR|la [[corruzione]]}} sia inestirpabile, di questo sono sicuro perché dura da 2000 anni. La corruzione non è soltanto nella politica: è nella società italiana! Noi italiani abbiamo sempre corrotto tutti! Tutti coloro che sono venuti in Italia a fare i padroni li abbiamo corrotti. [...] Noi dobbiamo metterci in testa che la lotta alla corruzione la si fa in un modo solo: cambiando gli italiani, non cambiando le classi politiche. Le classi politiche, anche quelle nuove, si corrompono. È inevitabile. (da ''Tangentopoli'') *[[Silvio Berlusconi|Berlusconi]] ha un sacco di qualità. C'è da dire, ha una grande immaginazione, una grande fantasia; ha un coraggio leonino nel buttarsi nelle imprese; sa trascinare molto bene; è un comunicatore eccezionale, sa accendere i suoi seguaci di entusiasmi eccetera eccetera, mi ricordo che una volta gli dissi: «Io sono sicuro che se tu ti mettessi a fabbricare dei vasi da notte, faresti venire la voglia di fare pipì a tutta l'Italia». (da ''Verso il bipolarismo'') *[[Silvio Berlusconi|Lui]] è un uomo d'attacco: se avesse fatto la carriera militare lui non sarebbe diventato né un [[Gerd von Rundstedt|Rundstedt]] né un [[Erich von Manstein|Manstein]], che furono i grandi strateghi tedeschi dell'ultima guerra. [...] Lui sarebbe diventato un [[Erwin Rommel|Rommel]] o un [[George Smith Patton|Patton]]. Cioè dire: è un generale di straccio e di rottura che, appunto, sullo slancio può compiere qualsiasi cosa. Se lo metti poi a difendere le posizioni conquistate con lo slancio, eh no, lì non ci sta. Come Rommel: Rommel finché poté attaccare in Libia e in Egitto attaccò. Quando dovette mettersi sulla difensiva chiese il rimpatrio. [...] Non sarebbe uomo di Curia e non è un uomo di pazienza, non è un uomo da guerra di posizione e di logoramento. (da ''Verso il bipolarismo'') *Lui Arrivò a Palazzo Chigi credendo, e facendo credere, che uno Stato si poteva condurre con gli stessi criteri di un'azienda privata. Io su questo avevo avuto serie discussioni con lui – non litigi, non ho mai litigato con Berlusconi – gli avevo detto: «Guarda che lo Stato non è un'azienda privata». [...] Lui credeva di potersi comportare a Palazzo Chigi, e con la macchina dello Stato, come si comportava con la sua organizzazione, dove la gente frullava e, se non frullava, lui la cacciava via, com'è giusto che faccia un imprenditore. Ma lui non poteva applicare questi metodi e sistemi allo Stato. Quando si trovò di fronte alla muraglia grigia, sorda e ottusa della burocrazia italiana, che è la peggiore, ma anche la più resistente del mondo, lui rimase senz'armi: non poteva licenziare neanche un usciere. Nel gioco parlamentare lui naufraga perché non è abituato a queste cose. La politica – non dico che sia solo un mestiere – ma è anche un mestiere. Questo mestiere lui non lo aveva. (da ''Verso il bipolarismo'') *Che gli italiani siano capaci di emanare leggi di riforma, ci credo senz'altro. L'Italia è la più grande produttrice di regole, ognuna delle quali è una riforma, è la riforma di un'altra regola. Gli stessi esperti pare che abbiano perso il conteggio delle leggi, dei regolamenti che vigono in Italia: c'è qualcuno che parla di 200.000, altri di 250.000. Ora, quando si pensa che la [[Germania]] ha in tutto 5.000 leggi, la [[Francia]] pare 7.000, l'[[Inghilterra]] nessuna, quasi nessuna – ha dei principi, così stabiliti. A cosa ha portato tutta questa proliferazione? A riempire gli scantinati dei nostri pubblici uffici, dove ci sono questi mucchi di legge che nessuno va nemmeno a consultare perché ognuna di queste leggi poi offre il modo di evaderle. Questa è la grande abilità dei legislatori italiani. I legislatori italiani sono quasi tutti degli avvocati. E gli avvocati a che cosa pensano? A ingarbugliare le leggi in modo da restarne loro i supremi e unici depositari. [...] Riforme: hai voglia se ne faremo, continuiamo a farne, è la nostra vocazione, questa. Quanto poi all'attuazione, allora è un altro discorso: le leggi in Italia non vengono osservate, anche perché sono formulate in modo che si possano non osservare. Ed è questo che spiega l'abbondanza, la prodigalità delle nostre classi politiche, delle nostre classi dirigenti, nello sfornarne di continuo. (da ''Dal Governo Dini all'Ulivo'') *Un Paese che ignora il proprio Ieri, di cui non sa assolutamente nulla e non si cura di sapere nulla, non può avere un Domani. Io mi ricordo una definizione dell'Italia che mi dette in tempi lontanissimi un mio maestro e anche benefattore, che fu un grande giornalista, [[Ugo Ojetti]], il quale mi disse: «Ma tu non hai ancora capito che l'Italia è un Paese di contemporanei, senza antenati né posteri perché senza memoria». Io avevo 25-26 anni e la presi per una ''boutade'', per una battuta, un paradosso. Mi sono accorto che aveva assolutamente ragione. Questo è un Paese che {{NDR|«È un Paese che non ama la Storia»}} ha una storia straordinaria, {{NDR|«Ma non la ama»}} ma non la studia, non la sa. È un Paese assolutamente ignaro di se stesso. Se tu mi dici cosa sarà un domani per gli italiani, forse sarà un domani brillantissimo. Per gli italiani, non per l'Italia. Perché gli italiani sono i meglio qualificati a entrare in un calderone multinazionale perché non hanno resistenze nazionali. Intanto hanno dei mestieri in cui sono insuperabili. [...] Voglio dirlo senza intonazioni spregiative, nei mestieri servili noi siamo imbattibili, assolutamente imbattibili. Ma non lo siamo soltanto in quelli. L'individualità italiana si può benissimo affermare in tutti i campi, anche scientifici. Io sono sicuro che gli scienziati italiani, i medici italiani, gli specialisti italiani, i chimici, i fisici italiani quando avranno a disposizione dei gabinetti europei veramente attrezzati brilleranno. Gli italiani, l'Italia no. L'Italia non ci sarà, non c'è. Perché gli italiani che vanno in Germania diventeranno tedeschi. [...] Alla seconda generazione sono assimilati. Dovunque vadano, sono assimilati. {{NDR|«Ma questo è un difetto?»}} No... è un difetto... è un difetto ed è anche una virtù. È una qualità. Voglio dire: per l'Italia non vedo un futuro, per gli italiani ne vedo uno brillante. (da ''Dal Governo Dini all'Ulivo'') ==Citazioni tratte dai giornali== ===''Corriere della Sera''=== <!--ordine cronologico--> *Gli eroi sono sempre immortali, agli occhi di chi in essi crede. E così crederanno, i ragazzi, che il «[[Grande Torino|Torino]]» non è morto: è soltanto «in trasferta». (7 maggio 1949) *{{NDR|A proposito di [[Maratea]]}} Forse in Italia non c'è paesaggio e panorama più superbi. Immaginate decine e decine di chilometri di scogliera frastagliata di grotte, faraglioni, strapiombi e morbide spiagge davanti al più spettacoloso dei mari, ora spalancato e aperto, ora chiuso in rade piccole come darsene. (4 ottobre 1957) *{{NDR|Su ''[[La dolce vita]]''}} Ma non c'è dubbio che qui ci si trova di fronte a qualcosa di eccezione (sic!) non perché rappresenti un meglio o un di più di ciò che finora si è fatto sullo schermo, ma perché ne va nettamente al di là, violando tutte le regole e convenzioni, a cominciare da quelle della durata, che supera le tre ore di spettacolo, per finire a quelle della trama, o meglio della non trama, perché non c'è. (''[http://cinquantamila.corriere.it/storyTellerArticolo.php?storyId=4d44ab344c050 Montanelli vede La Dolce Vita]'', 22 gennaio 1960) *{{NDR|Su ''[[La dolce vita]]''}} Non siamo più nel cinematografo, qui. Siamo nel grande affresco. Fellini secondo me non vi tocca vette meno alte di quelle che Goya toccò in pittura, come potenza di requisitoria contro la sua e la nostra società. (''ibidem'') *Il suo reportage non è una "patacca". Il poco – oh, molto poco! – che vi luce è proprio oro. E il molto che vi puzza è proprio fogna. Del resto, se così non fosse, il film sarebbe fallito come falliscono i reportages quando eludono la verità o non riescono a centrarla. Quindi, amici, vi prevengo se domani ''[[La dolce vita]]'' vi farà inorridire, non confutàtela dicendo: "Non è vero". Perché per esser vero, tutto ciò che qui è raccontato, lo è. D'altronde Fellini è ricorso al mezzo più spicciativo (e più diabolico) per dimostrarlo. (''ibidem'') *Ma mi affretto subito ad aggiungere che ''[[La dolce vita]]'' non è una polemica a sfondo giustizialista, che appunta i suoi strali sulle cosiddette classi alte. Non convincerebbe, in questo caso, o convincerebbe meno. Gli altri ambienti, che si srotolano giù giù negli appunti di questo reporter d'eccezione, sono descritti con la identica spietatezza, convalidata dalla stessa tecnica di rappresentare ciascuno nei propri panni. Lasciatemi testimoniare in tutta onestà che raramente ho visto qualcosa di più vero di quel salotto intellettuale. Esso ha dato perfino a me, che non ne frequento nessuno, un senso profondo di mortificazione, un vago anelito a cambiar mestiere e a iscrivermi, fo' per dire, ai coltivatori diretti. (''ibidem'') *Non è necessario essere socialisti per amare e stimare [[Sandro Pertini|Pertini]]. Qualunque cosa egli dica o faccia, odora di pulizia, di lealtà e di sincerità. (27 ottobre 1963) *Che i [[Rifugiati palestinesi|profughi palestinesi]] siano delle povere vittime, non c'è dubbio. Ma lo sono degli Stati arabi, non d'[[Israele]]. Quanto ai loro diritti sulla casa dei padri, non ne hanno nessuno perché i loro padri erano dei senzatetto. Il tetto apparteneva solo a una piccola categoria di sceicchi, che se lo vendettero allegramente e di loro propria scelta. Oggi, ubriacato da una propaganda di stampo razzista e nazionalsocialista, lo sciagurato ''fedain'' scarica su Israele l'odio che dovrebbe rivolgere contro coloro che lo mandarono allo sbaraglio. E il suo pietoso caso, in un modo o nell'altro, bisognerà pure risolverlo. Ma non ci si venga a dire che i responsabili di questa sua miseranda condizione sono gli «usurpatori» ebrei. Questo è storicamente, politicamente e giuridicamente falso. (16 settembre 1972) *[[Alexis de Tocqueville|Tocqueville]] diceva che «è nel sonno della pubblica coscienza che maturano le dittature». (da ''[https://web.archive.org/web/20160101000000/http://archiviostorico.corriere.it/1996/gennaio/13/platea_resta_assente_co_0_9601133631.shtml La platea resta assente]'', 13 gennaio 1996, p. 1) *Se si mettono a raffronto i due rivali come faccia, come presenza, come eloquio, come cordialità, insomma come simpatia umana, non c'è dubbio che Albertini ne ispira molto meno di Fumagalli, anzi diciamo la verità tutta intera: non ne ispira punta. Ed io, cittadino ed elettore milanese, proprio di questo sentivo il bisogno: di un sindaco antipatico, di faccia arcigna e poco invogliante alla pacca sulla spalla, al confidenziale «tu» e al pappecciccia coi sottoposti, e poco, anzi punto disponibile a quelle benevolenze, condiscendenze e indulgenze che rappresentano le supposte di glicerina di tutte le corruzioni. [...] Con Albertini ho parlato una sola volta. Ma mi è bastata per capire che, per rendersi antipatico, non ha bisogno di fare sforzi. Basta che si mostri com'è e come spero che rimanga: una specie di Molotov di Palazzo Marino, chiuso nei suoi caparbi ''niet'', diffidente, scostante e culdipietra. Che abbia una compagna fermamente decisa a non partecipare alla vita pubblica del compagno, anche questo ci va bene. [...] Si ricordi, signor Sindaco, che noi abbiamo votato per lei, non per questi papponi. (da ''[https://web.archive.org/web/20160101000000/http://archiviostorico.corriere.it/1997/maggio/13/tradito_Ulivo_co_0_9705136733.shtml Sì, ho tradito l'Ulivo]'', 13 maggio 1997, p. 1) *Non vorremmo, dopo averne deplorato il brutto vezzo, contribuire alle polemiche nel momento in cui bisogna invece accantonarle per fare compatto fronte per il salvataggio del salvabile. Ma basta con le «regole» che servono soltanto a rendere impenetrabili le responsabilità dei disastri quando i disastri si possono ricondurre a delle responsabilità umane (come non accade, per esempio, nei terremoti). Ma quando verrà l'ora della ricostruzione, ricordiamoci che l'[[urbanistica]] e il paesaggio italiani hanno bisogno non di altre, ma di meno «regole». E, più che di cemento, di dinamite. (da ''[https://web.archive.org/web/20160101000000/http://archiviostorico.corriere.it/1998/maggio/09/licenze_facili_leggi_oscure_co_0_9805099009.shtml Le licenze facili e le leggi oscure]'', 9 maggio 1998, p. 1) *Qualche dichiarazione meno infuocata contro la Giustizia di regime, come il [[Silvio Berlusconi|Cavaliere]] si ostina a definirla, avrebbe meglio aiutato la politica italiana a rimuovere il macigno che la paralizza, e che è lui, Berlusconi. (da ''[https://web.archive.org/web/20160101000000/http://archiviostorico.corriere.it/1998/luglio/14/RESTO_SIA_SILENZIO_co_0_9807143775.shtml E il resto sia silenzio]'', 14 luglio 1998, p. 1) *L'Italia sarà anche, come dicono i nostri tromboni universitari, «la culla del diritto». Ma è anche il sepolcro di una giustizia che, per decidere se un imputato è innocente o colpevole, aspetta il suo certificato di morte che la esenta dal dirlo. Il secondo problema è il reclutamento e la selezione [[magistratura|del personale]]. Come in tutte le altre pubbliche attività, anche nella giustizia c'è un dieci per cento di autentici eroi pronti a sacrificarle carriera e vita, ma senza voce in un coro di «gaglioffi» che c'è da ringraziare Dio quando sono mossi soltanto da smania di protagonismo. (da ''[https://web.archive.org/web/20160101000000/http://archiviostorico.corriere.it/1998/agosto/24/CARDINALE_MAGISTRATO_co_0_9808244892.shtml Il Cardinale e il Magistrato]'', 24 agosto 1998, p. 1) *Tutto si è risolto in un colpo solo, non si sa con precisione quando e come combinato, che ha tagliato la strada alla bagarre prima che cominciasse. E che, per quanto mi riguarda, mi ha liberato dall'incubo che turbava i miei inquieti sonni, e in cui mi vedevo in fuga da un mostro senza volto, ma che m'incalzava con la logorrea del presidente uscente, aggravata dall'accento irpino di Mancino e dalle corde vocali della signora Jervolino. [...] Siamo sicuri che il popolo, chiamato a pronunciarsi fra un [[Carlo Azeglio Ciampi|Ciampi]] e – faccio per dire – un [[Antonio Di Pietro|Di Pietro]], si sarebbe pronunciato per Ciampi? È una domanda che non aspetta risposta, ma che mi permetto di proporre ai lettori. Gran bella parola «il Popolo». E riconosciamogli pure l'attributo, che gli spetta, di «Sovrano». Ma insomma, meditate gente, meditate. (da ''[https://web.archive.org/web/20160101000000/http://archiviostorico.corriere.it/1999/maggio/14/QUASI_NON_CREDO_co_0_9905146643.shtml Quasi non ci credo]'', 14 maggio 1999, p. 1) *Tutti coloro che hanno svolto pubbliche funzioni in Sicilia sono rimasti e sono tuttora in qualche modo «collusi» con la mafia. Lo furono quotidianamente, e per secoli, il governo e la polizia borbonica. Lo fu [[Giuseppe Garibaldi|Garibaldi]] che in essa trovò, dopo lo sbarco, la sua prima alleata. Lo furono i governi nazionali sia di destra che di sinistra. Lo fu [[Giovanni Giolitti|Giolitti]] che pure non scese mai, a ch'io sappia, a sud di Napoli. Lo fu il presidente della vittoria, [[Vittorio Emanuele Orlando|Orlando]], che quando tornava a Palermo, la prima visita che rendeva non era al prefetto né all'arcivescovo, ma al capomafia. Tentò di non esserlo Mori che aveva licenza di uccidere garantita da un regime totalitario, e ci rimise il posto. Lo sono stati tutti i politiconi e politicastri della Prima Repubblica. Anche il cautissimo [[Giulio Andreotti|Andreotti]]? Può darsi, attraverso i suoi proconsoli ''in loco''. Ma il Tribunale deve aver capito che l'imputato non era lui. Era il costume morale e politico della nostra vita pubblica, sul quale un Tribunale non ha, né può né deve avere competenza. [...] E il problema, secondo me, è questo: che fin quando noi italiani crederemo di salvarci dalla peste mandando sul rogo una strega o un untore, dalla peste non ci libereremo mai. (da ''[https://web.archive.org/web/20160101000000/http://archiviostorico.corriere.it/1999/ottobre/24/TRIBUNALE_DELLA_STORIA_co_0_991024441.shtml Il tribunale della storia]'', 24 ottobre 1999, p. 1) *Ci dicano chiaro e tondo perché hanno smembrato il Ros, e hanno ridimensionato l'attività di Sco e Gico. Non ci raccontino che hanno voluto mettere al riparo il capitano Ultimo e i suoi uomini dalle possibili vendette della malavita. E soprattutto non vengano a ripeterci che il ''modus operandi'' dei servizi segreti, per impedirne le «deviazioni», dev'essere «trasparente». Questa, che un segreto possa essere trasparente, è un'idea da primato della cretineria. E, se non della cretineria, lo è della retorica virtuista o della menzogna truffaldina. (da ''[https://web.archive.org/web/20160101000000/http://archiviostorico.corriere.it/1999/novembre/02/PROCURATORE_BATTA_PUGNO_co_0_9911021451.shtml Procuratore batta il pugno]'', 2 novembre 1999, p. 1) *Era la prima volta che il partito socialista italiano aveva trovato un uomo {{NDR|Bettino Craxi}}, se non di Stato, almeno di governo, che lo aveva liberato dalla subalternanza al Pci, e condotto su posizioni democratiche, europeistiche e atlantiche. Lo avrà anche fatto con metodi alquanto spicciativi e disinvolti, più da padrino che da ''leader''. Ma mi chiedo se avrebbe potuto usarne di diversi per avere ragione dei vecchi tromboni del massimalismo populista e piazzaiolo con le loro clientele incrostate da decenni. E mi chiedo anche quanto contribuirono alla sua crocefissione i rancori e le acredini che si era lasciato dietro. Ma nella difesa si perse, e non per mancanza, ma forse per eccesso di coraggio. (da ''[https://web.archive.org/web/20160101000000/http://archiviostorico.corriere.it/2000/gennaio/20/STATISTA_LATITANTE_co_0_0001201104.shtml Lo statista latitante]'', 20 gennaio 2000, p. 1) *Anche noi siamo convinti che il Paese ha il diritto di conoscere la verità (che non riguarda soltanto quella di Piazza Fontana). Ma non ci riusciamo. Anche perché se la pista rimane, come sembra accertato, quella del terrorismo nero, non sappiamo quali nomi l'accusa potrà tirar fuori dal suo cappello. I tre maggiori indiziati sono già stati assolti con sentenza passata in giudicato che non consente di richiamarli sul banco degli imputati. Gli altri di cui si fa il nome non sarebbero che comparse, la più importante delle quali, Delfo Zorzi, risiede a Tokio con passaporto giapponese che lo mette al riparo da ogni pericolo di estradizione. Vale la pena ricominciare? L'''ouverture'' dei dibattimenti non è stata incoraggiante. Il proscenio era occupato da Capanna, Valpreda, [[Dario Fo]] e altri reduci sessantottini, cui si era aggiunto anche Sergio Cusani, l'intangentato convertitosi (lo diciamo senza nessuna ironia) al missionarismo. [...] Invano i portaparola della parte lesa, cioè dei familiari delle vittime, si sono dichiarati estranei e contrari a ogni tentativo di politicizzare il processo. Una parola. Non ci riescono nemmeno [[Jovanotti]] e [[Teo Teocoli|Teocoli]] con le loro filastrocche dal palcoscenico di Sanremo. Figuriamoci se potranno riuscirci i registi di questo processo ''rouge et noir'', se mai ve ne furono. [...] Ecco a cosa servono i processi come questo: non a cercare la verità, ma a fornire argomenti al ''rouge'' o al ''noir''. (da ''[https://web.archive.org/web/20160101000000/http://archiviostorico.corriere.it/2000/febbraio/26/QUELLA_VERITA_CHE_CERCHIAMO_co_0_0002264627.shtml Quella verità che cerchiamo]'', 26 febbraio 2000, p. 1) *Cosa c'entri la giustizia italiana in fatti e misfatti capitati trent'anni fa in un Paese {{NDR|l'[[Argentina]]}} di cui la metà della popolazione è di origine italiana, non riusciamo a capire. Ma ci pareva impossibile che l'iniziativa del giudice spagnolo Garzon per trascinare l'ex dittatore cileno [[Augusto Pinochet|Pinochet]] sul banco degli accusati di un tribunale madrileno non trovasse imitatori in un Paese di scimmie come il nostro. Grazie ad essa, il nome e il volto di Garzon sono noti in tutto il mondo. Ed è probabile che tra poco lo siano anche quelli del pubblico ministero Caporale. Vi pare poco in un'era dell'effimero come quella in cui stiamo vivendo, e che vede l'infittirsi di processi ai defunti, su cui le nuove leve della [[storiografia]] vorrebbero riscrivere il passato? (da ''[https://web.archive.org/web/20160101000000/http://archiviostorico.corriere.it/2000/aprile/03/QUEI_PROCESSI_CARO_ESTINTO_co_0_0004033275.shtml Quei processi al caro estinto]'', 3 aprile 2000, p. 1) *Dobbiamo avere la modestia di riconoscere che noi, come venditori, non leghiamo nemmeno le scarpe a un piazzista che se un giorno si mettesse a produrre vasi da notte, farebbe scappare la voglia di urinare a tutta l'Italia. (da ''[https://web.archive.org/web/20130619122825/http://archiviostorico.corriere.it/2001/febbraio/15/PREDICATORI_COMPARSE_co_0_0102158858.shtml I predicatori e le comparse]'', 15 febbraio 2001, p. 1) *Non sono mai venuto meno all'impegno, preso non con il Cavaliere, ma con me stesso, di non associarmi mai alla sua demonizzazione. Ma non posso sottacere ai lettori i pericoli che si nascondono sotto questa sua allergia alla verità, questa sua voluttuaria e voluttuosa propensione alle menzogne, la naturalezza con cui riesce a pronunziarle. (da ''Io e il cavaliere qualche anno fa'', 25 marzo 2001, p. 1) *Berlusconi, cui nulla riesce tanto bene quanto la parte di vittima e perseguitato. «[[Chiagne e fotte]]» dicono a Napoli dei tipi come lui. E si prepara a farlo per cinque anni di seguito. (da ''Io e il cavaliere qualche anno fa'', 25 marzo 2001, p. 1) ====''La stanza di Montanelli – rubrica''==== {{cronologico}} *{{NDR|[[Vittorio Sgarbi]]}} È un volgare calunniatore, che non disonora se stesso, ma anche il suo committente e padrone (tutti sappiamo chi è) che si serve di un simile scherano. (8 novembre 1995) *I [[Riformismo|riformatori]] italiani, quando si tratta di riformare ciò che non ha bisogno di essere riformato, sono instancabili. L'attività dell'Ucas, Ufficio complicazioni affari semplici, come ricordava un altro lettore esasperato, è frenetica. ([https://web.archive.org/web/20160101000000/http://archiviostorico.corriere.it/1995/dicembre/13/Ufficio_complicazioni_affari_semplici_co_0_9512139920.shtml 13 dicembre 1995]) *Io credo che il miglior omaggio che si può rendere a [[Aldo Moro|Moro]] sia quello di archiviare l'episodio che ne segnò la fine e dal quale, diciamo la verità, la sua immagine esce tutt'altro che bene. Quando sento dire che, oltre a quelle conosciute, ci sono anche altre lettere di Moro, prego Iddio che non vengano trovate. So già cosa contengono, e preferisco non leggerlo. (21 dicembre 1995) *È assolutamente impossibile istillare negli [[zingari]] il concetto di proprietà e quindi educarli al lavoro come mezzo per conquistarsela. Ma temo che sia altrettanto impossibile far capire tutto questo ai nostri pietisti, religiosi e laici, che farneticano di «integrarli». ([https://web.archive.org/web/20160101000000/http://archiviostorico.corriere.it/1995/dicembre/30/Viaggiai_sul_carrozzone_degli_zingari_co_0_95123012229.shtml 30 dicembre 1995]) *A me, invece, [[Beppe Grillo|Grillo]] piace. Lo considero il più efficace comico in circolazione. Anzi: «comico» non è la parola giusta. Grillo non è un comico, non è un moralista, non è un predicatore: è tutte queste cose insieme. Nel panorama dello spettacolo italiano, dove abbonda il bollito misto, è un'eccezione ambulante (e urlante). Lei ha ragione quando dice che Grillo esagera. Non soltanto esagera; provoca anche, e insulta, e offende. Ma tutte le categorie di giudizio, con un tipo così, risultano inadeguate. Grillo appartiene ad una specie animale particolare, formata da un solo esemplare: lui. O lo strozziamo o lo applaudiamo. Io, appena posso, lo applaudo. Perché i suoi eccessi, a differenza di quelli di [[Vittorio Sgarbi|Sgarbi]], odorano di bucato. ([https://web.archive.org/web/20160101000000/http://archiviostorico.corriere.it/1996/gennaio/11/Beppe_Grillo_incubo_esilarante_co_0_9601114281.shtml 11 gennaio 1996]) *Una delle eterne regole italiane: nel settore pubblico, tutto è difficile; la buona volontà è sgradita; la correttezza, sospetta. Per questo, le persone capaci continueranno a tenersi a distanza di sicurezza dalla «cosa pubblica», lasciando il posto ai furbastri (magari bravi) e alle mezze cartucce (magari oneste). Così, purtroppo, vanno le cose in questo bizzarro paese. ([https://web.archive.org/web/20160101000000/http://archiviostorico.corriere.it/1996/gennaio/26/Impegno_politico_caduta_delle_illusioni_co_0_9601261298.shtml 26 gennaio 1996]) *In una società libera il compito dei media non è «edificare la morale»; è informare, denunciare, stimolare, far riflettere, occasionalmente divertire. (28 gennaio 1996) *L'unico incoraggiamento che posso dare ai giovani, e che regolarmente gli do, è questo: «Battetevi sempre per le cose in cui credete. Perderete, come le ho perse io, tutte le battaglie. Una sola potete vincerne: quella che s'ingaggia ogni mattina, quando ci si fa la barba, davanti allo [[specchio]]. Se vi ci potete guardare senza arrossire, contentatevi». (20 febbraio 1996) *Non so se il Pci sia sotterraneamente sceso a trattative con le Br per convincerle a secondare questo piano. So soltanto che le Br, le quali invece la rivoluzione la volevano sul serio, lo rifiutarono, e fu proprio per farlo naufragare che rapirono e poi uccisero colui che doveva esserne lo strumento. [...] Fu il risoluto e quasi furibondo (oltre che sacrosanto) no dei comunisti che fece naufragare il tentativo {{NDR|Trattativa Stato-BR durante il sequestro [[Aldo Moro|Moro]]}}, che invece in seno alla Dc aveva parecchi sostenitori, anche se non osavano dirlo apertamente. Di qui le accuse e le insinuazioni contro i suoi compagni di partito, lanciate da Moro in quelle famose lettere, che avrebbe fatto meglio a non scrivere perché indegne di un vero uomo di Stato, anzi di un uomo tout court, e che ancor oggi forniscono materia al sospetto di una congiura fra democristiani – con l'aiuto dei soliti servizi segreti «deviati» – per sbarazzarsi di lui. Vero nulla. Forse nella Dc le forze «trattativiste», praticamente disposte alla resa alle Br, avrebbero vinto, se non ne fossero state impedite dalla risolutezza del Pci, che di un brigatismo assurto ad interlocutore dello Stato non voleva sentir parlare e di un Moro salvato al prezzo di una simile capitolazione non avrebbe più saputo che farsi. (26 marzo 1996) *No, è stata la persecuzione che ha costretto gli ebrei, per resisterle, a tendere ed affinare tutte le loro risorse intellettuali. Ecco il segreto dei loro primati. In tutto. E talvolta anche nella cretineria. (3 aprile 1996) *L'[[Allargamento della NATO|allargamento della Nato]] è una cosa maledettamente seria, e decisamente complessa. Parlarne prima delle elezioni presidenziali russe vuol dire buttare benzina sul fuoco; non parlarne oggi significa, forse, non parlarne più. [...] Innanzitutto, dobbiamo renderci conto che la Nato è un'organizzazione basata sul consenso: se si estende verso Oriente [...], la compattezza dell'alleanza rischia di incrinarsi. Ancor più delicata è una seconda questione. Governi e opinione pubblica occidentali devono capire le implicazioni della loro decisione. In seguito all'allargamento, i nuovi membri orientali della Nato (che siano solo Repubblica Ceca e Ungheria; o anche Polonia e Paesi Baltici) diventano nostri alleati, a tutti gli effetti. Questo vuol dire che, se venissero attaccati, dovremmo correre a difenderli. Domanda: siamo disposti a morire per Varsavia e Tallin? Se la risposta è «sì», allarghiamo pure la Nato. Se la risposta è «ma, forse...» – e in Italia sarebbe sicuramente «ma, forse...» – è meglio che lasciamo perdere. In quella parte del mondo hanno già sofferto abbastanza. Non è il caso che ci mettiamo anche noi. ([https://web.archive.org/web/20151025020316/http://archiviostorico.corriere.it/1996/aprile/20/Allargamento_della_Nato_Lasciamo_perdere_co_0_960420535.shtml 20 aprile 1996]) *Io non mi considero affatto ateo e non capisco come si possa esserlo. ([https://web.archive.org/web/20160101000000/http://archiviostorico.corriere.it/1996/maggio/23/dove_comincia_grande_mistero_Dio_co_0_9605235872.shtml 23 maggio 1996]) *{{NDR|Riferito alla [[crisi di Sigonella]]}} Ho sempre considerato il rilascio di Abu Abbas un gesto semplicemente criminale o almeno di complicità col crimine. ([https://web.archive.org/web/20151107235857/http://archiviostorico.corriere.it/1996/luglio/07/Caro_Ottiero_Ottieri_diamoci_del_co_0_9607072658.shtml 7 luglio 1996]) *Quanto scrivi {{NDR|riferito a una lettrice}} sull'insegnamento della Storia nelle nostre scuole è sacrosantamente vero. I testi su cui ve la fanno studiare sono o reticenti o faziosi, ma più spesso l'una cosa e l'altra, e soprattutto scritti coi piedi. (4 settembre 1996) *No, caro N***, non mi basta che il Pool abbia perseguito e persegua una buona Causa. Doveva farlo anche con buoni mezzi e criteri. E il caso Di Pietro basta a dimostrare che questo non è sempre avvenuto. (24 ottobre 1996) *È dalla piazza e dai cosiddetti «bagni di folla» che nascono i dittatori e vengono consacrati i fanatismi più orrendi, fra cui il più orrendo di tutti: il razzismo. ([https://www.fondazionemontanelli.it/sito/pagina.php?IDarticolo=432 24 novembre 1996]) *Io non ho titoli culturali che mi qualifichino a lezioni su una tematica come quella del [[calvinismo]]. Ma credo di averne afferrato l'essenziale: la concezione della Ricchezza come segno della Grazia, di cui quindi non si è proprietari, ma amministratori per conto del Signore col compito di moltiplicarla per il bene di tutti. (21 dicembre 1996) *[[Daniele Vimercati|Vimercati]] è un leghista antemarcia. Lo era anche quando lavorava con me al ''Giornale''. Ma è soprattutto un signor giornalista, che conosce perfettamente la linea di demarcazione fra l'opinione personale e il dovere professionale, e non c'è interesse né calcolo di opportunità che possa indurlo a varcarla. Per questo godeva di tutta la mia fiducia, né mai ho avuto occasione di pentirmi di avergliela concessa. (1996).<ref>Citato in Pierluigi Saurgnani, ''[https://www.ecodibergamo.it/stories/Cronaca/274325_vimercati_gran_borghese_il_giornalista_che_scopr_bossi/ Vimercati, gran borghese. Il giornalista che scoprì Bossi]'', ''ecodibergamo.it'', 13 marzo 2012.</ref> *Di commissioni d'inchiesta il nostro parlamento ne ha partorite a dozzine. Me ne citi una sola che abbia raggiunto dei risultati, anche semplicemente conoscitivi. Per un Parlamento come il nostro (e mi trattengo a fatica dal qualificarlo) anche la ricerca della verità è materia di lottizzazione. ([https://web.archive.org/web/20151118213258/http://archiviostorico.corriere.it/1996/dicembre/23/Ormai_non_resta_che_amnistia_co_0_96122312669.shtml 23 dicembre 1996]) *Quando ebbi, fra i tanti, un processo non con un magistrato, ma con un politico del rango di De Mita che avevo coinvolto nella mala amministrazione dei fondi stanziati per l'Irpinia dopo il [[Terremoto dell'Irpinia del 1980|terremoto]], non trovai, in tutta quella vasta regione, una toga che venisse a testimoniare in mio favore. L'unico che mi difese fu colui che avrebbe dovuto accusarmi: il pubblico ministero del tribunale di Monza, Mariconda: non sul merito delle mie accuse, ch'egli non aveva elementi per valutare, ma sul diritto che mi riconosceva di lanciarle. Anche l'uso dei cinquanta–sessantamila miliardi stanziati per l'Irpinia rimase un porto delle nebbie. ([https://web.archive.org/web/20160101000000/http://archiviostorico.corriere.it/1997/gennaio/12/Magistratura_porti_delle_nebbie_co_0_9701123652.shtml 12 gennaio 1997]) *La sola parola «ingegneria genetica» mi mette i brividi. (14 marzo 1997) *Io non mi sono mai [[Impiccagione|impiccato]]. Ma a Norimberga assistetti a diciassette impiccagioni, compresa quella di un cadavere, il cadavere di Göring che si era suicidato il giorno prima. Be', mi resi conto [...] che ficcare la testa nel nodo scorsoio di una corda non è un esercizio da mezzetacche o quacquaracquà. (15 maggio 1997) *{{NDR|Gladio}} Era stato istituito in quasi tutti i Paesi che facevano parte della Nato, e per volontà della Nato, consapevole che i suoi soci europei non avrebbero potuto resistere all'attacco di una Potenza superarmata qual era l'[[Unione Sovietica]]: avrebbero dovuto aspettare, per la riscossa, l'intervento dell'[[Stati Uniti d'America|America]]. Lo dimostra il fatto che quando questo piano fu rivelato, nessun altro Paese trovò nulla da ridirne. Solo noi italiani – i soliti romanzieri imbecilli e peggio che imbecilli – ne facemmo materia di scandalo e pretesto di «gialli» che tuttora trovano credito, come la sua lettera dimostra. Anch'io mi sento scandalizzato, e un poco offeso. Ma solo dal fatto che nessuno mi abbia sollecitato l'adesione al [[Organizzazione Gladio|Gladio]]: l'avrei data con entusiasmo. ([https://web.archive.org/web/20150623163829/http://archiviostorico.corriere.it/1997/giugno/07/Avrei_dato_con_entusiasmo_adesione_co_0_97060710388.shtml 7 giugno 1997]) *A fare l'Italia alcuni pochi italiani ci sono, senza e contro i più, riusciti. A fare gl'italiani, l'Italia, in centocinquant'anni, non c'è riuscita; anzi non ci s'è nemmeno provata. (19 giugno 1997). *Il vero cacciatore ama gli animali a cui dà la caccia, forse anche perché li considera complici di questo gioco in cui ritrova la sua origine esistenziale. Non spara, per esempio, sul bersaglio fermo: lo considera sleale. (9 luglio 1997) *Al matrimonio misto, che dell'integrazione razziale è la condizione genetica, sono i neri, molto più dei bianchi, che si rifiutano. Non è quindi colpa degl'italiani, o almeno non tutta questa colpa è degl'italiani, se anche da noi l'integrazione con gl'immigrati africani incontra degli ostacoli. Quella con gli oriundi dei Paesi europei non ne incontra nessuno, salvo quelli che frappone la burocrazia, la quale ne pone tanti anche a noi, e anzi campa solo di questo. Non ho mai sentito un francese, o un inglese, o un tedesco, o un bulgaro o un ukraino lamentarsi di una apartheid italiana. Ci sono anche da noi, purtroppo, delle manifestazioni di razzismo. Ma queste sono dovunque, e in Italia meno violente che altrove. L'Italia è un Paese che va a catafascio. Ma non buttiamogli addosso anche delle croci che non merita. Quelle che merita bastano, e ne avanza. (24 agosto 1997) *Io sono un italiano, fra i pochi rimasti che nei confronti dell'Italia s'ispirano all'adagio inglese: «Che abbia ragione o torto, sto col mio Paese». Anch'io sto col mio paese quando ha torto, ma senza pretendere che il suo torto sia considerato ragione. (23 settembre 1997) *Sono e rimango convinto che fin quando noi italiani ci affideremo soltanto alla Legge – o, come ora usa chiamarla, alle «regole» –, rimarremo quello che siamo, coi vizi che abbiamo, fra cui quello di accatastare regole su regole al solo scopo di metterle in contraddizione l'una con l'altra per poterle meglio evadere. (16 ottobre 1997) *Forse farebbe meglio ad astenersi a dare lezioni di liberalismo a me che sono stato, in tutto il giornalismo italiano, l'unico a difenderlo negli anni Settanta e Ottanta, quando difenderlo era difficile e poteva anche costar caro. Non me ne faccio un vanto perché, quando alla fine ha vinto, ho visto di che liberalismo si trattava, ed è per questo che ho votato Ulivo. (23 ottobre 1997) *Le confesso che il suo piglio perentorio e inquisitorio mi disturba alquanto, anche perché mi lascia capire che lei parte da convinzioni così granitiche da rendere vano ogni tentativo d'insinuarvi almeno un dubbio. (23 ottobre 1997) *È importante tutto questo? No. Non lo è per me né per lei, che sappiamo cosa è accaduto. E non lo è per i leghisti doc, secondo cui qualunque cosa propone il capo è Vangelo. Se Bossi decide di andare in Bicamerale, applaudono. Se decide di abbandonare la Bicamerale, esultano. Se va con Berlusconi, assentono. Se lascia Berlusconi, approvano. E se un giorno si sveglia e cambia i confini della Padania, accettano i nuovi confini. Tempo fa, rispondendo a un lettore, scrissi che «i leghisti sono pronti a inneggiare anche all'annessione della Yakuzia, e non solo perché non sanno dove sta». Arrivarono molte lettere indispettite. Ma nessuna contro l'annessione della Yakuzia. (29 ottobre 1997) *Se sono – come sono – uno di quegli uomini di Destra che ultimamente hanno votato, sia pure controvoglia, per la Sinistra (annacquata) dell'Ulivo, è perché da questa, che non è mai stata la mia bandiera, non mi sento tradito. Essa sta facendo ciò che prometteva di fare, ma lo fa con molta moderazione, e con una squadra di uomini che magari non saranno (meno qualcuno, come per esempio Ciampi) di serie A, ma da cui non temo, e credo che nessuna persona ragionevole possa temere, l'instaurazione di un regime. (10 dicembre 1997) *E lo specchio non vi giudica dai successi che avrete ottenuto nella corsa al denaro, al potere, agli onori; ma soltanto dalla Causa che avrete servito. Tenendo bene a mente il motto degli ''hidalgos'' spagnoli: «La sconfitta è il blasone delle anime nobili». (31 dicembre 1997) *Che cosa io pensi dell'onorevole Previti mi pare di averlo detto in termini talmente espliciti da apparire – a più d'uno – brutali: un personaggio che solo a guardarlo in faccia verrebbe voglia di applicargli le manette ai polsi prima ancora di sapere chi è e cosa ha fatto. (31 gennaio 1998) *Infine, c'è quello che io considero il vero, grande vantaggio dell'euro: una volta dentro, non potremo tornare all'allegra finanza pubblica d'un tempo. ([https://web.archive.org/web/20151203232056/http://archiviostorico.corriere.it/1998/febbraio/20/Che_cosa_succedera_quando_avremo_co_0_9802206445.shtml 20 febbraio 1998]) *Tutti hanno diritto di credere nel miracolo, quando non c'è altro a cui aggrapparsi. La scienza no: se lo ricordi anche il Papa. (23 febbraio 1998) *I conti col passato, si capisce, bisogna farli. Ma a un certo punto bisogna chiuderli. Perché nella Storia non ce n'è mai stato uno che, protratto all'infinito, non ne abbia innescato un altro. (10 marzo 1998) *Perché, caro B***? Perché la vocazione a dividerci sempre e su tutto per il nostro «particulare», come lo chiamava Guicciardini, noi italiani ce la portiamo nel sangue, e non c'è legge che possa estirparla. (18 aprile 1998) *Vero che nei ricordi sui quali vengo sollecitato, il nome di [[Cesco Tomaselli|Tomaselli]] ricorre meno frequentemente di quelli di Longanesi, di Buzzati, di Piovene, di Barzini ecc. Ma ciò dipende solo dal fatto che costoro appartenevano alla mia leva, e in comune con loro avevo avuto tante esperienze, perfino la stanza di lavoro. Tomaselli, quando io entrai al ''Corriere'', apparteneva già alla sua vecchia guardia, e come notorietà ne aveva raggiunto il tetto proprio grazie alle sue corrispondenze sull'impresa del dirigibile «Italia» di Umberto Nobile, di cui fu dal principio alla fine lo scrupoloso cronista. A salvargli la vita dalla catastrofe fu soltanto la sorte, contro cui egli imprecò considerandola avversa. Per l'ultima tappa, quella che avrebbe dovuto sorvolare il Polo, dei due giornalisti aggregati a quella spedizione — Tomaselli per il ''Corriere'', e Ugo Lago per il ''Popolo d'Italia'' di Mussolini —, c'era posto, sulla navicella, per uno solo. Lago e Tomaselli se lo giocarono a testa o croce. Con gran dispetto di Tomaselli, che non smise mai di considerarsene tradito, vinse e partì Lago, che non tornò più: quando l'aeromobile precipitò sul pack, lui rimase aggrappato insieme ad altri compagni al cordame dell'involucro col quale scomparve nel deserto bianco. Ma tutte le volte che se ne parlava, Tomaselli seguitava ad inveire contro la scalogna che lo aveva escluso da quel drammatico finale, come se gli avesse tolto la fortuna di descriverlo. Questo era Tomaselli, l'inviato speciale che nel suo mestiere di giornalista portava lo stesso spirito che aveva fatto di lui, nella Prima Guerra Mondiale, un superdecorato ufficiale di artiglieria alpina e gli ispirava una concezione quasi religiosa del «servizio». Non era un «brillante» né come scrittore né come parlatore. Ma di tutto quello che diceva, sia con la bocca che con la penna, si poteva stare sicuri che di inesatto o di inventato non c'era nemmeno una virgola. [...] Se raramente mi capita di parlare di lui, è perché l'ho conosciuto e frequentato sul declino della sua intemerata e ineccepibile carriera di testimone, e perché lui, nel raccontarla, non l'animava mai di aneddoti o di battute come, per esempio, il suo coetaneo Monelli. Ma se ai giovani che si avviano (poveretti!) a questo mestiere dovessi indicare un modello di dignità, serietà, dedizione e correttezza professionale non avrei dubbi sulla scelta: Cesco Tomaselli. ([https://web.archive.org/web/20151009153047/http://archiviostorico.corriere.it/1998/maggio/07/Cesco_Tomaselli_inviato_speciale_Polo_co_0_9805078688.shtml 7 maggio 1998]) *Che un giudice spagnolo in vena di protagonismo abbia chiesto all'[[Inghilterra]] la consegna di un ospite straniero andato a Londra in forma privatissima per ragioni di salute, non mi stupisce: un [[Antonio Di Pietro|Di Pietro]] può nascere dovunque. Ma che l'Inghilterra si proponga di consentire, non mi stupisce. Mi sbalordisce, come ha sbalordito e indignato la signora Thatcher che aveva ospitato in casa il Generale. Ma ancora di più mi sbalordirebbe che la Giustizia spagnola, cioè di un Paese che non solo ha accettato per quarant'anni il potere di un Generale, ma gli ha consentito (per sua fortuna) di disporne anche dopo morto, portasse davanti a una Corte di Giustizia quello cileno. Per non parlare delle conseguenze che tutto questo potrebbe provocare in [[Cile]] dove, nel caso che il governo Frei si mostrasse esitante e accomodante, le Forze Armate potrebbero riprendere il potere per rompere i rapporti diplomatici con [[Spagna]] e Inghilterra e dimostrare al mondo che i processi alla Norimberga hanno fatto il loro tempo. Se a qualcuno il Generale cileno Pinochet deve rendere conto del suo operato, è soltanto al Cile e ai suoi tribunali. E se io fossi un cileno che ha votato Frei (come certamente avrei fatto se fossi stato un cileno), in questa occasione mi schiererei con le Forze Armate. Con tanti saluti a tutto il sinistrume italiano passato, presente e futuro. (24 ottobre 1998) *Che gli [[Stati Uniti d'America|Usa]] siano in tutto il mondo odiati dagli uomini come lei {{NDR|riferito a un lettore}}, è verosimile, e quindi più che credibile. Un po' meno credibile è che gli uomini di tutto il mondo siano e la pensino come lei. Comunque, il giorno in cui quel Paese venisse chiamato (ma da chi?) sul banco degl'imputati come il nemico dell'umanità, io chiederò di essere ascoltato come testimone. Per dire alla Corte dei Vecchio di turno che io, uomo qualunque, mi considero graziato tre volte da questo grande nemico dell'umanità. La prima fu quando mi strappò al pericolo di diventare – per bene che mi fosse andata – l'attendente di un colonnello tedesco. La seconda fu quando mi sottrasse a quello di finire i miei giorni in un kolkos siberiano. La terza fu quando, invece di rimettermi la parcella di questi favori, mi aiutò a rifarmi la casa senza contestarmi il diritto di invitarvi anche coloro che pensano (si fa per dire) e parlano (o meglio sbraitano) come lei. ([https://web.archive.org/web/20160101000000/http://archiviostorico.corriere.it/1999/aprile/10/Fermare_genocidio_Kosovo_co_0_9904103314.shtml 10 aprile 1999]) *Tradotto in politica, non c'è nulla di più intollerante e fazioso, e quindi di meno pacifico, del [[pacifismo]] in generale, e di quello italiano in particolare. È un pacifismo a fasi alterne, e che si sveglia soprattutto, anzi quasi esclusivamente, quando a fare la guerra sono gli americani. Furioso e devastatore imperversò, non soltanto in Europa, ma nella stessa America, al tempo del Vietnam: al punto che quando [[Richard Nixon|Nixon]] venne in visita in Italia (quell'Italia che poteva fare ciò che voleva grazie agli americani) dovettero mandarlo a prendere a Fiumicino con un elicottero e trasportarlo via aria in Quirinale perché via terra avrebbe rischiato la pelle. Ma questo stesso pacifismo rimase impassibile quando i carri armati sovietici schiacciarono l'Ungheria (e a Montecitorio risuonò il grido: «Viva l'[[Armata Rossa]]!»), e poco dopo la Cecoslovacchia e da ultimo l'Afghanistan. Sono sempre gli stessi, i pacifisti italiani. Con una bandiera in mano come quella della pace (chi può infatti invocare la guerra?), si sentono invulnerabili. Ma la sventolano solo per il povero Milosevic; il genocidio del Kosovo li lascia del tutto indifferenti. (5 maggio 1999) *Non sempre condivido le opinioni di [[Giovanni Sartori|Sartori]]. Qualche volta, anzi spesso, abbiamo litigato, anche perché a lui litigare piace moltissimo: da buon toscano, è nella polemica che lui, e forse anch'io, diamo il meglio di noi. E anche sull'articolo del 25 maggio non siamo in tutto e per tutto d'accordo. Lo siamo nel respingere la qualifica di «pacifista», che entrambi lasciamo in esclusiva alle «anime belle» che, sventolando la bandiera della [[pace]], sperano di raccogliere intorno a essa tutti gl'ipocriti e gl'imbecilli che, sommati insieme, costituiscono certamente la stragrande maggioranza degl'italiani. (29 maggio 1999) *Lo Stato di [[Platone]], quello che lui chiamava la polis, e che poi era Atene, aveva, al tempo di Platone, cioè nel momento del suo massimo splendore, ventimila abitanti, di cui solo cinquemila avevano diritto al voto. E veda un po' come quei civilissimi cittadini lo usarono nelle assemblee dell'Acropoli: mettendo sotto processo [[Pericle]] e [[Aspasia di Mileto|Aspasia]], condannando a morte [[Socrate]] e provocando la guerra del Peloponneso, che fu la rovina non solo di Atene, ma di tutta la Grecia e della sua civiltà. Ora se il sistema della «democrazia diretta» o, come lei la chiama, «partecipatoria», non funzionò nemmeno in una polis di ventimila abitanti, s'immagini un po' cosa diventerebbe nei formicai umani cui si sono ridotte le polis attuali, e non soltanto quelle italiane. [...] Lei ha tutte le ragioni del mondo a dire che l'attuale sistema di democrazia «rappresentativa» o «delegata» ha dei vizi gravissimi e spesso provoca disastri, compresa quella americana, che pure è una di quelle che meglio funzionano. Ma, mi creda, quella «diretta» o «di piazza» è ancora molto più pericolosa perché continuamente a rischio di cadere in balia di qualche ciarlatano che sappia soltanto vendere bene la sua merce. Certo, quella indiretta esige, da parte del cittadino, una partecipazione che in Italia manca. Ma non è certo coi referendum che si può sostituirla. Almeno questo mi ha insegnato l'esperienza. (22 agosto 1999) *Quello di [[Francisco Franco|Franco]], se proprio vogliamo chiamarlo regime, fu un regime di polizia, di una polizia molto più dura di quella fascista, ma un totalitarismo no. Ecco perché, quando sentì avvicinarsi il momento della fine, Franco poté liquidare il franchismo con relativa facilità: perché di totalitario non aveva altro che le galere. Però bisogna anche riconoscere che questo soldataccio squallido e ottuso (sul piano umano era repellente), il ritorno al regime democratico seppe compierlo da maestro, facendosi consegnare dal pretendente al trono, Don Juan, ch'egli considerava (non a torto) poco affidabile, il figlio Juan Carlos per prepararlo – operazione riuscitissima – ai suoi compiti di Re, e mettendogli accanto un uomo di primissimo ordine come Suarez. ([https://web.archive.org/web/20130331034046/http://archiviostorico.corriere.it/1999/ottobre/24/differenza_fra_regimi_totalitari_dittature_co_0_991024459.shtml 24 ottobre 1999]) *La servitù, in molti casi, non è una violenza dei padroni, ma una tentazione dei servi. (2 gennaio 2000) *Non conosco Haider, e quindi nemmeno i fondamenti della sua ideologia, ammesso che ne abbia una. A occhio e croce, più che un nazista, mi sembra un qualunquista che interpreta, o cerca d'interpretare i sentimenti e i risentimenti di una pubblica opinione di livello bossiano, scontenta di tante cose, e a cui l'Austria attuale va stretta. [...] Non so se anche Haider – ripeto: non lo conosco – sia un omuncolo. Ma penso che l'Europa, ponendo il veto a un suo eventuale governo, costringerà gli austriaci ad affidargliene l'incarico, come avvenne per Waldheim. Io al pericolo di un rigurgito nazista non ci credo. Come ho letto in un articolo (mi pare di Enzo Bettiza, ma potrei sbagliarmi) penso che Jorg Haider somigli più a un Poujade che a un Le Pen, cioè più a una miscela di [[Umberto Bossi|Bossi]] e di Giannini che a un [[Pino Rauti]]. Ciò che mi allarma è l'incapacità dell'Europa a riflettere sulle sue proprie esperienze a trarne qualche insegnamento. Questo, sì, mi fa paura. (3 febbraio 2000) *Li conosco e riconosco, quei regimi {{NDR|di dittatura e di censura}}. Ne avverto il passo anche di lontano, e convengo che in Italia il pericolo di vederne arrivare qualcuno c'è. Ma sa quando si realizzerà? L'anno venturo, dopo la vittoria – che io do per certa – del Polo alle Politiche. Vedrà. La prima cosa che farà Berlusconi, come la fece nel '94, sarà di spazzare via l'attuale dirigenza Rai per omologarne le tre Reti a quelle sue. (26 febbraio 2000) *Quando s'accendono i [[Morte sul rogo|roghi]], mettiti dalla parte della strega, anche a costo di bruciare con lei. ([https://www.corriere.it/solferino/montanelli/00-05-31/02.spm 31 maggio 2000]) *Una Giustizia che per istruire un processo impiega sei o sette anni e poi non riesce a chiuderlo con una sentenza che non si presti a rimetterlo, con qualche marchingegno, in gioco, è un meccanismo di cui bisogna assolutamente rivedere e rifare gl'ingranaggi: «Giustizia ritardata – dice [[Montesquieu]] – è Giustizia negata». ([http://www.corriere.it/solferino/montanelli/00-06-07/01.spm 7 giugno 2000]) *Il [[revisionismo]] è la materia prima della [[storiografia]] che, senza di esso, sarebbe una disciplina morta. ([http://www.corriere.it/solferino/montanelli/00-06-16/01.spm 16 giugno 2000]) *Il mio giudizio su [[Baltasar Garzón|Garzón]] resta quello di prima, solo un po' rinforzato: un garzoncello smanioso soltanto di leggere il proprio nome sulle prime pagine di tutti i giornali e di vedere la propria effigie sugli schermi televisivi di tutto il mondo: il che rafforza la mia ipotesi che si tratti di un italiano nato per sbaglio in Spagna. ([http://www.corriere.it/solferino/montanelli/00-06-30/01.spm 30 giugno 2000]) *La pena di morte americana esiste e resiste in America perché fu un elemento base e costitutivo della sua nascita e sviluppo. Dei famosi 102 «Padri Pellegrini» che per primi sbarcarono dal «Mayflower» in quel Continente non per saccheggiare le ricchezze come facevano spagnoli e portoghesi in Messico e nell'America del Sud, ma per costruirvi una società nuova e libera, circa i due terzi erano avanzi di galera che fuggivano la Giustizia e le prigioni dell'Europa, e un terzo erano uomini che cercavano la libertà, e soprattutto quella religiosa. I primi avevano in tasca la pistola, i secondi la Bibbia, ma nella sua versione calvinista quella del taglione, basata sulla concezione di un Dio giustiziere che esige la morte di chi senza giusto motivo la dà. (9 luglio 2000) *A Rimini, cioè in casa propria (ma anche nostra, almeno per il momento), questi signorini {{NDR|di [[Comunione e Liberazione]]}} non hanno fatto altro che fischiare tutto ciò che è italiano, acclamare al nuovo beato [[Pio IX]], il Papa-Re che pretendeva di impedire il processo di unificazione nazionale, ed esaltare come i veri eroi del risorgimento i Borboni e i briganti del Cardinale Ruffo. A lei, tutto questo va bene? A me, dà il vomito. ([http://www.corriere.it/solferino/montanelli/00-09-13/02.spm 13 settembre 2000]). *Il mio parere è rimasto quello che espressi sul mio ''Giornale'' l'indomani del fattaccio {{NDR|l'[[agguato di via Fani]]}}. «Se lo Stato, piegandosi al ricatto, tratta con la violenza che ha già lasciato sul selciato i cinque cadaveri della scorta, in tal modo riconoscendo il crimine come suo legittimo interlocutore, non ha più ragione, come Stato, di esistere». Questa fu la posizione che prendemmo sin dal primo giorno e che per fortuna trovò in Parlamento due patroni risoluti (il Pci di [[Enrico Berlinguer|Berlinguer]] e il Pri di [[Ugo La Malfa|La Malfa]]) e uno riluttante fra lacrime e singhiozzi (la Dc del moroteo [[Benigno Zaccagnini|Zaccagnini]]). Fu questa la «trama» che condusse al tentennante «no» dello Stato, alla conseguente morte di Moro, ma poco dopo anche alla resa delle Brigate rosse. Delle chiacchiere e sospetti che vi sono stati ricamati intorno, e che ogni tanto tuttora affiorano, non è stato mai portato uno straccio di prova, e sono soltanto il frutto del mammismo piagnone di questo popolo imbelle, incapace perfino di concepire che uno Stato possa reagire, a chi ne offende la legge, da Stato. ([http://www.corriere.it/solferino/montanelli/00-09-22/03.spm 22 settembre 2000]) *La Serbia ha perduto la guerra e ha vinto la pace: ora deve voltar pagina. Sarà la storia – un giudice non imparziale, ma efficace – a decidere cos'è stato giusto e cos'è stato sbagliato. Tuttavia, una ritorsione serba verso l'Occidente avverrà. E ci troverà disarmati. Sa di cosa parlo? Delle rivendicazioni sul Kosovo, che è amministrato dalla Nazioni Unite ma è ancora Jugoslavia (lo dice la risoluzione dell'Onu). I serbi chiederanno di tornare a controllarne le frontiere, per esempio. E dire no a un Kostunica buono è più difficile che dire sì a un Milosevic cattivo. Gli albanesi del Kosovo, sono certo, lo hanno già capito. ([http://www.corriere.it/solferino/montanelli/00-10-08/01.spm 8 ottobre 2000]) *È un dimenticato, [[Ugo Ojetti|Ojetti]], come in questo Paese lo sono quasi tutti coloro che valgono. Se io dirigessi una scuola di giornalismo, renderei obbligatori per i miei allievi i testi di tre Maestri: [[Luigi Barzini (1908-1984)|Barzini]], per il grande reportage; [[Benito Mussolini|Mussolini]] (non trasalire!), quello dell'''Avanti!'' e del primo ''Popolo d'Italia'', per l'editoriale politico; e Ojetti, per il ritratto e l'articolo di arte e di cultura. ([http://www.corriere.it/solferino/montanelli/00-11-13/01.spm 13 novembre 2000]) *In Italia fu il potere temporale a soffocare negl'italiani la voce della coscienza e a spegnere in loro ogni senso di responsabilità. Ma fu la Controriforma a fornire al prete le armi per accaparrarsi l'una e l'altra: il Sant'Uffizio, le scomuniche e, nei casi estremi, il patibolo. Con questo risultato: l'aborto del «cittadino» e la trasformazione di quello che avrebbe dovuto e potuto diventare un «popolo» in un gregge (come con inconsapevole spudoratezza i preti lo chiamano), e in un gregge di pecore indisciplinate che credono di affermare il loro ribelle individualismo non rispettando il semaforo rosso. ([http://www.corriere.it/solferino/montanelli/00-11-20/01.spm 20 novembre 2000]) *{{NDR|Su [[Slobodan Milošević]]}} Oltre che un despota, lo ritengo anche un satrapo della razza dei [[Nicolae Ceaușescu|Ceausescu]], avido non solo di potere, ma anche di denaro, e credo che la sorte che si merita sia un bel plotone di esecuzione. Purché composto da serbi, al comando di un serbo, e in esecuzione di una sentenza emessa da un tribunale serbo e motivata non tanto da generici crimini contro l'umanità, che sono sempre – salvo casi di monumenti all'orrore come l'[[Olocausto]] – oggetto di discussione e dissensi; ma dal più grande e imperdonabile delitto di cui Milosevic si è macchiato nei confronti non soltanto dei serbi: la distruzione della Nazione Jugoslava, che la Monarchia serba aveva fondato dopo la prima guerra mondiale; che il croato [[Josip Broz Tito|Tito]] aveva difeso coi denti e restaurato dopo la seconda, dando alla Balcania un esempio e un puntello di stabilità; e che Milosevic e il suo compare croato [[Franjo Tuđman|Tudjman]] distrussero per poter restare ciascuno padrone in casa sua; e sulle cui macerie si scatenarono tutte le violenze (Bosnia, [[Kosovo]]) che hanno insanguinato e continuano a insanguinare quel povero Paese. ([http://www.corriere.it/solferino/montanelli/01-04-29/01.spm 29 aprile 2001]) *Questo mondo materialista, edonista ed esibizionista non entusiasma neanche me; e, visto che mi legge, dovrebbe saperlo. Ma vorrei conoscere il sistema che voi avete in mente, e non avete il coraggio, o la capacità, di proporre. Un mondo francescano? Bello: ma guardatevi intorno, e ditemi se vedete un saio. Un comunismo riveduto e corretto? Farebbe la fine dell'altro, anche se non riuscirà a ripeterne i disastri. Mi creda, G.: l'unico sistema sociale ed economico oggi accettabile, in Occidente, è quello basato sul mercato: un capitalismo controllato e temperato, per intenderci. È auspicabile che sia anche corretto: e questo non sempre accade, è vero. Il guaio è che il capitalismo è fatto dai capitalisti – e quelli, devo ammettere, sono spesso difficili da digerire. Non cerchi di confondermi le idee, quindi. Non ci riuscirà. Probabilmente ho tre volte i suoi anni, e ho visto dove conducono queste generiche tirate contro «le multinazionali»: prima o poi, qualcuno deporrà la spranga e prenderà la pistola. Dimenticavo: io firmo le mie opinioni, lei tira il sasso e nasconde la mano. Tutti coraggiosi così, voi ragazzi di Seattle? ([http://www.corriere.it/solferino/montanelli/01-06-09/01.spm 9 giugno 2001]) *Non erano, le mie, parole di circostanza. Erano – e rimangono – quelle di un conservatore abbastanza spassionato e nutrito di Storia da capire che non c'è, per la conservazione di ciò che va conservato, nemico più mortale dei conservatori che vogliono conservare tutto; e che un sistema capitalistico senza un correttivo socialista diventa una jungla che conduce pari pari a [[Karl Marx|Carlo Marx]]. Di qui il mio amore per uno dei personaggi meno amabili, sul piano umano, della nostra Storia, [[Giovanni Giolitti|Giolitti]], che sempre cercò l'accordo con [[Filippo Turati|Turati]], a cui il cretinume massimalista – che nel vostro partito ha sempre dominato – lo impedì. Il vedervi – sbriciolati in gruppi, gruppetti e gruppuscoli – annaspare nell'attuale centro-sinistra in cui nessuno riesce a recitare la parte di se stesso, fa male al cuore di un vecchio autentico liberal-conservatore come me. Cosa aspettate, caro Tamburrano, a ridarci il socialismo, ma che sia quello e quello solo: ''il'' socialismo di Turati e di Massarenti? [...] Credo che come forza politica siate abbastanza mal messi. Ma in compenso avete in mano una grande bandiera che prima o poi un esercito la ritroverà. Arrivederci, al primo settembre, cari lettori. ([http://www.corriere.it/solferino/montanelli/01-07-04/01.spm?refresh_ce-cp 4 luglio 2001]) ===''il Giornale''=== <!--ordine cronologico--> *Chi sarà il nostro lettore noi non lo sappiamo perché non siamo un giornale di parte, e tanto meno di partito, e nemmeno di classi o di ceti. In compenso, sappiamo benissimo chi non lo sarà. Non lo sarà chi dal giornale vuole soltanto la «sensazione» [...] Non lo sarà chi crede che un gol di Riva sia più importante di una crisi di governo. E infine non lo sarà chi concepisce il giornale come una fonte inesauribile di scandali fine a se stessi. Di scandali purtroppo la vita del nostro Paese è gremita, e noi non mancheremo di denunciarli con quella franchezza di cui crediamo che i nostri nomi bastino a fornire garanzia. Ma non lo faremo per metterci al rimorchio di quella insensata e cupa frenesia di dissoluzione in cui si sfoga un certo qualunquismo, non importa se di destra o di sinistra. [...] Vogliamo creare, o ricreare un certo costume giornalistico di serietà e di rigore. E soprattutto aspiriamo al grande onore di venire riconosciuti come il volto e la voce di quell'Italia laboriosa e produttiva che non è soltanto Milano e la Lombardia, ma che in Milano e nella Lombardia ha la sua roccaforte e la sua guida. [...] A questo lettore non abbiamo «messaggi» da lanciare. Una cosa sola vogliamo dirgli: questo giornale non ha padroni perché nemmeno noi lo siamo. Tu solo, lettore, puoi esserlo, se lo vuoi. Noi te l'offriamo. (25 giugno 1974) *Checché ne dicano gli agiografi della Resistenza, la guerra l'abbiamo persa, e c'è un conto da pagare. Che l'Italia lo saldi a spese dei suoi figli minori – i Dalmati e gli Istriani – è un ghigno del destino. Ma in compenso può considerarsi miracolata. Quando si pensa a cosa ha pagato la sua sconfitta la Germania, amputata d'intere province e dimezzata in due nazioni diverse e ostili, e quando si pensa a cosa ha pagato l'Inghilterra, precipitata dalla condizione di massimo impero mondiale a quella di piccola isola alla periferia d'Europa; non possiamo lamentarci del trattamento che gli alleati ci fecero. (30 settembre 1975) *Siamo stati accusati di aver fatto, nei confronti dei comunisti, il processo alle intenzioni. Non vediamo su cos'altro avremmo dovuto giudicarli, visto che sono sempre rimasti all'opposizione, ed è di lì che ancora si affannano a dire che cosa si propongono di fare se andassero al potere, anzi quando andranno al potere (perché ormai lo danno per scontato). E cosa sono, queste, se non intenzioni? (19 giugno 1976) *Che cerchino di eliminarmi perché sono un avversario, questo lo posso anche capire; ma perché – a quanto mi riferiscono – hanno detto che io sono un servo delle [[Multinazionale|multinazionali]], allora questo sta a dimostrare la confusione di idee di questi poveretti che, evidentemente, non sanno cosa sono le multinazionali. (3 giugno 1977) *I giuochi sono fatti. E sono fatti non soltanto per [[Aldo Moro|Moro]], cui va tutta la nostra più fraterna e rispettiva pietà. Sono fatti anche per una politica da ''belle époque'', che la distruzione – fisica o morale – di Moro chiude e conclude. La Storia sta riprendendo i suoi connotati di tragedia, e costringe coloro che la fanno, o ambiscono o s'illudono di farla, ad adeguarsi al repertorio. Stiamo entrando in una di quelle «età di ferro» in cui il potere si paga, o si può pagarlo col ferro. Nessuno è obbligato a sfidare questo rischio. Chi lo fa, sappia che oggi è toccato a Moro, domani può toccare a lui. Solo se si rende conto di questo e lo accetta, la classe politica troverà la forza di archiviare il caso Moro. Ed è tempo che lo faccia. (7 maggio 1978) *Quattr'anni e mezzo orsono, quando questo giornale nacque, un «ragazzo del '68» (con tante scuse a quelli veri, del '99), [[Mario Capanna]], oggi gerarchetto regionale (che belle carriere, questi rivoluzionari!), dichiarò che, come nemici del «pubblico» e del «sociale» e come assertori del «privato», e quindi della reazione, noi saremmo diventati il più bel museo della città, dove babbi e mamme avrebbero potuto condurre in gita ricreativa i loro figlioletti per mostrargli, dal vivo, com'erano buffi i loro nonni e bisnonni: noi. Bene. Se il vento seguita a soffiare come soffia, saremo noi che di qui a un po' condurremo i nostri figlioletti dal signor Capanna per mostrargli com'erano buffi i loro nonni e bisnonni di dieci anni fa. Ma non lo faremo. Lo spettacolo di questi ragazzi-prodigio abortiti, di questi barricadieri con pancia e cellulite che credevano di camminare con la Storia, e invece camminavano solo con la moda, non ha nulla di edificante. (16 gennaio 1979) *In una sua memorabile inchiesta un giornalista d'incrollabile fede sinistrorsa, ma di esemplare onestà, [[Giampaolo Pansa]], mise benissimo in luce questo contrasto fra i due atteggiamenti e mentalità, che ieri ha trovato una eloquente conferma nella manifestazione di Torino. Niente chiasso, niente sceneggiate, niente slogans, niente insomma che appartenga al repertorio del buffonismo nazionale. Nessuno ha rotto le righe per andare a rovesciare auto o a fracassar vetrine. Questa, sì, era Danzica, sia pure senza Madonne; non i picchettaggi e i pestaggi di Mirafiori, sia pure con le Madonne. Ora sappiamo già cosa diranno gli altri, oggi e domani. Diranno che gli operai non c'erano. Infatti. Doveva trattarsi di quarantamila presidenti, consiglieri delegati, ingegneri: insomma, la solita «[[maggioranza silenziosa]]»: termine che soltanto nella lingua italiana ha significato spregiativo. La maggioranza silenziosa esiste in tutti i Paesi del mondo, dove nessuno si vergogna di appartenervi perché è essa, in definitiva, che ristabilisce gli equilibri. Fu la maggioranza silenziosa – autoqualificatasi come tale – di seicentomila parigini che dodici anni fa pose fine al carnevale sessantottesco, riportò [[Charles de Gaulle|De Gaulle]] all'Eliseo e restituì alla Francia la stabilità di cui tuttora essa gode. [...] Il motivo vero che farà i dimostranti bersaglio delle peggiori critiche e accuse è ch'essi rappresentano la rivolta delle persone serie contro gli arruffoni della «conflittualità permanente», dei «modelli di sviluppo» e via baggianando. E in questo Paese nulla fa più paura, perché nulla è più rivoluzionario, della serietà. (15 ottobre 1980) *[[Anwar al-Sadat|Sadat]] non era popolare. Gli mancava quel tocco di magia, o di cialtronismo, che consentiva a [[Gamal Abd el-Nasser|Nasser]] di bandire guerre come crociate e di annunciare disfatte come trionfi. [...] Sadat amava il popolo, il popolo contadino del profondo Sud nubiano, di cui era egli stesso originario. Ma non amava le masse, e le masse lo sentivano. [...] Sapeva, quando andò a Gerusalemme, di lanciare a quelle arabe una sfida più pericolosa di quella che lanciava a Begin. [...] Ma all'impopolarità di Sadat contribuiva anche un altro elemento: il fatto di essere un vero riformatore. [...] [[Mohammad Reza Pahlavi|Rehza Pahlevi]] volle applicare gli stessi metodi di [[Mustafa Kemal Atatürk|Atatürk]] senz'averne l'autorità e il prestigio, e per questo lo cacciarono. Ma dopo due anni di [[Ruhollah Khomeyni|Khomeini]], anche i più ciechi e idioti fra i progressisti occidentali, che ne avevano salutato l'avvento come quello del Redentore, si saranno accorti che il progresso, sia pure a forza di polizia segreta e di plotoni di esecuzione, era lo Scià. L'''ayatollah'' è il medioevo. Sadat non seguì i metodi satrapeschi del suo amico Pahlevi, ma ne condivise i fini. [...] Il Rais che ha restituito all'Egitto l'integrità territoriale, l'indipendenza politica, il prestigio militare e il rilancio della sua più proficua industria, il canale di Suez, è giusto che susciti meno rimpianto di chi tutto questo all'Egitto fece perdere. Nasser era un «personaggio», Sadat una «personalità». Il personaggio fa colore e diverte, la personalità incute rispetto e disturba. (9 ottobre 1981) *Nessuna parentela, né vicina né lontana, con l'altro grande d'Israele, [[David Ben Gurion|Ben Gurion]], il Fondatore. [...] {{NDR|David Ben Gurion}} Faceva tutto a caldo, anche la guerra. [[Menachem Begin|Begin]] fa tutto a freddo: anche l'amore, credo, ammesso che lo faccia. Non riuscì a commuoverlo nemmeno [[Anwar al-Sadat|Sadat]], quando gli piombò, da nemico tuttora belligerante, a Gerusalemme, per chiedergli la pace. Il mondo, che vide in televisione la scena, quel giorno fu tutto per l'egiziano che, per la pace, firmava la propria condanna a morte, contro l'israeliano che lo accoglieva senza un sorriso e con visibile fastidio. [...] È l'uomo che non ha esitato un istante [...] a distruggere in pochi minuti tutto l'armamento corazzato, aereo e missilistico siriano sotto l'occhio stupefatto degli osservatori e «consiglieri» russi che lo avevano fornito. È l'uomo che ha messo alla porta l'ambasciatore di Mosca respingendone la nota di protesta addirittura con disprezzo, come se fosse stato lui la Grande Potenza che parlava a un subalterno. È l'uomo che ha picchiato i pugni sul tavolo di [[Ronald Reagan|Reagan]], e a un certo punto aveva rotto anche con lui. Se avesse perso, sarebbe finito al muro e passato ai posteri come il distruttore d'Israele. Ma ha vinto. E la Storia, iscrivendolo nei suoi registri come «Il Salvatore», dirà che solo un uomo come lui, «antipatico» come lui, e come lui disposto anche a scatenare un'altra ondata di antisemitismo, poteva vincere. E avrà ragione di dirlo. Perché è così. Alla fine lo diranno, vedrete, anche gli antisemiti. E forse perfino i semiti. (27 agosto 1982) *L'idea che domani potremmo incontrare per strada, a piede libero e magari oggetti di compassione, gli assassini di [[Walter Tobagi]], ci riempie, più che di furore, di orrore. [...] Avevano scelto lui non per la sua tessera socialista, ma perché era una di quelle prede più facili: indifeso e abitudinario, e quindi bersaglio di facilissima mira, quasi da fermo. Tutto qui il movente del delitto: tutto nella fregola di protagonismo di due coccolatissimi giovanotti della Milano bene che giuocavano a fare i terroristi. [...] Che ora dobbiamo prendere per vero il loro pentimento e assolverli, ci rivolta lo stomaco. Ma è la legge: iniqua, infame, infamante. Ma è la legge. Noi stessi l'abbiamo auspicata e voluta. Il magistrato deve applicarla. E noi [...] accettarla. Ma una cosa reclamiamo, e ci spetta: di essere liberati dall'incubo d'incontrare questi figuri per strada per non veder riflessa nei loro occhi la nostra vergogna di aver avuto bisogno di loro e di aver risposto al loro falso rimorso con un perdono altrettanto falso. Un Curcio, se tornasse in circolazione, ci farebbe forse più paura, ma meno, anzi punto disgusto. [...] Ma i Barbone e i Morandini non li vogliamo tra i piedi. Se ne vadano. E soprattutto ci risparmino memoriali. La speranza di farci dimenticare i loro delitti, gliela passiamo. La pretesa di camparci sopra, no. (29 novembre 1983) *Per i falchi del Pci, [[Enrico Berlinguer|Berlinguer]] era ormai un personaggio scomodo e pericoloso, specie da quando aveva cominciato ad allentare gli ormeggi che lo legavano a Mosca. Gli era perfino scappato di dire (a [[Giampaolo Pansa|Pansa]]) che voleva per l'Italia un regime comunista, ma sotto l'ombrello della Nato che la tenesse al riparo dalle soperchierie del padrone sovietico: la più grave e blasfema di tutte le eresie in cui un capo comunista possa incorrere. (12 giugno 1984) *Se fino a che punto i piduisti – a parte il manipolatore Gelli, e forse qualche altro – fossero un branco di delinquenti golpisti, non siamo riusciti a capirlo. Abbiamo capito soltanto che gran parte di essi occupavano, forse grazie alla P2, posizioni di rilievo, e quindi parecchio ambite, ma ambite anche da molte persone che, per il fatto di non appartenere alla P2, avevano ora, grazie anch'esse alla P2, la possibilità di occuparle. Di fatti accertati e meno ancora di crimini provati, siamo andati invano alla ricerca delle 34.847 pagine della commissione. Vi abbiamo trovato soltanto ipotesi, illazioni, accostamenti di nomi e di episodi. Tutta roba che in mano a Le Carré poteva fruttare chissà quali affascinanti trame. In mano alla signorina [[Tina Anselmi|Anselmi]], resta cicaleccio di portineria. Ma questa è un'altra storia. (19 marzo 1985) *Quanto al moribondo [[Michele Sindona|Sindona]] [...] se fossi stato uno dei giudici popolari che l'altro giorno gli comminarono l'ergastolo, anche io avrei votato come loro pur sapendo che la mia endemica insonnia non ne avrebbe avuto giovamento. Comunque mi sembra che con questa fine, preceduta da quasi un decennio di rovine, umiliazioni, fughe e galere, egli abbia abbondantemente scontato, quali che siano, i suoi delitti. Che ora lo lascino riposare in pace e che pace sia all'anima sua. (22 marzo 1986) *I dieci giorni che sconvolsero il mondo furono in realtà dieci ore: quante ne bastarono alle poche «guardie rosse» reclutate in fretta e furia dai bolscevichi per occupare, senza nessuna resistenza, la Centrale delle poste e telefoni, la stazione ferroviaria, la Banca di Stato, e per spostare l'incrociatore ''Aurora'' di fronte al palazzo d'Inverno, dove ancora si trova, cimelio e monumento al fatidico evento, e dove il governo sedeva [...]. Non fu un assalto. Fu una «retata». L'''Aurora'' non sparò che una dozzina di colpi, di cui solo tre andarono a segno. In tutto, la conquista di questa Bastiglia russa costò, da ambo le parti, un morto, anzi una morta – perché fu una soldatessa che, pare, si suicidò – e diciotto feriti. Il [[Rivoluzione russa|Fasto]] [...] è un falso in atto pubblico. Si dirà che una rivoluzione non si misura dal numero dei morti. Certo: l'abbiamo detto anche noi. La rivoluzione poi venne, e che rivoluzione! Ma venne dall'alto, e per mano di despoti che di morti ne fecero in pochi anni più di quanti lo zarismo ne avesse fatti in secoli. (6 novembre 1987) *Tutto pensavo che potesse capitarmi, fuorché di essere un giorno tentato di spendere qualche parola, per poco che valga, in difesa di Togliatti. [...] Un processo a Togliatti per stalinismo, se glielo intentano i socialisti, che nell'era dello Stalinismo gli fecero da mosca cocchiera, è una burletta. Se lo intentano i comunisti – come sembra che qualcuno di loro voglia fare –, oltre che oltraggio al pudore, diventa quiescenza alla voce del nuovo padrone, cioè stalinismo della più brutt'acqua, anzi una parodia dello Stalinismo. Per la caccia alle streghe, anche dello Stalinismo, ci vogliono degli stalinisti doc, qual era Togliatti. Non è roba da dilettanti, quali sono i suoi pallidi epigoni. (3 marzo 1988) *La fine del Muro è una cosa buona, la fine di una vergogna: non possiamo che salutarla con soddisfazione. Ma guardiamoci dal prendere abbaglio sui suoi moventi. Ulbricht concepì e Honecker realizzò il muro per impedire che i tedeschi dell'Est fuggissero in massa nella Germania dell'Ovest: già 9 (diconsi nove) milioni lo avevano fatto fin allora. E il rimedio fu, come tutti quelli che escogitano nei regimi totalitari, drastico e semplicistico: murare viva la gente dietro una colata di cemento, senza pertugi. [...] Abbiamo in uggia le astrazioni. Ma ciò che distingueva le due Germanie è l'idea morale e giuridica dell'uomo: che a Ovest è padrone di se stesso, e quindi può andarsene dove vuole: ad Est è proprietà dello Stato che ne regola i movimenti. Per chi non ricorda questo, il [[Muro di Berlino]] era, oltre che barbaro, incomprensibile e irrazionale: mentre invece ha obbedito a una sua logica. Nel momento in cui il bunker si affloscia e sopravvive come mero ammasso di cemento ricordandoci un altro bunker, quello che fece da fossa di [[Adolf Hitler|Hitler]] (anche questo pare impossibile: ma i regimi in Germania muoiono nei bunker), il Muro va ricordato per ciò che è stato: non un'aberrazione del comunismo, ma una sua conseguente applicazione. E se crolla così, nel silenzio assordante di un giornale-radio, è perché è crollata, prima, l'ideologia che lo aveva eretto. (11 novembre 1989) *Negli anni Trenta, per le strade di Berlino, risuonava il grido: ''ein Volk, ein Reich, ein Führer'': un popolo, uno Stato, un capo. Stavolta si sono contentati di scandire ''ein Volk, ein Reich''. Non potevano aggiungere, checché ne dica il sig. Ridley, ''ein Kohl'', che fra l'altro significa «cavolo». Ma {{NDR|ai tedeschi}} per diventare i padroni dell'Europa anche un cavolo gli basta. (3 ottobre 1990) *Abbiamo fatto poco: il poco che il Paese dei [[Roberto Formigoni|Formigoni]], dei Cristofori, degli Sbardella, dei [[Ernesto Balducci|Balducci]], dei [[Antonio Bello|vescovi di Molfetta]] poteva fare. Non lamentiamoci se il posto che ci verrà assegnato nel ristabilimento dell'ordine internazionale sarà nell'anticamera, non nella camera dei bottoni. Però sia chiara una cosa: che a gridare «Viva la pace!» siamo qualificati oggi soltanto noi che abbiamo auspicato la guerra contro chi la pace l'aveva turbata e, se lo si lasciava fare (non è un ipotesi, è una constatazione), avrebbe continuato a turbarla in un crescendo di colpi e di aggressioni. (1º marzo 1991) *I voti dei democristiani novaresi non sono andati al partito; sono andati a [[Oscar Luigi Scalfaro|Scalfaro]], democristiano talmente anomalo, che si permette persino di credere in Dio. [...] Il vecchio magistrato conosce il suo mestiere, e sa benissimo di operare in un Paese in cui la mamma dei Casson è sempre incinta. In nome della Legge, le leggi le farà funzionare. Insomma siamo sicuri che starà in Quirinale come un italiano deve starci: da straniero. Unico pericolo: le prediche. Anche [[Luigi Einaudi|Einaudi]] le faceva. Ma le chiamava «inutili». (26 maggio 1992) *Da dove siano venuti tutti i «no» non lo sapremo mai con precisione, ma una cosa è certa. Questo è il colpo di grazia al sistema dei partiti e della classe politica che lo rappresenta, e un colpo durissimo all'immagine del Paese pronto a fare pulizia che l'Italia si stava faticosamente costruendo all'estero. Senza giovare nemmeno a [[Bettino Craxi|Craxi]], che non potrà certo ricostruire la sua carriera sulla votazione di ieri, anzi. Se c'è ancora qualcuno che dubita sulla necessità di un pubblico processo, non solo a lui, ma a tutta la corte di faccendieri che lo circondava, alzi la mano, o meglio nasconda la faccia. (30 aprile 1993) *Questo è l'ultimo articolo che compare a mia firma sul giornale da me fondato e diretto per vent'anni. Per vent'anni esso è stato – i miei compagni di lavoro possono testimoniarlo – la mia passione, il mio orgoglio, il mio tormento, la mia vita. Ma ciò che provo a lasciarlo riguarda solo me: i toni patetici non sono nelle mie corde e nulla mi riesce più insopportabile del piagnisteo. [...] A presto dunque, cari lettori. Anche a costo di ridurlo, per i primi numeri, a poche pagine, riavrete il nostro e vostro giornale. Si chiamerà ''La Voce''. In ricordo non di quella di [[Frank Sinatra|Sinatra]]. Ma di quella del mio vecchio maestro – maestro soprattutto di libertà e indipendenza – [[Giuseppe Prezzolini|Prezzolini]]. (12 gennaio 1994) {{Int|''Rituale barbarico''|Articolo su ''il Giornale nuovo'', 10 maggio 1978.|h=4}} *La fine di [[Aldo Moro]] ci rende sgomenti, il fanatismo di chi lo ha ucciso lentamente, togliendogli la speranza prima di toglierli la vita, ci riempie di orrore. Speriamo ancora che la tracotanza dei criminali sia un giorno punita. L'importante, adesso, è che il Paese, proprio per rendere omaggio a Moro, e proprio in memoria di lui, sappia trarre da questa tragedia l'amara lezione che essa comporta. La democrazia non deve, anzi non può essere debole. La libertà, che la rende superiore a qualsiasi altro regime, ma anche più vulnerabile, non va conclusa con la indulgenza verso i nemici, la imprevidenza, la leggerezza. *Lo Stato italiano ha superato con onore questa prova difficile, ma la magistratura e gli organi di polizia hanno denunciato, nella loro azione, una desolante inefficienza, che ha permesso alle brigate rosse di operare con irridente spavalderia. Ne va data colpa non tanto alle forze dell'ordine quanto a chi ha voluto, per demagogia, per compiacere le sinistre, per acquistare facile popolarità, smobilitare i servizi segreti, rimuovere i funzionari più ligi al dovere, trasformare le carceri in alloggi con libera uscita quotidiana. Gli eversori della democrazia, i contestatori della legalità hanno potuto predicare e demolire senza ostacoli. Ci auguriamo di non vederli ora associati ipocritamente al compianto per un delitto del quale sono, ideologicamente se non materialmente, corresponsabili. Le loro non erano soltanto parole. Un giovane sfracellato da un ordigno sulla ferrovia Trapani-Palermo – l'episodio è di ieri – apparteneva a Democrazia proletaria. I banditi che hanno assalito a Bologna un grande magazzino venivano dal Movimento studentesco. È inutile che questi gruppi ostentino adesso costernazione e stupore per le belluine imprese delle brigate rosse. Il terrorismo è figlio loro. *All'annuncio della fine di Aldo Moro i sindacati si sono mossi, hanno indetto manifestazioni e proclamato uno sciopero generale. Siamo certi della loro profonda esecrazione, e della loro sincera partecipazione al cordoglio nazionale. Pensiamo tuttavia che i lavoratori e i loro rappresentanti darebbero un apporto più costruttivo alla lotta contro i terroristi tenendo d'occhio gli estremisti delle fabbriche, troppe volte protetti e difesi. Così pure gli studenti «impegnati», se proprio vogliono dissociarsi dalle brigate rosse, devono estromettere dalle loro file gli agitatori deliranti, e dinamitardi che nascondono bottiglie molotov e armi negli scantinati delle facoltà. Chi ha chiuso gli occhi di fronte alla ''escalation'' di violenza degli anni scorsi, li chiuda oggi per non lasciar scorrere lagrime di coccodrillo. {{Int|''Poveri morti poveri vivi''|Articolo su ''il Giornale'', 31 maggio 1985.|h=4}} *L'[[Inghilterra]] non sono i forsennati che abbiamo visto all'opera nello stadio di Bruxelles. L'Inghilterra sono la [[Margaret Thatcher|Thatcher]], i politici, i commentatori di stampa, radio e televisione, la gente intervistata per strada, che hanno confessato la loro vergogna a una voce, con una sola stecca: quella del ministro dello Sport che con le sue dichiarazioni si è messo sullo stesso piano degl'imbestialiti. Comunque, Dio ci guardi ora dai soliti sproloqui e dibattiti dei sociologi sui motivi di «tifo» e sui mezzi d'impedirne gli eccessi. Non ce ne sono, se non nel controllo che ognuno può e deve esercitare su di sé. *La strega non è il «tifo» che dallo sport è inseparabile. E non siamo nemmeno noi, come vogliono i cantautori del «siamo tutti colpevoli» che ieri giornali e radio hanno intitolato. Perché, se di qualcosa siamo colpevoli, è di aver sempre secondato la corruttrice e demagogica tendenza a scaricare l'individuo di ogni responsabilità, rigettandola regolarmente e interamente sulla società. È la società che ci obbliga a rubare, è la società che ci obbliga ad uccidere. E si capisce che quando si offrono alla gente di questi alibi, c'è sempre qualcuno che ne approfitta. Stamane leggevo su un giornale francese un dotto articolo in cui si spiegava che la furia dei tifosi del [[Liverpool Football Club|Liverpool]] era dovuta al fatto che, essendo quasi tutti minatori, per un anno erano rimasti senza lavoro a causa dello sciopero: il che gli aveva fatto accumulare la rabbia che poi era scoppiata a Bruxelles. Insomma, senza dirlo, l'articolo induceva alla conclusione che il vero responsabile del massacro era la signora Thatcher. Ecco in che senso siamo tutti colpevoli. Siamo colpevoli di assolvere tutti come vittime innocenti di una società iniqua che, a furia di essere tutti noi, non è nessuno. È un giuoco a cui non ci stiamo. I responsabili di Bruxelles sappiamo chi sono: sono i delinquenti che abbiamo visto avventarsi, prima che la partita cominciasse, e quindi senza alcuna provocazione, contro i tifosi italiani con sbarre e coltelli di cui erano accorsi armati, con l'evidente intenzione di farne l'uso che ne hanno fatto. Delinquenti, non vittime. La società non c'entra, non c'entrano le miniere. Casomai l'alcol. Ma ne avevano ingerito per delinquere meglio. Speriamo che la polizia li identifichi e li consegni a quella inglese. Della quale possiamo fidarci. {{Int|''I rieccoli''|Articolo su ''il Giornale'', 20 gennaio 1990.|h=4}} *Scorrendo le cronache delle agitazioni studentesche di questi giorni avevo avuto per un momento l'impressione, o l'illusione, che esse si fondassero sui problemi concreti dell'università, e che fossero qualcosa di diverso, e di migliore della grottesca ubriacatura sessantottina. Ma quando giovedì sera, nella trasmissione televisiva ''Samarcanda'', è stato lanciato contro [[Mario Cervi]] il rituale e vile epiteto «fascista!» (e questo solo perché aveva mosso obiezioni agli sproloqui assembleari di Roma e di Palermo), ho capito che vent'anni dopo è come vent'anni prima. La protesta è un pretesto, il legittimo scontento diventa arma politica, gli appelli al dialogo si risolvono in volontà di sopraffazione, di discussione su ciò che nell'università deve essere cambiato sfocia in un attacco globale al governo, alla società, al sistema. L'unica connotazione sessantottina che ancora manca è la violenza fisica. Ma temo che non tarderà ad arrivare se chi dissente è bollato come fascista e chi governa (è capitato ad [[Giulio Andreotti|Andreotti]], a Palermo) come mafioso. *Quanto alla legge Ruberti, Cervi ha osservato che viene presa di mira perché consentirebbe un limitato ingresso dei privati nella gestione delle università: e al solo sentir parlare di «privato» – che le folle e i giovani dell'Est chiedono con slancio entusiastico – gli epigoni nostrani del [[marxismo-leninismo]] sono presi da convulsioni. [...] La legge Ruberti è passata in sott'ordine, il punto centrale del dibattito – o piuttosto della successione di sproloqui, intimazioni e insulti – è diventato il degrado di questa povera Italia privatizzata, che invece conoscerebbe fulgidi destini se fosse tutta pubblica e stabilizzata. Gli ''slogans'', le utopie, le bugie e le dissennatezze sessantottine o settantasettine riemergevano dalle pagine dei libri e dalla polvere degli archivi, per imitazione o per transfert generazionale. *Tirava aria romena o cecoslovacca in quelle assemblee: ma della Romania e della Cecoslovacchia di [[Nicolae Ceaușescu|Ceausescu]] e di Husak, con l'idolatria dello Stato, con gli applausi unanimi, con la riduzione al silenzio degli oppositori. S'è sentito, a proposito sempre di Cervi, il sinistro termine «provocazione» con cui tutti gli oppressori legittimano i loro soprusi. Qualcuno di quei ragazzi pretende che esistano parentele tra questo movimento e quelli dell'Est, dimenticando che là ci si batte, a rischio della pelle, per instaurare non il regime dello statalismo, ma al contrario per abbatterlo e introdurre o reintrodurre quello di iniziativa privata in tutti i campi, compreso quello della cultura e della scuola. Che siano diventati, gli studenti di Berlino, di Praga, di Bucarest, fascisti anche loro? ====''Controcorrente – rubrica''==== {{cronologico}} *La cosa che più ci turba, delle nostre sconfitte sportive, è il grande, alluvionale bisticcio che si scatena fra i «tecnici» per giustificarle. Per quella di Stoccarda, che ci ha eliminato dal campionato del mondo, ne avremo – temiamo – per tutta l'estate: se ne parlerà più che di Caporetto. Noi tecnici non siamo, ma abbiamo la nostra idea. È questa: che non si possono mandare dei polli di batteria a competere con quelli ruspanti. Resta da capire perché noialtri non sappiamo allevare che polli di batteria. Ma ci sembra che questo sia sufficientemente spiegato da un piccolo episodio occorso a Roma, dove un gruppo di tifosi ha creduto di «vendicare» i suoi campioni (si fa per dire) assalendo con pomodori e uova l'ambasciata di Polonia. Ecco. Per un paese in cui la «sana passione sportiva» si effonde in simili manifestazioni, quegli undici mammozzi dalle gambe molli sono fin troppo, e fin troppo misericordiose le disfatte che subiscono. (25 giugno 1974) *Noi, di [[Fascismo|fascismi]] ne conosciamo e ne esacriamo uno solo: quello di chi appiccica questa etichetta a qualunque idea o opinione che non corrisponde alle sue. Di questo giuoco, la nostra [[sinistra in Italia|sinistra]] è spesso maestra. Non per nulla lo stesso [[Benito Mussolini|Mussolini]] veniva dai suoi ranghi. (10 luglio 1974) *In una conferenza stampa a Nuova Delhi, [[Henry Kissinger]] ha dichiarato che verrà a Roma e andrà a pranzo dal presidente Leone, ma non parlerà di politica perché quella italiana è, per lui, troppo difficile da capire. È la prima volta che Kissinger riconosce i limiti della propria intelligenza. Ma vogliamo rassicurarlo. A non capire la politica italiana ci sono anche cinquantacinque milioni di italiani, compresi coloro che la fanno. (31 ottobre 1974) *[[Dario Fo]], poeta di corte dell'ultrasinistra, flagella nella sua ultima fatica teatrale il senatore [[Amintore Fanfani]], responsabile di ogni nequizia passata, presente e futura. I sarcasmi più grevi hanno però come bersaglio il metraggio del notabile democristiano che, come tutti sanno, non è quello di un granatiere. [[Henri de Toulouse-Lautrec|Toulouse-Lautrec]], che per gli stessi motivi dovette per tutta la vita subire analoghe canzonature, disse una volta, giocando sulla lunghezza del suo doppio casato: «Ho la statura del mio nome». Non sappiamo se questo discorso si possa applicare a Fanfani. Certo, si applica a Fo. (11 giugno 1975) *[[Winston Churchill|Churchill]] diceva che «i panni dei servizi segreti si possono, anzi si devono lavare più spesso degli altri; ma, a differenza degli altri, non si possono mettere ad asciugare alla finestra». Dello stesso parere era [[Stalin]] che regolarmente, ogni tre o quattro anni, il lavaggio lo praticava facendo accoppare al buio i capi della sua polizia, nel presupposto – probabilmente fondato – che a far quel mestiere non potevano essere che arnesi da forca, e quindi era giusto che ci finissero. Gli [[Stati Uniti d'America|americani]] seguono tutt'altro criterio. Essi hanno trascinato la ''[[Central Intelligence Agency|Cia]]'' in televisione denunciandone ''coram populo'' fatti e misfatti. I suoi capi ne hanno commessi, dicono, di grossi. Ma il più grosso è forse quello di non aver capito che l'America non li paga per svolgere servizi segreti, ma per offrire agli americani il pretesto per vergognarsene. È l'unico popolo che goda più nel pentimento che nel peccato. (28 novembre 1975) *Non sempre, per redigere questa piccola rubrica, occorre forzare la fantasia. Qualche volta basta lasciare la parola alle agenzie di stampa ufficiali. Eccone un caso. L'agenzia Adn Kronos comunica: «Due giorni di sciopero sono stati dichiarati dai sindacati postelegrafonici milanesi per il 28 gennaio e per il 6 febbraio per protesta contro gli scioperi e i disservizi». (25 gennaio 1976) *L'Unità ci rimprovera di aver pubblicato il manifesto degl'intellettuali in favore della libertà. E ha ragione. Si tratta infatti di una illecita concorrenza perché finora i manifesti, gli appelli, le «veglie» e tutto il resto sono stati monopolio del Pci, unico partito capace di far cantare la gente in coro. Ma appunto per questo non vediamo di che si preoccupi. Gl'[[intellettuale|intellettuali]] italiani che preferiscono aver ragione da soli piuttosto che torto con gli altri, sono pochi. I più seguono la massima di [[Paul-Jean Toulet|Toulet]]: «Quando i lupi urlano, urla con loro». (1º giugno 1976) *Ieri [[Mario Melloni|Fortebraccio]], dalle colonne dell'«[[l'Unità|Unità]]», ha invocato per noi, previa qualche iniezione, il ricovero immediato, e a titolo definitivo, in manicomio. La cosa non ci stupisce: sappiamo benissimo che di manicomi e di iniezioni nessuno s'intende più dei comunisti: chi c'è passato giura che ci hanno fatto una mano da maestri. Ci stupisce però che Fortebraccio lo abbia implicitamente – e un po' anzitempo – riconosciuto. Forse gli è scappata. Alla sua età, succede. (10 dicembre 1976) *Cadendo oggi il trigesimo della scomparsa di Pietro Valdoni, vogliamo rievocare un episodio del grande chirurgo. Come tutti ricorderanno, fu lui ad operare, salvandogli la vita, [[Palmiro Togliatti]], ferito alla testa dalla rivoltella di Pallante. Quando ricevette la parcella, Togliatti la trovò salata, e accompagnò il pagamento con queste parole: «Eccole il saldo, ma è denaro rubato». Valdoni rispose: «Grazie per l'assegno. La provenienza non mi interessa» (23 dicembre 1976) *«Dio non è un maschio» assicura alle femministe Civiltà Cattolica, l'autorevole rivista dei gesuiti, scusandosi «delle tracce di antifemminismo che ancora sono nella Chiesa». Brutto segno quando i teologi si mettono a discutere di sesso. Fu mentre i bizantini si accapigliavano su quello degli angeli che arrivarono i turchi. (21 giugno 1977) *Riferiscono le cronache che l'America è in subbuglio per la morte di [[Elvis Presley]]. Oltre centomila persone si sono riversate a Memphis, sua ultima dimora, due donne sono rimaste uccise nella calca che si stringeva intorno alle spoglie del cantante. Il sindaco ha fatto abbrunare le bandiere in tutta la città, il presidente [[Jimmy Carter|Carter]] è stato flagellato di proteste perché non aveva proclamato il lutto nazionale e uno gli ha gridato al microfono: «Noi americani dobbiamo più a Presley che a [[George Washington|Washington]] e a [[Abraham Lincoln|Lincoln]] sommati insieme». Anche noi italiani dobbiamo qualcosa a Presley: una delle rare occasioni in cui preferiamo essere italiani piuttosto che americani. (20 agosto 1977) *È in corso una iniziativa per l'abolizione, nelle aule scolastiche, della pedana su cui si eleva la cattedra. Il perché lo avrete già capito: l'insegnante deve mettersi, anche materialmente, a livello degli alunni per non lederne la dignità e dimostrare con l'esempio che siamo tutti uguali. Giusto. «La via dell'uguaglianza – dice Rivarol – si percorre solo in discesa: all'altezza dei somari è facilissimo instaurarla». (29 ottobre 1977) *Fra gli annunci economici di Lotta Continua, ne è comparso uno che dice: «Compero a L. 100.000 una tesi di laurea, anche già presentata, purché tratti un argomento attinente all'[[Inghilterra]], o alla lingua, storia, letteratura inglese. Meglio se con una impostazione femminista». Curioso. Questi grandi [[Rivoluzione|rivoluzionari]], che dicono di battersi per costruire una società nuova di zecca, quando si tratta di lauree, si contentano anche di quelle usate e di seconda mano. (3 marzo 1978) *Credevamo che l'assassinio di Aldo Moro, così come è stato eseguito, fosse il colmo dell'infamia. Abbiamo dovuto ricrederci. Al comizio di protesta svoltosi in piazza Duomo a Milano subito dopo la macabra scoperta in via Caetani a Roma, un gruppo di ultrà ha gridato: «Moro fascista!». Preferiamo le [[zanne]] delle belve alla [[bava]] degli [[Sciacallo|sciacalli]]. (10 maggio 1978) *Ecco il nostro telegramma di congratulazioni e auguri a Pertini: «Che Dio le conceda il coraggio, Presidente, di fare le cose che si possono e che si debbono fare; l'umiltà di rinunziare a quelle che si possono ma non si debbono, e a quelle che si debbono ma non si possono fare; e la saggezza di distinguere sempre le une dalle altre». (9 luglio 1978) *Dall'indagine svolta da uno dei più seri istituti di ricerche demografiche, lo svizzero Scope, risulta che la professione più ammirata e rispettata, nel mondo, è quella dei medici. I giornalisti sono al penultimo posto. Ce ne sentiremmo profondamente avviliti se all'ultimo non vedessimo catalogati gli editori. (29 novembre 1978) *Prima di partire per Vienna, il presidente {{NDR|degli Stati Uniti}} [[Jimmy Carter|Carter]] ha fatto due dichiarazioni. La prima: «Ci auguriamo che il signor Breznev {{NDR|allora presidente dell'Unione Sovietica e Primo Segretario del PCUS}} abbia per le nostre ragioni la stessa comprensione che noi abbiamo per le sue». La seconda: «Se Ted Kennedy si presenta contro di me alle elezioni presidenziali, gli faccio un c.o così» Il triviale [[Richard Nixon|Nixon]] avrebbe potuto dire le stesse cose, ma certamente ne avrebbe invertito l'ordine di priorità riservando la comprensione a Kennedy ed il c.o a Breznev. La differenza fra i due è tutta qui. (16 giugno 1979) *Avvicinandosi il 25 dicembre, decine di migliaia di teneri [[abete|abeti]] vengono strappati dai boschi della Penisola per allestire il tradizionale albero di Natale. Ogni anno lo scempio si ripete, tra la generale indifferenza. Soppresso l'Ente protezione animali, figuriamoci se qualcuno ha voglia di proteggere gli alberi. Diciamo la verità: la sola pianta che interessi all'[[italiano medio]] è la pianta stabile. (19 dicembre 1979) *Nel Manifesto di domenica scorsa tale K.S. Karol faceva considerazioni amare sulla rivoluzione cubana e sui suoi fallimenti: «[[Fidel Castro|Fidél]] – ha ricordato il commentatore, uno dei tanti orfani delle illusioni di sinistra – prometteva ai cubani per il 1965 un tenore di vita pari a quello svedese». Certo Fidél si è sbagliato di grosso; non per cattiva volontà, ma per mancanza di uomini, anzi di un uomo. Sarebbe bastato che anche la Svezia avesse uno suo Castro al potere per ritrovarsi in pochissimi anni con un tenore di vita pari a quello cubano. (15 aprile 1980) *Riferiscono le cronache che quando è giunta in tribunale la notizia dell'assassinio di Walter Tobagi, il brigatista Corrado Alunni l'ha accolta con una sghignazzata di tripudio. Abbiamo sempre combattuto la pena di morte sul presupposto che l'uomo non ha il diritto di uccidere l'uomo. Il presupposto lo confermiamo. Ciò di cui cominciamo a dubitare è che gli Alunni e quelli come lui siano uomini. Sui cadaveri sghignazzano le jene. (30 maggio 1980) *A Mirafiori, parlando agli operai della Fiat in sciopero, il sindaco di Torino, Novelli, se l'è presa coi giornalisti e li ha additati all'uditorio come falsari che ricalcano i loro resoconti non sui fatti, ma sulle «veline» distribuite loro dai «padroni». Anche Novelli ha fatto il giornalista in un foglio comunista, e quindi di veline e di padroni è certamente un intenditore. Ma se dopo questa denuncia ci scappa un altro Casalegno, sarà molto gradita la sua assenza ai funerali. (8 ottobre 1980) *Grandi elogi – dopo il successo del blitz di Trani – alle «teste di cuoio» italiane. La loro azione ha dimostrato quanto poco valesse la strategia della flessione propugnata di alcuni personaggi. Teste anche loro: ma di che? (31 dicembre 1980) *Fra i tanti slogans che il partito socialista francese ha lanciato in occasione delle elezioni presidenziali per rassicurare i bravi borghesi sottolineando il proprio carattere moderato e riformista, abbiamo letto anche questo: «Il socialismo può fare di chiunque un milionario». Ci crediamo senz'altro. A patto che quel chiunque fosse prima un miliardario. (8 maggio 1981) *Per gl'italiani, finora, il nome di Gelli era quello dell'autore del più famoso e autorevole codice cavalleresco. Anche oggi rimane legato a un codice. Quello penale. (9 maggio 1981) *L'elenco degli affiliati alla P2 comprende, dicono, 953 nomi, cui corrispondono i più alti gradi della politica, della magistratura, delle forze armate, della burocrazia, dell'industria, della finanza. Tutti «fratelli». È la riprova che, in questo Paese, guai ai figli unici. (11 maggio 1981) *Macché pazzo! L'attentatore del Papa deve essere un furbo matricolato. Dichiarandosi seguace di George Habbas e della causa palestinese, ha cercato di procurarsi la solidarietà dei molti, dei moltissimi, che non battono ciglio quando un terrorista cerca di spedire qualcuno all'altro mondo. Purché il terrorista appartenga al terzo. (16 maggio 1981) *Studiosi cinesi, mettendo a confronto reperti di ominidi dissimili tra loro tanto da far pensare che l'uomo discenda anche da animali diversi dalla [[scimmia]], sono arrivati alla conclusione che i nostri progenitori erano comunque scimmie, ancorché di specie differenti. Ci pare logico. Quale altro animale avrebbe potuto imitare la scimmia che ha dato l'avvio alla razza umana se non un'altra scimmia priva di senso critico? (19 maggio 1981) *Una nostra redattrice andata per una sua cronaca sul femminismo alla «libreria delle donne» in via Dogana a Milano, è stata accolta da una di loro con queste parole: «Con te non parlo perché sei di un giornale fascista, e anche tu hai la faccia da fascista». La nostra redattrice, che ha ventun anni, probabilmente non sapeva bene cosa fosse il fascismo. Ora lo sa: lo ha imparato in quella libreria. (4 novembre 1981) *Come previsto, la Juventus ha conquistato il [[Serie A 1981-1982|ventesimo scudetto]] battendo il Catanzaro. Una vittoria di rigore. (17 maggio 1982) *Socialisti e comunisti si sono opposti alle sanzioni economiche contro l'Argentina perché, hanno detto, una buona metà degli argentini sono di origine italiana, e molti di loro conservano tutt'ora la nostra nazionalità. Vero. Ma non ci eravamo accorti che queste sinistre spasimassero tanto d'amore per i nostri connazionali di laggiù quando si trattava di riconoscergli il diritto di voto. (22 maggio 1982) *Se si va avanti di questo passo, la [[guerra delle Falkland]] (o Malvine) finirà quando l'ultimo aereo argentino sarà abbattuto col suo carico di bombe sull'ultima nave inglese. E dire che questa lotta di leoni si svolge per un'isola di Pecore. (27 maggio 1982) *Tutti abbiamo trepidato ieri, davanti al televisore, per le sorti della squadra azzurra, tutti ci siamo entusiasmati alle sue gesta, tutti abbiamo salutato con orgoglio la sua vittoria. Ma il tipo di patriottismo che questa ha suscitato nelle strade delle nostre città, messe a soqquadro dai tifosi scalmanati che usavano il tricolore a copertura del peggior teppismo, ci ha fatto rimpiangere di non essere nati brasiliani. (6 luglio 1982) *Mai visto così tanto entusiasmo patriottico, tanti tricolori per le strade come per la finale degli azzurri al Mundial. Nella tomba di Caprera, le ossa di [[Giuseppe Garibaldi|Garibaldi]] fremono di invidia. Per unificare l'Italia «in un solo grido, in una sola passione» gli erano accorsi mille uomini. A [[Enzo Bearzot|Bearzot]] ne sono bastati undici. (12 luglio 1982) *Gli scrittori [[Mario Soldati]] (Psi) e [[Gianni Brera]] (Psi) sono stati trombati {{NDR|non sono stati eletti}}. Peccato. Il Parlamento era l'unico posto in cui, dovendo parlare per gli altri, forse avrebbero finalmente taciuto. (1º luglio 1983) *Che [[Bettino Craxi|Craxi]] sia uomo di grandi capacità e ambizioni, lo si sapeva. Che sia anche uomo di grande coraggio, lo si è visto ieri, quando pronunciava alla Camera il suo discorso di replica. Per due volte si è interrotto alla ricerca di un bicchier d'acqua. Per due volte [[Giulio Andreotti|Andreotti]] glielo ha riempito o porto. E per due volte lui lo ha bevuto. (13 agosto 1983) *Condannato dal tribunale di Reggio Emilia per bestemmie e turpiloquio contro la Chiesa, [[Roberto Benigni]] avrebbe qualche ragione di considerarsi vittima di un'ingiustizia. Proprio il giorno prima la Chiesa riabilitava [[Martin Lutero]], scomunicato ai suoi tempi pressappoco per gli stessi motivi. Come cambia, coi tempi, la sorte degli uomini! È inquietante pensare che Benigni, se fosse vissuto cinquecent'anni fa, sarebbe forse diventato Lutero. Ma addirittura sconvolgente è che Lutero, se fosse nato cinquecent'anni dopo, sarebbe forse diventato Benigni! (8 novembre 1983) *Il più autorevole giornale americano di economia e finanza, il Wall Street Journal di martedì 10 gennaio, è incorso in un curioso lapsus. Parlando del concordato fra lo Stato italiano e la Santa Sede, scrive che esso «venne firmato nel 1929 da Bettino Mussolini». Chissà, se lo legge, come si arrabbia Benito Craxi. (12 gennaio 1984) *È comparsa sui giornali la pubblicità di una nuova opera di Fanfani, intitolata «La Dc e la svolta degli anni 80». L'editore avverte che si tratta di un libro formato «tascabile». Dato l'autore, poteva andare diversamente? (16 gennaio 1984) *È vero: la [[Juventus Football Club|Juventus]], a Basilea, non ha fatto una gran figura. Giocando con più cervello, poteva vincere comodamente 4-0. Ma attenti a non giudicare troppo severamente il Porto. Quello di Genova va molto peggio. (18 maggio 1984) *Il trentanovenne James Nelson, condannato da un tribunale di Londra a quindici anni per avere ucciso la madre a colpi di mattone, ha sentito, chiuso in cella, la vocazione sacerdotale: si è messo a studiare teologia, e ora sta per diventare prete nella chiesa scozzese. «È mia intenzione – ha dichiarato – contribuire alla edificazione di una nuova società». Si può credergli: i mattoni ha dimostrato di saperli usare. (25 maggio 1984) *L'agenzia Agi informa, con un drammatico flash, che il ministro [[Giulio Andreotti|Andreotti]], «impegnato in una riunione superistretta con gli altri 15 ministri degli esteri della Nato, perderà la partita [[Associazione Sportiva Roma|Roma]]-[[Liverpool Football Club|Liverpool]]». È giusto il fatto che faccia notizia: è la prima volta che Andreotti perde qualcosa. (31 maggio 1984) *Presso la Presidenza del Consiglio, a palazzo Chigi, è stata istituita una commissione di giuristi per la completa parificazione dei diritti fra i due sessi. Finalmente! Era ora che ce la riconoscessero, a noi uomini. (16 ottobre 1984) *La riforma dei programmi della scuola elementare, cui sta lavorando il Ministro Falcucci, introdurrà nella terza, quarta e quinta classe l'insegnamento di una lingua straniera. Non è specificato quale. Speriamo che si tratti dell'italiano. (21 gennaio 1985) *Un certo [[Nichi Vendola]], dirigente della Federazione giovanile comunista, ha lanciato l'idea di riconoscere formalmente un «diritto dei bambini ad avere rapporti sessuali tra loro o con gli adulti». Vendola ha detto di aver attinto questa idea all'esperienza di molti padri. A conferma di quanto scrive [[Georges Courteline|Courteline]] nella sua «Filosofia»: «Uno dei più chiari effetti della presenza di un bambino in una casa è di rendere completamente idioti dei genitori che forse, senza di lui, sarebbero stati degl'imbecilli comuni». (26 marzo 1985) *I tecnici di calcio sono rimasti stupiti dalla prova del [[Real Madrid Club de Fútbol|Real Madrid]] che nella semifinale della coppa Uefa ha letteralmente travolto i modesti giocatori dell'[[Football Club Internazionale Milano|Inter]]. I madrileni hanno proprio vinto a biglia sciolta. (26 aprile 1985) *Quando [[Sandro Pertini]] è apparso sul video di Raiuno che trasmetteva la premiazione del concorso ippico di Roma, il cronista ha commentato: «Anche i cavalli, come vedete, sono gentili col Presidente». Era vero. Forse meritano di essere fatti cavalieri. (5 maggio 1985) *I tifosi rossoneri sono in festa per la notizia che Berlusconi sta per acquistare il loro Milan. Sono convinti che in un battibaleno ne farà una squadra da scudetto, da coppa delle coppe, da tutto, e forse hanno ragione. C'è un solo pericolo: che il neo-presidente voglia fare anche il direttore tecnico, l'allenatore, il massaggiatore, il capitano e il centrattacco. Il che potrebbe andar anche bene. Ma ad una condizione: che possa fare anche l'arbitro. (27 dicembre 1985) *Rete Quattro e Italia 1 sono state multate per violazione del decreto che proibisce la propaganda al consumo del tabacco. Lo spot incriminato è quello che, parlando del «Camel Trophy», ostentava un pacchetto di sigarette della ditta sponsorizzatrice. Strano Paese, il nostro. Colpisce i venditori di sigarette, ma premia i venditori di fumo. (13 marzo 1986) *Molti lettori ci chiedono quale missione sta svolgendo l'on. Capanna a Tripoli, quali motivi l'hanno spinto da Gheddafi. Non ne sappiamo granché: non siamo abituati a ficcare il naso nelle altrui questioni di famiglia. (1º giugno 1986) *Oggi Paolo Pillitteri sarà designato alla successione di Tognoli come sindaco di Milano. Lo dipingono come uomo intelligente, efficace, insomma pieno di qualità. Purtroppo, gli manca quella fondamentale: il celibato. (5 dicembre 1986) *Finalmente, dopo sette anni di esilio a Gorky, l'impavido Andrei Sacharov è tornato a Mosca. Speriamo che Gorbaciov ci resti. (24 dicembre 1986) *L'agenzia Ansa riferisce che da un sondaggio operato in Francia su un pubblico internazionale, risulterebbe che il maschio italiano detiene ancora il primato mondiale della seduzione. Speriamo che i giornali non riportino la notizia: gl'italiani sarebbero capaci di crederci. (15 marzo 1987) *Per la prima volta nella storia della Corte Costituzionale, il nuovo presidente, Francesco Saja, è stato eletto al primo scrutinio. Ma il rivale sconfitto, Ferrari, ha sollevato eccezione accusando il vincitore di averlo battuto grazie a un «compromesso storico» fra elettori democristiani e comunisti, aggravato da un intrallazzo fra siciliani. Vero o falso, dalla Corte al cortile. (5 giugno 1987) *Ieri tutti i telegiornali ci hanno martellato negli occhi le immagini dei capibastone – Craxi, De Mita, Spadolini, Altissimo ecc. – che infilavano la scheda nell'urna. I loro volti raggiavano di soddisfazione. Erano gli unici elettori matematicamente sicuri di aver dato il voto al candidato ideale. (15 giugno 1987) *In una scuola di Chattanooga, nel Tennesse (Usa), due sedicenni, approfittando dell'assenza dell'insegnante, si sono baciati e hanno fatto l'amore davanti a una decina di compagni, niente affatto scandalizzati. Dato il lassismo di certe scuole americane, gli esami in cui gli studenti riescono meglio sono proprio queste prove orali. (4 giugno 1988) *Diciannove persone hanno dichiarato d'aver visto aggirarsi, tra le quinte della Scala, il fantasma di [[Maria Callas]]. Non ci meravigliamo, anche perché migliaia di altri frequentatori del massimo teatro lirico italiano sostengono da tempo di vedere, alla Scala, il fantasma della Scala. (28 giugno 1988) *Scoprendo le istituzioni britanniche con un secolo e mezzo di ritardo, i comunisti sembrano fermamente intenzionati a formare il loro «shadow Cabinet». Ma onestamente non ne afferriamo la ragione. Non c'è nessun bisogno di un governo ombra per contrastare quest'ombra di governo. (5 maggio 1989) *Da un sondaggio condotto tra i francesi risulta che il personaggio più noto d'Oltralpe è [[Marcello Mastroianni]], conosciuto dall'83 per cento degli intervistati. Il 97 per cento dei francesi invece confessa di non sapere chi sia [[Ciriaco de Mita|Ciriaco De Mita]]. Quando si dice un Paese fortunato... (20 maggio 1989) *Gerardo Iglesias, che fu segretario generale del partito comunista spagnolo dall'82 all'88, ha lasciato l'attività politica per riprendere il suo lavoro di minatore di carbone, «l'unico modo in cui posso guadagnarmi degnamente la vita». Alcuni dirigenti del Pci, a quanto risulta, vorrebbero imitarne l'esempio, tornando al vecchio lavoro. Il difficile è trovare chi ne aveva uno. (1º giugno 1990) *Durante la festosa «notte del mondiale», la polizia romana ha arrestato, nelle vicinanze dello stadio olimpico, 29 borsaioli e scippatori. Il signor [[Edgardo Codesal Méndez|Codesal Mendez]], arbitro della partita [[Nazionale di calcio della Germania|Germania]]-[[Nazionale di calcio dell'Argentina|Argentina]], non figura nell'elenco. (10 luglio 1990) *Il giudice veneziano Casson ha convocato, per la storia del Gladio, il presidente [[Francesco Cossiga|Cossiga]], e l'Italia leguleia è in subbuglio: la Costituzione, pure, si è dimenticata di precisare se il Capo di Stato può essere chiamato a rispondere, sia pure da testimone, a un qualunque magistrato. Il quale però ha ora la fotografia su tutti i giornali. E tutti possono ammirarla chiedendosi che cosa passa in quella testa, la testa di Casson. (10 novembre 1990) *Gli studenti italiani manifestano rumorosamente per la [[pace e guerra|pace]] e contro la [[pace e guerra|guerra]]. La guerra, diceva [[Georges Clemenceau|Clemenceau]], è una cosa troppo seria per lasciarla fare ai militari. Ma anche la pace è una cosa troppo seria per lasciarla fare ai pacifisti. (20 gennaio 1991) *Occupandosi – tra tanto Golfo – del Festival di Sanremo il Tg3 ci ha dato, finalmente, ieri sera, una notizia credibile: il livello delle canzoni, ha detto, è destinato a salire. Infatti: sentite le prime è impossibile che scenda. (1º marzo 1991) *Da un'indagine risulta che il 41,9% degli italiani non considera illecito l'assenteismo dal lavoro e che il 41,3% non considera peccato le infedeltà coniugali. La coincidenza delle due cifre spiega in che modo gli statali impiegano il tempo che dovrebbero dedicare all'ufficio. (3 ottobre 1991) *A quest'ora [[Ernesto Balducci|Padre Balducci]] è di fronte al Supremo Giudice, nel quale affermava di credere. Almeno a Lui dovrà spiegare non ciò che diceva contro la Chiesa, ma perché lo diceva travestito da frate. (26 aprile 1992) *Nell'ultima tornata presidenziale è emerso, con un bel pacchetto di 20 voti, Aldo Aniasi. Finalmente. In questo imperversare di tangenti e bustarelle, era ora che qualcuno si ricordasse di lui. (24 maggio 1992) *Per sfatare le malevole dicerie su certe bestie, il presidente degli «animalisti» italiani ha offerto un premio di 200 milioni a chi potrà dimostrare che i corvi scrivono lettere anonime e che le talpe fanno le spie. È vero: di simili casi non ne conosciamo. Ma di somari che fanno i presidenti, ne conosciamo parecchi. (5 luglio 1992) *Dopo le invettive e i clamori da cui il presidente del consiglio [[Giuliano Amato|Amato]] è stato accolto in Senato per la sua insensibilità alla crisi morale che investe il Paese, il dibattito sulla medesima si è svolto, a Montecitorio, in un'aula deserta. Sì, una crisi morale, per la nostra classe politica esiste: lo dimostra il vuoto in cui l'ha lasciata cadere. (14 marzo 1993) *«I socialisti – ha detto l'ex ministro della Difesa Salvo Andò – devono andare tutti nudi verso la meta di un nuovo sistema politico». Come faranno senza le tasche? (24 maggio 1993) *Il candidato del Psi per le elezioni a sindaco di Roma sarà Niccolò Amato. Assennata scelta. Ex direttore delle carceri, Amato è certamente il più qualificato a rappresentare quel partito. (23 settembre 1993) *Giovedì sera annuncio a sorpresa di [[Emilio Fede]] nel suo Tg4: «Adesso – ha detto – voglio parlarvi di informazione». C'è sempre una prima volta. (8 gennaio 1994) *Secondo un sondaggio della Diacron (gruppo Fininvest), l'82 per cento dei lettori del «Giornale» sarebbe schierato con Berlusconi. Vero. Almeno com'è vero che Berlusconi diventerà presidente del Consiglio. (12 gennaio 1994) ====''La parola ai lettori – rubrica''==== *I tennisti italiani hanno disputato la finalissima di Coppa Davis a Praga, e nessuno ha battuto ciglio. Le squadre di calcio italiane frequentano gli stadi dell'Est, a cominciare da quelli russi, e i puristi della democrazia non ci trovano nulla a ridire. Ma per l'[[Uruguay]] – che con i suoi tre milioni di abitanti e la sua posizione geografica non mi pare possa essere considerato una minaccia troppo grave alla libertà dei Paesi democratici – c'è puntuale la protesta. Come se l'Uruguay potesse invadere, espandersi, insidiare, inviare – direttamente o indirettamente – eserciti di mercenari in mezzo mondo, e l'[[Unione Sovietica]] no. Possiamo capire gli intransigenti della democrazia: ma possiamo soltanto disprezzare i farisei che hanno l'indignazione dimezzata. Si calmino Bruno Conti e Pruzzo. Né l'Uruguay, né il suo regime, meritano tante ansie e tanta ostilità. Mosca è più vicina – lo sanno bene i polacchi – e Kabul anche. (31 dicembre 1980) *Non abbiamo mai «coperto», come si usa dire, questo nostro socio (che ha il 37, non il 36% del Giornale), anche perché non vediamo da cosa dovremmo coprirlo. [[Silvio Berlusconi|Berlusconi]] non è né un politico né un gerarca civile o militare, e non svolge nessuna pubblica funzione incompatibile con l'appartenenza alla massoneria. È un privato imprenditore e cittadino che quando fa una balordaggine (e l'iscrizione alla P2 lo è) la fa a proprio rischio e pericolo. Come lei avrà visto, il suo coinvolgimento nella P2 non ci ha impedito di dire, di Gelli e della sua banda, tutto il male che ne pensiamo. (31 maggio 1981) *In tutti questi anni che è stato con noi, {{NDR|Silvio Berlusconi}} si è sempre comportato nella maniera più signorile, ed anche in questa circostanza ci ha dato le più ampie garanzie. (14 aprile 1987) *Nel panorama sudamericano il [[Cile]] è oggi uno di quei paesi economicamente più solidi e con maggior progresso, tanto da meritare gli elogi del Fondo monetario internazionale. Ma la postilla impone a sua volta una precisazione. È più facile fare il risanamento economico monetario in Cile, dove i sindacati sono inesistenti o impotenti, che non in [[Argentina]], dove il sindacato incalza il governo e pretende aumenti salariali il cui ritmo sia adeguato al ritmo dell'inflazione. [...] Pinochet è quello che è. Il suo plebiscito per la Costituzione del 1980 fu indetto in circostanze che gli tolgono ogni valore. E gli inizi del regime militare furono sanguinari. Però il Cile di oggi ha un livello di libertà e di dialettica politica – nonostante Pinochet – che tanti paesi del Terzo mondo vezzeggiati dai nostri democratici dovrebbero invidiargli. Come ha osservato un lettore, né l'Etiopia né lo Zaire né la Siria, né il Nicaragua avrebbero tollerato corrispondenze come quelle che gli inviati della Rai diffondono, in diretta dal Cile. (16 aprile 1987) *Mai le nostre prese di posizione su problemi e personaggi sono state non dico condizionate, ma influenzate dalle personali amicizie o preferenze di Berlusconi. Per la verità, l'editore chiese una volta a titolo di favore, un «occhio di riguardo» per la sua creatura prediletta. Non la televisione, come i lettori saranno stati forse indotti a pensare, ma il [[Associazione Calcio Milan|Milan]]. Sottoposi questa sommessa istanza alla redazione sportiva. La risposta fu una lettera collettiva di dimissioni. Caso chiuso. Da allora rinuncio a leggere le cronache delle partite del Milan, per non dovermi dispiacere del dispiacere che ne prova probabilmente Berlusconi. (17 aprile 1988) *Come già ho scritto, e qui mi piace ripetere, la designazione di [[Francesco Cossiga|Cossiga]] al Quirinale fu la scelta dell'uomo giusto al posto sbagliato. Sappiamo benissimo chi la volle. Ma sappiamo altrettanto bene che fu avallata anche da quegli uomini e partiti che ora si scagliano contro di lui e lo accusano, apertamente o copertamente, di fellonia. La classe politica, nella quale egli ha militato da sempre e che quindi da sempre lo conosceva, doveva sapere che l'onesto (perché tale è) Cossiga non era uomo da Quirinale. Eppure, per i suoi sporchi giochi di potere, ce lo mandò. Ora dovrebbe sentire il dovere di difenderlo dagli sciacalli che lo attaccano da tutte le parti. (22 dicembre 1990) ===''La Stampa''=== <!--ordine cronologico--> *Intorno alle «cattedrali nel deserto» impiantatevi dalla cosiddetta mano pubblica, [...] o trasferitevi dal Nord con l'adescamento degli «incentivi», e sotto la nuvolaglia di fumo che sgorga dalle loro ciminiere, si gonfiano alla carlona e selvaggiamente dirompono, senza nessun criterio urbanistico, senza piano regolatore, senza servizi, spesso anche senza acquedotto e senza fogna, degli agglomerati urbani che solo per il numero degli abitanti si possono chiamare città. [...] È nata soltanto, insieme a una forsennata speculazione edilizia che per sfruttare all'osso l'area fabbricabile accumula con cattivo cemento un piano sull'altro finché crollano sulla testa degl'inquilini, la sorda rabbia contro la città di un contadiname analfabeta che se n'è visto succhiare la linfa vitale, e quando vi cala, lo fa da nemico e vandalo. Questo è il panorama del Mezzogiorno dopo vent'anni e più di Cassa, che hanno raschiato dalle tasche dei contribuenti migliaia di miliardi. (da ''[http://www.archiviolastampa.it/component/option,com_lastampa/task,search/mod,libera/action,viewer/Itemid,3/page,3/articleid,1118_01_1973_0272_0003_16218908/ La protesta contadina]'', 18 novembre 1973, p. 3) *La politica meridionalistica è tutta dominata da questo sottofondo psicologico. Essa vuole l'industrializzazione di Stato non soltanto perché [...] l'industrializzazione può essere fatta soltanto dallo Stato o da imprese al servizio dello Stato; ma anche perché più queste imprese si sviluppano, e più si riduce il margine di quell'imprenditoria privata che i meridionali, non riuscendo a emularla, mirano a ostacolare e ridurre, sottraendole il pubblico risparmio. Con l'agricoltura non avrebbero potuto perseguire questi scopi punitivi. L'unica arma per mortificare e battere l'industria privata è l'industria statale o parastatale. Questa, intendiamoci, esisteva digià: è un portato dei tempi moderni. Ma non c'è dubbio che la politica meridionalistica, come la si è praticata finora e tutto lascia credere che si seguiterà a praticarla, le ha offerto un'ideale occasione. (da ''[http://www.archiviolastampa.it/component/option,com_lastampa/task,search/mod,libera/action,viewer/Itemid,3/page,3/articleid,1118_01_1973_0284_0003_16222766/ Industrie "in colonia"]'', 2 dicembre 1973, p. 3) *Lo Stato, con [[Venezia]], ha contratto un solo impegno: di destinare al suo risanamento 300 miliardi di lire in cinque anni. Di dove li prenda, non ha nessun interesse. Può darsi che una parte li attinga proprio a quel prestito. Ma non vi è tenuto, né si vede perché dovrebbe esserlo. Ciò che da esso si può e si deve esigere è che eroghi effettivamente quei 300 miliardi alle scadenze per le quali si è impegnato: 25 miliardi per il '73, 60 nel '74, 90 nel '75, e su su fino alla chiusura dei conti nel '77. Due sole cose restano da dire. Primo. All'origine dell'equivoco c'è di certo quello che i francesi chiamano l'''esprit mal tourné'', cioè la diffidenza degl'italiani nei confronti dello Stato. Ma all'origine di questa diffidenza c'è altrettanto certamente l'incapacità o la renitenza dei nostri governanti a spiegare [...] ciò che fanno. Secondo. I soldi [...] stavolta ci sono. E diamo pure per scontato che saranno erogati con puntualità. Ma dove sono gli strumenti per spenderli, specie quelli affidati in gestione a degli Enti locali, che fin qui non sono stati capaci di dragare un canale né di riparare la spalletta d'un ponte? Non vorremmo che anche tutti questi miliardi andassero ad alimentare l'immenso deposito di «residui passivi», cioè di somme stanziate ma non impiegate, che già affligge il nostro Paese. Non lo vorremmo. Ma lo temiamo. (da ''[http://www.archiviolastampa.it/component/option,com_lastampa/task,search/mod,libera/action,viewer/Itemid,3/page,1/articleid,1111_01_1974_0009_0001_21345708/ Venezia, molti miliardi e lo Stato]'', 11 gennaio 1974, p. 1) *E ora addio, caro lettore, e grazie dell’ospitalità. Ti confesso che, entrando in casa tua, ero molto imbarazzato. Ma mi bastò poco per accorgermi che di questo imbarazzo voi soffrite quasi quanto coloro a cui lo incutete. Esentàtemi da una dichiarazione di amore perché a gente come voi è difficile farne. Ma in questo pudore mi sento vostro pari e vostro complice. Avrò un giornale a Milano e, e cercherò di farlo molto bello, bellissimo. Ma anche se ci sarò riuscito, seguiterò a rimpiangere il vostro. Mi dicevano che ci avrei sofferto il freddo. Ci ho trovato, sotto una coltre di silenzio, il caldo. (da ''[http://www.archiviolastampa.it/component/option,com_lastampa/task,search/mod,libera/action,viewer/Itemid,3/page,3/articleid,1112_01_1974_0087_0003_16390798/ Congedo dal Piemonte]'', 21 aprile 1974, p. 3) {{Int|''[http://www.archiviolastampa.it/component/option,com_lastampa/task,search/mod,libera/action,viewer/Itemid,3/page,9/articleid,1118_01_1973_0284_0009_16222725/ Chi era il vecchio leone del deserto]''|Articolo su ''La Stampa'', 2 dicembre 1973.|h=4}} *Senza Ben Gurion, non so se Israele sarebbe stato migliore o peggiore di quel che è. Certo, sarebbe stato diverso. Il titolo di «Padre della Patria» non può contestarglielo nessuno. [...] Egli stesso mi raccontò lo sgomento da cui fu còlto quando, non ancora ventenne, sbarcò a Giaffa dopo un lungo periplo a bordo d'un cargo. A procurarglielo non furono i funzionari turchi che allora governavano il Paese, e nemmeno gli arabi che formavano il grosso della popolazione; ma gli ebrei, quasi tutti latifondisti e mercanti perfettamente inseriti nel «sistema» e unicamente intesi ai propri affari. Erano dunque quelli i depositari della Terra Promessa, che non sapevano neanche l'ebraico, o comunque si rifiutavano di parlarlo? Forse ne sarebbe fuggito, se nell'interno non avesse scoperto alcune isolate fattorie collettive, dove i nuovi immigrati lavoravano la terra con le proprie mani e di notte montavano la guardia, uomini e donne, per difendere le loro vite e i loro raccolti dalle razzie degli arabi. *Comprese subito che solo redimendo la terra col loro lavoro manuale e contrapponendo al latifondismo arabo la fattoria collettiva, gli ebrei potevano legittimare la riconquista dei loro antico «focolare». Militarmente, egli non attaccò mai gli arabi. Aspettò che il loro sistema si disgregasse da sé, e ci volle poco. Battuti sul mercato dai prodotti del ''kibbutz'', i latifondisti arabi vendettero i loro feudi al «Fondo Nazionale Ebraico» per andare a sperperare l'incasso nei ''Casinos'' di Beirut e della Costa Azzurra, e i braccianti rimasero senza lavoro perché i nuovi padroni usavano le braccia proprie. Il conflitto è tutto qui: nell'impossibilità di coabitazione di una scalcagnata economia feudale con un'efficientissima economia socialista. I motivi religiosi e razziali li ha aggiunti la propaganda. *Come tutti i veri politici, Ben Gurion era un pragmatista, cioè un uomo che attingeva le idee dalla pratica delle «cose», non viceversa. E l'esperienza fatta nella lotta per la manodopera ebraica lo aveva persuaso che con gli arabi non c'era [...] possibilità di compromesso. Uno Stato palestinese misto di arabi e di ebrei, lo considerò sempre una chimera per il semplice motivo che in poche generazioni, col loro potenziale demografico quattro volte superiore, gli arabi avrebbero mangiato gli ebrei. [...] Già nella guerra del '48 egli avrebbe potuto annettersi la Cisgiordania: ci rinunziò per non mettersi in corpo seicentomila arabi. L'anno dopo rifiutò per lo stesso motivo la cosiddetta «striscia di Ghaza» che il suo brillante generale Allon aveva sforbiciato dall'Egitto. E dopo la guerra dei sei giorni, sebbene ormai lontano dal potere, non ha fatto che ammonire contro una politica di annessioni territoriali disgiunta da un adeguato incremento di popolazione ebraica. Non ha mai dialogato che con l'Occidente. Con gli arabi, non ha seguito che una diplomazia: quella dei confini. *Le nuove esigenze della produzione e della guerra imponevano un altro «rovesciamento della piramide»: il miracolo della guerra dei sei giorni fu dovuto a un esercito di tecnici altamente specializzati, in cui anche il semplice aviere era un ingegnere. Il posto del ''kibbutz'' [...] veniva preso dall'Università che riconvertiva il contadino in professore. Ben Gurion non poteva interpretare questo nuovo corso. Era troppo vecchio e legato all'altro. Ma non lo comprese, non poteva comprenderlo, per conservare il potere ricorse a tutte le armi del suo repertorio, anche le meno regolamentari, giunse a rinnegare e a rompere il proprio ribelle partito. E neppure a battaglia persa si rassegnò. Dal fondo del suo rifugio alle soglie del deserto ha continuato tutti questi anni ad alluvionare di ammonimenti, maledizioni, anatemi i suoi vecchi amici trattandoli da nemici. [...] Quello che si chiude con Ben Gurion è il capitolo del pionierismo: il più eroico e glorioso, quello destinato, via via che si allontanerà nel tempo, ad essere ricordato dagl'israeliani con sempre più struggente nostalgia. {{Int|''[http://www.archiviolastampa.it/component/option,com_lastampa/task,search/mod,libera/action,viewer/Itemid,3/page,3/articleid,1112_01_1974_0081_0003_16388814/ La strada lunga di Golda]''|Articolo su ''La Stampa'', 14 aprile 1974.|h=4}} *{{NDR|[[Golda Meir]]}} Aveva poco più di vent'anni quando approdò in Israele, frammista ai «padri pellegrini» della «seconda ondata» che subito dopo la [[prima guerra mondiale]] vennero a riprendere possesso della loro antica terra con la ferma intenzione non d'insabbiarcisi com'era successo ai loro predecessori della fine dell'Ottocento, ma di riscattarla e di farne il «focolare» degli ebrei. Tutta la sua visione politica [...] era condizionata da questa esperienza di oltre mezzo secolo di sacrifici e di lotte. [...] Oggi molti in Israele si domandano se a questi pionieri non restava davvero altra strada che quella dell'urto frontale con la popolazione araba della Palestina. Ma questi dubbi sono un lusso ch'essi si possono concedere solo perché i loro babbi e nonni non ne ebbero. Costoro fecero quello che fecero perché non potevano far altro. Ciò che rendeva impossibile la coabitazione fra le due popolazioni non era la incompatibilità razziale e religiosa, ma quella economica e sociale. Il latifondo sceiccale non poteva convivere col ''kibbutz'' socialista. È qui l'origine di un conflitto che nessuna diplomazia poteva sanare. Una pace fra israeliani e arabi è possibile; una simbiosi, no. Ancor oggi chi parla di «Stato misto» si gingilla con le astrazioni. *Fu lei che [...] raggiunse travestita da cammelliere l'emiro Abdullah di Giordania [...] e da nemico se lo fece amico, o almeno neutrale. Non sono mai riuscito ad appurare se [[David Ben Gurion|Ben Gurion]] ebbe una parte, e quale, in questo «giallo» fra il diplomatico e lo spionistico. Ma molte cose m'inducono a credere che a programmarlo fu proprio lei, Golda, anch'essa ben decisa a innalzare, fra arabi ed ebrei, una cortina di ferro, ma con qualche porta che consentisse all'occorrenza il dialogo. [...] I due furono amici e compari per decenni. [...] Probabilmente anche al tempo in cui facevano coppia nel partito e nel governo si parlavano tra loro in quel linguaggio da fureria. Quanto a imperiosità e autoritarismo, si valevano. [...] Con la sua voce arrugginita dalle sigarette [...] diceva piattamente e banalmente delle cose piatte e banali, solo ravvivate da qualche squarcio d'un umorismo massiccio come una scarpa di soldato; ma senza mai togliere di dosso all'interlocutore il suo vigile sguardo cilestrino alla fiamma ossidrica. E da quella specie di sporta per la spesa che, adibita a borsa, essa tiene al braccio anche nei ricevimenti ufficiali, ci si aspettava sempre di veder saltar fuori, oltre a qualche mazzo d'agli e di cipolle, una pistola o una fiala di veleno. *Non c'è dubbio che sapeva odiare e che anche quando amava lo faceva da mantide, soffocando e stritolando. Ma Israele non troverà mai più una madre come lei, che sapeva anche fargli da padre. Nella sua tenacia, nel suo coraggio, nella sua volontà d'acciaio, essa riassumeva la storia di questo piccolo grande Paese. Lo ha dimostrato col suo ritiro. Quando si è trattato di pagare, essa si è offerta in sacrificio pur sapendo che per lei la rinunzia al potere è la rinunzia alla vita. «''Sono giunta al termine della mia strada''», ha detto. Ma che strada! Nessuno ne ha mai percorsa una più ripida e accidentata, più paurosamente librata tra abissi e strapiombi. Sono sicuro che Golda non si volterà indietro a guardarla, e non ce ne dirà nulla. Come tutti i grandi costruttori, essa sa soltanto costruire. Il resto, per lei, è silenzio. ===''la Voce''=== <!--ordine cronologico--> *Uscendo dal ''Giornale'', io feci a me stesso, ma pubblicamente, un giuramento: «Mai più un padrone». Qui padroni non ce ne sono. La proprietà è ripartita fra alcune centinaia di azionisti, di cui nessuno può, per statuto detenere più del 4 per cento. Fra di essi, e per primi, ci siamo stati tutti noi: redattori, impiegati, fattorini, autisti. [...] Per questa sua pulviscolarità, il nostro azionariato è stato definito, nei quartieri alti della Finanza, «straccione». La qualifica non ci dispiace: coi tempi che corrono, meglio stare tra gli stracci che tra le tangenti. (22 marzo 1994) *Di insurrezione generale non c'era bisogno, il 25 aprile, perché il Terzo Reich non esisteva più. Se l'insurrezione generale fosse avvenuta avrebbe dovuto avere come primo obiettivo, a Milano, il quartier generale delle SS all'Hotel Regina. Le SS furono invece lasciate del tutto tranquille, mentre si provvedeva a trascinare in piazzale Loreto, per la fucilazione Achille Starace [...]. Non sono contro la Resistenza, anzi: sono contro la retorica, inguaribile vizio italiano. Proprio questa retorica ha fatto sì che un sindaco democristiano di Roma, in un manifesto dedicato anni or sono alla liberazione della città non accennasse nemmeno con una parola agli Alleati. Ed ha fatto sì che in quest'ultimo 25 aprile si sia parlato ai giovani che affollavano piazza del Duomo a Milano o che stavano davanti ai televisori, ingannandoli – ossia raccontando loro che i tedeschi erano stati sconfitti dai partigiani, e che da questi l'Italia era stata liberata. Se questa è la «memoria storica» evocata da tanti commentatori, stiamo freschi. (28 aprile 1994) *Intorno a Berlusconi vedo agitarsi una falange di Starace, convinti non meno di Achille che il padrone (e con lui, si capisce, la carriera) si serve sbattendo i talloni e gridando: «Forza, Italia!». Di tutto questo, intendiamoci, Berlusconi non può essere tenuto responsabile. Gli Starace – a differenza di Mussolini che si scelse il suo vedendolo com'era – gli sono germinati e gli pullulano intorno d'irresistibile forza propria cercando di sopraffarsi in una gara di servilismo, che trova soprattutto nel video la propria arena. E per ora la gente pensa: «Povero Cavaliere, da chi è circondato». Ma prima o poi – forse più prima che poi – comincerà a dire anche di lui: «Vedi un po' di chi si circonda». (18 giugno 1994) *Dobbiamo prepararci a presentare le nostre scuse a [[Emilio Fede]]. L'abbiamo sempre dipinto come un leccapiedi, anzi come l'archetipo di questa giullaresca fauna, con l'aggravante del gaudio. Spesso i [[leccapiedi]], dopo aver leccato, e quando il padrone non li vede, fanno la faccia schifata e diventano malmostosi. Fede no. Assolta la bisogna, ne sorride e se ne estasia, da oco giulivo. Ma temo che di qui a un po' dovremo ricrederci sul suo conto, rimpiangere i suoi interventi e additarli a modello di obiettività. (26 novembre 1994) *Il presidente della Repubblica non può contrattare. Ma deve trovare qualcuno che abbia l'autorità morale di farlo. Un ''kamikaze''. E di ''kamikaze'' ne vediamo uno solo che, non avendo veste politica, né alcuna ambizione di indossarla, può anche affrontare una simile responsabilità: [[Antonio Di Pietro|Di Pietro]]. Ma temiamo che l'idea sia soltanto nostra. [...] Una delle pochissime cose che nella presente situazione ci confortano è di vedere in Quirinale un difensore delle Regole come [[Oscar Luigi Scalfaro|lui]]. Vorremmo solo sommessamente avvertirlo che l'Italia che noi conosciamo somiglia poco all'immagine angelica ch'egli ce ne ha fornito la sera di Capodanno, e che anche quando vi avremo messo a posto tutte le Regole, ne mancherà sempre una: quella che dall'interno della sua coscienza fa obbligo ad ogni cittadino di regolarsi secondo le regole. (3 gennaio 1995) *Noi volevamo fare, da uomini di [[Destra]], il quotidiano di una Destra veramente liberale, ancorata ai suoi storici valori: lo spirito di servizio (quello vero, taciuto e praticato), il senso dello Stato, il rigoroso codice di comportamento che furono appannaggio dei suoi rari campioni da Giolitti a Einaudi a De Gasperi. Insomma, l'organo di una Destra che oggi si sente oltraggiata dall'abuso che ne fanno gli attuali contraffattori. Questa Destra fedele a se stessa in Italia c'è. Ma è un'élite troppo esigua per nutrire un quotidiano. (12 aprile 1995) {{Int|''Il realista inviso agli snob''|Articolo su ''la Voce'', 24 aprile 1994.|h=4}} *Fino ad una decina di anni orsono, la maggioranza degli americani erano convinti che, se [[Richard Nixon|Nixon]] fosse rimasto nella Storia del loro Paese – cosa che al loro orecchio suonava come un obbrobrio – vi sarebbe rimasto solo per il [[Scandalo Watergate|Watergate]], cioè appunto per l'obbrobrio. Negli ultimi tempi tutto si è rovesciato: l'obbrobrio non è stato più il Watergate, ma la campagna scandalistica che lo aveva provocato. Gli stessi protagonisti che l'avevano montata – [[Bob Woodward]] e [[Carl Bernstein]] del ''Washington Post'' – ne riconobbero le forzature e fecero atto di contrizione. Non avevano inventato nulla, ma avevano deformato tutto. [...] La sorte è stata, tutto sommato, clemente con Nixon dandogli il tempo di vedere questo capovolgimento. *Ultimamente era ricevuto, ed anzi continuamente sollecitato alla Casa Bianca, dove lo si accoglieva come lo ''Elder Statesman'', lo statista anziano da consultare come un vecchio saggio sui problemi difficili. Fu a lui che [[George H. W. Bush|Bush]] si rivolse per riallacciare un dialogo con Pechino dopo la rottura seguita al fattaccio di Tienanmen. E lui a Pechino lo riallacciò: i cinesi non avevano dimenticato che quel dialogo erano stati Nixon e [[Henry Kissinger|Kissinger]] ad aprirlo, quando l'America aveva deciso di chiudere l'avventura del Vietnam in cui [[John Fitzgerald Kennedy|Kennedy]] e [[Lyndon B. Johnson|Johnson]] l'avevano malaccortamente cacciata. Ma anche [[Bill Clinton|Clinton]] è ricorso alla sua esperienza per capire cosa succedeva in Russia e trarne qualche insegnamento. Nixon andò a Mosca, e ne tornò con cattivi presagi sulla sorte di [[Boris Nikolaevič El'cin|Eltsin]] che i successivi avvenimenti hanno confermato. *Non era un uomo «simpatico», e soprattutto non aveva nulla che potesse sedurre l'America dei salotti e della ''intellighenzia'', che gli uomini politici li misurano a modo loro, mai quello giusto. Scambiarono per un grande intellettuale Kennedy, che in vita sua aveva visto migliaia di film, ma mai letto un libro. E prendevano Nixon, che di libri ne ha letti ed ha continuato a leggerne (ed a scriverne, niente male), fino all'ultimo giorno per una specie di Bossi californiano, rozzo e triviale. [...] Ma forse quello che più infastidiva gli americani era la renitenza di Nixon ad appelli e richiami tanto più sonori quanto più vacui, come «la nuova frontiera» e simili. Nixon era un professionista della politica, uno dei pochissimi che l'America abbia mandato alla Casa Bianca. Non andava per sogni e per versetti del Vangelo. Conosceva il suo [[Otto von Bismarck|Bismarck]], il suo [[Benjamin Disraeli|Disraeli]], e credo anche il suo [[Niccolò Machiavelli|Machiavelli]] che in America basta nominarli per finire scomunicati. Per questo lo consideravano un mestierante, e per questo si era scelto come consigliere un altro mestierante, l'ebreo tedesco Kissinger. Furono questi due uomini che ridiedero all'America la ''leadership'' nella politica estera coinvolgendo nel gioco la Cina e scavandone il solco da Mosca. I successori di Nixon, e specialmente [[Ronald Reagan|Reagan]], vissero in gran parte di questa eredità. ===''Oggi''=== <!--ordine cronologico--> *Mi confermo in due mie vecchie opinioni. Il guaio del socialismo è il socialismo, cioè sta proprio nel suo sistema statalistico. Il guaio del capitalismo sono i capitalisti che, quasi sempre bravissimi all'interno della loro azienda, fuori di lì sono spesso degli ottusi e noiosi imbecilli, e talvolta anche peggio.<ref>Citato in ''Dizionario delle citazioni'', a cura di Italo Sordi, BUR, 1992. ISBN 88-17-14603-X</ref> (n. 22, 1983) *{{NDR|Sull'offerta di [[Massimo D'Alema]] a concedere, come «atto dovuto», i funerali di Stato a [[Bettino Craxi]]}} "Atto dovuto"? Ma dovuto a chi? Anche a un latitante: quale, dal punto di vista legale, era Craxi? Concedere i funerali di Stato a un latitante significa sconfessare la Giustizia che lo ha condannato. [...] Ma può lo Stato sconfessare la propria Giustizia senza sconfessare se stesso? Mi sembra di vivere in un Paese che di senso dello Stato ne ha meno di una tribù del Ghana.<ref>Citato in ''La morte incute rispetto, ma su Craxi non cambio idea''-</ref> (2 febbraio 2000) *La [[democrazia]] è sempre, per sua natura e costituzione, il trionfo della mediocrità. (11 ottobre 2000) ==''Caro direttore''== ===[[Incipit]]=== Mettersi nel '74 contro il vento che soffiava tutto nella direzione del «compromesso storico» con la codarda quiescenza di gran parte della borghesia e di quasi tutti gli intellettuali; scoprire (oggi sembra acqua calda, ma allora era un'eresia) che, oltre al terrorismo di destra, ce n'era uno, molto più violento e pericoloso, di sinistra, figlio – sia pure degenere e ripudiato – del Pci, un partito che raggiungeva il 36 per cento dei voti e che condizionava pesantemente scuola, magistratura, cultura, mezzi di comunicazione; schierarsi dalla parte dell'ordine contro l'eversione; istruire il processo contro il sinistrume, effettivo e di complemento, che mortificava l'iniziativa privata e l'economia di mercato con tutti i valori che vi sono connessi; battersi contro il bugiardo e demagogico giustizialismo populista per il ripristino della meritocrazia nel campo del lavoro e degli studi; denunziare il grande pericolo che circondava il sistema: la partitocrazia; tutto questo sembrava follia, e forse lo era. Ma di questa follia noi siamo fieri. ===Citazioni=== *In Francia c'è molta gente che tuttora si domanda se De Gaulle era proprio De Gaulle, o un matto che si credeva De Gaulle. Ebbene, io nutro per La Malfa lo stesso dubbio. Ed è appunto perché nutro questo dubbio che voto La Malfa. (p. 12) *Il capitalismo vero, che permise alla borghesia di liquidare il Medio Evo e di sostituire, a quella feudale, basata sul parassitismo redditiero, una nuova società basata sul lavoro e sul risparmio, nacque nei Paesi protestanti. E sa perché? Perché Calvino insegnò questo ai suoi seguaci: che il denaro, essendo un segno della Grazia Divina non si poteva scialacquarlo. Chi lo aveva guadagnato per un particolare favore concessogli da Dio, aveva il dovere di considerarsene soltanto il depositario, e di reimpiegarlo, cioè di reinvestirlo perché altri uomini potessero beneficiare dello stesso favore. Fu questa base morale che dette al capitalismo protestante la forza di vincere e di costruire la nuova società: la società borghese del lavoro e del risparmio al posto di quella del sangue e del blasone. (p. 25) *Lei ha ragione di essere soddisfatto. Dopo aver ricevuto una discreta istruzione nelle nostre costose scuole private potrà andare a completarla a Parigi, o a Harvard, o a Oxford, dove il figlio del suo mezzadro o del suo trombaio, magari molto più intelligente e volenteroso di lei, non potrà seguirla. Egli dovrà contentarsi dello svalutato pezzo di carta che la nostra Università rilascerà a lui come a qualsiasi analfabeta, e probabilmente, per campare, dovrà rassegnarsi a fare il mezzadro o il trombaio come suo padre. Grazie agli amici del popolo e ai campioni del proletariato. (p. 91) *L'Italia ha scelto lo sciopero, per risanarsi, e non il lavoro, i «ponti», e non il sacrificio; i comizi e le adunate, non le valutazioni responsabili che non possono venire dagli urli di una folla eccitata. La Germania federale, retta dai socialdemocratici, persegue una strada ben diversa. Ciascuno raggiunge i traguardi che si propone, e che merita. (p. 156) *Noi crediamo che in certi casi di carattere eccezionale il giornalista abbia il diritto, e qualche volta il dovere, di dire la verità, se ne è convinto, anche se non è in grado di dimostrarla. Ma a una condizione: che, non potendo o non volendo rivelare le fonti a cui l'ha attinta, se ne assuma in proprio la responsabilità con tutte le conseguenze, anche giudiziarie che ne derivano. (p. 173) *Il temuto cambio di regime non c'è stato, nonostante il tentativo dei partiti e della grande stampa fiancheggiatrice di gabellarlo come una operazione innocua e indolore. La necessità d'interpretare queste consultazioni come un referendum ci ha costretti a sostenere, con tutte le nostre forze, la Democrazia cristiana riconoscendole, però, il merito importante di non aver mai messo in pericolo le nostre libertà, anzi di averle sostenute e difese. Ora che abbiamo contribuito, non poco, a rimettere in piedi la grande malata, dobbiamo adoperarci a guarirla. (p. 193) *Ho avuto una tessera ''ad honorem'' di una federazione anarchica catalana (quella del famoso ''Campesino'') perché, durante la guerra civile spagnola, trafugai oltre frontiera un suo affiliato caduto prigioniero dei nazionalisti e condannato a morte. Ti prego di felicitarmene. Subito. Senza esitazioni. (p. 227) *Anche se aveva tutte le ragioni di sentirsi ingiustamente perseguitato e colpito nel suo onore di galantuomo, Malizia non doveva piangere, per il semplice motivo che i generali non hanno il diritto di piangere almeno in pubblico. Mai. Per nessuna ragione. Lei mi dirà che queste sono fisime da gente sorpassata. Può darsi. Ma io sono convinto che l'etica militare è fatta appunto di queste fisime. Sono stato per lunghi anni ufficiale di guerra, e credo di esserlo stato con onore – tanto da guadagnarmi alcune decorazioni –, appunto perché avevo queste fisime. (p. 261) ==''Caro lettore''== ===[[Incipit]]=== Questi volumi sono in fondo la ''summa'' del ''Giornale'', il riassunto e il breviario di un libero pensiero, cioè di un pensiero libero da qualsiasi condizionamento, che dovrebbe far riflettere gl'intellettuali. Ma noi ci crediamo poco. Ed uno dei motivi è proprio questo: che stavolta gl'intellettuali difficilmente potranno rinverdire lo slogan sotto il quale, negli anni di piombo, mascherarono la loro codardia: «Né con le brigate rosse né con lo Stato», come se lo Stato e le brigate rosse fossero sullo stesso piano e fra l'uno e le altre fosse possibile una neutralità. Pur appartenendo – almeno dal punto di vista sindacale – alla categoria, o forse proprio perché vi apparteniamo, non abbiamo molta stima degl'intellettuali, e troviamo poco meno che ridicola la loro pretesa di fare i direttori di coscienza della società. ===Citazioni=== *Lei ci accusa di eccessiva indulgenza verso i regimi sudamericani. Ma l'accusa è ingiusta. Non perdiamo occasione di dire che Pinochet è una disgrazia. Ma non possiamo fare a meno di aggiungere che questa disgrazia è nata da un'altra disgrazia di nome Allende. In Argentina, a portare al governo il generale Videla (che, glielo posso assicurare, non aveva nessuna voglia di andarci) sono stati i «montoneros» coi loro rapimenti e omicidi, dai quali più nessuno si sentiva al riparo. (p. 42) *Io lavorai al ''Borghese'', sotto vari pseudonimi, finché ci fu lui e perché c'era lui. Dal rapporto personale, quotidiano e strettissimo, esulava qualsiasi pregiudiziale ideologica. Io del resto, non ho mai capito quale ideologia avesse Longanesi. Sapevo soltanto che non era mai del gregge; e siccome nemmeno io lo sono, questo bastava a tenerci uniti. Dopo di lui il ''Borghese'' assunse una fisionomia ideologica precisa, di cui non discuto la legittimità, ma che non corrispondeva alla mia. E quindi la mia collaborazione vi sarebbe stata fuori posto. (p. 50) *Anche ai cattolici osservanti e militanti è consentito, si capisce, far politica. Ma, per amor del cielo, non la confondano con la religione invocando i «valori cristiani» mentre si mettono l'un l'altro l'arsenico nella minestra. Questo si può farlo in nome di Marx, e magari anche di Cavour. In nome di Dio, dovrebb'essere proibito. (p. 193) *Hai ragione interamente, là dove dici che chi nasce come me figlio di un professore (non di un magistrato) ha una partenza più facile di chi nasce come te, figlio di un operaio. Questo è vero. E infatti il gran problema di un regime politico serio dovrebb'essere proprio quello di ridurre al minimo le diseguaglianze al palo di partenza. Per raggiungere questo scopo, non smetterò mai di battermi. Ma nemmeno smetterò di battermi contro il tentativo di mortificare l'interesse privato fino al punto di togliere agli uomini la molla dell'iniziativa. Sono per un fisco severo. Ma voglio che colpisca gli sciali e i lussi, non gl'investimenti perché questi producono lavoro e ricchezza. Ecco il mio socialismo. (p. 202) *L'Islam ebbe una grande cultura solo quando, nella loro cavalcata conquistatrice, i suoi Califfi incontrarono la cultura greca, quella egiziana e quella ebraica. Ma questo risale a Averroè e ad Avicenna, cioè a mille anni fa pressappoco. Da allora l'atteggiamento dell'Islam verso la cultura è sempre rimasto quello del famoso Califfo che, quando gli chiesero cosa dovevano fare della grande biblioteca di Alessandria, da lui conquistata, rispose: «Se tutti quei libri dicono ciò che dice il Corano, sono inutili. Se dicono cose diverse, sono dannosi. Nell'un caso e nell'altro, meglio bruciarli». Si dirà: «Altri tempi». No, Khomeini pensa e parla come quel Califfo. L'Islam è una religione di analfabeti, in cui la cultura è monopolio degli Ulema, che sanno solo di Corano e passano la vita a indagarne i misteri (che non ci sono). Mi citi Alberoni un'opera d'arte e di pensiero islamica degli ultimi due o trecent'anni. I mussulmani colti sono quelli che escono dalle ''nostre'' università. (p. 259) *Ognuno ha il diritto ad avere una sua opinione. Ma nessuno ha quello di distorcere l'opinione degli altri. La mia era è la seguente: che, dopo l'esperienza in Ungheria, non mi sentivo d'incoraggiare i polacchi a una rivolta, in cui l'Occidente li avrebbe lasciati soli a vedersela coi carri armati sovietici, e quindi a finire sotto i loro cingoli come avvenne a Budapest nel '56. Questo non era un invito a «calar le brache». Era una messa in guardia da quelle pericolose illusioni di aiuti esterni che ebbero tanta parte nello spingere gli ungheresi a un olocausto rivelatosi poi del tutto inutile. (p. 271) *Io non sono affatto convinto dell'innocenza di Freda e Ventura (Giannettini non c'entrava niente) come non lo sono di quella di Valpreda. Ma anch'io avrei assolto per mancanza di prove. E non c'è da scandalizzarsene perché queste cose succedono in tutto il mondo. A vent'anni di distanza, la polizia americana non sa ancora con certezza chi uccise Kennedy. Solo la polizia sovietica sa sempre chi uccide per il semplice motivo che è sempre essa a farlo. Con questo, sia chiaro, non voglio dire che la nostra Giustizia funziona bene. Funziona malissimo, e qualche volta non funziona affatto. Ma che copra le stragi di Stato, i nostri intellettuali di sinistra vadano a raccontarlo agli zulù. (pp. 330-331) *Io non so se qualche omosessuale fra noi c'è. È un problema che non mi sono mai posto. Ma anche se ce ne fossero e io me ne accorgessi, non muoverei un dito contro di loro e seguiterei a stimarli per quel che valgono o a disistimarli per quel che non valgono. Tutto ciò, caro amico, la deluderà. Ma il mio stomaco, evidentemente, è soggetto a impulsi diversi da quello suo. Se c'è una cosa su cui mi rifiuto di giudicare gli uomini (e le donne) è proprio il sesso. Ho conosciuto degli omosessuali meravigliosi anche sul piano morale, e degli eterosessuali orrendi. E sono troppo geloso della privatezza mia per non rispettare quella altrui. (p. 343) ==''Dante e il suo secolo''== ===[[Incipit]]=== Uno dei tanti meriti che si suole attribuire a [[Dante Alighieri|Dante]] è quello di essere stato il primo italiano ad avere una «coscienza nazionale». Noi non vorremmo cominciare questo libro con una detrazione, ma non ci sembra che a dimostrare questa coscienza basti l'allusione che Dante fa a una entità geografica italiana, di cui egli fissava i punti terminali al Brennero e al Carnaro. E non vediamo del resto cosa aggiunga alla sua grandezza questa specie d'irredentismo avanti lettera. Se per qualcuno Dante spasimò fu, caso mai, per un Imperatore tedesco. ===Citazioni=== *[[Roma]] era stata la capitale di un impero cosmopolita, non di una Nazione. (Parte prima. Capitolo primo, p. 12) *Non è necessario essere degli adepti del "materialismo storico" per attribuire il risveglio delle inquietudini intellettuali, fra il Millecento e il Milleduecento, al progresso economico e al generale miglioramento delle condizioni i di vita. È a stomaco pieno che si comincia a pensare a qualcosa che non sia soltanto lo stomaco. (Parte prima. Capitolo terzo, p. 131) *Il [[pudore]] femminile non è mai stato altro che un incentivo alla civetteria. (Parte seconda, Capitolo quarto, p. 174) *Da consumato giurista qual era, {{NDR|[[papa Bonifacio VIII]]}} prese a rimaneggiare tutti i precedenti storici, su cui poteva basare le sue pretese di dominio universale. E trovò un valido aiuto nel canonista [[Egidio Romano|Egidio Colonna]] il quale scrisse un trattato, ''De ecclesiastica potestate'', per avvalorare queste tesi. Egli sostenne che la Chiesa era padrona e proprietaria non soltanto delle anime, ma di tutto. Era solo per bontà e condiscendenza che metteva le cose a disposizione dei fedeli, ma conservando il diritto di ritorgliele quando voleva. Quindi anche i troni appartenevano ad essa, che li lasciava ai Re solo in momentaneo appalto. Questa teoria tanto piacque a Bonifacio, che ne ricompensò l'autore con la nomina ad arcivescovo di Bourges. (Parte seconda, Capitolo nono, p. 312) *Peccato che un simile uomo {{NDR|papa Bonifacio VIII}} avesse così clamorosamente sbagliato generazione e carriera. Fosse nato cinquant'anni dopo sarebbe stato un magnifico Principe del [[Rinascimento]]: avido, crudele e gagliardo. (Parte seconda, Capitolo undicesimo, p. 372) *Dante qui {{NDR|nel ''De vulgari eloquentia''}} ha visto ciò che molti filòlogi ancora oggi non vedono. Egli difende il "volgare", cioè la lingua viva, quella parlata dal popolo, fatalmente destinata a soppiantare il latino. Ma ne vorrebbe una illustre e aulica, al di sopra di quelle "municipali", cioè dei dialetti, contro i quali si scaglia con furore. In Italia ne classifica quattordici e li detesta tutti, compreso il toscano che chiama "turpiloquio". Ma il più orrendo gli sembra il romano, "e non deve fare meraviglia dacché i romani, anche per deformità di costumi e abiti, appaiono i più fetidi di tutti". Chissà cosa direbbe, povero Dante, se tornasse fra noi e andasse al cinematografo. (Parte seconda, Capitolo quindicesimo, p. 483) ==''Gli incontri''== *[[Giovanni Porzio|Porzio]] non è alto di statura, ma diritto come un fuso nonostante i settantaquattro anni suonati e porta, sui pantaloni a righe stretti e lunghi come quelli degli antichi ufficiali in grande uniforme, una giacca nera che l'alta bottonatura fa simile a una ''redingote''. Il volto è bello, di colore olivastro, e aristocratico nella modellatura del naso e nel taglio breve dei baffi e della barbetta ancora pepe e sale. (Porzio, p. 91) *Non avevo mai visto da vicino [[Cécile Sorel]], quando essa mi apparve, per la prima volta, di lontano, sul palcoscenico allestito nella corte d'onore degli Invalides per le feste celebrative del bimillenario di Parigi. [...] Drappeggiata in una sontuosa cappa di [[Elsa Schiaparelli|Schiaparelli]] a strascico di ''lamé'' d'argento e porpora, dritta su un podio sotto la statua di [[Napoleone Bonaparte|Bonaparte]], accolse a braccia spalancate lo scrosciante omaggio, sincopato dalle salve di artiglieria, dei cinquemila spettatori ammassati nell'immenso cortile. Sorrise. Sfiorò con uno sguardo altero le teste della folla, lo alzò verso l'imperatore, ma senza implorazione né umiltà, da pari a pari. Poi, in un silenzio di tomba, prese a modulare l'ode di Bruyez: "''Vous qui êtes morts pieusement pour la patrie...''". Ed era una voce incredibilmente limpida e squillante, senza traccia di ruggine. (Cècile, pp. 226-227) *[[Saul Steinberg|Steinberg]] ha la faccia dei suoi pupazzi: una faccia malinconica, lunga e triangolare, di cavallo tirato su a paglia soltanto, senza biada, e condannato a trascinare un carretto su per un'erta interminabile, in cima alla quale non si sa cosa ci aspetta, ma certo un'altra condanna, forse più pesante del carretto. Anche i baffi ha, come i suoi pupazzi: a doppia virgola orizzontale, sebbene meno lunghi e senza le intenzioni esibizionistiche di quelli di Dalì; e anche le lenti a stanghetta traverso cui ti fissano intensamente, di sotto in su, due occhi azzurri e mortificati, di uomo che non si è reso conto di essere Saul Steinberg; o essendosene reso conto, non ci prova alcun piacere. (Steinberg, p. 289) *[[Harukichi Shimoi]] è uno di quei giapponesi che gli altri giapponesi considerano di statura piccola. Tanto piccola che [[Gabriele D'Annunzio|D'Annunzio]], per abbracciarlo, dovette curvarsi (lui!) e, dopo essergli andato incontro gridando, con le braccia alzate: "Fratello!... Fratello mio!..." lo guardò, ci ripensò e aggiunse: "Sebbene non di sangue...". (Shimoi, p. 389) *Quanti anni avrà, ora, Harukichi Shimoi? Forse cinquanta, forse centocinquanta. Come per [[Guelfo Civinini]], suo amico, anche per lui il problema dell'età non si pone. Quale che essa sia, egli la porta esattamente come deve averla portata mezzo secolo fa. Il suo corpo è stortignaccolo, ma diritto, e i suoi capelli son nerissimi. Ma il tratto che più lo caratterizza sono le sopracciglia, che madre natura gli ha piantato a mezza strada, come due ciuffi di foltissimo bosco, tra gli occhi e la chioma, in modo che, per quanto vasti i suoi occhiali, esse li sormontano e risucchiano come se fossero due monocoli. (Shimoi, pp. 389-390) *Il più favoloso e colorito personaggio del [[Brasile]] è [[Assis Chateaubriand]], proprietario di ventun giornali, diciotto stazioni radiotrasmittenti, di una flotta aerea, di alcune ''fazendas'' vaste come l'intera Sicilia, di un museo che vale venti milioni di dollari, di una Compagnia nazionale per la puericoltura, e di un'ambizione pari soltanto al suo coraggio, alla sua insolenza e alla sua spavalderia. (Chateaubriand, p. 495) *Assis {{NDR|Chateaubriand}} ha un debole per i tedeschi e per gli italiani. Come faccia a conciliare questi due amori, non si sa; ma le sue pene, durante la guerra, furono grandi, anche se irreprensibile fu la sua condotta<ref>Dal 1942, nel corso della seconda guerra mondiale, il Brasile fu in stato di guerra con Germania e Italia.</ref>. Quando però il governo comminò l'arresto a chiunque parlasse italiano, scese in lotta con i suoi giornali contro l'assurda disposizione. Scrisse che quello non era patriottismo, ma un nazionalismo di bassa lega, degno soltanto di una colonia, e che lui si vergognava d'esser brasiliano. Fece un tale baccano, che alla fine dovettero revocare il provvedimento e quello del sequestro dei beni dei nostri compatrioti. (Chateaubriand, p. 502) *Quando nacque sessantadue anni orsono, ne aveva già a dir poco settecento. Perché [[Ottone Rosai|Rosai]] veniva dritto dritto dal Medioevo, dopo aver saltato a piè pari Rinascimento ed età moderna, e nei momenti di sincerità confessava che Giotto gli pareva un "deviazionista" rispetto a Cimabue, il quale gli andava molto più a sangue. (Rosai, p. 544) *Dopo essere stato fascista della prima ora, nella seconda col fascismo {{NDR|Ottone Rosai}} s'era trovato male, e si capiva benissimo che era sempre per via delle mani. Tornato dalla guerra, lo squadrismo gli aveva consentito di menarle, come a lui piaceva, e ci aveva dato dentro senza risparmio. Forse l'unico momento felice della vita di Rosai fu quello: quando a gambe larghe di traverso alla strada aspettava, col giornale aperto davanti agli occhi in un gesto di sfida ribalda, il corteo rosso in arrivo da San Frediano, che alla vista di quelle manacce aggrappate ai bordi del foglio e pesanti come macigni, esitava. (Rosai, p. 547) *[[Paolo Monelli|Monelli]], se seguisse le proprie inclinazioni, andrebbe a letto coi polli. Ma cosa direbbe la gente, se non lo vedesse più vagabondare nei vari ritrovi frequentati dai nottambuli della città? Direbbe senza dubbio: "Comincia a invecchiare". E a questa idea Monelli balza dalla sua poltrona e si attacca al telefono per mobilitare qualche amica che lo accompagni nei suoi vagabondaggi. Giovani colleghe come Livia Serini, attrici giovanissime come Lea Massari sono state ridotte sull'orlo dell'esaurimento nervoso da queste prolungate ronde notturne senz'altro costrutto che quello di ribadire agli occhi di tutti l'intramontabilità di Monelli. Egli non le porta a spasso. Le porta all'occhiello, come gardenie. (Monelli al girarrosto, p. 592) *{{NDR|Paolo Monelli}} Fuma la pipa come Churchill il sigaro, cioè soltanto quando lo guardano. (Monelli al girarrosto, p. 593) ==''I conti con me stesso''== ===[[Incipit]]=== Una telefonata da Milano m'informa che Longanesi è morto. È stato colpito dall'infarto davanti al suo tavolo di lavoro, su cui era spiegata una mia lettera di dieci giorni fa, che cominciava così: «Caro Leo, stanotte ho sognato ch'eri morto...». (27 settembre 1957) ===Citazioni=== *Tutta la mia vita è stata contesa fra la noia di vivere insieme e la paura di vivere [[Solitudine|solo]]. (4 ottobre 1957) *Di nuovo il Polesine. Pare impossibile: durante le inondazioni, la prima cosa che viene a mancare è l'acqua. (dicembre 1957) *[[Colette Rosselli|Colette]]. Invecchia gentilmente, senza catastrofi. Ha su tutte le altre donne un vantaggio incolmabile: quello di essere stata il mio ultimo e più grande amore. Così grande che possiamo camparci di rendita, comodamente, tutti e due per il resto dei nostri giorni. (gennaio 1958) *Il destino di [[Riccardo Bacchelli|Bacchelli]] sarà l'opposto di quello del maiale: di lui, dopo morto, ci sarà da buttar via tutto. (gennaio 1958) *[[Olga Villi]]. Non è punto grata alla sua bellezza che le ha consentito di diventare principessa di Trabia. Punta solo sul talento che non ha. Ma è talmente priva di ''sense of humour'' che forse diventerà una buona attrice. (gennaio 1958) *[[Gaston Palewski|Palewski]]. L'ambasciata a Roma è per lui soltanto uno dei più importanti capitoli del libro di memorie che scriverà. (gennaio 1958) *Non è che [[Luigi Barzini (1908-1984)|Barzini]] abbia un'altissima opinione di sé. Ne ha una bassissima degli altri. (gennaio 1958) *Piccolo incidente d'auto. La nostra, per evitare un ciclista, picchia contro un muro e resta piuttosto acciaccata. [[Colette Rosselli|Colette]], che la guida, dice: «Meglio così. Dovevo farla revisionare, e non mi decidevo mai...». (gennaio 1958) *[[Razzismo]]: pensarci sempre, parlarne mai. [[Risorgimento]]: parlarne sempre, pensarci mai. (gennaio 1958) *[[Fascismo]]. Il più comico tentativo per instaurare la serietà. (gennaio 1958) *Il guaio più grosso della Repubblica è che, mentre il Re poteva essere di sangue straniero e di solito lo era, il presidente bisogna sceglierlo fra gl'italiani. (gennaio 1958) *Bacchelli lavora infaticabilmente, da sessant'anni, alla costruzione di un piedestallo su cui, alla sua morte, non sapremo cosa posare. (gennaio 1958) *A pranzo da [[Vittorio Cini]] con una ventina di altri invitati. A colazione ne aveva avuti altrettanti. E così ieri. E così avantieri. E così sempre. A ottantadue anni suonati, è fresco, roseo, insaziabilmente voglioso di intrattenere e di essere intrattenuto. A conclusione della serata, mi sfida a una gara di canto. Scegliamo come banco di prova ''Vecchia zimarra'', e stoniamo maledettamente entrambi, ma io meno di lui. I presenti mi assegnano la vittoria. Di colpo, Vittorio perde il suo buon umore. È talmente abituato a vincere, che non accetta di perdere nemmeno nel canto. (7 settembre 1966) *{{NDR|Su [[Nicola Bombacci]]}} Io l'ho conosciuto soltanto cadavere, quando penzolava accanto a quello di Mussolini, in piazza Loreto, e una folla messicana lo bersagliava bestialmente di sputi. Anni dopo, volli tentarne la riabilitazione ritracciandone la patetica vicenda, ma non riuscii a trovarne gli elementi biografici. Compaesano e compagno di scuola di Mussolini, maestro elementare e autodidatta come lui, ne era stato il grande amico quando entrambi militavano nel socialismo. Eppoi il suo nemico giurato, la bestia nera degli squadristi. Esule con la famiglia prima in Francia, poi (credo) in Russia, rimpatria col permesso del Duce, si affida alla sua generosità, per ricambiarla gli resta al fianco anche a Salò, e lo accompagna fin nell'ultimo viaggio verso la morte. (23 ottobre 1966) *Colloquio segreto con l'ex comunista [[Giulio Seniga|Seniga]] per una storia del [[PCI|Pci]] che devo scrivere con [[Roberto Gervaso|Gervaso]] per la «Domenica». Ė un uomo piuttosto affascinante, dallo sguardo chiaro, freddo e innocente: lo sguardo del fanatico. Mi ha detto che sua moglie, cresciuta in Russia dove suo padre era fuoruscito, e autrice di un interessante libro – ''I figli del partito'' –, nel partito è rimasta, non ha trovato il coraggio di uscirne, sebbene approvi e condivida la secessione del marito, con cui è sentimentalmente unitissima. Non riesco a capire questa gente. Cioè capisco soltanto che è diversa da noi non sul piano ideologico, ma su quello umano. (25 novembre 1966) *È morto [[Uguccione Ranieri di Sorbello]]. Era venuto a Roma da sua suocera. Stava benissimo. Era anzi particolarmente sereno e contento perché aveva finito un suo lavoro di ricerca storica cui attendeva da anni. A fine pranzo ha detto: «Non mi sento bene». Si è alzato, ed è crollato a terra. Stecchito. (29 maggio 1969) *{{NDR|Su Uguccione Ranieri di Sorbello}} Era un gran signore e un gran galantuomo che ha trascorso la sua vita in crociate nelle quali non aveva nulla da guadagnare. L'ultima è stata la campagna propagandista negli Usa per convincere gli americani a dare il nome [[Giovanni da Verrazzano|Da Verrazzano]] al grande ponte sull'Hudson. Nel suo perfetto inglese (lo scriveva meglio dell'italiano) inondò l'America di articoli e conferenze (parlava benissimo, con molto humor e senza enfasi oratorie) cercando i familiarizzare gli ascoltatori col nome Da Verrazzano, la cui pronuncia rappresentava per essi la difficoltà più grossa all'adozione di quel nome. Questa smania missionaria credo che l'avesse ereditata da sua madre americana. E per seguirla aveva trascurato le sue proprietà terriere. Le sue campagne erano in uno stato pietoso, la sua bella villa sul Trasimeno mezza disunta. (29 maggio 1969) *{{NDR|Su Uguccione Ranieri di Sorbello}} Era un buon scrittore, un infaticabile sommozzatore di articoli, un ricercatore attento e scrupoloso di curiosità storiche, un umanista moderno che aveva allargato i suoi orizzonti a tutta la cultura contemporanea, specie anglo-sassone: un uomo insomma che ha realizzato un centesimo di quello che poteva per via di quel suo dispersivo correre dietro a un'infinità di altri interessi. Era stato anche un autentico combattente della [[Resistenza italiana|Resistenza]]: per ben sedici volte si era fatto paracadutare dagli Alleati dietro le linee tedesche: impresa che chiunque altro si sarebbe fatto ripagare con altrettante medaglie. Lui non aveva ricevuto nemmeno una citazione, e di questi episodi non ha mai parlato. (29 maggio 1969) *Anche [[Irene Brin]] se n'è andata. Mi avevano detto che era malata di un cancro; ma era una notizia vaga e incerta, ch'essa aveva fatto di tutto per smentire. Fino in fondo ha lavorato e ha partecipato ai riti della mondanità: sfilate di moda, ricevimenti, eccetera. (1 giugno 1969) *{{NDR|Su Irene Brin}} Quando [[Giovanni Ansaldo|Ansaldo]] la scovò e cominciò a farla scrivere sul «Lavoro» di Genova, sua città natale, era soltanto Mariù Rossi: una ragazza timida e incerta, molto provinciale, figlia di un Generale e di un'ebrea austriaca. L'unica fama di cui godeva era quella, equivoca e velata sotto un nome d'accatto, che le aveva procurato [[Elio Vittorini|Vittorini]] prendendola a protagonista, con sua sorella, di un racconto: ''Le figlie del Generale'' in cui entrambe erano presentate come lesbiche. Se lo fossero veramente, non so. Il sesso è uno dei tanti capitoli misteriosi di questa donna. (1 giugno 1969) *In mano a [[Leo Longanesi|Longanesi]], che le aveva regalato anche lo pseudonimo d'Irene Brin, aveva rivelato autentiche qualità di scrittrice. I profili che pubblicò su «Omnibus» erano deliziosi. Fosse rimasta fra biografia e memorialismo, poteva diventare qualcosa di mezzo fra [[Henri de Saint-Simon|Saint-Simon]] e [[Lytton Strachey|Strachey]] con un tocco alla [[Madame de Sévigné|Sévigné]]. Altro che la [[Maria Bellonci|Bellonci]]! Era un'osservatrice attenta (sebbene non ci vedesse da qui a lì) e penetrante, nutrita di vastissime letture: la sua prosa aveva ritmo, calore, l'aggettivazione precisa, l'ironia tagliente. Ma era un cavallo che aveva bisogno del fantino. Chiuso «Omnibus» e cessata la regia di Longanesi, Irene infilò la pista sbagliata – quella della cronista mondana –, e non è più uscita. (1 giugno 1969) *Finito di scrivere il capitolo sull'[[Giulio Alberoni|Alberoni]] per ''L'Italia del Settecento''. Ho riprodotto la pagina di [[Henri de Saint-Simon|Saint-Simon]], che lo descrive mentre assiste impavido alle evacuazioni corporali di Vendôme per guadagnarsene i favori, eppoi inginocchiandosi davanti a lui gli grida estasiato: «Oh, culo d'angelo!», e glielo bacia. Come inizio di "carriera" italiana, mi sembra esemplare. Poi mi torna a mente un'osservazione di [[Jules Renard|Renard]]: «Se in un periodo c'è la parola culo, il lettore non si ricorderà che di quella dimenticando tutto il resto, anche se è sublime». Renard ha ragione. Ma io, a un culo autenticato da Saint-Simon, non rinuncio. (3 luglio 1969) *Le Soroptimists hanno dato un pranzo a [[Colette Rosselli|Colette]], in qualità di "Donna Letizia". Colette ha accettato dopo molti rifiuti. Il suo fastidio per queste cose di donne, lo so, è sincero. Ma, una volta preso l'impegno, ha trascorso la giornata a preparare il suo discorsino col puntiglio che la distingue. Non è per nulla ambiziosa, non tiene affatto a reclamizzare il proprio talento, sottovaluta quello che mette nella sua rubrica di «Grazia» (ma se lo fa pagare profumatamente), rifiuta di fare una mostra dei suoi deliziosi quadri. Ma il suo suscettibilissimo amor proprio non le consente di rischiare una brutta figura nemmeno nelle cose che disprezza. Infatti anche stasera ne ha fatta una eccellente, leggendo con molto garbo le due paginette che aveva preparato con un sapiente dosaggio di humour autentico, e di pathos e di umiltà fasulli. Ha avuto gran successo. Per la prima volta mi son visto guardato come un personaggio-satellite, una specie di principe consorte. Cosa che a me non dispiace affatto, ma a lei moltissimo. In questo, è proprio femmina. (13 agosto 1969) *Mi riferiscono, di [[Giorgio Bocca|Bocca]], questo giudizio su di me: «Sempre il più bravo di tutti. Bravissimo. Troppo bravo. Ma mettendo lo stesso impegno a scrivere gli articoli su Venezia e quello sull'arbitro [[Concetto Lo Bello|Lo Bello]], dimostra che in realtà non è impegnato in nulla». È vero. Non sono impegnato in nulla. In nulla, meno che nel mio mestiere. Fiorentina-Bari 3-0. E Chiarugi capo-cannoniere! (16 novembre 1969) *Sciopero generale per il caro-case. Un pretesto da nulla. Ma è bastato per immergere Milano in un'atmosfera da 8 settembre. Strade vuote. Saracinesche abbassate. Enorme spiegamento di polizia. Mentre pranzo con [[Giovanni Spadolini|Spadolini]], [[Mario Cervi|Cervi]] e Zappulli, giunge notizia che in un tafferuglio al Lirico un agente è stato ucciso dai "cinesi". «Meno male che è toccata a un agente» diciamo in coro, eppoi non osiamo guardarci negli occhi. Anche noi apparteniamo a questa borghesia codarda che pretende appaltare alle forze dell'ordine il compito di farsi sputacchiare, pestare e ammazzare per tenerne al riparo se stessa. E non vuole nemmeno pagargli uno stipendio decente. (19 novembre 1969) *[[Alberto Moravia|Moravia]] ha fondato, insieme a [[Pier Paolo Pasolini|Pasolini]] e a [[Dacia Maraini]], un "comitato contro la repressione". È la riprova che la repressione non c'è. Se ci fosse, Moravia sarebbe coi repressori, come ha dimostrato avallando col suo silenzio la persecuzione di [[Aleksandr Isaevič Solženicyn|Solženicyn]] in Russia. (28 dicembre 1969) *Moravia si è ritirato dal comitato che lui stesso aveva fondato. Ma non per i silenzi di [[Giovanni Spadolini|Spadolini]]. Si è ritirato perché «l'Unità» ha disapprovato. Gl'italiani sono sempre pronti a fare la rivoluzione, purché i carabinieri siano d'accordo. E Moravia è sempre pronto a battersi per la libertà, purché sia d'accordo il piccì. (2 gennaio 1970) *Arrivati i rendiconti dei miei diritti d'autore: 28 milioni nell'ultimo semestre. Supero dunque i 50 milioni annui. Anche ammettendo che l'editore non ci faccia sopra punta cresta (il che mi sembra, a dir poco, improbabile), non c'è male. Credo di essere l'autore italiano che più guadagna, anche perché sono l'unico che questa cifra la guadagna ogni anno, e senz'aiuto di premi letterari. Non ne sono contento per il denaro, di cui non so che farmi e che serve solo a pagare i capricci di Colette (ne ha tanti!). Ne sono contento, anzi felice, per il mio status da autore stipendiato unicamente dal pubblico. C'è chi vive di partito. C'è chi vive di Eni. C'è chi vive di Agnelli, o di Perrone, o di Crespi. Io vivo di [[lettore|lettori]]. I lettori non m'impongono altra servitù che la sincerità: l'unica che non pesi. (3 marzo 1970) *Più che comunanza di vedute, fra [[Denis Mack Smith|Mack Smith]] e me c'è comunanza di nemici: quegl'insopportabili pedanti accademici che a Palermo lo hanno violentemente attaccato qualificandolo «il Montanelli di Oxford». Implicitamente egli accetta di far fronte con me contro di loro. Credo che facciamo entrambi un buon affare, e anche un affare buono: se riusciamo a squalificare agli occhi del pubblico la [[storiografia]] accademica (e coi nostri libri ci stiamo riuscendo), avremo reso un grosso servigio alla cultura italiana. (2 maggio 1970) *Sosta a Venezia, dopo il voto a Cortina. Visita d'obbligo a Vittorio Cini, e passeggiata con lui sulle Zattere. Vedendolo, un vecchietto sdrucito, ma dignitoso, si leva il cappello e gli tende la mano, evidentemente per mendicare. Vittorio gliel'afferra e gliela stringe con effusione dicendogli: «Caro!... Caro!... Caro!... Coma la va?» È in perfetta buona fede: la buona fede di un doge lontanissimo dalle afflizioni della miseria e perfino incapace di immaginare che ce ne siano. (8 giugno 1970) *Leggo in [[Giorgio Candeloro|Candeloro]]: «... Nel processo generale di sviluppo della Storia, il carattere dei personaggi, anche dei più grandi, ha un peso limitato...». Ah, sì? E cosa dunque se non il carattere di Alessandro, cioè la sua follia, può spiegare la conquista macedone fino all'India e la diaspora dell'ellenismo che ne deriva? L'Islam è concepibile senza il "carattere" di [[Maometto]]? E cosa divise la Riforma se non i diversi "caratteri" di [[Martin Lutero|Lutero]] e di Calvino? I nostri storici odiano i caratteri e i personaggi, perché questi richiedono immaginazione e intuito, cioè doti di scrittore, di cui essi sono disperatamente vedovi. Non sono storici. Sono soltanto degli archivisti, e molto spesso disonesti. (10 novembre 1970) *Milano è in fiamme per l'affare Feltrinelli, e [[Piero Ottone|Ottone]] mi chiede un articolo contro la [[Camilla Cederna|Cederna]], firmatario di un manifesto in cui, a due ore di distanza dal rinvenimento del cadavere e prima ancora che esso sia ufficialmente riconosciuto, proclama che Feltrinelli è rimasto vittima della «reazione internazionale». Se la Cederna avesse una testa, direi che l'ha persa. Ma perché Ottone vuole un articolo contro di lei, intima amica e direttrice di coscienza di [[Giulia Maria Crespi|Giulia Maria]], nonché regina del suo sinistrorso salotto? Comunque, a mettere una zeppa fra direttore e proprietaria, è doveroso collaborare. E faccio l'articolo in forma di "lettera a Camilla". (25 marzo 1972) *Pare che l'articolo abbia rimesso fuoco a Milano, creandovi una irreparabile frattura fra montanellisti e cedernisti. I primi sono più numerosi, ma i secondi più rumorosi. Ricevo pacchi di telegrammi di plauso e altrettanti d'insulti. Il giornale è sommerso di lettere, e io prego Ottone di pubblicare anche quelle di protesta. Ha scritto anche la Cederna annunziando una replica sull'«Espresso» (Ottone ha cancellato il titolo del settimanale, commettendo una meschineria). Quanto a Giulia Maria, mi dicono che schiuma di rabbia. Se è vero, devo riconoscere che il giornalismo qualche soddisfazione la dà. [[Umberto Eco]] mi attacca sul «manifesto» riproducendo una mia frase di ammirazione per Mussolini scritta quando avevo ventidue anni (in dieci anni di giornalismo sotto il defunto regime, non sono mai riusciti a trovare, di mio, altre prove di zelo fascista) e accusandomi di mancanza di cavalleria verso una donna. O bella! Come se una donna, quando si mette a far politica – e che politica! – come un uomo, potesse ancora accampare l'impunità! Anche la [[Maria Callas|Callas]] è una donna. Eppure, quando stona, la si fischia. (27 marzo 1972) *Ho scritto un fondo in difesa della Cederna, incriminata dal magistrato per aver diffuso notizie false e tendenziose. Che abbia commesso questo peccato, ho detto, è vero. Ma si tratta di peccato, non di reato. E a giudicarne dev'essere il lettore, non il tribunale. Verità lapalissiane. Dice che è sempre stata molto più impegnata e coraggiosa di me perché con le sue campagne in favore di Valpreda e di [[Giuseppe Pinelli|Pinelli]], tiene fronte alla polizia. Potrei incenerirla chiedendole dov'era e cosa faceva quando io ero in galera per aver tenuto fronte non alla polizia d'oggi, ma a quella fascista e nazista. Ma non ne vale la pena. (28 marzo 1972) *Più approfondisco questo tema delle regioni (sono a Milano per questo), e più mi sgomenta il doverne scrivere. Ci vuol poco a capire che questi regionalisti lombardi perseguono, consapevolmente o inconsapevolmente, un piano secessionista cisalpino. E, una volta che ne abbiano lo strumento, riusciranno a realizzarlo. Non per nulla Bassetti parla già non più di «regione lombarda», ma di «[[Padania|regione padana]]», di cui il resto d'Italia non sarebbe che un'appendice. Se ce la fanno (e ce la faranno), addio Risorgimento! Non era che una finzione, d'accordo, e in pratica ha fallito. Ma con che lo sostituiremo? (26 settembre 1972) *Volo a Lussemburgo sul solito bireattore di Berlusconi, che ci accompagna, felice di esibirsi e di esibire il suo status in una cerimonia internazionale. La medaglia d'oro (ma è proprio d'oro?) me la consegna Gaston Thorn, capo del governo lussemburghese. Berlusconi riempie il suo taccuino di indirizzi: quelli di tutte le personalità che ha incontrato. È il vero ''climber'' che approfitta di tutto e non butta via nulla. (23 maggio 1977) *Kappler è fuggito. Ha fatto bene. Ma ora chi ci salverà dai conculcati "valori della Resistenza"? (15 agosto 1977) *A colazione da [[Vittorio Cini|Cini]]. Ha avuto un brutto crollo, ma ha ancora risorse. Le tira fuori quando è in compagnia. Ma quando è solo, mi dice sua moglie, sprofonda in quei tetri silenzi che sono i colloqui di un uomo con la morte. (19 agosto 1977) *De Carolis m'informa che il vero autore della operazione «Corriere» è un certo [[Licio Gelli|Gelli]], misterioso personaggio massonico, di Arezzo (Fanfani), che vuole incontrarmi per un accordo fra i due giornali. (24 settembre 1977) *Secondo quanto mi era stato raccomandato, dovevo salire direttamente alla camera 219 dell'Excelsior. Ma alla camera 219 non c'era nessuno, e così dovetti chiedere al portiere del signor Gelli. Poi Gelli arrivò, mi condusse furtivamente nel suo appartamento e mi fece un lungo discorso pieno di allusioni, dal quale dovevo comprendere che lui è un pezzo grosso – forse il più grosso – della massoneria (Palazzo Giustiniani), che come tale era stato il vero padrino della operazione Rizzoli, e che in questa operazione potevamo rientrare anche noi. Mi ha detto che quattro ministri dell'attuale governo, otto sottosegretari e centoquaranta parlamentari dipendono da lui. Questi massoni sono tutti uguali: credono che la loro potenza sia direttamente proporzionale al mistero di cui si circondano e prendono per cose fatte quelle per le quali complottano. (4 ottobre 1977) *Da Fanfani, al Senato. È talmente infuriato che diventa perfino sincero. «Dica al suo amico che è un traditore!» «Perché non glielo dice lei?» Mi spiega che Forlani non mira alla segreteria del partito, come io credevo, ma alla presidenza del Consiglio, quando Andreotti sarà consumato. Mi dice anche che condivide l'idea di Donat-Cattin di lasciare il Quirinale a un laico. «Altrimenti fra noi democristiani ci sbraniamo e ci sbrachiamo nella corsa a chi concede di più ai comunisti.» È sincero anche stavolta, o lo dice perché, avendo perso ogni speranza per sé, vuole prepararsi un buon argomento per Maria Pia («Stavolta toccava ai laici»)? (29 ottobre 1977) *A cena da Gervaso con Cossiga. Non si lamenta dei nostri attacchi, ma sono io a dirgli: «Noi esprimiamo lo scontento, e talvolta la rabbia, della pubblica opinione. La gente vuole un ministro degl'Interni che agisca e che faccia agire la polizia». «Ma lei sa com'è ridotta la polizia?» «In qualunque modo sia ridotta, siete voi che l'avete ridotta così. E quindi sta a voi rimediare.» Mi dice che non c'è da farsi illusioni: la situazione si aggraverà. Il terrorismo è finanziato coi sequestri, ha solidi agganci internazionali, e segue una tattica ben studiata. «L'attentato a lei fu un errore. Se a essere colpite fossero le personalità di rilievo, la gente media, cioè la grande massa della popolazione, sarebbe tranquilla. Invece hanno deciso di colpire i gradi subalterni – consiglieri comunali della Dc, capireparto della Fiat eccetera – per togliere il sonno a tutti.» Forse è vero. (29 ottobre 1977) *Quattro revolverate in faccia a [[Carlo Casalegno|Casalegno]], che ora è grave. Alzano la mira. (16 novembre 1977) *«La Stampa» riporta tutti gli articoli di solidarietà per Casalegno apparsi sugli altri giornali. Ma omette il mio, ch'era forse il più caldo: la solidarietà nostra la imbarazza. (18 novembre 1977) *Casalegno è morto. Ho telegrafato alla vedova, ma non al figlio – iscritto a [[Lotta Continua|Lotta continua]] –, né a [[Arrigo Levi|Levi]] e ai colleghi della «Stampa». Purtroppo, la loro faziosità condiziona la nostra solidarietà. Al funerale andrà Biazzi. (29 novembre 1977) *Incontro risolutivo a Roma tra Ferrauto e quelli della Sipra. Affare fatto e a condizioni molto più favorevoli di quelle sperate. Sei miliardi e settecento milioni come minimo annuo garantito, per cinque anni. Firmeremo il compromesso martedì 16. (10 maggio 1978) *Vista in tv la cerimonia funebre per Moro in San Giovanni Laterano. Dentro la basilica, tutti i dignitari Dc e quelli Pci inginocchiati sotto la mano benedicente del papa. E, fuori, la piazza sventolante di bandiere bianche e rosse. Non ho potuto fare a meno di rilevarlo in un "Controcorrente". (13 maggio 1978) *Batosta comunista alle amministrative parziali di ieri (4.000.000 di elettori). La Dc sale dal 38 al 42 per cento, il Pci scende dal 35 al 26. Successo dei socialisti che guadagnano il 4 per cento. Un risultato sconvolgente (in positivo). Uniche delusioni: il guadagno – sia pur minimo – del Pri, e la mancata rianimazione del Pli. (15 maggio 1978) *Firmato oggi l'accordo con la Sipra. Minimo garantito: 6.800.000.000 all'anno per cinque anni. Il presidente, D'Amico, è un ex operaio della Fiat, ora deputato comunista: un uomo concreto, franco, di poche parole. Era più soddisfatto lui dell'accordo con noi, che il direttore generale, il democristiano Pasquarelli. Io ho fatto la mia parte, da buon attore. Arrivato all'ultimo momento, ho detto: «Per impedire ripensamenti ed equivoci, trasformiamo il compromesso in vero e proprio contratto, e firmiamo subito». Lo champagne era già pronto. (16 maggio 1978) ==''I protagonisti''== *Nel settembre di quell'anno {{NDR|1956}} il partito lo spedì {{NDR|[[Gian Carlo Pajetta]]}} a Mosca insieme a Pellegrini e a [[Celeste Negarville|Negarville]] per sentire direttamente da [[Nikita Sergeevič Chruščёv|Kruscev]] come ci si doveva comportare nella crisi, ormai aperta, dell'antistalinismo. Kruscev li accolse affabilmente, li invitò a cena. E qui, trascinato da bocconi e libagioni ad una espansiva euforia come spesso gli capita, a un certo punto disse: «Beh, ora vi voglio raccontare come strangolammo [[Lavrentij Pavlovič Berija|Beria]]». E descrisse l'agguato che gli avevano teso al Cremlino, come gli erano saltati addosso e come gli avevano serrato la gola con le mani fino alla soffocazione. Lo descrisse ridendo allegramente, forse senz'accorgersi del pallore che soffondeva il volto dei suoi ospiti, o per lo meno quelli di Pajetta e di Negarville.<br />L'indomani li convocò nuovamente e, come non ricordando affatto ciò che gli aveva raccontato la sera prima, disse loro in tono solenne: «Beh, ora vi farò sentire il processo di Beria registrato sul nastro». E glielo fece sentire davvero come lo avevano inventato ''post mortem'', con la voce del defunto falsificata.<br />Quando si ritrovarono fra loro, Negarville e Pajetta si guardarono con gli occhi pieni di lacrime. «Ma allora – dissero –. Ma allora...». E non aggiunsero altro. (pp. 66-67) *{{NDR|Su [[Anna Magnani]]}} Ci sarebbe da scrivere un trattato sul modo di usare Anna. La prima precauzione da prendere è quella di non farla ritrovare in mezzo a estranei. Timida com'è, pur dopo un'esistenza trascorsa sotto i ''flashes'', la gente la raggela e la chiude in un mutismo ostile o l'aizza ad atteggiamenti protervi. Delle poche persone che le ho presentato, l'unica che la sedusse immediatamente fu il mio collega [[Augusto Guerriero]], perché il discorso cadde sui cani e sui gatti: e questo è un argomento su cui il cuore di Anna si scioglie e la mente le si ottenebra. Si mise in testa che noi due, con un articolo, potevamo far riformare la legge sulla protezione degli animali. E invano cercammo di dimostrarle che il problema non era di leggi, ma di costume. Non sentì ragioni. Dovemmo prometterle l'articolo (che poi infatti scrivemmo). (pp. 177-178) *{{NDR|Su [[Ignazio Silone]]}} Leggendo i suoi primi romanzi, ''Fontamara'', ''Pane e vino'', ''Il seme sotto la neve'', e pur ammirandoli, ero caduto in abbaglio sull'autore. Lo avevo preso per uno di quegl'industriali dell'antifascismo che, riparati all'estero, avevano trovato nella universale avversione alla dittatura una comoda scorciatoia al successo dei libri di denunzia. Lo consideravo insomma un profittatore del regime a rovescio (come del resto ce ne sono stati). E una conferma mi era parso di vederla nel fatto che finito, col fascismo, l'antifascismo, parve finito anche il narratore Silone.<br />Poi vennero ''Una manciata di more'', ''Il segreto di Luca'', ''La volpe e le camelie''. Ma vennero soprattutto alcuni saggi politici che mi costrinsero a ricredermi. Ed era proprio questo che non riuscivo a perdonargli. Mi era antipatico non per i suoi, ma per i miei errori. Più lo conoscevo attraverso i suoi scritti, e più dovevo constatare che non solo egli non somiglia affatto al personaggio che m'ero immaginato, ma che anzi ne rappresenta la flagrante contraddizione. (pp. 180-181) *{{NDR|Su ''[[Ignazio Silone#Uscita di sicurezza|Uscita di sicurezza]]''}} Come documento umano, non ne conosco di più alti, nobili e appassionati. Fenomeno unico, o quasi unico, fra gli sconsacrati del comunismo che di solito non superano mai più il trauma e trascorrono il resto della loro vita a ritorcere l'anatema, Silone non recrimina. Egli rifiuta i grintosi e uggiosi atteggiamenti del moralista, o meglio ne è incapace. Domenicano con se stesso, è francescano con gli altri, e quindi restio a coinvolgerli nella propria autocritica. Cerca di metterne al riparo persino [[Palmiro Togliatti|Togliatti]]; e se non ci riesce che in parte, non è certo colpa sua. Qui non c'è che un accusato: Silone. E non c'è che un giudice: la sua coscienza. (pp. 186-187) *Noi crediamo di scoprire dei modelli. In realtà non scopriamo che degli antenati. [[Carlo Cassola|Cassola]] s'illude di aver imparato da [[James Joyce|Joyce]] quello che già sapeva. Joyce gli avrà fornito, al massimo, qualche mezzo tecnico per esprimerlo. Uno [[scrittore]] vero (e Cassola lo è) non cerca in un altro scrittore che se stesso. (p. 207) *{{NDR|Su [[Enrico Mattei]]}} Egli amava solo il [[potere]], e l'amore del potere esclude tutti gli altri. (p. 265) *{{NDR|Su [[Giulio Andreotti]]}} Andava anche, mi dicono, a messa insieme a lui {{NDR|[[Alcide De Gasperi|De Gasperi]]}}, e tutti credevano che facessero la stessa cosa. Ma non era così. In chiesa, De Gasperi parlava con Dio; Andreotti col prete. Era una divisione di compiti perfetta. (pp. 271-272) ====''Il meglio di «Controcorrente»''==== *Il «comitato permanente antifascista» di Milano ha deciso di chiedere un «riconoscimento» per tutti coloro che sono stati «coinvolti direttamente nella strategia della tensione a partire dal 1º gennaio 1969». Ci risiamo. Tutta la nostra vita è stata angosciata e angariata dagli antemarcia: prima quelli del Littorio, poi quelli della Resistenza, ed ecco che ora spuntano quelli della «tensione». Longanesi aveva ragione: in questo Paese, reduci si nasce. (p. 47) *Agli alunni della terza classe (anni otto-nove) della scuola elementare di via Pisani, Milano, è stato assegnato il seguente problema: «Mario, Gino e Beppino sono i capi della banda. Mario dice a Gino che la banda ha quasi esaurito le munizioni: rimangono solo 5 cassette con 130 pallottole per cassetta. Quante pallottole rimangono?». Debolucci come siamo, in aritmetica, non lo sappiamo nemmeno noi. Ma ci pare che una per l'insegnante e una per il ministro Malfatti ci dovrebbero ancora essere. (p. 79) *Il messaggio di addio che il dimissionario capo dello Stato ha detto alla televisione e che anche noi pubblichiamo, è ineccepibile. Esso dà del presidente [[Giovanni Leone|Leone]] un'immagine che non fa una piega: un galantuomo all'antica, padre di una famiglia esemplare, ingiustamente calunniato da una stampa irresponsabile. Siamo sicuri che tutto questo si può dire di Leone. Ha un solo difetto: che a dirlo è stato Leone. (p. 84) *A Roma, nonostante tutte le ricerche fatte, non è stato possibile trovare un locale disponibile per un convegno di radicali. Non ce n'era uno abbastanza piccolo per contenerli tutti. (p. 103) *In un convegno su «Terrorismo e informazione», a Roma, è stato unanimemente riconosciuto che il [[segreto istruttorio]] in Italia non esiste. Lo trasgrediscono tutti. Non solo giornalisti e avvocati – e ancora passi – ma perfino magistrati che anticipano e propalano, il più delle volte per farne strumento politico, notizie riservate. «È il segreto di Pulcinella» si è lamentato il procuratore capo della Capitale, De Matteo. È vero. Ma Pulcinella non era giudice. E i giudici non dovrebbero essere Pulcinella. (p. 104) *Solo il tempo non perde tempo, diceva [[Jules Renard|Renard]]. E così, a furia di annunciarne i cambiamenti, il tempo è passato anche per il colonnello [[Edmondo Bernacca|Bernacca]], che ora deve rassegnarsi alla pensione. Peccato. Gli dobbiamo parecchi raffreddori e reumatismi. Ma nessuno riuscirà meglio e con più grazia di lui a farci capire ed accettare l'inutilità della meteorologia. (p. 108) *Qualcuno teme – e qualche altro spera – che l'Afghanistan diventi il Vietnam dei russi. Niente paura, in Afghanistan non ci sono giornalisti. (p. 112) *Quella del ''Corriere'' non è una situazione invidiabile: il direttore in congedo per l'affare della P2, manager ed articolisti contestati per lo stesso motivo, il maggiore azionista in galera, accusato di reati valutari, montagne di debiti, trasparenza della proprietà limpida come un mare in burrasca. Ci sarebbe davvero da mettersi le mani nei capelli. Se non fosse un giornale di [[Roberto Calvi|Calvi]]. (pp. 125-126) *Quando leggiamo «ministro senza portafoglio», ci viene sempre un dubbio. Che glielo abbia rubato qualche collega? (p. 146) *L'[[Organizzazione per la Liberazione della Palestina|Olp, Organizzazione per la liberazione della Palestina]], è stata ammessa con voto unanime, anche se provvisoriamente, nel Comitato olimpico asiatico. Non sapevamo che il lancio della bomba fosse diventato una disciplina atletica. (pp. 171-172) *A suo tempo imprigionato dagl'israeliani per complicità col terrorismo palestinese, e liberato per l'intervento del Vaticano con l'impegno di astenersi dalla politica, l'Arcivescovo libanese di Gerusalemme [[Hilarion Capucci]] ha dichiarato in un'intervista all'''Europeo'' che i rivoltosi di Gaza e della Cisgiordania non ricevono ordini da nessuno: «Li prendono solo da Dio, loro unico leader». Lo abbiamo sempre detto, noi: a grattare un arabo, anche se cristiano e Monsignore, viene fuori un Ayatollah. Ma forse non c'è neanche bisogno di grattare. (p. 184) *Da Praga [[Bettino Craxi]] proclama che «bisogna liberare l'Italia da Falci e Martelli». Benissimo. Ma chi è Falci? (p. 206) *[[Pino Rauti]] è intenzionato a candidare un africano alle elezioni comunali fiorentine. Più che giusto: il nero si addice al Msi. (p. 209) *Per evitare pubblicità attorno al caso di [[Angelo Peruzzi|Peruzzi]] e [[Andrea Carnevale|Carnevale]], i due giocatori giallo-rossi risultati positivi all'antidoping, il presidente della Roma, [[Dino Viola]], ha deciso di portare tutta la squadra in ritiro. A San Patrignano. (p. 216) *Secondo ''La Notte'' di ieri – che riferisce dichiarazioni d'un capo della Jihad islamica, Ibrahim Serbell – i terroristi arabi hanno nel loro mirino, per quanto riguarda l'Italia, «uomini politici, aeroporti e alcuni obiettivi strategici». Siamo molto preoccupati per gli aeroporti e gli obiettivi strategici. (p. 220) *La fantapolitica non è il nostro esercizio preferito. Ma ci chiediamo che cosa succederebbe se, con un colpo alla Moro, i terroristi si impadronissero di Cossiga e lanciassero al governo il ricattatorio ultimatum: «Se non ci date cento miliardi, lo liberiamo». (p. 228) *Malgrado tutto (e per tutto intendiamo proprio tutto), [[Moana Pozzi]] non è riuscita ad entrare a Montecitorio. Peccato. È l'unica Camera che non potrà dire di aver frequentato. (p. 236) *Sull'''Unità'' è comparsa la lettera di un deputato che, pericolosamente sfiorato da un motociclista, invoca drastiche misure penali contro i «teppisti al volante». Ci associamo alla proposta. L'unica cosa che ci sconcerta è la firma del proponente: è quella dell'onorevole [[Mario Gozzini]], autore della famosa legge che in pratica vorrebbe l'indulgenza plenaria per qualsiasi reo e reato. (p. 244) ==''Il testimone''== *Per restituire efficienza e prestigio alla polizia, bisogna prima restituirli allo Stato. E in che condizioni lo Stato italiano sia ridotto, tutti lo sappiamo e lo vediamo. Dovrebbero vederlo e saperlo anche i nostri uomini politici, e trovare il coraggio di riconoscerlo pubblicamente, invece di occultare la verità dietro la cortina fumogena di dichiarazioni pompose e altisonanti sulla «saldezza delle istituzioni» e simili. Furono questi proclami retorici e vuoti a provocare la bordata di fischi che accolse a Brescia [[Giovanni Leone|Leone]] e [[Mariano Rumor|Rumor]] all'indomani della strage. [...] La gente è stanca di una politica che cerca ma non trova, di una magistratura che istruisce ma non giudica, e soprattutto di partiti che strumentalizzano i morti per la loro propaganda politica. Con questi sistemi non si ricostruisce la fiducia. Si rende obbligatoria la sfiducia, condizione e prefazione della resa. (p. 33) *La Lombardia seguita a sfornare energie di prim'ordine. E da tutta Italia coloro che, come i soldati di Napoleone, credono di portare nel loro zaino il bastone di maresciallo, continuano a fare di Milano la loro mecca. Le difficoltà fra cui si dibattono sono molto più ardue di quelle che affrontano i loro predecessori per fare le fortune proprie e quelle di Milano. Ma la più ardua di tutte è il riciclaggio dei valori morali. Se Milano non restaura il culo dell'uomo, della sua iniziativa, del suo coraggio, del suo orgoglio di costruire, di rischiare e di vincere, e se non restituisce il premio a queste virtù, tanto vale che si arrenda allo Stato, al parastato e al sindacato, e si rassegni a diventare il ''bazar'' di un'Italia da terzo mondo. (p. 69) *Chi sia, cosa voglia e cosa valga Rizzoli, non c'interessa. C'interessa solo l'operazione cui egli presta il nome e il braccio (la mente lasciamola stare). Il tentativo di fare di Rizzoli, coi soldi del contribuente, l'editore del regime, è chiaro. E se di lui si vuol fare l'editore del regime, è altrettanto chiaro che si punta a una stampa di regime. Ma di quale regime? Evidentemente di un regime bisognoso di quei silenzi che solo una stampa di regime, affiancata da una RAI-TV di regime, può garantire. Se l'operazione riesce, caro lettore, dovremo dirci addio, perché per le voci libere e indipendenti non ci sarà più posto. Per soffocarle, non è necessaria nemmeno una legge: basterà lasciar aumentare il costo del prodotto bloccandone il prezzo. (p. 80) *Frondista sotto il fascismo, ribelle sotto la democrazia, Longanesi rimase sempre lo stesso. Il suo sogno sarebbe stato di fare l'anarchico in un regime autoritario borghese. Una volta lo condussi a parlare di un vecchio artigiano toscano, che diceva di essere stato in Russia a organizzare complotti e a fabbricare bombe contro lo zar. A tal punto Longanesi si entusiasmò di lui da rifiutare i miei sospetti sull'autenticità della storia. «È vera, è vera», diceva: «non hai sentito con che effetto e rimpianto parlava dello zar? L'affetto e il rimpianto del vero anarchico che, quando c'era lo zar, saoeva almeno contro chi buttare le bombe.» Ed era chiaro che anche lui rimpiangeva lo zar, per gli stessi motivi. (pp. 103-104) *In Italia i rappresentanti del popolo non sono popolari. Nessuno, nemmeno fra quelli che raccolgono centinaia di migliaia di voti, è veramente amato e rispettato. [...] I rappresentanti del popolo non parlano quasi mai col popolo. Parlano solo col partito, cioè fra loro, in un linguaggio ermetico che dà corpo ai peggiori sospetti. E in più c'è il borbonico attaccamento agli orpelli del potere. Questi capi di Stato e di governo, questi ministri [...] è fatale che agli occhi della gente appaiano come ''loro'', e ne subiscano le conseguenze. Non la si prenda per una dichiarazione di fede antirepubblicana. Ma [...] l'uccisione di [[Umberto I di Savoia|Umberto I]] che, come re, era il supremo dei ''loro'', sollevò un'ondata di commozione popolare più diffusa e spontanea di quella suscitata dal brutale sequestro di [[Aldo Moro|Moro]] (p. 114) *Sui feretri di coloro che sono caduti per ragioni ideologiche hanno diritto di sventolare solo le bandiere dei rispettivi partiti, e bisogna riconoscere che quelle della Democrazia cristiana possono vantare precedenza. Su quelli di tutti gli altri – magistrati, poliziotti, carabinieri, guardie e medici di carcere – può e deve sventolare solo il tricolore, se in qualche soffitta ce ne sono ancora degli scapoli. Il tempo delle usurpazioni e delle confische è finito. A ciascuno il suo. (p. 137) *In Germania c'è una norma statuaria che vieta di rovesciare un governo se prima non si sia trovata la maggioranza per formarne un altro. Da noi, ogni limitazione alla spensieratezza è considerata antidemocratica. Come diceva Longanesi: «Chi rompe, non paga, e siede al governo». (p. 161) *In questi venticinque anni, Kekkonen si è adoperato a «finlandizzare» la Finlandia: non aveva altra scelta, e c'è riuscito. La Finlandia è l'unico satellite dell'URSS in cui le fondamentali libertà democratiche sono rispettate, e di cui la porta è rimasta aperta all'Occidente. Ma non credo che questo miracolo sia dovuto solo a lui. Esso è dovuto soprattutto alla Finlandia e a quello che nel suo giovanile estremismo nazionalista egli stesso aveva chiamato «l'inutile sacrificio». Quel sacrificio fu invece utilissimo. È grazie a esso che la Finlandia non ha seguito la sorte degli altri tre Paesi Baltici – Estonia, Lettonia e Lituania –, ormai cancellati dalla carta politica dell'Europa. (p. 195) *Non vengano i sociologi a ripeterci la solita filastrocca che la mafia non è colpa di nessuno, neanche dei mafiosi, ma solo delle «strutture» e della povertà. Forse un tempo era così: il tempo in cui la mafia aveva qualche diritto di fregiarsi del titolo di «onorata società», e anche se avesse ammazzato un [[Carlo Alberto dalla Chiesa|Dalla Chiesa]], avrebbero risparmiato sua moglie. Oggi la mafia naviga nell'oro, e forse Dalla Chiesa è morto proprio perché aveva messo le mani su certe carte che riguardano finanziamenti per 880 miliardi ad aziende ancora più fantomatiche del Banco Andino di calvesca memoria. Il che dovrebbe indurci a qualche riflessione sui contributi che lo Stato fornisce alla Regione siciliana per aiutare l'isola a recuperare i suoi «ritardi». (pp. 215-216) *C'è chi chiede il rigore nella lotta all'inflazione, c'è chi lo chiede in quella della disoccupazione, c'è perfino chi lo chiede nello sviluppo dell'assistenzialismo. [[Guido Carli]] [...] ha detto ch'esso va applicato principalmente alla spesa pubblica, da contenersi entro l'invalicabile limite della «sopportabilità»: cosa su cui tutti hanno convenuto, essendo questo [...] il rigore che più piace agl'italiani (oltre quelli che gli arbitri di calcio assegnano in favore della squadra di casa). (p. 222) *La colpa dei Paesi sviluppati non è di far troppo poco per quelli di sottosviluppo, ma di farlo male. Qualcuno ha riassunto la lezione dei fatti nella massima: «Non date il pesce alla gente affamata; insegnatele a pescarlo». Ma per questo i miliardi non bastano: ci vogliono i missionari alla [[Marcello Candia]] e alla [[Madre Teresa di Calcutta|Suor Teresa di Calcutta]], molto più difficili da stanziare. Comunque, una cosa bisogna esigerla: l'eliminazione delle strozzature che impediscono agli aiuti di arrivare a chi ne ha veramente bisogno. Oggi come oggi, essi si fermano regolarmente sulle mense e nelle tasche di politici e burocrati delle nuove satrapie. Ma nella legge varata ieri non mi sembra che ci sia accenno allo smantellamento di questo perverso sistema. Che l'amministrazione di quei millenovecento miliardi [...] sia affidata a un sottosegretario invece che a un commissario, non mi pare una gran trovata. Si tratterà [...] del solito carrozzone lottizzato fra partiti, che farà presto a intendersi, via mance e bustarelle, coi carrozzoni dei Paesi da soccorrere. (pp. 257-258) *La [[Resistenza italiana|Resistenza]] un grande servigio all'Italia lo rese: ci procurò un notevole ribasso sul conto della sconfitta. Senza la Resistenza, non c'è dubbio che avremmo pagato molto più caro il nostro dissennato intervento a fianco della Germania. [...] Essa ha tutti i titoli per essere ricordata. Ma come la fine di una lunga sconfitta, la chiusura del capitolo più nero della nostra storia unitaria; non come il coronamento di una radiosa vittoria. Noi non ci liberammo; fummo liberati, L'aiuto – modestissimo, sul piano militare – che con la Resistenza demmo ai liberatori merita la gratitudine di tutti i disastri che ci risparmiò e le indulgenze che ci procurò al tavolo della pace. Ma la pretesa di confonderci coi vincitori, e perfino di parlare in loro nome, non può tirarci addosso che disprezzo e sarcarmi. (pp. 266-267) *Per Menichella, la ricostruzione e il grande decollo industriale erano possibili a una condizione: la stabilità della moneta. I capitali per gl'investimenti dovevano essere attinti non alla Zecca, ma al risparmio, che in caso contrario sarebbe stato distrutto dall'inflazione. E per accumulare il risparmio non c'era che una ricetta, la solita: lavorare di più e consumare di meno. Lo accusarono di rozzezza, di passatismo, lo tacciarono di «guardia bianca del capitalismo» che voleva «arricchire i padroni sulla pelle degli operai» [...] e un tenore della sinistra giunse a definirlo «un analfabeta dell'economia». E niente poteva essere più menzognero. Menichella aveva una preparazione di ferro. Di economia sapeva tutto. Solo lo traduceva [...] in un linguaggio spicciolo e sempre rapportato al concreto. I fatti gli diedero ragione. Ricostruzione e stabilità monetaria camminarono di pari passo; l'Italia raggiunse il ''boom'' nel momento in cui la lira si guadagnava l'Oscar. (p. 282) *Noi che laici siamo sul serio, non abbiamo nessuna nostalgia dello Stato crispino che credeva di fare del laicismo silurando i prefetti che andavano a messa e destituendo il sindaco di Roma per un atto di omaggio al Papa. Come non ne abbiamo per una Chiesa che umiliava padre Tosti e il vescovo Bonomelli, costringendoli a pubblici atti di contrizione per avere avanzato proposte di conciliazione. Uno dei motivi, forse il maggiore, per cui amammo e rispettammo De Gasperi è per la peitra tombale che ci sembrava avere messo su questo passato, dimostrando col proprio esempio come si possa essere insieme il più cattolico degl'italiani e il più italiano dei cattolici. [...] Non abbiamo titoli né qualifiche per rivolgerci al Papa. Ma se potessimo, gli porremmo una sola domanda che non dovrebbe [...] dispiacergli. Gli chiederemmo se per essere insieme buoni patrioti e buoni cattolici sia proprio indispensabile nascere polacchi. (pp. 306-307) *[[Walter Cronkite|Cronkite]] non ebbe mai dubbi sulla «obbiettività» delle sue immagini. «Parlano da sole», diceva. E in un certo senso è vero. [...] In questo lavoro di montaggio [...] fu un vero maestro. Come lo è stato nell'arte delle omissioni. Perché l'immagine del colonnello che sparava alla tempia del vietcong diceva, sì, la verità. Ma taceva, ignorandola, quella dello sfondo su cui la scena si svolgeva: il suolo tappezzato dai cadaveri seviziati dei ''marines'' sorpresi nel villaggio, delle donne sventrate e dei bambini abbruciacchiati per sospetto di collaborazionismo: tutte immagini che non avrebbero tolto nulla alla verità di quella della pistola sparata alla tempia, ma l'avrebbero spiegata sminuendo l'effetto dell'errore e del capriccio. Così come sono vere, verissime, le sequenze [...] della ritirata (si fa per dire) degli americani da Saigon: roba che quasi rivaluta l'8 settembre italiano, da arrossire di vergogna nei secoli. Peccato che Cronkite non abbia fatto riprendere le scene che contemporaneamente si svolgevano nelle strade della città via via che i ''liberatori'' del Nord vi s'inoltravano: roba da impallidire di orrore anche oggi. [...] Cronkite seguita a dire che la verità sul Vietnam è la sua. Ma è rimasto il solo a dirlo. Tutti i suoi ''fans'' lo hanno abbandonato e rinnegato. Compresa [[Jane Fonda]], che da cacciatrice di streghe e pasionaria del colpevolismo si è trasformata in missionaria del pentitismo e invoca il perdono dei reduci battendosi il petto. Con la stessa sincerità e buona fede, credo, con cui prima li indicava al crucifige. [...] È vero, putroppo, che la sorte del Vietnam fu decisa dalle «patacche» di Cronkite. In fatto di mestiere, possiamo imparare tutto da lui. Ma in fatto di verità, nulla. Salvo l'arte di contraffarla con l'aria di servirla (pp. 328-329) *Conosciamo dei comunisti che nel comunismo ci hanno creduto sul serio, e forse tanto più ciecamente quanto più bisognava essere ciechi per continuare a crederci. Sono quelli che l'abiura se la tengono in corpo, e che non imprecano contro l'idolo infranto. Sappiamo benissimo che, se avessero vinto, in nome di quell'idolo ci avrebbero, sia pure a malincuore, impiccati. Ma oggi il loro silenzio c'incute il più grande rispetto. Non altrettanto ne proviamo per i cosiddetti «emergenti» che, per continuare a emergere, inneggiano a tutto: alle macerie del Muro, alla perestroika, alla libertà, perfino al capitalismo, e si atteggiano a precursori e battistrada di questa totale, anzi totalitaria palinodia. Ma si tratta di una truffa bell'e buona. (pp. 343-344) *L'Expo è una grande abbuffata. E quando sono in gioco migliaia di miliardi, l'importante non è vincere; è partecipare. Che Venezia venga ridotta a un luna-park per la gioia a un luna-park per la gioia delle torme di straccioni (trenta milioni, secondo i preventivi più cauti) che la sommergerebbero rinnovando e centuplicando l'alluvione dei Pink Floyd era – ed è – per i fautori dell'Expo un'obbiezione facilmente superabile col discorso del Grande Progetto. [...] Venezia [...] appartiene al mondo, o per lo meno alla cultura di quello occidentale, di cui invochiamo [...] l'intervento per salvarla da quella masnada di locuste impazzite, disposte a farne un incrocio tra Las Vegas e Disneyland. (pp. 357-358) *[[Corrado Carnevale|Carnevale]] [...] ha dichiarato in un'intervista [...] che la notte non ha bisogno di sonniferi perché, nei confronti della Legge, la sua coscienza è a posto. Ci crediamo senz'altro. Ma se si ponesse la stessa domanda nei confronti della Giustizia, mi domando se i suoi sonni sarebbero altrettanto tranquilli. E tuttavia ci rendiamo conto che questa domanda non se la porrà mai, e anzi gli sembrerà del tutto stravagante. Perché, per un magistrato italiano, la Legge con la Giustizia non ha nulla a che fare. (pp. 387-388) *Dopo la liberazione, [[Luigi Durand de la Penne|de la Penne]] fu tentato dalla politica, e andò alla Camera prima sotto la bandiera democristiana, poi sotto quella liberale. In realtà, di bandiere, de la Penne non conosceva né riconosceva che il tricolore, e sperava ancora una volta di servirlo propugnando una riforma delle forze armate che le adeguasse alle nuove esigenze. Ma quando si accorse di non riuscire a combinar nulla, si ritirò; aveva capito che questi sono tempi per uomini di mare alla Accame, non alla de la Penne. Non fece mai l'eroe. [...] Ora, se qualcuno mi domanda perché ho dedicato alla sua scomparsa uno di quegli editoriali che di solito si riservano solo agli avvenimenti e ai personaggi della politica, rispondo che l'ho fatto per meglio sottolineare che per me e per gli uomini di questo giornale gli eroi delle guerre perdute non sono meno rispettabili e ammirevoli di quelle delle guerre vinte. E, in ogni caso, meritano il posto d'onore del giornale ben più dei personaggi di cui siamo costretti ogni giorno a interessarci. (p. 402) ==''Indro al Giro''== ===[[Incipit]]=== Il destino è stampato sulla carta d'identità e scritto nelle stelle. Indro Montanelli nasce il 22 aprile 1909, il primo Giro d'Italia prende il via il 13 maggio 1909. Stesso anno, stesso segno zodiacale: Toro. Potevano, queste due creature quasi gemelle, non percorrere un tratto di strada insieme? Potevano ignorarsi? ===Citazioni=== *Come i bersaglieri quando smettono di correre, così i ciclisti, quando cessano di pedalare ingrassano. *Il [[Giro d'Italia]] parla milanese, anche se poi, a vincerlo, è qualche toscano o qualche romagnolo. *I corridori sono come [[Anteo]]: il contatto con la loro terra gli dà forza. *Ma sapete voi con precisione che cosa sia una fuga, lo sapete? Non lo sapevo nemmeno io prima di vederla. Credevo che fosse l'uomo che, a un certo punto, si mette a pedalare più forte degli altri e li semina per via. Errattissima nozione. La fuga è invece un grande urlo e un gesto disperato che mettono d'improvviso in confusione tutta la carovana del Giro. *Quello della bicicletta è un mondo buono: e credo sinceramente che venga da questa bontà il fascino ch'esso esercita sulle folle. *Lasciatelo com'è questo Giro provinciale e festoso: lo sport di un popolo che, nella corsa verso il progresso meccanico, è rimasto alla bicicletta, tappa intermedia fra il cavallo e l'automobile, ritrovato artigiano e arnese di famiglia. *Se Parigi avesse il mare sarebbe una piccola Bari, ma non saprebbe accogliere i forestieri con tanto calore e sportiva cordialità. *Leoni, che oltre a tutto è un bellissimo ragazzo, ha una fidanzata la quale gli scrive raccomandandogli di non vincere, altrimenti troppe ragazze lo abbracciano porgendogli i fiori. Leoni è innamoratissimo della sua fidanzata ma non è certo per obbedire a lei che non vince. È solo per obbedire a [[Fausto Coppi|Coppi]] e restargli a fianco. *Gli assi possono permettersi di arrivare ultimi. E lo fanno senza risparmio. Possono permettersi di disprezzare i loro adoratori e lo fanno senza ritegno. L'adorazione rimane. *I corridori di bicicletta sono gente semplice, che non è mai stata in collegio. [...] Nessuno ha insegnato loro i dettami dello stile e della cavalleria. Li posseggono per natura. Difficilmente essi cercano di sminuire la vittoria dell'avversario e non gliene serbano rancore. Sono capaci di delicatezze che non credo esistano negli altri sport. *I corridori non si dovrebbero sposare; e, quando lo fanno, dovrebbero scegliere delle donne brutte. *È la specialità dei padri quella di sognare per i figli i trofei che loro non convengono, ed è la specialità dei figli quella di procurarsi trofei che ai loro padri non piacciono. ==''La stecca nel coro''== ===[[Incipit]]=== Non è questa la sede per rifare la storia del ''Giornale''. Ma voglio ricordare ai vecchi lettori e a spiegare a quelli nuovi ch'esso non fu un giornale, ma una battaglia, di cui può essere istruttivo ricostruire gli episodi. Quelli, decisivi, degli anni Settanta e Ottanta, in questa raccolta ci sono tutti, chiosati. E di queste chiose, ho l'immodestia di dire che non ce n'è una di cui debba pentirmi nemmeno ora che i pentimenti vanno di moda, anzi sembrano diventati un genere di prima necessità. Questa raccolta è dedicata a tutti i miei compagni di lavoro, defunti e sopravvissuti, italiani e stranieri, che condivisero con me i rischi (e ce ne furono) di questa avventura, la più bella di tutta la mia carriera di giornalista, e ai lettori che ci permisero di combatterla. Anche se tuttora ignoro se l'abbiamo vinta o persa. ===Citazioni=== *{{NDR|Sui [[processi della Giunta greca]]}} Anche a detrarne tutto ciò che vi avrà aggiunto la propaganda di parte, crediamo che di soprusi, sopraffazioni e sangue ce ne siano stati abbastanza, nel regime dei colonnelli, per giustificarne l'incriminazione. Tuttavia vorremmo che accanto a loro, sul banco degli accusati, venissero chiamati anche Papandreu e altri campioni del massimalismo piazzaiolo e di certo radicalismo snob, per spiegare ai giurati e alla pubblica opinione, non soltanto di Grecia, come mai i colonnelli giunsero al potere senza sforzo e senza sforzo lo conservarono fino a quando per propria insipienza lo persero. Solo così il processo acquisterebbe un senso, oltre quello della pura vendetta. Le colpe dei vari Ghizikis e Papadopulos non ne risulterebbero affato sminuite. Ma finalmente si capirebbe che i colonnelli non sono dei trovatelli e che per impedire i golpe non c'è che un sistema: far funzionare la democrazia. [...] Non auguriamo la forca a nessuno. Ma se un giorno qualche colonnello dovesse venirvi appeso, speriamo che ai Papandreu sia almeno proibito di partecipare alla festa. Perché i veri padri del golpe, le Circi che tramutono i colonnelli in dittatori, furono loro. (pp. 15-16) *{{NDR|Sulla [[rivoluzione dei garofani]]}} Rivendicato il diritto alla scelta, gli elettori portoghesi l'hanno espressa con chiarezza lampante. Hanno votato per l'Occidente, per un Portogallo che sia socialmente più giusto di quello uscito dalla penombra salazariana, ma che rimanga saldamente ancorato all'Europa libera, alle sue alleanze, agli ideali della democrazia senza virgolette e sottintesi: una democrazia di cui i militari, con l'aiuto dei loro reggicoda comunisti, potranno conculcare le libertà fondamentali, ma coi carri armati, non in nome del popolo. [...] Due piccole nazioni, il Portogallo e la Grecia, uscite entrambe dalla prova di regimi dittatoriali, hanno votato, a breve distanza l'una dall'altra, con esemplare equilibrio, senza cedere alle tentazioni ed ai miti delle catarsi rivoluzionarie. È una grande lezione per altri Paesi che, avendo assaporato la libertà da molti anni, sembrano smaniosi soltanto di perderla. (pp. 44-45) *Per formare la maggioranza, la Dc non ha più a disposizione le tre forze laiche su cui De Gasperi fondò i suoi più fortunati e redditizi Governi: se i repubblicani hanno alla bell'e meglio temuto, liberali e socialdemocratici sono stati spazzati via. Occorrerebbero i socialisti, ma costoro hanno già dichiarato di non essere disponibili a maggioranze che escludano i comunisti. [...] Che razza di democrazia verrebbe fuori da un'ammucchiata totalitaria di queste tre forze che lasciasse l'opposizione al Movimento sociale, Dio solo lo sa. [...] I milioni d'italiani che [...] hanno votato Dc, lo hanno fatto ''unicamente'' perché la Dc si è presentata come il ''no'' al comunismo. Mai come stavolta il patto tra candidato ed elettore è stato così esplicito. Se lo ricordino bene i professionisti del tradimento [...]. Come li abbiamo aiutati a vincere, saremo i primi a denunciarli con nome e cognome. Il tempo delle deleghe in bianco è finito. Dando le – «preferenze» come noi avevamo suggerito –, il ciattadino stavolta sa per ''chi'' ha votato, e lo tiene personalmente responsabile. (p. 78) *Cosa vuol dire […] «gli chiediamo fino a che punto si spinge il suo disaccordo con la proposta di unità e di collaborazione democratica che noi avanziamo e sosteniamo, se al suo disaccordo c'è il limite fissato della difesa e della sopravvivenza del quadro costituzionale e repubblicano?» Vuol forse dire, senza dirlo, che chi si oppone a questa proposta, cioè in parole povere chi si oppone al compromesso storico, si mette automaticamente fuori da quel quadro e va considerato un eversore? Capisco che, a furia di praticarlo […] questo giuoco del fuorigiuoco sia diventato per voi un vizio. […] Ma stavolta l'impresa è più ardua del solito: non sono molti gl'italiani disposti a credere che rifiutare i comunisti al Governo significa rifiutare la democrazia e a considerare chi lo fa alla stregua di un killer o di un pistolero (pp. 104-105). *Noi non chiediamo la legge marziale. Basta la rivalutazione materiale e morale di quelle forze dell'ordine, i cui sacrifici sono stati fin qui regolarmente pagati ripagati con stipendi da fame, castighi disciplinari e campagne denigratorie. Basta insomma che sia affermato nei fatti, e non soltanto nelle parole, il supremo impegno a trattare il terrorismo come va trattato: in termini di scontro, non di «confronto». Faccia a faccia. Lo Stato italiano non può chiedere fermezza ai cittadini, se non ne dà esso stesso l'esempio. Spietatamente, quando occorre. E in questo caso occorre. (p. 119). *Noi […] non possiamo pronunciarci in favore di [[Marco Pannella|Pannella]]: egli giuoca in un campo che non è il nostro. Ma quattro cose dobbiamo dire, da avversari, di questo anomalo personaggio. La prima è che Pannella è [...] un personaggio su una scena politica popolata quasi esclusivamente di comparse e coristi. La seconda è che i suoi digiuni sono autentici e le sue tasche autenticamente vuote. La terza è che, se domani ci sarà un regime – ipotesi che si fa sempre più possibile – all'opposizione di questo regime ci saremo solo noi e Pannella, socio scomodo, ma di tutta affidanza. E infine dobbiamo riconoscere che fra noi e lui c'è [...] un fatto di sangue. Anche se scatena la sua buriana da sinistra facendo d'ogni erba un fascio […] e chiama la sua gente «compagni», ricordiamoci che Pannella è figlio nostro, non loro. Un figlio discolo e protervo, un giamburrasca devastatore che dopo aver appiccato il fuoco ai mobili e spicinato il vasellame, è scappato di casa per correre le sue avventure di prateria. Ma in caso di pericolo o di carestia, ve lo vedremo tornare portandosi al seguito mandrie di cavalli e di bufali selvaggi, quali noi non ci sogneremmo mai di catturare e domare. Questo è Pannella. Voti non possiamo dargliene. Ma ci auguriamo che sia lui a mietere quelli che non ci appartengono. (pp. 156-157) *Noi siamo contrari alle leggi speciali. Ma proprio per non dovervi ricorrere, siamo per l'applicazione più dura e risoluta di quelle vigenti. La Costituzione per esempio non prescrive che l'Italia ospiti, senza possibilità di esercitare su di essi alcun controllo, centinaia di migliaia di stranieri dal passato incerto, e tavolta fin troppo certo. E le Forze dell'ordine non possono essere condannate a giuocare eternamente «di rimessa» [...]. In queste condizioni, non si lotta. Si subisce soltanto. Ed è di questo che il Paese non vuol più sapere. [...] Ci risparmino i discorsi sulla bara di [[Vittorio Bachelet]]. [...] Il funerale di Stato, va bene. Ma in silenzio, ministro Rognoni, per l'amor di Dio. Siamo stufi di sentir dire che «il popolo italiano è compatto nel ripudio dell'eversione», che «fa quadrato intorno ai valori e alle istituzioni consacrate dalla Resistenza», che i terroristi ''no pasarán'' (uno slogan che, oltre tutto, ha sempre portato jella). Non ne possono più neanche i morti. S'immagini i vivi. (p. 179) *I vizi italiani vengono da molto più lontano della Costituzione: sono scolpiti nei secoli della nostra storia incivile. Ma fra i segni di questa inciviltà c'è appunto anche quello di rendere tabù i temi scomodi e di condannare al ghetto chi osa affrontarli [...]. Come se non vi fossero Paesi, quali gli [[Stati Uniti d'America|Stati Uniti]] e la [[Francia]], che in fatto di democrazia possono impartirci lezioni, e che tuttavia si reggono a sistema presidenziale. Come se non ve ne fossero altri, quale la Germania che, pur reggendosi a sistema parlamentare, vi ha introdotto correttivi che lo rendono radicalmente diverso dal nostro. E come se questi correttivi [...] non fossero stati discussi e decisi senza farne drammi né scatenare, contro chi li proponeva, cacce alla strega nazista. (p. 207) *Il terrorismo italiano non può contare su consensi e simpatie d'ambiente come quello palestinese, o irlandese, o basco, che una motivazione l'hanno, sia pure distorta dalle passioni e strumentalizzata da qualche «Grande Vecchio». Il terrorismo italiano poteva contare solo sulla connivenza della paura: e infatti, finché ne ha incussa, di connivenze ne ha trovate, anche fra gli intellettuali, anzi specialmente fra gli intellettuali. [...] Fino a quattro o cinque anni fa, a dire che i volantini delle Br e i loro opuscoletti di propaganda non erano che una serqua [...] dei più vieti luoghi comuni ripescati tra i rifiuti di Bakunin, Kropotkin, Stirner e altri profeti del Nulla [...] c'era da essere linciati. Non dai brigatisti [...] ma dai ''maîtres à penser'' della sociologia radical-chic, per i quali il terrorismo, prima che da combattere, era da comprendere nei suoi «contenuti di pensiero». In cosa consistessero e quanto rigorosi fossero questi contenuti, ce lo dice appunto la scoperta negli ultimi giorni di questa nuova Trimurti – terrorismo rosso, terrorismo nero, camorra – che come ammucchiata ideologica, non so se mi spiego. Può darsi ch'essa esploda e [...] devasti. Ma, costretta ad assumere i suoi veri connotati, che sono quelli della criminalità senza aggettivi, il suo potere d'inquinamento e di equivoco, che ne costituiva l'aspetto più pericoloso, finisce. Da [[Toni Negri]] a [[Raffaele Cutolo|Cutolo]], la parabola si è conclusa. (pp. 236-237) *Non abbiamo con [[Bettino Craxi|Craxi]] nessuna familiarità: avremo parlato con lui, sì e no, tre volte. Ci ha dato una incoraggiante impressione di energia, risolutezza, rapidità di riflessi. Ma da certe sue reazioni, ci è parso di capire ch'egli ha anche una spiccata – e funesta – propensione a considerare nemici tutti coloro che non si rassegnano a fargli da servitori. Sono pochi, intendiamoci, i politici immuni da questo vizio. Ma alcuni di essi sanno almeno mascherarlo. Craxi è di quelli che l'ostentano sino a esporsi all'accusa di «culto della personalità»: un culto [...] che [...] potrebbe procurargli seri guai. Non perché a noi italiani certi atteggiamenti dispiacciano, anzi. Ma perché in fatto di guappi siamo diventati, dopo Mussolini, molto più esigenti: quelli di cartone li annusiamo subito. (p. 271) *[[Vincenzo Muccioli|Muccioli]] ha operato in condizioni diverse. [...] Ha impiantato la sua comunità con criteri imprenditoriali, facendone una specie di ''kibbutz'' ormai vicino all'autosufficienza. [...] Uno che, senza essere un ''compagno'', conduce una sua guerra privata contro la droga, è doppiamente esecrabile. Per il vescovo [...] per il quale un'opera di redenzione intrapresa da un laico come Muccioli merita in ogni caso l'anatema. Ma la partigianeria del presidente Righi è inesplicabile, e riduce questo processo a una caccia alle streghe, che getta la Giustizia nel pantano. (pp. 301-302) *[[Enver Hoxha|Hoxha]] non aveva dalla sua nulla, quando si presentò alla Conferenza: null'altro [...] che il proprio coraggio, spinto fino alla protervia. [...] I primi proseliti li fece solo sul finire della guerra, quando prese corpo un po' di resistenza, ma li fece in nome dell'Albania, non del comunismo. [...] Era un satrapo anche lui [...]. Ma non indulgeva alle debolezze e alle pacchiane ostentazioni dei Ceausescu e dei [[Kim Il-sung|Kim Il Sung]]. Esigeva l'obbedienza più assoluta, ma in pubblico si mostrava di rado, e la sua era l'unica giacchetta di comunista da ''nomenklatura'' che non grondasse medaglie fino all'ombelico. (pp. 310-311) *{{NDR|Sulla [[rivoluzione ungherese del 1956]]}} Il motivo per cui divampò coinvolgendo tutta la popolazione è semplicissimo: gl'intellettuali e gli studenti che la capeggiavano erano i figli degli operai e dei contadini che la traducevano in sollevazione del popolo. Lo erano non in senso ideale ed astratto, ma in senso anagrafico [...]. E questo fu, per i comunisti, la vera beffa. Essi avevano abolito le classi, e ora questo creava una unanimità di partecipazione, quale credo che nessun'altra rivoluzione abbia mai avuto. E come poteva non essere socialista? [...] L'unica cosa che non si può è che i «quadri» del Pci [...] non avessero visto, né udito, né capito come oggi vorrebbero farci credere per avallare la tesi dell'«errore». [...] L'unico che, in mezzo a tanti contorcimenti e frullati di parole, ha avuto l'onestà di riconoscerlo è stato [[Gian Carlo Pajetta|Pajetta]], sempre lui. «Io non mi pento di nulla», ha detto «schierandoci con gl'insorti e condannando la repressione sovietica, avremmo spaccato il Pci; per questo accettammo e approvammo.» Alla buon'ora. (pp. 354-355) *Se l'unica maggioranza possibile è così risicata, lo si deve anche e soprattutto alla poltiglia di partiti – verdi, rossi e «lighe» varie – che il nostro sistema elettorale favorisce. Se ne sono contati [...] trentotto, più o meno combinati con liste locali in un groviglio di piccoli interessi regionali, corporativi, personali, uniti solo da un incoffessato e forse inconscio anelito sanfedista allo sfascio dello Stato unitario. Se non si pone termine a queste insensate dispersioni, è inutile chiamare gli elettori alle urne. Una maggioranza e un Governo degni di questo nome non li avremo mai. (p. 368) *Certamente [[Michail Gorbačëv|Gorbaciov]] aveva previsto le tremende resistenze della sua ''perestroika'' aveva trovato nella cosiddetta ''nomenklatura'', detentrice del potere con diritto di abusarne, e quindi ben risoluta a difenderlo. Ma forse non immaginava che la minaccia più grossa al suo riformismo decentratore sarebbe venuta dall'esplosione dei nazionalismi, che ora rischiano di travolgerlo. [...] Comunque, due lezioni ci sembra di poter trarre sin d'ora da questa vicenda. La prima è che se settant'anni d'internazionalismo proletario praticato senza esclusione di colpi non sono bastati a debellare i nazionalismi, vuol dire che il sangue, la lingua, la religione, la cultura sono più forti di qualunque ideologia. La seconda è che i totalitarismi sono più facili, o meno difficili, da montare che da smontare. A liberalizzare la Russia e a guarirla dallo Stalinismo poteva forse riuscire un solo uomo: [[Iosif Stalin|Stalin]]. (p. 403) *Quanti miliardi si sperperano oggi in Italia in premi e feste letterarie accompagnate da rinfreschi e pranzi per centinaia di coperti, targhe, medaglie, e gettoni di presenza? Basterebbe un centesimo, un millesimo, di ciò che si spende in queste fiere della vanità per salvare la Crusca raddoppiando il miserabile contributo statale. [...] Forse c'illudiamo. Ma noi ci ostiniamo a credere che in Italia ci siano ancora degl'italiani convinti che una cultura senza una sua lingua non è una cultura [...] e che un Paese senza cultura [...] non è un Paese; ma soltanto un accampamento di apolidi. (p. 419) *Era fatale che, una volta allentatesi le maglie della Dc, l'integralismo di un certo mondo cattolico lo avrebbe portato a confluire sulle posizioni delle leghe. Le ispirazioni sono diverse, ma il nemico è comune: lo Stato unitario e laico. [...] Dileguatosi, o in via di dileguarsi il pericolo comunista, e caduto quello di Berlino, è questo il Muro che ci dividerà nel prossimo futuro. Da che parte [...] stiamo noi, mi sembra superfluo dirlo. Ci stiamo [...] con la piena consapevolezza dei nostri errori passati e presenti e della nostra intrinseca debolezza. Ma anche con la coscienza che se con noi non c'è tutto il meglio, contro di noi c'è sicuramente tutto il peggio. Basta tendere l'orecchio ai discorsi di Rimini e alle acclamazioni che li hanno salutati. I «lumbard» hanno ragione di chiedere il gemellaggio con quella platea: come livello mentale e di cultura, siamo lì. (p. 442) *Uomo di governo, [[Mario Scelba|Scelba]] non fu mai uomo di partito. Lo frequentava poco, non fu mai partecipe di giochi di «correnti», e credo che sotto sotto li disprezzasse. [...] Se fu De Gasperi a guidare [...] la barca, fu Scelba a reggerla e non vedo chi altro, nella pattuglia democristiana, avrebbe avuto gli attributi per farlo. Sul suo feretro ci saranno poche lacrime, pochi fiori, pochi discorsi. Nessuno del cosiddetto ''establishment'' vorrà ricordare che se in casa non ci siamo ritrovati qualche Husak o [[Nicolae Ceaușescu|Ceausescu]], per gran parte lo dobbiamo a lui. Ma qualche italiano non lo ha dimenticato. (pp. 471-472) *Non c'è democrazia, diceva Clemanceau, senza un minimo di corruzione. D'accordo. Ma quando la democrazia degenera in partitocrazia, il minimo diventa il massimo e succede quello che abbiamo sotto gli occhi. E finché noi concederemo ai partiti – contro il dettato costituzionale che li considera semplici associazioni private – d'irretire tutta la vita pubblica e di arruolare, per le loro operazioni di saccheggio, un milione di lanzichenecchi con relative famiglie, di cosa c'indignamo? E cosa ci aspettiamo dal Palazzo romano, proiezione su scala nazionale delle situazioni locali tipo Milano? (p. 489) *Con qualsiasi legge si vada alle nuove elezioni, e specialmente se si va col papocchio escogitato da [[Sergio Mattarella|Mattarella]], esse riprodurranno molto probabilmente [...] la situazione che i risultati dell'altro ieri hanno soltanto anticipato: un'Italia divisa in tre: un Nord in mano alla [[Lega Nord|Lega]], un Centro alla mercé dei comunisti (ex o neo, non importa), un Sud in preda al caos. In questa situazione, cosa farà Bossi? Cioè [...] cercherà di frenare la spinta che fatalmente ne verrà alle tentazioni secessionistiche della Padania dal resto del Paese, o la seconderà? A differenza di Miglio, Bossi di secessione non ha mai parlato. Parla di «federalismo», e forse lo ritiene possibile. Noi crediamo che il federalismo sia soltanto la foglia di fico della secessione, e che nei precordi di molti leghisti covi una gran voglia di fare i cosacchi del Po. (p. 515). *La nuova legge elettorale, se non fosse stata tradita dai suoi soloni col turno unico, avrebbe dovuto condurre al confronto fra due ''rassemblements'', uno di centrosinistra con l'esclusione di Rifondazione, l'altro di centrodestra con l'esclusione del Msi, a garanzia di democraticità di entrambi. Stando le cose come stanno, il confronto non ci sarà perché di ''rassemblements'' ce n'è in campo uno solo: quello del Pds, che così sarà libero d'includervi anche Rifondazione. Per questo esso si batte contro la dilazione. Per questo noi la auspichiamo: nella (pallida) speranza ch'essa ci dia il tempo di uscire dallo stato confusionale in cui versiamo. Non è nostro diritto; è semplicemente nostro interesse spostare le urne al 12 giugno. Ma un interesse del tutto legittimo. Come legittimo è l'interesse del Pds ad anticiparle addirittura a marzo. La difesa del sistema e dei suoi papponi non c'entra. Che si voti a marzo od a giugno, l'uno e gli altri sono già cadaveri, e non c'è miracolo che possa resuscitarli. (p. 528) ==''Le nuove Stanze''== *Ribadisco la mia avversione alla pena di morte. Ma non me la sento d'impartire lezioni a chi tuttora la pratica. Non mi pare che, con la Giustizia che ci troviamo in casa, noi italiani possiamo impartire lezioni agli altri. (p. 46) *Toglietevi la parrucca, cari storici italiani. E invece di continuare a parlarvi tra voi, parlate, andando incontro alle sue curiosità, alla gente comune, quella che ha più bisogno del vostro sapere, e che sa benissimo distinguere il volgare pettegolezzo dall'aneddoto illuminante, di cui gli storici stranieri, soprattutto inglesi, compreso [[Denis Mack Smith|Mack Smith]], sanno fare buono e largo uso. (p. 81) *Io non sono piemontese né savoiardo, e la tradizione della mia famiglia è, caso mai, repubblicana. Ma la verità sono abituato a rispettarla, e non ad accomodarmela secondo i miei gusti e pregiudizi. Nel '46 votai monarchico non perché ero amico di Umberto e di Maria José, che sarebbero stati un Re e una Regina esemplari. Ma perché capivo ch'essi rappresentavano l'unico filo che ci legava all'unica nostra tradizione nazionale: il Risorgimento. La rigiri come vuole [...] ma la verità è questa: che senza Risorgimento non esiste una Storia nazionale italiana, e senza i Savoia non esiste Risorgimento. Ecco perché io dico e ripeto che la Repubblica italiana può tenere i Savoia [...] fuori dal territorio italiano. Ma chi tenta di estrometterli dalla Storia d'Italia, se non è un analfabeta è certamente un falsario. (pp. 112-113) *{{NDR|[[Luigi Cadorna]]}} Fu un generale di grande e inflessibile carattere, ma non un grande stratega. La sua fu dal primo all'ultimo giorno una guerra «di posizione», e quindi di logoramento, muro contro muro. Una «manovra» non la tentò mai, anzi non la concepì nemmeno. Stava [...] al «Regolamento», secondo il quale «le battaglie si vincono sulle cime». Sicché quando arrivò un battaglione tedesco al comando di un giovane capitano di nome Rommel che [...] s'insinuò nottetempo nelle valli, tutto il nostro schieramento ne venne preso alle spalle, e si liquefece, consentendo a Rommel di arrivare fino al Piave, dove si fermò: non per la resistenza dei nostri [...] ma per la mancanza di rifornimenti e di munizioni, che non avevano fatto in tempo a seguirlo. (pp. 118-119). *Quanto alla somiglianza fra noi e gli spagnoli, sì, c'è. Io, in Spagna, mi sento come a casa mia. Una sola cosa ci trovo in più: una dimestichezza con la morte che dà ai valori della Vita (la Dignità, il Coraggio, l'Onore) un peso ben diverso da quello che hanno da noi. E glielo invidio tanto. (p. 157) *Quanto alla sua supposizione che, se non ci fossero stati i russi, gli Alleati non avrebbero potuto sbarcare in Normandia e salvare i loro regimi democratici, mi permetta di sorriderne. Hitler perse la [[Seconda guerra mondiale|guerra]] prima ancora di dichiararla, quando scatenò la persecuzione razziale, che mise il mondo di fronte alla pretesa della sua «razza eletta» al dominio del pianeta e costrinse alla fuga il fior fiore della Scienza ebraica, che diede all'America la bomba atomica, la quale avrebbe reso superfluo anche lo sbarco in Normandia. (pp. 177-178) *In [[Alessandro Pavolini|Pavolini]] [...] è riassunto il dramma di una generazione che nel fascismo era cresciuta [...] e si sentiva impegnata a crederci anche in quell'ultima disperata fase. In lui ritrovo un po' di quel [[Berto Ricci]] [...] che, partendo volontario per la Libia, mi disse: «Una volta, nella vita, ci si può convertire. Io già lo feci rinnegando, per il fascismo, il mio passato di anarchico. Ora col fascismo devo morire». E morì. (p. 192) *Come lei certamente sa, furono i russi a giungere per primi sul famoso bunker di Berlino, fra le cui macerie si diedero subito a cercare il cadavere del Fuhrer, e lo trovarono, ma quasi completamente carbonizzato (egli aveva lasciato ai suoi l'ordine di bruciarlo con una tanica di benzina). D'intatto era rimasto solo il teschio con la sua dentatura costellata di ponti e protesi. Immediatamente fu ricercato e trascinato sul posto l'odontoiatra che glieli aveva sistemati. Dapprima gli fu chiesto in cosa erano consistiti i suoi interventi. Poi vi fu messo davanti, e lui li riconobbe senza esitazioni. Quel giorno il poveretto non tornò a casa. Dopo alcuni anni si seppe che esercitava il suo mestiere in non so quale città di provincia russa, ma sotto stretto controllo della polizia. Dopo qualche altro anno poté tornare in Germania, ma in [[Repubblica Democratica Tedesca|quella comunista]], sotto il controllo di una polizia ancora più efficiente di quella sovietica, e lì morì, non so quando. Perché i sovietici vollero sempre mantenere quel segreto? Perché alla loro propaganda [...] faceva comodo accreditare la favola di un Hitler salvato dagli americani, che lo tenevano sotto naftalina in qualche loro dorato ripostiglio per poterlo un giorno utilizzare in una nuova guerra contro la Russia. (pp. 257-258) *Da anticomunista, oserei dire «storico» quale mi considero, io sono pieno di rispetto sia per i Nagy nostrani quali i D'Alema e i Veltroni, che per i Kádár, quali i Cossutta e i Diliberto. Non so se come classe dirigente siano il meglio. Ma come sincerità di conversione democratica, ci credo (come credo, intendiamoci, a quella di un Fini, anche se viene da un passato molto meno intenso, drammatico e dilacerante di quello comunista). (p. 306) *{{NDR|A [[Mario Tuti]]}} Ho ben presente [...] il suo nome e il suo volto, e le azioni terribili che lei ha compiuto. [...] Da come scrive [...], lei è in grado di capire [...] quello che dico. È vero che «sul nemico vinto non si infierisce»: ma il sangue non si cancella con la gomma delle parole. Solo le vittime possono concedere il perdono; e io non sono stato, fortunatamente, davanti al mirino della sua pistola. Solo la giustizia può concedere sconti: e io non sono un magistrato. Non ho invece difficoltà a condividere una sua osservazione: alcuni disgraziati [...] sono più disgraziati di altri. E [...] i disgraziati di destra se la passano peggio dei disgraziati di sinistra, che hanno di solito qualche amico di gioventù ben piazzato, in grado di dare una mano. Ma il perdonismo peloso di alcuni non può giustificare la distrazione di tutti. (p. 322) *[[Yasser Arafat|Arafat]] non ha mai avuto né uno Stato, né un esercito, né un titolo che lo qualificassero a parlare a nome del suo popolo. Erano il carisma, l'autorità, il prestigio suoi personali che gli permettevano di svolgere questo compito. Ma questo dipendeva dal fatto che il suo popolo glieli riconosce in quanto si sente da lui «rappresentato». [...] Io sono e mi sento profondamente filo-israeliano perché negli ebrei riconosco i miei fratelli e in molte cose anche i miei maestri (anche se non sempre facili). Ma appunto per questo apprezzo ed ammiro gli Hussein, i Sadat e gli Arafat. Ai quali si possono anche rimproverare degli errori nella conduzione della loro politica. Ma non certo le intenzioni e il coraggio. Arafat è brutto [...] e non so come facciano i suoi amici (e i suoi nemici) [...] a ricambiarne i baci. Ma di quelli suoi credo proprio che ci si possa fidare. Che Dio, anzi Allah, ce lo mantenga ancora per molti anni. (pp. 387-389) *Come veterano del ''Corriere'' e un po' depositario della tradizione di una certa civiltà nei rapporti fra i suoi uomini, io rimasi offeso non dal licenziamento di Spadolini [...] ma dall'insolito modo – che io definii appunto «guatemalteco» – in cui era stato trattato e da cui trapelava la mano di un [[Giulia Maria Crespi|editore]] che, anche se portava il nome di quello vecchio [...], intendeva introdurre nuove regole nella gestione del giornale, di cui era praticamente diventata [...] la titolare. E lo dissi, e lo scrissi, e lo ripetei in varie interviste. Forse tuttavia questo strappo si sarebbe potuto rammendare se il cambiamento del direttore non avesse comportato anche un cambiamento di linea politica che saltava agli occhi di chiunque non volesse tenerli chiusi. [...] Quando dal ''Giornale'' uscii per ragioni abbastanza analoghe a quelle che mi avevano spinto fuori da via Solferino, il primo a venirmi incontro fu il direttore del ''Corriere'', Paolo Mieli, che [...] mi offrì il suo posto: un gesto che non dimenticherò mai. Avrei potuto [...] accettarlo solo a titolo onorario. Ma non potevo abbandonare gli uomini che ancora una volta mi avevano seguito. Da quel momento però fu chiaro che il ''Corriere'' era ridiventato quello che noi, vent'anni prima, avremmo voluto che restasse. Ecco perché, al termine delle mie battaglie e delle mie sconfitte (che considero il mio blasone), sono tornato al ''Corriere''. (pp. 406-408) *I politici della Sinistra, compresi i componenti dell'attuale «squadra» governativa sono dieci, venti, cento volte meglio della loro ''intellighenzia''. Anche se dicono fregnacce, le dicono a bassa voce, senza salire in cattedra, di dove l'''intellighenzia'' invece non scende mai, nemmeno per andare in bagno. (pp. 477-478) *Spero che ora avrai capito cos'è la mia dichiarazione di voto: non un sì all'Ulivo, da cui spero poco, ma in compenso non temo niente; ma il no a un Polo che, se riportasse davvero la schiacciante vittoria che si aspetta il suo ''Caudillo'', potrebbe creare nel nostro Paese una situazione davvero inquietante. Un voto di difesa sarà dunque il mio, come lo è sempre stato da oltre cinquant'anni a questa parte. (p. 496) *Sappi soltanto che, passato per una ventina di anni – quelli del ''Giornale'' – per «fascista» e negli ultimi dieci per «comunista», me la rido di entrambe le etichette. (p. 536) ==''Le Stanze''== ===[[Incipit]]=== Di tutta la mia attività giornalistica [...] considero questi colloqui col lettore come l'impegno che mi è riuscito meglio, o meno peggio. Se qualcuno mi chiedesse: «Cosa vorresti che, dopo di te, di te rimanesse?», risponderei senza esitare: «Questi colloqui». Mi rendo conto che un'affermazione del genere può apparire demagogica: in fondo, perché dovrei preferire queste risposte quotidiane [...] alla ''Storia d'Italia'' o agli ''Incontri''? È presto detto: perché, grazie a lettere e risposte, ho potuto restare vicino ai miei lettori, che mi hanno ricordato – con più o meno garbo, ma sempre con affetto – quello che un giornalista non deve mai scordare: che i padroni sono loro. ===Citazioni=== *Io non ho mai conosciuto un conservatore inglese che abbia mosso a Churchill il rimprovero di essersi alleato con Stalin – altro che il naso dovette strizzarsi! – quando le armate di Hitler spazzavano tutta l'Europa. Ma trovo ancora degl'italiani [...] che danno la colpa a me dello stato di necessità in cui ci trovammo nel '48 e nel '76 e che rendeva obbligata la nostra scelta. Oggi che il muro di Berlino ci ha liberato dall'incubo del comunismo [...], è facile fare processi a chi non aveva in mano altra arma elettorale che il voto alla Dc. Ed una cosa mi chiedo: tutti questi intransigenti eroi dell'anticomunismo, che oggi mi scrivono lettere d'insulti accusandomi di averlo tradito, dov'erano al tempo del comunismo vero, quando io ero uno dei pochissimi a combatterlo di fronte [...], e loro, incontrandomi per strada, fingevano di non conoscermi? (p. 12) *Hiroshima, se fossi americano, non porrebbe [...] nessun caso di coscienza. L'arma atomica era in fase di studio e di preparazione sia in Germania che in America, e si poteva supporre che lo fosse anche in Russia e in Giappone. Avrebbe vinto la guerra e deciso le sorti del mondo chi ci fosse arrivato per primo. Hiroshima fece della popolazione civile, dicono, duecentocinquantamila vittime. Quante ne risparmiò inducendo alla resa i giapponesi che sembravano vicini all'olocausto? E quanto servì a smorzare la pretesa sovietica d'imporre il suo «diktat» a tutta l'Europa? [...] Essa a tal punto sorprese Stalin che dapprincipio non ci volle credere [...]. Nessuno può applaudire un massacro come quello di Hiroshima né andarne fiero. E posso capire come coloro che vi hanno partecipato dandone l'ordine o eseguendolo possano aver avuto dei problemi di coscienza. Ma gli aviatori inglesi che rasero al suolo l'inerme Dresda abitata solo da civili, facendo tra di loro pressappoco lo stesso numero di vittime che a Hiroshima, questi problemi, da quanto se ne sa, non li ebbero. Forse che la guerra all'atomo è più crudele di quella al fosforo? (p. 62) *De Gasperi non fu mai uomo di partito. E fu proprio per questo che riuscirono ad emarginarlo con tanta facilità, relegandolo in una Presidenza grondante omaggi ed ex voto, ma priva di qualunque potere reale. È vero che lui non lottò, anche perché era ormai a corto di fiato. Glielo toglieva non solo l'azotemia, ma anche il fallimento della Ced, la Comunità Europea di Difesa su cui De Gasperi fondava [...] i suoi sogni di salvezza e di grandezza europea, che i francesi di Mendès-France condannarono al naufragio. [...] De Gasperi era uomo di Stato, l'ultimo che l'Italia ha avuto dopo Giolitti. Ecco perché [...] non ha né può avere eredi. (p. 86) *{{NDR|[[Che Guevara]]}} Era uomo di Rivoluzione, che mai si sarebbe rassegnato ad una comoda esistenza di ben pasciuto gerarca. Doveva tornare alla Rivoluzione, pur consapevole della sua impossibilità in Paesi che lui ben conosceva, ma appunto proprio per questo: per cercare una morte coerente con la sua vita. [...] Avessi trenta o quarant'anni di meno, anch'io forse avrei nel mio modesto appartamento una stanza attrezzata a mausoleo del Che, e lo conserverei come souvenir di un Sogno sbagliato, ma pulito, e comunque pagato. È a coloro che non vogliono mai pagare nulla che va tutto il mio disprezzo. (p. 121) *Non mi stupirei [...] se il ragazzotto Clinton, nei suoi anni da governatore, avesse ingannato la noia dell'Arkansas inseguendo le minigonne di passaggio. [...] Il paragone con Berlusconi mi sembra un po' stiracchiato. Se Clinton venisse trovato colpevole, sapremmo che è un adultero (affari suoi); se Berlusconi venisse condannato, sapremmo che è un corruttore non occasionale (affari anche nostri, dal momento che s'atteggia a statista). (p. 154) *Mi permetto solo di aggiungervi qualcosa sull'imbecillità, l'ipocrisia e i vaniloqui delle nostre «anime belle» pronte a cadere in deliquio e a mobilitare le piazze per un O'Dell che, anche se qualche tenue dubbio sulla sua colpevolezza poteva sussistere, uno stinco di santo certamente non era, e per una Karla Tucker, rea confessa, anche se poi arcipentita e sinceramente convertita al credo della carità cristiana (e, sia chiaro, anch'io avrei per entrambi preferito la revoca della pena di morte); ma sono rimaste impassibili o quasi di fronte alla proposta condanna di lapidazione (di lapidazione!) di un cittadino tedesco e della sua compagna iraniana, rei di aver fatto l'amore (soltanto l'amore). Queste sono le nostre «anime belle» laiche ed ecclesiastiche, pronte a commuoversi e a sproloquiare contro la sedia elettrica americana [...], ma indifferenti alla lapidazione [...] per una «contaminazione» di lenzuola cristiane e musulmane. Io [...] queste anime belle – che oltre tutto hanno quasi sempre delle facce bruttissime e jettatorie – le odio di un odio viscerale. (p. 206) *Sul nemico vinto e che si riconosce vinto non s'infierisce. In fondo questi brigatisti hanno avuto, nella sconfitta, una loro dignità. Non sono dei «pentiti» al modo dei mafiosi e camorristi che si pentono per procurarsi dei vantaggi e denunziano i propri ex compari. Non sono dei delatori. Sono, a loro modo, dei prigionieri di guerra, di una guerra grazie a Dio finita con la nostra vittoria, e che quindi, sia pure con le debite precauzioni, possiamo rimandare a casa. Non è vero che non hanno pagato: me ne citi uno che non abbia scontato quindici o vent'anni di galera e che non ne abbia distrutta la vita. Qualche sconto possiamo farglielo: la generosità è segno di forza, non di debolezza. (pp. 283-284) *In una società «aperta» come la nostra, che rende impossibile qualsiasi controllo e in cui il sequestro è un'industria di antica tradizione che dispone di un personale altamente specializzato; e con una Giustizia che invece di affibbiare un ergastolo senza indulgenza ai colpevoli, si accontenta di infliggergli qualche anno alleviato dai permessi di libera uscita; cosa possono fare le forze dell'ordine? Starebbe a noi cittadini trovare quella di resistere al ricatto. Da noi italiani tenerelli non si può pretendere tanto? E sia. Ma allora abroghiamo la legge. Perché, come italiano, nulla mi ha mortificato di più che sentire [...] [[Giovanni Maria Flick|un ministro della Giustizia]] e alcuni dei più alti dignitari della toga proporne un'interpretazione che costituiva un chiaro invito a evaderla suggerendo il cavillo a cui ci si poteva aggrappare per legalizzare la contravvenzione. [...] No, a questo non ci sto. Cerchiamo almeno di avere il coraggio della nostra vigliaccheria riconoscendo che, dati i pericoli che possono comportare, i risoluti «No!» al sopruso non appartengono al nostro armamentario caratteriale, e aboliamo la legge. Ma non perché è sbagliata: in sé quella legge è sacrosanta. Ma perché noi cittadini non abbiamo la forza di adeguarcisi e coloro che dovrebbero imporcerne l'osservanza [...] ci suggeriscono il modo di evaderla. Questo è il cosiddetto «Paese reale». (p. 286) *Che un processo possa essere oggetto di revisione è, per il cittadino, una garanzia irrinunciabile, specie quando si tratta di processi indiziari, e quindi rimessi a valutazioni soggettive e pertanto sempre discutibili. Nessuno è infallibile, nemmeno i giudici, e quindi il diritto di appello è sacrosanto. Quello che sacrosanto non è, sono gl'interminabili tempi che questa operazione solitamente richiede, dovuti a due motivi chiaramente visibili: i grovigli procedurali in cui il processo è avvolto, delizia del genio cavillesco italiano, e l'inefficienza del personale che vi è addetto. (p. 327) *Che cosa io pensi dell'onorevole [[Cesare Previti|Previti]] mi pare di averlo detto in termini talmente espliciti da apparire – a più d'uno – brutali: un personaggio che solo a guardarlo in faccia verrebbe voglia di applicargli le manette ai polsi prima ancora di sapere chi è e cosa ha fatto. (p. 356) *Non credo che, all'apertura totale delle frontiere, avremo un Parma composto soltanto di irlandesi, o una Cremonese modello ellenico. Avremo invece un vero mercato, dove il costo e lo stipendio di un professionista verranno stabiliti in base alla domanda e all'offerta. È questo ridimensionamento, mi sa, che non piace ai calciatori nostrani. Non la «sottoutilizzazione delle risorse sportive nazionali e locali». Non penso che i nostri calciatori abbiano altri motivi di preoccuparsi. Perché mai dovrebbero venire accantonati? Sono tra i più bravi del mondo, e la bravura, per un professionista (che calci una palla o calchi una scena), è la garanzia migliore. (p. 379) *Le mie dimissioni da italiano sono soltanto quelle da una grande illusione: quella che l'Italia fosse una Patria da potere in qualche modo servire. Io, pur commettendo parecchi errori, ho cercato di farlo. Ma forse, di questi errori, il più grosso è stato quello di credere che fare si potesse. A consolarmene c'è una cosa sola: che questo errore lo hanno commesso tutti i migliori uomini che l'Italia ha avuto nel suo secolo e mezzo di vita unitaria. (pp. 410-411) ==''Pantheon minore''== ===[[Incipit]]=== '''Einaudi'''<br>Avendo saputo che sollecitavo l'onore e il piacere di incontrarlo, il Presidente, che non mi aveva mai visto, trovò del tutto naturale invitarmi a colazione. «Quando vuol venire?» mi fece chiedere, «giovedì mattina, per esempio?» Giovedì voglio stappare una nuova bottiglia del mio 'barolo' e ci sarà anche la signorina Barbara Ward dell{{'}}''Economist''. Vino piemontese, giornalismo ed economia politica, pensa: sarebbe difficile sorprendere [[Luigi Einaudi|Einaudi]] in una cornice più einaudiana di questa. ===Citazioni=== *{{NDR|Luigi Einaudi}} E in quei pochi minuti aveva ancora tante cose da dire a due giornalisti per ricordare loro, [[Alessandro Manzoni|manzonianamente]], che l'[[uomo]] è «buono», come dice [[Jean-Jacques Rousseau|Rousseau]], ma tale può diventare solo in grazia delle buone istituzioni (in ciò consiste la sua posizione conservatrice e cattolicamente pessimistica). *[[Ingrid Bergman]] è forse la sola persona al mondo che non consideri Ingrid Bergman un'attrice completamente riuscita e definitivamente arrivata. (p. 195) *Non ho mai visto in vita mia, nemmeno nei film di cui la Bergman è protagonista, una donna così trasparentemente pulita. (p. 195) *Ogni buon [[padre]] di [[famiglia]] deve, al principio della giornata, sapere quanto la famiglia ha in cassa e quanto può spendere.<br>Einaudi conosce a memoria le cifre dell'economia italiana, come i re che lo precedettero conoscevano a memoria i nomi e i motti dei reggimenti. *«''Venez, mademoiselle, venez''», disse [[Anatole France]] a [[Emma Gramatica]] che, poco più che ventenne, si trovò un giorno a viaggiare con lui in automobile a Palermo, e aveva paura di essere troppo ingombrante sul sedile. «''Vous êtes comme les anges, qui n'ont pas de derrière!''»<br>Qualcosa come mezzo secolo dev'esser trascorso da allora, ed Emma somiglia un po' meno a un angelo, ma grassa non la si può dire nemmeno adesso. La vita che mena, d'altronde, non lo consentirebbe di diventarlo. Alla sua età, ha girato per tre anni consecutivi, tutti i teatri dell'America del Sud, volando da Buenos Aires a Santiago, da Santiago a Lima, da Lima a Caracas, e recitando una sera in italiano e la sera dopo in spagnolo, lingua che, sino al momento di partire, ignorava totalmente. Ora è tornata per girare un film con [[Vittorio De Sica|De Sica]], e sono fatiche a cui molti giovani non resistono. *Il [[fascismo]] trovò, tra i suoi oppositori più accaniti, [[Mario Missiroli]], che si batté a duello con [[Benito Mussolini|Mussolini]]. Egli non credette alla [[forza]] e al successo delle «camicie nere» fino al [[giorno]] in cui, mentre cercava faticosamente di salire sul tram, uno squadrista che lo incalzava, dopo avergli inflitto una serie di spintoni, non gli ebbe affibbiato, in risposta alle sue proteste, due sonori schiaffi che gli fecero volar via gli occhiali cerchiati d'[[oro]]. Mario li raccolse con [[dignità]], vi fiatò sopra, li ripulì col fazzoletto e concluse in tono ammirativo: «Però!... Picchiano bene, veh!...» ==''Qui non riposano''== *{{NDR|Sulla [[guerra d'Etiopia]]}} Quella fu una guerra ideale, la guerra-tipo della borghesia italiana: con pochi morti e molte medaglie. Io presi a capirne la miseria solo all'ultimo capitolo: quando, per la marcia su Addis Abeba, cominciarono a piovere dall'Italia e da Asmara gerarchi e aspiranti gerarchi, smaniosi di gloria a buon mercato: e Badoglio dovette emanare un ordine per cui solo chi presentava "un biglietto di autorizzazione" poteva marciare sulla capitale nemica. Solo in tempo fascista si poteva escogitare un finale di guerra con un biglietto per la capitale nemica. (pp. 107-108) *Io non volevo far politica. Ha il diritto un uomo della strada di non far politica? Ha il diritto un uomo della strada a dire che il governo ha fatto bene a far questo e male a far quest'altro? Ha diritto un giornalista, che è un uomo della strada, il quale va a vedere e riferire le cose per conto degli altri uomini della strada, ha il diritto di riferire che i fatti si svolsero così e così, e che in essi c'era tanto il bello e tanto il brutto, tanto di giusto e tanto d'ingiusto? No, il [[fascismo]] disse che un uomo della strada non ha tutti questi diritti. Ecco perché diventai antifascista. Non perché al posto di [[Benito Mussolini|Mussolini]] ci volevo un altro, ma perché non ci volevo nessuno. Io volevo stare alla finestra, come stanno i giornalisti, mestiere di spettatore e non di attore.<ref>Citato in Paolo Granzotto, ''Indro Montanelli'', p. 92.</ref> (p. 189) *[...] volevo avere il diritto di non pensare alla [[politica]], di disinteressarmi della politica, perché la politica la gente dabbene non la fa. La gente dabbene lavora in ufficio, viaggia, commercia, produce, ama una donna che può anche essere sua moglie (come è il mio caso), ama i suoi figli, ama la sua casa, paga le tasse, e di politica ne parla un quarto d'ora al giorno. (p. 190) ==''Reportage su Israele''== *Il fenomeno più interessante è forse quello ch'è stato meno sottolineato dagli osservatori stranieri: le minoranze arabe disseminate nel [[Israele|Paese]] hanno abbandonato i loro notabili che facevano lista per conto proprio, e hanno votato per i partiti nazionali infischiandosi ch'essi siano completamente in mani ebraiche. Sarebbe come se gli altoatesini, invece che per la ''Volkspartei'', votassero per i partiti italiani. Il partito comunista, verso cui li spingeva Radio-Cairo, è sbaragliato. Evidentemente la politica d'integrazione applicata nei loro confronti ha avuto il più completo successo, malgrado la guerra fredda, e tavolta calda, in cui si ostinano le nazioni arabe contro Israele (o forse proprio per essa). (p. 6) *Probabilmente i pionieri di Degania non si resero conto dell'importanza di ciò che facevano o forse non osarono nemmeno sperare che quel loro esperimento ne avesse tanta. Erano imbevuti di quel socialismo umanitario d'ispirazione tolstoiana che allora permeava gli ambienti intellettuali russi dai quali provenivano. Ma un'idea la ebbero chiara di certo: e cioè che l'unico modo di radicarsi in quella che la Bibbia e la Tradizione indicavano come loro Patria era di mettersi a lavorare la terra. (pp. 14-15) *L'esercito naturalmente serve ad Israele per difendere le sue ardue frontiere, e ha dimostrato di saperlo fare in maniera superlativa; ma i suoi sforzi quotidiani li concentra sulla formazione, più che del soldato, del cittadino. Esso prende i giovani di ambo i sessi e di qualunque condizione a diciotto anni, e per due anni e mezzo gli uomini, due le donne, li rimescola, li tritura e li macina. Insegna non soltanto il maneggio delle armi, ma anche la lingua a chi non la sa e il mestiere a chi non lo ha. La mattina, dall'alba a mezzogiorno, è tutta dedicata all'addestramento fisico delle reclute. Ma il pomeriggio è diviso fra il lavoro e la scuola. La caserma è di tipo ''kibbutz'', dove ci si prepara a quel solidarismo della vita collettiva che è l'ideale di questo popolo. Ed è qui che si forma l'israeliano non più ''azkenazi'', non più ''sefardita'', ma nazionale. (pp. 28-29) *[[Theodor Herzl|Herzl]] non era che un giornalista, redattore della ''Neue Freie Presse'' di Vienna. A proprie spese, viaggiando in terza classe, si mise alla ricerca in tutto il mondo dei correligionari danarosi, la maggiorparte gli rise in faccia. Il "Fondo nazionale ebraico per la terra" di quattrini ne raccolse pochi. Ma Herzl non si diede per vinto. Cominciò a visitare anche i potenti, dal Kaiser al Sultano fino a Vittorio Emanuele e al Papa per interessarli al progetto. E, sebbene questo non avanzasse, nel 1898 scrisse nel suo diario: «La mia sembra una chimera. Ma fra cinquant'anni lo Stato ebraico sarà una realtà». Si può essere scettici quanto si vuole, sulle profezie. Ma bisogna constatare che dal 1898 al 1948 [...] corrono esattamente cinquant'anni. Gli unici miliardari ebrei che presero sul serio Herzl furono i Rothschild. Essi non diedero capitali al ''Fondo'' forse perché avevano qualche dubbio sulla sua efficienza [...], ma per conto loro comprarono tutto ciò che in Palestina, allora provincia ottomana, c'era di comprabile, eppoi lo regalarono agli ebrei che ci andavano, per sé serbando soltanto il pezzo di terra necessario a ospitare le proprie tombe. (pp. 33-34) *Il partito di Ben Gurion, il ''Mapai'', ha riportato, contro quasi tutti i pronostici, una smagliante vittoria. E ora lui, ''Bigì'', deve formare il ministero, operazione che si presenta piuttosto complicata anche qui in Isarele. [...] Non dico che detesti la politica; anzi, ne è intriso. Ma non ama, della politica, questo aspetto minore – che purtroppo è quello quotidiano – delle estenuanti contrattazioni, del piccolo cabotaggio, delle furberie, dei compromessi, o per lo meno così dice. E ogni tanto pianta baracca e burattini, e se ne va. Dove? In mezzo al deserto del Negev, si capisce. La sua Riviera è lì, in un ''kibbutz'' poco distante da Beersheba, circondato dalle dune di sabbia e dai cammelli dei beduini. Ci resta tre giorni, una settimana, due, senza che nessuno osi disturbarlo. (pp. 40-41) *Gerusalemme è la città che fa maggiormente le spese di questa situazione manicomiale, quella nuova in mani israeliane è divisa da quella vecchia in mani arabe non da una frontiera ma da un muro, reso impenetrabile dall'intolleranza. In teoria, essa dovrebb'essere internazionalizzata, e per questo le potenze occidentali si rifiutano di riconoscerla come capitale di Israele e vietano ai loro ambasciatori di risiedervi. Ma siccome Israele vi sta ugualmente accentrando i suoi ministeri, questi poveri ambasciatori sono costretti quasi quotidianamente a farvi il su e giù da Tel Aviv dove sono obbligati a risiedere e che ne dista comunque oltre settanta chilometri. [...] Così a Gerusalemme non ci sono, come rappresentanti stranieri, che dei consoli, accreditati imparzialmente presso le due autorità locali, il prefetto israeliano nella città nuova e il governatore arabo in quella vecchia. Sono gli unici che possono attraversare la porta di Mandelbaum. (pp. 49-50) *Israele è estremamente utile agli arabi, o per meglio dire ai capi arabi, da un lato per sostenere di fronte al mondo la grossa menzogna dell'unità araba, e dall'altro per combattere fra loro la battaglia dell'egemonia. […] Se questo odio ci sia veramente, non lo so. So soltanto ch'è l'unico filo che tiene cucita la "fraternità" araba: questa curiosa fraternità punteggiata di congiure, di attentati, di assassinii caineschi, tra "fratelli" di cui ognuno accusa l'altro di non esserlo abbastanza. (pp. 51-52) *Se l'esistenza d'Israele serve agli arabi per puntellare alla meglio la loro convenzionale unità, la minaccia araba ha servito agl'israeliani per fare ciò che senza di essa avrebbero ugualmente, fatto, ma in cinquant'anni invece che in dieci. Il blocco e il boicottaggio arabo hanno paradossalmente funzionato, per Israele, da piano quinquennale senza bisogno delle imposizioni poliziesche di un regime comunista. [...] Psicologicamente, la tensione senza intermittenze con gli arabi ha sortito e seguita a sortire sulla società israeliana gli stessi effetti che la "frontiera", cioè la conquista dell'Ovest, ha prodotto alla società americana, obbligandola a restare per decenni e decenni tuffata in un'atmosfera pioneristica. [...] Morale: ognuno ha il nemico che si merita. (pp. 55-56) *Gl'israeliani hanno piantato in poco più di dieci anni trenta o quaranta milioni di alberi. E bisogna vedere con che orgoglio te li mostrano, con che incantamento se li guardano, con che passione li annacquano, li potano e li pettinano. Le case non sono granché: le costruiscono in fretta, senza varietà, e piuttosto "alla carlona". Ma non ce n'è una, nemmeno nelle città, che non abbia un giardino e nel giardino, insieme ai fiori, i suoi alberi. (p. 59) *Il teatro ''yiddish'', che pure era un grande teatro, v'incontra poca fortuna. Esso era nato in Germania e in Polonia, come uno specchio deformante di quelle società che relegavano gli ebrei nel ghetto e che essi ripagavano con la caricatura. Ora che dal ghetto sono usciti, essi stessi non comprendono più il significato di quei ghigni e di quelle smorfie. Il pubblico che ci va è tutto dai quaranta in su. (p. 62) *Lo Stato mostra parecchia tenerezza [...] per quelle due o trecento famiglie di ortodossi acquartierati in Gerusalemme, che lo negano e si rifiutano perfino di votare perché nella Bibbia sta scritto che uno Stato ebraico sarebbe rinato solo dopo l'apparizione del Messia in Terra [...]. Questi protestanti assolvono anch'essi una funzione. Servono a dimostrare che in Israele alla Bibbia ci si crede. [...] Ben Gurion è un laico puro. E tutta laica è la nuova generazione. Non è vero che Israele sia uno Stato confessionale. Lo è meno dell'Italia. (p. 66) *Non so a che punto siamo con la letteratura e la poesia, qui in Israele. [...] Ora che hanno una lingua propria a disposizione, i giovani scrittori d'Israele la usano [...] su tutt'un altro registro. Intanto, hanno scoperto anch'essi la natura. [...] Essi erano amari e disperati quando scrivevano in tedesco o in russo. Ora che scrivono in ebraico, le loro parole sono piene di sole e di sangue: cioè di gioia di vivere, anche quando descrivono la morte. (pp. 67-68) *[[Golda Meir]] è la "madre del Paese", anzi la mamma. E con le mamme, si sa, complimenti non se ne fanno. Per questo la chiamano soltanto Golda, la salutano alla voce, invece di baciarle la mano, quando passa per strada, e insomma le danno del tu. Essa è la meno ossequiata, ma la più amata e popolare, di tutte le donne d'Israele. [...] Essa rappresenta la vecchia guardia, la fedeltà all'uomo, al suo socialismo democratico, al collettivismo del ''kibbutz'' nel quale è anche lei maturata. (pp. 70-74) *I Paesi asiatici non hanno visto di buon occhio la nazionalizzazione del Canale di Suez, anche se per pregiudiziali anticolonialistiche hanno dovuto appoggiare [[Gamal Abd el-Nasser|Nasser]] e fingere di applaudirla. [...] Tempo fa il dittatore egiziano, per ritorsione contro Ceylon che gli aveva votato contro all'O.N.U., le ha bloccato tutta l'esportazione del tè, conducendo quel Paese sull'orlo del fallimento. Domani potrebbe fare altrettanto contro la Birmania. Il Canale non rende all'Egitto che dieci milioni di dollari l'anno. Ma gli consente di ricattare tutti i Paesi asiatici, che per quella via devono ancora passare. (p. 80) *{{NDR|Nel 1956}} [[Moshe Dayan|Dayan]] aveva in quel momento quarant'anni. Egli diresse le operazioni da un piccolo aereo di ricognizione che guidò da solo tenendolo librato qualche centinaio di metri sulla zona di combattimento. [...] Quando, in fase di armistizio, si trattò di scambiare i prigionieri, gl'israeliani ne restituirono seimila, gli egiziani uno: un pilota che aveva dovuto atterrare dentro le loro linee. Dopodiché il generale dal volto di ragazzo, invece di sfilare in parata per le vie di Gerusalemme alla testa delle truppe vittoriose, svestì la divisa, diede le dimissioni dall'esercito, e si mise a fare l'archeologo, fino al giorno in cui Ben Gurion gli propose di portarsi candidato nelle liste del suo partito. (p. 88) *Per Israele, l'unico lato negativo della campagna del Sinai del '56 ha rischiato di essere proprio questo: il pericolo di un "complesso di superiorità" che poteva indurre alla smobilitazione non tanto delle armi, quanto degli animi. Il lettore italiano non saprà con quanta cura [...] Governo, Parlamento e stampa si sono adoperati per "minimizzare" quella folgorante vittoria, che qualunque altro popolo avrebbe annaffiato di chissà quali fiumi di retorica. (p. 101) *In Israele sono stati investiti [...] oltre sei miliardi di dollari. Ma oggi rendono, eccome. Questo non è uno dei tanti pozzi di San Patrizio arabi, dove prestiti e finanziamenti finiscono in ville satrapesche o vengono ritrasferiti pari pari nelle banche svizzere. Israele è una grande impresa industriale, dove ogni dollaro dell'azionista si è tradotto in un albero o in un telaio. Oggi Israele è effettivamente alla vigilia di una crisi: ma si tratta di una crisi di sovraproduzione. [...] Le materie prime d'Israele sono l'ingegno, la disciplina, la fede in se stessi. Ma ce n'è in tale abbondanza che sui risultati finali non possono sussistere dubbi. (pp. 102-103) *Dicono che quello israeliano è un regime di socialismo addomesticato. Sarà. Ma è l'unico socialismo volontario che io abbia visto in atto, l'unico che abbia raggiunto forme anche estreme di vita collettivizzata per spontanea scelta di chi deve subirne i non piccoli inconvenienti. Eppure, in pochi Paesi si respira a pieni polmoni la libertà come in Israele. Non vi conosco un ricco. Non vi conosco un povero. Ma soprattutto non vi conosco un servo. (p. 104) *[[Chaim Weizmann|Weizmann]] voleva fare di questo Paese un gabinetto scientifico, il focolare dell'intelligenza umana applicata alla tecnica, un'appendice del suo Istituto, meraviglia del mondo. Ma anche questo è parso troppo poco. Secondo altri, Israele deve trasformarsi nel laboratorio della coscienza ebraica per la ricerca di un nuovo Verbo in cui il mondo trovi pace, libertà e giustizia. Se mi avessero detto queste cose prima di andare in Israele, credo che anch'io ne avrei sorriso, come forse sorrideranno alcuni lettori. Ma sul posto ci si accorge quanto profondamente sentite esse siano. (p. 108) *Per liberare il mondo dagli ebrei e gli ebrei da se stessi [[Theodor Herzl|egli]] aveva pochi anni prima lanciato l'idea di adunare a Roma tutti i rabbini e farli convertire dal Papa. L'affare Dreyfus gli dimostrò che nemmeno questo sarebbe bastato. E allora egli si diede a predicare lo Stato ebraico: ma sempre per liberare il mondo dagli ebrei e gli ebrei da se stessi. Herzl era una delle più affascinanti personalità che l'ebraismo abbia mai prodotto […]. Le sue ''illuminazioni'' si sono dimostrate alla prova dei fatti più valide della logica e della ragione. Mi piace concludere questo rapporto sulle cose d'Israele rendendo omaggio a questo singolare profeta, che nelle sue sconnesse visioni, in mezzo a fallimenti di ogni genere, non solo previde la nascita dello Stato ebraico, ma gli assegnò con cinquant'anni di anticipo la data esatta (il 1948) e la ''missione'' che gli spettava: quella di ''sconfiggere'' gli ebrei liberandoli da se stessi, cioè da quel fardello di miserie e di dolori che per due millenni ne hanno fatto il più tragico popolo del mondo. (pp. 109-110) ==''Ricordi sott'odio''== *''Non piangete | per | [[Cesare Zavattini]] | ha già pianto | lui per tutti noi.''<ref name=ricordi>Il libro raccoglie gli "epitaffi" scritti su personaggi al momento viventi (talvolta insieme a [[Leo Longanesi]]) e quasi tutti inediti.</ref> (p. IV dell'Introduzione di Marcello Staglieno) *''Qui | per la prima volta | [[Alida Valli]] | giace | sola''.<ref name=ricordi/> (p. 11) *''Qui | riposa | [[Amintore Fanfani]] | amico | dei nemici | nemico | degli amici | figlio | di [[Alcide De Gasperi|De Gasperi]] | padre | di nessuno.''<ref name=ricordi/> (p. 31) *''Qui | riposa | [[Mario Melloni]] | inquieto | transfugo | di sé stesso | momentaneamente | scomparso | a sinistra | in cerca | di una croce | su cui | inchiodarsi.''<ref name=ricordi/> (p. 65) *''Qui giace | Alba {{ndr|[[Alba de Céspedes]]}} | scrittrice scialba. | Divorò uomini e gloria | La Boria | la divorò''.<ref name=ricordi/> (p. 95) *''Qui | riposa | [[Mario Soldati]] | padre | figlio | autore | regista | interprete | di | Mario Soldati.''<ref name=ricordi/> (p. 123) *''Qui giace | [[Davide Lajolo]] | Segretario federale | Legionario di Spagna | Repubblichino di Salò | chiese | di passare all'anilina | la sua camicia nera. | E com'era | Rimase.''<ref name=ricordi/> (p. 179) *''In pace | qui giace | orbato | d'orbace | [[Achille Starace]].''<ref name=ricordi/> (p. 181) ==''Soltanto un giornalista''== *Da quando ho cominciato a pensare, ho pensato che sarei stato un giornalista. Non è stata una scelta. Non ho deciso nulla. Il giornalismo ha deciso per me. E questa è stata una delle mie tante fortune, posto che tutto quel che ho fatto lo debbo soprattutto a un alleato ch'è sempre rimasto al mio fianco: il caso. (p. 5) *Per sua disgrazia, [[Massimo Bontempelli|Bontempelli]] fu nominato accademico d'Italia da un fascismo che puzzava già di morto. Eletto senatore nelle liste del Fronte popolare dopo la guerra, non esitò a pronunziare giudizi brucianti su chi aveva collaborato col regime. Quel voltafaccia gli costò caro, perché a un certo punto saltarono fuori le lettere che aveva scritto a Mussolini per impetrare la sua nomina: i comunisti lo scaricarono e lui cadde in un tale stato di prostrazione da morirne. (p. 26) *A Salò ci fu di tutto. Ci furono le squadracce assetate di vendetta e di saccheggio che provocarono il disgusto agli stessi tedeschi. Ma anche uomini per i quali quello fu il banco di prova d'una coerenza e d'una lealtà che non possono non incuter rispetto. E l'unica ragione per la quale benedico le mie cosiddette benemerenze antifasciste è che mi han dato il diritto di difenderle. (p. 119) *Il 2 giugno del '46, giorno del referendum istituzionale, votai per la monarchia. Lo feci perché ritenevo fosse pericoloso recidere il tenue filo che legava l'Italia all'unica sua tradizione nazionale: quella monarchica, appunto. L'Italia non s'era "fatta da sé", come pretendeva la nostra storiografia ufficiale. Era stata fatta dalla monarchia sabauda guidata dal genio diplomatico d'un suo diplomatico, Cavour, che voleva estendere il Regno di Sardegna al Lombardo-Veneto. Se poi ci scappò fuori l'Italia, non fu grazie al contributo degl'italiani, che non ne diedero punto. Fu perché la storia dell'Europa andava verso la costituzione degli Stati nazionali, e condannava a morte quelli plurinazionali come l'Impero austriaco. [...] Al posto di quel patrimonio, sia pure modesto, cosa prometteva la Repubblica? Si presentava come depositaria dei valori della Resistenza, un mito ancora più falso di quello del Risorgimento. Che non era stata affatto, come pretendeva d'essere, la lotta d'un popolo in armi contro l'invasore, bensì una lotta fratricida tra i residuati fascisti della Repubblica di Salò e le forze partigiane, di cui l'80 per cento si batteva (quasi mai contro i tedeschi) sotto le bandiere d'un partito a sua volta al servizio d'una potenza straniera. (pp. 125-126) *Un'altra scelta s'era imposta, quella delle elezioni del '48. Per l'Italia era una scelta vitale: o con l'Est o con l'Ovest, ossia con i totalitarismi rossi oppure con le democrazie occidentali. Ergo, o con il Fronte popolare oppure con la Dc. E lì ebbe inizio il mio dramma, ch'è poi quello eterno del laico italiano: il quale, messo davanti al boia, vede comparire al suo fianco il prete che solo può salvarlo. (pp. 135-136) *Mi proposi due obiettivi, entrambi falliti: il primo era farmi intentare un processo dagli amministratori della città che attirasse l'attenzione sui pericoli che [[Venezia]] stava correndo. Il secondo era rendere pubblica la convinzione che m'ero formato: che per salvare Venezia la prima cosa da fare era sottrarla allo Stato italiano e affidarlo a un organismo internazionale come l'Onu, con le sue cospicue possibilità finanziarie e i suoi agguerriti uffici tecnici. [...] Il Comune di Venezia non aveva più nulla di veneziano, salvo la sede. A dominarlo erano gli elettori di Mestre e Marghera, che con quelli di Venezia si trovavano nella proporzione di tre a uno, e dalla loro avevano tutto: i soldi delle industrie, i sindacati e quindi anche i partiti. Decidendo di restare amministrativamente unita, Venezia ha preferito mettersi al rimorchio delle ciminiere e petroliere di Marghera, alle quali ha sacrificato il suo delicatissimo sistema idraulico. Fu allora che, con grande amarezza, feci atto di rinunzia a Venezia, convinto come ero, e come son rimasto, che una città si può salvare solo se sono i suoi abitanti a volerlo. (pp. 216-217) *Una sera, uscendo solo soletto dal «Giornale», mi trovai davanti il solito muro di folla tumultuante con le bandiere rosse spiegate. Dalla piazza si levò un urlo: «Tel chi el Muntanel!». In un attimo cinquanta scalmanati mi s'avventarono contro. Temendo il linciaggio, arretrai fino a trovarmi con le spalle al muro. Ma non feci in tempo a dire be' che mi ritrovai issato in spalla a una mezza dozzina d'energumeni, fra salve d'evviva. Erano i tifosi del [[Torino Football Club|Torino]] che quel giorno {{NDR|16 maggio 1976}} aveva vinto lo scudetto, e le bandiere non eran rosse, ma granata. E siccome i cronisti sportivi del «Giornale» erano sempre stati favorevoli al Torino, m'acclamavano come un loro idolo. (p. 241) *La Dc era il partito dei maneggi e dell'inefficienze. Ma se avesse perso il 4 o il 5 per cento dei suoi voti, il partito di maggioranza relativa destinato a formare il nuovo governo sarebbe diventato quello comunista. Ch'era ancora molto pericoloso. Perché è vero che in Italia c'era Berlinguer, ma io sapevo bene che col comunismo d'allora poteva ancora succedere di tutto: bastava un cambiamento al vertice e un Berlinguer poteva diventare un [[Alexander Dubček|Dubček]] come un [[Walter Ulbricht|Ulbricht]]. Il «Giornale» era certamente laico, ma prima di essere laico era italiano, e cercava d'operare con qualche senso di responsabilità. E negli anni Settanta solo gl'irresponsabili potevano augurarsi il crollo della Dc, cui eravamo condannati anche perché la cosiddetta Alleanza laica, l'accordo fra Pli, Pri e Psdi, non sortì mai i numeri per sostituirvisi. (pp. 243-244) *Ci fu un'unica battaglia sulla quale il «Giornale» si trovò allineato con Craxi e il nostro editore: quello per la libertà d'antenna. Battaglia sacrosanta. Berlusconi è tutt'altro che un idealista disinteressato e nessuno sa agire come lui aggirando, quando non calpestando, le regole. Ma i panni nobili coi quali i difensori della Rai rivestivano la loro offensiva politico-giudiziaria erano grotteschi. Se il peccato di Berlusconi stava nell'essere troppo amico del Psi, quello della Rai era d'essere troppo amica di tutti i partiti. A fornirci il destro furono poi i pretori coi loro interventi oscurantisti, peraltro prontamente sventati dai decreti di Craxi. E quindi la crociata dell'etere libero, che rientrava fra l'altro nella nostra tradizione antistatalista, divenne una campagna contro il "pretore selvaggio", che con i suoi abusi toglieva ogni certezza del diritto al cittadino. (pp. 275-276) *Le vere novità erano nate fuori dal Palazzo: come la Lega di [[Umberto Bossi]]. Che all'inizio anche il «Giornale», come molti altri, sottovalutò. Come si faceva a prender sul serio un invasato che nutriva le sue invettive di sfondoni storici e grammaticali da far accapponare la pelle? [...] Che Roma fosse ladrona, era indubitabile. E l'avversione per la burocrazia parassitaria e per il meridionalismo piagnone e sprecone andava a nozze con le tradizioni del «Giornale». Bossi quindi incarnava un sentimento molto diffuso anche fra i nostri lettori, una protesta genuinamente qualunquista che, per certi versi, all'inizio anche noi appoggiammo. Ma dovemmo prenderne le distanze quando Bossi cominciò a condire le sue contumelie contro il Palazzo con propositi secessionisti. (pp. 279-280) *Con Berlusconi, tuttavia, poi feci pace. Fu lui a telefonarmi: forse, aveva captato in qualche mio articolo un'ombra di rimpianto per il vecchio amico. Era il '96 e dopo il ribaltone le cose per lui si mettevano di male in peggio. [...] Così, una sera mi ritrovai di nuovo seduto alla sua mensa ad Arcore. [...] Riparlammo senza rancore dei nostri trascorsi. Gli domandai quale garanzia avesse ricevuto da [[Massimo D'Alema|D'Alema]] sulle sue aziende in cambio dell'opposizione inesistente che gli assicurava. Rise. «Ma perché, ora che hai sistemato i tuoi affari, non ti chiami fuori dalla politica?» gli chiesi. «È una parola» mi rispose rabbuiandosi. «I giudici non obbediscono neppure a D'Alema». E lì capii quale era, ormai, la vera sostanza del suo dramma. (p. 312) *Se anch'io sono diventato europeista, è per disperazione: l'Europa è forse l'unica possibilità di sopravvivere per noi italiani, che come italiani non siamo riusciti a vivere. Questo è sempre stato l'europeismo degl'italiani di più alta coscienza, a partire da [[Alcide De Gasperi|De Gasperi]], che fu il primo a capire i rischi d'un Italia lasciata in balìa degl'italiani. (p. 315) *Pur fra tante fortune, purtroppo a me la sorte ha riservato di portarmi nella tomba le due cose che ho più amato: il mio mestiere e il mio Paese. Che cosa sia diventato il primo, annientato da computer e televisione, è sotto gli occhi di tutti. Quanto al secondo, la cancrena è ormai inarrestabile e la decomposizione sta avvenendo per dissoluzione di quel poco che resta dello Stato. E dico decomposizione, non secessione. La secessione si fa anche con la violenza, e dove lo troviamo oggi un solo plotone di soldati disposto a imbracciare le armi pro o contro l'Unità dello Stato? Che, se resta ancora in piedi, è solo perché non ha neppure la forza di cadere. Quello di rinunziare alla nazione poi, è un sacrificio che non saprei compiere, anche se razionalmente mi rendessi conto ch'è necessario, oppure inevitabile. E ringrazio l'anagrafe che mi esclude dal problema. (p. 316) ==''Storia d'Italia''== {{vedi anche|Indro Montanelli e Roberto Gervaso|Indro Montanelli e Mario Cervi}} ===''L'Italia giacobina e carbonara''=== *I [[cinismo|cinici]] sono tutti moralisti, e spietati per giunta. (cap. 10, p. 144) *[[Francesco Melzi d'Eril|Melzi]] apparteneva a una delle più grandi famiglie dell'aristocrazia lombarda, e ne portava nel sangue le doti migliori: la rettitudine, la cultura, la cortesia, ma anche una certa alterigia, che probabilmente gli veniva dalla madre spagnola. (cap. 11, p. 152) *{{NDR|Francesco Melzi d'Eril}} Aveva fatto parte dei circoli illuministici dei Serbelloni, dei Beccaria e di Pietro Verri, di cui era anche cognato. [[Napoleone Bonaparte|Napoleone]] lo aveva conosciuto al tempo della sua prima campagna d'Italia, dopo la battaglia di Lodi lo aveva invitato a Mombello, e ne aveva fatto il proprio consigliere. Quel signore che portava ancora il costume settecentesco, le calze bianche e la parrucca incipriata, gli piaceva. Gli piaceva perché non era servile, perché non era venale, perché non era nemmeno ambizioso. Una leggera sordità e una salute piuttosto precaria, insidiata da un forte artritismo, l'obbligavano a riguardi incompatibili con l'esercizio del potere. Più che il protagonista, preferiva fare il suggeritore. (cap. 11, p. 152) *L'unico che avesse qualità di uomo di Stato era il ministro delle finanze, [[Giuseppe Prina|Prina]], anche perché era piemontese, cioè veniva da un paese che uno Stato lo era da secoli. Ex procuratore generale della Corte dei Conti di Torino e membro del governo provvisorio del '99<ref>1799.</ref>, si era poi trasferito nella [[Repubblica Cisalpina|Cisalpina]] e ne aveva preso la cittadinanza. Non aveva un carattere che attirasse simpatie. Anzi, chiuso e freddo com'era, le respingeva. Ma era un lavoratore instancabile e scrupoloso, dotato di un acuto senso politico e – diceva [[Stendhal]] – "ha del grande in testa". (cap. 12, p. 164) *Perché non andassero perse neanche le briciole {{NDR|delle entrate della Repubblica Cisalpina}}, Prina riformò tutto il sistema fiscale riducendone il personale e facendone una macchina di straordinaria efficienza. Fu lui a inventare la "tassa di famiglia", o meglio a ripristinarla, perché la sua vera iniziatrice era stata [[Maria Teresa d'Austria|Maria Teresa]]. Ma la maggior pressione la esercitò nel campo delle imposte indirette che colpivano tutti i consumi senza distinguere fra quelli di lusso e quelli di prima necessità. Naturalmente a farne le spese furono soprattutto le classi popolari, che di lì a pochi anni gliel'avrebbero fatta pagare<ref>Prina, dopo l'abdicazione di Napoleone, fu linciato dalla folla a Milano il 20 aprile 1814.</ref>. Ma con questi sistemi riuscì a portare le entrate da settanta a oltre cento milioni e a pareggiare il bilancio. (cap. 12, p. 165) *[[Carlo II di Parma|Carlo Ludovico]] era stato talmente oppresso dalla madre<ref>Maria Luisa di Borbone-Spagna (1782–1824).</ref> che sognava di disfare tutto ciò ch'essa aveva fatto, compreso il proprio matrimonio; e quando le successe nel '24<ref>Come duca di Lucca nel 1824.</ref>, introdusse anche per buona fortuna dei lucchesi, metodi di governo diametralmente opposti a quelli di lei. Ridusse l'appannaggio che Maria Luisa esigeva per alimentare i suoi fasti spagnoli, liberalizzò i commerci, e alla fine si convertì addirittura al luteranesimo, mentre sua moglie diventava Terziaria domenicana. Fu un cattivo marito, ma non un cattivo sovrano. E Lucca, sotto di lui, respirò. (cap. 25, p. 375) *[...], {{NDR|la [[Carboneria]]}} non fu certo una scuola di educazione politica, e probabilmente è anche al suo esempio e modello che sono dovute le malformazioni della nostra democrazia e la sua intrinseca debolezza. Figli e nipoti dei Carbonari furono quei "notabili" che governarono l'Italia fino alla prima guerra mondiale e che, insieme a innegabili virtù, ebbero anche il vizio di considerare il Paese una "clientela" di Apprendisti esclusi dai "sacri travagli". (cap. 26, p. 395) *Fu qui {{NDR|al Teatro alla Scala}} che {{NDR|[[Ugo Foscolo]]}} vide [[Antonietta Fagnani Arese]], già famosa a ventitré anni non soltanto per la sua bellezza, ma anche per lo sfruttamento intensivo che ne aveva fatto. Probabilmente era una frigida, ma che sapeva recitare la sua parte: tutti i giovani più in vista di Milano cadevano nelle reti di questa Circe, e forse fu anche questo a stimolarlo. (cap. 35, p. 510) *Misto di genio e di ciarlatano, [[Domenico Barbaja|Barbaja]] aveva debuttato come sguattero, aveva fatti primi soldi inventando un dolce di panna e cioccolato, la "barbajada", li aveva moltiplicati con la gestione del Ridotto da giuoco della Scala, e ormai tanti ne aveva che quando il San Carlo andò distrutto da un incendio, lo ricostruì a proprie spese. (cap. 39, pp. 608-609) *{{NDR|Domenico Barbaja}} Era semianalfabeta, e di musica non conosceva una nota, ma conosceva il pubblico, era un infallibile scopritore di talenti, e nel 1815 si assicurò quello di un compositore ventitreenne, in cui già aveva identificato la figura più rappresentativa della lirica contemporanea: [[Gioacchino Rossini]]. (cap. 39, p. 609) *{{NDR|[[Ciro Menotti]]}} Uomo onesto, ma di un candore che sconfinava nella sprovvedutezza, [...]. (cap. 40, p. 635) ===''L'Italia del Risorgimento''=== *{{NDR|[[Giuseppe Mazzini]]}} Due mesi d'intenso lavoro gli bastarono a maturare il piano. Più che una setta, la sua organizzazione sarebbe stata un vero e proprio partito, anche se clandestino, senza l'oscura simbologia e i complicati rituali carbonari. Si sarebbe chiamata ''[[Giovine Italia]]'' e lo sarebbe stata anche di fatto perché, salvo casi eccezionali, era preclusa a chi avesse superato i quarant'anni di età. (cap. 4, pp. 54-55) *D'irresolutezza, [[Carlo Alberto di Savoia|Carlo Alberto]] aveva dato prova anche prima di salire sul trono, e lo aveva dimostrato anche il suo contraddittorio atteggiamento nel '21<ref>Nei moti piemontesi del 1821, Carlo Alberto aveva prima dato e poi ritirato il suo appoggio ai congiurati.</ref>. Il coraggio e la volontà non gli mancavano; ma gli mancava il carattere. Nella guerra di Spagna era stato un valoroso combattente<ref>Nel 1823, Carlo Alberto aveva partecipato alla campagna militare per ristabilire l'assolutismo regio in Spagna.</ref>, e la disciplina a cui si sottoponeva era spartana. Ma le responsabilità morali lo sgomentavano. (cap. 9, pp. 135-136) *{{NDR|Carlo Alberto}} Non era né intelligente né colto. Ma certi movimenti di opinione pubblica e orientamenti di pensiero li coglieva e ne restava influenzato. Nel '38 aveva mandato in galera e poi in esilio [[Vincenzo Gioberti|Gioberti]], ma nel '43 ne leggeva con interesse il ''Primato''. Se [[Massimo d'Azeglio|D'Azeglio]] avesse scritto il suo libro<ref>''Degli ultimi casi di Romagna'' (1846).</ref> due anni prima, avrebbe mandato in esilio anche lui. Ora in pratica ne aveva fatto una specie di agente segreto. I tempi insomma li sentiva e con essi andava. (cap. 9, p. 136) *Questo grande soldato {{NDR|[[Josef Radetzky]]}} non aveva mai conosciuto sconfitte, e a ottant'anni suonati conservava intatte prestanza fisica ed energia morale. Come tutti i militari, credeva soltanto nella spada e nella disciplina. Ma non somigliava affatto all'immagine che di lui ci ha tramandato la storiografia risorgimentale: quella del crudele "impiccatore", del caporalaccio ottuso, grossolano e brutale. Era al contrario un grande signore, di tratto ruvido ma generoso, perpetuamente alle prese con problemi di bilancio perché aveva le mani bucate. (cap. 13, p. 194) *{{NDR|Radetzky}} Aveva sposato una Contessa austriaca che viveva a Vienna e gli aveva dato otto figli da cui non gli venivano che dispiaceri. Uno militava ai suoi ordini lì a Milano, ma era un così cattivo arnese che un prete un giorno lo schiaffeggio per strada. Radetzky mandò a chiamare il prete, gli strinse la mano e gli disse: "''{{sic|Crazzie}}''". Per amante si era presa una brava stiratrice lombarda che sapeva cucinare bene gli gnocchi, di cui era ghiottissimo, e dalla quale ebbe altri quattro figli. Non era affatto un odiatore degl'italiani: tant'è vero che, quando andò in pensione, rimase a Milano, e lì morì nel '58. Era soltanto un fedele servitore del suo Paese, di cui non discuteva la causa. E soprattutto era un vecchio lupo di guerra coraggioso, astuto e risoluto. (cap. 13, p. 195) *La notizia si diffuse prima ancora che lo [[Statuto Albertino|Statuto]] fosse firmato, e in un battibaleno le piazze di Torino, eppoi di tutto il Piemonte, eppoi di tutto il Reame, si riempirono di folla esultante. Essa non conosceva il contenuto del documento che introduceva, sì, un regime rappresentativo, ma circondandolo delle maggiori cautele [...]. Più che del suo contenuto, la pubblica opinione era innamorata della parola ''Costituzione'', che aveva finito, per assumere ai suoi occhi magici significati, e la salutava con luminarie, canti e bandiere. (cap. 14, p. 218) *[...] [[Francesco Anzani|Anzani]], il più serio e autorevole degli esuli italiani, che aveva combattuto per la libertà in Grecia e in Spagna. Le sue parole avevano gran peso anche perché fra tutti quei chiacchieroni, ne pronunziava poche. (cap. 18, p. 281) *[...] [[Giuseppe Montanelli|Montanelli]] era così infatuato {{NDR|del progetto di Costituente italiana}} e tanto ne parlava nei suoi discorsi che il popolino – dicono – finì per credere che la Costituente fosse il nome di sua moglie. (cap. 19, p. 298) *[[Pellegrino Rossi|Rossi]] era un toscano della Lunigiana, ma solo all'anagrafe. Come formazione e mentalità, apparteneva ancora a quel tipo di {{sic|apòlidi}} che l'Italia del Settecento sfornava doviziosamente e che, non trovando in patria un terreno per i loro talenti, andavano da mercenari a investirli all'estero. Professore d'Università a poco più di vent'anni, poi commissario di [[Gioacchino Murat|Murat]] al tempo del suo infelice tentativo di unificare l'Italia sotto il suo scettro, era l'unico cattolico cui l'Accademia calvinista di Ginevra avesse mai affidato una cattedra. (cap. 19, p. 301) *{{NDR|Pellegrino Rossi}} Fu sin dal principio un fautore di [[Papa Pio IX|Pio IX]] fino a partecipare di persona alle manifestazioni popolari in suo favore, ma vide subito la pochezza e ambiguità dell'uomo e ne denunziò i pericoli. (cap. 19, pp. 302-303) *Sebbene gli avessero affidato pieni poteri, [[Daniele Manin|Manin]] era un uomo discusso. Molti lo consideravano un malaccorto maneggione, un improvvisatore digiuno di problemi economici e militari, bravo soltanto ad attribuirsi i meriti degli altri. Secondo [[Niccolò Tommaseo|Tommaseo]], ch'era fra i suoi più insidiosi diffamatori, il potere gli aveva dato "una scossa da intorbidargli la mente e far più grave e manifesta la sua inesperienza". (cap. 23, p. 354) *{{NDR|Daniele Manin}} Intellettualmente, non era al livello di un [[Giuseppe Mazzini|Mazzini]] o di un [[Carlo Cattaneo|Cattaneo]]. Ma era, come loro, inattaccabile sul piano morale. E, in mancanza di un vero e proprio potere carismatico, esercitava sulle folle un notevole fascino per la sua gioviale e arguta "venezianità". Parlava sempre in dialetto con battute raccattate sulla bocca dei gondolieri, e anche nel dramma portava un pizzico di [[Carlo Goldoni|Goldoni]]. I suoi limiti li conosceva, e non è vero che l'autorità gli avesse dato alla testa, come diceva Tommaseo che diceva male di tutti. Anzi la esercitava bonariamente e cercava di circondarsi di uomini validi che sopperissero alla sua incompetenza. (cap. 23, pp. 354-355) *Eran trascorsi pochi mesi {{NDR|dal suo matrimonio con Vittorio Emanuele}}, che [[Maria Adelaide d'Asburgo-Lorena|Maria Adelaide]] lo sorprendeva nel giardino di Moncalieri con una diva del teatro, Laura Bon, ma si guardò dal farne un dramma. Perfettamente educata al mestiere di Regina, essa sapeva che la rassegnazione alle infedeltà ne è parte imprescindibile, e le sopportò sempre con garbo e dignità. (cap. 25, p. 390) *Sfruttando la devozione di Carlo Alberto, [[Clemente Solaro della Margarita|Solaro della Margarita]] aveva regolato i rapporti con la Chiesa in modo tale da fare del clero piemontese il più potente d'Italia dopo quello dello [[Stato Pontificio|Stato pontificio]]. Esso aveva ancora i suoi tribunali in concorrenza con quelli dello Stato e poteva concedere il diritto d'asilo ai delinquenti. (cap. 26, p. 410) *[...] {{NDR|Giuseppe}} Montanelli, gran galantuomo e ricco d'ingegno, non lo era altrettanto di carattere. Idee ne aveva, anzi ne aveva troppe; ma, facilmente suggestionabile, finiva sempre per adottare quelle dell'ambiente in cui viveva. (cap. 29, pp. 464-465) *Il primo a trarne le conclusioni {{NDR|dalle tesi favorevoli alla monarchia piemontese esposte nel libro di [[Vincenzo Gioberti|Gioberti]] ''Del rinnovamento civile d'Italia''}} fu [[Giorgio Pallavicino Trivulzio|Pallavicino]], l'ex prigioniero dello Spielberg, da un pezzo rifugiato a Torino. Di scarso cervello politico, impetuoso fino alla leggerezza, teatrale e un po' troppo portato a ostentare i suoi titoli di "martire", aveva fino allora militato sotto bandiera rivoluzionaria. (cap. 32, p. 514) *{{NDR|Tra i Mille di Garibaldi}} C'era il malinconico ex prete [[Giuseppe Sirtori|Sirtori]], che della guerra aveva fatto una mistica e sul campo sembrava che officiasse. (cap. 40, p. 635) ===''L'Italia dei notabili''=== *La [[Convenzione di settembre|Convenzione]], che fu detta "di Settembre" dal mese in cui venne concordata, si componeva di cinque articoli e stabiliva: che l'Italia rinunziava ad ogni atto di ostilità contro il territorio pontificio; che la Francia ne avrebbe ritirato le sue truppe via via che il governo del Papa le avesse rimpiazzate con volontari indigeni e stranieri, e comunque entro due anni; e che questo doppio impegno sarebbe entrato in vigore dal momento in cui il governo italiano avesse decretato il trasferimento della capitale da operarsi nello spazio di sei mesi. (Capitolo quinto, Firenze capitale, p. 76) *Gli sventramenti che furono operati {{NDR|a Firenze, nuova capitale del Regno d'Italia}} per alloggiare i Ministeri e i nuovi quartieri che sorsero alla periferia per ospitare i venticinque o trentamila impiegati che calarono da Torino, lasciarono la città orrendamente sfregiata e carica di debiti. (Capitolo quinto, Firenze capitale, p. 78) *{{NDR|[[Carmine Crocco]]}} [...] condannato per diserzione a vent'anni di carcere, ne era evaso, si era dato alla macchia, e in poco tempo era diventato il più temuto e rispettato capobanda della [[Basilicata|Lucania]] non soltanto per il suo coraggio, ma anche per la sua intelligenza di guerrigliero.</br>[...] Crocco venne riconosciuto Generalissimo non solo per l'autorità che gli conferivano le sue gesta, ma anche, perché, sebbene mezzo analfabeta, possedeva un'oratoria immaginosa e apocalittica. (Capitolo sesto, I briganti, pp. 85-89) *{{NDR|[[Giustino Fortunato]]}} [...] il più grande e illuminato studioso del Meridione. (Capitolo sesto, I briganti, p. 86) *Figlio di un fabbro e medico di professione, [[Giovanni Lanza|Lanza]] incarnava, nella Destra piemontese tradizionalmente formata da nobili, militari e grandi borghesi, un tipo umano del tutto insolito: il nuovo piccolo ceto medio, spartano e puritano, formatosi nelle scuole serali e nell'Università popolare. (Capitolo nono, Gli anni della lesina, p. 133) *L'esercito papalino era un'accozzaglia di mercenari delle più svariate nazionalità (c'erano perfino dei turchi). [...] circa 15.000 uomini, al comando del generale [[Hermann Kanzler|Kanzler]]. Compito gentiluomo, ligio al Regolamento come lo era al Catechismo, questi aveva tuttavia un concetto tedesco dell'onore militare e avrebbe preferito una sconfitta a una resa. Ma {{NDR|Il segretario di Stato}} Antonelli non era di questa opinione. Gli ordinò di ritirare le truppe {{NDR|pontificie}} dentro le mura e di limitarsi a un simulacro di resistenza. (Capitolo decimo, Porta Pia, pp. 141-142) *{{NDR|La duchessa [[Eugenia Attendolo Bolognini Litta|Eugenia Litta]]}} Durante la campagna del '59<ref>Seconda guerra d'indipendenza italiana.</ref> era stata il riposo del guerriero più famoso e importante: [[Napoleone III di Francia|Napoleone III]]. E secondo le malelingue era passata subito dopo in eredità a [[Vittorio Emanuele II di Savoia|Vittorio Emanuele]], che però era il meno adatto ad apprezzare la sua vita di vespa, le sue carni pallide e i suoi raffinatissimi gusti. [[Honoré de Balzac|Balzac]] le aveva reso omaggio. [[Arrigo Boito|Boito]] seguitava a rendergliene. [[Gabriele D'Annunzio|D'Annunzio]] dirà ch'essa "aveva rubato il segreto a Ninon de Lenclos<ref>Scrittrice, cortigiana ed epistolografa francese (1620–1705).</ref>". Insomma come iniziatrice all'amore, il giovane principe {{NDR|il futuro [[Umberto I di Savoia|Umberto I]]}} non poteva desiderarne una più fascinosa ed esperta. Lo fu al punto che, nonostante la differenza d'età, egli le rimase devoto – anche se non fedele – fino alla fine dei suoi giorni. (Capitolo quattordicesimo, Il marito di Margherita, p. 196) *{{NDR|[[Margherita di Savoia]]}} [...] era una vera e seria professionista del trono, e gl'italiani lo sentirono. Essi compresero che, anche se non avessero avuto un gran Re, avrebbero avuto una grande Regina. (Capitolo quattordicesimo, Il marito di Margherita, p. 197) *Il trattato {{NDR|della [[Triplice alleanza (1882)|Triplice alleanza]]}} fu firmato a Vienna nel maggio dell'82<ref>20 maggio 1882.</ref>. Esso impegnava le tre Potenze al reciproco aiuto nel caso in cui una fosse aggredita e alla benevola neutralità nel caso che aggredisse. Inoltre Austria e Germania dichiaravano di disinteressarsi del problema del Papa, considerandolo un affare interno italiano.<br>Quest'ultima clausola fu, insieme alla fine dell'isolamento, il grande vantaggio che l'Italia trasse dal patto, ma nient'altro. Essa non vi era entrata su un piede di parità con le consocie. Aveva semplicemente acceduto all'alleanza che già legava le altre due, le quali restavano per così dire le padrone di casa, e Bismarck non perse occasione di farcelo sentire. (Capitolo diciannovesimo, La Triplice, pp. 276-277) *L'unico Stato che ruppe le relazioni con quello italiano in seguito a [[Presa di Roma|Porta Pia]] fu l'Ecuador. Mai la Chiesa si era trovata in condizioni di più completo isolamento. (Capitolo ventitreesimo, I cattolici, p. 334) *Sindaco di Palermo a ventisette anni, {{NDR|[[Antonio Starabba, marchese di Rudinì|il marchese di Rudinì]]}} aveva affrontato con molto coraggio la rivolta che vi era scoppiata nel '66, e questo lo aveva accreditato come il fanciullo-prodigio del moderatismo, destinato a gloriose imprese. Ma, diceva De Sanctis, col passare del tempo, il prodigio dileguò e rimase solo il fanciullo. Ministro degl'Interni a trent'anni in uno dei governi Menabrea, la sua carriera si era fermata lì. Pure, la fama di "uomo forte" gli era rimasta addosso, suffragata anche dalla sua alta statura, dai lampeggiamenti del monocolo, dalla fluente barba, dalla nobilesca alterigia. Idee, non ne aveva. Ma aveva delle impennate che facevano credere alla sua risolutezza. E questo, in una Destra impoverita di personalità di rilevo, gli era bastato per guadagnarsi i galloni di capo. (Capitolo ventiquattresimo, Giolitti, pp. 348-349) *In realtà, del soldato, [[Oreste Baratieri|Baratieri]] non aveva neanche il fisico. Grasso e sgraziato, con gli occhiali a ''pince-nez'', sembrava molto più vecchio dei suoi cinquant'anni e costruito più per la cattedra che per l'elmo. (Capitolo ventisettesimo, Adua, p. 391) *{{NDR|Dopo le dimissioni del generale [[Luigi Pelloux|Pelloux]]}} A succedergli il Re chiamò il Presidente del Senato [[Giuseppe Saracco|Saracco]], un galantuomo ch'era riuscito a conservare intatta la sua reputazione di democratico pur essendo stato due volte Ministro nei governi di Crispi. Aveva quasi ottant'anni, ma conservava una notevole lucidità di cervello, e ne dette prova formando un governo di coalizione che includeva un po' tutte le forze, meno l'Estrema cui diede tuttavia soddisfazione chiamando parecchi suoi uomini nella commissione incaricata di studiare un nuovo regolamento parlamentare che, senza intaccare la libertà di discussione, impedisse l'ostruzionismo, o per meglio dire lo regolasse. (Capitolo ventottesimo, I cannoni di Bava Beccaris, p. 417) ===''L'Italia di Giolitti''=== *Si è detto che {{NDR|[[Egidio Osio]]}} plagiò il suo pupillo {{NDR|il principe ereditario, futuro re [[Vittorio Emanuele III di Savoia|Vittorio Emanuele III]]}} e ne lesionò definitivamente il carattere terrorizzandolo e mortificandone gli slanci. Si è detto che anche sul suo fisico ebbe pessima influenza costringendolo a penosi e logoranti sforzi. Si è detto che furono i suoi metodi repressivi a creare nel Principe quei complessi d'inferiorità da cui fu sempre afflitto, a traumatizzarlo, a inaridirlo, a riempirne l'animo di sordi rancori.<br>Ma se non proprio di falsità, si tratta di verità contraffatte. (cap. I, Il nuovo Re, p. 15) *Militare dalla testa ai piedi, Osio era un uomo duro, imperioso, abituato al comando. [...] Ma era anche un gran signore, perfetto uomo di mondo, e nutrito di buone letture. Sebbene la sua carriera potesse esserne notevolmente avvantaggiata, esitò molto ad accettare l'incarico {{NDR|di tutore del principe ereditario}}, vi si risolse solo dietro garanzia che nemmeno i genitori avrebbero più interferito nell'educazione del ragazzo, di cui egli diventava unico e assoluto responsabile, e al termine della sua missione non beneficiò di nessuno "scatto di grado". (cap. I, Il nuovo Re, pp. 15-16) *[[Elena del Montenegro|Elena]], che da ragazza dipingeva, suonava il violino, componeva poesie come suo padre<ref>Nicola I del Montenegro.</ref>, e amava il tennis e la danza, rinunziò a questi passatempi appena vide che lui {{NDR|il futuro Vittorio Emanuele III}} li detestava, anzi adottò come ''hobbies'' quelli di lui: la numismatica e l'archeologia. Per il resto fu soltanto una donna di casa, come lo era stata a Cettigne<ref>Capitale del Regno del Montenegro.</ref>. Sapendolo insofferente dei camerieri, era lei che lo serviva a tavola, e per farsi i vestiti si prese in casa una sartina. (cap. I, Il nuovo Re, p. 27) *[[Filippo Meda|Meda]] era un avvocato milanese di spirito pratico, che considerava l'astensione dal voto {{NDR|dei cattolici}} un dovere da osservare finché il Papa lo imponeva, ma un grosso errore strategico di cui occorreva sollecitare la revoca. Lo Stato liberale, diceva, c'è e va accettato. Va soltanto salvato dalle sue tentazioni autoritarie e giacobine. E questo i cattolici possono farlo soltanto inserendocisi e riformandolo in modo da tenerlo al riparo dai pericoli d'involuzione. Lo Stato cioè per lui era un "peccatore da salvare". (cap. IV, Cattolici e socialisti, p. 72) *[...] [[Romolo Murri|Murri]] era un giovane sacerdote marchigiano, che aveva conosciuto la povertà e nel Vangelo vedeva soprattutto un messaggio giustizialista. Introverso e malinconico come tutti i fanatici, egli si considerava molto più "avanzato" di Meda per il carattere rivoluzionario che intendeva imprimere al movimento {{NDR|cattolico}}. In realtà era un uomo del ''[[Sillabo]]'' che, pur partendo anche lui dall'accettazione dello Stato unitario, intendeva tramutarlo in una [[teocrazia]] egalitaria e totalitaria, sul tipo di quella che i Gesuiti avevano fondato un paio di secoli prima nel Paraguay. Se a ispirarlo fosse più l'amore del povero o l'odio del ricco, non sappiamo. (cap. IV, Cattolici e socialisti, pp. 72-73) *Meda e Murri furono dapprincipio alleati. Entrambi volevano un grande partito, popolare indipendente dalla Chiesa. Ma Meda lo concepiva come lo sviluppo della organizzazione tradizionale, cioè dell'''Opera''<ref>"Opera dei congressi e dei comitati cattolici", spesso abbreviata in "Opera dei congressi", organizzazione cattolica italiana, sciolta nel 1904.</ref>, una volta strappatala alla vecchia guardia, mentre Murri lo vedeva come un organismo nuovo, un "Fascio", come quelli che pochi anni prima avevano messo a soqquadro e insanguinato la Sicilia. (cap. IV, Cattolici e socialisti, p. 73) *Lo [[Sciopero generale del 1904|sciopero {{NDR|generale del 1904}}]] [...] non fu un fallimento, ma non fu nemmeno un successo perché si esaurì spontaneamente, e il suo più consistente risultato fu la spaccatura delle forze operaie. Lo si vide pochi mesi dopo, quando i sindacalisti bandirono un altro sciopero, quello delle ferrovie, da cui i sindacalisti uscirono demoralizzati e con la truppa dimezzata. (cap. IV, Cattolici e socialisti, p. 85) *[[Alessandro Fortis|Fortis]] era un tipico notabile romagnolo di lungo e contradditorio corso ideologico. Aveva debuttato come repubblicano intransigente, era andato in galera per complotto rivoluzionario con gli anarchici, poi era stato conquistato da [[Francesco Crispi|Crispi]], era finito {{sic|Ministro}} di [[Luigi Pelloux|Pelloux]], e ora militava sotto la bandiera di [[Giovanni Giolitti|Giolitti]]. Come "trasformista", era tra i più qualificati. Ma questa pecca era abbondantemente compensata dai suoi doni di simpatia umana e da una grande esperienza parlamentare. (cap. VI, Il suffragio universale, p. 107) *Quando [[Enrico Corradini|Corradini]] applicò il vocabolario socialista alla Nazione parlando di una "Italia proletaria" in lotta contro le plutocrazie occidentali, e lanciò l'idea di un "imperialismo operaio" da contrapporre a quello capitalistico, riscosse in campo sindacalista vasti consensi e pose le premesse di un pasticcio ideologico in cui Mussolini avrebbe di lì a poco guazzato. (cap. VII, "Tripoli bel suol d'amore", p. 137) *{{NDR|Giolitti}} Più che la Libia, voleva la [[Guerra italo-turca|guerra]], o meglio qualcosa che desse finalmente agl'italiani l'impressione di farne una e di vincerla. (cap. VII, "Tripoli bel suol d'amore", p. 145) *[...] a Vienna l'imperatore Francesco Giuseppe aveva dovuto intervenire di persona per fermare la mano al Capo di Stato Maggiore [[Franz Conrad von Hötzendorf|Conrad]] che voleva una spedizione punitiva contro l'Italia, ora ch'era impegnata in Africa {{NDR|nella guerra di Libia}}, per metterla in ginocchio "prima che avesse il tempo di perpetrare altri tradimenti". (cap. VII, "Tripoli bel suol d'amore", pp. 149-150) *Non si è mai saputo con certezza come si svolse l'operazione {{NDR|del [[patto Gentiloni]]}} che, ben s'intende, doveva restare segretissima. Giolitti negò sempre di avervi partecipato, e infatti d'impronte digitali non ve ne lasciò. Fu probabilmente senza le sue credenziali, ma certamente non senza il suo beneplacito che qualche esponente liberale prese contatto coi cattolici. Questi avevano una "unione elettorale" di cui era Presidente un Conte marchigiano, [[Vincenzo Ottorino Gentiloni|Gentiloni]], politico abile, ma vanesio e chiacchierone. Egli s'impegnò a mobilitare il voto cattolico in favore dei candidati liberali dovunque questi fossero minacciati dalla Estrema Sinistra; e i liberali s'impegnarono a difendere la parificazione delle scuole confessionali a quelle dello Stato, a ripristinare in queste ultime l'istruzione religiosa, a respingere l'introduzione del divorzio, e – pare – a combattere la Massoneria. (cap. VIII, Il crepuscolo degli dei, p. 163) *Se [[Gaetano Salvemini|Salvemini]] incarnava lo spirito protestatario e la sete giustizialista delle plebi meridionali, [[Antonio Salandra|Salandra]] incarnava lo spirito autoritario e conservatore della borghesia terriera. Proveniva da una famiglia di notabili pugliesi con parecchia roba al sole, e alla politica era approdato dalla cattedra universitaria, di cui conservava molti caratteri: una notevole cultura e finezza intellettuale, ma anche un compassato distacco che rasentava la freddezza. Prima di affrontare un problema lo studiava minuziosamente, e nessuno sapeva prospettarlo con più chiarezza di lui. (cap. IX, Sarajevo, p. 168) *[[Paolo Boselli]] {{NDR|incaricato nel 1916 di formare il nuovo governo dopo le dimissioni di Antonio Salandra}}, che fu chiamato a presiederlo, possedeva tutti i requisiti, meno quelli che occorrono per guidare un Paese in guerra. Deputato ligure da parecchie legislature, era stato varie volte Ministro con Crispi, Pelloux e Sonnino, ma nessuno se n'era accorto. [...]. Passava per un esperto di questioni economiche, e moralmente era un personaggio di tutto rispetto. Ma politicamente era scolorito, e per di più aveva quasi ottant'anni. (cap. XVI, La caduta di Salandra, pp. 293-294) *Quanto [[Luigi Cadorna|Cadorna]] era solitario, monacale ruvido e chiuso in un giro di valori e d'idee tradizionali, tanto [[Luigi Capello|Capello]] era brillante, estroverso, moderno, ricco d'immaginazione e maestro di "pubbliche relazioni". (cap. XVI, La caduta di Salandra, pp. 298-299) *Lucano di Melfi, [[Francesco Saverio Nitti]] incarnava anche nel fisico tozzo e grassottello il tipo del notabile meridionale, colto, brillante, scettico e alquanto egocentrico. [...] la sua specialità era il problema del Mezzogiorno, di cui fu tra i primi seri studiosi e che gli fornì anche la base elettorale. [...]. Sul livello medio della classe politica di allora, egli faceva spicco per preparazione, equilibrio e lucidità, ma anche per una certa propensione ad attribuirsi il monopolio di queste virtù. (cap. XXIII, Versaglia, pp. 420-421) ===''L'Italia in camicia nera''=== *Un altro utile incontro fu per Mussolini quello con [[Angelica Balabanoff]], personaggio già di notevole rilevo nel socialismo internazionale. Era una russa di buona famiglia borghese, che fin da giovanissima si era imbrancata con quella ''intellighenzia'' rivoluzionaria da cui venivano anche i Lenin, i Trotzky, e gli altri futuri grandi del bolscevismo. A spingerla era stata la ribellione contro la meschinità, lo snobismo provinciale, il sussiego di casta, i tabù del suo ceto. (cap. 1, p. 23) *Angelica {{NDR|Balabanoff}} non era bella, non aveva la grazia eterea ed esangue di Anna {{NDR|[[Anna Kuliscioff|Kuliscioff]]}}. Ma non era nemmeno sgradevole, nonostante i fianchi massicci e gli zigomi pronunciati, eppoi era una russa, cosa che faceva un grande effetto al piccolo provinciale di Predappio<ref>Mussolini era nato a Dovia, frazione di Predappio.</ref>. Anche se fra loro non divampò la passione che aveva legato Anna ad [[Andrea Costa]], qualcosa ci fu, ed ebbe la sua importanza. Angelica cercò d'incivilire quel selvaggio trasandato che passava da ostinati mutismi a interminabili sproloqui conditi di orrende bestemmie. Lo sfamava, gli lavava la biancheria, lo iniziava, sia pure con poco successo, al marxismo [...]. (cap. 1, p. 25) *Uno dei tre protagonisti del giuoco {{NDR|[[Gabriele D'Annunzio]]}} era eliminato. La partita ora si riduceva agli altri due: Giolitti e Mussolini. (cap. 1, p. 101) *Mussolini aveva vinto, e la sua vittoria significava che il fascismo, abbandonata la pretesa di presentarsi come un movimento rivoluzionario di sinistra, quale lo avrebbero voluto Grandi, Farinacci e Marsich, presentava la sua candidatura a forza egemonica della destra e infilava la «via parlamentare» al potere.<br>C'era un pericolo, e Mussolini lo capì subito: che questa svolta a destra mettesse il partito alla mercé della sua ala reazionaria incarnata soprattutto dal ''ras'' piemontese [[Cesare Maria De Vecchi|De Vecchi]], uomo di poco cervello, ma tutto Trono e Altare, e che quindi poteva anche tornar comodo per il futuro. (cap. 2, p. 127) *[...], i giolittiani riuscirono a portare al governo uno dei suoi {{NDR|di Giolitti}} «ascari» più fedeli, ma anche dei più sbiaditi: [[Luigi Facta]].<br> Facta era un bravo avvocato di provincia piemontese con tutte le virtù, ma anche con tutti i limiti del suo ambiente: un uomo probo e integro, che dopo trent'anni di vita parlamentare ne aveva ormai una certa esperienza, aveva ricoperto con onore alcune cariche ministeriali, non aveva alcuna ambizione che quella di servire fedelmente il suo capo, né altre idee che quelle di lui. Tutto gli si poteva chiedere fuorché risolutezza ed immaginazione, cioè proprio le qualità che più urgevano. (cap. 2, pp. 143-144) *[...] le sue intenzioni {{NDR|Mussolini}} non le confidava nemmeno al segretario del partito, [[Michele Bianchi|Bianchi]], di cui apprezzava la fedeltà e l'impegno, ma non l'intelligenza: lo considerava angoloso, settario, puntiglioso vendicativo e privo d'intuito politico. L'unico con cui si apriva seguitava ad essere [[Cesare Rossi]], l'uomo che gli era stato accanto dal primo momento, lo aveva seguito in tutte le sue palinodie e gli dava sempre dei consigli che corrispondevano ai suoi desideri. (cap. 4, p. 166) *{{NDR|[[Vittorio Emanuele III]]}} non si fidava completamente di Mussolini, ma si fidava ancora meno dei suoi avversari ed era convinto che costoro, se avessero preso il mestolo in mano, avrebbero ricreato il caos del dopoguerra. Comunque, a una cosa era assolutamente deciso: a non farsi coinvolgere nella lotta politica, come del resto gli dettava la Costituzione di cui, quando gli faceva comodo, sapeva ricordarsi. ====[[Explicit]]==== *Resterebbe solo da sapere con che animo Mussolini s'investì, il 3 gennaio, nella parte di dittatore. Se, come molti sostengono, gli sforzi che fino a quel momento aveva fatto per evitarla erano stati solo un giuoco per dimostrare che non era lui a volerla, ma gli eventi ad imporgliela, bisogna riconoscere che come {{sic|giuocatore}} sapeva il fatto suo. ==''Storia dei Greci''== *Il modo migliore per ripagare il nostro contemporaneo [[Heinrich Schliemann|Enrico Schliemann]] degli enormi servigi che ci ha reso nella ricostruzione della civiltà classica, mi pare sia quello di assumerlo fra i suoi protagonisti, com'egli stesso mostrò di desiderare ardentemente, scegliendosi, in pieno secolo decimonono, [[Zeus]] come dio e a lui indirizzando le sue preghiere, battezzando [[Agamennone]] suo figlio, Andromaca sua figlia, Pélope e Telamone i suoi servitori, e dedicando a [[Omero]] tutta la sua vita e i quattrini. (cap. 2; 2004, p. 17) *{{NDR|Su [[Heinrich Schliemann|Schliemann]]}} Era un matto, ma tedesco, cioè organizzatissimo nella sua follia, che la buona sorte volle ricompensare. La prima storia che gli raccontò suo padre, quando aveva cinque o sei anni, non fu quella di [[Cappuccetto Rosso]], ma quella di [[Ulisse]], di [[Achille]] e di Menelao. Ne aveva otto, quando annunziò solennemente in famiglia che intendeva riscoprire Troia e dimostrare, ai professori di storia che lo negavano, ch'essa era realmente esistita. Ne aveva dieci, quando compose in latino un saggio su questo argomento. E ne aveva sedici, quando sembrò che questa infatuazione gli fosse del tutto passata. Infatti s'era impiegato come garzone di una drogheria, dove scoperte archeologiche non c'era da farne di certo, e di lì a poco s'imbarcò non per l'Ellade, ma per l'America, in cerca di fortuna. (cap. 2; 2004, p. 17) *Di nuovo il buon Dio, che per i matti ha un debole, lo compensò di tanta fede, guidando il suo piccone sugli scantinati del palazzo dei discendenti di re Atreo, nei cui sarcofaghi furono ritrovati gli scheletri, le maschere d'oro, i gioielli e il vasellame che si ritenevano esistiti solo nella fantasia di Omero. E Schliemann telegrafò al re di Grecia: ''Maestà, ho ritrovato i vostri antenati''. Poi, ormai sicuro del fatto suo, volle dare il colpo di grazia agli scettici del mondo intero e, sulle indicazioni di [[Pausania]], andò a Tirinto e vi disseppellì le ciclopiche mura del palazzo di Proteo, di Perseo e di [[Andromeda|Andròmeda]]. (cap. 2; 2004, pp. 19-20) *Schliemann morì quasi settantenne nel 1890, dopo aver sconvolto tutte le tesi e le ipotesi su cui si era basata sino ad allora la ricostruzione della preistoria greca, tesa ad esiliare Omero e Pausania nei cieli della pura fantasia. (cap. 2; 2004, p. 20) *Ma ora, dopo le scoperte del tedesco matto, non abbiamo più il diritto di mettere in dubbio la realtà storica di Agamennone, di Menelao, di [[Elena]], di [[Clitennestra]], di Achille e di Patroclo, di Ettore e di Ulisse, anche se le loro avventure non sono state esattamente quelle che Omero ha descritto, facendoci sopra la cresta. Schliemann ha arricchito la storia e impoverito la leggenda, di alcune decine di personaggi di primissimo piano. Grazie a lui alcuni secoli, che prima erano nel buio, sono entrati nella luce, anche se è quella incerta della primissima alba. Ed è solo per mano a lui che possiamo esplorarla. (cap. 2; 2004, p. 21) *Senza dubbio gli [[achei]], a differenza dei pelasgi, furono terrieri, tant'è vero che fino alla guerra di Troia imprese per mare non ne azzardarono, e ogni volta che lo trovavano si fermavano. Essi non tentarono di mettere il piede nemmeno nelle isole più vicine al continente, e tutte le loro capitali e cittadelle erano nell'interno. La Grecia, sotto di loro, si limitava al Peloponneso, all'Attica e alla Beozia; mentre per le popolazioni pelasgiche della civiltà micenea, ch'erano marinare, essa inglobava anche tutti gli arcipelaghi dell'Egeo. (cap. 3, ''Gli Achei''; 2004, p. 25) *[[Diogene di Sinope|Diogene]], che aveva la lingua lunga, disse che la religione greca era quella cosa per cui un ladro che sapeva bene l'Avemaria e il Paternoster era sicuro di potersela cavar meglio, nell'al di là di un galantuomo che li aveva dimenticati. Non aveva torto. La [[Religione dell'antica Grecia|religione]], in Grecia, era soltanto un fatto di procedura, senza contenuto morale. Ai fedeli non si chiedeva la fede né si proponeva il bene. S'imponeva solo il compimento di certe pratiche burocratiche. E non poteva essere diversamente, visto che di contenuto morale gli stessi {{sic|dèi}} ne avevano ben poco e non si poteva certo dire che fornissero un esempio di virtù. (cap. 7, ''Zeus e famiglia''; 2004, p. 54) *Anche [[Pisistrato]] era aristocratico e di famiglia ricca. Ma aveva capito che la [[democrazia]], una volta instaurata, è irreversibile e va sempre a sinistra. (cap. 15, ''Pisistrato''; 2004, p. 98) *Pisistrato, invece di cinquanta uomini, ne arruolò e armò quattrocento, s'impadronì dell'Acròpoli, e proclamò la dittatura. In nome e per il bene del popolo, si capisce, come tutte le dittature. (cap. 15; 2004, p. 91) *La stragrande maggioranza degli ateniesi, dopo averlo a lungo osteggiato e tenuto in gran sospetto, si erano sinceramente affezionati a Pisistrato che aveva dalla sua un'arma formidabile: la simpatia. (cap. 15; 2004, pp. 92-93) *Il tiranno Pisistrato seppe sfuggire a tutte le tentazioni del potere assoluto, meno una: quella di lasciare il «posto» in eredità ai figli, [[Ippia (tiranno)|Ippia]] e [[Ipparco (tiranno)|Ipparco]]. L'amor paterno gl'impedì di vedere con la consueta chiarezza che i totalitarismi non hanno eredi e che quello suo si giustificava soltanto come una eccezione alla democrazia per assicurarle ordine e stabilità. Peccato. (cap. 15; 2004, p. 95) *Pisistrato era morto nel 527 avanti Cristo. Ventun anni dopo, cioè nel 506, troviamo uno dei suoi due figli, da lui designati a succedergli, Ippia, alla corte del re di Persia, [[Dario I di Persia|Dario]], per suggerirgli l'idea di muover guerra contro Atene e la Grecia tutta. I grandi uomini non dovrebbero mai lasciare né vedove né eredi. Sono pericolosissimi. (cap. 16, ''I persiani alle viste''; 2004, p. 103) *Questo Ippia non aveva debuttato male, dopo che suo padre fu calato nella fossa. Era un giovanotto sveglio che, a furia di stare accanto al babbo, ne aveva imparato molte malizie, e alla politica aveva passione, a differenza di suo fratello Ipparco che invece s'interessava soltanto di poesia e di amore, in modo che fra i due non c'erano nemmeno pericolose rivalità. Eppure, a procurare i guai che condussero alla caduta della dinastia, fu proprio Ipparco. (cap. 16; 2004, p. 96) *Ipparco ebbe la disgrazia d'inciampare in un bellissimo guaglione di nome Armodio, che un certo Aristogitone – aristocratico quarantenne, prepotente e geloso – considerava sua proprietà. Costui concepì l'idea di sbarazzarsi del rivale col pugnale e, per dare all'assassinio un'etichetta più pulita che lo rendesse popolare, pensò di estenderlo anche al fratello Ippia facendolo passare per «delitto politico» in nome della libertà e contro la tirannia. Organizzò in questo senso una congiura con altri nobili latifondisti e, in occasione di una festa, tentò il colpo, che andò bene solo a mezzo: Ipparco ci rimise la pelle, ma Ippia scampò. E da quel momento, un po' per rancore, un po' per paura di altri complotti, il figlio e l'allievo di Pisistrato, dittatore liberale indulgente e illuminato, diventò un ''tiranno'' autentico. (cap. 16; pp. 96-97) *Lo scontento del popolo inferocì Ippia, che a sua volta inferocì il popolo. E quando il divorzio fra i due fu totale, i fuoriusciti, che frattanto si erano concentrati a Delfi, chiamarono in aiuto gli spartani, e insieme marciarono contro Atene. (cap. 16; 2004, p. 97) *Ippia si rifugiò sull'Acròpoli coi suoi sostenitori. Ma, per mettere in salvo i suoi figlioletti, cercò di farli segretamente espatriare. Gli assedianti li catturarono e l'infelice padre, per salvar la vita a loro e a se stesso, capitolò e si avviò in volontario esilio. Non bisogna dimenticare che nelle sue vene scorreva tuttavia il sangue di Pisistrato, cioè di un uomo sempre pronto a sacrificare la posizione alla famiglia, ma mai disposto a rassegnarsi alla sconfitta. (cap. 16; 2004, p. 97) *[[Milziade]] aveva capito qual era il debole dei [[Persia|persiani]]: essi erano bravi soldati individualmente, ma non avevano nessuna idea della manovra collettiva. E su questa puntò. A dar retta agli storici del tempo — che purtroppo erano tutti greci, — Dario perse settemila uomini, Milziade neanche duecento. (cap. 17, ''Milziade e Aristide''; 2004, p. 112) *{{NDR|A Milziade}} sopravvisse [[Aristide]], le cui vicende purtroppo ci dimostrano che l'[[onestà]] in [[politica]] non trova sempre i suoi compensi e che la [[storia]], come le [[donna|donne]], ha un debole per i birbaccioni. (cap. 17, ''Milziade e Aristide''; 2004, p. 112) *Nike, diventata ragazza, porta il [[peplo]] di lana, bianca o colorata, ma questa è l'unica scelta che le si lascia. Siccome è confinata in casa, non può nemmeno far quella di un ragazzo che le piace, e deve aspettare che il padre si metta d'accordo con un altro padre per combinare il matrimonio. (cap. 23, ''Una Nike qualsiasi''; 2004, p. 143) *Quando il grande [[Mirone]], rincorbellito dalla vecchiaia, si vide arrivare in studio come modella Laìde<ref>Etera dell'antica Grecia, celebre per la sua bellezza.</ref>, perse la testa e le offrì tutto ciò che possedeva purché restasse la notte. E siccome essa rifiutò, l'indomani il poveruomo si tagliò la barba, si tinse i capelli, indossò un giovanile [[chitone]] color porpora e si passò una mano di carminio sul viso. «Amico mio», gli disse Laìde, «non sperare di ottenere oggi ciò che ieri rifiutai a tuo padre». (cap. 23, ''Una Nike qualsiasi''; 2004, p. 150) *{{NDR|[[Fidia]]}} Qualcosa, nel suo carattere, doveva farne un nemico degli uomini, visto che nessuno lo amava. Eppure egli non fu soltanto un grande scultore, ma anche un grandissimo maestro, che, oltre ad aver creato uno stile, ne fece anche una scuola, trasmettendone le regole ad allievi come Agoracrito e Alcamene, continuatori del «classico». (cap. 25, ''Fidia sul Partenone''; 2004, p. 165) *Gli uomini non sanno apprezzare e misurare che la [[fortuna]] degli altri. La propria, mai. (cap. 25, ''Fidia sul Partenone''; 2004, p. 166) ==''Storia di Roma''== ===[[Incipit]]=== Non sappiamo con precisione quando a Roma furono istituite le prime scuole regolari, cioè «statali». Plutarco dice che nacquero verso il 250 avanti Cristo, cioè circa cinquecent'anni dopo la fondazione della città. Fino a quel momento i ragazzi romani erano stati educati in casa, i più poveri dai genitori, i più ricchi dai ''magistri'', cioè da maestri, o istruttori, scelti di solito nella categoria dei liberti, gli schiavi liberati, che a loro volta erano scelti fra i prigionieri di guerra, e preferibilmente fra quelli di origine greca, che erano i più colti. ===Citazioni=== <!--segui nel riportare le citazioni l'ordine cronologico del libro--> *Non ho scoperto nulla, con questo libro. Esso non pretende di portare "rivelazioni", nemmeno di dare una interpretazione originale della storia dell'Urbe. Tutto ciò che qui racconto è già stato raccontato. Io spero solo di averlo fatto in maniera più semplice e cordiale, attraverso una serie di ritratti che illuminano i protagonisti in una luce più vera, spogliandoli dei paramenti che fin qui ce li nascondevano. (introduzione) *{{NDR|[[Numa Pompilio]]}} Quelle che più lo interessavano erano le questioni religiose. E siccome in questa materia ci doveva essere una grossa anarchia perché ognuno dei tre popoli {{NDR|etruschi, latini e sabini}} venerava i propri {{sic|dèi}}, fra i quali non si riusciva a capire chi fosse il più importante, Numa decise di mettervi ordine. E per imporlo, questo ordine, ai suoi riottosi sudditi, fece spargere la notizia che ogni notte, mentre dormiva, la ninfa Egeria veniva a visitarlo in sogno dall'Olimpo per trasmettergliene direttamente le istruzioni. Chi vi avesse disobbedito, non era col re, uomo fra gli uomini, che avrebbe dovuto vedersela, ma col Padreterno in persona. (Rizzoli 1959, cap. 3, ''I re agrari'', pp. 37-38) *[[Tarquinio Prisco|Lucio Tarquinio]] e i suoi amici etruschi dovettero veder subito che profitto si poteva trarre da questa massa di gente, per la maggior parte esclusa dai comizi curiati, se si fosse potuta convincerla che solo un re forestiero come lui avrebbe potuto farne valere i diritti. E per questo l'arringò, promettendole chissà cosa, magari ciò che poi fece davvero. [...] Certamente ci riuscirono perché Lucio Tarquinio fu eletto col nome di Tarquinio Prisco, rimase sul trono trentotto anni, e per liberarsi di lui i ''patrizi'', cioè i «terrieri», dovettero farlo assassinare. Ma inutilmente. Prima di tutto perché la corona, dopo di lui, passò al figlio, eppoi a suo [[Tarquinio il Superbo|nipote]]. In secondo luogo perché, più che la causa, l'avvento della dinastia dei Tarquini fu l'effetto di una certa svolta che la storia di Roma aveva subìto e che non le consentiva più di tornare al suo primitivo e arcaico ordinamento sociale e alla politica che ne derivava. (RCS 2004, cap. 4, ''I re mercanti'', pp. 38-39) *Questo secondo [[Tarquinio il Superbo|Tarquinio]], prima di rischiare il colpo, tentò di far deporre lo zio per abuso di potere. Servio si presentò alle centurie che lo riconfermarono re con plebiscitaria acclamazione (lo racconta [[Tito Livio]], gran repubblicano, dunque dev'esser vero). Non restava quindi che il pugnale, e Tarquinio lo usò senza troppi scrupoli. Ma il respiro di sollievo che trassero i senatori, coi quali si era alleato, rimase loro in gola, quando videro l'uccisore sedersi a sua volta sul trono d'avorio senza chieder loro permesso, come avveniva a quei buoni vecchi tempi ch'essi speravano di restaurare. Il nuovo sovrano si mostrò subito più tirannico di quello che aveva spedito all'altro mondo. E infatti lo ribattezzarono «il Superbo» per distinguerlo dal fondatore della dinastia. (RCS 2004, cap. 4, ''I re mercanti'', pp. 42-43) *Non sappiamo quasi nulla di [[Lars Porsenna|Porsenna]]. Ma dal modo come si condusse, dobbiamo dedurre che alle doti del bravo generale doveva accoppiare quelle del sagace uomo politico. Egli si rese conto che negli argomenti di [[Tarquinio il Superbo|Tarquinio]] c'era del vero. Ma prima d'impegnarsi, volle essere sicuro di due cose: che il Lazio e la Sabina erno davvero pronti a schierarsi dalla sua parte, e che nella stessa Roma c'era una «quinta colonna» monarchica pronta a facilitargli il compito con un'insurrezione. (RCS 2004, cap. 5, ''Porsenna'', p. 49) *Da quell'anno 508 in cui fu fondata la repubblica, tutti i monumenti che i romani innalzarono un po' dappertutto portarono sempre la sigla SPQR che vuol dire: ''Senatus PopuluSque Romanus'', cioè «il Senato e il popolo romano». Cosa fosse il Senato, già lo abbiamo detto. Viceversa non abbiamo ancora detto cos'era il popolo, che non corrispondeva affatto a ciò che noi intendiamo con questa parola. In quei lontani giorni di Roma esso non comprendeva «tutta» la cittadinanza, come avviene oggi, ma soltanto due «ordini», cioè due classi: quella dei «patrizi» e quella degli ''equites'' o «cavalieri». (RCS 2004, cap. 6, ''SPQR'', p. 54) *{{NDR|[[Sacco di Roma (390 a.C.)]]}} Gli storici che lo hanno raccontato a cose fatte hanno avvolto di molte leggende questo capitolo che dovett'essere per l'Urbe molto spiacevole. Dicono che quando i [[galli]] fecero per dare la scalata al [[Campidoglio]], le oche sacre a Giunone cominciarono a stridere risvegliando così [[Marco Manlio Capitolino|Manlio Capitolino]] che, alla testa dei difensori, respinse l'attacco. Sarà. Però i galli in Campidoglio entrarono ugualmente come in tutto il resto della città, donde la popolazione era fuggita in massa per rifugiarsi su monti circostanti. (Rizzoli 1959, cap. 6, ''SPQR'', pp. 81-82) *[...] i galli espugnarono Roma, la misero a sacco, e se ne andarono incalzati dalle legioni, ma carichi di quattrini. Erano predoni gagliardi e zotici, che non seguivano nessuna linea politica e strategica nelle loro conquiste. Assalivano, depredavano e si ritiravano senza punto preoccuparsi del domani. Avessero potuto immaginare che vendetta Roma avrebbe tratto da quella umiliazione, non vi avrebbero lasciato pietra su pietra. (Rizzoli 1959, cap. 6, ''SPQR'', pp. 82-83) *Tutti i dittatori della Roma repubblicana, meno uno, furono patrizi. Tutti, meno due, rispettarono i limiti di tempo che furono loro imposti. Uno di essi, [[Lucio Quinzio Cincinnato|Cincinnato]], che, dopo soli sedici giorni di esercizio della suprema carica, tornò spontaneamente ad arare il campo coi buoi, è passato alla storia coi colori della leggenda. (RCS 2004, cap. 9, ''La carriera'', p. 85) *Negli ultimi tempi {{NDR|[[Cesare]]}} si era spinto anche più in là: aveva imposto che tutte le discussioni che si svolgevano in quel solenne e aristocratico consesso venissero registrate e pubblicate giorno per giorno. Così nacque il primo giornale. Si chiamò ''[[Acta Diurna|Acta diurna]]'', e fu gratuito, perché, invece di venderlo, lo affiggevano ai muri in modo che tutti i cittadini potessero leggerlo e controllare ciò che facevano e dicevano i loro governanti. L'invenzione fu d'immensa portata perché sancì il più democratico di tutti i diritti. Il Senato, che traeva prestigio anche dalla sua segretezza, fu così sottoposto alla pubblica opinione, e non si riebbe mai più da questo colpo. (RCS 2004, cap. 24, ''Cesare'', p. 214) *Se riuscirò ad affezionare alla storia di Roma qualche migliaio di italiani, sin qui respinti dalla sussiegosità di chi gliel'ha raccontata prima di me, mi riterrò un autore utile, fortunato e pienamente riuscito. (introduzione) *Sull'esattezza di quel che [[Tito Livio|Livio]] riferisce facciamo le nostre riserve, specie là dov'egli mette in bocca ai suoi personaggi interi discorsi che somigliano più a Livio che a loro. La sua è una storia di eroi, un immenso affresco a episodi, e serve più a esaltare il lettore che a informarlo. [[Roma]], a dargli retta, sarebbe stata popolata soltanto, come l'Italia di Mussolini, da guerrieri e navigatori assolutamente disinteressati, che conquistarono il mondo per migliorarlo e moralizzarlo. Gli uomini, secondo lui, sono divisi in buoni e cattivi. A Roma c'erano solamente i buoni, e fuori di Roma solamente i cattivi. Anche un grande generale come [[Annibale]] diventa, sotto la sua penna, un comune mariuolo. Ciò non toglie che la storia di Livio, costata cinquant'anni di fatiche a un autore che si dedicò soltanto ad essa, resti un gran monumento letterario. Forse il più grande fra quelli, piuttosto mediocri, eretti sotto il segno di [[Augusto]]. (cap. 30, ''Orazio e Livio'') *Può darsi che [[Dione Cassio]] e [[Svetonio]], nel loro odio per la monarchia, abbiano un po' calcato la mano. Ma matto, [[Caligola]] doveva esserlo davvero. (cap. 31, ''Tiberio e Caligola'') *[[Vitellio]], quando fu catturato nel suo nascondiglio, dove, tanto per cambiare, banchettava, fu trascinato nudo per la città con un laccio al collo, bersagliato di escrementi, torturato con ponderata lentezza, e alla fine gettato nel Tevere.<br>Questa città che si divertiva al fratricidio, questi eserciti che si ribellavano, questi imperatori che venivano subissati di sterco pochi giorni dopo essere stati coperti di osanna: ecco cos'era diventata la capitale dell'Impero. (Rizzoli 1959, cap. 37, ''I Flavi'', pp. 415-416) *Purtroppo la pace, per ottenerla, bisogna essere in due a volerla. (cap. 37, ''I Flavi'') *Era la prima volta, nella storia di Roma, che una guerra si combatteva in nome della religione. Ma fu la Croce che vinse. E il Tevere, trascinando verso la foce i cadaveri di [[Massenzio]] e dei suoi soldati che lo ingombravano, sembrò che spazzasse via i residui del mondo antico. (cap. 46, ''Costantino'') *Il papa che più contribuì a rassodare l'organizzazione in questi primi difficili anni fu [[Papa Callisto I|Callisto]], che molti consideravano un avventuriero. Dicevano che, prima di convertirsi, aveva fatto i quattrini con sistemi piuttosto equivoci, era diventato banchiere, aveva derubato i suoi clienti, era stato condannato ai lavori forzati ed era fuggito con un inganno. Il fatto che, appena diventato papa, proclamasse valido il pentimento per cancellare qualunque peccato, anche mortale, ci fa sospettare che in queste voci un po' di verità c'è. Comunque, fu un gran papa, che stroncò il pericoloso scisma d'[[Ippolito di Roma|Ippolito]] e affermò definitivamente l'autorità del potere centrale. (RCS 2004, cap. 46, ''Costantino'', p. 367) *Le rivoluzioni vincono non in forza delle loro idee, ma quando riescono a confezionare una classe dirigente migliore di quella precedente. E il [[Cristianesimo]] era riuscito proprio in questa impresa. (cap. 47, ''Il trionfo dei cristiani'') *[[Costantino]] fu uno strano e complesso personaggio. Faceva gran scialo di fervore cristiano, ma nei suoi rapporti di famiglia non si mostrò molto ossequente ai precetti di Gesù. Mandò sua madre Elena a Gerusalemme per distruggere il tempio di Afrodite che gli empi governatori romani avevano elevato sulla tomba del Redentore, dove, secondo Eusebio, fu ritrovata la croce su cui era stato suppliziato. Ma subito dopo mise a morte sua moglie, suo figlio e suo nipote. (cap. 47, ''Il trionfo dei cristiani'') *Come tutti i grandi Imperi, quello romano non fu abbattuto dal nemico esterno, ma roso dai suoi mali interni. (cap. 51, ''Conclusione'') *Una religione conta non in quanto costruisce dei templi e svolge certi riti; ma in quanto fornisce una regola morale di condotta. Il [[paganesimo]] questa regola l'aveva fornita. Ma quando Cristo nacque, essa era già in disuso, e gli uomini, consciamente o inconsciamente, ne aspettavano un'altra. Non fu il sorgere della nuova fede a provocare il declino di quella vecchia; anzi, il contrario. (cap. 51, ''Conclusione'') *Il dispotismo è sempre un malanno. Ma ci sono delle situazioni che lo rendono necessario. (cap. 51, ''Conclusione'') ===[[Explicit]]=== Mai città al mondo ebbe più meravigliosa avventura. La sua storia è talmente grande da far sembrare piccolissimi anche i giganteschi delitti di cui è disseminata. Forse uno dei guai dell'Italia è proprio questo: di avere per capitale una città sproporzionata, come nome e passato, alla modestia di un popolo che, quando grida «Forza Roma!», allude soltanto a una [[Associazione Sportiva Roma|squadra di calcio]]. ==''XX Battaglione eritreo''== ===[[Incipit]]=== Sono letterato. E, a parte il brutto e il meschino di quella parola, il mio mestiere m'innamora. Mi sono sforzato tanti anni, per compiacere a qualcuno o a qualcosa, di tradire questo mio istinto. Ma non ce l'ho fatta. E non ce la fo nemmeno ora, soldato in Africa, in piena guerra. Ma non lo dico per presentare il conto. E a chi, poi? Lo dico per un fenomeno di narcisismo: perché mi garba contemplarmi in questo gesto di fedeltà al mestiere, che poi vuol dire fedeltà a me stesso. ===Citazioni=== *Essere [[Àscari|ascaro]] vuol dire, press'a poco, avere un blasone; vuol dire avere tre lire al giorno, più un'indennità vestiario, più un'indennità farina, più un'indennità carne; vuol dire avere un ''tarbush'' e una fascia coi colori del battaglione; vuol dire soprattutto avere un fucile. La gente di questo Paese segue una logica sistematica semplice e dritta: l'umanità si divide in due categorie: gli armati che sono i forti, i disarmati che sono i deboli. Al culmine della gerarchia sociale sta il possessore di fucile, il guerriero: che è tanto più importante quanto più elevato è il suo grado e quanto è maggiore la sua anzianità. (p. 25) *[[Pietro Toselli|Toselli]]. Questo nome non ha in Italia la risonanza che ha qui. Toselli non è un uomo, è una leggenda: non solo alla cronaca, ma sfugge anche alla storia. È rimasto nei canti di questa gente, nelle sue memorie e anche nelle sue speranze. Pur ieri mi diceva il vecchio Sciumbasci, reduce di Adua e ora capopaese di Digsa, che «le cose che si sanno sono molto meno di quelle che non si sanno» e che «il fatto è questo: che il corpo del maggiore Toselli non era più sul campo dopo la battaglia». Su quello che ne sia avvenuto le opinioni sono discordi, ma nessuno crede che il maggiore sia morto. (pp. 35-36) *Appollaiato ai suoi piedi, nascosto fra il verde tenero degli eucalipti, stava [[Alessandro Pirzio Biroli|Pirzio Biroli]]. Il suo nome era mormorato con circospezione dagli [[Àscari|ascari]] disseminati fra le rocce di Mai Egadà a Saganeiti, da Agordar ad Assab, a Cheren, ad Adi Ugri, ad Adi Caieh. Raramente lo si vedeva e sempre a cavallo. Accanto a lui cavalcava Chiarini, la piccola ombra fedele, il fantasma sorto una notte da un roveto della conca di Adua. Chiarini, settantenne, pallido, non scompariva nell'alone magico che Pirzio, il buon gigante, suscitava intorno. (pp. 87-88) *Poi arrivava anche lui, [[Alessandro Pirzio Biroli|Pirzio]] il leone, altissimo, quadrato, col profilo calmo incorniciato dalla folta criniera. Il cavallo, domo dai suoi ginocchi di ferro, caracollava senza un tentativo di ribellione. Dalla sella pendevano, di qua e di là, due aquile colossali, abbattute in volo dal moschetto infallibile di Pirzio. Nessuna tromba sonava l'attenti al suo ingresso. Non ce n'era bisogno. Tutti, nel quartiere, sentivano come per miracolo la sua presenza e restavano ischeletriti. Pirzio non se n'accorgeva: era uno di quegli uomini pei quali gli uomini sentono rispetto per istinto e che passano attraverso la vita come attraverso un'eterna parata, fra due file di bipedi schiaffati meccanicamente sull'attenti. Gli [[Àscari|ascari]] ebbero ragione quando lo battezzarono «il Leone»: non aveva bisogno di ruggire perché il largo gli si facesse automaticamente intorno. (pp. 88-89) ===[[Explicit]]=== Vorremmo ristare dopo la guerra? Il mondo è così visto che nessun limite precisa al desiderio. Italiani, continuate ad aver fame anche dopo aver mangiato. Questa guerra è per noi come una bella lunga vacanza dataci dal Gran Babbo in premio di tredici anni di banco di scuola. E, detto fra noi, era ora. ==Citazioni su Indro Montanelli== *A leggerlo sembrerebbe un disordinatore di professione: sempre pronto a mugugnare, sempre a prendersela con qualcuno. Poi però, quando si tratta di scendere sul pratico, ci consiglia di turarci il naso e di andare a votare per l'Ordine. vallo a capire. ([[Luciano De Crescenzo]]) *Amo Indro Montanelli, ma non i suoi emuli. I polemisti per posa non mi piacciono, non li ritengo utili. Ma lui non era un polemista fine a se stesso, come tanti dei suoi presunti eredi. Era piuttosto, come da titolo di una sua fortunata rubrica, controcorrente. Non si curava delle convenienze, dei vantaggi che gli sarebbero derivati nel seguire l'onda di [[pensiero]] prevalente. Aveva la sua visione delle cose, sempre originale e spesso esatta. Io credo che dire quel che si pensa premi sempre. Montanelli lo faceva, e andava a letto tranquillo. ([[Fabio Genovesi]]) *C'è davvero qualcosa di singolare nel modo in cui è venuta formandosi la memoria della Repubblica, nel modo in cui tale memoria è stata ed è elaborata dalla cultura ufficiale del Paese. Per molti decenni, ad esempio, a quanto accaduto dal 1943 al '45 fu vietato dare il nome che gli spettava, il nome cioè di [[Guerra civile in Italia (1943-1945)|guerra civile]]. Parlare di guerra civile era giudicato fattualmente falso, e ancor di più ideologicamente sospetto. Bisognava dire che quella che c'era stata era la resistenza, non la guerra civile; di guerra civile parlavano e scrivevano, allora, solo i reduci di Salò, i nostalgici del regime e qualche coraggioso giornalista o pubblicista di rango come Indro Montanelli, che mostravano così da che parte ancora stavano. Le cose andarono in questo modo a lungo. Finché, all'inizio degli anni Novanta, come si sa, uno storico di sinistra, [[Claudio Pavone]], scrisse un libro sul periodo 1943-'45 che si intitolava precisamente ''Una guerra civile'': solamente da allora tutti abbiamo potuto usare senza problemi questa espressione, ben inteso non cancellando certo la parola resistenza. ([[Ernesto Galli della Loggia]]) *È uno che riesce a spiegare agli altri quello che non capisce nemmeno lui. ([[Mario Missiroli]]) *È vero che ha cambiato parere politico più volte, ma sempre perché profondamente preoccupato per le sorti del paese. Ma Indro ha cambiato parere sempre meno di quei giornalisti che da Lotta Continua sono passati a Comunione e Liberazione per approdare infine a dirigere quotidiani di Stato. Senza contare tutti coloro che da stalinisti o maoisti sono diventati prima antimarxisti e ora clintoniani: Montanelli ragiona, loro vogliono avere sempre ragione. ([[Fausto Gianfranceschi]]) *Indro è naturalmente inclinato, direi quasi condannato a vedere più i ''tics'' degli uomini che le loro qualità e nessuno come lui fa più uso, nei suoi ritratti, dell'acido prussico. ([[Eugenio Montale]]) *{{maiuscoletto|Indro Montanelli}}. L'Italia dei Luoghi Comuni. ([[Marcello Marchesi]]) *Io mi sono limitato ad adottare la sua formula giornali­stica. Ma l'ho realizzata meglio perché mi sono sempre esposto, ci ho messo la faccia. Lui invece era come Veltroni: "Sì, ma an­che". Non si schierava nettamente, il suo editoriale era così in chiaroscuro che alla fine non capivi mai se fosse chiaro o scuro. Il che non significa che non resti il migliore di tutti noi. Ho venduto più di lui solo perché a me la gente non fa schifo. ([[Vittorio Feltri]]) *Mi sono sentito in imbarazzo per lui, e il mio primo pensiero è stato il rifiuto – «no, povero Montanelli» – quando all'ingresso dei giardini di via Palestro mi sono trovato davanti alla sua statua, al punto che ho pensato che ci sono vandali che distruggono e vandali che costruiscono, e che anzi, per certi aspetti, il vandalismo che crea è ben peggiore, perché tenta di disarmarti con le sue buone intenzioni. Dunque era di mattina, molto presto, e i giardini erano vuoti, al sole. Ebbene in questo vuoto, la statua mi è apparsa all'improvviso: una figurina in gabbia che non ha niente a che fare con Montanelli, se non perché lo offende anche fisicamente, lui che era così "verticale", e che ci invitava a buttare via «il grasso» e la retorica monumentale. Il giornalista che ogni volta si ri-definiva in una frase, in un concetto, in un aforisma, in una citazione, è stato per sempre imprigionato in una scatola di sardine. Perciò ho provato il disagio che sempre suscita il falso, la patacca, la similpelle che non è pelle, perché non solo questo non è Montanelli, come ci ha insegnato Magritte che dipinse una pipa e ci scrisse sotto "questa non è una pipa". Il punto è che questa non è neppure una statuta di Montanelli, ma di un montanelloide in bronzo color oro, che ha la presunzione ingenua e goffa di imprigionare il Montanelli entelechiale, il Montanelli che era invece l'asciuttezza, era il corpo più "instatuabile" del mondo, troppo alto, troppo energico, troppo nervoso, incontenibile nello spazio e nel tempo com'è l'uomo moderno, che è nomade e ha un'identità al futuro. Era il più grande nemico delle statue il Montanelli che sempre ci sorprendeva, fascista ma con la fronda, conservatore ma anarchico, con la sinistra ma di destra, un uomo di forte fascino maschile che tuttavia non amava raccogliere i trofei del fascino maschile, ingombrante ma discreto, il solo che nella storia d' Italia abbia rifiutato la nomina a senatore a vita perché, diceva, «i monumenti sono fatti per essere abbattuti», come quello di Saddam, o di Stalin o di Mussolini. Come si può fare una statua ingombrante e discreta? Come si può fare un monumento all'antimonumento? ([[Francesco Merlo]]) *Montanelli comprò una sposa ragazzina di 11-12 anni. In realtà non possiamo sapere con precisione l'età perché nei villaggi africani non si registravano le nascite. Ma la comprò, questo lo sappiamo. E la violentò più volte. sappiamo anche questo, è stato lui a raccontare che lei non voleva. [...] Da italiano Montanelli avrebbe potuto riconoscere i segni di quella crudeltà e discostarsene. Non lo fece perché condivideva evidentemente quella cultura patriarcale. Perché non mettere al posto della sua statua quella di una donna della Resistenza? In Italia vorrei vedere più statue di donne partigiane. ([[Maaza Mengiste]]) *Montanelli disprezzava la borghesia che difendeva, e ammirava i comunisti che attaccava. Era convinto che la rivolta di Budapest si dovesse a operai che volevano il vero socialismo; mentre fu una rivolta nazionalista e antisovietica. ([[Enzo Bettiza]]) *Montanelli è il campione di indipendenza dalla politica, anche se sono arrabbiato con lui perché mi ha insegnato regole di comportamento anacronistiche, che nel giornalismo odierno non valgono più. ([[Daniele Vimercati]]) *Montanelli ha sempre avuto una componente di destra. È stato un uomo di destra come fascista, uomo di destra come sostenitore dei governi dc sia pure turandosi il naso. [...] Adesso è un uomo di destra qualunquista, ma sempre di destra. ([[Ugo Intini]]) *Montanelli, un misantropo che cerca compagnia per sentirsi più solo. ([[Leo Longanesi]]) *Quanto mi ha insegnato: le parole da non usare, le cose da non dire, la persone da non frequentare. ([[Beppe Severgnini]]) *Recentemente sono stato insignito del Premio Montanelli alla carriera che dovrebbe essermi consegnato a ottobre a Fucecchio, a meno che nel frattempo non mi sia revocato per indegnità, sempre in nome della libertà di informazione. Sono certo che il vecchio Indro non avrebbe condiviso nemmeno un fonema del mio necrologio sul Mullah {{NDR|Omar}}, ma sono altrettanto certo che non si sarebbe mai sognato di bloccarlo. Caso mai ci avrebbe riso su, considerandolo una provocazione, anche se provocazione non era. Perché Montanelli era un vero liberale. Quando i liberali esistevano ancora. ([[Massimo Fini]]) *Sa spalmare una così giusta misura di miele sull'orlo del nappo avvelenato che prepara per questo o per quello, che spesso la vittima muore senza accorgersene, ingannata dai soavi licori. ([[Paolo Monelli]]) *Scalfari e Montanelli direttori all'antica, padroni, mattatori che ricordano gli Scarfoglio, i vecchi direttori dell'ottocento che non solo incrociavano la penna ma anche la spada in una rissa continua con tutt ([[Ugo Intini]]) *Si può raccontare la [[storia]] in forma lieve, senza essere troppo ponderosi, rispettando tuttavia le fonti e la verità storica. Montanelli era molto bravo a scrivere, ma in fondo ne sapeva poco, gli piaceva gigioneggiare, sprofondava nell'anacronismo. Oggi ci si è accorti che, nel raccontare la storia, essere rigorosi ed essere divertenti non è conflittuale. ([[Alessandro Barbero]]) *So solo che Montanelli è fatto così: un maestro di giornalismo che ogni tanto s'impenna con qualcuna delle sue bizzarrie. ([[Giorgio Bocca]]) *Una volta, parecchi anni fa, Indro Montanelli, dicendosi disgustato della morbidezza e della mollezza della [[Democrazia Cristiana]], che ammorbidiva, incorporava, estenuava e alla fine innocuizzava qualsiasi opposizione, togliendole ogni soddisfazione e dignità, mi mostrò una fotografia, incastonata in una cornicetta d'argento, che teneva, a mo' di santino, come altri fanno con le immagini della madre o della moglie e dei figli, sulla sua scrivania, al «Giornale». Con sorpresa vidi che si trattava di Stalin. «Con questo ci sarebbe stato gusto, a battersi», disse. ([[Massimo Fini]]) *Ognuno può pensarla come vuole, ma quando si passa dalla cronaca alla storia è necessario mantenere un giusto approccio ed essere oggettivi sui valori della persona. Indro Montanelli è stato forse il più autorevole giornalista che l’Italia ha avuto nel ventesimo secolo. La Toscana penserà ad azioni per valorizzarlo. ([[Eugenio Giani]]) ===[[Enzo Biagi]]=== *A Indro Montanelli devo molto: intanto, l'idea che chi conta è il pubblico. Poi la necessità di essere chiari, di far anche fatica, perché chi legge non ha voglia di impegnarsi troppo, e solo se uno si chiama [[James Joyce|Joyce]] può essere difficile. *Montanelli se n'è sempre fregato delle critiche, io molto meno, ho un carattere permaloso, spesso non ho resistito alla tentazione di rispondere a chi mi attaccava. Indro mi sgridava, diceva a mia moglie di tenermi calmo, che non ne valeva la pena, che erano tutte bischerate. [...] Per lui il buon risultato era il sorriso di un passante, l'oste che gli trovava il tavolo. Qualcuno si chiedeva che cos'avesse di speciale. A pensarci bene, niente. Scriveva degli articoli che erano letti e dei libri che si vendevano. *Non è una gran notizia che Indro e io non abbiamo mai fatto parte del coro, ma fu una grande notizia la spiegazione che ne diede Berlusconi: "Biagi e Montanelli hanno invidia del mio successo". La prima cosa che mi venne in mente fu: "Sai che risate si starà facendo Indro adesso". Poi mi dissi che c'era poco da ridere. ==Note== <references/> ==Bibliografia== *Indro Montanelli, ''Qui non riposano'', Marsilio, 1982 (1945). *Indro Montanelli, ''Pantheon minore'' (incontri), Longanesi e C., Milano, 1950. {{NoISBN}} *Indro Montanelli, ''Reportage su Israele'', Derby, Milano, 1960. {{NoISBN}} *Indro Montanelli, ''Gli incontri'', Rizzoli, Milano, 1967. {{NoISBN}} *Indro Montanelli, ''Storia dei greci'', Rizzoli, Milano, 1992. ISBN 8817115126 *Indro Montanelli, ''Storia dei greci'', RCS Quotidiani, Milano, 2004. ISBN 1-129-08505-8 *Indro Montanelli, ''Storia di Roma'', Longanesi, Milano, 1957; Rizzoli, Milano, 1959. {{NoISBN}} *Indro Montanelli, ''Storia di Roma'', RCS Quotidiani, Milano, 2004. ISBN 1-129-08505-8 *Indro Montanelli, ''L'Italia giacobina e carbonara (1789-1831)'', Rizzoli, Milano, 1971. {{NoISBN}} *Indro Montanelli, ''L'Italia del Risorgimento (1831-1861)'', terza edizione, Rizzoli, Milano, 1972. {{NoISBN}} *Indro Montanelli, ''L'Italia dei notabili (1861-1900)'', Rizzoli, Milano, 1973. {{NoISBN}} *Indro Montanelli, ''L'Italia di Giolitti (1900-1920)'', Rizzoli, Milano, 1974. {{NoISBN}} *Indro Montanelli, ''L'Italia in camicia nera (1919-3 gennaio 1925)'', Rizzoli, Milano, 1976. *Indro Montanelli, ''Dante e il suo secolo'', Rizzoli, Milano, 1974. {{NoISBN}} *Indro Montanelli, ''I protagonisti'', Rizzoli, Milano, 1976. {{NoISBN}} *Indro Montanelli, ''Controcorrente'', Editoriale Nuova, Milano, 1978. {{NoISBN}} *Indro Montanelli, ''Controcorrente 1974-1986'', Arnoldo Mondadori Editore, Milano, 1987. ISBN 8804300558 *Indro Montanelli, ''Caro direttore. 1974-1977. Il meglio della rubrica "La parola ai lettori"'', Rizzoli, Milano, 1991, ISBN 88-17-42728-4. *Indro Montanelli, ''Il testimone'', Longanesi & C., Milano, 1992, ISBN 88-304-1063-2. *Indro Montanelli, ''Il meglio di «Controcorrente» 1974-1992'', Rizzoli, Milano, 1993, ISBN 88-17-42807-8. *Indro Montanelli, ''Caro lettore. Il meglio della rubrica "La parola ai lettori". 1978-1981'', Rizzoli, Milano, 1994, ISBN 88-17-42730-6. *Indro Montanelli, ''Le Stanze. Dialoghi con gli italiani'', Rizzoli, Milano, 1998, ISBN 88-17-85259-7. *Indro Montanelli, ''La stecca nel coro. 1974-1994: una battaglia contro il mio tempo'', Rizzoli, Milano, 1999, ISBN 88-17-86284-3. *Indro Montanelli, ''Le nuove Stanze'', Rizzoli, Milano, 2001, ISBN 88-17-86842-6. *Indro Montanelli, ''Soltanto un giornalista. Testimonianza resa a Tiziana Abate'', BUR, Milano, 2003. ISBN 8817107042 *Indro Montanelli, ''I conti con me stesso. Diari 1957-1978'', a cura di [[Sergio Romano]], Rizzoli, Milano, 2010. ISBN 8817028202 ([http://books.google.it/books?id=fuh--fZGHMcC&printsec=frontcover Anteprima su Google Libri]) *Indro Montanelli, ''Ricordi sott'odio'', Milano, Rizzoli, 2011, ISBN 978-88-17-04963-4 *Indro Montanelli, ''Indro al Giro. Viaggio nell'Italia di Coppi e Bartali. Cronache del 1947 e 1948'', a cura di Andrea Schianchi, Collana Saggi italiani, Milano, Rizzoli, 2016. ISBN 978-88-1708-969-2 *Paolo Granzotto, ''Montanelli'', Bologna, Il Mulino. ISBN 88-15-09727-9 *Paolo Occhipinti (a cura di), ''Caro Indro... Dialoghi di Montanelli con il direttore di Oggi. 1993-2001. Il meglio di una rubrica di successo durata otto anni'', RCS, Milano, 2002. ==Voci correlate== *[[Colette Rosselli]] *[[Indro Montanelli e Roberto Gervaso]] *[[Indro Montanelli e Mario Cervi]] *[[Indro Montanelli e Marco Nozza]] *''[[Il generale Della Rovere]]'' (film 1959) ==Altri progetti== {{interprogetto}} ===Opere=== {{Pedia|La Voce (quotidiano)|''La Voce''}} {{Pedia|Storia d'Italia (Montanelli)|''Storia d'Italia''}} {{DEFAULTSORT:Montanelli, Indro}} [[Categoria:Drammaturghi italiani]] [[Categoria:Giornalisti italiani]] [[Categoria:Saggisti italiani]] [[Categoria:Commediografi italiani]] jbxi679pdmslrneed9p078kkr9ll4a5 1382012 1381997 2025-07-02T08:15:38Z ~2025-110542 103361 /* La stecca nel coro */ correzione 1382012 wikitext text/x-wiki [[File:IndroMontanelliLettera22.jpg|thumb|upright=1.5|Indro Montanelli alla sede del ''Corriere della Sera'']] '''Indro Montanelli''' (1909 – 2001), giornalista, saggista e commediografo italiano. ==Citazioni di Indro Montanelli== [[File:Indro Montanelli 1936.jpg|miniatura|Indro Montanelli, ufficiale del Regio Esercito, 1936]] *[[Gianni Agnelli|Agnelli]] ha detto che non siamo nella repubblica delle banane, però qualche banana in Italia c'è, perché avvengono cose veramente singolari.<ref>Citato in Marco Travaglio, ''Bananas'', Garzanti, Milano, 5 maggio 2001.</ref> *Al [[conformismo]] l'[[ironia]] fa più paura d'ogni [[Argomentazione|argomentato ragionamento]].<ref>Da ''Controcorrente'', Editoriale Nuova, Milano, 1978.</ref> *{{NDR|[[Ferdinando I delle Due Sicilie]]}} Aveva sulla coscienza la vita di migliaia d'infelici, morti sulla forca e nelle galere solo per aver voluto un po' di libertà. Era stato spergiuro. Non aveva conosciuto che disfatte e fughe ignominiose di fronte al nemico. Politicamente, era rimasto fermo alla concezione settecentesca del più retrivo assolutismo. Non aveva fatto che i propri interessi, e più ancora i propri comodi, della regalità prendendosi solo i piaceri. Non aveva saputo che incrementare l'ignoranza di cui egli stesso era campione. Eppure, il cordoglio popolare per la sua morte non ci stupisce, perché un dono lo aveva avuto: la genuinità. Questo Re fellone e fannullone non aveva mai cercato di apparire diverso da quel che era: uno scugnizzo dei «bassi», prepotente, ridanciano e sboccato, nato per caso con una corona in testa e che aveva sempre concepito la sua parte come quella di un buon capo-camorra. Non aveva interpretato che i caratteri deteriori del popolo napoletano, ma anche i più appariscenti e riconoscibili.<ref>Da ''L'Italia unita. {{small|Da Napoleone alla svolta del Novecento}}'', Rizzoli BUR, Milano, 2015, [https://books.google.it/books?id=8J7tCgAAQBAJ&lpg=PT206&dq=&pg=PT206#v=onepage&q&f=false p. 206]. eISBN 978-88-58-68272-2</ref> *Avevo capito fin dal primo incontro che l'aggressività di [[Anna Magnani|Anna {{NDR|Magnani}}]] era solo la maschera della sua insicurezza. Era una donna difficile e sempre agli estremi di tutto: della dolcezza come del furore, e non si capiva mai bene, forse non lo capiva nemmeno lei, quanto l'uno e l'altra fossero veri, o soltanto scena. Certo è che dall'uno all'altra passava con fulminea velocità e tenendo chiunque in stato di fibrillazione. <ref>Da ''Anna Magnani, la più grande attrice del nostro cinema'', 23 ottobre 1999, in ''Le Nuove stanze'', a cura di Michele Brambilla, RCS Libri, Milano, 2002, p. 280.</ref> *{{NDR|[[Walter Chiari]]}} Avrebbe meritato 30 anni di prigione per lo spreco del suo talento.<ref>Citato in Luciano Giannini, ''[https://www.ilmattino.it/AMP/cultura/walter_chiari_100_walter_sottotitolo_chiari_biografia_di_un_genio_irregolare-7954361.html Walter Chiari genio irregolare che confessava di aver vissuto]'', ''Il Mattino'', 24 febbraio 2024</ref> *[[Silvio Berlusconi|Berlusconi]] è una persona intelligente finché riesce a ragionare col suo cervello: il suo cervello è valido. Ma lui, oltre al cervello, ha le viscere, e molto spesso le viscere prendono la prevalenza sul cervello. E quando lui si abbandona alle viscere, secondo me, diventa uomo pericoloso. Questo lo dico a lei perché l'ho detto a lui, perché gliel'ho anche scritto.<ref name="milano">Dal programma televisivo ''Milano, Italia'', Rai 3, 11 gennaio 1994.</ref> *[[Silvio Berlusconi|Berlusconi]] ha straordinarie qualità di imprenditore – coraggio, fantasia, forza di lavoro – che gli hanno valso il successo in tutti i campi in cui si è cimentato. Una sola cosa non gli riesce di fare, il presidente di una società di calcio.<ref>Da ''[http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/1987/01/20/ora-montanelli-critica-berlusconi.html Ora Montanelli critica Berlusconi]'', ''la Repubblica'', 20 gennaio 1987.</ref> *[[Silvio Berlusconi|Berlusconi]] non ha idee: ha solo interessi.<ref>2001; citato in [[Marco Travaglio]], ''Ad personam'', Chiarelettere, Milano, 2010, p. 39, ISBN 978-88-6190-104-9.</ref> *{{NDR|Su [[Aldo Moro]]}} Calvinista a rovescio, invece che nella predestinazione della [[Grazia divina|grazia]], credeva in quella della [[disgrazia]].<ref>Citato in [[Roberto Gervaso]], ''Ve li racconto io'', Mondadori, Milano, 2006, pp. 310-311, ISBN 88-04-54931-9.</ref> *Certo, per un direttore di giornale, avere sottomano un [[Marco Travaglio|Travaglio]], che su qualsiasi protagonista, comprimario e figurante della vita politica italiana è pronto a fornirti su due piedi una istruttoria rifinita nel minimo dettaglio è un bel conforto. Ma anche una bella inquietudine. Il giorno in cui gli chiesi se in quel suo archivio, in cui non consente a nessuno di ficcare il naso, ci fosse anche un fascicolo intitolato al mio nome, Marco cambiò discorso.<ref>Dalla prefazione a Marco Travaglio, ''Il Pollaio delle Libertà'', Vallecchi, Firenze, 1995.</ref> *Chi di voi vorrà fare il [[giornalista]], si ricordi di scegliere il proprio padrone: il [[lettore]].<ref>Dalla lezione di giornalismo all'Università di Torino, 12 maggio 1997; citato in ''La Stampa'', 14 aprile 2009.</ref> *Conosco molti furfanti che non fanno i [[Morale|moralisti]], ma non conosco nessun moralista che non sia un furfante. Senza, per carità, allusione a [[Eugenio Scalfari|Scalfari]]. Solo come promemoria.<ref>Citato in [[Eugenio Scalfari]], ''Incontro con io'', Rizzoli, Milano, 1994, ISBN 8806200747.</ref> *Cosa c'è meglio di [[Romano Prodi|Prodi]]? Governa fra compromessi e imbroglietti. I nostri soci sanno benissimo che siamo imbroglioni, che sui conti che portiamo all'Europa s'è un po' imbrogliato. Accettano lo stesso, purché non s'esageri. E [[Carlo Azeglio Ciampi|Ciampi]] non esagera, è un economista serio e vero. [...] {{NDR|Romano Prodi}} Con la faccia da mortadella, l'ottimismo inossidabile e l'eterno sorriso, ci porterà in Europa: ringraziamo Dio, e anche [[Massimo D'Alema|D'Alema]], che ci hanno dato Prodi.<ref name=Montanelli>Citato in Francesco Battistini ''[https://web.archive.org/web/20160101000000/http://archiviostorico.corriere.it/1997/dicembre/19/Montanelli_ragazzi_rifate_68_co_0_97121914987.shtml Montanelli: ragazzi, rifate il '68]'', ''Corriere della Sera'', 19 dicembre 1997.</ref> *Dicono che [[Ciriaco De Mita|De Mita]] sia un intellettuale della Magna Grecia. Io però non capisco cosa c'entri la Grecia...<ref>Citato in ''Liberazione'', 22 febbraio 2008.</ref> *{{NDR|Su [[Giulia Maria Crespi]]}} Dispotica guatemalteca.<ref> Citato in Paolo Martini, ''[https://www.adnkronos.com/crespi-la-zarina-del-corriere-della-sera-che-fondo-il-fai_4YA2lu93AIXTzgMw0Wj65x Crespi, la 'zarina' del Corriere della Sera che fondò il Fai]'', adnkronos.com, 19 luglio 2020.</ref> *{{NDR|Su [[Gad Lerner]], nel 2000}} È bravissimo, son contento l'abbian messo al ''Tg1'', è un buon conduttore, buonissimo giornalista. Ma sarà un bravo direttore?<ref>Citato in Antonella Rampino, ''[http://www.archiviolastampa.it/component/option,com_lastampa/task,search/mod,libera/action,viewer/Itemid,3/page,3/articleid,0428_01_2000_0162_0003_4349235/ Il rischio? Una missione impossibile]'', ''La Stampa'', 17 giugno 2000.</ref> *{{NDR|Su [[Concetto Lo Bello]]}} Entra in campo col passo del padrone che ispeziona il proprio podere.<ref>Citato in Marco Innocenti, ''[https://st.ilsole24ore.com/art/SoleOnLine4/dossier/Tempo%20libero%20e%20Cultura/storie-della-storia/archivio-2009/storie-storia-9-settembre-muore-lo-bello.shtml?uuid=4327f496-881f-11de-873c-ca3137183d57&DocRulesView=Libero&refresh_ce=1 9 settembre 1991: se ne va il re degli arbitri, Concetto Lo Bello]'', ''ilsole24ore.com'', 8 settembre 2009.</ref> *{{NDR|Su [[Gaio Giulio Cesare|Giulio Cesare]]}} Grande soldato, grande statista, grande scrittore, grande avventuriero. E grande amatore. C'era di tutto. [...] In questa epoca di Mani Pulite Cesare sarebbe rimasto sicuramente "intangentato". Di tangenti lui ne prese parecchie. Ma a differenza dei mariuoli di oggi era anche un grande legislatore, un grande generale, un uomo di un'efficienza straordinaria. I nostri sono dei ladri. Ladri e basta.<ref>Citato in Mauro Anselmo, ''[http://www.archiviolastampa.it/component/option,com_lastampa/task,search/mod,libera/action,viewer/Itemid,3/page,7/articleid,0797_01_1993_0212_0009_11229316/ Montanelli: così ho finito la mia Storia d'Italia]'', ''La Stampa'', 4 agosto 1993.</ref> *{{NDR|Su [[Clare Boothe Luce]]}} Ha la mentalità schematica di una maestra di scuola.<ref>Citato in Massimo Gaggi, ''Quando il giornale del Pci pensò di pubblicare il nudo dell'ambasciatrice Usa'', ''Corriere della Sera'', 18 dicembre 2022.</ref> *{{NDR|Su [[Lucio Battisti]]}} Ho amato molto le sue canzoni e il suo desiderio di vivere appartato.<ref>Citato in [[Leo Turrini]], ''Lucio Battisti: la vita, le canzoni, il mistero'', Mondadori, 2008, retrocopertina.</ref> *I mariti italiani, per comprar la pelliccia alle mogli, spendono più di tutti i loro colleghi europei. Poveri, ma pelli.<ref name=Controcorrente>Da ''Controcorrente, 1974–1986'', Mondadori, Milano, 1987.</ref> *I nostri uomini politici non fanno che chiederci, a ogni scadenza di legislatura, «un atto di fiducia». Ma qui la fiducia non basta; ci vuole l'atto di fede.<ref name=Controcorrente/> *I [[Ricordo|ricordi]] vanno messi sotto teca, appesi a una parete e guardati. Senza tentare di rinnovarli. Mai.<ref>Da un'intervista di [[Ferruccio de Bortoli]], 1999; in ''[http://www.rai.it/dl/Rai5/programma.html?ContentItem-f04f3982-e954-471e-8242-78f92423550d Indro Montanelli, gli anni della televisione]'', puntata 8, di Nevio Casadio, Rai Premium, 2013.</ref> *Il bello dei [[politologi]] è che, quando rispondono, uno non capisce più cosa gli aveva domandato.<ref name=Controcorrente/> *{{NDR|Su [[Carlo Sforza]]}} Il conte si piega sulle gambe come se volesse saltare in arcione. E io dico: è veramente un bell'uomo.<ref>Citato da Guido Russo Perez nella [https://documenti.camera.it/_dati/leg01/lavori/stenografici/sed0331/sed0331.pdf Seduta pomeridiana del 31 ottobre 1949] della Camera dei deputati.</ref> *Il fascismo privilegiava i somari in divisa. La democrazia privilegia quelli in tuta. In Italia, i regimi politici passano. I somari restano. Trionfanti.<ref name=Controcorrente/> *Il guaio di [[Eugenio Scalfari|Scalfari]] non è che dice quel che pensa. Il guaio di Scalfari è che pensa quel che dice.<ref>Citato in Paolo Granzotto, ''Montanelli'', p. 173.</ref> *In [[Italia]] a fare la dittatura non è tanto il dittatore quanto la paura degli italiani e una certa smania di avere, perché è più comodo, un padrone da servire. Lo diceva [[Benito Mussolini|Mussolini]]: «Come si fa a non diventare padroni di un paese di servitori?».<ref>Dall'intervista di Pasquale Cascella, ''Montanelli: «Il regime? È alle porte, inutile aspettare il dittatore»'', ''l'Unità'', 25 ottobre 1994, p. 5.</ref> *In Italia c'è una frangia d'imbecilli tali che credono si possa resuscitare il comunismo. Seppellire il cadavere del marxismo non è facile, anche perché per molti significa rinnegare l'intera esistenza. Ma certo [[Fausto Bertinotti|Bertinotti]] non è di questi: lui non sa un corno di marxismo, non gl'importa niente, è un piccolo pagliaccio, un populista all'italiana che scalda in piazza maree di poveri diavoli e parla ancora delle masse operaie, che vede solo lui.<ref name=Montanelli></ref> *In Italia non c'è una coscienza civile, non c'è un'identità nazionale che tenga insieme uno Stato federale e garantisca la civile convivenza delle sue parti. Invece io vedo solo nell'Italia Cisalpina qualche barlume di coscienza civile e una vocazione europea. Altrove, invece, è un disastro difficile, se non impossibile, da rimediare. Spero proprio di sbagliarmi.<ref name=Italia>Citato in ''Il grande vecchio del giornalismo rilegge gli ultimi anni della nostra storia'', ''L'Indipendente'', 25 luglio 1995.</ref> *In Italia si può cambiare soltanto la Costituzione. Il resto rimane com'è.<ref>Dall'articolo di Polaczek, ''Teile und sende'', in ''Frankfurter Allgemeine Zeitung'', 15 agosto 1996, p. 29.</ref> *In Italia un colpo di piccone alle [[Casa di tolleranza|case chiuse]] fa crollare l'intero edificio, basato su tre fondamentali puntelli, la Fede cattolica, la Patria e la Famiglia. Perché era nei cosiddetti postriboli che queste tre istituzioni trovavano la più sicura garanzia.<ref>Citato in Daniele Abbiati, [http://www.ilgiornale.it/news/tresse-indro-nella-repubblica-delle-marchette.html ''La maîtresse di Indro nella Prima Repubblica delle marchette''], ''il Giornale.it'', 22 ottobre 2010.</ref> *In nome di quale razza noi faremmo del razzismo? Se c'è un paese (adesso non voglio offendere, perché io sono italiano come tutti gli altri), ma se c'è un paese bastardo è l'Italia, cioè a dire una confluenza di razze diverse.<ref>Dal programma televisivo di Rai 3 ''Eppur si muove'', 20 marzo 1994.</ref> *Io non mi sono mai sognato di contestare alla [[Chiesa (comunità)|Chiesa]] il suo diritto a restare fedele a se stessa, cioè ai comandamenti che le vengono dalla Dottrina... ma che essa pretenda d'imporre questi comandamenti anche a me che non ho la fortuna di essere un credente, cercando di travasarli nella legge civile in modo che diventi obbligatorio anche per noi non credenti, è giusto? A me sembra di no.<ref>Citato in [[Umberto Veronesi]], ''[http://www.repubblica.it/2008/10/sezioni/cronaca/eluana-eutanasia-3/comm-veronesi/comm-veronesi.html Non vince la scienza]'', ''la Repubblica'', 14 novembre 2008.</ref> *Io il giornale urlato non è che non glielo voglio dare, non lo so fare! La clava non è nel mio armamentario! Non lo posso fare e non credo che sia un buon segno di civiltà politica l'uso della clava.<ref name="milano" /> *Io non sono napoletano, ma di fronte a [[Peppino De Filippo|Peppino]], non so come, mi capita sempre di diventarlo.<ref name=Pappagone>Citato in ''Pappagone e non solo'', a cura di Marco Giusti, Mondadori, Milano, 2003.</ref> *{{NDR|Alla nipote Letizia Moizzi}} Io sarò il tuo Jukebox. Tu metti una monetina e io ti racconto un ricordo.<ref>Citato in Elvira Serra, «Scoprii che era importante quando le Br gli spararono. Lo convinsi io a prendere i farmaci per la depressione», ''Corriere della Sera'', 20 gennaio 2025.</ref> *Io non voglio soffrire, io non ho della sofferenza un'idea cristiana. Ci dicono che la sofferenza eleva lo spirito; no la sofferenza è una cosa che fa male e basta, non eleva niente. E quindi io ho paura della sofferenza. Perché nei confronti della morte, io, che in tutto il resto credo di essere un moderato, sono assolutamente radicale. Se noi abbiamo un diritto alla vita, abbiamo anche un diritto alla morte. Sta a noi, deve essere riconosciuto a noi il diritto di scegliere il quando e il come della nostra morte.<ref>Citato in Carlo A. Martigli, ''[http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2002/04/25/sul-diritto-alla-morte-si-discute-su.html Sul diritto alla morte si discute su Internet]'', ''la Repubblica'', 25 aprile 2002.</ref> *Kipling diceva: "un italiano, un bel tipo; due italiani, una discussione; tre italiani, tre partiti politici". I suoi concittadini, invece, li definiva così: "un inglese, un cretino; due inglesi due cretini; tre inglesi, un popolo". Vorrei avere a che fare con dei cretini che, insieme, facessero un popolo.<ref>Citato in Cristina Taglietti, ''[https://web.archive.org/web/20160101000000/http://archiviostorico.corriere.it/1998/dicembre/17/Montanelli_cari_studenti_volete_spaccate_co_0_98121712510.shtml Montanelli: cari studenti, se volete spaccate tutto ma è inutile]'', ''Corriere della Sera'', 17 dicembre 1998.</ref> *{{NDR|Riguardo all'approvazione della legge elettorale nota come mattarellum}} L'unico modello a cui possiamo rifarci è quello francese, non quello inglese. In un paese dove ci sono venti-venticinque partiti, come si fa l'uninominale a turno unico? Qui rischia di vincere un partito che ottiene il dieci percento, perché gli altri hanno ottenuto il sette, il sei. Ma le pare giusto questo? Io non so se è stata una follia o un atto criminale questa riforma elettorale. Io sono per la traduzione in processo dei legislatori, da [[Sergio Mattarella|Mattarella]] agli altri - non è stato il solo - i quali hanno fatto, come al solito, o creduto di fare gli interessi del proprio partito. Hanno fatto questa legge prima che venisse il diluvio universale di [[Mani pulite|Tangentopoli]], convinti che siccome loro erano il partito di maggioranza relativa spazzavano via l'Italia. Poi è venuta tangentopoli e ora piangono. Dovrebbero suicidarsi se avessero un minimo di dignità. Suicidarsi. Perché in nome degli interessi di partito hanno completamente rovinato l'Italia. [...] Questi legislatori che hanno truffato con questa legge - perché questa legge è una truffa - io vorrei sapere come mai non vengono processati. Dovrebbero essere processati per lesa patria.<ref name=conferenza>[https://www.youtube.com/watch?v=snbg12DCPSM Indro Montanelli presenta "La Voce", conferenza stampa integrale], 1994.</ref> *La cosa curiosa di [[Antonino Caponnetto|Caponnetto]] è che si va a schierare con [[Leoluca Orlando|Orlando]] che è stato il peggior denigratore di [[Giovanni Falcone|Falcone]]. E poi dice che fa l'antimafia, io vorrei sapere i voti a Orlando chi glieli ha dati.<ref>Citato in Riccardo Chiaberge ''[https://web.archive.org/web/20160101000000/http://archiviostorico.corriere.it/1994/marzo/21/Montanelli_voce_controcorrente_co_0_94032115801.shtml Montanelli la voce controcorrente]'', ''Corriere della Sera'', 21 marzo 1994.</ref> *La [[cultura]], per un giornalista, è come una puttana: la puoi frequentare ma non devi ostentarla. La cultura si tiene nel cassetto. Il lettore non va trattato dall'alto in basso, ma preso per mano come un amico e portato dove vuoi.<ref>Citato in [[Roberto Gervaso]], ''Ve li racconto io'', Mondadori, Milano, 2006, p. 294, ISBN 88-04-54931-9.</ref> *La cultura si è chiusa nella torre eburnea. Rimane lì, arroccata in sé stessa, perché ha orrore dei contatti col pubblico, si crede diminuita dai contatti col pubblico. Questa è la cultura italiana. È una cultura di cretini.<ref name="montecarlo">Radio Montecarlo, [https://www.youtube.com/watch?v=A77mrwIjSSs Intervista a Indro Montanelli], di Roberto Arnaldi, 1973.</ref> *La [[depressione]] è una malattia democratica: colpisce tutti.<ref>Citato nel programma televisivo ''Ippocrate'', Rai News, 13 giugno 2010.</ref> *La devolution mi preoccupa molto, perché la decomposizione della [[Repubblica Socialista Federale di Jugoslavia|Jugoslavia]] cominciò esattamente così: reclamata e imposta dai due grandi compari Tudjiman e [[Slobodan Milošević|Milosevic]] che distrussero l'unità del Paese per restare padroni in casa propria...<ref>Citato in Gian Guido Vecchi, ''[https://web.archive.org/web/20160101000000/http://archiviostorico.corriere.it/2001/aprile/08/Devolution_traffico_voto_rebus_co_7_0104088547.shtml Devolution e traffico, il voto è un rebus]'', ''Corriere della Sera'', 8 aprile 2001.</ref> *La guerra contro il [[brigantaggio]], insorto contro lo Stato unitario, costò piú morti di tutti quelli del [[Risorgimento]]. Abbiamo sempre vissuto dei falsi: il falso del Risorgimento che assomiglia ben poco a quello che ci fanno studiare a scuola.<ref>Citato in Stefano Preite, ''Il Risorgimento, ovvero, Un passato che pesa sul presente'', Piero Lacaita, 2009.</ref> *La lettura del ''[[Adolf Hitler#Mein Kampf|Mein Kampf]]'' io la renderei, per legge, obbligatoria. Fuori dal contesto in cui fu concepito e scritto, quel libro è un caciucco di coglionerie.<ref>Citato in Cesare Medail, ''Il «Mein Kampf» torna nelle librerie italiane. Grazie a un editore cossuttiano'', ''Corriere della Sera'', 6 maggio 2000.</ref> *La nostra classe politica ha fatto del [[partito]] una specie di totem intoccabile e gli ha attribuito tutti i poteri, con in più un diritto: il diritto di abusarne.<ref name=Dovere>Dal programma televisivo ''Dovere di cronaca'', Rete 4, 1988, [https://www.youtube.com/watch?v=caQgyvTKZS8 visibile su YouTube].</ref> *Le cose non sono importanti per quello che sono, ma per quello che uno ci mette.<ref name="cento">intervista di Enzo Biagi a Indro Montanelli, (1982), da "Cento anni", Fabbri video, 1993.</ref> *Le mie idee sono sempre al vaglio dell'[[esperienza]] e l'esperienza mi impone di rivederle continuamente.<ref name="IIIB">Da un'intervista del 1971, tratta da ''III B, Facciamo l'appello'' di Enzo Biagi; anche in ''[http://www.rai.it/dl/Rai5/programma.html?ContentItem-f04f3982-e954-471e-8242-78f92423550d Indro Montanelli, gli anni della televisione]'', puntata 7, di Nevio Casadio, Rai Premium, 2013.</ref> *[[Leo Longanesi]] che amava [[Marcello Marchesi]] rabbiosamente per lo spreco che faceva del suo talento, quando lo incontrava, gli diceva: "Devo fare una telefonata, mi dai un gettone di intelligenza?". E un giorno mi ordinò un epitaffio per lui. Eccolo: "Qui giace un nessuno — che se avesse voluto — avrebbe potuto diventare — Marcello Marchesi —. Purtroppo o per fortuna — non lo seppe mai —. Come tutti i geni — era un cretino".<ref>Citato in Paola Fallai, ''Marchesi, l'umorista che creò un'atmosfera'', ''La lettura'', ''Corriere della Sera'', 25 marzo 2012; riportato in ''[http://www.cinquantamila.it/storyTellerArticolo.php?storyId=0000001549183 Cinquantamila.it]''.</ref> *Mi accusano molto spesso di avere inventato degli aneddoti. È verissimo. Io ogni tanto invento quando devo descrivere un personaggio, specialmente negli incontri, io invento qualche aneddoto. Però sono sempre aneddoti funzionali, che servono a dimostrare quel certo carattere che mi sembra vero e di dover dimostrare.<ref name="IIIB" /> *Mi avvio verso il mio capolinea con l'angoscia di portare con me le cose che ho più amato: il mio paese e il mio mestiere, temo che non mi sopravviveranno.<ref>Da un'intervista del 1996, tratta da ''Tablet Italiani'', puntata 2, "Montanelli/Bocca", Rai Storia, 25 agosto 2013.</ref> *{{NDR|Su [[Vittorio Mangili]], in riferimento all'[[rivoluzione ungherese del 1956|insurrezione antisovietica in Ungheria nel 1956]]}} Ne ha combinate di tutti i colori. Ha fatto perfino il portaordini dei patrioti, a bordo di una delle loro automobili di collegamento.<ref>Citato in Roberta Scorranese, ''[https://www.corriere.it/cronache/22_ottobre_09/vittorio-mangili-cento-anni-dell-inviato-rai-io-budapest-madre-teresa-1efd76ca-473a-11ed-8ee2-07ab17a2d97d.shtml Vittorio Mangili, i cento anni dell’inviato Rai «Io, da Budapest a Madre Teresa»]'', ''corriere.it'', 8 ottobre 2022.</ref> *Nei grandi [[giornale|giornali]] di oggi, che non possono farne a meno, chi comanda non è più nemmeno il [[direttore]]: è l'ufficio [[marketing]].<ref name="giornalista">Da: ''Repertorio della Fondazione Montanelli'', in ''Indro Montanelli - Gli anni della televisione 4: Io sono soltanto un giornalista'', a cura di Nevio Casadio, Rai Sat, 2009</ref> *{{NDR|Rivolto a [[Silvio Berlusconi|Berlusconi]] che voleva imporsi sulla linea editoriale de ''il Giornale''}} Nell'arte dell'imprenditoria, tu sei di certo un genio, ed io un coglione. Ma nell'arte della polemica il genio sono io, e tu il coglione.<ref name=Travaglio2004>Citato in Marco Travaglio, ''Montanelli e il Cavaliere'', Garzanti, Milano, 2004.</ref> *Nessuno di noi la strada della ribellione la batté sino in fondo, come voleva [[Berto Ricci|Ricci]]: per la semplice ragione che si trattava di una strada che fondi non ne aveva. Qualcuno poi scantonò in questo o in quello dei sette o otto partiti che aprirono le porte a questa generazione perduta. E forse si illuse di aver trovato un’altra bandiera. Io sono tra i rassegnati: so benissimo che di bandiere non posso averne altre e che l'unica che seguiterà a sventolare sulla mia vita è quella che disertai, prima che cadesse.<ref>Citato in Mario Bernardi Guardi, ''La giovinezza di Montanelli ebbe un nome: Berto Ricci'', ''Il Primato Nazionale'', 3 maggio 2016.</ref> *No, [[Marco Travaglio|Travaglio]] non uccide nessuno. Col coltello. Usa un'arma molto più raffinata e non perseguibile penalmente: l'archivio.<ref name=Travaglio2004/> *Noi italiani non crediamo in nulla e tanto meno nelle virtù che qualcuno ci attribuisce. Ma tra di esse ce n'è una nella quale riponiamo una fede incorruttibile: quella della nostra capacità di corrompere tutto.<ref>Citato in Mario Cervi, ''Ti ricordi Indro?'', Società europea di edizioni, Milano, 2017, p. 57. ISBN 9778118178454</ref> *Noi qui buttiamo tutte le colpe addosso agli altri. Ma bisogna fare i conti anche col popolo italiano. Siamo noi che li abbiamo eletti questi signori. Sono mica piovuti dalla luna. E allora non accaniamoci soltanto sulla classe politica. Noi siamo un elettorato disposto a ogni sorta di transazione, quando ci fa comodo.<ref name=conferenza /> *Non credo alle feste comandate. La memoria dovrebbe essere spontanea. L'unica cosa che si dovrebbe fare è raccontare veramente e in maniera spassionata ai giovani, che non lo sanno, cosa è stata la Shoah, senza fare mobilitazioni di folle.<ref>Citato in Marco Cremonesi, ''[https://web.archive.org/web/20160101000000/http://archiviostorico.corriere.it/2001/gennaio/28/Diecimila_piazza_con_nomi_dei_co_0_0101282160.shtml Diecimila in piazza con i nomi dei lager]'', ''Corriere della Sera'', 28 gennaio 2001, p. 31.</ref> *Non do più nessun significato a queste due parole {{NDR|destra e sinistra}}, le ritengo un cascame, un residuato di situazioni oramai defunte. [[Destra e sinistra]] non hanno più nessun significato e credo che noi ci stiamo attardando su una terminologia arcaica, oramai da seppellire.<ref>Radio Radicale, [https://www.radioradicale.it/scheda/598/599-elezioni Elezioni], 38:58-39:26, 25 maggio 1979.</ref> *Non mi si portino i soliti argomenti astratti, tipo la sacralità della vita: nessuno contesta il diritto di ognuno a disporre della sua vita, non vedo perché gli si debba contestare il diritto a scegliere la propria morte.<ref>Citato in Enrico Bonerandi, ''[http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2000/12/13/montanelli-pronto-morire.html Montanelli: pronto a morire]'', '' la Repubblica'', 13 dicembre 2000, p. 36.</ref> *{{NDR|Il Polo delle Libertà}} Non venga a farci credere che è costretto all'[[Aventino (espressione)|Aventino]] dal clima di violenza creato dall'Ulivo. Dove diavolo la vede questa violenza? Mi basta guardare la faccia di [[Romano Prodi|Prodi]] 1996 per metterla a confronto con quella di Mussolini 1924 per escludere che in Italia corriamo il pericolo di una dittatura. Per fare una dittatura ci vuole un dittatore.<ref>Citato in Alessandro Longo, ''[https://rep.repubblica.it/pwa/generale/2018/03/17/news/aventino-191559602/?ref=pwa-rep-hp-2-1-1 Perché si dice Aventino]'', ''Rep.repubblica.it'', 17 marzo 2018.</ref> *{{ndr|su [[Gianni Agnelli]]}} Parla con la propria bocca, pensa con il cervello di Valletta, col cuore di Giulio De Benedetti e con gli interessi polivalenti della Fiat.<ref>Citato in Paolo Granzotto, ''Montanelli'', p. 129.</ref> *{{ndr|su [[Mariano Rumor]]}} Personaggio da commedia [[Carlo Goldoni|goldoniana]] più che da tragedia contemporanea.<ref>Citato in Paolo Granzotto, ''Montanelli'', p. 145.</ref> *Posso solo dire che l'Italia del Cattaneo è quella che conserva qualche probabilità di salvarsi da questo degrado politico, culturale, morale, economico. E l'Italia del Cattaneo è quella Cisalpina. A nord del Po, e forse anche in Emilia, esistono tracce di coscienza civile e anche di classi dirigenti sane. Poi c'è un'Italia centrale, quella toscana e umbra e marchigiana, che conserva le sue peculiarità, i suoi caratteri spiccati che affondano le radici nell'Italia comunale e rinascimentale. Il resto è un disastro che non saprei come salvare. Del resto Cattaneo ci tentò, andò a Napoli e resistette qualche giorno. Poi si arrese e se ne tornò nella sua Lugano, nella sua Svizzera.<ref name=Italia>Citato in ''Il grande vecchio del giornalismo rilegge gli ultimi anni della nostra storia'', ''L'Indipendente'', 25 luglio 1995.</ref> *Pur ricordandovi che la nostra regola è quella di non tener conto delle intemperanze altrui, specie dei politici, e di dire sempre la verità, tutta la verità, senza partito preso né animosità verso nessuno, vi autorizzo a comunicare al [[Bobo Craxi|suddetto signore]], se ve ne capita l'occasione, che l'unica «testa» in pericolo di cadere dopo il 5 aprile non è la vostra ma, casomai, la sua. E potete aggiungere, da parte mia, che non la considererei una gran perdita.<ref>Citato in [[Federico Orlando]], ''Il sabato andavamo ad Arcore'', Larus, Bergamo, 1995.</ref> *[[Sandro Pertini|Pertini]] ha interpretato al meglio il peggio degli italiani.<ref>Citato in Franco Fontanini, ''Piccola antologia del pensiero breve'', Liguori Editore, Napoli, 2007, p. 12.</ref> *Quando mi viene in mente un bell'aforisma, lo metto in conto a [[Montesquieu]], od a [[François de La Rochefoucauld|La Rochefoucauld]]. Non si sono mai lamentati.<ref>Citato in Luigi Mascheroni, ''[http://www.ilgiornale.it/news/mai-dette-ripetiamo-sempre-ecco-frasi-fantasma-storia.html Mai dette, ma le ripetiamo sempre. Ecco le frasi fantasma della storia]'', ''il Giornale'', 21 marzo 2009, p. 22.</ref> *Quello che ci ripugna è che, per mettere un controllo all'autorità politica, ci sia bisogno di ricorrere all'autorità giudiziaria. Cioè che, alla fine, noi avremo le riforme istituzionali non per via politica, ma per via giudiziaria e processuale. Questo ci allarma anche perché, come avrete ben capito, la mia opinione dei politici è molto bassa, ma quella dei giudici non è migliore. Perché anche i giudici sono stati corrotti dalla partitocrazia. Lo dimostra il semplice fatto che molti di loro ostentano la tessera di partito. Un giudice che ha venduto la propria imparzialità ai partiti è un giudice che, prima di processare gli altri, dovrebbe essere processato lui e cacciato in galera. Lo so che a dire queste cose si possono avere dei dispiaceri, ma io di dispiaceri in vita mia ne ho avuti tanti che, uno più o uno meno, non mi fa nessunissimo effetto.<ref name=Dovere/> *{{NDR|[[Carmen Lasorella]]}} Richiama tanta attenzione non solo per la sua bravura ma anche per quel che possiede dal cervello in giù.<ref>Citato in Luigi Mascheroni, ''[https://books.google.it/books?id=gtg7AQAAIAAJ&q=%22Richiama+tanta+attenzione+non+solo+per+la+sua+bravura+ma+anche+per+quel+che+possiede+dal+cervello+in+gi%C3%B9+%22&dq=%22Richiama+tanta+attenzione+non+solo+per+la+sua+bravura+ma+anche+per+quel+che+possiede+dal+cervello+in+gi%C3%B9+%22&hl=it&newbks=1&newbks_redir=0&sa=X&ved=2ahUKEwiC2PXRl5WDAxVs4AIHHazPCd4Q6AF6BAgHEAI Sette, settimanale del Corriere della sera, Edizioni 1-9]'', 1996.</ref> *Sfido io che {{NDR|''il Giornale''}} non va bene come vendite. Non va bene come vendite perché noi siamo ancora alla macchina Olivetti. Qui non è stato fatto mai nessun investimento ed è stato detto chiaro che gli investimenti non sarebbero venuti finché io ne fossi il direttore. Questa è la situazione.<ref name="milano" /> *Siamo un paese cattolico, che nella [[Provvidenza]] ci crede o almeno ne è affascinato. Il pericolo è questo: gli [[italia]]ni sentendo aria di provvidenza sono sempre pronti a mettersi in fila speranzosi.<ref name=Provvidenza>Citato in ''[http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/1994/02/24/rivogliono-uomo-della-provvidenza.html?ref=search Rivogliono l'uomo della provvidenza]'', ''la Repubblica'', 24 febbraio 1994, p. 11.</ref> *Se avessi potuto immaginare come sarebbe stata distrutta la vecchia classe politica italiana - che meritava la distruzione, sia chiaro - se avessi potuto immaginare che la distruzione della vecchia classe politica italiana, in gran parte marcia, avrebbe dischiuso una situazione come quella attuale e che la vecchia legge proporzionale sarebbe stata sostituita dall'attuale legge maggioritaria così come è stata compilata, io avrei forse difeso la vecchia classe. Per lo meno non mi sarei battuto con tanta asprezza e con tanto vigore contro quella classe politica, che meritava di finire, ma a cui si stanno dando dei successori che, ricordatevelo bene, ci faranno rimpiangere quella vecchia. È il peggio che si può dire. Ma io lo dico. Perché non riesco proprio a vedere cosa sta venendo fuori da questo rimescolio di carte.<ref name=conferenza /> *{{NDR|«Se dovesse fondare un giornale a novant'anni, che giornale farebbe?»}} Se io dovessi oggi fare un giornale, farei un ''Foglio'' un po' più grande: invece che di 4 facciate di 10 o di 12. Non di più. Con una redazione ridottissima e facendo un preventivo che mi mettesse al riparo dalle delusioni. Mirerei ad avere non più di venti/trentamila lettori e non avere pubblicità. Su queste basi, forse, riuscirei a fare un [[giornale]] di alto prestigio, ma purtroppo destinato a una élite.<ref name="giornalista" /> *Sta arrivando l'uomo della provvidenza. E io, in vita mia, di questi personaggi ne ho già conosciuto uno. Mi è bastato. Per sempre.<ref name=Provvidenza></ref> *Una cultura che perde i contatti col pubblico si sterilisce e muore. Questa è la verità. E la nostra cultura è assolutamente sterile. Noi culturalmente non contiamo più nulla nel mondo. Perché? Perché è chiusa in sé stessa, la cultura, ha perso i contatti col pubblico, con la vita. Non c'è più. Sono mummie. Non è più cultura: è mafia.<ref name="montecarlo" /> *{{NDR|Su [[Aldo Moro]]}} Un generale che, sfiduciato del proprio esercito, credeva che l'unico modo di combattere il nemico fosse quello di abbracciarlo.<ref>Citato in [[Roberto Gervaso]], ''Ve li racconto io'', Mondadori, Milano, 2006, p. 310, ISBN 88-04-54931-9.</ref> *Un giorno fui convocato a Palazzo Venezia, era il 1932 e avevo 23 anni, perché il duce voleva vedermi. Ero emozionatissimo, entrai e mi misi sull'attenti, e il duce che faceva finta di scrivere mi lasciò lì per un quarto d'ora e alla fine mi disse: "Ho letto il vostro articolo sul razzismo (avevo scritto un articolo contro il razzismo). Bravo, vi elogio. Il razzismo è roba da biondi (non si era accorto che ero biondo), continuate così. Sei anni dopo fece le leggi razziali. Perché questo era [[Benito Mussolini|Mussolini]], diceva una cosa e ne faceva un'altra, secondo il vento del momento. Non creava il vento, vi si accodava da buon italiano.<ref>Citato in Gianna Fregonara, ''[https://web.archive.org/web/20160101000000/http://archiviostorico.corriere.it/2010/gennaio/24/Dal_balcone_Mussolini_bianco_sorriso_co_9_100124324.shtml Dal balcone di Mussolini al bianco sorriso di Belen]'', 24 gennaio 2010, p. 34.</ref> *{{NDR|Su [[Giorgio La Pira]]}} Un pasticcione ben intenzionato che, nel nome del Signore, appoggia le peggiori cause appellandosi ai migliori sentimenti.<ref>Citato in [[Roberto Gervaso]], ''Ve li racconto io'', Mondadori, Milano, 2006, p. 236, ISBN 88-04-54931-9.</ref> ===Citazioni tratte da suoi libri=== *{{NDR|Sul funerale di [[Leo Longanesi]]}} Al cimitero ci si ritrovò in una decina di persone, non di più. Non ci furono cerimonie né discorsi. Solo la piccola Virginia, che avrà avuto quattordici anni, mentre la bara di suo padre calava nella tomba, mormorò: «E dire che gli orfani mi sono sempre stati così antipatici...» Una frase che sarebbe piaciuta moltissimo a Leo.<ref>Dalla presentazione a [[Leo Longanesi]], ''In piedi e seduti'', Longanesi & C., Milano, 1968.</ref> ====''Caro Indro...''==== *L'aureola di martire a Craxi nessuno è disposto a riconoscergliela, proprio perché inconciliabile con l'arroganza con cui si comporta. Nessun paragone col contegno di Andreotti, davvero ineccepibile. Sul banco degli imputati ci sta da imputato, dimentico di essere stato per ben sette volte capo del governo. Parla solo se interrogato, e a bassa voce. Non rinuncia alla propria dignità, ma non la ostenta. Eppoi, le colpe che gli si addebitano saranno anche più gravi di quelle che si addebitano a Craxi, ma meno spregevoli. Potrà anche aver baciato Riina (sebbene a me questo appaia poco credibile). Ma del pubblico denaro non risulta che gli sia scivolata in tasca nemmeno una lira. Forse merita la fucilazione. Lo spregio, no. (31.1.1996) (p. 9) *Non ho mai conosciuto [[Yasser Arafat|Arafat]], né mai ho cercato di conoscerlo: non mi pare che il suo aspetto inviti alla simpatia. Però non l'ho mai considerato un criminale anche se si trovava alla testa di un'[[Organizzazione per la Liberazione della Palestina|organizzazione]] in cui di criminali ce ne sono molti. E oggi non lo considero affatto un eroe, ma un uomo coraggioso sì, perché lo ritengo in costante pericolo di vita. La lotta per il potere, dentro l'Olp, è a coltello: e i nemici di Arafat sono quelli che il coltello lo maneggiano meglio di tutti. Stringendo la mano a [[Yitzhak Rabin|Rabin]], Arafat ha moltiplicato i suoi nemici e li ha resi ancora più rabbiosi. È un uomo a rischio, non c'è dubbio. E se muore lui, addio pace in Medio Oriente. (4.10.1993) (p. 11) *Certo che il passato dell'Olp, carico di bombe e di sangue, non è la migliore referenza per un Nobel, ma Arafat è però anche l'unico interlocutore palestinese: dopo di lui c'è il nulla, o meglio soltanto gruppi di fanatici votati alla violenza e alla distruzione di [[Israele]]. Una volta presa la decisione di premiare i protagonisti del tormentato processo di pace in Medioriente [...] si è dovuto fare di necessità virtù e dare il riconoscimento anche all'uomo che per molti anni è stato un simbolo del terrorismo, nonché l'ispiratore di tante altre «lotte armate»: premiare solo Rabin e [[Shimon Peres|Peres]] sarebbe stato uno schiaffo ai palestinesi, un'iniziativa controproducente. [...] Forse più che il Nobel per la pace meriterebbe quello per il ravvedimento... (30.10.1994) (p. 12) *«Libera Chiesa in libero Stato» è una formula più d'effetto che di sostanza. Potrebbe anche significare che Chiesa e Stato si ignorano a vicenda e ognuno dei due si attribuisce i poteri che più gli aggradono: che è il modo più sicuro per litigare, non certo per convivere. Fra i due ci deve essere un patto improntato al reciproco rispetto: condizione più facile da formulare che da realizzare. Ma sembra che lo sviluppo di questo rapporto negli ultimi anni abbia fatto più passi indietro che avanti. E mi pare che dello stesso parere sia il capo dello Stato, Carlo Azeglio Ciampi. Meno male (7.3.2001) (p. 30) *Ho fiducia in [[Massimo D'Alema|D'alema]], anche se non voterò mai per lui. Ho fiducia per due motivi. Prima di tutto perché, fra i leader di oggi, è l'unico vero professionista della politica. Eppoi perché non ho dubbi sulla sua intenzione di fare del Pds un partito socialdemocratico o laburista. Se non fosse così, non solo Prodi ma nemmeno Veltroni sarebbero al suo fianco. E appunto perché è così, sono convinto che consumerà fino in fondo il divorzio da Rifondazione. Lo consumerà cercando di non farsene portar via molti elettori. Ma lo consumerà per conquistare i moderati: altra strada non può battere. E proprio in questi giorni lo ha dimostrato sacrificando anche quella piccola falce e martello che tuttora sopravviveva nel simbolo del suo partito ai piedi della Quercia. Non era che un «segno», dirà qualcuno. Sì, ma che segno! (17.5.1995) (p. 42) *Anch'io sono stato in passato un fautore dell'elezione diretta, cioè per consultazione popolare, del Capo dello Stato. Mi pareva il mezzo più efficace per sottrarre almeno il Quirinale agl'intrallazzi dei partiti e per avere un garante al di sopra di essi. Ma poi ho dovuto cambiare idea di fronte alle prove di balordaggine, d'ignoranza, di totale mancanza di consapevolezza morale e civile dell'elettorato italiano, o almeno della sua maggioranza. È un elettorato sempre pronto a correre dietro a qualche ciarlatano che sappia vendere bene la sua merce e a lasciarsene trascinare nelle imprese più insensate. Insomma considero la stupidità più pericolosa degl'intrallazzi. (23.12.1998) (p. 47) *Non credo che [[Diana Spencer|Diana]] rimarrà nella memoria dei posteri. Era una bella e simpatica ragazza, che avrebbe anche potuto essere una buona moglie e una buona madre, ma che non aveva certamente la stoffa e le dimensioni umane, comportamentali di una regina. Più e meglio che sul trono, il suo personaggio avrebbe figurato in un romanzo di Liala. Non riesco ad accostarla a figure storiche (17.9.1997) (p. 72) *Mussolini non aveva la stoffa del criminale né di guerra né di pace. Dicendolo, so di espormi alle contumelie della cosiddetta intellighenzia. Ma ne ho già ricevute tante che non mi fanno più nessun effetto. Tuttavia mi rendo conto che alla condanna a morte non avrebbe potuto sfuggire perché almeno un responsabile delle catastrofi che si erano abbattute sull'Italia si doveva pur trovare, e non poteva essere che lui. Però c'è da ringraziare Dio, e per esso, il Comitato di liberazione nazionale che ne ordinò (o avallò) la fucilazione sul posto perché un processo a Mussolini avrebbe ancora più spaccato un Paese già spaccato dalla guerra civile (per chiamare col suo vero nome, la Resistenza). E credo che anche gli Alleati trassero un respiro di sollievo dal venirne esentati. Un processo avrebbe messo in imbarazzo anche loro per le indulgenze che avevano avuto verso di lui e quella parodia di totalitarismo ch'era stata il suo regime. Una Norimberga italiana sarebbe stata anch'essa una parodia. La fucilazione sul posto di Mussolini era un atto dovuto. Quello che non era dovuto, e che per gl'italiani provvisti di qualche senso dell'onore e della decenza rimarrà una indelebile vergogna, fu la scena di piazzale Loreto (30.6.1999) (pp. 89-90) *{{NDR|«Poni che ti regalino una telecamera, con il diritto di spiare per un mese, non visto, un potente della Terra, a tua scelta, dalla regina Elisabetta a Gheddafi, da Saddam a Clinton. Quale personaggio ti incuriosirebbe di più?»}} [[Vladimir Putin|Putin]]. Credo che sia una canaglia perché solo le canaglie potevano arruolarsi e fare carriera in un corpo di polizia come il Kgb. Ma è proprio di una canaglia che la [[Russia]] ha bisogno per ricompattarsi all'interno, risollevarsi dal caos in cui l'ha precipitata il crollo di un regime totalitario durato settant'anni, e riprendere nel gioco delle potenze mondiali il posto che spetta a un Paese di 250 milioni di abitanti, di grandi tradizioni e d'inesauribili risorse naturali. L'Occidente ha bisogno della Russia: è il suo antemurale verso un Oriente che può riservarci amare sorprese. [...] Non facciamoci illusioni sull'avvenire di una democrazia in Russia. Essa ha bisogno [...] di una mano forte e spregiudicata, di una canaglia insomma. [...] Ecco perché mi piacerebbe conoscere Putin: per vedere se è la canaglia di cui mi pare abbia bisogno la Russia in questo momento: un «momento» destinato a durare parecchi decenni. (18.10.2000) (pp. 104-105) ===Attribuite=== *Berlusconi non delude mai: quando ti aspetti che dica una scempiaggine, la dice.<ref name=Travaglio2004/> :In ''Io e il cavaliere qualche anno fa'', ''Corriere della Sera'', 25 marzo 2001, p. 1, Montanelli attribuisce la citazione a «un'alta personalità della Finanza, nota anche per il suo infallibile fiuto degli uomini». La frase esatta è: «Avrà anche i suoi difetti, ma un merito bisogna riconoscerglielo: quello di non deludere mai. Quando ti aspetti che dica una scempiaggine, la dice». ==Interviste== {{cronologico}} *{{NDR|La guerra coloniale etiopica}} Considerandola oggi, con la mia maturità d'oggi, {{NDR|è}} un'avventura di una stupidità senza fine. Ma immaginiamo un ragazzo di 24 anni messo al comando di una banda indigena, con 100 uomini neri – lui solo bianco – buttato all'avventura in quella guerra che di combattimenti ne ebbe molto pochi – non voglio passare per un gran guerriero, affatto – ma furono un anno e mezzo a cavallo, di cavalcate in questa natura selvaggia (ripeto, combattimenti ben pochi). {{NDR|«Dicono anche che lei aveva una moglie, diciamo indigena, molto bella, che era la più bella di tutte quelle che avevano gli ufficiali d'allora»}} Sì. {{NDR|«Era molto invidiato per questo»}} Pare che avessi scelto bene, era una bellissima ragazza bilena, di 12 anni – {{NDR|sorridendo}} scusatemi, ma in Africa è un'altra cosa – e così l'avevo sposata, nel senso che l'avevo regolarmente comprata dal padre che mi ha accompagnato insieme alle mogli dei miei ascari. Queste mogli degli ascari non è che seguissero la banda, ma ogni 15 giorni raggiungevano la banda: io non ho mai capito come facessero a trovarci in questo infinito dell'Abissinia. Quelle arrivavano e arrivava anche questa mia moglie con la cesta in testa, che mi portava la biancheria pulita. [...] {{NDR|Domanda del pubblico: «Lei ha detto tranquillamente di avere avuto una sposa, diciamo, di 12 anni e a 25 anni lei non si è peritato affatto di violentare una ragazza di 12 anni, dicendo "Ma in Africa queste cose si fanno". Io vorrei chiedere a lui come intende normalmente i suoi rapporti con le donne date queste due affermazioni»}} No signorina guardi, sulla violenza, nessuna violenza perché le ragazze in Abissinia si sposano a 12 anni. Non è questione, Quindi. {{NDR|Domanda del pubblico: «Su un piano di consapevolezza dell'uomo, insomma, il rapporto con una bambina di 12 anni è il rapporto con una bambina di 12 anni. Se lo facesse in Europa rischierebbe di violentare una bambina, vero?»}} Sì, in Europa sì, ma lì no. {{NDR|«Ecco, appunto»}} Lì no. {{NDR|«Quale differenza crede che esista dal punto di vista biologico, o anche psicologico?»}} No, guardi, {{NDR|«Dal punto di vista del costume»}} lì si sposano a 12 anni, non è questione. A 12 anni si sposano. {{NDR|«Ma non è il matrimonio che lei intende, a 12 anni in Africa. Guardi, io ho vissuto in Africa»}} Sì. {{NDR|«Quindi il vostro era veramente il rapporto violento del colonialista che veniva lì e si impossessava della ragazza di 12 anni»}} No... {{NDR|«Ma glielo garantisco, senza assolutamente tener conto di questo tipo di rapporto sul piano umano. Eravate i vincitori, cioè i militari che hanno fatto le stesse cose ovunque sono stati i vincitori, ovunque gli uomini si sono presentati come dei militari. La Storia è piena di queste situazioni»}} {{NDR|sorridendo}} Signorina, non so se lei vuole istruirmi un processo «a posteriori». {{NDR|«No, no, affatto. Guardi, ho soltanto voluto chiederle, per inciso, come lei intende – dopo le due interpretazioni – i rapporti con le donne»}} Dipende da cosa si mette dentro, dipende anche da cosa le donne mettono dentro di noi. È tutto un giuoco di specchi. {{NDR|«Ma lei vede sempre la donna in questa veste passiva di adulatrice, oppure di compagna – che appare e scompare – dell'uomo, non l'ha mai vista in una funzione diretta, attiva e diversa. Questo è un po' il dramma degli uomini della sua generazione»}} {{NDR|sorridendo}} Può darsi. Della mia generazione? Solo? {{NDR|«Credo»}} {{NDR|sorridendo}} Vabbè. Può darsi. (Da ''L'ora della verità'', 22 ottobre 1969) *{{NDR|Domanda del pubblico: «Io vorrei sapere perché lei, che si ritiene un osservatore, non ha mai affrontato il discorso sulla contestazione giovanile, tenendo anche presente il fatto che lei cerca il lettore. Lei ai giovani non dice assolutamente niente come giornalista»}} Come? {{NDR|«Se c'è un pubblico che lei sta perdendo, e forse non ha mai avuto, è proprio quello dei giovani. Vorrei sapere come mai lei non ha mai affrontato il discorso sulla contestazione, sulla realtà giovanile che è esplosa in questi ultimi anni»}} Signorina, io avrei tanto volentieri affrontato il discorso sulla contestazione se fosse possibile agganciare il discorso coi contestatori. Ma coi contestatori io non faccio il [[Alberto Moravia|Moravia]]. No. Non vado a farmi spernacchiare dai giovani, mi dispiace tanto. Né dai giovani, né da nessun altro. {{NDR|«Lei ha paura, scusi, di affrontare un discorso»}} No, io non ho paura, ma non ammetto di essere accolto a quel modo. È proprio un fatto, così, di dignità. {{NDR|«E allora, scusi, lei a questo punto rinuncia a un pubblico come può essere quello dei giovani semplicemente, così, per non avere degli spernacchiamenti, per non compromettere – diciamo – questo suo successo a cui è arrivato»}} Ma scusi, ma che dialogo sono le pernacchie? Me lo vuole spiegare? (ibidem) *Certamente [[Benito Mussolini|Mussolini]] fu un grossissimo politico, un uomo politico di grandissimo fiuto, di tempismo formidabile: lo dimostrò la facilità con cui vinse. Forse dovuta per metà alle sue capacità, alla sua bravura – parlo sempre come politico – e per metà all'insipienza, alla nullaggine dei suoi avversari, perché è tempo oramai di dire anche questo. Non c'è dubbio che il potere assoluto guastò completamente Mussolini: il Mussolini del 1930 non era certamente quello del 1940, il Mussolini di dieci anni dopo l'avvento al potere era diventato una specie di marionetta, la caricatura di sé stesso. Aveva perso proprio il senso della realtà, che era stato invece il suo forte da principio, il contatto col pubblico lo aveva perso, il senso della misura, e lo aveva dimostrato poi con gli errori madornali che ha fatto. Nei primi dieci anni credo che alcune cose buone le abbia fatte. Non credo che abbia ucciso la democrazia, credo che l'abbia soltanto seppellita perché era già morta. Da quel poco che ricordo l'Italia era un grosso carnevale, e anche abbastanza drammatico, perché la situazione interna era addirittura sfasciata: correva sangue, ne correva molto, noi in Toscana ne sapevamo qualcosa [...]. E quindi non è vero che lui... le democrazie non vengono mai uccise, le democrazie muoiono. Dopodiché si dà la colpa a chi le seppellisce, ma la verità è che si suicidano, e credo che la democrazia italiana del '21-22 si sia suicidata. [...] Mussolini capì una cosa fondamentale: che per piacere agli italiani bisognava dare a ciascuno di essi una piccola fetta di potere col diritto di abusarne. Questo era il fascismo. Il fascismo aveva creato una [[gerarchia]] talmente articolata e complessa che ognuno aveva dei galloni: il capofabbricato, il caposettore... tutti avevano una piccola fetta di potere, di cui naturalmente ognuno abusava, come è nel carattere degli italiani. (da ''Questo secolo'', 18 maggio 1982) *Ero all'estero, lavoravo nel giornalismo americano, alla ''United Press''. Chiesi alla mia agenzia di mandarmi come corrispondente in Abissinia. Giustamente mi dissero: «No, perché lei è un italiano, quindi logicamente non fa delle corrispondenze obiettive». Dico: «Avete ragione. Allora io vi lascio e vado volontario». Feci la mia brava domanda (la feci anche raccomandare). La domanda fu accolta, io fui mandato in Abissinia e, cosa un po' strana [...], a questo ragazzo di 23 anni [...] venne affidata una banda. [...] In quei due anni io contribuii a fare una cosa sbagliata, un'autentica fregnaccia qual era costruire un impero nel '35, quando coloro che lo avevano lo stavano già liquidando perché erano cose antistoriche. Ma io a 23 anni, a 24 anni, non potevo capire questo. Ebbi due anni di vita all'aria aperta, bella, di avventura, in cui credetti di essere un personaggio di Kipling, di contribuire a fare qualcosa di importante. Poi mi accorsi che non era vero, ma le cose non sono importanti per quello che sono, ma per quello che uno ci mette. E io in quel momento ci mettevo un grande entusiasmo: ebbi due anni di vita bellissima, a cavallo, con le tende, i miei uomini, libero, solo (perché non rispondevo a nessuno). Eh beh, compiango i giovani che non hanno avuto una simile esperienza. {{NDR|«E anche con una giovane moglie»}} E anche con una giovane moglie, {{NDR|indicando una fotografia}} eccola lì. Regolarmente sposata in quanto regolarmente comprata dal padre. {{NDR|«Quanti anni aveva?»}} Aveva 12 anni, ma non mi prendere per un Girolimoni. {{NDR|«Per un bruto»}} A 12 anni quelle lì erano già donne. {{NDR|«E tu dove l'avevi comperata?»}} L'avevo comprata a Saganèiti, un paese dove avevo mandato il mio emissario [...]. Me la comprò insieme a un cavallo e a un fucile, in tutto 500 lire. {{NDR|«E lei com'era?»}} Un animalino. Docile. Io le misi su un tucul con dei polli e poi, ogni 15 giorni, mi raggiungeva dovunque fossi, insieme alle mogli degli altri ascari. (ibidem) *Io esclusi immediatamente la responsabilità degli [[Anarchia|anarchici]] {{NDR|dalla [[strage di piazza Fontana]]}} per varie ragioni: prima di tutto, forse, per una specie di istinto, di intuizione, ma poi perché conosco gli anarchici. Gli anarchici non è che sono alieni dalla violenza, ma la usano in un altro modo: non sparano mai nel mucchio, non sparano mai nascondendo la mano. L'anarchico spara al bersaglio, in genere al bersaglio simbolico del potere, e di fronte. Assume sempre la responsabilità del suo gesto. Quindi, quell'infame attentato, evidentemente, non era di marca anarchica o anche se era di marca anarchica veniva da qualcuno che usurpava la qualifica di anarchico, ma che non apparteneva certamente alla vera categoria, che io ho conosciuto ben diversa e che credo sia ancora ben diversa. (da ''La notte della Repubblica'', 12 dicembre 1989) *La [[Lega Nord|Lega]] è una cosa sgradevole. Però le Leghe sono un fenomeno di reazione a una provocazione. È la politica nazionale, che fa nascere le Leghe. Questo non vuol dire che io le approvi. La reazione è sbagliata, ma provocazione c'è, le degenerazioni della partitocrazia ci sono. Che il pubblico denaro sia male amministrato e che a farne le spese siano soprattutto i cittadini del Nord non è contestabile. (da ''La Stampa'', 7 novembre 1990) *Ah, quel maledetto [[Toni Negri]], quel maledetto aizzatore dei sentimenti dei giovani che è vigliaccamente scappato dall'Italia per non affrontare il carcere. Per un Paese non c'è nulla di peggio che i cattivi maestri. Come punirli? Bisognerebbe impiccarli. Ripeto, impiccarli. (da ''L'Italia settimanale'', 1995) *Fu una pulizia etnica, bisognava far fuori gli italiani: allora si chiamarono fascisti e si ammazzarono, e si buttarono nelle [[massacri delle foibe|foibe]]. Questo avvenne dopo la fine della guerra, sia chiaro. Perché gli orrori di guerra, non dico che siano giustificabili, ma sono comprensibili, la guerra è di per sé stessa un orrore. No, queste... le foibe furono un'infamia commessa dopo la Liberazione, dopo la fine della guerra, e purtroppo vi hanno collaborato parecchi comunisti italiani, alcuni dei quali non solo sono ancora a piede libero, pur essendo vivi, ma ricevono delle pensioni di Stato. Ricevono delle pensioni di Stato. Però io ti posso dire questo: che come testimone oculare io ho visto anche in Croazia delle cose, da parte degli italiani, su cui è meglio sorvolare. Perché anche noi le abbiamo commesse, perché la guerra le comporta, questo è fatale, ecco. Quindi non facciamo tanto i moralisti. [...] No, questo {{NDR|tesi sloveno-croata sulla pulizia etnico-culturale da parte degli italiani durante il periodo di occupazione fascista}} è assolutamente falso. Pulizie etniche noi non ne abbiamo mai fatte, in nessun Paese occupato. Quando sento dire che noi facemmo anche la pulizia etnica in Etiopia, beh vabbè, mi cascano le braccia. Mi cascano le braccia. Quelle son menzogne infami, di gente o che non sa nulla, o che mente sapendo di mentire. Non è vero. Furono episodi, ma non di pulizia etnica, di rappresaglie. (dall'intervista al TG2, ''[http://www.youtube.com/watch?v=s9UXM_pKpqY Massacri delle foibe]'', 6 settembre 1996) *Tutto questo mi evoca dei ricordi poco simpatici. Era il [[fascismo]] che si conduceva così. Era il Fascismo che proibiva la satira, che in un paese civile e democratico dovrebbe essere assolutamente indenne da controlli politici; perché la satira non ha niente a che fare con la politica, anche se prende in giro la politica, ma si sa che è satira. Ed ogni regime serio e democratico accetta la satira, come si accettano le caricature. Era [[Benito Mussolini|Mussolini]] che non le sopportava. E qui pensano: «Ripuliremo la stalla», «Faremo piazza pulita». Ma questo linguaggio, al signor [[Gianfranco Fini|Fini]], chi glielo ispira? Ci ricorda delle cose che avremmo voluto dimenticare. Questa non è la destra, questo è il manganello. Gli italiani non sanno andare a destra senza finire nel [[manganello]]. [...] Alla Rai faranno piazza pulita, lo hanno già annunziato. Ma come si fa a definire democratico un partito che annunzia «Quando saremo al potere, noi faremo piazza pulita»? Ma questo è un linguaggio del peggiore squadrismo, che loro non sanno cosa fu, ma io me lo ricordo. Questo è il linguaggio con cui {{NDR|i fascisti}} andarono al potere. (da ''La settimana di Montanelli'', 17 marzo 2001) *Io voglio ringraziare Travaglio, perché ha detto l'assoluta e pura verità. Assolutamente. La versione che ha dato degli avvenimenti è quella esatta. [...] Io ho conosciuto due Berlusconi: il Berlusconi imprenditore privato che comprò ''il Giornale'' – e noi fummo felici di venderglielo, perché non sapevamo come andare avanti – su questo patto: tu, Berlusconi, sei il proprietario de ''il Giornale'', io, direttore, sono il padrone del ''Giornale'', nel senso che la linea politica dipende solo da me. Questo fu il patto fra noi due. Quando Berlusconi mi annunziò che si buttava in politica, io capii subito quello che stava per succedere. Cercai di dissuaderlo [...] ma tutto fu inutile. Dal momento in cui lo decise mi disse: «Ora ''il Giornale'' deve fare la politica della mia politica». Ed io gli dissi: «Non ci pensare nemmeno». Allora lui riunì la redazione come ha raccontato Travaglio – e questo lo fece a mia totale insaputa – e disse: «D'ora in poi ''il Giornale'' farà la politica della mia politica». E a quel momento me ne andai, cos'altro potevo fare? [...] Nella mia vita ci sono stati due Berlusconi, completamente opposti [...] questo fa parte del ritratto di Berlusconi. [...] Come capo politico è quello che io ho conosciuto in quei brutti giorni in cui scorrettamente, nella maniera più scorretta e più volgare, saltandomi, radunò la redazione de ''il Giornale'' per dirgli «Qui si cambia tutto» all'insaputa del direttore. Se questo sembra a Feltri un modo di procedere democratico e civile, è affar suo. (risposta telefonica a [[Marco Travaglio]] e [[Vittorio Feltri]] durante la trasmissione ''Il Raggio Verde'', 23 marzo 2001) *{{NDR|Silvio Berlusconi}} È il bugiardo più sincero che ci sia, è il primo a credere alle proprie menzogne. [...] È questo che lo rende così pericoloso. Non ha nessun pudore. (dall'intervista di Sophie Gherardi, ''L'Europa deve trattare il sig. Berlusconi con sdegno e disprezzo, non con ostilità'', ''Le Monde'', 8 maggio 2001<ref name=Travaglio2004/>) *Spero che l'Europa adotterà nei confronti di Berlusconi l'atteggiamento di indignazione e di disprezzo che merita. (dall'intervista di Sophie Gherardi, ''L'Europa deve trattare il sig. Berlusconi con sdegno e disprezzo, non con ostilità'', ''Le Monde'', 8 maggio 2001<ref name=Travaglio2004/>) {{Int|''Match''|a cura di Arnaldo Bagnasco, Alberto Arbasino e Maria Gefter Cervi, Rete 2, 18 gennaio 1978.}} *Io non stavo con Longanesi per ragioni ideologiche, anche perché io non ho mai capito quale ideologia avesse Longanesi. Longanesi non lo si poteva misurare sul piano ideologico, era sempre contro tutto e contro tutti. Era il frondista principe: lo è stato sotto il fascismo – e in fondo fece il più bel settimanale, forse, che abbia avuto l'Italia in questi ultimi decenni, credo: ''Omnibus'', che fu chiuso dal regime – e si è trovato sempre male con tutti i regimi. Che cosa pensasse in realtà Longanesi io, dopo un'amicizia di trent'anni, non sono mai riuscito a capirlo. Quello che mi affascinava di Longanesi, e che continua ancora oggi ad affascinarmi, è lo straordinario talento, l'inventiva, l'intuito, l'eleganza di Longanesi. Per cui io non consideravo le posizioni ideologiche di Longanesi, questo non m'interessava affatto. Per me era un fatto di vecchia amicizia: io sono un po' cresciuto con Longanesi, l'avrei seguito anche all'inferno perché con Longanesi si poteva andare anche all'inferno, diventava l'eden. *{{NDR|Sull'appello di votare DC nel 1976}} Questa può sembrare una contraddizione, ma che cosa avrei dovuto dire ai miei lettori? Di votare per chi? Questo è il punto. Oggi [...] i partiti laici ai quali io ideologicamente farei capo – liberale, repubblicano, socialdemocratico – fanno i pifferi di accompagnamento a un patto a sei, e questo era già nell'aria, prima del 20 giugno. Che cosa dovevo dire io ai miei lettori, «Votate per i pifferi di accompagnamento»? Francamente non me la sentivo. [...] Nonostante la mia etichetta di destra, io per i partiti di destra non mi schiererò mai. Io vorrei un centro: non lo trovo, non c'è. Un centro di opposizione democratica al regime che è già in atto non c'è. E allora che debbo fare? È colpa mia se la politica italiana non mi offre un centro? Io continuo a battermi per la costituzione di questo centro. *{{NDR|Domanda del pubblico: «Come mai in Italia non ci sono giornali indipendenti?»}} Io, per esempio, ho la presunzione – sarà infondata – di dirigere un giornale indipendente, perché vorrei sapere da chi prendo gli ordini. Me lo dica lei, Padre. {{NDR|«No, beh...»}} E allora, se non potete indicare qualcuno che mi dà gli ordini, io sono indipendente. {{NDR|«Rispondo anch'io da giornalista: è chiaro che un giornale non si sostiene con le idee sull'indipendenza, si sostiene con dei quattrini»}} Certo. {{NDR|«Allora io parlavo di un'indipendenza che, in quanto dipende da chi paga, è comunque una dipendenza ideologica. Questa era la domanda»}} Sì, l'ha scritto molto bene ''Repubblica'' [...] credendo di offendermi. Ha detto: «Il ''Giornale nuovo'' vive di collette». È vero, noi viviamo di collette, e io ne sono fiero perché le collette mi lasciano libero. {{Int|''Mixer''|a cura di Giovanni Minoli, Rete 2, 6 aprile 1981.}} *{{NDR|«Perché fu fascista fino al '37?»}} Questa è la storia della mia generazione, tutta la mia generazione è stata fascista fino al '35, al '36 o al '43. *{{NDR|«E perché smise di esserlo?»}} Perché noi credevamo che il fascismo fosse una cosa, e poi ci accorgemmo che era un'altra. *{{NDR|«Lei ha detto: "Buffoni, cafoni di natura, ''parvenus'', tutta gente in malafede, il bassettume, il pirellume, il cedernismo". Si riferiva alla Milano radical chic, ma che cosa voleva dire, esattamente?»}} Quello che ho detto. Veramente, io ne ho il più profondo disprezzo. Io accetto benissimo i comunisti: i comunisti sono gente seria, pericolosissimi, ma seri. I [[radical chic]] no. *{{NDR|«È sempre convinto del suicidio dell'anarchico Pinelli?»}} Assolutamente. *{{NDR|«Lei a Catanzaro, al processo per la strage di piazza Fontana, ha dichiarato: "Secondo me, il commissario Calabresi fu vittima di una campagna di stampa". Cioè?»}} No, non l'ho dichiarato a Catanzaro, lo dissi molto prima. Basta rileggere i giornali di quei tempi, e soprattutto i rotocalchi: veramente, Calabresi fu vittima di una campagna stampa infame e ingiusta, perché era uno dei funzionari più corretti che ci fossero. *{{NDR|«Pietro Valpreda, qui a ''Mixer'', ha definito Calabresi come "un tecnocrate del potere". Lei che cosa ne pensa?»}} Ma che significa «un tecnocrate del potere»? Un commissario di polizia serve il potere, chi diavolo deve servire? Valpreda? {{Int|''Faccia a Faccia: intervista a Indro Montanelli''|''Mixer'', a cura di Giovanni Minoli, Rai 2, 5 maggio 1985.}} *[[Renato Curcio|Curcio]] non sparava alle spalle, sparava di fronte, andava di persona a sparare. Naturalmente siamo su delle barricate opposte, ma io stimo Curcio. Lo stimo. È un uomo che secondo me ha delle idee sbagliate ma le serve, le serve da soldato vero. Con un suo galateo. Col suo coraggio. Senza mai rinnegarsi. Non si è pentito! *Io sono convinto che la magistratura debba essere indipendente, però chiedo ed esigo che abbia un autogoverno di controllo, e che soprattutto risponda dei suoi gesti. Oggi noi abbiamo una magistratura che non risponde a nessuno dei suoi errori spesso catastrofici, perché hanno distrutto uomini, hanno distrutto aziende per delle cose che poi si son rilevate insussistenti. Mai un magistrato ha pagato per questo. Io voglio che i magistrati paghino. Non dico a dei poteri esterni, ma perlomeno al potere a cui viene affidata la disciplina nella categoria. *Tutta l'intellighenzia italiana ha una vecchia tradizione di servilità, com'è logico, perché si è sviluppata in un Paese analfabeta, per secoli e secoli analfabeta. Non avendo il lettore doveva per forza procurarsi il protettore. Scriveva per il protettore. *{{NDR|«Il suo peggior difetto qual è, Montanelli?»}} Quello di non riconoscermene nessuno. *{{NDR|«[[Leo Longanesi|Longanesi]], parlando di lei, un giorno disse che lei capiva le cose con dieci mesi di anticipo rispetto a tutti gli altri. Ecco, tra dieci mesi cosa vede in [[Italia]]?»}} Queste erano le cose di Longanesi, ma in realtà io non riesco a vedere tra dieci giorni. {{Int|''[http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/1991/11/16/giangi-feltrinelli-io-non-ti-perdono.html 'Giangi' Feltrinelli io non ti perdono]''|''la Repubblica'', 16 novembre 1991, p. 33.}} *[[Giangiacomo Feltrinelli|Lui]] fu l'emblema di tutto quanto accadde in quegli anni {{NDR|Anni della contestazione}}. A differenza della [[Francia]], eravamo un paese da burletta, con una contestazione da burletta e rivoluzionari da burletta. E Feltrinelli ne fu l'esponente più qualificato. *Era il 1940 e a quel tempo Giangi aveva quattordici anni e seguiva i corsi scolastici con pessimo profitto. Giangiacomo era un ragazzetto che voleva a tutti i costi cavalcare qualcosa di rivoluzionario. Non importava il colore. Tanto è vero che il suo sogno fu prima il fascismo e poi Che Guevara. *{{NDR|«L'importante è stare in prima linea il fascismo?»}} Ma sì, negli anni Quaranta lui era fascista. Era talmente fascista che nel 1943, dopo l'8 settembre, voleva denunciare sia me che Barzini per alcune cose che avevamo detto contro i fascisti. Allora pensava di aderire a Salò. La sua dedizione a una causa quale che sia, purché rivoluzionaria, lo spingeva a questi atti pazzeschi. *Generoso? Lo chieda ai suoi collaboratori. Era una specie di padrone delle ferriere che spendeva generosamente solo per soddisfare il suo vizio principale: la rivoluzione. Con chi era in difficoltà non si dimostrò mai particolarmente generoso. *{{NDR|«Perché allora lei è così implacabilmente critico nei suoi riguardi?»}} Non ce l'ho neppure tanto con lui, quanto con tutti coloro che di Feltrinelli hanno fatto un mito. In realtà era un povero uomo. Un ingenuo divorato dall'esibizionismo. *{{NDR|«Come può ridurre tutto alla convinzione che fosse solo un ingenuo e un esibizionista?»}} Anche Starace segnò un decennio della nostra vita. Mica per questo era meno cretino. Se Feltrinelli sia stato qualcosa di più complesso, io non riesco a vederlo. Posso aggiungere questo: quella sua mania di ostentazione, quella voglia di primeggiare su tutte le cose lo ha condotto anche a degli atti di eroismo. Perché uno che sale su un traliccio, con la dinamite che non sa maneggiare e salta per aria, beh almeno il coraggio gli va riconosciuto. O forse chiamiamola incoscienza. {{Int|''[http://www.archiviolastampa.it/component/option,com_lastampa/task,search/mod,libera/action,viewer/Itemid,3/page,15/articleid,0824_01_1992_0072_0015_25082247/ Montanelli e il sacco di Milano]''|''La Stampa'', 14 marzo 1992, p. 14.}} *{{NDR|Il regime corrotto}} C'è ancora. Ma la rivolta non era tanto contro la corruzione e la partitocrazia, che erano senza dubbio un grosso male, ma che non erano il male più letale. In quel momento era proprio la società che si disfaceva, le condizioni della scuola, la predicazione del nulla, insomma la contestazione globale, l'ubriacatura degli Anni Settanta, che fu l'ubriacatura del terrorismo, e quella acquiescenza di una certa borghesia, salottiera, radical chic, che amoreggiava con queste cose, che aveva le smanie maotsetunghiste, che poi parlavano tutti di cose che non sapevano. La corruzione dei partiti invece è quasi immanente. La partitocrazia è destinata a durare almeno finché non si riforma la legge elettorale. Ma questa è la battaglia che noi cerchiamo di fare oggi. *{{NDR|«Ma gli Anni Settanta non hanno anche prodotto qualcosa di positivo nella società italiana?»}} No. Non vedo fatti positivi nel lascito degli [[anni di piombo]]. Vorrei sapere veramente quali. Quando dicono per esempio il divorzio. Ma il divorzio c'era già prima. Quelle sono conquiste sociali. C'era bisogno dei pistoleros per il divorzio? Ma andiamo! *{{NDR|«Però lei difendeva Pannella»}} Sì. A [[Marco Pannella|Pannella]] dobbiamo veramente due cose, malgrado le sue mattane. Effettivamente riuscì a impedire a una certa aliquota di giovani di finire in braccio al terrorismo, cioè gli dette un'altra bandiera. E alcune battaglie sue furono sacrosante, come quella del divorzio che appoggiammo. Poi verso Pannella io ho una certa simpatia, dovuta al mio vecchio fondo anarchico, libertario, che ritrovo in lui. È una simpatia genetica. Ritrovo in lui quello che io sono stato a vent'anni. *{{NDR|«Ma che fine ha fatto quella borghesia, che fine hanno fatto quei salotti buoni? Le sue battaglie contro la Crespi o contro la Cederna sono cosa Passata? Sono cambiati loro, oppure è cambiato lei?»}} Vabbè, con la [[Camilla Cederna|Camilla]] poi siamo ridiventati amici. Con la Crespi no, mai. Ma non ho più rancori, non ho più animosità. Però è un mondo che disprezzo un po', perché è un mondo di pecore che seguono sempre il filo del vento, santoiddio, sono proprio personcine, personcine inconsistenti, pronte ad andare con chiunque. E poi sempre per salvare i propri interessi, non è che abbiano delle idealità, no? Oggi è cambiato il vento, quindi sono cambiati anche loro. Ma non è che sia cambiato il mio giudizio. Quel mondo lì io non lo amo. *La crisi rimane e si riflette nell'amministrazione cittadina. L'amministrazione era sempre stata un autentico specchio. Fino a Bucalossi il Comune di Milano era retto da specchiati galantuomini, che finivano tutti poveri, in miseria, finivano alla Baggina. Gente davvero di una correttezza esemplare. Poi sono venuti gli Aniasi e compagni e guardi qui dove siamo arrivati: siamo arrivati a [[Mario Chiesa|Chiesa]]. {{Int|''[https://web.archive.org/web/20121107180200/http://archiviostorico.corriere.it/1993/giugno/06/Montanelli_tura_naso_come_nel_co_0_93060610816.shtml Montanelli si tura il naso come nel '76: voto l'uomo della Lega]''|''Corriere della Sera'', 6 giugno 1993, p. 3.}} *Mi sono dannato l'anima perché il centro avesse un ''suo'' candidato. Avrei voluto Locatelli: era la persona giusta per portare la bandiera referendaria e raccogliere gli elettori moderati. Era quello il mio sogno. *Segni non ha capito nulla, è arrivato in ritardo, ha candidato una persona che nessuno conosce. Non abbiamo ''un'' rappresentante del centro, ma tre surrogati che si elimineranno a vicenda. E ci toccherà scegliere fra [[Nando dalla Chiesa|Dalla Chiesa]] e Formentini. *{{NDR|«Di qui il suo suggerimento: turarsi il naso e votare Lega»}} No, non dico "Votiamo Lega", dico "Votiamo Formentini". E nel suo caso non ci si deve neppure turare il naso: è modesto, anche mediocre se vogliamo, ma è onesto. Non credo sia marcio. Insomma: è il male minore. *{{NDR|«E Dalla Chiesa?»}} No, il mio voto non lo avrà. Perché io non voto per la sinistra e per un sinistro come quello lì. *{{NDR|«Ma che cosa la preoccupa nella coalizione di Dalla Chiesa?»}} Questi reperti di un mondo fallito vogliono ora governare l'Italia. E io con loro non ci sto. La storia gli ha dato torto, la realtà li svergogna e noi dovremmo fidarci? È stata l'apertura a sinistra a dare inizio alla putredine. {{Int|''Eppur si muove''|a cura di Indro Montanelli e Beniamino Placido, Rai 3, 1994.}} *Ogni italiano è insieme furbo e fesso. L'italiano è furbissimo nella gestione dei suoi affari privati, può ricorrere a tutte le astuzie, è attento, è accorto, ed è assolutamente fesso nel non rendersi conto che se i suoi affari privati rimangono immessi in una società che non funziona – cioè dove gli interessi generali vengono trascurati e negletti – i suoi interessi privati finiscono col soffrirne e col condurlo al fallimento. Questo, a noi italiani, non entra in testa. (6 febbraio 1994) *È probabile che molti stranieri mandino i loro figli, a Roma, a scuola. Ma quali scuole? Alle loro. Gli americani mandano i loro figli alla scuola americana, i tedeschi alla scuola tedesca, i francesi alla scuola francese. Non li mandano mica alla scuola italiana, se ne guardano bene e hanno ragione, visto il modo in cui si insegna in Italia. (ibidem) *Da noi prima uscivano dei ragazzi che sapevano abbastanza di greco, di latino, ma che il carattere non lo avevano formato a scuola: o se lo formavano da soli, oppure non se lo formavano mai. (ibidem) *Lo [[Zingari|zingaro]] che fa tranquillamente la sua vita non dà noia a nessuno, è quando ruba che, naturalmente, suscita qualche perplessità (uso un eufemismo). Diciamo la verità, in Italia il razzismo non c'è. Per inventare una questione razziale ci volle una legge, e una legge fatta da un regime totalitario perché il Paese non la sentiva. Non poteva sentirla perché non è nella nostra tradizione. [...] L'Italiano non ha dei risentimenti razziali. [...] {{NDR|Sugli episodi di intolleranza e di paura per il diverso}} È un fatto di piccolissime minoranze, diciamo la verità. Non inventiamo adesso una questione {{NDR|razziale}}. Io ho vissuto nelle società veramente razziste, è tutta un'altra faccenda. (con [[Serena Dandini]], 20 marzo 1994) *Io ebbi una moglie etiopica, nel senso che la comprai secondo l'uso locale. {{NDR|«Come, scusi?»}} Eh beh, ma gli usi locali erano questi. Tutti, anche gli etiopici, compravano la moglie. {{NDR|«Quanto costava una moglie?»}} Poco. Costava poco, mi pare che mi costò – allora, però (anno 1935) – 500 lire e un tucul {{NDR|trattando}} col suocero. Perché queste furono transazioni fatte dal mio emissario, che era il più anziano graduato della mia banda, col padre della ragazza. [...] Questo matrimonio durò finché noi stemmo di stanza a Saganèiti, cioè a dire prima che scoppiasse la guerra con l'Abissinia (che non fu precisamente una guerra, fu una specie di avventura). [...] Poi questa mia moglie, perché era considerata tale, quando io partii sposò un mio graduato e al primo figlio – è vivo tuttora, mi hanno detto – diede il mio nome, per cui alcuni credettero che fosse figlio mio. Non era figlio mio. Soltanto che per deferenza... {{NDR|«Lei non pensò mai di portarla con se in Italia?»}} Beh, no. No, anche perché era molto difficile strapparla ai suoi costumi. Lei stessa, in fondo, non voleva venire. Lei apparteneva alla sua terra, io le feci una piccola dote e quindi andò tutto regolarmente. Era molto bellina. (ibidem) *Gran parte delle forze leghiste, quelle che accennano a qualche razzismo nei confronti del meridionale, sono composte da meridionali che si sono milanesizzati e ci si trovano talmente bene a Milano che non vogliono che altri arrivino dal sud. (ibidem) *Per me la [[destra]] non è una [[ideologia]]: è un modello di comportamento. Si può essere di destra anche a sinistra. Questo comportamento è il criterio rigoroso del servizio della vita pubblica. (con [[Arnoldo Foà]], 17 aprile 1994) *Nella storia della [[Italia|nazione italiana]] io vedo pochi uomini all'altezza della qualifica di una destra illuminata che non solo accetta ma vuole le [[Riformismo|riforme]]. Un uomo di destra certamente io non credo che fosse [[Camillo Benso, conte di Cavour|Cavour]], del resto il suo connubio lo dimostra, la sua disinvoltura nelle alleanze politiche lo dimostra. Certamente di destra era [[Bettino Ricasoli|Ricasoli]]. Certamente era [[Quintino Sella|Sella]]. Certamente era [[Giovanni Giolitti|Giolitti]]: uomo che dette il suffragio universale, e che riconobbe il diritto di [[sciopero]]. Questo è un uomo di destra. Certamente un uomo di destra era [[Alcide De Gasperi|De Gasperi]], senza dubbio. E, adesso non vorrei scandalizzare la gente, ma direi che uomo di destra per il concetto che aveva dello [[Stato]] e del [[potere]] era anche [[Palmiro Togliatti|Togliatti]]. E questo dimostra che si può essere uomini di destra anche a [[sinistra]]. La destra è una regola di comportamento, una regola [[morale]] di comportamento. (ibidem) {{Int|''[https://web.archive.org/web/20101005073648/http://archiviostorico.corriere.it/1997/novembre/09/Montanelli_gambizzato_cinque_mesi_prima_co_0_9711098446.shtml Montanelli "gambizzato" cinque mesi prima: "Mi salvò una promessa a Mussolini"]''|''Corriere della Sera'', 9 novembre 1997, p. 29.}} *Quella mattina {{NDR|2 giugno 1977}} sono in due nei giardini di piazza Cavour, a Milano. Uno mi spara alle gambe. L'altro mi tiene nel mirino della sua pistola. I primi due – tre proiettili entrano nelle mie lunghe zampe di pollo. Non devastano né ossa né arterie. Ma sarebbero sufficienti per far cadere a terra qualsiasi cristiano. In quegli attimi ricordo la promessa che avevo fatto a Mussolini, e a me stesso, quando, bambino, mi ritrovai intruppato nei balilla: "Se devi morire, muori in piedi!" Davanti a questi vigliacchi che non hanno il coraggio di affrontarmi in faccia, penso, non posso morire in ginocchio. E mi aggrappo alla cancellata dei giardini. Non sto in piedi sulle gambe, ma mi reggo dritto con la forza delle braccia. E quello continua a sparare e a centrare le mie zampe di pollo. Se mi fossi accasciato, se mi fossi inginocchiato davanti a lui, a quell'ora sarei morto. *Per [[Renato Curcio|lui]] ho sempre avuto rispetto. Penso che la sua autoemarginazione dalla società prima e l'emarginazione che la società gli ha imposto poi ci abbiano privato di un uomo di valore. Non lo conosco di persona, ma lo stimo, anche se poteva essere lui quello che ha mandato i due ragazzi a spararmi. Non ho rancore: quando la guerra è finita gli avversari si devono stringere la mano e devono brindare alla pace ritrovata. *Apprezzo il coraggio di chi non si pente per ricavarne un utile, di chi non denuncia il compagno di errori ma riconosce i propri torti. Almeno i brigatisti lottavano per ideali diversi da quelli dello stalinismo e del comunismo sovietico. I terroristi neri, invece, volevano soltanto restaurare un regime sepolto dalla storia. I rossi non sapevano bene cosa ma avevano in mente qualcosa di nuovo. *{{NDR|«E se avessero vinto loro?»}} Impossibile. L'esistenza del terrorismo ha soltanto ribadito le manchevolezze del nostro Paese: uno Stato inefficiente e un popolo codardo e conformista. *{{NDR|Sui burattinai, i Grandi Vecchi, la Cia, i Servizi segreti}} Fregnacce: che gliene poteva importare alla Cia di fucilare gente come il buon Casalegno o quel galantuomo di Emilio Rossi, vent'anni fa direttore del Tg Uno, o quel bischero di Montanelli? La dietrologia era una divagazione di intellettuali perditempo. Il vero problema era ed è un altro: finché non ci decideremo a riconoscere la mancanza negli italiani di una coscienza nazionale e civile questo pericolo del terrorismo lo correremo sempre. E questa fabbrica di una coscienza nazionale e civile io non la vedo nascere. *{{NDR|Sul dolore che il tempo non ha cancellato nei parenti delle vittime}} Anche noi italiani dobbiamo imparare a pagare gli inevitabili tributi dovuti alla Storia come hanno saputo fare tutti i Paesi occidentali. Il dolore resta, ma la piaga va ricucita. Una volta per tutte. {{Int|''[http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/1998/07/25/borghesia-vile-deludente.html Borghesia vile e deludente]''|''la Repubblica'', 25 luglio 1998, p. 8.}} *È la solita bruciante delusione, questa nostra borghesia. Non cambia mai, è sempre la stessa: la più vile di tutto l'Occidente. Gente portata a correr dietro a chi alza la voce, a chi minaccia, al primo manganello che passa per la strada. Questo sono i nostri borghesi: tutti fascisti sotto il fascismo, poi tutti antifascisti fin dall'indomani. Quando il comunismo era forte e faceva paura, e io fondai ''il Giornale'', mi lasciarono solo e senza un soldo. Ai tempi del terrorismo, amoreggiavano con gli estremisti nella speranza che quelli – andati al potere – gli risparmiassero la villa e il portafoglio. E ora che il comunismo non c'è più, si scoprono tutti anticomunisti, questi sedicenti liberaloni. *Il loro eroe è sempre chi brandisce il [[manganello]]. Ieri, il manganello vero. Oggi, quello catodico delle televisioni. Il liberalismo vero l'hanno sempre tradito, anzi non hanno mai saputo che cosa sia. Non vogliono le regole, detestano le leggi, vogliono avere le mani libere per fare quello che gli pare, in nome della loro cosiddetta «[[efficienza]]». Quando abbiamo fondato ''la Voce'' l'abbiamo toccato con mano: parlare di regole e di legalità a questa gente è peggio di un insulto, una bestemmia in chiesa. *L'ho sempre detto che fu un errore, quattro anni fa, defenestrarlo. Bisognava lasciarlo lì ancora un bel po', così tutti avrebbero capito quanto vale, che razza di statista è... Magari adesso non saremmo in Europa, ma non avremmo così tante gente che si lascia ubriacare dalla sua propaganda, che prova nostalgia per lui. *{{NDR|«E se un giorno si andasse a votare per il suo referendum, quello per abolire i reati del Cavaliere?»}} In quella forma, mi pare difficile che si arrivi, anche se in Italia non si sa mai. Comunque, se si votasse, credo che anche lì vincerebbe lui. Perché è quello che vuole questa nostra borghesia. Ormai è ufficiale: Berlusconi ce lo meritiamo. {{Int|''[http://www.repubblica.it/online/politica/satiquattro/montanelli/montanelli.html L'Italia di Berlusconi è la peggiore mai vista]''|''la Repubblica'', 26 marzo 2001.}} *Io voglio che vinca, faccio voti e faccio fioretti alla Madonna perché lui vinca, in modo che gli italiani vedano chi è questo signore. [[Silvio Berlusconi|Berlusconi]] è una malattia che si cura soltanto con il vaccino, con una bella iniezione di Berlusconi a Palazzo Chigi, Berlusconi anche al Quirinale, Berlusconi dove vuole, Berlusconi al Vaticano. Soltanto dopo saremo immuni. L'immunità che si ottiene col vaccino. *È strano: io non avevo mai preso parte alla campagna di demonizzazione: tutt'al più lo avevo definito un pagliaccio, un burattino. Però tutte queste storie su Berlusconi uomo della mafia mi lasciavano molto incerto. Adesso invece qualsiasi cosa è possibile: non per quello che succede a me, a me non succede nulla, non è che io rischi qualcosa, è chiaro. Quello che fa male è vedere questo berlusconismo in cui purtroppo è coinvolta l'Italia e anche tante persone perbene. *La scoperta che c'è un'Italia berlusconiana mi colpisce molto: è la peggiore delle Italie che io ho mai visto, e dire che di Italie brutte nella mia lunga vita ne ho viste moltissime. L'Italia della [[marcia su Roma]], becera e violenta, animata però forse anche da belle speranze. L'Italia del 25 luglio, l'Italia dell'8 settembre, e anche l'Italia di piazzale Loreto, animata dalla voglia di vendetta. Però la volgarità, la bassezza di questa Italia qui non l'avevo vista né sentita mai. Il berlusconismo è veramente la feccia che risale il pozzo. {{Int|''La Storia d'Italia di Indro Montanelli''|a cura di Mario Cervi, interviste di Alain Elkann, ''Cecchi Gori Editoria Elettronica Home Video'', 1999.}} *Il silenzio mantenuto finora {{NDR|sui massacri delle foibe}}, o quasi silenzio, si spiega facilissimamente: tutta la storiografia italiana del dopoguerra era di sinistra, apparteneva all'intellighenzia di sinistra, la quale era completamente succuba del Partito Comunista. Quindi non si poteva parlare delle foibe, che non appartenevano al comunismo italiano, ma appartenevano certamente al comunismo slavo, di cui però il comunismo italiano era alleato e faceva gli interessi. Quindi di questo non si poteva parlare, e non si poteva parlare delle stragi del triangolo della morte, perché anche queste ricadevano sulla coscienza – ammesso che ce ne sia una – del Partito Comunista, il che sta a dimostrare quello che dicevo prima, cioè che la Resistenza non fu una resistenza, fu una guerra civile tra italiani che continuò anche dopo il 25 aprile. [...] {{NDR|Sull'eccidio dei conti Manzoni}} Andai come giornalista [...] per appurare com'era andata la strage dei conti Manzoni, dopo la fine della guerra. [...] Una famiglia di persone che col fascismo non aveva niente a che fare, ci aveva convissuto come tutti gli italiani. Bene, nessuno mi voleva parlare di questa faccenda. [...] Nessuno ne aveva parlato, né dei Carabinieri né della Polizia e tantomeno della magistratura, eppure lo sapevano. [...] C'era una complicità assoluta, una complicità dannata. [...] Se ne parla ora perché il Muro di Berlino è crollato, ma si ricordi che trent'anni fa, quando [[Renzo De Felice|De Felice]] annunziò di mettere allo studio il ventennio fascista per sapere com'era andata, fu proposta la sua estromissione dalla cattedra universitaria, solo perché metteva allo studio un ventennio di storia italiana che, bella o brutta, c'era stata. [...] Non era possibile inquadrare storicamente il fascismo: chi lo faceva, cercando di spiegare i perché della sua durata, ed anche i perché della sua catastrofe, veniva accusato di fascismo. (da ''Dalla Monarchia alla Repubblica'') *È difficile sapere che cosa fu [[Palmiro Togliatti|Togliatti]], perché Togliatti non ha lasciato memoriali, non ha lasciato diario, che cosa pensasse Togliatti non lo sapeva nessuno, credo nemmeno la sua compagna Nilde Iotti. Si può dire che è stato un esecutore fedele degli ordini di [[Stalin]]. Lo è stato sempre, e per questo godeva la fiducia di Stalin. [...] Era un diplomatico per sé, soprattutto, perché é un uomo sopravvissuto a venticinque o trent'anni anni di Mosca, senza finire in galera, processato o contro il muro. Beh, questo è uno dei grandi personaggi. Sono pochi. {{NDR|«Non era uno statista, per esempio?»}} Non poteva essere uno statista perché i comunisti non hanno lo Stato nel sangue, i comunisti hanno il partito. Stalin non è mai stato Capo dello Stato, e nemmeno Capo del Governo, era capo del partito. Il potere nei regimi comunisti non sta né nello Stato né nel governo, sta nel partito. (da ''Dalla proclamazione della Repubblica al Trattato di pace'') *Questa [[Costituzione della Repubblica italiana|Costituzione]] porta male gli anni da quando aveva un giorno, perché fu subito chiaro quali erano i suoi difetti. Del resto furono anche denunciati da uomini come, per esempio, [[Piero Calamandrei|Calamandrei]], come Mario Paggi. (da ''Dall'assemblea costituente alla vigilia delle elezioni del 1948'') *I difetti furono soprattutto due. Il primo difetto fu di ripartizione dei lavori. La Costituente era formata da 600 membri eletti di passaggio. Voglio {{NDR|far}} notare che quella fu la prima elezione che si tenne in Italia – per la Costituente, non per il Parlamento – ma dove ci fu lo spiegamento dei partiti. Ogni partito portò i suoi candidati, cioè dei giuristi che facevano capo alla propria ideologia. Bene, in quella prima elezione il 35% dei voti andò ai democristiani, il 21% andò ai socialisti di [[Pietro Nenni|Nenni]], il 19% ai comunisti. Quindi in quel momento... non c'era ancora il Fronte ma in quel momento i socialisti facevano premio sui comunisti. Erano di poco, ma un po' più forti dei comunisti. [...] Questi 600 costituenti non potevano lavorare tutti insieme, era impossibile mandare avanti 600 persone a dibattere all'infinto le stesse cose, e allora i lavori furono devoluti a una commissione che si chiamò la ''Commissione dei Settantacinque'', perché erano 75 membri della Costituente che venivano incaricati per le loro competenze specifiche di redigere il testo. Ma anche 75 erano troppi, e allora anche i 75 si frazionarono in sotto-commissioni, ognuna delle quali lavorò per conto suo. Non ci fu un piano di insieme. {{NDR|«Quindi non fu un vero lavoro collettivo»}} Non fu un vero lavoro collettivo. Calamandrei lo disse subito: «Noi stiamo montando una macchina, che magari pezzo per pezzo sarà anche ben fatta, ma le cui giunture non coincidono con le giunture di altri pezzi». [...] Fu lasciata così perché nessuno volle rinunziare al proprio elaborato, e questo è tipico degli italiani. (da ''Dall'assemblea costituente alla vigilia delle elezioni del 1948'') *Il secondo motivo che rese questa Costituzione veramente impalatabile e nociva per il regime che ne doveva nascere, fu che i nostri costituenti partirono dal punto di vista opposto a quello da cui sarebbero partiti i costituenti tedeschi quando la Germania fu libera di elaborare una sua Costituzione. Da che cosa partirono i costituenti tedeschi? Da questo ragionamento: il nazismo fu il frutto della Repubblica di Weimar. Cos'era la Repubblica di Weimar? Era l'impotenza del potere esecutivo, cioè del Governo. [...] La Germania rimase nel disordine, nel caos, nella Babele dei partiti che non riuscivano a trovare mai delle maggioranze stabili, quindi dei governi efficaci. Ecco perché Hitler vinse, perché il nazismo vinse. I costituenti nostri partirono dal presupposto contrario, cioè dissero: «Cos'era il fascismo? Il fascismo era il premio dato a un potere esecutivo che governava senza i partiti, senza controlli eccetera. Quindi noi dobbiamo esautorare completamente il potere esecutivo, {{NDR|negando}} la possibilità di dare ai governi una stabilità, eccetera». Per rifare che cosa? Weimar. Cioè, mentre i tedeschi partivano dalla negazione di Weimar, noi arrivavamo {{NDR|a Weimar}} senza dirlo. Nessuno lo disse, ma questo fu il risultato. [...] Non fu possibile nemmeno introdurre quella solita linea di sbarramento che invece fu introdotta in Germania, per cui i partiti che non raggiungevano non ricordo se il 5 o il 3%, non avevano diritto a una rappresentanza. No, tutti i partiti dovevano esserci e tutti avevano un potere di ricatto sulle maggioranze, che erano per forza di cose di coalizioni. (da ''Dall'assemblea costituente alla vigilia delle elezioni del 1948'') *Gli italiani non imparano niente dalla Storia, anche perché non la sanno. {{NDR|«Forse non amano la Storia»}} Non la amano, non la leggono, non se ne interessano, ma questo anche le classi dirigenti: sono uguali, intendiamoci. {{NDR|«Lei auspica che venga rifatta questa Costituzione»}} Sì, ma che venga rifatta secondo criteri logici, non {{NDR|secondo}} criteri illogici. Tutte le volte che si diceva «Ma qui bisogna restituire un po' di autorità al potere esecutivo, bisogna mettere i governi in condizione di governare» si diceva: «Fascista! Fascista!». Con questo ricatto qui abbiamo fatto le più grosse scempiaggini che si potesse immaginare. (da ''Dall'assemblea costituente alla vigilia delle elezioni del 1948'') *La fine di [[Alcide De Gasperi|De Gasperi]] è la fine di un'epoca: con lui finisce un'epoca e ne comincia un'altra non certamente migliore. [...] C'è una bella pagina della figlia di De Gasperi, Maria Romana, che ha scritto un bel libro sul padre. Un libro tutto vero in cui racconta anche i funerali su in Val Sugana: c'era naturalmente tutta la nomenclatura democristiana che accompagnava la bara. Oramai De Gasperi era morto, si poteva anche fingere il compianto, e a un certo momento un passante che era lì – uno che guardava, che non aveva niente a che fare con la politica, con la Democrazia Cristiana eccetera eccetera – si avvicinò al feretro e scansando questi turiferari della DC disse: «No, non è vostro! De Gasperi è nostro! Era un italiano!». E aveva ragione. De Gasperi era nostro, non un democristiano. (da ''Gli anni di Alcide De Gasperi'') *{{NDR|[[Giovanni Gronchi]]}} Era un uomo molto abile, brillante parlatore, molto abile anche negli affari. Era molto più libertino di [[Carlo Sforza|Sforza]], quindi la Democrazia Cristiana [...] era cambiata, evidentemente, e Gronchi fu eletto per una faida interna della Democrazia Cristiana, perché [[Amintore Fanfani|Fanfani]] voleva [[Cesare Merzagora|Merzagora]]. Allora per fare dispetto a Fanfani, invece gli buttarono fra i piedi [[Giovanni Gronchi|Gronchi]], il quale seppe benissimo tessere la sua trama fra Sinistra, Destra eccetera e far diventare gronchiani anche quelli degli altri partiti. Dicendosi agli uni uomo di Destra e agli altri uomo di Sinistra, facendo insomma il giuoco personale di Gronchi, con cui entrò in Quirinale il vero grande corruttore della vita politica italiana. [...] Dopo l'onestissimo [[Luigi Einaudi|Einaudi]] viene Gronchi, che è l'indulgenza plenaria verso tutte le deviazioni e i deviazionisti d'Italia. (da ''La rivolta in Ungheria e l'elezione di Giovannni XXIII'') *Questa storia dell'MSI è una delle grandi truffe della Prima Repubblica: nella Costituzione c'è un articolo che proibisce la rinascita di un partito fascista. Ecco. Ora, l'MSI era chiaramente un partito fascista. Non lo negava, anzi si faceva gloria del fatto di essere l'erede eccetera. Perché lo avevano messo, allora? Lo avevano messo perché questo partito fascista, che avrebbe dovuto essere escluso dalla vita politica, serviva a captare un certo numero di voti che, senza questo partito, sarebbero andati a dei partiti moderati di Centro e soprattutto, forse, alla Democrazia Cristiana. Quindi quale fu il gioco delle Sinistre, a cui la Democrazia Cristiana però si piegò e si rassegnò: è consentito di esistere all'MSI, però l'MSI quando è in Parlamento è escluso dal gioco parlamentare. Così si mettevano i voti dell'MSI in ''frigidaire'', e così non andavano alla Democrazia Cristiana e ai partiti {{NDR|di Centro}}. È una delle peggiori truffe che è stata inventata dalla classe politica che ci ha governato per cinquant'anni. (da ''I successori di De Gasperi e la politica italiana fino alla morte di Togliatti'') *Io vorrei sapere quali furono le crescite... di civiltà che il [[Sessantotto]] pretende di averci lasciato. Io vedo tutt'altra cosa: io vidi nascere, dal Sessantotto, una bella torma di analfabeti che poi invasero la vita pubblica italiana, e anche quella privata, portando dovunque i segni della propria ignoranza. Io ho visto questo. Può darsi che sia affetto da sordità o da cecità ma io non ho visto altro, come frutti del Sessantotto. (da ''Il Sessantotto e la politica di Berlinguer'') *{{NDR|La differenza tra il Sessantotto francese e quello italiano è}} La differenza che passa fra l'originale e il fac simile perché il Sessantotto nacque in [[Francia]] e in [[Italia]] fu un fatto di riporto, di imitazione. {{NDR|«Che vi fu in tutto il mondo, però, questo»}} Un po' in tutto il mondo ma particolarmente in Italia dove non nasce mai niente, è sempre qualcosa di imitato dagli altri. Bene o male, insomma, i francesi ebbero... anche una certa cultura del Sessantotto, ebbero [[Jean-Paul Sartre|Sartre]]. Oddio, Sartre rivisto con gli occhi di oggi naturalmente scende molto dal suo mitico piedestallo. [...] In Italia non ci fu neanche un Sartre. (da ''Il Sessantotto e la politica di Berlinguer'') *Credo che su [[Pier Paolo Pasolini|Pasolini]] si sia preso un grosso abbaglio: Pasolini è passato per uno scrittore di sinistra perché aveva preso come sfondo dei suoi racconti – bellissimi del resto – il sottoproletariato delle borgate romane, i ragazzi di vita, insomma, la schiuma della società. Ma lo aveva fatto per dei gusti e dei motivi del tutto personali sui quali è inutile tornare a far commenti. Questo lo aveva fatto considerare come uno scrittore, un difensore del proletariato, ma non era una scelta politica quella che aveva fatto Pasolini. Non c'entrava niente, assolutamente nulla. Quindi quello che lui disse era assolutamente vero, cioè dire che nei tafferugli, dove spesso ci scappava il morto, tra quei dilettanti delle barricate che erano {{NDR|dei borghesi}}, i veri proletari erano i poliziotti, tutti figli di famiglie povere, eccetera eccetera. I dilettanti delle barricate erano tutti o quasi tutti figli di papà: aveva ragione Pasolini! Ma come no! E questo fu considerato un tradimento all'ideologia di sinistra. (da ''Il Sessantotto e la politica di Berlinguer'') *Il primo fenomeno fu il Sessantotto, e il Sessantotto partorì poi il terrorismo, il brigatismo rosso eccetera eccetera. Su questo non ci son dubbi, insomma. Dirò di più: i più seri, e forse gli unici seri, furono quelli che poi diventarono dei terroristi e che quindi rischiarono la loro vita, almeno. Gli altri erano quello che diceva Pasolini, dei figli di papà. (da ''Il Sessantotto e la politica di Berlinguer'') *{{NDR|La figura del Grande Vecchio}} È una di quelle fandonie, di quelle stupidaggini che piacciono tanto a noi italiani: l'idea di un Grande Vecchio che organizzasse tutte queste stragi, attentati eccetera eccetera. È un affare da Simenon di borgata insomma – no? Piaceva l'idea che ci fosse dietro tutta una strategia. Sennonché poi non si sapeva chi fosse il Grande Vecchio. {{NDR|«Aveva un volto questo grande vecchio?»}} Ne ha avuti molti: naturalmente [[Giulio Andreotti|Andreotti]] – quello non manca mai, quando si cerca un ''deus ex macchina'' di tutto ciò che di più criminale è avvenuto in questo Paese {{NDR|c'è}} Andreotti. {{NDR|«Però in quel momento non era tanto vecchio»}} In quel momento non era tanto vecchio, ma il Grande Vecchio non ha nulla di anagrafico, è il Grande Vecchio così – poi Gelli, poi Sindona. Ha avuto varie raffigurazioni che sono tutte di fantasia. (da ''Piazza Fontana e dintorni'') *Se c'era un funzionario corretto, che veniva portato come esempio da tutti i suoi colleghi, era Calabresi. Per quale motivo si scatenò questa campagna contro di lui non lo so. È vero che aveva interrogato [[Giuseppe Pinelli|Pinelli]], ma gli interrogatori di Calabresi facevano testo per la loro correttezza. Sempre. [...] Non so per quale motivo, a un certo momento, la stampa s'incendiò e cominciò ad additare Calabresi come «il bruto», come «lo scherano del potere sopraffattore e assassino». Questo si lesse in vari giornali. Ora, il potere sopraffattore assassino in quel momento era rappresentato da [[Mariano Rumor|Rumor]] e da [[Emilio Colombo|Colombo]]: mi dica lei se hanno il viso dei sopraffattori assassini. Magari lo fossero stati un po', ma immaginiamoci. E questa campagna fu implacabile, assolutamente implacabile. (da ''Piazza Fontana e dintorni'') *Come in tutti i processi italiani anche questi, che poi volevano arrivare all'identificazione dei responsabili e non ci arrivarono quasi mai, erano dominati dal cosiddetto «teorema»: si partiva dal presupposto... a un certo momento si mise di parlare degli anarchici – si smise quasi subito di parlare {{NDR|degli anarchici}} – e tutte le lampadine furono rivolte ai partiti e alle forze di Destra. Erano quelle le forze stragiste. [...] I nostri bravi giudici, salvo alcuni, partivano dal presupposto che {{NDR|i colpevoli}} certamente venivano di lì, venivano dalle Destre, dalle Destre più violente. Alle quali si attribuiva, sempre per «teorema», questa idea: creare una tensione nel Paese in modo da impaurire gli italiani e metterli alla scelta «o la libertà o l'ordine», perché insieme non potevano andare. Nella libertà era chiaro che non si poteva mantenere l'ordine, e loro dicevano: «Qualunque popolo messo a questa scelta sceglie l'ordine». Ecco. È un teorema. È un teorema che ha sempre cercato dimostrazione e non l'ha trovata mai. (da ''Piazza Fontana e dintorni'') *[[Bettino Craxi|Craxi]] era un uomo di partito certamente molto accorto, era un uomo valido di governo perché sapeva decidere. Che cosa fosse lo Stato, da buon socialista, non lo sapeva. (da ''Il terrorismo fino al sequestro e all'uccisione di Aldo Moro'') *Quelle lettere erano tutte farina del sacco di [[Aldo Moro|Moro]], e questa farina non è molto encomiabile perché, vede, tutti gli uomini hanno diritto ad avere paura. Tutti. Però quando un uomo sceglie la politica, e nella politica emerge a [[Statista|uomo di Stato]] – a uomo rappresentativo dello Stato – non perde il diritto a avere paura, ma perde il diritto a mostrarla. Questo sì. Questo è uno dei principi che dovrebbe essere affermato. L'incidente, tipo quello di Moro, fa parte del mestiere. Chi affronta quel mestiere deve sapere che può incorrere in quell'incidente e deve avere i nervi, e diciamo gli altri attributi, per resistere. Moro era lo Stato. Lo Stato si raccomandava, implorava, minacciava la classe politica che facesse di tutto, anche che si prostituisse, per salvargli la vita: eh, no. No. Moro era certamente un politico a modo suo, estremamente abile – era anche un galantuomo, credo – ma uomo di Stato non era nemmeno lui. [...] Anch'io mi sono posto questa domanda molto spesso: «Ma se Moro fosse tornato in politica dopo aver costretto lo Stato a prostituirsi, a inginocchiarsi di fronte ai terroristi, avrebbe potuto restarci?». Avrebbe potuto restare? Con che faccia? Vabbè che siamo in Italia. {{NDR|«Forse lo Stato sarebbe stato un altro perché i terroristi avrebbero vinto»}} Appunto. I terroristi avrebbero vinto. Quindi lui che cosa diventava, il braccio politico del terrorismo? Che cosa diventava? Come poteva ripresentarsi? Va bene, gli italiani hanno lo stomaco forte, inghiottono tutto – noi italiani abbiamo lo stomaco forte e inghiottiamo tutto – ma, insomma, di fronte a un uomo la cui vita, la cui sopravvivenza, aveva avuto quel prezzo per noi non credo che avrebbe potuto ripresentarsi all'opinione pubblica italiana. (da ''Il terrorismo fino al sequestro e all'uccisione di Aldo Moro'') *Noi naturalmente abbiamo il dovere di ringraziare [[Michail Gorbačëv|Gorbačëv]] per quello che ha fatto, però se lei mi chiede se lo ha fatto bene o lo ha fatto male io debbo rispondere che lo ha fatto malissimo. Io non so se lui... che lui volesse salvare la Patria sovietica questo non lo metto in dubbio. Che lui volesse salvare il comunismo... io debbo risponderle di no, perché quello che lui ha fatto per affossare il comunismo lo ha fatto. (da ''Giovanni Paolo II e la fine dell'URSS'') *Anche i cinesi si erano accorti che il sistema comunista era arrivato al capolinea, era fallito. Fallito perché non regge, assolutamente non regge. {{NDR|Il sistema comunista}} Aveva portato il Paese, e i Paesi che lo avevano adottato, al fallimento. Anche i cinesi si erano accorti di questo, però avevano capito che per trasformare un sistema oramai ancestralmente totalitario, statalizzato, che aveva tolto ogni libertà a tutti, che aveva disabituato tutti da ogni spirito di iniziativa e di impresa... per trasformare un'economia basata su questi principi fallimentari in un'economia capitalista basata sul libero mercato, sulla libera concorrenza eccetera, bisognava tenere in mano il potere politico per controllare questo passaggio. I cinesi lo fecero. Quando gli studenti di Pechino credettero di potergli {{NDR|al governo cinese}} prendere la mano scendendo in [[Protesta di piazza Tienanmen|piazza Tienanmen]] i cinesi non esitarono a mitragliarli e, per quanto un massacro non possa che essere esecrato, io dico questo: i cinesi erano obbligati a farlo. Se non lo facevano la Cina si dissolveva, ritornava quella di [[Chiang Kai-shek]]: ritornava quella dei signori della guerra, cioè il Paese si disfaceva. Il Paese che bene o male [[Mao Tse-tung]] aveva unificato e a cui aveva dato un'anima di Nazione si sarebbe disfatto. (da ''Giovanni Paolo II e la fine dell'URSS'') *{{NDR|Su [[Licio Gelli]]}} L'avevo visto una volta e questo [...] rendeva ancora più grande la mia sorpresa. Io avevo un giornale, ''il Giornale'', che non aveva patroni, non aveva pubblicità, che quindi aveva delle grosse difficoltà di tirare avanti. La proprietà era divisa fra me e una trentina di altri redattori, e non avevamo niente in mano. Io non trovavo una banca che mi facesse un fido, non trovavo una società pubblicitaria che mi garantisse un minimo decente delle cose [...]. A un certo momento il capo del nostro ufficio romano, Trionfera – che era massone, ma non P2 – mi disse «Senti, vieni a Roma perché so che c'è un signore che sta diventando il padrone della stampa italiana». Dico «Come? Il padrone della stampa italiana?» «Sì, c'è un signore che, a quanto pare, ha assunto un potere straordinario nel mondo dell’editoria e forse lui può anche aiutarci». [...] Andai a Roma e allora {{NDR|Renzo Trionfera}} mi disse che lui aveva appuntamento con questo signor Gelli, di cui io sentivo il nome per la prima volta [...], però dovevamo andarci quasi di nascosto. [...] Andammo [...] e così vidi Gelli per la prima e unica volta. Gli esposi la situazione e lui mi disse: «Ma questi sono dettagli, queste sono piccolezze, non sono problemi gravi perché qui, oramai, bisogna procedere a ben altro. Bisogna chiamare a raccolta tutta questa stampa italiana che è litigiosa, che è settaria. Bisogna darle un indirizzo unico». Allora io lì lo fermai. Dissi: «Come fa a darle un indirizzo unico? La stampa segue criteri diversi, i giornalisti...». «Macché giornalisti – disse lui – qui ci vuole un padrone della stampa!». Dico «Ma non esiste un padrone della stampa, a meno che non rifacciamo il Minculpop fascista, allora c'era un padrone perché c'era un regime che faceva il padrone». {{NDR|Licio Gelli}} Dice «Basta comprare la proprietà dei giornali». Dissi «Ma scusi, ci sono degli editori che non vendono» [...] «Questione di prezzo». Il discorso andò avanti su questi binari, quando uscimmo io dissi a Trionfera: «Senti, ma questo qui è il più grosso farabolano con cui abbiamo avuto a che fare, uno che si immagina di comprare tutta la stampa e di ridurla ai suoi ordini, va be', o è un matto, o è un matto, oppure è proprio un piazzista, un fregnacciaro qualsiasi insomma». Questo fu l'unico incontro. [...] Uno che faceva questi discorsi naturalmente mi sembrava inutile continuare a frequentarlo. Di lì a poco venne fuori la lista degli iscritti alla P2 e venne fuori l'identificazione di Gelli col Grande Vecchio, col famoso Grande Vecchio. {{NDR|«Finalmente si era trovato»}} Finalmente si era trovato il Grande Vecchio autore di tutte le stragi, le cose..., {{NDR|«Il vero Grande Vecchio»}} il bieco Grande Vecchio. Naturalmente non credetti nemmeno a questo. (da ''Il caso Sindona e la P2'') *Per istinto, e per come avevo visto e conosciuto [[Licio Gelli|Gelli]], io sono convinto che {{NDR|la [[P2|Loggia P2]]}} era una cricca di affaristi e basta. Era una cricca di affaristi condotta da un uomo che, evidentemente, come intrallazzatore doveva essere geniale. Era un pataccaro, indiscutibilmente era un pataccaro, ma che a tutto pensava fuorché a un ''golpe''. Non ci pensava nemmeno. Lui procurava affari e soprattutto fomentava carriere. Lui aveva capito qual è la struttura del potere in Italia, sempre, non soltanto allora, sempre: è una struttura mafiosa. Bisogna far parte di una cricca, di una conventicola in cui ognuno aiuta l'altro, e questo era la P2. [...] Ma che interesse poteva avere Gelli a rovesciare un sistema che gli consentiva di influire sino a quel punto? Quale interesse poteva avere? E poi, Gelli era un farabolano ma non doveva essere del tutto sprovveduto, doveva sapere che l'[[Italia]] non è terra da ''golpe''. Ma chi lo fa il ''golpe''? E anche se qualcuno lo fa, come fa a resistere? Che cos'ha dalla sua per fare il ''golpe''? Non ho mai creduto al golpismo di Gelli. (da ''Il caso Sindona e la P2'') *Il caso Chiesa era un caso modestissimo. Fece da detonatore perché il momento era maturo per arrivare a ''Tangentopoli'', che era dovuto a una cosa molto più complessa che era questa: che ci fosse la corruzione in Italia si è sempre saputo, la classe dominante promanava questo puzzo di fogna che tutti sentivano, il famoso «turarsi il naso». Soltanto che fin quando l'alternativa di questa classe politica allora al potere era un Partito comunista, che era un fac-simile di quello sovietico, basato sui carri armati, sulla polizia segreta, sulle delazioni, sui processi, [...] finché c'era questo spettro noi non potevamo prenderci il lusso di mettere sotto processo e mandare in galera la classe politica dirigente allora. Fu quando, col Muro di Berlino, crollò questo incubo che i tempi furono maturi perché questo avvenisse. (da ''Tangentopoli'') *Che {{NDR|la [[corruzione]]}} sia inestirpabile, di questo sono sicuro perché dura da 2000 anni. La corruzione non è soltanto nella politica: è nella società italiana! Noi italiani abbiamo sempre corrotto tutti! Tutti coloro che sono venuti in Italia a fare i padroni li abbiamo corrotti. [...] Noi dobbiamo metterci in testa che la lotta alla corruzione la si fa in un modo solo: cambiando gli italiani, non cambiando le classi politiche. Le classi politiche, anche quelle nuove, si corrompono. È inevitabile. (da ''Tangentopoli'') *[[Silvio Berlusconi|Berlusconi]] ha un sacco di qualità. C'è da dire, ha una grande immaginazione, una grande fantasia; ha un coraggio leonino nel buttarsi nelle imprese; sa trascinare molto bene; è un comunicatore eccezionale, sa accendere i suoi seguaci di entusiasmi eccetera eccetera, mi ricordo che una volta gli dissi: «Io sono sicuro che se tu ti mettessi a fabbricare dei vasi da notte, faresti venire la voglia di fare pipì a tutta l'Italia». (da ''Verso il bipolarismo'') *[[Silvio Berlusconi|Lui]] è un uomo d'attacco: se avesse fatto la carriera militare lui non sarebbe diventato né un [[Gerd von Rundstedt|Rundstedt]] né un [[Erich von Manstein|Manstein]], che furono i grandi strateghi tedeschi dell'ultima guerra. [...] Lui sarebbe diventato un [[Erwin Rommel|Rommel]] o un [[George Smith Patton|Patton]]. Cioè dire: è un generale di straccio e di rottura che, appunto, sullo slancio può compiere qualsiasi cosa. Se lo metti poi a difendere le posizioni conquistate con lo slancio, eh no, lì non ci sta. Come Rommel: Rommel finché poté attaccare in Libia e in Egitto attaccò. Quando dovette mettersi sulla difensiva chiese il rimpatrio. [...] Non sarebbe uomo di Curia e non è un uomo di pazienza, non è un uomo da guerra di posizione e di logoramento. (da ''Verso il bipolarismo'') *Lui Arrivò a Palazzo Chigi credendo, e facendo credere, che uno Stato si poteva condurre con gli stessi criteri di un'azienda privata. Io su questo avevo avuto serie discussioni con lui – non litigi, non ho mai litigato con Berlusconi – gli avevo detto: «Guarda che lo Stato non è un'azienda privata». [...] Lui credeva di potersi comportare a Palazzo Chigi, e con la macchina dello Stato, come si comportava con la sua organizzazione, dove la gente frullava e, se non frullava, lui la cacciava via, com'è giusto che faccia un imprenditore. Ma lui non poteva applicare questi metodi e sistemi allo Stato. Quando si trovò di fronte alla muraglia grigia, sorda e ottusa della burocrazia italiana, che è la peggiore, ma anche la più resistente del mondo, lui rimase senz'armi: non poteva licenziare neanche un usciere. Nel gioco parlamentare lui naufraga perché non è abituato a queste cose. La politica – non dico che sia solo un mestiere – ma è anche un mestiere. Questo mestiere lui non lo aveva. (da ''Verso il bipolarismo'') *Che gli italiani siano capaci di emanare leggi di riforma, ci credo senz'altro. L'Italia è la più grande produttrice di regole, ognuna delle quali è una riforma, è la riforma di un'altra regola. Gli stessi esperti pare che abbiano perso il conteggio delle leggi, dei regolamenti che vigono in Italia: c'è qualcuno che parla di 200.000, altri di 250.000. Ora, quando si pensa che la [[Germania]] ha in tutto 5.000 leggi, la [[Francia]] pare 7.000, l'[[Inghilterra]] nessuna, quasi nessuna – ha dei principi, così stabiliti. A cosa ha portato tutta questa proliferazione? A riempire gli scantinati dei nostri pubblici uffici, dove ci sono questi mucchi di legge che nessuno va nemmeno a consultare perché ognuna di queste leggi poi offre il modo di evaderle. Questa è la grande abilità dei legislatori italiani. I legislatori italiani sono quasi tutti degli avvocati. E gli avvocati a che cosa pensano? A ingarbugliare le leggi in modo da restarne loro i supremi e unici depositari. [...] Riforme: hai voglia se ne faremo, continuiamo a farne, è la nostra vocazione, questa. Quanto poi all'attuazione, allora è un altro discorso: le leggi in Italia non vengono osservate, anche perché sono formulate in modo che si possano non osservare. Ed è questo che spiega l'abbondanza, la prodigalità delle nostre classi politiche, delle nostre classi dirigenti, nello sfornarne di continuo. (da ''Dal Governo Dini all'Ulivo'') *Un Paese che ignora il proprio Ieri, di cui non sa assolutamente nulla e non si cura di sapere nulla, non può avere un Domani. Io mi ricordo una definizione dell'Italia che mi dette in tempi lontanissimi un mio maestro e anche benefattore, che fu un grande giornalista, [[Ugo Ojetti]], il quale mi disse: «Ma tu non hai ancora capito che l'Italia è un Paese di contemporanei, senza antenati né posteri perché senza memoria». Io avevo 25-26 anni e la presi per una ''boutade'', per una battuta, un paradosso. Mi sono accorto che aveva assolutamente ragione. Questo è un Paese che {{NDR|«È un Paese che non ama la Storia»}} ha una storia straordinaria, {{NDR|«Ma non la ama»}} ma non la studia, non la sa. È un Paese assolutamente ignaro di se stesso. Se tu mi dici cosa sarà un domani per gli italiani, forse sarà un domani brillantissimo. Per gli italiani, non per l'Italia. Perché gli italiani sono i meglio qualificati a entrare in un calderone multinazionale perché non hanno resistenze nazionali. Intanto hanno dei mestieri in cui sono insuperabili. [...] Voglio dirlo senza intonazioni spregiative, nei mestieri servili noi siamo imbattibili, assolutamente imbattibili. Ma non lo siamo soltanto in quelli. L'individualità italiana si può benissimo affermare in tutti i campi, anche scientifici. Io sono sicuro che gli scienziati italiani, i medici italiani, gli specialisti italiani, i chimici, i fisici italiani quando avranno a disposizione dei gabinetti europei veramente attrezzati brilleranno. Gli italiani, l'Italia no. L'Italia non ci sarà, non c'è. Perché gli italiani che vanno in Germania diventeranno tedeschi. [...] Alla seconda generazione sono assimilati. Dovunque vadano, sono assimilati. {{NDR|«Ma questo è un difetto?»}} No... è un difetto... è un difetto ed è anche una virtù. È una qualità. Voglio dire: per l'Italia non vedo un futuro, per gli italiani ne vedo uno brillante. (da ''Dal Governo Dini all'Ulivo'') ==Citazioni tratte dai giornali== ===''Corriere della Sera''=== <!--ordine cronologico--> *Gli eroi sono sempre immortali, agli occhi di chi in essi crede. E così crederanno, i ragazzi, che il «[[Grande Torino|Torino]]» non è morto: è soltanto «in trasferta». (7 maggio 1949) *{{NDR|A proposito di [[Maratea]]}} Forse in Italia non c'è paesaggio e panorama più superbi. Immaginate decine e decine di chilometri di scogliera frastagliata di grotte, faraglioni, strapiombi e morbide spiagge davanti al più spettacoloso dei mari, ora spalancato e aperto, ora chiuso in rade piccole come darsene. (4 ottobre 1957) *{{NDR|Su ''[[La dolce vita]]''}} Ma non c'è dubbio che qui ci si trova di fronte a qualcosa di eccezione (sic!) non perché rappresenti un meglio o un di più di ciò che finora si è fatto sullo schermo, ma perché ne va nettamente al di là, violando tutte le regole e convenzioni, a cominciare da quelle della durata, che supera le tre ore di spettacolo, per finire a quelle della trama, o meglio della non trama, perché non c'è. (''[http://cinquantamila.corriere.it/storyTellerArticolo.php?storyId=4d44ab344c050 Montanelli vede La Dolce Vita]'', 22 gennaio 1960) *{{NDR|Su ''[[La dolce vita]]''}} Non siamo più nel cinematografo, qui. Siamo nel grande affresco. Fellini secondo me non vi tocca vette meno alte di quelle che Goya toccò in pittura, come potenza di requisitoria contro la sua e la nostra società. (''ibidem'') *Il suo reportage non è una "patacca". Il poco – oh, molto poco! – che vi luce è proprio oro. E il molto che vi puzza è proprio fogna. Del resto, se così non fosse, il film sarebbe fallito come falliscono i reportages quando eludono la verità o non riescono a centrarla. Quindi, amici, vi prevengo se domani ''[[La dolce vita]]'' vi farà inorridire, non confutàtela dicendo: "Non è vero". Perché per esser vero, tutto ciò che qui è raccontato, lo è. D'altronde Fellini è ricorso al mezzo più spicciativo (e più diabolico) per dimostrarlo. (''ibidem'') *Ma mi affretto subito ad aggiungere che ''[[La dolce vita]]'' non è una polemica a sfondo giustizialista, che appunta i suoi strali sulle cosiddette classi alte. Non convincerebbe, in questo caso, o convincerebbe meno. Gli altri ambienti, che si srotolano giù giù negli appunti di questo reporter d'eccezione, sono descritti con la identica spietatezza, convalidata dalla stessa tecnica di rappresentare ciascuno nei propri panni. Lasciatemi testimoniare in tutta onestà che raramente ho visto qualcosa di più vero di quel salotto intellettuale. Esso ha dato perfino a me, che non ne frequento nessuno, un senso profondo di mortificazione, un vago anelito a cambiar mestiere e a iscrivermi, fo' per dire, ai coltivatori diretti. (''ibidem'') *Non è necessario essere socialisti per amare e stimare [[Sandro Pertini|Pertini]]. Qualunque cosa egli dica o faccia, odora di pulizia, di lealtà e di sincerità. (27 ottobre 1963) *Che i [[Rifugiati palestinesi|profughi palestinesi]] siano delle povere vittime, non c'è dubbio. Ma lo sono degli Stati arabi, non d'[[Israele]]. Quanto ai loro diritti sulla casa dei padri, non ne hanno nessuno perché i loro padri erano dei senzatetto. Il tetto apparteneva solo a una piccola categoria di sceicchi, che se lo vendettero allegramente e di loro propria scelta. Oggi, ubriacato da una propaganda di stampo razzista e nazionalsocialista, lo sciagurato ''fedain'' scarica su Israele l'odio che dovrebbe rivolgere contro coloro che lo mandarono allo sbaraglio. E il suo pietoso caso, in un modo o nell'altro, bisognerà pure risolverlo. Ma non ci si venga a dire che i responsabili di questa sua miseranda condizione sono gli «usurpatori» ebrei. Questo è storicamente, politicamente e giuridicamente falso. (16 settembre 1972) *[[Alexis de Tocqueville|Tocqueville]] diceva che «è nel sonno della pubblica coscienza che maturano le dittature». (da ''[https://web.archive.org/web/20160101000000/http://archiviostorico.corriere.it/1996/gennaio/13/platea_resta_assente_co_0_9601133631.shtml La platea resta assente]'', 13 gennaio 1996, p. 1) *Se si mettono a raffronto i due rivali come faccia, come presenza, come eloquio, come cordialità, insomma come simpatia umana, non c'è dubbio che Albertini ne ispira molto meno di Fumagalli, anzi diciamo la verità tutta intera: non ne ispira punta. Ed io, cittadino ed elettore milanese, proprio di questo sentivo il bisogno: di un sindaco antipatico, di faccia arcigna e poco invogliante alla pacca sulla spalla, al confidenziale «tu» e al pappecciccia coi sottoposti, e poco, anzi punto disponibile a quelle benevolenze, condiscendenze e indulgenze che rappresentano le supposte di glicerina di tutte le corruzioni. [...] Con Albertini ho parlato una sola volta. Ma mi è bastata per capire che, per rendersi antipatico, non ha bisogno di fare sforzi. Basta che si mostri com'è e come spero che rimanga: una specie di Molotov di Palazzo Marino, chiuso nei suoi caparbi ''niet'', diffidente, scostante e culdipietra. Che abbia una compagna fermamente decisa a non partecipare alla vita pubblica del compagno, anche questo ci va bene. [...] Si ricordi, signor Sindaco, che noi abbiamo votato per lei, non per questi papponi. (da ''[https://web.archive.org/web/20160101000000/http://archiviostorico.corriere.it/1997/maggio/13/tradito_Ulivo_co_0_9705136733.shtml Sì, ho tradito l'Ulivo]'', 13 maggio 1997, p. 1) *Non vorremmo, dopo averne deplorato il brutto vezzo, contribuire alle polemiche nel momento in cui bisogna invece accantonarle per fare compatto fronte per il salvataggio del salvabile. Ma basta con le «regole» che servono soltanto a rendere impenetrabili le responsabilità dei disastri quando i disastri si possono ricondurre a delle responsabilità umane (come non accade, per esempio, nei terremoti). Ma quando verrà l'ora della ricostruzione, ricordiamoci che l'[[urbanistica]] e il paesaggio italiani hanno bisogno non di altre, ma di meno «regole». E, più che di cemento, di dinamite. (da ''[https://web.archive.org/web/20160101000000/http://archiviostorico.corriere.it/1998/maggio/09/licenze_facili_leggi_oscure_co_0_9805099009.shtml Le licenze facili e le leggi oscure]'', 9 maggio 1998, p. 1) *Qualche dichiarazione meno infuocata contro la Giustizia di regime, come il [[Silvio Berlusconi|Cavaliere]] si ostina a definirla, avrebbe meglio aiutato la politica italiana a rimuovere il macigno che la paralizza, e che è lui, Berlusconi. (da ''[https://web.archive.org/web/20160101000000/http://archiviostorico.corriere.it/1998/luglio/14/RESTO_SIA_SILENZIO_co_0_9807143775.shtml E il resto sia silenzio]'', 14 luglio 1998, p. 1) *L'Italia sarà anche, come dicono i nostri tromboni universitari, «la culla del diritto». Ma è anche il sepolcro di una giustizia che, per decidere se un imputato è innocente o colpevole, aspetta il suo certificato di morte che la esenta dal dirlo. Il secondo problema è il reclutamento e la selezione [[magistratura|del personale]]. Come in tutte le altre pubbliche attività, anche nella giustizia c'è un dieci per cento di autentici eroi pronti a sacrificarle carriera e vita, ma senza voce in un coro di «gaglioffi» che c'è da ringraziare Dio quando sono mossi soltanto da smania di protagonismo. (da ''[https://web.archive.org/web/20160101000000/http://archiviostorico.corriere.it/1998/agosto/24/CARDINALE_MAGISTRATO_co_0_9808244892.shtml Il Cardinale e il Magistrato]'', 24 agosto 1998, p. 1) *Tutto si è risolto in un colpo solo, non si sa con precisione quando e come combinato, che ha tagliato la strada alla bagarre prima che cominciasse. E che, per quanto mi riguarda, mi ha liberato dall'incubo che turbava i miei inquieti sonni, e in cui mi vedevo in fuga da un mostro senza volto, ma che m'incalzava con la logorrea del presidente uscente, aggravata dall'accento irpino di Mancino e dalle corde vocali della signora Jervolino. [...] Siamo sicuri che il popolo, chiamato a pronunciarsi fra un [[Carlo Azeglio Ciampi|Ciampi]] e – faccio per dire – un [[Antonio Di Pietro|Di Pietro]], si sarebbe pronunciato per Ciampi? È una domanda che non aspetta risposta, ma che mi permetto di proporre ai lettori. Gran bella parola «il Popolo». E riconosciamogli pure l'attributo, che gli spetta, di «Sovrano». Ma insomma, meditate gente, meditate. (da ''[https://web.archive.org/web/20160101000000/http://archiviostorico.corriere.it/1999/maggio/14/QUASI_NON_CREDO_co_0_9905146643.shtml Quasi non ci credo]'', 14 maggio 1999, p. 1) *Tutti coloro che hanno svolto pubbliche funzioni in Sicilia sono rimasti e sono tuttora in qualche modo «collusi» con la mafia. Lo furono quotidianamente, e per secoli, il governo e la polizia borbonica. Lo fu [[Giuseppe Garibaldi|Garibaldi]] che in essa trovò, dopo lo sbarco, la sua prima alleata. Lo furono i governi nazionali sia di destra che di sinistra. Lo fu [[Giovanni Giolitti|Giolitti]] che pure non scese mai, a ch'io sappia, a sud di Napoli. Lo fu il presidente della vittoria, [[Vittorio Emanuele Orlando|Orlando]], che quando tornava a Palermo, la prima visita che rendeva non era al prefetto né all'arcivescovo, ma al capomafia. Tentò di non esserlo Mori che aveva licenza di uccidere garantita da un regime totalitario, e ci rimise il posto. Lo sono stati tutti i politiconi e politicastri della Prima Repubblica. Anche il cautissimo [[Giulio Andreotti|Andreotti]]? Può darsi, attraverso i suoi proconsoli ''in loco''. Ma il Tribunale deve aver capito che l'imputato non era lui. Era il costume morale e politico della nostra vita pubblica, sul quale un Tribunale non ha, né può né deve avere competenza. [...] E il problema, secondo me, è questo: che fin quando noi italiani crederemo di salvarci dalla peste mandando sul rogo una strega o un untore, dalla peste non ci libereremo mai. (da ''[https://web.archive.org/web/20160101000000/http://archiviostorico.corriere.it/1999/ottobre/24/TRIBUNALE_DELLA_STORIA_co_0_991024441.shtml Il tribunale della storia]'', 24 ottobre 1999, p. 1) *Ci dicano chiaro e tondo perché hanno smembrato il Ros, e hanno ridimensionato l'attività di Sco e Gico. Non ci raccontino che hanno voluto mettere al riparo il capitano Ultimo e i suoi uomini dalle possibili vendette della malavita. E soprattutto non vengano a ripeterci che il ''modus operandi'' dei servizi segreti, per impedirne le «deviazioni», dev'essere «trasparente». Questa, che un segreto possa essere trasparente, è un'idea da primato della cretineria. E, se non della cretineria, lo è della retorica virtuista o della menzogna truffaldina. (da ''[https://web.archive.org/web/20160101000000/http://archiviostorico.corriere.it/1999/novembre/02/PROCURATORE_BATTA_PUGNO_co_0_9911021451.shtml Procuratore batta il pugno]'', 2 novembre 1999, p. 1) *Era la prima volta che il partito socialista italiano aveva trovato un uomo {{NDR|Bettino Craxi}}, se non di Stato, almeno di governo, che lo aveva liberato dalla subalternanza al Pci, e condotto su posizioni democratiche, europeistiche e atlantiche. Lo avrà anche fatto con metodi alquanto spicciativi e disinvolti, più da padrino che da ''leader''. Ma mi chiedo se avrebbe potuto usarne di diversi per avere ragione dei vecchi tromboni del massimalismo populista e piazzaiolo con le loro clientele incrostate da decenni. E mi chiedo anche quanto contribuirono alla sua crocefissione i rancori e le acredini che si era lasciato dietro. Ma nella difesa si perse, e non per mancanza, ma forse per eccesso di coraggio. (da ''[https://web.archive.org/web/20160101000000/http://archiviostorico.corriere.it/2000/gennaio/20/STATISTA_LATITANTE_co_0_0001201104.shtml Lo statista latitante]'', 20 gennaio 2000, p. 1) *Anche noi siamo convinti che il Paese ha il diritto di conoscere la verità (che non riguarda soltanto quella di Piazza Fontana). Ma non ci riusciamo. Anche perché se la pista rimane, come sembra accertato, quella del terrorismo nero, non sappiamo quali nomi l'accusa potrà tirar fuori dal suo cappello. I tre maggiori indiziati sono già stati assolti con sentenza passata in giudicato che non consente di richiamarli sul banco degli imputati. Gli altri di cui si fa il nome non sarebbero che comparse, la più importante delle quali, Delfo Zorzi, risiede a Tokio con passaporto giapponese che lo mette al riparo da ogni pericolo di estradizione. Vale la pena ricominciare? L'''ouverture'' dei dibattimenti non è stata incoraggiante. Il proscenio era occupato da Capanna, Valpreda, [[Dario Fo]] e altri reduci sessantottini, cui si era aggiunto anche Sergio Cusani, l'intangentato convertitosi (lo diciamo senza nessuna ironia) al missionarismo. [...] Invano i portaparola della parte lesa, cioè dei familiari delle vittime, si sono dichiarati estranei e contrari a ogni tentativo di politicizzare il processo. Una parola. Non ci riescono nemmeno [[Jovanotti]] e [[Teo Teocoli|Teocoli]] con le loro filastrocche dal palcoscenico di Sanremo. Figuriamoci se potranno riuscirci i registi di questo processo ''rouge et noir'', se mai ve ne furono. [...] Ecco a cosa servono i processi come questo: non a cercare la verità, ma a fornire argomenti al ''rouge'' o al ''noir''. (da ''[https://web.archive.org/web/20160101000000/http://archiviostorico.corriere.it/2000/febbraio/26/QUELLA_VERITA_CHE_CERCHIAMO_co_0_0002264627.shtml Quella verità che cerchiamo]'', 26 febbraio 2000, p. 1) *Cosa c'entri la giustizia italiana in fatti e misfatti capitati trent'anni fa in un Paese {{NDR|l'[[Argentina]]}} di cui la metà della popolazione è di origine italiana, non riusciamo a capire. Ma ci pareva impossibile che l'iniziativa del giudice spagnolo Garzon per trascinare l'ex dittatore cileno [[Augusto Pinochet|Pinochet]] sul banco degli accusati di un tribunale madrileno non trovasse imitatori in un Paese di scimmie come il nostro. Grazie ad essa, il nome e il volto di Garzon sono noti in tutto il mondo. Ed è probabile che tra poco lo siano anche quelli del pubblico ministero Caporale. Vi pare poco in un'era dell'effimero come quella in cui stiamo vivendo, e che vede l'infittirsi di processi ai defunti, su cui le nuove leve della [[storiografia]] vorrebbero riscrivere il passato? (da ''[https://web.archive.org/web/20160101000000/http://archiviostorico.corriere.it/2000/aprile/03/QUEI_PROCESSI_CARO_ESTINTO_co_0_0004033275.shtml Quei processi al caro estinto]'', 3 aprile 2000, p. 1) *Dobbiamo avere la modestia di riconoscere che noi, come venditori, non leghiamo nemmeno le scarpe a un piazzista che se un giorno si mettesse a produrre vasi da notte, farebbe scappare la voglia di urinare a tutta l'Italia. (da ''[https://web.archive.org/web/20130619122825/http://archiviostorico.corriere.it/2001/febbraio/15/PREDICATORI_COMPARSE_co_0_0102158858.shtml I predicatori e le comparse]'', 15 febbraio 2001, p. 1) *Non sono mai venuto meno all'impegno, preso non con il Cavaliere, ma con me stesso, di non associarmi mai alla sua demonizzazione. Ma non posso sottacere ai lettori i pericoli che si nascondono sotto questa sua allergia alla verità, questa sua voluttuaria e voluttuosa propensione alle menzogne, la naturalezza con cui riesce a pronunziarle. (da ''Io e il cavaliere qualche anno fa'', 25 marzo 2001, p. 1) *Berlusconi, cui nulla riesce tanto bene quanto la parte di vittima e perseguitato. «[[Chiagne e fotte]]» dicono a Napoli dei tipi come lui. E si prepara a farlo per cinque anni di seguito. (da ''Io e il cavaliere qualche anno fa'', 25 marzo 2001, p. 1) ====''La stanza di Montanelli – rubrica''==== {{cronologico}} *{{NDR|[[Vittorio Sgarbi]]}} È un volgare calunniatore, che non disonora se stesso, ma anche il suo committente e padrone (tutti sappiamo chi è) che si serve di un simile scherano. (8 novembre 1995) *I [[Riformismo|riformatori]] italiani, quando si tratta di riformare ciò che non ha bisogno di essere riformato, sono instancabili. L'attività dell'Ucas, Ufficio complicazioni affari semplici, come ricordava un altro lettore esasperato, è frenetica. ([https://web.archive.org/web/20160101000000/http://archiviostorico.corriere.it/1995/dicembre/13/Ufficio_complicazioni_affari_semplici_co_0_9512139920.shtml 13 dicembre 1995]) *Io credo che il miglior omaggio che si può rendere a [[Aldo Moro|Moro]] sia quello di archiviare l'episodio che ne segnò la fine e dal quale, diciamo la verità, la sua immagine esce tutt'altro che bene. Quando sento dire che, oltre a quelle conosciute, ci sono anche altre lettere di Moro, prego Iddio che non vengano trovate. So già cosa contengono, e preferisco non leggerlo. (21 dicembre 1995) *È assolutamente impossibile istillare negli [[zingari]] il concetto di proprietà e quindi educarli al lavoro come mezzo per conquistarsela. Ma temo che sia altrettanto impossibile far capire tutto questo ai nostri pietisti, religiosi e laici, che farneticano di «integrarli». ([https://web.archive.org/web/20160101000000/http://archiviostorico.corriere.it/1995/dicembre/30/Viaggiai_sul_carrozzone_degli_zingari_co_0_95123012229.shtml 30 dicembre 1995]) *A me, invece, [[Beppe Grillo|Grillo]] piace. Lo considero il più efficace comico in circolazione. Anzi: «comico» non è la parola giusta. Grillo non è un comico, non è un moralista, non è un predicatore: è tutte queste cose insieme. Nel panorama dello spettacolo italiano, dove abbonda il bollito misto, è un'eccezione ambulante (e urlante). Lei ha ragione quando dice che Grillo esagera. Non soltanto esagera; provoca anche, e insulta, e offende. Ma tutte le categorie di giudizio, con un tipo così, risultano inadeguate. Grillo appartiene ad una specie animale particolare, formata da un solo esemplare: lui. O lo strozziamo o lo applaudiamo. Io, appena posso, lo applaudo. Perché i suoi eccessi, a differenza di quelli di [[Vittorio Sgarbi|Sgarbi]], odorano di bucato. ([https://web.archive.org/web/20160101000000/http://archiviostorico.corriere.it/1996/gennaio/11/Beppe_Grillo_incubo_esilarante_co_0_9601114281.shtml 11 gennaio 1996]) *Una delle eterne regole italiane: nel settore pubblico, tutto è difficile; la buona volontà è sgradita; la correttezza, sospetta. Per questo, le persone capaci continueranno a tenersi a distanza di sicurezza dalla «cosa pubblica», lasciando il posto ai furbastri (magari bravi) e alle mezze cartucce (magari oneste). Così, purtroppo, vanno le cose in questo bizzarro paese. ([https://web.archive.org/web/20160101000000/http://archiviostorico.corriere.it/1996/gennaio/26/Impegno_politico_caduta_delle_illusioni_co_0_9601261298.shtml 26 gennaio 1996]) *In una società libera il compito dei media non è «edificare la morale»; è informare, denunciare, stimolare, far riflettere, occasionalmente divertire. (28 gennaio 1996) *L'unico incoraggiamento che posso dare ai giovani, e che regolarmente gli do, è questo: «Battetevi sempre per le cose in cui credete. Perderete, come le ho perse io, tutte le battaglie. Una sola potete vincerne: quella che s'ingaggia ogni mattina, quando ci si fa la barba, davanti allo [[specchio]]. Se vi ci potete guardare senza arrossire, contentatevi». (20 febbraio 1996) *Non so se il Pci sia sotterraneamente sceso a trattative con le Br per convincerle a secondare questo piano. So soltanto che le Br, le quali invece la rivoluzione la volevano sul serio, lo rifiutarono, e fu proprio per farlo naufragare che rapirono e poi uccisero colui che doveva esserne lo strumento. [...] Fu il risoluto e quasi furibondo (oltre che sacrosanto) no dei comunisti che fece naufragare il tentativo {{NDR|Trattativa Stato-BR durante il sequestro [[Aldo Moro|Moro]]}}, che invece in seno alla Dc aveva parecchi sostenitori, anche se non osavano dirlo apertamente. Di qui le accuse e le insinuazioni contro i suoi compagni di partito, lanciate da Moro in quelle famose lettere, che avrebbe fatto meglio a non scrivere perché indegne di un vero uomo di Stato, anzi di un uomo tout court, e che ancor oggi forniscono materia al sospetto di una congiura fra democristiani – con l'aiuto dei soliti servizi segreti «deviati» – per sbarazzarsi di lui. Vero nulla. Forse nella Dc le forze «trattativiste», praticamente disposte alla resa alle Br, avrebbero vinto, se non ne fossero state impedite dalla risolutezza del Pci, che di un brigatismo assurto ad interlocutore dello Stato non voleva sentir parlare e di un Moro salvato al prezzo di una simile capitolazione non avrebbe più saputo che farsi. (26 marzo 1996) *No, è stata la persecuzione che ha costretto gli ebrei, per resisterle, a tendere ed affinare tutte le loro risorse intellettuali. Ecco il segreto dei loro primati. In tutto. E talvolta anche nella cretineria. (3 aprile 1996) *L'[[Allargamento della NATO|allargamento della Nato]] è una cosa maledettamente seria, e decisamente complessa. Parlarne prima delle elezioni presidenziali russe vuol dire buttare benzina sul fuoco; non parlarne oggi significa, forse, non parlarne più. [...] Innanzitutto, dobbiamo renderci conto che la Nato è un'organizzazione basata sul consenso: se si estende verso Oriente [...], la compattezza dell'alleanza rischia di incrinarsi. Ancor più delicata è una seconda questione. Governi e opinione pubblica occidentali devono capire le implicazioni della loro decisione. In seguito all'allargamento, i nuovi membri orientali della Nato (che siano solo Repubblica Ceca e Ungheria; o anche Polonia e Paesi Baltici) diventano nostri alleati, a tutti gli effetti. Questo vuol dire che, se venissero attaccati, dovremmo correre a difenderli. Domanda: siamo disposti a morire per Varsavia e Tallin? Se la risposta è «sì», allarghiamo pure la Nato. Se la risposta è «ma, forse...» – e in Italia sarebbe sicuramente «ma, forse...» – è meglio che lasciamo perdere. In quella parte del mondo hanno già sofferto abbastanza. Non è il caso che ci mettiamo anche noi. ([https://web.archive.org/web/20151025020316/http://archiviostorico.corriere.it/1996/aprile/20/Allargamento_della_Nato_Lasciamo_perdere_co_0_960420535.shtml 20 aprile 1996]) *Io non mi considero affatto ateo e non capisco come si possa esserlo. ([https://web.archive.org/web/20160101000000/http://archiviostorico.corriere.it/1996/maggio/23/dove_comincia_grande_mistero_Dio_co_0_9605235872.shtml 23 maggio 1996]) *{{NDR|Riferito alla [[crisi di Sigonella]]}} Ho sempre considerato il rilascio di Abu Abbas un gesto semplicemente criminale o almeno di complicità col crimine. ([https://web.archive.org/web/20151107235857/http://archiviostorico.corriere.it/1996/luglio/07/Caro_Ottiero_Ottieri_diamoci_del_co_0_9607072658.shtml 7 luglio 1996]) *Quanto scrivi {{NDR|riferito a una lettrice}} sull'insegnamento della Storia nelle nostre scuole è sacrosantamente vero. I testi su cui ve la fanno studiare sono o reticenti o faziosi, ma più spesso l'una cosa e l'altra, e soprattutto scritti coi piedi. (4 settembre 1996) *No, caro N***, non mi basta che il Pool abbia perseguito e persegua una buona Causa. Doveva farlo anche con buoni mezzi e criteri. E il caso Di Pietro basta a dimostrare che questo non è sempre avvenuto. (24 ottobre 1996) *È dalla piazza e dai cosiddetti «bagni di folla» che nascono i dittatori e vengono consacrati i fanatismi più orrendi, fra cui il più orrendo di tutti: il razzismo. ([https://www.fondazionemontanelli.it/sito/pagina.php?IDarticolo=432 24 novembre 1996]) *Io non ho titoli culturali che mi qualifichino a lezioni su una tematica come quella del [[calvinismo]]. Ma credo di averne afferrato l'essenziale: la concezione della Ricchezza come segno della Grazia, di cui quindi non si è proprietari, ma amministratori per conto del Signore col compito di moltiplicarla per il bene di tutti. (21 dicembre 1996) *[[Daniele Vimercati|Vimercati]] è un leghista antemarcia. Lo era anche quando lavorava con me al ''Giornale''. Ma è soprattutto un signor giornalista, che conosce perfettamente la linea di demarcazione fra l'opinione personale e il dovere professionale, e non c'è interesse né calcolo di opportunità che possa indurlo a varcarla. Per questo godeva di tutta la mia fiducia, né mai ho avuto occasione di pentirmi di avergliela concessa. (1996).<ref>Citato in Pierluigi Saurgnani, ''[https://www.ecodibergamo.it/stories/Cronaca/274325_vimercati_gran_borghese_il_giornalista_che_scopr_bossi/ Vimercati, gran borghese. Il giornalista che scoprì Bossi]'', ''ecodibergamo.it'', 13 marzo 2012.</ref> *Di commissioni d'inchiesta il nostro parlamento ne ha partorite a dozzine. Me ne citi una sola che abbia raggiunto dei risultati, anche semplicemente conoscitivi. Per un Parlamento come il nostro (e mi trattengo a fatica dal qualificarlo) anche la ricerca della verità è materia di lottizzazione. ([https://web.archive.org/web/20151118213258/http://archiviostorico.corriere.it/1996/dicembre/23/Ormai_non_resta_che_amnistia_co_0_96122312669.shtml 23 dicembre 1996]) *Quando ebbi, fra i tanti, un processo non con un magistrato, ma con un politico del rango di De Mita che avevo coinvolto nella mala amministrazione dei fondi stanziati per l'Irpinia dopo il [[Terremoto dell'Irpinia del 1980|terremoto]], non trovai, in tutta quella vasta regione, una toga che venisse a testimoniare in mio favore. L'unico che mi difese fu colui che avrebbe dovuto accusarmi: il pubblico ministero del tribunale di Monza, Mariconda: non sul merito delle mie accuse, ch'egli non aveva elementi per valutare, ma sul diritto che mi riconosceva di lanciarle. Anche l'uso dei cinquanta–sessantamila miliardi stanziati per l'Irpinia rimase un porto delle nebbie. ([https://web.archive.org/web/20160101000000/http://archiviostorico.corriere.it/1997/gennaio/12/Magistratura_porti_delle_nebbie_co_0_9701123652.shtml 12 gennaio 1997]) *La sola parola «ingegneria genetica» mi mette i brividi. (14 marzo 1997) *Io non mi sono mai [[Impiccagione|impiccato]]. Ma a Norimberga assistetti a diciassette impiccagioni, compresa quella di un cadavere, il cadavere di Göring che si era suicidato il giorno prima. Be', mi resi conto [...] che ficcare la testa nel nodo scorsoio di una corda non è un esercizio da mezzetacche o quacquaracquà. (15 maggio 1997) *{{NDR|Gladio}} Era stato istituito in quasi tutti i Paesi che facevano parte della Nato, e per volontà della Nato, consapevole che i suoi soci europei non avrebbero potuto resistere all'attacco di una Potenza superarmata qual era l'[[Unione Sovietica]]: avrebbero dovuto aspettare, per la riscossa, l'intervento dell'[[Stati Uniti d'America|America]]. Lo dimostra il fatto che quando questo piano fu rivelato, nessun altro Paese trovò nulla da ridirne. Solo noi italiani – i soliti romanzieri imbecilli e peggio che imbecilli – ne facemmo materia di scandalo e pretesto di «gialli» che tuttora trovano credito, come la sua lettera dimostra. Anch'io mi sento scandalizzato, e un poco offeso. Ma solo dal fatto che nessuno mi abbia sollecitato l'adesione al [[Organizzazione Gladio|Gladio]]: l'avrei data con entusiasmo. ([https://web.archive.org/web/20150623163829/http://archiviostorico.corriere.it/1997/giugno/07/Avrei_dato_con_entusiasmo_adesione_co_0_97060710388.shtml 7 giugno 1997]) *A fare l'Italia alcuni pochi italiani ci sono, senza e contro i più, riusciti. A fare gl'italiani, l'Italia, in centocinquant'anni, non c'è riuscita; anzi non ci s'è nemmeno provata. (19 giugno 1997). *Il vero cacciatore ama gli animali a cui dà la caccia, forse anche perché li considera complici di questo gioco in cui ritrova la sua origine esistenziale. Non spara, per esempio, sul bersaglio fermo: lo considera sleale. (9 luglio 1997) *Al matrimonio misto, che dell'integrazione razziale è la condizione genetica, sono i neri, molto più dei bianchi, che si rifiutano. Non è quindi colpa degl'italiani, o almeno non tutta questa colpa è degl'italiani, se anche da noi l'integrazione con gl'immigrati africani incontra degli ostacoli. Quella con gli oriundi dei Paesi europei non ne incontra nessuno, salvo quelli che frappone la burocrazia, la quale ne pone tanti anche a noi, e anzi campa solo di questo. Non ho mai sentito un francese, o un inglese, o un tedesco, o un bulgaro o un ukraino lamentarsi di una apartheid italiana. Ci sono anche da noi, purtroppo, delle manifestazioni di razzismo. Ma queste sono dovunque, e in Italia meno violente che altrove. L'Italia è un Paese che va a catafascio. Ma non buttiamogli addosso anche delle croci che non merita. Quelle che merita bastano, e ne avanza. (24 agosto 1997) *Io sono un italiano, fra i pochi rimasti che nei confronti dell'Italia s'ispirano all'adagio inglese: «Che abbia ragione o torto, sto col mio Paese». Anch'io sto col mio paese quando ha torto, ma senza pretendere che il suo torto sia considerato ragione. (23 settembre 1997) *Sono e rimango convinto che fin quando noi italiani ci affideremo soltanto alla Legge – o, come ora usa chiamarla, alle «regole» –, rimarremo quello che siamo, coi vizi che abbiamo, fra cui quello di accatastare regole su regole al solo scopo di metterle in contraddizione l'una con l'altra per poterle meglio evadere. (16 ottobre 1997) *Forse farebbe meglio ad astenersi a dare lezioni di liberalismo a me che sono stato, in tutto il giornalismo italiano, l'unico a difenderlo negli anni Settanta e Ottanta, quando difenderlo era difficile e poteva anche costar caro. Non me ne faccio un vanto perché, quando alla fine ha vinto, ho visto di che liberalismo si trattava, ed è per questo che ho votato Ulivo. (23 ottobre 1997) *Le confesso che il suo piglio perentorio e inquisitorio mi disturba alquanto, anche perché mi lascia capire che lei parte da convinzioni così granitiche da rendere vano ogni tentativo d'insinuarvi almeno un dubbio. (23 ottobre 1997) *È importante tutto questo? No. Non lo è per me né per lei, che sappiamo cosa è accaduto. E non lo è per i leghisti doc, secondo cui qualunque cosa propone il capo è Vangelo. Se Bossi decide di andare in Bicamerale, applaudono. Se decide di abbandonare la Bicamerale, esultano. Se va con Berlusconi, assentono. Se lascia Berlusconi, approvano. E se un giorno si sveglia e cambia i confini della Padania, accettano i nuovi confini. Tempo fa, rispondendo a un lettore, scrissi che «i leghisti sono pronti a inneggiare anche all'annessione della Yakuzia, e non solo perché non sanno dove sta». Arrivarono molte lettere indispettite. Ma nessuna contro l'annessione della Yakuzia. (29 ottobre 1997) *Se sono – come sono – uno di quegli uomini di Destra che ultimamente hanno votato, sia pure controvoglia, per la Sinistra (annacquata) dell'Ulivo, è perché da questa, che non è mai stata la mia bandiera, non mi sento tradito. Essa sta facendo ciò che prometteva di fare, ma lo fa con molta moderazione, e con una squadra di uomini che magari non saranno (meno qualcuno, come per esempio Ciampi) di serie A, ma da cui non temo, e credo che nessuna persona ragionevole possa temere, l'instaurazione di un regime. (10 dicembre 1997) *E lo specchio non vi giudica dai successi che avrete ottenuto nella corsa al denaro, al potere, agli onori; ma soltanto dalla Causa che avrete servito. Tenendo bene a mente il motto degli ''hidalgos'' spagnoli: «La sconfitta è il blasone delle anime nobili». (31 dicembre 1997) *Che cosa io pensi dell'onorevole Previti mi pare di averlo detto in termini talmente espliciti da apparire – a più d'uno – brutali: un personaggio che solo a guardarlo in faccia verrebbe voglia di applicargli le manette ai polsi prima ancora di sapere chi è e cosa ha fatto. (31 gennaio 1998) *Infine, c'è quello che io considero il vero, grande vantaggio dell'euro: una volta dentro, non potremo tornare all'allegra finanza pubblica d'un tempo. ([https://web.archive.org/web/20151203232056/http://archiviostorico.corriere.it/1998/febbraio/20/Che_cosa_succedera_quando_avremo_co_0_9802206445.shtml 20 febbraio 1998]) *Tutti hanno diritto di credere nel miracolo, quando non c'è altro a cui aggrapparsi. La scienza no: se lo ricordi anche il Papa. (23 febbraio 1998) *I conti col passato, si capisce, bisogna farli. Ma a un certo punto bisogna chiuderli. Perché nella Storia non ce n'è mai stato uno che, protratto all'infinito, non ne abbia innescato un altro. (10 marzo 1998) *Perché, caro B***? Perché la vocazione a dividerci sempre e su tutto per il nostro «particulare», come lo chiamava Guicciardini, noi italiani ce la portiamo nel sangue, e non c'è legge che possa estirparla. (18 aprile 1998) *Vero che nei ricordi sui quali vengo sollecitato, il nome di [[Cesco Tomaselli|Tomaselli]] ricorre meno frequentemente di quelli di Longanesi, di Buzzati, di Piovene, di Barzini ecc. Ma ciò dipende solo dal fatto che costoro appartenevano alla mia leva, e in comune con loro avevo avuto tante esperienze, perfino la stanza di lavoro. Tomaselli, quando io entrai al ''Corriere'', apparteneva già alla sua vecchia guardia, e come notorietà ne aveva raggiunto il tetto proprio grazie alle sue corrispondenze sull'impresa del dirigibile «Italia» di Umberto Nobile, di cui fu dal principio alla fine lo scrupoloso cronista. A salvargli la vita dalla catastrofe fu soltanto la sorte, contro cui egli imprecò considerandola avversa. Per l'ultima tappa, quella che avrebbe dovuto sorvolare il Polo, dei due giornalisti aggregati a quella spedizione — Tomaselli per il ''Corriere'', e Ugo Lago per il ''Popolo d'Italia'' di Mussolini —, c'era posto, sulla navicella, per uno solo. Lago e Tomaselli se lo giocarono a testa o croce. Con gran dispetto di Tomaselli, che non smise mai di considerarsene tradito, vinse e partì Lago, che non tornò più: quando l'aeromobile precipitò sul pack, lui rimase aggrappato insieme ad altri compagni al cordame dell'involucro col quale scomparve nel deserto bianco. Ma tutte le volte che se ne parlava, Tomaselli seguitava ad inveire contro la scalogna che lo aveva escluso da quel drammatico finale, come se gli avesse tolto la fortuna di descriverlo. Questo era Tomaselli, l'inviato speciale che nel suo mestiere di giornalista portava lo stesso spirito che aveva fatto di lui, nella Prima Guerra Mondiale, un superdecorato ufficiale di artiglieria alpina e gli ispirava una concezione quasi religiosa del «servizio». Non era un «brillante» né come scrittore né come parlatore. Ma di tutto quello che diceva, sia con la bocca che con la penna, si poteva stare sicuri che di inesatto o di inventato non c'era nemmeno una virgola. [...] Se raramente mi capita di parlare di lui, è perché l'ho conosciuto e frequentato sul declino della sua intemerata e ineccepibile carriera di testimone, e perché lui, nel raccontarla, non l'animava mai di aneddoti o di battute come, per esempio, il suo coetaneo Monelli. Ma se ai giovani che si avviano (poveretti!) a questo mestiere dovessi indicare un modello di dignità, serietà, dedizione e correttezza professionale non avrei dubbi sulla scelta: Cesco Tomaselli. ([https://web.archive.org/web/20151009153047/http://archiviostorico.corriere.it/1998/maggio/07/Cesco_Tomaselli_inviato_speciale_Polo_co_0_9805078688.shtml 7 maggio 1998]) *Che un giudice spagnolo in vena di protagonismo abbia chiesto all'[[Inghilterra]] la consegna di un ospite straniero andato a Londra in forma privatissima per ragioni di salute, non mi stupisce: un [[Antonio Di Pietro|Di Pietro]] può nascere dovunque. Ma che l'Inghilterra si proponga di consentire, non mi stupisce. Mi sbalordisce, come ha sbalordito e indignato la signora Thatcher che aveva ospitato in casa il Generale. Ma ancora di più mi sbalordirebbe che la Giustizia spagnola, cioè di un Paese che non solo ha accettato per quarant'anni il potere di un Generale, ma gli ha consentito (per sua fortuna) di disporne anche dopo morto, portasse davanti a una Corte di Giustizia quello cileno. Per non parlare delle conseguenze che tutto questo potrebbe provocare in [[Cile]] dove, nel caso che il governo Frei si mostrasse esitante e accomodante, le Forze Armate potrebbero riprendere il potere per rompere i rapporti diplomatici con [[Spagna]] e Inghilterra e dimostrare al mondo che i processi alla Norimberga hanno fatto il loro tempo. Se a qualcuno il Generale cileno Pinochet deve rendere conto del suo operato, è soltanto al Cile e ai suoi tribunali. E se io fossi un cileno che ha votato Frei (come certamente avrei fatto se fossi stato un cileno), in questa occasione mi schiererei con le Forze Armate. Con tanti saluti a tutto il sinistrume italiano passato, presente e futuro. (24 ottobre 1998) *Che gli [[Stati Uniti d'America|Usa]] siano in tutto il mondo odiati dagli uomini come lei {{NDR|riferito a un lettore}}, è verosimile, e quindi più che credibile. Un po' meno credibile è che gli uomini di tutto il mondo siano e la pensino come lei. Comunque, il giorno in cui quel Paese venisse chiamato (ma da chi?) sul banco degl'imputati come il nemico dell'umanità, io chiederò di essere ascoltato come testimone. Per dire alla Corte dei Vecchio di turno che io, uomo qualunque, mi considero graziato tre volte da questo grande nemico dell'umanità. La prima fu quando mi strappò al pericolo di diventare – per bene che mi fosse andata – l'attendente di un colonnello tedesco. La seconda fu quando mi sottrasse a quello di finire i miei giorni in un kolkos siberiano. La terza fu quando, invece di rimettermi la parcella di questi favori, mi aiutò a rifarmi la casa senza contestarmi il diritto di invitarvi anche coloro che pensano (si fa per dire) e parlano (o meglio sbraitano) come lei. ([https://web.archive.org/web/20160101000000/http://archiviostorico.corriere.it/1999/aprile/10/Fermare_genocidio_Kosovo_co_0_9904103314.shtml 10 aprile 1999]) *Tradotto in politica, non c'è nulla di più intollerante e fazioso, e quindi di meno pacifico, del [[pacifismo]] in generale, e di quello italiano in particolare. È un pacifismo a fasi alterne, e che si sveglia soprattutto, anzi quasi esclusivamente, quando a fare la guerra sono gli americani. Furioso e devastatore imperversò, non soltanto in Europa, ma nella stessa America, al tempo del Vietnam: al punto che quando [[Richard Nixon|Nixon]] venne in visita in Italia (quell'Italia che poteva fare ciò che voleva grazie agli americani) dovettero mandarlo a prendere a Fiumicino con un elicottero e trasportarlo via aria in Quirinale perché via terra avrebbe rischiato la pelle. Ma questo stesso pacifismo rimase impassibile quando i carri armati sovietici schiacciarono l'Ungheria (e a Montecitorio risuonò il grido: «Viva l'[[Armata Rossa]]!»), e poco dopo la Cecoslovacchia e da ultimo l'Afghanistan. Sono sempre gli stessi, i pacifisti italiani. Con una bandiera in mano come quella della pace (chi può infatti invocare la guerra?), si sentono invulnerabili. Ma la sventolano solo per il povero Milosevic; il genocidio del Kosovo li lascia del tutto indifferenti. (5 maggio 1999) *Non sempre condivido le opinioni di [[Giovanni Sartori|Sartori]]. Qualche volta, anzi spesso, abbiamo litigato, anche perché a lui litigare piace moltissimo: da buon toscano, è nella polemica che lui, e forse anch'io, diamo il meglio di noi. E anche sull'articolo del 25 maggio non siamo in tutto e per tutto d'accordo. Lo siamo nel respingere la qualifica di «pacifista», che entrambi lasciamo in esclusiva alle «anime belle» che, sventolando la bandiera della [[pace]], sperano di raccogliere intorno a essa tutti gl'ipocriti e gl'imbecilli che, sommati insieme, costituiscono certamente la stragrande maggioranza degl'italiani. (29 maggio 1999) *Lo Stato di [[Platone]], quello che lui chiamava la polis, e che poi era Atene, aveva, al tempo di Platone, cioè nel momento del suo massimo splendore, ventimila abitanti, di cui solo cinquemila avevano diritto al voto. E veda un po' come quei civilissimi cittadini lo usarono nelle assemblee dell'Acropoli: mettendo sotto processo [[Pericle]] e [[Aspasia di Mileto|Aspasia]], condannando a morte [[Socrate]] e provocando la guerra del Peloponneso, che fu la rovina non solo di Atene, ma di tutta la Grecia e della sua civiltà. Ora se il sistema della «democrazia diretta» o, come lei la chiama, «partecipatoria», non funzionò nemmeno in una polis di ventimila abitanti, s'immagini un po' cosa diventerebbe nei formicai umani cui si sono ridotte le polis attuali, e non soltanto quelle italiane. [...] Lei ha tutte le ragioni del mondo a dire che l'attuale sistema di democrazia «rappresentativa» o «delegata» ha dei vizi gravissimi e spesso provoca disastri, compresa quella americana, che pure è una di quelle che meglio funzionano. Ma, mi creda, quella «diretta» o «di piazza» è ancora molto più pericolosa perché continuamente a rischio di cadere in balia di qualche ciarlatano che sappia soltanto vendere bene la sua merce. Certo, quella indiretta esige, da parte del cittadino, una partecipazione che in Italia manca. Ma non è certo coi referendum che si può sostituirla. Almeno questo mi ha insegnato l'esperienza. (22 agosto 1999) *Quello di [[Francisco Franco|Franco]], se proprio vogliamo chiamarlo regime, fu un regime di polizia, di una polizia molto più dura di quella fascista, ma un totalitarismo no. Ecco perché, quando sentì avvicinarsi il momento della fine, Franco poté liquidare il franchismo con relativa facilità: perché di totalitario non aveva altro che le galere. Però bisogna anche riconoscere che questo soldataccio squallido e ottuso (sul piano umano era repellente), il ritorno al regime democratico seppe compierlo da maestro, facendosi consegnare dal pretendente al trono, Don Juan, ch'egli considerava (non a torto) poco affidabile, il figlio Juan Carlos per prepararlo – operazione riuscitissima – ai suoi compiti di Re, e mettendogli accanto un uomo di primissimo ordine come Suarez. ([https://web.archive.org/web/20130331034046/http://archiviostorico.corriere.it/1999/ottobre/24/differenza_fra_regimi_totalitari_dittature_co_0_991024459.shtml 24 ottobre 1999]) *La servitù, in molti casi, non è una violenza dei padroni, ma una tentazione dei servi. (2 gennaio 2000) *Non conosco Haider, e quindi nemmeno i fondamenti della sua ideologia, ammesso che ne abbia una. A occhio e croce, più che un nazista, mi sembra un qualunquista che interpreta, o cerca d'interpretare i sentimenti e i risentimenti di una pubblica opinione di livello bossiano, scontenta di tante cose, e a cui l'Austria attuale va stretta. [...] Non so se anche Haider – ripeto: non lo conosco – sia un omuncolo. Ma penso che l'Europa, ponendo il veto a un suo eventuale governo, costringerà gli austriaci ad affidargliene l'incarico, come avvenne per Waldheim. Io al pericolo di un rigurgito nazista non ci credo. Come ho letto in un articolo (mi pare di Enzo Bettiza, ma potrei sbagliarmi) penso che Jorg Haider somigli più a un Poujade che a un Le Pen, cioè più a una miscela di [[Umberto Bossi|Bossi]] e di Giannini che a un [[Pino Rauti]]. Ciò che mi allarma è l'incapacità dell'Europa a riflettere sulle sue proprie esperienze a trarne qualche insegnamento. Questo, sì, mi fa paura. (3 febbraio 2000) *Li conosco e riconosco, quei regimi {{NDR|di dittatura e di censura}}. Ne avverto il passo anche di lontano, e convengo che in Italia il pericolo di vederne arrivare qualcuno c'è. Ma sa quando si realizzerà? L'anno venturo, dopo la vittoria – che io do per certa – del Polo alle Politiche. Vedrà. La prima cosa che farà Berlusconi, come la fece nel '94, sarà di spazzare via l'attuale dirigenza Rai per omologarne le tre Reti a quelle sue. (26 febbraio 2000) *Quando s'accendono i [[Morte sul rogo|roghi]], mettiti dalla parte della strega, anche a costo di bruciare con lei. ([https://www.corriere.it/solferino/montanelli/00-05-31/02.spm 31 maggio 2000]) *Una Giustizia che per istruire un processo impiega sei o sette anni e poi non riesce a chiuderlo con una sentenza che non si presti a rimetterlo, con qualche marchingegno, in gioco, è un meccanismo di cui bisogna assolutamente rivedere e rifare gl'ingranaggi: «Giustizia ritardata – dice [[Montesquieu]] – è Giustizia negata». ([http://www.corriere.it/solferino/montanelli/00-06-07/01.spm 7 giugno 2000]) *Il [[revisionismo]] è la materia prima della [[storiografia]] che, senza di esso, sarebbe una disciplina morta. ([http://www.corriere.it/solferino/montanelli/00-06-16/01.spm 16 giugno 2000]) *Il mio giudizio su [[Baltasar Garzón|Garzón]] resta quello di prima, solo un po' rinforzato: un garzoncello smanioso soltanto di leggere il proprio nome sulle prime pagine di tutti i giornali e di vedere la propria effigie sugli schermi televisivi di tutto il mondo: il che rafforza la mia ipotesi che si tratti di un italiano nato per sbaglio in Spagna. ([http://www.corriere.it/solferino/montanelli/00-06-30/01.spm 30 giugno 2000]) *La pena di morte americana esiste e resiste in America perché fu un elemento base e costitutivo della sua nascita e sviluppo. Dei famosi 102 «Padri Pellegrini» che per primi sbarcarono dal «Mayflower» in quel Continente non per saccheggiare le ricchezze come facevano spagnoli e portoghesi in Messico e nell'America del Sud, ma per costruirvi una società nuova e libera, circa i due terzi erano avanzi di galera che fuggivano la Giustizia e le prigioni dell'Europa, e un terzo erano uomini che cercavano la libertà, e soprattutto quella religiosa. I primi avevano in tasca la pistola, i secondi la Bibbia, ma nella sua versione calvinista quella del taglione, basata sulla concezione di un Dio giustiziere che esige la morte di chi senza giusto motivo la dà. (9 luglio 2000) *A Rimini, cioè in casa propria (ma anche nostra, almeno per il momento), questi signorini {{NDR|di [[Comunione e Liberazione]]}} non hanno fatto altro che fischiare tutto ciò che è italiano, acclamare al nuovo beato [[Pio IX]], il Papa-Re che pretendeva di impedire il processo di unificazione nazionale, ed esaltare come i veri eroi del risorgimento i Borboni e i briganti del Cardinale Ruffo. A lei, tutto questo va bene? A me, dà il vomito. ([http://www.corriere.it/solferino/montanelli/00-09-13/02.spm 13 settembre 2000]). *Il mio parere è rimasto quello che espressi sul mio ''Giornale'' l'indomani del fattaccio {{NDR|l'[[agguato di via Fani]]}}. «Se lo Stato, piegandosi al ricatto, tratta con la violenza che ha già lasciato sul selciato i cinque cadaveri della scorta, in tal modo riconoscendo il crimine come suo legittimo interlocutore, non ha più ragione, come Stato, di esistere». Questa fu la posizione che prendemmo sin dal primo giorno e che per fortuna trovò in Parlamento due patroni risoluti (il Pci di [[Enrico Berlinguer|Berlinguer]] e il Pri di [[Ugo La Malfa|La Malfa]]) e uno riluttante fra lacrime e singhiozzi (la Dc del moroteo [[Benigno Zaccagnini|Zaccagnini]]). Fu questa la «trama» che condusse al tentennante «no» dello Stato, alla conseguente morte di Moro, ma poco dopo anche alla resa delle Brigate rosse. Delle chiacchiere e sospetti che vi sono stati ricamati intorno, e che ogni tanto tuttora affiorano, non è stato mai portato uno straccio di prova, e sono soltanto il frutto del mammismo piagnone di questo popolo imbelle, incapace perfino di concepire che uno Stato possa reagire, a chi ne offende la legge, da Stato. ([http://www.corriere.it/solferino/montanelli/00-09-22/03.spm 22 settembre 2000]) *La Serbia ha perduto la guerra e ha vinto la pace: ora deve voltar pagina. Sarà la storia – un giudice non imparziale, ma efficace – a decidere cos'è stato giusto e cos'è stato sbagliato. Tuttavia, una ritorsione serba verso l'Occidente avverrà. E ci troverà disarmati. Sa di cosa parlo? Delle rivendicazioni sul Kosovo, che è amministrato dalla Nazioni Unite ma è ancora Jugoslavia (lo dice la risoluzione dell'Onu). I serbi chiederanno di tornare a controllarne le frontiere, per esempio. E dire no a un Kostunica buono è più difficile che dire sì a un Milosevic cattivo. Gli albanesi del Kosovo, sono certo, lo hanno già capito. ([http://www.corriere.it/solferino/montanelli/00-10-08/01.spm 8 ottobre 2000]) *È un dimenticato, [[Ugo Ojetti|Ojetti]], come in questo Paese lo sono quasi tutti coloro che valgono. Se io dirigessi una scuola di giornalismo, renderei obbligatori per i miei allievi i testi di tre Maestri: [[Luigi Barzini (1908-1984)|Barzini]], per il grande reportage; [[Benito Mussolini|Mussolini]] (non trasalire!), quello dell'''Avanti!'' e del primo ''Popolo d'Italia'', per l'editoriale politico; e Ojetti, per il ritratto e l'articolo di arte e di cultura. ([http://www.corriere.it/solferino/montanelli/00-11-13/01.spm 13 novembre 2000]) *In Italia fu il potere temporale a soffocare negl'italiani la voce della coscienza e a spegnere in loro ogni senso di responsabilità. Ma fu la Controriforma a fornire al prete le armi per accaparrarsi l'una e l'altra: il Sant'Uffizio, le scomuniche e, nei casi estremi, il patibolo. Con questo risultato: l'aborto del «cittadino» e la trasformazione di quello che avrebbe dovuto e potuto diventare un «popolo» in un gregge (come con inconsapevole spudoratezza i preti lo chiamano), e in un gregge di pecore indisciplinate che credono di affermare il loro ribelle individualismo non rispettando il semaforo rosso. ([http://www.corriere.it/solferino/montanelli/00-11-20/01.spm 20 novembre 2000]) *{{NDR|Su [[Slobodan Milošević]]}} Oltre che un despota, lo ritengo anche un satrapo della razza dei [[Nicolae Ceaușescu|Ceausescu]], avido non solo di potere, ma anche di denaro, e credo che la sorte che si merita sia un bel plotone di esecuzione. Purché composto da serbi, al comando di un serbo, e in esecuzione di una sentenza emessa da un tribunale serbo e motivata non tanto da generici crimini contro l'umanità, che sono sempre – salvo casi di monumenti all'orrore come l'[[Olocausto]] – oggetto di discussione e dissensi; ma dal più grande e imperdonabile delitto di cui Milosevic si è macchiato nei confronti non soltanto dei serbi: la distruzione della Nazione Jugoslava, che la Monarchia serba aveva fondato dopo la prima guerra mondiale; che il croato [[Josip Broz Tito|Tito]] aveva difeso coi denti e restaurato dopo la seconda, dando alla Balcania un esempio e un puntello di stabilità; e che Milosevic e il suo compare croato [[Franjo Tuđman|Tudjman]] distrussero per poter restare ciascuno padrone in casa sua; e sulle cui macerie si scatenarono tutte le violenze (Bosnia, [[Kosovo]]) che hanno insanguinato e continuano a insanguinare quel povero Paese. ([http://www.corriere.it/solferino/montanelli/01-04-29/01.spm 29 aprile 2001]) *Questo mondo materialista, edonista ed esibizionista non entusiasma neanche me; e, visto che mi legge, dovrebbe saperlo. Ma vorrei conoscere il sistema che voi avete in mente, e non avete il coraggio, o la capacità, di proporre. Un mondo francescano? Bello: ma guardatevi intorno, e ditemi se vedete un saio. Un comunismo riveduto e corretto? Farebbe la fine dell'altro, anche se non riuscirà a ripeterne i disastri. Mi creda, G.: l'unico sistema sociale ed economico oggi accettabile, in Occidente, è quello basato sul mercato: un capitalismo controllato e temperato, per intenderci. È auspicabile che sia anche corretto: e questo non sempre accade, è vero. Il guaio è che il capitalismo è fatto dai capitalisti – e quelli, devo ammettere, sono spesso difficili da digerire. Non cerchi di confondermi le idee, quindi. Non ci riuscirà. Probabilmente ho tre volte i suoi anni, e ho visto dove conducono queste generiche tirate contro «le multinazionali»: prima o poi, qualcuno deporrà la spranga e prenderà la pistola. Dimenticavo: io firmo le mie opinioni, lei tira il sasso e nasconde la mano. Tutti coraggiosi così, voi ragazzi di Seattle? ([http://www.corriere.it/solferino/montanelli/01-06-09/01.spm 9 giugno 2001]) *Non erano, le mie, parole di circostanza. Erano – e rimangono – quelle di un conservatore abbastanza spassionato e nutrito di Storia da capire che non c'è, per la conservazione di ciò che va conservato, nemico più mortale dei conservatori che vogliono conservare tutto; e che un sistema capitalistico senza un correttivo socialista diventa una jungla che conduce pari pari a [[Karl Marx|Carlo Marx]]. Di qui il mio amore per uno dei personaggi meno amabili, sul piano umano, della nostra Storia, [[Giovanni Giolitti|Giolitti]], che sempre cercò l'accordo con [[Filippo Turati|Turati]], a cui il cretinume massimalista – che nel vostro partito ha sempre dominato – lo impedì. Il vedervi – sbriciolati in gruppi, gruppetti e gruppuscoli – annaspare nell'attuale centro-sinistra in cui nessuno riesce a recitare la parte di se stesso, fa male al cuore di un vecchio autentico liberal-conservatore come me. Cosa aspettate, caro Tamburrano, a ridarci il socialismo, ma che sia quello e quello solo: ''il'' socialismo di Turati e di Massarenti? [...] Credo che come forza politica siate abbastanza mal messi. Ma in compenso avete in mano una grande bandiera che prima o poi un esercito la ritroverà. Arrivederci, al primo settembre, cari lettori. ([http://www.corriere.it/solferino/montanelli/01-07-04/01.spm?refresh_ce-cp 4 luglio 2001]) ===''il Giornale''=== <!--ordine cronologico--> *Chi sarà il nostro lettore noi non lo sappiamo perché non siamo un giornale di parte, e tanto meno di partito, e nemmeno di classi o di ceti. In compenso, sappiamo benissimo chi non lo sarà. Non lo sarà chi dal giornale vuole soltanto la «sensazione» [...] Non lo sarà chi crede che un gol di Riva sia più importante di una crisi di governo. E infine non lo sarà chi concepisce il giornale come una fonte inesauribile di scandali fine a se stessi. Di scandali purtroppo la vita del nostro Paese è gremita, e noi non mancheremo di denunciarli con quella franchezza di cui crediamo che i nostri nomi bastino a fornire garanzia. Ma non lo faremo per metterci al rimorchio di quella insensata e cupa frenesia di dissoluzione in cui si sfoga un certo qualunquismo, non importa se di destra o di sinistra. [...] Vogliamo creare, o ricreare un certo costume giornalistico di serietà e di rigore. E soprattutto aspiriamo al grande onore di venire riconosciuti come il volto e la voce di quell'Italia laboriosa e produttiva che non è soltanto Milano e la Lombardia, ma che in Milano e nella Lombardia ha la sua roccaforte e la sua guida. [...] A questo lettore non abbiamo «messaggi» da lanciare. Una cosa sola vogliamo dirgli: questo giornale non ha padroni perché nemmeno noi lo siamo. Tu solo, lettore, puoi esserlo, se lo vuoi. Noi te l'offriamo. (25 giugno 1974) *Checché ne dicano gli agiografi della Resistenza, la guerra l'abbiamo persa, e c'è un conto da pagare. Che l'Italia lo saldi a spese dei suoi figli minori – i Dalmati e gli Istriani – è un ghigno del destino. Ma in compenso può considerarsi miracolata. Quando si pensa a cosa ha pagato la sua sconfitta la Germania, amputata d'intere province e dimezzata in due nazioni diverse e ostili, e quando si pensa a cosa ha pagato l'Inghilterra, precipitata dalla condizione di massimo impero mondiale a quella di piccola isola alla periferia d'Europa; non possiamo lamentarci del trattamento che gli alleati ci fecero. (30 settembre 1975) *Siamo stati accusati di aver fatto, nei confronti dei comunisti, il processo alle intenzioni. Non vediamo su cos'altro avremmo dovuto giudicarli, visto che sono sempre rimasti all'opposizione, ed è di lì che ancora si affannano a dire che cosa si propongono di fare se andassero al potere, anzi quando andranno al potere (perché ormai lo danno per scontato). E cosa sono, queste, se non intenzioni? (19 giugno 1976) *Che cerchino di eliminarmi perché sono un avversario, questo lo posso anche capire; ma perché – a quanto mi riferiscono – hanno detto che io sono un servo delle [[Multinazionale|multinazionali]], allora questo sta a dimostrare la confusione di idee di questi poveretti che, evidentemente, non sanno cosa sono le multinazionali. (3 giugno 1977) *I giuochi sono fatti. E sono fatti non soltanto per [[Aldo Moro|Moro]], cui va tutta la nostra più fraterna e rispettiva pietà. Sono fatti anche per una politica da ''belle époque'', che la distruzione – fisica o morale – di Moro chiude e conclude. La Storia sta riprendendo i suoi connotati di tragedia, e costringe coloro che la fanno, o ambiscono o s'illudono di farla, ad adeguarsi al repertorio. Stiamo entrando in una di quelle «età di ferro» in cui il potere si paga, o si può pagarlo col ferro. Nessuno è obbligato a sfidare questo rischio. Chi lo fa, sappia che oggi è toccato a Moro, domani può toccare a lui. Solo se si rende conto di questo e lo accetta, la classe politica troverà la forza di archiviare il caso Moro. Ed è tempo che lo faccia. (7 maggio 1978) *Quattr'anni e mezzo orsono, quando questo giornale nacque, un «ragazzo del '68» (con tante scuse a quelli veri, del '99), [[Mario Capanna]], oggi gerarchetto regionale (che belle carriere, questi rivoluzionari!), dichiarò che, come nemici del «pubblico» e del «sociale» e come assertori del «privato», e quindi della reazione, noi saremmo diventati il più bel museo della città, dove babbi e mamme avrebbero potuto condurre in gita ricreativa i loro figlioletti per mostrargli, dal vivo, com'erano buffi i loro nonni e bisnonni: noi. Bene. Se il vento seguita a soffiare come soffia, saremo noi che di qui a un po' condurremo i nostri figlioletti dal signor Capanna per mostrargli com'erano buffi i loro nonni e bisnonni di dieci anni fa. Ma non lo faremo. Lo spettacolo di questi ragazzi-prodigio abortiti, di questi barricadieri con pancia e cellulite che credevano di camminare con la Storia, e invece camminavano solo con la moda, non ha nulla di edificante. (16 gennaio 1979) *In una sua memorabile inchiesta un giornalista d'incrollabile fede sinistrorsa, ma di esemplare onestà, [[Giampaolo Pansa]], mise benissimo in luce questo contrasto fra i due atteggiamenti e mentalità, che ieri ha trovato una eloquente conferma nella manifestazione di Torino. Niente chiasso, niente sceneggiate, niente slogans, niente insomma che appartenga al repertorio del buffonismo nazionale. Nessuno ha rotto le righe per andare a rovesciare auto o a fracassar vetrine. Questa, sì, era Danzica, sia pure senza Madonne; non i picchettaggi e i pestaggi di Mirafiori, sia pure con le Madonne. Ora sappiamo già cosa diranno gli altri, oggi e domani. Diranno che gli operai non c'erano. Infatti. Doveva trattarsi di quarantamila presidenti, consiglieri delegati, ingegneri: insomma, la solita «[[maggioranza silenziosa]]»: termine che soltanto nella lingua italiana ha significato spregiativo. La maggioranza silenziosa esiste in tutti i Paesi del mondo, dove nessuno si vergogna di appartenervi perché è essa, in definitiva, che ristabilisce gli equilibri. Fu la maggioranza silenziosa – autoqualificatasi come tale – di seicentomila parigini che dodici anni fa pose fine al carnevale sessantottesco, riportò [[Charles de Gaulle|De Gaulle]] all'Eliseo e restituì alla Francia la stabilità di cui tuttora essa gode. [...] Il motivo vero che farà i dimostranti bersaglio delle peggiori critiche e accuse è ch'essi rappresentano la rivolta delle persone serie contro gli arruffoni della «conflittualità permanente», dei «modelli di sviluppo» e via baggianando. E in questo Paese nulla fa più paura, perché nulla è più rivoluzionario, della serietà. (15 ottobre 1980) *[[Anwar al-Sadat|Sadat]] non era popolare. Gli mancava quel tocco di magia, o di cialtronismo, che consentiva a [[Gamal Abd el-Nasser|Nasser]] di bandire guerre come crociate e di annunciare disfatte come trionfi. [...] Sadat amava il popolo, il popolo contadino del profondo Sud nubiano, di cui era egli stesso originario. Ma non amava le masse, e le masse lo sentivano. [...] Sapeva, quando andò a Gerusalemme, di lanciare a quelle arabe una sfida più pericolosa di quella che lanciava a Begin. [...] Ma all'impopolarità di Sadat contribuiva anche un altro elemento: il fatto di essere un vero riformatore. [...] [[Mohammad Reza Pahlavi|Rehza Pahlevi]] volle applicare gli stessi metodi di [[Mustafa Kemal Atatürk|Atatürk]] senz'averne l'autorità e il prestigio, e per questo lo cacciarono. Ma dopo due anni di [[Ruhollah Khomeyni|Khomeini]], anche i più ciechi e idioti fra i progressisti occidentali, che ne avevano salutato l'avvento come quello del Redentore, si saranno accorti che il progresso, sia pure a forza di polizia segreta e di plotoni di esecuzione, era lo Scià. L'''ayatollah'' è il medioevo. Sadat non seguì i metodi satrapeschi del suo amico Pahlevi, ma ne condivise i fini. [...] Il Rais che ha restituito all'Egitto l'integrità territoriale, l'indipendenza politica, il prestigio militare e il rilancio della sua più proficua industria, il canale di Suez, è giusto che susciti meno rimpianto di chi tutto questo all'Egitto fece perdere. Nasser era un «personaggio», Sadat una «personalità». Il personaggio fa colore e diverte, la personalità incute rispetto e disturba. (9 ottobre 1981) *Nessuna parentela, né vicina né lontana, con l'altro grande d'Israele, [[David Ben Gurion|Ben Gurion]], il Fondatore. [...] {{NDR|David Ben Gurion}} Faceva tutto a caldo, anche la guerra. [[Menachem Begin|Begin]] fa tutto a freddo: anche l'amore, credo, ammesso che lo faccia. Non riuscì a commuoverlo nemmeno [[Anwar al-Sadat|Sadat]], quando gli piombò, da nemico tuttora belligerante, a Gerusalemme, per chiedergli la pace. Il mondo, che vide in televisione la scena, quel giorno fu tutto per l'egiziano che, per la pace, firmava la propria condanna a morte, contro l'israeliano che lo accoglieva senza un sorriso e con visibile fastidio. [...] È l'uomo che non ha esitato un istante [...] a distruggere in pochi minuti tutto l'armamento corazzato, aereo e missilistico siriano sotto l'occhio stupefatto degli osservatori e «consiglieri» russi che lo avevano fornito. È l'uomo che ha messo alla porta l'ambasciatore di Mosca respingendone la nota di protesta addirittura con disprezzo, come se fosse stato lui la Grande Potenza che parlava a un subalterno. È l'uomo che ha picchiato i pugni sul tavolo di [[Ronald Reagan|Reagan]], e a un certo punto aveva rotto anche con lui. Se avesse perso, sarebbe finito al muro e passato ai posteri come il distruttore d'Israele. Ma ha vinto. E la Storia, iscrivendolo nei suoi registri come «Il Salvatore», dirà che solo un uomo come lui, «antipatico» come lui, e come lui disposto anche a scatenare un'altra ondata di antisemitismo, poteva vincere. E avrà ragione di dirlo. Perché è così. Alla fine lo diranno, vedrete, anche gli antisemiti. E forse perfino i semiti. (27 agosto 1982) *L'idea che domani potremmo incontrare per strada, a piede libero e magari oggetti di compassione, gli assassini di [[Walter Tobagi]], ci riempie, più che di furore, di orrore. [...] Avevano scelto lui non per la sua tessera socialista, ma perché era una di quelle prede più facili: indifeso e abitudinario, e quindi bersaglio di facilissima mira, quasi da fermo. Tutto qui il movente del delitto: tutto nella fregola di protagonismo di due coccolatissimi giovanotti della Milano bene che giuocavano a fare i terroristi. [...] Che ora dobbiamo prendere per vero il loro pentimento e assolverli, ci rivolta lo stomaco. Ma è la legge: iniqua, infame, infamante. Ma è la legge. Noi stessi l'abbiamo auspicata e voluta. Il magistrato deve applicarla. E noi [...] accettarla. Ma una cosa reclamiamo, e ci spetta: di essere liberati dall'incubo d'incontrare questi figuri per strada per non veder riflessa nei loro occhi la nostra vergogna di aver avuto bisogno di loro e di aver risposto al loro falso rimorso con un perdono altrettanto falso. Un Curcio, se tornasse in circolazione, ci farebbe forse più paura, ma meno, anzi punto disgusto. [...] Ma i Barbone e i Morandini non li vogliamo tra i piedi. Se ne vadano. E soprattutto ci risparmino memoriali. La speranza di farci dimenticare i loro delitti, gliela passiamo. La pretesa di camparci sopra, no. (29 novembre 1983) *Per i falchi del Pci, [[Enrico Berlinguer|Berlinguer]] era ormai un personaggio scomodo e pericoloso, specie da quando aveva cominciato ad allentare gli ormeggi che lo legavano a Mosca. Gli era perfino scappato di dire (a [[Giampaolo Pansa|Pansa]]) che voleva per l'Italia un regime comunista, ma sotto l'ombrello della Nato che la tenesse al riparo dalle soperchierie del padrone sovietico: la più grave e blasfema di tutte le eresie in cui un capo comunista possa incorrere. (12 giugno 1984) *Se fino a che punto i piduisti – a parte il manipolatore Gelli, e forse qualche altro – fossero un branco di delinquenti golpisti, non siamo riusciti a capirlo. Abbiamo capito soltanto che gran parte di essi occupavano, forse grazie alla P2, posizioni di rilievo, e quindi parecchio ambite, ma ambite anche da molte persone che, per il fatto di non appartenere alla P2, avevano ora, grazie anch'esse alla P2, la possibilità di occuparle. Di fatti accertati e meno ancora di crimini provati, siamo andati invano alla ricerca delle 34.847 pagine della commissione. Vi abbiamo trovato soltanto ipotesi, illazioni, accostamenti di nomi e di episodi. Tutta roba che in mano a Le Carré poteva fruttare chissà quali affascinanti trame. In mano alla signorina [[Tina Anselmi|Anselmi]], resta cicaleccio di portineria. Ma questa è un'altra storia. (19 marzo 1985) *Quanto al moribondo [[Michele Sindona|Sindona]] [...] se fossi stato uno dei giudici popolari che l'altro giorno gli comminarono l'ergastolo, anche io avrei votato come loro pur sapendo che la mia endemica insonnia non ne avrebbe avuto giovamento. Comunque mi sembra che con questa fine, preceduta da quasi un decennio di rovine, umiliazioni, fughe e galere, egli abbia abbondantemente scontato, quali che siano, i suoi delitti. Che ora lo lascino riposare in pace e che pace sia all'anima sua. (22 marzo 1986) *I dieci giorni che sconvolsero il mondo furono in realtà dieci ore: quante ne bastarono alle poche «guardie rosse» reclutate in fretta e furia dai bolscevichi per occupare, senza nessuna resistenza, la Centrale delle poste e telefoni, la stazione ferroviaria, la Banca di Stato, e per spostare l'incrociatore ''Aurora'' di fronte al palazzo d'Inverno, dove ancora si trova, cimelio e monumento al fatidico evento, e dove il governo sedeva [...]. Non fu un assalto. Fu una «retata». L'''Aurora'' non sparò che una dozzina di colpi, di cui solo tre andarono a segno. In tutto, la conquista di questa Bastiglia russa costò, da ambo le parti, un morto, anzi una morta – perché fu una soldatessa che, pare, si suicidò – e diciotto feriti. Il [[Rivoluzione russa|Fasto]] [...] è un falso in atto pubblico. Si dirà che una rivoluzione non si misura dal numero dei morti. Certo: l'abbiamo detto anche noi. La rivoluzione poi venne, e che rivoluzione! Ma venne dall'alto, e per mano di despoti che di morti ne fecero in pochi anni più di quanti lo zarismo ne avesse fatti in secoli. (6 novembre 1987) *Tutto pensavo che potesse capitarmi, fuorché di essere un giorno tentato di spendere qualche parola, per poco che valga, in difesa di Togliatti. [...] Un processo a Togliatti per stalinismo, se glielo intentano i socialisti, che nell'era dello Stalinismo gli fecero da mosca cocchiera, è una burletta. Se lo intentano i comunisti – come sembra che qualcuno di loro voglia fare –, oltre che oltraggio al pudore, diventa quiescenza alla voce del nuovo padrone, cioè stalinismo della più brutt'acqua, anzi una parodia dello Stalinismo. Per la caccia alle streghe, anche dello Stalinismo, ci vogliono degli stalinisti doc, qual era Togliatti. Non è roba da dilettanti, quali sono i suoi pallidi epigoni. (3 marzo 1988) *La fine del Muro è una cosa buona, la fine di una vergogna: non possiamo che salutarla con soddisfazione. Ma guardiamoci dal prendere abbaglio sui suoi moventi. Ulbricht concepì e Honecker realizzò il muro per impedire che i tedeschi dell'Est fuggissero in massa nella Germania dell'Ovest: già 9 (diconsi nove) milioni lo avevano fatto fin allora. E il rimedio fu, come tutti quelli che escogitano nei regimi totalitari, drastico e semplicistico: murare viva la gente dietro una colata di cemento, senza pertugi. [...] Abbiamo in uggia le astrazioni. Ma ciò che distingueva le due Germanie è l'idea morale e giuridica dell'uomo: che a Ovest è padrone di se stesso, e quindi può andarsene dove vuole: ad Est è proprietà dello Stato che ne regola i movimenti. Per chi non ricorda questo, il [[Muro di Berlino]] era, oltre che barbaro, incomprensibile e irrazionale: mentre invece ha obbedito a una sua logica. Nel momento in cui il bunker si affloscia e sopravvive come mero ammasso di cemento ricordandoci un altro bunker, quello che fece da fossa di [[Adolf Hitler|Hitler]] (anche questo pare impossibile: ma i regimi in Germania muoiono nei bunker), il Muro va ricordato per ciò che è stato: non un'aberrazione del comunismo, ma una sua conseguente applicazione. E se crolla così, nel silenzio assordante di un giornale-radio, è perché è crollata, prima, l'ideologia che lo aveva eretto. (11 novembre 1989) *Negli anni Trenta, per le strade di Berlino, risuonava il grido: ''ein Volk, ein Reich, ein Führer'': un popolo, uno Stato, un capo. Stavolta si sono contentati di scandire ''ein Volk, ein Reich''. Non potevano aggiungere, checché ne dica il sig. Ridley, ''ein Kohl'', che fra l'altro significa «cavolo». Ma {{NDR|ai tedeschi}} per diventare i padroni dell'Europa anche un cavolo gli basta. (3 ottobre 1990) *Abbiamo fatto poco: il poco che il Paese dei [[Roberto Formigoni|Formigoni]], dei Cristofori, degli Sbardella, dei [[Ernesto Balducci|Balducci]], dei [[Antonio Bello|vescovi di Molfetta]] poteva fare. Non lamentiamoci se il posto che ci verrà assegnato nel ristabilimento dell'ordine internazionale sarà nell'anticamera, non nella camera dei bottoni. Però sia chiara una cosa: che a gridare «Viva la pace!» siamo qualificati oggi soltanto noi che abbiamo auspicato la guerra contro chi la pace l'aveva turbata e, se lo si lasciava fare (non è un ipotesi, è una constatazione), avrebbe continuato a turbarla in un crescendo di colpi e di aggressioni. (1º marzo 1991) *I voti dei democristiani novaresi non sono andati al partito; sono andati a [[Oscar Luigi Scalfaro|Scalfaro]], democristiano talmente anomalo, che si permette persino di credere in Dio. [...] Il vecchio magistrato conosce il suo mestiere, e sa benissimo di operare in un Paese in cui la mamma dei Casson è sempre incinta. In nome della Legge, le leggi le farà funzionare. Insomma siamo sicuri che starà in Quirinale come un italiano deve starci: da straniero. Unico pericolo: le prediche. Anche [[Luigi Einaudi|Einaudi]] le faceva. Ma le chiamava «inutili». (26 maggio 1992) *Da dove siano venuti tutti i «no» non lo sapremo mai con precisione, ma una cosa è certa. Questo è il colpo di grazia al sistema dei partiti e della classe politica che lo rappresenta, e un colpo durissimo all'immagine del Paese pronto a fare pulizia che l'Italia si stava faticosamente costruendo all'estero. Senza giovare nemmeno a [[Bettino Craxi|Craxi]], che non potrà certo ricostruire la sua carriera sulla votazione di ieri, anzi. Se c'è ancora qualcuno che dubita sulla necessità di un pubblico processo, non solo a lui, ma a tutta la corte di faccendieri che lo circondava, alzi la mano, o meglio nasconda la faccia. (30 aprile 1993) *Questo è l'ultimo articolo che compare a mia firma sul giornale da me fondato e diretto per vent'anni. Per vent'anni esso è stato – i miei compagni di lavoro possono testimoniarlo – la mia passione, il mio orgoglio, il mio tormento, la mia vita. Ma ciò che provo a lasciarlo riguarda solo me: i toni patetici non sono nelle mie corde e nulla mi riesce più insopportabile del piagnisteo. [...] A presto dunque, cari lettori. Anche a costo di ridurlo, per i primi numeri, a poche pagine, riavrete il nostro e vostro giornale. Si chiamerà ''La Voce''. In ricordo non di quella di [[Frank Sinatra|Sinatra]]. Ma di quella del mio vecchio maestro – maestro soprattutto di libertà e indipendenza – [[Giuseppe Prezzolini|Prezzolini]]. (12 gennaio 1994) {{Int|''Rituale barbarico''|Articolo su ''il Giornale nuovo'', 10 maggio 1978.|h=4}} *La fine di [[Aldo Moro]] ci rende sgomenti, il fanatismo di chi lo ha ucciso lentamente, togliendogli la speranza prima di toglierli la vita, ci riempie di orrore. Speriamo ancora che la tracotanza dei criminali sia un giorno punita. L'importante, adesso, è che il Paese, proprio per rendere omaggio a Moro, e proprio in memoria di lui, sappia trarre da questa tragedia l'amara lezione che essa comporta. La democrazia non deve, anzi non può essere debole. La libertà, che la rende superiore a qualsiasi altro regime, ma anche più vulnerabile, non va conclusa con la indulgenza verso i nemici, la imprevidenza, la leggerezza. *Lo Stato italiano ha superato con onore questa prova difficile, ma la magistratura e gli organi di polizia hanno denunciato, nella loro azione, una desolante inefficienza, che ha permesso alle brigate rosse di operare con irridente spavalderia. Ne va data colpa non tanto alle forze dell'ordine quanto a chi ha voluto, per demagogia, per compiacere le sinistre, per acquistare facile popolarità, smobilitare i servizi segreti, rimuovere i funzionari più ligi al dovere, trasformare le carceri in alloggi con libera uscita quotidiana. Gli eversori della democrazia, i contestatori della legalità hanno potuto predicare e demolire senza ostacoli. Ci auguriamo di non vederli ora associati ipocritamente al compianto per un delitto del quale sono, ideologicamente se non materialmente, corresponsabili. Le loro non erano soltanto parole. Un giovane sfracellato da un ordigno sulla ferrovia Trapani-Palermo – l'episodio è di ieri – apparteneva a Democrazia proletaria. I banditi che hanno assalito a Bologna un grande magazzino venivano dal Movimento studentesco. È inutile che questi gruppi ostentino adesso costernazione e stupore per le belluine imprese delle brigate rosse. Il terrorismo è figlio loro. *All'annuncio della fine di Aldo Moro i sindacati si sono mossi, hanno indetto manifestazioni e proclamato uno sciopero generale. Siamo certi della loro profonda esecrazione, e della loro sincera partecipazione al cordoglio nazionale. Pensiamo tuttavia che i lavoratori e i loro rappresentanti darebbero un apporto più costruttivo alla lotta contro i terroristi tenendo d'occhio gli estremisti delle fabbriche, troppe volte protetti e difesi. Così pure gli studenti «impegnati», se proprio vogliono dissociarsi dalle brigate rosse, devono estromettere dalle loro file gli agitatori deliranti, e dinamitardi che nascondono bottiglie molotov e armi negli scantinati delle facoltà. Chi ha chiuso gli occhi di fronte alla ''escalation'' di violenza degli anni scorsi, li chiuda oggi per non lasciar scorrere lagrime di coccodrillo. {{Int|''Poveri morti poveri vivi''|Articolo su ''il Giornale'', 31 maggio 1985.|h=4}} *L'[[Inghilterra]] non sono i forsennati che abbiamo visto all'opera nello stadio di Bruxelles. L'Inghilterra sono la [[Margaret Thatcher|Thatcher]], i politici, i commentatori di stampa, radio e televisione, la gente intervistata per strada, che hanno confessato la loro vergogna a una voce, con una sola stecca: quella del ministro dello Sport che con le sue dichiarazioni si è messo sullo stesso piano degl'imbestialiti. Comunque, Dio ci guardi ora dai soliti sproloqui e dibattiti dei sociologi sui motivi di «tifo» e sui mezzi d'impedirne gli eccessi. Non ce ne sono, se non nel controllo che ognuno può e deve esercitare su di sé. *La strega non è il «tifo» che dallo sport è inseparabile. E non siamo nemmeno noi, come vogliono i cantautori del «siamo tutti colpevoli» che ieri giornali e radio hanno intitolato. Perché, se di qualcosa siamo colpevoli, è di aver sempre secondato la corruttrice e demagogica tendenza a scaricare l'individuo di ogni responsabilità, rigettandola regolarmente e interamente sulla società. È la società che ci obbliga a rubare, è la società che ci obbliga ad uccidere. E si capisce che quando si offrono alla gente di questi alibi, c'è sempre qualcuno che ne approfitta. Stamane leggevo su un giornale francese un dotto articolo in cui si spiegava che la furia dei tifosi del [[Liverpool Football Club|Liverpool]] era dovuta al fatto che, essendo quasi tutti minatori, per un anno erano rimasti senza lavoro a causa dello sciopero: il che gli aveva fatto accumulare la rabbia che poi era scoppiata a Bruxelles. Insomma, senza dirlo, l'articolo induceva alla conclusione che il vero responsabile del massacro era la signora Thatcher. Ecco in che senso siamo tutti colpevoli. Siamo colpevoli di assolvere tutti come vittime innocenti di una società iniqua che, a furia di essere tutti noi, non è nessuno. È un giuoco a cui non ci stiamo. I responsabili di Bruxelles sappiamo chi sono: sono i delinquenti che abbiamo visto avventarsi, prima che la partita cominciasse, e quindi senza alcuna provocazione, contro i tifosi italiani con sbarre e coltelli di cui erano accorsi armati, con l'evidente intenzione di farne l'uso che ne hanno fatto. Delinquenti, non vittime. La società non c'entra, non c'entrano le miniere. Casomai l'alcol. Ma ne avevano ingerito per delinquere meglio. Speriamo che la polizia li identifichi e li consegni a quella inglese. Della quale possiamo fidarci. {{Int|''I rieccoli''|Articolo su ''il Giornale'', 20 gennaio 1990.|h=4}} *Scorrendo le cronache delle agitazioni studentesche di questi giorni avevo avuto per un momento l'impressione, o l'illusione, che esse si fondassero sui problemi concreti dell'università, e che fossero qualcosa di diverso, e di migliore della grottesca ubriacatura sessantottina. Ma quando giovedì sera, nella trasmissione televisiva ''Samarcanda'', è stato lanciato contro [[Mario Cervi]] il rituale e vile epiteto «fascista!» (e questo solo perché aveva mosso obiezioni agli sproloqui assembleari di Roma e di Palermo), ho capito che vent'anni dopo è come vent'anni prima. La protesta è un pretesto, il legittimo scontento diventa arma politica, gli appelli al dialogo si risolvono in volontà di sopraffazione, di discussione su ciò che nell'università deve essere cambiato sfocia in un attacco globale al governo, alla società, al sistema. L'unica connotazione sessantottina che ancora manca è la violenza fisica. Ma temo che non tarderà ad arrivare se chi dissente è bollato come fascista e chi governa (è capitato ad [[Giulio Andreotti|Andreotti]], a Palermo) come mafioso. *Quanto alla legge Ruberti, Cervi ha osservato che viene presa di mira perché consentirebbe un limitato ingresso dei privati nella gestione delle università: e al solo sentir parlare di «privato» – che le folle e i giovani dell'Est chiedono con slancio entusiastico – gli epigoni nostrani del [[marxismo-leninismo]] sono presi da convulsioni. [...] La legge Ruberti è passata in sott'ordine, il punto centrale del dibattito – o piuttosto della successione di sproloqui, intimazioni e insulti – è diventato il degrado di questa povera Italia privatizzata, che invece conoscerebbe fulgidi destini se fosse tutta pubblica e stabilizzata. Gli ''slogans'', le utopie, le bugie e le dissennatezze sessantottine o settantasettine riemergevano dalle pagine dei libri e dalla polvere degli archivi, per imitazione o per transfert generazionale. *Tirava aria romena o cecoslovacca in quelle assemblee: ma della Romania e della Cecoslovacchia di [[Nicolae Ceaușescu|Ceausescu]] e di Husak, con l'idolatria dello Stato, con gli applausi unanimi, con la riduzione al silenzio degli oppositori. S'è sentito, a proposito sempre di Cervi, il sinistro termine «provocazione» con cui tutti gli oppressori legittimano i loro soprusi. Qualcuno di quei ragazzi pretende che esistano parentele tra questo movimento e quelli dell'Est, dimenticando che là ci si batte, a rischio della pelle, per instaurare non il regime dello statalismo, ma al contrario per abbatterlo e introdurre o reintrodurre quello di iniziativa privata in tutti i campi, compreso quello della cultura e della scuola. Che siano diventati, gli studenti di Berlino, di Praga, di Bucarest, fascisti anche loro? ====''Controcorrente – rubrica''==== {{cronologico}} *La cosa che più ci turba, delle nostre sconfitte sportive, è il grande, alluvionale bisticcio che si scatena fra i «tecnici» per giustificarle. Per quella di Stoccarda, che ci ha eliminato dal campionato del mondo, ne avremo – temiamo – per tutta l'estate: se ne parlerà più che di Caporetto. Noi tecnici non siamo, ma abbiamo la nostra idea. È questa: che non si possono mandare dei polli di batteria a competere con quelli ruspanti. Resta da capire perché noialtri non sappiamo allevare che polli di batteria. Ma ci sembra che questo sia sufficientemente spiegato da un piccolo episodio occorso a Roma, dove un gruppo di tifosi ha creduto di «vendicare» i suoi campioni (si fa per dire) assalendo con pomodori e uova l'ambasciata di Polonia. Ecco. Per un paese in cui la «sana passione sportiva» si effonde in simili manifestazioni, quegli undici mammozzi dalle gambe molli sono fin troppo, e fin troppo misericordiose le disfatte che subiscono. (25 giugno 1974) *Noi, di [[Fascismo|fascismi]] ne conosciamo e ne esacriamo uno solo: quello di chi appiccica questa etichetta a qualunque idea o opinione che non corrisponde alle sue. Di questo giuoco, la nostra [[sinistra in Italia|sinistra]] è spesso maestra. Non per nulla lo stesso [[Benito Mussolini|Mussolini]] veniva dai suoi ranghi. (10 luglio 1974) *In una conferenza stampa a Nuova Delhi, [[Henry Kissinger]] ha dichiarato che verrà a Roma e andrà a pranzo dal presidente Leone, ma non parlerà di politica perché quella italiana è, per lui, troppo difficile da capire. È la prima volta che Kissinger riconosce i limiti della propria intelligenza. Ma vogliamo rassicurarlo. A non capire la politica italiana ci sono anche cinquantacinque milioni di italiani, compresi coloro che la fanno. (31 ottobre 1974) *[[Dario Fo]], poeta di corte dell'ultrasinistra, flagella nella sua ultima fatica teatrale il senatore [[Amintore Fanfani]], responsabile di ogni nequizia passata, presente e futura. I sarcasmi più grevi hanno però come bersaglio il metraggio del notabile democristiano che, come tutti sanno, non è quello di un granatiere. [[Henri de Toulouse-Lautrec|Toulouse-Lautrec]], che per gli stessi motivi dovette per tutta la vita subire analoghe canzonature, disse una volta, giocando sulla lunghezza del suo doppio casato: «Ho la statura del mio nome». Non sappiamo se questo discorso si possa applicare a Fanfani. Certo, si applica a Fo. (11 giugno 1975) *[[Winston Churchill|Churchill]] diceva che «i panni dei servizi segreti si possono, anzi si devono lavare più spesso degli altri; ma, a differenza degli altri, non si possono mettere ad asciugare alla finestra». Dello stesso parere era [[Stalin]] che regolarmente, ogni tre o quattro anni, il lavaggio lo praticava facendo accoppare al buio i capi della sua polizia, nel presupposto – probabilmente fondato – che a far quel mestiere non potevano essere che arnesi da forca, e quindi era giusto che ci finissero. Gli [[Stati Uniti d'America|americani]] seguono tutt'altro criterio. Essi hanno trascinato la ''[[Central Intelligence Agency|Cia]]'' in televisione denunciandone ''coram populo'' fatti e misfatti. I suoi capi ne hanno commessi, dicono, di grossi. Ma il più grosso è forse quello di non aver capito che l'America non li paga per svolgere servizi segreti, ma per offrire agli americani il pretesto per vergognarsene. È l'unico popolo che goda più nel pentimento che nel peccato. (28 novembre 1975) *Non sempre, per redigere questa piccola rubrica, occorre forzare la fantasia. Qualche volta basta lasciare la parola alle agenzie di stampa ufficiali. Eccone un caso. L'agenzia Adn Kronos comunica: «Due giorni di sciopero sono stati dichiarati dai sindacati postelegrafonici milanesi per il 28 gennaio e per il 6 febbraio per protesta contro gli scioperi e i disservizi». (25 gennaio 1976) *L'Unità ci rimprovera di aver pubblicato il manifesto degl'intellettuali in favore della libertà. E ha ragione. Si tratta infatti di una illecita concorrenza perché finora i manifesti, gli appelli, le «veglie» e tutto il resto sono stati monopolio del Pci, unico partito capace di far cantare la gente in coro. Ma appunto per questo non vediamo di che si preoccupi. Gl'[[intellettuale|intellettuali]] italiani che preferiscono aver ragione da soli piuttosto che torto con gli altri, sono pochi. I più seguono la massima di [[Paul-Jean Toulet|Toulet]]: «Quando i lupi urlano, urla con loro». (1º giugno 1976) *Ieri [[Mario Melloni|Fortebraccio]], dalle colonne dell'«[[l'Unità|Unità]]», ha invocato per noi, previa qualche iniezione, il ricovero immediato, e a titolo definitivo, in manicomio. La cosa non ci stupisce: sappiamo benissimo che di manicomi e di iniezioni nessuno s'intende più dei comunisti: chi c'è passato giura che ci hanno fatto una mano da maestri. Ci stupisce però che Fortebraccio lo abbia implicitamente – e un po' anzitempo – riconosciuto. Forse gli è scappata. Alla sua età, succede. (10 dicembre 1976) *Cadendo oggi il trigesimo della scomparsa di Pietro Valdoni, vogliamo rievocare un episodio del grande chirurgo. Come tutti ricorderanno, fu lui ad operare, salvandogli la vita, [[Palmiro Togliatti]], ferito alla testa dalla rivoltella di Pallante. Quando ricevette la parcella, Togliatti la trovò salata, e accompagnò il pagamento con queste parole: «Eccole il saldo, ma è denaro rubato». Valdoni rispose: «Grazie per l'assegno. La provenienza non mi interessa» (23 dicembre 1976) *«Dio non è un maschio» assicura alle femministe Civiltà Cattolica, l'autorevole rivista dei gesuiti, scusandosi «delle tracce di antifemminismo che ancora sono nella Chiesa». Brutto segno quando i teologi si mettono a discutere di sesso. Fu mentre i bizantini si accapigliavano su quello degli angeli che arrivarono i turchi. (21 giugno 1977) *Riferiscono le cronache che l'America è in subbuglio per la morte di [[Elvis Presley]]. Oltre centomila persone si sono riversate a Memphis, sua ultima dimora, due donne sono rimaste uccise nella calca che si stringeva intorno alle spoglie del cantante. Il sindaco ha fatto abbrunare le bandiere in tutta la città, il presidente [[Jimmy Carter|Carter]] è stato flagellato di proteste perché non aveva proclamato il lutto nazionale e uno gli ha gridato al microfono: «Noi americani dobbiamo più a Presley che a [[George Washington|Washington]] e a [[Abraham Lincoln|Lincoln]] sommati insieme». Anche noi italiani dobbiamo qualcosa a Presley: una delle rare occasioni in cui preferiamo essere italiani piuttosto che americani. (20 agosto 1977) *È in corso una iniziativa per l'abolizione, nelle aule scolastiche, della pedana su cui si eleva la cattedra. Il perché lo avrete già capito: l'insegnante deve mettersi, anche materialmente, a livello degli alunni per non lederne la dignità e dimostrare con l'esempio che siamo tutti uguali. Giusto. «La via dell'uguaglianza – dice Rivarol – si percorre solo in discesa: all'altezza dei somari è facilissimo instaurarla». (29 ottobre 1977) *Fra gli annunci economici di Lotta Continua, ne è comparso uno che dice: «Compero a L. 100.000 una tesi di laurea, anche già presentata, purché tratti un argomento attinente all'[[Inghilterra]], o alla lingua, storia, letteratura inglese. Meglio se con una impostazione femminista». Curioso. Questi grandi [[Rivoluzione|rivoluzionari]], che dicono di battersi per costruire una società nuova di zecca, quando si tratta di lauree, si contentano anche di quelle usate e di seconda mano. (3 marzo 1978) *Credevamo che l'assassinio di Aldo Moro, così come è stato eseguito, fosse il colmo dell'infamia. Abbiamo dovuto ricrederci. Al comizio di protesta svoltosi in piazza Duomo a Milano subito dopo la macabra scoperta in via Caetani a Roma, un gruppo di ultrà ha gridato: «Moro fascista!». Preferiamo le [[zanne]] delle belve alla [[bava]] degli [[Sciacallo|sciacalli]]. (10 maggio 1978) *Ecco il nostro telegramma di congratulazioni e auguri a Pertini: «Che Dio le conceda il coraggio, Presidente, di fare le cose che si possono e che si debbono fare; l'umiltà di rinunziare a quelle che si possono ma non si debbono, e a quelle che si debbono ma non si possono fare; e la saggezza di distinguere sempre le une dalle altre». (9 luglio 1978) *Dall'indagine svolta da uno dei più seri istituti di ricerche demografiche, lo svizzero Scope, risulta che la professione più ammirata e rispettata, nel mondo, è quella dei medici. I giornalisti sono al penultimo posto. Ce ne sentiremmo profondamente avviliti se all'ultimo non vedessimo catalogati gli editori. (29 novembre 1978) *Prima di partire per Vienna, il presidente {{NDR|degli Stati Uniti}} [[Jimmy Carter|Carter]] ha fatto due dichiarazioni. La prima: «Ci auguriamo che il signor Breznev {{NDR|allora presidente dell'Unione Sovietica e Primo Segretario del PCUS}} abbia per le nostre ragioni la stessa comprensione che noi abbiamo per le sue». La seconda: «Se Ted Kennedy si presenta contro di me alle elezioni presidenziali, gli faccio un c.o così» Il triviale [[Richard Nixon|Nixon]] avrebbe potuto dire le stesse cose, ma certamente ne avrebbe invertito l'ordine di priorità riservando la comprensione a Kennedy ed il c.o a Breznev. La differenza fra i due è tutta qui. (16 giugno 1979) *Avvicinandosi il 25 dicembre, decine di migliaia di teneri [[abete|abeti]] vengono strappati dai boschi della Penisola per allestire il tradizionale albero di Natale. Ogni anno lo scempio si ripete, tra la generale indifferenza. Soppresso l'Ente protezione animali, figuriamoci se qualcuno ha voglia di proteggere gli alberi. Diciamo la verità: la sola pianta che interessi all'[[italiano medio]] è la pianta stabile. (19 dicembre 1979) *Nel Manifesto di domenica scorsa tale K.S. Karol faceva considerazioni amare sulla rivoluzione cubana e sui suoi fallimenti: «[[Fidel Castro|Fidél]] – ha ricordato il commentatore, uno dei tanti orfani delle illusioni di sinistra – prometteva ai cubani per il 1965 un tenore di vita pari a quello svedese». Certo Fidél si è sbagliato di grosso; non per cattiva volontà, ma per mancanza di uomini, anzi di un uomo. Sarebbe bastato che anche la Svezia avesse uno suo Castro al potere per ritrovarsi in pochissimi anni con un tenore di vita pari a quello cubano. (15 aprile 1980) *Riferiscono le cronache che quando è giunta in tribunale la notizia dell'assassinio di Walter Tobagi, il brigatista Corrado Alunni l'ha accolta con una sghignazzata di tripudio. Abbiamo sempre combattuto la pena di morte sul presupposto che l'uomo non ha il diritto di uccidere l'uomo. Il presupposto lo confermiamo. Ciò di cui cominciamo a dubitare è che gli Alunni e quelli come lui siano uomini. Sui cadaveri sghignazzano le jene. (30 maggio 1980) *A Mirafiori, parlando agli operai della Fiat in sciopero, il sindaco di Torino, Novelli, se l'è presa coi giornalisti e li ha additati all'uditorio come falsari che ricalcano i loro resoconti non sui fatti, ma sulle «veline» distribuite loro dai «padroni». Anche Novelli ha fatto il giornalista in un foglio comunista, e quindi di veline e di padroni è certamente un intenditore. Ma se dopo questa denuncia ci scappa un altro Casalegno, sarà molto gradita la sua assenza ai funerali. (8 ottobre 1980) *Grandi elogi – dopo il successo del blitz di Trani – alle «teste di cuoio» italiane. La loro azione ha dimostrato quanto poco valesse la strategia della flessione propugnata di alcuni personaggi. Teste anche loro: ma di che? (31 dicembre 1980) *Fra i tanti slogans che il partito socialista francese ha lanciato in occasione delle elezioni presidenziali per rassicurare i bravi borghesi sottolineando il proprio carattere moderato e riformista, abbiamo letto anche questo: «Il socialismo può fare di chiunque un milionario». Ci crediamo senz'altro. A patto che quel chiunque fosse prima un miliardario. (8 maggio 1981) *Per gl'italiani, finora, il nome di Gelli era quello dell'autore del più famoso e autorevole codice cavalleresco. Anche oggi rimane legato a un codice. Quello penale. (9 maggio 1981) *L'elenco degli affiliati alla P2 comprende, dicono, 953 nomi, cui corrispondono i più alti gradi della politica, della magistratura, delle forze armate, della burocrazia, dell'industria, della finanza. Tutti «fratelli». È la riprova che, in questo Paese, guai ai figli unici. (11 maggio 1981) *Macché pazzo! L'attentatore del Papa deve essere un furbo matricolato. Dichiarandosi seguace di George Habbas e della causa palestinese, ha cercato di procurarsi la solidarietà dei molti, dei moltissimi, che non battono ciglio quando un terrorista cerca di spedire qualcuno all'altro mondo. Purché il terrorista appartenga al terzo. (16 maggio 1981) *Studiosi cinesi, mettendo a confronto reperti di ominidi dissimili tra loro tanto da far pensare che l'uomo discenda anche da animali diversi dalla [[scimmia]], sono arrivati alla conclusione che i nostri progenitori erano comunque scimmie, ancorché di specie differenti. Ci pare logico. Quale altro animale avrebbe potuto imitare la scimmia che ha dato l'avvio alla razza umana se non un'altra scimmia priva di senso critico? (19 maggio 1981) *Una nostra redattrice andata per una sua cronaca sul femminismo alla «libreria delle donne» in via Dogana a Milano, è stata accolta da una di loro con queste parole: «Con te non parlo perché sei di un giornale fascista, e anche tu hai la faccia da fascista». La nostra redattrice, che ha ventun anni, probabilmente non sapeva bene cosa fosse il fascismo. Ora lo sa: lo ha imparato in quella libreria. (4 novembre 1981) *Come previsto, la Juventus ha conquistato il [[Serie A 1981-1982|ventesimo scudetto]] battendo il Catanzaro. Una vittoria di rigore. (17 maggio 1982) *Socialisti e comunisti si sono opposti alle sanzioni economiche contro l'Argentina perché, hanno detto, una buona metà degli argentini sono di origine italiana, e molti di loro conservano tutt'ora la nostra nazionalità. Vero. Ma non ci eravamo accorti che queste sinistre spasimassero tanto d'amore per i nostri connazionali di laggiù quando si trattava di riconoscergli il diritto di voto. (22 maggio 1982) *Se si va avanti di questo passo, la [[guerra delle Falkland]] (o Malvine) finirà quando l'ultimo aereo argentino sarà abbattuto col suo carico di bombe sull'ultima nave inglese. E dire che questa lotta di leoni si svolge per un'isola di Pecore. (27 maggio 1982) *Tutti abbiamo trepidato ieri, davanti al televisore, per le sorti della squadra azzurra, tutti ci siamo entusiasmati alle sue gesta, tutti abbiamo salutato con orgoglio la sua vittoria. Ma il tipo di patriottismo che questa ha suscitato nelle strade delle nostre città, messe a soqquadro dai tifosi scalmanati che usavano il tricolore a copertura del peggior teppismo, ci ha fatto rimpiangere di non essere nati brasiliani. (6 luglio 1982) *Mai visto così tanto entusiasmo patriottico, tanti tricolori per le strade come per la finale degli azzurri al Mundial. Nella tomba di Caprera, le ossa di [[Giuseppe Garibaldi|Garibaldi]] fremono di invidia. Per unificare l'Italia «in un solo grido, in una sola passione» gli erano accorsi mille uomini. A [[Enzo Bearzot|Bearzot]] ne sono bastati undici. (12 luglio 1982) *Gli scrittori [[Mario Soldati]] (Psi) e [[Gianni Brera]] (Psi) sono stati trombati {{NDR|non sono stati eletti}}. Peccato. Il Parlamento era l'unico posto in cui, dovendo parlare per gli altri, forse avrebbero finalmente taciuto. (1º luglio 1983) *Che [[Bettino Craxi|Craxi]] sia uomo di grandi capacità e ambizioni, lo si sapeva. Che sia anche uomo di grande coraggio, lo si è visto ieri, quando pronunciava alla Camera il suo discorso di replica. Per due volte si è interrotto alla ricerca di un bicchier d'acqua. Per due volte [[Giulio Andreotti|Andreotti]] glielo ha riempito o porto. E per due volte lui lo ha bevuto. (13 agosto 1983) *Condannato dal tribunale di Reggio Emilia per bestemmie e turpiloquio contro la Chiesa, [[Roberto Benigni]] avrebbe qualche ragione di considerarsi vittima di un'ingiustizia. Proprio il giorno prima la Chiesa riabilitava [[Martin Lutero]], scomunicato ai suoi tempi pressappoco per gli stessi motivi. Come cambia, coi tempi, la sorte degli uomini! È inquietante pensare che Benigni, se fosse vissuto cinquecent'anni fa, sarebbe forse diventato Lutero. Ma addirittura sconvolgente è che Lutero, se fosse nato cinquecent'anni dopo, sarebbe forse diventato Benigni! (8 novembre 1983) *Il più autorevole giornale americano di economia e finanza, il Wall Street Journal di martedì 10 gennaio, è incorso in un curioso lapsus. Parlando del concordato fra lo Stato italiano e la Santa Sede, scrive che esso «venne firmato nel 1929 da Bettino Mussolini». Chissà, se lo legge, come si arrabbia Benito Craxi. (12 gennaio 1984) *È comparsa sui giornali la pubblicità di una nuova opera di Fanfani, intitolata «La Dc e la svolta degli anni 80». L'editore avverte che si tratta di un libro formato «tascabile». Dato l'autore, poteva andare diversamente? (16 gennaio 1984) *È vero: la [[Juventus Football Club|Juventus]], a Basilea, non ha fatto una gran figura. Giocando con più cervello, poteva vincere comodamente 4-0. Ma attenti a non giudicare troppo severamente il Porto. Quello di Genova va molto peggio. (18 maggio 1984) *Il trentanovenne James Nelson, condannato da un tribunale di Londra a quindici anni per avere ucciso la madre a colpi di mattone, ha sentito, chiuso in cella, la vocazione sacerdotale: si è messo a studiare teologia, e ora sta per diventare prete nella chiesa scozzese. «È mia intenzione – ha dichiarato – contribuire alla edificazione di una nuova società». Si può credergli: i mattoni ha dimostrato di saperli usare. (25 maggio 1984) *L'agenzia Agi informa, con un drammatico flash, che il ministro [[Giulio Andreotti|Andreotti]], «impegnato in una riunione superistretta con gli altri 15 ministri degli esteri della Nato, perderà la partita [[Associazione Sportiva Roma|Roma]]-[[Liverpool Football Club|Liverpool]]». È giusto il fatto che faccia notizia: è la prima volta che Andreotti perde qualcosa. (31 maggio 1984) *Presso la Presidenza del Consiglio, a palazzo Chigi, è stata istituita una commissione di giuristi per la completa parificazione dei diritti fra i due sessi. Finalmente! Era ora che ce la riconoscessero, a noi uomini. (16 ottobre 1984) *La riforma dei programmi della scuola elementare, cui sta lavorando il Ministro Falcucci, introdurrà nella terza, quarta e quinta classe l'insegnamento di una lingua straniera. Non è specificato quale. Speriamo che si tratti dell'italiano. (21 gennaio 1985) *Un certo [[Nichi Vendola]], dirigente della Federazione giovanile comunista, ha lanciato l'idea di riconoscere formalmente un «diritto dei bambini ad avere rapporti sessuali tra loro o con gli adulti». Vendola ha detto di aver attinto questa idea all'esperienza di molti padri. A conferma di quanto scrive [[Georges Courteline|Courteline]] nella sua «Filosofia»: «Uno dei più chiari effetti della presenza di un bambino in una casa è di rendere completamente idioti dei genitori che forse, senza di lui, sarebbero stati degl'imbecilli comuni». (26 marzo 1985) *I tecnici di calcio sono rimasti stupiti dalla prova del [[Real Madrid Club de Fútbol|Real Madrid]] che nella semifinale della coppa Uefa ha letteralmente travolto i modesti giocatori dell'[[Football Club Internazionale Milano|Inter]]. I madrileni hanno proprio vinto a biglia sciolta. (26 aprile 1985) *Quando [[Sandro Pertini]] è apparso sul video di Raiuno che trasmetteva la premiazione del concorso ippico di Roma, il cronista ha commentato: «Anche i cavalli, come vedete, sono gentili col Presidente». Era vero. Forse meritano di essere fatti cavalieri. (5 maggio 1985) *I tifosi rossoneri sono in festa per la notizia che Berlusconi sta per acquistare il loro Milan. Sono convinti che in un battibaleno ne farà una squadra da scudetto, da coppa delle coppe, da tutto, e forse hanno ragione. C'è un solo pericolo: che il neo-presidente voglia fare anche il direttore tecnico, l'allenatore, il massaggiatore, il capitano e il centrattacco. Il che potrebbe andar anche bene. Ma ad una condizione: che possa fare anche l'arbitro. (27 dicembre 1985) *Rete Quattro e Italia 1 sono state multate per violazione del decreto che proibisce la propaganda al consumo del tabacco. Lo spot incriminato è quello che, parlando del «Camel Trophy», ostentava un pacchetto di sigarette della ditta sponsorizzatrice. Strano Paese, il nostro. Colpisce i venditori di sigarette, ma premia i venditori di fumo. (13 marzo 1986) *Molti lettori ci chiedono quale missione sta svolgendo l'on. Capanna a Tripoli, quali motivi l'hanno spinto da Gheddafi. Non ne sappiamo granché: non siamo abituati a ficcare il naso nelle altrui questioni di famiglia. (1º giugno 1986) *Oggi Paolo Pillitteri sarà designato alla successione di Tognoli come sindaco di Milano. Lo dipingono come uomo intelligente, efficace, insomma pieno di qualità. Purtroppo, gli manca quella fondamentale: il celibato. (5 dicembre 1986) *Finalmente, dopo sette anni di esilio a Gorky, l'impavido Andrei Sacharov è tornato a Mosca. Speriamo che Gorbaciov ci resti. (24 dicembre 1986) *L'agenzia Ansa riferisce che da un sondaggio operato in Francia su un pubblico internazionale, risulterebbe che il maschio italiano detiene ancora il primato mondiale della seduzione. Speriamo che i giornali non riportino la notizia: gl'italiani sarebbero capaci di crederci. (15 marzo 1987) *Per la prima volta nella storia della Corte Costituzionale, il nuovo presidente, Francesco Saja, è stato eletto al primo scrutinio. Ma il rivale sconfitto, Ferrari, ha sollevato eccezione accusando il vincitore di averlo battuto grazie a un «compromesso storico» fra elettori democristiani e comunisti, aggravato da un intrallazzo fra siciliani. Vero o falso, dalla Corte al cortile. (5 giugno 1987) *Ieri tutti i telegiornali ci hanno martellato negli occhi le immagini dei capibastone – Craxi, De Mita, Spadolini, Altissimo ecc. – che infilavano la scheda nell'urna. I loro volti raggiavano di soddisfazione. Erano gli unici elettori matematicamente sicuri di aver dato il voto al candidato ideale. (15 giugno 1987) *In una scuola di Chattanooga, nel Tennesse (Usa), due sedicenni, approfittando dell'assenza dell'insegnante, si sono baciati e hanno fatto l'amore davanti a una decina di compagni, niente affatto scandalizzati. Dato il lassismo di certe scuole americane, gli esami in cui gli studenti riescono meglio sono proprio queste prove orali. (4 giugno 1988) *Diciannove persone hanno dichiarato d'aver visto aggirarsi, tra le quinte della Scala, il fantasma di [[Maria Callas]]. Non ci meravigliamo, anche perché migliaia di altri frequentatori del massimo teatro lirico italiano sostengono da tempo di vedere, alla Scala, il fantasma della Scala. (28 giugno 1988) *Scoprendo le istituzioni britanniche con un secolo e mezzo di ritardo, i comunisti sembrano fermamente intenzionati a formare il loro «shadow Cabinet». Ma onestamente non ne afferriamo la ragione. Non c'è nessun bisogno di un governo ombra per contrastare quest'ombra di governo. (5 maggio 1989) *Da un sondaggio condotto tra i francesi risulta che il personaggio più noto d'Oltralpe è [[Marcello Mastroianni]], conosciuto dall'83 per cento degli intervistati. Il 97 per cento dei francesi invece confessa di non sapere chi sia [[Ciriaco de Mita|Ciriaco De Mita]]. Quando si dice un Paese fortunato... (20 maggio 1989) *Gerardo Iglesias, che fu segretario generale del partito comunista spagnolo dall'82 all'88, ha lasciato l'attività politica per riprendere il suo lavoro di minatore di carbone, «l'unico modo in cui posso guadagnarmi degnamente la vita». Alcuni dirigenti del Pci, a quanto risulta, vorrebbero imitarne l'esempio, tornando al vecchio lavoro. Il difficile è trovare chi ne aveva uno. (1º giugno 1990) *Durante la festosa «notte del mondiale», la polizia romana ha arrestato, nelle vicinanze dello stadio olimpico, 29 borsaioli e scippatori. Il signor [[Edgardo Codesal Méndez|Codesal Mendez]], arbitro della partita [[Nazionale di calcio della Germania|Germania]]-[[Nazionale di calcio dell'Argentina|Argentina]], non figura nell'elenco. (10 luglio 1990) *Il giudice veneziano Casson ha convocato, per la storia del Gladio, il presidente [[Francesco Cossiga|Cossiga]], e l'Italia leguleia è in subbuglio: la Costituzione, pure, si è dimenticata di precisare se il Capo di Stato può essere chiamato a rispondere, sia pure da testimone, a un qualunque magistrato. Il quale però ha ora la fotografia su tutti i giornali. E tutti possono ammirarla chiedendosi che cosa passa in quella testa, la testa di Casson. (10 novembre 1990) *Gli studenti italiani manifestano rumorosamente per la [[pace e guerra|pace]] e contro la [[pace e guerra|guerra]]. La guerra, diceva [[Georges Clemenceau|Clemenceau]], è una cosa troppo seria per lasciarla fare ai militari. Ma anche la pace è una cosa troppo seria per lasciarla fare ai pacifisti. (20 gennaio 1991) *Occupandosi – tra tanto Golfo – del Festival di Sanremo il Tg3 ci ha dato, finalmente, ieri sera, una notizia credibile: il livello delle canzoni, ha detto, è destinato a salire. Infatti: sentite le prime è impossibile che scenda. (1º marzo 1991) *Da un'indagine risulta che il 41,9% degli italiani non considera illecito l'assenteismo dal lavoro e che il 41,3% non considera peccato le infedeltà coniugali. La coincidenza delle due cifre spiega in che modo gli statali impiegano il tempo che dovrebbero dedicare all'ufficio. (3 ottobre 1991) *A quest'ora [[Ernesto Balducci|Padre Balducci]] è di fronte al Supremo Giudice, nel quale affermava di credere. Almeno a Lui dovrà spiegare non ciò che diceva contro la Chiesa, ma perché lo diceva travestito da frate. (26 aprile 1992) *Nell'ultima tornata presidenziale è emerso, con un bel pacchetto di 20 voti, Aldo Aniasi. Finalmente. In questo imperversare di tangenti e bustarelle, era ora che qualcuno si ricordasse di lui. (24 maggio 1992) *Per sfatare le malevole dicerie su certe bestie, il presidente degli «animalisti» italiani ha offerto un premio di 200 milioni a chi potrà dimostrare che i corvi scrivono lettere anonime e che le talpe fanno le spie. È vero: di simili casi non ne conosciamo. Ma di somari che fanno i presidenti, ne conosciamo parecchi. (5 luglio 1992) *Dopo le invettive e i clamori da cui il presidente del consiglio [[Giuliano Amato|Amato]] è stato accolto in Senato per la sua insensibilità alla crisi morale che investe il Paese, il dibattito sulla medesima si è svolto, a Montecitorio, in un'aula deserta. Sì, una crisi morale, per la nostra classe politica esiste: lo dimostra il vuoto in cui l'ha lasciata cadere. (14 marzo 1993) *«I socialisti – ha detto l'ex ministro della Difesa Salvo Andò – devono andare tutti nudi verso la meta di un nuovo sistema politico». Come faranno senza le tasche? (24 maggio 1993) *Il candidato del Psi per le elezioni a sindaco di Roma sarà Niccolò Amato. Assennata scelta. Ex direttore delle carceri, Amato è certamente il più qualificato a rappresentare quel partito. (23 settembre 1993) *Giovedì sera annuncio a sorpresa di [[Emilio Fede]] nel suo Tg4: «Adesso – ha detto – voglio parlarvi di informazione». C'è sempre una prima volta. (8 gennaio 1994) *Secondo un sondaggio della Diacron (gruppo Fininvest), l'82 per cento dei lettori del «Giornale» sarebbe schierato con Berlusconi. Vero. Almeno com'è vero che Berlusconi diventerà presidente del Consiglio. (12 gennaio 1994) ====''La parola ai lettori – rubrica''==== *I tennisti italiani hanno disputato la finalissima di Coppa Davis a Praga, e nessuno ha battuto ciglio. Le squadre di calcio italiane frequentano gli stadi dell'Est, a cominciare da quelli russi, e i puristi della democrazia non ci trovano nulla a ridire. Ma per l'[[Uruguay]] – che con i suoi tre milioni di abitanti e la sua posizione geografica non mi pare possa essere considerato una minaccia troppo grave alla libertà dei Paesi democratici – c'è puntuale la protesta. Come se l'Uruguay potesse invadere, espandersi, insidiare, inviare – direttamente o indirettamente – eserciti di mercenari in mezzo mondo, e l'[[Unione Sovietica]] no. Possiamo capire gli intransigenti della democrazia: ma possiamo soltanto disprezzare i farisei che hanno l'indignazione dimezzata. Si calmino Bruno Conti e Pruzzo. Né l'Uruguay, né il suo regime, meritano tante ansie e tanta ostilità. Mosca è più vicina – lo sanno bene i polacchi – e Kabul anche. (31 dicembre 1980) *Non abbiamo mai «coperto», come si usa dire, questo nostro socio (che ha il 37, non il 36% del Giornale), anche perché non vediamo da cosa dovremmo coprirlo. [[Silvio Berlusconi|Berlusconi]] non è né un politico né un gerarca civile o militare, e non svolge nessuna pubblica funzione incompatibile con l'appartenenza alla massoneria. È un privato imprenditore e cittadino che quando fa una balordaggine (e l'iscrizione alla P2 lo è) la fa a proprio rischio e pericolo. Come lei avrà visto, il suo coinvolgimento nella P2 non ci ha impedito di dire, di Gelli e della sua banda, tutto il male che ne pensiamo. (31 maggio 1981) *In tutti questi anni che è stato con noi, {{NDR|Silvio Berlusconi}} si è sempre comportato nella maniera più signorile, ed anche in questa circostanza ci ha dato le più ampie garanzie. (14 aprile 1987) *Nel panorama sudamericano il [[Cile]] è oggi uno di quei paesi economicamente più solidi e con maggior progresso, tanto da meritare gli elogi del Fondo monetario internazionale. Ma la postilla impone a sua volta una precisazione. È più facile fare il risanamento economico monetario in Cile, dove i sindacati sono inesistenti o impotenti, che non in [[Argentina]], dove il sindacato incalza il governo e pretende aumenti salariali il cui ritmo sia adeguato al ritmo dell'inflazione. [...] Pinochet è quello che è. Il suo plebiscito per la Costituzione del 1980 fu indetto in circostanze che gli tolgono ogni valore. E gli inizi del regime militare furono sanguinari. Però il Cile di oggi ha un livello di libertà e di dialettica politica – nonostante Pinochet – che tanti paesi del Terzo mondo vezzeggiati dai nostri democratici dovrebbero invidiargli. Come ha osservato un lettore, né l'Etiopia né lo Zaire né la Siria, né il Nicaragua avrebbero tollerato corrispondenze come quelle che gli inviati della Rai diffondono, in diretta dal Cile. (16 aprile 1987) *Mai le nostre prese di posizione su problemi e personaggi sono state non dico condizionate, ma influenzate dalle personali amicizie o preferenze di Berlusconi. Per la verità, l'editore chiese una volta a titolo di favore, un «occhio di riguardo» per la sua creatura prediletta. Non la televisione, come i lettori saranno stati forse indotti a pensare, ma il [[Associazione Calcio Milan|Milan]]. Sottoposi questa sommessa istanza alla redazione sportiva. La risposta fu una lettera collettiva di dimissioni. Caso chiuso. Da allora rinuncio a leggere le cronache delle partite del Milan, per non dovermi dispiacere del dispiacere che ne prova probabilmente Berlusconi. (17 aprile 1988) *Come già ho scritto, e qui mi piace ripetere, la designazione di [[Francesco Cossiga|Cossiga]] al Quirinale fu la scelta dell'uomo giusto al posto sbagliato. Sappiamo benissimo chi la volle. Ma sappiamo altrettanto bene che fu avallata anche da quegli uomini e partiti che ora si scagliano contro di lui e lo accusano, apertamente o copertamente, di fellonia. La classe politica, nella quale egli ha militato da sempre e che quindi da sempre lo conosceva, doveva sapere che l'onesto (perché tale è) Cossiga non era uomo da Quirinale. Eppure, per i suoi sporchi giochi di potere, ce lo mandò. Ora dovrebbe sentire il dovere di difenderlo dagli sciacalli che lo attaccano da tutte le parti. (22 dicembre 1990) ===''La Stampa''=== <!--ordine cronologico--> *Intorno alle «cattedrali nel deserto» impiantatevi dalla cosiddetta mano pubblica, [...] o trasferitevi dal Nord con l'adescamento degli «incentivi», e sotto la nuvolaglia di fumo che sgorga dalle loro ciminiere, si gonfiano alla carlona e selvaggiamente dirompono, senza nessun criterio urbanistico, senza piano regolatore, senza servizi, spesso anche senza acquedotto e senza fogna, degli agglomerati urbani che solo per il numero degli abitanti si possono chiamare città. [...] È nata soltanto, insieme a una forsennata speculazione edilizia che per sfruttare all'osso l'area fabbricabile accumula con cattivo cemento un piano sull'altro finché crollano sulla testa degl'inquilini, la sorda rabbia contro la città di un contadiname analfabeta che se n'è visto succhiare la linfa vitale, e quando vi cala, lo fa da nemico e vandalo. Questo è il panorama del Mezzogiorno dopo vent'anni e più di Cassa, che hanno raschiato dalle tasche dei contribuenti migliaia di miliardi. (da ''[http://www.archiviolastampa.it/component/option,com_lastampa/task,search/mod,libera/action,viewer/Itemid,3/page,3/articleid,1118_01_1973_0272_0003_16218908/ La protesta contadina]'', 18 novembre 1973, p. 3) *La politica meridionalistica è tutta dominata da questo sottofondo psicologico. Essa vuole l'industrializzazione di Stato non soltanto perché [...] l'industrializzazione può essere fatta soltanto dallo Stato o da imprese al servizio dello Stato; ma anche perché più queste imprese si sviluppano, e più si riduce il margine di quell'imprenditoria privata che i meridionali, non riuscendo a emularla, mirano a ostacolare e ridurre, sottraendole il pubblico risparmio. Con l'agricoltura non avrebbero potuto perseguire questi scopi punitivi. L'unica arma per mortificare e battere l'industria privata è l'industria statale o parastatale. Questa, intendiamoci, esisteva digià: è un portato dei tempi moderni. Ma non c'è dubbio che la politica meridionalistica, come la si è praticata finora e tutto lascia credere che si seguiterà a praticarla, le ha offerto un'ideale occasione. (da ''[http://www.archiviolastampa.it/component/option,com_lastampa/task,search/mod,libera/action,viewer/Itemid,3/page,3/articleid,1118_01_1973_0284_0003_16222766/ Industrie "in colonia"]'', 2 dicembre 1973, p. 3) *Lo Stato, con [[Venezia]], ha contratto un solo impegno: di destinare al suo risanamento 300 miliardi di lire in cinque anni. Di dove li prenda, non ha nessun interesse. Può darsi che una parte li attinga proprio a quel prestito. Ma non vi è tenuto, né si vede perché dovrebbe esserlo. Ciò che da esso si può e si deve esigere è che eroghi effettivamente quei 300 miliardi alle scadenze per le quali si è impegnato: 25 miliardi per il '73, 60 nel '74, 90 nel '75, e su su fino alla chiusura dei conti nel '77. Due sole cose restano da dire. Primo. All'origine dell'equivoco c'è di certo quello che i francesi chiamano l'''esprit mal tourné'', cioè la diffidenza degl'italiani nei confronti dello Stato. Ma all'origine di questa diffidenza c'è altrettanto certamente l'incapacità o la renitenza dei nostri governanti a spiegare [...] ciò che fanno. Secondo. I soldi [...] stavolta ci sono. E diamo pure per scontato che saranno erogati con puntualità. Ma dove sono gli strumenti per spenderli, specie quelli affidati in gestione a degli Enti locali, che fin qui non sono stati capaci di dragare un canale né di riparare la spalletta d'un ponte? Non vorremmo che anche tutti questi miliardi andassero ad alimentare l'immenso deposito di «residui passivi», cioè di somme stanziate ma non impiegate, che già affligge il nostro Paese. Non lo vorremmo. Ma lo temiamo. (da ''[http://www.archiviolastampa.it/component/option,com_lastampa/task,search/mod,libera/action,viewer/Itemid,3/page,1/articleid,1111_01_1974_0009_0001_21345708/ Venezia, molti miliardi e lo Stato]'', 11 gennaio 1974, p. 1) *E ora addio, caro lettore, e grazie dell’ospitalità. Ti confesso che, entrando in casa tua, ero molto imbarazzato. Ma mi bastò poco per accorgermi che di questo imbarazzo voi soffrite quasi quanto coloro a cui lo incutete. Esentàtemi da una dichiarazione di amore perché a gente come voi è difficile farne. Ma in questo pudore mi sento vostro pari e vostro complice. Avrò un giornale a Milano e, e cercherò di farlo molto bello, bellissimo. Ma anche se ci sarò riuscito, seguiterò a rimpiangere il vostro. Mi dicevano che ci avrei sofferto il freddo. Ci ho trovato, sotto una coltre di silenzio, il caldo. (da ''[http://www.archiviolastampa.it/component/option,com_lastampa/task,search/mod,libera/action,viewer/Itemid,3/page,3/articleid,1112_01_1974_0087_0003_16390798/ Congedo dal Piemonte]'', 21 aprile 1974, p. 3) {{Int|''[http://www.archiviolastampa.it/component/option,com_lastampa/task,search/mod,libera/action,viewer/Itemid,3/page,9/articleid,1118_01_1973_0284_0009_16222725/ Chi era il vecchio leone del deserto]''|Articolo su ''La Stampa'', 2 dicembre 1973.|h=4}} *Senza Ben Gurion, non so se Israele sarebbe stato migliore o peggiore di quel che è. Certo, sarebbe stato diverso. Il titolo di «Padre della Patria» non può contestarglielo nessuno. [...] Egli stesso mi raccontò lo sgomento da cui fu còlto quando, non ancora ventenne, sbarcò a Giaffa dopo un lungo periplo a bordo d'un cargo. A procurarglielo non furono i funzionari turchi che allora governavano il Paese, e nemmeno gli arabi che formavano il grosso della popolazione; ma gli ebrei, quasi tutti latifondisti e mercanti perfettamente inseriti nel «sistema» e unicamente intesi ai propri affari. Erano dunque quelli i depositari della Terra Promessa, che non sapevano neanche l'ebraico, o comunque si rifiutavano di parlarlo? Forse ne sarebbe fuggito, se nell'interno non avesse scoperto alcune isolate fattorie collettive, dove i nuovi immigrati lavoravano la terra con le proprie mani e di notte montavano la guardia, uomini e donne, per difendere le loro vite e i loro raccolti dalle razzie degli arabi. *Comprese subito che solo redimendo la terra col loro lavoro manuale e contrapponendo al latifondismo arabo la fattoria collettiva, gli ebrei potevano legittimare la riconquista dei loro antico «focolare». Militarmente, egli non attaccò mai gli arabi. Aspettò che il loro sistema si disgregasse da sé, e ci volle poco. Battuti sul mercato dai prodotti del ''kibbutz'', i latifondisti arabi vendettero i loro feudi al «Fondo Nazionale Ebraico» per andare a sperperare l'incasso nei ''Casinos'' di Beirut e della Costa Azzurra, e i braccianti rimasero senza lavoro perché i nuovi padroni usavano le braccia proprie. Il conflitto è tutto qui: nell'impossibilità di coabitazione di una scalcagnata economia feudale con un'efficientissima economia socialista. I motivi religiosi e razziali li ha aggiunti la propaganda. *Come tutti i veri politici, Ben Gurion era un pragmatista, cioè un uomo che attingeva le idee dalla pratica delle «cose», non viceversa. E l'esperienza fatta nella lotta per la manodopera ebraica lo aveva persuaso che con gli arabi non c'era [...] possibilità di compromesso. Uno Stato palestinese misto di arabi e di ebrei, lo considerò sempre una chimera per il semplice motivo che in poche generazioni, col loro potenziale demografico quattro volte superiore, gli arabi avrebbero mangiato gli ebrei. [...] Già nella guerra del '48 egli avrebbe potuto annettersi la Cisgiordania: ci rinunziò per non mettersi in corpo seicentomila arabi. L'anno dopo rifiutò per lo stesso motivo la cosiddetta «striscia di Ghaza» che il suo brillante generale Allon aveva sforbiciato dall'Egitto. E dopo la guerra dei sei giorni, sebbene ormai lontano dal potere, non ha fatto che ammonire contro una politica di annessioni territoriali disgiunta da un adeguato incremento di popolazione ebraica. Non ha mai dialogato che con l'Occidente. Con gli arabi, non ha seguito che una diplomazia: quella dei confini. *Le nuove esigenze della produzione e della guerra imponevano un altro «rovesciamento della piramide»: il miracolo della guerra dei sei giorni fu dovuto a un esercito di tecnici altamente specializzati, in cui anche il semplice aviere era un ingegnere. Il posto del ''kibbutz'' [...] veniva preso dall'Università che riconvertiva il contadino in professore. Ben Gurion non poteva interpretare questo nuovo corso. Era troppo vecchio e legato all'altro. Ma non lo comprese, non poteva comprenderlo, per conservare il potere ricorse a tutte le armi del suo repertorio, anche le meno regolamentari, giunse a rinnegare e a rompere il proprio ribelle partito. E neppure a battaglia persa si rassegnò. Dal fondo del suo rifugio alle soglie del deserto ha continuato tutti questi anni ad alluvionare di ammonimenti, maledizioni, anatemi i suoi vecchi amici trattandoli da nemici. [...] Quello che si chiude con Ben Gurion è il capitolo del pionierismo: il più eroico e glorioso, quello destinato, via via che si allontanerà nel tempo, ad essere ricordato dagl'israeliani con sempre più struggente nostalgia. {{Int|''[http://www.archiviolastampa.it/component/option,com_lastampa/task,search/mod,libera/action,viewer/Itemid,3/page,3/articleid,1112_01_1974_0081_0003_16388814/ La strada lunga di Golda]''|Articolo su ''La Stampa'', 14 aprile 1974.|h=4}} *{{NDR|[[Golda Meir]]}} Aveva poco più di vent'anni quando approdò in Israele, frammista ai «padri pellegrini» della «seconda ondata» che subito dopo la [[prima guerra mondiale]] vennero a riprendere possesso della loro antica terra con la ferma intenzione non d'insabbiarcisi com'era successo ai loro predecessori della fine dell'Ottocento, ma di riscattarla e di farne il «focolare» degli ebrei. Tutta la sua visione politica [...] era condizionata da questa esperienza di oltre mezzo secolo di sacrifici e di lotte. [...] Oggi molti in Israele si domandano se a questi pionieri non restava davvero altra strada che quella dell'urto frontale con la popolazione araba della Palestina. Ma questi dubbi sono un lusso ch'essi si possono concedere solo perché i loro babbi e nonni non ne ebbero. Costoro fecero quello che fecero perché non potevano far altro. Ciò che rendeva impossibile la coabitazione fra le due popolazioni non era la incompatibilità razziale e religiosa, ma quella economica e sociale. Il latifondo sceiccale non poteva convivere col ''kibbutz'' socialista. È qui l'origine di un conflitto che nessuna diplomazia poteva sanare. Una pace fra israeliani e arabi è possibile; una simbiosi, no. Ancor oggi chi parla di «Stato misto» si gingilla con le astrazioni. *Fu lei che [...] raggiunse travestita da cammelliere l'emiro Abdullah di Giordania [...] e da nemico se lo fece amico, o almeno neutrale. Non sono mai riuscito ad appurare se [[David Ben Gurion|Ben Gurion]] ebbe una parte, e quale, in questo «giallo» fra il diplomatico e lo spionistico. Ma molte cose m'inducono a credere che a programmarlo fu proprio lei, Golda, anch'essa ben decisa a innalzare, fra arabi ed ebrei, una cortina di ferro, ma con qualche porta che consentisse all'occorrenza il dialogo. [...] I due furono amici e compari per decenni. [...] Probabilmente anche al tempo in cui facevano coppia nel partito e nel governo si parlavano tra loro in quel linguaggio da fureria. Quanto a imperiosità e autoritarismo, si valevano. [...] Con la sua voce arrugginita dalle sigarette [...] diceva piattamente e banalmente delle cose piatte e banali, solo ravvivate da qualche squarcio d'un umorismo massiccio come una scarpa di soldato; ma senza mai togliere di dosso all'interlocutore il suo vigile sguardo cilestrino alla fiamma ossidrica. E da quella specie di sporta per la spesa che, adibita a borsa, essa tiene al braccio anche nei ricevimenti ufficiali, ci si aspettava sempre di veder saltar fuori, oltre a qualche mazzo d'agli e di cipolle, una pistola o una fiala di veleno. *Non c'è dubbio che sapeva odiare e che anche quando amava lo faceva da mantide, soffocando e stritolando. Ma Israele non troverà mai più una madre come lei, che sapeva anche fargli da padre. Nella sua tenacia, nel suo coraggio, nella sua volontà d'acciaio, essa riassumeva la storia di questo piccolo grande Paese. Lo ha dimostrato col suo ritiro. Quando si è trattato di pagare, essa si è offerta in sacrificio pur sapendo che per lei la rinunzia al potere è la rinunzia alla vita. «''Sono giunta al termine della mia strada''», ha detto. Ma che strada! Nessuno ne ha mai percorsa una più ripida e accidentata, più paurosamente librata tra abissi e strapiombi. Sono sicuro che Golda non si volterà indietro a guardarla, e non ce ne dirà nulla. Come tutti i grandi costruttori, essa sa soltanto costruire. Il resto, per lei, è silenzio. ===''la Voce''=== <!--ordine cronologico--> *Uscendo dal ''Giornale'', io feci a me stesso, ma pubblicamente, un giuramento: «Mai più un padrone». Qui padroni non ce ne sono. La proprietà è ripartita fra alcune centinaia di azionisti, di cui nessuno può, per statuto detenere più del 4 per cento. Fra di essi, e per primi, ci siamo stati tutti noi: redattori, impiegati, fattorini, autisti. [...] Per questa sua pulviscolarità, il nostro azionariato è stato definito, nei quartieri alti della Finanza, «straccione». La qualifica non ci dispiace: coi tempi che corrono, meglio stare tra gli stracci che tra le tangenti. (22 marzo 1994) *Di insurrezione generale non c'era bisogno, il 25 aprile, perché il Terzo Reich non esisteva più. Se l'insurrezione generale fosse avvenuta avrebbe dovuto avere come primo obiettivo, a Milano, il quartier generale delle SS all'Hotel Regina. Le SS furono invece lasciate del tutto tranquille, mentre si provvedeva a trascinare in piazzale Loreto, per la fucilazione Achille Starace [...]. Non sono contro la Resistenza, anzi: sono contro la retorica, inguaribile vizio italiano. Proprio questa retorica ha fatto sì che un sindaco democristiano di Roma, in un manifesto dedicato anni or sono alla liberazione della città non accennasse nemmeno con una parola agli Alleati. Ed ha fatto sì che in quest'ultimo 25 aprile si sia parlato ai giovani che affollavano piazza del Duomo a Milano o che stavano davanti ai televisori, ingannandoli – ossia raccontando loro che i tedeschi erano stati sconfitti dai partigiani, e che da questi l'Italia era stata liberata. Se questa è la «memoria storica» evocata da tanti commentatori, stiamo freschi. (28 aprile 1994) *Intorno a Berlusconi vedo agitarsi una falange di Starace, convinti non meno di Achille che il padrone (e con lui, si capisce, la carriera) si serve sbattendo i talloni e gridando: «Forza, Italia!». Di tutto questo, intendiamoci, Berlusconi non può essere tenuto responsabile. Gli Starace – a differenza di Mussolini che si scelse il suo vedendolo com'era – gli sono germinati e gli pullulano intorno d'irresistibile forza propria cercando di sopraffarsi in una gara di servilismo, che trova soprattutto nel video la propria arena. E per ora la gente pensa: «Povero Cavaliere, da chi è circondato». Ma prima o poi – forse più prima che poi – comincerà a dire anche di lui: «Vedi un po' di chi si circonda». (18 giugno 1994) *Dobbiamo prepararci a presentare le nostre scuse a [[Emilio Fede]]. L'abbiamo sempre dipinto come un leccapiedi, anzi come l'archetipo di questa giullaresca fauna, con l'aggravante del gaudio. Spesso i [[leccapiedi]], dopo aver leccato, e quando il padrone non li vede, fanno la faccia schifata e diventano malmostosi. Fede no. Assolta la bisogna, ne sorride e se ne estasia, da oco giulivo. Ma temo che di qui a un po' dovremo ricrederci sul suo conto, rimpiangere i suoi interventi e additarli a modello di obiettività. (26 novembre 1994) *Il presidente della Repubblica non può contrattare. Ma deve trovare qualcuno che abbia l'autorità morale di farlo. Un ''kamikaze''. E di ''kamikaze'' ne vediamo uno solo che, non avendo veste politica, né alcuna ambizione di indossarla, può anche affrontare una simile responsabilità: [[Antonio Di Pietro|Di Pietro]]. Ma temiamo che l'idea sia soltanto nostra. [...] Una delle pochissime cose che nella presente situazione ci confortano è di vedere in Quirinale un difensore delle Regole come [[Oscar Luigi Scalfaro|lui]]. Vorremmo solo sommessamente avvertirlo che l'Italia che noi conosciamo somiglia poco all'immagine angelica ch'egli ce ne ha fornito la sera di Capodanno, e che anche quando vi avremo messo a posto tutte le Regole, ne mancherà sempre una: quella che dall'interno della sua coscienza fa obbligo ad ogni cittadino di regolarsi secondo le regole. (3 gennaio 1995) *Noi volevamo fare, da uomini di [[Destra]], il quotidiano di una Destra veramente liberale, ancorata ai suoi storici valori: lo spirito di servizio (quello vero, taciuto e praticato), il senso dello Stato, il rigoroso codice di comportamento che furono appannaggio dei suoi rari campioni da Giolitti a Einaudi a De Gasperi. Insomma, l'organo di una Destra che oggi si sente oltraggiata dall'abuso che ne fanno gli attuali contraffattori. Questa Destra fedele a se stessa in Italia c'è. Ma è un'élite troppo esigua per nutrire un quotidiano. (12 aprile 1995) {{Int|''Il realista inviso agli snob''|Articolo su ''la Voce'', 24 aprile 1994.|h=4}} *Fino ad una decina di anni orsono, la maggioranza degli americani erano convinti che, se [[Richard Nixon|Nixon]] fosse rimasto nella Storia del loro Paese – cosa che al loro orecchio suonava come un obbrobrio – vi sarebbe rimasto solo per il [[Scandalo Watergate|Watergate]], cioè appunto per l'obbrobrio. Negli ultimi tempi tutto si è rovesciato: l'obbrobrio non è stato più il Watergate, ma la campagna scandalistica che lo aveva provocato. Gli stessi protagonisti che l'avevano montata – [[Bob Woodward]] e [[Carl Bernstein]] del ''Washington Post'' – ne riconobbero le forzature e fecero atto di contrizione. Non avevano inventato nulla, ma avevano deformato tutto. [...] La sorte è stata, tutto sommato, clemente con Nixon dandogli il tempo di vedere questo capovolgimento. *Ultimamente era ricevuto, ed anzi continuamente sollecitato alla Casa Bianca, dove lo si accoglieva come lo ''Elder Statesman'', lo statista anziano da consultare come un vecchio saggio sui problemi difficili. Fu a lui che [[George H. W. Bush|Bush]] si rivolse per riallacciare un dialogo con Pechino dopo la rottura seguita al fattaccio di Tienanmen. E lui a Pechino lo riallacciò: i cinesi non avevano dimenticato che quel dialogo erano stati Nixon e [[Henry Kissinger|Kissinger]] ad aprirlo, quando l'America aveva deciso di chiudere l'avventura del Vietnam in cui [[John Fitzgerald Kennedy|Kennedy]] e [[Lyndon B. Johnson|Johnson]] l'avevano malaccortamente cacciata. Ma anche [[Bill Clinton|Clinton]] è ricorso alla sua esperienza per capire cosa succedeva in Russia e trarne qualche insegnamento. Nixon andò a Mosca, e ne tornò con cattivi presagi sulla sorte di [[Boris Nikolaevič El'cin|Eltsin]] che i successivi avvenimenti hanno confermato. *Non era un uomo «simpatico», e soprattutto non aveva nulla che potesse sedurre l'America dei salotti e della ''intellighenzia'', che gli uomini politici li misurano a modo loro, mai quello giusto. Scambiarono per un grande intellettuale Kennedy, che in vita sua aveva visto migliaia di film, ma mai letto un libro. E prendevano Nixon, che di libri ne ha letti ed ha continuato a leggerne (ed a scriverne, niente male), fino all'ultimo giorno per una specie di Bossi californiano, rozzo e triviale. [...] Ma forse quello che più infastidiva gli americani era la renitenza di Nixon ad appelli e richiami tanto più sonori quanto più vacui, come «la nuova frontiera» e simili. Nixon era un professionista della politica, uno dei pochissimi che l'America abbia mandato alla Casa Bianca. Non andava per sogni e per versetti del Vangelo. Conosceva il suo [[Otto von Bismarck|Bismarck]], il suo [[Benjamin Disraeli|Disraeli]], e credo anche il suo [[Niccolò Machiavelli|Machiavelli]] che in America basta nominarli per finire scomunicati. Per questo lo consideravano un mestierante, e per questo si era scelto come consigliere un altro mestierante, l'ebreo tedesco Kissinger. Furono questi due uomini che ridiedero all'America la ''leadership'' nella politica estera coinvolgendo nel gioco la Cina e scavandone il solco da Mosca. I successori di Nixon, e specialmente [[Ronald Reagan|Reagan]], vissero in gran parte di questa eredità. ===''Oggi''=== <!--ordine cronologico--> *Mi confermo in due mie vecchie opinioni. Il guaio del socialismo è il socialismo, cioè sta proprio nel suo sistema statalistico. Il guaio del capitalismo sono i capitalisti che, quasi sempre bravissimi all'interno della loro azienda, fuori di lì sono spesso degli ottusi e noiosi imbecilli, e talvolta anche peggio.<ref>Citato in ''Dizionario delle citazioni'', a cura di Italo Sordi, BUR, 1992. ISBN 88-17-14603-X</ref> (n. 22, 1983) *{{NDR|Sull'offerta di [[Massimo D'Alema]] a concedere, come «atto dovuto», i funerali di Stato a [[Bettino Craxi]]}} "Atto dovuto"? Ma dovuto a chi? Anche a un latitante: quale, dal punto di vista legale, era Craxi? Concedere i funerali di Stato a un latitante significa sconfessare la Giustizia che lo ha condannato. [...] Ma può lo Stato sconfessare la propria Giustizia senza sconfessare se stesso? Mi sembra di vivere in un Paese che di senso dello Stato ne ha meno di una tribù del Ghana.<ref>Citato in ''La morte incute rispetto, ma su Craxi non cambio idea''-</ref> (2 febbraio 2000) *La [[democrazia]] è sempre, per sua natura e costituzione, il trionfo della mediocrità. (11 ottobre 2000) ==''Caro direttore''== ===[[Incipit]]=== Mettersi nel '74 contro il vento che soffiava tutto nella direzione del «compromesso storico» con la codarda quiescenza di gran parte della borghesia e di quasi tutti gli intellettuali; scoprire (oggi sembra acqua calda, ma allora era un'eresia) che, oltre al terrorismo di destra, ce n'era uno, molto più violento e pericoloso, di sinistra, figlio – sia pure degenere e ripudiato – del Pci, un partito che raggiungeva il 36 per cento dei voti e che condizionava pesantemente scuola, magistratura, cultura, mezzi di comunicazione; schierarsi dalla parte dell'ordine contro l'eversione; istruire il processo contro il sinistrume, effettivo e di complemento, che mortificava l'iniziativa privata e l'economia di mercato con tutti i valori che vi sono connessi; battersi contro il bugiardo e demagogico giustizialismo populista per il ripristino della meritocrazia nel campo del lavoro e degli studi; denunziare il grande pericolo che circondava il sistema: la partitocrazia; tutto questo sembrava follia, e forse lo era. Ma di questa follia noi siamo fieri. ===Citazioni=== *In Francia c'è molta gente che tuttora si domanda se De Gaulle era proprio De Gaulle, o un matto che si credeva De Gaulle. Ebbene, io nutro per La Malfa lo stesso dubbio. Ed è appunto perché nutro questo dubbio che voto La Malfa. (p. 12) *Il capitalismo vero, che permise alla borghesia di liquidare il Medio Evo e di sostituire, a quella feudale, basata sul parassitismo redditiero, una nuova società basata sul lavoro e sul risparmio, nacque nei Paesi protestanti. E sa perché? Perché Calvino insegnò questo ai suoi seguaci: che il denaro, essendo un segno della Grazia Divina non si poteva scialacquarlo. Chi lo aveva guadagnato per un particolare favore concessogli da Dio, aveva il dovere di considerarsene soltanto il depositario, e di reimpiegarlo, cioè di reinvestirlo perché altri uomini potessero beneficiare dello stesso favore. Fu questa base morale che dette al capitalismo protestante la forza di vincere e di costruire la nuova società: la società borghese del lavoro e del risparmio al posto di quella del sangue e del blasone. (p. 25) *Lei ha ragione di essere soddisfatto. Dopo aver ricevuto una discreta istruzione nelle nostre costose scuole private potrà andare a completarla a Parigi, o a Harvard, o a Oxford, dove il figlio del suo mezzadro o del suo trombaio, magari molto più intelligente e volenteroso di lei, non potrà seguirla. Egli dovrà contentarsi dello svalutato pezzo di carta che la nostra Università rilascerà a lui come a qualsiasi analfabeta, e probabilmente, per campare, dovrà rassegnarsi a fare il mezzadro o il trombaio come suo padre. Grazie agli amici del popolo e ai campioni del proletariato. (p. 91) *L'Italia ha scelto lo sciopero, per risanarsi, e non il lavoro, i «ponti», e non il sacrificio; i comizi e le adunate, non le valutazioni responsabili che non possono venire dagli urli di una folla eccitata. La Germania federale, retta dai socialdemocratici, persegue una strada ben diversa. Ciascuno raggiunge i traguardi che si propone, e che merita. (p. 156) *Noi crediamo che in certi casi di carattere eccezionale il giornalista abbia il diritto, e qualche volta il dovere, di dire la verità, se ne è convinto, anche se non è in grado di dimostrarla. Ma a una condizione: che, non potendo o non volendo rivelare le fonti a cui l'ha attinta, se ne assuma in proprio la responsabilità con tutte le conseguenze, anche giudiziarie che ne derivano. (p. 173) *Il temuto cambio di regime non c'è stato, nonostante il tentativo dei partiti e della grande stampa fiancheggiatrice di gabellarlo come una operazione innocua e indolore. La necessità d'interpretare queste consultazioni come un referendum ci ha costretti a sostenere, con tutte le nostre forze, la Democrazia cristiana riconoscendole, però, il merito importante di non aver mai messo in pericolo le nostre libertà, anzi di averle sostenute e difese. Ora che abbiamo contribuito, non poco, a rimettere in piedi la grande malata, dobbiamo adoperarci a guarirla. (p. 193) *Ho avuto una tessera ''ad honorem'' di una federazione anarchica catalana (quella del famoso ''Campesino'') perché, durante la guerra civile spagnola, trafugai oltre frontiera un suo affiliato caduto prigioniero dei nazionalisti e condannato a morte. Ti prego di felicitarmene. Subito. Senza esitazioni. (p. 227) *Anche se aveva tutte le ragioni di sentirsi ingiustamente perseguitato e colpito nel suo onore di galantuomo, Malizia non doveva piangere, per il semplice motivo che i generali non hanno il diritto di piangere almeno in pubblico. Mai. Per nessuna ragione. Lei mi dirà che queste sono fisime da gente sorpassata. Può darsi. Ma io sono convinto che l'etica militare è fatta appunto di queste fisime. Sono stato per lunghi anni ufficiale di guerra, e credo di esserlo stato con onore – tanto da guadagnarmi alcune decorazioni –, appunto perché avevo queste fisime. (p. 261) ==''Caro lettore''== ===[[Incipit]]=== Questi volumi sono in fondo la ''summa'' del ''Giornale'', il riassunto e il breviario di un libero pensiero, cioè di un pensiero libero da qualsiasi condizionamento, che dovrebbe far riflettere gl'intellettuali. Ma noi ci crediamo poco. Ed uno dei motivi è proprio questo: che stavolta gl'intellettuali difficilmente potranno rinverdire lo slogan sotto il quale, negli anni di piombo, mascherarono la loro codardia: «Né con le brigate rosse né con lo Stato», come se lo Stato e le brigate rosse fossero sullo stesso piano e fra l'uno e le altre fosse possibile una neutralità. Pur appartenendo – almeno dal punto di vista sindacale – alla categoria, o forse proprio perché vi apparteniamo, non abbiamo molta stima degl'intellettuali, e troviamo poco meno che ridicola la loro pretesa di fare i direttori di coscienza della società. ===Citazioni=== *Lei ci accusa di eccessiva indulgenza verso i regimi sudamericani. Ma l'accusa è ingiusta. Non perdiamo occasione di dire che Pinochet è una disgrazia. Ma non possiamo fare a meno di aggiungere che questa disgrazia è nata da un'altra disgrazia di nome Allende. In Argentina, a portare al governo il generale Videla (che, glielo posso assicurare, non aveva nessuna voglia di andarci) sono stati i «montoneros» coi loro rapimenti e omicidi, dai quali più nessuno si sentiva al riparo. (p. 42) *Io lavorai al ''Borghese'', sotto vari pseudonimi, finché ci fu lui e perché c'era lui. Dal rapporto personale, quotidiano e strettissimo, esulava qualsiasi pregiudiziale ideologica. Io del resto, non ho mai capito quale ideologia avesse Longanesi. Sapevo soltanto che non era mai del gregge; e siccome nemmeno io lo sono, questo bastava a tenerci uniti. Dopo di lui il ''Borghese'' assunse una fisionomia ideologica precisa, di cui non discuto la legittimità, ma che non corrispondeva alla mia. E quindi la mia collaborazione vi sarebbe stata fuori posto. (p. 50) *Anche ai cattolici osservanti e militanti è consentito, si capisce, far politica. Ma, per amor del cielo, non la confondano con la religione invocando i «valori cristiani» mentre si mettono l'un l'altro l'arsenico nella minestra. Questo si può farlo in nome di Marx, e magari anche di Cavour. In nome di Dio, dovrebb'essere proibito. (p. 193) *Hai ragione interamente, là dove dici che chi nasce come me figlio di un professore (non di un magistrato) ha una partenza più facile di chi nasce come te, figlio di un operaio. Questo è vero. E infatti il gran problema di un regime politico serio dovrebb'essere proprio quello di ridurre al minimo le diseguaglianze al palo di partenza. Per raggiungere questo scopo, non smetterò mai di battermi. Ma nemmeno smetterò di battermi contro il tentativo di mortificare l'interesse privato fino al punto di togliere agli uomini la molla dell'iniziativa. Sono per un fisco severo. Ma voglio che colpisca gli sciali e i lussi, non gl'investimenti perché questi producono lavoro e ricchezza. Ecco il mio socialismo. (p. 202) *L'Islam ebbe una grande cultura solo quando, nella loro cavalcata conquistatrice, i suoi Califfi incontrarono la cultura greca, quella egiziana e quella ebraica. Ma questo risale a Averroè e ad Avicenna, cioè a mille anni fa pressappoco. Da allora l'atteggiamento dell'Islam verso la cultura è sempre rimasto quello del famoso Califfo che, quando gli chiesero cosa dovevano fare della grande biblioteca di Alessandria, da lui conquistata, rispose: «Se tutti quei libri dicono ciò che dice il Corano, sono inutili. Se dicono cose diverse, sono dannosi. Nell'un caso e nell'altro, meglio bruciarli». Si dirà: «Altri tempi». No, Khomeini pensa e parla come quel Califfo. L'Islam è una religione di analfabeti, in cui la cultura è monopolio degli Ulema, che sanno solo di Corano e passano la vita a indagarne i misteri (che non ci sono). Mi citi Alberoni un'opera d'arte e di pensiero islamica degli ultimi due o trecent'anni. I mussulmani colti sono quelli che escono dalle ''nostre'' università. (p. 259) *Ognuno ha il diritto ad avere una sua opinione. Ma nessuno ha quello di distorcere l'opinione degli altri. La mia era è la seguente: che, dopo l'esperienza in Ungheria, non mi sentivo d'incoraggiare i polacchi a una rivolta, in cui l'Occidente li avrebbe lasciati soli a vedersela coi carri armati sovietici, e quindi a finire sotto i loro cingoli come avvenne a Budapest nel '56. Questo non era un invito a «calar le brache». Era una messa in guardia da quelle pericolose illusioni di aiuti esterni che ebbero tanta parte nello spingere gli ungheresi a un olocausto rivelatosi poi del tutto inutile. (p. 271) *Io non sono affatto convinto dell'innocenza di Freda e Ventura (Giannettini non c'entrava niente) come non lo sono di quella di Valpreda. Ma anch'io avrei assolto per mancanza di prove. E non c'è da scandalizzarsene perché queste cose succedono in tutto il mondo. A vent'anni di distanza, la polizia americana non sa ancora con certezza chi uccise Kennedy. Solo la polizia sovietica sa sempre chi uccide per il semplice motivo che è sempre essa a farlo. Con questo, sia chiaro, non voglio dire che la nostra Giustizia funziona bene. Funziona malissimo, e qualche volta non funziona affatto. Ma che copra le stragi di Stato, i nostri intellettuali di sinistra vadano a raccontarlo agli zulù. (pp. 330-331) *Io non so se qualche omosessuale fra noi c'è. È un problema che non mi sono mai posto. Ma anche se ce ne fossero e io me ne accorgessi, non muoverei un dito contro di loro e seguiterei a stimarli per quel che valgono o a disistimarli per quel che non valgono. Tutto ciò, caro amico, la deluderà. Ma il mio stomaco, evidentemente, è soggetto a impulsi diversi da quello suo. Se c'è una cosa su cui mi rifiuto di giudicare gli uomini (e le donne) è proprio il sesso. Ho conosciuto degli omosessuali meravigliosi anche sul piano morale, e degli eterosessuali orrendi. E sono troppo geloso della privatezza mia per non rispettare quella altrui. (p. 343) ==''Dante e il suo secolo''== ===[[Incipit]]=== Uno dei tanti meriti che si suole attribuire a [[Dante Alighieri|Dante]] è quello di essere stato il primo italiano ad avere una «coscienza nazionale». Noi non vorremmo cominciare questo libro con una detrazione, ma non ci sembra che a dimostrare questa coscienza basti l'allusione che Dante fa a una entità geografica italiana, di cui egli fissava i punti terminali al Brennero e al Carnaro. E non vediamo del resto cosa aggiunga alla sua grandezza questa specie d'irredentismo avanti lettera. Se per qualcuno Dante spasimò fu, caso mai, per un Imperatore tedesco. ===Citazioni=== *[[Roma]] era stata la capitale di un impero cosmopolita, non di una Nazione. (Parte prima. Capitolo primo, p. 12) *Non è necessario essere degli adepti del "materialismo storico" per attribuire il risveglio delle inquietudini intellettuali, fra il Millecento e il Milleduecento, al progresso economico e al generale miglioramento delle condizioni i di vita. È a stomaco pieno che si comincia a pensare a qualcosa che non sia soltanto lo stomaco. (Parte prima. Capitolo terzo, p. 131) *Il [[pudore]] femminile non è mai stato altro che un incentivo alla civetteria. (Parte seconda, Capitolo quarto, p. 174) *Da consumato giurista qual era, {{NDR|[[papa Bonifacio VIII]]}} prese a rimaneggiare tutti i precedenti storici, su cui poteva basare le sue pretese di dominio universale. E trovò un valido aiuto nel canonista [[Egidio Romano|Egidio Colonna]] il quale scrisse un trattato, ''De ecclesiastica potestate'', per avvalorare queste tesi. Egli sostenne che la Chiesa era padrona e proprietaria non soltanto delle anime, ma di tutto. Era solo per bontà e condiscendenza che metteva le cose a disposizione dei fedeli, ma conservando il diritto di ritorgliele quando voleva. Quindi anche i troni appartenevano ad essa, che li lasciava ai Re solo in momentaneo appalto. Questa teoria tanto piacque a Bonifacio, che ne ricompensò l'autore con la nomina ad arcivescovo di Bourges. (Parte seconda, Capitolo nono, p. 312) *Peccato che un simile uomo {{NDR|papa Bonifacio VIII}} avesse così clamorosamente sbagliato generazione e carriera. Fosse nato cinquant'anni dopo sarebbe stato un magnifico Principe del [[Rinascimento]]: avido, crudele e gagliardo. (Parte seconda, Capitolo undicesimo, p. 372) *Dante qui {{NDR|nel ''De vulgari eloquentia''}} ha visto ciò che molti filòlogi ancora oggi non vedono. Egli difende il "volgare", cioè la lingua viva, quella parlata dal popolo, fatalmente destinata a soppiantare il latino. Ma ne vorrebbe una illustre e aulica, al di sopra di quelle "municipali", cioè dei dialetti, contro i quali si scaglia con furore. In Italia ne classifica quattordici e li detesta tutti, compreso il toscano che chiama "turpiloquio". Ma il più orrendo gli sembra il romano, "e non deve fare meraviglia dacché i romani, anche per deformità di costumi e abiti, appaiono i più fetidi di tutti". Chissà cosa direbbe, povero Dante, se tornasse fra noi e andasse al cinematografo. (Parte seconda, Capitolo quindicesimo, p. 483) ==''Gli incontri''== *[[Giovanni Porzio|Porzio]] non è alto di statura, ma diritto come un fuso nonostante i settantaquattro anni suonati e porta, sui pantaloni a righe stretti e lunghi come quelli degli antichi ufficiali in grande uniforme, una giacca nera che l'alta bottonatura fa simile a una ''redingote''. Il volto è bello, di colore olivastro, e aristocratico nella modellatura del naso e nel taglio breve dei baffi e della barbetta ancora pepe e sale. (Porzio, p. 91) *Non avevo mai visto da vicino [[Cécile Sorel]], quando essa mi apparve, per la prima volta, di lontano, sul palcoscenico allestito nella corte d'onore degli Invalides per le feste celebrative del bimillenario di Parigi. [...] Drappeggiata in una sontuosa cappa di [[Elsa Schiaparelli|Schiaparelli]] a strascico di ''lamé'' d'argento e porpora, dritta su un podio sotto la statua di [[Napoleone Bonaparte|Bonaparte]], accolse a braccia spalancate lo scrosciante omaggio, sincopato dalle salve di artiglieria, dei cinquemila spettatori ammassati nell'immenso cortile. Sorrise. Sfiorò con uno sguardo altero le teste della folla, lo alzò verso l'imperatore, ma senza implorazione né umiltà, da pari a pari. Poi, in un silenzio di tomba, prese a modulare l'ode di Bruyez: "''Vous qui êtes morts pieusement pour la patrie...''". Ed era una voce incredibilmente limpida e squillante, senza traccia di ruggine. (Cècile, pp. 226-227) *[[Saul Steinberg|Steinberg]] ha la faccia dei suoi pupazzi: una faccia malinconica, lunga e triangolare, di cavallo tirato su a paglia soltanto, senza biada, e condannato a trascinare un carretto su per un'erta interminabile, in cima alla quale non si sa cosa ci aspetta, ma certo un'altra condanna, forse più pesante del carretto. Anche i baffi ha, come i suoi pupazzi: a doppia virgola orizzontale, sebbene meno lunghi e senza le intenzioni esibizionistiche di quelli di Dalì; e anche le lenti a stanghetta traverso cui ti fissano intensamente, di sotto in su, due occhi azzurri e mortificati, di uomo che non si è reso conto di essere Saul Steinberg; o essendosene reso conto, non ci prova alcun piacere. (Steinberg, p. 289) *[[Harukichi Shimoi]] è uno di quei giapponesi che gli altri giapponesi considerano di statura piccola. Tanto piccola che [[Gabriele D'Annunzio|D'Annunzio]], per abbracciarlo, dovette curvarsi (lui!) e, dopo essergli andato incontro gridando, con le braccia alzate: "Fratello!... Fratello mio!..." lo guardò, ci ripensò e aggiunse: "Sebbene non di sangue...". (Shimoi, p. 389) *Quanti anni avrà, ora, Harukichi Shimoi? Forse cinquanta, forse centocinquanta. Come per [[Guelfo Civinini]], suo amico, anche per lui il problema dell'età non si pone. Quale che essa sia, egli la porta esattamente come deve averla portata mezzo secolo fa. Il suo corpo è stortignaccolo, ma diritto, e i suoi capelli son nerissimi. Ma il tratto che più lo caratterizza sono le sopracciglia, che madre natura gli ha piantato a mezza strada, come due ciuffi di foltissimo bosco, tra gli occhi e la chioma, in modo che, per quanto vasti i suoi occhiali, esse li sormontano e risucchiano come se fossero due monocoli. (Shimoi, pp. 389-390) *Il più favoloso e colorito personaggio del [[Brasile]] è [[Assis Chateaubriand]], proprietario di ventun giornali, diciotto stazioni radiotrasmittenti, di una flotta aerea, di alcune ''fazendas'' vaste come l'intera Sicilia, di un museo che vale venti milioni di dollari, di una Compagnia nazionale per la puericoltura, e di un'ambizione pari soltanto al suo coraggio, alla sua insolenza e alla sua spavalderia. (Chateaubriand, p. 495) *Assis {{NDR|Chateaubriand}} ha un debole per i tedeschi e per gli italiani. Come faccia a conciliare questi due amori, non si sa; ma le sue pene, durante la guerra, furono grandi, anche se irreprensibile fu la sua condotta<ref>Dal 1942, nel corso della seconda guerra mondiale, il Brasile fu in stato di guerra con Germania e Italia.</ref>. Quando però il governo comminò l'arresto a chiunque parlasse italiano, scese in lotta con i suoi giornali contro l'assurda disposizione. Scrisse che quello non era patriottismo, ma un nazionalismo di bassa lega, degno soltanto di una colonia, e che lui si vergognava d'esser brasiliano. Fece un tale baccano, che alla fine dovettero revocare il provvedimento e quello del sequestro dei beni dei nostri compatrioti. (Chateaubriand, p. 502) *Quando nacque sessantadue anni orsono, ne aveva già a dir poco settecento. Perché [[Ottone Rosai|Rosai]] veniva dritto dritto dal Medioevo, dopo aver saltato a piè pari Rinascimento ed età moderna, e nei momenti di sincerità confessava che Giotto gli pareva un "deviazionista" rispetto a Cimabue, il quale gli andava molto più a sangue. (Rosai, p. 544) *Dopo essere stato fascista della prima ora, nella seconda col fascismo {{NDR|Ottone Rosai}} s'era trovato male, e si capiva benissimo che era sempre per via delle mani. Tornato dalla guerra, lo squadrismo gli aveva consentito di menarle, come a lui piaceva, e ci aveva dato dentro senza risparmio. Forse l'unico momento felice della vita di Rosai fu quello: quando a gambe larghe di traverso alla strada aspettava, col giornale aperto davanti agli occhi in un gesto di sfida ribalda, il corteo rosso in arrivo da San Frediano, che alla vista di quelle manacce aggrappate ai bordi del foglio e pesanti come macigni, esitava. (Rosai, p. 547) *[[Paolo Monelli|Monelli]], se seguisse le proprie inclinazioni, andrebbe a letto coi polli. Ma cosa direbbe la gente, se non lo vedesse più vagabondare nei vari ritrovi frequentati dai nottambuli della città? Direbbe senza dubbio: "Comincia a invecchiare". E a questa idea Monelli balza dalla sua poltrona e si attacca al telefono per mobilitare qualche amica che lo accompagni nei suoi vagabondaggi. Giovani colleghe come Livia Serini, attrici giovanissime come Lea Massari sono state ridotte sull'orlo dell'esaurimento nervoso da queste prolungate ronde notturne senz'altro costrutto che quello di ribadire agli occhi di tutti l'intramontabilità di Monelli. Egli non le porta a spasso. Le porta all'occhiello, come gardenie. (Monelli al girarrosto, p. 592) *{{NDR|Paolo Monelli}} Fuma la pipa come Churchill il sigaro, cioè soltanto quando lo guardano. (Monelli al girarrosto, p. 593) ==''I conti con me stesso''== ===[[Incipit]]=== Una telefonata da Milano m'informa che Longanesi è morto. È stato colpito dall'infarto davanti al suo tavolo di lavoro, su cui era spiegata una mia lettera di dieci giorni fa, che cominciava così: «Caro Leo, stanotte ho sognato ch'eri morto...». (27 settembre 1957) ===Citazioni=== *Tutta la mia vita è stata contesa fra la noia di vivere insieme e la paura di vivere [[Solitudine|solo]]. (4 ottobre 1957) *Di nuovo il Polesine. Pare impossibile: durante le inondazioni, la prima cosa che viene a mancare è l'acqua. (dicembre 1957) *[[Colette Rosselli|Colette]]. Invecchia gentilmente, senza catastrofi. Ha su tutte le altre donne un vantaggio incolmabile: quello di essere stata il mio ultimo e più grande amore. Così grande che possiamo camparci di rendita, comodamente, tutti e due per il resto dei nostri giorni. (gennaio 1958) *Il destino di [[Riccardo Bacchelli|Bacchelli]] sarà l'opposto di quello del maiale: di lui, dopo morto, ci sarà da buttar via tutto. (gennaio 1958) *[[Olga Villi]]. Non è punto grata alla sua bellezza che le ha consentito di diventare principessa di Trabia. Punta solo sul talento che non ha. Ma è talmente priva di ''sense of humour'' che forse diventerà una buona attrice. (gennaio 1958) *[[Gaston Palewski|Palewski]]. L'ambasciata a Roma è per lui soltanto uno dei più importanti capitoli del libro di memorie che scriverà. (gennaio 1958) *Non è che [[Luigi Barzini (1908-1984)|Barzini]] abbia un'altissima opinione di sé. Ne ha una bassissima degli altri. (gennaio 1958) *Piccolo incidente d'auto. La nostra, per evitare un ciclista, picchia contro un muro e resta piuttosto acciaccata. [[Colette Rosselli|Colette]], che la guida, dice: «Meglio così. Dovevo farla revisionare, e non mi decidevo mai...». (gennaio 1958) *[[Razzismo]]: pensarci sempre, parlarne mai. [[Risorgimento]]: parlarne sempre, pensarci mai. (gennaio 1958) *[[Fascismo]]. Il più comico tentativo per instaurare la serietà. (gennaio 1958) *Il guaio più grosso della Repubblica è che, mentre il Re poteva essere di sangue straniero e di solito lo era, il presidente bisogna sceglierlo fra gl'italiani. (gennaio 1958) *Bacchelli lavora infaticabilmente, da sessant'anni, alla costruzione di un piedestallo su cui, alla sua morte, non sapremo cosa posare. (gennaio 1958) *A pranzo da [[Vittorio Cini]] con una ventina di altri invitati. A colazione ne aveva avuti altrettanti. E così ieri. E così avantieri. E così sempre. A ottantadue anni suonati, è fresco, roseo, insaziabilmente voglioso di intrattenere e di essere intrattenuto. A conclusione della serata, mi sfida a una gara di canto. Scegliamo come banco di prova ''Vecchia zimarra'', e stoniamo maledettamente entrambi, ma io meno di lui. I presenti mi assegnano la vittoria. Di colpo, Vittorio perde il suo buon umore. È talmente abituato a vincere, che non accetta di perdere nemmeno nel canto. (7 settembre 1966) *{{NDR|Su [[Nicola Bombacci]]}} Io l'ho conosciuto soltanto cadavere, quando penzolava accanto a quello di Mussolini, in piazza Loreto, e una folla messicana lo bersagliava bestialmente di sputi. Anni dopo, volli tentarne la riabilitazione ritracciandone la patetica vicenda, ma non riuscii a trovarne gli elementi biografici. Compaesano e compagno di scuola di Mussolini, maestro elementare e autodidatta come lui, ne era stato il grande amico quando entrambi militavano nel socialismo. Eppoi il suo nemico giurato, la bestia nera degli squadristi. Esule con la famiglia prima in Francia, poi (credo) in Russia, rimpatria col permesso del Duce, si affida alla sua generosità, per ricambiarla gli resta al fianco anche a Salò, e lo accompagna fin nell'ultimo viaggio verso la morte. (23 ottobre 1966) *Colloquio segreto con l'ex comunista [[Giulio Seniga|Seniga]] per una storia del [[PCI|Pci]] che devo scrivere con [[Roberto Gervaso|Gervaso]] per la «Domenica». Ė un uomo piuttosto affascinante, dallo sguardo chiaro, freddo e innocente: lo sguardo del fanatico. Mi ha detto che sua moglie, cresciuta in Russia dove suo padre era fuoruscito, e autrice di un interessante libro – ''I figli del partito'' –, nel partito è rimasta, non ha trovato il coraggio di uscirne, sebbene approvi e condivida la secessione del marito, con cui è sentimentalmente unitissima. Non riesco a capire questa gente. Cioè capisco soltanto che è diversa da noi non sul piano ideologico, ma su quello umano. (25 novembre 1966) *È morto [[Uguccione Ranieri di Sorbello]]. Era venuto a Roma da sua suocera. Stava benissimo. Era anzi particolarmente sereno e contento perché aveva finito un suo lavoro di ricerca storica cui attendeva da anni. A fine pranzo ha detto: «Non mi sento bene». Si è alzato, ed è crollato a terra. Stecchito. (29 maggio 1969) *{{NDR|Su Uguccione Ranieri di Sorbello}} Era un gran signore e un gran galantuomo che ha trascorso la sua vita in crociate nelle quali non aveva nulla da guadagnare. L'ultima è stata la campagna propagandista negli Usa per convincere gli americani a dare il nome [[Giovanni da Verrazzano|Da Verrazzano]] al grande ponte sull'Hudson. Nel suo perfetto inglese (lo scriveva meglio dell'italiano) inondò l'America di articoli e conferenze (parlava benissimo, con molto humor e senza enfasi oratorie) cercando i familiarizzare gli ascoltatori col nome Da Verrazzano, la cui pronuncia rappresentava per essi la difficoltà più grossa all'adozione di quel nome. Questa smania missionaria credo che l'avesse ereditata da sua madre americana. E per seguirla aveva trascurato le sue proprietà terriere. Le sue campagne erano in uno stato pietoso, la sua bella villa sul Trasimeno mezza disunta. (29 maggio 1969) *{{NDR|Su Uguccione Ranieri di Sorbello}} Era un buon scrittore, un infaticabile sommozzatore di articoli, un ricercatore attento e scrupoloso di curiosità storiche, un umanista moderno che aveva allargato i suoi orizzonti a tutta la cultura contemporanea, specie anglo-sassone: un uomo insomma che ha realizzato un centesimo di quello che poteva per via di quel suo dispersivo correre dietro a un'infinità di altri interessi. Era stato anche un autentico combattente della [[Resistenza italiana|Resistenza]]: per ben sedici volte si era fatto paracadutare dagli Alleati dietro le linee tedesche: impresa che chiunque altro si sarebbe fatto ripagare con altrettante medaglie. Lui non aveva ricevuto nemmeno una citazione, e di questi episodi non ha mai parlato. (29 maggio 1969) *Anche [[Irene Brin]] se n'è andata. Mi avevano detto che era malata di un cancro; ma era una notizia vaga e incerta, ch'essa aveva fatto di tutto per smentire. Fino in fondo ha lavorato e ha partecipato ai riti della mondanità: sfilate di moda, ricevimenti, eccetera. (1 giugno 1969) *{{NDR|Su Irene Brin}} Quando [[Giovanni Ansaldo|Ansaldo]] la scovò e cominciò a farla scrivere sul «Lavoro» di Genova, sua città natale, era soltanto Mariù Rossi: una ragazza timida e incerta, molto provinciale, figlia di un Generale e di un'ebrea austriaca. L'unica fama di cui godeva era quella, equivoca e velata sotto un nome d'accatto, che le aveva procurato [[Elio Vittorini|Vittorini]] prendendola a protagonista, con sua sorella, di un racconto: ''Le figlie del Generale'' in cui entrambe erano presentate come lesbiche. Se lo fossero veramente, non so. Il sesso è uno dei tanti capitoli misteriosi di questa donna. (1 giugno 1969) *In mano a [[Leo Longanesi|Longanesi]], che le aveva regalato anche lo pseudonimo d'Irene Brin, aveva rivelato autentiche qualità di scrittrice. I profili che pubblicò su «Omnibus» erano deliziosi. Fosse rimasta fra biografia e memorialismo, poteva diventare qualcosa di mezzo fra [[Henri de Saint-Simon|Saint-Simon]] e [[Lytton Strachey|Strachey]] con un tocco alla [[Madame de Sévigné|Sévigné]]. Altro che la [[Maria Bellonci|Bellonci]]! Era un'osservatrice attenta (sebbene non ci vedesse da qui a lì) e penetrante, nutrita di vastissime letture: la sua prosa aveva ritmo, calore, l'aggettivazione precisa, l'ironia tagliente. Ma era un cavallo che aveva bisogno del fantino. Chiuso «Omnibus» e cessata la regia di Longanesi, Irene infilò la pista sbagliata – quella della cronista mondana –, e non è più uscita. (1 giugno 1969) *Finito di scrivere il capitolo sull'[[Giulio Alberoni|Alberoni]] per ''L'Italia del Settecento''. Ho riprodotto la pagina di [[Henri de Saint-Simon|Saint-Simon]], che lo descrive mentre assiste impavido alle evacuazioni corporali di Vendôme per guadagnarsene i favori, eppoi inginocchiandosi davanti a lui gli grida estasiato: «Oh, culo d'angelo!», e glielo bacia. Come inizio di "carriera" italiana, mi sembra esemplare. Poi mi torna a mente un'osservazione di [[Jules Renard|Renard]]: «Se in un periodo c'è la parola culo, il lettore non si ricorderà che di quella dimenticando tutto il resto, anche se è sublime». Renard ha ragione. Ma io, a un culo autenticato da Saint-Simon, non rinuncio. (3 luglio 1969) *Le Soroptimists hanno dato un pranzo a [[Colette Rosselli|Colette]], in qualità di "Donna Letizia". Colette ha accettato dopo molti rifiuti. Il suo fastidio per queste cose di donne, lo so, è sincero. Ma, una volta preso l'impegno, ha trascorso la giornata a preparare il suo discorsino col puntiglio che la distingue. Non è per nulla ambiziosa, non tiene affatto a reclamizzare il proprio talento, sottovaluta quello che mette nella sua rubrica di «Grazia» (ma se lo fa pagare profumatamente), rifiuta di fare una mostra dei suoi deliziosi quadri. Ma il suo suscettibilissimo amor proprio non le consente di rischiare una brutta figura nemmeno nelle cose che disprezza. Infatti anche stasera ne ha fatta una eccellente, leggendo con molto garbo le due paginette che aveva preparato con un sapiente dosaggio di humour autentico, e di pathos e di umiltà fasulli. Ha avuto gran successo. Per la prima volta mi son visto guardato come un personaggio-satellite, una specie di principe consorte. Cosa che a me non dispiace affatto, ma a lei moltissimo. In questo, è proprio femmina. (13 agosto 1969) *Mi riferiscono, di [[Giorgio Bocca|Bocca]], questo giudizio su di me: «Sempre il più bravo di tutti. Bravissimo. Troppo bravo. Ma mettendo lo stesso impegno a scrivere gli articoli su Venezia e quello sull'arbitro [[Concetto Lo Bello|Lo Bello]], dimostra che in realtà non è impegnato in nulla». È vero. Non sono impegnato in nulla. In nulla, meno che nel mio mestiere. Fiorentina-Bari 3-0. E Chiarugi capo-cannoniere! (16 novembre 1969) *Sciopero generale per il caro-case. Un pretesto da nulla. Ma è bastato per immergere Milano in un'atmosfera da 8 settembre. Strade vuote. Saracinesche abbassate. Enorme spiegamento di polizia. Mentre pranzo con [[Giovanni Spadolini|Spadolini]], [[Mario Cervi|Cervi]] e Zappulli, giunge notizia che in un tafferuglio al Lirico un agente è stato ucciso dai "cinesi". «Meno male che è toccata a un agente» diciamo in coro, eppoi non osiamo guardarci negli occhi. Anche noi apparteniamo a questa borghesia codarda che pretende appaltare alle forze dell'ordine il compito di farsi sputacchiare, pestare e ammazzare per tenerne al riparo se stessa. E non vuole nemmeno pagargli uno stipendio decente. (19 novembre 1969) *[[Alberto Moravia|Moravia]] ha fondato, insieme a [[Pier Paolo Pasolini|Pasolini]] e a [[Dacia Maraini]], un "comitato contro la repressione". È la riprova che la repressione non c'è. Se ci fosse, Moravia sarebbe coi repressori, come ha dimostrato avallando col suo silenzio la persecuzione di [[Aleksandr Isaevič Solženicyn|Solženicyn]] in Russia. (28 dicembre 1969) *Moravia si è ritirato dal comitato che lui stesso aveva fondato. Ma non per i silenzi di [[Giovanni Spadolini|Spadolini]]. Si è ritirato perché «l'Unità» ha disapprovato. Gl'italiani sono sempre pronti a fare la rivoluzione, purché i carabinieri siano d'accordo. E Moravia è sempre pronto a battersi per la libertà, purché sia d'accordo il piccì. (2 gennaio 1970) *Arrivati i rendiconti dei miei diritti d'autore: 28 milioni nell'ultimo semestre. Supero dunque i 50 milioni annui. Anche ammettendo che l'editore non ci faccia sopra punta cresta (il che mi sembra, a dir poco, improbabile), non c'è male. Credo di essere l'autore italiano che più guadagna, anche perché sono l'unico che questa cifra la guadagna ogni anno, e senz'aiuto di premi letterari. Non ne sono contento per il denaro, di cui non so che farmi e che serve solo a pagare i capricci di Colette (ne ha tanti!). Ne sono contento, anzi felice, per il mio status da autore stipendiato unicamente dal pubblico. C'è chi vive di partito. C'è chi vive di Eni. C'è chi vive di Agnelli, o di Perrone, o di Crespi. Io vivo di [[lettore|lettori]]. I lettori non m'impongono altra servitù che la sincerità: l'unica che non pesi. (3 marzo 1970) *Più che comunanza di vedute, fra [[Denis Mack Smith|Mack Smith]] e me c'è comunanza di nemici: quegl'insopportabili pedanti accademici che a Palermo lo hanno violentemente attaccato qualificandolo «il Montanelli di Oxford». Implicitamente egli accetta di far fronte con me contro di loro. Credo che facciamo entrambi un buon affare, e anche un affare buono: se riusciamo a squalificare agli occhi del pubblico la [[storiografia]] accademica (e coi nostri libri ci stiamo riuscendo), avremo reso un grosso servigio alla cultura italiana. (2 maggio 1970) *Sosta a Venezia, dopo il voto a Cortina. Visita d'obbligo a Vittorio Cini, e passeggiata con lui sulle Zattere. Vedendolo, un vecchietto sdrucito, ma dignitoso, si leva il cappello e gli tende la mano, evidentemente per mendicare. Vittorio gliel'afferra e gliela stringe con effusione dicendogli: «Caro!... Caro!... Caro!... Coma la va?» È in perfetta buona fede: la buona fede di un doge lontanissimo dalle afflizioni della miseria e perfino incapace di immaginare che ce ne siano. (8 giugno 1970) *Leggo in [[Giorgio Candeloro|Candeloro]]: «... Nel processo generale di sviluppo della Storia, il carattere dei personaggi, anche dei più grandi, ha un peso limitato...». Ah, sì? E cosa dunque se non il carattere di Alessandro, cioè la sua follia, può spiegare la conquista macedone fino all'India e la diaspora dell'ellenismo che ne deriva? L'Islam è concepibile senza il "carattere" di [[Maometto]]? E cosa divise la Riforma se non i diversi "caratteri" di [[Martin Lutero|Lutero]] e di Calvino? I nostri storici odiano i caratteri e i personaggi, perché questi richiedono immaginazione e intuito, cioè doti di scrittore, di cui essi sono disperatamente vedovi. Non sono storici. Sono soltanto degli archivisti, e molto spesso disonesti. (10 novembre 1970) *Milano è in fiamme per l'affare Feltrinelli, e [[Piero Ottone|Ottone]] mi chiede un articolo contro la [[Camilla Cederna|Cederna]], firmatario di un manifesto in cui, a due ore di distanza dal rinvenimento del cadavere e prima ancora che esso sia ufficialmente riconosciuto, proclama che Feltrinelli è rimasto vittima della «reazione internazionale». Se la Cederna avesse una testa, direi che l'ha persa. Ma perché Ottone vuole un articolo contro di lei, intima amica e direttrice di coscienza di [[Giulia Maria Crespi|Giulia Maria]], nonché regina del suo sinistrorso salotto? Comunque, a mettere una zeppa fra direttore e proprietaria, è doveroso collaborare. E faccio l'articolo in forma di "lettera a Camilla". (25 marzo 1972) *Pare che l'articolo abbia rimesso fuoco a Milano, creandovi una irreparabile frattura fra montanellisti e cedernisti. I primi sono più numerosi, ma i secondi più rumorosi. Ricevo pacchi di telegrammi di plauso e altrettanti d'insulti. Il giornale è sommerso di lettere, e io prego Ottone di pubblicare anche quelle di protesta. Ha scritto anche la Cederna annunziando una replica sull'«Espresso» (Ottone ha cancellato il titolo del settimanale, commettendo una meschineria). Quanto a Giulia Maria, mi dicono che schiuma di rabbia. Se è vero, devo riconoscere che il giornalismo qualche soddisfazione la dà. [[Umberto Eco]] mi attacca sul «manifesto» riproducendo una mia frase di ammirazione per Mussolini scritta quando avevo ventidue anni (in dieci anni di giornalismo sotto il defunto regime, non sono mai riusciti a trovare, di mio, altre prove di zelo fascista) e accusandomi di mancanza di cavalleria verso una donna. O bella! Come se una donna, quando si mette a far politica – e che politica! – come un uomo, potesse ancora accampare l'impunità! Anche la [[Maria Callas|Callas]] è una donna. Eppure, quando stona, la si fischia. (27 marzo 1972) *Ho scritto un fondo in difesa della Cederna, incriminata dal magistrato per aver diffuso notizie false e tendenziose. Che abbia commesso questo peccato, ho detto, è vero. Ma si tratta di peccato, non di reato. E a giudicarne dev'essere il lettore, non il tribunale. Verità lapalissiane. Dice che è sempre stata molto più impegnata e coraggiosa di me perché con le sue campagne in favore di Valpreda e di [[Giuseppe Pinelli|Pinelli]], tiene fronte alla polizia. Potrei incenerirla chiedendole dov'era e cosa faceva quando io ero in galera per aver tenuto fronte non alla polizia d'oggi, ma a quella fascista e nazista. Ma non ne vale la pena. (28 marzo 1972) *Più approfondisco questo tema delle regioni (sono a Milano per questo), e più mi sgomenta il doverne scrivere. Ci vuol poco a capire che questi regionalisti lombardi perseguono, consapevolmente o inconsapevolmente, un piano secessionista cisalpino. E, una volta che ne abbiano lo strumento, riusciranno a realizzarlo. Non per nulla Bassetti parla già non più di «regione lombarda», ma di «[[Padania|regione padana]]», di cui il resto d'Italia non sarebbe che un'appendice. Se ce la fanno (e ce la faranno), addio Risorgimento! Non era che una finzione, d'accordo, e in pratica ha fallito. Ma con che lo sostituiremo? (26 settembre 1972) *Volo a Lussemburgo sul solito bireattore di Berlusconi, che ci accompagna, felice di esibirsi e di esibire il suo status in una cerimonia internazionale. La medaglia d'oro (ma è proprio d'oro?) me la consegna Gaston Thorn, capo del governo lussemburghese. Berlusconi riempie il suo taccuino di indirizzi: quelli di tutte le personalità che ha incontrato. È il vero ''climber'' che approfitta di tutto e non butta via nulla. (23 maggio 1977) *Kappler è fuggito. Ha fatto bene. Ma ora chi ci salverà dai conculcati "valori della Resistenza"? (15 agosto 1977) *A colazione da [[Vittorio Cini|Cini]]. Ha avuto un brutto crollo, ma ha ancora risorse. Le tira fuori quando è in compagnia. Ma quando è solo, mi dice sua moglie, sprofonda in quei tetri silenzi che sono i colloqui di un uomo con la morte. (19 agosto 1977) *De Carolis m'informa che il vero autore della operazione «Corriere» è un certo [[Licio Gelli|Gelli]], misterioso personaggio massonico, di Arezzo (Fanfani), che vuole incontrarmi per un accordo fra i due giornali. (24 settembre 1977) *Secondo quanto mi era stato raccomandato, dovevo salire direttamente alla camera 219 dell'Excelsior. Ma alla camera 219 non c'era nessuno, e così dovetti chiedere al portiere del signor Gelli. Poi Gelli arrivò, mi condusse furtivamente nel suo appartamento e mi fece un lungo discorso pieno di allusioni, dal quale dovevo comprendere che lui è un pezzo grosso – forse il più grosso – della massoneria (Palazzo Giustiniani), che come tale era stato il vero padrino della operazione Rizzoli, e che in questa operazione potevamo rientrare anche noi. Mi ha detto che quattro ministri dell'attuale governo, otto sottosegretari e centoquaranta parlamentari dipendono da lui. Questi massoni sono tutti uguali: credono che la loro potenza sia direttamente proporzionale al mistero di cui si circondano e prendono per cose fatte quelle per le quali complottano. (4 ottobre 1977) *Da Fanfani, al Senato. È talmente infuriato che diventa perfino sincero. «Dica al suo amico che è un traditore!» «Perché non glielo dice lei?» Mi spiega che Forlani non mira alla segreteria del partito, come io credevo, ma alla presidenza del Consiglio, quando Andreotti sarà consumato. Mi dice anche che condivide l'idea di Donat-Cattin di lasciare il Quirinale a un laico. «Altrimenti fra noi democristiani ci sbraniamo e ci sbrachiamo nella corsa a chi concede di più ai comunisti.» È sincero anche stavolta, o lo dice perché, avendo perso ogni speranza per sé, vuole prepararsi un buon argomento per Maria Pia («Stavolta toccava ai laici»)? (29 ottobre 1977) *A cena da Gervaso con Cossiga. Non si lamenta dei nostri attacchi, ma sono io a dirgli: «Noi esprimiamo lo scontento, e talvolta la rabbia, della pubblica opinione. La gente vuole un ministro degl'Interni che agisca e che faccia agire la polizia». «Ma lei sa com'è ridotta la polizia?» «In qualunque modo sia ridotta, siete voi che l'avete ridotta così. E quindi sta a voi rimediare.» Mi dice che non c'è da farsi illusioni: la situazione si aggraverà. Il terrorismo è finanziato coi sequestri, ha solidi agganci internazionali, e segue una tattica ben studiata. «L'attentato a lei fu un errore. Se a essere colpite fossero le personalità di rilievo, la gente media, cioè la grande massa della popolazione, sarebbe tranquilla. Invece hanno deciso di colpire i gradi subalterni – consiglieri comunali della Dc, capireparto della Fiat eccetera – per togliere il sonno a tutti.» Forse è vero. (29 ottobre 1977) *Quattro revolverate in faccia a [[Carlo Casalegno|Casalegno]], che ora è grave. Alzano la mira. (16 novembre 1977) *«La Stampa» riporta tutti gli articoli di solidarietà per Casalegno apparsi sugli altri giornali. Ma omette il mio, ch'era forse il più caldo: la solidarietà nostra la imbarazza. (18 novembre 1977) *Casalegno è morto. Ho telegrafato alla vedova, ma non al figlio – iscritto a [[Lotta Continua|Lotta continua]] –, né a [[Arrigo Levi|Levi]] e ai colleghi della «Stampa». Purtroppo, la loro faziosità condiziona la nostra solidarietà. Al funerale andrà Biazzi. (29 novembre 1977) *Incontro risolutivo a Roma tra Ferrauto e quelli della Sipra. Affare fatto e a condizioni molto più favorevoli di quelle sperate. Sei miliardi e settecento milioni come minimo annuo garantito, per cinque anni. Firmeremo il compromesso martedì 16. (10 maggio 1978) *Vista in tv la cerimonia funebre per Moro in San Giovanni Laterano. Dentro la basilica, tutti i dignitari Dc e quelli Pci inginocchiati sotto la mano benedicente del papa. E, fuori, la piazza sventolante di bandiere bianche e rosse. Non ho potuto fare a meno di rilevarlo in un "Controcorrente". (13 maggio 1978) *Batosta comunista alle amministrative parziali di ieri (4.000.000 di elettori). La Dc sale dal 38 al 42 per cento, il Pci scende dal 35 al 26. Successo dei socialisti che guadagnano il 4 per cento. Un risultato sconvolgente (in positivo). Uniche delusioni: il guadagno – sia pur minimo – del Pri, e la mancata rianimazione del Pli. (15 maggio 1978) *Firmato oggi l'accordo con la Sipra. Minimo garantito: 6.800.000.000 all'anno per cinque anni. Il presidente, D'Amico, è un ex operaio della Fiat, ora deputato comunista: un uomo concreto, franco, di poche parole. Era più soddisfatto lui dell'accordo con noi, che il direttore generale, il democristiano Pasquarelli. Io ho fatto la mia parte, da buon attore. Arrivato all'ultimo momento, ho detto: «Per impedire ripensamenti ed equivoci, trasformiamo il compromesso in vero e proprio contratto, e firmiamo subito». Lo champagne era già pronto. (16 maggio 1978) ==''I protagonisti''== *Nel settembre di quell'anno {{NDR|1956}} il partito lo spedì {{NDR|[[Gian Carlo Pajetta]]}} a Mosca insieme a Pellegrini e a [[Celeste Negarville|Negarville]] per sentire direttamente da [[Nikita Sergeevič Chruščёv|Kruscev]] come ci si doveva comportare nella crisi, ormai aperta, dell'antistalinismo. Kruscev li accolse affabilmente, li invitò a cena. E qui, trascinato da bocconi e libagioni ad una espansiva euforia come spesso gli capita, a un certo punto disse: «Beh, ora vi voglio raccontare come strangolammo [[Lavrentij Pavlovič Berija|Beria]]». E descrisse l'agguato che gli avevano teso al Cremlino, come gli erano saltati addosso e come gli avevano serrato la gola con le mani fino alla soffocazione. Lo descrisse ridendo allegramente, forse senz'accorgersi del pallore che soffondeva il volto dei suoi ospiti, o per lo meno quelli di Pajetta e di Negarville.<br />L'indomani li convocò nuovamente e, come non ricordando affatto ciò che gli aveva raccontato la sera prima, disse loro in tono solenne: «Beh, ora vi farò sentire il processo di Beria registrato sul nastro». E glielo fece sentire davvero come lo avevano inventato ''post mortem'', con la voce del defunto falsificata.<br />Quando si ritrovarono fra loro, Negarville e Pajetta si guardarono con gli occhi pieni di lacrime. «Ma allora – dissero –. Ma allora...». E non aggiunsero altro. (pp. 66-67) *{{NDR|Su [[Anna Magnani]]}} Ci sarebbe da scrivere un trattato sul modo di usare Anna. La prima precauzione da prendere è quella di non farla ritrovare in mezzo a estranei. Timida com'è, pur dopo un'esistenza trascorsa sotto i ''flashes'', la gente la raggela e la chiude in un mutismo ostile o l'aizza ad atteggiamenti protervi. Delle poche persone che le ho presentato, l'unica che la sedusse immediatamente fu il mio collega [[Augusto Guerriero]], perché il discorso cadde sui cani e sui gatti: e questo è un argomento su cui il cuore di Anna si scioglie e la mente le si ottenebra. Si mise in testa che noi due, con un articolo, potevamo far riformare la legge sulla protezione degli animali. E invano cercammo di dimostrarle che il problema non era di leggi, ma di costume. Non sentì ragioni. Dovemmo prometterle l'articolo (che poi infatti scrivemmo). (pp. 177-178) *{{NDR|Su [[Ignazio Silone]]}} Leggendo i suoi primi romanzi, ''Fontamara'', ''Pane e vino'', ''Il seme sotto la neve'', e pur ammirandoli, ero caduto in abbaglio sull'autore. Lo avevo preso per uno di quegl'industriali dell'antifascismo che, riparati all'estero, avevano trovato nella universale avversione alla dittatura una comoda scorciatoia al successo dei libri di denunzia. Lo consideravo insomma un profittatore del regime a rovescio (come del resto ce ne sono stati). E una conferma mi era parso di vederla nel fatto che finito, col fascismo, l'antifascismo, parve finito anche il narratore Silone.<br />Poi vennero ''Una manciata di more'', ''Il segreto di Luca'', ''La volpe e le camelie''. Ma vennero soprattutto alcuni saggi politici che mi costrinsero a ricredermi. Ed era proprio questo che non riuscivo a perdonargli. Mi era antipatico non per i suoi, ma per i miei errori. Più lo conoscevo attraverso i suoi scritti, e più dovevo constatare che non solo egli non somiglia affatto al personaggio che m'ero immaginato, ma che anzi ne rappresenta la flagrante contraddizione. (pp. 180-181) *{{NDR|Su ''[[Ignazio Silone#Uscita di sicurezza|Uscita di sicurezza]]''}} Come documento umano, non ne conosco di più alti, nobili e appassionati. Fenomeno unico, o quasi unico, fra gli sconsacrati del comunismo che di solito non superano mai più il trauma e trascorrono il resto della loro vita a ritorcere l'anatema, Silone non recrimina. Egli rifiuta i grintosi e uggiosi atteggiamenti del moralista, o meglio ne è incapace. Domenicano con se stesso, è francescano con gli altri, e quindi restio a coinvolgerli nella propria autocritica. Cerca di metterne al riparo persino [[Palmiro Togliatti|Togliatti]]; e se non ci riesce che in parte, non è certo colpa sua. Qui non c'è che un accusato: Silone. E non c'è che un giudice: la sua coscienza. (pp. 186-187) *Noi crediamo di scoprire dei modelli. In realtà non scopriamo che degli antenati. [[Carlo Cassola|Cassola]] s'illude di aver imparato da [[James Joyce|Joyce]] quello che già sapeva. Joyce gli avrà fornito, al massimo, qualche mezzo tecnico per esprimerlo. Uno [[scrittore]] vero (e Cassola lo è) non cerca in un altro scrittore che se stesso. (p. 207) *{{NDR|Su [[Enrico Mattei]]}} Egli amava solo il [[potere]], e l'amore del potere esclude tutti gli altri. (p. 265) *{{NDR|Su [[Giulio Andreotti]]}} Andava anche, mi dicono, a messa insieme a lui {{NDR|[[Alcide De Gasperi|De Gasperi]]}}, e tutti credevano che facessero la stessa cosa. Ma non era così. In chiesa, De Gasperi parlava con Dio; Andreotti col prete. Era una divisione di compiti perfetta. (pp. 271-272) ====''Il meglio di «Controcorrente»''==== *Il «comitato permanente antifascista» di Milano ha deciso di chiedere un «riconoscimento» per tutti coloro che sono stati «coinvolti direttamente nella strategia della tensione a partire dal 1º gennaio 1969». Ci risiamo. Tutta la nostra vita è stata angosciata e angariata dagli antemarcia: prima quelli del Littorio, poi quelli della Resistenza, ed ecco che ora spuntano quelli della «tensione». Longanesi aveva ragione: in questo Paese, reduci si nasce. (p. 47) *Agli alunni della terza classe (anni otto-nove) della scuola elementare di via Pisani, Milano, è stato assegnato il seguente problema: «Mario, Gino e Beppino sono i capi della banda. Mario dice a Gino che la banda ha quasi esaurito le munizioni: rimangono solo 5 cassette con 130 pallottole per cassetta. Quante pallottole rimangono?». Debolucci come siamo, in aritmetica, non lo sappiamo nemmeno noi. Ma ci pare che una per l'insegnante e una per il ministro Malfatti ci dovrebbero ancora essere. (p. 79) *Il messaggio di addio che il dimissionario capo dello Stato ha detto alla televisione e che anche noi pubblichiamo, è ineccepibile. Esso dà del presidente [[Giovanni Leone|Leone]] un'immagine che non fa una piega: un galantuomo all'antica, padre di una famiglia esemplare, ingiustamente calunniato da una stampa irresponsabile. Siamo sicuri che tutto questo si può dire di Leone. Ha un solo difetto: che a dirlo è stato Leone. (p. 84) *A Roma, nonostante tutte le ricerche fatte, non è stato possibile trovare un locale disponibile per un convegno di radicali. Non ce n'era uno abbastanza piccolo per contenerli tutti. (p. 103) *In un convegno su «Terrorismo e informazione», a Roma, è stato unanimemente riconosciuto che il [[segreto istruttorio]] in Italia non esiste. Lo trasgrediscono tutti. Non solo giornalisti e avvocati – e ancora passi – ma perfino magistrati che anticipano e propalano, il più delle volte per farne strumento politico, notizie riservate. «È il segreto di Pulcinella» si è lamentato il procuratore capo della Capitale, De Matteo. È vero. Ma Pulcinella non era giudice. E i giudici non dovrebbero essere Pulcinella. (p. 104) *Solo il tempo non perde tempo, diceva [[Jules Renard|Renard]]. E così, a furia di annunciarne i cambiamenti, il tempo è passato anche per il colonnello [[Edmondo Bernacca|Bernacca]], che ora deve rassegnarsi alla pensione. Peccato. Gli dobbiamo parecchi raffreddori e reumatismi. Ma nessuno riuscirà meglio e con più grazia di lui a farci capire ed accettare l'inutilità della meteorologia. (p. 108) *Qualcuno teme – e qualche altro spera – che l'Afghanistan diventi il Vietnam dei russi. Niente paura, in Afghanistan non ci sono giornalisti. (p. 112) *Quella del ''Corriere'' non è una situazione invidiabile: il direttore in congedo per l'affare della P2, manager ed articolisti contestati per lo stesso motivo, il maggiore azionista in galera, accusato di reati valutari, montagne di debiti, trasparenza della proprietà limpida come un mare in burrasca. Ci sarebbe davvero da mettersi le mani nei capelli. Se non fosse un giornale di [[Roberto Calvi|Calvi]]. (pp. 125-126) *Quando leggiamo «ministro senza portafoglio», ci viene sempre un dubbio. Che glielo abbia rubato qualche collega? (p. 146) *L'[[Organizzazione per la Liberazione della Palestina|Olp, Organizzazione per la liberazione della Palestina]], è stata ammessa con voto unanime, anche se provvisoriamente, nel Comitato olimpico asiatico. Non sapevamo che il lancio della bomba fosse diventato una disciplina atletica. (pp. 171-172) *A suo tempo imprigionato dagl'israeliani per complicità col terrorismo palestinese, e liberato per l'intervento del Vaticano con l'impegno di astenersi dalla politica, l'Arcivescovo libanese di Gerusalemme [[Hilarion Capucci]] ha dichiarato in un'intervista all'''Europeo'' che i rivoltosi di Gaza e della Cisgiordania non ricevono ordini da nessuno: «Li prendono solo da Dio, loro unico leader». Lo abbiamo sempre detto, noi: a grattare un arabo, anche se cristiano e Monsignore, viene fuori un Ayatollah. Ma forse non c'è neanche bisogno di grattare. (p. 184) *Da Praga [[Bettino Craxi]] proclama che «bisogna liberare l'Italia da Falci e Martelli». Benissimo. Ma chi è Falci? (p. 206) *[[Pino Rauti]] è intenzionato a candidare un africano alle elezioni comunali fiorentine. Più che giusto: il nero si addice al Msi. (p. 209) *Per evitare pubblicità attorno al caso di [[Angelo Peruzzi|Peruzzi]] e [[Andrea Carnevale|Carnevale]], i due giocatori giallo-rossi risultati positivi all'antidoping, il presidente della Roma, [[Dino Viola]], ha deciso di portare tutta la squadra in ritiro. A San Patrignano. (p. 216) *Secondo ''La Notte'' di ieri – che riferisce dichiarazioni d'un capo della Jihad islamica, Ibrahim Serbell – i terroristi arabi hanno nel loro mirino, per quanto riguarda l'Italia, «uomini politici, aeroporti e alcuni obiettivi strategici». Siamo molto preoccupati per gli aeroporti e gli obiettivi strategici. (p. 220) *La fantapolitica non è il nostro esercizio preferito. Ma ci chiediamo che cosa succederebbe se, con un colpo alla Moro, i terroristi si impadronissero di Cossiga e lanciassero al governo il ricattatorio ultimatum: «Se non ci date cento miliardi, lo liberiamo». (p. 228) *Malgrado tutto (e per tutto intendiamo proprio tutto), [[Moana Pozzi]] non è riuscita ad entrare a Montecitorio. Peccato. È l'unica Camera che non potrà dire di aver frequentato. (p. 236) *Sull'''Unità'' è comparsa la lettera di un deputato che, pericolosamente sfiorato da un motociclista, invoca drastiche misure penali contro i «teppisti al volante». Ci associamo alla proposta. L'unica cosa che ci sconcerta è la firma del proponente: è quella dell'onorevole [[Mario Gozzini]], autore della famosa legge che in pratica vorrebbe l'indulgenza plenaria per qualsiasi reo e reato. (p. 244) ==''Il testimone''== *Per restituire efficienza e prestigio alla polizia, bisogna prima restituirli allo Stato. E in che condizioni lo Stato italiano sia ridotto, tutti lo sappiamo e lo vediamo. Dovrebbero vederlo e saperlo anche i nostri uomini politici, e trovare il coraggio di riconoscerlo pubblicamente, invece di occultare la verità dietro la cortina fumogena di dichiarazioni pompose e altisonanti sulla «saldezza delle istituzioni» e simili. Furono questi proclami retorici e vuoti a provocare la bordata di fischi che accolse a Brescia [[Giovanni Leone|Leone]] e [[Mariano Rumor|Rumor]] all'indomani della strage. [...] La gente è stanca di una politica che cerca ma non trova, di una magistratura che istruisce ma non giudica, e soprattutto di partiti che strumentalizzano i morti per la loro propaganda politica. Con questi sistemi non si ricostruisce la fiducia. Si rende obbligatoria la sfiducia, condizione e prefazione della resa. (p. 33) *La Lombardia seguita a sfornare energie di prim'ordine. E da tutta Italia coloro che, come i soldati di Napoleone, credono di portare nel loro zaino il bastone di maresciallo, continuano a fare di Milano la loro mecca. Le difficoltà fra cui si dibattono sono molto più ardue di quelle che affrontano i loro predecessori per fare le fortune proprie e quelle di Milano. Ma la più ardua di tutte è il riciclaggio dei valori morali. Se Milano non restaura il culo dell'uomo, della sua iniziativa, del suo coraggio, del suo orgoglio di costruire, di rischiare e di vincere, e se non restituisce il premio a queste virtù, tanto vale che si arrenda allo Stato, al parastato e al sindacato, e si rassegni a diventare il ''bazar'' di un'Italia da terzo mondo. (p. 69) *Chi sia, cosa voglia e cosa valga Rizzoli, non c'interessa. C'interessa solo l'operazione cui egli presta il nome e il braccio (la mente lasciamola stare). Il tentativo di fare di Rizzoli, coi soldi del contribuente, l'editore del regime, è chiaro. E se di lui si vuol fare l'editore del regime, è altrettanto chiaro che si punta a una stampa di regime. Ma di quale regime? Evidentemente di un regime bisognoso di quei silenzi che solo una stampa di regime, affiancata da una RAI-TV di regime, può garantire. Se l'operazione riesce, caro lettore, dovremo dirci addio, perché per le voci libere e indipendenti non ci sarà più posto. Per soffocarle, non è necessaria nemmeno una legge: basterà lasciar aumentare il costo del prodotto bloccandone il prezzo. (p. 80) *Frondista sotto il fascismo, ribelle sotto la democrazia, Longanesi rimase sempre lo stesso. Il suo sogno sarebbe stato di fare l'anarchico in un regime autoritario borghese. Una volta lo condussi a parlare di un vecchio artigiano toscano, che diceva di essere stato in Russia a organizzare complotti e a fabbricare bombe contro lo zar. A tal punto Longanesi si entusiasmò di lui da rifiutare i miei sospetti sull'autenticità della storia. «È vera, è vera», diceva: «non hai sentito con che effetto e rimpianto parlava dello zar? L'affetto e il rimpianto del vero anarchico che, quando c'era lo zar, saoeva almeno contro chi buttare le bombe.» Ed era chiaro che anche lui rimpiangeva lo zar, per gli stessi motivi. (pp. 103-104) *In Italia i rappresentanti del popolo non sono popolari. Nessuno, nemmeno fra quelli che raccolgono centinaia di migliaia di voti, è veramente amato e rispettato. [...] I rappresentanti del popolo non parlano quasi mai col popolo. Parlano solo col partito, cioè fra loro, in un linguaggio ermetico che dà corpo ai peggiori sospetti. E in più c'è il borbonico attaccamento agli orpelli del potere. Questi capi di Stato e di governo, questi ministri [...] è fatale che agli occhi della gente appaiano come ''loro'', e ne subiscano le conseguenze. Non la si prenda per una dichiarazione di fede antirepubblicana. Ma [...] l'uccisione di [[Umberto I di Savoia|Umberto I]] che, come re, era il supremo dei ''loro'', sollevò un'ondata di commozione popolare più diffusa e spontanea di quella suscitata dal brutale sequestro di [[Aldo Moro|Moro]] (p. 114) *Sui feretri di coloro che sono caduti per ragioni ideologiche hanno diritto di sventolare solo le bandiere dei rispettivi partiti, e bisogna riconoscere che quelle della Democrazia cristiana possono vantare precedenza. Su quelli di tutti gli altri – magistrati, poliziotti, carabinieri, guardie e medici di carcere – può e deve sventolare solo il tricolore, se in qualche soffitta ce ne sono ancora degli scapoli. Il tempo delle usurpazioni e delle confische è finito. A ciascuno il suo. (p. 137) *In Germania c'è una norma statuaria che vieta di rovesciare un governo se prima non si sia trovata la maggioranza per formarne un altro. Da noi, ogni limitazione alla spensieratezza è considerata antidemocratica. Come diceva Longanesi: «Chi rompe, non paga, e siede al governo». (p. 161) *In questi venticinque anni, Kekkonen si è adoperato a «finlandizzare» la Finlandia: non aveva altra scelta, e c'è riuscito. La Finlandia è l'unico satellite dell'URSS in cui le fondamentali libertà democratiche sono rispettate, e di cui la porta è rimasta aperta all'Occidente. Ma non credo che questo miracolo sia dovuto solo a lui. Esso è dovuto soprattutto alla Finlandia e a quello che nel suo giovanile estremismo nazionalista egli stesso aveva chiamato «l'inutile sacrificio». Quel sacrificio fu invece utilissimo. È grazie a esso che la Finlandia non ha seguito la sorte degli altri tre Paesi Baltici – Estonia, Lettonia e Lituania –, ormai cancellati dalla carta politica dell'Europa. (p. 195) *Non vengano i sociologi a ripeterci la solita filastrocca che la mafia non è colpa di nessuno, neanche dei mafiosi, ma solo delle «strutture» e della povertà. Forse un tempo era così: il tempo in cui la mafia aveva qualche diritto di fregiarsi del titolo di «onorata società», e anche se avesse ammazzato un [[Carlo Alberto dalla Chiesa|Dalla Chiesa]], avrebbero risparmiato sua moglie. Oggi la mafia naviga nell'oro, e forse Dalla Chiesa è morto proprio perché aveva messo le mani su certe carte che riguardano finanziamenti per 880 miliardi ad aziende ancora più fantomatiche del Banco Andino di calvesca memoria. Il che dovrebbe indurci a qualche riflessione sui contributi che lo Stato fornisce alla Regione siciliana per aiutare l'isola a recuperare i suoi «ritardi». (pp. 215-216) *C'è chi chiede il rigore nella lotta all'inflazione, c'è chi lo chiede in quella della disoccupazione, c'è perfino chi lo chiede nello sviluppo dell'assistenzialismo. [[Guido Carli]] [...] ha detto ch'esso va applicato principalmente alla spesa pubblica, da contenersi entro l'invalicabile limite della «sopportabilità»: cosa su cui tutti hanno convenuto, essendo questo [...] il rigore che più piace agl'italiani (oltre quelli che gli arbitri di calcio assegnano in favore della squadra di casa). (p. 222) *La colpa dei Paesi sviluppati non è di far troppo poco per quelli di sottosviluppo, ma di farlo male. Qualcuno ha riassunto la lezione dei fatti nella massima: «Non date il pesce alla gente affamata; insegnatele a pescarlo». Ma per questo i miliardi non bastano: ci vogliono i missionari alla [[Marcello Candia]] e alla [[Madre Teresa di Calcutta|Suor Teresa di Calcutta]], molto più difficili da stanziare. Comunque, una cosa bisogna esigerla: l'eliminazione delle strozzature che impediscono agli aiuti di arrivare a chi ne ha veramente bisogno. Oggi come oggi, essi si fermano regolarmente sulle mense e nelle tasche di politici e burocrati delle nuove satrapie. Ma nella legge varata ieri non mi sembra che ci sia accenno allo smantellamento di questo perverso sistema. Che l'amministrazione di quei millenovecento miliardi [...] sia affidata a un sottosegretario invece che a un commissario, non mi pare una gran trovata. Si tratterà [...] del solito carrozzone lottizzato fra partiti, che farà presto a intendersi, via mance e bustarelle, coi carrozzoni dei Paesi da soccorrere. (pp. 257-258) *La [[Resistenza italiana|Resistenza]] un grande servigio all'Italia lo rese: ci procurò un notevole ribasso sul conto della sconfitta. Senza la Resistenza, non c'è dubbio che avremmo pagato molto più caro il nostro dissennato intervento a fianco della Germania. [...] Essa ha tutti i titoli per essere ricordata. Ma come la fine di una lunga sconfitta, la chiusura del capitolo più nero della nostra storia unitaria; non come il coronamento di una radiosa vittoria. Noi non ci liberammo; fummo liberati, L'aiuto – modestissimo, sul piano militare – che con la Resistenza demmo ai liberatori merita la gratitudine di tutti i disastri che ci risparmiò e le indulgenze che ci procurò al tavolo della pace. Ma la pretesa di confonderci coi vincitori, e perfino di parlare in loro nome, non può tirarci addosso che disprezzo e sarcarmi. (pp. 266-267) *Per Menichella, la ricostruzione e il grande decollo industriale erano possibili a una condizione: la stabilità della moneta. I capitali per gl'investimenti dovevano essere attinti non alla Zecca, ma al risparmio, che in caso contrario sarebbe stato distrutto dall'inflazione. E per accumulare il risparmio non c'era che una ricetta, la solita: lavorare di più e consumare di meno. Lo accusarono di rozzezza, di passatismo, lo tacciarono di «guardia bianca del capitalismo» che voleva «arricchire i padroni sulla pelle degli operai» [...] e un tenore della sinistra giunse a definirlo «un analfabeta dell'economia». E niente poteva essere più menzognero. Menichella aveva una preparazione di ferro. Di economia sapeva tutto. Solo lo traduceva [...] in un linguaggio spicciolo e sempre rapportato al concreto. I fatti gli diedero ragione. Ricostruzione e stabilità monetaria camminarono di pari passo; l'Italia raggiunse il ''boom'' nel momento in cui la lira si guadagnava l'Oscar. (p. 282) *Noi che laici siamo sul serio, non abbiamo nessuna nostalgia dello Stato crispino che credeva di fare del laicismo silurando i prefetti che andavano a messa e destituendo il sindaco di Roma per un atto di omaggio al Papa. Come non ne abbiamo per una Chiesa che umiliava padre Tosti e il vescovo Bonomelli, costringendoli a pubblici atti di contrizione per avere avanzato proposte di conciliazione. Uno dei motivi, forse il maggiore, per cui amammo e rispettammo De Gasperi è per la peitra tombale che ci sembrava avere messo su questo passato, dimostrando col proprio esempio come si possa essere insieme il più cattolico degl'italiani e il più italiano dei cattolici. [...] Non abbiamo titoli né qualifiche per rivolgerci al Papa. Ma se potessimo, gli porremmo una sola domanda che non dovrebbe [...] dispiacergli. Gli chiederemmo se per essere insieme buoni patrioti e buoni cattolici sia proprio indispensabile nascere polacchi. (pp. 306-307) *[[Walter Cronkite|Cronkite]] non ebbe mai dubbi sulla «obbiettività» delle sue immagini. «Parlano da sole», diceva. E in un certo senso è vero. [...] In questo lavoro di montaggio [...] fu un vero maestro. Come lo è stato nell'arte delle omissioni. Perché l'immagine del colonnello che sparava alla tempia del vietcong diceva, sì, la verità. Ma taceva, ignorandola, quella dello sfondo su cui la scena si svolgeva: il suolo tappezzato dai cadaveri seviziati dei ''marines'' sorpresi nel villaggio, delle donne sventrate e dei bambini abbruciacchiati per sospetto di collaborazionismo: tutte immagini che non avrebbero tolto nulla alla verità di quella della pistola sparata alla tempia, ma l'avrebbero spiegata sminuendo l'effetto dell'errore e del capriccio. Così come sono vere, verissime, le sequenze [...] della ritirata (si fa per dire) degli americani da Saigon: roba che quasi rivaluta l'8 settembre italiano, da arrossire di vergogna nei secoli. Peccato che Cronkite non abbia fatto riprendere le scene che contemporaneamente si svolgevano nelle strade della città via via che i ''liberatori'' del Nord vi s'inoltravano: roba da impallidire di orrore anche oggi. [...] Cronkite seguita a dire che la verità sul Vietnam è la sua. Ma è rimasto il solo a dirlo. Tutti i suoi ''fans'' lo hanno abbandonato e rinnegato. Compresa [[Jane Fonda]], che da cacciatrice di streghe e pasionaria del colpevolismo si è trasformata in missionaria del pentitismo e invoca il perdono dei reduci battendosi il petto. Con la stessa sincerità e buona fede, credo, con cui prima li indicava al crucifige. [...] È vero, putroppo, che la sorte del Vietnam fu decisa dalle «patacche» di Cronkite. In fatto di mestiere, possiamo imparare tutto da lui. Ma in fatto di verità, nulla. Salvo l'arte di contraffarla con l'aria di servirla (pp. 328-329) *Conosciamo dei comunisti che nel comunismo ci hanno creduto sul serio, e forse tanto più ciecamente quanto più bisognava essere ciechi per continuare a crederci. Sono quelli che l'abiura se la tengono in corpo, e che non imprecano contro l'idolo infranto. Sappiamo benissimo che, se avessero vinto, in nome di quell'idolo ci avrebbero, sia pure a malincuore, impiccati. Ma oggi il loro silenzio c'incute il più grande rispetto. Non altrettanto ne proviamo per i cosiddetti «emergenti» che, per continuare a emergere, inneggiano a tutto: alle macerie del Muro, alla perestroika, alla libertà, perfino al capitalismo, e si atteggiano a precursori e battistrada di questa totale, anzi totalitaria palinodia. Ma si tratta di una truffa bell'e buona. (pp. 343-344) *L'Expo è una grande abbuffata. E quando sono in gioco migliaia di miliardi, l'importante non è vincere; è partecipare. Che Venezia venga ridotta a un luna-park per la gioia a un luna-park per la gioia delle torme di straccioni (trenta milioni, secondo i preventivi più cauti) che la sommergerebbero rinnovando e centuplicando l'alluvione dei Pink Floyd era – ed è – per i fautori dell'Expo un'obbiezione facilmente superabile col discorso del Grande Progetto. [...] Venezia [...] appartiene al mondo, o per lo meno alla cultura di quello occidentale, di cui invochiamo [...] l'intervento per salvarla da quella masnada di locuste impazzite, disposte a farne un incrocio tra Las Vegas e Disneyland. (pp. 357-358) *[[Corrado Carnevale|Carnevale]] [...] ha dichiarato in un'intervista [...] che la notte non ha bisogno di sonniferi perché, nei confronti della Legge, la sua coscienza è a posto. Ci crediamo senz'altro. Ma se si ponesse la stessa domanda nei confronti della Giustizia, mi domando se i suoi sonni sarebbero altrettanto tranquilli. E tuttavia ci rendiamo conto che questa domanda non se la porrà mai, e anzi gli sembrerà del tutto stravagante. Perché, per un magistrato italiano, la Legge con la Giustizia non ha nulla a che fare. (pp. 387-388) *Dopo la liberazione, [[Luigi Durand de la Penne|de la Penne]] fu tentato dalla politica, e andò alla Camera prima sotto la bandiera democristiana, poi sotto quella liberale. In realtà, di bandiere, de la Penne non conosceva né riconosceva che il tricolore, e sperava ancora una volta di servirlo propugnando una riforma delle forze armate che le adeguasse alle nuove esigenze. Ma quando si accorse di non riuscire a combinar nulla, si ritirò; aveva capito che questi sono tempi per uomini di mare alla Accame, non alla de la Penne. Non fece mai l'eroe. [...] Ora, se qualcuno mi domanda perché ho dedicato alla sua scomparsa uno di quegli editoriali che di solito si riservano solo agli avvenimenti e ai personaggi della politica, rispondo che l'ho fatto per meglio sottolineare che per me e per gli uomini di questo giornale gli eroi delle guerre perdute non sono meno rispettabili e ammirevoli di quelle delle guerre vinte. E, in ogni caso, meritano il posto d'onore del giornale ben più dei personaggi di cui siamo costretti ogni giorno a interessarci. (p. 402) ==''Indro al Giro''== ===[[Incipit]]=== Il destino è stampato sulla carta d'identità e scritto nelle stelle. Indro Montanelli nasce il 22 aprile 1909, il primo Giro d'Italia prende il via il 13 maggio 1909. Stesso anno, stesso segno zodiacale: Toro. Potevano, queste due creature quasi gemelle, non percorrere un tratto di strada insieme? Potevano ignorarsi? ===Citazioni=== *Come i bersaglieri quando smettono di correre, così i ciclisti, quando cessano di pedalare ingrassano. *Il [[Giro d'Italia]] parla milanese, anche se poi, a vincerlo, è qualche toscano o qualche romagnolo. *I corridori sono come [[Anteo]]: il contatto con la loro terra gli dà forza. *Ma sapete voi con precisione che cosa sia una fuga, lo sapete? Non lo sapevo nemmeno io prima di vederla. Credevo che fosse l'uomo che, a un certo punto, si mette a pedalare più forte degli altri e li semina per via. Errattissima nozione. La fuga è invece un grande urlo e un gesto disperato che mettono d'improvviso in confusione tutta la carovana del Giro. *Quello della bicicletta è un mondo buono: e credo sinceramente che venga da questa bontà il fascino ch'esso esercita sulle folle. *Lasciatelo com'è questo Giro provinciale e festoso: lo sport di un popolo che, nella corsa verso il progresso meccanico, è rimasto alla bicicletta, tappa intermedia fra il cavallo e l'automobile, ritrovato artigiano e arnese di famiglia. *Se Parigi avesse il mare sarebbe una piccola Bari, ma non saprebbe accogliere i forestieri con tanto calore e sportiva cordialità. *Leoni, che oltre a tutto è un bellissimo ragazzo, ha una fidanzata la quale gli scrive raccomandandogli di non vincere, altrimenti troppe ragazze lo abbracciano porgendogli i fiori. Leoni è innamoratissimo della sua fidanzata ma non è certo per obbedire a lei che non vince. È solo per obbedire a [[Fausto Coppi|Coppi]] e restargli a fianco. *Gli assi possono permettersi di arrivare ultimi. E lo fanno senza risparmio. Possono permettersi di disprezzare i loro adoratori e lo fanno senza ritegno. L'adorazione rimane. *I corridori di bicicletta sono gente semplice, che non è mai stata in collegio. [...] Nessuno ha insegnato loro i dettami dello stile e della cavalleria. Li posseggono per natura. Difficilmente essi cercano di sminuire la vittoria dell'avversario e non gliene serbano rancore. Sono capaci di delicatezze che non credo esistano negli altri sport. *I corridori non si dovrebbero sposare; e, quando lo fanno, dovrebbero scegliere delle donne brutte. *È la specialità dei padri quella di sognare per i figli i trofei che loro non convengono, ed è la specialità dei figli quella di procurarsi trofei che ai loro padri non piacciono. ==''La stecca nel coro''== ===[[Incipit]]=== Non è questa la sede per rifare la storia del ''Giornale''. Ma voglio ricordare ai vecchi lettori e a spiegare a quelli nuovi ch'esso non fu un giornale, ma una battaglia, di cui può essere istruttivo ricostruire gli episodi. Quelli, decisivi, degli anni Settanta e Ottanta, in questa raccolta ci sono tutti, chiosati. E di queste chiose, ho l'immodestia di dire che non ce n'è una di cui debba pentirmi nemmeno ora che i pentimenti vanno di moda, anzi sembrano diventati un genere di prima necessità. Questa raccolta è dedicata a tutti i miei compagni di lavoro, defunti e sopravvissuti, italiani e stranieri, che condivisero con me i rischi (e ce ne furono) di questa avventura, la più bella di tutta la mia carriera di giornalista, e ai lettori che ci permisero di combatterla. Anche se tuttora ignoro se l'abbiamo vinta o persa. ===Citazioni=== *{{NDR|Sui [[processi della Giunta greca]]}} Anche a detrarne tutto ciò che vi avrà aggiunto la propaganda di parte, crediamo che di soprusi, sopraffazioni e sangue ce ne siano stati abbastanza, nel regime dei colonnelli, per giustificarne l'incriminazione. Tuttavia vorremmo che accanto a loro, sul banco degli accusati, venissero chiamati anche Papandreu e altri campioni del massimalismo piazzaiolo e di certo radicalismo snob, per spiegare ai giurati e alla pubblica opinione, non soltanto di Grecia, come mai i colonnelli giunsero al potere senza sforzo e senza sforzo lo conservarono fino a quando per propria insipienza lo persero. Solo così il processo acquisterebbe un senso, oltre quello della pura vendetta. Le colpe dei vari Ghizikis e Papadopulos non ne risulterebbero affatto sminuite. Ma finalmente si capirebbe che i colonnelli non sono dei trovatelli e che per impedire i golpe non c'è che un sistema: far funzionare la democrazia. [...] Non auguriamo la forca a nessuno. Ma se un giorno qualche colonnello dovesse venirvi appeso, speriamo che ai Papandreu sia almeno proibito di partecipare alla festa. Perché i veri padri del golpe, le Circi che tramutono i colonnelli in dittatori, furono loro. (pp. 15-16) *{{NDR|Sulla [[rivoluzione dei garofani]]}} Rivendicato il diritto alla scelta, gli elettori portoghesi l'hanno espressa con chiarezza lampante. Hanno votato per l'Occidente, per un Portogallo che sia socialmente più giusto di quello uscito dalla penombra salazariana, ma che rimanga saldamente ancorato all'Europa libera, alle sue alleanze, agli ideali della democrazia senza virgolette e sottintesi: una democrazia di cui i militari, con l'aiuto dei loro reggicoda comunisti, potranno conculcare le libertà fondamentali, ma coi carri armati, non in nome del popolo. [...] Due piccole nazioni, il Portogallo e la Grecia, uscite entrambe dalla prova di regimi dittatoriali, hanno votato, a breve distanza l'una dall'altra, con esemplare equilibrio, senza cedere alle tentazioni ed ai miti delle catarsi rivoluzionarie. È una grande lezione per altri Paesi che, avendo assaporato la libertà da molti anni, sembrano smaniosi soltanto di perderla. (pp. 44-45) *Per formare la maggioranza, la Dc non ha più a disposizione le tre forze laiche su cui De Gasperi fondò i suoi più fortunati e redditizi Governi: se i repubblicani hanno alla bell'e meglio temuto, liberali e socialdemocratici sono stati spazzati via. Occorrerebbero i socialisti, ma costoro hanno già dichiarato di non essere disponibili a maggioranze che escludano i comunisti. [...] Che razza di democrazia verrebbe fuori da un'ammucchiata totalitaria di queste tre forze che lasciasse l'opposizione al Movimento sociale, Dio solo lo sa. [...] I milioni d'italiani che [...] hanno votato Dc, lo hanno fatto ''unicamente'' perché la Dc si è presentata come il ''no'' al comunismo. Mai come stavolta il patto tra candidato ed elettore è stato così esplicito. Se lo ricordino bene i professionisti del tradimento [...]. Come li abbiamo aiutati a vincere, saremo i primi a denunciarli con nome e cognome. Il tempo delle deleghe in bianco è finito. Dando le – «preferenze» come noi avevamo suggerito –, il ciattadino stavolta sa per ''chi'' ha votato, e lo tiene personalmente responsabile. (p. 78) *Cosa vuol dire […] «gli chiediamo fino a che punto si spinge il suo disaccordo con la proposta di unità e di collaborazione democratica che noi avanziamo e sosteniamo, se al suo disaccordo c'è il limite fissato della difesa e della sopravvivenza del quadro costituzionale e repubblicano?» Vuol forse dire, senza dirlo, che chi si oppone a questa proposta, cioè in parole povere chi si oppone al compromesso storico, si mette automaticamente fuori da quel quadro e va considerato un eversore? Capisco che, a furia di praticarlo […] questo giuoco del fuorigiuoco sia diventato per voi un vizio. […] Ma stavolta l'impresa è più ardua del solito: non sono molti gl'italiani disposti a credere che rifiutare i comunisti al Governo significa rifiutare la democrazia e a considerare chi lo fa alla stregua di un killer o di un pistolero (pp. 104-105). *Noi non chiediamo la legge marziale. Basta la rivalutazione materiale e morale di quelle forze dell'ordine, i cui sacrifici sono stati fin qui regolarmente pagati ripagati con stipendi da fame, castighi disciplinari e campagne denigratorie. Basta insomma che sia affermato nei fatti, e non soltanto nelle parole, il supremo impegno a trattare il terrorismo come va trattato: in termini di scontro, non di «confronto». Faccia a faccia. Lo Stato italiano non può chiedere fermezza ai cittadini, se non ne dà esso stesso l'esempio. Spietatamente, quando occorre. E in questo caso occorre. (p. 119). *Noi […] non possiamo pronunciarci in favore di [[Marco Pannella|Pannella]]: egli giuoca in un campo che non è il nostro. Ma quattro cose dobbiamo dire, da avversari, di questo anomalo personaggio. La prima è che Pannella è [...] un personaggio su una scena politica popolata quasi esclusivamente di comparse e coristi. La seconda è che i suoi digiuni sono autentici e le sue tasche autenticamente vuote. La terza è che, se domani ci sarà un regime – ipotesi che si fa sempre più possibile – all'opposizione di questo regime ci saremo solo noi e Pannella, socio scomodo, ma di tutta affidanza. E infine dobbiamo riconoscere che fra noi e lui c'è [...] un fatto di sangue. Anche se scatena la sua buriana da sinistra facendo d'ogni erba un fascio […] e chiama la sua gente «compagni», ricordiamoci che Pannella è figlio nostro, non loro. Un figlio discolo e protervo, un giamburrasca devastatore che dopo aver appiccato il fuoco ai mobili e spicinato il vasellame, è scappato di casa per correre le sue avventure di prateria. Ma in caso di pericolo o di carestia, ve lo vedremo tornare portandosi al seguito mandrie di cavalli e di bufali selvaggi, quali noi non ci sogneremmo mai di catturare e domare. Questo è Pannella. Voti non possiamo dargliene. Ma ci auguriamo che sia lui a mietere quelli che non ci appartengono. (pp. 156-157) *Noi siamo contrari alle leggi speciali. Ma proprio per non dovervi ricorrere, siamo per l'applicazione più dura e risoluta di quelle vigenti. La Costituzione per esempio non prescrive che l'Italia ospiti, senza possibilità di esercitare su di essi alcun controllo, centinaia di migliaia di stranieri dal passato incerto, e tavolta fin troppo certo. E le Forze dell'ordine non possono essere condannate a giuocare eternamente «di rimessa» [...]. In queste condizioni, non si lotta. Si subisce soltanto. Ed è di questo che il Paese non vuol più sapere. [...] Ci risparmino i discorsi sulla bara di [[Vittorio Bachelet]]. [...] Il funerale di Stato, va bene. Ma in silenzio, ministro Rognoni, per l'amor di Dio. Siamo stufi di sentir dire che «il popolo italiano è compatto nel ripudio dell'eversione», che «fa quadrato intorno ai valori e alle istituzioni consacrate dalla Resistenza», che i terroristi ''no pasarán'' (uno slogan che, oltre tutto, ha sempre portato jella). Non ne possono più neanche i morti. S'immagini i vivi. (p. 179) *I vizi italiani vengono da molto più lontano della Costituzione: sono scolpiti nei secoli della nostra storia incivile. Ma fra i segni di questa inciviltà c'è appunto anche quello di rendere tabù i temi scomodi e di condannare al ghetto chi osa affrontarli [...]. Come se non vi fossero Paesi, quali gli [[Stati Uniti d'America|Stati Uniti]] e la [[Francia]], che in fatto di democrazia possono impartirci lezioni, e che tuttavia si reggono a sistema presidenziale. Come se non ve ne fossero altri, quale la Germania che, pur reggendosi a sistema parlamentare, vi ha introdotto correttivi che lo rendono radicalmente diverso dal nostro. E come se questi correttivi [...] non fossero stati discussi e decisi senza farne drammi né scatenare, contro chi li proponeva, cacce alla strega nazista. (p. 207) *Il terrorismo italiano non può contare su consensi e simpatie d'ambiente come quello palestinese, o irlandese, o basco, che una motivazione l'hanno, sia pure distorta dalle passioni e strumentalizzata da qualche «Grande Vecchio». Il terrorismo italiano poteva contare solo sulla connivenza della paura: e infatti, finché ne ha incussa, di connivenze ne ha trovate, anche fra gli intellettuali, anzi specialmente fra gli intellettuali. [...] Fino a quattro o cinque anni fa, a dire che i volantini delle Br e i loro opuscoletti di propaganda non erano che una serqua [...] dei più vieti luoghi comuni ripescati tra i rifiuti di Bakunin, Kropotkin, Stirner e altri profeti del Nulla [...] c'era da essere linciati. Non dai brigatisti [...] ma dai ''maîtres à penser'' della sociologia radical-chic, per i quali il terrorismo, prima che da combattere, era da comprendere nei suoi «contenuti di pensiero». In cosa consistessero e quanto rigorosi fossero questi contenuti, ce lo dice appunto la scoperta negli ultimi giorni di questa nuova Trimurti – terrorismo rosso, terrorismo nero, camorra – che come ammucchiata ideologica, non so se mi spiego. Può darsi ch'essa esploda e [...] devasti. Ma, costretta ad assumere i suoi veri connotati, che sono quelli della criminalità senza aggettivi, il suo potere d'inquinamento e di equivoco, che ne costituiva l'aspetto più pericoloso, finisce. Da [[Toni Negri]] a [[Raffaele Cutolo|Cutolo]], la parabola si è conclusa. (pp. 236-237) *Non abbiamo con [[Bettino Craxi|Craxi]] nessuna familiarità: avremo parlato con lui, sì e no, tre volte. Ci ha dato una incoraggiante impressione di energia, risolutezza, rapidità di riflessi. Ma da certe sue reazioni, ci è parso di capire ch'egli ha anche una spiccata – e funesta – propensione a considerare nemici tutti coloro che non si rassegnano a fargli da servitori. Sono pochi, intendiamoci, i politici immuni da questo vizio. Ma alcuni di essi sanno almeno mascherarlo. Craxi è di quelli che l'ostentano sino a esporsi all'accusa di «culto della personalità»: un culto [...] che [...] potrebbe procurargli seri guai. Non perché a noi italiani certi atteggiamenti dispiacciano, anzi. Ma perché in fatto di guappi siamo diventati, dopo Mussolini, molto più esigenti: quelli di cartone li annusiamo subito. (p. 271) *[[Vincenzo Muccioli|Muccioli]] ha operato in condizioni diverse. [...] Ha impiantato la sua comunità con criteri imprenditoriali, facendone una specie di ''kibbutz'' ormai vicino all'autosufficienza. [...] Uno che, senza essere un ''compagno'', conduce una sua guerra privata contro la droga, è doppiamente esecrabile. Per il vescovo [...] per il quale un'opera di redenzione intrapresa da un laico come Muccioli merita in ogni caso l'anatema. Ma la partigianeria del presidente Righi è inesplicabile, e riduce questo processo a una caccia alle streghe, che getta la Giustizia nel pantano. (pp. 301-302) *[[Enver Hoxha|Hoxha]] non aveva dalla sua nulla, quando si presentò alla Conferenza: null'altro [...] che il proprio coraggio, spinto fino alla protervia. [...] I primi proseliti li fece solo sul finire della guerra, quando prese corpo un po' di resistenza, ma li fece in nome dell'Albania, non del comunismo. [...] Era un satrapo anche lui [...]. Ma non indulgeva alle debolezze e alle pacchiane ostentazioni dei Ceausescu e dei [[Kim Il-sung|Kim Il Sung]]. Esigeva l'obbedienza più assoluta, ma in pubblico si mostrava di rado, e la sua era l'unica giacchetta di comunista da ''nomenklatura'' che non grondasse medaglie fino all'ombelico. (pp. 310-311) *{{NDR|Sulla [[rivoluzione ungherese del 1956]]}} Il motivo per cui divampò coinvolgendo tutta la popolazione è semplicissimo: gl'intellettuali e gli studenti che la capeggiavano erano i figli degli operai e dei contadini che la traducevano in sollevazione del popolo. Lo erano non in senso ideale ed astratto, ma in senso anagrafico [...]. E questo fu, per i comunisti, la vera beffa. Essi avevano abolito le classi, e ora questo creava una unanimità di partecipazione, quale credo che nessun'altra rivoluzione abbia mai avuto. E come poteva non essere socialista? [...] L'unica cosa che non si può è che i «quadri» del Pci [...] non avessero visto, né udito, né capito come oggi vorrebbero farci credere per avallare la tesi dell'«errore». [...] L'unico che, in mezzo a tanti contorcimenti e frullati di parole, ha avuto l'onestà di riconoscerlo è stato [[Gian Carlo Pajetta|Pajetta]], sempre lui. «Io non mi pento di nulla», ha detto «schierandoci con gl'insorti e condannando la repressione sovietica, avremmo spaccato il Pci; per questo accettammo e approvammo.» Alla buon'ora. (pp. 354-355) *Se l'unica maggioranza possibile è così risicata, lo si deve anche e soprattutto alla poltiglia di partiti – verdi, rossi e «lighe» varie – che il nostro sistema elettorale favorisce. Se ne sono contati [...] trentotto, più o meno combinati con liste locali in un groviglio di piccoli interessi regionali, corporativi, personali, uniti solo da un incoffessato e forse inconscio anelito sanfedista allo sfascio dello Stato unitario. Se non si pone termine a queste insensate dispersioni, è inutile chiamare gli elettori alle urne. Una maggioranza e un Governo degni di questo nome non li avremo mai. (p. 368) *Certamente [[Michail Gorbačëv|Gorbaciov]] aveva previsto le tremende resistenze della sua ''perestroika'' aveva trovato nella cosiddetta ''nomenklatura'', detentrice del potere con diritto di abusarne, e quindi ben risoluta a difenderlo. Ma forse non immaginava che la minaccia più grossa al suo riformismo decentratore sarebbe venuta dall'esplosione dei nazionalismi, che ora rischiano di travolgerlo. [...] Comunque, due lezioni ci sembra di poter trarre sin d'ora da questa vicenda. La prima è che se settant'anni d'internazionalismo proletario praticato senza esclusione di colpi non sono bastati a debellare i nazionalismi, vuol dire che il sangue, la lingua, la religione, la cultura sono più forti di qualunque ideologia. La seconda è che i totalitarismi sono più facili, o meno difficili, da montare che da smontare. A liberalizzare la Russia e a guarirla dallo Stalinismo poteva forse riuscire un solo uomo: [[Iosif Stalin|Stalin]]. (p. 403) *Quanti miliardi si sperperano oggi in Italia in premi e feste letterarie accompagnate da rinfreschi e pranzi per centinaia di coperti, targhe, medaglie, e gettoni di presenza? Basterebbe un centesimo, un millesimo, di ciò che si spende in queste fiere della vanità per salvare la Crusca raddoppiando il miserabile contributo statale. [...] Forse c'illudiamo. Ma noi ci ostiniamo a credere che in Italia ci siano ancora degl'italiani convinti che una cultura senza una sua lingua non è una cultura [...] e che un Paese senza cultura [...] non è un Paese; ma soltanto un accampamento di apolidi. (p. 419) *Era fatale che, una volta allentatesi le maglie della Dc, l'integralismo di un certo mondo cattolico lo avrebbe portato a confluire sulle posizioni delle leghe. Le ispirazioni sono diverse, ma il nemico è comune: lo Stato unitario e laico. [...] Dileguatosi, o in via di dileguarsi il pericolo comunista, e caduto quello di Berlino, è questo il Muro che ci dividerà nel prossimo futuro. Da che parte [...] stiamo noi, mi sembra superfluo dirlo. Ci stiamo [...] con la piena consapevolezza dei nostri errori passati e presenti e della nostra intrinseca debolezza. Ma anche con la coscienza che se con noi non c'è tutto il meglio, contro di noi c'è sicuramente tutto il peggio. Basta tendere l'orecchio ai discorsi di Rimini e alle acclamazioni che li hanno salutati. I «lumbard» hanno ragione di chiedere il gemellaggio con quella platea: come livello mentale e di cultura, siamo lì. (p. 442) *Uomo di governo, [[Mario Scelba|Scelba]] non fu mai uomo di partito. Lo frequentava poco, non fu mai partecipe di giochi di «correnti», e credo che sotto sotto li disprezzasse. [...] Se fu De Gasperi a guidare [...] la barca, fu Scelba a reggerla e non vedo chi altro, nella pattuglia democristiana, avrebbe avuto gli attributi per farlo. Sul suo feretro ci saranno poche lacrime, pochi fiori, pochi discorsi. Nessuno del cosiddetto ''establishment'' vorrà ricordare che se in casa non ci siamo ritrovati qualche Husak o [[Nicolae Ceaușescu|Ceausescu]], per gran parte lo dobbiamo a lui. Ma qualche italiano non lo ha dimenticato. (pp. 471-472) *Non c'è democrazia, diceva Clemanceau, senza un minimo di corruzione. D'accordo. Ma quando la democrazia degenera in partitocrazia, il minimo diventa il massimo e succede quello che abbiamo sotto gli occhi. E finché noi concederemo ai partiti – contro il dettato costituzionale che li considera semplici associazioni private – d'irretire tutta la vita pubblica e di arruolare, per le loro operazioni di saccheggio, un milione di lanzichenecchi con relative famiglie, di cosa c'indignamo? E cosa ci aspettiamo dal Palazzo romano, proiezione su scala nazionale delle situazioni locali tipo Milano? (p. 489) *Con qualsiasi legge si vada alle nuove elezioni, e specialmente se si va col papocchio escogitato da [[Sergio Mattarella|Mattarella]], esse riprodurranno molto probabilmente [...] la situazione che i risultati dell'altro ieri hanno soltanto anticipato: un'Italia divisa in tre: un Nord in mano alla [[Lega Nord|Lega]], un Centro alla mercé dei comunisti (ex o neo, non importa), un Sud in preda al caos. In questa situazione, cosa farà Bossi? Cioè [...] cercherà di frenare la spinta che fatalmente ne verrà alle tentazioni secessionistiche della Padania dal resto del Paese, o la seconderà? A differenza di Miglio, Bossi di secessione non ha mai parlato. Parla di «federalismo», e forse lo ritiene possibile. Noi crediamo che il federalismo sia soltanto la foglia di fico della secessione, e che nei precordi di molti leghisti covi una gran voglia di fare i cosacchi del Po. (p. 515). *La nuova legge elettorale, se non fosse stata tradita dai suoi soloni col turno unico, avrebbe dovuto condurre al confronto fra due ''rassemblements'', uno di centrosinistra con l'esclusione di Rifondazione, l'altro di centrodestra con l'esclusione del Msi, a garanzia di democraticità di entrambi. Stando le cose come stanno, il confronto non ci sarà perché di ''rassemblements'' ce n'è in campo uno solo: quello del Pds, che così sarà libero d'includervi anche Rifondazione. Per questo esso si batte contro la dilazione. Per questo noi la auspichiamo: nella (pallida) speranza ch'essa ci dia il tempo di uscire dallo stato confusionale in cui versiamo. Non è nostro diritto; è semplicemente nostro interesse spostare le urne al 12 giugno. Ma un interesse del tutto legittimo. Come legittimo è l'interesse del Pds ad anticiparle addirittura a marzo. La difesa del sistema e dei suoi papponi non c'entra. Che si voti a marzo od a giugno, l'uno e gli altri sono già cadaveri, e non c'è miracolo che possa resuscitarli. (p. 528) ==''Le nuove Stanze''== *Ribadisco la mia avversione alla pena di morte. Ma non me la sento d'impartire lezioni a chi tuttora la pratica. Non mi pare che, con la Giustizia che ci troviamo in casa, noi italiani possiamo impartire lezioni agli altri. (p. 46) *Toglietevi la parrucca, cari storici italiani. E invece di continuare a parlarvi tra voi, parlate, andando incontro alle sue curiosità, alla gente comune, quella che ha più bisogno del vostro sapere, e che sa benissimo distinguere il volgare pettegolezzo dall'aneddoto illuminante, di cui gli storici stranieri, soprattutto inglesi, compreso [[Denis Mack Smith|Mack Smith]], sanno fare buono e largo uso. (p. 81) *Io non sono piemontese né savoiardo, e la tradizione della mia famiglia è, caso mai, repubblicana. Ma la verità sono abituato a rispettarla, e non ad accomodarmela secondo i miei gusti e pregiudizi. Nel '46 votai monarchico non perché ero amico di Umberto e di Maria José, che sarebbero stati un Re e una Regina esemplari. Ma perché capivo ch'essi rappresentavano l'unico filo che ci legava all'unica nostra tradizione nazionale: il Risorgimento. La rigiri come vuole [...] ma la verità è questa: che senza Risorgimento non esiste una Storia nazionale italiana, e senza i Savoia non esiste Risorgimento. Ecco perché io dico e ripeto che la Repubblica italiana può tenere i Savoia [...] fuori dal territorio italiano. Ma chi tenta di estrometterli dalla Storia d'Italia, se non è un analfabeta è certamente un falsario. (pp. 112-113) *{{NDR|[[Luigi Cadorna]]}} Fu un generale di grande e inflessibile carattere, ma non un grande stratega. La sua fu dal primo all'ultimo giorno una guerra «di posizione», e quindi di logoramento, muro contro muro. Una «manovra» non la tentò mai, anzi non la concepì nemmeno. Stava [...] al «Regolamento», secondo il quale «le battaglie si vincono sulle cime». Sicché quando arrivò un battaglione tedesco al comando di un giovane capitano di nome Rommel che [...] s'insinuò nottetempo nelle valli, tutto il nostro schieramento ne venne preso alle spalle, e si liquefece, consentendo a Rommel di arrivare fino al Piave, dove si fermò: non per la resistenza dei nostri [...] ma per la mancanza di rifornimenti e di munizioni, che non avevano fatto in tempo a seguirlo. (pp. 118-119). *Quanto alla somiglianza fra noi e gli spagnoli, sì, c'è. Io, in Spagna, mi sento come a casa mia. Una sola cosa ci trovo in più: una dimestichezza con la morte che dà ai valori della Vita (la Dignità, il Coraggio, l'Onore) un peso ben diverso da quello che hanno da noi. E glielo invidio tanto. (p. 157) *Quanto alla sua supposizione che, se non ci fossero stati i russi, gli Alleati non avrebbero potuto sbarcare in Normandia e salvare i loro regimi democratici, mi permetta di sorriderne. Hitler perse la [[Seconda guerra mondiale|guerra]] prima ancora di dichiararla, quando scatenò la persecuzione razziale, che mise il mondo di fronte alla pretesa della sua «razza eletta» al dominio del pianeta e costrinse alla fuga il fior fiore della Scienza ebraica, che diede all'America la bomba atomica, la quale avrebbe reso superfluo anche lo sbarco in Normandia. (pp. 177-178) *In [[Alessandro Pavolini|Pavolini]] [...] è riassunto il dramma di una generazione che nel fascismo era cresciuta [...] e si sentiva impegnata a crederci anche in quell'ultima disperata fase. In lui ritrovo un po' di quel [[Berto Ricci]] [...] che, partendo volontario per la Libia, mi disse: «Una volta, nella vita, ci si può convertire. Io già lo feci rinnegando, per il fascismo, il mio passato di anarchico. Ora col fascismo devo morire». E morì. (p. 192) *Come lei certamente sa, furono i russi a giungere per primi sul famoso bunker di Berlino, fra le cui macerie si diedero subito a cercare il cadavere del Fuhrer, e lo trovarono, ma quasi completamente carbonizzato (egli aveva lasciato ai suoi l'ordine di bruciarlo con una tanica di benzina). D'intatto era rimasto solo il teschio con la sua dentatura costellata di ponti e protesi. Immediatamente fu ricercato e trascinato sul posto l'odontoiatra che glieli aveva sistemati. Dapprima gli fu chiesto in cosa erano consistiti i suoi interventi. Poi vi fu messo davanti, e lui li riconobbe senza esitazioni. Quel giorno il poveretto non tornò a casa. Dopo alcuni anni si seppe che esercitava il suo mestiere in non so quale città di provincia russa, ma sotto stretto controllo della polizia. Dopo qualche altro anno poté tornare in Germania, ma in [[Repubblica Democratica Tedesca|quella comunista]], sotto il controllo di una polizia ancora più efficiente di quella sovietica, e lì morì, non so quando. Perché i sovietici vollero sempre mantenere quel segreto? Perché alla loro propaganda [...] faceva comodo accreditare la favola di un Hitler salvato dagli americani, che lo tenevano sotto naftalina in qualche loro dorato ripostiglio per poterlo un giorno utilizzare in una nuova guerra contro la Russia. (pp. 257-258) *Da anticomunista, oserei dire «storico» quale mi considero, io sono pieno di rispetto sia per i Nagy nostrani quali i D'Alema e i Veltroni, che per i Kádár, quali i Cossutta e i Diliberto. Non so se come classe dirigente siano il meglio. Ma come sincerità di conversione democratica, ci credo (come credo, intendiamoci, a quella di un Fini, anche se viene da un passato molto meno intenso, drammatico e dilacerante di quello comunista). (p. 306) *{{NDR|A [[Mario Tuti]]}} Ho ben presente [...] il suo nome e il suo volto, e le azioni terribili che lei ha compiuto. [...] Da come scrive [...], lei è in grado di capire [...] quello che dico. È vero che «sul nemico vinto non si infierisce»: ma il sangue non si cancella con la gomma delle parole. Solo le vittime possono concedere il perdono; e io non sono stato, fortunatamente, davanti al mirino della sua pistola. Solo la giustizia può concedere sconti: e io non sono un magistrato. Non ho invece difficoltà a condividere una sua osservazione: alcuni disgraziati [...] sono più disgraziati di altri. E [...] i disgraziati di destra se la passano peggio dei disgraziati di sinistra, che hanno di solito qualche amico di gioventù ben piazzato, in grado di dare una mano. Ma il perdonismo peloso di alcuni non può giustificare la distrazione di tutti. (p. 322) *[[Yasser Arafat|Arafat]] non ha mai avuto né uno Stato, né un esercito, né un titolo che lo qualificassero a parlare a nome del suo popolo. Erano il carisma, l'autorità, il prestigio suoi personali che gli permettevano di svolgere questo compito. Ma questo dipendeva dal fatto che il suo popolo glieli riconosce in quanto si sente da lui «rappresentato». [...] Io sono e mi sento profondamente filo-israeliano perché negli ebrei riconosco i miei fratelli e in molte cose anche i miei maestri (anche se non sempre facili). Ma appunto per questo apprezzo ed ammiro gli Hussein, i Sadat e gli Arafat. Ai quali si possono anche rimproverare degli errori nella conduzione della loro politica. Ma non certo le intenzioni e il coraggio. Arafat è brutto [...] e non so come facciano i suoi amici (e i suoi nemici) [...] a ricambiarne i baci. Ma di quelli suoi credo proprio che ci si possa fidare. Che Dio, anzi Allah, ce lo mantenga ancora per molti anni. (pp. 387-389) *Come veterano del ''Corriere'' e un po' depositario della tradizione di una certa civiltà nei rapporti fra i suoi uomini, io rimasi offeso non dal licenziamento di Spadolini [...] ma dall'insolito modo – che io definii appunto «guatemalteco» – in cui era stato trattato e da cui trapelava la mano di un [[Giulia Maria Crespi|editore]] che, anche se portava il nome di quello vecchio [...], intendeva introdurre nuove regole nella gestione del giornale, di cui era praticamente diventata [...] la titolare. E lo dissi, e lo scrissi, e lo ripetei in varie interviste. Forse tuttavia questo strappo si sarebbe potuto rammendare se il cambiamento del direttore non avesse comportato anche un cambiamento di linea politica che saltava agli occhi di chiunque non volesse tenerli chiusi. [...] Quando dal ''Giornale'' uscii per ragioni abbastanza analoghe a quelle che mi avevano spinto fuori da via Solferino, il primo a venirmi incontro fu il direttore del ''Corriere'', Paolo Mieli, che [...] mi offrì il suo posto: un gesto che non dimenticherò mai. Avrei potuto [...] accettarlo solo a titolo onorario. Ma non potevo abbandonare gli uomini che ancora una volta mi avevano seguito. Da quel momento però fu chiaro che il ''Corriere'' era ridiventato quello che noi, vent'anni prima, avremmo voluto che restasse. Ecco perché, al termine delle mie battaglie e delle mie sconfitte (che considero il mio blasone), sono tornato al ''Corriere''. (pp. 406-408) *I politici della Sinistra, compresi i componenti dell'attuale «squadra» governativa sono dieci, venti, cento volte meglio della loro ''intellighenzia''. Anche se dicono fregnacce, le dicono a bassa voce, senza salire in cattedra, di dove l'''intellighenzia'' invece non scende mai, nemmeno per andare in bagno. (pp. 477-478) *Spero che ora avrai capito cos'è la mia dichiarazione di voto: non un sì all'Ulivo, da cui spero poco, ma in compenso non temo niente; ma il no a un Polo che, se riportasse davvero la schiacciante vittoria che si aspetta il suo ''Caudillo'', potrebbe creare nel nostro Paese una situazione davvero inquietante. Un voto di difesa sarà dunque il mio, come lo è sempre stato da oltre cinquant'anni a questa parte. (p. 496) *Sappi soltanto che, passato per una ventina di anni – quelli del ''Giornale'' – per «fascista» e negli ultimi dieci per «comunista», me la rido di entrambe le etichette. (p. 536) ==''Le Stanze''== ===[[Incipit]]=== Di tutta la mia attività giornalistica [...] considero questi colloqui col lettore come l'impegno che mi è riuscito meglio, o meno peggio. Se qualcuno mi chiedesse: «Cosa vorresti che, dopo di te, di te rimanesse?», risponderei senza esitare: «Questi colloqui». Mi rendo conto che un'affermazione del genere può apparire demagogica: in fondo, perché dovrei preferire queste risposte quotidiane [...] alla ''Storia d'Italia'' o agli ''Incontri''? È presto detto: perché, grazie a lettere e risposte, ho potuto restare vicino ai miei lettori, che mi hanno ricordato – con più o meno garbo, ma sempre con affetto – quello che un giornalista non deve mai scordare: che i padroni sono loro. ===Citazioni=== *Io non ho mai conosciuto un conservatore inglese che abbia mosso a Churchill il rimprovero di essersi alleato con Stalin – altro che il naso dovette strizzarsi! – quando le armate di Hitler spazzavano tutta l'Europa. Ma trovo ancora degl'italiani [...] che danno la colpa a me dello stato di necessità in cui ci trovammo nel '48 e nel '76 e che rendeva obbligata la nostra scelta. Oggi che il muro di Berlino ci ha liberato dall'incubo del comunismo [...], è facile fare processi a chi non aveva in mano altra arma elettorale che il voto alla Dc. Ed una cosa mi chiedo: tutti questi intransigenti eroi dell'anticomunismo, che oggi mi scrivono lettere d'insulti accusandomi di averlo tradito, dov'erano al tempo del comunismo vero, quando io ero uno dei pochissimi a combatterlo di fronte [...], e loro, incontrandomi per strada, fingevano di non conoscermi? (p. 12) *Hiroshima, se fossi americano, non porrebbe [...] nessun caso di coscienza. L'arma atomica era in fase di studio e di preparazione sia in Germania che in America, e si poteva supporre che lo fosse anche in Russia e in Giappone. Avrebbe vinto la guerra e deciso le sorti del mondo chi ci fosse arrivato per primo. Hiroshima fece della popolazione civile, dicono, duecentocinquantamila vittime. Quante ne risparmiò inducendo alla resa i giapponesi che sembravano vicini all'olocausto? E quanto servì a smorzare la pretesa sovietica d'imporre il suo «diktat» a tutta l'Europa? [...] Essa a tal punto sorprese Stalin che dapprincipio non ci volle credere [...]. Nessuno può applaudire un massacro come quello di Hiroshima né andarne fiero. E posso capire come coloro che vi hanno partecipato dandone l'ordine o eseguendolo possano aver avuto dei problemi di coscienza. Ma gli aviatori inglesi che rasero al suolo l'inerme Dresda abitata solo da civili, facendo tra di loro pressappoco lo stesso numero di vittime che a Hiroshima, questi problemi, da quanto se ne sa, non li ebbero. Forse che la guerra all'atomo è più crudele di quella al fosforo? (p. 62) *De Gasperi non fu mai uomo di partito. E fu proprio per questo che riuscirono ad emarginarlo con tanta facilità, relegandolo in una Presidenza grondante omaggi ed ex voto, ma priva di qualunque potere reale. È vero che lui non lottò, anche perché era ormai a corto di fiato. Glielo toglieva non solo l'azotemia, ma anche il fallimento della Ced, la Comunità Europea di Difesa su cui De Gasperi fondava [...] i suoi sogni di salvezza e di grandezza europea, che i francesi di Mendès-France condannarono al naufragio. [...] De Gasperi era uomo di Stato, l'ultimo che l'Italia ha avuto dopo Giolitti. Ecco perché [...] non ha né può avere eredi. (p. 86) *{{NDR|[[Che Guevara]]}} Era uomo di Rivoluzione, che mai si sarebbe rassegnato ad una comoda esistenza di ben pasciuto gerarca. Doveva tornare alla Rivoluzione, pur consapevole della sua impossibilità in Paesi che lui ben conosceva, ma appunto proprio per questo: per cercare una morte coerente con la sua vita. [...] Avessi trenta o quarant'anni di meno, anch'io forse avrei nel mio modesto appartamento una stanza attrezzata a mausoleo del Che, e lo conserverei come souvenir di un Sogno sbagliato, ma pulito, e comunque pagato. È a coloro che non vogliono mai pagare nulla che va tutto il mio disprezzo. (p. 121) *Non mi stupirei [...] se il ragazzotto Clinton, nei suoi anni da governatore, avesse ingannato la noia dell'Arkansas inseguendo le minigonne di passaggio. [...] Il paragone con Berlusconi mi sembra un po' stiracchiato. Se Clinton venisse trovato colpevole, sapremmo che è un adultero (affari suoi); se Berlusconi venisse condannato, sapremmo che è un corruttore non occasionale (affari anche nostri, dal momento che s'atteggia a statista). (p. 154) *Mi permetto solo di aggiungervi qualcosa sull'imbecillità, l'ipocrisia e i vaniloqui delle nostre «anime belle» pronte a cadere in deliquio e a mobilitare le piazze per un O'Dell che, anche se qualche tenue dubbio sulla sua colpevolezza poteva sussistere, uno stinco di santo certamente non era, e per una Karla Tucker, rea confessa, anche se poi arcipentita e sinceramente convertita al credo della carità cristiana (e, sia chiaro, anch'io avrei per entrambi preferito la revoca della pena di morte); ma sono rimaste impassibili o quasi di fronte alla proposta condanna di lapidazione (di lapidazione!) di un cittadino tedesco e della sua compagna iraniana, rei di aver fatto l'amore (soltanto l'amore). Queste sono le nostre «anime belle» laiche ed ecclesiastiche, pronte a commuoversi e a sproloquiare contro la sedia elettrica americana [...], ma indifferenti alla lapidazione [...] per una «contaminazione» di lenzuola cristiane e musulmane. Io [...] queste anime belle – che oltre tutto hanno quasi sempre delle facce bruttissime e jettatorie – le odio di un odio viscerale. (p. 206) *Sul nemico vinto e che si riconosce vinto non s'infierisce. In fondo questi brigatisti hanno avuto, nella sconfitta, una loro dignità. Non sono dei «pentiti» al modo dei mafiosi e camorristi che si pentono per procurarsi dei vantaggi e denunziano i propri ex compari. Non sono dei delatori. Sono, a loro modo, dei prigionieri di guerra, di una guerra grazie a Dio finita con la nostra vittoria, e che quindi, sia pure con le debite precauzioni, possiamo rimandare a casa. Non è vero che non hanno pagato: me ne citi uno che non abbia scontato quindici o vent'anni di galera e che non ne abbia distrutta la vita. Qualche sconto possiamo farglielo: la generosità è segno di forza, non di debolezza. (pp. 283-284) *In una società «aperta» come la nostra, che rende impossibile qualsiasi controllo e in cui il sequestro è un'industria di antica tradizione che dispone di un personale altamente specializzato; e con una Giustizia che invece di affibbiare un ergastolo senza indulgenza ai colpevoli, si accontenta di infliggergli qualche anno alleviato dai permessi di libera uscita; cosa possono fare le forze dell'ordine? Starebbe a noi cittadini trovare quella di resistere al ricatto. Da noi italiani tenerelli non si può pretendere tanto? E sia. Ma allora abroghiamo la legge. Perché, come italiano, nulla mi ha mortificato di più che sentire [...] [[Giovanni Maria Flick|un ministro della Giustizia]] e alcuni dei più alti dignitari della toga proporne un'interpretazione che costituiva un chiaro invito a evaderla suggerendo il cavillo a cui ci si poteva aggrappare per legalizzare la contravvenzione. [...] No, a questo non ci sto. Cerchiamo almeno di avere il coraggio della nostra vigliaccheria riconoscendo che, dati i pericoli che possono comportare, i risoluti «No!» al sopruso non appartengono al nostro armamentario caratteriale, e aboliamo la legge. Ma non perché è sbagliata: in sé quella legge è sacrosanta. Ma perché noi cittadini non abbiamo la forza di adeguarcisi e coloro che dovrebbero imporcerne l'osservanza [...] ci suggeriscono il modo di evaderla. Questo è il cosiddetto «Paese reale». (p. 286) *Che un processo possa essere oggetto di revisione è, per il cittadino, una garanzia irrinunciabile, specie quando si tratta di processi indiziari, e quindi rimessi a valutazioni soggettive e pertanto sempre discutibili. Nessuno è infallibile, nemmeno i giudici, e quindi il diritto di appello è sacrosanto. Quello che sacrosanto non è, sono gl'interminabili tempi che questa operazione solitamente richiede, dovuti a due motivi chiaramente visibili: i grovigli procedurali in cui il processo è avvolto, delizia del genio cavillesco italiano, e l'inefficienza del personale che vi è addetto. (p. 327) *Che cosa io pensi dell'onorevole [[Cesare Previti|Previti]] mi pare di averlo detto in termini talmente espliciti da apparire – a più d'uno – brutali: un personaggio che solo a guardarlo in faccia verrebbe voglia di applicargli le manette ai polsi prima ancora di sapere chi è e cosa ha fatto. (p. 356) *Non credo che, all'apertura totale delle frontiere, avremo un Parma composto soltanto di irlandesi, o una Cremonese modello ellenico. Avremo invece un vero mercato, dove il costo e lo stipendio di un professionista verranno stabiliti in base alla domanda e all'offerta. È questo ridimensionamento, mi sa, che non piace ai calciatori nostrani. Non la «sottoutilizzazione delle risorse sportive nazionali e locali». Non penso che i nostri calciatori abbiano altri motivi di preoccuparsi. Perché mai dovrebbero venire accantonati? Sono tra i più bravi del mondo, e la bravura, per un professionista (che calci una palla o calchi una scena), è la garanzia migliore. (p. 379) *Le mie dimissioni da italiano sono soltanto quelle da una grande illusione: quella che l'Italia fosse una Patria da potere in qualche modo servire. Io, pur commettendo parecchi errori, ho cercato di farlo. Ma forse, di questi errori, il più grosso è stato quello di credere che fare si potesse. A consolarmene c'è una cosa sola: che questo errore lo hanno commesso tutti i migliori uomini che l'Italia ha avuto nel suo secolo e mezzo di vita unitaria. (pp. 410-411) ==''Pantheon minore''== ===[[Incipit]]=== '''Einaudi'''<br>Avendo saputo che sollecitavo l'onore e il piacere di incontrarlo, il Presidente, che non mi aveva mai visto, trovò del tutto naturale invitarmi a colazione. «Quando vuol venire?» mi fece chiedere, «giovedì mattina, per esempio?» Giovedì voglio stappare una nuova bottiglia del mio 'barolo' e ci sarà anche la signorina Barbara Ward dell{{'}}''Economist''. Vino piemontese, giornalismo ed economia politica, pensa: sarebbe difficile sorprendere [[Luigi Einaudi|Einaudi]] in una cornice più einaudiana di questa. ===Citazioni=== *{{NDR|Luigi Einaudi}} E in quei pochi minuti aveva ancora tante cose da dire a due giornalisti per ricordare loro, [[Alessandro Manzoni|manzonianamente]], che l'[[uomo]] è «buono», come dice [[Jean-Jacques Rousseau|Rousseau]], ma tale può diventare solo in grazia delle buone istituzioni (in ciò consiste la sua posizione conservatrice e cattolicamente pessimistica). *[[Ingrid Bergman]] è forse la sola persona al mondo che non consideri Ingrid Bergman un'attrice completamente riuscita e definitivamente arrivata. (p. 195) *Non ho mai visto in vita mia, nemmeno nei film di cui la Bergman è protagonista, una donna così trasparentemente pulita. (p. 195) *Ogni buon [[padre]] di [[famiglia]] deve, al principio della giornata, sapere quanto la famiglia ha in cassa e quanto può spendere.<br>Einaudi conosce a memoria le cifre dell'economia italiana, come i re che lo precedettero conoscevano a memoria i nomi e i motti dei reggimenti. *«''Venez, mademoiselle, venez''», disse [[Anatole France]] a [[Emma Gramatica]] che, poco più che ventenne, si trovò un giorno a viaggiare con lui in automobile a Palermo, e aveva paura di essere troppo ingombrante sul sedile. «''Vous êtes comme les anges, qui n'ont pas de derrière!''»<br>Qualcosa come mezzo secolo dev'esser trascorso da allora, ed Emma somiglia un po' meno a un angelo, ma grassa non la si può dire nemmeno adesso. La vita che mena, d'altronde, non lo consentirebbe di diventarlo. Alla sua età, ha girato per tre anni consecutivi, tutti i teatri dell'America del Sud, volando da Buenos Aires a Santiago, da Santiago a Lima, da Lima a Caracas, e recitando una sera in italiano e la sera dopo in spagnolo, lingua che, sino al momento di partire, ignorava totalmente. Ora è tornata per girare un film con [[Vittorio De Sica|De Sica]], e sono fatiche a cui molti giovani non resistono. *Il [[fascismo]] trovò, tra i suoi oppositori più accaniti, [[Mario Missiroli]], che si batté a duello con [[Benito Mussolini|Mussolini]]. Egli non credette alla [[forza]] e al successo delle «camicie nere» fino al [[giorno]] in cui, mentre cercava faticosamente di salire sul tram, uno squadrista che lo incalzava, dopo avergli inflitto una serie di spintoni, non gli ebbe affibbiato, in risposta alle sue proteste, due sonori schiaffi che gli fecero volar via gli occhiali cerchiati d'[[oro]]. Mario li raccolse con [[dignità]], vi fiatò sopra, li ripulì col fazzoletto e concluse in tono ammirativo: «Però!... Picchiano bene, veh!...» ==''Qui non riposano''== *{{NDR|Sulla [[guerra d'Etiopia]]}} Quella fu una guerra ideale, la guerra-tipo della borghesia italiana: con pochi morti e molte medaglie. Io presi a capirne la miseria solo all'ultimo capitolo: quando, per la marcia su Addis Abeba, cominciarono a piovere dall'Italia e da Asmara gerarchi e aspiranti gerarchi, smaniosi di gloria a buon mercato: e Badoglio dovette emanare un ordine per cui solo chi presentava "un biglietto di autorizzazione" poteva marciare sulla capitale nemica. Solo in tempo fascista si poteva escogitare un finale di guerra con un biglietto per la capitale nemica. (pp. 107-108) *Io non volevo far politica. Ha il diritto un uomo della strada di non far politica? Ha il diritto un uomo della strada a dire che il governo ha fatto bene a far questo e male a far quest'altro? Ha diritto un giornalista, che è un uomo della strada, il quale va a vedere e riferire le cose per conto degli altri uomini della strada, ha il diritto di riferire che i fatti si svolsero così e così, e che in essi c'era tanto il bello e tanto il brutto, tanto di giusto e tanto d'ingiusto? No, il [[fascismo]] disse che un uomo della strada non ha tutti questi diritti. Ecco perché diventai antifascista. Non perché al posto di [[Benito Mussolini|Mussolini]] ci volevo un altro, ma perché non ci volevo nessuno. Io volevo stare alla finestra, come stanno i giornalisti, mestiere di spettatore e non di attore.<ref>Citato in Paolo Granzotto, ''Indro Montanelli'', p. 92.</ref> (p. 189) *[...] volevo avere il diritto di non pensare alla [[politica]], di disinteressarmi della politica, perché la politica la gente dabbene non la fa. La gente dabbene lavora in ufficio, viaggia, commercia, produce, ama una donna che può anche essere sua moglie (come è il mio caso), ama i suoi figli, ama la sua casa, paga le tasse, e di politica ne parla un quarto d'ora al giorno. (p. 190) ==''Reportage su Israele''== *Il fenomeno più interessante è forse quello ch'è stato meno sottolineato dagli osservatori stranieri: le minoranze arabe disseminate nel [[Israele|Paese]] hanno abbandonato i loro notabili che facevano lista per conto proprio, e hanno votato per i partiti nazionali infischiandosi ch'essi siano completamente in mani ebraiche. Sarebbe come se gli altoatesini, invece che per la ''Volkspartei'', votassero per i partiti italiani. Il partito comunista, verso cui li spingeva Radio-Cairo, è sbaragliato. Evidentemente la politica d'integrazione applicata nei loro confronti ha avuto il più completo successo, malgrado la guerra fredda, e tavolta calda, in cui si ostinano le nazioni arabe contro Israele (o forse proprio per essa). (p. 6) *Probabilmente i pionieri di Degania non si resero conto dell'importanza di ciò che facevano o forse non osarono nemmeno sperare che quel loro esperimento ne avesse tanta. Erano imbevuti di quel socialismo umanitario d'ispirazione tolstoiana che allora permeava gli ambienti intellettuali russi dai quali provenivano. Ma un'idea la ebbero chiara di certo: e cioè che l'unico modo di radicarsi in quella che la Bibbia e la Tradizione indicavano come loro Patria era di mettersi a lavorare la terra. (pp. 14-15) *L'esercito naturalmente serve ad Israele per difendere le sue ardue frontiere, e ha dimostrato di saperlo fare in maniera superlativa; ma i suoi sforzi quotidiani li concentra sulla formazione, più che del soldato, del cittadino. Esso prende i giovani di ambo i sessi e di qualunque condizione a diciotto anni, e per due anni e mezzo gli uomini, due le donne, li rimescola, li tritura e li macina. Insegna non soltanto il maneggio delle armi, ma anche la lingua a chi non la sa e il mestiere a chi non lo ha. La mattina, dall'alba a mezzogiorno, è tutta dedicata all'addestramento fisico delle reclute. Ma il pomeriggio è diviso fra il lavoro e la scuola. La caserma è di tipo ''kibbutz'', dove ci si prepara a quel solidarismo della vita collettiva che è l'ideale di questo popolo. Ed è qui che si forma l'israeliano non più ''azkenazi'', non più ''sefardita'', ma nazionale. (pp. 28-29) *[[Theodor Herzl|Herzl]] non era che un giornalista, redattore della ''Neue Freie Presse'' di Vienna. A proprie spese, viaggiando in terza classe, si mise alla ricerca in tutto il mondo dei correligionari danarosi, la maggiorparte gli rise in faccia. Il "Fondo nazionale ebraico per la terra" di quattrini ne raccolse pochi. Ma Herzl non si diede per vinto. Cominciò a visitare anche i potenti, dal Kaiser al Sultano fino a Vittorio Emanuele e al Papa per interessarli al progetto. E, sebbene questo non avanzasse, nel 1898 scrisse nel suo diario: «La mia sembra una chimera. Ma fra cinquant'anni lo Stato ebraico sarà una realtà». Si può essere scettici quanto si vuole, sulle profezie. Ma bisogna constatare che dal 1898 al 1948 [...] corrono esattamente cinquant'anni. Gli unici miliardari ebrei che presero sul serio Herzl furono i Rothschild. Essi non diedero capitali al ''Fondo'' forse perché avevano qualche dubbio sulla sua efficienza [...], ma per conto loro comprarono tutto ciò che in Palestina, allora provincia ottomana, c'era di comprabile, eppoi lo regalarono agli ebrei che ci andavano, per sé serbando soltanto il pezzo di terra necessario a ospitare le proprie tombe. (pp. 33-34) *Il partito di Ben Gurion, il ''Mapai'', ha riportato, contro quasi tutti i pronostici, una smagliante vittoria. E ora lui, ''Bigì'', deve formare il ministero, operazione che si presenta piuttosto complicata anche qui in Isarele. [...] Non dico che detesti la politica; anzi, ne è intriso. Ma non ama, della politica, questo aspetto minore – che purtroppo è quello quotidiano – delle estenuanti contrattazioni, del piccolo cabotaggio, delle furberie, dei compromessi, o per lo meno così dice. E ogni tanto pianta baracca e burattini, e se ne va. Dove? In mezzo al deserto del Negev, si capisce. La sua Riviera è lì, in un ''kibbutz'' poco distante da Beersheba, circondato dalle dune di sabbia e dai cammelli dei beduini. Ci resta tre giorni, una settimana, due, senza che nessuno osi disturbarlo. (pp. 40-41) *Gerusalemme è la città che fa maggiormente le spese di questa situazione manicomiale, quella nuova in mani israeliane è divisa da quella vecchia in mani arabe non da una frontiera ma da un muro, reso impenetrabile dall'intolleranza. In teoria, essa dovrebb'essere internazionalizzata, e per questo le potenze occidentali si rifiutano di riconoscerla come capitale di Israele e vietano ai loro ambasciatori di risiedervi. Ma siccome Israele vi sta ugualmente accentrando i suoi ministeri, questi poveri ambasciatori sono costretti quasi quotidianamente a farvi il su e giù da Tel Aviv dove sono obbligati a risiedere e che ne dista comunque oltre settanta chilometri. [...] Così a Gerusalemme non ci sono, come rappresentanti stranieri, che dei consoli, accreditati imparzialmente presso le due autorità locali, il prefetto israeliano nella città nuova e il governatore arabo in quella vecchia. Sono gli unici che possono attraversare la porta di Mandelbaum. (pp. 49-50) *Israele è estremamente utile agli arabi, o per meglio dire ai capi arabi, da un lato per sostenere di fronte al mondo la grossa menzogna dell'unità araba, e dall'altro per combattere fra loro la battaglia dell'egemonia. […] Se questo odio ci sia veramente, non lo so. So soltanto ch'è l'unico filo che tiene cucita la "fraternità" araba: questa curiosa fraternità punteggiata di congiure, di attentati, di assassinii caineschi, tra "fratelli" di cui ognuno accusa l'altro di non esserlo abbastanza. (pp. 51-52) *Se l'esistenza d'Israele serve agli arabi per puntellare alla meglio la loro convenzionale unità, la minaccia araba ha servito agl'israeliani per fare ciò che senza di essa avrebbero ugualmente, fatto, ma in cinquant'anni invece che in dieci. Il blocco e il boicottaggio arabo hanno paradossalmente funzionato, per Israele, da piano quinquennale senza bisogno delle imposizioni poliziesche di un regime comunista. [...] Psicologicamente, la tensione senza intermittenze con gli arabi ha sortito e seguita a sortire sulla società israeliana gli stessi effetti che la "frontiera", cioè la conquista dell'Ovest, ha prodotto alla società americana, obbligandola a restare per decenni e decenni tuffata in un'atmosfera pioneristica. [...] Morale: ognuno ha il nemico che si merita. (pp. 55-56) *Gl'israeliani hanno piantato in poco più di dieci anni trenta o quaranta milioni di alberi. E bisogna vedere con che orgoglio te li mostrano, con che incantamento se li guardano, con che passione li annacquano, li potano e li pettinano. Le case non sono granché: le costruiscono in fretta, senza varietà, e piuttosto "alla carlona". Ma non ce n'è una, nemmeno nelle città, che non abbia un giardino e nel giardino, insieme ai fiori, i suoi alberi. (p. 59) *Il teatro ''yiddish'', che pure era un grande teatro, v'incontra poca fortuna. Esso era nato in Germania e in Polonia, come uno specchio deformante di quelle società che relegavano gli ebrei nel ghetto e che essi ripagavano con la caricatura. Ora che dal ghetto sono usciti, essi stessi non comprendono più il significato di quei ghigni e di quelle smorfie. Il pubblico che ci va è tutto dai quaranta in su. (p. 62) *Lo Stato mostra parecchia tenerezza [...] per quelle due o trecento famiglie di ortodossi acquartierati in Gerusalemme, che lo negano e si rifiutano perfino di votare perché nella Bibbia sta scritto che uno Stato ebraico sarebbe rinato solo dopo l'apparizione del Messia in Terra [...]. Questi protestanti assolvono anch'essi una funzione. Servono a dimostrare che in Israele alla Bibbia ci si crede. [...] Ben Gurion è un laico puro. E tutta laica è la nuova generazione. Non è vero che Israele sia uno Stato confessionale. Lo è meno dell'Italia. (p. 66) *Non so a che punto siamo con la letteratura e la poesia, qui in Israele. [...] Ora che hanno una lingua propria a disposizione, i giovani scrittori d'Israele la usano [...] su tutt'un altro registro. Intanto, hanno scoperto anch'essi la natura. [...] Essi erano amari e disperati quando scrivevano in tedesco o in russo. Ora che scrivono in ebraico, le loro parole sono piene di sole e di sangue: cioè di gioia di vivere, anche quando descrivono la morte. (pp. 67-68) *[[Golda Meir]] è la "madre del Paese", anzi la mamma. E con le mamme, si sa, complimenti non se ne fanno. Per questo la chiamano soltanto Golda, la salutano alla voce, invece di baciarle la mano, quando passa per strada, e insomma le danno del tu. Essa è la meno ossequiata, ma la più amata e popolare, di tutte le donne d'Israele. [...] Essa rappresenta la vecchia guardia, la fedeltà all'uomo, al suo socialismo democratico, al collettivismo del ''kibbutz'' nel quale è anche lei maturata. (pp. 70-74) *I Paesi asiatici non hanno visto di buon occhio la nazionalizzazione del Canale di Suez, anche se per pregiudiziali anticolonialistiche hanno dovuto appoggiare [[Gamal Abd el-Nasser|Nasser]] e fingere di applaudirla. [...] Tempo fa il dittatore egiziano, per ritorsione contro Ceylon che gli aveva votato contro all'O.N.U., le ha bloccato tutta l'esportazione del tè, conducendo quel Paese sull'orlo del fallimento. Domani potrebbe fare altrettanto contro la Birmania. Il Canale non rende all'Egitto che dieci milioni di dollari l'anno. Ma gli consente di ricattare tutti i Paesi asiatici, che per quella via devono ancora passare. (p. 80) *{{NDR|Nel 1956}} [[Moshe Dayan|Dayan]] aveva in quel momento quarant'anni. Egli diresse le operazioni da un piccolo aereo di ricognizione che guidò da solo tenendolo librato qualche centinaio di metri sulla zona di combattimento. [...] Quando, in fase di armistizio, si trattò di scambiare i prigionieri, gl'israeliani ne restituirono seimila, gli egiziani uno: un pilota che aveva dovuto atterrare dentro le loro linee. Dopodiché il generale dal volto di ragazzo, invece di sfilare in parata per le vie di Gerusalemme alla testa delle truppe vittoriose, svestì la divisa, diede le dimissioni dall'esercito, e si mise a fare l'archeologo, fino al giorno in cui Ben Gurion gli propose di portarsi candidato nelle liste del suo partito. (p. 88) *Per Israele, l'unico lato negativo della campagna del Sinai del '56 ha rischiato di essere proprio questo: il pericolo di un "complesso di superiorità" che poteva indurre alla smobilitazione non tanto delle armi, quanto degli animi. Il lettore italiano non saprà con quanta cura [...] Governo, Parlamento e stampa si sono adoperati per "minimizzare" quella folgorante vittoria, che qualunque altro popolo avrebbe annaffiato di chissà quali fiumi di retorica. (p. 101) *In Israele sono stati investiti [...] oltre sei miliardi di dollari. Ma oggi rendono, eccome. Questo non è uno dei tanti pozzi di San Patrizio arabi, dove prestiti e finanziamenti finiscono in ville satrapesche o vengono ritrasferiti pari pari nelle banche svizzere. Israele è una grande impresa industriale, dove ogni dollaro dell'azionista si è tradotto in un albero o in un telaio. Oggi Israele è effettivamente alla vigilia di una crisi: ma si tratta di una crisi di sovraproduzione. [...] Le materie prime d'Israele sono l'ingegno, la disciplina, la fede in se stessi. Ma ce n'è in tale abbondanza che sui risultati finali non possono sussistere dubbi. (pp. 102-103) *Dicono che quello israeliano è un regime di socialismo addomesticato. Sarà. Ma è l'unico socialismo volontario che io abbia visto in atto, l'unico che abbia raggiunto forme anche estreme di vita collettivizzata per spontanea scelta di chi deve subirne i non piccoli inconvenienti. Eppure, in pochi Paesi si respira a pieni polmoni la libertà come in Israele. Non vi conosco un ricco. Non vi conosco un povero. Ma soprattutto non vi conosco un servo. (p. 104) *[[Chaim Weizmann|Weizmann]] voleva fare di questo Paese un gabinetto scientifico, il focolare dell'intelligenza umana applicata alla tecnica, un'appendice del suo Istituto, meraviglia del mondo. Ma anche questo è parso troppo poco. Secondo altri, Israele deve trasformarsi nel laboratorio della coscienza ebraica per la ricerca di un nuovo Verbo in cui il mondo trovi pace, libertà e giustizia. Se mi avessero detto queste cose prima di andare in Israele, credo che anch'io ne avrei sorriso, come forse sorrideranno alcuni lettori. Ma sul posto ci si accorge quanto profondamente sentite esse siano. (p. 108) *Per liberare il mondo dagli ebrei e gli ebrei da se stessi [[Theodor Herzl|egli]] aveva pochi anni prima lanciato l'idea di adunare a Roma tutti i rabbini e farli convertire dal Papa. L'affare Dreyfus gli dimostrò che nemmeno questo sarebbe bastato. E allora egli si diede a predicare lo Stato ebraico: ma sempre per liberare il mondo dagli ebrei e gli ebrei da se stessi. Herzl era una delle più affascinanti personalità che l'ebraismo abbia mai prodotto […]. Le sue ''illuminazioni'' si sono dimostrate alla prova dei fatti più valide della logica e della ragione. Mi piace concludere questo rapporto sulle cose d'Israele rendendo omaggio a questo singolare profeta, che nelle sue sconnesse visioni, in mezzo a fallimenti di ogni genere, non solo previde la nascita dello Stato ebraico, ma gli assegnò con cinquant'anni di anticipo la data esatta (il 1948) e la ''missione'' che gli spettava: quella di ''sconfiggere'' gli ebrei liberandoli da se stessi, cioè da quel fardello di miserie e di dolori che per due millenni ne hanno fatto il più tragico popolo del mondo. (pp. 109-110) ==''Ricordi sott'odio''== *''Non piangete | per | [[Cesare Zavattini]] | ha già pianto | lui per tutti noi.''<ref name=ricordi>Il libro raccoglie gli "epitaffi" scritti su personaggi al momento viventi (talvolta insieme a [[Leo Longanesi]]) e quasi tutti inediti.</ref> (p. IV dell'Introduzione di Marcello Staglieno) *''Qui | per la prima volta | [[Alida Valli]] | giace | sola''.<ref name=ricordi/> (p. 11) *''Qui | riposa | [[Amintore Fanfani]] | amico | dei nemici | nemico | degli amici | figlio | di [[Alcide De Gasperi|De Gasperi]] | padre | di nessuno.''<ref name=ricordi/> (p. 31) *''Qui | riposa | [[Mario Melloni]] | inquieto | transfugo | di sé stesso | momentaneamente | scomparso | a sinistra | in cerca | di una croce | su cui | inchiodarsi.''<ref name=ricordi/> (p. 65) *''Qui giace | Alba {{ndr|[[Alba de Céspedes]]}} | scrittrice scialba. | Divorò uomini e gloria | La Boria | la divorò''.<ref name=ricordi/> (p. 95) *''Qui | riposa | [[Mario Soldati]] | padre | figlio | autore | regista | interprete | di | Mario Soldati.''<ref name=ricordi/> (p. 123) *''Qui giace | [[Davide Lajolo]] | Segretario federale | Legionario di Spagna | Repubblichino di Salò | chiese | di passare all'anilina | la sua camicia nera. | E com'era | Rimase.''<ref name=ricordi/> (p. 179) *''In pace | qui giace | orbato | d'orbace | [[Achille Starace]].''<ref name=ricordi/> (p. 181) ==''Soltanto un giornalista''== *Da quando ho cominciato a pensare, ho pensato che sarei stato un giornalista. Non è stata una scelta. Non ho deciso nulla. Il giornalismo ha deciso per me. E questa è stata una delle mie tante fortune, posto che tutto quel che ho fatto lo debbo soprattutto a un alleato ch'è sempre rimasto al mio fianco: il caso. (p. 5) *Per sua disgrazia, [[Massimo Bontempelli|Bontempelli]] fu nominato accademico d'Italia da un fascismo che puzzava già di morto. Eletto senatore nelle liste del Fronte popolare dopo la guerra, non esitò a pronunziare giudizi brucianti su chi aveva collaborato col regime. Quel voltafaccia gli costò caro, perché a un certo punto saltarono fuori le lettere che aveva scritto a Mussolini per impetrare la sua nomina: i comunisti lo scaricarono e lui cadde in un tale stato di prostrazione da morirne. (p. 26) *A Salò ci fu di tutto. Ci furono le squadracce assetate di vendetta e di saccheggio che provocarono il disgusto agli stessi tedeschi. Ma anche uomini per i quali quello fu il banco di prova d'una coerenza e d'una lealtà che non possono non incuter rispetto. E l'unica ragione per la quale benedico le mie cosiddette benemerenze antifasciste è che mi han dato il diritto di difenderle. (p. 119) *Il 2 giugno del '46, giorno del referendum istituzionale, votai per la monarchia. Lo feci perché ritenevo fosse pericoloso recidere il tenue filo che legava l'Italia all'unica sua tradizione nazionale: quella monarchica, appunto. L'Italia non s'era "fatta da sé", come pretendeva la nostra storiografia ufficiale. Era stata fatta dalla monarchia sabauda guidata dal genio diplomatico d'un suo diplomatico, Cavour, che voleva estendere il Regno di Sardegna al Lombardo-Veneto. Se poi ci scappò fuori l'Italia, non fu grazie al contributo degl'italiani, che non ne diedero punto. Fu perché la storia dell'Europa andava verso la costituzione degli Stati nazionali, e condannava a morte quelli plurinazionali come l'Impero austriaco. [...] Al posto di quel patrimonio, sia pure modesto, cosa prometteva la Repubblica? Si presentava come depositaria dei valori della Resistenza, un mito ancora più falso di quello del Risorgimento. Che non era stata affatto, come pretendeva d'essere, la lotta d'un popolo in armi contro l'invasore, bensì una lotta fratricida tra i residuati fascisti della Repubblica di Salò e le forze partigiane, di cui l'80 per cento si batteva (quasi mai contro i tedeschi) sotto le bandiere d'un partito a sua volta al servizio d'una potenza straniera. (pp. 125-126) *Un'altra scelta s'era imposta, quella delle elezioni del '48. Per l'Italia era una scelta vitale: o con l'Est o con l'Ovest, ossia con i totalitarismi rossi oppure con le democrazie occidentali. Ergo, o con il Fronte popolare oppure con la Dc. E lì ebbe inizio il mio dramma, ch'è poi quello eterno del laico italiano: il quale, messo davanti al boia, vede comparire al suo fianco il prete che solo può salvarlo. (pp. 135-136) *Mi proposi due obiettivi, entrambi falliti: il primo era farmi intentare un processo dagli amministratori della città che attirasse l'attenzione sui pericoli che [[Venezia]] stava correndo. Il secondo era rendere pubblica la convinzione che m'ero formato: che per salvare Venezia la prima cosa da fare era sottrarla allo Stato italiano e affidarlo a un organismo internazionale come l'Onu, con le sue cospicue possibilità finanziarie e i suoi agguerriti uffici tecnici. [...] Il Comune di Venezia non aveva più nulla di veneziano, salvo la sede. A dominarlo erano gli elettori di Mestre e Marghera, che con quelli di Venezia si trovavano nella proporzione di tre a uno, e dalla loro avevano tutto: i soldi delle industrie, i sindacati e quindi anche i partiti. Decidendo di restare amministrativamente unita, Venezia ha preferito mettersi al rimorchio delle ciminiere e petroliere di Marghera, alle quali ha sacrificato il suo delicatissimo sistema idraulico. Fu allora che, con grande amarezza, feci atto di rinunzia a Venezia, convinto come ero, e come son rimasto, che una città si può salvare solo se sono i suoi abitanti a volerlo. (pp. 216-217) *Una sera, uscendo solo soletto dal «Giornale», mi trovai davanti il solito muro di folla tumultuante con le bandiere rosse spiegate. Dalla piazza si levò un urlo: «Tel chi el Muntanel!». In un attimo cinquanta scalmanati mi s'avventarono contro. Temendo il linciaggio, arretrai fino a trovarmi con le spalle al muro. Ma non feci in tempo a dire be' che mi ritrovai issato in spalla a una mezza dozzina d'energumeni, fra salve d'evviva. Erano i tifosi del [[Torino Football Club|Torino]] che quel giorno {{NDR|16 maggio 1976}} aveva vinto lo scudetto, e le bandiere non eran rosse, ma granata. E siccome i cronisti sportivi del «Giornale» erano sempre stati favorevoli al Torino, m'acclamavano come un loro idolo. (p. 241) *La Dc era il partito dei maneggi e dell'inefficienze. Ma se avesse perso il 4 o il 5 per cento dei suoi voti, il partito di maggioranza relativa destinato a formare il nuovo governo sarebbe diventato quello comunista. Ch'era ancora molto pericoloso. Perché è vero che in Italia c'era Berlinguer, ma io sapevo bene che col comunismo d'allora poteva ancora succedere di tutto: bastava un cambiamento al vertice e un Berlinguer poteva diventare un [[Alexander Dubček|Dubček]] come un [[Walter Ulbricht|Ulbricht]]. Il «Giornale» era certamente laico, ma prima di essere laico era italiano, e cercava d'operare con qualche senso di responsabilità. E negli anni Settanta solo gl'irresponsabili potevano augurarsi il crollo della Dc, cui eravamo condannati anche perché la cosiddetta Alleanza laica, l'accordo fra Pli, Pri e Psdi, non sortì mai i numeri per sostituirvisi. (pp. 243-244) *Ci fu un'unica battaglia sulla quale il «Giornale» si trovò allineato con Craxi e il nostro editore: quello per la libertà d'antenna. Battaglia sacrosanta. Berlusconi è tutt'altro che un idealista disinteressato e nessuno sa agire come lui aggirando, quando non calpestando, le regole. Ma i panni nobili coi quali i difensori della Rai rivestivano la loro offensiva politico-giudiziaria erano grotteschi. Se il peccato di Berlusconi stava nell'essere troppo amico del Psi, quello della Rai era d'essere troppo amica di tutti i partiti. A fornirci il destro furono poi i pretori coi loro interventi oscurantisti, peraltro prontamente sventati dai decreti di Craxi. E quindi la crociata dell'etere libero, che rientrava fra l'altro nella nostra tradizione antistatalista, divenne una campagna contro il "pretore selvaggio", che con i suoi abusi toglieva ogni certezza del diritto al cittadino. (pp. 275-276) *Le vere novità erano nate fuori dal Palazzo: come la Lega di [[Umberto Bossi]]. Che all'inizio anche il «Giornale», come molti altri, sottovalutò. Come si faceva a prender sul serio un invasato che nutriva le sue invettive di sfondoni storici e grammaticali da far accapponare la pelle? [...] Che Roma fosse ladrona, era indubitabile. E l'avversione per la burocrazia parassitaria e per il meridionalismo piagnone e sprecone andava a nozze con le tradizioni del «Giornale». Bossi quindi incarnava un sentimento molto diffuso anche fra i nostri lettori, una protesta genuinamente qualunquista che, per certi versi, all'inizio anche noi appoggiammo. Ma dovemmo prenderne le distanze quando Bossi cominciò a condire le sue contumelie contro il Palazzo con propositi secessionisti. (pp. 279-280) *Con Berlusconi, tuttavia, poi feci pace. Fu lui a telefonarmi: forse, aveva captato in qualche mio articolo un'ombra di rimpianto per il vecchio amico. Era il '96 e dopo il ribaltone le cose per lui si mettevano di male in peggio. [...] Così, una sera mi ritrovai di nuovo seduto alla sua mensa ad Arcore. [...] Riparlammo senza rancore dei nostri trascorsi. Gli domandai quale garanzia avesse ricevuto da [[Massimo D'Alema|D'Alema]] sulle sue aziende in cambio dell'opposizione inesistente che gli assicurava. Rise. «Ma perché, ora che hai sistemato i tuoi affari, non ti chiami fuori dalla politica?» gli chiesi. «È una parola» mi rispose rabbuiandosi. «I giudici non obbediscono neppure a D'Alema». E lì capii quale era, ormai, la vera sostanza del suo dramma. (p. 312) *Se anch'io sono diventato europeista, è per disperazione: l'Europa è forse l'unica possibilità di sopravvivere per noi italiani, che come italiani non siamo riusciti a vivere. Questo è sempre stato l'europeismo degl'italiani di più alta coscienza, a partire da [[Alcide De Gasperi|De Gasperi]], che fu il primo a capire i rischi d'un Italia lasciata in balìa degl'italiani. (p. 315) *Pur fra tante fortune, purtroppo a me la sorte ha riservato di portarmi nella tomba le due cose che ho più amato: il mio mestiere e il mio Paese. Che cosa sia diventato il primo, annientato da computer e televisione, è sotto gli occhi di tutti. Quanto al secondo, la cancrena è ormai inarrestabile e la decomposizione sta avvenendo per dissoluzione di quel poco che resta dello Stato. E dico decomposizione, non secessione. La secessione si fa anche con la violenza, e dove lo troviamo oggi un solo plotone di soldati disposto a imbracciare le armi pro o contro l'Unità dello Stato? Che, se resta ancora in piedi, è solo perché non ha neppure la forza di cadere. Quello di rinunziare alla nazione poi, è un sacrificio che non saprei compiere, anche se razionalmente mi rendessi conto ch'è necessario, oppure inevitabile. E ringrazio l'anagrafe che mi esclude dal problema. (p. 316) ==''Storia d'Italia''== {{vedi anche|Indro Montanelli e Roberto Gervaso|Indro Montanelli e Mario Cervi}} ===''L'Italia giacobina e carbonara''=== *I [[cinismo|cinici]] sono tutti moralisti, e spietati per giunta. (cap. 10, p. 144) *[[Francesco Melzi d'Eril|Melzi]] apparteneva a una delle più grandi famiglie dell'aristocrazia lombarda, e ne portava nel sangue le doti migliori: la rettitudine, la cultura, la cortesia, ma anche una certa alterigia, che probabilmente gli veniva dalla madre spagnola. (cap. 11, p. 152) *{{NDR|Francesco Melzi d'Eril}} Aveva fatto parte dei circoli illuministici dei Serbelloni, dei Beccaria e di Pietro Verri, di cui era anche cognato. [[Napoleone Bonaparte|Napoleone]] lo aveva conosciuto al tempo della sua prima campagna d'Italia, dopo la battaglia di Lodi lo aveva invitato a Mombello, e ne aveva fatto il proprio consigliere. Quel signore che portava ancora il costume settecentesco, le calze bianche e la parrucca incipriata, gli piaceva. Gli piaceva perché non era servile, perché non era venale, perché non era nemmeno ambizioso. Una leggera sordità e una salute piuttosto precaria, insidiata da un forte artritismo, l'obbligavano a riguardi incompatibili con l'esercizio del potere. Più che il protagonista, preferiva fare il suggeritore. (cap. 11, p. 152) *L'unico che avesse qualità di uomo di Stato era il ministro delle finanze, [[Giuseppe Prina|Prina]], anche perché era piemontese, cioè veniva da un paese che uno Stato lo era da secoli. Ex procuratore generale della Corte dei Conti di Torino e membro del governo provvisorio del '99<ref>1799.</ref>, si era poi trasferito nella [[Repubblica Cisalpina|Cisalpina]] e ne aveva preso la cittadinanza. Non aveva un carattere che attirasse simpatie. Anzi, chiuso e freddo com'era, le respingeva. Ma era un lavoratore instancabile e scrupoloso, dotato di un acuto senso politico e – diceva [[Stendhal]] – "ha del grande in testa". (cap. 12, p. 164) *Perché non andassero perse neanche le briciole {{NDR|delle entrate della Repubblica Cisalpina}}, Prina riformò tutto il sistema fiscale riducendone il personale e facendone una macchina di straordinaria efficienza. Fu lui a inventare la "tassa di famiglia", o meglio a ripristinarla, perché la sua vera iniziatrice era stata [[Maria Teresa d'Austria|Maria Teresa]]. Ma la maggior pressione la esercitò nel campo delle imposte indirette che colpivano tutti i consumi senza distinguere fra quelli di lusso e quelli di prima necessità. Naturalmente a farne le spese furono soprattutto le classi popolari, che di lì a pochi anni gliel'avrebbero fatta pagare<ref>Prina, dopo l'abdicazione di Napoleone, fu linciato dalla folla a Milano il 20 aprile 1814.</ref>. Ma con questi sistemi riuscì a portare le entrate da settanta a oltre cento milioni e a pareggiare il bilancio. (cap. 12, p. 165) *[[Carlo II di Parma|Carlo Ludovico]] era stato talmente oppresso dalla madre<ref>Maria Luisa di Borbone-Spagna (1782–1824).</ref> che sognava di disfare tutto ciò ch'essa aveva fatto, compreso il proprio matrimonio; e quando le successe nel '24<ref>Come duca di Lucca nel 1824.</ref>, introdusse anche per buona fortuna dei lucchesi, metodi di governo diametralmente opposti a quelli di lei. Ridusse l'appannaggio che Maria Luisa esigeva per alimentare i suoi fasti spagnoli, liberalizzò i commerci, e alla fine si convertì addirittura al luteranesimo, mentre sua moglie diventava Terziaria domenicana. Fu un cattivo marito, ma non un cattivo sovrano. E Lucca, sotto di lui, respirò. (cap. 25, p. 375) *[...], {{NDR|la [[Carboneria]]}} non fu certo una scuola di educazione politica, e probabilmente è anche al suo esempio e modello che sono dovute le malformazioni della nostra democrazia e la sua intrinseca debolezza. Figli e nipoti dei Carbonari furono quei "notabili" che governarono l'Italia fino alla prima guerra mondiale e che, insieme a innegabili virtù, ebbero anche il vizio di considerare il Paese una "clientela" di Apprendisti esclusi dai "sacri travagli". (cap. 26, p. 395) *Fu qui {{NDR|al Teatro alla Scala}} che {{NDR|[[Ugo Foscolo]]}} vide [[Antonietta Fagnani Arese]], già famosa a ventitré anni non soltanto per la sua bellezza, ma anche per lo sfruttamento intensivo che ne aveva fatto. Probabilmente era una frigida, ma che sapeva recitare la sua parte: tutti i giovani più in vista di Milano cadevano nelle reti di questa Circe, e forse fu anche questo a stimolarlo. (cap. 35, p. 510) *Misto di genio e di ciarlatano, [[Domenico Barbaja|Barbaja]] aveva debuttato come sguattero, aveva fatti primi soldi inventando un dolce di panna e cioccolato, la "barbajada", li aveva moltiplicati con la gestione del Ridotto da giuoco della Scala, e ormai tanti ne aveva che quando il San Carlo andò distrutto da un incendio, lo ricostruì a proprie spese. (cap. 39, pp. 608-609) *{{NDR|Domenico Barbaja}} Era semianalfabeta, e di musica non conosceva una nota, ma conosceva il pubblico, era un infallibile scopritore di talenti, e nel 1815 si assicurò quello di un compositore ventitreenne, in cui già aveva identificato la figura più rappresentativa della lirica contemporanea: [[Gioacchino Rossini]]. (cap. 39, p. 609) *{{NDR|[[Ciro Menotti]]}} Uomo onesto, ma di un candore che sconfinava nella sprovvedutezza, [...]. (cap. 40, p. 635) ===''L'Italia del Risorgimento''=== *{{NDR|[[Giuseppe Mazzini]]}} Due mesi d'intenso lavoro gli bastarono a maturare il piano. Più che una setta, la sua organizzazione sarebbe stata un vero e proprio partito, anche se clandestino, senza l'oscura simbologia e i complicati rituali carbonari. Si sarebbe chiamata ''[[Giovine Italia]]'' e lo sarebbe stata anche di fatto perché, salvo casi eccezionali, era preclusa a chi avesse superato i quarant'anni di età. (cap. 4, pp. 54-55) *D'irresolutezza, [[Carlo Alberto di Savoia|Carlo Alberto]] aveva dato prova anche prima di salire sul trono, e lo aveva dimostrato anche il suo contraddittorio atteggiamento nel '21<ref>Nei moti piemontesi del 1821, Carlo Alberto aveva prima dato e poi ritirato il suo appoggio ai congiurati.</ref>. Il coraggio e la volontà non gli mancavano; ma gli mancava il carattere. Nella guerra di Spagna era stato un valoroso combattente<ref>Nel 1823, Carlo Alberto aveva partecipato alla campagna militare per ristabilire l'assolutismo regio in Spagna.</ref>, e la disciplina a cui si sottoponeva era spartana. Ma le responsabilità morali lo sgomentavano. (cap. 9, pp. 135-136) *{{NDR|Carlo Alberto}} Non era né intelligente né colto. Ma certi movimenti di opinione pubblica e orientamenti di pensiero li coglieva e ne restava influenzato. Nel '38 aveva mandato in galera e poi in esilio [[Vincenzo Gioberti|Gioberti]], ma nel '43 ne leggeva con interesse il ''Primato''. Se [[Massimo d'Azeglio|D'Azeglio]] avesse scritto il suo libro<ref>''Degli ultimi casi di Romagna'' (1846).</ref> due anni prima, avrebbe mandato in esilio anche lui. Ora in pratica ne aveva fatto una specie di agente segreto. I tempi insomma li sentiva e con essi andava. (cap. 9, p. 136) *Questo grande soldato {{NDR|[[Josef Radetzky]]}} non aveva mai conosciuto sconfitte, e a ottant'anni suonati conservava intatte prestanza fisica ed energia morale. Come tutti i militari, credeva soltanto nella spada e nella disciplina. Ma non somigliava affatto all'immagine che di lui ci ha tramandato la storiografia risorgimentale: quella del crudele "impiccatore", del caporalaccio ottuso, grossolano e brutale. Era al contrario un grande signore, di tratto ruvido ma generoso, perpetuamente alle prese con problemi di bilancio perché aveva le mani bucate. (cap. 13, p. 194) *{{NDR|Radetzky}} Aveva sposato una Contessa austriaca che viveva a Vienna e gli aveva dato otto figli da cui non gli venivano che dispiaceri. Uno militava ai suoi ordini lì a Milano, ma era un così cattivo arnese che un prete un giorno lo schiaffeggio per strada. Radetzky mandò a chiamare il prete, gli strinse la mano e gli disse: "''{{sic|Crazzie}}''". Per amante si era presa una brava stiratrice lombarda che sapeva cucinare bene gli gnocchi, di cui era ghiottissimo, e dalla quale ebbe altri quattro figli. Non era affatto un odiatore degl'italiani: tant'è vero che, quando andò in pensione, rimase a Milano, e lì morì nel '58. Era soltanto un fedele servitore del suo Paese, di cui non discuteva la causa. E soprattutto era un vecchio lupo di guerra coraggioso, astuto e risoluto. (cap. 13, p. 195) *La notizia si diffuse prima ancora che lo [[Statuto Albertino|Statuto]] fosse firmato, e in un battibaleno le piazze di Torino, eppoi di tutto il Piemonte, eppoi di tutto il Reame, si riempirono di folla esultante. Essa non conosceva il contenuto del documento che introduceva, sì, un regime rappresentativo, ma circondandolo delle maggiori cautele [...]. Più che del suo contenuto, la pubblica opinione era innamorata della parola ''Costituzione'', che aveva finito, per assumere ai suoi occhi magici significati, e la salutava con luminarie, canti e bandiere. (cap. 14, p. 218) *[...] [[Francesco Anzani|Anzani]], il più serio e autorevole degli esuli italiani, che aveva combattuto per la libertà in Grecia e in Spagna. Le sue parole avevano gran peso anche perché fra tutti quei chiacchieroni, ne pronunziava poche. (cap. 18, p. 281) *[...] [[Giuseppe Montanelli|Montanelli]] era così infatuato {{NDR|del progetto di Costituente italiana}} e tanto ne parlava nei suoi discorsi che il popolino – dicono – finì per credere che la Costituente fosse il nome di sua moglie. (cap. 19, p. 298) *[[Pellegrino Rossi|Rossi]] era un toscano della Lunigiana, ma solo all'anagrafe. Come formazione e mentalità, apparteneva ancora a quel tipo di {{sic|apòlidi}} che l'Italia del Settecento sfornava doviziosamente e che, non trovando in patria un terreno per i loro talenti, andavano da mercenari a investirli all'estero. Professore d'Università a poco più di vent'anni, poi commissario di [[Gioacchino Murat|Murat]] al tempo del suo infelice tentativo di unificare l'Italia sotto il suo scettro, era l'unico cattolico cui l'Accademia calvinista di Ginevra avesse mai affidato una cattedra. (cap. 19, p. 301) *{{NDR|Pellegrino Rossi}} Fu sin dal principio un fautore di [[Papa Pio IX|Pio IX]] fino a partecipare di persona alle manifestazioni popolari in suo favore, ma vide subito la pochezza e ambiguità dell'uomo e ne denunziò i pericoli. (cap. 19, pp. 302-303) *Sebbene gli avessero affidato pieni poteri, [[Daniele Manin|Manin]] era un uomo discusso. Molti lo consideravano un malaccorto maneggione, un improvvisatore digiuno di problemi economici e militari, bravo soltanto ad attribuirsi i meriti degli altri. Secondo [[Niccolò Tommaseo|Tommaseo]], ch'era fra i suoi più insidiosi diffamatori, il potere gli aveva dato "una scossa da intorbidargli la mente e far più grave e manifesta la sua inesperienza". (cap. 23, p. 354) *{{NDR|Daniele Manin}} Intellettualmente, non era al livello di un [[Giuseppe Mazzini|Mazzini]] o di un [[Carlo Cattaneo|Cattaneo]]. Ma era, come loro, inattaccabile sul piano morale. E, in mancanza di un vero e proprio potere carismatico, esercitava sulle folle un notevole fascino per la sua gioviale e arguta "venezianità". Parlava sempre in dialetto con battute raccattate sulla bocca dei gondolieri, e anche nel dramma portava un pizzico di [[Carlo Goldoni|Goldoni]]. I suoi limiti li conosceva, e non è vero che l'autorità gli avesse dato alla testa, come diceva Tommaseo che diceva male di tutti. Anzi la esercitava bonariamente e cercava di circondarsi di uomini validi che sopperissero alla sua incompetenza. (cap. 23, pp. 354-355) *Eran trascorsi pochi mesi {{NDR|dal suo matrimonio con Vittorio Emanuele}}, che [[Maria Adelaide d'Asburgo-Lorena|Maria Adelaide]] lo sorprendeva nel giardino di Moncalieri con una diva del teatro, Laura Bon, ma si guardò dal farne un dramma. Perfettamente educata al mestiere di Regina, essa sapeva che la rassegnazione alle infedeltà ne è parte imprescindibile, e le sopportò sempre con garbo e dignità. (cap. 25, p. 390) *Sfruttando la devozione di Carlo Alberto, [[Clemente Solaro della Margarita|Solaro della Margarita]] aveva regolato i rapporti con la Chiesa in modo tale da fare del clero piemontese il più potente d'Italia dopo quello dello [[Stato Pontificio|Stato pontificio]]. Esso aveva ancora i suoi tribunali in concorrenza con quelli dello Stato e poteva concedere il diritto d'asilo ai delinquenti. (cap. 26, p. 410) *[...] {{NDR|Giuseppe}} Montanelli, gran galantuomo e ricco d'ingegno, non lo era altrettanto di carattere. Idee ne aveva, anzi ne aveva troppe; ma, facilmente suggestionabile, finiva sempre per adottare quelle dell'ambiente in cui viveva. (cap. 29, pp. 464-465) *Il primo a trarne le conclusioni {{NDR|dalle tesi favorevoli alla monarchia piemontese esposte nel libro di [[Vincenzo Gioberti|Gioberti]] ''Del rinnovamento civile d'Italia''}} fu [[Giorgio Pallavicino Trivulzio|Pallavicino]], l'ex prigioniero dello Spielberg, da un pezzo rifugiato a Torino. Di scarso cervello politico, impetuoso fino alla leggerezza, teatrale e un po' troppo portato a ostentare i suoi titoli di "martire", aveva fino allora militato sotto bandiera rivoluzionaria. (cap. 32, p. 514) *{{NDR|Tra i Mille di Garibaldi}} C'era il malinconico ex prete [[Giuseppe Sirtori|Sirtori]], che della guerra aveva fatto una mistica e sul campo sembrava che officiasse. (cap. 40, p. 635) ===''L'Italia dei notabili''=== *La [[Convenzione di settembre|Convenzione]], che fu detta "di Settembre" dal mese in cui venne concordata, si componeva di cinque articoli e stabiliva: che l'Italia rinunziava ad ogni atto di ostilità contro il territorio pontificio; che la Francia ne avrebbe ritirato le sue truppe via via che il governo del Papa le avesse rimpiazzate con volontari indigeni e stranieri, e comunque entro due anni; e che questo doppio impegno sarebbe entrato in vigore dal momento in cui il governo italiano avesse decretato il trasferimento della capitale da operarsi nello spazio di sei mesi. (Capitolo quinto, Firenze capitale, p. 76) *Gli sventramenti che furono operati {{NDR|a Firenze, nuova capitale del Regno d'Italia}} per alloggiare i Ministeri e i nuovi quartieri che sorsero alla periferia per ospitare i venticinque o trentamila impiegati che calarono da Torino, lasciarono la città orrendamente sfregiata e carica di debiti. (Capitolo quinto, Firenze capitale, p. 78) *{{NDR|[[Carmine Crocco]]}} [...] condannato per diserzione a vent'anni di carcere, ne era evaso, si era dato alla macchia, e in poco tempo era diventato il più temuto e rispettato capobanda della [[Basilicata|Lucania]] non soltanto per il suo coraggio, ma anche per la sua intelligenza di guerrigliero.</br>[...] Crocco venne riconosciuto Generalissimo non solo per l'autorità che gli conferivano le sue gesta, ma anche, perché, sebbene mezzo analfabeta, possedeva un'oratoria immaginosa e apocalittica. (Capitolo sesto, I briganti, pp. 85-89) *{{NDR|[[Giustino Fortunato]]}} [...] il più grande e illuminato studioso del Meridione. (Capitolo sesto, I briganti, p. 86) *Figlio di un fabbro e medico di professione, [[Giovanni Lanza|Lanza]] incarnava, nella Destra piemontese tradizionalmente formata da nobili, militari e grandi borghesi, un tipo umano del tutto insolito: il nuovo piccolo ceto medio, spartano e puritano, formatosi nelle scuole serali e nell'Università popolare. (Capitolo nono, Gli anni della lesina, p. 133) *L'esercito papalino era un'accozzaglia di mercenari delle più svariate nazionalità (c'erano perfino dei turchi). [...] circa 15.000 uomini, al comando del generale [[Hermann Kanzler|Kanzler]]. Compito gentiluomo, ligio al Regolamento come lo era al Catechismo, questi aveva tuttavia un concetto tedesco dell'onore militare e avrebbe preferito una sconfitta a una resa. Ma {{NDR|Il segretario di Stato}} Antonelli non era di questa opinione. Gli ordinò di ritirare le truppe {{NDR|pontificie}} dentro le mura e di limitarsi a un simulacro di resistenza. (Capitolo decimo, Porta Pia, pp. 141-142) *{{NDR|La duchessa [[Eugenia Attendolo Bolognini Litta|Eugenia Litta]]}} Durante la campagna del '59<ref>Seconda guerra d'indipendenza italiana.</ref> era stata il riposo del guerriero più famoso e importante: [[Napoleone III di Francia|Napoleone III]]. E secondo le malelingue era passata subito dopo in eredità a [[Vittorio Emanuele II di Savoia|Vittorio Emanuele]], che però era il meno adatto ad apprezzare la sua vita di vespa, le sue carni pallide e i suoi raffinatissimi gusti. [[Honoré de Balzac|Balzac]] le aveva reso omaggio. [[Arrigo Boito|Boito]] seguitava a rendergliene. [[Gabriele D'Annunzio|D'Annunzio]] dirà ch'essa "aveva rubato il segreto a Ninon de Lenclos<ref>Scrittrice, cortigiana ed epistolografa francese (1620–1705).</ref>". Insomma come iniziatrice all'amore, il giovane principe {{NDR|il futuro [[Umberto I di Savoia|Umberto I]]}} non poteva desiderarne una più fascinosa ed esperta. Lo fu al punto che, nonostante la differenza d'età, egli le rimase devoto – anche se non fedele – fino alla fine dei suoi giorni. (Capitolo quattordicesimo, Il marito di Margherita, p. 196) *{{NDR|[[Margherita di Savoia]]}} [...] era una vera e seria professionista del trono, e gl'italiani lo sentirono. Essi compresero che, anche se non avessero avuto un gran Re, avrebbero avuto una grande Regina. (Capitolo quattordicesimo, Il marito di Margherita, p. 197) *Il trattato {{NDR|della [[Triplice alleanza (1882)|Triplice alleanza]]}} fu firmato a Vienna nel maggio dell'82<ref>20 maggio 1882.</ref>. Esso impegnava le tre Potenze al reciproco aiuto nel caso in cui una fosse aggredita e alla benevola neutralità nel caso che aggredisse. Inoltre Austria e Germania dichiaravano di disinteressarsi del problema del Papa, considerandolo un affare interno italiano.<br>Quest'ultima clausola fu, insieme alla fine dell'isolamento, il grande vantaggio che l'Italia trasse dal patto, ma nient'altro. Essa non vi era entrata su un piede di parità con le consocie. Aveva semplicemente acceduto all'alleanza che già legava le altre due, le quali restavano per così dire le padrone di casa, e Bismarck non perse occasione di farcelo sentire. (Capitolo diciannovesimo, La Triplice, pp. 276-277) *L'unico Stato che ruppe le relazioni con quello italiano in seguito a [[Presa di Roma|Porta Pia]] fu l'Ecuador. Mai la Chiesa si era trovata in condizioni di più completo isolamento. (Capitolo ventitreesimo, I cattolici, p. 334) *Sindaco di Palermo a ventisette anni, {{NDR|[[Antonio Starabba, marchese di Rudinì|il marchese di Rudinì]]}} aveva affrontato con molto coraggio la rivolta che vi era scoppiata nel '66, e questo lo aveva accreditato come il fanciullo-prodigio del moderatismo, destinato a gloriose imprese. Ma, diceva De Sanctis, col passare del tempo, il prodigio dileguò e rimase solo il fanciullo. Ministro degl'Interni a trent'anni in uno dei governi Menabrea, la sua carriera si era fermata lì. Pure, la fama di "uomo forte" gli era rimasta addosso, suffragata anche dalla sua alta statura, dai lampeggiamenti del monocolo, dalla fluente barba, dalla nobilesca alterigia. Idee, non ne aveva. Ma aveva delle impennate che facevano credere alla sua risolutezza. E questo, in una Destra impoverita di personalità di rilevo, gli era bastato per guadagnarsi i galloni di capo. (Capitolo ventiquattresimo, Giolitti, pp. 348-349) *In realtà, del soldato, [[Oreste Baratieri|Baratieri]] non aveva neanche il fisico. Grasso e sgraziato, con gli occhiali a ''pince-nez'', sembrava molto più vecchio dei suoi cinquant'anni e costruito più per la cattedra che per l'elmo. (Capitolo ventisettesimo, Adua, p. 391) *{{NDR|Dopo le dimissioni del generale [[Luigi Pelloux|Pelloux]]}} A succedergli il Re chiamò il Presidente del Senato [[Giuseppe Saracco|Saracco]], un galantuomo ch'era riuscito a conservare intatta la sua reputazione di democratico pur essendo stato due volte Ministro nei governi di Crispi. Aveva quasi ottant'anni, ma conservava una notevole lucidità di cervello, e ne dette prova formando un governo di coalizione che includeva un po' tutte le forze, meno l'Estrema cui diede tuttavia soddisfazione chiamando parecchi suoi uomini nella commissione incaricata di studiare un nuovo regolamento parlamentare che, senza intaccare la libertà di discussione, impedisse l'ostruzionismo, o per meglio dire lo regolasse. (Capitolo ventottesimo, I cannoni di Bava Beccaris, p. 417) ===''L'Italia di Giolitti''=== *Si è detto che {{NDR|[[Egidio Osio]]}} plagiò il suo pupillo {{NDR|il principe ereditario, futuro re [[Vittorio Emanuele III di Savoia|Vittorio Emanuele III]]}} e ne lesionò definitivamente il carattere terrorizzandolo e mortificandone gli slanci. Si è detto che anche sul suo fisico ebbe pessima influenza costringendolo a penosi e logoranti sforzi. Si è detto che furono i suoi metodi repressivi a creare nel Principe quei complessi d'inferiorità da cui fu sempre afflitto, a traumatizzarlo, a inaridirlo, a riempirne l'animo di sordi rancori.<br>Ma se non proprio di falsità, si tratta di verità contraffatte. (cap. I, Il nuovo Re, p. 15) *Militare dalla testa ai piedi, Osio era un uomo duro, imperioso, abituato al comando. [...] Ma era anche un gran signore, perfetto uomo di mondo, e nutrito di buone letture. Sebbene la sua carriera potesse esserne notevolmente avvantaggiata, esitò molto ad accettare l'incarico {{NDR|di tutore del principe ereditario}}, vi si risolse solo dietro garanzia che nemmeno i genitori avrebbero più interferito nell'educazione del ragazzo, di cui egli diventava unico e assoluto responsabile, e al termine della sua missione non beneficiò di nessuno "scatto di grado". (cap. I, Il nuovo Re, pp. 15-16) *[[Elena del Montenegro|Elena]], che da ragazza dipingeva, suonava il violino, componeva poesie come suo padre<ref>Nicola I del Montenegro.</ref>, e amava il tennis e la danza, rinunziò a questi passatempi appena vide che lui {{NDR|il futuro Vittorio Emanuele III}} li detestava, anzi adottò come ''hobbies'' quelli di lui: la numismatica e l'archeologia. Per il resto fu soltanto una donna di casa, come lo era stata a Cettigne<ref>Capitale del Regno del Montenegro.</ref>. Sapendolo insofferente dei camerieri, era lei che lo serviva a tavola, e per farsi i vestiti si prese in casa una sartina. (cap. I, Il nuovo Re, p. 27) *[[Filippo Meda|Meda]] era un avvocato milanese di spirito pratico, che considerava l'astensione dal voto {{NDR|dei cattolici}} un dovere da osservare finché il Papa lo imponeva, ma un grosso errore strategico di cui occorreva sollecitare la revoca. Lo Stato liberale, diceva, c'è e va accettato. Va soltanto salvato dalle sue tentazioni autoritarie e giacobine. E questo i cattolici possono farlo soltanto inserendocisi e riformandolo in modo da tenerlo al riparo dai pericoli d'involuzione. Lo Stato cioè per lui era un "peccatore da salvare". (cap. IV, Cattolici e socialisti, p. 72) *[...] [[Romolo Murri|Murri]] era un giovane sacerdote marchigiano, che aveva conosciuto la povertà e nel Vangelo vedeva soprattutto un messaggio giustizialista. Introverso e malinconico come tutti i fanatici, egli si considerava molto più "avanzato" di Meda per il carattere rivoluzionario che intendeva imprimere al movimento {{NDR|cattolico}}. In realtà era un uomo del ''[[Sillabo]]'' che, pur partendo anche lui dall'accettazione dello Stato unitario, intendeva tramutarlo in una [[teocrazia]] egalitaria e totalitaria, sul tipo di quella che i Gesuiti avevano fondato un paio di secoli prima nel Paraguay. Se a ispirarlo fosse più l'amore del povero o l'odio del ricco, non sappiamo. (cap. IV, Cattolici e socialisti, pp. 72-73) *Meda e Murri furono dapprincipio alleati. Entrambi volevano un grande partito, popolare indipendente dalla Chiesa. Ma Meda lo concepiva come lo sviluppo della organizzazione tradizionale, cioè dell'''Opera''<ref>"Opera dei congressi e dei comitati cattolici", spesso abbreviata in "Opera dei congressi", organizzazione cattolica italiana, sciolta nel 1904.</ref>, una volta strappatala alla vecchia guardia, mentre Murri lo vedeva come un organismo nuovo, un "Fascio", come quelli che pochi anni prima avevano messo a soqquadro e insanguinato la Sicilia. (cap. IV, Cattolici e socialisti, p. 73) *Lo [[Sciopero generale del 1904|sciopero {{NDR|generale del 1904}}]] [...] non fu un fallimento, ma non fu nemmeno un successo perché si esaurì spontaneamente, e il suo più consistente risultato fu la spaccatura delle forze operaie. Lo si vide pochi mesi dopo, quando i sindacalisti bandirono un altro sciopero, quello delle ferrovie, da cui i sindacalisti uscirono demoralizzati e con la truppa dimezzata. (cap. IV, Cattolici e socialisti, p. 85) *[[Alessandro Fortis|Fortis]] era un tipico notabile romagnolo di lungo e contradditorio corso ideologico. Aveva debuttato come repubblicano intransigente, era andato in galera per complotto rivoluzionario con gli anarchici, poi era stato conquistato da [[Francesco Crispi|Crispi]], era finito {{sic|Ministro}} di [[Luigi Pelloux|Pelloux]], e ora militava sotto la bandiera di [[Giovanni Giolitti|Giolitti]]. Come "trasformista", era tra i più qualificati. Ma questa pecca era abbondantemente compensata dai suoi doni di simpatia umana e da una grande esperienza parlamentare. (cap. VI, Il suffragio universale, p. 107) *Quando [[Enrico Corradini|Corradini]] applicò il vocabolario socialista alla Nazione parlando di una "Italia proletaria" in lotta contro le plutocrazie occidentali, e lanciò l'idea di un "imperialismo operaio" da contrapporre a quello capitalistico, riscosse in campo sindacalista vasti consensi e pose le premesse di un pasticcio ideologico in cui Mussolini avrebbe di lì a poco guazzato. (cap. VII, "Tripoli bel suol d'amore", p. 137) *{{NDR|Giolitti}} Più che la Libia, voleva la [[Guerra italo-turca|guerra]], o meglio qualcosa che desse finalmente agl'italiani l'impressione di farne una e di vincerla. (cap. VII, "Tripoli bel suol d'amore", p. 145) *[...] a Vienna l'imperatore Francesco Giuseppe aveva dovuto intervenire di persona per fermare la mano al Capo di Stato Maggiore [[Franz Conrad von Hötzendorf|Conrad]] che voleva una spedizione punitiva contro l'Italia, ora ch'era impegnata in Africa {{NDR|nella guerra di Libia}}, per metterla in ginocchio "prima che avesse il tempo di perpetrare altri tradimenti". (cap. VII, "Tripoli bel suol d'amore", pp. 149-150) *Non si è mai saputo con certezza come si svolse l'operazione {{NDR|del [[patto Gentiloni]]}} che, ben s'intende, doveva restare segretissima. Giolitti negò sempre di avervi partecipato, e infatti d'impronte digitali non ve ne lasciò. Fu probabilmente senza le sue credenziali, ma certamente non senza il suo beneplacito che qualche esponente liberale prese contatto coi cattolici. Questi avevano una "unione elettorale" di cui era Presidente un Conte marchigiano, [[Vincenzo Ottorino Gentiloni|Gentiloni]], politico abile, ma vanesio e chiacchierone. Egli s'impegnò a mobilitare il voto cattolico in favore dei candidati liberali dovunque questi fossero minacciati dalla Estrema Sinistra; e i liberali s'impegnarono a difendere la parificazione delle scuole confessionali a quelle dello Stato, a ripristinare in queste ultime l'istruzione religiosa, a respingere l'introduzione del divorzio, e – pare – a combattere la Massoneria. (cap. VIII, Il crepuscolo degli dei, p. 163) *Se [[Gaetano Salvemini|Salvemini]] incarnava lo spirito protestatario e la sete giustizialista delle plebi meridionali, [[Antonio Salandra|Salandra]] incarnava lo spirito autoritario e conservatore della borghesia terriera. Proveniva da una famiglia di notabili pugliesi con parecchia roba al sole, e alla politica era approdato dalla cattedra universitaria, di cui conservava molti caratteri: una notevole cultura e finezza intellettuale, ma anche un compassato distacco che rasentava la freddezza. Prima di affrontare un problema lo studiava minuziosamente, e nessuno sapeva prospettarlo con più chiarezza di lui. (cap. IX, Sarajevo, p. 168) *[[Paolo Boselli]] {{NDR|incaricato nel 1916 di formare il nuovo governo dopo le dimissioni di Antonio Salandra}}, che fu chiamato a presiederlo, possedeva tutti i requisiti, meno quelli che occorrono per guidare un Paese in guerra. Deputato ligure da parecchie legislature, era stato varie volte Ministro con Crispi, Pelloux e Sonnino, ma nessuno se n'era accorto. [...]. Passava per un esperto di questioni economiche, e moralmente era un personaggio di tutto rispetto. Ma politicamente era scolorito, e per di più aveva quasi ottant'anni. (cap. XVI, La caduta di Salandra, pp. 293-294) *Quanto [[Luigi Cadorna|Cadorna]] era solitario, monacale ruvido e chiuso in un giro di valori e d'idee tradizionali, tanto [[Luigi Capello|Capello]] era brillante, estroverso, moderno, ricco d'immaginazione e maestro di "pubbliche relazioni". (cap. XVI, La caduta di Salandra, pp. 298-299) *Lucano di Melfi, [[Francesco Saverio Nitti]] incarnava anche nel fisico tozzo e grassottello il tipo del notabile meridionale, colto, brillante, scettico e alquanto egocentrico. [...] la sua specialità era il problema del Mezzogiorno, di cui fu tra i primi seri studiosi e che gli fornì anche la base elettorale. [...]. Sul livello medio della classe politica di allora, egli faceva spicco per preparazione, equilibrio e lucidità, ma anche per una certa propensione ad attribuirsi il monopolio di queste virtù. (cap. XXIII, Versaglia, pp. 420-421) ===''L'Italia in camicia nera''=== *Un altro utile incontro fu per Mussolini quello con [[Angelica Balabanoff]], personaggio già di notevole rilevo nel socialismo internazionale. Era una russa di buona famiglia borghese, che fin da giovanissima si era imbrancata con quella ''intellighenzia'' rivoluzionaria da cui venivano anche i Lenin, i Trotzky, e gli altri futuri grandi del bolscevismo. A spingerla era stata la ribellione contro la meschinità, lo snobismo provinciale, il sussiego di casta, i tabù del suo ceto. (cap. 1, p. 23) *Angelica {{NDR|Balabanoff}} non era bella, non aveva la grazia eterea ed esangue di Anna {{NDR|[[Anna Kuliscioff|Kuliscioff]]}}. Ma non era nemmeno sgradevole, nonostante i fianchi massicci e gli zigomi pronunciati, eppoi era una russa, cosa che faceva un grande effetto al piccolo provinciale di Predappio<ref>Mussolini era nato a Dovia, frazione di Predappio.</ref>. Anche se fra loro non divampò la passione che aveva legato Anna ad [[Andrea Costa]], qualcosa ci fu, ed ebbe la sua importanza. Angelica cercò d'incivilire quel selvaggio trasandato che passava da ostinati mutismi a interminabili sproloqui conditi di orrende bestemmie. Lo sfamava, gli lavava la biancheria, lo iniziava, sia pure con poco successo, al marxismo [...]. (cap. 1, p. 25) *Uno dei tre protagonisti del giuoco {{NDR|[[Gabriele D'Annunzio]]}} era eliminato. La partita ora si riduceva agli altri due: Giolitti e Mussolini. (cap. 1, p. 101) *Mussolini aveva vinto, e la sua vittoria significava che il fascismo, abbandonata la pretesa di presentarsi come un movimento rivoluzionario di sinistra, quale lo avrebbero voluto Grandi, Farinacci e Marsich, presentava la sua candidatura a forza egemonica della destra e infilava la «via parlamentare» al potere.<br>C'era un pericolo, e Mussolini lo capì subito: che questa svolta a destra mettesse il partito alla mercé della sua ala reazionaria incarnata soprattutto dal ''ras'' piemontese [[Cesare Maria De Vecchi|De Vecchi]], uomo di poco cervello, ma tutto Trono e Altare, e che quindi poteva anche tornar comodo per il futuro. (cap. 2, p. 127) *[...], i giolittiani riuscirono a portare al governo uno dei suoi {{NDR|di Giolitti}} «ascari» più fedeli, ma anche dei più sbiaditi: [[Luigi Facta]].<br> Facta era un bravo avvocato di provincia piemontese con tutte le virtù, ma anche con tutti i limiti del suo ambiente: un uomo probo e integro, che dopo trent'anni di vita parlamentare ne aveva ormai una certa esperienza, aveva ricoperto con onore alcune cariche ministeriali, non aveva alcuna ambizione che quella di servire fedelmente il suo capo, né altre idee che quelle di lui. Tutto gli si poteva chiedere fuorché risolutezza ed immaginazione, cioè proprio le qualità che più urgevano. (cap. 2, pp. 143-144) *[...] le sue intenzioni {{NDR|Mussolini}} non le confidava nemmeno al segretario del partito, [[Michele Bianchi|Bianchi]], di cui apprezzava la fedeltà e l'impegno, ma non l'intelligenza: lo considerava angoloso, settario, puntiglioso vendicativo e privo d'intuito politico. L'unico con cui si apriva seguitava ad essere [[Cesare Rossi]], l'uomo che gli era stato accanto dal primo momento, lo aveva seguito in tutte le sue palinodie e gli dava sempre dei consigli che corrispondevano ai suoi desideri. (cap. 4, p. 166) *{{NDR|[[Vittorio Emanuele III]]}} non si fidava completamente di Mussolini, ma si fidava ancora meno dei suoi avversari ed era convinto che costoro, se avessero preso il mestolo in mano, avrebbero ricreato il caos del dopoguerra. Comunque, a una cosa era assolutamente deciso: a non farsi coinvolgere nella lotta politica, come del resto gli dettava la Costituzione di cui, quando gli faceva comodo, sapeva ricordarsi. ====[[Explicit]]==== *Resterebbe solo da sapere con che animo Mussolini s'investì, il 3 gennaio, nella parte di dittatore. Se, come molti sostengono, gli sforzi che fino a quel momento aveva fatto per evitarla erano stati solo un giuoco per dimostrare che non era lui a volerla, ma gli eventi ad imporgliela, bisogna riconoscere che come {{sic|giuocatore}} sapeva il fatto suo. ==''Storia dei Greci''== *Il modo migliore per ripagare il nostro contemporaneo [[Heinrich Schliemann|Enrico Schliemann]] degli enormi servigi che ci ha reso nella ricostruzione della civiltà classica, mi pare sia quello di assumerlo fra i suoi protagonisti, com'egli stesso mostrò di desiderare ardentemente, scegliendosi, in pieno secolo decimonono, [[Zeus]] come dio e a lui indirizzando le sue preghiere, battezzando [[Agamennone]] suo figlio, Andromaca sua figlia, Pélope e Telamone i suoi servitori, e dedicando a [[Omero]] tutta la sua vita e i quattrini. (cap. 2; 2004, p. 17) *{{NDR|Su [[Heinrich Schliemann|Schliemann]]}} Era un matto, ma tedesco, cioè organizzatissimo nella sua follia, che la buona sorte volle ricompensare. La prima storia che gli raccontò suo padre, quando aveva cinque o sei anni, non fu quella di [[Cappuccetto Rosso]], ma quella di [[Ulisse]], di [[Achille]] e di Menelao. Ne aveva otto, quando annunziò solennemente in famiglia che intendeva riscoprire Troia e dimostrare, ai professori di storia che lo negavano, ch'essa era realmente esistita. Ne aveva dieci, quando compose in latino un saggio su questo argomento. E ne aveva sedici, quando sembrò che questa infatuazione gli fosse del tutto passata. Infatti s'era impiegato come garzone di una drogheria, dove scoperte archeologiche non c'era da farne di certo, e di lì a poco s'imbarcò non per l'Ellade, ma per l'America, in cerca di fortuna. (cap. 2; 2004, p. 17) *Di nuovo il buon Dio, che per i matti ha un debole, lo compensò di tanta fede, guidando il suo piccone sugli scantinati del palazzo dei discendenti di re Atreo, nei cui sarcofaghi furono ritrovati gli scheletri, le maschere d'oro, i gioielli e il vasellame che si ritenevano esistiti solo nella fantasia di Omero. E Schliemann telegrafò al re di Grecia: ''Maestà, ho ritrovato i vostri antenati''. Poi, ormai sicuro del fatto suo, volle dare il colpo di grazia agli scettici del mondo intero e, sulle indicazioni di [[Pausania]], andò a Tirinto e vi disseppellì le ciclopiche mura del palazzo di Proteo, di Perseo e di [[Andromeda|Andròmeda]]. (cap. 2; 2004, pp. 19-20) *Schliemann morì quasi settantenne nel 1890, dopo aver sconvolto tutte le tesi e le ipotesi su cui si era basata sino ad allora la ricostruzione della preistoria greca, tesa ad esiliare Omero e Pausania nei cieli della pura fantasia. (cap. 2; 2004, p. 20) *Ma ora, dopo le scoperte del tedesco matto, non abbiamo più il diritto di mettere in dubbio la realtà storica di Agamennone, di Menelao, di [[Elena]], di [[Clitennestra]], di Achille e di Patroclo, di Ettore e di Ulisse, anche se le loro avventure non sono state esattamente quelle che Omero ha descritto, facendoci sopra la cresta. Schliemann ha arricchito la storia e impoverito la leggenda, di alcune decine di personaggi di primissimo piano. Grazie a lui alcuni secoli, che prima erano nel buio, sono entrati nella luce, anche se è quella incerta della primissima alba. Ed è solo per mano a lui che possiamo esplorarla. (cap. 2; 2004, p. 21) *Senza dubbio gli [[achei]], a differenza dei pelasgi, furono terrieri, tant'è vero che fino alla guerra di Troia imprese per mare non ne azzardarono, e ogni volta che lo trovavano si fermavano. Essi non tentarono di mettere il piede nemmeno nelle isole più vicine al continente, e tutte le loro capitali e cittadelle erano nell'interno. La Grecia, sotto di loro, si limitava al Peloponneso, all'Attica e alla Beozia; mentre per le popolazioni pelasgiche della civiltà micenea, ch'erano marinare, essa inglobava anche tutti gli arcipelaghi dell'Egeo. (cap. 3, ''Gli Achei''; 2004, p. 25) *[[Diogene di Sinope|Diogene]], che aveva la lingua lunga, disse che la religione greca era quella cosa per cui un ladro che sapeva bene l'Avemaria e il Paternoster era sicuro di potersela cavar meglio, nell'al di là di un galantuomo che li aveva dimenticati. Non aveva torto. La [[Religione dell'antica Grecia|religione]], in Grecia, era soltanto un fatto di procedura, senza contenuto morale. Ai fedeli non si chiedeva la fede né si proponeva il bene. S'imponeva solo il compimento di certe pratiche burocratiche. E non poteva essere diversamente, visto che di contenuto morale gli stessi {{sic|dèi}} ne avevano ben poco e non si poteva certo dire che fornissero un esempio di virtù. (cap. 7, ''Zeus e famiglia''; 2004, p. 54) *Anche [[Pisistrato]] era aristocratico e di famiglia ricca. Ma aveva capito che la [[democrazia]], una volta instaurata, è irreversibile e va sempre a sinistra. (cap. 15, ''Pisistrato''; 2004, p. 98) *Pisistrato, invece di cinquanta uomini, ne arruolò e armò quattrocento, s'impadronì dell'Acròpoli, e proclamò la dittatura. In nome e per il bene del popolo, si capisce, come tutte le dittature. (cap. 15; 2004, p. 91) *La stragrande maggioranza degli ateniesi, dopo averlo a lungo osteggiato e tenuto in gran sospetto, si erano sinceramente affezionati a Pisistrato che aveva dalla sua un'arma formidabile: la simpatia. (cap. 15; 2004, pp. 92-93) *Il tiranno Pisistrato seppe sfuggire a tutte le tentazioni del potere assoluto, meno una: quella di lasciare il «posto» in eredità ai figli, [[Ippia (tiranno)|Ippia]] e [[Ipparco (tiranno)|Ipparco]]. L'amor paterno gl'impedì di vedere con la consueta chiarezza che i totalitarismi non hanno eredi e che quello suo si giustificava soltanto come una eccezione alla democrazia per assicurarle ordine e stabilità. Peccato. (cap. 15; 2004, p. 95) *Pisistrato era morto nel 527 avanti Cristo. Ventun anni dopo, cioè nel 506, troviamo uno dei suoi due figli, da lui designati a succedergli, Ippia, alla corte del re di Persia, [[Dario I di Persia|Dario]], per suggerirgli l'idea di muover guerra contro Atene e la Grecia tutta. I grandi uomini non dovrebbero mai lasciare né vedove né eredi. Sono pericolosissimi. (cap. 16, ''I persiani alle viste''; 2004, p. 103) *Questo Ippia non aveva debuttato male, dopo che suo padre fu calato nella fossa. Era un giovanotto sveglio che, a furia di stare accanto al babbo, ne aveva imparato molte malizie, e alla politica aveva passione, a differenza di suo fratello Ipparco che invece s'interessava soltanto di poesia e di amore, in modo che fra i due non c'erano nemmeno pericolose rivalità. Eppure, a procurare i guai che condussero alla caduta della dinastia, fu proprio Ipparco. (cap. 16; 2004, p. 96) *Ipparco ebbe la disgrazia d'inciampare in un bellissimo guaglione di nome Armodio, che un certo Aristogitone – aristocratico quarantenne, prepotente e geloso – considerava sua proprietà. Costui concepì l'idea di sbarazzarsi del rivale col pugnale e, per dare all'assassinio un'etichetta più pulita che lo rendesse popolare, pensò di estenderlo anche al fratello Ippia facendolo passare per «delitto politico» in nome della libertà e contro la tirannia. Organizzò in questo senso una congiura con altri nobili latifondisti e, in occasione di una festa, tentò il colpo, che andò bene solo a mezzo: Ipparco ci rimise la pelle, ma Ippia scampò. E da quel momento, un po' per rancore, un po' per paura di altri complotti, il figlio e l'allievo di Pisistrato, dittatore liberale indulgente e illuminato, diventò un ''tiranno'' autentico. (cap. 16; pp. 96-97) *Lo scontento del popolo inferocì Ippia, che a sua volta inferocì il popolo. E quando il divorzio fra i due fu totale, i fuoriusciti, che frattanto si erano concentrati a Delfi, chiamarono in aiuto gli spartani, e insieme marciarono contro Atene. (cap. 16; 2004, p. 97) *Ippia si rifugiò sull'Acròpoli coi suoi sostenitori. Ma, per mettere in salvo i suoi figlioletti, cercò di farli segretamente espatriare. Gli assedianti li catturarono e l'infelice padre, per salvar la vita a loro e a se stesso, capitolò e si avviò in volontario esilio. Non bisogna dimenticare che nelle sue vene scorreva tuttavia il sangue di Pisistrato, cioè di un uomo sempre pronto a sacrificare la posizione alla famiglia, ma mai disposto a rassegnarsi alla sconfitta. (cap. 16; 2004, p. 97) *[[Milziade]] aveva capito qual era il debole dei [[Persia|persiani]]: essi erano bravi soldati individualmente, ma non avevano nessuna idea della manovra collettiva. E su questa puntò. A dar retta agli storici del tempo — che purtroppo erano tutti greci, — Dario perse settemila uomini, Milziade neanche duecento. (cap. 17, ''Milziade e Aristide''; 2004, p. 112) *{{NDR|A Milziade}} sopravvisse [[Aristide]], le cui vicende purtroppo ci dimostrano che l'[[onestà]] in [[politica]] non trova sempre i suoi compensi e che la [[storia]], come le [[donna|donne]], ha un debole per i birbaccioni. (cap. 17, ''Milziade e Aristide''; 2004, p. 112) *Nike, diventata ragazza, porta il [[peplo]] di lana, bianca o colorata, ma questa è l'unica scelta che le si lascia. Siccome è confinata in casa, non può nemmeno far quella di un ragazzo che le piace, e deve aspettare che il padre si metta d'accordo con un altro padre per combinare il matrimonio. (cap. 23, ''Una Nike qualsiasi''; 2004, p. 143) *Quando il grande [[Mirone]], rincorbellito dalla vecchiaia, si vide arrivare in studio come modella Laìde<ref>Etera dell'antica Grecia, celebre per la sua bellezza.</ref>, perse la testa e le offrì tutto ciò che possedeva purché restasse la notte. E siccome essa rifiutò, l'indomani il poveruomo si tagliò la barba, si tinse i capelli, indossò un giovanile [[chitone]] color porpora e si passò una mano di carminio sul viso. «Amico mio», gli disse Laìde, «non sperare di ottenere oggi ciò che ieri rifiutai a tuo padre». (cap. 23, ''Una Nike qualsiasi''; 2004, p. 150) *{{NDR|[[Fidia]]}} Qualcosa, nel suo carattere, doveva farne un nemico degli uomini, visto che nessuno lo amava. Eppure egli non fu soltanto un grande scultore, ma anche un grandissimo maestro, che, oltre ad aver creato uno stile, ne fece anche una scuola, trasmettendone le regole ad allievi come Agoracrito e Alcamene, continuatori del «classico». (cap. 25, ''Fidia sul Partenone''; 2004, p. 165) *Gli uomini non sanno apprezzare e misurare che la [[fortuna]] degli altri. La propria, mai. (cap. 25, ''Fidia sul Partenone''; 2004, p. 166) ==''Storia di Roma''== ===[[Incipit]]=== Non sappiamo con precisione quando a Roma furono istituite le prime scuole regolari, cioè «statali». Plutarco dice che nacquero verso il 250 avanti Cristo, cioè circa cinquecent'anni dopo la fondazione della città. Fino a quel momento i ragazzi romani erano stati educati in casa, i più poveri dai genitori, i più ricchi dai ''magistri'', cioè da maestri, o istruttori, scelti di solito nella categoria dei liberti, gli schiavi liberati, che a loro volta erano scelti fra i prigionieri di guerra, e preferibilmente fra quelli di origine greca, che erano i più colti. ===Citazioni=== <!--segui nel riportare le citazioni l'ordine cronologico del libro--> *Non ho scoperto nulla, con questo libro. Esso non pretende di portare "rivelazioni", nemmeno di dare una interpretazione originale della storia dell'Urbe. Tutto ciò che qui racconto è già stato raccontato. Io spero solo di averlo fatto in maniera più semplice e cordiale, attraverso una serie di ritratti che illuminano i protagonisti in una luce più vera, spogliandoli dei paramenti che fin qui ce li nascondevano. (introduzione) *{{NDR|[[Numa Pompilio]]}} Quelle che più lo interessavano erano le questioni religiose. E siccome in questa materia ci doveva essere una grossa anarchia perché ognuno dei tre popoli {{NDR|etruschi, latini e sabini}} venerava i propri {{sic|dèi}}, fra i quali non si riusciva a capire chi fosse il più importante, Numa decise di mettervi ordine. E per imporlo, questo ordine, ai suoi riottosi sudditi, fece spargere la notizia che ogni notte, mentre dormiva, la ninfa Egeria veniva a visitarlo in sogno dall'Olimpo per trasmettergliene direttamente le istruzioni. Chi vi avesse disobbedito, non era col re, uomo fra gli uomini, che avrebbe dovuto vedersela, ma col Padreterno in persona. (Rizzoli 1959, cap. 3, ''I re agrari'', pp. 37-38) *[[Tarquinio Prisco|Lucio Tarquinio]] e i suoi amici etruschi dovettero veder subito che profitto si poteva trarre da questa massa di gente, per la maggior parte esclusa dai comizi curiati, se si fosse potuta convincerla che solo un re forestiero come lui avrebbe potuto farne valere i diritti. E per questo l'arringò, promettendole chissà cosa, magari ciò che poi fece davvero. [...] Certamente ci riuscirono perché Lucio Tarquinio fu eletto col nome di Tarquinio Prisco, rimase sul trono trentotto anni, e per liberarsi di lui i ''patrizi'', cioè i «terrieri», dovettero farlo assassinare. Ma inutilmente. Prima di tutto perché la corona, dopo di lui, passò al figlio, eppoi a suo [[Tarquinio il Superbo|nipote]]. In secondo luogo perché, più che la causa, l'avvento della dinastia dei Tarquini fu l'effetto di una certa svolta che la storia di Roma aveva subìto e che non le consentiva più di tornare al suo primitivo e arcaico ordinamento sociale e alla politica che ne derivava. (RCS 2004, cap. 4, ''I re mercanti'', pp. 38-39) *Questo secondo [[Tarquinio il Superbo|Tarquinio]], prima di rischiare il colpo, tentò di far deporre lo zio per abuso di potere. Servio si presentò alle centurie che lo riconfermarono re con plebiscitaria acclamazione (lo racconta [[Tito Livio]], gran repubblicano, dunque dev'esser vero). Non restava quindi che il pugnale, e Tarquinio lo usò senza troppi scrupoli. Ma il respiro di sollievo che trassero i senatori, coi quali si era alleato, rimase loro in gola, quando videro l'uccisore sedersi a sua volta sul trono d'avorio senza chieder loro permesso, come avveniva a quei buoni vecchi tempi ch'essi speravano di restaurare. Il nuovo sovrano si mostrò subito più tirannico di quello che aveva spedito all'altro mondo. E infatti lo ribattezzarono «il Superbo» per distinguerlo dal fondatore della dinastia. (RCS 2004, cap. 4, ''I re mercanti'', pp. 42-43) *Non sappiamo quasi nulla di [[Lars Porsenna|Porsenna]]. Ma dal modo come si condusse, dobbiamo dedurre che alle doti del bravo generale doveva accoppiare quelle del sagace uomo politico. Egli si rese conto che negli argomenti di [[Tarquinio il Superbo|Tarquinio]] c'era del vero. Ma prima d'impegnarsi, volle essere sicuro di due cose: che il Lazio e la Sabina erno davvero pronti a schierarsi dalla sua parte, e che nella stessa Roma c'era una «quinta colonna» monarchica pronta a facilitargli il compito con un'insurrezione. (RCS 2004, cap. 5, ''Porsenna'', p. 49) *Da quell'anno 508 in cui fu fondata la repubblica, tutti i monumenti che i romani innalzarono un po' dappertutto portarono sempre la sigla SPQR che vuol dire: ''Senatus PopuluSque Romanus'', cioè «il Senato e il popolo romano». Cosa fosse il Senato, già lo abbiamo detto. Viceversa non abbiamo ancora detto cos'era il popolo, che non corrispondeva affatto a ciò che noi intendiamo con questa parola. In quei lontani giorni di Roma esso non comprendeva «tutta» la cittadinanza, come avviene oggi, ma soltanto due «ordini», cioè due classi: quella dei «patrizi» e quella degli ''equites'' o «cavalieri». (RCS 2004, cap. 6, ''SPQR'', p. 54) *{{NDR|[[Sacco di Roma (390 a.C.)]]}} Gli storici che lo hanno raccontato a cose fatte hanno avvolto di molte leggende questo capitolo che dovett'essere per l'Urbe molto spiacevole. Dicono che quando i [[galli]] fecero per dare la scalata al [[Campidoglio]], le oche sacre a Giunone cominciarono a stridere risvegliando così [[Marco Manlio Capitolino|Manlio Capitolino]] che, alla testa dei difensori, respinse l'attacco. Sarà. Però i galli in Campidoglio entrarono ugualmente come in tutto il resto della città, donde la popolazione era fuggita in massa per rifugiarsi su monti circostanti. (Rizzoli 1959, cap. 6, ''SPQR'', pp. 81-82) *[...] i galli espugnarono Roma, la misero a sacco, e se ne andarono incalzati dalle legioni, ma carichi di quattrini. Erano predoni gagliardi e zotici, che non seguivano nessuna linea politica e strategica nelle loro conquiste. Assalivano, depredavano e si ritiravano senza punto preoccuparsi del domani. Avessero potuto immaginare che vendetta Roma avrebbe tratto da quella umiliazione, non vi avrebbero lasciato pietra su pietra. (Rizzoli 1959, cap. 6, ''SPQR'', pp. 82-83) *Tutti i dittatori della Roma repubblicana, meno uno, furono patrizi. Tutti, meno due, rispettarono i limiti di tempo che furono loro imposti. Uno di essi, [[Lucio Quinzio Cincinnato|Cincinnato]], che, dopo soli sedici giorni di esercizio della suprema carica, tornò spontaneamente ad arare il campo coi buoi, è passato alla storia coi colori della leggenda. (RCS 2004, cap. 9, ''La carriera'', p. 85) *Negli ultimi tempi {{NDR|[[Cesare]]}} si era spinto anche più in là: aveva imposto che tutte le discussioni che si svolgevano in quel solenne e aristocratico consesso venissero registrate e pubblicate giorno per giorno. Così nacque il primo giornale. Si chiamò ''[[Acta Diurna|Acta diurna]]'', e fu gratuito, perché, invece di venderlo, lo affiggevano ai muri in modo che tutti i cittadini potessero leggerlo e controllare ciò che facevano e dicevano i loro governanti. L'invenzione fu d'immensa portata perché sancì il più democratico di tutti i diritti. Il Senato, che traeva prestigio anche dalla sua segretezza, fu così sottoposto alla pubblica opinione, e non si riebbe mai più da questo colpo. (RCS 2004, cap. 24, ''Cesare'', p. 214) *Se riuscirò ad affezionare alla storia di Roma qualche migliaio di italiani, sin qui respinti dalla sussiegosità di chi gliel'ha raccontata prima di me, mi riterrò un autore utile, fortunato e pienamente riuscito. (introduzione) *Sull'esattezza di quel che [[Tito Livio|Livio]] riferisce facciamo le nostre riserve, specie là dov'egli mette in bocca ai suoi personaggi interi discorsi che somigliano più a Livio che a loro. La sua è una storia di eroi, un immenso affresco a episodi, e serve più a esaltare il lettore che a informarlo. [[Roma]], a dargli retta, sarebbe stata popolata soltanto, come l'Italia di Mussolini, da guerrieri e navigatori assolutamente disinteressati, che conquistarono il mondo per migliorarlo e moralizzarlo. Gli uomini, secondo lui, sono divisi in buoni e cattivi. A Roma c'erano solamente i buoni, e fuori di Roma solamente i cattivi. Anche un grande generale come [[Annibale]] diventa, sotto la sua penna, un comune mariuolo. Ciò non toglie che la storia di Livio, costata cinquant'anni di fatiche a un autore che si dedicò soltanto ad essa, resti un gran monumento letterario. Forse il più grande fra quelli, piuttosto mediocri, eretti sotto il segno di [[Augusto]]. (cap. 30, ''Orazio e Livio'') *Può darsi che [[Dione Cassio]] e [[Svetonio]], nel loro odio per la monarchia, abbiano un po' calcato la mano. Ma matto, [[Caligola]] doveva esserlo davvero. (cap. 31, ''Tiberio e Caligola'') *[[Vitellio]], quando fu catturato nel suo nascondiglio, dove, tanto per cambiare, banchettava, fu trascinato nudo per la città con un laccio al collo, bersagliato di escrementi, torturato con ponderata lentezza, e alla fine gettato nel Tevere.<br>Questa città che si divertiva al fratricidio, questi eserciti che si ribellavano, questi imperatori che venivano subissati di sterco pochi giorni dopo essere stati coperti di osanna: ecco cos'era diventata la capitale dell'Impero. (Rizzoli 1959, cap. 37, ''I Flavi'', pp. 415-416) *Purtroppo la pace, per ottenerla, bisogna essere in due a volerla. (cap. 37, ''I Flavi'') *Era la prima volta, nella storia di Roma, che una guerra si combatteva in nome della religione. Ma fu la Croce che vinse. E il Tevere, trascinando verso la foce i cadaveri di [[Massenzio]] e dei suoi soldati che lo ingombravano, sembrò che spazzasse via i residui del mondo antico. (cap. 46, ''Costantino'') *Il papa che più contribuì a rassodare l'organizzazione in questi primi difficili anni fu [[Papa Callisto I|Callisto]], che molti consideravano un avventuriero. Dicevano che, prima di convertirsi, aveva fatto i quattrini con sistemi piuttosto equivoci, era diventato banchiere, aveva derubato i suoi clienti, era stato condannato ai lavori forzati ed era fuggito con un inganno. Il fatto che, appena diventato papa, proclamasse valido il pentimento per cancellare qualunque peccato, anche mortale, ci fa sospettare che in queste voci un po' di verità c'è. Comunque, fu un gran papa, che stroncò il pericoloso scisma d'[[Ippolito di Roma|Ippolito]] e affermò definitivamente l'autorità del potere centrale. (RCS 2004, cap. 46, ''Costantino'', p. 367) *Le rivoluzioni vincono non in forza delle loro idee, ma quando riescono a confezionare una classe dirigente migliore di quella precedente. E il [[Cristianesimo]] era riuscito proprio in questa impresa. (cap. 47, ''Il trionfo dei cristiani'') *[[Costantino]] fu uno strano e complesso personaggio. Faceva gran scialo di fervore cristiano, ma nei suoi rapporti di famiglia non si mostrò molto ossequente ai precetti di Gesù. Mandò sua madre Elena a Gerusalemme per distruggere il tempio di Afrodite che gli empi governatori romani avevano elevato sulla tomba del Redentore, dove, secondo Eusebio, fu ritrovata la croce su cui era stato suppliziato. Ma subito dopo mise a morte sua moglie, suo figlio e suo nipote. (cap. 47, ''Il trionfo dei cristiani'') *Come tutti i grandi Imperi, quello romano non fu abbattuto dal nemico esterno, ma roso dai suoi mali interni. (cap. 51, ''Conclusione'') *Una religione conta non in quanto costruisce dei templi e svolge certi riti; ma in quanto fornisce una regola morale di condotta. Il [[paganesimo]] questa regola l'aveva fornita. Ma quando Cristo nacque, essa era già in disuso, e gli uomini, consciamente o inconsciamente, ne aspettavano un'altra. Non fu il sorgere della nuova fede a provocare il declino di quella vecchia; anzi, il contrario. (cap. 51, ''Conclusione'') *Il dispotismo è sempre un malanno. Ma ci sono delle situazioni che lo rendono necessario. (cap. 51, ''Conclusione'') ===[[Explicit]]=== Mai città al mondo ebbe più meravigliosa avventura. La sua storia è talmente grande da far sembrare piccolissimi anche i giganteschi delitti di cui è disseminata. Forse uno dei guai dell'Italia è proprio questo: di avere per capitale una città sproporzionata, come nome e passato, alla modestia di un popolo che, quando grida «Forza Roma!», allude soltanto a una [[Associazione Sportiva Roma|squadra di calcio]]. ==''XX Battaglione eritreo''== ===[[Incipit]]=== Sono letterato. E, a parte il brutto e il meschino di quella parola, il mio mestiere m'innamora. Mi sono sforzato tanti anni, per compiacere a qualcuno o a qualcosa, di tradire questo mio istinto. Ma non ce l'ho fatta. E non ce la fo nemmeno ora, soldato in Africa, in piena guerra. Ma non lo dico per presentare il conto. E a chi, poi? Lo dico per un fenomeno di narcisismo: perché mi garba contemplarmi in questo gesto di fedeltà al mestiere, che poi vuol dire fedeltà a me stesso. ===Citazioni=== *Essere [[Àscari|ascaro]] vuol dire, press'a poco, avere un blasone; vuol dire avere tre lire al giorno, più un'indennità vestiario, più un'indennità farina, più un'indennità carne; vuol dire avere un ''tarbush'' e una fascia coi colori del battaglione; vuol dire soprattutto avere un fucile. La gente di questo Paese segue una logica sistematica semplice e dritta: l'umanità si divide in due categorie: gli armati che sono i forti, i disarmati che sono i deboli. Al culmine della gerarchia sociale sta il possessore di fucile, il guerriero: che è tanto più importante quanto più elevato è il suo grado e quanto è maggiore la sua anzianità. (p. 25) *[[Pietro Toselli|Toselli]]. Questo nome non ha in Italia la risonanza che ha qui. Toselli non è un uomo, è una leggenda: non solo alla cronaca, ma sfugge anche alla storia. È rimasto nei canti di questa gente, nelle sue memorie e anche nelle sue speranze. Pur ieri mi diceva il vecchio Sciumbasci, reduce di Adua e ora capopaese di Digsa, che «le cose che si sanno sono molto meno di quelle che non si sanno» e che «il fatto è questo: che il corpo del maggiore Toselli non era più sul campo dopo la battaglia». Su quello che ne sia avvenuto le opinioni sono discordi, ma nessuno crede che il maggiore sia morto. (pp. 35-36) *Appollaiato ai suoi piedi, nascosto fra il verde tenero degli eucalipti, stava [[Alessandro Pirzio Biroli|Pirzio Biroli]]. Il suo nome era mormorato con circospezione dagli [[Àscari|ascari]] disseminati fra le rocce di Mai Egadà a Saganeiti, da Agordar ad Assab, a Cheren, ad Adi Ugri, ad Adi Caieh. Raramente lo si vedeva e sempre a cavallo. Accanto a lui cavalcava Chiarini, la piccola ombra fedele, il fantasma sorto una notte da un roveto della conca di Adua. Chiarini, settantenne, pallido, non scompariva nell'alone magico che Pirzio, il buon gigante, suscitava intorno. (pp. 87-88) *Poi arrivava anche lui, [[Alessandro Pirzio Biroli|Pirzio]] il leone, altissimo, quadrato, col profilo calmo incorniciato dalla folta criniera. Il cavallo, domo dai suoi ginocchi di ferro, caracollava senza un tentativo di ribellione. Dalla sella pendevano, di qua e di là, due aquile colossali, abbattute in volo dal moschetto infallibile di Pirzio. Nessuna tromba sonava l'attenti al suo ingresso. Non ce n'era bisogno. Tutti, nel quartiere, sentivano come per miracolo la sua presenza e restavano ischeletriti. Pirzio non se n'accorgeva: era uno di quegli uomini pei quali gli uomini sentono rispetto per istinto e che passano attraverso la vita come attraverso un'eterna parata, fra due file di bipedi schiaffati meccanicamente sull'attenti. Gli [[Àscari|ascari]] ebbero ragione quando lo battezzarono «il Leone»: non aveva bisogno di ruggire perché il largo gli si facesse automaticamente intorno. (pp. 88-89) ===[[Explicit]]=== Vorremmo ristare dopo la guerra? Il mondo è così visto che nessun limite precisa al desiderio. Italiani, continuate ad aver fame anche dopo aver mangiato. Questa guerra è per noi come una bella lunga vacanza dataci dal Gran Babbo in premio di tredici anni di banco di scuola. E, detto fra noi, era ora. ==Citazioni su Indro Montanelli== *A leggerlo sembrerebbe un disordinatore di professione: sempre pronto a mugugnare, sempre a prendersela con qualcuno. Poi però, quando si tratta di scendere sul pratico, ci consiglia di turarci il naso e di andare a votare per l'Ordine. vallo a capire. ([[Luciano De Crescenzo]]) *Amo Indro Montanelli, ma non i suoi emuli. I polemisti per posa non mi piacciono, non li ritengo utili. Ma lui non era un polemista fine a se stesso, come tanti dei suoi presunti eredi. Era piuttosto, come da titolo di una sua fortunata rubrica, controcorrente. Non si curava delle convenienze, dei vantaggi che gli sarebbero derivati nel seguire l'onda di [[pensiero]] prevalente. Aveva la sua visione delle cose, sempre originale e spesso esatta. Io credo che dire quel che si pensa premi sempre. Montanelli lo faceva, e andava a letto tranquillo. ([[Fabio Genovesi]]) *C'è davvero qualcosa di singolare nel modo in cui è venuta formandosi la memoria della Repubblica, nel modo in cui tale memoria è stata ed è elaborata dalla cultura ufficiale del Paese. Per molti decenni, ad esempio, a quanto accaduto dal 1943 al '45 fu vietato dare il nome che gli spettava, il nome cioè di [[Guerra civile in Italia (1943-1945)|guerra civile]]. Parlare di guerra civile era giudicato fattualmente falso, e ancor di più ideologicamente sospetto. Bisognava dire che quella che c'era stata era la resistenza, non la guerra civile; di guerra civile parlavano e scrivevano, allora, solo i reduci di Salò, i nostalgici del regime e qualche coraggioso giornalista o pubblicista di rango come Indro Montanelli, che mostravano così da che parte ancora stavano. Le cose andarono in questo modo a lungo. Finché, all'inizio degli anni Novanta, come si sa, uno storico di sinistra, [[Claudio Pavone]], scrisse un libro sul periodo 1943-'45 che si intitolava precisamente ''Una guerra civile'': solamente da allora tutti abbiamo potuto usare senza problemi questa espressione, ben inteso non cancellando certo la parola resistenza. ([[Ernesto Galli della Loggia]]) *È uno che riesce a spiegare agli altri quello che non capisce nemmeno lui. ([[Mario Missiroli]]) *È vero che ha cambiato parere politico più volte, ma sempre perché profondamente preoccupato per le sorti del paese. Ma Indro ha cambiato parere sempre meno di quei giornalisti che da Lotta Continua sono passati a Comunione e Liberazione per approdare infine a dirigere quotidiani di Stato. Senza contare tutti coloro che da stalinisti o maoisti sono diventati prima antimarxisti e ora clintoniani: Montanelli ragiona, loro vogliono avere sempre ragione. ([[Fausto Gianfranceschi]]) *Indro è naturalmente inclinato, direi quasi condannato a vedere più i ''tics'' degli uomini che le loro qualità e nessuno come lui fa più uso, nei suoi ritratti, dell'acido prussico. ([[Eugenio Montale]]) *{{maiuscoletto|Indro Montanelli}}. L'Italia dei Luoghi Comuni. ([[Marcello Marchesi]]) *Io mi sono limitato ad adottare la sua formula giornali­stica. Ma l'ho realizzata meglio perché mi sono sempre esposto, ci ho messo la faccia. Lui invece era come Veltroni: "Sì, ma an­che". Non si schierava nettamente, il suo editoriale era così in chiaroscuro che alla fine non capivi mai se fosse chiaro o scuro. Il che non significa che non resti il migliore di tutti noi. Ho venduto più di lui solo perché a me la gente non fa schifo. ([[Vittorio Feltri]]) *Mi sono sentito in imbarazzo per lui, e il mio primo pensiero è stato il rifiuto – «no, povero Montanelli» – quando all'ingresso dei giardini di via Palestro mi sono trovato davanti alla sua statua, al punto che ho pensato che ci sono vandali che distruggono e vandali che costruiscono, e che anzi, per certi aspetti, il vandalismo che crea è ben peggiore, perché tenta di disarmarti con le sue buone intenzioni. Dunque era di mattina, molto presto, e i giardini erano vuoti, al sole. Ebbene in questo vuoto, la statua mi è apparsa all'improvviso: una figurina in gabbia che non ha niente a che fare con Montanelli, se non perché lo offende anche fisicamente, lui che era così "verticale", e che ci invitava a buttare via «il grasso» e la retorica monumentale. Il giornalista che ogni volta si ri-definiva in una frase, in un concetto, in un aforisma, in una citazione, è stato per sempre imprigionato in una scatola di sardine. Perciò ho provato il disagio che sempre suscita il falso, la patacca, la similpelle che non è pelle, perché non solo questo non è Montanelli, come ci ha insegnato Magritte che dipinse una pipa e ci scrisse sotto "questa non è una pipa". Il punto è che questa non è neppure una statuta di Montanelli, ma di un montanelloide in bronzo color oro, che ha la presunzione ingenua e goffa di imprigionare il Montanelli entelechiale, il Montanelli che era invece l'asciuttezza, era il corpo più "instatuabile" del mondo, troppo alto, troppo energico, troppo nervoso, incontenibile nello spazio e nel tempo com'è l'uomo moderno, che è nomade e ha un'identità al futuro. Era il più grande nemico delle statue il Montanelli che sempre ci sorprendeva, fascista ma con la fronda, conservatore ma anarchico, con la sinistra ma di destra, un uomo di forte fascino maschile che tuttavia non amava raccogliere i trofei del fascino maschile, ingombrante ma discreto, il solo che nella storia d' Italia abbia rifiutato la nomina a senatore a vita perché, diceva, «i monumenti sono fatti per essere abbattuti», come quello di Saddam, o di Stalin o di Mussolini. Come si può fare una statua ingombrante e discreta? Come si può fare un monumento all'antimonumento? ([[Francesco Merlo]]) *Montanelli comprò una sposa ragazzina di 11-12 anni. In realtà non possiamo sapere con precisione l'età perché nei villaggi africani non si registravano le nascite. Ma la comprò, questo lo sappiamo. E la violentò più volte. sappiamo anche questo, è stato lui a raccontare che lei non voleva. [...] Da italiano Montanelli avrebbe potuto riconoscere i segni di quella crudeltà e discostarsene. Non lo fece perché condivideva evidentemente quella cultura patriarcale. Perché non mettere al posto della sua statua quella di una donna della Resistenza? In Italia vorrei vedere più statue di donne partigiane. ([[Maaza Mengiste]]) *Montanelli disprezzava la borghesia che difendeva, e ammirava i comunisti che attaccava. Era convinto che la rivolta di Budapest si dovesse a operai che volevano il vero socialismo; mentre fu una rivolta nazionalista e antisovietica. ([[Enzo Bettiza]]) *Montanelli è il campione di indipendenza dalla politica, anche se sono arrabbiato con lui perché mi ha insegnato regole di comportamento anacronistiche, che nel giornalismo odierno non valgono più. ([[Daniele Vimercati]]) *Montanelli ha sempre avuto una componente di destra. È stato un uomo di destra come fascista, uomo di destra come sostenitore dei governi dc sia pure turandosi il naso. [...] Adesso è un uomo di destra qualunquista, ma sempre di destra. ([[Ugo Intini]]) *Montanelli, un misantropo che cerca compagnia per sentirsi più solo. ([[Leo Longanesi]]) *Quanto mi ha insegnato: le parole da non usare, le cose da non dire, la persone da non frequentare. ([[Beppe Severgnini]]) *Recentemente sono stato insignito del Premio Montanelli alla carriera che dovrebbe essermi consegnato a ottobre a Fucecchio, a meno che nel frattempo non mi sia revocato per indegnità, sempre in nome della libertà di informazione. Sono certo che il vecchio Indro non avrebbe condiviso nemmeno un fonema del mio necrologio sul Mullah {{NDR|Omar}}, ma sono altrettanto certo che non si sarebbe mai sognato di bloccarlo. Caso mai ci avrebbe riso su, considerandolo una provocazione, anche se provocazione non era. Perché Montanelli era un vero liberale. Quando i liberali esistevano ancora. ([[Massimo Fini]]) *Sa spalmare una così giusta misura di miele sull'orlo del nappo avvelenato che prepara per questo o per quello, che spesso la vittima muore senza accorgersene, ingannata dai soavi licori. ([[Paolo Monelli]]) *Scalfari e Montanelli direttori all'antica, padroni, mattatori che ricordano gli Scarfoglio, i vecchi direttori dell'ottocento che non solo incrociavano la penna ma anche la spada in una rissa continua con tutt ([[Ugo Intini]]) *Si può raccontare la [[storia]] in forma lieve, senza essere troppo ponderosi, rispettando tuttavia le fonti e la verità storica. Montanelli era molto bravo a scrivere, ma in fondo ne sapeva poco, gli piaceva gigioneggiare, sprofondava nell'anacronismo. Oggi ci si è accorti che, nel raccontare la storia, essere rigorosi ed essere divertenti non è conflittuale. ([[Alessandro Barbero]]) *So solo che Montanelli è fatto così: un maestro di giornalismo che ogni tanto s'impenna con qualcuna delle sue bizzarrie. ([[Giorgio Bocca]]) *Una volta, parecchi anni fa, Indro Montanelli, dicendosi disgustato della morbidezza e della mollezza della [[Democrazia Cristiana]], che ammorbidiva, incorporava, estenuava e alla fine innocuizzava qualsiasi opposizione, togliendole ogni soddisfazione e dignità, mi mostrò una fotografia, incastonata in una cornicetta d'argento, che teneva, a mo' di santino, come altri fanno con le immagini della madre o della moglie e dei figli, sulla sua scrivania, al «Giornale». Con sorpresa vidi che si trattava di Stalin. «Con questo ci sarebbe stato gusto, a battersi», disse. ([[Massimo Fini]]) *Ognuno può pensarla come vuole, ma quando si passa dalla cronaca alla storia è necessario mantenere un giusto approccio ed essere oggettivi sui valori della persona. Indro Montanelli è stato forse il più autorevole giornalista che l’Italia ha avuto nel ventesimo secolo. La Toscana penserà ad azioni per valorizzarlo. ([[Eugenio Giani]]) ===[[Enzo Biagi]]=== *A Indro Montanelli devo molto: intanto, l'idea che chi conta è il pubblico. Poi la necessità di essere chiari, di far anche fatica, perché chi legge non ha voglia di impegnarsi troppo, e solo se uno si chiama [[James Joyce|Joyce]] può essere difficile. *Montanelli se n'è sempre fregato delle critiche, io molto meno, ho un carattere permaloso, spesso non ho resistito alla tentazione di rispondere a chi mi attaccava. Indro mi sgridava, diceva a mia moglie di tenermi calmo, che non ne valeva la pena, che erano tutte bischerate. [...] Per lui il buon risultato era il sorriso di un passante, l'oste che gli trovava il tavolo. Qualcuno si chiedeva che cos'avesse di speciale. A pensarci bene, niente. Scriveva degli articoli che erano letti e dei libri che si vendevano. *Non è una gran notizia che Indro e io non abbiamo mai fatto parte del coro, ma fu una grande notizia la spiegazione che ne diede Berlusconi: "Biagi e Montanelli hanno invidia del mio successo". La prima cosa che mi venne in mente fu: "Sai che risate si starà facendo Indro adesso". Poi mi dissi che c'era poco da ridere. ==Note== <references/> ==Bibliografia== *Indro Montanelli, ''Qui non riposano'', Marsilio, 1982 (1945). *Indro Montanelli, ''Pantheon minore'' (incontri), Longanesi e C., Milano, 1950. {{NoISBN}} *Indro Montanelli, ''Reportage su Israele'', Derby, Milano, 1960. {{NoISBN}} *Indro Montanelli, ''Gli incontri'', Rizzoli, Milano, 1967. {{NoISBN}} *Indro Montanelli, ''Storia dei greci'', Rizzoli, Milano, 1992. ISBN 8817115126 *Indro Montanelli, ''Storia dei greci'', RCS Quotidiani, Milano, 2004. ISBN 1-129-08505-8 *Indro Montanelli, ''Storia di Roma'', Longanesi, Milano, 1957; Rizzoli, Milano, 1959. {{NoISBN}} *Indro Montanelli, ''Storia di Roma'', RCS Quotidiani, Milano, 2004. ISBN 1-129-08505-8 *Indro Montanelli, ''L'Italia giacobina e carbonara (1789-1831)'', Rizzoli, Milano, 1971. {{NoISBN}} *Indro Montanelli, ''L'Italia del Risorgimento (1831-1861)'', terza edizione, Rizzoli, Milano, 1972. {{NoISBN}} *Indro Montanelli, ''L'Italia dei notabili (1861-1900)'', Rizzoli, Milano, 1973. {{NoISBN}} *Indro Montanelli, ''L'Italia di Giolitti (1900-1920)'', Rizzoli, Milano, 1974. {{NoISBN}} *Indro Montanelli, ''L'Italia in camicia nera (1919-3 gennaio 1925)'', Rizzoli, Milano, 1976. *Indro Montanelli, ''Dante e il suo secolo'', Rizzoli, Milano, 1974. {{NoISBN}} *Indro Montanelli, ''I protagonisti'', Rizzoli, Milano, 1976. {{NoISBN}} *Indro Montanelli, ''Controcorrente'', Editoriale Nuova, Milano, 1978. {{NoISBN}} *Indro Montanelli, ''Controcorrente 1974-1986'', Arnoldo Mondadori Editore, Milano, 1987. ISBN 8804300558 *Indro Montanelli, ''Caro direttore. 1974-1977. Il meglio della rubrica "La parola ai lettori"'', Rizzoli, Milano, 1991, ISBN 88-17-42728-4. *Indro Montanelli, ''Il testimone'', Longanesi & C., Milano, 1992, ISBN 88-304-1063-2. *Indro Montanelli, ''Il meglio di «Controcorrente» 1974-1992'', Rizzoli, Milano, 1993, ISBN 88-17-42807-8. *Indro Montanelli, ''Caro lettore. Il meglio della rubrica "La parola ai lettori". 1978-1981'', Rizzoli, Milano, 1994, ISBN 88-17-42730-6. *Indro Montanelli, ''Le Stanze. Dialoghi con gli italiani'', Rizzoli, Milano, 1998, ISBN 88-17-85259-7. *Indro Montanelli, ''La stecca nel coro. 1974-1994: una battaglia contro il mio tempo'', Rizzoli, Milano, 1999, ISBN 88-17-86284-3. *Indro Montanelli, ''Le nuove Stanze'', Rizzoli, Milano, 2001, ISBN 88-17-86842-6. *Indro Montanelli, ''Soltanto un giornalista. Testimonianza resa a Tiziana Abate'', BUR, Milano, 2003. ISBN 8817107042 *Indro Montanelli, ''I conti con me stesso. Diari 1957-1978'', a cura di [[Sergio Romano]], Rizzoli, Milano, 2010. ISBN 8817028202 ([http://books.google.it/books?id=fuh--fZGHMcC&printsec=frontcover Anteprima su Google Libri]) *Indro Montanelli, ''Ricordi sott'odio'', Milano, Rizzoli, 2011, ISBN 978-88-17-04963-4 *Indro Montanelli, ''Indro al Giro. Viaggio nell'Italia di Coppi e Bartali. Cronache del 1947 e 1948'', a cura di Andrea Schianchi, Collana Saggi italiani, Milano, Rizzoli, 2016. ISBN 978-88-1708-969-2 *Paolo Granzotto, ''Montanelli'', Bologna, Il Mulino. ISBN 88-15-09727-9 *Paolo Occhipinti (a cura di), ''Caro Indro... Dialoghi di Montanelli con il direttore di Oggi. 1993-2001. Il meglio di una rubrica di successo durata otto anni'', RCS, Milano, 2002. ==Voci correlate== *[[Colette Rosselli]] *[[Indro Montanelli e Roberto Gervaso]] *[[Indro Montanelli e Mario Cervi]] *[[Indro Montanelli e Marco Nozza]] *''[[Il generale Della Rovere]]'' (film 1959) ==Altri progetti== {{interprogetto}} ===Opere=== {{Pedia|La Voce (quotidiano)|''La Voce''}} {{Pedia|Storia d'Italia (Montanelli)|''Storia d'Italia''}} {{DEFAULTSORT:Montanelli, Indro}} [[Categoria:Drammaturghi italiani]] [[Categoria:Giornalisti italiani]] [[Categoria:Saggisti italiani]] [[Categoria:Commediografi italiani]] fhrwb6g758gheyyecbuj9ye8fu6lo8e 1382015 1382012 2025-07-02T08:46:55Z ~2025-110542 103361 1382015 wikitext text/x-wiki [[File:IndroMontanelliLettera22.jpg|thumb|upright=1.5|Indro Montanelli alla sede del ''Corriere della Sera'']] '''Indro Montanelli''' (1909 – 2001), giornalista, saggista e commediografo italiano. ==Citazioni di Indro Montanelli== [[File:Indro Montanelli 1936.jpg|miniatura|Indro Montanelli, ufficiale del Regio Esercito, 1936]] *[[Gianni Agnelli|Agnelli]] ha detto che non siamo nella repubblica delle banane, però qualche banana in Italia c'è, perché avvengono cose veramente singolari.<ref>Citato in Marco Travaglio, ''Bananas'', Garzanti, Milano, 5 maggio 2001.</ref> *Al [[conformismo]] l'[[ironia]] fa più paura d'ogni [[Argomentazione|argomentato ragionamento]].<ref>Da ''Controcorrente'', Editoriale Nuova, Milano, 1978.</ref> *{{NDR|[[Ferdinando I delle Due Sicilie]]}} Aveva sulla coscienza la vita di migliaia d'infelici, morti sulla forca e nelle galere solo per aver voluto un po' di libertà. Era stato spergiuro. Non aveva conosciuto che disfatte e fughe ignominiose di fronte al nemico. Politicamente, era rimasto fermo alla concezione settecentesca del più retrivo assolutismo. Non aveva fatto che i propri interessi, e più ancora i propri comodi, della regalità prendendosi solo i piaceri. Non aveva saputo che incrementare l'ignoranza di cui egli stesso era campione. Eppure, il cordoglio popolare per la sua morte non ci stupisce, perché un dono lo aveva avuto: la genuinità. Questo Re fellone e fannullone non aveva mai cercato di apparire diverso da quel che era: uno scugnizzo dei «bassi», prepotente, ridanciano e sboccato, nato per caso con una corona in testa e che aveva sempre concepito la sua parte come quella di un buon capo-camorra. Non aveva interpretato che i caratteri deteriori del popolo napoletano, ma anche i più appariscenti e riconoscibili.<ref>Da ''L'Italia unita. {{small|Da Napoleone alla svolta del Novecento}}'', Rizzoli BUR, Milano, 2015, [https://books.google.it/books?id=8J7tCgAAQBAJ&lpg=PT206&dq=&pg=PT206#v=onepage&q&f=false p. 206]. eISBN 978-88-58-68272-2</ref> *Avevo capito fin dal primo incontro che l'aggressività di [[Anna Magnani|Anna {{NDR|Magnani}}]] era solo la maschera della sua insicurezza. Era una donna difficile e sempre agli estremi di tutto: della dolcezza come del furore, e non si capiva mai bene, forse non lo capiva nemmeno lei, quanto l'uno e l'altra fossero veri, o soltanto scena. Certo è che dall'uno all'altra passava con fulminea velocità e tenendo chiunque in stato di fibrillazione. <ref>Da ''Anna Magnani, la più grande attrice del nostro cinema'', 23 ottobre 1999, in ''Le Nuove stanze'', a cura di Michele Brambilla, RCS Libri, Milano, 2002, p. 280.</ref> *{{NDR|[[Walter Chiari]]}} Avrebbe meritato 30 anni di prigione per lo spreco del suo talento.<ref>Citato in Luciano Giannini, ''[https://www.ilmattino.it/AMP/cultura/walter_chiari_100_walter_sottotitolo_chiari_biografia_di_un_genio_irregolare-7954361.html Walter Chiari genio irregolare che confessava di aver vissuto]'', ''Il Mattino'', 24 febbraio 2024</ref> *[[Silvio Berlusconi|Berlusconi]] è una persona intelligente finché riesce a ragionare col suo cervello: il suo cervello è valido. Ma lui, oltre al cervello, ha le viscere, e molto spesso le viscere prendono la prevalenza sul cervello. E quando lui si abbandona alle viscere, secondo me, diventa uomo pericoloso. Questo lo dico a lei perché l'ho detto a lui, perché gliel'ho anche scritto.<ref name="milano">Dal programma televisivo ''Milano, Italia'', Rai 3, 11 gennaio 1994.</ref> *[[Silvio Berlusconi|Berlusconi]] ha straordinarie qualità di imprenditore – coraggio, fantasia, forza di lavoro – che gli hanno valso il successo in tutti i campi in cui si è cimentato. Una sola cosa non gli riesce di fare, il presidente di una società di calcio.<ref>Da ''[http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/1987/01/20/ora-montanelli-critica-berlusconi.html Ora Montanelli critica Berlusconi]'', ''la Repubblica'', 20 gennaio 1987.</ref> *[[Silvio Berlusconi|Berlusconi]] non ha idee: ha solo interessi.<ref>2001; citato in [[Marco Travaglio]], ''Ad personam'', Chiarelettere, Milano, 2010, p. 39, ISBN 978-88-6190-104-9.</ref> *{{NDR|Su [[Aldo Moro]]}} Calvinista a rovescio, invece che nella predestinazione della [[Grazia divina|grazia]], credeva in quella della [[disgrazia]].<ref>Citato in [[Roberto Gervaso]], ''Ve li racconto io'', Mondadori, Milano, 2006, pp. 310-311, ISBN 88-04-54931-9.</ref> *Certo, per un direttore di giornale, avere sottomano un [[Marco Travaglio|Travaglio]], che su qualsiasi protagonista, comprimario e figurante della vita politica italiana è pronto a fornirti su due piedi una istruttoria rifinita nel minimo dettaglio è un bel conforto. Ma anche una bella inquietudine. Il giorno in cui gli chiesi se in quel suo archivio, in cui non consente a nessuno di ficcare il naso, ci fosse anche un fascicolo intitolato al mio nome, Marco cambiò discorso.<ref>Dalla prefazione a Marco Travaglio, ''Il Pollaio delle Libertà'', Vallecchi, Firenze, 1995.</ref> *Chi di voi vorrà fare il [[giornalista]], si ricordi di scegliere il proprio padrone: il [[lettore]].<ref>Dalla lezione di giornalismo all'Università di Torino, 12 maggio 1997; citato in ''La Stampa'', 14 aprile 2009.</ref> *Conosco molti furfanti che non fanno i [[Morale|moralisti]], ma non conosco nessun moralista che non sia un furfante. Senza, per carità, allusione a [[Eugenio Scalfari|Scalfari]]. Solo come promemoria.<ref>Citato in [[Eugenio Scalfari]], ''Incontro con io'', Rizzoli, Milano, 1994, ISBN 8806200747.</ref> *Cosa c'è meglio di [[Romano Prodi|Prodi]]? Governa fra compromessi e imbroglietti. I nostri soci sanno benissimo che siamo imbroglioni, che sui conti che portiamo all'Europa s'è un po' imbrogliato. Accettano lo stesso, purché non s'esageri. E [[Carlo Azeglio Ciampi|Ciampi]] non esagera, è un economista serio e vero. [...] {{NDR|Romano Prodi}} Con la faccia da mortadella, l'ottimismo inossidabile e l'eterno sorriso, ci porterà in Europa: ringraziamo Dio, e anche [[Massimo D'Alema|D'Alema]], che ci hanno dato Prodi.<ref name=Montanelli>Citato in Francesco Battistini ''[https://web.archive.org/web/20160101000000/http://archiviostorico.corriere.it/1997/dicembre/19/Montanelli_ragazzi_rifate_68_co_0_97121914987.shtml Montanelli: ragazzi, rifate il '68]'', ''Corriere della Sera'', 19 dicembre 1997.</ref> *Dicono che [[Ciriaco De Mita|De Mita]] sia un intellettuale della Magna Grecia. Io però non capisco cosa c'entri la Grecia...<ref>Citato in ''Liberazione'', 22 febbraio 2008.</ref> *{{NDR|Su [[Giulia Maria Crespi]]}} Dispotica guatemalteca.<ref> Citato in Paolo Martini, ''[https://www.adnkronos.com/crespi-la-zarina-del-corriere-della-sera-che-fondo-il-fai_4YA2lu93AIXTzgMw0Wj65x Crespi, la 'zarina' del Corriere della Sera che fondò il Fai]'', adnkronos.com, 19 luglio 2020.</ref> *{{NDR|Su [[Gad Lerner]], nel 2000}} È bravissimo, son contento l'abbian messo al ''Tg1'', è un buon conduttore, buonissimo giornalista. Ma sarà un bravo direttore?<ref>Citato in Antonella Rampino, ''[http://www.archiviolastampa.it/component/option,com_lastampa/task,search/mod,libera/action,viewer/Itemid,3/page,3/articleid,0428_01_2000_0162_0003_4349235/ Il rischio? Una missione impossibile]'', ''La Stampa'', 17 giugno 2000.</ref> *{{NDR|Su [[Concetto Lo Bello]]}} Entra in campo col passo del padrone che ispeziona il proprio podere.<ref>Citato in Marco Innocenti, ''[https://st.ilsole24ore.com/art/SoleOnLine4/dossier/Tempo%20libero%20e%20Cultura/storie-della-storia/archivio-2009/storie-storia-9-settembre-muore-lo-bello.shtml?uuid=4327f496-881f-11de-873c-ca3137183d57&DocRulesView=Libero&refresh_ce=1 9 settembre 1991: se ne va il re degli arbitri, Concetto Lo Bello]'', ''ilsole24ore.com'', 8 settembre 2009.</ref> *{{NDR|Su [[Gaio Giulio Cesare|Giulio Cesare]]}} Grande soldato, grande statista, grande scrittore, grande avventuriero. E grande amatore. C'era di tutto. [...] In questa epoca di Mani Pulite Cesare sarebbe rimasto sicuramente "intangentato". Di tangenti lui ne prese parecchie. Ma a differenza dei mariuoli di oggi era anche un grande legislatore, un grande generale, un uomo di un'efficienza straordinaria. I nostri sono dei ladri. Ladri e basta.<ref>Citato in Mauro Anselmo, ''[http://www.archiviolastampa.it/component/option,com_lastampa/task,search/mod,libera/action,viewer/Itemid,3/page,7/articleid,0797_01_1993_0212_0009_11229316/ Montanelli: così ho finito la mia Storia d'Italia]'', ''La Stampa'', 4 agosto 1993.</ref> *{{NDR|Su [[Clare Boothe Luce]]}} Ha la mentalità schematica di una maestra di scuola.<ref>Citato in Massimo Gaggi, ''Quando il giornale del Pci pensò di pubblicare il nudo dell'ambasciatrice Usa'', ''Corriere della Sera'', 18 dicembre 2022.</ref> *{{NDR|Su [[Lucio Battisti]]}} Ho amato molto le sue canzoni e il suo desiderio di vivere appartato.<ref>Citato in [[Leo Turrini]], ''Lucio Battisti: la vita, le canzoni, il mistero'', Mondadori, 2008, retrocopertina.</ref> *I mariti italiani, per comprar la pelliccia alle mogli, spendono più di tutti i loro colleghi europei. Poveri, ma pelli.<ref name=Controcorrente>Da ''Controcorrente, 1974–1986'', Mondadori, Milano, 1987.</ref> *I nostri uomini politici non fanno che chiederci, a ogni scadenza di legislatura, «un atto di fiducia». Ma qui la fiducia non basta; ci vuole l'atto di fede.<ref name=Controcorrente/> *I [[Ricordo|ricordi]] vanno messi sotto teca, appesi a una parete e guardati. Senza tentare di rinnovarli. Mai.<ref>Da un'intervista di [[Ferruccio de Bortoli]], 1999; in ''[http://www.rai.it/dl/Rai5/programma.html?ContentItem-f04f3982-e954-471e-8242-78f92423550d Indro Montanelli, gli anni della televisione]'', puntata 8, di Nevio Casadio, Rai Premium, 2013.</ref> *Il bello dei [[politologi]] è che, quando rispondono, uno non capisce più cosa gli aveva domandato.<ref name=Controcorrente/> *{{NDR|Su [[Carlo Sforza]]}} Il conte si piega sulle gambe come se volesse saltare in arcione. E io dico: è veramente un bell'uomo.<ref>Citato da Guido Russo Perez nella [https://documenti.camera.it/_dati/leg01/lavori/stenografici/sed0331/sed0331.pdf Seduta pomeridiana del 31 ottobre 1949] della Camera dei deputati.</ref> *Il fascismo privilegiava i somari in divisa. La democrazia privilegia quelli in tuta. In Italia, i regimi politici passano. I somari restano. Trionfanti.<ref name=Controcorrente/> *Il guaio di [[Eugenio Scalfari|Scalfari]] non è che dice quel che pensa. Il guaio di Scalfari è che pensa quel che dice.<ref>Citato in Paolo Granzotto, ''Montanelli'', p. 173.</ref> *In [[Italia]] a fare la dittatura non è tanto il dittatore quanto la paura degli italiani e una certa smania di avere, perché è più comodo, un padrone da servire. Lo diceva [[Benito Mussolini|Mussolini]]: «Come si fa a non diventare padroni di un paese di servitori?».<ref>Dall'intervista di Pasquale Cascella, ''Montanelli: «Il regime? È alle porte, inutile aspettare il dittatore»'', ''l'Unità'', 25 ottobre 1994, p. 5.</ref> *In Italia c'è una frangia d'imbecilli tali che credono si possa resuscitare il comunismo. Seppellire il cadavere del marxismo non è facile, anche perché per molti significa rinnegare l'intera esistenza. Ma certo [[Fausto Bertinotti|Bertinotti]] non è di questi: lui non sa un corno di marxismo, non gl'importa niente, è un piccolo pagliaccio, un populista all'italiana che scalda in piazza maree di poveri diavoli e parla ancora delle masse operaie, che vede solo lui.<ref name=Montanelli></ref> *In Italia non c'è una coscienza civile, non c'è un'identità nazionale che tenga insieme uno Stato federale e garantisca la civile convivenza delle sue parti. Invece io vedo solo nell'Italia Cisalpina qualche barlume di coscienza civile e una vocazione europea. Altrove, invece, è un disastro difficile, se non impossibile, da rimediare. Spero proprio di sbagliarmi.<ref name=Italia>Citato in ''Il grande vecchio del giornalismo rilegge gli ultimi anni della nostra storia'', ''L'Indipendente'', 25 luglio 1995.</ref> *In Italia si può cambiare soltanto la Costituzione. Il resto rimane com'è.<ref>Dall'articolo di Polaczek, ''Teile und sende'', in ''Frankfurter Allgemeine Zeitung'', 15 agosto 1996, p. 29.</ref> *In Italia un colpo di piccone alle [[Casa di tolleranza|case chiuse]] fa crollare l'intero edificio, basato su tre fondamentali puntelli, la Fede cattolica, la Patria e la Famiglia. Perché era nei cosiddetti postriboli che queste tre istituzioni trovavano la più sicura garanzia.<ref>Citato in Daniele Abbiati, [http://www.ilgiornale.it/news/tresse-indro-nella-repubblica-delle-marchette.html ''La maîtresse di Indro nella Prima Repubblica delle marchette''], ''il Giornale.it'', 22 ottobre 2010.</ref> *In nome di quale razza noi faremmo del razzismo? Se c'è un paese (adesso non voglio offendere, perché io sono italiano come tutti gli altri), ma se c'è un paese bastardo è l'Italia, cioè a dire una confluenza di razze diverse.<ref>Dal programma televisivo di Rai 3 ''Eppur si muove'', 20 marzo 1994.</ref> *Io non mi sono mai sognato di contestare alla [[Chiesa (comunità)|Chiesa]] il suo diritto a restare fedele a se stessa, cioè ai comandamenti che le vengono dalla Dottrina... ma che essa pretenda d'imporre questi comandamenti anche a me che non ho la fortuna di essere un credente, cercando di travasarli nella legge civile in modo che diventi obbligatorio anche per noi non credenti, è giusto? A me sembra di no.<ref>Citato in [[Umberto Veronesi]], ''[http://www.repubblica.it/2008/10/sezioni/cronaca/eluana-eutanasia-3/comm-veronesi/comm-veronesi.html Non vince la scienza]'', ''la Repubblica'', 14 novembre 2008.</ref> *Io il giornale urlato non è che non glielo voglio dare, non lo so fare! La clava non è nel mio armamentario! Non lo posso fare e non credo che sia un buon segno di civiltà politica l'uso della clava.<ref name="milano" /> *Io non sono napoletano, ma di fronte a [[Peppino De Filippo|Peppino]], non so come, mi capita sempre di diventarlo.<ref name=Pappagone>Citato in ''Pappagone e non solo'', a cura di Marco Giusti, Mondadori, Milano, 2003.</ref> *{{NDR|Alla nipote Letizia Moizzi}} Io sarò il tuo Jukebox. Tu metti una monetina e io ti racconto un ricordo.<ref>Citato in Elvira Serra, «Scoprii che era importante quando le Br gli spararono. Lo convinsi io a prendere i farmaci per la depressione», ''Corriere della Sera'', 20 gennaio 2025.</ref> *Io non voglio soffrire, io non ho della sofferenza un'idea cristiana. Ci dicono che la sofferenza eleva lo spirito; no la sofferenza è una cosa che fa male e basta, non eleva niente. E quindi io ho paura della sofferenza. Perché nei confronti della morte, io, che in tutto il resto credo di essere un moderato, sono assolutamente radicale. Se noi abbiamo un diritto alla vita, abbiamo anche un diritto alla morte. Sta a noi, deve essere riconosciuto a noi il diritto di scegliere il quando e il come della nostra morte.<ref>Citato in Carlo A. Martigli, ''[http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2002/04/25/sul-diritto-alla-morte-si-discute-su.html Sul diritto alla morte si discute su Internet]'', ''la Repubblica'', 25 aprile 2002.</ref> *Kipling diceva: "un italiano, un bel tipo; due italiani, una discussione; tre italiani, tre partiti politici". I suoi concittadini, invece, li definiva così: "un inglese, un cretino; due inglesi due cretini; tre inglesi, un popolo". Vorrei avere a che fare con dei cretini che, insieme, facessero un popolo.<ref>Citato in Cristina Taglietti, ''[https://web.archive.org/web/20160101000000/http://archiviostorico.corriere.it/1998/dicembre/17/Montanelli_cari_studenti_volete_spaccate_co_0_98121712510.shtml Montanelli: cari studenti, se volete spaccate tutto ma è inutile]'', ''Corriere della Sera'', 17 dicembre 1998.</ref> *{{NDR|Riguardo all'approvazione della legge elettorale nota come mattarellum}} L'unico modello a cui possiamo rifarci è quello francese, non quello inglese. In un paese dove ci sono venti-venticinque partiti, come si fa l'uninominale a turno unico? Qui rischia di vincere un partito che ottiene il dieci percento, perché gli altri hanno ottenuto il sette, il sei. Ma le pare giusto questo? Io non so se è stata una follia o un atto criminale questa riforma elettorale. Io sono per la traduzione in processo dei legislatori, da [[Sergio Mattarella|Mattarella]] agli altri - non è stato il solo - i quali hanno fatto, come al solito, o creduto di fare gli interessi del proprio partito. Hanno fatto questa legge prima che venisse il diluvio universale di [[Mani pulite|Tangentopoli]], convinti che siccome loro erano il partito di maggioranza relativa spazzavano via l'Italia. Poi è venuta tangentopoli e ora piangono. Dovrebbero suicidarsi se avessero un minimo di dignità. Suicidarsi. Perché in nome degli interessi di partito hanno completamente rovinato l'Italia. [...] Questi legislatori che hanno truffato con questa legge - perché questa legge è una truffa - io vorrei sapere come mai non vengono processati. Dovrebbero essere processati per lesa patria.<ref name=conferenza>[https://www.youtube.com/watch?v=snbg12DCPSM Indro Montanelli presenta "La Voce", conferenza stampa integrale], 1994.</ref> *La cosa curiosa di [[Antonino Caponnetto|Caponnetto]] è che si va a schierare con [[Leoluca Orlando|Orlando]] che è stato il peggior denigratore di [[Giovanni Falcone|Falcone]]. E poi dice che fa l'antimafia, io vorrei sapere i voti a Orlando chi glieli ha dati.<ref>Citato in Riccardo Chiaberge ''[https://web.archive.org/web/20160101000000/http://archiviostorico.corriere.it/1994/marzo/21/Montanelli_voce_controcorrente_co_0_94032115801.shtml Montanelli la voce controcorrente]'', ''Corriere della Sera'', 21 marzo 1994.</ref> *La [[cultura]], per un giornalista, è come una puttana: la puoi frequentare ma non devi ostentarla. La cultura si tiene nel cassetto. Il lettore non va trattato dall'alto in basso, ma preso per mano come un amico e portato dove vuoi.<ref>Citato in [[Roberto Gervaso]], ''Ve li racconto io'', Mondadori, Milano, 2006, p. 294, ISBN 88-04-54931-9.</ref> *La cultura si è chiusa nella torre eburnea. Rimane lì, arroccata in sé stessa, perché ha orrore dei contatti col pubblico, si crede diminuita dai contatti col pubblico. Questa è la cultura italiana. È una cultura di cretini.<ref name="montecarlo">Radio Montecarlo, [https://www.youtube.com/watch?v=A77mrwIjSSs Intervista a Indro Montanelli], di Roberto Arnaldi, 1973.</ref> *La [[depressione]] è una malattia democratica: colpisce tutti.<ref>Citato nel programma televisivo ''Ippocrate'', Rai News, 13 giugno 2010.</ref> *La devolution mi preoccupa molto, perché la decomposizione della [[Repubblica Socialista Federale di Jugoslavia|Jugoslavia]] cominciò esattamente così: reclamata e imposta dai due grandi compari Tudjiman e [[Slobodan Milošević|Milosevic]] che distrussero l'unità del Paese per restare padroni in casa propria...<ref>Citato in Gian Guido Vecchi, ''[https://web.archive.org/web/20160101000000/http://archiviostorico.corriere.it/2001/aprile/08/Devolution_traffico_voto_rebus_co_7_0104088547.shtml Devolution e traffico, il voto è un rebus]'', ''Corriere della Sera'', 8 aprile 2001.</ref> *La guerra contro il [[brigantaggio]], insorto contro lo Stato unitario, costò piú morti di tutti quelli del [[Risorgimento]]. Abbiamo sempre vissuto dei falsi: il falso del Risorgimento che assomiglia ben poco a quello che ci fanno studiare a scuola.<ref>Citato in Stefano Preite, ''Il Risorgimento, ovvero, Un passato che pesa sul presente'', Piero Lacaita, 2009.</ref> *La lettura del ''[[Adolf Hitler#Mein Kampf|Mein Kampf]]'' io la renderei, per legge, obbligatoria. Fuori dal contesto in cui fu concepito e scritto, quel libro è un caciucco di coglionerie.<ref>Citato in Cesare Medail, ''Il «Mein Kampf» torna nelle librerie italiane. Grazie a un editore cossuttiano'', ''Corriere della Sera'', 6 maggio 2000.</ref> *La nostra classe politica ha fatto del [[partito]] una specie di totem intoccabile e gli ha attribuito tutti i poteri, con in più un diritto: il diritto di abusarne.<ref name=Dovere>Dal programma televisivo ''Dovere di cronaca'', Rete 4, 1988, [https://www.youtube.com/watch?v=caQgyvTKZS8 visibile su YouTube].</ref> *Le cose non sono importanti per quello che sono, ma per quello che uno ci mette.<ref name="cento">intervista di Enzo Biagi a Indro Montanelli, (1982), da "Cento anni", Fabbri video, 1993.</ref> *Le mie idee sono sempre al vaglio dell'[[esperienza]] e l'esperienza mi impone di rivederle continuamente.<ref name="IIIB">Da un'intervista del 1971, tratta da ''III B, Facciamo l'appello'' di Enzo Biagi; anche in ''[http://www.rai.it/dl/Rai5/programma.html?ContentItem-f04f3982-e954-471e-8242-78f92423550d Indro Montanelli, gli anni della televisione]'', puntata 7, di Nevio Casadio, Rai Premium, 2013.</ref> *[[Leo Longanesi]] che amava [[Marcello Marchesi]] rabbiosamente per lo spreco che faceva del suo talento, quando lo incontrava, gli diceva: "Devo fare una telefonata, mi dai un gettone di intelligenza?". E un giorno mi ordinò un epitaffio per lui. Eccolo: "Qui giace un nessuno — che se avesse voluto — avrebbe potuto diventare — Marcello Marchesi —. Purtroppo o per fortuna — non lo seppe mai —. Come tutti i geni — era un cretino".<ref>Citato in Paola Fallai, ''Marchesi, l'umorista che creò un'atmosfera'', ''La lettura'', ''Corriere della Sera'', 25 marzo 2012; riportato in ''[http://www.cinquantamila.it/storyTellerArticolo.php?storyId=0000001549183 Cinquantamila.it]''.</ref> *Mi accusano molto spesso di avere inventato degli aneddoti. È verissimo. Io ogni tanto invento quando devo descrivere un personaggio, specialmente negli incontri, io invento qualche aneddoto. Però sono sempre aneddoti funzionali, che servono a dimostrare quel certo carattere che mi sembra vero e di dover dimostrare.<ref name="IIIB" /> *Mi avvio verso il mio capolinea con l'angoscia di portare con me le cose che ho più amato: il mio paese e il mio mestiere, temo che non mi sopravviveranno.<ref>Da un'intervista del 1996, tratta da ''Tablet Italiani'', puntata 2, "Montanelli/Bocca", Rai Storia, 25 agosto 2013.</ref> *{{NDR|Su [[Vittorio Mangili]], in riferimento all'[[rivoluzione ungherese del 1956|insurrezione antisovietica in Ungheria nel 1956]]}} Ne ha combinate di tutti i colori. Ha fatto perfino il portaordini dei patrioti, a bordo di una delle loro automobili di collegamento.<ref>Citato in Roberta Scorranese, ''[https://www.corriere.it/cronache/22_ottobre_09/vittorio-mangili-cento-anni-dell-inviato-rai-io-budapest-madre-teresa-1efd76ca-473a-11ed-8ee2-07ab17a2d97d.shtml Vittorio Mangili, i cento anni dell’inviato Rai «Io, da Budapest a Madre Teresa»]'', ''corriere.it'', 8 ottobre 2022.</ref> *Nei grandi [[giornale|giornali]] di oggi, che non possono farne a meno, chi comanda non è più nemmeno il [[direttore]]: è l'ufficio [[marketing]].<ref name="giornalista">Da: ''Repertorio della Fondazione Montanelli'', in ''Indro Montanelli - Gli anni della televisione 4: Io sono soltanto un giornalista'', a cura di Nevio Casadio, Rai Sat, 2009</ref> *{{NDR|Rivolto a [[Silvio Berlusconi|Berlusconi]] che voleva imporsi sulla linea editoriale de ''il Giornale''}} Nell'arte dell'imprenditoria, tu sei di certo un genio, ed io un coglione. Ma nell'arte della polemica il genio sono io, e tu il coglione.<ref name=Travaglio2004>Citato in Marco Travaglio, ''Montanelli e il Cavaliere'', Garzanti, Milano, 2004.</ref> *Nessuno di noi la strada della ribellione la batté sino in fondo, come voleva [[Berto Ricci|Ricci]]: per la semplice ragione che si trattava di una strada che fondi non ne aveva. Qualcuno poi scantonò in questo o in quello dei sette o otto partiti che aprirono le porte a questa generazione perduta. E forse si illuse di aver trovato un’altra bandiera. Io sono tra i rassegnati: so benissimo che di bandiere non posso averne altre e che l'unica che seguiterà a sventolare sulla mia vita è quella che disertai, prima che cadesse.<ref>Citato in Mario Bernardi Guardi, ''La giovinezza di Montanelli ebbe un nome: Berto Ricci'', ''Il Primato Nazionale'', 3 maggio 2016.</ref> *No, [[Marco Travaglio|Travaglio]] non uccide nessuno. Col coltello. Usa un'arma molto più raffinata e non perseguibile penalmente: l'archivio.<ref name=Travaglio2004/> *Noi italiani non crediamo in nulla e tanto meno nelle virtù che qualcuno ci attribuisce. Ma tra di esse ce n'è una nella quale riponiamo una fede incorruttibile: quella della nostra capacità di corrompere tutto.<ref>Citato in Mario Cervi, ''Ti ricordi Indro?'', Società europea di edizioni, Milano, 2017, p. 57. ISBN 9778118178454</ref> *Noi qui buttiamo tutte le colpe addosso agli altri. Ma bisogna fare i conti anche col popolo italiano. Siamo noi che li abbiamo eletti questi signori. Sono mica piovuti dalla luna. E allora non accaniamoci soltanto sulla classe politica. Noi siamo un elettorato disposto a ogni sorta di transazione, quando ci fa comodo.<ref name=conferenza /> *Non credo alle feste comandate. La memoria dovrebbe essere spontanea. L'unica cosa che si dovrebbe fare è raccontare veramente e in maniera spassionata ai giovani, che non lo sanno, cosa è stata la Shoah, senza fare mobilitazioni di folle.<ref>Citato in Marco Cremonesi, ''[https://web.archive.org/web/20160101000000/http://archiviostorico.corriere.it/2001/gennaio/28/Diecimila_piazza_con_nomi_dei_co_0_0101282160.shtml Diecimila in piazza con i nomi dei lager]'', ''Corriere della Sera'', 28 gennaio 2001, p. 31.</ref> *Non do più nessun significato a queste due parole {{NDR|destra e sinistra}}, le ritengo un cascame, un residuato di situazioni oramai defunte. [[Destra e sinistra]] non hanno più nessun significato e credo che noi ci stiamo attardando su una terminologia arcaica, oramai da seppellire.<ref>Radio Radicale, [https://www.radioradicale.it/scheda/598/599-elezioni Elezioni], 38:58-39:26, 25 maggio 1979.</ref> *Non mi si portino i soliti argomenti astratti, tipo la sacralità della vita: nessuno contesta il diritto di ognuno a disporre della sua vita, non vedo perché gli si debba contestare il diritto a scegliere la propria morte.<ref>Citato in Enrico Bonerandi, ''[http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2000/12/13/montanelli-pronto-morire.html Montanelli: pronto a morire]'', '' la Repubblica'', 13 dicembre 2000, p. 36.</ref> *{{NDR|Il Polo delle Libertà}} Non venga a farci credere che è costretto all'[[Aventino (espressione)|Aventino]] dal clima di violenza creato dall'Ulivo. Dove diavolo la vede questa violenza? Mi basta guardare la faccia di [[Romano Prodi|Prodi]] 1996 per metterla a confronto con quella di Mussolini 1924 per escludere che in Italia corriamo il pericolo di una dittatura. Per fare una dittatura ci vuole un dittatore.<ref>Citato in Alessandro Longo, ''[https://rep.repubblica.it/pwa/generale/2018/03/17/news/aventino-191559602/?ref=pwa-rep-hp-2-1-1 Perché si dice Aventino]'', ''Rep.repubblica.it'', 17 marzo 2018.</ref> *{{ndr|su [[Gianni Agnelli]]}} Parla con la propria bocca, pensa con il cervello di Valletta, col cuore di Giulio De Benedetti e con gli interessi polivalenti della Fiat.<ref>Citato in Paolo Granzotto, ''Montanelli'', p. 129.</ref> *{{ndr|su [[Mariano Rumor]]}} Personaggio da commedia [[Carlo Goldoni|goldoniana]] più che da tragedia contemporanea.<ref>Citato in Paolo Granzotto, ''Montanelli'', p. 145.</ref> *Posso solo dire che l'Italia del Cattaneo è quella che conserva qualche probabilità di salvarsi da questo degrado politico, culturale, morale, economico. E l'Italia del Cattaneo è quella Cisalpina. A nord del Po, e forse anche in Emilia, esistono tracce di coscienza civile e anche di classi dirigenti sane. Poi c'è un'Italia centrale, quella toscana e umbra e marchigiana, che conserva le sue peculiarità, i suoi caratteri spiccati che affondano le radici nell'Italia comunale e rinascimentale. Il resto è un disastro che non saprei come salvare. Del resto Cattaneo ci tentò, andò a Napoli e resistette qualche giorno. Poi si arrese e se ne tornò nella sua Lugano, nella sua Svizzera.<ref name=Italia>Citato in ''Il grande vecchio del giornalismo rilegge gli ultimi anni della nostra storia'', ''L'Indipendente'', 25 luglio 1995.</ref> *Pur ricordandovi che la nostra regola è quella di non tener conto delle intemperanze altrui, specie dei politici, e di dire sempre la verità, tutta la verità, senza partito preso né animosità verso nessuno, vi autorizzo a comunicare al [[Bobo Craxi|suddetto signore]], se ve ne capita l'occasione, che l'unica «testa» in pericolo di cadere dopo il 5 aprile non è la vostra ma, casomai, la sua. E potete aggiungere, da parte mia, che non la considererei una gran perdita.<ref>Citato in [[Federico Orlando]], ''Il sabato andavamo ad Arcore'', Larus, Bergamo, 1995.</ref> *[[Sandro Pertini|Pertini]] ha interpretato al meglio il peggio degli italiani.<ref>Citato in Franco Fontanini, ''Piccola antologia del pensiero breve'', Liguori Editore, Napoli, 2007, p. 12.</ref> *Quando mi viene in mente un bell'aforisma, lo metto in conto a [[Montesquieu]], od a [[François de La Rochefoucauld|La Rochefoucauld]]. Non si sono mai lamentati.<ref>Citato in Luigi Mascheroni, ''[http://www.ilgiornale.it/news/mai-dette-ripetiamo-sempre-ecco-frasi-fantasma-storia.html Mai dette, ma le ripetiamo sempre. Ecco le frasi fantasma della storia]'', ''il Giornale'', 21 marzo 2009, p. 22.</ref> *Quello che ci ripugna è che, per mettere un controllo all'autorità politica, ci sia bisogno di ricorrere all'autorità giudiziaria. Cioè che, alla fine, noi avremo le riforme istituzionali non per via politica, ma per via giudiziaria e processuale. Questo ci allarma anche perché, come avrete ben capito, la mia opinione dei politici è molto bassa, ma quella dei giudici non è migliore. Perché anche i giudici sono stati corrotti dalla partitocrazia. Lo dimostra il semplice fatto che molti di loro ostentano la tessera di partito. Un giudice che ha venduto la propria imparzialità ai partiti è un giudice che, prima di processare gli altri, dovrebbe essere processato lui e cacciato in galera. Lo so che a dire queste cose si possono avere dei dispiaceri, ma io di dispiaceri in vita mia ne ho avuti tanti che, uno più o uno meno, non mi fa nessunissimo effetto.<ref name=Dovere/> *{{NDR|[[Carmen Lasorella]]}} Richiama tanta attenzione non solo per la sua bravura ma anche per quel che possiede dal cervello in giù.<ref>Citato in Luigi Mascheroni, ''[https://books.google.it/books?id=gtg7AQAAIAAJ&q=%22Richiama+tanta+attenzione+non+solo+per+la+sua+bravura+ma+anche+per+quel+che+possiede+dal+cervello+in+gi%C3%B9+%22&dq=%22Richiama+tanta+attenzione+non+solo+per+la+sua+bravura+ma+anche+per+quel+che+possiede+dal+cervello+in+gi%C3%B9+%22&hl=it&newbks=1&newbks_redir=0&sa=X&ved=2ahUKEwiC2PXRl5WDAxVs4AIHHazPCd4Q6AF6BAgHEAI Sette, settimanale del Corriere della sera, Edizioni 1-9]'', 1996.</ref> *Sfido io che {{NDR|''il Giornale''}} non va bene come vendite. Non va bene come vendite perché noi siamo ancora alla macchina Olivetti. Qui non è stato fatto mai nessun investimento ed è stato detto chiaro che gli investimenti non sarebbero venuti finché io ne fossi il direttore. Questa è la situazione.<ref name="milano" /> *Siamo un paese cattolico, che nella [[Provvidenza]] ci crede o almeno ne è affascinato. Il pericolo è questo: gli [[italia]]ni sentendo aria di provvidenza sono sempre pronti a mettersi in fila speranzosi.<ref name=Provvidenza>Citato in ''[http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/1994/02/24/rivogliono-uomo-della-provvidenza.html?ref=search Rivogliono l'uomo della provvidenza]'', ''la Repubblica'', 24 febbraio 1994, p. 11.</ref> *Se avessi potuto immaginare come sarebbe stata distrutta la vecchia classe politica italiana - che meritava la distruzione, sia chiaro - se avessi potuto immaginare che la distruzione della vecchia classe politica italiana, in gran parte marcia, avrebbe dischiuso una situazione come quella attuale e che la vecchia legge proporzionale sarebbe stata sostituita dall'attuale legge maggioritaria così come è stata compilata, io avrei forse difeso la vecchia classe. Per lo meno non mi sarei battuto con tanta asprezza e con tanto vigore contro quella classe politica, che meritava di finire, ma a cui si stanno dando dei successori che, ricordatevelo bene, ci faranno rimpiangere quella vecchia. È il peggio che si può dire. Ma io lo dico. Perché non riesco proprio a vedere cosa sta venendo fuori da questo rimescolio di carte.<ref name=conferenza /> *{{NDR|«Se dovesse fondare un giornale a novant'anni, che giornale farebbe?»}} Se io dovessi oggi fare un giornale, farei un ''Foglio'' un po' più grande: invece che di 4 facciate di 10 o di 12. Non di più. Con una redazione ridottissima e facendo un preventivo che mi mettesse al riparo dalle delusioni. Mirerei ad avere non più di venti/trentamila lettori e non avere pubblicità. Su queste basi, forse, riuscirei a fare un [[giornale]] di alto prestigio, ma purtroppo destinato a una élite.<ref name="giornalista" /> *Sta arrivando l'uomo della provvidenza. E io, in vita mia, di questi personaggi ne ho già conosciuto uno. Mi è bastato. Per sempre.<ref name=Provvidenza></ref> *Una cultura che perde i contatti col pubblico si sterilisce e muore. Questa è la verità. E la nostra cultura è assolutamente sterile. Noi culturalmente non contiamo più nulla nel mondo. Perché? Perché è chiusa in sé stessa, la cultura, ha perso i contatti col pubblico, con la vita. Non c'è più. Sono mummie. Non è più cultura: è mafia.<ref name="montecarlo" /> *{{NDR|Su [[Aldo Moro]]}} Un generale che, sfiduciato del proprio esercito, credeva che l'unico modo di combattere il nemico fosse quello di abbracciarlo.<ref>Citato in [[Roberto Gervaso]], ''Ve li racconto io'', Mondadori, Milano, 2006, p. 310, ISBN 88-04-54931-9.</ref> *Un giorno fui convocato a Palazzo Venezia, era il 1932 e avevo 23 anni, perché il duce voleva vedermi. Ero emozionatissimo, entrai e mi misi sull'attenti, e il duce che faceva finta di scrivere mi lasciò lì per un quarto d'ora e alla fine mi disse: "Ho letto il vostro articolo sul razzismo (avevo scritto un articolo contro il razzismo). Bravo, vi elogio. Il razzismo è roba da biondi (non si era accorto che ero biondo), continuate così. Sei anni dopo fece le leggi razziali. Perché questo era [[Benito Mussolini|Mussolini]], diceva una cosa e ne faceva un'altra, secondo il vento del momento. Non creava il vento, vi si accodava da buon italiano.<ref>Citato in Gianna Fregonara, ''[https://web.archive.org/web/20160101000000/http://archiviostorico.corriere.it/2010/gennaio/24/Dal_balcone_Mussolini_bianco_sorriso_co_9_100124324.shtml Dal balcone di Mussolini al bianco sorriso di Belen]'', 24 gennaio 2010, p. 34.</ref> *{{NDR|Su [[Giorgio La Pira]]}} Un pasticcione ben intenzionato che, nel nome del Signore, appoggia le peggiori cause appellandosi ai migliori sentimenti.<ref>Citato in [[Roberto Gervaso]], ''Ve li racconto io'', Mondadori, Milano, 2006, p. 236, ISBN 88-04-54931-9.</ref> ===Citazioni tratte da suoi libri=== *{{NDR|Sul funerale di [[Leo Longanesi]]}} Al cimitero ci si ritrovò in una decina di persone, non di più. Non ci furono cerimonie né discorsi. Solo la piccola Virginia, che avrà avuto quattordici anni, mentre la bara di suo padre calava nella tomba, mormorò: «E dire che gli orfani mi sono sempre stati così antipatici...» Una frase che sarebbe piaciuta moltissimo a Leo.<ref>Dalla presentazione a [[Leo Longanesi]], ''In piedi e seduti'', Longanesi & C., Milano, 1968.</ref> ====''Caro Indro...''==== *L'aureola di martire a Craxi nessuno è disposto a riconoscergliela, proprio perché inconciliabile con l'arroganza con cui si comporta. Nessun paragone col contegno di Andreotti, davvero ineccepibile. Sul banco degli imputati ci sta da imputato, dimentico di essere stato per ben sette volte capo del governo. Parla solo se interrogato, e a bassa voce. Non rinuncia alla propria dignità, ma non la ostenta. Eppoi, le colpe che gli si addebitano saranno anche più gravi di quelle che si addebitano a Craxi, ma meno spregevoli. Potrà anche aver baciato Riina (sebbene a me questo appaia poco credibile). Ma del pubblico denaro non risulta che gli sia scivolata in tasca nemmeno una lira. Forse merita la fucilazione. Lo spregio, no. (31.1.1996) (p. 9) *Non ho mai conosciuto [[Yasser Arafat|Arafat]], né mai ho cercato di conoscerlo: non mi pare che il suo aspetto inviti alla simpatia. Però non l'ho mai considerato un criminale anche se si trovava alla testa di un'[[Organizzazione per la Liberazione della Palestina|organizzazione]] in cui di criminali ce ne sono molti. E oggi non lo considero affatto un eroe, ma un uomo coraggioso sì, perché lo ritengo in costante pericolo di vita. La lotta per il potere, dentro l'Olp, è a coltello: e i nemici di Arafat sono quelli che il coltello lo maneggiano meglio di tutti. Stringendo la mano a [[Yitzhak Rabin|Rabin]], Arafat ha moltiplicato i suoi nemici e li ha resi ancora più rabbiosi. È un uomo a rischio, non c'è dubbio. E se muore lui, addio pace in Medio Oriente. (4.10.1993) (p. 11) *Certo che il passato dell'Olp, carico di bombe e di sangue, non è la migliore referenza per un Nobel, ma Arafat è però anche l'unico interlocutore palestinese: dopo di lui c'è il nulla, o meglio soltanto gruppi di fanatici votati alla violenza e alla distruzione di [[Israele]]. Una volta presa la decisione di premiare i protagonisti del tormentato processo di pace in Medioriente [...] si è dovuto fare di necessità virtù e dare il riconoscimento anche all'uomo che per molti anni è stato un simbolo del terrorismo, nonché l'ispiratore di tante altre «lotte armate»: premiare solo Rabin e [[Shimon Peres|Peres]] sarebbe stato uno schiaffo ai palestinesi, un'iniziativa controproducente. [...] Forse più che il Nobel per la pace meriterebbe quello per il ravvedimento... (30.10.1994) (p. 12) *«Libera Chiesa in libero Stato» è una formula più d'effetto che di sostanza. Potrebbe anche significare che Chiesa e Stato si ignorano a vicenda e ognuno dei due si attribuisce i poteri che più gli aggradono: che è il modo più sicuro per litigare, non certo per convivere. Fra i due ci deve essere un patto improntato al reciproco rispetto: condizione più facile da formulare che da realizzare. Ma sembra che lo sviluppo di questo rapporto negli ultimi anni abbia fatto più passi indietro che avanti. E mi pare che dello stesso parere sia il capo dello Stato, Carlo Azeglio Ciampi. Meno male (7.3.2001) (p. 30) *Ho fiducia in [[Massimo D'Alema|D'alema]], anche se non voterò mai per lui. Ho fiducia per due motivi. Prima di tutto perché, fra i leader di oggi, è l'unico vero professionista della politica. Eppoi perché non ho dubbi sulla sua intenzione di fare del Pds un partito socialdemocratico o laburista. Se non fosse così, non solo Prodi ma nemmeno Veltroni sarebbero al suo fianco. E appunto perché è così, sono convinto che consumerà fino in fondo il divorzio da Rifondazione. Lo consumerà cercando di non farsene portar via molti elettori. Ma lo consumerà per conquistare i moderati: altra strada non può battere. E proprio in questi giorni lo ha dimostrato sacrificando anche quella piccola falce e martello che tuttora sopravviveva nel simbolo del suo partito ai piedi della Quercia. Non era che un «segno», dirà qualcuno. Sì, ma che segno! (17.5.1995) (p. 42) *Anch'io sono stato in passato un fautore dell'elezione diretta, cioè per consultazione popolare, del Capo dello Stato. Mi pareva il mezzo più efficace per sottrarre almeno il Quirinale agl'intrallazzi dei partiti e per avere un garante al di sopra di essi. Ma poi ho dovuto cambiare idea di fronte alle prove di balordaggine, d'ignoranza, di totale mancanza di consapevolezza morale e civile dell'elettorato italiano, o almeno della sua maggioranza. È un elettorato sempre pronto a correre dietro a qualche ciarlatano che sappia vendere bene la sua merce e a lasciarsene trascinare nelle imprese più insensate. Insomma considero la stupidità più pericolosa degl'intrallazzi. (23.12.1998) (p. 47) *Non credo che [[Diana Spencer|Diana]] rimarrà nella memoria dei posteri. Era una bella e simpatica ragazza, che avrebbe anche potuto essere una buona moglie e una buona madre, ma che non aveva certamente la stoffa e le dimensioni umane, comportamentali di una regina. Più e meglio che sul trono, il suo personaggio avrebbe figurato in un romanzo di Liala. Non riesco ad accostarla a figure storiche (17.9.1997) (p. 72) *Mussolini non aveva la stoffa del criminale né di guerra né di pace. Dicendolo, so di espormi alle contumelie della cosiddetta intellighenzia. Ma ne ho già ricevute tante che non mi fanno più nessun effetto. Tuttavia mi rendo conto che alla condanna a morte non avrebbe potuto sfuggire perché almeno un responsabile delle catastrofi che si erano abbattute sull'Italia si doveva pur trovare, e non poteva essere che lui. Però c'è da ringraziare Dio, e per esso, il Comitato di liberazione nazionale che ne ordinò (o avallò) la fucilazione sul posto perché un processo a Mussolini avrebbe ancora più spaccato un Paese già spaccato dalla guerra civile (per chiamare col suo vero nome, la Resistenza). E credo che anche gli Alleati trassero un respiro di sollievo dal venirne esentati. Un processo avrebbe messo in imbarazzo anche loro per le indulgenze che avevano avuto verso di lui e quella parodia di totalitarismo ch'era stata il suo regime. Una Norimberga italiana sarebbe stata anch'essa una parodia. La fucilazione sul posto di Mussolini era un atto dovuto. Quello che non era dovuto, e che per gl'italiani provvisti di qualche senso dell'onore e della decenza rimarrà una indelebile vergogna, fu la scena di piazzale Loreto (30.6.1999) (pp. 89-90) *{{NDR|«Poni che ti regalino una telecamera, con il diritto di spiare per un mese, non visto, un potente della Terra, a tua scelta, dalla regina Elisabetta a Gheddafi, da Saddam a Clinton. Quale personaggio ti incuriosirebbe di più?»}} [[Vladimir Putin|Putin]]. Credo che sia una canaglia perché solo le canaglie potevano arruolarsi e fare carriera in un corpo di polizia come il Kgb. Ma è proprio di una canaglia che la [[Russia]] ha bisogno per ricompattarsi all'interno, risollevarsi dal caos in cui l'ha precipitata il crollo di un regime totalitario durato settant'anni, e riprendere nel gioco delle potenze mondiali il posto che spetta a un Paese di 250 milioni di abitanti, di grandi tradizioni e d'inesauribili risorse naturali. L'Occidente ha bisogno della Russia: è il suo antemurale verso un Oriente che può riservarci amare sorprese. [...] Non facciamoci illusioni sull'avvenire di una democrazia in Russia. Essa ha bisogno [...] di una mano forte e spregiudicata, di una canaglia insomma. [...] Ecco perché mi piacerebbe conoscere Putin: per vedere se è la canaglia di cui mi pare abbia bisogno la Russia in questo momento: un «momento» destinato a durare parecchi decenni. (18.10.2000) (pp. 104-105) ===Attribuite=== *Berlusconi non delude mai: quando ti aspetti che dica una scempiaggine, la dice.<ref name=Travaglio2004/> :In ''Io e il cavaliere qualche anno fa'', ''Corriere della Sera'', 25 marzo 2001, p. 1, Montanelli attribuisce la citazione a «un'alta personalità della Finanza, nota anche per il suo infallibile fiuto degli uomini». La frase esatta è: «Avrà anche i suoi difetti, ma un merito bisogna riconoscerglielo: quello di non deludere mai. Quando ti aspetti che dica una scempiaggine, la dice». ==Interviste== {{cronologico}} *{{NDR|La guerra coloniale etiopica}} Considerandola oggi, con la mia maturità d'oggi, {{NDR|è}} un'avventura di una stupidità senza fine. Ma immaginiamo un ragazzo di 24 anni messo al comando di una banda indigena, con 100 uomini neri – lui solo bianco – buttato all'avventura in quella guerra che di combattimenti ne ebbe molto pochi – non voglio passare per un gran guerriero, affatto – ma furono un anno e mezzo a cavallo, di cavalcate in questa natura selvaggia (ripeto, combattimenti ben pochi). {{NDR|«Dicono anche che lei aveva una moglie, diciamo indigena, molto bella, che era la più bella di tutte quelle che avevano gli ufficiali d'allora»}} Sì. {{NDR|«Era molto invidiato per questo»}} Pare che avessi scelto bene, era una bellissima ragazza bilena, di 12 anni – {{NDR|sorridendo}} scusatemi, ma in Africa è un'altra cosa – e così l'avevo sposata, nel senso che l'avevo regolarmente comprata dal padre che mi ha accompagnato insieme alle mogli dei miei ascari. Queste mogli degli ascari non è che seguissero la banda, ma ogni 15 giorni raggiungevano la banda: io non ho mai capito come facessero a trovarci in questo infinito dell'Abissinia. Quelle arrivavano e arrivava anche questa mia moglie con la cesta in testa, che mi portava la biancheria pulita. [...] {{NDR|Domanda del pubblico: «Lei ha detto tranquillamente di avere avuto una sposa, diciamo, di 12 anni e a 25 anni lei non si è peritato affatto di violentare una ragazza di 12 anni, dicendo "Ma in Africa queste cose si fanno". Io vorrei chiedere a lui come intende normalmente i suoi rapporti con le donne date queste due affermazioni»}} No signorina guardi, sulla violenza, nessuna violenza perché le ragazze in Abissinia si sposano a 12 anni. Non è questione, Quindi. {{NDR|Domanda del pubblico: «Su un piano di consapevolezza dell'uomo, insomma, il rapporto con una bambina di 12 anni è il rapporto con una bambina di 12 anni. Se lo facesse in Europa rischierebbe di violentare una bambina, vero?»}} Sì, in Europa sì, ma lì no. {{NDR|«Ecco, appunto»}} Lì no. {{NDR|«Quale differenza crede che esista dal punto di vista biologico, o anche psicologico?»}} No, guardi, {{NDR|«Dal punto di vista del costume»}} lì si sposano a 12 anni, non è questione. A 12 anni si sposano. {{NDR|«Ma non è il matrimonio che lei intende, a 12 anni in Africa. Guardi, io ho vissuto in Africa»}} Sì. {{NDR|«Quindi il vostro era veramente il rapporto violento del colonialista che veniva lì e si impossessava della ragazza di 12 anni»}} No... {{NDR|«Ma glielo garantisco, senza assolutamente tener conto di questo tipo di rapporto sul piano umano. Eravate i vincitori, cioè i militari che hanno fatto le stesse cose ovunque sono stati i vincitori, ovunque gli uomini si sono presentati come dei militari. La Storia è piena di queste situazioni»}} {{NDR|sorridendo}} Signorina, non so se lei vuole istruirmi un processo «a posteriori». {{NDR|«No, no, affatto. Guardi, ho soltanto voluto chiederle, per inciso, come lei intende – dopo le due interpretazioni – i rapporti con le donne»}} Dipende da cosa si mette dentro, dipende anche da cosa le donne mettono dentro di noi. È tutto un giuoco di specchi. {{NDR|«Ma lei vede sempre la donna in questa veste passiva di adulatrice, oppure di compagna – che appare e scompare – dell'uomo, non l'ha mai vista in una funzione diretta, attiva e diversa. Questo è un po' il dramma degli uomini della sua generazione»}} {{NDR|sorridendo}} Può darsi. Della mia generazione? Solo? {{NDR|«Credo»}} {{NDR|sorridendo}} Vabbè. Può darsi. (Da ''L'ora della verità'', 22 ottobre 1969) *{{NDR|Domanda del pubblico: «Io vorrei sapere perché lei, che si ritiene un osservatore, non ha mai affrontato il discorso sulla contestazione giovanile, tenendo anche presente il fatto che lei cerca il lettore. Lei ai giovani non dice assolutamente niente come giornalista»}} Come? {{NDR|«Se c'è un pubblico che lei sta perdendo, e forse non ha mai avuto, è proprio quello dei giovani. Vorrei sapere come mai lei non ha mai affrontato il discorso sulla contestazione, sulla realtà giovanile che è esplosa in questi ultimi anni»}} Signorina, io avrei tanto volentieri affrontato il discorso sulla contestazione se fosse possibile agganciare il discorso coi contestatori. Ma coi contestatori io non faccio il [[Alberto Moravia|Moravia]]. No. Non vado a farmi spernacchiare dai giovani, mi dispiace tanto. Né dai giovani, né da nessun altro. {{NDR|«Lei ha paura, scusi, di affrontare un discorso»}} No, io non ho paura, ma non ammetto di essere accolto a quel modo. È proprio un fatto, così, di dignità. {{NDR|«E allora, scusi, lei a questo punto rinuncia a un pubblico come può essere quello dei giovani semplicemente, così, per non avere degli spernacchiamenti, per non compromettere – diciamo – questo suo successo a cui è arrivato»}} Ma scusi, ma che dialogo sono le pernacchie? Me lo vuole spiegare? (ibidem) *Certamente [[Benito Mussolini|Mussolini]] fu un grossissimo politico, un uomo politico di grandissimo fiuto, di tempismo formidabile: lo dimostrò la facilità con cui vinse. Forse dovuta per metà alle sue capacità, alla sua bravura – parlo sempre come politico – e per metà all'insipienza, alla nullaggine dei suoi avversari, perché è tempo oramai di dire anche questo. Non c'è dubbio che il potere assoluto guastò completamente Mussolini: il Mussolini del 1930 non era certamente quello del 1940, il Mussolini di dieci anni dopo l'avvento al potere era diventato una specie di marionetta, la caricatura di sé stesso. Aveva perso proprio il senso della realtà, che era stato invece il suo forte da principio, il contatto col pubblico lo aveva perso, il senso della misura, e lo aveva dimostrato poi con gli errori madornali che ha fatto. Nei primi dieci anni credo che alcune cose buone le abbia fatte. Non credo che abbia ucciso la democrazia, credo che l'abbia soltanto seppellita perché era già morta. Da quel poco che ricordo l'Italia era un grosso carnevale, e anche abbastanza drammatico, perché la situazione interna era addirittura sfasciata: correva sangue, ne correva molto, noi in Toscana ne sapevamo qualcosa [...]. E quindi non è vero che lui... le democrazie non vengono mai uccise, le democrazie muoiono. Dopodiché si dà la colpa a chi le seppellisce, ma la verità è che si suicidano, e credo che la democrazia italiana del '21-22 si sia suicidata. [...] Mussolini capì una cosa fondamentale: che per piacere agli italiani bisognava dare a ciascuno di essi una piccola fetta di potere col diritto di abusarne. Questo era il fascismo. Il fascismo aveva creato una [[gerarchia]] talmente articolata e complessa che ognuno aveva dei galloni: il capofabbricato, il caposettore... tutti avevano una piccola fetta di potere, di cui naturalmente ognuno abusava, come è nel carattere degli italiani. (da ''Questo secolo'', 18 maggio 1982) *Ero all'estero, lavoravo nel giornalismo americano, alla ''United Press''. Chiesi alla mia agenzia di mandarmi come corrispondente in Abissinia. Giustamente mi dissero: «No, perché lei è un italiano, quindi logicamente non fa delle corrispondenze obiettive». Dico: «Avete ragione. Allora io vi lascio e vado volontario». Feci la mia brava domanda (la feci anche raccomandare). La domanda fu accolta, io fui mandato in Abissinia e, cosa un po' strana [...], a questo ragazzo di 23 anni [...] venne affidata una banda. [...] In quei due anni io contribuii a fare una cosa sbagliata, un'autentica fregnaccia qual era costruire un impero nel '35, quando coloro che lo avevano lo stavano già liquidando perché erano cose antistoriche. Ma io a 23 anni, a 24 anni, non potevo capire questo. Ebbi due anni di vita all'aria aperta, bella, di avventura, in cui credetti di essere un personaggio di Kipling, di contribuire a fare qualcosa di importante. Poi mi accorsi che non era vero, ma le cose non sono importanti per quello che sono, ma per quello che uno ci mette. E io in quel momento ci mettevo un grande entusiasmo: ebbi due anni di vita bellissima, a cavallo, con le tende, i miei uomini, libero, solo (perché non rispondevo a nessuno). Eh beh, compiango i giovani che non hanno avuto una simile esperienza. {{NDR|«E anche con una giovane moglie»}} E anche con una giovane moglie, {{NDR|indicando una fotografia}} eccola lì. Regolarmente sposata in quanto regolarmente comprata dal padre. {{NDR|«Quanti anni aveva?»}} Aveva 12 anni, ma non mi prendere per un Girolimoni. {{NDR|«Per un bruto»}} A 12 anni quelle lì erano già donne. {{NDR|«E tu dove l'avevi comperata?»}} L'avevo comprata a Saganèiti, un paese dove avevo mandato il mio emissario [...]. Me la comprò insieme a un cavallo e a un fucile, in tutto 500 lire. {{NDR|«E lei com'era?»}} Un animalino. Docile. Io le misi su un tucul con dei polli e poi, ogni 15 giorni, mi raggiungeva dovunque fossi, insieme alle mogli degli altri ascari. (ibidem) *Io esclusi immediatamente la responsabilità degli [[Anarchia|anarchici]] {{NDR|dalla [[strage di piazza Fontana]]}} per varie ragioni: prima di tutto, forse, per una specie di istinto, di intuizione, ma poi perché conosco gli anarchici. Gli anarchici non è che sono alieni dalla violenza, ma la usano in un altro modo: non sparano mai nel mucchio, non sparano mai nascondendo la mano. L'anarchico spara al bersaglio, in genere al bersaglio simbolico del potere, e di fronte. Assume sempre la responsabilità del suo gesto. Quindi, quell'infame attentato, evidentemente, non era di marca anarchica o anche se era di marca anarchica veniva da qualcuno che usurpava la qualifica di anarchico, ma che non apparteneva certamente alla vera categoria, che io ho conosciuto ben diversa e che credo sia ancora ben diversa. (da ''La notte della Repubblica'', 12 dicembre 1989) *La [[Lega Nord|Lega]] è una cosa sgradevole. Però le Leghe sono un fenomeno di reazione a una provocazione. È la politica nazionale, che fa nascere le Leghe. Questo non vuol dire che io le approvi. La reazione è sbagliata, ma provocazione c'è, le degenerazioni della partitocrazia ci sono. Che il pubblico denaro sia male amministrato e che a farne le spese siano soprattutto i cittadini del Nord non è contestabile. (da ''La Stampa'', 7 novembre 1990) *Ah, quel maledetto [[Toni Negri]], quel maledetto aizzatore dei sentimenti dei giovani che è vigliaccamente scappato dall'Italia per non affrontare il carcere. Per un Paese non c'è nulla di peggio che i cattivi maestri. Come punirli? Bisognerebbe impiccarli. Ripeto, impiccarli. (da ''L'Italia settimanale'', 1995) *Fu una pulizia etnica, bisognava far fuori gli italiani: allora si chiamarono fascisti e si ammazzarono, e si buttarono nelle [[massacri delle foibe|foibe]]. Questo avvenne dopo la fine della guerra, sia chiaro. Perché gli orrori di guerra, non dico che siano giustificabili, ma sono comprensibili, la guerra è di per sé stessa un orrore. No, queste... le foibe furono un'infamia commessa dopo la Liberazione, dopo la fine della guerra, e purtroppo vi hanno collaborato parecchi comunisti italiani, alcuni dei quali non solo sono ancora a piede libero, pur essendo vivi, ma ricevono delle pensioni di Stato. Ricevono delle pensioni di Stato. Però io ti posso dire questo: che come testimone oculare io ho visto anche in Croazia delle cose, da parte degli italiani, su cui è meglio sorvolare. Perché anche noi le abbiamo commesse, perché la guerra le comporta, questo è fatale, ecco. Quindi non facciamo tanto i moralisti. [...] No, questo {{NDR|tesi sloveno-croata sulla pulizia etnico-culturale da parte degli italiani durante il periodo di occupazione fascista}} è assolutamente falso. Pulizie etniche noi non ne abbiamo mai fatte, in nessun Paese occupato. Quando sento dire che noi facemmo anche la pulizia etnica in Etiopia, beh vabbè, mi cascano le braccia. Mi cascano le braccia. Quelle son menzogne infami, di gente o che non sa nulla, o che mente sapendo di mentire. Non è vero. Furono episodi, ma non di pulizia etnica, di rappresaglie. (dall'intervista al TG2, ''[http://www.youtube.com/watch?v=s9UXM_pKpqY Massacri delle foibe]'', 6 settembre 1996) *Tutto questo mi evoca dei ricordi poco simpatici. Era il [[fascismo]] che si conduceva così. Era il Fascismo che proibiva la satira, che in un paese civile e democratico dovrebbe essere assolutamente indenne da controlli politici; perché la satira non ha niente a che fare con la politica, anche se prende in giro la politica, ma si sa che è satira. Ed ogni regime serio e democratico accetta la satira, come si accettano le caricature. Era [[Benito Mussolini|Mussolini]] che non le sopportava. E qui pensano: «Ripuliremo la stalla», «Faremo piazza pulita». Ma questo linguaggio, al signor [[Gianfranco Fini|Fini]], chi glielo ispira? Ci ricorda delle cose che avremmo voluto dimenticare. Questa non è la destra, questo è il manganello. Gli italiani non sanno andare a destra senza finire nel [[manganello]]. [...] Alla Rai faranno piazza pulita, lo hanno già annunziato. Ma come si fa a definire democratico un partito che annunzia «Quando saremo al potere, noi faremo piazza pulita»? Ma questo è un linguaggio del peggiore squadrismo, che loro non sanno cosa fu, ma io me lo ricordo. Questo è il linguaggio con cui {{NDR|i fascisti}} andarono al potere. (da ''La settimana di Montanelli'', 17 marzo 2001) *Io voglio ringraziare Travaglio, perché ha detto l'assoluta e pura verità. Assolutamente. La versione che ha dato degli avvenimenti è quella esatta. [...] Io ho conosciuto due Berlusconi: il Berlusconi imprenditore privato che comprò ''il Giornale'' – e noi fummo felici di venderglielo, perché non sapevamo come andare avanti – su questo patto: tu, Berlusconi, sei il proprietario de ''il Giornale'', io, direttore, sono il padrone del ''Giornale'', nel senso che la linea politica dipende solo da me. Questo fu il patto fra noi due. Quando Berlusconi mi annunziò che si buttava in politica, io capii subito quello che stava per succedere. Cercai di dissuaderlo [...] ma tutto fu inutile. Dal momento in cui lo decise mi disse: «Ora ''il Giornale'' deve fare la politica della mia politica». Ed io gli dissi: «Non ci pensare nemmeno». Allora lui riunì la redazione come ha raccontato Travaglio – e questo lo fece a mia totale insaputa – e disse: «D'ora in poi ''il Giornale'' farà la politica della mia politica». E a quel momento me ne andai, cos'altro potevo fare? [...] Nella mia vita ci sono stati due Berlusconi, completamente opposti [...] questo fa parte del ritratto di Berlusconi. [...] Come capo politico è quello che io ho conosciuto in quei brutti giorni in cui scorrettamente, nella maniera più scorretta e più volgare, saltandomi, radunò la redazione de ''il Giornale'' per dirgli «Qui si cambia tutto» all'insaputa del direttore. Se questo sembra a Feltri un modo di procedere democratico e civile, è affar suo. (risposta telefonica a [[Marco Travaglio]] e [[Vittorio Feltri]] durante la trasmissione ''Il Raggio Verde'', 23 marzo 2001) *{{NDR|Silvio Berlusconi}} È il bugiardo più sincero che ci sia, è il primo a credere alle proprie menzogne. [...] È questo che lo rende così pericoloso. Non ha nessun pudore. (dall'intervista di Sophie Gherardi, ''L'Europa deve trattare il sig. Berlusconi con sdegno e disprezzo, non con ostilità'', ''Le Monde'', 8 maggio 2001<ref name=Travaglio2004/>) *Spero che l'Europa adotterà nei confronti di Berlusconi l'atteggiamento di indignazione e di disprezzo che merita. (dall'intervista di Sophie Gherardi, ''L'Europa deve trattare il sig. Berlusconi con sdegno e disprezzo, non con ostilità'', ''Le Monde'', 8 maggio 2001<ref name=Travaglio2004/>) {{Int|''Match''|a cura di Arnaldo Bagnasco, Alberto Arbasino e Maria Gefter Cervi, Rete 2, 18 gennaio 1978.}} *Io non stavo con Longanesi per ragioni ideologiche, anche perché io non ho mai capito quale ideologia avesse Longanesi. Longanesi non lo si poteva misurare sul piano ideologico, era sempre contro tutto e contro tutti. Era il frondista principe: lo è stato sotto il fascismo – e in fondo fece il più bel settimanale, forse, che abbia avuto l'Italia in questi ultimi decenni, credo: ''Omnibus'', che fu chiuso dal regime – e si è trovato sempre male con tutti i regimi. Che cosa pensasse in realtà Longanesi io, dopo un'amicizia di trent'anni, non sono mai riuscito a capirlo. Quello che mi affascinava di Longanesi, e che continua ancora oggi ad affascinarmi, è lo straordinario talento, l'inventiva, l'intuito, l'eleganza di Longanesi. Per cui io non consideravo le posizioni ideologiche di Longanesi, questo non m'interessava affatto. Per me era un fatto di vecchia amicizia: io sono un po' cresciuto con Longanesi, l'avrei seguito anche all'inferno perché con Longanesi si poteva andare anche all'inferno, diventava l'eden. *{{NDR|Sull'appello di votare DC nel 1976}} Questa può sembrare una contraddizione, ma che cosa avrei dovuto dire ai miei lettori? Di votare per chi? Questo è il punto. Oggi [...] i partiti laici ai quali io ideologicamente farei capo – liberale, repubblicano, socialdemocratico – fanno i pifferi di accompagnamento a un patto a sei, e questo era già nell'aria, prima del 20 giugno. Che cosa dovevo dire io ai miei lettori, «Votate per i pifferi di accompagnamento»? Francamente non me la sentivo. [...] Nonostante la mia etichetta di destra, io per i partiti di destra non mi schiererò mai. Io vorrei un centro: non lo trovo, non c'è. Un centro di opposizione democratica al regime che è già in atto non c'è. E allora che debbo fare? È colpa mia se la politica italiana non mi offre un centro? Io continuo a battermi per la costituzione di questo centro. *{{NDR|Domanda del pubblico: «Come mai in Italia non ci sono giornali indipendenti?»}} Io, per esempio, ho la presunzione – sarà infondata – di dirigere un giornale indipendente, perché vorrei sapere da chi prendo gli ordini. Me lo dica lei, Padre. {{NDR|«No, beh...»}} E allora, se non potete indicare qualcuno che mi dà gli ordini, io sono indipendente. {{NDR|«Rispondo anch'io da giornalista: è chiaro che un giornale non si sostiene con le idee sull'indipendenza, si sostiene con dei quattrini»}} Certo. {{NDR|«Allora io parlavo di un'indipendenza che, in quanto dipende da chi paga, è comunque una dipendenza ideologica. Questa era la domanda»}} Sì, l'ha scritto molto bene ''Repubblica'' [...] credendo di offendermi. Ha detto: «Il ''Giornale nuovo'' vive di collette». È vero, noi viviamo di collette, e io ne sono fiero perché le collette mi lasciano libero. {{Int|''Mixer''|a cura di Giovanni Minoli, Rete 2, 6 aprile 1981.}} *{{NDR|«Perché fu fascista fino al '37?»}} Questa è la storia della mia generazione, tutta la mia generazione è stata fascista fino al '35, al '36 o al '43. *{{NDR|«E perché smise di esserlo?»}} Perché noi credevamo che il fascismo fosse una cosa, e poi ci accorgemmo che era un'altra. *{{NDR|«Lei ha detto: "Buffoni, cafoni di natura, ''parvenus'', tutta gente in malafede, il bassettume, il pirellume, il cedernismo". Si riferiva alla Milano radical chic, ma che cosa voleva dire, esattamente?»}} Quello che ho detto. Veramente, io ne ho il più profondo disprezzo. Io accetto benissimo i comunisti: i comunisti sono gente seria, pericolosissimi, ma seri. I [[radical chic]] no. *{{NDR|«È sempre convinto del suicidio dell'anarchico Pinelli?»}} Assolutamente. *{{NDR|«Lei a Catanzaro, al processo per la strage di piazza Fontana, ha dichiarato: "Secondo me, il commissario Calabresi fu vittima di una campagna di stampa". Cioè?»}} No, non l'ho dichiarato a Catanzaro, lo dissi molto prima. Basta rileggere i giornali di quei tempi, e soprattutto i rotocalchi: veramente, Calabresi fu vittima di una campagna stampa infame e ingiusta, perché era uno dei funzionari più corretti che ci fossero. *{{NDR|«Pietro Valpreda, qui a ''Mixer'', ha definito Calabresi come "un tecnocrate del potere". Lei che cosa ne pensa?»}} Ma che significa «un tecnocrate del potere»? Un commissario di polizia serve il potere, chi diavolo deve servire? Valpreda? {{Int|''Faccia a Faccia: intervista a Indro Montanelli''|''Mixer'', a cura di Giovanni Minoli, Rai 2, 5 maggio 1985.}} *[[Renato Curcio|Curcio]] non sparava alle spalle, sparava di fronte, andava di persona a sparare. Naturalmente siamo su delle barricate opposte, ma io stimo Curcio. Lo stimo. È un uomo che secondo me ha delle idee sbagliate ma le serve, le serve da soldato vero. Con un suo galateo. Col suo coraggio. Senza mai rinnegarsi. Non si è pentito! *Io sono convinto che la magistratura debba essere indipendente, però chiedo ed esigo che abbia un autogoverno di controllo, e che soprattutto risponda dei suoi gesti. Oggi noi abbiamo una magistratura che non risponde a nessuno dei suoi errori spesso catastrofici, perché hanno distrutto uomini, hanno distrutto aziende per delle cose che poi si son rilevate insussistenti. Mai un magistrato ha pagato per questo. Io voglio che i magistrati paghino. Non dico a dei poteri esterni, ma perlomeno al potere a cui viene affidata la disciplina nella categoria. *Tutta l'intellighenzia italiana ha una vecchia tradizione di servilità, com'è logico, perché si è sviluppata in un Paese analfabeta, per secoli e secoli analfabeta. Non avendo il lettore doveva per forza procurarsi il protettore. Scriveva per il protettore. *{{NDR|«Il suo peggior difetto qual è, Montanelli?»}} Quello di non riconoscermene nessuno. *{{NDR|«[[Leo Longanesi|Longanesi]], parlando di lei, un giorno disse che lei capiva le cose con dieci mesi di anticipo rispetto a tutti gli altri. Ecco, tra dieci mesi cosa vede in [[Italia]]?»}} Queste erano le cose di Longanesi, ma in realtà io non riesco a vedere tra dieci giorni. {{Int|''[http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/1991/11/16/giangi-feltrinelli-io-non-ti-perdono.html 'Giangi' Feltrinelli io non ti perdono]''|''la Repubblica'', 16 novembre 1991, p. 33.}} *[[Giangiacomo Feltrinelli|Lui]] fu l'emblema di tutto quanto accadde in quegli anni {{NDR|Anni della contestazione}}. A differenza della [[Francia]], eravamo un paese da burletta, con una contestazione da burletta e rivoluzionari da burletta. E Feltrinelli ne fu l'esponente più qualificato. *Era il 1940 e a quel tempo Giangi aveva quattordici anni e seguiva i corsi scolastici con pessimo profitto. Giangiacomo era un ragazzetto che voleva a tutti i costi cavalcare qualcosa di rivoluzionario. Non importava il colore. Tanto è vero che il suo sogno fu prima il fascismo e poi Che Guevara. *{{NDR|«L'importante è stare in prima linea il fascismo?»}} Ma sì, negli anni Quaranta lui era fascista. Era talmente fascista che nel 1943, dopo l'8 settembre, voleva denunciare sia me che Barzini per alcune cose che avevamo detto contro i fascisti. Allora pensava di aderire a Salò. La sua dedizione a una causa quale che sia, purché rivoluzionaria, lo spingeva a questi atti pazzeschi. *Generoso? Lo chieda ai suoi collaboratori. Era una specie di padrone delle ferriere che spendeva generosamente solo per soddisfare il suo vizio principale: la rivoluzione. Con chi era in difficoltà non si dimostrò mai particolarmente generoso. *{{NDR|«Perché allora lei è così implacabilmente critico nei suoi riguardi?»}} Non ce l'ho neppure tanto con lui, quanto con tutti coloro che di Feltrinelli hanno fatto un mito. In realtà era un povero uomo. Un ingenuo divorato dall'esibizionismo. *{{NDR|«Come può ridurre tutto alla convinzione che fosse solo un ingenuo e un esibizionista?»}} Anche Starace segnò un decennio della nostra vita. Mica per questo era meno cretino. Se Feltrinelli sia stato qualcosa di più complesso, io non riesco a vederlo. Posso aggiungere questo: quella sua mania di ostentazione, quella voglia di primeggiare su tutte le cose lo ha condotto anche a degli atti di eroismo. Perché uno che sale su un traliccio, con la dinamite che non sa maneggiare e salta per aria, beh almeno il coraggio gli va riconosciuto. O forse chiamiamola incoscienza. {{Int|''[http://www.archiviolastampa.it/component/option,com_lastampa/task,search/mod,libera/action,viewer/Itemid,3/page,15/articleid,0824_01_1992_0072_0015_25082247/ Montanelli e il sacco di Milano]''|''La Stampa'', 14 marzo 1992, p. 14.}} *{{NDR|Il regime corrotto}} C'è ancora. Ma la rivolta non era tanto contro la corruzione e la partitocrazia, che erano senza dubbio un grosso male, ma che non erano il male più letale. In quel momento era proprio la società che si disfaceva, le condizioni della scuola, la predicazione del nulla, insomma la contestazione globale, l'ubriacatura degli Anni Settanta, che fu l'ubriacatura del terrorismo, e quella acquiescenza di una certa borghesia, salottiera, radical chic, che amoreggiava con queste cose, che aveva le smanie maotsetunghiste, che poi parlavano tutti di cose che non sapevano. La corruzione dei partiti invece è quasi immanente. La partitocrazia è destinata a durare almeno finché non si riforma la legge elettorale. Ma questa è la battaglia che noi cerchiamo di fare oggi. *{{NDR|«Ma gli Anni Settanta non hanno anche prodotto qualcosa di positivo nella società italiana?»}} No. Non vedo fatti positivi nel lascito degli [[anni di piombo]]. Vorrei sapere veramente quali. Quando dicono per esempio il divorzio. Ma il divorzio c'era già prima. Quelle sono conquiste sociali. C'era bisogno dei pistoleros per il divorzio? Ma andiamo! *{{NDR|«Però lei difendeva Pannella»}} Sì. A [[Marco Pannella|Pannella]] dobbiamo veramente due cose, malgrado le sue mattane. Effettivamente riuscì a impedire a una certa aliquota di giovani di finire in braccio al terrorismo, cioè gli dette un'altra bandiera. E alcune battaglie sue furono sacrosante, come quella del divorzio che appoggiammo. Poi verso Pannella io ho una certa simpatia, dovuta al mio vecchio fondo anarchico, libertario, che ritrovo in lui. È una simpatia genetica. Ritrovo in lui quello che io sono stato a vent'anni. *{{NDR|«Ma che fine ha fatto quella borghesia, che fine hanno fatto quei salotti buoni? Le sue battaglie contro la Crespi o contro la Cederna sono cosa Passata? Sono cambiati loro, oppure è cambiato lei?»}} Vabbè, con la [[Camilla Cederna|Camilla]] poi siamo ridiventati amici. Con la Crespi no, mai. Ma non ho più rancori, non ho più animosità. Però è un mondo che disprezzo un po', perché è un mondo di pecore che seguono sempre il filo del vento, santoiddio, sono proprio personcine, personcine inconsistenti, pronte ad andare con chiunque. E poi sempre per salvare i propri interessi, non è che abbiano delle idealità, no? Oggi è cambiato il vento, quindi sono cambiati anche loro. Ma non è che sia cambiato il mio giudizio. Quel mondo lì io non lo amo. *La crisi rimane e si riflette nell'amministrazione cittadina. L'amministrazione era sempre stata un autentico specchio. Fino a Bucalossi il Comune di Milano era retto da specchiati galantuomini, che finivano tutti poveri, in miseria, finivano alla Baggina. Gente davvero di una correttezza esemplare. Poi sono venuti gli Aniasi e compagni e guardi qui dove siamo arrivati: siamo arrivati a [[Mario Chiesa|Chiesa]]. {{Int|''[https://web.archive.org/web/20121107180200/http://archiviostorico.corriere.it/1993/giugno/06/Montanelli_tura_naso_come_nel_co_0_93060610816.shtml Montanelli si tura il naso come nel '76: voto l'uomo della Lega]''|''Corriere della Sera'', 6 giugno 1993, p. 3.}} *Mi sono dannato l'anima perché il centro avesse un ''suo'' candidato. Avrei voluto Locatelli: era la persona giusta per portare la bandiera referendaria e raccogliere gli elettori moderati. Era quello il mio sogno. *Segni non ha capito nulla, è arrivato in ritardo, ha candidato una persona che nessuno conosce. Non abbiamo ''un'' rappresentante del centro, ma tre surrogati che si elimineranno a vicenda. E ci toccherà scegliere fra [[Nando dalla Chiesa|Dalla Chiesa]] e Formentini. *{{NDR|«Di qui il suo suggerimento: turarsi il naso e votare Lega»}} No, non dico "Votiamo Lega", dico "Votiamo Formentini". E nel suo caso non ci si deve neppure turare il naso: è modesto, anche mediocre se vogliamo, ma è onesto. Non credo sia marcio. Insomma: è il male minore. *{{NDR|«E Dalla Chiesa?»}} No, il mio voto non lo avrà. Perché io non voto per la sinistra e per un sinistro come quello lì. *{{NDR|«Ma che cosa la preoccupa nella coalizione di Dalla Chiesa?»}} Questi reperti di un mondo fallito vogliono ora governare l'Italia. E io con loro non ci sto. La storia gli ha dato torto, la realtà li svergogna e noi dovremmo fidarci? È stata l'apertura a sinistra a dare inizio alla putredine. {{Int|''Eppur si muove''|a cura di Indro Montanelli e Beniamino Placido, Rai 3, 1994.}} *Ogni italiano è insieme furbo e fesso. L'italiano è furbissimo nella gestione dei suoi affari privati, può ricorrere a tutte le astuzie, è attento, è accorto, ed è assolutamente fesso nel non rendersi conto che se i suoi affari privati rimangono immessi in una società che non funziona – cioè dove gli interessi generali vengono trascurati e negletti – i suoi interessi privati finiscono col soffrirne e col condurlo al fallimento. Questo, a noi italiani, non entra in testa. (6 febbraio 1994) *È probabile che molti stranieri mandino i loro figli, a Roma, a scuola. Ma quali scuole? Alle loro. Gli americani mandano i loro figli alla scuola americana, i tedeschi alla scuola tedesca, i francesi alla scuola francese. Non li mandano mica alla scuola italiana, se ne guardano bene e hanno ragione, visto il modo in cui si insegna in Italia. (ibidem) *Da noi prima uscivano dei ragazzi che sapevano abbastanza di greco, di latino, ma che il carattere non lo avevano formato a scuola: o se lo formavano da soli, oppure non se lo formavano mai. (ibidem) *Lo [[Zingari|zingaro]] che fa tranquillamente la sua vita non dà noia a nessuno, è quando ruba che, naturalmente, suscita qualche perplessità (uso un eufemismo). Diciamo la verità, in Italia il razzismo non c'è. Per inventare una questione razziale ci volle una legge, e una legge fatta da un regime totalitario perché il Paese non la sentiva. Non poteva sentirla perché non è nella nostra tradizione. [...] L'Italiano non ha dei risentimenti razziali. [...] {{NDR|Sugli episodi di intolleranza e di paura per il diverso}} È un fatto di piccolissime minoranze, diciamo la verità. Non inventiamo adesso una questione {{NDR|razziale}}. Io ho vissuto nelle società veramente razziste, è tutta un'altra faccenda. (con [[Serena Dandini]], 20 marzo 1994) *Io ebbi una moglie etiopica, nel senso che la comprai secondo l'uso locale. {{NDR|«Come, scusi?»}} Eh beh, ma gli usi locali erano questi. Tutti, anche gli etiopici, compravano la moglie. {{NDR|«Quanto costava una moglie?»}} Poco. Costava poco, mi pare che mi costò – allora, però (anno 1935) – 500 lire e un tucul {{NDR|trattando}} col suocero. Perché queste furono transazioni fatte dal mio emissario, che era il più anziano graduato della mia banda, col padre della ragazza. [...] Questo matrimonio durò finché noi stemmo di stanza a Saganèiti, cioè a dire prima che scoppiasse la guerra con l'Abissinia (che non fu precisamente una guerra, fu una specie di avventura). [...] Poi questa mia moglie, perché era considerata tale, quando io partii sposò un mio graduato e al primo figlio – è vivo tuttora, mi hanno detto – diede il mio nome, per cui alcuni credettero che fosse figlio mio. Non era figlio mio. Soltanto che per deferenza... {{NDR|«Lei non pensò mai di portarla con se in Italia?»}} Beh, no. No, anche perché era molto difficile strapparla ai suoi costumi. Lei stessa, in fondo, non voleva venire. Lei apparteneva alla sua terra, io le feci una piccola dote e quindi andò tutto regolarmente. Era molto bellina. (ibidem) *Gran parte delle forze leghiste, quelle che accennano a qualche razzismo nei confronti del meridionale, sono composte da meridionali che si sono milanesizzati e ci si trovano talmente bene a Milano che non vogliono che altri arrivino dal sud. (ibidem) *Per me la [[destra]] non è una [[ideologia]]: è un modello di comportamento. Si può essere di destra anche a sinistra. Questo comportamento è il criterio rigoroso del servizio della vita pubblica. (con [[Arnoldo Foà]], 17 aprile 1994) *Nella storia della [[Italia|nazione italiana]] io vedo pochi uomini all'altezza della qualifica di una destra illuminata che non solo accetta ma vuole le [[Riformismo|riforme]]. Un uomo di destra certamente io non credo che fosse [[Camillo Benso, conte di Cavour|Cavour]], del resto il suo connubio lo dimostra, la sua disinvoltura nelle alleanze politiche lo dimostra. Certamente di destra era [[Bettino Ricasoli|Ricasoli]]. Certamente era [[Quintino Sella|Sella]]. Certamente era [[Giovanni Giolitti|Giolitti]]: uomo che dette il suffragio universale, e che riconobbe il diritto di [[sciopero]]. Questo è un uomo di destra. Certamente un uomo di destra era [[Alcide De Gasperi|De Gasperi]], senza dubbio. E, adesso non vorrei scandalizzare la gente, ma direi che uomo di destra per il concetto che aveva dello [[Stato]] e del [[potere]] era anche [[Palmiro Togliatti|Togliatti]]. E questo dimostra che si può essere uomini di destra anche a [[sinistra]]. La destra è una regola di comportamento, una regola [[morale]] di comportamento. (ibidem) {{Int|''[https://web.archive.org/web/20101005073648/http://archiviostorico.corriere.it/1997/novembre/09/Montanelli_gambizzato_cinque_mesi_prima_co_0_9711098446.shtml Montanelli "gambizzato" cinque mesi prima: "Mi salvò una promessa a Mussolini"]''|''Corriere della Sera'', 9 novembre 1997, p. 29.}} *Quella mattina {{NDR|2 giugno 1977}} sono in due nei giardini di piazza Cavour, a Milano. Uno mi spara alle gambe. L'altro mi tiene nel mirino della sua pistola. I primi due – tre proiettili entrano nelle mie lunghe zampe di pollo. Non devastano né ossa né arterie. Ma sarebbero sufficienti per far cadere a terra qualsiasi cristiano. In quegli attimi ricordo la promessa che avevo fatto a Mussolini, e a me stesso, quando, bambino, mi ritrovai intruppato nei balilla: "Se devi morire, muori in piedi!" Davanti a questi vigliacchi che non hanno il coraggio di affrontarmi in faccia, penso, non posso morire in ginocchio. E mi aggrappo alla cancellata dei giardini. Non sto in piedi sulle gambe, ma mi reggo dritto con la forza delle braccia. E quello continua a sparare e a centrare le mie zampe di pollo. Se mi fossi accasciato, se mi fossi inginocchiato davanti a lui, a quell'ora sarei morto. *Per [[Renato Curcio|lui]] ho sempre avuto rispetto. Penso che la sua autoemarginazione dalla società prima e l'emarginazione che la società gli ha imposto poi ci abbiano privato di un uomo di valore. Non lo conosco di persona, ma lo stimo, anche se poteva essere lui quello che ha mandato i due ragazzi a spararmi. Non ho rancore: quando la guerra è finita gli avversari si devono stringere la mano e devono brindare alla pace ritrovata. *Apprezzo il coraggio di chi non si pente per ricavarne un utile, di chi non denuncia il compagno di errori ma riconosce i propri torti. Almeno i brigatisti lottavano per ideali diversi da quelli dello stalinismo e del comunismo sovietico. I terroristi neri, invece, volevano soltanto restaurare un regime sepolto dalla storia. I rossi non sapevano bene cosa ma avevano in mente qualcosa di nuovo. *{{NDR|«E se avessero vinto loro?»}} Impossibile. L'esistenza del terrorismo ha soltanto ribadito le manchevolezze del nostro Paese: uno Stato inefficiente e un popolo codardo e conformista. *{{NDR|Sui burattinai, i Grandi Vecchi, la Cia, i Servizi segreti}} Fregnacce: che gliene poteva importare alla Cia di fucilare gente come il buon Casalegno o quel galantuomo di Emilio Rossi, vent'anni fa direttore del Tg Uno, o quel bischero di Montanelli? La dietrologia era una divagazione di intellettuali perditempo. Il vero problema era ed è un altro: finché non ci decideremo a riconoscere la mancanza negli italiani di una coscienza nazionale e civile questo pericolo del terrorismo lo correremo sempre. E questa fabbrica di una coscienza nazionale e civile io non la vedo nascere. *{{NDR|Sul dolore che il tempo non ha cancellato nei parenti delle vittime}} Anche noi italiani dobbiamo imparare a pagare gli inevitabili tributi dovuti alla Storia come hanno saputo fare tutti i Paesi occidentali. Il dolore resta, ma la piaga va ricucita. Una volta per tutte. {{Int|''[http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/1998/07/25/borghesia-vile-deludente.html Borghesia vile e deludente]''|''la Repubblica'', 25 luglio 1998, p. 8.}} *È la solita bruciante delusione, questa nostra borghesia. Non cambia mai, è sempre la stessa: la più vile di tutto l'Occidente. Gente portata a correr dietro a chi alza la voce, a chi minaccia, al primo manganello che passa per la strada. Questo sono i nostri borghesi: tutti fascisti sotto il fascismo, poi tutti antifascisti fin dall'indomani. Quando il comunismo era forte e faceva paura, e io fondai ''il Giornale'', mi lasciarono solo e senza un soldo. Ai tempi del terrorismo, amoreggiavano con gli estremisti nella speranza che quelli – andati al potere – gli risparmiassero la villa e il portafoglio. E ora che il comunismo non c'è più, si scoprono tutti anticomunisti, questi sedicenti liberaloni. *Il loro eroe è sempre chi brandisce il [[manganello]]. Ieri, il manganello vero. Oggi, quello catodico delle televisioni. Il liberalismo vero l'hanno sempre tradito, anzi non hanno mai saputo che cosa sia. Non vogliono le regole, detestano le leggi, vogliono avere le mani libere per fare quello che gli pare, in nome della loro cosiddetta «[[efficienza]]». Quando abbiamo fondato ''la Voce'' l'abbiamo toccato con mano: parlare di regole e di legalità a questa gente è peggio di un insulto, una bestemmia in chiesa. *L'ho sempre detto che fu un errore, quattro anni fa, defenestrarlo. Bisognava lasciarlo lì ancora un bel po', così tutti avrebbero capito quanto vale, che razza di statista è... Magari adesso non saremmo in Europa, ma non avremmo così tante gente che si lascia ubriacare dalla sua propaganda, che prova nostalgia per lui. *{{NDR|«E se un giorno si andasse a votare per il suo referendum, quello per abolire i reati del Cavaliere?»}} In quella forma, mi pare difficile che si arrivi, anche se in Italia non si sa mai. Comunque, se si votasse, credo che anche lì vincerebbe lui. Perché è quello che vuole questa nostra borghesia. Ormai è ufficiale: Berlusconi ce lo meritiamo. {{Int|''[http://www.repubblica.it/online/politica/satiquattro/montanelli/montanelli.html L'Italia di Berlusconi è la peggiore mai vista]''|''la Repubblica'', 26 marzo 2001.}} *Io voglio che vinca, faccio voti e faccio fioretti alla Madonna perché lui vinca, in modo che gli italiani vedano chi è questo signore. [[Silvio Berlusconi|Berlusconi]] è una malattia che si cura soltanto con il vaccino, con una bella iniezione di Berlusconi a Palazzo Chigi, Berlusconi anche al Quirinale, Berlusconi dove vuole, Berlusconi al Vaticano. Soltanto dopo saremo immuni. L'immunità che si ottiene col vaccino. *È strano: io non avevo mai preso parte alla campagna di demonizzazione: tutt'al più lo avevo definito un pagliaccio, un burattino. Però tutte queste storie su Berlusconi uomo della mafia mi lasciavano molto incerto. Adesso invece qualsiasi cosa è possibile: non per quello che succede a me, a me non succede nulla, non è che io rischi qualcosa, è chiaro. Quello che fa male è vedere questo berlusconismo in cui purtroppo è coinvolta l'Italia e anche tante persone perbene. *La scoperta che c'è un'Italia berlusconiana mi colpisce molto: è la peggiore delle Italie che io ho mai visto, e dire che di Italie brutte nella mia lunga vita ne ho viste moltissime. L'Italia della [[marcia su Roma]], becera e violenta, animata però forse anche da belle speranze. L'Italia del 25 luglio, l'Italia dell'8 settembre, e anche l'Italia di piazzale Loreto, animata dalla voglia di vendetta. Però la volgarità, la bassezza di questa Italia qui non l'avevo vista né sentita mai. Il berlusconismo è veramente la feccia che risale il pozzo. {{Int|''La Storia d'Italia di Indro Montanelli''|a cura di Mario Cervi, interviste di Alain Elkann, ''Cecchi Gori Editoria Elettronica Home Video'', 1999.}} *Il silenzio mantenuto finora {{NDR|sui massacri delle foibe}}, o quasi silenzio, si spiega facilissimamente: tutta la storiografia italiana del dopoguerra era di sinistra, apparteneva all'intellighenzia di sinistra, la quale era completamente succuba del Partito Comunista. Quindi non si poteva parlare delle foibe, che non appartenevano al comunismo italiano, ma appartenevano certamente al comunismo slavo, di cui però il comunismo italiano era alleato e faceva gli interessi. Quindi di questo non si poteva parlare, e non si poteva parlare delle stragi del triangolo della morte, perché anche queste ricadevano sulla coscienza – ammesso che ce ne sia una – del Partito Comunista, il che sta a dimostrare quello che dicevo prima, cioè che la Resistenza non fu una resistenza, fu una guerra civile tra italiani che continuò anche dopo il 25 aprile. [...] {{NDR|Sull'eccidio dei conti Manzoni}} Andai come giornalista [...] per appurare com'era andata la strage dei conti Manzoni, dopo la fine della guerra. [...] Una famiglia di persone che col fascismo non aveva niente a che fare, ci aveva convissuto come tutti gli italiani. Bene, nessuno mi voleva parlare di questa faccenda. [...] Nessuno ne aveva parlato, né dei Carabinieri né della Polizia e tantomeno della magistratura, eppure lo sapevano. [...] C'era una complicità assoluta, una complicità dannata. [...] Se ne parla ora perché il Muro di Berlino è crollato, ma si ricordi che trent'anni fa, quando [[Renzo De Felice|De Felice]] annunziò di mettere allo studio il ventennio fascista per sapere com'era andata, fu proposta la sua estromissione dalla cattedra universitaria, solo perché metteva allo studio un ventennio di storia italiana che, bella o brutta, c'era stata. [...] Non era possibile inquadrare storicamente il fascismo: chi lo faceva, cercando di spiegare i perché della sua durata, ed anche i perché della sua catastrofe, veniva accusato di fascismo. (da ''Dalla Monarchia alla Repubblica'') *È difficile sapere che cosa fu [[Palmiro Togliatti|Togliatti]], perché Togliatti non ha lasciato memoriali, non ha lasciato diario, che cosa pensasse Togliatti non lo sapeva nessuno, credo nemmeno la sua compagna Nilde Iotti. Si può dire che è stato un esecutore fedele degli ordini di [[Stalin]]. Lo è stato sempre, e per questo godeva la fiducia di Stalin. [...] Era un diplomatico per sé, soprattutto, perché é un uomo sopravvissuto a venticinque o trent'anni anni di Mosca, senza finire in galera, processato o contro il muro. Beh, questo è uno dei grandi personaggi. Sono pochi. {{NDR|«Non era uno statista, per esempio?»}} Non poteva essere uno statista perché i comunisti non hanno lo Stato nel sangue, i comunisti hanno il partito. Stalin non è mai stato Capo dello Stato, e nemmeno Capo del Governo, era capo del partito. Il potere nei regimi comunisti non sta né nello Stato né nel governo, sta nel partito. (da ''Dalla proclamazione della Repubblica al Trattato di pace'') *Questa [[Costituzione della Repubblica italiana|Costituzione]] porta male gli anni da quando aveva un giorno, perché fu subito chiaro quali erano i suoi difetti. Del resto furono anche denunciati da uomini come, per esempio, [[Piero Calamandrei|Calamandrei]], come Mario Paggi. (da ''Dall'assemblea costituente alla vigilia delle elezioni del 1948'') *I difetti furono soprattutto due. Il primo difetto fu di ripartizione dei lavori. La Costituente era formata da 600 membri eletti di passaggio. Voglio {{NDR|far}} notare che quella fu la prima elezione che si tenne in Italia – per la Costituente, non per il Parlamento – ma dove ci fu lo spiegamento dei partiti. Ogni partito portò i suoi candidati, cioè dei giuristi che facevano capo alla propria ideologia. Bene, in quella prima elezione il 35% dei voti andò ai democristiani, il 21% andò ai socialisti di [[Pietro Nenni|Nenni]], il 19% ai comunisti. Quindi in quel momento... non c'era ancora il Fronte ma in quel momento i socialisti facevano premio sui comunisti. Erano di poco, ma un po' più forti dei comunisti. [...] Questi 600 costituenti non potevano lavorare tutti insieme, era impossibile mandare avanti 600 persone a dibattere all'infinto le stesse cose, e allora i lavori furono devoluti a una commissione che si chiamò la ''Commissione dei Settantacinque'', perché erano 75 membri della Costituente che venivano incaricati per le loro competenze specifiche di redigere il testo. Ma anche 75 erano troppi, e allora anche i 75 si frazionarono in sotto-commissioni, ognuna delle quali lavorò per conto suo. Non ci fu un piano di insieme. {{NDR|«Quindi non fu un vero lavoro collettivo»}} Non fu un vero lavoro collettivo. Calamandrei lo disse subito: «Noi stiamo montando una macchina, che magari pezzo per pezzo sarà anche ben fatta, ma le cui giunture non coincidono con le giunture di altri pezzi». [...] Fu lasciata così perché nessuno volle rinunziare al proprio elaborato, e questo è tipico degli italiani. (da ''Dall'assemblea costituente alla vigilia delle elezioni del 1948'') *Il secondo motivo che rese questa Costituzione veramente impalatabile e nociva per il regime che ne doveva nascere, fu che i nostri costituenti partirono dal punto di vista opposto a quello da cui sarebbero partiti i costituenti tedeschi quando la Germania fu libera di elaborare una sua Costituzione. Da che cosa partirono i costituenti tedeschi? Da questo ragionamento: il nazismo fu il frutto della Repubblica di Weimar. Cos'era la Repubblica di Weimar? Era l'impotenza del potere esecutivo, cioè del Governo. [...] La Germania rimase nel disordine, nel caos, nella Babele dei partiti che non riuscivano a trovare mai delle maggioranze stabili, quindi dei governi efficaci. Ecco perché Hitler vinse, perché il nazismo vinse. I costituenti nostri partirono dal presupposto contrario, cioè dissero: «Cos'era il fascismo? Il fascismo era il premio dato a un potere esecutivo che governava senza i partiti, senza controlli eccetera. Quindi noi dobbiamo esautorare completamente il potere esecutivo, {{NDR|negando}} la possibilità di dare ai governi una stabilità, eccetera». Per rifare che cosa? Weimar. Cioè, mentre i tedeschi partivano dalla negazione di Weimar, noi arrivavamo {{NDR|a Weimar}} senza dirlo. Nessuno lo disse, ma questo fu il risultato. [...] Non fu possibile nemmeno introdurre quella solita linea di sbarramento che invece fu introdotta in Germania, per cui i partiti che non raggiungevano non ricordo se il 5 o il 3%, non avevano diritto a una rappresentanza. No, tutti i partiti dovevano esserci e tutti avevano un potere di ricatto sulle maggioranze, che erano per forza di cose di coalizioni. (da ''Dall'assemblea costituente alla vigilia delle elezioni del 1948'') *Gli italiani non imparano niente dalla Storia, anche perché non la sanno. {{NDR|«Forse non amano la Storia»}} Non la amano, non la leggono, non se ne interessano, ma questo anche le classi dirigenti: sono uguali, intendiamoci. {{NDR|«Lei auspica che venga rifatta questa Costituzione»}} Sì, ma che venga rifatta secondo criteri logici, non {{NDR|secondo}} criteri illogici. Tutte le volte che si diceva «Ma qui bisogna restituire un po' di autorità al potere esecutivo, bisogna mettere i governi in condizione di governare» si diceva: «Fascista! Fascista!». Con questo ricatto qui abbiamo fatto le più grosse scempiaggini che si potesse immaginare. (da ''Dall'assemblea costituente alla vigilia delle elezioni del 1948'') *La fine di [[Alcide De Gasperi|De Gasperi]] è la fine di un'epoca: con lui finisce un'epoca e ne comincia un'altra non certamente migliore. [...] C'è una bella pagina della figlia di De Gasperi, Maria Romana, che ha scritto un bel libro sul padre. Un libro tutto vero in cui racconta anche i funerali su in Val Sugana: c'era naturalmente tutta la nomenclatura democristiana che accompagnava la bara. Oramai De Gasperi era morto, si poteva anche fingere il compianto, e a un certo momento un passante che era lì – uno che guardava, che non aveva niente a che fare con la politica, con la Democrazia Cristiana eccetera eccetera – si avvicinò al feretro e scansando questi turiferari della DC disse: «No, non è vostro! De Gasperi è nostro! Era un italiano!». E aveva ragione. De Gasperi era nostro, non un democristiano. (da ''Gli anni di Alcide De Gasperi'') *{{NDR|[[Giovanni Gronchi]]}} Era un uomo molto abile, brillante parlatore, molto abile anche negli affari. Era molto più libertino di [[Carlo Sforza|Sforza]], quindi la Democrazia Cristiana [...] era cambiata, evidentemente, e Gronchi fu eletto per una faida interna della Democrazia Cristiana, perché [[Amintore Fanfani|Fanfani]] voleva [[Cesare Merzagora|Merzagora]]. Allora per fare dispetto a Fanfani, invece gli buttarono fra i piedi [[Giovanni Gronchi|Gronchi]], il quale seppe benissimo tessere la sua trama fra Sinistra, Destra eccetera e far diventare gronchiani anche quelli degli altri partiti. Dicendosi agli uni uomo di Destra e agli altri uomo di Sinistra, facendo insomma il giuoco personale di Gronchi, con cui entrò in Quirinale il vero grande corruttore della vita politica italiana. [...] Dopo l'onestissimo [[Luigi Einaudi|Einaudi]] viene Gronchi, che è l'indulgenza plenaria verso tutte le deviazioni e i deviazionisti d'Italia. (da ''La rivolta in Ungheria e l'elezione di Giovannni XXIII'') *Questa storia dell'MSI è una delle grandi truffe della Prima Repubblica: nella Costituzione c'è un articolo che proibisce la rinascita di un partito fascista. Ecco. Ora, l'MSI era chiaramente un partito fascista. Non lo negava, anzi si faceva gloria del fatto di essere l'erede eccetera. Perché lo avevano messo, allora? Lo avevano messo perché questo partito fascista, che avrebbe dovuto essere escluso dalla vita politica, serviva a captare un certo numero di voti che, senza questo partito, sarebbero andati a dei partiti moderati di Centro e soprattutto, forse, alla Democrazia Cristiana. Quindi quale fu il gioco delle Sinistre, a cui la Democrazia Cristiana però si piegò e si rassegnò: è consentito di esistere all'MSI, però l'MSI quando è in Parlamento è escluso dal gioco parlamentare. Così si mettevano i voti dell'MSI in ''frigidaire'', e così non andavano alla Democrazia Cristiana e ai partiti {{NDR|di Centro}}. È una delle peggiori truffe che è stata inventata dalla classe politica che ci ha governato per cinquant'anni. (da ''I successori di De Gasperi e la politica italiana fino alla morte di Togliatti'') *Io vorrei sapere quali furono le crescite... di civiltà che il [[Sessantotto]] pretende di averci lasciato. Io vedo tutt'altra cosa: io vidi nascere, dal Sessantotto, una bella torma di analfabeti che poi invasero la vita pubblica italiana, e anche quella privata, portando dovunque i segni della propria ignoranza. Io ho visto questo. Può darsi che sia affetto da sordità o da cecità ma io non ho visto altro, come frutti del Sessantotto. (da ''Il Sessantotto e la politica di Berlinguer'') *{{NDR|La differenza tra il Sessantotto francese e quello italiano è}} La differenza che passa fra l'originale e il fac simile perché il Sessantotto nacque in [[Francia]] e in [[Italia]] fu un fatto di riporto, di imitazione. {{NDR|«Che vi fu in tutto il mondo, però, questo»}} Un po' in tutto il mondo ma particolarmente in Italia dove non nasce mai niente, è sempre qualcosa di imitato dagli altri. Bene o male, insomma, i francesi ebbero... anche una certa cultura del Sessantotto, ebbero [[Jean-Paul Sartre|Sartre]]. Oddio, Sartre rivisto con gli occhi di oggi naturalmente scende molto dal suo mitico piedestallo. [...] In Italia non ci fu neanche un Sartre. (da ''Il Sessantotto e la politica di Berlinguer'') *Credo che su [[Pier Paolo Pasolini|Pasolini]] si sia preso un grosso abbaglio: Pasolini è passato per uno scrittore di sinistra perché aveva preso come sfondo dei suoi racconti – bellissimi del resto – il sottoproletariato delle borgate romane, i ragazzi di vita, insomma, la schiuma della società. Ma lo aveva fatto per dei gusti e dei motivi del tutto personali sui quali è inutile tornare a far commenti. Questo lo aveva fatto considerare come uno scrittore, un difensore del proletariato, ma non era una scelta politica quella che aveva fatto Pasolini. Non c'entrava niente, assolutamente nulla. Quindi quello che lui disse era assolutamente vero, cioè dire che nei tafferugli, dove spesso ci scappava il morto, tra quei dilettanti delle barricate che erano {{NDR|dei borghesi}}, i veri proletari erano i poliziotti, tutti figli di famiglie povere, eccetera eccetera. I dilettanti delle barricate erano tutti o quasi tutti figli di papà: aveva ragione Pasolini! Ma come no! E questo fu considerato un tradimento all'ideologia di sinistra. (da ''Il Sessantotto e la politica di Berlinguer'') *Il primo fenomeno fu il Sessantotto, e il Sessantotto partorì poi il terrorismo, il brigatismo rosso eccetera eccetera. Su questo non ci son dubbi, insomma. Dirò di più: i più seri, e forse gli unici seri, furono quelli che poi diventarono dei terroristi e che quindi rischiarono la loro vita, almeno. Gli altri erano quello che diceva Pasolini, dei figli di papà. (da ''Il Sessantotto e la politica di Berlinguer'') *{{NDR|La figura del Grande Vecchio}} È una di quelle fandonie, di quelle stupidaggini che piacciono tanto a noi italiani: l'idea di un Grande Vecchio che organizzasse tutte queste stragi, attentati eccetera eccetera. È un affare da Simenon di borgata insomma – no? Piaceva l'idea che ci fosse dietro tutta una strategia. Sennonché poi non si sapeva chi fosse il Grande Vecchio. {{NDR|«Aveva un volto questo grande vecchio?»}} Ne ha avuti molti: naturalmente [[Giulio Andreotti|Andreotti]] – quello non manca mai, quando si cerca un ''deus ex macchina'' di tutto ciò che di più criminale è avvenuto in questo Paese {{NDR|c'è}} Andreotti. {{NDR|«Però in quel momento non era tanto vecchio»}} In quel momento non era tanto vecchio, ma il Grande Vecchio non ha nulla di anagrafico, è il Grande Vecchio così – poi Gelli, poi Sindona. Ha avuto varie raffigurazioni che sono tutte di fantasia. (da ''Piazza Fontana e dintorni'') *Se c'era un funzionario corretto, che veniva portato come esempio da tutti i suoi colleghi, era Calabresi. Per quale motivo si scatenò questa campagna contro di lui non lo so. È vero che aveva interrogato [[Giuseppe Pinelli|Pinelli]], ma gli interrogatori di Calabresi facevano testo per la loro correttezza. Sempre. [...] Non so per quale motivo, a un certo momento, la stampa s'incendiò e cominciò ad additare Calabresi come «il bruto», come «lo scherano del potere sopraffattore e assassino». Questo si lesse in vari giornali. Ora, il potere sopraffattore assassino in quel momento era rappresentato da [[Mariano Rumor|Rumor]] e da [[Emilio Colombo|Colombo]]: mi dica lei se hanno il viso dei sopraffattori assassini. Magari lo fossero stati un po', ma immaginiamoci. E questa campagna fu implacabile, assolutamente implacabile. (da ''Piazza Fontana e dintorni'') *Come in tutti i processi italiani anche questi, che poi volevano arrivare all'identificazione dei responsabili e non ci arrivarono quasi mai, erano dominati dal cosiddetto «teorema»: si partiva dal presupposto... a un certo momento si mise di parlare degli anarchici – si smise quasi subito di parlare {{NDR|degli anarchici}} – e tutte le lampadine furono rivolte ai partiti e alle forze di Destra. Erano quelle le forze stragiste. [...] I nostri bravi giudici, salvo alcuni, partivano dal presupposto che {{NDR|i colpevoli}} certamente venivano di lì, venivano dalle Destre, dalle Destre più violente. Alle quali si attribuiva, sempre per «teorema», questa idea: creare una tensione nel Paese in modo da impaurire gli italiani e metterli alla scelta «o la libertà o l'ordine», perché insieme non potevano andare. Nella libertà era chiaro che non si poteva mantenere l'ordine, e loro dicevano: «Qualunque popolo messo a questa scelta sceglie l'ordine». Ecco. È un teorema. È un teorema che ha sempre cercato dimostrazione e non l'ha trovata mai. (da ''Piazza Fontana e dintorni'') *[[Bettino Craxi|Craxi]] era un uomo di partito certamente molto accorto, era un uomo valido di governo perché sapeva decidere. Che cosa fosse lo Stato, da buon socialista, non lo sapeva. (da ''Il terrorismo fino al sequestro e all'uccisione di Aldo Moro'') *Quelle lettere erano tutte farina del sacco di [[Aldo Moro|Moro]], e questa farina non è molto encomiabile perché, vede, tutti gli uomini hanno diritto ad avere paura. Tutti. Però quando un uomo sceglie la politica, e nella politica emerge a [[Statista|uomo di Stato]] – a uomo rappresentativo dello Stato – non perde il diritto a avere paura, ma perde il diritto a mostrarla. Questo sì. Questo è uno dei principi che dovrebbe essere affermato. L'incidente, tipo quello di Moro, fa parte del mestiere. Chi affronta quel mestiere deve sapere che può incorrere in quell'incidente e deve avere i nervi, e diciamo gli altri attributi, per resistere. Moro era lo Stato. Lo Stato si raccomandava, implorava, minacciava la classe politica che facesse di tutto, anche che si prostituisse, per salvargli la vita: eh, no. No. Moro era certamente un politico a modo suo, estremamente abile – era anche un galantuomo, credo – ma uomo di Stato non era nemmeno lui. [...] Anch'io mi sono posto questa domanda molto spesso: «Ma se Moro fosse tornato in politica dopo aver costretto lo Stato a prostituirsi, a inginocchiarsi di fronte ai terroristi, avrebbe potuto restarci?». Avrebbe potuto restare? Con che faccia? Vabbè che siamo in Italia. {{NDR|«Forse lo Stato sarebbe stato un altro perché i terroristi avrebbero vinto»}} Appunto. I terroristi avrebbero vinto. Quindi lui che cosa diventava, il braccio politico del terrorismo? Che cosa diventava? Come poteva ripresentarsi? Va bene, gli italiani hanno lo stomaco forte, inghiottono tutto – noi italiani abbiamo lo stomaco forte e inghiottiamo tutto – ma, insomma, di fronte a un uomo la cui vita, la cui sopravvivenza, aveva avuto quel prezzo per noi non credo che avrebbe potuto ripresentarsi all'opinione pubblica italiana. (da ''Il terrorismo fino al sequestro e all'uccisione di Aldo Moro'') *Noi naturalmente abbiamo il dovere di ringraziare [[Michail Gorbačëv|Gorbačëv]] per quello che ha fatto, però se lei mi chiede se lo ha fatto bene o lo ha fatto male io debbo rispondere che lo ha fatto malissimo. Io non so se lui... che lui volesse salvare la Patria sovietica questo non lo metto in dubbio. Che lui volesse salvare il comunismo... io debbo risponderle di no, perché quello che lui ha fatto per affossare il comunismo lo ha fatto. (da ''Giovanni Paolo II e la fine dell'URSS'') *Anche i cinesi si erano accorti che il sistema comunista era arrivato al capolinea, era fallito. Fallito perché non regge, assolutamente non regge. {{NDR|Il sistema comunista}} Aveva portato il Paese, e i Paesi che lo avevano adottato, al fallimento. Anche i cinesi si erano accorti di questo, però avevano capito che per trasformare un sistema oramai ancestralmente totalitario, statalizzato, che aveva tolto ogni libertà a tutti, che aveva disabituato tutti da ogni spirito di iniziativa e di impresa... per trasformare un'economia basata su questi principi fallimentari in un'economia capitalista basata sul libero mercato, sulla libera concorrenza eccetera, bisognava tenere in mano il potere politico per controllare questo passaggio. I cinesi lo fecero. Quando gli studenti di Pechino credettero di potergli {{NDR|al governo cinese}} prendere la mano scendendo in [[Protesta di piazza Tienanmen|piazza Tienanmen]] i cinesi non esitarono a mitragliarli e, per quanto un massacro non possa che essere esecrato, io dico questo: i cinesi erano obbligati a farlo. Se non lo facevano la Cina si dissolveva, ritornava quella di [[Chiang Kai-shek]]: ritornava quella dei signori della guerra, cioè il Paese si disfaceva. Il Paese che bene o male [[Mao Tse-tung]] aveva unificato e a cui aveva dato un'anima di Nazione si sarebbe disfatto. (da ''Giovanni Paolo II e la fine dell'URSS'') *{{NDR|Su [[Licio Gelli]]}} L'avevo visto una volta e questo [...] rendeva ancora più grande la mia sorpresa. Io avevo un giornale, ''il Giornale'', che non aveva patroni, non aveva pubblicità, che quindi aveva delle grosse difficoltà di tirare avanti. La proprietà era divisa fra me e una trentina di altri redattori, e non avevamo niente in mano. Io non trovavo una banca che mi facesse un fido, non trovavo una società pubblicitaria che mi garantisse un minimo decente delle cose [...]. A un certo momento il capo del nostro ufficio romano, Trionfera – che era massone, ma non P2 – mi disse «Senti, vieni a Roma perché so che c'è un signore che sta diventando il padrone della stampa italiana». Dico «Come? Il padrone della stampa italiana?» «Sì, c'è un signore che, a quanto pare, ha assunto un potere straordinario nel mondo dell’editoria e forse lui può anche aiutarci». [...] Andai a Roma e allora {{NDR|Renzo Trionfera}} mi disse che lui aveva appuntamento con questo signor Gelli, di cui io sentivo il nome per la prima volta [...], però dovevamo andarci quasi di nascosto. [...] Andammo [...] e così vidi Gelli per la prima e unica volta. Gli esposi la situazione e lui mi disse: «Ma questi sono dettagli, queste sono piccolezze, non sono problemi gravi perché qui, oramai, bisogna procedere a ben altro. Bisogna chiamare a raccolta tutta questa stampa italiana che è litigiosa, che è settaria. Bisogna darle un indirizzo unico». Allora io lì lo fermai. Dissi: «Come fa a darle un indirizzo unico? La stampa segue criteri diversi, i giornalisti...». «Macché giornalisti – disse lui – qui ci vuole un padrone della stampa!». Dico «Ma non esiste un padrone della stampa, a meno che non rifacciamo il Minculpop fascista, allora c'era un padrone perché c'era un regime che faceva il padrone». {{NDR|Licio Gelli}} Dice «Basta comprare la proprietà dei giornali». Dissi «Ma scusi, ci sono degli editori che non vendono» [...] «Questione di prezzo». Il discorso andò avanti su questi binari, quando uscimmo io dissi a Trionfera: «Senti, ma questo qui è il più grosso farabolano con cui abbiamo avuto a che fare, uno che si immagina di comprare tutta la stampa e di ridurla ai suoi ordini, va be', o è un matto, o è un matto, oppure è proprio un piazzista, un fregnacciaro qualsiasi insomma». Questo fu l'unico incontro. [...] Uno che faceva questi discorsi naturalmente mi sembrava inutile continuare a frequentarlo. Di lì a poco venne fuori la lista degli iscritti alla P2 e venne fuori l'identificazione di Gelli col Grande Vecchio, col famoso Grande Vecchio. {{NDR|«Finalmente si era trovato»}} Finalmente si era trovato il Grande Vecchio autore di tutte le stragi, le cose..., {{NDR|«Il vero Grande Vecchio»}} il bieco Grande Vecchio. Naturalmente non credetti nemmeno a questo. (da ''Il caso Sindona e la P2'') *Per istinto, e per come avevo visto e conosciuto [[Licio Gelli|Gelli]], io sono convinto che {{NDR|la [[P2|Loggia P2]]}} era una cricca di affaristi e basta. Era una cricca di affaristi condotta da un uomo che, evidentemente, come intrallazzatore doveva essere geniale. Era un pataccaro, indiscutibilmente era un pataccaro, ma che a tutto pensava fuorché a un ''golpe''. Non ci pensava nemmeno. Lui procurava affari e soprattutto fomentava carriere. Lui aveva capito qual è la struttura del potere in Italia, sempre, non soltanto allora, sempre: è una struttura mafiosa. Bisogna far parte di una cricca, di una conventicola in cui ognuno aiuta l'altro, e questo era la P2. [...] Ma che interesse poteva avere Gelli a rovesciare un sistema che gli consentiva di influire sino a quel punto? Quale interesse poteva avere? E poi, Gelli era un farabolano ma non doveva essere del tutto sprovveduto, doveva sapere che l'[[Italia]] non è terra da ''golpe''. Ma chi lo fa il ''golpe''? E anche se qualcuno lo fa, come fa a resistere? Che cos'ha dalla sua per fare il ''golpe''? Non ho mai creduto al golpismo di Gelli. (da ''Il caso Sindona e la P2'') *Il caso Chiesa era un caso modestissimo. Fece da detonatore perché il momento era maturo per arrivare a ''Tangentopoli'', che era dovuto a una cosa molto più complessa che era questa: che ci fosse la corruzione in Italia si è sempre saputo, la classe dominante promanava questo puzzo di fogna che tutti sentivano, il famoso «turarsi il naso». Soltanto che fin quando l'alternativa di questa classe politica allora al potere era un Partito comunista, che era un fac-simile di quello sovietico, basato sui carri armati, sulla polizia segreta, sulle delazioni, sui processi, [...] finché c'era questo spettro noi non potevamo prenderci il lusso di mettere sotto processo e mandare in galera la classe politica dirigente allora. Fu quando, col Muro di Berlino, crollò questo incubo che i tempi furono maturi perché questo avvenisse. (da ''Tangentopoli'') *Che {{NDR|la [[corruzione]]}} sia inestirpabile, di questo sono sicuro perché dura da 2000 anni. La corruzione non è soltanto nella politica: è nella società italiana! Noi italiani abbiamo sempre corrotto tutti! Tutti coloro che sono venuti in Italia a fare i padroni li abbiamo corrotti. [...] Noi dobbiamo metterci in testa che la lotta alla corruzione la si fa in un modo solo: cambiando gli italiani, non cambiando le classi politiche. Le classi politiche, anche quelle nuove, si corrompono. È inevitabile. (da ''Tangentopoli'') *[[Silvio Berlusconi|Berlusconi]] ha un sacco di qualità. C'è da dire, ha una grande immaginazione, una grande fantasia; ha un coraggio leonino nel buttarsi nelle imprese; sa trascinare molto bene; è un comunicatore eccezionale, sa accendere i suoi seguaci di entusiasmi eccetera eccetera, mi ricordo che una volta gli dissi: «Io sono sicuro che se tu ti mettessi a fabbricare dei vasi da notte, faresti venire la voglia di fare pipì a tutta l'Italia». (da ''Verso il bipolarismo'') *[[Silvio Berlusconi|Lui]] è un uomo d'attacco: se avesse fatto la carriera militare lui non sarebbe diventato né un [[Gerd von Rundstedt|Rundstedt]] né un [[Erich von Manstein|Manstein]], che furono i grandi strateghi tedeschi dell'ultima guerra. [...] Lui sarebbe diventato un [[Erwin Rommel|Rommel]] o un [[George Smith Patton|Patton]]. Cioè dire: è un generale di straccio e di rottura che, appunto, sullo slancio può compiere qualsiasi cosa. Se lo metti poi a difendere le posizioni conquistate con lo slancio, eh no, lì non ci sta. Come Rommel: Rommel finché poté attaccare in Libia e in Egitto attaccò. Quando dovette mettersi sulla difensiva chiese il rimpatrio. [...] Non sarebbe uomo di Curia e non è un uomo di pazienza, non è un uomo da guerra di posizione e di logoramento. (da ''Verso il bipolarismo'') *Lui Arrivò a Palazzo Chigi credendo, e facendo credere, che uno Stato si poteva condurre con gli stessi criteri di un'azienda privata. Io su questo avevo avuto serie discussioni con lui – non litigi, non ho mai litigato con Berlusconi – gli avevo detto: «Guarda che lo Stato non è un'azienda privata». [...] Lui credeva di potersi comportare a Palazzo Chigi, e con la macchina dello Stato, come si comportava con la sua organizzazione, dove la gente frullava e, se non frullava, lui la cacciava via, com'è giusto che faccia un imprenditore. Ma lui non poteva applicare questi metodi e sistemi allo Stato. Quando si trovò di fronte alla muraglia grigia, sorda e ottusa della burocrazia italiana, che è la peggiore, ma anche la più resistente del mondo, lui rimase senz'armi: non poteva licenziare neanche un usciere. Nel gioco parlamentare lui naufraga perché non è abituato a queste cose. La politica – non dico che sia solo un mestiere – ma è anche un mestiere. Questo mestiere lui non lo aveva. (da ''Verso il bipolarismo'') *Che gli italiani siano capaci di emanare leggi di riforma, ci credo senz'altro. L'Italia è la più grande produttrice di regole, ognuna delle quali è una riforma, è la riforma di un'altra regola. Gli stessi esperti pare che abbiano perso il conteggio delle leggi, dei regolamenti che vigono in Italia: c'è qualcuno che parla di 200.000, altri di 250.000. Ora, quando si pensa che la [[Germania]] ha in tutto 5.000 leggi, la [[Francia]] pare 7.000, l'[[Inghilterra]] nessuna, quasi nessuna – ha dei principi, così stabiliti. A cosa ha portato tutta questa proliferazione? A riempire gli scantinati dei nostri pubblici uffici, dove ci sono questi mucchi di legge che nessuno va nemmeno a consultare perché ognuna di queste leggi poi offre il modo di evaderle. Questa è la grande abilità dei legislatori italiani. I legislatori italiani sono quasi tutti degli avvocati. E gli avvocati a che cosa pensano? A ingarbugliare le leggi in modo da restarne loro i supremi e unici depositari. [...] Riforme: hai voglia se ne faremo, continuiamo a farne, è la nostra vocazione, questa. Quanto poi all'attuazione, allora è un altro discorso: le leggi in Italia non vengono osservate, anche perché sono formulate in modo che si possano non osservare. Ed è questo che spiega l'abbondanza, la prodigalità delle nostre classi politiche, delle nostre classi dirigenti, nello sfornarne di continuo. (da ''Dal Governo Dini all'Ulivo'') *Un Paese che ignora il proprio Ieri, di cui non sa assolutamente nulla e non si cura di sapere nulla, non può avere un Domani. Io mi ricordo una definizione dell'Italia che mi dette in tempi lontanissimi un mio maestro e anche benefattore, che fu un grande giornalista, [[Ugo Ojetti]], il quale mi disse: «Ma tu non hai ancora capito che l'Italia è un Paese di contemporanei, senza antenati né posteri perché senza memoria». Io avevo 25-26 anni e la presi per una ''boutade'', per una battuta, un paradosso. Mi sono accorto che aveva assolutamente ragione. Questo è un Paese che {{NDR|«È un Paese che non ama la Storia»}} ha una storia straordinaria, {{NDR|«Ma non la ama»}} ma non la studia, non la sa. È un Paese assolutamente ignaro di se stesso. Se tu mi dici cosa sarà un domani per gli italiani, forse sarà un domani brillantissimo. Per gli italiani, non per l'Italia. Perché gli italiani sono i meglio qualificati a entrare in un calderone multinazionale perché non hanno resistenze nazionali. Intanto hanno dei mestieri in cui sono insuperabili. [...] Voglio dirlo senza intonazioni spregiative, nei mestieri servili noi siamo imbattibili, assolutamente imbattibili. Ma non lo siamo soltanto in quelli. L'individualità italiana si può benissimo affermare in tutti i campi, anche scientifici. Io sono sicuro che gli scienziati italiani, i medici italiani, gli specialisti italiani, i chimici, i fisici italiani quando avranno a disposizione dei gabinetti europei veramente attrezzati brilleranno. Gli italiani, l'Italia no. L'Italia non ci sarà, non c'è. Perché gli italiani che vanno in Germania diventeranno tedeschi. [...] Alla seconda generazione sono assimilati. Dovunque vadano, sono assimilati. {{NDR|«Ma questo è un difetto?»}} No... è un difetto... è un difetto ed è anche una virtù. È una qualità. Voglio dire: per l'Italia non vedo un futuro, per gli italiani ne vedo uno brillante. (da ''Dal Governo Dini all'Ulivo'') ==Citazioni tratte dai giornali== ===''Corriere della Sera''=== <!--ordine cronologico--> *Gli eroi sono sempre immortali, agli occhi di chi in essi crede. E così crederanno, i ragazzi, che il «[[Grande Torino|Torino]]» non è morto: è soltanto «in trasferta». (7 maggio 1949) *{{NDR|A proposito di [[Maratea]]}} Forse in Italia non c'è paesaggio e panorama più superbi. Immaginate decine e decine di chilometri di scogliera frastagliata di grotte, faraglioni, strapiombi e morbide spiagge davanti al più spettacoloso dei mari, ora spalancato e aperto, ora chiuso in rade piccole come darsene. (4 ottobre 1957) *{{NDR|Su ''[[La dolce vita]]''}} Ma non c'è dubbio che qui ci si trova di fronte a qualcosa di eccezione (sic!) non perché rappresenti un meglio o un di più di ciò che finora si è fatto sullo schermo, ma perché ne va nettamente al di là, violando tutte le regole e convenzioni, a cominciare da quelle della durata, che supera le tre ore di spettacolo, per finire a quelle della trama, o meglio della non trama, perché non c'è. (''[http://cinquantamila.corriere.it/storyTellerArticolo.php?storyId=4d44ab344c050 Montanelli vede La Dolce Vita]'', 22 gennaio 1960) *{{NDR|Su ''[[La dolce vita]]''}} Non siamo più nel cinematografo, qui. Siamo nel grande affresco. Fellini secondo me non vi tocca vette meno alte di quelle che Goya toccò in pittura, come potenza di requisitoria contro la sua e la nostra società. (''ibidem'') *Il suo reportage non è una "patacca". Il poco – oh, molto poco! – che vi luce è proprio oro. E il molto che vi puzza è proprio fogna. Del resto, se così non fosse, il film sarebbe fallito come falliscono i reportages quando eludono la verità o non riescono a centrarla. Quindi, amici, vi prevengo se domani ''[[La dolce vita]]'' vi farà inorridire, non confutàtela dicendo: "Non è vero". Perché per esser vero, tutto ciò che qui è raccontato, lo è. D'altronde Fellini è ricorso al mezzo più spicciativo (e più diabolico) per dimostrarlo. (''ibidem'') *Ma mi affretto subito ad aggiungere che ''[[La dolce vita]]'' non è una polemica a sfondo giustizialista, che appunta i suoi strali sulle cosiddette classi alte. Non convincerebbe, in questo caso, o convincerebbe meno. Gli altri ambienti, che si srotolano giù giù negli appunti di questo reporter d'eccezione, sono descritti con la identica spietatezza, convalidata dalla stessa tecnica di rappresentare ciascuno nei propri panni. Lasciatemi testimoniare in tutta onestà che raramente ho visto qualcosa di più vero di quel salotto intellettuale. Esso ha dato perfino a me, che non ne frequento nessuno, un senso profondo di mortificazione, un vago anelito a cambiar mestiere e a iscrivermi, fo' per dire, ai coltivatori diretti. (''ibidem'') *Non è necessario essere socialisti per amare e stimare [[Sandro Pertini|Pertini]]. Qualunque cosa egli dica o faccia, odora di pulizia, di lealtà e di sincerità. (27 ottobre 1963) *Che i [[Rifugiati palestinesi|profughi palestinesi]] siano delle povere vittime, non c'è dubbio. Ma lo sono degli Stati arabi, non d'[[Israele]]. Quanto ai loro diritti sulla casa dei padri, non ne hanno nessuno perché i loro padri erano dei senzatetto. Il tetto apparteneva solo a una piccola categoria di sceicchi, che se lo vendettero allegramente e di loro propria scelta. Oggi, ubriacato da una propaganda di stampo razzista e nazionalsocialista, lo sciagurato ''fedain'' scarica su Israele l'odio che dovrebbe rivolgere contro coloro che lo mandarono allo sbaraglio. E il suo pietoso caso, in un modo o nell'altro, bisognerà pure risolverlo. Ma non ci si venga a dire che i responsabili di questa sua miseranda condizione sono gli «usurpatori» ebrei. Questo è storicamente, politicamente e giuridicamente falso. (16 settembre 1972) *[[Alexis de Tocqueville|Tocqueville]] diceva che «è nel sonno della pubblica coscienza che maturano le dittature». (da ''[https://web.archive.org/web/20160101000000/http://archiviostorico.corriere.it/1996/gennaio/13/platea_resta_assente_co_0_9601133631.shtml La platea resta assente]'', 13 gennaio 1996, p. 1) *Se si mettono a raffronto i due rivali come faccia, come presenza, come eloquio, come cordialità, insomma come simpatia umana, non c'è dubbio che Albertini ne ispira molto meno di Fumagalli, anzi diciamo la verità tutta intera: non ne ispira punta. Ed io, cittadino ed elettore milanese, proprio di questo sentivo il bisogno: di un sindaco antipatico, di faccia arcigna e poco invogliante alla pacca sulla spalla, al confidenziale «tu» e al pappecciccia coi sottoposti, e poco, anzi punto disponibile a quelle benevolenze, condiscendenze e indulgenze che rappresentano le supposte di glicerina di tutte le corruzioni. [...] Con Albertini ho parlato una sola volta. Ma mi è bastata per capire che, per rendersi antipatico, non ha bisogno di fare sforzi. Basta che si mostri com'è e come spero che rimanga: una specie di Molotov di Palazzo Marino, chiuso nei suoi caparbi ''niet'', diffidente, scostante e culdipietra. Che abbia una compagna fermamente decisa a non partecipare alla vita pubblica del compagno, anche questo ci va bene. [...] Si ricordi, signor Sindaco, che noi abbiamo votato per lei, non per questi papponi. (da ''[https://web.archive.org/web/20160101000000/http://archiviostorico.corriere.it/1997/maggio/13/tradito_Ulivo_co_0_9705136733.shtml Sì, ho tradito l'Ulivo]'', 13 maggio 1997, p. 1) *Non vorremmo, dopo averne deplorato il brutto vezzo, contribuire alle polemiche nel momento in cui bisogna invece accantonarle per fare compatto fronte per il salvataggio del salvabile. Ma basta con le «regole» che servono soltanto a rendere impenetrabili le responsabilità dei disastri quando i disastri si possono ricondurre a delle responsabilità umane (come non accade, per esempio, nei terremoti). Ma quando verrà l'ora della ricostruzione, ricordiamoci che l'[[urbanistica]] e il paesaggio italiani hanno bisogno non di altre, ma di meno «regole». E, più che di cemento, di dinamite. (da ''[https://web.archive.org/web/20160101000000/http://archiviostorico.corriere.it/1998/maggio/09/licenze_facili_leggi_oscure_co_0_9805099009.shtml Le licenze facili e le leggi oscure]'', 9 maggio 1998, p. 1) *Qualche dichiarazione meno infuocata contro la Giustizia di regime, come il [[Silvio Berlusconi|Cavaliere]] si ostina a definirla, avrebbe meglio aiutato la politica italiana a rimuovere il macigno che la paralizza, e che è lui, Berlusconi. (da ''[https://web.archive.org/web/20160101000000/http://archiviostorico.corriere.it/1998/luglio/14/RESTO_SIA_SILENZIO_co_0_9807143775.shtml E il resto sia silenzio]'', 14 luglio 1998, p. 1) *L'Italia sarà anche, come dicono i nostri tromboni universitari, «la culla del diritto». Ma è anche il sepolcro di una giustizia che, per decidere se un imputato è innocente o colpevole, aspetta il suo certificato di morte che la esenta dal dirlo. Il secondo problema è il reclutamento e la selezione [[magistratura|del personale]]. Come in tutte le altre pubbliche attività, anche nella giustizia c'è un dieci per cento di autentici eroi pronti a sacrificarle carriera e vita, ma senza voce in un coro di «gaglioffi» che c'è da ringraziare Dio quando sono mossi soltanto da smania di protagonismo. (da ''[https://web.archive.org/web/20160101000000/http://archiviostorico.corriere.it/1998/agosto/24/CARDINALE_MAGISTRATO_co_0_9808244892.shtml Il Cardinale e il Magistrato]'', 24 agosto 1998, p. 1) *Tutto si è risolto in un colpo solo, non si sa con precisione quando e come combinato, che ha tagliato la strada alla bagarre prima che cominciasse. E che, per quanto mi riguarda, mi ha liberato dall'incubo che turbava i miei inquieti sonni, e in cui mi vedevo in fuga da un mostro senza volto, ma che m'incalzava con la logorrea del presidente uscente, aggravata dall'accento irpino di Mancino e dalle corde vocali della signora Jervolino. [...] Siamo sicuri che il popolo, chiamato a pronunciarsi fra un [[Carlo Azeglio Ciampi|Ciampi]] e – faccio per dire – un [[Antonio Di Pietro|Di Pietro]], si sarebbe pronunciato per Ciampi? È una domanda che non aspetta risposta, ma che mi permetto di proporre ai lettori. Gran bella parola «il Popolo». E riconosciamogli pure l'attributo, che gli spetta, di «Sovrano». Ma insomma, meditate gente, meditate. (da ''[https://web.archive.org/web/20160101000000/http://archiviostorico.corriere.it/1999/maggio/14/QUASI_NON_CREDO_co_0_9905146643.shtml Quasi non ci credo]'', 14 maggio 1999, p. 1) *Tutti coloro che hanno svolto pubbliche funzioni in Sicilia sono rimasti e sono tuttora in qualche modo «collusi» con la mafia. Lo furono quotidianamente, e per secoli, il governo e la polizia borbonica. Lo fu [[Giuseppe Garibaldi|Garibaldi]] che in essa trovò, dopo lo sbarco, la sua prima alleata. Lo furono i governi nazionali sia di destra che di sinistra. Lo fu [[Giovanni Giolitti|Giolitti]] che pure non scese mai, a ch'io sappia, a sud di Napoli. Lo fu il presidente della vittoria, [[Vittorio Emanuele Orlando|Orlando]], che quando tornava a Palermo, la prima visita che rendeva non era al prefetto né all'arcivescovo, ma al capomafia. Tentò di non esserlo Mori che aveva licenza di uccidere garantita da un regime totalitario, e ci rimise il posto. Lo sono stati tutti i politiconi e politicastri della Prima Repubblica. Anche il cautissimo [[Giulio Andreotti|Andreotti]]? Può darsi, attraverso i suoi proconsoli ''in loco''. Ma il Tribunale deve aver capito che l'imputato non era lui. Era il costume morale e politico della nostra vita pubblica, sul quale un Tribunale non ha, né può né deve avere competenza. [...] E il problema, secondo me, è questo: che fin quando noi italiani crederemo di salvarci dalla peste mandando sul rogo una strega o un untore, dalla peste non ci libereremo mai. (da ''[https://web.archive.org/web/20160101000000/http://archiviostorico.corriere.it/1999/ottobre/24/TRIBUNALE_DELLA_STORIA_co_0_991024441.shtml Il tribunale della storia]'', 24 ottobre 1999, p. 1) *Ci dicano chiaro e tondo perché hanno smembrato il Ros, e hanno ridimensionato l'attività di Sco e Gico. Non ci raccontino che hanno voluto mettere al riparo il capitano Ultimo e i suoi uomini dalle possibili vendette della malavita. E soprattutto non vengano a ripeterci che il ''modus operandi'' dei servizi segreti, per impedirne le «deviazioni», dev'essere «trasparente». Questa, che un segreto possa essere trasparente, è un'idea da primato della cretineria. E, se non della cretineria, lo è della retorica virtuista o della menzogna truffaldina. (da ''[https://web.archive.org/web/20160101000000/http://archiviostorico.corriere.it/1999/novembre/02/PROCURATORE_BATTA_PUGNO_co_0_9911021451.shtml Procuratore batta il pugno]'', 2 novembre 1999, p. 1) *Era la prima volta che il partito socialista italiano aveva trovato un uomo {{NDR|Bettino Craxi}}, se non di Stato, almeno di governo, che lo aveva liberato dalla subalternanza al Pci, e condotto su posizioni democratiche, europeistiche e atlantiche. Lo avrà anche fatto con metodi alquanto spicciativi e disinvolti, più da padrino che da ''leader''. Ma mi chiedo se avrebbe potuto usarne di diversi per avere ragione dei vecchi tromboni del massimalismo populista e piazzaiolo con le loro clientele incrostate da decenni. E mi chiedo anche quanto contribuirono alla sua crocefissione i rancori e le acredini che si era lasciato dietro. Ma nella difesa si perse, e non per mancanza, ma forse per eccesso di coraggio. (da ''[https://web.archive.org/web/20160101000000/http://archiviostorico.corriere.it/2000/gennaio/20/STATISTA_LATITANTE_co_0_0001201104.shtml Lo statista latitante]'', 20 gennaio 2000, p. 1) *Anche noi siamo convinti che il Paese ha il diritto di conoscere la verità (che non riguarda soltanto quella di Piazza Fontana). Ma non ci riusciamo. Anche perché se la pista rimane, come sembra accertato, quella del terrorismo nero, non sappiamo quali nomi l'accusa potrà tirar fuori dal suo cappello. I tre maggiori indiziati sono già stati assolti con sentenza passata in giudicato che non consente di richiamarli sul banco degli imputati. Gli altri di cui si fa il nome non sarebbero che comparse, la più importante delle quali, Delfo Zorzi, risiede a Tokio con passaporto giapponese che lo mette al riparo da ogni pericolo di estradizione. Vale la pena ricominciare? L'''ouverture'' dei dibattimenti non è stata incoraggiante. Il proscenio era occupato da Capanna, Valpreda, [[Dario Fo]] e altri reduci sessantottini, cui si era aggiunto anche Sergio Cusani, l'intangentato convertitosi (lo diciamo senza nessuna ironia) al missionarismo. [...] Invano i portaparola della parte lesa, cioè dei familiari delle vittime, si sono dichiarati estranei e contrari a ogni tentativo di politicizzare il processo. Una parola. Non ci riescono nemmeno [[Jovanotti]] e [[Teo Teocoli|Teocoli]] con le loro filastrocche dal palcoscenico di Sanremo. Figuriamoci se potranno riuscirci i registi di questo processo ''rouge et noir'', se mai ve ne furono. [...] Ecco a cosa servono i processi come questo: non a cercare la verità, ma a fornire argomenti al ''rouge'' o al ''noir''. (da ''[https://web.archive.org/web/20160101000000/http://archiviostorico.corriere.it/2000/febbraio/26/QUELLA_VERITA_CHE_CERCHIAMO_co_0_0002264627.shtml Quella verità che cerchiamo]'', 26 febbraio 2000, p. 1) *Cosa c'entri la giustizia italiana in fatti e misfatti capitati trent'anni fa in un Paese {{NDR|l'[[Argentina]]}} di cui la metà della popolazione è di origine italiana, non riusciamo a capire. Ma ci pareva impossibile che l'iniziativa del giudice spagnolo Garzon per trascinare l'ex dittatore cileno [[Augusto Pinochet|Pinochet]] sul banco degli accusati di un tribunale madrileno non trovasse imitatori in un Paese di scimmie come il nostro. Grazie ad essa, il nome e il volto di Garzon sono noti in tutto il mondo. Ed è probabile che tra poco lo siano anche quelli del pubblico ministero Caporale. Vi pare poco in un'era dell'effimero come quella in cui stiamo vivendo, e che vede l'infittirsi di processi ai defunti, su cui le nuove leve della [[storiografia]] vorrebbero riscrivere il passato? (da ''[https://web.archive.org/web/20160101000000/http://archiviostorico.corriere.it/2000/aprile/03/QUEI_PROCESSI_CARO_ESTINTO_co_0_0004033275.shtml Quei processi al caro estinto]'', 3 aprile 2000, p. 1) *Dobbiamo avere la modestia di riconoscere che noi, come venditori, non leghiamo nemmeno le scarpe a un piazzista che se un giorno si mettesse a produrre vasi da notte, farebbe scappare la voglia di urinare a tutta l'Italia. (da ''[https://web.archive.org/web/20130619122825/http://archiviostorico.corriere.it/2001/febbraio/15/PREDICATORI_COMPARSE_co_0_0102158858.shtml I predicatori e le comparse]'', 15 febbraio 2001, p. 1) *Non sono mai venuto meno all'impegno, preso non con il Cavaliere, ma con me stesso, di non associarmi mai alla sua demonizzazione. Ma non posso sottacere ai lettori i pericoli che si nascondono sotto questa sua allergia alla verità, questa sua voluttuaria e voluttuosa propensione alle menzogne, la naturalezza con cui riesce a pronunziarle. (da ''Io e il cavaliere qualche anno fa'', 25 marzo 2001, p. 1) *Berlusconi, cui nulla riesce tanto bene quanto la parte di vittima e perseguitato. «[[Chiagne e fotte]]» dicono a Napoli dei tipi come lui. E si prepara a farlo per cinque anni di seguito. (da ''Io e il cavaliere qualche anno fa'', 25 marzo 2001, p. 1) ====''La stanza di Montanelli – rubrica''==== {{cronologico}} *{{NDR|[[Vittorio Sgarbi]]}} È un volgare calunniatore, che non disonora se stesso, ma anche il suo committente e padrone (tutti sappiamo chi è) che si serve di un simile scherano. (8 novembre 1995) *I [[Riformismo|riformatori]] italiani, quando si tratta di riformare ciò che non ha bisogno di essere riformato, sono instancabili. L'attività dell'Ucas, Ufficio complicazioni affari semplici, come ricordava un altro lettore esasperato, è frenetica. ([https://web.archive.org/web/20160101000000/http://archiviostorico.corriere.it/1995/dicembre/13/Ufficio_complicazioni_affari_semplici_co_0_9512139920.shtml 13 dicembre 1995]) *Io credo che il miglior omaggio che si può rendere a [[Aldo Moro|Moro]] sia quello di archiviare l'episodio che ne segnò la fine e dal quale, diciamo la verità, la sua immagine esce tutt'altro che bene. Quando sento dire che, oltre a quelle conosciute, ci sono anche altre lettere di Moro, prego Iddio che non vengano trovate. So già cosa contengono, e preferisco non leggerlo. (21 dicembre 1995) *È assolutamente impossibile istillare negli [[zingari]] il concetto di proprietà e quindi educarli al lavoro come mezzo per conquistarsela. Ma temo che sia altrettanto impossibile far capire tutto questo ai nostri pietisti, religiosi e laici, che farneticano di «integrarli». ([https://web.archive.org/web/20160101000000/http://archiviostorico.corriere.it/1995/dicembre/30/Viaggiai_sul_carrozzone_degli_zingari_co_0_95123012229.shtml 30 dicembre 1995]) *A me, invece, [[Beppe Grillo|Grillo]] piace. Lo considero il più efficace comico in circolazione. Anzi: «comico» non è la parola giusta. Grillo non è un comico, non è un moralista, non è un predicatore: è tutte queste cose insieme. Nel panorama dello spettacolo italiano, dove abbonda il bollito misto, è un'eccezione ambulante (e urlante). Lei ha ragione quando dice che Grillo esagera. Non soltanto esagera; provoca anche, e insulta, e offende. Ma tutte le categorie di giudizio, con un tipo così, risultano inadeguate. Grillo appartiene ad una specie animale particolare, formata da un solo esemplare: lui. O lo strozziamo o lo applaudiamo. Io, appena posso, lo applaudo. Perché i suoi eccessi, a differenza di quelli di [[Vittorio Sgarbi|Sgarbi]], odorano di bucato. ([https://web.archive.org/web/20160101000000/http://archiviostorico.corriere.it/1996/gennaio/11/Beppe_Grillo_incubo_esilarante_co_0_9601114281.shtml 11 gennaio 1996]) *Una delle eterne regole italiane: nel settore pubblico, tutto è difficile; la buona volontà è sgradita; la correttezza, sospetta. Per questo, le persone capaci continueranno a tenersi a distanza di sicurezza dalla «cosa pubblica», lasciando il posto ai furbastri (magari bravi) e alle mezze cartucce (magari oneste). Così, purtroppo, vanno le cose in questo bizzarro paese. ([https://web.archive.org/web/20160101000000/http://archiviostorico.corriere.it/1996/gennaio/26/Impegno_politico_caduta_delle_illusioni_co_0_9601261298.shtml 26 gennaio 1996]) *In una società libera il compito dei media non è «edificare la morale»; è informare, denunciare, stimolare, far riflettere, occasionalmente divertire. (28 gennaio 1996) *L'unico incoraggiamento che posso dare ai giovani, e che regolarmente gli do, è questo: «Battetevi sempre per le cose in cui credete. Perderete, come le ho perse io, tutte le battaglie. Una sola potete vincerne: quella che s'ingaggia ogni mattina, quando ci si fa la barba, davanti allo [[specchio]]. Se vi ci potete guardare senza arrossire, contentatevi». (20 febbraio 1996) *Non so se il Pci sia sotterraneamente sceso a trattative con le Br per convincerle a secondare questo piano. So soltanto che le Br, le quali invece la rivoluzione la volevano sul serio, lo rifiutarono, e fu proprio per farlo naufragare che rapirono e poi uccisero colui che doveva esserne lo strumento. [...] Fu il risoluto e quasi furibondo (oltre che sacrosanto) no dei comunisti che fece naufragare il tentativo {{NDR|Trattativa Stato-BR durante il sequestro [[Aldo Moro|Moro]]}}, che invece in seno alla Dc aveva parecchi sostenitori, anche se non osavano dirlo apertamente. Di qui le accuse e le insinuazioni contro i suoi compagni di partito, lanciate da Moro in quelle famose lettere, che avrebbe fatto meglio a non scrivere perché indegne di un vero uomo di Stato, anzi di un uomo tout court, e che ancor oggi forniscono materia al sospetto di una congiura fra democristiani – con l'aiuto dei soliti servizi segreti «deviati» – per sbarazzarsi di lui. Vero nulla. Forse nella Dc le forze «trattativiste», praticamente disposte alla resa alle Br, avrebbero vinto, se non ne fossero state impedite dalla risolutezza del Pci, che di un brigatismo assurto ad interlocutore dello Stato non voleva sentir parlare e di un Moro salvato al prezzo di una simile capitolazione non avrebbe più saputo che farsi. (26 marzo 1996) *No, è stata la persecuzione che ha costretto gli ebrei, per resisterle, a tendere ed affinare tutte le loro risorse intellettuali. Ecco il segreto dei loro primati. In tutto. E talvolta anche nella cretineria. (3 aprile 1996) *L'[[Allargamento della NATO|allargamento della Nato]] è una cosa maledettamente seria, e decisamente complessa. Parlarne prima delle elezioni presidenziali russe vuol dire buttare benzina sul fuoco; non parlarne oggi significa, forse, non parlarne più. [...] Innanzitutto, dobbiamo renderci conto che la Nato è un'organizzazione basata sul consenso: se si estende verso Oriente [...], la compattezza dell'alleanza rischia di incrinarsi. Ancor più delicata è una seconda questione. Governi e opinione pubblica occidentali devono capire le implicazioni della loro decisione. In seguito all'allargamento, i nuovi membri orientali della Nato (che siano solo Repubblica Ceca e Ungheria; o anche Polonia e Paesi Baltici) diventano nostri alleati, a tutti gli effetti. Questo vuol dire che, se venissero attaccati, dovremmo correre a difenderli. Domanda: siamo disposti a morire per Varsavia e Tallin? Se la risposta è «sì», allarghiamo pure la Nato. Se la risposta è «ma, forse...» – e in Italia sarebbe sicuramente «ma, forse...» – è meglio che lasciamo perdere. In quella parte del mondo hanno già sofferto abbastanza. Non è il caso che ci mettiamo anche noi. ([https://web.archive.org/web/20151025020316/http://archiviostorico.corriere.it/1996/aprile/20/Allargamento_della_Nato_Lasciamo_perdere_co_0_960420535.shtml 20 aprile 1996]) *Io non mi considero affatto ateo e non capisco come si possa esserlo. ([https://web.archive.org/web/20160101000000/http://archiviostorico.corriere.it/1996/maggio/23/dove_comincia_grande_mistero_Dio_co_0_9605235872.shtml 23 maggio 1996]) *{{NDR|Riferito alla [[crisi di Sigonella]]}} Ho sempre considerato il rilascio di Abu Abbas un gesto semplicemente criminale o almeno di complicità col crimine. ([https://web.archive.org/web/20151107235857/http://archiviostorico.corriere.it/1996/luglio/07/Caro_Ottiero_Ottieri_diamoci_del_co_0_9607072658.shtml 7 luglio 1996]) *Quanto scrivi {{NDR|riferito a una lettrice}} sull'insegnamento della Storia nelle nostre scuole è sacrosantamente vero. I testi su cui ve la fanno studiare sono o reticenti o faziosi, ma più spesso l'una cosa e l'altra, e soprattutto scritti coi piedi. (4 settembre 1996) *No, caro N***, non mi basta che il Pool abbia perseguito e persegua una buona Causa. Doveva farlo anche con buoni mezzi e criteri. E il caso Di Pietro basta a dimostrare che questo non è sempre avvenuto. (24 ottobre 1996) *È dalla piazza e dai cosiddetti «bagni di folla» che nascono i dittatori e vengono consacrati i fanatismi più orrendi, fra cui il più orrendo di tutti: il razzismo. ([https://www.fondazionemontanelli.it/sito/pagina.php?IDarticolo=432 24 novembre 1996]) *Io non ho titoli culturali che mi qualifichino a lezioni su una tematica come quella del [[calvinismo]]. Ma credo di averne afferrato l'essenziale: la concezione della Ricchezza come segno della Grazia, di cui quindi non si è proprietari, ma amministratori per conto del Signore col compito di moltiplicarla per il bene di tutti. (21 dicembre 1996) *[[Daniele Vimercati|Vimercati]] è un leghista antemarcia. Lo era anche quando lavorava con me al ''Giornale''. Ma è soprattutto un signor giornalista, che conosce perfettamente la linea di demarcazione fra l'opinione personale e il dovere professionale, e non c'è interesse né calcolo di opportunità che possa indurlo a varcarla. Per questo godeva di tutta la mia fiducia, né mai ho avuto occasione di pentirmi di avergliela concessa. (1996).<ref>Citato in Pierluigi Saurgnani, ''[https://www.ecodibergamo.it/stories/Cronaca/274325_vimercati_gran_borghese_il_giornalista_che_scopr_bossi/ Vimercati, gran borghese. Il giornalista che scoprì Bossi]'', ''ecodibergamo.it'', 13 marzo 2012.</ref> *Di commissioni d'inchiesta il nostro parlamento ne ha partorite a dozzine. Me ne citi una sola che abbia raggiunto dei risultati, anche semplicemente conoscitivi. Per un Parlamento come il nostro (e mi trattengo a fatica dal qualificarlo) anche la ricerca della verità è materia di lottizzazione. ([https://web.archive.org/web/20151118213258/http://archiviostorico.corriere.it/1996/dicembre/23/Ormai_non_resta_che_amnistia_co_0_96122312669.shtml 23 dicembre 1996]) *Quando ebbi, fra i tanti, un processo non con un magistrato, ma con un politico del rango di De Mita che avevo coinvolto nella mala amministrazione dei fondi stanziati per l'Irpinia dopo il [[Terremoto dell'Irpinia del 1980|terremoto]], non trovai, in tutta quella vasta regione, una toga che venisse a testimoniare in mio favore. L'unico che mi difese fu colui che avrebbe dovuto accusarmi: il pubblico ministero del tribunale di Monza, Mariconda: non sul merito delle mie accuse, ch'egli non aveva elementi per valutare, ma sul diritto che mi riconosceva di lanciarle. Anche l'uso dei cinquanta–sessantamila miliardi stanziati per l'Irpinia rimase un porto delle nebbie. ([https://web.archive.org/web/20160101000000/http://archiviostorico.corriere.it/1997/gennaio/12/Magistratura_porti_delle_nebbie_co_0_9701123652.shtml 12 gennaio 1997]) *La sola parola «ingegneria genetica» mi mette i brividi. (14 marzo 1997) *Io non mi sono mai [[Impiccagione|impiccato]]. Ma a Norimberga assistetti a diciassette impiccagioni, compresa quella di un cadavere, il cadavere di Göring che si era suicidato il giorno prima. Be', mi resi conto [...] che ficcare la testa nel nodo scorsoio di una corda non è un esercizio da mezzetacche o quacquaracquà. (15 maggio 1997) *{{NDR|Gladio}} Era stato istituito in quasi tutti i Paesi che facevano parte della Nato, e per volontà della Nato, consapevole che i suoi soci europei non avrebbero potuto resistere all'attacco di una Potenza superarmata qual era l'[[Unione Sovietica]]: avrebbero dovuto aspettare, per la riscossa, l'intervento dell'[[Stati Uniti d'America|America]]. Lo dimostra il fatto che quando questo piano fu rivelato, nessun altro Paese trovò nulla da ridirne. Solo noi italiani – i soliti romanzieri imbecilli e peggio che imbecilli – ne facemmo materia di scandalo e pretesto di «gialli» che tuttora trovano credito, come la sua lettera dimostra. Anch'io mi sento scandalizzato, e un poco offeso. Ma solo dal fatto che nessuno mi abbia sollecitato l'adesione al [[Organizzazione Gladio|Gladio]]: l'avrei data con entusiasmo. ([https://web.archive.org/web/20150623163829/http://archiviostorico.corriere.it/1997/giugno/07/Avrei_dato_con_entusiasmo_adesione_co_0_97060710388.shtml 7 giugno 1997]) *A fare l'Italia alcuni pochi italiani ci sono, senza e contro i più, riusciti. A fare gl'italiani, l'Italia, in centocinquant'anni, non c'è riuscita; anzi non ci s'è nemmeno provata. (19 giugno 1997). *Il vero cacciatore ama gli animali a cui dà la caccia, forse anche perché li considera complici di questo gioco in cui ritrova la sua origine esistenziale. Non spara, per esempio, sul bersaglio fermo: lo considera sleale. (9 luglio 1997) *Al matrimonio misto, che dell'integrazione razziale è la condizione genetica, sono i neri, molto più dei bianchi, che si rifiutano. Non è quindi colpa degl'italiani, o almeno non tutta questa colpa è degl'italiani, se anche da noi l'integrazione con gl'immigrati africani incontra degli ostacoli. Quella con gli oriundi dei Paesi europei non ne incontra nessuno, salvo quelli che frappone la burocrazia, la quale ne pone tanti anche a noi, e anzi campa solo di questo. Non ho mai sentito un francese, o un inglese, o un tedesco, o un bulgaro o un ukraino lamentarsi di una apartheid italiana. Ci sono anche da noi, purtroppo, delle manifestazioni di razzismo. Ma queste sono dovunque, e in Italia meno violente che altrove. L'Italia è un Paese che va a catafascio. Ma non buttiamogli addosso anche delle croci che non merita. Quelle che merita bastano, e ne avanza. (24 agosto 1997) *Io sono un italiano, fra i pochi rimasti che nei confronti dell'Italia s'ispirano all'adagio inglese: «Che abbia ragione o torto, sto col mio Paese». Anch'io sto col mio paese quando ha torto, ma senza pretendere che il suo torto sia considerato ragione. (23 settembre 1997) *Sono e rimango convinto che fin quando noi italiani ci affideremo soltanto alla Legge – o, come ora usa chiamarla, alle «regole» –, rimarremo quello che siamo, coi vizi che abbiamo, fra cui quello di accatastare regole su regole al solo scopo di metterle in contraddizione l'una con l'altra per poterle meglio evadere. (16 ottobre 1997) *Forse farebbe meglio ad astenersi a dare lezioni di liberalismo a me che sono stato, in tutto il giornalismo italiano, l'unico a difenderlo negli anni Settanta e Ottanta, quando difenderlo era difficile e poteva anche costar caro. Non me ne faccio un vanto perché, quando alla fine ha vinto, ho visto di che liberalismo si trattava, ed è per questo che ho votato Ulivo. (23 ottobre 1997) *Le confesso che il suo piglio perentorio e inquisitorio mi disturba alquanto, anche perché mi lascia capire che lei parte da convinzioni così granitiche da rendere vano ogni tentativo d'insinuarvi almeno un dubbio. (23 ottobre 1997) *È importante tutto questo? No. Non lo è per me né per lei, che sappiamo cosa è accaduto. E non lo è per i leghisti doc, secondo cui qualunque cosa propone il capo è Vangelo. Se Bossi decide di andare in Bicamerale, applaudono. Se decide di abbandonare la Bicamerale, esultano. Se va con Berlusconi, assentono. Se lascia Berlusconi, approvano. E se un giorno si sveglia e cambia i confini della Padania, accettano i nuovi confini. Tempo fa, rispondendo a un lettore, scrissi che «i leghisti sono pronti a inneggiare anche all'annessione della Yakuzia, e non solo perché non sanno dove sta». Arrivarono molte lettere indispettite. Ma nessuna contro l'annessione della Yakuzia. (29 ottobre 1997) *Se sono – come sono – uno di quegli uomini di Destra che ultimamente hanno votato, sia pure controvoglia, per la Sinistra (annacquata) dell'Ulivo, è perché da questa, che non è mai stata la mia bandiera, non mi sento tradito. Essa sta facendo ciò che prometteva di fare, ma lo fa con molta moderazione, e con una squadra di uomini che magari non saranno (meno qualcuno, come per esempio Ciampi) di serie A, ma da cui non temo, e credo che nessuna persona ragionevole possa temere, l'instaurazione di un regime. (10 dicembre 1997) *E lo specchio non vi giudica dai successi che avrete ottenuto nella corsa al denaro, al potere, agli onori; ma soltanto dalla Causa che avrete servito. Tenendo bene a mente il motto degli ''hidalgos'' spagnoli: «La sconfitta è il blasone delle anime nobili». (31 dicembre 1997) *Che cosa io pensi dell'onorevole Previti mi pare di averlo detto in termini talmente espliciti da apparire – a più d'uno – brutali: un personaggio che solo a guardarlo in faccia verrebbe voglia di applicargli le manette ai polsi prima ancora di sapere chi è e cosa ha fatto. (31 gennaio 1998) *Infine, c'è quello che io considero il vero, grande vantaggio dell'euro: una volta dentro, non potremo tornare all'allegra finanza pubblica d'un tempo. ([https://web.archive.org/web/20151203232056/http://archiviostorico.corriere.it/1998/febbraio/20/Che_cosa_succedera_quando_avremo_co_0_9802206445.shtml 20 febbraio 1998]) *Tutti hanno diritto di credere nel miracolo, quando non c'è altro a cui aggrapparsi. La scienza no: se lo ricordi anche il Papa. (23 febbraio 1998) *I conti col passato, si capisce, bisogna farli. Ma a un certo punto bisogna chiuderli. Perché nella Storia non ce n'è mai stato uno che, protratto all'infinito, non ne abbia innescato un altro. (10 marzo 1998) *Perché, caro B***? Perché la vocazione a dividerci sempre e su tutto per il nostro «particulare», come lo chiamava Guicciardini, noi italiani ce la portiamo nel sangue, e non c'è legge che possa estirparla. (18 aprile 1998) *Vero che nei ricordi sui quali vengo sollecitato, il nome di [[Cesco Tomaselli|Tomaselli]] ricorre meno frequentemente di quelli di Longanesi, di Buzzati, di Piovene, di Barzini ecc. Ma ciò dipende solo dal fatto che costoro appartenevano alla mia leva, e in comune con loro avevo avuto tante esperienze, perfino la stanza di lavoro. Tomaselli, quando io entrai al ''Corriere'', apparteneva già alla sua vecchia guardia, e come notorietà ne aveva raggiunto il tetto proprio grazie alle sue corrispondenze sull'impresa del dirigibile «Italia» di Umberto Nobile, di cui fu dal principio alla fine lo scrupoloso cronista. A salvargli la vita dalla catastrofe fu soltanto la sorte, contro cui egli imprecò considerandola avversa. Per l'ultima tappa, quella che avrebbe dovuto sorvolare il Polo, dei due giornalisti aggregati a quella spedizione — Tomaselli per il ''Corriere'', e Ugo Lago per il ''Popolo d'Italia'' di Mussolini —, c'era posto, sulla navicella, per uno solo. Lago e Tomaselli se lo giocarono a testa o croce. Con gran dispetto di Tomaselli, che non smise mai di considerarsene tradito, vinse e partì Lago, che non tornò più: quando l'aeromobile precipitò sul pack, lui rimase aggrappato insieme ad altri compagni al cordame dell'involucro col quale scomparve nel deserto bianco. Ma tutte le volte che se ne parlava, Tomaselli seguitava ad inveire contro la scalogna che lo aveva escluso da quel drammatico finale, come se gli avesse tolto la fortuna di descriverlo. Questo era Tomaselli, l'inviato speciale che nel suo mestiere di giornalista portava lo stesso spirito che aveva fatto di lui, nella Prima Guerra Mondiale, un superdecorato ufficiale di artiglieria alpina e gli ispirava una concezione quasi religiosa del «servizio». Non era un «brillante» né come scrittore né come parlatore. Ma di tutto quello che diceva, sia con la bocca che con la penna, si poteva stare sicuri che di inesatto o di inventato non c'era nemmeno una virgola. [...] Se raramente mi capita di parlare di lui, è perché l'ho conosciuto e frequentato sul declino della sua intemerata e ineccepibile carriera di testimone, e perché lui, nel raccontarla, non l'animava mai di aneddoti o di battute come, per esempio, il suo coetaneo Monelli. Ma se ai giovani che si avviano (poveretti!) a questo mestiere dovessi indicare un modello di dignità, serietà, dedizione e correttezza professionale non avrei dubbi sulla scelta: Cesco Tomaselli. ([https://web.archive.org/web/20151009153047/http://archiviostorico.corriere.it/1998/maggio/07/Cesco_Tomaselli_inviato_speciale_Polo_co_0_9805078688.shtml 7 maggio 1998]) *Che un giudice spagnolo in vena di protagonismo abbia chiesto all'[[Inghilterra]] la consegna di un ospite straniero andato a Londra in forma privatissima per ragioni di salute, non mi stupisce: un [[Antonio Di Pietro|Di Pietro]] può nascere dovunque. Ma che l'Inghilterra si proponga di consentire, non mi stupisce. Mi sbalordisce, come ha sbalordito e indignato la signora Thatcher che aveva ospitato in casa il Generale. Ma ancora di più mi sbalordirebbe che la Giustizia spagnola, cioè di un Paese che non solo ha accettato per quarant'anni il potere di un Generale, ma gli ha consentito (per sua fortuna) di disporne anche dopo morto, portasse davanti a una Corte di Giustizia quello cileno. Per non parlare delle conseguenze che tutto questo potrebbe provocare in [[Cile]] dove, nel caso che il governo Frei si mostrasse esitante e accomodante, le Forze Armate potrebbero riprendere il potere per rompere i rapporti diplomatici con [[Spagna]] e Inghilterra e dimostrare al mondo che i processi alla Norimberga hanno fatto il loro tempo. Se a qualcuno il Generale cileno Pinochet deve rendere conto del suo operato, è soltanto al Cile e ai suoi tribunali. E se io fossi un cileno che ha votato Frei (come certamente avrei fatto se fossi stato un cileno), in questa occasione mi schiererei con le Forze Armate. Con tanti saluti a tutto il sinistrume italiano passato, presente e futuro. (24 ottobre 1998) *Che gli [[Stati Uniti d'America|Usa]] siano in tutto il mondo odiati dagli uomini come lei {{NDR|riferito a un lettore}}, è verosimile, e quindi più che credibile. Un po' meno credibile è che gli uomini di tutto il mondo siano e la pensino come lei. Comunque, il giorno in cui quel Paese venisse chiamato (ma da chi?) sul banco degl'imputati come il nemico dell'umanità, io chiederò di essere ascoltato come testimone. Per dire alla Corte dei Vecchio di turno che io, uomo qualunque, mi considero graziato tre volte da questo grande nemico dell'umanità. La prima fu quando mi strappò al pericolo di diventare – per bene che mi fosse andata – l'attendente di un colonnello tedesco. La seconda fu quando mi sottrasse a quello di finire i miei giorni in un kolkos siberiano. La terza fu quando, invece di rimettermi la parcella di questi favori, mi aiutò a rifarmi la casa senza contestarmi il diritto di invitarvi anche coloro che pensano (si fa per dire) e parlano (o meglio sbraitano) come lei. ([https://web.archive.org/web/20160101000000/http://archiviostorico.corriere.it/1999/aprile/10/Fermare_genocidio_Kosovo_co_0_9904103314.shtml 10 aprile 1999]) *Tradotto in politica, non c'è nulla di più intollerante e fazioso, e quindi di meno pacifico, del [[pacifismo]] in generale, e di quello italiano in particolare. È un pacifismo a fasi alterne, e che si sveglia soprattutto, anzi quasi esclusivamente, quando a fare la guerra sono gli americani. Furioso e devastatore imperversò, non soltanto in Europa, ma nella stessa America, al tempo del Vietnam: al punto che quando [[Richard Nixon|Nixon]] venne in visita in Italia (quell'Italia che poteva fare ciò che voleva grazie agli americani) dovettero mandarlo a prendere a Fiumicino con un elicottero e trasportarlo via aria in Quirinale perché via terra avrebbe rischiato la pelle. Ma questo stesso pacifismo rimase impassibile quando i carri armati sovietici schiacciarono l'Ungheria (e a Montecitorio risuonò il grido: «Viva l'[[Armata Rossa]]!»), e poco dopo la Cecoslovacchia e da ultimo l'Afghanistan. Sono sempre gli stessi, i pacifisti italiani. Con una bandiera in mano come quella della pace (chi può infatti invocare la guerra?), si sentono invulnerabili. Ma la sventolano solo per il povero Milosevic; il genocidio del Kosovo li lascia del tutto indifferenti. (5 maggio 1999) *Non sempre condivido le opinioni di [[Giovanni Sartori|Sartori]]. Qualche volta, anzi spesso, abbiamo litigato, anche perché a lui litigare piace moltissimo: da buon toscano, è nella polemica che lui, e forse anch'io, diamo il meglio di noi. E anche sull'articolo del 25 maggio non siamo in tutto e per tutto d'accordo. Lo siamo nel respingere la qualifica di «pacifista», che entrambi lasciamo in esclusiva alle «anime belle» che, sventolando la bandiera della [[pace]], sperano di raccogliere intorno a essa tutti gl'ipocriti e gl'imbecilli che, sommati insieme, costituiscono certamente la stragrande maggioranza degl'italiani. (29 maggio 1999) *Lo Stato di [[Platone]], quello che lui chiamava la polis, e che poi era Atene, aveva, al tempo di Platone, cioè nel momento del suo massimo splendore, ventimila abitanti, di cui solo cinquemila avevano diritto al voto. E veda un po' come quei civilissimi cittadini lo usarono nelle assemblee dell'Acropoli: mettendo sotto processo [[Pericle]] e [[Aspasia di Mileto|Aspasia]], condannando a morte [[Socrate]] e provocando la guerra del Peloponneso, che fu la rovina non solo di Atene, ma di tutta la Grecia e della sua civiltà. Ora se il sistema della «democrazia diretta» o, come lei la chiama, «partecipatoria», non funzionò nemmeno in una polis di ventimila abitanti, s'immagini un po' cosa diventerebbe nei formicai umani cui si sono ridotte le polis attuali, e non soltanto quelle italiane. [...] Lei ha tutte le ragioni del mondo a dire che l'attuale sistema di democrazia «rappresentativa» o «delegata» ha dei vizi gravissimi e spesso provoca disastri, compresa quella americana, che pure è una di quelle che meglio funzionano. Ma, mi creda, quella «diretta» o «di piazza» è ancora molto più pericolosa perché continuamente a rischio di cadere in balia di qualche ciarlatano che sappia soltanto vendere bene la sua merce. Certo, quella indiretta esige, da parte del cittadino, una partecipazione che in Italia manca. Ma non è certo coi referendum che si può sostituirla. Almeno questo mi ha insegnato l'esperienza. (22 agosto 1999) *Quello di [[Francisco Franco|Franco]], se proprio vogliamo chiamarlo regime, fu un regime di polizia, di una polizia molto più dura di quella fascista, ma un totalitarismo no. Ecco perché, quando sentì avvicinarsi il momento della fine, Franco poté liquidare il franchismo con relativa facilità: perché di totalitario non aveva altro che le galere. Però bisogna anche riconoscere che questo soldataccio squallido e ottuso (sul piano umano era repellente), il ritorno al regime democratico seppe compierlo da maestro, facendosi consegnare dal pretendente al trono, Don Juan, ch'egli considerava (non a torto) poco affidabile, il figlio Juan Carlos per prepararlo – operazione riuscitissima – ai suoi compiti di Re, e mettendogli accanto un uomo di primissimo ordine come Suarez. ([https://web.archive.org/web/20130331034046/http://archiviostorico.corriere.it/1999/ottobre/24/differenza_fra_regimi_totalitari_dittature_co_0_991024459.shtml 24 ottobre 1999]) *La servitù, in molti casi, non è una violenza dei padroni, ma una tentazione dei servi. (2 gennaio 2000) *Non conosco Haider, e quindi nemmeno i fondamenti della sua ideologia, ammesso che ne abbia una. A occhio e croce, più che un nazista, mi sembra un qualunquista che interpreta, o cerca d'interpretare i sentimenti e i risentimenti di una pubblica opinione di livello bossiano, scontenta di tante cose, e a cui l'Austria attuale va stretta. [...] Non so se anche Haider – ripeto: non lo conosco – sia un omuncolo. Ma penso che l'Europa, ponendo il veto a un suo eventuale governo, costringerà gli austriaci ad affidargliene l'incarico, come avvenne per Waldheim. Io al pericolo di un rigurgito nazista non ci credo. Come ho letto in un articolo (mi pare di Enzo Bettiza, ma potrei sbagliarmi) penso che Jorg Haider somigli più a un Poujade che a un Le Pen, cioè più a una miscela di [[Umberto Bossi|Bossi]] e di Giannini che a un [[Pino Rauti]]. Ciò che mi allarma è l'incapacità dell'Europa a riflettere sulle sue proprie esperienze a trarne qualche insegnamento. Questo, sì, mi fa paura. (3 febbraio 2000) *Li conosco e riconosco, quei regimi {{NDR|di dittatura e di censura}}. Ne avverto il passo anche di lontano, e convengo che in Italia il pericolo di vederne arrivare qualcuno c'è. Ma sa quando si realizzerà? L'anno venturo, dopo la vittoria – che io do per certa – del Polo alle Politiche. Vedrà. La prima cosa che farà Berlusconi, come la fece nel '94, sarà di spazzare via l'attuale dirigenza Rai per omologarne le tre Reti a quelle sue. (26 febbraio 2000) *Quando s'accendono i [[Morte sul rogo|roghi]], mettiti dalla parte della strega, anche a costo di bruciare con lei. ([https://www.corriere.it/solferino/montanelli/00-05-31/02.spm 31 maggio 2000]) *Una Giustizia che per istruire un processo impiega sei o sette anni e poi non riesce a chiuderlo con una sentenza che non si presti a rimetterlo, con qualche marchingegno, in gioco, è un meccanismo di cui bisogna assolutamente rivedere e rifare gl'ingranaggi: «Giustizia ritardata – dice [[Montesquieu]] – è Giustizia negata». ([http://www.corriere.it/solferino/montanelli/00-06-07/01.spm 7 giugno 2000]) *Il [[revisionismo]] è la materia prima della [[storiografia]] che, senza di esso, sarebbe una disciplina morta. ([http://www.corriere.it/solferino/montanelli/00-06-16/01.spm 16 giugno 2000]) *Il mio giudizio su [[Baltasar Garzón|Garzón]] resta quello di prima, solo un po' rinforzato: un garzoncello smanioso soltanto di leggere il proprio nome sulle prime pagine di tutti i giornali e di vedere la propria effigie sugli schermi televisivi di tutto il mondo: il che rafforza la mia ipotesi che si tratti di un italiano nato per sbaglio in Spagna. ([http://www.corriere.it/solferino/montanelli/00-06-30/01.spm 30 giugno 2000]) *La pena di morte americana esiste e resiste in America perché fu un elemento base e costitutivo della sua nascita e sviluppo. Dei famosi 102 «Padri Pellegrini» che per primi sbarcarono dal «Mayflower» in quel Continente non per saccheggiare le ricchezze come facevano spagnoli e portoghesi in Messico e nell'America del Sud, ma per costruirvi una società nuova e libera, circa i due terzi erano avanzi di galera che fuggivano la Giustizia e le prigioni dell'Europa, e un terzo erano uomini che cercavano la libertà, e soprattutto quella religiosa. I primi avevano in tasca la pistola, i secondi la Bibbia, ma nella sua versione calvinista quella del taglione, basata sulla concezione di un Dio giustiziere che esige la morte di chi senza giusto motivo la dà. (9 luglio 2000) *A Rimini, cioè in casa propria (ma anche nostra, almeno per il momento), questi signorini {{NDR|di [[Comunione e Liberazione]]}} non hanno fatto altro che fischiare tutto ciò che è italiano, acclamare al nuovo beato [[Pio IX]], il Papa-Re che pretendeva di impedire il processo di unificazione nazionale, ed esaltare come i veri eroi del risorgimento i Borboni e i briganti del Cardinale Ruffo. A lei, tutto questo va bene? A me, dà il vomito. ([http://www.corriere.it/solferino/montanelli/00-09-13/02.spm 13 settembre 2000]). *Il mio parere è rimasto quello che espressi sul mio ''Giornale'' l'indomani del fattaccio {{NDR|l'[[agguato di via Fani]]}}. «Se lo Stato, piegandosi al ricatto, tratta con la violenza che ha già lasciato sul selciato i cinque cadaveri della scorta, in tal modo riconoscendo il crimine come suo legittimo interlocutore, non ha più ragione, come Stato, di esistere». Questa fu la posizione che prendemmo sin dal primo giorno e che per fortuna trovò in Parlamento due patroni risoluti (il Pci di [[Enrico Berlinguer|Berlinguer]] e il Pri di [[Ugo La Malfa|La Malfa]]) e uno riluttante fra lacrime e singhiozzi (la Dc del moroteo [[Benigno Zaccagnini|Zaccagnini]]). Fu questa la «trama» che condusse al tentennante «no» dello Stato, alla conseguente morte di Moro, ma poco dopo anche alla resa delle Brigate rosse. Delle chiacchiere e sospetti che vi sono stati ricamati intorno, e che ogni tanto tuttora affiorano, non è stato mai portato uno straccio di prova, e sono soltanto il frutto del mammismo piagnone di questo popolo imbelle, incapace perfino di concepire che uno Stato possa reagire, a chi ne offende la legge, da Stato. ([http://www.corriere.it/solferino/montanelli/00-09-22/03.spm 22 settembre 2000]) *La Serbia ha perduto la guerra e ha vinto la pace: ora deve voltar pagina. Sarà la storia – un giudice non imparziale, ma efficace – a decidere cos'è stato giusto e cos'è stato sbagliato. Tuttavia, una ritorsione serba verso l'Occidente avverrà. E ci troverà disarmati. Sa di cosa parlo? Delle rivendicazioni sul Kosovo, che è amministrato dalla Nazioni Unite ma è ancora Jugoslavia (lo dice la risoluzione dell'Onu). I serbi chiederanno di tornare a controllarne le frontiere, per esempio. E dire no a un Kostunica buono è più difficile che dire sì a un Milosevic cattivo. Gli albanesi del Kosovo, sono certo, lo hanno già capito. ([http://www.corriere.it/solferino/montanelli/00-10-08/01.spm 8 ottobre 2000]) *È un dimenticato, [[Ugo Ojetti|Ojetti]], come in questo Paese lo sono quasi tutti coloro che valgono. Se io dirigessi una scuola di giornalismo, renderei obbligatori per i miei allievi i testi di tre Maestri: [[Luigi Barzini (1908-1984)|Barzini]], per il grande reportage; [[Benito Mussolini|Mussolini]] (non trasalire!), quello dell'''Avanti!'' e del primo ''Popolo d'Italia'', per l'editoriale politico; e Ojetti, per il ritratto e l'articolo di arte e di cultura. ([http://www.corriere.it/solferino/montanelli/00-11-13/01.spm 13 novembre 2000]) *In Italia fu il potere temporale a soffocare negl'italiani la voce della coscienza e a spegnere in loro ogni senso di responsabilità. Ma fu la Controriforma a fornire al prete le armi per accaparrarsi l'una e l'altra: il Sant'Uffizio, le scomuniche e, nei casi estremi, il patibolo. Con questo risultato: l'aborto del «cittadino» e la trasformazione di quello che avrebbe dovuto e potuto diventare un «popolo» in un gregge (come con inconsapevole spudoratezza i preti lo chiamano), e in un gregge di pecore indisciplinate che credono di affermare il loro ribelle individualismo non rispettando il semaforo rosso. ([http://www.corriere.it/solferino/montanelli/00-11-20/01.spm 20 novembre 2000]) *{{NDR|Su [[Slobodan Milošević]]}} Oltre che un despota, lo ritengo anche un satrapo della razza dei [[Nicolae Ceaușescu|Ceausescu]], avido non solo di potere, ma anche di denaro, e credo che la sorte che si merita sia un bel plotone di esecuzione. Purché composto da serbi, al comando di un serbo, e in esecuzione di una sentenza emessa da un tribunale serbo e motivata non tanto da generici crimini contro l'umanità, che sono sempre – salvo casi di monumenti all'orrore come l'[[Olocausto]] – oggetto di discussione e dissensi; ma dal più grande e imperdonabile delitto di cui Milosevic si è macchiato nei confronti non soltanto dei serbi: la distruzione della Nazione Jugoslava, che la Monarchia serba aveva fondato dopo la prima guerra mondiale; che il croato [[Josip Broz Tito|Tito]] aveva difeso coi denti e restaurato dopo la seconda, dando alla Balcania un esempio e un puntello di stabilità; e che Milosevic e il suo compare croato [[Franjo Tuđman|Tudjman]] distrussero per poter restare ciascuno padrone in casa sua; e sulle cui macerie si scatenarono tutte le violenze (Bosnia, [[Kosovo]]) che hanno insanguinato e continuano a insanguinare quel povero Paese. ([http://www.corriere.it/solferino/montanelli/01-04-29/01.spm 29 aprile 2001]) *Questo mondo materialista, edonista ed esibizionista non entusiasma neanche me; e, visto che mi legge, dovrebbe saperlo. Ma vorrei conoscere il sistema che voi avete in mente, e non avete il coraggio, o la capacità, di proporre. Un mondo francescano? Bello: ma guardatevi intorno, e ditemi se vedete un saio. Un comunismo riveduto e corretto? Farebbe la fine dell'altro, anche se non riuscirà a ripeterne i disastri. Mi creda, G.: l'unico sistema sociale ed economico oggi accettabile, in Occidente, è quello basato sul mercato: un capitalismo controllato e temperato, per intenderci. È auspicabile che sia anche corretto: e questo non sempre accade, è vero. Il guaio è che il capitalismo è fatto dai capitalisti – e quelli, devo ammettere, sono spesso difficili da digerire. Non cerchi di confondermi le idee, quindi. Non ci riuscirà. Probabilmente ho tre volte i suoi anni, e ho visto dove conducono queste generiche tirate contro «le multinazionali»: prima o poi, qualcuno deporrà la spranga e prenderà la pistola. Dimenticavo: io firmo le mie opinioni, lei tira il sasso e nasconde la mano. Tutti coraggiosi così, voi ragazzi di Seattle? ([http://www.corriere.it/solferino/montanelli/01-06-09/01.spm 9 giugno 2001]) *Non erano, le mie, parole di circostanza. Erano – e rimangono – quelle di un conservatore abbastanza spassionato e nutrito di Storia da capire che non c'è, per la conservazione di ciò che va conservato, nemico più mortale dei conservatori che vogliono conservare tutto; e che un sistema capitalistico senza un correttivo socialista diventa una jungla che conduce pari pari a [[Karl Marx|Carlo Marx]]. Di qui il mio amore per uno dei personaggi meno amabili, sul piano umano, della nostra Storia, [[Giovanni Giolitti|Giolitti]], che sempre cercò l'accordo con [[Filippo Turati|Turati]], a cui il cretinume massimalista – che nel vostro partito ha sempre dominato – lo impedì. Il vedervi – sbriciolati in gruppi, gruppetti e gruppuscoli – annaspare nell'attuale centro-sinistra in cui nessuno riesce a recitare la parte di se stesso, fa male al cuore di un vecchio autentico liberal-conservatore come me. Cosa aspettate, caro Tamburrano, a ridarci il socialismo, ma che sia quello e quello solo: ''il'' socialismo di Turati e di Massarenti? [...] Credo che come forza politica siate abbastanza mal messi. Ma in compenso avete in mano una grande bandiera che prima o poi un esercito la ritroverà. Arrivederci, al primo settembre, cari lettori. ([http://www.corriere.it/solferino/montanelli/01-07-04/01.spm?refresh_ce-cp 4 luglio 2001]) ===''il Giornale''=== <!--ordine cronologico--> *Chi sarà il nostro lettore noi non lo sappiamo perché non siamo un giornale di parte, e tanto meno di partito, e nemmeno di classi o di ceti. In compenso, sappiamo benissimo chi non lo sarà. Non lo sarà chi dal giornale vuole soltanto la «sensazione» [...] Non lo sarà chi crede che un gol di Riva sia più importante di una crisi di governo. E infine non lo sarà chi concepisce il giornale come una fonte inesauribile di scandali fine a se stessi. Di scandali purtroppo la vita del nostro Paese è gremita, e noi non mancheremo di denunciarli con quella franchezza di cui crediamo che i nostri nomi bastino a fornire garanzia. Ma non lo faremo per metterci al rimorchio di quella insensata e cupa frenesia di dissoluzione in cui si sfoga un certo qualunquismo, non importa se di destra o di sinistra. [...] Vogliamo creare, o ricreare un certo costume giornalistico di serietà e di rigore. E soprattutto aspiriamo al grande onore di venire riconosciuti come il volto e la voce di quell'Italia laboriosa e produttiva che non è soltanto Milano e la Lombardia, ma che in Milano e nella Lombardia ha la sua roccaforte e la sua guida. [...] A questo lettore non abbiamo «messaggi» da lanciare. Una cosa sola vogliamo dirgli: questo giornale non ha padroni perché nemmeno noi lo siamo. Tu solo, lettore, puoi esserlo, se lo vuoi. Noi te l'offriamo. (25 giugno 1974) *Checché ne dicano gli agiografi della Resistenza, la guerra l'abbiamo persa, e c'è un conto da pagare. Che l'Italia lo saldi a spese dei suoi figli minori – i Dalmati e gli Istriani – è un ghigno del destino. Ma in compenso può considerarsi miracolata. Quando si pensa a cosa ha pagato la sua sconfitta la Germania, amputata d'intere province e dimezzata in due nazioni diverse e ostili, e quando si pensa a cosa ha pagato l'Inghilterra, precipitata dalla condizione di massimo impero mondiale a quella di piccola isola alla periferia d'Europa; non possiamo lamentarci del trattamento che gli alleati ci fecero. (30 settembre 1975) *Siamo stati accusati di aver fatto, nei confronti dei comunisti, il processo alle intenzioni. Non vediamo su cos'altro avremmo dovuto giudicarli, visto che sono sempre rimasti all'opposizione, ed è di lì che ancora si affannano a dire che cosa si propongono di fare se andassero al potere, anzi quando andranno al potere (perché ormai lo danno per scontato). E cosa sono, queste, se non intenzioni? (19 giugno 1976) *Che cerchino di eliminarmi perché sono un avversario, questo lo posso anche capire; ma perché – a quanto mi riferiscono – hanno detto che io sono un servo delle [[Multinazionale|multinazionali]], allora questo sta a dimostrare la confusione di idee di questi poveretti che, evidentemente, non sanno cosa sono le multinazionali. (3 giugno 1977) *I giuochi sono fatti. E sono fatti non soltanto per [[Aldo Moro|Moro]], cui va tutta la nostra più fraterna e rispettiva pietà. Sono fatti anche per una politica da ''belle époque'', che la distruzione – fisica o morale – di Moro chiude e conclude. La Storia sta riprendendo i suoi connotati di tragedia, e costringe coloro che la fanno, o ambiscono o s'illudono di farla, ad adeguarsi al repertorio. Stiamo entrando in una di quelle «età di ferro» in cui il potere si paga, o si può pagarlo col ferro. Nessuno è obbligato a sfidare questo rischio. Chi lo fa, sappia che oggi è toccato a Moro, domani può toccare a lui. Solo se si rende conto di questo e lo accetta, la classe politica troverà la forza di archiviare il caso Moro. Ed è tempo che lo faccia. (7 maggio 1978) *Quattr'anni e mezzo orsono, quando questo giornale nacque, un «ragazzo del '68» (con tante scuse a quelli veri, del '99), [[Mario Capanna]], oggi gerarchetto regionale (che belle carriere, questi rivoluzionari!), dichiarò che, come nemici del «pubblico» e del «sociale» e come assertori del «privato», e quindi della reazione, noi saremmo diventati il più bel museo della città, dove babbi e mamme avrebbero potuto condurre in gita ricreativa i loro figlioletti per mostrargli, dal vivo, com'erano buffi i loro nonni e bisnonni: noi. Bene. Se il vento seguita a soffiare come soffia, saremo noi che di qui a un po' condurremo i nostri figlioletti dal signor Capanna per mostrargli com'erano buffi i loro nonni e bisnonni di dieci anni fa. Ma non lo faremo. Lo spettacolo di questi ragazzi-prodigio abortiti, di questi barricadieri con pancia e cellulite che credevano di camminare con la Storia, e invece camminavano solo con la moda, non ha nulla di edificante. (16 gennaio 1979) *In una sua memorabile inchiesta un giornalista d'incrollabile fede sinistrorsa, ma di esemplare onestà, [[Giampaolo Pansa]], mise benissimo in luce questo contrasto fra i due atteggiamenti e mentalità, che ieri ha trovato una eloquente conferma nella manifestazione di Torino. Niente chiasso, niente sceneggiate, niente slogans, niente insomma che appartenga al repertorio del buffonismo nazionale. Nessuno ha rotto le righe per andare a rovesciare auto o a fracassar vetrine. Questa, sì, era Danzica, sia pure senza Madonne; non i picchettaggi e i pestaggi di Mirafiori, sia pure con le Madonne. Ora sappiamo già cosa diranno gli altri, oggi e domani. Diranno che gli operai non c'erano. Infatti. Doveva trattarsi di quarantamila presidenti, consiglieri delegati, ingegneri: insomma, la solita «[[maggioranza silenziosa]]»: termine che soltanto nella lingua italiana ha significato spregiativo. La maggioranza silenziosa esiste in tutti i Paesi del mondo, dove nessuno si vergogna di appartenervi perché è essa, in definitiva, che ristabilisce gli equilibri. Fu la maggioranza silenziosa – autoqualificatasi come tale – di seicentomila parigini che dodici anni fa pose fine al carnevale sessantottesco, riportò [[Charles de Gaulle|De Gaulle]] all'Eliseo e restituì alla Francia la stabilità di cui tuttora essa gode. [...] Il motivo vero che farà i dimostranti bersaglio delle peggiori critiche e accuse è ch'essi rappresentano la rivolta delle persone serie contro gli arruffoni della «conflittualità permanente», dei «modelli di sviluppo» e via baggianando. E in questo Paese nulla fa più paura, perché nulla è più rivoluzionario, della serietà. (15 ottobre 1980) *[[Anwar al-Sadat|Sadat]] non era popolare. Gli mancava quel tocco di magia, o di cialtronismo, che consentiva a [[Gamal Abd el-Nasser|Nasser]] di bandire guerre come crociate e di annunciare disfatte come trionfi. [...] Sadat amava il popolo, il popolo contadino del profondo Sud nubiano, di cui era egli stesso originario. Ma non amava le masse, e le masse lo sentivano. [...] Sapeva, quando andò a Gerusalemme, di lanciare a quelle arabe una sfida più pericolosa di quella che lanciava a Begin. [...] Ma all'impopolarità di Sadat contribuiva anche un altro elemento: il fatto di essere un vero riformatore. [...] [[Mohammad Reza Pahlavi|Rehza Pahlevi]] volle applicare gli stessi metodi di [[Mustafa Kemal Atatürk|Atatürk]] senz'averne l'autorità e il prestigio, e per questo lo cacciarono. Ma dopo due anni di [[Ruhollah Khomeyni|Khomeini]], anche i più ciechi e idioti fra i progressisti occidentali, che ne avevano salutato l'avvento come quello del Redentore, si saranno accorti che il progresso, sia pure a forza di polizia segreta e di plotoni di esecuzione, era lo Scià. L'''ayatollah'' è il medioevo. Sadat non seguì i metodi satrapeschi del suo amico Pahlevi, ma ne condivise i fini. [...] Il Rais che ha restituito all'Egitto l'integrità territoriale, l'indipendenza politica, il prestigio militare e il rilancio della sua più proficua industria, il canale di Suez, è giusto che susciti meno rimpianto di chi tutto questo all'Egitto fece perdere. Nasser era un «personaggio», Sadat una «personalità». Il personaggio fa colore e diverte, la personalità incute rispetto e disturba. (9 ottobre 1981) *Nessuna parentela, né vicina né lontana, con l'altro grande d'Israele, [[David Ben Gurion|Ben Gurion]], il Fondatore. [...] {{NDR|David Ben Gurion}} Faceva tutto a caldo, anche la guerra. [[Menachem Begin|Begin]] fa tutto a freddo: anche l'amore, credo, ammesso che lo faccia. Non riuscì a commuoverlo nemmeno [[Anwar al-Sadat|Sadat]], quando gli piombò, da nemico tuttora belligerante, a Gerusalemme, per chiedergli la pace. Il mondo, che vide in televisione la scena, quel giorno fu tutto per l'egiziano che, per la pace, firmava la propria condanna a morte, contro l'israeliano che lo accoglieva senza un sorriso e con visibile fastidio. [...] È l'uomo che non ha esitato un istante [...] a distruggere in pochi minuti tutto l'armamento corazzato, aereo e missilistico siriano sotto l'occhio stupefatto degli osservatori e «consiglieri» russi che lo avevano fornito. È l'uomo che ha messo alla porta l'ambasciatore di Mosca respingendone la nota di protesta addirittura con disprezzo, come se fosse stato lui la Grande Potenza che parlava a un subalterno. È l'uomo che ha picchiato i pugni sul tavolo di [[Ronald Reagan|Reagan]], e a un certo punto aveva rotto anche con lui. Se avesse perso, sarebbe finito al muro e passato ai posteri come il distruttore d'Israele. Ma ha vinto. E la Storia, iscrivendolo nei suoi registri come «Il Salvatore», dirà che solo un uomo come lui, «antipatico» come lui, e come lui disposto anche a scatenare un'altra ondata di antisemitismo, poteva vincere. E avrà ragione di dirlo. Perché è così. Alla fine lo diranno, vedrete, anche gli antisemiti. E forse perfino i semiti. (27 agosto 1982) *L'idea che domani potremmo incontrare per strada, a piede libero e magari oggetti di compassione, gli assassini di [[Walter Tobagi]], ci riempie, più che di furore, di orrore. [...] Avevano scelto lui non per la sua tessera socialista, ma perché era una di quelle prede più facili: indifeso e abitudinario, e quindi bersaglio di facilissima mira, quasi da fermo. Tutto qui il movente del delitto: tutto nella fregola di protagonismo di due coccolatissimi giovanotti della Milano bene che giuocavano a fare i terroristi. [...] Che ora dobbiamo prendere per vero il loro pentimento e assolverli, ci rivolta lo stomaco. Ma è la legge: iniqua, infame, infamante. Ma è la legge. Noi stessi l'abbiamo auspicata e voluta. Il magistrato deve applicarla. E noi [...] accettarla. Ma una cosa reclamiamo, e ci spetta: di essere liberati dall'incubo d'incontrare questi figuri per strada per non veder riflessa nei loro occhi la nostra vergogna di aver avuto bisogno di loro e di aver risposto al loro falso rimorso con un perdono altrettanto falso. Un Curcio, se tornasse in circolazione, ci farebbe forse più paura, ma meno, anzi punto disgusto. [...] Ma i Barbone e i Morandini non li vogliamo tra i piedi. Se ne vadano. E soprattutto ci risparmino memoriali. La speranza di farci dimenticare i loro delitti, gliela passiamo. La pretesa di camparci sopra, no. (29 novembre 1983) *Per i falchi del Pci, [[Enrico Berlinguer|Berlinguer]] era ormai un personaggio scomodo e pericoloso, specie da quando aveva cominciato ad allentare gli ormeggi che lo legavano a Mosca. Gli era perfino scappato di dire (a [[Giampaolo Pansa|Pansa]]) che voleva per l'Italia un regime comunista, ma sotto l'ombrello della Nato che la tenesse al riparo dalle soperchierie del padrone sovietico: la più grave e blasfema di tutte le eresie in cui un capo comunista possa incorrere. (12 giugno 1984) *Se fino a che punto i piduisti – a parte il manipolatore Gelli, e forse qualche altro – fossero un branco di delinquenti golpisti, non siamo riusciti a capirlo. Abbiamo capito soltanto che gran parte di essi occupavano, forse grazie alla P2, posizioni di rilievo, e quindi parecchio ambite, ma ambite anche da molte persone che, per il fatto di non appartenere alla P2, avevano ora, grazie anch'esse alla P2, la possibilità di occuparle. Di fatti accertati e meno ancora di crimini provati, siamo andati invano alla ricerca delle 34.847 pagine della commissione. Vi abbiamo trovato soltanto ipotesi, illazioni, accostamenti di nomi e di episodi. Tutta roba che in mano a Le Carré poteva fruttare chissà quali affascinanti trame. In mano alla signorina [[Tina Anselmi|Anselmi]], resta cicaleccio di portineria. Ma questa è un'altra storia. (19 marzo 1985) *Quanto al moribondo [[Michele Sindona|Sindona]] [...] se fossi stato uno dei giudici popolari che l'altro giorno gli comminarono l'ergastolo, anche io avrei votato come loro pur sapendo che la mia endemica insonnia non ne avrebbe avuto giovamento. Comunque mi sembra che con questa fine, preceduta da quasi un decennio di rovine, umiliazioni, fughe e galere, egli abbia abbondantemente scontato, quali che siano, i suoi delitti. Che ora lo lascino riposare in pace e che pace sia all'anima sua. (22 marzo 1986) *I dieci giorni che sconvolsero il mondo furono in realtà dieci ore: quante ne bastarono alle poche «guardie rosse» reclutate in fretta e furia dai bolscevichi per occupare, senza nessuna resistenza, la Centrale delle poste e telefoni, la stazione ferroviaria, la Banca di Stato, e per spostare l'incrociatore ''Aurora'' di fronte al palazzo d'Inverno, dove ancora si trova, cimelio e monumento al fatidico evento, e dove il governo sedeva [...]. Non fu un assalto. Fu una «retata». L'''Aurora'' non sparò che una dozzina di colpi, di cui solo tre andarono a segno. In tutto, la conquista di questa Bastiglia russa costò, da ambo le parti, un morto, anzi una morta – perché fu una soldatessa che, pare, si suicidò – e diciotto feriti. Il [[Rivoluzione russa|Fasto]] [...] è un falso in atto pubblico. Si dirà che una rivoluzione non si misura dal numero dei morti. Certo: l'abbiamo detto anche noi. La rivoluzione poi venne, e che rivoluzione! Ma venne dall'alto, e per mano di despoti che di morti ne fecero in pochi anni più di quanti lo zarismo ne avesse fatti in secoli. (6 novembre 1987) *Tutto pensavo che potesse capitarmi, fuorché di essere un giorno tentato di spendere qualche parola, per poco che valga, in difesa di Togliatti. [...] Un processo a Togliatti per stalinismo, se glielo intentano i socialisti, che nell'era dello Stalinismo gli fecero da mosca cocchiera, è una burletta. Se lo intentano i comunisti – come sembra che qualcuno di loro voglia fare –, oltre che oltraggio al pudore, diventa quiescenza alla voce del nuovo padrone, cioè stalinismo della più brutt'acqua, anzi una parodia dello Stalinismo. Per la caccia alle streghe, anche dello Stalinismo, ci vogliono degli stalinisti doc, qual era Togliatti. Non è roba da dilettanti, quali sono i suoi pallidi epigoni. (3 marzo 1988) *La fine del Muro è una cosa buona, la fine di una vergogna: non possiamo che salutarla con soddisfazione. Ma guardiamoci dal prendere abbaglio sui suoi moventi. Ulbricht concepì e Honecker realizzò il muro per impedire che i tedeschi dell'Est fuggissero in massa nella Germania dell'Ovest: già 9 (diconsi nove) milioni lo avevano fatto fin allora. E il rimedio fu, come tutti quelli che escogitano nei regimi totalitari, drastico e semplicistico: murare viva la gente dietro una colata di cemento, senza pertugi. [...] Abbiamo in uggia le astrazioni. Ma ciò che distingueva le due Germanie è l'idea morale e giuridica dell'uomo: che a Ovest è padrone di se stesso, e quindi può andarsene dove vuole: ad Est è proprietà dello Stato che ne regola i movimenti. Per chi non ricorda questo, il [[Muro di Berlino]] era, oltre che barbaro, incomprensibile e irrazionale: mentre invece ha obbedito a una sua logica. Nel momento in cui il bunker si affloscia e sopravvive come mero ammasso di cemento ricordandoci un altro bunker, quello che fece da fossa di [[Adolf Hitler|Hitler]] (anche questo pare impossibile: ma i regimi in Germania muoiono nei bunker), il Muro va ricordato per ciò che è stato: non un'aberrazione del comunismo, ma una sua conseguente applicazione. E se crolla così, nel silenzio assordante di un giornale-radio, è perché è crollata, prima, l'ideologia che lo aveva eretto. (11 novembre 1989) *Negli anni Trenta, per le strade di Berlino, risuonava il grido: ''ein Volk, ein Reich, ein Führer'': un popolo, uno Stato, un capo. Stavolta si sono contentati di scandire ''ein Volk, ein Reich''. Non potevano aggiungere, checché ne dica il sig. Ridley, ''ein Kohl'', che fra l'altro significa «cavolo». Ma {{NDR|ai tedeschi}} per diventare i padroni dell'Europa anche un cavolo gli basta. (3 ottobre 1990) *Abbiamo fatto poco: il poco che il Paese dei [[Roberto Formigoni|Formigoni]], dei Cristofori, degli Sbardella, dei [[Ernesto Balducci|Balducci]], dei [[Antonio Bello|vescovi di Molfetta]] poteva fare. Non lamentiamoci se il posto che ci verrà assegnato nel ristabilimento dell'ordine internazionale sarà nell'anticamera, non nella camera dei bottoni. Però sia chiara una cosa: che a gridare «Viva la pace!» siamo qualificati oggi soltanto noi che abbiamo auspicato la guerra contro chi la pace l'aveva turbata e, se lo si lasciava fare (non è un ipotesi, è una constatazione), avrebbe continuato a turbarla in un crescendo di colpi e di aggressioni. (1º marzo 1991) *I voti dei democristiani novaresi non sono andati al partito; sono andati a [[Oscar Luigi Scalfaro|Scalfaro]], democristiano talmente anomalo, che si permette persino di credere in Dio. [...] Il vecchio magistrato conosce il suo mestiere, e sa benissimo di operare in un Paese in cui la mamma dei Casson è sempre incinta. In nome della Legge, le leggi le farà funzionare. Insomma siamo sicuri che starà in Quirinale come un italiano deve starci: da straniero. Unico pericolo: le prediche. Anche [[Luigi Einaudi|Einaudi]] le faceva. Ma le chiamava «inutili». (26 maggio 1992) *Da dove siano venuti tutti i «no» non lo sapremo mai con precisione, ma una cosa è certa. Questo è il colpo di grazia al sistema dei partiti e della classe politica che lo rappresenta, e un colpo durissimo all'immagine del Paese pronto a fare pulizia che l'Italia si stava faticosamente costruendo all'estero. Senza giovare nemmeno a [[Bettino Craxi|Craxi]], che non potrà certo ricostruire la sua carriera sulla votazione di ieri, anzi. Se c'è ancora qualcuno che dubita sulla necessità di un pubblico processo, non solo a lui, ma a tutta la corte di faccendieri che lo circondava, alzi la mano, o meglio nasconda la faccia. (30 aprile 1993) *Questo è l'ultimo articolo che compare a mia firma sul giornale da me fondato e diretto per vent'anni. Per vent'anni esso è stato – i miei compagni di lavoro possono testimoniarlo – la mia passione, il mio orgoglio, il mio tormento, la mia vita. Ma ciò che provo a lasciarlo riguarda solo me: i toni patetici non sono nelle mie corde e nulla mi riesce più insopportabile del piagnisteo. [...] A presto dunque, cari lettori. Anche a costo di ridurlo, per i primi numeri, a poche pagine, riavrete il nostro e vostro giornale. Si chiamerà ''La Voce''. In ricordo non di quella di [[Frank Sinatra|Sinatra]]. Ma di quella del mio vecchio maestro – maestro soprattutto di libertà e indipendenza – [[Giuseppe Prezzolini|Prezzolini]]. (12 gennaio 1994) {{Int|''Rituale barbarico''|Articolo su ''il Giornale nuovo'', 10 maggio 1978.|h=4}} *La fine di [[Aldo Moro]] ci rende sgomenti, il fanatismo di chi lo ha ucciso lentamente, togliendogli la speranza prima di toglierli la vita, ci riempie di orrore. Speriamo ancora che la tracotanza dei criminali sia un giorno punita. L'importante, adesso, è che il Paese, proprio per rendere omaggio a Moro, e proprio in memoria di lui, sappia trarre da questa tragedia l'amara lezione che essa comporta. La democrazia non deve, anzi non può essere debole. La libertà, che la rende superiore a qualsiasi altro regime, ma anche più vulnerabile, non va conclusa con la indulgenza verso i nemici, la imprevidenza, la leggerezza. *Lo Stato italiano ha superato con onore questa prova difficile, ma la magistratura e gli organi di polizia hanno denunciato, nella loro azione, una desolante inefficienza, che ha permesso alle brigate rosse di operare con irridente spavalderia. Ne va data colpa non tanto alle forze dell'ordine quanto a chi ha voluto, per demagogia, per compiacere le sinistre, per acquistare facile popolarità, smobilitare i servizi segreti, rimuovere i funzionari più ligi al dovere, trasformare le carceri in alloggi con libera uscita quotidiana. Gli eversori della democrazia, i contestatori della legalità hanno potuto predicare e demolire senza ostacoli. Ci auguriamo di non vederli ora associati ipocritamente al compianto per un delitto del quale sono, ideologicamente se non materialmente, corresponsabili. Le loro non erano soltanto parole. Un giovane sfracellato da un ordigno sulla ferrovia Trapani-Palermo – l'episodio è di ieri – apparteneva a Democrazia proletaria. I banditi che hanno assalito a Bologna un grande magazzino venivano dal Movimento studentesco. È inutile che questi gruppi ostentino adesso costernazione e stupore per le belluine imprese delle brigate rosse. Il terrorismo è figlio loro. *All'annuncio della fine di Aldo Moro i sindacati si sono mossi, hanno indetto manifestazioni e proclamato uno sciopero generale. Siamo certi della loro profonda esecrazione, e della loro sincera partecipazione al cordoglio nazionale. Pensiamo tuttavia che i lavoratori e i loro rappresentanti darebbero un apporto più costruttivo alla lotta contro i terroristi tenendo d'occhio gli estremisti delle fabbriche, troppe volte protetti e difesi. Così pure gli studenti «impegnati», se proprio vogliono dissociarsi dalle brigate rosse, devono estromettere dalle loro file gli agitatori deliranti, e dinamitardi che nascondono bottiglie molotov e armi negli scantinati delle facoltà. Chi ha chiuso gli occhi di fronte alla ''escalation'' di violenza degli anni scorsi, li chiuda oggi per non lasciar scorrere lagrime di coccodrillo. {{Int|''Poveri morti poveri vivi''|Articolo su ''il Giornale'', 31 maggio 1985.|h=4}} *L'[[Inghilterra]] non sono i forsennati che abbiamo visto all'opera nello stadio di Bruxelles. L'Inghilterra sono la [[Margaret Thatcher|Thatcher]], i politici, i commentatori di stampa, radio e televisione, la gente intervistata per strada, che hanno confessato la loro vergogna a una voce, con una sola stecca: quella del ministro dello Sport che con le sue dichiarazioni si è messo sullo stesso piano degl'imbestialiti. Comunque, Dio ci guardi ora dai soliti sproloqui e dibattiti dei sociologi sui motivi di «tifo» e sui mezzi d'impedirne gli eccessi. Non ce ne sono, se non nel controllo che ognuno può e deve esercitare su di sé. *La strega non è il «tifo» che dallo sport è inseparabile. E non siamo nemmeno noi, come vogliono i cantautori del «siamo tutti colpevoli» che ieri giornali e radio hanno intitolato. Perché, se di qualcosa siamo colpevoli, è di aver sempre secondato la corruttrice e demagogica tendenza a scaricare l'individuo di ogni responsabilità, rigettandola regolarmente e interamente sulla società. È la società che ci obbliga a rubare, è la società che ci obbliga ad uccidere. E si capisce che quando si offrono alla gente di questi alibi, c'è sempre qualcuno che ne approfitta. Stamane leggevo su un giornale francese un dotto articolo in cui si spiegava che la furia dei tifosi del [[Liverpool Football Club|Liverpool]] era dovuta al fatto che, essendo quasi tutti minatori, per un anno erano rimasti senza lavoro a causa dello sciopero: il che gli aveva fatto accumulare la rabbia che poi era scoppiata a Bruxelles. Insomma, senza dirlo, l'articolo induceva alla conclusione che il vero responsabile del massacro era la signora Thatcher. Ecco in che senso siamo tutti colpevoli. Siamo colpevoli di assolvere tutti come vittime innocenti di una società iniqua che, a furia di essere tutti noi, non è nessuno. È un giuoco a cui non ci stiamo. I responsabili di Bruxelles sappiamo chi sono: sono i delinquenti che abbiamo visto avventarsi, prima che la partita cominciasse, e quindi senza alcuna provocazione, contro i tifosi italiani con sbarre e coltelli di cui erano accorsi armati, con l'evidente intenzione di farne l'uso che ne hanno fatto. Delinquenti, non vittime. La società non c'entra, non c'entrano le miniere. Casomai l'alcol. Ma ne avevano ingerito per delinquere meglio. Speriamo che la polizia li identifichi e li consegni a quella inglese. Della quale possiamo fidarci. {{Int|''I rieccoli''|Articolo su ''il Giornale'', 20 gennaio 1990.|h=4}} *Scorrendo le cronache delle agitazioni studentesche di questi giorni avevo avuto per un momento l'impressione, o l'illusione, che esse si fondassero sui problemi concreti dell'università, e che fossero qualcosa di diverso, e di migliore della grottesca ubriacatura sessantottina. Ma quando giovedì sera, nella trasmissione televisiva ''Samarcanda'', è stato lanciato contro [[Mario Cervi]] il rituale e vile epiteto «fascista!» (e questo solo perché aveva mosso obiezioni agli sproloqui assembleari di Roma e di Palermo), ho capito che vent'anni dopo è come vent'anni prima. La protesta è un pretesto, il legittimo scontento diventa arma politica, gli appelli al dialogo si risolvono in volontà di sopraffazione, di discussione su ciò che nell'università deve essere cambiato sfocia in un attacco globale al governo, alla società, al sistema. L'unica connotazione sessantottina che ancora manca è la violenza fisica. Ma temo che non tarderà ad arrivare se chi dissente è bollato come fascista e chi governa (è capitato ad [[Giulio Andreotti|Andreotti]], a Palermo) come mafioso. *Quanto alla legge Ruberti, Cervi ha osservato che viene presa di mira perché consentirebbe un limitato ingresso dei privati nella gestione delle università: e al solo sentir parlare di «privato» – che le folle e i giovani dell'Est chiedono con slancio entusiastico – gli epigoni nostrani del [[marxismo-leninismo]] sono presi da convulsioni. [...] La legge Ruberti è passata in sott'ordine, il punto centrale del dibattito – o piuttosto della successione di sproloqui, intimazioni e insulti – è diventato il degrado di questa povera Italia privatizzata, che invece conoscerebbe fulgidi destini se fosse tutta pubblica e stabilizzata. Gli ''slogans'', le utopie, le bugie e le dissennatezze sessantottine o settantasettine riemergevano dalle pagine dei libri e dalla polvere degli archivi, per imitazione o per transfert generazionale. *Tirava aria romena o cecoslovacca in quelle assemblee: ma della Romania e della Cecoslovacchia di [[Nicolae Ceaușescu|Ceausescu]] e di Husak, con l'idolatria dello Stato, con gli applausi unanimi, con la riduzione al silenzio degli oppositori. S'è sentito, a proposito sempre di Cervi, il sinistro termine «provocazione» con cui tutti gli oppressori legittimano i loro soprusi. Qualcuno di quei ragazzi pretende che esistano parentele tra questo movimento e quelli dell'Est, dimenticando che là ci si batte, a rischio della pelle, per instaurare non il regime dello statalismo, ma al contrario per abbatterlo e introdurre o reintrodurre quello di iniziativa privata in tutti i campi, compreso quello della cultura e della scuola. Che siano diventati, gli studenti di Berlino, di Praga, di Bucarest, fascisti anche loro? ====''Controcorrente – rubrica''==== {{cronologico}} *La cosa che più ci turba, delle nostre sconfitte sportive, è il grande, alluvionale bisticcio che si scatena fra i «tecnici» per giustificarle. Per quella di Stoccarda, che ci ha eliminato dal campionato del mondo, ne avremo – temiamo – per tutta l'estate: se ne parlerà più che di Caporetto. Noi tecnici non siamo, ma abbiamo la nostra idea. È questa: che non si possono mandare dei polli di batteria a competere con quelli ruspanti. Resta da capire perché noialtri non sappiamo allevare che polli di batteria. Ma ci sembra che questo sia sufficientemente spiegato da un piccolo episodio occorso a Roma, dove un gruppo di tifosi ha creduto di «vendicare» i suoi campioni (si fa per dire) assalendo con pomodori e uova l'ambasciata di Polonia. Ecco. Per un paese in cui la «sana passione sportiva» si effonde in simili manifestazioni, quegli undici mammozzi dalle gambe molli sono fin troppo, e fin troppo misericordiose le disfatte che subiscono. (25 giugno 1974) *Noi, di [[Fascismo|fascismi]] ne conosciamo e ne esacriamo uno solo: quello di chi appiccica questa etichetta a qualunque idea o opinione che non corrisponde alle sue. Di questo giuoco, la nostra [[sinistra in Italia|sinistra]] è spesso maestra. Non per nulla lo stesso [[Benito Mussolini|Mussolini]] veniva dai suoi ranghi. (10 luglio 1974) *In una conferenza stampa a Nuova Delhi, [[Henry Kissinger]] ha dichiarato che verrà a Roma e andrà a pranzo dal presidente Leone, ma non parlerà di politica perché quella italiana è, per lui, troppo difficile da capire. È la prima volta che Kissinger riconosce i limiti della propria intelligenza. Ma vogliamo rassicurarlo. A non capire la politica italiana ci sono anche cinquantacinque milioni di italiani, compresi coloro che la fanno. (31 ottobre 1974) *[[Dario Fo]], poeta di corte dell'ultrasinistra, flagella nella sua ultima fatica teatrale il senatore [[Amintore Fanfani]], responsabile di ogni nequizia passata, presente e futura. I sarcasmi più grevi hanno però come bersaglio il metraggio del notabile democristiano che, come tutti sanno, non è quello di un granatiere. [[Henri de Toulouse-Lautrec|Toulouse-Lautrec]], che per gli stessi motivi dovette per tutta la vita subire analoghe canzonature, disse una volta, giocando sulla lunghezza del suo doppio casato: «Ho la statura del mio nome». Non sappiamo se questo discorso si possa applicare a Fanfani. Certo, si applica a Fo. (11 giugno 1975) *[[Winston Churchill|Churchill]] diceva che «i panni dei servizi segreti si possono, anzi si devono lavare più spesso degli altri; ma, a differenza degli altri, non si possono mettere ad asciugare alla finestra». Dello stesso parere era [[Stalin]] che regolarmente, ogni tre o quattro anni, il lavaggio lo praticava facendo accoppare al buio i capi della sua polizia, nel presupposto – probabilmente fondato – che a far quel mestiere non potevano essere che arnesi da forca, e quindi era giusto che ci finissero. Gli [[Stati Uniti d'America|americani]] seguono tutt'altro criterio. Essi hanno trascinato la ''[[Central Intelligence Agency|Cia]]'' in televisione denunciandone ''coram populo'' fatti e misfatti. I suoi capi ne hanno commessi, dicono, di grossi. Ma il più grosso è forse quello di non aver capito che l'America non li paga per svolgere servizi segreti, ma per offrire agli americani il pretesto per vergognarsene. È l'unico popolo che goda più nel pentimento che nel peccato. (28 novembre 1975) *Non sempre, per redigere questa piccola rubrica, occorre forzare la fantasia. Qualche volta basta lasciare la parola alle agenzie di stampa ufficiali. Eccone un caso. L'agenzia Adn Kronos comunica: «Due giorni di sciopero sono stati dichiarati dai sindacati postelegrafonici milanesi per il 28 gennaio e per il 6 febbraio per protesta contro gli scioperi e i disservizi». (25 gennaio 1976) *L'Unità ci rimprovera di aver pubblicato il manifesto degl'intellettuali in favore della libertà. E ha ragione. Si tratta infatti di una illecita concorrenza perché finora i manifesti, gli appelli, le «veglie» e tutto il resto sono stati monopolio del Pci, unico partito capace di far cantare la gente in coro. Ma appunto per questo non vediamo di che si preoccupi. Gl'[[intellettuale|intellettuali]] italiani che preferiscono aver ragione da soli piuttosto che torto con gli altri, sono pochi. I più seguono la massima di [[Paul-Jean Toulet|Toulet]]: «Quando i lupi urlano, urla con loro». (1º giugno 1976) *Ieri [[Mario Melloni|Fortebraccio]], dalle colonne dell'«[[l'Unità|Unità]]», ha invocato per noi, previa qualche iniezione, il ricovero immediato, e a titolo definitivo, in manicomio. La cosa non ci stupisce: sappiamo benissimo che di manicomi e di iniezioni nessuno s'intende più dei comunisti: chi c'è passato giura che ci hanno fatto una mano da maestri. Ci stupisce però che Fortebraccio lo abbia implicitamente – e un po' anzitempo – riconosciuto. Forse gli è scappata. Alla sua età, succede. (10 dicembre 1976) *Cadendo oggi il trigesimo della scomparsa di Pietro Valdoni, vogliamo rievocare un episodio del grande chirurgo. Come tutti ricorderanno, fu lui ad operare, salvandogli la vita, [[Palmiro Togliatti]], ferito alla testa dalla rivoltella di Pallante. Quando ricevette la parcella, Togliatti la trovò salata, e accompagnò il pagamento con queste parole: «Eccole il saldo, ma è denaro rubato». Valdoni rispose: «Grazie per l'assegno. La provenienza non mi interessa» (23 dicembre 1976) *«Dio non è un maschio» assicura alle femministe Civiltà Cattolica, l'autorevole rivista dei gesuiti, scusandosi «delle tracce di antifemminismo che ancora sono nella Chiesa». Brutto segno quando i teologi si mettono a discutere di sesso. Fu mentre i bizantini si accapigliavano su quello degli angeli che arrivarono i turchi. (21 giugno 1977) *Riferiscono le cronache che l'America è in subbuglio per la morte di [[Elvis Presley]]. Oltre centomila persone si sono riversate a Memphis, sua ultima dimora, due donne sono rimaste uccise nella calca che si stringeva intorno alle spoglie del cantante. Il sindaco ha fatto abbrunare le bandiere in tutta la città, il presidente [[Jimmy Carter|Carter]] è stato flagellato di proteste perché non aveva proclamato il lutto nazionale e uno gli ha gridato al microfono: «Noi americani dobbiamo più a Presley che a [[George Washington|Washington]] e a [[Abraham Lincoln|Lincoln]] sommati insieme». Anche noi italiani dobbiamo qualcosa a Presley: una delle rare occasioni in cui preferiamo essere italiani piuttosto che americani. (20 agosto 1977) *È in corso una iniziativa per l'abolizione, nelle aule scolastiche, della pedana su cui si eleva la cattedra. Il perché lo avrete già capito: l'insegnante deve mettersi, anche materialmente, a livello degli alunni per non lederne la dignità e dimostrare con l'esempio che siamo tutti uguali. Giusto. «La via dell'uguaglianza – dice Rivarol – si percorre solo in discesa: all'altezza dei somari è facilissimo instaurarla». (29 ottobre 1977) *Fra gli annunci economici di Lotta Continua, ne è comparso uno che dice: «Compero a L. 100.000 una tesi di laurea, anche già presentata, purché tratti un argomento attinente all'[[Inghilterra]], o alla lingua, storia, letteratura inglese. Meglio se con una impostazione femminista». Curioso. Questi grandi [[Rivoluzione|rivoluzionari]], che dicono di battersi per costruire una società nuova di zecca, quando si tratta di lauree, si contentano anche di quelle usate e di seconda mano. (3 marzo 1978) *Credevamo che l'assassinio di Aldo Moro, così come è stato eseguito, fosse il colmo dell'infamia. Abbiamo dovuto ricrederci. Al comizio di protesta svoltosi in piazza Duomo a Milano subito dopo la macabra scoperta in via Caetani a Roma, un gruppo di ultrà ha gridato: «Moro fascista!». Preferiamo le [[zanne]] delle belve alla [[bava]] degli [[Sciacallo|sciacalli]]. (10 maggio 1978) *Ecco il nostro telegramma di congratulazioni e auguri a Pertini: «Che Dio le conceda il coraggio, Presidente, di fare le cose che si possono e che si debbono fare; l'umiltà di rinunziare a quelle che si possono ma non si debbono, e a quelle che si debbono ma non si possono fare; e la saggezza di distinguere sempre le une dalle altre». (9 luglio 1978) *Dall'indagine svolta da uno dei più seri istituti di ricerche demografiche, lo svizzero Scope, risulta che la professione più ammirata e rispettata, nel mondo, è quella dei medici. I giornalisti sono al penultimo posto. Ce ne sentiremmo profondamente avviliti se all'ultimo non vedessimo catalogati gli editori. (29 novembre 1978) *Prima di partire per Vienna, il presidente {{NDR|degli Stati Uniti}} [[Jimmy Carter|Carter]] ha fatto due dichiarazioni. La prima: «Ci auguriamo che il signor Breznev {{NDR|allora presidente dell'Unione Sovietica e Primo Segretario del PCUS}} abbia per le nostre ragioni la stessa comprensione che noi abbiamo per le sue». La seconda: «Se Ted Kennedy si presenta contro di me alle elezioni presidenziali, gli faccio un c.o così» Il triviale [[Richard Nixon|Nixon]] avrebbe potuto dire le stesse cose, ma certamente ne avrebbe invertito l'ordine di priorità riservando la comprensione a Kennedy ed il c.o a Breznev. La differenza fra i due è tutta qui. (16 giugno 1979) *Avvicinandosi il 25 dicembre, decine di migliaia di teneri [[abete|abeti]] vengono strappati dai boschi della Penisola per allestire il tradizionale albero di Natale. Ogni anno lo scempio si ripete, tra la generale indifferenza. Soppresso l'Ente protezione animali, figuriamoci se qualcuno ha voglia di proteggere gli alberi. Diciamo la verità: la sola pianta che interessi all'[[italiano medio]] è la pianta stabile. (19 dicembre 1979) *Nel Manifesto di domenica scorsa tale K.S. Karol faceva considerazioni amare sulla rivoluzione cubana e sui suoi fallimenti: «[[Fidel Castro|Fidél]] – ha ricordato il commentatore, uno dei tanti orfani delle illusioni di sinistra – prometteva ai cubani per il 1965 un tenore di vita pari a quello svedese». Certo Fidél si è sbagliato di grosso; non per cattiva volontà, ma per mancanza di uomini, anzi di un uomo. Sarebbe bastato che anche la Svezia avesse uno suo Castro al potere per ritrovarsi in pochissimi anni con un tenore di vita pari a quello cubano. (15 aprile 1980) *Riferiscono le cronache che quando è giunta in tribunale la notizia dell'assassinio di Walter Tobagi, il brigatista Corrado Alunni l'ha accolta con una sghignazzata di tripudio. Abbiamo sempre combattuto la pena di morte sul presupposto che l'uomo non ha il diritto di uccidere l'uomo. Il presupposto lo confermiamo. Ciò di cui cominciamo a dubitare è che gli Alunni e quelli come lui siano uomini. Sui cadaveri sghignazzano le jene. (30 maggio 1980) *A Mirafiori, parlando agli operai della Fiat in sciopero, il sindaco di Torino, Novelli, se l'è presa coi giornalisti e li ha additati all'uditorio come falsari che ricalcano i loro resoconti non sui fatti, ma sulle «veline» distribuite loro dai «padroni». Anche Novelli ha fatto il giornalista in un foglio comunista, e quindi di veline e di padroni è certamente un intenditore. Ma se dopo questa denuncia ci scappa un altro Casalegno, sarà molto gradita la sua assenza ai funerali. (8 ottobre 1980) *Grandi elogi – dopo il successo del blitz di Trani – alle «teste di cuoio» italiane. La loro azione ha dimostrato quanto poco valesse la strategia della flessione propugnata di alcuni personaggi. Teste anche loro: ma di che? (31 dicembre 1980) *Fra i tanti slogans che il partito socialista francese ha lanciato in occasione delle elezioni presidenziali per rassicurare i bravi borghesi sottolineando il proprio carattere moderato e riformista, abbiamo letto anche questo: «Il socialismo può fare di chiunque un milionario». Ci crediamo senz'altro. A patto che quel chiunque fosse prima un miliardario. (8 maggio 1981) *Per gl'italiani, finora, il nome di Gelli era quello dell'autore del più famoso e autorevole codice cavalleresco. Anche oggi rimane legato a un codice. Quello penale. (9 maggio 1981) *L'elenco degli affiliati alla P2 comprende, dicono, 953 nomi, cui corrispondono i più alti gradi della politica, della magistratura, delle forze armate, della burocrazia, dell'industria, della finanza. Tutti «fratelli». È la riprova che, in questo Paese, guai ai figli unici. (11 maggio 1981) *Macché pazzo! L'attentatore del Papa deve essere un furbo matricolato. Dichiarandosi seguace di George Habbas e della causa palestinese, ha cercato di procurarsi la solidarietà dei molti, dei moltissimi, che non battono ciglio quando un terrorista cerca di spedire qualcuno all'altro mondo. Purché il terrorista appartenga al terzo. (16 maggio 1981) *Studiosi cinesi, mettendo a confronto reperti di ominidi dissimili tra loro tanto da far pensare che l'uomo discenda anche da animali diversi dalla [[scimmia]], sono arrivati alla conclusione che i nostri progenitori erano comunque scimmie, ancorché di specie differenti. Ci pare logico. Quale altro animale avrebbe potuto imitare la scimmia che ha dato l'avvio alla razza umana se non un'altra scimmia priva di senso critico? (19 maggio 1981) *Una nostra redattrice andata per una sua cronaca sul femminismo alla «libreria delle donne» in via Dogana a Milano, è stata accolta da una di loro con queste parole: «Con te non parlo perché sei di un giornale fascista, e anche tu hai la faccia da fascista». La nostra redattrice, che ha ventun anni, probabilmente non sapeva bene cosa fosse il fascismo. Ora lo sa: lo ha imparato in quella libreria. (4 novembre 1981) *Come previsto, la Juventus ha conquistato il [[Serie A 1981-1982|ventesimo scudetto]] battendo il Catanzaro. Una vittoria di rigore. (17 maggio 1982) *Socialisti e comunisti si sono opposti alle sanzioni economiche contro l'Argentina perché, hanno detto, una buona metà degli argentini sono di origine italiana, e molti di loro conservano tutt'ora la nostra nazionalità. Vero. Ma non ci eravamo accorti che queste sinistre spasimassero tanto d'amore per i nostri connazionali di laggiù quando si trattava di riconoscergli il diritto di voto. (22 maggio 1982) *Se si va avanti di questo passo, la [[guerra delle Falkland]] (o Malvine) finirà quando l'ultimo aereo argentino sarà abbattuto col suo carico di bombe sull'ultima nave inglese. E dire che questa lotta di leoni si svolge per un'isola di Pecore. (27 maggio 1982) *Tutti abbiamo trepidato ieri, davanti al televisore, per le sorti della squadra azzurra, tutti ci siamo entusiasmati alle sue gesta, tutti abbiamo salutato con orgoglio la sua vittoria. Ma il tipo di patriottismo che questa ha suscitato nelle strade delle nostre città, messe a soqquadro dai tifosi scalmanati che usavano il tricolore a copertura del peggior teppismo, ci ha fatto rimpiangere di non essere nati brasiliani. (6 luglio 1982) *Mai visto così tanto entusiasmo patriottico, tanti tricolori per le strade come per la finale degli azzurri al Mundial. Nella tomba di Caprera, le ossa di [[Giuseppe Garibaldi|Garibaldi]] fremono di invidia. Per unificare l'Italia «in un solo grido, in una sola passione» gli erano accorsi mille uomini. A [[Enzo Bearzot|Bearzot]] ne sono bastati undici. (12 luglio 1982) *Gli scrittori [[Mario Soldati]] (Psi) e [[Gianni Brera]] (Psi) sono stati trombati {{NDR|non sono stati eletti}}. Peccato. Il Parlamento era l'unico posto in cui, dovendo parlare per gli altri, forse avrebbero finalmente taciuto. (1º luglio 1983) *Che [[Bettino Craxi|Craxi]] sia uomo di grandi capacità e ambizioni, lo si sapeva. Che sia anche uomo di grande coraggio, lo si è visto ieri, quando pronunciava alla Camera il suo discorso di replica. Per due volte si è interrotto alla ricerca di un bicchier d'acqua. Per due volte [[Giulio Andreotti|Andreotti]] glielo ha riempito o porto. E per due volte lui lo ha bevuto. (13 agosto 1983) *Condannato dal tribunale di Reggio Emilia per bestemmie e turpiloquio contro la Chiesa, [[Roberto Benigni]] avrebbe qualche ragione di considerarsi vittima di un'ingiustizia. Proprio il giorno prima la Chiesa riabilitava [[Martin Lutero]], scomunicato ai suoi tempi pressappoco per gli stessi motivi. Come cambia, coi tempi, la sorte degli uomini! È inquietante pensare che Benigni, se fosse vissuto cinquecent'anni fa, sarebbe forse diventato Lutero. Ma addirittura sconvolgente è che Lutero, se fosse nato cinquecent'anni dopo, sarebbe forse diventato Benigni! (8 novembre 1983) *Il più autorevole giornale americano di economia e finanza, il Wall Street Journal di martedì 10 gennaio, è incorso in un curioso lapsus. Parlando del concordato fra lo Stato italiano e la Santa Sede, scrive che esso «venne firmato nel 1929 da Bettino Mussolini». Chissà, se lo legge, come si arrabbia Benito Craxi. (12 gennaio 1984) *È comparsa sui giornali la pubblicità di una nuova opera di Fanfani, intitolata «La Dc e la svolta degli anni 80». L'editore avverte che si tratta di un libro formato «tascabile». Dato l'autore, poteva andare diversamente? (16 gennaio 1984) *È vero: la [[Juventus Football Club|Juventus]], a Basilea, non ha fatto una gran figura. Giocando con più cervello, poteva vincere comodamente 4-0. Ma attenti a non giudicare troppo severamente il Porto. Quello di Genova va molto peggio. (18 maggio 1984) *Il trentanovenne James Nelson, condannato da un tribunale di Londra a quindici anni per avere ucciso la madre a colpi di mattone, ha sentito, chiuso in cella, la vocazione sacerdotale: si è messo a studiare teologia, e ora sta per diventare prete nella chiesa scozzese. «È mia intenzione – ha dichiarato – contribuire alla edificazione di una nuova società». Si può credergli: i mattoni ha dimostrato di saperli usare. (25 maggio 1984) *L'agenzia Agi informa, con un drammatico flash, che il ministro [[Giulio Andreotti|Andreotti]], «impegnato in una riunione superistretta con gli altri 15 ministri degli esteri della Nato, perderà la partita [[Associazione Sportiva Roma|Roma]]-[[Liverpool Football Club|Liverpool]]». È giusto il fatto che faccia notizia: è la prima volta che Andreotti perde qualcosa. (31 maggio 1984) *Presso la Presidenza del Consiglio, a palazzo Chigi, è stata istituita una commissione di giuristi per la completa parificazione dei diritti fra i due sessi. Finalmente! Era ora che ce la riconoscessero, a noi uomini. (16 ottobre 1984) *La riforma dei programmi della scuola elementare, cui sta lavorando il Ministro Falcucci, introdurrà nella terza, quarta e quinta classe l'insegnamento di una lingua straniera. Non è specificato quale. Speriamo che si tratti dell'italiano. (21 gennaio 1985) *Un certo [[Nichi Vendola]], dirigente della Federazione giovanile comunista, ha lanciato l'idea di riconoscere formalmente un «diritto dei bambini ad avere rapporti sessuali tra loro o con gli adulti». Vendola ha detto di aver attinto questa idea all'esperienza di molti padri. A conferma di quanto scrive [[Georges Courteline|Courteline]] nella sua «Filosofia»: «Uno dei più chiari effetti della presenza di un bambino in una casa è di rendere completamente idioti dei genitori che forse, senza di lui, sarebbero stati degl'imbecilli comuni». (26 marzo 1985) *I tecnici di calcio sono rimasti stupiti dalla prova del [[Real Madrid Club de Fútbol|Real Madrid]] che nella semifinale della coppa Uefa ha letteralmente travolto i modesti giocatori dell'[[Football Club Internazionale Milano|Inter]]. I madrileni hanno proprio vinto a biglia sciolta. (26 aprile 1985) *Quando [[Sandro Pertini]] è apparso sul video di Raiuno che trasmetteva la premiazione del concorso ippico di Roma, il cronista ha commentato: «Anche i cavalli, come vedete, sono gentili col Presidente». Era vero. Forse meritano di essere fatti cavalieri. (5 maggio 1985) *I tifosi rossoneri sono in festa per la notizia che Berlusconi sta per acquistare il loro Milan. Sono convinti che in un battibaleno ne farà una squadra da scudetto, da coppa delle coppe, da tutto, e forse hanno ragione. C'è un solo pericolo: che il neo-presidente voglia fare anche il direttore tecnico, l'allenatore, il massaggiatore, il capitano e il centrattacco. Il che potrebbe andar anche bene. Ma ad una condizione: che possa fare anche l'arbitro. (27 dicembre 1985) *Rete Quattro e Italia 1 sono state multate per violazione del decreto che proibisce la propaganda al consumo del tabacco. Lo spot incriminato è quello che, parlando del «Camel Trophy», ostentava un pacchetto di sigarette della ditta sponsorizzatrice. Strano Paese, il nostro. Colpisce i venditori di sigarette, ma premia i venditori di fumo. (13 marzo 1986) *Molti lettori ci chiedono quale missione sta svolgendo l'on. Capanna a Tripoli, quali motivi l'hanno spinto da Gheddafi. Non ne sappiamo granché: non siamo abituati a ficcare il naso nelle altrui questioni di famiglia. (1º giugno 1986) *Oggi Paolo Pillitteri sarà designato alla successione di Tognoli come sindaco di Milano. Lo dipingono come uomo intelligente, efficace, insomma pieno di qualità. Purtroppo, gli manca quella fondamentale: il celibato. (5 dicembre 1986) *Finalmente, dopo sette anni di esilio a Gorky, l'impavido Andrei Sacharov è tornato a Mosca. Speriamo che Gorbaciov ci resti. (24 dicembre 1986) *L'agenzia Ansa riferisce che da un sondaggio operato in Francia su un pubblico internazionale, risulterebbe che il maschio italiano detiene ancora il primato mondiale della seduzione. Speriamo che i giornali non riportino la notizia: gl'italiani sarebbero capaci di crederci. (15 marzo 1987) *Per la prima volta nella storia della Corte Costituzionale, il nuovo presidente, Francesco Saja, è stato eletto al primo scrutinio. Ma il rivale sconfitto, Ferrari, ha sollevato eccezione accusando il vincitore di averlo battuto grazie a un «compromesso storico» fra elettori democristiani e comunisti, aggravato da un intrallazzo fra siciliani. Vero o falso, dalla Corte al cortile. (5 giugno 1987) *Ieri tutti i telegiornali ci hanno martellato negli occhi le immagini dei capibastone – Craxi, De Mita, Spadolini, Altissimo ecc. – che infilavano la scheda nell'urna. I loro volti raggiavano di soddisfazione. Erano gli unici elettori matematicamente sicuri di aver dato il voto al candidato ideale. (15 giugno 1987) *In una scuola di Chattanooga, nel Tennesse (Usa), due sedicenni, approfittando dell'assenza dell'insegnante, si sono baciati e hanno fatto l'amore davanti a una decina di compagni, niente affatto scandalizzati. Dato il lassismo di certe scuole americane, gli esami in cui gli studenti riescono meglio sono proprio queste prove orali. (4 giugno 1988) *Diciannove persone hanno dichiarato d'aver visto aggirarsi, tra le quinte della Scala, il fantasma di [[Maria Callas]]. Non ci meravigliamo, anche perché migliaia di altri frequentatori del massimo teatro lirico italiano sostengono da tempo di vedere, alla Scala, il fantasma della Scala. (28 giugno 1988) *Scoprendo le istituzioni britanniche con un secolo e mezzo di ritardo, i comunisti sembrano fermamente intenzionati a formare il loro «shadow Cabinet». Ma onestamente non ne afferriamo la ragione. Non c'è nessun bisogno di un governo ombra per contrastare quest'ombra di governo. (5 maggio 1989) *Da un sondaggio condotto tra i francesi risulta che il personaggio più noto d'Oltralpe è [[Marcello Mastroianni]], conosciuto dall'83 per cento degli intervistati. Il 97 per cento dei francesi invece confessa di non sapere chi sia [[Ciriaco de Mita|Ciriaco De Mita]]. Quando si dice un Paese fortunato... (20 maggio 1989) *Gerardo Iglesias, che fu segretario generale del partito comunista spagnolo dall'82 all'88, ha lasciato l'attività politica per riprendere il suo lavoro di minatore di carbone, «l'unico modo in cui posso guadagnarmi degnamente la vita». Alcuni dirigenti del Pci, a quanto risulta, vorrebbero imitarne l'esempio, tornando al vecchio lavoro. Il difficile è trovare chi ne aveva uno. (1º giugno 1990) *Durante la festosa «notte del mondiale», la polizia romana ha arrestato, nelle vicinanze dello stadio olimpico, 29 borsaioli e scippatori. Il signor [[Edgardo Codesal Méndez|Codesal Mendez]], arbitro della partita [[Nazionale di calcio della Germania|Germania]]-[[Nazionale di calcio dell'Argentina|Argentina]], non figura nell'elenco. (10 luglio 1990) *Il giudice veneziano Casson ha convocato, per la storia del Gladio, il presidente [[Francesco Cossiga|Cossiga]], e l'Italia leguleia è in subbuglio: la Costituzione, pure, si è dimenticata di precisare se il Capo di Stato può essere chiamato a rispondere, sia pure da testimone, a un qualunque magistrato. Il quale però ha ora la fotografia su tutti i giornali. E tutti possono ammirarla chiedendosi che cosa passa in quella testa, la testa di Casson. (10 novembre 1990) *Gli studenti italiani manifestano rumorosamente per la [[pace e guerra|pace]] e contro la [[pace e guerra|guerra]]. La guerra, diceva [[Georges Clemenceau|Clemenceau]], è una cosa troppo seria per lasciarla fare ai militari. Ma anche la pace è una cosa troppo seria per lasciarla fare ai pacifisti. (20 gennaio 1991) *Occupandosi – tra tanto Golfo – del Festival di Sanremo il Tg3 ci ha dato, finalmente, ieri sera, una notizia credibile: il livello delle canzoni, ha detto, è destinato a salire. Infatti: sentite le prime è impossibile che scenda. (1º marzo 1991) *Da un'indagine risulta che il 41,9% degli italiani non considera illecito l'assenteismo dal lavoro e che il 41,3% non considera peccato le infedeltà coniugali. La coincidenza delle due cifre spiega in che modo gli statali impiegano il tempo che dovrebbero dedicare all'ufficio. (3 ottobre 1991) *A quest'ora [[Ernesto Balducci|Padre Balducci]] è di fronte al Supremo Giudice, nel quale affermava di credere. Almeno a Lui dovrà spiegare non ciò che diceva contro la Chiesa, ma perché lo diceva travestito da frate. (26 aprile 1992) *Nell'ultima tornata presidenziale è emerso, con un bel pacchetto di 20 voti, Aldo Aniasi. Finalmente. In questo imperversare di tangenti e bustarelle, era ora che qualcuno si ricordasse di lui. (24 maggio 1992) *Per sfatare le malevole dicerie su certe bestie, il presidente degli «animalisti» italiani ha offerto un premio di 200 milioni a chi potrà dimostrare che i corvi scrivono lettere anonime e che le talpe fanno le spie. È vero: di simili casi non ne conosciamo. Ma di somari che fanno i presidenti, ne conosciamo parecchi. (5 luglio 1992) *Dopo le invettive e i clamori da cui il presidente del consiglio [[Giuliano Amato|Amato]] è stato accolto in Senato per la sua insensibilità alla crisi morale che investe il Paese, il dibattito sulla medesima si è svolto, a Montecitorio, in un'aula deserta. Sì, una crisi morale, per la nostra classe politica esiste: lo dimostra il vuoto in cui l'ha lasciata cadere. (14 marzo 1993) *«I socialisti – ha detto l'ex ministro della Difesa Salvo Andò – devono andare tutti nudi verso la meta di un nuovo sistema politico». Come faranno senza le tasche? (24 maggio 1993) *Il candidato del Psi per le elezioni a sindaco di Roma sarà Niccolò Amato. Assennata scelta. Ex direttore delle carceri, Amato è certamente il più qualificato a rappresentare quel partito. (23 settembre 1993) *Giovedì sera annuncio a sorpresa di [[Emilio Fede]] nel suo Tg4: «Adesso – ha detto – voglio parlarvi di informazione». C'è sempre una prima volta. (8 gennaio 1994) *Secondo un sondaggio della Diacron (gruppo Fininvest), l'82 per cento dei lettori del «Giornale» sarebbe schierato con Berlusconi. Vero. Almeno com'è vero che Berlusconi diventerà presidente del Consiglio. (12 gennaio 1994) ====''La parola ai lettori – rubrica''==== *I tennisti italiani hanno disputato la finalissima di Coppa Davis a Praga, e nessuno ha battuto ciglio. Le squadre di calcio italiane frequentano gli stadi dell'Est, a cominciare da quelli russi, e i puristi della democrazia non ci trovano nulla a ridire. Ma per l'[[Uruguay]] – che con i suoi tre milioni di abitanti e la sua posizione geografica non mi pare possa essere considerato una minaccia troppo grave alla libertà dei Paesi democratici – c'è puntuale la protesta. Come se l'Uruguay potesse invadere, espandersi, insidiare, inviare – direttamente o indirettamente – eserciti di mercenari in mezzo mondo, e l'[[Unione Sovietica]] no. Possiamo capire gli intransigenti della democrazia: ma possiamo soltanto disprezzare i farisei che hanno l'indignazione dimezzata. Si calmino Bruno Conti e Pruzzo. Né l'Uruguay, né il suo regime, meritano tante ansie e tanta ostilità. Mosca è più vicina – lo sanno bene i polacchi – e Kabul anche. (31 dicembre 1980) *Non abbiamo mai «coperto», come si usa dire, questo nostro socio (che ha il 37, non il 36% del Giornale), anche perché non vediamo da cosa dovremmo coprirlo. [[Silvio Berlusconi|Berlusconi]] non è né un politico né un gerarca civile o militare, e non svolge nessuna pubblica funzione incompatibile con l'appartenenza alla massoneria. È un privato imprenditore e cittadino che quando fa una balordaggine (e l'iscrizione alla P2 lo è) la fa a proprio rischio e pericolo. Come lei avrà visto, il suo coinvolgimento nella P2 non ci ha impedito di dire, di Gelli e della sua banda, tutto il male che ne pensiamo. (31 maggio 1981) *In tutti questi anni che è stato con noi, {{NDR|Silvio Berlusconi}} si è sempre comportato nella maniera più signorile, ed anche in questa circostanza ci ha dato le più ampie garanzie. (14 aprile 1987) *Nel panorama sudamericano il [[Cile]] è oggi uno di quei paesi economicamente più solidi e con maggior progresso, tanto da meritare gli elogi del Fondo monetario internazionale. Ma la postilla impone a sua volta una precisazione. È più facile fare il risanamento economico monetario in Cile, dove i sindacati sono inesistenti o impotenti, che non in [[Argentina]], dove il sindacato incalza il governo e pretende aumenti salariali il cui ritmo sia adeguato al ritmo dell'inflazione. [...] Pinochet è quello che è. Il suo plebiscito per la Costituzione del 1980 fu indetto in circostanze che gli tolgono ogni valore. E gli inizi del regime militare furono sanguinari. Però il Cile di oggi ha un livello di libertà e di dialettica politica – nonostante Pinochet – che tanti paesi del Terzo mondo vezzeggiati dai nostri democratici dovrebbero invidiargli. Come ha osservato un lettore, né l'Etiopia né lo Zaire né la Siria, né il Nicaragua avrebbero tollerato corrispondenze come quelle che gli inviati della Rai diffondono, in diretta dal Cile. (16 aprile 1987) *Mai le nostre prese di posizione su problemi e personaggi sono state non dico condizionate, ma influenzate dalle personali amicizie o preferenze di Berlusconi. Per la verità, l'editore chiese una volta a titolo di favore, un «occhio di riguardo» per la sua creatura prediletta. Non la televisione, come i lettori saranno stati forse indotti a pensare, ma il [[Associazione Calcio Milan|Milan]]. Sottoposi questa sommessa istanza alla redazione sportiva. La risposta fu una lettera collettiva di dimissioni. Caso chiuso. Da allora rinuncio a leggere le cronache delle partite del Milan, per non dovermi dispiacere del dispiacere che ne prova probabilmente Berlusconi. (17 aprile 1988) *Come già ho scritto, e qui mi piace ripetere, la designazione di [[Francesco Cossiga|Cossiga]] al Quirinale fu la scelta dell'uomo giusto al posto sbagliato. Sappiamo benissimo chi la volle. Ma sappiamo altrettanto bene che fu avallata anche da quegli uomini e partiti che ora si scagliano contro di lui e lo accusano, apertamente o copertamente, di fellonia. La classe politica, nella quale egli ha militato da sempre e che quindi da sempre lo conosceva, doveva sapere che l'onesto (perché tale è) Cossiga non era uomo da Quirinale. Eppure, per i suoi sporchi giochi di potere, ce lo mandò. Ora dovrebbe sentire il dovere di difenderlo dagli sciacalli che lo attaccano da tutte le parti. (22 dicembre 1990) ===''La Stampa''=== <!--ordine cronologico--> *Intorno alle «cattedrali nel deserto» impiantatevi dalla cosiddetta mano pubblica, [...] o trasferitevi dal Nord con l'adescamento degli «incentivi», e sotto la nuvolaglia di fumo che sgorga dalle loro ciminiere, si gonfiano alla carlona e selvaggiamente dirompono, senza nessun criterio urbanistico, senza piano regolatore, senza servizi, spesso anche senza acquedotto e senza fogna, degli agglomerati urbani che solo per il numero degli abitanti si possono chiamare città. [...] È nata soltanto, insieme a una forsennata speculazione edilizia che per sfruttare all'osso l'area fabbricabile accumula con cattivo cemento un piano sull'altro finché crollano sulla testa degl'inquilini, la sorda rabbia contro la città di un contadiname analfabeta che se n'è visto succhiare la linfa vitale, e quando vi cala, lo fa da nemico e vandalo. Questo è il panorama del Mezzogiorno dopo vent'anni e più di Cassa, che hanno raschiato dalle tasche dei contribuenti migliaia di miliardi. (da ''[http://www.archiviolastampa.it/component/option,com_lastampa/task,search/mod,libera/action,viewer/Itemid,3/page,3/articleid,1118_01_1973_0272_0003_16218908/ La protesta contadina]'', 18 novembre 1973, p. 3) *La politica meridionalistica è tutta dominata da questo sottofondo psicologico. Essa vuole l'industrializzazione di Stato non soltanto perché [...] l'industrializzazione può essere fatta soltanto dallo Stato o da imprese al servizio dello Stato; ma anche perché più queste imprese si sviluppano, e più si riduce il margine di quell'imprenditoria privata che i meridionali, non riuscendo a emularla, mirano a ostacolare e ridurre, sottraendole il pubblico risparmio. Con l'agricoltura non avrebbero potuto perseguire questi scopi punitivi. L'unica arma per mortificare e battere l'industria privata è l'industria statale o parastatale. Questa, intendiamoci, esisteva digià: è un portato dei tempi moderni. Ma non c'è dubbio che la politica meridionalistica, come la si è praticata finora e tutto lascia credere che si seguiterà a praticarla, le ha offerto un'ideale occasione. (da ''[http://www.archiviolastampa.it/component/option,com_lastampa/task,search/mod,libera/action,viewer/Itemid,3/page,3/articleid,1118_01_1973_0284_0003_16222766/ Industrie "in colonia"]'', 2 dicembre 1973, p. 3) *Lo Stato, con [[Venezia]], ha contratto un solo impegno: di destinare al suo risanamento 300 miliardi di lire in cinque anni. Di dove li prenda, non ha nessun interesse. Può darsi che una parte li attinga proprio a quel prestito. Ma non vi è tenuto, né si vede perché dovrebbe esserlo. Ciò che da esso si può e si deve esigere è che eroghi effettivamente quei 300 miliardi alle scadenze per le quali si è impegnato: 25 miliardi per il '73, 60 nel '74, 90 nel '75, e su su fino alla chiusura dei conti nel '77. Due sole cose restano da dire. Primo. All'origine dell'equivoco c'è di certo quello che i francesi chiamano l'''esprit mal tourné'', cioè la diffidenza degl'italiani nei confronti dello Stato. Ma all'origine di questa diffidenza c'è altrettanto certamente l'incapacità o la renitenza dei nostri governanti a spiegare [...] ciò che fanno. Secondo. I soldi [...] stavolta ci sono. E diamo pure per scontato che saranno erogati con puntualità. Ma dove sono gli strumenti per spenderli, specie quelli affidati in gestione a degli Enti locali, che fin qui non sono stati capaci di dragare un canale né di riparare la spalletta d'un ponte? Non vorremmo che anche tutti questi miliardi andassero ad alimentare l'immenso deposito di «residui passivi», cioè di somme stanziate ma non impiegate, che già affligge il nostro Paese. Non lo vorremmo. Ma lo temiamo. (da ''[http://www.archiviolastampa.it/component/option,com_lastampa/task,search/mod,libera/action,viewer/Itemid,3/page,1/articleid,1111_01_1974_0009_0001_21345708/ Venezia, molti miliardi e lo Stato]'', 11 gennaio 1974, p. 1) *E ora addio, caro lettore, e grazie dell’ospitalità. Ti confesso che, entrando in casa tua, ero molto imbarazzato. Ma mi bastò poco per accorgermi che di questo imbarazzo voi soffrite quasi quanto coloro a cui lo incutete. Esentàtemi da una dichiarazione di amore perché a gente come voi è difficile farne. Ma in questo pudore mi sento vostro pari e vostro complice. Avrò un giornale a Milano e, e cercherò di farlo molto bello, bellissimo. Ma anche se ci sarò riuscito, seguiterò a rimpiangere il vostro. Mi dicevano che ci avrei sofferto il freddo. Ci ho trovato, sotto una coltre di silenzio, il caldo. (da ''[http://www.archiviolastampa.it/component/option,com_lastampa/task,search/mod,libera/action,viewer/Itemid,3/page,3/articleid,1112_01_1974_0087_0003_16390798/ Congedo dal Piemonte]'', 21 aprile 1974, p. 3) {{Int|''[http://www.archiviolastampa.it/component/option,com_lastampa/task,search/mod,libera/action,viewer/Itemid,3/page,9/articleid,1118_01_1973_0284_0009_16222725/ Chi era il vecchio leone del deserto]''|Articolo su ''La Stampa'', 2 dicembre 1973.|h=4}} *Senza Ben Gurion, non so se Israele sarebbe stato migliore o peggiore di quel che è. Certo, sarebbe stato diverso. Il titolo di «Padre della Patria» non può contestarglielo nessuno. [...] Egli stesso mi raccontò lo sgomento da cui fu còlto quando, non ancora ventenne, sbarcò a Giaffa dopo un lungo periplo a bordo d'un cargo. A procurarglielo non furono i funzionari turchi che allora governavano il Paese, e nemmeno gli arabi che formavano il grosso della popolazione; ma gli ebrei, quasi tutti latifondisti e mercanti perfettamente inseriti nel «sistema» e unicamente intesi ai propri affari. Erano dunque quelli i depositari della Terra Promessa, che non sapevano neanche l'ebraico, o comunque si rifiutavano di parlarlo? Forse ne sarebbe fuggito, se nell'interno non avesse scoperto alcune isolate fattorie collettive, dove i nuovi immigrati lavoravano la terra con le proprie mani e di notte montavano la guardia, uomini e donne, per difendere le loro vite e i loro raccolti dalle razzie degli arabi. *Comprese subito che solo redimendo la terra col loro lavoro manuale e contrapponendo al latifondismo arabo la fattoria collettiva, gli ebrei potevano legittimare la riconquista dei loro antico «focolare». Militarmente, egli non attaccò mai gli arabi. Aspettò che il loro sistema si disgregasse da sé, e ci volle poco. Battuti sul mercato dai prodotti del ''kibbutz'', i latifondisti arabi vendettero i loro feudi al «Fondo Nazionale Ebraico» per andare a sperperare l'incasso nei ''Casinos'' di Beirut e della Costa Azzurra, e i braccianti rimasero senza lavoro perché i nuovi padroni usavano le braccia proprie. Il conflitto è tutto qui: nell'impossibilità di coabitazione di una scalcagnata economia feudale con un'efficientissima economia socialista. I motivi religiosi e razziali li ha aggiunti la propaganda. *Il suo programma era questo: conquistare la Palestina «pertica dopo pertica, capra dopo capra», ma senza costituirla in uno Stato, un po' perché a questo si sarebbe opposta l'Inghilterra [...] un po' per non provocare un «fronte» di nazioni arabe, come poi in realtà avvenne. Ma la rivelazione del [[Olocausto|genocidio]] gl'ispirò il famoso ''mai più''. E mai più significava questo: che d'allora in poi gli ebrei dovevano avere un rifugio sicuro, pronto ad accoglierli e in grado di farlo, cioè uno Stato. *Come tutti i veri politici, Ben Gurion era un pragmatista, cioè un uomo che attingeva le idee dalla pratica delle «cose», non viceversa. E l'esperienza fatta nella lotta per la manodopera ebraica lo aveva persuaso che con gli arabi non c'era [...] possibilità di compromesso. Uno Stato palestinese misto di arabi e di ebrei, lo considerò sempre una chimera per il semplice motivo che in poche generazioni, col loro potenziale demografico quattro volte superiore, gli arabi avrebbero mangiato gli ebrei. [...] Già nella guerra del '48 egli avrebbe potuto annettersi la Cisgiordania: ci rinunziò per non mettersi in corpo seicentomila arabi. L'anno dopo rifiutò per lo stesso motivo la cosiddetta «striscia di Ghaza» che il suo brillante generale Allon aveva sforbiciato dall'Egitto. E dopo la guerra dei sei giorni, sebbene ormai lontano dal potere, non ha fatto che ammonire contro una politica di annessioni territoriali disgiunta da un adeguato incremento di popolazione ebraica. Non ha mai dialogato che con l'Occidente. Con gli arabi, non ha seguito che una diplomazia: quella dei confini. *Le nuove esigenze della produzione e della guerra imponevano un altro «rovesciamento della piramide»: il miracolo della guerra dei sei giorni fu dovuto a un esercito di tecnici altamente specializzati, in cui anche il semplice aviere era un ingegnere. Il posto del ''kibbutz'' [...] veniva preso dall'Università che riconvertiva il contadino in professore. Ben Gurion non poteva interpretare questo nuovo corso. Era troppo vecchio e legato all'altro. Ma non lo comprese, non poteva comprenderlo, per conservare il potere ricorse a tutte le armi del suo repertorio, anche le meno regolamentari, giunse a rinnegare e a rompere il proprio ribelle partito. E neppure a battaglia persa si rassegnò. Dal fondo del suo rifugio alle soglie del deserto ha continuato tutti questi anni ad alluvionare di ammonimenti, maledizioni, anatemi i suoi vecchi amici trattandoli da nemici. [...] Quello che si chiude con Ben Gurion è il capitolo del pionierismo: il più eroico e glorioso, quello destinato, via via che si allontanerà nel tempo, ad essere ricordato dagl'israeliani con sempre più struggente nostalgia. {{Int|''[http://www.archiviolastampa.it/component/option,com_lastampa/task,search/mod,libera/action,viewer/Itemid,3/page,3/articleid,1112_01_1974_0081_0003_16388814/ La strada lunga di Golda]''|Articolo su ''La Stampa'', 14 aprile 1974.|h=4}} *{{NDR|[[Golda Meir]]}} Aveva poco più di vent'anni quando approdò in Israele, frammista ai «padri pellegrini» della «seconda ondata» che subito dopo la [[prima guerra mondiale]] vennero a riprendere possesso della loro antica terra con la ferma intenzione non d'insabbiarcisi com'era successo ai loro predecessori della fine dell'Ottocento, ma di riscattarla e di farne il «focolare» degli ebrei. Tutta la sua visione politica [...] era condizionata da questa esperienza di oltre mezzo secolo di sacrifici e di lotte. [...] Oggi molti in Israele si domandano se a questi pionieri non restava davvero altra strada che quella dell'urto frontale con la popolazione araba della Palestina. Ma questi dubbi sono un lusso ch'essi si possono concedere solo perché i loro babbi e nonni non ne ebbero. Costoro fecero quello che fecero perché non potevano far altro. Ciò che rendeva impossibile la coabitazione fra le due popolazioni non era la incompatibilità razziale e religiosa, ma quella economica e sociale. Il latifondo sceiccale non poteva convivere col ''kibbutz'' socialista. È qui l'origine di un conflitto che nessuna diplomazia poteva sanare. Una pace fra israeliani e arabi è possibile; una simbiosi, no. Ancor oggi chi parla di «Stato misto» si gingilla con le astrazioni. *Fu lei che [...] raggiunse travestita da cammelliere l'emiro Abdullah di Giordania [...] e da nemico se lo fece amico, o almeno neutrale. Non sono mai riuscito ad appurare se [[David Ben Gurion|Ben Gurion]] ebbe una parte, e quale, in questo «giallo» fra il diplomatico e lo spionistico. Ma molte cose m'inducono a credere che a programmarlo fu proprio lei, Golda, anch'essa ben decisa a innalzare, fra arabi ed ebrei, una cortina di ferro, ma con qualche porta che consentisse all'occorrenza il dialogo. [...] I due furono amici e compari per decenni. [...] Probabilmente anche al tempo in cui facevano coppia nel partito e nel governo si parlavano tra loro in quel linguaggio da fureria. Quanto a imperiosità e autoritarismo, si valevano. [...] Con la sua voce arrugginita dalle sigarette [...] diceva piattamente e banalmente delle cose piatte e banali, solo ravvivate da qualche squarcio d'un umorismo massiccio come una scarpa di soldato; ma senza mai togliere di dosso all'interlocutore il suo vigile sguardo cilestrino alla fiamma ossidrica. E da quella specie di sporta per la spesa che, adibita a borsa, essa tiene al braccio anche nei ricevimenti ufficiali, ci si aspettava sempre di veder saltar fuori, oltre a qualche mazzo d'agli e di cipolle, una pistola o una fiala di veleno. *Non c'è dubbio che sapeva odiare e che anche quando amava lo faceva da mantide, soffocando e stritolando. Ma Israele non troverà mai più una madre come lei, che sapeva anche fargli da padre. Nella sua tenacia, nel suo coraggio, nella sua volontà d'acciaio, essa riassumeva la storia di questo piccolo grande Paese. Lo ha dimostrato col suo ritiro. Quando si è trattato di pagare, essa si è offerta in sacrificio pur sapendo che per lei la rinunzia al potere è la rinunzia alla vita. «''Sono giunta al termine della mia strada''», ha detto. Ma che strada! Nessuno ne ha mai percorsa una più ripida e accidentata, più paurosamente librata tra abissi e strapiombi. Sono sicuro che Golda non si volterà indietro a guardarla, e non ce ne dirà nulla. Come tutti i grandi costruttori, essa sa soltanto costruire. Il resto, per lei, è silenzio. ===''la Voce''=== <!--ordine cronologico--> *Uscendo dal ''Giornale'', io feci a me stesso, ma pubblicamente, un giuramento: «Mai più un padrone». Qui padroni non ce ne sono. La proprietà è ripartita fra alcune centinaia di azionisti, di cui nessuno può, per statuto detenere più del 4 per cento. Fra di essi, e per primi, ci siamo stati tutti noi: redattori, impiegati, fattorini, autisti. [...] Per questa sua pulviscolarità, il nostro azionariato è stato definito, nei quartieri alti della Finanza, «straccione». La qualifica non ci dispiace: coi tempi che corrono, meglio stare tra gli stracci che tra le tangenti. (22 marzo 1994) *Di insurrezione generale non c'era bisogno, il 25 aprile, perché il Terzo Reich non esisteva più. Se l'insurrezione generale fosse avvenuta avrebbe dovuto avere come primo obiettivo, a Milano, il quartier generale delle SS all'Hotel Regina. Le SS furono invece lasciate del tutto tranquille, mentre si provvedeva a trascinare in piazzale Loreto, per la fucilazione Achille Starace [...]. Non sono contro la Resistenza, anzi: sono contro la retorica, inguaribile vizio italiano. Proprio questa retorica ha fatto sì che un sindaco democristiano di Roma, in un manifesto dedicato anni or sono alla liberazione della città non accennasse nemmeno con una parola agli Alleati. Ed ha fatto sì che in quest'ultimo 25 aprile si sia parlato ai giovani che affollavano piazza del Duomo a Milano o che stavano davanti ai televisori, ingannandoli – ossia raccontando loro che i tedeschi erano stati sconfitti dai partigiani, e che da questi l'Italia era stata liberata. Se questa è la «memoria storica» evocata da tanti commentatori, stiamo freschi. (28 aprile 1994) *Intorno a Berlusconi vedo agitarsi una falange di Starace, convinti non meno di Achille che il padrone (e con lui, si capisce, la carriera) si serve sbattendo i talloni e gridando: «Forza, Italia!». Di tutto questo, intendiamoci, Berlusconi non può essere tenuto responsabile. Gli Starace – a differenza di Mussolini che si scelse il suo vedendolo com'era – gli sono germinati e gli pullulano intorno d'irresistibile forza propria cercando di sopraffarsi in una gara di servilismo, che trova soprattutto nel video la propria arena. E per ora la gente pensa: «Povero Cavaliere, da chi è circondato». Ma prima o poi – forse più prima che poi – comincerà a dire anche di lui: «Vedi un po' di chi si circonda». (18 giugno 1994) *Dobbiamo prepararci a presentare le nostre scuse a [[Emilio Fede]]. L'abbiamo sempre dipinto come un leccapiedi, anzi come l'archetipo di questa giullaresca fauna, con l'aggravante del gaudio. Spesso i [[leccapiedi]], dopo aver leccato, e quando il padrone non li vede, fanno la faccia schifata e diventano malmostosi. Fede no. Assolta la bisogna, ne sorride e se ne estasia, da oco giulivo. Ma temo che di qui a un po' dovremo ricrederci sul suo conto, rimpiangere i suoi interventi e additarli a modello di obiettività. (26 novembre 1994) *Il presidente della Repubblica non può contrattare. Ma deve trovare qualcuno che abbia l'autorità morale di farlo. Un ''kamikaze''. E di ''kamikaze'' ne vediamo uno solo che, non avendo veste politica, né alcuna ambizione di indossarla, può anche affrontare una simile responsabilità: [[Antonio Di Pietro|Di Pietro]]. Ma temiamo che l'idea sia soltanto nostra. [...] Una delle pochissime cose che nella presente situazione ci confortano è di vedere in Quirinale un difensore delle Regole come [[Oscar Luigi Scalfaro|lui]]. Vorremmo solo sommessamente avvertirlo che l'Italia che noi conosciamo somiglia poco all'immagine angelica ch'egli ce ne ha fornito la sera di Capodanno, e che anche quando vi avremo messo a posto tutte le Regole, ne mancherà sempre una: quella che dall'interno della sua coscienza fa obbligo ad ogni cittadino di regolarsi secondo le regole. (3 gennaio 1995) *Noi volevamo fare, da uomini di [[Destra]], il quotidiano di una Destra veramente liberale, ancorata ai suoi storici valori: lo spirito di servizio (quello vero, taciuto e praticato), il senso dello Stato, il rigoroso codice di comportamento che furono appannaggio dei suoi rari campioni da Giolitti a Einaudi a De Gasperi. Insomma, l'organo di una Destra che oggi si sente oltraggiata dall'abuso che ne fanno gli attuali contraffattori. Questa Destra fedele a se stessa in Italia c'è. Ma è un'élite troppo esigua per nutrire un quotidiano. (12 aprile 1995) {{Int|''Il realista inviso agli snob''|Articolo su ''la Voce'', 24 aprile 1994.|h=4}} *Fino ad una decina di anni orsono, la maggioranza degli americani erano convinti che, se [[Richard Nixon|Nixon]] fosse rimasto nella Storia del loro Paese – cosa che al loro orecchio suonava come un obbrobrio – vi sarebbe rimasto solo per il [[Scandalo Watergate|Watergate]], cioè appunto per l'obbrobrio. Negli ultimi tempi tutto si è rovesciato: l'obbrobrio non è stato più il Watergate, ma la campagna scandalistica che lo aveva provocato. Gli stessi protagonisti che l'avevano montata – [[Bob Woodward]] e [[Carl Bernstein]] del ''Washington Post'' – ne riconobbero le forzature e fecero atto di contrizione. Non avevano inventato nulla, ma avevano deformato tutto. [...] La sorte è stata, tutto sommato, clemente con Nixon dandogli il tempo di vedere questo capovolgimento. *Ultimamente era ricevuto, ed anzi continuamente sollecitato alla Casa Bianca, dove lo si accoglieva come lo ''Elder Statesman'', lo statista anziano da consultare come un vecchio saggio sui problemi difficili. Fu a lui che [[George H. W. Bush|Bush]] si rivolse per riallacciare un dialogo con Pechino dopo la rottura seguita al fattaccio di Tienanmen. E lui a Pechino lo riallacciò: i cinesi non avevano dimenticato che quel dialogo erano stati Nixon e [[Henry Kissinger|Kissinger]] ad aprirlo, quando l'America aveva deciso di chiudere l'avventura del Vietnam in cui [[John Fitzgerald Kennedy|Kennedy]] e [[Lyndon B. Johnson|Johnson]] l'avevano malaccortamente cacciata. Ma anche [[Bill Clinton|Clinton]] è ricorso alla sua esperienza per capire cosa succedeva in Russia e trarne qualche insegnamento. Nixon andò a Mosca, e ne tornò con cattivi presagi sulla sorte di [[Boris Nikolaevič El'cin|Eltsin]] che i successivi avvenimenti hanno confermato. *Non era un uomo «simpatico», e soprattutto non aveva nulla che potesse sedurre l'America dei salotti e della ''intellighenzia'', che gli uomini politici li misurano a modo loro, mai quello giusto. Scambiarono per un grande intellettuale Kennedy, che in vita sua aveva visto migliaia di film, ma mai letto un libro. E prendevano Nixon, che di libri ne ha letti ed ha continuato a leggerne (ed a scriverne, niente male), fino all'ultimo giorno per una specie di Bossi californiano, rozzo e triviale. [...] Ma forse quello che più infastidiva gli americani era la renitenza di Nixon ad appelli e richiami tanto più sonori quanto più vacui, come «la nuova frontiera» e simili. Nixon era un professionista della politica, uno dei pochissimi che l'America abbia mandato alla Casa Bianca. Non andava per sogni e per versetti del Vangelo. Conosceva il suo [[Otto von Bismarck|Bismarck]], il suo [[Benjamin Disraeli|Disraeli]], e credo anche il suo [[Niccolò Machiavelli|Machiavelli]] che in America basta nominarli per finire scomunicati. Per questo lo consideravano un mestierante, e per questo si era scelto come consigliere un altro mestierante, l'ebreo tedesco Kissinger. Furono questi due uomini che ridiedero all'America la ''leadership'' nella politica estera coinvolgendo nel gioco la Cina e scavandone il solco da Mosca. I successori di Nixon, e specialmente [[Ronald Reagan|Reagan]], vissero in gran parte di questa eredità. ===''Oggi''=== <!--ordine cronologico--> *Mi confermo in due mie vecchie opinioni. Il guaio del socialismo è il socialismo, cioè sta proprio nel suo sistema statalistico. Il guaio del capitalismo sono i capitalisti che, quasi sempre bravissimi all'interno della loro azienda, fuori di lì sono spesso degli ottusi e noiosi imbecilli, e talvolta anche peggio.<ref>Citato in ''Dizionario delle citazioni'', a cura di Italo Sordi, BUR, 1992. ISBN 88-17-14603-X</ref> (n. 22, 1983) *{{NDR|Sull'offerta di [[Massimo D'Alema]] a concedere, come «atto dovuto», i funerali di Stato a [[Bettino Craxi]]}} "Atto dovuto"? Ma dovuto a chi? Anche a un latitante: quale, dal punto di vista legale, era Craxi? Concedere i funerali di Stato a un latitante significa sconfessare la Giustizia che lo ha condannato. [...] Ma può lo Stato sconfessare la propria Giustizia senza sconfessare se stesso? Mi sembra di vivere in un Paese che di senso dello Stato ne ha meno di una tribù del Ghana.<ref>Citato in ''La morte incute rispetto, ma su Craxi non cambio idea''-</ref> (2 febbraio 2000) *La [[democrazia]] è sempre, per sua natura e costituzione, il trionfo della mediocrità. (11 ottobre 2000) ==''Caro direttore''== ===[[Incipit]]=== Mettersi nel '74 contro il vento che soffiava tutto nella direzione del «compromesso storico» con la codarda quiescenza di gran parte della borghesia e di quasi tutti gli intellettuali; scoprire (oggi sembra acqua calda, ma allora era un'eresia) che, oltre al terrorismo di destra, ce n'era uno, molto più violento e pericoloso, di sinistra, figlio – sia pure degenere e ripudiato – del Pci, un partito che raggiungeva il 36 per cento dei voti e che condizionava pesantemente scuola, magistratura, cultura, mezzi di comunicazione; schierarsi dalla parte dell'ordine contro l'eversione; istruire il processo contro il sinistrume, effettivo e di complemento, che mortificava l'iniziativa privata e l'economia di mercato con tutti i valori che vi sono connessi; battersi contro il bugiardo e demagogico giustizialismo populista per il ripristino della meritocrazia nel campo del lavoro e degli studi; denunziare il grande pericolo che circondava il sistema: la partitocrazia; tutto questo sembrava follia, e forse lo era. Ma di questa follia noi siamo fieri. ===Citazioni=== *In Francia c'è molta gente che tuttora si domanda se De Gaulle era proprio De Gaulle, o un matto che si credeva De Gaulle. Ebbene, io nutro per La Malfa lo stesso dubbio. Ed è appunto perché nutro questo dubbio che voto La Malfa. (p. 12) *Il capitalismo vero, che permise alla borghesia di liquidare il Medio Evo e di sostituire, a quella feudale, basata sul parassitismo redditiero, una nuova società basata sul lavoro e sul risparmio, nacque nei Paesi protestanti. E sa perché? Perché Calvino insegnò questo ai suoi seguaci: che il denaro, essendo un segno della Grazia Divina non si poteva scialacquarlo. Chi lo aveva guadagnato per un particolare favore concessogli da Dio, aveva il dovere di considerarsene soltanto il depositario, e di reimpiegarlo, cioè di reinvestirlo perché altri uomini potessero beneficiare dello stesso favore. Fu questa base morale che dette al capitalismo protestante la forza di vincere e di costruire la nuova società: la società borghese del lavoro e del risparmio al posto di quella del sangue e del blasone. (p. 25) *Lei ha ragione di essere soddisfatto. Dopo aver ricevuto una discreta istruzione nelle nostre costose scuole private potrà andare a completarla a Parigi, o a Harvard, o a Oxford, dove il figlio del suo mezzadro o del suo trombaio, magari molto più intelligente e volenteroso di lei, non potrà seguirla. Egli dovrà contentarsi dello svalutato pezzo di carta che la nostra Università rilascerà a lui come a qualsiasi analfabeta, e probabilmente, per campare, dovrà rassegnarsi a fare il mezzadro o il trombaio come suo padre. Grazie agli amici del popolo e ai campioni del proletariato. (p. 91) *L'Italia ha scelto lo sciopero, per risanarsi, e non il lavoro, i «ponti», e non il sacrificio; i comizi e le adunate, non le valutazioni responsabili che non possono venire dagli urli di una folla eccitata. La Germania federale, retta dai socialdemocratici, persegue una strada ben diversa. Ciascuno raggiunge i traguardi che si propone, e che merita. (p. 156) *Noi crediamo che in certi casi di carattere eccezionale il giornalista abbia il diritto, e qualche volta il dovere, di dire la verità, se ne è convinto, anche se non è in grado di dimostrarla. Ma a una condizione: che, non potendo o non volendo rivelare le fonti a cui l'ha attinta, se ne assuma in proprio la responsabilità con tutte le conseguenze, anche giudiziarie che ne derivano. (p. 173) *Il temuto cambio di regime non c'è stato, nonostante il tentativo dei partiti e della grande stampa fiancheggiatrice di gabellarlo come una operazione innocua e indolore. La necessità d'interpretare queste consultazioni come un referendum ci ha costretti a sostenere, con tutte le nostre forze, la Democrazia cristiana riconoscendole, però, il merito importante di non aver mai messo in pericolo le nostre libertà, anzi di averle sostenute e difese. Ora che abbiamo contribuito, non poco, a rimettere in piedi la grande malata, dobbiamo adoperarci a guarirla. (p. 193) *Ho avuto una tessera ''ad honorem'' di una federazione anarchica catalana (quella del famoso ''Campesino'') perché, durante la guerra civile spagnola, trafugai oltre frontiera un suo affiliato caduto prigioniero dei nazionalisti e condannato a morte. Ti prego di felicitarmene. Subito. Senza esitazioni. (p. 227) *Anche se aveva tutte le ragioni di sentirsi ingiustamente perseguitato e colpito nel suo onore di galantuomo, Malizia non doveva piangere, per il semplice motivo che i generali non hanno il diritto di piangere almeno in pubblico. Mai. Per nessuna ragione. Lei mi dirà che queste sono fisime da gente sorpassata. Può darsi. Ma io sono convinto che l'etica militare è fatta appunto di queste fisime. Sono stato per lunghi anni ufficiale di guerra, e credo di esserlo stato con onore – tanto da guadagnarmi alcune decorazioni –, appunto perché avevo queste fisime. (p. 261) ==''Caro lettore''== ===[[Incipit]]=== Questi volumi sono in fondo la ''summa'' del ''Giornale'', il riassunto e il breviario di un libero pensiero, cioè di un pensiero libero da qualsiasi condizionamento, che dovrebbe far riflettere gl'intellettuali. Ma noi ci crediamo poco. Ed uno dei motivi è proprio questo: che stavolta gl'intellettuali difficilmente potranno rinverdire lo slogan sotto il quale, negli anni di piombo, mascherarono la loro codardia: «Né con le brigate rosse né con lo Stato», come se lo Stato e le brigate rosse fossero sullo stesso piano e fra l'uno e le altre fosse possibile una neutralità. Pur appartenendo – almeno dal punto di vista sindacale – alla categoria, o forse proprio perché vi apparteniamo, non abbiamo molta stima degl'intellettuali, e troviamo poco meno che ridicola la loro pretesa di fare i direttori di coscienza della società. ===Citazioni=== *Lei ci accusa di eccessiva indulgenza verso i regimi sudamericani. Ma l'accusa è ingiusta. Non perdiamo occasione di dire che Pinochet è una disgrazia. Ma non possiamo fare a meno di aggiungere che questa disgrazia è nata da un'altra disgrazia di nome Allende. In Argentina, a portare al governo il generale Videla (che, glielo posso assicurare, non aveva nessuna voglia di andarci) sono stati i «montoneros» coi loro rapimenti e omicidi, dai quali più nessuno si sentiva al riparo. (p. 42) *Io lavorai al ''Borghese'', sotto vari pseudonimi, finché ci fu lui e perché c'era lui. Dal rapporto personale, quotidiano e strettissimo, esulava qualsiasi pregiudiziale ideologica. Io del resto, non ho mai capito quale ideologia avesse Longanesi. Sapevo soltanto che non era mai del gregge; e siccome nemmeno io lo sono, questo bastava a tenerci uniti. Dopo di lui il ''Borghese'' assunse una fisionomia ideologica precisa, di cui non discuto la legittimità, ma che non corrispondeva alla mia. E quindi la mia collaborazione vi sarebbe stata fuori posto. (p. 50) *Anche ai cattolici osservanti e militanti è consentito, si capisce, far politica. Ma, per amor del cielo, non la confondano con la religione invocando i «valori cristiani» mentre si mettono l'un l'altro l'arsenico nella minestra. Questo si può farlo in nome di Marx, e magari anche di Cavour. In nome di Dio, dovrebb'essere proibito. (p. 193) *Hai ragione interamente, là dove dici che chi nasce come me figlio di un professore (non di un magistrato) ha una partenza più facile di chi nasce come te, figlio di un operaio. Questo è vero. E infatti il gran problema di un regime politico serio dovrebb'essere proprio quello di ridurre al minimo le diseguaglianze al palo di partenza. Per raggiungere questo scopo, non smetterò mai di battermi. Ma nemmeno smetterò di battermi contro il tentativo di mortificare l'interesse privato fino al punto di togliere agli uomini la molla dell'iniziativa. Sono per un fisco severo. Ma voglio che colpisca gli sciali e i lussi, non gl'investimenti perché questi producono lavoro e ricchezza. Ecco il mio socialismo. (p. 202) *L'Islam ebbe una grande cultura solo quando, nella loro cavalcata conquistatrice, i suoi Califfi incontrarono la cultura greca, quella egiziana e quella ebraica. Ma questo risale a Averroè e ad Avicenna, cioè a mille anni fa pressappoco. Da allora l'atteggiamento dell'Islam verso la cultura è sempre rimasto quello del famoso Califfo che, quando gli chiesero cosa dovevano fare della grande biblioteca di Alessandria, da lui conquistata, rispose: «Se tutti quei libri dicono ciò che dice il Corano, sono inutili. Se dicono cose diverse, sono dannosi. Nell'un caso e nell'altro, meglio bruciarli». Si dirà: «Altri tempi». No, Khomeini pensa e parla come quel Califfo. L'Islam è una religione di analfabeti, in cui la cultura è monopolio degli Ulema, che sanno solo di Corano e passano la vita a indagarne i misteri (che non ci sono). Mi citi Alberoni un'opera d'arte e di pensiero islamica degli ultimi due o trecent'anni. I mussulmani colti sono quelli che escono dalle ''nostre'' università. (p. 259) *Ognuno ha il diritto ad avere una sua opinione. Ma nessuno ha quello di distorcere l'opinione degli altri. La mia era è la seguente: che, dopo l'esperienza in Ungheria, non mi sentivo d'incoraggiare i polacchi a una rivolta, in cui l'Occidente li avrebbe lasciati soli a vedersela coi carri armati sovietici, e quindi a finire sotto i loro cingoli come avvenne a Budapest nel '56. Questo non era un invito a «calar le brache». Era una messa in guardia da quelle pericolose illusioni di aiuti esterni che ebbero tanta parte nello spingere gli ungheresi a un olocausto rivelatosi poi del tutto inutile. (p. 271) *Io non sono affatto convinto dell'innocenza di Freda e Ventura (Giannettini non c'entrava niente) come non lo sono di quella di Valpreda. Ma anch'io avrei assolto per mancanza di prove. E non c'è da scandalizzarsene perché queste cose succedono in tutto il mondo. A vent'anni di distanza, la polizia americana non sa ancora con certezza chi uccise Kennedy. Solo la polizia sovietica sa sempre chi uccide per il semplice motivo che è sempre essa a farlo. Con questo, sia chiaro, non voglio dire che la nostra Giustizia funziona bene. Funziona malissimo, e qualche volta non funziona affatto. Ma che copra le stragi di Stato, i nostri intellettuali di sinistra vadano a raccontarlo agli zulù. (pp. 330-331) *Io non so se qualche omosessuale fra noi c'è. È un problema che non mi sono mai posto. Ma anche se ce ne fossero e io me ne accorgessi, non muoverei un dito contro di loro e seguiterei a stimarli per quel che valgono o a disistimarli per quel che non valgono. Tutto ciò, caro amico, la deluderà. Ma il mio stomaco, evidentemente, è soggetto a impulsi diversi da quello suo. Se c'è una cosa su cui mi rifiuto di giudicare gli uomini (e le donne) è proprio il sesso. Ho conosciuto degli omosessuali meravigliosi anche sul piano morale, e degli eterosessuali orrendi. E sono troppo geloso della privatezza mia per non rispettare quella altrui. (p. 343) ==''Dante e il suo secolo''== ===[[Incipit]]=== Uno dei tanti meriti che si suole attribuire a [[Dante Alighieri|Dante]] è quello di essere stato il primo italiano ad avere una «coscienza nazionale». Noi non vorremmo cominciare questo libro con una detrazione, ma non ci sembra che a dimostrare questa coscienza basti l'allusione che Dante fa a una entità geografica italiana, di cui egli fissava i punti terminali al Brennero e al Carnaro. E non vediamo del resto cosa aggiunga alla sua grandezza questa specie d'irredentismo avanti lettera. Se per qualcuno Dante spasimò fu, caso mai, per un Imperatore tedesco. ===Citazioni=== *[[Roma]] era stata la capitale di un impero cosmopolita, non di una Nazione. (Parte prima. Capitolo primo, p. 12) *Non è necessario essere degli adepti del "materialismo storico" per attribuire il risveglio delle inquietudini intellettuali, fra il Millecento e il Milleduecento, al progresso economico e al generale miglioramento delle condizioni i di vita. È a stomaco pieno che si comincia a pensare a qualcosa che non sia soltanto lo stomaco. (Parte prima. Capitolo terzo, p. 131) *Il [[pudore]] femminile non è mai stato altro che un incentivo alla civetteria. (Parte seconda, Capitolo quarto, p. 174) *Da consumato giurista qual era, {{NDR|[[papa Bonifacio VIII]]}} prese a rimaneggiare tutti i precedenti storici, su cui poteva basare le sue pretese di dominio universale. E trovò un valido aiuto nel canonista [[Egidio Romano|Egidio Colonna]] il quale scrisse un trattato, ''De ecclesiastica potestate'', per avvalorare queste tesi. Egli sostenne che la Chiesa era padrona e proprietaria non soltanto delle anime, ma di tutto. Era solo per bontà e condiscendenza che metteva le cose a disposizione dei fedeli, ma conservando il diritto di ritorgliele quando voleva. Quindi anche i troni appartenevano ad essa, che li lasciava ai Re solo in momentaneo appalto. Questa teoria tanto piacque a Bonifacio, che ne ricompensò l'autore con la nomina ad arcivescovo di Bourges. (Parte seconda, Capitolo nono, p. 312) *Peccato che un simile uomo {{NDR|papa Bonifacio VIII}} avesse così clamorosamente sbagliato generazione e carriera. Fosse nato cinquant'anni dopo sarebbe stato un magnifico Principe del [[Rinascimento]]: avido, crudele e gagliardo. (Parte seconda, Capitolo undicesimo, p. 372) *Dante qui {{NDR|nel ''De vulgari eloquentia''}} ha visto ciò che molti filòlogi ancora oggi non vedono. Egli difende il "volgare", cioè la lingua viva, quella parlata dal popolo, fatalmente destinata a soppiantare il latino. Ma ne vorrebbe una illustre e aulica, al di sopra di quelle "municipali", cioè dei dialetti, contro i quali si scaglia con furore. In Italia ne classifica quattordici e li detesta tutti, compreso il toscano che chiama "turpiloquio". Ma il più orrendo gli sembra il romano, "e non deve fare meraviglia dacché i romani, anche per deformità di costumi e abiti, appaiono i più fetidi di tutti". Chissà cosa direbbe, povero Dante, se tornasse fra noi e andasse al cinematografo. (Parte seconda, Capitolo quindicesimo, p. 483) ==''Gli incontri''== *[[Giovanni Porzio|Porzio]] non è alto di statura, ma diritto come un fuso nonostante i settantaquattro anni suonati e porta, sui pantaloni a righe stretti e lunghi come quelli degli antichi ufficiali in grande uniforme, una giacca nera che l'alta bottonatura fa simile a una ''redingote''. Il volto è bello, di colore olivastro, e aristocratico nella modellatura del naso e nel taglio breve dei baffi e della barbetta ancora pepe e sale. (Porzio, p. 91) *Non avevo mai visto da vicino [[Cécile Sorel]], quando essa mi apparve, per la prima volta, di lontano, sul palcoscenico allestito nella corte d'onore degli Invalides per le feste celebrative del bimillenario di Parigi. [...] Drappeggiata in una sontuosa cappa di [[Elsa Schiaparelli|Schiaparelli]] a strascico di ''lamé'' d'argento e porpora, dritta su un podio sotto la statua di [[Napoleone Bonaparte|Bonaparte]], accolse a braccia spalancate lo scrosciante omaggio, sincopato dalle salve di artiglieria, dei cinquemila spettatori ammassati nell'immenso cortile. Sorrise. Sfiorò con uno sguardo altero le teste della folla, lo alzò verso l'imperatore, ma senza implorazione né umiltà, da pari a pari. Poi, in un silenzio di tomba, prese a modulare l'ode di Bruyez: "''Vous qui êtes morts pieusement pour la patrie...''". Ed era una voce incredibilmente limpida e squillante, senza traccia di ruggine. (Cècile, pp. 226-227) *[[Saul Steinberg|Steinberg]] ha la faccia dei suoi pupazzi: una faccia malinconica, lunga e triangolare, di cavallo tirato su a paglia soltanto, senza biada, e condannato a trascinare un carretto su per un'erta interminabile, in cima alla quale non si sa cosa ci aspetta, ma certo un'altra condanna, forse più pesante del carretto. Anche i baffi ha, come i suoi pupazzi: a doppia virgola orizzontale, sebbene meno lunghi e senza le intenzioni esibizionistiche di quelli di Dalì; e anche le lenti a stanghetta traverso cui ti fissano intensamente, di sotto in su, due occhi azzurri e mortificati, di uomo che non si è reso conto di essere Saul Steinberg; o essendosene reso conto, non ci prova alcun piacere. (Steinberg, p. 289) *[[Harukichi Shimoi]] è uno di quei giapponesi che gli altri giapponesi considerano di statura piccola. Tanto piccola che [[Gabriele D'Annunzio|D'Annunzio]], per abbracciarlo, dovette curvarsi (lui!) e, dopo essergli andato incontro gridando, con le braccia alzate: "Fratello!... Fratello mio!..." lo guardò, ci ripensò e aggiunse: "Sebbene non di sangue...". (Shimoi, p. 389) *Quanti anni avrà, ora, Harukichi Shimoi? Forse cinquanta, forse centocinquanta. Come per [[Guelfo Civinini]], suo amico, anche per lui il problema dell'età non si pone. Quale che essa sia, egli la porta esattamente come deve averla portata mezzo secolo fa. Il suo corpo è stortignaccolo, ma diritto, e i suoi capelli son nerissimi. Ma il tratto che più lo caratterizza sono le sopracciglia, che madre natura gli ha piantato a mezza strada, come due ciuffi di foltissimo bosco, tra gli occhi e la chioma, in modo che, per quanto vasti i suoi occhiali, esse li sormontano e risucchiano come se fossero due monocoli. (Shimoi, pp. 389-390) *Il più favoloso e colorito personaggio del [[Brasile]] è [[Assis Chateaubriand]], proprietario di ventun giornali, diciotto stazioni radiotrasmittenti, di una flotta aerea, di alcune ''fazendas'' vaste come l'intera Sicilia, di un museo che vale venti milioni di dollari, di una Compagnia nazionale per la puericoltura, e di un'ambizione pari soltanto al suo coraggio, alla sua insolenza e alla sua spavalderia. (Chateaubriand, p. 495) *Assis {{NDR|Chateaubriand}} ha un debole per i tedeschi e per gli italiani. Come faccia a conciliare questi due amori, non si sa; ma le sue pene, durante la guerra, furono grandi, anche se irreprensibile fu la sua condotta<ref>Dal 1942, nel corso della seconda guerra mondiale, il Brasile fu in stato di guerra con Germania e Italia.</ref>. Quando però il governo comminò l'arresto a chiunque parlasse italiano, scese in lotta con i suoi giornali contro l'assurda disposizione. Scrisse che quello non era patriottismo, ma un nazionalismo di bassa lega, degno soltanto di una colonia, e che lui si vergognava d'esser brasiliano. Fece un tale baccano, che alla fine dovettero revocare il provvedimento e quello del sequestro dei beni dei nostri compatrioti. (Chateaubriand, p. 502) *Quando nacque sessantadue anni orsono, ne aveva già a dir poco settecento. Perché [[Ottone Rosai|Rosai]] veniva dritto dritto dal Medioevo, dopo aver saltato a piè pari Rinascimento ed età moderna, e nei momenti di sincerità confessava che Giotto gli pareva un "deviazionista" rispetto a Cimabue, il quale gli andava molto più a sangue. (Rosai, p. 544) *Dopo essere stato fascista della prima ora, nella seconda col fascismo {{NDR|Ottone Rosai}} s'era trovato male, e si capiva benissimo che era sempre per via delle mani. Tornato dalla guerra, lo squadrismo gli aveva consentito di menarle, come a lui piaceva, e ci aveva dato dentro senza risparmio. Forse l'unico momento felice della vita di Rosai fu quello: quando a gambe larghe di traverso alla strada aspettava, col giornale aperto davanti agli occhi in un gesto di sfida ribalda, il corteo rosso in arrivo da San Frediano, che alla vista di quelle manacce aggrappate ai bordi del foglio e pesanti come macigni, esitava. (Rosai, p. 547) *[[Paolo Monelli|Monelli]], se seguisse le proprie inclinazioni, andrebbe a letto coi polli. Ma cosa direbbe la gente, se non lo vedesse più vagabondare nei vari ritrovi frequentati dai nottambuli della città? Direbbe senza dubbio: "Comincia a invecchiare". E a questa idea Monelli balza dalla sua poltrona e si attacca al telefono per mobilitare qualche amica che lo accompagni nei suoi vagabondaggi. Giovani colleghe come Livia Serini, attrici giovanissime come Lea Massari sono state ridotte sull'orlo dell'esaurimento nervoso da queste prolungate ronde notturne senz'altro costrutto che quello di ribadire agli occhi di tutti l'intramontabilità di Monelli. Egli non le porta a spasso. Le porta all'occhiello, come gardenie. (Monelli al girarrosto, p. 592) *{{NDR|Paolo Monelli}} Fuma la pipa come Churchill il sigaro, cioè soltanto quando lo guardano. (Monelli al girarrosto, p. 593) ==''I conti con me stesso''== ===[[Incipit]]=== Una telefonata da Milano m'informa che Longanesi è morto. È stato colpito dall'infarto davanti al suo tavolo di lavoro, su cui era spiegata una mia lettera di dieci giorni fa, che cominciava così: «Caro Leo, stanotte ho sognato ch'eri morto...». (27 settembre 1957) ===Citazioni=== *Tutta la mia vita è stata contesa fra la noia di vivere insieme e la paura di vivere [[Solitudine|solo]]. (4 ottobre 1957) *Di nuovo il Polesine. Pare impossibile: durante le inondazioni, la prima cosa che viene a mancare è l'acqua. (dicembre 1957) *[[Colette Rosselli|Colette]]. Invecchia gentilmente, senza catastrofi. Ha su tutte le altre donne un vantaggio incolmabile: quello di essere stata il mio ultimo e più grande amore. Così grande che possiamo camparci di rendita, comodamente, tutti e due per il resto dei nostri giorni. (gennaio 1958) *Il destino di [[Riccardo Bacchelli|Bacchelli]] sarà l'opposto di quello del maiale: di lui, dopo morto, ci sarà da buttar via tutto. (gennaio 1958) *[[Olga Villi]]. Non è punto grata alla sua bellezza che le ha consentito di diventare principessa di Trabia. Punta solo sul talento che non ha. Ma è talmente priva di ''sense of humour'' che forse diventerà una buona attrice. (gennaio 1958) *[[Gaston Palewski|Palewski]]. L'ambasciata a Roma è per lui soltanto uno dei più importanti capitoli del libro di memorie che scriverà. (gennaio 1958) *Non è che [[Luigi Barzini (1908-1984)|Barzini]] abbia un'altissima opinione di sé. Ne ha una bassissima degli altri. (gennaio 1958) *Piccolo incidente d'auto. La nostra, per evitare un ciclista, picchia contro un muro e resta piuttosto acciaccata. [[Colette Rosselli|Colette]], che la guida, dice: «Meglio così. Dovevo farla revisionare, e non mi decidevo mai...». (gennaio 1958) *[[Razzismo]]: pensarci sempre, parlarne mai. [[Risorgimento]]: parlarne sempre, pensarci mai. (gennaio 1958) *[[Fascismo]]. Il più comico tentativo per instaurare la serietà. (gennaio 1958) *Il guaio più grosso della Repubblica è che, mentre il Re poteva essere di sangue straniero e di solito lo era, il presidente bisogna sceglierlo fra gl'italiani. (gennaio 1958) *Bacchelli lavora infaticabilmente, da sessant'anni, alla costruzione di un piedestallo su cui, alla sua morte, non sapremo cosa posare. (gennaio 1958) *A pranzo da [[Vittorio Cini]] con una ventina di altri invitati. A colazione ne aveva avuti altrettanti. E così ieri. E così avantieri. E così sempre. A ottantadue anni suonati, è fresco, roseo, insaziabilmente voglioso di intrattenere e di essere intrattenuto. A conclusione della serata, mi sfida a una gara di canto. Scegliamo come banco di prova ''Vecchia zimarra'', e stoniamo maledettamente entrambi, ma io meno di lui. I presenti mi assegnano la vittoria. Di colpo, Vittorio perde il suo buon umore. È talmente abituato a vincere, che non accetta di perdere nemmeno nel canto. (7 settembre 1966) *{{NDR|Su [[Nicola Bombacci]]}} Io l'ho conosciuto soltanto cadavere, quando penzolava accanto a quello di Mussolini, in piazza Loreto, e una folla messicana lo bersagliava bestialmente di sputi. Anni dopo, volli tentarne la riabilitazione ritracciandone la patetica vicenda, ma non riuscii a trovarne gli elementi biografici. Compaesano e compagno di scuola di Mussolini, maestro elementare e autodidatta come lui, ne era stato il grande amico quando entrambi militavano nel socialismo. Eppoi il suo nemico giurato, la bestia nera degli squadristi. Esule con la famiglia prima in Francia, poi (credo) in Russia, rimpatria col permesso del Duce, si affida alla sua generosità, per ricambiarla gli resta al fianco anche a Salò, e lo accompagna fin nell'ultimo viaggio verso la morte. (23 ottobre 1966) *Colloquio segreto con l'ex comunista [[Giulio Seniga|Seniga]] per una storia del [[PCI|Pci]] che devo scrivere con [[Roberto Gervaso|Gervaso]] per la «Domenica». Ė un uomo piuttosto affascinante, dallo sguardo chiaro, freddo e innocente: lo sguardo del fanatico. Mi ha detto che sua moglie, cresciuta in Russia dove suo padre era fuoruscito, e autrice di un interessante libro – ''I figli del partito'' –, nel partito è rimasta, non ha trovato il coraggio di uscirne, sebbene approvi e condivida la secessione del marito, con cui è sentimentalmente unitissima. Non riesco a capire questa gente. Cioè capisco soltanto che è diversa da noi non sul piano ideologico, ma su quello umano. (25 novembre 1966) *È morto [[Uguccione Ranieri di Sorbello]]. Era venuto a Roma da sua suocera. Stava benissimo. Era anzi particolarmente sereno e contento perché aveva finito un suo lavoro di ricerca storica cui attendeva da anni. A fine pranzo ha detto: «Non mi sento bene». Si è alzato, ed è crollato a terra. Stecchito. (29 maggio 1969) *{{NDR|Su Uguccione Ranieri di Sorbello}} Era un gran signore e un gran galantuomo che ha trascorso la sua vita in crociate nelle quali non aveva nulla da guadagnare. L'ultima è stata la campagna propagandista negli Usa per convincere gli americani a dare il nome [[Giovanni da Verrazzano|Da Verrazzano]] al grande ponte sull'Hudson. Nel suo perfetto inglese (lo scriveva meglio dell'italiano) inondò l'America di articoli e conferenze (parlava benissimo, con molto humor e senza enfasi oratorie) cercando i familiarizzare gli ascoltatori col nome Da Verrazzano, la cui pronuncia rappresentava per essi la difficoltà più grossa all'adozione di quel nome. Questa smania missionaria credo che l'avesse ereditata da sua madre americana. E per seguirla aveva trascurato le sue proprietà terriere. Le sue campagne erano in uno stato pietoso, la sua bella villa sul Trasimeno mezza disunta. (29 maggio 1969) *{{NDR|Su Uguccione Ranieri di Sorbello}} Era un buon scrittore, un infaticabile sommozzatore di articoli, un ricercatore attento e scrupoloso di curiosità storiche, un umanista moderno che aveva allargato i suoi orizzonti a tutta la cultura contemporanea, specie anglo-sassone: un uomo insomma che ha realizzato un centesimo di quello che poteva per via di quel suo dispersivo correre dietro a un'infinità di altri interessi. Era stato anche un autentico combattente della [[Resistenza italiana|Resistenza]]: per ben sedici volte si era fatto paracadutare dagli Alleati dietro le linee tedesche: impresa che chiunque altro si sarebbe fatto ripagare con altrettante medaglie. Lui non aveva ricevuto nemmeno una citazione, e di questi episodi non ha mai parlato. (29 maggio 1969) *Anche [[Irene Brin]] se n'è andata. Mi avevano detto che era malata di un cancro; ma era una notizia vaga e incerta, ch'essa aveva fatto di tutto per smentire. Fino in fondo ha lavorato e ha partecipato ai riti della mondanità: sfilate di moda, ricevimenti, eccetera. (1 giugno 1969) *{{NDR|Su Irene Brin}} Quando [[Giovanni Ansaldo|Ansaldo]] la scovò e cominciò a farla scrivere sul «Lavoro» di Genova, sua città natale, era soltanto Mariù Rossi: una ragazza timida e incerta, molto provinciale, figlia di un Generale e di un'ebrea austriaca. L'unica fama di cui godeva era quella, equivoca e velata sotto un nome d'accatto, che le aveva procurato [[Elio Vittorini|Vittorini]] prendendola a protagonista, con sua sorella, di un racconto: ''Le figlie del Generale'' in cui entrambe erano presentate come lesbiche. Se lo fossero veramente, non so. Il sesso è uno dei tanti capitoli misteriosi di questa donna. (1 giugno 1969) *In mano a [[Leo Longanesi|Longanesi]], che le aveva regalato anche lo pseudonimo d'Irene Brin, aveva rivelato autentiche qualità di scrittrice. I profili che pubblicò su «Omnibus» erano deliziosi. Fosse rimasta fra biografia e memorialismo, poteva diventare qualcosa di mezzo fra [[Henri de Saint-Simon|Saint-Simon]] e [[Lytton Strachey|Strachey]] con un tocco alla [[Madame de Sévigné|Sévigné]]. Altro che la [[Maria Bellonci|Bellonci]]! Era un'osservatrice attenta (sebbene non ci vedesse da qui a lì) e penetrante, nutrita di vastissime letture: la sua prosa aveva ritmo, calore, l'aggettivazione precisa, l'ironia tagliente. Ma era un cavallo che aveva bisogno del fantino. Chiuso «Omnibus» e cessata la regia di Longanesi, Irene infilò la pista sbagliata – quella della cronista mondana –, e non è più uscita. (1 giugno 1969) *Finito di scrivere il capitolo sull'[[Giulio Alberoni|Alberoni]] per ''L'Italia del Settecento''. Ho riprodotto la pagina di [[Henri de Saint-Simon|Saint-Simon]], che lo descrive mentre assiste impavido alle evacuazioni corporali di Vendôme per guadagnarsene i favori, eppoi inginocchiandosi davanti a lui gli grida estasiato: «Oh, culo d'angelo!», e glielo bacia. Come inizio di "carriera" italiana, mi sembra esemplare. Poi mi torna a mente un'osservazione di [[Jules Renard|Renard]]: «Se in un periodo c'è la parola culo, il lettore non si ricorderà che di quella dimenticando tutto il resto, anche se è sublime». Renard ha ragione. Ma io, a un culo autenticato da Saint-Simon, non rinuncio. (3 luglio 1969) *Le Soroptimists hanno dato un pranzo a [[Colette Rosselli|Colette]], in qualità di "Donna Letizia". Colette ha accettato dopo molti rifiuti. Il suo fastidio per queste cose di donne, lo so, è sincero. Ma, una volta preso l'impegno, ha trascorso la giornata a preparare il suo discorsino col puntiglio che la distingue. Non è per nulla ambiziosa, non tiene affatto a reclamizzare il proprio talento, sottovaluta quello che mette nella sua rubrica di «Grazia» (ma se lo fa pagare profumatamente), rifiuta di fare una mostra dei suoi deliziosi quadri. Ma il suo suscettibilissimo amor proprio non le consente di rischiare una brutta figura nemmeno nelle cose che disprezza. Infatti anche stasera ne ha fatta una eccellente, leggendo con molto garbo le due paginette che aveva preparato con un sapiente dosaggio di humour autentico, e di pathos e di umiltà fasulli. Ha avuto gran successo. Per la prima volta mi son visto guardato come un personaggio-satellite, una specie di principe consorte. Cosa che a me non dispiace affatto, ma a lei moltissimo. In questo, è proprio femmina. (13 agosto 1969) *Mi riferiscono, di [[Giorgio Bocca|Bocca]], questo giudizio su di me: «Sempre il più bravo di tutti. Bravissimo. Troppo bravo. Ma mettendo lo stesso impegno a scrivere gli articoli su Venezia e quello sull'arbitro [[Concetto Lo Bello|Lo Bello]], dimostra che in realtà non è impegnato in nulla». È vero. Non sono impegnato in nulla. In nulla, meno che nel mio mestiere. Fiorentina-Bari 3-0. E Chiarugi capo-cannoniere! (16 novembre 1969) *Sciopero generale per il caro-case. Un pretesto da nulla. Ma è bastato per immergere Milano in un'atmosfera da 8 settembre. Strade vuote. Saracinesche abbassate. Enorme spiegamento di polizia. Mentre pranzo con [[Giovanni Spadolini|Spadolini]], [[Mario Cervi|Cervi]] e Zappulli, giunge notizia che in un tafferuglio al Lirico un agente è stato ucciso dai "cinesi". «Meno male che è toccata a un agente» diciamo in coro, eppoi non osiamo guardarci negli occhi. Anche noi apparteniamo a questa borghesia codarda che pretende appaltare alle forze dell'ordine il compito di farsi sputacchiare, pestare e ammazzare per tenerne al riparo se stessa. E non vuole nemmeno pagargli uno stipendio decente. (19 novembre 1969) *[[Alberto Moravia|Moravia]] ha fondato, insieme a [[Pier Paolo Pasolini|Pasolini]] e a [[Dacia Maraini]], un "comitato contro la repressione". È la riprova che la repressione non c'è. Se ci fosse, Moravia sarebbe coi repressori, come ha dimostrato avallando col suo silenzio la persecuzione di [[Aleksandr Isaevič Solženicyn|Solženicyn]] in Russia. (28 dicembre 1969) *Moravia si è ritirato dal comitato che lui stesso aveva fondato. Ma non per i silenzi di [[Giovanni Spadolini|Spadolini]]. Si è ritirato perché «l'Unità» ha disapprovato. Gl'italiani sono sempre pronti a fare la rivoluzione, purché i carabinieri siano d'accordo. E Moravia è sempre pronto a battersi per la libertà, purché sia d'accordo il piccì. (2 gennaio 1970) *Arrivati i rendiconti dei miei diritti d'autore: 28 milioni nell'ultimo semestre. Supero dunque i 50 milioni annui. Anche ammettendo che l'editore non ci faccia sopra punta cresta (il che mi sembra, a dir poco, improbabile), non c'è male. Credo di essere l'autore italiano che più guadagna, anche perché sono l'unico che questa cifra la guadagna ogni anno, e senz'aiuto di premi letterari. Non ne sono contento per il denaro, di cui non so che farmi e che serve solo a pagare i capricci di Colette (ne ha tanti!). Ne sono contento, anzi felice, per il mio status da autore stipendiato unicamente dal pubblico. C'è chi vive di partito. C'è chi vive di Eni. C'è chi vive di Agnelli, o di Perrone, o di Crespi. Io vivo di [[lettore|lettori]]. I lettori non m'impongono altra servitù che la sincerità: l'unica che non pesi. (3 marzo 1970) *Più che comunanza di vedute, fra [[Denis Mack Smith|Mack Smith]] e me c'è comunanza di nemici: quegl'insopportabili pedanti accademici che a Palermo lo hanno violentemente attaccato qualificandolo «il Montanelli di Oxford». Implicitamente egli accetta di far fronte con me contro di loro. Credo che facciamo entrambi un buon affare, e anche un affare buono: se riusciamo a squalificare agli occhi del pubblico la [[storiografia]] accademica (e coi nostri libri ci stiamo riuscendo), avremo reso un grosso servigio alla cultura italiana. (2 maggio 1970) *Sosta a Venezia, dopo il voto a Cortina. Visita d'obbligo a Vittorio Cini, e passeggiata con lui sulle Zattere. Vedendolo, un vecchietto sdrucito, ma dignitoso, si leva il cappello e gli tende la mano, evidentemente per mendicare. Vittorio gliel'afferra e gliela stringe con effusione dicendogli: «Caro!... Caro!... Caro!... Coma la va?» È in perfetta buona fede: la buona fede di un doge lontanissimo dalle afflizioni della miseria e perfino incapace di immaginare che ce ne siano. (8 giugno 1970) *Leggo in [[Giorgio Candeloro|Candeloro]]: «... Nel processo generale di sviluppo della Storia, il carattere dei personaggi, anche dei più grandi, ha un peso limitato...». Ah, sì? E cosa dunque se non il carattere di Alessandro, cioè la sua follia, può spiegare la conquista macedone fino all'India e la diaspora dell'ellenismo che ne deriva? L'Islam è concepibile senza il "carattere" di [[Maometto]]? E cosa divise la Riforma se non i diversi "caratteri" di [[Martin Lutero|Lutero]] e di Calvino? I nostri storici odiano i caratteri e i personaggi, perché questi richiedono immaginazione e intuito, cioè doti di scrittore, di cui essi sono disperatamente vedovi. Non sono storici. Sono soltanto degli archivisti, e molto spesso disonesti. (10 novembre 1970) *Milano è in fiamme per l'affare Feltrinelli, e [[Piero Ottone|Ottone]] mi chiede un articolo contro la [[Camilla Cederna|Cederna]], firmatario di un manifesto in cui, a due ore di distanza dal rinvenimento del cadavere e prima ancora che esso sia ufficialmente riconosciuto, proclama che Feltrinelli è rimasto vittima della «reazione internazionale». Se la Cederna avesse una testa, direi che l'ha persa. Ma perché Ottone vuole un articolo contro di lei, intima amica e direttrice di coscienza di [[Giulia Maria Crespi|Giulia Maria]], nonché regina del suo sinistrorso salotto? Comunque, a mettere una zeppa fra direttore e proprietaria, è doveroso collaborare. E faccio l'articolo in forma di "lettera a Camilla". (25 marzo 1972) *Pare che l'articolo abbia rimesso fuoco a Milano, creandovi una irreparabile frattura fra montanellisti e cedernisti. I primi sono più numerosi, ma i secondi più rumorosi. Ricevo pacchi di telegrammi di plauso e altrettanti d'insulti. Il giornale è sommerso di lettere, e io prego Ottone di pubblicare anche quelle di protesta. Ha scritto anche la Cederna annunziando una replica sull'«Espresso» (Ottone ha cancellato il titolo del settimanale, commettendo una meschineria). Quanto a Giulia Maria, mi dicono che schiuma di rabbia. Se è vero, devo riconoscere che il giornalismo qualche soddisfazione la dà. [[Umberto Eco]] mi attacca sul «manifesto» riproducendo una mia frase di ammirazione per Mussolini scritta quando avevo ventidue anni (in dieci anni di giornalismo sotto il defunto regime, non sono mai riusciti a trovare, di mio, altre prove di zelo fascista) e accusandomi di mancanza di cavalleria verso una donna. O bella! Come se una donna, quando si mette a far politica – e che politica! – come un uomo, potesse ancora accampare l'impunità! Anche la [[Maria Callas|Callas]] è una donna. Eppure, quando stona, la si fischia. (27 marzo 1972) *Ho scritto un fondo in difesa della Cederna, incriminata dal magistrato per aver diffuso notizie false e tendenziose. Che abbia commesso questo peccato, ho detto, è vero. Ma si tratta di peccato, non di reato. E a giudicarne dev'essere il lettore, non il tribunale. Verità lapalissiane. Dice che è sempre stata molto più impegnata e coraggiosa di me perché con le sue campagne in favore di Valpreda e di [[Giuseppe Pinelli|Pinelli]], tiene fronte alla polizia. Potrei incenerirla chiedendole dov'era e cosa faceva quando io ero in galera per aver tenuto fronte non alla polizia d'oggi, ma a quella fascista e nazista. Ma non ne vale la pena. (28 marzo 1972) *Più approfondisco questo tema delle regioni (sono a Milano per questo), e più mi sgomenta il doverne scrivere. Ci vuol poco a capire che questi regionalisti lombardi perseguono, consapevolmente o inconsapevolmente, un piano secessionista cisalpino. E, una volta che ne abbiano lo strumento, riusciranno a realizzarlo. Non per nulla Bassetti parla già non più di «regione lombarda», ma di «[[Padania|regione padana]]», di cui il resto d'Italia non sarebbe che un'appendice. Se ce la fanno (e ce la faranno), addio Risorgimento! Non era che una finzione, d'accordo, e in pratica ha fallito. Ma con che lo sostituiremo? (26 settembre 1972) *Volo a Lussemburgo sul solito bireattore di Berlusconi, che ci accompagna, felice di esibirsi e di esibire il suo status in una cerimonia internazionale. La medaglia d'oro (ma è proprio d'oro?) me la consegna Gaston Thorn, capo del governo lussemburghese. Berlusconi riempie il suo taccuino di indirizzi: quelli di tutte le personalità che ha incontrato. È il vero ''climber'' che approfitta di tutto e non butta via nulla. (23 maggio 1977) *Kappler è fuggito. Ha fatto bene. Ma ora chi ci salverà dai conculcati "valori della Resistenza"? (15 agosto 1977) *A colazione da [[Vittorio Cini|Cini]]. Ha avuto un brutto crollo, ma ha ancora risorse. Le tira fuori quando è in compagnia. Ma quando è solo, mi dice sua moglie, sprofonda in quei tetri silenzi che sono i colloqui di un uomo con la morte. (19 agosto 1977) *De Carolis m'informa che il vero autore della operazione «Corriere» è un certo [[Licio Gelli|Gelli]], misterioso personaggio massonico, di Arezzo (Fanfani), che vuole incontrarmi per un accordo fra i due giornali. (24 settembre 1977) *Secondo quanto mi era stato raccomandato, dovevo salire direttamente alla camera 219 dell'Excelsior. Ma alla camera 219 non c'era nessuno, e così dovetti chiedere al portiere del signor Gelli. Poi Gelli arrivò, mi condusse furtivamente nel suo appartamento e mi fece un lungo discorso pieno di allusioni, dal quale dovevo comprendere che lui è un pezzo grosso – forse il più grosso – della massoneria (Palazzo Giustiniani), che come tale era stato il vero padrino della operazione Rizzoli, e che in questa operazione potevamo rientrare anche noi. Mi ha detto che quattro ministri dell'attuale governo, otto sottosegretari e centoquaranta parlamentari dipendono da lui. Questi massoni sono tutti uguali: credono che la loro potenza sia direttamente proporzionale al mistero di cui si circondano e prendono per cose fatte quelle per le quali complottano. (4 ottobre 1977) *Da Fanfani, al Senato. È talmente infuriato che diventa perfino sincero. «Dica al suo amico che è un traditore!» «Perché non glielo dice lei?» Mi spiega che Forlani non mira alla segreteria del partito, come io credevo, ma alla presidenza del Consiglio, quando Andreotti sarà consumato. Mi dice anche che condivide l'idea di Donat-Cattin di lasciare il Quirinale a un laico. «Altrimenti fra noi democristiani ci sbraniamo e ci sbrachiamo nella corsa a chi concede di più ai comunisti.» È sincero anche stavolta, o lo dice perché, avendo perso ogni speranza per sé, vuole prepararsi un buon argomento per Maria Pia («Stavolta toccava ai laici»)? (29 ottobre 1977) *A cena da Gervaso con Cossiga. Non si lamenta dei nostri attacchi, ma sono io a dirgli: «Noi esprimiamo lo scontento, e talvolta la rabbia, della pubblica opinione. La gente vuole un ministro degl'Interni che agisca e che faccia agire la polizia». «Ma lei sa com'è ridotta la polizia?» «In qualunque modo sia ridotta, siete voi che l'avete ridotta così. E quindi sta a voi rimediare.» Mi dice che non c'è da farsi illusioni: la situazione si aggraverà. Il terrorismo è finanziato coi sequestri, ha solidi agganci internazionali, e segue una tattica ben studiata. «L'attentato a lei fu un errore. Se a essere colpite fossero le personalità di rilievo, la gente media, cioè la grande massa della popolazione, sarebbe tranquilla. Invece hanno deciso di colpire i gradi subalterni – consiglieri comunali della Dc, capireparto della Fiat eccetera – per togliere il sonno a tutti.» Forse è vero. (29 ottobre 1977) *Quattro revolverate in faccia a [[Carlo Casalegno|Casalegno]], che ora è grave. Alzano la mira. (16 novembre 1977) *«La Stampa» riporta tutti gli articoli di solidarietà per Casalegno apparsi sugli altri giornali. Ma omette il mio, ch'era forse il più caldo: la solidarietà nostra la imbarazza. (18 novembre 1977) *Casalegno è morto. Ho telegrafato alla vedova, ma non al figlio – iscritto a [[Lotta Continua|Lotta continua]] –, né a [[Arrigo Levi|Levi]] e ai colleghi della «Stampa». Purtroppo, la loro faziosità condiziona la nostra solidarietà. Al funerale andrà Biazzi. (29 novembre 1977) *Incontro risolutivo a Roma tra Ferrauto e quelli della Sipra. Affare fatto e a condizioni molto più favorevoli di quelle sperate. Sei miliardi e settecento milioni come minimo annuo garantito, per cinque anni. Firmeremo il compromesso martedì 16. (10 maggio 1978) *Vista in tv la cerimonia funebre per Moro in San Giovanni Laterano. Dentro la basilica, tutti i dignitari Dc e quelli Pci inginocchiati sotto la mano benedicente del papa. E, fuori, la piazza sventolante di bandiere bianche e rosse. Non ho potuto fare a meno di rilevarlo in un "Controcorrente". (13 maggio 1978) *Batosta comunista alle amministrative parziali di ieri (4.000.000 di elettori). La Dc sale dal 38 al 42 per cento, il Pci scende dal 35 al 26. Successo dei socialisti che guadagnano il 4 per cento. Un risultato sconvolgente (in positivo). Uniche delusioni: il guadagno – sia pur minimo – del Pri, e la mancata rianimazione del Pli. (15 maggio 1978) *Firmato oggi l'accordo con la Sipra. Minimo garantito: 6.800.000.000 all'anno per cinque anni. Il presidente, D'Amico, è un ex operaio della Fiat, ora deputato comunista: un uomo concreto, franco, di poche parole. Era più soddisfatto lui dell'accordo con noi, che il direttore generale, il democristiano Pasquarelli. Io ho fatto la mia parte, da buon attore. Arrivato all'ultimo momento, ho detto: «Per impedire ripensamenti ed equivoci, trasformiamo il compromesso in vero e proprio contratto, e firmiamo subito». Lo champagne era già pronto. (16 maggio 1978) ==''I protagonisti''== *Nel settembre di quell'anno {{NDR|1956}} il partito lo spedì {{NDR|[[Gian Carlo Pajetta]]}} a Mosca insieme a Pellegrini e a [[Celeste Negarville|Negarville]] per sentire direttamente da [[Nikita Sergeevič Chruščёv|Kruscev]] come ci si doveva comportare nella crisi, ormai aperta, dell'antistalinismo. Kruscev li accolse affabilmente, li invitò a cena. E qui, trascinato da bocconi e libagioni ad una espansiva euforia come spesso gli capita, a un certo punto disse: «Beh, ora vi voglio raccontare come strangolammo [[Lavrentij Pavlovič Berija|Beria]]». E descrisse l'agguato che gli avevano teso al Cremlino, come gli erano saltati addosso e come gli avevano serrato la gola con le mani fino alla soffocazione. Lo descrisse ridendo allegramente, forse senz'accorgersi del pallore che soffondeva il volto dei suoi ospiti, o per lo meno quelli di Pajetta e di Negarville.<br />L'indomani li convocò nuovamente e, come non ricordando affatto ciò che gli aveva raccontato la sera prima, disse loro in tono solenne: «Beh, ora vi farò sentire il processo di Beria registrato sul nastro». E glielo fece sentire davvero come lo avevano inventato ''post mortem'', con la voce del defunto falsificata.<br />Quando si ritrovarono fra loro, Negarville e Pajetta si guardarono con gli occhi pieni di lacrime. «Ma allora – dissero –. Ma allora...». E non aggiunsero altro. (pp. 66-67) *{{NDR|Su [[Anna Magnani]]}} Ci sarebbe da scrivere un trattato sul modo di usare Anna. La prima precauzione da prendere è quella di non farla ritrovare in mezzo a estranei. Timida com'è, pur dopo un'esistenza trascorsa sotto i ''flashes'', la gente la raggela e la chiude in un mutismo ostile o l'aizza ad atteggiamenti protervi. Delle poche persone che le ho presentato, l'unica che la sedusse immediatamente fu il mio collega [[Augusto Guerriero]], perché il discorso cadde sui cani e sui gatti: e questo è un argomento su cui il cuore di Anna si scioglie e la mente le si ottenebra. Si mise in testa che noi due, con un articolo, potevamo far riformare la legge sulla protezione degli animali. E invano cercammo di dimostrarle che il problema non era di leggi, ma di costume. Non sentì ragioni. Dovemmo prometterle l'articolo (che poi infatti scrivemmo). (pp. 177-178) *{{NDR|Su [[Ignazio Silone]]}} Leggendo i suoi primi romanzi, ''Fontamara'', ''Pane e vino'', ''Il seme sotto la neve'', e pur ammirandoli, ero caduto in abbaglio sull'autore. Lo avevo preso per uno di quegl'industriali dell'antifascismo che, riparati all'estero, avevano trovato nella universale avversione alla dittatura una comoda scorciatoia al successo dei libri di denunzia. Lo consideravo insomma un profittatore del regime a rovescio (come del resto ce ne sono stati). E una conferma mi era parso di vederla nel fatto che finito, col fascismo, l'antifascismo, parve finito anche il narratore Silone.<br />Poi vennero ''Una manciata di more'', ''Il segreto di Luca'', ''La volpe e le camelie''. Ma vennero soprattutto alcuni saggi politici che mi costrinsero a ricredermi. Ed era proprio questo che non riuscivo a perdonargli. Mi era antipatico non per i suoi, ma per i miei errori. Più lo conoscevo attraverso i suoi scritti, e più dovevo constatare che non solo egli non somiglia affatto al personaggio che m'ero immaginato, ma che anzi ne rappresenta la flagrante contraddizione. (pp. 180-181) *{{NDR|Su ''[[Ignazio Silone#Uscita di sicurezza|Uscita di sicurezza]]''}} Come documento umano, non ne conosco di più alti, nobili e appassionati. Fenomeno unico, o quasi unico, fra gli sconsacrati del comunismo che di solito non superano mai più il trauma e trascorrono il resto della loro vita a ritorcere l'anatema, Silone non recrimina. Egli rifiuta i grintosi e uggiosi atteggiamenti del moralista, o meglio ne è incapace. Domenicano con se stesso, è francescano con gli altri, e quindi restio a coinvolgerli nella propria autocritica. Cerca di metterne al riparo persino [[Palmiro Togliatti|Togliatti]]; e se non ci riesce che in parte, non è certo colpa sua. Qui non c'è che un accusato: Silone. E non c'è che un giudice: la sua coscienza. (pp. 186-187) *Noi crediamo di scoprire dei modelli. In realtà non scopriamo che degli antenati. [[Carlo Cassola|Cassola]] s'illude di aver imparato da [[James Joyce|Joyce]] quello che già sapeva. Joyce gli avrà fornito, al massimo, qualche mezzo tecnico per esprimerlo. Uno [[scrittore]] vero (e Cassola lo è) non cerca in un altro scrittore che se stesso. (p. 207) *{{NDR|Su [[Enrico Mattei]]}} Egli amava solo il [[potere]], e l'amore del potere esclude tutti gli altri. (p. 265) *{{NDR|Su [[Giulio Andreotti]]}} Andava anche, mi dicono, a messa insieme a lui {{NDR|[[Alcide De Gasperi|De Gasperi]]}}, e tutti credevano che facessero la stessa cosa. Ma non era così. In chiesa, De Gasperi parlava con Dio; Andreotti col prete. Era una divisione di compiti perfetta. (pp. 271-272) ====''Il meglio di «Controcorrente»''==== *Il «comitato permanente antifascista» di Milano ha deciso di chiedere un «riconoscimento» per tutti coloro che sono stati «coinvolti direttamente nella strategia della tensione a partire dal 1º gennaio 1969». Ci risiamo. Tutta la nostra vita è stata angosciata e angariata dagli antemarcia: prima quelli del Littorio, poi quelli della Resistenza, ed ecco che ora spuntano quelli della «tensione». Longanesi aveva ragione: in questo Paese, reduci si nasce. (p. 47) *Agli alunni della terza classe (anni otto-nove) della scuola elementare di via Pisani, Milano, è stato assegnato il seguente problema: «Mario, Gino e Beppino sono i capi della banda. Mario dice a Gino che la banda ha quasi esaurito le munizioni: rimangono solo 5 cassette con 130 pallottole per cassetta. Quante pallottole rimangono?». Debolucci come siamo, in aritmetica, non lo sappiamo nemmeno noi. Ma ci pare che una per l'insegnante e una per il ministro Malfatti ci dovrebbero ancora essere. (p. 79) *Il messaggio di addio che il dimissionario capo dello Stato ha detto alla televisione e che anche noi pubblichiamo, è ineccepibile. Esso dà del presidente [[Giovanni Leone|Leone]] un'immagine che non fa una piega: un galantuomo all'antica, padre di una famiglia esemplare, ingiustamente calunniato da una stampa irresponsabile. Siamo sicuri che tutto questo si può dire di Leone. Ha un solo difetto: che a dirlo è stato Leone. (p. 84) *A Roma, nonostante tutte le ricerche fatte, non è stato possibile trovare un locale disponibile per un convegno di radicali. Non ce n'era uno abbastanza piccolo per contenerli tutti. (p. 103) *In un convegno su «Terrorismo e informazione», a Roma, è stato unanimemente riconosciuto che il [[segreto istruttorio]] in Italia non esiste. Lo trasgrediscono tutti. Non solo giornalisti e avvocati – e ancora passi – ma perfino magistrati che anticipano e propalano, il più delle volte per farne strumento politico, notizie riservate. «È il segreto di Pulcinella» si è lamentato il procuratore capo della Capitale, De Matteo. È vero. Ma Pulcinella non era giudice. E i giudici non dovrebbero essere Pulcinella. (p. 104) *Solo il tempo non perde tempo, diceva [[Jules Renard|Renard]]. E così, a furia di annunciarne i cambiamenti, il tempo è passato anche per il colonnello [[Edmondo Bernacca|Bernacca]], che ora deve rassegnarsi alla pensione. Peccato. Gli dobbiamo parecchi raffreddori e reumatismi. Ma nessuno riuscirà meglio e con più grazia di lui a farci capire ed accettare l'inutilità della meteorologia. (p. 108) *Qualcuno teme – e qualche altro spera – che l'Afghanistan diventi il Vietnam dei russi. Niente paura, in Afghanistan non ci sono giornalisti. (p. 112) *Quella del ''Corriere'' non è una situazione invidiabile: il direttore in congedo per l'affare della P2, manager ed articolisti contestati per lo stesso motivo, il maggiore azionista in galera, accusato di reati valutari, montagne di debiti, trasparenza della proprietà limpida come un mare in burrasca. Ci sarebbe davvero da mettersi le mani nei capelli. Se non fosse un giornale di [[Roberto Calvi|Calvi]]. (pp. 125-126) *Quando leggiamo «ministro senza portafoglio», ci viene sempre un dubbio. Che glielo abbia rubato qualche collega? (p. 146) *L'[[Organizzazione per la Liberazione della Palestina|Olp, Organizzazione per la liberazione della Palestina]], è stata ammessa con voto unanime, anche se provvisoriamente, nel Comitato olimpico asiatico. Non sapevamo che il lancio della bomba fosse diventato una disciplina atletica. (pp. 171-172) *A suo tempo imprigionato dagl'israeliani per complicità col terrorismo palestinese, e liberato per l'intervento del Vaticano con l'impegno di astenersi dalla politica, l'Arcivescovo libanese di Gerusalemme [[Hilarion Capucci]] ha dichiarato in un'intervista all'''Europeo'' che i rivoltosi di Gaza e della Cisgiordania non ricevono ordini da nessuno: «Li prendono solo da Dio, loro unico leader». Lo abbiamo sempre detto, noi: a grattare un arabo, anche se cristiano e Monsignore, viene fuori un Ayatollah. Ma forse non c'è neanche bisogno di grattare. (p. 184) *Da Praga [[Bettino Craxi]] proclama che «bisogna liberare l'Italia da Falci e Martelli». Benissimo. Ma chi è Falci? (p. 206) *[[Pino Rauti]] è intenzionato a candidare un africano alle elezioni comunali fiorentine. Più che giusto: il nero si addice al Msi. (p. 209) *Per evitare pubblicità attorno al caso di [[Angelo Peruzzi|Peruzzi]] e [[Andrea Carnevale|Carnevale]], i due giocatori giallo-rossi risultati positivi all'antidoping, il presidente della Roma, [[Dino Viola]], ha deciso di portare tutta la squadra in ritiro. A San Patrignano. (p. 216) *Secondo ''La Notte'' di ieri – che riferisce dichiarazioni d'un capo della Jihad islamica, Ibrahim Serbell – i terroristi arabi hanno nel loro mirino, per quanto riguarda l'Italia, «uomini politici, aeroporti e alcuni obiettivi strategici». Siamo molto preoccupati per gli aeroporti e gli obiettivi strategici. (p. 220) *La fantapolitica non è il nostro esercizio preferito. Ma ci chiediamo che cosa succederebbe se, con un colpo alla Moro, i terroristi si impadronissero di Cossiga e lanciassero al governo il ricattatorio ultimatum: «Se non ci date cento miliardi, lo liberiamo». (p. 228) *Malgrado tutto (e per tutto intendiamo proprio tutto), [[Moana Pozzi]] non è riuscita ad entrare a Montecitorio. Peccato. È l'unica Camera che non potrà dire di aver frequentato. (p. 236) *Sull'''Unità'' è comparsa la lettera di un deputato che, pericolosamente sfiorato da un motociclista, invoca drastiche misure penali contro i «teppisti al volante». Ci associamo alla proposta. L'unica cosa che ci sconcerta è la firma del proponente: è quella dell'onorevole [[Mario Gozzini]], autore della famosa legge che in pratica vorrebbe l'indulgenza plenaria per qualsiasi reo e reato. (p. 244) ==''Il testimone''== *Per restituire efficienza e prestigio alla polizia, bisogna prima restituirli allo Stato. E in che condizioni lo Stato italiano sia ridotto, tutti lo sappiamo e lo vediamo. Dovrebbero vederlo e saperlo anche i nostri uomini politici, e trovare il coraggio di riconoscerlo pubblicamente, invece di occultare la verità dietro la cortina fumogena di dichiarazioni pompose e altisonanti sulla «saldezza delle istituzioni» e simili. Furono questi proclami retorici e vuoti a provocare la bordata di fischi che accolse a Brescia [[Giovanni Leone|Leone]] e [[Mariano Rumor|Rumor]] all'indomani della strage. [...] La gente è stanca di una politica che cerca ma non trova, di una magistratura che istruisce ma non giudica, e soprattutto di partiti che strumentalizzano i morti per la loro propaganda politica. Con questi sistemi non si ricostruisce la fiducia. Si rende obbligatoria la sfiducia, condizione e prefazione della resa. (p. 33) *La Lombardia seguita a sfornare energie di prim'ordine. E da tutta Italia coloro che, come i soldati di Napoleone, credono di portare nel loro zaino il bastone di maresciallo, continuano a fare di Milano la loro mecca. Le difficoltà fra cui si dibattono sono molto più ardue di quelle che affrontano i loro predecessori per fare le fortune proprie e quelle di Milano. Ma la più ardua di tutte è il riciclaggio dei valori morali. Se Milano non restaura il culo dell'uomo, della sua iniziativa, del suo coraggio, del suo orgoglio di costruire, di rischiare e di vincere, e se non restituisce il premio a queste virtù, tanto vale che si arrenda allo Stato, al parastato e al sindacato, e si rassegni a diventare il ''bazar'' di un'Italia da terzo mondo. (p. 69) *Chi sia, cosa voglia e cosa valga Rizzoli, non c'interessa. C'interessa solo l'operazione cui egli presta il nome e il braccio (la mente lasciamola stare). Il tentativo di fare di Rizzoli, coi soldi del contribuente, l'editore del regime, è chiaro. E se di lui si vuol fare l'editore del regime, è altrettanto chiaro che si punta a una stampa di regime. Ma di quale regime? Evidentemente di un regime bisognoso di quei silenzi che solo una stampa di regime, affiancata da una RAI-TV di regime, può garantire. Se l'operazione riesce, caro lettore, dovremo dirci addio, perché per le voci libere e indipendenti non ci sarà più posto. Per soffocarle, non è necessaria nemmeno una legge: basterà lasciar aumentare il costo del prodotto bloccandone il prezzo. (p. 80) *Frondista sotto il fascismo, ribelle sotto la democrazia, Longanesi rimase sempre lo stesso. Il suo sogno sarebbe stato di fare l'anarchico in un regime autoritario borghese. Una volta lo condussi a parlare di un vecchio artigiano toscano, che diceva di essere stato in Russia a organizzare complotti e a fabbricare bombe contro lo zar. A tal punto Longanesi si entusiasmò di lui da rifiutare i miei sospetti sull'autenticità della storia. «È vera, è vera», diceva: «non hai sentito con che effetto e rimpianto parlava dello zar? L'affetto e il rimpianto del vero anarchico che, quando c'era lo zar, saoeva almeno contro chi buttare le bombe.» Ed era chiaro che anche lui rimpiangeva lo zar, per gli stessi motivi. (pp. 103-104) *In Italia i rappresentanti del popolo non sono popolari. Nessuno, nemmeno fra quelli che raccolgono centinaia di migliaia di voti, è veramente amato e rispettato. [...] I rappresentanti del popolo non parlano quasi mai col popolo. Parlano solo col partito, cioè fra loro, in un linguaggio ermetico che dà corpo ai peggiori sospetti. E in più c'è il borbonico attaccamento agli orpelli del potere. Questi capi di Stato e di governo, questi ministri [...] è fatale che agli occhi della gente appaiano come ''loro'', e ne subiscano le conseguenze. Non la si prenda per una dichiarazione di fede antirepubblicana. Ma [...] l'uccisione di [[Umberto I di Savoia|Umberto I]] che, come re, era il supremo dei ''loro'', sollevò un'ondata di commozione popolare più diffusa e spontanea di quella suscitata dal brutale sequestro di [[Aldo Moro|Moro]] (p. 114) *Sui feretri di coloro che sono caduti per ragioni ideologiche hanno diritto di sventolare solo le bandiere dei rispettivi partiti, e bisogna riconoscere che quelle della Democrazia cristiana possono vantare precedenza. Su quelli di tutti gli altri – magistrati, poliziotti, carabinieri, guardie e medici di carcere – può e deve sventolare solo il tricolore, se in qualche soffitta ce ne sono ancora degli scapoli. Il tempo delle usurpazioni e delle confische è finito. A ciascuno il suo. (p. 137) *In Germania c'è una norma statuaria che vieta di rovesciare un governo se prima non si sia trovata la maggioranza per formarne un altro. Da noi, ogni limitazione alla spensieratezza è considerata antidemocratica. Come diceva Longanesi: «Chi rompe, non paga, e siede al governo». (p. 161) *In questi venticinque anni, Kekkonen si è adoperato a «finlandizzare» la Finlandia: non aveva altra scelta, e c'è riuscito. La Finlandia è l'unico satellite dell'URSS in cui le fondamentali libertà democratiche sono rispettate, e di cui la porta è rimasta aperta all'Occidente. Ma non credo che questo miracolo sia dovuto solo a lui. Esso è dovuto soprattutto alla Finlandia e a quello che nel suo giovanile estremismo nazionalista egli stesso aveva chiamato «l'inutile sacrificio». Quel sacrificio fu invece utilissimo. È grazie a esso che la Finlandia non ha seguito la sorte degli altri tre Paesi Baltici – Estonia, Lettonia e Lituania –, ormai cancellati dalla carta politica dell'Europa. (p. 195) *Non vengano i sociologi a ripeterci la solita filastrocca che la mafia non è colpa di nessuno, neanche dei mafiosi, ma solo delle «strutture» e della povertà. Forse un tempo era così: il tempo in cui la mafia aveva qualche diritto di fregiarsi del titolo di «onorata società», e anche se avesse ammazzato un [[Carlo Alberto dalla Chiesa|Dalla Chiesa]], avrebbero risparmiato sua moglie. Oggi la mafia naviga nell'oro, e forse Dalla Chiesa è morto proprio perché aveva messo le mani su certe carte che riguardano finanziamenti per 880 miliardi ad aziende ancora più fantomatiche del Banco Andino di calvesca memoria. Il che dovrebbe indurci a qualche riflessione sui contributi che lo Stato fornisce alla Regione siciliana per aiutare l'isola a recuperare i suoi «ritardi». (pp. 215-216) *C'è chi chiede il rigore nella lotta all'inflazione, c'è chi lo chiede in quella della disoccupazione, c'è perfino chi lo chiede nello sviluppo dell'assistenzialismo. [[Guido Carli]] [...] ha detto ch'esso va applicato principalmente alla spesa pubblica, da contenersi entro l'invalicabile limite della «sopportabilità»: cosa su cui tutti hanno convenuto, essendo questo [...] il rigore che più piace agl'italiani (oltre quelli che gli arbitri di calcio assegnano in favore della squadra di casa). (p. 222) *La colpa dei Paesi sviluppati non è di far troppo poco per quelli di sottosviluppo, ma di farlo male. Qualcuno ha riassunto la lezione dei fatti nella massima: «Non date il pesce alla gente affamata; insegnatele a pescarlo». Ma per questo i miliardi non bastano: ci vogliono i missionari alla [[Marcello Candia]] e alla [[Madre Teresa di Calcutta|Suor Teresa di Calcutta]], molto più difficili da stanziare. Comunque, una cosa bisogna esigerla: l'eliminazione delle strozzature che impediscono agli aiuti di arrivare a chi ne ha veramente bisogno. Oggi come oggi, essi si fermano regolarmente sulle mense e nelle tasche di politici e burocrati delle nuove satrapie. Ma nella legge varata ieri non mi sembra che ci sia accenno allo smantellamento di questo perverso sistema. Che l'amministrazione di quei millenovecento miliardi [...] sia affidata a un sottosegretario invece che a un commissario, non mi pare una gran trovata. Si tratterà [...] del solito carrozzone lottizzato fra partiti, che farà presto a intendersi, via mance e bustarelle, coi carrozzoni dei Paesi da soccorrere. (pp. 257-258) *La [[Resistenza italiana|Resistenza]] un grande servigio all'Italia lo rese: ci procurò un notevole ribasso sul conto della sconfitta. Senza la Resistenza, non c'è dubbio che avremmo pagato molto più caro il nostro dissennato intervento a fianco della Germania. [...] Essa ha tutti i titoli per essere ricordata. Ma come la fine di una lunga sconfitta, la chiusura del capitolo più nero della nostra storia unitaria; non come il coronamento di una radiosa vittoria. Noi non ci liberammo; fummo liberati, L'aiuto – modestissimo, sul piano militare – che con la Resistenza demmo ai liberatori merita la gratitudine di tutti i disastri che ci risparmiò e le indulgenze che ci procurò al tavolo della pace. Ma la pretesa di confonderci coi vincitori, e perfino di parlare in loro nome, non può tirarci addosso che disprezzo e sarcarmi. (pp. 266-267) *Per Menichella, la ricostruzione e il grande decollo industriale erano possibili a una condizione: la stabilità della moneta. I capitali per gl'investimenti dovevano essere attinti non alla Zecca, ma al risparmio, che in caso contrario sarebbe stato distrutto dall'inflazione. E per accumulare il risparmio non c'era che una ricetta, la solita: lavorare di più e consumare di meno. Lo accusarono di rozzezza, di passatismo, lo tacciarono di «guardia bianca del capitalismo» che voleva «arricchire i padroni sulla pelle degli operai» [...] e un tenore della sinistra giunse a definirlo «un analfabeta dell'economia». E niente poteva essere più menzognero. Menichella aveva una preparazione di ferro. Di economia sapeva tutto. Solo lo traduceva [...] in un linguaggio spicciolo e sempre rapportato al concreto. I fatti gli diedero ragione. Ricostruzione e stabilità monetaria camminarono di pari passo; l'Italia raggiunse il ''boom'' nel momento in cui la lira si guadagnava l'Oscar. (p. 282) *Noi che laici siamo sul serio, non abbiamo nessuna nostalgia dello Stato crispino che credeva di fare del laicismo silurando i prefetti che andavano a messa e destituendo il sindaco di Roma per un atto di omaggio al Papa. Come non ne abbiamo per una Chiesa che umiliava padre Tosti e il vescovo Bonomelli, costringendoli a pubblici atti di contrizione per avere avanzato proposte di conciliazione. Uno dei motivi, forse il maggiore, per cui amammo e rispettammo De Gasperi è per la peitra tombale che ci sembrava avere messo su questo passato, dimostrando col proprio esempio come si possa essere insieme il più cattolico degl'italiani e il più italiano dei cattolici. [...] Non abbiamo titoli né qualifiche per rivolgerci al Papa. Ma se potessimo, gli porremmo una sola domanda che non dovrebbe [...] dispiacergli. Gli chiederemmo se per essere insieme buoni patrioti e buoni cattolici sia proprio indispensabile nascere polacchi. (pp. 306-307) *[[Walter Cronkite|Cronkite]] non ebbe mai dubbi sulla «obbiettività» delle sue immagini. «Parlano da sole», diceva. E in un certo senso è vero. [...] In questo lavoro di montaggio [...] fu un vero maestro. Come lo è stato nell'arte delle omissioni. Perché l'immagine del colonnello che sparava alla tempia del vietcong diceva, sì, la verità. Ma taceva, ignorandola, quella dello sfondo su cui la scena si svolgeva: il suolo tappezzato dai cadaveri seviziati dei ''marines'' sorpresi nel villaggio, delle donne sventrate e dei bambini abbruciacchiati per sospetto di collaborazionismo: tutte immagini che non avrebbero tolto nulla alla verità di quella della pistola sparata alla tempia, ma l'avrebbero spiegata sminuendo l'effetto dell'errore e del capriccio. Così come sono vere, verissime, le sequenze [...] della ritirata (si fa per dire) degli americani da Saigon: roba che quasi rivaluta l'8 settembre italiano, da arrossire di vergogna nei secoli. Peccato che Cronkite non abbia fatto riprendere le scene che contemporaneamente si svolgevano nelle strade della città via via che i ''liberatori'' del Nord vi s'inoltravano: roba da impallidire di orrore anche oggi. [...] Cronkite seguita a dire che la verità sul Vietnam è la sua. Ma è rimasto il solo a dirlo. Tutti i suoi ''fans'' lo hanno abbandonato e rinnegato. Compresa [[Jane Fonda]], che da cacciatrice di streghe e pasionaria del colpevolismo si è trasformata in missionaria del pentitismo e invoca il perdono dei reduci battendosi il petto. Con la stessa sincerità e buona fede, credo, con cui prima li indicava al crucifige. [...] È vero, putroppo, che la sorte del Vietnam fu decisa dalle «patacche» di Cronkite. In fatto di mestiere, possiamo imparare tutto da lui. Ma in fatto di verità, nulla. Salvo l'arte di contraffarla con l'aria di servirla (pp. 328-329) *Conosciamo dei comunisti che nel comunismo ci hanno creduto sul serio, e forse tanto più ciecamente quanto più bisognava essere ciechi per continuare a crederci. Sono quelli che l'abiura se la tengono in corpo, e che non imprecano contro l'idolo infranto. Sappiamo benissimo che, se avessero vinto, in nome di quell'idolo ci avrebbero, sia pure a malincuore, impiccati. Ma oggi il loro silenzio c'incute il più grande rispetto. Non altrettanto ne proviamo per i cosiddetti «emergenti» che, per continuare a emergere, inneggiano a tutto: alle macerie del Muro, alla perestroika, alla libertà, perfino al capitalismo, e si atteggiano a precursori e battistrada di questa totale, anzi totalitaria palinodia. Ma si tratta di una truffa bell'e buona. (pp. 343-344) *L'Expo è una grande abbuffata. E quando sono in gioco migliaia di miliardi, l'importante non è vincere; è partecipare. Che Venezia venga ridotta a un luna-park per la gioia a un luna-park per la gioia delle torme di straccioni (trenta milioni, secondo i preventivi più cauti) che la sommergerebbero rinnovando e centuplicando l'alluvione dei Pink Floyd era – ed è – per i fautori dell'Expo un'obbiezione facilmente superabile col discorso del Grande Progetto. [...] Venezia [...] appartiene al mondo, o per lo meno alla cultura di quello occidentale, di cui invochiamo [...] l'intervento per salvarla da quella masnada di locuste impazzite, disposte a farne un incrocio tra Las Vegas e Disneyland. (pp. 357-358) *[[Corrado Carnevale|Carnevale]] [...] ha dichiarato in un'intervista [...] che la notte non ha bisogno di sonniferi perché, nei confronti della Legge, la sua coscienza è a posto. Ci crediamo senz'altro. Ma se si ponesse la stessa domanda nei confronti della Giustizia, mi domando se i suoi sonni sarebbero altrettanto tranquilli. E tuttavia ci rendiamo conto che questa domanda non se la porrà mai, e anzi gli sembrerà del tutto stravagante. Perché, per un magistrato italiano, la Legge con la Giustizia non ha nulla a che fare. (pp. 387-388) *Dopo la liberazione, [[Luigi Durand de la Penne|de la Penne]] fu tentato dalla politica, e andò alla Camera prima sotto la bandiera democristiana, poi sotto quella liberale. In realtà, di bandiere, de la Penne non conosceva né riconosceva che il tricolore, e sperava ancora una volta di servirlo propugnando una riforma delle forze armate che le adeguasse alle nuove esigenze. Ma quando si accorse di non riuscire a combinar nulla, si ritirò; aveva capito che questi sono tempi per uomini di mare alla Accame, non alla de la Penne. Non fece mai l'eroe. [...] Ora, se qualcuno mi domanda perché ho dedicato alla sua scomparsa uno di quegli editoriali che di solito si riservano solo agli avvenimenti e ai personaggi della politica, rispondo che l'ho fatto per meglio sottolineare che per me e per gli uomini di questo giornale gli eroi delle guerre perdute non sono meno rispettabili e ammirevoli di quelle delle guerre vinte. E, in ogni caso, meritano il posto d'onore del giornale ben più dei personaggi di cui siamo costretti ogni giorno a interessarci. (p. 402) ==''Indro al Giro''== ===[[Incipit]]=== Il destino è stampato sulla carta d'identità e scritto nelle stelle. Indro Montanelli nasce il 22 aprile 1909, il primo Giro d'Italia prende il via il 13 maggio 1909. Stesso anno, stesso segno zodiacale: Toro. Potevano, queste due creature quasi gemelle, non percorrere un tratto di strada insieme? Potevano ignorarsi? ===Citazioni=== *Come i bersaglieri quando smettono di correre, così i ciclisti, quando cessano di pedalare ingrassano. *Il [[Giro d'Italia]] parla milanese, anche se poi, a vincerlo, è qualche toscano o qualche romagnolo. *I corridori sono come [[Anteo]]: il contatto con la loro terra gli dà forza. *Ma sapete voi con precisione che cosa sia una fuga, lo sapete? Non lo sapevo nemmeno io prima di vederla. Credevo che fosse l'uomo che, a un certo punto, si mette a pedalare più forte degli altri e li semina per via. Errattissima nozione. La fuga è invece un grande urlo e un gesto disperato che mettono d'improvviso in confusione tutta la carovana del Giro. *Quello della bicicletta è un mondo buono: e credo sinceramente che venga da questa bontà il fascino ch'esso esercita sulle folle. *Lasciatelo com'è questo Giro provinciale e festoso: lo sport di un popolo che, nella corsa verso il progresso meccanico, è rimasto alla bicicletta, tappa intermedia fra il cavallo e l'automobile, ritrovato artigiano e arnese di famiglia. *Se Parigi avesse il mare sarebbe una piccola Bari, ma non saprebbe accogliere i forestieri con tanto calore e sportiva cordialità. *Leoni, che oltre a tutto è un bellissimo ragazzo, ha una fidanzata la quale gli scrive raccomandandogli di non vincere, altrimenti troppe ragazze lo abbracciano porgendogli i fiori. Leoni è innamoratissimo della sua fidanzata ma non è certo per obbedire a lei che non vince. È solo per obbedire a [[Fausto Coppi|Coppi]] e restargli a fianco. *Gli assi possono permettersi di arrivare ultimi. E lo fanno senza risparmio. Possono permettersi di disprezzare i loro adoratori e lo fanno senza ritegno. L'adorazione rimane. *I corridori di bicicletta sono gente semplice, che non è mai stata in collegio. [...] Nessuno ha insegnato loro i dettami dello stile e della cavalleria. Li posseggono per natura. Difficilmente essi cercano di sminuire la vittoria dell'avversario e non gliene serbano rancore. Sono capaci di delicatezze che non credo esistano negli altri sport. *I corridori non si dovrebbero sposare; e, quando lo fanno, dovrebbero scegliere delle donne brutte. *È la specialità dei padri quella di sognare per i figli i trofei che loro non convengono, ed è la specialità dei figli quella di procurarsi trofei che ai loro padri non piacciono. ==''La stecca nel coro''== ===[[Incipit]]=== Non è questa la sede per rifare la storia del ''Giornale''. Ma voglio ricordare ai vecchi lettori e a spiegare a quelli nuovi ch'esso non fu un giornale, ma una battaglia, di cui può essere istruttivo ricostruire gli episodi. Quelli, decisivi, degli anni Settanta e Ottanta, in questa raccolta ci sono tutti, chiosati. E di queste chiose, ho l'immodestia di dire che non ce n'è una di cui debba pentirmi nemmeno ora che i pentimenti vanno di moda, anzi sembrano diventati un genere di prima necessità. Questa raccolta è dedicata a tutti i miei compagni di lavoro, defunti e sopravvissuti, italiani e stranieri, che condivisero con me i rischi (e ce ne furono) di questa avventura, la più bella di tutta la mia carriera di giornalista, e ai lettori che ci permisero di combatterla. Anche se tuttora ignoro se l'abbiamo vinta o persa. ===Citazioni=== *{{NDR|Sui [[processi della Giunta greca]]}} Anche a detrarne tutto ciò che vi avrà aggiunto la propaganda di parte, crediamo che di soprusi, sopraffazioni e sangue ce ne siano stati abbastanza, nel regime dei colonnelli, per giustificarne l'incriminazione. Tuttavia vorremmo che accanto a loro, sul banco degli accusati, venissero chiamati anche Papandreu e altri campioni del massimalismo piazzaiolo e di certo radicalismo snob, per spiegare ai giurati e alla pubblica opinione, non soltanto di Grecia, come mai i colonnelli giunsero al potere senza sforzo e senza sforzo lo conservarono fino a quando per propria insipienza lo persero. Solo così il processo acquisterebbe un senso, oltre quello della pura vendetta. Le colpe dei vari Ghizikis e Papadopulos non ne risulterebbero affatto sminuite. Ma finalmente si capirebbe che i colonnelli non sono dei trovatelli e che per impedire i golpe non c'è che un sistema: far funzionare la democrazia. [...] Non auguriamo la forca a nessuno. Ma se un giorno qualche colonnello dovesse venirvi appeso, speriamo che ai Papandreu sia almeno proibito di partecipare alla festa. Perché i veri padri del golpe, le Circi che tramutono i colonnelli in dittatori, furono loro. (pp. 15-16) *{{NDR|Sulla [[rivoluzione dei garofani]]}} Rivendicato il diritto alla scelta, gli elettori portoghesi l'hanno espressa con chiarezza lampante. Hanno votato per l'Occidente, per un Portogallo che sia socialmente più giusto di quello uscito dalla penombra salazariana, ma che rimanga saldamente ancorato all'Europa libera, alle sue alleanze, agli ideali della democrazia senza virgolette e sottintesi: una democrazia di cui i militari, con l'aiuto dei loro reggicoda comunisti, potranno conculcare le libertà fondamentali, ma coi carri armati, non in nome del popolo. [...] Due piccole nazioni, il Portogallo e la Grecia, uscite entrambe dalla prova di regimi dittatoriali, hanno votato, a breve distanza l'una dall'altra, con esemplare equilibrio, senza cedere alle tentazioni ed ai miti delle catarsi rivoluzionarie. È una grande lezione per altri Paesi che, avendo assaporato la libertà da molti anni, sembrano smaniosi soltanto di perderla. (pp. 44-45) *Per formare la maggioranza, la Dc non ha più a disposizione le tre forze laiche su cui De Gasperi fondò i suoi più fortunati e redditizi Governi: se i repubblicani hanno alla bell'e meglio temuto, liberali e socialdemocratici sono stati spazzati via. Occorrerebbero i socialisti, ma costoro hanno già dichiarato di non essere disponibili a maggioranze che escludano i comunisti. [...] Che razza di democrazia verrebbe fuori da un'ammucchiata totalitaria di queste tre forze che lasciasse l'opposizione al Movimento sociale, Dio solo lo sa. [...] I milioni d'italiani che [...] hanno votato Dc, lo hanno fatto ''unicamente'' perché la Dc si è presentata come il ''no'' al comunismo. Mai come stavolta il patto tra candidato ed elettore è stato così esplicito. Se lo ricordino bene i professionisti del tradimento [...]. Come li abbiamo aiutati a vincere, saremo i primi a denunciarli con nome e cognome. Il tempo delle deleghe in bianco è finito. Dando le – «preferenze» come noi avevamo suggerito –, il ciattadino stavolta sa per ''chi'' ha votato, e lo tiene personalmente responsabile. (p. 78) *Cosa vuol dire […] «gli chiediamo fino a che punto si spinge il suo disaccordo con la proposta di unità e di collaborazione democratica che noi avanziamo e sosteniamo, se al suo disaccordo c'è il limite fissato della difesa e della sopravvivenza del quadro costituzionale e repubblicano?» Vuol forse dire, senza dirlo, che chi si oppone a questa proposta, cioè in parole povere chi si oppone al compromesso storico, si mette automaticamente fuori da quel quadro e va considerato un eversore? Capisco che, a furia di praticarlo […] questo giuoco del fuorigiuoco sia diventato per voi un vizio. […] Ma stavolta l'impresa è più ardua del solito: non sono molti gl'italiani disposti a credere che rifiutare i comunisti al Governo significa rifiutare la democrazia e a considerare chi lo fa alla stregua di un killer o di un pistolero (pp. 104-105). *Noi non chiediamo la legge marziale. Basta la rivalutazione materiale e morale di quelle forze dell'ordine, i cui sacrifici sono stati fin qui regolarmente pagati ripagati con stipendi da fame, castighi disciplinari e campagne denigratorie. Basta insomma che sia affermato nei fatti, e non soltanto nelle parole, il supremo impegno a trattare il terrorismo come va trattato: in termini di scontro, non di «confronto». Faccia a faccia. Lo Stato italiano non può chiedere fermezza ai cittadini, se non ne dà esso stesso l'esempio. Spietatamente, quando occorre. E in questo caso occorre. (p. 119). *Noi […] non possiamo pronunciarci in favore di [[Marco Pannella|Pannella]]: egli giuoca in un campo che non è il nostro. Ma quattro cose dobbiamo dire, da avversari, di questo anomalo personaggio. La prima è che Pannella è [...] un personaggio su una scena politica popolata quasi esclusivamente di comparse e coristi. La seconda è che i suoi digiuni sono autentici e le sue tasche autenticamente vuote. La terza è che, se domani ci sarà un regime – ipotesi che si fa sempre più possibile – all'opposizione di questo regime ci saremo solo noi e Pannella, socio scomodo, ma di tutta affidanza. E infine dobbiamo riconoscere che fra noi e lui c'è [...] un fatto di sangue. Anche se scatena la sua buriana da sinistra facendo d'ogni erba un fascio […] e chiama la sua gente «compagni», ricordiamoci che Pannella è figlio nostro, non loro. Un figlio discolo e protervo, un giamburrasca devastatore che dopo aver appiccato il fuoco ai mobili e spicinato il vasellame, è scappato di casa per correre le sue avventure di prateria. Ma in caso di pericolo o di carestia, ve lo vedremo tornare portandosi al seguito mandrie di cavalli e di bufali selvaggi, quali noi non ci sogneremmo mai di catturare e domare. Questo è Pannella. Voti non possiamo dargliene. Ma ci auguriamo che sia lui a mietere quelli che non ci appartengono. (pp. 156-157) *Noi siamo contrari alle leggi speciali. Ma proprio per non dovervi ricorrere, siamo per l'applicazione più dura e risoluta di quelle vigenti. La Costituzione per esempio non prescrive che l'Italia ospiti, senza possibilità di esercitare su di essi alcun controllo, centinaia di migliaia di stranieri dal passato incerto, e tavolta fin troppo certo. E le Forze dell'ordine non possono essere condannate a giuocare eternamente «di rimessa» [...]. In queste condizioni, non si lotta. Si subisce soltanto. Ed è di questo che il Paese non vuol più sapere. [...] Ci risparmino i discorsi sulla bara di [[Vittorio Bachelet]]. [...] Il funerale di Stato, va bene. Ma in silenzio, ministro Rognoni, per l'amor di Dio. Siamo stufi di sentir dire che «il popolo italiano è compatto nel ripudio dell'eversione», che «fa quadrato intorno ai valori e alle istituzioni consacrate dalla Resistenza», che i terroristi ''no pasarán'' (uno slogan che, oltre tutto, ha sempre portato jella). Non ne possono più neanche i morti. S'immagini i vivi. (p. 179) *I vizi italiani vengono da molto più lontano della Costituzione: sono scolpiti nei secoli della nostra storia incivile. Ma fra i segni di questa inciviltà c'è appunto anche quello di rendere tabù i temi scomodi e di condannare al ghetto chi osa affrontarli [...]. Come se non vi fossero Paesi, quali gli [[Stati Uniti d'America|Stati Uniti]] e la [[Francia]], che in fatto di democrazia possono impartirci lezioni, e che tuttavia si reggono a sistema presidenziale. Come se non ve ne fossero altri, quale la Germania che, pur reggendosi a sistema parlamentare, vi ha introdotto correttivi che lo rendono radicalmente diverso dal nostro. E come se questi correttivi [...] non fossero stati discussi e decisi senza farne drammi né scatenare, contro chi li proponeva, cacce alla strega nazista. (p. 207) *Il terrorismo italiano non può contare su consensi e simpatie d'ambiente come quello palestinese, o irlandese, o basco, che una motivazione l'hanno, sia pure distorta dalle passioni e strumentalizzata da qualche «Grande Vecchio». Il terrorismo italiano poteva contare solo sulla connivenza della paura: e infatti, finché ne ha incussa, di connivenze ne ha trovate, anche fra gli intellettuali, anzi specialmente fra gli intellettuali. [...] Fino a quattro o cinque anni fa, a dire che i volantini delle Br e i loro opuscoletti di propaganda non erano che una serqua [...] dei più vieti luoghi comuni ripescati tra i rifiuti di Bakunin, Kropotkin, Stirner e altri profeti del Nulla [...] c'era da essere linciati. Non dai brigatisti [...] ma dai ''maîtres à penser'' della sociologia radical-chic, per i quali il terrorismo, prima che da combattere, era da comprendere nei suoi «contenuti di pensiero». In cosa consistessero e quanto rigorosi fossero questi contenuti, ce lo dice appunto la scoperta negli ultimi giorni di questa nuova Trimurti – terrorismo rosso, terrorismo nero, camorra – che come ammucchiata ideologica, non so se mi spiego. Può darsi ch'essa esploda e [...] devasti. Ma, costretta ad assumere i suoi veri connotati, che sono quelli della criminalità senza aggettivi, il suo potere d'inquinamento e di equivoco, che ne costituiva l'aspetto più pericoloso, finisce. Da [[Toni Negri]] a [[Raffaele Cutolo|Cutolo]], la parabola si è conclusa. (pp. 236-237) *Non abbiamo con [[Bettino Craxi|Craxi]] nessuna familiarità: avremo parlato con lui, sì e no, tre volte. Ci ha dato una incoraggiante impressione di energia, risolutezza, rapidità di riflessi. Ma da certe sue reazioni, ci è parso di capire ch'egli ha anche una spiccata – e funesta – propensione a considerare nemici tutti coloro che non si rassegnano a fargli da servitori. Sono pochi, intendiamoci, i politici immuni da questo vizio. Ma alcuni di essi sanno almeno mascherarlo. Craxi è di quelli che l'ostentano sino a esporsi all'accusa di «culto della personalità»: un culto [...] che [...] potrebbe procurargli seri guai. Non perché a noi italiani certi atteggiamenti dispiacciano, anzi. Ma perché in fatto di guappi siamo diventati, dopo Mussolini, molto più esigenti: quelli di cartone li annusiamo subito. (p. 271) *[[Vincenzo Muccioli|Muccioli]] ha operato in condizioni diverse. [...] Ha impiantato la sua comunità con criteri imprenditoriali, facendone una specie di ''kibbutz'' ormai vicino all'autosufficienza. [...] Uno che, senza essere un ''compagno'', conduce una sua guerra privata contro la droga, è doppiamente esecrabile. Per il vescovo [...] per il quale un'opera di redenzione intrapresa da un laico come Muccioli merita in ogni caso l'anatema. Ma la partigianeria del presidente Righi è inesplicabile, e riduce questo processo a una caccia alle streghe, che getta la Giustizia nel pantano. (pp. 301-302) *[[Enver Hoxha|Hoxha]] non aveva dalla sua nulla, quando si presentò alla Conferenza: null'altro [...] che il proprio coraggio, spinto fino alla protervia. [...] I primi proseliti li fece solo sul finire della guerra, quando prese corpo un po' di resistenza, ma li fece in nome dell'Albania, non del comunismo. [...] Era un satrapo anche lui [...]. Ma non indulgeva alle debolezze e alle pacchiane ostentazioni dei Ceausescu e dei [[Kim Il-sung|Kim Il Sung]]. Esigeva l'obbedienza più assoluta, ma in pubblico si mostrava di rado, e la sua era l'unica giacchetta di comunista da ''nomenklatura'' che non grondasse medaglie fino all'ombelico. (pp. 310-311) *{{NDR|Sulla [[rivoluzione ungherese del 1956]]}} Il motivo per cui divampò coinvolgendo tutta la popolazione è semplicissimo: gl'intellettuali e gli studenti che la capeggiavano erano i figli degli operai e dei contadini che la traducevano in sollevazione del popolo. Lo erano non in senso ideale ed astratto, ma in senso anagrafico [...]. E questo fu, per i comunisti, la vera beffa. Essi avevano abolito le classi, e ora questo creava una unanimità di partecipazione, quale credo che nessun'altra rivoluzione abbia mai avuto. E come poteva non essere socialista? [...] L'unica cosa che non si può è che i «quadri» del Pci [...] non avessero visto, né udito, né capito come oggi vorrebbero farci credere per avallare la tesi dell'«errore». [...] L'unico che, in mezzo a tanti contorcimenti e frullati di parole, ha avuto l'onestà di riconoscerlo è stato [[Gian Carlo Pajetta|Pajetta]], sempre lui. «Io non mi pento di nulla», ha detto «schierandoci con gl'insorti e condannando la repressione sovietica, avremmo spaccato il Pci; per questo accettammo e approvammo.» Alla buon'ora. (pp. 354-355) *Se l'unica maggioranza possibile è così risicata, lo si deve anche e soprattutto alla poltiglia di partiti – verdi, rossi e «lighe» varie – che il nostro sistema elettorale favorisce. Se ne sono contati [...] trentotto, più o meno combinati con liste locali in un groviglio di piccoli interessi regionali, corporativi, personali, uniti solo da un incoffessato e forse inconscio anelito sanfedista allo sfascio dello Stato unitario. Se non si pone termine a queste insensate dispersioni, è inutile chiamare gli elettori alle urne. Una maggioranza e un Governo degni di questo nome non li avremo mai. (p. 368) *Certamente [[Michail Gorbačëv|Gorbaciov]] aveva previsto le tremende resistenze della sua ''perestroika'' aveva trovato nella cosiddetta ''nomenklatura'', detentrice del potere con diritto di abusarne, e quindi ben risoluta a difenderlo. Ma forse non immaginava che la minaccia più grossa al suo riformismo decentratore sarebbe venuta dall'esplosione dei nazionalismi, che ora rischiano di travolgerlo. [...] Comunque, due lezioni ci sembra di poter trarre sin d'ora da questa vicenda. La prima è che se settant'anni d'internazionalismo proletario praticato senza esclusione di colpi non sono bastati a debellare i nazionalismi, vuol dire che il sangue, la lingua, la religione, la cultura sono più forti di qualunque ideologia. La seconda è che i totalitarismi sono più facili, o meno difficili, da montare che da smontare. A liberalizzare la Russia e a guarirla dallo Stalinismo poteva forse riuscire un solo uomo: [[Iosif Stalin|Stalin]]. (p. 403) *Quanti miliardi si sperperano oggi in Italia in premi e feste letterarie accompagnate da rinfreschi e pranzi per centinaia di coperti, targhe, medaglie, e gettoni di presenza? Basterebbe un centesimo, un millesimo, di ciò che si spende in queste fiere della vanità per salvare la Crusca raddoppiando il miserabile contributo statale. [...] Forse c'illudiamo. Ma noi ci ostiniamo a credere che in Italia ci siano ancora degl'italiani convinti che una cultura senza una sua lingua non è una cultura [...] e che un Paese senza cultura [...] non è un Paese; ma soltanto un accampamento di apolidi. (p. 419) *Era fatale che, una volta allentatesi le maglie della Dc, l'integralismo di un certo mondo cattolico lo avrebbe portato a confluire sulle posizioni delle leghe. Le ispirazioni sono diverse, ma il nemico è comune: lo Stato unitario e laico. [...] Dileguatosi, o in via di dileguarsi il pericolo comunista, e caduto quello di Berlino, è questo il Muro che ci dividerà nel prossimo futuro. Da che parte [...] stiamo noi, mi sembra superfluo dirlo. Ci stiamo [...] con la piena consapevolezza dei nostri errori passati e presenti e della nostra intrinseca debolezza. Ma anche con la coscienza che se con noi non c'è tutto il meglio, contro di noi c'è sicuramente tutto il peggio. Basta tendere l'orecchio ai discorsi di Rimini e alle acclamazioni che li hanno salutati. I «lumbard» hanno ragione di chiedere il gemellaggio con quella platea: come livello mentale e di cultura, siamo lì. (p. 442) *Uomo di governo, [[Mario Scelba|Scelba]] non fu mai uomo di partito. Lo frequentava poco, non fu mai partecipe di giochi di «correnti», e credo che sotto sotto li disprezzasse. [...] Se fu De Gasperi a guidare [...] la barca, fu Scelba a reggerla e non vedo chi altro, nella pattuglia democristiana, avrebbe avuto gli attributi per farlo. Sul suo feretro ci saranno poche lacrime, pochi fiori, pochi discorsi. Nessuno del cosiddetto ''establishment'' vorrà ricordare che se in casa non ci siamo ritrovati qualche Husak o [[Nicolae Ceaușescu|Ceausescu]], per gran parte lo dobbiamo a lui. Ma qualche italiano non lo ha dimenticato. (pp. 471-472) *Non c'è democrazia, diceva Clemanceau, senza un minimo di corruzione. D'accordo. Ma quando la democrazia degenera in partitocrazia, il minimo diventa il massimo e succede quello che abbiamo sotto gli occhi. E finché noi concederemo ai partiti – contro il dettato costituzionale che li considera semplici associazioni private – d'irretire tutta la vita pubblica e di arruolare, per le loro operazioni di saccheggio, un milione di lanzichenecchi con relative famiglie, di cosa c'indignamo? E cosa ci aspettiamo dal Palazzo romano, proiezione su scala nazionale delle situazioni locali tipo Milano? (p. 489) *Con qualsiasi legge si vada alle nuove elezioni, e specialmente se si va col papocchio escogitato da [[Sergio Mattarella|Mattarella]], esse riprodurranno molto probabilmente [...] la situazione che i risultati dell'altro ieri hanno soltanto anticipato: un'Italia divisa in tre: un Nord in mano alla [[Lega Nord|Lega]], un Centro alla mercé dei comunisti (ex o neo, non importa), un Sud in preda al caos. In questa situazione, cosa farà Bossi? Cioè [...] cercherà di frenare la spinta che fatalmente ne verrà alle tentazioni secessionistiche della Padania dal resto del Paese, o la seconderà? A differenza di Miglio, Bossi di secessione non ha mai parlato. Parla di «federalismo», e forse lo ritiene possibile. Noi crediamo che il federalismo sia soltanto la foglia di fico della secessione, e che nei precordi di molti leghisti covi una gran voglia di fare i cosacchi del Po. (p. 515). *La nuova legge elettorale, se non fosse stata tradita dai suoi soloni col turno unico, avrebbe dovuto condurre al confronto fra due ''rassemblements'', uno di centrosinistra con l'esclusione di Rifondazione, l'altro di centrodestra con l'esclusione del Msi, a garanzia di democraticità di entrambi. Stando le cose come stanno, il confronto non ci sarà perché di ''rassemblements'' ce n'è in campo uno solo: quello del Pds, che così sarà libero d'includervi anche Rifondazione. Per questo esso si batte contro la dilazione. Per questo noi la auspichiamo: nella (pallida) speranza ch'essa ci dia il tempo di uscire dallo stato confusionale in cui versiamo. Non è nostro diritto; è semplicemente nostro interesse spostare le urne al 12 giugno. Ma un interesse del tutto legittimo. Come legittimo è l'interesse del Pds ad anticiparle addirittura a marzo. La difesa del sistema e dei suoi papponi non c'entra. Che si voti a marzo od a giugno, l'uno e gli altri sono già cadaveri, e non c'è miracolo che possa resuscitarli. (p. 528) ==''Le nuove Stanze''== *Ribadisco la mia avversione alla pena di morte. Ma non me la sento d'impartire lezioni a chi tuttora la pratica. Non mi pare che, con la Giustizia che ci troviamo in casa, noi italiani possiamo impartire lezioni agli altri. (p. 46) *Toglietevi la parrucca, cari storici italiani. E invece di continuare a parlarvi tra voi, parlate, andando incontro alle sue curiosità, alla gente comune, quella che ha più bisogno del vostro sapere, e che sa benissimo distinguere il volgare pettegolezzo dall'aneddoto illuminante, di cui gli storici stranieri, soprattutto inglesi, compreso [[Denis Mack Smith|Mack Smith]], sanno fare buono e largo uso. (p. 81) *Io non sono piemontese né savoiardo, e la tradizione della mia famiglia è, caso mai, repubblicana. Ma la verità sono abituato a rispettarla, e non ad accomodarmela secondo i miei gusti e pregiudizi. Nel '46 votai monarchico non perché ero amico di Umberto e di Maria José, che sarebbero stati un Re e una Regina esemplari. Ma perché capivo ch'essi rappresentavano l'unico filo che ci legava all'unica nostra tradizione nazionale: il Risorgimento. La rigiri come vuole [...] ma la verità è questa: che senza Risorgimento non esiste una Storia nazionale italiana, e senza i Savoia non esiste Risorgimento. Ecco perché io dico e ripeto che la Repubblica italiana può tenere i Savoia [...] fuori dal territorio italiano. Ma chi tenta di estrometterli dalla Storia d'Italia, se non è un analfabeta è certamente un falsario. (pp. 112-113) *{{NDR|[[Luigi Cadorna]]}} Fu un generale di grande e inflessibile carattere, ma non un grande stratega. La sua fu dal primo all'ultimo giorno una guerra «di posizione», e quindi di logoramento, muro contro muro. Una «manovra» non la tentò mai, anzi non la concepì nemmeno. Stava [...] al «Regolamento», secondo il quale «le battaglie si vincono sulle cime». Sicché quando arrivò un battaglione tedesco al comando di un giovane capitano di nome Rommel che [...] s'insinuò nottetempo nelle valli, tutto il nostro schieramento ne venne preso alle spalle, e si liquefece, consentendo a Rommel di arrivare fino al Piave, dove si fermò: non per la resistenza dei nostri [...] ma per la mancanza di rifornimenti e di munizioni, che non avevano fatto in tempo a seguirlo. (pp. 118-119). *Quanto alla somiglianza fra noi e gli spagnoli, sì, c'è. Io, in Spagna, mi sento come a casa mia. Una sola cosa ci trovo in più: una dimestichezza con la morte che dà ai valori della Vita (la Dignità, il Coraggio, l'Onore) un peso ben diverso da quello che hanno da noi. E glielo invidio tanto. (p. 157) *Quanto alla sua supposizione che, se non ci fossero stati i russi, gli Alleati non avrebbero potuto sbarcare in Normandia e salvare i loro regimi democratici, mi permetta di sorriderne. Hitler perse la [[Seconda guerra mondiale|guerra]] prima ancora di dichiararla, quando scatenò la persecuzione razziale, che mise il mondo di fronte alla pretesa della sua «razza eletta» al dominio del pianeta e costrinse alla fuga il fior fiore della Scienza ebraica, che diede all'America la bomba atomica, la quale avrebbe reso superfluo anche lo sbarco in Normandia. (pp. 177-178) *In [[Alessandro Pavolini|Pavolini]] [...] è riassunto il dramma di una generazione che nel fascismo era cresciuta [...] e si sentiva impegnata a crederci anche in quell'ultima disperata fase. In lui ritrovo un po' di quel [[Berto Ricci]] [...] che, partendo volontario per la Libia, mi disse: «Una volta, nella vita, ci si può convertire. Io già lo feci rinnegando, per il fascismo, il mio passato di anarchico. Ora col fascismo devo morire». E morì. (p. 192) *Come lei certamente sa, furono i russi a giungere per primi sul famoso bunker di Berlino, fra le cui macerie si diedero subito a cercare il cadavere del Fuhrer, e lo trovarono, ma quasi completamente carbonizzato (egli aveva lasciato ai suoi l'ordine di bruciarlo con una tanica di benzina). D'intatto era rimasto solo il teschio con la sua dentatura costellata di ponti e protesi. Immediatamente fu ricercato e trascinato sul posto l'odontoiatra che glieli aveva sistemati. Dapprima gli fu chiesto in cosa erano consistiti i suoi interventi. Poi vi fu messo davanti, e lui li riconobbe senza esitazioni. Quel giorno il poveretto non tornò a casa. Dopo alcuni anni si seppe che esercitava il suo mestiere in non so quale città di provincia russa, ma sotto stretto controllo della polizia. Dopo qualche altro anno poté tornare in Germania, ma in [[Repubblica Democratica Tedesca|quella comunista]], sotto il controllo di una polizia ancora più efficiente di quella sovietica, e lì morì, non so quando. Perché i sovietici vollero sempre mantenere quel segreto? Perché alla loro propaganda [...] faceva comodo accreditare la favola di un Hitler salvato dagli americani, che lo tenevano sotto naftalina in qualche loro dorato ripostiglio per poterlo un giorno utilizzare in una nuova guerra contro la Russia. (pp. 257-258) *Da anticomunista, oserei dire «storico» quale mi considero, io sono pieno di rispetto sia per i Nagy nostrani quali i D'Alema e i Veltroni, che per i Kádár, quali i Cossutta e i Diliberto. Non so se come classe dirigente siano il meglio. Ma come sincerità di conversione democratica, ci credo (come credo, intendiamoci, a quella di un Fini, anche se viene da un passato molto meno intenso, drammatico e dilacerante di quello comunista). (p. 306) *{{NDR|A [[Mario Tuti]]}} Ho ben presente [...] il suo nome e il suo volto, e le azioni terribili che lei ha compiuto. [...] Da come scrive [...], lei è in grado di capire [...] quello che dico. È vero che «sul nemico vinto non si infierisce»: ma il sangue non si cancella con la gomma delle parole. Solo le vittime possono concedere il perdono; e io non sono stato, fortunatamente, davanti al mirino della sua pistola. Solo la giustizia può concedere sconti: e io non sono un magistrato. Non ho invece difficoltà a condividere una sua osservazione: alcuni disgraziati [...] sono più disgraziati di altri. E [...] i disgraziati di destra se la passano peggio dei disgraziati di sinistra, che hanno di solito qualche amico di gioventù ben piazzato, in grado di dare una mano. Ma il perdonismo peloso di alcuni non può giustificare la distrazione di tutti. (p. 322) *[[Yasser Arafat|Arafat]] non ha mai avuto né uno Stato, né un esercito, né un titolo che lo qualificassero a parlare a nome del suo popolo. Erano il carisma, l'autorità, il prestigio suoi personali che gli permettevano di svolgere questo compito. Ma questo dipendeva dal fatto che il suo popolo glieli riconosce in quanto si sente da lui «rappresentato». [...] Io sono e mi sento profondamente filo-israeliano perché negli ebrei riconosco i miei fratelli e in molte cose anche i miei maestri (anche se non sempre facili). Ma appunto per questo apprezzo ed ammiro gli Hussein, i Sadat e gli Arafat. Ai quali si possono anche rimproverare degli errori nella conduzione della loro politica. Ma non certo le intenzioni e il coraggio. Arafat è brutto [...] e non so come facciano i suoi amici (e i suoi nemici) [...] a ricambiarne i baci. Ma di quelli suoi credo proprio che ci si possa fidare. Che Dio, anzi Allah, ce lo mantenga ancora per molti anni. (pp. 387-389) *Come veterano del ''Corriere'' e un po' depositario della tradizione di una certa civiltà nei rapporti fra i suoi uomini, io rimasi offeso non dal licenziamento di Spadolini [...] ma dall'insolito modo – che io definii appunto «guatemalteco» – in cui era stato trattato e da cui trapelava la mano di un [[Giulia Maria Crespi|editore]] che, anche se portava il nome di quello vecchio [...], intendeva introdurre nuove regole nella gestione del giornale, di cui era praticamente diventata [...] la titolare. E lo dissi, e lo scrissi, e lo ripetei in varie interviste. Forse tuttavia questo strappo si sarebbe potuto rammendare se il cambiamento del direttore non avesse comportato anche un cambiamento di linea politica che saltava agli occhi di chiunque non volesse tenerli chiusi. [...] Quando dal ''Giornale'' uscii per ragioni abbastanza analoghe a quelle che mi avevano spinto fuori da via Solferino, il primo a venirmi incontro fu il direttore del ''Corriere'', Paolo Mieli, che [...] mi offrì il suo posto: un gesto che non dimenticherò mai. Avrei potuto [...] accettarlo solo a titolo onorario. Ma non potevo abbandonare gli uomini che ancora una volta mi avevano seguito. Da quel momento però fu chiaro che il ''Corriere'' era ridiventato quello che noi, vent'anni prima, avremmo voluto che restasse. Ecco perché, al termine delle mie battaglie e delle mie sconfitte (che considero il mio blasone), sono tornato al ''Corriere''. (pp. 406-408) *I politici della Sinistra, compresi i componenti dell'attuale «squadra» governativa sono dieci, venti, cento volte meglio della loro ''intellighenzia''. Anche se dicono fregnacce, le dicono a bassa voce, senza salire in cattedra, di dove l'''intellighenzia'' invece non scende mai, nemmeno per andare in bagno. (pp. 477-478) *Spero che ora avrai capito cos'è la mia dichiarazione di voto: non un sì all'Ulivo, da cui spero poco, ma in compenso non temo niente; ma il no a un Polo che, se riportasse davvero la schiacciante vittoria che si aspetta il suo ''Caudillo'', potrebbe creare nel nostro Paese una situazione davvero inquietante. Un voto di difesa sarà dunque il mio, come lo è sempre stato da oltre cinquant'anni a questa parte. (p. 496) *Sappi soltanto che, passato per una ventina di anni – quelli del ''Giornale'' – per «fascista» e negli ultimi dieci per «comunista», me la rido di entrambe le etichette. (p. 536) ==''Le Stanze''== ===[[Incipit]]=== Di tutta la mia attività giornalistica [...] considero questi colloqui col lettore come l'impegno che mi è riuscito meglio, o meno peggio. Se qualcuno mi chiedesse: «Cosa vorresti che, dopo di te, di te rimanesse?», risponderei senza esitare: «Questi colloqui». Mi rendo conto che un'affermazione del genere può apparire demagogica: in fondo, perché dovrei preferire queste risposte quotidiane [...] alla ''Storia d'Italia'' o agli ''Incontri''? È presto detto: perché, grazie a lettere e risposte, ho potuto restare vicino ai miei lettori, che mi hanno ricordato – con più o meno garbo, ma sempre con affetto – quello che un giornalista non deve mai scordare: che i padroni sono loro. ===Citazioni=== *Io non ho mai conosciuto un conservatore inglese che abbia mosso a Churchill il rimprovero di essersi alleato con Stalin – altro che il naso dovette strizzarsi! – quando le armate di Hitler spazzavano tutta l'Europa. Ma trovo ancora degl'italiani [...] che danno la colpa a me dello stato di necessità in cui ci trovammo nel '48 e nel '76 e che rendeva obbligata la nostra scelta. Oggi che il muro di Berlino ci ha liberato dall'incubo del comunismo [...], è facile fare processi a chi non aveva in mano altra arma elettorale che il voto alla Dc. Ed una cosa mi chiedo: tutti questi intransigenti eroi dell'anticomunismo, che oggi mi scrivono lettere d'insulti accusandomi di averlo tradito, dov'erano al tempo del comunismo vero, quando io ero uno dei pochissimi a combatterlo di fronte [...], e loro, incontrandomi per strada, fingevano di non conoscermi? (p. 12) *Hiroshima, se fossi americano, non porrebbe [...] nessun caso di coscienza. L'arma atomica era in fase di studio e di preparazione sia in Germania che in America, e si poteva supporre che lo fosse anche in Russia e in Giappone. Avrebbe vinto la guerra e deciso le sorti del mondo chi ci fosse arrivato per primo. Hiroshima fece della popolazione civile, dicono, duecentocinquantamila vittime. Quante ne risparmiò inducendo alla resa i giapponesi che sembravano vicini all'olocausto? E quanto servì a smorzare la pretesa sovietica d'imporre il suo «diktat» a tutta l'Europa? [...] Essa a tal punto sorprese Stalin che dapprincipio non ci volle credere [...]. Nessuno può applaudire un massacro come quello di Hiroshima né andarne fiero. E posso capire come coloro che vi hanno partecipato dandone l'ordine o eseguendolo possano aver avuto dei problemi di coscienza. Ma gli aviatori inglesi che rasero al suolo l'inerme Dresda abitata solo da civili, facendo tra di loro pressappoco lo stesso numero di vittime che a Hiroshima, questi problemi, da quanto se ne sa, non li ebbero. Forse che la guerra all'atomo è più crudele di quella al fosforo? (p. 62) *De Gasperi non fu mai uomo di partito. E fu proprio per questo che riuscirono ad emarginarlo con tanta facilità, relegandolo in una Presidenza grondante omaggi ed ex voto, ma priva di qualunque potere reale. È vero che lui non lottò, anche perché era ormai a corto di fiato. Glielo toglieva non solo l'azotemia, ma anche il fallimento della Ced, la Comunità Europea di Difesa su cui De Gasperi fondava [...] i suoi sogni di salvezza e di grandezza europea, che i francesi di Mendès-France condannarono al naufragio. [...] De Gasperi era uomo di Stato, l'ultimo che l'Italia ha avuto dopo Giolitti. Ecco perché [...] non ha né può avere eredi. (p. 86) *{{NDR|[[Che Guevara]]}} Era uomo di Rivoluzione, che mai si sarebbe rassegnato ad una comoda esistenza di ben pasciuto gerarca. Doveva tornare alla Rivoluzione, pur consapevole della sua impossibilità in Paesi che lui ben conosceva, ma appunto proprio per questo: per cercare una morte coerente con la sua vita. [...] Avessi trenta o quarant'anni di meno, anch'io forse avrei nel mio modesto appartamento una stanza attrezzata a mausoleo del Che, e lo conserverei come souvenir di un Sogno sbagliato, ma pulito, e comunque pagato. È a coloro che non vogliono mai pagare nulla che va tutto il mio disprezzo. (p. 121) *Non mi stupirei [...] se il ragazzotto Clinton, nei suoi anni da governatore, avesse ingannato la noia dell'Arkansas inseguendo le minigonne di passaggio. [...] Il paragone con Berlusconi mi sembra un po' stiracchiato. Se Clinton venisse trovato colpevole, sapremmo che è un adultero (affari suoi); se Berlusconi venisse condannato, sapremmo che è un corruttore non occasionale (affari anche nostri, dal momento che s'atteggia a statista). (p. 154) *Mi permetto solo di aggiungervi qualcosa sull'imbecillità, l'ipocrisia e i vaniloqui delle nostre «anime belle» pronte a cadere in deliquio e a mobilitare le piazze per un O'Dell che, anche se qualche tenue dubbio sulla sua colpevolezza poteva sussistere, uno stinco di santo certamente non era, e per una Karla Tucker, rea confessa, anche se poi arcipentita e sinceramente convertita al credo della carità cristiana (e, sia chiaro, anch'io avrei per entrambi preferito la revoca della pena di morte); ma sono rimaste impassibili o quasi di fronte alla proposta condanna di lapidazione (di lapidazione!) di un cittadino tedesco e della sua compagna iraniana, rei di aver fatto l'amore (soltanto l'amore). Queste sono le nostre «anime belle» laiche ed ecclesiastiche, pronte a commuoversi e a sproloquiare contro la sedia elettrica americana [...], ma indifferenti alla lapidazione [...] per una «contaminazione» di lenzuola cristiane e musulmane. Io [...] queste anime belle – che oltre tutto hanno quasi sempre delle facce bruttissime e jettatorie – le odio di un odio viscerale. (p. 206) *Sul nemico vinto e che si riconosce vinto non s'infierisce. In fondo questi brigatisti hanno avuto, nella sconfitta, una loro dignità. Non sono dei «pentiti» al modo dei mafiosi e camorristi che si pentono per procurarsi dei vantaggi e denunziano i propri ex compari. Non sono dei delatori. Sono, a loro modo, dei prigionieri di guerra, di una guerra grazie a Dio finita con la nostra vittoria, e che quindi, sia pure con le debite precauzioni, possiamo rimandare a casa. Non è vero che non hanno pagato: me ne citi uno che non abbia scontato quindici o vent'anni di galera e che non ne abbia distrutta la vita. Qualche sconto possiamo farglielo: la generosità è segno di forza, non di debolezza. (pp. 283-284) *In una società «aperta» come la nostra, che rende impossibile qualsiasi controllo e in cui il sequestro è un'industria di antica tradizione che dispone di un personale altamente specializzato; e con una Giustizia che invece di affibbiare un ergastolo senza indulgenza ai colpevoli, si accontenta di infliggergli qualche anno alleviato dai permessi di libera uscita; cosa possono fare le forze dell'ordine? Starebbe a noi cittadini trovare quella di resistere al ricatto. Da noi italiani tenerelli non si può pretendere tanto? E sia. Ma allora abroghiamo la legge. Perché, come italiano, nulla mi ha mortificato di più che sentire [...] [[Giovanni Maria Flick|un ministro della Giustizia]] e alcuni dei più alti dignitari della toga proporne un'interpretazione che costituiva un chiaro invito a evaderla suggerendo il cavillo a cui ci si poteva aggrappare per legalizzare la contravvenzione. [...] No, a questo non ci sto. Cerchiamo almeno di avere il coraggio della nostra vigliaccheria riconoscendo che, dati i pericoli che possono comportare, i risoluti «No!» al sopruso non appartengono al nostro armamentario caratteriale, e aboliamo la legge. Ma non perché è sbagliata: in sé quella legge è sacrosanta. Ma perché noi cittadini non abbiamo la forza di adeguarcisi e coloro che dovrebbero imporcerne l'osservanza [...] ci suggeriscono il modo di evaderla. Questo è il cosiddetto «Paese reale». (p. 286) *Che un processo possa essere oggetto di revisione è, per il cittadino, una garanzia irrinunciabile, specie quando si tratta di processi indiziari, e quindi rimessi a valutazioni soggettive e pertanto sempre discutibili. Nessuno è infallibile, nemmeno i giudici, e quindi il diritto di appello è sacrosanto. Quello che sacrosanto non è, sono gl'interminabili tempi che questa operazione solitamente richiede, dovuti a due motivi chiaramente visibili: i grovigli procedurali in cui il processo è avvolto, delizia del genio cavillesco italiano, e l'inefficienza del personale che vi è addetto. (p. 327) *Che cosa io pensi dell'onorevole [[Cesare Previti|Previti]] mi pare di averlo detto in termini talmente espliciti da apparire – a più d'uno – brutali: un personaggio che solo a guardarlo in faccia verrebbe voglia di applicargli le manette ai polsi prima ancora di sapere chi è e cosa ha fatto. (p. 356) *Non credo che, all'apertura totale delle frontiere, avremo un Parma composto soltanto di irlandesi, o una Cremonese modello ellenico. Avremo invece un vero mercato, dove il costo e lo stipendio di un professionista verranno stabiliti in base alla domanda e all'offerta. È questo ridimensionamento, mi sa, che non piace ai calciatori nostrani. Non la «sottoutilizzazione delle risorse sportive nazionali e locali». Non penso che i nostri calciatori abbiano altri motivi di preoccuparsi. Perché mai dovrebbero venire accantonati? Sono tra i più bravi del mondo, e la bravura, per un professionista (che calci una palla o calchi una scena), è la garanzia migliore. (p. 379) *Le mie dimissioni da italiano sono soltanto quelle da una grande illusione: quella che l'Italia fosse una Patria da potere in qualche modo servire. Io, pur commettendo parecchi errori, ho cercato di farlo. Ma forse, di questi errori, il più grosso è stato quello di credere che fare si potesse. A consolarmene c'è una cosa sola: che questo errore lo hanno commesso tutti i migliori uomini che l'Italia ha avuto nel suo secolo e mezzo di vita unitaria. (pp. 410-411) ==''Pantheon minore''== ===[[Incipit]]=== '''Einaudi'''<br>Avendo saputo che sollecitavo l'onore e il piacere di incontrarlo, il Presidente, che non mi aveva mai visto, trovò del tutto naturale invitarmi a colazione. «Quando vuol venire?» mi fece chiedere, «giovedì mattina, per esempio?» Giovedì voglio stappare una nuova bottiglia del mio 'barolo' e ci sarà anche la signorina Barbara Ward dell{{'}}''Economist''. Vino piemontese, giornalismo ed economia politica, pensa: sarebbe difficile sorprendere [[Luigi Einaudi|Einaudi]] in una cornice più einaudiana di questa. ===Citazioni=== *{{NDR|Luigi Einaudi}} E in quei pochi minuti aveva ancora tante cose da dire a due giornalisti per ricordare loro, [[Alessandro Manzoni|manzonianamente]], che l'[[uomo]] è «buono», come dice [[Jean-Jacques Rousseau|Rousseau]], ma tale può diventare solo in grazia delle buone istituzioni (in ciò consiste la sua posizione conservatrice e cattolicamente pessimistica). *[[Ingrid Bergman]] è forse la sola persona al mondo che non consideri Ingrid Bergman un'attrice completamente riuscita e definitivamente arrivata. (p. 195) *Non ho mai visto in vita mia, nemmeno nei film di cui la Bergman è protagonista, una donna così trasparentemente pulita. (p. 195) *Ogni buon [[padre]] di [[famiglia]] deve, al principio della giornata, sapere quanto la famiglia ha in cassa e quanto può spendere.<br>Einaudi conosce a memoria le cifre dell'economia italiana, come i re che lo precedettero conoscevano a memoria i nomi e i motti dei reggimenti. *«''Venez, mademoiselle, venez''», disse [[Anatole France]] a [[Emma Gramatica]] che, poco più che ventenne, si trovò un giorno a viaggiare con lui in automobile a Palermo, e aveva paura di essere troppo ingombrante sul sedile. «''Vous êtes comme les anges, qui n'ont pas de derrière!''»<br>Qualcosa come mezzo secolo dev'esser trascorso da allora, ed Emma somiglia un po' meno a un angelo, ma grassa non la si può dire nemmeno adesso. La vita che mena, d'altronde, non lo consentirebbe di diventarlo. Alla sua età, ha girato per tre anni consecutivi, tutti i teatri dell'America del Sud, volando da Buenos Aires a Santiago, da Santiago a Lima, da Lima a Caracas, e recitando una sera in italiano e la sera dopo in spagnolo, lingua che, sino al momento di partire, ignorava totalmente. Ora è tornata per girare un film con [[Vittorio De Sica|De Sica]], e sono fatiche a cui molti giovani non resistono. *Il [[fascismo]] trovò, tra i suoi oppositori più accaniti, [[Mario Missiroli]], che si batté a duello con [[Benito Mussolini|Mussolini]]. Egli non credette alla [[forza]] e al successo delle «camicie nere» fino al [[giorno]] in cui, mentre cercava faticosamente di salire sul tram, uno squadrista che lo incalzava, dopo avergli inflitto una serie di spintoni, non gli ebbe affibbiato, in risposta alle sue proteste, due sonori schiaffi che gli fecero volar via gli occhiali cerchiati d'[[oro]]. Mario li raccolse con [[dignità]], vi fiatò sopra, li ripulì col fazzoletto e concluse in tono ammirativo: «Però!... Picchiano bene, veh!...» ==''Qui non riposano''== *{{NDR|Sulla [[guerra d'Etiopia]]}} Quella fu una guerra ideale, la guerra-tipo della borghesia italiana: con pochi morti e molte medaglie. Io presi a capirne la miseria solo all'ultimo capitolo: quando, per la marcia su Addis Abeba, cominciarono a piovere dall'Italia e da Asmara gerarchi e aspiranti gerarchi, smaniosi di gloria a buon mercato: e Badoglio dovette emanare un ordine per cui solo chi presentava "un biglietto di autorizzazione" poteva marciare sulla capitale nemica. Solo in tempo fascista si poteva escogitare un finale di guerra con un biglietto per la capitale nemica. (pp. 107-108) *Io non volevo far politica. Ha il diritto un uomo della strada di non far politica? Ha il diritto un uomo della strada a dire che il governo ha fatto bene a far questo e male a far quest'altro? Ha diritto un giornalista, che è un uomo della strada, il quale va a vedere e riferire le cose per conto degli altri uomini della strada, ha il diritto di riferire che i fatti si svolsero così e così, e che in essi c'era tanto il bello e tanto il brutto, tanto di giusto e tanto d'ingiusto? No, il [[fascismo]] disse che un uomo della strada non ha tutti questi diritti. Ecco perché diventai antifascista. Non perché al posto di [[Benito Mussolini|Mussolini]] ci volevo un altro, ma perché non ci volevo nessuno. Io volevo stare alla finestra, come stanno i giornalisti, mestiere di spettatore e non di attore.<ref>Citato in Paolo Granzotto, ''Indro Montanelli'', p. 92.</ref> (p. 189) *[...] volevo avere il diritto di non pensare alla [[politica]], di disinteressarmi della politica, perché la politica la gente dabbene non la fa. La gente dabbene lavora in ufficio, viaggia, commercia, produce, ama una donna che può anche essere sua moglie (come è il mio caso), ama i suoi figli, ama la sua casa, paga le tasse, e di politica ne parla un quarto d'ora al giorno. (p. 190) ==''Reportage su Israele''== *Il fenomeno più interessante è forse quello ch'è stato meno sottolineato dagli osservatori stranieri: le minoranze arabe disseminate nel [[Israele|Paese]] hanno abbandonato i loro notabili che facevano lista per conto proprio, e hanno votato per i partiti nazionali infischiandosi ch'essi siano completamente in mani ebraiche. Sarebbe come se gli altoatesini, invece che per la ''Volkspartei'', votassero per i partiti italiani. Il partito comunista, verso cui li spingeva Radio-Cairo, è sbaragliato. Evidentemente la politica d'integrazione applicata nei loro confronti ha avuto il più completo successo, malgrado la guerra fredda, e tavolta calda, in cui si ostinano le nazioni arabe contro Israele (o forse proprio per essa). (p. 6) *Probabilmente i pionieri di Degania non si resero conto dell'importanza di ciò che facevano o forse non osarono nemmeno sperare che quel loro esperimento ne avesse tanta. Erano imbevuti di quel socialismo umanitario d'ispirazione tolstoiana che allora permeava gli ambienti intellettuali russi dai quali provenivano. Ma un'idea la ebbero chiara di certo: e cioè che l'unico modo di radicarsi in quella che la Bibbia e la Tradizione indicavano come loro Patria era di mettersi a lavorare la terra. (pp. 14-15) *L'esercito naturalmente serve ad Israele per difendere le sue ardue frontiere, e ha dimostrato di saperlo fare in maniera superlativa; ma i suoi sforzi quotidiani li concentra sulla formazione, più che del soldato, del cittadino. Esso prende i giovani di ambo i sessi e di qualunque condizione a diciotto anni, e per due anni e mezzo gli uomini, due le donne, li rimescola, li tritura e li macina. Insegna non soltanto il maneggio delle armi, ma anche la lingua a chi non la sa e il mestiere a chi non lo ha. La mattina, dall'alba a mezzogiorno, è tutta dedicata all'addestramento fisico delle reclute. Ma il pomeriggio è diviso fra il lavoro e la scuola. La caserma è di tipo ''kibbutz'', dove ci si prepara a quel solidarismo della vita collettiva che è l'ideale di questo popolo. Ed è qui che si forma l'israeliano non più ''azkenazi'', non più ''sefardita'', ma nazionale. (pp. 28-29) *[[Theodor Herzl|Herzl]] non era che un giornalista, redattore della ''Neue Freie Presse'' di Vienna. A proprie spese, viaggiando in terza classe, si mise alla ricerca in tutto il mondo dei correligionari danarosi, la maggiorparte gli rise in faccia. Il "Fondo nazionale ebraico per la terra" di quattrini ne raccolse pochi. Ma Herzl non si diede per vinto. Cominciò a visitare anche i potenti, dal Kaiser al Sultano fino a Vittorio Emanuele e al Papa per interessarli al progetto. E, sebbene questo non avanzasse, nel 1898 scrisse nel suo diario: «La mia sembra una chimera. Ma fra cinquant'anni lo Stato ebraico sarà una realtà». Si può essere scettici quanto si vuole, sulle profezie. Ma bisogna constatare che dal 1898 al 1948 [...] corrono esattamente cinquant'anni. Gli unici miliardari ebrei che presero sul serio Herzl furono i Rothschild. Essi non diedero capitali al ''Fondo'' forse perché avevano qualche dubbio sulla sua efficienza [...], ma per conto loro comprarono tutto ciò che in Palestina, allora provincia ottomana, c'era di comprabile, eppoi lo regalarono agli ebrei che ci andavano, per sé serbando soltanto il pezzo di terra necessario a ospitare le proprie tombe. (pp. 33-34) *Il partito di Ben Gurion, il ''Mapai'', ha riportato, contro quasi tutti i pronostici, una smagliante vittoria. E ora lui, ''Bigì'', deve formare il ministero, operazione che si presenta piuttosto complicata anche qui in Isarele. [...] Non dico che detesti la politica; anzi, ne è intriso. Ma non ama, della politica, questo aspetto minore – che purtroppo è quello quotidiano – delle estenuanti contrattazioni, del piccolo cabotaggio, delle furberie, dei compromessi, o per lo meno così dice. E ogni tanto pianta baracca e burattini, e se ne va. Dove? In mezzo al deserto del Negev, si capisce. La sua Riviera è lì, in un ''kibbutz'' poco distante da Beersheba, circondato dalle dune di sabbia e dai cammelli dei beduini. Ci resta tre giorni, una settimana, due, senza che nessuno osi disturbarlo. (pp. 40-41) *Gerusalemme è la città che fa maggiormente le spese di questa situazione manicomiale, quella nuova in mani israeliane è divisa da quella vecchia in mani arabe non da una frontiera ma da un muro, reso impenetrabile dall'intolleranza. In teoria, essa dovrebb'essere internazionalizzata, e per questo le potenze occidentali si rifiutano di riconoscerla come capitale di Israele e vietano ai loro ambasciatori di risiedervi. Ma siccome Israele vi sta ugualmente accentrando i suoi ministeri, questi poveri ambasciatori sono costretti quasi quotidianamente a farvi il su e giù da Tel Aviv dove sono obbligati a risiedere e che ne dista comunque oltre settanta chilometri. [...] Così a Gerusalemme non ci sono, come rappresentanti stranieri, che dei consoli, accreditati imparzialmente presso le due autorità locali, il prefetto israeliano nella città nuova e il governatore arabo in quella vecchia. Sono gli unici che possono attraversare la porta di Mandelbaum. (pp. 49-50) *Israele è estremamente utile agli arabi, o per meglio dire ai capi arabi, da un lato per sostenere di fronte al mondo la grossa menzogna dell'unità araba, e dall'altro per combattere fra loro la battaglia dell'egemonia. […] Se questo odio ci sia veramente, non lo so. So soltanto ch'è l'unico filo che tiene cucita la "fraternità" araba: questa curiosa fraternità punteggiata di congiure, di attentati, di assassinii caineschi, tra "fratelli" di cui ognuno accusa l'altro di non esserlo abbastanza. (pp. 51-52) *Se l'esistenza d'Israele serve agli arabi per puntellare alla meglio la loro convenzionale unità, la minaccia araba ha servito agl'israeliani per fare ciò che senza di essa avrebbero ugualmente, fatto, ma in cinquant'anni invece che in dieci. Il blocco e il boicottaggio arabo hanno paradossalmente funzionato, per Israele, da piano quinquennale senza bisogno delle imposizioni poliziesche di un regime comunista. [...] Psicologicamente, la tensione senza intermittenze con gli arabi ha sortito e seguita a sortire sulla società israeliana gli stessi effetti che la "frontiera", cioè la conquista dell'Ovest, ha prodotto alla società americana, obbligandola a restare per decenni e decenni tuffata in un'atmosfera pioneristica. [...] Morale: ognuno ha il nemico che si merita. (pp. 55-56) *Gl'israeliani hanno piantato in poco più di dieci anni trenta o quaranta milioni di alberi. E bisogna vedere con che orgoglio te li mostrano, con che incantamento se li guardano, con che passione li annacquano, li potano e li pettinano. Le case non sono granché: le costruiscono in fretta, senza varietà, e piuttosto "alla carlona". Ma non ce n'è una, nemmeno nelle città, che non abbia un giardino e nel giardino, insieme ai fiori, i suoi alberi. (p. 59) *Il teatro ''yiddish'', che pure era un grande teatro, v'incontra poca fortuna. Esso era nato in Germania e in Polonia, come uno specchio deformante di quelle società che relegavano gli ebrei nel ghetto e che essi ripagavano con la caricatura. Ora che dal ghetto sono usciti, essi stessi non comprendono più il significato di quei ghigni e di quelle smorfie. Il pubblico che ci va è tutto dai quaranta in su. (p. 62) *Lo Stato mostra parecchia tenerezza [...] per quelle due o trecento famiglie di ortodossi acquartierati in Gerusalemme, che lo negano e si rifiutano perfino di votare perché nella Bibbia sta scritto che uno Stato ebraico sarebbe rinato solo dopo l'apparizione del Messia in Terra [...]. Questi protestanti assolvono anch'essi una funzione. Servono a dimostrare che in Israele alla Bibbia ci si crede. [...] Ben Gurion è un laico puro. E tutta laica è la nuova generazione. Non è vero che Israele sia uno Stato confessionale. Lo è meno dell'Italia. (p. 66) *Non so a che punto siamo con la letteratura e la poesia, qui in Israele. [...] Ora che hanno una lingua propria a disposizione, i giovani scrittori d'Israele la usano [...] su tutt'un altro registro. Intanto, hanno scoperto anch'essi la natura. [...] Essi erano amari e disperati quando scrivevano in tedesco o in russo. Ora che scrivono in ebraico, le loro parole sono piene di sole e di sangue: cioè di gioia di vivere, anche quando descrivono la morte. (pp. 67-68) *[[Golda Meir]] è la "madre del Paese", anzi la mamma. E con le mamme, si sa, complimenti non se ne fanno. Per questo la chiamano soltanto Golda, la salutano alla voce, invece di baciarle la mano, quando passa per strada, e insomma le danno del tu. Essa è la meno ossequiata, ma la più amata e popolare, di tutte le donne d'Israele. [...] Essa rappresenta la vecchia guardia, la fedeltà all'uomo, al suo socialismo democratico, al collettivismo del ''kibbutz'' nel quale è anche lei maturata. (pp. 70-74) *I Paesi asiatici non hanno visto di buon occhio la nazionalizzazione del Canale di Suez, anche se per pregiudiziali anticolonialistiche hanno dovuto appoggiare [[Gamal Abd el-Nasser|Nasser]] e fingere di applaudirla. [...] Tempo fa il dittatore egiziano, per ritorsione contro Ceylon che gli aveva votato contro all'O.N.U., le ha bloccato tutta l'esportazione del tè, conducendo quel Paese sull'orlo del fallimento. Domani potrebbe fare altrettanto contro la Birmania. Il Canale non rende all'Egitto che dieci milioni di dollari l'anno. Ma gli consente di ricattare tutti i Paesi asiatici, che per quella via devono ancora passare. (p. 80) *{{NDR|Nel 1956}} [[Moshe Dayan|Dayan]] aveva in quel momento quarant'anni. Egli diresse le operazioni da un piccolo aereo di ricognizione che guidò da solo tenendolo librato qualche centinaio di metri sulla zona di combattimento. [...] Quando, in fase di armistizio, si trattò di scambiare i prigionieri, gl'israeliani ne restituirono seimila, gli egiziani uno: un pilota che aveva dovuto atterrare dentro le loro linee. Dopodiché il generale dal volto di ragazzo, invece di sfilare in parata per le vie di Gerusalemme alla testa delle truppe vittoriose, svestì la divisa, diede le dimissioni dall'esercito, e si mise a fare l'archeologo, fino al giorno in cui Ben Gurion gli propose di portarsi candidato nelle liste del suo partito. (p. 88) *Per Israele, l'unico lato negativo della campagna del Sinai del '56 ha rischiato di essere proprio questo: il pericolo di un "complesso di superiorità" che poteva indurre alla smobilitazione non tanto delle armi, quanto degli animi. Il lettore italiano non saprà con quanta cura [...] Governo, Parlamento e stampa si sono adoperati per "minimizzare" quella folgorante vittoria, che qualunque altro popolo avrebbe annaffiato di chissà quali fiumi di retorica. (p. 101) *In Israele sono stati investiti [...] oltre sei miliardi di dollari. Ma oggi rendono, eccome. Questo non è uno dei tanti pozzi di San Patrizio arabi, dove prestiti e finanziamenti finiscono in ville satrapesche o vengono ritrasferiti pari pari nelle banche svizzere. Israele è una grande impresa industriale, dove ogni dollaro dell'azionista si è tradotto in un albero o in un telaio. Oggi Israele è effettivamente alla vigilia di una crisi: ma si tratta di una crisi di sovraproduzione. [...] Le materie prime d'Israele sono l'ingegno, la disciplina, la fede in se stessi. Ma ce n'è in tale abbondanza che sui risultati finali non possono sussistere dubbi. (pp. 102-103) *Dicono che quello israeliano è un regime di socialismo addomesticato. Sarà. Ma è l'unico socialismo volontario che io abbia visto in atto, l'unico che abbia raggiunto forme anche estreme di vita collettivizzata per spontanea scelta di chi deve subirne i non piccoli inconvenienti. Eppure, in pochi Paesi si respira a pieni polmoni la libertà come in Israele. Non vi conosco un ricco. Non vi conosco un povero. Ma soprattutto non vi conosco un servo. (p. 104) *[[Chaim Weizmann|Weizmann]] voleva fare di questo Paese un gabinetto scientifico, il focolare dell'intelligenza umana applicata alla tecnica, un'appendice del suo Istituto, meraviglia del mondo. Ma anche questo è parso troppo poco. Secondo altri, Israele deve trasformarsi nel laboratorio della coscienza ebraica per la ricerca di un nuovo Verbo in cui il mondo trovi pace, libertà e giustizia. Se mi avessero detto queste cose prima di andare in Israele, credo che anch'io ne avrei sorriso, come forse sorrideranno alcuni lettori. Ma sul posto ci si accorge quanto profondamente sentite esse siano. (p. 108) *Per liberare il mondo dagli ebrei e gli ebrei da se stessi [[Theodor Herzl|egli]] aveva pochi anni prima lanciato l'idea di adunare a Roma tutti i rabbini e farli convertire dal Papa. L'affare Dreyfus gli dimostrò che nemmeno questo sarebbe bastato. E allora egli si diede a predicare lo Stato ebraico: ma sempre per liberare il mondo dagli ebrei e gli ebrei da se stessi. Herzl era una delle più affascinanti personalità che l'ebraismo abbia mai prodotto […]. Le sue ''illuminazioni'' si sono dimostrate alla prova dei fatti più valide della logica e della ragione. Mi piace concludere questo rapporto sulle cose d'Israele rendendo omaggio a questo singolare profeta, che nelle sue sconnesse visioni, in mezzo a fallimenti di ogni genere, non solo previde la nascita dello Stato ebraico, ma gli assegnò con cinquant'anni di anticipo la data esatta (il 1948) e la ''missione'' che gli spettava: quella di ''sconfiggere'' gli ebrei liberandoli da se stessi, cioè da quel fardello di miserie e di dolori che per due millenni ne hanno fatto il più tragico popolo del mondo. (pp. 109-110) ==''Ricordi sott'odio''== *''Non piangete | per | [[Cesare Zavattini]] | ha già pianto | lui per tutti noi.''<ref name=ricordi>Il libro raccoglie gli "epitaffi" scritti su personaggi al momento viventi (talvolta insieme a [[Leo Longanesi]]) e quasi tutti inediti.</ref> (p. IV dell'Introduzione di Marcello Staglieno) *''Qui | per la prima volta | [[Alida Valli]] | giace | sola''.<ref name=ricordi/> (p. 11) *''Qui | riposa | [[Amintore Fanfani]] | amico | dei nemici | nemico | degli amici | figlio | di [[Alcide De Gasperi|De Gasperi]] | padre | di nessuno.''<ref name=ricordi/> (p. 31) *''Qui | riposa | [[Mario Melloni]] | inquieto | transfugo | di sé stesso | momentaneamente | scomparso | a sinistra | in cerca | di una croce | su cui | inchiodarsi.''<ref name=ricordi/> (p. 65) *''Qui giace | Alba {{ndr|[[Alba de Céspedes]]}} | scrittrice scialba. | Divorò uomini e gloria | La Boria | la divorò''.<ref name=ricordi/> (p. 95) *''Qui | riposa | [[Mario Soldati]] | padre | figlio | autore | regista | interprete | di | Mario Soldati.''<ref name=ricordi/> (p. 123) *''Qui giace | [[Davide Lajolo]] | Segretario federale | Legionario di Spagna | Repubblichino di Salò | chiese | di passare all'anilina | la sua camicia nera. | E com'era | Rimase.''<ref name=ricordi/> (p. 179) *''In pace | qui giace | orbato | d'orbace | [[Achille Starace]].''<ref name=ricordi/> (p. 181) ==''Soltanto un giornalista''== *Da quando ho cominciato a pensare, ho pensato che sarei stato un giornalista. Non è stata una scelta. Non ho deciso nulla. Il giornalismo ha deciso per me. E questa è stata una delle mie tante fortune, posto che tutto quel che ho fatto lo debbo soprattutto a un alleato ch'è sempre rimasto al mio fianco: il caso. (p. 5) *Per sua disgrazia, [[Massimo Bontempelli|Bontempelli]] fu nominato accademico d'Italia da un fascismo che puzzava già di morto. Eletto senatore nelle liste del Fronte popolare dopo la guerra, non esitò a pronunziare giudizi brucianti su chi aveva collaborato col regime. Quel voltafaccia gli costò caro, perché a un certo punto saltarono fuori le lettere che aveva scritto a Mussolini per impetrare la sua nomina: i comunisti lo scaricarono e lui cadde in un tale stato di prostrazione da morirne. (p. 26) *A Salò ci fu di tutto. Ci furono le squadracce assetate di vendetta e di saccheggio che provocarono il disgusto agli stessi tedeschi. Ma anche uomini per i quali quello fu il banco di prova d'una coerenza e d'una lealtà che non possono non incuter rispetto. E l'unica ragione per la quale benedico le mie cosiddette benemerenze antifasciste è che mi han dato il diritto di difenderle. (p. 119) *Il 2 giugno del '46, giorno del referendum istituzionale, votai per la monarchia. Lo feci perché ritenevo fosse pericoloso recidere il tenue filo che legava l'Italia all'unica sua tradizione nazionale: quella monarchica, appunto. L'Italia non s'era "fatta da sé", come pretendeva la nostra storiografia ufficiale. Era stata fatta dalla monarchia sabauda guidata dal genio diplomatico d'un suo diplomatico, Cavour, che voleva estendere il Regno di Sardegna al Lombardo-Veneto. Se poi ci scappò fuori l'Italia, non fu grazie al contributo degl'italiani, che non ne diedero punto. Fu perché la storia dell'Europa andava verso la costituzione degli Stati nazionali, e condannava a morte quelli plurinazionali come l'Impero austriaco. [...] Al posto di quel patrimonio, sia pure modesto, cosa prometteva la Repubblica? Si presentava come depositaria dei valori della Resistenza, un mito ancora più falso di quello del Risorgimento. Che non era stata affatto, come pretendeva d'essere, la lotta d'un popolo in armi contro l'invasore, bensì una lotta fratricida tra i residuati fascisti della Repubblica di Salò e le forze partigiane, di cui l'80 per cento si batteva (quasi mai contro i tedeschi) sotto le bandiere d'un partito a sua volta al servizio d'una potenza straniera. (pp. 125-126) *Un'altra scelta s'era imposta, quella delle elezioni del '48. Per l'Italia era una scelta vitale: o con l'Est o con l'Ovest, ossia con i totalitarismi rossi oppure con le democrazie occidentali. Ergo, o con il Fronte popolare oppure con la Dc. E lì ebbe inizio il mio dramma, ch'è poi quello eterno del laico italiano: il quale, messo davanti al boia, vede comparire al suo fianco il prete che solo può salvarlo. (pp. 135-136) *Mi proposi due obiettivi, entrambi falliti: il primo era farmi intentare un processo dagli amministratori della città che attirasse l'attenzione sui pericoli che [[Venezia]] stava correndo. Il secondo era rendere pubblica la convinzione che m'ero formato: che per salvare Venezia la prima cosa da fare era sottrarla allo Stato italiano e affidarlo a un organismo internazionale come l'Onu, con le sue cospicue possibilità finanziarie e i suoi agguerriti uffici tecnici. [...] Il Comune di Venezia non aveva più nulla di veneziano, salvo la sede. A dominarlo erano gli elettori di Mestre e Marghera, che con quelli di Venezia si trovavano nella proporzione di tre a uno, e dalla loro avevano tutto: i soldi delle industrie, i sindacati e quindi anche i partiti. Decidendo di restare amministrativamente unita, Venezia ha preferito mettersi al rimorchio delle ciminiere e petroliere di Marghera, alle quali ha sacrificato il suo delicatissimo sistema idraulico. Fu allora che, con grande amarezza, feci atto di rinunzia a Venezia, convinto come ero, e come son rimasto, che una città si può salvare solo se sono i suoi abitanti a volerlo. (pp. 216-217) *Una sera, uscendo solo soletto dal «Giornale», mi trovai davanti il solito muro di folla tumultuante con le bandiere rosse spiegate. Dalla piazza si levò un urlo: «Tel chi el Muntanel!». In un attimo cinquanta scalmanati mi s'avventarono contro. Temendo il linciaggio, arretrai fino a trovarmi con le spalle al muro. Ma non feci in tempo a dire be' che mi ritrovai issato in spalla a una mezza dozzina d'energumeni, fra salve d'evviva. Erano i tifosi del [[Torino Football Club|Torino]] che quel giorno {{NDR|16 maggio 1976}} aveva vinto lo scudetto, e le bandiere non eran rosse, ma granata. E siccome i cronisti sportivi del «Giornale» erano sempre stati favorevoli al Torino, m'acclamavano come un loro idolo. (p. 241) *La Dc era il partito dei maneggi e dell'inefficienze. Ma se avesse perso il 4 o il 5 per cento dei suoi voti, il partito di maggioranza relativa destinato a formare il nuovo governo sarebbe diventato quello comunista. Ch'era ancora molto pericoloso. Perché è vero che in Italia c'era Berlinguer, ma io sapevo bene che col comunismo d'allora poteva ancora succedere di tutto: bastava un cambiamento al vertice e un Berlinguer poteva diventare un [[Alexander Dubček|Dubček]] come un [[Walter Ulbricht|Ulbricht]]. Il «Giornale» era certamente laico, ma prima di essere laico era italiano, e cercava d'operare con qualche senso di responsabilità. E negli anni Settanta solo gl'irresponsabili potevano augurarsi il crollo della Dc, cui eravamo condannati anche perché la cosiddetta Alleanza laica, l'accordo fra Pli, Pri e Psdi, non sortì mai i numeri per sostituirvisi. (pp. 243-244) *Ci fu un'unica battaglia sulla quale il «Giornale» si trovò allineato con Craxi e il nostro editore: quello per la libertà d'antenna. Battaglia sacrosanta. Berlusconi è tutt'altro che un idealista disinteressato e nessuno sa agire come lui aggirando, quando non calpestando, le regole. Ma i panni nobili coi quali i difensori della Rai rivestivano la loro offensiva politico-giudiziaria erano grotteschi. Se il peccato di Berlusconi stava nell'essere troppo amico del Psi, quello della Rai era d'essere troppo amica di tutti i partiti. A fornirci il destro furono poi i pretori coi loro interventi oscurantisti, peraltro prontamente sventati dai decreti di Craxi. E quindi la crociata dell'etere libero, che rientrava fra l'altro nella nostra tradizione antistatalista, divenne una campagna contro il "pretore selvaggio", che con i suoi abusi toglieva ogni certezza del diritto al cittadino. (pp. 275-276) *Le vere novità erano nate fuori dal Palazzo: come la Lega di [[Umberto Bossi]]. Che all'inizio anche il «Giornale», come molti altri, sottovalutò. Come si faceva a prender sul serio un invasato che nutriva le sue invettive di sfondoni storici e grammaticali da far accapponare la pelle? [...] Che Roma fosse ladrona, era indubitabile. E l'avversione per la burocrazia parassitaria e per il meridionalismo piagnone e sprecone andava a nozze con le tradizioni del «Giornale». Bossi quindi incarnava un sentimento molto diffuso anche fra i nostri lettori, una protesta genuinamente qualunquista che, per certi versi, all'inizio anche noi appoggiammo. Ma dovemmo prenderne le distanze quando Bossi cominciò a condire le sue contumelie contro il Palazzo con propositi secessionisti. (pp. 279-280) *Con Berlusconi, tuttavia, poi feci pace. Fu lui a telefonarmi: forse, aveva captato in qualche mio articolo un'ombra di rimpianto per il vecchio amico. Era il '96 e dopo il ribaltone le cose per lui si mettevano di male in peggio. [...] Così, una sera mi ritrovai di nuovo seduto alla sua mensa ad Arcore. [...] Riparlammo senza rancore dei nostri trascorsi. Gli domandai quale garanzia avesse ricevuto da [[Massimo D'Alema|D'Alema]] sulle sue aziende in cambio dell'opposizione inesistente che gli assicurava. Rise. «Ma perché, ora che hai sistemato i tuoi affari, non ti chiami fuori dalla politica?» gli chiesi. «È una parola» mi rispose rabbuiandosi. «I giudici non obbediscono neppure a D'Alema». E lì capii quale era, ormai, la vera sostanza del suo dramma. (p. 312) *Se anch'io sono diventato europeista, è per disperazione: l'Europa è forse l'unica possibilità di sopravvivere per noi italiani, che come italiani non siamo riusciti a vivere. Questo è sempre stato l'europeismo degl'italiani di più alta coscienza, a partire da [[Alcide De Gasperi|De Gasperi]], che fu il primo a capire i rischi d'un Italia lasciata in balìa degl'italiani. (p. 315) *Pur fra tante fortune, purtroppo a me la sorte ha riservato di portarmi nella tomba le due cose che ho più amato: il mio mestiere e il mio Paese. Che cosa sia diventato il primo, annientato da computer e televisione, è sotto gli occhi di tutti. Quanto al secondo, la cancrena è ormai inarrestabile e la decomposizione sta avvenendo per dissoluzione di quel poco che resta dello Stato. E dico decomposizione, non secessione. La secessione si fa anche con la violenza, e dove lo troviamo oggi un solo plotone di soldati disposto a imbracciare le armi pro o contro l'Unità dello Stato? Che, se resta ancora in piedi, è solo perché non ha neppure la forza di cadere. Quello di rinunziare alla nazione poi, è un sacrificio che non saprei compiere, anche se razionalmente mi rendessi conto ch'è necessario, oppure inevitabile. E ringrazio l'anagrafe che mi esclude dal problema. (p. 316) ==''Storia d'Italia''== {{vedi anche|Indro Montanelli e Roberto Gervaso|Indro Montanelli e Mario Cervi}} ===''L'Italia giacobina e carbonara''=== *I [[cinismo|cinici]] sono tutti moralisti, e spietati per giunta. (cap. 10, p. 144) *[[Francesco Melzi d'Eril|Melzi]] apparteneva a una delle più grandi famiglie dell'aristocrazia lombarda, e ne portava nel sangue le doti migliori: la rettitudine, la cultura, la cortesia, ma anche una certa alterigia, che probabilmente gli veniva dalla madre spagnola. (cap. 11, p. 152) *{{NDR|Francesco Melzi d'Eril}} Aveva fatto parte dei circoli illuministici dei Serbelloni, dei Beccaria e di Pietro Verri, di cui era anche cognato. [[Napoleone Bonaparte|Napoleone]] lo aveva conosciuto al tempo della sua prima campagna d'Italia, dopo la battaglia di Lodi lo aveva invitato a Mombello, e ne aveva fatto il proprio consigliere. Quel signore che portava ancora il costume settecentesco, le calze bianche e la parrucca incipriata, gli piaceva. Gli piaceva perché non era servile, perché non era venale, perché non era nemmeno ambizioso. Una leggera sordità e una salute piuttosto precaria, insidiata da un forte artritismo, l'obbligavano a riguardi incompatibili con l'esercizio del potere. Più che il protagonista, preferiva fare il suggeritore. (cap. 11, p. 152) *L'unico che avesse qualità di uomo di Stato era il ministro delle finanze, [[Giuseppe Prina|Prina]], anche perché era piemontese, cioè veniva da un paese che uno Stato lo era da secoli. Ex procuratore generale della Corte dei Conti di Torino e membro del governo provvisorio del '99<ref>1799.</ref>, si era poi trasferito nella [[Repubblica Cisalpina|Cisalpina]] e ne aveva preso la cittadinanza. Non aveva un carattere che attirasse simpatie. Anzi, chiuso e freddo com'era, le respingeva. Ma era un lavoratore instancabile e scrupoloso, dotato di un acuto senso politico e – diceva [[Stendhal]] – "ha del grande in testa". (cap. 12, p. 164) *Perché non andassero perse neanche le briciole {{NDR|delle entrate della Repubblica Cisalpina}}, Prina riformò tutto il sistema fiscale riducendone il personale e facendone una macchina di straordinaria efficienza. Fu lui a inventare la "tassa di famiglia", o meglio a ripristinarla, perché la sua vera iniziatrice era stata [[Maria Teresa d'Austria|Maria Teresa]]. Ma la maggior pressione la esercitò nel campo delle imposte indirette che colpivano tutti i consumi senza distinguere fra quelli di lusso e quelli di prima necessità. Naturalmente a farne le spese furono soprattutto le classi popolari, che di lì a pochi anni gliel'avrebbero fatta pagare<ref>Prina, dopo l'abdicazione di Napoleone, fu linciato dalla folla a Milano il 20 aprile 1814.</ref>. Ma con questi sistemi riuscì a portare le entrate da settanta a oltre cento milioni e a pareggiare il bilancio. (cap. 12, p. 165) *[[Carlo II di Parma|Carlo Ludovico]] era stato talmente oppresso dalla madre<ref>Maria Luisa di Borbone-Spagna (1782–1824).</ref> che sognava di disfare tutto ciò ch'essa aveva fatto, compreso il proprio matrimonio; e quando le successe nel '24<ref>Come duca di Lucca nel 1824.</ref>, introdusse anche per buona fortuna dei lucchesi, metodi di governo diametralmente opposti a quelli di lei. Ridusse l'appannaggio che Maria Luisa esigeva per alimentare i suoi fasti spagnoli, liberalizzò i commerci, e alla fine si convertì addirittura al luteranesimo, mentre sua moglie diventava Terziaria domenicana. Fu un cattivo marito, ma non un cattivo sovrano. E Lucca, sotto di lui, respirò. (cap. 25, p. 375) *[...], {{NDR|la [[Carboneria]]}} non fu certo una scuola di educazione politica, e probabilmente è anche al suo esempio e modello che sono dovute le malformazioni della nostra democrazia e la sua intrinseca debolezza. Figli e nipoti dei Carbonari furono quei "notabili" che governarono l'Italia fino alla prima guerra mondiale e che, insieme a innegabili virtù, ebbero anche il vizio di considerare il Paese una "clientela" di Apprendisti esclusi dai "sacri travagli". (cap. 26, p. 395) *Fu qui {{NDR|al Teatro alla Scala}} che {{NDR|[[Ugo Foscolo]]}} vide [[Antonietta Fagnani Arese]], già famosa a ventitré anni non soltanto per la sua bellezza, ma anche per lo sfruttamento intensivo che ne aveva fatto. Probabilmente era una frigida, ma che sapeva recitare la sua parte: tutti i giovani più in vista di Milano cadevano nelle reti di questa Circe, e forse fu anche questo a stimolarlo. (cap. 35, p. 510) *Misto di genio e di ciarlatano, [[Domenico Barbaja|Barbaja]] aveva debuttato come sguattero, aveva fatti primi soldi inventando un dolce di panna e cioccolato, la "barbajada", li aveva moltiplicati con la gestione del Ridotto da giuoco della Scala, e ormai tanti ne aveva che quando il San Carlo andò distrutto da un incendio, lo ricostruì a proprie spese. (cap. 39, pp. 608-609) *{{NDR|Domenico Barbaja}} Era semianalfabeta, e di musica non conosceva una nota, ma conosceva il pubblico, era un infallibile scopritore di talenti, e nel 1815 si assicurò quello di un compositore ventitreenne, in cui già aveva identificato la figura più rappresentativa della lirica contemporanea: [[Gioacchino Rossini]]. (cap. 39, p. 609) *{{NDR|[[Ciro Menotti]]}} Uomo onesto, ma di un candore che sconfinava nella sprovvedutezza, [...]. (cap. 40, p. 635) ===''L'Italia del Risorgimento''=== *{{NDR|[[Giuseppe Mazzini]]}} Due mesi d'intenso lavoro gli bastarono a maturare il piano. Più che una setta, la sua organizzazione sarebbe stata un vero e proprio partito, anche se clandestino, senza l'oscura simbologia e i complicati rituali carbonari. Si sarebbe chiamata ''[[Giovine Italia]]'' e lo sarebbe stata anche di fatto perché, salvo casi eccezionali, era preclusa a chi avesse superato i quarant'anni di età. (cap. 4, pp. 54-55) *D'irresolutezza, [[Carlo Alberto di Savoia|Carlo Alberto]] aveva dato prova anche prima di salire sul trono, e lo aveva dimostrato anche il suo contraddittorio atteggiamento nel '21<ref>Nei moti piemontesi del 1821, Carlo Alberto aveva prima dato e poi ritirato il suo appoggio ai congiurati.</ref>. Il coraggio e la volontà non gli mancavano; ma gli mancava il carattere. Nella guerra di Spagna era stato un valoroso combattente<ref>Nel 1823, Carlo Alberto aveva partecipato alla campagna militare per ristabilire l'assolutismo regio in Spagna.</ref>, e la disciplina a cui si sottoponeva era spartana. Ma le responsabilità morali lo sgomentavano. (cap. 9, pp. 135-136) *{{NDR|Carlo Alberto}} Non era né intelligente né colto. Ma certi movimenti di opinione pubblica e orientamenti di pensiero li coglieva e ne restava influenzato. Nel '38 aveva mandato in galera e poi in esilio [[Vincenzo Gioberti|Gioberti]], ma nel '43 ne leggeva con interesse il ''Primato''. Se [[Massimo d'Azeglio|D'Azeglio]] avesse scritto il suo libro<ref>''Degli ultimi casi di Romagna'' (1846).</ref> due anni prima, avrebbe mandato in esilio anche lui. Ora in pratica ne aveva fatto una specie di agente segreto. I tempi insomma li sentiva e con essi andava. (cap. 9, p. 136) *Questo grande soldato {{NDR|[[Josef Radetzky]]}} non aveva mai conosciuto sconfitte, e a ottant'anni suonati conservava intatte prestanza fisica ed energia morale. Come tutti i militari, credeva soltanto nella spada e nella disciplina. Ma non somigliava affatto all'immagine che di lui ci ha tramandato la storiografia risorgimentale: quella del crudele "impiccatore", del caporalaccio ottuso, grossolano e brutale. Era al contrario un grande signore, di tratto ruvido ma generoso, perpetuamente alle prese con problemi di bilancio perché aveva le mani bucate. (cap. 13, p. 194) *{{NDR|Radetzky}} Aveva sposato una Contessa austriaca che viveva a Vienna e gli aveva dato otto figli da cui non gli venivano che dispiaceri. Uno militava ai suoi ordini lì a Milano, ma era un così cattivo arnese che un prete un giorno lo schiaffeggio per strada. Radetzky mandò a chiamare il prete, gli strinse la mano e gli disse: "''{{sic|Crazzie}}''". Per amante si era presa una brava stiratrice lombarda che sapeva cucinare bene gli gnocchi, di cui era ghiottissimo, e dalla quale ebbe altri quattro figli. Non era affatto un odiatore degl'italiani: tant'è vero che, quando andò in pensione, rimase a Milano, e lì morì nel '58. Era soltanto un fedele servitore del suo Paese, di cui non discuteva la causa. E soprattutto era un vecchio lupo di guerra coraggioso, astuto e risoluto. (cap. 13, p. 195) *La notizia si diffuse prima ancora che lo [[Statuto Albertino|Statuto]] fosse firmato, e in un battibaleno le piazze di Torino, eppoi di tutto il Piemonte, eppoi di tutto il Reame, si riempirono di folla esultante. Essa non conosceva il contenuto del documento che introduceva, sì, un regime rappresentativo, ma circondandolo delle maggiori cautele [...]. Più che del suo contenuto, la pubblica opinione era innamorata della parola ''Costituzione'', che aveva finito, per assumere ai suoi occhi magici significati, e la salutava con luminarie, canti e bandiere. (cap. 14, p. 218) *[...] [[Francesco Anzani|Anzani]], il più serio e autorevole degli esuli italiani, che aveva combattuto per la libertà in Grecia e in Spagna. Le sue parole avevano gran peso anche perché fra tutti quei chiacchieroni, ne pronunziava poche. (cap. 18, p. 281) *[...] [[Giuseppe Montanelli|Montanelli]] era così infatuato {{NDR|del progetto di Costituente italiana}} e tanto ne parlava nei suoi discorsi che il popolino – dicono – finì per credere che la Costituente fosse il nome di sua moglie. (cap. 19, p. 298) *[[Pellegrino Rossi|Rossi]] era un toscano della Lunigiana, ma solo all'anagrafe. Come formazione e mentalità, apparteneva ancora a quel tipo di {{sic|apòlidi}} che l'Italia del Settecento sfornava doviziosamente e che, non trovando in patria un terreno per i loro talenti, andavano da mercenari a investirli all'estero. Professore d'Università a poco più di vent'anni, poi commissario di [[Gioacchino Murat|Murat]] al tempo del suo infelice tentativo di unificare l'Italia sotto il suo scettro, era l'unico cattolico cui l'Accademia calvinista di Ginevra avesse mai affidato una cattedra. (cap. 19, p. 301) *{{NDR|Pellegrino Rossi}} Fu sin dal principio un fautore di [[Papa Pio IX|Pio IX]] fino a partecipare di persona alle manifestazioni popolari in suo favore, ma vide subito la pochezza e ambiguità dell'uomo e ne denunziò i pericoli. (cap. 19, pp. 302-303) *Sebbene gli avessero affidato pieni poteri, [[Daniele Manin|Manin]] era un uomo discusso. Molti lo consideravano un malaccorto maneggione, un improvvisatore digiuno di problemi economici e militari, bravo soltanto ad attribuirsi i meriti degli altri. Secondo [[Niccolò Tommaseo|Tommaseo]], ch'era fra i suoi più insidiosi diffamatori, il potere gli aveva dato "una scossa da intorbidargli la mente e far più grave e manifesta la sua inesperienza". (cap. 23, p. 354) *{{NDR|Daniele Manin}} Intellettualmente, non era al livello di un [[Giuseppe Mazzini|Mazzini]] o di un [[Carlo Cattaneo|Cattaneo]]. Ma era, come loro, inattaccabile sul piano morale. E, in mancanza di un vero e proprio potere carismatico, esercitava sulle folle un notevole fascino per la sua gioviale e arguta "venezianità". Parlava sempre in dialetto con battute raccattate sulla bocca dei gondolieri, e anche nel dramma portava un pizzico di [[Carlo Goldoni|Goldoni]]. I suoi limiti li conosceva, e non è vero che l'autorità gli avesse dato alla testa, come diceva Tommaseo che diceva male di tutti. Anzi la esercitava bonariamente e cercava di circondarsi di uomini validi che sopperissero alla sua incompetenza. (cap. 23, pp. 354-355) *Eran trascorsi pochi mesi {{NDR|dal suo matrimonio con Vittorio Emanuele}}, che [[Maria Adelaide d'Asburgo-Lorena|Maria Adelaide]] lo sorprendeva nel giardino di Moncalieri con una diva del teatro, Laura Bon, ma si guardò dal farne un dramma. Perfettamente educata al mestiere di Regina, essa sapeva che la rassegnazione alle infedeltà ne è parte imprescindibile, e le sopportò sempre con garbo e dignità. (cap. 25, p. 390) *Sfruttando la devozione di Carlo Alberto, [[Clemente Solaro della Margarita|Solaro della Margarita]] aveva regolato i rapporti con la Chiesa in modo tale da fare del clero piemontese il più potente d'Italia dopo quello dello [[Stato Pontificio|Stato pontificio]]. Esso aveva ancora i suoi tribunali in concorrenza con quelli dello Stato e poteva concedere il diritto d'asilo ai delinquenti. (cap. 26, p. 410) *[...] {{NDR|Giuseppe}} Montanelli, gran galantuomo e ricco d'ingegno, non lo era altrettanto di carattere. Idee ne aveva, anzi ne aveva troppe; ma, facilmente suggestionabile, finiva sempre per adottare quelle dell'ambiente in cui viveva. (cap. 29, pp. 464-465) *Il primo a trarne le conclusioni {{NDR|dalle tesi favorevoli alla monarchia piemontese esposte nel libro di [[Vincenzo Gioberti|Gioberti]] ''Del rinnovamento civile d'Italia''}} fu [[Giorgio Pallavicino Trivulzio|Pallavicino]], l'ex prigioniero dello Spielberg, da un pezzo rifugiato a Torino. Di scarso cervello politico, impetuoso fino alla leggerezza, teatrale e un po' troppo portato a ostentare i suoi titoli di "martire", aveva fino allora militato sotto bandiera rivoluzionaria. (cap. 32, p. 514) *{{NDR|Tra i Mille di Garibaldi}} C'era il malinconico ex prete [[Giuseppe Sirtori|Sirtori]], che della guerra aveva fatto una mistica e sul campo sembrava che officiasse. (cap. 40, p. 635) ===''L'Italia dei notabili''=== *La [[Convenzione di settembre|Convenzione]], che fu detta "di Settembre" dal mese in cui venne concordata, si componeva di cinque articoli e stabiliva: che l'Italia rinunziava ad ogni atto di ostilità contro il territorio pontificio; che la Francia ne avrebbe ritirato le sue truppe via via che il governo del Papa le avesse rimpiazzate con volontari indigeni e stranieri, e comunque entro due anni; e che questo doppio impegno sarebbe entrato in vigore dal momento in cui il governo italiano avesse decretato il trasferimento della capitale da operarsi nello spazio di sei mesi. (Capitolo quinto, Firenze capitale, p. 76) *Gli sventramenti che furono operati {{NDR|a Firenze, nuova capitale del Regno d'Italia}} per alloggiare i Ministeri e i nuovi quartieri che sorsero alla periferia per ospitare i venticinque o trentamila impiegati che calarono da Torino, lasciarono la città orrendamente sfregiata e carica di debiti. (Capitolo quinto, Firenze capitale, p. 78) *{{NDR|[[Carmine Crocco]]}} [...] condannato per diserzione a vent'anni di carcere, ne era evaso, si era dato alla macchia, e in poco tempo era diventato il più temuto e rispettato capobanda della [[Basilicata|Lucania]] non soltanto per il suo coraggio, ma anche per la sua intelligenza di guerrigliero.</br>[...] Crocco venne riconosciuto Generalissimo non solo per l'autorità che gli conferivano le sue gesta, ma anche, perché, sebbene mezzo analfabeta, possedeva un'oratoria immaginosa e apocalittica. (Capitolo sesto, I briganti, pp. 85-89) *{{NDR|[[Giustino Fortunato]]}} [...] il più grande e illuminato studioso del Meridione. (Capitolo sesto, I briganti, p. 86) *Figlio di un fabbro e medico di professione, [[Giovanni Lanza|Lanza]] incarnava, nella Destra piemontese tradizionalmente formata da nobili, militari e grandi borghesi, un tipo umano del tutto insolito: il nuovo piccolo ceto medio, spartano e puritano, formatosi nelle scuole serali e nell'Università popolare. (Capitolo nono, Gli anni della lesina, p. 133) *L'esercito papalino era un'accozzaglia di mercenari delle più svariate nazionalità (c'erano perfino dei turchi). [...] circa 15.000 uomini, al comando del generale [[Hermann Kanzler|Kanzler]]. Compito gentiluomo, ligio al Regolamento come lo era al Catechismo, questi aveva tuttavia un concetto tedesco dell'onore militare e avrebbe preferito una sconfitta a una resa. Ma {{NDR|Il segretario di Stato}} Antonelli non era di questa opinione. Gli ordinò di ritirare le truppe {{NDR|pontificie}} dentro le mura e di limitarsi a un simulacro di resistenza. (Capitolo decimo, Porta Pia, pp. 141-142) *{{NDR|La duchessa [[Eugenia Attendolo Bolognini Litta|Eugenia Litta]]}} Durante la campagna del '59<ref>Seconda guerra d'indipendenza italiana.</ref> era stata il riposo del guerriero più famoso e importante: [[Napoleone III di Francia|Napoleone III]]. E secondo le malelingue era passata subito dopo in eredità a [[Vittorio Emanuele II di Savoia|Vittorio Emanuele]], che però era il meno adatto ad apprezzare la sua vita di vespa, le sue carni pallide e i suoi raffinatissimi gusti. [[Honoré de Balzac|Balzac]] le aveva reso omaggio. [[Arrigo Boito|Boito]] seguitava a rendergliene. [[Gabriele D'Annunzio|D'Annunzio]] dirà ch'essa "aveva rubato il segreto a Ninon de Lenclos<ref>Scrittrice, cortigiana ed epistolografa francese (1620–1705).</ref>". Insomma come iniziatrice all'amore, il giovane principe {{NDR|il futuro [[Umberto I di Savoia|Umberto I]]}} non poteva desiderarne una più fascinosa ed esperta. Lo fu al punto che, nonostante la differenza d'età, egli le rimase devoto – anche se non fedele – fino alla fine dei suoi giorni. (Capitolo quattordicesimo, Il marito di Margherita, p. 196) *{{NDR|[[Margherita di Savoia]]}} [...] era una vera e seria professionista del trono, e gl'italiani lo sentirono. Essi compresero che, anche se non avessero avuto un gran Re, avrebbero avuto una grande Regina. (Capitolo quattordicesimo, Il marito di Margherita, p. 197) *Il trattato {{NDR|della [[Triplice alleanza (1882)|Triplice alleanza]]}} fu firmato a Vienna nel maggio dell'82<ref>20 maggio 1882.</ref>. Esso impegnava le tre Potenze al reciproco aiuto nel caso in cui una fosse aggredita e alla benevola neutralità nel caso che aggredisse. Inoltre Austria e Germania dichiaravano di disinteressarsi del problema del Papa, considerandolo un affare interno italiano.<br>Quest'ultima clausola fu, insieme alla fine dell'isolamento, il grande vantaggio che l'Italia trasse dal patto, ma nient'altro. Essa non vi era entrata su un piede di parità con le consocie. Aveva semplicemente acceduto all'alleanza che già legava le altre due, le quali restavano per così dire le padrone di casa, e Bismarck non perse occasione di farcelo sentire. (Capitolo diciannovesimo, La Triplice, pp. 276-277) *L'unico Stato che ruppe le relazioni con quello italiano in seguito a [[Presa di Roma|Porta Pia]] fu l'Ecuador. Mai la Chiesa si era trovata in condizioni di più completo isolamento. (Capitolo ventitreesimo, I cattolici, p. 334) *Sindaco di Palermo a ventisette anni, {{NDR|[[Antonio Starabba, marchese di Rudinì|il marchese di Rudinì]]}} aveva affrontato con molto coraggio la rivolta che vi era scoppiata nel '66, e questo lo aveva accreditato come il fanciullo-prodigio del moderatismo, destinato a gloriose imprese. Ma, diceva De Sanctis, col passare del tempo, il prodigio dileguò e rimase solo il fanciullo. Ministro degl'Interni a trent'anni in uno dei governi Menabrea, la sua carriera si era fermata lì. Pure, la fama di "uomo forte" gli era rimasta addosso, suffragata anche dalla sua alta statura, dai lampeggiamenti del monocolo, dalla fluente barba, dalla nobilesca alterigia. Idee, non ne aveva. Ma aveva delle impennate che facevano credere alla sua risolutezza. E questo, in una Destra impoverita di personalità di rilevo, gli era bastato per guadagnarsi i galloni di capo. (Capitolo ventiquattresimo, Giolitti, pp. 348-349) *In realtà, del soldato, [[Oreste Baratieri|Baratieri]] non aveva neanche il fisico. Grasso e sgraziato, con gli occhiali a ''pince-nez'', sembrava molto più vecchio dei suoi cinquant'anni e costruito più per la cattedra che per l'elmo. (Capitolo ventisettesimo, Adua, p. 391) *{{NDR|Dopo le dimissioni del generale [[Luigi Pelloux|Pelloux]]}} A succedergli il Re chiamò il Presidente del Senato [[Giuseppe Saracco|Saracco]], un galantuomo ch'era riuscito a conservare intatta la sua reputazione di democratico pur essendo stato due volte Ministro nei governi di Crispi. Aveva quasi ottant'anni, ma conservava una notevole lucidità di cervello, e ne dette prova formando un governo di coalizione che includeva un po' tutte le forze, meno l'Estrema cui diede tuttavia soddisfazione chiamando parecchi suoi uomini nella commissione incaricata di studiare un nuovo regolamento parlamentare che, senza intaccare la libertà di discussione, impedisse l'ostruzionismo, o per meglio dire lo regolasse. (Capitolo ventottesimo, I cannoni di Bava Beccaris, p. 417) ===''L'Italia di Giolitti''=== *Si è detto che {{NDR|[[Egidio Osio]]}} plagiò il suo pupillo {{NDR|il principe ereditario, futuro re [[Vittorio Emanuele III di Savoia|Vittorio Emanuele III]]}} e ne lesionò definitivamente il carattere terrorizzandolo e mortificandone gli slanci. Si è detto che anche sul suo fisico ebbe pessima influenza costringendolo a penosi e logoranti sforzi. Si è detto che furono i suoi metodi repressivi a creare nel Principe quei complessi d'inferiorità da cui fu sempre afflitto, a traumatizzarlo, a inaridirlo, a riempirne l'animo di sordi rancori.<br>Ma se non proprio di falsità, si tratta di verità contraffatte. (cap. I, Il nuovo Re, p. 15) *Militare dalla testa ai piedi, Osio era un uomo duro, imperioso, abituato al comando. [...] Ma era anche un gran signore, perfetto uomo di mondo, e nutrito di buone letture. Sebbene la sua carriera potesse esserne notevolmente avvantaggiata, esitò molto ad accettare l'incarico {{NDR|di tutore del principe ereditario}}, vi si risolse solo dietro garanzia che nemmeno i genitori avrebbero più interferito nell'educazione del ragazzo, di cui egli diventava unico e assoluto responsabile, e al termine della sua missione non beneficiò di nessuno "scatto di grado". (cap. I, Il nuovo Re, pp. 15-16) *[[Elena del Montenegro|Elena]], che da ragazza dipingeva, suonava il violino, componeva poesie come suo padre<ref>Nicola I del Montenegro.</ref>, e amava il tennis e la danza, rinunziò a questi passatempi appena vide che lui {{NDR|il futuro Vittorio Emanuele III}} li detestava, anzi adottò come ''hobbies'' quelli di lui: la numismatica e l'archeologia. Per il resto fu soltanto una donna di casa, come lo era stata a Cettigne<ref>Capitale del Regno del Montenegro.</ref>. Sapendolo insofferente dei camerieri, era lei che lo serviva a tavola, e per farsi i vestiti si prese in casa una sartina. (cap. I, Il nuovo Re, p. 27) *[[Filippo Meda|Meda]] era un avvocato milanese di spirito pratico, che considerava l'astensione dal voto {{NDR|dei cattolici}} un dovere da osservare finché il Papa lo imponeva, ma un grosso errore strategico di cui occorreva sollecitare la revoca. Lo Stato liberale, diceva, c'è e va accettato. Va soltanto salvato dalle sue tentazioni autoritarie e giacobine. E questo i cattolici possono farlo soltanto inserendocisi e riformandolo in modo da tenerlo al riparo dai pericoli d'involuzione. Lo Stato cioè per lui era un "peccatore da salvare". (cap. IV, Cattolici e socialisti, p. 72) *[...] [[Romolo Murri|Murri]] era un giovane sacerdote marchigiano, che aveva conosciuto la povertà e nel Vangelo vedeva soprattutto un messaggio giustizialista. Introverso e malinconico come tutti i fanatici, egli si considerava molto più "avanzato" di Meda per il carattere rivoluzionario che intendeva imprimere al movimento {{NDR|cattolico}}. In realtà era un uomo del ''[[Sillabo]]'' che, pur partendo anche lui dall'accettazione dello Stato unitario, intendeva tramutarlo in una [[teocrazia]] egalitaria e totalitaria, sul tipo di quella che i Gesuiti avevano fondato un paio di secoli prima nel Paraguay. Se a ispirarlo fosse più l'amore del povero o l'odio del ricco, non sappiamo. (cap. IV, Cattolici e socialisti, pp. 72-73) *Meda e Murri furono dapprincipio alleati. Entrambi volevano un grande partito, popolare indipendente dalla Chiesa. Ma Meda lo concepiva come lo sviluppo della organizzazione tradizionale, cioè dell'''Opera''<ref>"Opera dei congressi e dei comitati cattolici", spesso abbreviata in "Opera dei congressi", organizzazione cattolica italiana, sciolta nel 1904.</ref>, una volta strappatala alla vecchia guardia, mentre Murri lo vedeva come un organismo nuovo, un "Fascio", come quelli che pochi anni prima avevano messo a soqquadro e insanguinato la Sicilia. (cap. IV, Cattolici e socialisti, p. 73) *Lo [[Sciopero generale del 1904|sciopero {{NDR|generale del 1904}}]] [...] non fu un fallimento, ma non fu nemmeno un successo perché si esaurì spontaneamente, e il suo più consistente risultato fu la spaccatura delle forze operaie. Lo si vide pochi mesi dopo, quando i sindacalisti bandirono un altro sciopero, quello delle ferrovie, da cui i sindacalisti uscirono demoralizzati e con la truppa dimezzata. (cap. IV, Cattolici e socialisti, p. 85) *[[Alessandro Fortis|Fortis]] era un tipico notabile romagnolo di lungo e contradditorio corso ideologico. Aveva debuttato come repubblicano intransigente, era andato in galera per complotto rivoluzionario con gli anarchici, poi era stato conquistato da [[Francesco Crispi|Crispi]], era finito {{sic|Ministro}} di [[Luigi Pelloux|Pelloux]], e ora militava sotto la bandiera di [[Giovanni Giolitti|Giolitti]]. Come "trasformista", era tra i più qualificati. Ma questa pecca era abbondantemente compensata dai suoi doni di simpatia umana e da una grande esperienza parlamentare. (cap. VI, Il suffragio universale, p. 107) *Quando [[Enrico Corradini|Corradini]] applicò il vocabolario socialista alla Nazione parlando di una "Italia proletaria" in lotta contro le plutocrazie occidentali, e lanciò l'idea di un "imperialismo operaio" da contrapporre a quello capitalistico, riscosse in campo sindacalista vasti consensi e pose le premesse di un pasticcio ideologico in cui Mussolini avrebbe di lì a poco guazzato. (cap. VII, "Tripoli bel suol d'amore", p. 137) *{{NDR|Giolitti}} Più che la Libia, voleva la [[Guerra italo-turca|guerra]], o meglio qualcosa che desse finalmente agl'italiani l'impressione di farne una e di vincerla. (cap. VII, "Tripoli bel suol d'amore", p. 145) *[...] a Vienna l'imperatore Francesco Giuseppe aveva dovuto intervenire di persona per fermare la mano al Capo di Stato Maggiore [[Franz Conrad von Hötzendorf|Conrad]] che voleva una spedizione punitiva contro l'Italia, ora ch'era impegnata in Africa {{NDR|nella guerra di Libia}}, per metterla in ginocchio "prima che avesse il tempo di perpetrare altri tradimenti". (cap. VII, "Tripoli bel suol d'amore", pp. 149-150) *Non si è mai saputo con certezza come si svolse l'operazione {{NDR|del [[patto Gentiloni]]}} che, ben s'intende, doveva restare segretissima. Giolitti negò sempre di avervi partecipato, e infatti d'impronte digitali non ve ne lasciò. Fu probabilmente senza le sue credenziali, ma certamente non senza il suo beneplacito che qualche esponente liberale prese contatto coi cattolici. Questi avevano una "unione elettorale" di cui era Presidente un Conte marchigiano, [[Vincenzo Ottorino Gentiloni|Gentiloni]], politico abile, ma vanesio e chiacchierone. Egli s'impegnò a mobilitare il voto cattolico in favore dei candidati liberali dovunque questi fossero minacciati dalla Estrema Sinistra; e i liberali s'impegnarono a difendere la parificazione delle scuole confessionali a quelle dello Stato, a ripristinare in queste ultime l'istruzione religiosa, a respingere l'introduzione del divorzio, e – pare – a combattere la Massoneria. (cap. VIII, Il crepuscolo degli dei, p. 163) *Se [[Gaetano Salvemini|Salvemini]] incarnava lo spirito protestatario e la sete giustizialista delle plebi meridionali, [[Antonio Salandra|Salandra]] incarnava lo spirito autoritario e conservatore della borghesia terriera. Proveniva da una famiglia di notabili pugliesi con parecchia roba al sole, e alla politica era approdato dalla cattedra universitaria, di cui conservava molti caratteri: una notevole cultura e finezza intellettuale, ma anche un compassato distacco che rasentava la freddezza. Prima di affrontare un problema lo studiava minuziosamente, e nessuno sapeva prospettarlo con più chiarezza di lui. (cap. IX, Sarajevo, p. 168) *[[Paolo Boselli]] {{NDR|incaricato nel 1916 di formare il nuovo governo dopo le dimissioni di Antonio Salandra}}, che fu chiamato a presiederlo, possedeva tutti i requisiti, meno quelli che occorrono per guidare un Paese in guerra. Deputato ligure da parecchie legislature, era stato varie volte Ministro con Crispi, Pelloux e Sonnino, ma nessuno se n'era accorto. [...]. Passava per un esperto di questioni economiche, e moralmente era un personaggio di tutto rispetto. Ma politicamente era scolorito, e per di più aveva quasi ottant'anni. (cap. XVI, La caduta di Salandra, pp. 293-294) *Quanto [[Luigi Cadorna|Cadorna]] era solitario, monacale ruvido e chiuso in un giro di valori e d'idee tradizionali, tanto [[Luigi Capello|Capello]] era brillante, estroverso, moderno, ricco d'immaginazione e maestro di "pubbliche relazioni". (cap. XVI, La caduta di Salandra, pp. 298-299) *Lucano di Melfi, [[Francesco Saverio Nitti]] incarnava anche nel fisico tozzo e grassottello il tipo del notabile meridionale, colto, brillante, scettico e alquanto egocentrico. [...] la sua specialità era il problema del Mezzogiorno, di cui fu tra i primi seri studiosi e che gli fornì anche la base elettorale. [...]. Sul livello medio della classe politica di allora, egli faceva spicco per preparazione, equilibrio e lucidità, ma anche per una certa propensione ad attribuirsi il monopolio di queste virtù. (cap. XXIII, Versaglia, pp. 420-421) ===''L'Italia in camicia nera''=== *Un altro utile incontro fu per Mussolini quello con [[Angelica Balabanoff]], personaggio già di notevole rilevo nel socialismo internazionale. Era una russa di buona famiglia borghese, che fin da giovanissima si era imbrancata con quella ''intellighenzia'' rivoluzionaria da cui venivano anche i Lenin, i Trotzky, e gli altri futuri grandi del bolscevismo. A spingerla era stata la ribellione contro la meschinità, lo snobismo provinciale, il sussiego di casta, i tabù del suo ceto. (cap. 1, p. 23) *Angelica {{NDR|Balabanoff}} non era bella, non aveva la grazia eterea ed esangue di Anna {{NDR|[[Anna Kuliscioff|Kuliscioff]]}}. Ma non era nemmeno sgradevole, nonostante i fianchi massicci e gli zigomi pronunciati, eppoi era una russa, cosa che faceva un grande effetto al piccolo provinciale di Predappio<ref>Mussolini era nato a Dovia, frazione di Predappio.</ref>. Anche se fra loro non divampò la passione che aveva legato Anna ad [[Andrea Costa]], qualcosa ci fu, ed ebbe la sua importanza. Angelica cercò d'incivilire quel selvaggio trasandato che passava da ostinati mutismi a interminabili sproloqui conditi di orrende bestemmie. Lo sfamava, gli lavava la biancheria, lo iniziava, sia pure con poco successo, al marxismo [...]. (cap. 1, p. 25) *Uno dei tre protagonisti del giuoco {{NDR|[[Gabriele D'Annunzio]]}} era eliminato. La partita ora si riduceva agli altri due: Giolitti e Mussolini. (cap. 1, p. 101) *Mussolini aveva vinto, e la sua vittoria significava che il fascismo, abbandonata la pretesa di presentarsi come un movimento rivoluzionario di sinistra, quale lo avrebbero voluto Grandi, Farinacci e Marsich, presentava la sua candidatura a forza egemonica della destra e infilava la «via parlamentare» al potere.<br>C'era un pericolo, e Mussolini lo capì subito: che questa svolta a destra mettesse il partito alla mercé della sua ala reazionaria incarnata soprattutto dal ''ras'' piemontese [[Cesare Maria De Vecchi|De Vecchi]], uomo di poco cervello, ma tutto Trono e Altare, e che quindi poteva anche tornar comodo per il futuro. (cap. 2, p. 127) *[...], i giolittiani riuscirono a portare al governo uno dei suoi {{NDR|di Giolitti}} «ascari» più fedeli, ma anche dei più sbiaditi: [[Luigi Facta]].<br> Facta era un bravo avvocato di provincia piemontese con tutte le virtù, ma anche con tutti i limiti del suo ambiente: un uomo probo e integro, che dopo trent'anni di vita parlamentare ne aveva ormai una certa esperienza, aveva ricoperto con onore alcune cariche ministeriali, non aveva alcuna ambizione che quella di servire fedelmente il suo capo, né altre idee che quelle di lui. Tutto gli si poteva chiedere fuorché risolutezza ed immaginazione, cioè proprio le qualità che più urgevano. (cap. 2, pp. 143-144) *[...] le sue intenzioni {{NDR|Mussolini}} non le confidava nemmeno al segretario del partito, [[Michele Bianchi|Bianchi]], di cui apprezzava la fedeltà e l'impegno, ma non l'intelligenza: lo considerava angoloso, settario, puntiglioso vendicativo e privo d'intuito politico. L'unico con cui si apriva seguitava ad essere [[Cesare Rossi]], l'uomo che gli era stato accanto dal primo momento, lo aveva seguito in tutte le sue palinodie e gli dava sempre dei consigli che corrispondevano ai suoi desideri. (cap. 4, p. 166) *{{NDR|[[Vittorio Emanuele III]]}} non si fidava completamente di Mussolini, ma si fidava ancora meno dei suoi avversari ed era convinto che costoro, se avessero preso il mestolo in mano, avrebbero ricreato il caos del dopoguerra. Comunque, a una cosa era assolutamente deciso: a non farsi coinvolgere nella lotta politica, come del resto gli dettava la Costituzione di cui, quando gli faceva comodo, sapeva ricordarsi. ====[[Explicit]]==== *Resterebbe solo da sapere con che animo Mussolini s'investì, il 3 gennaio, nella parte di dittatore. Se, come molti sostengono, gli sforzi che fino a quel momento aveva fatto per evitarla erano stati solo un giuoco per dimostrare che non era lui a volerla, ma gli eventi ad imporgliela, bisogna riconoscere che come {{sic|giuocatore}} sapeva il fatto suo. ==''Storia dei Greci''== *Il modo migliore per ripagare il nostro contemporaneo [[Heinrich Schliemann|Enrico Schliemann]] degli enormi servigi che ci ha reso nella ricostruzione della civiltà classica, mi pare sia quello di assumerlo fra i suoi protagonisti, com'egli stesso mostrò di desiderare ardentemente, scegliendosi, in pieno secolo decimonono, [[Zeus]] come dio e a lui indirizzando le sue preghiere, battezzando [[Agamennone]] suo figlio, Andromaca sua figlia, Pélope e Telamone i suoi servitori, e dedicando a [[Omero]] tutta la sua vita e i quattrini. (cap. 2; 2004, p. 17) *{{NDR|Su [[Heinrich Schliemann|Schliemann]]}} Era un matto, ma tedesco, cioè organizzatissimo nella sua follia, che la buona sorte volle ricompensare. La prima storia che gli raccontò suo padre, quando aveva cinque o sei anni, non fu quella di [[Cappuccetto Rosso]], ma quella di [[Ulisse]], di [[Achille]] e di Menelao. Ne aveva otto, quando annunziò solennemente in famiglia che intendeva riscoprire Troia e dimostrare, ai professori di storia che lo negavano, ch'essa era realmente esistita. Ne aveva dieci, quando compose in latino un saggio su questo argomento. E ne aveva sedici, quando sembrò che questa infatuazione gli fosse del tutto passata. Infatti s'era impiegato come garzone di una drogheria, dove scoperte archeologiche non c'era da farne di certo, e di lì a poco s'imbarcò non per l'Ellade, ma per l'America, in cerca di fortuna. (cap. 2; 2004, p. 17) *Di nuovo il buon Dio, che per i matti ha un debole, lo compensò di tanta fede, guidando il suo piccone sugli scantinati del palazzo dei discendenti di re Atreo, nei cui sarcofaghi furono ritrovati gli scheletri, le maschere d'oro, i gioielli e il vasellame che si ritenevano esistiti solo nella fantasia di Omero. E Schliemann telegrafò al re di Grecia: ''Maestà, ho ritrovato i vostri antenati''. Poi, ormai sicuro del fatto suo, volle dare il colpo di grazia agli scettici del mondo intero e, sulle indicazioni di [[Pausania]], andò a Tirinto e vi disseppellì le ciclopiche mura del palazzo di Proteo, di Perseo e di [[Andromeda|Andròmeda]]. (cap. 2; 2004, pp. 19-20) *Schliemann morì quasi settantenne nel 1890, dopo aver sconvolto tutte le tesi e le ipotesi su cui si era basata sino ad allora la ricostruzione della preistoria greca, tesa ad esiliare Omero e Pausania nei cieli della pura fantasia. (cap. 2; 2004, p. 20) *Ma ora, dopo le scoperte del tedesco matto, non abbiamo più il diritto di mettere in dubbio la realtà storica di Agamennone, di Menelao, di [[Elena]], di [[Clitennestra]], di Achille e di Patroclo, di Ettore e di Ulisse, anche se le loro avventure non sono state esattamente quelle che Omero ha descritto, facendoci sopra la cresta. Schliemann ha arricchito la storia e impoverito la leggenda, di alcune decine di personaggi di primissimo piano. Grazie a lui alcuni secoli, che prima erano nel buio, sono entrati nella luce, anche se è quella incerta della primissima alba. Ed è solo per mano a lui che possiamo esplorarla. (cap. 2; 2004, p. 21) *Senza dubbio gli [[achei]], a differenza dei pelasgi, furono terrieri, tant'è vero che fino alla guerra di Troia imprese per mare non ne azzardarono, e ogni volta che lo trovavano si fermavano. Essi non tentarono di mettere il piede nemmeno nelle isole più vicine al continente, e tutte le loro capitali e cittadelle erano nell'interno. La Grecia, sotto di loro, si limitava al Peloponneso, all'Attica e alla Beozia; mentre per le popolazioni pelasgiche della civiltà micenea, ch'erano marinare, essa inglobava anche tutti gli arcipelaghi dell'Egeo. (cap. 3, ''Gli Achei''; 2004, p. 25) *[[Diogene di Sinope|Diogene]], che aveva la lingua lunga, disse che la religione greca era quella cosa per cui un ladro che sapeva bene l'Avemaria e il Paternoster era sicuro di potersela cavar meglio, nell'al di là di un galantuomo che li aveva dimenticati. Non aveva torto. La [[Religione dell'antica Grecia|religione]], in Grecia, era soltanto un fatto di procedura, senza contenuto morale. Ai fedeli non si chiedeva la fede né si proponeva il bene. S'imponeva solo il compimento di certe pratiche burocratiche. E non poteva essere diversamente, visto che di contenuto morale gli stessi {{sic|dèi}} ne avevano ben poco e non si poteva certo dire che fornissero un esempio di virtù. (cap. 7, ''Zeus e famiglia''; 2004, p. 54) *Anche [[Pisistrato]] era aristocratico e di famiglia ricca. Ma aveva capito che la [[democrazia]], una volta instaurata, è irreversibile e va sempre a sinistra. (cap. 15, ''Pisistrato''; 2004, p. 98) *Pisistrato, invece di cinquanta uomini, ne arruolò e armò quattrocento, s'impadronì dell'Acròpoli, e proclamò la dittatura. In nome e per il bene del popolo, si capisce, come tutte le dittature. (cap. 15; 2004, p. 91) *La stragrande maggioranza degli ateniesi, dopo averlo a lungo osteggiato e tenuto in gran sospetto, si erano sinceramente affezionati a Pisistrato che aveva dalla sua un'arma formidabile: la simpatia. (cap. 15; 2004, pp. 92-93) *Il tiranno Pisistrato seppe sfuggire a tutte le tentazioni del potere assoluto, meno una: quella di lasciare il «posto» in eredità ai figli, [[Ippia (tiranno)|Ippia]] e [[Ipparco (tiranno)|Ipparco]]. L'amor paterno gl'impedì di vedere con la consueta chiarezza che i totalitarismi non hanno eredi e che quello suo si giustificava soltanto come una eccezione alla democrazia per assicurarle ordine e stabilità. Peccato. (cap. 15; 2004, p. 95) *Pisistrato era morto nel 527 avanti Cristo. Ventun anni dopo, cioè nel 506, troviamo uno dei suoi due figli, da lui designati a succedergli, Ippia, alla corte del re di Persia, [[Dario I di Persia|Dario]], per suggerirgli l'idea di muover guerra contro Atene e la Grecia tutta. I grandi uomini non dovrebbero mai lasciare né vedove né eredi. Sono pericolosissimi. (cap. 16, ''I persiani alle viste''; 2004, p. 103) *Questo Ippia non aveva debuttato male, dopo che suo padre fu calato nella fossa. Era un giovanotto sveglio che, a furia di stare accanto al babbo, ne aveva imparato molte malizie, e alla politica aveva passione, a differenza di suo fratello Ipparco che invece s'interessava soltanto di poesia e di amore, in modo che fra i due non c'erano nemmeno pericolose rivalità. Eppure, a procurare i guai che condussero alla caduta della dinastia, fu proprio Ipparco. (cap. 16; 2004, p. 96) *Ipparco ebbe la disgrazia d'inciampare in un bellissimo guaglione di nome Armodio, che un certo Aristogitone – aristocratico quarantenne, prepotente e geloso – considerava sua proprietà. Costui concepì l'idea di sbarazzarsi del rivale col pugnale e, per dare all'assassinio un'etichetta più pulita che lo rendesse popolare, pensò di estenderlo anche al fratello Ippia facendolo passare per «delitto politico» in nome della libertà e contro la tirannia. Organizzò in questo senso una congiura con altri nobili latifondisti e, in occasione di una festa, tentò il colpo, che andò bene solo a mezzo: Ipparco ci rimise la pelle, ma Ippia scampò. E da quel momento, un po' per rancore, un po' per paura di altri complotti, il figlio e l'allievo di Pisistrato, dittatore liberale indulgente e illuminato, diventò un ''tiranno'' autentico. (cap. 16; pp. 96-97) *Lo scontento del popolo inferocì Ippia, che a sua volta inferocì il popolo. E quando il divorzio fra i due fu totale, i fuoriusciti, che frattanto si erano concentrati a Delfi, chiamarono in aiuto gli spartani, e insieme marciarono contro Atene. (cap. 16; 2004, p. 97) *Ippia si rifugiò sull'Acròpoli coi suoi sostenitori. Ma, per mettere in salvo i suoi figlioletti, cercò di farli segretamente espatriare. Gli assedianti li catturarono e l'infelice padre, per salvar la vita a loro e a se stesso, capitolò e si avviò in volontario esilio. Non bisogna dimenticare che nelle sue vene scorreva tuttavia il sangue di Pisistrato, cioè di un uomo sempre pronto a sacrificare la posizione alla famiglia, ma mai disposto a rassegnarsi alla sconfitta. (cap. 16; 2004, p. 97) *[[Milziade]] aveva capito qual era il debole dei [[Persia|persiani]]: essi erano bravi soldati individualmente, ma non avevano nessuna idea della manovra collettiva. E su questa puntò. A dar retta agli storici del tempo — che purtroppo erano tutti greci, — Dario perse settemila uomini, Milziade neanche duecento. (cap. 17, ''Milziade e Aristide''; 2004, p. 112) *{{NDR|A Milziade}} sopravvisse [[Aristide]], le cui vicende purtroppo ci dimostrano che l'[[onestà]] in [[politica]] non trova sempre i suoi compensi e che la [[storia]], come le [[donna|donne]], ha un debole per i birbaccioni. (cap. 17, ''Milziade e Aristide''; 2004, p. 112) *Nike, diventata ragazza, porta il [[peplo]] di lana, bianca o colorata, ma questa è l'unica scelta che le si lascia. Siccome è confinata in casa, non può nemmeno far quella di un ragazzo che le piace, e deve aspettare che il padre si metta d'accordo con un altro padre per combinare il matrimonio. (cap. 23, ''Una Nike qualsiasi''; 2004, p. 143) *Quando il grande [[Mirone]], rincorbellito dalla vecchiaia, si vide arrivare in studio come modella Laìde<ref>Etera dell'antica Grecia, celebre per la sua bellezza.</ref>, perse la testa e le offrì tutto ciò che possedeva purché restasse la notte. E siccome essa rifiutò, l'indomani il poveruomo si tagliò la barba, si tinse i capelli, indossò un giovanile [[chitone]] color porpora e si passò una mano di carminio sul viso. «Amico mio», gli disse Laìde, «non sperare di ottenere oggi ciò che ieri rifiutai a tuo padre». (cap. 23, ''Una Nike qualsiasi''; 2004, p. 150) *{{NDR|[[Fidia]]}} Qualcosa, nel suo carattere, doveva farne un nemico degli uomini, visto che nessuno lo amava. Eppure egli non fu soltanto un grande scultore, ma anche un grandissimo maestro, che, oltre ad aver creato uno stile, ne fece anche una scuola, trasmettendone le regole ad allievi come Agoracrito e Alcamene, continuatori del «classico». (cap. 25, ''Fidia sul Partenone''; 2004, p. 165) *Gli uomini non sanno apprezzare e misurare che la [[fortuna]] degli altri. La propria, mai. (cap. 25, ''Fidia sul Partenone''; 2004, p. 166) ==''Storia di Roma''== ===[[Incipit]]=== Non sappiamo con precisione quando a Roma furono istituite le prime scuole regolari, cioè «statali». Plutarco dice che nacquero verso il 250 avanti Cristo, cioè circa cinquecent'anni dopo la fondazione della città. Fino a quel momento i ragazzi romani erano stati educati in casa, i più poveri dai genitori, i più ricchi dai ''magistri'', cioè da maestri, o istruttori, scelti di solito nella categoria dei liberti, gli schiavi liberati, che a loro volta erano scelti fra i prigionieri di guerra, e preferibilmente fra quelli di origine greca, che erano i più colti. ===Citazioni=== <!--segui nel riportare le citazioni l'ordine cronologico del libro--> *Non ho scoperto nulla, con questo libro. Esso non pretende di portare "rivelazioni", nemmeno di dare una interpretazione originale della storia dell'Urbe. Tutto ciò che qui racconto è già stato raccontato. Io spero solo di averlo fatto in maniera più semplice e cordiale, attraverso una serie di ritratti che illuminano i protagonisti in una luce più vera, spogliandoli dei paramenti che fin qui ce li nascondevano. (introduzione) *{{NDR|[[Numa Pompilio]]}} Quelle che più lo interessavano erano le questioni religiose. E siccome in questa materia ci doveva essere una grossa anarchia perché ognuno dei tre popoli {{NDR|etruschi, latini e sabini}} venerava i propri {{sic|dèi}}, fra i quali non si riusciva a capire chi fosse il più importante, Numa decise di mettervi ordine. E per imporlo, questo ordine, ai suoi riottosi sudditi, fece spargere la notizia che ogni notte, mentre dormiva, la ninfa Egeria veniva a visitarlo in sogno dall'Olimpo per trasmettergliene direttamente le istruzioni. Chi vi avesse disobbedito, non era col re, uomo fra gli uomini, che avrebbe dovuto vedersela, ma col Padreterno in persona. (Rizzoli 1959, cap. 3, ''I re agrari'', pp. 37-38) *[[Tarquinio Prisco|Lucio Tarquinio]] e i suoi amici etruschi dovettero veder subito che profitto si poteva trarre da questa massa di gente, per la maggior parte esclusa dai comizi curiati, se si fosse potuta convincerla che solo un re forestiero come lui avrebbe potuto farne valere i diritti. E per questo l'arringò, promettendole chissà cosa, magari ciò che poi fece davvero. [...] Certamente ci riuscirono perché Lucio Tarquinio fu eletto col nome di Tarquinio Prisco, rimase sul trono trentotto anni, e per liberarsi di lui i ''patrizi'', cioè i «terrieri», dovettero farlo assassinare. Ma inutilmente. Prima di tutto perché la corona, dopo di lui, passò al figlio, eppoi a suo [[Tarquinio il Superbo|nipote]]. In secondo luogo perché, più che la causa, l'avvento della dinastia dei Tarquini fu l'effetto di una certa svolta che la storia di Roma aveva subìto e che non le consentiva più di tornare al suo primitivo e arcaico ordinamento sociale e alla politica che ne derivava. (RCS 2004, cap. 4, ''I re mercanti'', pp. 38-39) *Questo secondo [[Tarquinio il Superbo|Tarquinio]], prima di rischiare il colpo, tentò di far deporre lo zio per abuso di potere. Servio si presentò alle centurie che lo riconfermarono re con plebiscitaria acclamazione (lo racconta [[Tito Livio]], gran repubblicano, dunque dev'esser vero). Non restava quindi che il pugnale, e Tarquinio lo usò senza troppi scrupoli. Ma il respiro di sollievo che trassero i senatori, coi quali si era alleato, rimase loro in gola, quando videro l'uccisore sedersi a sua volta sul trono d'avorio senza chieder loro permesso, come avveniva a quei buoni vecchi tempi ch'essi speravano di restaurare. Il nuovo sovrano si mostrò subito più tirannico di quello che aveva spedito all'altro mondo. E infatti lo ribattezzarono «il Superbo» per distinguerlo dal fondatore della dinastia. (RCS 2004, cap. 4, ''I re mercanti'', pp. 42-43) *Non sappiamo quasi nulla di [[Lars Porsenna|Porsenna]]. Ma dal modo come si condusse, dobbiamo dedurre che alle doti del bravo generale doveva accoppiare quelle del sagace uomo politico. Egli si rese conto che negli argomenti di [[Tarquinio il Superbo|Tarquinio]] c'era del vero. Ma prima d'impegnarsi, volle essere sicuro di due cose: che il Lazio e la Sabina erno davvero pronti a schierarsi dalla sua parte, e che nella stessa Roma c'era una «quinta colonna» monarchica pronta a facilitargli il compito con un'insurrezione. (RCS 2004, cap. 5, ''Porsenna'', p. 49) *Da quell'anno 508 in cui fu fondata la repubblica, tutti i monumenti che i romani innalzarono un po' dappertutto portarono sempre la sigla SPQR che vuol dire: ''Senatus PopuluSque Romanus'', cioè «il Senato e il popolo romano». Cosa fosse il Senato, già lo abbiamo detto. Viceversa non abbiamo ancora detto cos'era il popolo, che non corrispondeva affatto a ciò che noi intendiamo con questa parola. In quei lontani giorni di Roma esso non comprendeva «tutta» la cittadinanza, come avviene oggi, ma soltanto due «ordini», cioè due classi: quella dei «patrizi» e quella degli ''equites'' o «cavalieri». (RCS 2004, cap. 6, ''SPQR'', p. 54) *{{NDR|[[Sacco di Roma (390 a.C.)]]}} Gli storici che lo hanno raccontato a cose fatte hanno avvolto di molte leggende questo capitolo che dovett'essere per l'Urbe molto spiacevole. Dicono che quando i [[galli]] fecero per dare la scalata al [[Campidoglio]], le oche sacre a Giunone cominciarono a stridere risvegliando così [[Marco Manlio Capitolino|Manlio Capitolino]] che, alla testa dei difensori, respinse l'attacco. Sarà. Però i galli in Campidoglio entrarono ugualmente come in tutto il resto della città, donde la popolazione era fuggita in massa per rifugiarsi su monti circostanti. (Rizzoli 1959, cap. 6, ''SPQR'', pp. 81-82) *[...] i galli espugnarono Roma, la misero a sacco, e se ne andarono incalzati dalle legioni, ma carichi di quattrini. Erano predoni gagliardi e zotici, che non seguivano nessuna linea politica e strategica nelle loro conquiste. Assalivano, depredavano e si ritiravano senza punto preoccuparsi del domani. Avessero potuto immaginare che vendetta Roma avrebbe tratto da quella umiliazione, non vi avrebbero lasciato pietra su pietra. (Rizzoli 1959, cap. 6, ''SPQR'', pp. 82-83) *Tutti i dittatori della Roma repubblicana, meno uno, furono patrizi. Tutti, meno due, rispettarono i limiti di tempo che furono loro imposti. Uno di essi, [[Lucio Quinzio Cincinnato|Cincinnato]], che, dopo soli sedici giorni di esercizio della suprema carica, tornò spontaneamente ad arare il campo coi buoi, è passato alla storia coi colori della leggenda. (RCS 2004, cap. 9, ''La carriera'', p. 85) *Negli ultimi tempi {{NDR|[[Cesare]]}} si era spinto anche più in là: aveva imposto che tutte le discussioni che si svolgevano in quel solenne e aristocratico consesso venissero registrate e pubblicate giorno per giorno. Così nacque il primo giornale. Si chiamò ''[[Acta Diurna|Acta diurna]]'', e fu gratuito, perché, invece di venderlo, lo affiggevano ai muri in modo che tutti i cittadini potessero leggerlo e controllare ciò che facevano e dicevano i loro governanti. L'invenzione fu d'immensa portata perché sancì il più democratico di tutti i diritti. Il Senato, che traeva prestigio anche dalla sua segretezza, fu così sottoposto alla pubblica opinione, e non si riebbe mai più da questo colpo. (RCS 2004, cap. 24, ''Cesare'', p. 214) *Se riuscirò ad affezionare alla storia di Roma qualche migliaio di italiani, sin qui respinti dalla sussiegosità di chi gliel'ha raccontata prima di me, mi riterrò un autore utile, fortunato e pienamente riuscito. (introduzione) *Sull'esattezza di quel che [[Tito Livio|Livio]] riferisce facciamo le nostre riserve, specie là dov'egli mette in bocca ai suoi personaggi interi discorsi che somigliano più a Livio che a loro. La sua è una storia di eroi, un immenso affresco a episodi, e serve più a esaltare il lettore che a informarlo. [[Roma]], a dargli retta, sarebbe stata popolata soltanto, come l'Italia di Mussolini, da guerrieri e navigatori assolutamente disinteressati, che conquistarono il mondo per migliorarlo e moralizzarlo. Gli uomini, secondo lui, sono divisi in buoni e cattivi. A Roma c'erano solamente i buoni, e fuori di Roma solamente i cattivi. Anche un grande generale come [[Annibale]] diventa, sotto la sua penna, un comune mariuolo. Ciò non toglie che la storia di Livio, costata cinquant'anni di fatiche a un autore che si dedicò soltanto ad essa, resti un gran monumento letterario. Forse il più grande fra quelli, piuttosto mediocri, eretti sotto il segno di [[Augusto]]. (cap. 30, ''Orazio e Livio'') *Può darsi che [[Dione Cassio]] e [[Svetonio]], nel loro odio per la monarchia, abbiano un po' calcato la mano. Ma matto, [[Caligola]] doveva esserlo davvero. (cap. 31, ''Tiberio e Caligola'') *[[Vitellio]], quando fu catturato nel suo nascondiglio, dove, tanto per cambiare, banchettava, fu trascinato nudo per la città con un laccio al collo, bersagliato di escrementi, torturato con ponderata lentezza, e alla fine gettato nel Tevere.<br>Questa città che si divertiva al fratricidio, questi eserciti che si ribellavano, questi imperatori che venivano subissati di sterco pochi giorni dopo essere stati coperti di osanna: ecco cos'era diventata la capitale dell'Impero. (Rizzoli 1959, cap. 37, ''I Flavi'', pp. 415-416) *Purtroppo la pace, per ottenerla, bisogna essere in due a volerla. (cap. 37, ''I Flavi'') *Era la prima volta, nella storia di Roma, che una guerra si combatteva in nome della religione. Ma fu la Croce che vinse. E il Tevere, trascinando verso la foce i cadaveri di [[Massenzio]] e dei suoi soldati che lo ingombravano, sembrò che spazzasse via i residui del mondo antico. (cap. 46, ''Costantino'') *Il papa che più contribuì a rassodare l'organizzazione in questi primi difficili anni fu [[Papa Callisto I|Callisto]], che molti consideravano un avventuriero. Dicevano che, prima di convertirsi, aveva fatto i quattrini con sistemi piuttosto equivoci, era diventato banchiere, aveva derubato i suoi clienti, era stato condannato ai lavori forzati ed era fuggito con un inganno. Il fatto che, appena diventato papa, proclamasse valido il pentimento per cancellare qualunque peccato, anche mortale, ci fa sospettare che in queste voci un po' di verità c'è. Comunque, fu un gran papa, che stroncò il pericoloso scisma d'[[Ippolito di Roma|Ippolito]] e affermò definitivamente l'autorità del potere centrale. (RCS 2004, cap. 46, ''Costantino'', p. 367) *Le rivoluzioni vincono non in forza delle loro idee, ma quando riescono a confezionare una classe dirigente migliore di quella precedente. E il [[Cristianesimo]] era riuscito proprio in questa impresa. (cap. 47, ''Il trionfo dei cristiani'') *[[Costantino]] fu uno strano e complesso personaggio. Faceva gran scialo di fervore cristiano, ma nei suoi rapporti di famiglia non si mostrò molto ossequente ai precetti di Gesù. Mandò sua madre Elena a Gerusalemme per distruggere il tempio di Afrodite che gli empi governatori romani avevano elevato sulla tomba del Redentore, dove, secondo Eusebio, fu ritrovata la croce su cui era stato suppliziato. Ma subito dopo mise a morte sua moglie, suo figlio e suo nipote. (cap. 47, ''Il trionfo dei cristiani'') *Come tutti i grandi Imperi, quello romano non fu abbattuto dal nemico esterno, ma roso dai suoi mali interni. (cap. 51, ''Conclusione'') *Una religione conta non in quanto costruisce dei templi e svolge certi riti; ma in quanto fornisce una regola morale di condotta. Il [[paganesimo]] questa regola l'aveva fornita. Ma quando Cristo nacque, essa era già in disuso, e gli uomini, consciamente o inconsciamente, ne aspettavano un'altra. Non fu il sorgere della nuova fede a provocare il declino di quella vecchia; anzi, il contrario. (cap. 51, ''Conclusione'') *Il dispotismo è sempre un malanno. Ma ci sono delle situazioni che lo rendono necessario. (cap. 51, ''Conclusione'') ===[[Explicit]]=== Mai città al mondo ebbe più meravigliosa avventura. La sua storia è talmente grande da far sembrare piccolissimi anche i giganteschi delitti di cui è disseminata. Forse uno dei guai dell'Italia è proprio questo: di avere per capitale una città sproporzionata, come nome e passato, alla modestia di un popolo che, quando grida «Forza Roma!», allude soltanto a una [[Associazione Sportiva Roma|squadra di calcio]]. ==''XX Battaglione eritreo''== ===[[Incipit]]=== Sono letterato. E, a parte il brutto e il meschino di quella parola, il mio mestiere m'innamora. Mi sono sforzato tanti anni, per compiacere a qualcuno o a qualcosa, di tradire questo mio istinto. Ma non ce l'ho fatta. E non ce la fo nemmeno ora, soldato in Africa, in piena guerra. Ma non lo dico per presentare il conto. E a chi, poi? Lo dico per un fenomeno di narcisismo: perché mi garba contemplarmi in questo gesto di fedeltà al mestiere, che poi vuol dire fedeltà a me stesso. ===Citazioni=== *Essere [[Àscari|ascaro]] vuol dire, press'a poco, avere un blasone; vuol dire avere tre lire al giorno, più un'indennità vestiario, più un'indennità farina, più un'indennità carne; vuol dire avere un ''tarbush'' e una fascia coi colori del battaglione; vuol dire soprattutto avere un fucile. La gente di questo Paese segue una logica sistematica semplice e dritta: l'umanità si divide in due categorie: gli armati che sono i forti, i disarmati che sono i deboli. Al culmine della gerarchia sociale sta il possessore di fucile, il guerriero: che è tanto più importante quanto più elevato è il suo grado e quanto è maggiore la sua anzianità. (p. 25) *[[Pietro Toselli|Toselli]]. Questo nome non ha in Italia la risonanza che ha qui. Toselli non è un uomo, è una leggenda: non solo alla cronaca, ma sfugge anche alla storia. È rimasto nei canti di questa gente, nelle sue memorie e anche nelle sue speranze. Pur ieri mi diceva il vecchio Sciumbasci, reduce di Adua e ora capopaese di Digsa, che «le cose che si sanno sono molto meno di quelle che non si sanno» e che «il fatto è questo: che il corpo del maggiore Toselli non era più sul campo dopo la battaglia». Su quello che ne sia avvenuto le opinioni sono discordi, ma nessuno crede che il maggiore sia morto. (pp. 35-36) *Appollaiato ai suoi piedi, nascosto fra il verde tenero degli eucalipti, stava [[Alessandro Pirzio Biroli|Pirzio Biroli]]. Il suo nome era mormorato con circospezione dagli [[Àscari|ascari]] disseminati fra le rocce di Mai Egadà a Saganeiti, da Agordar ad Assab, a Cheren, ad Adi Ugri, ad Adi Caieh. Raramente lo si vedeva e sempre a cavallo. Accanto a lui cavalcava Chiarini, la piccola ombra fedele, il fantasma sorto una notte da un roveto della conca di Adua. Chiarini, settantenne, pallido, non scompariva nell'alone magico che Pirzio, il buon gigante, suscitava intorno. (pp. 87-88) *Poi arrivava anche lui, [[Alessandro Pirzio Biroli|Pirzio]] il leone, altissimo, quadrato, col profilo calmo incorniciato dalla folta criniera. Il cavallo, domo dai suoi ginocchi di ferro, caracollava senza un tentativo di ribellione. Dalla sella pendevano, di qua e di là, due aquile colossali, abbattute in volo dal moschetto infallibile di Pirzio. Nessuna tromba sonava l'attenti al suo ingresso. Non ce n'era bisogno. Tutti, nel quartiere, sentivano come per miracolo la sua presenza e restavano ischeletriti. Pirzio non se n'accorgeva: era uno di quegli uomini pei quali gli uomini sentono rispetto per istinto e che passano attraverso la vita come attraverso un'eterna parata, fra due file di bipedi schiaffati meccanicamente sull'attenti. Gli [[Àscari|ascari]] ebbero ragione quando lo battezzarono «il Leone»: non aveva bisogno di ruggire perché il largo gli si facesse automaticamente intorno. (pp. 88-89) ===[[Explicit]]=== Vorremmo ristare dopo la guerra? Il mondo è così visto che nessun limite precisa al desiderio. Italiani, continuate ad aver fame anche dopo aver mangiato. Questa guerra è per noi come una bella lunga vacanza dataci dal Gran Babbo in premio di tredici anni di banco di scuola. E, detto fra noi, era ora. ==Citazioni su Indro Montanelli== *A leggerlo sembrerebbe un disordinatore di professione: sempre pronto a mugugnare, sempre a prendersela con qualcuno. Poi però, quando si tratta di scendere sul pratico, ci consiglia di turarci il naso e di andare a votare per l'Ordine. vallo a capire. ([[Luciano De Crescenzo]]) *Amo Indro Montanelli, ma non i suoi emuli. I polemisti per posa non mi piacciono, non li ritengo utili. Ma lui non era un polemista fine a se stesso, come tanti dei suoi presunti eredi. Era piuttosto, come da titolo di una sua fortunata rubrica, controcorrente. Non si curava delle convenienze, dei vantaggi che gli sarebbero derivati nel seguire l'onda di [[pensiero]] prevalente. Aveva la sua visione delle cose, sempre originale e spesso esatta. Io credo che dire quel che si pensa premi sempre. Montanelli lo faceva, e andava a letto tranquillo. ([[Fabio Genovesi]]) *C'è davvero qualcosa di singolare nel modo in cui è venuta formandosi la memoria della Repubblica, nel modo in cui tale memoria è stata ed è elaborata dalla cultura ufficiale del Paese. Per molti decenni, ad esempio, a quanto accaduto dal 1943 al '45 fu vietato dare il nome che gli spettava, il nome cioè di [[Guerra civile in Italia (1943-1945)|guerra civile]]. Parlare di guerra civile era giudicato fattualmente falso, e ancor di più ideologicamente sospetto. Bisognava dire che quella che c'era stata era la resistenza, non la guerra civile; di guerra civile parlavano e scrivevano, allora, solo i reduci di Salò, i nostalgici del regime e qualche coraggioso giornalista o pubblicista di rango come Indro Montanelli, che mostravano così da che parte ancora stavano. Le cose andarono in questo modo a lungo. Finché, all'inizio degli anni Novanta, come si sa, uno storico di sinistra, [[Claudio Pavone]], scrisse un libro sul periodo 1943-'45 che si intitolava precisamente ''Una guerra civile'': solamente da allora tutti abbiamo potuto usare senza problemi questa espressione, ben inteso non cancellando certo la parola resistenza. ([[Ernesto Galli della Loggia]]) *È uno che riesce a spiegare agli altri quello che non capisce nemmeno lui. ([[Mario Missiroli]]) *È vero che ha cambiato parere politico più volte, ma sempre perché profondamente preoccupato per le sorti del paese. Ma Indro ha cambiato parere sempre meno di quei giornalisti che da Lotta Continua sono passati a Comunione e Liberazione per approdare infine a dirigere quotidiani di Stato. Senza contare tutti coloro che da stalinisti o maoisti sono diventati prima antimarxisti e ora clintoniani: Montanelli ragiona, loro vogliono avere sempre ragione. ([[Fausto Gianfranceschi]]) *Indro è naturalmente inclinato, direi quasi condannato a vedere più i ''tics'' degli uomini che le loro qualità e nessuno come lui fa più uso, nei suoi ritratti, dell'acido prussico. ([[Eugenio Montale]]) *{{maiuscoletto|Indro Montanelli}}. L'Italia dei Luoghi Comuni. ([[Marcello Marchesi]]) *Io mi sono limitato ad adottare la sua formula giornali­stica. Ma l'ho realizzata meglio perché mi sono sempre esposto, ci ho messo la faccia. Lui invece era come Veltroni: "Sì, ma an­che". Non si schierava nettamente, il suo editoriale era così in chiaroscuro che alla fine non capivi mai se fosse chiaro o scuro. Il che non significa che non resti il migliore di tutti noi. Ho venduto più di lui solo perché a me la gente non fa schifo. ([[Vittorio Feltri]]) *Mi sono sentito in imbarazzo per lui, e il mio primo pensiero è stato il rifiuto – «no, povero Montanelli» – quando all'ingresso dei giardini di via Palestro mi sono trovato davanti alla sua statua, al punto che ho pensato che ci sono vandali che distruggono e vandali che costruiscono, e che anzi, per certi aspetti, il vandalismo che crea è ben peggiore, perché tenta di disarmarti con le sue buone intenzioni. Dunque era di mattina, molto presto, e i giardini erano vuoti, al sole. Ebbene in questo vuoto, la statua mi è apparsa all'improvviso: una figurina in gabbia che non ha niente a che fare con Montanelli, se non perché lo offende anche fisicamente, lui che era così "verticale", e che ci invitava a buttare via «il grasso» e la retorica monumentale. Il giornalista che ogni volta si ri-definiva in una frase, in un concetto, in un aforisma, in una citazione, è stato per sempre imprigionato in una scatola di sardine. Perciò ho provato il disagio che sempre suscita il falso, la patacca, la similpelle che non è pelle, perché non solo questo non è Montanelli, come ci ha insegnato Magritte che dipinse una pipa e ci scrisse sotto "questa non è una pipa". Il punto è che questa non è neppure una statuta di Montanelli, ma di un montanelloide in bronzo color oro, che ha la presunzione ingenua e goffa di imprigionare il Montanelli entelechiale, il Montanelli che era invece l'asciuttezza, era il corpo più "instatuabile" del mondo, troppo alto, troppo energico, troppo nervoso, incontenibile nello spazio e nel tempo com'è l'uomo moderno, che è nomade e ha un'identità al futuro. Era il più grande nemico delle statue il Montanelli che sempre ci sorprendeva, fascista ma con la fronda, conservatore ma anarchico, con la sinistra ma di destra, un uomo di forte fascino maschile che tuttavia non amava raccogliere i trofei del fascino maschile, ingombrante ma discreto, il solo che nella storia d' Italia abbia rifiutato la nomina a senatore a vita perché, diceva, «i monumenti sono fatti per essere abbattuti», come quello di Saddam, o di Stalin o di Mussolini. Come si può fare una statua ingombrante e discreta? Come si può fare un monumento all'antimonumento? ([[Francesco Merlo]]) *Montanelli comprò una sposa ragazzina di 11-12 anni. In realtà non possiamo sapere con precisione l'età perché nei villaggi africani non si registravano le nascite. Ma la comprò, questo lo sappiamo. E la violentò più volte. sappiamo anche questo, è stato lui a raccontare che lei non voleva. [...] Da italiano Montanelli avrebbe potuto riconoscere i segni di quella crudeltà e discostarsene. Non lo fece perché condivideva evidentemente quella cultura patriarcale. Perché non mettere al posto della sua statua quella di una donna della Resistenza? In Italia vorrei vedere più statue di donne partigiane. ([[Maaza Mengiste]]) *Montanelli disprezzava la borghesia che difendeva, e ammirava i comunisti che attaccava. Era convinto che la rivolta di Budapest si dovesse a operai che volevano il vero socialismo; mentre fu una rivolta nazionalista e antisovietica. ([[Enzo Bettiza]]) *Montanelli è il campione di indipendenza dalla politica, anche se sono arrabbiato con lui perché mi ha insegnato regole di comportamento anacronistiche, che nel giornalismo odierno non valgono più. ([[Daniele Vimercati]]) *Montanelli ha sempre avuto una componente di destra. È stato un uomo di destra come fascista, uomo di destra come sostenitore dei governi dc sia pure turandosi il naso. [...] Adesso è un uomo di destra qualunquista, ma sempre di destra. ([[Ugo Intini]]) *Montanelli, un misantropo che cerca compagnia per sentirsi più solo. ([[Leo Longanesi]]) *Quanto mi ha insegnato: le parole da non usare, le cose da non dire, la persone da non frequentare. ([[Beppe Severgnini]]) *Recentemente sono stato insignito del Premio Montanelli alla carriera che dovrebbe essermi consegnato a ottobre a Fucecchio, a meno che nel frattempo non mi sia revocato per indegnità, sempre in nome della libertà di informazione. Sono certo che il vecchio Indro non avrebbe condiviso nemmeno un fonema del mio necrologio sul Mullah {{NDR|Omar}}, ma sono altrettanto certo che non si sarebbe mai sognato di bloccarlo. Caso mai ci avrebbe riso su, considerandolo una provocazione, anche se provocazione non era. Perché Montanelli era un vero liberale. Quando i liberali esistevano ancora. ([[Massimo Fini]]) *Sa spalmare una così giusta misura di miele sull'orlo del nappo avvelenato che prepara per questo o per quello, che spesso la vittima muore senza accorgersene, ingannata dai soavi licori. ([[Paolo Monelli]]) *Scalfari e Montanelli direttori all'antica, padroni, mattatori che ricordano gli Scarfoglio, i vecchi direttori dell'ottocento che non solo incrociavano la penna ma anche la spada in una rissa continua con tutt ([[Ugo Intini]]) *Si può raccontare la [[storia]] in forma lieve, senza essere troppo ponderosi, rispettando tuttavia le fonti e la verità storica. Montanelli era molto bravo a scrivere, ma in fondo ne sapeva poco, gli piaceva gigioneggiare, sprofondava nell'anacronismo. Oggi ci si è accorti che, nel raccontare la storia, essere rigorosi ed essere divertenti non è conflittuale. ([[Alessandro Barbero]]) *So solo che Montanelli è fatto così: un maestro di giornalismo che ogni tanto s'impenna con qualcuna delle sue bizzarrie. ([[Giorgio Bocca]]) *Una volta, parecchi anni fa, Indro Montanelli, dicendosi disgustato della morbidezza e della mollezza della [[Democrazia Cristiana]], che ammorbidiva, incorporava, estenuava e alla fine innocuizzava qualsiasi opposizione, togliendole ogni soddisfazione e dignità, mi mostrò una fotografia, incastonata in una cornicetta d'argento, che teneva, a mo' di santino, come altri fanno con le immagini della madre o della moglie e dei figli, sulla sua scrivania, al «Giornale». Con sorpresa vidi che si trattava di Stalin. «Con questo ci sarebbe stato gusto, a battersi», disse. ([[Massimo Fini]]) *Ognuno può pensarla come vuole, ma quando si passa dalla cronaca alla storia è necessario mantenere un giusto approccio ed essere oggettivi sui valori della persona. Indro Montanelli è stato forse il più autorevole giornalista che l’Italia ha avuto nel ventesimo secolo. La Toscana penserà ad azioni per valorizzarlo. ([[Eugenio Giani]]) ===[[Enzo Biagi]]=== *A Indro Montanelli devo molto: intanto, l'idea che chi conta è il pubblico. Poi la necessità di essere chiari, di far anche fatica, perché chi legge non ha voglia di impegnarsi troppo, e solo se uno si chiama [[James Joyce|Joyce]] può essere difficile. *Montanelli se n'è sempre fregato delle critiche, io molto meno, ho un carattere permaloso, spesso non ho resistito alla tentazione di rispondere a chi mi attaccava. Indro mi sgridava, diceva a mia moglie di tenermi calmo, che non ne valeva la pena, che erano tutte bischerate. [...] Per lui il buon risultato era il sorriso di un passante, l'oste che gli trovava il tavolo. Qualcuno si chiedeva che cos'avesse di speciale. A pensarci bene, niente. Scriveva degli articoli che erano letti e dei libri che si vendevano. *Non è una gran notizia che Indro e io non abbiamo mai fatto parte del coro, ma fu una grande notizia la spiegazione che ne diede Berlusconi: "Biagi e Montanelli hanno invidia del mio successo". La prima cosa che mi venne in mente fu: "Sai che risate si starà facendo Indro adesso". Poi mi dissi che c'era poco da ridere. ==Note== <references/> ==Bibliografia== *Indro Montanelli, ''Qui non riposano'', Marsilio, 1982 (1945). *Indro Montanelli, ''Pantheon minore'' (incontri), Longanesi e C., Milano, 1950. {{NoISBN}} *Indro Montanelli, ''Reportage su Israele'', Derby, Milano, 1960. {{NoISBN}} *Indro Montanelli, ''Gli incontri'', Rizzoli, Milano, 1967. {{NoISBN}} *Indro Montanelli, ''Storia dei greci'', Rizzoli, Milano, 1992. ISBN 8817115126 *Indro Montanelli, ''Storia dei greci'', RCS Quotidiani, Milano, 2004. ISBN 1-129-08505-8 *Indro Montanelli, ''Storia di Roma'', Longanesi, Milano, 1957; Rizzoli, Milano, 1959. {{NoISBN}} *Indro Montanelli, ''Storia di Roma'', RCS Quotidiani, Milano, 2004. ISBN 1-129-08505-8 *Indro Montanelli, ''L'Italia giacobina e carbonara (1789-1831)'', Rizzoli, Milano, 1971. {{NoISBN}} *Indro Montanelli, ''L'Italia del Risorgimento (1831-1861)'', terza edizione, Rizzoli, Milano, 1972. {{NoISBN}} *Indro Montanelli, ''L'Italia dei notabili (1861-1900)'', Rizzoli, Milano, 1973. {{NoISBN}} *Indro Montanelli, ''L'Italia di Giolitti (1900-1920)'', Rizzoli, Milano, 1974. {{NoISBN}} *Indro Montanelli, ''L'Italia in camicia nera (1919-3 gennaio 1925)'', Rizzoli, Milano, 1976. *Indro Montanelli, ''Dante e il suo secolo'', Rizzoli, Milano, 1974. {{NoISBN}} *Indro Montanelli, ''I protagonisti'', Rizzoli, Milano, 1976. {{NoISBN}} *Indro Montanelli, ''Controcorrente'', Editoriale Nuova, Milano, 1978. {{NoISBN}} *Indro Montanelli, ''Controcorrente 1974-1986'', Arnoldo Mondadori Editore, Milano, 1987. ISBN 8804300558 *Indro Montanelli, ''Caro direttore. 1974-1977. Il meglio della rubrica "La parola ai lettori"'', Rizzoli, Milano, 1991, ISBN 88-17-42728-4. *Indro Montanelli, ''Il testimone'', Longanesi & C., Milano, 1992, ISBN 88-304-1063-2. *Indro Montanelli, ''Il meglio di «Controcorrente» 1974-1992'', Rizzoli, Milano, 1993, ISBN 88-17-42807-8. *Indro Montanelli, ''Caro lettore. Il meglio della rubrica "La parola ai lettori". 1978-1981'', Rizzoli, Milano, 1994, ISBN 88-17-42730-6. *Indro Montanelli, ''Le Stanze. Dialoghi con gli italiani'', Rizzoli, Milano, 1998, ISBN 88-17-85259-7. *Indro Montanelli, ''La stecca nel coro. 1974-1994: una battaglia contro il mio tempo'', Rizzoli, Milano, 1999, ISBN 88-17-86284-3. *Indro Montanelli, ''Le nuove Stanze'', Rizzoli, Milano, 2001, ISBN 88-17-86842-6. *Indro Montanelli, ''Soltanto un giornalista. Testimonianza resa a Tiziana Abate'', BUR, Milano, 2003. ISBN 8817107042 *Indro Montanelli, ''I conti con me stesso. Diari 1957-1978'', a cura di [[Sergio Romano]], Rizzoli, Milano, 2010. ISBN 8817028202 ([http://books.google.it/books?id=fuh--fZGHMcC&printsec=frontcover Anteprima su Google Libri]) *Indro Montanelli, ''Ricordi sott'odio'', Milano, Rizzoli, 2011, ISBN 978-88-17-04963-4 *Indro Montanelli, ''Indro al Giro. Viaggio nell'Italia di Coppi e Bartali. Cronache del 1947 e 1948'', a cura di Andrea Schianchi, Collana Saggi italiani, Milano, Rizzoli, 2016. ISBN 978-88-1708-969-2 *Paolo Granzotto, ''Montanelli'', Bologna, Il Mulino. ISBN 88-15-09727-9 *Paolo Occhipinti (a cura di), ''Caro Indro... Dialoghi di Montanelli con il direttore di Oggi. 1993-2001. Il meglio di una rubrica di successo durata otto anni'', RCS, Milano, 2002. ==Voci correlate== *[[Colette Rosselli]] *[[Indro Montanelli e Roberto Gervaso]] *[[Indro Montanelli e Mario Cervi]] *[[Indro Montanelli e Marco Nozza]] *''[[Il generale Della Rovere]]'' (film 1959) ==Altri progetti== {{interprogetto}} ===Opere=== {{Pedia|La Voce (quotidiano)|''La Voce''}} {{Pedia|Storia d'Italia (Montanelli)|''Storia d'Italia''}} {{DEFAULTSORT:Montanelli, Indro}} [[Categoria:Drammaturghi italiani]] [[Categoria:Giornalisti italiani]] [[Categoria:Saggisti italiani]] [[Categoria:Commediografi italiani]] k0ry90fqjch28b1o4hd1gf33eqoj6mo 1382016 1382015 2025-07-02T08:49:38Z ~2025-110542 103361 /* I protagonisti */ 1382016 wikitext text/x-wiki [[File:IndroMontanelliLettera22.jpg|thumb|upright=1.5|Indro Montanelli alla sede del ''Corriere della Sera'']] '''Indro Montanelli''' (1909 – 2001), giornalista, saggista e commediografo italiano. ==Citazioni di Indro Montanelli== [[File:Indro Montanelli 1936.jpg|miniatura|Indro Montanelli, ufficiale del Regio Esercito, 1936]] *[[Gianni Agnelli|Agnelli]] ha detto che non siamo nella repubblica delle banane, però qualche banana in Italia c'è, perché avvengono cose veramente singolari.<ref>Citato in Marco Travaglio, ''Bananas'', Garzanti, Milano, 5 maggio 2001.</ref> *Al [[conformismo]] l'[[ironia]] fa più paura d'ogni [[Argomentazione|argomentato ragionamento]].<ref>Da ''Controcorrente'', Editoriale Nuova, Milano, 1978.</ref> *{{NDR|[[Ferdinando I delle Due Sicilie]]}} Aveva sulla coscienza la vita di migliaia d'infelici, morti sulla forca e nelle galere solo per aver voluto un po' di libertà. Era stato spergiuro. Non aveva conosciuto che disfatte e fughe ignominiose di fronte al nemico. Politicamente, era rimasto fermo alla concezione settecentesca del più retrivo assolutismo. Non aveva fatto che i propri interessi, e più ancora i propri comodi, della regalità prendendosi solo i piaceri. Non aveva saputo che incrementare l'ignoranza di cui egli stesso era campione. Eppure, il cordoglio popolare per la sua morte non ci stupisce, perché un dono lo aveva avuto: la genuinità. Questo Re fellone e fannullone non aveva mai cercato di apparire diverso da quel che era: uno scugnizzo dei «bassi», prepotente, ridanciano e sboccato, nato per caso con una corona in testa e che aveva sempre concepito la sua parte come quella di un buon capo-camorra. Non aveva interpretato che i caratteri deteriori del popolo napoletano, ma anche i più appariscenti e riconoscibili.<ref>Da ''L'Italia unita. {{small|Da Napoleone alla svolta del Novecento}}'', Rizzoli BUR, Milano, 2015, [https://books.google.it/books?id=8J7tCgAAQBAJ&lpg=PT206&dq=&pg=PT206#v=onepage&q&f=false p. 206]. eISBN 978-88-58-68272-2</ref> *Avevo capito fin dal primo incontro che l'aggressività di [[Anna Magnani|Anna {{NDR|Magnani}}]] era solo la maschera della sua insicurezza. Era una donna difficile e sempre agli estremi di tutto: della dolcezza come del furore, e non si capiva mai bene, forse non lo capiva nemmeno lei, quanto l'uno e l'altra fossero veri, o soltanto scena. Certo è che dall'uno all'altra passava con fulminea velocità e tenendo chiunque in stato di fibrillazione. <ref>Da ''Anna Magnani, la più grande attrice del nostro cinema'', 23 ottobre 1999, in ''Le Nuove stanze'', a cura di Michele Brambilla, RCS Libri, Milano, 2002, p. 280.</ref> *{{NDR|[[Walter Chiari]]}} Avrebbe meritato 30 anni di prigione per lo spreco del suo talento.<ref>Citato in Luciano Giannini, ''[https://www.ilmattino.it/AMP/cultura/walter_chiari_100_walter_sottotitolo_chiari_biografia_di_un_genio_irregolare-7954361.html Walter Chiari genio irregolare che confessava di aver vissuto]'', ''Il Mattino'', 24 febbraio 2024</ref> *[[Silvio Berlusconi|Berlusconi]] è una persona intelligente finché riesce a ragionare col suo cervello: il suo cervello è valido. Ma lui, oltre al cervello, ha le viscere, e molto spesso le viscere prendono la prevalenza sul cervello. E quando lui si abbandona alle viscere, secondo me, diventa uomo pericoloso. Questo lo dico a lei perché l'ho detto a lui, perché gliel'ho anche scritto.<ref name="milano">Dal programma televisivo ''Milano, Italia'', Rai 3, 11 gennaio 1994.</ref> *[[Silvio Berlusconi|Berlusconi]] ha straordinarie qualità di imprenditore – coraggio, fantasia, forza di lavoro – che gli hanno valso il successo in tutti i campi in cui si è cimentato. Una sola cosa non gli riesce di fare, il presidente di una società di calcio.<ref>Da ''[http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/1987/01/20/ora-montanelli-critica-berlusconi.html Ora Montanelli critica Berlusconi]'', ''la Repubblica'', 20 gennaio 1987.</ref> *[[Silvio Berlusconi|Berlusconi]] non ha idee: ha solo interessi.<ref>2001; citato in [[Marco Travaglio]], ''Ad personam'', Chiarelettere, Milano, 2010, p. 39, ISBN 978-88-6190-104-9.</ref> *{{NDR|Su [[Aldo Moro]]}} Calvinista a rovescio, invece che nella predestinazione della [[Grazia divina|grazia]], credeva in quella della [[disgrazia]].<ref>Citato in [[Roberto Gervaso]], ''Ve li racconto io'', Mondadori, Milano, 2006, pp. 310-311, ISBN 88-04-54931-9.</ref> *Certo, per un direttore di giornale, avere sottomano un [[Marco Travaglio|Travaglio]], che su qualsiasi protagonista, comprimario e figurante della vita politica italiana è pronto a fornirti su due piedi una istruttoria rifinita nel minimo dettaglio è un bel conforto. Ma anche una bella inquietudine. Il giorno in cui gli chiesi se in quel suo archivio, in cui non consente a nessuno di ficcare il naso, ci fosse anche un fascicolo intitolato al mio nome, Marco cambiò discorso.<ref>Dalla prefazione a Marco Travaglio, ''Il Pollaio delle Libertà'', Vallecchi, Firenze, 1995.</ref> *Chi di voi vorrà fare il [[giornalista]], si ricordi di scegliere il proprio padrone: il [[lettore]].<ref>Dalla lezione di giornalismo all'Università di Torino, 12 maggio 1997; citato in ''La Stampa'', 14 aprile 2009.</ref> *Conosco molti furfanti che non fanno i [[Morale|moralisti]], ma non conosco nessun moralista che non sia un furfante. Senza, per carità, allusione a [[Eugenio Scalfari|Scalfari]]. Solo come promemoria.<ref>Citato in [[Eugenio Scalfari]], ''Incontro con io'', Rizzoli, Milano, 1994, ISBN 8806200747.</ref> *Cosa c'è meglio di [[Romano Prodi|Prodi]]? Governa fra compromessi e imbroglietti. I nostri soci sanno benissimo che siamo imbroglioni, che sui conti che portiamo all'Europa s'è un po' imbrogliato. Accettano lo stesso, purché non s'esageri. E [[Carlo Azeglio Ciampi|Ciampi]] non esagera, è un economista serio e vero. [...] {{NDR|Romano Prodi}} Con la faccia da mortadella, l'ottimismo inossidabile e l'eterno sorriso, ci porterà in Europa: ringraziamo Dio, e anche [[Massimo D'Alema|D'Alema]], che ci hanno dato Prodi.<ref name=Montanelli>Citato in Francesco Battistini ''[https://web.archive.org/web/20160101000000/http://archiviostorico.corriere.it/1997/dicembre/19/Montanelli_ragazzi_rifate_68_co_0_97121914987.shtml Montanelli: ragazzi, rifate il '68]'', ''Corriere della Sera'', 19 dicembre 1997.</ref> *Dicono che [[Ciriaco De Mita|De Mita]] sia un intellettuale della Magna Grecia. Io però non capisco cosa c'entri la Grecia...<ref>Citato in ''Liberazione'', 22 febbraio 2008.</ref> *{{NDR|Su [[Giulia Maria Crespi]]}} Dispotica guatemalteca.<ref> Citato in Paolo Martini, ''[https://www.adnkronos.com/crespi-la-zarina-del-corriere-della-sera-che-fondo-il-fai_4YA2lu93AIXTzgMw0Wj65x Crespi, la 'zarina' del Corriere della Sera che fondò il Fai]'', adnkronos.com, 19 luglio 2020.</ref> *{{NDR|Su [[Gad Lerner]], nel 2000}} È bravissimo, son contento l'abbian messo al ''Tg1'', è un buon conduttore, buonissimo giornalista. Ma sarà un bravo direttore?<ref>Citato in Antonella Rampino, ''[http://www.archiviolastampa.it/component/option,com_lastampa/task,search/mod,libera/action,viewer/Itemid,3/page,3/articleid,0428_01_2000_0162_0003_4349235/ Il rischio? Una missione impossibile]'', ''La Stampa'', 17 giugno 2000.</ref> *{{NDR|Su [[Concetto Lo Bello]]}} Entra in campo col passo del padrone che ispeziona il proprio podere.<ref>Citato in Marco Innocenti, ''[https://st.ilsole24ore.com/art/SoleOnLine4/dossier/Tempo%20libero%20e%20Cultura/storie-della-storia/archivio-2009/storie-storia-9-settembre-muore-lo-bello.shtml?uuid=4327f496-881f-11de-873c-ca3137183d57&DocRulesView=Libero&refresh_ce=1 9 settembre 1991: se ne va il re degli arbitri, Concetto Lo Bello]'', ''ilsole24ore.com'', 8 settembre 2009.</ref> *{{NDR|Su [[Gaio Giulio Cesare|Giulio Cesare]]}} Grande soldato, grande statista, grande scrittore, grande avventuriero. E grande amatore. C'era di tutto. [...] In questa epoca di Mani Pulite Cesare sarebbe rimasto sicuramente "intangentato". Di tangenti lui ne prese parecchie. Ma a differenza dei mariuoli di oggi era anche un grande legislatore, un grande generale, un uomo di un'efficienza straordinaria. I nostri sono dei ladri. Ladri e basta.<ref>Citato in Mauro Anselmo, ''[http://www.archiviolastampa.it/component/option,com_lastampa/task,search/mod,libera/action,viewer/Itemid,3/page,7/articleid,0797_01_1993_0212_0009_11229316/ Montanelli: così ho finito la mia Storia d'Italia]'', ''La Stampa'', 4 agosto 1993.</ref> *{{NDR|Su [[Clare Boothe Luce]]}} Ha la mentalità schematica di una maestra di scuola.<ref>Citato in Massimo Gaggi, ''Quando il giornale del Pci pensò di pubblicare il nudo dell'ambasciatrice Usa'', ''Corriere della Sera'', 18 dicembre 2022.</ref> *{{NDR|Su [[Lucio Battisti]]}} Ho amato molto le sue canzoni e il suo desiderio di vivere appartato.<ref>Citato in [[Leo Turrini]], ''Lucio Battisti: la vita, le canzoni, il mistero'', Mondadori, 2008, retrocopertina.</ref> *I mariti italiani, per comprar la pelliccia alle mogli, spendono più di tutti i loro colleghi europei. Poveri, ma pelli.<ref name=Controcorrente>Da ''Controcorrente, 1974–1986'', Mondadori, Milano, 1987.</ref> *I nostri uomini politici non fanno che chiederci, a ogni scadenza di legislatura, «un atto di fiducia». Ma qui la fiducia non basta; ci vuole l'atto di fede.<ref name=Controcorrente/> *I [[Ricordo|ricordi]] vanno messi sotto teca, appesi a una parete e guardati. Senza tentare di rinnovarli. Mai.<ref>Da un'intervista di [[Ferruccio de Bortoli]], 1999; in ''[http://www.rai.it/dl/Rai5/programma.html?ContentItem-f04f3982-e954-471e-8242-78f92423550d Indro Montanelli, gli anni della televisione]'', puntata 8, di Nevio Casadio, Rai Premium, 2013.</ref> *Il bello dei [[politologi]] è che, quando rispondono, uno non capisce più cosa gli aveva domandato.<ref name=Controcorrente/> *{{NDR|Su [[Carlo Sforza]]}} Il conte si piega sulle gambe come se volesse saltare in arcione. E io dico: è veramente un bell'uomo.<ref>Citato da Guido Russo Perez nella [https://documenti.camera.it/_dati/leg01/lavori/stenografici/sed0331/sed0331.pdf Seduta pomeridiana del 31 ottobre 1949] della Camera dei deputati.</ref> *Il fascismo privilegiava i somari in divisa. La democrazia privilegia quelli in tuta. In Italia, i regimi politici passano. I somari restano. Trionfanti.<ref name=Controcorrente/> *Il guaio di [[Eugenio Scalfari|Scalfari]] non è che dice quel che pensa. Il guaio di Scalfari è che pensa quel che dice.<ref>Citato in Paolo Granzotto, ''Montanelli'', p. 173.</ref> *In [[Italia]] a fare la dittatura non è tanto il dittatore quanto la paura degli italiani e una certa smania di avere, perché è più comodo, un padrone da servire. Lo diceva [[Benito Mussolini|Mussolini]]: «Come si fa a non diventare padroni di un paese di servitori?».<ref>Dall'intervista di Pasquale Cascella, ''Montanelli: «Il regime? È alle porte, inutile aspettare il dittatore»'', ''l'Unità'', 25 ottobre 1994, p. 5.</ref> *In Italia c'è una frangia d'imbecilli tali che credono si possa resuscitare il comunismo. Seppellire il cadavere del marxismo non è facile, anche perché per molti significa rinnegare l'intera esistenza. Ma certo [[Fausto Bertinotti|Bertinotti]] non è di questi: lui non sa un corno di marxismo, non gl'importa niente, è un piccolo pagliaccio, un populista all'italiana che scalda in piazza maree di poveri diavoli e parla ancora delle masse operaie, che vede solo lui.<ref name=Montanelli></ref> *In Italia non c'è una coscienza civile, non c'è un'identità nazionale che tenga insieme uno Stato federale e garantisca la civile convivenza delle sue parti. Invece io vedo solo nell'Italia Cisalpina qualche barlume di coscienza civile e una vocazione europea. Altrove, invece, è un disastro difficile, se non impossibile, da rimediare. Spero proprio di sbagliarmi.<ref name=Italia>Citato in ''Il grande vecchio del giornalismo rilegge gli ultimi anni della nostra storia'', ''L'Indipendente'', 25 luglio 1995.</ref> *In Italia si può cambiare soltanto la Costituzione. Il resto rimane com'è.<ref>Dall'articolo di Polaczek, ''Teile und sende'', in ''Frankfurter Allgemeine Zeitung'', 15 agosto 1996, p. 29.</ref> *In Italia un colpo di piccone alle [[Casa di tolleranza|case chiuse]] fa crollare l'intero edificio, basato su tre fondamentali puntelli, la Fede cattolica, la Patria e la Famiglia. Perché era nei cosiddetti postriboli che queste tre istituzioni trovavano la più sicura garanzia.<ref>Citato in Daniele Abbiati, [http://www.ilgiornale.it/news/tresse-indro-nella-repubblica-delle-marchette.html ''La maîtresse di Indro nella Prima Repubblica delle marchette''], ''il Giornale.it'', 22 ottobre 2010.</ref> *In nome di quale razza noi faremmo del razzismo? Se c'è un paese (adesso non voglio offendere, perché io sono italiano come tutti gli altri), ma se c'è un paese bastardo è l'Italia, cioè a dire una confluenza di razze diverse.<ref>Dal programma televisivo di Rai 3 ''Eppur si muove'', 20 marzo 1994.</ref> *Io non mi sono mai sognato di contestare alla [[Chiesa (comunità)|Chiesa]] il suo diritto a restare fedele a se stessa, cioè ai comandamenti che le vengono dalla Dottrina... ma che essa pretenda d'imporre questi comandamenti anche a me che non ho la fortuna di essere un credente, cercando di travasarli nella legge civile in modo che diventi obbligatorio anche per noi non credenti, è giusto? A me sembra di no.<ref>Citato in [[Umberto Veronesi]], ''[http://www.repubblica.it/2008/10/sezioni/cronaca/eluana-eutanasia-3/comm-veronesi/comm-veronesi.html Non vince la scienza]'', ''la Repubblica'', 14 novembre 2008.</ref> *Io il giornale urlato non è che non glielo voglio dare, non lo so fare! La clava non è nel mio armamentario! Non lo posso fare e non credo che sia un buon segno di civiltà politica l'uso della clava.<ref name="milano" /> *Io non sono napoletano, ma di fronte a [[Peppino De Filippo|Peppino]], non so come, mi capita sempre di diventarlo.<ref name=Pappagone>Citato in ''Pappagone e non solo'', a cura di Marco Giusti, Mondadori, Milano, 2003.</ref> *{{NDR|Alla nipote Letizia Moizzi}} Io sarò il tuo Jukebox. Tu metti una monetina e io ti racconto un ricordo.<ref>Citato in Elvira Serra, «Scoprii che era importante quando le Br gli spararono. Lo convinsi io a prendere i farmaci per la depressione», ''Corriere della Sera'', 20 gennaio 2025.</ref> *Io non voglio soffrire, io non ho della sofferenza un'idea cristiana. Ci dicono che la sofferenza eleva lo spirito; no la sofferenza è una cosa che fa male e basta, non eleva niente. E quindi io ho paura della sofferenza. Perché nei confronti della morte, io, che in tutto il resto credo di essere un moderato, sono assolutamente radicale. Se noi abbiamo un diritto alla vita, abbiamo anche un diritto alla morte. Sta a noi, deve essere riconosciuto a noi il diritto di scegliere il quando e il come della nostra morte.<ref>Citato in Carlo A. Martigli, ''[http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2002/04/25/sul-diritto-alla-morte-si-discute-su.html Sul diritto alla morte si discute su Internet]'', ''la Repubblica'', 25 aprile 2002.</ref> *Kipling diceva: "un italiano, un bel tipo; due italiani, una discussione; tre italiani, tre partiti politici". I suoi concittadini, invece, li definiva così: "un inglese, un cretino; due inglesi due cretini; tre inglesi, un popolo". Vorrei avere a che fare con dei cretini che, insieme, facessero un popolo.<ref>Citato in Cristina Taglietti, ''[https://web.archive.org/web/20160101000000/http://archiviostorico.corriere.it/1998/dicembre/17/Montanelli_cari_studenti_volete_spaccate_co_0_98121712510.shtml Montanelli: cari studenti, se volete spaccate tutto ma è inutile]'', ''Corriere della Sera'', 17 dicembre 1998.</ref> *{{NDR|Riguardo all'approvazione della legge elettorale nota come mattarellum}} L'unico modello a cui possiamo rifarci è quello francese, non quello inglese. In un paese dove ci sono venti-venticinque partiti, come si fa l'uninominale a turno unico? Qui rischia di vincere un partito che ottiene il dieci percento, perché gli altri hanno ottenuto il sette, il sei. Ma le pare giusto questo? Io non so se è stata una follia o un atto criminale questa riforma elettorale. Io sono per la traduzione in processo dei legislatori, da [[Sergio Mattarella|Mattarella]] agli altri - non è stato il solo - i quali hanno fatto, come al solito, o creduto di fare gli interessi del proprio partito. Hanno fatto questa legge prima che venisse il diluvio universale di [[Mani pulite|Tangentopoli]], convinti che siccome loro erano il partito di maggioranza relativa spazzavano via l'Italia. Poi è venuta tangentopoli e ora piangono. Dovrebbero suicidarsi se avessero un minimo di dignità. Suicidarsi. Perché in nome degli interessi di partito hanno completamente rovinato l'Italia. [...] Questi legislatori che hanno truffato con questa legge - perché questa legge è una truffa - io vorrei sapere come mai non vengono processati. Dovrebbero essere processati per lesa patria.<ref name=conferenza>[https://www.youtube.com/watch?v=snbg12DCPSM Indro Montanelli presenta "La Voce", conferenza stampa integrale], 1994.</ref> *La cosa curiosa di [[Antonino Caponnetto|Caponnetto]] è che si va a schierare con [[Leoluca Orlando|Orlando]] che è stato il peggior denigratore di [[Giovanni Falcone|Falcone]]. E poi dice che fa l'antimafia, io vorrei sapere i voti a Orlando chi glieli ha dati.<ref>Citato in Riccardo Chiaberge ''[https://web.archive.org/web/20160101000000/http://archiviostorico.corriere.it/1994/marzo/21/Montanelli_voce_controcorrente_co_0_94032115801.shtml Montanelli la voce controcorrente]'', ''Corriere della Sera'', 21 marzo 1994.</ref> *La [[cultura]], per un giornalista, è come una puttana: la puoi frequentare ma non devi ostentarla. La cultura si tiene nel cassetto. Il lettore non va trattato dall'alto in basso, ma preso per mano come un amico e portato dove vuoi.<ref>Citato in [[Roberto Gervaso]], ''Ve li racconto io'', Mondadori, Milano, 2006, p. 294, ISBN 88-04-54931-9.</ref> *La cultura si è chiusa nella torre eburnea. Rimane lì, arroccata in sé stessa, perché ha orrore dei contatti col pubblico, si crede diminuita dai contatti col pubblico. Questa è la cultura italiana. È una cultura di cretini.<ref name="montecarlo">Radio Montecarlo, [https://www.youtube.com/watch?v=A77mrwIjSSs Intervista a Indro Montanelli], di Roberto Arnaldi, 1973.</ref> *La [[depressione]] è una malattia democratica: colpisce tutti.<ref>Citato nel programma televisivo ''Ippocrate'', Rai News, 13 giugno 2010.</ref> *La devolution mi preoccupa molto, perché la decomposizione della [[Repubblica Socialista Federale di Jugoslavia|Jugoslavia]] cominciò esattamente così: reclamata e imposta dai due grandi compari Tudjiman e [[Slobodan Milošević|Milosevic]] che distrussero l'unità del Paese per restare padroni in casa propria...<ref>Citato in Gian Guido Vecchi, ''[https://web.archive.org/web/20160101000000/http://archiviostorico.corriere.it/2001/aprile/08/Devolution_traffico_voto_rebus_co_7_0104088547.shtml Devolution e traffico, il voto è un rebus]'', ''Corriere della Sera'', 8 aprile 2001.</ref> *La guerra contro il [[brigantaggio]], insorto contro lo Stato unitario, costò piú morti di tutti quelli del [[Risorgimento]]. Abbiamo sempre vissuto dei falsi: il falso del Risorgimento che assomiglia ben poco a quello che ci fanno studiare a scuola.<ref>Citato in Stefano Preite, ''Il Risorgimento, ovvero, Un passato che pesa sul presente'', Piero Lacaita, 2009.</ref> *La lettura del ''[[Adolf Hitler#Mein Kampf|Mein Kampf]]'' io la renderei, per legge, obbligatoria. Fuori dal contesto in cui fu concepito e scritto, quel libro è un caciucco di coglionerie.<ref>Citato in Cesare Medail, ''Il «Mein Kampf» torna nelle librerie italiane. Grazie a un editore cossuttiano'', ''Corriere della Sera'', 6 maggio 2000.</ref> *La nostra classe politica ha fatto del [[partito]] una specie di totem intoccabile e gli ha attribuito tutti i poteri, con in più un diritto: il diritto di abusarne.<ref name=Dovere>Dal programma televisivo ''Dovere di cronaca'', Rete 4, 1988, [https://www.youtube.com/watch?v=caQgyvTKZS8 visibile su YouTube].</ref> *Le cose non sono importanti per quello che sono, ma per quello che uno ci mette.<ref name="cento">intervista di Enzo Biagi a Indro Montanelli, (1982), da "Cento anni", Fabbri video, 1993.</ref> *Le mie idee sono sempre al vaglio dell'[[esperienza]] e l'esperienza mi impone di rivederle continuamente.<ref name="IIIB">Da un'intervista del 1971, tratta da ''III B, Facciamo l'appello'' di Enzo Biagi; anche in ''[http://www.rai.it/dl/Rai5/programma.html?ContentItem-f04f3982-e954-471e-8242-78f92423550d Indro Montanelli, gli anni della televisione]'', puntata 7, di Nevio Casadio, Rai Premium, 2013.</ref> *[[Leo Longanesi]] che amava [[Marcello Marchesi]] rabbiosamente per lo spreco che faceva del suo talento, quando lo incontrava, gli diceva: "Devo fare una telefonata, mi dai un gettone di intelligenza?". E un giorno mi ordinò un epitaffio per lui. Eccolo: "Qui giace un nessuno — che se avesse voluto — avrebbe potuto diventare — Marcello Marchesi —. Purtroppo o per fortuna — non lo seppe mai —. Come tutti i geni — era un cretino".<ref>Citato in Paola Fallai, ''Marchesi, l'umorista che creò un'atmosfera'', ''La lettura'', ''Corriere della Sera'', 25 marzo 2012; riportato in ''[http://www.cinquantamila.it/storyTellerArticolo.php?storyId=0000001549183 Cinquantamila.it]''.</ref> *Mi accusano molto spesso di avere inventato degli aneddoti. È verissimo. Io ogni tanto invento quando devo descrivere un personaggio, specialmente negli incontri, io invento qualche aneddoto. Però sono sempre aneddoti funzionali, che servono a dimostrare quel certo carattere che mi sembra vero e di dover dimostrare.<ref name="IIIB" /> *Mi avvio verso il mio capolinea con l'angoscia di portare con me le cose che ho più amato: il mio paese e il mio mestiere, temo che non mi sopravviveranno.<ref>Da un'intervista del 1996, tratta da ''Tablet Italiani'', puntata 2, "Montanelli/Bocca", Rai Storia, 25 agosto 2013.</ref> *{{NDR|Su [[Vittorio Mangili]], in riferimento all'[[rivoluzione ungherese del 1956|insurrezione antisovietica in Ungheria nel 1956]]}} Ne ha combinate di tutti i colori. Ha fatto perfino il portaordini dei patrioti, a bordo di una delle loro automobili di collegamento.<ref>Citato in Roberta Scorranese, ''[https://www.corriere.it/cronache/22_ottobre_09/vittorio-mangili-cento-anni-dell-inviato-rai-io-budapest-madre-teresa-1efd76ca-473a-11ed-8ee2-07ab17a2d97d.shtml Vittorio Mangili, i cento anni dell’inviato Rai «Io, da Budapest a Madre Teresa»]'', ''corriere.it'', 8 ottobre 2022.</ref> *Nei grandi [[giornale|giornali]] di oggi, che non possono farne a meno, chi comanda non è più nemmeno il [[direttore]]: è l'ufficio [[marketing]].<ref name="giornalista">Da: ''Repertorio della Fondazione Montanelli'', in ''Indro Montanelli - Gli anni della televisione 4: Io sono soltanto un giornalista'', a cura di Nevio Casadio, Rai Sat, 2009</ref> *{{NDR|Rivolto a [[Silvio Berlusconi|Berlusconi]] che voleva imporsi sulla linea editoriale de ''il Giornale''}} Nell'arte dell'imprenditoria, tu sei di certo un genio, ed io un coglione. Ma nell'arte della polemica il genio sono io, e tu il coglione.<ref name=Travaglio2004>Citato in Marco Travaglio, ''Montanelli e il Cavaliere'', Garzanti, Milano, 2004.</ref> *Nessuno di noi la strada della ribellione la batté sino in fondo, come voleva [[Berto Ricci|Ricci]]: per la semplice ragione che si trattava di una strada che fondi non ne aveva. Qualcuno poi scantonò in questo o in quello dei sette o otto partiti che aprirono le porte a questa generazione perduta. E forse si illuse di aver trovato un’altra bandiera. Io sono tra i rassegnati: so benissimo che di bandiere non posso averne altre e che l'unica che seguiterà a sventolare sulla mia vita è quella che disertai, prima che cadesse.<ref>Citato in Mario Bernardi Guardi, ''La giovinezza di Montanelli ebbe un nome: Berto Ricci'', ''Il Primato Nazionale'', 3 maggio 2016.</ref> *No, [[Marco Travaglio|Travaglio]] non uccide nessuno. Col coltello. Usa un'arma molto più raffinata e non perseguibile penalmente: l'archivio.<ref name=Travaglio2004/> *Noi italiani non crediamo in nulla e tanto meno nelle virtù che qualcuno ci attribuisce. Ma tra di esse ce n'è una nella quale riponiamo una fede incorruttibile: quella della nostra capacità di corrompere tutto.<ref>Citato in Mario Cervi, ''Ti ricordi Indro?'', Società europea di edizioni, Milano, 2017, p. 57. ISBN 9778118178454</ref> *Noi qui buttiamo tutte le colpe addosso agli altri. Ma bisogna fare i conti anche col popolo italiano. Siamo noi che li abbiamo eletti questi signori. Sono mica piovuti dalla luna. E allora non accaniamoci soltanto sulla classe politica. Noi siamo un elettorato disposto a ogni sorta di transazione, quando ci fa comodo.<ref name=conferenza /> *Non credo alle feste comandate. La memoria dovrebbe essere spontanea. L'unica cosa che si dovrebbe fare è raccontare veramente e in maniera spassionata ai giovani, che non lo sanno, cosa è stata la Shoah, senza fare mobilitazioni di folle.<ref>Citato in Marco Cremonesi, ''[https://web.archive.org/web/20160101000000/http://archiviostorico.corriere.it/2001/gennaio/28/Diecimila_piazza_con_nomi_dei_co_0_0101282160.shtml Diecimila in piazza con i nomi dei lager]'', ''Corriere della Sera'', 28 gennaio 2001, p. 31.</ref> *Non do più nessun significato a queste due parole {{NDR|destra e sinistra}}, le ritengo un cascame, un residuato di situazioni oramai defunte. [[Destra e sinistra]] non hanno più nessun significato e credo che noi ci stiamo attardando su una terminologia arcaica, oramai da seppellire.<ref>Radio Radicale, [https://www.radioradicale.it/scheda/598/599-elezioni Elezioni], 38:58-39:26, 25 maggio 1979.</ref> *Non mi si portino i soliti argomenti astratti, tipo la sacralità della vita: nessuno contesta il diritto di ognuno a disporre della sua vita, non vedo perché gli si debba contestare il diritto a scegliere la propria morte.<ref>Citato in Enrico Bonerandi, ''[http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2000/12/13/montanelli-pronto-morire.html Montanelli: pronto a morire]'', '' la Repubblica'', 13 dicembre 2000, p. 36.</ref> *{{NDR|Il Polo delle Libertà}} Non venga a farci credere che è costretto all'[[Aventino (espressione)|Aventino]] dal clima di violenza creato dall'Ulivo. Dove diavolo la vede questa violenza? Mi basta guardare la faccia di [[Romano Prodi|Prodi]] 1996 per metterla a confronto con quella di Mussolini 1924 per escludere che in Italia corriamo il pericolo di una dittatura. Per fare una dittatura ci vuole un dittatore.<ref>Citato in Alessandro Longo, ''[https://rep.repubblica.it/pwa/generale/2018/03/17/news/aventino-191559602/?ref=pwa-rep-hp-2-1-1 Perché si dice Aventino]'', ''Rep.repubblica.it'', 17 marzo 2018.</ref> *{{ndr|su [[Gianni Agnelli]]}} Parla con la propria bocca, pensa con il cervello di Valletta, col cuore di Giulio De Benedetti e con gli interessi polivalenti della Fiat.<ref>Citato in Paolo Granzotto, ''Montanelli'', p. 129.</ref> *{{ndr|su [[Mariano Rumor]]}} Personaggio da commedia [[Carlo Goldoni|goldoniana]] più che da tragedia contemporanea.<ref>Citato in Paolo Granzotto, ''Montanelli'', p. 145.</ref> *Posso solo dire che l'Italia del Cattaneo è quella che conserva qualche probabilità di salvarsi da questo degrado politico, culturale, morale, economico. E l'Italia del Cattaneo è quella Cisalpina. A nord del Po, e forse anche in Emilia, esistono tracce di coscienza civile e anche di classi dirigenti sane. Poi c'è un'Italia centrale, quella toscana e umbra e marchigiana, che conserva le sue peculiarità, i suoi caratteri spiccati che affondano le radici nell'Italia comunale e rinascimentale. Il resto è un disastro che non saprei come salvare. Del resto Cattaneo ci tentò, andò a Napoli e resistette qualche giorno. Poi si arrese e se ne tornò nella sua Lugano, nella sua Svizzera.<ref name=Italia>Citato in ''Il grande vecchio del giornalismo rilegge gli ultimi anni della nostra storia'', ''L'Indipendente'', 25 luglio 1995.</ref> *Pur ricordandovi che la nostra regola è quella di non tener conto delle intemperanze altrui, specie dei politici, e di dire sempre la verità, tutta la verità, senza partito preso né animosità verso nessuno, vi autorizzo a comunicare al [[Bobo Craxi|suddetto signore]], se ve ne capita l'occasione, che l'unica «testa» in pericolo di cadere dopo il 5 aprile non è la vostra ma, casomai, la sua. E potete aggiungere, da parte mia, che non la considererei una gran perdita.<ref>Citato in [[Federico Orlando]], ''Il sabato andavamo ad Arcore'', Larus, Bergamo, 1995.</ref> *[[Sandro Pertini|Pertini]] ha interpretato al meglio il peggio degli italiani.<ref>Citato in Franco Fontanini, ''Piccola antologia del pensiero breve'', Liguori Editore, Napoli, 2007, p. 12.</ref> *Quando mi viene in mente un bell'aforisma, lo metto in conto a [[Montesquieu]], od a [[François de La Rochefoucauld|La Rochefoucauld]]. Non si sono mai lamentati.<ref>Citato in Luigi Mascheroni, ''[http://www.ilgiornale.it/news/mai-dette-ripetiamo-sempre-ecco-frasi-fantasma-storia.html Mai dette, ma le ripetiamo sempre. Ecco le frasi fantasma della storia]'', ''il Giornale'', 21 marzo 2009, p. 22.</ref> *Quello che ci ripugna è che, per mettere un controllo all'autorità politica, ci sia bisogno di ricorrere all'autorità giudiziaria. Cioè che, alla fine, noi avremo le riforme istituzionali non per via politica, ma per via giudiziaria e processuale. Questo ci allarma anche perché, come avrete ben capito, la mia opinione dei politici è molto bassa, ma quella dei giudici non è migliore. Perché anche i giudici sono stati corrotti dalla partitocrazia. Lo dimostra il semplice fatto che molti di loro ostentano la tessera di partito. Un giudice che ha venduto la propria imparzialità ai partiti è un giudice che, prima di processare gli altri, dovrebbe essere processato lui e cacciato in galera. Lo so che a dire queste cose si possono avere dei dispiaceri, ma io di dispiaceri in vita mia ne ho avuti tanti che, uno più o uno meno, non mi fa nessunissimo effetto.<ref name=Dovere/> *{{NDR|[[Carmen Lasorella]]}} Richiama tanta attenzione non solo per la sua bravura ma anche per quel che possiede dal cervello in giù.<ref>Citato in Luigi Mascheroni, ''[https://books.google.it/books?id=gtg7AQAAIAAJ&q=%22Richiama+tanta+attenzione+non+solo+per+la+sua+bravura+ma+anche+per+quel+che+possiede+dal+cervello+in+gi%C3%B9+%22&dq=%22Richiama+tanta+attenzione+non+solo+per+la+sua+bravura+ma+anche+per+quel+che+possiede+dal+cervello+in+gi%C3%B9+%22&hl=it&newbks=1&newbks_redir=0&sa=X&ved=2ahUKEwiC2PXRl5WDAxVs4AIHHazPCd4Q6AF6BAgHEAI Sette, settimanale del Corriere della sera, Edizioni 1-9]'', 1996.</ref> *Sfido io che {{NDR|''il Giornale''}} non va bene come vendite. Non va bene come vendite perché noi siamo ancora alla macchina Olivetti. Qui non è stato fatto mai nessun investimento ed è stato detto chiaro che gli investimenti non sarebbero venuti finché io ne fossi il direttore. Questa è la situazione.<ref name="milano" /> *Siamo un paese cattolico, che nella [[Provvidenza]] ci crede o almeno ne è affascinato. Il pericolo è questo: gli [[italia]]ni sentendo aria di provvidenza sono sempre pronti a mettersi in fila speranzosi.<ref name=Provvidenza>Citato in ''[http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/1994/02/24/rivogliono-uomo-della-provvidenza.html?ref=search Rivogliono l'uomo della provvidenza]'', ''la Repubblica'', 24 febbraio 1994, p. 11.</ref> *Se avessi potuto immaginare come sarebbe stata distrutta la vecchia classe politica italiana - che meritava la distruzione, sia chiaro - se avessi potuto immaginare che la distruzione della vecchia classe politica italiana, in gran parte marcia, avrebbe dischiuso una situazione come quella attuale e che la vecchia legge proporzionale sarebbe stata sostituita dall'attuale legge maggioritaria così come è stata compilata, io avrei forse difeso la vecchia classe. Per lo meno non mi sarei battuto con tanta asprezza e con tanto vigore contro quella classe politica, che meritava di finire, ma a cui si stanno dando dei successori che, ricordatevelo bene, ci faranno rimpiangere quella vecchia. È il peggio che si può dire. Ma io lo dico. Perché non riesco proprio a vedere cosa sta venendo fuori da questo rimescolio di carte.<ref name=conferenza /> *{{NDR|«Se dovesse fondare un giornale a novant'anni, che giornale farebbe?»}} Se io dovessi oggi fare un giornale, farei un ''Foglio'' un po' più grande: invece che di 4 facciate di 10 o di 12. Non di più. Con una redazione ridottissima e facendo un preventivo che mi mettesse al riparo dalle delusioni. Mirerei ad avere non più di venti/trentamila lettori e non avere pubblicità. Su queste basi, forse, riuscirei a fare un [[giornale]] di alto prestigio, ma purtroppo destinato a una élite.<ref name="giornalista" /> *Sta arrivando l'uomo della provvidenza. E io, in vita mia, di questi personaggi ne ho già conosciuto uno. Mi è bastato. Per sempre.<ref name=Provvidenza></ref> *Una cultura che perde i contatti col pubblico si sterilisce e muore. Questa è la verità. E la nostra cultura è assolutamente sterile. Noi culturalmente non contiamo più nulla nel mondo. Perché? Perché è chiusa in sé stessa, la cultura, ha perso i contatti col pubblico, con la vita. Non c'è più. Sono mummie. Non è più cultura: è mafia.<ref name="montecarlo" /> *{{NDR|Su [[Aldo Moro]]}} Un generale che, sfiduciato del proprio esercito, credeva che l'unico modo di combattere il nemico fosse quello di abbracciarlo.<ref>Citato in [[Roberto Gervaso]], ''Ve li racconto io'', Mondadori, Milano, 2006, p. 310, ISBN 88-04-54931-9.</ref> *Un giorno fui convocato a Palazzo Venezia, era il 1932 e avevo 23 anni, perché il duce voleva vedermi. Ero emozionatissimo, entrai e mi misi sull'attenti, e il duce che faceva finta di scrivere mi lasciò lì per un quarto d'ora e alla fine mi disse: "Ho letto il vostro articolo sul razzismo (avevo scritto un articolo contro il razzismo). Bravo, vi elogio. Il razzismo è roba da biondi (non si era accorto che ero biondo), continuate così. Sei anni dopo fece le leggi razziali. Perché questo era [[Benito Mussolini|Mussolini]], diceva una cosa e ne faceva un'altra, secondo il vento del momento. Non creava il vento, vi si accodava da buon italiano.<ref>Citato in Gianna Fregonara, ''[https://web.archive.org/web/20160101000000/http://archiviostorico.corriere.it/2010/gennaio/24/Dal_balcone_Mussolini_bianco_sorriso_co_9_100124324.shtml Dal balcone di Mussolini al bianco sorriso di Belen]'', 24 gennaio 2010, p. 34.</ref> *{{NDR|Su [[Giorgio La Pira]]}} Un pasticcione ben intenzionato che, nel nome del Signore, appoggia le peggiori cause appellandosi ai migliori sentimenti.<ref>Citato in [[Roberto Gervaso]], ''Ve li racconto io'', Mondadori, Milano, 2006, p. 236, ISBN 88-04-54931-9.</ref> ===Citazioni tratte da suoi libri=== *{{NDR|Sul funerale di [[Leo Longanesi]]}} Al cimitero ci si ritrovò in una decina di persone, non di più. Non ci furono cerimonie né discorsi. Solo la piccola Virginia, che avrà avuto quattordici anni, mentre la bara di suo padre calava nella tomba, mormorò: «E dire che gli orfani mi sono sempre stati così antipatici...» Una frase che sarebbe piaciuta moltissimo a Leo.<ref>Dalla presentazione a [[Leo Longanesi]], ''In piedi e seduti'', Longanesi & C., Milano, 1968.</ref> ====''Caro Indro...''==== *L'aureola di martire a Craxi nessuno è disposto a riconoscergliela, proprio perché inconciliabile con l'arroganza con cui si comporta. Nessun paragone col contegno di Andreotti, davvero ineccepibile. Sul banco degli imputati ci sta da imputato, dimentico di essere stato per ben sette volte capo del governo. Parla solo se interrogato, e a bassa voce. Non rinuncia alla propria dignità, ma non la ostenta. Eppoi, le colpe che gli si addebitano saranno anche più gravi di quelle che si addebitano a Craxi, ma meno spregevoli. Potrà anche aver baciato Riina (sebbene a me questo appaia poco credibile). Ma del pubblico denaro non risulta che gli sia scivolata in tasca nemmeno una lira. Forse merita la fucilazione. Lo spregio, no. (31.1.1996) (p. 9) *Non ho mai conosciuto [[Yasser Arafat|Arafat]], né mai ho cercato di conoscerlo: non mi pare che il suo aspetto inviti alla simpatia. Però non l'ho mai considerato un criminale anche se si trovava alla testa di un'[[Organizzazione per la Liberazione della Palestina|organizzazione]] in cui di criminali ce ne sono molti. E oggi non lo considero affatto un eroe, ma un uomo coraggioso sì, perché lo ritengo in costante pericolo di vita. La lotta per il potere, dentro l'Olp, è a coltello: e i nemici di Arafat sono quelli che il coltello lo maneggiano meglio di tutti. Stringendo la mano a [[Yitzhak Rabin|Rabin]], Arafat ha moltiplicato i suoi nemici e li ha resi ancora più rabbiosi. È un uomo a rischio, non c'è dubbio. E se muore lui, addio pace in Medio Oriente. (4.10.1993) (p. 11) *Certo che il passato dell'Olp, carico di bombe e di sangue, non è la migliore referenza per un Nobel, ma Arafat è però anche l'unico interlocutore palestinese: dopo di lui c'è il nulla, o meglio soltanto gruppi di fanatici votati alla violenza e alla distruzione di [[Israele]]. Una volta presa la decisione di premiare i protagonisti del tormentato processo di pace in Medioriente [...] si è dovuto fare di necessità virtù e dare il riconoscimento anche all'uomo che per molti anni è stato un simbolo del terrorismo, nonché l'ispiratore di tante altre «lotte armate»: premiare solo Rabin e [[Shimon Peres|Peres]] sarebbe stato uno schiaffo ai palestinesi, un'iniziativa controproducente. [...] Forse più che il Nobel per la pace meriterebbe quello per il ravvedimento... (30.10.1994) (p. 12) *«Libera Chiesa in libero Stato» è una formula più d'effetto che di sostanza. Potrebbe anche significare che Chiesa e Stato si ignorano a vicenda e ognuno dei due si attribuisce i poteri che più gli aggradono: che è il modo più sicuro per litigare, non certo per convivere. Fra i due ci deve essere un patto improntato al reciproco rispetto: condizione più facile da formulare che da realizzare. Ma sembra che lo sviluppo di questo rapporto negli ultimi anni abbia fatto più passi indietro che avanti. E mi pare che dello stesso parere sia il capo dello Stato, Carlo Azeglio Ciampi. Meno male (7.3.2001) (p. 30) *Ho fiducia in [[Massimo D'Alema|D'alema]], anche se non voterò mai per lui. Ho fiducia per due motivi. Prima di tutto perché, fra i leader di oggi, è l'unico vero professionista della politica. Eppoi perché non ho dubbi sulla sua intenzione di fare del Pds un partito socialdemocratico o laburista. Se non fosse così, non solo Prodi ma nemmeno Veltroni sarebbero al suo fianco. E appunto perché è così, sono convinto che consumerà fino in fondo il divorzio da Rifondazione. Lo consumerà cercando di non farsene portar via molti elettori. Ma lo consumerà per conquistare i moderati: altra strada non può battere. E proprio in questi giorni lo ha dimostrato sacrificando anche quella piccola falce e martello che tuttora sopravviveva nel simbolo del suo partito ai piedi della Quercia. Non era che un «segno», dirà qualcuno. Sì, ma che segno! (17.5.1995) (p. 42) *Anch'io sono stato in passato un fautore dell'elezione diretta, cioè per consultazione popolare, del Capo dello Stato. Mi pareva il mezzo più efficace per sottrarre almeno il Quirinale agl'intrallazzi dei partiti e per avere un garante al di sopra di essi. Ma poi ho dovuto cambiare idea di fronte alle prove di balordaggine, d'ignoranza, di totale mancanza di consapevolezza morale e civile dell'elettorato italiano, o almeno della sua maggioranza. È un elettorato sempre pronto a correre dietro a qualche ciarlatano che sappia vendere bene la sua merce e a lasciarsene trascinare nelle imprese più insensate. Insomma considero la stupidità più pericolosa degl'intrallazzi. (23.12.1998) (p. 47) *Non credo che [[Diana Spencer|Diana]] rimarrà nella memoria dei posteri. Era una bella e simpatica ragazza, che avrebbe anche potuto essere una buona moglie e una buona madre, ma che non aveva certamente la stoffa e le dimensioni umane, comportamentali di una regina. Più e meglio che sul trono, il suo personaggio avrebbe figurato in un romanzo di Liala. Non riesco ad accostarla a figure storiche (17.9.1997) (p. 72) *Mussolini non aveva la stoffa del criminale né di guerra né di pace. Dicendolo, so di espormi alle contumelie della cosiddetta intellighenzia. Ma ne ho già ricevute tante che non mi fanno più nessun effetto. Tuttavia mi rendo conto che alla condanna a morte non avrebbe potuto sfuggire perché almeno un responsabile delle catastrofi che si erano abbattute sull'Italia si doveva pur trovare, e non poteva essere che lui. Però c'è da ringraziare Dio, e per esso, il Comitato di liberazione nazionale che ne ordinò (o avallò) la fucilazione sul posto perché un processo a Mussolini avrebbe ancora più spaccato un Paese già spaccato dalla guerra civile (per chiamare col suo vero nome, la Resistenza). E credo che anche gli Alleati trassero un respiro di sollievo dal venirne esentati. Un processo avrebbe messo in imbarazzo anche loro per le indulgenze che avevano avuto verso di lui e quella parodia di totalitarismo ch'era stata il suo regime. Una Norimberga italiana sarebbe stata anch'essa una parodia. La fucilazione sul posto di Mussolini era un atto dovuto. Quello che non era dovuto, e che per gl'italiani provvisti di qualche senso dell'onore e della decenza rimarrà una indelebile vergogna, fu la scena di piazzale Loreto (30.6.1999) (pp. 89-90) *{{NDR|«Poni che ti regalino una telecamera, con il diritto di spiare per un mese, non visto, un potente della Terra, a tua scelta, dalla regina Elisabetta a Gheddafi, da Saddam a Clinton. Quale personaggio ti incuriosirebbe di più?»}} [[Vladimir Putin|Putin]]. Credo che sia una canaglia perché solo le canaglie potevano arruolarsi e fare carriera in un corpo di polizia come il Kgb. Ma è proprio di una canaglia che la [[Russia]] ha bisogno per ricompattarsi all'interno, risollevarsi dal caos in cui l'ha precipitata il crollo di un regime totalitario durato settant'anni, e riprendere nel gioco delle potenze mondiali il posto che spetta a un Paese di 250 milioni di abitanti, di grandi tradizioni e d'inesauribili risorse naturali. L'Occidente ha bisogno della Russia: è il suo antemurale verso un Oriente che può riservarci amare sorprese. [...] Non facciamoci illusioni sull'avvenire di una democrazia in Russia. Essa ha bisogno [...] di una mano forte e spregiudicata, di una canaglia insomma. [...] Ecco perché mi piacerebbe conoscere Putin: per vedere se è la canaglia di cui mi pare abbia bisogno la Russia in questo momento: un «momento» destinato a durare parecchi decenni. (18.10.2000) (pp. 104-105) ===Attribuite=== *Berlusconi non delude mai: quando ti aspetti che dica una scempiaggine, la dice.<ref name=Travaglio2004/> :In ''Io e il cavaliere qualche anno fa'', ''Corriere della Sera'', 25 marzo 2001, p. 1, Montanelli attribuisce la citazione a «un'alta personalità della Finanza, nota anche per il suo infallibile fiuto degli uomini». La frase esatta è: «Avrà anche i suoi difetti, ma un merito bisogna riconoscerglielo: quello di non deludere mai. Quando ti aspetti che dica una scempiaggine, la dice». ==Interviste== {{cronologico}} *{{NDR|La guerra coloniale etiopica}} Considerandola oggi, con la mia maturità d'oggi, {{NDR|è}} un'avventura di una stupidità senza fine. Ma immaginiamo un ragazzo di 24 anni messo al comando di una banda indigena, con 100 uomini neri – lui solo bianco – buttato all'avventura in quella guerra che di combattimenti ne ebbe molto pochi – non voglio passare per un gran guerriero, affatto – ma furono un anno e mezzo a cavallo, di cavalcate in questa natura selvaggia (ripeto, combattimenti ben pochi). {{NDR|«Dicono anche che lei aveva una moglie, diciamo indigena, molto bella, che era la più bella di tutte quelle che avevano gli ufficiali d'allora»}} Sì. {{NDR|«Era molto invidiato per questo»}} Pare che avessi scelto bene, era una bellissima ragazza bilena, di 12 anni – {{NDR|sorridendo}} scusatemi, ma in Africa è un'altra cosa – e così l'avevo sposata, nel senso che l'avevo regolarmente comprata dal padre che mi ha accompagnato insieme alle mogli dei miei ascari. Queste mogli degli ascari non è che seguissero la banda, ma ogni 15 giorni raggiungevano la banda: io non ho mai capito come facessero a trovarci in questo infinito dell'Abissinia. Quelle arrivavano e arrivava anche questa mia moglie con la cesta in testa, che mi portava la biancheria pulita. [...] {{NDR|Domanda del pubblico: «Lei ha detto tranquillamente di avere avuto una sposa, diciamo, di 12 anni e a 25 anni lei non si è peritato affatto di violentare una ragazza di 12 anni, dicendo "Ma in Africa queste cose si fanno". Io vorrei chiedere a lui come intende normalmente i suoi rapporti con le donne date queste due affermazioni»}} No signorina guardi, sulla violenza, nessuna violenza perché le ragazze in Abissinia si sposano a 12 anni. Non è questione, Quindi. {{NDR|Domanda del pubblico: «Su un piano di consapevolezza dell'uomo, insomma, il rapporto con una bambina di 12 anni è il rapporto con una bambina di 12 anni. Se lo facesse in Europa rischierebbe di violentare una bambina, vero?»}} Sì, in Europa sì, ma lì no. {{NDR|«Ecco, appunto»}} Lì no. {{NDR|«Quale differenza crede che esista dal punto di vista biologico, o anche psicologico?»}} No, guardi, {{NDR|«Dal punto di vista del costume»}} lì si sposano a 12 anni, non è questione. A 12 anni si sposano. {{NDR|«Ma non è il matrimonio che lei intende, a 12 anni in Africa. Guardi, io ho vissuto in Africa»}} Sì. {{NDR|«Quindi il vostro era veramente il rapporto violento del colonialista che veniva lì e si impossessava della ragazza di 12 anni»}} No... {{NDR|«Ma glielo garantisco, senza assolutamente tener conto di questo tipo di rapporto sul piano umano. Eravate i vincitori, cioè i militari che hanno fatto le stesse cose ovunque sono stati i vincitori, ovunque gli uomini si sono presentati come dei militari. La Storia è piena di queste situazioni»}} {{NDR|sorridendo}} Signorina, non so se lei vuole istruirmi un processo «a posteriori». {{NDR|«No, no, affatto. Guardi, ho soltanto voluto chiederle, per inciso, come lei intende – dopo le due interpretazioni – i rapporti con le donne»}} Dipende da cosa si mette dentro, dipende anche da cosa le donne mettono dentro di noi. È tutto un giuoco di specchi. {{NDR|«Ma lei vede sempre la donna in questa veste passiva di adulatrice, oppure di compagna – che appare e scompare – dell'uomo, non l'ha mai vista in una funzione diretta, attiva e diversa. Questo è un po' il dramma degli uomini della sua generazione»}} {{NDR|sorridendo}} Può darsi. Della mia generazione? Solo? {{NDR|«Credo»}} {{NDR|sorridendo}} Vabbè. Può darsi. (Da ''L'ora della verità'', 22 ottobre 1969) *{{NDR|Domanda del pubblico: «Io vorrei sapere perché lei, che si ritiene un osservatore, non ha mai affrontato il discorso sulla contestazione giovanile, tenendo anche presente il fatto che lei cerca il lettore. Lei ai giovani non dice assolutamente niente come giornalista»}} Come? {{NDR|«Se c'è un pubblico che lei sta perdendo, e forse non ha mai avuto, è proprio quello dei giovani. Vorrei sapere come mai lei non ha mai affrontato il discorso sulla contestazione, sulla realtà giovanile che è esplosa in questi ultimi anni»}} Signorina, io avrei tanto volentieri affrontato il discorso sulla contestazione se fosse possibile agganciare il discorso coi contestatori. Ma coi contestatori io non faccio il [[Alberto Moravia|Moravia]]. No. Non vado a farmi spernacchiare dai giovani, mi dispiace tanto. Né dai giovani, né da nessun altro. {{NDR|«Lei ha paura, scusi, di affrontare un discorso»}} No, io non ho paura, ma non ammetto di essere accolto a quel modo. È proprio un fatto, così, di dignità. {{NDR|«E allora, scusi, lei a questo punto rinuncia a un pubblico come può essere quello dei giovani semplicemente, così, per non avere degli spernacchiamenti, per non compromettere – diciamo – questo suo successo a cui è arrivato»}} Ma scusi, ma che dialogo sono le pernacchie? Me lo vuole spiegare? (ibidem) *Certamente [[Benito Mussolini|Mussolini]] fu un grossissimo politico, un uomo politico di grandissimo fiuto, di tempismo formidabile: lo dimostrò la facilità con cui vinse. Forse dovuta per metà alle sue capacità, alla sua bravura – parlo sempre come politico – e per metà all'insipienza, alla nullaggine dei suoi avversari, perché è tempo oramai di dire anche questo. Non c'è dubbio che il potere assoluto guastò completamente Mussolini: il Mussolini del 1930 non era certamente quello del 1940, il Mussolini di dieci anni dopo l'avvento al potere era diventato una specie di marionetta, la caricatura di sé stesso. Aveva perso proprio il senso della realtà, che era stato invece il suo forte da principio, il contatto col pubblico lo aveva perso, il senso della misura, e lo aveva dimostrato poi con gli errori madornali che ha fatto. Nei primi dieci anni credo che alcune cose buone le abbia fatte. Non credo che abbia ucciso la democrazia, credo che l'abbia soltanto seppellita perché era già morta. Da quel poco che ricordo l'Italia era un grosso carnevale, e anche abbastanza drammatico, perché la situazione interna era addirittura sfasciata: correva sangue, ne correva molto, noi in Toscana ne sapevamo qualcosa [...]. E quindi non è vero che lui... le democrazie non vengono mai uccise, le democrazie muoiono. Dopodiché si dà la colpa a chi le seppellisce, ma la verità è che si suicidano, e credo che la democrazia italiana del '21-22 si sia suicidata. [...] Mussolini capì una cosa fondamentale: che per piacere agli italiani bisognava dare a ciascuno di essi una piccola fetta di potere col diritto di abusarne. Questo era il fascismo. Il fascismo aveva creato una [[gerarchia]] talmente articolata e complessa che ognuno aveva dei galloni: il capofabbricato, il caposettore... tutti avevano una piccola fetta di potere, di cui naturalmente ognuno abusava, come è nel carattere degli italiani. (da ''Questo secolo'', 18 maggio 1982) *Ero all'estero, lavoravo nel giornalismo americano, alla ''United Press''. Chiesi alla mia agenzia di mandarmi come corrispondente in Abissinia. Giustamente mi dissero: «No, perché lei è un italiano, quindi logicamente non fa delle corrispondenze obiettive». Dico: «Avete ragione. Allora io vi lascio e vado volontario». Feci la mia brava domanda (la feci anche raccomandare). La domanda fu accolta, io fui mandato in Abissinia e, cosa un po' strana [...], a questo ragazzo di 23 anni [...] venne affidata una banda. [...] In quei due anni io contribuii a fare una cosa sbagliata, un'autentica fregnaccia qual era costruire un impero nel '35, quando coloro che lo avevano lo stavano già liquidando perché erano cose antistoriche. Ma io a 23 anni, a 24 anni, non potevo capire questo. Ebbi due anni di vita all'aria aperta, bella, di avventura, in cui credetti di essere un personaggio di Kipling, di contribuire a fare qualcosa di importante. Poi mi accorsi che non era vero, ma le cose non sono importanti per quello che sono, ma per quello che uno ci mette. E io in quel momento ci mettevo un grande entusiasmo: ebbi due anni di vita bellissima, a cavallo, con le tende, i miei uomini, libero, solo (perché non rispondevo a nessuno). Eh beh, compiango i giovani che non hanno avuto una simile esperienza. {{NDR|«E anche con una giovane moglie»}} E anche con una giovane moglie, {{NDR|indicando una fotografia}} eccola lì. Regolarmente sposata in quanto regolarmente comprata dal padre. {{NDR|«Quanti anni aveva?»}} Aveva 12 anni, ma non mi prendere per un Girolimoni. {{NDR|«Per un bruto»}} A 12 anni quelle lì erano già donne. {{NDR|«E tu dove l'avevi comperata?»}} L'avevo comprata a Saganèiti, un paese dove avevo mandato il mio emissario [...]. Me la comprò insieme a un cavallo e a un fucile, in tutto 500 lire. {{NDR|«E lei com'era?»}} Un animalino. Docile. Io le misi su un tucul con dei polli e poi, ogni 15 giorni, mi raggiungeva dovunque fossi, insieme alle mogli degli altri ascari. (ibidem) *Io esclusi immediatamente la responsabilità degli [[Anarchia|anarchici]] {{NDR|dalla [[strage di piazza Fontana]]}} per varie ragioni: prima di tutto, forse, per una specie di istinto, di intuizione, ma poi perché conosco gli anarchici. Gli anarchici non è che sono alieni dalla violenza, ma la usano in un altro modo: non sparano mai nel mucchio, non sparano mai nascondendo la mano. L'anarchico spara al bersaglio, in genere al bersaglio simbolico del potere, e di fronte. Assume sempre la responsabilità del suo gesto. Quindi, quell'infame attentato, evidentemente, non era di marca anarchica o anche se era di marca anarchica veniva da qualcuno che usurpava la qualifica di anarchico, ma che non apparteneva certamente alla vera categoria, che io ho conosciuto ben diversa e che credo sia ancora ben diversa. (da ''La notte della Repubblica'', 12 dicembre 1989) *La [[Lega Nord|Lega]] è una cosa sgradevole. Però le Leghe sono un fenomeno di reazione a una provocazione. È la politica nazionale, che fa nascere le Leghe. Questo non vuol dire che io le approvi. La reazione è sbagliata, ma provocazione c'è, le degenerazioni della partitocrazia ci sono. Che il pubblico denaro sia male amministrato e che a farne le spese siano soprattutto i cittadini del Nord non è contestabile. (da ''La Stampa'', 7 novembre 1990) *Ah, quel maledetto [[Toni Negri]], quel maledetto aizzatore dei sentimenti dei giovani che è vigliaccamente scappato dall'Italia per non affrontare il carcere. Per un Paese non c'è nulla di peggio che i cattivi maestri. Come punirli? Bisognerebbe impiccarli. Ripeto, impiccarli. (da ''L'Italia settimanale'', 1995) *Fu una pulizia etnica, bisognava far fuori gli italiani: allora si chiamarono fascisti e si ammazzarono, e si buttarono nelle [[massacri delle foibe|foibe]]. Questo avvenne dopo la fine della guerra, sia chiaro. Perché gli orrori di guerra, non dico che siano giustificabili, ma sono comprensibili, la guerra è di per sé stessa un orrore. No, queste... le foibe furono un'infamia commessa dopo la Liberazione, dopo la fine della guerra, e purtroppo vi hanno collaborato parecchi comunisti italiani, alcuni dei quali non solo sono ancora a piede libero, pur essendo vivi, ma ricevono delle pensioni di Stato. Ricevono delle pensioni di Stato. Però io ti posso dire questo: che come testimone oculare io ho visto anche in Croazia delle cose, da parte degli italiani, su cui è meglio sorvolare. Perché anche noi le abbiamo commesse, perché la guerra le comporta, questo è fatale, ecco. Quindi non facciamo tanto i moralisti. [...] No, questo {{NDR|tesi sloveno-croata sulla pulizia etnico-culturale da parte degli italiani durante il periodo di occupazione fascista}} è assolutamente falso. Pulizie etniche noi non ne abbiamo mai fatte, in nessun Paese occupato. Quando sento dire che noi facemmo anche la pulizia etnica in Etiopia, beh vabbè, mi cascano le braccia. Mi cascano le braccia. Quelle son menzogne infami, di gente o che non sa nulla, o che mente sapendo di mentire. Non è vero. Furono episodi, ma non di pulizia etnica, di rappresaglie. (dall'intervista al TG2, ''[http://www.youtube.com/watch?v=s9UXM_pKpqY Massacri delle foibe]'', 6 settembre 1996) *Tutto questo mi evoca dei ricordi poco simpatici. Era il [[fascismo]] che si conduceva così. Era il Fascismo che proibiva la satira, che in un paese civile e democratico dovrebbe essere assolutamente indenne da controlli politici; perché la satira non ha niente a che fare con la politica, anche se prende in giro la politica, ma si sa che è satira. Ed ogni regime serio e democratico accetta la satira, come si accettano le caricature. Era [[Benito Mussolini|Mussolini]] che non le sopportava. E qui pensano: «Ripuliremo la stalla», «Faremo piazza pulita». Ma questo linguaggio, al signor [[Gianfranco Fini|Fini]], chi glielo ispira? Ci ricorda delle cose che avremmo voluto dimenticare. Questa non è la destra, questo è il manganello. Gli italiani non sanno andare a destra senza finire nel [[manganello]]. [...] Alla Rai faranno piazza pulita, lo hanno già annunziato. Ma come si fa a definire democratico un partito che annunzia «Quando saremo al potere, noi faremo piazza pulita»? Ma questo è un linguaggio del peggiore squadrismo, che loro non sanno cosa fu, ma io me lo ricordo. Questo è il linguaggio con cui {{NDR|i fascisti}} andarono al potere. (da ''La settimana di Montanelli'', 17 marzo 2001) *Io voglio ringraziare Travaglio, perché ha detto l'assoluta e pura verità. Assolutamente. La versione che ha dato degli avvenimenti è quella esatta. [...] Io ho conosciuto due Berlusconi: il Berlusconi imprenditore privato che comprò ''il Giornale'' – e noi fummo felici di venderglielo, perché non sapevamo come andare avanti – su questo patto: tu, Berlusconi, sei il proprietario de ''il Giornale'', io, direttore, sono il padrone del ''Giornale'', nel senso che la linea politica dipende solo da me. Questo fu il patto fra noi due. Quando Berlusconi mi annunziò che si buttava in politica, io capii subito quello che stava per succedere. Cercai di dissuaderlo [...] ma tutto fu inutile. Dal momento in cui lo decise mi disse: «Ora ''il Giornale'' deve fare la politica della mia politica». Ed io gli dissi: «Non ci pensare nemmeno». Allora lui riunì la redazione come ha raccontato Travaglio – e questo lo fece a mia totale insaputa – e disse: «D'ora in poi ''il Giornale'' farà la politica della mia politica». E a quel momento me ne andai, cos'altro potevo fare? [...] Nella mia vita ci sono stati due Berlusconi, completamente opposti [...] questo fa parte del ritratto di Berlusconi. [...] Come capo politico è quello che io ho conosciuto in quei brutti giorni in cui scorrettamente, nella maniera più scorretta e più volgare, saltandomi, radunò la redazione de ''il Giornale'' per dirgli «Qui si cambia tutto» all'insaputa del direttore. Se questo sembra a Feltri un modo di procedere democratico e civile, è affar suo. (risposta telefonica a [[Marco Travaglio]] e [[Vittorio Feltri]] durante la trasmissione ''Il Raggio Verde'', 23 marzo 2001) *{{NDR|Silvio Berlusconi}} È il bugiardo più sincero che ci sia, è il primo a credere alle proprie menzogne. [...] È questo che lo rende così pericoloso. Non ha nessun pudore. (dall'intervista di Sophie Gherardi, ''L'Europa deve trattare il sig. Berlusconi con sdegno e disprezzo, non con ostilità'', ''Le Monde'', 8 maggio 2001<ref name=Travaglio2004/>) *Spero che l'Europa adotterà nei confronti di Berlusconi l'atteggiamento di indignazione e di disprezzo che merita. (dall'intervista di Sophie Gherardi, ''L'Europa deve trattare il sig. Berlusconi con sdegno e disprezzo, non con ostilità'', ''Le Monde'', 8 maggio 2001<ref name=Travaglio2004/>) {{Int|''Match''|a cura di Arnaldo Bagnasco, Alberto Arbasino e Maria Gefter Cervi, Rete 2, 18 gennaio 1978.}} *Io non stavo con Longanesi per ragioni ideologiche, anche perché io non ho mai capito quale ideologia avesse Longanesi. Longanesi non lo si poteva misurare sul piano ideologico, era sempre contro tutto e contro tutti. Era il frondista principe: lo è stato sotto il fascismo – e in fondo fece il più bel settimanale, forse, che abbia avuto l'Italia in questi ultimi decenni, credo: ''Omnibus'', che fu chiuso dal regime – e si è trovato sempre male con tutti i regimi. Che cosa pensasse in realtà Longanesi io, dopo un'amicizia di trent'anni, non sono mai riuscito a capirlo. Quello che mi affascinava di Longanesi, e che continua ancora oggi ad affascinarmi, è lo straordinario talento, l'inventiva, l'intuito, l'eleganza di Longanesi. Per cui io non consideravo le posizioni ideologiche di Longanesi, questo non m'interessava affatto. Per me era un fatto di vecchia amicizia: io sono un po' cresciuto con Longanesi, l'avrei seguito anche all'inferno perché con Longanesi si poteva andare anche all'inferno, diventava l'eden. *{{NDR|Sull'appello di votare DC nel 1976}} Questa può sembrare una contraddizione, ma che cosa avrei dovuto dire ai miei lettori? Di votare per chi? Questo è il punto. Oggi [...] i partiti laici ai quali io ideologicamente farei capo – liberale, repubblicano, socialdemocratico – fanno i pifferi di accompagnamento a un patto a sei, e questo era già nell'aria, prima del 20 giugno. Che cosa dovevo dire io ai miei lettori, «Votate per i pifferi di accompagnamento»? Francamente non me la sentivo. [...] Nonostante la mia etichetta di destra, io per i partiti di destra non mi schiererò mai. Io vorrei un centro: non lo trovo, non c'è. Un centro di opposizione democratica al regime che è già in atto non c'è. E allora che debbo fare? È colpa mia se la politica italiana non mi offre un centro? Io continuo a battermi per la costituzione di questo centro. *{{NDR|Domanda del pubblico: «Come mai in Italia non ci sono giornali indipendenti?»}} Io, per esempio, ho la presunzione – sarà infondata – di dirigere un giornale indipendente, perché vorrei sapere da chi prendo gli ordini. Me lo dica lei, Padre. {{NDR|«No, beh...»}} E allora, se non potete indicare qualcuno che mi dà gli ordini, io sono indipendente. {{NDR|«Rispondo anch'io da giornalista: è chiaro che un giornale non si sostiene con le idee sull'indipendenza, si sostiene con dei quattrini»}} Certo. {{NDR|«Allora io parlavo di un'indipendenza che, in quanto dipende da chi paga, è comunque una dipendenza ideologica. Questa era la domanda»}} Sì, l'ha scritto molto bene ''Repubblica'' [...] credendo di offendermi. Ha detto: «Il ''Giornale nuovo'' vive di collette». È vero, noi viviamo di collette, e io ne sono fiero perché le collette mi lasciano libero. {{Int|''Mixer''|a cura di Giovanni Minoli, Rete 2, 6 aprile 1981.}} *{{NDR|«Perché fu fascista fino al '37?»}} Questa è la storia della mia generazione, tutta la mia generazione è stata fascista fino al '35, al '36 o al '43. *{{NDR|«E perché smise di esserlo?»}} Perché noi credevamo che il fascismo fosse una cosa, e poi ci accorgemmo che era un'altra. *{{NDR|«Lei ha detto: "Buffoni, cafoni di natura, ''parvenus'', tutta gente in malafede, il bassettume, il pirellume, il cedernismo". Si riferiva alla Milano radical chic, ma che cosa voleva dire, esattamente?»}} Quello che ho detto. Veramente, io ne ho il più profondo disprezzo. Io accetto benissimo i comunisti: i comunisti sono gente seria, pericolosissimi, ma seri. I [[radical chic]] no. *{{NDR|«È sempre convinto del suicidio dell'anarchico Pinelli?»}} Assolutamente. *{{NDR|«Lei a Catanzaro, al processo per la strage di piazza Fontana, ha dichiarato: "Secondo me, il commissario Calabresi fu vittima di una campagna di stampa". Cioè?»}} No, non l'ho dichiarato a Catanzaro, lo dissi molto prima. Basta rileggere i giornali di quei tempi, e soprattutto i rotocalchi: veramente, Calabresi fu vittima di una campagna stampa infame e ingiusta, perché era uno dei funzionari più corretti che ci fossero. *{{NDR|«Pietro Valpreda, qui a ''Mixer'', ha definito Calabresi come "un tecnocrate del potere". Lei che cosa ne pensa?»}} Ma che significa «un tecnocrate del potere»? Un commissario di polizia serve il potere, chi diavolo deve servire? Valpreda? {{Int|''Faccia a Faccia: intervista a Indro Montanelli''|''Mixer'', a cura di Giovanni Minoli, Rai 2, 5 maggio 1985.}} *[[Renato Curcio|Curcio]] non sparava alle spalle, sparava di fronte, andava di persona a sparare. Naturalmente siamo su delle barricate opposte, ma io stimo Curcio. Lo stimo. È un uomo che secondo me ha delle idee sbagliate ma le serve, le serve da soldato vero. Con un suo galateo. Col suo coraggio. Senza mai rinnegarsi. Non si è pentito! *Io sono convinto che la magistratura debba essere indipendente, però chiedo ed esigo che abbia un autogoverno di controllo, e che soprattutto risponda dei suoi gesti. Oggi noi abbiamo una magistratura che non risponde a nessuno dei suoi errori spesso catastrofici, perché hanno distrutto uomini, hanno distrutto aziende per delle cose che poi si son rilevate insussistenti. Mai un magistrato ha pagato per questo. Io voglio che i magistrati paghino. Non dico a dei poteri esterni, ma perlomeno al potere a cui viene affidata la disciplina nella categoria. *Tutta l'intellighenzia italiana ha una vecchia tradizione di servilità, com'è logico, perché si è sviluppata in un Paese analfabeta, per secoli e secoli analfabeta. Non avendo il lettore doveva per forza procurarsi il protettore. Scriveva per il protettore. *{{NDR|«Il suo peggior difetto qual è, Montanelli?»}} Quello di non riconoscermene nessuno. *{{NDR|«[[Leo Longanesi|Longanesi]], parlando di lei, un giorno disse che lei capiva le cose con dieci mesi di anticipo rispetto a tutti gli altri. Ecco, tra dieci mesi cosa vede in [[Italia]]?»}} Queste erano le cose di Longanesi, ma in realtà io non riesco a vedere tra dieci giorni. {{Int|''[http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/1991/11/16/giangi-feltrinelli-io-non-ti-perdono.html 'Giangi' Feltrinelli io non ti perdono]''|''la Repubblica'', 16 novembre 1991, p. 33.}} *[[Giangiacomo Feltrinelli|Lui]] fu l'emblema di tutto quanto accadde in quegli anni {{NDR|Anni della contestazione}}. A differenza della [[Francia]], eravamo un paese da burletta, con una contestazione da burletta e rivoluzionari da burletta. E Feltrinelli ne fu l'esponente più qualificato. *Era il 1940 e a quel tempo Giangi aveva quattordici anni e seguiva i corsi scolastici con pessimo profitto. Giangiacomo era un ragazzetto che voleva a tutti i costi cavalcare qualcosa di rivoluzionario. Non importava il colore. Tanto è vero che il suo sogno fu prima il fascismo e poi Che Guevara. *{{NDR|«L'importante è stare in prima linea il fascismo?»}} Ma sì, negli anni Quaranta lui era fascista. Era talmente fascista che nel 1943, dopo l'8 settembre, voleva denunciare sia me che Barzini per alcune cose che avevamo detto contro i fascisti. Allora pensava di aderire a Salò. La sua dedizione a una causa quale che sia, purché rivoluzionaria, lo spingeva a questi atti pazzeschi. *Generoso? Lo chieda ai suoi collaboratori. Era una specie di padrone delle ferriere che spendeva generosamente solo per soddisfare il suo vizio principale: la rivoluzione. Con chi era in difficoltà non si dimostrò mai particolarmente generoso. *{{NDR|«Perché allora lei è così implacabilmente critico nei suoi riguardi?»}} Non ce l'ho neppure tanto con lui, quanto con tutti coloro che di Feltrinelli hanno fatto un mito. In realtà era un povero uomo. Un ingenuo divorato dall'esibizionismo. *{{NDR|«Come può ridurre tutto alla convinzione che fosse solo un ingenuo e un esibizionista?»}} Anche Starace segnò un decennio della nostra vita. Mica per questo era meno cretino. Se Feltrinelli sia stato qualcosa di più complesso, io non riesco a vederlo. Posso aggiungere questo: quella sua mania di ostentazione, quella voglia di primeggiare su tutte le cose lo ha condotto anche a degli atti di eroismo. Perché uno che sale su un traliccio, con la dinamite che non sa maneggiare e salta per aria, beh almeno il coraggio gli va riconosciuto. O forse chiamiamola incoscienza. {{Int|''[http://www.archiviolastampa.it/component/option,com_lastampa/task,search/mod,libera/action,viewer/Itemid,3/page,15/articleid,0824_01_1992_0072_0015_25082247/ Montanelli e il sacco di Milano]''|''La Stampa'', 14 marzo 1992, p. 14.}} *{{NDR|Il regime corrotto}} C'è ancora. Ma la rivolta non era tanto contro la corruzione e la partitocrazia, che erano senza dubbio un grosso male, ma che non erano il male più letale. In quel momento era proprio la società che si disfaceva, le condizioni della scuola, la predicazione del nulla, insomma la contestazione globale, l'ubriacatura degli Anni Settanta, che fu l'ubriacatura del terrorismo, e quella acquiescenza di una certa borghesia, salottiera, radical chic, che amoreggiava con queste cose, che aveva le smanie maotsetunghiste, che poi parlavano tutti di cose che non sapevano. La corruzione dei partiti invece è quasi immanente. La partitocrazia è destinata a durare almeno finché non si riforma la legge elettorale. Ma questa è la battaglia che noi cerchiamo di fare oggi. *{{NDR|«Ma gli Anni Settanta non hanno anche prodotto qualcosa di positivo nella società italiana?»}} No. Non vedo fatti positivi nel lascito degli [[anni di piombo]]. Vorrei sapere veramente quali. Quando dicono per esempio il divorzio. Ma il divorzio c'era già prima. Quelle sono conquiste sociali. C'era bisogno dei pistoleros per il divorzio? Ma andiamo! *{{NDR|«Però lei difendeva Pannella»}} Sì. A [[Marco Pannella|Pannella]] dobbiamo veramente due cose, malgrado le sue mattane. Effettivamente riuscì a impedire a una certa aliquota di giovani di finire in braccio al terrorismo, cioè gli dette un'altra bandiera. E alcune battaglie sue furono sacrosante, come quella del divorzio che appoggiammo. Poi verso Pannella io ho una certa simpatia, dovuta al mio vecchio fondo anarchico, libertario, che ritrovo in lui. È una simpatia genetica. Ritrovo in lui quello che io sono stato a vent'anni. *{{NDR|«Ma che fine ha fatto quella borghesia, che fine hanno fatto quei salotti buoni? Le sue battaglie contro la Crespi o contro la Cederna sono cosa Passata? Sono cambiati loro, oppure è cambiato lei?»}} Vabbè, con la [[Camilla Cederna|Camilla]] poi siamo ridiventati amici. Con la Crespi no, mai. Ma non ho più rancori, non ho più animosità. Però è un mondo che disprezzo un po', perché è un mondo di pecore che seguono sempre il filo del vento, santoiddio, sono proprio personcine, personcine inconsistenti, pronte ad andare con chiunque. E poi sempre per salvare i propri interessi, non è che abbiano delle idealità, no? Oggi è cambiato il vento, quindi sono cambiati anche loro. Ma non è che sia cambiato il mio giudizio. Quel mondo lì io non lo amo. *La crisi rimane e si riflette nell'amministrazione cittadina. L'amministrazione era sempre stata un autentico specchio. Fino a Bucalossi il Comune di Milano era retto da specchiati galantuomini, che finivano tutti poveri, in miseria, finivano alla Baggina. Gente davvero di una correttezza esemplare. Poi sono venuti gli Aniasi e compagni e guardi qui dove siamo arrivati: siamo arrivati a [[Mario Chiesa|Chiesa]]. {{Int|''[https://web.archive.org/web/20121107180200/http://archiviostorico.corriere.it/1993/giugno/06/Montanelli_tura_naso_come_nel_co_0_93060610816.shtml Montanelli si tura il naso come nel '76: voto l'uomo della Lega]''|''Corriere della Sera'', 6 giugno 1993, p. 3.}} *Mi sono dannato l'anima perché il centro avesse un ''suo'' candidato. Avrei voluto Locatelli: era la persona giusta per portare la bandiera referendaria e raccogliere gli elettori moderati. Era quello il mio sogno. *Segni non ha capito nulla, è arrivato in ritardo, ha candidato una persona che nessuno conosce. Non abbiamo ''un'' rappresentante del centro, ma tre surrogati che si elimineranno a vicenda. E ci toccherà scegliere fra [[Nando dalla Chiesa|Dalla Chiesa]] e Formentini. *{{NDR|«Di qui il suo suggerimento: turarsi il naso e votare Lega»}} No, non dico "Votiamo Lega", dico "Votiamo Formentini". E nel suo caso non ci si deve neppure turare il naso: è modesto, anche mediocre se vogliamo, ma è onesto. Non credo sia marcio. Insomma: è il male minore. *{{NDR|«E Dalla Chiesa?»}} No, il mio voto non lo avrà. Perché io non voto per la sinistra e per un sinistro come quello lì. *{{NDR|«Ma che cosa la preoccupa nella coalizione di Dalla Chiesa?»}} Questi reperti di un mondo fallito vogliono ora governare l'Italia. E io con loro non ci sto. La storia gli ha dato torto, la realtà li svergogna e noi dovremmo fidarci? È stata l'apertura a sinistra a dare inizio alla putredine. {{Int|''Eppur si muove''|a cura di Indro Montanelli e Beniamino Placido, Rai 3, 1994.}} *Ogni italiano è insieme furbo e fesso. L'italiano è furbissimo nella gestione dei suoi affari privati, può ricorrere a tutte le astuzie, è attento, è accorto, ed è assolutamente fesso nel non rendersi conto che se i suoi affari privati rimangono immessi in una società che non funziona – cioè dove gli interessi generali vengono trascurati e negletti – i suoi interessi privati finiscono col soffrirne e col condurlo al fallimento. Questo, a noi italiani, non entra in testa. (6 febbraio 1994) *È probabile che molti stranieri mandino i loro figli, a Roma, a scuola. Ma quali scuole? Alle loro. Gli americani mandano i loro figli alla scuola americana, i tedeschi alla scuola tedesca, i francesi alla scuola francese. Non li mandano mica alla scuola italiana, se ne guardano bene e hanno ragione, visto il modo in cui si insegna in Italia. (ibidem) *Da noi prima uscivano dei ragazzi che sapevano abbastanza di greco, di latino, ma che il carattere non lo avevano formato a scuola: o se lo formavano da soli, oppure non se lo formavano mai. (ibidem) *Lo [[Zingari|zingaro]] che fa tranquillamente la sua vita non dà noia a nessuno, è quando ruba che, naturalmente, suscita qualche perplessità (uso un eufemismo). Diciamo la verità, in Italia il razzismo non c'è. Per inventare una questione razziale ci volle una legge, e una legge fatta da un regime totalitario perché il Paese non la sentiva. Non poteva sentirla perché non è nella nostra tradizione. [...] L'Italiano non ha dei risentimenti razziali. [...] {{NDR|Sugli episodi di intolleranza e di paura per il diverso}} È un fatto di piccolissime minoranze, diciamo la verità. Non inventiamo adesso una questione {{NDR|razziale}}. Io ho vissuto nelle società veramente razziste, è tutta un'altra faccenda. (con [[Serena Dandini]], 20 marzo 1994) *Io ebbi una moglie etiopica, nel senso che la comprai secondo l'uso locale. {{NDR|«Come, scusi?»}} Eh beh, ma gli usi locali erano questi. Tutti, anche gli etiopici, compravano la moglie. {{NDR|«Quanto costava una moglie?»}} Poco. Costava poco, mi pare che mi costò – allora, però (anno 1935) – 500 lire e un tucul {{NDR|trattando}} col suocero. Perché queste furono transazioni fatte dal mio emissario, che era il più anziano graduato della mia banda, col padre della ragazza. [...] Questo matrimonio durò finché noi stemmo di stanza a Saganèiti, cioè a dire prima che scoppiasse la guerra con l'Abissinia (che non fu precisamente una guerra, fu una specie di avventura). [...] Poi questa mia moglie, perché era considerata tale, quando io partii sposò un mio graduato e al primo figlio – è vivo tuttora, mi hanno detto – diede il mio nome, per cui alcuni credettero che fosse figlio mio. Non era figlio mio. Soltanto che per deferenza... {{NDR|«Lei non pensò mai di portarla con se in Italia?»}} Beh, no. No, anche perché era molto difficile strapparla ai suoi costumi. Lei stessa, in fondo, non voleva venire. Lei apparteneva alla sua terra, io le feci una piccola dote e quindi andò tutto regolarmente. Era molto bellina. (ibidem) *Gran parte delle forze leghiste, quelle che accennano a qualche razzismo nei confronti del meridionale, sono composte da meridionali che si sono milanesizzati e ci si trovano talmente bene a Milano che non vogliono che altri arrivino dal sud. (ibidem) *Per me la [[destra]] non è una [[ideologia]]: è un modello di comportamento. Si può essere di destra anche a sinistra. Questo comportamento è il criterio rigoroso del servizio della vita pubblica. (con [[Arnoldo Foà]], 17 aprile 1994) *Nella storia della [[Italia|nazione italiana]] io vedo pochi uomini all'altezza della qualifica di una destra illuminata che non solo accetta ma vuole le [[Riformismo|riforme]]. Un uomo di destra certamente io non credo che fosse [[Camillo Benso, conte di Cavour|Cavour]], del resto il suo connubio lo dimostra, la sua disinvoltura nelle alleanze politiche lo dimostra. Certamente di destra era [[Bettino Ricasoli|Ricasoli]]. Certamente era [[Quintino Sella|Sella]]. Certamente era [[Giovanni Giolitti|Giolitti]]: uomo che dette il suffragio universale, e che riconobbe il diritto di [[sciopero]]. Questo è un uomo di destra. Certamente un uomo di destra era [[Alcide De Gasperi|De Gasperi]], senza dubbio. E, adesso non vorrei scandalizzare la gente, ma direi che uomo di destra per il concetto che aveva dello [[Stato]] e del [[potere]] era anche [[Palmiro Togliatti|Togliatti]]. E questo dimostra che si può essere uomini di destra anche a [[sinistra]]. La destra è una regola di comportamento, una regola [[morale]] di comportamento. (ibidem) {{Int|''[https://web.archive.org/web/20101005073648/http://archiviostorico.corriere.it/1997/novembre/09/Montanelli_gambizzato_cinque_mesi_prima_co_0_9711098446.shtml Montanelli "gambizzato" cinque mesi prima: "Mi salvò una promessa a Mussolini"]''|''Corriere della Sera'', 9 novembre 1997, p. 29.}} *Quella mattina {{NDR|2 giugno 1977}} sono in due nei giardini di piazza Cavour, a Milano. Uno mi spara alle gambe. L'altro mi tiene nel mirino della sua pistola. I primi due – tre proiettili entrano nelle mie lunghe zampe di pollo. Non devastano né ossa né arterie. Ma sarebbero sufficienti per far cadere a terra qualsiasi cristiano. In quegli attimi ricordo la promessa che avevo fatto a Mussolini, e a me stesso, quando, bambino, mi ritrovai intruppato nei balilla: "Se devi morire, muori in piedi!" Davanti a questi vigliacchi che non hanno il coraggio di affrontarmi in faccia, penso, non posso morire in ginocchio. E mi aggrappo alla cancellata dei giardini. Non sto in piedi sulle gambe, ma mi reggo dritto con la forza delle braccia. E quello continua a sparare e a centrare le mie zampe di pollo. Se mi fossi accasciato, se mi fossi inginocchiato davanti a lui, a quell'ora sarei morto. *Per [[Renato Curcio|lui]] ho sempre avuto rispetto. Penso che la sua autoemarginazione dalla società prima e l'emarginazione che la società gli ha imposto poi ci abbiano privato di un uomo di valore. Non lo conosco di persona, ma lo stimo, anche se poteva essere lui quello che ha mandato i due ragazzi a spararmi. Non ho rancore: quando la guerra è finita gli avversari si devono stringere la mano e devono brindare alla pace ritrovata. *Apprezzo il coraggio di chi non si pente per ricavarne un utile, di chi non denuncia il compagno di errori ma riconosce i propri torti. Almeno i brigatisti lottavano per ideali diversi da quelli dello stalinismo e del comunismo sovietico. I terroristi neri, invece, volevano soltanto restaurare un regime sepolto dalla storia. I rossi non sapevano bene cosa ma avevano in mente qualcosa di nuovo. *{{NDR|«E se avessero vinto loro?»}} Impossibile. L'esistenza del terrorismo ha soltanto ribadito le manchevolezze del nostro Paese: uno Stato inefficiente e un popolo codardo e conformista. *{{NDR|Sui burattinai, i Grandi Vecchi, la Cia, i Servizi segreti}} Fregnacce: che gliene poteva importare alla Cia di fucilare gente come il buon Casalegno o quel galantuomo di Emilio Rossi, vent'anni fa direttore del Tg Uno, o quel bischero di Montanelli? La dietrologia era una divagazione di intellettuali perditempo. Il vero problema era ed è un altro: finché non ci decideremo a riconoscere la mancanza negli italiani di una coscienza nazionale e civile questo pericolo del terrorismo lo correremo sempre. E questa fabbrica di una coscienza nazionale e civile io non la vedo nascere. *{{NDR|Sul dolore che il tempo non ha cancellato nei parenti delle vittime}} Anche noi italiani dobbiamo imparare a pagare gli inevitabili tributi dovuti alla Storia come hanno saputo fare tutti i Paesi occidentali. Il dolore resta, ma la piaga va ricucita. Una volta per tutte. {{Int|''[http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/1998/07/25/borghesia-vile-deludente.html Borghesia vile e deludente]''|''la Repubblica'', 25 luglio 1998, p. 8.}} *È la solita bruciante delusione, questa nostra borghesia. Non cambia mai, è sempre la stessa: la più vile di tutto l'Occidente. Gente portata a correr dietro a chi alza la voce, a chi minaccia, al primo manganello che passa per la strada. Questo sono i nostri borghesi: tutti fascisti sotto il fascismo, poi tutti antifascisti fin dall'indomani. Quando il comunismo era forte e faceva paura, e io fondai ''il Giornale'', mi lasciarono solo e senza un soldo. Ai tempi del terrorismo, amoreggiavano con gli estremisti nella speranza che quelli – andati al potere – gli risparmiassero la villa e il portafoglio. E ora che il comunismo non c'è più, si scoprono tutti anticomunisti, questi sedicenti liberaloni. *Il loro eroe è sempre chi brandisce il [[manganello]]. Ieri, il manganello vero. Oggi, quello catodico delle televisioni. Il liberalismo vero l'hanno sempre tradito, anzi non hanno mai saputo che cosa sia. Non vogliono le regole, detestano le leggi, vogliono avere le mani libere per fare quello che gli pare, in nome della loro cosiddetta «[[efficienza]]». Quando abbiamo fondato ''la Voce'' l'abbiamo toccato con mano: parlare di regole e di legalità a questa gente è peggio di un insulto, una bestemmia in chiesa. *L'ho sempre detto che fu un errore, quattro anni fa, defenestrarlo. Bisognava lasciarlo lì ancora un bel po', così tutti avrebbero capito quanto vale, che razza di statista è... Magari adesso non saremmo in Europa, ma non avremmo così tante gente che si lascia ubriacare dalla sua propaganda, che prova nostalgia per lui. *{{NDR|«E se un giorno si andasse a votare per il suo referendum, quello per abolire i reati del Cavaliere?»}} In quella forma, mi pare difficile che si arrivi, anche se in Italia non si sa mai. Comunque, se si votasse, credo che anche lì vincerebbe lui. Perché è quello che vuole questa nostra borghesia. Ormai è ufficiale: Berlusconi ce lo meritiamo. {{Int|''[http://www.repubblica.it/online/politica/satiquattro/montanelli/montanelli.html L'Italia di Berlusconi è la peggiore mai vista]''|''la Repubblica'', 26 marzo 2001.}} *Io voglio che vinca, faccio voti e faccio fioretti alla Madonna perché lui vinca, in modo che gli italiani vedano chi è questo signore. [[Silvio Berlusconi|Berlusconi]] è una malattia che si cura soltanto con il vaccino, con una bella iniezione di Berlusconi a Palazzo Chigi, Berlusconi anche al Quirinale, Berlusconi dove vuole, Berlusconi al Vaticano. Soltanto dopo saremo immuni. L'immunità che si ottiene col vaccino. *È strano: io non avevo mai preso parte alla campagna di demonizzazione: tutt'al più lo avevo definito un pagliaccio, un burattino. Però tutte queste storie su Berlusconi uomo della mafia mi lasciavano molto incerto. Adesso invece qualsiasi cosa è possibile: non per quello che succede a me, a me non succede nulla, non è che io rischi qualcosa, è chiaro. Quello che fa male è vedere questo berlusconismo in cui purtroppo è coinvolta l'Italia e anche tante persone perbene. *La scoperta che c'è un'Italia berlusconiana mi colpisce molto: è la peggiore delle Italie che io ho mai visto, e dire che di Italie brutte nella mia lunga vita ne ho viste moltissime. L'Italia della [[marcia su Roma]], becera e violenta, animata però forse anche da belle speranze. L'Italia del 25 luglio, l'Italia dell'8 settembre, e anche l'Italia di piazzale Loreto, animata dalla voglia di vendetta. Però la volgarità, la bassezza di questa Italia qui non l'avevo vista né sentita mai. Il berlusconismo è veramente la feccia che risale il pozzo. {{Int|''La Storia d'Italia di Indro Montanelli''|a cura di Mario Cervi, interviste di Alain Elkann, ''Cecchi Gori Editoria Elettronica Home Video'', 1999.}} *Il silenzio mantenuto finora {{NDR|sui massacri delle foibe}}, o quasi silenzio, si spiega facilissimamente: tutta la storiografia italiana del dopoguerra era di sinistra, apparteneva all'intellighenzia di sinistra, la quale era completamente succuba del Partito Comunista. Quindi non si poteva parlare delle foibe, che non appartenevano al comunismo italiano, ma appartenevano certamente al comunismo slavo, di cui però il comunismo italiano era alleato e faceva gli interessi. Quindi di questo non si poteva parlare, e non si poteva parlare delle stragi del triangolo della morte, perché anche queste ricadevano sulla coscienza – ammesso che ce ne sia una – del Partito Comunista, il che sta a dimostrare quello che dicevo prima, cioè che la Resistenza non fu una resistenza, fu una guerra civile tra italiani che continuò anche dopo il 25 aprile. [...] {{NDR|Sull'eccidio dei conti Manzoni}} Andai come giornalista [...] per appurare com'era andata la strage dei conti Manzoni, dopo la fine della guerra. [...] Una famiglia di persone che col fascismo non aveva niente a che fare, ci aveva convissuto come tutti gli italiani. Bene, nessuno mi voleva parlare di questa faccenda. [...] Nessuno ne aveva parlato, né dei Carabinieri né della Polizia e tantomeno della magistratura, eppure lo sapevano. [...] C'era una complicità assoluta, una complicità dannata. [...] Se ne parla ora perché il Muro di Berlino è crollato, ma si ricordi che trent'anni fa, quando [[Renzo De Felice|De Felice]] annunziò di mettere allo studio il ventennio fascista per sapere com'era andata, fu proposta la sua estromissione dalla cattedra universitaria, solo perché metteva allo studio un ventennio di storia italiana che, bella o brutta, c'era stata. [...] Non era possibile inquadrare storicamente il fascismo: chi lo faceva, cercando di spiegare i perché della sua durata, ed anche i perché della sua catastrofe, veniva accusato di fascismo. (da ''Dalla Monarchia alla Repubblica'') *È difficile sapere che cosa fu [[Palmiro Togliatti|Togliatti]], perché Togliatti non ha lasciato memoriali, non ha lasciato diario, che cosa pensasse Togliatti non lo sapeva nessuno, credo nemmeno la sua compagna Nilde Iotti. Si può dire che è stato un esecutore fedele degli ordini di [[Stalin]]. Lo è stato sempre, e per questo godeva la fiducia di Stalin. [...] Era un diplomatico per sé, soprattutto, perché é un uomo sopravvissuto a venticinque o trent'anni anni di Mosca, senza finire in galera, processato o contro il muro. Beh, questo è uno dei grandi personaggi. Sono pochi. {{NDR|«Non era uno statista, per esempio?»}} Non poteva essere uno statista perché i comunisti non hanno lo Stato nel sangue, i comunisti hanno il partito. Stalin non è mai stato Capo dello Stato, e nemmeno Capo del Governo, era capo del partito. Il potere nei regimi comunisti non sta né nello Stato né nel governo, sta nel partito. (da ''Dalla proclamazione della Repubblica al Trattato di pace'') *Questa [[Costituzione della Repubblica italiana|Costituzione]] porta male gli anni da quando aveva un giorno, perché fu subito chiaro quali erano i suoi difetti. Del resto furono anche denunciati da uomini come, per esempio, [[Piero Calamandrei|Calamandrei]], come Mario Paggi. (da ''Dall'assemblea costituente alla vigilia delle elezioni del 1948'') *I difetti furono soprattutto due. Il primo difetto fu di ripartizione dei lavori. La Costituente era formata da 600 membri eletti di passaggio. Voglio {{NDR|far}} notare che quella fu la prima elezione che si tenne in Italia – per la Costituente, non per il Parlamento – ma dove ci fu lo spiegamento dei partiti. Ogni partito portò i suoi candidati, cioè dei giuristi che facevano capo alla propria ideologia. Bene, in quella prima elezione il 35% dei voti andò ai democristiani, il 21% andò ai socialisti di [[Pietro Nenni|Nenni]], il 19% ai comunisti. Quindi in quel momento... non c'era ancora il Fronte ma in quel momento i socialisti facevano premio sui comunisti. Erano di poco, ma un po' più forti dei comunisti. [...] Questi 600 costituenti non potevano lavorare tutti insieme, era impossibile mandare avanti 600 persone a dibattere all'infinto le stesse cose, e allora i lavori furono devoluti a una commissione che si chiamò la ''Commissione dei Settantacinque'', perché erano 75 membri della Costituente che venivano incaricati per le loro competenze specifiche di redigere il testo. Ma anche 75 erano troppi, e allora anche i 75 si frazionarono in sotto-commissioni, ognuna delle quali lavorò per conto suo. Non ci fu un piano di insieme. {{NDR|«Quindi non fu un vero lavoro collettivo»}} Non fu un vero lavoro collettivo. Calamandrei lo disse subito: «Noi stiamo montando una macchina, che magari pezzo per pezzo sarà anche ben fatta, ma le cui giunture non coincidono con le giunture di altri pezzi». [...] Fu lasciata così perché nessuno volle rinunziare al proprio elaborato, e questo è tipico degli italiani. (da ''Dall'assemblea costituente alla vigilia delle elezioni del 1948'') *Il secondo motivo che rese questa Costituzione veramente impalatabile e nociva per il regime che ne doveva nascere, fu che i nostri costituenti partirono dal punto di vista opposto a quello da cui sarebbero partiti i costituenti tedeschi quando la Germania fu libera di elaborare una sua Costituzione. Da che cosa partirono i costituenti tedeschi? Da questo ragionamento: il nazismo fu il frutto della Repubblica di Weimar. Cos'era la Repubblica di Weimar? Era l'impotenza del potere esecutivo, cioè del Governo. [...] La Germania rimase nel disordine, nel caos, nella Babele dei partiti che non riuscivano a trovare mai delle maggioranze stabili, quindi dei governi efficaci. Ecco perché Hitler vinse, perché il nazismo vinse. I costituenti nostri partirono dal presupposto contrario, cioè dissero: «Cos'era il fascismo? Il fascismo era il premio dato a un potere esecutivo che governava senza i partiti, senza controlli eccetera. Quindi noi dobbiamo esautorare completamente il potere esecutivo, {{NDR|negando}} la possibilità di dare ai governi una stabilità, eccetera». Per rifare che cosa? Weimar. Cioè, mentre i tedeschi partivano dalla negazione di Weimar, noi arrivavamo {{NDR|a Weimar}} senza dirlo. Nessuno lo disse, ma questo fu il risultato. [...] Non fu possibile nemmeno introdurre quella solita linea di sbarramento che invece fu introdotta in Germania, per cui i partiti che non raggiungevano non ricordo se il 5 o il 3%, non avevano diritto a una rappresentanza. No, tutti i partiti dovevano esserci e tutti avevano un potere di ricatto sulle maggioranze, che erano per forza di cose di coalizioni. (da ''Dall'assemblea costituente alla vigilia delle elezioni del 1948'') *Gli italiani non imparano niente dalla Storia, anche perché non la sanno. {{NDR|«Forse non amano la Storia»}} Non la amano, non la leggono, non se ne interessano, ma questo anche le classi dirigenti: sono uguali, intendiamoci. {{NDR|«Lei auspica che venga rifatta questa Costituzione»}} Sì, ma che venga rifatta secondo criteri logici, non {{NDR|secondo}} criteri illogici. Tutte le volte che si diceva «Ma qui bisogna restituire un po' di autorità al potere esecutivo, bisogna mettere i governi in condizione di governare» si diceva: «Fascista! Fascista!». Con questo ricatto qui abbiamo fatto le più grosse scempiaggini che si potesse immaginare. (da ''Dall'assemblea costituente alla vigilia delle elezioni del 1948'') *La fine di [[Alcide De Gasperi|De Gasperi]] è la fine di un'epoca: con lui finisce un'epoca e ne comincia un'altra non certamente migliore. [...] C'è una bella pagina della figlia di De Gasperi, Maria Romana, che ha scritto un bel libro sul padre. Un libro tutto vero in cui racconta anche i funerali su in Val Sugana: c'era naturalmente tutta la nomenclatura democristiana che accompagnava la bara. Oramai De Gasperi era morto, si poteva anche fingere il compianto, e a un certo momento un passante che era lì – uno che guardava, che non aveva niente a che fare con la politica, con la Democrazia Cristiana eccetera eccetera – si avvicinò al feretro e scansando questi turiferari della DC disse: «No, non è vostro! De Gasperi è nostro! Era un italiano!». E aveva ragione. De Gasperi era nostro, non un democristiano. (da ''Gli anni di Alcide De Gasperi'') *{{NDR|[[Giovanni Gronchi]]}} Era un uomo molto abile, brillante parlatore, molto abile anche negli affari. Era molto più libertino di [[Carlo Sforza|Sforza]], quindi la Democrazia Cristiana [...] era cambiata, evidentemente, e Gronchi fu eletto per una faida interna della Democrazia Cristiana, perché [[Amintore Fanfani|Fanfani]] voleva [[Cesare Merzagora|Merzagora]]. Allora per fare dispetto a Fanfani, invece gli buttarono fra i piedi [[Giovanni Gronchi|Gronchi]], il quale seppe benissimo tessere la sua trama fra Sinistra, Destra eccetera e far diventare gronchiani anche quelli degli altri partiti. Dicendosi agli uni uomo di Destra e agli altri uomo di Sinistra, facendo insomma il giuoco personale di Gronchi, con cui entrò in Quirinale il vero grande corruttore della vita politica italiana. [...] Dopo l'onestissimo [[Luigi Einaudi|Einaudi]] viene Gronchi, che è l'indulgenza plenaria verso tutte le deviazioni e i deviazionisti d'Italia. (da ''La rivolta in Ungheria e l'elezione di Giovannni XXIII'') *Questa storia dell'MSI è una delle grandi truffe della Prima Repubblica: nella Costituzione c'è un articolo che proibisce la rinascita di un partito fascista. Ecco. Ora, l'MSI era chiaramente un partito fascista. Non lo negava, anzi si faceva gloria del fatto di essere l'erede eccetera. Perché lo avevano messo, allora? Lo avevano messo perché questo partito fascista, che avrebbe dovuto essere escluso dalla vita politica, serviva a captare un certo numero di voti che, senza questo partito, sarebbero andati a dei partiti moderati di Centro e soprattutto, forse, alla Democrazia Cristiana. Quindi quale fu il gioco delle Sinistre, a cui la Democrazia Cristiana però si piegò e si rassegnò: è consentito di esistere all'MSI, però l'MSI quando è in Parlamento è escluso dal gioco parlamentare. Così si mettevano i voti dell'MSI in ''frigidaire'', e così non andavano alla Democrazia Cristiana e ai partiti {{NDR|di Centro}}. È una delle peggiori truffe che è stata inventata dalla classe politica che ci ha governato per cinquant'anni. (da ''I successori di De Gasperi e la politica italiana fino alla morte di Togliatti'') *Io vorrei sapere quali furono le crescite... di civiltà che il [[Sessantotto]] pretende di averci lasciato. Io vedo tutt'altra cosa: io vidi nascere, dal Sessantotto, una bella torma di analfabeti che poi invasero la vita pubblica italiana, e anche quella privata, portando dovunque i segni della propria ignoranza. Io ho visto questo. Può darsi che sia affetto da sordità o da cecità ma io non ho visto altro, come frutti del Sessantotto. (da ''Il Sessantotto e la politica di Berlinguer'') *{{NDR|La differenza tra il Sessantotto francese e quello italiano è}} La differenza che passa fra l'originale e il fac simile perché il Sessantotto nacque in [[Francia]] e in [[Italia]] fu un fatto di riporto, di imitazione. {{NDR|«Che vi fu in tutto il mondo, però, questo»}} Un po' in tutto il mondo ma particolarmente in Italia dove non nasce mai niente, è sempre qualcosa di imitato dagli altri. Bene o male, insomma, i francesi ebbero... anche una certa cultura del Sessantotto, ebbero [[Jean-Paul Sartre|Sartre]]. Oddio, Sartre rivisto con gli occhi di oggi naturalmente scende molto dal suo mitico piedestallo. [...] In Italia non ci fu neanche un Sartre. (da ''Il Sessantotto e la politica di Berlinguer'') *Credo che su [[Pier Paolo Pasolini|Pasolini]] si sia preso un grosso abbaglio: Pasolini è passato per uno scrittore di sinistra perché aveva preso come sfondo dei suoi racconti – bellissimi del resto – il sottoproletariato delle borgate romane, i ragazzi di vita, insomma, la schiuma della società. Ma lo aveva fatto per dei gusti e dei motivi del tutto personali sui quali è inutile tornare a far commenti. Questo lo aveva fatto considerare come uno scrittore, un difensore del proletariato, ma non era una scelta politica quella che aveva fatto Pasolini. Non c'entrava niente, assolutamente nulla. Quindi quello che lui disse era assolutamente vero, cioè dire che nei tafferugli, dove spesso ci scappava il morto, tra quei dilettanti delle barricate che erano {{NDR|dei borghesi}}, i veri proletari erano i poliziotti, tutti figli di famiglie povere, eccetera eccetera. I dilettanti delle barricate erano tutti o quasi tutti figli di papà: aveva ragione Pasolini! Ma come no! E questo fu considerato un tradimento all'ideologia di sinistra. (da ''Il Sessantotto e la politica di Berlinguer'') *Il primo fenomeno fu il Sessantotto, e il Sessantotto partorì poi il terrorismo, il brigatismo rosso eccetera eccetera. Su questo non ci son dubbi, insomma. Dirò di più: i più seri, e forse gli unici seri, furono quelli che poi diventarono dei terroristi e che quindi rischiarono la loro vita, almeno. Gli altri erano quello che diceva Pasolini, dei figli di papà. (da ''Il Sessantotto e la politica di Berlinguer'') *{{NDR|La figura del Grande Vecchio}} È una di quelle fandonie, di quelle stupidaggini che piacciono tanto a noi italiani: l'idea di un Grande Vecchio che organizzasse tutte queste stragi, attentati eccetera eccetera. È un affare da Simenon di borgata insomma – no? Piaceva l'idea che ci fosse dietro tutta una strategia. Sennonché poi non si sapeva chi fosse il Grande Vecchio. {{NDR|«Aveva un volto questo grande vecchio?»}} Ne ha avuti molti: naturalmente [[Giulio Andreotti|Andreotti]] – quello non manca mai, quando si cerca un ''deus ex macchina'' di tutto ciò che di più criminale è avvenuto in questo Paese {{NDR|c'è}} Andreotti. {{NDR|«Però in quel momento non era tanto vecchio»}} In quel momento non era tanto vecchio, ma il Grande Vecchio non ha nulla di anagrafico, è il Grande Vecchio così – poi Gelli, poi Sindona. Ha avuto varie raffigurazioni che sono tutte di fantasia. (da ''Piazza Fontana e dintorni'') *Se c'era un funzionario corretto, che veniva portato come esempio da tutti i suoi colleghi, era Calabresi. Per quale motivo si scatenò questa campagna contro di lui non lo so. È vero che aveva interrogato [[Giuseppe Pinelli|Pinelli]], ma gli interrogatori di Calabresi facevano testo per la loro correttezza. Sempre. [...] Non so per quale motivo, a un certo momento, la stampa s'incendiò e cominciò ad additare Calabresi come «il bruto», come «lo scherano del potere sopraffattore e assassino». Questo si lesse in vari giornali. Ora, il potere sopraffattore assassino in quel momento era rappresentato da [[Mariano Rumor|Rumor]] e da [[Emilio Colombo|Colombo]]: mi dica lei se hanno il viso dei sopraffattori assassini. Magari lo fossero stati un po', ma immaginiamoci. E questa campagna fu implacabile, assolutamente implacabile. (da ''Piazza Fontana e dintorni'') *Come in tutti i processi italiani anche questi, che poi volevano arrivare all'identificazione dei responsabili e non ci arrivarono quasi mai, erano dominati dal cosiddetto «teorema»: si partiva dal presupposto... a un certo momento si mise di parlare degli anarchici – si smise quasi subito di parlare {{NDR|degli anarchici}} – e tutte le lampadine furono rivolte ai partiti e alle forze di Destra. Erano quelle le forze stragiste. [...] I nostri bravi giudici, salvo alcuni, partivano dal presupposto che {{NDR|i colpevoli}} certamente venivano di lì, venivano dalle Destre, dalle Destre più violente. Alle quali si attribuiva, sempre per «teorema», questa idea: creare una tensione nel Paese in modo da impaurire gli italiani e metterli alla scelta «o la libertà o l'ordine», perché insieme non potevano andare. Nella libertà era chiaro che non si poteva mantenere l'ordine, e loro dicevano: «Qualunque popolo messo a questa scelta sceglie l'ordine». Ecco. È un teorema. È un teorema che ha sempre cercato dimostrazione e non l'ha trovata mai. (da ''Piazza Fontana e dintorni'') *[[Bettino Craxi|Craxi]] era un uomo di partito certamente molto accorto, era un uomo valido di governo perché sapeva decidere. Che cosa fosse lo Stato, da buon socialista, non lo sapeva. (da ''Il terrorismo fino al sequestro e all'uccisione di Aldo Moro'') *Quelle lettere erano tutte farina del sacco di [[Aldo Moro|Moro]], e questa farina non è molto encomiabile perché, vede, tutti gli uomini hanno diritto ad avere paura. Tutti. Però quando un uomo sceglie la politica, e nella politica emerge a [[Statista|uomo di Stato]] – a uomo rappresentativo dello Stato – non perde il diritto a avere paura, ma perde il diritto a mostrarla. Questo sì. Questo è uno dei principi che dovrebbe essere affermato. L'incidente, tipo quello di Moro, fa parte del mestiere. Chi affronta quel mestiere deve sapere che può incorrere in quell'incidente e deve avere i nervi, e diciamo gli altri attributi, per resistere. Moro era lo Stato. Lo Stato si raccomandava, implorava, minacciava la classe politica che facesse di tutto, anche che si prostituisse, per salvargli la vita: eh, no. No. Moro era certamente un politico a modo suo, estremamente abile – era anche un galantuomo, credo – ma uomo di Stato non era nemmeno lui. [...] Anch'io mi sono posto questa domanda molto spesso: «Ma se Moro fosse tornato in politica dopo aver costretto lo Stato a prostituirsi, a inginocchiarsi di fronte ai terroristi, avrebbe potuto restarci?». Avrebbe potuto restare? Con che faccia? Vabbè che siamo in Italia. {{NDR|«Forse lo Stato sarebbe stato un altro perché i terroristi avrebbero vinto»}} Appunto. I terroristi avrebbero vinto. Quindi lui che cosa diventava, il braccio politico del terrorismo? Che cosa diventava? Come poteva ripresentarsi? Va bene, gli italiani hanno lo stomaco forte, inghiottono tutto – noi italiani abbiamo lo stomaco forte e inghiottiamo tutto – ma, insomma, di fronte a un uomo la cui vita, la cui sopravvivenza, aveva avuto quel prezzo per noi non credo che avrebbe potuto ripresentarsi all'opinione pubblica italiana. (da ''Il terrorismo fino al sequestro e all'uccisione di Aldo Moro'') *Noi naturalmente abbiamo il dovere di ringraziare [[Michail Gorbačëv|Gorbačëv]] per quello che ha fatto, però se lei mi chiede se lo ha fatto bene o lo ha fatto male io debbo rispondere che lo ha fatto malissimo. Io non so se lui... che lui volesse salvare la Patria sovietica questo non lo metto in dubbio. Che lui volesse salvare il comunismo... io debbo risponderle di no, perché quello che lui ha fatto per affossare il comunismo lo ha fatto. (da ''Giovanni Paolo II e la fine dell'URSS'') *Anche i cinesi si erano accorti che il sistema comunista era arrivato al capolinea, era fallito. Fallito perché non regge, assolutamente non regge. {{NDR|Il sistema comunista}} Aveva portato il Paese, e i Paesi che lo avevano adottato, al fallimento. Anche i cinesi si erano accorti di questo, però avevano capito che per trasformare un sistema oramai ancestralmente totalitario, statalizzato, che aveva tolto ogni libertà a tutti, che aveva disabituato tutti da ogni spirito di iniziativa e di impresa... per trasformare un'economia basata su questi principi fallimentari in un'economia capitalista basata sul libero mercato, sulla libera concorrenza eccetera, bisognava tenere in mano il potere politico per controllare questo passaggio. I cinesi lo fecero. Quando gli studenti di Pechino credettero di potergli {{NDR|al governo cinese}} prendere la mano scendendo in [[Protesta di piazza Tienanmen|piazza Tienanmen]] i cinesi non esitarono a mitragliarli e, per quanto un massacro non possa che essere esecrato, io dico questo: i cinesi erano obbligati a farlo. Se non lo facevano la Cina si dissolveva, ritornava quella di [[Chiang Kai-shek]]: ritornava quella dei signori della guerra, cioè il Paese si disfaceva. Il Paese che bene o male [[Mao Tse-tung]] aveva unificato e a cui aveva dato un'anima di Nazione si sarebbe disfatto. (da ''Giovanni Paolo II e la fine dell'URSS'') *{{NDR|Su [[Licio Gelli]]}} L'avevo visto una volta e questo [...] rendeva ancora più grande la mia sorpresa. Io avevo un giornale, ''il Giornale'', che non aveva patroni, non aveva pubblicità, che quindi aveva delle grosse difficoltà di tirare avanti. La proprietà era divisa fra me e una trentina di altri redattori, e non avevamo niente in mano. Io non trovavo una banca che mi facesse un fido, non trovavo una società pubblicitaria che mi garantisse un minimo decente delle cose [...]. A un certo momento il capo del nostro ufficio romano, Trionfera – che era massone, ma non P2 – mi disse «Senti, vieni a Roma perché so che c'è un signore che sta diventando il padrone della stampa italiana». Dico «Come? Il padrone della stampa italiana?» «Sì, c'è un signore che, a quanto pare, ha assunto un potere straordinario nel mondo dell’editoria e forse lui può anche aiutarci». [...] Andai a Roma e allora {{NDR|Renzo Trionfera}} mi disse che lui aveva appuntamento con questo signor Gelli, di cui io sentivo il nome per la prima volta [...], però dovevamo andarci quasi di nascosto. [...] Andammo [...] e così vidi Gelli per la prima e unica volta. Gli esposi la situazione e lui mi disse: «Ma questi sono dettagli, queste sono piccolezze, non sono problemi gravi perché qui, oramai, bisogna procedere a ben altro. Bisogna chiamare a raccolta tutta questa stampa italiana che è litigiosa, che è settaria. Bisogna darle un indirizzo unico». Allora io lì lo fermai. Dissi: «Come fa a darle un indirizzo unico? La stampa segue criteri diversi, i giornalisti...». «Macché giornalisti – disse lui – qui ci vuole un padrone della stampa!». Dico «Ma non esiste un padrone della stampa, a meno che non rifacciamo il Minculpop fascista, allora c'era un padrone perché c'era un regime che faceva il padrone». {{NDR|Licio Gelli}} Dice «Basta comprare la proprietà dei giornali». Dissi «Ma scusi, ci sono degli editori che non vendono» [...] «Questione di prezzo». Il discorso andò avanti su questi binari, quando uscimmo io dissi a Trionfera: «Senti, ma questo qui è il più grosso farabolano con cui abbiamo avuto a che fare, uno che si immagina di comprare tutta la stampa e di ridurla ai suoi ordini, va be', o è un matto, o è un matto, oppure è proprio un piazzista, un fregnacciaro qualsiasi insomma». Questo fu l'unico incontro. [...] Uno che faceva questi discorsi naturalmente mi sembrava inutile continuare a frequentarlo. Di lì a poco venne fuori la lista degli iscritti alla P2 e venne fuori l'identificazione di Gelli col Grande Vecchio, col famoso Grande Vecchio. {{NDR|«Finalmente si era trovato»}} Finalmente si era trovato il Grande Vecchio autore di tutte le stragi, le cose..., {{NDR|«Il vero Grande Vecchio»}} il bieco Grande Vecchio. Naturalmente non credetti nemmeno a questo. (da ''Il caso Sindona e la P2'') *Per istinto, e per come avevo visto e conosciuto [[Licio Gelli|Gelli]], io sono convinto che {{NDR|la [[P2|Loggia P2]]}} era una cricca di affaristi e basta. Era una cricca di affaristi condotta da un uomo che, evidentemente, come intrallazzatore doveva essere geniale. Era un pataccaro, indiscutibilmente era un pataccaro, ma che a tutto pensava fuorché a un ''golpe''. Non ci pensava nemmeno. Lui procurava affari e soprattutto fomentava carriere. Lui aveva capito qual è la struttura del potere in Italia, sempre, non soltanto allora, sempre: è una struttura mafiosa. Bisogna far parte di una cricca, di una conventicola in cui ognuno aiuta l'altro, e questo era la P2. [...] Ma che interesse poteva avere Gelli a rovesciare un sistema che gli consentiva di influire sino a quel punto? Quale interesse poteva avere? E poi, Gelli era un farabolano ma non doveva essere del tutto sprovveduto, doveva sapere che l'[[Italia]] non è terra da ''golpe''. Ma chi lo fa il ''golpe''? E anche se qualcuno lo fa, come fa a resistere? Che cos'ha dalla sua per fare il ''golpe''? Non ho mai creduto al golpismo di Gelli. (da ''Il caso Sindona e la P2'') *Il caso Chiesa era un caso modestissimo. Fece da detonatore perché il momento era maturo per arrivare a ''Tangentopoli'', che era dovuto a una cosa molto più complessa che era questa: che ci fosse la corruzione in Italia si è sempre saputo, la classe dominante promanava questo puzzo di fogna che tutti sentivano, il famoso «turarsi il naso». Soltanto che fin quando l'alternativa di questa classe politica allora al potere era un Partito comunista, che era un fac-simile di quello sovietico, basato sui carri armati, sulla polizia segreta, sulle delazioni, sui processi, [...] finché c'era questo spettro noi non potevamo prenderci il lusso di mettere sotto processo e mandare in galera la classe politica dirigente allora. Fu quando, col Muro di Berlino, crollò questo incubo che i tempi furono maturi perché questo avvenisse. (da ''Tangentopoli'') *Che {{NDR|la [[corruzione]]}} sia inestirpabile, di questo sono sicuro perché dura da 2000 anni. La corruzione non è soltanto nella politica: è nella società italiana! Noi italiani abbiamo sempre corrotto tutti! Tutti coloro che sono venuti in Italia a fare i padroni li abbiamo corrotti. [...] Noi dobbiamo metterci in testa che la lotta alla corruzione la si fa in un modo solo: cambiando gli italiani, non cambiando le classi politiche. Le classi politiche, anche quelle nuove, si corrompono. È inevitabile. (da ''Tangentopoli'') *[[Silvio Berlusconi|Berlusconi]] ha un sacco di qualità. C'è da dire, ha una grande immaginazione, una grande fantasia; ha un coraggio leonino nel buttarsi nelle imprese; sa trascinare molto bene; è un comunicatore eccezionale, sa accendere i suoi seguaci di entusiasmi eccetera eccetera, mi ricordo che una volta gli dissi: «Io sono sicuro che se tu ti mettessi a fabbricare dei vasi da notte, faresti venire la voglia di fare pipì a tutta l'Italia». (da ''Verso il bipolarismo'') *[[Silvio Berlusconi|Lui]] è un uomo d'attacco: se avesse fatto la carriera militare lui non sarebbe diventato né un [[Gerd von Rundstedt|Rundstedt]] né un [[Erich von Manstein|Manstein]], che furono i grandi strateghi tedeschi dell'ultima guerra. [...] Lui sarebbe diventato un [[Erwin Rommel|Rommel]] o un [[George Smith Patton|Patton]]. Cioè dire: è un generale di straccio e di rottura che, appunto, sullo slancio può compiere qualsiasi cosa. Se lo metti poi a difendere le posizioni conquistate con lo slancio, eh no, lì non ci sta. Come Rommel: Rommel finché poté attaccare in Libia e in Egitto attaccò. Quando dovette mettersi sulla difensiva chiese il rimpatrio. [...] Non sarebbe uomo di Curia e non è un uomo di pazienza, non è un uomo da guerra di posizione e di logoramento. (da ''Verso il bipolarismo'') *Lui Arrivò a Palazzo Chigi credendo, e facendo credere, che uno Stato si poteva condurre con gli stessi criteri di un'azienda privata. Io su questo avevo avuto serie discussioni con lui – non litigi, non ho mai litigato con Berlusconi – gli avevo detto: «Guarda che lo Stato non è un'azienda privata». [...] Lui credeva di potersi comportare a Palazzo Chigi, e con la macchina dello Stato, come si comportava con la sua organizzazione, dove la gente frullava e, se non frullava, lui la cacciava via, com'è giusto che faccia un imprenditore. Ma lui non poteva applicare questi metodi e sistemi allo Stato. Quando si trovò di fronte alla muraglia grigia, sorda e ottusa della burocrazia italiana, che è la peggiore, ma anche la più resistente del mondo, lui rimase senz'armi: non poteva licenziare neanche un usciere. Nel gioco parlamentare lui naufraga perché non è abituato a queste cose. La politica – non dico che sia solo un mestiere – ma è anche un mestiere. Questo mestiere lui non lo aveva. (da ''Verso il bipolarismo'') *Che gli italiani siano capaci di emanare leggi di riforma, ci credo senz'altro. L'Italia è la più grande produttrice di regole, ognuna delle quali è una riforma, è la riforma di un'altra regola. Gli stessi esperti pare che abbiano perso il conteggio delle leggi, dei regolamenti che vigono in Italia: c'è qualcuno che parla di 200.000, altri di 250.000. Ora, quando si pensa che la [[Germania]] ha in tutto 5.000 leggi, la [[Francia]] pare 7.000, l'[[Inghilterra]] nessuna, quasi nessuna – ha dei principi, così stabiliti. A cosa ha portato tutta questa proliferazione? A riempire gli scantinati dei nostri pubblici uffici, dove ci sono questi mucchi di legge che nessuno va nemmeno a consultare perché ognuna di queste leggi poi offre il modo di evaderle. Questa è la grande abilità dei legislatori italiani. I legislatori italiani sono quasi tutti degli avvocati. E gli avvocati a che cosa pensano? A ingarbugliare le leggi in modo da restarne loro i supremi e unici depositari. [...] Riforme: hai voglia se ne faremo, continuiamo a farne, è la nostra vocazione, questa. Quanto poi all'attuazione, allora è un altro discorso: le leggi in Italia non vengono osservate, anche perché sono formulate in modo che si possano non osservare. Ed è questo che spiega l'abbondanza, la prodigalità delle nostre classi politiche, delle nostre classi dirigenti, nello sfornarne di continuo. (da ''Dal Governo Dini all'Ulivo'') *Un Paese che ignora il proprio Ieri, di cui non sa assolutamente nulla e non si cura di sapere nulla, non può avere un Domani. Io mi ricordo una definizione dell'Italia che mi dette in tempi lontanissimi un mio maestro e anche benefattore, che fu un grande giornalista, [[Ugo Ojetti]], il quale mi disse: «Ma tu non hai ancora capito che l'Italia è un Paese di contemporanei, senza antenati né posteri perché senza memoria». Io avevo 25-26 anni e la presi per una ''boutade'', per una battuta, un paradosso. Mi sono accorto che aveva assolutamente ragione. Questo è un Paese che {{NDR|«È un Paese che non ama la Storia»}} ha una storia straordinaria, {{NDR|«Ma non la ama»}} ma non la studia, non la sa. È un Paese assolutamente ignaro di se stesso. Se tu mi dici cosa sarà un domani per gli italiani, forse sarà un domani brillantissimo. Per gli italiani, non per l'Italia. Perché gli italiani sono i meglio qualificati a entrare in un calderone multinazionale perché non hanno resistenze nazionali. Intanto hanno dei mestieri in cui sono insuperabili. [...] Voglio dirlo senza intonazioni spregiative, nei mestieri servili noi siamo imbattibili, assolutamente imbattibili. Ma non lo siamo soltanto in quelli. L'individualità italiana si può benissimo affermare in tutti i campi, anche scientifici. Io sono sicuro che gli scienziati italiani, i medici italiani, gli specialisti italiani, i chimici, i fisici italiani quando avranno a disposizione dei gabinetti europei veramente attrezzati brilleranno. Gli italiani, l'Italia no. L'Italia non ci sarà, non c'è. Perché gli italiani che vanno in Germania diventeranno tedeschi. [...] Alla seconda generazione sono assimilati. Dovunque vadano, sono assimilati. {{NDR|«Ma questo è un difetto?»}} No... è un difetto... è un difetto ed è anche una virtù. È una qualità. Voglio dire: per l'Italia non vedo un futuro, per gli italiani ne vedo uno brillante. (da ''Dal Governo Dini all'Ulivo'') ==Citazioni tratte dai giornali== ===''Corriere della Sera''=== <!--ordine cronologico--> *Gli eroi sono sempre immortali, agli occhi di chi in essi crede. E così crederanno, i ragazzi, che il «[[Grande Torino|Torino]]» non è morto: è soltanto «in trasferta». (7 maggio 1949) *{{NDR|A proposito di [[Maratea]]}} Forse in Italia non c'è paesaggio e panorama più superbi. Immaginate decine e decine di chilometri di scogliera frastagliata di grotte, faraglioni, strapiombi e morbide spiagge davanti al più spettacoloso dei mari, ora spalancato e aperto, ora chiuso in rade piccole come darsene. (4 ottobre 1957) *{{NDR|Su ''[[La dolce vita]]''}} Ma non c'è dubbio che qui ci si trova di fronte a qualcosa di eccezione (sic!) non perché rappresenti un meglio o un di più di ciò che finora si è fatto sullo schermo, ma perché ne va nettamente al di là, violando tutte le regole e convenzioni, a cominciare da quelle della durata, che supera le tre ore di spettacolo, per finire a quelle della trama, o meglio della non trama, perché non c'è. (''[http://cinquantamila.corriere.it/storyTellerArticolo.php?storyId=4d44ab344c050 Montanelli vede La Dolce Vita]'', 22 gennaio 1960) *{{NDR|Su ''[[La dolce vita]]''}} Non siamo più nel cinematografo, qui. Siamo nel grande affresco. Fellini secondo me non vi tocca vette meno alte di quelle che Goya toccò in pittura, come potenza di requisitoria contro la sua e la nostra società. (''ibidem'') *Il suo reportage non è una "patacca". Il poco – oh, molto poco! – che vi luce è proprio oro. E il molto che vi puzza è proprio fogna. Del resto, se così non fosse, il film sarebbe fallito come falliscono i reportages quando eludono la verità o non riescono a centrarla. Quindi, amici, vi prevengo se domani ''[[La dolce vita]]'' vi farà inorridire, non confutàtela dicendo: "Non è vero". Perché per esser vero, tutto ciò che qui è raccontato, lo è. D'altronde Fellini è ricorso al mezzo più spicciativo (e più diabolico) per dimostrarlo. (''ibidem'') *Ma mi affretto subito ad aggiungere che ''[[La dolce vita]]'' non è una polemica a sfondo giustizialista, che appunta i suoi strali sulle cosiddette classi alte. Non convincerebbe, in questo caso, o convincerebbe meno. Gli altri ambienti, che si srotolano giù giù negli appunti di questo reporter d'eccezione, sono descritti con la identica spietatezza, convalidata dalla stessa tecnica di rappresentare ciascuno nei propri panni. Lasciatemi testimoniare in tutta onestà che raramente ho visto qualcosa di più vero di quel salotto intellettuale. Esso ha dato perfino a me, che non ne frequento nessuno, un senso profondo di mortificazione, un vago anelito a cambiar mestiere e a iscrivermi, fo' per dire, ai coltivatori diretti. (''ibidem'') *Non è necessario essere socialisti per amare e stimare [[Sandro Pertini|Pertini]]. Qualunque cosa egli dica o faccia, odora di pulizia, di lealtà e di sincerità. (27 ottobre 1963) *Che i [[Rifugiati palestinesi|profughi palestinesi]] siano delle povere vittime, non c'è dubbio. Ma lo sono degli Stati arabi, non d'[[Israele]]. Quanto ai loro diritti sulla casa dei padri, non ne hanno nessuno perché i loro padri erano dei senzatetto. Il tetto apparteneva solo a una piccola categoria di sceicchi, che se lo vendettero allegramente e di loro propria scelta. Oggi, ubriacato da una propaganda di stampo razzista e nazionalsocialista, lo sciagurato ''fedain'' scarica su Israele l'odio che dovrebbe rivolgere contro coloro che lo mandarono allo sbaraglio. E il suo pietoso caso, in un modo o nell'altro, bisognerà pure risolverlo. Ma non ci si venga a dire che i responsabili di questa sua miseranda condizione sono gli «usurpatori» ebrei. Questo è storicamente, politicamente e giuridicamente falso. (16 settembre 1972) *[[Alexis de Tocqueville|Tocqueville]] diceva che «è nel sonno della pubblica coscienza che maturano le dittature». (da ''[https://web.archive.org/web/20160101000000/http://archiviostorico.corriere.it/1996/gennaio/13/platea_resta_assente_co_0_9601133631.shtml La platea resta assente]'', 13 gennaio 1996, p. 1) *Se si mettono a raffronto i due rivali come faccia, come presenza, come eloquio, come cordialità, insomma come simpatia umana, non c'è dubbio che Albertini ne ispira molto meno di Fumagalli, anzi diciamo la verità tutta intera: non ne ispira punta. Ed io, cittadino ed elettore milanese, proprio di questo sentivo il bisogno: di un sindaco antipatico, di faccia arcigna e poco invogliante alla pacca sulla spalla, al confidenziale «tu» e al pappecciccia coi sottoposti, e poco, anzi punto disponibile a quelle benevolenze, condiscendenze e indulgenze che rappresentano le supposte di glicerina di tutte le corruzioni. [...] Con Albertini ho parlato una sola volta. Ma mi è bastata per capire che, per rendersi antipatico, non ha bisogno di fare sforzi. Basta che si mostri com'è e come spero che rimanga: una specie di Molotov di Palazzo Marino, chiuso nei suoi caparbi ''niet'', diffidente, scostante e culdipietra. Che abbia una compagna fermamente decisa a non partecipare alla vita pubblica del compagno, anche questo ci va bene. [...] Si ricordi, signor Sindaco, che noi abbiamo votato per lei, non per questi papponi. (da ''[https://web.archive.org/web/20160101000000/http://archiviostorico.corriere.it/1997/maggio/13/tradito_Ulivo_co_0_9705136733.shtml Sì, ho tradito l'Ulivo]'', 13 maggio 1997, p. 1) *Non vorremmo, dopo averne deplorato il brutto vezzo, contribuire alle polemiche nel momento in cui bisogna invece accantonarle per fare compatto fronte per il salvataggio del salvabile. Ma basta con le «regole» che servono soltanto a rendere impenetrabili le responsabilità dei disastri quando i disastri si possono ricondurre a delle responsabilità umane (come non accade, per esempio, nei terremoti). Ma quando verrà l'ora della ricostruzione, ricordiamoci che l'[[urbanistica]] e il paesaggio italiani hanno bisogno non di altre, ma di meno «regole». E, più che di cemento, di dinamite. (da ''[https://web.archive.org/web/20160101000000/http://archiviostorico.corriere.it/1998/maggio/09/licenze_facili_leggi_oscure_co_0_9805099009.shtml Le licenze facili e le leggi oscure]'', 9 maggio 1998, p. 1) *Qualche dichiarazione meno infuocata contro la Giustizia di regime, come il [[Silvio Berlusconi|Cavaliere]] si ostina a definirla, avrebbe meglio aiutato la politica italiana a rimuovere il macigno che la paralizza, e che è lui, Berlusconi. (da ''[https://web.archive.org/web/20160101000000/http://archiviostorico.corriere.it/1998/luglio/14/RESTO_SIA_SILENZIO_co_0_9807143775.shtml E il resto sia silenzio]'', 14 luglio 1998, p. 1) *L'Italia sarà anche, come dicono i nostri tromboni universitari, «la culla del diritto». Ma è anche il sepolcro di una giustizia che, per decidere se un imputato è innocente o colpevole, aspetta il suo certificato di morte che la esenta dal dirlo. Il secondo problema è il reclutamento e la selezione [[magistratura|del personale]]. Come in tutte le altre pubbliche attività, anche nella giustizia c'è un dieci per cento di autentici eroi pronti a sacrificarle carriera e vita, ma senza voce in un coro di «gaglioffi» che c'è da ringraziare Dio quando sono mossi soltanto da smania di protagonismo. (da ''[https://web.archive.org/web/20160101000000/http://archiviostorico.corriere.it/1998/agosto/24/CARDINALE_MAGISTRATO_co_0_9808244892.shtml Il Cardinale e il Magistrato]'', 24 agosto 1998, p. 1) *Tutto si è risolto in un colpo solo, non si sa con precisione quando e come combinato, che ha tagliato la strada alla bagarre prima che cominciasse. E che, per quanto mi riguarda, mi ha liberato dall'incubo che turbava i miei inquieti sonni, e in cui mi vedevo in fuga da un mostro senza volto, ma che m'incalzava con la logorrea del presidente uscente, aggravata dall'accento irpino di Mancino e dalle corde vocali della signora Jervolino. [...] Siamo sicuri che il popolo, chiamato a pronunciarsi fra un [[Carlo Azeglio Ciampi|Ciampi]] e – faccio per dire – un [[Antonio Di Pietro|Di Pietro]], si sarebbe pronunciato per Ciampi? È una domanda che non aspetta risposta, ma che mi permetto di proporre ai lettori. Gran bella parola «il Popolo». E riconosciamogli pure l'attributo, che gli spetta, di «Sovrano». Ma insomma, meditate gente, meditate. (da ''[https://web.archive.org/web/20160101000000/http://archiviostorico.corriere.it/1999/maggio/14/QUASI_NON_CREDO_co_0_9905146643.shtml Quasi non ci credo]'', 14 maggio 1999, p. 1) *Tutti coloro che hanno svolto pubbliche funzioni in Sicilia sono rimasti e sono tuttora in qualche modo «collusi» con la mafia. Lo furono quotidianamente, e per secoli, il governo e la polizia borbonica. Lo fu [[Giuseppe Garibaldi|Garibaldi]] che in essa trovò, dopo lo sbarco, la sua prima alleata. Lo furono i governi nazionali sia di destra che di sinistra. Lo fu [[Giovanni Giolitti|Giolitti]] che pure non scese mai, a ch'io sappia, a sud di Napoli. Lo fu il presidente della vittoria, [[Vittorio Emanuele Orlando|Orlando]], che quando tornava a Palermo, la prima visita che rendeva non era al prefetto né all'arcivescovo, ma al capomafia. Tentò di non esserlo Mori che aveva licenza di uccidere garantita da un regime totalitario, e ci rimise il posto. Lo sono stati tutti i politiconi e politicastri della Prima Repubblica. Anche il cautissimo [[Giulio Andreotti|Andreotti]]? Può darsi, attraverso i suoi proconsoli ''in loco''. Ma il Tribunale deve aver capito che l'imputato non era lui. Era il costume morale e politico della nostra vita pubblica, sul quale un Tribunale non ha, né può né deve avere competenza. [...] E il problema, secondo me, è questo: che fin quando noi italiani crederemo di salvarci dalla peste mandando sul rogo una strega o un untore, dalla peste non ci libereremo mai. (da ''[https://web.archive.org/web/20160101000000/http://archiviostorico.corriere.it/1999/ottobre/24/TRIBUNALE_DELLA_STORIA_co_0_991024441.shtml Il tribunale della storia]'', 24 ottobre 1999, p. 1) *Ci dicano chiaro e tondo perché hanno smembrato il Ros, e hanno ridimensionato l'attività di Sco e Gico. Non ci raccontino che hanno voluto mettere al riparo il capitano Ultimo e i suoi uomini dalle possibili vendette della malavita. E soprattutto non vengano a ripeterci che il ''modus operandi'' dei servizi segreti, per impedirne le «deviazioni», dev'essere «trasparente». Questa, che un segreto possa essere trasparente, è un'idea da primato della cretineria. E, se non della cretineria, lo è della retorica virtuista o della menzogna truffaldina. (da ''[https://web.archive.org/web/20160101000000/http://archiviostorico.corriere.it/1999/novembre/02/PROCURATORE_BATTA_PUGNO_co_0_9911021451.shtml Procuratore batta il pugno]'', 2 novembre 1999, p. 1) *Era la prima volta che il partito socialista italiano aveva trovato un uomo {{NDR|Bettino Craxi}}, se non di Stato, almeno di governo, che lo aveva liberato dalla subalternanza al Pci, e condotto su posizioni democratiche, europeistiche e atlantiche. Lo avrà anche fatto con metodi alquanto spicciativi e disinvolti, più da padrino che da ''leader''. Ma mi chiedo se avrebbe potuto usarne di diversi per avere ragione dei vecchi tromboni del massimalismo populista e piazzaiolo con le loro clientele incrostate da decenni. E mi chiedo anche quanto contribuirono alla sua crocefissione i rancori e le acredini che si era lasciato dietro. Ma nella difesa si perse, e non per mancanza, ma forse per eccesso di coraggio. (da ''[https://web.archive.org/web/20160101000000/http://archiviostorico.corriere.it/2000/gennaio/20/STATISTA_LATITANTE_co_0_0001201104.shtml Lo statista latitante]'', 20 gennaio 2000, p. 1) *Anche noi siamo convinti che il Paese ha il diritto di conoscere la verità (che non riguarda soltanto quella di Piazza Fontana). Ma non ci riusciamo. Anche perché se la pista rimane, come sembra accertato, quella del terrorismo nero, non sappiamo quali nomi l'accusa potrà tirar fuori dal suo cappello. I tre maggiori indiziati sono già stati assolti con sentenza passata in giudicato che non consente di richiamarli sul banco degli imputati. Gli altri di cui si fa il nome non sarebbero che comparse, la più importante delle quali, Delfo Zorzi, risiede a Tokio con passaporto giapponese che lo mette al riparo da ogni pericolo di estradizione. Vale la pena ricominciare? L'''ouverture'' dei dibattimenti non è stata incoraggiante. Il proscenio era occupato da Capanna, Valpreda, [[Dario Fo]] e altri reduci sessantottini, cui si era aggiunto anche Sergio Cusani, l'intangentato convertitosi (lo diciamo senza nessuna ironia) al missionarismo. [...] Invano i portaparola della parte lesa, cioè dei familiari delle vittime, si sono dichiarati estranei e contrari a ogni tentativo di politicizzare il processo. Una parola. Non ci riescono nemmeno [[Jovanotti]] e [[Teo Teocoli|Teocoli]] con le loro filastrocche dal palcoscenico di Sanremo. Figuriamoci se potranno riuscirci i registi di questo processo ''rouge et noir'', se mai ve ne furono. [...] Ecco a cosa servono i processi come questo: non a cercare la verità, ma a fornire argomenti al ''rouge'' o al ''noir''. (da ''[https://web.archive.org/web/20160101000000/http://archiviostorico.corriere.it/2000/febbraio/26/QUELLA_VERITA_CHE_CERCHIAMO_co_0_0002264627.shtml Quella verità che cerchiamo]'', 26 febbraio 2000, p. 1) *Cosa c'entri la giustizia italiana in fatti e misfatti capitati trent'anni fa in un Paese {{NDR|l'[[Argentina]]}} di cui la metà della popolazione è di origine italiana, non riusciamo a capire. Ma ci pareva impossibile che l'iniziativa del giudice spagnolo Garzon per trascinare l'ex dittatore cileno [[Augusto Pinochet|Pinochet]] sul banco degli accusati di un tribunale madrileno non trovasse imitatori in un Paese di scimmie come il nostro. Grazie ad essa, il nome e il volto di Garzon sono noti in tutto il mondo. Ed è probabile che tra poco lo siano anche quelli del pubblico ministero Caporale. Vi pare poco in un'era dell'effimero come quella in cui stiamo vivendo, e che vede l'infittirsi di processi ai defunti, su cui le nuove leve della [[storiografia]] vorrebbero riscrivere il passato? (da ''[https://web.archive.org/web/20160101000000/http://archiviostorico.corriere.it/2000/aprile/03/QUEI_PROCESSI_CARO_ESTINTO_co_0_0004033275.shtml Quei processi al caro estinto]'', 3 aprile 2000, p. 1) *Dobbiamo avere la modestia di riconoscere che noi, come venditori, non leghiamo nemmeno le scarpe a un piazzista che se un giorno si mettesse a produrre vasi da notte, farebbe scappare la voglia di urinare a tutta l'Italia. (da ''[https://web.archive.org/web/20130619122825/http://archiviostorico.corriere.it/2001/febbraio/15/PREDICATORI_COMPARSE_co_0_0102158858.shtml I predicatori e le comparse]'', 15 febbraio 2001, p. 1) *Non sono mai venuto meno all'impegno, preso non con il Cavaliere, ma con me stesso, di non associarmi mai alla sua demonizzazione. Ma non posso sottacere ai lettori i pericoli che si nascondono sotto questa sua allergia alla verità, questa sua voluttuaria e voluttuosa propensione alle menzogne, la naturalezza con cui riesce a pronunziarle. (da ''Io e il cavaliere qualche anno fa'', 25 marzo 2001, p. 1) *Berlusconi, cui nulla riesce tanto bene quanto la parte di vittima e perseguitato. «[[Chiagne e fotte]]» dicono a Napoli dei tipi come lui. E si prepara a farlo per cinque anni di seguito. (da ''Io e il cavaliere qualche anno fa'', 25 marzo 2001, p. 1) ====''La stanza di Montanelli – rubrica''==== {{cronologico}} *{{NDR|[[Vittorio Sgarbi]]}} È un volgare calunniatore, che non disonora se stesso, ma anche il suo committente e padrone (tutti sappiamo chi è) che si serve di un simile scherano. (8 novembre 1995) *I [[Riformismo|riformatori]] italiani, quando si tratta di riformare ciò che non ha bisogno di essere riformato, sono instancabili. L'attività dell'Ucas, Ufficio complicazioni affari semplici, come ricordava un altro lettore esasperato, è frenetica. ([https://web.archive.org/web/20160101000000/http://archiviostorico.corriere.it/1995/dicembre/13/Ufficio_complicazioni_affari_semplici_co_0_9512139920.shtml 13 dicembre 1995]) *Io credo che il miglior omaggio che si può rendere a [[Aldo Moro|Moro]] sia quello di archiviare l'episodio che ne segnò la fine e dal quale, diciamo la verità, la sua immagine esce tutt'altro che bene. Quando sento dire che, oltre a quelle conosciute, ci sono anche altre lettere di Moro, prego Iddio che non vengano trovate. So già cosa contengono, e preferisco non leggerlo. (21 dicembre 1995) *È assolutamente impossibile istillare negli [[zingari]] il concetto di proprietà e quindi educarli al lavoro come mezzo per conquistarsela. Ma temo che sia altrettanto impossibile far capire tutto questo ai nostri pietisti, religiosi e laici, che farneticano di «integrarli». ([https://web.archive.org/web/20160101000000/http://archiviostorico.corriere.it/1995/dicembre/30/Viaggiai_sul_carrozzone_degli_zingari_co_0_95123012229.shtml 30 dicembre 1995]) *A me, invece, [[Beppe Grillo|Grillo]] piace. Lo considero il più efficace comico in circolazione. Anzi: «comico» non è la parola giusta. Grillo non è un comico, non è un moralista, non è un predicatore: è tutte queste cose insieme. Nel panorama dello spettacolo italiano, dove abbonda il bollito misto, è un'eccezione ambulante (e urlante). Lei ha ragione quando dice che Grillo esagera. Non soltanto esagera; provoca anche, e insulta, e offende. Ma tutte le categorie di giudizio, con un tipo così, risultano inadeguate. Grillo appartiene ad una specie animale particolare, formata da un solo esemplare: lui. O lo strozziamo o lo applaudiamo. Io, appena posso, lo applaudo. Perché i suoi eccessi, a differenza di quelli di [[Vittorio Sgarbi|Sgarbi]], odorano di bucato. ([https://web.archive.org/web/20160101000000/http://archiviostorico.corriere.it/1996/gennaio/11/Beppe_Grillo_incubo_esilarante_co_0_9601114281.shtml 11 gennaio 1996]) *Una delle eterne regole italiane: nel settore pubblico, tutto è difficile; la buona volontà è sgradita; la correttezza, sospetta. Per questo, le persone capaci continueranno a tenersi a distanza di sicurezza dalla «cosa pubblica», lasciando il posto ai furbastri (magari bravi) e alle mezze cartucce (magari oneste). Così, purtroppo, vanno le cose in questo bizzarro paese. ([https://web.archive.org/web/20160101000000/http://archiviostorico.corriere.it/1996/gennaio/26/Impegno_politico_caduta_delle_illusioni_co_0_9601261298.shtml 26 gennaio 1996]) *In una società libera il compito dei media non è «edificare la morale»; è informare, denunciare, stimolare, far riflettere, occasionalmente divertire. (28 gennaio 1996) *L'unico incoraggiamento che posso dare ai giovani, e che regolarmente gli do, è questo: «Battetevi sempre per le cose in cui credete. Perderete, come le ho perse io, tutte le battaglie. Una sola potete vincerne: quella che s'ingaggia ogni mattina, quando ci si fa la barba, davanti allo [[specchio]]. Se vi ci potete guardare senza arrossire, contentatevi». (20 febbraio 1996) *Non so se il Pci sia sotterraneamente sceso a trattative con le Br per convincerle a secondare questo piano. So soltanto che le Br, le quali invece la rivoluzione la volevano sul serio, lo rifiutarono, e fu proprio per farlo naufragare che rapirono e poi uccisero colui che doveva esserne lo strumento. [...] Fu il risoluto e quasi furibondo (oltre che sacrosanto) no dei comunisti che fece naufragare il tentativo {{NDR|Trattativa Stato-BR durante il sequestro [[Aldo Moro|Moro]]}}, che invece in seno alla Dc aveva parecchi sostenitori, anche se non osavano dirlo apertamente. Di qui le accuse e le insinuazioni contro i suoi compagni di partito, lanciate da Moro in quelle famose lettere, che avrebbe fatto meglio a non scrivere perché indegne di un vero uomo di Stato, anzi di un uomo tout court, e che ancor oggi forniscono materia al sospetto di una congiura fra democristiani – con l'aiuto dei soliti servizi segreti «deviati» – per sbarazzarsi di lui. Vero nulla. Forse nella Dc le forze «trattativiste», praticamente disposte alla resa alle Br, avrebbero vinto, se non ne fossero state impedite dalla risolutezza del Pci, che di un brigatismo assurto ad interlocutore dello Stato non voleva sentir parlare e di un Moro salvato al prezzo di una simile capitolazione non avrebbe più saputo che farsi. (26 marzo 1996) *No, è stata la persecuzione che ha costretto gli ebrei, per resisterle, a tendere ed affinare tutte le loro risorse intellettuali. Ecco il segreto dei loro primati. In tutto. E talvolta anche nella cretineria. (3 aprile 1996) *L'[[Allargamento della NATO|allargamento della Nato]] è una cosa maledettamente seria, e decisamente complessa. Parlarne prima delle elezioni presidenziali russe vuol dire buttare benzina sul fuoco; non parlarne oggi significa, forse, non parlarne più. [...] Innanzitutto, dobbiamo renderci conto che la Nato è un'organizzazione basata sul consenso: se si estende verso Oriente [...], la compattezza dell'alleanza rischia di incrinarsi. Ancor più delicata è una seconda questione. Governi e opinione pubblica occidentali devono capire le implicazioni della loro decisione. In seguito all'allargamento, i nuovi membri orientali della Nato (che siano solo Repubblica Ceca e Ungheria; o anche Polonia e Paesi Baltici) diventano nostri alleati, a tutti gli effetti. Questo vuol dire che, se venissero attaccati, dovremmo correre a difenderli. Domanda: siamo disposti a morire per Varsavia e Tallin? Se la risposta è «sì», allarghiamo pure la Nato. Se la risposta è «ma, forse...» – e in Italia sarebbe sicuramente «ma, forse...» – è meglio che lasciamo perdere. In quella parte del mondo hanno già sofferto abbastanza. Non è il caso che ci mettiamo anche noi. ([https://web.archive.org/web/20151025020316/http://archiviostorico.corriere.it/1996/aprile/20/Allargamento_della_Nato_Lasciamo_perdere_co_0_960420535.shtml 20 aprile 1996]) *Io non mi considero affatto ateo e non capisco come si possa esserlo. ([https://web.archive.org/web/20160101000000/http://archiviostorico.corriere.it/1996/maggio/23/dove_comincia_grande_mistero_Dio_co_0_9605235872.shtml 23 maggio 1996]) *{{NDR|Riferito alla [[crisi di Sigonella]]}} Ho sempre considerato il rilascio di Abu Abbas un gesto semplicemente criminale o almeno di complicità col crimine. ([https://web.archive.org/web/20151107235857/http://archiviostorico.corriere.it/1996/luglio/07/Caro_Ottiero_Ottieri_diamoci_del_co_0_9607072658.shtml 7 luglio 1996]) *Quanto scrivi {{NDR|riferito a una lettrice}} sull'insegnamento della Storia nelle nostre scuole è sacrosantamente vero. I testi su cui ve la fanno studiare sono o reticenti o faziosi, ma più spesso l'una cosa e l'altra, e soprattutto scritti coi piedi. (4 settembre 1996) *No, caro N***, non mi basta che il Pool abbia perseguito e persegua una buona Causa. Doveva farlo anche con buoni mezzi e criteri. E il caso Di Pietro basta a dimostrare che questo non è sempre avvenuto. (24 ottobre 1996) *È dalla piazza e dai cosiddetti «bagni di folla» che nascono i dittatori e vengono consacrati i fanatismi più orrendi, fra cui il più orrendo di tutti: il razzismo. ([https://www.fondazionemontanelli.it/sito/pagina.php?IDarticolo=432 24 novembre 1996]) *Io non ho titoli culturali che mi qualifichino a lezioni su una tematica come quella del [[calvinismo]]. Ma credo di averne afferrato l'essenziale: la concezione della Ricchezza come segno della Grazia, di cui quindi non si è proprietari, ma amministratori per conto del Signore col compito di moltiplicarla per il bene di tutti. (21 dicembre 1996) *[[Daniele Vimercati|Vimercati]] è un leghista antemarcia. Lo era anche quando lavorava con me al ''Giornale''. Ma è soprattutto un signor giornalista, che conosce perfettamente la linea di demarcazione fra l'opinione personale e il dovere professionale, e non c'è interesse né calcolo di opportunità che possa indurlo a varcarla. Per questo godeva di tutta la mia fiducia, né mai ho avuto occasione di pentirmi di avergliela concessa. (1996).<ref>Citato in Pierluigi Saurgnani, ''[https://www.ecodibergamo.it/stories/Cronaca/274325_vimercati_gran_borghese_il_giornalista_che_scopr_bossi/ Vimercati, gran borghese. Il giornalista che scoprì Bossi]'', ''ecodibergamo.it'', 13 marzo 2012.</ref> *Di commissioni d'inchiesta il nostro parlamento ne ha partorite a dozzine. Me ne citi una sola che abbia raggiunto dei risultati, anche semplicemente conoscitivi. Per un Parlamento come il nostro (e mi trattengo a fatica dal qualificarlo) anche la ricerca della verità è materia di lottizzazione. ([https://web.archive.org/web/20151118213258/http://archiviostorico.corriere.it/1996/dicembre/23/Ormai_non_resta_che_amnistia_co_0_96122312669.shtml 23 dicembre 1996]) *Quando ebbi, fra i tanti, un processo non con un magistrato, ma con un politico del rango di De Mita che avevo coinvolto nella mala amministrazione dei fondi stanziati per l'Irpinia dopo il [[Terremoto dell'Irpinia del 1980|terremoto]], non trovai, in tutta quella vasta regione, una toga che venisse a testimoniare in mio favore. L'unico che mi difese fu colui che avrebbe dovuto accusarmi: il pubblico ministero del tribunale di Monza, Mariconda: non sul merito delle mie accuse, ch'egli non aveva elementi per valutare, ma sul diritto che mi riconosceva di lanciarle. Anche l'uso dei cinquanta–sessantamila miliardi stanziati per l'Irpinia rimase un porto delle nebbie. ([https://web.archive.org/web/20160101000000/http://archiviostorico.corriere.it/1997/gennaio/12/Magistratura_porti_delle_nebbie_co_0_9701123652.shtml 12 gennaio 1997]) *La sola parola «ingegneria genetica» mi mette i brividi. (14 marzo 1997) *Io non mi sono mai [[Impiccagione|impiccato]]. Ma a Norimberga assistetti a diciassette impiccagioni, compresa quella di un cadavere, il cadavere di Göring che si era suicidato il giorno prima. Be', mi resi conto [...] che ficcare la testa nel nodo scorsoio di una corda non è un esercizio da mezzetacche o quacquaracquà. (15 maggio 1997) *{{NDR|Gladio}} Era stato istituito in quasi tutti i Paesi che facevano parte della Nato, e per volontà della Nato, consapevole che i suoi soci europei non avrebbero potuto resistere all'attacco di una Potenza superarmata qual era l'[[Unione Sovietica]]: avrebbero dovuto aspettare, per la riscossa, l'intervento dell'[[Stati Uniti d'America|America]]. Lo dimostra il fatto che quando questo piano fu rivelato, nessun altro Paese trovò nulla da ridirne. Solo noi italiani – i soliti romanzieri imbecilli e peggio che imbecilli – ne facemmo materia di scandalo e pretesto di «gialli» che tuttora trovano credito, come la sua lettera dimostra. Anch'io mi sento scandalizzato, e un poco offeso. Ma solo dal fatto che nessuno mi abbia sollecitato l'adesione al [[Organizzazione Gladio|Gladio]]: l'avrei data con entusiasmo. ([https://web.archive.org/web/20150623163829/http://archiviostorico.corriere.it/1997/giugno/07/Avrei_dato_con_entusiasmo_adesione_co_0_97060710388.shtml 7 giugno 1997]) *A fare l'Italia alcuni pochi italiani ci sono, senza e contro i più, riusciti. A fare gl'italiani, l'Italia, in centocinquant'anni, non c'è riuscita; anzi non ci s'è nemmeno provata. (19 giugno 1997). *Il vero cacciatore ama gli animali a cui dà la caccia, forse anche perché li considera complici di questo gioco in cui ritrova la sua origine esistenziale. Non spara, per esempio, sul bersaglio fermo: lo considera sleale. (9 luglio 1997) *Al matrimonio misto, che dell'integrazione razziale è la condizione genetica, sono i neri, molto più dei bianchi, che si rifiutano. Non è quindi colpa degl'italiani, o almeno non tutta questa colpa è degl'italiani, se anche da noi l'integrazione con gl'immigrati africani incontra degli ostacoli. Quella con gli oriundi dei Paesi europei non ne incontra nessuno, salvo quelli che frappone la burocrazia, la quale ne pone tanti anche a noi, e anzi campa solo di questo. Non ho mai sentito un francese, o un inglese, o un tedesco, o un bulgaro o un ukraino lamentarsi di una apartheid italiana. Ci sono anche da noi, purtroppo, delle manifestazioni di razzismo. Ma queste sono dovunque, e in Italia meno violente che altrove. L'Italia è un Paese che va a catafascio. Ma non buttiamogli addosso anche delle croci che non merita. Quelle che merita bastano, e ne avanza. (24 agosto 1997) *Io sono un italiano, fra i pochi rimasti che nei confronti dell'Italia s'ispirano all'adagio inglese: «Che abbia ragione o torto, sto col mio Paese». Anch'io sto col mio paese quando ha torto, ma senza pretendere che il suo torto sia considerato ragione. (23 settembre 1997) *Sono e rimango convinto che fin quando noi italiani ci affideremo soltanto alla Legge – o, come ora usa chiamarla, alle «regole» –, rimarremo quello che siamo, coi vizi che abbiamo, fra cui quello di accatastare regole su regole al solo scopo di metterle in contraddizione l'una con l'altra per poterle meglio evadere. (16 ottobre 1997) *Forse farebbe meglio ad astenersi a dare lezioni di liberalismo a me che sono stato, in tutto il giornalismo italiano, l'unico a difenderlo negli anni Settanta e Ottanta, quando difenderlo era difficile e poteva anche costar caro. Non me ne faccio un vanto perché, quando alla fine ha vinto, ho visto di che liberalismo si trattava, ed è per questo che ho votato Ulivo. (23 ottobre 1997) *Le confesso che il suo piglio perentorio e inquisitorio mi disturba alquanto, anche perché mi lascia capire che lei parte da convinzioni così granitiche da rendere vano ogni tentativo d'insinuarvi almeno un dubbio. (23 ottobre 1997) *È importante tutto questo? No. Non lo è per me né per lei, che sappiamo cosa è accaduto. E non lo è per i leghisti doc, secondo cui qualunque cosa propone il capo è Vangelo. Se Bossi decide di andare in Bicamerale, applaudono. Se decide di abbandonare la Bicamerale, esultano. Se va con Berlusconi, assentono. Se lascia Berlusconi, approvano. E se un giorno si sveglia e cambia i confini della Padania, accettano i nuovi confini. Tempo fa, rispondendo a un lettore, scrissi che «i leghisti sono pronti a inneggiare anche all'annessione della Yakuzia, e non solo perché non sanno dove sta». Arrivarono molte lettere indispettite. Ma nessuna contro l'annessione della Yakuzia. (29 ottobre 1997) *Se sono – come sono – uno di quegli uomini di Destra che ultimamente hanno votato, sia pure controvoglia, per la Sinistra (annacquata) dell'Ulivo, è perché da questa, che non è mai stata la mia bandiera, non mi sento tradito. Essa sta facendo ciò che prometteva di fare, ma lo fa con molta moderazione, e con una squadra di uomini che magari non saranno (meno qualcuno, come per esempio Ciampi) di serie A, ma da cui non temo, e credo che nessuna persona ragionevole possa temere, l'instaurazione di un regime. (10 dicembre 1997) *E lo specchio non vi giudica dai successi che avrete ottenuto nella corsa al denaro, al potere, agli onori; ma soltanto dalla Causa che avrete servito. Tenendo bene a mente il motto degli ''hidalgos'' spagnoli: «La sconfitta è il blasone delle anime nobili». (31 dicembre 1997) *Che cosa io pensi dell'onorevole Previti mi pare di averlo detto in termini talmente espliciti da apparire – a più d'uno – brutali: un personaggio che solo a guardarlo in faccia verrebbe voglia di applicargli le manette ai polsi prima ancora di sapere chi è e cosa ha fatto. (31 gennaio 1998) *Infine, c'è quello che io considero il vero, grande vantaggio dell'euro: una volta dentro, non potremo tornare all'allegra finanza pubblica d'un tempo. ([https://web.archive.org/web/20151203232056/http://archiviostorico.corriere.it/1998/febbraio/20/Che_cosa_succedera_quando_avremo_co_0_9802206445.shtml 20 febbraio 1998]) *Tutti hanno diritto di credere nel miracolo, quando non c'è altro a cui aggrapparsi. La scienza no: se lo ricordi anche il Papa. (23 febbraio 1998) *I conti col passato, si capisce, bisogna farli. Ma a un certo punto bisogna chiuderli. Perché nella Storia non ce n'è mai stato uno che, protratto all'infinito, non ne abbia innescato un altro. (10 marzo 1998) *Perché, caro B***? Perché la vocazione a dividerci sempre e su tutto per il nostro «particulare», come lo chiamava Guicciardini, noi italiani ce la portiamo nel sangue, e non c'è legge che possa estirparla. (18 aprile 1998) *Vero che nei ricordi sui quali vengo sollecitato, il nome di [[Cesco Tomaselli|Tomaselli]] ricorre meno frequentemente di quelli di Longanesi, di Buzzati, di Piovene, di Barzini ecc. Ma ciò dipende solo dal fatto che costoro appartenevano alla mia leva, e in comune con loro avevo avuto tante esperienze, perfino la stanza di lavoro. Tomaselli, quando io entrai al ''Corriere'', apparteneva già alla sua vecchia guardia, e come notorietà ne aveva raggiunto il tetto proprio grazie alle sue corrispondenze sull'impresa del dirigibile «Italia» di Umberto Nobile, di cui fu dal principio alla fine lo scrupoloso cronista. A salvargli la vita dalla catastrofe fu soltanto la sorte, contro cui egli imprecò considerandola avversa. Per l'ultima tappa, quella che avrebbe dovuto sorvolare il Polo, dei due giornalisti aggregati a quella spedizione — Tomaselli per il ''Corriere'', e Ugo Lago per il ''Popolo d'Italia'' di Mussolini —, c'era posto, sulla navicella, per uno solo. Lago e Tomaselli se lo giocarono a testa o croce. Con gran dispetto di Tomaselli, che non smise mai di considerarsene tradito, vinse e partì Lago, che non tornò più: quando l'aeromobile precipitò sul pack, lui rimase aggrappato insieme ad altri compagni al cordame dell'involucro col quale scomparve nel deserto bianco. Ma tutte le volte che se ne parlava, Tomaselli seguitava ad inveire contro la scalogna che lo aveva escluso da quel drammatico finale, come se gli avesse tolto la fortuna di descriverlo. Questo era Tomaselli, l'inviato speciale che nel suo mestiere di giornalista portava lo stesso spirito che aveva fatto di lui, nella Prima Guerra Mondiale, un superdecorato ufficiale di artiglieria alpina e gli ispirava una concezione quasi religiosa del «servizio». Non era un «brillante» né come scrittore né come parlatore. Ma di tutto quello che diceva, sia con la bocca che con la penna, si poteva stare sicuri che di inesatto o di inventato non c'era nemmeno una virgola. [...] Se raramente mi capita di parlare di lui, è perché l'ho conosciuto e frequentato sul declino della sua intemerata e ineccepibile carriera di testimone, e perché lui, nel raccontarla, non l'animava mai di aneddoti o di battute come, per esempio, il suo coetaneo Monelli. Ma se ai giovani che si avviano (poveretti!) a questo mestiere dovessi indicare un modello di dignità, serietà, dedizione e correttezza professionale non avrei dubbi sulla scelta: Cesco Tomaselli. ([https://web.archive.org/web/20151009153047/http://archiviostorico.corriere.it/1998/maggio/07/Cesco_Tomaselli_inviato_speciale_Polo_co_0_9805078688.shtml 7 maggio 1998]) *Che un giudice spagnolo in vena di protagonismo abbia chiesto all'[[Inghilterra]] la consegna di un ospite straniero andato a Londra in forma privatissima per ragioni di salute, non mi stupisce: un [[Antonio Di Pietro|Di Pietro]] può nascere dovunque. Ma che l'Inghilterra si proponga di consentire, non mi stupisce. Mi sbalordisce, come ha sbalordito e indignato la signora Thatcher che aveva ospitato in casa il Generale. Ma ancora di più mi sbalordirebbe che la Giustizia spagnola, cioè di un Paese che non solo ha accettato per quarant'anni il potere di un Generale, ma gli ha consentito (per sua fortuna) di disporne anche dopo morto, portasse davanti a una Corte di Giustizia quello cileno. Per non parlare delle conseguenze che tutto questo potrebbe provocare in [[Cile]] dove, nel caso che il governo Frei si mostrasse esitante e accomodante, le Forze Armate potrebbero riprendere il potere per rompere i rapporti diplomatici con [[Spagna]] e Inghilterra e dimostrare al mondo che i processi alla Norimberga hanno fatto il loro tempo. Se a qualcuno il Generale cileno Pinochet deve rendere conto del suo operato, è soltanto al Cile e ai suoi tribunali. E se io fossi un cileno che ha votato Frei (come certamente avrei fatto se fossi stato un cileno), in questa occasione mi schiererei con le Forze Armate. Con tanti saluti a tutto il sinistrume italiano passato, presente e futuro. (24 ottobre 1998) *Che gli [[Stati Uniti d'America|Usa]] siano in tutto il mondo odiati dagli uomini come lei {{NDR|riferito a un lettore}}, è verosimile, e quindi più che credibile. Un po' meno credibile è che gli uomini di tutto il mondo siano e la pensino come lei. Comunque, il giorno in cui quel Paese venisse chiamato (ma da chi?) sul banco degl'imputati come il nemico dell'umanità, io chiederò di essere ascoltato come testimone. Per dire alla Corte dei Vecchio di turno che io, uomo qualunque, mi considero graziato tre volte da questo grande nemico dell'umanità. La prima fu quando mi strappò al pericolo di diventare – per bene che mi fosse andata – l'attendente di un colonnello tedesco. La seconda fu quando mi sottrasse a quello di finire i miei giorni in un kolkos siberiano. La terza fu quando, invece di rimettermi la parcella di questi favori, mi aiutò a rifarmi la casa senza contestarmi il diritto di invitarvi anche coloro che pensano (si fa per dire) e parlano (o meglio sbraitano) come lei. ([https://web.archive.org/web/20160101000000/http://archiviostorico.corriere.it/1999/aprile/10/Fermare_genocidio_Kosovo_co_0_9904103314.shtml 10 aprile 1999]) *Tradotto in politica, non c'è nulla di più intollerante e fazioso, e quindi di meno pacifico, del [[pacifismo]] in generale, e di quello italiano in particolare. È un pacifismo a fasi alterne, e che si sveglia soprattutto, anzi quasi esclusivamente, quando a fare la guerra sono gli americani. Furioso e devastatore imperversò, non soltanto in Europa, ma nella stessa America, al tempo del Vietnam: al punto che quando [[Richard Nixon|Nixon]] venne in visita in Italia (quell'Italia che poteva fare ciò che voleva grazie agli americani) dovettero mandarlo a prendere a Fiumicino con un elicottero e trasportarlo via aria in Quirinale perché via terra avrebbe rischiato la pelle. Ma questo stesso pacifismo rimase impassibile quando i carri armati sovietici schiacciarono l'Ungheria (e a Montecitorio risuonò il grido: «Viva l'[[Armata Rossa]]!»), e poco dopo la Cecoslovacchia e da ultimo l'Afghanistan. Sono sempre gli stessi, i pacifisti italiani. Con una bandiera in mano come quella della pace (chi può infatti invocare la guerra?), si sentono invulnerabili. Ma la sventolano solo per il povero Milosevic; il genocidio del Kosovo li lascia del tutto indifferenti. (5 maggio 1999) *Non sempre condivido le opinioni di [[Giovanni Sartori|Sartori]]. Qualche volta, anzi spesso, abbiamo litigato, anche perché a lui litigare piace moltissimo: da buon toscano, è nella polemica che lui, e forse anch'io, diamo il meglio di noi. E anche sull'articolo del 25 maggio non siamo in tutto e per tutto d'accordo. Lo siamo nel respingere la qualifica di «pacifista», che entrambi lasciamo in esclusiva alle «anime belle» che, sventolando la bandiera della [[pace]], sperano di raccogliere intorno a essa tutti gl'ipocriti e gl'imbecilli che, sommati insieme, costituiscono certamente la stragrande maggioranza degl'italiani. (29 maggio 1999) *Lo Stato di [[Platone]], quello che lui chiamava la polis, e che poi era Atene, aveva, al tempo di Platone, cioè nel momento del suo massimo splendore, ventimila abitanti, di cui solo cinquemila avevano diritto al voto. E veda un po' come quei civilissimi cittadini lo usarono nelle assemblee dell'Acropoli: mettendo sotto processo [[Pericle]] e [[Aspasia di Mileto|Aspasia]], condannando a morte [[Socrate]] e provocando la guerra del Peloponneso, che fu la rovina non solo di Atene, ma di tutta la Grecia e della sua civiltà. Ora se il sistema della «democrazia diretta» o, come lei la chiama, «partecipatoria», non funzionò nemmeno in una polis di ventimila abitanti, s'immagini un po' cosa diventerebbe nei formicai umani cui si sono ridotte le polis attuali, e non soltanto quelle italiane. [...] Lei ha tutte le ragioni del mondo a dire che l'attuale sistema di democrazia «rappresentativa» o «delegata» ha dei vizi gravissimi e spesso provoca disastri, compresa quella americana, che pure è una di quelle che meglio funzionano. Ma, mi creda, quella «diretta» o «di piazza» è ancora molto più pericolosa perché continuamente a rischio di cadere in balia di qualche ciarlatano che sappia soltanto vendere bene la sua merce. Certo, quella indiretta esige, da parte del cittadino, una partecipazione che in Italia manca. Ma non è certo coi referendum che si può sostituirla. Almeno questo mi ha insegnato l'esperienza. (22 agosto 1999) *Quello di [[Francisco Franco|Franco]], se proprio vogliamo chiamarlo regime, fu un regime di polizia, di una polizia molto più dura di quella fascista, ma un totalitarismo no. Ecco perché, quando sentì avvicinarsi il momento della fine, Franco poté liquidare il franchismo con relativa facilità: perché di totalitario non aveva altro che le galere. Però bisogna anche riconoscere che questo soldataccio squallido e ottuso (sul piano umano era repellente), il ritorno al regime democratico seppe compierlo da maestro, facendosi consegnare dal pretendente al trono, Don Juan, ch'egli considerava (non a torto) poco affidabile, il figlio Juan Carlos per prepararlo – operazione riuscitissima – ai suoi compiti di Re, e mettendogli accanto un uomo di primissimo ordine come Suarez. ([https://web.archive.org/web/20130331034046/http://archiviostorico.corriere.it/1999/ottobre/24/differenza_fra_regimi_totalitari_dittature_co_0_991024459.shtml 24 ottobre 1999]) *La servitù, in molti casi, non è una violenza dei padroni, ma una tentazione dei servi. (2 gennaio 2000) *Non conosco Haider, e quindi nemmeno i fondamenti della sua ideologia, ammesso che ne abbia una. A occhio e croce, più che un nazista, mi sembra un qualunquista che interpreta, o cerca d'interpretare i sentimenti e i risentimenti di una pubblica opinione di livello bossiano, scontenta di tante cose, e a cui l'Austria attuale va stretta. [...] Non so se anche Haider – ripeto: non lo conosco – sia un omuncolo. Ma penso che l'Europa, ponendo il veto a un suo eventuale governo, costringerà gli austriaci ad affidargliene l'incarico, come avvenne per Waldheim. Io al pericolo di un rigurgito nazista non ci credo. Come ho letto in un articolo (mi pare di Enzo Bettiza, ma potrei sbagliarmi) penso che Jorg Haider somigli più a un Poujade che a un Le Pen, cioè più a una miscela di [[Umberto Bossi|Bossi]] e di Giannini che a un [[Pino Rauti]]. Ciò che mi allarma è l'incapacità dell'Europa a riflettere sulle sue proprie esperienze a trarne qualche insegnamento. Questo, sì, mi fa paura. (3 febbraio 2000) *Li conosco e riconosco, quei regimi {{NDR|di dittatura e di censura}}. Ne avverto il passo anche di lontano, e convengo che in Italia il pericolo di vederne arrivare qualcuno c'è. Ma sa quando si realizzerà? L'anno venturo, dopo la vittoria – che io do per certa – del Polo alle Politiche. Vedrà. La prima cosa che farà Berlusconi, come la fece nel '94, sarà di spazzare via l'attuale dirigenza Rai per omologarne le tre Reti a quelle sue. (26 febbraio 2000) *Quando s'accendono i [[Morte sul rogo|roghi]], mettiti dalla parte della strega, anche a costo di bruciare con lei. ([https://www.corriere.it/solferino/montanelli/00-05-31/02.spm 31 maggio 2000]) *Una Giustizia che per istruire un processo impiega sei o sette anni e poi non riesce a chiuderlo con una sentenza che non si presti a rimetterlo, con qualche marchingegno, in gioco, è un meccanismo di cui bisogna assolutamente rivedere e rifare gl'ingranaggi: «Giustizia ritardata – dice [[Montesquieu]] – è Giustizia negata». ([http://www.corriere.it/solferino/montanelli/00-06-07/01.spm 7 giugno 2000]) *Il [[revisionismo]] è la materia prima della [[storiografia]] che, senza di esso, sarebbe una disciplina morta. ([http://www.corriere.it/solferino/montanelli/00-06-16/01.spm 16 giugno 2000]) *Il mio giudizio su [[Baltasar Garzón|Garzón]] resta quello di prima, solo un po' rinforzato: un garzoncello smanioso soltanto di leggere il proprio nome sulle prime pagine di tutti i giornali e di vedere la propria effigie sugli schermi televisivi di tutto il mondo: il che rafforza la mia ipotesi che si tratti di un italiano nato per sbaglio in Spagna. ([http://www.corriere.it/solferino/montanelli/00-06-30/01.spm 30 giugno 2000]) *La pena di morte americana esiste e resiste in America perché fu un elemento base e costitutivo della sua nascita e sviluppo. Dei famosi 102 «Padri Pellegrini» che per primi sbarcarono dal «Mayflower» in quel Continente non per saccheggiare le ricchezze come facevano spagnoli e portoghesi in Messico e nell'America del Sud, ma per costruirvi una società nuova e libera, circa i due terzi erano avanzi di galera che fuggivano la Giustizia e le prigioni dell'Europa, e un terzo erano uomini che cercavano la libertà, e soprattutto quella religiosa. I primi avevano in tasca la pistola, i secondi la Bibbia, ma nella sua versione calvinista quella del taglione, basata sulla concezione di un Dio giustiziere che esige la morte di chi senza giusto motivo la dà. (9 luglio 2000) *A Rimini, cioè in casa propria (ma anche nostra, almeno per il momento), questi signorini {{NDR|di [[Comunione e Liberazione]]}} non hanno fatto altro che fischiare tutto ciò che è italiano, acclamare al nuovo beato [[Pio IX]], il Papa-Re che pretendeva di impedire il processo di unificazione nazionale, ed esaltare come i veri eroi del risorgimento i Borboni e i briganti del Cardinale Ruffo. A lei, tutto questo va bene? A me, dà il vomito. ([http://www.corriere.it/solferino/montanelli/00-09-13/02.spm 13 settembre 2000]). *Il mio parere è rimasto quello che espressi sul mio ''Giornale'' l'indomani del fattaccio {{NDR|l'[[agguato di via Fani]]}}. «Se lo Stato, piegandosi al ricatto, tratta con la violenza che ha già lasciato sul selciato i cinque cadaveri della scorta, in tal modo riconoscendo il crimine come suo legittimo interlocutore, non ha più ragione, come Stato, di esistere». Questa fu la posizione che prendemmo sin dal primo giorno e che per fortuna trovò in Parlamento due patroni risoluti (il Pci di [[Enrico Berlinguer|Berlinguer]] e il Pri di [[Ugo La Malfa|La Malfa]]) e uno riluttante fra lacrime e singhiozzi (la Dc del moroteo [[Benigno Zaccagnini|Zaccagnini]]). Fu questa la «trama» che condusse al tentennante «no» dello Stato, alla conseguente morte di Moro, ma poco dopo anche alla resa delle Brigate rosse. Delle chiacchiere e sospetti che vi sono stati ricamati intorno, e che ogni tanto tuttora affiorano, non è stato mai portato uno straccio di prova, e sono soltanto il frutto del mammismo piagnone di questo popolo imbelle, incapace perfino di concepire che uno Stato possa reagire, a chi ne offende la legge, da Stato. ([http://www.corriere.it/solferino/montanelli/00-09-22/03.spm 22 settembre 2000]) *La Serbia ha perduto la guerra e ha vinto la pace: ora deve voltar pagina. Sarà la storia – un giudice non imparziale, ma efficace – a decidere cos'è stato giusto e cos'è stato sbagliato. Tuttavia, una ritorsione serba verso l'Occidente avverrà. E ci troverà disarmati. Sa di cosa parlo? Delle rivendicazioni sul Kosovo, che è amministrato dalla Nazioni Unite ma è ancora Jugoslavia (lo dice la risoluzione dell'Onu). I serbi chiederanno di tornare a controllarne le frontiere, per esempio. E dire no a un Kostunica buono è più difficile che dire sì a un Milosevic cattivo. Gli albanesi del Kosovo, sono certo, lo hanno già capito. ([http://www.corriere.it/solferino/montanelli/00-10-08/01.spm 8 ottobre 2000]) *È un dimenticato, [[Ugo Ojetti|Ojetti]], come in questo Paese lo sono quasi tutti coloro che valgono. Se io dirigessi una scuola di giornalismo, renderei obbligatori per i miei allievi i testi di tre Maestri: [[Luigi Barzini (1908-1984)|Barzini]], per il grande reportage; [[Benito Mussolini|Mussolini]] (non trasalire!), quello dell'''Avanti!'' e del primo ''Popolo d'Italia'', per l'editoriale politico; e Ojetti, per il ritratto e l'articolo di arte e di cultura. ([http://www.corriere.it/solferino/montanelli/00-11-13/01.spm 13 novembre 2000]) *In Italia fu il potere temporale a soffocare negl'italiani la voce della coscienza e a spegnere in loro ogni senso di responsabilità. Ma fu la Controriforma a fornire al prete le armi per accaparrarsi l'una e l'altra: il Sant'Uffizio, le scomuniche e, nei casi estremi, il patibolo. Con questo risultato: l'aborto del «cittadino» e la trasformazione di quello che avrebbe dovuto e potuto diventare un «popolo» in un gregge (come con inconsapevole spudoratezza i preti lo chiamano), e in un gregge di pecore indisciplinate che credono di affermare il loro ribelle individualismo non rispettando il semaforo rosso. ([http://www.corriere.it/solferino/montanelli/00-11-20/01.spm 20 novembre 2000]) *{{NDR|Su [[Slobodan Milošević]]}} Oltre che un despota, lo ritengo anche un satrapo della razza dei [[Nicolae Ceaușescu|Ceausescu]], avido non solo di potere, ma anche di denaro, e credo che la sorte che si merita sia un bel plotone di esecuzione. Purché composto da serbi, al comando di un serbo, e in esecuzione di una sentenza emessa da un tribunale serbo e motivata non tanto da generici crimini contro l'umanità, che sono sempre – salvo casi di monumenti all'orrore come l'[[Olocausto]] – oggetto di discussione e dissensi; ma dal più grande e imperdonabile delitto di cui Milosevic si è macchiato nei confronti non soltanto dei serbi: la distruzione della Nazione Jugoslava, che la Monarchia serba aveva fondato dopo la prima guerra mondiale; che il croato [[Josip Broz Tito|Tito]] aveva difeso coi denti e restaurato dopo la seconda, dando alla Balcania un esempio e un puntello di stabilità; e che Milosevic e il suo compare croato [[Franjo Tuđman|Tudjman]] distrussero per poter restare ciascuno padrone in casa sua; e sulle cui macerie si scatenarono tutte le violenze (Bosnia, [[Kosovo]]) che hanno insanguinato e continuano a insanguinare quel povero Paese. ([http://www.corriere.it/solferino/montanelli/01-04-29/01.spm 29 aprile 2001]) *Questo mondo materialista, edonista ed esibizionista non entusiasma neanche me; e, visto che mi legge, dovrebbe saperlo. Ma vorrei conoscere il sistema che voi avete in mente, e non avete il coraggio, o la capacità, di proporre. Un mondo francescano? Bello: ma guardatevi intorno, e ditemi se vedete un saio. Un comunismo riveduto e corretto? Farebbe la fine dell'altro, anche se non riuscirà a ripeterne i disastri. Mi creda, G.: l'unico sistema sociale ed economico oggi accettabile, in Occidente, è quello basato sul mercato: un capitalismo controllato e temperato, per intenderci. È auspicabile che sia anche corretto: e questo non sempre accade, è vero. Il guaio è che il capitalismo è fatto dai capitalisti – e quelli, devo ammettere, sono spesso difficili da digerire. Non cerchi di confondermi le idee, quindi. Non ci riuscirà. Probabilmente ho tre volte i suoi anni, e ho visto dove conducono queste generiche tirate contro «le multinazionali»: prima o poi, qualcuno deporrà la spranga e prenderà la pistola. Dimenticavo: io firmo le mie opinioni, lei tira il sasso e nasconde la mano. Tutti coraggiosi così, voi ragazzi di Seattle? ([http://www.corriere.it/solferino/montanelli/01-06-09/01.spm 9 giugno 2001]) *Non erano, le mie, parole di circostanza. Erano – e rimangono – quelle di un conservatore abbastanza spassionato e nutrito di Storia da capire che non c'è, per la conservazione di ciò che va conservato, nemico più mortale dei conservatori che vogliono conservare tutto; e che un sistema capitalistico senza un correttivo socialista diventa una jungla che conduce pari pari a [[Karl Marx|Carlo Marx]]. Di qui il mio amore per uno dei personaggi meno amabili, sul piano umano, della nostra Storia, [[Giovanni Giolitti|Giolitti]], che sempre cercò l'accordo con [[Filippo Turati|Turati]], a cui il cretinume massimalista – che nel vostro partito ha sempre dominato – lo impedì. Il vedervi – sbriciolati in gruppi, gruppetti e gruppuscoli – annaspare nell'attuale centro-sinistra in cui nessuno riesce a recitare la parte di se stesso, fa male al cuore di un vecchio autentico liberal-conservatore come me. Cosa aspettate, caro Tamburrano, a ridarci il socialismo, ma che sia quello e quello solo: ''il'' socialismo di Turati e di Massarenti? [...] Credo che come forza politica siate abbastanza mal messi. Ma in compenso avete in mano una grande bandiera che prima o poi un esercito la ritroverà. Arrivederci, al primo settembre, cari lettori. ([http://www.corriere.it/solferino/montanelli/01-07-04/01.spm?refresh_ce-cp 4 luglio 2001]) ===''il Giornale''=== <!--ordine cronologico--> *Chi sarà il nostro lettore noi non lo sappiamo perché non siamo un giornale di parte, e tanto meno di partito, e nemmeno di classi o di ceti. In compenso, sappiamo benissimo chi non lo sarà. Non lo sarà chi dal giornale vuole soltanto la «sensazione» [...] Non lo sarà chi crede che un gol di Riva sia più importante di una crisi di governo. E infine non lo sarà chi concepisce il giornale come una fonte inesauribile di scandali fine a se stessi. Di scandali purtroppo la vita del nostro Paese è gremita, e noi non mancheremo di denunciarli con quella franchezza di cui crediamo che i nostri nomi bastino a fornire garanzia. Ma non lo faremo per metterci al rimorchio di quella insensata e cupa frenesia di dissoluzione in cui si sfoga un certo qualunquismo, non importa se di destra o di sinistra. [...] Vogliamo creare, o ricreare un certo costume giornalistico di serietà e di rigore. E soprattutto aspiriamo al grande onore di venire riconosciuti come il volto e la voce di quell'Italia laboriosa e produttiva che non è soltanto Milano e la Lombardia, ma che in Milano e nella Lombardia ha la sua roccaforte e la sua guida. [...] A questo lettore non abbiamo «messaggi» da lanciare. Una cosa sola vogliamo dirgli: questo giornale non ha padroni perché nemmeno noi lo siamo. Tu solo, lettore, puoi esserlo, se lo vuoi. Noi te l'offriamo. (25 giugno 1974) *Checché ne dicano gli agiografi della Resistenza, la guerra l'abbiamo persa, e c'è un conto da pagare. Che l'Italia lo saldi a spese dei suoi figli minori – i Dalmati e gli Istriani – è un ghigno del destino. Ma in compenso può considerarsi miracolata. Quando si pensa a cosa ha pagato la sua sconfitta la Germania, amputata d'intere province e dimezzata in due nazioni diverse e ostili, e quando si pensa a cosa ha pagato l'Inghilterra, precipitata dalla condizione di massimo impero mondiale a quella di piccola isola alla periferia d'Europa; non possiamo lamentarci del trattamento che gli alleati ci fecero. (30 settembre 1975) *Siamo stati accusati di aver fatto, nei confronti dei comunisti, il processo alle intenzioni. Non vediamo su cos'altro avremmo dovuto giudicarli, visto che sono sempre rimasti all'opposizione, ed è di lì che ancora si affannano a dire che cosa si propongono di fare se andassero al potere, anzi quando andranno al potere (perché ormai lo danno per scontato). E cosa sono, queste, se non intenzioni? (19 giugno 1976) *Che cerchino di eliminarmi perché sono un avversario, questo lo posso anche capire; ma perché – a quanto mi riferiscono – hanno detto che io sono un servo delle [[Multinazionale|multinazionali]], allora questo sta a dimostrare la confusione di idee di questi poveretti che, evidentemente, non sanno cosa sono le multinazionali. (3 giugno 1977) *I giuochi sono fatti. E sono fatti non soltanto per [[Aldo Moro|Moro]], cui va tutta la nostra più fraterna e rispettiva pietà. Sono fatti anche per una politica da ''belle époque'', che la distruzione – fisica o morale – di Moro chiude e conclude. La Storia sta riprendendo i suoi connotati di tragedia, e costringe coloro che la fanno, o ambiscono o s'illudono di farla, ad adeguarsi al repertorio. Stiamo entrando in una di quelle «età di ferro» in cui il potere si paga, o si può pagarlo col ferro. Nessuno è obbligato a sfidare questo rischio. Chi lo fa, sappia che oggi è toccato a Moro, domani può toccare a lui. Solo se si rende conto di questo e lo accetta, la classe politica troverà la forza di archiviare il caso Moro. Ed è tempo che lo faccia. (7 maggio 1978) *Quattr'anni e mezzo orsono, quando questo giornale nacque, un «ragazzo del '68» (con tante scuse a quelli veri, del '99), [[Mario Capanna]], oggi gerarchetto regionale (che belle carriere, questi rivoluzionari!), dichiarò che, come nemici del «pubblico» e del «sociale» e come assertori del «privato», e quindi della reazione, noi saremmo diventati il più bel museo della città, dove babbi e mamme avrebbero potuto condurre in gita ricreativa i loro figlioletti per mostrargli, dal vivo, com'erano buffi i loro nonni e bisnonni: noi. Bene. Se il vento seguita a soffiare come soffia, saremo noi che di qui a un po' condurremo i nostri figlioletti dal signor Capanna per mostrargli com'erano buffi i loro nonni e bisnonni di dieci anni fa. Ma non lo faremo. Lo spettacolo di questi ragazzi-prodigio abortiti, di questi barricadieri con pancia e cellulite che credevano di camminare con la Storia, e invece camminavano solo con la moda, non ha nulla di edificante. (16 gennaio 1979) *In una sua memorabile inchiesta un giornalista d'incrollabile fede sinistrorsa, ma di esemplare onestà, [[Giampaolo Pansa]], mise benissimo in luce questo contrasto fra i due atteggiamenti e mentalità, che ieri ha trovato una eloquente conferma nella manifestazione di Torino. Niente chiasso, niente sceneggiate, niente slogans, niente insomma che appartenga al repertorio del buffonismo nazionale. Nessuno ha rotto le righe per andare a rovesciare auto o a fracassar vetrine. Questa, sì, era Danzica, sia pure senza Madonne; non i picchettaggi e i pestaggi di Mirafiori, sia pure con le Madonne. Ora sappiamo già cosa diranno gli altri, oggi e domani. Diranno che gli operai non c'erano. Infatti. Doveva trattarsi di quarantamila presidenti, consiglieri delegati, ingegneri: insomma, la solita «[[maggioranza silenziosa]]»: termine che soltanto nella lingua italiana ha significato spregiativo. La maggioranza silenziosa esiste in tutti i Paesi del mondo, dove nessuno si vergogna di appartenervi perché è essa, in definitiva, che ristabilisce gli equilibri. Fu la maggioranza silenziosa – autoqualificatasi come tale – di seicentomila parigini che dodici anni fa pose fine al carnevale sessantottesco, riportò [[Charles de Gaulle|De Gaulle]] all'Eliseo e restituì alla Francia la stabilità di cui tuttora essa gode. [...] Il motivo vero che farà i dimostranti bersaglio delle peggiori critiche e accuse è ch'essi rappresentano la rivolta delle persone serie contro gli arruffoni della «conflittualità permanente», dei «modelli di sviluppo» e via baggianando. E in questo Paese nulla fa più paura, perché nulla è più rivoluzionario, della serietà. (15 ottobre 1980) *[[Anwar al-Sadat|Sadat]] non era popolare. Gli mancava quel tocco di magia, o di cialtronismo, che consentiva a [[Gamal Abd el-Nasser|Nasser]] di bandire guerre come crociate e di annunciare disfatte come trionfi. [...] Sadat amava il popolo, il popolo contadino del profondo Sud nubiano, di cui era egli stesso originario. Ma non amava le masse, e le masse lo sentivano. [...] Sapeva, quando andò a Gerusalemme, di lanciare a quelle arabe una sfida più pericolosa di quella che lanciava a Begin. [...] Ma all'impopolarità di Sadat contribuiva anche un altro elemento: il fatto di essere un vero riformatore. [...] [[Mohammad Reza Pahlavi|Rehza Pahlevi]] volle applicare gli stessi metodi di [[Mustafa Kemal Atatürk|Atatürk]] senz'averne l'autorità e il prestigio, e per questo lo cacciarono. Ma dopo due anni di [[Ruhollah Khomeyni|Khomeini]], anche i più ciechi e idioti fra i progressisti occidentali, che ne avevano salutato l'avvento come quello del Redentore, si saranno accorti che il progresso, sia pure a forza di polizia segreta e di plotoni di esecuzione, era lo Scià. L'''ayatollah'' è il medioevo. Sadat non seguì i metodi satrapeschi del suo amico Pahlevi, ma ne condivise i fini. [...] Il Rais che ha restituito all'Egitto l'integrità territoriale, l'indipendenza politica, il prestigio militare e il rilancio della sua più proficua industria, il canale di Suez, è giusto che susciti meno rimpianto di chi tutto questo all'Egitto fece perdere. Nasser era un «personaggio», Sadat una «personalità». Il personaggio fa colore e diverte, la personalità incute rispetto e disturba. (9 ottobre 1981) *Nessuna parentela, né vicina né lontana, con l'altro grande d'Israele, [[David Ben Gurion|Ben Gurion]], il Fondatore. [...] {{NDR|David Ben Gurion}} Faceva tutto a caldo, anche la guerra. [[Menachem Begin|Begin]] fa tutto a freddo: anche l'amore, credo, ammesso che lo faccia. Non riuscì a commuoverlo nemmeno [[Anwar al-Sadat|Sadat]], quando gli piombò, da nemico tuttora belligerante, a Gerusalemme, per chiedergli la pace. Il mondo, che vide in televisione la scena, quel giorno fu tutto per l'egiziano che, per la pace, firmava la propria condanna a morte, contro l'israeliano che lo accoglieva senza un sorriso e con visibile fastidio. [...] È l'uomo che non ha esitato un istante [...] a distruggere in pochi minuti tutto l'armamento corazzato, aereo e missilistico siriano sotto l'occhio stupefatto degli osservatori e «consiglieri» russi che lo avevano fornito. È l'uomo che ha messo alla porta l'ambasciatore di Mosca respingendone la nota di protesta addirittura con disprezzo, come se fosse stato lui la Grande Potenza che parlava a un subalterno. È l'uomo che ha picchiato i pugni sul tavolo di [[Ronald Reagan|Reagan]], e a un certo punto aveva rotto anche con lui. Se avesse perso, sarebbe finito al muro e passato ai posteri come il distruttore d'Israele. Ma ha vinto. E la Storia, iscrivendolo nei suoi registri come «Il Salvatore», dirà che solo un uomo come lui, «antipatico» come lui, e come lui disposto anche a scatenare un'altra ondata di antisemitismo, poteva vincere. E avrà ragione di dirlo. Perché è così. Alla fine lo diranno, vedrete, anche gli antisemiti. E forse perfino i semiti. (27 agosto 1982) *L'idea che domani potremmo incontrare per strada, a piede libero e magari oggetti di compassione, gli assassini di [[Walter Tobagi]], ci riempie, più che di furore, di orrore. [...] Avevano scelto lui non per la sua tessera socialista, ma perché era una di quelle prede più facili: indifeso e abitudinario, e quindi bersaglio di facilissima mira, quasi da fermo. Tutto qui il movente del delitto: tutto nella fregola di protagonismo di due coccolatissimi giovanotti della Milano bene che giuocavano a fare i terroristi. [...] Che ora dobbiamo prendere per vero il loro pentimento e assolverli, ci rivolta lo stomaco. Ma è la legge: iniqua, infame, infamante. Ma è la legge. Noi stessi l'abbiamo auspicata e voluta. Il magistrato deve applicarla. E noi [...] accettarla. Ma una cosa reclamiamo, e ci spetta: di essere liberati dall'incubo d'incontrare questi figuri per strada per non veder riflessa nei loro occhi la nostra vergogna di aver avuto bisogno di loro e di aver risposto al loro falso rimorso con un perdono altrettanto falso. Un Curcio, se tornasse in circolazione, ci farebbe forse più paura, ma meno, anzi punto disgusto. [...] Ma i Barbone e i Morandini non li vogliamo tra i piedi. Se ne vadano. E soprattutto ci risparmino memoriali. La speranza di farci dimenticare i loro delitti, gliela passiamo. La pretesa di camparci sopra, no. (29 novembre 1983) *Per i falchi del Pci, [[Enrico Berlinguer|Berlinguer]] era ormai un personaggio scomodo e pericoloso, specie da quando aveva cominciato ad allentare gli ormeggi che lo legavano a Mosca. Gli era perfino scappato di dire (a [[Giampaolo Pansa|Pansa]]) che voleva per l'Italia un regime comunista, ma sotto l'ombrello della Nato che la tenesse al riparo dalle soperchierie del padrone sovietico: la più grave e blasfema di tutte le eresie in cui un capo comunista possa incorrere. (12 giugno 1984) *Se fino a che punto i piduisti – a parte il manipolatore Gelli, e forse qualche altro – fossero un branco di delinquenti golpisti, non siamo riusciti a capirlo. Abbiamo capito soltanto che gran parte di essi occupavano, forse grazie alla P2, posizioni di rilievo, e quindi parecchio ambite, ma ambite anche da molte persone che, per il fatto di non appartenere alla P2, avevano ora, grazie anch'esse alla P2, la possibilità di occuparle. Di fatti accertati e meno ancora di crimini provati, siamo andati invano alla ricerca delle 34.847 pagine della commissione. Vi abbiamo trovato soltanto ipotesi, illazioni, accostamenti di nomi e di episodi. Tutta roba che in mano a Le Carré poteva fruttare chissà quali affascinanti trame. In mano alla signorina [[Tina Anselmi|Anselmi]], resta cicaleccio di portineria. Ma questa è un'altra storia. (19 marzo 1985) *Quanto al moribondo [[Michele Sindona|Sindona]] [...] se fossi stato uno dei giudici popolari che l'altro giorno gli comminarono l'ergastolo, anche io avrei votato come loro pur sapendo che la mia endemica insonnia non ne avrebbe avuto giovamento. Comunque mi sembra che con questa fine, preceduta da quasi un decennio di rovine, umiliazioni, fughe e galere, egli abbia abbondantemente scontato, quali che siano, i suoi delitti. Che ora lo lascino riposare in pace e che pace sia all'anima sua. (22 marzo 1986) *I dieci giorni che sconvolsero il mondo furono in realtà dieci ore: quante ne bastarono alle poche «guardie rosse» reclutate in fretta e furia dai bolscevichi per occupare, senza nessuna resistenza, la Centrale delle poste e telefoni, la stazione ferroviaria, la Banca di Stato, e per spostare l'incrociatore ''Aurora'' di fronte al palazzo d'Inverno, dove ancora si trova, cimelio e monumento al fatidico evento, e dove il governo sedeva [...]. Non fu un assalto. Fu una «retata». L'''Aurora'' non sparò che una dozzina di colpi, di cui solo tre andarono a segno. In tutto, la conquista di questa Bastiglia russa costò, da ambo le parti, un morto, anzi una morta – perché fu una soldatessa che, pare, si suicidò – e diciotto feriti. Il [[Rivoluzione russa|Fasto]] [...] è un falso in atto pubblico. Si dirà che una rivoluzione non si misura dal numero dei morti. Certo: l'abbiamo detto anche noi. La rivoluzione poi venne, e che rivoluzione! Ma venne dall'alto, e per mano di despoti che di morti ne fecero in pochi anni più di quanti lo zarismo ne avesse fatti in secoli. (6 novembre 1987) *Tutto pensavo che potesse capitarmi, fuorché di essere un giorno tentato di spendere qualche parola, per poco che valga, in difesa di Togliatti. [...] Un processo a Togliatti per stalinismo, se glielo intentano i socialisti, che nell'era dello Stalinismo gli fecero da mosca cocchiera, è una burletta. Se lo intentano i comunisti – come sembra che qualcuno di loro voglia fare –, oltre che oltraggio al pudore, diventa quiescenza alla voce del nuovo padrone, cioè stalinismo della più brutt'acqua, anzi una parodia dello Stalinismo. Per la caccia alle streghe, anche dello Stalinismo, ci vogliono degli stalinisti doc, qual era Togliatti. Non è roba da dilettanti, quali sono i suoi pallidi epigoni. (3 marzo 1988) *La fine del Muro è una cosa buona, la fine di una vergogna: non possiamo che salutarla con soddisfazione. Ma guardiamoci dal prendere abbaglio sui suoi moventi. Ulbricht concepì e Honecker realizzò il muro per impedire che i tedeschi dell'Est fuggissero in massa nella Germania dell'Ovest: già 9 (diconsi nove) milioni lo avevano fatto fin allora. E il rimedio fu, come tutti quelli che escogitano nei regimi totalitari, drastico e semplicistico: murare viva la gente dietro una colata di cemento, senza pertugi. [...] Abbiamo in uggia le astrazioni. Ma ciò che distingueva le due Germanie è l'idea morale e giuridica dell'uomo: che a Ovest è padrone di se stesso, e quindi può andarsene dove vuole: ad Est è proprietà dello Stato che ne regola i movimenti. Per chi non ricorda questo, il [[Muro di Berlino]] era, oltre che barbaro, incomprensibile e irrazionale: mentre invece ha obbedito a una sua logica. Nel momento in cui il bunker si affloscia e sopravvive come mero ammasso di cemento ricordandoci un altro bunker, quello che fece da fossa di [[Adolf Hitler|Hitler]] (anche questo pare impossibile: ma i regimi in Germania muoiono nei bunker), il Muro va ricordato per ciò che è stato: non un'aberrazione del comunismo, ma una sua conseguente applicazione. E se crolla così, nel silenzio assordante di un giornale-radio, è perché è crollata, prima, l'ideologia che lo aveva eretto. (11 novembre 1989) *Negli anni Trenta, per le strade di Berlino, risuonava il grido: ''ein Volk, ein Reich, ein Führer'': un popolo, uno Stato, un capo. Stavolta si sono contentati di scandire ''ein Volk, ein Reich''. Non potevano aggiungere, checché ne dica il sig. Ridley, ''ein Kohl'', che fra l'altro significa «cavolo». Ma {{NDR|ai tedeschi}} per diventare i padroni dell'Europa anche un cavolo gli basta. (3 ottobre 1990) *Abbiamo fatto poco: il poco che il Paese dei [[Roberto Formigoni|Formigoni]], dei Cristofori, degli Sbardella, dei [[Ernesto Balducci|Balducci]], dei [[Antonio Bello|vescovi di Molfetta]] poteva fare. Non lamentiamoci se il posto che ci verrà assegnato nel ristabilimento dell'ordine internazionale sarà nell'anticamera, non nella camera dei bottoni. Però sia chiara una cosa: che a gridare «Viva la pace!» siamo qualificati oggi soltanto noi che abbiamo auspicato la guerra contro chi la pace l'aveva turbata e, se lo si lasciava fare (non è un ipotesi, è una constatazione), avrebbe continuato a turbarla in un crescendo di colpi e di aggressioni. (1º marzo 1991) *I voti dei democristiani novaresi non sono andati al partito; sono andati a [[Oscar Luigi Scalfaro|Scalfaro]], democristiano talmente anomalo, che si permette persino di credere in Dio. [...] Il vecchio magistrato conosce il suo mestiere, e sa benissimo di operare in un Paese in cui la mamma dei Casson è sempre incinta. In nome della Legge, le leggi le farà funzionare. Insomma siamo sicuri che starà in Quirinale come un italiano deve starci: da straniero. Unico pericolo: le prediche. Anche [[Luigi Einaudi|Einaudi]] le faceva. Ma le chiamava «inutili». (26 maggio 1992) *Da dove siano venuti tutti i «no» non lo sapremo mai con precisione, ma una cosa è certa. Questo è il colpo di grazia al sistema dei partiti e della classe politica che lo rappresenta, e un colpo durissimo all'immagine del Paese pronto a fare pulizia che l'Italia si stava faticosamente costruendo all'estero. Senza giovare nemmeno a [[Bettino Craxi|Craxi]], che non potrà certo ricostruire la sua carriera sulla votazione di ieri, anzi. Se c'è ancora qualcuno che dubita sulla necessità di un pubblico processo, non solo a lui, ma a tutta la corte di faccendieri che lo circondava, alzi la mano, o meglio nasconda la faccia. (30 aprile 1993) *Questo è l'ultimo articolo che compare a mia firma sul giornale da me fondato e diretto per vent'anni. Per vent'anni esso è stato – i miei compagni di lavoro possono testimoniarlo – la mia passione, il mio orgoglio, il mio tormento, la mia vita. Ma ciò che provo a lasciarlo riguarda solo me: i toni patetici non sono nelle mie corde e nulla mi riesce più insopportabile del piagnisteo. [...] A presto dunque, cari lettori. Anche a costo di ridurlo, per i primi numeri, a poche pagine, riavrete il nostro e vostro giornale. Si chiamerà ''La Voce''. In ricordo non di quella di [[Frank Sinatra|Sinatra]]. Ma di quella del mio vecchio maestro – maestro soprattutto di libertà e indipendenza – [[Giuseppe Prezzolini|Prezzolini]]. (12 gennaio 1994) {{Int|''Rituale barbarico''|Articolo su ''il Giornale nuovo'', 10 maggio 1978.|h=4}} *La fine di [[Aldo Moro]] ci rende sgomenti, il fanatismo di chi lo ha ucciso lentamente, togliendogli la speranza prima di toglierli la vita, ci riempie di orrore. Speriamo ancora che la tracotanza dei criminali sia un giorno punita. L'importante, adesso, è che il Paese, proprio per rendere omaggio a Moro, e proprio in memoria di lui, sappia trarre da questa tragedia l'amara lezione che essa comporta. La democrazia non deve, anzi non può essere debole. La libertà, che la rende superiore a qualsiasi altro regime, ma anche più vulnerabile, non va conclusa con la indulgenza verso i nemici, la imprevidenza, la leggerezza. *Lo Stato italiano ha superato con onore questa prova difficile, ma la magistratura e gli organi di polizia hanno denunciato, nella loro azione, una desolante inefficienza, che ha permesso alle brigate rosse di operare con irridente spavalderia. Ne va data colpa non tanto alle forze dell'ordine quanto a chi ha voluto, per demagogia, per compiacere le sinistre, per acquistare facile popolarità, smobilitare i servizi segreti, rimuovere i funzionari più ligi al dovere, trasformare le carceri in alloggi con libera uscita quotidiana. Gli eversori della democrazia, i contestatori della legalità hanno potuto predicare e demolire senza ostacoli. Ci auguriamo di non vederli ora associati ipocritamente al compianto per un delitto del quale sono, ideologicamente se non materialmente, corresponsabili. Le loro non erano soltanto parole. Un giovane sfracellato da un ordigno sulla ferrovia Trapani-Palermo – l'episodio è di ieri – apparteneva a Democrazia proletaria. I banditi che hanno assalito a Bologna un grande magazzino venivano dal Movimento studentesco. È inutile che questi gruppi ostentino adesso costernazione e stupore per le belluine imprese delle brigate rosse. Il terrorismo è figlio loro. *All'annuncio della fine di Aldo Moro i sindacati si sono mossi, hanno indetto manifestazioni e proclamato uno sciopero generale. Siamo certi della loro profonda esecrazione, e della loro sincera partecipazione al cordoglio nazionale. Pensiamo tuttavia che i lavoratori e i loro rappresentanti darebbero un apporto più costruttivo alla lotta contro i terroristi tenendo d'occhio gli estremisti delle fabbriche, troppe volte protetti e difesi. Così pure gli studenti «impegnati», se proprio vogliono dissociarsi dalle brigate rosse, devono estromettere dalle loro file gli agitatori deliranti, e dinamitardi che nascondono bottiglie molotov e armi negli scantinati delle facoltà. Chi ha chiuso gli occhi di fronte alla ''escalation'' di violenza degli anni scorsi, li chiuda oggi per non lasciar scorrere lagrime di coccodrillo. {{Int|''Poveri morti poveri vivi''|Articolo su ''il Giornale'', 31 maggio 1985.|h=4}} *L'[[Inghilterra]] non sono i forsennati che abbiamo visto all'opera nello stadio di Bruxelles. L'Inghilterra sono la [[Margaret Thatcher|Thatcher]], i politici, i commentatori di stampa, radio e televisione, la gente intervistata per strada, che hanno confessato la loro vergogna a una voce, con una sola stecca: quella del ministro dello Sport che con le sue dichiarazioni si è messo sullo stesso piano degl'imbestialiti. Comunque, Dio ci guardi ora dai soliti sproloqui e dibattiti dei sociologi sui motivi di «tifo» e sui mezzi d'impedirne gli eccessi. Non ce ne sono, se non nel controllo che ognuno può e deve esercitare su di sé. *La strega non è il «tifo» che dallo sport è inseparabile. E non siamo nemmeno noi, come vogliono i cantautori del «siamo tutti colpevoli» che ieri giornali e radio hanno intitolato. Perché, se di qualcosa siamo colpevoli, è di aver sempre secondato la corruttrice e demagogica tendenza a scaricare l'individuo di ogni responsabilità, rigettandola regolarmente e interamente sulla società. È la società che ci obbliga a rubare, è la società che ci obbliga ad uccidere. E si capisce che quando si offrono alla gente di questi alibi, c'è sempre qualcuno che ne approfitta. Stamane leggevo su un giornale francese un dotto articolo in cui si spiegava che la furia dei tifosi del [[Liverpool Football Club|Liverpool]] era dovuta al fatto che, essendo quasi tutti minatori, per un anno erano rimasti senza lavoro a causa dello sciopero: il che gli aveva fatto accumulare la rabbia che poi era scoppiata a Bruxelles. Insomma, senza dirlo, l'articolo induceva alla conclusione che il vero responsabile del massacro era la signora Thatcher. Ecco in che senso siamo tutti colpevoli. Siamo colpevoli di assolvere tutti come vittime innocenti di una società iniqua che, a furia di essere tutti noi, non è nessuno. È un giuoco a cui non ci stiamo. I responsabili di Bruxelles sappiamo chi sono: sono i delinquenti che abbiamo visto avventarsi, prima che la partita cominciasse, e quindi senza alcuna provocazione, contro i tifosi italiani con sbarre e coltelli di cui erano accorsi armati, con l'evidente intenzione di farne l'uso che ne hanno fatto. Delinquenti, non vittime. La società non c'entra, non c'entrano le miniere. Casomai l'alcol. Ma ne avevano ingerito per delinquere meglio. Speriamo che la polizia li identifichi e li consegni a quella inglese. Della quale possiamo fidarci. {{Int|''I rieccoli''|Articolo su ''il Giornale'', 20 gennaio 1990.|h=4}} *Scorrendo le cronache delle agitazioni studentesche di questi giorni avevo avuto per un momento l'impressione, o l'illusione, che esse si fondassero sui problemi concreti dell'università, e che fossero qualcosa di diverso, e di migliore della grottesca ubriacatura sessantottina. Ma quando giovedì sera, nella trasmissione televisiva ''Samarcanda'', è stato lanciato contro [[Mario Cervi]] il rituale e vile epiteto «fascista!» (e questo solo perché aveva mosso obiezioni agli sproloqui assembleari di Roma e di Palermo), ho capito che vent'anni dopo è come vent'anni prima. La protesta è un pretesto, il legittimo scontento diventa arma politica, gli appelli al dialogo si risolvono in volontà di sopraffazione, di discussione su ciò che nell'università deve essere cambiato sfocia in un attacco globale al governo, alla società, al sistema. L'unica connotazione sessantottina che ancora manca è la violenza fisica. Ma temo che non tarderà ad arrivare se chi dissente è bollato come fascista e chi governa (è capitato ad [[Giulio Andreotti|Andreotti]], a Palermo) come mafioso. *Quanto alla legge Ruberti, Cervi ha osservato che viene presa di mira perché consentirebbe un limitato ingresso dei privati nella gestione delle università: e al solo sentir parlare di «privato» – che le folle e i giovani dell'Est chiedono con slancio entusiastico – gli epigoni nostrani del [[marxismo-leninismo]] sono presi da convulsioni. [...] La legge Ruberti è passata in sott'ordine, il punto centrale del dibattito – o piuttosto della successione di sproloqui, intimazioni e insulti – è diventato il degrado di questa povera Italia privatizzata, che invece conoscerebbe fulgidi destini se fosse tutta pubblica e stabilizzata. Gli ''slogans'', le utopie, le bugie e le dissennatezze sessantottine o settantasettine riemergevano dalle pagine dei libri e dalla polvere degli archivi, per imitazione o per transfert generazionale. *Tirava aria romena o cecoslovacca in quelle assemblee: ma della Romania e della Cecoslovacchia di [[Nicolae Ceaușescu|Ceausescu]] e di Husak, con l'idolatria dello Stato, con gli applausi unanimi, con la riduzione al silenzio degli oppositori. S'è sentito, a proposito sempre di Cervi, il sinistro termine «provocazione» con cui tutti gli oppressori legittimano i loro soprusi. Qualcuno di quei ragazzi pretende che esistano parentele tra questo movimento e quelli dell'Est, dimenticando che là ci si batte, a rischio della pelle, per instaurare non il regime dello statalismo, ma al contrario per abbatterlo e introdurre o reintrodurre quello di iniziativa privata in tutti i campi, compreso quello della cultura e della scuola. Che siano diventati, gli studenti di Berlino, di Praga, di Bucarest, fascisti anche loro? ====''Controcorrente – rubrica''==== {{cronologico}} *La cosa che più ci turba, delle nostre sconfitte sportive, è il grande, alluvionale bisticcio che si scatena fra i «tecnici» per giustificarle. Per quella di Stoccarda, che ci ha eliminato dal campionato del mondo, ne avremo – temiamo – per tutta l'estate: se ne parlerà più che di Caporetto. Noi tecnici non siamo, ma abbiamo la nostra idea. È questa: che non si possono mandare dei polli di batteria a competere con quelli ruspanti. Resta da capire perché noialtri non sappiamo allevare che polli di batteria. Ma ci sembra che questo sia sufficientemente spiegato da un piccolo episodio occorso a Roma, dove un gruppo di tifosi ha creduto di «vendicare» i suoi campioni (si fa per dire) assalendo con pomodori e uova l'ambasciata di Polonia. Ecco. Per un paese in cui la «sana passione sportiva» si effonde in simili manifestazioni, quegli undici mammozzi dalle gambe molli sono fin troppo, e fin troppo misericordiose le disfatte che subiscono. (25 giugno 1974) *Noi, di [[Fascismo|fascismi]] ne conosciamo e ne esacriamo uno solo: quello di chi appiccica questa etichetta a qualunque idea o opinione che non corrisponde alle sue. Di questo giuoco, la nostra [[sinistra in Italia|sinistra]] è spesso maestra. Non per nulla lo stesso [[Benito Mussolini|Mussolini]] veniva dai suoi ranghi. (10 luglio 1974) *In una conferenza stampa a Nuova Delhi, [[Henry Kissinger]] ha dichiarato che verrà a Roma e andrà a pranzo dal presidente Leone, ma non parlerà di politica perché quella italiana è, per lui, troppo difficile da capire. È la prima volta che Kissinger riconosce i limiti della propria intelligenza. Ma vogliamo rassicurarlo. A non capire la politica italiana ci sono anche cinquantacinque milioni di italiani, compresi coloro che la fanno. (31 ottobre 1974) *[[Dario Fo]], poeta di corte dell'ultrasinistra, flagella nella sua ultima fatica teatrale il senatore [[Amintore Fanfani]], responsabile di ogni nequizia passata, presente e futura. I sarcasmi più grevi hanno però come bersaglio il metraggio del notabile democristiano che, come tutti sanno, non è quello di un granatiere. [[Henri de Toulouse-Lautrec|Toulouse-Lautrec]], che per gli stessi motivi dovette per tutta la vita subire analoghe canzonature, disse una volta, giocando sulla lunghezza del suo doppio casato: «Ho la statura del mio nome». Non sappiamo se questo discorso si possa applicare a Fanfani. Certo, si applica a Fo. (11 giugno 1975) *[[Winston Churchill|Churchill]] diceva che «i panni dei servizi segreti si possono, anzi si devono lavare più spesso degli altri; ma, a differenza degli altri, non si possono mettere ad asciugare alla finestra». Dello stesso parere era [[Stalin]] che regolarmente, ogni tre o quattro anni, il lavaggio lo praticava facendo accoppare al buio i capi della sua polizia, nel presupposto – probabilmente fondato – che a far quel mestiere non potevano essere che arnesi da forca, e quindi era giusto che ci finissero. Gli [[Stati Uniti d'America|americani]] seguono tutt'altro criterio. Essi hanno trascinato la ''[[Central Intelligence Agency|Cia]]'' in televisione denunciandone ''coram populo'' fatti e misfatti. I suoi capi ne hanno commessi, dicono, di grossi. Ma il più grosso è forse quello di non aver capito che l'America non li paga per svolgere servizi segreti, ma per offrire agli americani il pretesto per vergognarsene. È l'unico popolo che goda più nel pentimento che nel peccato. (28 novembre 1975) *Non sempre, per redigere questa piccola rubrica, occorre forzare la fantasia. Qualche volta basta lasciare la parola alle agenzie di stampa ufficiali. Eccone un caso. L'agenzia Adn Kronos comunica: «Due giorni di sciopero sono stati dichiarati dai sindacati postelegrafonici milanesi per il 28 gennaio e per il 6 febbraio per protesta contro gli scioperi e i disservizi». (25 gennaio 1976) *L'Unità ci rimprovera di aver pubblicato il manifesto degl'intellettuali in favore della libertà. E ha ragione. Si tratta infatti di una illecita concorrenza perché finora i manifesti, gli appelli, le «veglie» e tutto il resto sono stati monopolio del Pci, unico partito capace di far cantare la gente in coro. Ma appunto per questo non vediamo di che si preoccupi. Gl'[[intellettuale|intellettuali]] italiani che preferiscono aver ragione da soli piuttosto che torto con gli altri, sono pochi. I più seguono la massima di [[Paul-Jean Toulet|Toulet]]: «Quando i lupi urlano, urla con loro». (1º giugno 1976) *Ieri [[Mario Melloni|Fortebraccio]], dalle colonne dell'«[[l'Unità|Unità]]», ha invocato per noi, previa qualche iniezione, il ricovero immediato, e a titolo definitivo, in manicomio. La cosa non ci stupisce: sappiamo benissimo che di manicomi e di iniezioni nessuno s'intende più dei comunisti: chi c'è passato giura che ci hanno fatto una mano da maestri. Ci stupisce però che Fortebraccio lo abbia implicitamente – e un po' anzitempo – riconosciuto. Forse gli è scappata. Alla sua età, succede. (10 dicembre 1976) *Cadendo oggi il trigesimo della scomparsa di Pietro Valdoni, vogliamo rievocare un episodio del grande chirurgo. Come tutti ricorderanno, fu lui ad operare, salvandogli la vita, [[Palmiro Togliatti]], ferito alla testa dalla rivoltella di Pallante. Quando ricevette la parcella, Togliatti la trovò salata, e accompagnò il pagamento con queste parole: «Eccole il saldo, ma è denaro rubato». Valdoni rispose: «Grazie per l'assegno. La provenienza non mi interessa» (23 dicembre 1976) *«Dio non è un maschio» assicura alle femministe Civiltà Cattolica, l'autorevole rivista dei gesuiti, scusandosi «delle tracce di antifemminismo che ancora sono nella Chiesa». Brutto segno quando i teologi si mettono a discutere di sesso. Fu mentre i bizantini si accapigliavano su quello degli angeli che arrivarono i turchi. (21 giugno 1977) *Riferiscono le cronache che l'America è in subbuglio per la morte di [[Elvis Presley]]. Oltre centomila persone si sono riversate a Memphis, sua ultima dimora, due donne sono rimaste uccise nella calca che si stringeva intorno alle spoglie del cantante. Il sindaco ha fatto abbrunare le bandiere in tutta la città, il presidente [[Jimmy Carter|Carter]] è stato flagellato di proteste perché non aveva proclamato il lutto nazionale e uno gli ha gridato al microfono: «Noi americani dobbiamo più a Presley che a [[George Washington|Washington]] e a [[Abraham Lincoln|Lincoln]] sommati insieme». Anche noi italiani dobbiamo qualcosa a Presley: una delle rare occasioni in cui preferiamo essere italiani piuttosto che americani. (20 agosto 1977) *È in corso una iniziativa per l'abolizione, nelle aule scolastiche, della pedana su cui si eleva la cattedra. Il perché lo avrete già capito: l'insegnante deve mettersi, anche materialmente, a livello degli alunni per non lederne la dignità e dimostrare con l'esempio che siamo tutti uguali. Giusto. «La via dell'uguaglianza – dice Rivarol – si percorre solo in discesa: all'altezza dei somari è facilissimo instaurarla». (29 ottobre 1977) *Fra gli annunci economici di Lotta Continua, ne è comparso uno che dice: «Compero a L. 100.000 una tesi di laurea, anche già presentata, purché tratti un argomento attinente all'[[Inghilterra]], o alla lingua, storia, letteratura inglese. Meglio se con una impostazione femminista». Curioso. Questi grandi [[Rivoluzione|rivoluzionari]], che dicono di battersi per costruire una società nuova di zecca, quando si tratta di lauree, si contentano anche di quelle usate e di seconda mano. (3 marzo 1978) *Credevamo che l'assassinio di Aldo Moro, così come è stato eseguito, fosse il colmo dell'infamia. Abbiamo dovuto ricrederci. Al comizio di protesta svoltosi in piazza Duomo a Milano subito dopo la macabra scoperta in via Caetani a Roma, un gruppo di ultrà ha gridato: «Moro fascista!». Preferiamo le [[zanne]] delle belve alla [[bava]] degli [[Sciacallo|sciacalli]]. (10 maggio 1978) *Ecco il nostro telegramma di congratulazioni e auguri a Pertini: «Che Dio le conceda il coraggio, Presidente, di fare le cose che si possono e che si debbono fare; l'umiltà di rinunziare a quelle che si possono ma non si debbono, e a quelle che si debbono ma non si possono fare; e la saggezza di distinguere sempre le une dalle altre». (9 luglio 1978) *Dall'indagine svolta da uno dei più seri istituti di ricerche demografiche, lo svizzero Scope, risulta che la professione più ammirata e rispettata, nel mondo, è quella dei medici. I giornalisti sono al penultimo posto. Ce ne sentiremmo profondamente avviliti se all'ultimo non vedessimo catalogati gli editori. (29 novembre 1978) *Prima di partire per Vienna, il presidente {{NDR|degli Stati Uniti}} [[Jimmy Carter|Carter]] ha fatto due dichiarazioni. La prima: «Ci auguriamo che il signor Breznev {{NDR|allora presidente dell'Unione Sovietica e Primo Segretario del PCUS}} abbia per le nostre ragioni la stessa comprensione che noi abbiamo per le sue». La seconda: «Se Ted Kennedy si presenta contro di me alle elezioni presidenziali, gli faccio un c.o così» Il triviale [[Richard Nixon|Nixon]] avrebbe potuto dire le stesse cose, ma certamente ne avrebbe invertito l'ordine di priorità riservando la comprensione a Kennedy ed il c.o a Breznev. La differenza fra i due è tutta qui. (16 giugno 1979) *Avvicinandosi il 25 dicembre, decine di migliaia di teneri [[abete|abeti]] vengono strappati dai boschi della Penisola per allestire il tradizionale albero di Natale. Ogni anno lo scempio si ripete, tra la generale indifferenza. Soppresso l'Ente protezione animali, figuriamoci se qualcuno ha voglia di proteggere gli alberi. Diciamo la verità: la sola pianta che interessi all'[[italiano medio]] è la pianta stabile. (19 dicembre 1979) *Nel Manifesto di domenica scorsa tale K.S. Karol faceva considerazioni amare sulla rivoluzione cubana e sui suoi fallimenti: «[[Fidel Castro|Fidél]] – ha ricordato il commentatore, uno dei tanti orfani delle illusioni di sinistra – prometteva ai cubani per il 1965 un tenore di vita pari a quello svedese». Certo Fidél si è sbagliato di grosso; non per cattiva volontà, ma per mancanza di uomini, anzi di un uomo. Sarebbe bastato che anche la Svezia avesse uno suo Castro al potere per ritrovarsi in pochissimi anni con un tenore di vita pari a quello cubano. (15 aprile 1980) *Riferiscono le cronache che quando è giunta in tribunale la notizia dell'assassinio di Walter Tobagi, il brigatista Corrado Alunni l'ha accolta con una sghignazzata di tripudio. Abbiamo sempre combattuto la pena di morte sul presupposto che l'uomo non ha il diritto di uccidere l'uomo. Il presupposto lo confermiamo. Ciò di cui cominciamo a dubitare è che gli Alunni e quelli come lui siano uomini. Sui cadaveri sghignazzano le jene. (30 maggio 1980) *A Mirafiori, parlando agli operai della Fiat in sciopero, il sindaco di Torino, Novelli, se l'è presa coi giornalisti e li ha additati all'uditorio come falsari che ricalcano i loro resoconti non sui fatti, ma sulle «veline» distribuite loro dai «padroni». Anche Novelli ha fatto il giornalista in un foglio comunista, e quindi di veline e di padroni è certamente un intenditore. Ma se dopo questa denuncia ci scappa un altro Casalegno, sarà molto gradita la sua assenza ai funerali. (8 ottobre 1980) *Grandi elogi – dopo il successo del blitz di Trani – alle «teste di cuoio» italiane. La loro azione ha dimostrato quanto poco valesse la strategia della flessione propugnata di alcuni personaggi. Teste anche loro: ma di che? (31 dicembre 1980) *Fra i tanti slogans che il partito socialista francese ha lanciato in occasione delle elezioni presidenziali per rassicurare i bravi borghesi sottolineando il proprio carattere moderato e riformista, abbiamo letto anche questo: «Il socialismo può fare di chiunque un milionario». Ci crediamo senz'altro. A patto che quel chiunque fosse prima un miliardario. (8 maggio 1981) *Per gl'italiani, finora, il nome di Gelli era quello dell'autore del più famoso e autorevole codice cavalleresco. Anche oggi rimane legato a un codice. Quello penale. (9 maggio 1981) *L'elenco degli affiliati alla P2 comprende, dicono, 953 nomi, cui corrispondono i più alti gradi della politica, della magistratura, delle forze armate, della burocrazia, dell'industria, della finanza. Tutti «fratelli». È la riprova che, in questo Paese, guai ai figli unici. (11 maggio 1981) *Macché pazzo! L'attentatore del Papa deve essere un furbo matricolato. Dichiarandosi seguace di George Habbas e della causa palestinese, ha cercato di procurarsi la solidarietà dei molti, dei moltissimi, che non battono ciglio quando un terrorista cerca di spedire qualcuno all'altro mondo. Purché il terrorista appartenga al terzo. (16 maggio 1981) *Studiosi cinesi, mettendo a confronto reperti di ominidi dissimili tra loro tanto da far pensare che l'uomo discenda anche da animali diversi dalla [[scimmia]], sono arrivati alla conclusione che i nostri progenitori erano comunque scimmie, ancorché di specie differenti. Ci pare logico. Quale altro animale avrebbe potuto imitare la scimmia che ha dato l'avvio alla razza umana se non un'altra scimmia priva di senso critico? (19 maggio 1981) *Una nostra redattrice andata per una sua cronaca sul femminismo alla «libreria delle donne» in via Dogana a Milano, è stata accolta da una di loro con queste parole: «Con te non parlo perché sei di un giornale fascista, e anche tu hai la faccia da fascista». La nostra redattrice, che ha ventun anni, probabilmente non sapeva bene cosa fosse il fascismo. Ora lo sa: lo ha imparato in quella libreria. (4 novembre 1981) *Come previsto, la Juventus ha conquistato il [[Serie A 1981-1982|ventesimo scudetto]] battendo il Catanzaro. Una vittoria di rigore. (17 maggio 1982) *Socialisti e comunisti si sono opposti alle sanzioni economiche contro l'Argentina perché, hanno detto, una buona metà degli argentini sono di origine italiana, e molti di loro conservano tutt'ora la nostra nazionalità. Vero. Ma non ci eravamo accorti che queste sinistre spasimassero tanto d'amore per i nostri connazionali di laggiù quando si trattava di riconoscergli il diritto di voto. (22 maggio 1982) *Se si va avanti di questo passo, la [[guerra delle Falkland]] (o Malvine) finirà quando l'ultimo aereo argentino sarà abbattuto col suo carico di bombe sull'ultima nave inglese. E dire che questa lotta di leoni si svolge per un'isola di Pecore. (27 maggio 1982) *Tutti abbiamo trepidato ieri, davanti al televisore, per le sorti della squadra azzurra, tutti ci siamo entusiasmati alle sue gesta, tutti abbiamo salutato con orgoglio la sua vittoria. Ma il tipo di patriottismo che questa ha suscitato nelle strade delle nostre città, messe a soqquadro dai tifosi scalmanati che usavano il tricolore a copertura del peggior teppismo, ci ha fatto rimpiangere di non essere nati brasiliani. (6 luglio 1982) *Mai visto così tanto entusiasmo patriottico, tanti tricolori per le strade come per la finale degli azzurri al Mundial. Nella tomba di Caprera, le ossa di [[Giuseppe Garibaldi|Garibaldi]] fremono di invidia. Per unificare l'Italia «in un solo grido, in una sola passione» gli erano accorsi mille uomini. A [[Enzo Bearzot|Bearzot]] ne sono bastati undici. (12 luglio 1982) *Gli scrittori [[Mario Soldati]] (Psi) e [[Gianni Brera]] (Psi) sono stati trombati {{NDR|non sono stati eletti}}. Peccato. Il Parlamento era l'unico posto in cui, dovendo parlare per gli altri, forse avrebbero finalmente taciuto. (1º luglio 1983) *Che [[Bettino Craxi|Craxi]] sia uomo di grandi capacità e ambizioni, lo si sapeva. Che sia anche uomo di grande coraggio, lo si è visto ieri, quando pronunciava alla Camera il suo discorso di replica. Per due volte si è interrotto alla ricerca di un bicchier d'acqua. Per due volte [[Giulio Andreotti|Andreotti]] glielo ha riempito o porto. E per due volte lui lo ha bevuto. (13 agosto 1983) *Condannato dal tribunale di Reggio Emilia per bestemmie e turpiloquio contro la Chiesa, [[Roberto Benigni]] avrebbe qualche ragione di considerarsi vittima di un'ingiustizia. Proprio il giorno prima la Chiesa riabilitava [[Martin Lutero]], scomunicato ai suoi tempi pressappoco per gli stessi motivi. Come cambia, coi tempi, la sorte degli uomini! È inquietante pensare che Benigni, se fosse vissuto cinquecent'anni fa, sarebbe forse diventato Lutero. Ma addirittura sconvolgente è che Lutero, se fosse nato cinquecent'anni dopo, sarebbe forse diventato Benigni! (8 novembre 1983) *Il più autorevole giornale americano di economia e finanza, il Wall Street Journal di martedì 10 gennaio, è incorso in un curioso lapsus. Parlando del concordato fra lo Stato italiano e la Santa Sede, scrive che esso «venne firmato nel 1929 da Bettino Mussolini». Chissà, se lo legge, come si arrabbia Benito Craxi. (12 gennaio 1984) *È comparsa sui giornali la pubblicità di una nuova opera di Fanfani, intitolata «La Dc e la svolta degli anni 80». L'editore avverte che si tratta di un libro formato «tascabile». Dato l'autore, poteva andare diversamente? (16 gennaio 1984) *È vero: la [[Juventus Football Club|Juventus]], a Basilea, non ha fatto una gran figura. Giocando con più cervello, poteva vincere comodamente 4-0. Ma attenti a non giudicare troppo severamente il Porto. Quello di Genova va molto peggio. (18 maggio 1984) *Il trentanovenne James Nelson, condannato da un tribunale di Londra a quindici anni per avere ucciso la madre a colpi di mattone, ha sentito, chiuso in cella, la vocazione sacerdotale: si è messo a studiare teologia, e ora sta per diventare prete nella chiesa scozzese. «È mia intenzione – ha dichiarato – contribuire alla edificazione di una nuova società». Si può credergli: i mattoni ha dimostrato di saperli usare. (25 maggio 1984) *L'agenzia Agi informa, con un drammatico flash, che il ministro [[Giulio Andreotti|Andreotti]], «impegnato in una riunione superistretta con gli altri 15 ministri degli esteri della Nato, perderà la partita [[Associazione Sportiva Roma|Roma]]-[[Liverpool Football Club|Liverpool]]». È giusto il fatto che faccia notizia: è la prima volta che Andreotti perde qualcosa. (31 maggio 1984) *Presso la Presidenza del Consiglio, a palazzo Chigi, è stata istituita una commissione di giuristi per la completa parificazione dei diritti fra i due sessi. Finalmente! Era ora che ce la riconoscessero, a noi uomini. (16 ottobre 1984) *La riforma dei programmi della scuola elementare, cui sta lavorando il Ministro Falcucci, introdurrà nella terza, quarta e quinta classe l'insegnamento di una lingua straniera. Non è specificato quale. Speriamo che si tratti dell'italiano. (21 gennaio 1985) *Un certo [[Nichi Vendola]], dirigente della Federazione giovanile comunista, ha lanciato l'idea di riconoscere formalmente un «diritto dei bambini ad avere rapporti sessuali tra loro o con gli adulti». Vendola ha detto di aver attinto questa idea all'esperienza di molti padri. A conferma di quanto scrive [[Georges Courteline|Courteline]] nella sua «Filosofia»: «Uno dei più chiari effetti della presenza di un bambino in una casa è di rendere completamente idioti dei genitori che forse, senza di lui, sarebbero stati degl'imbecilli comuni». (26 marzo 1985) *I tecnici di calcio sono rimasti stupiti dalla prova del [[Real Madrid Club de Fútbol|Real Madrid]] che nella semifinale della coppa Uefa ha letteralmente travolto i modesti giocatori dell'[[Football Club Internazionale Milano|Inter]]. I madrileni hanno proprio vinto a biglia sciolta. (26 aprile 1985) *Quando [[Sandro Pertini]] è apparso sul video di Raiuno che trasmetteva la premiazione del concorso ippico di Roma, il cronista ha commentato: «Anche i cavalli, come vedete, sono gentili col Presidente». Era vero. Forse meritano di essere fatti cavalieri. (5 maggio 1985) *I tifosi rossoneri sono in festa per la notizia che Berlusconi sta per acquistare il loro Milan. Sono convinti che in un battibaleno ne farà una squadra da scudetto, da coppa delle coppe, da tutto, e forse hanno ragione. C'è un solo pericolo: che il neo-presidente voglia fare anche il direttore tecnico, l'allenatore, il massaggiatore, il capitano e il centrattacco. Il che potrebbe andar anche bene. Ma ad una condizione: che possa fare anche l'arbitro. (27 dicembre 1985) *Rete Quattro e Italia 1 sono state multate per violazione del decreto che proibisce la propaganda al consumo del tabacco. Lo spot incriminato è quello che, parlando del «Camel Trophy», ostentava un pacchetto di sigarette della ditta sponsorizzatrice. Strano Paese, il nostro. Colpisce i venditori di sigarette, ma premia i venditori di fumo. (13 marzo 1986) *Molti lettori ci chiedono quale missione sta svolgendo l'on. Capanna a Tripoli, quali motivi l'hanno spinto da Gheddafi. Non ne sappiamo granché: non siamo abituati a ficcare il naso nelle altrui questioni di famiglia. (1º giugno 1986) *Oggi Paolo Pillitteri sarà designato alla successione di Tognoli come sindaco di Milano. Lo dipingono come uomo intelligente, efficace, insomma pieno di qualità. Purtroppo, gli manca quella fondamentale: il celibato. (5 dicembre 1986) *Finalmente, dopo sette anni di esilio a Gorky, l'impavido Andrei Sacharov è tornato a Mosca. Speriamo che Gorbaciov ci resti. (24 dicembre 1986) *L'agenzia Ansa riferisce che da un sondaggio operato in Francia su un pubblico internazionale, risulterebbe che il maschio italiano detiene ancora il primato mondiale della seduzione. Speriamo che i giornali non riportino la notizia: gl'italiani sarebbero capaci di crederci. (15 marzo 1987) *Per la prima volta nella storia della Corte Costituzionale, il nuovo presidente, Francesco Saja, è stato eletto al primo scrutinio. Ma il rivale sconfitto, Ferrari, ha sollevato eccezione accusando il vincitore di averlo battuto grazie a un «compromesso storico» fra elettori democristiani e comunisti, aggravato da un intrallazzo fra siciliani. Vero o falso, dalla Corte al cortile. (5 giugno 1987) *Ieri tutti i telegiornali ci hanno martellato negli occhi le immagini dei capibastone – Craxi, De Mita, Spadolini, Altissimo ecc. – che infilavano la scheda nell'urna. I loro volti raggiavano di soddisfazione. Erano gli unici elettori matematicamente sicuri di aver dato il voto al candidato ideale. (15 giugno 1987) *In una scuola di Chattanooga, nel Tennesse (Usa), due sedicenni, approfittando dell'assenza dell'insegnante, si sono baciati e hanno fatto l'amore davanti a una decina di compagni, niente affatto scandalizzati. Dato il lassismo di certe scuole americane, gli esami in cui gli studenti riescono meglio sono proprio queste prove orali. (4 giugno 1988) *Diciannove persone hanno dichiarato d'aver visto aggirarsi, tra le quinte della Scala, il fantasma di [[Maria Callas]]. Non ci meravigliamo, anche perché migliaia di altri frequentatori del massimo teatro lirico italiano sostengono da tempo di vedere, alla Scala, il fantasma della Scala. (28 giugno 1988) *Scoprendo le istituzioni britanniche con un secolo e mezzo di ritardo, i comunisti sembrano fermamente intenzionati a formare il loro «shadow Cabinet». Ma onestamente non ne afferriamo la ragione. Non c'è nessun bisogno di un governo ombra per contrastare quest'ombra di governo. (5 maggio 1989) *Da un sondaggio condotto tra i francesi risulta che il personaggio più noto d'Oltralpe è [[Marcello Mastroianni]], conosciuto dall'83 per cento degli intervistati. Il 97 per cento dei francesi invece confessa di non sapere chi sia [[Ciriaco de Mita|Ciriaco De Mita]]. Quando si dice un Paese fortunato... (20 maggio 1989) *Gerardo Iglesias, che fu segretario generale del partito comunista spagnolo dall'82 all'88, ha lasciato l'attività politica per riprendere il suo lavoro di minatore di carbone, «l'unico modo in cui posso guadagnarmi degnamente la vita». Alcuni dirigenti del Pci, a quanto risulta, vorrebbero imitarne l'esempio, tornando al vecchio lavoro. Il difficile è trovare chi ne aveva uno. (1º giugno 1990) *Durante la festosa «notte del mondiale», la polizia romana ha arrestato, nelle vicinanze dello stadio olimpico, 29 borsaioli e scippatori. Il signor [[Edgardo Codesal Méndez|Codesal Mendez]], arbitro della partita [[Nazionale di calcio della Germania|Germania]]-[[Nazionale di calcio dell'Argentina|Argentina]], non figura nell'elenco. (10 luglio 1990) *Il giudice veneziano Casson ha convocato, per la storia del Gladio, il presidente [[Francesco Cossiga|Cossiga]], e l'Italia leguleia è in subbuglio: la Costituzione, pure, si è dimenticata di precisare se il Capo di Stato può essere chiamato a rispondere, sia pure da testimone, a un qualunque magistrato. Il quale però ha ora la fotografia su tutti i giornali. E tutti possono ammirarla chiedendosi che cosa passa in quella testa, la testa di Casson. (10 novembre 1990) *Gli studenti italiani manifestano rumorosamente per la [[pace e guerra|pace]] e contro la [[pace e guerra|guerra]]. La guerra, diceva [[Georges Clemenceau|Clemenceau]], è una cosa troppo seria per lasciarla fare ai militari. Ma anche la pace è una cosa troppo seria per lasciarla fare ai pacifisti. (20 gennaio 1991) *Occupandosi – tra tanto Golfo – del Festival di Sanremo il Tg3 ci ha dato, finalmente, ieri sera, una notizia credibile: il livello delle canzoni, ha detto, è destinato a salire. Infatti: sentite le prime è impossibile che scenda. (1º marzo 1991) *Da un'indagine risulta che il 41,9% degli italiani non considera illecito l'assenteismo dal lavoro e che il 41,3% non considera peccato le infedeltà coniugali. La coincidenza delle due cifre spiega in che modo gli statali impiegano il tempo che dovrebbero dedicare all'ufficio. (3 ottobre 1991) *A quest'ora [[Ernesto Balducci|Padre Balducci]] è di fronte al Supremo Giudice, nel quale affermava di credere. Almeno a Lui dovrà spiegare non ciò che diceva contro la Chiesa, ma perché lo diceva travestito da frate. (26 aprile 1992) *Nell'ultima tornata presidenziale è emerso, con un bel pacchetto di 20 voti, Aldo Aniasi. Finalmente. In questo imperversare di tangenti e bustarelle, era ora che qualcuno si ricordasse di lui. (24 maggio 1992) *Per sfatare le malevole dicerie su certe bestie, il presidente degli «animalisti» italiani ha offerto un premio di 200 milioni a chi potrà dimostrare che i corvi scrivono lettere anonime e che le talpe fanno le spie. È vero: di simili casi non ne conosciamo. Ma di somari che fanno i presidenti, ne conosciamo parecchi. (5 luglio 1992) *Dopo le invettive e i clamori da cui il presidente del consiglio [[Giuliano Amato|Amato]] è stato accolto in Senato per la sua insensibilità alla crisi morale che investe il Paese, il dibattito sulla medesima si è svolto, a Montecitorio, in un'aula deserta. Sì, una crisi morale, per la nostra classe politica esiste: lo dimostra il vuoto in cui l'ha lasciata cadere. (14 marzo 1993) *«I socialisti – ha detto l'ex ministro della Difesa Salvo Andò – devono andare tutti nudi verso la meta di un nuovo sistema politico». Come faranno senza le tasche? (24 maggio 1993) *Il candidato del Psi per le elezioni a sindaco di Roma sarà Niccolò Amato. Assennata scelta. Ex direttore delle carceri, Amato è certamente il più qualificato a rappresentare quel partito. (23 settembre 1993) *Giovedì sera annuncio a sorpresa di [[Emilio Fede]] nel suo Tg4: «Adesso – ha detto – voglio parlarvi di informazione». C'è sempre una prima volta. (8 gennaio 1994) *Secondo un sondaggio della Diacron (gruppo Fininvest), l'82 per cento dei lettori del «Giornale» sarebbe schierato con Berlusconi. Vero. Almeno com'è vero che Berlusconi diventerà presidente del Consiglio. (12 gennaio 1994) ====''La parola ai lettori – rubrica''==== *I tennisti italiani hanno disputato la finalissima di Coppa Davis a Praga, e nessuno ha battuto ciglio. Le squadre di calcio italiane frequentano gli stadi dell'Est, a cominciare da quelli russi, e i puristi della democrazia non ci trovano nulla a ridire. Ma per l'[[Uruguay]] – che con i suoi tre milioni di abitanti e la sua posizione geografica non mi pare possa essere considerato una minaccia troppo grave alla libertà dei Paesi democratici – c'è puntuale la protesta. Come se l'Uruguay potesse invadere, espandersi, insidiare, inviare – direttamente o indirettamente – eserciti di mercenari in mezzo mondo, e l'[[Unione Sovietica]] no. Possiamo capire gli intransigenti della democrazia: ma possiamo soltanto disprezzare i farisei che hanno l'indignazione dimezzata. Si calmino Bruno Conti e Pruzzo. Né l'Uruguay, né il suo regime, meritano tante ansie e tanta ostilità. Mosca è più vicina – lo sanno bene i polacchi – e Kabul anche. (31 dicembre 1980) *Non abbiamo mai «coperto», come si usa dire, questo nostro socio (che ha il 37, non il 36% del Giornale), anche perché non vediamo da cosa dovremmo coprirlo. [[Silvio Berlusconi|Berlusconi]] non è né un politico né un gerarca civile o militare, e non svolge nessuna pubblica funzione incompatibile con l'appartenenza alla massoneria. È un privato imprenditore e cittadino che quando fa una balordaggine (e l'iscrizione alla P2 lo è) la fa a proprio rischio e pericolo. Come lei avrà visto, il suo coinvolgimento nella P2 non ci ha impedito di dire, di Gelli e della sua banda, tutto il male che ne pensiamo. (31 maggio 1981) *In tutti questi anni che è stato con noi, {{NDR|Silvio Berlusconi}} si è sempre comportato nella maniera più signorile, ed anche in questa circostanza ci ha dato le più ampie garanzie. (14 aprile 1987) *Nel panorama sudamericano il [[Cile]] è oggi uno di quei paesi economicamente più solidi e con maggior progresso, tanto da meritare gli elogi del Fondo monetario internazionale. Ma la postilla impone a sua volta una precisazione. È più facile fare il risanamento economico monetario in Cile, dove i sindacati sono inesistenti o impotenti, che non in [[Argentina]], dove il sindacato incalza il governo e pretende aumenti salariali il cui ritmo sia adeguato al ritmo dell'inflazione. [...] Pinochet è quello che è. Il suo plebiscito per la Costituzione del 1980 fu indetto in circostanze che gli tolgono ogni valore. E gli inizi del regime militare furono sanguinari. Però il Cile di oggi ha un livello di libertà e di dialettica politica – nonostante Pinochet – che tanti paesi del Terzo mondo vezzeggiati dai nostri democratici dovrebbero invidiargli. Come ha osservato un lettore, né l'Etiopia né lo Zaire né la Siria, né il Nicaragua avrebbero tollerato corrispondenze come quelle che gli inviati della Rai diffondono, in diretta dal Cile. (16 aprile 1987) *Mai le nostre prese di posizione su problemi e personaggi sono state non dico condizionate, ma influenzate dalle personali amicizie o preferenze di Berlusconi. Per la verità, l'editore chiese una volta a titolo di favore, un «occhio di riguardo» per la sua creatura prediletta. Non la televisione, come i lettori saranno stati forse indotti a pensare, ma il [[Associazione Calcio Milan|Milan]]. Sottoposi questa sommessa istanza alla redazione sportiva. La risposta fu una lettera collettiva di dimissioni. Caso chiuso. Da allora rinuncio a leggere le cronache delle partite del Milan, per non dovermi dispiacere del dispiacere che ne prova probabilmente Berlusconi. (17 aprile 1988) *Come già ho scritto, e qui mi piace ripetere, la designazione di [[Francesco Cossiga|Cossiga]] al Quirinale fu la scelta dell'uomo giusto al posto sbagliato. Sappiamo benissimo chi la volle. Ma sappiamo altrettanto bene che fu avallata anche da quegli uomini e partiti che ora si scagliano contro di lui e lo accusano, apertamente o copertamente, di fellonia. La classe politica, nella quale egli ha militato da sempre e che quindi da sempre lo conosceva, doveva sapere che l'onesto (perché tale è) Cossiga non era uomo da Quirinale. Eppure, per i suoi sporchi giochi di potere, ce lo mandò. Ora dovrebbe sentire il dovere di difenderlo dagli sciacalli che lo attaccano da tutte le parti. (22 dicembre 1990) ===''La Stampa''=== <!--ordine cronologico--> *Intorno alle «cattedrali nel deserto» impiantatevi dalla cosiddetta mano pubblica, [...] o trasferitevi dal Nord con l'adescamento degli «incentivi», e sotto la nuvolaglia di fumo che sgorga dalle loro ciminiere, si gonfiano alla carlona e selvaggiamente dirompono, senza nessun criterio urbanistico, senza piano regolatore, senza servizi, spesso anche senza acquedotto e senza fogna, degli agglomerati urbani che solo per il numero degli abitanti si possono chiamare città. [...] È nata soltanto, insieme a una forsennata speculazione edilizia che per sfruttare all'osso l'area fabbricabile accumula con cattivo cemento un piano sull'altro finché crollano sulla testa degl'inquilini, la sorda rabbia contro la città di un contadiname analfabeta che se n'è visto succhiare la linfa vitale, e quando vi cala, lo fa da nemico e vandalo. Questo è il panorama del Mezzogiorno dopo vent'anni e più di Cassa, che hanno raschiato dalle tasche dei contribuenti migliaia di miliardi. (da ''[http://www.archiviolastampa.it/component/option,com_lastampa/task,search/mod,libera/action,viewer/Itemid,3/page,3/articleid,1118_01_1973_0272_0003_16218908/ La protesta contadina]'', 18 novembre 1973, p. 3) *La politica meridionalistica è tutta dominata da questo sottofondo psicologico. Essa vuole l'industrializzazione di Stato non soltanto perché [...] l'industrializzazione può essere fatta soltanto dallo Stato o da imprese al servizio dello Stato; ma anche perché più queste imprese si sviluppano, e più si riduce il margine di quell'imprenditoria privata che i meridionali, non riuscendo a emularla, mirano a ostacolare e ridurre, sottraendole il pubblico risparmio. Con l'agricoltura non avrebbero potuto perseguire questi scopi punitivi. L'unica arma per mortificare e battere l'industria privata è l'industria statale o parastatale. Questa, intendiamoci, esisteva digià: è un portato dei tempi moderni. Ma non c'è dubbio che la politica meridionalistica, come la si è praticata finora e tutto lascia credere che si seguiterà a praticarla, le ha offerto un'ideale occasione. (da ''[http://www.archiviolastampa.it/component/option,com_lastampa/task,search/mod,libera/action,viewer/Itemid,3/page,3/articleid,1118_01_1973_0284_0003_16222766/ Industrie "in colonia"]'', 2 dicembre 1973, p. 3) *Lo Stato, con [[Venezia]], ha contratto un solo impegno: di destinare al suo risanamento 300 miliardi di lire in cinque anni. Di dove li prenda, non ha nessun interesse. Può darsi che una parte li attinga proprio a quel prestito. Ma non vi è tenuto, né si vede perché dovrebbe esserlo. Ciò che da esso si può e si deve esigere è che eroghi effettivamente quei 300 miliardi alle scadenze per le quali si è impegnato: 25 miliardi per il '73, 60 nel '74, 90 nel '75, e su su fino alla chiusura dei conti nel '77. Due sole cose restano da dire. Primo. All'origine dell'equivoco c'è di certo quello che i francesi chiamano l'''esprit mal tourné'', cioè la diffidenza degl'italiani nei confronti dello Stato. Ma all'origine di questa diffidenza c'è altrettanto certamente l'incapacità o la renitenza dei nostri governanti a spiegare [...] ciò che fanno. Secondo. I soldi [...] stavolta ci sono. E diamo pure per scontato che saranno erogati con puntualità. Ma dove sono gli strumenti per spenderli, specie quelli affidati in gestione a degli Enti locali, che fin qui non sono stati capaci di dragare un canale né di riparare la spalletta d'un ponte? Non vorremmo che anche tutti questi miliardi andassero ad alimentare l'immenso deposito di «residui passivi», cioè di somme stanziate ma non impiegate, che già affligge il nostro Paese. Non lo vorremmo. Ma lo temiamo. (da ''[http://www.archiviolastampa.it/component/option,com_lastampa/task,search/mod,libera/action,viewer/Itemid,3/page,1/articleid,1111_01_1974_0009_0001_21345708/ Venezia, molti miliardi e lo Stato]'', 11 gennaio 1974, p. 1) *E ora addio, caro lettore, e grazie dell’ospitalità. Ti confesso che, entrando in casa tua, ero molto imbarazzato. Ma mi bastò poco per accorgermi che di questo imbarazzo voi soffrite quasi quanto coloro a cui lo incutete. Esentàtemi da una dichiarazione di amore perché a gente come voi è difficile farne. Ma in questo pudore mi sento vostro pari e vostro complice. Avrò un giornale a Milano e, e cercherò di farlo molto bello, bellissimo. Ma anche se ci sarò riuscito, seguiterò a rimpiangere il vostro. Mi dicevano che ci avrei sofferto il freddo. Ci ho trovato, sotto una coltre di silenzio, il caldo. (da ''[http://www.archiviolastampa.it/component/option,com_lastampa/task,search/mod,libera/action,viewer/Itemid,3/page,3/articleid,1112_01_1974_0087_0003_16390798/ Congedo dal Piemonte]'', 21 aprile 1974, p. 3) {{Int|''[http://www.archiviolastampa.it/component/option,com_lastampa/task,search/mod,libera/action,viewer/Itemid,3/page,9/articleid,1118_01_1973_0284_0009_16222725/ Chi era il vecchio leone del deserto]''|Articolo su ''La Stampa'', 2 dicembre 1973.|h=4}} *Senza Ben Gurion, non so se Israele sarebbe stato migliore o peggiore di quel che è. Certo, sarebbe stato diverso. Il titolo di «Padre della Patria» non può contestarglielo nessuno. [...] Egli stesso mi raccontò lo sgomento da cui fu còlto quando, non ancora ventenne, sbarcò a Giaffa dopo un lungo periplo a bordo d'un cargo. A procurarglielo non furono i funzionari turchi che allora governavano il Paese, e nemmeno gli arabi che formavano il grosso della popolazione; ma gli ebrei, quasi tutti latifondisti e mercanti perfettamente inseriti nel «sistema» e unicamente intesi ai propri affari. Erano dunque quelli i depositari della Terra Promessa, che non sapevano neanche l'ebraico, o comunque si rifiutavano di parlarlo? Forse ne sarebbe fuggito, se nell'interno non avesse scoperto alcune isolate fattorie collettive, dove i nuovi immigrati lavoravano la terra con le proprie mani e di notte montavano la guardia, uomini e donne, per difendere le loro vite e i loro raccolti dalle razzie degli arabi. *Comprese subito che solo redimendo la terra col loro lavoro manuale e contrapponendo al latifondismo arabo la fattoria collettiva, gli ebrei potevano legittimare la riconquista dei loro antico «focolare». Militarmente, egli non attaccò mai gli arabi. Aspettò che il loro sistema si disgregasse da sé, e ci volle poco. Battuti sul mercato dai prodotti del ''kibbutz'', i latifondisti arabi vendettero i loro feudi al «Fondo Nazionale Ebraico» per andare a sperperare l'incasso nei ''Casinos'' di Beirut e della Costa Azzurra, e i braccianti rimasero senza lavoro perché i nuovi padroni usavano le braccia proprie. Il conflitto è tutto qui: nell'impossibilità di coabitazione di una scalcagnata economia feudale con un'efficientissima economia socialista. I motivi religiosi e razziali li ha aggiunti la propaganda. *Il suo programma era questo: conquistare la Palestina «pertica dopo pertica, capra dopo capra», ma senza costituirla in uno Stato, un po' perché a questo si sarebbe opposta l'Inghilterra [...] un po' per non provocare un «fronte» di nazioni arabe, come poi in realtà avvenne. Ma la rivelazione del [[Olocausto|genocidio]] gl'ispirò il famoso ''mai più''. E mai più significava questo: che d'allora in poi gli ebrei dovevano avere un rifugio sicuro, pronto ad accoglierli e in grado di farlo, cioè uno Stato. *Come tutti i veri politici, Ben Gurion era un pragmatista, cioè un uomo che attingeva le idee dalla pratica delle «cose», non viceversa. E l'esperienza fatta nella lotta per la manodopera ebraica lo aveva persuaso che con gli arabi non c'era [...] possibilità di compromesso. Uno Stato palestinese misto di arabi e di ebrei, lo considerò sempre una chimera per il semplice motivo che in poche generazioni, col loro potenziale demografico quattro volte superiore, gli arabi avrebbero mangiato gli ebrei. [...] Già nella guerra del '48 egli avrebbe potuto annettersi la Cisgiordania: ci rinunziò per non mettersi in corpo seicentomila arabi. L'anno dopo rifiutò per lo stesso motivo la cosiddetta «striscia di Ghaza» che il suo brillante generale Allon aveva sforbiciato dall'Egitto. E dopo la guerra dei sei giorni, sebbene ormai lontano dal potere, non ha fatto che ammonire contro una politica di annessioni territoriali disgiunta da un adeguato incremento di popolazione ebraica. Non ha mai dialogato che con l'Occidente. Con gli arabi, non ha seguito che una diplomazia: quella dei confini. *Le nuove esigenze della produzione e della guerra imponevano un altro «rovesciamento della piramide»: il miracolo della guerra dei sei giorni fu dovuto a un esercito di tecnici altamente specializzati, in cui anche il semplice aviere era un ingegnere. Il posto del ''kibbutz'' [...] veniva preso dall'Università che riconvertiva il contadino in professore. Ben Gurion non poteva interpretare questo nuovo corso. Era troppo vecchio e legato all'altro. Ma non lo comprese, non poteva comprenderlo, per conservare il potere ricorse a tutte le armi del suo repertorio, anche le meno regolamentari, giunse a rinnegare e a rompere il proprio ribelle partito. E neppure a battaglia persa si rassegnò. Dal fondo del suo rifugio alle soglie del deserto ha continuato tutti questi anni ad alluvionare di ammonimenti, maledizioni, anatemi i suoi vecchi amici trattandoli da nemici. [...] Quello che si chiude con Ben Gurion è il capitolo del pionierismo: il più eroico e glorioso, quello destinato, via via che si allontanerà nel tempo, ad essere ricordato dagl'israeliani con sempre più struggente nostalgia. {{Int|''[http://www.archiviolastampa.it/component/option,com_lastampa/task,search/mod,libera/action,viewer/Itemid,3/page,3/articleid,1112_01_1974_0081_0003_16388814/ La strada lunga di Golda]''|Articolo su ''La Stampa'', 14 aprile 1974.|h=4}} *{{NDR|[[Golda Meir]]}} Aveva poco più di vent'anni quando approdò in Israele, frammista ai «padri pellegrini» della «seconda ondata» che subito dopo la [[prima guerra mondiale]] vennero a riprendere possesso della loro antica terra con la ferma intenzione non d'insabbiarcisi com'era successo ai loro predecessori della fine dell'Ottocento, ma di riscattarla e di farne il «focolare» degli ebrei. Tutta la sua visione politica [...] era condizionata da questa esperienza di oltre mezzo secolo di sacrifici e di lotte. [...] Oggi molti in Israele si domandano se a questi pionieri non restava davvero altra strada che quella dell'urto frontale con la popolazione araba della Palestina. Ma questi dubbi sono un lusso ch'essi si possono concedere solo perché i loro babbi e nonni non ne ebbero. Costoro fecero quello che fecero perché non potevano far altro. Ciò che rendeva impossibile la coabitazione fra le due popolazioni non era la incompatibilità razziale e religiosa, ma quella economica e sociale. Il latifondo sceiccale non poteva convivere col ''kibbutz'' socialista. È qui l'origine di un conflitto che nessuna diplomazia poteva sanare. Una pace fra israeliani e arabi è possibile; una simbiosi, no. Ancor oggi chi parla di «Stato misto» si gingilla con le astrazioni. *Fu lei che [...] raggiunse travestita da cammelliere l'emiro Abdullah di Giordania [...] e da nemico se lo fece amico, o almeno neutrale. Non sono mai riuscito ad appurare se [[David Ben Gurion|Ben Gurion]] ebbe una parte, e quale, in questo «giallo» fra il diplomatico e lo spionistico. Ma molte cose m'inducono a credere che a programmarlo fu proprio lei, Golda, anch'essa ben decisa a innalzare, fra arabi ed ebrei, una cortina di ferro, ma con qualche porta che consentisse all'occorrenza il dialogo. [...] I due furono amici e compari per decenni. [...] Probabilmente anche al tempo in cui facevano coppia nel partito e nel governo si parlavano tra loro in quel linguaggio da fureria. Quanto a imperiosità e autoritarismo, si valevano. [...] Con la sua voce arrugginita dalle sigarette [...] diceva piattamente e banalmente delle cose piatte e banali, solo ravvivate da qualche squarcio d'un umorismo massiccio come una scarpa di soldato; ma senza mai togliere di dosso all'interlocutore il suo vigile sguardo cilestrino alla fiamma ossidrica. E da quella specie di sporta per la spesa che, adibita a borsa, essa tiene al braccio anche nei ricevimenti ufficiali, ci si aspettava sempre di veder saltar fuori, oltre a qualche mazzo d'agli e di cipolle, una pistola o una fiala di veleno. *Non c'è dubbio che sapeva odiare e che anche quando amava lo faceva da mantide, soffocando e stritolando. Ma Israele non troverà mai più una madre come lei, che sapeva anche fargli da padre. Nella sua tenacia, nel suo coraggio, nella sua volontà d'acciaio, essa riassumeva la storia di questo piccolo grande Paese. Lo ha dimostrato col suo ritiro. Quando si è trattato di pagare, essa si è offerta in sacrificio pur sapendo che per lei la rinunzia al potere è la rinunzia alla vita. «''Sono giunta al termine della mia strada''», ha detto. Ma che strada! Nessuno ne ha mai percorsa una più ripida e accidentata, più paurosamente librata tra abissi e strapiombi. Sono sicuro che Golda non si volterà indietro a guardarla, e non ce ne dirà nulla. Come tutti i grandi costruttori, essa sa soltanto costruire. Il resto, per lei, è silenzio. ===''la Voce''=== <!--ordine cronologico--> *Uscendo dal ''Giornale'', io feci a me stesso, ma pubblicamente, un giuramento: «Mai più un padrone». Qui padroni non ce ne sono. La proprietà è ripartita fra alcune centinaia di azionisti, di cui nessuno può, per statuto detenere più del 4 per cento. Fra di essi, e per primi, ci siamo stati tutti noi: redattori, impiegati, fattorini, autisti. [...] Per questa sua pulviscolarità, il nostro azionariato è stato definito, nei quartieri alti della Finanza, «straccione». La qualifica non ci dispiace: coi tempi che corrono, meglio stare tra gli stracci che tra le tangenti. (22 marzo 1994) *Di insurrezione generale non c'era bisogno, il 25 aprile, perché il Terzo Reich non esisteva più. Se l'insurrezione generale fosse avvenuta avrebbe dovuto avere come primo obiettivo, a Milano, il quartier generale delle SS all'Hotel Regina. Le SS furono invece lasciate del tutto tranquille, mentre si provvedeva a trascinare in piazzale Loreto, per la fucilazione Achille Starace [...]. Non sono contro la Resistenza, anzi: sono contro la retorica, inguaribile vizio italiano. Proprio questa retorica ha fatto sì che un sindaco democristiano di Roma, in un manifesto dedicato anni or sono alla liberazione della città non accennasse nemmeno con una parola agli Alleati. Ed ha fatto sì che in quest'ultimo 25 aprile si sia parlato ai giovani che affollavano piazza del Duomo a Milano o che stavano davanti ai televisori, ingannandoli – ossia raccontando loro che i tedeschi erano stati sconfitti dai partigiani, e che da questi l'Italia era stata liberata. Se questa è la «memoria storica» evocata da tanti commentatori, stiamo freschi. (28 aprile 1994) *Intorno a Berlusconi vedo agitarsi una falange di Starace, convinti non meno di Achille che il padrone (e con lui, si capisce, la carriera) si serve sbattendo i talloni e gridando: «Forza, Italia!». Di tutto questo, intendiamoci, Berlusconi non può essere tenuto responsabile. Gli Starace – a differenza di Mussolini che si scelse il suo vedendolo com'era – gli sono germinati e gli pullulano intorno d'irresistibile forza propria cercando di sopraffarsi in una gara di servilismo, che trova soprattutto nel video la propria arena. E per ora la gente pensa: «Povero Cavaliere, da chi è circondato». Ma prima o poi – forse più prima che poi – comincerà a dire anche di lui: «Vedi un po' di chi si circonda». (18 giugno 1994) *Dobbiamo prepararci a presentare le nostre scuse a [[Emilio Fede]]. L'abbiamo sempre dipinto come un leccapiedi, anzi come l'archetipo di questa giullaresca fauna, con l'aggravante del gaudio. Spesso i [[leccapiedi]], dopo aver leccato, e quando il padrone non li vede, fanno la faccia schifata e diventano malmostosi. Fede no. Assolta la bisogna, ne sorride e se ne estasia, da oco giulivo. Ma temo che di qui a un po' dovremo ricrederci sul suo conto, rimpiangere i suoi interventi e additarli a modello di obiettività. (26 novembre 1994) *Il presidente della Repubblica non può contrattare. Ma deve trovare qualcuno che abbia l'autorità morale di farlo. Un ''kamikaze''. E di ''kamikaze'' ne vediamo uno solo che, non avendo veste politica, né alcuna ambizione di indossarla, può anche affrontare una simile responsabilità: [[Antonio Di Pietro|Di Pietro]]. Ma temiamo che l'idea sia soltanto nostra. [...] Una delle pochissime cose che nella presente situazione ci confortano è di vedere in Quirinale un difensore delle Regole come [[Oscar Luigi Scalfaro|lui]]. Vorremmo solo sommessamente avvertirlo che l'Italia che noi conosciamo somiglia poco all'immagine angelica ch'egli ce ne ha fornito la sera di Capodanno, e che anche quando vi avremo messo a posto tutte le Regole, ne mancherà sempre una: quella che dall'interno della sua coscienza fa obbligo ad ogni cittadino di regolarsi secondo le regole. (3 gennaio 1995) *Noi volevamo fare, da uomini di [[Destra]], il quotidiano di una Destra veramente liberale, ancorata ai suoi storici valori: lo spirito di servizio (quello vero, taciuto e praticato), il senso dello Stato, il rigoroso codice di comportamento che furono appannaggio dei suoi rari campioni da Giolitti a Einaudi a De Gasperi. Insomma, l'organo di una Destra che oggi si sente oltraggiata dall'abuso che ne fanno gli attuali contraffattori. Questa Destra fedele a se stessa in Italia c'è. Ma è un'élite troppo esigua per nutrire un quotidiano. (12 aprile 1995) {{Int|''Il realista inviso agli snob''|Articolo su ''la Voce'', 24 aprile 1994.|h=4}} *Fino ad una decina di anni orsono, la maggioranza degli americani erano convinti che, se [[Richard Nixon|Nixon]] fosse rimasto nella Storia del loro Paese – cosa che al loro orecchio suonava come un obbrobrio – vi sarebbe rimasto solo per il [[Scandalo Watergate|Watergate]], cioè appunto per l'obbrobrio. Negli ultimi tempi tutto si è rovesciato: l'obbrobrio non è stato più il Watergate, ma la campagna scandalistica che lo aveva provocato. Gli stessi protagonisti che l'avevano montata – [[Bob Woodward]] e [[Carl Bernstein]] del ''Washington Post'' – ne riconobbero le forzature e fecero atto di contrizione. Non avevano inventato nulla, ma avevano deformato tutto. [...] La sorte è stata, tutto sommato, clemente con Nixon dandogli il tempo di vedere questo capovolgimento. *Ultimamente era ricevuto, ed anzi continuamente sollecitato alla Casa Bianca, dove lo si accoglieva come lo ''Elder Statesman'', lo statista anziano da consultare come un vecchio saggio sui problemi difficili. Fu a lui che [[George H. W. Bush|Bush]] si rivolse per riallacciare un dialogo con Pechino dopo la rottura seguita al fattaccio di Tienanmen. E lui a Pechino lo riallacciò: i cinesi non avevano dimenticato che quel dialogo erano stati Nixon e [[Henry Kissinger|Kissinger]] ad aprirlo, quando l'America aveva deciso di chiudere l'avventura del Vietnam in cui [[John Fitzgerald Kennedy|Kennedy]] e [[Lyndon B. Johnson|Johnson]] l'avevano malaccortamente cacciata. Ma anche [[Bill Clinton|Clinton]] è ricorso alla sua esperienza per capire cosa succedeva in Russia e trarne qualche insegnamento. Nixon andò a Mosca, e ne tornò con cattivi presagi sulla sorte di [[Boris Nikolaevič El'cin|Eltsin]] che i successivi avvenimenti hanno confermato. *Non era un uomo «simpatico», e soprattutto non aveva nulla che potesse sedurre l'America dei salotti e della ''intellighenzia'', che gli uomini politici li misurano a modo loro, mai quello giusto. Scambiarono per un grande intellettuale Kennedy, che in vita sua aveva visto migliaia di film, ma mai letto un libro. E prendevano Nixon, che di libri ne ha letti ed ha continuato a leggerne (ed a scriverne, niente male), fino all'ultimo giorno per una specie di Bossi californiano, rozzo e triviale. [...] Ma forse quello che più infastidiva gli americani era la renitenza di Nixon ad appelli e richiami tanto più sonori quanto più vacui, come «la nuova frontiera» e simili. Nixon era un professionista della politica, uno dei pochissimi che l'America abbia mandato alla Casa Bianca. Non andava per sogni e per versetti del Vangelo. Conosceva il suo [[Otto von Bismarck|Bismarck]], il suo [[Benjamin Disraeli|Disraeli]], e credo anche il suo [[Niccolò Machiavelli|Machiavelli]] che in America basta nominarli per finire scomunicati. Per questo lo consideravano un mestierante, e per questo si era scelto come consigliere un altro mestierante, l'ebreo tedesco Kissinger. Furono questi due uomini che ridiedero all'America la ''leadership'' nella politica estera coinvolgendo nel gioco la Cina e scavandone il solco da Mosca. I successori di Nixon, e specialmente [[Ronald Reagan|Reagan]], vissero in gran parte di questa eredità. ===''Oggi''=== <!--ordine cronologico--> *Mi confermo in due mie vecchie opinioni. Il guaio del socialismo è il socialismo, cioè sta proprio nel suo sistema statalistico. Il guaio del capitalismo sono i capitalisti che, quasi sempre bravissimi all'interno della loro azienda, fuori di lì sono spesso degli ottusi e noiosi imbecilli, e talvolta anche peggio.<ref>Citato in ''Dizionario delle citazioni'', a cura di Italo Sordi, BUR, 1992. ISBN 88-17-14603-X</ref> (n. 22, 1983) *{{NDR|Sull'offerta di [[Massimo D'Alema]] a concedere, come «atto dovuto», i funerali di Stato a [[Bettino Craxi]]}} "Atto dovuto"? Ma dovuto a chi? Anche a un latitante: quale, dal punto di vista legale, era Craxi? Concedere i funerali di Stato a un latitante significa sconfessare la Giustizia che lo ha condannato. [...] Ma può lo Stato sconfessare la propria Giustizia senza sconfessare se stesso? Mi sembra di vivere in un Paese che di senso dello Stato ne ha meno di una tribù del Ghana.<ref>Citato in ''La morte incute rispetto, ma su Craxi non cambio idea''-</ref> (2 febbraio 2000) *La [[democrazia]] è sempre, per sua natura e costituzione, il trionfo della mediocrità. (11 ottobre 2000) ==''Caro direttore''== ===[[Incipit]]=== Mettersi nel '74 contro il vento che soffiava tutto nella direzione del «compromesso storico» con la codarda quiescenza di gran parte della borghesia e di quasi tutti gli intellettuali; scoprire (oggi sembra acqua calda, ma allora era un'eresia) che, oltre al terrorismo di destra, ce n'era uno, molto più violento e pericoloso, di sinistra, figlio – sia pure degenere e ripudiato – del Pci, un partito che raggiungeva il 36 per cento dei voti e che condizionava pesantemente scuola, magistratura, cultura, mezzi di comunicazione; schierarsi dalla parte dell'ordine contro l'eversione; istruire il processo contro il sinistrume, effettivo e di complemento, che mortificava l'iniziativa privata e l'economia di mercato con tutti i valori che vi sono connessi; battersi contro il bugiardo e demagogico giustizialismo populista per il ripristino della meritocrazia nel campo del lavoro e degli studi; denunziare il grande pericolo che circondava il sistema: la partitocrazia; tutto questo sembrava follia, e forse lo era. Ma di questa follia noi siamo fieri. ===Citazioni=== *In Francia c'è molta gente che tuttora si domanda se De Gaulle era proprio De Gaulle, o un matto che si credeva De Gaulle. Ebbene, io nutro per La Malfa lo stesso dubbio. Ed è appunto perché nutro questo dubbio che voto La Malfa. (p. 12) *Il capitalismo vero, che permise alla borghesia di liquidare il Medio Evo e di sostituire, a quella feudale, basata sul parassitismo redditiero, una nuova società basata sul lavoro e sul risparmio, nacque nei Paesi protestanti. E sa perché? Perché Calvino insegnò questo ai suoi seguaci: che il denaro, essendo un segno della Grazia Divina non si poteva scialacquarlo. Chi lo aveva guadagnato per un particolare favore concessogli da Dio, aveva il dovere di considerarsene soltanto il depositario, e di reimpiegarlo, cioè di reinvestirlo perché altri uomini potessero beneficiare dello stesso favore. Fu questa base morale che dette al capitalismo protestante la forza di vincere e di costruire la nuova società: la società borghese del lavoro e del risparmio al posto di quella del sangue e del blasone. (p. 25) *Lei ha ragione di essere soddisfatto. Dopo aver ricevuto una discreta istruzione nelle nostre costose scuole private potrà andare a completarla a Parigi, o a Harvard, o a Oxford, dove il figlio del suo mezzadro o del suo trombaio, magari molto più intelligente e volenteroso di lei, non potrà seguirla. Egli dovrà contentarsi dello svalutato pezzo di carta che la nostra Università rilascerà a lui come a qualsiasi analfabeta, e probabilmente, per campare, dovrà rassegnarsi a fare il mezzadro o il trombaio come suo padre. Grazie agli amici del popolo e ai campioni del proletariato. (p. 91) *L'Italia ha scelto lo sciopero, per risanarsi, e non il lavoro, i «ponti», e non il sacrificio; i comizi e le adunate, non le valutazioni responsabili che non possono venire dagli urli di una folla eccitata. La Germania federale, retta dai socialdemocratici, persegue una strada ben diversa. Ciascuno raggiunge i traguardi che si propone, e che merita. (p. 156) *Noi crediamo che in certi casi di carattere eccezionale il giornalista abbia il diritto, e qualche volta il dovere, di dire la verità, se ne è convinto, anche se non è in grado di dimostrarla. Ma a una condizione: che, non potendo o non volendo rivelare le fonti a cui l'ha attinta, se ne assuma in proprio la responsabilità con tutte le conseguenze, anche giudiziarie che ne derivano. (p. 173) *Il temuto cambio di regime non c'è stato, nonostante il tentativo dei partiti e della grande stampa fiancheggiatrice di gabellarlo come una operazione innocua e indolore. La necessità d'interpretare queste consultazioni come un referendum ci ha costretti a sostenere, con tutte le nostre forze, la Democrazia cristiana riconoscendole, però, il merito importante di non aver mai messo in pericolo le nostre libertà, anzi di averle sostenute e difese. Ora che abbiamo contribuito, non poco, a rimettere in piedi la grande malata, dobbiamo adoperarci a guarirla. (p. 193) *Ho avuto una tessera ''ad honorem'' di una federazione anarchica catalana (quella del famoso ''Campesino'') perché, durante la guerra civile spagnola, trafugai oltre frontiera un suo affiliato caduto prigioniero dei nazionalisti e condannato a morte. Ti prego di felicitarmene. Subito. Senza esitazioni. (p. 227) *Anche se aveva tutte le ragioni di sentirsi ingiustamente perseguitato e colpito nel suo onore di galantuomo, Malizia non doveva piangere, per il semplice motivo che i generali non hanno il diritto di piangere almeno in pubblico. Mai. Per nessuna ragione. Lei mi dirà che queste sono fisime da gente sorpassata. Può darsi. Ma io sono convinto che l'etica militare è fatta appunto di queste fisime. Sono stato per lunghi anni ufficiale di guerra, e credo di esserlo stato con onore – tanto da guadagnarmi alcune decorazioni –, appunto perché avevo queste fisime. (p. 261) ==''Caro lettore''== ===[[Incipit]]=== Questi volumi sono in fondo la ''summa'' del ''Giornale'', il riassunto e il breviario di un libero pensiero, cioè di un pensiero libero da qualsiasi condizionamento, che dovrebbe far riflettere gl'intellettuali. Ma noi ci crediamo poco. Ed uno dei motivi è proprio questo: che stavolta gl'intellettuali difficilmente potranno rinverdire lo slogan sotto il quale, negli anni di piombo, mascherarono la loro codardia: «Né con le brigate rosse né con lo Stato», come se lo Stato e le brigate rosse fossero sullo stesso piano e fra l'uno e le altre fosse possibile una neutralità. Pur appartenendo – almeno dal punto di vista sindacale – alla categoria, o forse proprio perché vi apparteniamo, non abbiamo molta stima degl'intellettuali, e troviamo poco meno che ridicola la loro pretesa di fare i direttori di coscienza della società. ===Citazioni=== *Lei ci accusa di eccessiva indulgenza verso i regimi sudamericani. Ma l'accusa è ingiusta. Non perdiamo occasione di dire che Pinochet è una disgrazia. Ma non possiamo fare a meno di aggiungere che questa disgrazia è nata da un'altra disgrazia di nome Allende. In Argentina, a portare al governo il generale Videla (che, glielo posso assicurare, non aveva nessuna voglia di andarci) sono stati i «montoneros» coi loro rapimenti e omicidi, dai quali più nessuno si sentiva al riparo. (p. 42) *Io lavorai al ''Borghese'', sotto vari pseudonimi, finché ci fu lui e perché c'era lui. Dal rapporto personale, quotidiano e strettissimo, esulava qualsiasi pregiudiziale ideologica. Io del resto, non ho mai capito quale ideologia avesse Longanesi. Sapevo soltanto che non era mai del gregge; e siccome nemmeno io lo sono, questo bastava a tenerci uniti. Dopo di lui il ''Borghese'' assunse una fisionomia ideologica precisa, di cui non discuto la legittimità, ma che non corrispondeva alla mia. E quindi la mia collaborazione vi sarebbe stata fuori posto. (p. 50) *Anche ai cattolici osservanti e militanti è consentito, si capisce, far politica. Ma, per amor del cielo, non la confondano con la religione invocando i «valori cristiani» mentre si mettono l'un l'altro l'arsenico nella minestra. Questo si può farlo in nome di Marx, e magari anche di Cavour. In nome di Dio, dovrebb'essere proibito. (p. 193) *Hai ragione interamente, là dove dici che chi nasce come me figlio di un professore (non di un magistrato) ha una partenza più facile di chi nasce come te, figlio di un operaio. Questo è vero. E infatti il gran problema di un regime politico serio dovrebb'essere proprio quello di ridurre al minimo le diseguaglianze al palo di partenza. Per raggiungere questo scopo, non smetterò mai di battermi. Ma nemmeno smetterò di battermi contro il tentativo di mortificare l'interesse privato fino al punto di togliere agli uomini la molla dell'iniziativa. Sono per un fisco severo. Ma voglio che colpisca gli sciali e i lussi, non gl'investimenti perché questi producono lavoro e ricchezza. Ecco il mio socialismo. (p. 202) *L'Islam ebbe una grande cultura solo quando, nella loro cavalcata conquistatrice, i suoi Califfi incontrarono la cultura greca, quella egiziana e quella ebraica. Ma questo risale a Averroè e ad Avicenna, cioè a mille anni fa pressappoco. Da allora l'atteggiamento dell'Islam verso la cultura è sempre rimasto quello del famoso Califfo che, quando gli chiesero cosa dovevano fare della grande biblioteca di Alessandria, da lui conquistata, rispose: «Se tutti quei libri dicono ciò che dice il Corano, sono inutili. Se dicono cose diverse, sono dannosi. Nell'un caso e nell'altro, meglio bruciarli». Si dirà: «Altri tempi». No, Khomeini pensa e parla come quel Califfo. L'Islam è una religione di analfabeti, in cui la cultura è monopolio degli Ulema, che sanno solo di Corano e passano la vita a indagarne i misteri (che non ci sono). Mi citi Alberoni un'opera d'arte e di pensiero islamica degli ultimi due o trecent'anni. I mussulmani colti sono quelli che escono dalle ''nostre'' università. (p. 259) *Ognuno ha il diritto ad avere una sua opinione. Ma nessuno ha quello di distorcere l'opinione degli altri. La mia era è la seguente: che, dopo l'esperienza in Ungheria, non mi sentivo d'incoraggiare i polacchi a una rivolta, in cui l'Occidente li avrebbe lasciati soli a vedersela coi carri armati sovietici, e quindi a finire sotto i loro cingoli come avvenne a Budapest nel '56. Questo non era un invito a «calar le brache». Era una messa in guardia da quelle pericolose illusioni di aiuti esterni che ebbero tanta parte nello spingere gli ungheresi a un olocausto rivelatosi poi del tutto inutile. (p. 271) *Io non sono affatto convinto dell'innocenza di Freda e Ventura (Giannettini non c'entrava niente) come non lo sono di quella di Valpreda. Ma anch'io avrei assolto per mancanza di prove. E non c'è da scandalizzarsene perché queste cose succedono in tutto il mondo. A vent'anni di distanza, la polizia americana non sa ancora con certezza chi uccise Kennedy. Solo la polizia sovietica sa sempre chi uccide per il semplice motivo che è sempre essa a farlo. Con questo, sia chiaro, non voglio dire che la nostra Giustizia funziona bene. Funziona malissimo, e qualche volta non funziona affatto. Ma che copra le stragi di Stato, i nostri intellettuali di sinistra vadano a raccontarlo agli zulù. (pp. 330-331) *Io non so se qualche omosessuale fra noi c'è. È un problema che non mi sono mai posto. Ma anche se ce ne fossero e io me ne accorgessi, non muoverei un dito contro di loro e seguiterei a stimarli per quel che valgono o a disistimarli per quel che non valgono. Tutto ciò, caro amico, la deluderà. Ma il mio stomaco, evidentemente, è soggetto a impulsi diversi da quello suo. Se c'è una cosa su cui mi rifiuto di giudicare gli uomini (e le donne) è proprio il sesso. Ho conosciuto degli omosessuali meravigliosi anche sul piano morale, e degli eterosessuali orrendi. E sono troppo geloso della privatezza mia per non rispettare quella altrui. (p. 343) ==''Dante e il suo secolo''== ===[[Incipit]]=== Uno dei tanti meriti che si suole attribuire a [[Dante Alighieri|Dante]] è quello di essere stato il primo italiano ad avere una «coscienza nazionale». Noi non vorremmo cominciare questo libro con una detrazione, ma non ci sembra che a dimostrare questa coscienza basti l'allusione che Dante fa a una entità geografica italiana, di cui egli fissava i punti terminali al Brennero e al Carnaro. E non vediamo del resto cosa aggiunga alla sua grandezza questa specie d'irredentismo avanti lettera. Se per qualcuno Dante spasimò fu, caso mai, per un Imperatore tedesco. ===Citazioni=== *[[Roma]] era stata la capitale di un impero cosmopolita, non di una Nazione. (Parte prima. Capitolo primo, p. 12) *Non è necessario essere degli adepti del "materialismo storico" per attribuire il risveglio delle inquietudini intellettuali, fra il Millecento e il Milleduecento, al progresso economico e al generale miglioramento delle condizioni i di vita. È a stomaco pieno che si comincia a pensare a qualcosa che non sia soltanto lo stomaco. (Parte prima. Capitolo terzo, p. 131) *Il [[pudore]] femminile non è mai stato altro che un incentivo alla civetteria. (Parte seconda, Capitolo quarto, p. 174) *Da consumato giurista qual era, {{NDR|[[papa Bonifacio VIII]]}} prese a rimaneggiare tutti i precedenti storici, su cui poteva basare le sue pretese di dominio universale. E trovò un valido aiuto nel canonista [[Egidio Romano|Egidio Colonna]] il quale scrisse un trattato, ''De ecclesiastica potestate'', per avvalorare queste tesi. Egli sostenne che la Chiesa era padrona e proprietaria non soltanto delle anime, ma di tutto. Era solo per bontà e condiscendenza che metteva le cose a disposizione dei fedeli, ma conservando il diritto di ritorgliele quando voleva. Quindi anche i troni appartenevano ad essa, che li lasciava ai Re solo in momentaneo appalto. Questa teoria tanto piacque a Bonifacio, che ne ricompensò l'autore con la nomina ad arcivescovo di Bourges. (Parte seconda, Capitolo nono, p. 312) *Peccato che un simile uomo {{NDR|papa Bonifacio VIII}} avesse così clamorosamente sbagliato generazione e carriera. Fosse nato cinquant'anni dopo sarebbe stato un magnifico Principe del [[Rinascimento]]: avido, crudele e gagliardo. (Parte seconda, Capitolo undicesimo, p. 372) *Dante qui {{NDR|nel ''De vulgari eloquentia''}} ha visto ciò che molti filòlogi ancora oggi non vedono. Egli difende il "volgare", cioè la lingua viva, quella parlata dal popolo, fatalmente destinata a soppiantare il latino. Ma ne vorrebbe una illustre e aulica, al di sopra di quelle "municipali", cioè dei dialetti, contro i quali si scaglia con furore. In Italia ne classifica quattordici e li detesta tutti, compreso il toscano che chiama "turpiloquio". Ma il più orrendo gli sembra il romano, "e non deve fare meraviglia dacché i romani, anche per deformità di costumi e abiti, appaiono i più fetidi di tutti". Chissà cosa direbbe, povero Dante, se tornasse fra noi e andasse al cinematografo. (Parte seconda, Capitolo quindicesimo, p. 483) ==''Gli incontri''== *[[Giovanni Porzio|Porzio]] non è alto di statura, ma diritto come un fuso nonostante i settantaquattro anni suonati e porta, sui pantaloni a righe stretti e lunghi come quelli degli antichi ufficiali in grande uniforme, una giacca nera che l'alta bottonatura fa simile a una ''redingote''. Il volto è bello, di colore olivastro, e aristocratico nella modellatura del naso e nel taglio breve dei baffi e della barbetta ancora pepe e sale. (Porzio, p. 91) *Non avevo mai visto da vicino [[Cécile Sorel]], quando essa mi apparve, per la prima volta, di lontano, sul palcoscenico allestito nella corte d'onore degli Invalides per le feste celebrative del bimillenario di Parigi. [...] Drappeggiata in una sontuosa cappa di [[Elsa Schiaparelli|Schiaparelli]] a strascico di ''lamé'' d'argento e porpora, dritta su un podio sotto la statua di [[Napoleone Bonaparte|Bonaparte]], accolse a braccia spalancate lo scrosciante omaggio, sincopato dalle salve di artiglieria, dei cinquemila spettatori ammassati nell'immenso cortile. Sorrise. Sfiorò con uno sguardo altero le teste della folla, lo alzò verso l'imperatore, ma senza implorazione né umiltà, da pari a pari. Poi, in un silenzio di tomba, prese a modulare l'ode di Bruyez: "''Vous qui êtes morts pieusement pour la patrie...''". Ed era una voce incredibilmente limpida e squillante, senza traccia di ruggine. (Cècile, pp. 226-227) *[[Saul Steinberg|Steinberg]] ha la faccia dei suoi pupazzi: una faccia malinconica, lunga e triangolare, di cavallo tirato su a paglia soltanto, senza biada, e condannato a trascinare un carretto su per un'erta interminabile, in cima alla quale non si sa cosa ci aspetta, ma certo un'altra condanna, forse più pesante del carretto. Anche i baffi ha, come i suoi pupazzi: a doppia virgola orizzontale, sebbene meno lunghi e senza le intenzioni esibizionistiche di quelli di Dalì; e anche le lenti a stanghetta traverso cui ti fissano intensamente, di sotto in su, due occhi azzurri e mortificati, di uomo che non si è reso conto di essere Saul Steinberg; o essendosene reso conto, non ci prova alcun piacere. (Steinberg, p. 289) *[[Harukichi Shimoi]] è uno di quei giapponesi che gli altri giapponesi considerano di statura piccola. Tanto piccola che [[Gabriele D'Annunzio|D'Annunzio]], per abbracciarlo, dovette curvarsi (lui!) e, dopo essergli andato incontro gridando, con le braccia alzate: "Fratello!... Fratello mio!..." lo guardò, ci ripensò e aggiunse: "Sebbene non di sangue...". (Shimoi, p. 389) *Quanti anni avrà, ora, Harukichi Shimoi? Forse cinquanta, forse centocinquanta. Come per [[Guelfo Civinini]], suo amico, anche per lui il problema dell'età non si pone. Quale che essa sia, egli la porta esattamente come deve averla portata mezzo secolo fa. Il suo corpo è stortignaccolo, ma diritto, e i suoi capelli son nerissimi. Ma il tratto che più lo caratterizza sono le sopracciglia, che madre natura gli ha piantato a mezza strada, come due ciuffi di foltissimo bosco, tra gli occhi e la chioma, in modo che, per quanto vasti i suoi occhiali, esse li sormontano e risucchiano come se fossero due monocoli. (Shimoi, pp. 389-390) *Il più favoloso e colorito personaggio del [[Brasile]] è [[Assis Chateaubriand]], proprietario di ventun giornali, diciotto stazioni radiotrasmittenti, di una flotta aerea, di alcune ''fazendas'' vaste come l'intera Sicilia, di un museo che vale venti milioni di dollari, di una Compagnia nazionale per la puericoltura, e di un'ambizione pari soltanto al suo coraggio, alla sua insolenza e alla sua spavalderia. (Chateaubriand, p. 495) *Assis {{NDR|Chateaubriand}} ha un debole per i tedeschi e per gli italiani. Come faccia a conciliare questi due amori, non si sa; ma le sue pene, durante la guerra, furono grandi, anche se irreprensibile fu la sua condotta<ref>Dal 1942, nel corso della seconda guerra mondiale, il Brasile fu in stato di guerra con Germania e Italia.</ref>. Quando però il governo comminò l'arresto a chiunque parlasse italiano, scese in lotta con i suoi giornali contro l'assurda disposizione. Scrisse che quello non era patriottismo, ma un nazionalismo di bassa lega, degno soltanto di una colonia, e che lui si vergognava d'esser brasiliano. Fece un tale baccano, che alla fine dovettero revocare il provvedimento e quello del sequestro dei beni dei nostri compatrioti. (Chateaubriand, p. 502) *Quando nacque sessantadue anni orsono, ne aveva già a dir poco settecento. Perché [[Ottone Rosai|Rosai]] veniva dritto dritto dal Medioevo, dopo aver saltato a piè pari Rinascimento ed età moderna, e nei momenti di sincerità confessava che Giotto gli pareva un "deviazionista" rispetto a Cimabue, il quale gli andava molto più a sangue. (Rosai, p. 544) *Dopo essere stato fascista della prima ora, nella seconda col fascismo {{NDR|Ottone Rosai}} s'era trovato male, e si capiva benissimo che era sempre per via delle mani. Tornato dalla guerra, lo squadrismo gli aveva consentito di menarle, come a lui piaceva, e ci aveva dato dentro senza risparmio. Forse l'unico momento felice della vita di Rosai fu quello: quando a gambe larghe di traverso alla strada aspettava, col giornale aperto davanti agli occhi in un gesto di sfida ribalda, il corteo rosso in arrivo da San Frediano, che alla vista di quelle manacce aggrappate ai bordi del foglio e pesanti come macigni, esitava. (Rosai, p. 547) *[[Paolo Monelli|Monelli]], se seguisse le proprie inclinazioni, andrebbe a letto coi polli. Ma cosa direbbe la gente, se non lo vedesse più vagabondare nei vari ritrovi frequentati dai nottambuli della città? Direbbe senza dubbio: "Comincia a invecchiare". E a questa idea Monelli balza dalla sua poltrona e si attacca al telefono per mobilitare qualche amica che lo accompagni nei suoi vagabondaggi. Giovani colleghe come Livia Serini, attrici giovanissime come Lea Massari sono state ridotte sull'orlo dell'esaurimento nervoso da queste prolungate ronde notturne senz'altro costrutto che quello di ribadire agli occhi di tutti l'intramontabilità di Monelli. Egli non le porta a spasso. Le porta all'occhiello, come gardenie. (Monelli al girarrosto, p. 592) *{{NDR|Paolo Monelli}} Fuma la pipa come Churchill il sigaro, cioè soltanto quando lo guardano. (Monelli al girarrosto, p. 593) ==''I conti con me stesso''== ===[[Incipit]]=== Una telefonata da Milano m'informa che Longanesi è morto. È stato colpito dall'infarto davanti al suo tavolo di lavoro, su cui era spiegata una mia lettera di dieci giorni fa, che cominciava così: «Caro Leo, stanotte ho sognato ch'eri morto...». (27 settembre 1957) ===Citazioni=== *Tutta la mia vita è stata contesa fra la noia di vivere insieme e la paura di vivere [[Solitudine|solo]]. (4 ottobre 1957) *Di nuovo il Polesine. Pare impossibile: durante le inondazioni, la prima cosa che viene a mancare è l'acqua. (dicembre 1957) *[[Colette Rosselli|Colette]]. Invecchia gentilmente, senza catastrofi. Ha su tutte le altre donne un vantaggio incolmabile: quello di essere stata il mio ultimo e più grande amore. Così grande che possiamo camparci di rendita, comodamente, tutti e due per il resto dei nostri giorni. (gennaio 1958) *Il destino di [[Riccardo Bacchelli|Bacchelli]] sarà l'opposto di quello del maiale: di lui, dopo morto, ci sarà da buttar via tutto. (gennaio 1958) *[[Olga Villi]]. Non è punto grata alla sua bellezza che le ha consentito di diventare principessa di Trabia. Punta solo sul talento che non ha. Ma è talmente priva di ''sense of humour'' che forse diventerà una buona attrice. (gennaio 1958) *[[Gaston Palewski|Palewski]]. L'ambasciata a Roma è per lui soltanto uno dei più importanti capitoli del libro di memorie che scriverà. (gennaio 1958) *Non è che [[Luigi Barzini (1908-1984)|Barzini]] abbia un'altissima opinione di sé. Ne ha una bassissima degli altri. (gennaio 1958) *Piccolo incidente d'auto. La nostra, per evitare un ciclista, picchia contro un muro e resta piuttosto acciaccata. [[Colette Rosselli|Colette]], che la guida, dice: «Meglio così. Dovevo farla revisionare, e non mi decidevo mai...». (gennaio 1958) *[[Razzismo]]: pensarci sempre, parlarne mai. [[Risorgimento]]: parlarne sempre, pensarci mai. (gennaio 1958) *[[Fascismo]]. Il più comico tentativo per instaurare la serietà. (gennaio 1958) *Il guaio più grosso della Repubblica è che, mentre il Re poteva essere di sangue straniero e di solito lo era, il presidente bisogna sceglierlo fra gl'italiani. (gennaio 1958) *Bacchelli lavora infaticabilmente, da sessant'anni, alla costruzione di un piedestallo su cui, alla sua morte, non sapremo cosa posare. (gennaio 1958) *A pranzo da [[Vittorio Cini]] con una ventina di altri invitati. A colazione ne aveva avuti altrettanti. E così ieri. E così avantieri. E così sempre. A ottantadue anni suonati, è fresco, roseo, insaziabilmente voglioso di intrattenere e di essere intrattenuto. A conclusione della serata, mi sfida a una gara di canto. Scegliamo come banco di prova ''Vecchia zimarra'', e stoniamo maledettamente entrambi, ma io meno di lui. I presenti mi assegnano la vittoria. Di colpo, Vittorio perde il suo buon umore. È talmente abituato a vincere, che non accetta di perdere nemmeno nel canto. (7 settembre 1966) *{{NDR|Su [[Nicola Bombacci]]}} Io l'ho conosciuto soltanto cadavere, quando penzolava accanto a quello di Mussolini, in piazza Loreto, e una folla messicana lo bersagliava bestialmente di sputi. Anni dopo, volli tentarne la riabilitazione ritracciandone la patetica vicenda, ma non riuscii a trovarne gli elementi biografici. Compaesano e compagno di scuola di Mussolini, maestro elementare e autodidatta come lui, ne era stato il grande amico quando entrambi militavano nel socialismo. Eppoi il suo nemico giurato, la bestia nera degli squadristi. Esule con la famiglia prima in Francia, poi (credo) in Russia, rimpatria col permesso del Duce, si affida alla sua generosità, per ricambiarla gli resta al fianco anche a Salò, e lo accompagna fin nell'ultimo viaggio verso la morte. (23 ottobre 1966) *Colloquio segreto con l'ex comunista [[Giulio Seniga|Seniga]] per una storia del [[PCI|Pci]] che devo scrivere con [[Roberto Gervaso|Gervaso]] per la «Domenica». Ė un uomo piuttosto affascinante, dallo sguardo chiaro, freddo e innocente: lo sguardo del fanatico. Mi ha detto che sua moglie, cresciuta in Russia dove suo padre era fuoruscito, e autrice di un interessante libro – ''I figli del partito'' –, nel partito è rimasta, non ha trovato il coraggio di uscirne, sebbene approvi e condivida la secessione del marito, con cui è sentimentalmente unitissima. Non riesco a capire questa gente. Cioè capisco soltanto che è diversa da noi non sul piano ideologico, ma su quello umano. (25 novembre 1966) *È morto [[Uguccione Ranieri di Sorbello]]. Era venuto a Roma da sua suocera. Stava benissimo. Era anzi particolarmente sereno e contento perché aveva finito un suo lavoro di ricerca storica cui attendeva da anni. A fine pranzo ha detto: «Non mi sento bene». Si è alzato, ed è crollato a terra. Stecchito. (29 maggio 1969) *{{NDR|Su Uguccione Ranieri di Sorbello}} Era un gran signore e un gran galantuomo che ha trascorso la sua vita in crociate nelle quali non aveva nulla da guadagnare. L'ultima è stata la campagna propagandista negli Usa per convincere gli americani a dare il nome [[Giovanni da Verrazzano|Da Verrazzano]] al grande ponte sull'Hudson. Nel suo perfetto inglese (lo scriveva meglio dell'italiano) inondò l'America di articoli e conferenze (parlava benissimo, con molto humor e senza enfasi oratorie) cercando i familiarizzare gli ascoltatori col nome Da Verrazzano, la cui pronuncia rappresentava per essi la difficoltà più grossa all'adozione di quel nome. Questa smania missionaria credo che l'avesse ereditata da sua madre americana. E per seguirla aveva trascurato le sue proprietà terriere. Le sue campagne erano in uno stato pietoso, la sua bella villa sul Trasimeno mezza disunta. (29 maggio 1969) *{{NDR|Su Uguccione Ranieri di Sorbello}} Era un buon scrittore, un infaticabile sommozzatore di articoli, un ricercatore attento e scrupoloso di curiosità storiche, un umanista moderno che aveva allargato i suoi orizzonti a tutta la cultura contemporanea, specie anglo-sassone: un uomo insomma che ha realizzato un centesimo di quello che poteva per via di quel suo dispersivo correre dietro a un'infinità di altri interessi. Era stato anche un autentico combattente della [[Resistenza italiana|Resistenza]]: per ben sedici volte si era fatto paracadutare dagli Alleati dietro le linee tedesche: impresa che chiunque altro si sarebbe fatto ripagare con altrettante medaglie. Lui non aveva ricevuto nemmeno una citazione, e di questi episodi non ha mai parlato. (29 maggio 1969) *Anche [[Irene Brin]] se n'è andata. Mi avevano detto che era malata di un cancro; ma era una notizia vaga e incerta, ch'essa aveva fatto di tutto per smentire. Fino in fondo ha lavorato e ha partecipato ai riti della mondanità: sfilate di moda, ricevimenti, eccetera. (1 giugno 1969) *{{NDR|Su Irene Brin}} Quando [[Giovanni Ansaldo|Ansaldo]] la scovò e cominciò a farla scrivere sul «Lavoro» di Genova, sua città natale, era soltanto Mariù Rossi: una ragazza timida e incerta, molto provinciale, figlia di un Generale e di un'ebrea austriaca. L'unica fama di cui godeva era quella, equivoca e velata sotto un nome d'accatto, che le aveva procurato [[Elio Vittorini|Vittorini]] prendendola a protagonista, con sua sorella, di un racconto: ''Le figlie del Generale'' in cui entrambe erano presentate come lesbiche. Se lo fossero veramente, non so. Il sesso è uno dei tanti capitoli misteriosi di questa donna. (1 giugno 1969) *In mano a [[Leo Longanesi|Longanesi]], che le aveva regalato anche lo pseudonimo d'Irene Brin, aveva rivelato autentiche qualità di scrittrice. I profili che pubblicò su «Omnibus» erano deliziosi. Fosse rimasta fra biografia e memorialismo, poteva diventare qualcosa di mezzo fra [[Henri de Saint-Simon|Saint-Simon]] e [[Lytton Strachey|Strachey]] con un tocco alla [[Madame de Sévigné|Sévigné]]. Altro che la [[Maria Bellonci|Bellonci]]! Era un'osservatrice attenta (sebbene non ci vedesse da qui a lì) e penetrante, nutrita di vastissime letture: la sua prosa aveva ritmo, calore, l'aggettivazione precisa, l'ironia tagliente. Ma era un cavallo che aveva bisogno del fantino. Chiuso «Omnibus» e cessata la regia di Longanesi, Irene infilò la pista sbagliata – quella della cronista mondana –, e non è più uscita. (1 giugno 1969) *Finito di scrivere il capitolo sull'[[Giulio Alberoni|Alberoni]] per ''L'Italia del Settecento''. Ho riprodotto la pagina di [[Henri de Saint-Simon|Saint-Simon]], che lo descrive mentre assiste impavido alle evacuazioni corporali di Vendôme per guadagnarsene i favori, eppoi inginocchiandosi davanti a lui gli grida estasiato: «Oh, culo d'angelo!», e glielo bacia. Come inizio di "carriera" italiana, mi sembra esemplare. Poi mi torna a mente un'osservazione di [[Jules Renard|Renard]]: «Se in un periodo c'è la parola culo, il lettore non si ricorderà che di quella dimenticando tutto il resto, anche se è sublime». Renard ha ragione. Ma io, a un culo autenticato da Saint-Simon, non rinuncio. (3 luglio 1969) *Le Soroptimists hanno dato un pranzo a [[Colette Rosselli|Colette]], in qualità di "Donna Letizia". Colette ha accettato dopo molti rifiuti. Il suo fastidio per queste cose di donne, lo so, è sincero. Ma, una volta preso l'impegno, ha trascorso la giornata a preparare il suo discorsino col puntiglio che la distingue. Non è per nulla ambiziosa, non tiene affatto a reclamizzare il proprio talento, sottovaluta quello che mette nella sua rubrica di «Grazia» (ma se lo fa pagare profumatamente), rifiuta di fare una mostra dei suoi deliziosi quadri. Ma il suo suscettibilissimo amor proprio non le consente di rischiare una brutta figura nemmeno nelle cose che disprezza. Infatti anche stasera ne ha fatta una eccellente, leggendo con molto garbo le due paginette che aveva preparato con un sapiente dosaggio di humour autentico, e di pathos e di umiltà fasulli. Ha avuto gran successo. Per la prima volta mi son visto guardato come un personaggio-satellite, una specie di principe consorte. Cosa che a me non dispiace affatto, ma a lei moltissimo. In questo, è proprio femmina. (13 agosto 1969) *Mi riferiscono, di [[Giorgio Bocca|Bocca]], questo giudizio su di me: «Sempre il più bravo di tutti. Bravissimo. Troppo bravo. Ma mettendo lo stesso impegno a scrivere gli articoli su Venezia e quello sull'arbitro [[Concetto Lo Bello|Lo Bello]], dimostra che in realtà non è impegnato in nulla». È vero. Non sono impegnato in nulla. In nulla, meno che nel mio mestiere. Fiorentina-Bari 3-0. E Chiarugi capo-cannoniere! (16 novembre 1969) *Sciopero generale per il caro-case. Un pretesto da nulla. Ma è bastato per immergere Milano in un'atmosfera da 8 settembre. Strade vuote. Saracinesche abbassate. Enorme spiegamento di polizia. Mentre pranzo con [[Giovanni Spadolini|Spadolini]], [[Mario Cervi|Cervi]] e Zappulli, giunge notizia che in un tafferuglio al Lirico un agente è stato ucciso dai "cinesi". «Meno male che è toccata a un agente» diciamo in coro, eppoi non osiamo guardarci negli occhi. Anche noi apparteniamo a questa borghesia codarda che pretende appaltare alle forze dell'ordine il compito di farsi sputacchiare, pestare e ammazzare per tenerne al riparo se stessa. E non vuole nemmeno pagargli uno stipendio decente. (19 novembre 1969) *[[Alberto Moravia|Moravia]] ha fondato, insieme a [[Pier Paolo Pasolini|Pasolini]] e a [[Dacia Maraini]], un "comitato contro la repressione". È la riprova che la repressione non c'è. Se ci fosse, Moravia sarebbe coi repressori, come ha dimostrato avallando col suo silenzio la persecuzione di [[Aleksandr Isaevič Solženicyn|Solženicyn]] in Russia. (28 dicembre 1969) *Moravia si è ritirato dal comitato che lui stesso aveva fondato. Ma non per i silenzi di [[Giovanni Spadolini|Spadolini]]. Si è ritirato perché «l'Unità» ha disapprovato. Gl'italiani sono sempre pronti a fare la rivoluzione, purché i carabinieri siano d'accordo. E Moravia è sempre pronto a battersi per la libertà, purché sia d'accordo il piccì. (2 gennaio 1970) *Arrivati i rendiconti dei miei diritti d'autore: 28 milioni nell'ultimo semestre. Supero dunque i 50 milioni annui. Anche ammettendo che l'editore non ci faccia sopra punta cresta (il che mi sembra, a dir poco, improbabile), non c'è male. Credo di essere l'autore italiano che più guadagna, anche perché sono l'unico che questa cifra la guadagna ogni anno, e senz'aiuto di premi letterari. Non ne sono contento per il denaro, di cui non so che farmi e che serve solo a pagare i capricci di Colette (ne ha tanti!). Ne sono contento, anzi felice, per il mio status da autore stipendiato unicamente dal pubblico. C'è chi vive di partito. C'è chi vive di Eni. C'è chi vive di Agnelli, o di Perrone, o di Crespi. Io vivo di [[lettore|lettori]]. I lettori non m'impongono altra servitù che la sincerità: l'unica che non pesi. (3 marzo 1970) *Più che comunanza di vedute, fra [[Denis Mack Smith|Mack Smith]] e me c'è comunanza di nemici: quegl'insopportabili pedanti accademici che a Palermo lo hanno violentemente attaccato qualificandolo «il Montanelli di Oxford». Implicitamente egli accetta di far fronte con me contro di loro. Credo che facciamo entrambi un buon affare, e anche un affare buono: se riusciamo a squalificare agli occhi del pubblico la [[storiografia]] accademica (e coi nostri libri ci stiamo riuscendo), avremo reso un grosso servigio alla cultura italiana. (2 maggio 1970) *Sosta a Venezia, dopo il voto a Cortina. Visita d'obbligo a Vittorio Cini, e passeggiata con lui sulle Zattere. Vedendolo, un vecchietto sdrucito, ma dignitoso, si leva il cappello e gli tende la mano, evidentemente per mendicare. Vittorio gliel'afferra e gliela stringe con effusione dicendogli: «Caro!... Caro!... Caro!... Coma la va?» È in perfetta buona fede: la buona fede di un doge lontanissimo dalle afflizioni della miseria e perfino incapace di immaginare che ce ne siano. (8 giugno 1970) *Leggo in [[Giorgio Candeloro|Candeloro]]: «... Nel processo generale di sviluppo della Storia, il carattere dei personaggi, anche dei più grandi, ha un peso limitato...». Ah, sì? E cosa dunque se non il carattere di Alessandro, cioè la sua follia, può spiegare la conquista macedone fino all'India e la diaspora dell'ellenismo che ne deriva? L'Islam è concepibile senza il "carattere" di [[Maometto]]? E cosa divise la Riforma se non i diversi "caratteri" di [[Martin Lutero|Lutero]] e di Calvino? I nostri storici odiano i caratteri e i personaggi, perché questi richiedono immaginazione e intuito, cioè doti di scrittore, di cui essi sono disperatamente vedovi. Non sono storici. Sono soltanto degli archivisti, e molto spesso disonesti. (10 novembre 1970) *Milano è in fiamme per l'affare Feltrinelli, e [[Piero Ottone|Ottone]] mi chiede un articolo contro la [[Camilla Cederna|Cederna]], firmatario di un manifesto in cui, a due ore di distanza dal rinvenimento del cadavere e prima ancora che esso sia ufficialmente riconosciuto, proclama che Feltrinelli è rimasto vittima della «reazione internazionale». Se la Cederna avesse una testa, direi che l'ha persa. Ma perché Ottone vuole un articolo contro di lei, intima amica e direttrice di coscienza di [[Giulia Maria Crespi|Giulia Maria]], nonché regina del suo sinistrorso salotto? Comunque, a mettere una zeppa fra direttore e proprietaria, è doveroso collaborare. E faccio l'articolo in forma di "lettera a Camilla". (25 marzo 1972) *Pare che l'articolo abbia rimesso fuoco a Milano, creandovi una irreparabile frattura fra montanellisti e cedernisti. I primi sono più numerosi, ma i secondi più rumorosi. Ricevo pacchi di telegrammi di plauso e altrettanti d'insulti. Il giornale è sommerso di lettere, e io prego Ottone di pubblicare anche quelle di protesta. Ha scritto anche la Cederna annunziando una replica sull'«Espresso» (Ottone ha cancellato il titolo del settimanale, commettendo una meschineria). Quanto a Giulia Maria, mi dicono che schiuma di rabbia. Se è vero, devo riconoscere che il giornalismo qualche soddisfazione la dà. [[Umberto Eco]] mi attacca sul «manifesto» riproducendo una mia frase di ammirazione per Mussolini scritta quando avevo ventidue anni (in dieci anni di giornalismo sotto il defunto regime, non sono mai riusciti a trovare, di mio, altre prove di zelo fascista) e accusandomi di mancanza di cavalleria verso una donna. O bella! Come se una donna, quando si mette a far politica – e che politica! – come un uomo, potesse ancora accampare l'impunità! Anche la [[Maria Callas|Callas]] è una donna. Eppure, quando stona, la si fischia. (27 marzo 1972) *Ho scritto un fondo in difesa della Cederna, incriminata dal magistrato per aver diffuso notizie false e tendenziose. Che abbia commesso questo peccato, ho detto, è vero. Ma si tratta di peccato, non di reato. E a giudicarne dev'essere il lettore, non il tribunale. Verità lapalissiane. Dice che è sempre stata molto più impegnata e coraggiosa di me perché con le sue campagne in favore di Valpreda e di [[Giuseppe Pinelli|Pinelli]], tiene fronte alla polizia. Potrei incenerirla chiedendole dov'era e cosa faceva quando io ero in galera per aver tenuto fronte non alla polizia d'oggi, ma a quella fascista e nazista. Ma non ne vale la pena. (28 marzo 1972) *Più approfondisco questo tema delle regioni (sono a Milano per questo), e più mi sgomenta il doverne scrivere. Ci vuol poco a capire che questi regionalisti lombardi perseguono, consapevolmente o inconsapevolmente, un piano secessionista cisalpino. E, una volta che ne abbiano lo strumento, riusciranno a realizzarlo. Non per nulla Bassetti parla già non più di «regione lombarda», ma di «[[Padania|regione padana]]», di cui il resto d'Italia non sarebbe che un'appendice. Se ce la fanno (e ce la faranno), addio Risorgimento! Non era che una finzione, d'accordo, e in pratica ha fallito. Ma con che lo sostituiremo? (26 settembre 1972) *Volo a Lussemburgo sul solito bireattore di Berlusconi, che ci accompagna, felice di esibirsi e di esibire il suo status in una cerimonia internazionale. La medaglia d'oro (ma è proprio d'oro?) me la consegna Gaston Thorn, capo del governo lussemburghese. Berlusconi riempie il suo taccuino di indirizzi: quelli di tutte le personalità che ha incontrato. È il vero ''climber'' che approfitta di tutto e non butta via nulla. (23 maggio 1977) *Kappler è fuggito. Ha fatto bene. Ma ora chi ci salverà dai conculcati "valori della Resistenza"? (15 agosto 1977) *A colazione da [[Vittorio Cini|Cini]]. Ha avuto un brutto crollo, ma ha ancora risorse. Le tira fuori quando è in compagnia. Ma quando è solo, mi dice sua moglie, sprofonda in quei tetri silenzi che sono i colloqui di un uomo con la morte. (19 agosto 1977) *De Carolis m'informa che il vero autore della operazione «Corriere» è un certo [[Licio Gelli|Gelli]], misterioso personaggio massonico, di Arezzo (Fanfani), che vuole incontrarmi per un accordo fra i due giornali. (24 settembre 1977) *Secondo quanto mi era stato raccomandato, dovevo salire direttamente alla camera 219 dell'Excelsior. Ma alla camera 219 non c'era nessuno, e così dovetti chiedere al portiere del signor Gelli. Poi Gelli arrivò, mi condusse furtivamente nel suo appartamento e mi fece un lungo discorso pieno di allusioni, dal quale dovevo comprendere che lui è un pezzo grosso – forse il più grosso – della massoneria (Palazzo Giustiniani), che come tale era stato il vero padrino della operazione Rizzoli, e che in questa operazione potevamo rientrare anche noi. Mi ha detto che quattro ministri dell'attuale governo, otto sottosegretari e centoquaranta parlamentari dipendono da lui. Questi massoni sono tutti uguali: credono che la loro potenza sia direttamente proporzionale al mistero di cui si circondano e prendono per cose fatte quelle per le quali complottano. (4 ottobre 1977) *Da Fanfani, al Senato. È talmente infuriato che diventa perfino sincero. «Dica al suo amico che è un traditore!» «Perché non glielo dice lei?» Mi spiega che Forlani non mira alla segreteria del partito, come io credevo, ma alla presidenza del Consiglio, quando Andreotti sarà consumato. Mi dice anche che condivide l'idea di Donat-Cattin di lasciare il Quirinale a un laico. «Altrimenti fra noi democristiani ci sbraniamo e ci sbrachiamo nella corsa a chi concede di più ai comunisti.» È sincero anche stavolta, o lo dice perché, avendo perso ogni speranza per sé, vuole prepararsi un buon argomento per Maria Pia («Stavolta toccava ai laici»)? (29 ottobre 1977) *A cena da Gervaso con Cossiga. Non si lamenta dei nostri attacchi, ma sono io a dirgli: «Noi esprimiamo lo scontento, e talvolta la rabbia, della pubblica opinione. La gente vuole un ministro degl'Interni che agisca e che faccia agire la polizia». «Ma lei sa com'è ridotta la polizia?» «In qualunque modo sia ridotta, siete voi che l'avete ridotta così. E quindi sta a voi rimediare.» Mi dice che non c'è da farsi illusioni: la situazione si aggraverà. Il terrorismo è finanziato coi sequestri, ha solidi agganci internazionali, e segue una tattica ben studiata. «L'attentato a lei fu un errore. Se a essere colpite fossero le personalità di rilievo, la gente media, cioè la grande massa della popolazione, sarebbe tranquilla. Invece hanno deciso di colpire i gradi subalterni – consiglieri comunali della Dc, capireparto della Fiat eccetera – per togliere il sonno a tutti.» Forse è vero. (29 ottobre 1977) *Quattro revolverate in faccia a [[Carlo Casalegno|Casalegno]], che ora è grave. Alzano la mira. (16 novembre 1977) *«La Stampa» riporta tutti gli articoli di solidarietà per Casalegno apparsi sugli altri giornali. Ma omette il mio, ch'era forse il più caldo: la solidarietà nostra la imbarazza. (18 novembre 1977) *Casalegno è morto. Ho telegrafato alla vedova, ma non al figlio – iscritto a [[Lotta Continua|Lotta continua]] –, né a [[Arrigo Levi|Levi]] e ai colleghi della «Stampa». Purtroppo, la loro faziosità condiziona la nostra solidarietà. Al funerale andrà Biazzi. (29 novembre 1977) *Incontro risolutivo a Roma tra Ferrauto e quelli della Sipra. Affare fatto e a condizioni molto più favorevoli di quelle sperate. Sei miliardi e settecento milioni come minimo annuo garantito, per cinque anni. Firmeremo il compromesso martedì 16. (10 maggio 1978) *Vista in tv la cerimonia funebre per Moro in San Giovanni Laterano. Dentro la basilica, tutti i dignitari Dc e quelli Pci inginocchiati sotto la mano benedicente del papa. E, fuori, la piazza sventolante di bandiere bianche e rosse. Non ho potuto fare a meno di rilevarlo in un "Controcorrente". (13 maggio 1978) *Batosta comunista alle amministrative parziali di ieri (4.000.000 di elettori). La Dc sale dal 38 al 42 per cento, il Pci scende dal 35 al 26. Successo dei socialisti che guadagnano il 4 per cento. Un risultato sconvolgente (in positivo). Uniche delusioni: il guadagno – sia pur minimo – del Pri, e la mancata rianimazione del Pli. (15 maggio 1978) *Firmato oggi l'accordo con la Sipra. Minimo garantito: 6.800.000.000 all'anno per cinque anni. Il presidente, D'Amico, è un ex operaio della Fiat, ora deputato comunista: un uomo concreto, franco, di poche parole. Era più soddisfatto lui dell'accordo con noi, che il direttore generale, il democristiano Pasquarelli. Io ho fatto la mia parte, da buon attore. Arrivato all'ultimo momento, ho detto: «Per impedire ripensamenti ed equivoci, trasformiamo il compromesso in vero e proprio contratto, e firmiamo subito». Lo champagne era già pronto. (16 maggio 1978) ==''I protagonisti''== *Nel settembre di quell'anno {{NDR|1956}} il partito lo spedì {{NDR|[[Gian Carlo Pajetta]]}} a Mosca insieme a Pellegrini e a [[Celeste Negarville|Negarville]] per sentire direttamente da [[Nikita Sergeevič Chruščёv|Kruscev]] come ci si doveva comportare nella crisi, ormai aperta, dell'antistalinismo. Kruscev li accolse affabilmente, li invitò a cena. E qui, trascinato da bocconi e libagioni ad una espansiva euforia come spesso gli capita, a un certo punto disse: «Beh, ora vi voglio raccontare come strangolammo [[Lavrentij Pavlovič Berija|Beria]]». E descrisse l'agguato che gli avevano teso al Cremlino, come gli erano saltati addosso e come gli avevano serrato la gola con le mani fino alla soffocazione. Lo descrisse ridendo allegramente, forse senz'accorgersi del pallore che soffondeva il volto dei suoi ospiti, o per lo meno quelli di Pajetta e di Negarville.<br />L'indomani li convocò nuovamente e, come non ricordando affatto ciò che gli aveva raccontato la sera prima, disse loro in tono solenne: «Beh, ora vi farò sentire il processo di Beria registrato sul nastro». E glielo fece sentire davvero come lo avevano inventato ''post mortem'', con la voce del defunto falsificata.<br />Quando si ritrovarono fra loro, Negarville e Pajetta si guardarono con gli occhi pieni di lacrime. «Ma allora – dissero –. Ma allora...». E non aggiunsero altro. (pp. 66-67) *{{NDR|Su [[Anna Magnani]]}} Ci sarebbe da scrivere un trattato sul modo di usare Anna. La prima precauzione da prendere è quella di non farla ritrovare in mezzo a estranei. Timida com'è, pur dopo un'esistenza trascorsa sotto i ''flashes'', la gente la raggela e la chiude in un mutismo ostile o l'aizza ad atteggiamenti protervi. Delle poche persone che le ho presentato, l'unica che la sedusse immediatamente fu il mio collega [[Augusto Guerriero]], perché il discorso cadde sui cani e sui gatti: e questo è un argomento su cui il cuore di Anna si scioglie e la mente le si ottenebra. Si mise in testa che noi due, con un articolo, potevamo far riformare la legge sulla protezione degli animali. E invano cercammo di dimostrarle che il problema non era di leggi, ma di costume. Non sentì ragioni. Dovemmo prometterle l'articolo (che poi infatti scrivemmo). (pp. 177-178) *{{NDR|Su [[Ignazio Silone]]}} Leggendo i suoi primi romanzi, ''Fontamara'', ''Pane e vino'', ''Il seme sotto la neve'', e pur ammirandoli, ero caduto in abbaglio sull'autore. Lo avevo preso per uno di quegl'industriali dell'antifascismo che, riparati all'estero, avevano trovato nella universale avversione alla dittatura una comoda scorciatoia al successo dei libri di denunzia. Lo consideravo insomma un profittatore del regime a rovescio (come del resto ce ne sono stati). E una conferma mi era parso di vederla nel fatto che finito, col fascismo, l'antifascismo, parve finito anche il narratore Silone.<br />Poi vennero ''Una manciata di more'', ''Il segreto di Luca'', ''La volpe e le camelie''. Ma vennero soprattutto alcuni saggi politici che mi costrinsero a ricredermi. Ed era proprio questo che non riuscivo a perdonargli. Mi era antipatico non per i suoi, ma per i miei errori. Più lo conoscevo attraverso i suoi scritti, e più dovevo constatare che non solo egli non somiglia affatto al personaggio che m'ero immaginato, ma che anzi ne rappresenta la flagrante contraddizione. (pp. 180-181) *{{NDR|Su ''[[Ignazio Silone#Uscita di sicurezza|Uscita di sicurezza]]''}} Come documento umano, non ne conosco di più alti, nobili e appassionati. Fenomeno unico, o quasi unico, fra gli sconsacrati del comunismo che di solito non superano mai più il trauma e trascorrono il resto della loro vita a ritorcere l'anatema, Silone non recrimina. Egli rifiuta i grintosi e uggiosi atteggiamenti del moralista, o meglio ne è incapace. Domenicano con se stesso, è francescano con gli altri, e quindi restio a coinvolgerli nella propria autocritica. Cerca di metterne al riparo persino [[Palmiro Togliatti|Togliatti]]; e se non ci riesce che in parte, non è certo colpa sua. Qui non c'è che un accusato: Silone. E non c'è che un giudice: la sua coscienza. (pp. 186-187) *Noi crediamo di scoprire dei modelli. In realtà non scopriamo che degli antenati. [[Carlo Cassola|Cassola]] s'illude di aver imparato da [[James Joyce|Joyce]] quello che già sapeva. Joyce gli avrà fornito, al massimo, qualche mezzo tecnico per esprimerlo. Uno [[scrittore]] vero (e Cassola lo è) non cerca in un altro scrittore che se stesso. (p. 207) *{{NDR|Su [[Enrico Mattei]]}} Egli amava solo il [[potere]], e l'amore del potere esclude tutti gli altri. (p. 265) *{{NDR|Su [[Giulio Andreotti]]}} Andava anche, mi dicono, a messa insieme a lui {{NDR|[[Alcide De Gasperi|De Gasperi]]}}, e tutti credevano che facessero la stessa cosa. Ma non era così. In chiesa, De Gasperi parlava con Dio; Andreotti col prete. Era una divisione di compiti perfetta. (pp. 271-272) ==''Il meglio di «Controcorrente»''== *Il «comitato permanente antifascista» di Milano ha deciso di chiedere un «riconoscimento» per tutti coloro che sono stati «coinvolti direttamente nella strategia della tensione a partire dal 1º gennaio 1969». Ci risiamo. Tutta la nostra vita è stata angosciata e angariata dagli antemarcia: prima quelli del Littorio, poi quelli della Resistenza, ed ecco che ora spuntano quelli della «tensione». Longanesi aveva ragione: in questo Paese, reduci si nasce. (p. 47) *Agli alunni della terza classe (anni otto-nove) della scuola elementare di via Pisani, Milano, è stato assegnato il seguente problema: «Mario, Gino e Beppino sono i capi della banda. Mario dice a Gino che la banda ha quasi esaurito le munizioni: rimangono solo 5 cassette con 130 pallottole per cassetta. Quante pallottole rimangono?». Debolucci come siamo, in aritmetica, non lo sappiamo nemmeno noi. Ma ci pare che una per l'insegnante e una per il ministro Malfatti ci dovrebbero ancora essere. (p. 79) *Il messaggio di addio che il dimissionario capo dello Stato ha detto alla televisione e che anche noi pubblichiamo, è ineccepibile. Esso dà del presidente [[Giovanni Leone|Leone]] un'immagine che non fa una piega: un galantuomo all'antica, padre di una famiglia esemplare, ingiustamente calunniato da una stampa irresponsabile. Siamo sicuri che tutto questo si può dire di Leone. Ha un solo difetto: che a dirlo è stato Leone. (p. 84) *A Roma, nonostante tutte le ricerche fatte, non è stato possibile trovare un locale disponibile per un convegno di radicali. Non ce n'era uno abbastanza piccolo per contenerli tutti. (p. 103) *In un convegno su «Terrorismo e informazione», a Roma, è stato unanimemente riconosciuto che il [[segreto istruttorio]] in Italia non esiste. Lo trasgrediscono tutti. Non solo giornalisti e avvocati – e ancora passi – ma perfino magistrati che anticipano e propalano, il più delle volte per farne strumento politico, notizie riservate. «È il segreto di Pulcinella» si è lamentato il procuratore capo della Capitale, De Matteo. È vero. Ma Pulcinella non era giudice. E i giudici non dovrebbero essere Pulcinella. (p. 104) *Solo il tempo non perde tempo, diceva [[Jules Renard|Renard]]. E così, a furia di annunciarne i cambiamenti, il tempo è passato anche per il colonnello [[Edmondo Bernacca|Bernacca]], che ora deve rassegnarsi alla pensione. Peccato. Gli dobbiamo parecchi raffreddori e reumatismi. Ma nessuno riuscirà meglio e con più grazia di lui a farci capire ed accettare l'inutilità della meteorologia. (p. 108) *Qualcuno teme – e qualche altro spera – che l'Afghanistan diventi il Vietnam dei russi. Niente paura, in Afghanistan non ci sono giornalisti. (p. 112) *Quella del ''Corriere'' non è una situazione invidiabile: il direttore in congedo per l'affare della P2, manager ed articolisti contestati per lo stesso motivo, il maggiore azionista in galera, accusato di reati valutari, montagne di debiti, trasparenza della proprietà limpida come un mare in burrasca. Ci sarebbe davvero da mettersi le mani nei capelli. Se non fosse un giornale di [[Roberto Calvi|Calvi]]. (pp. 125-126) *Quando leggiamo «ministro senza portafoglio», ci viene sempre un dubbio. Che glielo abbia rubato qualche collega? (p. 146) *L'[[Organizzazione per la Liberazione della Palestina|Olp, Organizzazione per la liberazione della Palestina]], è stata ammessa con voto unanime, anche se provvisoriamente, nel Comitato olimpico asiatico. Non sapevamo che il lancio della bomba fosse diventato una disciplina atletica. (pp. 171-172) *A suo tempo imprigionato dagl'israeliani per complicità col terrorismo palestinese, e liberato per l'intervento del Vaticano con l'impegno di astenersi dalla politica, l'Arcivescovo libanese di Gerusalemme [[Hilarion Capucci]] ha dichiarato in un'intervista all'''Europeo'' che i rivoltosi di Gaza e della Cisgiordania non ricevono ordini da nessuno: «Li prendono solo da Dio, loro unico leader». Lo abbiamo sempre detto, noi: a grattare un arabo, anche se cristiano e Monsignore, viene fuori un Ayatollah. Ma forse non c'è neanche bisogno di grattare. (p. 184) *Da Praga [[Bettino Craxi]] proclama che «bisogna liberare l'Italia da Falci e Martelli». Benissimo. Ma chi è Falci? (p. 206) *[[Pino Rauti]] è intenzionato a candidare un africano alle elezioni comunali fiorentine. Più che giusto: il nero si addice al Msi. (p. 209) *Per evitare pubblicità attorno al caso di [[Angelo Peruzzi|Peruzzi]] e [[Andrea Carnevale|Carnevale]], i due giocatori giallo-rossi risultati positivi all'antidoping, il presidente della Roma, [[Dino Viola]], ha deciso di portare tutta la squadra in ritiro. A San Patrignano. (p. 216) *Secondo ''La Notte'' di ieri – che riferisce dichiarazioni d'un capo della Jihad islamica, Ibrahim Serbell – i terroristi arabi hanno nel loro mirino, per quanto riguarda l'Italia, «uomini politici, aeroporti e alcuni obiettivi strategici». Siamo molto preoccupati per gli aeroporti e gli obiettivi strategici. (p. 220) *La fantapolitica non è il nostro esercizio preferito. Ma ci chiediamo che cosa succederebbe se, con un colpo alla Moro, i terroristi si impadronissero di Cossiga e lanciassero al governo il ricattatorio ultimatum: «Se non ci date cento miliardi, lo liberiamo». (p. 228) *Malgrado tutto (e per tutto intendiamo proprio tutto), [[Moana Pozzi]] non è riuscita ad entrare a Montecitorio. Peccato. È l'unica Camera che non potrà dire di aver frequentato. (p. 236) *Sull'''Unità'' è comparsa la lettera di un deputato che, pericolosamente sfiorato da un motociclista, invoca drastiche misure penali contro i «teppisti al volante». Ci associamo alla proposta. L'unica cosa che ci sconcerta è la firma del proponente: è quella dell'onorevole [[Mario Gozzini]], autore della famosa legge che in pratica vorrebbe l'indulgenza plenaria per qualsiasi reo e reato. (p. 244) ==''Il testimone''== *Per restituire efficienza e prestigio alla polizia, bisogna prima restituirli allo Stato. E in che condizioni lo Stato italiano sia ridotto, tutti lo sappiamo e lo vediamo. Dovrebbero vederlo e saperlo anche i nostri uomini politici, e trovare il coraggio di riconoscerlo pubblicamente, invece di occultare la verità dietro la cortina fumogena di dichiarazioni pompose e altisonanti sulla «saldezza delle istituzioni» e simili. Furono questi proclami retorici e vuoti a provocare la bordata di fischi che accolse a Brescia [[Giovanni Leone|Leone]] e [[Mariano Rumor|Rumor]] all'indomani della strage. [...] La gente è stanca di una politica che cerca ma non trova, di una magistratura che istruisce ma non giudica, e soprattutto di partiti che strumentalizzano i morti per la loro propaganda politica. Con questi sistemi non si ricostruisce la fiducia. Si rende obbligatoria la sfiducia, condizione e prefazione della resa. (p. 33) *La Lombardia seguita a sfornare energie di prim'ordine. E da tutta Italia coloro che, come i soldati di Napoleone, credono di portare nel loro zaino il bastone di maresciallo, continuano a fare di Milano la loro mecca. Le difficoltà fra cui si dibattono sono molto più ardue di quelle che affrontano i loro predecessori per fare le fortune proprie e quelle di Milano. Ma la più ardua di tutte è il riciclaggio dei valori morali. Se Milano non restaura il culo dell'uomo, della sua iniziativa, del suo coraggio, del suo orgoglio di costruire, di rischiare e di vincere, e se non restituisce il premio a queste virtù, tanto vale che si arrenda allo Stato, al parastato e al sindacato, e si rassegni a diventare il ''bazar'' di un'Italia da terzo mondo. (p. 69) *Chi sia, cosa voglia e cosa valga Rizzoli, non c'interessa. C'interessa solo l'operazione cui egli presta il nome e il braccio (la mente lasciamola stare). Il tentativo di fare di Rizzoli, coi soldi del contribuente, l'editore del regime, è chiaro. E se di lui si vuol fare l'editore del regime, è altrettanto chiaro che si punta a una stampa di regime. Ma di quale regime? Evidentemente di un regime bisognoso di quei silenzi che solo una stampa di regime, affiancata da una RAI-TV di regime, può garantire. Se l'operazione riesce, caro lettore, dovremo dirci addio, perché per le voci libere e indipendenti non ci sarà più posto. Per soffocarle, non è necessaria nemmeno una legge: basterà lasciar aumentare il costo del prodotto bloccandone il prezzo. (p. 80) *Frondista sotto il fascismo, ribelle sotto la democrazia, Longanesi rimase sempre lo stesso. Il suo sogno sarebbe stato di fare l'anarchico in un regime autoritario borghese. Una volta lo condussi a parlare di un vecchio artigiano toscano, che diceva di essere stato in Russia a organizzare complotti e a fabbricare bombe contro lo zar. A tal punto Longanesi si entusiasmò di lui da rifiutare i miei sospetti sull'autenticità della storia. «È vera, è vera», diceva: «non hai sentito con che effetto e rimpianto parlava dello zar? L'affetto e il rimpianto del vero anarchico che, quando c'era lo zar, saoeva almeno contro chi buttare le bombe.» Ed era chiaro che anche lui rimpiangeva lo zar, per gli stessi motivi. (pp. 103-104) *In Italia i rappresentanti del popolo non sono popolari. Nessuno, nemmeno fra quelli che raccolgono centinaia di migliaia di voti, è veramente amato e rispettato. [...] I rappresentanti del popolo non parlano quasi mai col popolo. Parlano solo col partito, cioè fra loro, in un linguaggio ermetico che dà corpo ai peggiori sospetti. E in più c'è il borbonico attaccamento agli orpelli del potere. Questi capi di Stato e di governo, questi ministri [...] è fatale che agli occhi della gente appaiano come ''loro'', e ne subiscano le conseguenze. Non la si prenda per una dichiarazione di fede antirepubblicana. Ma [...] l'uccisione di [[Umberto I di Savoia|Umberto I]] che, come re, era il supremo dei ''loro'', sollevò un'ondata di commozione popolare più diffusa e spontanea di quella suscitata dal brutale sequestro di [[Aldo Moro|Moro]] (p. 114) *Sui feretri di coloro che sono caduti per ragioni ideologiche hanno diritto di sventolare solo le bandiere dei rispettivi partiti, e bisogna riconoscere che quelle della Democrazia cristiana possono vantare precedenza. Su quelli di tutti gli altri – magistrati, poliziotti, carabinieri, guardie e medici di carcere – può e deve sventolare solo il tricolore, se in qualche soffitta ce ne sono ancora degli scapoli. Il tempo delle usurpazioni e delle confische è finito. A ciascuno il suo. (p. 137) *In Germania c'è una norma statuaria che vieta di rovesciare un governo se prima non si sia trovata la maggioranza per formarne un altro. Da noi, ogni limitazione alla spensieratezza è considerata antidemocratica. Come diceva Longanesi: «Chi rompe, non paga, e siede al governo». (p. 161) *In questi venticinque anni, Kekkonen si è adoperato a «finlandizzare» la Finlandia: non aveva altra scelta, e c'è riuscito. La Finlandia è l'unico satellite dell'URSS in cui le fondamentali libertà democratiche sono rispettate, e di cui la porta è rimasta aperta all'Occidente. Ma non credo che questo miracolo sia dovuto solo a lui. Esso è dovuto soprattutto alla Finlandia e a quello che nel suo giovanile estremismo nazionalista egli stesso aveva chiamato «l'inutile sacrificio». Quel sacrificio fu invece utilissimo. È grazie a esso che la Finlandia non ha seguito la sorte degli altri tre Paesi Baltici – Estonia, Lettonia e Lituania –, ormai cancellati dalla carta politica dell'Europa. (p. 195) *Non vengano i sociologi a ripeterci la solita filastrocca che la mafia non è colpa di nessuno, neanche dei mafiosi, ma solo delle «strutture» e della povertà. Forse un tempo era così: il tempo in cui la mafia aveva qualche diritto di fregiarsi del titolo di «onorata società», e anche se avesse ammazzato un [[Carlo Alberto dalla Chiesa|Dalla Chiesa]], avrebbero risparmiato sua moglie. Oggi la mafia naviga nell'oro, e forse Dalla Chiesa è morto proprio perché aveva messo le mani su certe carte che riguardano finanziamenti per 880 miliardi ad aziende ancora più fantomatiche del Banco Andino di calvesca memoria. Il che dovrebbe indurci a qualche riflessione sui contributi che lo Stato fornisce alla Regione siciliana per aiutare l'isola a recuperare i suoi «ritardi». (pp. 215-216) *C'è chi chiede il rigore nella lotta all'inflazione, c'è chi lo chiede in quella della disoccupazione, c'è perfino chi lo chiede nello sviluppo dell'assistenzialismo. [[Guido Carli]] [...] ha detto ch'esso va applicato principalmente alla spesa pubblica, da contenersi entro l'invalicabile limite della «sopportabilità»: cosa su cui tutti hanno convenuto, essendo questo [...] il rigore che più piace agl'italiani (oltre quelli che gli arbitri di calcio assegnano in favore della squadra di casa). (p. 222) *La colpa dei Paesi sviluppati non è di far troppo poco per quelli di sottosviluppo, ma di farlo male. Qualcuno ha riassunto la lezione dei fatti nella massima: «Non date il pesce alla gente affamata; insegnatele a pescarlo». Ma per questo i miliardi non bastano: ci vogliono i missionari alla [[Marcello Candia]] e alla [[Madre Teresa di Calcutta|Suor Teresa di Calcutta]], molto più difficili da stanziare. Comunque, una cosa bisogna esigerla: l'eliminazione delle strozzature che impediscono agli aiuti di arrivare a chi ne ha veramente bisogno. Oggi come oggi, essi si fermano regolarmente sulle mense e nelle tasche di politici e burocrati delle nuove satrapie. Ma nella legge varata ieri non mi sembra che ci sia accenno allo smantellamento di questo perverso sistema. Che l'amministrazione di quei millenovecento miliardi [...] sia affidata a un sottosegretario invece che a un commissario, non mi pare una gran trovata. Si tratterà [...] del solito carrozzone lottizzato fra partiti, che farà presto a intendersi, via mance e bustarelle, coi carrozzoni dei Paesi da soccorrere. (pp. 257-258) *La [[Resistenza italiana|Resistenza]] un grande servigio all'Italia lo rese: ci procurò un notevole ribasso sul conto della sconfitta. Senza la Resistenza, non c'è dubbio che avremmo pagato molto più caro il nostro dissennato intervento a fianco della Germania. [...] Essa ha tutti i titoli per essere ricordata. Ma come la fine di una lunga sconfitta, la chiusura del capitolo più nero della nostra storia unitaria; non come il coronamento di una radiosa vittoria. Noi non ci liberammo; fummo liberati, L'aiuto – modestissimo, sul piano militare – che con la Resistenza demmo ai liberatori merita la gratitudine di tutti i disastri che ci risparmiò e le indulgenze che ci procurò al tavolo della pace. Ma la pretesa di confonderci coi vincitori, e perfino di parlare in loro nome, non può tirarci addosso che disprezzo e sarcarmi. (pp. 266-267) *Per Menichella, la ricostruzione e il grande decollo industriale erano possibili a una condizione: la stabilità della moneta. I capitali per gl'investimenti dovevano essere attinti non alla Zecca, ma al risparmio, che in caso contrario sarebbe stato distrutto dall'inflazione. E per accumulare il risparmio non c'era che una ricetta, la solita: lavorare di più e consumare di meno. Lo accusarono di rozzezza, di passatismo, lo tacciarono di «guardia bianca del capitalismo» che voleva «arricchire i padroni sulla pelle degli operai» [...] e un tenore della sinistra giunse a definirlo «un analfabeta dell'economia». E niente poteva essere più menzognero. Menichella aveva una preparazione di ferro. Di economia sapeva tutto. Solo lo traduceva [...] in un linguaggio spicciolo e sempre rapportato al concreto. I fatti gli diedero ragione. Ricostruzione e stabilità monetaria camminarono di pari passo; l'Italia raggiunse il ''boom'' nel momento in cui la lira si guadagnava l'Oscar. (p. 282) *Noi che laici siamo sul serio, non abbiamo nessuna nostalgia dello Stato crispino che credeva di fare del laicismo silurando i prefetti che andavano a messa e destituendo il sindaco di Roma per un atto di omaggio al Papa. Come non ne abbiamo per una Chiesa che umiliava padre Tosti e il vescovo Bonomelli, costringendoli a pubblici atti di contrizione per avere avanzato proposte di conciliazione. Uno dei motivi, forse il maggiore, per cui amammo e rispettammo De Gasperi è per la peitra tombale che ci sembrava avere messo su questo passato, dimostrando col proprio esempio come si possa essere insieme il più cattolico degl'italiani e il più italiano dei cattolici. [...] Non abbiamo titoli né qualifiche per rivolgerci al Papa. Ma se potessimo, gli porremmo una sola domanda che non dovrebbe [...] dispiacergli. Gli chiederemmo se per essere insieme buoni patrioti e buoni cattolici sia proprio indispensabile nascere polacchi. (pp. 306-307) *[[Walter Cronkite|Cronkite]] non ebbe mai dubbi sulla «obbiettività» delle sue immagini. «Parlano da sole», diceva. E in un certo senso è vero. [...] In questo lavoro di montaggio [...] fu un vero maestro. Come lo è stato nell'arte delle omissioni. Perché l'immagine del colonnello che sparava alla tempia del vietcong diceva, sì, la verità. Ma taceva, ignorandola, quella dello sfondo su cui la scena si svolgeva: il suolo tappezzato dai cadaveri seviziati dei ''marines'' sorpresi nel villaggio, delle donne sventrate e dei bambini abbruciacchiati per sospetto di collaborazionismo: tutte immagini che non avrebbero tolto nulla alla verità di quella della pistola sparata alla tempia, ma l'avrebbero spiegata sminuendo l'effetto dell'errore e del capriccio. Così come sono vere, verissime, le sequenze [...] della ritirata (si fa per dire) degli americani da Saigon: roba che quasi rivaluta l'8 settembre italiano, da arrossire di vergogna nei secoli. Peccato che Cronkite non abbia fatto riprendere le scene che contemporaneamente si svolgevano nelle strade della città via via che i ''liberatori'' del Nord vi s'inoltravano: roba da impallidire di orrore anche oggi. [...] Cronkite seguita a dire che la verità sul Vietnam è la sua. Ma è rimasto il solo a dirlo. Tutti i suoi ''fans'' lo hanno abbandonato e rinnegato. Compresa [[Jane Fonda]], che da cacciatrice di streghe e pasionaria del colpevolismo si è trasformata in missionaria del pentitismo e invoca il perdono dei reduci battendosi il petto. Con la stessa sincerità e buona fede, credo, con cui prima li indicava al crucifige. [...] È vero, putroppo, che la sorte del Vietnam fu decisa dalle «patacche» di Cronkite. In fatto di mestiere, possiamo imparare tutto da lui. Ma in fatto di verità, nulla. Salvo l'arte di contraffarla con l'aria di servirla (pp. 328-329) *Conosciamo dei comunisti che nel comunismo ci hanno creduto sul serio, e forse tanto più ciecamente quanto più bisognava essere ciechi per continuare a crederci. Sono quelli che l'abiura se la tengono in corpo, e che non imprecano contro l'idolo infranto. Sappiamo benissimo che, se avessero vinto, in nome di quell'idolo ci avrebbero, sia pure a malincuore, impiccati. Ma oggi il loro silenzio c'incute il più grande rispetto. Non altrettanto ne proviamo per i cosiddetti «emergenti» che, per continuare a emergere, inneggiano a tutto: alle macerie del Muro, alla perestroika, alla libertà, perfino al capitalismo, e si atteggiano a precursori e battistrada di questa totale, anzi totalitaria palinodia. Ma si tratta di una truffa bell'e buona. (pp. 343-344) *L'Expo è una grande abbuffata. E quando sono in gioco migliaia di miliardi, l'importante non è vincere; è partecipare. Che Venezia venga ridotta a un luna-park per la gioia a un luna-park per la gioia delle torme di straccioni (trenta milioni, secondo i preventivi più cauti) che la sommergerebbero rinnovando e centuplicando l'alluvione dei Pink Floyd era – ed è – per i fautori dell'Expo un'obbiezione facilmente superabile col discorso del Grande Progetto. [...] Venezia [...] appartiene al mondo, o per lo meno alla cultura di quello occidentale, di cui invochiamo [...] l'intervento per salvarla da quella masnada di locuste impazzite, disposte a farne un incrocio tra Las Vegas e Disneyland. (pp. 357-358) *[[Corrado Carnevale|Carnevale]] [...] ha dichiarato in un'intervista [...] che la notte non ha bisogno di sonniferi perché, nei confronti della Legge, la sua coscienza è a posto. Ci crediamo senz'altro. Ma se si ponesse la stessa domanda nei confronti della Giustizia, mi domando se i suoi sonni sarebbero altrettanto tranquilli. E tuttavia ci rendiamo conto che questa domanda non se la porrà mai, e anzi gli sembrerà del tutto stravagante. Perché, per un magistrato italiano, la Legge con la Giustizia non ha nulla a che fare. (pp. 387-388) *Dopo la liberazione, [[Luigi Durand de la Penne|de la Penne]] fu tentato dalla politica, e andò alla Camera prima sotto la bandiera democristiana, poi sotto quella liberale. In realtà, di bandiere, de la Penne non conosceva né riconosceva che il tricolore, e sperava ancora una volta di servirlo propugnando una riforma delle forze armate che le adeguasse alle nuove esigenze. Ma quando si accorse di non riuscire a combinar nulla, si ritirò; aveva capito che questi sono tempi per uomini di mare alla Accame, non alla de la Penne. Non fece mai l'eroe. [...] Ora, se qualcuno mi domanda perché ho dedicato alla sua scomparsa uno di quegli editoriali che di solito si riservano solo agli avvenimenti e ai personaggi della politica, rispondo che l'ho fatto per meglio sottolineare che per me e per gli uomini di questo giornale gli eroi delle guerre perdute non sono meno rispettabili e ammirevoli di quelle delle guerre vinte. E, in ogni caso, meritano il posto d'onore del giornale ben più dei personaggi di cui siamo costretti ogni giorno a interessarci. (p. 402) ==''Indro al Giro''== ===[[Incipit]]=== Il destino è stampato sulla carta d'identità e scritto nelle stelle. Indro Montanelli nasce il 22 aprile 1909, il primo Giro d'Italia prende il via il 13 maggio 1909. Stesso anno, stesso segno zodiacale: Toro. Potevano, queste due creature quasi gemelle, non percorrere un tratto di strada insieme? Potevano ignorarsi? ===Citazioni=== *Come i bersaglieri quando smettono di correre, così i ciclisti, quando cessano di pedalare ingrassano. *Il [[Giro d'Italia]] parla milanese, anche se poi, a vincerlo, è qualche toscano o qualche romagnolo. *I corridori sono come [[Anteo]]: il contatto con la loro terra gli dà forza. *Ma sapete voi con precisione che cosa sia una fuga, lo sapete? Non lo sapevo nemmeno io prima di vederla. Credevo che fosse l'uomo che, a un certo punto, si mette a pedalare più forte degli altri e li semina per via. Errattissima nozione. La fuga è invece un grande urlo e un gesto disperato che mettono d'improvviso in confusione tutta la carovana del Giro. *Quello della bicicletta è un mondo buono: e credo sinceramente che venga da questa bontà il fascino ch'esso esercita sulle folle. *Lasciatelo com'è questo Giro provinciale e festoso: lo sport di un popolo che, nella corsa verso il progresso meccanico, è rimasto alla bicicletta, tappa intermedia fra il cavallo e l'automobile, ritrovato artigiano e arnese di famiglia. *Se Parigi avesse il mare sarebbe una piccola Bari, ma non saprebbe accogliere i forestieri con tanto calore e sportiva cordialità. *Leoni, che oltre a tutto è un bellissimo ragazzo, ha una fidanzata la quale gli scrive raccomandandogli di non vincere, altrimenti troppe ragazze lo abbracciano porgendogli i fiori. Leoni è innamoratissimo della sua fidanzata ma non è certo per obbedire a lei che non vince. È solo per obbedire a [[Fausto Coppi|Coppi]] e restargli a fianco. *Gli assi possono permettersi di arrivare ultimi. E lo fanno senza risparmio. Possono permettersi di disprezzare i loro adoratori e lo fanno senza ritegno. L'adorazione rimane. *I corridori di bicicletta sono gente semplice, che non è mai stata in collegio. [...] Nessuno ha insegnato loro i dettami dello stile e della cavalleria. Li posseggono per natura. Difficilmente essi cercano di sminuire la vittoria dell'avversario e non gliene serbano rancore. Sono capaci di delicatezze che non credo esistano negli altri sport. *I corridori non si dovrebbero sposare; e, quando lo fanno, dovrebbero scegliere delle donne brutte. *È la specialità dei padri quella di sognare per i figli i trofei che loro non convengono, ed è la specialità dei figli quella di procurarsi trofei che ai loro padri non piacciono. ==''La stecca nel coro''== ===[[Incipit]]=== Non è questa la sede per rifare la storia del ''Giornale''. Ma voglio ricordare ai vecchi lettori e a spiegare a quelli nuovi ch'esso non fu un giornale, ma una battaglia, di cui può essere istruttivo ricostruire gli episodi. Quelli, decisivi, degli anni Settanta e Ottanta, in questa raccolta ci sono tutti, chiosati. E di queste chiose, ho l'immodestia di dire che non ce n'è una di cui debba pentirmi nemmeno ora che i pentimenti vanno di moda, anzi sembrano diventati un genere di prima necessità. Questa raccolta è dedicata a tutti i miei compagni di lavoro, defunti e sopravvissuti, italiani e stranieri, che condivisero con me i rischi (e ce ne furono) di questa avventura, la più bella di tutta la mia carriera di giornalista, e ai lettori che ci permisero di combatterla. Anche se tuttora ignoro se l'abbiamo vinta o persa. ===Citazioni=== *{{NDR|Sui [[processi della Giunta greca]]}} Anche a detrarne tutto ciò che vi avrà aggiunto la propaganda di parte, crediamo che di soprusi, sopraffazioni e sangue ce ne siano stati abbastanza, nel regime dei colonnelli, per giustificarne l'incriminazione. Tuttavia vorremmo che accanto a loro, sul banco degli accusati, venissero chiamati anche Papandreu e altri campioni del massimalismo piazzaiolo e di certo radicalismo snob, per spiegare ai giurati e alla pubblica opinione, non soltanto di Grecia, come mai i colonnelli giunsero al potere senza sforzo e senza sforzo lo conservarono fino a quando per propria insipienza lo persero. Solo così il processo acquisterebbe un senso, oltre quello della pura vendetta. Le colpe dei vari Ghizikis e Papadopulos non ne risulterebbero affatto sminuite. Ma finalmente si capirebbe che i colonnelli non sono dei trovatelli e che per impedire i golpe non c'è che un sistema: far funzionare la democrazia. [...] Non auguriamo la forca a nessuno. Ma se un giorno qualche colonnello dovesse venirvi appeso, speriamo che ai Papandreu sia almeno proibito di partecipare alla festa. Perché i veri padri del golpe, le Circi che tramutono i colonnelli in dittatori, furono loro. (pp. 15-16) *{{NDR|Sulla [[rivoluzione dei garofani]]}} Rivendicato il diritto alla scelta, gli elettori portoghesi l'hanno espressa con chiarezza lampante. Hanno votato per l'Occidente, per un Portogallo che sia socialmente più giusto di quello uscito dalla penombra salazariana, ma che rimanga saldamente ancorato all'Europa libera, alle sue alleanze, agli ideali della democrazia senza virgolette e sottintesi: una democrazia di cui i militari, con l'aiuto dei loro reggicoda comunisti, potranno conculcare le libertà fondamentali, ma coi carri armati, non in nome del popolo. [...] Due piccole nazioni, il Portogallo e la Grecia, uscite entrambe dalla prova di regimi dittatoriali, hanno votato, a breve distanza l'una dall'altra, con esemplare equilibrio, senza cedere alle tentazioni ed ai miti delle catarsi rivoluzionarie. È una grande lezione per altri Paesi che, avendo assaporato la libertà da molti anni, sembrano smaniosi soltanto di perderla. (pp. 44-45) *Per formare la maggioranza, la Dc non ha più a disposizione le tre forze laiche su cui De Gasperi fondò i suoi più fortunati e redditizi Governi: se i repubblicani hanno alla bell'e meglio temuto, liberali e socialdemocratici sono stati spazzati via. Occorrerebbero i socialisti, ma costoro hanno già dichiarato di non essere disponibili a maggioranze che escludano i comunisti. [...] Che razza di democrazia verrebbe fuori da un'ammucchiata totalitaria di queste tre forze che lasciasse l'opposizione al Movimento sociale, Dio solo lo sa. [...] I milioni d'italiani che [...] hanno votato Dc, lo hanno fatto ''unicamente'' perché la Dc si è presentata come il ''no'' al comunismo. Mai come stavolta il patto tra candidato ed elettore è stato così esplicito. Se lo ricordino bene i professionisti del tradimento [...]. Come li abbiamo aiutati a vincere, saremo i primi a denunciarli con nome e cognome. Il tempo delle deleghe in bianco è finito. Dando le – «preferenze» come noi avevamo suggerito –, il ciattadino stavolta sa per ''chi'' ha votato, e lo tiene personalmente responsabile. (p. 78) *Cosa vuol dire […] «gli chiediamo fino a che punto si spinge il suo disaccordo con la proposta di unità e di collaborazione democratica che noi avanziamo e sosteniamo, se al suo disaccordo c'è il limite fissato della difesa e della sopravvivenza del quadro costituzionale e repubblicano?» Vuol forse dire, senza dirlo, che chi si oppone a questa proposta, cioè in parole povere chi si oppone al compromesso storico, si mette automaticamente fuori da quel quadro e va considerato un eversore? Capisco che, a furia di praticarlo […] questo giuoco del fuorigiuoco sia diventato per voi un vizio. […] Ma stavolta l'impresa è più ardua del solito: non sono molti gl'italiani disposti a credere che rifiutare i comunisti al Governo significa rifiutare la democrazia e a considerare chi lo fa alla stregua di un killer o di un pistolero (pp. 104-105). *Noi non chiediamo la legge marziale. Basta la rivalutazione materiale e morale di quelle forze dell'ordine, i cui sacrifici sono stati fin qui regolarmente pagati ripagati con stipendi da fame, castighi disciplinari e campagne denigratorie. Basta insomma che sia affermato nei fatti, e non soltanto nelle parole, il supremo impegno a trattare il terrorismo come va trattato: in termini di scontro, non di «confronto». Faccia a faccia. Lo Stato italiano non può chiedere fermezza ai cittadini, se non ne dà esso stesso l'esempio. Spietatamente, quando occorre. E in questo caso occorre. (p. 119). *Noi […] non possiamo pronunciarci in favore di [[Marco Pannella|Pannella]]: egli giuoca in un campo che non è il nostro. Ma quattro cose dobbiamo dire, da avversari, di questo anomalo personaggio. La prima è che Pannella è [...] un personaggio su una scena politica popolata quasi esclusivamente di comparse e coristi. La seconda è che i suoi digiuni sono autentici e le sue tasche autenticamente vuote. La terza è che, se domani ci sarà un regime – ipotesi che si fa sempre più possibile – all'opposizione di questo regime ci saremo solo noi e Pannella, socio scomodo, ma di tutta affidanza. E infine dobbiamo riconoscere che fra noi e lui c'è [...] un fatto di sangue. Anche se scatena la sua buriana da sinistra facendo d'ogni erba un fascio […] e chiama la sua gente «compagni», ricordiamoci che Pannella è figlio nostro, non loro. Un figlio discolo e protervo, un giamburrasca devastatore che dopo aver appiccato il fuoco ai mobili e spicinato il vasellame, è scappato di casa per correre le sue avventure di prateria. Ma in caso di pericolo o di carestia, ve lo vedremo tornare portandosi al seguito mandrie di cavalli e di bufali selvaggi, quali noi non ci sogneremmo mai di catturare e domare. Questo è Pannella. Voti non possiamo dargliene. Ma ci auguriamo che sia lui a mietere quelli che non ci appartengono. (pp. 156-157) *Noi siamo contrari alle leggi speciali. Ma proprio per non dovervi ricorrere, siamo per l'applicazione più dura e risoluta di quelle vigenti. La Costituzione per esempio non prescrive che l'Italia ospiti, senza possibilità di esercitare su di essi alcun controllo, centinaia di migliaia di stranieri dal passato incerto, e tavolta fin troppo certo. E le Forze dell'ordine non possono essere condannate a giuocare eternamente «di rimessa» [...]. In queste condizioni, non si lotta. Si subisce soltanto. Ed è di questo che il Paese non vuol più sapere. [...] Ci risparmino i discorsi sulla bara di [[Vittorio Bachelet]]. [...] Il funerale di Stato, va bene. Ma in silenzio, ministro Rognoni, per l'amor di Dio. Siamo stufi di sentir dire che «il popolo italiano è compatto nel ripudio dell'eversione», che «fa quadrato intorno ai valori e alle istituzioni consacrate dalla Resistenza», che i terroristi ''no pasarán'' (uno slogan che, oltre tutto, ha sempre portato jella). Non ne possono più neanche i morti. S'immagini i vivi. (p. 179) *I vizi italiani vengono da molto più lontano della Costituzione: sono scolpiti nei secoli della nostra storia incivile. Ma fra i segni di questa inciviltà c'è appunto anche quello di rendere tabù i temi scomodi e di condannare al ghetto chi osa affrontarli [...]. Come se non vi fossero Paesi, quali gli [[Stati Uniti d'America|Stati Uniti]] e la [[Francia]], che in fatto di democrazia possono impartirci lezioni, e che tuttavia si reggono a sistema presidenziale. Come se non ve ne fossero altri, quale la Germania che, pur reggendosi a sistema parlamentare, vi ha introdotto correttivi che lo rendono radicalmente diverso dal nostro. E come se questi correttivi [...] non fossero stati discussi e decisi senza farne drammi né scatenare, contro chi li proponeva, cacce alla strega nazista. (p. 207) *Il terrorismo italiano non può contare su consensi e simpatie d'ambiente come quello palestinese, o irlandese, o basco, che una motivazione l'hanno, sia pure distorta dalle passioni e strumentalizzata da qualche «Grande Vecchio». Il terrorismo italiano poteva contare solo sulla connivenza della paura: e infatti, finché ne ha incussa, di connivenze ne ha trovate, anche fra gli intellettuali, anzi specialmente fra gli intellettuali. [...] Fino a quattro o cinque anni fa, a dire che i volantini delle Br e i loro opuscoletti di propaganda non erano che una serqua [...] dei più vieti luoghi comuni ripescati tra i rifiuti di Bakunin, Kropotkin, Stirner e altri profeti del Nulla [...] c'era da essere linciati. Non dai brigatisti [...] ma dai ''maîtres à penser'' della sociologia radical-chic, per i quali il terrorismo, prima che da combattere, era da comprendere nei suoi «contenuti di pensiero». In cosa consistessero e quanto rigorosi fossero questi contenuti, ce lo dice appunto la scoperta negli ultimi giorni di questa nuova Trimurti – terrorismo rosso, terrorismo nero, camorra – che come ammucchiata ideologica, non so se mi spiego. Può darsi ch'essa esploda e [...] devasti. Ma, costretta ad assumere i suoi veri connotati, che sono quelli della criminalità senza aggettivi, il suo potere d'inquinamento e di equivoco, che ne costituiva l'aspetto più pericoloso, finisce. Da [[Toni Negri]] a [[Raffaele Cutolo|Cutolo]], la parabola si è conclusa. (pp. 236-237) *Non abbiamo con [[Bettino Craxi|Craxi]] nessuna familiarità: avremo parlato con lui, sì e no, tre volte. Ci ha dato una incoraggiante impressione di energia, risolutezza, rapidità di riflessi. Ma da certe sue reazioni, ci è parso di capire ch'egli ha anche una spiccata – e funesta – propensione a considerare nemici tutti coloro che non si rassegnano a fargli da servitori. Sono pochi, intendiamoci, i politici immuni da questo vizio. Ma alcuni di essi sanno almeno mascherarlo. Craxi è di quelli che l'ostentano sino a esporsi all'accusa di «culto della personalità»: un culto [...] che [...] potrebbe procurargli seri guai. Non perché a noi italiani certi atteggiamenti dispiacciano, anzi. Ma perché in fatto di guappi siamo diventati, dopo Mussolini, molto più esigenti: quelli di cartone li annusiamo subito. (p. 271) *[[Vincenzo Muccioli|Muccioli]] ha operato in condizioni diverse. [...] Ha impiantato la sua comunità con criteri imprenditoriali, facendone una specie di ''kibbutz'' ormai vicino all'autosufficienza. [...] Uno che, senza essere un ''compagno'', conduce una sua guerra privata contro la droga, è doppiamente esecrabile. Per il vescovo [...] per il quale un'opera di redenzione intrapresa da un laico come Muccioli merita in ogni caso l'anatema. Ma la partigianeria del presidente Righi è inesplicabile, e riduce questo processo a una caccia alle streghe, che getta la Giustizia nel pantano. (pp. 301-302) *[[Enver Hoxha|Hoxha]] non aveva dalla sua nulla, quando si presentò alla Conferenza: null'altro [...] che il proprio coraggio, spinto fino alla protervia. [...] I primi proseliti li fece solo sul finire della guerra, quando prese corpo un po' di resistenza, ma li fece in nome dell'Albania, non del comunismo. [...] Era un satrapo anche lui [...]. Ma non indulgeva alle debolezze e alle pacchiane ostentazioni dei Ceausescu e dei [[Kim Il-sung|Kim Il Sung]]. Esigeva l'obbedienza più assoluta, ma in pubblico si mostrava di rado, e la sua era l'unica giacchetta di comunista da ''nomenklatura'' che non grondasse medaglie fino all'ombelico. (pp. 310-311) *{{NDR|Sulla [[rivoluzione ungherese del 1956]]}} Il motivo per cui divampò coinvolgendo tutta la popolazione è semplicissimo: gl'intellettuali e gli studenti che la capeggiavano erano i figli degli operai e dei contadini che la traducevano in sollevazione del popolo. Lo erano non in senso ideale ed astratto, ma in senso anagrafico [...]. E questo fu, per i comunisti, la vera beffa. Essi avevano abolito le classi, e ora questo creava una unanimità di partecipazione, quale credo che nessun'altra rivoluzione abbia mai avuto. E come poteva non essere socialista? [...] L'unica cosa che non si può è che i «quadri» del Pci [...] non avessero visto, né udito, né capito come oggi vorrebbero farci credere per avallare la tesi dell'«errore». [...] L'unico che, in mezzo a tanti contorcimenti e frullati di parole, ha avuto l'onestà di riconoscerlo è stato [[Gian Carlo Pajetta|Pajetta]], sempre lui. «Io non mi pento di nulla», ha detto «schierandoci con gl'insorti e condannando la repressione sovietica, avremmo spaccato il Pci; per questo accettammo e approvammo.» Alla buon'ora. (pp. 354-355) *Se l'unica maggioranza possibile è così risicata, lo si deve anche e soprattutto alla poltiglia di partiti – verdi, rossi e «lighe» varie – che il nostro sistema elettorale favorisce. Se ne sono contati [...] trentotto, più o meno combinati con liste locali in un groviglio di piccoli interessi regionali, corporativi, personali, uniti solo da un incoffessato e forse inconscio anelito sanfedista allo sfascio dello Stato unitario. Se non si pone termine a queste insensate dispersioni, è inutile chiamare gli elettori alle urne. Una maggioranza e un Governo degni di questo nome non li avremo mai. (p. 368) *Certamente [[Michail Gorbačëv|Gorbaciov]] aveva previsto le tremende resistenze della sua ''perestroika'' aveva trovato nella cosiddetta ''nomenklatura'', detentrice del potere con diritto di abusarne, e quindi ben risoluta a difenderlo. Ma forse non immaginava che la minaccia più grossa al suo riformismo decentratore sarebbe venuta dall'esplosione dei nazionalismi, che ora rischiano di travolgerlo. [...] Comunque, due lezioni ci sembra di poter trarre sin d'ora da questa vicenda. La prima è che se settant'anni d'internazionalismo proletario praticato senza esclusione di colpi non sono bastati a debellare i nazionalismi, vuol dire che il sangue, la lingua, la religione, la cultura sono più forti di qualunque ideologia. La seconda è che i totalitarismi sono più facili, o meno difficili, da montare che da smontare. A liberalizzare la Russia e a guarirla dallo Stalinismo poteva forse riuscire un solo uomo: [[Iosif Stalin|Stalin]]. (p. 403) *Quanti miliardi si sperperano oggi in Italia in premi e feste letterarie accompagnate da rinfreschi e pranzi per centinaia di coperti, targhe, medaglie, e gettoni di presenza? Basterebbe un centesimo, un millesimo, di ciò che si spende in queste fiere della vanità per salvare la Crusca raddoppiando il miserabile contributo statale. [...] Forse c'illudiamo. Ma noi ci ostiniamo a credere che in Italia ci siano ancora degl'italiani convinti che una cultura senza una sua lingua non è una cultura [...] e che un Paese senza cultura [...] non è un Paese; ma soltanto un accampamento di apolidi. (p. 419) *Era fatale che, una volta allentatesi le maglie della Dc, l'integralismo di un certo mondo cattolico lo avrebbe portato a confluire sulle posizioni delle leghe. Le ispirazioni sono diverse, ma il nemico è comune: lo Stato unitario e laico. [...] Dileguatosi, o in via di dileguarsi il pericolo comunista, e caduto quello di Berlino, è questo il Muro che ci dividerà nel prossimo futuro. Da che parte [...] stiamo noi, mi sembra superfluo dirlo. Ci stiamo [...] con la piena consapevolezza dei nostri errori passati e presenti e della nostra intrinseca debolezza. Ma anche con la coscienza che se con noi non c'è tutto il meglio, contro di noi c'è sicuramente tutto il peggio. Basta tendere l'orecchio ai discorsi di Rimini e alle acclamazioni che li hanno salutati. I «lumbard» hanno ragione di chiedere il gemellaggio con quella platea: come livello mentale e di cultura, siamo lì. (p. 442) *Uomo di governo, [[Mario Scelba|Scelba]] non fu mai uomo di partito. Lo frequentava poco, non fu mai partecipe di giochi di «correnti», e credo che sotto sotto li disprezzasse. [...] Se fu De Gasperi a guidare [...] la barca, fu Scelba a reggerla e non vedo chi altro, nella pattuglia democristiana, avrebbe avuto gli attributi per farlo. Sul suo feretro ci saranno poche lacrime, pochi fiori, pochi discorsi. Nessuno del cosiddetto ''establishment'' vorrà ricordare che se in casa non ci siamo ritrovati qualche Husak o [[Nicolae Ceaușescu|Ceausescu]], per gran parte lo dobbiamo a lui. Ma qualche italiano non lo ha dimenticato. (pp. 471-472) *Non c'è democrazia, diceva Clemanceau, senza un minimo di corruzione. D'accordo. Ma quando la democrazia degenera in partitocrazia, il minimo diventa il massimo e succede quello che abbiamo sotto gli occhi. E finché noi concederemo ai partiti – contro il dettato costituzionale che li considera semplici associazioni private – d'irretire tutta la vita pubblica e di arruolare, per le loro operazioni di saccheggio, un milione di lanzichenecchi con relative famiglie, di cosa c'indignamo? E cosa ci aspettiamo dal Palazzo romano, proiezione su scala nazionale delle situazioni locali tipo Milano? (p. 489) *Con qualsiasi legge si vada alle nuove elezioni, e specialmente se si va col papocchio escogitato da [[Sergio Mattarella|Mattarella]], esse riprodurranno molto probabilmente [...] la situazione che i risultati dell'altro ieri hanno soltanto anticipato: un'Italia divisa in tre: un Nord in mano alla [[Lega Nord|Lega]], un Centro alla mercé dei comunisti (ex o neo, non importa), un Sud in preda al caos. In questa situazione, cosa farà Bossi? Cioè [...] cercherà di frenare la spinta che fatalmente ne verrà alle tentazioni secessionistiche della Padania dal resto del Paese, o la seconderà? A differenza di Miglio, Bossi di secessione non ha mai parlato. Parla di «federalismo», e forse lo ritiene possibile. Noi crediamo che il federalismo sia soltanto la foglia di fico della secessione, e che nei precordi di molti leghisti covi una gran voglia di fare i cosacchi del Po. (p. 515). *La nuova legge elettorale, se non fosse stata tradita dai suoi soloni col turno unico, avrebbe dovuto condurre al confronto fra due ''rassemblements'', uno di centrosinistra con l'esclusione di Rifondazione, l'altro di centrodestra con l'esclusione del Msi, a garanzia di democraticità di entrambi. Stando le cose come stanno, il confronto non ci sarà perché di ''rassemblements'' ce n'è in campo uno solo: quello del Pds, che così sarà libero d'includervi anche Rifondazione. Per questo esso si batte contro la dilazione. Per questo noi la auspichiamo: nella (pallida) speranza ch'essa ci dia il tempo di uscire dallo stato confusionale in cui versiamo. Non è nostro diritto; è semplicemente nostro interesse spostare le urne al 12 giugno. Ma un interesse del tutto legittimo. Come legittimo è l'interesse del Pds ad anticiparle addirittura a marzo. La difesa del sistema e dei suoi papponi non c'entra. Che si voti a marzo od a giugno, l'uno e gli altri sono già cadaveri, e non c'è miracolo che possa resuscitarli. (p. 528) ==''Le nuove Stanze''== *Ribadisco la mia avversione alla pena di morte. Ma non me la sento d'impartire lezioni a chi tuttora la pratica. Non mi pare che, con la Giustizia che ci troviamo in casa, noi italiani possiamo impartire lezioni agli altri. (p. 46) *Toglietevi la parrucca, cari storici italiani. E invece di continuare a parlarvi tra voi, parlate, andando incontro alle sue curiosità, alla gente comune, quella che ha più bisogno del vostro sapere, e che sa benissimo distinguere il volgare pettegolezzo dall'aneddoto illuminante, di cui gli storici stranieri, soprattutto inglesi, compreso [[Denis Mack Smith|Mack Smith]], sanno fare buono e largo uso. (p. 81) *Io non sono piemontese né savoiardo, e la tradizione della mia famiglia è, caso mai, repubblicana. Ma la verità sono abituato a rispettarla, e non ad accomodarmela secondo i miei gusti e pregiudizi. Nel '46 votai monarchico non perché ero amico di Umberto e di Maria José, che sarebbero stati un Re e una Regina esemplari. Ma perché capivo ch'essi rappresentavano l'unico filo che ci legava all'unica nostra tradizione nazionale: il Risorgimento. La rigiri come vuole [...] ma la verità è questa: che senza Risorgimento non esiste una Storia nazionale italiana, e senza i Savoia non esiste Risorgimento. Ecco perché io dico e ripeto che la Repubblica italiana può tenere i Savoia [...] fuori dal territorio italiano. Ma chi tenta di estrometterli dalla Storia d'Italia, se non è un analfabeta è certamente un falsario. (pp. 112-113) *{{NDR|[[Luigi Cadorna]]}} Fu un generale di grande e inflessibile carattere, ma non un grande stratega. La sua fu dal primo all'ultimo giorno una guerra «di posizione», e quindi di logoramento, muro contro muro. Una «manovra» non la tentò mai, anzi non la concepì nemmeno. Stava [...] al «Regolamento», secondo il quale «le battaglie si vincono sulle cime». Sicché quando arrivò un battaglione tedesco al comando di un giovane capitano di nome Rommel che [...] s'insinuò nottetempo nelle valli, tutto il nostro schieramento ne venne preso alle spalle, e si liquefece, consentendo a Rommel di arrivare fino al Piave, dove si fermò: non per la resistenza dei nostri [...] ma per la mancanza di rifornimenti e di munizioni, che non avevano fatto in tempo a seguirlo. (pp. 118-119). *Quanto alla somiglianza fra noi e gli spagnoli, sì, c'è. Io, in Spagna, mi sento come a casa mia. Una sola cosa ci trovo in più: una dimestichezza con la morte che dà ai valori della Vita (la Dignità, il Coraggio, l'Onore) un peso ben diverso da quello che hanno da noi. E glielo invidio tanto. (p. 157) *Quanto alla sua supposizione che, se non ci fossero stati i russi, gli Alleati non avrebbero potuto sbarcare in Normandia e salvare i loro regimi democratici, mi permetta di sorriderne. Hitler perse la [[Seconda guerra mondiale|guerra]] prima ancora di dichiararla, quando scatenò la persecuzione razziale, che mise il mondo di fronte alla pretesa della sua «razza eletta» al dominio del pianeta e costrinse alla fuga il fior fiore della Scienza ebraica, che diede all'America la bomba atomica, la quale avrebbe reso superfluo anche lo sbarco in Normandia. (pp. 177-178) *In [[Alessandro Pavolini|Pavolini]] [...] è riassunto il dramma di una generazione che nel fascismo era cresciuta [...] e si sentiva impegnata a crederci anche in quell'ultima disperata fase. In lui ritrovo un po' di quel [[Berto Ricci]] [...] che, partendo volontario per la Libia, mi disse: «Una volta, nella vita, ci si può convertire. Io già lo feci rinnegando, per il fascismo, il mio passato di anarchico. Ora col fascismo devo morire». E morì. (p. 192) *Come lei certamente sa, furono i russi a giungere per primi sul famoso bunker di Berlino, fra le cui macerie si diedero subito a cercare il cadavere del Fuhrer, e lo trovarono, ma quasi completamente carbonizzato (egli aveva lasciato ai suoi l'ordine di bruciarlo con una tanica di benzina). D'intatto era rimasto solo il teschio con la sua dentatura costellata di ponti e protesi. Immediatamente fu ricercato e trascinato sul posto l'odontoiatra che glieli aveva sistemati. Dapprima gli fu chiesto in cosa erano consistiti i suoi interventi. Poi vi fu messo davanti, e lui li riconobbe senza esitazioni. Quel giorno il poveretto non tornò a casa. Dopo alcuni anni si seppe che esercitava il suo mestiere in non so quale città di provincia russa, ma sotto stretto controllo della polizia. Dopo qualche altro anno poté tornare in Germania, ma in [[Repubblica Democratica Tedesca|quella comunista]], sotto il controllo di una polizia ancora più efficiente di quella sovietica, e lì morì, non so quando. Perché i sovietici vollero sempre mantenere quel segreto? Perché alla loro propaganda [...] faceva comodo accreditare la favola di un Hitler salvato dagli americani, che lo tenevano sotto naftalina in qualche loro dorato ripostiglio per poterlo un giorno utilizzare in una nuova guerra contro la Russia. (pp. 257-258) *Da anticomunista, oserei dire «storico» quale mi considero, io sono pieno di rispetto sia per i Nagy nostrani quali i D'Alema e i Veltroni, che per i Kádár, quali i Cossutta e i Diliberto. Non so se come classe dirigente siano il meglio. Ma come sincerità di conversione democratica, ci credo (come credo, intendiamoci, a quella di un Fini, anche se viene da un passato molto meno intenso, drammatico e dilacerante di quello comunista). (p. 306) *{{NDR|A [[Mario Tuti]]}} Ho ben presente [...] il suo nome e il suo volto, e le azioni terribili che lei ha compiuto. [...] Da come scrive [...], lei è in grado di capire [...] quello che dico. È vero che «sul nemico vinto non si infierisce»: ma il sangue non si cancella con la gomma delle parole. Solo le vittime possono concedere il perdono; e io non sono stato, fortunatamente, davanti al mirino della sua pistola. Solo la giustizia può concedere sconti: e io non sono un magistrato. Non ho invece difficoltà a condividere una sua osservazione: alcuni disgraziati [...] sono più disgraziati di altri. E [...] i disgraziati di destra se la passano peggio dei disgraziati di sinistra, che hanno di solito qualche amico di gioventù ben piazzato, in grado di dare una mano. Ma il perdonismo peloso di alcuni non può giustificare la distrazione di tutti. (p. 322) *[[Yasser Arafat|Arafat]] non ha mai avuto né uno Stato, né un esercito, né un titolo che lo qualificassero a parlare a nome del suo popolo. Erano il carisma, l'autorità, il prestigio suoi personali che gli permettevano di svolgere questo compito. Ma questo dipendeva dal fatto che il suo popolo glieli riconosce in quanto si sente da lui «rappresentato». [...] Io sono e mi sento profondamente filo-israeliano perché negli ebrei riconosco i miei fratelli e in molte cose anche i miei maestri (anche se non sempre facili). Ma appunto per questo apprezzo ed ammiro gli Hussein, i Sadat e gli Arafat. Ai quali si possono anche rimproverare degli errori nella conduzione della loro politica. Ma non certo le intenzioni e il coraggio. Arafat è brutto [...] e non so come facciano i suoi amici (e i suoi nemici) [...] a ricambiarne i baci. Ma di quelli suoi credo proprio che ci si possa fidare. Che Dio, anzi Allah, ce lo mantenga ancora per molti anni. (pp. 387-389) *Come veterano del ''Corriere'' e un po' depositario della tradizione di una certa civiltà nei rapporti fra i suoi uomini, io rimasi offeso non dal licenziamento di Spadolini [...] ma dall'insolito modo – che io definii appunto «guatemalteco» – in cui era stato trattato e da cui trapelava la mano di un [[Giulia Maria Crespi|editore]] che, anche se portava il nome di quello vecchio [...], intendeva introdurre nuove regole nella gestione del giornale, di cui era praticamente diventata [...] la titolare. E lo dissi, e lo scrissi, e lo ripetei in varie interviste. Forse tuttavia questo strappo si sarebbe potuto rammendare se il cambiamento del direttore non avesse comportato anche un cambiamento di linea politica che saltava agli occhi di chiunque non volesse tenerli chiusi. [...] Quando dal ''Giornale'' uscii per ragioni abbastanza analoghe a quelle che mi avevano spinto fuori da via Solferino, il primo a venirmi incontro fu il direttore del ''Corriere'', Paolo Mieli, che [...] mi offrì il suo posto: un gesto che non dimenticherò mai. Avrei potuto [...] accettarlo solo a titolo onorario. Ma non potevo abbandonare gli uomini che ancora una volta mi avevano seguito. Da quel momento però fu chiaro che il ''Corriere'' era ridiventato quello che noi, vent'anni prima, avremmo voluto che restasse. Ecco perché, al termine delle mie battaglie e delle mie sconfitte (che considero il mio blasone), sono tornato al ''Corriere''. (pp. 406-408) *I politici della Sinistra, compresi i componenti dell'attuale «squadra» governativa sono dieci, venti, cento volte meglio della loro ''intellighenzia''. Anche se dicono fregnacce, le dicono a bassa voce, senza salire in cattedra, di dove l'''intellighenzia'' invece non scende mai, nemmeno per andare in bagno. (pp. 477-478) *Spero che ora avrai capito cos'è la mia dichiarazione di voto: non un sì all'Ulivo, da cui spero poco, ma in compenso non temo niente; ma il no a un Polo che, se riportasse davvero la schiacciante vittoria che si aspetta il suo ''Caudillo'', potrebbe creare nel nostro Paese una situazione davvero inquietante. Un voto di difesa sarà dunque il mio, come lo è sempre stato da oltre cinquant'anni a questa parte. (p. 496) *Sappi soltanto che, passato per una ventina di anni – quelli del ''Giornale'' – per «fascista» e negli ultimi dieci per «comunista», me la rido di entrambe le etichette. (p. 536) ==''Le Stanze''== ===[[Incipit]]=== Di tutta la mia attività giornalistica [...] considero questi colloqui col lettore come l'impegno che mi è riuscito meglio, o meno peggio. Se qualcuno mi chiedesse: «Cosa vorresti che, dopo di te, di te rimanesse?», risponderei senza esitare: «Questi colloqui». Mi rendo conto che un'affermazione del genere può apparire demagogica: in fondo, perché dovrei preferire queste risposte quotidiane [...] alla ''Storia d'Italia'' o agli ''Incontri''? È presto detto: perché, grazie a lettere e risposte, ho potuto restare vicino ai miei lettori, che mi hanno ricordato – con più o meno garbo, ma sempre con affetto – quello che un giornalista non deve mai scordare: che i padroni sono loro. ===Citazioni=== *Io non ho mai conosciuto un conservatore inglese che abbia mosso a Churchill il rimprovero di essersi alleato con Stalin – altro che il naso dovette strizzarsi! – quando le armate di Hitler spazzavano tutta l'Europa. Ma trovo ancora degl'italiani [...] che danno la colpa a me dello stato di necessità in cui ci trovammo nel '48 e nel '76 e che rendeva obbligata la nostra scelta. Oggi che il muro di Berlino ci ha liberato dall'incubo del comunismo [...], è facile fare processi a chi non aveva in mano altra arma elettorale che il voto alla Dc. Ed una cosa mi chiedo: tutti questi intransigenti eroi dell'anticomunismo, che oggi mi scrivono lettere d'insulti accusandomi di averlo tradito, dov'erano al tempo del comunismo vero, quando io ero uno dei pochissimi a combatterlo di fronte [...], e loro, incontrandomi per strada, fingevano di non conoscermi? (p. 12) *Hiroshima, se fossi americano, non porrebbe [...] nessun caso di coscienza. L'arma atomica era in fase di studio e di preparazione sia in Germania che in America, e si poteva supporre che lo fosse anche in Russia e in Giappone. Avrebbe vinto la guerra e deciso le sorti del mondo chi ci fosse arrivato per primo. Hiroshima fece della popolazione civile, dicono, duecentocinquantamila vittime. Quante ne risparmiò inducendo alla resa i giapponesi che sembravano vicini all'olocausto? E quanto servì a smorzare la pretesa sovietica d'imporre il suo «diktat» a tutta l'Europa? [...] Essa a tal punto sorprese Stalin che dapprincipio non ci volle credere [...]. Nessuno può applaudire un massacro come quello di Hiroshima né andarne fiero. E posso capire come coloro che vi hanno partecipato dandone l'ordine o eseguendolo possano aver avuto dei problemi di coscienza. Ma gli aviatori inglesi che rasero al suolo l'inerme Dresda abitata solo da civili, facendo tra di loro pressappoco lo stesso numero di vittime che a Hiroshima, questi problemi, da quanto se ne sa, non li ebbero. Forse che la guerra all'atomo è più crudele di quella al fosforo? (p. 62) *De Gasperi non fu mai uomo di partito. E fu proprio per questo che riuscirono ad emarginarlo con tanta facilità, relegandolo in una Presidenza grondante omaggi ed ex voto, ma priva di qualunque potere reale. È vero che lui non lottò, anche perché era ormai a corto di fiato. Glielo toglieva non solo l'azotemia, ma anche il fallimento della Ced, la Comunità Europea di Difesa su cui De Gasperi fondava [...] i suoi sogni di salvezza e di grandezza europea, che i francesi di Mendès-France condannarono al naufragio. [...] De Gasperi era uomo di Stato, l'ultimo che l'Italia ha avuto dopo Giolitti. Ecco perché [...] non ha né può avere eredi. (p. 86) *{{NDR|[[Che Guevara]]}} Era uomo di Rivoluzione, che mai si sarebbe rassegnato ad una comoda esistenza di ben pasciuto gerarca. Doveva tornare alla Rivoluzione, pur consapevole della sua impossibilità in Paesi che lui ben conosceva, ma appunto proprio per questo: per cercare una morte coerente con la sua vita. [...] Avessi trenta o quarant'anni di meno, anch'io forse avrei nel mio modesto appartamento una stanza attrezzata a mausoleo del Che, e lo conserverei come souvenir di un Sogno sbagliato, ma pulito, e comunque pagato. È a coloro che non vogliono mai pagare nulla che va tutto il mio disprezzo. (p. 121) *Non mi stupirei [...] se il ragazzotto Clinton, nei suoi anni da governatore, avesse ingannato la noia dell'Arkansas inseguendo le minigonne di passaggio. [...] Il paragone con Berlusconi mi sembra un po' stiracchiato. Se Clinton venisse trovato colpevole, sapremmo che è un adultero (affari suoi); se Berlusconi venisse condannato, sapremmo che è un corruttore non occasionale (affari anche nostri, dal momento che s'atteggia a statista). (p. 154) *Mi permetto solo di aggiungervi qualcosa sull'imbecillità, l'ipocrisia e i vaniloqui delle nostre «anime belle» pronte a cadere in deliquio e a mobilitare le piazze per un O'Dell che, anche se qualche tenue dubbio sulla sua colpevolezza poteva sussistere, uno stinco di santo certamente non era, e per una Karla Tucker, rea confessa, anche se poi arcipentita e sinceramente convertita al credo della carità cristiana (e, sia chiaro, anch'io avrei per entrambi preferito la revoca della pena di morte); ma sono rimaste impassibili o quasi di fronte alla proposta condanna di lapidazione (di lapidazione!) di un cittadino tedesco e della sua compagna iraniana, rei di aver fatto l'amore (soltanto l'amore). Queste sono le nostre «anime belle» laiche ed ecclesiastiche, pronte a commuoversi e a sproloquiare contro la sedia elettrica americana [...], ma indifferenti alla lapidazione [...] per una «contaminazione» di lenzuola cristiane e musulmane. Io [...] queste anime belle – che oltre tutto hanno quasi sempre delle facce bruttissime e jettatorie – le odio di un odio viscerale. (p. 206) *Sul nemico vinto e che si riconosce vinto non s'infierisce. In fondo questi brigatisti hanno avuto, nella sconfitta, una loro dignità. Non sono dei «pentiti» al modo dei mafiosi e camorristi che si pentono per procurarsi dei vantaggi e denunziano i propri ex compari. Non sono dei delatori. Sono, a loro modo, dei prigionieri di guerra, di una guerra grazie a Dio finita con la nostra vittoria, e che quindi, sia pure con le debite precauzioni, possiamo rimandare a casa. Non è vero che non hanno pagato: me ne citi uno che non abbia scontato quindici o vent'anni di galera e che non ne abbia distrutta la vita. Qualche sconto possiamo farglielo: la generosità è segno di forza, non di debolezza. (pp. 283-284) *In una società «aperta» come la nostra, che rende impossibile qualsiasi controllo e in cui il sequestro è un'industria di antica tradizione che dispone di un personale altamente specializzato; e con una Giustizia che invece di affibbiare un ergastolo senza indulgenza ai colpevoli, si accontenta di infliggergli qualche anno alleviato dai permessi di libera uscita; cosa possono fare le forze dell'ordine? Starebbe a noi cittadini trovare quella di resistere al ricatto. Da noi italiani tenerelli non si può pretendere tanto? E sia. Ma allora abroghiamo la legge. Perché, come italiano, nulla mi ha mortificato di più che sentire [...] [[Giovanni Maria Flick|un ministro della Giustizia]] e alcuni dei più alti dignitari della toga proporne un'interpretazione che costituiva un chiaro invito a evaderla suggerendo il cavillo a cui ci si poteva aggrappare per legalizzare la contravvenzione. [...] No, a questo non ci sto. Cerchiamo almeno di avere il coraggio della nostra vigliaccheria riconoscendo che, dati i pericoli che possono comportare, i risoluti «No!» al sopruso non appartengono al nostro armamentario caratteriale, e aboliamo la legge. Ma non perché è sbagliata: in sé quella legge è sacrosanta. Ma perché noi cittadini non abbiamo la forza di adeguarcisi e coloro che dovrebbero imporcerne l'osservanza [...] ci suggeriscono il modo di evaderla. Questo è il cosiddetto «Paese reale». (p. 286) *Che un processo possa essere oggetto di revisione è, per il cittadino, una garanzia irrinunciabile, specie quando si tratta di processi indiziari, e quindi rimessi a valutazioni soggettive e pertanto sempre discutibili. Nessuno è infallibile, nemmeno i giudici, e quindi il diritto di appello è sacrosanto. Quello che sacrosanto non è, sono gl'interminabili tempi che questa operazione solitamente richiede, dovuti a due motivi chiaramente visibili: i grovigli procedurali in cui il processo è avvolto, delizia del genio cavillesco italiano, e l'inefficienza del personale che vi è addetto. (p. 327) *Che cosa io pensi dell'onorevole [[Cesare Previti|Previti]] mi pare di averlo detto in termini talmente espliciti da apparire – a più d'uno – brutali: un personaggio che solo a guardarlo in faccia verrebbe voglia di applicargli le manette ai polsi prima ancora di sapere chi è e cosa ha fatto. (p. 356) *Non credo che, all'apertura totale delle frontiere, avremo un Parma composto soltanto di irlandesi, o una Cremonese modello ellenico. Avremo invece un vero mercato, dove il costo e lo stipendio di un professionista verranno stabiliti in base alla domanda e all'offerta. È questo ridimensionamento, mi sa, che non piace ai calciatori nostrani. Non la «sottoutilizzazione delle risorse sportive nazionali e locali». Non penso che i nostri calciatori abbiano altri motivi di preoccuparsi. Perché mai dovrebbero venire accantonati? Sono tra i più bravi del mondo, e la bravura, per un professionista (che calci una palla o calchi una scena), è la garanzia migliore. (p. 379) *Le mie dimissioni da italiano sono soltanto quelle da una grande illusione: quella che l'Italia fosse una Patria da potere in qualche modo servire. Io, pur commettendo parecchi errori, ho cercato di farlo. Ma forse, di questi errori, il più grosso è stato quello di credere che fare si potesse. A consolarmene c'è una cosa sola: che questo errore lo hanno commesso tutti i migliori uomini che l'Italia ha avuto nel suo secolo e mezzo di vita unitaria. (pp. 410-411) ==''Pantheon minore''== ===[[Incipit]]=== '''Einaudi'''<br>Avendo saputo che sollecitavo l'onore e il piacere di incontrarlo, il Presidente, che non mi aveva mai visto, trovò del tutto naturale invitarmi a colazione. «Quando vuol venire?» mi fece chiedere, «giovedì mattina, per esempio?» Giovedì voglio stappare una nuova bottiglia del mio 'barolo' e ci sarà anche la signorina Barbara Ward dell{{'}}''Economist''. Vino piemontese, giornalismo ed economia politica, pensa: sarebbe difficile sorprendere [[Luigi Einaudi|Einaudi]] in una cornice più einaudiana di questa. ===Citazioni=== *{{NDR|Luigi Einaudi}} E in quei pochi minuti aveva ancora tante cose da dire a due giornalisti per ricordare loro, [[Alessandro Manzoni|manzonianamente]], che l'[[uomo]] è «buono», come dice [[Jean-Jacques Rousseau|Rousseau]], ma tale può diventare solo in grazia delle buone istituzioni (in ciò consiste la sua posizione conservatrice e cattolicamente pessimistica). *[[Ingrid Bergman]] è forse la sola persona al mondo che non consideri Ingrid Bergman un'attrice completamente riuscita e definitivamente arrivata. (p. 195) *Non ho mai visto in vita mia, nemmeno nei film di cui la Bergman è protagonista, una donna così trasparentemente pulita. (p. 195) *Ogni buon [[padre]] di [[famiglia]] deve, al principio della giornata, sapere quanto la famiglia ha in cassa e quanto può spendere.<br>Einaudi conosce a memoria le cifre dell'economia italiana, come i re che lo precedettero conoscevano a memoria i nomi e i motti dei reggimenti. *«''Venez, mademoiselle, venez''», disse [[Anatole France]] a [[Emma Gramatica]] che, poco più che ventenne, si trovò un giorno a viaggiare con lui in automobile a Palermo, e aveva paura di essere troppo ingombrante sul sedile. «''Vous êtes comme les anges, qui n'ont pas de derrière!''»<br>Qualcosa come mezzo secolo dev'esser trascorso da allora, ed Emma somiglia un po' meno a un angelo, ma grassa non la si può dire nemmeno adesso. La vita che mena, d'altronde, non lo consentirebbe di diventarlo. Alla sua età, ha girato per tre anni consecutivi, tutti i teatri dell'America del Sud, volando da Buenos Aires a Santiago, da Santiago a Lima, da Lima a Caracas, e recitando una sera in italiano e la sera dopo in spagnolo, lingua che, sino al momento di partire, ignorava totalmente. Ora è tornata per girare un film con [[Vittorio De Sica|De Sica]], e sono fatiche a cui molti giovani non resistono. *Il [[fascismo]] trovò, tra i suoi oppositori più accaniti, [[Mario Missiroli]], che si batté a duello con [[Benito Mussolini|Mussolini]]. Egli non credette alla [[forza]] e al successo delle «camicie nere» fino al [[giorno]] in cui, mentre cercava faticosamente di salire sul tram, uno squadrista che lo incalzava, dopo avergli inflitto una serie di spintoni, non gli ebbe affibbiato, in risposta alle sue proteste, due sonori schiaffi che gli fecero volar via gli occhiali cerchiati d'[[oro]]. Mario li raccolse con [[dignità]], vi fiatò sopra, li ripulì col fazzoletto e concluse in tono ammirativo: «Però!... Picchiano bene, veh!...» ==''Qui non riposano''== *{{NDR|Sulla [[guerra d'Etiopia]]}} Quella fu una guerra ideale, la guerra-tipo della borghesia italiana: con pochi morti e molte medaglie. Io presi a capirne la miseria solo all'ultimo capitolo: quando, per la marcia su Addis Abeba, cominciarono a piovere dall'Italia e da Asmara gerarchi e aspiranti gerarchi, smaniosi di gloria a buon mercato: e Badoglio dovette emanare un ordine per cui solo chi presentava "un biglietto di autorizzazione" poteva marciare sulla capitale nemica. Solo in tempo fascista si poteva escogitare un finale di guerra con un biglietto per la capitale nemica. (pp. 107-108) *Io non volevo far politica. Ha il diritto un uomo della strada di non far politica? Ha il diritto un uomo della strada a dire che il governo ha fatto bene a far questo e male a far quest'altro? Ha diritto un giornalista, che è un uomo della strada, il quale va a vedere e riferire le cose per conto degli altri uomini della strada, ha il diritto di riferire che i fatti si svolsero così e così, e che in essi c'era tanto il bello e tanto il brutto, tanto di giusto e tanto d'ingiusto? No, il [[fascismo]] disse che un uomo della strada non ha tutti questi diritti. Ecco perché diventai antifascista. Non perché al posto di [[Benito Mussolini|Mussolini]] ci volevo un altro, ma perché non ci volevo nessuno. Io volevo stare alla finestra, come stanno i giornalisti, mestiere di spettatore e non di attore.<ref>Citato in Paolo Granzotto, ''Indro Montanelli'', p. 92.</ref> (p. 189) *[...] volevo avere il diritto di non pensare alla [[politica]], di disinteressarmi della politica, perché la politica la gente dabbene non la fa. La gente dabbene lavora in ufficio, viaggia, commercia, produce, ama una donna che può anche essere sua moglie (come è il mio caso), ama i suoi figli, ama la sua casa, paga le tasse, e di politica ne parla un quarto d'ora al giorno. (p. 190) ==''Reportage su Israele''== *Il fenomeno più interessante è forse quello ch'è stato meno sottolineato dagli osservatori stranieri: le minoranze arabe disseminate nel [[Israele|Paese]] hanno abbandonato i loro notabili che facevano lista per conto proprio, e hanno votato per i partiti nazionali infischiandosi ch'essi siano completamente in mani ebraiche. Sarebbe come se gli altoatesini, invece che per la ''Volkspartei'', votassero per i partiti italiani. Il partito comunista, verso cui li spingeva Radio-Cairo, è sbaragliato. Evidentemente la politica d'integrazione applicata nei loro confronti ha avuto il più completo successo, malgrado la guerra fredda, e tavolta calda, in cui si ostinano le nazioni arabe contro Israele (o forse proprio per essa). (p. 6) *Probabilmente i pionieri di Degania non si resero conto dell'importanza di ciò che facevano o forse non osarono nemmeno sperare che quel loro esperimento ne avesse tanta. Erano imbevuti di quel socialismo umanitario d'ispirazione tolstoiana che allora permeava gli ambienti intellettuali russi dai quali provenivano. Ma un'idea la ebbero chiara di certo: e cioè che l'unico modo di radicarsi in quella che la Bibbia e la Tradizione indicavano come loro Patria era di mettersi a lavorare la terra. (pp. 14-15) *L'esercito naturalmente serve ad Israele per difendere le sue ardue frontiere, e ha dimostrato di saperlo fare in maniera superlativa; ma i suoi sforzi quotidiani li concentra sulla formazione, più che del soldato, del cittadino. Esso prende i giovani di ambo i sessi e di qualunque condizione a diciotto anni, e per due anni e mezzo gli uomini, due le donne, li rimescola, li tritura e li macina. Insegna non soltanto il maneggio delle armi, ma anche la lingua a chi non la sa e il mestiere a chi non lo ha. La mattina, dall'alba a mezzogiorno, è tutta dedicata all'addestramento fisico delle reclute. Ma il pomeriggio è diviso fra il lavoro e la scuola. La caserma è di tipo ''kibbutz'', dove ci si prepara a quel solidarismo della vita collettiva che è l'ideale di questo popolo. Ed è qui che si forma l'israeliano non più ''azkenazi'', non più ''sefardita'', ma nazionale. (pp. 28-29) *[[Theodor Herzl|Herzl]] non era che un giornalista, redattore della ''Neue Freie Presse'' di Vienna. A proprie spese, viaggiando in terza classe, si mise alla ricerca in tutto il mondo dei correligionari danarosi, la maggiorparte gli rise in faccia. Il "Fondo nazionale ebraico per la terra" di quattrini ne raccolse pochi. Ma Herzl non si diede per vinto. Cominciò a visitare anche i potenti, dal Kaiser al Sultano fino a Vittorio Emanuele e al Papa per interessarli al progetto. E, sebbene questo non avanzasse, nel 1898 scrisse nel suo diario: «La mia sembra una chimera. Ma fra cinquant'anni lo Stato ebraico sarà una realtà». Si può essere scettici quanto si vuole, sulle profezie. Ma bisogna constatare che dal 1898 al 1948 [...] corrono esattamente cinquant'anni. Gli unici miliardari ebrei che presero sul serio Herzl furono i Rothschild. Essi non diedero capitali al ''Fondo'' forse perché avevano qualche dubbio sulla sua efficienza [...], ma per conto loro comprarono tutto ciò che in Palestina, allora provincia ottomana, c'era di comprabile, eppoi lo regalarono agli ebrei che ci andavano, per sé serbando soltanto il pezzo di terra necessario a ospitare le proprie tombe. (pp. 33-34) *Il partito di Ben Gurion, il ''Mapai'', ha riportato, contro quasi tutti i pronostici, una smagliante vittoria. E ora lui, ''Bigì'', deve formare il ministero, operazione che si presenta piuttosto complicata anche qui in Isarele. [...] Non dico che detesti la politica; anzi, ne è intriso. Ma non ama, della politica, questo aspetto minore – che purtroppo è quello quotidiano – delle estenuanti contrattazioni, del piccolo cabotaggio, delle furberie, dei compromessi, o per lo meno così dice. E ogni tanto pianta baracca e burattini, e se ne va. Dove? In mezzo al deserto del Negev, si capisce. La sua Riviera è lì, in un ''kibbutz'' poco distante da Beersheba, circondato dalle dune di sabbia e dai cammelli dei beduini. Ci resta tre giorni, una settimana, due, senza che nessuno osi disturbarlo. (pp. 40-41) *Gerusalemme è la città che fa maggiormente le spese di questa situazione manicomiale, quella nuova in mani israeliane è divisa da quella vecchia in mani arabe non da una frontiera ma da un muro, reso impenetrabile dall'intolleranza. In teoria, essa dovrebb'essere internazionalizzata, e per questo le potenze occidentali si rifiutano di riconoscerla come capitale di Israele e vietano ai loro ambasciatori di risiedervi. Ma siccome Israele vi sta ugualmente accentrando i suoi ministeri, questi poveri ambasciatori sono costretti quasi quotidianamente a farvi il su e giù da Tel Aviv dove sono obbligati a risiedere e che ne dista comunque oltre settanta chilometri. [...] Così a Gerusalemme non ci sono, come rappresentanti stranieri, che dei consoli, accreditati imparzialmente presso le due autorità locali, il prefetto israeliano nella città nuova e il governatore arabo in quella vecchia. Sono gli unici che possono attraversare la porta di Mandelbaum. (pp. 49-50) *Israele è estremamente utile agli arabi, o per meglio dire ai capi arabi, da un lato per sostenere di fronte al mondo la grossa menzogna dell'unità araba, e dall'altro per combattere fra loro la battaglia dell'egemonia. […] Se questo odio ci sia veramente, non lo so. So soltanto ch'è l'unico filo che tiene cucita la "fraternità" araba: questa curiosa fraternità punteggiata di congiure, di attentati, di assassinii caineschi, tra "fratelli" di cui ognuno accusa l'altro di non esserlo abbastanza. (pp. 51-52) *Se l'esistenza d'Israele serve agli arabi per puntellare alla meglio la loro convenzionale unità, la minaccia araba ha servito agl'israeliani per fare ciò che senza di essa avrebbero ugualmente, fatto, ma in cinquant'anni invece che in dieci. Il blocco e il boicottaggio arabo hanno paradossalmente funzionato, per Israele, da piano quinquennale senza bisogno delle imposizioni poliziesche di un regime comunista. [...] Psicologicamente, la tensione senza intermittenze con gli arabi ha sortito e seguita a sortire sulla società israeliana gli stessi effetti che la "frontiera", cioè la conquista dell'Ovest, ha prodotto alla società americana, obbligandola a restare per decenni e decenni tuffata in un'atmosfera pioneristica. [...] Morale: ognuno ha il nemico che si merita. (pp. 55-56) *Gl'israeliani hanno piantato in poco più di dieci anni trenta o quaranta milioni di alberi. E bisogna vedere con che orgoglio te li mostrano, con che incantamento se li guardano, con che passione li annacquano, li potano e li pettinano. Le case non sono granché: le costruiscono in fretta, senza varietà, e piuttosto "alla carlona". Ma non ce n'è una, nemmeno nelle città, che non abbia un giardino e nel giardino, insieme ai fiori, i suoi alberi. (p. 59) *Il teatro ''yiddish'', che pure era un grande teatro, v'incontra poca fortuna. Esso era nato in Germania e in Polonia, come uno specchio deformante di quelle società che relegavano gli ebrei nel ghetto e che essi ripagavano con la caricatura. Ora che dal ghetto sono usciti, essi stessi non comprendono più il significato di quei ghigni e di quelle smorfie. Il pubblico che ci va è tutto dai quaranta in su. (p. 62) *Lo Stato mostra parecchia tenerezza [...] per quelle due o trecento famiglie di ortodossi acquartierati in Gerusalemme, che lo negano e si rifiutano perfino di votare perché nella Bibbia sta scritto che uno Stato ebraico sarebbe rinato solo dopo l'apparizione del Messia in Terra [...]. Questi protestanti assolvono anch'essi una funzione. Servono a dimostrare che in Israele alla Bibbia ci si crede. [...] Ben Gurion è un laico puro. E tutta laica è la nuova generazione. Non è vero che Israele sia uno Stato confessionale. Lo è meno dell'Italia. (p. 66) *Non so a che punto siamo con la letteratura e la poesia, qui in Israele. [...] Ora che hanno una lingua propria a disposizione, i giovani scrittori d'Israele la usano [...] su tutt'un altro registro. Intanto, hanno scoperto anch'essi la natura. [...] Essi erano amari e disperati quando scrivevano in tedesco o in russo. Ora che scrivono in ebraico, le loro parole sono piene di sole e di sangue: cioè di gioia di vivere, anche quando descrivono la morte. (pp. 67-68) *[[Golda Meir]] è la "madre del Paese", anzi la mamma. E con le mamme, si sa, complimenti non se ne fanno. Per questo la chiamano soltanto Golda, la salutano alla voce, invece di baciarle la mano, quando passa per strada, e insomma le danno del tu. Essa è la meno ossequiata, ma la più amata e popolare, di tutte le donne d'Israele. [...] Essa rappresenta la vecchia guardia, la fedeltà all'uomo, al suo socialismo democratico, al collettivismo del ''kibbutz'' nel quale è anche lei maturata. (pp. 70-74) *I Paesi asiatici non hanno visto di buon occhio la nazionalizzazione del Canale di Suez, anche se per pregiudiziali anticolonialistiche hanno dovuto appoggiare [[Gamal Abd el-Nasser|Nasser]] e fingere di applaudirla. [...] Tempo fa il dittatore egiziano, per ritorsione contro Ceylon che gli aveva votato contro all'O.N.U., le ha bloccato tutta l'esportazione del tè, conducendo quel Paese sull'orlo del fallimento. Domani potrebbe fare altrettanto contro la Birmania. Il Canale non rende all'Egitto che dieci milioni di dollari l'anno. Ma gli consente di ricattare tutti i Paesi asiatici, che per quella via devono ancora passare. (p. 80) *{{NDR|Nel 1956}} [[Moshe Dayan|Dayan]] aveva in quel momento quarant'anni. Egli diresse le operazioni da un piccolo aereo di ricognizione che guidò da solo tenendolo librato qualche centinaio di metri sulla zona di combattimento. [...] Quando, in fase di armistizio, si trattò di scambiare i prigionieri, gl'israeliani ne restituirono seimila, gli egiziani uno: un pilota che aveva dovuto atterrare dentro le loro linee. Dopodiché il generale dal volto di ragazzo, invece di sfilare in parata per le vie di Gerusalemme alla testa delle truppe vittoriose, svestì la divisa, diede le dimissioni dall'esercito, e si mise a fare l'archeologo, fino al giorno in cui Ben Gurion gli propose di portarsi candidato nelle liste del suo partito. (p. 88) *Per Israele, l'unico lato negativo della campagna del Sinai del '56 ha rischiato di essere proprio questo: il pericolo di un "complesso di superiorità" che poteva indurre alla smobilitazione non tanto delle armi, quanto degli animi. Il lettore italiano non saprà con quanta cura [...] Governo, Parlamento e stampa si sono adoperati per "minimizzare" quella folgorante vittoria, che qualunque altro popolo avrebbe annaffiato di chissà quali fiumi di retorica. (p. 101) *In Israele sono stati investiti [...] oltre sei miliardi di dollari. Ma oggi rendono, eccome. Questo non è uno dei tanti pozzi di San Patrizio arabi, dove prestiti e finanziamenti finiscono in ville satrapesche o vengono ritrasferiti pari pari nelle banche svizzere. Israele è una grande impresa industriale, dove ogni dollaro dell'azionista si è tradotto in un albero o in un telaio. Oggi Israele è effettivamente alla vigilia di una crisi: ma si tratta di una crisi di sovraproduzione. [...] Le materie prime d'Israele sono l'ingegno, la disciplina, la fede in se stessi. Ma ce n'è in tale abbondanza che sui risultati finali non possono sussistere dubbi. (pp. 102-103) *Dicono che quello israeliano è un regime di socialismo addomesticato. Sarà. Ma è l'unico socialismo volontario che io abbia visto in atto, l'unico che abbia raggiunto forme anche estreme di vita collettivizzata per spontanea scelta di chi deve subirne i non piccoli inconvenienti. Eppure, in pochi Paesi si respira a pieni polmoni la libertà come in Israele. Non vi conosco un ricco. Non vi conosco un povero. Ma soprattutto non vi conosco un servo. (p. 104) *[[Chaim Weizmann|Weizmann]] voleva fare di questo Paese un gabinetto scientifico, il focolare dell'intelligenza umana applicata alla tecnica, un'appendice del suo Istituto, meraviglia del mondo. Ma anche questo è parso troppo poco. Secondo altri, Israele deve trasformarsi nel laboratorio della coscienza ebraica per la ricerca di un nuovo Verbo in cui il mondo trovi pace, libertà e giustizia. Se mi avessero detto queste cose prima di andare in Israele, credo che anch'io ne avrei sorriso, come forse sorrideranno alcuni lettori. Ma sul posto ci si accorge quanto profondamente sentite esse siano. (p. 108) *Per liberare il mondo dagli ebrei e gli ebrei da se stessi [[Theodor Herzl|egli]] aveva pochi anni prima lanciato l'idea di adunare a Roma tutti i rabbini e farli convertire dal Papa. L'affare Dreyfus gli dimostrò che nemmeno questo sarebbe bastato. E allora egli si diede a predicare lo Stato ebraico: ma sempre per liberare il mondo dagli ebrei e gli ebrei da se stessi. Herzl era una delle più affascinanti personalità che l'ebraismo abbia mai prodotto […]. Le sue ''illuminazioni'' si sono dimostrate alla prova dei fatti più valide della logica e della ragione. Mi piace concludere questo rapporto sulle cose d'Israele rendendo omaggio a questo singolare profeta, che nelle sue sconnesse visioni, in mezzo a fallimenti di ogni genere, non solo previde la nascita dello Stato ebraico, ma gli assegnò con cinquant'anni di anticipo la data esatta (il 1948) e la ''missione'' che gli spettava: quella di ''sconfiggere'' gli ebrei liberandoli da se stessi, cioè da quel fardello di miserie e di dolori che per due millenni ne hanno fatto il più tragico popolo del mondo. (pp. 109-110) ==''Ricordi sott'odio''== *''Non piangete | per | [[Cesare Zavattini]] | ha già pianto | lui per tutti noi.''<ref name=ricordi>Il libro raccoglie gli "epitaffi" scritti su personaggi al momento viventi (talvolta insieme a [[Leo Longanesi]]) e quasi tutti inediti.</ref> (p. IV dell'Introduzione di Marcello Staglieno) *''Qui | per la prima volta | [[Alida Valli]] | giace | sola''.<ref name=ricordi/> (p. 11) *''Qui | riposa | [[Amintore Fanfani]] | amico | dei nemici | nemico | degli amici | figlio | di [[Alcide De Gasperi|De Gasperi]] | padre | di nessuno.''<ref name=ricordi/> (p. 31) *''Qui | riposa | [[Mario Melloni]] | inquieto | transfugo | di sé stesso | momentaneamente | scomparso | a sinistra | in cerca | di una croce | su cui | inchiodarsi.''<ref name=ricordi/> (p. 65) *''Qui giace | Alba {{ndr|[[Alba de Céspedes]]}} | scrittrice scialba. | Divorò uomini e gloria | La Boria | la divorò''.<ref name=ricordi/> (p. 95) *''Qui | riposa | [[Mario Soldati]] | padre | figlio | autore | regista | interprete | di | Mario Soldati.''<ref name=ricordi/> (p. 123) *''Qui giace | [[Davide Lajolo]] | Segretario federale | Legionario di Spagna | Repubblichino di Salò | chiese | di passare all'anilina | la sua camicia nera. | E com'era | Rimase.''<ref name=ricordi/> (p. 179) *''In pace | qui giace | orbato | d'orbace | [[Achille Starace]].''<ref name=ricordi/> (p. 181) ==''Soltanto un giornalista''== *Da quando ho cominciato a pensare, ho pensato che sarei stato un giornalista. Non è stata una scelta. Non ho deciso nulla. Il giornalismo ha deciso per me. E questa è stata una delle mie tante fortune, posto che tutto quel che ho fatto lo debbo soprattutto a un alleato ch'è sempre rimasto al mio fianco: il caso. (p. 5) *Per sua disgrazia, [[Massimo Bontempelli|Bontempelli]] fu nominato accademico d'Italia da un fascismo che puzzava già di morto. Eletto senatore nelle liste del Fronte popolare dopo la guerra, non esitò a pronunziare giudizi brucianti su chi aveva collaborato col regime. Quel voltafaccia gli costò caro, perché a un certo punto saltarono fuori le lettere che aveva scritto a Mussolini per impetrare la sua nomina: i comunisti lo scaricarono e lui cadde in un tale stato di prostrazione da morirne. (p. 26) *A Salò ci fu di tutto. Ci furono le squadracce assetate di vendetta e di saccheggio che provocarono il disgusto agli stessi tedeschi. Ma anche uomini per i quali quello fu il banco di prova d'una coerenza e d'una lealtà che non possono non incuter rispetto. E l'unica ragione per la quale benedico le mie cosiddette benemerenze antifasciste è che mi han dato il diritto di difenderle. (p. 119) *Il 2 giugno del '46, giorno del referendum istituzionale, votai per la monarchia. Lo feci perché ritenevo fosse pericoloso recidere il tenue filo che legava l'Italia all'unica sua tradizione nazionale: quella monarchica, appunto. L'Italia non s'era "fatta da sé", come pretendeva la nostra storiografia ufficiale. Era stata fatta dalla monarchia sabauda guidata dal genio diplomatico d'un suo diplomatico, Cavour, che voleva estendere il Regno di Sardegna al Lombardo-Veneto. Se poi ci scappò fuori l'Italia, non fu grazie al contributo degl'italiani, che non ne diedero punto. Fu perché la storia dell'Europa andava verso la costituzione degli Stati nazionali, e condannava a morte quelli plurinazionali come l'Impero austriaco. [...] Al posto di quel patrimonio, sia pure modesto, cosa prometteva la Repubblica? Si presentava come depositaria dei valori della Resistenza, un mito ancora più falso di quello del Risorgimento. Che non era stata affatto, come pretendeva d'essere, la lotta d'un popolo in armi contro l'invasore, bensì una lotta fratricida tra i residuati fascisti della Repubblica di Salò e le forze partigiane, di cui l'80 per cento si batteva (quasi mai contro i tedeschi) sotto le bandiere d'un partito a sua volta al servizio d'una potenza straniera. (pp. 125-126) *Un'altra scelta s'era imposta, quella delle elezioni del '48. Per l'Italia era una scelta vitale: o con l'Est o con l'Ovest, ossia con i totalitarismi rossi oppure con le democrazie occidentali. Ergo, o con il Fronte popolare oppure con la Dc. E lì ebbe inizio il mio dramma, ch'è poi quello eterno del laico italiano: il quale, messo davanti al boia, vede comparire al suo fianco il prete che solo può salvarlo. (pp. 135-136) *Mi proposi due obiettivi, entrambi falliti: il primo era farmi intentare un processo dagli amministratori della città che attirasse l'attenzione sui pericoli che [[Venezia]] stava correndo. Il secondo era rendere pubblica la convinzione che m'ero formato: che per salvare Venezia la prima cosa da fare era sottrarla allo Stato italiano e affidarlo a un organismo internazionale come l'Onu, con le sue cospicue possibilità finanziarie e i suoi agguerriti uffici tecnici. [...] Il Comune di Venezia non aveva più nulla di veneziano, salvo la sede. A dominarlo erano gli elettori di Mestre e Marghera, che con quelli di Venezia si trovavano nella proporzione di tre a uno, e dalla loro avevano tutto: i soldi delle industrie, i sindacati e quindi anche i partiti. Decidendo di restare amministrativamente unita, Venezia ha preferito mettersi al rimorchio delle ciminiere e petroliere di Marghera, alle quali ha sacrificato il suo delicatissimo sistema idraulico. Fu allora che, con grande amarezza, feci atto di rinunzia a Venezia, convinto come ero, e come son rimasto, che una città si può salvare solo se sono i suoi abitanti a volerlo. (pp. 216-217) *Una sera, uscendo solo soletto dal «Giornale», mi trovai davanti il solito muro di folla tumultuante con le bandiere rosse spiegate. Dalla piazza si levò un urlo: «Tel chi el Muntanel!». In un attimo cinquanta scalmanati mi s'avventarono contro. Temendo il linciaggio, arretrai fino a trovarmi con le spalle al muro. Ma non feci in tempo a dire be' che mi ritrovai issato in spalla a una mezza dozzina d'energumeni, fra salve d'evviva. Erano i tifosi del [[Torino Football Club|Torino]] che quel giorno {{NDR|16 maggio 1976}} aveva vinto lo scudetto, e le bandiere non eran rosse, ma granata. E siccome i cronisti sportivi del «Giornale» erano sempre stati favorevoli al Torino, m'acclamavano come un loro idolo. (p. 241) *La Dc era il partito dei maneggi e dell'inefficienze. Ma se avesse perso il 4 o il 5 per cento dei suoi voti, il partito di maggioranza relativa destinato a formare il nuovo governo sarebbe diventato quello comunista. Ch'era ancora molto pericoloso. Perché è vero che in Italia c'era Berlinguer, ma io sapevo bene che col comunismo d'allora poteva ancora succedere di tutto: bastava un cambiamento al vertice e un Berlinguer poteva diventare un [[Alexander Dubček|Dubček]] come un [[Walter Ulbricht|Ulbricht]]. Il «Giornale» era certamente laico, ma prima di essere laico era italiano, e cercava d'operare con qualche senso di responsabilità. E negli anni Settanta solo gl'irresponsabili potevano augurarsi il crollo della Dc, cui eravamo condannati anche perché la cosiddetta Alleanza laica, l'accordo fra Pli, Pri e Psdi, non sortì mai i numeri per sostituirvisi. (pp. 243-244) *Ci fu un'unica battaglia sulla quale il «Giornale» si trovò allineato con Craxi e il nostro editore: quello per la libertà d'antenna. Battaglia sacrosanta. Berlusconi è tutt'altro che un idealista disinteressato e nessuno sa agire come lui aggirando, quando non calpestando, le regole. Ma i panni nobili coi quali i difensori della Rai rivestivano la loro offensiva politico-giudiziaria erano grotteschi. Se il peccato di Berlusconi stava nell'essere troppo amico del Psi, quello della Rai era d'essere troppo amica di tutti i partiti. A fornirci il destro furono poi i pretori coi loro interventi oscurantisti, peraltro prontamente sventati dai decreti di Craxi. E quindi la crociata dell'etere libero, che rientrava fra l'altro nella nostra tradizione antistatalista, divenne una campagna contro il "pretore selvaggio", che con i suoi abusi toglieva ogni certezza del diritto al cittadino. (pp. 275-276) *Le vere novità erano nate fuori dal Palazzo: come la Lega di [[Umberto Bossi]]. Che all'inizio anche il «Giornale», come molti altri, sottovalutò. Come si faceva a prender sul serio un invasato che nutriva le sue invettive di sfondoni storici e grammaticali da far accapponare la pelle? [...] Che Roma fosse ladrona, era indubitabile. E l'avversione per la burocrazia parassitaria e per il meridionalismo piagnone e sprecone andava a nozze con le tradizioni del «Giornale». Bossi quindi incarnava un sentimento molto diffuso anche fra i nostri lettori, una protesta genuinamente qualunquista che, per certi versi, all'inizio anche noi appoggiammo. Ma dovemmo prenderne le distanze quando Bossi cominciò a condire le sue contumelie contro il Palazzo con propositi secessionisti. (pp. 279-280) *Con Berlusconi, tuttavia, poi feci pace. Fu lui a telefonarmi: forse, aveva captato in qualche mio articolo un'ombra di rimpianto per il vecchio amico. Era il '96 e dopo il ribaltone le cose per lui si mettevano di male in peggio. [...] Così, una sera mi ritrovai di nuovo seduto alla sua mensa ad Arcore. [...] Riparlammo senza rancore dei nostri trascorsi. Gli domandai quale garanzia avesse ricevuto da [[Massimo D'Alema|D'Alema]] sulle sue aziende in cambio dell'opposizione inesistente che gli assicurava. Rise. «Ma perché, ora che hai sistemato i tuoi affari, non ti chiami fuori dalla politica?» gli chiesi. «È una parola» mi rispose rabbuiandosi. «I giudici non obbediscono neppure a D'Alema». E lì capii quale era, ormai, la vera sostanza del suo dramma. (p. 312) *Se anch'io sono diventato europeista, è per disperazione: l'Europa è forse l'unica possibilità di sopravvivere per noi italiani, che come italiani non siamo riusciti a vivere. Questo è sempre stato l'europeismo degl'italiani di più alta coscienza, a partire da [[Alcide De Gasperi|De Gasperi]], che fu il primo a capire i rischi d'un Italia lasciata in balìa degl'italiani. (p. 315) *Pur fra tante fortune, purtroppo a me la sorte ha riservato di portarmi nella tomba le due cose che ho più amato: il mio mestiere e il mio Paese. Che cosa sia diventato il primo, annientato da computer e televisione, è sotto gli occhi di tutti. Quanto al secondo, la cancrena è ormai inarrestabile e la decomposizione sta avvenendo per dissoluzione di quel poco che resta dello Stato. E dico decomposizione, non secessione. La secessione si fa anche con la violenza, e dove lo troviamo oggi un solo plotone di soldati disposto a imbracciare le armi pro o contro l'Unità dello Stato? Che, se resta ancora in piedi, è solo perché non ha neppure la forza di cadere. Quello di rinunziare alla nazione poi, è un sacrificio che non saprei compiere, anche se razionalmente mi rendessi conto ch'è necessario, oppure inevitabile. E ringrazio l'anagrafe che mi esclude dal problema. (p. 316) ==''Storia d'Italia''== {{vedi anche|Indro Montanelli e Roberto Gervaso|Indro Montanelli e Mario Cervi}} ===''L'Italia giacobina e carbonara''=== *I [[cinismo|cinici]] sono tutti moralisti, e spietati per giunta. (cap. 10, p. 144) *[[Francesco Melzi d'Eril|Melzi]] apparteneva a una delle più grandi famiglie dell'aristocrazia lombarda, e ne portava nel sangue le doti migliori: la rettitudine, la cultura, la cortesia, ma anche una certa alterigia, che probabilmente gli veniva dalla madre spagnola. (cap. 11, p. 152) *{{NDR|Francesco Melzi d'Eril}} Aveva fatto parte dei circoli illuministici dei Serbelloni, dei Beccaria e di Pietro Verri, di cui era anche cognato. [[Napoleone Bonaparte|Napoleone]] lo aveva conosciuto al tempo della sua prima campagna d'Italia, dopo la battaglia di Lodi lo aveva invitato a Mombello, e ne aveva fatto il proprio consigliere. Quel signore che portava ancora il costume settecentesco, le calze bianche e la parrucca incipriata, gli piaceva. Gli piaceva perché non era servile, perché non era venale, perché non era nemmeno ambizioso. Una leggera sordità e una salute piuttosto precaria, insidiata da un forte artritismo, l'obbligavano a riguardi incompatibili con l'esercizio del potere. Più che il protagonista, preferiva fare il suggeritore. (cap. 11, p. 152) *L'unico che avesse qualità di uomo di Stato era il ministro delle finanze, [[Giuseppe Prina|Prina]], anche perché era piemontese, cioè veniva da un paese che uno Stato lo era da secoli. Ex procuratore generale della Corte dei Conti di Torino e membro del governo provvisorio del '99<ref>1799.</ref>, si era poi trasferito nella [[Repubblica Cisalpina|Cisalpina]] e ne aveva preso la cittadinanza. Non aveva un carattere che attirasse simpatie. Anzi, chiuso e freddo com'era, le respingeva. Ma era un lavoratore instancabile e scrupoloso, dotato di un acuto senso politico e – diceva [[Stendhal]] – "ha del grande in testa". (cap. 12, p. 164) *Perché non andassero perse neanche le briciole {{NDR|delle entrate della Repubblica Cisalpina}}, Prina riformò tutto il sistema fiscale riducendone il personale e facendone una macchina di straordinaria efficienza. Fu lui a inventare la "tassa di famiglia", o meglio a ripristinarla, perché la sua vera iniziatrice era stata [[Maria Teresa d'Austria|Maria Teresa]]. Ma la maggior pressione la esercitò nel campo delle imposte indirette che colpivano tutti i consumi senza distinguere fra quelli di lusso e quelli di prima necessità. Naturalmente a farne le spese furono soprattutto le classi popolari, che di lì a pochi anni gliel'avrebbero fatta pagare<ref>Prina, dopo l'abdicazione di Napoleone, fu linciato dalla folla a Milano il 20 aprile 1814.</ref>. Ma con questi sistemi riuscì a portare le entrate da settanta a oltre cento milioni e a pareggiare il bilancio. (cap. 12, p. 165) *[[Carlo II di Parma|Carlo Ludovico]] era stato talmente oppresso dalla madre<ref>Maria Luisa di Borbone-Spagna (1782–1824).</ref> che sognava di disfare tutto ciò ch'essa aveva fatto, compreso il proprio matrimonio; e quando le successe nel '24<ref>Come duca di Lucca nel 1824.</ref>, introdusse anche per buona fortuna dei lucchesi, metodi di governo diametralmente opposti a quelli di lei. Ridusse l'appannaggio che Maria Luisa esigeva per alimentare i suoi fasti spagnoli, liberalizzò i commerci, e alla fine si convertì addirittura al luteranesimo, mentre sua moglie diventava Terziaria domenicana. Fu un cattivo marito, ma non un cattivo sovrano. E Lucca, sotto di lui, respirò. (cap. 25, p. 375) *[...], {{NDR|la [[Carboneria]]}} non fu certo una scuola di educazione politica, e probabilmente è anche al suo esempio e modello che sono dovute le malformazioni della nostra democrazia e la sua intrinseca debolezza. Figli e nipoti dei Carbonari furono quei "notabili" che governarono l'Italia fino alla prima guerra mondiale e che, insieme a innegabili virtù, ebbero anche il vizio di considerare il Paese una "clientela" di Apprendisti esclusi dai "sacri travagli". (cap. 26, p. 395) *Fu qui {{NDR|al Teatro alla Scala}} che {{NDR|[[Ugo Foscolo]]}} vide [[Antonietta Fagnani Arese]], già famosa a ventitré anni non soltanto per la sua bellezza, ma anche per lo sfruttamento intensivo che ne aveva fatto. Probabilmente era una frigida, ma che sapeva recitare la sua parte: tutti i giovani più in vista di Milano cadevano nelle reti di questa Circe, e forse fu anche questo a stimolarlo. (cap. 35, p. 510) *Misto di genio e di ciarlatano, [[Domenico Barbaja|Barbaja]] aveva debuttato come sguattero, aveva fatti primi soldi inventando un dolce di panna e cioccolato, la "barbajada", li aveva moltiplicati con la gestione del Ridotto da giuoco della Scala, e ormai tanti ne aveva che quando il San Carlo andò distrutto da un incendio, lo ricostruì a proprie spese. (cap. 39, pp. 608-609) *{{NDR|Domenico Barbaja}} Era semianalfabeta, e di musica non conosceva una nota, ma conosceva il pubblico, era un infallibile scopritore di talenti, e nel 1815 si assicurò quello di un compositore ventitreenne, in cui già aveva identificato la figura più rappresentativa della lirica contemporanea: [[Gioacchino Rossini]]. (cap. 39, p. 609) *{{NDR|[[Ciro Menotti]]}} Uomo onesto, ma di un candore che sconfinava nella sprovvedutezza, [...]. (cap. 40, p. 635) ===''L'Italia del Risorgimento''=== *{{NDR|[[Giuseppe Mazzini]]}} Due mesi d'intenso lavoro gli bastarono a maturare il piano. Più che una setta, la sua organizzazione sarebbe stata un vero e proprio partito, anche se clandestino, senza l'oscura simbologia e i complicati rituali carbonari. Si sarebbe chiamata ''[[Giovine Italia]]'' e lo sarebbe stata anche di fatto perché, salvo casi eccezionali, era preclusa a chi avesse superato i quarant'anni di età. (cap. 4, pp. 54-55) *D'irresolutezza, [[Carlo Alberto di Savoia|Carlo Alberto]] aveva dato prova anche prima di salire sul trono, e lo aveva dimostrato anche il suo contraddittorio atteggiamento nel '21<ref>Nei moti piemontesi del 1821, Carlo Alberto aveva prima dato e poi ritirato il suo appoggio ai congiurati.</ref>. Il coraggio e la volontà non gli mancavano; ma gli mancava il carattere. Nella guerra di Spagna era stato un valoroso combattente<ref>Nel 1823, Carlo Alberto aveva partecipato alla campagna militare per ristabilire l'assolutismo regio in Spagna.</ref>, e la disciplina a cui si sottoponeva era spartana. Ma le responsabilità morali lo sgomentavano. (cap. 9, pp. 135-136) *{{NDR|Carlo Alberto}} Non era né intelligente né colto. Ma certi movimenti di opinione pubblica e orientamenti di pensiero li coglieva e ne restava influenzato. Nel '38 aveva mandato in galera e poi in esilio [[Vincenzo Gioberti|Gioberti]], ma nel '43 ne leggeva con interesse il ''Primato''. Se [[Massimo d'Azeglio|D'Azeglio]] avesse scritto il suo libro<ref>''Degli ultimi casi di Romagna'' (1846).</ref> due anni prima, avrebbe mandato in esilio anche lui. Ora in pratica ne aveva fatto una specie di agente segreto. I tempi insomma li sentiva e con essi andava. (cap. 9, p. 136) *Questo grande soldato {{NDR|[[Josef Radetzky]]}} non aveva mai conosciuto sconfitte, e a ottant'anni suonati conservava intatte prestanza fisica ed energia morale. Come tutti i militari, credeva soltanto nella spada e nella disciplina. Ma non somigliava affatto all'immagine che di lui ci ha tramandato la storiografia risorgimentale: quella del crudele "impiccatore", del caporalaccio ottuso, grossolano e brutale. Era al contrario un grande signore, di tratto ruvido ma generoso, perpetuamente alle prese con problemi di bilancio perché aveva le mani bucate. (cap. 13, p. 194) *{{NDR|Radetzky}} Aveva sposato una Contessa austriaca che viveva a Vienna e gli aveva dato otto figli da cui non gli venivano che dispiaceri. Uno militava ai suoi ordini lì a Milano, ma era un così cattivo arnese che un prete un giorno lo schiaffeggio per strada. Radetzky mandò a chiamare il prete, gli strinse la mano e gli disse: "''{{sic|Crazzie}}''". Per amante si era presa una brava stiratrice lombarda che sapeva cucinare bene gli gnocchi, di cui era ghiottissimo, e dalla quale ebbe altri quattro figli. Non era affatto un odiatore degl'italiani: tant'è vero che, quando andò in pensione, rimase a Milano, e lì morì nel '58. Era soltanto un fedele servitore del suo Paese, di cui non discuteva la causa. E soprattutto era un vecchio lupo di guerra coraggioso, astuto e risoluto. (cap. 13, p. 195) *La notizia si diffuse prima ancora che lo [[Statuto Albertino|Statuto]] fosse firmato, e in un battibaleno le piazze di Torino, eppoi di tutto il Piemonte, eppoi di tutto il Reame, si riempirono di folla esultante. Essa non conosceva il contenuto del documento che introduceva, sì, un regime rappresentativo, ma circondandolo delle maggiori cautele [...]. Più che del suo contenuto, la pubblica opinione era innamorata della parola ''Costituzione'', che aveva finito, per assumere ai suoi occhi magici significati, e la salutava con luminarie, canti e bandiere. (cap. 14, p. 218) *[...] [[Francesco Anzani|Anzani]], il più serio e autorevole degli esuli italiani, che aveva combattuto per la libertà in Grecia e in Spagna. Le sue parole avevano gran peso anche perché fra tutti quei chiacchieroni, ne pronunziava poche. (cap. 18, p. 281) *[...] [[Giuseppe Montanelli|Montanelli]] era così infatuato {{NDR|del progetto di Costituente italiana}} e tanto ne parlava nei suoi discorsi che il popolino – dicono – finì per credere che la Costituente fosse il nome di sua moglie. (cap. 19, p. 298) *[[Pellegrino Rossi|Rossi]] era un toscano della Lunigiana, ma solo all'anagrafe. Come formazione e mentalità, apparteneva ancora a quel tipo di {{sic|apòlidi}} che l'Italia del Settecento sfornava doviziosamente e che, non trovando in patria un terreno per i loro talenti, andavano da mercenari a investirli all'estero. Professore d'Università a poco più di vent'anni, poi commissario di [[Gioacchino Murat|Murat]] al tempo del suo infelice tentativo di unificare l'Italia sotto il suo scettro, era l'unico cattolico cui l'Accademia calvinista di Ginevra avesse mai affidato una cattedra. (cap. 19, p. 301) *{{NDR|Pellegrino Rossi}} Fu sin dal principio un fautore di [[Papa Pio IX|Pio IX]] fino a partecipare di persona alle manifestazioni popolari in suo favore, ma vide subito la pochezza e ambiguità dell'uomo e ne denunziò i pericoli. (cap. 19, pp. 302-303) *Sebbene gli avessero affidato pieni poteri, [[Daniele Manin|Manin]] era un uomo discusso. Molti lo consideravano un malaccorto maneggione, un improvvisatore digiuno di problemi economici e militari, bravo soltanto ad attribuirsi i meriti degli altri. Secondo [[Niccolò Tommaseo|Tommaseo]], ch'era fra i suoi più insidiosi diffamatori, il potere gli aveva dato "una scossa da intorbidargli la mente e far più grave e manifesta la sua inesperienza". (cap. 23, p. 354) *{{NDR|Daniele Manin}} Intellettualmente, non era al livello di un [[Giuseppe Mazzini|Mazzini]] o di un [[Carlo Cattaneo|Cattaneo]]. Ma era, come loro, inattaccabile sul piano morale. E, in mancanza di un vero e proprio potere carismatico, esercitava sulle folle un notevole fascino per la sua gioviale e arguta "venezianità". Parlava sempre in dialetto con battute raccattate sulla bocca dei gondolieri, e anche nel dramma portava un pizzico di [[Carlo Goldoni|Goldoni]]. I suoi limiti li conosceva, e non è vero che l'autorità gli avesse dato alla testa, come diceva Tommaseo che diceva male di tutti. Anzi la esercitava bonariamente e cercava di circondarsi di uomini validi che sopperissero alla sua incompetenza. (cap. 23, pp. 354-355) *Eran trascorsi pochi mesi {{NDR|dal suo matrimonio con Vittorio Emanuele}}, che [[Maria Adelaide d'Asburgo-Lorena|Maria Adelaide]] lo sorprendeva nel giardino di Moncalieri con una diva del teatro, Laura Bon, ma si guardò dal farne un dramma. Perfettamente educata al mestiere di Regina, essa sapeva che la rassegnazione alle infedeltà ne è parte imprescindibile, e le sopportò sempre con garbo e dignità. (cap. 25, p. 390) *Sfruttando la devozione di Carlo Alberto, [[Clemente Solaro della Margarita|Solaro della Margarita]] aveva regolato i rapporti con la Chiesa in modo tale da fare del clero piemontese il più potente d'Italia dopo quello dello [[Stato Pontificio|Stato pontificio]]. Esso aveva ancora i suoi tribunali in concorrenza con quelli dello Stato e poteva concedere il diritto d'asilo ai delinquenti. (cap. 26, p. 410) *[...] {{NDR|Giuseppe}} Montanelli, gran galantuomo e ricco d'ingegno, non lo era altrettanto di carattere. Idee ne aveva, anzi ne aveva troppe; ma, facilmente suggestionabile, finiva sempre per adottare quelle dell'ambiente in cui viveva. (cap. 29, pp. 464-465) *Il primo a trarne le conclusioni {{NDR|dalle tesi favorevoli alla monarchia piemontese esposte nel libro di [[Vincenzo Gioberti|Gioberti]] ''Del rinnovamento civile d'Italia''}} fu [[Giorgio Pallavicino Trivulzio|Pallavicino]], l'ex prigioniero dello Spielberg, da un pezzo rifugiato a Torino. Di scarso cervello politico, impetuoso fino alla leggerezza, teatrale e un po' troppo portato a ostentare i suoi titoli di "martire", aveva fino allora militato sotto bandiera rivoluzionaria. (cap. 32, p. 514) *{{NDR|Tra i Mille di Garibaldi}} C'era il malinconico ex prete [[Giuseppe Sirtori|Sirtori]], che della guerra aveva fatto una mistica e sul campo sembrava che officiasse. (cap. 40, p. 635) ===''L'Italia dei notabili''=== *La [[Convenzione di settembre|Convenzione]], che fu detta "di Settembre" dal mese in cui venne concordata, si componeva di cinque articoli e stabiliva: che l'Italia rinunziava ad ogni atto di ostilità contro il territorio pontificio; che la Francia ne avrebbe ritirato le sue truppe via via che il governo del Papa le avesse rimpiazzate con volontari indigeni e stranieri, e comunque entro due anni; e che questo doppio impegno sarebbe entrato in vigore dal momento in cui il governo italiano avesse decretato il trasferimento della capitale da operarsi nello spazio di sei mesi. (Capitolo quinto, Firenze capitale, p. 76) *Gli sventramenti che furono operati {{NDR|a Firenze, nuova capitale del Regno d'Italia}} per alloggiare i Ministeri e i nuovi quartieri che sorsero alla periferia per ospitare i venticinque o trentamila impiegati che calarono da Torino, lasciarono la città orrendamente sfregiata e carica di debiti. (Capitolo quinto, Firenze capitale, p. 78) *{{NDR|[[Carmine Crocco]]}} [...] condannato per diserzione a vent'anni di carcere, ne era evaso, si era dato alla macchia, e in poco tempo era diventato il più temuto e rispettato capobanda della [[Basilicata|Lucania]] non soltanto per il suo coraggio, ma anche per la sua intelligenza di guerrigliero.</br>[...] Crocco venne riconosciuto Generalissimo non solo per l'autorità che gli conferivano le sue gesta, ma anche, perché, sebbene mezzo analfabeta, possedeva un'oratoria immaginosa e apocalittica. (Capitolo sesto, I briganti, pp. 85-89) *{{NDR|[[Giustino Fortunato]]}} [...] il più grande e illuminato studioso del Meridione. (Capitolo sesto, I briganti, p. 86) *Figlio di un fabbro e medico di professione, [[Giovanni Lanza|Lanza]] incarnava, nella Destra piemontese tradizionalmente formata da nobili, militari e grandi borghesi, un tipo umano del tutto insolito: il nuovo piccolo ceto medio, spartano e puritano, formatosi nelle scuole serali e nell'Università popolare. (Capitolo nono, Gli anni della lesina, p. 133) *L'esercito papalino era un'accozzaglia di mercenari delle più svariate nazionalità (c'erano perfino dei turchi). [...] circa 15.000 uomini, al comando del generale [[Hermann Kanzler|Kanzler]]. Compito gentiluomo, ligio al Regolamento come lo era al Catechismo, questi aveva tuttavia un concetto tedesco dell'onore militare e avrebbe preferito una sconfitta a una resa. Ma {{NDR|Il segretario di Stato}} Antonelli non era di questa opinione. Gli ordinò di ritirare le truppe {{NDR|pontificie}} dentro le mura e di limitarsi a un simulacro di resistenza. (Capitolo decimo, Porta Pia, pp. 141-142) *{{NDR|La duchessa [[Eugenia Attendolo Bolognini Litta|Eugenia Litta]]}} Durante la campagna del '59<ref>Seconda guerra d'indipendenza italiana.</ref> era stata il riposo del guerriero più famoso e importante: [[Napoleone III di Francia|Napoleone III]]. E secondo le malelingue era passata subito dopo in eredità a [[Vittorio Emanuele II di Savoia|Vittorio Emanuele]], che però era il meno adatto ad apprezzare la sua vita di vespa, le sue carni pallide e i suoi raffinatissimi gusti. [[Honoré de Balzac|Balzac]] le aveva reso omaggio. [[Arrigo Boito|Boito]] seguitava a rendergliene. [[Gabriele D'Annunzio|D'Annunzio]] dirà ch'essa "aveva rubato il segreto a Ninon de Lenclos<ref>Scrittrice, cortigiana ed epistolografa francese (1620–1705).</ref>". Insomma come iniziatrice all'amore, il giovane principe {{NDR|il futuro [[Umberto I di Savoia|Umberto I]]}} non poteva desiderarne una più fascinosa ed esperta. Lo fu al punto che, nonostante la differenza d'età, egli le rimase devoto – anche se non fedele – fino alla fine dei suoi giorni. (Capitolo quattordicesimo, Il marito di Margherita, p. 196) *{{NDR|[[Margherita di Savoia]]}} [...] era una vera e seria professionista del trono, e gl'italiani lo sentirono. Essi compresero che, anche se non avessero avuto un gran Re, avrebbero avuto una grande Regina. (Capitolo quattordicesimo, Il marito di Margherita, p. 197) *Il trattato {{NDR|della [[Triplice alleanza (1882)|Triplice alleanza]]}} fu firmato a Vienna nel maggio dell'82<ref>20 maggio 1882.</ref>. Esso impegnava le tre Potenze al reciproco aiuto nel caso in cui una fosse aggredita e alla benevola neutralità nel caso che aggredisse. Inoltre Austria e Germania dichiaravano di disinteressarsi del problema del Papa, considerandolo un affare interno italiano.<br>Quest'ultima clausola fu, insieme alla fine dell'isolamento, il grande vantaggio che l'Italia trasse dal patto, ma nient'altro. Essa non vi era entrata su un piede di parità con le consocie. Aveva semplicemente acceduto all'alleanza che già legava le altre due, le quali restavano per così dire le padrone di casa, e Bismarck non perse occasione di farcelo sentire. (Capitolo diciannovesimo, La Triplice, pp. 276-277) *L'unico Stato che ruppe le relazioni con quello italiano in seguito a [[Presa di Roma|Porta Pia]] fu l'Ecuador. Mai la Chiesa si era trovata in condizioni di più completo isolamento. (Capitolo ventitreesimo, I cattolici, p. 334) *Sindaco di Palermo a ventisette anni, {{NDR|[[Antonio Starabba, marchese di Rudinì|il marchese di Rudinì]]}} aveva affrontato con molto coraggio la rivolta che vi era scoppiata nel '66, e questo lo aveva accreditato come il fanciullo-prodigio del moderatismo, destinato a gloriose imprese. Ma, diceva De Sanctis, col passare del tempo, il prodigio dileguò e rimase solo il fanciullo. Ministro degl'Interni a trent'anni in uno dei governi Menabrea, la sua carriera si era fermata lì. Pure, la fama di "uomo forte" gli era rimasta addosso, suffragata anche dalla sua alta statura, dai lampeggiamenti del monocolo, dalla fluente barba, dalla nobilesca alterigia. Idee, non ne aveva. Ma aveva delle impennate che facevano credere alla sua risolutezza. E questo, in una Destra impoverita di personalità di rilevo, gli era bastato per guadagnarsi i galloni di capo. (Capitolo ventiquattresimo, Giolitti, pp. 348-349) *In realtà, del soldato, [[Oreste Baratieri|Baratieri]] non aveva neanche il fisico. Grasso e sgraziato, con gli occhiali a ''pince-nez'', sembrava molto più vecchio dei suoi cinquant'anni e costruito più per la cattedra che per l'elmo. (Capitolo ventisettesimo, Adua, p. 391) *{{NDR|Dopo le dimissioni del generale [[Luigi Pelloux|Pelloux]]}} A succedergli il Re chiamò il Presidente del Senato [[Giuseppe Saracco|Saracco]], un galantuomo ch'era riuscito a conservare intatta la sua reputazione di democratico pur essendo stato due volte Ministro nei governi di Crispi. Aveva quasi ottant'anni, ma conservava una notevole lucidità di cervello, e ne dette prova formando un governo di coalizione che includeva un po' tutte le forze, meno l'Estrema cui diede tuttavia soddisfazione chiamando parecchi suoi uomini nella commissione incaricata di studiare un nuovo regolamento parlamentare che, senza intaccare la libertà di discussione, impedisse l'ostruzionismo, o per meglio dire lo regolasse. (Capitolo ventottesimo, I cannoni di Bava Beccaris, p. 417) ===''L'Italia di Giolitti''=== *Si è detto che {{NDR|[[Egidio Osio]]}} plagiò il suo pupillo {{NDR|il principe ereditario, futuro re [[Vittorio Emanuele III di Savoia|Vittorio Emanuele III]]}} e ne lesionò definitivamente il carattere terrorizzandolo e mortificandone gli slanci. Si è detto che anche sul suo fisico ebbe pessima influenza costringendolo a penosi e logoranti sforzi. Si è detto che furono i suoi metodi repressivi a creare nel Principe quei complessi d'inferiorità da cui fu sempre afflitto, a traumatizzarlo, a inaridirlo, a riempirne l'animo di sordi rancori.<br>Ma se non proprio di falsità, si tratta di verità contraffatte. (cap. I, Il nuovo Re, p. 15) *Militare dalla testa ai piedi, Osio era un uomo duro, imperioso, abituato al comando. [...] Ma era anche un gran signore, perfetto uomo di mondo, e nutrito di buone letture. Sebbene la sua carriera potesse esserne notevolmente avvantaggiata, esitò molto ad accettare l'incarico {{NDR|di tutore del principe ereditario}}, vi si risolse solo dietro garanzia che nemmeno i genitori avrebbero più interferito nell'educazione del ragazzo, di cui egli diventava unico e assoluto responsabile, e al termine della sua missione non beneficiò di nessuno "scatto di grado". (cap. I, Il nuovo Re, pp. 15-16) *[[Elena del Montenegro|Elena]], che da ragazza dipingeva, suonava il violino, componeva poesie come suo padre<ref>Nicola I del Montenegro.</ref>, e amava il tennis e la danza, rinunziò a questi passatempi appena vide che lui {{NDR|il futuro Vittorio Emanuele III}} li detestava, anzi adottò come ''hobbies'' quelli di lui: la numismatica e l'archeologia. Per il resto fu soltanto una donna di casa, come lo era stata a Cettigne<ref>Capitale del Regno del Montenegro.</ref>. Sapendolo insofferente dei camerieri, era lei che lo serviva a tavola, e per farsi i vestiti si prese in casa una sartina. (cap. I, Il nuovo Re, p. 27) *[[Filippo Meda|Meda]] era un avvocato milanese di spirito pratico, che considerava l'astensione dal voto {{NDR|dei cattolici}} un dovere da osservare finché il Papa lo imponeva, ma un grosso errore strategico di cui occorreva sollecitare la revoca. Lo Stato liberale, diceva, c'è e va accettato. Va soltanto salvato dalle sue tentazioni autoritarie e giacobine. E questo i cattolici possono farlo soltanto inserendocisi e riformandolo in modo da tenerlo al riparo dai pericoli d'involuzione. Lo Stato cioè per lui era un "peccatore da salvare". (cap. IV, Cattolici e socialisti, p. 72) *[...] [[Romolo Murri|Murri]] era un giovane sacerdote marchigiano, che aveva conosciuto la povertà e nel Vangelo vedeva soprattutto un messaggio giustizialista. Introverso e malinconico come tutti i fanatici, egli si considerava molto più "avanzato" di Meda per il carattere rivoluzionario che intendeva imprimere al movimento {{NDR|cattolico}}. In realtà era un uomo del ''[[Sillabo]]'' che, pur partendo anche lui dall'accettazione dello Stato unitario, intendeva tramutarlo in una [[teocrazia]] egalitaria e totalitaria, sul tipo di quella che i Gesuiti avevano fondato un paio di secoli prima nel Paraguay. Se a ispirarlo fosse più l'amore del povero o l'odio del ricco, non sappiamo. (cap. IV, Cattolici e socialisti, pp. 72-73) *Meda e Murri furono dapprincipio alleati. Entrambi volevano un grande partito, popolare indipendente dalla Chiesa. Ma Meda lo concepiva come lo sviluppo della organizzazione tradizionale, cioè dell'''Opera''<ref>"Opera dei congressi e dei comitati cattolici", spesso abbreviata in "Opera dei congressi", organizzazione cattolica italiana, sciolta nel 1904.</ref>, una volta strappatala alla vecchia guardia, mentre Murri lo vedeva come un organismo nuovo, un "Fascio", come quelli che pochi anni prima avevano messo a soqquadro e insanguinato la Sicilia. (cap. IV, Cattolici e socialisti, p. 73) *Lo [[Sciopero generale del 1904|sciopero {{NDR|generale del 1904}}]] [...] non fu un fallimento, ma non fu nemmeno un successo perché si esaurì spontaneamente, e il suo più consistente risultato fu la spaccatura delle forze operaie. Lo si vide pochi mesi dopo, quando i sindacalisti bandirono un altro sciopero, quello delle ferrovie, da cui i sindacalisti uscirono demoralizzati e con la truppa dimezzata. (cap. IV, Cattolici e socialisti, p. 85) *[[Alessandro Fortis|Fortis]] era un tipico notabile romagnolo di lungo e contradditorio corso ideologico. Aveva debuttato come repubblicano intransigente, era andato in galera per complotto rivoluzionario con gli anarchici, poi era stato conquistato da [[Francesco Crispi|Crispi]], era finito {{sic|Ministro}} di [[Luigi Pelloux|Pelloux]], e ora militava sotto la bandiera di [[Giovanni Giolitti|Giolitti]]. Come "trasformista", era tra i più qualificati. Ma questa pecca era abbondantemente compensata dai suoi doni di simpatia umana e da una grande esperienza parlamentare. (cap. VI, Il suffragio universale, p. 107) *Quando [[Enrico Corradini|Corradini]] applicò il vocabolario socialista alla Nazione parlando di una "Italia proletaria" in lotta contro le plutocrazie occidentali, e lanciò l'idea di un "imperialismo operaio" da contrapporre a quello capitalistico, riscosse in campo sindacalista vasti consensi e pose le premesse di un pasticcio ideologico in cui Mussolini avrebbe di lì a poco guazzato. (cap. VII, "Tripoli bel suol d'amore", p. 137) *{{NDR|Giolitti}} Più che la Libia, voleva la [[Guerra italo-turca|guerra]], o meglio qualcosa che desse finalmente agl'italiani l'impressione di farne una e di vincerla. (cap. VII, "Tripoli bel suol d'amore", p. 145) *[...] a Vienna l'imperatore Francesco Giuseppe aveva dovuto intervenire di persona per fermare la mano al Capo di Stato Maggiore [[Franz Conrad von Hötzendorf|Conrad]] che voleva una spedizione punitiva contro l'Italia, ora ch'era impegnata in Africa {{NDR|nella guerra di Libia}}, per metterla in ginocchio "prima che avesse il tempo di perpetrare altri tradimenti". (cap. VII, "Tripoli bel suol d'amore", pp. 149-150) *Non si è mai saputo con certezza come si svolse l'operazione {{NDR|del [[patto Gentiloni]]}} che, ben s'intende, doveva restare segretissima. Giolitti negò sempre di avervi partecipato, e infatti d'impronte digitali non ve ne lasciò. Fu probabilmente senza le sue credenziali, ma certamente non senza il suo beneplacito che qualche esponente liberale prese contatto coi cattolici. Questi avevano una "unione elettorale" di cui era Presidente un Conte marchigiano, [[Vincenzo Ottorino Gentiloni|Gentiloni]], politico abile, ma vanesio e chiacchierone. Egli s'impegnò a mobilitare il voto cattolico in favore dei candidati liberali dovunque questi fossero minacciati dalla Estrema Sinistra; e i liberali s'impegnarono a difendere la parificazione delle scuole confessionali a quelle dello Stato, a ripristinare in queste ultime l'istruzione religiosa, a respingere l'introduzione del divorzio, e – pare – a combattere la Massoneria. (cap. VIII, Il crepuscolo degli dei, p. 163) *Se [[Gaetano Salvemini|Salvemini]] incarnava lo spirito protestatario e la sete giustizialista delle plebi meridionali, [[Antonio Salandra|Salandra]] incarnava lo spirito autoritario e conservatore della borghesia terriera. Proveniva da una famiglia di notabili pugliesi con parecchia roba al sole, e alla politica era approdato dalla cattedra universitaria, di cui conservava molti caratteri: una notevole cultura e finezza intellettuale, ma anche un compassato distacco che rasentava la freddezza. Prima di affrontare un problema lo studiava minuziosamente, e nessuno sapeva prospettarlo con più chiarezza di lui. (cap. IX, Sarajevo, p. 168) *[[Paolo Boselli]] {{NDR|incaricato nel 1916 di formare il nuovo governo dopo le dimissioni di Antonio Salandra}}, che fu chiamato a presiederlo, possedeva tutti i requisiti, meno quelli che occorrono per guidare un Paese in guerra. Deputato ligure da parecchie legislature, era stato varie volte Ministro con Crispi, Pelloux e Sonnino, ma nessuno se n'era accorto. [...]. Passava per un esperto di questioni economiche, e moralmente era un personaggio di tutto rispetto. Ma politicamente era scolorito, e per di più aveva quasi ottant'anni. (cap. XVI, La caduta di Salandra, pp. 293-294) *Quanto [[Luigi Cadorna|Cadorna]] era solitario, monacale ruvido e chiuso in un giro di valori e d'idee tradizionali, tanto [[Luigi Capello|Capello]] era brillante, estroverso, moderno, ricco d'immaginazione e maestro di "pubbliche relazioni". (cap. XVI, La caduta di Salandra, pp. 298-299) *Lucano di Melfi, [[Francesco Saverio Nitti]] incarnava anche nel fisico tozzo e grassottello il tipo del notabile meridionale, colto, brillante, scettico e alquanto egocentrico. [...] la sua specialità era il problema del Mezzogiorno, di cui fu tra i primi seri studiosi e che gli fornì anche la base elettorale. [...]. Sul livello medio della classe politica di allora, egli faceva spicco per preparazione, equilibrio e lucidità, ma anche per una certa propensione ad attribuirsi il monopolio di queste virtù. (cap. XXIII, Versaglia, pp. 420-421) ===''L'Italia in camicia nera''=== *Un altro utile incontro fu per Mussolini quello con [[Angelica Balabanoff]], personaggio già di notevole rilevo nel socialismo internazionale. Era una russa di buona famiglia borghese, che fin da giovanissima si era imbrancata con quella ''intellighenzia'' rivoluzionaria da cui venivano anche i Lenin, i Trotzky, e gli altri futuri grandi del bolscevismo. A spingerla era stata la ribellione contro la meschinità, lo snobismo provinciale, il sussiego di casta, i tabù del suo ceto. (cap. 1, p. 23) *Angelica {{NDR|Balabanoff}} non era bella, non aveva la grazia eterea ed esangue di Anna {{NDR|[[Anna Kuliscioff|Kuliscioff]]}}. Ma non era nemmeno sgradevole, nonostante i fianchi massicci e gli zigomi pronunciati, eppoi era una russa, cosa che faceva un grande effetto al piccolo provinciale di Predappio<ref>Mussolini era nato a Dovia, frazione di Predappio.</ref>. Anche se fra loro non divampò la passione che aveva legato Anna ad [[Andrea Costa]], qualcosa ci fu, ed ebbe la sua importanza. Angelica cercò d'incivilire quel selvaggio trasandato che passava da ostinati mutismi a interminabili sproloqui conditi di orrende bestemmie. Lo sfamava, gli lavava la biancheria, lo iniziava, sia pure con poco successo, al marxismo [...]. (cap. 1, p. 25) *Uno dei tre protagonisti del giuoco {{NDR|[[Gabriele D'Annunzio]]}} era eliminato. La partita ora si riduceva agli altri due: Giolitti e Mussolini. (cap. 1, p. 101) *Mussolini aveva vinto, e la sua vittoria significava che il fascismo, abbandonata la pretesa di presentarsi come un movimento rivoluzionario di sinistra, quale lo avrebbero voluto Grandi, Farinacci e Marsich, presentava la sua candidatura a forza egemonica della destra e infilava la «via parlamentare» al potere.<br>C'era un pericolo, e Mussolini lo capì subito: che questa svolta a destra mettesse il partito alla mercé della sua ala reazionaria incarnata soprattutto dal ''ras'' piemontese [[Cesare Maria De Vecchi|De Vecchi]], uomo di poco cervello, ma tutto Trono e Altare, e che quindi poteva anche tornar comodo per il futuro. (cap. 2, p. 127) *[...], i giolittiani riuscirono a portare al governo uno dei suoi {{NDR|di Giolitti}} «ascari» più fedeli, ma anche dei più sbiaditi: [[Luigi Facta]].<br> Facta era un bravo avvocato di provincia piemontese con tutte le virtù, ma anche con tutti i limiti del suo ambiente: un uomo probo e integro, che dopo trent'anni di vita parlamentare ne aveva ormai una certa esperienza, aveva ricoperto con onore alcune cariche ministeriali, non aveva alcuna ambizione che quella di servire fedelmente il suo capo, né altre idee che quelle di lui. Tutto gli si poteva chiedere fuorché risolutezza ed immaginazione, cioè proprio le qualità che più urgevano. (cap. 2, pp. 143-144) *[...] le sue intenzioni {{NDR|Mussolini}} non le confidava nemmeno al segretario del partito, [[Michele Bianchi|Bianchi]], di cui apprezzava la fedeltà e l'impegno, ma non l'intelligenza: lo considerava angoloso, settario, puntiglioso vendicativo e privo d'intuito politico. L'unico con cui si apriva seguitava ad essere [[Cesare Rossi]], l'uomo che gli era stato accanto dal primo momento, lo aveva seguito in tutte le sue palinodie e gli dava sempre dei consigli che corrispondevano ai suoi desideri. (cap. 4, p. 166) *{{NDR|[[Vittorio Emanuele III]]}} non si fidava completamente di Mussolini, ma si fidava ancora meno dei suoi avversari ed era convinto che costoro, se avessero preso il mestolo in mano, avrebbero ricreato il caos del dopoguerra. Comunque, a una cosa era assolutamente deciso: a non farsi coinvolgere nella lotta politica, come del resto gli dettava la Costituzione di cui, quando gli faceva comodo, sapeva ricordarsi. ====[[Explicit]]==== *Resterebbe solo da sapere con che animo Mussolini s'investì, il 3 gennaio, nella parte di dittatore. Se, come molti sostengono, gli sforzi che fino a quel momento aveva fatto per evitarla erano stati solo un giuoco per dimostrare che non era lui a volerla, ma gli eventi ad imporgliela, bisogna riconoscere che come {{sic|giuocatore}} sapeva il fatto suo. ==''Storia dei Greci''== *Il modo migliore per ripagare il nostro contemporaneo [[Heinrich Schliemann|Enrico Schliemann]] degli enormi servigi che ci ha reso nella ricostruzione della civiltà classica, mi pare sia quello di assumerlo fra i suoi protagonisti, com'egli stesso mostrò di desiderare ardentemente, scegliendosi, in pieno secolo decimonono, [[Zeus]] come dio e a lui indirizzando le sue preghiere, battezzando [[Agamennone]] suo figlio, Andromaca sua figlia, Pélope e Telamone i suoi servitori, e dedicando a [[Omero]] tutta la sua vita e i quattrini. (cap. 2; 2004, p. 17) *{{NDR|Su [[Heinrich Schliemann|Schliemann]]}} Era un matto, ma tedesco, cioè organizzatissimo nella sua follia, che la buona sorte volle ricompensare. La prima storia che gli raccontò suo padre, quando aveva cinque o sei anni, non fu quella di [[Cappuccetto Rosso]], ma quella di [[Ulisse]], di [[Achille]] e di Menelao. Ne aveva otto, quando annunziò solennemente in famiglia che intendeva riscoprire Troia e dimostrare, ai professori di storia che lo negavano, ch'essa era realmente esistita. Ne aveva dieci, quando compose in latino un saggio su questo argomento. E ne aveva sedici, quando sembrò che questa infatuazione gli fosse del tutto passata. Infatti s'era impiegato come garzone di una drogheria, dove scoperte archeologiche non c'era da farne di certo, e di lì a poco s'imbarcò non per l'Ellade, ma per l'America, in cerca di fortuna. (cap. 2; 2004, p. 17) *Di nuovo il buon Dio, che per i matti ha un debole, lo compensò di tanta fede, guidando il suo piccone sugli scantinati del palazzo dei discendenti di re Atreo, nei cui sarcofaghi furono ritrovati gli scheletri, le maschere d'oro, i gioielli e il vasellame che si ritenevano esistiti solo nella fantasia di Omero. E Schliemann telegrafò al re di Grecia: ''Maestà, ho ritrovato i vostri antenati''. Poi, ormai sicuro del fatto suo, volle dare il colpo di grazia agli scettici del mondo intero e, sulle indicazioni di [[Pausania]], andò a Tirinto e vi disseppellì le ciclopiche mura del palazzo di Proteo, di Perseo e di [[Andromeda|Andròmeda]]. (cap. 2; 2004, pp. 19-20) *Schliemann morì quasi settantenne nel 1890, dopo aver sconvolto tutte le tesi e le ipotesi su cui si era basata sino ad allora la ricostruzione della preistoria greca, tesa ad esiliare Omero e Pausania nei cieli della pura fantasia. (cap. 2; 2004, p. 20) *Ma ora, dopo le scoperte del tedesco matto, non abbiamo più il diritto di mettere in dubbio la realtà storica di Agamennone, di Menelao, di [[Elena]], di [[Clitennestra]], di Achille e di Patroclo, di Ettore e di Ulisse, anche se le loro avventure non sono state esattamente quelle che Omero ha descritto, facendoci sopra la cresta. Schliemann ha arricchito la storia e impoverito la leggenda, di alcune decine di personaggi di primissimo piano. Grazie a lui alcuni secoli, che prima erano nel buio, sono entrati nella luce, anche se è quella incerta della primissima alba. Ed è solo per mano a lui che possiamo esplorarla. (cap. 2; 2004, p. 21) *Senza dubbio gli [[achei]], a differenza dei pelasgi, furono terrieri, tant'è vero che fino alla guerra di Troia imprese per mare non ne azzardarono, e ogni volta che lo trovavano si fermavano. Essi non tentarono di mettere il piede nemmeno nelle isole più vicine al continente, e tutte le loro capitali e cittadelle erano nell'interno. La Grecia, sotto di loro, si limitava al Peloponneso, all'Attica e alla Beozia; mentre per le popolazioni pelasgiche della civiltà micenea, ch'erano marinare, essa inglobava anche tutti gli arcipelaghi dell'Egeo. (cap. 3, ''Gli Achei''; 2004, p. 25) *[[Diogene di Sinope|Diogene]], che aveva la lingua lunga, disse che la religione greca era quella cosa per cui un ladro che sapeva bene l'Avemaria e il Paternoster era sicuro di potersela cavar meglio, nell'al di là di un galantuomo che li aveva dimenticati. Non aveva torto. La [[Religione dell'antica Grecia|religione]], in Grecia, era soltanto un fatto di procedura, senza contenuto morale. Ai fedeli non si chiedeva la fede né si proponeva il bene. S'imponeva solo il compimento di certe pratiche burocratiche. E non poteva essere diversamente, visto che di contenuto morale gli stessi {{sic|dèi}} ne avevano ben poco e non si poteva certo dire che fornissero un esempio di virtù. (cap. 7, ''Zeus e famiglia''; 2004, p. 54) *Anche [[Pisistrato]] era aristocratico e di famiglia ricca. Ma aveva capito che la [[democrazia]], una volta instaurata, è irreversibile e va sempre a sinistra. (cap. 15, ''Pisistrato''; 2004, p. 98) *Pisistrato, invece di cinquanta uomini, ne arruolò e armò quattrocento, s'impadronì dell'Acròpoli, e proclamò la dittatura. In nome e per il bene del popolo, si capisce, come tutte le dittature. (cap. 15; 2004, p. 91) *La stragrande maggioranza degli ateniesi, dopo averlo a lungo osteggiato e tenuto in gran sospetto, si erano sinceramente affezionati a Pisistrato che aveva dalla sua un'arma formidabile: la simpatia. (cap. 15; 2004, pp. 92-93) *Il tiranno Pisistrato seppe sfuggire a tutte le tentazioni del potere assoluto, meno una: quella di lasciare il «posto» in eredità ai figli, [[Ippia (tiranno)|Ippia]] e [[Ipparco (tiranno)|Ipparco]]. L'amor paterno gl'impedì di vedere con la consueta chiarezza che i totalitarismi non hanno eredi e che quello suo si giustificava soltanto come una eccezione alla democrazia per assicurarle ordine e stabilità. Peccato. (cap. 15; 2004, p. 95) *Pisistrato era morto nel 527 avanti Cristo. Ventun anni dopo, cioè nel 506, troviamo uno dei suoi due figli, da lui designati a succedergli, Ippia, alla corte del re di Persia, [[Dario I di Persia|Dario]], per suggerirgli l'idea di muover guerra contro Atene e la Grecia tutta. I grandi uomini non dovrebbero mai lasciare né vedove né eredi. Sono pericolosissimi. (cap. 16, ''I persiani alle viste''; 2004, p. 103) *Questo Ippia non aveva debuttato male, dopo che suo padre fu calato nella fossa. Era un giovanotto sveglio che, a furia di stare accanto al babbo, ne aveva imparato molte malizie, e alla politica aveva passione, a differenza di suo fratello Ipparco che invece s'interessava soltanto di poesia e di amore, in modo che fra i due non c'erano nemmeno pericolose rivalità. Eppure, a procurare i guai che condussero alla caduta della dinastia, fu proprio Ipparco. (cap. 16; 2004, p. 96) *Ipparco ebbe la disgrazia d'inciampare in un bellissimo guaglione di nome Armodio, che un certo Aristogitone – aristocratico quarantenne, prepotente e geloso – considerava sua proprietà. Costui concepì l'idea di sbarazzarsi del rivale col pugnale e, per dare all'assassinio un'etichetta più pulita che lo rendesse popolare, pensò di estenderlo anche al fratello Ippia facendolo passare per «delitto politico» in nome della libertà e contro la tirannia. Organizzò in questo senso una congiura con altri nobili latifondisti e, in occasione di una festa, tentò il colpo, che andò bene solo a mezzo: Ipparco ci rimise la pelle, ma Ippia scampò. E da quel momento, un po' per rancore, un po' per paura di altri complotti, il figlio e l'allievo di Pisistrato, dittatore liberale indulgente e illuminato, diventò un ''tiranno'' autentico. (cap. 16; pp. 96-97) *Lo scontento del popolo inferocì Ippia, che a sua volta inferocì il popolo. E quando il divorzio fra i due fu totale, i fuoriusciti, che frattanto si erano concentrati a Delfi, chiamarono in aiuto gli spartani, e insieme marciarono contro Atene. (cap. 16; 2004, p. 97) *Ippia si rifugiò sull'Acròpoli coi suoi sostenitori. Ma, per mettere in salvo i suoi figlioletti, cercò di farli segretamente espatriare. Gli assedianti li catturarono e l'infelice padre, per salvar la vita a loro e a se stesso, capitolò e si avviò in volontario esilio. Non bisogna dimenticare che nelle sue vene scorreva tuttavia il sangue di Pisistrato, cioè di un uomo sempre pronto a sacrificare la posizione alla famiglia, ma mai disposto a rassegnarsi alla sconfitta. (cap. 16; 2004, p. 97) *[[Milziade]] aveva capito qual era il debole dei [[Persia|persiani]]: essi erano bravi soldati individualmente, ma non avevano nessuna idea della manovra collettiva. E su questa puntò. A dar retta agli storici del tempo — che purtroppo erano tutti greci, — Dario perse settemila uomini, Milziade neanche duecento. (cap. 17, ''Milziade e Aristide''; 2004, p. 112) *{{NDR|A Milziade}} sopravvisse [[Aristide]], le cui vicende purtroppo ci dimostrano che l'[[onestà]] in [[politica]] non trova sempre i suoi compensi e che la [[storia]], come le [[donna|donne]], ha un debole per i birbaccioni. (cap. 17, ''Milziade e Aristide''; 2004, p. 112) *Nike, diventata ragazza, porta il [[peplo]] di lana, bianca o colorata, ma questa è l'unica scelta che le si lascia. Siccome è confinata in casa, non può nemmeno far quella di un ragazzo che le piace, e deve aspettare che il padre si metta d'accordo con un altro padre per combinare il matrimonio. (cap. 23, ''Una Nike qualsiasi''; 2004, p. 143) *Quando il grande [[Mirone]], rincorbellito dalla vecchiaia, si vide arrivare in studio come modella Laìde<ref>Etera dell'antica Grecia, celebre per la sua bellezza.</ref>, perse la testa e le offrì tutto ciò che possedeva purché restasse la notte. E siccome essa rifiutò, l'indomani il poveruomo si tagliò la barba, si tinse i capelli, indossò un giovanile [[chitone]] color porpora e si passò una mano di carminio sul viso. «Amico mio», gli disse Laìde, «non sperare di ottenere oggi ciò che ieri rifiutai a tuo padre». (cap. 23, ''Una Nike qualsiasi''; 2004, p. 150) *{{NDR|[[Fidia]]}} Qualcosa, nel suo carattere, doveva farne un nemico degli uomini, visto che nessuno lo amava. Eppure egli non fu soltanto un grande scultore, ma anche un grandissimo maestro, che, oltre ad aver creato uno stile, ne fece anche una scuola, trasmettendone le regole ad allievi come Agoracrito e Alcamene, continuatori del «classico». (cap. 25, ''Fidia sul Partenone''; 2004, p. 165) *Gli uomini non sanno apprezzare e misurare che la [[fortuna]] degli altri. La propria, mai. (cap. 25, ''Fidia sul Partenone''; 2004, p. 166) ==''Storia di Roma''== ===[[Incipit]]=== Non sappiamo con precisione quando a Roma furono istituite le prime scuole regolari, cioè «statali». Plutarco dice che nacquero verso il 250 avanti Cristo, cioè circa cinquecent'anni dopo la fondazione della città. Fino a quel momento i ragazzi romani erano stati educati in casa, i più poveri dai genitori, i più ricchi dai ''magistri'', cioè da maestri, o istruttori, scelti di solito nella categoria dei liberti, gli schiavi liberati, che a loro volta erano scelti fra i prigionieri di guerra, e preferibilmente fra quelli di origine greca, che erano i più colti. ===Citazioni=== <!--segui nel riportare le citazioni l'ordine cronologico del libro--> *Non ho scoperto nulla, con questo libro. Esso non pretende di portare "rivelazioni", nemmeno di dare una interpretazione originale della storia dell'Urbe. Tutto ciò che qui racconto è già stato raccontato. Io spero solo di averlo fatto in maniera più semplice e cordiale, attraverso una serie di ritratti che illuminano i protagonisti in una luce più vera, spogliandoli dei paramenti che fin qui ce li nascondevano. (introduzione) *{{NDR|[[Numa Pompilio]]}} Quelle che più lo interessavano erano le questioni religiose. E siccome in questa materia ci doveva essere una grossa anarchia perché ognuno dei tre popoli {{NDR|etruschi, latini e sabini}} venerava i propri {{sic|dèi}}, fra i quali non si riusciva a capire chi fosse il più importante, Numa decise di mettervi ordine. E per imporlo, questo ordine, ai suoi riottosi sudditi, fece spargere la notizia che ogni notte, mentre dormiva, la ninfa Egeria veniva a visitarlo in sogno dall'Olimpo per trasmettergliene direttamente le istruzioni. Chi vi avesse disobbedito, non era col re, uomo fra gli uomini, che avrebbe dovuto vedersela, ma col Padreterno in persona. (Rizzoli 1959, cap. 3, ''I re agrari'', pp. 37-38) *[[Tarquinio Prisco|Lucio Tarquinio]] e i suoi amici etruschi dovettero veder subito che profitto si poteva trarre da questa massa di gente, per la maggior parte esclusa dai comizi curiati, se si fosse potuta convincerla che solo un re forestiero come lui avrebbe potuto farne valere i diritti. E per questo l'arringò, promettendole chissà cosa, magari ciò che poi fece davvero. [...] Certamente ci riuscirono perché Lucio Tarquinio fu eletto col nome di Tarquinio Prisco, rimase sul trono trentotto anni, e per liberarsi di lui i ''patrizi'', cioè i «terrieri», dovettero farlo assassinare. Ma inutilmente. Prima di tutto perché la corona, dopo di lui, passò al figlio, eppoi a suo [[Tarquinio il Superbo|nipote]]. In secondo luogo perché, più che la causa, l'avvento della dinastia dei Tarquini fu l'effetto di una certa svolta che la storia di Roma aveva subìto e che non le consentiva più di tornare al suo primitivo e arcaico ordinamento sociale e alla politica che ne derivava. (RCS 2004, cap. 4, ''I re mercanti'', pp. 38-39) *Questo secondo [[Tarquinio il Superbo|Tarquinio]], prima di rischiare il colpo, tentò di far deporre lo zio per abuso di potere. Servio si presentò alle centurie che lo riconfermarono re con plebiscitaria acclamazione (lo racconta [[Tito Livio]], gran repubblicano, dunque dev'esser vero). Non restava quindi che il pugnale, e Tarquinio lo usò senza troppi scrupoli. Ma il respiro di sollievo che trassero i senatori, coi quali si era alleato, rimase loro in gola, quando videro l'uccisore sedersi a sua volta sul trono d'avorio senza chieder loro permesso, come avveniva a quei buoni vecchi tempi ch'essi speravano di restaurare. Il nuovo sovrano si mostrò subito più tirannico di quello che aveva spedito all'altro mondo. E infatti lo ribattezzarono «il Superbo» per distinguerlo dal fondatore della dinastia. (RCS 2004, cap. 4, ''I re mercanti'', pp. 42-43) *Non sappiamo quasi nulla di [[Lars Porsenna|Porsenna]]. Ma dal modo come si condusse, dobbiamo dedurre che alle doti del bravo generale doveva accoppiare quelle del sagace uomo politico. Egli si rese conto che negli argomenti di [[Tarquinio il Superbo|Tarquinio]] c'era del vero. Ma prima d'impegnarsi, volle essere sicuro di due cose: che il Lazio e la Sabina erno davvero pronti a schierarsi dalla sua parte, e che nella stessa Roma c'era una «quinta colonna» monarchica pronta a facilitargli il compito con un'insurrezione. (RCS 2004, cap. 5, ''Porsenna'', p. 49) *Da quell'anno 508 in cui fu fondata la repubblica, tutti i monumenti che i romani innalzarono un po' dappertutto portarono sempre la sigla SPQR che vuol dire: ''Senatus PopuluSque Romanus'', cioè «il Senato e il popolo romano». Cosa fosse il Senato, già lo abbiamo detto. Viceversa non abbiamo ancora detto cos'era il popolo, che non corrispondeva affatto a ciò che noi intendiamo con questa parola. In quei lontani giorni di Roma esso non comprendeva «tutta» la cittadinanza, come avviene oggi, ma soltanto due «ordini», cioè due classi: quella dei «patrizi» e quella degli ''equites'' o «cavalieri». (RCS 2004, cap. 6, ''SPQR'', p. 54) *{{NDR|[[Sacco di Roma (390 a.C.)]]}} Gli storici che lo hanno raccontato a cose fatte hanno avvolto di molte leggende questo capitolo che dovett'essere per l'Urbe molto spiacevole. Dicono che quando i [[galli]] fecero per dare la scalata al [[Campidoglio]], le oche sacre a Giunone cominciarono a stridere risvegliando così [[Marco Manlio Capitolino|Manlio Capitolino]] che, alla testa dei difensori, respinse l'attacco. Sarà. Però i galli in Campidoglio entrarono ugualmente come in tutto il resto della città, donde la popolazione era fuggita in massa per rifugiarsi su monti circostanti. (Rizzoli 1959, cap. 6, ''SPQR'', pp. 81-82) *[...] i galli espugnarono Roma, la misero a sacco, e se ne andarono incalzati dalle legioni, ma carichi di quattrini. Erano predoni gagliardi e zotici, che non seguivano nessuna linea politica e strategica nelle loro conquiste. Assalivano, depredavano e si ritiravano senza punto preoccuparsi del domani. Avessero potuto immaginare che vendetta Roma avrebbe tratto da quella umiliazione, non vi avrebbero lasciato pietra su pietra. (Rizzoli 1959, cap. 6, ''SPQR'', pp. 82-83) *Tutti i dittatori della Roma repubblicana, meno uno, furono patrizi. Tutti, meno due, rispettarono i limiti di tempo che furono loro imposti. Uno di essi, [[Lucio Quinzio Cincinnato|Cincinnato]], che, dopo soli sedici giorni di esercizio della suprema carica, tornò spontaneamente ad arare il campo coi buoi, è passato alla storia coi colori della leggenda. (RCS 2004, cap. 9, ''La carriera'', p. 85) *Negli ultimi tempi {{NDR|[[Cesare]]}} si era spinto anche più in là: aveva imposto che tutte le discussioni che si svolgevano in quel solenne e aristocratico consesso venissero registrate e pubblicate giorno per giorno. Così nacque il primo giornale. Si chiamò ''[[Acta Diurna|Acta diurna]]'', e fu gratuito, perché, invece di venderlo, lo affiggevano ai muri in modo che tutti i cittadini potessero leggerlo e controllare ciò che facevano e dicevano i loro governanti. L'invenzione fu d'immensa portata perché sancì il più democratico di tutti i diritti. Il Senato, che traeva prestigio anche dalla sua segretezza, fu così sottoposto alla pubblica opinione, e non si riebbe mai più da questo colpo. (RCS 2004, cap. 24, ''Cesare'', p. 214) *Se riuscirò ad affezionare alla storia di Roma qualche migliaio di italiani, sin qui respinti dalla sussiegosità di chi gliel'ha raccontata prima di me, mi riterrò un autore utile, fortunato e pienamente riuscito. (introduzione) *Sull'esattezza di quel che [[Tito Livio|Livio]] riferisce facciamo le nostre riserve, specie là dov'egli mette in bocca ai suoi personaggi interi discorsi che somigliano più a Livio che a loro. La sua è una storia di eroi, un immenso affresco a episodi, e serve più a esaltare il lettore che a informarlo. [[Roma]], a dargli retta, sarebbe stata popolata soltanto, come l'Italia di Mussolini, da guerrieri e navigatori assolutamente disinteressati, che conquistarono il mondo per migliorarlo e moralizzarlo. Gli uomini, secondo lui, sono divisi in buoni e cattivi. A Roma c'erano solamente i buoni, e fuori di Roma solamente i cattivi. Anche un grande generale come [[Annibale]] diventa, sotto la sua penna, un comune mariuolo. Ciò non toglie che la storia di Livio, costata cinquant'anni di fatiche a un autore che si dedicò soltanto ad essa, resti un gran monumento letterario. Forse il più grande fra quelli, piuttosto mediocri, eretti sotto il segno di [[Augusto]]. (cap. 30, ''Orazio e Livio'') *Può darsi che [[Dione Cassio]] e [[Svetonio]], nel loro odio per la monarchia, abbiano un po' calcato la mano. Ma matto, [[Caligola]] doveva esserlo davvero. (cap. 31, ''Tiberio e Caligola'') *[[Vitellio]], quando fu catturato nel suo nascondiglio, dove, tanto per cambiare, banchettava, fu trascinato nudo per la città con un laccio al collo, bersagliato di escrementi, torturato con ponderata lentezza, e alla fine gettato nel Tevere.<br>Questa città che si divertiva al fratricidio, questi eserciti che si ribellavano, questi imperatori che venivano subissati di sterco pochi giorni dopo essere stati coperti di osanna: ecco cos'era diventata la capitale dell'Impero. (Rizzoli 1959, cap. 37, ''I Flavi'', pp. 415-416) *Purtroppo la pace, per ottenerla, bisogna essere in due a volerla. (cap. 37, ''I Flavi'') *Era la prima volta, nella storia di Roma, che una guerra si combatteva in nome della religione. Ma fu la Croce che vinse. E il Tevere, trascinando verso la foce i cadaveri di [[Massenzio]] e dei suoi soldati che lo ingombravano, sembrò che spazzasse via i residui del mondo antico. (cap. 46, ''Costantino'') *Il papa che più contribuì a rassodare l'organizzazione in questi primi difficili anni fu [[Papa Callisto I|Callisto]], che molti consideravano un avventuriero. Dicevano che, prima di convertirsi, aveva fatto i quattrini con sistemi piuttosto equivoci, era diventato banchiere, aveva derubato i suoi clienti, era stato condannato ai lavori forzati ed era fuggito con un inganno. Il fatto che, appena diventato papa, proclamasse valido il pentimento per cancellare qualunque peccato, anche mortale, ci fa sospettare che in queste voci un po' di verità c'è. Comunque, fu un gran papa, che stroncò il pericoloso scisma d'[[Ippolito di Roma|Ippolito]] e affermò definitivamente l'autorità del potere centrale. (RCS 2004, cap. 46, ''Costantino'', p. 367) *Le rivoluzioni vincono non in forza delle loro idee, ma quando riescono a confezionare una classe dirigente migliore di quella precedente. E il [[Cristianesimo]] era riuscito proprio in questa impresa. (cap. 47, ''Il trionfo dei cristiani'') *[[Costantino]] fu uno strano e complesso personaggio. Faceva gran scialo di fervore cristiano, ma nei suoi rapporti di famiglia non si mostrò molto ossequente ai precetti di Gesù. Mandò sua madre Elena a Gerusalemme per distruggere il tempio di Afrodite che gli empi governatori romani avevano elevato sulla tomba del Redentore, dove, secondo Eusebio, fu ritrovata la croce su cui era stato suppliziato. Ma subito dopo mise a morte sua moglie, suo figlio e suo nipote. (cap. 47, ''Il trionfo dei cristiani'') *Come tutti i grandi Imperi, quello romano non fu abbattuto dal nemico esterno, ma roso dai suoi mali interni. (cap. 51, ''Conclusione'') *Una religione conta non in quanto costruisce dei templi e svolge certi riti; ma in quanto fornisce una regola morale di condotta. Il [[paganesimo]] questa regola l'aveva fornita. Ma quando Cristo nacque, essa era già in disuso, e gli uomini, consciamente o inconsciamente, ne aspettavano un'altra. Non fu il sorgere della nuova fede a provocare il declino di quella vecchia; anzi, il contrario. (cap. 51, ''Conclusione'') *Il dispotismo è sempre un malanno. Ma ci sono delle situazioni che lo rendono necessario. (cap. 51, ''Conclusione'') ===[[Explicit]]=== Mai città al mondo ebbe più meravigliosa avventura. La sua storia è talmente grande da far sembrare piccolissimi anche i giganteschi delitti di cui è disseminata. Forse uno dei guai dell'Italia è proprio questo: di avere per capitale una città sproporzionata, come nome e passato, alla modestia di un popolo che, quando grida «Forza Roma!», allude soltanto a una [[Associazione Sportiva Roma|squadra di calcio]]. ==''XX Battaglione eritreo''== ===[[Incipit]]=== Sono letterato. E, a parte il brutto e il meschino di quella parola, il mio mestiere m'innamora. Mi sono sforzato tanti anni, per compiacere a qualcuno o a qualcosa, di tradire questo mio istinto. Ma non ce l'ho fatta. E non ce la fo nemmeno ora, soldato in Africa, in piena guerra. Ma non lo dico per presentare il conto. E a chi, poi? Lo dico per un fenomeno di narcisismo: perché mi garba contemplarmi in questo gesto di fedeltà al mestiere, che poi vuol dire fedeltà a me stesso. ===Citazioni=== *Essere [[Àscari|ascaro]] vuol dire, press'a poco, avere un blasone; vuol dire avere tre lire al giorno, più un'indennità vestiario, più un'indennità farina, più un'indennità carne; vuol dire avere un ''tarbush'' e una fascia coi colori del battaglione; vuol dire soprattutto avere un fucile. La gente di questo Paese segue una logica sistematica semplice e dritta: l'umanità si divide in due categorie: gli armati che sono i forti, i disarmati che sono i deboli. Al culmine della gerarchia sociale sta il possessore di fucile, il guerriero: che è tanto più importante quanto più elevato è il suo grado e quanto è maggiore la sua anzianità. (p. 25) *[[Pietro Toselli|Toselli]]. Questo nome non ha in Italia la risonanza che ha qui. Toselli non è un uomo, è una leggenda: non solo alla cronaca, ma sfugge anche alla storia. È rimasto nei canti di questa gente, nelle sue memorie e anche nelle sue speranze. Pur ieri mi diceva il vecchio Sciumbasci, reduce di Adua e ora capopaese di Digsa, che «le cose che si sanno sono molto meno di quelle che non si sanno» e che «il fatto è questo: che il corpo del maggiore Toselli non era più sul campo dopo la battaglia». Su quello che ne sia avvenuto le opinioni sono discordi, ma nessuno crede che il maggiore sia morto. (pp. 35-36) *Appollaiato ai suoi piedi, nascosto fra il verde tenero degli eucalipti, stava [[Alessandro Pirzio Biroli|Pirzio Biroli]]. Il suo nome era mormorato con circospezione dagli [[Àscari|ascari]] disseminati fra le rocce di Mai Egadà a Saganeiti, da Agordar ad Assab, a Cheren, ad Adi Ugri, ad Adi Caieh. Raramente lo si vedeva e sempre a cavallo. Accanto a lui cavalcava Chiarini, la piccola ombra fedele, il fantasma sorto una notte da un roveto della conca di Adua. Chiarini, settantenne, pallido, non scompariva nell'alone magico che Pirzio, il buon gigante, suscitava intorno. (pp. 87-88) *Poi arrivava anche lui, [[Alessandro Pirzio Biroli|Pirzio]] il leone, altissimo, quadrato, col profilo calmo incorniciato dalla folta criniera. Il cavallo, domo dai suoi ginocchi di ferro, caracollava senza un tentativo di ribellione. Dalla sella pendevano, di qua e di là, due aquile colossali, abbattute in volo dal moschetto infallibile di Pirzio. Nessuna tromba sonava l'attenti al suo ingresso. Non ce n'era bisogno. Tutti, nel quartiere, sentivano come per miracolo la sua presenza e restavano ischeletriti. Pirzio non se n'accorgeva: era uno di quegli uomini pei quali gli uomini sentono rispetto per istinto e che passano attraverso la vita come attraverso un'eterna parata, fra due file di bipedi schiaffati meccanicamente sull'attenti. Gli [[Àscari|ascari]] ebbero ragione quando lo battezzarono «il Leone»: non aveva bisogno di ruggire perché il largo gli si facesse automaticamente intorno. (pp. 88-89) ===[[Explicit]]=== Vorremmo ristare dopo la guerra? Il mondo è così visto che nessun limite precisa al desiderio. Italiani, continuate ad aver fame anche dopo aver mangiato. Questa guerra è per noi come una bella lunga vacanza dataci dal Gran Babbo in premio di tredici anni di banco di scuola. E, detto fra noi, era ora. ==Citazioni su Indro Montanelli== *A leggerlo sembrerebbe un disordinatore di professione: sempre pronto a mugugnare, sempre a prendersela con qualcuno. Poi però, quando si tratta di scendere sul pratico, ci consiglia di turarci il naso e di andare a votare per l'Ordine. vallo a capire. ([[Luciano De Crescenzo]]) *Amo Indro Montanelli, ma non i suoi emuli. I polemisti per posa non mi piacciono, non li ritengo utili. Ma lui non era un polemista fine a se stesso, come tanti dei suoi presunti eredi. Era piuttosto, come da titolo di una sua fortunata rubrica, controcorrente. Non si curava delle convenienze, dei vantaggi che gli sarebbero derivati nel seguire l'onda di [[pensiero]] prevalente. Aveva la sua visione delle cose, sempre originale e spesso esatta. Io credo che dire quel che si pensa premi sempre. Montanelli lo faceva, e andava a letto tranquillo. ([[Fabio Genovesi]]) *C'è davvero qualcosa di singolare nel modo in cui è venuta formandosi la memoria della Repubblica, nel modo in cui tale memoria è stata ed è elaborata dalla cultura ufficiale del Paese. Per molti decenni, ad esempio, a quanto accaduto dal 1943 al '45 fu vietato dare il nome che gli spettava, il nome cioè di [[Guerra civile in Italia (1943-1945)|guerra civile]]. Parlare di guerra civile era giudicato fattualmente falso, e ancor di più ideologicamente sospetto. Bisognava dire che quella che c'era stata era la resistenza, non la guerra civile; di guerra civile parlavano e scrivevano, allora, solo i reduci di Salò, i nostalgici del regime e qualche coraggioso giornalista o pubblicista di rango come Indro Montanelli, che mostravano così da che parte ancora stavano. Le cose andarono in questo modo a lungo. Finché, all'inizio degli anni Novanta, come si sa, uno storico di sinistra, [[Claudio Pavone]], scrisse un libro sul periodo 1943-'45 che si intitolava precisamente ''Una guerra civile'': solamente da allora tutti abbiamo potuto usare senza problemi questa espressione, ben inteso non cancellando certo la parola resistenza. ([[Ernesto Galli della Loggia]]) *È uno che riesce a spiegare agli altri quello che non capisce nemmeno lui. ([[Mario Missiroli]]) *È vero che ha cambiato parere politico più volte, ma sempre perché profondamente preoccupato per le sorti del paese. Ma Indro ha cambiato parere sempre meno di quei giornalisti che da Lotta Continua sono passati a Comunione e Liberazione per approdare infine a dirigere quotidiani di Stato. Senza contare tutti coloro che da stalinisti o maoisti sono diventati prima antimarxisti e ora clintoniani: Montanelli ragiona, loro vogliono avere sempre ragione. ([[Fausto Gianfranceschi]]) *Indro è naturalmente inclinato, direi quasi condannato a vedere più i ''tics'' degli uomini che le loro qualità e nessuno come lui fa più uso, nei suoi ritratti, dell'acido prussico. ([[Eugenio Montale]]) *{{maiuscoletto|Indro Montanelli}}. L'Italia dei Luoghi Comuni. ([[Marcello Marchesi]]) *Io mi sono limitato ad adottare la sua formula giornali­stica. Ma l'ho realizzata meglio perché mi sono sempre esposto, ci ho messo la faccia. Lui invece era come Veltroni: "Sì, ma an­che". Non si schierava nettamente, il suo editoriale era così in chiaroscuro che alla fine non capivi mai se fosse chiaro o scuro. Il che non significa che non resti il migliore di tutti noi. Ho venduto più di lui solo perché a me la gente non fa schifo. ([[Vittorio Feltri]]) *Mi sono sentito in imbarazzo per lui, e il mio primo pensiero è stato il rifiuto – «no, povero Montanelli» – quando all'ingresso dei giardini di via Palestro mi sono trovato davanti alla sua statua, al punto che ho pensato che ci sono vandali che distruggono e vandali che costruiscono, e che anzi, per certi aspetti, il vandalismo che crea è ben peggiore, perché tenta di disarmarti con le sue buone intenzioni. Dunque era di mattina, molto presto, e i giardini erano vuoti, al sole. Ebbene in questo vuoto, la statua mi è apparsa all'improvviso: una figurina in gabbia che non ha niente a che fare con Montanelli, se non perché lo offende anche fisicamente, lui che era così "verticale", e che ci invitava a buttare via «il grasso» e la retorica monumentale. Il giornalista che ogni volta si ri-definiva in una frase, in un concetto, in un aforisma, in una citazione, è stato per sempre imprigionato in una scatola di sardine. Perciò ho provato il disagio che sempre suscita il falso, la patacca, la similpelle che non è pelle, perché non solo questo non è Montanelli, come ci ha insegnato Magritte che dipinse una pipa e ci scrisse sotto "questa non è una pipa". Il punto è che questa non è neppure una statuta di Montanelli, ma di un montanelloide in bronzo color oro, che ha la presunzione ingenua e goffa di imprigionare il Montanelli entelechiale, il Montanelli che era invece l'asciuttezza, era il corpo più "instatuabile" del mondo, troppo alto, troppo energico, troppo nervoso, incontenibile nello spazio e nel tempo com'è l'uomo moderno, che è nomade e ha un'identità al futuro. Era il più grande nemico delle statue il Montanelli che sempre ci sorprendeva, fascista ma con la fronda, conservatore ma anarchico, con la sinistra ma di destra, un uomo di forte fascino maschile che tuttavia non amava raccogliere i trofei del fascino maschile, ingombrante ma discreto, il solo che nella storia d' Italia abbia rifiutato la nomina a senatore a vita perché, diceva, «i monumenti sono fatti per essere abbattuti», come quello di Saddam, o di Stalin o di Mussolini. Come si può fare una statua ingombrante e discreta? Come si può fare un monumento all'antimonumento? ([[Francesco Merlo]]) *Montanelli comprò una sposa ragazzina di 11-12 anni. In realtà non possiamo sapere con precisione l'età perché nei villaggi africani non si registravano le nascite. Ma la comprò, questo lo sappiamo. E la violentò più volte. sappiamo anche questo, è stato lui a raccontare che lei non voleva. [...] Da italiano Montanelli avrebbe potuto riconoscere i segni di quella crudeltà e discostarsene. Non lo fece perché condivideva evidentemente quella cultura patriarcale. Perché non mettere al posto della sua statua quella di una donna della Resistenza? In Italia vorrei vedere più statue di donne partigiane. ([[Maaza Mengiste]]) *Montanelli disprezzava la borghesia che difendeva, e ammirava i comunisti che attaccava. Era convinto che la rivolta di Budapest si dovesse a operai che volevano il vero socialismo; mentre fu una rivolta nazionalista e antisovietica. ([[Enzo Bettiza]]) *Montanelli è il campione di indipendenza dalla politica, anche se sono arrabbiato con lui perché mi ha insegnato regole di comportamento anacronistiche, che nel giornalismo odierno non valgono più. ([[Daniele Vimercati]]) *Montanelli ha sempre avuto una componente di destra. È stato un uomo di destra come fascista, uomo di destra come sostenitore dei governi dc sia pure turandosi il naso. [...] Adesso è un uomo di destra qualunquista, ma sempre di destra. ([[Ugo Intini]]) *Montanelli, un misantropo che cerca compagnia per sentirsi più solo. ([[Leo Longanesi]]) *Quanto mi ha insegnato: le parole da non usare, le cose da non dire, la persone da non frequentare. ([[Beppe Severgnini]]) *Recentemente sono stato insignito del Premio Montanelli alla carriera che dovrebbe essermi consegnato a ottobre a Fucecchio, a meno che nel frattempo non mi sia revocato per indegnità, sempre in nome della libertà di informazione. Sono certo che il vecchio Indro non avrebbe condiviso nemmeno un fonema del mio necrologio sul Mullah {{NDR|Omar}}, ma sono altrettanto certo che non si sarebbe mai sognato di bloccarlo. Caso mai ci avrebbe riso su, considerandolo una provocazione, anche se provocazione non era. Perché Montanelli era un vero liberale. Quando i liberali esistevano ancora. ([[Massimo Fini]]) *Sa spalmare una così giusta misura di miele sull'orlo del nappo avvelenato che prepara per questo o per quello, che spesso la vittima muore senza accorgersene, ingannata dai soavi licori. ([[Paolo Monelli]]) *Scalfari e Montanelli direttori all'antica, padroni, mattatori che ricordano gli Scarfoglio, i vecchi direttori dell'ottocento che non solo incrociavano la penna ma anche la spada in una rissa continua con tutt ([[Ugo Intini]]) *Si può raccontare la [[storia]] in forma lieve, senza essere troppo ponderosi, rispettando tuttavia le fonti e la verità storica. Montanelli era molto bravo a scrivere, ma in fondo ne sapeva poco, gli piaceva gigioneggiare, sprofondava nell'anacronismo. Oggi ci si è accorti che, nel raccontare la storia, essere rigorosi ed essere divertenti non è conflittuale. ([[Alessandro Barbero]]) *So solo che Montanelli è fatto così: un maestro di giornalismo che ogni tanto s'impenna con qualcuna delle sue bizzarrie. ([[Giorgio Bocca]]) *Una volta, parecchi anni fa, Indro Montanelli, dicendosi disgustato della morbidezza e della mollezza della [[Democrazia Cristiana]], che ammorbidiva, incorporava, estenuava e alla fine innocuizzava qualsiasi opposizione, togliendole ogni soddisfazione e dignità, mi mostrò una fotografia, incastonata in una cornicetta d'argento, che teneva, a mo' di santino, come altri fanno con le immagini della madre o della moglie e dei figli, sulla sua scrivania, al «Giornale». Con sorpresa vidi che si trattava di Stalin. «Con questo ci sarebbe stato gusto, a battersi», disse. ([[Massimo Fini]]) *Ognuno può pensarla come vuole, ma quando si passa dalla cronaca alla storia è necessario mantenere un giusto approccio ed essere oggettivi sui valori della persona. Indro Montanelli è stato forse il più autorevole giornalista che l’Italia ha avuto nel ventesimo secolo. La Toscana penserà ad azioni per valorizzarlo. ([[Eugenio Giani]]) ===[[Enzo Biagi]]=== *A Indro Montanelli devo molto: intanto, l'idea che chi conta è il pubblico. Poi la necessità di essere chiari, di far anche fatica, perché chi legge non ha voglia di impegnarsi troppo, e solo se uno si chiama [[James Joyce|Joyce]] può essere difficile. *Montanelli se n'è sempre fregato delle critiche, io molto meno, ho un carattere permaloso, spesso non ho resistito alla tentazione di rispondere a chi mi attaccava. Indro mi sgridava, diceva a mia moglie di tenermi calmo, che non ne valeva la pena, che erano tutte bischerate. [...] Per lui il buon risultato era il sorriso di un passante, l'oste che gli trovava il tavolo. Qualcuno si chiedeva che cos'avesse di speciale. A pensarci bene, niente. Scriveva degli articoli che erano letti e dei libri che si vendevano. *Non è una gran notizia che Indro e io non abbiamo mai fatto parte del coro, ma fu una grande notizia la spiegazione che ne diede Berlusconi: "Biagi e Montanelli hanno invidia del mio successo". La prima cosa che mi venne in mente fu: "Sai che risate si starà facendo Indro adesso". Poi mi dissi che c'era poco da ridere. ==Note== <references/> ==Bibliografia== *Indro Montanelli, ''Qui non riposano'', Marsilio, 1982 (1945). *Indro Montanelli, ''Pantheon minore'' (incontri), Longanesi e C., Milano, 1950. {{NoISBN}} *Indro Montanelli, ''Reportage su Israele'', Derby, Milano, 1960. {{NoISBN}} *Indro Montanelli, ''Gli incontri'', Rizzoli, Milano, 1967. {{NoISBN}} *Indro Montanelli, ''Storia dei greci'', Rizzoli, Milano, 1992. ISBN 8817115126 *Indro Montanelli, ''Storia dei greci'', RCS Quotidiani, Milano, 2004. ISBN 1-129-08505-8 *Indro Montanelli, ''Storia di Roma'', Longanesi, Milano, 1957; Rizzoli, Milano, 1959. {{NoISBN}} *Indro Montanelli, ''Storia di Roma'', RCS Quotidiani, Milano, 2004. ISBN 1-129-08505-8 *Indro Montanelli, ''L'Italia giacobina e carbonara (1789-1831)'', Rizzoli, Milano, 1971. {{NoISBN}} *Indro Montanelli, ''L'Italia del Risorgimento (1831-1861)'', terza edizione, Rizzoli, Milano, 1972. {{NoISBN}} *Indro Montanelli, ''L'Italia dei notabili (1861-1900)'', Rizzoli, Milano, 1973. {{NoISBN}} *Indro Montanelli, ''L'Italia di Giolitti (1900-1920)'', Rizzoli, Milano, 1974. {{NoISBN}} *Indro Montanelli, ''L'Italia in camicia nera (1919-3 gennaio 1925)'', Rizzoli, Milano, 1976. *Indro Montanelli, ''Dante e il suo secolo'', Rizzoli, Milano, 1974. {{NoISBN}} *Indro Montanelli, ''I protagonisti'', Rizzoli, Milano, 1976. {{NoISBN}} *Indro Montanelli, ''Controcorrente'', Editoriale Nuova, Milano, 1978. {{NoISBN}} *Indro Montanelli, ''Controcorrente 1974-1986'', Arnoldo Mondadori Editore, Milano, 1987. ISBN 8804300558 *Indro Montanelli, ''Caro direttore. 1974-1977. Il meglio della rubrica "La parola ai lettori"'', Rizzoli, Milano, 1991, ISBN 88-17-42728-4. *Indro Montanelli, ''Il testimone'', Longanesi & C., Milano, 1992, ISBN 88-304-1063-2. *Indro Montanelli, ''Il meglio di «Controcorrente» 1974-1992'', Rizzoli, Milano, 1993, ISBN 88-17-42807-8. *Indro Montanelli, ''Caro lettore. Il meglio della rubrica "La parola ai lettori". 1978-1981'', Rizzoli, Milano, 1994, ISBN 88-17-42730-6. *Indro Montanelli, ''Le Stanze. Dialoghi con gli italiani'', Rizzoli, Milano, 1998, ISBN 88-17-85259-7. *Indro Montanelli, ''La stecca nel coro. 1974-1994: una battaglia contro il mio tempo'', Rizzoli, Milano, 1999, ISBN 88-17-86284-3. *Indro Montanelli, ''Le nuove Stanze'', Rizzoli, Milano, 2001, ISBN 88-17-86842-6. *Indro Montanelli, ''Soltanto un giornalista. Testimonianza resa a Tiziana Abate'', BUR, Milano, 2003. ISBN 8817107042 *Indro Montanelli, ''I conti con me stesso. Diari 1957-1978'', a cura di [[Sergio Romano]], Rizzoli, Milano, 2010. ISBN 8817028202 ([http://books.google.it/books?id=fuh--fZGHMcC&printsec=frontcover Anteprima su Google Libri]) *Indro Montanelli, ''Ricordi sott'odio'', Milano, Rizzoli, 2011, ISBN 978-88-17-04963-4 *Indro Montanelli, ''Indro al Giro. Viaggio nell'Italia di Coppi e Bartali. Cronache del 1947 e 1948'', a cura di Andrea Schianchi, Collana Saggi italiani, Milano, Rizzoli, 2016. ISBN 978-88-1708-969-2 *Paolo Granzotto, ''Montanelli'', Bologna, Il Mulino. ISBN 88-15-09727-9 *Paolo Occhipinti (a cura di), ''Caro Indro... Dialoghi di Montanelli con il direttore di Oggi. 1993-2001. Il meglio di una rubrica di successo durata otto anni'', RCS, Milano, 2002. ==Voci correlate== *[[Colette Rosselli]] *[[Indro Montanelli e Roberto Gervaso]] *[[Indro Montanelli e Mario Cervi]] *[[Indro Montanelli e Marco Nozza]] *''[[Il generale Della Rovere]]'' (film 1959) ==Altri progetti== {{interprogetto}} ===Opere=== {{Pedia|La Voce (quotidiano)|''La Voce''}} {{Pedia|Storia d'Italia (Montanelli)|''Storia d'Italia''}} {{DEFAULTSORT:Montanelli, Indro}} [[Categoria:Drammaturghi italiani]] [[Categoria:Giornalisti italiani]] [[Categoria:Saggisti italiani]] [[Categoria:Commediografi italiani]] ebzv309w8kz7rfaeejnkctkdxe1801y 1382017 1382016 2025-07-02T09:03:31Z ~2025-110542 103361 /* Il meglio di «Controcorrente» */ 1382017 wikitext text/x-wiki [[File:IndroMontanelliLettera22.jpg|thumb|upright=1.5|Indro Montanelli alla sede del ''Corriere della Sera'']] '''Indro Montanelli''' (1909 – 2001), giornalista, saggista e commediografo italiano. ==Citazioni di Indro Montanelli== [[File:Indro Montanelli 1936.jpg|miniatura|Indro Montanelli, ufficiale del Regio Esercito, 1936]] *[[Gianni Agnelli|Agnelli]] ha detto che non siamo nella repubblica delle banane, però qualche banana in Italia c'è, perché avvengono cose veramente singolari.<ref>Citato in Marco Travaglio, ''Bananas'', Garzanti, Milano, 5 maggio 2001.</ref> *Al [[conformismo]] l'[[ironia]] fa più paura d'ogni [[Argomentazione|argomentato ragionamento]].<ref>Da ''Controcorrente'', Editoriale Nuova, Milano, 1978.</ref> *{{NDR|[[Ferdinando I delle Due Sicilie]]}} Aveva sulla coscienza la vita di migliaia d'infelici, morti sulla forca e nelle galere solo per aver voluto un po' di libertà. Era stato spergiuro. Non aveva conosciuto che disfatte e fughe ignominiose di fronte al nemico. Politicamente, era rimasto fermo alla concezione settecentesca del più retrivo assolutismo. Non aveva fatto che i propri interessi, e più ancora i propri comodi, della regalità prendendosi solo i piaceri. Non aveva saputo che incrementare l'ignoranza di cui egli stesso era campione. Eppure, il cordoglio popolare per la sua morte non ci stupisce, perché un dono lo aveva avuto: la genuinità. Questo Re fellone e fannullone non aveva mai cercato di apparire diverso da quel che era: uno scugnizzo dei «bassi», prepotente, ridanciano e sboccato, nato per caso con una corona in testa e che aveva sempre concepito la sua parte come quella di un buon capo-camorra. Non aveva interpretato che i caratteri deteriori del popolo napoletano, ma anche i più appariscenti e riconoscibili.<ref>Da ''L'Italia unita. {{small|Da Napoleone alla svolta del Novecento}}'', Rizzoli BUR, Milano, 2015, [https://books.google.it/books?id=8J7tCgAAQBAJ&lpg=PT206&dq=&pg=PT206#v=onepage&q&f=false p. 206]. eISBN 978-88-58-68272-2</ref> *Avevo capito fin dal primo incontro che l'aggressività di [[Anna Magnani|Anna {{NDR|Magnani}}]] era solo la maschera della sua insicurezza. Era una donna difficile e sempre agli estremi di tutto: della dolcezza come del furore, e non si capiva mai bene, forse non lo capiva nemmeno lei, quanto l'uno e l'altra fossero veri, o soltanto scena. Certo è che dall'uno all'altra passava con fulminea velocità e tenendo chiunque in stato di fibrillazione. <ref>Da ''Anna Magnani, la più grande attrice del nostro cinema'', 23 ottobre 1999, in ''Le Nuove stanze'', a cura di Michele Brambilla, RCS Libri, Milano, 2002, p. 280.</ref> *{{NDR|[[Walter Chiari]]}} Avrebbe meritato 30 anni di prigione per lo spreco del suo talento.<ref>Citato in Luciano Giannini, ''[https://www.ilmattino.it/AMP/cultura/walter_chiari_100_walter_sottotitolo_chiari_biografia_di_un_genio_irregolare-7954361.html Walter Chiari genio irregolare che confessava di aver vissuto]'', ''Il Mattino'', 24 febbraio 2024</ref> *[[Silvio Berlusconi|Berlusconi]] è una persona intelligente finché riesce a ragionare col suo cervello: il suo cervello è valido. Ma lui, oltre al cervello, ha le viscere, e molto spesso le viscere prendono la prevalenza sul cervello. E quando lui si abbandona alle viscere, secondo me, diventa uomo pericoloso. Questo lo dico a lei perché l'ho detto a lui, perché gliel'ho anche scritto.<ref name="milano">Dal programma televisivo ''Milano, Italia'', Rai 3, 11 gennaio 1994.</ref> *[[Silvio Berlusconi|Berlusconi]] ha straordinarie qualità di imprenditore – coraggio, fantasia, forza di lavoro – che gli hanno valso il successo in tutti i campi in cui si è cimentato. Una sola cosa non gli riesce di fare, il presidente di una società di calcio.<ref>Da ''[http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/1987/01/20/ora-montanelli-critica-berlusconi.html Ora Montanelli critica Berlusconi]'', ''la Repubblica'', 20 gennaio 1987.</ref> *[[Silvio Berlusconi|Berlusconi]] non ha idee: ha solo interessi.<ref>2001; citato in [[Marco Travaglio]], ''Ad personam'', Chiarelettere, Milano, 2010, p. 39, ISBN 978-88-6190-104-9.</ref> *{{NDR|Su [[Aldo Moro]]}} Calvinista a rovescio, invece che nella predestinazione della [[Grazia divina|grazia]], credeva in quella della [[disgrazia]].<ref>Citato in [[Roberto Gervaso]], ''Ve li racconto io'', Mondadori, Milano, 2006, pp. 310-311, ISBN 88-04-54931-9.</ref> *Certo, per un direttore di giornale, avere sottomano un [[Marco Travaglio|Travaglio]], che su qualsiasi protagonista, comprimario e figurante della vita politica italiana è pronto a fornirti su due piedi una istruttoria rifinita nel minimo dettaglio è un bel conforto. Ma anche una bella inquietudine. Il giorno in cui gli chiesi se in quel suo archivio, in cui non consente a nessuno di ficcare il naso, ci fosse anche un fascicolo intitolato al mio nome, Marco cambiò discorso.<ref>Dalla prefazione a Marco Travaglio, ''Il Pollaio delle Libertà'', Vallecchi, Firenze, 1995.</ref> *Chi di voi vorrà fare il [[giornalista]], si ricordi di scegliere il proprio padrone: il [[lettore]].<ref>Dalla lezione di giornalismo all'Università di Torino, 12 maggio 1997; citato in ''La Stampa'', 14 aprile 2009.</ref> *Conosco molti furfanti che non fanno i [[Morale|moralisti]], ma non conosco nessun moralista che non sia un furfante. Senza, per carità, allusione a [[Eugenio Scalfari|Scalfari]]. Solo come promemoria.<ref>Citato in [[Eugenio Scalfari]], ''Incontro con io'', Rizzoli, Milano, 1994, ISBN 8806200747.</ref> *Cosa c'è meglio di [[Romano Prodi|Prodi]]? Governa fra compromessi e imbroglietti. I nostri soci sanno benissimo che siamo imbroglioni, che sui conti che portiamo all'Europa s'è un po' imbrogliato. Accettano lo stesso, purché non s'esageri. E [[Carlo Azeglio Ciampi|Ciampi]] non esagera, è un economista serio e vero. [...] {{NDR|Romano Prodi}} Con la faccia da mortadella, l'ottimismo inossidabile e l'eterno sorriso, ci porterà in Europa: ringraziamo Dio, e anche [[Massimo D'Alema|D'Alema]], che ci hanno dato Prodi.<ref name=Montanelli>Citato in Francesco Battistini ''[https://web.archive.org/web/20160101000000/http://archiviostorico.corriere.it/1997/dicembre/19/Montanelli_ragazzi_rifate_68_co_0_97121914987.shtml Montanelli: ragazzi, rifate il '68]'', ''Corriere della Sera'', 19 dicembre 1997.</ref> *Dicono che [[Ciriaco De Mita|De Mita]] sia un intellettuale della Magna Grecia. Io però non capisco cosa c'entri la Grecia...<ref>Citato in ''Liberazione'', 22 febbraio 2008.</ref> *{{NDR|Su [[Giulia Maria Crespi]]}} Dispotica guatemalteca.<ref> Citato in Paolo Martini, ''[https://www.adnkronos.com/crespi-la-zarina-del-corriere-della-sera-che-fondo-il-fai_4YA2lu93AIXTzgMw0Wj65x Crespi, la 'zarina' del Corriere della Sera che fondò il Fai]'', adnkronos.com, 19 luglio 2020.</ref> *{{NDR|Su [[Gad Lerner]], nel 2000}} È bravissimo, son contento l'abbian messo al ''Tg1'', è un buon conduttore, buonissimo giornalista. Ma sarà un bravo direttore?<ref>Citato in Antonella Rampino, ''[http://www.archiviolastampa.it/component/option,com_lastampa/task,search/mod,libera/action,viewer/Itemid,3/page,3/articleid,0428_01_2000_0162_0003_4349235/ Il rischio? Una missione impossibile]'', ''La Stampa'', 17 giugno 2000.</ref> *{{NDR|Su [[Concetto Lo Bello]]}} Entra in campo col passo del padrone che ispeziona il proprio podere.<ref>Citato in Marco Innocenti, ''[https://st.ilsole24ore.com/art/SoleOnLine4/dossier/Tempo%20libero%20e%20Cultura/storie-della-storia/archivio-2009/storie-storia-9-settembre-muore-lo-bello.shtml?uuid=4327f496-881f-11de-873c-ca3137183d57&DocRulesView=Libero&refresh_ce=1 9 settembre 1991: se ne va il re degli arbitri, Concetto Lo Bello]'', ''ilsole24ore.com'', 8 settembre 2009.</ref> *{{NDR|Su [[Gaio Giulio Cesare|Giulio Cesare]]}} Grande soldato, grande statista, grande scrittore, grande avventuriero. E grande amatore. C'era di tutto. [...] In questa epoca di Mani Pulite Cesare sarebbe rimasto sicuramente "intangentato". Di tangenti lui ne prese parecchie. Ma a differenza dei mariuoli di oggi era anche un grande legislatore, un grande generale, un uomo di un'efficienza straordinaria. I nostri sono dei ladri. Ladri e basta.<ref>Citato in Mauro Anselmo, ''[http://www.archiviolastampa.it/component/option,com_lastampa/task,search/mod,libera/action,viewer/Itemid,3/page,7/articleid,0797_01_1993_0212_0009_11229316/ Montanelli: così ho finito la mia Storia d'Italia]'', ''La Stampa'', 4 agosto 1993.</ref> *{{NDR|Su [[Clare Boothe Luce]]}} Ha la mentalità schematica di una maestra di scuola.<ref>Citato in Massimo Gaggi, ''Quando il giornale del Pci pensò di pubblicare il nudo dell'ambasciatrice Usa'', ''Corriere della Sera'', 18 dicembre 2022.</ref> *{{NDR|Su [[Lucio Battisti]]}} Ho amato molto le sue canzoni e il suo desiderio di vivere appartato.<ref>Citato in [[Leo Turrini]], ''Lucio Battisti: la vita, le canzoni, il mistero'', Mondadori, 2008, retrocopertina.</ref> *I mariti italiani, per comprar la pelliccia alle mogli, spendono più di tutti i loro colleghi europei. Poveri, ma pelli.<ref name=Controcorrente>Da ''Controcorrente, 1974–1986'', Mondadori, Milano, 1987.</ref> *I nostri uomini politici non fanno che chiederci, a ogni scadenza di legislatura, «un atto di fiducia». Ma qui la fiducia non basta; ci vuole l'atto di fede.<ref name=Controcorrente/> *I [[Ricordo|ricordi]] vanno messi sotto teca, appesi a una parete e guardati. Senza tentare di rinnovarli. Mai.<ref>Da un'intervista di [[Ferruccio de Bortoli]], 1999; in ''[http://www.rai.it/dl/Rai5/programma.html?ContentItem-f04f3982-e954-471e-8242-78f92423550d Indro Montanelli, gli anni della televisione]'', puntata 8, di Nevio Casadio, Rai Premium, 2013.</ref> *Il bello dei [[politologi]] è che, quando rispondono, uno non capisce più cosa gli aveva domandato.<ref name=Controcorrente/> *{{NDR|Su [[Carlo Sforza]]}} Il conte si piega sulle gambe come se volesse saltare in arcione. E io dico: è veramente un bell'uomo.<ref>Citato da Guido Russo Perez nella [https://documenti.camera.it/_dati/leg01/lavori/stenografici/sed0331/sed0331.pdf Seduta pomeridiana del 31 ottobre 1949] della Camera dei deputati.</ref> *Il fascismo privilegiava i somari in divisa. La democrazia privilegia quelli in tuta. In Italia, i regimi politici passano. I somari restano. Trionfanti.<ref name=Controcorrente/> *Il guaio di [[Eugenio Scalfari|Scalfari]] non è che dice quel che pensa. Il guaio di Scalfari è che pensa quel che dice.<ref>Citato in Paolo Granzotto, ''Montanelli'', p. 173.</ref> *In [[Italia]] a fare la dittatura non è tanto il dittatore quanto la paura degli italiani e una certa smania di avere, perché è più comodo, un padrone da servire. Lo diceva [[Benito Mussolini|Mussolini]]: «Come si fa a non diventare padroni di un paese di servitori?».<ref>Dall'intervista di Pasquale Cascella, ''Montanelli: «Il regime? È alle porte, inutile aspettare il dittatore»'', ''l'Unità'', 25 ottobre 1994, p. 5.</ref> *In Italia c'è una frangia d'imbecilli tali che credono si possa resuscitare il comunismo. Seppellire il cadavere del marxismo non è facile, anche perché per molti significa rinnegare l'intera esistenza. Ma certo [[Fausto Bertinotti|Bertinotti]] non è di questi: lui non sa un corno di marxismo, non gl'importa niente, è un piccolo pagliaccio, un populista all'italiana che scalda in piazza maree di poveri diavoli e parla ancora delle masse operaie, che vede solo lui.<ref name=Montanelli></ref> *In Italia non c'è una coscienza civile, non c'è un'identità nazionale che tenga insieme uno Stato federale e garantisca la civile convivenza delle sue parti. Invece io vedo solo nell'Italia Cisalpina qualche barlume di coscienza civile e una vocazione europea. Altrove, invece, è un disastro difficile, se non impossibile, da rimediare. Spero proprio di sbagliarmi.<ref name=Italia>Citato in ''Il grande vecchio del giornalismo rilegge gli ultimi anni della nostra storia'', ''L'Indipendente'', 25 luglio 1995.</ref> *In Italia si può cambiare soltanto la Costituzione. Il resto rimane com'è.<ref>Dall'articolo di Polaczek, ''Teile und sende'', in ''Frankfurter Allgemeine Zeitung'', 15 agosto 1996, p. 29.</ref> *In Italia un colpo di piccone alle [[Casa di tolleranza|case chiuse]] fa crollare l'intero edificio, basato su tre fondamentali puntelli, la Fede cattolica, la Patria e la Famiglia. Perché era nei cosiddetti postriboli che queste tre istituzioni trovavano la più sicura garanzia.<ref>Citato in Daniele Abbiati, [http://www.ilgiornale.it/news/tresse-indro-nella-repubblica-delle-marchette.html ''La maîtresse di Indro nella Prima Repubblica delle marchette''], ''il Giornale.it'', 22 ottobre 2010.</ref> *In nome di quale razza noi faremmo del razzismo? Se c'è un paese (adesso non voglio offendere, perché io sono italiano come tutti gli altri), ma se c'è un paese bastardo è l'Italia, cioè a dire una confluenza di razze diverse.<ref>Dal programma televisivo di Rai 3 ''Eppur si muove'', 20 marzo 1994.</ref> *Io non mi sono mai sognato di contestare alla [[Chiesa (comunità)|Chiesa]] il suo diritto a restare fedele a se stessa, cioè ai comandamenti che le vengono dalla Dottrina... ma che essa pretenda d'imporre questi comandamenti anche a me che non ho la fortuna di essere un credente, cercando di travasarli nella legge civile in modo che diventi obbligatorio anche per noi non credenti, è giusto? A me sembra di no.<ref>Citato in [[Umberto Veronesi]], ''[http://www.repubblica.it/2008/10/sezioni/cronaca/eluana-eutanasia-3/comm-veronesi/comm-veronesi.html Non vince la scienza]'', ''la Repubblica'', 14 novembre 2008.</ref> *Io il giornale urlato non è che non glielo voglio dare, non lo so fare! La clava non è nel mio armamentario! Non lo posso fare e non credo che sia un buon segno di civiltà politica l'uso della clava.<ref name="milano" /> *Io non sono napoletano, ma di fronte a [[Peppino De Filippo|Peppino]], non so come, mi capita sempre di diventarlo.<ref name=Pappagone>Citato in ''Pappagone e non solo'', a cura di Marco Giusti, Mondadori, Milano, 2003.</ref> *{{NDR|Alla nipote Letizia Moizzi}} Io sarò il tuo Jukebox. Tu metti una monetina e io ti racconto un ricordo.<ref>Citato in Elvira Serra, «Scoprii che era importante quando le Br gli spararono. Lo convinsi io a prendere i farmaci per la depressione», ''Corriere della Sera'', 20 gennaio 2025.</ref> *Io non voglio soffrire, io non ho della sofferenza un'idea cristiana. Ci dicono che la sofferenza eleva lo spirito; no la sofferenza è una cosa che fa male e basta, non eleva niente. E quindi io ho paura della sofferenza. Perché nei confronti della morte, io, che in tutto il resto credo di essere un moderato, sono assolutamente radicale. Se noi abbiamo un diritto alla vita, abbiamo anche un diritto alla morte. Sta a noi, deve essere riconosciuto a noi il diritto di scegliere il quando e il come della nostra morte.<ref>Citato in Carlo A. Martigli, ''[http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2002/04/25/sul-diritto-alla-morte-si-discute-su.html Sul diritto alla morte si discute su Internet]'', ''la Repubblica'', 25 aprile 2002.</ref> *Kipling diceva: "un italiano, un bel tipo; due italiani, una discussione; tre italiani, tre partiti politici". I suoi concittadini, invece, li definiva così: "un inglese, un cretino; due inglesi due cretini; tre inglesi, un popolo". Vorrei avere a che fare con dei cretini che, insieme, facessero un popolo.<ref>Citato in Cristina Taglietti, ''[https://web.archive.org/web/20160101000000/http://archiviostorico.corriere.it/1998/dicembre/17/Montanelli_cari_studenti_volete_spaccate_co_0_98121712510.shtml Montanelli: cari studenti, se volete spaccate tutto ma è inutile]'', ''Corriere della Sera'', 17 dicembre 1998.</ref> *{{NDR|Riguardo all'approvazione della legge elettorale nota come mattarellum}} L'unico modello a cui possiamo rifarci è quello francese, non quello inglese. In un paese dove ci sono venti-venticinque partiti, come si fa l'uninominale a turno unico? Qui rischia di vincere un partito che ottiene il dieci percento, perché gli altri hanno ottenuto il sette, il sei. Ma le pare giusto questo? Io non so se è stata una follia o un atto criminale questa riforma elettorale. Io sono per la traduzione in processo dei legislatori, da [[Sergio Mattarella|Mattarella]] agli altri - non è stato il solo - i quali hanno fatto, come al solito, o creduto di fare gli interessi del proprio partito. Hanno fatto questa legge prima che venisse il diluvio universale di [[Mani pulite|Tangentopoli]], convinti che siccome loro erano il partito di maggioranza relativa spazzavano via l'Italia. Poi è venuta tangentopoli e ora piangono. Dovrebbero suicidarsi se avessero un minimo di dignità. Suicidarsi. Perché in nome degli interessi di partito hanno completamente rovinato l'Italia. [...] Questi legislatori che hanno truffato con questa legge - perché questa legge è una truffa - io vorrei sapere come mai non vengono processati. Dovrebbero essere processati per lesa patria.<ref name=conferenza>[https://www.youtube.com/watch?v=snbg12DCPSM Indro Montanelli presenta "La Voce", conferenza stampa integrale], 1994.</ref> *La cosa curiosa di [[Antonino Caponnetto|Caponnetto]] è che si va a schierare con [[Leoluca Orlando|Orlando]] che è stato il peggior denigratore di [[Giovanni Falcone|Falcone]]. E poi dice che fa l'antimafia, io vorrei sapere i voti a Orlando chi glieli ha dati.<ref>Citato in Riccardo Chiaberge ''[https://web.archive.org/web/20160101000000/http://archiviostorico.corriere.it/1994/marzo/21/Montanelli_voce_controcorrente_co_0_94032115801.shtml Montanelli la voce controcorrente]'', ''Corriere della Sera'', 21 marzo 1994.</ref> *La [[cultura]], per un giornalista, è come una puttana: la puoi frequentare ma non devi ostentarla. La cultura si tiene nel cassetto. Il lettore non va trattato dall'alto in basso, ma preso per mano come un amico e portato dove vuoi.<ref>Citato in [[Roberto Gervaso]], ''Ve li racconto io'', Mondadori, Milano, 2006, p. 294, ISBN 88-04-54931-9.</ref> *La cultura si è chiusa nella torre eburnea. Rimane lì, arroccata in sé stessa, perché ha orrore dei contatti col pubblico, si crede diminuita dai contatti col pubblico. Questa è la cultura italiana. È una cultura di cretini.<ref name="montecarlo">Radio Montecarlo, [https://www.youtube.com/watch?v=A77mrwIjSSs Intervista a Indro Montanelli], di Roberto Arnaldi, 1973.</ref> *La [[depressione]] è una malattia democratica: colpisce tutti.<ref>Citato nel programma televisivo ''Ippocrate'', Rai News, 13 giugno 2010.</ref> *La devolution mi preoccupa molto, perché la decomposizione della [[Repubblica Socialista Federale di Jugoslavia|Jugoslavia]] cominciò esattamente così: reclamata e imposta dai due grandi compari Tudjiman e [[Slobodan Milošević|Milosevic]] che distrussero l'unità del Paese per restare padroni in casa propria...<ref>Citato in Gian Guido Vecchi, ''[https://web.archive.org/web/20160101000000/http://archiviostorico.corriere.it/2001/aprile/08/Devolution_traffico_voto_rebus_co_7_0104088547.shtml Devolution e traffico, il voto è un rebus]'', ''Corriere della Sera'', 8 aprile 2001.</ref> *La guerra contro il [[brigantaggio]], insorto contro lo Stato unitario, costò piú morti di tutti quelli del [[Risorgimento]]. Abbiamo sempre vissuto dei falsi: il falso del Risorgimento che assomiglia ben poco a quello che ci fanno studiare a scuola.<ref>Citato in Stefano Preite, ''Il Risorgimento, ovvero, Un passato che pesa sul presente'', Piero Lacaita, 2009.</ref> *La lettura del ''[[Adolf Hitler#Mein Kampf|Mein Kampf]]'' io la renderei, per legge, obbligatoria. Fuori dal contesto in cui fu concepito e scritto, quel libro è un caciucco di coglionerie.<ref>Citato in Cesare Medail, ''Il «Mein Kampf» torna nelle librerie italiane. Grazie a un editore cossuttiano'', ''Corriere della Sera'', 6 maggio 2000.</ref> *La nostra classe politica ha fatto del [[partito]] una specie di totem intoccabile e gli ha attribuito tutti i poteri, con in più un diritto: il diritto di abusarne.<ref name=Dovere>Dal programma televisivo ''Dovere di cronaca'', Rete 4, 1988, [https://www.youtube.com/watch?v=caQgyvTKZS8 visibile su YouTube].</ref> *Le cose non sono importanti per quello che sono, ma per quello che uno ci mette.<ref name="cento">intervista di Enzo Biagi a Indro Montanelli, (1982), da "Cento anni", Fabbri video, 1993.</ref> *Le mie idee sono sempre al vaglio dell'[[esperienza]] e l'esperienza mi impone di rivederle continuamente.<ref name="IIIB">Da un'intervista del 1971, tratta da ''III B, Facciamo l'appello'' di Enzo Biagi; anche in ''[http://www.rai.it/dl/Rai5/programma.html?ContentItem-f04f3982-e954-471e-8242-78f92423550d Indro Montanelli, gli anni della televisione]'', puntata 7, di Nevio Casadio, Rai Premium, 2013.</ref> *[[Leo Longanesi]] che amava [[Marcello Marchesi]] rabbiosamente per lo spreco che faceva del suo talento, quando lo incontrava, gli diceva: "Devo fare una telefonata, mi dai un gettone di intelligenza?". E un giorno mi ordinò un epitaffio per lui. Eccolo: "Qui giace un nessuno — che se avesse voluto — avrebbe potuto diventare — Marcello Marchesi —. Purtroppo o per fortuna — non lo seppe mai —. Come tutti i geni — era un cretino".<ref>Citato in Paola Fallai, ''Marchesi, l'umorista che creò un'atmosfera'', ''La lettura'', ''Corriere della Sera'', 25 marzo 2012; riportato in ''[http://www.cinquantamila.it/storyTellerArticolo.php?storyId=0000001549183 Cinquantamila.it]''.</ref> *Mi accusano molto spesso di avere inventato degli aneddoti. È verissimo. Io ogni tanto invento quando devo descrivere un personaggio, specialmente negli incontri, io invento qualche aneddoto. Però sono sempre aneddoti funzionali, che servono a dimostrare quel certo carattere che mi sembra vero e di dover dimostrare.<ref name="IIIB" /> *Mi avvio verso il mio capolinea con l'angoscia di portare con me le cose che ho più amato: il mio paese e il mio mestiere, temo che non mi sopravviveranno.<ref>Da un'intervista del 1996, tratta da ''Tablet Italiani'', puntata 2, "Montanelli/Bocca", Rai Storia, 25 agosto 2013.</ref> *{{NDR|Su [[Vittorio Mangili]], in riferimento all'[[rivoluzione ungherese del 1956|insurrezione antisovietica in Ungheria nel 1956]]}} Ne ha combinate di tutti i colori. Ha fatto perfino il portaordini dei patrioti, a bordo di una delle loro automobili di collegamento.<ref>Citato in Roberta Scorranese, ''[https://www.corriere.it/cronache/22_ottobre_09/vittorio-mangili-cento-anni-dell-inviato-rai-io-budapest-madre-teresa-1efd76ca-473a-11ed-8ee2-07ab17a2d97d.shtml Vittorio Mangili, i cento anni dell’inviato Rai «Io, da Budapest a Madre Teresa»]'', ''corriere.it'', 8 ottobre 2022.</ref> *Nei grandi [[giornale|giornali]] di oggi, che non possono farne a meno, chi comanda non è più nemmeno il [[direttore]]: è l'ufficio [[marketing]].<ref name="giornalista">Da: ''Repertorio della Fondazione Montanelli'', in ''Indro Montanelli - Gli anni della televisione 4: Io sono soltanto un giornalista'', a cura di Nevio Casadio, Rai Sat, 2009</ref> *{{NDR|Rivolto a [[Silvio Berlusconi|Berlusconi]] che voleva imporsi sulla linea editoriale de ''il Giornale''}} Nell'arte dell'imprenditoria, tu sei di certo un genio, ed io un coglione. Ma nell'arte della polemica il genio sono io, e tu il coglione.<ref name=Travaglio2004>Citato in Marco Travaglio, ''Montanelli e il Cavaliere'', Garzanti, Milano, 2004.</ref> *Nessuno di noi la strada della ribellione la batté sino in fondo, come voleva [[Berto Ricci|Ricci]]: per la semplice ragione che si trattava di una strada che fondi non ne aveva. Qualcuno poi scantonò in questo o in quello dei sette o otto partiti che aprirono le porte a questa generazione perduta. E forse si illuse di aver trovato un’altra bandiera. Io sono tra i rassegnati: so benissimo che di bandiere non posso averne altre e che l'unica che seguiterà a sventolare sulla mia vita è quella che disertai, prima che cadesse.<ref>Citato in Mario Bernardi Guardi, ''La giovinezza di Montanelli ebbe un nome: Berto Ricci'', ''Il Primato Nazionale'', 3 maggio 2016.</ref> *No, [[Marco Travaglio|Travaglio]] non uccide nessuno. Col coltello. Usa un'arma molto più raffinata e non perseguibile penalmente: l'archivio.<ref name=Travaglio2004/> *Noi italiani non crediamo in nulla e tanto meno nelle virtù che qualcuno ci attribuisce. Ma tra di esse ce n'è una nella quale riponiamo una fede incorruttibile: quella della nostra capacità di corrompere tutto.<ref>Citato in Mario Cervi, ''Ti ricordi Indro?'', Società europea di edizioni, Milano, 2017, p. 57. ISBN 9778118178454</ref> *Noi qui buttiamo tutte le colpe addosso agli altri. Ma bisogna fare i conti anche col popolo italiano. Siamo noi che li abbiamo eletti questi signori. Sono mica piovuti dalla luna. E allora non accaniamoci soltanto sulla classe politica. Noi siamo un elettorato disposto a ogni sorta di transazione, quando ci fa comodo.<ref name=conferenza /> *Non credo alle feste comandate. La memoria dovrebbe essere spontanea. L'unica cosa che si dovrebbe fare è raccontare veramente e in maniera spassionata ai giovani, che non lo sanno, cosa è stata la Shoah, senza fare mobilitazioni di folle.<ref>Citato in Marco Cremonesi, ''[https://web.archive.org/web/20160101000000/http://archiviostorico.corriere.it/2001/gennaio/28/Diecimila_piazza_con_nomi_dei_co_0_0101282160.shtml Diecimila in piazza con i nomi dei lager]'', ''Corriere della Sera'', 28 gennaio 2001, p. 31.</ref> *Non do più nessun significato a queste due parole {{NDR|destra e sinistra}}, le ritengo un cascame, un residuato di situazioni oramai defunte. [[Destra e sinistra]] non hanno più nessun significato e credo che noi ci stiamo attardando su una terminologia arcaica, oramai da seppellire.<ref>Radio Radicale, [https://www.radioradicale.it/scheda/598/599-elezioni Elezioni], 38:58-39:26, 25 maggio 1979.</ref> *Non mi si portino i soliti argomenti astratti, tipo la sacralità della vita: nessuno contesta il diritto di ognuno a disporre della sua vita, non vedo perché gli si debba contestare il diritto a scegliere la propria morte.<ref>Citato in Enrico Bonerandi, ''[http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2000/12/13/montanelli-pronto-morire.html Montanelli: pronto a morire]'', '' la Repubblica'', 13 dicembre 2000, p. 36.</ref> *{{NDR|Il Polo delle Libertà}} Non venga a farci credere che è costretto all'[[Aventino (espressione)|Aventino]] dal clima di violenza creato dall'Ulivo. Dove diavolo la vede questa violenza? Mi basta guardare la faccia di [[Romano Prodi|Prodi]] 1996 per metterla a confronto con quella di Mussolini 1924 per escludere che in Italia corriamo il pericolo di una dittatura. Per fare una dittatura ci vuole un dittatore.<ref>Citato in Alessandro Longo, ''[https://rep.repubblica.it/pwa/generale/2018/03/17/news/aventino-191559602/?ref=pwa-rep-hp-2-1-1 Perché si dice Aventino]'', ''Rep.repubblica.it'', 17 marzo 2018.</ref> *{{ndr|su [[Gianni Agnelli]]}} Parla con la propria bocca, pensa con il cervello di Valletta, col cuore di Giulio De Benedetti e con gli interessi polivalenti della Fiat.<ref>Citato in Paolo Granzotto, ''Montanelli'', p. 129.</ref> *{{ndr|su [[Mariano Rumor]]}} Personaggio da commedia [[Carlo Goldoni|goldoniana]] più che da tragedia contemporanea.<ref>Citato in Paolo Granzotto, ''Montanelli'', p. 145.</ref> *Posso solo dire che l'Italia del Cattaneo è quella che conserva qualche probabilità di salvarsi da questo degrado politico, culturale, morale, economico. E l'Italia del Cattaneo è quella Cisalpina. A nord del Po, e forse anche in Emilia, esistono tracce di coscienza civile e anche di classi dirigenti sane. Poi c'è un'Italia centrale, quella toscana e umbra e marchigiana, che conserva le sue peculiarità, i suoi caratteri spiccati che affondano le radici nell'Italia comunale e rinascimentale. Il resto è un disastro che non saprei come salvare. Del resto Cattaneo ci tentò, andò a Napoli e resistette qualche giorno. Poi si arrese e se ne tornò nella sua Lugano, nella sua Svizzera.<ref name=Italia>Citato in ''Il grande vecchio del giornalismo rilegge gli ultimi anni della nostra storia'', ''L'Indipendente'', 25 luglio 1995.</ref> *Pur ricordandovi che la nostra regola è quella di non tener conto delle intemperanze altrui, specie dei politici, e di dire sempre la verità, tutta la verità, senza partito preso né animosità verso nessuno, vi autorizzo a comunicare al [[Bobo Craxi|suddetto signore]], se ve ne capita l'occasione, che l'unica «testa» in pericolo di cadere dopo il 5 aprile non è la vostra ma, casomai, la sua. E potete aggiungere, da parte mia, che non la considererei una gran perdita.<ref>Citato in [[Federico Orlando]], ''Il sabato andavamo ad Arcore'', Larus, Bergamo, 1995.</ref> *[[Sandro Pertini|Pertini]] ha interpretato al meglio il peggio degli italiani.<ref>Citato in Franco Fontanini, ''Piccola antologia del pensiero breve'', Liguori Editore, Napoli, 2007, p. 12.</ref> *Quando mi viene in mente un bell'aforisma, lo metto in conto a [[Montesquieu]], od a [[François de La Rochefoucauld|La Rochefoucauld]]. Non si sono mai lamentati.<ref>Citato in Luigi Mascheroni, ''[http://www.ilgiornale.it/news/mai-dette-ripetiamo-sempre-ecco-frasi-fantasma-storia.html Mai dette, ma le ripetiamo sempre. Ecco le frasi fantasma della storia]'', ''il Giornale'', 21 marzo 2009, p. 22.</ref> *Quello che ci ripugna è che, per mettere un controllo all'autorità politica, ci sia bisogno di ricorrere all'autorità giudiziaria. Cioè che, alla fine, noi avremo le riforme istituzionali non per via politica, ma per via giudiziaria e processuale. Questo ci allarma anche perché, come avrete ben capito, la mia opinione dei politici è molto bassa, ma quella dei giudici non è migliore. Perché anche i giudici sono stati corrotti dalla partitocrazia. Lo dimostra il semplice fatto che molti di loro ostentano la tessera di partito. Un giudice che ha venduto la propria imparzialità ai partiti è un giudice che, prima di processare gli altri, dovrebbe essere processato lui e cacciato in galera. Lo so che a dire queste cose si possono avere dei dispiaceri, ma io di dispiaceri in vita mia ne ho avuti tanti che, uno più o uno meno, non mi fa nessunissimo effetto.<ref name=Dovere/> *{{NDR|[[Carmen Lasorella]]}} Richiama tanta attenzione non solo per la sua bravura ma anche per quel che possiede dal cervello in giù.<ref>Citato in Luigi Mascheroni, ''[https://books.google.it/books?id=gtg7AQAAIAAJ&q=%22Richiama+tanta+attenzione+non+solo+per+la+sua+bravura+ma+anche+per+quel+che+possiede+dal+cervello+in+gi%C3%B9+%22&dq=%22Richiama+tanta+attenzione+non+solo+per+la+sua+bravura+ma+anche+per+quel+che+possiede+dal+cervello+in+gi%C3%B9+%22&hl=it&newbks=1&newbks_redir=0&sa=X&ved=2ahUKEwiC2PXRl5WDAxVs4AIHHazPCd4Q6AF6BAgHEAI Sette, settimanale del Corriere della sera, Edizioni 1-9]'', 1996.</ref> *Sfido io che {{NDR|''il Giornale''}} non va bene come vendite. Non va bene come vendite perché noi siamo ancora alla macchina Olivetti. Qui non è stato fatto mai nessun investimento ed è stato detto chiaro che gli investimenti non sarebbero venuti finché io ne fossi il direttore. Questa è la situazione.<ref name="milano" /> *Siamo un paese cattolico, che nella [[Provvidenza]] ci crede o almeno ne è affascinato. Il pericolo è questo: gli [[italia]]ni sentendo aria di provvidenza sono sempre pronti a mettersi in fila speranzosi.<ref name=Provvidenza>Citato in ''[http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/1994/02/24/rivogliono-uomo-della-provvidenza.html?ref=search Rivogliono l'uomo della provvidenza]'', ''la Repubblica'', 24 febbraio 1994, p. 11.</ref> *Se avessi potuto immaginare come sarebbe stata distrutta la vecchia classe politica italiana - che meritava la distruzione, sia chiaro - se avessi potuto immaginare che la distruzione della vecchia classe politica italiana, in gran parte marcia, avrebbe dischiuso una situazione come quella attuale e che la vecchia legge proporzionale sarebbe stata sostituita dall'attuale legge maggioritaria così come è stata compilata, io avrei forse difeso la vecchia classe. Per lo meno non mi sarei battuto con tanta asprezza e con tanto vigore contro quella classe politica, che meritava di finire, ma a cui si stanno dando dei successori che, ricordatevelo bene, ci faranno rimpiangere quella vecchia. È il peggio che si può dire. Ma io lo dico. Perché non riesco proprio a vedere cosa sta venendo fuori da questo rimescolio di carte.<ref name=conferenza /> *{{NDR|«Se dovesse fondare un giornale a novant'anni, che giornale farebbe?»}} Se io dovessi oggi fare un giornale, farei un ''Foglio'' un po' più grande: invece che di 4 facciate di 10 o di 12. Non di più. Con una redazione ridottissima e facendo un preventivo che mi mettesse al riparo dalle delusioni. Mirerei ad avere non più di venti/trentamila lettori e non avere pubblicità. Su queste basi, forse, riuscirei a fare un [[giornale]] di alto prestigio, ma purtroppo destinato a una élite.<ref name="giornalista" /> *Sta arrivando l'uomo della provvidenza. E io, in vita mia, di questi personaggi ne ho già conosciuto uno. Mi è bastato. Per sempre.<ref name=Provvidenza></ref> *Una cultura che perde i contatti col pubblico si sterilisce e muore. Questa è la verità. E la nostra cultura è assolutamente sterile. Noi culturalmente non contiamo più nulla nel mondo. Perché? Perché è chiusa in sé stessa, la cultura, ha perso i contatti col pubblico, con la vita. Non c'è più. Sono mummie. Non è più cultura: è mafia.<ref name="montecarlo" /> *{{NDR|Su [[Aldo Moro]]}} Un generale che, sfiduciato del proprio esercito, credeva che l'unico modo di combattere il nemico fosse quello di abbracciarlo.<ref>Citato in [[Roberto Gervaso]], ''Ve li racconto io'', Mondadori, Milano, 2006, p. 310, ISBN 88-04-54931-9.</ref> *Un giorno fui convocato a Palazzo Venezia, era il 1932 e avevo 23 anni, perché il duce voleva vedermi. Ero emozionatissimo, entrai e mi misi sull'attenti, e il duce che faceva finta di scrivere mi lasciò lì per un quarto d'ora e alla fine mi disse: "Ho letto il vostro articolo sul razzismo (avevo scritto un articolo contro il razzismo). Bravo, vi elogio. Il razzismo è roba da biondi (non si era accorto che ero biondo), continuate così. Sei anni dopo fece le leggi razziali. Perché questo era [[Benito Mussolini|Mussolini]], diceva una cosa e ne faceva un'altra, secondo il vento del momento. Non creava il vento, vi si accodava da buon italiano.<ref>Citato in Gianna Fregonara, ''[https://web.archive.org/web/20160101000000/http://archiviostorico.corriere.it/2010/gennaio/24/Dal_balcone_Mussolini_bianco_sorriso_co_9_100124324.shtml Dal balcone di Mussolini al bianco sorriso di Belen]'', 24 gennaio 2010, p. 34.</ref> *{{NDR|Su [[Giorgio La Pira]]}} Un pasticcione ben intenzionato che, nel nome del Signore, appoggia le peggiori cause appellandosi ai migliori sentimenti.<ref>Citato in [[Roberto Gervaso]], ''Ve li racconto io'', Mondadori, Milano, 2006, p. 236, ISBN 88-04-54931-9.</ref> ===Citazioni tratte da suoi libri=== *{{NDR|Sul funerale di [[Leo Longanesi]]}} Al cimitero ci si ritrovò in una decina di persone, non di più. Non ci furono cerimonie né discorsi. Solo la piccola Virginia, che avrà avuto quattordici anni, mentre la bara di suo padre calava nella tomba, mormorò: «E dire che gli orfani mi sono sempre stati così antipatici...» Una frase che sarebbe piaciuta moltissimo a Leo.<ref>Dalla presentazione a [[Leo Longanesi]], ''In piedi e seduti'', Longanesi & C., Milano, 1968.</ref> ====''Caro Indro...''==== *L'aureola di martire a Craxi nessuno è disposto a riconoscergliela, proprio perché inconciliabile con l'arroganza con cui si comporta. Nessun paragone col contegno di Andreotti, davvero ineccepibile. Sul banco degli imputati ci sta da imputato, dimentico di essere stato per ben sette volte capo del governo. Parla solo se interrogato, e a bassa voce. Non rinuncia alla propria dignità, ma non la ostenta. Eppoi, le colpe che gli si addebitano saranno anche più gravi di quelle che si addebitano a Craxi, ma meno spregevoli. Potrà anche aver baciato Riina (sebbene a me questo appaia poco credibile). Ma del pubblico denaro non risulta che gli sia scivolata in tasca nemmeno una lira. Forse merita la fucilazione. Lo spregio, no. (31.1.1996) (p. 9) *Non ho mai conosciuto [[Yasser Arafat|Arafat]], né mai ho cercato di conoscerlo: non mi pare che il suo aspetto inviti alla simpatia. Però non l'ho mai considerato un criminale anche se si trovava alla testa di un'[[Organizzazione per la Liberazione della Palestina|organizzazione]] in cui di criminali ce ne sono molti. E oggi non lo considero affatto un eroe, ma un uomo coraggioso sì, perché lo ritengo in costante pericolo di vita. La lotta per il potere, dentro l'Olp, è a coltello: e i nemici di Arafat sono quelli che il coltello lo maneggiano meglio di tutti. Stringendo la mano a [[Yitzhak Rabin|Rabin]], Arafat ha moltiplicato i suoi nemici e li ha resi ancora più rabbiosi. È un uomo a rischio, non c'è dubbio. E se muore lui, addio pace in Medio Oriente. (4.10.1993) (p. 11) *Certo che il passato dell'Olp, carico di bombe e di sangue, non è la migliore referenza per un Nobel, ma Arafat è però anche l'unico interlocutore palestinese: dopo di lui c'è il nulla, o meglio soltanto gruppi di fanatici votati alla violenza e alla distruzione di [[Israele]]. Una volta presa la decisione di premiare i protagonisti del tormentato processo di pace in Medioriente [...] si è dovuto fare di necessità virtù e dare il riconoscimento anche all'uomo che per molti anni è stato un simbolo del terrorismo, nonché l'ispiratore di tante altre «lotte armate»: premiare solo Rabin e [[Shimon Peres|Peres]] sarebbe stato uno schiaffo ai palestinesi, un'iniziativa controproducente. [...] Forse più che il Nobel per la pace meriterebbe quello per il ravvedimento... (30.10.1994) (p. 12) *«Libera Chiesa in libero Stato» è una formula più d'effetto che di sostanza. Potrebbe anche significare che Chiesa e Stato si ignorano a vicenda e ognuno dei due si attribuisce i poteri che più gli aggradono: che è il modo più sicuro per litigare, non certo per convivere. Fra i due ci deve essere un patto improntato al reciproco rispetto: condizione più facile da formulare che da realizzare. Ma sembra che lo sviluppo di questo rapporto negli ultimi anni abbia fatto più passi indietro che avanti. E mi pare che dello stesso parere sia il capo dello Stato, Carlo Azeglio Ciampi. Meno male (7.3.2001) (p. 30) *Ho fiducia in [[Massimo D'Alema|D'alema]], anche se non voterò mai per lui. Ho fiducia per due motivi. Prima di tutto perché, fra i leader di oggi, è l'unico vero professionista della politica. Eppoi perché non ho dubbi sulla sua intenzione di fare del Pds un partito socialdemocratico o laburista. Se non fosse così, non solo Prodi ma nemmeno Veltroni sarebbero al suo fianco. E appunto perché è così, sono convinto che consumerà fino in fondo il divorzio da Rifondazione. Lo consumerà cercando di non farsene portar via molti elettori. Ma lo consumerà per conquistare i moderati: altra strada non può battere. E proprio in questi giorni lo ha dimostrato sacrificando anche quella piccola falce e martello che tuttora sopravviveva nel simbolo del suo partito ai piedi della Quercia. Non era che un «segno», dirà qualcuno. Sì, ma che segno! (17.5.1995) (p. 42) *Anch'io sono stato in passato un fautore dell'elezione diretta, cioè per consultazione popolare, del Capo dello Stato. Mi pareva il mezzo più efficace per sottrarre almeno il Quirinale agl'intrallazzi dei partiti e per avere un garante al di sopra di essi. Ma poi ho dovuto cambiare idea di fronte alle prove di balordaggine, d'ignoranza, di totale mancanza di consapevolezza morale e civile dell'elettorato italiano, o almeno della sua maggioranza. È un elettorato sempre pronto a correre dietro a qualche ciarlatano che sappia vendere bene la sua merce e a lasciarsene trascinare nelle imprese più insensate. Insomma considero la stupidità più pericolosa degl'intrallazzi. (23.12.1998) (p. 47) *Non credo che [[Diana Spencer|Diana]] rimarrà nella memoria dei posteri. Era una bella e simpatica ragazza, che avrebbe anche potuto essere una buona moglie e una buona madre, ma che non aveva certamente la stoffa e le dimensioni umane, comportamentali di una regina. Più e meglio che sul trono, il suo personaggio avrebbe figurato in un romanzo di Liala. Non riesco ad accostarla a figure storiche (17.9.1997) (p. 72) *Mussolini non aveva la stoffa del criminale né di guerra né di pace. Dicendolo, so di espormi alle contumelie della cosiddetta intellighenzia. Ma ne ho già ricevute tante che non mi fanno più nessun effetto. Tuttavia mi rendo conto che alla condanna a morte non avrebbe potuto sfuggire perché almeno un responsabile delle catastrofi che si erano abbattute sull'Italia si doveva pur trovare, e non poteva essere che lui. Però c'è da ringraziare Dio, e per esso, il Comitato di liberazione nazionale che ne ordinò (o avallò) la fucilazione sul posto perché un processo a Mussolini avrebbe ancora più spaccato un Paese già spaccato dalla guerra civile (per chiamare col suo vero nome, la Resistenza). E credo che anche gli Alleati trassero un respiro di sollievo dal venirne esentati. Un processo avrebbe messo in imbarazzo anche loro per le indulgenze che avevano avuto verso di lui e quella parodia di totalitarismo ch'era stata il suo regime. Una Norimberga italiana sarebbe stata anch'essa una parodia. La fucilazione sul posto di Mussolini era un atto dovuto. Quello che non era dovuto, e che per gl'italiani provvisti di qualche senso dell'onore e della decenza rimarrà una indelebile vergogna, fu la scena di piazzale Loreto (30.6.1999) (pp. 89-90) *{{NDR|«Poni che ti regalino una telecamera, con il diritto di spiare per un mese, non visto, un potente della Terra, a tua scelta, dalla regina Elisabetta a Gheddafi, da Saddam a Clinton. Quale personaggio ti incuriosirebbe di più?»}} [[Vladimir Putin|Putin]]. Credo che sia una canaglia perché solo le canaglie potevano arruolarsi e fare carriera in un corpo di polizia come il Kgb. Ma è proprio di una canaglia che la [[Russia]] ha bisogno per ricompattarsi all'interno, risollevarsi dal caos in cui l'ha precipitata il crollo di un regime totalitario durato settant'anni, e riprendere nel gioco delle potenze mondiali il posto che spetta a un Paese di 250 milioni di abitanti, di grandi tradizioni e d'inesauribili risorse naturali. L'Occidente ha bisogno della Russia: è il suo antemurale verso un Oriente che può riservarci amare sorprese. [...] Non facciamoci illusioni sull'avvenire di una democrazia in Russia. Essa ha bisogno [...] di una mano forte e spregiudicata, di una canaglia insomma. [...] Ecco perché mi piacerebbe conoscere Putin: per vedere se è la canaglia di cui mi pare abbia bisogno la Russia in questo momento: un «momento» destinato a durare parecchi decenni. (18.10.2000) (pp. 104-105) ===Attribuite=== *Berlusconi non delude mai: quando ti aspetti che dica una scempiaggine, la dice.<ref name=Travaglio2004/> :In ''Io e il cavaliere qualche anno fa'', ''Corriere della Sera'', 25 marzo 2001, p. 1, Montanelli attribuisce la citazione a «un'alta personalità della Finanza, nota anche per il suo infallibile fiuto degli uomini». La frase esatta è: «Avrà anche i suoi difetti, ma un merito bisogna riconoscerglielo: quello di non deludere mai. Quando ti aspetti che dica una scempiaggine, la dice». ==Interviste== {{cronologico}} *{{NDR|La guerra coloniale etiopica}} Considerandola oggi, con la mia maturità d'oggi, {{NDR|è}} un'avventura di una stupidità senza fine. Ma immaginiamo un ragazzo di 24 anni messo al comando di una banda indigena, con 100 uomini neri – lui solo bianco – buttato all'avventura in quella guerra che di combattimenti ne ebbe molto pochi – non voglio passare per un gran guerriero, affatto – ma furono un anno e mezzo a cavallo, di cavalcate in questa natura selvaggia (ripeto, combattimenti ben pochi). {{NDR|«Dicono anche che lei aveva una moglie, diciamo indigena, molto bella, che era la più bella di tutte quelle che avevano gli ufficiali d'allora»}} Sì. {{NDR|«Era molto invidiato per questo»}} Pare che avessi scelto bene, era una bellissima ragazza bilena, di 12 anni – {{NDR|sorridendo}} scusatemi, ma in Africa è un'altra cosa – e così l'avevo sposata, nel senso che l'avevo regolarmente comprata dal padre che mi ha accompagnato insieme alle mogli dei miei ascari. Queste mogli degli ascari non è che seguissero la banda, ma ogni 15 giorni raggiungevano la banda: io non ho mai capito come facessero a trovarci in questo infinito dell'Abissinia. Quelle arrivavano e arrivava anche questa mia moglie con la cesta in testa, che mi portava la biancheria pulita. [...] {{NDR|Domanda del pubblico: «Lei ha detto tranquillamente di avere avuto una sposa, diciamo, di 12 anni e a 25 anni lei non si è peritato affatto di violentare una ragazza di 12 anni, dicendo "Ma in Africa queste cose si fanno". Io vorrei chiedere a lui come intende normalmente i suoi rapporti con le donne date queste due affermazioni»}} No signorina guardi, sulla violenza, nessuna violenza perché le ragazze in Abissinia si sposano a 12 anni. Non è questione, Quindi. {{NDR|Domanda del pubblico: «Su un piano di consapevolezza dell'uomo, insomma, il rapporto con una bambina di 12 anni è il rapporto con una bambina di 12 anni. Se lo facesse in Europa rischierebbe di violentare una bambina, vero?»}} Sì, in Europa sì, ma lì no. {{NDR|«Ecco, appunto»}} Lì no. {{NDR|«Quale differenza crede che esista dal punto di vista biologico, o anche psicologico?»}} No, guardi, {{NDR|«Dal punto di vista del costume»}} lì si sposano a 12 anni, non è questione. A 12 anni si sposano. {{NDR|«Ma non è il matrimonio che lei intende, a 12 anni in Africa. Guardi, io ho vissuto in Africa»}} Sì. {{NDR|«Quindi il vostro era veramente il rapporto violento del colonialista che veniva lì e si impossessava della ragazza di 12 anni»}} No... {{NDR|«Ma glielo garantisco, senza assolutamente tener conto di questo tipo di rapporto sul piano umano. Eravate i vincitori, cioè i militari che hanno fatto le stesse cose ovunque sono stati i vincitori, ovunque gli uomini si sono presentati come dei militari. La Storia è piena di queste situazioni»}} {{NDR|sorridendo}} Signorina, non so se lei vuole istruirmi un processo «a posteriori». {{NDR|«No, no, affatto. Guardi, ho soltanto voluto chiederle, per inciso, come lei intende – dopo le due interpretazioni – i rapporti con le donne»}} Dipende da cosa si mette dentro, dipende anche da cosa le donne mettono dentro di noi. È tutto un giuoco di specchi. {{NDR|«Ma lei vede sempre la donna in questa veste passiva di adulatrice, oppure di compagna – che appare e scompare – dell'uomo, non l'ha mai vista in una funzione diretta, attiva e diversa. Questo è un po' il dramma degli uomini della sua generazione»}} {{NDR|sorridendo}} Può darsi. Della mia generazione? Solo? {{NDR|«Credo»}} {{NDR|sorridendo}} Vabbè. Può darsi. (Da ''L'ora della verità'', 22 ottobre 1969) *{{NDR|Domanda del pubblico: «Io vorrei sapere perché lei, che si ritiene un osservatore, non ha mai affrontato il discorso sulla contestazione giovanile, tenendo anche presente il fatto che lei cerca il lettore. Lei ai giovani non dice assolutamente niente come giornalista»}} Come? {{NDR|«Se c'è un pubblico che lei sta perdendo, e forse non ha mai avuto, è proprio quello dei giovani. Vorrei sapere come mai lei non ha mai affrontato il discorso sulla contestazione, sulla realtà giovanile che è esplosa in questi ultimi anni»}} Signorina, io avrei tanto volentieri affrontato il discorso sulla contestazione se fosse possibile agganciare il discorso coi contestatori. Ma coi contestatori io non faccio il [[Alberto Moravia|Moravia]]. No. Non vado a farmi spernacchiare dai giovani, mi dispiace tanto. Né dai giovani, né da nessun altro. {{NDR|«Lei ha paura, scusi, di affrontare un discorso»}} No, io non ho paura, ma non ammetto di essere accolto a quel modo. È proprio un fatto, così, di dignità. {{NDR|«E allora, scusi, lei a questo punto rinuncia a un pubblico come può essere quello dei giovani semplicemente, così, per non avere degli spernacchiamenti, per non compromettere – diciamo – questo suo successo a cui è arrivato»}} Ma scusi, ma che dialogo sono le pernacchie? Me lo vuole spiegare? (ibidem) *Certamente [[Benito Mussolini|Mussolini]] fu un grossissimo politico, un uomo politico di grandissimo fiuto, di tempismo formidabile: lo dimostrò la facilità con cui vinse. Forse dovuta per metà alle sue capacità, alla sua bravura – parlo sempre come politico – e per metà all'insipienza, alla nullaggine dei suoi avversari, perché è tempo oramai di dire anche questo. Non c'è dubbio che il potere assoluto guastò completamente Mussolini: il Mussolini del 1930 non era certamente quello del 1940, il Mussolini di dieci anni dopo l'avvento al potere era diventato una specie di marionetta, la caricatura di sé stesso. Aveva perso proprio il senso della realtà, che era stato invece il suo forte da principio, il contatto col pubblico lo aveva perso, il senso della misura, e lo aveva dimostrato poi con gli errori madornali che ha fatto. Nei primi dieci anni credo che alcune cose buone le abbia fatte. Non credo che abbia ucciso la democrazia, credo che l'abbia soltanto seppellita perché era già morta. Da quel poco che ricordo l'Italia era un grosso carnevale, e anche abbastanza drammatico, perché la situazione interna era addirittura sfasciata: correva sangue, ne correva molto, noi in Toscana ne sapevamo qualcosa [...]. E quindi non è vero che lui... le democrazie non vengono mai uccise, le democrazie muoiono. Dopodiché si dà la colpa a chi le seppellisce, ma la verità è che si suicidano, e credo che la democrazia italiana del '21-22 si sia suicidata. [...] Mussolini capì una cosa fondamentale: che per piacere agli italiani bisognava dare a ciascuno di essi una piccola fetta di potere col diritto di abusarne. Questo era il fascismo. Il fascismo aveva creato una [[gerarchia]] talmente articolata e complessa che ognuno aveva dei galloni: il capofabbricato, il caposettore... tutti avevano una piccola fetta di potere, di cui naturalmente ognuno abusava, come è nel carattere degli italiani. (da ''Questo secolo'', 18 maggio 1982) *Ero all'estero, lavoravo nel giornalismo americano, alla ''United Press''. Chiesi alla mia agenzia di mandarmi come corrispondente in Abissinia. Giustamente mi dissero: «No, perché lei è un italiano, quindi logicamente non fa delle corrispondenze obiettive». Dico: «Avete ragione. Allora io vi lascio e vado volontario». Feci la mia brava domanda (la feci anche raccomandare). La domanda fu accolta, io fui mandato in Abissinia e, cosa un po' strana [...], a questo ragazzo di 23 anni [...] venne affidata una banda. [...] In quei due anni io contribuii a fare una cosa sbagliata, un'autentica fregnaccia qual era costruire un impero nel '35, quando coloro che lo avevano lo stavano già liquidando perché erano cose antistoriche. Ma io a 23 anni, a 24 anni, non potevo capire questo. Ebbi due anni di vita all'aria aperta, bella, di avventura, in cui credetti di essere un personaggio di Kipling, di contribuire a fare qualcosa di importante. Poi mi accorsi che non era vero, ma le cose non sono importanti per quello che sono, ma per quello che uno ci mette. E io in quel momento ci mettevo un grande entusiasmo: ebbi due anni di vita bellissima, a cavallo, con le tende, i miei uomini, libero, solo (perché non rispondevo a nessuno). Eh beh, compiango i giovani che non hanno avuto una simile esperienza. {{NDR|«E anche con una giovane moglie»}} E anche con una giovane moglie, {{NDR|indicando una fotografia}} eccola lì. Regolarmente sposata in quanto regolarmente comprata dal padre. {{NDR|«Quanti anni aveva?»}} Aveva 12 anni, ma non mi prendere per un Girolimoni. {{NDR|«Per un bruto»}} A 12 anni quelle lì erano già donne. {{NDR|«E tu dove l'avevi comperata?»}} L'avevo comprata a Saganèiti, un paese dove avevo mandato il mio emissario [...]. Me la comprò insieme a un cavallo e a un fucile, in tutto 500 lire. {{NDR|«E lei com'era?»}} Un animalino. Docile. Io le misi su un tucul con dei polli e poi, ogni 15 giorni, mi raggiungeva dovunque fossi, insieme alle mogli degli altri ascari. (ibidem) *Io esclusi immediatamente la responsabilità degli [[Anarchia|anarchici]] {{NDR|dalla [[strage di piazza Fontana]]}} per varie ragioni: prima di tutto, forse, per una specie di istinto, di intuizione, ma poi perché conosco gli anarchici. Gli anarchici non è che sono alieni dalla violenza, ma la usano in un altro modo: non sparano mai nel mucchio, non sparano mai nascondendo la mano. L'anarchico spara al bersaglio, in genere al bersaglio simbolico del potere, e di fronte. Assume sempre la responsabilità del suo gesto. Quindi, quell'infame attentato, evidentemente, non era di marca anarchica o anche se era di marca anarchica veniva da qualcuno che usurpava la qualifica di anarchico, ma che non apparteneva certamente alla vera categoria, che io ho conosciuto ben diversa e che credo sia ancora ben diversa. (da ''La notte della Repubblica'', 12 dicembre 1989) *La [[Lega Nord|Lega]] è una cosa sgradevole. Però le Leghe sono un fenomeno di reazione a una provocazione. È la politica nazionale, che fa nascere le Leghe. Questo non vuol dire che io le approvi. La reazione è sbagliata, ma provocazione c'è, le degenerazioni della partitocrazia ci sono. Che il pubblico denaro sia male amministrato e che a farne le spese siano soprattutto i cittadini del Nord non è contestabile. (da ''La Stampa'', 7 novembre 1990) *Ah, quel maledetto [[Toni Negri]], quel maledetto aizzatore dei sentimenti dei giovani che è vigliaccamente scappato dall'Italia per non affrontare il carcere. Per un Paese non c'è nulla di peggio che i cattivi maestri. Come punirli? Bisognerebbe impiccarli. Ripeto, impiccarli. (da ''L'Italia settimanale'', 1995) *Fu una pulizia etnica, bisognava far fuori gli italiani: allora si chiamarono fascisti e si ammazzarono, e si buttarono nelle [[massacri delle foibe|foibe]]. Questo avvenne dopo la fine della guerra, sia chiaro. Perché gli orrori di guerra, non dico che siano giustificabili, ma sono comprensibili, la guerra è di per sé stessa un orrore. No, queste... le foibe furono un'infamia commessa dopo la Liberazione, dopo la fine della guerra, e purtroppo vi hanno collaborato parecchi comunisti italiani, alcuni dei quali non solo sono ancora a piede libero, pur essendo vivi, ma ricevono delle pensioni di Stato. Ricevono delle pensioni di Stato. Però io ti posso dire questo: che come testimone oculare io ho visto anche in Croazia delle cose, da parte degli italiani, su cui è meglio sorvolare. Perché anche noi le abbiamo commesse, perché la guerra le comporta, questo è fatale, ecco. Quindi non facciamo tanto i moralisti. [...] No, questo {{NDR|tesi sloveno-croata sulla pulizia etnico-culturale da parte degli italiani durante il periodo di occupazione fascista}} è assolutamente falso. Pulizie etniche noi non ne abbiamo mai fatte, in nessun Paese occupato. Quando sento dire che noi facemmo anche la pulizia etnica in Etiopia, beh vabbè, mi cascano le braccia. Mi cascano le braccia. Quelle son menzogne infami, di gente o che non sa nulla, o che mente sapendo di mentire. Non è vero. Furono episodi, ma non di pulizia etnica, di rappresaglie. (dall'intervista al TG2, ''[http://www.youtube.com/watch?v=s9UXM_pKpqY Massacri delle foibe]'', 6 settembre 1996) *Tutto questo mi evoca dei ricordi poco simpatici. Era il [[fascismo]] che si conduceva così. Era il Fascismo che proibiva la satira, che in un paese civile e democratico dovrebbe essere assolutamente indenne da controlli politici; perché la satira non ha niente a che fare con la politica, anche se prende in giro la politica, ma si sa che è satira. Ed ogni regime serio e democratico accetta la satira, come si accettano le caricature. Era [[Benito Mussolini|Mussolini]] che non le sopportava. E qui pensano: «Ripuliremo la stalla», «Faremo piazza pulita». Ma questo linguaggio, al signor [[Gianfranco Fini|Fini]], chi glielo ispira? Ci ricorda delle cose che avremmo voluto dimenticare. Questa non è la destra, questo è il manganello. Gli italiani non sanno andare a destra senza finire nel [[manganello]]. [...] Alla Rai faranno piazza pulita, lo hanno già annunziato. Ma come si fa a definire democratico un partito che annunzia «Quando saremo al potere, noi faremo piazza pulita»? Ma questo è un linguaggio del peggiore squadrismo, che loro non sanno cosa fu, ma io me lo ricordo. Questo è il linguaggio con cui {{NDR|i fascisti}} andarono al potere. (da ''La settimana di Montanelli'', 17 marzo 2001) *Io voglio ringraziare Travaglio, perché ha detto l'assoluta e pura verità. Assolutamente. La versione che ha dato degli avvenimenti è quella esatta. [...] Io ho conosciuto due Berlusconi: il Berlusconi imprenditore privato che comprò ''il Giornale'' – e noi fummo felici di venderglielo, perché non sapevamo come andare avanti – su questo patto: tu, Berlusconi, sei il proprietario de ''il Giornale'', io, direttore, sono il padrone del ''Giornale'', nel senso che la linea politica dipende solo da me. Questo fu il patto fra noi due. Quando Berlusconi mi annunziò che si buttava in politica, io capii subito quello che stava per succedere. Cercai di dissuaderlo [...] ma tutto fu inutile. Dal momento in cui lo decise mi disse: «Ora ''il Giornale'' deve fare la politica della mia politica». Ed io gli dissi: «Non ci pensare nemmeno». Allora lui riunì la redazione come ha raccontato Travaglio – e questo lo fece a mia totale insaputa – e disse: «D'ora in poi ''il Giornale'' farà la politica della mia politica». E a quel momento me ne andai, cos'altro potevo fare? [...] Nella mia vita ci sono stati due Berlusconi, completamente opposti [...] questo fa parte del ritratto di Berlusconi. [...] Come capo politico è quello che io ho conosciuto in quei brutti giorni in cui scorrettamente, nella maniera più scorretta e più volgare, saltandomi, radunò la redazione de ''il Giornale'' per dirgli «Qui si cambia tutto» all'insaputa del direttore. Se questo sembra a Feltri un modo di procedere democratico e civile, è affar suo. (risposta telefonica a [[Marco Travaglio]] e [[Vittorio Feltri]] durante la trasmissione ''Il Raggio Verde'', 23 marzo 2001) *{{NDR|Silvio Berlusconi}} È il bugiardo più sincero che ci sia, è il primo a credere alle proprie menzogne. [...] È questo che lo rende così pericoloso. Non ha nessun pudore. (dall'intervista di Sophie Gherardi, ''L'Europa deve trattare il sig. Berlusconi con sdegno e disprezzo, non con ostilità'', ''Le Monde'', 8 maggio 2001<ref name=Travaglio2004/>) *Spero che l'Europa adotterà nei confronti di Berlusconi l'atteggiamento di indignazione e di disprezzo che merita. (dall'intervista di Sophie Gherardi, ''L'Europa deve trattare il sig. Berlusconi con sdegno e disprezzo, non con ostilità'', ''Le Monde'', 8 maggio 2001<ref name=Travaglio2004/>) {{Int|''Match''|a cura di Arnaldo Bagnasco, Alberto Arbasino e Maria Gefter Cervi, Rete 2, 18 gennaio 1978.}} *Io non stavo con Longanesi per ragioni ideologiche, anche perché io non ho mai capito quale ideologia avesse Longanesi. Longanesi non lo si poteva misurare sul piano ideologico, era sempre contro tutto e contro tutti. Era il frondista principe: lo è stato sotto il fascismo – e in fondo fece il più bel settimanale, forse, che abbia avuto l'Italia in questi ultimi decenni, credo: ''Omnibus'', che fu chiuso dal regime – e si è trovato sempre male con tutti i regimi. Che cosa pensasse in realtà Longanesi io, dopo un'amicizia di trent'anni, non sono mai riuscito a capirlo. Quello che mi affascinava di Longanesi, e che continua ancora oggi ad affascinarmi, è lo straordinario talento, l'inventiva, l'intuito, l'eleganza di Longanesi. Per cui io non consideravo le posizioni ideologiche di Longanesi, questo non m'interessava affatto. Per me era un fatto di vecchia amicizia: io sono un po' cresciuto con Longanesi, l'avrei seguito anche all'inferno perché con Longanesi si poteva andare anche all'inferno, diventava l'eden. *{{NDR|Sull'appello di votare DC nel 1976}} Questa può sembrare una contraddizione, ma che cosa avrei dovuto dire ai miei lettori? Di votare per chi? Questo è il punto. Oggi [...] i partiti laici ai quali io ideologicamente farei capo – liberale, repubblicano, socialdemocratico – fanno i pifferi di accompagnamento a un patto a sei, e questo era già nell'aria, prima del 20 giugno. Che cosa dovevo dire io ai miei lettori, «Votate per i pifferi di accompagnamento»? Francamente non me la sentivo. [...] Nonostante la mia etichetta di destra, io per i partiti di destra non mi schiererò mai. Io vorrei un centro: non lo trovo, non c'è. Un centro di opposizione democratica al regime che è già in atto non c'è. E allora che debbo fare? È colpa mia se la politica italiana non mi offre un centro? Io continuo a battermi per la costituzione di questo centro. *{{NDR|Domanda del pubblico: «Come mai in Italia non ci sono giornali indipendenti?»}} Io, per esempio, ho la presunzione – sarà infondata – di dirigere un giornale indipendente, perché vorrei sapere da chi prendo gli ordini. Me lo dica lei, Padre. {{NDR|«No, beh...»}} E allora, se non potete indicare qualcuno che mi dà gli ordini, io sono indipendente. {{NDR|«Rispondo anch'io da giornalista: è chiaro che un giornale non si sostiene con le idee sull'indipendenza, si sostiene con dei quattrini»}} Certo. {{NDR|«Allora io parlavo di un'indipendenza che, in quanto dipende da chi paga, è comunque una dipendenza ideologica. Questa era la domanda»}} Sì, l'ha scritto molto bene ''Repubblica'' [...] credendo di offendermi. Ha detto: «Il ''Giornale nuovo'' vive di collette». È vero, noi viviamo di collette, e io ne sono fiero perché le collette mi lasciano libero. {{Int|''Mixer''|a cura di Giovanni Minoli, Rete 2, 6 aprile 1981.}} *{{NDR|«Perché fu fascista fino al '37?»}} Questa è la storia della mia generazione, tutta la mia generazione è stata fascista fino al '35, al '36 o al '43. *{{NDR|«E perché smise di esserlo?»}} Perché noi credevamo che il fascismo fosse una cosa, e poi ci accorgemmo che era un'altra. *{{NDR|«Lei ha detto: "Buffoni, cafoni di natura, ''parvenus'', tutta gente in malafede, il bassettume, il pirellume, il cedernismo". Si riferiva alla Milano radical chic, ma che cosa voleva dire, esattamente?»}} Quello che ho detto. Veramente, io ne ho il più profondo disprezzo. Io accetto benissimo i comunisti: i comunisti sono gente seria, pericolosissimi, ma seri. I [[radical chic]] no. *{{NDR|«È sempre convinto del suicidio dell'anarchico Pinelli?»}} Assolutamente. *{{NDR|«Lei a Catanzaro, al processo per la strage di piazza Fontana, ha dichiarato: "Secondo me, il commissario Calabresi fu vittima di una campagna di stampa". Cioè?»}} No, non l'ho dichiarato a Catanzaro, lo dissi molto prima. Basta rileggere i giornali di quei tempi, e soprattutto i rotocalchi: veramente, Calabresi fu vittima di una campagna stampa infame e ingiusta, perché era uno dei funzionari più corretti che ci fossero. *{{NDR|«Pietro Valpreda, qui a ''Mixer'', ha definito Calabresi come "un tecnocrate del potere". Lei che cosa ne pensa?»}} Ma che significa «un tecnocrate del potere»? Un commissario di polizia serve il potere, chi diavolo deve servire? Valpreda? {{Int|''Faccia a Faccia: intervista a Indro Montanelli''|''Mixer'', a cura di Giovanni Minoli, Rai 2, 5 maggio 1985.}} *[[Renato Curcio|Curcio]] non sparava alle spalle, sparava di fronte, andava di persona a sparare. Naturalmente siamo su delle barricate opposte, ma io stimo Curcio. Lo stimo. È un uomo che secondo me ha delle idee sbagliate ma le serve, le serve da soldato vero. Con un suo galateo. Col suo coraggio. Senza mai rinnegarsi. Non si è pentito! *Io sono convinto che la magistratura debba essere indipendente, però chiedo ed esigo che abbia un autogoverno di controllo, e che soprattutto risponda dei suoi gesti. Oggi noi abbiamo una magistratura che non risponde a nessuno dei suoi errori spesso catastrofici, perché hanno distrutto uomini, hanno distrutto aziende per delle cose che poi si son rilevate insussistenti. Mai un magistrato ha pagato per questo. Io voglio che i magistrati paghino. Non dico a dei poteri esterni, ma perlomeno al potere a cui viene affidata la disciplina nella categoria. *Tutta l'intellighenzia italiana ha una vecchia tradizione di servilità, com'è logico, perché si è sviluppata in un Paese analfabeta, per secoli e secoli analfabeta. Non avendo il lettore doveva per forza procurarsi il protettore. Scriveva per il protettore. *{{NDR|«Il suo peggior difetto qual è, Montanelli?»}} Quello di non riconoscermene nessuno. *{{NDR|«[[Leo Longanesi|Longanesi]], parlando di lei, un giorno disse che lei capiva le cose con dieci mesi di anticipo rispetto a tutti gli altri. Ecco, tra dieci mesi cosa vede in [[Italia]]?»}} Queste erano le cose di Longanesi, ma in realtà io non riesco a vedere tra dieci giorni. {{Int|''[http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/1991/11/16/giangi-feltrinelli-io-non-ti-perdono.html 'Giangi' Feltrinelli io non ti perdono]''|''la Repubblica'', 16 novembre 1991, p. 33.}} *[[Giangiacomo Feltrinelli|Lui]] fu l'emblema di tutto quanto accadde in quegli anni {{NDR|Anni della contestazione}}. A differenza della [[Francia]], eravamo un paese da burletta, con una contestazione da burletta e rivoluzionari da burletta. E Feltrinelli ne fu l'esponente più qualificato. *Era il 1940 e a quel tempo Giangi aveva quattordici anni e seguiva i corsi scolastici con pessimo profitto. Giangiacomo era un ragazzetto che voleva a tutti i costi cavalcare qualcosa di rivoluzionario. Non importava il colore. Tanto è vero che il suo sogno fu prima il fascismo e poi Che Guevara. *{{NDR|«L'importante è stare in prima linea il fascismo?»}} Ma sì, negli anni Quaranta lui era fascista. Era talmente fascista che nel 1943, dopo l'8 settembre, voleva denunciare sia me che Barzini per alcune cose che avevamo detto contro i fascisti. Allora pensava di aderire a Salò. La sua dedizione a una causa quale che sia, purché rivoluzionaria, lo spingeva a questi atti pazzeschi. *Generoso? Lo chieda ai suoi collaboratori. Era una specie di padrone delle ferriere che spendeva generosamente solo per soddisfare il suo vizio principale: la rivoluzione. Con chi era in difficoltà non si dimostrò mai particolarmente generoso. *{{NDR|«Perché allora lei è così implacabilmente critico nei suoi riguardi?»}} Non ce l'ho neppure tanto con lui, quanto con tutti coloro che di Feltrinelli hanno fatto un mito. In realtà era un povero uomo. Un ingenuo divorato dall'esibizionismo. *{{NDR|«Come può ridurre tutto alla convinzione che fosse solo un ingenuo e un esibizionista?»}} Anche Starace segnò un decennio della nostra vita. Mica per questo era meno cretino. Se Feltrinelli sia stato qualcosa di più complesso, io non riesco a vederlo. Posso aggiungere questo: quella sua mania di ostentazione, quella voglia di primeggiare su tutte le cose lo ha condotto anche a degli atti di eroismo. Perché uno che sale su un traliccio, con la dinamite che non sa maneggiare e salta per aria, beh almeno il coraggio gli va riconosciuto. O forse chiamiamola incoscienza. {{Int|''[http://www.archiviolastampa.it/component/option,com_lastampa/task,search/mod,libera/action,viewer/Itemid,3/page,15/articleid,0824_01_1992_0072_0015_25082247/ Montanelli e il sacco di Milano]''|''La Stampa'', 14 marzo 1992, p. 14.}} *{{NDR|Il regime corrotto}} C'è ancora. Ma la rivolta non era tanto contro la corruzione e la partitocrazia, che erano senza dubbio un grosso male, ma che non erano il male più letale. In quel momento era proprio la società che si disfaceva, le condizioni della scuola, la predicazione del nulla, insomma la contestazione globale, l'ubriacatura degli Anni Settanta, che fu l'ubriacatura del terrorismo, e quella acquiescenza di una certa borghesia, salottiera, radical chic, che amoreggiava con queste cose, che aveva le smanie maotsetunghiste, che poi parlavano tutti di cose che non sapevano. La corruzione dei partiti invece è quasi immanente. La partitocrazia è destinata a durare almeno finché non si riforma la legge elettorale. Ma questa è la battaglia che noi cerchiamo di fare oggi. *{{NDR|«Ma gli Anni Settanta non hanno anche prodotto qualcosa di positivo nella società italiana?»}} No. Non vedo fatti positivi nel lascito degli [[anni di piombo]]. Vorrei sapere veramente quali. Quando dicono per esempio il divorzio. Ma il divorzio c'era già prima. Quelle sono conquiste sociali. C'era bisogno dei pistoleros per il divorzio? Ma andiamo! *{{NDR|«Però lei difendeva Pannella»}} Sì. A [[Marco Pannella|Pannella]] dobbiamo veramente due cose, malgrado le sue mattane. Effettivamente riuscì a impedire a una certa aliquota di giovani di finire in braccio al terrorismo, cioè gli dette un'altra bandiera. E alcune battaglie sue furono sacrosante, come quella del divorzio che appoggiammo. Poi verso Pannella io ho una certa simpatia, dovuta al mio vecchio fondo anarchico, libertario, che ritrovo in lui. È una simpatia genetica. Ritrovo in lui quello che io sono stato a vent'anni. *{{NDR|«Ma che fine ha fatto quella borghesia, che fine hanno fatto quei salotti buoni? Le sue battaglie contro la Crespi o contro la Cederna sono cosa Passata? Sono cambiati loro, oppure è cambiato lei?»}} Vabbè, con la [[Camilla Cederna|Camilla]] poi siamo ridiventati amici. Con la Crespi no, mai. Ma non ho più rancori, non ho più animosità. Però è un mondo che disprezzo un po', perché è un mondo di pecore che seguono sempre il filo del vento, santoiddio, sono proprio personcine, personcine inconsistenti, pronte ad andare con chiunque. E poi sempre per salvare i propri interessi, non è che abbiano delle idealità, no? Oggi è cambiato il vento, quindi sono cambiati anche loro. Ma non è che sia cambiato il mio giudizio. Quel mondo lì io non lo amo. *La crisi rimane e si riflette nell'amministrazione cittadina. L'amministrazione era sempre stata un autentico specchio. Fino a Bucalossi il Comune di Milano era retto da specchiati galantuomini, che finivano tutti poveri, in miseria, finivano alla Baggina. Gente davvero di una correttezza esemplare. Poi sono venuti gli Aniasi e compagni e guardi qui dove siamo arrivati: siamo arrivati a [[Mario Chiesa|Chiesa]]. {{Int|''[https://web.archive.org/web/20121107180200/http://archiviostorico.corriere.it/1993/giugno/06/Montanelli_tura_naso_come_nel_co_0_93060610816.shtml Montanelli si tura il naso come nel '76: voto l'uomo della Lega]''|''Corriere della Sera'', 6 giugno 1993, p. 3.}} *Mi sono dannato l'anima perché il centro avesse un ''suo'' candidato. Avrei voluto Locatelli: era la persona giusta per portare la bandiera referendaria e raccogliere gli elettori moderati. Era quello il mio sogno. *Segni non ha capito nulla, è arrivato in ritardo, ha candidato una persona che nessuno conosce. Non abbiamo ''un'' rappresentante del centro, ma tre surrogati che si elimineranno a vicenda. E ci toccherà scegliere fra [[Nando dalla Chiesa|Dalla Chiesa]] e Formentini. *{{NDR|«Di qui il suo suggerimento: turarsi il naso e votare Lega»}} No, non dico "Votiamo Lega", dico "Votiamo Formentini". E nel suo caso non ci si deve neppure turare il naso: è modesto, anche mediocre se vogliamo, ma è onesto. Non credo sia marcio. Insomma: è il male minore. *{{NDR|«E Dalla Chiesa?»}} No, il mio voto non lo avrà. Perché io non voto per la sinistra e per un sinistro come quello lì. *{{NDR|«Ma che cosa la preoccupa nella coalizione di Dalla Chiesa?»}} Questi reperti di un mondo fallito vogliono ora governare l'Italia. E io con loro non ci sto. La storia gli ha dato torto, la realtà li svergogna e noi dovremmo fidarci? È stata l'apertura a sinistra a dare inizio alla putredine. {{Int|''Eppur si muove''|a cura di Indro Montanelli e Beniamino Placido, Rai 3, 1994.}} *Ogni italiano è insieme furbo e fesso. L'italiano è furbissimo nella gestione dei suoi affari privati, può ricorrere a tutte le astuzie, è attento, è accorto, ed è assolutamente fesso nel non rendersi conto che se i suoi affari privati rimangono immessi in una società che non funziona – cioè dove gli interessi generali vengono trascurati e negletti – i suoi interessi privati finiscono col soffrirne e col condurlo al fallimento. Questo, a noi italiani, non entra in testa. (6 febbraio 1994) *È probabile che molti stranieri mandino i loro figli, a Roma, a scuola. Ma quali scuole? Alle loro. Gli americani mandano i loro figli alla scuola americana, i tedeschi alla scuola tedesca, i francesi alla scuola francese. Non li mandano mica alla scuola italiana, se ne guardano bene e hanno ragione, visto il modo in cui si insegna in Italia. (ibidem) *Da noi prima uscivano dei ragazzi che sapevano abbastanza di greco, di latino, ma che il carattere non lo avevano formato a scuola: o se lo formavano da soli, oppure non se lo formavano mai. (ibidem) *Lo [[Zingari|zingaro]] che fa tranquillamente la sua vita non dà noia a nessuno, è quando ruba che, naturalmente, suscita qualche perplessità (uso un eufemismo). Diciamo la verità, in Italia il razzismo non c'è. Per inventare una questione razziale ci volle una legge, e una legge fatta da un regime totalitario perché il Paese non la sentiva. Non poteva sentirla perché non è nella nostra tradizione. [...] L'Italiano non ha dei risentimenti razziali. [...] {{NDR|Sugli episodi di intolleranza e di paura per il diverso}} È un fatto di piccolissime minoranze, diciamo la verità. Non inventiamo adesso una questione {{NDR|razziale}}. Io ho vissuto nelle società veramente razziste, è tutta un'altra faccenda. (con [[Serena Dandini]], 20 marzo 1994) *Io ebbi una moglie etiopica, nel senso che la comprai secondo l'uso locale. {{NDR|«Come, scusi?»}} Eh beh, ma gli usi locali erano questi. Tutti, anche gli etiopici, compravano la moglie. {{NDR|«Quanto costava una moglie?»}} Poco. Costava poco, mi pare che mi costò – allora, però (anno 1935) – 500 lire e un tucul {{NDR|trattando}} col suocero. Perché queste furono transazioni fatte dal mio emissario, che era il più anziano graduato della mia banda, col padre della ragazza. [...] Questo matrimonio durò finché noi stemmo di stanza a Saganèiti, cioè a dire prima che scoppiasse la guerra con l'Abissinia (che non fu precisamente una guerra, fu una specie di avventura). [...] Poi questa mia moglie, perché era considerata tale, quando io partii sposò un mio graduato e al primo figlio – è vivo tuttora, mi hanno detto – diede il mio nome, per cui alcuni credettero che fosse figlio mio. Non era figlio mio. Soltanto che per deferenza... {{NDR|«Lei non pensò mai di portarla con se in Italia?»}} Beh, no. No, anche perché era molto difficile strapparla ai suoi costumi. Lei stessa, in fondo, non voleva venire. Lei apparteneva alla sua terra, io le feci una piccola dote e quindi andò tutto regolarmente. Era molto bellina. (ibidem) *Gran parte delle forze leghiste, quelle che accennano a qualche razzismo nei confronti del meridionale, sono composte da meridionali che si sono milanesizzati e ci si trovano talmente bene a Milano che non vogliono che altri arrivino dal sud. (ibidem) *Per me la [[destra]] non è una [[ideologia]]: è un modello di comportamento. Si può essere di destra anche a sinistra. Questo comportamento è il criterio rigoroso del servizio della vita pubblica. (con [[Arnoldo Foà]], 17 aprile 1994) *Nella storia della [[Italia|nazione italiana]] io vedo pochi uomini all'altezza della qualifica di una destra illuminata che non solo accetta ma vuole le [[Riformismo|riforme]]. Un uomo di destra certamente io non credo che fosse [[Camillo Benso, conte di Cavour|Cavour]], del resto il suo connubio lo dimostra, la sua disinvoltura nelle alleanze politiche lo dimostra. Certamente di destra era [[Bettino Ricasoli|Ricasoli]]. Certamente era [[Quintino Sella|Sella]]. Certamente era [[Giovanni Giolitti|Giolitti]]: uomo che dette il suffragio universale, e che riconobbe il diritto di [[sciopero]]. Questo è un uomo di destra. Certamente un uomo di destra era [[Alcide De Gasperi|De Gasperi]], senza dubbio. E, adesso non vorrei scandalizzare la gente, ma direi che uomo di destra per il concetto che aveva dello [[Stato]] e del [[potere]] era anche [[Palmiro Togliatti|Togliatti]]. E questo dimostra che si può essere uomini di destra anche a [[sinistra]]. La destra è una regola di comportamento, una regola [[morale]] di comportamento. (ibidem) {{Int|''[https://web.archive.org/web/20101005073648/http://archiviostorico.corriere.it/1997/novembre/09/Montanelli_gambizzato_cinque_mesi_prima_co_0_9711098446.shtml Montanelli "gambizzato" cinque mesi prima: "Mi salvò una promessa a Mussolini"]''|''Corriere della Sera'', 9 novembre 1997, p. 29.}} *Quella mattina {{NDR|2 giugno 1977}} sono in due nei giardini di piazza Cavour, a Milano. Uno mi spara alle gambe. L'altro mi tiene nel mirino della sua pistola. I primi due – tre proiettili entrano nelle mie lunghe zampe di pollo. Non devastano né ossa né arterie. Ma sarebbero sufficienti per far cadere a terra qualsiasi cristiano. In quegli attimi ricordo la promessa che avevo fatto a Mussolini, e a me stesso, quando, bambino, mi ritrovai intruppato nei balilla: "Se devi morire, muori in piedi!" Davanti a questi vigliacchi che non hanno il coraggio di affrontarmi in faccia, penso, non posso morire in ginocchio. E mi aggrappo alla cancellata dei giardini. Non sto in piedi sulle gambe, ma mi reggo dritto con la forza delle braccia. E quello continua a sparare e a centrare le mie zampe di pollo. Se mi fossi accasciato, se mi fossi inginocchiato davanti a lui, a quell'ora sarei morto. *Per [[Renato Curcio|lui]] ho sempre avuto rispetto. Penso che la sua autoemarginazione dalla società prima e l'emarginazione che la società gli ha imposto poi ci abbiano privato di un uomo di valore. Non lo conosco di persona, ma lo stimo, anche se poteva essere lui quello che ha mandato i due ragazzi a spararmi. Non ho rancore: quando la guerra è finita gli avversari si devono stringere la mano e devono brindare alla pace ritrovata. *Apprezzo il coraggio di chi non si pente per ricavarne un utile, di chi non denuncia il compagno di errori ma riconosce i propri torti. Almeno i brigatisti lottavano per ideali diversi da quelli dello stalinismo e del comunismo sovietico. I terroristi neri, invece, volevano soltanto restaurare un regime sepolto dalla storia. I rossi non sapevano bene cosa ma avevano in mente qualcosa di nuovo. *{{NDR|«E se avessero vinto loro?»}} Impossibile. L'esistenza del terrorismo ha soltanto ribadito le manchevolezze del nostro Paese: uno Stato inefficiente e un popolo codardo e conformista. *{{NDR|Sui burattinai, i Grandi Vecchi, la Cia, i Servizi segreti}} Fregnacce: che gliene poteva importare alla Cia di fucilare gente come il buon Casalegno o quel galantuomo di Emilio Rossi, vent'anni fa direttore del Tg Uno, o quel bischero di Montanelli? La dietrologia era una divagazione di intellettuali perditempo. Il vero problema era ed è un altro: finché non ci decideremo a riconoscere la mancanza negli italiani di una coscienza nazionale e civile questo pericolo del terrorismo lo correremo sempre. E questa fabbrica di una coscienza nazionale e civile io non la vedo nascere. *{{NDR|Sul dolore che il tempo non ha cancellato nei parenti delle vittime}} Anche noi italiani dobbiamo imparare a pagare gli inevitabili tributi dovuti alla Storia come hanno saputo fare tutti i Paesi occidentali. Il dolore resta, ma la piaga va ricucita. Una volta per tutte. {{Int|''[http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/1998/07/25/borghesia-vile-deludente.html Borghesia vile e deludente]''|''la Repubblica'', 25 luglio 1998, p. 8.}} *È la solita bruciante delusione, questa nostra borghesia. Non cambia mai, è sempre la stessa: la più vile di tutto l'Occidente. Gente portata a correr dietro a chi alza la voce, a chi minaccia, al primo manganello che passa per la strada. Questo sono i nostri borghesi: tutti fascisti sotto il fascismo, poi tutti antifascisti fin dall'indomani. Quando il comunismo era forte e faceva paura, e io fondai ''il Giornale'', mi lasciarono solo e senza un soldo. Ai tempi del terrorismo, amoreggiavano con gli estremisti nella speranza che quelli – andati al potere – gli risparmiassero la villa e il portafoglio. E ora che il comunismo non c'è più, si scoprono tutti anticomunisti, questi sedicenti liberaloni. *Il loro eroe è sempre chi brandisce il [[manganello]]. Ieri, il manganello vero. Oggi, quello catodico delle televisioni. Il liberalismo vero l'hanno sempre tradito, anzi non hanno mai saputo che cosa sia. Non vogliono le regole, detestano le leggi, vogliono avere le mani libere per fare quello che gli pare, in nome della loro cosiddetta «[[efficienza]]». Quando abbiamo fondato ''la Voce'' l'abbiamo toccato con mano: parlare di regole e di legalità a questa gente è peggio di un insulto, una bestemmia in chiesa. *L'ho sempre detto che fu un errore, quattro anni fa, defenestrarlo. Bisognava lasciarlo lì ancora un bel po', così tutti avrebbero capito quanto vale, che razza di statista è... Magari adesso non saremmo in Europa, ma non avremmo così tante gente che si lascia ubriacare dalla sua propaganda, che prova nostalgia per lui. *{{NDR|«E se un giorno si andasse a votare per il suo referendum, quello per abolire i reati del Cavaliere?»}} In quella forma, mi pare difficile che si arrivi, anche se in Italia non si sa mai. Comunque, se si votasse, credo che anche lì vincerebbe lui. Perché è quello che vuole questa nostra borghesia. Ormai è ufficiale: Berlusconi ce lo meritiamo. {{Int|''[http://www.repubblica.it/online/politica/satiquattro/montanelli/montanelli.html L'Italia di Berlusconi è la peggiore mai vista]''|''la Repubblica'', 26 marzo 2001.}} *Io voglio che vinca, faccio voti e faccio fioretti alla Madonna perché lui vinca, in modo che gli italiani vedano chi è questo signore. [[Silvio Berlusconi|Berlusconi]] è una malattia che si cura soltanto con il vaccino, con una bella iniezione di Berlusconi a Palazzo Chigi, Berlusconi anche al Quirinale, Berlusconi dove vuole, Berlusconi al Vaticano. Soltanto dopo saremo immuni. L'immunità che si ottiene col vaccino. *È strano: io non avevo mai preso parte alla campagna di demonizzazione: tutt'al più lo avevo definito un pagliaccio, un burattino. Però tutte queste storie su Berlusconi uomo della mafia mi lasciavano molto incerto. Adesso invece qualsiasi cosa è possibile: non per quello che succede a me, a me non succede nulla, non è che io rischi qualcosa, è chiaro. Quello che fa male è vedere questo berlusconismo in cui purtroppo è coinvolta l'Italia e anche tante persone perbene. *La scoperta che c'è un'Italia berlusconiana mi colpisce molto: è la peggiore delle Italie che io ho mai visto, e dire che di Italie brutte nella mia lunga vita ne ho viste moltissime. L'Italia della [[marcia su Roma]], becera e violenta, animata però forse anche da belle speranze. L'Italia del 25 luglio, l'Italia dell'8 settembre, e anche l'Italia di piazzale Loreto, animata dalla voglia di vendetta. Però la volgarità, la bassezza di questa Italia qui non l'avevo vista né sentita mai. Il berlusconismo è veramente la feccia che risale il pozzo. {{Int|''La Storia d'Italia di Indro Montanelli''|a cura di Mario Cervi, interviste di Alain Elkann, ''Cecchi Gori Editoria Elettronica Home Video'', 1999.}} *Il silenzio mantenuto finora {{NDR|sui massacri delle foibe}}, o quasi silenzio, si spiega facilissimamente: tutta la storiografia italiana del dopoguerra era di sinistra, apparteneva all'intellighenzia di sinistra, la quale era completamente succuba del Partito Comunista. Quindi non si poteva parlare delle foibe, che non appartenevano al comunismo italiano, ma appartenevano certamente al comunismo slavo, di cui però il comunismo italiano era alleato e faceva gli interessi. Quindi di questo non si poteva parlare, e non si poteva parlare delle stragi del triangolo della morte, perché anche queste ricadevano sulla coscienza – ammesso che ce ne sia una – del Partito Comunista, il che sta a dimostrare quello che dicevo prima, cioè che la Resistenza non fu una resistenza, fu una guerra civile tra italiani che continuò anche dopo il 25 aprile. [...] {{NDR|Sull'eccidio dei conti Manzoni}} Andai come giornalista [...] per appurare com'era andata la strage dei conti Manzoni, dopo la fine della guerra. [...] Una famiglia di persone che col fascismo non aveva niente a che fare, ci aveva convissuto come tutti gli italiani. Bene, nessuno mi voleva parlare di questa faccenda. [...] Nessuno ne aveva parlato, né dei Carabinieri né della Polizia e tantomeno della magistratura, eppure lo sapevano. [...] C'era una complicità assoluta, una complicità dannata. [...] Se ne parla ora perché il Muro di Berlino è crollato, ma si ricordi che trent'anni fa, quando [[Renzo De Felice|De Felice]] annunziò di mettere allo studio il ventennio fascista per sapere com'era andata, fu proposta la sua estromissione dalla cattedra universitaria, solo perché metteva allo studio un ventennio di storia italiana che, bella o brutta, c'era stata. [...] Non era possibile inquadrare storicamente il fascismo: chi lo faceva, cercando di spiegare i perché della sua durata, ed anche i perché della sua catastrofe, veniva accusato di fascismo. (da ''Dalla Monarchia alla Repubblica'') *È difficile sapere che cosa fu [[Palmiro Togliatti|Togliatti]], perché Togliatti non ha lasciato memoriali, non ha lasciato diario, che cosa pensasse Togliatti non lo sapeva nessuno, credo nemmeno la sua compagna Nilde Iotti. Si può dire che è stato un esecutore fedele degli ordini di [[Stalin]]. Lo è stato sempre, e per questo godeva la fiducia di Stalin. [...] Era un diplomatico per sé, soprattutto, perché é un uomo sopravvissuto a venticinque o trent'anni anni di Mosca, senza finire in galera, processato o contro il muro. Beh, questo è uno dei grandi personaggi. Sono pochi. {{NDR|«Non era uno statista, per esempio?»}} Non poteva essere uno statista perché i comunisti non hanno lo Stato nel sangue, i comunisti hanno il partito. Stalin non è mai stato Capo dello Stato, e nemmeno Capo del Governo, era capo del partito. Il potere nei regimi comunisti non sta né nello Stato né nel governo, sta nel partito. (da ''Dalla proclamazione della Repubblica al Trattato di pace'') *Questa [[Costituzione della Repubblica italiana|Costituzione]] porta male gli anni da quando aveva un giorno, perché fu subito chiaro quali erano i suoi difetti. Del resto furono anche denunciati da uomini come, per esempio, [[Piero Calamandrei|Calamandrei]], come Mario Paggi. (da ''Dall'assemblea costituente alla vigilia delle elezioni del 1948'') *I difetti furono soprattutto due. Il primo difetto fu di ripartizione dei lavori. La Costituente era formata da 600 membri eletti di passaggio. Voglio {{NDR|far}} notare che quella fu la prima elezione che si tenne in Italia – per la Costituente, non per il Parlamento – ma dove ci fu lo spiegamento dei partiti. Ogni partito portò i suoi candidati, cioè dei giuristi che facevano capo alla propria ideologia. Bene, in quella prima elezione il 35% dei voti andò ai democristiani, il 21% andò ai socialisti di [[Pietro Nenni|Nenni]], il 19% ai comunisti. Quindi in quel momento... non c'era ancora il Fronte ma in quel momento i socialisti facevano premio sui comunisti. Erano di poco, ma un po' più forti dei comunisti. [...] Questi 600 costituenti non potevano lavorare tutti insieme, era impossibile mandare avanti 600 persone a dibattere all'infinto le stesse cose, e allora i lavori furono devoluti a una commissione che si chiamò la ''Commissione dei Settantacinque'', perché erano 75 membri della Costituente che venivano incaricati per le loro competenze specifiche di redigere il testo. Ma anche 75 erano troppi, e allora anche i 75 si frazionarono in sotto-commissioni, ognuna delle quali lavorò per conto suo. Non ci fu un piano di insieme. {{NDR|«Quindi non fu un vero lavoro collettivo»}} Non fu un vero lavoro collettivo. Calamandrei lo disse subito: «Noi stiamo montando una macchina, che magari pezzo per pezzo sarà anche ben fatta, ma le cui giunture non coincidono con le giunture di altri pezzi». [...] Fu lasciata così perché nessuno volle rinunziare al proprio elaborato, e questo è tipico degli italiani. (da ''Dall'assemblea costituente alla vigilia delle elezioni del 1948'') *Il secondo motivo che rese questa Costituzione veramente impalatabile e nociva per il regime che ne doveva nascere, fu che i nostri costituenti partirono dal punto di vista opposto a quello da cui sarebbero partiti i costituenti tedeschi quando la Germania fu libera di elaborare una sua Costituzione. Da che cosa partirono i costituenti tedeschi? Da questo ragionamento: il nazismo fu il frutto della Repubblica di Weimar. Cos'era la Repubblica di Weimar? Era l'impotenza del potere esecutivo, cioè del Governo. [...] La Germania rimase nel disordine, nel caos, nella Babele dei partiti che non riuscivano a trovare mai delle maggioranze stabili, quindi dei governi efficaci. Ecco perché Hitler vinse, perché il nazismo vinse. I costituenti nostri partirono dal presupposto contrario, cioè dissero: «Cos'era il fascismo? Il fascismo era il premio dato a un potere esecutivo che governava senza i partiti, senza controlli eccetera. Quindi noi dobbiamo esautorare completamente il potere esecutivo, {{NDR|negando}} la possibilità di dare ai governi una stabilità, eccetera». Per rifare che cosa? Weimar. Cioè, mentre i tedeschi partivano dalla negazione di Weimar, noi arrivavamo {{NDR|a Weimar}} senza dirlo. Nessuno lo disse, ma questo fu il risultato. [...] Non fu possibile nemmeno introdurre quella solita linea di sbarramento che invece fu introdotta in Germania, per cui i partiti che non raggiungevano non ricordo se il 5 o il 3%, non avevano diritto a una rappresentanza. No, tutti i partiti dovevano esserci e tutti avevano un potere di ricatto sulle maggioranze, che erano per forza di cose di coalizioni. (da ''Dall'assemblea costituente alla vigilia delle elezioni del 1948'') *Gli italiani non imparano niente dalla Storia, anche perché non la sanno. {{NDR|«Forse non amano la Storia»}} Non la amano, non la leggono, non se ne interessano, ma questo anche le classi dirigenti: sono uguali, intendiamoci. {{NDR|«Lei auspica che venga rifatta questa Costituzione»}} Sì, ma che venga rifatta secondo criteri logici, non {{NDR|secondo}} criteri illogici. Tutte le volte che si diceva «Ma qui bisogna restituire un po' di autorità al potere esecutivo, bisogna mettere i governi in condizione di governare» si diceva: «Fascista! Fascista!». Con questo ricatto qui abbiamo fatto le più grosse scempiaggini che si potesse immaginare. (da ''Dall'assemblea costituente alla vigilia delle elezioni del 1948'') *La fine di [[Alcide De Gasperi|De Gasperi]] è la fine di un'epoca: con lui finisce un'epoca e ne comincia un'altra non certamente migliore. [...] C'è una bella pagina della figlia di De Gasperi, Maria Romana, che ha scritto un bel libro sul padre. Un libro tutto vero in cui racconta anche i funerali su in Val Sugana: c'era naturalmente tutta la nomenclatura democristiana che accompagnava la bara. Oramai De Gasperi era morto, si poteva anche fingere il compianto, e a un certo momento un passante che era lì – uno che guardava, che non aveva niente a che fare con la politica, con la Democrazia Cristiana eccetera eccetera – si avvicinò al feretro e scansando questi turiferari della DC disse: «No, non è vostro! De Gasperi è nostro! Era un italiano!». E aveva ragione. De Gasperi era nostro, non un democristiano. (da ''Gli anni di Alcide De Gasperi'') *{{NDR|[[Giovanni Gronchi]]}} Era un uomo molto abile, brillante parlatore, molto abile anche negli affari. Era molto più libertino di [[Carlo Sforza|Sforza]], quindi la Democrazia Cristiana [...] era cambiata, evidentemente, e Gronchi fu eletto per una faida interna della Democrazia Cristiana, perché [[Amintore Fanfani|Fanfani]] voleva [[Cesare Merzagora|Merzagora]]. Allora per fare dispetto a Fanfani, invece gli buttarono fra i piedi [[Giovanni Gronchi|Gronchi]], il quale seppe benissimo tessere la sua trama fra Sinistra, Destra eccetera e far diventare gronchiani anche quelli degli altri partiti. Dicendosi agli uni uomo di Destra e agli altri uomo di Sinistra, facendo insomma il giuoco personale di Gronchi, con cui entrò in Quirinale il vero grande corruttore della vita politica italiana. [...] Dopo l'onestissimo [[Luigi Einaudi|Einaudi]] viene Gronchi, che è l'indulgenza plenaria verso tutte le deviazioni e i deviazionisti d'Italia. (da ''La rivolta in Ungheria e l'elezione di Giovannni XXIII'') *Questa storia dell'MSI è una delle grandi truffe della Prima Repubblica: nella Costituzione c'è un articolo che proibisce la rinascita di un partito fascista. Ecco. Ora, l'MSI era chiaramente un partito fascista. Non lo negava, anzi si faceva gloria del fatto di essere l'erede eccetera. Perché lo avevano messo, allora? Lo avevano messo perché questo partito fascista, che avrebbe dovuto essere escluso dalla vita politica, serviva a captare un certo numero di voti che, senza questo partito, sarebbero andati a dei partiti moderati di Centro e soprattutto, forse, alla Democrazia Cristiana. Quindi quale fu il gioco delle Sinistre, a cui la Democrazia Cristiana però si piegò e si rassegnò: è consentito di esistere all'MSI, però l'MSI quando è in Parlamento è escluso dal gioco parlamentare. Così si mettevano i voti dell'MSI in ''frigidaire'', e così non andavano alla Democrazia Cristiana e ai partiti {{NDR|di Centro}}. È una delle peggiori truffe che è stata inventata dalla classe politica che ci ha governato per cinquant'anni. (da ''I successori di De Gasperi e la politica italiana fino alla morte di Togliatti'') *Io vorrei sapere quali furono le crescite... di civiltà che il [[Sessantotto]] pretende di averci lasciato. Io vedo tutt'altra cosa: io vidi nascere, dal Sessantotto, una bella torma di analfabeti che poi invasero la vita pubblica italiana, e anche quella privata, portando dovunque i segni della propria ignoranza. Io ho visto questo. Può darsi che sia affetto da sordità o da cecità ma io non ho visto altro, come frutti del Sessantotto. (da ''Il Sessantotto e la politica di Berlinguer'') *{{NDR|La differenza tra il Sessantotto francese e quello italiano è}} La differenza che passa fra l'originale e il fac simile perché il Sessantotto nacque in [[Francia]] e in [[Italia]] fu un fatto di riporto, di imitazione. {{NDR|«Che vi fu in tutto il mondo, però, questo»}} Un po' in tutto il mondo ma particolarmente in Italia dove non nasce mai niente, è sempre qualcosa di imitato dagli altri. Bene o male, insomma, i francesi ebbero... anche una certa cultura del Sessantotto, ebbero [[Jean-Paul Sartre|Sartre]]. Oddio, Sartre rivisto con gli occhi di oggi naturalmente scende molto dal suo mitico piedestallo. [...] In Italia non ci fu neanche un Sartre. (da ''Il Sessantotto e la politica di Berlinguer'') *Credo che su [[Pier Paolo Pasolini|Pasolini]] si sia preso un grosso abbaglio: Pasolini è passato per uno scrittore di sinistra perché aveva preso come sfondo dei suoi racconti – bellissimi del resto – il sottoproletariato delle borgate romane, i ragazzi di vita, insomma, la schiuma della società. Ma lo aveva fatto per dei gusti e dei motivi del tutto personali sui quali è inutile tornare a far commenti. Questo lo aveva fatto considerare come uno scrittore, un difensore del proletariato, ma non era una scelta politica quella che aveva fatto Pasolini. Non c'entrava niente, assolutamente nulla. Quindi quello che lui disse era assolutamente vero, cioè dire che nei tafferugli, dove spesso ci scappava il morto, tra quei dilettanti delle barricate che erano {{NDR|dei borghesi}}, i veri proletari erano i poliziotti, tutti figli di famiglie povere, eccetera eccetera. I dilettanti delle barricate erano tutti o quasi tutti figli di papà: aveva ragione Pasolini! Ma come no! E questo fu considerato un tradimento all'ideologia di sinistra. (da ''Il Sessantotto e la politica di Berlinguer'') *Il primo fenomeno fu il Sessantotto, e il Sessantotto partorì poi il terrorismo, il brigatismo rosso eccetera eccetera. Su questo non ci son dubbi, insomma. Dirò di più: i più seri, e forse gli unici seri, furono quelli che poi diventarono dei terroristi e che quindi rischiarono la loro vita, almeno. Gli altri erano quello che diceva Pasolini, dei figli di papà. (da ''Il Sessantotto e la politica di Berlinguer'') *{{NDR|La figura del Grande Vecchio}} È una di quelle fandonie, di quelle stupidaggini che piacciono tanto a noi italiani: l'idea di un Grande Vecchio che organizzasse tutte queste stragi, attentati eccetera eccetera. È un affare da Simenon di borgata insomma – no? Piaceva l'idea che ci fosse dietro tutta una strategia. Sennonché poi non si sapeva chi fosse il Grande Vecchio. {{NDR|«Aveva un volto questo grande vecchio?»}} Ne ha avuti molti: naturalmente [[Giulio Andreotti|Andreotti]] – quello non manca mai, quando si cerca un ''deus ex macchina'' di tutto ciò che di più criminale è avvenuto in questo Paese {{NDR|c'è}} Andreotti. {{NDR|«Però in quel momento non era tanto vecchio»}} In quel momento non era tanto vecchio, ma il Grande Vecchio non ha nulla di anagrafico, è il Grande Vecchio così – poi Gelli, poi Sindona. Ha avuto varie raffigurazioni che sono tutte di fantasia. (da ''Piazza Fontana e dintorni'') *Se c'era un funzionario corretto, che veniva portato come esempio da tutti i suoi colleghi, era Calabresi. Per quale motivo si scatenò questa campagna contro di lui non lo so. È vero che aveva interrogato [[Giuseppe Pinelli|Pinelli]], ma gli interrogatori di Calabresi facevano testo per la loro correttezza. Sempre. [...] Non so per quale motivo, a un certo momento, la stampa s'incendiò e cominciò ad additare Calabresi come «il bruto», come «lo scherano del potere sopraffattore e assassino». Questo si lesse in vari giornali. Ora, il potere sopraffattore assassino in quel momento era rappresentato da [[Mariano Rumor|Rumor]] e da [[Emilio Colombo|Colombo]]: mi dica lei se hanno il viso dei sopraffattori assassini. Magari lo fossero stati un po', ma immaginiamoci. E questa campagna fu implacabile, assolutamente implacabile. (da ''Piazza Fontana e dintorni'') *Come in tutti i processi italiani anche questi, che poi volevano arrivare all'identificazione dei responsabili e non ci arrivarono quasi mai, erano dominati dal cosiddetto «teorema»: si partiva dal presupposto... a un certo momento si mise di parlare degli anarchici – si smise quasi subito di parlare {{NDR|degli anarchici}} – e tutte le lampadine furono rivolte ai partiti e alle forze di Destra. Erano quelle le forze stragiste. [...] I nostri bravi giudici, salvo alcuni, partivano dal presupposto che {{NDR|i colpevoli}} certamente venivano di lì, venivano dalle Destre, dalle Destre più violente. Alle quali si attribuiva, sempre per «teorema», questa idea: creare una tensione nel Paese in modo da impaurire gli italiani e metterli alla scelta «o la libertà o l'ordine», perché insieme non potevano andare. Nella libertà era chiaro che non si poteva mantenere l'ordine, e loro dicevano: «Qualunque popolo messo a questa scelta sceglie l'ordine». Ecco. È un teorema. È un teorema che ha sempre cercato dimostrazione e non l'ha trovata mai. (da ''Piazza Fontana e dintorni'') *[[Bettino Craxi|Craxi]] era un uomo di partito certamente molto accorto, era un uomo valido di governo perché sapeva decidere. Che cosa fosse lo Stato, da buon socialista, non lo sapeva. (da ''Il terrorismo fino al sequestro e all'uccisione di Aldo Moro'') *Quelle lettere erano tutte farina del sacco di [[Aldo Moro|Moro]], e questa farina non è molto encomiabile perché, vede, tutti gli uomini hanno diritto ad avere paura. Tutti. Però quando un uomo sceglie la politica, e nella politica emerge a [[Statista|uomo di Stato]] – a uomo rappresentativo dello Stato – non perde il diritto a avere paura, ma perde il diritto a mostrarla. Questo sì. Questo è uno dei principi che dovrebbe essere affermato. L'incidente, tipo quello di Moro, fa parte del mestiere. Chi affronta quel mestiere deve sapere che può incorrere in quell'incidente e deve avere i nervi, e diciamo gli altri attributi, per resistere. Moro era lo Stato. Lo Stato si raccomandava, implorava, minacciava la classe politica che facesse di tutto, anche che si prostituisse, per salvargli la vita: eh, no. No. Moro era certamente un politico a modo suo, estremamente abile – era anche un galantuomo, credo – ma uomo di Stato non era nemmeno lui. [...] Anch'io mi sono posto questa domanda molto spesso: «Ma se Moro fosse tornato in politica dopo aver costretto lo Stato a prostituirsi, a inginocchiarsi di fronte ai terroristi, avrebbe potuto restarci?». Avrebbe potuto restare? Con che faccia? Vabbè che siamo in Italia. {{NDR|«Forse lo Stato sarebbe stato un altro perché i terroristi avrebbero vinto»}} Appunto. I terroristi avrebbero vinto. Quindi lui che cosa diventava, il braccio politico del terrorismo? Che cosa diventava? Come poteva ripresentarsi? Va bene, gli italiani hanno lo stomaco forte, inghiottono tutto – noi italiani abbiamo lo stomaco forte e inghiottiamo tutto – ma, insomma, di fronte a un uomo la cui vita, la cui sopravvivenza, aveva avuto quel prezzo per noi non credo che avrebbe potuto ripresentarsi all'opinione pubblica italiana. (da ''Il terrorismo fino al sequestro e all'uccisione di Aldo Moro'') *Noi naturalmente abbiamo il dovere di ringraziare [[Michail Gorbačëv|Gorbačëv]] per quello che ha fatto, però se lei mi chiede se lo ha fatto bene o lo ha fatto male io debbo rispondere che lo ha fatto malissimo. Io non so se lui... che lui volesse salvare la Patria sovietica questo non lo metto in dubbio. Che lui volesse salvare il comunismo... io debbo risponderle di no, perché quello che lui ha fatto per affossare il comunismo lo ha fatto. (da ''Giovanni Paolo II e la fine dell'URSS'') *Anche i cinesi si erano accorti che il sistema comunista era arrivato al capolinea, era fallito. Fallito perché non regge, assolutamente non regge. {{NDR|Il sistema comunista}} Aveva portato il Paese, e i Paesi che lo avevano adottato, al fallimento. Anche i cinesi si erano accorti di questo, però avevano capito che per trasformare un sistema oramai ancestralmente totalitario, statalizzato, che aveva tolto ogni libertà a tutti, che aveva disabituato tutti da ogni spirito di iniziativa e di impresa... per trasformare un'economia basata su questi principi fallimentari in un'economia capitalista basata sul libero mercato, sulla libera concorrenza eccetera, bisognava tenere in mano il potere politico per controllare questo passaggio. I cinesi lo fecero. Quando gli studenti di Pechino credettero di potergli {{NDR|al governo cinese}} prendere la mano scendendo in [[Protesta di piazza Tienanmen|piazza Tienanmen]] i cinesi non esitarono a mitragliarli e, per quanto un massacro non possa che essere esecrato, io dico questo: i cinesi erano obbligati a farlo. Se non lo facevano la Cina si dissolveva, ritornava quella di [[Chiang Kai-shek]]: ritornava quella dei signori della guerra, cioè il Paese si disfaceva. Il Paese che bene o male [[Mao Tse-tung]] aveva unificato e a cui aveva dato un'anima di Nazione si sarebbe disfatto. (da ''Giovanni Paolo II e la fine dell'URSS'') *{{NDR|Su [[Licio Gelli]]}} L'avevo visto una volta e questo [...] rendeva ancora più grande la mia sorpresa. Io avevo un giornale, ''il Giornale'', che non aveva patroni, non aveva pubblicità, che quindi aveva delle grosse difficoltà di tirare avanti. La proprietà era divisa fra me e una trentina di altri redattori, e non avevamo niente in mano. Io non trovavo una banca che mi facesse un fido, non trovavo una società pubblicitaria che mi garantisse un minimo decente delle cose [...]. A un certo momento il capo del nostro ufficio romano, Trionfera – che era massone, ma non P2 – mi disse «Senti, vieni a Roma perché so che c'è un signore che sta diventando il padrone della stampa italiana». Dico «Come? Il padrone della stampa italiana?» «Sì, c'è un signore che, a quanto pare, ha assunto un potere straordinario nel mondo dell’editoria e forse lui può anche aiutarci». [...] Andai a Roma e allora {{NDR|Renzo Trionfera}} mi disse che lui aveva appuntamento con questo signor Gelli, di cui io sentivo il nome per la prima volta [...], però dovevamo andarci quasi di nascosto. [...] Andammo [...] e così vidi Gelli per la prima e unica volta. Gli esposi la situazione e lui mi disse: «Ma questi sono dettagli, queste sono piccolezze, non sono problemi gravi perché qui, oramai, bisogna procedere a ben altro. Bisogna chiamare a raccolta tutta questa stampa italiana che è litigiosa, che è settaria. Bisogna darle un indirizzo unico». Allora io lì lo fermai. Dissi: «Come fa a darle un indirizzo unico? La stampa segue criteri diversi, i giornalisti...». «Macché giornalisti – disse lui – qui ci vuole un padrone della stampa!». Dico «Ma non esiste un padrone della stampa, a meno che non rifacciamo il Minculpop fascista, allora c'era un padrone perché c'era un regime che faceva il padrone». {{NDR|Licio Gelli}} Dice «Basta comprare la proprietà dei giornali». Dissi «Ma scusi, ci sono degli editori che non vendono» [...] «Questione di prezzo». Il discorso andò avanti su questi binari, quando uscimmo io dissi a Trionfera: «Senti, ma questo qui è il più grosso farabolano con cui abbiamo avuto a che fare, uno che si immagina di comprare tutta la stampa e di ridurla ai suoi ordini, va be', o è un matto, o è un matto, oppure è proprio un piazzista, un fregnacciaro qualsiasi insomma». Questo fu l'unico incontro. [...] Uno che faceva questi discorsi naturalmente mi sembrava inutile continuare a frequentarlo. Di lì a poco venne fuori la lista degli iscritti alla P2 e venne fuori l'identificazione di Gelli col Grande Vecchio, col famoso Grande Vecchio. {{NDR|«Finalmente si era trovato»}} Finalmente si era trovato il Grande Vecchio autore di tutte le stragi, le cose..., {{NDR|«Il vero Grande Vecchio»}} il bieco Grande Vecchio. Naturalmente non credetti nemmeno a questo. (da ''Il caso Sindona e la P2'') *Per istinto, e per come avevo visto e conosciuto [[Licio Gelli|Gelli]], io sono convinto che {{NDR|la [[P2|Loggia P2]]}} era una cricca di affaristi e basta. Era una cricca di affaristi condotta da un uomo che, evidentemente, come intrallazzatore doveva essere geniale. Era un pataccaro, indiscutibilmente era un pataccaro, ma che a tutto pensava fuorché a un ''golpe''. Non ci pensava nemmeno. Lui procurava affari e soprattutto fomentava carriere. Lui aveva capito qual è la struttura del potere in Italia, sempre, non soltanto allora, sempre: è una struttura mafiosa. Bisogna far parte di una cricca, di una conventicola in cui ognuno aiuta l'altro, e questo era la P2. [...] Ma che interesse poteva avere Gelli a rovesciare un sistema che gli consentiva di influire sino a quel punto? Quale interesse poteva avere? E poi, Gelli era un farabolano ma non doveva essere del tutto sprovveduto, doveva sapere che l'[[Italia]] non è terra da ''golpe''. Ma chi lo fa il ''golpe''? E anche se qualcuno lo fa, come fa a resistere? Che cos'ha dalla sua per fare il ''golpe''? Non ho mai creduto al golpismo di Gelli. (da ''Il caso Sindona e la P2'') *Il caso Chiesa era un caso modestissimo. Fece da detonatore perché il momento era maturo per arrivare a ''Tangentopoli'', che era dovuto a una cosa molto più complessa che era questa: che ci fosse la corruzione in Italia si è sempre saputo, la classe dominante promanava questo puzzo di fogna che tutti sentivano, il famoso «turarsi il naso». Soltanto che fin quando l'alternativa di questa classe politica allora al potere era un Partito comunista, che era un fac-simile di quello sovietico, basato sui carri armati, sulla polizia segreta, sulle delazioni, sui processi, [...] finché c'era questo spettro noi non potevamo prenderci il lusso di mettere sotto processo e mandare in galera la classe politica dirigente allora. Fu quando, col Muro di Berlino, crollò questo incubo che i tempi furono maturi perché questo avvenisse. (da ''Tangentopoli'') *Che {{NDR|la [[corruzione]]}} sia inestirpabile, di questo sono sicuro perché dura da 2000 anni. La corruzione non è soltanto nella politica: è nella società italiana! Noi italiani abbiamo sempre corrotto tutti! Tutti coloro che sono venuti in Italia a fare i padroni li abbiamo corrotti. [...] Noi dobbiamo metterci in testa che la lotta alla corruzione la si fa in un modo solo: cambiando gli italiani, non cambiando le classi politiche. Le classi politiche, anche quelle nuove, si corrompono. È inevitabile. (da ''Tangentopoli'') *[[Silvio Berlusconi|Berlusconi]] ha un sacco di qualità. C'è da dire, ha una grande immaginazione, una grande fantasia; ha un coraggio leonino nel buttarsi nelle imprese; sa trascinare molto bene; è un comunicatore eccezionale, sa accendere i suoi seguaci di entusiasmi eccetera eccetera, mi ricordo che una volta gli dissi: «Io sono sicuro che se tu ti mettessi a fabbricare dei vasi da notte, faresti venire la voglia di fare pipì a tutta l'Italia». (da ''Verso il bipolarismo'') *[[Silvio Berlusconi|Lui]] è un uomo d'attacco: se avesse fatto la carriera militare lui non sarebbe diventato né un [[Gerd von Rundstedt|Rundstedt]] né un [[Erich von Manstein|Manstein]], che furono i grandi strateghi tedeschi dell'ultima guerra. [...] Lui sarebbe diventato un [[Erwin Rommel|Rommel]] o un [[George Smith Patton|Patton]]. Cioè dire: è un generale di straccio e di rottura che, appunto, sullo slancio può compiere qualsiasi cosa. Se lo metti poi a difendere le posizioni conquistate con lo slancio, eh no, lì non ci sta. Come Rommel: Rommel finché poté attaccare in Libia e in Egitto attaccò. Quando dovette mettersi sulla difensiva chiese il rimpatrio. [...] Non sarebbe uomo di Curia e non è un uomo di pazienza, non è un uomo da guerra di posizione e di logoramento. (da ''Verso il bipolarismo'') *Lui Arrivò a Palazzo Chigi credendo, e facendo credere, che uno Stato si poteva condurre con gli stessi criteri di un'azienda privata. Io su questo avevo avuto serie discussioni con lui – non litigi, non ho mai litigato con Berlusconi – gli avevo detto: «Guarda che lo Stato non è un'azienda privata». [...] Lui credeva di potersi comportare a Palazzo Chigi, e con la macchina dello Stato, come si comportava con la sua organizzazione, dove la gente frullava e, se non frullava, lui la cacciava via, com'è giusto che faccia un imprenditore. Ma lui non poteva applicare questi metodi e sistemi allo Stato. Quando si trovò di fronte alla muraglia grigia, sorda e ottusa della burocrazia italiana, che è la peggiore, ma anche la più resistente del mondo, lui rimase senz'armi: non poteva licenziare neanche un usciere. Nel gioco parlamentare lui naufraga perché non è abituato a queste cose. La politica – non dico che sia solo un mestiere – ma è anche un mestiere. Questo mestiere lui non lo aveva. (da ''Verso il bipolarismo'') *Che gli italiani siano capaci di emanare leggi di riforma, ci credo senz'altro. L'Italia è la più grande produttrice di regole, ognuna delle quali è una riforma, è la riforma di un'altra regola. Gli stessi esperti pare che abbiano perso il conteggio delle leggi, dei regolamenti che vigono in Italia: c'è qualcuno che parla di 200.000, altri di 250.000. Ora, quando si pensa che la [[Germania]] ha in tutto 5.000 leggi, la [[Francia]] pare 7.000, l'[[Inghilterra]] nessuna, quasi nessuna – ha dei principi, così stabiliti. A cosa ha portato tutta questa proliferazione? A riempire gli scantinati dei nostri pubblici uffici, dove ci sono questi mucchi di legge che nessuno va nemmeno a consultare perché ognuna di queste leggi poi offre il modo di evaderle. Questa è la grande abilità dei legislatori italiani. I legislatori italiani sono quasi tutti degli avvocati. E gli avvocati a che cosa pensano? A ingarbugliare le leggi in modo da restarne loro i supremi e unici depositari. [...] Riforme: hai voglia se ne faremo, continuiamo a farne, è la nostra vocazione, questa. Quanto poi all'attuazione, allora è un altro discorso: le leggi in Italia non vengono osservate, anche perché sono formulate in modo che si possano non osservare. Ed è questo che spiega l'abbondanza, la prodigalità delle nostre classi politiche, delle nostre classi dirigenti, nello sfornarne di continuo. (da ''Dal Governo Dini all'Ulivo'') *Un Paese che ignora il proprio Ieri, di cui non sa assolutamente nulla e non si cura di sapere nulla, non può avere un Domani. Io mi ricordo una definizione dell'Italia che mi dette in tempi lontanissimi un mio maestro e anche benefattore, che fu un grande giornalista, [[Ugo Ojetti]], il quale mi disse: «Ma tu non hai ancora capito che l'Italia è un Paese di contemporanei, senza antenati né posteri perché senza memoria». Io avevo 25-26 anni e la presi per una ''boutade'', per una battuta, un paradosso. Mi sono accorto che aveva assolutamente ragione. Questo è un Paese che {{NDR|«È un Paese che non ama la Storia»}} ha una storia straordinaria, {{NDR|«Ma non la ama»}} ma non la studia, non la sa. È un Paese assolutamente ignaro di se stesso. Se tu mi dici cosa sarà un domani per gli italiani, forse sarà un domani brillantissimo. Per gli italiani, non per l'Italia. Perché gli italiani sono i meglio qualificati a entrare in un calderone multinazionale perché non hanno resistenze nazionali. Intanto hanno dei mestieri in cui sono insuperabili. [...] Voglio dirlo senza intonazioni spregiative, nei mestieri servili noi siamo imbattibili, assolutamente imbattibili. Ma non lo siamo soltanto in quelli. L'individualità italiana si può benissimo affermare in tutti i campi, anche scientifici. Io sono sicuro che gli scienziati italiani, i medici italiani, gli specialisti italiani, i chimici, i fisici italiani quando avranno a disposizione dei gabinetti europei veramente attrezzati brilleranno. Gli italiani, l'Italia no. L'Italia non ci sarà, non c'è. Perché gli italiani che vanno in Germania diventeranno tedeschi. [...] Alla seconda generazione sono assimilati. Dovunque vadano, sono assimilati. {{NDR|«Ma questo è un difetto?»}} No... è un difetto... è un difetto ed è anche una virtù. È una qualità. Voglio dire: per l'Italia non vedo un futuro, per gli italiani ne vedo uno brillante. (da ''Dal Governo Dini all'Ulivo'') ==Citazioni tratte dai giornali== ===''Corriere della Sera''=== <!--ordine cronologico--> *Gli eroi sono sempre immortali, agli occhi di chi in essi crede. E così crederanno, i ragazzi, che il «[[Grande Torino|Torino]]» non è morto: è soltanto «in trasferta». (7 maggio 1949) *{{NDR|A proposito di [[Maratea]]}} Forse in Italia non c'è paesaggio e panorama più superbi. Immaginate decine e decine di chilometri di scogliera frastagliata di grotte, faraglioni, strapiombi e morbide spiagge davanti al più spettacoloso dei mari, ora spalancato e aperto, ora chiuso in rade piccole come darsene. (4 ottobre 1957) *{{NDR|Su ''[[La dolce vita]]''}} Ma non c'è dubbio che qui ci si trova di fronte a qualcosa di eccezione (sic!) non perché rappresenti un meglio o un di più di ciò che finora si è fatto sullo schermo, ma perché ne va nettamente al di là, violando tutte le regole e convenzioni, a cominciare da quelle della durata, che supera le tre ore di spettacolo, per finire a quelle della trama, o meglio della non trama, perché non c'è. (''[http://cinquantamila.corriere.it/storyTellerArticolo.php?storyId=4d44ab344c050 Montanelli vede La Dolce Vita]'', 22 gennaio 1960) *{{NDR|Su ''[[La dolce vita]]''}} Non siamo più nel cinematografo, qui. Siamo nel grande affresco. Fellini secondo me non vi tocca vette meno alte di quelle che Goya toccò in pittura, come potenza di requisitoria contro la sua e la nostra società. (''ibidem'') *Il suo reportage non è una "patacca". Il poco – oh, molto poco! – che vi luce è proprio oro. E il molto che vi puzza è proprio fogna. Del resto, se così non fosse, il film sarebbe fallito come falliscono i reportages quando eludono la verità o non riescono a centrarla. Quindi, amici, vi prevengo se domani ''[[La dolce vita]]'' vi farà inorridire, non confutàtela dicendo: "Non è vero". Perché per esser vero, tutto ciò che qui è raccontato, lo è. D'altronde Fellini è ricorso al mezzo più spicciativo (e più diabolico) per dimostrarlo. (''ibidem'') *Ma mi affretto subito ad aggiungere che ''[[La dolce vita]]'' non è una polemica a sfondo giustizialista, che appunta i suoi strali sulle cosiddette classi alte. Non convincerebbe, in questo caso, o convincerebbe meno. Gli altri ambienti, che si srotolano giù giù negli appunti di questo reporter d'eccezione, sono descritti con la identica spietatezza, convalidata dalla stessa tecnica di rappresentare ciascuno nei propri panni. Lasciatemi testimoniare in tutta onestà che raramente ho visto qualcosa di più vero di quel salotto intellettuale. Esso ha dato perfino a me, che non ne frequento nessuno, un senso profondo di mortificazione, un vago anelito a cambiar mestiere e a iscrivermi, fo' per dire, ai coltivatori diretti. (''ibidem'') *Non è necessario essere socialisti per amare e stimare [[Sandro Pertini|Pertini]]. Qualunque cosa egli dica o faccia, odora di pulizia, di lealtà e di sincerità. (27 ottobre 1963) *Che i [[Rifugiati palestinesi|profughi palestinesi]] siano delle povere vittime, non c'è dubbio. Ma lo sono degli Stati arabi, non d'[[Israele]]. Quanto ai loro diritti sulla casa dei padri, non ne hanno nessuno perché i loro padri erano dei senzatetto. Il tetto apparteneva solo a una piccola categoria di sceicchi, che se lo vendettero allegramente e di loro propria scelta. Oggi, ubriacato da una propaganda di stampo razzista e nazionalsocialista, lo sciagurato ''fedain'' scarica su Israele l'odio che dovrebbe rivolgere contro coloro che lo mandarono allo sbaraglio. E il suo pietoso caso, in un modo o nell'altro, bisognerà pure risolverlo. Ma non ci si venga a dire che i responsabili di questa sua miseranda condizione sono gli «usurpatori» ebrei. Questo è storicamente, politicamente e giuridicamente falso. (16 settembre 1972) *[[Alexis de Tocqueville|Tocqueville]] diceva che «è nel sonno della pubblica coscienza che maturano le dittature». (da ''[https://web.archive.org/web/20160101000000/http://archiviostorico.corriere.it/1996/gennaio/13/platea_resta_assente_co_0_9601133631.shtml La platea resta assente]'', 13 gennaio 1996, p. 1) *Se si mettono a raffronto i due rivali come faccia, come presenza, come eloquio, come cordialità, insomma come simpatia umana, non c'è dubbio che Albertini ne ispira molto meno di Fumagalli, anzi diciamo la verità tutta intera: non ne ispira punta. Ed io, cittadino ed elettore milanese, proprio di questo sentivo il bisogno: di un sindaco antipatico, di faccia arcigna e poco invogliante alla pacca sulla spalla, al confidenziale «tu» e al pappecciccia coi sottoposti, e poco, anzi punto disponibile a quelle benevolenze, condiscendenze e indulgenze che rappresentano le supposte di glicerina di tutte le corruzioni. [...] Con Albertini ho parlato una sola volta. Ma mi è bastata per capire che, per rendersi antipatico, non ha bisogno di fare sforzi. Basta che si mostri com'è e come spero che rimanga: una specie di Molotov di Palazzo Marino, chiuso nei suoi caparbi ''niet'', diffidente, scostante e culdipietra. Che abbia una compagna fermamente decisa a non partecipare alla vita pubblica del compagno, anche questo ci va bene. [...] Si ricordi, signor Sindaco, che noi abbiamo votato per lei, non per questi papponi. (da ''[https://web.archive.org/web/20160101000000/http://archiviostorico.corriere.it/1997/maggio/13/tradito_Ulivo_co_0_9705136733.shtml Sì, ho tradito l'Ulivo]'', 13 maggio 1997, p. 1) *Non vorremmo, dopo averne deplorato il brutto vezzo, contribuire alle polemiche nel momento in cui bisogna invece accantonarle per fare compatto fronte per il salvataggio del salvabile. Ma basta con le «regole» che servono soltanto a rendere impenetrabili le responsabilità dei disastri quando i disastri si possono ricondurre a delle responsabilità umane (come non accade, per esempio, nei terremoti). Ma quando verrà l'ora della ricostruzione, ricordiamoci che l'[[urbanistica]] e il paesaggio italiani hanno bisogno non di altre, ma di meno «regole». E, più che di cemento, di dinamite. (da ''[https://web.archive.org/web/20160101000000/http://archiviostorico.corriere.it/1998/maggio/09/licenze_facili_leggi_oscure_co_0_9805099009.shtml Le licenze facili e le leggi oscure]'', 9 maggio 1998, p. 1) *Qualche dichiarazione meno infuocata contro la Giustizia di regime, come il [[Silvio Berlusconi|Cavaliere]] si ostina a definirla, avrebbe meglio aiutato la politica italiana a rimuovere il macigno che la paralizza, e che è lui, Berlusconi. (da ''[https://web.archive.org/web/20160101000000/http://archiviostorico.corriere.it/1998/luglio/14/RESTO_SIA_SILENZIO_co_0_9807143775.shtml E il resto sia silenzio]'', 14 luglio 1998, p. 1) *L'Italia sarà anche, come dicono i nostri tromboni universitari, «la culla del diritto». Ma è anche il sepolcro di una giustizia che, per decidere se un imputato è innocente o colpevole, aspetta il suo certificato di morte che la esenta dal dirlo. Il secondo problema è il reclutamento e la selezione [[magistratura|del personale]]. Come in tutte le altre pubbliche attività, anche nella giustizia c'è un dieci per cento di autentici eroi pronti a sacrificarle carriera e vita, ma senza voce in un coro di «gaglioffi» che c'è da ringraziare Dio quando sono mossi soltanto da smania di protagonismo. (da ''[https://web.archive.org/web/20160101000000/http://archiviostorico.corriere.it/1998/agosto/24/CARDINALE_MAGISTRATO_co_0_9808244892.shtml Il Cardinale e il Magistrato]'', 24 agosto 1998, p. 1) *Tutto si è risolto in un colpo solo, non si sa con precisione quando e come combinato, che ha tagliato la strada alla bagarre prima che cominciasse. E che, per quanto mi riguarda, mi ha liberato dall'incubo che turbava i miei inquieti sonni, e in cui mi vedevo in fuga da un mostro senza volto, ma che m'incalzava con la logorrea del presidente uscente, aggravata dall'accento irpino di Mancino e dalle corde vocali della signora Jervolino. [...] Siamo sicuri che il popolo, chiamato a pronunciarsi fra un [[Carlo Azeglio Ciampi|Ciampi]] e – faccio per dire – un [[Antonio Di Pietro|Di Pietro]], si sarebbe pronunciato per Ciampi? È una domanda che non aspetta risposta, ma che mi permetto di proporre ai lettori. Gran bella parola «il Popolo». E riconosciamogli pure l'attributo, che gli spetta, di «Sovrano». Ma insomma, meditate gente, meditate. (da ''[https://web.archive.org/web/20160101000000/http://archiviostorico.corriere.it/1999/maggio/14/QUASI_NON_CREDO_co_0_9905146643.shtml Quasi non ci credo]'', 14 maggio 1999, p. 1) *Tutti coloro che hanno svolto pubbliche funzioni in Sicilia sono rimasti e sono tuttora in qualche modo «collusi» con la mafia. Lo furono quotidianamente, e per secoli, il governo e la polizia borbonica. Lo fu [[Giuseppe Garibaldi|Garibaldi]] che in essa trovò, dopo lo sbarco, la sua prima alleata. Lo furono i governi nazionali sia di destra che di sinistra. Lo fu [[Giovanni Giolitti|Giolitti]] che pure non scese mai, a ch'io sappia, a sud di Napoli. Lo fu il presidente della vittoria, [[Vittorio Emanuele Orlando|Orlando]], che quando tornava a Palermo, la prima visita che rendeva non era al prefetto né all'arcivescovo, ma al capomafia. Tentò di non esserlo Mori che aveva licenza di uccidere garantita da un regime totalitario, e ci rimise il posto. Lo sono stati tutti i politiconi e politicastri della Prima Repubblica. Anche il cautissimo [[Giulio Andreotti|Andreotti]]? Può darsi, attraverso i suoi proconsoli ''in loco''. Ma il Tribunale deve aver capito che l'imputato non era lui. Era il costume morale e politico della nostra vita pubblica, sul quale un Tribunale non ha, né può né deve avere competenza. [...] E il problema, secondo me, è questo: che fin quando noi italiani crederemo di salvarci dalla peste mandando sul rogo una strega o un untore, dalla peste non ci libereremo mai. (da ''[https://web.archive.org/web/20160101000000/http://archiviostorico.corriere.it/1999/ottobre/24/TRIBUNALE_DELLA_STORIA_co_0_991024441.shtml Il tribunale della storia]'', 24 ottobre 1999, p. 1) *Ci dicano chiaro e tondo perché hanno smembrato il Ros, e hanno ridimensionato l'attività di Sco e Gico. Non ci raccontino che hanno voluto mettere al riparo il capitano Ultimo e i suoi uomini dalle possibili vendette della malavita. E soprattutto non vengano a ripeterci che il ''modus operandi'' dei servizi segreti, per impedirne le «deviazioni», dev'essere «trasparente». Questa, che un segreto possa essere trasparente, è un'idea da primato della cretineria. E, se non della cretineria, lo è della retorica virtuista o della menzogna truffaldina. (da ''[https://web.archive.org/web/20160101000000/http://archiviostorico.corriere.it/1999/novembre/02/PROCURATORE_BATTA_PUGNO_co_0_9911021451.shtml Procuratore batta il pugno]'', 2 novembre 1999, p. 1) *Era la prima volta che il partito socialista italiano aveva trovato un uomo {{NDR|Bettino Craxi}}, se non di Stato, almeno di governo, che lo aveva liberato dalla subalternanza al Pci, e condotto su posizioni democratiche, europeistiche e atlantiche. Lo avrà anche fatto con metodi alquanto spicciativi e disinvolti, più da padrino che da ''leader''. Ma mi chiedo se avrebbe potuto usarne di diversi per avere ragione dei vecchi tromboni del massimalismo populista e piazzaiolo con le loro clientele incrostate da decenni. E mi chiedo anche quanto contribuirono alla sua crocefissione i rancori e le acredini che si era lasciato dietro. Ma nella difesa si perse, e non per mancanza, ma forse per eccesso di coraggio. (da ''[https://web.archive.org/web/20160101000000/http://archiviostorico.corriere.it/2000/gennaio/20/STATISTA_LATITANTE_co_0_0001201104.shtml Lo statista latitante]'', 20 gennaio 2000, p. 1) *Anche noi siamo convinti che il Paese ha il diritto di conoscere la verità (che non riguarda soltanto quella di Piazza Fontana). Ma non ci riusciamo. Anche perché se la pista rimane, come sembra accertato, quella del terrorismo nero, non sappiamo quali nomi l'accusa potrà tirar fuori dal suo cappello. I tre maggiori indiziati sono già stati assolti con sentenza passata in giudicato che non consente di richiamarli sul banco degli imputati. Gli altri di cui si fa il nome non sarebbero che comparse, la più importante delle quali, Delfo Zorzi, risiede a Tokio con passaporto giapponese che lo mette al riparo da ogni pericolo di estradizione. Vale la pena ricominciare? L'''ouverture'' dei dibattimenti non è stata incoraggiante. Il proscenio era occupato da Capanna, Valpreda, [[Dario Fo]] e altri reduci sessantottini, cui si era aggiunto anche Sergio Cusani, l'intangentato convertitosi (lo diciamo senza nessuna ironia) al missionarismo. [...] Invano i portaparola della parte lesa, cioè dei familiari delle vittime, si sono dichiarati estranei e contrari a ogni tentativo di politicizzare il processo. Una parola. Non ci riescono nemmeno [[Jovanotti]] e [[Teo Teocoli|Teocoli]] con le loro filastrocche dal palcoscenico di Sanremo. Figuriamoci se potranno riuscirci i registi di questo processo ''rouge et noir'', se mai ve ne furono. [...] Ecco a cosa servono i processi come questo: non a cercare la verità, ma a fornire argomenti al ''rouge'' o al ''noir''. (da ''[https://web.archive.org/web/20160101000000/http://archiviostorico.corriere.it/2000/febbraio/26/QUELLA_VERITA_CHE_CERCHIAMO_co_0_0002264627.shtml Quella verità che cerchiamo]'', 26 febbraio 2000, p. 1) *Cosa c'entri la giustizia italiana in fatti e misfatti capitati trent'anni fa in un Paese {{NDR|l'[[Argentina]]}} di cui la metà della popolazione è di origine italiana, non riusciamo a capire. Ma ci pareva impossibile che l'iniziativa del giudice spagnolo Garzon per trascinare l'ex dittatore cileno [[Augusto Pinochet|Pinochet]] sul banco degli accusati di un tribunale madrileno non trovasse imitatori in un Paese di scimmie come il nostro. Grazie ad essa, il nome e il volto di Garzon sono noti in tutto il mondo. Ed è probabile che tra poco lo siano anche quelli del pubblico ministero Caporale. Vi pare poco in un'era dell'effimero come quella in cui stiamo vivendo, e che vede l'infittirsi di processi ai defunti, su cui le nuove leve della [[storiografia]] vorrebbero riscrivere il passato? (da ''[https://web.archive.org/web/20160101000000/http://archiviostorico.corriere.it/2000/aprile/03/QUEI_PROCESSI_CARO_ESTINTO_co_0_0004033275.shtml Quei processi al caro estinto]'', 3 aprile 2000, p. 1) *Dobbiamo avere la modestia di riconoscere che noi, come venditori, non leghiamo nemmeno le scarpe a un piazzista che se un giorno si mettesse a produrre vasi da notte, farebbe scappare la voglia di urinare a tutta l'Italia. (da ''[https://web.archive.org/web/20130619122825/http://archiviostorico.corriere.it/2001/febbraio/15/PREDICATORI_COMPARSE_co_0_0102158858.shtml I predicatori e le comparse]'', 15 febbraio 2001, p. 1) *Non sono mai venuto meno all'impegno, preso non con il Cavaliere, ma con me stesso, di non associarmi mai alla sua demonizzazione. Ma non posso sottacere ai lettori i pericoli che si nascondono sotto questa sua allergia alla verità, questa sua voluttuaria e voluttuosa propensione alle menzogne, la naturalezza con cui riesce a pronunziarle. (da ''Io e il cavaliere qualche anno fa'', 25 marzo 2001, p. 1) *Berlusconi, cui nulla riesce tanto bene quanto la parte di vittima e perseguitato. «[[Chiagne e fotte]]» dicono a Napoli dei tipi come lui. E si prepara a farlo per cinque anni di seguito. (da ''Io e il cavaliere qualche anno fa'', 25 marzo 2001, p. 1) ====''La stanza di Montanelli – rubrica''==== {{cronologico}} *{{NDR|[[Vittorio Sgarbi]]}} È un volgare calunniatore, che non disonora se stesso, ma anche il suo committente e padrone (tutti sappiamo chi è) che si serve di un simile scherano. (8 novembre 1995) *I [[Riformismo|riformatori]] italiani, quando si tratta di riformare ciò che non ha bisogno di essere riformato, sono instancabili. L'attività dell'Ucas, Ufficio complicazioni affari semplici, come ricordava un altro lettore esasperato, è frenetica. ([https://web.archive.org/web/20160101000000/http://archiviostorico.corriere.it/1995/dicembre/13/Ufficio_complicazioni_affari_semplici_co_0_9512139920.shtml 13 dicembre 1995]) *Io credo che il miglior omaggio che si può rendere a [[Aldo Moro|Moro]] sia quello di archiviare l'episodio che ne segnò la fine e dal quale, diciamo la verità, la sua immagine esce tutt'altro che bene. Quando sento dire che, oltre a quelle conosciute, ci sono anche altre lettere di Moro, prego Iddio che non vengano trovate. So già cosa contengono, e preferisco non leggerlo. (21 dicembre 1995) *È assolutamente impossibile istillare negli [[zingari]] il concetto di proprietà e quindi educarli al lavoro come mezzo per conquistarsela. Ma temo che sia altrettanto impossibile far capire tutto questo ai nostri pietisti, religiosi e laici, che farneticano di «integrarli». ([https://web.archive.org/web/20160101000000/http://archiviostorico.corriere.it/1995/dicembre/30/Viaggiai_sul_carrozzone_degli_zingari_co_0_95123012229.shtml 30 dicembre 1995]) *A me, invece, [[Beppe Grillo|Grillo]] piace. Lo considero il più efficace comico in circolazione. Anzi: «comico» non è la parola giusta. Grillo non è un comico, non è un moralista, non è un predicatore: è tutte queste cose insieme. Nel panorama dello spettacolo italiano, dove abbonda il bollito misto, è un'eccezione ambulante (e urlante). Lei ha ragione quando dice che Grillo esagera. Non soltanto esagera; provoca anche, e insulta, e offende. Ma tutte le categorie di giudizio, con un tipo così, risultano inadeguate. Grillo appartiene ad una specie animale particolare, formata da un solo esemplare: lui. O lo strozziamo o lo applaudiamo. Io, appena posso, lo applaudo. Perché i suoi eccessi, a differenza di quelli di [[Vittorio Sgarbi|Sgarbi]], odorano di bucato. ([https://web.archive.org/web/20160101000000/http://archiviostorico.corriere.it/1996/gennaio/11/Beppe_Grillo_incubo_esilarante_co_0_9601114281.shtml 11 gennaio 1996]) *Una delle eterne regole italiane: nel settore pubblico, tutto è difficile; la buona volontà è sgradita; la correttezza, sospetta. Per questo, le persone capaci continueranno a tenersi a distanza di sicurezza dalla «cosa pubblica», lasciando il posto ai furbastri (magari bravi) e alle mezze cartucce (magari oneste). Così, purtroppo, vanno le cose in questo bizzarro paese. ([https://web.archive.org/web/20160101000000/http://archiviostorico.corriere.it/1996/gennaio/26/Impegno_politico_caduta_delle_illusioni_co_0_9601261298.shtml 26 gennaio 1996]) *In una società libera il compito dei media non è «edificare la morale»; è informare, denunciare, stimolare, far riflettere, occasionalmente divertire. (28 gennaio 1996) *L'unico incoraggiamento che posso dare ai giovani, e che regolarmente gli do, è questo: «Battetevi sempre per le cose in cui credete. Perderete, come le ho perse io, tutte le battaglie. Una sola potete vincerne: quella che s'ingaggia ogni mattina, quando ci si fa la barba, davanti allo [[specchio]]. Se vi ci potete guardare senza arrossire, contentatevi». (20 febbraio 1996) *Non so se il Pci sia sotterraneamente sceso a trattative con le Br per convincerle a secondare questo piano. So soltanto che le Br, le quali invece la rivoluzione la volevano sul serio, lo rifiutarono, e fu proprio per farlo naufragare che rapirono e poi uccisero colui che doveva esserne lo strumento. [...] Fu il risoluto e quasi furibondo (oltre che sacrosanto) no dei comunisti che fece naufragare il tentativo {{NDR|Trattativa Stato-BR durante il sequestro [[Aldo Moro|Moro]]}}, che invece in seno alla Dc aveva parecchi sostenitori, anche se non osavano dirlo apertamente. Di qui le accuse e le insinuazioni contro i suoi compagni di partito, lanciate da Moro in quelle famose lettere, che avrebbe fatto meglio a non scrivere perché indegne di un vero uomo di Stato, anzi di un uomo tout court, e che ancor oggi forniscono materia al sospetto di una congiura fra democristiani – con l'aiuto dei soliti servizi segreti «deviati» – per sbarazzarsi di lui. Vero nulla. Forse nella Dc le forze «trattativiste», praticamente disposte alla resa alle Br, avrebbero vinto, se non ne fossero state impedite dalla risolutezza del Pci, che di un brigatismo assurto ad interlocutore dello Stato non voleva sentir parlare e di un Moro salvato al prezzo di una simile capitolazione non avrebbe più saputo che farsi. (26 marzo 1996) *No, è stata la persecuzione che ha costretto gli ebrei, per resisterle, a tendere ed affinare tutte le loro risorse intellettuali. Ecco il segreto dei loro primati. In tutto. E talvolta anche nella cretineria. (3 aprile 1996) *L'[[Allargamento della NATO|allargamento della Nato]] è una cosa maledettamente seria, e decisamente complessa. Parlarne prima delle elezioni presidenziali russe vuol dire buttare benzina sul fuoco; non parlarne oggi significa, forse, non parlarne più. [...] Innanzitutto, dobbiamo renderci conto che la Nato è un'organizzazione basata sul consenso: se si estende verso Oriente [...], la compattezza dell'alleanza rischia di incrinarsi. Ancor più delicata è una seconda questione. Governi e opinione pubblica occidentali devono capire le implicazioni della loro decisione. In seguito all'allargamento, i nuovi membri orientali della Nato (che siano solo Repubblica Ceca e Ungheria; o anche Polonia e Paesi Baltici) diventano nostri alleati, a tutti gli effetti. Questo vuol dire che, se venissero attaccati, dovremmo correre a difenderli. Domanda: siamo disposti a morire per Varsavia e Tallin? Se la risposta è «sì», allarghiamo pure la Nato. Se la risposta è «ma, forse...» – e in Italia sarebbe sicuramente «ma, forse...» – è meglio che lasciamo perdere. In quella parte del mondo hanno già sofferto abbastanza. Non è il caso che ci mettiamo anche noi. ([https://web.archive.org/web/20151025020316/http://archiviostorico.corriere.it/1996/aprile/20/Allargamento_della_Nato_Lasciamo_perdere_co_0_960420535.shtml 20 aprile 1996]) *Io non mi considero affatto ateo e non capisco come si possa esserlo. ([https://web.archive.org/web/20160101000000/http://archiviostorico.corriere.it/1996/maggio/23/dove_comincia_grande_mistero_Dio_co_0_9605235872.shtml 23 maggio 1996]) *{{NDR|Riferito alla [[crisi di Sigonella]]}} Ho sempre considerato il rilascio di Abu Abbas un gesto semplicemente criminale o almeno di complicità col crimine. ([https://web.archive.org/web/20151107235857/http://archiviostorico.corriere.it/1996/luglio/07/Caro_Ottiero_Ottieri_diamoci_del_co_0_9607072658.shtml 7 luglio 1996]) *Quanto scrivi {{NDR|riferito a una lettrice}} sull'insegnamento della Storia nelle nostre scuole è sacrosantamente vero. I testi su cui ve la fanno studiare sono o reticenti o faziosi, ma più spesso l'una cosa e l'altra, e soprattutto scritti coi piedi. (4 settembre 1996) *No, caro N***, non mi basta che il Pool abbia perseguito e persegua una buona Causa. Doveva farlo anche con buoni mezzi e criteri. E il caso Di Pietro basta a dimostrare che questo non è sempre avvenuto. (24 ottobre 1996) *È dalla piazza e dai cosiddetti «bagni di folla» che nascono i dittatori e vengono consacrati i fanatismi più orrendi, fra cui il più orrendo di tutti: il razzismo. ([https://www.fondazionemontanelli.it/sito/pagina.php?IDarticolo=432 24 novembre 1996]) *Io non ho titoli culturali che mi qualifichino a lezioni su una tematica come quella del [[calvinismo]]. Ma credo di averne afferrato l'essenziale: la concezione della Ricchezza come segno della Grazia, di cui quindi non si è proprietari, ma amministratori per conto del Signore col compito di moltiplicarla per il bene di tutti. (21 dicembre 1996) *[[Daniele Vimercati|Vimercati]] è un leghista antemarcia. Lo era anche quando lavorava con me al ''Giornale''. Ma è soprattutto un signor giornalista, che conosce perfettamente la linea di demarcazione fra l'opinione personale e il dovere professionale, e non c'è interesse né calcolo di opportunità che possa indurlo a varcarla. Per questo godeva di tutta la mia fiducia, né mai ho avuto occasione di pentirmi di avergliela concessa. (1996).<ref>Citato in Pierluigi Saurgnani, ''[https://www.ecodibergamo.it/stories/Cronaca/274325_vimercati_gran_borghese_il_giornalista_che_scopr_bossi/ Vimercati, gran borghese. Il giornalista che scoprì Bossi]'', ''ecodibergamo.it'', 13 marzo 2012.</ref> *Di commissioni d'inchiesta il nostro parlamento ne ha partorite a dozzine. Me ne citi una sola che abbia raggiunto dei risultati, anche semplicemente conoscitivi. Per un Parlamento come il nostro (e mi trattengo a fatica dal qualificarlo) anche la ricerca della verità è materia di lottizzazione. ([https://web.archive.org/web/20151118213258/http://archiviostorico.corriere.it/1996/dicembre/23/Ormai_non_resta_che_amnistia_co_0_96122312669.shtml 23 dicembre 1996]) *Quando ebbi, fra i tanti, un processo non con un magistrato, ma con un politico del rango di De Mita che avevo coinvolto nella mala amministrazione dei fondi stanziati per l'Irpinia dopo il [[Terremoto dell'Irpinia del 1980|terremoto]], non trovai, in tutta quella vasta regione, una toga che venisse a testimoniare in mio favore. L'unico che mi difese fu colui che avrebbe dovuto accusarmi: il pubblico ministero del tribunale di Monza, Mariconda: non sul merito delle mie accuse, ch'egli non aveva elementi per valutare, ma sul diritto che mi riconosceva di lanciarle. Anche l'uso dei cinquanta–sessantamila miliardi stanziati per l'Irpinia rimase un porto delle nebbie. ([https://web.archive.org/web/20160101000000/http://archiviostorico.corriere.it/1997/gennaio/12/Magistratura_porti_delle_nebbie_co_0_9701123652.shtml 12 gennaio 1997]) *La sola parola «ingegneria genetica» mi mette i brividi. (14 marzo 1997) *Io non mi sono mai [[Impiccagione|impiccato]]. Ma a Norimberga assistetti a diciassette impiccagioni, compresa quella di un cadavere, il cadavere di Göring che si era suicidato il giorno prima. Be', mi resi conto [...] che ficcare la testa nel nodo scorsoio di una corda non è un esercizio da mezzetacche o quacquaracquà. (15 maggio 1997) *{{NDR|Gladio}} Era stato istituito in quasi tutti i Paesi che facevano parte della Nato, e per volontà della Nato, consapevole che i suoi soci europei non avrebbero potuto resistere all'attacco di una Potenza superarmata qual era l'[[Unione Sovietica]]: avrebbero dovuto aspettare, per la riscossa, l'intervento dell'[[Stati Uniti d'America|America]]. Lo dimostra il fatto che quando questo piano fu rivelato, nessun altro Paese trovò nulla da ridirne. Solo noi italiani – i soliti romanzieri imbecilli e peggio che imbecilli – ne facemmo materia di scandalo e pretesto di «gialli» che tuttora trovano credito, come la sua lettera dimostra. Anch'io mi sento scandalizzato, e un poco offeso. Ma solo dal fatto che nessuno mi abbia sollecitato l'adesione al [[Organizzazione Gladio|Gladio]]: l'avrei data con entusiasmo. ([https://web.archive.org/web/20150623163829/http://archiviostorico.corriere.it/1997/giugno/07/Avrei_dato_con_entusiasmo_adesione_co_0_97060710388.shtml 7 giugno 1997]) *A fare l'Italia alcuni pochi italiani ci sono, senza e contro i più, riusciti. A fare gl'italiani, l'Italia, in centocinquant'anni, non c'è riuscita; anzi non ci s'è nemmeno provata. (19 giugno 1997). *Il vero cacciatore ama gli animali a cui dà la caccia, forse anche perché li considera complici di questo gioco in cui ritrova la sua origine esistenziale. Non spara, per esempio, sul bersaglio fermo: lo considera sleale. (9 luglio 1997) *Al matrimonio misto, che dell'integrazione razziale è la condizione genetica, sono i neri, molto più dei bianchi, che si rifiutano. Non è quindi colpa degl'italiani, o almeno non tutta questa colpa è degl'italiani, se anche da noi l'integrazione con gl'immigrati africani incontra degli ostacoli. Quella con gli oriundi dei Paesi europei non ne incontra nessuno, salvo quelli che frappone la burocrazia, la quale ne pone tanti anche a noi, e anzi campa solo di questo. Non ho mai sentito un francese, o un inglese, o un tedesco, o un bulgaro o un ukraino lamentarsi di una apartheid italiana. Ci sono anche da noi, purtroppo, delle manifestazioni di razzismo. Ma queste sono dovunque, e in Italia meno violente che altrove. L'Italia è un Paese che va a catafascio. Ma non buttiamogli addosso anche delle croci che non merita. Quelle che merita bastano, e ne avanza. (24 agosto 1997) *Io sono un italiano, fra i pochi rimasti che nei confronti dell'Italia s'ispirano all'adagio inglese: «Che abbia ragione o torto, sto col mio Paese». Anch'io sto col mio paese quando ha torto, ma senza pretendere che il suo torto sia considerato ragione. (23 settembre 1997) *Sono e rimango convinto che fin quando noi italiani ci affideremo soltanto alla Legge – o, come ora usa chiamarla, alle «regole» –, rimarremo quello che siamo, coi vizi che abbiamo, fra cui quello di accatastare regole su regole al solo scopo di metterle in contraddizione l'una con l'altra per poterle meglio evadere. (16 ottobre 1997) *Forse farebbe meglio ad astenersi a dare lezioni di liberalismo a me che sono stato, in tutto il giornalismo italiano, l'unico a difenderlo negli anni Settanta e Ottanta, quando difenderlo era difficile e poteva anche costar caro. Non me ne faccio un vanto perché, quando alla fine ha vinto, ho visto di che liberalismo si trattava, ed è per questo che ho votato Ulivo. (23 ottobre 1997) *Le confesso che il suo piglio perentorio e inquisitorio mi disturba alquanto, anche perché mi lascia capire che lei parte da convinzioni così granitiche da rendere vano ogni tentativo d'insinuarvi almeno un dubbio. (23 ottobre 1997) *È importante tutto questo? No. Non lo è per me né per lei, che sappiamo cosa è accaduto. E non lo è per i leghisti doc, secondo cui qualunque cosa propone il capo è Vangelo. Se Bossi decide di andare in Bicamerale, applaudono. Se decide di abbandonare la Bicamerale, esultano. Se va con Berlusconi, assentono. Se lascia Berlusconi, approvano. E se un giorno si sveglia e cambia i confini della Padania, accettano i nuovi confini. Tempo fa, rispondendo a un lettore, scrissi che «i leghisti sono pronti a inneggiare anche all'annessione della Yakuzia, e non solo perché non sanno dove sta». Arrivarono molte lettere indispettite. Ma nessuna contro l'annessione della Yakuzia. (29 ottobre 1997) *Se sono – come sono – uno di quegli uomini di Destra che ultimamente hanno votato, sia pure controvoglia, per la Sinistra (annacquata) dell'Ulivo, è perché da questa, che non è mai stata la mia bandiera, non mi sento tradito. Essa sta facendo ciò che prometteva di fare, ma lo fa con molta moderazione, e con una squadra di uomini che magari non saranno (meno qualcuno, come per esempio Ciampi) di serie A, ma da cui non temo, e credo che nessuna persona ragionevole possa temere, l'instaurazione di un regime. (10 dicembre 1997) *E lo specchio non vi giudica dai successi che avrete ottenuto nella corsa al denaro, al potere, agli onori; ma soltanto dalla Causa che avrete servito. Tenendo bene a mente il motto degli ''hidalgos'' spagnoli: «La sconfitta è il blasone delle anime nobili». (31 dicembre 1997) *Che cosa io pensi dell'onorevole Previti mi pare di averlo detto in termini talmente espliciti da apparire – a più d'uno – brutali: un personaggio che solo a guardarlo in faccia verrebbe voglia di applicargli le manette ai polsi prima ancora di sapere chi è e cosa ha fatto. (31 gennaio 1998) *Infine, c'è quello che io considero il vero, grande vantaggio dell'euro: una volta dentro, non potremo tornare all'allegra finanza pubblica d'un tempo. ([https://web.archive.org/web/20151203232056/http://archiviostorico.corriere.it/1998/febbraio/20/Che_cosa_succedera_quando_avremo_co_0_9802206445.shtml 20 febbraio 1998]) *Tutti hanno diritto di credere nel miracolo, quando non c'è altro a cui aggrapparsi. La scienza no: se lo ricordi anche il Papa. (23 febbraio 1998) *I conti col passato, si capisce, bisogna farli. Ma a un certo punto bisogna chiuderli. Perché nella Storia non ce n'è mai stato uno che, protratto all'infinito, non ne abbia innescato un altro. (10 marzo 1998) *Perché, caro B***? Perché la vocazione a dividerci sempre e su tutto per il nostro «particulare», come lo chiamava Guicciardini, noi italiani ce la portiamo nel sangue, e non c'è legge che possa estirparla. (18 aprile 1998) *Vero che nei ricordi sui quali vengo sollecitato, il nome di [[Cesco Tomaselli|Tomaselli]] ricorre meno frequentemente di quelli di Longanesi, di Buzzati, di Piovene, di Barzini ecc. Ma ciò dipende solo dal fatto che costoro appartenevano alla mia leva, e in comune con loro avevo avuto tante esperienze, perfino la stanza di lavoro. Tomaselli, quando io entrai al ''Corriere'', apparteneva già alla sua vecchia guardia, e come notorietà ne aveva raggiunto il tetto proprio grazie alle sue corrispondenze sull'impresa del dirigibile «Italia» di Umberto Nobile, di cui fu dal principio alla fine lo scrupoloso cronista. A salvargli la vita dalla catastrofe fu soltanto la sorte, contro cui egli imprecò considerandola avversa. Per l'ultima tappa, quella che avrebbe dovuto sorvolare il Polo, dei due giornalisti aggregati a quella spedizione — Tomaselli per il ''Corriere'', e Ugo Lago per il ''Popolo d'Italia'' di Mussolini —, c'era posto, sulla navicella, per uno solo. Lago e Tomaselli se lo giocarono a testa o croce. Con gran dispetto di Tomaselli, che non smise mai di considerarsene tradito, vinse e partì Lago, che non tornò più: quando l'aeromobile precipitò sul pack, lui rimase aggrappato insieme ad altri compagni al cordame dell'involucro col quale scomparve nel deserto bianco. Ma tutte le volte che se ne parlava, Tomaselli seguitava ad inveire contro la scalogna che lo aveva escluso da quel drammatico finale, come se gli avesse tolto la fortuna di descriverlo. Questo era Tomaselli, l'inviato speciale che nel suo mestiere di giornalista portava lo stesso spirito che aveva fatto di lui, nella Prima Guerra Mondiale, un superdecorato ufficiale di artiglieria alpina e gli ispirava una concezione quasi religiosa del «servizio». Non era un «brillante» né come scrittore né come parlatore. Ma di tutto quello che diceva, sia con la bocca che con la penna, si poteva stare sicuri che di inesatto o di inventato non c'era nemmeno una virgola. [...] Se raramente mi capita di parlare di lui, è perché l'ho conosciuto e frequentato sul declino della sua intemerata e ineccepibile carriera di testimone, e perché lui, nel raccontarla, non l'animava mai di aneddoti o di battute come, per esempio, il suo coetaneo Monelli. Ma se ai giovani che si avviano (poveretti!) a questo mestiere dovessi indicare un modello di dignità, serietà, dedizione e correttezza professionale non avrei dubbi sulla scelta: Cesco Tomaselli. ([https://web.archive.org/web/20151009153047/http://archiviostorico.corriere.it/1998/maggio/07/Cesco_Tomaselli_inviato_speciale_Polo_co_0_9805078688.shtml 7 maggio 1998]) *Che un giudice spagnolo in vena di protagonismo abbia chiesto all'[[Inghilterra]] la consegna di un ospite straniero andato a Londra in forma privatissima per ragioni di salute, non mi stupisce: un [[Antonio Di Pietro|Di Pietro]] può nascere dovunque. Ma che l'Inghilterra si proponga di consentire, non mi stupisce. Mi sbalordisce, come ha sbalordito e indignato la signora Thatcher che aveva ospitato in casa il Generale. Ma ancora di più mi sbalordirebbe che la Giustizia spagnola, cioè di un Paese che non solo ha accettato per quarant'anni il potere di un Generale, ma gli ha consentito (per sua fortuna) di disporne anche dopo morto, portasse davanti a una Corte di Giustizia quello cileno. Per non parlare delle conseguenze che tutto questo potrebbe provocare in [[Cile]] dove, nel caso che il governo Frei si mostrasse esitante e accomodante, le Forze Armate potrebbero riprendere il potere per rompere i rapporti diplomatici con [[Spagna]] e Inghilterra e dimostrare al mondo che i processi alla Norimberga hanno fatto il loro tempo. Se a qualcuno il Generale cileno Pinochet deve rendere conto del suo operato, è soltanto al Cile e ai suoi tribunali. E se io fossi un cileno che ha votato Frei (come certamente avrei fatto se fossi stato un cileno), in questa occasione mi schiererei con le Forze Armate. Con tanti saluti a tutto il sinistrume italiano passato, presente e futuro. (24 ottobre 1998) *Che gli [[Stati Uniti d'America|Usa]] siano in tutto il mondo odiati dagli uomini come lei {{NDR|riferito a un lettore}}, è verosimile, e quindi più che credibile. Un po' meno credibile è che gli uomini di tutto il mondo siano e la pensino come lei. Comunque, il giorno in cui quel Paese venisse chiamato (ma da chi?) sul banco degl'imputati come il nemico dell'umanità, io chiederò di essere ascoltato come testimone. Per dire alla Corte dei Vecchio di turno che io, uomo qualunque, mi considero graziato tre volte da questo grande nemico dell'umanità. La prima fu quando mi strappò al pericolo di diventare – per bene che mi fosse andata – l'attendente di un colonnello tedesco. La seconda fu quando mi sottrasse a quello di finire i miei giorni in un kolkos siberiano. La terza fu quando, invece di rimettermi la parcella di questi favori, mi aiutò a rifarmi la casa senza contestarmi il diritto di invitarvi anche coloro che pensano (si fa per dire) e parlano (o meglio sbraitano) come lei. ([https://web.archive.org/web/20160101000000/http://archiviostorico.corriere.it/1999/aprile/10/Fermare_genocidio_Kosovo_co_0_9904103314.shtml 10 aprile 1999]) *Tradotto in politica, non c'è nulla di più intollerante e fazioso, e quindi di meno pacifico, del [[pacifismo]] in generale, e di quello italiano in particolare. È un pacifismo a fasi alterne, e che si sveglia soprattutto, anzi quasi esclusivamente, quando a fare la guerra sono gli americani. Furioso e devastatore imperversò, non soltanto in Europa, ma nella stessa America, al tempo del Vietnam: al punto che quando [[Richard Nixon|Nixon]] venne in visita in Italia (quell'Italia che poteva fare ciò che voleva grazie agli americani) dovettero mandarlo a prendere a Fiumicino con un elicottero e trasportarlo via aria in Quirinale perché via terra avrebbe rischiato la pelle. Ma questo stesso pacifismo rimase impassibile quando i carri armati sovietici schiacciarono l'Ungheria (e a Montecitorio risuonò il grido: «Viva l'[[Armata Rossa]]!»), e poco dopo la Cecoslovacchia e da ultimo l'Afghanistan. Sono sempre gli stessi, i pacifisti italiani. Con una bandiera in mano come quella della pace (chi può infatti invocare la guerra?), si sentono invulnerabili. Ma la sventolano solo per il povero Milosevic; il genocidio del Kosovo li lascia del tutto indifferenti. (5 maggio 1999) *Non sempre condivido le opinioni di [[Giovanni Sartori|Sartori]]. Qualche volta, anzi spesso, abbiamo litigato, anche perché a lui litigare piace moltissimo: da buon toscano, è nella polemica che lui, e forse anch'io, diamo il meglio di noi. E anche sull'articolo del 25 maggio non siamo in tutto e per tutto d'accordo. Lo siamo nel respingere la qualifica di «pacifista», che entrambi lasciamo in esclusiva alle «anime belle» che, sventolando la bandiera della [[pace]], sperano di raccogliere intorno a essa tutti gl'ipocriti e gl'imbecilli che, sommati insieme, costituiscono certamente la stragrande maggioranza degl'italiani. (29 maggio 1999) *Lo Stato di [[Platone]], quello che lui chiamava la polis, e che poi era Atene, aveva, al tempo di Platone, cioè nel momento del suo massimo splendore, ventimila abitanti, di cui solo cinquemila avevano diritto al voto. E veda un po' come quei civilissimi cittadini lo usarono nelle assemblee dell'Acropoli: mettendo sotto processo [[Pericle]] e [[Aspasia di Mileto|Aspasia]], condannando a morte [[Socrate]] e provocando la guerra del Peloponneso, che fu la rovina non solo di Atene, ma di tutta la Grecia e della sua civiltà. Ora se il sistema della «democrazia diretta» o, come lei la chiama, «partecipatoria», non funzionò nemmeno in una polis di ventimila abitanti, s'immagini un po' cosa diventerebbe nei formicai umani cui si sono ridotte le polis attuali, e non soltanto quelle italiane. [...] Lei ha tutte le ragioni del mondo a dire che l'attuale sistema di democrazia «rappresentativa» o «delegata» ha dei vizi gravissimi e spesso provoca disastri, compresa quella americana, che pure è una di quelle che meglio funzionano. Ma, mi creda, quella «diretta» o «di piazza» è ancora molto più pericolosa perché continuamente a rischio di cadere in balia di qualche ciarlatano che sappia soltanto vendere bene la sua merce. Certo, quella indiretta esige, da parte del cittadino, una partecipazione che in Italia manca. Ma non è certo coi referendum che si può sostituirla. Almeno questo mi ha insegnato l'esperienza. (22 agosto 1999) *Quello di [[Francisco Franco|Franco]], se proprio vogliamo chiamarlo regime, fu un regime di polizia, di una polizia molto più dura di quella fascista, ma un totalitarismo no. Ecco perché, quando sentì avvicinarsi il momento della fine, Franco poté liquidare il franchismo con relativa facilità: perché di totalitario non aveva altro che le galere. Però bisogna anche riconoscere che questo soldataccio squallido e ottuso (sul piano umano era repellente), il ritorno al regime democratico seppe compierlo da maestro, facendosi consegnare dal pretendente al trono, Don Juan, ch'egli considerava (non a torto) poco affidabile, il figlio Juan Carlos per prepararlo – operazione riuscitissima – ai suoi compiti di Re, e mettendogli accanto un uomo di primissimo ordine come Suarez. ([https://web.archive.org/web/20130331034046/http://archiviostorico.corriere.it/1999/ottobre/24/differenza_fra_regimi_totalitari_dittature_co_0_991024459.shtml 24 ottobre 1999]) *La servitù, in molti casi, non è una violenza dei padroni, ma una tentazione dei servi. (2 gennaio 2000) *Non conosco Haider, e quindi nemmeno i fondamenti della sua ideologia, ammesso che ne abbia una. A occhio e croce, più che un nazista, mi sembra un qualunquista che interpreta, o cerca d'interpretare i sentimenti e i risentimenti di una pubblica opinione di livello bossiano, scontenta di tante cose, e a cui l'Austria attuale va stretta. [...] Non so se anche Haider – ripeto: non lo conosco – sia un omuncolo. Ma penso che l'Europa, ponendo il veto a un suo eventuale governo, costringerà gli austriaci ad affidargliene l'incarico, come avvenne per Waldheim. Io al pericolo di un rigurgito nazista non ci credo. Come ho letto in un articolo (mi pare di Enzo Bettiza, ma potrei sbagliarmi) penso che Jorg Haider somigli più a un Poujade che a un Le Pen, cioè più a una miscela di [[Umberto Bossi|Bossi]] e di Giannini che a un [[Pino Rauti]]. Ciò che mi allarma è l'incapacità dell'Europa a riflettere sulle sue proprie esperienze a trarne qualche insegnamento. Questo, sì, mi fa paura. (3 febbraio 2000) *Li conosco e riconosco, quei regimi {{NDR|di dittatura e di censura}}. Ne avverto il passo anche di lontano, e convengo che in Italia il pericolo di vederne arrivare qualcuno c'è. Ma sa quando si realizzerà? L'anno venturo, dopo la vittoria – che io do per certa – del Polo alle Politiche. Vedrà. La prima cosa che farà Berlusconi, come la fece nel '94, sarà di spazzare via l'attuale dirigenza Rai per omologarne le tre Reti a quelle sue. (26 febbraio 2000) *Quando s'accendono i [[Morte sul rogo|roghi]], mettiti dalla parte della strega, anche a costo di bruciare con lei. ([https://www.corriere.it/solferino/montanelli/00-05-31/02.spm 31 maggio 2000]) *Una Giustizia che per istruire un processo impiega sei o sette anni e poi non riesce a chiuderlo con una sentenza che non si presti a rimetterlo, con qualche marchingegno, in gioco, è un meccanismo di cui bisogna assolutamente rivedere e rifare gl'ingranaggi: «Giustizia ritardata – dice [[Montesquieu]] – è Giustizia negata». ([http://www.corriere.it/solferino/montanelli/00-06-07/01.spm 7 giugno 2000]) *Il [[revisionismo]] è la materia prima della [[storiografia]] che, senza di esso, sarebbe una disciplina morta. ([http://www.corriere.it/solferino/montanelli/00-06-16/01.spm 16 giugno 2000]) *Il mio giudizio su [[Baltasar Garzón|Garzón]] resta quello di prima, solo un po' rinforzato: un garzoncello smanioso soltanto di leggere il proprio nome sulle prime pagine di tutti i giornali e di vedere la propria effigie sugli schermi televisivi di tutto il mondo: il che rafforza la mia ipotesi che si tratti di un italiano nato per sbaglio in Spagna. ([http://www.corriere.it/solferino/montanelli/00-06-30/01.spm 30 giugno 2000]) *La pena di morte americana esiste e resiste in America perché fu un elemento base e costitutivo della sua nascita e sviluppo. Dei famosi 102 «Padri Pellegrini» che per primi sbarcarono dal «Mayflower» in quel Continente non per saccheggiare le ricchezze come facevano spagnoli e portoghesi in Messico e nell'America del Sud, ma per costruirvi una società nuova e libera, circa i due terzi erano avanzi di galera che fuggivano la Giustizia e le prigioni dell'Europa, e un terzo erano uomini che cercavano la libertà, e soprattutto quella religiosa. I primi avevano in tasca la pistola, i secondi la Bibbia, ma nella sua versione calvinista quella del taglione, basata sulla concezione di un Dio giustiziere che esige la morte di chi senza giusto motivo la dà. (9 luglio 2000) *A Rimini, cioè in casa propria (ma anche nostra, almeno per il momento), questi signorini {{NDR|di [[Comunione e Liberazione]]}} non hanno fatto altro che fischiare tutto ciò che è italiano, acclamare al nuovo beato [[Pio IX]], il Papa-Re che pretendeva di impedire il processo di unificazione nazionale, ed esaltare come i veri eroi del risorgimento i Borboni e i briganti del Cardinale Ruffo. A lei, tutto questo va bene? A me, dà il vomito. ([http://www.corriere.it/solferino/montanelli/00-09-13/02.spm 13 settembre 2000]). *Il mio parere è rimasto quello che espressi sul mio ''Giornale'' l'indomani del fattaccio {{NDR|l'[[agguato di via Fani]]}}. «Se lo Stato, piegandosi al ricatto, tratta con la violenza che ha già lasciato sul selciato i cinque cadaveri della scorta, in tal modo riconoscendo il crimine come suo legittimo interlocutore, non ha più ragione, come Stato, di esistere». Questa fu la posizione che prendemmo sin dal primo giorno e che per fortuna trovò in Parlamento due patroni risoluti (il Pci di [[Enrico Berlinguer|Berlinguer]] e il Pri di [[Ugo La Malfa|La Malfa]]) e uno riluttante fra lacrime e singhiozzi (la Dc del moroteo [[Benigno Zaccagnini|Zaccagnini]]). Fu questa la «trama» che condusse al tentennante «no» dello Stato, alla conseguente morte di Moro, ma poco dopo anche alla resa delle Brigate rosse. Delle chiacchiere e sospetti che vi sono stati ricamati intorno, e che ogni tanto tuttora affiorano, non è stato mai portato uno straccio di prova, e sono soltanto il frutto del mammismo piagnone di questo popolo imbelle, incapace perfino di concepire che uno Stato possa reagire, a chi ne offende la legge, da Stato. ([http://www.corriere.it/solferino/montanelli/00-09-22/03.spm 22 settembre 2000]) *La Serbia ha perduto la guerra e ha vinto la pace: ora deve voltar pagina. Sarà la storia – un giudice non imparziale, ma efficace – a decidere cos'è stato giusto e cos'è stato sbagliato. Tuttavia, una ritorsione serba verso l'Occidente avverrà. E ci troverà disarmati. Sa di cosa parlo? Delle rivendicazioni sul Kosovo, che è amministrato dalla Nazioni Unite ma è ancora Jugoslavia (lo dice la risoluzione dell'Onu). I serbi chiederanno di tornare a controllarne le frontiere, per esempio. E dire no a un Kostunica buono è più difficile che dire sì a un Milosevic cattivo. Gli albanesi del Kosovo, sono certo, lo hanno già capito. ([http://www.corriere.it/solferino/montanelli/00-10-08/01.spm 8 ottobre 2000]) *È un dimenticato, [[Ugo Ojetti|Ojetti]], come in questo Paese lo sono quasi tutti coloro che valgono. Se io dirigessi una scuola di giornalismo, renderei obbligatori per i miei allievi i testi di tre Maestri: [[Luigi Barzini (1908-1984)|Barzini]], per il grande reportage; [[Benito Mussolini|Mussolini]] (non trasalire!), quello dell'''Avanti!'' e del primo ''Popolo d'Italia'', per l'editoriale politico; e Ojetti, per il ritratto e l'articolo di arte e di cultura. ([http://www.corriere.it/solferino/montanelli/00-11-13/01.spm 13 novembre 2000]) *In Italia fu il potere temporale a soffocare negl'italiani la voce della coscienza e a spegnere in loro ogni senso di responsabilità. Ma fu la Controriforma a fornire al prete le armi per accaparrarsi l'una e l'altra: il Sant'Uffizio, le scomuniche e, nei casi estremi, il patibolo. Con questo risultato: l'aborto del «cittadino» e la trasformazione di quello che avrebbe dovuto e potuto diventare un «popolo» in un gregge (come con inconsapevole spudoratezza i preti lo chiamano), e in un gregge di pecore indisciplinate che credono di affermare il loro ribelle individualismo non rispettando il semaforo rosso. ([http://www.corriere.it/solferino/montanelli/00-11-20/01.spm 20 novembre 2000]) *{{NDR|Su [[Slobodan Milošević]]}} Oltre che un despota, lo ritengo anche un satrapo della razza dei [[Nicolae Ceaușescu|Ceausescu]], avido non solo di potere, ma anche di denaro, e credo che la sorte che si merita sia un bel plotone di esecuzione. Purché composto da serbi, al comando di un serbo, e in esecuzione di una sentenza emessa da un tribunale serbo e motivata non tanto da generici crimini contro l'umanità, che sono sempre – salvo casi di monumenti all'orrore come l'[[Olocausto]] – oggetto di discussione e dissensi; ma dal più grande e imperdonabile delitto di cui Milosevic si è macchiato nei confronti non soltanto dei serbi: la distruzione della Nazione Jugoslava, che la Monarchia serba aveva fondato dopo la prima guerra mondiale; che il croato [[Josip Broz Tito|Tito]] aveva difeso coi denti e restaurato dopo la seconda, dando alla Balcania un esempio e un puntello di stabilità; e che Milosevic e il suo compare croato [[Franjo Tuđman|Tudjman]] distrussero per poter restare ciascuno padrone in casa sua; e sulle cui macerie si scatenarono tutte le violenze (Bosnia, [[Kosovo]]) che hanno insanguinato e continuano a insanguinare quel povero Paese. ([http://www.corriere.it/solferino/montanelli/01-04-29/01.spm 29 aprile 2001]) *Questo mondo materialista, edonista ed esibizionista non entusiasma neanche me; e, visto che mi legge, dovrebbe saperlo. Ma vorrei conoscere il sistema che voi avete in mente, e non avete il coraggio, o la capacità, di proporre. Un mondo francescano? Bello: ma guardatevi intorno, e ditemi se vedete un saio. Un comunismo riveduto e corretto? Farebbe la fine dell'altro, anche se non riuscirà a ripeterne i disastri. Mi creda, G.: l'unico sistema sociale ed economico oggi accettabile, in Occidente, è quello basato sul mercato: un capitalismo controllato e temperato, per intenderci. È auspicabile che sia anche corretto: e questo non sempre accade, è vero. Il guaio è che il capitalismo è fatto dai capitalisti – e quelli, devo ammettere, sono spesso difficili da digerire. Non cerchi di confondermi le idee, quindi. Non ci riuscirà. Probabilmente ho tre volte i suoi anni, e ho visto dove conducono queste generiche tirate contro «le multinazionali»: prima o poi, qualcuno deporrà la spranga e prenderà la pistola. Dimenticavo: io firmo le mie opinioni, lei tira il sasso e nasconde la mano. Tutti coraggiosi così, voi ragazzi di Seattle? ([http://www.corriere.it/solferino/montanelli/01-06-09/01.spm 9 giugno 2001]) *Non erano, le mie, parole di circostanza. Erano – e rimangono – quelle di un conservatore abbastanza spassionato e nutrito di Storia da capire che non c'è, per la conservazione di ciò che va conservato, nemico più mortale dei conservatori che vogliono conservare tutto; e che un sistema capitalistico senza un correttivo socialista diventa una jungla che conduce pari pari a [[Karl Marx|Carlo Marx]]. Di qui il mio amore per uno dei personaggi meno amabili, sul piano umano, della nostra Storia, [[Giovanni Giolitti|Giolitti]], che sempre cercò l'accordo con [[Filippo Turati|Turati]], a cui il cretinume massimalista – che nel vostro partito ha sempre dominato – lo impedì. Il vedervi – sbriciolati in gruppi, gruppetti e gruppuscoli – annaspare nell'attuale centro-sinistra in cui nessuno riesce a recitare la parte di se stesso, fa male al cuore di un vecchio autentico liberal-conservatore come me. Cosa aspettate, caro Tamburrano, a ridarci il socialismo, ma che sia quello e quello solo: ''il'' socialismo di Turati e di Massarenti? [...] Credo che come forza politica siate abbastanza mal messi. Ma in compenso avete in mano una grande bandiera che prima o poi un esercito la ritroverà. Arrivederci, al primo settembre, cari lettori. ([http://www.corriere.it/solferino/montanelli/01-07-04/01.spm?refresh_ce-cp 4 luglio 2001]) ===''il Giornale''=== <!--ordine cronologico--> *Chi sarà il nostro lettore noi non lo sappiamo perché non siamo un giornale di parte, e tanto meno di partito, e nemmeno di classi o di ceti. In compenso, sappiamo benissimo chi non lo sarà. Non lo sarà chi dal giornale vuole soltanto la «sensazione» [...] Non lo sarà chi crede che un gol di Riva sia più importante di una crisi di governo. E infine non lo sarà chi concepisce il giornale come una fonte inesauribile di scandali fine a se stessi. Di scandali purtroppo la vita del nostro Paese è gremita, e noi non mancheremo di denunciarli con quella franchezza di cui crediamo che i nostri nomi bastino a fornire garanzia. Ma non lo faremo per metterci al rimorchio di quella insensata e cupa frenesia di dissoluzione in cui si sfoga un certo qualunquismo, non importa se di destra o di sinistra. [...] Vogliamo creare, o ricreare un certo costume giornalistico di serietà e di rigore. E soprattutto aspiriamo al grande onore di venire riconosciuti come il volto e la voce di quell'Italia laboriosa e produttiva che non è soltanto Milano e la Lombardia, ma che in Milano e nella Lombardia ha la sua roccaforte e la sua guida. [...] A questo lettore non abbiamo «messaggi» da lanciare. Una cosa sola vogliamo dirgli: questo giornale non ha padroni perché nemmeno noi lo siamo. Tu solo, lettore, puoi esserlo, se lo vuoi. Noi te l'offriamo. (25 giugno 1974) *Checché ne dicano gli agiografi della Resistenza, la guerra l'abbiamo persa, e c'è un conto da pagare. Che l'Italia lo saldi a spese dei suoi figli minori – i Dalmati e gli Istriani – è un ghigno del destino. Ma in compenso può considerarsi miracolata. Quando si pensa a cosa ha pagato la sua sconfitta la Germania, amputata d'intere province e dimezzata in due nazioni diverse e ostili, e quando si pensa a cosa ha pagato l'Inghilterra, precipitata dalla condizione di massimo impero mondiale a quella di piccola isola alla periferia d'Europa; non possiamo lamentarci del trattamento che gli alleati ci fecero. (30 settembre 1975) *Siamo stati accusati di aver fatto, nei confronti dei comunisti, il processo alle intenzioni. Non vediamo su cos'altro avremmo dovuto giudicarli, visto che sono sempre rimasti all'opposizione, ed è di lì che ancora si affannano a dire che cosa si propongono di fare se andassero al potere, anzi quando andranno al potere (perché ormai lo danno per scontato). E cosa sono, queste, se non intenzioni? (19 giugno 1976) *Che cerchino di eliminarmi perché sono un avversario, questo lo posso anche capire; ma perché – a quanto mi riferiscono – hanno detto che io sono un servo delle [[Multinazionale|multinazionali]], allora questo sta a dimostrare la confusione di idee di questi poveretti che, evidentemente, non sanno cosa sono le multinazionali. (3 giugno 1977) *I giuochi sono fatti. E sono fatti non soltanto per [[Aldo Moro|Moro]], cui va tutta la nostra più fraterna e rispettiva pietà. Sono fatti anche per una politica da ''belle époque'', che la distruzione – fisica o morale – di Moro chiude e conclude. La Storia sta riprendendo i suoi connotati di tragedia, e costringe coloro che la fanno, o ambiscono o s'illudono di farla, ad adeguarsi al repertorio. Stiamo entrando in una di quelle «età di ferro» in cui il potere si paga, o si può pagarlo col ferro. Nessuno è obbligato a sfidare questo rischio. Chi lo fa, sappia che oggi è toccato a Moro, domani può toccare a lui. Solo se si rende conto di questo e lo accetta, la classe politica troverà la forza di archiviare il caso Moro. Ed è tempo che lo faccia. (7 maggio 1978) *Quattr'anni e mezzo orsono, quando questo giornale nacque, un «ragazzo del '68» (con tante scuse a quelli veri, del '99), [[Mario Capanna]], oggi gerarchetto regionale (che belle carriere, questi rivoluzionari!), dichiarò che, come nemici del «pubblico» e del «sociale» e come assertori del «privato», e quindi della reazione, noi saremmo diventati il più bel museo della città, dove babbi e mamme avrebbero potuto condurre in gita ricreativa i loro figlioletti per mostrargli, dal vivo, com'erano buffi i loro nonni e bisnonni: noi. Bene. Se il vento seguita a soffiare come soffia, saremo noi che di qui a un po' condurremo i nostri figlioletti dal signor Capanna per mostrargli com'erano buffi i loro nonni e bisnonni di dieci anni fa. Ma non lo faremo. Lo spettacolo di questi ragazzi-prodigio abortiti, di questi barricadieri con pancia e cellulite che credevano di camminare con la Storia, e invece camminavano solo con la moda, non ha nulla di edificante. (16 gennaio 1979) *In una sua memorabile inchiesta un giornalista d'incrollabile fede sinistrorsa, ma di esemplare onestà, [[Giampaolo Pansa]], mise benissimo in luce questo contrasto fra i due atteggiamenti e mentalità, che ieri ha trovato una eloquente conferma nella manifestazione di Torino. Niente chiasso, niente sceneggiate, niente slogans, niente insomma che appartenga al repertorio del buffonismo nazionale. Nessuno ha rotto le righe per andare a rovesciare auto o a fracassar vetrine. Questa, sì, era Danzica, sia pure senza Madonne; non i picchettaggi e i pestaggi di Mirafiori, sia pure con le Madonne. Ora sappiamo già cosa diranno gli altri, oggi e domani. Diranno che gli operai non c'erano. Infatti. Doveva trattarsi di quarantamila presidenti, consiglieri delegati, ingegneri: insomma, la solita «[[maggioranza silenziosa]]»: termine che soltanto nella lingua italiana ha significato spregiativo. La maggioranza silenziosa esiste in tutti i Paesi del mondo, dove nessuno si vergogna di appartenervi perché è essa, in definitiva, che ristabilisce gli equilibri. Fu la maggioranza silenziosa – autoqualificatasi come tale – di seicentomila parigini che dodici anni fa pose fine al carnevale sessantottesco, riportò [[Charles de Gaulle|De Gaulle]] all'Eliseo e restituì alla Francia la stabilità di cui tuttora essa gode. [...] Il motivo vero che farà i dimostranti bersaglio delle peggiori critiche e accuse è ch'essi rappresentano la rivolta delle persone serie contro gli arruffoni della «conflittualità permanente», dei «modelli di sviluppo» e via baggianando. E in questo Paese nulla fa più paura, perché nulla è più rivoluzionario, della serietà. (15 ottobre 1980) *[[Anwar al-Sadat|Sadat]] non era popolare. Gli mancava quel tocco di magia, o di cialtronismo, che consentiva a [[Gamal Abd el-Nasser|Nasser]] di bandire guerre come crociate e di annunciare disfatte come trionfi. [...] Sadat amava il popolo, il popolo contadino del profondo Sud nubiano, di cui era egli stesso originario. Ma non amava le masse, e le masse lo sentivano. [...] Sapeva, quando andò a Gerusalemme, di lanciare a quelle arabe una sfida più pericolosa di quella che lanciava a Begin. [...] Ma all'impopolarità di Sadat contribuiva anche un altro elemento: il fatto di essere un vero riformatore. [...] [[Mohammad Reza Pahlavi|Rehza Pahlevi]] volle applicare gli stessi metodi di [[Mustafa Kemal Atatürk|Atatürk]] senz'averne l'autorità e il prestigio, e per questo lo cacciarono. Ma dopo due anni di [[Ruhollah Khomeyni|Khomeini]], anche i più ciechi e idioti fra i progressisti occidentali, che ne avevano salutato l'avvento come quello del Redentore, si saranno accorti che il progresso, sia pure a forza di polizia segreta e di plotoni di esecuzione, era lo Scià. L'''ayatollah'' è il medioevo. Sadat non seguì i metodi satrapeschi del suo amico Pahlevi, ma ne condivise i fini. [...] Il Rais che ha restituito all'Egitto l'integrità territoriale, l'indipendenza politica, il prestigio militare e il rilancio della sua più proficua industria, il canale di Suez, è giusto che susciti meno rimpianto di chi tutto questo all'Egitto fece perdere. Nasser era un «personaggio», Sadat una «personalità». Il personaggio fa colore e diverte, la personalità incute rispetto e disturba. (9 ottobre 1981) *Nessuna parentela, né vicina né lontana, con l'altro grande d'Israele, [[David Ben Gurion|Ben Gurion]], il Fondatore. [...] {{NDR|David Ben Gurion}} Faceva tutto a caldo, anche la guerra. [[Menachem Begin|Begin]] fa tutto a freddo: anche l'amore, credo, ammesso che lo faccia. Non riuscì a commuoverlo nemmeno [[Anwar al-Sadat|Sadat]], quando gli piombò, da nemico tuttora belligerante, a Gerusalemme, per chiedergli la pace. Il mondo, che vide in televisione la scena, quel giorno fu tutto per l'egiziano che, per la pace, firmava la propria condanna a morte, contro l'israeliano che lo accoglieva senza un sorriso e con visibile fastidio. [...] È l'uomo che non ha esitato un istante [...] a distruggere in pochi minuti tutto l'armamento corazzato, aereo e missilistico siriano sotto l'occhio stupefatto degli osservatori e «consiglieri» russi che lo avevano fornito. È l'uomo che ha messo alla porta l'ambasciatore di Mosca respingendone la nota di protesta addirittura con disprezzo, come se fosse stato lui la Grande Potenza che parlava a un subalterno. È l'uomo che ha picchiato i pugni sul tavolo di [[Ronald Reagan|Reagan]], e a un certo punto aveva rotto anche con lui. Se avesse perso, sarebbe finito al muro e passato ai posteri come il distruttore d'Israele. Ma ha vinto. E la Storia, iscrivendolo nei suoi registri come «Il Salvatore», dirà che solo un uomo come lui, «antipatico» come lui, e come lui disposto anche a scatenare un'altra ondata di antisemitismo, poteva vincere. E avrà ragione di dirlo. Perché è così. Alla fine lo diranno, vedrete, anche gli antisemiti. E forse perfino i semiti. (27 agosto 1982) *L'idea che domani potremmo incontrare per strada, a piede libero e magari oggetti di compassione, gli assassini di [[Walter Tobagi]], ci riempie, più che di furore, di orrore. [...] Avevano scelto lui non per la sua tessera socialista, ma perché era una di quelle prede più facili: indifeso e abitudinario, e quindi bersaglio di facilissima mira, quasi da fermo. Tutto qui il movente del delitto: tutto nella fregola di protagonismo di due coccolatissimi giovanotti della Milano bene che giuocavano a fare i terroristi. [...] Che ora dobbiamo prendere per vero il loro pentimento e assolverli, ci rivolta lo stomaco. Ma è la legge: iniqua, infame, infamante. Ma è la legge. Noi stessi l'abbiamo auspicata e voluta. Il magistrato deve applicarla. E noi [...] accettarla. Ma una cosa reclamiamo, e ci spetta: di essere liberati dall'incubo d'incontrare questi figuri per strada per non veder riflessa nei loro occhi la nostra vergogna di aver avuto bisogno di loro e di aver risposto al loro falso rimorso con un perdono altrettanto falso. Un Curcio, se tornasse in circolazione, ci farebbe forse più paura, ma meno, anzi punto disgusto. [...] Ma i Barbone e i Morandini non li vogliamo tra i piedi. Se ne vadano. E soprattutto ci risparmino memoriali. La speranza di farci dimenticare i loro delitti, gliela passiamo. La pretesa di camparci sopra, no. (29 novembre 1983) *Per i falchi del Pci, [[Enrico Berlinguer|Berlinguer]] era ormai un personaggio scomodo e pericoloso, specie da quando aveva cominciato ad allentare gli ormeggi che lo legavano a Mosca. Gli era perfino scappato di dire (a [[Giampaolo Pansa|Pansa]]) che voleva per l'Italia un regime comunista, ma sotto l'ombrello della Nato che la tenesse al riparo dalle soperchierie del padrone sovietico: la più grave e blasfema di tutte le eresie in cui un capo comunista possa incorrere. (12 giugno 1984) *Se fino a che punto i piduisti – a parte il manipolatore Gelli, e forse qualche altro – fossero un branco di delinquenti golpisti, non siamo riusciti a capirlo. Abbiamo capito soltanto che gran parte di essi occupavano, forse grazie alla P2, posizioni di rilievo, e quindi parecchio ambite, ma ambite anche da molte persone che, per il fatto di non appartenere alla P2, avevano ora, grazie anch'esse alla P2, la possibilità di occuparle. Di fatti accertati e meno ancora di crimini provati, siamo andati invano alla ricerca delle 34.847 pagine della commissione. Vi abbiamo trovato soltanto ipotesi, illazioni, accostamenti di nomi e di episodi. Tutta roba che in mano a Le Carré poteva fruttare chissà quali affascinanti trame. In mano alla signorina [[Tina Anselmi|Anselmi]], resta cicaleccio di portineria. Ma questa è un'altra storia. (19 marzo 1985) *Quanto al moribondo [[Michele Sindona|Sindona]] [...] se fossi stato uno dei giudici popolari che l'altro giorno gli comminarono l'ergastolo, anche io avrei votato come loro pur sapendo che la mia endemica insonnia non ne avrebbe avuto giovamento. Comunque mi sembra che con questa fine, preceduta da quasi un decennio di rovine, umiliazioni, fughe e galere, egli abbia abbondantemente scontato, quali che siano, i suoi delitti. Che ora lo lascino riposare in pace e che pace sia all'anima sua. (22 marzo 1986) *I dieci giorni che sconvolsero il mondo furono in realtà dieci ore: quante ne bastarono alle poche «guardie rosse» reclutate in fretta e furia dai bolscevichi per occupare, senza nessuna resistenza, la Centrale delle poste e telefoni, la stazione ferroviaria, la Banca di Stato, e per spostare l'incrociatore ''Aurora'' di fronte al palazzo d'Inverno, dove ancora si trova, cimelio e monumento al fatidico evento, e dove il governo sedeva [...]. Non fu un assalto. Fu una «retata». L'''Aurora'' non sparò che una dozzina di colpi, di cui solo tre andarono a segno. In tutto, la conquista di questa Bastiglia russa costò, da ambo le parti, un morto, anzi una morta – perché fu una soldatessa che, pare, si suicidò – e diciotto feriti. Il [[Rivoluzione russa|Fasto]] [...] è un falso in atto pubblico. Si dirà che una rivoluzione non si misura dal numero dei morti. Certo: l'abbiamo detto anche noi. La rivoluzione poi venne, e che rivoluzione! Ma venne dall'alto, e per mano di despoti che di morti ne fecero in pochi anni più di quanti lo zarismo ne avesse fatti in secoli. (6 novembre 1987) *Tutto pensavo che potesse capitarmi, fuorché di essere un giorno tentato di spendere qualche parola, per poco che valga, in difesa di Togliatti. [...] Un processo a Togliatti per stalinismo, se glielo intentano i socialisti, che nell'era dello Stalinismo gli fecero da mosca cocchiera, è una burletta. Se lo intentano i comunisti – come sembra che qualcuno di loro voglia fare –, oltre che oltraggio al pudore, diventa quiescenza alla voce del nuovo padrone, cioè stalinismo della più brutt'acqua, anzi una parodia dello Stalinismo. Per la caccia alle streghe, anche dello Stalinismo, ci vogliono degli stalinisti doc, qual era Togliatti. Non è roba da dilettanti, quali sono i suoi pallidi epigoni. (3 marzo 1988) *La fine del Muro è una cosa buona, la fine di una vergogna: non possiamo che salutarla con soddisfazione. Ma guardiamoci dal prendere abbaglio sui suoi moventi. Ulbricht concepì e Honecker realizzò il muro per impedire che i tedeschi dell'Est fuggissero in massa nella Germania dell'Ovest: già 9 (diconsi nove) milioni lo avevano fatto fin allora. E il rimedio fu, come tutti quelli che escogitano nei regimi totalitari, drastico e semplicistico: murare viva la gente dietro una colata di cemento, senza pertugi. [...] Abbiamo in uggia le astrazioni. Ma ciò che distingueva le due Germanie è l'idea morale e giuridica dell'uomo: che a Ovest è padrone di se stesso, e quindi può andarsene dove vuole: ad Est è proprietà dello Stato che ne regola i movimenti. Per chi non ricorda questo, il [[Muro di Berlino]] era, oltre che barbaro, incomprensibile e irrazionale: mentre invece ha obbedito a una sua logica. Nel momento in cui il bunker si affloscia e sopravvive come mero ammasso di cemento ricordandoci un altro bunker, quello che fece da fossa di [[Adolf Hitler|Hitler]] (anche questo pare impossibile: ma i regimi in Germania muoiono nei bunker), il Muro va ricordato per ciò che è stato: non un'aberrazione del comunismo, ma una sua conseguente applicazione. E se crolla così, nel silenzio assordante di un giornale-radio, è perché è crollata, prima, l'ideologia che lo aveva eretto. (11 novembre 1989) *Negli anni Trenta, per le strade di Berlino, risuonava il grido: ''ein Volk, ein Reich, ein Führer'': un popolo, uno Stato, un capo. Stavolta si sono contentati di scandire ''ein Volk, ein Reich''. Non potevano aggiungere, checché ne dica il sig. Ridley, ''ein Kohl'', che fra l'altro significa «cavolo». Ma {{NDR|ai tedeschi}} per diventare i padroni dell'Europa anche un cavolo gli basta. (3 ottobre 1990) *Abbiamo fatto poco: il poco che il Paese dei [[Roberto Formigoni|Formigoni]], dei Cristofori, degli Sbardella, dei [[Ernesto Balducci|Balducci]], dei [[Antonio Bello|vescovi di Molfetta]] poteva fare. Non lamentiamoci se il posto che ci verrà assegnato nel ristabilimento dell'ordine internazionale sarà nell'anticamera, non nella camera dei bottoni. Però sia chiara una cosa: che a gridare «Viva la pace!» siamo qualificati oggi soltanto noi che abbiamo auspicato la guerra contro chi la pace l'aveva turbata e, se lo si lasciava fare (non è un ipotesi, è una constatazione), avrebbe continuato a turbarla in un crescendo di colpi e di aggressioni. (1º marzo 1991) *I voti dei democristiani novaresi non sono andati al partito; sono andati a [[Oscar Luigi Scalfaro|Scalfaro]], democristiano talmente anomalo, che si permette persino di credere in Dio. [...] Il vecchio magistrato conosce il suo mestiere, e sa benissimo di operare in un Paese in cui la mamma dei Casson è sempre incinta. In nome della Legge, le leggi le farà funzionare. Insomma siamo sicuri che starà in Quirinale come un italiano deve starci: da straniero. Unico pericolo: le prediche. Anche [[Luigi Einaudi|Einaudi]] le faceva. Ma le chiamava «inutili». (26 maggio 1992) *Da dove siano venuti tutti i «no» non lo sapremo mai con precisione, ma una cosa è certa. Questo è il colpo di grazia al sistema dei partiti e della classe politica che lo rappresenta, e un colpo durissimo all'immagine del Paese pronto a fare pulizia che l'Italia si stava faticosamente costruendo all'estero. Senza giovare nemmeno a [[Bettino Craxi|Craxi]], che non potrà certo ricostruire la sua carriera sulla votazione di ieri, anzi. Se c'è ancora qualcuno che dubita sulla necessità di un pubblico processo, non solo a lui, ma a tutta la corte di faccendieri che lo circondava, alzi la mano, o meglio nasconda la faccia. (30 aprile 1993) *Questo è l'ultimo articolo che compare a mia firma sul giornale da me fondato e diretto per vent'anni. Per vent'anni esso è stato – i miei compagni di lavoro possono testimoniarlo – la mia passione, il mio orgoglio, il mio tormento, la mia vita. Ma ciò che provo a lasciarlo riguarda solo me: i toni patetici non sono nelle mie corde e nulla mi riesce più insopportabile del piagnisteo. [...] A presto dunque, cari lettori. Anche a costo di ridurlo, per i primi numeri, a poche pagine, riavrete il nostro e vostro giornale. Si chiamerà ''La Voce''. In ricordo non di quella di [[Frank Sinatra|Sinatra]]. Ma di quella del mio vecchio maestro – maestro soprattutto di libertà e indipendenza – [[Giuseppe Prezzolini|Prezzolini]]. (12 gennaio 1994) {{Int|''Rituale barbarico''|Articolo su ''il Giornale nuovo'', 10 maggio 1978.|h=4}} *La fine di [[Aldo Moro]] ci rende sgomenti, il fanatismo di chi lo ha ucciso lentamente, togliendogli la speranza prima di toglierli la vita, ci riempie di orrore. Speriamo ancora che la tracotanza dei criminali sia un giorno punita. L'importante, adesso, è che il Paese, proprio per rendere omaggio a Moro, e proprio in memoria di lui, sappia trarre da questa tragedia l'amara lezione che essa comporta. La democrazia non deve, anzi non può essere debole. La libertà, che la rende superiore a qualsiasi altro regime, ma anche più vulnerabile, non va conclusa con la indulgenza verso i nemici, la imprevidenza, la leggerezza. *Lo Stato italiano ha superato con onore questa prova difficile, ma la magistratura e gli organi di polizia hanno denunciato, nella loro azione, una desolante inefficienza, che ha permesso alle brigate rosse di operare con irridente spavalderia. Ne va data colpa non tanto alle forze dell'ordine quanto a chi ha voluto, per demagogia, per compiacere le sinistre, per acquistare facile popolarità, smobilitare i servizi segreti, rimuovere i funzionari più ligi al dovere, trasformare le carceri in alloggi con libera uscita quotidiana. Gli eversori della democrazia, i contestatori della legalità hanno potuto predicare e demolire senza ostacoli. Ci auguriamo di non vederli ora associati ipocritamente al compianto per un delitto del quale sono, ideologicamente se non materialmente, corresponsabili. Le loro non erano soltanto parole. Un giovane sfracellato da un ordigno sulla ferrovia Trapani-Palermo – l'episodio è di ieri – apparteneva a Democrazia proletaria. I banditi che hanno assalito a Bologna un grande magazzino venivano dal Movimento studentesco. È inutile che questi gruppi ostentino adesso costernazione e stupore per le belluine imprese delle brigate rosse. Il terrorismo è figlio loro. *All'annuncio della fine di Aldo Moro i sindacati si sono mossi, hanno indetto manifestazioni e proclamato uno sciopero generale. Siamo certi della loro profonda esecrazione, e della loro sincera partecipazione al cordoglio nazionale. Pensiamo tuttavia che i lavoratori e i loro rappresentanti darebbero un apporto più costruttivo alla lotta contro i terroristi tenendo d'occhio gli estremisti delle fabbriche, troppe volte protetti e difesi. Così pure gli studenti «impegnati», se proprio vogliono dissociarsi dalle brigate rosse, devono estromettere dalle loro file gli agitatori deliranti, e dinamitardi che nascondono bottiglie molotov e armi negli scantinati delle facoltà. Chi ha chiuso gli occhi di fronte alla ''escalation'' di violenza degli anni scorsi, li chiuda oggi per non lasciar scorrere lagrime di coccodrillo. {{Int|''Poveri morti poveri vivi''|Articolo su ''il Giornale'', 31 maggio 1985.|h=4}} *L'[[Inghilterra]] non sono i forsennati che abbiamo visto all'opera nello stadio di Bruxelles. L'Inghilterra sono la [[Margaret Thatcher|Thatcher]], i politici, i commentatori di stampa, radio e televisione, la gente intervistata per strada, che hanno confessato la loro vergogna a una voce, con una sola stecca: quella del ministro dello Sport che con le sue dichiarazioni si è messo sullo stesso piano degl'imbestialiti. Comunque, Dio ci guardi ora dai soliti sproloqui e dibattiti dei sociologi sui motivi di «tifo» e sui mezzi d'impedirne gli eccessi. Non ce ne sono, se non nel controllo che ognuno può e deve esercitare su di sé. *La strega non è il «tifo» che dallo sport è inseparabile. E non siamo nemmeno noi, come vogliono i cantautori del «siamo tutti colpevoli» che ieri giornali e radio hanno intitolato. Perché, se di qualcosa siamo colpevoli, è di aver sempre secondato la corruttrice e demagogica tendenza a scaricare l'individuo di ogni responsabilità, rigettandola regolarmente e interamente sulla società. È la società che ci obbliga a rubare, è la società che ci obbliga ad uccidere. E si capisce che quando si offrono alla gente di questi alibi, c'è sempre qualcuno che ne approfitta. Stamane leggevo su un giornale francese un dotto articolo in cui si spiegava che la furia dei tifosi del [[Liverpool Football Club|Liverpool]] era dovuta al fatto che, essendo quasi tutti minatori, per un anno erano rimasti senza lavoro a causa dello sciopero: il che gli aveva fatto accumulare la rabbia che poi era scoppiata a Bruxelles. Insomma, senza dirlo, l'articolo induceva alla conclusione che il vero responsabile del massacro era la signora Thatcher. Ecco in che senso siamo tutti colpevoli. Siamo colpevoli di assolvere tutti come vittime innocenti di una società iniqua che, a furia di essere tutti noi, non è nessuno. È un giuoco a cui non ci stiamo. I responsabili di Bruxelles sappiamo chi sono: sono i delinquenti che abbiamo visto avventarsi, prima che la partita cominciasse, e quindi senza alcuna provocazione, contro i tifosi italiani con sbarre e coltelli di cui erano accorsi armati, con l'evidente intenzione di farne l'uso che ne hanno fatto. Delinquenti, non vittime. La società non c'entra, non c'entrano le miniere. Casomai l'alcol. Ma ne avevano ingerito per delinquere meglio. Speriamo che la polizia li identifichi e li consegni a quella inglese. Della quale possiamo fidarci. {{Int|''I rieccoli''|Articolo su ''il Giornale'', 20 gennaio 1990.|h=4}} *Scorrendo le cronache delle agitazioni studentesche di questi giorni avevo avuto per un momento l'impressione, o l'illusione, che esse si fondassero sui problemi concreti dell'università, e che fossero qualcosa di diverso, e di migliore della grottesca ubriacatura sessantottina. Ma quando giovedì sera, nella trasmissione televisiva ''Samarcanda'', è stato lanciato contro [[Mario Cervi]] il rituale e vile epiteto «fascista!» (e questo solo perché aveva mosso obiezioni agli sproloqui assembleari di Roma e di Palermo), ho capito che vent'anni dopo è come vent'anni prima. La protesta è un pretesto, il legittimo scontento diventa arma politica, gli appelli al dialogo si risolvono in volontà di sopraffazione, di discussione su ciò che nell'università deve essere cambiato sfocia in un attacco globale al governo, alla società, al sistema. L'unica connotazione sessantottina che ancora manca è la violenza fisica. Ma temo che non tarderà ad arrivare se chi dissente è bollato come fascista e chi governa (è capitato ad [[Giulio Andreotti|Andreotti]], a Palermo) come mafioso. *Quanto alla legge Ruberti, Cervi ha osservato che viene presa di mira perché consentirebbe un limitato ingresso dei privati nella gestione delle università: e al solo sentir parlare di «privato» – che le folle e i giovani dell'Est chiedono con slancio entusiastico – gli epigoni nostrani del [[marxismo-leninismo]] sono presi da convulsioni. [...] La legge Ruberti è passata in sott'ordine, il punto centrale del dibattito – o piuttosto della successione di sproloqui, intimazioni e insulti – è diventato il degrado di questa povera Italia privatizzata, che invece conoscerebbe fulgidi destini se fosse tutta pubblica e stabilizzata. Gli ''slogans'', le utopie, le bugie e le dissennatezze sessantottine o settantasettine riemergevano dalle pagine dei libri e dalla polvere degli archivi, per imitazione o per transfert generazionale. *Tirava aria romena o cecoslovacca in quelle assemblee: ma della Romania e della Cecoslovacchia di [[Nicolae Ceaușescu|Ceausescu]] e di Husak, con l'idolatria dello Stato, con gli applausi unanimi, con la riduzione al silenzio degli oppositori. S'è sentito, a proposito sempre di Cervi, il sinistro termine «provocazione» con cui tutti gli oppressori legittimano i loro soprusi. Qualcuno di quei ragazzi pretende che esistano parentele tra questo movimento e quelli dell'Est, dimenticando che là ci si batte, a rischio della pelle, per instaurare non il regime dello statalismo, ma al contrario per abbatterlo e introdurre o reintrodurre quello di iniziativa privata in tutti i campi, compreso quello della cultura e della scuola. Che siano diventati, gli studenti di Berlino, di Praga, di Bucarest, fascisti anche loro? ====''Controcorrente – rubrica''==== {{cronologico}} *La cosa che più ci turba, delle nostre sconfitte sportive, è il grande, alluvionale bisticcio che si scatena fra i «tecnici» per giustificarle. Per quella di Stoccarda, che ci ha eliminato dal campionato del mondo, ne avremo – temiamo – per tutta l'estate: se ne parlerà più che di Caporetto. Noi tecnici non siamo, ma abbiamo la nostra idea. È questa: che non si possono mandare dei polli di batteria a competere con quelli ruspanti. Resta da capire perché noialtri non sappiamo allevare che polli di batteria. Ma ci sembra che questo sia sufficientemente spiegato da un piccolo episodio occorso a Roma, dove un gruppo di tifosi ha creduto di «vendicare» i suoi campioni (si fa per dire) assalendo con pomodori e uova l'ambasciata di Polonia. Ecco. Per un paese in cui la «sana passione sportiva» si effonde in simili manifestazioni, quegli undici mammozzi dalle gambe molli sono fin troppo, e fin troppo misericordiose le disfatte che subiscono. (25 giugno 1974) *Noi, di [[Fascismo|fascismi]] ne conosciamo e ne esacriamo uno solo: quello di chi appiccica questa etichetta a qualunque idea o opinione che non corrisponde alle sue. Di questo giuoco, la nostra [[sinistra in Italia|sinistra]] è spesso maestra. Non per nulla lo stesso [[Benito Mussolini|Mussolini]] veniva dai suoi ranghi. (10 luglio 1974) *In una conferenza stampa a Nuova Delhi, [[Henry Kissinger]] ha dichiarato che verrà a Roma e andrà a pranzo dal presidente Leone, ma non parlerà di politica perché quella italiana è, per lui, troppo difficile da capire. È la prima volta che Kissinger riconosce i limiti della propria intelligenza. Ma vogliamo rassicurarlo. A non capire la politica italiana ci sono anche cinquantacinque milioni di italiani, compresi coloro che la fanno. (31 ottobre 1974) *[[Dario Fo]], poeta di corte dell'ultrasinistra, flagella nella sua ultima fatica teatrale il senatore [[Amintore Fanfani]], responsabile di ogni nequizia passata, presente e futura. I sarcasmi più grevi hanno però come bersaglio il metraggio del notabile democristiano che, come tutti sanno, non è quello di un granatiere. [[Henri de Toulouse-Lautrec|Toulouse-Lautrec]], che per gli stessi motivi dovette per tutta la vita subire analoghe canzonature, disse una volta, giocando sulla lunghezza del suo doppio casato: «Ho la statura del mio nome». Non sappiamo se questo discorso si possa applicare a Fanfani. Certo, si applica a Fo. (11 giugno 1975) *[[Winston Churchill|Churchill]] diceva che «i panni dei servizi segreti si possono, anzi si devono lavare più spesso degli altri; ma, a differenza degli altri, non si possono mettere ad asciugare alla finestra». Dello stesso parere era [[Stalin]] che regolarmente, ogni tre o quattro anni, il lavaggio lo praticava facendo accoppare al buio i capi della sua polizia, nel presupposto – probabilmente fondato – che a far quel mestiere non potevano essere che arnesi da forca, e quindi era giusto che ci finissero. Gli [[Stati Uniti d'America|americani]] seguono tutt'altro criterio. Essi hanno trascinato la ''[[Central Intelligence Agency|Cia]]'' in televisione denunciandone ''coram populo'' fatti e misfatti. I suoi capi ne hanno commessi, dicono, di grossi. Ma il più grosso è forse quello di non aver capito che l'America non li paga per svolgere servizi segreti, ma per offrire agli americani il pretesto per vergognarsene. È l'unico popolo che goda più nel pentimento che nel peccato. (28 novembre 1975) *Non sempre, per redigere questa piccola rubrica, occorre forzare la fantasia. Qualche volta basta lasciare la parola alle agenzie di stampa ufficiali. Eccone un caso. L'agenzia Adn Kronos comunica: «Due giorni di sciopero sono stati dichiarati dai sindacati postelegrafonici milanesi per il 28 gennaio e per il 6 febbraio per protesta contro gli scioperi e i disservizi». (25 gennaio 1976) *L'Unità ci rimprovera di aver pubblicato il manifesto degl'intellettuali in favore della libertà. E ha ragione. Si tratta infatti di una illecita concorrenza perché finora i manifesti, gli appelli, le «veglie» e tutto il resto sono stati monopolio del Pci, unico partito capace di far cantare la gente in coro. Ma appunto per questo non vediamo di che si preoccupi. Gl'[[intellettuale|intellettuali]] italiani che preferiscono aver ragione da soli piuttosto che torto con gli altri, sono pochi. I più seguono la massima di [[Paul-Jean Toulet|Toulet]]: «Quando i lupi urlano, urla con loro». (1º giugno 1976) *Ieri [[Mario Melloni|Fortebraccio]], dalle colonne dell'«[[l'Unità|Unità]]», ha invocato per noi, previa qualche iniezione, il ricovero immediato, e a titolo definitivo, in manicomio. La cosa non ci stupisce: sappiamo benissimo che di manicomi e di iniezioni nessuno s'intende più dei comunisti: chi c'è passato giura che ci hanno fatto una mano da maestri. Ci stupisce però che Fortebraccio lo abbia implicitamente – e un po' anzitempo – riconosciuto. Forse gli è scappata. Alla sua età, succede. (10 dicembre 1976) *Cadendo oggi il trigesimo della scomparsa di Pietro Valdoni, vogliamo rievocare un episodio del grande chirurgo. Come tutti ricorderanno, fu lui ad operare, salvandogli la vita, [[Palmiro Togliatti]], ferito alla testa dalla rivoltella di Pallante. Quando ricevette la parcella, Togliatti la trovò salata, e accompagnò il pagamento con queste parole: «Eccole il saldo, ma è denaro rubato». Valdoni rispose: «Grazie per l'assegno. La provenienza non mi interessa» (23 dicembre 1976) *«Dio non è un maschio» assicura alle femministe Civiltà Cattolica, l'autorevole rivista dei gesuiti, scusandosi «delle tracce di antifemminismo che ancora sono nella Chiesa». Brutto segno quando i teologi si mettono a discutere di sesso. Fu mentre i bizantini si accapigliavano su quello degli angeli che arrivarono i turchi. (21 giugno 1977) *Riferiscono le cronache che l'America è in subbuglio per la morte di [[Elvis Presley]]. Oltre centomila persone si sono riversate a Memphis, sua ultima dimora, due donne sono rimaste uccise nella calca che si stringeva intorno alle spoglie del cantante. Il sindaco ha fatto abbrunare le bandiere in tutta la città, il presidente [[Jimmy Carter|Carter]] è stato flagellato di proteste perché non aveva proclamato il lutto nazionale e uno gli ha gridato al microfono: «Noi americani dobbiamo più a Presley che a [[George Washington|Washington]] e a [[Abraham Lincoln|Lincoln]] sommati insieme». Anche noi italiani dobbiamo qualcosa a Presley: una delle rare occasioni in cui preferiamo essere italiani piuttosto che americani. (20 agosto 1977) *È in corso una iniziativa per l'abolizione, nelle aule scolastiche, della pedana su cui si eleva la cattedra. Il perché lo avrete già capito: l'insegnante deve mettersi, anche materialmente, a livello degli alunni per non lederne la dignità e dimostrare con l'esempio che siamo tutti uguali. Giusto. «La via dell'uguaglianza – dice Rivarol – si percorre solo in discesa: all'altezza dei somari è facilissimo instaurarla». (29 ottobre 1977) *Fra gli annunci economici di Lotta Continua, ne è comparso uno che dice: «Compero a L. 100.000 una tesi di laurea, anche già presentata, purché tratti un argomento attinente all'[[Inghilterra]], o alla lingua, storia, letteratura inglese. Meglio se con una impostazione femminista». Curioso. Questi grandi [[Rivoluzione|rivoluzionari]], che dicono di battersi per costruire una società nuova di zecca, quando si tratta di lauree, si contentano anche di quelle usate e di seconda mano. (3 marzo 1978) *Credevamo che l'assassinio di Aldo Moro, così come è stato eseguito, fosse il colmo dell'infamia. Abbiamo dovuto ricrederci. Al comizio di protesta svoltosi in piazza Duomo a Milano subito dopo la macabra scoperta in via Caetani a Roma, un gruppo di ultrà ha gridato: «Moro fascista!». Preferiamo le [[zanne]] delle belve alla [[bava]] degli [[Sciacallo|sciacalli]]. (10 maggio 1978) *Ecco il nostro telegramma di congratulazioni e auguri a Pertini: «Che Dio le conceda il coraggio, Presidente, di fare le cose che si possono e che si debbono fare; l'umiltà di rinunziare a quelle che si possono ma non si debbono, e a quelle che si debbono ma non si possono fare; e la saggezza di distinguere sempre le une dalle altre». (9 luglio 1978) *Dall'indagine svolta da uno dei più seri istituti di ricerche demografiche, lo svizzero Scope, risulta che la professione più ammirata e rispettata, nel mondo, è quella dei medici. I giornalisti sono al penultimo posto. Ce ne sentiremmo profondamente avviliti se all'ultimo non vedessimo catalogati gli editori. (29 novembre 1978) *Prima di partire per Vienna, il presidente {{NDR|degli Stati Uniti}} [[Jimmy Carter|Carter]] ha fatto due dichiarazioni. La prima: «Ci auguriamo che il signor Breznev {{NDR|allora presidente dell'Unione Sovietica e Primo Segretario del PCUS}} abbia per le nostre ragioni la stessa comprensione che noi abbiamo per le sue». La seconda: «Se Ted Kennedy si presenta contro di me alle elezioni presidenziali, gli faccio un c.o così» Il triviale [[Richard Nixon|Nixon]] avrebbe potuto dire le stesse cose, ma certamente ne avrebbe invertito l'ordine di priorità riservando la comprensione a Kennedy ed il c.o a Breznev. La differenza fra i due è tutta qui. (16 giugno 1979) *Avvicinandosi il 25 dicembre, decine di migliaia di teneri [[abete|abeti]] vengono strappati dai boschi della Penisola per allestire il tradizionale albero di Natale. Ogni anno lo scempio si ripete, tra la generale indifferenza. Soppresso l'Ente protezione animali, figuriamoci se qualcuno ha voglia di proteggere gli alberi. Diciamo la verità: la sola pianta che interessi all'[[italiano medio]] è la pianta stabile. (19 dicembre 1979) *Nel Manifesto di domenica scorsa tale K.S. Karol faceva considerazioni amare sulla rivoluzione cubana e sui suoi fallimenti: «[[Fidel Castro|Fidél]] – ha ricordato il commentatore, uno dei tanti orfani delle illusioni di sinistra – prometteva ai cubani per il 1965 un tenore di vita pari a quello svedese». Certo Fidél si è sbagliato di grosso; non per cattiva volontà, ma per mancanza di uomini, anzi di un uomo. Sarebbe bastato che anche la Svezia avesse uno suo Castro al potere per ritrovarsi in pochissimi anni con un tenore di vita pari a quello cubano. (15 aprile 1980) *Riferiscono le cronache che quando è giunta in tribunale la notizia dell'assassinio di Walter Tobagi, il brigatista Corrado Alunni l'ha accolta con una sghignazzata di tripudio. Abbiamo sempre combattuto la pena di morte sul presupposto che l'uomo non ha il diritto di uccidere l'uomo. Il presupposto lo confermiamo. Ciò di cui cominciamo a dubitare è che gli Alunni e quelli come lui siano uomini. Sui cadaveri sghignazzano le jene. (30 maggio 1980) *A Mirafiori, parlando agli operai della Fiat in sciopero, il sindaco di Torino, Novelli, se l'è presa coi giornalisti e li ha additati all'uditorio come falsari che ricalcano i loro resoconti non sui fatti, ma sulle «veline» distribuite loro dai «padroni». Anche Novelli ha fatto il giornalista in un foglio comunista, e quindi di veline e di padroni è certamente un intenditore. Ma se dopo questa denuncia ci scappa un altro Casalegno, sarà molto gradita la sua assenza ai funerali. (8 ottobre 1980) *Grandi elogi – dopo il successo del blitz di Trani – alle «teste di cuoio» italiane. La loro azione ha dimostrato quanto poco valesse la strategia della flessione propugnata di alcuni personaggi. Teste anche loro: ma di che? (31 dicembre 1980) *Fra i tanti slogans che il partito socialista francese ha lanciato in occasione delle elezioni presidenziali per rassicurare i bravi borghesi sottolineando il proprio carattere moderato e riformista, abbiamo letto anche questo: «Il socialismo può fare di chiunque un milionario». Ci crediamo senz'altro. A patto che quel chiunque fosse prima un miliardario. (8 maggio 1981) *Per gl'italiani, finora, il nome di Gelli era quello dell'autore del più famoso e autorevole codice cavalleresco. Anche oggi rimane legato a un codice. Quello penale. (9 maggio 1981) *L'elenco degli affiliati alla P2 comprende, dicono, 953 nomi, cui corrispondono i più alti gradi della politica, della magistratura, delle forze armate, della burocrazia, dell'industria, della finanza. Tutti «fratelli». È la riprova che, in questo Paese, guai ai figli unici. (11 maggio 1981) *Macché pazzo! L'attentatore del Papa deve essere un furbo matricolato. Dichiarandosi seguace di George Habbas e della causa palestinese, ha cercato di procurarsi la solidarietà dei molti, dei moltissimi, che non battono ciglio quando un terrorista cerca di spedire qualcuno all'altro mondo. Purché il terrorista appartenga al terzo. (16 maggio 1981) *Studiosi cinesi, mettendo a confronto reperti di ominidi dissimili tra loro tanto da far pensare che l'uomo discenda anche da animali diversi dalla [[scimmia]], sono arrivati alla conclusione che i nostri progenitori erano comunque scimmie, ancorché di specie differenti. Ci pare logico. Quale altro animale avrebbe potuto imitare la scimmia che ha dato l'avvio alla razza umana se non un'altra scimmia priva di senso critico? (19 maggio 1981) *Una nostra redattrice andata per una sua cronaca sul femminismo alla «libreria delle donne» in via Dogana a Milano, è stata accolta da una di loro con queste parole: «Con te non parlo perché sei di un giornale fascista, e anche tu hai la faccia da fascista». La nostra redattrice, che ha ventun anni, probabilmente non sapeva bene cosa fosse il fascismo. Ora lo sa: lo ha imparato in quella libreria. (4 novembre 1981) *Come previsto, la Juventus ha conquistato il [[Serie A 1981-1982|ventesimo scudetto]] battendo il Catanzaro. Una vittoria di rigore. (17 maggio 1982) *Socialisti e comunisti si sono opposti alle sanzioni economiche contro l'Argentina perché, hanno detto, una buona metà degli argentini sono di origine italiana, e molti di loro conservano tutt'ora la nostra nazionalità. Vero. Ma non ci eravamo accorti che queste sinistre spasimassero tanto d'amore per i nostri connazionali di laggiù quando si trattava di riconoscergli il diritto di voto. (22 maggio 1982) *Se si va avanti di questo passo, la [[guerra delle Falkland]] (o Malvine) finirà quando l'ultimo aereo argentino sarà abbattuto col suo carico di bombe sull'ultima nave inglese. E dire che questa lotta di leoni si svolge per un'isola di Pecore. (27 maggio 1982) *Tutti abbiamo trepidato ieri, davanti al televisore, per le sorti della squadra azzurra, tutti ci siamo entusiasmati alle sue gesta, tutti abbiamo salutato con orgoglio la sua vittoria. Ma il tipo di patriottismo che questa ha suscitato nelle strade delle nostre città, messe a soqquadro dai tifosi scalmanati che usavano il tricolore a copertura del peggior teppismo, ci ha fatto rimpiangere di non essere nati brasiliani. (6 luglio 1982) *Mai visto così tanto entusiasmo patriottico, tanti tricolori per le strade come per la finale degli azzurri al Mundial. Nella tomba di Caprera, le ossa di [[Giuseppe Garibaldi|Garibaldi]] fremono di invidia. Per unificare l'Italia «in un solo grido, in una sola passione» gli erano accorsi mille uomini. A [[Enzo Bearzot|Bearzot]] ne sono bastati undici. (12 luglio 1982) *Gli scrittori [[Mario Soldati]] (Psi) e [[Gianni Brera]] (Psi) sono stati trombati {{NDR|non sono stati eletti}}. Peccato. Il Parlamento era l'unico posto in cui, dovendo parlare per gli altri, forse avrebbero finalmente taciuto. (1º luglio 1983) *Che [[Bettino Craxi|Craxi]] sia uomo di grandi capacità e ambizioni, lo si sapeva. Che sia anche uomo di grande coraggio, lo si è visto ieri, quando pronunciava alla Camera il suo discorso di replica. Per due volte si è interrotto alla ricerca di un bicchier d'acqua. Per due volte [[Giulio Andreotti|Andreotti]] glielo ha riempito o porto. E per due volte lui lo ha bevuto. (13 agosto 1983) *Condannato dal tribunale di Reggio Emilia per bestemmie e turpiloquio contro la Chiesa, [[Roberto Benigni]] avrebbe qualche ragione di considerarsi vittima di un'ingiustizia. Proprio il giorno prima la Chiesa riabilitava [[Martin Lutero]], scomunicato ai suoi tempi pressappoco per gli stessi motivi. Come cambia, coi tempi, la sorte degli uomini! È inquietante pensare che Benigni, se fosse vissuto cinquecent'anni fa, sarebbe forse diventato Lutero. Ma addirittura sconvolgente è che Lutero, se fosse nato cinquecent'anni dopo, sarebbe forse diventato Benigni! (8 novembre 1983) *Il più autorevole giornale americano di economia e finanza, il Wall Street Journal di martedì 10 gennaio, è incorso in un curioso lapsus. Parlando del concordato fra lo Stato italiano e la Santa Sede, scrive che esso «venne firmato nel 1929 da Bettino Mussolini». Chissà, se lo legge, come si arrabbia Benito Craxi. (12 gennaio 1984) *È comparsa sui giornali la pubblicità di una nuova opera di Fanfani, intitolata «La Dc e la svolta degli anni 80». L'editore avverte che si tratta di un libro formato «tascabile». Dato l'autore, poteva andare diversamente? (16 gennaio 1984) *È vero: la [[Juventus Football Club|Juventus]], a Basilea, non ha fatto una gran figura. Giocando con più cervello, poteva vincere comodamente 4-0. Ma attenti a non giudicare troppo severamente il Porto. Quello di Genova va molto peggio. (18 maggio 1984) *Il trentanovenne James Nelson, condannato da un tribunale di Londra a quindici anni per avere ucciso la madre a colpi di mattone, ha sentito, chiuso in cella, la vocazione sacerdotale: si è messo a studiare teologia, e ora sta per diventare prete nella chiesa scozzese. «È mia intenzione – ha dichiarato – contribuire alla edificazione di una nuova società». Si può credergli: i mattoni ha dimostrato di saperli usare. (25 maggio 1984) *L'agenzia Agi informa, con un drammatico flash, che il ministro [[Giulio Andreotti|Andreotti]], «impegnato in una riunione superistretta con gli altri 15 ministri degli esteri della Nato, perderà la partita [[Associazione Sportiva Roma|Roma]]-[[Liverpool Football Club|Liverpool]]». È giusto il fatto che faccia notizia: è la prima volta che Andreotti perde qualcosa. (31 maggio 1984) *Presso la Presidenza del Consiglio, a palazzo Chigi, è stata istituita una commissione di giuristi per la completa parificazione dei diritti fra i due sessi. Finalmente! Era ora che ce la riconoscessero, a noi uomini. (16 ottobre 1984) *La riforma dei programmi della scuola elementare, cui sta lavorando il Ministro Falcucci, introdurrà nella terza, quarta e quinta classe l'insegnamento di una lingua straniera. Non è specificato quale. Speriamo che si tratti dell'italiano. (21 gennaio 1985) *Un certo [[Nichi Vendola]], dirigente della Federazione giovanile comunista, ha lanciato l'idea di riconoscere formalmente un «diritto dei bambini ad avere rapporti sessuali tra loro o con gli adulti». Vendola ha detto di aver attinto questa idea all'esperienza di molti padri. A conferma di quanto scrive [[Georges Courteline|Courteline]] nella sua «Filosofia»: «Uno dei più chiari effetti della presenza di un bambino in una casa è di rendere completamente idioti dei genitori che forse, senza di lui, sarebbero stati degl'imbecilli comuni». (26 marzo 1985) *I tecnici di calcio sono rimasti stupiti dalla prova del [[Real Madrid Club de Fútbol|Real Madrid]] che nella semifinale della coppa Uefa ha letteralmente travolto i modesti giocatori dell'[[Football Club Internazionale Milano|Inter]]. I madrileni hanno proprio vinto a biglia sciolta. (26 aprile 1985) *Quando [[Sandro Pertini]] è apparso sul video di Raiuno che trasmetteva la premiazione del concorso ippico di Roma, il cronista ha commentato: «Anche i cavalli, come vedete, sono gentili col Presidente». Era vero. Forse meritano di essere fatti cavalieri. (5 maggio 1985) *I tifosi rossoneri sono in festa per la notizia che Berlusconi sta per acquistare il loro Milan. Sono convinti che in un battibaleno ne farà una squadra da scudetto, da coppa delle coppe, da tutto, e forse hanno ragione. C'è un solo pericolo: che il neo-presidente voglia fare anche il direttore tecnico, l'allenatore, il massaggiatore, il capitano e il centrattacco. Il che potrebbe andar anche bene. Ma ad una condizione: che possa fare anche l'arbitro. (27 dicembre 1985) *Rete Quattro e Italia 1 sono state multate per violazione del decreto che proibisce la propaganda al consumo del tabacco. Lo spot incriminato è quello che, parlando del «Camel Trophy», ostentava un pacchetto di sigarette della ditta sponsorizzatrice. Strano Paese, il nostro. Colpisce i venditori di sigarette, ma premia i venditori di fumo. (13 marzo 1986) *Molti lettori ci chiedono quale missione sta svolgendo l'on. Capanna a Tripoli, quali motivi l'hanno spinto da Gheddafi. Non ne sappiamo granché: non siamo abituati a ficcare il naso nelle altrui questioni di famiglia. (1º giugno 1986) *Oggi Paolo Pillitteri sarà designato alla successione di Tognoli come sindaco di Milano. Lo dipingono come uomo intelligente, efficace, insomma pieno di qualità. Purtroppo, gli manca quella fondamentale: il celibato. (5 dicembre 1986) *Finalmente, dopo sette anni di esilio a Gorky, l'impavido Andrei Sacharov è tornato a Mosca. Speriamo che Gorbaciov ci resti. (24 dicembre 1986) *L'agenzia Ansa riferisce che da un sondaggio operato in Francia su un pubblico internazionale, risulterebbe che il maschio italiano detiene ancora il primato mondiale della seduzione. Speriamo che i giornali non riportino la notizia: gl'italiani sarebbero capaci di crederci. (15 marzo 1987) *Per la prima volta nella storia della Corte Costituzionale, il nuovo presidente, Francesco Saja, è stato eletto al primo scrutinio. Ma il rivale sconfitto, Ferrari, ha sollevato eccezione accusando il vincitore di averlo battuto grazie a un «compromesso storico» fra elettori democristiani e comunisti, aggravato da un intrallazzo fra siciliani. Vero o falso, dalla Corte al cortile. (5 giugno 1987) *Ieri tutti i telegiornali ci hanno martellato negli occhi le immagini dei capibastone – Craxi, De Mita, Spadolini, Altissimo ecc. – che infilavano la scheda nell'urna. I loro volti raggiavano di soddisfazione. Erano gli unici elettori matematicamente sicuri di aver dato il voto al candidato ideale. (15 giugno 1987) *In una scuola di Chattanooga, nel Tennesse (Usa), due sedicenni, approfittando dell'assenza dell'insegnante, si sono baciati e hanno fatto l'amore davanti a una decina di compagni, niente affatto scandalizzati. Dato il lassismo di certe scuole americane, gli esami in cui gli studenti riescono meglio sono proprio queste prove orali. (4 giugno 1988) *Diciannove persone hanno dichiarato d'aver visto aggirarsi, tra le quinte della Scala, il fantasma di [[Maria Callas]]. Non ci meravigliamo, anche perché migliaia di altri frequentatori del massimo teatro lirico italiano sostengono da tempo di vedere, alla Scala, il fantasma della Scala. (28 giugno 1988) *Scoprendo le istituzioni britanniche con un secolo e mezzo di ritardo, i comunisti sembrano fermamente intenzionati a formare il loro «shadow Cabinet». Ma onestamente non ne afferriamo la ragione. Non c'è nessun bisogno di un governo ombra per contrastare quest'ombra di governo. (5 maggio 1989) *Da un sondaggio condotto tra i francesi risulta che il personaggio più noto d'Oltralpe è [[Marcello Mastroianni]], conosciuto dall'83 per cento degli intervistati. Il 97 per cento dei francesi invece confessa di non sapere chi sia [[Ciriaco de Mita|Ciriaco De Mita]]. Quando si dice un Paese fortunato... (20 maggio 1989) *Gerardo Iglesias, che fu segretario generale del partito comunista spagnolo dall'82 all'88, ha lasciato l'attività politica per riprendere il suo lavoro di minatore di carbone, «l'unico modo in cui posso guadagnarmi degnamente la vita». Alcuni dirigenti del Pci, a quanto risulta, vorrebbero imitarne l'esempio, tornando al vecchio lavoro. Il difficile è trovare chi ne aveva uno. (1º giugno 1990) *Durante la festosa «notte del mondiale», la polizia romana ha arrestato, nelle vicinanze dello stadio olimpico, 29 borsaioli e scippatori. Il signor [[Edgardo Codesal Méndez|Codesal Mendez]], arbitro della partita [[Nazionale di calcio della Germania|Germania]]-[[Nazionale di calcio dell'Argentina|Argentina]], non figura nell'elenco. (10 luglio 1990) *Il giudice veneziano Casson ha convocato, per la storia del Gladio, il presidente [[Francesco Cossiga|Cossiga]], e l'Italia leguleia è in subbuglio: la Costituzione, pure, si è dimenticata di precisare se il Capo di Stato può essere chiamato a rispondere, sia pure da testimone, a un qualunque magistrato. Il quale però ha ora la fotografia su tutti i giornali. E tutti possono ammirarla chiedendosi che cosa passa in quella testa, la testa di Casson. (10 novembre 1990) *Gli studenti italiani manifestano rumorosamente per la [[pace e guerra|pace]] e contro la [[pace e guerra|guerra]]. La guerra, diceva [[Georges Clemenceau|Clemenceau]], è una cosa troppo seria per lasciarla fare ai militari. Ma anche la pace è una cosa troppo seria per lasciarla fare ai pacifisti. (20 gennaio 1991) *Occupandosi – tra tanto Golfo – del Festival di Sanremo il Tg3 ci ha dato, finalmente, ieri sera, una notizia credibile: il livello delle canzoni, ha detto, è destinato a salire. Infatti: sentite le prime è impossibile che scenda. (1º marzo 1991) *Da un'indagine risulta che il 41,9% degli italiani non considera illecito l'assenteismo dal lavoro e che il 41,3% non considera peccato le infedeltà coniugali. La coincidenza delle due cifre spiega in che modo gli statali impiegano il tempo che dovrebbero dedicare all'ufficio. (3 ottobre 1991) *A quest'ora [[Ernesto Balducci|Padre Balducci]] è di fronte al Supremo Giudice, nel quale affermava di credere. Almeno a Lui dovrà spiegare non ciò che diceva contro la Chiesa, ma perché lo diceva travestito da frate. (26 aprile 1992) *Nell'ultima tornata presidenziale è emerso, con un bel pacchetto di 20 voti, Aldo Aniasi. Finalmente. In questo imperversare di tangenti e bustarelle, era ora che qualcuno si ricordasse di lui. (24 maggio 1992) *Per sfatare le malevole dicerie su certe bestie, il presidente degli «animalisti» italiani ha offerto un premio di 200 milioni a chi potrà dimostrare che i corvi scrivono lettere anonime e che le talpe fanno le spie. È vero: di simili casi non ne conosciamo. Ma di somari che fanno i presidenti, ne conosciamo parecchi. (5 luglio 1992) *Dopo le invettive e i clamori da cui il presidente del consiglio [[Giuliano Amato|Amato]] è stato accolto in Senato per la sua insensibilità alla crisi morale che investe il Paese, il dibattito sulla medesima si è svolto, a Montecitorio, in un'aula deserta. Sì, una crisi morale, per la nostra classe politica esiste: lo dimostra il vuoto in cui l'ha lasciata cadere. (14 marzo 1993) *«I socialisti – ha detto l'ex ministro della Difesa Salvo Andò – devono andare tutti nudi verso la meta di un nuovo sistema politico». Come faranno senza le tasche? (24 maggio 1993) *Il candidato del Psi per le elezioni a sindaco di Roma sarà Niccolò Amato. Assennata scelta. Ex direttore delle carceri, Amato è certamente il più qualificato a rappresentare quel partito. (23 settembre 1993) *Giovedì sera annuncio a sorpresa di [[Emilio Fede]] nel suo Tg4: «Adesso – ha detto – voglio parlarvi di informazione». C'è sempre una prima volta. (8 gennaio 1994) *Secondo un sondaggio della Diacron (gruppo Fininvest), l'82 per cento dei lettori del «Giornale» sarebbe schierato con Berlusconi. Vero. Almeno com'è vero che Berlusconi diventerà presidente del Consiglio. (12 gennaio 1994) ====''La parola ai lettori – rubrica''==== *I tennisti italiani hanno disputato la finalissima di Coppa Davis a Praga, e nessuno ha battuto ciglio. Le squadre di calcio italiane frequentano gli stadi dell'Est, a cominciare da quelli russi, e i puristi della democrazia non ci trovano nulla a ridire. Ma per l'[[Uruguay]] – che con i suoi tre milioni di abitanti e la sua posizione geografica non mi pare possa essere considerato una minaccia troppo grave alla libertà dei Paesi democratici – c'è puntuale la protesta. Come se l'Uruguay potesse invadere, espandersi, insidiare, inviare – direttamente o indirettamente – eserciti di mercenari in mezzo mondo, e l'[[Unione Sovietica]] no. Possiamo capire gli intransigenti della democrazia: ma possiamo soltanto disprezzare i farisei che hanno l'indignazione dimezzata. Si calmino Bruno Conti e Pruzzo. Né l'Uruguay, né il suo regime, meritano tante ansie e tanta ostilità. Mosca è più vicina – lo sanno bene i polacchi – e Kabul anche. (31 dicembre 1980) *Non abbiamo mai «coperto», come si usa dire, questo nostro socio (che ha il 37, non il 36% del Giornale), anche perché non vediamo da cosa dovremmo coprirlo. [[Silvio Berlusconi|Berlusconi]] non è né un politico né un gerarca civile o militare, e non svolge nessuna pubblica funzione incompatibile con l'appartenenza alla massoneria. È un privato imprenditore e cittadino che quando fa una balordaggine (e l'iscrizione alla P2 lo è) la fa a proprio rischio e pericolo. Come lei avrà visto, il suo coinvolgimento nella P2 non ci ha impedito di dire, di Gelli e della sua banda, tutto il male che ne pensiamo. (31 maggio 1981) *In tutti questi anni che è stato con noi, {{NDR|Silvio Berlusconi}} si è sempre comportato nella maniera più signorile, ed anche in questa circostanza ci ha dato le più ampie garanzie. (14 aprile 1987) *Nel panorama sudamericano il [[Cile]] è oggi uno di quei paesi economicamente più solidi e con maggior progresso, tanto da meritare gli elogi del Fondo monetario internazionale. Ma la postilla impone a sua volta una precisazione. È più facile fare il risanamento economico monetario in Cile, dove i sindacati sono inesistenti o impotenti, che non in [[Argentina]], dove il sindacato incalza il governo e pretende aumenti salariali il cui ritmo sia adeguato al ritmo dell'inflazione. [...] Pinochet è quello che è. Il suo plebiscito per la Costituzione del 1980 fu indetto in circostanze che gli tolgono ogni valore. E gli inizi del regime militare furono sanguinari. Però il Cile di oggi ha un livello di libertà e di dialettica politica – nonostante Pinochet – che tanti paesi del Terzo mondo vezzeggiati dai nostri democratici dovrebbero invidiargli. Come ha osservato un lettore, né l'Etiopia né lo Zaire né la Siria, né il Nicaragua avrebbero tollerato corrispondenze come quelle che gli inviati della Rai diffondono, in diretta dal Cile. (16 aprile 1987) *Mai le nostre prese di posizione su problemi e personaggi sono state non dico condizionate, ma influenzate dalle personali amicizie o preferenze di Berlusconi. Per la verità, l'editore chiese una volta a titolo di favore, un «occhio di riguardo» per la sua creatura prediletta. Non la televisione, come i lettori saranno stati forse indotti a pensare, ma il [[Associazione Calcio Milan|Milan]]. Sottoposi questa sommessa istanza alla redazione sportiva. La risposta fu una lettera collettiva di dimissioni. Caso chiuso. Da allora rinuncio a leggere le cronache delle partite del Milan, per non dovermi dispiacere del dispiacere che ne prova probabilmente Berlusconi. (17 aprile 1988) *Come già ho scritto, e qui mi piace ripetere, la designazione di [[Francesco Cossiga|Cossiga]] al Quirinale fu la scelta dell'uomo giusto al posto sbagliato. Sappiamo benissimo chi la volle. Ma sappiamo altrettanto bene che fu avallata anche da quegli uomini e partiti che ora si scagliano contro di lui e lo accusano, apertamente o copertamente, di fellonia. La classe politica, nella quale egli ha militato da sempre e che quindi da sempre lo conosceva, doveva sapere che l'onesto (perché tale è) Cossiga non era uomo da Quirinale. Eppure, per i suoi sporchi giochi di potere, ce lo mandò. Ora dovrebbe sentire il dovere di difenderlo dagli sciacalli che lo attaccano da tutte le parti. (22 dicembre 1990) ===''La Stampa''=== <!--ordine cronologico--> *Intorno alle «cattedrali nel deserto» impiantatevi dalla cosiddetta mano pubblica, [...] o trasferitevi dal Nord con l'adescamento degli «incentivi», e sotto la nuvolaglia di fumo che sgorga dalle loro ciminiere, si gonfiano alla carlona e selvaggiamente dirompono, senza nessun criterio urbanistico, senza piano regolatore, senza servizi, spesso anche senza acquedotto e senza fogna, degli agglomerati urbani che solo per il numero degli abitanti si possono chiamare città. [...] È nata soltanto, insieme a una forsennata speculazione edilizia che per sfruttare all'osso l'area fabbricabile accumula con cattivo cemento un piano sull'altro finché crollano sulla testa degl'inquilini, la sorda rabbia contro la città di un contadiname analfabeta che se n'è visto succhiare la linfa vitale, e quando vi cala, lo fa da nemico e vandalo. Questo è il panorama del Mezzogiorno dopo vent'anni e più di Cassa, che hanno raschiato dalle tasche dei contribuenti migliaia di miliardi. (da ''[http://www.archiviolastampa.it/component/option,com_lastampa/task,search/mod,libera/action,viewer/Itemid,3/page,3/articleid,1118_01_1973_0272_0003_16218908/ La protesta contadina]'', 18 novembre 1973, p. 3) *La politica meridionalistica è tutta dominata da questo sottofondo psicologico. Essa vuole l'industrializzazione di Stato non soltanto perché [...] l'industrializzazione può essere fatta soltanto dallo Stato o da imprese al servizio dello Stato; ma anche perché più queste imprese si sviluppano, e più si riduce il margine di quell'imprenditoria privata che i meridionali, non riuscendo a emularla, mirano a ostacolare e ridurre, sottraendole il pubblico risparmio. Con l'agricoltura non avrebbero potuto perseguire questi scopi punitivi. L'unica arma per mortificare e battere l'industria privata è l'industria statale o parastatale. Questa, intendiamoci, esisteva digià: è un portato dei tempi moderni. Ma non c'è dubbio che la politica meridionalistica, come la si è praticata finora e tutto lascia credere che si seguiterà a praticarla, le ha offerto un'ideale occasione. (da ''[http://www.archiviolastampa.it/component/option,com_lastampa/task,search/mod,libera/action,viewer/Itemid,3/page,3/articleid,1118_01_1973_0284_0003_16222766/ Industrie "in colonia"]'', 2 dicembre 1973, p. 3) *Lo Stato, con [[Venezia]], ha contratto un solo impegno: di destinare al suo risanamento 300 miliardi di lire in cinque anni. Di dove li prenda, non ha nessun interesse. Può darsi che una parte li attinga proprio a quel prestito. Ma non vi è tenuto, né si vede perché dovrebbe esserlo. Ciò che da esso si può e si deve esigere è che eroghi effettivamente quei 300 miliardi alle scadenze per le quali si è impegnato: 25 miliardi per il '73, 60 nel '74, 90 nel '75, e su su fino alla chiusura dei conti nel '77. Due sole cose restano da dire. Primo. All'origine dell'equivoco c'è di certo quello che i francesi chiamano l'''esprit mal tourné'', cioè la diffidenza degl'italiani nei confronti dello Stato. Ma all'origine di questa diffidenza c'è altrettanto certamente l'incapacità o la renitenza dei nostri governanti a spiegare [...] ciò che fanno. Secondo. I soldi [...] stavolta ci sono. E diamo pure per scontato che saranno erogati con puntualità. Ma dove sono gli strumenti per spenderli, specie quelli affidati in gestione a degli Enti locali, che fin qui non sono stati capaci di dragare un canale né di riparare la spalletta d'un ponte? Non vorremmo che anche tutti questi miliardi andassero ad alimentare l'immenso deposito di «residui passivi», cioè di somme stanziate ma non impiegate, che già affligge il nostro Paese. Non lo vorremmo. Ma lo temiamo. (da ''[http://www.archiviolastampa.it/component/option,com_lastampa/task,search/mod,libera/action,viewer/Itemid,3/page,1/articleid,1111_01_1974_0009_0001_21345708/ Venezia, molti miliardi e lo Stato]'', 11 gennaio 1974, p. 1) *E ora addio, caro lettore, e grazie dell’ospitalità. Ti confesso che, entrando in casa tua, ero molto imbarazzato. Ma mi bastò poco per accorgermi che di questo imbarazzo voi soffrite quasi quanto coloro a cui lo incutete. Esentàtemi da una dichiarazione di amore perché a gente come voi è difficile farne. Ma in questo pudore mi sento vostro pari e vostro complice. Avrò un giornale a Milano e, e cercherò di farlo molto bello, bellissimo. Ma anche se ci sarò riuscito, seguiterò a rimpiangere il vostro. Mi dicevano che ci avrei sofferto il freddo. Ci ho trovato, sotto una coltre di silenzio, il caldo. (da ''[http://www.archiviolastampa.it/component/option,com_lastampa/task,search/mod,libera/action,viewer/Itemid,3/page,3/articleid,1112_01_1974_0087_0003_16390798/ Congedo dal Piemonte]'', 21 aprile 1974, p. 3) {{Int|''[http://www.archiviolastampa.it/component/option,com_lastampa/task,search/mod,libera/action,viewer/Itemid,3/page,9/articleid,1118_01_1973_0284_0009_16222725/ Chi era il vecchio leone del deserto]''|Articolo su ''La Stampa'', 2 dicembre 1973.|h=4}} *Senza Ben Gurion, non so se Israele sarebbe stato migliore o peggiore di quel che è. Certo, sarebbe stato diverso. Il titolo di «Padre della Patria» non può contestarglielo nessuno. [...] Egli stesso mi raccontò lo sgomento da cui fu còlto quando, non ancora ventenne, sbarcò a Giaffa dopo un lungo periplo a bordo d'un cargo. A procurarglielo non furono i funzionari turchi che allora governavano il Paese, e nemmeno gli arabi che formavano il grosso della popolazione; ma gli ebrei, quasi tutti latifondisti e mercanti perfettamente inseriti nel «sistema» e unicamente intesi ai propri affari. Erano dunque quelli i depositari della Terra Promessa, che non sapevano neanche l'ebraico, o comunque si rifiutavano di parlarlo? Forse ne sarebbe fuggito, se nell'interno non avesse scoperto alcune isolate fattorie collettive, dove i nuovi immigrati lavoravano la terra con le proprie mani e di notte montavano la guardia, uomini e donne, per difendere le loro vite e i loro raccolti dalle razzie degli arabi. *Comprese subito che solo redimendo la terra col loro lavoro manuale e contrapponendo al latifondismo arabo la fattoria collettiva, gli ebrei potevano legittimare la riconquista dei loro antico «focolare». Militarmente, egli non attaccò mai gli arabi. Aspettò che il loro sistema si disgregasse da sé, e ci volle poco. Battuti sul mercato dai prodotti del ''kibbutz'', i latifondisti arabi vendettero i loro feudi al «Fondo Nazionale Ebraico» per andare a sperperare l'incasso nei ''Casinos'' di Beirut e della Costa Azzurra, e i braccianti rimasero senza lavoro perché i nuovi padroni usavano le braccia proprie. Il conflitto è tutto qui: nell'impossibilità di coabitazione di una scalcagnata economia feudale con un'efficientissima economia socialista. I motivi religiosi e razziali li ha aggiunti la propaganda. *Il suo programma era questo: conquistare la Palestina «pertica dopo pertica, capra dopo capra», ma senza costituirla in uno Stato, un po' perché a questo si sarebbe opposta l'Inghilterra [...] un po' per non provocare un «fronte» di nazioni arabe, come poi in realtà avvenne. Ma la rivelazione del [[Olocausto|genocidio]] gl'ispirò il famoso ''mai più''. E mai più significava questo: che d'allora in poi gli ebrei dovevano avere un rifugio sicuro, pronto ad accoglierli e in grado di farlo, cioè uno Stato. *Come tutti i veri politici, Ben Gurion era un pragmatista, cioè un uomo che attingeva le idee dalla pratica delle «cose», non viceversa. E l'esperienza fatta nella lotta per la manodopera ebraica lo aveva persuaso che con gli arabi non c'era [...] possibilità di compromesso. Uno Stato palestinese misto di arabi e di ebrei, lo considerò sempre una chimera per il semplice motivo che in poche generazioni, col loro potenziale demografico quattro volte superiore, gli arabi avrebbero mangiato gli ebrei. [...] Già nella guerra del '48 egli avrebbe potuto annettersi la Cisgiordania: ci rinunziò per non mettersi in corpo seicentomila arabi. L'anno dopo rifiutò per lo stesso motivo la cosiddetta «striscia di Ghaza» che il suo brillante generale Allon aveva sforbiciato dall'Egitto. E dopo la guerra dei sei giorni, sebbene ormai lontano dal potere, non ha fatto che ammonire contro una politica di annessioni territoriali disgiunta da un adeguato incremento di popolazione ebraica. Non ha mai dialogato che con l'Occidente. Con gli arabi, non ha seguito che una diplomazia: quella dei confini. *Le nuove esigenze della produzione e della guerra imponevano un altro «rovesciamento della piramide»: il miracolo della guerra dei sei giorni fu dovuto a un esercito di tecnici altamente specializzati, in cui anche il semplice aviere era un ingegnere. Il posto del ''kibbutz'' [...] veniva preso dall'Università che riconvertiva il contadino in professore. Ben Gurion non poteva interpretare questo nuovo corso. Era troppo vecchio e legato all'altro. Ma non lo comprese, non poteva comprenderlo, per conservare il potere ricorse a tutte le armi del suo repertorio, anche le meno regolamentari, giunse a rinnegare e a rompere il proprio ribelle partito. E neppure a battaglia persa si rassegnò. Dal fondo del suo rifugio alle soglie del deserto ha continuato tutti questi anni ad alluvionare di ammonimenti, maledizioni, anatemi i suoi vecchi amici trattandoli da nemici. [...] Quello che si chiude con Ben Gurion è il capitolo del pionierismo: il più eroico e glorioso, quello destinato, via via che si allontanerà nel tempo, ad essere ricordato dagl'israeliani con sempre più struggente nostalgia. {{Int|''[http://www.archiviolastampa.it/component/option,com_lastampa/task,search/mod,libera/action,viewer/Itemid,3/page,3/articleid,1112_01_1974_0081_0003_16388814/ La strada lunga di Golda]''|Articolo su ''La Stampa'', 14 aprile 1974.|h=4}} *{{NDR|[[Golda Meir]]}} Aveva poco più di vent'anni quando approdò in Israele, frammista ai «padri pellegrini» della «seconda ondata» che subito dopo la [[prima guerra mondiale]] vennero a riprendere possesso della loro antica terra con la ferma intenzione non d'insabbiarcisi com'era successo ai loro predecessori della fine dell'Ottocento, ma di riscattarla e di farne il «focolare» degli ebrei. Tutta la sua visione politica [...] era condizionata da questa esperienza di oltre mezzo secolo di sacrifici e di lotte. [...] Oggi molti in Israele si domandano se a questi pionieri non restava davvero altra strada che quella dell'urto frontale con la popolazione araba della Palestina. Ma questi dubbi sono un lusso ch'essi si possono concedere solo perché i loro babbi e nonni non ne ebbero. Costoro fecero quello che fecero perché non potevano far altro. Ciò che rendeva impossibile la coabitazione fra le due popolazioni non era la incompatibilità razziale e religiosa, ma quella economica e sociale. Il latifondo sceiccale non poteva convivere col ''kibbutz'' socialista. È qui l'origine di un conflitto che nessuna diplomazia poteva sanare. Una pace fra israeliani e arabi è possibile; una simbiosi, no. Ancor oggi chi parla di «Stato misto» si gingilla con le astrazioni. *Fu lei che [...] raggiunse travestita da cammelliere l'emiro Abdullah di Giordania [...] e da nemico se lo fece amico, o almeno neutrale. Non sono mai riuscito ad appurare se [[David Ben Gurion|Ben Gurion]] ebbe una parte, e quale, in questo «giallo» fra il diplomatico e lo spionistico. Ma molte cose m'inducono a credere che a programmarlo fu proprio lei, Golda, anch'essa ben decisa a innalzare, fra arabi ed ebrei, una cortina di ferro, ma con qualche porta che consentisse all'occorrenza il dialogo. [...] I due furono amici e compari per decenni. [...] Probabilmente anche al tempo in cui facevano coppia nel partito e nel governo si parlavano tra loro in quel linguaggio da fureria. Quanto a imperiosità e autoritarismo, si valevano. [...] Con la sua voce arrugginita dalle sigarette [...] diceva piattamente e banalmente delle cose piatte e banali, solo ravvivate da qualche squarcio d'un umorismo massiccio come una scarpa di soldato; ma senza mai togliere di dosso all'interlocutore il suo vigile sguardo cilestrino alla fiamma ossidrica. E da quella specie di sporta per la spesa che, adibita a borsa, essa tiene al braccio anche nei ricevimenti ufficiali, ci si aspettava sempre di veder saltar fuori, oltre a qualche mazzo d'agli e di cipolle, una pistola o una fiala di veleno. *Non c'è dubbio che sapeva odiare e che anche quando amava lo faceva da mantide, soffocando e stritolando. Ma Israele non troverà mai più una madre come lei, che sapeva anche fargli da padre. Nella sua tenacia, nel suo coraggio, nella sua volontà d'acciaio, essa riassumeva la storia di questo piccolo grande Paese. Lo ha dimostrato col suo ritiro. Quando si è trattato di pagare, essa si è offerta in sacrificio pur sapendo che per lei la rinunzia al potere è la rinunzia alla vita. «''Sono giunta al termine della mia strada''», ha detto. Ma che strada! Nessuno ne ha mai percorsa una più ripida e accidentata, più paurosamente librata tra abissi e strapiombi. Sono sicuro che Golda non si volterà indietro a guardarla, e non ce ne dirà nulla. Come tutti i grandi costruttori, essa sa soltanto costruire. Il resto, per lei, è silenzio. ===''la Voce''=== <!--ordine cronologico--> *Uscendo dal ''Giornale'', io feci a me stesso, ma pubblicamente, un giuramento: «Mai più un padrone». Qui padroni non ce ne sono. La proprietà è ripartita fra alcune centinaia di azionisti, di cui nessuno può, per statuto detenere più del 4 per cento. Fra di essi, e per primi, ci siamo stati tutti noi: redattori, impiegati, fattorini, autisti. [...] Per questa sua pulviscolarità, il nostro azionariato è stato definito, nei quartieri alti della Finanza, «straccione». La qualifica non ci dispiace: coi tempi che corrono, meglio stare tra gli stracci che tra le tangenti. (22 marzo 1994) *Di insurrezione generale non c'era bisogno, il 25 aprile, perché il Terzo Reich non esisteva più. Se l'insurrezione generale fosse avvenuta avrebbe dovuto avere come primo obiettivo, a Milano, il quartier generale delle SS all'Hotel Regina. Le SS furono invece lasciate del tutto tranquille, mentre si provvedeva a trascinare in piazzale Loreto, per la fucilazione Achille Starace [...]. Non sono contro la Resistenza, anzi: sono contro la retorica, inguaribile vizio italiano. Proprio questa retorica ha fatto sì che un sindaco democristiano di Roma, in un manifesto dedicato anni or sono alla liberazione della città non accennasse nemmeno con una parola agli Alleati. Ed ha fatto sì che in quest'ultimo 25 aprile si sia parlato ai giovani che affollavano piazza del Duomo a Milano o che stavano davanti ai televisori, ingannandoli – ossia raccontando loro che i tedeschi erano stati sconfitti dai partigiani, e che da questi l'Italia era stata liberata. Se questa è la «memoria storica» evocata da tanti commentatori, stiamo freschi. (28 aprile 1994) *Intorno a Berlusconi vedo agitarsi una falange di Starace, convinti non meno di Achille che il padrone (e con lui, si capisce, la carriera) si serve sbattendo i talloni e gridando: «Forza, Italia!». Di tutto questo, intendiamoci, Berlusconi non può essere tenuto responsabile. Gli Starace – a differenza di Mussolini che si scelse il suo vedendolo com'era – gli sono germinati e gli pullulano intorno d'irresistibile forza propria cercando di sopraffarsi in una gara di servilismo, che trova soprattutto nel video la propria arena. E per ora la gente pensa: «Povero Cavaliere, da chi è circondato». Ma prima o poi – forse più prima che poi – comincerà a dire anche di lui: «Vedi un po' di chi si circonda». (18 giugno 1994) *Dobbiamo prepararci a presentare le nostre scuse a [[Emilio Fede]]. L'abbiamo sempre dipinto come un leccapiedi, anzi come l'archetipo di questa giullaresca fauna, con l'aggravante del gaudio. Spesso i [[leccapiedi]], dopo aver leccato, e quando il padrone non li vede, fanno la faccia schifata e diventano malmostosi. Fede no. Assolta la bisogna, ne sorride e se ne estasia, da oco giulivo. Ma temo che di qui a un po' dovremo ricrederci sul suo conto, rimpiangere i suoi interventi e additarli a modello di obiettività. (26 novembre 1994) *Il presidente della Repubblica non può contrattare. Ma deve trovare qualcuno che abbia l'autorità morale di farlo. Un ''kamikaze''. E di ''kamikaze'' ne vediamo uno solo che, non avendo veste politica, né alcuna ambizione di indossarla, può anche affrontare una simile responsabilità: [[Antonio Di Pietro|Di Pietro]]. Ma temiamo che l'idea sia soltanto nostra. [...] Una delle pochissime cose che nella presente situazione ci confortano è di vedere in Quirinale un difensore delle Regole come [[Oscar Luigi Scalfaro|lui]]. Vorremmo solo sommessamente avvertirlo che l'Italia che noi conosciamo somiglia poco all'immagine angelica ch'egli ce ne ha fornito la sera di Capodanno, e che anche quando vi avremo messo a posto tutte le Regole, ne mancherà sempre una: quella che dall'interno della sua coscienza fa obbligo ad ogni cittadino di regolarsi secondo le regole. (3 gennaio 1995) *Noi volevamo fare, da uomini di [[Destra]], il quotidiano di una Destra veramente liberale, ancorata ai suoi storici valori: lo spirito di servizio (quello vero, taciuto e praticato), il senso dello Stato, il rigoroso codice di comportamento che furono appannaggio dei suoi rari campioni da Giolitti a Einaudi a De Gasperi. Insomma, l'organo di una Destra che oggi si sente oltraggiata dall'abuso che ne fanno gli attuali contraffattori. Questa Destra fedele a se stessa in Italia c'è. Ma è un'élite troppo esigua per nutrire un quotidiano. (12 aprile 1995) {{Int|''Il realista inviso agli snob''|Articolo su ''la Voce'', 24 aprile 1994.|h=4}} *Fino ad una decina di anni orsono, la maggioranza degli americani erano convinti che, se [[Richard Nixon|Nixon]] fosse rimasto nella Storia del loro Paese – cosa che al loro orecchio suonava come un obbrobrio – vi sarebbe rimasto solo per il [[Scandalo Watergate|Watergate]], cioè appunto per l'obbrobrio. Negli ultimi tempi tutto si è rovesciato: l'obbrobrio non è stato più il Watergate, ma la campagna scandalistica che lo aveva provocato. Gli stessi protagonisti che l'avevano montata – [[Bob Woodward]] e [[Carl Bernstein]] del ''Washington Post'' – ne riconobbero le forzature e fecero atto di contrizione. Non avevano inventato nulla, ma avevano deformato tutto. [...] La sorte è stata, tutto sommato, clemente con Nixon dandogli il tempo di vedere questo capovolgimento. *Ultimamente era ricevuto, ed anzi continuamente sollecitato alla Casa Bianca, dove lo si accoglieva come lo ''Elder Statesman'', lo statista anziano da consultare come un vecchio saggio sui problemi difficili. Fu a lui che [[George H. W. Bush|Bush]] si rivolse per riallacciare un dialogo con Pechino dopo la rottura seguita al fattaccio di Tienanmen. E lui a Pechino lo riallacciò: i cinesi non avevano dimenticato che quel dialogo erano stati Nixon e [[Henry Kissinger|Kissinger]] ad aprirlo, quando l'America aveva deciso di chiudere l'avventura del Vietnam in cui [[John Fitzgerald Kennedy|Kennedy]] e [[Lyndon B. Johnson|Johnson]] l'avevano malaccortamente cacciata. Ma anche [[Bill Clinton|Clinton]] è ricorso alla sua esperienza per capire cosa succedeva in Russia e trarne qualche insegnamento. Nixon andò a Mosca, e ne tornò con cattivi presagi sulla sorte di [[Boris Nikolaevič El'cin|Eltsin]] che i successivi avvenimenti hanno confermato. *Non era un uomo «simpatico», e soprattutto non aveva nulla che potesse sedurre l'America dei salotti e della ''intellighenzia'', che gli uomini politici li misurano a modo loro, mai quello giusto. Scambiarono per un grande intellettuale Kennedy, che in vita sua aveva visto migliaia di film, ma mai letto un libro. E prendevano Nixon, che di libri ne ha letti ed ha continuato a leggerne (ed a scriverne, niente male), fino all'ultimo giorno per una specie di Bossi californiano, rozzo e triviale. [...] Ma forse quello che più infastidiva gli americani era la renitenza di Nixon ad appelli e richiami tanto più sonori quanto più vacui, come «la nuova frontiera» e simili. Nixon era un professionista della politica, uno dei pochissimi che l'America abbia mandato alla Casa Bianca. Non andava per sogni e per versetti del Vangelo. Conosceva il suo [[Otto von Bismarck|Bismarck]], il suo [[Benjamin Disraeli|Disraeli]], e credo anche il suo [[Niccolò Machiavelli|Machiavelli]] che in America basta nominarli per finire scomunicati. Per questo lo consideravano un mestierante, e per questo si era scelto come consigliere un altro mestierante, l'ebreo tedesco Kissinger. Furono questi due uomini che ridiedero all'America la ''leadership'' nella politica estera coinvolgendo nel gioco la Cina e scavandone il solco da Mosca. I successori di Nixon, e specialmente [[Ronald Reagan|Reagan]], vissero in gran parte di questa eredità. ===''Oggi''=== <!--ordine cronologico--> *Mi confermo in due mie vecchie opinioni. Il guaio del socialismo è il socialismo, cioè sta proprio nel suo sistema statalistico. Il guaio del capitalismo sono i capitalisti che, quasi sempre bravissimi all'interno della loro azienda, fuori di lì sono spesso degli ottusi e noiosi imbecilli, e talvolta anche peggio.<ref>Citato in ''Dizionario delle citazioni'', a cura di Italo Sordi, BUR, 1992. ISBN 88-17-14603-X</ref> (n. 22, 1983) *{{NDR|Sull'offerta di [[Massimo D'Alema]] a concedere, come «atto dovuto», i funerali di Stato a [[Bettino Craxi]]}} "Atto dovuto"? Ma dovuto a chi? Anche a un latitante: quale, dal punto di vista legale, era Craxi? Concedere i funerali di Stato a un latitante significa sconfessare la Giustizia che lo ha condannato. [...] Ma può lo Stato sconfessare la propria Giustizia senza sconfessare se stesso? Mi sembra di vivere in un Paese che di senso dello Stato ne ha meno di una tribù del Ghana.<ref>Citato in ''La morte incute rispetto, ma su Craxi non cambio idea''-</ref> (2 febbraio 2000) *La [[democrazia]] è sempre, per sua natura e costituzione, il trionfo della mediocrità. (11 ottobre 2000) ==''Caro direttore''== ===[[Incipit]]=== Mettersi nel '74 contro il vento che soffiava tutto nella direzione del «compromesso storico» con la codarda quiescenza di gran parte della borghesia e di quasi tutti gli intellettuali; scoprire (oggi sembra acqua calda, ma allora era un'eresia) che, oltre al terrorismo di destra, ce n'era uno, molto più violento e pericoloso, di sinistra, figlio – sia pure degenere e ripudiato – del Pci, un partito che raggiungeva il 36 per cento dei voti e che condizionava pesantemente scuola, magistratura, cultura, mezzi di comunicazione; schierarsi dalla parte dell'ordine contro l'eversione; istruire il processo contro il sinistrume, effettivo e di complemento, che mortificava l'iniziativa privata e l'economia di mercato con tutti i valori che vi sono connessi; battersi contro il bugiardo e demagogico giustizialismo populista per il ripristino della meritocrazia nel campo del lavoro e degli studi; denunziare il grande pericolo che circondava il sistema: la partitocrazia; tutto questo sembrava follia, e forse lo era. Ma di questa follia noi siamo fieri. ===Citazioni=== *In Francia c'è molta gente che tuttora si domanda se De Gaulle era proprio De Gaulle, o un matto che si credeva De Gaulle. Ebbene, io nutro per La Malfa lo stesso dubbio. Ed è appunto perché nutro questo dubbio che voto La Malfa. (p. 12) *Il capitalismo vero, che permise alla borghesia di liquidare il Medio Evo e di sostituire, a quella feudale, basata sul parassitismo redditiero, una nuova società basata sul lavoro e sul risparmio, nacque nei Paesi protestanti. E sa perché? Perché Calvino insegnò questo ai suoi seguaci: che il denaro, essendo un segno della Grazia Divina non si poteva scialacquarlo. Chi lo aveva guadagnato per un particolare favore concessogli da Dio, aveva il dovere di considerarsene soltanto il depositario, e di reimpiegarlo, cioè di reinvestirlo perché altri uomini potessero beneficiare dello stesso favore. Fu questa base morale che dette al capitalismo protestante la forza di vincere e di costruire la nuova società: la società borghese del lavoro e del risparmio al posto di quella del sangue e del blasone. (p. 25) *Lei ha ragione di essere soddisfatto. Dopo aver ricevuto una discreta istruzione nelle nostre costose scuole private potrà andare a completarla a Parigi, o a Harvard, o a Oxford, dove il figlio del suo mezzadro o del suo trombaio, magari molto più intelligente e volenteroso di lei, non potrà seguirla. Egli dovrà contentarsi dello svalutato pezzo di carta che la nostra Università rilascerà a lui come a qualsiasi analfabeta, e probabilmente, per campare, dovrà rassegnarsi a fare il mezzadro o il trombaio come suo padre. Grazie agli amici del popolo e ai campioni del proletariato. (p. 91) *L'Italia ha scelto lo sciopero, per risanarsi, e non il lavoro, i «ponti», e non il sacrificio; i comizi e le adunate, non le valutazioni responsabili che non possono venire dagli urli di una folla eccitata. La Germania federale, retta dai socialdemocratici, persegue una strada ben diversa. Ciascuno raggiunge i traguardi che si propone, e che merita. (p. 156) *Noi crediamo che in certi casi di carattere eccezionale il giornalista abbia il diritto, e qualche volta il dovere, di dire la verità, se ne è convinto, anche se non è in grado di dimostrarla. Ma a una condizione: che, non potendo o non volendo rivelare le fonti a cui l'ha attinta, se ne assuma in proprio la responsabilità con tutte le conseguenze, anche giudiziarie che ne derivano. (p. 173) *Il temuto cambio di regime non c'è stato, nonostante il tentativo dei partiti e della grande stampa fiancheggiatrice di gabellarlo come una operazione innocua e indolore. La necessità d'interpretare queste consultazioni come un referendum ci ha costretti a sostenere, con tutte le nostre forze, la Democrazia cristiana riconoscendole, però, il merito importante di non aver mai messo in pericolo le nostre libertà, anzi di averle sostenute e difese. Ora che abbiamo contribuito, non poco, a rimettere in piedi la grande malata, dobbiamo adoperarci a guarirla. (p. 193) *Ho avuto una tessera ''ad honorem'' di una federazione anarchica catalana (quella del famoso ''Campesino'') perché, durante la guerra civile spagnola, trafugai oltre frontiera un suo affiliato caduto prigioniero dei nazionalisti e condannato a morte. Ti prego di felicitarmene. Subito. Senza esitazioni. (p. 227) *Anche se aveva tutte le ragioni di sentirsi ingiustamente perseguitato e colpito nel suo onore di galantuomo, Malizia non doveva piangere, per il semplice motivo che i generali non hanno il diritto di piangere almeno in pubblico. Mai. Per nessuna ragione. Lei mi dirà che queste sono fisime da gente sorpassata. Può darsi. Ma io sono convinto che l'etica militare è fatta appunto di queste fisime. Sono stato per lunghi anni ufficiale di guerra, e credo di esserlo stato con onore – tanto da guadagnarmi alcune decorazioni –, appunto perché avevo queste fisime. (p. 261) ==''Caro lettore''== ===[[Incipit]]=== Questi volumi sono in fondo la ''summa'' del ''Giornale'', il riassunto e il breviario di un libero pensiero, cioè di un pensiero libero da qualsiasi condizionamento, che dovrebbe far riflettere gl'intellettuali. Ma noi ci crediamo poco. Ed uno dei motivi è proprio questo: che stavolta gl'intellettuali difficilmente potranno rinverdire lo slogan sotto il quale, negli anni di piombo, mascherarono la loro codardia: «Né con le brigate rosse né con lo Stato», come se lo Stato e le brigate rosse fossero sullo stesso piano e fra l'uno e le altre fosse possibile una neutralità. Pur appartenendo – almeno dal punto di vista sindacale – alla categoria, o forse proprio perché vi apparteniamo, non abbiamo molta stima degl'intellettuali, e troviamo poco meno che ridicola la loro pretesa di fare i direttori di coscienza della società. ===Citazioni=== *Lei ci accusa di eccessiva indulgenza verso i regimi sudamericani. Ma l'accusa è ingiusta. Non perdiamo occasione di dire che Pinochet è una disgrazia. Ma non possiamo fare a meno di aggiungere che questa disgrazia è nata da un'altra disgrazia di nome Allende. In Argentina, a portare al governo il generale Videla (che, glielo posso assicurare, non aveva nessuna voglia di andarci) sono stati i «montoneros» coi loro rapimenti e omicidi, dai quali più nessuno si sentiva al riparo. (p. 42) *Io lavorai al ''Borghese'', sotto vari pseudonimi, finché ci fu lui e perché c'era lui. Dal rapporto personale, quotidiano e strettissimo, esulava qualsiasi pregiudiziale ideologica. Io del resto, non ho mai capito quale ideologia avesse Longanesi. Sapevo soltanto che non era mai del gregge; e siccome nemmeno io lo sono, questo bastava a tenerci uniti. Dopo di lui il ''Borghese'' assunse una fisionomia ideologica precisa, di cui non discuto la legittimità, ma che non corrispondeva alla mia. E quindi la mia collaborazione vi sarebbe stata fuori posto. (p. 50) *Anche ai cattolici osservanti e militanti è consentito, si capisce, far politica. Ma, per amor del cielo, non la confondano con la religione invocando i «valori cristiani» mentre si mettono l'un l'altro l'arsenico nella minestra. Questo si può farlo in nome di Marx, e magari anche di Cavour. In nome di Dio, dovrebb'essere proibito. (p. 193) *Hai ragione interamente, là dove dici che chi nasce come me figlio di un professore (non di un magistrato) ha una partenza più facile di chi nasce come te, figlio di un operaio. Questo è vero. E infatti il gran problema di un regime politico serio dovrebb'essere proprio quello di ridurre al minimo le diseguaglianze al palo di partenza. Per raggiungere questo scopo, non smetterò mai di battermi. Ma nemmeno smetterò di battermi contro il tentativo di mortificare l'interesse privato fino al punto di togliere agli uomini la molla dell'iniziativa. Sono per un fisco severo. Ma voglio che colpisca gli sciali e i lussi, non gl'investimenti perché questi producono lavoro e ricchezza. Ecco il mio socialismo. (p. 202) *L'Islam ebbe una grande cultura solo quando, nella loro cavalcata conquistatrice, i suoi Califfi incontrarono la cultura greca, quella egiziana e quella ebraica. Ma questo risale a Averroè e ad Avicenna, cioè a mille anni fa pressappoco. Da allora l'atteggiamento dell'Islam verso la cultura è sempre rimasto quello del famoso Califfo che, quando gli chiesero cosa dovevano fare della grande biblioteca di Alessandria, da lui conquistata, rispose: «Se tutti quei libri dicono ciò che dice il Corano, sono inutili. Se dicono cose diverse, sono dannosi. Nell'un caso e nell'altro, meglio bruciarli». Si dirà: «Altri tempi». No, Khomeini pensa e parla come quel Califfo. L'Islam è una religione di analfabeti, in cui la cultura è monopolio degli Ulema, che sanno solo di Corano e passano la vita a indagarne i misteri (che non ci sono). Mi citi Alberoni un'opera d'arte e di pensiero islamica degli ultimi due o trecent'anni. I mussulmani colti sono quelli che escono dalle ''nostre'' università. (p. 259) *Ognuno ha il diritto ad avere una sua opinione. Ma nessuno ha quello di distorcere l'opinione degli altri. La mia era è la seguente: che, dopo l'esperienza in Ungheria, non mi sentivo d'incoraggiare i polacchi a una rivolta, in cui l'Occidente li avrebbe lasciati soli a vedersela coi carri armati sovietici, e quindi a finire sotto i loro cingoli come avvenne a Budapest nel '56. Questo non era un invito a «calar le brache». Era una messa in guardia da quelle pericolose illusioni di aiuti esterni che ebbero tanta parte nello spingere gli ungheresi a un olocausto rivelatosi poi del tutto inutile. (p. 271) *Io non sono affatto convinto dell'innocenza di Freda e Ventura (Giannettini non c'entrava niente) come non lo sono di quella di Valpreda. Ma anch'io avrei assolto per mancanza di prove. E non c'è da scandalizzarsene perché queste cose succedono in tutto il mondo. A vent'anni di distanza, la polizia americana non sa ancora con certezza chi uccise Kennedy. Solo la polizia sovietica sa sempre chi uccide per il semplice motivo che è sempre essa a farlo. Con questo, sia chiaro, non voglio dire che la nostra Giustizia funziona bene. Funziona malissimo, e qualche volta non funziona affatto. Ma che copra le stragi di Stato, i nostri intellettuali di sinistra vadano a raccontarlo agli zulù. (pp. 330-331) *Io non so se qualche omosessuale fra noi c'è. È un problema che non mi sono mai posto. Ma anche se ce ne fossero e io me ne accorgessi, non muoverei un dito contro di loro e seguiterei a stimarli per quel che valgono o a disistimarli per quel che non valgono. Tutto ciò, caro amico, la deluderà. Ma il mio stomaco, evidentemente, è soggetto a impulsi diversi da quello suo. Se c'è una cosa su cui mi rifiuto di giudicare gli uomini (e le donne) è proprio il sesso. Ho conosciuto degli omosessuali meravigliosi anche sul piano morale, e degli eterosessuali orrendi. E sono troppo geloso della privatezza mia per non rispettare quella altrui. (p. 343) ==''Dante e il suo secolo''== ===[[Incipit]]=== Uno dei tanti meriti che si suole attribuire a [[Dante Alighieri|Dante]] è quello di essere stato il primo italiano ad avere una «coscienza nazionale». Noi non vorremmo cominciare questo libro con una detrazione, ma non ci sembra che a dimostrare questa coscienza basti l'allusione che Dante fa a una entità geografica italiana, di cui egli fissava i punti terminali al Brennero e al Carnaro. E non vediamo del resto cosa aggiunga alla sua grandezza questa specie d'irredentismo avanti lettera. Se per qualcuno Dante spasimò fu, caso mai, per un Imperatore tedesco. ===Citazioni=== *[[Roma]] era stata la capitale di un impero cosmopolita, non di una Nazione. (Parte prima. Capitolo primo, p. 12) *Non è necessario essere degli adepti del "materialismo storico" per attribuire il risveglio delle inquietudini intellettuali, fra il Millecento e il Milleduecento, al progresso economico e al generale miglioramento delle condizioni i di vita. È a stomaco pieno che si comincia a pensare a qualcosa che non sia soltanto lo stomaco. (Parte prima. Capitolo terzo, p. 131) *Il [[pudore]] femminile non è mai stato altro che un incentivo alla civetteria. (Parte seconda, Capitolo quarto, p. 174) *Da consumato giurista qual era, {{NDR|[[papa Bonifacio VIII]]}} prese a rimaneggiare tutti i precedenti storici, su cui poteva basare le sue pretese di dominio universale. E trovò un valido aiuto nel canonista [[Egidio Romano|Egidio Colonna]] il quale scrisse un trattato, ''De ecclesiastica potestate'', per avvalorare queste tesi. Egli sostenne che la Chiesa era padrona e proprietaria non soltanto delle anime, ma di tutto. Era solo per bontà e condiscendenza che metteva le cose a disposizione dei fedeli, ma conservando il diritto di ritorgliele quando voleva. Quindi anche i troni appartenevano ad essa, che li lasciava ai Re solo in momentaneo appalto. Questa teoria tanto piacque a Bonifacio, che ne ricompensò l'autore con la nomina ad arcivescovo di Bourges. (Parte seconda, Capitolo nono, p. 312) *Peccato che un simile uomo {{NDR|papa Bonifacio VIII}} avesse così clamorosamente sbagliato generazione e carriera. Fosse nato cinquant'anni dopo sarebbe stato un magnifico Principe del [[Rinascimento]]: avido, crudele e gagliardo. (Parte seconda, Capitolo undicesimo, p. 372) *Dante qui {{NDR|nel ''De vulgari eloquentia''}} ha visto ciò che molti filòlogi ancora oggi non vedono. Egli difende il "volgare", cioè la lingua viva, quella parlata dal popolo, fatalmente destinata a soppiantare il latino. Ma ne vorrebbe una illustre e aulica, al di sopra di quelle "municipali", cioè dei dialetti, contro i quali si scaglia con furore. In Italia ne classifica quattordici e li detesta tutti, compreso il toscano che chiama "turpiloquio". Ma il più orrendo gli sembra il romano, "e non deve fare meraviglia dacché i romani, anche per deformità di costumi e abiti, appaiono i più fetidi di tutti". Chissà cosa direbbe, povero Dante, se tornasse fra noi e andasse al cinematografo. (Parte seconda, Capitolo quindicesimo, p. 483) ==''Gli incontri''== *[[Giovanni Porzio|Porzio]] non è alto di statura, ma diritto come un fuso nonostante i settantaquattro anni suonati e porta, sui pantaloni a righe stretti e lunghi come quelli degli antichi ufficiali in grande uniforme, una giacca nera che l'alta bottonatura fa simile a una ''redingote''. Il volto è bello, di colore olivastro, e aristocratico nella modellatura del naso e nel taglio breve dei baffi e della barbetta ancora pepe e sale. (Porzio, p. 91) *Non avevo mai visto da vicino [[Cécile Sorel]], quando essa mi apparve, per la prima volta, di lontano, sul palcoscenico allestito nella corte d'onore degli Invalides per le feste celebrative del bimillenario di Parigi. [...] Drappeggiata in una sontuosa cappa di [[Elsa Schiaparelli|Schiaparelli]] a strascico di ''lamé'' d'argento e porpora, dritta su un podio sotto la statua di [[Napoleone Bonaparte|Bonaparte]], accolse a braccia spalancate lo scrosciante omaggio, sincopato dalle salve di artiglieria, dei cinquemila spettatori ammassati nell'immenso cortile. Sorrise. Sfiorò con uno sguardo altero le teste della folla, lo alzò verso l'imperatore, ma senza implorazione né umiltà, da pari a pari. Poi, in un silenzio di tomba, prese a modulare l'ode di Bruyez: "''Vous qui êtes morts pieusement pour la patrie...''". Ed era una voce incredibilmente limpida e squillante, senza traccia di ruggine. (Cècile, pp. 226-227) *[[Saul Steinberg|Steinberg]] ha la faccia dei suoi pupazzi: una faccia malinconica, lunga e triangolare, di cavallo tirato su a paglia soltanto, senza biada, e condannato a trascinare un carretto su per un'erta interminabile, in cima alla quale non si sa cosa ci aspetta, ma certo un'altra condanna, forse più pesante del carretto. Anche i baffi ha, come i suoi pupazzi: a doppia virgola orizzontale, sebbene meno lunghi e senza le intenzioni esibizionistiche di quelli di Dalì; e anche le lenti a stanghetta traverso cui ti fissano intensamente, di sotto in su, due occhi azzurri e mortificati, di uomo che non si è reso conto di essere Saul Steinberg; o essendosene reso conto, non ci prova alcun piacere. (Steinberg, p. 289) *[[Harukichi Shimoi]] è uno di quei giapponesi che gli altri giapponesi considerano di statura piccola. Tanto piccola che [[Gabriele D'Annunzio|D'Annunzio]], per abbracciarlo, dovette curvarsi (lui!) e, dopo essergli andato incontro gridando, con le braccia alzate: "Fratello!... Fratello mio!..." lo guardò, ci ripensò e aggiunse: "Sebbene non di sangue...". (Shimoi, p. 389) *Quanti anni avrà, ora, Harukichi Shimoi? Forse cinquanta, forse centocinquanta. Come per [[Guelfo Civinini]], suo amico, anche per lui il problema dell'età non si pone. Quale che essa sia, egli la porta esattamente come deve averla portata mezzo secolo fa. Il suo corpo è stortignaccolo, ma diritto, e i suoi capelli son nerissimi. Ma il tratto che più lo caratterizza sono le sopracciglia, che madre natura gli ha piantato a mezza strada, come due ciuffi di foltissimo bosco, tra gli occhi e la chioma, in modo che, per quanto vasti i suoi occhiali, esse li sormontano e risucchiano come se fossero due monocoli. (Shimoi, pp. 389-390) *Il più favoloso e colorito personaggio del [[Brasile]] è [[Assis Chateaubriand]], proprietario di ventun giornali, diciotto stazioni radiotrasmittenti, di una flotta aerea, di alcune ''fazendas'' vaste come l'intera Sicilia, di un museo che vale venti milioni di dollari, di una Compagnia nazionale per la puericoltura, e di un'ambizione pari soltanto al suo coraggio, alla sua insolenza e alla sua spavalderia. (Chateaubriand, p. 495) *Assis {{NDR|Chateaubriand}} ha un debole per i tedeschi e per gli italiani. Come faccia a conciliare questi due amori, non si sa; ma le sue pene, durante la guerra, furono grandi, anche se irreprensibile fu la sua condotta<ref>Dal 1942, nel corso della seconda guerra mondiale, il Brasile fu in stato di guerra con Germania e Italia.</ref>. Quando però il governo comminò l'arresto a chiunque parlasse italiano, scese in lotta con i suoi giornali contro l'assurda disposizione. Scrisse che quello non era patriottismo, ma un nazionalismo di bassa lega, degno soltanto di una colonia, e che lui si vergognava d'esser brasiliano. Fece un tale baccano, che alla fine dovettero revocare il provvedimento e quello del sequestro dei beni dei nostri compatrioti. (Chateaubriand, p. 502) *Quando nacque sessantadue anni orsono, ne aveva già a dir poco settecento. Perché [[Ottone Rosai|Rosai]] veniva dritto dritto dal Medioevo, dopo aver saltato a piè pari Rinascimento ed età moderna, e nei momenti di sincerità confessava che Giotto gli pareva un "deviazionista" rispetto a Cimabue, il quale gli andava molto più a sangue. (Rosai, p. 544) *Dopo essere stato fascista della prima ora, nella seconda col fascismo {{NDR|Ottone Rosai}} s'era trovato male, e si capiva benissimo che era sempre per via delle mani. Tornato dalla guerra, lo squadrismo gli aveva consentito di menarle, come a lui piaceva, e ci aveva dato dentro senza risparmio. Forse l'unico momento felice della vita di Rosai fu quello: quando a gambe larghe di traverso alla strada aspettava, col giornale aperto davanti agli occhi in un gesto di sfida ribalda, il corteo rosso in arrivo da San Frediano, che alla vista di quelle manacce aggrappate ai bordi del foglio e pesanti come macigni, esitava. (Rosai, p. 547) *[[Paolo Monelli|Monelli]], se seguisse le proprie inclinazioni, andrebbe a letto coi polli. Ma cosa direbbe la gente, se non lo vedesse più vagabondare nei vari ritrovi frequentati dai nottambuli della città? Direbbe senza dubbio: "Comincia a invecchiare". E a questa idea Monelli balza dalla sua poltrona e si attacca al telefono per mobilitare qualche amica che lo accompagni nei suoi vagabondaggi. Giovani colleghe come Livia Serini, attrici giovanissime come Lea Massari sono state ridotte sull'orlo dell'esaurimento nervoso da queste prolungate ronde notturne senz'altro costrutto che quello di ribadire agli occhi di tutti l'intramontabilità di Monelli. Egli non le porta a spasso. Le porta all'occhiello, come gardenie. (Monelli al girarrosto, p. 592) *{{NDR|Paolo Monelli}} Fuma la pipa come Churchill il sigaro, cioè soltanto quando lo guardano. (Monelli al girarrosto, p. 593) ==''I conti con me stesso''== ===[[Incipit]]=== Una telefonata da Milano m'informa che Longanesi è morto. È stato colpito dall'infarto davanti al suo tavolo di lavoro, su cui era spiegata una mia lettera di dieci giorni fa, che cominciava così: «Caro Leo, stanotte ho sognato ch'eri morto...». (27 settembre 1957) ===Citazioni=== *Tutta la mia vita è stata contesa fra la noia di vivere insieme e la paura di vivere [[Solitudine|solo]]. (4 ottobre 1957) *Di nuovo il Polesine. Pare impossibile: durante le inondazioni, la prima cosa che viene a mancare è l'acqua. (dicembre 1957) *[[Colette Rosselli|Colette]]. Invecchia gentilmente, senza catastrofi. Ha su tutte le altre donne un vantaggio incolmabile: quello di essere stata il mio ultimo e più grande amore. Così grande che possiamo camparci di rendita, comodamente, tutti e due per il resto dei nostri giorni. (gennaio 1958) *Il destino di [[Riccardo Bacchelli|Bacchelli]] sarà l'opposto di quello del maiale: di lui, dopo morto, ci sarà da buttar via tutto. (gennaio 1958) *[[Olga Villi]]. Non è punto grata alla sua bellezza che le ha consentito di diventare principessa di Trabia. Punta solo sul talento che non ha. Ma è talmente priva di ''sense of humour'' che forse diventerà una buona attrice. (gennaio 1958) *[[Gaston Palewski|Palewski]]. L'ambasciata a Roma è per lui soltanto uno dei più importanti capitoli del libro di memorie che scriverà. (gennaio 1958) *Non è che [[Luigi Barzini (1908-1984)|Barzini]] abbia un'altissima opinione di sé. Ne ha una bassissima degli altri. (gennaio 1958) *Piccolo incidente d'auto. La nostra, per evitare un ciclista, picchia contro un muro e resta piuttosto acciaccata. [[Colette Rosselli|Colette]], che la guida, dice: «Meglio così. Dovevo farla revisionare, e non mi decidevo mai...». (gennaio 1958) *[[Razzismo]]: pensarci sempre, parlarne mai. [[Risorgimento]]: parlarne sempre, pensarci mai. (gennaio 1958) *[[Fascismo]]. Il più comico tentativo per instaurare la serietà. (gennaio 1958) *Il guaio più grosso della Repubblica è che, mentre il Re poteva essere di sangue straniero e di solito lo era, il presidente bisogna sceglierlo fra gl'italiani. (gennaio 1958) *Bacchelli lavora infaticabilmente, da sessant'anni, alla costruzione di un piedestallo su cui, alla sua morte, non sapremo cosa posare. (gennaio 1958) *A pranzo da [[Vittorio Cini]] con una ventina di altri invitati. A colazione ne aveva avuti altrettanti. E così ieri. E così avantieri. E così sempre. A ottantadue anni suonati, è fresco, roseo, insaziabilmente voglioso di intrattenere e di essere intrattenuto. A conclusione della serata, mi sfida a una gara di canto. Scegliamo come banco di prova ''Vecchia zimarra'', e stoniamo maledettamente entrambi, ma io meno di lui. I presenti mi assegnano la vittoria. Di colpo, Vittorio perde il suo buon umore. È talmente abituato a vincere, che non accetta di perdere nemmeno nel canto. (7 settembre 1966) *{{NDR|Su [[Nicola Bombacci]]}} Io l'ho conosciuto soltanto cadavere, quando penzolava accanto a quello di Mussolini, in piazza Loreto, e una folla messicana lo bersagliava bestialmente di sputi. Anni dopo, volli tentarne la riabilitazione ritracciandone la patetica vicenda, ma non riuscii a trovarne gli elementi biografici. Compaesano e compagno di scuola di Mussolini, maestro elementare e autodidatta come lui, ne era stato il grande amico quando entrambi militavano nel socialismo. Eppoi il suo nemico giurato, la bestia nera degli squadristi. Esule con la famiglia prima in Francia, poi (credo) in Russia, rimpatria col permesso del Duce, si affida alla sua generosità, per ricambiarla gli resta al fianco anche a Salò, e lo accompagna fin nell'ultimo viaggio verso la morte. (23 ottobre 1966) *Colloquio segreto con l'ex comunista [[Giulio Seniga|Seniga]] per una storia del [[PCI|Pci]] che devo scrivere con [[Roberto Gervaso|Gervaso]] per la «Domenica». Ė un uomo piuttosto affascinante, dallo sguardo chiaro, freddo e innocente: lo sguardo del fanatico. Mi ha detto che sua moglie, cresciuta in Russia dove suo padre era fuoruscito, e autrice di un interessante libro – ''I figli del partito'' –, nel partito è rimasta, non ha trovato il coraggio di uscirne, sebbene approvi e condivida la secessione del marito, con cui è sentimentalmente unitissima. Non riesco a capire questa gente. Cioè capisco soltanto che è diversa da noi non sul piano ideologico, ma su quello umano. (25 novembre 1966) *È morto [[Uguccione Ranieri di Sorbello]]. Era venuto a Roma da sua suocera. Stava benissimo. Era anzi particolarmente sereno e contento perché aveva finito un suo lavoro di ricerca storica cui attendeva da anni. A fine pranzo ha detto: «Non mi sento bene». Si è alzato, ed è crollato a terra. Stecchito. (29 maggio 1969) *{{NDR|Su Uguccione Ranieri di Sorbello}} Era un gran signore e un gran galantuomo che ha trascorso la sua vita in crociate nelle quali non aveva nulla da guadagnare. L'ultima è stata la campagna propagandista negli Usa per convincere gli americani a dare il nome [[Giovanni da Verrazzano|Da Verrazzano]] al grande ponte sull'Hudson. Nel suo perfetto inglese (lo scriveva meglio dell'italiano) inondò l'America di articoli e conferenze (parlava benissimo, con molto humor e senza enfasi oratorie) cercando i familiarizzare gli ascoltatori col nome Da Verrazzano, la cui pronuncia rappresentava per essi la difficoltà più grossa all'adozione di quel nome. Questa smania missionaria credo che l'avesse ereditata da sua madre americana. E per seguirla aveva trascurato le sue proprietà terriere. Le sue campagne erano in uno stato pietoso, la sua bella villa sul Trasimeno mezza disunta. (29 maggio 1969) *{{NDR|Su Uguccione Ranieri di Sorbello}} Era un buon scrittore, un infaticabile sommozzatore di articoli, un ricercatore attento e scrupoloso di curiosità storiche, un umanista moderno che aveva allargato i suoi orizzonti a tutta la cultura contemporanea, specie anglo-sassone: un uomo insomma che ha realizzato un centesimo di quello che poteva per via di quel suo dispersivo correre dietro a un'infinità di altri interessi. Era stato anche un autentico combattente della [[Resistenza italiana|Resistenza]]: per ben sedici volte si era fatto paracadutare dagli Alleati dietro le linee tedesche: impresa che chiunque altro si sarebbe fatto ripagare con altrettante medaglie. Lui non aveva ricevuto nemmeno una citazione, e di questi episodi non ha mai parlato. (29 maggio 1969) *Anche [[Irene Brin]] se n'è andata. Mi avevano detto che era malata di un cancro; ma era una notizia vaga e incerta, ch'essa aveva fatto di tutto per smentire. Fino in fondo ha lavorato e ha partecipato ai riti della mondanità: sfilate di moda, ricevimenti, eccetera. (1 giugno 1969) *{{NDR|Su Irene Brin}} Quando [[Giovanni Ansaldo|Ansaldo]] la scovò e cominciò a farla scrivere sul «Lavoro» di Genova, sua città natale, era soltanto Mariù Rossi: una ragazza timida e incerta, molto provinciale, figlia di un Generale e di un'ebrea austriaca. L'unica fama di cui godeva era quella, equivoca e velata sotto un nome d'accatto, che le aveva procurato [[Elio Vittorini|Vittorini]] prendendola a protagonista, con sua sorella, di un racconto: ''Le figlie del Generale'' in cui entrambe erano presentate come lesbiche. Se lo fossero veramente, non so. Il sesso è uno dei tanti capitoli misteriosi di questa donna. (1 giugno 1969) *In mano a [[Leo Longanesi|Longanesi]], che le aveva regalato anche lo pseudonimo d'Irene Brin, aveva rivelato autentiche qualità di scrittrice. I profili che pubblicò su «Omnibus» erano deliziosi. Fosse rimasta fra biografia e memorialismo, poteva diventare qualcosa di mezzo fra [[Henri de Saint-Simon|Saint-Simon]] e [[Lytton Strachey|Strachey]] con un tocco alla [[Madame de Sévigné|Sévigné]]. Altro che la [[Maria Bellonci|Bellonci]]! Era un'osservatrice attenta (sebbene non ci vedesse da qui a lì) e penetrante, nutrita di vastissime letture: la sua prosa aveva ritmo, calore, l'aggettivazione precisa, l'ironia tagliente. Ma era un cavallo che aveva bisogno del fantino. Chiuso «Omnibus» e cessata la regia di Longanesi, Irene infilò la pista sbagliata – quella della cronista mondana –, e non è più uscita. (1 giugno 1969) *Finito di scrivere il capitolo sull'[[Giulio Alberoni|Alberoni]] per ''L'Italia del Settecento''. Ho riprodotto la pagina di [[Henri de Saint-Simon|Saint-Simon]], che lo descrive mentre assiste impavido alle evacuazioni corporali di Vendôme per guadagnarsene i favori, eppoi inginocchiandosi davanti a lui gli grida estasiato: «Oh, culo d'angelo!», e glielo bacia. Come inizio di "carriera" italiana, mi sembra esemplare. Poi mi torna a mente un'osservazione di [[Jules Renard|Renard]]: «Se in un periodo c'è la parola culo, il lettore non si ricorderà che di quella dimenticando tutto il resto, anche se è sublime». Renard ha ragione. Ma io, a un culo autenticato da Saint-Simon, non rinuncio. (3 luglio 1969) *Le Soroptimists hanno dato un pranzo a [[Colette Rosselli|Colette]], in qualità di "Donna Letizia". Colette ha accettato dopo molti rifiuti. Il suo fastidio per queste cose di donne, lo so, è sincero. Ma, una volta preso l'impegno, ha trascorso la giornata a preparare il suo discorsino col puntiglio che la distingue. Non è per nulla ambiziosa, non tiene affatto a reclamizzare il proprio talento, sottovaluta quello che mette nella sua rubrica di «Grazia» (ma se lo fa pagare profumatamente), rifiuta di fare una mostra dei suoi deliziosi quadri. Ma il suo suscettibilissimo amor proprio non le consente di rischiare una brutta figura nemmeno nelle cose che disprezza. Infatti anche stasera ne ha fatta una eccellente, leggendo con molto garbo le due paginette che aveva preparato con un sapiente dosaggio di humour autentico, e di pathos e di umiltà fasulli. Ha avuto gran successo. Per la prima volta mi son visto guardato come un personaggio-satellite, una specie di principe consorte. Cosa che a me non dispiace affatto, ma a lei moltissimo. In questo, è proprio femmina. (13 agosto 1969) *Mi riferiscono, di [[Giorgio Bocca|Bocca]], questo giudizio su di me: «Sempre il più bravo di tutti. Bravissimo. Troppo bravo. Ma mettendo lo stesso impegno a scrivere gli articoli su Venezia e quello sull'arbitro [[Concetto Lo Bello|Lo Bello]], dimostra che in realtà non è impegnato in nulla». È vero. Non sono impegnato in nulla. In nulla, meno che nel mio mestiere. Fiorentina-Bari 3-0. E Chiarugi capo-cannoniere! (16 novembre 1969) *Sciopero generale per il caro-case. Un pretesto da nulla. Ma è bastato per immergere Milano in un'atmosfera da 8 settembre. Strade vuote. Saracinesche abbassate. Enorme spiegamento di polizia. Mentre pranzo con [[Giovanni Spadolini|Spadolini]], [[Mario Cervi|Cervi]] e Zappulli, giunge notizia che in un tafferuglio al Lirico un agente è stato ucciso dai "cinesi". «Meno male che è toccata a un agente» diciamo in coro, eppoi non osiamo guardarci negli occhi. Anche noi apparteniamo a questa borghesia codarda che pretende appaltare alle forze dell'ordine il compito di farsi sputacchiare, pestare e ammazzare per tenerne al riparo se stessa. E non vuole nemmeno pagargli uno stipendio decente. (19 novembre 1969) *[[Alberto Moravia|Moravia]] ha fondato, insieme a [[Pier Paolo Pasolini|Pasolini]] e a [[Dacia Maraini]], un "comitato contro la repressione". È la riprova che la repressione non c'è. Se ci fosse, Moravia sarebbe coi repressori, come ha dimostrato avallando col suo silenzio la persecuzione di [[Aleksandr Isaevič Solženicyn|Solženicyn]] in Russia. (28 dicembre 1969) *Moravia si è ritirato dal comitato che lui stesso aveva fondato. Ma non per i silenzi di [[Giovanni Spadolini|Spadolini]]. Si è ritirato perché «l'Unità» ha disapprovato. Gl'italiani sono sempre pronti a fare la rivoluzione, purché i carabinieri siano d'accordo. E Moravia è sempre pronto a battersi per la libertà, purché sia d'accordo il piccì. (2 gennaio 1970) *Arrivati i rendiconti dei miei diritti d'autore: 28 milioni nell'ultimo semestre. Supero dunque i 50 milioni annui. Anche ammettendo che l'editore non ci faccia sopra punta cresta (il che mi sembra, a dir poco, improbabile), non c'è male. Credo di essere l'autore italiano che più guadagna, anche perché sono l'unico che questa cifra la guadagna ogni anno, e senz'aiuto di premi letterari. Non ne sono contento per il denaro, di cui non so che farmi e che serve solo a pagare i capricci di Colette (ne ha tanti!). Ne sono contento, anzi felice, per il mio status da autore stipendiato unicamente dal pubblico. C'è chi vive di partito. C'è chi vive di Eni. C'è chi vive di Agnelli, o di Perrone, o di Crespi. Io vivo di [[lettore|lettori]]. I lettori non m'impongono altra servitù che la sincerità: l'unica che non pesi. (3 marzo 1970) *Più che comunanza di vedute, fra [[Denis Mack Smith|Mack Smith]] e me c'è comunanza di nemici: quegl'insopportabili pedanti accademici che a Palermo lo hanno violentemente attaccato qualificandolo «il Montanelli di Oxford». Implicitamente egli accetta di far fronte con me contro di loro. Credo che facciamo entrambi un buon affare, e anche un affare buono: se riusciamo a squalificare agli occhi del pubblico la [[storiografia]] accademica (e coi nostri libri ci stiamo riuscendo), avremo reso un grosso servigio alla cultura italiana. (2 maggio 1970) *Sosta a Venezia, dopo il voto a Cortina. Visita d'obbligo a Vittorio Cini, e passeggiata con lui sulle Zattere. Vedendolo, un vecchietto sdrucito, ma dignitoso, si leva il cappello e gli tende la mano, evidentemente per mendicare. Vittorio gliel'afferra e gliela stringe con effusione dicendogli: «Caro!... Caro!... Caro!... Coma la va?» È in perfetta buona fede: la buona fede di un doge lontanissimo dalle afflizioni della miseria e perfino incapace di immaginare che ce ne siano. (8 giugno 1970) *Leggo in [[Giorgio Candeloro|Candeloro]]: «... Nel processo generale di sviluppo della Storia, il carattere dei personaggi, anche dei più grandi, ha un peso limitato...». Ah, sì? E cosa dunque se non il carattere di Alessandro, cioè la sua follia, può spiegare la conquista macedone fino all'India e la diaspora dell'ellenismo che ne deriva? L'Islam è concepibile senza il "carattere" di [[Maometto]]? E cosa divise la Riforma se non i diversi "caratteri" di [[Martin Lutero|Lutero]] e di Calvino? I nostri storici odiano i caratteri e i personaggi, perché questi richiedono immaginazione e intuito, cioè doti di scrittore, di cui essi sono disperatamente vedovi. Non sono storici. Sono soltanto degli archivisti, e molto spesso disonesti. (10 novembre 1970) *Milano è in fiamme per l'affare Feltrinelli, e [[Piero Ottone|Ottone]] mi chiede un articolo contro la [[Camilla Cederna|Cederna]], firmatario di un manifesto in cui, a due ore di distanza dal rinvenimento del cadavere e prima ancora che esso sia ufficialmente riconosciuto, proclama che Feltrinelli è rimasto vittima della «reazione internazionale». Se la Cederna avesse una testa, direi che l'ha persa. Ma perché Ottone vuole un articolo contro di lei, intima amica e direttrice di coscienza di [[Giulia Maria Crespi|Giulia Maria]], nonché regina del suo sinistrorso salotto? Comunque, a mettere una zeppa fra direttore e proprietaria, è doveroso collaborare. E faccio l'articolo in forma di "lettera a Camilla". (25 marzo 1972) *Pare che l'articolo abbia rimesso fuoco a Milano, creandovi una irreparabile frattura fra montanellisti e cedernisti. I primi sono più numerosi, ma i secondi più rumorosi. Ricevo pacchi di telegrammi di plauso e altrettanti d'insulti. Il giornale è sommerso di lettere, e io prego Ottone di pubblicare anche quelle di protesta. Ha scritto anche la Cederna annunziando una replica sull'«Espresso» (Ottone ha cancellato il titolo del settimanale, commettendo una meschineria). Quanto a Giulia Maria, mi dicono che schiuma di rabbia. Se è vero, devo riconoscere che il giornalismo qualche soddisfazione la dà. [[Umberto Eco]] mi attacca sul «manifesto» riproducendo una mia frase di ammirazione per Mussolini scritta quando avevo ventidue anni (in dieci anni di giornalismo sotto il defunto regime, non sono mai riusciti a trovare, di mio, altre prove di zelo fascista) e accusandomi di mancanza di cavalleria verso una donna. O bella! Come se una donna, quando si mette a far politica – e che politica! – come un uomo, potesse ancora accampare l'impunità! Anche la [[Maria Callas|Callas]] è una donna. Eppure, quando stona, la si fischia. (27 marzo 1972) *Ho scritto un fondo in difesa della Cederna, incriminata dal magistrato per aver diffuso notizie false e tendenziose. Che abbia commesso questo peccato, ho detto, è vero. Ma si tratta di peccato, non di reato. E a giudicarne dev'essere il lettore, non il tribunale. Verità lapalissiane. Dice che è sempre stata molto più impegnata e coraggiosa di me perché con le sue campagne in favore di Valpreda e di [[Giuseppe Pinelli|Pinelli]], tiene fronte alla polizia. Potrei incenerirla chiedendole dov'era e cosa faceva quando io ero in galera per aver tenuto fronte non alla polizia d'oggi, ma a quella fascista e nazista. Ma non ne vale la pena. (28 marzo 1972) *Più approfondisco questo tema delle regioni (sono a Milano per questo), e più mi sgomenta il doverne scrivere. Ci vuol poco a capire che questi regionalisti lombardi perseguono, consapevolmente o inconsapevolmente, un piano secessionista cisalpino. E, una volta che ne abbiano lo strumento, riusciranno a realizzarlo. Non per nulla Bassetti parla già non più di «regione lombarda», ma di «[[Padania|regione padana]]», di cui il resto d'Italia non sarebbe che un'appendice. Se ce la fanno (e ce la faranno), addio Risorgimento! Non era che una finzione, d'accordo, e in pratica ha fallito. Ma con che lo sostituiremo? (26 settembre 1972) *Volo a Lussemburgo sul solito bireattore di Berlusconi, che ci accompagna, felice di esibirsi e di esibire il suo status in una cerimonia internazionale. La medaglia d'oro (ma è proprio d'oro?) me la consegna Gaston Thorn, capo del governo lussemburghese. Berlusconi riempie il suo taccuino di indirizzi: quelli di tutte le personalità che ha incontrato. È il vero ''climber'' che approfitta di tutto e non butta via nulla. (23 maggio 1977) *Kappler è fuggito. Ha fatto bene. Ma ora chi ci salverà dai conculcati "valori della Resistenza"? (15 agosto 1977) *A colazione da [[Vittorio Cini|Cini]]. Ha avuto un brutto crollo, ma ha ancora risorse. Le tira fuori quando è in compagnia. Ma quando è solo, mi dice sua moglie, sprofonda in quei tetri silenzi che sono i colloqui di un uomo con la morte. (19 agosto 1977) *De Carolis m'informa che il vero autore della operazione «Corriere» è un certo [[Licio Gelli|Gelli]], misterioso personaggio massonico, di Arezzo (Fanfani), che vuole incontrarmi per un accordo fra i due giornali. (24 settembre 1977) *Secondo quanto mi era stato raccomandato, dovevo salire direttamente alla camera 219 dell'Excelsior. Ma alla camera 219 non c'era nessuno, e così dovetti chiedere al portiere del signor Gelli. Poi Gelli arrivò, mi condusse furtivamente nel suo appartamento e mi fece un lungo discorso pieno di allusioni, dal quale dovevo comprendere che lui è un pezzo grosso – forse il più grosso – della massoneria (Palazzo Giustiniani), che come tale era stato il vero padrino della operazione Rizzoli, e che in questa operazione potevamo rientrare anche noi. Mi ha detto che quattro ministri dell'attuale governo, otto sottosegretari e centoquaranta parlamentari dipendono da lui. Questi massoni sono tutti uguali: credono che la loro potenza sia direttamente proporzionale al mistero di cui si circondano e prendono per cose fatte quelle per le quali complottano. (4 ottobre 1977) *Da Fanfani, al Senato. È talmente infuriato che diventa perfino sincero. «Dica al suo amico che è un traditore!» «Perché non glielo dice lei?» Mi spiega che Forlani non mira alla segreteria del partito, come io credevo, ma alla presidenza del Consiglio, quando Andreotti sarà consumato. Mi dice anche che condivide l'idea di Donat-Cattin di lasciare il Quirinale a un laico. «Altrimenti fra noi democristiani ci sbraniamo e ci sbrachiamo nella corsa a chi concede di più ai comunisti.» È sincero anche stavolta, o lo dice perché, avendo perso ogni speranza per sé, vuole prepararsi un buon argomento per Maria Pia («Stavolta toccava ai laici»)? (29 ottobre 1977) *A cena da Gervaso con Cossiga. Non si lamenta dei nostri attacchi, ma sono io a dirgli: «Noi esprimiamo lo scontento, e talvolta la rabbia, della pubblica opinione. La gente vuole un ministro degl'Interni che agisca e che faccia agire la polizia». «Ma lei sa com'è ridotta la polizia?» «In qualunque modo sia ridotta, siete voi che l'avete ridotta così. E quindi sta a voi rimediare.» Mi dice che non c'è da farsi illusioni: la situazione si aggraverà. Il terrorismo è finanziato coi sequestri, ha solidi agganci internazionali, e segue una tattica ben studiata. «L'attentato a lei fu un errore. Se a essere colpite fossero le personalità di rilievo, la gente media, cioè la grande massa della popolazione, sarebbe tranquilla. Invece hanno deciso di colpire i gradi subalterni – consiglieri comunali della Dc, capireparto della Fiat eccetera – per togliere il sonno a tutti.» Forse è vero. (29 ottobre 1977) *Quattro revolverate in faccia a [[Carlo Casalegno|Casalegno]], che ora è grave. Alzano la mira. (16 novembre 1977) *«La Stampa» riporta tutti gli articoli di solidarietà per Casalegno apparsi sugli altri giornali. Ma omette il mio, ch'era forse il più caldo: la solidarietà nostra la imbarazza. (18 novembre 1977) *Casalegno è morto. Ho telegrafato alla vedova, ma non al figlio – iscritto a [[Lotta Continua|Lotta continua]] –, né a [[Arrigo Levi|Levi]] e ai colleghi della «Stampa». Purtroppo, la loro faziosità condiziona la nostra solidarietà. Al funerale andrà Biazzi. (29 novembre 1977) *Incontro risolutivo a Roma tra Ferrauto e quelli della Sipra. Affare fatto e a condizioni molto più favorevoli di quelle sperate. Sei miliardi e settecento milioni come minimo annuo garantito, per cinque anni. Firmeremo il compromesso martedì 16. (10 maggio 1978) *Vista in tv la cerimonia funebre per Moro in San Giovanni Laterano. Dentro la basilica, tutti i dignitari Dc e quelli Pci inginocchiati sotto la mano benedicente del papa. E, fuori, la piazza sventolante di bandiere bianche e rosse. Non ho potuto fare a meno di rilevarlo in un "Controcorrente". (13 maggio 1978) *Batosta comunista alle amministrative parziali di ieri (4.000.000 di elettori). La Dc sale dal 38 al 42 per cento, il Pci scende dal 35 al 26. Successo dei socialisti che guadagnano il 4 per cento. Un risultato sconvolgente (in positivo). Uniche delusioni: il guadagno – sia pur minimo – del Pri, e la mancata rianimazione del Pli. (15 maggio 1978) *Firmato oggi l'accordo con la Sipra. Minimo garantito: 6.800.000.000 all'anno per cinque anni. Il presidente, D'Amico, è un ex operaio della Fiat, ora deputato comunista: un uomo concreto, franco, di poche parole. Era più soddisfatto lui dell'accordo con noi, che il direttore generale, il democristiano Pasquarelli. Io ho fatto la mia parte, da buon attore. Arrivato all'ultimo momento, ho detto: «Per impedire ripensamenti ed equivoci, trasformiamo il compromesso in vero e proprio contratto, e firmiamo subito». Lo champagne era già pronto. (16 maggio 1978) ==''I protagonisti''== *Nel settembre di quell'anno {{NDR|1956}} il partito lo spedì {{NDR|[[Gian Carlo Pajetta]]}} a Mosca insieme a Pellegrini e a [[Celeste Negarville|Negarville]] per sentire direttamente da [[Nikita Sergeevič Chruščёv|Kruscev]] come ci si doveva comportare nella crisi, ormai aperta, dell'antistalinismo. Kruscev li accolse affabilmente, li invitò a cena. E qui, trascinato da bocconi e libagioni ad una espansiva euforia come spesso gli capita, a un certo punto disse: «Beh, ora vi voglio raccontare come strangolammo [[Lavrentij Pavlovič Berija|Beria]]». E descrisse l'agguato che gli avevano teso al Cremlino, come gli erano saltati addosso e come gli avevano serrato la gola con le mani fino alla soffocazione. Lo descrisse ridendo allegramente, forse senz'accorgersi del pallore che soffondeva il volto dei suoi ospiti, o per lo meno quelli di Pajetta e di Negarville.<br />L'indomani li convocò nuovamente e, come non ricordando affatto ciò che gli aveva raccontato la sera prima, disse loro in tono solenne: «Beh, ora vi farò sentire il processo di Beria registrato sul nastro». E glielo fece sentire davvero come lo avevano inventato ''post mortem'', con la voce del defunto falsificata.<br />Quando si ritrovarono fra loro, Negarville e Pajetta si guardarono con gli occhi pieni di lacrime. «Ma allora – dissero –. Ma allora...». E non aggiunsero altro. (pp. 66-67) *{{NDR|Su [[Anna Magnani]]}} Ci sarebbe da scrivere un trattato sul modo di usare Anna. La prima precauzione da prendere è quella di non farla ritrovare in mezzo a estranei. Timida com'è, pur dopo un'esistenza trascorsa sotto i ''flashes'', la gente la raggela e la chiude in un mutismo ostile o l'aizza ad atteggiamenti protervi. Delle poche persone che le ho presentato, l'unica che la sedusse immediatamente fu il mio collega [[Augusto Guerriero]], perché il discorso cadde sui cani e sui gatti: e questo è un argomento su cui il cuore di Anna si scioglie e la mente le si ottenebra. Si mise in testa che noi due, con un articolo, potevamo far riformare la legge sulla protezione degli animali. E invano cercammo di dimostrarle che il problema non era di leggi, ma di costume. Non sentì ragioni. Dovemmo prometterle l'articolo (che poi infatti scrivemmo). (pp. 177-178) *{{NDR|Su [[Ignazio Silone]]}} Leggendo i suoi primi romanzi, ''Fontamara'', ''Pane e vino'', ''Il seme sotto la neve'', e pur ammirandoli, ero caduto in abbaglio sull'autore. Lo avevo preso per uno di quegl'industriali dell'antifascismo che, riparati all'estero, avevano trovato nella universale avversione alla dittatura una comoda scorciatoia al successo dei libri di denunzia. Lo consideravo insomma un profittatore del regime a rovescio (come del resto ce ne sono stati). E una conferma mi era parso di vederla nel fatto che finito, col fascismo, l'antifascismo, parve finito anche il narratore Silone.<br />Poi vennero ''Una manciata di more'', ''Il segreto di Luca'', ''La volpe e le camelie''. Ma vennero soprattutto alcuni saggi politici che mi costrinsero a ricredermi. Ed era proprio questo che non riuscivo a perdonargli. Mi era antipatico non per i suoi, ma per i miei errori. Più lo conoscevo attraverso i suoi scritti, e più dovevo constatare che non solo egli non somiglia affatto al personaggio che m'ero immaginato, ma che anzi ne rappresenta la flagrante contraddizione. (pp. 180-181) *{{NDR|Su ''[[Ignazio Silone#Uscita di sicurezza|Uscita di sicurezza]]''}} Come documento umano, non ne conosco di più alti, nobili e appassionati. Fenomeno unico, o quasi unico, fra gli sconsacrati del comunismo che di solito non superano mai più il trauma e trascorrono il resto della loro vita a ritorcere l'anatema, Silone non recrimina. Egli rifiuta i grintosi e uggiosi atteggiamenti del moralista, o meglio ne è incapace. Domenicano con se stesso, è francescano con gli altri, e quindi restio a coinvolgerli nella propria autocritica. Cerca di metterne al riparo persino [[Palmiro Togliatti|Togliatti]]; e se non ci riesce che in parte, non è certo colpa sua. Qui non c'è che un accusato: Silone. E non c'è che un giudice: la sua coscienza. (pp. 186-187) *Noi crediamo di scoprire dei modelli. In realtà non scopriamo che degli antenati. [[Carlo Cassola|Cassola]] s'illude di aver imparato da [[James Joyce|Joyce]] quello che già sapeva. Joyce gli avrà fornito, al massimo, qualche mezzo tecnico per esprimerlo. Uno [[scrittore]] vero (e Cassola lo è) non cerca in un altro scrittore che se stesso. (p. 207) *{{NDR|Su [[Enrico Mattei]]}} Egli amava solo il [[potere]], e l'amore del potere esclude tutti gli altri. (p. 265) *{{NDR|Su [[Giulio Andreotti]]}} Andava anche, mi dicono, a messa insieme a lui {{NDR|[[Alcide De Gasperi|De Gasperi]]}}, e tutti credevano che facessero la stessa cosa. Ma non era così. In chiesa, De Gasperi parlava con Dio; Andreotti col prete. Era una divisione di compiti perfetta. (pp. 271-272) ==''Il meglio di «Controcorrente»''== *Il «comitato permanente antifascista» di Milano ha deciso di chiedere un «riconoscimento» per tutti coloro che sono stati «coinvolti direttamente nella strategia della tensione a partire dal 1º gennaio 1969». Ci risiamo. Tutta la nostra vita è stata angosciata e angariata dagli antemarcia: prima quelli del Littorio, poi quelli della Resistenza, ed ecco che ora spuntano quelli della «tensione». Longanesi aveva ragione: in questo Paese, reduci si nasce. (p. 47) *Agli alunni della terza classe (anni otto-nove) della scuola elementare di via Pisani, Milano, è stato assegnato il seguente problema: «Mario, Gino e Beppino sono i capi della banda. Mario dice a Gino che la banda ha quasi esaurito le munizioni: rimangono solo 5 cassette con 130 pallottole per cassetta. Quante pallottole rimangono?». Debolucci come siamo, in aritmetica, non lo sappiamo nemmeno noi. Ma ci pare che una per l'insegnante e una per il ministro Malfatti ci dovrebbero ancora essere. (p. 79) *Il messaggio di addio che il dimissionario capo dello Stato ha detto alla televisione e che anche noi pubblichiamo, è ineccepibile. Esso dà del presidente [[Giovanni Leone|Leone]] un'immagine che non fa una piega: un galantuomo all'antica, padre di una famiglia esemplare, ingiustamente calunniato da una stampa irresponsabile. Siamo sicuri che tutto questo si può dire di Leone. Ha un solo difetto: che a dirlo è stato Leone. (p. 84) *A Roma, nonostante tutte le ricerche fatte, non è stato possibile trovare un locale disponibile per un convegno di radicali. Non ce n'era uno abbastanza piccolo per contenerli tutti. (p. 103) *In un convegno su «Terrorismo e informazione», a Roma, è stato unanimemente riconosciuto che il [[segreto istruttorio]] in Italia non esiste. Lo trasgrediscono tutti. Non solo giornalisti e avvocati – e ancora passi – ma perfino magistrati che anticipano e propalano, il più delle volte per farne strumento politico, notizie riservate. «È il segreto di Pulcinella» si è lamentato il procuratore capo della Capitale, De Matteo. È vero. Ma Pulcinella non era giudice. E i giudici non dovrebbero essere Pulcinella. (p. 104) *Solo il tempo non perde tempo, diceva [[Jules Renard|Renard]]. E così, a furia di annunciarne i cambiamenti, il tempo è passato anche per il colonnello [[Edmondo Bernacca|Bernacca]], che ora deve rassegnarsi alla pensione. Peccato. Gli dobbiamo parecchi raffreddori e reumatismi. Ma nessuno riuscirà meglio e con più grazia di lui a farci capire ed accettare l'inutilità della meteorologia. (p. 108) *Qualcuno teme – e qualche altro spera – che l'Afghanistan diventi il Vietnam dei russi. Niente paura, in Afghanistan non ci sono giornalisti. (p. 112) *La scomparsa di Tito apre nei Balcani un periodo di pericolose incognite. Molti si domandano se i successori avranno forza sufficiente per impedire all'Unione Sovietica di fare un boccone della Jugoslavia. Perciò ai funerali del vecchio Maresciallo i cronisti sono rimasti sconcertati vedendo Leonid Breznev scoppiare in lacrime. Siamo rimasti sconcertati anche noi. I coccodrilli, di solito, piangono dopo aver mangiato. (p. 116) *Se si seguita di questo passo, con lo scandalo dei petroli, non so quale palazzo di Giustizia riuscirà a contenere tutti gl'imputati, la cui schiera cresce a diecine di capi ogni giorno, e ormai è già una folla. Più che un processo, sarà un vero e proprio giorno del giudizio, quando – secondo una profezia di Disraeli da tenere a mente – «pioverà sull'onesto e sul disonesto, ma sull'onesto di più perché il disonesto gli ruberà l'ombrello». (p. 120) *Quella del ''Corriere'' non è una situazione invidiabile: il direttore in congedo per l'affare della P2, manager ed articolisti contestati per lo stesso motivo, il maggiore azionista in galera, accusato di reati valutari, montagne di debiti, trasparenza della proprietà limpida come un mare in burrasca. Ci sarebbe davvero da mettersi le mani nei capelli. Se non fosse un giornale di [[Roberto Calvi|Calvi]]. (pp. 125-126) *Quando leggiamo «ministro senza portafoglio», ci viene sempre un dubbio. Che glielo abbia rubato qualche collega? (p. 146) *L'[[Organizzazione per la Liberazione della Palestina|Olp, Organizzazione per la liberazione della Palestina]], è stata ammessa con voto unanime, anche se provvisoriamente, nel Comitato olimpico asiatico. Non sapevamo che il lancio della bomba fosse diventato una disciplina atletica. (pp. 171-172) *A suo tempo imprigionato dagl'israeliani per complicità col terrorismo palestinese, e liberato per l'intervento del Vaticano con l'impegno di astenersi dalla politica, l'Arcivescovo libanese di Gerusalemme [[Hilarion Capucci]] ha dichiarato in un'intervista all'''Europeo'' che i rivoltosi di Gaza e della Cisgiordania non ricevono ordini da nessuno: «Li prendono solo da Dio, loro unico leader». Lo abbiamo sempre detto, noi: a grattare un arabo, anche se cristiano e Monsignore, viene fuori un Ayatollah. Ma forse non c'è neanche bisogno di grattare. (p. 184) *Da Praga [[Bettino Craxi]] proclama che «bisogna liberare l'Italia da Falci e Martelli». Benissimo. Ma chi è Falci? (p. 206) *[[Pino Rauti]] è intenzionato a candidare un africano alle elezioni comunali fiorentine. Più che giusto: il nero si addice al Msi. (p. 209) *Per evitare pubblicità attorno al caso di [[Angelo Peruzzi|Peruzzi]] e [[Andrea Carnevale|Carnevale]], i due giocatori giallo-rossi risultati positivi all'antidoping, il presidente della Roma, [[Dino Viola]], ha deciso di portare tutta la squadra in ritiro. A San Patrignano. (p. 216) *Secondo ''La Notte'' di ieri – che riferisce dichiarazioni d'un capo della Jihad islamica, Ibrahim Serbell – i terroristi arabi hanno nel loro mirino, per quanto riguarda l'Italia, «uomini politici, aeroporti e alcuni obiettivi strategici». Siamo molto preoccupati per gli aeroporti e gli obiettivi strategici. (p. 220) *La fantapolitica non è il nostro esercizio preferito. Ma ci chiediamo che cosa succederebbe se, con un colpo alla Moro, i terroristi si impadronissero di Cossiga e lanciassero al governo il ricattatorio ultimatum: «Se non ci date cento miliardi, lo liberiamo». (p. 228) *Malgrado tutto (e per tutto intendiamo proprio tutto), [[Moana Pozzi]] non è riuscita ad entrare a Montecitorio. Peccato. È l'unica Camera che non potrà dire di aver frequentato. (p. 236) *Sull'''Unità'' è comparsa la lettera di un deputato che, pericolosamente sfiorato da un motociclista, invoca drastiche misure penali contro i «teppisti al volante». Ci associamo alla proposta. L'unica cosa che ci sconcerta è la firma del proponente: è quella dell'onorevole [[Mario Gozzini]], autore della famosa legge che in pratica vorrebbe l'indulgenza plenaria per qualsiasi reo e reato. (p. 244) ==''Il testimone''== *Per restituire efficienza e prestigio alla polizia, bisogna prima restituirli allo Stato. E in che condizioni lo Stato italiano sia ridotto, tutti lo sappiamo e lo vediamo. Dovrebbero vederlo e saperlo anche i nostri uomini politici, e trovare il coraggio di riconoscerlo pubblicamente, invece di occultare la verità dietro la cortina fumogena di dichiarazioni pompose e altisonanti sulla «saldezza delle istituzioni» e simili. Furono questi proclami retorici e vuoti a provocare la bordata di fischi che accolse a Brescia [[Giovanni Leone|Leone]] e [[Mariano Rumor|Rumor]] all'indomani della strage. [...] La gente è stanca di una politica che cerca ma non trova, di una magistratura che istruisce ma non giudica, e soprattutto di partiti che strumentalizzano i morti per la loro propaganda politica. Con questi sistemi non si ricostruisce la fiducia. Si rende obbligatoria la sfiducia, condizione e prefazione della resa. (p. 33) *La Lombardia seguita a sfornare energie di prim'ordine. E da tutta Italia coloro che, come i soldati di Napoleone, credono di portare nel loro zaino il bastone di maresciallo, continuano a fare di Milano la loro mecca. Le difficoltà fra cui si dibattono sono molto più ardue di quelle che affrontano i loro predecessori per fare le fortune proprie e quelle di Milano. Ma la più ardua di tutte è il riciclaggio dei valori morali. Se Milano non restaura il culo dell'uomo, della sua iniziativa, del suo coraggio, del suo orgoglio di costruire, di rischiare e di vincere, e se non restituisce il premio a queste virtù, tanto vale che si arrenda allo Stato, al parastato e al sindacato, e si rassegni a diventare il ''bazar'' di un'Italia da terzo mondo. (p. 69) *Chi sia, cosa voglia e cosa valga Rizzoli, non c'interessa. C'interessa solo l'operazione cui egli presta il nome e il braccio (la mente lasciamola stare). Il tentativo di fare di Rizzoli, coi soldi del contribuente, l'editore del regime, è chiaro. E se di lui si vuol fare l'editore del regime, è altrettanto chiaro che si punta a una stampa di regime. Ma di quale regime? Evidentemente di un regime bisognoso di quei silenzi che solo una stampa di regime, affiancata da una RAI-TV di regime, può garantire. Se l'operazione riesce, caro lettore, dovremo dirci addio, perché per le voci libere e indipendenti non ci sarà più posto. Per soffocarle, non è necessaria nemmeno una legge: basterà lasciar aumentare il costo del prodotto bloccandone il prezzo. (p. 80) *Frondista sotto il fascismo, ribelle sotto la democrazia, Longanesi rimase sempre lo stesso. Il suo sogno sarebbe stato di fare l'anarchico in un regime autoritario borghese. Una volta lo condussi a parlare di un vecchio artigiano toscano, che diceva di essere stato in Russia a organizzare complotti e a fabbricare bombe contro lo zar. A tal punto Longanesi si entusiasmò di lui da rifiutare i miei sospetti sull'autenticità della storia. «È vera, è vera», diceva: «non hai sentito con che effetto e rimpianto parlava dello zar? L'affetto e il rimpianto del vero anarchico che, quando c'era lo zar, saoeva almeno contro chi buttare le bombe.» Ed era chiaro che anche lui rimpiangeva lo zar, per gli stessi motivi. (pp. 103-104) *In Italia i rappresentanti del popolo non sono popolari. Nessuno, nemmeno fra quelli che raccolgono centinaia di migliaia di voti, è veramente amato e rispettato. [...] I rappresentanti del popolo non parlano quasi mai col popolo. Parlano solo col partito, cioè fra loro, in un linguaggio ermetico che dà corpo ai peggiori sospetti. E in più c'è il borbonico attaccamento agli orpelli del potere. Questi capi di Stato e di governo, questi ministri [...] è fatale che agli occhi della gente appaiano come ''loro'', e ne subiscano le conseguenze. Non la si prenda per una dichiarazione di fede antirepubblicana. Ma [...] l'uccisione di [[Umberto I di Savoia|Umberto I]] che, come re, era il supremo dei ''loro'', sollevò un'ondata di commozione popolare più diffusa e spontanea di quella suscitata dal brutale sequestro di [[Aldo Moro|Moro]] (p. 114) *Sui feretri di coloro che sono caduti per ragioni ideologiche hanno diritto di sventolare solo le bandiere dei rispettivi partiti, e bisogna riconoscere che quelle della Democrazia cristiana possono vantare precedenza. Su quelli di tutti gli altri – magistrati, poliziotti, carabinieri, guardie e medici di carcere – può e deve sventolare solo il tricolore, se in qualche soffitta ce ne sono ancora degli scapoli. Il tempo delle usurpazioni e delle confische è finito. A ciascuno il suo. (p. 137) *In Germania c'è una norma statuaria che vieta di rovesciare un governo se prima non si sia trovata la maggioranza per formarne un altro. Da noi, ogni limitazione alla spensieratezza è considerata antidemocratica. Come diceva Longanesi: «Chi rompe, non paga, e siede al governo». (p. 161) *In questi venticinque anni, Kekkonen si è adoperato a «finlandizzare» la Finlandia: non aveva altra scelta, e c'è riuscito. La Finlandia è l'unico satellite dell'URSS in cui le fondamentali libertà democratiche sono rispettate, e di cui la porta è rimasta aperta all'Occidente. Ma non credo che questo miracolo sia dovuto solo a lui. Esso è dovuto soprattutto alla Finlandia e a quello che nel suo giovanile estremismo nazionalista egli stesso aveva chiamato «l'inutile sacrificio». Quel sacrificio fu invece utilissimo. È grazie a esso che la Finlandia non ha seguito la sorte degli altri tre Paesi Baltici – Estonia, Lettonia e Lituania –, ormai cancellati dalla carta politica dell'Europa. (p. 195) *Non vengano i sociologi a ripeterci la solita filastrocca che la mafia non è colpa di nessuno, neanche dei mafiosi, ma solo delle «strutture» e della povertà. Forse un tempo era così: il tempo in cui la mafia aveva qualche diritto di fregiarsi del titolo di «onorata società», e anche se avesse ammazzato un [[Carlo Alberto dalla Chiesa|Dalla Chiesa]], avrebbero risparmiato sua moglie. Oggi la mafia naviga nell'oro, e forse Dalla Chiesa è morto proprio perché aveva messo le mani su certe carte che riguardano finanziamenti per 880 miliardi ad aziende ancora più fantomatiche del Banco Andino di calvesca memoria. Il che dovrebbe indurci a qualche riflessione sui contributi che lo Stato fornisce alla Regione siciliana per aiutare l'isola a recuperare i suoi «ritardi». (pp. 215-216) *C'è chi chiede il rigore nella lotta all'inflazione, c'è chi lo chiede in quella della disoccupazione, c'è perfino chi lo chiede nello sviluppo dell'assistenzialismo. [[Guido Carli]] [...] ha detto ch'esso va applicato principalmente alla spesa pubblica, da contenersi entro l'invalicabile limite della «sopportabilità»: cosa su cui tutti hanno convenuto, essendo questo [...] il rigore che più piace agl'italiani (oltre quelli che gli arbitri di calcio assegnano in favore della squadra di casa). (p. 222) *La colpa dei Paesi sviluppati non è di far troppo poco per quelli di sottosviluppo, ma di farlo male. Qualcuno ha riassunto la lezione dei fatti nella massima: «Non date il pesce alla gente affamata; insegnatele a pescarlo». Ma per questo i miliardi non bastano: ci vogliono i missionari alla [[Marcello Candia]] e alla [[Madre Teresa di Calcutta|Suor Teresa di Calcutta]], molto più difficili da stanziare. Comunque, una cosa bisogna esigerla: l'eliminazione delle strozzature che impediscono agli aiuti di arrivare a chi ne ha veramente bisogno. Oggi come oggi, essi si fermano regolarmente sulle mense e nelle tasche di politici e burocrati delle nuove satrapie. Ma nella legge varata ieri non mi sembra che ci sia accenno allo smantellamento di questo perverso sistema. Che l'amministrazione di quei millenovecento miliardi [...] sia affidata a un sottosegretario invece che a un commissario, non mi pare una gran trovata. Si tratterà [...] del solito carrozzone lottizzato fra partiti, che farà presto a intendersi, via mance e bustarelle, coi carrozzoni dei Paesi da soccorrere. (pp. 257-258) *La [[Resistenza italiana|Resistenza]] un grande servigio all'Italia lo rese: ci procurò un notevole ribasso sul conto della sconfitta. Senza la Resistenza, non c'è dubbio che avremmo pagato molto più caro il nostro dissennato intervento a fianco della Germania. [...] Essa ha tutti i titoli per essere ricordata. Ma come la fine di una lunga sconfitta, la chiusura del capitolo più nero della nostra storia unitaria; non come il coronamento di una radiosa vittoria. Noi non ci liberammo; fummo liberati, L'aiuto – modestissimo, sul piano militare – che con la Resistenza demmo ai liberatori merita la gratitudine di tutti i disastri che ci risparmiò e le indulgenze che ci procurò al tavolo della pace. Ma la pretesa di confonderci coi vincitori, e perfino di parlare in loro nome, non può tirarci addosso che disprezzo e sarcarmi. (pp. 266-267) *Per Menichella, la ricostruzione e il grande decollo industriale erano possibili a una condizione: la stabilità della moneta. I capitali per gl'investimenti dovevano essere attinti non alla Zecca, ma al risparmio, che in caso contrario sarebbe stato distrutto dall'inflazione. E per accumulare il risparmio non c'era che una ricetta, la solita: lavorare di più e consumare di meno. Lo accusarono di rozzezza, di passatismo, lo tacciarono di «guardia bianca del capitalismo» che voleva «arricchire i padroni sulla pelle degli operai» [...] e un tenore della sinistra giunse a definirlo «un analfabeta dell'economia». E niente poteva essere più menzognero. Menichella aveva una preparazione di ferro. Di economia sapeva tutto. Solo lo traduceva [...] in un linguaggio spicciolo e sempre rapportato al concreto. I fatti gli diedero ragione. Ricostruzione e stabilità monetaria camminarono di pari passo; l'Italia raggiunse il ''boom'' nel momento in cui la lira si guadagnava l'Oscar. (p. 282) *Noi che laici siamo sul serio, non abbiamo nessuna nostalgia dello Stato crispino che credeva di fare del laicismo silurando i prefetti che andavano a messa e destituendo il sindaco di Roma per un atto di omaggio al Papa. Come non ne abbiamo per una Chiesa che umiliava padre Tosti e il vescovo Bonomelli, costringendoli a pubblici atti di contrizione per avere avanzato proposte di conciliazione. Uno dei motivi, forse il maggiore, per cui amammo e rispettammo De Gasperi è per la peitra tombale che ci sembrava avere messo su questo passato, dimostrando col proprio esempio come si possa essere insieme il più cattolico degl'italiani e il più italiano dei cattolici. [...] Non abbiamo titoli né qualifiche per rivolgerci al Papa. Ma se potessimo, gli porremmo una sola domanda che non dovrebbe [...] dispiacergli. Gli chiederemmo se per essere insieme buoni patrioti e buoni cattolici sia proprio indispensabile nascere polacchi. (pp. 306-307) *[[Walter Cronkite|Cronkite]] non ebbe mai dubbi sulla «obbiettività» delle sue immagini. «Parlano da sole», diceva. E in un certo senso è vero. [...] In questo lavoro di montaggio [...] fu un vero maestro. Come lo è stato nell'arte delle omissioni. Perché l'immagine del colonnello che sparava alla tempia del vietcong diceva, sì, la verità. Ma taceva, ignorandola, quella dello sfondo su cui la scena si svolgeva: il suolo tappezzato dai cadaveri seviziati dei ''marines'' sorpresi nel villaggio, delle donne sventrate e dei bambini abbruciacchiati per sospetto di collaborazionismo: tutte immagini che non avrebbero tolto nulla alla verità di quella della pistola sparata alla tempia, ma l'avrebbero spiegata sminuendo l'effetto dell'errore e del capriccio. Così come sono vere, verissime, le sequenze [...] della ritirata (si fa per dire) degli americani da Saigon: roba che quasi rivaluta l'8 settembre italiano, da arrossire di vergogna nei secoli. Peccato che Cronkite non abbia fatto riprendere le scene che contemporaneamente si svolgevano nelle strade della città via via che i ''liberatori'' del Nord vi s'inoltravano: roba da impallidire di orrore anche oggi. [...] Cronkite seguita a dire che la verità sul Vietnam è la sua. Ma è rimasto il solo a dirlo. Tutti i suoi ''fans'' lo hanno abbandonato e rinnegato. Compresa [[Jane Fonda]], che da cacciatrice di streghe e pasionaria del colpevolismo si è trasformata in missionaria del pentitismo e invoca il perdono dei reduci battendosi il petto. Con la stessa sincerità e buona fede, credo, con cui prima li indicava al crucifige. [...] È vero, putroppo, che la sorte del Vietnam fu decisa dalle «patacche» di Cronkite. In fatto di mestiere, possiamo imparare tutto da lui. Ma in fatto di verità, nulla. Salvo l'arte di contraffarla con l'aria di servirla (pp. 328-329) *Conosciamo dei comunisti che nel comunismo ci hanno creduto sul serio, e forse tanto più ciecamente quanto più bisognava essere ciechi per continuare a crederci. Sono quelli che l'abiura se la tengono in corpo, e che non imprecano contro l'idolo infranto. Sappiamo benissimo che, se avessero vinto, in nome di quell'idolo ci avrebbero, sia pure a malincuore, impiccati. Ma oggi il loro silenzio c'incute il più grande rispetto. Non altrettanto ne proviamo per i cosiddetti «emergenti» che, per continuare a emergere, inneggiano a tutto: alle macerie del Muro, alla perestroika, alla libertà, perfino al capitalismo, e si atteggiano a precursori e battistrada di questa totale, anzi totalitaria palinodia. Ma si tratta di una truffa bell'e buona. (pp. 343-344) *L'Expo è una grande abbuffata. E quando sono in gioco migliaia di miliardi, l'importante non è vincere; è partecipare. Che Venezia venga ridotta a un luna-park per la gioia a un luna-park per la gioia delle torme di straccioni (trenta milioni, secondo i preventivi più cauti) che la sommergerebbero rinnovando e centuplicando l'alluvione dei Pink Floyd era – ed è – per i fautori dell'Expo un'obbiezione facilmente superabile col discorso del Grande Progetto. [...] Venezia [...] appartiene al mondo, o per lo meno alla cultura di quello occidentale, di cui invochiamo [...] l'intervento per salvarla da quella masnada di locuste impazzite, disposte a farne un incrocio tra Las Vegas e Disneyland. (pp. 357-358) *[[Corrado Carnevale|Carnevale]] [...] ha dichiarato in un'intervista [...] che la notte non ha bisogno di sonniferi perché, nei confronti della Legge, la sua coscienza è a posto. Ci crediamo senz'altro. Ma se si ponesse la stessa domanda nei confronti della Giustizia, mi domando se i suoi sonni sarebbero altrettanto tranquilli. E tuttavia ci rendiamo conto che questa domanda non se la porrà mai, e anzi gli sembrerà del tutto stravagante. Perché, per un magistrato italiano, la Legge con la Giustizia non ha nulla a che fare. (pp. 387-388) *Dopo la liberazione, [[Luigi Durand de la Penne|de la Penne]] fu tentato dalla politica, e andò alla Camera prima sotto la bandiera democristiana, poi sotto quella liberale. In realtà, di bandiere, de la Penne non conosceva né riconosceva che il tricolore, e sperava ancora una volta di servirlo propugnando una riforma delle forze armate che le adeguasse alle nuove esigenze. Ma quando si accorse di non riuscire a combinar nulla, si ritirò; aveva capito che questi sono tempi per uomini di mare alla Accame, non alla de la Penne. Non fece mai l'eroe. [...] Ora, se qualcuno mi domanda perché ho dedicato alla sua scomparsa uno di quegli editoriali che di solito si riservano solo agli avvenimenti e ai personaggi della politica, rispondo che l'ho fatto per meglio sottolineare che per me e per gli uomini di questo giornale gli eroi delle guerre perdute non sono meno rispettabili e ammirevoli di quelle delle guerre vinte. E, in ogni caso, meritano il posto d'onore del giornale ben più dei personaggi di cui siamo costretti ogni giorno a interessarci. (p. 402) ==''Indro al Giro''== ===[[Incipit]]=== Il destino è stampato sulla carta d'identità e scritto nelle stelle. Indro Montanelli nasce il 22 aprile 1909, il primo Giro d'Italia prende il via il 13 maggio 1909. Stesso anno, stesso segno zodiacale: Toro. Potevano, queste due creature quasi gemelle, non percorrere un tratto di strada insieme? Potevano ignorarsi? ===Citazioni=== *Come i bersaglieri quando smettono di correre, così i ciclisti, quando cessano di pedalare ingrassano. *Il [[Giro d'Italia]] parla milanese, anche se poi, a vincerlo, è qualche toscano o qualche romagnolo. *I corridori sono come [[Anteo]]: il contatto con la loro terra gli dà forza. *Ma sapete voi con precisione che cosa sia una fuga, lo sapete? Non lo sapevo nemmeno io prima di vederla. Credevo che fosse l'uomo che, a un certo punto, si mette a pedalare più forte degli altri e li semina per via. Errattissima nozione. La fuga è invece un grande urlo e un gesto disperato che mettono d'improvviso in confusione tutta la carovana del Giro. *Quello della bicicletta è un mondo buono: e credo sinceramente che venga da questa bontà il fascino ch'esso esercita sulle folle. *Lasciatelo com'è questo Giro provinciale e festoso: lo sport di un popolo che, nella corsa verso il progresso meccanico, è rimasto alla bicicletta, tappa intermedia fra il cavallo e l'automobile, ritrovato artigiano e arnese di famiglia. *Se Parigi avesse il mare sarebbe una piccola Bari, ma non saprebbe accogliere i forestieri con tanto calore e sportiva cordialità. *Leoni, che oltre a tutto è un bellissimo ragazzo, ha una fidanzata la quale gli scrive raccomandandogli di non vincere, altrimenti troppe ragazze lo abbracciano porgendogli i fiori. Leoni è innamoratissimo della sua fidanzata ma non è certo per obbedire a lei che non vince. È solo per obbedire a [[Fausto Coppi|Coppi]] e restargli a fianco. *Gli assi possono permettersi di arrivare ultimi. E lo fanno senza risparmio. Possono permettersi di disprezzare i loro adoratori e lo fanno senza ritegno. L'adorazione rimane. *I corridori di bicicletta sono gente semplice, che non è mai stata in collegio. [...] Nessuno ha insegnato loro i dettami dello stile e della cavalleria. Li posseggono per natura. Difficilmente essi cercano di sminuire la vittoria dell'avversario e non gliene serbano rancore. Sono capaci di delicatezze che non credo esistano negli altri sport. *I corridori non si dovrebbero sposare; e, quando lo fanno, dovrebbero scegliere delle donne brutte. *È la specialità dei padri quella di sognare per i figli i trofei che loro non convengono, ed è la specialità dei figli quella di procurarsi trofei che ai loro padri non piacciono. ==''La stecca nel coro''== ===[[Incipit]]=== Non è questa la sede per rifare la storia del ''Giornale''. Ma voglio ricordare ai vecchi lettori e a spiegare a quelli nuovi ch'esso non fu un giornale, ma una battaglia, di cui può essere istruttivo ricostruire gli episodi. Quelli, decisivi, degli anni Settanta e Ottanta, in questa raccolta ci sono tutti, chiosati. E di queste chiose, ho l'immodestia di dire che non ce n'è una di cui debba pentirmi nemmeno ora che i pentimenti vanno di moda, anzi sembrano diventati un genere di prima necessità. Questa raccolta è dedicata a tutti i miei compagni di lavoro, defunti e sopravvissuti, italiani e stranieri, che condivisero con me i rischi (e ce ne furono) di questa avventura, la più bella di tutta la mia carriera di giornalista, e ai lettori che ci permisero di combatterla. Anche se tuttora ignoro se l'abbiamo vinta o persa. ===Citazioni=== *{{NDR|Sui [[processi della Giunta greca]]}} Anche a detrarne tutto ciò che vi avrà aggiunto la propaganda di parte, crediamo che di soprusi, sopraffazioni e sangue ce ne siano stati abbastanza, nel regime dei colonnelli, per giustificarne l'incriminazione. Tuttavia vorremmo che accanto a loro, sul banco degli accusati, venissero chiamati anche Papandreu e altri campioni del massimalismo piazzaiolo e di certo radicalismo snob, per spiegare ai giurati e alla pubblica opinione, non soltanto di Grecia, come mai i colonnelli giunsero al potere senza sforzo e senza sforzo lo conservarono fino a quando per propria insipienza lo persero. Solo così il processo acquisterebbe un senso, oltre quello della pura vendetta. Le colpe dei vari Ghizikis e Papadopulos non ne risulterebbero affatto sminuite. Ma finalmente si capirebbe che i colonnelli non sono dei trovatelli e che per impedire i golpe non c'è che un sistema: far funzionare la democrazia. [...] Non auguriamo la forca a nessuno. Ma se un giorno qualche colonnello dovesse venirvi appeso, speriamo che ai Papandreu sia almeno proibito di partecipare alla festa. Perché i veri padri del golpe, le Circi che tramutono i colonnelli in dittatori, furono loro. (pp. 15-16) *{{NDR|Sulla [[rivoluzione dei garofani]]}} Rivendicato il diritto alla scelta, gli elettori portoghesi l'hanno espressa con chiarezza lampante. Hanno votato per l'Occidente, per un Portogallo che sia socialmente più giusto di quello uscito dalla penombra salazariana, ma che rimanga saldamente ancorato all'Europa libera, alle sue alleanze, agli ideali della democrazia senza virgolette e sottintesi: una democrazia di cui i militari, con l'aiuto dei loro reggicoda comunisti, potranno conculcare le libertà fondamentali, ma coi carri armati, non in nome del popolo. [...] Due piccole nazioni, il Portogallo e la Grecia, uscite entrambe dalla prova di regimi dittatoriali, hanno votato, a breve distanza l'una dall'altra, con esemplare equilibrio, senza cedere alle tentazioni ed ai miti delle catarsi rivoluzionarie. È una grande lezione per altri Paesi che, avendo assaporato la libertà da molti anni, sembrano smaniosi soltanto di perderla. (pp. 44-45) *Per formare la maggioranza, la Dc non ha più a disposizione le tre forze laiche su cui De Gasperi fondò i suoi più fortunati e redditizi Governi: se i repubblicani hanno alla bell'e meglio temuto, liberali e socialdemocratici sono stati spazzati via. Occorrerebbero i socialisti, ma costoro hanno già dichiarato di non essere disponibili a maggioranze che escludano i comunisti. [...] Che razza di democrazia verrebbe fuori da un'ammucchiata totalitaria di queste tre forze che lasciasse l'opposizione al Movimento sociale, Dio solo lo sa. [...] I milioni d'italiani che [...] hanno votato Dc, lo hanno fatto ''unicamente'' perché la Dc si è presentata come il ''no'' al comunismo. Mai come stavolta il patto tra candidato ed elettore è stato così esplicito. Se lo ricordino bene i professionisti del tradimento [...]. Come li abbiamo aiutati a vincere, saremo i primi a denunciarli con nome e cognome. Il tempo delle deleghe in bianco è finito. Dando le – «preferenze» come noi avevamo suggerito –, il ciattadino stavolta sa per ''chi'' ha votato, e lo tiene personalmente responsabile. (p. 78) *Cosa vuol dire […] «gli chiediamo fino a che punto si spinge il suo disaccordo con la proposta di unità e di collaborazione democratica che noi avanziamo e sosteniamo, se al suo disaccordo c'è il limite fissato della difesa e della sopravvivenza del quadro costituzionale e repubblicano?» Vuol forse dire, senza dirlo, che chi si oppone a questa proposta, cioè in parole povere chi si oppone al compromesso storico, si mette automaticamente fuori da quel quadro e va considerato un eversore? Capisco che, a furia di praticarlo […] questo giuoco del fuorigiuoco sia diventato per voi un vizio. […] Ma stavolta l'impresa è più ardua del solito: non sono molti gl'italiani disposti a credere che rifiutare i comunisti al Governo significa rifiutare la democrazia e a considerare chi lo fa alla stregua di un killer o di un pistolero (pp. 104-105). *Noi non chiediamo la legge marziale. Basta la rivalutazione materiale e morale di quelle forze dell'ordine, i cui sacrifici sono stati fin qui regolarmente pagati ripagati con stipendi da fame, castighi disciplinari e campagne denigratorie. Basta insomma che sia affermato nei fatti, e non soltanto nelle parole, il supremo impegno a trattare il terrorismo come va trattato: in termini di scontro, non di «confronto». Faccia a faccia. Lo Stato italiano non può chiedere fermezza ai cittadini, se non ne dà esso stesso l'esempio. Spietatamente, quando occorre. E in questo caso occorre. (p. 119). *Noi […] non possiamo pronunciarci in favore di [[Marco Pannella|Pannella]]: egli giuoca in un campo che non è il nostro. Ma quattro cose dobbiamo dire, da avversari, di questo anomalo personaggio. La prima è che Pannella è [...] un personaggio su una scena politica popolata quasi esclusivamente di comparse e coristi. La seconda è che i suoi digiuni sono autentici e le sue tasche autenticamente vuote. La terza è che, se domani ci sarà un regime – ipotesi che si fa sempre più possibile – all'opposizione di questo regime ci saremo solo noi e Pannella, socio scomodo, ma di tutta affidanza. E infine dobbiamo riconoscere che fra noi e lui c'è [...] un fatto di sangue. Anche se scatena la sua buriana da sinistra facendo d'ogni erba un fascio […] e chiama la sua gente «compagni», ricordiamoci che Pannella è figlio nostro, non loro. Un figlio discolo e protervo, un giamburrasca devastatore che dopo aver appiccato il fuoco ai mobili e spicinato il vasellame, è scappato di casa per correre le sue avventure di prateria. Ma in caso di pericolo o di carestia, ve lo vedremo tornare portandosi al seguito mandrie di cavalli e di bufali selvaggi, quali noi non ci sogneremmo mai di catturare e domare. Questo è Pannella. Voti non possiamo dargliene. Ma ci auguriamo che sia lui a mietere quelli che non ci appartengono. (pp. 156-157) *Noi siamo contrari alle leggi speciali. Ma proprio per non dovervi ricorrere, siamo per l'applicazione più dura e risoluta di quelle vigenti. La Costituzione per esempio non prescrive che l'Italia ospiti, senza possibilità di esercitare su di essi alcun controllo, centinaia di migliaia di stranieri dal passato incerto, e tavolta fin troppo certo. E le Forze dell'ordine non possono essere condannate a giuocare eternamente «di rimessa» [...]. In queste condizioni, non si lotta. Si subisce soltanto. Ed è di questo che il Paese non vuol più sapere. [...] Ci risparmino i discorsi sulla bara di [[Vittorio Bachelet]]. [...] Il funerale di Stato, va bene. Ma in silenzio, ministro Rognoni, per l'amor di Dio. Siamo stufi di sentir dire che «il popolo italiano è compatto nel ripudio dell'eversione», che «fa quadrato intorno ai valori e alle istituzioni consacrate dalla Resistenza», che i terroristi ''no pasarán'' (uno slogan che, oltre tutto, ha sempre portato jella). Non ne possono più neanche i morti. S'immagini i vivi. (p. 179) *I vizi italiani vengono da molto più lontano della Costituzione: sono scolpiti nei secoli della nostra storia incivile. Ma fra i segni di questa inciviltà c'è appunto anche quello di rendere tabù i temi scomodi e di condannare al ghetto chi osa affrontarli [...]. Come se non vi fossero Paesi, quali gli [[Stati Uniti d'America|Stati Uniti]] e la [[Francia]], che in fatto di democrazia possono impartirci lezioni, e che tuttavia si reggono a sistema presidenziale. Come se non ve ne fossero altri, quale la Germania che, pur reggendosi a sistema parlamentare, vi ha introdotto correttivi che lo rendono radicalmente diverso dal nostro. E come se questi correttivi [...] non fossero stati discussi e decisi senza farne drammi né scatenare, contro chi li proponeva, cacce alla strega nazista. (p. 207) *Il terrorismo italiano non può contare su consensi e simpatie d'ambiente come quello palestinese, o irlandese, o basco, che una motivazione l'hanno, sia pure distorta dalle passioni e strumentalizzata da qualche «Grande Vecchio». Il terrorismo italiano poteva contare solo sulla connivenza della paura: e infatti, finché ne ha incussa, di connivenze ne ha trovate, anche fra gli intellettuali, anzi specialmente fra gli intellettuali. [...] Fino a quattro o cinque anni fa, a dire che i volantini delle Br e i loro opuscoletti di propaganda non erano che una serqua [...] dei più vieti luoghi comuni ripescati tra i rifiuti di Bakunin, Kropotkin, Stirner e altri profeti del Nulla [...] c'era da essere linciati. Non dai brigatisti [...] ma dai ''maîtres à penser'' della sociologia radical-chic, per i quali il terrorismo, prima che da combattere, era da comprendere nei suoi «contenuti di pensiero». In cosa consistessero e quanto rigorosi fossero questi contenuti, ce lo dice appunto la scoperta negli ultimi giorni di questa nuova Trimurti – terrorismo rosso, terrorismo nero, camorra – che come ammucchiata ideologica, non so se mi spiego. Può darsi ch'essa esploda e [...] devasti. Ma, costretta ad assumere i suoi veri connotati, che sono quelli della criminalità senza aggettivi, il suo potere d'inquinamento e di equivoco, che ne costituiva l'aspetto più pericoloso, finisce. Da [[Toni Negri]] a [[Raffaele Cutolo|Cutolo]], la parabola si è conclusa. (pp. 236-237) *Non abbiamo con [[Bettino Craxi|Craxi]] nessuna familiarità: avremo parlato con lui, sì e no, tre volte. Ci ha dato una incoraggiante impressione di energia, risolutezza, rapidità di riflessi. Ma da certe sue reazioni, ci è parso di capire ch'egli ha anche una spiccata – e funesta – propensione a considerare nemici tutti coloro che non si rassegnano a fargli da servitori. Sono pochi, intendiamoci, i politici immuni da questo vizio. Ma alcuni di essi sanno almeno mascherarlo. Craxi è di quelli che l'ostentano sino a esporsi all'accusa di «culto della personalità»: un culto [...] che [...] potrebbe procurargli seri guai. Non perché a noi italiani certi atteggiamenti dispiacciano, anzi. Ma perché in fatto di guappi siamo diventati, dopo Mussolini, molto più esigenti: quelli di cartone li annusiamo subito. (p. 271) *[[Vincenzo Muccioli|Muccioli]] ha operato in condizioni diverse. [...] Ha impiantato la sua comunità con criteri imprenditoriali, facendone una specie di ''kibbutz'' ormai vicino all'autosufficienza. [...] Uno che, senza essere un ''compagno'', conduce una sua guerra privata contro la droga, è doppiamente esecrabile. Per il vescovo [...] per il quale un'opera di redenzione intrapresa da un laico come Muccioli merita in ogni caso l'anatema. Ma la partigianeria del presidente Righi è inesplicabile, e riduce questo processo a una caccia alle streghe, che getta la Giustizia nel pantano. (pp. 301-302) *[[Enver Hoxha|Hoxha]] non aveva dalla sua nulla, quando si presentò alla Conferenza: null'altro [...] che il proprio coraggio, spinto fino alla protervia. [...] I primi proseliti li fece solo sul finire della guerra, quando prese corpo un po' di resistenza, ma li fece in nome dell'Albania, non del comunismo. [...] Era un satrapo anche lui [...]. Ma non indulgeva alle debolezze e alle pacchiane ostentazioni dei Ceausescu e dei [[Kim Il-sung|Kim Il Sung]]. Esigeva l'obbedienza più assoluta, ma in pubblico si mostrava di rado, e la sua era l'unica giacchetta di comunista da ''nomenklatura'' che non grondasse medaglie fino all'ombelico. (pp. 310-311) *{{NDR|Sulla [[rivoluzione ungherese del 1956]]}} Il motivo per cui divampò coinvolgendo tutta la popolazione è semplicissimo: gl'intellettuali e gli studenti che la capeggiavano erano i figli degli operai e dei contadini che la traducevano in sollevazione del popolo. Lo erano non in senso ideale ed astratto, ma in senso anagrafico [...]. E questo fu, per i comunisti, la vera beffa. Essi avevano abolito le classi, e ora questo creava una unanimità di partecipazione, quale credo che nessun'altra rivoluzione abbia mai avuto. E come poteva non essere socialista? [...] L'unica cosa che non si può è che i «quadri» del Pci [...] non avessero visto, né udito, né capito come oggi vorrebbero farci credere per avallare la tesi dell'«errore». [...] L'unico che, in mezzo a tanti contorcimenti e frullati di parole, ha avuto l'onestà di riconoscerlo è stato [[Gian Carlo Pajetta|Pajetta]], sempre lui. «Io non mi pento di nulla», ha detto «schierandoci con gl'insorti e condannando la repressione sovietica, avremmo spaccato il Pci; per questo accettammo e approvammo.» Alla buon'ora. (pp. 354-355) *Se l'unica maggioranza possibile è così risicata, lo si deve anche e soprattutto alla poltiglia di partiti – verdi, rossi e «lighe» varie – che il nostro sistema elettorale favorisce. Se ne sono contati [...] trentotto, più o meno combinati con liste locali in un groviglio di piccoli interessi regionali, corporativi, personali, uniti solo da un incoffessato e forse inconscio anelito sanfedista allo sfascio dello Stato unitario. Se non si pone termine a queste insensate dispersioni, è inutile chiamare gli elettori alle urne. Una maggioranza e un Governo degni di questo nome non li avremo mai. (p. 368) *Certamente [[Michail Gorbačëv|Gorbaciov]] aveva previsto le tremende resistenze della sua ''perestroika'' aveva trovato nella cosiddetta ''nomenklatura'', detentrice del potere con diritto di abusarne, e quindi ben risoluta a difenderlo. Ma forse non immaginava che la minaccia più grossa al suo riformismo decentratore sarebbe venuta dall'esplosione dei nazionalismi, che ora rischiano di travolgerlo. [...] Comunque, due lezioni ci sembra di poter trarre sin d'ora da questa vicenda. La prima è che se settant'anni d'internazionalismo proletario praticato senza esclusione di colpi non sono bastati a debellare i nazionalismi, vuol dire che il sangue, la lingua, la religione, la cultura sono più forti di qualunque ideologia. La seconda è che i totalitarismi sono più facili, o meno difficili, da montare che da smontare. A liberalizzare la Russia e a guarirla dallo Stalinismo poteva forse riuscire un solo uomo: [[Iosif Stalin|Stalin]]. (p. 403) *Quanti miliardi si sperperano oggi in Italia in premi e feste letterarie accompagnate da rinfreschi e pranzi per centinaia di coperti, targhe, medaglie, e gettoni di presenza? Basterebbe un centesimo, un millesimo, di ciò che si spende in queste fiere della vanità per salvare la Crusca raddoppiando il miserabile contributo statale. [...] Forse c'illudiamo. Ma noi ci ostiniamo a credere che in Italia ci siano ancora degl'italiani convinti che una cultura senza una sua lingua non è una cultura [...] e che un Paese senza cultura [...] non è un Paese; ma soltanto un accampamento di apolidi. (p. 419) *Era fatale che, una volta allentatesi le maglie della Dc, l'integralismo di un certo mondo cattolico lo avrebbe portato a confluire sulle posizioni delle leghe. Le ispirazioni sono diverse, ma il nemico è comune: lo Stato unitario e laico. [...] Dileguatosi, o in via di dileguarsi il pericolo comunista, e caduto quello di Berlino, è questo il Muro che ci dividerà nel prossimo futuro. Da che parte [...] stiamo noi, mi sembra superfluo dirlo. Ci stiamo [...] con la piena consapevolezza dei nostri errori passati e presenti e della nostra intrinseca debolezza. Ma anche con la coscienza che se con noi non c'è tutto il meglio, contro di noi c'è sicuramente tutto il peggio. Basta tendere l'orecchio ai discorsi di Rimini e alle acclamazioni che li hanno salutati. I «lumbard» hanno ragione di chiedere il gemellaggio con quella platea: come livello mentale e di cultura, siamo lì. (p. 442) *Uomo di governo, [[Mario Scelba|Scelba]] non fu mai uomo di partito. Lo frequentava poco, non fu mai partecipe di giochi di «correnti», e credo che sotto sotto li disprezzasse. [...] Se fu De Gasperi a guidare [...] la barca, fu Scelba a reggerla e non vedo chi altro, nella pattuglia democristiana, avrebbe avuto gli attributi per farlo. Sul suo feretro ci saranno poche lacrime, pochi fiori, pochi discorsi. Nessuno del cosiddetto ''establishment'' vorrà ricordare che se in casa non ci siamo ritrovati qualche Husak o [[Nicolae Ceaușescu|Ceausescu]], per gran parte lo dobbiamo a lui. Ma qualche italiano non lo ha dimenticato. (pp. 471-472) *Non c'è democrazia, diceva Clemanceau, senza un minimo di corruzione. D'accordo. Ma quando la democrazia degenera in partitocrazia, il minimo diventa il massimo e succede quello che abbiamo sotto gli occhi. E finché noi concederemo ai partiti – contro il dettato costituzionale che li considera semplici associazioni private – d'irretire tutta la vita pubblica e di arruolare, per le loro operazioni di saccheggio, un milione di lanzichenecchi con relative famiglie, di cosa c'indignamo? E cosa ci aspettiamo dal Palazzo romano, proiezione su scala nazionale delle situazioni locali tipo Milano? (p. 489) *Con qualsiasi legge si vada alle nuove elezioni, e specialmente se si va col papocchio escogitato da [[Sergio Mattarella|Mattarella]], esse riprodurranno molto probabilmente [...] la situazione che i risultati dell'altro ieri hanno soltanto anticipato: un'Italia divisa in tre: un Nord in mano alla [[Lega Nord|Lega]], un Centro alla mercé dei comunisti (ex o neo, non importa), un Sud in preda al caos. In questa situazione, cosa farà Bossi? Cioè [...] cercherà di frenare la spinta che fatalmente ne verrà alle tentazioni secessionistiche della Padania dal resto del Paese, o la seconderà? A differenza di Miglio, Bossi di secessione non ha mai parlato. Parla di «federalismo», e forse lo ritiene possibile. Noi crediamo che il federalismo sia soltanto la foglia di fico della secessione, e che nei precordi di molti leghisti covi una gran voglia di fare i cosacchi del Po. (p. 515). *La nuova legge elettorale, se non fosse stata tradita dai suoi soloni col turno unico, avrebbe dovuto condurre al confronto fra due ''rassemblements'', uno di centrosinistra con l'esclusione di Rifondazione, l'altro di centrodestra con l'esclusione del Msi, a garanzia di democraticità di entrambi. Stando le cose come stanno, il confronto non ci sarà perché di ''rassemblements'' ce n'è in campo uno solo: quello del Pds, che così sarà libero d'includervi anche Rifondazione. Per questo esso si batte contro la dilazione. Per questo noi la auspichiamo: nella (pallida) speranza ch'essa ci dia il tempo di uscire dallo stato confusionale in cui versiamo. Non è nostro diritto; è semplicemente nostro interesse spostare le urne al 12 giugno. Ma un interesse del tutto legittimo. Come legittimo è l'interesse del Pds ad anticiparle addirittura a marzo. La difesa del sistema e dei suoi papponi non c'entra. Che si voti a marzo od a giugno, l'uno e gli altri sono già cadaveri, e non c'è miracolo che possa resuscitarli. (p. 528) ==''Le nuove Stanze''== *Ribadisco la mia avversione alla pena di morte. Ma non me la sento d'impartire lezioni a chi tuttora la pratica. Non mi pare che, con la Giustizia che ci troviamo in casa, noi italiani possiamo impartire lezioni agli altri. (p. 46) *Toglietevi la parrucca, cari storici italiani. E invece di continuare a parlarvi tra voi, parlate, andando incontro alle sue curiosità, alla gente comune, quella che ha più bisogno del vostro sapere, e che sa benissimo distinguere il volgare pettegolezzo dall'aneddoto illuminante, di cui gli storici stranieri, soprattutto inglesi, compreso [[Denis Mack Smith|Mack Smith]], sanno fare buono e largo uso. (p. 81) *Io non sono piemontese né savoiardo, e la tradizione della mia famiglia è, caso mai, repubblicana. Ma la verità sono abituato a rispettarla, e non ad accomodarmela secondo i miei gusti e pregiudizi. Nel '46 votai monarchico non perché ero amico di Umberto e di Maria José, che sarebbero stati un Re e una Regina esemplari. Ma perché capivo ch'essi rappresentavano l'unico filo che ci legava all'unica nostra tradizione nazionale: il Risorgimento. La rigiri come vuole [...] ma la verità è questa: che senza Risorgimento non esiste una Storia nazionale italiana, e senza i Savoia non esiste Risorgimento. Ecco perché io dico e ripeto che la Repubblica italiana può tenere i Savoia [...] fuori dal territorio italiano. Ma chi tenta di estrometterli dalla Storia d'Italia, se non è un analfabeta è certamente un falsario. (pp. 112-113) *{{NDR|[[Luigi Cadorna]]}} Fu un generale di grande e inflessibile carattere, ma non un grande stratega. La sua fu dal primo all'ultimo giorno una guerra «di posizione», e quindi di logoramento, muro contro muro. Una «manovra» non la tentò mai, anzi non la concepì nemmeno. Stava [...] al «Regolamento», secondo il quale «le battaglie si vincono sulle cime». Sicché quando arrivò un battaglione tedesco al comando di un giovane capitano di nome Rommel che [...] s'insinuò nottetempo nelle valli, tutto il nostro schieramento ne venne preso alle spalle, e si liquefece, consentendo a Rommel di arrivare fino al Piave, dove si fermò: non per la resistenza dei nostri [...] ma per la mancanza di rifornimenti e di munizioni, che non avevano fatto in tempo a seguirlo. (pp. 118-119). *Quanto alla somiglianza fra noi e gli spagnoli, sì, c'è. Io, in Spagna, mi sento come a casa mia. Una sola cosa ci trovo in più: una dimestichezza con la morte che dà ai valori della Vita (la Dignità, il Coraggio, l'Onore) un peso ben diverso da quello che hanno da noi. E glielo invidio tanto. (p. 157) *Quanto alla sua supposizione che, se non ci fossero stati i russi, gli Alleati non avrebbero potuto sbarcare in Normandia e salvare i loro regimi democratici, mi permetta di sorriderne. Hitler perse la [[Seconda guerra mondiale|guerra]] prima ancora di dichiararla, quando scatenò la persecuzione razziale, che mise il mondo di fronte alla pretesa della sua «razza eletta» al dominio del pianeta e costrinse alla fuga il fior fiore della Scienza ebraica, che diede all'America la bomba atomica, la quale avrebbe reso superfluo anche lo sbarco in Normandia. (pp. 177-178) *In [[Alessandro Pavolini|Pavolini]] [...] è riassunto il dramma di una generazione che nel fascismo era cresciuta [...] e si sentiva impegnata a crederci anche in quell'ultima disperata fase. In lui ritrovo un po' di quel [[Berto Ricci]] [...] che, partendo volontario per la Libia, mi disse: «Una volta, nella vita, ci si può convertire. Io già lo feci rinnegando, per il fascismo, il mio passato di anarchico. Ora col fascismo devo morire». E morì. (p. 192) *Come lei certamente sa, furono i russi a giungere per primi sul famoso bunker di Berlino, fra le cui macerie si diedero subito a cercare il cadavere del Fuhrer, e lo trovarono, ma quasi completamente carbonizzato (egli aveva lasciato ai suoi l'ordine di bruciarlo con una tanica di benzina). D'intatto era rimasto solo il teschio con la sua dentatura costellata di ponti e protesi. Immediatamente fu ricercato e trascinato sul posto l'odontoiatra che glieli aveva sistemati. Dapprima gli fu chiesto in cosa erano consistiti i suoi interventi. Poi vi fu messo davanti, e lui li riconobbe senza esitazioni. Quel giorno il poveretto non tornò a casa. Dopo alcuni anni si seppe che esercitava il suo mestiere in non so quale città di provincia russa, ma sotto stretto controllo della polizia. Dopo qualche altro anno poté tornare in Germania, ma in [[Repubblica Democratica Tedesca|quella comunista]], sotto il controllo di una polizia ancora più efficiente di quella sovietica, e lì morì, non so quando. Perché i sovietici vollero sempre mantenere quel segreto? Perché alla loro propaganda [...] faceva comodo accreditare la favola di un Hitler salvato dagli americani, che lo tenevano sotto naftalina in qualche loro dorato ripostiglio per poterlo un giorno utilizzare in una nuova guerra contro la Russia. (pp. 257-258) *Da anticomunista, oserei dire «storico» quale mi considero, io sono pieno di rispetto sia per i Nagy nostrani quali i D'Alema e i Veltroni, che per i Kádár, quali i Cossutta e i Diliberto. Non so se come classe dirigente siano il meglio. Ma come sincerità di conversione democratica, ci credo (come credo, intendiamoci, a quella di un Fini, anche se viene da un passato molto meno intenso, drammatico e dilacerante di quello comunista). (p. 306) *{{NDR|A [[Mario Tuti]]}} Ho ben presente [...] il suo nome e il suo volto, e le azioni terribili che lei ha compiuto. [...] Da come scrive [...], lei è in grado di capire [...] quello che dico. È vero che «sul nemico vinto non si infierisce»: ma il sangue non si cancella con la gomma delle parole. Solo le vittime possono concedere il perdono; e io non sono stato, fortunatamente, davanti al mirino della sua pistola. Solo la giustizia può concedere sconti: e io non sono un magistrato. Non ho invece difficoltà a condividere una sua osservazione: alcuni disgraziati [...] sono più disgraziati di altri. E [...] i disgraziati di destra se la passano peggio dei disgraziati di sinistra, che hanno di solito qualche amico di gioventù ben piazzato, in grado di dare una mano. Ma il perdonismo peloso di alcuni non può giustificare la distrazione di tutti. (p. 322) *[[Yasser Arafat|Arafat]] non ha mai avuto né uno Stato, né un esercito, né un titolo che lo qualificassero a parlare a nome del suo popolo. Erano il carisma, l'autorità, il prestigio suoi personali che gli permettevano di svolgere questo compito. Ma questo dipendeva dal fatto che il suo popolo glieli riconosce in quanto si sente da lui «rappresentato». [...] Io sono e mi sento profondamente filo-israeliano perché negli ebrei riconosco i miei fratelli e in molte cose anche i miei maestri (anche se non sempre facili). Ma appunto per questo apprezzo ed ammiro gli Hussein, i Sadat e gli Arafat. Ai quali si possono anche rimproverare degli errori nella conduzione della loro politica. Ma non certo le intenzioni e il coraggio. Arafat è brutto [...] e non so come facciano i suoi amici (e i suoi nemici) [...] a ricambiarne i baci. Ma di quelli suoi credo proprio che ci si possa fidare. Che Dio, anzi Allah, ce lo mantenga ancora per molti anni. (pp. 387-389) *Come veterano del ''Corriere'' e un po' depositario della tradizione di una certa civiltà nei rapporti fra i suoi uomini, io rimasi offeso non dal licenziamento di Spadolini [...] ma dall'insolito modo – che io definii appunto «guatemalteco» – in cui era stato trattato e da cui trapelava la mano di un [[Giulia Maria Crespi|editore]] che, anche se portava il nome di quello vecchio [...], intendeva introdurre nuove regole nella gestione del giornale, di cui era praticamente diventata [...] la titolare. E lo dissi, e lo scrissi, e lo ripetei in varie interviste. Forse tuttavia questo strappo si sarebbe potuto rammendare se il cambiamento del direttore non avesse comportato anche un cambiamento di linea politica che saltava agli occhi di chiunque non volesse tenerli chiusi. [...] Quando dal ''Giornale'' uscii per ragioni abbastanza analoghe a quelle che mi avevano spinto fuori da via Solferino, il primo a venirmi incontro fu il direttore del ''Corriere'', Paolo Mieli, che [...] mi offrì il suo posto: un gesto che non dimenticherò mai. Avrei potuto [...] accettarlo solo a titolo onorario. Ma non potevo abbandonare gli uomini che ancora una volta mi avevano seguito. Da quel momento però fu chiaro che il ''Corriere'' era ridiventato quello che noi, vent'anni prima, avremmo voluto che restasse. Ecco perché, al termine delle mie battaglie e delle mie sconfitte (che considero il mio blasone), sono tornato al ''Corriere''. (pp. 406-408) *I politici della Sinistra, compresi i componenti dell'attuale «squadra» governativa sono dieci, venti, cento volte meglio della loro ''intellighenzia''. Anche se dicono fregnacce, le dicono a bassa voce, senza salire in cattedra, di dove l'''intellighenzia'' invece non scende mai, nemmeno per andare in bagno. (pp. 477-478) *Spero che ora avrai capito cos'è la mia dichiarazione di voto: non un sì all'Ulivo, da cui spero poco, ma in compenso non temo niente; ma il no a un Polo che, se riportasse davvero la schiacciante vittoria che si aspetta il suo ''Caudillo'', potrebbe creare nel nostro Paese una situazione davvero inquietante. Un voto di difesa sarà dunque il mio, come lo è sempre stato da oltre cinquant'anni a questa parte. (p. 496) *Sappi soltanto che, passato per una ventina di anni – quelli del ''Giornale'' – per «fascista» e negli ultimi dieci per «comunista», me la rido di entrambe le etichette. (p. 536) ==''Le Stanze''== ===[[Incipit]]=== Di tutta la mia attività giornalistica [...] considero questi colloqui col lettore come l'impegno che mi è riuscito meglio, o meno peggio. Se qualcuno mi chiedesse: «Cosa vorresti che, dopo di te, di te rimanesse?», risponderei senza esitare: «Questi colloqui». Mi rendo conto che un'affermazione del genere può apparire demagogica: in fondo, perché dovrei preferire queste risposte quotidiane [...] alla ''Storia d'Italia'' o agli ''Incontri''? È presto detto: perché, grazie a lettere e risposte, ho potuto restare vicino ai miei lettori, che mi hanno ricordato – con più o meno garbo, ma sempre con affetto – quello che un giornalista non deve mai scordare: che i padroni sono loro. ===Citazioni=== *Io non ho mai conosciuto un conservatore inglese che abbia mosso a Churchill il rimprovero di essersi alleato con Stalin – altro che il naso dovette strizzarsi! – quando le armate di Hitler spazzavano tutta l'Europa. Ma trovo ancora degl'italiani [...] che danno la colpa a me dello stato di necessità in cui ci trovammo nel '48 e nel '76 e che rendeva obbligata la nostra scelta. Oggi che il muro di Berlino ci ha liberato dall'incubo del comunismo [...], è facile fare processi a chi non aveva in mano altra arma elettorale che il voto alla Dc. Ed una cosa mi chiedo: tutti questi intransigenti eroi dell'anticomunismo, che oggi mi scrivono lettere d'insulti accusandomi di averlo tradito, dov'erano al tempo del comunismo vero, quando io ero uno dei pochissimi a combatterlo di fronte [...], e loro, incontrandomi per strada, fingevano di non conoscermi? (p. 12) *Hiroshima, se fossi americano, non porrebbe [...] nessun caso di coscienza. L'arma atomica era in fase di studio e di preparazione sia in Germania che in America, e si poteva supporre che lo fosse anche in Russia e in Giappone. Avrebbe vinto la guerra e deciso le sorti del mondo chi ci fosse arrivato per primo. Hiroshima fece della popolazione civile, dicono, duecentocinquantamila vittime. Quante ne risparmiò inducendo alla resa i giapponesi che sembravano vicini all'olocausto? E quanto servì a smorzare la pretesa sovietica d'imporre il suo «diktat» a tutta l'Europa? [...] Essa a tal punto sorprese Stalin che dapprincipio non ci volle credere [...]. Nessuno può applaudire un massacro come quello di Hiroshima né andarne fiero. E posso capire come coloro che vi hanno partecipato dandone l'ordine o eseguendolo possano aver avuto dei problemi di coscienza. Ma gli aviatori inglesi che rasero al suolo l'inerme Dresda abitata solo da civili, facendo tra di loro pressappoco lo stesso numero di vittime che a Hiroshima, questi problemi, da quanto se ne sa, non li ebbero. Forse che la guerra all'atomo è più crudele di quella al fosforo? (p. 62) *De Gasperi non fu mai uomo di partito. E fu proprio per questo che riuscirono ad emarginarlo con tanta facilità, relegandolo in una Presidenza grondante omaggi ed ex voto, ma priva di qualunque potere reale. È vero che lui non lottò, anche perché era ormai a corto di fiato. Glielo toglieva non solo l'azotemia, ma anche il fallimento della Ced, la Comunità Europea di Difesa su cui De Gasperi fondava [...] i suoi sogni di salvezza e di grandezza europea, che i francesi di Mendès-France condannarono al naufragio. [...] De Gasperi era uomo di Stato, l'ultimo che l'Italia ha avuto dopo Giolitti. Ecco perché [...] non ha né può avere eredi. (p. 86) *{{NDR|[[Che Guevara]]}} Era uomo di Rivoluzione, che mai si sarebbe rassegnato ad una comoda esistenza di ben pasciuto gerarca. Doveva tornare alla Rivoluzione, pur consapevole della sua impossibilità in Paesi che lui ben conosceva, ma appunto proprio per questo: per cercare una morte coerente con la sua vita. [...] Avessi trenta o quarant'anni di meno, anch'io forse avrei nel mio modesto appartamento una stanza attrezzata a mausoleo del Che, e lo conserverei come souvenir di un Sogno sbagliato, ma pulito, e comunque pagato. È a coloro che non vogliono mai pagare nulla che va tutto il mio disprezzo. (p. 121) *Non mi stupirei [...] se il ragazzotto Clinton, nei suoi anni da governatore, avesse ingannato la noia dell'Arkansas inseguendo le minigonne di passaggio. [...] Il paragone con Berlusconi mi sembra un po' stiracchiato. Se Clinton venisse trovato colpevole, sapremmo che è un adultero (affari suoi); se Berlusconi venisse condannato, sapremmo che è un corruttore non occasionale (affari anche nostri, dal momento che s'atteggia a statista). (p. 154) *Mi permetto solo di aggiungervi qualcosa sull'imbecillità, l'ipocrisia e i vaniloqui delle nostre «anime belle» pronte a cadere in deliquio e a mobilitare le piazze per un O'Dell che, anche se qualche tenue dubbio sulla sua colpevolezza poteva sussistere, uno stinco di santo certamente non era, e per una Karla Tucker, rea confessa, anche se poi arcipentita e sinceramente convertita al credo della carità cristiana (e, sia chiaro, anch'io avrei per entrambi preferito la revoca della pena di morte); ma sono rimaste impassibili o quasi di fronte alla proposta condanna di lapidazione (di lapidazione!) di un cittadino tedesco e della sua compagna iraniana, rei di aver fatto l'amore (soltanto l'amore). Queste sono le nostre «anime belle» laiche ed ecclesiastiche, pronte a commuoversi e a sproloquiare contro la sedia elettrica americana [...], ma indifferenti alla lapidazione [...] per una «contaminazione» di lenzuola cristiane e musulmane. Io [...] queste anime belle – che oltre tutto hanno quasi sempre delle facce bruttissime e jettatorie – le odio di un odio viscerale. (p. 206) *Sul nemico vinto e che si riconosce vinto non s'infierisce. In fondo questi brigatisti hanno avuto, nella sconfitta, una loro dignità. Non sono dei «pentiti» al modo dei mafiosi e camorristi che si pentono per procurarsi dei vantaggi e denunziano i propri ex compari. Non sono dei delatori. Sono, a loro modo, dei prigionieri di guerra, di una guerra grazie a Dio finita con la nostra vittoria, e che quindi, sia pure con le debite precauzioni, possiamo rimandare a casa. Non è vero che non hanno pagato: me ne citi uno che non abbia scontato quindici o vent'anni di galera e che non ne abbia distrutta la vita. Qualche sconto possiamo farglielo: la generosità è segno di forza, non di debolezza. (pp. 283-284) *In una società «aperta» come la nostra, che rende impossibile qualsiasi controllo e in cui il sequestro è un'industria di antica tradizione che dispone di un personale altamente specializzato; e con una Giustizia che invece di affibbiare un ergastolo senza indulgenza ai colpevoli, si accontenta di infliggergli qualche anno alleviato dai permessi di libera uscita; cosa possono fare le forze dell'ordine? Starebbe a noi cittadini trovare quella di resistere al ricatto. Da noi italiani tenerelli non si può pretendere tanto? E sia. Ma allora abroghiamo la legge. Perché, come italiano, nulla mi ha mortificato di più che sentire [...] [[Giovanni Maria Flick|un ministro della Giustizia]] e alcuni dei più alti dignitari della toga proporne un'interpretazione che costituiva un chiaro invito a evaderla suggerendo il cavillo a cui ci si poteva aggrappare per legalizzare la contravvenzione. [...] No, a questo non ci sto. Cerchiamo almeno di avere il coraggio della nostra vigliaccheria riconoscendo che, dati i pericoli che possono comportare, i risoluti «No!» al sopruso non appartengono al nostro armamentario caratteriale, e aboliamo la legge. Ma non perché è sbagliata: in sé quella legge è sacrosanta. Ma perché noi cittadini non abbiamo la forza di adeguarcisi e coloro che dovrebbero imporcerne l'osservanza [...] ci suggeriscono il modo di evaderla. Questo è il cosiddetto «Paese reale». (p. 286) *Che un processo possa essere oggetto di revisione è, per il cittadino, una garanzia irrinunciabile, specie quando si tratta di processi indiziari, e quindi rimessi a valutazioni soggettive e pertanto sempre discutibili. Nessuno è infallibile, nemmeno i giudici, e quindi il diritto di appello è sacrosanto. Quello che sacrosanto non è, sono gl'interminabili tempi che questa operazione solitamente richiede, dovuti a due motivi chiaramente visibili: i grovigli procedurali in cui il processo è avvolto, delizia del genio cavillesco italiano, e l'inefficienza del personale che vi è addetto. (p. 327) *Che cosa io pensi dell'onorevole [[Cesare Previti|Previti]] mi pare di averlo detto in termini talmente espliciti da apparire – a più d'uno – brutali: un personaggio che solo a guardarlo in faccia verrebbe voglia di applicargli le manette ai polsi prima ancora di sapere chi è e cosa ha fatto. (p. 356) *Non credo che, all'apertura totale delle frontiere, avremo un Parma composto soltanto di irlandesi, o una Cremonese modello ellenico. Avremo invece un vero mercato, dove il costo e lo stipendio di un professionista verranno stabiliti in base alla domanda e all'offerta. È questo ridimensionamento, mi sa, che non piace ai calciatori nostrani. Non la «sottoutilizzazione delle risorse sportive nazionali e locali». Non penso che i nostri calciatori abbiano altri motivi di preoccuparsi. Perché mai dovrebbero venire accantonati? Sono tra i più bravi del mondo, e la bravura, per un professionista (che calci una palla o calchi una scena), è la garanzia migliore. (p. 379) *Le mie dimissioni da italiano sono soltanto quelle da una grande illusione: quella che l'Italia fosse una Patria da potere in qualche modo servire. Io, pur commettendo parecchi errori, ho cercato di farlo. Ma forse, di questi errori, il più grosso è stato quello di credere che fare si potesse. A consolarmene c'è una cosa sola: che questo errore lo hanno commesso tutti i migliori uomini che l'Italia ha avuto nel suo secolo e mezzo di vita unitaria. (pp. 410-411) ==''Pantheon minore''== ===[[Incipit]]=== '''Einaudi'''<br>Avendo saputo che sollecitavo l'onore e il piacere di incontrarlo, il Presidente, che non mi aveva mai visto, trovò del tutto naturale invitarmi a colazione. «Quando vuol venire?» mi fece chiedere, «giovedì mattina, per esempio?» Giovedì voglio stappare una nuova bottiglia del mio 'barolo' e ci sarà anche la signorina Barbara Ward dell{{'}}''Economist''. Vino piemontese, giornalismo ed economia politica, pensa: sarebbe difficile sorprendere [[Luigi Einaudi|Einaudi]] in una cornice più einaudiana di questa. ===Citazioni=== *{{NDR|Luigi Einaudi}} E in quei pochi minuti aveva ancora tante cose da dire a due giornalisti per ricordare loro, [[Alessandro Manzoni|manzonianamente]], che l'[[uomo]] è «buono», come dice [[Jean-Jacques Rousseau|Rousseau]], ma tale può diventare solo in grazia delle buone istituzioni (in ciò consiste la sua posizione conservatrice e cattolicamente pessimistica). *[[Ingrid Bergman]] è forse la sola persona al mondo che non consideri Ingrid Bergman un'attrice completamente riuscita e definitivamente arrivata. (p. 195) *Non ho mai visto in vita mia, nemmeno nei film di cui la Bergman è protagonista, una donna così trasparentemente pulita. (p. 195) *Ogni buon [[padre]] di [[famiglia]] deve, al principio della giornata, sapere quanto la famiglia ha in cassa e quanto può spendere.<br>Einaudi conosce a memoria le cifre dell'economia italiana, come i re che lo precedettero conoscevano a memoria i nomi e i motti dei reggimenti. *«''Venez, mademoiselle, venez''», disse [[Anatole France]] a [[Emma Gramatica]] che, poco più che ventenne, si trovò un giorno a viaggiare con lui in automobile a Palermo, e aveva paura di essere troppo ingombrante sul sedile. «''Vous êtes comme les anges, qui n'ont pas de derrière!''»<br>Qualcosa come mezzo secolo dev'esser trascorso da allora, ed Emma somiglia un po' meno a un angelo, ma grassa non la si può dire nemmeno adesso. La vita che mena, d'altronde, non lo consentirebbe di diventarlo. Alla sua età, ha girato per tre anni consecutivi, tutti i teatri dell'America del Sud, volando da Buenos Aires a Santiago, da Santiago a Lima, da Lima a Caracas, e recitando una sera in italiano e la sera dopo in spagnolo, lingua che, sino al momento di partire, ignorava totalmente. Ora è tornata per girare un film con [[Vittorio De Sica|De Sica]], e sono fatiche a cui molti giovani non resistono. *Il [[fascismo]] trovò, tra i suoi oppositori più accaniti, [[Mario Missiroli]], che si batté a duello con [[Benito Mussolini|Mussolini]]. Egli non credette alla [[forza]] e al successo delle «camicie nere» fino al [[giorno]] in cui, mentre cercava faticosamente di salire sul tram, uno squadrista che lo incalzava, dopo avergli inflitto una serie di spintoni, non gli ebbe affibbiato, in risposta alle sue proteste, due sonori schiaffi che gli fecero volar via gli occhiali cerchiati d'[[oro]]. Mario li raccolse con [[dignità]], vi fiatò sopra, li ripulì col fazzoletto e concluse in tono ammirativo: «Però!... Picchiano bene, veh!...» ==''Qui non riposano''== *{{NDR|Sulla [[guerra d'Etiopia]]}} Quella fu una guerra ideale, la guerra-tipo della borghesia italiana: con pochi morti e molte medaglie. Io presi a capirne la miseria solo all'ultimo capitolo: quando, per la marcia su Addis Abeba, cominciarono a piovere dall'Italia e da Asmara gerarchi e aspiranti gerarchi, smaniosi di gloria a buon mercato: e Badoglio dovette emanare un ordine per cui solo chi presentava "un biglietto di autorizzazione" poteva marciare sulla capitale nemica. Solo in tempo fascista si poteva escogitare un finale di guerra con un biglietto per la capitale nemica. (pp. 107-108) *Io non volevo far politica. Ha il diritto un uomo della strada di non far politica? Ha il diritto un uomo della strada a dire che il governo ha fatto bene a far questo e male a far quest'altro? Ha diritto un giornalista, che è un uomo della strada, il quale va a vedere e riferire le cose per conto degli altri uomini della strada, ha il diritto di riferire che i fatti si svolsero così e così, e che in essi c'era tanto il bello e tanto il brutto, tanto di giusto e tanto d'ingiusto? No, il [[fascismo]] disse che un uomo della strada non ha tutti questi diritti. Ecco perché diventai antifascista. Non perché al posto di [[Benito Mussolini|Mussolini]] ci volevo un altro, ma perché non ci volevo nessuno. Io volevo stare alla finestra, come stanno i giornalisti, mestiere di spettatore e non di attore.<ref>Citato in Paolo Granzotto, ''Indro Montanelli'', p. 92.</ref> (p. 189) *[...] volevo avere il diritto di non pensare alla [[politica]], di disinteressarmi della politica, perché la politica la gente dabbene non la fa. La gente dabbene lavora in ufficio, viaggia, commercia, produce, ama una donna che può anche essere sua moglie (come è il mio caso), ama i suoi figli, ama la sua casa, paga le tasse, e di politica ne parla un quarto d'ora al giorno. (p. 190) ==''Reportage su Israele''== *Il fenomeno più interessante è forse quello ch'è stato meno sottolineato dagli osservatori stranieri: le minoranze arabe disseminate nel [[Israele|Paese]] hanno abbandonato i loro notabili che facevano lista per conto proprio, e hanno votato per i partiti nazionali infischiandosi ch'essi siano completamente in mani ebraiche. Sarebbe come se gli altoatesini, invece che per la ''Volkspartei'', votassero per i partiti italiani. Il partito comunista, verso cui li spingeva Radio-Cairo, è sbaragliato. Evidentemente la politica d'integrazione applicata nei loro confronti ha avuto il più completo successo, malgrado la guerra fredda, e tavolta calda, in cui si ostinano le nazioni arabe contro Israele (o forse proprio per essa). (p. 6) *Probabilmente i pionieri di Degania non si resero conto dell'importanza di ciò che facevano o forse non osarono nemmeno sperare che quel loro esperimento ne avesse tanta. Erano imbevuti di quel socialismo umanitario d'ispirazione tolstoiana che allora permeava gli ambienti intellettuali russi dai quali provenivano. Ma un'idea la ebbero chiara di certo: e cioè che l'unico modo di radicarsi in quella che la Bibbia e la Tradizione indicavano come loro Patria era di mettersi a lavorare la terra. (pp. 14-15) *L'esercito naturalmente serve ad Israele per difendere le sue ardue frontiere, e ha dimostrato di saperlo fare in maniera superlativa; ma i suoi sforzi quotidiani li concentra sulla formazione, più che del soldato, del cittadino. Esso prende i giovani di ambo i sessi e di qualunque condizione a diciotto anni, e per due anni e mezzo gli uomini, due le donne, li rimescola, li tritura e li macina. Insegna non soltanto il maneggio delle armi, ma anche la lingua a chi non la sa e il mestiere a chi non lo ha. La mattina, dall'alba a mezzogiorno, è tutta dedicata all'addestramento fisico delle reclute. Ma il pomeriggio è diviso fra il lavoro e la scuola. La caserma è di tipo ''kibbutz'', dove ci si prepara a quel solidarismo della vita collettiva che è l'ideale di questo popolo. Ed è qui che si forma l'israeliano non più ''azkenazi'', non più ''sefardita'', ma nazionale. (pp. 28-29) *[[Theodor Herzl|Herzl]] non era che un giornalista, redattore della ''Neue Freie Presse'' di Vienna. A proprie spese, viaggiando in terza classe, si mise alla ricerca in tutto il mondo dei correligionari danarosi, la maggiorparte gli rise in faccia. Il "Fondo nazionale ebraico per la terra" di quattrini ne raccolse pochi. Ma Herzl non si diede per vinto. Cominciò a visitare anche i potenti, dal Kaiser al Sultano fino a Vittorio Emanuele e al Papa per interessarli al progetto. E, sebbene questo non avanzasse, nel 1898 scrisse nel suo diario: «La mia sembra una chimera. Ma fra cinquant'anni lo Stato ebraico sarà una realtà». Si può essere scettici quanto si vuole, sulle profezie. Ma bisogna constatare che dal 1898 al 1948 [...] corrono esattamente cinquant'anni. Gli unici miliardari ebrei che presero sul serio Herzl furono i Rothschild. Essi non diedero capitali al ''Fondo'' forse perché avevano qualche dubbio sulla sua efficienza [...], ma per conto loro comprarono tutto ciò che in Palestina, allora provincia ottomana, c'era di comprabile, eppoi lo regalarono agli ebrei che ci andavano, per sé serbando soltanto il pezzo di terra necessario a ospitare le proprie tombe. (pp. 33-34) *Il partito di Ben Gurion, il ''Mapai'', ha riportato, contro quasi tutti i pronostici, una smagliante vittoria. E ora lui, ''Bigì'', deve formare il ministero, operazione che si presenta piuttosto complicata anche qui in Isarele. [...] Non dico che detesti la politica; anzi, ne è intriso. Ma non ama, della politica, questo aspetto minore – che purtroppo è quello quotidiano – delle estenuanti contrattazioni, del piccolo cabotaggio, delle furberie, dei compromessi, o per lo meno così dice. E ogni tanto pianta baracca e burattini, e se ne va. Dove? In mezzo al deserto del Negev, si capisce. La sua Riviera è lì, in un ''kibbutz'' poco distante da Beersheba, circondato dalle dune di sabbia e dai cammelli dei beduini. Ci resta tre giorni, una settimana, due, senza che nessuno osi disturbarlo. (pp. 40-41) *Gerusalemme è la città che fa maggiormente le spese di questa situazione manicomiale, quella nuova in mani israeliane è divisa da quella vecchia in mani arabe non da una frontiera ma da un muro, reso impenetrabile dall'intolleranza. In teoria, essa dovrebb'essere internazionalizzata, e per questo le potenze occidentali si rifiutano di riconoscerla come capitale di Israele e vietano ai loro ambasciatori di risiedervi. Ma siccome Israele vi sta ugualmente accentrando i suoi ministeri, questi poveri ambasciatori sono costretti quasi quotidianamente a farvi il su e giù da Tel Aviv dove sono obbligati a risiedere e che ne dista comunque oltre settanta chilometri. [...] Così a Gerusalemme non ci sono, come rappresentanti stranieri, che dei consoli, accreditati imparzialmente presso le due autorità locali, il prefetto israeliano nella città nuova e il governatore arabo in quella vecchia. Sono gli unici che possono attraversare la porta di Mandelbaum. (pp. 49-50) *Israele è estremamente utile agli arabi, o per meglio dire ai capi arabi, da un lato per sostenere di fronte al mondo la grossa menzogna dell'unità araba, e dall'altro per combattere fra loro la battaglia dell'egemonia. […] Se questo odio ci sia veramente, non lo so. So soltanto ch'è l'unico filo che tiene cucita la "fraternità" araba: questa curiosa fraternità punteggiata di congiure, di attentati, di assassinii caineschi, tra "fratelli" di cui ognuno accusa l'altro di non esserlo abbastanza. (pp. 51-52) *Se l'esistenza d'Israele serve agli arabi per puntellare alla meglio la loro convenzionale unità, la minaccia araba ha servito agl'israeliani per fare ciò che senza di essa avrebbero ugualmente, fatto, ma in cinquant'anni invece che in dieci. Il blocco e il boicottaggio arabo hanno paradossalmente funzionato, per Israele, da piano quinquennale senza bisogno delle imposizioni poliziesche di un regime comunista. [...] Psicologicamente, la tensione senza intermittenze con gli arabi ha sortito e seguita a sortire sulla società israeliana gli stessi effetti che la "frontiera", cioè la conquista dell'Ovest, ha prodotto alla società americana, obbligandola a restare per decenni e decenni tuffata in un'atmosfera pioneristica. [...] Morale: ognuno ha il nemico che si merita. (pp. 55-56) *Gl'israeliani hanno piantato in poco più di dieci anni trenta o quaranta milioni di alberi. E bisogna vedere con che orgoglio te li mostrano, con che incantamento se li guardano, con che passione li annacquano, li potano e li pettinano. Le case non sono granché: le costruiscono in fretta, senza varietà, e piuttosto "alla carlona". Ma non ce n'è una, nemmeno nelle città, che non abbia un giardino e nel giardino, insieme ai fiori, i suoi alberi. (p. 59) *Il teatro ''yiddish'', che pure era un grande teatro, v'incontra poca fortuna. Esso era nato in Germania e in Polonia, come uno specchio deformante di quelle società che relegavano gli ebrei nel ghetto e che essi ripagavano con la caricatura. Ora che dal ghetto sono usciti, essi stessi non comprendono più il significato di quei ghigni e di quelle smorfie. Il pubblico che ci va è tutto dai quaranta in su. (p. 62) *Lo Stato mostra parecchia tenerezza [...] per quelle due o trecento famiglie di ortodossi acquartierati in Gerusalemme, che lo negano e si rifiutano perfino di votare perché nella Bibbia sta scritto che uno Stato ebraico sarebbe rinato solo dopo l'apparizione del Messia in Terra [...]. Questi protestanti assolvono anch'essi una funzione. Servono a dimostrare che in Israele alla Bibbia ci si crede. [...] Ben Gurion è un laico puro. E tutta laica è la nuova generazione. Non è vero che Israele sia uno Stato confessionale. Lo è meno dell'Italia. (p. 66) *Non so a che punto siamo con la letteratura e la poesia, qui in Israele. [...] Ora che hanno una lingua propria a disposizione, i giovani scrittori d'Israele la usano [...] su tutt'un altro registro. Intanto, hanno scoperto anch'essi la natura. [...] Essi erano amari e disperati quando scrivevano in tedesco o in russo. Ora che scrivono in ebraico, le loro parole sono piene di sole e di sangue: cioè di gioia di vivere, anche quando descrivono la morte. (pp. 67-68) *[[Golda Meir]] è la "madre del Paese", anzi la mamma. E con le mamme, si sa, complimenti non se ne fanno. Per questo la chiamano soltanto Golda, la salutano alla voce, invece di baciarle la mano, quando passa per strada, e insomma le danno del tu. Essa è la meno ossequiata, ma la più amata e popolare, di tutte le donne d'Israele. [...] Essa rappresenta la vecchia guardia, la fedeltà all'uomo, al suo socialismo democratico, al collettivismo del ''kibbutz'' nel quale è anche lei maturata. (pp. 70-74) *I Paesi asiatici non hanno visto di buon occhio la nazionalizzazione del Canale di Suez, anche se per pregiudiziali anticolonialistiche hanno dovuto appoggiare [[Gamal Abd el-Nasser|Nasser]] e fingere di applaudirla. [...] Tempo fa il dittatore egiziano, per ritorsione contro Ceylon che gli aveva votato contro all'O.N.U., le ha bloccato tutta l'esportazione del tè, conducendo quel Paese sull'orlo del fallimento. Domani potrebbe fare altrettanto contro la Birmania. Il Canale non rende all'Egitto che dieci milioni di dollari l'anno. Ma gli consente di ricattare tutti i Paesi asiatici, che per quella via devono ancora passare. (p. 80) *{{NDR|Nel 1956}} [[Moshe Dayan|Dayan]] aveva in quel momento quarant'anni. Egli diresse le operazioni da un piccolo aereo di ricognizione che guidò da solo tenendolo librato qualche centinaio di metri sulla zona di combattimento. [...] Quando, in fase di armistizio, si trattò di scambiare i prigionieri, gl'israeliani ne restituirono seimila, gli egiziani uno: un pilota che aveva dovuto atterrare dentro le loro linee. Dopodiché il generale dal volto di ragazzo, invece di sfilare in parata per le vie di Gerusalemme alla testa delle truppe vittoriose, svestì la divisa, diede le dimissioni dall'esercito, e si mise a fare l'archeologo, fino al giorno in cui Ben Gurion gli propose di portarsi candidato nelle liste del suo partito. (p. 88) *Per Israele, l'unico lato negativo della campagna del Sinai del '56 ha rischiato di essere proprio questo: il pericolo di un "complesso di superiorità" che poteva indurre alla smobilitazione non tanto delle armi, quanto degli animi. Il lettore italiano non saprà con quanta cura [...] Governo, Parlamento e stampa si sono adoperati per "minimizzare" quella folgorante vittoria, che qualunque altro popolo avrebbe annaffiato di chissà quali fiumi di retorica. (p. 101) *In Israele sono stati investiti [...] oltre sei miliardi di dollari. Ma oggi rendono, eccome. Questo non è uno dei tanti pozzi di San Patrizio arabi, dove prestiti e finanziamenti finiscono in ville satrapesche o vengono ritrasferiti pari pari nelle banche svizzere. Israele è una grande impresa industriale, dove ogni dollaro dell'azionista si è tradotto in un albero o in un telaio. Oggi Israele è effettivamente alla vigilia di una crisi: ma si tratta di una crisi di sovraproduzione. [...] Le materie prime d'Israele sono l'ingegno, la disciplina, la fede in se stessi. Ma ce n'è in tale abbondanza che sui risultati finali non possono sussistere dubbi. (pp. 102-103) *Dicono che quello israeliano è un regime di socialismo addomesticato. Sarà. Ma è l'unico socialismo volontario che io abbia visto in atto, l'unico che abbia raggiunto forme anche estreme di vita collettivizzata per spontanea scelta di chi deve subirne i non piccoli inconvenienti. Eppure, in pochi Paesi si respira a pieni polmoni la libertà come in Israele. Non vi conosco un ricco. Non vi conosco un povero. Ma soprattutto non vi conosco un servo. (p. 104) *[[Chaim Weizmann|Weizmann]] voleva fare di questo Paese un gabinetto scientifico, il focolare dell'intelligenza umana applicata alla tecnica, un'appendice del suo Istituto, meraviglia del mondo. Ma anche questo è parso troppo poco. Secondo altri, Israele deve trasformarsi nel laboratorio della coscienza ebraica per la ricerca di un nuovo Verbo in cui il mondo trovi pace, libertà e giustizia. Se mi avessero detto queste cose prima di andare in Israele, credo che anch'io ne avrei sorriso, come forse sorrideranno alcuni lettori. Ma sul posto ci si accorge quanto profondamente sentite esse siano. (p. 108) *Per liberare il mondo dagli ebrei e gli ebrei da se stessi [[Theodor Herzl|egli]] aveva pochi anni prima lanciato l'idea di adunare a Roma tutti i rabbini e farli convertire dal Papa. L'affare Dreyfus gli dimostrò che nemmeno questo sarebbe bastato. E allora egli si diede a predicare lo Stato ebraico: ma sempre per liberare il mondo dagli ebrei e gli ebrei da se stessi. Herzl era una delle più affascinanti personalità che l'ebraismo abbia mai prodotto […]. Le sue ''illuminazioni'' si sono dimostrate alla prova dei fatti più valide della logica e della ragione. Mi piace concludere questo rapporto sulle cose d'Israele rendendo omaggio a questo singolare profeta, che nelle sue sconnesse visioni, in mezzo a fallimenti di ogni genere, non solo previde la nascita dello Stato ebraico, ma gli assegnò con cinquant'anni di anticipo la data esatta (il 1948) e la ''missione'' che gli spettava: quella di ''sconfiggere'' gli ebrei liberandoli da se stessi, cioè da quel fardello di miserie e di dolori che per due millenni ne hanno fatto il più tragico popolo del mondo. (pp. 109-110) ==''Ricordi sott'odio''== *''Non piangete | per | [[Cesare Zavattini]] | ha già pianto | lui per tutti noi.''<ref name=ricordi>Il libro raccoglie gli "epitaffi" scritti su personaggi al momento viventi (talvolta insieme a [[Leo Longanesi]]) e quasi tutti inediti.</ref> (p. IV dell'Introduzione di Marcello Staglieno) *''Qui | per la prima volta | [[Alida Valli]] | giace | sola''.<ref name=ricordi/> (p. 11) *''Qui | riposa | [[Amintore Fanfani]] | amico | dei nemici | nemico | degli amici | figlio | di [[Alcide De Gasperi|De Gasperi]] | padre | di nessuno.''<ref name=ricordi/> (p. 31) *''Qui | riposa | [[Mario Melloni]] | inquieto | transfugo | di sé stesso | momentaneamente | scomparso | a sinistra | in cerca | di una croce | su cui | inchiodarsi.''<ref name=ricordi/> (p. 65) *''Qui giace | Alba {{ndr|[[Alba de Céspedes]]}} | scrittrice scialba. | Divorò uomini e gloria | La Boria | la divorò''.<ref name=ricordi/> (p. 95) *''Qui | riposa | [[Mario Soldati]] | padre | figlio | autore | regista | interprete | di | Mario Soldati.''<ref name=ricordi/> (p. 123) *''Qui giace | [[Davide Lajolo]] | Segretario federale | Legionario di Spagna | Repubblichino di Salò | chiese | di passare all'anilina | la sua camicia nera. | E com'era | Rimase.''<ref name=ricordi/> (p. 179) *''In pace | qui giace | orbato | d'orbace | [[Achille Starace]].''<ref name=ricordi/> (p. 181) ==''Soltanto un giornalista''== *Da quando ho cominciato a pensare, ho pensato che sarei stato un giornalista. Non è stata una scelta. Non ho deciso nulla. Il giornalismo ha deciso per me. E questa è stata una delle mie tante fortune, posto che tutto quel che ho fatto lo debbo soprattutto a un alleato ch'è sempre rimasto al mio fianco: il caso. (p. 5) *Per sua disgrazia, [[Massimo Bontempelli|Bontempelli]] fu nominato accademico d'Italia da un fascismo che puzzava già di morto. Eletto senatore nelle liste del Fronte popolare dopo la guerra, non esitò a pronunziare giudizi brucianti su chi aveva collaborato col regime. Quel voltafaccia gli costò caro, perché a un certo punto saltarono fuori le lettere che aveva scritto a Mussolini per impetrare la sua nomina: i comunisti lo scaricarono e lui cadde in un tale stato di prostrazione da morirne. (p. 26) *A Salò ci fu di tutto. Ci furono le squadracce assetate di vendetta e di saccheggio che provocarono il disgusto agli stessi tedeschi. Ma anche uomini per i quali quello fu il banco di prova d'una coerenza e d'una lealtà che non possono non incuter rispetto. E l'unica ragione per la quale benedico le mie cosiddette benemerenze antifasciste è che mi han dato il diritto di difenderle. (p. 119) *Il 2 giugno del '46, giorno del referendum istituzionale, votai per la monarchia. Lo feci perché ritenevo fosse pericoloso recidere il tenue filo che legava l'Italia all'unica sua tradizione nazionale: quella monarchica, appunto. L'Italia non s'era "fatta da sé", come pretendeva la nostra storiografia ufficiale. Era stata fatta dalla monarchia sabauda guidata dal genio diplomatico d'un suo diplomatico, Cavour, che voleva estendere il Regno di Sardegna al Lombardo-Veneto. Se poi ci scappò fuori l'Italia, non fu grazie al contributo degl'italiani, che non ne diedero punto. Fu perché la storia dell'Europa andava verso la costituzione degli Stati nazionali, e condannava a morte quelli plurinazionali come l'Impero austriaco. [...] Al posto di quel patrimonio, sia pure modesto, cosa prometteva la Repubblica? Si presentava come depositaria dei valori della Resistenza, un mito ancora più falso di quello del Risorgimento. Che non era stata affatto, come pretendeva d'essere, la lotta d'un popolo in armi contro l'invasore, bensì una lotta fratricida tra i residuati fascisti della Repubblica di Salò e le forze partigiane, di cui l'80 per cento si batteva (quasi mai contro i tedeschi) sotto le bandiere d'un partito a sua volta al servizio d'una potenza straniera. (pp. 125-126) *Un'altra scelta s'era imposta, quella delle elezioni del '48. Per l'Italia era una scelta vitale: o con l'Est o con l'Ovest, ossia con i totalitarismi rossi oppure con le democrazie occidentali. Ergo, o con il Fronte popolare oppure con la Dc. E lì ebbe inizio il mio dramma, ch'è poi quello eterno del laico italiano: il quale, messo davanti al boia, vede comparire al suo fianco il prete che solo può salvarlo. (pp. 135-136) *Mi proposi due obiettivi, entrambi falliti: il primo era farmi intentare un processo dagli amministratori della città che attirasse l'attenzione sui pericoli che [[Venezia]] stava correndo. Il secondo era rendere pubblica la convinzione che m'ero formato: che per salvare Venezia la prima cosa da fare era sottrarla allo Stato italiano e affidarlo a un organismo internazionale come l'Onu, con le sue cospicue possibilità finanziarie e i suoi agguerriti uffici tecnici. [...] Il Comune di Venezia non aveva più nulla di veneziano, salvo la sede. A dominarlo erano gli elettori di Mestre e Marghera, che con quelli di Venezia si trovavano nella proporzione di tre a uno, e dalla loro avevano tutto: i soldi delle industrie, i sindacati e quindi anche i partiti. Decidendo di restare amministrativamente unita, Venezia ha preferito mettersi al rimorchio delle ciminiere e petroliere di Marghera, alle quali ha sacrificato il suo delicatissimo sistema idraulico. Fu allora che, con grande amarezza, feci atto di rinunzia a Venezia, convinto come ero, e come son rimasto, che una città si può salvare solo se sono i suoi abitanti a volerlo. (pp. 216-217) *Una sera, uscendo solo soletto dal «Giornale», mi trovai davanti il solito muro di folla tumultuante con le bandiere rosse spiegate. Dalla piazza si levò un urlo: «Tel chi el Muntanel!». In un attimo cinquanta scalmanati mi s'avventarono contro. Temendo il linciaggio, arretrai fino a trovarmi con le spalle al muro. Ma non feci in tempo a dire be' che mi ritrovai issato in spalla a una mezza dozzina d'energumeni, fra salve d'evviva. Erano i tifosi del [[Torino Football Club|Torino]] che quel giorno {{NDR|16 maggio 1976}} aveva vinto lo scudetto, e le bandiere non eran rosse, ma granata. E siccome i cronisti sportivi del «Giornale» erano sempre stati favorevoli al Torino, m'acclamavano come un loro idolo. (p. 241) *La Dc era il partito dei maneggi e dell'inefficienze. Ma se avesse perso il 4 o il 5 per cento dei suoi voti, il partito di maggioranza relativa destinato a formare il nuovo governo sarebbe diventato quello comunista. Ch'era ancora molto pericoloso. Perché è vero che in Italia c'era Berlinguer, ma io sapevo bene che col comunismo d'allora poteva ancora succedere di tutto: bastava un cambiamento al vertice e un Berlinguer poteva diventare un [[Alexander Dubček|Dubček]] come un [[Walter Ulbricht|Ulbricht]]. Il «Giornale» era certamente laico, ma prima di essere laico era italiano, e cercava d'operare con qualche senso di responsabilità. E negli anni Settanta solo gl'irresponsabili potevano augurarsi il crollo della Dc, cui eravamo condannati anche perché la cosiddetta Alleanza laica, l'accordo fra Pli, Pri e Psdi, non sortì mai i numeri per sostituirvisi. (pp. 243-244) *Ci fu un'unica battaglia sulla quale il «Giornale» si trovò allineato con Craxi e il nostro editore: quello per la libertà d'antenna. Battaglia sacrosanta. Berlusconi è tutt'altro che un idealista disinteressato e nessuno sa agire come lui aggirando, quando non calpestando, le regole. Ma i panni nobili coi quali i difensori della Rai rivestivano la loro offensiva politico-giudiziaria erano grotteschi. Se il peccato di Berlusconi stava nell'essere troppo amico del Psi, quello della Rai era d'essere troppo amica di tutti i partiti. A fornirci il destro furono poi i pretori coi loro interventi oscurantisti, peraltro prontamente sventati dai decreti di Craxi. E quindi la crociata dell'etere libero, che rientrava fra l'altro nella nostra tradizione antistatalista, divenne una campagna contro il "pretore selvaggio", che con i suoi abusi toglieva ogni certezza del diritto al cittadino. (pp. 275-276) *Le vere novità erano nate fuori dal Palazzo: come la Lega di [[Umberto Bossi]]. Che all'inizio anche il «Giornale», come molti altri, sottovalutò. Come si faceva a prender sul serio un invasato che nutriva le sue invettive di sfondoni storici e grammaticali da far accapponare la pelle? [...] Che Roma fosse ladrona, era indubitabile. E l'avversione per la burocrazia parassitaria e per il meridionalismo piagnone e sprecone andava a nozze con le tradizioni del «Giornale». Bossi quindi incarnava un sentimento molto diffuso anche fra i nostri lettori, una protesta genuinamente qualunquista che, per certi versi, all'inizio anche noi appoggiammo. Ma dovemmo prenderne le distanze quando Bossi cominciò a condire le sue contumelie contro il Palazzo con propositi secessionisti. (pp. 279-280) *Con Berlusconi, tuttavia, poi feci pace. Fu lui a telefonarmi: forse, aveva captato in qualche mio articolo un'ombra di rimpianto per il vecchio amico. Era il '96 e dopo il ribaltone le cose per lui si mettevano di male in peggio. [...] Così, una sera mi ritrovai di nuovo seduto alla sua mensa ad Arcore. [...] Riparlammo senza rancore dei nostri trascorsi. Gli domandai quale garanzia avesse ricevuto da [[Massimo D'Alema|D'Alema]] sulle sue aziende in cambio dell'opposizione inesistente che gli assicurava. Rise. «Ma perché, ora che hai sistemato i tuoi affari, non ti chiami fuori dalla politica?» gli chiesi. «È una parola» mi rispose rabbuiandosi. «I giudici non obbediscono neppure a D'Alema». E lì capii quale era, ormai, la vera sostanza del suo dramma. (p. 312) *Se anch'io sono diventato europeista, è per disperazione: l'Europa è forse l'unica possibilità di sopravvivere per noi italiani, che come italiani non siamo riusciti a vivere. Questo è sempre stato l'europeismo degl'italiani di più alta coscienza, a partire da [[Alcide De Gasperi|De Gasperi]], che fu il primo a capire i rischi d'un Italia lasciata in balìa degl'italiani. (p. 315) *Pur fra tante fortune, purtroppo a me la sorte ha riservato di portarmi nella tomba le due cose che ho più amato: il mio mestiere e il mio Paese. Che cosa sia diventato il primo, annientato da computer e televisione, è sotto gli occhi di tutti. Quanto al secondo, la cancrena è ormai inarrestabile e la decomposizione sta avvenendo per dissoluzione di quel poco che resta dello Stato. E dico decomposizione, non secessione. La secessione si fa anche con la violenza, e dove lo troviamo oggi un solo plotone di soldati disposto a imbracciare le armi pro o contro l'Unità dello Stato? Che, se resta ancora in piedi, è solo perché non ha neppure la forza di cadere. Quello di rinunziare alla nazione poi, è un sacrificio che non saprei compiere, anche se razionalmente mi rendessi conto ch'è necessario, oppure inevitabile. E ringrazio l'anagrafe che mi esclude dal problema. (p. 316) ==''Storia d'Italia''== {{vedi anche|Indro Montanelli e Roberto Gervaso|Indro Montanelli e Mario Cervi}} ===''L'Italia giacobina e carbonara''=== *I [[cinismo|cinici]] sono tutti moralisti, e spietati per giunta. (cap. 10, p. 144) *[[Francesco Melzi d'Eril|Melzi]] apparteneva a una delle più grandi famiglie dell'aristocrazia lombarda, e ne portava nel sangue le doti migliori: la rettitudine, la cultura, la cortesia, ma anche una certa alterigia, che probabilmente gli veniva dalla madre spagnola. (cap. 11, p. 152) *{{NDR|Francesco Melzi d'Eril}} Aveva fatto parte dei circoli illuministici dei Serbelloni, dei Beccaria e di Pietro Verri, di cui era anche cognato. [[Napoleone Bonaparte|Napoleone]] lo aveva conosciuto al tempo della sua prima campagna d'Italia, dopo la battaglia di Lodi lo aveva invitato a Mombello, e ne aveva fatto il proprio consigliere. Quel signore che portava ancora il costume settecentesco, le calze bianche e la parrucca incipriata, gli piaceva. Gli piaceva perché non era servile, perché non era venale, perché non era nemmeno ambizioso. Una leggera sordità e una salute piuttosto precaria, insidiata da un forte artritismo, l'obbligavano a riguardi incompatibili con l'esercizio del potere. Più che il protagonista, preferiva fare il suggeritore. (cap. 11, p. 152) *L'unico che avesse qualità di uomo di Stato era il ministro delle finanze, [[Giuseppe Prina|Prina]], anche perché era piemontese, cioè veniva da un paese che uno Stato lo era da secoli. Ex procuratore generale della Corte dei Conti di Torino e membro del governo provvisorio del '99<ref>1799.</ref>, si era poi trasferito nella [[Repubblica Cisalpina|Cisalpina]] e ne aveva preso la cittadinanza. Non aveva un carattere che attirasse simpatie. Anzi, chiuso e freddo com'era, le respingeva. Ma era un lavoratore instancabile e scrupoloso, dotato di un acuto senso politico e – diceva [[Stendhal]] – "ha del grande in testa". (cap. 12, p. 164) *Perché non andassero perse neanche le briciole {{NDR|delle entrate della Repubblica Cisalpina}}, Prina riformò tutto il sistema fiscale riducendone il personale e facendone una macchina di straordinaria efficienza. Fu lui a inventare la "tassa di famiglia", o meglio a ripristinarla, perché la sua vera iniziatrice era stata [[Maria Teresa d'Austria|Maria Teresa]]. Ma la maggior pressione la esercitò nel campo delle imposte indirette che colpivano tutti i consumi senza distinguere fra quelli di lusso e quelli di prima necessità. Naturalmente a farne le spese furono soprattutto le classi popolari, che di lì a pochi anni gliel'avrebbero fatta pagare<ref>Prina, dopo l'abdicazione di Napoleone, fu linciato dalla folla a Milano il 20 aprile 1814.</ref>. Ma con questi sistemi riuscì a portare le entrate da settanta a oltre cento milioni e a pareggiare il bilancio. (cap. 12, p. 165) *[[Carlo II di Parma|Carlo Ludovico]] era stato talmente oppresso dalla madre<ref>Maria Luisa di Borbone-Spagna (1782–1824).</ref> che sognava di disfare tutto ciò ch'essa aveva fatto, compreso il proprio matrimonio; e quando le successe nel '24<ref>Come duca di Lucca nel 1824.</ref>, introdusse anche per buona fortuna dei lucchesi, metodi di governo diametralmente opposti a quelli di lei. Ridusse l'appannaggio che Maria Luisa esigeva per alimentare i suoi fasti spagnoli, liberalizzò i commerci, e alla fine si convertì addirittura al luteranesimo, mentre sua moglie diventava Terziaria domenicana. Fu un cattivo marito, ma non un cattivo sovrano. E Lucca, sotto di lui, respirò. (cap. 25, p. 375) *[...], {{NDR|la [[Carboneria]]}} non fu certo una scuola di educazione politica, e probabilmente è anche al suo esempio e modello che sono dovute le malformazioni della nostra democrazia e la sua intrinseca debolezza. Figli e nipoti dei Carbonari furono quei "notabili" che governarono l'Italia fino alla prima guerra mondiale e che, insieme a innegabili virtù, ebbero anche il vizio di considerare il Paese una "clientela" di Apprendisti esclusi dai "sacri travagli". (cap. 26, p. 395) *Fu qui {{NDR|al Teatro alla Scala}} che {{NDR|[[Ugo Foscolo]]}} vide [[Antonietta Fagnani Arese]], già famosa a ventitré anni non soltanto per la sua bellezza, ma anche per lo sfruttamento intensivo che ne aveva fatto. Probabilmente era una frigida, ma che sapeva recitare la sua parte: tutti i giovani più in vista di Milano cadevano nelle reti di questa Circe, e forse fu anche questo a stimolarlo. (cap. 35, p. 510) *Misto di genio e di ciarlatano, [[Domenico Barbaja|Barbaja]] aveva debuttato come sguattero, aveva fatti primi soldi inventando un dolce di panna e cioccolato, la "barbajada", li aveva moltiplicati con la gestione del Ridotto da giuoco della Scala, e ormai tanti ne aveva che quando il San Carlo andò distrutto da un incendio, lo ricostruì a proprie spese. (cap. 39, pp. 608-609) *{{NDR|Domenico Barbaja}} Era semianalfabeta, e di musica non conosceva una nota, ma conosceva il pubblico, era un infallibile scopritore di talenti, e nel 1815 si assicurò quello di un compositore ventitreenne, in cui già aveva identificato la figura più rappresentativa della lirica contemporanea: [[Gioacchino Rossini]]. (cap. 39, p. 609) *{{NDR|[[Ciro Menotti]]}} Uomo onesto, ma di un candore che sconfinava nella sprovvedutezza, [...]. (cap. 40, p. 635) ===''L'Italia del Risorgimento''=== *{{NDR|[[Giuseppe Mazzini]]}} Due mesi d'intenso lavoro gli bastarono a maturare il piano. Più che una setta, la sua organizzazione sarebbe stata un vero e proprio partito, anche se clandestino, senza l'oscura simbologia e i complicati rituali carbonari. Si sarebbe chiamata ''[[Giovine Italia]]'' e lo sarebbe stata anche di fatto perché, salvo casi eccezionali, era preclusa a chi avesse superato i quarant'anni di età. (cap. 4, pp. 54-55) *D'irresolutezza, [[Carlo Alberto di Savoia|Carlo Alberto]] aveva dato prova anche prima di salire sul trono, e lo aveva dimostrato anche il suo contraddittorio atteggiamento nel '21<ref>Nei moti piemontesi del 1821, Carlo Alberto aveva prima dato e poi ritirato il suo appoggio ai congiurati.</ref>. Il coraggio e la volontà non gli mancavano; ma gli mancava il carattere. Nella guerra di Spagna era stato un valoroso combattente<ref>Nel 1823, Carlo Alberto aveva partecipato alla campagna militare per ristabilire l'assolutismo regio in Spagna.</ref>, e la disciplina a cui si sottoponeva era spartana. Ma le responsabilità morali lo sgomentavano. (cap. 9, pp. 135-136) *{{NDR|Carlo Alberto}} Non era né intelligente né colto. Ma certi movimenti di opinione pubblica e orientamenti di pensiero li coglieva e ne restava influenzato. Nel '38 aveva mandato in galera e poi in esilio [[Vincenzo Gioberti|Gioberti]], ma nel '43 ne leggeva con interesse il ''Primato''. Se [[Massimo d'Azeglio|D'Azeglio]] avesse scritto il suo libro<ref>''Degli ultimi casi di Romagna'' (1846).</ref> due anni prima, avrebbe mandato in esilio anche lui. Ora in pratica ne aveva fatto una specie di agente segreto. I tempi insomma li sentiva e con essi andava. (cap. 9, p. 136) *Questo grande soldato {{NDR|[[Josef Radetzky]]}} non aveva mai conosciuto sconfitte, e a ottant'anni suonati conservava intatte prestanza fisica ed energia morale. Come tutti i militari, credeva soltanto nella spada e nella disciplina. Ma non somigliava affatto all'immagine che di lui ci ha tramandato la storiografia risorgimentale: quella del crudele "impiccatore", del caporalaccio ottuso, grossolano e brutale. Era al contrario un grande signore, di tratto ruvido ma generoso, perpetuamente alle prese con problemi di bilancio perché aveva le mani bucate. (cap. 13, p. 194) *{{NDR|Radetzky}} Aveva sposato una Contessa austriaca che viveva a Vienna e gli aveva dato otto figli da cui non gli venivano che dispiaceri. Uno militava ai suoi ordini lì a Milano, ma era un così cattivo arnese che un prete un giorno lo schiaffeggio per strada. Radetzky mandò a chiamare il prete, gli strinse la mano e gli disse: "''{{sic|Crazzie}}''". Per amante si era presa una brava stiratrice lombarda che sapeva cucinare bene gli gnocchi, di cui era ghiottissimo, e dalla quale ebbe altri quattro figli. Non era affatto un odiatore degl'italiani: tant'è vero che, quando andò in pensione, rimase a Milano, e lì morì nel '58. Era soltanto un fedele servitore del suo Paese, di cui non discuteva la causa. E soprattutto era un vecchio lupo di guerra coraggioso, astuto e risoluto. (cap. 13, p. 195) *La notizia si diffuse prima ancora che lo [[Statuto Albertino|Statuto]] fosse firmato, e in un battibaleno le piazze di Torino, eppoi di tutto il Piemonte, eppoi di tutto il Reame, si riempirono di folla esultante. Essa non conosceva il contenuto del documento che introduceva, sì, un regime rappresentativo, ma circondandolo delle maggiori cautele [...]. Più che del suo contenuto, la pubblica opinione era innamorata della parola ''Costituzione'', che aveva finito, per assumere ai suoi occhi magici significati, e la salutava con luminarie, canti e bandiere. (cap. 14, p. 218) *[...] [[Francesco Anzani|Anzani]], il più serio e autorevole degli esuli italiani, che aveva combattuto per la libertà in Grecia e in Spagna. Le sue parole avevano gran peso anche perché fra tutti quei chiacchieroni, ne pronunziava poche. (cap. 18, p. 281) *[...] [[Giuseppe Montanelli|Montanelli]] era così infatuato {{NDR|del progetto di Costituente italiana}} e tanto ne parlava nei suoi discorsi che il popolino – dicono – finì per credere che la Costituente fosse il nome di sua moglie. (cap. 19, p. 298) *[[Pellegrino Rossi|Rossi]] era un toscano della Lunigiana, ma solo all'anagrafe. Come formazione e mentalità, apparteneva ancora a quel tipo di {{sic|apòlidi}} che l'Italia del Settecento sfornava doviziosamente e che, non trovando in patria un terreno per i loro talenti, andavano da mercenari a investirli all'estero. Professore d'Università a poco più di vent'anni, poi commissario di [[Gioacchino Murat|Murat]] al tempo del suo infelice tentativo di unificare l'Italia sotto il suo scettro, era l'unico cattolico cui l'Accademia calvinista di Ginevra avesse mai affidato una cattedra. (cap. 19, p. 301) *{{NDR|Pellegrino Rossi}} Fu sin dal principio un fautore di [[Papa Pio IX|Pio IX]] fino a partecipare di persona alle manifestazioni popolari in suo favore, ma vide subito la pochezza e ambiguità dell'uomo e ne denunziò i pericoli. (cap. 19, pp. 302-303) *Sebbene gli avessero affidato pieni poteri, [[Daniele Manin|Manin]] era un uomo discusso. Molti lo consideravano un malaccorto maneggione, un improvvisatore digiuno di problemi economici e militari, bravo soltanto ad attribuirsi i meriti degli altri. Secondo [[Niccolò Tommaseo|Tommaseo]], ch'era fra i suoi più insidiosi diffamatori, il potere gli aveva dato "una scossa da intorbidargli la mente e far più grave e manifesta la sua inesperienza". (cap. 23, p. 354) *{{NDR|Daniele Manin}} Intellettualmente, non era al livello di un [[Giuseppe Mazzini|Mazzini]] o di un [[Carlo Cattaneo|Cattaneo]]. Ma era, come loro, inattaccabile sul piano morale. E, in mancanza di un vero e proprio potere carismatico, esercitava sulle folle un notevole fascino per la sua gioviale e arguta "venezianità". Parlava sempre in dialetto con battute raccattate sulla bocca dei gondolieri, e anche nel dramma portava un pizzico di [[Carlo Goldoni|Goldoni]]. I suoi limiti li conosceva, e non è vero che l'autorità gli avesse dato alla testa, come diceva Tommaseo che diceva male di tutti. Anzi la esercitava bonariamente e cercava di circondarsi di uomini validi che sopperissero alla sua incompetenza. (cap. 23, pp. 354-355) *Eran trascorsi pochi mesi {{NDR|dal suo matrimonio con Vittorio Emanuele}}, che [[Maria Adelaide d'Asburgo-Lorena|Maria Adelaide]] lo sorprendeva nel giardino di Moncalieri con una diva del teatro, Laura Bon, ma si guardò dal farne un dramma. Perfettamente educata al mestiere di Regina, essa sapeva che la rassegnazione alle infedeltà ne è parte imprescindibile, e le sopportò sempre con garbo e dignità. (cap. 25, p. 390) *Sfruttando la devozione di Carlo Alberto, [[Clemente Solaro della Margarita|Solaro della Margarita]] aveva regolato i rapporti con la Chiesa in modo tale da fare del clero piemontese il più potente d'Italia dopo quello dello [[Stato Pontificio|Stato pontificio]]. Esso aveva ancora i suoi tribunali in concorrenza con quelli dello Stato e poteva concedere il diritto d'asilo ai delinquenti. (cap. 26, p. 410) *[...] {{NDR|Giuseppe}} Montanelli, gran galantuomo e ricco d'ingegno, non lo era altrettanto di carattere. Idee ne aveva, anzi ne aveva troppe; ma, facilmente suggestionabile, finiva sempre per adottare quelle dell'ambiente in cui viveva. (cap. 29, pp. 464-465) *Il primo a trarne le conclusioni {{NDR|dalle tesi favorevoli alla monarchia piemontese esposte nel libro di [[Vincenzo Gioberti|Gioberti]] ''Del rinnovamento civile d'Italia''}} fu [[Giorgio Pallavicino Trivulzio|Pallavicino]], l'ex prigioniero dello Spielberg, da un pezzo rifugiato a Torino. Di scarso cervello politico, impetuoso fino alla leggerezza, teatrale e un po' troppo portato a ostentare i suoi titoli di "martire", aveva fino allora militato sotto bandiera rivoluzionaria. (cap. 32, p. 514) *{{NDR|Tra i Mille di Garibaldi}} C'era il malinconico ex prete [[Giuseppe Sirtori|Sirtori]], che della guerra aveva fatto una mistica e sul campo sembrava che officiasse. (cap. 40, p. 635) ===''L'Italia dei notabili''=== *La [[Convenzione di settembre|Convenzione]], che fu detta "di Settembre" dal mese in cui venne concordata, si componeva di cinque articoli e stabiliva: che l'Italia rinunziava ad ogni atto di ostilità contro il territorio pontificio; che la Francia ne avrebbe ritirato le sue truppe via via che il governo del Papa le avesse rimpiazzate con volontari indigeni e stranieri, e comunque entro due anni; e che questo doppio impegno sarebbe entrato in vigore dal momento in cui il governo italiano avesse decretato il trasferimento della capitale da operarsi nello spazio di sei mesi. (Capitolo quinto, Firenze capitale, p. 76) *Gli sventramenti che furono operati {{NDR|a Firenze, nuova capitale del Regno d'Italia}} per alloggiare i Ministeri e i nuovi quartieri che sorsero alla periferia per ospitare i venticinque o trentamila impiegati che calarono da Torino, lasciarono la città orrendamente sfregiata e carica di debiti. (Capitolo quinto, Firenze capitale, p. 78) *{{NDR|[[Carmine Crocco]]}} [...] condannato per diserzione a vent'anni di carcere, ne era evaso, si era dato alla macchia, e in poco tempo era diventato il più temuto e rispettato capobanda della [[Basilicata|Lucania]] non soltanto per il suo coraggio, ma anche per la sua intelligenza di guerrigliero.</br>[...] Crocco venne riconosciuto Generalissimo non solo per l'autorità che gli conferivano le sue gesta, ma anche, perché, sebbene mezzo analfabeta, possedeva un'oratoria immaginosa e apocalittica. (Capitolo sesto, I briganti, pp. 85-89) *{{NDR|[[Giustino Fortunato]]}} [...] il più grande e illuminato studioso del Meridione. (Capitolo sesto, I briganti, p. 86) *Figlio di un fabbro e medico di professione, [[Giovanni Lanza|Lanza]] incarnava, nella Destra piemontese tradizionalmente formata da nobili, militari e grandi borghesi, un tipo umano del tutto insolito: il nuovo piccolo ceto medio, spartano e puritano, formatosi nelle scuole serali e nell'Università popolare. (Capitolo nono, Gli anni della lesina, p. 133) *L'esercito papalino era un'accozzaglia di mercenari delle più svariate nazionalità (c'erano perfino dei turchi). [...] circa 15.000 uomini, al comando del generale [[Hermann Kanzler|Kanzler]]. Compito gentiluomo, ligio al Regolamento come lo era al Catechismo, questi aveva tuttavia un concetto tedesco dell'onore militare e avrebbe preferito una sconfitta a una resa. Ma {{NDR|Il segretario di Stato}} Antonelli non era di questa opinione. Gli ordinò di ritirare le truppe {{NDR|pontificie}} dentro le mura e di limitarsi a un simulacro di resistenza. (Capitolo decimo, Porta Pia, pp. 141-142) *{{NDR|La duchessa [[Eugenia Attendolo Bolognini Litta|Eugenia Litta]]}} Durante la campagna del '59<ref>Seconda guerra d'indipendenza italiana.</ref> era stata il riposo del guerriero più famoso e importante: [[Napoleone III di Francia|Napoleone III]]. E secondo le malelingue era passata subito dopo in eredità a [[Vittorio Emanuele II di Savoia|Vittorio Emanuele]], che però era il meno adatto ad apprezzare la sua vita di vespa, le sue carni pallide e i suoi raffinatissimi gusti. [[Honoré de Balzac|Balzac]] le aveva reso omaggio. [[Arrigo Boito|Boito]] seguitava a rendergliene. [[Gabriele D'Annunzio|D'Annunzio]] dirà ch'essa "aveva rubato il segreto a Ninon de Lenclos<ref>Scrittrice, cortigiana ed epistolografa francese (1620–1705).</ref>". Insomma come iniziatrice all'amore, il giovane principe {{NDR|il futuro [[Umberto I di Savoia|Umberto I]]}} non poteva desiderarne una più fascinosa ed esperta. Lo fu al punto che, nonostante la differenza d'età, egli le rimase devoto – anche se non fedele – fino alla fine dei suoi giorni. (Capitolo quattordicesimo, Il marito di Margherita, p. 196) *{{NDR|[[Margherita di Savoia]]}} [...] era una vera e seria professionista del trono, e gl'italiani lo sentirono. Essi compresero che, anche se non avessero avuto un gran Re, avrebbero avuto una grande Regina. (Capitolo quattordicesimo, Il marito di Margherita, p. 197) *Il trattato {{NDR|della [[Triplice alleanza (1882)|Triplice alleanza]]}} fu firmato a Vienna nel maggio dell'82<ref>20 maggio 1882.</ref>. Esso impegnava le tre Potenze al reciproco aiuto nel caso in cui una fosse aggredita e alla benevola neutralità nel caso che aggredisse. Inoltre Austria e Germania dichiaravano di disinteressarsi del problema del Papa, considerandolo un affare interno italiano.<br>Quest'ultima clausola fu, insieme alla fine dell'isolamento, il grande vantaggio che l'Italia trasse dal patto, ma nient'altro. Essa non vi era entrata su un piede di parità con le consocie. Aveva semplicemente acceduto all'alleanza che già legava le altre due, le quali restavano per così dire le padrone di casa, e Bismarck non perse occasione di farcelo sentire. (Capitolo diciannovesimo, La Triplice, pp. 276-277) *L'unico Stato che ruppe le relazioni con quello italiano in seguito a [[Presa di Roma|Porta Pia]] fu l'Ecuador. Mai la Chiesa si era trovata in condizioni di più completo isolamento. (Capitolo ventitreesimo, I cattolici, p. 334) *Sindaco di Palermo a ventisette anni, {{NDR|[[Antonio Starabba, marchese di Rudinì|il marchese di Rudinì]]}} aveva affrontato con molto coraggio la rivolta che vi era scoppiata nel '66, e questo lo aveva accreditato come il fanciullo-prodigio del moderatismo, destinato a gloriose imprese. Ma, diceva De Sanctis, col passare del tempo, il prodigio dileguò e rimase solo il fanciullo. Ministro degl'Interni a trent'anni in uno dei governi Menabrea, la sua carriera si era fermata lì. Pure, la fama di "uomo forte" gli era rimasta addosso, suffragata anche dalla sua alta statura, dai lampeggiamenti del monocolo, dalla fluente barba, dalla nobilesca alterigia. Idee, non ne aveva. Ma aveva delle impennate che facevano credere alla sua risolutezza. E questo, in una Destra impoverita di personalità di rilevo, gli era bastato per guadagnarsi i galloni di capo. (Capitolo ventiquattresimo, Giolitti, pp. 348-349) *In realtà, del soldato, [[Oreste Baratieri|Baratieri]] non aveva neanche il fisico. Grasso e sgraziato, con gli occhiali a ''pince-nez'', sembrava molto più vecchio dei suoi cinquant'anni e costruito più per la cattedra che per l'elmo. (Capitolo ventisettesimo, Adua, p. 391) *{{NDR|Dopo le dimissioni del generale [[Luigi Pelloux|Pelloux]]}} A succedergli il Re chiamò il Presidente del Senato [[Giuseppe Saracco|Saracco]], un galantuomo ch'era riuscito a conservare intatta la sua reputazione di democratico pur essendo stato due volte Ministro nei governi di Crispi. Aveva quasi ottant'anni, ma conservava una notevole lucidità di cervello, e ne dette prova formando un governo di coalizione che includeva un po' tutte le forze, meno l'Estrema cui diede tuttavia soddisfazione chiamando parecchi suoi uomini nella commissione incaricata di studiare un nuovo regolamento parlamentare che, senza intaccare la libertà di discussione, impedisse l'ostruzionismo, o per meglio dire lo regolasse. (Capitolo ventottesimo, I cannoni di Bava Beccaris, p. 417) ===''L'Italia di Giolitti''=== *Si è detto che {{NDR|[[Egidio Osio]]}} plagiò il suo pupillo {{NDR|il principe ereditario, futuro re [[Vittorio Emanuele III di Savoia|Vittorio Emanuele III]]}} e ne lesionò definitivamente il carattere terrorizzandolo e mortificandone gli slanci. Si è detto che anche sul suo fisico ebbe pessima influenza costringendolo a penosi e logoranti sforzi. Si è detto che furono i suoi metodi repressivi a creare nel Principe quei complessi d'inferiorità da cui fu sempre afflitto, a traumatizzarlo, a inaridirlo, a riempirne l'animo di sordi rancori.<br>Ma se non proprio di falsità, si tratta di verità contraffatte. (cap. I, Il nuovo Re, p. 15) *Militare dalla testa ai piedi, Osio era un uomo duro, imperioso, abituato al comando. [...] Ma era anche un gran signore, perfetto uomo di mondo, e nutrito di buone letture. Sebbene la sua carriera potesse esserne notevolmente avvantaggiata, esitò molto ad accettare l'incarico {{NDR|di tutore del principe ereditario}}, vi si risolse solo dietro garanzia che nemmeno i genitori avrebbero più interferito nell'educazione del ragazzo, di cui egli diventava unico e assoluto responsabile, e al termine della sua missione non beneficiò di nessuno "scatto di grado". (cap. I, Il nuovo Re, pp. 15-16) *[[Elena del Montenegro|Elena]], che da ragazza dipingeva, suonava il violino, componeva poesie come suo padre<ref>Nicola I del Montenegro.</ref>, e amava il tennis e la danza, rinunziò a questi passatempi appena vide che lui {{NDR|il futuro Vittorio Emanuele III}} li detestava, anzi adottò come ''hobbies'' quelli di lui: la numismatica e l'archeologia. Per il resto fu soltanto una donna di casa, come lo era stata a Cettigne<ref>Capitale del Regno del Montenegro.</ref>. Sapendolo insofferente dei camerieri, era lei che lo serviva a tavola, e per farsi i vestiti si prese in casa una sartina. (cap. I, Il nuovo Re, p. 27) *[[Filippo Meda|Meda]] era un avvocato milanese di spirito pratico, che considerava l'astensione dal voto {{NDR|dei cattolici}} un dovere da osservare finché il Papa lo imponeva, ma un grosso errore strategico di cui occorreva sollecitare la revoca. Lo Stato liberale, diceva, c'è e va accettato. Va soltanto salvato dalle sue tentazioni autoritarie e giacobine. E questo i cattolici possono farlo soltanto inserendocisi e riformandolo in modo da tenerlo al riparo dai pericoli d'involuzione. Lo Stato cioè per lui era un "peccatore da salvare". (cap. IV, Cattolici e socialisti, p. 72) *[...] [[Romolo Murri|Murri]] era un giovane sacerdote marchigiano, che aveva conosciuto la povertà e nel Vangelo vedeva soprattutto un messaggio giustizialista. Introverso e malinconico come tutti i fanatici, egli si considerava molto più "avanzato" di Meda per il carattere rivoluzionario che intendeva imprimere al movimento {{NDR|cattolico}}. In realtà era un uomo del ''[[Sillabo]]'' che, pur partendo anche lui dall'accettazione dello Stato unitario, intendeva tramutarlo in una [[teocrazia]] egalitaria e totalitaria, sul tipo di quella che i Gesuiti avevano fondato un paio di secoli prima nel Paraguay. Se a ispirarlo fosse più l'amore del povero o l'odio del ricco, non sappiamo. (cap. IV, Cattolici e socialisti, pp. 72-73) *Meda e Murri furono dapprincipio alleati. Entrambi volevano un grande partito, popolare indipendente dalla Chiesa. Ma Meda lo concepiva come lo sviluppo della organizzazione tradizionale, cioè dell'''Opera''<ref>"Opera dei congressi e dei comitati cattolici", spesso abbreviata in "Opera dei congressi", organizzazione cattolica italiana, sciolta nel 1904.</ref>, una volta strappatala alla vecchia guardia, mentre Murri lo vedeva come un organismo nuovo, un "Fascio", come quelli che pochi anni prima avevano messo a soqquadro e insanguinato la Sicilia. (cap. IV, Cattolici e socialisti, p. 73) *Lo [[Sciopero generale del 1904|sciopero {{NDR|generale del 1904}}]] [...] non fu un fallimento, ma non fu nemmeno un successo perché si esaurì spontaneamente, e il suo più consistente risultato fu la spaccatura delle forze operaie. Lo si vide pochi mesi dopo, quando i sindacalisti bandirono un altro sciopero, quello delle ferrovie, da cui i sindacalisti uscirono demoralizzati e con la truppa dimezzata. (cap. IV, Cattolici e socialisti, p. 85) *[[Alessandro Fortis|Fortis]] era un tipico notabile romagnolo di lungo e contradditorio corso ideologico. Aveva debuttato come repubblicano intransigente, era andato in galera per complotto rivoluzionario con gli anarchici, poi era stato conquistato da [[Francesco Crispi|Crispi]], era finito {{sic|Ministro}} di [[Luigi Pelloux|Pelloux]], e ora militava sotto la bandiera di [[Giovanni Giolitti|Giolitti]]. Come "trasformista", era tra i più qualificati. Ma questa pecca era abbondantemente compensata dai suoi doni di simpatia umana e da una grande esperienza parlamentare. (cap. VI, Il suffragio universale, p. 107) *Quando [[Enrico Corradini|Corradini]] applicò il vocabolario socialista alla Nazione parlando di una "Italia proletaria" in lotta contro le plutocrazie occidentali, e lanciò l'idea di un "imperialismo operaio" da contrapporre a quello capitalistico, riscosse in campo sindacalista vasti consensi e pose le premesse di un pasticcio ideologico in cui Mussolini avrebbe di lì a poco guazzato. (cap. VII, "Tripoli bel suol d'amore", p. 137) *{{NDR|Giolitti}} Più che la Libia, voleva la [[Guerra italo-turca|guerra]], o meglio qualcosa che desse finalmente agl'italiani l'impressione di farne una e di vincerla. (cap. VII, "Tripoli bel suol d'amore", p. 145) *[...] a Vienna l'imperatore Francesco Giuseppe aveva dovuto intervenire di persona per fermare la mano al Capo di Stato Maggiore [[Franz Conrad von Hötzendorf|Conrad]] che voleva una spedizione punitiva contro l'Italia, ora ch'era impegnata in Africa {{NDR|nella guerra di Libia}}, per metterla in ginocchio "prima che avesse il tempo di perpetrare altri tradimenti". (cap. VII, "Tripoli bel suol d'amore", pp. 149-150) *Non si è mai saputo con certezza come si svolse l'operazione {{NDR|del [[patto Gentiloni]]}} che, ben s'intende, doveva restare segretissima. Giolitti negò sempre di avervi partecipato, e infatti d'impronte digitali non ve ne lasciò. Fu probabilmente senza le sue credenziali, ma certamente non senza il suo beneplacito che qualche esponente liberale prese contatto coi cattolici. Questi avevano una "unione elettorale" di cui era Presidente un Conte marchigiano, [[Vincenzo Ottorino Gentiloni|Gentiloni]], politico abile, ma vanesio e chiacchierone. Egli s'impegnò a mobilitare il voto cattolico in favore dei candidati liberali dovunque questi fossero minacciati dalla Estrema Sinistra; e i liberali s'impegnarono a difendere la parificazione delle scuole confessionali a quelle dello Stato, a ripristinare in queste ultime l'istruzione religiosa, a respingere l'introduzione del divorzio, e – pare – a combattere la Massoneria. (cap. VIII, Il crepuscolo degli dei, p. 163) *Se [[Gaetano Salvemini|Salvemini]] incarnava lo spirito protestatario e la sete giustizialista delle plebi meridionali, [[Antonio Salandra|Salandra]] incarnava lo spirito autoritario e conservatore della borghesia terriera. Proveniva da una famiglia di notabili pugliesi con parecchia roba al sole, e alla politica era approdato dalla cattedra universitaria, di cui conservava molti caratteri: una notevole cultura e finezza intellettuale, ma anche un compassato distacco che rasentava la freddezza. Prima di affrontare un problema lo studiava minuziosamente, e nessuno sapeva prospettarlo con più chiarezza di lui. (cap. IX, Sarajevo, p. 168) *[[Paolo Boselli]] {{NDR|incaricato nel 1916 di formare il nuovo governo dopo le dimissioni di Antonio Salandra}}, che fu chiamato a presiederlo, possedeva tutti i requisiti, meno quelli che occorrono per guidare un Paese in guerra. Deputato ligure da parecchie legislature, era stato varie volte Ministro con Crispi, Pelloux e Sonnino, ma nessuno se n'era accorto. [...]. Passava per un esperto di questioni economiche, e moralmente era un personaggio di tutto rispetto. Ma politicamente era scolorito, e per di più aveva quasi ottant'anni. (cap. XVI, La caduta di Salandra, pp. 293-294) *Quanto [[Luigi Cadorna|Cadorna]] era solitario, monacale ruvido e chiuso in un giro di valori e d'idee tradizionali, tanto [[Luigi Capello|Capello]] era brillante, estroverso, moderno, ricco d'immaginazione e maestro di "pubbliche relazioni". (cap. XVI, La caduta di Salandra, pp. 298-299) *Lucano di Melfi, [[Francesco Saverio Nitti]] incarnava anche nel fisico tozzo e grassottello il tipo del notabile meridionale, colto, brillante, scettico e alquanto egocentrico. [...] la sua specialità era il problema del Mezzogiorno, di cui fu tra i primi seri studiosi e che gli fornì anche la base elettorale. [...]. Sul livello medio della classe politica di allora, egli faceva spicco per preparazione, equilibrio e lucidità, ma anche per una certa propensione ad attribuirsi il monopolio di queste virtù. (cap. XXIII, Versaglia, pp. 420-421) ===''L'Italia in camicia nera''=== *Un altro utile incontro fu per Mussolini quello con [[Angelica Balabanoff]], personaggio già di notevole rilevo nel socialismo internazionale. Era una russa di buona famiglia borghese, che fin da giovanissima si era imbrancata con quella ''intellighenzia'' rivoluzionaria da cui venivano anche i Lenin, i Trotzky, e gli altri futuri grandi del bolscevismo. A spingerla era stata la ribellione contro la meschinità, lo snobismo provinciale, il sussiego di casta, i tabù del suo ceto. (cap. 1, p. 23) *Angelica {{NDR|Balabanoff}} non era bella, non aveva la grazia eterea ed esangue di Anna {{NDR|[[Anna Kuliscioff|Kuliscioff]]}}. Ma non era nemmeno sgradevole, nonostante i fianchi massicci e gli zigomi pronunciati, eppoi era una russa, cosa che faceva un grande effetto al piccolo provinciale di Predappio<ref>Mussolini era nato a Dovia, frazione di Predappio.</ref>. Anche se fra loro non divampò la passione che aveva legato Anna ad [[Andrea Costa]], qualcosa ci fu, ed ebbe la sua importanza. Angelica cercò d'incivilire quel selvaggio trasandato che passava da ostinati mutismi a interminabili sproloqui conditi di orrende bestemmie. Lo sfamava, gli lavava la biancheria, lo iniziava, sia pure con poco successo, al marxismo [...]. (cap. 1, p. 25) *Uno dei tre protagonisti del giuoco {{NDR|[[Gabriele D'Annunzio]]}} era eliminato. La partita ora si riduceva agli altri due: Giolitti e Mussolini. (cap. 1, p. 101) *Mussolini aveva vinto, e la sua vittoria significava che il fascismo, abbandonata la pretesa di presentarsi come un movimento rivoluzionario di sinistra, quale lo avrebbero voluto Grandi, Farinacci e Marsich, presentava la sua candidatura a forza egemonica della destra e infilava la «via parlamentare» al potere.<br>C'era un pericolo, e Mussolini lo capì subito: che questa svolta a destra mettesse il partito alla mercé della sua ala reazionaria incarnata soprattutto dal ''ras'' piemontese [[Cesare Maria De Vecchi|De Vecchi]], uomo di poco cervello, ma tutto Trono e Altare, e che quindi poteva anche tornar comodo per il futuro. (cap. 2, p. 127) *[...], i giolittiani riuscirono a portare al governo uno dei suoi {{NDR|di Giolitti}} «ascari» più fedeli, ma anche dei più sbiaditi: [[Luigi Facta]].<br> Facta era un bravo avvocato di provincia piemontese con tutte le virtù, ma anche con tutti i limiti del suo ambiente: un uomo probo e integro, che dopo trent'anni di vita parlamentare ne aveva ormai una certa esperienza, aveva ricoperto con onore alcune cariche ministeriali, non aveva alcuna ambizione che quella di servire fedelmente il suo capo, né altre idee che quelle di lui. Tutto gli si poteva chiedere fuorché risolutezza ed immaginazione, cioè proprio le qualità che più urgevano. (cap. 2, pp. 143-144) *[...] le sue intenzioni {{NDR|Mussolini}} non le confidava nemmeno al segretario del partito, [[Michele Bianchi|Bianchi]], di cui apprezzava la fedeltà e l'impegno, ma non l'intelligenza: lo considerava angoloso, settario, puntiglioso vendicativo e privo d'intuito politico. L'unico con cui si apriva seguitava ad essere [[Cesare Rossi]], l'uomo che gli era stato accanto dal primo momento, lo aveva seguito in tutte le sue palinodie e gli dava sempre dei consigli che corrispondevano ai suoi desideri. (cap. 4, p. 166) *{{NDR|[[Vittorio Emanuele III]]}} non si fidava completamente di Mussolini, ma si fidava ancora meno dei suoi avversari ed era convinto che costoro, se avessero preso il mestolo in mano, avrebbero ricreato il caos del dopoguerra. Comunque, a una cosa era assolutamente deciso: a non farsi coinvolgere nella lotta politica, come del resto gli dettava la Costituzione di cui, quando gli faceva comodo, sapeva ricordarsi. ====[[Explicit]]==== *Resterebbe solo da sapere con che animo Mussolini s'investì, il 3 gennaio, nella parte di dittatore. Se, come molti sostengono, gli sforzi che fino a quel momento aveva fatto per evitarla erano stati solo un giuoco per dimostrare che non era lui a volerla, ma gli eventi ad imporgliela, bisogna riconoscere che come {{sic|giuocatore}} sapeva il fatto suo. ==''Storia dei Greci''== *Il modo migliore per ripagare il nostro contemporaneo [[Heinrich Schliemann|Enrico Schliemann]] degli enormi servigi che ci ha reso nella ricostruzione della civiltà classica, mi pare sia quello di assumerlo fra i suoi protagonisti, com'egli stesso mostrò di desiderare ardentemente, scegliendosi, in pieno secolo decimonono, [[Zeus]] come dio e a lui indirizzando le sue preghiere, battezzando [[Agamennone]] suo figlio, Andromaca sua figlia, Pélope e Telamone i suoi servitori, e dedicando a [[Omero]] tutta la sua vita e i quattrini. (cap. 2; 2004, p. 17) *{{NDR|Su [[Heinrich Schliemann|Schliemann]]}} Era un matto, ma tedesco, cioè organizzatissimo nella sua follia, che la buona sorte volle ricompensare. La prima storia che gli raccontò suo padre, quando aveva cinque o sei anni, non fu quella di [[Cappuccetto Rosso]], ma quella di [[Ulisse]], di [[Achille]] e di Menelao. Ne aveva otto, quando annunziò solennemente in famiglia che intendeva riscoprire Troia e dimostrare, ai professori di storia che lo negavano, ch'essa era realmente esistita. Ne aveva dieci, quando compose in latino un saggio su questo argomento. E ne aveva sedici, quando sembrò che questa infatuazione gli fosse del tutto passata. Infatti s'era impiegato come garzone di una drogheria, dove scoperte archeologiche non c'era da farne di certo, e di lì a poco s'imbarcò non per l'Ellade, ma per l'America, in cerca di fortuna. (cap. 2; 2004, p. 17) *Di nuovo il buon Dio, che per i matti ha un debole, lo compensò di tanta fede, guidando il suo piccone sugli scantinati del palazzo dei discendenti di re Atreo, nei cui sarcofaghi furono ritrovati gli scheletri, le maschere d'oro, i gioielli e il vasellame che si ritenevano esistiti solo nella fantasia di Omero. E Schliemann telegrafò al re di Grecia: ''Maestà, ho ritrovato i vostri antenati''. Poi, ormai sicuro del fatto suo, volle dare il colpo di grazia agli scettici del mondo intero e, sulle indicazioni di [[Pausania]], andò a Tirinto e vi disseppellì le ciclopiche mura del palazzo di Proteo, di Perseo e di [[Andromeda|Andròmeda]]. (cap. 2; 2004, pp. 19-20) *Schliemann morì quasi settantenne nel 1890, dopo aver sconvolto tutte le tesi e le ipotesi su cui si era basata sino ad allora la ricostruzione della preistoria greca, tesa ad esiliare Omero e Pausania nei cieli della pura fantasia. (cap. 2; 2004, p. 20) *Ma ora, dopo le scoperte del tedesco matto, non abbiamo più il diritto di mettere in dubbio la realtà storica di Agamennone, di Menelao, di [[Elena]], di [[Clitennestra]], di Achille e di Patroclo, di Ettore e di Ulisse, anche se le loro avventure non sono state esattamente quelle che Omero ha descritto, facendoci sopra la cresta. Schliemann ha arricchito la storia e impoverito la leggenda, di alcune decine di personaggi di primissimo piano. Grazie a lui alcuni secoli, che prima erano nel buio, sono entrati nella luce, anche se è quella incerta della primissima alba. Ed è solo per mano a lui che possiamo esplorarla. (cap. 2; 2004, p. 21) *Senza dubbio gli [[achei]], a differenza dei pelasgi, furono terrieri, tant'è vero che fino alla guerra di Troia imprese per mare non ne azzardarono, e ogni volta che lo trovavano si fermavano. Essi non tentarono di mettere il piede nemmeno nelle isole più vicine al continente, e tutte le loro capitali e cittadelle erano nell'interno. La Grecia, sotto di loro, si limitava al Peloponneso, all'Attica e alla Beozia; mentre per le popolazioni pelasgiche della civiltà micenea, ch'erano marinare, essa inglobava anche tutti gli arcipelaghi dell'Egeo. (cap. 3, ''Gli Achei''; 2004, p. 25) *[[Diogene di Sinope|Diogene]], che aveva la lingua lunga, disse che la religione greca era quella cosa per cui un ladro che sapeva bene l'Avemaria e il Paternoster era sicuro di potersela cavar meglio, nell'al di là di un galantuomo che li aveva dimenticati. Non aveva torto. La [[Religione dell'antica Grecia|religione]], in Grecia, era soltanto un fatto di procedura, senza contenuto morale. Ai fedeli non si chiedeva la fede né si proponeva il bene. S'imponeva solo il compimento di certe pratiche burocratiche. E non poteva essere diversamente, visto che di contenuto morale gli stessi {{sic|dèi}} ne avevano ben poco e non si poteva certo dire che fornissero un esempio di virtù. (cap. 7, ''Zeus e famiglia''; 2004, p. 54) *Anche [[Pisistrato]] era aristocratico e di famiglia ricca. Ma aveva capito che la [[democrazia]], una volta instaurata, è irreversibile e va sempre a sinistra. (cap. 15, ''Pisistrato''; 2004, p. 98) *Pisistrato, invece di cinquanta uomini, ne arruolò e armò quattrocento, s'impadronì dell'Acròpoli, e proclamò la dittatura. In nome e per il bene del popolo, si capisce, come tutte le dittature. (cap. 15; 2004, p. 91) *La stragrande maggioranza degli ateniesi, dopo averlo a lungo osteggiato e tenuto in gran sospetto, si erano sinceramente affezionati a Pisistrato che aveva dalla sua un'arma formidabile: la simpatia. (cap. 15; 2004, pp. 92-93) *Il tiranno Pisistrato seppe sfuggire a tutte le tentazioni del potere assoluto, meno una: quella di lasciare il «posto» in eredità ai figli, [[Ippia (tiranno)|Ippia]] e [[Ipparco (tiranno)|Ipparco]]. L'amor paterno gl'impedì di vedere con la consueta chiarezza che i totalitarismi non hanno eredi e che quello suo si giustificava soltanto come una eccezione alla democrazia per assicurarle ordine e stabilità. Peccato. (cap. 15; 2004, p. 95) *Pisistrato era morto nel 527 avanti Cristo. Ventun anni dopo, cioè nel 506, troviamo uno dei suoi due figli, da lui designati a succedergli, Ippia, alla corte del re di Persia, [[Dario I di Persia|Dario]], per suggerirgli l'idea di muover guerra contro Atene e la Grecia tutta. I grandi uomini non dovrebbero mai lasciare né vedove né eredi. Sono pericolosissimi. (cap. 16, ''I persiani alle viste''; 2004, p. 103) *Questo Ippia non aveva debuttato male, dopo che suo padre fu calato nella fossa. Era un giovanotto sveglio che, a furia di stare accanto al babbo, ne aveva imparato molte malizie, e alla politica aveva passione, a differenza di suo fratello Ipparco che invece s'interessava soltanto di poesia e di amore, in modo che fra i due non c'erano nemmeno pericolose rivalità. Eppure, a procurare i guai che condussero alla caduta della dinastia, fu proprio Ipparco. (cap. 16; 2004, p. 96) *Ipparco ebbe la disgrazia d'inciampare in un bellissimo guaglione di nome Armodio, che un certo Aristogitone – aristocratico quarantenne, prepotente e geloso – considerava sua proprietà. Costui concepì l'idea di sbarazzarsi del rivale col pugnale e, per dare all'assassinio un'etichetta più pulita che lo rendesse popolare, pensò di estenderlo anche al fratello Ippia facendolo passare per «delitto politico» in nome della libertà e contro la tirannia. Organizzò in questo senso una congiura con altri nobili latifondisti e, in occasione di una festa, tentò il colpo, che andò bene solo a mezzo: Ipparco ci rimise la pelle, ma Ippia scampò. E da quel momento, un po' per rancore, un po' per paura di altri complotti, il figlio e l'allievo di Pisistrato, dittatore liberale indulgente e illuminato, diventò un ''tiranno'' autentico. (cap. 16; pp. 96-97) *Lo scontento del popolo inferocì Ippia, che a sua volta inferocì il popolo. E quando il divorzio fra i due fu totale, i fuoriusciti, che frattanto si erano concentrati a Delfi, chiamarono in aiuto gli spartani, e insieme marciarono contro Atene. (cap. 16; 2004, p. 97) *Ippia si rifugiò sull'Acròpoli coi suoi sostenitori. Ma, per mettere in salvo i suoi figlioletti, cercò di farli segretamente espatriare. Gli assedianti li catturarono e l'infelice padre, per salvar la vita a loro e a se stesso, capitolò e si avviò in volontario esilio. Non bisogna dimenticare che nelle sue vene scorreva tuttavia il sangue di Pisistrato, cioè di un uomo sempre pronto a sacrificare la posizione alla famiglia, ma mai disposto a rassegnarsi alla sconfitta. (cap. 16; 2004, p. 97) *[[Milziade]] aveva capito qual era il debole dei [[Persia|persiani]]: essi erano bravi soldati individualmente, ma non avevano nessuna idea della manovra collettiva. E su questa puntò. A dar retta agli storici del tempo — che purtroppo erano tutti greci, — Dario perse settemila uomini, Milziade neanche duecento. (cap. 17, ''Milziade e Aristide''; 2004, p. 112) *{{NDR|A Milziade}} sopravvisse [[Aristide]], le cui vicende purtroppo ci dimostrano che l'[[onestà]] in [[politica]] non trova sempre i suoi compensi e che la [[storia]], come le [[donna|donne]], ha un debole per i birbaccioni. (cap. 17, ''Milziade e Aristide''; 2004, p. 112) *Nike, diventata ragazza, porta il [[peplo]] di lana, bianca o colorata, ma questa è l'unica scelta che le si lascia. Siccome è confinata in casa, non può nemmeno far quella di un ragazzo che le piace, e deve aspettare che il padre si metta d'accordo con un altro padre per combinare il matrimonio. (cap. 23, ''Una Nike qualsiasi''; 2004, p. 143) *Quando il grande [[Mirone]], rincorbellito dalla vecchiaia, si vide arrivare in studio come modella Laìde<ref>Etera dell'antica Grecia, celebre per la sua bellezza.</ref>, perse la testa e le offrì tutto ciò che possedeva purché restasse la notte. E siccome essa rifiutò, l'indomani il poveruomo si tagliò la barba, si tinse i capelli, indossò un giovanile [[chitone]] color porpora e si passò una mano di carminio sul viso. «Amico mio», gli disse Laìde, «non sperare di ottenere oggi ciò che ieri rifiutai a tuo padre». (cap. 23, ''Una Nike qualsiasi''; 2004, p. 150) *{{NDR|[[Fidia]]}} Qualcosa, nel suo carattere, doveva farne un nemico degli uomini, visto che nessuno lo amava. Eppure egli non fu soltanto un grande scultore, ma anche un grandissimo maestro, che, oltre ad aver creato uno stile, ne fece anche una scuola, trasmettendone le regole ad allievi come Agoracrito e Alcamene, continuatori del «classico». (cap. 25, ''Fidia sul Partenone''; 2004, p. 165) *Gli uomini non sanno apprezzare e misurare che la [[fortuna]] degli altri. La propria, mai. (cap. 25, ''Fidia sul Partenone''; 2004, p. 166) ==''Storia di Roma''== ===[[Incipit]]=== Non sappiamo con precisione quando a Roma furono istituite le prime scuole regolari, cioè «statali». Plutarco dice che nacquero verso il 250 avanti Cristo, cioè circa cinquecent'anni dopo la fondazione della città. Fino a quel momento i ragazzi romani erano stati educati in casa, i più poveri dai genitori, i più ricchi dai ''magistri'', cioè da maestri, o istruttori, scelti di solito nella categoria dei liberti, gli schiavi liberati, che a loro volta erano scelti fra i prigionieri di guerra, e preferibilmente fra quelli di origine greca, che erano i più colti. ===Citazioni=== <!--segui nel riportare le citazioni l'ordine cronologico del libro--> *Non ho scoperto nulla, con questo libro. Esso non pretende di portare "rivelazioni", nemmeno di dare una interpretazione originale della storia dell'Urbe. Tutto ciò che qui racconto è già stato raccontato. Io spero solo di averlo fatto in maniera più semplice e cordiale, attraverso una serie di ritratti che illuminano i protagonisti in una luce più vera, spogliandoli dei paramenti che fin qui ce li nascondevano. (introduzione) *{{NDR|[[Numa Pompilio]]}} Quelle che più lo interessavano erano le questioni religiose. E siccome in questa materia ci doveva essere una grossa anarchia perché ognuno dei tre popoli {{NDR|etruschi, latini e sabini}} venerava i propri {{sic|dèi}}, fra i quali non si riusciva a capire chi fosse il più importante, Numa decise di mettervi ordine. E per imporlo, questo ordine, ai suoi riottosi sudditi, fece spargere la notizia che ogni notte, mentre dormiva, la ninfa Egeria veniva a visitarlo in sogno dall'Olimpo per trasmettergliene direttamente le istruzioni. Chi vi avesse disobbedito, non era col re, uomo fra gli uomini, che avrebbe dovuto vedersela, ma col Padreterno in persona. (Rizzoli 1959, cap. 3, ''I re agrari'', pp. 37-38) *[[Tarquinio Prisco|Lucio Tarquinio]] e i suoi amici etruschi dovettero veder subito che profitto si poteva trarre da questa massa di gente, per la maggior parte esclusa dai comizi curiati, se si fosse potuta convincerla che solo un re forestiero come lui avrebbe potuto farne valere i diritti. E per questo l'arringò, promettendole chissà cosa, magari ciò che poi fece davvero. [...] Certamente ci riuscirono perché Lucio Tarquinio fu eletto col nome di Tarquinio Prisco, rimase sul trono trentotto anni, e per liberarsi di lui i ''patrizi'', cioè i «terrieri», dovettero farlo assassinare. Ma inutilmente. Prima di tutto perché la corona, dopo di lui, passò al figlio, eppoi a suo [[Tarquinio il Superbo|nipote]]. In secondo luogo perché, più che la causa, l'avvento della dinastia dei Tarquini fu l'effetto di una certa svolta che la storia di Roma aveva subìto e che non le consentiva più di tornare al suo primitivo e arcaico ordinamento sociale e alla politica che ne derivava. (RCS 2004, cap. 4, ''I re mercanti'', pp. 38-39) *Questo secondo [[Tarquinio il Superbo|Tarquinio]], prima di rischiare il colpo, tentò di far deporre lo zio per abuso di potere. Servio si presentò alle centurie che lo riconfermarono re con plebiscitaria acclamazione (lo racconta [[Tito Livio]], gran repubblicano, dunque dev'esser vero). Non restava quindi che il pugnale, e Tarquinio lo usò senza troppi scrupoli. Ma il respiro di sollievo che trassero i senatori, coi quali si era alleato, rimase loro in gola, quando videro l'uccisore sedersi a sua volta sul trono d'avorio senza chieder loro permesso, come avveniva a quei buoni vecchi tempi ch'essi speravano di restaurare. Il nuovo sovrano si mostrò subito più tirannico di quello che aveva spedito all'altro mondo. E infatti lo ribattezzarono «il Superbo» per distinguerlo dal fondatore della dinastia. (RCS 2004, cap. 4, ''I re mercanti'', pp. 42-43) *Non sappiamo quasi nulla di [[Lars Porsenna|Porsenna]]. Ma dal modo come si condusse, dobbiamo dedurre che alle doti del bravo generale doveva accoppiare quelle del sagace uomo politico. Egli si rese conto che negli argomenti di [[Tarquinio il Superbo|Tarquinio]] c'era del vero. Ma prima d'impegnarsi, volle essere sicuro di due cose: che il Lazio e la Sabina erno davvero pronti a schierarsi dalla sua parte, e che nella stessa Roma c'era una «quinta colonna» monarchica pronta a facilitargli il compito con un'insurrezione. (RCS 2004, cap. 5, ''Porsenna'', p. 49) *Da quell'anno 508 in cui fu fondata la repubblica, tutti i monumenti che i romani innalzarono un po' dappertutto portarono sempre la sigla SPQR che vuol dire: ''Senatus PopuluSque Romanus'', cioè «il Senato e il popolo romano». Cosa fosse il Senato, già lo abbiamo detto. Viceversa non abbiamo ancora detto cos'era il popolo, che non corrispondeva affatto a ciò che noi intendiamo con questa parola. In quei lontani giorni di Roma esso non comprendeva «tutta» la cittadinanza, come avviene oggi, ma soltanto due «ordini», cioè due classi: quella dei «patrizi» e quella degli ''equites'' o «cavalieri». (RCS 2004, cap. 6, ''SPQR'', p. 54) *{{NDR|[[Sacco di Roma (390 a.C.)]]}} Gli storici che lo hanno raccontato a cose fatte hanno avvolto di molte leggende questo capitolo che dovett'essere per l'Urbe molto spiacevole. Dicono che quando i [[galli]] fecero per dare la scalata al [[Campidoglio]], le oche sacre a Giunone cominciarono a stridere risvegliando così [[Marco Manlio Capitolino|Manlio Capitolino]] che, alla testa dei difensori, respinse l'attacco. Sarà. Però i galli in Campidoglio entrarono ugualmente come in tutto il resto della città, donde la popolazione era fuggita in massa per rifugiarsi su monti circostanti. (Rizzoli 1959, cap. 6, ''SPQR'', pp. 81-82) *[...] i galli espugnarono Roma, la misero a sacco, e se ne andarono incalzati dalle legioni, ma carichi di quattrini. Erano predoni gagliardi e zotici, che non seguivano nessuna linea politica e strategica nelle loro conquiste. Assalivano, depredavano e si ritiravano senza punto preoccuparsi del domani. Avessero potuto immaginare che vendetta Roma avrebbe tratto da quella umiliazione, non vi avrebbero lasciato pietra su pietra. (Rizzoli 1959, cap. 6, ''SPQR'', pp. 82-83) *Tutti i dittatori della Roma repubblicana, meno uno, furono patrizi. Tutti, meno due, rispettarono i limiti di tempo che furono loro imposti. Uno di essi, [[Lucio Quinzio Cincinnato|Cincinnato]], che, dopo soli sedici giorni di esercizio della suprema carica, tornò spontaneamente ad arare il campo coi buoi, è passato alla storia coi colori della leggenda. (RCS 2004, cap. 9, ''La carriera'', p. 85) *Negli ultimi tempi {{NDR|[[Cesare]]}} si era spinto anche più in là: aveva imposto che tutte le discussioni che si svolgevano in quel solenne e aristocratico consesso venissero registrate e pubblicate giorno per giorno. Così nacque il primo giornale. Si chiamò ''[[Acta Diurna|Acta diurna]]'', e fu gratuito, perché, invece di venderlo, lo affiggevano ai muri in modo che tutti i cittadini potessero leggerlo e controllare ciò che facevano e dicevano i loro governanti. L'invenzione fu d'immensa portata perché sancì il più democratico di tutti i diritti. Il Senato, che traeva prestigio anche dalla sua segretezza, fu così sottoposto alla pubblica opinione, e non si riebbe mai più da questo colpo. (RCS 2004, cap. 24, ''Cesare'', p. 214) *Se riuscirò ad affezionare alla storia di Roma qualche migliaio di italiani, sin qui respinti dalla sussiegosità di chi gliel'ha raccontata prima di me, mi riterrò un autore utile, fortunato e pienamente riuscito. (introduzione) *Sull'esattezza di quel che [[Tito Livio|Livio]] riferisce facciamo le nostre riserve, specie là dov'egli mette in bocca ai suoi personaggi interi discorsi che somigliano più a Livio che a loro. La sua è una storia di eroi, un immenso affresco a episodi, e serve più a esaltare il lettore che a informarlo. [[Roma]], a dargli retta, sarebbe stata popolata soltanto, come l'Italia di Mussolini, da guerrieri e navigatori assolutamente disinteressati, che conquistarono il mondo per migliorarlo e moralizzarlo. Gli uomini, secondo lui, sono divisi in buoni e cattivi. A Roma c'erano solamente i buoni, e fuori di Roma solamente i cattivi. Anche un grande generale come [[Annibale]] diventa, sotto la sua penna, un comune mariuolo. Ciò non toglie che la storia di Livio, costata cinquant'anni di fatiche a un autore che si dedicò soltanto ad essa, resti un gran monumento letterario. Forse il più grande fra quelli, piuttosto mediocri, eretti sotto il segno di [[Augusto]]. (cap. 30, ''Orazio e Livio'') *Può darsi che [[Dione Cassio]] e [[Svetonio]], nel loro odio per la monarchia, abbiano un po' calcato la mano. Ma matto, [[Caligola]] doveva esserlo davvero. (cap. 31, ''Tiberio e Caligola'') *[[Vitellio]], quando fu catturato nel suo nascondiglio, dove, tanto per cambiare, banchettava, fu trascinato nudo per la città con un laccio al collo, bersagliato di escrementi, torturato con ponderata lentezza, e alla fine gettato nel Tevere.<br>Questa città che si divertiva al fratricidio, questi eserciti che si ribellavano, questi imperatori che venivano subissati di sterco pochi giorni dopo essere stati coperti di osanna: ecco cos'era diventata la capitale dell'Impero. (Rizzoli 1959, cap. 37, ''I Flavi'', pp. 415-416) *Purtroppo la pace, per ottenerla, bisogna essere in due a volerla. (cap. 37, ''I Flavi'') *Era la prima volta, nella storia di Roma, che una guerra si combatteva in nome della religione. Ma fu la Croce che vinse. E il Tevere, trascinando verso la foce i cadaveri di [[Massenzio]] e dei suoi soldati che lo ingombravano, sembrò che spazzasse via i residui del mondo antico. (cap. 46, ''Costantino'') *Il papa che più contribuì a rassodare l'organizzazione in questi primi difficili anni fu [[Papa Callisto I|Callisto]], che molti consideravano un avventuriero. Dicevano che, prima di convertirsi, aveva fatto i quattrini con sistemi piuttosto equivoci, era diventato banchiere, aveva derubato i suoi clienti, era stato condannato ai lavori forzati ed era fuggito con un inganno. Il fatto che, appena diventato papa, proclamasse valido il pentimento per cancellare qualunque peccato, anche mortale, ci fa sospettare che in queste voci un po' di verità c'è. Comunque, fu un gran papa, che stroncò il pericoloso scisma d'[[Ippolito di Roma|Ippolito]] e affermò definitivamente l'autorità del potere centrale. (RCS 2004, cap. 46, ''Costantino'', p. 367) *Le rivoluzioni vincono non in forza delle loro idee, ma quando riescono a confezionare una classe dirigente migliore di quella precedente. E il [[Cristianesimo]] era riuscito proprio in questa impresa. (cap. 47, ''Il trionfo dei cristiani'') *[[Costantino]] fu uno strano e complesso personaggio. Faceva gran scialo di fervore cristiano, ma nei suoi rapporti di famiglia non si mostrò molto ossequente ai precetti di Gesù. Mandò sua madre Elena a Gerusalemme per distruggere il tempio di Afrodite che gli empi governatori romani avevano elevato sulla tomba del Redentore, dove, secondo Eusebio, fu ritrovata la croce su cui era stato suppliziato. Ma subito dopo mise a morte sua moglie, suo figlio e suo nipote. (cap. 47, ''Il trionfo dei cristiani'') *Come tutti i grandi Imperi, quello romano non fu abbattuto dal nemico esterno, ma roso dai suoi mali interni. (cap. 51, ''Conclusione'') *Una religione conta non in quanto costruisce dei templi e svolge certi riti; ma in quanto fornisce una regola morale di condotta. Il [[paganesimo]] questa regola l'aveva fornita. Ma quando Cristo nacque, essa era già in disuso, e gli uomini, consciamente o inconsciamente, ne aspettavano un'altra. Non fu il sorgere della nuova fede a provocare il declino di quella vecchia; anzi, il contrario. (cap. 51, ''Conclusione'') *Il dispotismo è sempre un malanno. Ma ci sono delle situazioni che lo rendono necessario. (cap. 51, ''Conclusione'') ===[[Explicit]]=== Mai città al mondo ebbe più meravigliosa avventura. La sua storia è talmente grande da far sembrare piccolissimi anche i giganteschi delitti di cui è disseminata. Forse uno dei guai dell'Italia è proprio questo: di avere per capitale una città sproporzionata, come nome e passato, alla modestia di un popolo che, quando grida «Forza Roma!», allude soltanto a una [[Associazione Sportiva Roma|squadra di calcio]]. ==''XX Battaglione eritreo''== ===[[Incipit]]=== Sono letterato. E, a parte il brutto e il meschino di quella parola, il mio mestiere m'innamora. Mi sono sforzato tanti anni, per compiacere a qualcuno o a qualcosa, di tradire questo mio istinto. Ma non ce l'ho fatta. E non ce la fo nemmeno ora, soldato in Africa, in piena guerra. Ma non lo dico per presentare il conto. E a chi, poi? Lo dico per un fenomeno di narcisismo: perché mi garba contemplarmi in questo gesto di fedeltà al mestiere, che poi vuol dire fedeltà a me stesso. ===Citazioni=== *Essere [[Àscari|ascaro]] vuol dire, press'a poco, avere un blasone; vuol dire avere tre lire al giorno, più un'indennità vestiario, più un'indennità farina, più un'indennità carne; vuol dire avere un ''tarbush'' e una fascia coi colori del battaglione; vuol dire soprattutto avere un fucile. La gente di questo Paese segue una logica sistematica semplice e dritta: l'umanità si divide in due categorie: gli armati che sono i forti, i disarmati che sono i deboli. Al culmine della gerarchia sociale sta il possessore di fucile, il guerriero: che è tanto più importante quanto più elevato è il suo grado e quanto è maggiore la sua anzianità. (p. 25) *[[Pietro Toselli|Toselli]]. Questo nome non ha in Italia la risonanza che ha qui. Toselli non è un uomo, è una leggenda: non solo alla cronaca, ma sfugge anche alla storia. È rimasto nei canti di questa gente, nelle sue memorie e anche nelle sue speranze. Pur ieri mi diceva il vecchio Sciumbasci, reduce di Adua e ora capopaese di Digsa, che «le cose che si sanno sono molto meno di quelle che non si sanno» e che «il fatto è questo: che il corpo del maggiore Toselli non era più sul campo dopo la battaglia». Su quello che ne sia avvenuto le opinioni sono discordi, ma nessuno crede che il maggiore sia morto. (pp. 35-36) *Appollaiato ai suoi piedi, nascosto fra il verde tenero degli eucalipti, stava [[Alessandro Pirzio Biroli|Pirzio Biroli]]. Il suo nome era mormorato con circospezione dagli [[Àscari|ascari]] disseminati fra le rocce di Mai Egadà a Saganeiti, da Agordar ad Assab, a Cheren, ad Adi Ugri, ad Adi Caieh. Raramente lo si vedeva e sempre a cavallo. Accanto a lui cavalcava Chiarini, la piccola ombra fedele, il fantasma sorto una notte da un roveto della conca di Adua. Chiarini, settantenne, pallido, non scompariva nell'alone magico che Pirzio, il buon gigante, suscitava intorno. (pp. 87-88) *Poi arrivava anche lui, [[Alessandro Pirzio Biroli|Pirzio]] il leone, altissimo, quadrato, col profilo calmo incorniciato dalla folta criniera. Il cavallo, domo dai suoi ginocchi di ferro, caracollava senza un tentativo di ribellione. Dalla sella pendevano, di qua e di là, due aquile colossali, abbattute in volo dal moschetto infallibile di Pirzio. Nessuna tromba sonava l'attenti al suo ingresso. Non ce n'era bisogno. Tutti, nel quartiere, sentivano come per miracolo la sua presenza e restavano ischeletriti. Pirzio non se n'accorgeva: era uno di quegli uomini pei quali gli uomini sentono rispetto per istinto e che passano attraverso la vita come attraverso un'eterna parata, fra due file di bipedi schiaffati meccanicamente sull'attenti. Gli [[Àscari|ascari]] ebbero ragione quando lo battezzarono «il Leone»: non aveva bisogno di ruggire perché il largo gli si facesse automaticamente intorno. (pp. 88-89) ===[[Explicit]]=== Vorremmo ristare dopo la guerra? Il mondo è così visto che nessun limite precisa al desiderio. Italiani, continuate ad aver fame anche dopo aver mangiato. Questa guerra è per noi come una bella lunga vacanza dataci dal Gran Babbo in premio di tredici anni di banco di scuola. E, detto fra noi, era ora. ==Citazioni su Indro Montanelli== *A leggerlo sembrerebbe un disordinatore di professione: sempre pronto a mugugnare, sempre a prendersela con qualcuno. Poi però, quando si tratta di scendere sul pratico, ci consiglia di turarci il naso e di andare a votare per l'Ordine. vallo a capire. ([[Luciano De Crescenzo]]) *Amo Indro Montanelli, ma non i suoi emuli. I polemisti per posa non mi piacciono, non li ritengo utili. Ma lui non era un polemista fine a se stesso, come tanti dei suoi presunti eredi. Era piuttosto, come da titolo di una sua fortunata rubrica, controcorrente. Non si curava delle convenienze, dei vantaggi che gli sarebbero derivati nel seguire l'onda di [[pensiero]] prevalente. Aveva la sua visione delle cose, sempre originale e spesso esatta. Io credo che dire quel che si pensa premi sempre. Montanelli lo faceva, e andava a letto tranquillo. ([[Fabio Genovesi]]) *C'è davvero qualcosa di singolare nel modo in cui è venuta formandosi la memoria della Repubblica, nel modo in cui tale memoria è stata ed è elaborata dalla cultura ufficiale del Paese. Per molti decenni, ad esempio, a quanto accaduto dal 1943 al '45 fu vietato dare il nome che gli spettava, il nome cioè di [[Guerra civile in Italia (1943-1945)|guerra civile]]. Parlare di guerra civile era giudicato fattualmente falso, e ancor di più ideologicamente sospetto. Bisognava dire che quella che c'era stata era la resistenza, non la guerra civile; di guerra civile parlavano e scrivevano, allora, solo i reduci di Salò, i nostalgici del regime e qualche coraggioso giornalista o pubblicista di rango come Indro Montanelli, che mostravano così da che parte ancora stavano. Le cose andarono in questo modo a lungo. Finché, all'inizio degli anni Novanta, come si sa, uno storico di sinistra, [[Claudio Pavone]], scrisse un libro sul periodo 1943-'45 che si intitolava precisamente ''Una guerra civile'': solamente da allora tutti abbiamo potuto usare senza problemi questa espressione, ben inteso non cancellando certo la parola resistenza. ([[Ernesto Galli della Loggia]]) *È uno che riesce a spiegare agli altri quello che non capisce nemmeno lui. ([[Mario Missiroli]]) *È vero che ha cambiato parere politico più volte, ma sempre perché profondamente preoccupato per le sorti del paese. Ma Indro ha cambiato parere sempre meno di quei giornalisti che da Lotta Continua sono passati a Comunione e Liberazione per approdare infine a dirigere quotidiani di Stato. Senza contare tutti coloro che da stalinisti o maoisti sono diventati prima antimarxisti e ora clintoniani: Montanelli ragiona, loro vogliono avere sempre ragione. ([[Fausto Gianfranceschi]]) *Indro è naturalmente inclinato, direi quasi condannato a vedere più i ''tics'' degli uomini che le loro qualità e nessuno come lui fa più uso, nei suoi ritratti, dell'acido prussico. ([[Eugenio Montale]]) *{{maiuscoletto|Indro Montanelli}}. L'Italia dei Luoghi Comuni. ([[Marcello Marchesi]]) *Io mi sono limitato ad adottare la sua formula giornali­stica. Ma l'ho realizzata meglio perché mi sono sempre esposto, ci ho messo la faccia. Lui invece era come Veltroni: "Sì, ma an­che". Non si schierava nettamente, il suo editoriale era così in chiaroscuro che alla fine non capivi mai se fosse chiaro o scuro. Il che non significa che non resti il migliore di tutti noi. Ho venduto più di lui solo perché a me la gente non fa schifo. ([[Vittorio Feltri]]) *Mi sono sentito in imbarazzo per lui, e il mio primo pensiero è stato il rifiuto – «no, povero Montanelli» – quando all'ingresso dei giardini di via Palestro mi sono trovato davanti alla sua statua, al punto che ho pensato che ci sono vandali che distruggono e vandali che costruiscono, e che anzi, per certi aspetti, il vandalismo che crea è ben peggiore, perché tenta di disarmarti con le sue buone intenzioni. Dunque era di mattina, molto presto, e i giardini erano vuoti, al sole. Ebbene in questo vuoto, la statua mi è apparsa all'improvviso: una figurina in gabbia che non ha niente a che fare con Montanelli, se non perché lo offende anche fisicamente, lui che era così "verticale", e che ci invitava a buttare via «il grasso» e la retorica monumentale. Il giornalista che ogni volta si ri-definiva in una frase, in un concetto, in un aforisma, in una citazione, è stato per sempre imprigionato in una scatola di sardine. Perciò ho provato il disagio che sempre suscita il falso, la patacca, la similpelle che non è pelle, perché non solo questo non è Montanelli, come ci ha insegnato Magritte che dipinse una pipa e ci scrisse sotto "questa non è una pipa". Il punto è che questa non è neppure una statuta di Montanelli, ma di un montanelloide in bronzo color oro, che ha la presunzione ingenua e goffa di imprigionare il Montanelli entelechiale, il Montanelli che era invece l'asciuttezza, era il corpo più "instatuabile" del mondo, troppo alto, troppo energico, troppo nervoso, incontenibile nello spazio e nel tempo com'è l'uomo moderno, che è nomade e ha un'identità al futuro. Era il più grande nemico delle statue il Montanelli che sempre ci sorprendeva, fascista ma con la fronda, conservatore ma anarchico, con la sinistra ma di destra, un uomo di forte fascino maschile che tuttavia non amava raccogliere i trofei del fascino maschile, ingombrante ma discreto, il solo che nella storia d' Italia abbia rifiutato la nomina a senatore a vita perché, diceva, «i monumenti sono fatti per essere abbattuti», come quello di Saddam, o di Stalin o di Mussolini. Come si può fare una statua ingombrante e discreta? Come si può fare un monumento all'antimonumento? ([[Francesco Merlo]]) *Montanelli comprò una sposa ragazzina di 11-12 anni. In realtà non possiamo sapere con precisione l'età perché nei villaggi africani non si registravano le nascite. Ma la comprò, questo lo sappiamo. E la violentò più volte. sappiamo anche questo, è stato lui a raccontare che lei non voleva. [...] Da italiano Montanelli avrebbe potuto riconoscere i segni di quella crudeltà e discostarsene. Non lo fece perché condivideva evidentemente quella cultura patriarcale. Perché non mettere al posto della sua statua quella di una donna della Resistenza? In Italia vorrei vedere più statue di donne partigiane. ([[Maaza Mengiste]]) *Montanelli disprezzava la borghesia che difendeva, e ammirava i comunisti che attaccava. Era convinto che la rivolta di Budapest si dovesse a operai che volevano il vero socialismo; mentre fu una rivolta nazionalista e antisovietica. ([[Enzo Bettiza]]) *Montanelli è il campione di indipendenza dalla politica, anche se sono arrabbiato con lui perché mi ha insegnato regole di comportamento anacronistiche, che nel giornalismo odierno non valgono più. ([[Daniele Vimercati]]) *Montanelli ha sempre avuto una componente di destra. È stato un uomo di destra come fascista, uomo di destra come sostenitore dei governi dc sia pure turandosi il naso. [...] Adesso è un uomo di destra qualunquista, ma sempre di destra. ([[Ugo Intini]]) *Montanelli, un misantropo che cerca compagnia per sentirsi più solo. ([[Leo Longanesi]]) *Quanto mi ha insegnato: le parole da non usare, le cose da non dire, la persone da non frequentare. ([[Beppe Severgnini]]) *Recentemente sono stato insignito del Premio Montanelli alla carriera che dovrebbe essermi consegnato a ottobre a Fucecchio, a meno che nel frattempo non mi sia revocato per indegnità, sempre in nome della libertà di informazione. Sono certo che il vecchio Indro non avrebbe condiviso nemmeno un fonema del mio necrologio sul Mullah {{NDR|Omar}}, ma sono altrettanto certo che non si sarebbe mai sognato di bloccarlo. Caso mai ci avrebbe riso su, considerandolo una provocazione, anche se provocazione non era. Perché Montanelli era un vero liberale. Quando i liberali esistevano ancora. ([[Massimo Fini]]) *Sa spalmare una così giusta misura di miele sull'orlo del nappo avvelenato che prepara per questo o per quello, che spesso la vittima muore senza accorgersene, ingannata dai soavi licori. ([[Paolo Monelli]]) *Scalfari e Montanelli direttori all'antica, padroni, mattatori che ricordano gli Scarfoglio, i vecchi direttori dell'ottocento che non solo incrociavano la penna ma anche la spada in una rissa continua con tutt ([[Ugo Intini]]) *Si può raccontare la [[storia]] in forma lieve, senza essere troppo ponderosi, rispettando tuttavia le fonti e la verità storica. Montanelli era molto bravo a scrivere, ma in fondo ne sapeva poco, gli piaceva gigioneggiare, sprofondava nell'anacronismo. Oggi ci si è accorti che, nel raccontare la storia, essere rigorosi ed essere divertenti non è conflittuale. ([[Alessandro Barbero]]) *So solo che Montanelli è fatto così: un maestro di giornalismo che ogni tanto s'impenna con qualcuna delle sue bizzarrie. ([[Giorgio Bocca]]) *Una volta, parecchi anni fa, Indro Montanelli, dicendosi disgustato della morbidezza e della mollezza della [[Democrazia Cristiana]], che ammorbidiva, incorporava, estenuava e alla fine innocuizzava qualsiasi opposizione, togliendole ogni soddisfazione e dignità, mi mostrò una fotografia, incastonata in una cornicetta d'argento, che teneva, a mo' di santino, come altri fanno con le immagini della madre o della moglie e dei figli, sulla sua scrivania, al «Giornale». Con sorpresa vidi che si trattava di Stalin. «Con questo ci sarebbe stato gusto, a battersi», disse. ([[Massimo Fini]]) *Ognuno può pensarla come vuole, ma quando si passa dalla cronaca alla storia è necessario mantenere un giusto approccio ed essere oggettivi sui valori della persona. Indro Montanelli è stato forse il più autorevole giornalista che l’Italia ha avuto nel ventesimo secolo. La Toscana penserà ad azioni per valorizzarlo. ([[Eugenio Giani]]) ===[[Enzo Biagi]]=== *A Indro Montanelli devo molto: intanto, l'idea che chi conta è il pubblico. Poi la necessità di essere chiari, di far anche fatica, perché chi legge non ha voglia di impegnarsi troppo, e solo se uno si chiama [[James Joyce|Joyce]] può essere difficile. *Montanelli se n'è sempre fregato delle critiche, io molto meno, ho un carattere permaloso, spesso non ho resistito alla tentazione di rispondere a chi mi attaccava. Indro mi sgridava, diceva a mia moglie di tenermi calmo, che non ne valeva la pena, che erano tutte bischerate. [...] Per lui il buon risultato era il sorriso di un passante, l'oste che gli trovava il tavolo. Qualcuno si chiedeva che cos'avesse di speciale. A pensarci bene, niente. Scriveva degli articoli che erano letti e dei libri che si vendevano. *Non è una gran notizia che Indro e io non abbiamo mai fatto parte del coro, ma fu una grande notizia la spiegazione che ne diede Berlusconi: "Biagi e Montanelli hanno invidia del mio successo". La prima cosa che mi venne in mente fu: "Sai che risate si starà facendo Indro adesso". Poi mi dissi che c'era poco da ridere. ==Note== <references/> ==Bibliografia== *Indro Montanelli, ''Qui non riposano'', Marsilio, 1982 (1945). *Indro Montanelli, ''Pantheon minore'' (incontri), Longanesi e C., Milano, 1950. {{NoISBN}} *Indro Montanelli, ''Reportage su Israele'', Derby, Milano, 1960. {{NoISBN}} *Indro Montanelli, ''Gli incontri'', Rizzoli, Milano, 1967. {{NoISBN}} *Indro Montanelli, ''Storia dei greci'', Rizzoli, Milano, 1992. ISBN 8817115126 *Indro Montanelli, ''Storia dei greci'', RCS Quotidiani, Milano, 2004. ISBN 1-129-08505-8 *Indro Montanelli, ''Storia di Roma'', Longanesi, Milano, 1957; Rizzoli, Milano, 1959. {{NoISBN}} *Indro Montanelli, ''Storia di Roma'', RCS Quotidiani, Milano, 2004. ISBN 1-129-08505-8 *Indro Montanelli, ''L'Italia giacobina e carbonara (1789-1831)'', Rizzoli, Milano, 1971. {{NoISBN}} *Indro Montanelli, ''L'Italia del Risorgimento (1831-1861)'', terza edizione, Rizzoli, Milano, 1972. {{NoISBN}} *Indro Montanelli, ''L'Italia dei notabili (1861-1900)'', Rizzoli, Milano, 1973. {{NoISBN}} *Indro Montanelli, ''L'Italia di Giolitti (1900-1920)'', Rizzoli, Milano, 1974. {{NoISBN}} *Indro Montanelli, ''L'Italia in camicia nera (1919-3 gennaio 1925)'', Rizzoli, Milano, 1976. *Indro Montanelli, ''Dante e il suo secolo'', Rizzoli, Milano, 1974. {{NoISBN}} *Indro Montanelli, ''I protagonisti'', Rizzoli, Milano, 1976. {{NoISBN}} *Indro Montanelli, ''Controcorrente'', Editoriale Nuova, Milano, 1978. {{NoISBN}} *Indro Montanelli, ''Controcorrente 1974-1986'', Arnoldo Mondadori Editore, Milano, 1987. ISBN 8804300558 *Indro Montanelli, ''Caro direttore. 1974-1977. Il meglio della rubrica "La parola ai lettori"'', Rizzoli, Milano, 1991, ISBN 88-17-42728-4. *Indro Montanelli, ''Il testimone'', Longanesi & C., Milano, 1992, ISBN 88-304-1063-2. *Indro Montanelli, ''Il meglio di «Controcorrente» 1974-1992'', Rizzoli, Milano, 1993, ISBN 88-17-42807-8. *Indro Montanelli, ''Caro lettore. Il meglio della rubrica "La parola ai lettori". 1978-1981'', Rizzoli, Milano, 1994, ISBN 88-17-42730-6. *Indro Montanelli, ''Le Stanze. Dialoghi con gli italiani'', Rizzoli, Milano, 1998, ISBN 88-17-85259-7. *Indro Montanelli, ''La stecca nel coro. 1974-1994: una battaglia contro il mio tempo'', Rizzoli, Milano, 1999, ISBN 88-17-86284-3. *Indro Montanelli, ''Le nuove Stanze'', Rizzoli, Milano, 2001, ISBN 88-17-86842-6. *Indro Montanelli, ''Soltanto un giornalista. Testimonianza resa a Tiziana Abate'', BUR, Milano, 2003. ISBN 8817107042 *Indro Montanelli, ''I conti con me stesso. Diari 1957-1978'', a cura di [[Sergio Romano]], Rizzoli, Milano, 2010. ISBN 8817028202 ([http://books.google.it/books?id=fuh--fZGHMcC&printsec=frontcover Anteprima su Google Libri]) *Indro Montanelli, ''Ricordi sott'odio'', Milano, Rizzoli, 2011, ISBN 978-88-17-04963-4 *Indro Montanelli, ''Indro al Giro. Viaggio nell'Italia di Coppi e Bartali. Cronache del 1947 e 1948'', a cura di Andrea Schianchi, Collana Saggi italiani, Milano, Rizzoli, 2016. ISBN 978-88-1708-969-2 *Paolo Granzotto, ''Montanelli'', Bologna, Il Mulino. ISBN 88-15-09727-9 *Paolo Occhipinti (a cura di), ''Caro Indro... Dialoghi di Montanelli con il direttore di Oggi. 1993-2001. Il meglio di una rubrica di successo durata otto anni'', RCS, Milano, 2002. ==Voci correlate== *[[Colette Rosselli]] *[[Indro Montanelli e Roberto Gervaso]] *[[Indro Montanelli e Mario Cervi]] *[[Indro Montanelli e Marco Nozza]] *''[[Il generale Della Rovere]]'' (film 1959) ==Altri progetti== {{interprogetto}} ===Opere=== {{Pedia|La Voce (quotidiano)|''La Voce''}} {{Pedia|Storia d'Italia (Montanelli)|''Storia d'Italia''}} {{DEFAULTSORT:Montanelli, Indro}} [[Categoria:Drammaturghi italiani]] [[Categoria:Giornalisti italiani]] [[Categoria:Saggisti italiani]] [[Categoria:Commediografi italiani]] noft7goxsfur6i4fkxqsbof01ju06e6 Morte 0 1828 1381920 1379324 2025-07-01T14:18:25Z Gaux 18878 /* Citazioni */ Adriano Tilgher 1381920 wikitext text/x-wiki {{vetrina inserimento}} {{voce tematica}} [[File:William-Adolphe_Bouguereau_(1825-1905)_-_The_Day_of_the_Dead_(1859).jpg|thumb|upright=1.6|''Il giorno della morte'' (W. Bouguereau, 1859)]] Citazioni sulla '''morte'''. ==Citazioni== [[File:Kuoleman Puutarha by Hugo Simberg.jpg|thumb|upright=1.3|''Il giardino della morte'' (H. Simberg, 1906)]] *A molti morire fa solo bene. ([[Giordano Bruno Guerri]]) *''<nowiki>'</nowiki>A morte 'o ssaje ched'è?... è una livella.'' ([[Totò]]) *A tutto si rimedia, meno che alla morte. (''[[Ladri di biciclette]]'') *Adunque con buona ragione ancora noi abbiamo detto non altro essere le morti, sì dei congiunti e degli amici, e sì le nostre proprie, se non peregrinazioni della più degna parte dell'uomo ad un qualunque luogo a lei accomodato, e separazioni degli uni dagli altri per alcun tempo solamente, e non già in perpetuo. ([[Giorgio Gemisto Pletone]]) *Al mondo non esiste cosa più imparziale della morte. Ogni essere vivente riceverà la sua visita. Oltre a essere imparziale, la morte è una realtà innegabile, e si trova sempre al nostro fianco. Ma gli uomini, armati di ingegno e saggezza, lottano, scalpitano e si aggrappano alla vita fino all'ultimo. (''[[Made in Abyss]]'') *Anche nei miei pezzi è sempre presente la morte: non vuol dire raccontare la fine di qualcosa, ma un altro modo di vivere, che non riguarda la nostra realtà. ([[John Frusciante]]) *Anche se non hanno voce, i morti vivono. Non esiste la morte di un individuo. La morte è una cosa universale. Anche dopo morti dobbiamo sempre rimanere desti, dobbiamo giorno per giorno prendere le nostre decisioni. ([[Shōhei Ōoka]]) *''Aviene a un disperato spesso, | che da lontan brama e disia la morte, | e l'odia poi che se la vede appresso, | tanto gli pare il passo acerbo e forte.'' ([[Ludovico Ariosto]]) *Bisogna fare una distinzione tra il morire e la morte. Non è tutto un morire ininterrotto. Se si è sani e ci si sente benissimo, è un morire invisibile. La fine, che è una certezza, non dev'essere per forza annunciata con spavalderia. ([[Philip Roth]]) *Bisogna morire molte volte per imparare a vivere. ([[Alessandro Ruspoli, IX principe di Cerveteri]]) *Bisogna morire per vivere bene! ([[Hellboy]]: ''[[Hellboy: The Golden Army]]'') *Bisogna, quaggiù, che i fiori muoiano ed il loro profumo svanisca perché diventino frutto e nutrimento. [[Paradiso|Lassù]], respireremo un fiore eterno. Ed il suo profumo ci nutrirà. Solo ciò che muore si riproduce. La fecondità è un perpetuo compromesso tra l'essere ed il nulla. L'eternità è sterile: dove i fiori non appassiscono, i semi sono inutili. ([[Gustave Thibon]]) *C'è una fine per tutto... E non è detto che sia sempre la morte. ([[Giorgio Gaber]]) *''Cara, bella morte! Gioiello dei Giusti, | che non risplendi se non nel buio; | che misteri giacciono al di là della tua polvere; | potesse l'uomo vedere oltre quel segno!'' ([[Henry Vaughan]]) *Certamente si deve morire, ma la morte viene associata a una "vecchiaia" vissuta come un evento molto lontano che non ci riguarda da vicino. ([[Sabino Acquaviva]]) *Che cosa è la morte per me? Un grado di più nella calma, e forse due nel silenzio. ([[Alexandre Dumas padre]]) *Che senso ha il tempo per chi non conosce la morte? (''[[Nosferatu a Venezia]]'') *Che vecchia, vecchia usanza! Quella che viene di moda con i nostri primi vestiti, e durerà immutata finché la nostra razza avrà compiuto il suo cammino, e l'immenso firmamento si ritrarrà come una pergamena che si arrotola.<ref>{{cfr}} ''[[Apocalisse di Giovanni]]''. 6, 14 {{NDR|N.d.T.}}.</ref> Che vecchia, vecchia usanza... la Morte! ([[Charles Dickens]]) *Che zitella divento, se mi manca il coraggio di amare la morte! ([[Arthur Rimbaud]]) *Chi sa morire, non ha più padrone. ([[Sully Prudhomme]]) *Chi se ne frega di morire? Alla morte, padron mio, presto o tardi s'arriva per forza. Ed essere impiccato per una buona causa è un bel morire, si dice, sebbene non mi risulti che qualcuno sia mai tornato in terra a confermarcelo. ([[Robert Louis Stevenson]]) *– Chou, tu lo sai cosa succede alle persone quando muoiono?<br>– Prima pensano di stare solo dormendo serenamente, senza sapere di essere morti. Dormono per tre giorni interi, e poi alla fine del terzo giorno si risvegliano, e di lì che capiscono di essere morti. Camminano verso un fiume molto grande. Si tolgono tutta la sporcizia dai loro corpi e cominciano il loro lungo viaggio verso il paradiso per reincarnarsi. (''[[Per primo hanno ucciso mio padre]]'') *Ciò che però aveva reso così terribile nel cimitero il pensiero della morte era l'immagine del ''piccolo'', che, non appena si fece dominante, produsse nel suo spirito un ''vuoto'' terribile, che alla fine gli era diventato insopportabile. – Il ''piccolo'' si avvicina allo scomparire, all'annientamento – è l'idea del ''piccolo'' che produce ''sofferenza, vuoto e tristezza'' – la tomba è ''l'angusta casa'', la bara è un appartamento ''silenzioso, freddo e piccolo'' – ''la piccolezza'' provoca ''vuotezza'', ''la vuotezza'' provoca ''tristezza'' – ''la tristezza'' è il principio dell'annientamento – l'annientamento è vuoto infinito. ([[Karl Philipp Moritz]]) *Colui che da una diversa visione della cosa più è commosso, non teme le angustie della morte. ([[Giordano Bruno]]) *Colui il quale ha sentito il soffio della Morte alitare presso il suo volto, guarda la Vita con occhi diversi. ([[Carlo Maria Franzero]]) *''Con vent'anni nel core | pare un sogno la morte, eppur si muore''. ([[Teobaldo Ciconi]]) *Confidenza toglie reverenza. Se trascorri abbastanza tempo vicino alla morte, smetti di averne paura e inizi a odiarla. ([[Micah Nathan]]) *Considero la morte un dovere e un imperativo biologico. Fin da ragazzo ho pensato che la vita deve finire e non ha alcuna dimensione metafisica. Chi crede nella finitezza assoluta della vita è sempre pronto a morire. Non c'è da perdonare né da chiedere perdono dei peccati o redimersi per garantirsi un buon soggiorno nell'aldilà. Se le nostre idee sono la nostra immortalità, con la nostra vita di pensiero, ogni giorno ci prepariamo a morire. ([[Umberto Veronesi]]) *Così l'uomo va in tutti i secoli e in tutti i tempi cercando antidoti contro il dispiacere della morte. L'Epicureo non ammetteva {{sic|risponsabilità}} d'azioni oltre la tomba. Lo stoico diceva che lo scopo della vita è la morte, e che si deve vivere per imparare a morire. Il {{sic|Pittagorico}} si consolava coll'idea di rinascere; e i metodisti non contenti di questi sistemi filosofici hanno trovato una via più facile per salire in paradiso. ([[Giuseppe Pecchio]]) *Da quel che ho visto, morire è come un taglio in asse nel montaggio di un film. Solo che dopo il taglio, l'inquadratura precedente non ritorna. ([[Rudy Rucker]]) *Devo dire sereno: anche se mi dicono che sono giovane – non sempre mi sento tale... – ho già avuto diversi incontri ravvicinati con la morte. Ci sono scesa a patti: ho capito che fa parte del processo della vita e mi piace pensare che possa esistere una continua rinascita dopo la nostra fine. ([[Simona Tabasco]]) *Dicono che tutta la vita ti passa davanti agli occhi prima di morire. Forse questo è vero se sei un malato terminale o se non ti si apre il paracadute. Ma se la morte ti coglie di sorpresa, l'unica cosa che hai tempo di pensare è: «Oh, merda!». (''[[Dead Like Me]]'') *Don Fabrizio si guardò nello specchio dell'armadio: riconobbe più il proprio vestito che sé stesso: altissimo, allampanato, con le guance infossate, la barba lunga di tre giorni; sembrava uno di quegli inglesi maniaci che deambulano nelle vignette dei libri di Verne che per Natale regalava a Fabrizietto, un Gattopardo in pessima forma. Perché mai Dio voleva che nessuno morisse con la propria faccia? Perché a tutti succede così: si muore con una maschera sul volto; anche i giovani; anche quel soldato col viso imbrattato; anche Paolo quando lo avevano rialzato dal marciapiede con la faccia contratta e spiegazzata mentre la gente rincorreva nella polvere il cavallo che lo aveva sbattuto giù. E se in lui, vecchio, il fragore della vita in fuga era tanto potente, quale mai doveva essere stato il tumulto di quei serbatoi ancora colmi che si svuotavano in un attimo da quei poveri corpi giovani? ([[Giuseppe Tomasi di Lampedusa]]) *Dopo la morte, per gli scettici c'è il nulla. Per le anime religiose, dopo la morte c'è Dio, ossia il tutto. Ma sparire nel nulla o nel tutto, non è la stessa cosa? ([[Guido Morselli]]) *Dopo pochi giorni di sofferenza e molti altri di sogni deliranti pieni di estasi, le cui manifestazioni esteriori tu scambiasti erroneamente per dolore ed io ero impotente a disingannarti –, dopo alcuni giorni caddi, come tu hai detto, preda di uno stato di torpore senza respiro né movimento, e questo fu definito ''Morte'', da quelli che erano intorno a me.<br>Le parole sono cose vaghe. Il mio stato non mi impediva di sentire. Mi sembrò non molto dissimile dallo stato di estrema quiete di chi, avendo dormito a lungo e profondamente, disteso immobile e completamente prostrato in un meriggio di mezza estate, comincia lentamente a riprendere conoscenza semplicemente perché ha dormito a sufficienza e senza essere svegliato da interventi esterni.<br>Non respiravo più, il polso era immobile, il cuore non batteva più. La volontà non mi aveva abbandonato, ma era senza potere. I sensi erano insolitamente attivi, sebbene in modo eccentrico – assumendo a caso ciascuno di essi la funzione di un altro. ([[Edgar Allan Poe]]) *''Dove ci incontreremo dopo la morte? | Dove andremo a passeggio? | E il nostro consueto giretto serale? | E i rammarichi per i capricci dei figli? | Dove trovarti, quando avrò desiderio di te, dei tuoi occhi smeraldi, | quando avrò bisogno delle tue parole? | Dio esige l'impossibile, | Dio ci obbliga a morire. | E che sarà di tutto questo garbuglio di affetto, | di questo furore? Sin d'ora promettimi | di cercarmi nello sterminato paesaggio di sterro e di cenere, | sui legni carichi di mercanzie sepolcrali, | in quel teatro spilorcio, in quel vortice | e magma di larve ahimè tutte uguali, | fra quei lugubri volti. Saprai riconoscermi?'' ([[Angelo Maria Ripellino]]) *Due morti hanno plasmato in gran parte la sensibilità occidentale. Due casi di pena capitale, di omicidio giudiziario determinano i nostri riflessi religiosi, filosofici e politici. Sono due morti a governare la percezione metafisica e politica che abbiamo noi stessi: quella di Socrate e quella di Cristo. Siamo tuttora figli di quelle morti. ([[George Steiner]]) *È difficilissimo morire per un amico, ma morire per dei nemici è ancora più difficile. Cristo però è morto per noi quando noi eravamo ancora suoi nemici. Dio ci rimane sempre accanto, è la costanza dell'amore fino all'estremo limite, anzi senza limiti. Ecco il motivo della nostra gioia. ([[Pino Puglisi]]) *E infatti i [[cristiano (religione)|cristiani]] non sanno morire. Basti in proposito un confronto tra la morte di [[Socrate]] e la morte di [[Gesù]]. [...] A differenza di Socrate, Gesù ha paura, non degli uomini che lo uccideranno, né dei dolori che precederanno la morte, Gesù ha paura della morte in sé, e perciò trema davvero dinanzi alla "grande nemica di Dio" e non ha nulla della serenità di Socrate che con calma va incontro alla "grande amica". ([[Umberto Galimberti]]) *È meglio morire di [[Alcolismo|bevute]] che morire di sete. ([[John Fante]]) *È più facile sopportare la morte senza pensarci che il pensiero della morte senza pericolo. ([[Blaise Pascal]]) *È ridicolo insistere su ciò che resta di voi dopo la morte. È come se un bambino dicesse: «Sto crescendo, ma non voglio cambiare le idee che ho adesso.» ([[Jane Roberts]]) *''E s'al mesto pensier chiuder le porte | col chiuder gli occhi io cerco, il cieco orrore | contemplo allor de la mia propria morte''. ([[Celio Magno]]) *Ė prima di morire che rischiamo di essere morti, se rifiutiamo per l'appunto di fare della nostra vita una creazione continua di grazia e di bellezza. ([[Maurice Zundel]]) *È strano come a volte il ricordo della morte sopravviva molto più a lungo della vita che essa ha rubato. ([[Arundhati Roy]]) *E tutti quei momenti andranno perduti nel tempo come lacrime nella pioggia. È tempo di morire. (''[[Blade Runner]]'') *È una delle tante assurdità dell'essere che non solo il vivere ma anche il morire debba essere ugualmente, e spesso ancor più, guadagnato. Sarebbe giusto che dal mondo si potesse almeno andarsene con passo leggero... ([[Mario Andrea Rigoni]]) *Eccola lì la morte paziente. Sono abituato a quella feroce, che ti prende di colpo con un coltello o un proiettile. O a quella crudele, che ti lascia sanguinare sul pavimento. So come trattarla, a cosa pensare quando mi chino su un cadavere. Quella lenta, che ti scava dall'interno, mi incute timore. Non è un incidente di percorso che si possa scansare stando attenti. È il destino inevitabile, il saldo del conto. ([[Sandrone Dazieri]]) *Emarginato e inesaudito in [[ospedale]], chi muore non è meno solo e incompreso in [[famiglia]], nella realtà spesso ostile di oggi. ([[Giorgio Cosmacini]]) *Entra infine nel Mio Essere chi, al momento del trapasso, quando abbandona il corpo, pensa soltanto a Me. Questo è vero al di là di ogni dubbio. (''[[Bhagavadgītā]]'') *Esiste un unico Dio e il suo nome è Morte. E c'è soltanto un'unica cosa che puoi dire alla morte: "non oggi." (''[[Il Trono di Spade (prima stagione)|Il Trono di Spade]]'') *Finché io non sarò morto, nessuno potrà garantire di conoscermi veramente, cioè di potere dare un senso alla mia azione, che dunque, in quanto momento linguistico, è mal decifrabile.<br>È dunque assolutamente necessario morire, ''perché, finché siamo vivi, manchiamo di senso'', e il linguaggio della nostra vita (con cui ci esprimiamo, e a cui dunque attribuiamo la massima importanza) è intraducibile: un caos di possibilità, una ricerca di relazioni e di significati senza soluzione di continuità. ''La morte compie un fulmineo montaggio della nostra vita'': ossia sceglie i suoi momenti veramente significativi (e non più ormai modificabili da altri possibili momenti contrari o incoerenti), e li mette in successione, facendo del nostro presente, infinito, instabile e incerto, e dunque linguisticamente non descrivibile, un passato chiaro, stabile, certo, e dunque linguisticamente ben descrivibile... ''Solo grazie alla morte, la nostra vita ci serve ad esprimerci''.<br>Il montaggio opera dunque sul materiale del film (che è costituito da frammenti, lunghissimi o infinitesimali, di tanti piani-sequenza come possibili soggettive infinite) quello che la morte opera sulla vita. ([[Pier Paolo Pasolini]]) *Finirà il giorno e Febo si tufferà nelle profondità del mare con i suoi cavalli stanchi, prima che io riesca a elencare con la parola tutte le cose che assumono un nuovo aspetto. Così vediamo che le epoche cambiano e che là dei popoli diventano potenti, qua decadono. ([[Ovidio]]) *Gli uomini che sono morti li aspettano cose che non sperano né immaginano. ([[Eraclito]]) *«Gli uomini possono immaginare la propria morte, possono vederla arrivare, e il solo pensiero della morte incombente funziona da afrodisiaco. Un cane o un coniglio non si comportano così. Prendi gli uccelli: in una stagione di magra riducono il numero di uova, o non si accoppiano affatto. Concentrano le energie sul mantenersi in vita fino a tempi migliori. Invese gli esseri umani sperano di poter infilare la loro anima in qualcun altro, qualche nuova versione di se stessi, e di vivere in eterno».<br>«Allora, come specie siamo condannati dalla speranza?»<br>«Chiamala pure speranza. O disperazione». ([[Margaret Atwood]]) *''Gli empi invocano su di sé la morte | con gesti e con parole, | ritenendola amica si consumano per essa | e con essa concludono alleanza, | perché son degni di appartenerle.'' (''[[Libro della Sapienza]]'') *''I defunti, che pietosi e cari | vengon ne' sogni a favellar con noi | d'un'armonia migliore''. ([[Giovanni Prati]]) *I morti che ci hanno fatto del bene, si ricompensano guardando in faccia i vivi. ([[Vasco Pratolini]]) *''I morti non è quel che di giorno | in giorno va sprecato, ma quelle | toppe d'inesistenza, calce o cenere | pronte a farsi movimento e luce.'' ([[Vittorio Sereni]]) *I morti sanno soltanto una cosa: che è meglio essere vivi. (''[[Full Metal Jacket]]'') *I nostri morti ci attendono come le stelle del cielo attendono che passino la notte e la nostra incapacità di vederle se non al buio. Siamo destinati a una Gioia più intensa di quella che le religioni e le sapienze di questo mondo promettono. Il mendicante è il nostro essere convinti, per esempio, che io stia farneticando, perché le cose reali sono questo mondo, l'Europa, l'Italia, i rapporti economici, giuridici, sessuali. Mentre il fondo dell'uomo consiste nella sua permanenza assoluta. Con la morte noi superiamo lo stato di mendicità: la morte ci consente di oltrepassare il senso del nulla. ([[Emanuele Severino]]) *Il [[corpo]] e la sua morte restano i più grandi pensatori. ([[Eugenio Mazzarella]]) *''Il corpo parla: che dovrai morire. | {{sic|non}} dice a te: che non lo puoi sentire. | Al corpo dici: ancora non morire. | Non sa che parli: non ti può sentire.'' ([[Pietro Cimatti]]) *Il pensiero della morte è realmente la nera pietra di paragone a cui si provano tutte le convinzioni soddisfacenti e riposanti, è il terreno su cui le edificate dimore crollano. Tutti i nostri pensieri resistono alla sua comparsa solo se sentono con umiltà e nell'umiltà il proprio valore. Solo se i pensieri stessi sentono di poter accettare, senza disonore, la ''propria'' morte. ([[Andrea Emo]]) *Il tabù morte ha già steso i suoi tentacoli alla [[malattia]] ed anche si sospetti di malattia, ed è rafforzato dal silenzio sulle realtà eterne. ([[Maurizio di Gesù Bambino]]) *In fin dei conti, per una mente ben organizzata, la morte non è che una nuova, grande avventura. ([[J. K. Rowling]]) *In verità, in verità vi dico: se il chicco di grano caduto in terra non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto. ([[Gesù]], ''[[Vangelo secondo Giovanni]]'') *In viva morte morta vita vivo! ([[Giordano Bruno]]) *Io considero la morte parte della vita ed è per questo che, parlando della vita, mi viene da parlare anche della morte. Personalmente, l'esperienza che fino a oggi ho avuto della morte riguarda quella degli animali che tenevo con me. [...] Non riuscivo ad accettarlo: mi domandavo perché gli esseri viventi dovessero morire. E poi, poco a poco, ritorna la calma. Perché il cervello umano (come forse quello degli animali) ha anche la capacità di dimenticare. Allora ci si può nuovamente dire che ciò che è importante è vivere, che il nostro è un tempo prezioso. Credo che la morte insegni a vivere, e che la facoltà di dimenticare sia un elemento importante in questo meccanismo. ([[Jirō Taniguchi]]) *Io devo vivere in compagnia della morte. La destesto, naturalmente, ma non la temo. Se la temessi non varrei nulla come medico. Dovrei temerla? ([[Alistair MacLean]]) *''Io muoio. Tu muori. Egli muore | è molto più grave, se un'intera botte va a male.'' ([[Joachim Ringelnatz]]) *Io non lo so se sono [[ateismo|ateo]], però son sicuro che se [[dio]] esiste è un grandissimo figlio di puttana o un pazzo paranoico tipo film americano. Però a me la morte non è mai arrivata vicina, nel senso che non è mai morto qualcuno a cui voglio bene veramente, e se capitasse non so come reagirei. Magari finirei col pensare che è la volontà di Dio e che va bene così. Certo diventerei una persona diversa, non sarei più quello di adesso. Secondo me dopo che hai conosciuto quella cosa lì sei proprio un altro. Forse è così che si diventa grandi. (''[[Porci con le ali]]'') *Io non prego mai per i morti, io prego ''i'' morti. L'infinita sapienza e clemenza dei loro volti – come si può pensare che abbiano ancora bisogno di noi? – Ad ogni amico che se ne va io racconto di un amico che resta; a quella infinita cortesia senza rughe ricordo un volto di quaggiù, torturato, oscillante. ([[Cristina Campo]]) *Io non temo la morte, sa, non la temo assolutamente, perché so che essa è soltanto un passaggio. Verso Dio, la gioia senza fine. ([[Elio Fiore]]) *''Io chiamo, io prego, io lusingo la morte | come divota, cara e dolce amica, | che non mi sia nemica | ma vegna a me come a sua propria cosa.'' ([[Fazio degli Uberti]]) *L'angostura, la goccia di amaro, il catalizzatore di tutto il resto. Poche chiacchiere: una gran fregatura. Un errore di calcolo del Padre Eterno. ([[Vittorio Gassman]]) *''L'è mort? l'è propri mort? Cossa voeur dì | sta gran parola che fa tant spavent?'' ([[Tommaso Grossi]]) *L'importante non è morire, né a che età si muore, l'importante è quello che si fa al momento di morire. ([[Muriel Barbery]]) *''L'ora presente è in vano, non fa che percuotere e fugge, | sol nel passato è il bello, sol ne la morte è il vero.'' ([[Giosuè Carducci]]) *L'ultimo nemico che sarà distrutto sarà la morte. ([[Paolo di Tarso]], ''[[Prima lettera ai Corinzi]]'') *L'uomo non ha in fondo all'anima nessuna avversione alla morte; vi è perfino del piacere a morire. La lampada che si spegne non soffre. ([[François-René de Chateaubriand]]) *La base sopra la quale ergendosi questo colosso del mondo palesa la sua bellezza è la morte. Ella è la parte più grave del concerto ove stanno appoggiate tutte le consonanze dell'universo. Che cosa sarebbe egli, dopo la perdita della giustizia originale, se non si morisse? [...] Chi levasse la morte, leverebbe dalla fabbrica del mondo la pietra angolare, leverebbe l'armonia, l'ordine, né vi lascerebbe altro che dissonanze e confusioni [...] La morte non può essere cattiva né con dolore, se è vero che sia naturale il morire, perché le cose naturali son buone. ([[Virgilio Malvezzi]]) *''La memoria dei morti serve loro come una seconda vita.'' ([[Jean Bertaut]]) *La morte capita una volta sola e si fa sentire in tutti i momenti della vita: è più doloroso averne conoscenza che subirla. ([[Jean de La Bruyère]]) *La morte, che da natura è a tutti sorte comune, si distingue presso i posteri in gloria e in oblio; e se una medesima sorte attende il buono e il reo, tocca ai coraggiosi morir per un fine. ([[Publio Cornelio Tacito]]) *''La morte ci rende angeli | e ci mette ali | dove avevamo spalle, | lisce come artigli di corvo.'' ([[The Doors]]) *La morte con tutta probabilità è la più grande invenzione della vita. [...] Spazza via il vecchio per far spazio al nuovo. ([[Steve Jobs]]) *La morte dei giovani è un naufragio, quella dei vecchi un approdare al porto. ([[Plutarco]]) *La morte è come il sesso al liceo: se sapessi quante volte ci sei andato vicino, ti prenderebbe un colpo! (''[[Dead Like Me]]'') *La morte è il fallimento assoluto, non va cercata mai. (''[[Bakuretsu Hunter]]'') *La morte è il muro di cinta di ogni vita. ([[Jacques Ellul]]) *La morte è innaturale. La morte è uno scherzo crudele. La morte diride la vita. (''[[Dark Crystal - La resistenza]]'') *La morte è l'assentarsi dell'eterno. ([[Emanuele Severino]]) *La morte è l'interlocutrice che nobilita la mia sopravvivenza. ([[Fausto Gianfranceschi]]) *La morte è l'unica cosa che mi terrorizza. La odio. [...] Perché, [...] oggi a tutto si può sopravvivere fuorché a questo. La morte e la volgarità, nel diciannovesimo secolo, sono gli unici due fenomeni che non si riescono a spiegare. ([[Oscar Wilde]], ''[[Il ritratto di Dorian Gray]]'') *La morte è l'unico sintomo certo della vita. ([[Giorgio Manganelli]]) *La morte è la porta che tutti noi dobbiamo attraversare, ed è questo nostro io spirituale che, abbandonato il [[corpo]] fisico, ci farà continuare a vivere, a imparare e a crescere mentre proseguiamo. ([[Rosemary Altea]]) *La morte è migliore, è un destino più dolce che la tirannia. ([[Eschilo]]) *La morte è parte naturale della vita. Gioisci per coloro che intorno a te si trasformano nella Forza. Dolore non avere; rimpianto non avere. L'attaccamento conduce alla gelosia; l'ombra della bramosia essa è. ([[Yoda]], ''[[Star Wars: Episodio III - La vendetta dei Sith]]'') *La morte è pietosa, perché da essa non c'è ritorno, mentre per colui che è uscito dalle più profonde camere della notte, consapevole e stravolto, non c'è più pace. ([[Howard Phillips Lovecraft]]) *La morte è più forte dell'amore, è una sfida all'esistenza. ([[Émile Zola]]) *La morte è sempre e dovunque terribile per una creatura che è nata e che non ha vissuto. Che non ha vissuto affatto: capisci, che non ha vissuto! ([[Maria Kuncewiczowa]]) *La morte è sempre la stessa, ma ogni uomo muore a suo modo. ([[Carson McCullers]]) *La morte è spaventosa, ma ancor più spaventosa sarebbe la coscienza di vivere in eterno e di non poter morire mai. ([[Anton Cechov]]) *La morte è un'amante da temere ed esisteva un modo soltanto per superare tale paura: diventando il suo giustiziere. (''[[Il labirinto del fauno (romanzo)|Il labirinto del fauno]]'') *La morte è un'usanza che tutti, prima o poi, dobbiamo rispettare. ([[Jorge Luis Borges]]) *La morte è un supplizio nella misura in cui non è semplice privazione del diritto di vivere, ma occasione di calcolate sofferenze. ([[Michel Foucault]]) *''La Morte favorisce chi favorisce la Morte.'' ([[Nick Cave]]) *La morte, fino a oggi, è sempre stata un evento naturale e gli eventi naturali, si sa, non hanno bisogno di una rielaborazione etica. La pioggia, i fulmini: quando vengono, vengono. Per la morte non è più così. Ora c'è la possibilità di scelta e quando si può scegliere, c'è sempre il bisogno assordante di un'etica. ([[Aldo Schiavone]]) *La morte ha cercato di colpirmi undici volte, ma non è mai riuscita ad arrivarmi, perché sono stato io più forte della morte [...]. La morte ci cammina dietro, vero? Mi cammini dietro, piccolina? Eh? Mi cammini dietro? Lo sai che mi sembri una micetta a volte? E tu... E tu vuoi ostacolarmi, tu vuoi mettermi delle sbarre davanti, vuoi mettermi delle prove, ma è molto difficile con me, lo sai, perché io sono più forte. ([[Richard Benson]]) *La morte, il più atroce dunque di tutti i mali, non esiste per noi. Quando noi viviamo la morte non c'è, quando c'è lei non ci siamo noi. Non è nulla né per i vivi né per i morti. Per i vivi non c'è, i morti non sono più. ([[Epicuro]]) *La morte, in generale, non mi ha mai fatto piangere. È così incipiente. È un incipit. ([[Carmelo Bene]]) *La morte insegna a vivere agli incorreggibili. ([[Xavier Forneret]]) *La morte non aspetterà che tu sia pronto. La morte non ha riguardi, non è leale! (''[[Batman Begins]]'') *La morte non è altro che il sonno del bambino che si addormenta sul cuore della mamma. Finalmente la notte dell'esilio sarà tramontata per sempre, ed entreremo nel possesso dell'eredità dei Santi nella luce. ([[Elisabetta della Trinità]]) *La morte non è mai banale: è solennità, è mistero. ([[Remo Bodei]]) *''La morte non è | nel non poter comunicare | ma nel non poter più essere compresi.'' ([[Pier Paolo Pasolini]]) *La morte non è priva del morire, ma è ricca della possibilità del dono di sé, totale ed irrevocabile. ([[Maurizio di Gesù Bambino]]) *La morte non è una prigione per coloro che hanno affidato le loro anime al principe delle tenebre. (''[[I satanici riti di Dracula]]'') *La morte non ha sempre le orecchie aperte ai voti e alle preghiere dei singoli eredi; e si ha il tempo di fare i denti lunghi, quando, per vivere, s'aspetta la morte di qualcuno. ([[Molière]]) *La morte non pare tremenda. È il più puro dei nostri atti; è la liberazione, il ritorno alla [[terra]]; una carezza e una benedizione. ([[Frederic Prokosch]]) *La morte non vuole gli stupidi. ([[Anton Cechov]]) *La morte (o la sua allusione) rende preziosi e patetici gli uomini. ([[Jorge Luis Borges]]) *La morte, raggiungila con tutti i tuoi appetiti, e il tuo egoismo e tutti i peccati capitali. ([[Arthur Rimbaud]]) *La Morte sospirò. Era abituata a sentire gli uomini implorare di dare loro qualche altro anno o mese, a volte persino qualche ora. C'era sempre qualcosa di inconcluso, di non fatto, di non vissuto. I mortali non capiscono che la vita non è un libro che si chiude dopo averlo letto fino all'ultima pagina. Non esiste un'ultima pagina nel Libro della Vita, perché l'ultima è sempre la prima di una nuova storia. (''[[Il labirinto del fauno (romanzo)|Il labirinto del fauno]]'') *La morte – trafficante di sabbia nello spazio angusto della clessidra. ([[Ionuț Caragea]]) *La morte vera è la separazione da Dio e questa è intollerabile; la morte vera è la non fede, la non speranza, il non amore. ([[Carlo Carretto]]) *La morte viene silenziosa come un alce, dai vivi ci separa con il taglio di una falce. ([[Elio e le Storie Tese]]) *La protesta per il passo della morte è più religiosa che la sua accettazione. ([[Aldo Capitini]]) *La radice di qualsiasi schiavitù è la morte. ([[Olivier Clément]]) *La santa chiesa ritiene che ognuno può offrire oblazioni per i suoi morti veramente cristiani e il presbitero ne può fare memoria. E sebbene noi tutti soggiaciamo ai peccati, è appropriato che il sacerdote faccia memoria e interceda per i cattolici defunti. ([[Papa Gregorio III]]) *La severa uguaglianza della morte ridarà a ciascuno il suo: la codardia della attossicata calunnia compagna infesta della vita rifugge dalla maestà dei sepolcri. ([[Franco Mistrali]]) *La vita è piacevole, la morte è pacifica. È la transizione che crea dei problemi. ([[Isaac Asimov]]) *La vita è una grande sorpresa. Non vedo perché la morte non potrebbe esserne una anche più grande. ([[Vladimir Vladimirovič Nabokov]]) *La vita stanca, ma la morte fa rabbrividire. Meglio un giorno da pecora che una vita da sonnambulo. (''attribuita a [[Jim Morrison]]'') *''Lassù fra Dio e | gli uomini giostra spavalda | la morte | la vita. | Dove regna il sole | non c'è schiavitù''. ([[Carlo Perasso]]) *Laudato si', mi' Signore, per sora nostra morte corporale, da la quale nullu homo vivente pò skappare: guai a quelli ke morrano ne le peccata mortali; beati quelli ke trovarà ne le tue santissime voluntati, ka la morte secunda no 'l farrà male. Laudate et benedicete mi' Signore' et ringratiate et serviateli cum grande humilitate. ([[Francesco d'Assisi]]) *Le moribonde parole dello Incas. Secondo cui la morte arriva per nulla, circonfusa di silenzio, come una tacita, ultima combinazione del pensiero. ([[Carlo Emilio Gadda]]) *Lo straniero conosce "in vita" l’esperienza della morte. Si muore a degli affetti, a dei paesaggi, dei pensieri, per rinascere ad altri affetti, altri paesaggi, altri pensieri. ([[Tahar Lamri]]) *Ma non muori perché sei malato, muori perché sei vivo. La morte ti uccide pure senza l'aiuto della malattia. ([[Michel de Montaigne]]) *Ma pròvati a negare la morte. Essa nega me, e basta! ([[Ivan Sergeevič Turgenev]]) *''Ma se in noi destano un simbolo, i morti senza mai fine | ai penduli amenti del vuoto avellano | essi accennano, o forse alla pioggia | che nella terra buia precipita di primavera. || E noi, che pensiamo a una felicità ''saliente'', | il tremito commoverebbe, | che quasi ci abbatte, | se ''cade'' un evento felice.'' ([[Rainer Maria Rilke]]) *Malinconica e triste che possa sembrare la morte, sono troppo filosofo per non vedere chiaramente che il terribile sarebbe che l'uomo non potesse morire mai, chiuso nel carcere che è la vita, a ripetere sempre lo stesso ritmo vitale che egli come individuo possiede solo nei confronti della sua individualità a cui è assegnato un compito che si esaurisce.<br>Ma altri crede che in un tempo della vita questo pensiero della morte debba regolare quel che rimane della vita, che diventa così una preparazione alla morte. Ora, la vita intera è preparazione alla morte, e non c'è da fare altro sino alla fine che continuarla, attendendo con zelo e devozione a tutti i doveri che ci spettano. La morte sopravverrà a metterci a riposo, a toglierci dalle mani il compito a cui attendevamo; ma essa non può far altro che così interromperci, come noi non possiamo fare altro che lasciarci interrompere, perché in ozio stupido essa non ci può trovare.<br>Vero è che questa preparazione alla morte è intesa da taluni come un necessario raccoglimento della nostra anima in Dio; ma anche qui occorre osservare che con Dio siamo e dobbiamo essere a contatto tutta la vita e niente di straordinario ora accade che ci imponga una pratica inconsueta. Le anime pie di solito non la pensano così e si affannano a propiziarsi Dio con una serie di atti che dovrebbero correggere l'ordinario egoismo della loro vita precedente e che invece sono l'espressione intima di questo egoismo. ([[Benedetto Croce]]) *Mentirei se dicessi che mi lascia indifferente. Ho oltre 70 anni ed è come sentissi alle mie spalle il rumore di passi pesanti. Incalzano e indicano la fine. [...] In realtà forse preoccupa più gli uomini delle donne. Loro vivono più a lungo, con grazia. Noi uomini? Direi più isterici. Anche piagnoni. Un po’ come me. ([[Michail Baryšnikov]]) *''Meravigliosamente ti ridà forza | il parlare coi morti | quando incapaci d'infonderne | sono i rimasti in vita.'' ([[Giorgos Seferis]]) *Mi accompagna da sempre e mi fa compagnia anche adesso. So che la vita non durerà all'infinito. Come ai tropici, verrà buio tutto di un colpo. Morire è una cosa che ha fatto Leonardo. Quindi nessun problema per Biagi. ([[Enzo Biagi]]) *Mi è stato insegnato ad affrontare ciò che non posso evitare. La morte è una di quelle cose. Vivere nella società tentando di non guardare la morte è stupido perché guardarla ci fa ritornare alla vita con maggior vigore ed energia. Il fatto che i fiori non durino per sempre è ciò che li rende belli. ([[Damien Hirst]]) *Mi sono sempre proibita di pensare a una vita futura, ma ho sempre creduto che l'istante della morte sia la norma e lo [[Senso della vita|scopo della vita]]. Pensavo che per quanti vivono come si conviene, sia l'istante in cui per una frazione infinitesimale di tempo penetra nell'anima la verità pura, nuda, certa, eterna. Posso dire di non avere mai desiderato per me altro bene. ([[Simone Weil]]) *Morire è come aprire una porta e chiudersela dietro: chi è senza chiave non entra. ([[Gianni Mura]]) *Morire è così semplice per quelli che credono in qualcosa, per coloro che sostengono che la morte non sia la fine di tutto. Quelli per cui esiste solo il bianco e il nero, che sanno esattamente cosa devono fare e perché, che sventolano lo stendardo di un'idea, o di ciò in cui credono: lo trattengono nelle loro mani e tutto ciò che vedono ne è illuminato. Coloro che non hanno dubbi o rimpianti. Per loro morire deve essere facile. Se ne vanno con il sorriso sulle labbra. ([[Dmitrij Gluchovskij]]) *Morire è la condizione stessa dell'esistenza. In ciò mi rifaccio a tutti coloro che hanno detto che è la morte a dar senso alla vita, proprio sottraendole tale senso. Essa è il non-senso che dà un senso negando questo senso. ([[Vladimir Jankélévitch]]) *''Morire | è un'arte, come ogni altra cosa. | Io lo faccio in un modo eccezionale. | Io lo faccio che sembra come inferno. | Io lo faccio che sembra reale. | Ammetterete che ho la vocazione.'' ([[Sylvia Plath]]) *Morire è una cosa tremenda, ma ancora sopportabile; è il far morire che, per un cristiano, il quale come il Cristo ha per missione di dar vita, è il colmo dell'atrocità! ([[Primo Mazzolari]]) *Morire non mi piace per niente. È l'ultima cosa che farò. ([[Roberto Benigni]]) *Morire sarà una splendida avventura. ([[James Matthew Barrie]]) *Morire vent'anni prima o vent'anni dopo poco importa. <br /> Quel che importa è morir bene. <br /> Soltanto allora inizia la vita. ([[Léon Degrelle]]) *''Morte, che se' tu dunque? Un'ombra oscura, | un bene, un male, che diversa prende | dagli affetti dell'uom forma e natura.'' ([[Vincenzo Monti]]) *Morte e [[Risurrezione|resurrezione]] son un atto solo, un solo mistero. ([[Divo Barsotti]]) *''Morte, muta parola, | sabbia deposta come un letto | dal sangue, | ti odo cantare come una cicala | nella rosa abbrunata dei riflessi.'' ([[Giuseppe Ungaretti]]) *''Morte, sorella mia | nata il giorno ch'io nacqui, | remota e accanto mi sei | come un miraggio. | Lampada fu il tuo volto alla mia culla. | sulla tua veste d'ombra | quante notti dormii. | Lieve mi condurrai | tenendomi per mano | lungo l'aria serena di luna | fino al grande diorama.'' ([[Renato Mucci]]) *Né il sole né la morte si possono guardare fissamente. ([[François de La Rochefoucauld]]) *Nel lungo termine siamo tutti morti. ([[John Maynard Keynes]]) *Nessun uomo è padrone del suo soffio vitale tanto da trattenerlo, né alcuno ha potere sul giorno della sua morte, né c'è scampo dalla lotta; l'iniquità non salva colui che la compie. (''[[Qoelet]]'') *Nessuno ha compiuto tanti peccati in vita per meritare di morire due volte. ([[José Saramago]]) *Niente è morto finché non è sepolto. (''[[Sorvegliato speciale]]'') *Noi tutti, ricchi e poveri, bianchi e neri, di qualunque terra e di qualunque religione, dotti o ignoranti, santi o delinquenti, per quanto divisi da usi, pensieri, costumi di vita, siamo tuttavia uniti da una sola realtà: la realtà della morte.<br>Diversi in tutto gli uni dagli altri, siamo uguali in questa certezza: l'Imperatore d'Inghilterra nel Buckingham<ref>Nel testo "Bucingham".</ref> Palace e il boscimano nella capanna di paglia e di sterco.<br>Tutti sanno di dover morire, ma nessuno ci crede. La sola realtà sulla quale non è possibile nessuna discussione, è anche la sola realtà dalla quale tutti distolgono gli occhi e la mente.<br>È questa una nostra demenza o una provvidenza della natura?<br>Sia come si voglia, è certo che la vita è possibile solo a patto che ci si dimentichi della morte, solo a patto che si viva come se fossimo immortali. ([[Nicola Moscardelli]]) *Non appena qualcuno muore, l'immagine che che gli altri conservano di lui subisce una sorta di trasfigurazione. Si solidifica – e sarà poi difficile rompere quella crosta – in una forma idealizzata e non verosimigliante. Questo accade a causa della pietà, dell'affetto, e magari del senso di colpa. ([[Stefano Brusadelli]]) *''Non c'è dignità nella morte | per vendere al mondo il tuo ultimo respiro.'' ([[Robbie Williams]]) *''Non c'è morte | ch'io possa indossare | quando penso | che dopo di me | nulla è niente.'' ([[Riccardo Mannerini]]) *Non c'è nulla che possa sostituire l'assenza di una persona a noi cara. Non c'è alcun tentativo da fare: bisogna semplicemente tenere duro e sopportare.<br>Ciò può sembrare a prima vista molto difficile, ma è al tempo stesso una grande consolazione, perché finché il vuoto resta aperto si rimane legati l'un l'altro per suo mezzo.<br>È falso dire che Dio riempie il vuoto. Egli non lo riempie affatto ma lo tiene espressamente aperto, aiutandoci in tal modo a conservare la nostra antica reciproca comunione, sia pure nel dolore. Ma la gratitudine trasforma il tormento del ricordo in una gioia silenziosa. I bei tempi passati si portano in sé non come una spina, ma come un dono prezioso.<br>Bisogna evitare di avvoltolarsi nei ricordi, di consegnarci ad essi, così come non si resta a contemplare di continuo un dono prezioso, ma lo si osserva in momenti particolari e per il resto lo si conserva come un tesoro nascosto di cui si ha la certezza.<br>Allora sì che dal passato emanano una gioia e una forza durevoli. ([[Dietrich Bonhoeffer]]) *Non c'è pena più profonda che quella di riconoscere i segni dell'ultima separazione. La morte ci ferisce a morte. ([[Maurice Toesca]]) *Non credevo che facesse quest'effetto trovarsi di fronte alla morte: il mio cervello lavora molto più velocemente, come per mettersi in pari di tutto il tempo che ha perduto. (''[[Il viaggio indimenticabile]]'') *Non devi temere la morte, è un'insonne compagna che non tradisce. Nel momento in cui si avvicina, quando al suo cospetto il sangue gela nelle vene, sappi che essa non fa altro che proteggerti dolcemente. (''[[Cowboy Bebop]]'') *Non è che ho paura di morire. È che non vorrei essere lì quando succede. ([[Woody Allen]]) *Non è morire in sé stesso che importa: è morire fallito che ti lascia la bocca amara. (''[[Le nevi del Chilimangiaro]]'') *''Non è ver che sia la morte | il peggior di tutti i mali; | è un sollievo de' mortali | che son stanchi di soffrir''. ([[Pietro Metastasio]]) *Non esiste miglior prova che la morte sia temibile, della pena che i filosofi si prendono per convincere che bisogna disprezzarla. ([[François de La Rochefoucauld]]) *''Non ha sofferto'', le dissero. ''Anzi, non ha provato niente''. Questo la fece piangere ancor di più, e più forte. La morte è la sola cosa nella vita di cui sia necessario essere coscienti mentre accade. ([[Jonathan Safran Foer]]) *Non ho paura di morire, ripeto, non me ne importa. Morire è normale, finire è normale, tutto muore a questo mondo, tutto finisce, allora perché averne paura? Mica che mi dispiaccia stare al mondo, intendiamoci, io son contentissima d'essere al mondo, però più di quel tanto non ci si può stare e così accetto la legge. ([[Virna Lisi]]) *Non importa quanto duramente tu possa tentare di vivere fino alla tua morte, alla fine morirai. (''[[Fullmetal Alchemist]]'') *''Non lodarmi la morte, splendido Odisseo. | Vorrei esser bifolco, servire un padrone, | un diseredato, che non avesse ricchezza, | piuttosto che dominare su tutte l'ombre consunte.'' ([[Achille]], [[Omero]], ''[[Odissea]]'') *Non penso alla morte, ma accetto il fatto che sia parte del gioco. ([[Gilles Villeneuve]]) *Non posso rinascere se prima non muoio, e la morte mi ripugna. ([[Jean Cardonnel]]) *Non potendo parlare sempre della morte, tutti i nostri discorsi sono banali. ([[Nicolás Gómez Dávila]]) *''Non si può ancora morire | mentre ti agiti inerte. | Aggrappati all'ultima azione | che ancora puoi fare: | non devi fallire la morte''. ([[Giorgio Gaber]]) *Non si può ingannare la morte. (''[[Final Destination 2]]'') *Non sopporterei di morire due volte. È una cosa così noiosa. ([[Richard Feynman]]) *Non temer né affrettare il dì supremo. ([[Marco Valerio Marziale]]) *Non temiamo la morte, ma il pensiero della morte. ([[Lucio Anneo Seneca]]) *– Non vorrai morire così?<br />– Non lo so, io non sono mai morto prima. (''[[Solo due ore]]'') *Norbert de Varenne riprese: «No, voi non mi capite, oggi, ma ricorderete più avanti quello che vi dico in questo momento. Capita un giorno, vedete, e per molti capita presto, in cui si smette di ridere, come si suol dire, perché dietro a tutto ciò che si guarda, si vede la morte... Oh! voi non comprendete neanche questa parola: la morte. Alla vostra età non significa nulla. Alla mia età è terribile. Si comprende di colpo, e non si sa perché, né per quale motivo, e allora tutto muta aspetto, nella vita. Io, da quindici anni, la sento che mi rode, come se portassi in me una bestia. L'ho sentita a poco a poco, mese per mese, ora per ora, devastarmi come una casa che sta per crollare. Mi ha talmente trasformato che non mi riconosco più. Non v'è più nulla in me dell'uomo raggiante, fresco e forte che ero a trent'anni. L'ho vista tingere di bianco i miei capelli neri, e con quale lentezza sapiente e cattiva! Mi ha preso la pelle soda, i muscoli, i denti, tutto il mio corpo di un tempo, per lasciarmi soltanto un'anima disperata, e ruberà tra breve anche quella... Sì, mi ha ridotto a pezzi, la sgualdrina, lentamente, terribilmente ha compiuto la lunga distruzione del mio essere, momento per momento. E adesso mi accorgo di morire in ogni cosa che faccio. Ogni passo mi avvicina a lei, ogni movimento, ogni respiro, affretta il suo odioso lavoro. [...] Adesso, la vedo tanto da vicino, che spesso ho voglia di allungare le braccia per respingerla. Copre la terra, riempie lo spazio. La riconosco dappertutto. Le bestioline schiacciate per la strada, le foglie che cadono, i peli bianchi nella barba di un amico, mi straziano il cuore e mi gridano: Eccola! Mi rovina tutto quello che faccio, tutto quello che vedo, che mangio, che bevo, che amo, il chiaro di luna, il sorgere del sole, il mare aperto, i bei fiumi e l'aria delle sere d'estate, così dolce a respirare!» ([[Guy de Maupassant]]) *''O morte, come è amaro il tuo pensiero | per l'uomo che vive sereno nella sua agiatezza, | per l'uomo senza assilli e fortunato in tutto, | ancora in grado di gustare il cibo! | O morte, è gradita la tua sentenza | all'uomo indigente e privo di forze, | vecchio decrepito e preoccupato di tutto, | al ribelle che ha perduto la pazienza!'' (''[[Siracide]]'') *''O morte io son quel cervo | che divorano i cani | La morte eiacula sangue.'' ([[Georges Bataille]]) *''O Morte, vecchio capitano, è tempo, leviamo l'ancora. Questa terra ci annoia, Morte. Salpiamo.'' ([[Charles Baudelaire]]) *''Oh Morte! oh Morte! Eppur terribil tanto | non sei qual sembri. Tu sugli occhi adesso | mi chiami, in vece di spavento, il pianto. || Dunque più non fuggir, vienmi dappresso. | Ah, perché tremo ancor? Vieni, ch'io voglio | ne' tuoi sembianti contemplar me stesso''. ([[Vincenzo Monti]]) *Ogni danno lascia dispiacere nella ricordazione, salvo che 'l sommo danno, cioè la morte che uccide essa ricordazione insieme colla vita. ([[Leonardo da Vinci]]) *Ogni [[paura]] è fondamentalmente orientata verso la morte. Qualunque sia la sua forma, la sua modalità, qualunque sia il suo aspetto, il suo nome, ogni paura è orientata verso la morte. Se vai in profondità, scoprirai di aver paura della morte. ([[Osho Rajneesh]]) *Ogni tradizione spirituale suggerisce lo stesso: mantieni vicino il pensiero della morte. Non fuggirlo... La negazione della morte ingigantisce l'ego, mentre vivendo in sua presenza lo spirito si rafforza e s'ingentilisce. ([[Sam Keen]]) *Ogni volta che muore qualcuno che abbiamo conosciuto ed amato ritornano tutti i soliti confusi pensieri sulla morte, il mistero che incombe su tutti i nostri atti, pensieri, cose. Grandioso, solenne, terribile e semplicissimo episodio della natura che ci rilancia nell'infinito sconosciuto e inconoscibile. Ma non provo terrore. Sono stato due volte in rischio serio di morire e non ho avuto paura. Solo uno struggimento, una commozione al pensiero di non vedere fisicamente le persone, i luoghi, le cose care. La cosa più dura è la fine della percezione fisica, il grande distacco dai sensi: ma l'infinito ci attira, ci risucchia, ci avvolge, ci fa rinascere. ([[Michele Valori]]) *Ogni volta che trascorro del tempo con una persona che sta morendo trovo in effetti una persona che vive. Morire è il processo che inizia pochi minuti prima della morte, quando il cervello viene privato dell'ossigeno; tutto il resto è vivere. ([[Patch Adams]]) *Penso spesso alla morte, sperando che lei non pensi a me. ([[Patrick Tambay]]) *Per conoscere la morte, Otto, devi fottere la vita fino alle budella. ([[Victor Frankenstein|Barone Frankenstein]], ''[[Il mostro è in tavola... barone Frankenstein]]'') *''Per monti e per abissi ella correa, | a la mia pace, all'amor mio rubella, | femmina ad altri, a me regina e dea, | ingannatrice sempre e sempre bella.'' ([[Mario Rapisardi]]) *Per loro {{NDR|i morti}} noi siamo in una tomba angusta mentre la loro anima può spostarsi fino all'estremità di spiagge eteree, di orizzonti infiniti. ([[Teresa di Lisieux]]) *Predicare agli uomini la morte, con le parole o con l'esempio è stato e sarà sempre invano. Si può riconoscere il male, ma esso è tale e tanto, che non si lascia vincere. I saggi indiani hanno predicato l'astinenza e decantato il Nirvana: a che pro? Il più coraggioso rivelatore del dolore e del male ha concepito il suicidio della Terra; con quale effetto? Dove sono le opere, le azioni, i tentativi, un principio di esecuzione? ([[Federico De Roberto]]) *– Professo', voi che sapete tutto, mi sapete dire com'è quando si muore?<br>– Anie', ognuno di noi è come una goccia d'acqua, che prima o poi cade nel mare. E quando questa goccia si scioglie, quell'acqua diventa mare. (''[[Giuseppe Moscati - L'amore che guarisce]]'') *''Pur tu permani, o morte, e tu m'attendi | o sano o tristo, ferma ed immutata, | morte benevolo porto sicuro. | Che ai vivi morti quando pur sia vano | quanto la vita il pallido tuo aspetto | e se morir non sia che continuar | la nebbia maledetta | e l'affanno agli schiavi della vita – | – purché alla mia pupilla questa luce | che pur guarda la tenebra si spenga | e più non sappia questo ch'ora soffro | vano tormento senza via né speme, | tu mi sei cara mille volte, o morte, | che il sonno verserai senza risveglio | su quest'occhio che sa di non vedere, | sì che l'oscurità per me sia spenta.'' ([[Carlo Michelstaedter]]) *''Qual di famosi ingegni è maggior gloria, | ebrei, greci, latini, arabi e persi, | di lingue e stil diversi, | quanti l'antique carte fan memoria, | te han scritta e desiata. | Felice disse alcun chi mòre in fasce; | altri, quando la vita più diletta; | chi, quando men s'aspetta. | Molti beato disser chi non nasce: | molti con forte man t'han cerco e tolta, | grave turba e non stolta! | Tu breve, tu comune e iusta e grata, | tu facil, natural, pronta, che sèpre | il bel fior da la vepre: | nostre calamità prego che ammorte, | benigna e valorosa, optata Morte.'' ([[Pandolfo Collenuccio]]) *Quand'ero ragazzo temevo che la morte fosse la fine di tutto. Più tardi ho sperato che fosse la fine di tutto. Oggi non so più nemmeno io che cosa temo e spero, dato che la mia paura si è insieme svuotata e diffusa, si è trasformata in angoscia, in uno spavento senza oggetto perché comprende tutti gli oggetti. ([[Mario Andrea Rigoni]]) *Quando abbiamo imparato a vivere, moriamo. ([[Lalla Romano]]) *Quando abbiamo la sensazione che l'essenza di noi sopravviverà, se non altro nel ricordo delle persone care, la morte non fa più paura. ([[Marie de Hennezel]]) *Quando abbiamo superato una certa età, l'anima del bambino che siamo stati e l'anima dei morti da cui siamo usciti vengono a gettarci a piene mani le loro ricchezze e i loro sortilegi, chiedendo di cooperare ai nuovi sentimenti che proviamo e nei quali, cancellando la loro antica effigie, li rifondiamo in una creazione originale. [...] Dobbiamo ricevere, dopo una certa ora, tutti i nostri parenti arrivati da tanto lontano e radunatisi intorno a noi. ([[Marcel Proust]]) *''Quando la morte | mi attraversa | strappo il suo grido | allo sparviero | e lo integro | al mio vocabolario''. ([[Anise Koltz]]) *Quando la morte s'abbatte sugli innocenti e i giovani, per ogni fragile forma dalla quale scioglie lo spirito anelante, si levano centinaia di virtù in forma di grazia, di carità e d'amore, e vanno per il mondo, versando benedizioni. Dalle lagrime che i mortali addolorati versano sulle tombe precoci, nasce qualche bene, qualche più soave natura sorge. Sotto i passi della distruttrice balzano radiose creazioni che sfidano la sua potenza, e il suo triste cammino si muta in una via luminosa che conduce al cielo. ([[Charles Dickens]]) *Quando la morte si presenta nella sua vera faccia scarna e truculenta, non la si considera senza timore. Ma quando essa, per burlarsi degli uomini che si vantano di burlarsi di lei, si avanza camuffata, quando soltanto la nostra meditazione riesce a vedere che, sotto le spoglie di quella sconosciuta, la cui dolcezza c'incanta e la cui gioia ci rapisce nell'impeto selvaggio del piacere, c'è la morte — allora siamo presi da un terrore senza fondo. ([[Søren Kierkegaard]]) *Quando la vita biografica sia impedita da una malattia tormentosa, inguaribile e ingravescente (come nel caso di [[Piergiorgio Welby|Welby]]) o da un'irreversibile perdita di coscienza (come nel caso di [[Eluana Englaro|Eluana]]), la vita biologica può essere interrotta da una ''pietas'' che è il rispetto dell'altrui identità ed è l'unica manifestazione autentica della «proprietà riflessiva» dell'amore che lega chi vive a chi muore. ([[Giorgio Cosmacini]]) *''Quando Morte tra noi disciolse il nodo, | che prima avvinse il Ciel, Natura e Amore, | tolse agli occhi l' oggetto, il cibo al core, | l'alme congiunse in più congiunto modo''. ([[Vittoria Colonna]]) *Quando pensi alla persona morta, con la quale hai vissuto per anni, i tuoi pensieri non devono essere rivolti soltanto al passato. Chiedi anche alla persona defunta che cosa vorrebbe dirti oggi, pregala di indirizzarti verso ciò che è veramente importante per la tua vita. ([[Anselm Grün]]) *''Ridicola Umanità, la Morte t'ammira in ogni clima, | sotto ogni sole, con tutte le tue contorsioni, | e spesso, profumandosi di mirra come te, | mischia la sua ironia alla tua insania!'' ([[Charles Baudelaire]]) *Riguardatevi sempre, mi raccomando, dalla morte, ché già dai tempi antichi la morte fu giudicata cosa antipatica. ([[Ubayde Zākāni]]) *''S'i' fosse morte, andarei da mio padre; | s'i' fosse vita fuggirei da lui: | similmente faria da mia madre''. ([[Cecco Angiolieri]]) *Se ci fu mai tempo in cui il pensiero della morte ebbe poco o nessun peso sulle preoccupazioni dei viventi, è certo il tempo in cui viviamo: questo è un fatto che nessuno contesta. Ma come e perché ci si è arrivati? ([[Adriano Tilgher]]) *Se, come ci assicurano, è prevista la vita eterna, perché deve esserci la morte? ([[Nando Tonon]]) *Se improvvisa, la visita del Cupo Mietitore non può essere sgradita. ([[Fausto Cercignani]]) *Se la morte è il fine necessario della vita, tutta la [[saggezza]] consiste nell'affrettarne il conseguimento. ([[Federico De Roberto]]) *Se muore lei, per me tutta questa messa in scena del mondo che gira, possono anche smontare, portare via, schiodare tutto, arrotolare tutto il cielo e caricarlo su un camion col rimorchio, possiamo spegnere questa luce bellissima del sole che mi piace tanto... ma tanto... lo sai perché mi piace tanto? Perché mi piace lei illuminata dalla luce del sole, tanto... portar via tutto questo tappeto, queste colonne, questo palazzo... la sabbia, il vento, le rane, i cocomeri maturi, la grandine, le 7 del pomeriggio, maggio, giugno, luglio, il basilico, le api, il mare, le zucchine... le zucchine... (''[[La tigre e la neve]]'') *Se non sapete morire, non preoccupatevene, la natura vi istruirà sul momento, in modo completo e sufficiente: compirà a puntino questa operazione per voi, non datevene la briga. ([[Michel de Montaigne]]) *''Se potessi vorrei | morire in primavera | all'ombra dei fiori | nella stagione del [[plenilunio]] | nel mese delle gemme.'' ([[Saigyō]]) *Se una pianta non può vivere secondo la propria natura, muore, e allo stesso modo un uomo. ([[Henry David Thoreau]]) *Secondo alcuni la morte è un fenomeno naturale, come il vento e le stelle. Altri ritengono che dipenda da un dio, se non addirittura da più dei. Ma qualunque sia la nostra convinzione, quello che succede quando finisce la vita è un mistero su cui l'uomo si interroga da migliaia di anni. ([[Eirik Newth]]) *Senza [[fede]] non potremmo accettare né concepire la morte. ([[Sophia Loren]]) *''Sì, Dio ha creato l'uomo per l'immortalità; | lo fece a immagine della propria natura. | Ma la morte è entrata nel mondo per invidia del diavolo; | e ne fanno esperienza coloro che gli appartengono.'' (''[[Libro della Sapienza]]'') *Si dovrebbe, per amore della ''vita'' – volere una morte diversa, libera, consapevole, senza accidenti, senza incidenti... ([[Friedrich Nietzsche]]) *Si muore perché il corpo muore, non l'anima. La morte è un fatto fisico, non dello spirito. L'organismo perisce sia perché decade con l'età sia per malattie, ma lo spirito gli sopravvive. Perciò se io riesco a trasferire l'anima in questo impianto, a risanare il corpo e a ridargli l'anima, ho vinto la morte. ([[Victor Frankenstein|Barone Frankenstein]], ''[[La maledizione dei Frankenstein]]'') *''Si nasce | per far guerra alla morte | ed esserne sconfitti. | Da giovani | il nemico è lontano | muoiono quelli più avanti. | Oh bellezza | delle retrovie! | Qualche tiro lungo | uccide un giovanissimo, qua e là | ma pochi | e tu procedi, giochi, | vivi, ami e dimentichi | la battaglia che non ci sarà. | Poi | la morte aggiusta il tiro. | Te ne accorgi | quando colpisce | o i tuoi amici in giro | o qualche scheggia di malattia | ti scalfisce. | Poi tocca a te. | Prima di morire | si passa la bandiera ai figli. | Ma anche loro | non vinceranno.'' ([[Marcello Marchesi]]) *«Siamo nati per morire.» Se l'avessi saputo prima! ([[Roberto Gervaso]]) *Solo da morti, [[scrittore]] e asino, trovano la loro glorificazione. ([[Giorgio Saviane]]) *''Solo davanti la morte fa paura. | Di dietro | è tutto bello innocente all'improvviso. | Maschera di carnevale, nella quale, | dopo la mezzanotte acqua raccogli | per bere o, sudato, lavarti.'' ([[Milan Rúfus]]) *''Solo un fumo torbido è il sogno della morte, | e il fuoco della vita sotto vi arde''. ([[Herman Hesse]]) *Solo dopo la morte siamo fuori tempo massimo. (''[[L'ultimo bacio]]'') *Sono eroi i combattenti che affrontano la morte in guerra. Siamo eroi anche noi vecchi che affrontiamo la morte senza bombe e senza assalti, senza fracasso e senza gloria. ([[Fausto Gianfranceschi]]) *Sono i morti che governano. Guarda, amico, come ci impongono la loro volontà! Chi ha fatto le leggi? I morti! Chi ha fatto le usanze a cui obbediamo e che modellano le nostre vite? I morti! E i diritti di proprietà sulle nostre terre? Non sono forse i morti che li hanno inventati? Se un geometra traccia una riga, comincia da un angolo che è stato fissato dai morti, e se andiamo in tribunale per una controversia, il giudice si mette a compulsare i suoi libri, finché non trova il modo in cui i morti l'hanno risolta, e si conforma alla loro decisione. E tutti gli scrittori, quando vogliono dare peso e autorevolezza alle loro opinioni, citano i morti, e i predicatori e i conferenzieri non hanno forse la bocca piena di parole che sono state già pronunciate dai morti? Caro mio, le nostre vite seguono i solchi che i morti hanno tracciato con l'unghia dei loro pollici! ([[Melville Davisson Post]]) *– Sono sempre i più meglio che se ne vanno!<br />– È la vita, oggi a te domani a lui! (''[[I soliti ignoti]]'') *Spesso sono i giovani ad avere le idee necessarie affinché la [[società]] progredisca. Però i vecchi non sempre sono disposti a cedere loro il posto: in questo caso la morte è utile alla società. ([[Eirik Newth]]) *Talvolta non è giusto che qualcuno possa svignarsela semplicemente morendo. ([[Friedrich Dürrenmatt]]) *''Trovo, dovunque io giro 'l guardo intento, | trista imagin di morte. Ecc'ora il giorno | da l'oriente uscir di luce adorno, | eccol tosto a l'occaso oscuro e spento''. ([[Celio Magno]]) *Tu conosci, o Morte, il fuoco che conduce al cielo. Dichiaralo a me che son degno di fede: come partecipano dell'immortalità gli abitanti del cielo? (''[[Kaṭha Upaniṣad]]'') *– Tu non hai paura della morte, è questo che vorresti far credere a tutti.<br />– È davvero così. Arriva per tutti prima o poi, perché temerla?<br />– Perché tu finirai nel più profondo dei Sette Inferi se gli Dèi sono giusti! (''[[Il Trono di Spade (prima stagione)|Il Trono di Spade]]'') *Tutti devono morire, ma non tutte le morti hanno uguale valore. [...] La morte di chi si sacrifica per gli interessi del popolo ha più peso del Monte Tai, ma la morte di chi serve i fascisti, di chi serve gli sfruttatori e gli oppressori, è più leggera di una piuma. ([[Mao Zedong]]) *Tutti dobbiamo morire un giorno. E tuttavia, di tutte le verità che ci diciamo, è forse quella, perlomeno fino alla vecchiaia, che ci ripetiamo con meno convinzione. ([[Albert Samain]]) *Tutti i morti sono maggiori di noi. Un ragazzo di dieci anni che muore è maggiore di me, per il fatto che lui sa. ([[Julien Green]]) *Tutti un giorno, dobbiamo morire. Non possiamo esser certi di ciò che ci attende dopo morti, ma pensate che stupende possibilità vi sono! Può darsi, come disse [[Socrate]], che la morte sia soltanto un sonno tranquillo. Personalmente, sento che la morte sarà la grande rinascita. Perciò avviamoci alla morte come il bimbo va nel suo letto. Accogliamo tranquillamente quest'ora di coricarsi e diciamo che la vita è stata un bene. ([[Leo Baeck]]) *Un [[confessione|confessore]] si recò da un moribondo e gli disse: «Vengo a esortarvi a morire in pace». L'altro rispose: «E io vi esorto a lasciarmi morire in pace». ([[Nicolas Chamfort]]) *Un male non può essere glorioso; ma esiste una morte gloriosa; dunque la morte non è un male. ([[Zenone di Cizio]]) *Un morto non ha età. ([[Fëdor Dostoevskij]], ''[[L'idiota]]'') *''Un sillogismo:'' sono gli altri a morire; ma io | non sono un altro; quindi non morirò''.'' ([[Vladimir Nabokov]]) *Un uomo non è nato del tutto finché non è morto. Perché allora dobbiamo rattristarci che un nuovo nato abbia preso posto tra gli'immortali? Noi siamo spiriti. Che ci venga prestato un corpo anche se questo ci dà piacere, ci assiste nell'acquistare conoscenze o nel fare del bene ai nostri simili, è un atto generoso e benevolo del Signore. Quando il corpo non serve più a questi scopi e ci dà dolore invece che piacere, quando diventa un ingombro invece di un aiuto, è non meno generoso e benevolo che ci sia dato il modo di liberarcene. La morte è proprio questo.<br>Il nostro amico e noi siamo stati invitati a un viaggio di piacere che durerà in eterno. Il suo seggio era pronto per primo ed egli è partito prima di noi. Non potevamo logicamente partire tutti insieme: e perché tu e io dovremmo rattristarcene, giacché presto dovremo seguirlo e sappiamo dove trovarlo? ([[Benjamin Franklin]]) *Una cosa che ho imparato riguardo alla morte è che sono chiamato a morire per gli altri. È fin troppo evidente che il modo in cui muoio influisce su molte persone. ([[Henri Nouwen]]) *''Una donna stende il bucato | nel silenzio. | La morte è senza vento.'' ([[Tomas Tranströmer]]) *Una maniera del tutto nuova di morire è comparsa nel corso del secolo XX in alcune delle regioni più industrializzate, più urbanizzate, più tecnicamente avanzate del mondo occidentale e senza dubbio siamo ancora agli inizi.<br>Salta agli occhi del meno attento degli osservatori la sua novità, il suo contrasto con tutto ciò che era prima, di cui costituisce l'immagine rovesciata in negativo: la società ha espulso la morte, eccetto quella degli uomini di Stato.<br />Niente più nella città avverte che qualcosa è accaduto: il vecchio carro funebre nero e argento è diventato una banale automobile grigia che si perde nel flusso della circolazione.<br />La società non segna nessuna pausa: la scomparsa di un individuo non intacca più la sua continuità. In città tutto si svolge come se nessuno più morisse. [...] Il modello della morte capovolta ha certo una preistoria nella città borghese, europea e cosmopolita della fine dell'Ottocento [...] ma assume la consistenza attuale negli Stati Uniti e nell'Inghilterra del secolo XX. È là che mette radici perché vi ha trovato le condizioni di sviluppo più favorevoli. ([[Philippe Ariès]]) * Una morte onesta è meglio di una vita vergognosa. ([[Slogan comunisti|slogan comunista]]) *''Veder la china, il baratro profondo, | la via senza ritorno, ultima via... | Triste non è il tramonto, amica mia, | triste è dover assistere al tramonto!''. ([[Nicola Lisi]]) *Veronica, guarda che la morte non esiste. La gente muore solo quando viene dimenticata. (''[[1992 (serie televisiva)|1992]]'') *''Verrà la morte e a te che non sei niente | porgerà la mano, in mezzo all'altra gente, | e tu sarai il primo, come vorrà la sorte, | a danzare con lei la danza della morte. | La morte bizzarra, la morte normale.'' ([[Tiziano Sclavi]]) *Vista in positivo, la morte è una delle poche cose che si possono fare facilmente stando distesi. ([[Woody Allen]]) *''Vogl' i ncampagna c' 'a Morte! | M' a faccio assettà a tavula cu' mmico. | Mangio! Ch'è, nun mangiavo? I', benedico, | tengo nu stommaco forte! || 'O vermiciello, 'o crapetto, | 'o fritto 'e pesce... e doppo – addo' ce azzecca''<ref>Dove ci sta bene.</ref> ''| 'o bicchierello – 'a noce e 'a ficusecca... | Se n'ha da i' nu peretto!''<ref>Peretto: Vaso di vetro in forma di pera.</ref> ''|| Voglio sta allero e cuntento, | ca nun ce abbado si mangiammo 'nzieme. | Le voglio fà avvedè ca nun me preme | ch'è tutt'essa a 'stu mumento! || 'A voglio ridere 'nfaccia! | 'A voglio fa stunà 'cu suone cante... | E quanno 'arcìule 'e vino so' vacante, | me l'astregno forte 'mbraccia... || E strillo: "– S'è 'mbrïacata! | Gente, vedite d' 'a putè fa' scema... | Vedimmo si se scioglie 'stu prublema | Si vene st'ora aspettata! " || E nun 'mporta – 'o bbenedico! – | Si doppo, quanno ha alliggeruto o vino, | me dice a me, truvannome vicino: | "– Mo' vienetenne cu' mmico!"'' ([[Rocco Galdieri]]) *''Voi morti non ci date mai quiete | e forse è vostro | il gemito che va tra le foglie | nell'ora che s'annuvola il Signore.'' ([[Vittorio Sereni]]) *Voltati. Vedrai una compagna che ti segue costantemente. In mancanza di un nome migliore chiamala Morte. È la tua Morte. Puoi averne paura, oppure servirtene a tuo vantaggio. Sta a te la scelta. ([[Wayne Walter Dyer]]) ===''[[Ai confini della realtà (serie televisiva 1959)|Ai confini della realtà]]''=== *È la morte che dà un senso a questo mondo. Amiamo una rosa proprio per la sua caducità. Chi ha amato una pietra? ([[Ai confini della realtà (serie televisiva 1959) (prima stagione)|prima stagione]]) *In questa casa si aggira la morte, l'attrice che entra in scena al terzo e ultimo atto della vita di ognuno di noi. ([[Ai confini della realtà (serie televisiva 1959) (seconda stagione)|seconda stagione]]) *– Io non sapevo che esistessero una bella morte e una brutta morte.<br>– Mh-mh. Una bella morte è una morte artistica, una brutta è una morte da macellai. Lei, Boris, è un macellaio, io sono un artista. Stasera avrà il suo morto, Boris entro poche ore. Ma uccideremo con modalità artistiche, non con una mannaia o una pallottola esplosiva o altri mezzi da macelleria. No, no! Questa morte sarà come un balletto! ([[Ai confini della realtà (serie televisiva 1959) (quinta stagione)|quinta stagione]]) *La morte deve essere così: niente orrore, niente paura, solamente pace. ([[Ai confini della realtà (serie televisiva 1959) (quinta stagione)|quinta stagione]]) *Secondo un detto, ogni uomo viene al mondo condannato a morte. L'ora e il modo dell'esecuzione sono sconosciuti. ([[Ai confini della realtà (serie televisiva 1959) (prima stagione)|prima stagione]]) ===[[Marco Aurelio]]=== *La morte, la vita, la fama, l'infamia, il dolore, il piacere, la ricchezza, la povertà, tutto ciò tocca ugualmente a buoni e cattivi, non essendo queste cose né belle né brutte; e, dunque, neppure beni o mali. *Non disprezzare la morte ma accoglila di buon grado perché anch'essa è un ente tra quelli che natura vuole. *Sulla morte: o dispersione, se ci sono gli atomi; se invece c'è l'unità, o spegnimento o trasferimento. ===[[Clive Barker]]=== *I morti hanno vie di comunicazione.<br>Percorrono le ignote distese dietro la nostra vita, animate dal traffico interminabile di anime dipartite, nell'infallibile procedere di treni fantasma, di vagoni di sogno. Capita di udire le vibrazioni e il tumulto del loro passaggio nei punti di rottura del mondo, attraverso le crepe aperte da atti di crudeltà, violenza e depravazione. Si può scorgere il carico di quei convogli, i morti vaganti, quando il cuore è vicino a scoppiare e si manifestano allora visioni che meglio sarebbe tenere celate.<br>Ci sono autostrade con tanto di segnaletica, viadotti e piazzole di sosta. Ci sono caselli e svincoli.<br>È in corrispondenza di queste intersezioni, dove si incrociano e si mescolano le folle dei morti, che propaggini di questi itinerari segreti tracimano talvolta nel nostro mondo. Il traffico è intenso ai crocicchi, dove più stridule risuonano le voci dei morti. Lì le barriere che separano una realtà da quella attigua si sono assottigliate per il passaggio di innumerevoli piedi *La morte, aveva compreso, era uno specchio di dolore a due facce: quella dei viventi, ciechi e convinti di aver perso i loro cari per sempre; e quella dei morti, che li vedevano soffrire e soffrivano accanto a loro, senza poter offrire una singola sillaba di conforto. *Sapevano sempre molte cose, i morti. Quante volte aveva detto a Harry che erano la più grande risorsa mai sfruttata? Era vero. Tutto quello che avevano visto e sofferto restava sconosciuto a un mondo che invece aveva tanto bisogno di un po' di saggezza. Solo perché, a un certo punto dell'evoluzione della specie, nel cuore dell'uomo si era radicata la profonda e superstiziosa convinzione che i morti fossero una fonte di terrore, invece che di illuminazione. *Tutto è morte, donna. Tutto è dolore. L'amore porta con sé soltanto la perdita. La solitudine conduce al dolore. Non importa cosa facciamo, saremo comunque sconfitti. La nostra unica, vera eredità è la morte. E il nostro unico lascito, la polvere. ([[Pinhead (personaggio)|Pinhead]]) ===''[[Beowulf]]''=== [[File:Siegfried, the hero of the North, and Beowulf, the hero of the Anglo-Saxons (1909) (14566833957).jpg|thumb|La morte di Beowulf]] *Il Fato salva spesso un uomo non destinato ancora a morire, quando il valore non lo abbandona. *Nel tempo fissato, per ognuno di noi verrà il termine della vita nel mondo; e chi può, si conquisti la fama prima della morte. Nulla di più alto può lasciare dietro di sé, quando muore, un cavaliere valoroso. ([[Beowulf (personaggio)|Beowulf]]) *Per l'uomo di valore è più dolce la morte di una vita d'onta! *Per un poco, adesso, è in fiore il tuo valore ma presto accadrà che della tua potenza ti depredino la malattia o la spada o l'abbraccio del fuoco o l'onda dell'acqua o il morso della spada o il volo della lancia, o la vecchiezza tremenda; e allora il lampo che ti arde negli occhi si offuscherà e si spegnerà, e presto accadrà, fiero cavaliere, che la morte ti abbatterà. ([[Hroðgar]]) *Tale sarà sempre la fede d'un uomo, quand'egli pensa di conquistarsi una gloria imperitura nella guerra: per nulla lo turberà il pensiero della morte. ===[[Napoleone Bonaparte]]=== *Ci sono ferite alle quali sarebbe preferibile la morte. Ma sono poche. Al momento di abbandonare la vita, ci si aggrappa ad essa con tutte le forze. *La morte può essere l'espiazione delle colpe, ma non può mai ripararle. *La morte sola può rescindere l'unione formata dalla simpatia, dal sentimento e dall'amore. ===[[Eugenio Borgna]]=== *In fondo, e in sintesi estrema, è per sfuggire alla morte che ci siamo inventati il linguaggio, l'arte, la filosofia, la politica. *L'immagine che vive in noi è legata alla concezione che abbiamo della vita e anche alla differenza che mettiamo tra il morire e la morte. *Nel termine morire rimane "vivo" anche il vivere; nella parola morte la vita scompare. ===[[Louis Bromfield]]=== *Ci sono persone che hanno vissuto con ritmo, che hanno completato il ciclo dell'esistenza passando dall'infuriare della giovinezza alle solide conquiste della maturità e al quieto e pacifico declino verso la morte. La gente di questo genere non teme la morte né lotta per sfuggirla giacché la vita è sempre stata completa, realizzata come un'opera d'arte. Non hanno mai temuto né negato la vita. Non accettano la morte per stanchezza o disperazione ma l'accettano perché hanno compiuto il ciclo con compiuta soddisfazione. Quanti ne sono rimasti al giorno d'oggi? *La morte del corpo non è la fine dello spirito, ma solo una tappa del viaggio, come quando nei tempi andati si cambiava diligenza. *La morte è una cosa rapida, chiara, che non ammette compromessi. ===[[Gesualdo Bufalino]]=== *E se Dio avesse inventato la morte per farsi perdonare la vita? *I fatti sono cocciuti, la morte è il più cocciuto dei fatti. *La morte è uno sverginamento. Portasse anche a una gravidanza! *Pochi si rendono conto che la loro morte coinciderà con la fine dell'universo. *Morire è facile, prima o poi ci riescono tutti. *Morire è un'inciviltà di cui, se potesse, il defunto arrossirebbe. *Morire. Non fosse che per fregare l'insonnia. *Morire sarà, su per giù, come quando su una vetrina una saracinesca s'abbassa. ===[[Charles Bukowski]]=== *La maggior parte delle persone non è preparata alla morte, la propria o quella di chiunque altro. Li sciocca, li terrorizza. È come se fosse una grossa sorpresa. Diavolo, non dovrebbe mia esserlo. Porto la morte nel taschino a sinistra. A volte la tiro fuori e le parlo: "Ciao, bellezza, come va? Quando vieni a prendermi? Sarò pronto".<br />Non c'è da piangere per la morte più di quanto non ci sia da piangere per la crescita di un fiore. Ciò che è terribile non è la morte in sé, ma le esistenze che la gente vive o non vive fino al momento della morte. Non onora la propria vita, piscia sulla propria vita. La caga via. Stolti cazzoni. Si concentrano troppo sullo scopare, sui film, sul denaro, sulla famiglia, sul fottere. Hanno la menti gonfie di ovatta. Inghiottono Dio senza pensare, inghiottono la patria senza pensare. Ben presto si dimenticano come si fa a pensare, lasciano che siano gli altri a pensare per loro. Hanno il cervello gonfi di ovatta. Sono brutti, dicono cose brutte, camminano in modo brutto. Suonagli la grande musica dei secoli e loro non riusciranno a sentirla. La morte di quasi tutte le persone è una farsa. Non c'è rimasto più niente da uccidere. *La morte era così noiosa. E questa era la cosa peggiore della morte. Che era di una noia mortale. Una volta che si presentava non avevi più scampo. Non potevi giocarci a tennis o trasformarla in una scatola di boeri. Se ne stava lì e basta, come una gomma bucata. La morte era stupida. *"La morte non puzza", disse la donna, "solo i vivi puzzano, quelli che stanno per morire puzzano, solo quelli in decomposizione puzzano. La morte non puzza." *Mentre aspettavo ammazzai quattro mosche. Accidenti, la morte era dappertutto. Uomini, uccelli, belve, rettili, roditori, insetti, pesci, nessuno aveva la minima probabilità di sfuggirle. Li sistemava tutti. Non sapevo che cosa fare, al riguardo. Mi venne la depressione. *Non possiamo ingannare la morte ma possiamo farle fare così tanta fatica che quando arriverà a prenderci saprà di avere ottenuto una vittoria altrettanto perfetta della nostra. ===[[Samuel Butler]]=== *E ciò che noi chiamiamo morte non è altro che una scossa abbastanza forte da distruggere il passato e il presente come affini tra loro. In altre parole, la morte non è che la constatazione che la differenza tra il passato e il presente è maggiore della somiglianza, sì che non è più possibile chiamare la seconda fase una continuazione della prima e ci costa meno fatica crederla qualcosa che decidiamo di considerare nuova. *Il tormento della morte sta nella conoscenza di quando e come verrà. *La morte, non è né una fine né un inizio definitivo. Così colui che perde la propria anima la può ritrovare, e colui che la trova potrebbe perderla. *Morire è soltanto cessare di morire e sbrigare la cosa una volta per tutte. *Non c'è nulla che allo stesso tempo abbia così tanta e così poca influenza su un uomo quanto la sua morte. *Tutta la vita di certa gente è una sorta di morte parziale – una lunga, estenuante agonia, per così dire, di immobilismo e di inesistenza cui la morte fa solo da sigillo o da firma solenne: la rinuncia a ogni ulteriore azione o operato da parte del firmatario. La morte sottrae a questi individui quella piccola forza che sembravano avere e non concede loro niente tranne il riposo. *Una morte fatta con stile, in modo lussuoso, è una delle cose più dispendiose a cui un uomo possa indulgere. Morire con tutti i confort costa un sacco di soldi a meno che uno non si spenga alla svelta. ===[[Elias Canetti]]=== *Io posso essere amico solo di spiriti che conoscono la morte. Certo, mi rendono felice se gli riesce di tacere della morte: perché io non posso. *L'esistenza di molte popolazioni è interamente colmata da riti che si riferiscono ai morti. […] L'invidia dei morti è ciò che i vivi temono di più. […] Ogni morto è dunque colui cui altri sopravvivono. *La morte come desiderio si trova davvero ovunque, e non è necessario scavare molto nell'uomo per trarla alla luce. *La morte è una battaglia sempre perduta. ===[[Caparezza]]=== *''Altro giro di lancetta, | io matura, io l'acerba, | mi hanno dato tanti appellativi, | ma tu chiamami "La Certa".'' *È stata rappresentata in molteplici modi, ma io ho scelto di raccontarla come una figura positiva, senza la quale la nostra vita diventerebbe il trionfo dell'apatia e della depressione. Una sorta di motivatrice che ci spinge a dare il meglio di noi durante il tempo limitato che abbiamo a disposizione. *''Mi vedi come la cattiva, la tenebra, la maldita, la dea che fa la bandita, | ma voglio solo schiodarti dalla panchina, | voglio vederti giocare la tua partita, | ringraziami, | che se fossi svanita come una dedica incisa nella battigia | avresti l'anima spenta, l'anima grigia | come la cenere di una cicca nella lattina, | ho dato io il tuo senso a tutto | e sono vera e senza trucco, | anche se non lo ammetti è a me che va il pensiero | più che al cielo del Nabucco.'' *''Non chiamarmi prostituta | perché tutti giacciono con me, | da chi va nei posti in tuta | a chi ha diamanti nei collier.'' *''Smettila di mandarmi fiori | tanto mi azzanneresti come i cani fuori, | piuttosto leggimi dentro come i grandi tomi | perché la vita è un lampo e tu ci arriverai in ritardo come fanno i tuoni. | Io sono il tuo futuro, chiama i testimoni, | non puoi mandare i piani in fumo come gli estintori.'' *''Quando stai male sono la tua litania, | ma quando il male passa divento una tassa, una tirannia.'' *''Ti immagini non ci fossi? | Di sicuro non avresti combinato la metà di niente. | Sono anni che ti sprono a dare il meglio, | ma tu vivi nelle ombre degli inganni. | Forse quando partiremo sarai vecchio | con le tue valigie colme di rimpianti. | Non puoi comprarmi | nemmeno con tutti gli ori dei Nibelunghi: | di sicuro sarai mio, sì, puoi contarci, | quel giorno sarai migliore, quasi per tutti.'' ===[[Miguel de Cervantes]]=== *La morte che ci coglie a un tratto fa subito finire il dolore, ma quella che si prolunga nei tormenti uccide di continuo senza spegner la vita. *Orbene, a tutto c'è rimedio meno che alla morte, sotto il giogo della quale tutti si deve passare, per quanto, quando la vita finisce, ci dispiaccia. *Tuttavia, ti faccio osservare, fratel mio Panza — replicò don Chisciotte — che non c'è ricordo cui il tempo non cancelli, né dolore a cui la morte non metta fine. ===[[Emil Cioran]]=== *La morte è ciò che la vita ha sinora inventato di più solido e sicuro. *Morire a sessanta o a ottant'anni è più duro che a dieci o a trenta. L'assuefazione alla vita, ecco la difficoltà. Perché la vita è un vizio. Il più grande che ci sia. Il che spiega perché si faccia tanta fatica a sbarazzarsene. *Se la morte non fosse una forma di soluzione, i viventi avrebbero già trovato un modo qualsiasi di aggirarla. ===[[Fabrizio De André]]=== *''Cari fratelli dell'altra sponda | cantammo in coro giù sulla terra, | amammo in cento l'identica donna, | partimmo in mille per la stessa guerra, | questo ricordo non vi consoli, | quando si muore, si muore soli.'' *''La morte verrà all'improvviso | avrà le tue labbra e i tuoi occhi | ti coprirà di un velo bianco | addormentandosi al tuo fianco.'' *''Sappiate che la morte vi sorveglia, | gioir nei prati o fra i muri di calce, | come crescere il gran guarda il villano | finché non sia maturo per la falce.'' ===[[Don DeLillo]]=== *È così, dunque: una cosa improvvisa, perentoria? La morte, pensai, non dovrebbe essere invece come l'immersione del cigno, ali bianche, levigato, che lascia la superficie intatta? *È un timore che informa da lungo tempo i miei rapporti con i medici, quello che perdano interesse nei miei confronti, che ordinino all'infermiera di far passare altri prima di me, che diano per scontata la mia morte. *La maggior parte di noi ha probabilmente visto la propria morte, ma non sapeva come far affiorare questa visione. Forse, quando moriremo, la prima cosa che diremo sarà: «Questa sensazione la conosco. Qui ci sono già stato». *La questione del morire si fa saggio strumento di memoria. Ci guarisce della nostra innocenza nei confronti del futuro. Le cose semplici sono fatali, o è una superstizione? *I tibetani cercano di vedere la morte per ciò che essa è. Ovvero la fine dell'attaccamento alle cose. Una verità semplice ma difficile da capire. Tuttavia, una volta che si sia smesso di negare la morte, si può procedere tranquillamente a morire e poi ad affrontare l'esperienza della rinascita uterina, o l'aldilà giudaico-cristiano, o l'esperienza extracorporea, o un viaggio su un Ufo, o come che lo si voglia chiamare. E possiamo farlo con chiarezza di visione, senza timore riverenziale o terrore. Non dobbiamo aggrapparci artificialmente alla vita, e neanche alla morte. Non si fa altro che procedere verso le porte scorrevoli. Onde e radiazioni. Guarda come è tutto ben illuminato. Questo posto è sigillato, conchiuso in sé. E senza tempo. Un altro motivo per cui penso al Tibet. Morire, in Tibet è un'arte. Arriva un sacerdote, si siede, dice ai parenti in lacrime di andarsene e fa sigillare la stanza. Porte e finestre, tutte sigillate. Ha cose serie da fare. Salmodie, numerologia, oroscopi, recitazioni. *Nelle città nessuno più nota la specificità del morire. Il morire è una componente dell'aria. Si trova ovunque e in nessun luogo. Morendo gli uomini gridano, per farsi notare, per farsi ricordare per un paio di secondi. Morire in un appartamento di città può deprimere l'anima, penso, per diverse vite a venire. Nelle cittadine di provincia invece ci sono le villette, le piante nei bovindi. La gente nota di più la morte. I morti hanno volti, automobili. Se non si sa un nome, si sa però quello di una strada, di un cane. «Aveva una Mazda arancione». Di una persona si sanno un paio di cose inutili che diventano importanti elementi di identificazione e collocazione cosmica, nel caso in cui essa muoia all'improvviso, dopo una breve malattia, nel proprio letto, con trapunta e cuscini rivestiti uguali, in un mercoledì pomeriggio piovoso, febbricitante, un po' congestionata nei seni nasali e al petto, pensando alla lavatura a secco. ===[[Angelo di Costanzo]]=== *''Il primo annunzio di mia cruda morte, | se a chi muor per [[Amore|amor]] tanto è concesso, | vo' che tra il sonno l'ombra mia t'apporte''. *''Lasciando con la [[patria]] ogni conforto, | ove più l'Appennin la neve agghiaccia, | carco n'andrò di così gravi some, | chiamando morte, e te sola per nome''. *''Poi c'hai del sangue mio sete si ardente, | e perchi'io mora, o Morte acerba e ria, | sei mossa per ferir la donna mia, | col velenoso stral fiero e pungente''. *''Quand'un [[Anima|alma]] gentil, credo dal cielo | discesa, ad onorar quel chiaro giorno, | però che tal nascer non suole in terra, | vidi tra molte stelle a par d'un sole | con raggi fiammeggiar, da far in vita | tornar quanti mai spense avara morte''. ===[[Philip K. Dick]]=== *Che stronza [[Emily Dickinson]], quando cinguettava della "dolce Morte". L'idea che la morte sia dolce è abominevole. La Dickinson non ha mai visto un groviglio di sei o sette automobili sulla Easthore Freeway. *È sorprendente: il potere della morte umana di far rinsavire. Ha più peso di ogni parola, di ogni argomento: è la forza ultima. Si impossessa della tua attenzione e del tuo tempo. E ti lascia cambiato. *Quando un certo errore comincia a essere commesso da un bel po' di persone, allora diviene un errore sociale, uno [[stile di vita]]. E in questo particolare stile di vita il motto è: "Sii felice oggi perché domani morirai"; ma s'incomincia a morire ben presto e la felicità è solo un ricordo. ===[[Emily Dickinson]]=== *Ho notato che la Morte fa frequenti visite, dove si è già presentata, rendendo desiderabile prevenire i suoi approcci. *Morire prima di aver paura di morire può essere un dono. *Non pensiamo abbastanza ai Morti come fonte di ebbrezza – Essi non dissuadono ma Adescano – Custodi di quella grande Avventura ancora preclusa a noi – mentre agogniamo (invidiamo) la loro saggezza lamentiamo il loro silenzio. *Non ti sembra terribile l'[[Eternità]]? Ci penso spesso e mi sembra così buia che quasi desidererei che non ci fosse Eternità. Credere che dobbiamo vivere per sempre e non cessare mai di esistere. Sembra come se la Morte di cui tutti hanno paura perché ci lancia in un mondo sconosciuto sia un sollievo rispetto a uno stato di esistenza così interminabile. Non so perché ma mi sembra di non dover mai cessare di vivere sulla terra – non riesco a immaginare con la mia immaginazione più fervida la scena della mia morte – Mi sembra di non dover mai chiudere gli occhi nella morte. Non riesco a rendermi conto che la tomba sarà la mia ultima dimora – che gli amici piangeranno sulla mia bara, che il mio nome sarà menzionato, come uno di quelli che ha cessato di essere fra i rifugi dei viventi, e ci si chiederà dove è volato il mio spirito disincarnato. *''Poiché non potevo fermarmi per la Morte – | lei gentilmente si fermò per me.'' *''Polvere è l'unico Segreto – | Morte, l'unica Creatura | di cui non si può scoprire nulla | nella sua "città natale". || Nessuno conobbe "suo Padre" – | non fu mai Fanciulla – | non ebbe compagni di gioco, | o "storia di Inizi" – | Operosa! Laconica! | Puntuale! Pacata! | Spavalda come un Brigante! | più silenziosa di una Flotta! || Costruisce, come un Uccello, anche! | Cristo deruba il Nido – | Pettirosso dopo Pettirosso | di contrabbando al Riposo!'' *Se i morenti potessero aver fiducia della Morte, non ci sarebbero Morti. ===[[John Donne]]=== *''Morte, non andar fiera se anche t'hanno chiamata | possente e orrenda. Non lo sei. | Coloro che tu pensi rovesciare non muoiono, | povera morte, e non mi puoi uccidere.'' *Nessun uomo è un'isola, completo in se stesso; ogni uomo è un pezzo del continente, una parte del tutto. Se anche solo una zolla venisse lavata via dal mare, l'Europa ne sarebbe diminuita, come se le mancasse un promontorio, come se venisse a mancare una dimora di amici tuoi, o la tua stessa casa. La morte di qualsiasi uomo mi sminuisce, perché io sono parte dell'umanità. E dunque non chiedere mai per chi suona la campana: suona per te. *''Un breve sonno e ci destiamo eterni. | Non vi sarà più morte. E tu, morte, morrai.'' ===''[[Dr. House - Medical Division]]''=== *La morte non è interessante. Per te conta solo ciò che è interessante: rompicapo, idee, analisi... La morte è il contrario di un bel rompicapo. La morte è un eterno nulla. ([[Dr. House - Medical Division (ottava stagione)|ottava stagione]]) *– Non voglio che le diate farmaci che danneggino il suo organismo...<br/>– Lo sa cos'altro danneggia un organismo? La morte! ([[Dr. House - Medical Division (terza stagione)|terza stagione]]) *Quasi morire non cambia niente, è la morte che cambia tutto quanto. ([[Dr. House - Medical Division (quinta stagione)|quinta stagione]]) ===[[Dracula (romanzo)|''Dracula'' (romanzo)]]=== *Dicono che coloro i quali sono in punto di morte, per lo più rendano l'anima nei momenti di transizione, all'alba e al mutare della marea; e chiunque abbia sperimentato, quando sia stanco, e come incollato al suo posto, quella trasformazione che ha luogo nell'atmosfera, non faticherà a credermi. ([[Jonathan Harker]]) *La vita in fondo cos'è? Solo l'attesa di qualcosa altro, no? E la morte l'unica cosa che possiamo essere sicuri che viene. *Sono troppo infelice, troppo giù di morale, troppo nauseato del mondo e di tutto quel che c'è dentro, vita compresa, e non mi importerebbe niente di sentire in questo momento il batter d'ali dell'Angelo della Morte. ([[John Seward]]) ===[[Dracula (miniserie televisiva)|''Dracula'' (miniserie)]]=== *La fine è una benedizione. Morire ti da la prospettiva. È la cima della montagna da cui tutta la tua vita è finalmente visibile dall'inizio alla fine. La morte ti completa. *La morte è l'unico atto che sa ancora di novità. Ogni altra esperienza umana è catalogata da qualche parte nelle vostre infinite biblioteche digitali. Non c'è nulla di nuovo. Ogni istante di vita è deteriorato e di seconda mano, tranne quell'unico momento dell'esistenza che nessuno è mai stato in grado di raccontare. In un mondo di strade già percorse, la morte è l'unica neve ancora immacolata. *Perché il trapasso arriva sempre come un tale shock per voi mortali? ===''[[Dylan Dog]]''=== *''Chi è colui così gagliardo e forte che possa vivere senza poi morire? E da colei ch'è tutto, Madonna Morte, l'anima sua possa far fuggire? La Morte schifosa, la Morte lasciva! La Morte! La Morte! La Morte che arriva! La Morte, la Morte, dolcissima e amara, la Morte che avanza nella notte chiara. La Morte di pietra, la Morte di neve, la Morte che arriva con passo lieve. La Morte che dona, la Morte che prende, la Morte che ruba, la Morte che rende, la Morte che passa, la Morte che sta, la Morte che viene, la Morte che va. La Morte che arriva con il suo dolore, e avvolge ogni cosa con il suo fulgore. La Morte regina senza scettro e corona, La Morte! La Morte! La Morte in persona! La Morte! La Morte! La Morte furiosa, la Morte maligna, la Morte pietosa, la Morte sicura, la Morte carogna, la Morte che ha il muso di un topo di fogna. Verrà la Morte, e i tuoi occhi avrà | e la bellezza tua, vanità di vanità... | Verrà la Morte e porterà con sé | tutto il tuo impero, tutto, insieme a te... | Verrà la Morte e taglierà il legame | così sottile e forte, così bello e infame... | Verrà la Morte, sarà la tua coscienza, | è stata tua compagna in tutta l'esistenza... | Verrà la Morte, e a te che non sei niente | porgerà la mano, in mezzo all'altra gente... | ...e tu sarai il primo, come vorrà la sorte, | a danzare con lei la danza della Morte! | [...] la Morte ha danzato, la Morte tua sposa, | la Morte maligna, la Morte pietosa.'' *''In principio erano le tenebre, e sulle tenebre regnava la madre, regina degli orrori della nostra umanità, sovrana della notte eterna, madre sterile di infiniti figli, ignota a tutti e da tutti conosciuta, perché il suo nome è Morte!'' *Io sono colei che tutto spiega e che nessuno può spiegare... io sono l'immagine allo specchio, sono il mistero che è al di là della vita... sono il sonno senza sogni, sono il pensiero che vola via, la grande consolatrice... io sono... la Morte! *''La Morte che uccide, la Morte che piange | la Morte che ha lacrime fatte di sangue | La Morte stanca, la Morte triste, | la Morte che ha visto cose mai viste.'' *''La Morte di vetro, metallo, lamiera, | la Morte che viene di giorno e di sera | La Morte di schianto, di colpo, improvvisa, | la Morte temuta, la Morte derisa | La Morte gloriosa, la Morte banale, | la Morte al disopra del bene e del male!'' *''La Morte! La Morte! La Morte che ha fretta! | La Morte che arriva e nessuno l'aspetta! | La Morte nel ventre, la Morte nel cuore, | la Morte che arriva con tutto il suo orrore!'' *La morte non è una condanna. È l'unica certezza che ci resta. Volevo vedere il futuro e non ho visto che polvere... è tempo che la polvere torni alla polvere. *Se la morte giungesse solo a chi se l'aspetta, finirebbe con il diventare noiosa. ===[[Umberto Eco]] === *Io ho il diritto di scegliere la mia morte per il bene degli altri. *La prima qualità di un onest'[[uomo]] è il disprezzo della [[religione]], che ci vuole timorosi della cosa più naturale del mondo, che è la morte, odiatori dell'unica cosa bella che il destino ci ha dato, che è la vita, e aspiranti a un [[cielo]] dove di eterna beatitudine vivono solo i pianeti, che non godono né di premi né di condanne, ma del loro moto eterno, nelle braccia del vuoto. Siate forti come i saggi dell'antica [[Grecia]] e guardate alla morte con occhio fermo e senza paura. *Voglio [...] parlare della mia morte, e ammetterete che in questo caso ho qualche diritto all'esternazione. ===[[Albert Einstein]]=== *A chi è piegato dall'età, la morte verrà come un sollievo. Lo sento molto fortemente ora che sono arrivato io stesso alla vecchiaia, e a considerare la morte come un vecchio debito che è giunto il momento di pagare. Ma istintivamente, facciamo di tutto per ritardare quest'ultimo adempimento. Così la natura si diverte a giocare con noi. *La nostra morte non è una fine se possiamo vivere nei nostri figli e nella giovane generazione. Perché essi sono noi: i nostri corpi non sono che le foglie appassite sull'albero della vita. *Non voglio e non posso figurarmi un individuo che sopravviva alla sua morte corporale: quante anime deboli, per paura e per egoismo ridicolo, si nutrono di simili idee! ===[[Ugo Foscolo]]=== *''A' generosi | giusta di gloria dispensiera è morte.'' *''All'ombra de' cipressi e dentro l'urne | confortate di pianto è forse il sonno | della morte men duro?'' *''Gli occhi dell'uom cercan morendo | il [[Sole]]: e tutti l'ultimo sospiro | mandano i petti alla fuggente luce.'' *La sola morte, a cui è commesso il sacro cangiamento delle cose, promette pace. *Se gli uomini si conducessero sempre al fianco la morte, non servirebbero sì vilmente. ===[[Fausto Gianfranceschi]]=== *Da giovani la morte è una commedia scritta da altri per altri attori. *La morte è un mistero che promette di risolversi quando accadrà. *Ogni morte è un sacrificio che tiene in vita il mondo. *Sono eroi i combattenti che affrontano la morte in guerra. Siamo eroi anche noi vecchi che affrontiamo la morte senza bombe e senza assalti, senza fracasso e senza gloria. ===''[[Epopea di Gilgamesh]]''=== *Fin dai tempi antichi, nulla permane. Dormienti e morti, quanto sono simili: sono come morte dipinta. Che cosa divide padrone e servo quando entrambi hanno compiuto il proprio destino? Quando gli Anunnakkū, i giudici, si radunano e anche Mammetun madre dei destini, assieme decretano i fati degli uomini. Vita e morte assegnano, ma non rivelano il giorno della morte. *La morte abita nella mia camera; ovunque si posi il mio piede, lì trovo la morte. *Quando gli dèi crearono l'uomo, gli diedero in fato la morte, ma tennero la vita per sé. ===''[[Grey's Anatomy]]''=== *Dicono che la morte sia più dura per chi sopravvive. È difficile dire addio, a volte è impossibile. In realtà non smetti mai di sentire la perdita. È questo che rende tutto agrodolce. Lasciamo dei pezzetti di noi alle nostre spalle, piccoli ricordi. Una vita di ricordi, fotografie, gingilli. Cose per cui saremo ricordati, anche quando non ci saremo più. ([[Grey's Anatomy (nona stagione)|nona stagione]]) *La morte cambia tutto. C'è il crollo emotivo, certo, ma ci sono anche le cose pratiche. Chi farà il tuo lavoro? Chi si prenderà cura della tua famiglia? L'unica cosa positiva per te, è che non devi preoccupartene tu. Gente che non hai mai visto abiterà in casa tua, prenderà il tuo posto. Il mondo andrà avanti, senza di te. ([[Grey's Anatomy (nona stagione)|nona stagione]]) *Se sei una persona normale, una delle poche cose su cui puoi contare nella vita è la morte. Ma, se sei un chirurgo, anche quel conforto ti viene negato. Noi chirurghi inganniamo la morte, la prolunghiamo, la neghiamo. Ci fermiamo e, con sfida, mostriamo il dito medio alla morte. ([[Grey's Anatomy (quinta stagione)|quinta stagione]]) ===[[Ernst Jünger]]=== *La mente può sviluppare i nessi logici solo fino a un determinato punto, raggiunto il quale la prova deve cedere il passo all'evidenza. Lì occorre compiere il salto oppure ritirarsi.<br>Il punto di rottura in questione indica un mistero del tempo. I punti di rottura sono luoghi di ritrovamenti. Anche la morte è un punto di rottura, non una fine; ed è questo l'orizzonte della parola «origine» *Nell'uomo sono sopite anche qualità che solo la morte porterà a dispiegare. Allora la metamorfosi avrà luogo non più negli strati, bensì nella pienezza.<br>Grandi avventurieri – questa sarà per voi l'ultima e suprema avventura. *Nessuno può sottrarsi all'ultimo incontro, quello con la morte. Qui ognuno si espone in modo assoluto. La potenza della morte si sottrae al tempo e al numero, diventa immaginaria. *O [[ricordo]], chiave d'accesso al nucleo più intimo degli esseri umani e delle esperienze vissute! Sono certo che tu sei racchiuso anche nel vino cupo, amaro e inebriante della morte come l'ultimo e decisivo trionfo dell'essere sull'esistenza. *Spesso ho come l'impressione che i morti diventino più maturi e più miti; crescono dentro di noi con radici postume – siamo <nowiki>''</nowiki>noi<nowiki>''</nowiki> il vero camposanto, la vera terra consacrata del cimitero. Essi vogliono essere seppelliti nel nostro cuore. Ce ne sono grati, e questo vincolo dà alle famiglie e ai popoli la forza di trasformarsi nel tempo. *Vi sono degli incontri totali che mettono in questione il corpo e la vita; essi inaugurano un vasto campo che si estende tra l'intelligenza politica e la disciplina etica.<br/>Nessuno può sottrarsi all'ultimo incontro, quello con la morte. Qui ognuno si espone in modo assoluto. La potenza della morte si sottrae al tempo e al numero, diventa immaginaria. Se inseriamo per il singolo, come per colui che è sconosciuto a sé, in numero base X, egli sarà esposto infinitamente:<br />{{centrato|'''X'''<sup>∞</sup>}}<br />Solo così l'individuo diventa «indivisibile», come esprime il suo nome. Il fatto che la sua potenza superi qualsiasi misura e valutazione, include una speranza che oltrepassa quella del Paradiso. L'arte e i culti circondano e ornano il muro del tempo; ognuno celebra da solo il sacramento della morte. Nella morte di Ivan Ilijc, [[Lev Tolstoj|Tolstoj]] descrive il passaggio durante il quale l'esistenza non viene tolta, ma l'individuo rinuncia ad essa. <br/> A questo proposito [[Martin Heidegger|Heidegger]] scrive: «La rinuncia non toglie. La rinuncia dona. Dona la forza inesauribile dell'infinito». ===[[Stanisław Jerzy Lec]]=== *Da secoli continuiamo a cambiare abiti, ma la morte ci ritrova sempre. *Il tacito orgoglio dell'uomo: la morte si difende da noi, ma alla fine soccombe. *La clientela della morte non si estingue mai. *La morte è il deus ex machina della tragedia umana. *La prima condizione dell'[[immortalità]] è la morte. *Per ogni cadavere ascriviamo alla morte un "più" con una croce al cimitero. *Se si potesse scontare la morte dormendola a rate! ===[[Giacomo Leopardi]]=== *''Che sia questo morir, questo supremo | scolorar del sembiante, | e perir della terra, e venir meno | ad ogni usata, amante compagnia.'' *La morte non è male: perché libera l'uomo da tutti i mali, e insieme coi beni gli toglie i desiderii. La vecchiezza è male sommo: perché priva l'uomo di tutti i piaceri, lasciandogliene gli appetiti; e porta seco tutti i dolori. Nondimeno gli uomini temono la morte, e desiderano la vecchiezza. *La natura ci destinò per medicina di tutti i mali la morte. (''[[Operette morali]]'') *Nemica capitale della memoria. (''[[Operette morali]]'') *Non era naturale all'uomo da principio il procacciarsi la morte volontariamente: ma né anco era naturale il desiderarla. Oggi e questa cosa e quella sono naturali; cioè conformi alla nostra natura nuova: la quale, tendendo essa ancora e movendosi necessariamente come l'antica, verso ciò che apparisce essere il nostro meglio; fa che noi molte volte desideriamo e cerchiamo quello che veramente è il maggior bene dell'uomo, cioè la morte. (''[[Operette morali]]'') *Se mi fosse proposta da un lato la fortuna e la fama di Cesare o di Alessandro netta da ogni macchia, dall'altro di morir oggi, e che dovessi scegliere, io direi, morir oggi, e non vorrei tempo a risolvermi. (''[[Operette morali]]'') *''Sola nel mondo eterna, a cui si volve | ogni creata cosa, | in te, morte, si posa | nostra ignuda natura; | lieta no, ma sicura | dall'antico dolor.'' (''[[Operette morali]]'') *Troppo sono maturo alla morte, troppo mi pare assurdo e incredibile di dovere [...] durare ancora quaranta o cinquant'anni, quanti mi sono minacciati dalla natura. Al solo pensiero di questa cosa io rabbrividisco. [...] Oggi non invidio più né stolti né savi, né grandi né piccoli, né deboli né potenti. Invidio i morti, e solamente con loro mi cambierei. (''[[Operette morali]]'') ===[[Philipp Mainländer]]=== *Come le ossa bianche indicano le vie attraverso il deserto, così i monumenti segnano i regni culturali decaduti, rendendo nota la morte di milioni, come binari della civiltà. *E poi la silenziosa notte della morte assoluta inabisserà tutti. Come tutti nel momento del trapasso trepideranno beati: sono redenti, redenti per sempre! *L'animale non conosce la morte e la teme solo in modo istintivo, percependola come un pericolo. L'uomo, al contrario, conosce la morte e sa che cosa essa significa. [...] L'amore per la vita viene aumentato: l'animale segue soprattutto i suoi istinti, che si limitano a soddisfare la fame, la sete ed il bisogno di riposo. Esso vive in un ristretto ciclo vitale. Invece, nei confronti dell'uomo, e per mezzo della sua ragione, la vita si presenta sotto forma di ricchezza, di donne, di onore, di potere, di fama, ecc... che suscitano la sua brama di vita e la volontà di vita. [...] Nell'uomo, di conseguenza, la volontà di morte, istinto della sua natura più recondita, non viene semplicemente più celato dalla volontà di vita, come nell'animale, ma scompare completamente nel profondo, dove solamente di tanto in tanto si mostra come struggimento profondo di tranquillità. *La speranza di condurre una lunga vita, di continuare ad esistere sino alla mia morte naturale: questo per me è inconcepibile. *Però il filosofo immanente vede in fondo nell'intero universo nient'altro che il profondo desiderio di annichilimento assoluto, ed in lui è come se ascoltasse parlare chiaramente una voce che attraversa tutte le sfere del cielo, e dice: ''Redenzione! Redenzione! Morte alla nostra vita!'' – e pronunciare la rispettiva confortante risposta: ''troverete tutti la fine e sarete redenti.'' ===[[Thomas Mann]]=== *Il rispetto degli altri per le nostre sofferenze ce lo procura soltanto la morte, che nobilita anche le sofferenze piú meschine. *La morte di un [[uomo]] è meno affar suo che di chi gli sopravvive. ([[Thomas Mann]]) *La morte era una felicità così grande che solo nei momenti di grazia, come quello, la si poteva misurare. Era il ritorno da uno sviamento indicibilmente penoso, la correzione di un gravissimo errore, la liberazione dai più spregevoli legami, dalle più odiose barriere... il risarcimento di una lacrimevole sciagura. ===[[Sándor Márai]]=== *Arriviamo a comprendere fino in fondo gli esseri umani ai quali siamo uniti da un vincolo indissolubile soltanto nell'attimo della loro morte. *Il grande esame da superare nella vita non è la morte, bensì il morire. Ma la malattia e la morte hanno un che di osceno. Questo rovescio dell'esistenza corporea è al tempo stesso orrido e lubrico. *La via di ritorno dalla vita alla morte è oscura, brancolo dal nulla verso il nulla e lungo il percorso, ogni tanto, una parola, un concetto risplendono come lucciole nella buia foresta. *Le tante menzogne che si raccontano sulla morte mi fanno venire la nausea. La vita eterna. Vita oltre la morte. Giudizio, sfere, paradiso e inferno. Sono sempre menzogne piagnucolose, insulse, ripugnanti. La realtà è oscena e sogghignante, è la morte. *Ottantacinque anni fa venni alla luce su questo pianeta. In un giorno simile, il mortale pensa alla morte in maniera diversa dagli ottantacinque anni precedenti. L'uomo è sempre cosciente della morte, la considera un naturale compimento del difficile e incomprensibile corso dell'esistenza, tuttavia si limita ad «averne coscienza», l'accetta. Arriva in fine il tempo in cui l'uomo acconsente a morire. Non è una sensazione tragica. Piuttosto un senso di sollievo, come quando, dopo aver lungamente riflettuto, si comprende qualcosa di incomprensibile. *Sono in molti a comprendere soltanto tardi che il mistero più grande, nella vita, non è la morte, bensì il morire. E ogni ars moriendi è pura fantasticheria, un'arte simile non esiste. ===[[Henry de Montherlant]]=== *Beati coloro che muoiono senza pettegolezzi e senza lamenti, nella santa solitudine in cui muoiono le bestie e i soldati in fondo a una buca scavata da una granata. *Ciò che bisognerebbe riuscire a fare, è morire col sorriso sulle labbra. *Non occuparsi di quel che sarà dopo la morte, né sul piano metafisico, che sarebbe tempo perso dato che non possiamo saperne nulla; né sul piano concreto poiché delle nostre ultime volontà nulla sarà fatto. *Quando morirò, si troveranno ancora delle ragioni per mostrare che non sono morto come era opportuno. ===''[[Nosferatu, il principe della notte]]''=== *Chi dice che la morte è crudele sono solo gli inconsapevoli. Ma la morte non è che un taglio netto. È molto più crudele non essere capaci di morire. ([[Conte Dracula]]) *La morte non è il peggio: ci sono cose molto più orribili della morte. Riesce a immaginarlo? Durare attraverso i secoli, sperimentando ogni giorno le stesse futili cose. ([[Conte Dracula]]) *La morte è inevitabile. Alla fine saremo tutti soli. Le stelle ci vengono incontro confusamente. Il tempo scorre. I fiumi scorrono senza di noi. Solo la morte è crudelmente certa. ([[Lucy Westenra|Lucy Harker]]) ===[[Quinto Orazio Flacco]]=== *''L'estremo limite di tutto, | la morte.'' *La pallida morte batte ugualmente al tugurio del povero come al castello dei re. *''Persegue anche chi l'evita | la Morte.'' ===[[Chuck Palahniuk]]=== *Con la gente famosa è così, quando tirano le cuoia la loro cerchia di amici intimi si ingigantisce. Un morto famoso non può girare per strada senza incontrare un milione di migliori amici che nella vita vera non ha mai conosciuto. *Il [[dolore]] e l'[[odio]] e l'[[amore]] e la [[gioia]] e la [[guerra]] esistono perché siamo noi a volerli. E vogliamo che tutto sia così drammatico per prepararci alla prova finale che ci aspetta: affrontare la morte. *Io e la morte, separati alla nascita. ===[[Cesare Pavese]]=== *La morte, ch'era il vostro coraggio, può esservi tolta come un bene. *Ma morire è proprio questo – non più sapere che sei morta. *Non sarebbero uomini, se non fossero tristi. La loro vita deve pur morire. Tutta la loro ricchezza è la morte, che li costringe industriarsi, a ricordare e prevedere. *Tu non sai quanto la morte li attiri. Morire è sì un destino per loro, una ripetizione, una cosa saputa, ma s'illudono che cambi qualcosa. *''Verrà la morte e avrà i tuoi occhi | questa morte che ci accompagna | dal mattino alla sera, insonne, | sorda, come un vecchio rimorso | o un vizio assurdo''. ===[[Mariano José Pereira da Fonseca]]=== *La morte aggiusta e salda molti conti nei contrasti fra uomini. *La morte distrugge in ogni uomo un originale che non avrà altro uguale per tutta l'eternità. *La morte è il termine del primo tirocinio del nostro spirito in questo mondo, è una promozione intellettuale per un nuovo e più vasto sistema e ordine di cose e idee. *Siamo maturi per la morte quando arriviamo a disincantarci del mondo e della vita umana. ===[[Fernando Pessoa]]=== *Guardando un cadavere, la morte mi sembra una partenza. Il cadavere mi dà l'impressione di un vestito smesso. Qualcuno se n'è andato e non ha avuto bisogno di portare con sé quell'unico vestito che indossava. *''La morte è la curva della strada | morire è solo non essere visto. | Se ascolto, sento i tuoi passi | esistere come io esisto.'' *Tutto è aver speranze o è morte. ===[[Francesco Petrarca]]=== *''Che altro ch'un sospir breve è la morte?'' *''Degna | di poema chiarissimo e d'istoria.'' *''La morte è fin d'una pregione oscura | a l'anime gentili; a l'altre è noia, | ch'hanno posto nel fango ogni lor cura.'' *''Morte fura | prima i migliori, e lascia star i rei.'' *''O ciechi, il tanto affaticar che giova? | Tutti torniamo a la grande madre antica, | e il nome nostro a pena si ritrova''. *''Un bel morir tutta la vita honora.'' ===[[Luigi Pirandello]]=== *Ah, che vuol dir morire! Nessuno, nessuno si ricordava più di me, come se non fossi mai esistito... *Mi accorsi tutt'a un tratto che dovevo proprio morire ancora: ecco il male! Chi se ne ricordava più? Dopo il mio suicidio alla ''Stia'', io naturalmente non avevo veduto più altro, innanzi a me, che la vita. Ed ecco qua, ora: il signor Anselmo Paleari mi metteva innanzi di continuo l'ombra della morte. *Morto? Peggio che morto; me l'ha ricordato il signor Anselmo: i morti non debbono, più morire, e io sì: io sono ancora vivo per la morte e morto per la vita. Che vita infatti può esser più la mia? La noja di prima, la solitudine, la compagnia di me stesso? ===[[Jules Renard]]=== *Il mistero della morte è più che sufficiente. Tutto quello che vi si ricollega non è che un enorme intreccio da teatro. *La morte potrebbe essere il sogno se, tratto tratto, si potesse aprire un occhio. *Non si muore. La morte è una specie di vita covata. *Quando si comincia a guardarla bene in faccia la morte è facile da capire. *Quando si sta per morire, si sa di pesce. *Quelli che hanno parlato meglio della morte sono tutti morti. ===[[Giuseppe Rensi]]=== *Ciò che principalmente ti affligge nella morte altrui è la rinnovata visione della certezza della tua. *"L'essere", questo è ciò che senz'altro è per sé stesso il male e il delitto. Esso non può reggersi se non mediante l'uccisione, la distruzione, l'incorporazione di altro essere, cioè di altri esseri (il nutrirsi, il nascere). Giusto è perciò morire, la morte è la giusta e meritata pena inflitta a quel delitto che è l'essere e nello stesso tempo è l'uscita da esso, cioè, la liberazione e la purgazione da esso. il vero e unico Σοτήρ, la vera e unica Σοτήρία. *Sei annoiato degli avvenimenti della vita, sempre gli stessi? Vuoi una novità? Una vera novità? Di tutto hai fatto l'esperimento, tutto più o meno conosci. Una sola cosa v'è di cui non hai alcuna idea come di cosa veramente vissuta ed esperimentata, che nella tua vita non hai mai provato, che non riesci nei particolari nemmeno ad immaginare. Questa sarà la genuina, la grande novità, il fatto veramente e sostanzialmente diverso da tutti gli altri che ti sono accaduti, l'avventura straordinaria, nulla di simile alla quale hai mai conosciuto. Non senti mai la curiosità di sapere come sarà? Cos'è? La morte. ===[[José Revueltas]]=== *Bisogna salvarsi per poter morire, perché la morte non sopraggiunga senza coscienza, ma chiara, precisa, limpida. *Che rabbia che la morte forse non avesse confini, fosse grande come un muscolo di Dio! *La morte non è il morire, ma ciò che avviene prima di morire, immediatamente prima, quando non ha ancora penetrato il corpo, e se ne sta immobile, bianca, nera, viola, livida, seduta sulla sedia più vicina. *Qualche volta si scopre che la morte è molto posteriore alla vera morte, come la vita, a sua volta, anteriore alla coscienza della vita. *Un uomo muore in così larga misura, quando il suo cervello è remoto e offuscato! Muore perché deve morire sul suo corpo, dove viaggiano gli enigmi, ed è al tempo stesso facile e difficile liberarsi della vita, così potente e debole, demoniaca e celeste, vicina, vecchia ed estranea. ===[[Rainer Maria Rilke]]=== *Mi è sempre parso strano, fin da quando ero bambino, che gli uomini parlino della morte in modo diverso da quello usato per le altre cose, e questo soltanto perché nessuno ha mai rivelato quello che gli è accaduto dopo. Ma in che modo un morto può distinguersi da un uomo che diventa serio, che rinuncia al tempo e si chiude in sé, per riflettere calmo su un problema, la cui soluzione da tempo lo tormenta? Quando si sta in mezzo alla gente, non ci si rammenta neppure del Paternostro; come dunque è possibile ricordare un altro rapporto più oscuro, che forse trova la sua ragione non in parole ma in eventi? Bisogna appartarsi in un silenzio inaccessibile: e forse i morti sono coloro che si sono così isolati per meditare sulla vita. *Oggi chi dà ancora valore a una morte ben fatta? Nessuno. *Una volta si sapeva (o si sospettava, forse) di avere ''in'' sé la morte come il frutto ha il nocciolo. I bambini ne avevano una piccola in sé e gli adulti una grossa. Le donne l'avevano nel grembo e gli uomini nel petto. La si ''aveva'', e questo dava a ciascuno una speciale dignità e un silenzioso orgoglio. ===[[Salvator Rosa]]=== *Il peggiore accidente dell'esser nostro è il morire. *La Morte è l'ultimo dei mali. *La Morte è l'unico fine delli tormenti di questa vita, il sovrano bene della Natura, il solo appoggio della nostra libertà, il comune e pronto ricetto a tutti i mali. *La Morte non si sente se non per il discorso, con ciò sia che ella sia il movimento d'un istante. ===[[Carlos Ruiz Zafón]]=== *A quell'epoca, la morte non viveva ancora nell'anonimato e la si poteva vedere e annusare dappertutto mentre divorava anime che ancora non avevano avuto nemmeno il tempo di peccare. *Davanti a un feretro ci ricordiamo solo le cose buone e vediamo solo ciò che ci garba. *Non posso morire, dottore. Non ancora. Ho delle cose da fare. Poi avrò tutta la vita per morire. *Non si capisce niente della vita finché non si comprende la morte. ===''[[Shāh-Nāmeh]]''=== *''Allora | Che morte alcun non divorasse, ingombra | Sarìa la terra e di vecchi e d'infanti | In ogni loco.'' *''Che se tu sei lieto, | Siede la morte con aguzzi artigli | E all'agguato si sta quel fera belva | Bramosa di giostrar.'' *''Dall'artiglio della morte alcuno | Scampo non trova! Ell'è come d'autunno | Il freddo vento, e siamo noi le foglie | Che il vento caccia.'' *''Oh! con la morte, [...] | Mai non ritorna all'uopo | Umana prece! A che l'aguzzo artiglio | Del fero drago d'evitar desii? | S'anche di ferro fossi tu, da quello | Non avrai scampo, e se qui resta a lungo | Giovinetto garzon, dal dì fatale | Della vecchiezza scampo ei non ritrova.'' ===[[William Shakespeare]]=== *''Di morte mangerai, che mangia gli uomini, | e il morir finirà, morta la morte.'' *I [[coraggio e paura|paurosi]] muoiono mille volte prima della loro morte, ma l'uomo di [[coraggio e paura|coraggio]] non assapora la morte che una volta. La morte è conclusione necessaria: verrà quando vorrà. (''[[Giulio Cesare (Shakespeare)|Giulio Cesare]]'') *Il pensiero della morte è come uno specchio, in cui la vita è apparenza, breve come un sospiro. Fidarsene è errore. *Oh, [[sintomo|sintomi]] vani e incannatori! I mali, allorché divengono estremi, non sono più sentiti: la morte, dopo aver manomesso il di fuori, lo abbandona, e fatta invisibile investe l'anima e l'assedia e l'opprime con legioni di fantasime e di larve, che affollandosi si conseguono confuse e senza interruzione. *Tutto che vive deve morire, passando dalla natura all'eternità. (''[[Amleto]]'') ===[[Socrate]]=== *La morte, come mi sembra, altro non è che la separazione di due cose, l'anima e il corpo, l'una dall'altra. *La morte difatti nessuno sa neppur se non sia per l'uomo il maggiore di tutti i beni; e gli uomini la temono quasi sapessero di certo ch'è il maggiore dei mali. *Né in tribunale né in guerra non è lecito, né a me né ad altri, di ricorrere a qualunque mezzo per scampare ad ogni costo alla morte. ===[[Sofocle]]=== *''Al giorno estremo | però guati il mortale; e mai felice | non tenga l'uom, pria che d'affanni scevro | tocco non abbia della vita il fine''. *''Il peggio non è morire, ma dover desiderare | la morte e non riuscire ad ottenerla''. *La morte è l'ultimo medico delle malattie. ===[[Adrienne von Speyr]]=== *Esisteva dunque lei, la morte, ed era veramente in mezzo ai viventi, tra di noi, tra coloro che amavo e in me. Ma non era libera, si trovava nelle mani di Dio, apparteneva alla sua potenza; Dio vi si rivelava; era un segno. Un segno per i viventi. Bisognava dedicarsi ai viventi, amarli, per comprendere la morte, per comprendere Dio. *Questa era dunque la morte: lasciarsi dietro questo corpo malato e apparire davanti a Dio con la propria anima, che d'altro più non si occupa che della conoscenza di Dio. *Tutte le oscurità della morte si risolvono nella chiarezza suprema della vita eterna. ===''[[Star Trek: Deep Space Nine]]''=== *Oggi è un buon giorno per morire. ([[Worf]], ''[[Star Trek: Deep Space Nine#Episodio 15, Alla luce dell'inferno|Alla luce dell'inferno]]'') *Quando riesci a guarire qualcuno, senti di aver vinto la tua battaglia contro la morte. ([[Julian Bashir]], ''[[Star Trek: Deep Space Nine#Episodio 24, La calamità|La calamità]]'') *Voi [[klingon]] prendete la morte troppo alla leggera. La trattate come se fosse un amante. (''[[Star Trek: Deep Space Nine#Episodio 19, Patto di sangue|Patto di sangue]]'') *Un vero klingon si compiace della morte dei suoi nemici, vecchi, giovani, armati, disarmati. Ciò che conta per lui è la vittoria. (''[[Star Trek: Deep Space Nine#Episodio 18, Le regole del combattimento|Le regole del combattimento]]'') ===''[[Star Trek: The Next Generation]]''=== *Alcuni sono convinti che sia un cambiamento in una forma indistruttibile, immutabile per sempre; insomma credono che lo scopo di tutto l'universo sia di mantenere quella forma in un giardino simile al terrestre che darà delizie e piaceri per l'eternità. Dall'altra parte ci sono coloro che sostengono l'idea che dopo la morte si precipiti nel nulla. Con tutte le proprie esperienze, le speranze e i sogni, semplicemente un'illusione. ([[Jean-Luc Picard]], ''[[Star Trek: The Next Generation#Episodio 2, Dove regna il silenzio|Dove regna il silenzio]]'') *Fa parte del nostro ciclo vitale accettare la morte di coloro che amiamo. ([[Jean-Luc Picard]], ''[[Star Trek: The Next Generation#Episodio 5, Il Vincolo|Il Vincolo]]'') *La morte è quello stato in cui una persona vive nel ricordo degli altri, ecco perché non è la fine. Nessun addio – solo dei bei ricordi. ([[Tasha Yar]], ''[[Star Trek: The Next Generation#Episodio 23, La pelle del male|La pelle del male]]'') *Noi siamo mortali. Il nostro tempo nell'universo è limitato. E questo è una verità che ogni essere umano deve imparare ad accettare. ([[Jean-Luc Picard]], ''[[Star Trek: The Next Generation#Episodio 5, Il Vincolo|Il Vincolo]]'') ===''[[Star Trek: Voyager]]''=== *– Gli atteggiamenti umani riguardo la morte mi lasciano perplessa.<br>– In che senso?<br>– Le viene attribuita troppa importanza. Sembra ci siano infiniti rituali e credenze destinati ad alleviare la loro paura di una semplice biologica verità. Tutti gli organismi alla fine periscono.<br>– Ne deduco che i [[Borg (Star Trek)|borg]] non hanno paura di questa verità biologica?<br>– Nessuna. Quando un drone è danneggiato irreparabilmente, è scartato, ma i suoi ricordi esistono ancora dentro la coscienza della collettività. Per usare un termine umano, i borg sono in effetti immortali.<br>– Lei non fa più parte della collettività. Lei è mortale ora, come tutti noi. Questo la disturba?<br>– Le mie connessioni con i borg sono state recise, ma la collettività resta in possesso dei miei ricordi, delle mie esperienze. Esisterò per sempre, in un certo senso. (''[[Star Trek: Voyager#Episodio 12, Spiro mortale|Spiro mortale]]'') *Parlando della morte, quello che ignoriamo è tanto tanto di più di quello che conosciamo. ([[Kathryn Janeway]], ''[[Star Trek: Voyager#Episodio 9, Post mortem|Post mortem]]'') *Per i [[vulcaniani]], la morte è il completamento di un lungo viaggio. Non c'è nulla da temere. ([[Tuvok]], ''[[Star Trek: Voyager#Episodio 22, Il ciclo della vita|Il ciclo della vita]]'') ===[[Italo Svevo]]=== *L'immagine della morte è bastevole ad occupare tutto un intelletto. Gli sforzi per trattenerla o per respingerla sono titanici, perché ogni nostra fibra terrorizzata la ricorda dopo averla sentita vicina, ogni nostra molecola la respinge nell'atto stesso di conservare e produrre la vita. Il pensiero di lei è come una qualità, una malattia dell'organismo. La volontà non lo chiama né lo respinge. *La morte è l'ammirevole liquidazione della vita. Quando il filosofo amaro ghigna che il suicidio non è altro che un palliativo, come tutti coloro che per vedere meglio s'innalzarono di troppo. Vedono il paese, non l'albero, non la casetta. Il destino del singolo è piccolo anche dinanzi alla morte. Per la morte il piccolo singolo rientra privo di ogni responsabilità nella vita generale e vi si annulla. Come non riconoscere che la morte cancella ogni dolore per le nostre sventure, per le nostre debolezze e per i nostri errori? La debolezza è memoria. *Quando si muore si ha ben altro da fare che di pensare alla morte. ===[[Torquato Tasso]]=== *''Conosco l'arti del fellone ignote, | ma ben può nulla chi morir non pote''. *''La morte non è pena de i rei, ma fine de la pena.'' *''Muoiono le città, muoiono i regni, | copre i fasti e le pompe arena ed erba, | e l'uom d'esser mortal par che si sdegni: | oh nostra mente cupida e superba!'' *''Tosto s'opprime chi di sonno è carco, | ché dal sonno a la morte è un picciol varco.'' ===[[Lev Tolstoj]]=== *È sufficiente che l'[[uomo]] riconosca la propria vita non già nel bene della sua persona animale ma nel bene degli altri esseri, e lo spauracchio della morte scompare per sempre ai suoi occhi.<br />Giacché il terrore della morte deriva soltanto dal terrore di perdere, morendo nel corpo, il bene della vita. Se invece l'uomo potesse scorgere il proprio bene nel bene degli altri esseri, se cioè egli amasse loro più di sé stesso, allora la morte non gli apparirebbe come una cessazione del bene e della vita, così come essa appare bensì all'uomo che vive solamente per sé stesso. (''[[Della vita]]'') *In che consiste la vera condizione dell'uomo sulla terra e in che consiste quell'inganno che rende l'uomo infelice? L'inganno consiste nel fatto che gli uomini si dimenticano della morte, dimenticano che essi in questo mondo non vivono, ma passano. *L'uomo che si ricorda della morte, non può più vivere per il bene del suo io separato. L'unico senso che può attribuire alla sua vita, chi non dimentica la sua caducità, è quello che egli non è un essere a sé stante, ma solo uno strumento della volontà di Dio. *La morte è orribile solo per colui che non crede in [[Dio]], oppure crede in un Dio malvagio, il che è la stessa cosa. Per colui che crede in Dio, nella sua bontà e vive in questa vita secondo la sua legge ed ha sperimentato questa sua bontà, per costui la morte è solo un passaggio. ===[[Paul Valéry]]=== *L'uomo porta su di sé la propria morte come un segreto, un tesoro nascosto, un pegno certo della fine di ogni cosa – un nulla, che riassume il tutto. *L'uomo sta addossato alla sua morte, come chi conversa al camino. *La morte è scrutata solo da occhi viventi. *La morte è una sorpresa che l'inconcepibile fa al concepibile. ===[[Walt Whitman]]=== *''Alcuno ha mai ritenuto che il nascere sia una fortuna? | M'affretto a informarlo che uguale fortuna è morire, come io ben so.'' *''E mostrerò che nulla può accadere che sia più bello della morte.'' *''Oh, adesso vedo che la vita non può rivelarmi tutto, come non lo può il giorno, | vedo che devo attendere ciò che la morte mi rivelerà.'' ==Proverbi== [[File:JPaul Laurens The Death of Tiberius.jpg|thumb|''La morte di Tiberio'' (Jean-Paul Laurens, 1864)]] *A gavé 'n mort d'an ca ai van quat përso-ne.<ref>«Per togliere un morto di casa ci vogliono quattro persone.»</ref> ([[Proverbi piemontesi|piemontese]]) *Pò(g)uere kìe ze more, ke kìe rèste ze kuènzole. ([[Proverbi molisani|molisano]]) *Quando la casa è terminata, viene la morte. ([[Proverbi turchi|turco]]) ===[[Proverbi italiani|Italiani]]=== *Altro è parlar di morte, altro è morire. *Anche la morte non si ha gratis: ci costa la vita. *[[Campana|Campane]] ed ore, qualcun che muore. *Chi gode muore e chi patisce stenta a morire. *Chi muore esce d'affanni, ma tutti si vuol viver cent'anni. *Chi male vive, male muore. *Chi muore giace, chi vive si dà pace. *Chi non muore si rivede. *Chi pensa ogni giorno di dover morire, non può mai fallire. *Di giovani ne muore qualcuno, ma di vecchi non ne scampa nessuno. *Dopo la morte, tutti si puzza a un solo modo. *Facendo il male, sperando il bene, il tempo passa e la morte viene. *Fino alla morte non si sa qual è la sorte. *Gesù, Gesù, chi muore non c'è più. *I morti aprono gli occhi ai vivi. *I vecchi portano la morte davanti e i giovani dietro. *Il tempo passa e la morte viene, guai a chi non ha fatto il bene. *L'uguaglianza e misurar tutti con la stessa spanna, è la legge della morte. *La morte ci rende uguali nella sepoltura, disuguali nell'eternità. *La morte è il sonno dei buoni, il terror dei ricchi, il ricovero dei poveri e la consolazione dei tribolati. *La morte è un debito comune. *La morte guarisce tutti i mali. *La morte non guarda soltanto nel libro dei vecchi. *La morte non prende all'uomo che la vita. *La morte non si deve né desiderare, né temere. *La morte paga i debiti, e l'anima li purga. *La morte pareggia tutte le partite. *La morte, non perdona al forte. *Migliore diventerai, se alla morte penserai. *Morendo ci si libera di tutti i fastidi. *Morire e pagare sono le ultime cose. *Morte desiderata, cent'anni per la casa. *Morto un papa se ne fa un altro. *Muore il ricco, gli fanno il funerale; muore il povero, nessuno gli dice: vale. *Né all'assente, né al morto non si deve fare torto. *Non ogni salmo termina col gloria, il fine è un ''requiem'' dell'umana boria. *Oggi fresco e forte, domani nella morte. *Pianto per morto, pianto corto. *Povero chi desidera la morte, più povero chi la teme. *Povero è chi muore e questo mondo lascia, perché chi resta, fra male e bene se la passa. *Prima della morte non chiamare nessuno felice. *Quando si tratta della morte, anche il diavolo impara a pregare. *Quegli tiene gran prudenza che alla morte sempre pensa. *Si muore giovani per disgrazia, e vecchi per dovere. *Sulla bara si cantano le esequie. *Temer la morte è peggio che morire. *Temi i vivi e rispetta i morti. *Tre cose simili: prete, avvocato e morte. Il prete toglie dal vivo e dal morto; l'avvocato vuol del diritto e del torto; e la morte vuole il debole e il forte. *Tutte le morti hanno la loro scusa. *Tutto muore al mondo, tranne la morte. *Uomo morto non fa più guerra. *Va' dove ti pare, la morte ti scoverà. ====[[Proverbi toscani|Toscani]]==== *A mal mortale né [[medico]], né [[medicina]] vale. *A tutto c'è rimedio fuorché alla morte. *Al mazzier di Cristo non si tien mai porta. *Alla morte e al pagamento indugia quanto puoi. *Bello, sano, in corte; ed eccoti la morte. *Chi muore, esce d'affanni. *Chi se ne piglia, muore. *Co' morti non combattano se non gli spiriti. *[[Corte]] e morte, e morte e corte, fu tutt' una. *Dopo morti, tutti si puzza a un modo. *È meglio morir con onore, che vivere con vergogna. *È meglio viver piccolo che morir grande. *Il viaggio alla morte è più aspro che la morte. *L'ultima cosa che si ha da fare, è il morire. *La morte, altri acconcia, altri disconcia. *La morte de' [[lupo|lupi]] è la salute delle [[pecora|pecore]]. *La morte è di casa Nonsisà. *La morte non perdona al forte. *La morte non sparagna re di Francia né di Spagna. *La morte non vuol colpa. *La morte paga i debiti, e l'anima li purga. *La morte pareggia tutti. *La morte viene, quando meno s'aspetta. *Non v'è termine più certo e meno intenso della morte. *Ogni cosa è meglio della morte. *Tanto è morir di male, quanto d'amore. *Tutto è meglio della morte. ===[[Proverbi napoletani|Napoletani]]=== *A chiàgnere nu muorto so' làcreme perze. *A morte è 'na pazzia: stiénne 'e ccosce e t'arrecrìe. *‘A morte nun tene crianza. *A morte va ascianne 'a ccasione. ==Modi di dire== *Pensare a una cosa come alla morte: alla propria naturalmente. ([[Modi di dire tedeschi|tedesco]]) ===[[modi di dire napoletani|Napoletani]]=== *Madama senza naso. *Puozze murì c'u fieto d'i cravune.<ref>''Che tu possa crepare con il "''fetore''" (in realtà il [[w:|monossido di carbonio]], gas velenoso, asfissiante, è del tutto inodore ed insapore, e ciò lo rende estremamente insidioso) dei carboni (asfissiato dalle esalazioni di una stufa, di un braciere a carboni).''</ref> *T'hê 'a sèntere 'na messa a panza all'aria.<ref>Devi sentirti una messa a pancia all'aria. Si augura allo sventurato di presenziare ad una messa – l'ultima – in posizione orizzontale, con il ventre rivolto al soffitto del luogo di culto; vale a dire composto in rigido decubito supino all'interno di una cassa realizzata all'uopo per la solenne occasione.</ref> *Vede' 'a morte cu' ll'uocchie. ==Note== <references /> ==Voci correlate== {{div col|3}} *[[Amore e morte]] *[[Assassino]] *[[Cadavere]] *[[Cimitero]] *[[Eutanasia]] *[[Funerale]] *[[Lutto]] *[[Mortalità]] *[[Morte cerebrale]] *[[Nascita e morte]] *[[Necroforo]] *[[Necrologio]] *[[Omicidio]] *[[Pena di morte]] *[[Suicidio]] *[[Tanatofobia]] *[[Tomba]] *[[Vita]] *[[Vita e morte]] {{div col end}} ==Altri progetti== {{interprogetto|wikt|preposizione=sulla|w_preposizione=riguardante la}} [[Categoria:Escatologia]] [[Categoria:Età (biologia)]] [[Categoria:Morte| ]] [[Categoria:Processi fisiologici]] cdforsuqykqoxcpyqnshm4pj0kmwheb Spider (film) 0 3674 1381969 1080663 2025-07-01T23:30:23Z Danyele 19198 Danyele ha spostato la pagina [[Spider]] a [[Spider (film)]]: Allineamento a Wikipedia 1080663 wikitext text/x-wiki {{Film| titoloitaliano=Spider |titolooriginale=Spider |paese=Canada/Francia/Gran Bretagna |anno=2002 |genere=thriller |regista=[[David Cronenberg]] |sceneggiatore=[[Patrick McGrath]] ''(romanzo)'' |attori= *[[Ralph Fiennes]]: Dennis "Spider" Cleg *[[Bradley Hall (attore)|Bradley Hall]]: Dennis "Spider" Cleg (bambino) *[[Miranda Richardson]]: Signora Cleg/Yvonne *[[Gabriel Byrne]]: Bill Cleg *[[Lynn Redgrave]]: Signora Wilkinson *[[John Neville]]: Terrence *[[Philip Craig]]: John |doppiatori italiani= *[[Tonino Accolla]]: Dennis "Spider" Cleg *[[Gabriele Patriarca]]: Dennis "Spider" Cleg (bambino) *[[Orsetta De Rossi]]: Signora Cleg/Yvonne *[[Luca Biagini]]: Bill Cleg *[[Marzia Ubaldi]]: Signora Wilkinson *[[Gianni Bonagura]]: Terrence *[[Mario Bombardieri]]: John |note= }} '''''Spider''''', film del 2002 con [[Ralph Fiennes]], regia di [[David Cronenberg]]. ==Frasi== *La cosa peggiore che può accaderti non è perdere la [[ragione]], ma ritrovarla. ('''Dennis Cleg''') ==Altri progetti== {{interprogetto|etichetta=''Spider''|w=Spider (film)}} {{stub}} [[Categoria:Film thriller]] bb2iumffbbwv37jtjj8fkbbinuu5wdj Template:SelezioneNuove 10 4465 1381992 1381866 2025-07-02T00:20:44Z Danyele 19198 +3 1381992 wikitext text/x-wiki <noinclude>{{Protetta}}</noinclude> <div style="text-align:justify; margin-right:10px;"><!-- AGGIUNGI UNA NUOVA VOCE IN CIMA ALLA LISTA, CANCELLANDONE UNA DAL FONDO. La lista viene aggiornata periodicamente da un utente registrato qualunque (nessun timore!), per un totale di 30. AGGIUNGI QUI UNA NUOVA VOCE: NON DIMENTICARE IL SEPARATORE "{{,}}" --> [[Jason Barlow]]{{,}} [[Teatro romano di Verona]]{{,}} [[Serafino Ricci]]{{,}} [[Il grande paese]]{{,}} [[Quel treno per Yuma (film 1957)]]{{,}} [[Sentieri selvaggi]]{{,}} [[Il ritorno di Kenshiro]]{{,}} [[Chiamamifaro]]{{,}} [[Robert Opron]]{{,}} [[Giampiero Neri]]{{,}} [[Luigi Mascheroni]]{{,}} [[Ken il guerriero - La leggenda di Raoul]]{{,}} [[Giuseppe Bravi]]{{,}} [[Ken il guerriero - La leggenda del vero salvatore]]{{,}} [[Diofanto di Alessandria]]{{,}} [[Philip Hanson]]{{,}} [[Brissago]]{{,}} [[Benjamin Péret]]{{,}} [[Walid Jumblatt]]{{,}} [[Follemente]]{{,}} [[SS-100-X]]{{,}} [[Ken il guerriero - La leggenda di Toki]]{{,}} [[Jakob Steiner]]{{,}} [[Il fiume rosso]]{{,}} [[Abbas Araghchi]]{{,}} [[Ken il guerriero - La leggenda di Julia]]{{,}} [[Sputnik 1]]{{,}} [[Logaritmo]]{{,}} [[Clifford Stoll]]{{,}} [[L'aquila e il falco (film 1933)]] <!-- NON DIMENTICARE DI TOGLIERE L'ULTIMO SEPARATORE "{{,}}" --></div><noinclude> [[Categoria:Template selezione]] </noinclude> o0n9jwqrld1ivtki5v19zdvhx7yollw David Cronenberg 0 5340 1381971 1248543 2025-07-01T23:31:05Z Danyele 19198 fix wl 1381971 wikitext text/x-wiki [[File:David Cronenberg 2012-03-08.jpg|thumb|David Cronenberg (2012)]] '''David Paul Cronenberg''' (1943 – vivente), regista, sceneggiatore, attore, produttore cinematografico, direttore della fotografia e montatore canadese. ==Citazioni di David Croneneberg== *I [[censura|censori]] tendono a fare quello che fanno soltanto gli psicotici: confondono la realtà con l'illusione.<ref>Da Chris Rodley, ''Il cinema secondo Cronenberg'', riportato in ''[https://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/1994/04/29/io-lo-squartatore.html Io, lo squartatore]'', ''repubblica.it'', 29 aprile 1994.</ref> *Potete dirmi che non si possono avere bambini senza il sesso. La scienza può dire il contrario. Allo stesso modo, penso che il sesso esista per finzione, per reinvenzione. Vi sono sempre stati elementi di politica, di interesse, di godimento, di convenzione, nella sessualità.<ref>Da un'intervista con Roy Blackwelder, 1999.</ref> {{Intestazione|Intervista di [[Enrico Ghezzi]] per la trasmissione ''Fuori orario'', Rai Tre, 1988}} *Ho un problema con molta [[fantascienza]] riguardo la qualità della scrittura. Molti degli scrittori di fantascienza che ho letto quand'ero giovane ora non riesco più a leggerli, perché le idee sono interessanti, ma la scrittura non è molto buona. *Mi piacciono le motociclette e le auto da corsa. [...] Quando costruiamo delle macchine è come se fosse la nostra versione del corpo umano. Nel senso che il corpo umano è una macchina. È quello che [[William Burroughs]] ha chiamato ''the soft machine''. È interessante perché quando apri una macchina vedi la mente dell'uomo che l'ha progettata. [...] Mi piace molto lavorare sui motori delle moto e delle auto. In questo modo hai l'intera storia dell'uomo, la tecnologia, il design, la razionalità. [...] È un'avventura filosofica lavorare su una macchina. *Io credo che noi pensiamo che la nostra esistenza fisica sia relativamente stabile, ma io non penso che lo sia. Il nostro corpo è come un uragano: muta costantemente, è solo un'illusione che si tratti dello stesso corpo giorno dopo giorno, ma non è mai lo stesso da un momento all'altro. Per questo la questione dell'identità diventa ancora più urgente. Avvertiamo che siamo qualcuno che continua, che ha una storia, che ha un futuro, ma non lo puoi provare. È impossibile. *Trovi spesso a questo riguardo le cose più strane e orribili, bizzarre e sessualmente perverse: la gente, consumando un sacco di energie per dire quanto siano negative e per parlare delle loro implicazioni, in realtà le tiene in vita. Vogliono che esistano. *La maggior parte degli artisti sono attratti da ciò che è nascosto, da ciò che è proibito, tabù. Se sei un artista serio non può accettare i tabù, qualcosa che non puoi guardare, qualcosa che non puoi pensare, qualcosa che non puoi toccare. *{{NDR|Vedere un film in video}} è un'esperienza diversa {{NDR|rispetto al cinema}}. È come leggere un libro. Registri il film, ne vede un pezzo, poi il giorno dopo ne vedi un altro, hai le tue scene preferite. Penso che il video abbia davvero cambiato, forse in meglio, ma ha davvero alterato il cinema, perché la gente sa che può avere accesso al film, lo può possedere, qualcosa di impossibile e impensabile fino a poco tempo fa. [...] Credo che sia una cosa molto positiva avere accesso a un film come se si trattasse di un libro. ==Citazioni su David Croneneberg== *La prima volta che l'ho incontrato avevo paura ma, parlando per un'ora, ogni timore si è dissolto: è disponibile, aperto, non si pone certo da genio qual è. Calmo, tranquillo, calma anche a te. Dirige gli attori come fosse un concerto jazz, lascia che la tua creatività fluisca, si fida di chi sceglie dando poche e precise indicazioni. È anche divertente. ([[Denise Capezza]]) ==Note== <references /> ==Filmografia== ===Regista=== {{div col|strette}} *''[[Videodrome]]'' (1983) *''[[La zona morta]]'' (1983) *''[[La mosca (film)|La mosca]]'' (1986) *''[[Inseparabili (film 1988)|Inseparabili]]'' (1988) *''[[Spider (film)|Spider]]'' (2002) *''[[A History of Violence]]'' (2005) *''[[La promessa dell'assassino]]'' (2007) *''[[A Dangerous Method]]'' (2011) *''[[Cosmopolis (film)|Cosmopolis]]'' (2012) *''[[Crimes of the Future (film 2022)|Crimes of the Future]]'' (2022) {{div col end}} ===Attore=== *''[[La versione di Barney (film)|La versione di Barney]]'' (2010) ===Produttore=== *''[[La mosca (film)|La mosca]]'' (1986) *''[[Spider (film)|Spider]]'' (2002) *''[[A History of Violence]]'' (2005) *''[[Cosmopolis (film)|Cosmopolis]]'' (2012) ===Sceneggiatura=== *''[[Videodrome]]'' (1983) *''[[Cosmopolis (film)|Cosmopolis]]'' (2012) ==Altri progetti== {{interprogetto}} {{DEFAULTSORT:Cronenberg, David}} [[Categoria:Attori canadesi]] [[Categoria:Direttori della fotografia]] [[Categoria:Montatori canadesi]] [[Categoria:Produttori cinematografici canadesi]] [[Categoria:Personalità dell'ateismo]] [[Categoria:Registi canadesi]] [[Categoria:Sceneggiatori canadesi]] 2kn1s9qj9wzv341t1k12ffl3sgomo8s Tre uomini e una gamba 0 6843 1381931 1362542 2025-07-01T17:05:41Z ~2025-45664 102622 1381931 wikitext text/x-wiki {{Film |titoloitaliano=Tre uomini e una gamba |titolooriginale=Tre uomini e una gamba |paese=Italia |anno=1997 |genere=commedia |regista=[[Aldo, Giovanni & Giacomo]] / [[Massimo Venier]] |sceneggiatore=[[Aldo, Giovanni & Giacomo|Aldo Baglio]], [[Aldo, Giovanni & Giacomo|Giacomo Poretti]], [[Aldo, Giovanni & Giacomo|Giovanni Storti]], [[Giorgio Gherarducci]], [[Massimo Venier]] |attori= *[[Aldo Baglio]]: Aldo *[[Giovanni Storti]]: Giovanni *[[Giacomo Poretti]]: Giacomo *[[Marina Massironi]]: Chiara *[[Carlo Croccolo]]: Cav. Eros Cecconi *[[Luciana Littizzetto]]: Giuliana, figlia del cav. Cecconi *[[Augusto Zucchi]]: medico *[[Mohamed El Sayed]]: ingegnere marocchino *[[Rosalina Neri]]: portinaia *[[Antonio Rucco]]: maresciallo dei carabinieri *[[Gaetano Amato]]: ricettatore |note= }} '''''Tre uomini e una gamba''''', film italiano del 1997 diretto e interpretato da [[Aldo Baglio]], [[Giacomo Poretti]], [[Giovanni Storti]] con [[Massimo Venier]]. ==Frasi== *{{NDR|Leggendo le istruzioni di montaggio del fucile, allontana Jack}} Tenere lontano dalla portata dei bambini... ('''Al''') *Ma hai visto quel cane lì? Gli hanno montato... le tibie al contrario? ('''Giovanni''') {{NDR|riferito al [[bulldog]] Ringhio}} *Un latte macchiato tiepido, senza schiuma e con poco caffè... tiepido, eh, non freddo! Poi gli chiedi le cose... Freddo, lo sapevo io! ('''Giovanni''') *Mattone polacco minimalista di scrittore morto suicida giovanissimo! Copie vendute: due. ('''Giovanni''') {{NDR|parlando del libro che sta comprando Giacomo}} *Ma vai! Ma vieni! Ma chi sono? Eh, pirletti, dimmi, chi sono? Altro che la tua ruota! {{NDR|vede il padre dei bambini che lo guarda storto}} Chi arriva ultimo {{NDR|all'auto}} è pirla! ('''Giovanni''') *Anche il capitano del [[Titanic]] lo diceva: "Ma no, ma no, è solo un rumorino! Da niente!" ('''Giovanni''') *A volte dorme di più lo sveglio che il dormiente! ('''Aldo''') *Una rondine non vola solo e sempre a primavera. ('''Aldo''') *Allora, secondo Platone l'uomo una volta era così, come questa mela: perfetto, bastava se stesso ed era felice. Non c'erano distinzioni tra uomini e donne, c'erano soltanto questi individui perfetti e felici. Solo che un giorno Zeus, che era geloso della loro perfezione... {{NDR|taglia la mela}} e da quel giorno l'uomo ha incominciato a cercare disperatamente la sua metà, perché senza di lei si sentiva incompleto, infelice, solo che per quanti tentativi facesse non riusciva mai a trovare la sua metà esatta e non ce la fa tuttora... no, perché è praticamente impossibile trovare la propria metà e riconoscerla... ci vorrebbe un miracolo. ('''Chiara''') *Ma vieni! Jair! È il ritorno della Grande Inter! È il ritorno! ('''Giovanni''') {{NDR|dopo aver segnato un bel gol in "Italia-Marocco"}} *Questo qui {{NDR|Giacomo}} si deve sposare e siamo in ritardo di una vita... il dietro della macchina... completamente sfasciato... ci ha affidato un bulldog e gli {{NDR|al suocero}} riportiamo... un toporagno... e una gamba da trecento milioni è in mano a una banda di muratori marocchini! Ditemi voi... ('''Giovanni''') *{{NDR|Al telefono, chiama il suocero}} Pronto, pronto sì, ssss sì ssì sssss stiamo, siam... sìsìsì no, è... la la lascia lasciami... è m mma maria nnn... noo... ss, bè, ss se fosse stato per me... sì... ma io ss sono il primo che che... non ho ca, non ho ca, non ho c... non ho c... {{NDR|urlando stressato}} Allora, mi lasci parlare o no? Hai capito? E non ne posso più di ascoltarti, stai parlando solo tu! E mi hai proprio rotto i coglioni, mi hai rotto i coglioni, hai capito? Perché non sono un automa, sono una persona, e a un certo punto te lo devo proprio dire: vaffanculo! Vaf-fan-cu-lo! V, A, F, F, 'ncuuuulo! Tu, il tuo negozio, la tua villa di merda, mi fai schifo, strooonzoo! {{NDR|chiude furiosamente la chiamata e gli altri lo guardano colpiti}} Era occupato. ('''Aldo''') *Giacomino è in bagno... Giacomino sta dormendo... eh sì... sta dormendo in bagno... eh, si vede che si è addormentato mentre stava cagando! Che ne so io! Stiamo arrivando! Sì! Ma stiamo arriva... ma... Ma vaffancuuulo! ('''Aldo''') ==Dialoghi== *'''Giacomo''' {{NDR|al telefono con Giovanni}}: Pronto? <br/> '''Giovanni''': Giacomo, tutto a posto? <br/> '''Giacomo''': Sì, è tutto a posto... senti, mi chiami dopo che mi sta finendo il film? <br/> '''Giovanni''': No, stiamo chiudendo, dai! A proposito, dove hai messo le rondelle del sei, che Aldo non le trova? <br/> '''Giacomo''': Cosa ne so io delle rondelle del sei, dai, chiamami dopo, dai! <br/> '''Giovanni''': Senti, le commissioni le hai fatte? <br/> '''Giacomo''': Le ho fatte tutte, sì. <br/> '''Giovanni''': Il vestito l'hai ritirato?<br/> '''Giacomo''': Eh, secondo te mi sposo nudo?<br/> '''Giovanni''': Eh... gli anelli?<br/>'''Giacomo''': Ma che palle che sei! Certo che li ho ritirati gli anelli!<br/>'''Giovanni''': Anche le scarpe?<br/>'''Giacomo''': Le scarpe le ho ri... Porca puttana, le scarpe!<br/> '''Giovanni''': Hai visto? Se non ti telefonavo io ti sposavi in ciabatte! <br/> '''Giacomo''': Vabbe' dai, se mi sbrigo riesco a andare a ritirarle, dai! <br/> '''Giovanni''': Ah, a proposito, il pacco è arrivato, eh... domattina andiamo a ritirarlo prima di partire. Senti, ti vengo a prendere verso le... sette e mezza. <br/> '''Giacomo''': {{NDR|con tono contrariato}} Ma come le sette e mezza? <br/> '''Giovanni''': Vabbe'... sette e un quarto. Ciao! *'''Giacomo''' {{NDR|urlando verso l'appartamento di Aldo, quasi in cima ad un condominio}}: Aldo! Aldo! <br /> '''Giovanni e Giacomo''' {{NDR|urlando all'unisono}}: Aldo! <br /> '''Giovanni''': Aldo! <br /> '''Giacomo''' {{NDR|urlando più forte}}: Aldooo! <br /> '''Giovanni''': Allora? <br /> '''Giacomo''' {{NDR|urlando ancor più forte}}: Aldoooo! <br /> '''Aldo''' {{NDR|affacciandosi dalla finestra}}: Allora, che c'è? <br /> '''Giovanni''': E che ha detto alle otto, sono le otto e sette! <br /> '''Aldo''': E c'è bisogno di gridare così? Qui c'è gente che mi conosce! <br /> '''Giacomo''': Dai, su, sbrigati, scendi, che dobbiamo anche ritirare il pacco, dai! <br /> '''Aldo''': Va be', finisco di mangiare la [[peperonata]] e scendo! <br/> '''Giovanni''' {{NDR|a Giacomo}}: Peperonata? Alle [[otto di mattina|otto del mattino]]? Mezzogiorno... topi morti? *'''Portinaia''': Signor Giovanni! Signor Giovanni! Buongiorno signor Giovanni... come sta la sua signora? È già giù al mare che l'aspetta, nè? Ma lei non è geloso? <br/> '''Giovanni''': Be'... <br/> '''Portinaia''': Eh, me la saluti tanto, tanto... e lei, signor Giacomo! Il grande giorno si avvicina, eh? Paura? <br/> '''Giacomo''': Mah, insomma, ancora tre giorni e poi mi sposo... <br/> '''Portinaia''': Eh, era ora che facesse qualcosa anche lei, eh! Così siete a posto tutti e tre, finalmente! A proposito, se non togliete la macchina lì davanti al portone immediatamente, io ve la faccio rigare da mio marito! E poi ve la faccio anche portar via dai vigili! Capito? Eheheh! {{NDR|a Giovanni}} Buon viaggio, nè! {{NDR|a Giacomo}} Buon viaggio anche a lei, nè! *{{NDR|Aldo ruba il posto in macchina a Giacomo proprio quando si sta sedendo}}<br/>'''Aldo''': Scusa! <br/> '''Giacomo''': Ma come "scusa"? Arrivi, neanche saluti e mi ciuli il posto?<br/> '''Aldo''': Hai ragione. Ciao, come stai? Andiamo Giovanni, che è tardi! *'''Donna''': Ma chi sono quelli là? <br/> '''Portinaia''': Ma come chi sono? Quelli là son dei mantenuti! <br/> '''Donna''': Ma chi? <br/> '''Portinaia''': Due hanno sposato le sorelle Cecconi, e l'altro sta per attaccare il cappello con la più giovane, la terza! <br/> '''Donna''': Mmmh!... <br/> '''Portinaia''': E adesso stanno andando giù nel meridione, nelle Puglie, per fare il matrimonio, perché il cavalier Cecconi vuole celebrarlo giù a Gallipoli dov'è nata sua moglie! <br/> '''Donna''': Ma, scusi, le figlie del dottor Cecconi...? <br/> '''Portinaia''': Certo! Sì, quello che ha quella grande catena di negozi di ferramenta, che se non fosse per lui, ti dico la verità, io ti assicuro che quei tre lì a quest'ora sarebbero in mezzo alla strada! *'''Giovanni''': Scusa, puoi togliere i piedi dal cruscotto, che lo sporchi?<br/> '''Aldo''': Mi', come sei pignolo! <br/> '''Giovanni''': Io sono pignolo? <br/> '''Giacomo''': Be', un po' pignolo lo sei! <br/> '''Giovanni''': Cioè, questo qua mi cammina sul cruscotto ed io sarei pignolo! <br/> '''Giacomo''': Capito, ma devi anche saperle accettare le critiche, sennò... <br/> '''Giovanni''': Va be', allora, visto che sono pignolo: puoi spostare la gambetta sennò non entran le marce? <br/> '''Aldo''': Lo vedi che sei veramente pignolo? <br/> '''Giovanni''': Allora facciamo tutto il viaggio in prima perché sennò io sarei pignolo! Comunque mettiti le cinture, che se facciamo un incidente e sbatti l'assicurazione non paga. <br/> '''Aldo''': Ma a che serve? Stiamo andando a trenta all'ora! {{NDR|Giovanni frena di colpo, facendolo sbattere violentemente in testa sul cruscotto}} Ah! <br/> '''Giovanni''': Visto? <br/> '''Giacomo''': Allora sei bastardo! <br/> '''Giovanni''': E pignolo! *'''Giovanni''': Allora io vado a prendere il pacco, tu... non so... vai a prendere...<br/>'''Giacomo''': Scusa, ma possibile che quando c'è un lavoro di responsabilità devi farlo sempre tu? Cos'è, io non son capace?<br/>'''Giovanni''': No. Però, se vuoi andare... *'''Giovanni''' {{NDR|parlando della scultura}}: Scusate ma... centosettanta milioni per questa merdina qua? Ma dai, è una follia!<br/>'''Giacomo''': Ma che follia, che follia? Ma lo sai che questo qui è un Garpez, uno dei più grandi scultori viventi?<br/>'''Giovanni''': Ma [[Scultura|scultore]] che cosa? Ma guarda che il mio falegname con trentamila lire la fa meglio. Va', non ha neanche le unghie!<br/>'''Aldo''': Cosa se ne fa nostro suocero di una scultura di centosettanta milioni?<br/>'''Giacomo''': Eh certo! Siccome uno fa il ferramenta non gli può interessare l'arte moderna. Bravo, bravo! Continuiamo a ragionare per luoghi comuni! Bravo! *'''Cecconi''': Lo sai come so' fatti 'sti artisti... Mezzi drogati, mezzi froci... ma comunque, se 'more, la gamba fa un sarto {{NDR|salto}}, uno zompo, e va a trecento milioni! Ma che sto a di', a te, che nun capisci niente, su! Per piacere, a' nano {{NDR|sarebbe Giacomo}}, e passame er pignolo {{NDR|sarebbe Giovanni}}, và! Pronto, pignolo? Andò state?<br/>'''Giovanni''': Eh, è poco che siam partiti, avremo fatto... quaranta chilometri!<br/>'''Cecconi''': Aoh, 'a pignò, ma dovete sbrigarve, dovete còre! {{NDR|correre}} Perché stasera c'abbiamo una cena! Sì, siete tutti invitati ar ''Gambrinuse'', ar ristorante! Così ve presento er prete. Oh, me raccomando, eh... nun me fate fa' figure de merda! Mi raccomando! {{NDR|il cane Ringhio abbaia}} Oh... oh, oh, sento Ringhio! Ah, ah, Ringhio, a papà, fa sentì 'a vocetta tua! {{NDR|il cane Ringhio abbaia forte}} Eheheh, meno male che ce sei te, Ringhio... eh, sei l'unico che me dà soddisfazione... *'''Giacomo''': Scusa, puoi tirar su il finestrino? Lo sai che ho avuto problemi al trigemino quest'anno. {{NDR|Giovanni chiude il finestrino ed accende l'aria condizionata}} Ti dico di tirar su il finestrino, mi accendi l'aria condizionata? Ho già fatto tre bronchiti quest'anno! <br/> '''Giovanni''': Ho capito, se fumi attacco l'aria condizionata, cosa faccio, accendo la radio? <br/> '''Giacomo''': No, la radio no perché ho già un po' di mal di testa. <br/> '''Giovanni''': Sì, ma se lo dicevi prima ci portavamo dietro il polmone d'acciaio! {{NDR|strappa il sigaro dalla bocca di Giacomo per spegnerlo}} Eh cazzo! *'''Aldo''': Oh! Ti fermi che devo fare pipì? <br/> '''Giovanni''': Eh, adesso mi fermo ogni due minuti perché devi far pipì? <br/> '''Aldo''': Va bene, allora ti piscio in macchina! *'''Giovanni''': Senti, lega il mostro {{NDR|il cane Ringhio}} alla macchina, così ci fa anche la guardia. <br /> '''Aldo''': Ma perché, non può venire? <br /> '''Giovanni''': Chi, la merdina? <br /> '''Aldo''': Dammi qua, per l'amore della pace, va! *'''Aldo''' {{NDR|osservando Giacomo}}: Ma quanti libri legge quello lì? <br/> '''Giovanni''': Ma neanche uno! Ne compra cento al mese e non gliene ho visto sfogliare uno! *'''Giovanni''' {{NDR|dopo che lui e Giacomo hanno appurato che il cane Ringhio, lasciato legato al cofano della macchina quando erano ripartiti, ormai non c'è più}}: Be', così è la vita...<br>'''Aldo''' : Con te non ci parlo più, sei un assassino!<br>'''Giovanni''': Io? A parte che sei stato tu a legarlo dietro!<br>'''Aldo''': Sì ma sei tu il piede che gli ha dato la morte!<br>'''Giacomo''': Dai, quel che è stato è stato, è inutile star qui a litigare per questo!<br>'''Giovanni''': "Quel che è stato è stato" un paio di balle! Chi è che glielo dice adesso al vecchio? <br>'''Aldo''': Quello prima ci apre la testa e poi ci sputa dentro!<br>'''Giovanni''': E poi ci licenzia!<br>'''Giacomo''': Certo che voi due siete proprio dei conigli, dai! Ma che paura dovete avere? Siamo delle persone civili o no? Lo si chiama e gli si spiega che è stato un incidente! *'''Giacomo''': Non sento nessun rumorino, a parte che ho appena avuto l'otite e non ci sento molto bene!<br/> '''Giovanni''': Allora sei 'na discarica! *'''Giacomo''' {{NDR|parlando di Chiara}}: Oh, però è carina, eh? <br/> '''Giovanni''': Carina è carina, sì. <br/> '''Giacomo''': Ma non è solo carina, c'ha anche quell'aria lì un po' particolare, un po', eh...? <br/> '''Giovanni''': Sì, c'ha quella roba lì, però calcola che tra due giorni ti sposi, eh! <br/> '''Giacomo''': Perché, cosa ho detto di male? <br/> '''Giovanni''': Be', sei sempre lì a far lo scemetto, gli occhi dolci, tì-tì-tì-tì... <br/> '''Giacomo''': Che occhi dolci, ma cosa stai dicendo? Ma Aldo, sto facendo lo scemo? <br/> '''Aldo''': Be', un po' lo scemo lo stai facendo, va! <br/> '''Giovanni''': Cioè, abbiam fatto la constatazione amichevole e a momenti avevo torto io! <br/> '''Aldo''': Be', insomma, tutte le ragioni non ce le avevi! *'''Giacomo''': Tutto a posto? <br/> '''Chiara''': Sì, per fortuna sono riuscita a spostare il traghetto, altrimenti addio vacanze! <br/> '''Giacomo''': Traghetto per...? <br/> '''Chiara''': Ah, Grecia. Faccio Brindisi-Patrasso, poi un giro per le isole... <br/> '''Giacomo''': Vai a raggiungere... il fidanzato? <br /> '''Chiara''' {{NDR|imbarazzata e giù di morale}}: No... <br /> '''Giovanni''': Toccato un tasto dolente? {{NDR|Chiara annuisce}} Vi siete appena lasciati. <br /> '''Chiara''': Hmmm-mm. <br /> '''Giovanni''': Ti ha mollato lui! <br /> '''Chiara''' {{NDR|sull'orlo delle lacrime}}: Hmmm-mm! <br /> '''Giovanni''' {{NDR|tra sé e sé, sottovoce}}: Si vede. <br /> '''Giacomo''' {{NDR|rivolgendosi sottovoce a Giovanni}}: Sei un deficiente! <br /> '''Giovanni''': Con la tua migliore amica! {{NDR|Chiara piange}} <br /> '''Giacomo''': Ma smettila, Giovanni! <br /> '''Giovanni''': Be', lo dicevo così, per rompere il ghiaccio... <br />'''Chiara''' {{NDR|asciugandosi gli occhi}}: Scusate... {{NDR|al trio}} Voi... siete musicisti? <br/> '''Giovanni''': Come? <br/> '''Chiara''': Nella custodia cosa c'è, un sax? <br/> '''Giovanni''': Ah, lì... no, c'è una roba... <br/> '''Giacomo''': E' un'opera d'arte, è una scultura? <br/> '''Chiara''': Posso vederla? <br/> '''Giovanni''': Eh no, ciccia, non è che possiamo farla vedere a chiunque! <br/> '''Giacomo''': Come no, Giovanni, dai, fagliela vedere! <br/> '''Giovanni''' {{NDR|sospirando}}: Fagliela vedere... {{NDR|prende la gamba e la dà a Chiara}} Ecco, vedi? Guarda qua... <br/> '''Chiara''': No... <br/> '''Giovanni''': Eh sì, eh, purtroppo sì, eh... <br/> '''Chiara''': Non è possibile, quest... è autentica? <br/> '''Giovanni''': Eh, la gamba! <br/> '''Chiara''': Questo è un Garpez! <br/> '''Giacomo''': Ma scusa, ma come hai fatto così al volo? <br/> '''Giovanni''': Per forza, è una merda, è un Garpez! Anzi, ciccia, visto che costa una cifra... {{NDR|se la fa ridare}} Bella, però... <br/> '''Chiara''': Sì, lo so... io ho a che fare con le opere d'arte per lavoro. Sì, insomma, faccio la restauratrice. <br /> '''Giacomo''': Ma va? Ma lo sai che è sempre stato il sogno della mia vita fare il re...? {{NDR|Aldo e Giovanni scoppiano a ridere in crepapelle}} <br /> '''Giovanni''': Ma se non sai neanche unire i puntini della settimana enigmistica, Giacomo! <br /> '''Aldo''': L'ho capita adesso! <br/> '''Giovanni''': Ma c'è da ammazzarsi dal ridere! <br/> '''Chiara''': E voi? <br/> '''Giovanni''': Eh? <br/> '''Chiara''': Cosa fate nella vita?<br/> '''Giovanni''': Be', noi... lavoriamo nella meccanica di precisione, tecnologie avanzate al servizio di progettazioni particolari e specifiche. Non so... {{sic|"harware"}}... <br/> '''Giacomo''': Hardware! <br/> '''Giovanni''': Hardware e quelle cose... cioè, creiamo dei supporti che poi serviranno per progettare grosse situazioni, non so, mecc... Proprio... Strumenti di precisione per una svolta magari futura anche della meccanica... eh, non so se mi spiego...<br/> '''Aldo''': Sì, insomma... Abbiamo un negozio di [[ferramenta]]... Cioè, non è che il negozio di ferramenta è nostro... noi ci lavoriamo come commessi, come galoppini, insomma, come... come... sì... *{{NDR|Nel cinema, mentre cercano il meccanico}} <br/> '''Chiara''': Oh! Oh! Oh! Oh! Oh! È un Garpelli! <br/> '''Giovanni''': Chi? <br/> '''Chiara''': È un film di Garpelli, neorealista. Non lo proiettano da trent'anni! <br/> '''Giovanni''': Ci sarà il suo motivo, dai! <br/> '''Chiara''': {{NDR|incamminandosi verso la sala}} Non possiamo perderlo, vi prego!<br/> '''Giovanni''': Ma no, ma... Giacomo! <br/> '''Giacomo''': {{NDR|seguendo Chiara}} Eh, è un Garpelli, Giovanni! <br/> '''Giovanni''': Ma dai! Aldo! <br/> '''Aldo''': {{NDR|allontanandosi anch'egli}} Vado a prendere i popcorn! *'''Dottore''' {{NDR|rivolgendosi a Giacomo}}: Dunque, vediamo, nome e cognome? <br/> '''Aldo''': Giacomo Poretti. <br/> '''Dottore''': Ah, perché l'ho chiesto a lei? È lei il malato? <br/> '''Aldo''': Ma lo conosco, è mio cognato... <br/> '''Dottore''': E secondo lei io devo compilare un documento che è ufficiale mettendo le informazioni del primo che passa? {{NDR|a Giacomo}} Senta, è suo cognato? <br/> '''Giacomo''': Si, si... <br/> '''Dottore''' {{NDR|rivolgendosi ora ad Aldo}}: Va bene, come ha detto che si chiama? <br/> '''Aldo''': Perché non glielo chiede a lui? <br/> '''Giovanni''': Giacomo Poretti... per favore, siamo in ritardo! {{NDR|rivolgendosi ora, sottovoce, ad Aldo}} Non star lì sempre a questionare...<br/> '''Dottore''' {{NDR|scrive}}: Gia-como... Po-ret-ti... Allora... vediamo un po'... se tocco qui fa male? {{NDR|lo tocca sul basso addome, e Giacomo emette un verso di dolore}} Ma è sicuro, eh? {{NDR|lo ritocca sullo stesso punto, e Giacomo emette delle urla di dolore ancor più forti}} Invece se tocco qui? {{NDR|lo tocca sulla schiena, all'altezza dei reni}}<br/> '''Giacomo''': No!... <br /> '''Aldo''': Dottore, perché non gli diamo un calmante per endovenosa... che ne so io, quattro cc di placibio?... <br/> '''Dottore''': Ah, è medico! Non lo sapevo... {{NDR|rivolgendosi ora a tutti gli astanti}} È medico! E dov'è che ha studiato? Mi faccia il sacrosanto piacere di mettersi lì e di stare zitto, e non disturbi, mentre faccio il mio lavoro! Signorina, mi prepari un calmante, dunque vediamo... Quattro cc di placibio per endovena. {{NDR|Aldo si mostra visibilmente sconcertato}}. {{NDR|nuovamente a Giacomo}} Ecco, la lingua, mi faccia vedere la lingua...<br/> '''Aldo''': Dottore, secondo me ha un colica renale. <br/> '''Dottore''': Che cosa le ho detto prima? Di stare...?<br /> '''Aldo''': Zitto...<br /> '''Dottore''': E di mettersi... lì.<br /> '''Aldo''': Si, però, è...<br /> '''Dottore''': Sono io che faccio le visite. Ha capito? <br/> '''Aldo''': Sì, però se tocchiamo qui {{NDR|ritocca Giacomo sul basso addome, che riurla di dolore}} e gli fa male non può essere una tracheite! <br/> '''Dottore''': Adesso si mette anche a fare le diagnosi! È arrivato il professorone, è arrivato! Sa cosa faccio adesso? Mi tolgo il camice... mi tolgo il camice e lo do a lei, va bene? Glielo do? Vuole il camice? Stia zitto! Non voglio più sentire neanche una parola capito? Zitto! {{NDR|rivolgendosi nuovamente a Giacomo}} Caro signor...<br/>'''Aldo''': Giacomo Poretti.<br/> '''Dottore''': Caro signor Poretti, qui abbiamo una bella colica renale! {{NDR|Aldo fa nuovamente la faccia allibita}} Dobbiamo fare qualche esamino, lei questa notte la passa qui dentro. Motivi precauzionali. <br/> '''Giovanni''': Guardi che siamo già in ritardo incredibile... <br/> '''Aldo''': Non è che ti puoi mettere a discutere col professore, è un professorone! Un professorone di stirpe, non è che si è inventato la maggior parte..., se sa quello che deve dire. *'''Giovanni''': Oh cazzo, la macchina! {{NDR|Chiara}} Ci ha ciulato la macchina! Ma... Hai visto? Quella tua amichetta, eh, e la Grecia, e la mitologia, e tagliamo la mela, e intanto ci ha ciulato la macchina con dentro la gamba! E io pirla, che le ho lasciato anche le chiavi! Quella grandissima... Chiara! <br/> '''Chiara''': Voi siete matti a lasciare giù la gamba... e se ve la rubano? Ah, la... macchina l'ho messa all'ombra, era sotto il sole...<br/> '''Giovanni''': Brava! <br/> '''Chiara''': E... questa è la tua borsa, no, Giacomo? <br/> '''Giacomo''': Si... <br/>'''Chiara''': Il pigiama dov'è? <br/> '''Giacomo''': Eh... non c'è il pigiama. <br/> '''Chiara''': Non c'è il pigiama? <br/> '''Giacomo''': Eh... dormo nudo... <br/> '''Giovanni''': Dormi nudo? Tu c'hai due bronchiti al giorno e dormi nudo? <br/> '''Aldo''': Eeeeh, ragazzi, stiamo calmi, non è successo niente, vorrà dire che gli presterò il mio! *{{NDR|Vedendo Giacomo con indosso, a mo' di pigiama prestatogli da Aldo, dei pantaloncini da tuta ed una maglietta dell'[[Inter]]}}<br/> '''Giovanni''': Sì, però, anche tu... ti sembra il caso di dormire con la maglietta di [[Ciriaco Sforza|Sforza]]? <br/> '''Aldo''': Eh, quella di [[Ronaldo]] era finita! {{NDR|Giovanni, per tutta risposta, con una finta gli fa sbattere violentemente la testa sulla porta vetrata alle sue spalle, al che si contorce dal dolore}} *'''Giovanni''': Lo sai che con venti milioni si può comprare un bar in [[Costa Rica]]? Sulla spiaggia. Sole, mare, un sacco di palme. <br /> '''Aldo''': Tutto l'anno in costume.<br /> '''Giovanni''': Tutto l'anno in costume. Nessuno che ti rompe le palle; che ti dice quello che devi fare. Certo, ci vuole coraggio, bisogna abbandonare tutto.<br /> '''Aldo''': E se ti va male?<br /> '''Giovanni''': Be', il rischio c'è. Del resto, se non rischi... Tu non hai mai [[Rischio|rischiato]]?<br /> '''Aldo''': Una volta. Una volta ho messo due fisso a Inter-Cagliari. *'''Aldo''': Ragazzi! Ragazzi! Ho trovato il nuovo Ringhio! {{NDR|mostra a tutti un bastardino dalla pelliccia nera e riccioluta}}<br/> '''Giovanni''': Ma se è nero!<br/> '''Aldo''': Ma perché, devi essere razzista anche coi cani? *'''Chiara''': Oh, ragazzi, e se facessimo un bel bagno {{NDR|nel lago}}?<br/> '''Giovanni''': No eh, ragazzi, simpatia, va bene, si scherza, si gioca, gli ho fatto anche guidare la macchina, però siamo già in ritardo! Non scherziamo... {{NDR|si gira e non vede più nessuno in macchina, e si rivolge allo spettatore}} Va bene. Ma solo cinque minuti. *{{NDR|Mentre nuotano al lago}} <br /> '''Chiara''': E così domani ti sposi? <br/> '''Giacomo''': Sì, ma niente di serio. *'''Maresciallo''': Allora, ci mettiamo a rubare le statue, eh? Storti? Sì, sì, abbassa gli occhi. Baglio: furto con scasso, vilipendio alle massime cariche dello Stato... come la mettiamo?<br/> '''Aldo''': Come vuole lei Signor Direttore... <br /> '''Maresciallo''': Baglio, facciamo gli spiritosi? Te la faccio passare io la voglia di ridere, sai? Ci metto poco. <br/> '''Giacomo''': Scusi Maresciallo, la gamba però è nostra... cioè, non è che sia proprio nostra, apparterrebbe a... <br/> '''Maresciallo''': Allora, uno che si chiama "Poretti Giacomino" ed è nato a Busto Garolfo, dovrebbe avere il buon gusto di stare zitto! <br /> '''Chiara''': Comunque si chiama Giacomo.<br/> '''Maresciallo''': Qualcuno le ha chiesto di fare l'avvocato delle cause perse a lei? <br/> '''Chiara''': Ti chiami Giacomo, no?<br/> '''Giacomo''': {{NDR|Imbarazzato}} Giacomino... <br/> '''Maresciallo''': Dunque, qui il fatto è grave. Cosa ne facciamo di questi qua, Ingegnere? Procediamo? <br/> '''Ingegnere marocchino''': Ma lasciali andare Maresciallo, mi fanno pena. Sono dei poveracci. Tutto 'sto casino per una gamba che con trentamila lire il mio falegname la fa meglio. ==[[Explicit]]== {{explicit film}} {{NDR|Poco prima che siano arrivati in macchina dal suocero, che li aspetta tenendo in braccio il suo fucile, ormai furioso}} <br /> '''Giacomo''': Sei proprio sicuro, Giovanni?<br /> '''Giovanni''': Fidati, è meglio per tutti. {{NDR|se ne vanno via}} ==Citazioni su ''Tre uomini e una gamba''== *{{NDR|«Per quale motivo, quando avete cominciato a scrivere la storia di ''Tre uomini e una gamba'', avete pensato al viaggio? [...]»}} Quando abbiamo iniziato non avevamo un'idea precisa, il nucleo erano i tre cortometraggi che volevamo inserire. Per onestà eravamo chiaramente propensi ad inserire il repertorio dei tre comici perché era quello che ci era stato richiesto e quello che il pubblico si aspettava. Non bastava però fare la solita operazione in cui il repertorio teatrale o televisivo viene semplicemente riprodotto sullo schermo. Soprattutto in ''Tre uomini e una gamba'' dunque il viaggio è stato funzionale allo svolgimento di una vicenda, o meglio alla proposta di una serie di avvenimenti e gag che sarebbero altrimenti state inserite con difficoltà. Confesso che molto ha giocato l'inesperienza e la paura di sbagliare. Il viaggio serviva per dare anche un respiro più ampio, per offrire più occasioni ai personaggi ed era l'espediente ideale per chi non aveva mai fatto prima dei film: se da una parte le riprese possono essere più faticose ed impegnative, dall'altra un viaggio è già di per sè una storia, è già un andare da una parte all'altra. ([[Massimo Venier]]) ==Altri progetti== {{interprogetto}} [[Categoria:Film commedia]] 5zim768ypjunp170chifcxufghilw7a L'allenatore nel pallone 0 7286 1382014 1372506 2025-07-02T08:44:01Z ~2025-111920 103368 /* Dialoghi */ 1382014 wikitext text/x-wiki {{Film |titoloalfabetico= Allenatore nel pallone |titoloitaliano=L'allenatore nel pallone |genere=commedia, comico |regista=[[Sergino Martino]] |sceneggiatore=[[Lino Banfi]], Romolo Guerrini, [[Sergio Martino]], Franco Verucci |attori= *[[Lino Banfi]]: Oronzo Canà *Licinia Lentini: Sig.ra Borlotti *Camillo Milli: Comm. Borlotti *Giuliana Calandra: Mara Canà *Urs Althaus: Aristotoles *Stefania Spugnini: Figlia di Canà *[[Gigi Sammarchi]]: Giginho *[[Andrea Roncato]]: Andrea Bergonzoni *[[Carlo Ancelotti]]: Se stesso *[[Aldo Biscardi]]: Se stesso *[[Giampiero Galeazzi]]: Se stesso *Fabrizio Maffei: Se stesso *[[Dino Cassio]]: Capotreno |note= }} '''''L'allenatore nel pallone''''', film italiano del 1984 con [[Lino Banfi]], regia di [[Sergio Martino]]. ==Frasi== *In questo momento un mio incaricato lo sta contattando a casa sua, di lui, previo telefono, in Puglia. ('''Comm. Borlotti''') *Sarò muto come un pesce... che si è operato alle corde ''vocheli''. ('''Canà''') *Tutti gli intrallazzi si fanno a Torino. ('''Canà''') *Oronzo Canà, si lo so, la iena del tavoliere. Grandissimo mediano di rottura. Bravo! ('''Bergonzoni''') *Abbiamo la iena e la volpe. La iena e the fox. Bravissimo! ('''Bergonzoni''') {{NDR|alludendo a Canà e Borlotti}} *Ma che denaro liquido che quello fattura settecentocinquantamila lire l'anno. Un pastificio che si chiama Mosciarelli, chi se la compra la pasta, è pure scotta! Sa che hanno mandato un carico nel Biafra e ce lo hanno mandato indietro la pasta? ('''Canà''') {{NDR|parlando dello sponsor, il pastificio Mosciarelli}} *Non pensi di esserti allargato un po' troppo! ('''Gianfranco Giubilo''') {{NDR|rivolto a Canà}} *Cosa ne pensa lei presidente di quello che dice il vate della [[Daunia]]? ('''Fulvio Stinchelli''') {{NDR|rivolto al presidente della Longobarda}} *La donzelletta vien dalla campagna... e la chiappa si bagna. ('''Bergonzoni''') *Io ho scoperto che tu non sei né figlio d'emigrante, né figlio di preta pura, tu sei proprio figlio di ''puttena'', ''neto''! ('''Canà''') *Ma quante mammelle aveva la mamma di questo Giginho? Che c'aveva la centrale del ''lecce''?<ref>Gioco di parole con ''leche'', spagnolo, e ''leite'', portoghese, per "latte".</ref> ('''Canà''') *C'è [[modulo (calcio)|4-5-1 o 4-4-2]], io invece uso una cosa diversa: 5-5-5. ('''Canà''') *Brasil la nostalgia du Brasil. Brasil sta lì, l'Italia aqui. Arì. Arì. Aristoteles adesso adesso dorme aqui. Arì. Arì. Sognà. Sognà. E speriamo che domenica vuoi segnà! Magar. Magar. Cicos, cicos, Canos, Canos... ('''Canà''') {{NDR|canta la [[Ninne nanne dai film|ninna nanna]]}} *Obrigado, mister! ('''Aristoteles''') *La Longobarda è Aristoteles, e Aristoteles è la Longobarda. ('''Canà''') {{NDR|al processo del lunedì}} *Se Zico ha giocato con i guanti, il mio Aristoteles giocherà col cappotto! ('''Canà''') *Sorridi! ('''Canà''') {{NDR|rivolto a Crisantemi mentre entra in campo}} *Grass, pelato, brüt... Che schifo. Cülatun! ('''Capotreno''') {{NDR|dopo aver visto Canà supplicare Aristoteles di non partire}} *Mi chiamano "L'insaziabile"... ('''Bergonzoni''') *Arbitro sei un cornutaccio! ('''Canà''') *Domenica un solo grido ci deve unire: [[vincere]] e vinceremo! ('''Canà''') {{NDR|dalla finestra di casa ai tifosi esultanti dopo la vittoria con la Lazio}} *Castegner! E Rummenigge sta sempre a segner! ('''Canà''') {{NDR|all'annuncio dell'acquisto di Rummenigge}} *Ma lo sa che noi attraverso le cessioni di Falchetti e Mengoni riusciamo ad avere la metà di Giordano? Da girare all'Udinese per un quarto di Zico e tre quarti di Edinho. ('''Comm. Borlotti''') *Sono riuscito ad avere i tre quarti di Gentile e i sette ottavi di Collovati, più la metà di Mike Bongiorno. In conclusione, noi abbiamo ottenuto la comproprietà di Maradona in cambio di Falchetti e Mengoni. ('''Comm. Borlotti''') *Oronzo, Oronzo, vieni a pescare con noi, ci manca il verme! ('''Tifosi del Milan''') {{NDR|[[Cori da stadio dai film|coro da stadio]]}} ==Dialoghi== *'''Mara Canà''': Mi fai schifo! Non hai nessuna sensibilità. Guarda il Barone come sta in panchina. Guardalo, lui sì che non perde il suo self control. Anche dopo il gol non esprime emozioni. Mentre te quando stai in panchina sembri un tarantolato!<br/>'''Oronzo Canà''': Terrona ignorante. Tarantolato. Io dovrei avere il premio per il self control dopo diciott'anni che ti sopporto, maledetta disgrazieta! Grazie: self control, c'ha tutto quello che vuole il Barone Nils Liedholm: il vigneto, l'oliveto, i vini DOC, i vini DIC e pure i soldi. Sempre. Panchina lunga... *'''Aldo Biscardi''': Presidente Borlotti, può rivelarci chi sarà il nuovo allenatore?<br/>'''Borlotti''': Io sono un impulsivo, un istintivo, sono abituato a fare di testa mia. E colgo l'occasione che siamo qui in televisione, che tutti gli sportivi ci vedono, per comunicare la mia decisione anche all'interessato, il nome di cui è Oronzo Canà. *'''Borlotti''': Indovini chi le ho preso? Ma...<br/>'''Canà''': Ma...<br/>'''Borlotti''': Mara...<br/>'''Canà''': Mara... c'è mia moglie Mara? Dov'è? Mara...<br/>'''Borlotti''': Marado...<br/>'''Canà''': Marado...<br/>'''Borlotti''': Maradona!<br/>'''Canà''': ''Maradonna Benedetta dell'Incoroneta''! *'''Canà''': Senti, qual è la [[cugina]] di Éder?<br/>'''Giginho''': La terza della direita è la prima di Éder.<br/>'''Canà''': La terza della derecia e la prima di... ma è la terza o la prima?<br/>'''Giginho''': La prima che è la cugina, la segunda.<br/>'''Canà''': Ah la secunda è la cugina e la prima...<br/>'''Bergonzoni''': La prima vuol dire la cugina ed è dietro la quinta.<br/>'''Canà''': Ah, quindi questa non c'è. Emm... È dietro la quinta adesso.<br/>'''Bergonzoni''': Ma che dietro la quinta non c'è. Dietro la quinta là.<br/>'''Canà''': Ah, la quinta...<br/>'''Bergonzoni''': Prima c'è quella con su una bella quarta e subito dopo c'è la sesta.<br/>'''Giginho''': La prima, che è la cugina, è la sesta.<br/>'''Canà''': Cioè la prima è la sesta, e la quinta che dice lui dov'è?<br/>'''Bergonzoni''': Insomma, mia zia è la prima? No, perché è mia zia, sennò sarebbe cugina, porta una bella quinta, ma è la prima. Mia cugina è la sesta.<br/>'''Canà''': Senti a me di tua zia non me ne frega niente! Io voglio sapere questa cazzo di cugina di Éder dove cavolo sta?!<br/>'''Bergonzoni''': Son tutte belle. Hanno tutte dei bei numeri. *'''Dottor Socrates''': Vaffanculo a te, mammeta...<br/>'''Canà''': ... e Socrates! *'''Canà''': Sicché lui adesso sta a Firenze a parlare con Picchio De Sisti ed io son venuto qua in Brasile dove tutti vengono o per le donne o per i giocatori... io son venuto farmi fare l'appendicite. Hai capito com'è?! {{NDR|Canà sputa in faccia a Bergonzoni}} Io a uno lo devo sputare in faccia sennò con chi mi sfoga? Anzi, scusa... {{NDR|Canà sputa verso l'alto due volte}} So' più soddisfatto adesso.<br/>'''Bergonzoni''': Senti, ma perché hai fatto così?<br/>'''Canà''': Mi sono sputato in faccia da solo. Uno che a quarantott'anni viene a Rio a farsi fa l'appendicite, vuoi che non si sputi in faccia da solo? *'''Canà''': Io che tipo di zona uso? Che uso io? La? La bi..?<br/>'''Allenatore in seconda''': La biro...<br/>'''Canà''': La... la biro. Quindi io uso la biro, il signor De Sisti usa il pennarello vero? [[Giovanni Trapattoni|Trapattoni]] invece usa la penna stilografica, senza inchiostro dentro, perché invece dell'inchiostro ci sputa dentro all'occhio direttamente del suo allenatore in seconda. Ma che-che-che chevolo c'entra. Io sto parlando della bizona! *'''Canà''': Mentre i cinque della difesa vanno avanti, i cinque attaccanti retrocedono e così viceversa. Allora la gente pensa: «Ma quelli che c'hanno, cinque giocatori in più?» Invece no, perché mentre i cinque vanno avanti, gli altri cinque vanno indietro, e durante questa confusione generale le squadre avversarie si diranno: «Ah! Ah! Che cosa sta succedendo?». E non ci capiscono niente.<br>'''Speroni''': Nemmeno noi.<br> *'''Ceretti''': E... che tattica adopererete? Adotterete anche voi la zona?<br/>'''Canà''': No, io adotto un altro tipo di tattica: la BIZONA.<br/>'''Ceretti''': E che cosa sarebbe la bizona, è forse la zona per tornare in serie B?<br/>'''Canà''': La bi non significa B... bi-zona sta per bis-zona cioè due volte zona, come se io a lei dicessi bistrò, che non significa bistrot francese, ma due volte stronzo. Arrivederci! <br/>'''Ceretti''': Africano e maleducato... *'''Canà''': Lasciatela la palla!<br/>'''Dirigente Longobarda''': Ma mister, guardi che la palla ce l'hanno gli avversari.<br/>'''Canà''': E apposta io sto gridando: «Lasciatela quella palla»; così quelli sentono così e lasciano... è una guerra psicologica la nostra! *'''Dirigente Longobarda''': Cambia Cavallo!<br/>'''Canà''': Che l'erba cresce. *'''Francesco Graziani''': Mister, questi cinque gol l'hanno un po' dimagrita?<br/>'''Canà''': Non ti preoccupare che tra una decina d'anni ti vedo anche a te al posto mio. Già i capelli li stai perdendo. *'''Mara Canà''': Ah ma che divertenti queste scritte così paint post modern. E poi vanno di moda i murales. Sara felice il nostro architetto. Neh.<br/>'''Canà''': Ah devi vedere come sarà felice il nostro amministratore, neh. Tutti i danni li pago io, neh! Cammina dentro... *'''Crisantemi''': Con la Samp la vedo molto male oggi, eh?.<br/>'''Canà''': Certo che tu metti proprio molta allegria addosso alla gente: già c'hai questa faccia con questo pallore fisso, ti chiami Crisantemi, ti ho comprato i primi di novembre. Per cortesia, cerca di non gufare continuamente. Se no ti faccio rimanere nel loculo tutta... ehm, nella panchina tutta la vita. {{NDR|fa le corna e getta del sale}}<br/>'''Crisantemi''': Ma che è?<br/>'''Canà''': Niente, piove. *'''Crisantemi''': Ha visto [[Ray Wilkins|Wilkins]] che gol?<br/>'''Canà''': Io ho visto che tu ti devi stare zitto, perché a forza di grattarmi mi stai facendo venire l'orchite. Porca miseria! *'''Bergonzoni''' {{NDR|rivolto a Mara Canà}}: Onore alla bellezza. Lei ha mai partecipato a qualche concorso?<br/>'''Canà''': Sì, alle Poste e Telecomunicazioni, ma non l'hanno presa perché non era raccomandata. *'''Bergonzoni''' {{NDR|parlando della suocera di Canà}}: È mezzo soprano?<br/>'''Canà''' No, tutta scema. *'''Ceretti''': Canà. Canà. Come pensa di uscire dal tunnel della crisi?<br/>'''Canà''': Nessuna crisi, domenica risorgeremo, lo scriva a caratteri grossi e lo vada a scrivere al giornale per cortesia. {{NDR|a Borlotti}} Che ''cacachezzi'' che è questo! *{{NDR|Canà entra in campo e, a causa della nebbia, Platini gli sbatte contro}}<br/>'''Canà''': Oh, Monsieur Platini.<br/>'''Platini''': Qu'est qu'il y a?<br/>'''Canà''': Excuse moi monsieur Platini, je suis Oronzo Canà, l'''allenateur'' della ''Longobardà''. ''Allor'', je... je... la ''nebbià'', je n'ai vu rien et ''jese juju''...<br/>'''Platini''': ...merde!<br/>'''Crisantemi''': Che ha detto Platini?<br/>'''Canà''': Ha detto mee... metti un altro in panchina, no monsieur Crisantemì che c'ha la ''face de cimetière'', tu ''comprends''? *'''Maffei''': Ecco, in conclusione Canà?<br/>'''Canà''': In conclusione... picchio De Sisti.<br/>'''Maffei''': Picchio De Sisti si è espresso in modo molto favorevole nei confronti della sua squadra.<br/>'''Canà''': No, questa volta è lei che non ha ''afferreto''. Io picchio De Sisti e lo dichiaro a tutta Italia. Io picchio De Sisti e gli spezzo pure la noce del capocollo! Chiaro?<br/>'''Maffei''': Canà sempre imprevedibile... *'''Crisantemi''': Mister mi preparo?<br/>'''Canà''': No, no, che è già un funerale la partita. *{{NDR|Il presidente convoca Canà prima dell'ultima partita di campionato, decisiva per la salvezza}}<br/>'''Presidente Borlotti''': Perdere e perderemo!<br/>'''Canà''': Non ho afferreto, scusi.<br/>'''Borlotti''': Lei ha capito benissimo. Perdere e perderemo!<br/>'''Canà''': Ma scusi, ma perché? Dobbiamo vincere.<br/>'''Borlotti''': Si è mai chiesto perché io ho scelto proprio lei per allenare la Longobarda? Per le sue doti? Buca tasi. Bocca taci. Canà, mi guardi negli occhi e apra le orecchie: io lo ho ingaggiato perché avevo bisogno di qualcuno che mi rimandasse subito la squadra in serie B. Ma lo sa quanto mi costa una squadra in serie A?<br/>'''Canà''': Certo che lei è bravo presidente. Lei non lo sa, la pugnalata che mi sta dando in questo momento.<br/>'''Borlotti''': Canà, io le voglio bene, ma domenica dobbiamo assolutamente perdere e lei me lo deve giurare. <br/>'''Canà''': Questo mai!<br/>'''Borlotti''': E io la caccio via subito! Se invece lei seguirà le mie indicazioni, ecco qui il contratto per la prossima stagione, con ingaggio raddoppiato, già firmato da me.<br/>'''Canà''': E che cosa dovrei fare io?<br/>'''Borlotti''': In primis togliere di squadra Aristoteles, che è quello che ci può fare vincere.<br/>'''Canà''': E in secundis?<br/>'''Borlotti''': Ci ho già pensato io... E no, questo glielo darò domenica sera dopo la partita. Canà la vedo strano, come si sente?<br/>'''Canà''': Come uno che ha mangiato una tonnellata e mezza di merda. Pesante da digerire, sa? *{{NDR|Speroni sbaglia di proposito un gol a porta vuota}}<br/>'''Aristoteles''': Ma mister ha visto? Perché non dice: «filho de puta»?<br/>'''Canà''': Lo so io a chi dovrei dire «filho de puta». Lo so io a chi lo dovrei dire! *{{NDR|Canà viene sollevato in aria dai tifosi in festa dopo la salvezza}}<br/>'''Canà''': M'avete preso per un coglione.<br/>'''Tifosi''': Ma no, per un eroe!<br/>'''Canà''': Ahhh! Mi avete preso per un coglione.<br/>'''Tifosi''': Ma no, per un eroe!<br/>'''Canà''': Oh! Mi avete preso per un [[testicolo|coglione]], sotto la ''meno'', mi fa male!<br/> ==[[Explicit]]== {{explicit film}} '''Borlotti''': Lei è un disoccupato, lo sa?<br/>'''Canà''': E lei è un cornuto, lo sa? ==Note== <references /> ==Altri progetti== {{interprogetto}} {{Template:L'allenatore nel pallone}} [[Categoria:Film comici]] 9pl1bv6wa5k2a3mdb4a1lfqeru8proh Daisaku Ikeda 0 9094 1381902 1365874 2025-07-01T12:52:09Z CloudUchiha 29752 1381902 wikitext text/x-wiki [[File:DaisakuIkedaTokyoMay2010.jpg|thumb|Daisaku Ikeda]] '''Daisaku Ikeda''' (1928 – 2023), religioso giapponese. *Il nostro cuore deve essere vivo se desideriamo condurre un'esistenza che sia di stimolo anche per gli altri; deve essere pieno di passione ed entusiasmo. In tal senso abbiamo bisogno del coraggio di "vivere in coerenza con noi stessi". Per fare ciò dobbiamo avere una mente forte, non essere sviati dal nostro ambiente né ossessionati dalla vanità e dalle apparenze esteriori. Invece di imitare gli altri, dobbiamo pensare da soli e agire partendo dal nostro stesso senso di responsabilità.<ref>Da ''Giorno per giorno'', 31 dicembre, Esperia.</ref> ==''La nuova rivoluzione umana''== *La rivoluzione umana di un singolo individuo contribuirà al cambiamento nel destino di una nazione e condurrà infine a un cambiamento nel destino di tutta l'umanità. (Prefazione) *Calma ed [[equilibrio]] sono elementi essenziali in tutte le cose; spezzare il ritmo ogni tanto è importante. Se ne guadagna in vitalità, ci si rinfranca la [[mente]]. Non si riesce a creare nessun valore se si lavora in modo da ridursi come stracci. (vol. 2) *L'[[autostima]] non può essere costruita dall'oggi al domani. Ogni cosa ha bisogno di [[tempo]]. Se continuerai a fare sforzi coraggiosi giorno dopo giorno, alla fine acquisterai [[fiducia]]. (vol. 9) *La determinazione che sorge dalla fede diventa senz'altro manifesta tramite l'azione e la pratica. *La [[vita]] fa i suoi inevitabili incontri con la [[sofferenza]] profonda e i momenti di stallo. Ma in quei momenti, se una persona si basa su questa [[fede]], camminerà con sicurezza verso la [[felicità]]. *Non importa quanto cambino i tempi o quanto sia progredita una civiltà, in fin dei conti tutto dipende dal carattere delle persone. Le decisioni degli esseri umani determinano il loro destino e quello del resto del mondo. (vol. 7) *Per fare esperienza di questa [[energia]] vitale è importante prendere l'iniziativa. Dovremmo stabilire degli scopi personali e lottare per realizzarli. Quando ci si sforza al massimo per uno scopo e lo si raggiunge si vive una grande [[gioia]]. ==[[Incipit]] di ''Buddhismo in Cina''== '''Dall'[[India]] alla [[Cina]]'''<br>''Il buddhismo come religione universale''<br>Nel primo [[libro]] di questa serie, ''The Living Buddha'', ho preso in esame la [[vita]] di Shakyamuni e del suo seguito, ''Buddhism. the First Millennium'', ho tracciato la [[storia]] del buddhismo così come si sviluppò in India nel corso dei primi mille anni seguenti la [[morte]] di [[Buddha]]. In questo volume, il terzo della serie, descriverò come questa straordinaria [[religione]] oltrepassò le frontiere del'India, il suo [[paese]] d'origine, diffondendosi nell'[[Asia]] centrale sino a raggiungere la Cina, ove subì nuovi sviluppi e donde venne alla fine trasmessa in [[Corea]] e in [[Giappone]]. ==''Un nuovo umanesimo''== * Il requisito per diventare un cittadino del mondo è proprio il dominio sulle pulsioni egoistiche. La [[gentilezza]], suggerisce un risveglio dell'umanesimo e dell'azione umanitaria. In senso più ampio, essa implica un [[amore]] diretto verso tutta l'umanità. (p. 117) ==Note== <references /> ==Bibliografia== *Daisaku Ikeda, ''La nuova rivoluzione umana'' (2005), Esperia, Narrativa straniera, Traduzione di Zanda M. ISBN 8886031858 *Daisaku Ikeda, ''Buddhismo in Cina'' (''Zoku Watakushi No Bukkyokan''), traduzione di Daniela Sagramoso, Bompiani 1987. == Altri progetti== {{interprogetto}} {{DEFAULTSORT:Ikeda, Daisaku}} [[Categoria:Religiosi giapponesi]] p00lsje4y4obktlbnlqhef4qcimwsmj Tecnica 0 10838 1381912 1310813 2025-07-01T13:50:13Z Gaux 18878 /* Citazioni */ Adriano Tilgher 1381912 wikitext text/x-wiki {{voce tematica}} [[File:Dessert-preparation, 2009-(01).jpg|thumb|La tecnica nella preparazione di un dolce]] Citazioni sulla '''tecnica'''. ==Citazioni== *Abbagliato dalle possibilità della Tecnica, l'ho servita negli anni decisivi della mia esistenza. Ora, al termine di questa mia esistenza, essa, la Tecnica, trova davanti a sé il Dubbio. ([[Albert Speer]]) *Con la Tecnica l'uomo si fa creatore di qualità, di forme, di processi, di realtà, che non erano dati dalla Natura. ''Eritis sicut Dii!''<ref> Locuzione latina ''Eritis sicut Deus'' (''Sarete come Dio''), Genesi, 3,5.</ref> ([[Adriano Tilgher]]) *Il tecnico è prima di tutto un uomo; prima delle esigenze tecniche ci sono le esigenze umane: cioè fame di verità, di bellezza e d'amore che tutta la tecnica e i suoi vantaggi materiali non potranno mai soddisfare. ([[Carlo Gnocchi]]) *L'essenza della tecnica viene a giorno con estrema lentezza. Questo giorno è la notte del mondo, mistificato in giorno tecnico. Si tratta del giorno più corto di tutti. Con esso si leva la minaccia di un unico interminabile inverno. ([[Martin Heidegger]]) *L'etica, di fronte alla tecnica, diventa pat-etica: non si è mai visto che un'impotenza sia in grado di arrestare una potenza. Il problema è: non cosa possiamo fare noi con gli strumenti tecnici che abbiamo ideato, ma che cosa la tecnica può fare di noi. ([[Umberto Galimberti]]) *La parola «tecnica» deriva dal termine greco di techne, che fa riferimento al "saper fare", ossia alla capacità pratica di operare per raggiungere un dato scopo, basata sulla conoscenza ed esperienza del modo in cui è possibile raggiungerlo. ([[Ana Millán Gasca]]) *La scienza e la tecnica, preziose risorse dell'uomo quando si pongono al suo servizio e ne promuovono lo sviluppo integrale a beneficio di tutti, non possono da sole indicare il senso dell'esistenza e del progresso umano. (''[[Donum vitae]]'') *La tecnica c'è sempre stata, solo i più non hanno studiato abbastanza per saperlo. ([[Gottfried Benn]]) *La tecnica precede nella storia la nascita della scienza. ([[Ana Millán Gasca]]) *La tecnologia si sta affrancando dalla scienza e il mare che da sempre divide il dire dal fare oggi si naviga all'incontrario, nel senso che è molto più semplice fare che dire, cioè capire e spiegare. ([[Giuseppe O. Longo]]) *Mentre le scoperte della scienza, pur grandissime, possono non avere immediate ripercussioni sullo stile di vita e sul quotidiano, è proprio della tecnica apportare subito qualche pratico sconvolgimento, considerato di solito positivamente. La [[scienza]] modifica sempre le idee (della stessa scienza o della cultura), mentre la tecnica ha su di esse scarso rilievo e per lo più solo indirettamente attraverso il sovvertimento dei processi di esistenza ordinari. ([[Vittorino Andreoli]]) *Ogni tecnica ha in sé qualcosa che ispira forza e sicurezza nell'ambito del suo dominio. ([[Epitteto]]) *Sembra quasi una perfida vendetta della natura contro l'uomo: tutte le conquiste della tecnica, con la quale egli si è impadronito dei suoi più segreti poteri, servono in pari tempo a turbarne l'anima. La tecnica ha gettato su di noi la più tremenda maledizione, impedendoci di sfuggire al presente anche per un momento solo. Le generazioni passate, in epoche di catastrofi, avevano la possibilità di rifugiarsi nella solitudine; a noi fu riservato invece di dovere apprendere e condividere ogni evento nella stessa ora, nello stesso minuto, dovunque esso si verifichi nella sfera terrestre. Per quanto m'allontanassi dall'[[Europa]], il mio destino mi seguiva. ([[Stefan Zweig]]) *Tempo d'inisidie: soprattutto insidie di una tecnica spietata nell'imporre nuove dimensioni alla vita e al pensiero. Gli scrittori non si arrenderanno: e qualunque sia il futuro destino dell'epoca «atomica», sapranno essere custodi della parola. ([[Carlo Martini (critico letterario)|Carlo Martini]]) *{{NDR|La tecnica moderna}} Una scheggia distaccatasi dalla nostra cultura sul finire del XVII secolo. ([[Arnold J. Toynbee]]) *Uno dei mali della nostra epoca consiste nel fatto che l'evoluzione del pensiero non riesce a stare al passo con la tecnica, con la conseguenza che le capacità aumentano, ma la saggezza svanisce. ([[Bertrand Russell]]) *Vi è il rischio di una sorta di blocco del pensiero, della voglia e della capacità di dare risposte sociali a fenomeni sociali, con un affidarsi cieco al ready made, alle soluzioni già pronte e offerte con larghe promesse da un arsenale tecnologico sempre più ricco. ([[Stefano Rodotà]]) ===[[Ernst Jünger]]=== *Abbiamo attinto, nell'attrezzarci, un livello tale che è sufficiente ormai pensare a una minima modifica dell'apparato strumentale perché emerga che la nostra tecnica non è soltanto un mondo di astrazioni, ma anche immediata realtà dello spirito della terra. Eccoci al cordone ombelicale. La tecnica è proiezione dello [[spirito]], come l'ascia di pietra fu proiezione del pugno. *La tecnica è la magica danza che il mondo contemporaneo balla. Possiamo partecipare alle vibrazioni e alle oscillazioni di quest'ultimo soltanto se capiamo la tecnica. Altrimenti restiamo esclusi dal gioco. *Tecnica e [[natura]] non sono in contraddizione – se così le intendessimo, ciò sarebbe un sintomo di disordine presente nella vita. L'uomo che tenta di scusare la propria incapacità addebitandola ai propri mezzi senz'anima, somiglia al millepiedi della favola, condannato all'immobilità perché troppo occupato a contare i propri arti. ===[[Friedrich Georg Jünger]]=== *Incontriamo spesso l'idea che le sofferenze e i sacrifici accettati per il progresso tecnico, alla fine verranno ricompensati. Tuttavia simili teorie di soddisfazione, proprie dell'homo "religiosus", non hanno niente a che fare con la tecnica. Non l'inizio ma la fine porta il peso. *Ogni forma di razionalizzazione è la conseguenza di una carenza. La costruzione e la strutturazione dell'apparato tecnico non sono solo il risultato di un anelito di potenza della tecnica, ma anche la conseguenza di una condizione di bisogno. Perciò la condizione umana correlata alla nostra tecnica è il pauperismo che non si vince con sforzi tecnici. *Pensare socialmente oggi significa solo tenere alta la fede nell'apparato e nell'organizzazione. È la genuflessione che l'uomo compie davanti all'ideologia del progresso tecnico. *Poiché il potenziale tecnico decide dell'attualità in caso di guerra, a ben guardare esso non è altro che armamento. Ora il progresso tecnico si strappa quella maschera economica che portava agli inizi dell'organizzazione tecnica. Il processo lavorativo tecnico diventa d'armamento, sempre più chiaramente indirizzato alla guerra. ===[[Emanuele Severino]]=== *Ci si può proporre di controllare, modificare, produrre, distruggere le cose del mondo, solo se si ha fede che esse divengano, cioè possano sciogliere il loro legame con l'essere e col niente, possano essere e non essere. Solo se si crede che le cose siano flessibili, oscillanti tra l'essere e il niente, ci si può proporre di fletterle e di controllare la loro oscillazione. Se la volontà di potenza è la volontà di dominare il mondo, la forma originaria della volontà di potenza è appunto la fede nell'esistenza del dominabile, cioè la fede nell'esistenza del divenire. La civiltà della tecnica è la forma più rigorosa di questa fede. *La civiltà della tecnica è ciò che chiamo "la forma più rigorosa della Follia estrema". Ancora più sottovoce: la Follia estrema è credere nel carattere effimero, temporale, contingente, casuale, dell'uomo e della realtà: è la convinzione che ogni cosa venga dal nulla e vi ritorni. Però la difesa suprema dall'angoscia suscitata da questa convinzione – la difesa che nella tradizione è costituita, in ultimo, da Dio – è diventata la tecnica. Ovunque, la tecnica sta diventando la forma più radicale di salvezza, che oggi ha soppiantato qualsiasi altra forma di rimedio contro la morte. *La forma più rigorosa di follia oggi è la tecnica: viviamo il tempo del passaggio dalla tradizione a questo nuovo dio. La globalizzazione autentica non è quella economica, è quella tecnica. Commettiamo l'errore di credere che capitalismo e tecnica siano la stessa cosa: no, hanno scopi diversi. Il capitalismo ambisce all'incremento infinito del profitto privato, la tecnica all'incremento infinito della capacità di realizzare scopi, ovvero della potenza. La tecnica ucciderà la democrazia, a partire dagli Stati più deboli come l'Italia. Tale processo poi investirà anche Usa, Russia e Cina. Gli Stati Uniti a un certo punto prevarranno, ma non in quanto nazione, bensì come gestori primari della potenza tecnologica. Ora fatichiamo a comprenderlo, perché ci troviamo in un tempo intermedio. Siamo come il trapezista che ha lasciato un attrezzo (la tradizione) e non si è ancora aggrappato all'altro (la tecnologia, il nuovo dio). Siamo sospesi nel vuoto e ci sembra di essere sperduti. *La tecnica tende a entrare in simbiosi con gli ultimi duecento anni di pensiero filosofico che spingono verso la luce il loro terribile spirito di distruzione del passato, mostrando che il passato non può più avere diritto di contrapporsi al processo che lo toglie di mezzo. La tecnica autenticamente potente e vincente è strettamente unita al messaggio sapienziale, filosofico, terribile e distruttivo della "morte di Dio". "Se Dio è morto, allora tutto è permesso", diceva [[Fëdor Dostoevskij|Dostoevskij]]. Ma non è così: se Dio è morto non c'è il caos, perché la potenza stabilisce la gerarchia in cui le potenze più deboli sono subordinate a quelle più forti. Si va cioè verso un tempo in cui la potenza maggiore, quella tecnico-filosofica, va subordinando a sé, gerarchizzandole, tutte le altre forme di potenza del passato (anche la potenza dell'islam, dunque). *Quando sussiste una situazione conflittuale – cristianesimo contro democrazia e capitalismo; ieri, capitalismo contro comunismo – alimentata non solo a parole ma anche a fatti, con la forma maggiore di potenza a disposizione, cioè la tecnica guidata dalla scienza moderna, allora si mette in moto un meccanismo inesorabile. Il meccanismo cioè per il quale ogni forza ha interesse a che lo strumento di cui essa si serve per realizzare i propri scopi specifici funzioni in modo ottimale; sicché quando tale forza si mette in questa direzione, in cui essa ha tutto l'interesse a far prevalere il proprio scopo – chiamiamolo "ideologico" senza dare a questa parola un significato negativo – e quindi a far funzionare in modo ottimale il proprio strumento, allora si produce un ribaltamento decisivo – o per lo meno una forte tendenza al ribaltamento – per cui lo strumento con cui si tenta di realizzare il proprio scopo diventa così indispensabile da divenire esso lo scopo di quelle forze, che pertanto diventano esse qualcosa di strumentale. [...] Se il meccanismo è questo, per cui le forze che si servono della tecnica tendono a dare tale un'importanza tale allo strumento di cui si servono da farlo diventare addirittura lo scopo, rinunciando progressivamente a parti più o meno determinanti del proprio scopo originario, allora si può pensare che abbia a prodursi un processo in cui non sarà più l'Occidente – il capitalismo, il comunismo, l'islam – a servirsi della tecnica, ma sarà la tecnica a servirsi dell'Occidente; un processo che coinvolgerà anche aggregati sociali come l'islam o la Cina. == Altri progetti == {{interprogetto|w_preposizione=riguardante la|wikt}} [[Categoria:Concetti e principi filosofici]] [[Categoria:Tecnica| ]] ts2xgj2tpph00kxnzg3gu2717ei58rf 1381913 1381912 2025-07-01T13:51:14Z Gaux 18878 Sezione Note 1381913 wikitext text/x-wiki {{voce tematica}} [[File:Dessert-preparation, 2009-(01).jpg|thumb|La tecnica nella preparazione di un dolce]] Citazioni sulla '''tecnica'''. ==Citazioni== *Abbagliato dalle possibilità della Tecnica, l'ho servita negli anni decisivi della mia esistenza. Ora, al termine di questa mia esistenza, essa, la Tecnica, trova davanti a sé il Dubbio. ([[Albert Speer]]) *Con la Tecnica l'uomo si fa creatore di qualità, di forme, di processi, di realtà, che non erano dati dalla Natura. ''Eritis sicut Dii!''<ref> Locuzione latina ''Eritis sicut Deus'' (''Sarete come Dio''), Genesi, 3,5.</ref> ([[Adriano Tilgher]]) *Il tecnico è prima di tutto un uomo; prima delle esigenze tecniche ci sono le esigenze umane: cioè fame di verità, di bellezza e d'amore che tutta la tecnica e i suoi vantaggi materiali non potranno mai soddisfare. ([[Carlo Gnocchi]]) *L'essenza della tecnica viene a giorno con estrema lentezza. Questo giorno è la notte del mondo, mistificato in giorno tecnico. Si tratta del giorno più corto di tutti. Con esso si leva la minaccia di un unico interminabile inverno. ([[Martin Heidegger]]) *L'etica, di fronte alla tecnica, diventa pat-etica: non si è mai visto che un'impotenza sia in grado di arrestare una potenza. Il problema è: non cosa possiamo fare noi con gli strumenti tecnici che abbiamo ideato, ma che cosa la tecnica può fare di noi. ([[Umberto Galimberti]]) *La parola «tecnica» deriva dal termine greco di techne, che fa riferimento al "saper fare", ossia alla capacità pratica di operare per raggiungere un dato scopo, basata sulla conoscenza ed esperienza del modo in cui è possibile raggiungerlo. ([[Ana Millán Gasca]]) *La scienza e la tecnica, preziose risorse dell'uomo quando si pongono al suo servizio e ne promuovono lo sviluppo integrale a beneficio di tutti, non possono da sole indicare il senso dell'esistenza e del progresso umano. (''[[Donum vitae]]'') *La tecnica c'è sempre stata, solo i più non hanno studiato abbastanza per saperlo. ([[Gottfried Benn]]) *La tecnica precede nella storia la nascita della scienza. ([[Ana Millán Gasca]]) *La tecnologia si sta affrancando dalla scienza e il mare che da sempre divide il dire dal fare oggi si naviga all'incontrario, nel senso che è molto più semplice fare che dire, cioè capire e spiegare. ([[Giuseppe O. Longo]]) *Mentre le scoperte della scienza, pur grandissime, possono non avere immediate ripercussioni sullo stile di vita e sul quotidiano, è proprio della tecnica apportare subito qualche pratico sconvolgimento, considerato di solito positivamente. La [[scienza]] modifica sempre le idee (della stessa scienza o della cultura), mentre la tecnica ha su di esse scarso rilievo e per lo più solo indirettamente attraverso il sovvertimento dei processi di esistenza ordinari. ([[Vittorino Andreoli]]) *Ogni tecnica ha in sé qualcosa che ispira forza e sicurezza nell'ambito del suo dominio. ([[Epitteto]]) *Sembra quasi una perfida vendetta della natura contro l'uomo: tutte le conquiste della tecnica, con la quale egli si è impadronito dei suoi più segreti poteri, servono in pari tempo a turbarne l'anima. La tecnica ha gettato su di noi la più tremenda maledizione, impedendoci di sfuggire al presente anche per un momento solo. Le generazioni passate, in epoche di catastrofi, avevano la possibilità di rifugiarsi nella solitudine; a noi fu riservato invece di dovere apprendere e condividere ogni evento nella stessa ora, nello stesso minuto, dovunque esso si verifichi nella sfera terrestre. Per quanto m'allontanassi dall'[[Europa]], il mio destino mi seguiva. ([[Stefan Zweig]]) *Tempo d'inisidie: soprattutto insidie di una tecnica spietata nell'imporre nuove dimensioni alla vita e al pensiero. Gli scrittori non si arrenderanno: e qualunque sia il futuro destino dell'epoca «atomica», sapranno essere custodi della parola. ([[Carlo Martini (critico letterario)|Carlo Martini]]) *{{NDR|La tecnica moderna}} Una scheggia distaccatasi dalla nostra cultura sul finire del XVII secolo. ([[Arnold J. Toynbee]]) *Uno dei mali della nostra epoca consiste nel fatto che l'evoluzione del pensiero non riesce a stare al passo con la tecnica, con la conseguenza che le capacità aumentano, ma la saggezza svanisce. ([[Bertrand Russell]]) *Vi è il rischio di una sorta di blocco del pensiero, della voglia e della capacità di dare risposte sociali a fenomeni sociali, con un affidarsi cieco al ready made, alle soluzioni già pronte e offerte con larghe promesse da un arsenale tecnologico sempre più ricco. ([[Stefano Rodotà]]) ===[[Ernst Jünger]]=== *Abbiamo attinto, nell'attrezzarci, un livello tale che è sufficiente ormai pensare a una minima modifica dell'apparato strumentale perché emerga che la nostra tecnica non è soltanto un mondo di astrazioni, ma anche immediata realtà dello spirito della terra. Eccoci al cordone ombelicale. La tecnica è proiezione dello [[spirito]], come l'ascia di pietra fu proiezione del pugno. *La tecnica è la magica danza che il mondo contemporaneo balla. Possiamo partecipare alle vibrazioni e alle oscillazioni di quest'ultimo soltanto se capiamo la tecnica. Altrimenti restiamo esclusi dal gioco. *Tecnica e [[natura]] non sono in contraddizione – se così le intendessimo, ciò sarebbe un sintomo di disordine presente nella vita. L'uomo che tenta di scusare la propria incapacità addebitandola ai propri mezzi senz'anima, somiglia al millepiedi della favola, condannato all'immobilità perché troppo occupato a contare i propri arti. ===[[Friedrich Georg Jünger]]=== *Incontriamo spesso l'idea che le sofferenze e i sacrifici accettati per il progresso tecnico, alla fine verranno ricompensati. Tuttavia simili teorie di soddisfazione, proprie dell'homo "religiosus", non hanno niente a che fare con la tecnica. Non l'inizio ma la fine porta il peso. *Ogni forma di razionalizzazione è la conseguenza di una carenza. La costruzione e la strutturazione dell'apparato tecnico non sono solo il risultato di un anelito di potenza della tecnica, ma anche la conseguenza di una condizione di bisogno. Perciò la condizione umana correlata alla nostra tecnica è il pauperismo che non si vince con sforzi tecnici. *Pensare socialmente oggi significa solo tenere alta la fede nell'apparato e nell'organizzazione. È la genuflessione che l'uomo compie davanti all'ideologia del progresso tecnico. *Poiché il potenziale tecnico decide dell'attualità in caso di guerra, a ben guardare esso non è altro che armamento. Ora il progresso tecnico si strappa quella maschera economica che portava agli inizi dell'organizzazione tecnica. Il processo lavorativo tecnico diventa d'armamento, sempre più chiaramente indirizzato alla guerra. ===[[Emanuele Severino]]=== *Ci si può proporre di controllare, modificare, produrre, distruggere le cose del mondo, solo se si ha fede che esse divengano, cioè possano sciogliere il loro legame con l'essere e col niente, possano essere e non essere. Solo se si crede che le cose siano flessibili, oscillanti tra l'essere e il niente, ci si può proporre di fletterle e di controllare la loro oscillazione. Se la volontà di potenza è la volontà di dominare il mondo, la forma originaria della volontà di potenza è appunto la fede nell'esistenza del dominabile, cioè la fede nell'esistenza del divenire. La civiltà della tecnica è la forma più rigorosa di questa fede. *La civiltà della tecnica è ciò che chiamo "la forma più rigorosa della Follia estrema". Ancora più sottovoce: la Follia estrema è credere nel carattere effimero, temporale, contingente, casuale, dell'uomo e della realtà: è la convinzione che ogni cosa venga dal nulla e vi ritorni. Però la difesa suprema dall'angoscia suscitata da questa convinzione – la difesa che nella tradizione è costituita, in ultimo, da Dio – è diventata la tecnica. Ovunque, la tecnica sta diventando la forma più radicale di salvezza, che oggi ha soppiantato qualsiasi altra forma di rimedio contro la morte. *La forma più rigorosa di follia oggi è la tecnica: viviamo il tempo del passaggio dalla tradizione a questo nuovo dio. La globalizzazione autentica non è quella economica, è quella tecnica. Commettiamo l'errore di credere che capitalismo e tecnica siano la stessa cosa: no, hanno scopi diversi. Il capitalismo ambisce all'incremento infinito del profitto privato, la tecnica all'incremento infinito della capacità di realizzare scopi, ovvero della potenza. La tecnica ucciderà la democrazia, a partire dagli Stati più deboli come l'Italia. Tale processo poi investirà anche Usa, Russia e Cina. Gli Stati Uniti a un certo punto prevarranno, ma non in quanto nazione, bensì come gestori primari della potenza tecnologica. Ora fatichiamo a comprenderlo, perché ci troviamo in un tempo intermedio. Siamo come il trapezista che ha lasciato un attrezzo (la tradizione) e non si è ancora aggrappato all'altro (la tecnologia, il nuovo dio). Siamo sospesi nel vuoto e ci sembra di essere sperduti. *La tecnica tende a entrare in simbiosi con gli ultimi duecento anni di pensiero filosofico che spingono verso la luce il loro terribile spirito di distruzione del passato, mostrando che il passato non può più avere diritto di contrapporsi al processo che lo toglie di mezzo. La tecnica autenticamente potente e vincente è strettamente unita al messaggio sapienziale, filosofico, terribile e distruttivo della "morte di Dio". "Se Dio è morto, allora tutto è permesso", diceva [[Fëdor Dostoevskij|Dostoevskij]]. Ma non è così: se Dio è morto non c'è il caos, perché la potenza stabilisce la gerarchia in cui le potenze più deboli sono subordinate a quelle più forti. Si va cioè verso un tempo in cui la potenza maggiore, quella tecnico-filosofica, va subordinando a sé, gerarchizzandole, tutte le altre forme di potenza del passato (anche la potenza dell'islam, dunque). *Quando sussiste una situazione conflittuale – cristianesimo contro democrazia e capitalismo; ieri, capitalismo contro comunismo – alimentata non solo a parole ma anche a fatti, con la forma maggiore di potenza a disposizione, cioè la tecnica guidata dalla scienza moderna, allora si mette in moto un meccanismo inesorabile. Il meccanismo cioè per il quale ogni forza ha interesse a che lo strumento di cui essa si serve per realizzare i propri scopi specifici funzioni in modo ottimale; sicché quando tale forza si mette in questa direzione, in cui essa ha tutto l'interesse a far prevalere il proprio scopo – chiamiamolo "ideologico" senza dare a questa parola un significato negativo – e quindi a far funzionare in modo ottimale il proprio strumento, allora si produce un ribaltamento decisivo – o per lo meno una forte tendenza al ribaltamento – per cui lo strumento con cui si tenta di realizzare il proprio scopo diventa così indispensabile da divenire esso lo scopo di quelle forze, che pertanto diventano esse qualcosa di strumentale. [...] Se il meccanismo è questo, per cui le forze che si servono della tecnica tendono a dare tale un'importanza tale allo strumento di cui si servono da farlo diventare addirittura lo scopo, rinunciando progressivamente a parti più o meno determinanti del proprio scopo originario, allora si può pensare che abbia a prodursi un processo in cui non sarà più l'Occidente – il capitalismo, il comunismo, l'islam – a servirsi della tecnica, ma sarà la tecnica a servirsi dell'Occidente; un processo che coinvolgerà anche aggregati sociali come l'islam o la Cina. ==Note== <references /> ==Altri progetti== {{interprogetto|w_preposizione=riguardante la|wikt}} [[Categoria:Concetti e principi filosofici]] [[Categoria:Tecnica| ]] s1xbyvqborcknat9w9c815clo289ttc 1381914 1381913 2025-07-01T13:52:02Z Gaux 18878 /* Citazioni */ wlink 1381914 wikitext text/x-wiki {{voce tematica}} [[File:Dessert-preparation, 2009-(01).jpg|thumb|La tecnica nella preparazione di un dolce]] Citazioni sulla '''tecnica'''. ==Citazioni== *Abbagliato dalle possibilità della Tecnica, l'ho servita negli anni decisivi della mia esistenza. Ora, al termine di questa mia esistenza, essa, la Tecnica, trova davanti a sé il Dubbio. ([[Albert Speer]]) *Con la Tecnica l'uomo si fa creatore di qualità, di forme, di processi, di realtà, che non erano dati dalla [[Natura]]. ''Eritis sicut Dii!''<ref> Locuzione latina ''Eritis sicut Deus'' (''Sarete come Dio''), Genesi, 3,5.</ref> ([[Adriano Tilgher]]) *Il tecnico è prima di tutto un uomo; prima delle esigenze tecniche ci sono le esigenze umane: cioè fame di verità, di bellezza e d'amore che tutta la tecnica e i suoi vantaggi materiali non potranno mai soddisfare. ([[Carlo Gnocchi]]) *L'essenza della tecnica viene a giorno con estrema lentezza. Questo giorno è la notte del mondo, mistificato in giorno tecnico. Si tratta del giorno più corto di tutti. Con esso si leva la minaccia di un unico interminabile inverno. ([[Martin Heidegger]]) *L'etica, di fronte alla tecnica, diventa pat-etica: non si è mai visto che un'impotenza sia in grado di arrestare una potenza. Il problema è: non cosa possiamo fare noi con gli strumenti tecnici che abbiamo ideato, ma che cosa la tecnica può fare di noi. ([[Umberto Galimberti]]) *La parola «tecnica» deriva dal termine greco di techne, che fa riferimento al "saper fare", ossia alla capacità pratica di operare per raggiungere un dato scopo, basata sulla conoscenza ed esperienza del modo in cui è possibile raggiungerlo. ([[Ana Millán Gasca]]) *La scienza e la tecnica, preziose risorse dell'uomo quando si pongono al suo servizio e ne promuovono lo sviluppo integrale a beneficio di tutti, non possono da sole indicare il senso dell'esistenza e del progresso umano. (''[[Donum vitae]]'') *La tecnica c'è sempre stata, solo i più non hanno studiato abbastanza per saperlo. ([[Gottfried Benn]]) *La tecnica precede nella storia la nascita della scienza. ([[Ana Millán Gasca]]) *La tecnologia si sta affrancando dalla scienza e il mare che da sempre divide il dire dal fare oggi si naviga all'incontrario, nel senso che è molto più semplice fare che dire, cioè capire e spiegare. ([[Giuseppe O. Longo]]) *Mentre le scoperte della scienza, pur grandissime, possono non avere immediate ripercussioni sullo stile di vita e sul quotidiano, è proprio della tecnica apportare subito qualche pratico sconvolgimento, considerato di solito positivamente. La [[scienza]] modifica sempre le idee (della stessa scienza o della cultura), mentre la tecnica ha su di esse scarso rilievo e per lo più solo indirettamente attraverso il sovvertimento dei processi di esistenza ordinari. ([[Vittorino Andreoli]]) *Ogni tecnica ha in sé qualcosa che ispira forza e sicurezza nell'ambito del suo dominio. ([[Epitteto]]) *Sembra quasi una perfida vendetta della natura contro l'uomo: tutte le conquiste della tecnica, con la quale egli si è impadronito dei suoi più segreti poteri, servono in pari tempo a turbarne l'anima. La tecnica ha gettato su di noi la più tremenda maledizione, impedendoci di sfuggire al presente anche per un momento solo. Le generazioni passate, in epoche di catastrofi, avevano la possibilità di rifugiarsi nella solitudine; a noi fu riservato invece di dovere apprendere e condividere ogni evento nella stessa ora, nello stesso minuto, dovunque esso si verifichi nella sfera terrestre. Per quanto m'allontanassi dall'[[Europa]], il mio destino mi seguiva. ([[Stefan Zweig]]) *Tempo d'inisidie: soprattutto insidie di una tecnica spietata nell'imporre nuove dimensioni alla vita e al pensiero. Gli scrittori non si arrenderanno: e qualunque sia il futuro destino dell'epoca «atomica», sapranno essere custodi della parola. ([[Carlo Martini (critico letterario)|Carlo Martini]]) *{{NDR|La tecnica moderna}} Una scheggia distaccatasi dalla nostra cultura sul finire del XVII secolo. ([[Arnold J. Toynbee]]) *Uno dei mali della nostra epoca consiste nel fatto che l'evoluzione del pensiero non riesce a stare al passo con la tecnica, con la conseguenza che le capacità aumentano, ma la saggezza svanisce. ([[Bertrand Russell]]) *Vi è il rischio di una sorta di blocco del pensiero, della voglia e della capacità di dare risposte sociali a fenomeni sociali, con un affidarsi cieco al ready made, alle soluzioni già pronte e offerte con larghe promesse da un arsenale tecnologico sempre più ricco. ([[Stefano Rodotà]]) ===[[Ernst Jünger]]=== *Abbiamo attinto, nell'attrezzarci, un livello tale che è sufficiente ormai pensare a una minima modifica dell'apparato strumentale perché emerga che la nostra tecnica non è soltanto un mondo di astrazioni, ma anche immediata realtà dello spirito della terra. Eccoci al cordone ombelicale. La tecnica è proiezione dello [[spirito]], come l'ascia di pietra fu proiezione del pugno. *La tecnica è la magica danza che il mondo contemporaneo balla. Possiamo partecipare alle vibrazioni e alle oscillazioni di quest'ultimo soltanto se capiamo la tecnica. Altrimenti restiamo esclusi dal gioco. *Tecnica e [[natura]] non sono in contraddizione – se così le intendessimo, ciò sarebbe un sintomo di disordine presente nella vita. L'uomo che tenta di scusare la propria incapacità addebitandola ai propri mezzi senz'anima, somiglia al millepiedi della favola, condannato all'immobilità perché troppo occupato a contare i propri arti. ===[[Friedrich Georg Jünger]]=== *Incontriamo spesso l'idea che le sofferenze e i sacrifici accettati per il progresso tecnico, alla fine verranno ricompensati. Tuttavia simili teorie di soddisfazione, proprie dell'homo "religiosus", non hanno niente a che fare con la tecnica. Non l'inizio ma la fine porta il peso. *Ogni forma di razionalizzazione è la conseguenza di una carenza. La costruzione e la strutturazione dell'apparato tecnico non sono solo il risultato di un anelito di potenza della tecnica, ma anche la conseguenza di una condizione di bisogno. Perciò la condizione umana correlata alla nostra tecnica è il pauperismo che non si vince con sforzi tecnici. *Pensare socialmente oggi significa solo tenere alta la fede nell'apparato e nell'organizzazione. È la genuflessione che l'uomo compie davanti all'ideologia del progresso tecnico. *Poiché il potenziale tecnico decide dell'attualità in caso di guerra, a ben guardare esso non è altro che armamento. Ora il progresso tecnico si strappa quella maschera economica che portava agli inizi dell'organizzazione tecnica. Il processo lavorativo tecnico diventa d'armamento, sempre più chiaramente indirizzato alla guerra. ===[[Emanuele Severino]]=== *Ci si può proporre di controllare, modificare, produrre, distruggere le cose del mondo, solo se si ha fede che esse divengano, cioè possano sciogliere il loro legame con l'essere e col niente, possano essere e non essere. Solo se si crede che le cose siano flessibili, oscillanti tra l'essere e il niente, ci si può proporre di fletterle e di controllare la loro oscillazione. Se la volontà di potenza è la volontà di dominare il mondo, la forma originaria della volontà di potenza è appunto la fede nell'esistenza del dominabile, cioè la fede nell'esistenza del divenire. La civiltà della tecnica è la forma più rigorosa di questa fede. *La civiltà della tecnica è ciò che chiamo "la forma più rigorosa della Follia estrema". Ancora più sottovoce: la Follia estrema è credere nel carattere effimero, temporale, contingente, casuale, dell'uomo e della realtà: è la convinzione che ogni cosa venga dal nulla e vi ritorni. Però la difesa suprema dall'angoscia suscitata da questa convinzione – la difesa che nella tradizione è costituita, in ultimo, da Dio – è diventata la tecnica. Ovunque, la tecnica sta diventando la forma più radicale di salvezza, che oggi ha soppiantato qualsiasi altra forma di rimedio contro la morte. *La forma più rigorosa di follia oggi è la tecnica: viviamo il tempo del passaggio dalla tradizione a questo nuovo dio. La globalizzazione autentica non è quella economica, è quella tecnica. Commettiamo l'errore di credere che capitalismo e tecnica siano la stessa cosa: no, hanno scopi diversi. Il capitalismo ambisce all'incremento infinito del profitto privato, la tecnica all'incremento infinito della capacità di realizzare scopi, ovvero della potenza. La tecnica ucciderà la democrazia, a partire dagli Stati più deboli come l'Italia. Tale processo poi investirà anche Usa, Russia e Cina. Gli Stati Uniti a un certo punto prevarranno, ma non in quanto nazione, bensì come gestori primari della potenza tecnologica. Ora fatichiamo a comprenderlo, perché ci troviamo in un tempo intermedio. Siamo come il trapezista che ha lasciato un attrezzo (la tradizione) e non si è ancora aggrappato all'altro (la tecnologia, il nuovo dio). Siamo sospesi nel vuoto e ci sembra di essere sperduti. *La tecnica tende a entrare in simbiosi con gli ultimi duecento anni di pensiero filosofico che spingono verso la luce il loro terribile spirito di distruzione del passato, mostrando che il passato non può più avere diritto di contrapporsi al processo che lo toglie di mezzo. La tecnica autenticamente potente e vincente è strettamente unita al messaggio sapienziale, filosofico, terribile e distruttivo della "morte di Dio". "Se Dio è morto, allora tutto è permesso", diceva [[Fëdor Dostoevskij|Dostoevskij]]. Ma non è così: se Dio è morto non c'è il caos, perché la potenza stabilisce la gerarchia in cui le potenze più deboli sono subordinate a quelle più forti. Si va cioè verso un tempo in cui la potenza maggiore, quella tecnico-filosofica, va subordinando a sé, gerarchizzandole, tutte le altre forme di potenza del passato (anche la potenza dell'islam, dunque). *Quando sussiste una situazione conflittuale – cristianesimo contro democrazia e capitalismo; ieri, capitalismo contro comunismo – alimentata non solo a parole ma anche a fatti, con la forma maggiore di potenza a disposizione, cioè la tecnica guidata dalla scienza moderna, allora si mette in moto un meccanismo inesorabile. Il meccanismo cioè per il quale ogni forza ha interesse a che lo strumento di cui essa si serve per realizzare i propri scopi specifici funzioni in modo ottimale; sicché quando tale forza si mette in questa direzione, in cui essa ha tutto l'interesse a far prevalere il proprio scopo – chiamiamolo "ideologico" senza dare a questa parola un significato negativo – e quindi a far funzionare in modo ottimale il proprio strumento, allora si produce un ribaltamento decisivo – o per lo meno una forte tendenza al ribaltamento – per cui lo strumento con cui si tenta di realizzare il proprio scopo diventa così indispensabile da divenire esso lo scopo di quelle forze, che pertanto diventano esse qualcosa di strumentale. [...] Se il meccanismo è questo, per cui le forze che si servono della tecnica tendono a dare tale un'importanza tale allo strumento di cui si servono da farlo diventare addirittura lo scopo, rinunciando progressivamente a parti più o meno determinanti del proprio scopo originario, allora si può pensare che abbia a prodursi un processo in cui non sarà più l'Occidente – il capitalismo, il comunismo, l'islam – a servirsi della tecnica, ma sarà la tecnica a servirsi dell'Occidente; un processo che coinvolgerà anche aggregati sociali come l'islam o la Cina. ==Note== <references /> ==Altri progetti== {{interprogetto|w_preposizione=riguardante la|wikt}} [[Categoria:Concetti e principi filosofici]] [[Categoria:Tecnica| ]] jzzayojrqfxb2laqzqo8n0jcb84mbqt Discussione:Proverbi siciliani 1 10950 1381942 1282257 2025-07-01T20:09:57Z ~2025-111354 103362 /* Significato di una frase siciliana */ nuova sezione 1381942 wikitext text/x-wiki {{sfid}} {{indice}} ==A== *'''Accàtta e vinni quannu si priàtu e fatti zitu quannu si anningàtu.''' :''Compra e vendi quando ne sei richiesto e fidanzati quando sei desiderato.'' ::Saper discernere il tempo propizio per gli affari e per i sentimenti. *'''Avanti picca a godiri ca assai a trimuliari.''' :''Meglio avere poco e goderne che avere tanto e tremare.'' ::variante: *'''Megghiu picca gòdiri, ca assai trivulàri.''' :''Meglio poco gioire, che lamentarsi assai.'' ::Accontentarsi della piccole gioie della vita, piuttosto che rischiare grandi disgrazie. :È facile attaccare il nemico caduto in disgrazia. *'''A fissaziuni jè peggiu da malatìa.''' : ''La testardaggine è peggio della malattia.'' *'''A megghiu parola è chidda ca nun si dici.''' : ''La miglior parola è quella che non viene pronunciata.'' *'''A [[pene|minchia]] nta lu culu 'i l'àutri è 'n filu 'i capiddu.''' :''Il pene nel culo degli altri è come un filo di capelli'' ::Le disgrazie altrui sono poca cosa. *'''A vita iè comu a scala do puddaru: iè cutta e china 'i medda''' :''La vita è come la scala del pollaio: è corta e piena di merda'' *'''A li poviri e a li sbinturati cci chiovi 'nta lu culu macari assittati.''' :''Ai poveri e agli sventurati piove nel culo anche da seduti.'' *'''A liggi è uguali pi tutti ma cu av'i picciuli si nni futti.''' :''La legge è uguale per tutti ma chi ha i soldi se ne fotte.'' *'''A stizzania percia a timpa''' :''La goccia cava la roccia''<ref>Ovvia origine dal latino ''Gutta cavat lapidem''.</ref> *'''Alliccari e dilliccari è capu di custioni''' :''Arricchire {{NDR|di elogi}} e disarricchire {{NDR|qualcuno}} è fonte di litigio'' *'''A tempu di pira: "zziu Pe'! zziu Pe'!", fineru li pira, e finì lu "ziu Pe'!".''' : ''Al momento {{NDR|della raccolta}} delle pere: "zio Peppe! zio Peppe!". Finiscono le pere, e finì {{NDR|il continuo chiamare}} "zio Peppe!".'' *'''A tempu ri caristia, ogni funtana leva a siti.''' :''In momento di carestia, ogni fonte toglie la sete.'' *'''A tempu ri caristia, ogni pirtusu è galleria.''' :''In tempo di carestia, ogni buco è galleria.'' *'''A tempu ri guierra, ogni pirtusu è trincea.''' :''In tempo di guerra, ogni buco è riparo.'' *'''A tempu ri racina e ficu nun c'è né cumpari e né amicu.''' :'' In tempi {{NDR|di raccolta}} di uva e fichi non c'è compare né [[amico]].'' *'''A minchia nunn'avi occhi: unni s'anfila s'anfila, e su ss'anfila è megghiu.''' :''Il pene non ha occhi: dove si infila si infila, e se si infila è meglio.'' *'''A scuzzaria 'mmenzu a via, u so immu 'nsu talia.''' :''La tartaruga {{NDR|che cammina}} in mezzo alla strada, la sua gobba non vede.'' ::Detto di chi guarda i difetti degli altri e non si accorge dei propri *'''Accatta caru e vinni mircatu.''' :''Compra a caro prezzo e vendi a buon mercato.'' *'''Accatta di quattru e vinni di ottu.''' :''Compra a quattro e vendi a otto.'' *'''Acqua ca duna a tanti vadduni a mari non ci n'arriva.''' :''Acqua che va in tanti torrenti non arriva al mare.'' ::Nel senso che se si fanno troppe cose non se ne porta a compimento nessuna. *'''Acqua cunsìgghi e sali, senza spiàti nunn'ha ddari''' :''Acqua consigli e [[sale]], se non richiesti non vanno offerti. {{NDR|, perché preziosi}}.'' *'''Acqua ri rocca, sticchiu ri zoppa.''' :''Acqua che sgorga dalla roccia, vagina di donna zoppa.'' ::Nel senso che sono due cose prelibate. *'''Acqua passata nun macina mulinu.''' :''Acqua passata non fa macinare il [[mulino]].'' ::Ciò ch'è stato non serve più. *'''Agneddu e sucu e finiu 'u vattìu.''' :''Agnello al sugo e poi finisce il battesimo.'' ::Dopo la mangiata è finita la festa. *'''A lavari la testa a lu sceccu si perdi acqua, sapuni e tempu.''' :''A lavare la testa all'asino si perde acqua, sapone e tempo.'' *'''A filazza ammazza.''' :''Lo spiffero ammazza.'' *'''Agli amici e ai parenti nun vinniri e nun accattari Nenti.''' che vale anche per '''Ccu amici e ccu parenti, non c'havìri cchi fari nenti.''' :''Agli amici e ai parenti non vendere e non comprare niente'' (''con amici e con parenti non devi averci niente da fare''). *'''Amici e vàdditi''' :''Amici e guardati.'' ::Guardati dagli amici *'''Amicu Amicu, 'nto culu t'â stricu''' :''Amico, amico, nel culo te la strofino''. ::Amicizia ipocrita, esibita solo a parole. *'''Amicu fàusu è malu vicinu, ti jetta la petra e ammuccia la manu.''' :''Il falso amico è un cattivo vicino, che tira la pietre e nasconde la [[mano]].'' *'''A minchia sbrugghiata nun canusce patrunu.''' :''Il pene liberato in erezione non conosce padrone.'' :: Sotto l'impeto degli istinti, non si sente ragione. *'''Ammatula ti licchi e fai cannola, lu santu è ri mammuru e non sura'''. :''È inutile che ti passi la lacca e ti fai i boccoli<ref>Cerchi di farti bello.</ref>, il santo è di marmo e non suda.'' ::variante: *'''Ammàtula ca 'ntrizzi e fai cannòla, lu santu è di màmmuru e non suda'''. :''Inutile che ti pettini e ti fai i boccoli, il santo di marmo non suda''.<ref>Questa versione viene ripresa da [[Franco Battiato]] in ''Veni l'Autunnu''</ref> ::Per situazioni amorose unilaterali o per aspettative che non saranno corrisposte. Un'altra variante è la seguente: *'''Ammatula ti piettini e t'allisci, u cuntu ca t'ha tratu nun t'arrinesci.''' :''È inutile ti pettini e ti rendi lisci {{NDR|i capelli}}, il conto che ti sei fatta non ti riesce.'' *'''Ammuccia, ammuccia, ca tuttu pari'''. :''Nascondi, nascondi, che tutto sembra''. ::Le magagne (o i guai) non si possono celare a lungo. *'''Amuri, biddizzi e dinari sunu tri cosi ca nun si ponu ammucciari.''' :''Amore bellezze e denaro sono tre cose che non possono essere nascoste.'' *'''Amuri ammuccia ogni difettu.''' :''L'[[amore]] nasconde ogni difetto.'' *'''A picura ppì diri ''bè'' persi lu muzzucuni.''' :''La [[pecora]] per dire "be"<ref>Cioè per belare.</ref> perdette il morso<ref>La propria porzione di cibo.</ref>.'' *'''Aranci, Aranci... cu l'havi si li chianci.''' :''Arance, Arance, chi ce le ha se le piange.'' ::Chi ha qualcosa deve poi mantenerla. Riferito alla difficoltà di coltivare l'agrume. *'''Arraspa ô tò amicu unni ci mancia.''' :''Gratta il tuo amico là dove gli prude.''<ref>In siciliano il prurito è detto ''manciaciumi''.</ref> *'''Àrbulu chi nun fa frutta, tàgghialu dî ràdichi.''' :''variante:'' *'''Arvulu ca non frutta, tàgghiulu di sutta.''' :''Albero che non da frutti, taglialo alla radice.'' *'''A vecchia avìa cent'anni e ancora 'nzignava'''. :''La vecchia aveva cent'anni e insegnava ancora''. ::Non si finisce mai di imparare. ::variante: *'''Noè avìa novicent'anni: 'mparàva e 'nsignàva.''' :''Noè aveva 900 anni: imparava ed insegnava.'' ::A qulsiasi età non si smette di dare e ricevere conoscenza. *'''A lu tò amicu veru parraci chiaru.''' :''Al tuo amico sincero, parla chiaramente.'' *'''A lu caru avvicinatici, a lu mircatu pènsaci.''' :''Avvicinati al costoso, rifletti se è a {{NDR|buon}} mercato'' ::Compra cose di qualità e diffida da ciò che viene offerto a buon prezzo. *'''A paredda si pigghia ro manicu''' : ''La padella si prende dal manico.'' *'''A iaddina fa l'ovu e 'o iaddu c'abbampa u culu''' :''La gallina fa l'uovo e al gallo brucia il sedere.'' ::Riferito a chi vanta e millanta le fatiche altrui. *'''A puvirtà unn' è virgogna, ma mancu preju.''' :''La povertà non è una vergogna, ma neanche pregio.'' *''''A jatta prisciulusa fici i jattareddi orbi.''' vedi anche '''Jatta prescialora havi nici orbi''' :''Gatta frettolosa fece i gattini ciechi'' (''Gatta frettolosa ha figli ciechi''). *'''A tempu ri tempesta ogni bucu è portu.''' :''Al momento della tempesta ogni buco è un porto.'' *'''A nu parmu du me' culu chi futti futti''' :''anche a poca distanza da me, se non mi si tocca, non mi interessa nulla.'' *'''A buffa cutulia a giurana.''' :''Il rospo prende in giro (deride per l'aspetto fisico) la rana.'' ==B== *'''Babbaluci a sucari e fimmini a vasari nun ponnu mai saziari.''' :''Lumache da succhiare e [[donna|donne]] da baciare non possono mai saziare''. *'''Babbaluci, fungi e granci spenn'assai e nenti mangi.''' :''Lumache, funghi e granchi, spendi molto e non mangi niente.'' *'''Beccu chi bicchia un'navi malatia.''' :''Becco che becca non è malato.'' *'''Bon tiempu e malu tiempu non dura tuttu u tiempu!''' :''Il tempo buono e il tempo cattivo non durano mai in eterno.'' *'''Bona maritata senza soggira e cugnata''' :''Una donna è ben sposata se non ha suocera e cognata'' *'''Bella tiesta ppi fari piruacchji''' :'' Bella testa per fare pidocchi'' : Riferito a chi non ragiona. ==C== *''' Cazzu rancatu non canusci parentatu!!!''' :'' Quando un uomo ragiona col pene non conosce nemmeno i parenti'' *'''Ci spiai aiutu all'ovvù, iapriu l'occhi e mi fici scantari!''' :''Ho chiesto aiuto al cieco, ha aperto gli occhi e mi ha fatto spaventare (quando chiedi aiuto a qualcuno e fà più danni di quanti ne avresti fatti tu)''' *'''Cu si vaddò si savvò!''' :''Chi si guardò (le spalle) si salvò!'' *'''Lu vinu, la taverna e la bagascia portanu l'omu alla burza liscia.''' :''Il vino, l'osteria e le donne di facili costumi portano l'uomo alla rovina finanziaria'' *'''Cu sparagna, sparagna pi porci!''' :''Risparmiare troppo non serve perche lo spenderai dopo''' *'''Cu ci attacca a ciangianedda o' iattu?''' :''Chi l'attacca la campanella al gatto?'' di origine spagnola "chi si prende la responsabilità?" *'''Cunta senza junta cà cù cunta cuntentu cunta!''' :''Conta senza aggiunta che chi conta lo fà contento'' *'''Cacciaturi ca assicuta a ddu cunigghia, unu cci scappa e l'autru n'ô pigghia.''' :''Cacciatore che insegue due conigli, uno gli scappa e l'altro non lo piglia.'' *'''Campana câ nun sona o primu toccu è surda.''' :''[[Campana]] che non suona al primo tocco è sorda.'' *'''Carrica liegghiu e cunsuma o vuoscu''' :''Fai tanti viaggi, ma con un carico leggero.'' *'''Carta veni e iucaturi si vanta''' :''carta fortunata e giocatore che si vanta'' *'''Cci dissi lu Signuri a San Giuvanni: «Di li signaliati, guardatinni.»''' :''Disse il Signore a San Giovanni: «Guardati dai segnati (le persone con difetti fisici).»'' *'''Chista è a zita, cu a voli sa marita.''' :''La fidanzata è così, chi la vuole se la sposi.'' ::Se ti va bene è così, se no niente. *'''Ci rissi lu sceccu a lu mulu: semu nati pi dari culu'''. :''Disse l'asino al mulo: siamo nati per sgobbare'''. *'''Ci rissi u sceccu o liuni tu si re senza vastuni, si feroci e prepotenti ma di sutta nun naii nenti...''' :''Tu sei tutto fumo e niente arrosto''. *'''Ci rissi u sceccu ou voi, pi conna mi poi ma pi minkia sucari ma poi.''' :''Ci disse l'asino al boe, hai le corna che io non ho ma io ho il pene più grosso del tuo!'' *'''Falla comu voi, sempri cucuzza è!''' :''Condiscila come vuoi, rimarrà sempre una zucca.'' ::O in un modo o nell'altro, la sostanza è sempre la stessa! *'''Cu c'havi 'u culu considera.''' :''Avendo aria nella pancia, chiunque avrebbe fatto lo stesso.'' ::Chi si trova nella tua stessa condizione ti capisce. *'''Cu accatta abbisogna di cent'occhi; cu vinni d'unu sulu.''' : ''Chi compra ha bisogno di cento occhi; chi vende di uno soltanto.'' *'''Cu accurza allonga e cu allonga accurza''' :''Chi vuole fare le cose in fretta alla fine perde più tempo.'' *'''Cu è riccu d'amici è poveru di guài.''' :''Chi ha tanti amici passa pochi guai.'' *'''Cu' bedda voli appariri, tanti guai havi a patiri.''' :''Chi bella vuole apparire, tante sofferenze deve subire.'' *'''Cu' asini caccia e fimmini cridi, faccia di paradisu nun ni vidi.''' :''Chi [[asino|asini]] insegue e {{NDR|alle}} [[donna|donne]] crede, non vedrà il [[paradiso]].'' *'''Amici e [[parenti]], 'un ci accattari e 'un ci vinniri nenti.''' :''Con gli amici e i parenti non comperare e vendere niente.'' *'''Cu' mancia e nun vivi, mai saturu si cridi.''' :''Chi mangia e non beve, mai sazio si crede.'' *'''Cu' nesci, arrinesci.''' :''Chi ne esce {{NDR|dal proprio paese}}, trova fortuna.'' *'''Cu' nun è curnutu è figghiu di Diu.''' :''Chi non è cornuto è figlio di Dio.'' *'''Cu' picca avi, caru teni.''' :''Chi ha poco lo tiene caro.'' *'''Cu di sceccu ni fa mulu, i primu causcu iè dò sò.''' :'' Chi di asino ne fa mulo il pimo calcio è suo.'' *'''Casa senza omu, casa senza nomu.''' :''Casa senza uomo, casa senza nome.'' *'''Cirasi e pruna, chiantani una.''' :''Ciliege e prugne, piantatele.'' ::Invito a coltivare la bellezza. *'''Callìa chiossà un fasciu di ligna ni la ceminera, câ un arburo ni la foresta.''' :''È meglio avere poca legna nel camino che un albero nella foresta.'' *'''Chianta arburi 'mezzu la vigna, si nun pigli frutta cogli ligna.''' :''Pianta alberi in mezzo alla vigna, se non raccogli frutta almeno cogli legna.'' ::Fai del bene nella vita, se non raccogli sorrisi almeno fai felice la gente. ::Se una donna non accetta la prima volta è inutile tentare. *'''Ci vole 'u vento in chiesa, ma no astutàri i cannila.''' ::Quando si esagera a far qualcosa. *'''Chistu e nenti sunnu parenti.''' :''Qualcosa di poco e niente sono parenti.'' *'''Celu niettu un c'è paura di trona.''' :''Con il cielo limpido non si teme il tuono.'' ::Se si ha la coscienza pulita non si teme nessuna accusa. *'''Cielu crapinu, se nun ciovi ogghi ciovi rumani matinu''' :''Cielo a pecorelle, se non piove oggi piove domani.'' ''variante:'' *'''Cielu picurinu, s'un chiovi oij chiovi 'o matinu''' *'''Ciu annintra iemu, cchiù pisci pigghiamu''' :''Piu' si va al largo, più pesci si pescano.'' *'''C'é cchiù jorna chi sasizza.''' :''Ci sono più giorni che salsiccia.'' *'''Chiusa na porta si rapi un purtuni.''' :''Chiusa una porta si apre un portone'' *'''Cchiu scuru di menzannotti nun po fari.''' :''Più buio di mezzanotte non può fare'' ::peggio di così non può andare *'''Com'è a canni veni u broru''' :''Come è la carne viene il brodo'' ::Dalla origini puoi capire cosa verrà fuori in futuro *'''Cu avi è.''' :''Chi possiede è qualcuno.'' *'''Cu avi un parrinu iavi u iardinu.''' :''Chi ha in famiglia un [[prete]] ha un giardino.'' *'''Cu avi lingua passa u mari.''' :''Chi ha lingua attraversa il mare.'' *'''Cu avi picciuli campa filici e cu nunn'avi perdi l'amici.''' :''Chi ha [[denaro|soldi]] vive felice chi non ne ha perde gli amici.'' *'''Cu avi dinari assà sempri cunta e cu iavi muglieri bedda sempri canta.''' :''Chi ha assai soldi sempre li conta, e chi ha la moglie bella sempre canta.'' *'''Cu cancia a strata vecchia ppi la nova, sapi 'nso cu lassa ma nun sapi 'nso cu trova.''' :''Chi lascia la strada vecchia per la nuova, sa quello che lascia ma non sa quello che trova.'' *'''Cu lassa a vecchia ppa nova, mali s'attrova.''' :''Chi lascia la vecchia per la nuova, male si trova.'' *'''Cu lassa a vecchia ppa nova, attròva 'a so malanòva.''' :''Chi intraprende nuova vita, spesso si trova pentito'' *'''Cu ccu cani si curca, ccu pulici si leva.''' :''Chi si corica coi cani si alza con le pulci.'' *'''Cu di sceccu ne fa voi u primu cauciu è do so.''' :'' Chi dell'[[asino]] fa [[bue]], il primo calcio è il suo.'' *'''Cu du' vucchi vo basari l'una o l'altra hav'a lassari.''' :''Chi vuole baciare due bocche deve lasciar o l'una o l'altra.'' *'''Cu mancia fa muddichi.''' :''Chi mangia fa molliche.'' ::Se fai qualcosa di sbagliato, prima o poi si verrà a sapere. *'''Cu fà, fa ppid'iddu.''' :''Chi fa qualcosa lo fa per se stesso.'' *'''Cu figliu di gattu è, surci piglia.''' :''Chi è figlio del gatto acchiappa i topi.'' *'''Cu pecura si fa, u lupu s'a mancia.''' :''Chi si fa pecora, il lupo lo mangia.'' *'''Cu è minchia? Carnalivari o cu cci va appriessu?''' :''Chi è stupido? Lo scemo o chi lo segue?'' *'''Cu nasci tunnu un' pò moriri quadratu (opp: chiàttu).''' :''Chi nasce tondo non può morire quadrato.'' *'''Cu pigghia un turcu è so.''' :'' Approfittane, nessuno ti chiederà mai il conto'' *'''Cu va cô zoppu a l'annu zuppìa.''' :''Chi va con lo zoppo dopo un anno zoppica.'' *'''Cu si la pighia picciotta assai, tummina tummina sunnu li vai.''' :''Chi si prende una donna molto più giovane ha molti guai.'' *'''Cu si vardau si sarvau.''' :''Chi si guardò {{NDR|le spalle }} si salvò.'' *''' Cu spairti spairti, si futti siempre a megghiu pairti.''' :''Chi fa le divisioni si prende sempre la parte migliore.'' *'''Cu ti voli beni ti fa chianciri, e cu ti voli mali ti fa arridiri.''' :''Chi ti vuol bene ti fa piangere, e chi ti vuol male ti fa ridere.'' *'''Cu tocca culu addisia minchia.''' :''Chi preferisce il fondoschiena ha tendenze omosessuali.'' *'''Cu voli a Cristu si lu preia.''' :''Chi vuole Cristo se lo preghi.'' *'''Cu zappa, zappa a so' vigna cu bonu zappa bonu vinnigna.''' :''Chi zappa, zappa la propria vigna chi bene zappa bene vendemmia.'' *'''Culu ca nun vitti vraca quannu li vidi tutti si li caca.''' :''Fondoschiena che non ha mai visto pantaloni quando li vede li schifa.'' *'''Culu ca nun ha vistu mai cammisa, quannu sa metti si va cacannu.''' :''Fondoschiena che non ha mai visto camicia, quando la indossa se ne vanta'' *'''Cu s'affuca chi sò manu, nun c'è nuddu ca u chianci.''' :''Chi si strozza con le proprie mani, non ha nessuno che piange per lui'' *'''Curri quantu vuva ca sempri cà t'aspittu.''' :'' Corri quanto vuoi che sempre qua ti aspetto.'' *'''Cummannari è megghiu ri futtiri.''' :''Comandare è meglio di fottere.'' *'''Caliti juncu, chi passa la china'''. :''Aspetta che passi questo periodo, verrà il tuo momento.'' *'''Cu paga avanti mancia pisci fitusi'''. :''Non avere fretta a pagare.'' *'''Chianci chianci tu m' accatti aranci tu m'u munni e io mo manciu'''. :''Bisogna affrontare le proprie paure senza piangere.'' *''' Cu si curca cchi picciriddi si susi pisciatu.''' :''Chi va a letto con i bambini si sveglia pisciato.'' :Chi si fida di persone incapaci ne esce malconcio. *'''Cu s'a senti strinci 'i renti'''. :''Chi se la sente stringe i denti''. :Chi crede di essere colpevole abbia paura. / A buon intenditore poche parole. *'''Cchiu ti 'nsignu e cchiu ti perdu'''. :''Più cose ti insego e più velocemente ti perdo''. *''' Cu zappa timpi e cu stampa santi va chiù narriari ca n'avanti'''. :''Chi zappa terreni scoscesi e chi stampa santi va più indietro che avanti''. *'''Cu spatti avi la megghju patti.''' :''Chi divide (chi fa le porzioni) sceglie la parte migliore.'' ==D== *'''Santu Luca santu Luca, Di cu sunnu li figghi, si l'annaca.''' : ''Ognuno deve risolvere da solo i suoi problemi.'' *'''Di lu mari nasci lu sali e di la fimmina ogni mali.''' :''Dal mare è nato il sale e dalla donna tutti i mali.'' *'''Di quattru cosi nun t'ha fidari: Sirinitati di nvernu e nuvuli di stati, chiantu di fimmina e caritati di frati.''' :''Di quattro cose non ti fidare: Sereno d'[[inverno]] e nuvole d'[[estate]], [[pianto]] di [[donna]] e carità di [[frate]].'' *'''Doppu Natali... lu friddu e la fami.''' :''Dopo Natale... il freddo e la fame.'' *'''Dissi lu surgi a la nuci: dunimi tempu ca ti spirtusu!''' :''Disse il topo alla noce: dammi tempo che prima o poi riuscirò ad aprirti.'' '''Variante – belicina''' *'''Ci dissi lu surci a la nuci: Dammi tempu chi ti perciu! Rispunni la nuci a lu surci: 'chiu tempu passa e 'chiù dura mi fazzu!!''' :''Disse il topo alla noce: dammi tempo che prima o poi riuscirò ad aprirti. Rispose la noce al topo: più tempo passa e più dura mi faccio.'' *'''D'ammasciaturi mi truvai zitu.''' :''Portando un'ambascia d'amore, mi sono ritrovato innamorato.'' *'''Du' cosi sunu stravaganti: u suverchiu e u mancanti.''' :''Due sono le cose superflue: il soverchio e il mancante. Il giusto sta in mezzo'' *'''Di' ni scansa di calamitati, d'omini spani e fimmini varvuti''' :''Dio ci liberi dalle disgrazie, dagli uomini glabri e dalle donne pelose'' ==E== *'''È inutili ca ntrizzi e fai cannola, lu santu è di màrmuru e nun suda.''' :''Inutile che ti dai da fare col trucco e i bigodini: l'uomo casto è di marmo e non suda.'' *'''Enzu furrìa ammenzu pasta, patate ca a sassa nto menzu.''' :''Enzo rotola in mezzo pasta, patate, con la salsa nel mezzo.'' *''' È bberu ca u picciottu po morriri, ma u vecchiu non po campari''' :''È vero che il ragazzo può morire, ma è anche vero che il vecchio non può vivere'' *'''È inutili cà 'o porcu ci menti 'u cilindru, tantu sempri porcu è.''' :''E' Inutile che al porco metti il cilindro, tanto sempre porco rimane. (riferito a una persona rozza che si è arricchita e vuole apparire come nobile ed educata)'' *'''E' inutili lavarici a testa au sceccu: si peddi tempu, acqua e sapuni''' :'' E' inutile lavare la testa all'asino: si sprecano tempo, acqua e sapone (è tempo sprecato cercare di aiutare chi non vuole o non merita l'aiuto)'' *'''era beddu u piddusinu, vinni a jatta e ci pisciau.''' :''Era prospero (in senso ironico) il prezzemolo, è sopraggiunto il gatto e ha gli fatto la pipì sopra.'' :(Le cose andavano già male e sono peggiorate ulteriormente.) ==F== *'''Figghia di gatta si nun muzzica gratta''' :''Figlia di gatta se non morde sicuramente graffia'' *'''Figghioli e porci comu li insigni li trovi''' :''I figli sono come i maiali come li educhi crescono''' *'''Fai beni e scordatillu, fai mali e pènsaci''' :''Se fai del [[bene]] dimenticatelo, se fai del [[male]] pensaci.'' *'''Fai beni a jatta ca t'aratta''' :''Fai bene al gatto e ne riceverai un graffio.'' *'''Fatt'a nomina e va curcati.''' :''Fatti la nomina e vai a dormire. '' :Fatti una buona reputazione e poi potrai dormire tranquillo. / Se ti fai una cattiva reputazione è meglio tu non ti faccia vedere. *'''Figghi e dinari nun si nni mmana chi a sarvari.''' :''I figli e i soldi sono le cose che non si affidano.'' *'''Fimmina chi movi l'anca si nun è buttana picca ci manca. / Fimmina ca n'annaca l'anca, su nun è iarusa picca ci manca''' :''Donna che sculetta, se non è puttana poco ci manca.'' *'''Fimmina mpiegata si nun è maniata, è tuccata.''' :''Donna che lavora se non ha tradito, l'hanno toccata.'' *'''Fimmini scecchi e pagghiari sunnu cosi p'accumadari.''' :''Donne Asini e Pagliai, sono cose tanto per rimediare per un pò.'' *''''Fimmini schetti e maritati senza figghi né pi dinari né pi cunsigghi''''. :''Donne zitelle e spsate senza figli non son buone né per i prestiti né per i consigli''. *'''Fungi, pateddi e sfinci spenni assai e nenti manci.''' :''Funghi, patelle e sfinci costano molto ma c'è poco da mangiare.'' *'''Funtana ca duna acqua a dù vadduni, nun pò fari dù cori cuntenti.''' :''La sorgente che da origine a due fiumi non può accontentare due cuori.'' ::''''(variante) Si servi du patruni un si servu bonu 'né p'unu, 'né pi l'autru''''. *'''Futtiri addritta e caminari nda rina portanu l'omu a la ruvina.''' :''Far sesso in piedi o passeggiare sulla sabbia asciutta fa male.'' *'''Fujiri è vriogna, ma è sarbamintu di vita''' :''Scappare è da codardi, ma allunga la vita''. *'''Futti, futti ca Diu pirduna a tutti.''' :''Ruba, ruba (o inganna) che Dio perdona tutti''. *'''Futti e futtitinni'''. :''Fotti e non ci pensare.'' ==G== *'''Gilusu di culu, jarrusu sicuru.''' :''Geloso del proprio sedere, omosessuale sicuro.'' ==H== ==I== *''''I fìmmini quarchi vota dìcinu 'u veru, ma nun lu dìcinu nteru.''' :''Le donne qualche volta dicono il vero, ma non lo dicono per intero.'' *''''I parenti da muggheri sunu duci comu u meli, i parenti du maritu sunnu seppi di cannitu.''' :''I parenti della moglie sono dolci come il miele, i parenti del marito sono serpenti di canneto.'' *'''I picciuli sunnu nta vucca di tutti e nta sacchetta di nuddu.''' :''I soldi sono sulla bocca di tutti e nella tasca di nessuno.'' *'''I cosi su dui: o si spacca u sticchiu o si rumpi a minchia.''' :''Le cose sono due: o si rompe la vagina o si rompe il pene.'' *'''I picciuli di lu varveri sunnu biniriciuti di la mugghieri.''' :''I soldi per il barbiere sono sempre ben spesi''.<ref>Fino ad alcuni decenni fa andare dal barbiere era una buona occasione per... ripulirsi.</ref> *'''Iddu javi na cosa chi ci mpendi chi di tuttu lu difendi'''. :''Lui (il figlio maschio) ha una cosa che gli pende che da tutto lo difende.'' *'''Ioca cu ta patri e cuntiti i catti'''. :''Gioca con tuo padre e contati le carte.'' *'''Iochici, iochici cà minchia do pupu!''' :''Gioca, gioca col pisello del pupo!'' :Non giocare con le cose che sembrano innocenti, potresti rimanere fregato. *'''I picciriddi annu a parrari sulu quannu piscia a jaddina'''. :''I bambini devono parlare solo quando fa pipì la gallina''. ==J== *'''Jacomu porta e Larenzu vannìa''' :''Giacomo porta e Lorenzo chiama''<ref>"Vanniari" sta per urlare, ma qui si intende la ''vanniata'', cioè un grido finalizzato a invogliare clienti per il compare precedente che reca con sé la mercanzia.</ref> ::Si dice di una coppia sciocca, insensata. *'''Jaggia apetta, aceddu mortu.''' :''Gabbia aperta, uccello morto.'' *'''Jatta é!''' :''Gatta è!'' :Usato quando si prospetta una brutta situazione. *'''Jurnata rutta, rùmpila tutta.''' :''Giornata rotta, rompila tutta.'' ==K== ==L== *'''La quartara va tanti voti all'acqua finu a quannu si rumpi.''' :'' La brocca viene riempita tante volte fino a quando si rompe.'' *'''L'ebba tinta nun mori mai.''' :'''L'erba cattiva non muore mai.''' *''''A matinata fa a jurnata.''' :La mattinata fa giornata :''Buon giorno si vede dal mattino.'' :''Chi si sveglia presto al mattino, già ha fatto parte della giornata.'' *'''L'acidduzzu nta la gaggia, nun canta p'amuri, canta pi raggia.''' :''L'uccellino in gabbia non canta per amore ma per rabbia.'' :Variante: '''L'aceddju nta jaggia canta pì mmiria o pi rraggia.''' :''L'uccello in gabbia canta per invidia o per rabbia.'' *'''L'acqua si nni va nta la pinnenza, l'amuri si nni va unni c'è spiranza.''' :''L'acqua scende dal pendio, l'amore se ne va dove c'è speranza.'' *'''L'omu gilusu mori curnutu.''' :''L'uomo geloso muore cornuto.'' *'''La guerra, quannu veni, veni pi tutti.''' :''La guerra, quando arriva, arriva per tutti.'' *'''La megghiu palora è chidda nun diciuta.''' :''La parola migliore è quella non detta.'' *'''La minchia 'n culu di l'atri pari un filu d'inia.''' :''I guai degli altri sembrano sempre cose stupide.'' *'''La petra uffruta di n'amicu è comu un pumu.''' :''La [[pietra]] offerta da un amico è come una mela.'' *'''La pignata taliata nun po vugghiri mai.''' :''La pentola guardata non bolle mai.'' *'''Li corna su' comu li denti, dòlinu quannu spùntanu, ma poi sèrvinu pi' manciari.''' :''Le corna sono come i denti, fanno male quando spuntano ma poi servono per mangiare.'' *'''Li difetti di la zita s'ammuccianu cu la doti.''' :''I difetti della fidanzata si nascondono con la dote.'' *'''Li guai di la pignata li sapi la cucchiara ca l'arrimina.''' :''I guai della pentola li conosce il mestolo che mischia.'' *'''Lu jornu nun ni vogghiu e la sira spardu l'ogghiu''' :''Di giorno non ne voglio e la notte consumo l'olio.'' ::Si dice chi non lavora al tempo giusto e poi eccede nel momento sbagliato. *'''L'ovo cchiu chi coce, cchiu duro addiventa'''. :''L'uovo diventa sempre più duro man mano che cuoce.'' *'''Lu pani nun stuffa mai'''. :''Il [[pane]] non stanca mai. '' *'''Lu sceccu porta la pagghia e lu sceccu si la mancia.''' :''L'asino porta la paglia e l'asino la mangia.'' ::Si dice di una persona egoista che produce qualche cosa e se la tiene per lui solo. *'''La donna porta l'omu alla cunnanna.''' ::La donna porta l'uomo alla condanna. *'''Lu medicu piatusu fa la chiava virminusa.''' ::Il medico pietoso fa la ferita infetta. ==M== *'''Ma mangiu squarata!!''' ::me la faccio andar bene anche se sò che è sbagliata, tanto chi se ne frega! *'''...mezza rutta rumpila tutta!!''' ::Ormai che hai fatto danno continua per la tua strada. *'''Mancia e vivi a gustu to', causa e vesti a gustu d'autru''' : ''Mangia e bevi a gusto tuo, calza e vesti a gusto degli altri.''<ref>Cioè secondo la moda</ref> ::Se devi fare una cosa che non ti piace, falla subito. *'''Mancia ru to e ru to' saziatinni''' :''Mangia del tuo e del tuo saziatene.'' *'''Maritu bbonu, maritu tintu, tintu cu unn'avi né bbonu né tintu''' : ''Marito buono, marito cattivo, brutto non averne né uno buono né uno cattivo.'' <ref>Meglio avere un marito cattivo che non averne</ref> *'''Maritu vecchiu maritu sfatto quannu un fa avutru quaria lu lettu''' : ''Marito vecchio e stanco se non fa altro riscalda il letto.''<ref>Cioè serve sempre a qualcosa</ref> (Serenella) *'''Mi cuntentu vidiri a me figghiu mortu abbasta ca viu a me nora scuntenta.''' :''Sarei contenta di veder morire mio figlio purché veda mia nuora infelice.'' *'''Muggheri onesta, trisoru ca arresta.''' :''[[Moglie]] onesta, tesoro che resta.'' *'''Megghiu aviri ca desiderari.''' :'' Meglio avere che desiderare.'' *'''Megghiu cummattiri cu centu malandrini e no cu nu sceccu.''' :''E' meglio avere a che fare con cento malandrini che con un babbeo.'' *'''Megghiu a muggheri buttana ca u tirrennu ammenzu la via.''' :''Meglio avere una moglie poco fedele che avere il proprio podere in una zona di passaggio.'' *'''Megghiu cuttu e misuratu chi longu e sgalapatu.''' :''Meglio corto ed educato che lungo e sgarbato.'' *'''Megghiu inabbissari un paisi chi mettiri un'usanza.''' :''È meglio inondare un paese che instaurare una usanza.'' *'''Megghiu n'amicu 'n chiazza ca cent'unzi 'n sacca.''' :''È meglio trovare un amico in piazza che avere cento onze in tasca.'' *'''Megghiu picca e gòdiri, ca assai e tribuliari.''' :''Meglio avere poco e godere, che avere molto e soffrire.'' ::variante: *'''Megghiu picca gòdiri, ca assai trivulàri.''' :''Meglio poco gioire, che lamentarsi assai.'' ::Accontentarsi della piccole gioie della vita, piuttosto che rischiare grandi disgrazie. :::variante: *'''Avanti picca a godiri ca assai a trimuliari.''' :''Meglio avere poco e goderne che avere tanto e tremare.'' *'''Megghiu u' tintu canusciutu ca u bonu a' canusciri.''' :''È meglio un cattivo conosciuto piuttosto che un buono sconosciuto.'' *'''Megghiu perdiri n'amicu chi scattari lu viddicu.''' :''È meglio perdere un amico che mi scoppi l'ombellico {{NDR|la pancia}}.'' ::Se devi fare qualcosa di negativo ma che ti eviti maggior danno fallo anche se perdi un amico.<ref>Si riferisce al fatto sottointeso che è meglio fare dei peti e perdere un amico che farsi scoppiare la pancia per trattenerli.</ref> *'''Megghiu diri "chissacciu" ca diri "chissapìa."''' :''È meglio dire "che ne so" che dire "che ne sapevo.'' *'''Megghiu curnutu ca fissa.''' :''Meglio cornuto che fesso.'' *'''Megghiu suli ca mal'accumpagnati.''' :''Meglio soli che mal accompagnati.'' *'''Megghiu scrusciu i catine ca scrusciu i campane.''' :''Meglio andare in galera che morire per un infame.'' *'''Megghiu cumannari ca futtiri.''' :''Meglio comandare che fottere.'' *'''Megghiu nu sceccu vivu ca un dutturi mortu.''' :''Meglio un asino vivo che un dottore morto.'' *'''Megghiu 'ssicutatu d'ì cani, chi cianciutu d'ì Cristiani''' :''Meglio essere inseguiti dai cani, che invidiati dalle persone''. *'''Morti ca m'hai a ddari, lestu sìa.''' :''Se devi uccidermi, fai presto.'' *'''Munti cu munti non s'incontra mai.''' :''Prima o poi gli uomini si incontrano di nuovo.'' *'''Megghiu unu saziu ca ciento riuni'''. :''Meglio uno sazio che cento digiuni''. *'''Megghiu pierdiri ca strapierdiri'''. :''Meglio perdere poco che perdere molto''. *'''Migliu diri chi sacciu ca chi sapiva.''' :'' Meglio dire che sò che dire che sapevo.'' ==N== *''''N capu a vaddara u cravunchiu.''' :''Sopra la verruca il brufolo.'' *'''Natali cu suli, Pasqua cu tuzzuni.''' :''Natale col sole, Pasqua col tizzone.'' *'''Ne di luna e ne di matti non s'arriva e non si patti.''' :''Ne di lunedi ne di martedi non si parte e non si arriva.'' *'''Ni misimu l'acqua intra e pila fora''' :''Abbiamo l'acqua in casa e il lavandino fuori.'' *'''Niuru pani niura fami''' :''pane nero (di scarsa qualita') fame nera [si usava ai tempi di guerra per dire che erano tempi duri]'' *'''No misi di maggiu arragghiunu i scecchi.''' :''Nel mese di maggio ragliano gli asini'' *'''Non c'è nenti 'nta na casa vacanti.''' :''Non c'è niente in una casa vuota.'' *'''Nta codda ruppa ruppa ci va ntô menzu cu non ci cuppa.''' :''Nella corda nodi nodi, ci va di mezzo chi non ha colpa.'' :''Alla corda piena di nodi (il flagello), ci va chi non ha colpa.'' ::Si dice di persone accusate o punite ingiustamente. *'''Nun c'è chiù tintu ri cu sapi quantu pigghia.''' :''Non c'è più povero di chi ha sa quanto prende.''{{NDR|cioè che ha un salario fisso}} *'''Nun c'è sàbbatu sinza suli, nun c'è fìmmina sinza amuri.''' :''Non c'è sabato senza sole, non c'è donna senza amore.'' *'''Nun cunfunnemu a minchia co' bummulu.''' :''Non confondiamo il pene con il recipiente dell'acqua (bummolo).'' :Non si confondano le cose serie con le stupidaggini. *'''Nun ludari a jurnata si nun scura a jurnata.''' :''Non lodare la giornata se non arriva la sera.'' *'''Nun nesciri nasciti.''' :''Non trovare scuse (non dire novità sta zitto).'' *'''Nun si pigghianu si nun si rassumigghianu.''' :''Non si pigliano se non si rassomigliano.'' *'''Nuttata persa e figghia fìmmina.''' :''Nottata persa e figlia femmina (tanta fatica e scarso risultato).'' ==O== *'''Occhiu ca non vidi cori ca non doli''' :''Occhio che non vede cuore che non duole'' *'''Occhiu vivu e manu o cuteddu.''' :''Occhi ben aperti e mano al coltello''. :Invito a stare sempre all'erta. *'''Ogni bucu è pirtusu, e cu nun lu tappa e garrusu; ma si u bucu è fitusu migliu essiri garrusu !''' :''Ogni buco è orifizio, e chi non lo tappa è omosessuale; ma se il buco è puzzolente è meglio essere omosessuale.'' :Ogni occasione è valida e chi non la coglie è uno sciocco ma se l'occasione è sfavorevole è meglio evitare. *'''Ogni ficateddu ri musca è sustanza.''' :''Ogni fegato di mosca è sostanza''<ref>Non bisogna trascurare niente. Qualunque cosa può essere utile.</ref> *'''Ognunu piscia e sa talia.''' :''Ognuno piscia e se la guarda.'' :Invito a curarsi unicamente dei propri affari. *'''Ognunu sapi quantu l'avi.''' :''Ognuno sa quanto ce l'ha lungo.'' :Ognuno è consapevole del proprio valore e delle proprie capacità. *'''O siccu o saccu.''' :''O niente oppure tutto.'' *'''Ogni minchia havi u so purtusu.''' :''Ogni pene ha il suo buco.'' *'''Ogni lassata è pessa''' e anche '''Ogni lassata è pidduta'''. :''Ogni lasciata è persa.'' *'''Ognunu ca so cedda piscia e sa scutola'''. :''Ognuno con il suo pene piscia e se lo scrolla''. :Ognuno fa di sé quello che vuole. *'''Ogni testa di nuatri è tribunale.''' :''La testa di ognuno di noi è tribunale.'' *'''Occhiu vivu, manu lesta e ucca caura'''. :''Occhio vigile, mano veloce e bocca calda.'' :Quando si è a tavola. *'''Ogghio abbruciato e pareddra spunnata'''; vedi anche '''Si uncero tutt'i dui''' :''Olio sporco e padella bucata'' (''si sono uniti tutt'e due'') :Indica una "buona compagnia" in senso sarcastico. ==P== *'''Petra ca un fa lippu sa tira a china.''' :''Chi non fa radici è destinato ad andare in rovina.'' *'''Pani duru e cuteddu cca nan tagghia''' :''Pane duro e coltello smussato (Coppia che non conclude niente)'' *'''Pani schittu cala rittu''' :''Pane senza companatico, va giù facilmente'' *'''Panza pati e cuosti riposanu.''' :''La pancia patisce le costole riposano.''<ref>Se non vai al lavoro e non hai di che mangiare quanto meno ti riposi .</ref> *'''Parri cu iddu.''' :''Parli con lui.''<ref>Riferito al parlare con lui.</ref> *'''Parra ca parra 'u parrinu pariemu parrini ca parranu.''' :''Parla che parla il prete, sembriamo preti che parlano.''<ref>Riferito a quelli che predicano tanto.</ref> *'''Pìgghia prima e pìgghia 'rossu, nun ti curari siddu è mauru o rassu''' :''Prendi subito e in abbondanza, senza curarti se è magro o grasso'' *'''Puntiari è megghiu 'i cusiri.''' (inteso nel gioco delle carte) :''Meglio far qualche punto che non farne alcuno.'' ==Q== *'''Quannu i nuvuli vannu a mari, pigghia la truscia e vai a lavari. Quannu i nuvuli vannu a muntagna, posa la truscia c'annunca si vagna''' :''Quando le nuvole vanno verso il mare, prendi la biancheria e vai a lavare. Quando le nuvole vanno verso la montagna (l'Etna), posa la biancheria, altrimenti si bagna'' :Trattasi di un metodo che funziona davvero per predire se pioverà oppure no. Ovviamente questo sistema funziona solo a Catania. *'''Quannu l'amuri tuppulìa, unn'u lassari ammenzu a via.''' :''Quando l'amore bussa alla tua porta, non lo lasciare in strada.'' *'''Quannu u sceccu un voli vìviri, e nutule friscàrici.''' :''Quando l'asino non vuol bere è inutile fischiargli.'' *'''Quannu la jatta un po arrivari a la saimi, dici chi fà fetu di ranciru.''' :''Quando la gatta non riesce a raggiungere il lardo (di cui è ghiotta), dice che fa puzza di rancido.'' :Quando non si riesce ad ottenere qualcosa, ci si convince che non vale la pena di rimanerne deluso. :[La favola della volpe e dell'uva: "''Nondum matura est''".] *'''Quannu u diavulu accarizza, voli l'anima.''' :''Quando il diavolo adula, vuole l'anima.'' *'''Quannu u sticchiu jè ghiatu, a minchia jetta un sautu.''' :''Quando la vagina è in alto, il pene spicca un salto.'' :Capacità di adattamento alla necessità delle varie cisrcostanze. *'''Quannu u pacchiu è rosa a minchia s'arriposa''' :''Quando la donna entra nel periodo mestruale, l'uomo deve rassegnarsi.'' *'''Quannu lu suli è ghiuntu a li mura, zappa curnutu ca ancora unn'è ura.''' :''Quando il sole è ancora alto zappa cornuto che ancora la giornata non è al termine.'' ==R== *'''Ricci, pateddi e granci spenni assai e nenti manci''' : ''Ricci, patelle e granchi costano molto ma c'è poco da mangiare.''<ref>Si usa anche per indicare persone che si atteggiano a chissà chi, ma sotto sotto, non hanno nulla.</ref> *'''Ri venniri e di matti, ne s'accatta ne si patti'''. :''Di venerdi e di martedi ne' si fanno acquisti, ne' si intraprendono viaggi.'' *'''Rutta ppi rutta, rumpemula tutta''' :''Rotta per rotta, rompiamola tutta.'' ==S== *'''Sarba a pezza pi quannu veni u purtusu.''' :''Conserva la pezza per quando avrai un buco da tappare.''<ref>Si può intendere come conserva qualcosa per quando può venire utile. Ma spesso è usata per indicare una situazione nella quale una persona che ha subito un torto, non appena ne avrà la possibilità ricambierà l'offesa subita o quanto meno rinfaccerà l'accaduto.</ref> *'''Scacciuna no funnu unn'arrèstinu''' :''Anche le focacce venute male, vengono mangiate.'' ::Detto per consolare le persone bruttine che faticano a trovare un compagno/a. *'''Sceccu orbu e strata pitrusa''' :''Asino zoppo e strada piena di pietre'' ::Coppia che non conclude niente *'''Sceccu zoppu si godi la vita.''' :''Il mulo zoppo si gode la vita.'' ::Vivi lentamente per goderti la vita. *'''Sceccu ca s'avànta un vali mancu na lira.''' :''L'asino che si vanta non vale neanche una lira.'' *'''Sciroccu chiaru e tramuntana scura, mettiti in mari senza paura.''' :''Scirocco chiaro e tramontana scura, mettiti in [[mare]] senza paura.'' *''''si servi du patruni un si servu bonu 'né p'unu, 'né pi l'autru'''' : ''se servi due padroni, non sarai un buon servo né per uno, né per l'altro'' ''''(variante) Funtana ca duna acqua a dù vadduni, nun pò fari dù cori cuntenti.'''' : ''fontana che dà acqua a due valli, non può fare due cuori contenti.'' *'''Siddu dici no, ti resta l'amicu e la robba tò.''' :''Se dici di no, ti rimane l'amico e la roba tua''. :Si dice per mettere in guardia dal concedere facili prestiti. *'''Si voi lu beni pensa a lu mali.''' :''Se vuoi il bene pensa al male.'' *'''Si vô futtiri 'u tô vicinu, curcati prestu e susiti matinu.''' :''Se vuoi fregare il vicino, vai a letto presto e alzati di buon mattino.'' *'''Su' tutti garrusi ccu culu 'i l'autri.''' :''È facile parlare quando non si rischia del proprio.'' *'''Si è figghia ri iatta surci havi a pigghiari''' :''Se è figlia di gatta non può che prendere topi.'' *'''Sparagna la farina quannu la cascia è china.''' :'''A chi servi sparagnari quannu lu funnu pari?''' :''Risparmia la farina quando ne hai in abbondanza.'' :''A cosa serve farlo quando non ne hai quasi più?'' ::variante: *'''Sgavìta la visàzza quann'è china, ca quannu è leggia si sgavìta sula.''' :''Risparmia il contenuto della bisaccia quando è ancora abbondante, perché quando si sarà vuotata... ci sarà poco da risparmiare ormai.'' *'''Sparagna l'acqua e si vivi lu vinu.''' :''Risparmia l'acqua e beve il vino.'' *'''Spassu di vicini e trivulu di casa.''' :'' Divertente e piacevole con gli estranei e causa di patimenti e sofferenze in casa.'' ::variante: *'''Spassu di fòra e triulu d'intra (opp: 'i casa).''' :''Spassosa fuori e lamentosa a casa.'' ::Comportamenti opposti con gli estranei e con i famigliari. *'''Stennu u peri fino a quannu u linzolu teni.''' :''Stendi il piede fino a quando il lenzuolo tiene.'' ::Non superare il limite di sopportazione. *'''(Si iunceru) pani ruru e cuteddu ca' nun tagghia .''' :''Si sono uniti pane duro e coltello che non taglia.'' *'''(Si iunceru) ogghiu fitusu e paredda spunnata .''' :''Si sono uniti olio sporco e padella bucata (due cose inutili).'' ==T== *'''T'amparari e t'appeddiri.''' :''Ti devo insegnare e poi ti devo perdere .'' *'''Tantu ci va a quartara a l'acqua nzinu a quannu un si rumpi.''' :''Tante volte si porta la brocca a prendere l'acqua che prima o poi si rompe.'' *'''Tantu va a quartara all'acqua, ca o si rumpi o si ciacca.''' :''Tante volte va la brocca a prendere l'acqua che prima o poi o si rompe o si spacca'' (letteralmente: si crepa). *'''tempu di ficu e sorba cu si po savvari si savva.''' :''durante il periodo di ristrettezze economiche chi riesce si salva.'' *'''Tempu pessu e filu cassariatu'''. :''Tempo perso e lavoro sprecato''. *'''Tira cchiossài nu pilu di sticchiu ca 'n carru di vòi.''' :''Tira di più un pelo di donna che un carro di buoi.'' *'''Tira 'n sordu e vidi cu u pigghia (proverbio popolare).''' :''Lancia una moneta e guarda chi la prende''. :Si riferisce a due contendenti di poco valore. Ha dunque valore spregiativo. *'''Testa ca non parra si chiama cucuzza.''' :''Testa che non parla si chiama zuccòna''. :Chi si ostina a non comunicare agli altri i propri disagi. *'''Tummina tummina sunnu li vai, cu nn'havi cchiu picca e ccu nn'havi cchi'ossài.''' :''I guai sono a palate, chi più chi meno, tutti ne abbiamo.'' *'''Tri pila avi u poccu e u poccu avi tri pila'''. :''Tre peli ha il porco e il porco ha tre peli''. :Riferito a una ripetizione inutile. *'''Ti salutu je nculu ti sputu'''. :''ti saluto e nel fondoschiena ti sputo'' :Riferito a chi non si ha voglia di salutare. *'''Tira chi'ossa un firu i pacchiu a parti i cchianata, ca tri boo misi n'zermina a parti i scinnuta'''. :''Tira più un pelo di pube in salita che tre buoi messi assieme in discesa'' :L' attrazione (sessuale) verso il sesso femminile è irresistibile. ==U== *''''U minchia unni egghiè, u curnutu a lu so paisi.''' :''Lo stupido è stupido dovunque, il cornuto lo è solo al suo paese {{NDR|dove è risaputo}}).'' *'''Unna maggiuri c'è minuri cessa'''; vedi anche '''Dissi lu puddicinu ndi la nassa: "unni maggiori c'è, minuri cessa"'''. :''Dove il maggiore c'è, il minore termina {{NDR|di esistere}}'' (''Disse il pulcino nel nido: "dove c'è il maggiore, il minore smette"''). *''''U immirutu jeva e vineva, ma 'u immu so nun su' vireva.''' :''Il gobbo andava e veniva, ma la gobba non la vedeva.'' *''''U surdu 'un è cu nun senti, ma cu nun voli sentiri.''' :''Il sordo non è chi non sente, ma chi non vuole sentire.'' *'''Un patri campa centu figghi, ma centu figghi non campanu un patri.''' :''Un padre mantiene cento figli, mentre cento figli non riescono a mantenere un padre.'' *'''Un c'è minchia senza cugghiuna.''' :''Non c'è pene senza testicoli.'' :Nulla sussiste senza solide basi. *''''U cani muzzica sempre u spardatu.''' :''Il cane morde sempre il povero.'' *''' 'U sticchiu è bellu e a minchia fa burdellu.''' :''La vagina è bella e il pene fa rumore''. ::varianti: **''' 'U sticchiu è duci e a minchia jetta vuci.''' ::''La vagina è dolce e il pene grida''. **''' 'U sticchiu è duci e cu'unnavi jetta vuci.''' ::''La vagina è dolce e chi ne è privo si lamenta.'' *''''Un futtiri mai a casa ru ladru, picchì c'arresti futtutu.''' :''Non rubare mai a casa del ladro, perché resterai fregato.'' *''''U ferru si batti mentr'è caudu.''' :''Il ferro si batte mentre è caldo.'' *''''U micceri bannìa chiddu chi avi''' :''Il mercante pubblicizza la sua merce''<ref>Da ''bannìari'' o ''vannìari'', verbo che indica l'emettere un tipico urlo, la ''vannìata'', una sorta di ''reclame'' gridata, tipica dei mercanti siciliani.</ref> ::Ognuno parla per sé, per ciò che è la sua competenza. *''''U Signuri runa pani a cu unnavi jagni'''. :''Il Signore dà il pane a chi non ha denti.'' *''''U sceccu di calata nun s'ammutta.''' :''L'asino in discesa non va spinto!'' *''''Un punciri u sceccu nna muntata.''' :''Non infastidire chi lavora con fatica!'' *''''U suli quannu affaccia, affaccia pri tutti!''' :''Il sole quando si affaccia, si affaccia per tutti!'' *''''U rispettu è misuratu, cu lu porta l'avi purtatu.''' :''Il rispetto è misurato, chi lo porta lo riceve'' *''''U iattu du furgiaru non si scanta de' spisiddi''' :''Il gatto del fabbro non ha paura delle scintille'' ::Si dice per affermare la propria padronanza nel fare le cose. *''''U pumu fracitu guasta tutti l'autri.''' :''La mela marcia guasta le altre''<ref>Tale proverbio viene attribuito da [[Salimbene de Adam]] a [[Federico II di Svevia]], espresso secondo l'esegeta dall'imperatore dopo aver fatto uccidere un anziano rematore.</ref> *''''U ranciu di pantanu ci dici o sceccu "jambi stotti!".''' :''Il granchio di stagno dice all'asino "gambe storte!"''. ::Chi è brutto vede solo i difetti altrui. *''''U varagnu fa passari 'a stanchizza''' :''Il guadagno fa passare la stanchezza'' *''''U pisci fete siempre ra testa''' :''Il pesce inizia a puzzare sempre dalla testa'' ::Le cattive intenzioni sono sempre chiare dai primi gesti. *''''U pupu, quannu si vesti bonu, si senti puparu.''' :''Il pupo, quando si veste bene, si sente puparo.'' ::Le persone insignificanti si credono signori se vestiti bene. *''' 'U sceccu ca sâ vanta nu' vali mancu mezza lira''' :''L'asino che se la vanta<ref>Espressione che sta per pavoneggiarsi.</ref> non vale neanche mezza lira'' *'''U sceccu nun futti picchi' è bedu, u sceccu futti picchi' è n'sistu.''' :''L'asino(uomo) non fa l'amore perchè è bello, l'asino(uomo) fa l'amore perchè è insistente.'' ==V== *'''Venisti pi futtiri e fusti futtutu''' :''Sei venuto per fregare e sei stato fregato'' *'''Voli a vutti china e a mugghieri 'mbriaca''' :''Vuole la botte piena e la moglie ubriaca.'' *'''Viecchi, fimmini e vrocculi sciuruti, comu i fa i fa, su sempri pirduti'''. :''Vecchi, donne e broccoli {{NDR|quando sono}} fioriti, quando li fanno {{NDR|i fiori}}, sono sempre persi''. *'' Vucca ca nun parra si chiama cucuzza''; vedi anche ''Testa ca nu' parra si chiama cucuzza''. :''Bocca che non parla si chiama zucca'' (''testa che non parla {{NDR|è una}} si chiama zucca''). ==W== ==X== ==Y== ==Z== *'''Zoccu ora si schifia veni lu tempo ca si disia.''' :''Ciò che adesso viene disprezzato, verrà un giorno desiderato.'' *''' Zoccu nasci si vattja.''' :'' Quello che nasce si battezza.''' ::Ci si deve accontentare di ciò che la sorte ci riserva. ==Note== <references/> ==Spiegazione== Scusate perchè quando si inserisce la spiegazione di un proverbio in siciliano non si dà sia la traduzione letterale che poi dopo la spiegazione del significato? in modo tale che chi legge a modo di apprezzare la metafora usata e come essa viene usata, ciò darebbe modo di evidenziare lo spirito della nostra cultura. io direi che sipotrebbero ripassare tutti per aggiungerci la traduzione letterale, se nessuno si offende. grazie {{non firmato|Criminale|18:17, 19 nov 2006}} :Naturalmente. Puoi fare come ho sistemato io. --[[Utente:Nemo|Nemo]] 19:42, 19 nov 2006 (UTC) ::C'è da uscire pazzi di come è combinata: errori di battitura-ortografia etc, ripetizioni, errori di formattazione... ''pari ca ci passaru cô tratturi''!--[[Speciale:Contributi/79.53.110.146|79.53.110.146]] 12:22, 2 mag 2011 (CEST) Ho inserito una aggiunta alla spiegazione del proverbio "nta corda ruppa ruppa..." che a mio avviso non era chiara. Oudeis {{non firmato|94.162.195.236|17:12, 19 lug 2011}} == Significato di una frase siciliana == Si cioppu misa in cuntu [[Speciale:Contributi/&#126;2025-111354|&#126;2025-111354]] ([[Discussioni utente:&#126;2025-111354|discussione]]) 22:09, 1 lug 2025 (CEST) jmzf9lqzxatqpz3u2ktckxnxhc96qby 1381950 1381942 2025-07-01T20:22:20Z Udiki 86035 Annullata la modifica [[Special:Diff/1381942|1381942]] di [[Special:Contributions/~2025-111354|~2025-111354]] ([[User talk:~2025-111354|discussione]]) sembra più un modo di dire che un proverbio, comunque qui non si raccolgono citazioni senza fonte 1381950 wikitext text/x-wiki {{sfid}} {{indice}} ==A== *'''Accàtta e vinni quannu si priàtu e fatti zitu quannu si anningàtu.''' :''Compra e vendi quando ne sei richiesto e fidanzati quando sei desiderato.'' ::Saper discernere il tempo propizio per gli affari e per i sentimenti. *'''Avanti picca a godiri ca assai a trimuliari.''' :''Meglio avere poco e goderne che avere tanto e tremare.'' ::variante: *'''Megghiu picca gòdiri, ca assai trivulàri.''' :''Meglio poco gioire, che lamentarsi assai.'' ::Accontentarsi della piccole gioie della vita, piuttosto che rischiare grandi disgrazie. :È facile attaccare il nemico caduto in disgrazia. *'''A fissaziuni jè peggiu da malatìa.''' : ''La testardaggine è peggio della malattia.'' *'''A megghiu parola è chidda ca nun si dici.''' : ''La miglior parola è quella che non viene pronunciata.'' *'''A [[pene|minchia]] nta lu culu 'i l'àutri è 'n filu 'i capiddu.''' :''Il pene nel culo degli altri è come un filo di capelli'' ::Le disgrazie altrui sono poca cosa. *'''A vita iè comu a scala do puddaru: iè cutta e china 'i medda''' :''La vita è come la scala del pollaio: è corta e piena di merda'' *'''A li poviri e a li sbinturati cci chiovi 'nta lu culu macari assittati.''' :''Ai poveri e agli sventurati piove nel culo anche da seduti.'' *'''A liggi è uguali pi tutti ma cu av'i picciuli si nni futti.''' :''La legge è uguale per tutti ma chi ha i soldi se ne fotte.'' *'''A stizzania percia a timpa''' :''La goccia cava la roccia''<ref>Ovvia origine dal latino ''Gutta cavat lapidem''.</ref> *'''Alliccari e dilliccari è capu di custioni''' :''Arricchire {{NDR|di elogi}} e disarricchire {{NDR|qualcuno}} è fonte di litigio'' *'''A tempu di pira: "zziu Pe'! zziu Pe'!", fineru li pira, e finì lu "ziu Pe'!".''' : ''Al momento {{NDR|della raccolta}} delle pere: "zio Peppe! zio Peppe!". Finiscono le pere, e finì {{NDR|il continuo chiamare}} "zio Peppe!".'' *'''A tempu ri caristia, ogni funtana leva a siti.''' :''In momento di carestia, ogni fonte toglie la sete.'' *'''A tempu ri caristia, ogni pirtusu è galleria.''' :''In tempo di carestia, ogni buco è galleria.'' *'''A tempu ri guierra, ogni pirtusu è trincea.''' :''In tempo di guerra, ogni buco è riparo.'' *'''A tempu ri racina e ficu nun c'è né cumpari e né amicu.''' :'' In tempi {{NDR|di raccolta}} di uva e fichi non c'è compare né [[amico]].'' *'''A minchia nunn'avi occhi: unni s'anfila s'anfila, e su ss'anfila è megghiu.''' :''Il pene non ha occhi: dove si infila si infila, e se si infila è meglio.'' *'''A scuzzaria 'mmenzu a via, u so immu 'nsu talia.''' :''La tartaruga {{NDR|che cammina}} in mezzo alla strada, la sua gobba non vede.'' ::Detto di chi guarda i difetti degli altri e non si accorge dei propri *'''Accatta caru e vinni mircatu.''' :''Compra a caro prezzo e vendi a buon mercato.'' *'''Accatta di quattru e vinni di ottu.''' :''Compra a quattro e vendi a otto.'' *'''Acqua ca duna a tanti vadduni a mari non ci n'arriva.''' :''Acqua che va in tanti torrenti non arriva al mare.'' ::Nel senso che se si fanno troppe cose non se ne porta a compimento nessuna. *'''Acqua cunsìgghi e sali, senza spiàti nunn'ha ddari''' :''Acqua consigli e [[sale]], se non richiesti non vanno offerti. {{NDR|, perché preziosi}}.'' *'''Acqua ri rocca, sticchiu ri zoppa.''' :''Acqua che sgorga dalla roccia, vagina di donna zoppa.'' ::Nel senso che sono due cose prelibate. *'''Acqua passata nun macina mulinu.''' :''Acqua passata non fa macinare il [[mulino]].'' ::Ciò ch'è stato non serve più. *'''Agneddu e sucu e finiu 'u vattìu.''' :''Agnello al sugo e poi finisce il battesimo.'' ::Dopo la mangiata è finita la festa. *'''A lavari la testa a lu sceccu si perdi acqua, sapuni e tempu.''' :''A lavare la testa all'asino si perde acqua, sapone e tempo.'' *'''A filazza ammazza.''' :''Lo spiffero ammazza.'' *'''Agli amici e ai parenti nun vinniri e nun accattari Nenti.''' che vale anche per '''Ccu amici e ccu parenti, non c'havìri cchi fari nenti.''' :''Agli amici e ai parenti non vendere e non comprare niente'' (''con amici e con parenti non devi averci niente da fare''). *'''Amici e vàdditi''' :''Amici e guardati.'' ::Guardati dagli amici *'''Amicu Amicu, 'nto culu t'â stricu''' :''Amico, amico, nel culo te la strofino''. ::Amicizia ipocrita, esibita solo a parole. *'''Amicu fàusu è malu vicinu, ti jetta la petra e ammuccia la manu.''' :''Il falso amico è un cattivo vicino, che tira la pietre e nasconde la [[mano]].'' *'''A minchia sbrugghiata nun canusce patrunu.''' :''Il pene liberato in erezione non conosce padrone.'' :: Sotto l'impeto degli istinti, non si sente ragione. *'''Ammatula ti licchi e fai cannola, lu santu è ri mammuru e non sura'''. :''È inutile che ti passi la lacca e ti fai i boccoli<ref>Cerchi di farti bello.</ref>, il santo è di marmo e non suda.'' ::variante: *'''Ammàtula ca 'ntrizzi e fai cannòla, lu santu è di màmmuru e non suda'''. :''Inutile che ti pettini e ti fai i boccoli, il santo di marmo non suda''.<ref>Questa versione viene ripresa da [[Franco Battiato]] in ''Veni l'Autunnu''</ref> ::Per situazioni amorose unilaterali o per aspettative che non saranno corrisposte. Un'altra variante è la seguente: *'''Ammatula ti piettini e t'allisci, u cuntu ca t'ha tratu nun t'arrinesci.''' :''È inutile ti pettini e ti rendi lisci {{NDR|i capelli}}, il conto che ti sei fatta non ti riesce.'' *'''Ammuccia, ammuccia, ca tuttu pari'''. :''Nascondi, nascondi, che tutto sembra''. ::Le magagne (o i guai) non si possono celare a lungo. *'''Amuri, biddizzi e dinari sunu tri cosi ca nun si ponu ammucciari.''' :''Amore bellezze e denaro sono tre cose che non possono essere nascoste.'' *'''Amuri ammuccia ogni difettu.''' :''L'[[amore]] nasconde ogni difetto.'' *'''A picura ppì diri ''bè'' persi lu muzzucuni.''' :''La [[pecora]] per dire "be"<ref>Cioè per belare.</ref> perdette il morso<ref>La propria porzione di cibo.</ref>.'' *'''Aranci, Aranci... cu l'havi si li chianci.''' :''Arance, Arance, chi ce le ha se le piange.'' ::Chi ha qualcosa deve poi mantenerla. Riferito alla difficoltà di coltivare l'agrume. *'''Arraspa ô tò amicu unni ci mancia.''' :''Gratta il tuo amico là dove gli prude.''<ref>In siciliano il prurito è detto ''manciaciumi''.</ref> *'''Àrbulu chi nun fa frutta, tàgghialu dî ràdichi.''' :''variante:'' *'''Arvulu ca non frutta, tàgghiulu di sutta.''' :''Albero che non da frutti, taglialo alla radice.'' *'''A vecchia avìa cent'anni e ancora 'nzignava'''. :''La vecchia aveva cent'anni e insegnava ancora''. ::Non si finisce mai di imparare. ::variante: *'''Noè avìa novicent'anni: 'mparàva e 'nsignàva.''' :''Noè aveva 900 anni: imparava ed insegnava.'' ::A qulsiasi età non si smette di dare e ricevere conoscenza. *'''A lu tò amicu veru parraci chiaru.''' :''Al tuo amico sincero, parla chiaramente.'' *'''A lu caru avvicinatici, a lu mircatu pènsaci.''' :''Avvicinati al costoso, rifletti se è a {{NDR|buon}} mercato'' ::Compra cose di qualità e diffida da ciò che viene offerto a buon prezzo. *'''A paredda si pigghia ro manicu''' : ''La padella si prende dal manico.'' *'''A iaddina fa l'ovu e 'o iaddu c'abbampa u culu''' :''La gallina fa l'uovo e al gallo brucia il sedere.'' ::Riferito a chi vanta e millanta le fatiche altrui. *'''A puvirtà unn' è virgogna, ma mancu preju.''' :''La povertà non è una vergogna, ma neanche pregio.'' *''''A jatta prisciulusa fici i jattareddi orbi.''' vedi anche '''Jatta prescialora havi nici orbi''' :''Gatta frettolosa fece i gattini ciechi'' (''Gatta frettolosa ha figli ciechi''). *'''A tempu ri tempesta ogni bucu è portu.''' :''Al momento della tempesta ogni buco è un porto.'' *'''A nu parmu du me' culu chi futti futti''' :''anche a poca distanza da me, se non mi si tocca, non mi interessa nulla.'' *'''A buffa cutulia a giurana.''' :''Il rospo prende in giro (deride per l'aspetto fisico) la rana.'' ==B== *'''Babbaluci a sucari e fimmini a vasari nun ponnu mai saziari.''' :''Lumache da succhiare e [[donna|donne]] da baciare non possono mai saziare''. *'''Babbaluci, fungi e granci spenn'assai e nenti mangi.''' :''Lumache, funghi e granchi, spendi molto e non mangi niente.'' *'''Beccu chi bicchia un'navi malatia.''' :''Becco che becca non è malato.'' *'''Bon tiempu e malu tiempu non dura tuttu u tiempu!''' :''Il tempo buono e il tempo cattivo non durano mai in eterno.'' *'''Bona maritata senza soggira e cugnata''' :''Una donna è ben sposata se non ha suocera e cognata'' *'''Bella tiesta ppi fari piruacchji''' :'' Bella testa per fare pidocchi'' : Riferito a chi non ragiona. ==C== *''' Cazzu rancatu non canusci parentatu!!!''' :'' Quando un uomo ragiona col pene non conosce nemmeno i parenti'' *'''Ci spiai aiutu all'ovvù, iapriu l'occhi e mi fici scantari!''' :''Ho chiesto aiuto al cieco, ha aperto gli occhi e mi ha fatto spaventare (quando chiedi aiuto a qualcuno e fà più danni di quanti ne avresti fatti tu)''' *'''Cu si vaddò si savvò!''' :''Chi si guardò (le spalle) si salvò!'' *'''Lu vinu, la taverna e la bagascia portanu l'omu alla burza liscia.''' :''Il vino, l'osteria e le donne di facili costumi portano l'uomo alla rovina finanziaria'' *'''Cu sparagna, sparagna pi porci!''' :''Risparmiare troppo non serve perche lo spenderai dopo''' *'''Cu ci attacca a ciangianedda o' iattu?''' :''Chi l'attacca la campanella al gatto?'' di origine spagnola "chi si prende la responsabilità?" *'''Cunta senza junta cà cù cunta cuntentu cunta!''' :''Conta senza aggiunta che chi conta lo fà contento'' *'''Cacciaturi ca assicuta a ddu cunigghia, unu cci scappa e l'autru n'ô pigghia.''' :''Cacciatore che insegue due conigli, uno gli scappa e l'altro non lo piglia.'' *'''Campana câ nun sona o primu toccu è surda.''' :''[[Campana]] che non suona al primo tocco è sorda.'' *'''Carrica liegghiu e cunsuma o vuoscu''' :''Fai tanti viaggi, ma con un carico leggero.'' *'''Carta veni e iucaturi si vanta''' :''carta fortunata e giocatore che si vanta'' *'''Cci dissi lu Signuri a San Giuvanni: «Di li signaliati, guardatinni.»''' :''Disse il Signore a San Giovanni: «Guardati dai segnati (le persone con difetti fisici).»'' *'''Chista è a zita, cu a voli sa marita.''' :''La fidanzata è così, chi la vuole se la sposi.'' ::Se ti va bene è così, se no niente. *'''Ci rissi lu sceccu a lu mulu: semu nati pi dari culu'''. :''Disse l'asino al mulo: siamo nati per sgobbare'''. *'''Ci rissi u sceccu o liuni tu si re senza vastuni, si feroci e prepotenti ma di sutta nun naii nenti...''' :''Tu sei tutto fumo e niente arrosto''. *'''Ci rissi u sceccu ou voi, pi conna mi poi ma pi minkia sucari ma poi.''' :''Ci disse l'asino al boe, hai le corna che io non ho ma io ho il pene più grosso del tuo!'' *'''Falla comu voi, sempri cucuzza è!''' :''Condiscila come vuoi, rimarrà sempre una zucca.'' ::O in un modo o nell'altro, la sostanza è sempre la stessa! *'''Cu c'havi 'u culu considera.''' :''Avendo aria nella pancia, chiunque avrebbe fatto lo stesso.'' ::Chi si trova nella tua stessa condizione ti capisce. *'''Cu accatta abbisogna di cent'occhi; cu vinni d'unu sulu.''' : ''Chi compra ha bisogno di cento occhi; chi vende di uno soltanto.'' *'''Cu accurza allonga e cu allonga accurza''' :''Chi vuole fare le cose in fretta alla fine perde più tempo.'' *'''Cu è riccu d'amici è poveru di guài.''' :''Chi ha tanti amici passa pochi guai.'' *'''Cu' bedda voli appariri, tanti guai havi a patiri.''' :''Chi bella vuole apparire, tante sofferenze deve subire.'' *'''Cu' asini caccia e fimmini cridi, faccia di paradisu nun ni vidi.''' :''Chi [[asino|asini]] insegue e {{NDR|alle}} [[donna|donne]] crede, non vedrà il [[paradiso]].'' *'''Amici e [[parenti]], 'un ci accattari e 'un ci vinniri nenti.''' :''Con gli amici e i parenti non comperare e vendere niente.'' *'''Cu' mancia e nun vivi, mai saturu si cridi.''' :''Chi mangia e non beve, mai sazio si crede.'' *'''Cu' nesci, arrinesci.''' :''Chi ne esce {{NDR|dal proprio paese}}, trova fortuna.'' *'''Cu' nun è curnutu è figghiu di Diu.''' :''Chi non è cornuto è figlio di Dio.'' *'''Cu' picca avi, caru teni.''' :''Chi ha poco lo tiene caro.'' *'''Cu di sceccu ni fa mulu, i primu causcu iè dò sò.''' :'' Chi di asino ne fa mulo il pimo calcio è suo.'' *'''Casa senza omu, casa senza nomu.''' :''Casa senza uomo, casa senza nome.'' *'''Cirasi e pruna, chiantani una.''' :''Ciliege e prugne, piantatele.'' ::Invito a coltivare la bellezza. *'''Callìa chiossà un fasciu di ligna ni la ceminera, câ un arburo ni la foresta.''' :''È meglio avere poca legna nel camino che un albero nella foresta.'' *'''Chianta arburi 'mezzu la vigna, si nun pigli frutta cogli ligna.''' :''Pianta alberi in mezzo alla vigna, se non raccogli frutta almeno cogli legna.'' ::Fai del bene nella vita, se non raccogli sorrisi almeno fai felice la gente. ::Se una donna non accetta la prima volta è inutile tentare. *'''Ci vole 'u vento in chiesa, ma no astutàri i cannila.''' ::Quando si esagera a far qualcosa. *'''Chistu e nenti sunnu parenti.''' :''Qualcosa di poco e niente sono parenti.'' *'''Celu niettu un c'è paura di trona.''' :''Con il cielo limpido non si teme il tuono.'' ::Se si ha la coscienza pulita non si teme nessuna accusa. *'''Cielu crapinu, se nun ciovi ogghi ciovi rumani matinu''' :''Cielo a pecorelle, se non piove oggi piove domani.'' ''variante:'' *'''Cielu picurinu, s'un chiovi oij chiovi 'o matinu''' *'''Ciu annintra iemu, cchiù pisci pigghiamu''' :''Piu' si va al largo, più pesci si pescano.'' *'''C'é cchiù jorna chi sasizza.''' :''Ci sono più giorni che salsiccia.'' *'''Chiusa na porta si rapi un purtuni.''' :''Chiusa una porta si apre un portone'' *'''Cchiu scuru di menzannotti nun po fari.''' :''Più buio di mezzanotte non può fare'' ::peggio di così non può andare *'''Com'è a canni veni u broru''' :''Come è la carne viene il brodo'' ::Dalla origini puoi capire cosa verrà fuori in futuro *'''Cu avi è.''' :''Chi possiede è qualcuno.'' *'''Cu avi un parrinu iavi u iardinu.''' :''Chi ha in famiglia un [[prete]] ha un giardino.'' *'''Cu avi lingua passa u mari.''' :''Chi ha lingua attraversa il mare.'' *'''Cu avi picciuli campa filici e cu nunn'avi perdi l'amici.''' :''Chi ha [[denaro|soldi]] vive felice chi non ne ha perde gli amici.'' *'''Cu avi dinari assà sempri cunta e cu iavi muglieri bedda sempri canta.''' :''Chi ha assai soldi sempre li conta, e chi ha la moglie bella sempre canta.'' *'''Cu cancia a strata vecchia ppi la nova, sapi 'nso cu lassa ma nun sapi 'nso cu trova.''' :''Chi lascia la strada vecchia per la nuova, sa quello che lascia ma non sa quello che trova.'' *'''Cu lassa a vecchia ppa nova, mali s'attrova.''' :''Chi lascia la vecchia per la nuova, male si trova.'' *'''Cu lassa a vecchia ppa nova, attròva 'a so malanòva.''' :''Chi intraprende nuova vita, spesso si trova pentito'' *'''Cu ccu cani si curca, ccu pulici si leva.''' :''Chi si corica coi cani si alza con le pulci.'' *'''Cu di sceccu ne fa voi u primu cauciu è do so.''' :'' Chi dell'[[asino]] fa [[bue]], il primo calcio è il suo.'' *'''Cu du' vucchi vo basari l'una o l'altra hav'a lassari.''' :''Chi vuole baciare due bocche deve lasciar o l'una o l'altra.'' *'''Cu mancia fa muddichi.''' :''Chi mangia fa molliche.'' ::Se fai qualcosa di sbagliato, prima o poi si verrà a sapere. *'''Cu fà, fa ppid'iddu.''' :''Chi fa qualcosa lo fa per se stesso.'' *'''Cu figliu di gattu è, surci piglia.''' :''Chi è figlio del gatto acchiappa i topi.'' *'''Cu pecura si fa, u lupu s'a mancia.''' :''Chi si fa pecora, il lupo lo mangia.'' *'''Cu è minchia? Carnalivari o cu cci va appriessu?''' :''Chi è stupido? Lo scemo o chi lo segue?'' *'''Cu nasci tunnu un' pò moriri quadratu (opp: chiàttu).''' :''Chi nasce tondo non può morire quadrato.'' *'''Cu pigghia un turcu è so.''' :'' Approfittane, nessuno ti chiederà mai il conto'' *'''Cu va cô zoppu a l'annu zuppìa.''' :''Chi va con lo zoppo dopo un anno zoppica.'' *'''Cu si la pighia picciotta assai, tummina tummina sunnu li vai.''' :''Chi si prende una donna molto più giovane ha molti guai.'' *'''Cu si vardau si sarvau.''' :''Chi si guardò {{NDR|le spalle }} si salvò.'' *''' Cu spairti spairti, si futti siempre a megghiu pairti.''' :''Chi fa le divisioni si prende sempre la parte migliore.'' *'''Cu ti voli beni ti fa chianciri, e cu ti voli mali ti fa arridiri.''' :''Chi ti vuol bene ti fa piangere, e chi ti vuol male ti fa ridere.'' *'''Cu tocca culu addisia minchia.''' :''Chi preferisce il fondoschiena ha tendenze omosessuali.'' *'''Cu voli a Cristu si lu preia.''' :''Chi vuole Cristo se lo preghi.'' *'''Cu zappa, zappa a so' vigna cu bonu zappa bonu vinnigna.''' :''Chi zappa, zappa la propria vigna chi bene zappa bene vendemmia.'' *'''Culu ca nun vitti vraca quannu li vidi tutti si li caca.''' :''Fondoschiena che non ha mai visto pantaloni quando li vede li schifa.'' *'''Culu ca nun ha vistu mai cammisa, quannu sa metti si va cacannu.''' :''Fondoschiena che non ha mai visto camicia, quando la indossa se ne vanta'' *'''Cu s'affuca chi sò manu, nun c'è nuddu ca u chianci.''' :''Chi si strozza con le proprie mani, non ha nessuno che piange per lui'' *'''Curri quantu vuva ca sempri cà t'aspittu.''' :'' Corri quanto vuoi che sempre qua ti aspetto.'' *'''Cummannari è megghiu ri futtiri.''' :''Comandare è meglio di fottere.'' *'''Caliti juncu, chi passa la china'''. :''Aspetta che passi questo periodo, verrà il tuo momento.'' *'''Cu paga avanti mancia pisci fitusi'''. :''Non avere fretta a pagare.'' *'''Chianci chianci tu m' accatti aranci tu m'u munni e io mo manciu'''. :''Bisogna affrontare le proprie paure senza piangere.'' *''' Cu si curca cchi picciriddi si susi pisciatu.''' :''Chi va a letto con i bambini si sveglia pisciato.'' :Chi si fida di persone incapaci ne esce malconcio. *'''Cu s'a senti strinci 'i renti'''. :''Chi se la sente stringe i denti''. :Chi crede di essere colpevole abbia paura. / A buon intenditore poche parole. *'''Cchiu ti 'nsignu e cchiu ti perdu'''. :''Più cose ti insego e più velocemente ti perdo''. *''' Cu zappa timpi e cu stampa santi va chiù narriari ca n'avanti'''. :''Chi zappa terreni scoscesi e chi stampa santi va più indietro che avanti''. *'''Cu spatti avi la megghju patti.''' :''Chi divide (chi fa le porzioni) sceglie la parte migliore.'' ==D== *'''Santu Luca santu Luca, Di cu sunnu li figghi, si l'annaca.''' : ''Ognuno deve risolvere da solo i suoi problemi.'' *'''Di lu mari nasci lu sali e di la fimmina ogni mali.''' :''Dal mare è nato il sale e dalla donna tutti i mali.'' *'''Di quattru cosi nun t'ha fidari: Sirinitati di nvernu e nuvuli di stati, chiantu di fimmina e caritati di frati.''' :''Di quattro cose non ti fidare: Sereno d'[[inverno]] e nuvole d'[[estate]], [[pianto]] di [[donna]] e carità di [[frate]].'' *'''Doppu Natali... lu friddu e la fami.''' :''Dopo Natale... il freddo e la fame.'' *'''Dissi lu surgi a la nuci: dunimi tempu ca ti spirtusu!''' :''Disse il topo alla noce: dammi tempo che prima o poi riuscirò ad aprirti.'' '''Variante – belicina''' *'''Ci dissi lu surci a la nuci: Dammi tempu chi ti perciu! Rispunni la nuci a lu surci: 'chiu tempu passa e 'chiù dura mi fazzu!!''' :''Disse il topo alla noce: dammi tempo che prima o poi riuscirò ad aprirti. Rispose la noce al topo: più tempo passa e più dura mi faccio.'' *'''D'ammasciaturi mi truvai zitu.''' :''Portando un'ambascia d'amore, mi sono ritrovato innamorato.'' *'''Du' cosi sunu stravaganti: u suverchiu e u mancanti.''' :''Due sono le cose superflue: il soverchio e il mancante. Il giusto sta in mezzo'' *'''Di' ni scansa di calamitati, d'omini spani e fimmini varvuti''' :''Dio ci liberi dalle disgrazie, dagli uomini glabri e dalle donne pelose'' ==E== *'''È inutili ca ntrizzi e fai cannola, lu santu è di màrmuru e nun suda.''' :''Inutile che ti dai da fare col trucco e i bigodini: l'uomo casto è di marmo e non suda.'' *'''Enzu furrìa ammenzu pasta, patate ca a sassa nto menzu.''' :''Enzo rotola in mezzo pasta, patate, con la salsa nel mezzo.'' *''' È bberu ca u picciottu po morriri, ma u vecchiu non po campari''' :''È vero che il ragazzo può morire, ma è anche vero che il vecchio non può vivere'' *'''È inutili cà 'o porcu ci menti 'u cilindru, tantu sempri porcu è.''' :''E' Inutile che al porco metti il cilindro, tanto sempre porco rimane. (riferito a una persona rozza che si è arricchita e vuole apparire come nobile ed educata)'' *'''E' inutili lavarici a testa au sceccu: si peddi tempu, acqua e sapuni''' :'' E' inutile lavare la testa all'asino: si sprecano tempo, acqua e sapone (è tempo sprecato cercare di aiutare chi non vuole o non merita l'aiuto)'' *'''era beddu u piddusinu, vinni a jatta e ci pisciau.''' :''Era prospero (in senso ironico) il prezzemolo, è sopraggiunto il gatto e ha gli fatto la pipì sopra.'' :(Le cose andavano già male e sono peggiorate ulteriormente.) ==F== *'''Figghia di gatta si nun muzzica gratta''' :''Figlia di gatta se non morde sicuramente graffia'' *'''Figghioli e porci comu li insigni li trovi''' :''I figli sono come i maiali come li educhi crescono''' *'''Fai beni e scordatillu, fai mali e pènsaci''' :''Se fai del [[bene]] dimenticatelo, se fai del [[male]] pensaci.'' *'''Fai beni a jatta ca t'aratta''' :''Fai bene al gatto e ne riceverai un graffio.'' *'''Fatt'a nomina e va curcati.''' :''Fatti la nomina e vai a dormire. '' :Fatti una buona reputazione e poi potrai dormire tranquillo. / Se ti fai una cattiva reputazione è meglio tu non ti faccia vedere. *'''Figghi e dinari nun si nni mmana chi a sarvari.''' :''I figli e i soldi sono le cose che non si affidano.'' *'''Fimmina chi movi l'anca si nun è buttana picca ci manca. / Fimmina ca n'annaca l'anca, su nun è iarusa picca ci manca''' :''Donna che sculetta, se non è puttana poco ci manca.'' *'''Fimmina mpiegata si nun è maniata, è tuccata.''' :''Donna che lavora se non ha tradito, l'hanno toccata.'' *'''Fimmini scecchi e pagghiari sunnu cosi p'accumadari.''' :''Donne Asini e Pagliai, sono cose tanto per rimediare per un pò.'' *''''Fimmini schetti e maritati senza figghi né pi dinari né pi cunsigghi''''. :''Donne zitelle e spsate senza figli non son buone né per i prestiti né per i consigli''. *'''Fungi, pateddi e sfinci spenni assai e nenti manci.''' :''Funghi, patelle e sfinci costano molto ma c'è poco da mangiare.'' *'''Funtana ca duna acqua a dù vadduni, nun pò fari dù cori cuntenti.''' :''La sorgente che da origine a due fiumi non può accontentare due cuori.'' ::''''(variante) Si servi du patruni un si servu bonu 'né p'unu, 'né pi l'autru''''. *'''Futtiri addritta e caminari nda rina portanu l'omu a la ruvina.''' :''Far sesso in piedi o passeggiare sulla sabbia asciutta fa male.'' *'''Fujiri è vriogna, ma è sarbamintu di vita''' :''Scappare è da codardi, ma allunga la vita''. *'''Futti, futti ca Diu pirduna a tutti.''' :''Ruba, ruba (o inganna) che Dio perdona tutti''. *'''Futti e futtitinni'''. :''Fotti e non ci pensare.'' ==G== *'''Gilusu di culu, jarrusu sicuru.''' :''Geloso del proprio sedere, omosessuale sicuro.'' ==H== ==I== *''''I fìmmini quarchi vota dìcinu 'u veru, ma nun lu dìcinu nteru.''' :''Le donne qualche volta dicono il vero, ma non lo dicono per intero.'' *''''I parenti da muggheri sunu duci comu u meli, i parenti du maritu sunnu seppi di cannitu.''' :''I parenti della moglie sono dolci come il miele, i parenti del marito sono serpenti di canneto.'' *'''I picciuli sunnu nta vucca di tutti e nta sacchetta di nuddu.''' :''I soldi sono sulla bocca di tutti e nella tasca di nessuno.'' *'''I cosi su dui: o si spacca u sticchiu o si rumpi a minchia.''' :''Le cose sono due: o si rompe la vagina o si rompe il pene.'' *'''I picciuli di lu varveri sunnu biniriciuti di la mugghieri.''' :''I soldi per il barbiere sono sempre ben spesi''.<ref>Fino ad alcuni decenni fa andare dal barbiere era una buona occasione per... ripulirsi.</ref> *'''Iddu javi na cosa chi ci mpendi chi di tuttu lu difendi'''. :''Lui (il figlio maschio) ha una cosa che gli pende che da tutto lo difende.'' *'''Ioca cu ta patri e cuntiti i catti'''. :''Gioca con tuo padre e contati le carte.'' *'''Iochici, iochici cà minchia do pupu!''' :''Gioca, gioca col pisello del pupo!'' :Non giocare con le cose che sembrano innocenti, potresti rimanere fregato. *'''I picciriddi annu a parrari sulu quannu piscia a jaddina'''. :''I bambini devono parlare solo quando fa pipì la gallina''. ==J== *'''Jacomu porta e Larenzu vannìa''' :''Giacomo porta e Lorenzo chiama''<ref>"Vanniari" sta per urlare, ma qui si intende la ''vanniata'', cioè un grido finalizzato a invogliare clienti per il compare precedente che reca con sé la mercanzia.</ref> ::Si dice di una coppia sciocca, insensata. *'''Jaggia apetta, aceddu mortu.''' :''Gabbia aperta, uccello morto.'' *'''Jatta é!''' :''Gatta è!'' :Usato quando si prospetta una brutta situazione. *'''Jurnata rutta, rùmpila tutta.''' :''Giornata rotta, rompila tutta.'' ==K== ==L== *'''La quartara va tanti voti all'acqua finu a quannu si rumpi.''' :'' La brocca viene riempita tante volte fino a quando si rompe.'' *'''L'ebba tinta nun mori mai.''' :'''L'erba cattiva non muore mai.''' *''''A matinata fa a jurnata.''' :La mattinata fa giornata :''Buon giorno si vede dal mattino.'' :''Chi si sveglia presto al mattino, già ha fatto parte della giornata.'' *'''L'acidduzzu nta la gaggia, nun canta p'amuri, canta pi raggia.''' :''L'uccellino in gabbia non canta per amore ma per rabbia.'' :Variante: '''L'aceddju nta jaggia canta pì mmiria o pi rraggia.''' :''L'uccello in gabbia canta per invidia o per rabbia.'' *'''L'acqua si nni va nta la pinnenza, l'amuri si nni va unni c'è spiranza.''' :''L'acqua scende dal pendio, l'amore se ne va dove c'è speranza.'' *'''L'omu gilusu mori curnutu.''' :''L'uomo geloso muore cornuto.'' *'''La guerra, quannu veni, veni pi tutti.''' :''La guerra, quando arriva, arriva per tutti.'' *'''La megghiu palora è chidda nun diciuta.''' :''La parola migliore è quella non detta.'' *'''La minchia 'n culu di l'atri pari un filu d'inia.''' :''I guai degli altri sembrano sempre cose stupide.'' *'''La petra uffruta di n'amicu è comu un pumu.''' :''La [[pietra]] offerta da un amico è come una mela.'' *'''La pignata taliata nun po vugghiri mai.''' :''La pentola guardata non bolle mai.'' *'''Li corna su' comu li denti, dòlinu quannu spùntanu, ma poi sèrvinu pi' manciari.''' :''Le corna sono come i denti, fanno male quando spuntano ma poi servono per mangiare.'' *'''Li difetti di la zita s'ammuccianu cu la doti.''' :''I difetti della fidanzata si nascondono con la dote.'' *'''Li guai di la pignata li sapi la cucchiara ca l'arrimina.''' :''I guai della pentola li conosce il mestolo che mischia.'' *'''Lu jornu nun ni vogghiu e la sira spardu l'ogghiu''' :''Di giorno non ne voglio e la notte consumo l'olio.'' ::Si dice chi non lavora al tempo giusto e poi eccede nel momento sbagliato. *'''L'ovo cchiu chi coce, cchiu duro addiventa'''. :''L'uovo diventa sempre più duro man mano che cuoce.'' *'''Lu pani nun stuffa mai'''. :''Il [[pane]] non stanca mai. '' *'''Lu sceccu porta la pagghia e lu sceccu si la mancia.''' :''L'asino porta la paglia e l'asino la mangia.'' ::Si dice di una persona egoista che produce qualche cosa e se la tiene per lui solo. *'''La donna porta l'omu alla cunnanna.''' ::La donna porta l'uomo alla condanna. *'''Lu medicu piatusu fa la chiava virminusa.''' ::Il medico pietoso fa la ferita infetta. ==M== *'''Ma mangiu squarata!!''' ::me la faccio andar bene anche se sò che è sbagliata, tanto chi se ne frega! *'''...mezza rutta rumpila tutta!!''' ::Ormai che hai fatto danno continua per la tua strada. *'''Mancia e vivi a gustu to', causa e vesti a gustu d'autru''' : ''Mangia e bevi a gusto tuo, calza e vesti a gusto degli altri.''<ref>Cioè secondo la moda</ref> ::Se devi fare una cosa che non ti piace, falla subito. *'''Mancia ru to e ru to' saziatinni''' :''Mangia del tuo e del tuo saziatene.'' *'''Maritu bbonu, maritu tintu, tintu cu unn'avi né bbonu né tintu''' : ''Marito buono, marito cattivo, brutto non averne né uno buono né uno cattivo.'' <ref>Meglio avere un marito cattivo che non averne</ref> *'''Maritu vecchiu maritu sfatto quannu un fa avutru quaria lu lettu''' : ''Marito vecchio e stanco se non fa altro riscalda il letto.''<ref>Cioè serve sempre a qualcosa</ref> (Serenella) *'''Mi cuntentu vidiri a me figghiu mortu abbasta ca viu a me nora scuntenta.''' :''Sarei contenta di veder morire mio figlio purché veda mia nuora infelice.'' *'''Muggheri onesta, trisoru ca arresta.''' :''[[Moglie]] onesta, tesoro che resta.'' *'''Megghiu aviri ca desiderari.''' :'' Meglio avere che desiderare.'' *'''Megghiu cummattiri cu centu malandrini e no cu nu sceccu.''' :''E' meglio avere a che fare con cento malandrini che con un babbeo.'' *'''Megghiu a muggheri buttana ca u tirrennu ammenzu la via.''' :''Meglio avere una moglie poco fedele che avere il proprio podere in una zona di passaggio.'' *'''Megghiu cuttu e misuratu chi longu e sgalapatu.''' :''Meglio corto ed educato che lungo e sgarbato.'' *'''Megghiu inabbissari un paisi chi mettiri un'usanza.''' :''È meglio inondare un paese che instaurare una usanza.'' *'''Megghiu n'amicu 'n chiazza ca cent'unzi 'n sacca.''' :''È meglio trovare un amico in piazza che avere cento onze in tasca.'' *'''Megghiu picca e gòdiri, ca assai e tribuliari.''' :''Meglio avere poco e godere, che avere molto e soffrire.'' ::variante: *'''Megghiu picca gòdiri, ca assai trivulàri.''' :''Meglio poco gioire, che lamentarsi assai.'' ::Accontentarsi della piccole gioie della vita, piuttosto che rischiare grandi disgrazie. :::variante: *'''Avanti picca a godiri ca assai a trimuliari.''' :''Meglio avere poco e goderne che avere tanto e tremare.'' *'''Megghiu u' tintu canusciutu ca u bonu a' canusciri.''' :''È meglio un cattivo conosciuto piuttosto che un buono sconosciuto.'' *'''Megghiu perdiri n'amicu chi scattari lu viddicu.''' :''È meglio perdere un amico che mi scoppi l'ombellico {{NDR|la pancia}}.'' ::Se devi fare qualcosa di negativo ma che ti eviti maggior danno fallo anche se perdi un amico.<ref>Si riferisce al fatto sottointeso che è meglio fare dei peti e perdere un amico che farsi scoppiare la pancia per trattenerli.</ref> *'''Megghiu diri "chissacciu" ca diri "chissapìa."''' :''È meglio dire "che ne so" che dire "che ne sapevo.'' *'''Megghiu curnutu ca fissa.''' :''Meglio cornuto che fesso.'' *'''Megghiu suli ca mal'accumpagnati.''' :''Meglio soli che mal accompagnati.'' *'''Megghiu scrusciu i catine ca scrusciu i campane.''' :''Meglio andare in galera che morire per un infame.'' *'''Megghiu cumannari ca futtiri.''' :''Meglio comandare che fottere.'' *'''Megghiu nu sceccu vivu ca un dutturi mortu.''' :''Meglio un asino vivo che un dottore morto.'' *'''Megghiu 'ssicutatu d'ì cani, chi cianciutu d'ì Cristiani''' :''Meglio essere inseguiti dai cani, che invidiati dalle persone''. *'''Morti ca m'hai a ddari, lestu sìa.''' :''Se devi uccidermi, fai presto.'' *'''Munti cu munti non s'incontra mai.''' :''Prima o poi gli uomini si incontrano di nuovo.'' *'''Megghiu unu saziu ca ciento riuni'''. :''Meglio uno sazio che cento digiuni''. *'''Megghiu pierdiri ca strapierdiri'''. :''Meglio perdere poco che perdere molto''. *'''Migliu diri chi sacciu ca chi sapiva.''' :'' Meglio dire che sò che dire che sapevo.'' ==N== *''''N capu a vaddara u cravunchiu.''' :''Sopra la verruca il brufolo.'' *'''Natali cu suli, Pasqua cu tuzzuni.''' :''Natale col sole, Pasqua col tizzone.'' *'''Ne di luna e ne di matti non s'arriva e non si patti.''' :''Ne di lunedi ne di martedi non si parte e non si arriva.'' *'''Ni misimu l'acqua intra e pila fora''' :''Abbiamo l'acqua in casa e il lavandino fuori.'' *'''Niuru pani niura fami''' :''pane nero (di scarsa qualita') fame nera [si usava ai tempi di guerra per dire che erano tempi duri]'' *'''No misi di maggiu arragghiunu i scecchi.''' :''Nel mese di maggio ragliano gli asini'' *'''Non c'è nenti 'nta na casa vacanti.''' :''Non c'è niente in una casa vuota.'' *'''Nta codda ruppa ruppa ci va ntô menzu cu non ci cuppa.''' :''Nella corda nodi nodi, ci va di mezzo chi non ha colpa.'' :''Alla corda piena di nodi (il flagello), ci va chi non ha colpa.'' ::Si dice di persone accusate o punite ingiustamente. *'''Nun c'è chiù tintu ri cu sapi quantu pigghia.''' :''Non c'è più povero di chi ha sa quanto prende.''{{NDR|cioè che ha un salario fisso}} *'''Nun c'è sàbbatu sinza suli, nun c'è fìmmina sinza amuri.''' :''Non c'è sabato senza sole, non c'è donna senza amore.'' *'''Nun cunfunnemu a minchia co' bummulu.''' :''Non confondiamo il pene con il recipiente dell'acqua (bummolo).'' :Non si confondano le cose serie con le stupidaggini. *'''Nun ludari a jurnata si nun scura a jurnata.''' :''Non lodare la giornata se non arriva la sera.'' *'''Nun nesciri nasciti.''' :''Non trovare scuse (non dire novità sta zitto).'' *'''Nun si pigghianu si nun si rassumigghianu.''' :''Non si pigliano se non si rassomigliano.'' *'''Nuttata persa e figghia fìmmina.''' :''Nottata persa e figlia femmina (tanta fatica e scarso risultato).'' ==O== *'''Occhiu ca non vidi cori ca non doli''' :''Occhio che non vede cuore che non duole'' *'''Occhiu vivu e manu o cuteddu.''' :''Occhi ben aperti e mano al coltello''. :Invito a stare sempre all'erta. *'''Ogni bucu è pirtusu, e cu nun lu tappa e garrusu; ma si u bucu è fitusu migliu essiri garrusu !''' :''Ogni buco è orifizio, e chi non lo tappa è omosessuale; ma se il buco è puzzolente è meglio essere omosessuale.'' :Ogni occasione è valida e chi non la coglie è uno sciocco ma se l'occasione è sfavorevole è meglio evitare. *'''Ogni ficateddu ri musca è sustanza.''' :''Ogni fegato di mosca è sostanza''<ref>Non bisogna trascurare niente. Qualunque cosa può essere utile.</ref> *'''Ognunu piscia e sa talia.''' :''Ognuno piscia e se la guarda.'' :Invito a curarsi unicamente dei propri affari. *'''Ognunu sapi quantu l'avi.''' :''Ognuno sa quanto ce l'ha lungo.'' :Ognuno è consapevole del proprio valore e delle proprie capacità. *'''O siccu o saccu.''' :''O niente oppure tutto.'' *'''Ogni minchia havi u so purtusu.''' :''Ogni pene ha il suo buco.'' *'''Ogni lassata è pessa''' e anche '''Ogni lassata è pidduta'''. :''Ogni lasciata è persa.'' *'''Ognunu ca so cedda piscia e sa scutola'''. :''Ognuno con il suo pene piscia e se lo scrolla''. :Ognuno fa di sé quello che vuole. *'''Ogni testa di nuatri è tribunale.''' :''La testa di ognuno di noi è tribunale.'' *'''Occhiu vivu, manu lesta e ucca caura'''. :''Occhio vigile, mano veloce e bocca calda.'' :Quando si è a tavola. *'''Ogghio abbruciato e pareddra spunnata'''; vedi anche '''Si uncero tutt'i dui''' :''Olio sporco e padella bucata'' (''si sono uniti tutt'e due'') :Indica una "buona compagnia" in senso sarcastico. ==P== *'''Petra ca un fa lippu sa tira a china.''' :''Chi non fa radici è destinato ad andare in rovina.'' *'''Pani duru e cuteddu cca nan tagghia''' :''Pane duro e coltello smussato (Coppia che non conclude niente)'' *'''Pani schittu cala rittu''' :''Pane senza companatico, va giù facilmente'' *'''Panza pati e cuosti riposanu.''' :''La pancia patisce le costole riposano.''<ref>Se non vai al lavoro e non hai di che mangiare quanto meno ti riposi .</ref> *'''Parri cu iddu.''' :''Parli con lui.''<ref>Riferito al parlare con lui.</ref> *'''Parra ca parra 'u parrinu pariemu parrini ca parranu.''' :''Parla che parla il prete, sembriamo preti che parlano.''<ref>Riferito a quelli che predicano tanto.</ref> *'''Pìgghia prima e pìgghia 'rossu, nun ti curari siddu è mauru o rassu''' :''Prendi subito e in abbondanza, senza curarti se è magro o grasso'' *'''Puntiari è megghiu 'i cusiri.''' (inteso nel gioco delle carte) :''Meglio far qualche punto che non farne alcuno.'' ==Q== *'''Quannu i nuvuli vannu a mari, pigghia la truscia e vai a lavari. Quannu i nuvuli vannu a muntagna, posa la truscia c'annunca si vagna''' :''Quando le nuvole vanno verso il mare, prendi la biancheria e vai a lavare. Quando le nuvole vanno verso la montagna (l'Etna), posa la biancheria, altrimenti si bagna'' :Trattasi di un metodo che funziona davvero per predire se pioverà oppure no. Ovviamente questo sistema funziona solo a Catania. *'''Quannu l'amuri tuppulìa, unn'u lassari ammenzu a via.''' :''Quando l'amore bussa alla tua porta, non lo lasciare in strada.'' *'''Quannu u sceccu un voli vìviri, e nutule friscàrici.''' :''Quando l'asino non vuol bere è inutile fischiargli.'' *'''Quannu la jatta un po arrivari a la saimi, dici chi fà fetu di ranciru.''' :''Quando la gatta non riesce a raggiungere il lardo (di cui è ghiotta), dice che fa puzza di rancido.'' :Quando non si riesce ad ottenere qualcosa, ci si convince che non vale la pena di rimanerne deluso. :[La favola della volpe e dell'uva: "''Nondum matura est''".] *'''Quannu u diavulu accarizza, voli l'anima.''' :''Quando il diavolo adula, vuole l'anima.'' *'''Quannu u sticchiu jè ghiatu, a minchia jetta un sautu.''' :''Quando la vagina è in alto, il pene spicca un salto.'' :Capacità di adattamento alla necessità delle varie cisrcostanze. *'''Quannu u pacchiu è rosa a minchia s'arriposa''' :''Quando la donna entra nel periodo mestruale, l'uomo deve rassegnarsi.'' *'''Quannu lu suli è ghiuntu a li mura, zappa curnutu ca ancora unn'è ura.''' :''Quando il sole è ancora alto zappa cornuto che ancora la giornata non è al termine.'' ==R== *'''Ricci, pateddi e granci spenni assai e nenti manci''' : ''Ricci, patelle e granchi costano molto ma c'è poco da mangiare.''<ref>Si usa anche per indicare persone che si atteggiano a chissà chi, ma sotto sotto, non hanno nulla.</ref> *'''Ri venniri e di matti, ne s'accatta ne si patti'''. :''Di venerdi e di martedi ne' si fanno acquisti, ne' si intraprendono viaggi.'' *'''Rutta ppi rutta, rumpemula tutta''' :''Rotta per rotta, rompiamola tutta.'' ==S== *'''Sarba a pezza pi quannu veni u purtusu.''' :''Conserva la pezza per quando avrai un buco da tappare.''<ref>Si può intendere come conserva qualcosa per quando può venire utile. Ma spesso è usata per indicare una situazione nella quale una persona che ha subito un torto, non appena ne avrà la possibilità ricambierà l'offesa subita o quanto meno rinfaccerà l'accaduto.</ref> *'''Scacciuna no funnu unn'arrèstinu''' :''Anche le focacce venute male, vengono mangiate.'' ::Detto per consolare le persone bruttine che faticano a trovare un compagno/a. *'''Sceccu orbu e strata pitrusa''' :''Asino zoppo e strada piena di pietre'' ::Coppia che non conclude niente *'''Sceccu zoppu si godi la vita.''' :''Il mulo zoppo si gode la vita.'' ::Vivi lentamente per goderti la vita. *'''Sceccu ca s'avànta un vali mancu na lira.''' :''L'asino che si vanta non vale neanche una lira.'' *'''Sciroccu chiaru e tramuntana scura, mettiti in mari senza paura.''' :''Scirocco chiaro e tramontana scura, mettiti in [[mare]] senza paura.'' *''''si servi du patruni un si servu bonu 'né p'unu, 'né pi l'autru'''' : ''se servi due padroni, non sarai un buon servo né per uno, né per l'altro'' ''''(variante) Funtana ca duna acqua a dù vadduni, nun pò fari dù cori cuntenti.'''' : ''fontana che dà acqua a due valli, non può fare due cuori contenti.'' *'''Siddu dici no, ti resta l'amicu e la robba tò.''' :''Se dici di no, ti rimane l'amico e la roba tua''. :Si dice per mettere in guardia dal concedere facili prestiti. *'''Si voi lu beni pensa a lu mali.''' :''Se vuoi il bene pensa al male.'' *'''Si vô futtiri 'u tô vicinu, curcati prestu e susiti matinu.''' :''Se vuoi fregare il vicino, vai a letto presto e alzati di buon mattino.'' *'''Su' tutti garrusi ccu culu 'i l'autri.''' :''È facile parlare quando non si rischia del proprio.'' *'''Si è figghia ri iatta surci havi a pigghiari''' :''Se è figlia di gatta non può che prendere topi.'' *'''Sparagna la farina quannu la cascia è china.''' :'''A chi servi sparagnari quannu lu funnu pari?''' :''Risparmia la farina quando ne hai in abbondanza.'' :''A cosa serve farlo quando non ne hai quasi più?'' ::variante: *'''Sgavìta la visàzza quann'è china, ca quannu è leggia si sgavìta sula.''' :''Risparmia il contenuto della bisaccia quando è ancora abbondante, perché quando si sarà vuotata... ci sarà poco da risparmiare ormai.'' *'''Sparagna l'acqua e si vivi lu vinu.''' :''Risparmia l'acqua e beve il vino.'' *'''Spassu di vicini e trivulu di casa.''' :'' Divertente e piacevole con gli estranei e causa di patimenti e sofferenze in casa.'' ::variante: *'''Spassu di fòra e triulu d'intra (opp: 'i casa).''' :''Spassosa fuori e lamentosa a casa.'' ::Comportamenti opposti con gli estranei e con i famigliari. *'''Stennu u peri fino a quannu u linzolu teni.''' :''Stendi il piede fino a quando il lenzuolo tiene.'' ::Non superare il limite di sopportazione. *'''(Si iunceru) pani ruru e cuteddu ca' nun tagghia .''' :''Si sono uniti pane duro e coltello che non taglia.'' *'''(Si iunceru) ogghiu fitusu e paredda spunnata .''' :''Si sono uniti olio sporco e padella bucata (due cose inutili).'' ==T== *'''T'amparari e t'appeddiri.''' :''Ti devo insegnare e poi ti devo perdere .'' *'''Tantu ci va a quartara a l'acqua nzinu a quannu un si rumpi.''' :''Tante volte si porta la brocca a prendere l'acqua che prima o poi si rompe.'' *'''Tantu va a quartara all'acqua, ca o si rumpi o si ciacca.''' :''Tante volte va la brocca a prendere l'acqua che prima o poi o si rompe o si spacca'' (letteralmente: si crepa). *'''tempu di ficu e sorba cu si po savvari si savva.''' :''durante il periodo di ristrettezze economiche chi riesce si salva.'' *'''Tempu pessu e filu cassariatu'''. :''Tempo perso e lavoro sprecato''. *'''Tira cchiossài nu pilu di sticchiu ca 'n carru di vòi.''' :''Tira di più un pelo di donna che un carro di buoi.'' *'''Tira 'n sordu e vidi cu u pigghia (proverbio popolare).''' :''Lancia una moneta e guarda chi la prende''. :Si riferisce a due contendenti di poco valore. Ha dunque valore spregiativo. *'''Testa ca non parra si chiama cucuzza.''' :''Testa che non parla si chiama zuccòna''. :Chi si ostina a non comunicare agli altri i propri disagi. *'''Tummina tummina sunnu li vai, cu nn'havi cchiu picca e ccu nn'havi cchi'ossài.''' :''I guai sono a palate, chi più chi meno, tutti ne abbiamo.'' *'''Tri pila avi u poccu e u poccu avi tri pila'''. :''Tre peli ha il porco e il porco ha tre peli''. :Riferito a una ripetizione inutile. *'''Ti salutu je nculu ti sputu'''. :''ti saluto e nel fondoschiena ti sputo'' :Riferito a chi non si ha voglia di salutare. *'''Tira chi'ossa un firu i pacchiu a parti i cchianata, ca tri boo misi n'zermina a parti i scinnuta'''. :''Tira più un pelo di pube in salita che tre buoi messi assieme in discesa'' :L' attrazione (sessuale) verso il sesso femminile è irresistibile. ==U== *''''U minchia unni egghiè, u curnutu a lu so paisi.''' :''Lo stupido è stupido dovunque, il cornuto lo è solo al suo paese {{NDR|dove è risaputo}}).'' *'''Unna maggiuri c'è minuri cessa'''; vedi anche '''Dissi lu puddicinu ndi la nassa: "unni maggiori c'è, minuri cessa"'''. :''Dove il maggiore c'è, il minore termina {{NDR|di esistere}}'' (''Disse il pulcino nel nido: "dove c'è il maggiore, il minore smette"''). *''''U immirutu jeva e vineva, ma 'u immu so nun su' vireva.''' :''Il gobbo andava e veniva, ma la gobba non la vedeva.'' *''''U surdu 'un è cu nun senti, ma cu nun voli sentiri.''' :''Il sordo non è chi non sente, ma chi non vuole sentire.'' *'''Un patri campa centu figghi, ma centu figghi non campanu un patri.''' :''Un padre mantiene cento figli, mentre cento figli non riescono a mantenere un padre.'' *'''Un c'è minchia senza cugghiuna.''' :''Non c'è pene senza testicoli.'' :Nulla sussiste senza solide basi. *''''U cani muzzica sempre u spardatu.''' :''Il cane morde sempre il povero.'' *''' 'U sticchiu è bellu e a minchia fa burdellu.''' :''La vagina è bella e il pene fa rumore''. ::varianti: **''' 'U sticchiu è duci e a minchia jetta vuci.''' ::''La vagina è dolce e il pene grida''. **''' 'U sticchiu è duci e cu'unnavi jetta vuci.''' ::''La vagina è dolce e chi ne è privo si lamenta.'' *''''Un futtiri mai a casa ru ladru, picchì c'arresti futtutu.''' :''Non rubare mai a casa del ladro, perché resterai fregato.'' *''''U ferru si batti mentr'è caudu.''' :''Il ferro si batte mentre è caldo.'' *''''U micceri bannìa chiddu chi avi''' :''Il mercante pubblicizza la sua merce''<ref>Da ''bannìari'' o ''vannìari'', verbo che indica l'emettere un tipico urlo, la ''vannìata'', una sorta di ''reclame'' gridata, tipica dei mercanti siciliani.</ref> ::Ognuno parla per sé, per ciò che è la sua competenza. *''''U Signuri runa pani a cu unnavi jagni'''. :''Il Signore dà il pane a chi non ha denti.'' *''''U sceccu di calata nun s'ammutta.''' :''L'asino in discesa non va spinto!'' *''''Un punciri u sceccu nna muntata.''' :''Non infastidire chi lavora con fatica!'' *''''U suli quannu affaccia, affaccia pri tutti!''' :''Il sole quando si affaccia, si affaccia per tutti!'' *''''U rispettu è misuratu, cu lu porta l'avi purtatu.''' :''Il rispetto è misurato, chi lo porta lo riceve'' *''''U iattu du furgiaru non si scanta de' spisiddi''' :''Il gatto del fabbro non ha paura delle scintille'' ::Si dice per affermare la propria padronanza nel fare le cose. *''''U pumu fracitu guasta tutti l'autri.''' :''La mela marcia guasta le altre''<ref>Tale proverbio viene attribuito da [[Salimbene de Adam]] a [[Federico II di Svevia]], espresso secondo l'esegeta dall'imperatore dopo aver fatto uccidere un anziano rematore.</ref> *''''U ranciu di pantanu ci dici o sceccu "jambi stotti!".''' :''Il granchio di stagno dice all'asino "gambe storte!"''. ::Chi è brutto vede solo i difetti altrui. *''''U varagnu fa passari 'a stanchizza''' :''Il guadagno fa passare la stanchezza'' *''''U pisci fete siempre ra testa''' :''Il pesce inizia a puzzare sempre dalla testa'' ::Le cattive intenzioni sono sempre chiare dai primi gesti. *''''U pupu, quannu si vesti bonu, si senti puparu.''' :''Il pupo, quando si veste bene, si sente puparo.'' ::Le persone insignificanti si credono signori se vestiti bene. *''' 'U sceccu ca sâ vanta nu' vali mancu mezza lira''' :''L'asino che se la vanta<ref>Espressione che sta per pavoneggiarsi.</ref> non vale neanche mezza lira'' *'''U sceccu nun futti picchi' è bedu, u sceccu futti picchi' è n'sistu.''' :''L'asino(uomo) non fa l'amore perchè è bello, l'asino(uomo) fa l'amore perchè è insistente.'' ==V== *'''Venisti pi futtiri e fusti futtutu''' :''Sei venuto per fregare e sei stato fregato'' *'''Voli a vutti china e a mugghieri 'mbriaca''' :''Vuole la botte piena e la moglie ubriaca.'' *'''Viecchi, fimmini e vrocculi sciuruti, comu i fa i fa, su sempri pirduti'''. :''Vecchi, donne e broccoli {{NDR|quando sono}} fioriti, quando li fanno {{NDR|i fiori}}, sono sempre persi''. *'' Vucca ca nun parra si chiama cucuzza''; vedi anche ''Testa ca nu' parra si chiama cucuzza''. :''Bocca che non parla si chiama zucca'' (''testa che non parla {{NDR|è una}} si chiama zucca''). ==W== ==X== ==Y== ==Z== *'''Zoccu ora si schifia veni lu tempo ca si disia.''' :''Ciò che adesso viene disprezzato, verrà un giorno desiderato.'' *''' Zoccu nasci si vattja.''' :'' Quello che nasce si battezza.''' ::Ci si deve accontentare di ciò che la sorte ci riserva. ==Note== <references/> ==Spiegazione== Scusate perchè quando si inserisce la spiegazione di un proverbio in siciliano non si dà sia la traduzione letterale che poi dopo la spiegazione del significato? in modo tale che chi legge a modo di apprezzare la metafora usata e come essa viene usata, ciò darebbe modo di evidenziare lo spirito della nostra cultura. io direi che sipotrebbero ripassare tutti per aggiungerci la traduzione letterale, se nessuno si offende. grazie {{non firmato|Criminale|18:17, 19 nov 2006}} :Naturalmente. Puoi fare come ho sistemato io. --[[Utente:Nemo|Nemo]] 19:42, 19 nov 2006 (UTC) ::C'è da uscire pazzi di come è combinata: errori di battitura-ortografia etc, ripetizioni, errori di formattazione... ''pari ca ci passaru cô tratturi''!--[[Speciale:Contributi/79.53.110.146|79.53.110.146]] 12:22, 2 mag 2011 (CEST) Ho inserito una aggiunta alla spiegazione del proverbio "nta corda ruppa ruppa..." che a mio avviso non era chiara. Oudeis {{non firmato|94.162.195.236|17:12, 19 lug 2011}} 1tzypkspz0t3xnak24no4gflqhu7ln9 Scuola Medica Salernitana 0 11724 1382000 919742 2025-07-02T07:04:53Z ~2025-111296 103366 /* Regimen Sanitatis Salernitanum */ 1382000 wikitext text/x-wiki {{w|Chiarire tipo di voce e migliorare indicazione delle fonti}} [[Immagine:Regimen Sanitatis Salernitanum.jpg|thumb|''Regimen Sanitatis Salernitanum cum expositione magistri Arnaldi de Villanova Cathellano noviter impressus'', Venetiis, impressum per Bernardinum Venetum de Vitalibus, 1480]] La '''Scuola Medica Salernitana''' è stata la prima e più importante istituzione medica d'Europa all'inizio del Medioevo (IX secolo); come tale è considerata da molti come la madre delle moderne università. *La defecazione del mattino è pari ad una medicina. (Attribuzione goliardica) :''Cacatio matutina est tamquam medicina''. ==''Regimen Sanitatis Salernitanum''== *Bevano il vino gli uomini, gli altri animali alle fonti. :''Vina bibant homines, animalia cetera fontes''. *Dopo [[cena]] riposa, o fa' appena un miglio (''ovvero'' cammina di lento passo). (212)<ref name=dr>''Collectio salernitana'', a cura di [[Salvatore De Renzi]], to. I, Napoli, 1852.</ref> :''Post coenam stabis, aut passus mille meabis'' [o anche ''aut lento pede ambulabis'']. *Dopo ogni [[uovo]], bevi un altro bicchiere di vino. :''Singula post ova | pocula sume nova''. *Dopo [[pranzo]] o riposare o [[Passeggiata|passeggiare]] lentamente. :''Post prandium aut stare aut lento pede deambulare''. *Dopo pranzo o si riposa o si passeggia lentamente. :''Post prandium aut stabis aut lente deambulabis''. *Dopo pranzo riposa, dopo cena passeggia. :''Post prandium stabis, post coenam ambulabis''. *Dormire sei ore è sufficiente sì per un giovane come per un vecchio: concederemo a stento sette ore a un pigro, otto a nessuno. (129-130)<ref name=dr /> :''Sex horis dormire sat est juvenique senique: | Septem vix pigro, nulli concedimus octo''. *Durante il pranzo bevi poco e sovente. :''Inter prandendum sit saepe parumque bibendum''. *Il [[formaggio|cacio]] è buono se lo dai con mano avara. (387)<ref name=dr /> :''Caseus ille bonus quem dat avara manus''. *Il [[finocchio]] apre lo stretto buco dell'ano. :{{senza fonte|''Foeniculum aperit spiraculum culi''}}. *Il vino spumeggiante la cui spuma non se ne va è cattivo. :''Vinum spumosum nisi defluat est vitiosum''. *La prima digestione avviene in bocca. :''Prima digestio fit in ore''. *Mentre desini, bevi poco e spesso. (214)<ref name=dr /> :''Inter prandendum sit saepe parumque bibendum''. *Nobile erba è la ruta, perché rischiara la vista. (704)<ref name=dr /> :''Nobilis est ruta quia lumina reddit acuta''. *Se il cacio sarà non come Argo, ma largo, non come Matusalem, ma come Maddalena, non come Pietro, ma come Lazzaro, allora sarà buono. (404-405)<ref name=dr /><ref>"Il formaggio per esser buono dovrebbe essere non troppo occhiuto, di buchi larghi, non tanto vecchio, che pianga, non duro come la pietra, giallo come Lazzaro resuscitato". Citato in [[Giuseppe Fumagalli]], ''[[s:Indice:Chi l'ha detto.djvu|Chi l'ha detto?]]'', Hoepli, 1921, p. 512.</ref> :''Non Argus, largus, non Matusalem, Madalena, | Non Petrus, Lazarus, caseus iste bonus''. *Se ti ha fatto male una bevuta serale, bevi nuovamente [[vino]] il mattino: sarà per te una medicina. :''Si tibi serotina noceat potatio, vina | hora matutina rebibas et erit medicina''. *Se ti mancano i medici, siano per te medici queste tre cose: l'animo lieto, la quiete e la moderata dieta. (19-20)<ref name=dr /> :''Si tibi deficiant [[medico|medici]], medici tibi fiant haec tria: mens laeta, requies, moderata diaeta''. *Se vuoi esser leggero di notte, fa corta [[cena]]. (195)<ref name=dr /> :''Ut sis nocte levis, sit tibi coena brevis''. *Se vuoi esser sano, lavati spesso le mani. (125)<ref name=dr /> :''Si fore vis sanus ablue saepe manus''. ==Citazioni sulla Scuola Medica Salernitana== *Allora {{NDR|[[Salerno]]}} era così fiorente nell'arte medica che nessuna malattia poteva in essa trovar posto. ([[Alfano di Salerno]]) *La sera, dalle finestre di [[Salerno]], eseguimmo un altro disegno di quella località incredibilmente amena e ferace, che mi risparmierà ulteriori descrizioni. Chi non sarebbe stato incline a studiare lì, nei bei tempi in cui fioriva l'alta Scuola? ([[Wolfgang Goethe]], ''[[Viaggio in Italia (saggio)|Viaggio in Italia]]'') ==Note== <references /> ==Voci correlate== *[[Alfano di Salerno]] *[[Salerno]] *[[Salvatore De Renzi]] ==Altri progetti== {{interprogetto|preposizione=sulla|w_preposizione=riguardante la}} [[Categoria:Medici italiani]] eqctw49tp9ux9rkh3mmf28j880t77gp 1382001 1382000 2025-07-02T07:06:07Z ~2025-111296 103366 1382001 wikitext text/x-wiki {{w|Chiarire tipo di voce e migliorare indicazione delle fonti}} [[Immagine:Regimen Sanitatis Salernitanum.jpg|thumb|''Regimen Sanitatis Salernitanum cum expositione magistri Arnaldi de Villanova Cathellano noviter impressus'', Venetiis, impressum per Bernardinum Venetum de Vitalibus, 1480]] La '''Scuola Medica Salernitana''' è stata la prima e più importante istituzione medica d'Europa all'inizio del Medioevo (IX secolo); come tale è considerata da molti come la madre delle moderne università. *La defecazione del mattino è pari ad una medicina. (Attribuzione goliardica) :''Cacatio matutina est tamquam medicina''. ==''Regimen Sanitatis Salernitanum''== *Bevano il vino gli uomini, gli altri animali alle fonti. :''Vina bibant homines, animalia cetera fontes''. *Dopo [[cena]] riposa, o fa' appena un miglio (''ovvero'' cammina di lento passo). (212)<ref name=dr>''Collectio salernitana'', a cura di [[Salvatore De Renzi]], to. I, Napoli, 1852.</ref> :''Post coenam stabis, aut passus mille meabis'' [o anche ''aut lento pede ambulabis'']. *Dopo ogni [[uovo]], bevi un altro bicchiere di vino. :''Singula post ova | pocula sume nova''. *Dopo [[pranzo]] o riposare o [[Passeggiata|passeggiare]] lentamente. :''Post prandium aut stare aut lento pede deambulare''. *Dopo pranzo o si riposa o si passeggia lentamente. :''Post prandium aut stabis aut lente deambulabis''. *Dopo pranzo riposa, dopo cena passeggia. :''Post prandium stabis, post coenam ambulabis''. *Dormire sei ore è sufficiente sì per un giovane come per un vecchio: concederemo a stento sette ore a un pigro, otto a nessuno. (129-130)<ref name=dr /> :''Sex horis dormire sat est juvenique senique: | Septem vix pigro, nulli concedimus octo''. *Durante il pranzo bevi poco e sovente. :''Inter prandendum sit saepe parumque bibendum''. *Il [[formaggio|cacio]] è buono se lo dai con mano avara. (387)<ref name=dr /> :''Caseus ille bonus quem dat avara manus''. *{{Senza fonte|Il [[finocchio]] apre lo stretto buco dell'ano. :''Foeniculum aperit spiraculum culi''.}} *Il vino spumeggiante la cui spuma non se ne va è cattivo. :''Vinum spumosum nisi defluat est vitiosum''. *La prima digestione avviene in bocca. :''Prima digestio fit in ore''. *Mentre desini, bevi poco e spesso. (214)<ref name=dr /> :''Inter prandendum sit saepe parumque bibendum''. *Nobile erba è la ruta, perché rischiara la vista. (704)<ref name=dr /> :''Nobilis est ruta quia lumina reddit acuta''. *Se il cacio sarà non come Argo, ma largo, non come Matusalem, ma come Maddalena, non come Pietro, ma come Lazzaro, allora sarà buono. (404-405)<ref name=dr /><ref>"Il formaggio per esser buono dovrebbe essere non troppo occhiuto, di buchi larghi, non tanto vecchio, che pianga, non duro come la pietra, giallo come Lazzaro resuscitato". Citato in [[Giuseppe Fumagalli]], ''[[s:Indice:Chi l'ha detto.djvu|Chi l'ha detto?]]'', Hoepli, 1921, p. 512.</ref> :''Non Argus, largus, non Matusalem, Madalena, | Non Petrus, Lazarus, caseus iste bonus''. *Se ti ha fatto male una bevuta serale, bevi nuovamente [[vino]] il mattino: sarà per te una medicina. :''Si tibi serotina noceat potatio, vina | hora matutina rebibas et erit medicina''. *Se ti mancano i medici, siano per te medici queste tre cose: l'animo lieto, la quiete e la moderata dieta. (19-20)<ref name=dr /> :''Si tibi deficiant [[medico|medici]], medici tibi fiant haec tria: mens laeta, requies, moderata diaeta''. *Se vuoi esser leggero di notte, fa corta [[cena]]. (195)<ref name=dr /> :''Ut sis nocte levis, sit tibi coena brevis''. *Se vuoi esser sano, lavati spesso le mani. (125)<ref name=dr /> :''Si fore vis sanus ablue saepe manus''. ==Citazioni sulla Scuola Medica Salernitana== *Allora {{NDR|[[Salerno]]}} era così fiorente nell'arte medica che nessuna malattia poteva in essa trovar posto. ([[Alfano di Salerno]]) *La sera, dalle finestre di [[Salerno]], eseguimmo un altro disegno di quella località incredibilmente amena e ferace, che mi risparmierà ulteriori descrizioni. Chi non sarebbe stato incline a studiare lì, nei bei tempi in cui fioriva l'alta Scuola? ([[Wolfgang Goethe]], ''[[Viaggio in Italia (saggio)|Viaggio in Italia]]'') ==Note== <references /> ==Voci correlate== *[[Alfano di Salerno]] *[[Salerno]] *[[Salvatore De Renzi]] ==Altri progetti== {{interprogetto|preposizione=sulla|w_preposizione=riguardante la}} [[Categoria:Medici italiani]] shqq8k6bm2o7h8huyotpu8mi98l1ct9 1382002 1382001 2025-07-02T07:06:54Z ~2025-111296 103366 1382002 wikitext text/x-wiki {{w|Chiarire tipo di voce e migliorare indicazione delle fonti}} [[Immagine:Regimen Sanitatis Salernitanum.jpg|thumb|''Regimen Sanitatis Salernitanum cum expositione magistri Arnaldi de Villanova Cathellano noviter impressus'', Venetiis, impressum per Bernardinum Venetum de Vitalibus, 1480]] La '''Scuola Medica Salernitana''' è stata la prima e più importante istituzione medica d'Europa all'inizio del Medioevo (IX secolo); come tale è considerata da molti come la madre delle moderne università. *La defecazione del mattino è pari ad una medicina. (Attribuzione goliardica) :''Cacatio matutina est tamquam medicina''. ==''Regimen Sanitatis Salernitanum''== *Bevano il vino gli uomini, gli altri animali alle fonti. :''Vina bibant homines, animalia cetera fontes''. *Dopo [[cena]] riposa, o fa' appena un miglio (''ovvero'' cammina di lento passo). (212)<ref name=dr>''Collectio salernitana'', a cura di [[Salvatore De Renzi]], to. I, Napoli, 1852.</ref> :''Post coenam stabis, aut passus mille meabis'' [o anche ''aut lento pede ambulabis'']. *Dopo ogni [[uovo]], bevi un altro bicchiere di vino. :''Singula post ova | pocula sume nova''. *Dopo [[pranzo]] o riposare o [[Passeggiata|passeggiare]] lentamente. :''Post prandium aut stare aut lento pede deambulare''. *Dopo pranzo o si riposa o si passeggia lentamente. :''Post prandium aut stabis aut lente deambulabis''. *Dopo pranzo riposa, dopo cena passeggia. :''Post prandium stabis, post coenam ambulabis''. *Dormire sei ore è sufficiente sì per un giovane come per un vecchio: concederemo a stento sette ore a un pigro, otto a nessuno. (129-130)<ref name=dr /> :''Sex horis dormire sat est juvenique senique: | Septem vix pigro, nulli concedimus octo''. *Durante il pranzo bevi poco e sovente. :''Inter prandendum sit saepe parumque bibendum''. *Il [[formaggio|cacio]] è buono se lo dai con mano avara. (387)<ref name=dr /> :''Caseus ille bonus quem dat avara manus''. *{{Senza fonte}}Il [[finocchio]] apre lo stretto buco dell'ano. :''Foeniculum aperit spiraculum culi''. *Il vino spumeggiante la cui spuma non se ne va è cattivo. :''Vinum spumosum nisi defluat est vitiosum''. *La prima digestione avviene in bocca. :''Prima digestio fit in ore''. *Mentre desini, bevi poco e spesso. (214)<ref name=dr /> :''Inter prandendum sit saepe parumque bibendum''. *Nobile erba è la ruta, perché rischiara la vista. (704)<ref name=dr /> :''Nobilis est ruta quia lumina reddit acuta''. *Se il cacio sarà non come Argo, ma largo, non come Matusalem, ma come Maddalena, non come Pietro, ma come Lazzaro, allora sarà buono. (404-405)<ref name=dr /><ref>"Il formaggio per esser buono dovrebbe essere non troppo occhiuto, di buchi larghi, non tanto vecchio, che pianga, non duro come la pietra, giallo come Lazzaro resuscitato". Citato in [[Giuseppe Fumagalli]], ''[[s:Indice:Chi l'ha detto.djvu|Chi l'ha detto?]]'', Hoepli, 1921, p. 512.</ref> :''Non Argus, largus, non Matusalem, Madalena, | Non Petrus, Lazarus, caseus iste bonus''. *Se ti ha fatto male una bevuta serale, bevi nuovamente [[vino]] il mattino: sarà per te una medicina. :''Si tibi serotina noceat potatio, vina | hora matutina rebibas et erit medicina''. *Se ti mancano i medici, siano per te medici queste tre cose: l'animo lieto, la quiete e la moderata dieta. (19-20)<ref name=dr /> :''Si tibi deficiant [[medico|medici]], medici tibi fiant haec tria: mens laeta, requies, moderata diaeta''. *Se vuoi esser leggero di notte, fa corta [[cena]]. (195)<ref name=dr /> :''Ut sis nocte levis, sit tibi coena brevis''. *Se vuoi esser sano, lavati spesso le mani. (125)<ref name=dr /> :''Si fore vis sanus ablue saepe manus''. ==Citazioni sulla Scuola Medica Salernitana== *Allora {{NDR|[[Salerno]]}} era così fiorente nell'arte medica che nessuna malattia poteva in essa trovar posto. ([[Alfano di Salerno]]) *La sera, dalle finestre di [[Salerno]], eseguimmo un altro disegno di quella località incredibilmente amena e ferace, che mi risparmierà ulteriori descrizioni. Chi non sarebbe stato incline a studiare lì, nei bei tempi in cui fioriva l'alta Scuola? ([[Wolfgang Goethe]], ''[[Viaggio in Italia (saggio)|Viaggio in Italia]]'') ==Note== <references /> ==Voci correlate== *[[Alfano di Salerno]] *[[Salerno]] *[[Salvatore De Renzi]] ==Altri progetti== {{interprogetto|preposizione=sulla|w_preposizione=riguardante la}} [[Categoria:Medici italiani]] 0o2xwugjoj0mjkjrpmkqdy9w6uyf0rd Alla ricerca di Nemo 0 13218 1381930 1381416 2025-07-01T17:04:58Z ~2025-45664 102622 1381930 wikitext text/x-wiki {{Film |titoloitaliano=Alla ricerca di Nemo |immagine=Finding Nemo logo.svg |genere=animazione |regista=[[Andrew Stanton]] |soggetto=Andrew Stanton |sceneggiatore=Andrew Stanton, [[Bob Peterson (regista)|Bob Peterson]], [[David Reynolds]] |doppiatorioriginali= *[[Albert Brooks]]: Marlin *[[Ellen DeGeneres]]: Dory *[[Alexander Gould]]: Nemo *[[Willem Dafoe]]: Branchia ''(Gill)'' *[[Brad Garrett]]: Bombo ''(Bloat)'' *[[Allison Janney]]: Diva ''(Peach)'' *[[Austin Pendleton]]: GluGlù ''(Gurgle)'' *[[Stephen Root]]: BloBlò ''(Bubbles)'' *[[Vicki Lewis]]: Deb e Flo *[[Joe Ranft]]: Jacques *[[Geoffrey Rush]]: Amilcare ''(Nigel)'' *[[Andrew Stanton]]: Scorza ''(Crush)'' *[[Elizabeth Perkins]]: Coral *[[Nicholas Bird]]: Guizzo ''(Squirt)'' *[[Bob Peterson (regista)|Bob Peterson]]: maestro Ray ''(Mr. Ray)'' *[[Barry Humphries]]: Bruto ''(Bruce)'' *[[Eric Bana]]: Randa ''(Anchor)'' *[[Bruce Spence]]: Fiocco ''(Chum)'' *[[Bill Hunter (attore)|Bill Hunter]]: dentista *[[LuLu Ebeling]]: Darla *[[Jordan Ranft]]: Pulce ''(Tad)'' *[[Erica Beck]]: Perla ''(Pearl)'' *[[Erik Per Sullivan]]: Varenne ''(Sheldon)'' |doppiatoriitaliani=*[[Alex Polidori]]: Nemo *[[Luca Zingaretti]]: Marlin *[[Carla Signoris]]: Dory *[[Angelo Nicotra]]: Branchia *[[Massimo Corvo]]: Bombo *[[Silvia Pepitoni]]: Diva *[[Danilo De Girolamo]]: GluGlù *[[Gerolamo Alchieri]]: BloBlò *[[Giò Giò Rapattoni]]: Deb *[[Jacques Peyrac]]: Jacques *[[Pietro Ubaldi]]: Amilcare *[[Stefano Masciarelli]]: Scorza *[[Roberta Pellini]]: Coral *[[Furio Pergolani]]: Guizzo *[[Marco Mete]]: maestro Ray *[[Alessandro Rossi]]: [[Bruto (Nemo)|Bruto]] *[[Pasquale Anselmo]]: Randa *[[Luca Dal Fabbro]]: Fiocco *[[Dario Penne]]: dentista *[[Erica Necci]]: Darla *[[Manuel Meli]]: Pulce *[[Benedetta Manfredi]]: Perla *[[Mattia Nissolino]]: Varenne |note= *'''[[:Categoria:Film premi Oscar|Premio Oscar]] 2004''' come miglior film d'animazione. }} '''''Alla ricerca di Nemo''''', film d'animazione statunitense del 2003, regia di [[Andrew Stanton]]. ==[[Incipit]]== {{incipit film}} '''Marlin''': Wow, wow, wow!<br>'''Coral''': Sì, Marlin. Ho vi... ho visto. È bellissimo.<br>'''Marlin''': Allora, Coral? Quando hai detto che volevi la vista sull'oceano non credevi che avresti visto l'intero oceano, vero? Eh? Ah, sì... qui un pesce sì che può respirare. Tuo marito ti ha accontentata, sì o no?<br>'''Coral''': Mi ha accontentata.<br>'''Marlin''': E non è stato facile.<br>'''Coral''': Perché altri pesci pagliaccio facevano la fila per questo posto.<br>'''Marlin''': Ci puoi scommettere cara, lo volevano tutti, sai?<br>'''Coral''': Mmh. Sei stato bravo. E il quartiere è... stupendo. ==Frasi== {{cronologico}} *I [[Pesce pagliaccio|pesci pagliaccio]] non fanno ridere più degli altri! ('''Marlin''') *Io sono uno squalo buono, non un automa divoratore di pesci. Se voglio cambiare questa immagine di me, devo prima cambiare me stesso. I pesci sono amici, non cibo! ('''Bruto, Randa e Fiocco''') *{{NDR|Rivolto a Nemo}} Lo vedi quel filtro? Tu sei l'unico in grado di entrare e uscire da lì. Ciò che dovrai fare per noi è portare un sassolino lì dentro e bloccare quelle pale. A quel punto l'acquario comincerà a sporcarsi nel giro di pochi minuti, dopodiché il dentista sarà costretto a pulirlo, e per farlo ci tirerà fuori dall'acquario e metterà ognuno di noi in un sacchetto di plastica. Noi rotoliamo lungo il ripiano, giù dalla finestra, scivoliamo sulla tenda, fra i cespugli, oltre la strada, e ci tuffiamo nel porto! È perfetto! Chi sta con me? ('''Branchia''') ==Dialoghi== {{cronologico}} *'''Dory''': Una barca? Ehi, io l'ho vista una barca! È passata di qui un attimo fa! È andata... di là! È andata da quella parte, seguimi!<br/>'''Marlin''' {{NDR|pensa che Dory stia scherzando e si arrabbia}}: Un momento! Aspetta un momento! Che cosa stai facendo? Me l'hai già detto da che parte è andata la barca!<br/>'''Dory''': Già detto? Oh no...<br/>'''Marlin''': E se questo vuole essere una specie di scherzo, non è divertente! E io me ne intendo! Sono un pesce pagliaccio!<br/>'''Dory''': No, non lo è. Lo so che non è divertente... mi dispiace tanto, ma io... soffro di perdita di [[memoria a breve termine]].<br/>'''Marlin''': Perdita di memoria a breve termine? Non ci posso credere!<br/>'''Dory''': No, è vero, dimentico le cose all'istante, tutti così in famiglia! Be', insomma... almeno credo che tutti... mmmmh. Che fine hanno fatto? Posso aiutarla? '''Marlin''': No tu hai qualcosa che non va *'''Nemo''' {{NDR|è rimasto incastrato nel tubo del filtro e vede arrivare Branchia}}: Mi puoi aiutare?<br>'''Branchia''': No. Ci sei finito da solo e da solo ti tiri fuori.<br>'''Deb''': Ma... Branchia!<br>'''Branchia''' {{NDR|rivolto a Deb}}: Voglio vedere come se la cava, d'accordo? {{NDR|a Nemo}} Calmati. Prima devi agitare le pinne e poi la coda.<br>'''Nemo''': Non ce la faccio! Ho una pinna atrofica!<br>'''Branchia''': Mai stato un problema... {{NDR|si sposta e Nemo nota che anche Branchia ha una pinna rovinata}} Concentrati su quello che devi fare...<br>{{NDR|Nemo si sforza ma non riesce a uscire}}<br>'''Bombo''' {{NDR|prova a incoraggiarlo}}: Avanti!<br>{{NDR|Nemo continua a sforzarsi e riesce a uscire}}<br>'''Branchia''': Perfetto!<br>{{NDR|Bombo, GluGlù, BloBlò e Deb vanno a complimentarsi con Nemo}}<br>'''Diva''': Wow, dall'oceano, come te, Branchia!<br>'''Branchia''': Già...<br>'''Diva''' {{NDR|nota lo sguardo pensieroso di Branchia}}: Conosco quello sguardo, a cosa stai pensando?<br>'''Branchia''': Sto pensando che questa sera dobbiamo dare un vero benvenuto al ragazzo... {{NDR|Nemo}}<br>'''Bombo''' {{NDR|rivolto a Nemo}}: Di' un po', ce l'avrai un nome...<br>'''Nemo''': Nemo... Mi chiamo Nemo. *'''Dory''' {{NDR|dopo che la maschera del sub è caduta negli abissi, Marlin è molto triste, in quanto crede di non avere più possibilità di trovare Nemo}}: Non fare lo scorfano brontolone! Quando la vita si fa dura, sai che devi fare?<br/>'''Marlin''': No, non lo voglio sapere!<br/>'''Dory''': ''Zitto e nuota, | nuota e nuota, | zitto e nuota | e nuota e nuota. | E noi che si fa? | Nuotiam, nuotiam!'' *'''Dory''': Andiamo, fidati no?<br/>'''Marlin''': Fidarmi?<br/>'''Dory''': Sì, fidati! Gli amici fanno questo. *'''Nemo''': Quante volte hai tentato la fuga?<br/>'''Branchia''': Ah, ho perso il conto. I [[Pesce|pesci]] non sono fatti per vivere rinchiusi. L'[[acquario]] ti cambia dentro. *'''Deb''': Si è ripreso un po'? {{NDR|si riferisce a Nemo, nascosto poco sotto}}<br/>'''GluGlù''': Non lo so, ma per carità non nominare D-A-R-L-A <br/>'''Nemo''': Fa' lo stesso, tanto lo so di chi parlate... {{NDR|Bombo dà uno schiaffo a GluGlù, mentre Nemo si avvicina alla statua di un teschio in cui si trova Branchia, trovandolo dentro l'orbita dell'occhio con un'espressione triste}} Branchia? Branchia? <br/>'''Branchia''' {{NDR|senza guardare Nemo}}: Ciao, Pesce da Lenza. <br/>'''Nemo''': Scusami se non ci sono riuscito. {{NDR|si riferisce al tentativo fallito nel bloccare il filtro}}<br/>'''Branchia''': No, sono io che devo chiederti scusa. Ero così determinato a scappare, così deciso ad assaporare l'oceano, da mettere a rischio la tua vita per riuscirci... ma niente vale un tale rischio. {{NDR|rivolge lo sguardo verso Nemo}} Non sono riuscito a farti tornare da tuo padre. * {{NDR|Marlin e Dory hanno visto una balena e Dory cerca di parlare in "balenese"}}<br/>'''Dory''': Nuu dubbiaaamo truuvaare suo fiiglio!<br/>'''Marlin''': Ehm, Dory... che cosa fai? Che cosa fai? Ma sei sicura di conoscere il balenese?<br/>'''Dory''': Ci puòòò indicaaare la straaadaaa?<br/>'''Marlin''': Dory! Chissà che cosa stai dicendo! {{NDR|la balena si muove allontanandosi}} Visto? Se ne va!<br/>'''Dory''': Torna quaaaa!! <br/> '''Marlin''': Non sta tornando indietro, forse l'hai offesa! <br/> '''Dory''': Provo un altro dialetto: {{NDR|emette dei versi incomprensibili simili a sbadigli}}<br/>'''Marlin''': Dory. Dory non sembri una balena.. Sembri un pesce... che sta per vomitare!<br/>'''Dory''': Bene, provo col megatterese.<br/>'''Marlin''': No, il megatterese no!<br/>'''Dory''': Muuuuuuau! Muaaaau! <br /> '''Marlin''': Ecco... ora sembri agonizzante. <br/> '''Dory''': Forse più forte? Muaaau!! Muaaau!!<br/>'''Marlin''' {{NDR|perde la pazienza}}: Falla finita! {{NDR|la balena intanto si avvicina dietro di loro}} <br/>'''Dory''': Troppo orchese? Sembravo un'orca, vero? <br /> '''Marlin''': Ma quale orca! Sembravi una cosa che non ho mai sentito! {{NDR|sospira, mentre Dory emette altri versi strani}} Meglio così, magari era affamata... <br/>'''Dory''': Niente paura, le balene non mangiano pesci, mangiano krill. {{NDR|un banco di krill nuota verso di loro, scappando dalla balena}} <br /> '''Banco di krill''': Scappiamo! <br/>'''Dory''': Oh, guarda, krill! {{NDR|la balena, ormai vicina a Marlin e Dory, apre la bocca, risucchiandoli}} <br/> '''Marlin''': Via, Dory! Presto! {{NDR|viene aspirato dalla balena assieme a Dory}} *'''Marlin''': Gli avevo promesso che non gli sarebbe capitato mai niente. {{NDR|a Nemo}}<br/>'''Dory''': Oh, è un po' bislacca come promessa!<br/>'''Marlin''': Perché?<br/>'''Dory''': Beh, non puoi fare in modo che non gli capiti mai niente: dovrebbe non fare mai niente! * {{NDR|Quando pare che Nemo sia morto}}<br/>'''Dory''': Ehi...<br/>'''Marlin''': Dory... se non era per te io non sarei mai neanche arrivato fin qui... perciò grazie...<br/>'''Dory''': Ehi aspetta un minuto! Ma dai aspetta! Dove vai?<br/>'''Marlin''': È finita Dory, siamo arrivati tardi... Nemo non c'è più... e io me ne torno a casa.<br/>'''Dory''': No! No, non puoi... Fermati! Non te ne andare, ti prego! Nessuno finora è rimasto così a lungo con me... e se tu te ne vai... Se tu te ne vai... Con te io mi ricordo le cose, è vero! Sta' a sentire: P. Sherman, quarantadue... eh... quaranta... due... Ah! Me lo ricordo, lo giuro! È qui, lo so perché... perché quando ti vedo, me lo sento... e quando... quando ti vedo io... mi sento a casa. Ti prego... non voglio perdere tutto questo... non voglio dimenticare...<br/>'''Marlin''': Mi dispiace, Dory... ma io sì. *'''Granchio 1''' {{NDR|mangiando le bollicine che escono da un tubo di scarico}}: Una manna dal cielo! <br/> '''Granchio 2''': Dolce nettare di vita, ah ah! <br/> '''Granchio 1''' {{NDR|a un terzo granchio}}: Ehi! Ehi! <br > '''Granchio 2''': Ehi ehi ehi! <br/> '''Granchio 1''': Questa è zona nostra! <br/> '''Granchio 2''': Vattene via! Smamma! <br/> '''Granchio 1''' {{NDR|a Marlin che passa lì vicino}}: Ehi ehi ehi! <br/> '''Granchio 2''': Ehi ehi ehi ehi! <br/> '''Granchio 1''': Sì, bravo bravo, nuota, nuota! Ecco! <br/> '''Granchio 2''': Ben detto, amico! {{NDR|Nemo esce dal tubo di scarico}} Oh! Oh! Questo è bello in carne! <br/> '''Nemo''': Ehi, avete visto il mio papà? <br/> '''Granchio 2''' {{NDR|prova ad acchiappare Nemo}}: Preso! <br/> '''Nemo''': No! {{NDR|Nemo scappa via}} <br/> '''Granchio 2''': Ehi ehi! Torna subito qua! <br/> '''Granchio 1''': Te lo sei fatto scappare! {{NDR|lo colpisce in testa}} <br/> '''Granchio 1 e Granchio 2''': Ehi ehi ehi! {{NDR|si azzuffano}} * {{NDR|Dopo che Marlin se n'è andato, Dory incontra Nemo ma non si ricorda chi sia}}<br/>'''Dory''': Mi chiamo Dory. <br/>'''Nemo''': Io Nemo. <br/>'''Dory''': Nemo!?... Gran bel nome. *'''Nemo''' {{NDR|a Dory mentre cerca il suo papà}}: Dove ci troviamo?<br/>'''Dory''' {{NDR|legge il nome della città (Sydney)}}: Papà Papà Sydney. Sydney!?! {{NDR|tutto le ritorna alla mente e afferra Nemo per abbracciarlo}} Nemo!!! Sei Nemo!<br/>'''Nemo''': Sì, sì, sono Nemo.<br/>'''Dory''': Oh, sei Nemo... eri morto io ti ho visto... Eccoti qua, tu non sei morto... e tuo padre... tuo padre?!<br/>'''Nemo''': Mio padre? Conosci mio padre? Dov'è?<br/>'''Dory''': Di là, è andato di là, andiamo! ==[[Explicit]]== {{explicit film}} E adesso? ('''Bombo''') ==Altri progetti== {{interprogetto}} {{Pixar}} [[Categoria:Film d'animazione Pixar]] [[Categoria:Film premi Oscar]] 8tjhwgijyba7fqx5i39e8ebgt6nni7b 1381934 1381930 2025-07-01T17:40:28Z ~2025-45664 102622 1381934 wikitext text/x-wiki {{Film |titoloitaliano=Alla ricerca di Nemo |immagine=Finding Nemo logo.svg |genere=animazione |regista=[[Andrew Stanton]] |soggetto=Andrew Stanton |sceneggiatore=Andrew Stanton, [[Bob Peterson (regista)|Bob Peterson]], [[David Reynolds]] |doppiatorioriginali= *[[Albert Brooks]]: Marlin *[[Ellen DeGeneres]]: Dory *[[Alexander Gould]]: Nemo *[[Willem Dafoe]]: Branchia ''(Gill)'' *[[Brad Garrett]]: Bombo ''(Bloat)'' *[[Allison Janney]]: Diva ''(Peach)'' *[[Austin Pendleton]]: GluGlù ''(Gurgle)'' *[[Stephen Root]]: BloBlò ''(Bubbles)'' *[[Vicki Lewis]]: Deb e Flo *[[Joe Ranft]]: Jacques *[[Geoffrey Rush]]: Amilcare ''(Nigel)'' *[[Andrew Stanton]]: Scorza ''(Crush)'' *[[Elizabeth Perkins]]: Coral *[[Nicholas Bird]]: Guizzo ''(Squirt)'' *[[Bob Peterson (regista)|Bob Peterson]]: maestro Ray ''(Mr. Ray)'' *[[Barry Humphries]]: Bruto ''(Bruce)'' *[[Eric Bana]]: Randa ''(Anchor)'' *[[Bruce Spence]]: Fiocco ''(Chum)'' *[[Bill Hunter (attore)|Bill Hunter]]: dentista *[[LuLu Ebeling]]: Darla *[[Jordan Ranft]]: Pulce ''(Tad)'' *[[Erica Beck]]: Perla ''(Pearl)'' *[[Erik Per Sullivan]]: Varenne ''(Sheldon)'' |doppiatoriitaliani=*[[Alex Polidori]]: Nemo *[[Luca Zingaretti]]: Marlin *[[Carla Signoris]]: Dory *[[Angelo Nicotra]]: Branchia *[[Massimo Corvo]]: Bombo *[[Silvia Pepitoni]]: Diva *[[Danilo De Girolamo]]: GluGlù *[[Gerolamo Alchieri]]: BloBlò *[[Giò Giò Rapattoni]]: Deb *[[Jacques Peyrac]]: Jacques *[[Pietro Ubaldi]]: Amilcare *[[Stefano Masciarelli]]: Scorza *[[Roberta Pellini]]: Coral *[[Furio Pergolani]]: Guizzo *[[Marco Mete]]: maestro Ray *[[Alessandro Rossi]]: [[Bruto (Nemo)|Bruto]] *[[Pasquale Anselmo]]: Randa *[[Luca Dal Fabbro]]: Fiocco *[[Dario Penne]]: dentista *[[Erica Necci]]: Darla *[[Manuel Meli]]: Pulce *[[Benedetta Manfredi]]: Perla *[[Mattia Nissolino]]: Varenne |note= *'''[[:Categoria:Film premi Oscar|Premio Oscar]] 2004''' come miglior film d'animazione. }} '''''Alla ricerca di Nemo''''', film d'animazione statunitense del 2003, regia di [[Andrew Stanton]]. ==[[Incipit]]== {{incipit film}} '''Marlin''': Wow, wow, wow!<br>'''Coral''': Sì, Marlin. Ho vi... ho visto. È bellissimo.<br>'''Marlin''': Allora, Coral? Quando hai detto che volevi la vista sull'oceano non credevi che avresti visto l'intero oceano, vero? Eh? Ah, sì... qui un pesce sì che può respirare. Tuo marito ti ha accontentata, sì o no?<br>'''Coral''': Mi ha accontentata.<br>'''Marlin''': E non è stato facile.<br>'''Coral''': Perché altri pesci pagliaccio facevano la fila per questo posto.<br>'''Marlin''': Ci puoi scommettere cara, lo volevano tutti, sai?<br>'''Coral''': Mmh. Sei stato bravo. E il quartiere è... stupendo. ==Frasi== {{cronologico}} *I [[Pesce pagliaccio|pesci pagliaccio]] non fanno ridere più degli altri! ('''Marlin''') *Io sono uno squalo buono, non un automa divoratore di pesci. Se voglio cambiare questa immagine di me, devo prima cambiare me stesso. I pesci sono amici, non cibo! ('''Bruto, Randa e Fiocco''') *{{NDR|Rivolto a Nemo}} Lo vedi quel filtro? Tu sei l'unico in grado di entrare e uscire da lì. Ciò che dovrai fare per noi è portare un sassolino lì dentro e bloccare quelle pale. A quel punto l'acquario comincerà a sporcarsi nel giro di pochi minuti, dopodiché il dentista sarà costretto a pulirlo, e per farlo ci tirerà fuori dall'acquario e metterà ognuno di noi in un sacchetto di plastica. Noi rotoliamo lungo il ripiano, giù dalla finestra, scivoliamo sulla tenda, fra i cespugli, oltre la strada, e ci tuffiamo nel porto! È perfetto! Chi sta con me? ('''Branchia''') ==Dialoghi== {{cronologico}} *'''Dory''': Una barca? Ehi, io l'ho vista una barca! È passata di qui un attimo fa! È andata... di là! È andata da quella parte, seguimi!<br/>'''Marlin''' {{NDR|pensa che Dory stia scherzando e si arrabbia}}: Un momento! Aspetta un momento! Che cosa stai facendo? Me l'hai già detto da che parte è andata la barca!<br/>'''Dory''': Già detto? Oh no...<br/>'''Marlin''': E se questo vuole essere una specie di scherzo, non è divertente! E io me ne intendo! Sono un pesce pagliaccio!<br/>'''Dory''': No, non lo è. Lo so che non è divertente... mi dispiace tanto, ma io... soffro di perdita di [[memoria a breve termine]].<br/>'''Marlin''': Perdita di memoria a breve termine? Non ci posso credere!<br/>'''Dory''': No, è vero, dimentico le cose all'istante, tutti così in famiglia! Be', insomma... almeno credo che tutti... mmmmh. Che fine hanno fatto? Posso aiutarla? *'''Nemo''' {{NDR|è rimasto incastrato nel tubo del filtro e vede arrivare Branchia}}: Mi puoi aiutare?<br>'''Branchia''': No. Ci sei finito da solo e da solo ti tiri fuori.<br>'''Deb''': Ma... Branchia!<br>'''Branchia''' {{NDR|rivolto a Deb}}: Voglio vedere come se la cava, d'accordo? {{NDR|a Nemo}} Calmati. Prima devi agitare le pinne e poi la coda.<br>'''Nemo''': Non ce la faccio! Ho una pinna atrofica!<br>'''Branchia''': Mai stato un problema... {{NDR|si sposta e Nemo nota che anche Branchia ha una pinna rovinata}} Concentrati su quello che devi fare...<br>{{NDR|Nemo si sforza ma non riesce a uscire}}<br>'''Bombo''' {{NDR|prova a incoraggiarlo}}: Avanti!<br>{{NDR|Nemo continua a sforzarsi e riesce a uscire}}<br>'''Branchia''': Perfetto!<br>{{NDR|Bombo, GluGlù, BloBlò e Deb vanno a complimentarsi con Nemo}}<br>'''Diva''': Wow, dall'oceano, come te, Branchia!<br>'''Branchia''': Già...<br>'''Diva''' {{NDR|nota lo sguardo pensieroso di Branchia}}: Conosco quello sguardo, a cosa stai pensando?<br>'''Branchia''': Sto pensando che questa sera dobbiamo dare un vero benvenuto al ragazzo... {{NDR|Nemo}}<br>'''Bombo''' {{NDR|rivolto a Nemo}}: Di' un po', ce l'avrai un nome...<br>'''Nemo''': Nemo... Mi chiamo Nemo. *'''Dory''' {{NDR|dopo che la maschera del sub è caduta negli abissi, Marlin è molto triste, in quanto crede di non avere più possibilità di trovare Nemo}}: Non fare lo scorfano brontolone! Quando la vita si fa dura, sai che devi fare?<br/>'''Marlin''': No, non lo voglio sapere!<br/>'''Dory''': ''Zitto e nuota, | nuota e nuota, | zitto e nuota | e nuota e nuota. | E noi che si fa? | Nuotiam, nuotiam!'' *'''Dory''': Andiamo, fidati no?<br/>'''Marlin''': Fidarmi?<br/>'''Dory''': Sì, fidati! Gli amici fanno questo. *'''Nemo''': Quante volte hai tentato la fuga?<br/>'''Branchia''': Ah, ho perso il conto. I [[Pesce|pesci]] non sono fatti per vivere rinchiusi. L'[[acquario]] ti cambia dentro. * {{NDR|Marlin e Dory hanno visto una balena e Dory cerca di parlare in "balenese"}}<br/>'''Dory''': Nuu dubbiaaamo truuvaare suo fiiglio!<br/>'''Marlin''': Ehm, Dory... che cosa fai? Che cosa fai? Ma sei sicura di conoscere il balenese?<br/>'''Dory''': Ci puòòò indicaaare la straaadaaa?<br/>'''Marlin''': Dory! Chissà che cosa stai dicendo! {{NDR|la balena si muove allontanandosi}} Visto? Se ne va!<br/>'''Dory''': Torna quaaaa!! <br/> '''Marlin''': Non sta tornando indietro, forse l'hai offesa! <br/> '''Dory''': Provo un altro dialetto: {{NDR|emette dei versi incomprensibili simili a sbadigli}}<br/>'''Marlin''': Dory. Dory non sembri una balena.. Sembri un pesce... che sta per vomitare!<br/>'''Dory''': Bene, provo col megatterese.<br/>'''Marlin''': No, il megatterese no!<br/>'''Dory''': Muuuuuuau! Muaaaau! <br /> '''Marlin''': Ecco... ora sembri agonizzante. <br/> '''Dory''': Forse più forte? Muaaau!! Muaaau!!<br/>'''Marlin''' {{NDR|perde la pazienza}}: Falla finita! {{NDR|la balena intanto si avvicina dietro di loro}} <br/>'''Dory''': Troppo orchese? Sembravo un'orca, vero? <br /> '''Marlin''': Ma quale orca! Sembravi una cosa che non ho mai sentito! {{NDR|sospira, mentre Dory emette altri versi strani}} Meglio così, magari era affamata... <br/>'''Dory''': Niente paura, le balene non mangiano pesci, mangiano krill. {{NDR|un banco di krill nuota verso di loro, scappando dalla balena}} <br /> '''Banco di krill''': Scappiamo! <br/>'''Dory''': Oh, guarda, krill! {{NDR|la balena, ormai vicina a Marlin e Dory, apre la bocca, risucchiandoli}} <br/> '''Marlin''': Via, Dory! Presto! {{NDR|viene aspirato dalla balena assieme a Dory}} *'''Marlin''': Gli avevo promesso che non gli sarebbe capitato mai niente. {{NDR|a Nemo}}<br/>'''Dory''': Oh, è un po' bislacca come promessa!<br/>'''Marlin''': Perché?<br/>'''Dory''': Beh, non puoi fare in modo che non gli capiti mai niente: dovrebbe non fare mai niente! * {{NDR|Quando pare che Nemo sia morto}}<br/>'''Dory''': Ehi...<br/>'''Marlin''': Dory... se non era per te io non sarei mai neanche arrivato fin qui... perciò grazie...<br/>'''Dory''': Ehi aspetta un minuto! Ma dai aspetta! Dove vai?<br/>'''Marlin''': È finita Dory, siamo arrivati tardi... Nemo non c'è più... e io me ne torno a casa.<br/>'''Dory''': No! No, non puoi... Fermati! Non te ne andare, ti prego! Nessuno finora è rimasto così a lungo con me... e se tu te ne vai... Se tu te ne vai... Con te io mi ricordo le cose, è vero! Sta' a sentire: P. Sherman, quarantadue... eh... quaranta... due... Ah! Me lo ricordo, lo giuro! È qui, lo so perché... perché quando ti vedo, me lo sento... e quando... quando ti vedo io... mi sento a casa. Ti prego... non voglio perdere tutto questo... non voglio dimenticare...<br/>'''Marlin''': Mi dispiace, Dory... ma io sì. *'''Granchio 1''' {{NDR|mangiando le bollicine che escono da un tubo di scarico}}: Una manna dal cielo! <br/> '''Granchio 2''': Dolce nettare di vita, ah ah! <br/> '''Granchio 1''' {{NDR|a un terzo granchio}}: Ehi! Ehi! <br > '''Granchio 2''': Ehi ehi ehi! <br/> '''Granchio 1''': Questa è zona nostra! <br/> '''Granchio 2''': Vattene via! Smamma! <br/> '''Granchio 1''' {{NDR|a Marlin che passa lì vicino}}: Ehi ehi ehi! <br/> '''Granchio 2''': Ehi ehi ehi ehi! <br/> '''Granchio 1''': Sì, bravo bravo, nuota, nuota! Ecco! <br/> '''Granchio 2''': Ben detto, amico! {{NDR|Nemo esce dal tubo di scarico}} Oh! Oh! Questo è bello in carne! <br/> '''Nemo''': Ehi, avete visto il mio papà? <br/> '''Granchio 2''' {{NDR|prova ad acchiappare Nemo}}: Preso! <br/> '''Nemo''': No! {{NDR|Nemo scappa via}} <br/> '''Granchio 2''': Ehi ehi! Torna subito qua! <br/> '''Granchio 1''': Te lo sei fatto scappare! {{NDR|lo colpisce in testa}} <br/> '''Granchio 1 e Granchio 2''': Ehi ehi ehi! {{NDR|si azzuffano}} *'''Nemo''' {{NDR|a Dory mentre cerca il suo papà}}: Dove ci troviamo?<br/>'''Dory''' {{NDR|legge il nome della città (Sydney)}}: Papà Papà Sydney. Sydney!?! {{NDR|tutto le ritorna alla mente e afferra Nemo per abbracciarlo}} Nemo!!! Sei Nemo!<br/>'''Nemo''': Sì, sì, sono Nemo.<br/>'''Dory''': Oh, sei Nemo... eri morto io ti ho visto... Eccoti qua, tu non sei morto... e tuo padre... tuo padre?!<br/>'''Nemo''': Mio padre? Conosci mio padre? Dov'è?<br/>'''Dory''': Di là, è andato di là, andiamo! ==[[Explicit]]== {{explicit film}} E adesso? ('''Bombo''') ==Altri progetti== {{interprogetto}} {{Pixar}} [[Categoria:Film d'animazione Pixar]] [[Categoria:Film premi Oscar]] 6u9j1oeu1rjwkz4c79m6c4svuybsj0c 1381935 1381934 2025-07-01T17:41:15Z ~2025-45664 102622 1381935 wikitext text/x-wiki {{Film |titoloitaliano=Alla ricerca di Nemo |immagine=Finding Nemo logo.svg |genere=animazione |regista=[[Andrew Stanton]] |soggetto=Andrew Stanton |sceneggiatore=Andrew Stanton, [[Bob Peterson (regista)|Bob Peterson]], [[David Reynolds]] |doppiatorioriginali= *[[Albert Brooks]]: Marlin *[[Ellen DeGeneres]]: Dory *[[Alexander Gould]]: Nemo *[[Willem Dafoe]]: Branchia ''(Gill)'' *[[Brad Garrett]]: Bombo ''(Bloat)'' *[[Allison Janney]]: Diva ''(Peach)'' *[[Austin Pendleton]]: GluGlù ''(Gurgle)'' *[[Stephen Root]]: BloBlò ''(Bubbles)'' *[[Vicki Lewis]]: Deb e Flo *[[Joe Ranft]]: Jacques *[[Geoffrey Rush]]: Amilcare ''(Nigel)'' *[[Andrew Stanton]]: Scorza ''(Crush)'' *[[Elizabeth Perkins]]: Coral *[[Nicholas Bird]]: Guizzo ''(Squirt)'' *[[Bob Peterson (regista)|Bob Peterson]]: maestro Ray ''(Mr. Ray)'' *[[Barry Humphries]]: Bruto ''(Bruce)'' *[[Eric Bana]]: Randa ''(Anchor)'' *[[Bruce Spence]]: Fiocco ''(Chum)'' *[[Bill Hunter (attore)|Bill Hunter]]: dentista *[[LuLu Ebeling]]: Darla *[[Jordan Ranft]]: Pulce ''(Tad)'' *[[Erica Beck]]: Perla ''(Pearl)'' *[[Erik Per Sullivan]]: Varenne ''(Sheldon)'' |doppiatoriitaliani=*[[Alex Polidori]]: Nemo *[[Luca Zingaretti]]: Marlin *[[Carla Signoris]]: Dory *[[Angelo Nicotra]]: Branchia *[[Massimo Corvo]]: Bombo *[[Silvia Pepitoni]]: Diva *[[Danilo De Girolamo]]: GluGlù *[[Gerolamo Alchieri]]: BloBlò *[[Giò Giò Rapattoni]]: Deb *[[Jacques Peyrac]]: Jacques *[[Pietro Ubaldi]]: Amilcare *[[Stefano Masciarelli]]: Scorza *[[Roberta Pellini]]: Coral *[[Furio Pergolani]]: Guizzo *[[Marco Mete]]: maestro Ray *[[Alessandro Rossi]]: [[Bruto (Nemo)|Bruto]] *[[Pasquale Anselmo]]: Randa *[[Luca Dal Fabbro]]: Fiocco *[[Dario Penne]]: dentista *[[Erica Necci]]: Darla *[[Manuel Meli]]: Pulce *[[Benedetta Manfredi]]: Perla *[[Mattia Nissolino]]: Varenne |note= *'''[[:Categoria:Film premi Oscar|Premio Oscar]] 2004''' come miglior film d'animazione. }} '''''Alla ricerca di Nemo''''', film d'animazione statunitense del 2003, regia di [[Andrew Stanton]]. ==[[Incipit]]== {{incipit film}} '''Marlin''': Wow, wow, wow!<br>'''Coral''': Sì, Marlin. Ho vi... ho visto. È bellissimo.<br>'''Marlin''': Allora, Coral? Quando hai detto che volevi la vista sull'oceano non credevi che avresti visto l'intero oceano, vero? Eh? Ah, sì... qui un pesce sì che può respirare. Tuo marito ti ha accontentata, sì o no?<br>'''Coral''': Mi ha accontentata.<br>'''Marlin''': E non è stato facile.<br>'''Coral''': Perché altri pesci pagliaccio facevano la fila per questo posto.<br>'''Marlin''': Ci puoi scommettere cara, lo volevano tutti, sai?<br>'''Coral''': Mmh. Sei stato bravo. E il quartiere è... stupendo. ==Frasi== {{cronologico}} *I [[Pesce pagliaccio|pesci pagliaccio]] non fanno ridere più degli altri! ('''Marlin''') *Io sono uno squalo buono, non un automa divoratore di pesci. Se voglio cambiare questa immagine di me, devo prima cambiare me stesso. I pesci sono amici, non cibo! ('''Bruto, Randa e Fiocco''') ==Dialoghi== {{cronologico}} *'''Dory''': Una barca? Ehi, io l'ho vista una barca! È passata di qui un attimo fa! È andata... di là! È andata da quella parte, seguimi!<br/>'''Marlin''' {{NDR|pensa che Dory stia scherzando e si arrabbia}}: Un momento! Aspetta un momento! Che cosa stai facendo? Me l'hai già detto da che parte è andata la barca!<br/>'''Dory''': Già detto? Oh no...<br/>'''Marlin''': E se questo vuole essere una specie di scherzo, non è divertente! E io me ne intendo! Sono un pesce pagliaccio!<br/>'''Dory''': No, non lo è. Lo so che non è divertente... mi dispiace tanto, ma io... soffro di perdita di [[memoria a breve termine]].<br/>'''Marlin''': Perdita di memoria a breve termine? Non ci posso credere!<br/>'''Dory''': No, è vero, dimentico le cose all'istante, tutti così in famiglia! Be', insomma... almeno credo che tutti... mmmmh. Che fine hanno fatto? Posso aiutarla? *'''Nemo''' {{NDR|è rimasto incastrato nel tubo del filtro e vede arrivare Branchia}}: Mi puoi aiutare?<br>'''Branchia''': No. Ci sei finito da solo e da solo ti tiri fuori.<br>'''Deb''': Ma... Branchia!<br>'''Branchia''' {{NDR|rivolto a Deb}}: Voglio vedere come se la cava, d'accordo? {{NDR|a Nemo}} Calmati. Prima devi agitare le pinne e poi la coda.<br>'''Nemo''': Non ce la faccio! Ho una pinna atrofica!<br>'''Branchia''': Mai stato un problema... {{NDR|si sposta e Nemo nota che anche Branchia ha una pinna rovinata}} Concentrati su quello che devi fare...<br>{{NDR|Nemo si sforza ma non riesce a uscire}}<br>'''Bombo''' {{NDR|prova a incoraggiarlo}}: Avanti!<br>{{NDR|Nemo continua a sforzarsi e riesce a uscire}}<br>'''Branchia''': Perfetto!<br>{{NDR|Bombo, GluGlù, BloBlò e Deb vanno a complimentarsi con Nemo}}<br>'''Diva''': Wow, dall'oceano, come te, Branchia!<br>'''Branchia''': Già...<br>'''Diva''' {{NDR|nota lo sguardo pensieroso di Branchia}}: Conosco quello sguardo, a cosa stai pensando?<br>'''Branchia''': Sto pensando che questa sera dobbiamo dare un vero benvenuto al ragazzo... {{NDR|Nemo}}<br>'''Bombo''' {{NDR|rivolto a Nemo}}: Di' un po', ce l'avrai un nome...<br>'''Nemo''': Nemo... Mi chiamo Nemo. *'''Dory''' {{NDR|dopo che la maschera del sub è caduta negli abissi, Marlin è molto triste, in quanto crede di non avere più possibilità di trovare Nemo}}: Non fare lo scorfano brontolone! Quando la vita si fa dura, sai che devi fare?<br/>'''Marlin''': No, non lo voglio sapere!<br/>'''Dory''': ''Zitto e nuota, | nuota e nuota, | zitto e nuota | e nuota e nuota. | E noi che si fa? | Nuotiam, nuotiam!'' *'''Dory''': Andiamo, fidati no?<br/>'''Marlin''': Fidarmi?<br/>'''Dory''': Sì, fidati! Gli amici fanno questo. *'''Nemo''': Quante volte hai tentato la fuga?<br/>'''Branchia''': Ah, ho perso il conto. I [[Pesce|pesci]] non sono fatti per vivere rinchiusi. L'[[acquario]] ti cambia dentro. * {{NDR|Marlin e Dory hanno visto una balena e Dory cerca di parlare in "balenese"}}<br/>'''Dory''': Nuu dubbiaaamo truuvaare suo fiiglio!<br/>'''Marlin''': Ehm, Dory... che cosa fai? Che cosa fai? Ma sei sicura di conoscere il balenese?<br/>'''Dory''': Ci puòòò indicaaare la straaadaaa?<br/>'''Marlin''': Dory! Chissà che cosa stai dicendo! {{NDR|la balena si muove allontanandosi}} Visto? Se ne va!<br/>'''Dory''': Torna quaaaa!! <br/> '''Marlin''': Non sta tornando indietro, forse l'hai offesa! <br/> '''Dory''': Provo un altro dialetto: {{NDR|emette dei versi incomprensibili simili a sbadigli}}<br/>'''Marlin''': Dory. Dory non sembri una balena.. Sembri un pesce... che sta per vomitare!<br/>'''Dory''': Bene, provo col megatterese.<br/>'''Marlin''': No, il megatterese no!<br/>'''Dory''': Muuuuuuau! Muaaaau! <br /> '''Marlin''': Ecco... ora sembri agonizzante. <br/> '''Dory''': Forse più forte? Muaaau!! Muaaau!!<br/>'''Marlin''' {{NDR|perde la pazienza}}: Falla finita! {{NDR|la balena intanto si avvicina dietro di loro}} <br/>'''Dory''': Troppo orchese? Sembravo un'orca, vero? <br /> '''Marlin''': Ma quale orca! Sembravi una cosa che non ho mai sentito! {{NDR|sospira, mentre Dory emette altri versi strani}} Meglio così, magari era affamata... <br/>'''Dory''': Niente paura, le balene non mangiano pesci, mangiano krill. {{NDR|un banco di krill nuota verso di loro, scappando dalla balena}} <br /> '''Banco di krill''': Scappiamo! <br/>'''Dory''': Oh, guarda, krill! {{NDR|la balena, ormai vicina a Marlin e Dory, apre la bocca, risucchiandoli}} <br/> '''Marlin''': Via, Dory! Presto! {{NDR|viene aspirato dalla balena assieme a Dory}} *'''Marlin''': Gli avevo promesso che non gli sarebbe capitato mai niente. {{NDR|a Nemo}}<br/>'''Dory''': Oh, è un po' bislacca come promessa!<br/>'''Marlin''': Perché?<br/>'''Dory''': Beh, non puoi fare in modo che non gli capiti mai niente: dovrebbe non fare mai niente! * {{NDR|Quando pare che Nemo sia morto}}<br/>'''Dory''': Ehi...<br/>'''Marlin''': Dory... se non era per te io non sarei mai neanche arrivato fin qui... perciò grazie...<br/>'''Dory''': Ehi aspetta un minuto! Ma dai aspetta! Dove vai?<br/>'''Marlin''': È finita Dory, siamo arrivati tardi... Nemo non c'è più... e io me ne torno a casa.<br/>'''Dory''': No! No, non puoi... Fermati! Non te ne andare, ti prego! Nessuno finora è rimasto così a lungo con me... e se tu te ne vai... Se tu te ne vai... Con te io mi ricordo le cose, è vero! Sta' a sentire: P. Sherman, quarantadue... eh... quaranta... due... Ah! Me lo ricordo, lo giuro! È qui, lo so perché... perché quando ti vedo, me lo sento... e quando... quando ti vedo io... mi sento a casa. Ti prego... non voglio perdere tutto questo... non voglio dimenticare...<br/>'''Marlin''': Mi dispiace, Dory... ma io sì. *'''Granchio 1''' {{NDR|mangiando le bollicine che escono da un tubo di scarico}}: Una manna dal cielo! <br/> '''Granchio 2''': Dolce nettare di vita, ah ah! <br/> '''Granchio 1''' {{NDR|a un terzo granchio}}: Ehi! Ehi! <br > '''Granchio 2''': Ehi ehi ehi! <br/> '''Granchio 1''': Questa è zona nostra! <br/> '''Granchio 2''': Vattene via! Smamma! <br/> '''Granchio 1''' {{NDR|a Marlin che passa lì vicino}}: Ehi ehi ehi! <br/> '''Granchio 2''': Ehi ehi ehi ehi! <br/> '''Granchio 1''': Sì, bravo bravo, nuota, nuota! Ecco! <br/> '''Granchio 2''': Ben detto, amico! {{NDR|Nemo esce dal tubo di scarico}} Oh! Oh! Questo è bello in carne! <br/> '''Nemo''': Ehi, avete visto il mio papà? <br/> '''Granchio 2''' {{NDR|prova ad acchiappare Nemo}}: Preso! <br/> '''Nemo''': No! {{NDR|Nemo scappa via}} <br/> '''Granchio 2''': Ehi ehi! Torna subito qua! <br/> '''Granchio 1''': Te lo sei fatto scappare! {{NDR|lo colpisce in testa}} <br/> '''Granchio 1 e Granchio 2''': Ehi ehi ehi! {{NDR|si azzuffano}} *'''Nemo''' {{NDR|a Dory mentre cerca il suo papà}}: Dove ci troviamo?<br/>'''Dory''' {{NDR|legge il nome della città (Sydney)}}: Papà Papà Sydney. Sydney!?! {{NDR|tutto le ritorna alla mente e afferra Nemo per abbracciarlo}} Nemo!!! Sei Nemo!<br/>'''Nemo''': Sì, sì, sono Nemo.<br/>'''Dory''': Oh, sei Nemo... eri morto io ti ho visto... Eccoti qua, tu non sei morto... e tuo padre... tuo padre?!<br/>'''Nemo''': Mio padre? Conosci mio padre? Dov'è?<br/>'''Dory''': Di là, è andato di là, andiamo! ==[[Explicit]]== {{explicit film}} E adesso? ('''Bombo''') ==Altri progetti== {{interprogetto}} {{Pixar}} [[Categoria:Film d'animazione Pixar]] [[Categoria:Film premi Oscar]] cfz9fcq1w9pkdm05ntyqo72u07143dr 1381936 1381935 2025-07-01T17:44:27Z ~2025-45664 102622 1381936 wikitext text/x-wiki {{Film |titoloitaliano=Alla ricerca di Nemo |immagine=Finding Nemo logo.svg |genere=animazione |regista=[[Andrew Stanton]] |soggetto=Andrew Stanton |sceneggiatore=Andrew Stanton, [[Bob Peterson (regista)|Bob Peterson]], [[David Reynolds]] |doppiatorioriginali= *[[Albert Brooks]]: Marlin *[[Ellen DeGeneres]]: Dory *[[Alexander Gould]]: Nemo *[[Willem Dafoe]]: Branchia ''(Gill)'' *[[Brad Garrett]]: Bombo ''(Bloat)'' *[[Allison Janney]]: Diva ''(Peach)'' *[[Austin Pendleton]]: GluGlù ''(Gurgle)'' *[[Stephen Root]]: BloBlò ''(Bubbles)'' *[[Vicki Lewis]]: Deb e Flo *[[Joe Ranft]]: Jacques *[[Geoffrey Rush]]: Amilcare ''(Nigel)'' *[[Andrew Stanton]]: Scorza ''(Crush)'' *[[Elizabeth Perkins]]: Coral *[[Nicholas Bird]]: Guizzo ''(Squirt)'' *[[Bob Peterson (regista)|Bob Peterson]]: maestro Ray ''(Mr. Ray)'' *[[Barry Humphries]]: Bruto ''(Bruce)'' *[[Eric Bana]]: Randa ''(Anchor)'' *[[Bruce Spence]]: Fiocco ''(Chum)'' *[[Bill Hunter (attore)|Bill Hunter]]: dentista *[[LuLu Ebeling]]: Darla *[[Jordan Ranft]]: Pulce ''(Tad)'' *[[Erica Beck]]: Perla ''(Pearl)'' *[[Erik Per Sullivan]]: Varenne ''(Sheldon)'' |doppiatoriitaliani=*[[Alex Polidori]]: Nemo *[[Luca Zingaretti]]: Marlin *[[Carla Signoris]]: Dory *[[Angelo Nicotra]]: Branchia *[[Massimo Corvo]]: Bombo *[[Silvia Pepitoni]]: Diva *[[Danilo De Girolamo]]: GluGlù *[[Gerolamo Alchieri]]: BloBlò *[[Giò Giò Rapattoni]]: Deb *[[Jacques Peyrac]]: Jacques *[[Pietro Ubaldi]]: Amilcare *[[Stefano Masciarelli]]: Scorza *[[Roberta Pellini]]: Coral *[[Furio Pergolani]]: Guizzo *[[Marco Mete]]: maestro Ray *[[Alessandro Rossi]]: [[Bruto (Nemo)|Bruto]] *[[Pasquale Anselmo]]: Randa *[[Luca Dal Fabbro]]: Fiocco *[[Dario Penne]]: dentista *[[Erica Necci]]: Darla *[[Manuel Meli]]: Pulce *[[Benedetta Manfredi]]: Perla *[[Mattia Nissolino]]: Varenne |note= *'''[[:Categoria:Film premi Oscar|Premio Oscar]] 2004''' come miglior film d'animazione. }} '''''Alla ricerca di Nemo''''', film d'animazione statunitense del 2003, regia di [[Andrew Stanton]]. ==[[Incipit]]== {{incipit film}} '''Marlin''': Wow, wow, wow!<br>'''Coral''': Sì, Marlin. Ho vi... ho visto. È bellissimo.<br>'''Marlin''': Allora, Coral? Quando hai detto che volevi la vista sull'oceano non credevi che avresti visto l'intero oceano, vero? Eh? Ah, sì... qui un pesce sì che può respirare. Tuo marito ti ha accontentata, sì o no?<br>'''Coral''': Mi ha accontentata.<br>'''Marlin''': E non è stato facile.<br>'''Coral''': Perché altri pesci pagliaccio facevano la fila per questo posto.<br>'''Marlin''': Ci puoi scommettere cara, lo volevano tutti, sai?<br>'''Coral''': Mmh. Sei stato bravo. E il quartiere è... stupendo. ==Frasi== {{cronologico}} *I [[Pesce pagliaccio|pesci pagliaccio]] non fanno ridere più degli altri! ('''Marlin''') *Io sono uno squalo buono, non un automa divoratore di pesci. Se voglio cambiare questa immagine di me, devo prima cambiare me stesso. I pesci sono amici, non cibo! ('''Bruto, Randa e Fiocco''') ==Dialoghi== {{cronologico}} *'''Dory''': Una barca? Ehi, io l'ho vista una barca! È passata di qui un attimo fa! È andata... di là! È andata da quella parte, seguimi!<br/>'''Marlin''' {{NDR|pensa che Dory stia scherzando e si arrabbia}}: Un momento! Aspetta un momento! Che cosa stai facendo? Me l'hai già detto da che parte è andata la barca!<br/>'''Dory''': Già detto? Oh no...<br/>'''Marlin''': E se questo vuole essere una specie di scherzo, non è divertente! E io me ne intendo! Sono un pesce pagliaccio!<br/>'''Dory''': No, non lo è. Lo so che non è divertente... mi dispiace tanto, ma io... soffro di perdita di [[memoria a breve termine]].<br/>'''Marlin''': Perdita di memoria a breve termine? Non ci posso credere!<br/>'''Dory''': No, è vero, dimentico le cose all'istante, tutti così in famiglia! Be', insomma... almeno credo che tutti... mmmmh. Che fine hanno fatto? Posso aiutarla? *'''Nemo''' {{NDR|è rimasto incastrato nel tubo del filtro e vede arrivare Branchia}}: Mi puoi aiutare?<br>'''Branchia''': No. Ci sei finito da solo e da solo ti tiri fuori.<br>'''Deb''': Ma... Branchia!<br>'''Branchia''' {{NDR|rivolto a Deb}}: Voglio vedere come se la cava, d'accordo? {{NDR|a Nemo}} Calmati. Prima devi agitare le pinne e poi la coda.<br>'''Nemo''': Non ce la faccio! Ho una pinna atrofica!<br>'''Branchia''': Mai stato un problema... {{NDR|si sposta e Nemo nota che anche Branchia ha una pinna rovinata}} Concentrati su quello che devi fare...<br>{{NDR|Nemo si sforza ma non riesce a uscire}}<br>'''Bombo''' {{NDR|prova a incoraggiarlo}}: Avanti!<br>{{NDR|Nemo continua a sforzarsi e riesce a uscire}}<br>'''Branchia''': Perfetto!<br>{{NDR|Bombo, GluGlù, BloBlò e Deb vanno a complimentarsi con Nemo}}<br>'''Diva''': Wow, dall'oceano, come te, Branchia!<br>'''Branchia''': Già...<br>'''Diva''' {{NDR|nota lo sguardo pensieroso di Branchia}}: Conosco quello sguardo, a cosa stai pensando?<br>'''Branchia''': Sto pensando che questa sera dobbiamo dare un vero benvenuto al ragazzo... {{NDR|Nemo}}<br>'''Bombo''' {{NDR|rivolto a Nemo}}: Di' un po', ce l'avrai un nome...<br>'''Nemo''': Nemo... Mi chiamo Nemo. *'''Dory''' {{NDR|dopo che la maschera del sub è caduta negli abissi, Marlin è molto triste, in quanto crede di non avere più possibilità di trovare Nemo}}: Non fare lo scorfano brontolone! Quando la vita si fa dura, sai che devi fare?<br/>'''Marlin''': No, non lo voglio sapere!<br/>'''Dory''': ''Zitto e nuota, | nuota e nuota, | zitto e nuota | e nuota e nuota. | E noi che si fa? | Nuotiam, nuotiam!'' *'''Dory''': Andiamo, fidati no?<br/>'''Marlin''': Fidarmi?<br/>'''Dory''': Sì, fidati! Gli amici fanno questo. *'''Nemo''': Quante volte hai tentato la fuga?<br/>'''Branchia''': Ah, ho perso il conto. I [[Pesce|pesci]] non sono fatti per vivere rinchiusi. L'[[acquario]] ti cambia dentro. * {{NDR|Marlin e Dory hanno visto una balena e Dory cerca di parlare in "balenese"}}<br/>'''Dory''': Nuu dubbiaaamo truuvaare suo fiiglio!<br/>'''Marlin''': Ehm, Dory... che cosa fai? Che cosa fai? Ma sei sicura di conoscere il balenese?<br/>'''Dory''': Ci puòòò indicaaare la straaadaaa?<br/>'''Marlin''': Dory! Chissà che cosa stai dicendo! {{NDR|la balena si muove allontanandosi}} Visto? Se ne va!<br/>'''Dory''': Torna quaaaa!! <br/> '''Marlin''': Non sta tornando indietro, forse l'hai offesa! <br/> '''Dory''': Provo un altro dialetto: {{NDR|emette dei versi incomprensibili simili a sbadigli}}<br/>'''Marlin''': Dory. Dory non sembri una balena.. Sembri un pesce... che sta per vomitare!<br/>'''Dory''': Bene, provo col megatterese.<br/>'''Marlin''': No, il megatterese no!<br/>'''Dory''': Muuuuuuau! Muaaaau! <br /> '''Marlin''': Ecco... ora sembri agonizzante. <br/> '''Dory''': Forse più forte? Muaaau!! Muaaau!!<br/>'''Marlin''' {{NDR|perde la pazienza}}: Falla finita! {{NDR|la balena intanto si avvicina dietro di loro}} <br/>'''Dory''': Troppo orchese? Sembravo un'orca, vero? <br /> '''Marlin''': Ma quale orca! Sembravi una cosa che non ho mai sentito! {{NDR|sospira, mentre Dory emette altri versi strani}} Meglio così, magari era affamata... <br/>'''Dory''': Niente paura, le balene non mangiano pesci, mangiano krill. {{NDR|un banco di krill nuota verso di loro, scappando dalla balena}} <br /> '''Banco di krill''': Scappiamo! <br/>'''Dory''': Oh, guarda, krill! {{NDR|la balena, ormai vicina a Marlin e Dory, apre la bocca, risucchiandoli}} <br/> '''Marlin''': Via, Dory! Presto! {{NDR|viene aspirato dalla balena assieme a Dory}} *'''Marlin''': Gli avevo promesso che non gli sarebbe capitato mai niente. {{NDR|a Nemo}}<br/>'''Dory''': Oh, è un po' bislacca come promessa!<br/>'''Marlin''': Perché?<br/>'''Dory''': Beh, non puoi fare in modo che non gli capiti mai niente: dovrebbe non fare mai niente! * {{NDR|Quando pare che Nemo sia morto}}<br/>'''Dory''': Ehi...<br/>'''Marlin''': Dory... se non era per te io non sarei mai neanche arrivato fin qui... perciò grazie...<br/>'''Dory''': Ehi aspetta un minuto! Ma dai aspetta! Dove vai?<br/>'''Marlin''': È finita Dory, siamo arrivati tardi... Nemo non c'è più... e io me ne torno a casa.<br/>'''Dory''': No! No, non puoi... Fermati! Non te ne andare, ti prego! Nessuno finora è rimasto così a lungo con me... e se tu te ne vai... Se tu te ne vai... Con te io mi ricordo le cose, è vero! Sta' a sentire: P. Sherman, quarantadue... eh... quaranta... due... Ah! Me lo ricordo, lo giuro! È qui, lo so perché... perché quando ti vedo, me lo sento... e quando... quando ti vedo io... mi sento a casa. Ti prego... non voglio perdere tutto questo... non voglio dimenticare...<br/>'''Marlin''': Mi dispiace, Dory... ma io sì. *'''Granchio 1''' {{NDR|mangiando le bollicine che escono da un tubo di scarico}}: Una manna dal cielo! <br/> '''Granchio 2''': Dolce nettare di vita, ah ah! <br/> '''Granchio 1''' {{NDR|a un terzo granchio}}: Ehi! Ehi! <br > '''Granchio 2''': Ehi ehi ehi! <br/> '''Granchio 1''': Questa è zona nostra! <br/> '''Granchio 2''': Vattene via! Smamma! <br/> '''Granchio 1''' {{NDR|a Marlin che passa lì vicino}}: Ehi ehi ehi! <br/> '''Granchio 2''': Ehi ehi ehi ehi! <br/> '''Granchio 1''': Sì, bravo bravo, nuota, nuota! Ecco! <br/> '''Granchio 2''': Ben detto, amico! {{NDR|Nemo esce dal tubo di scarico}} Oh! Oh! Questo è bello in carne! <br/> '''Nemo''': Ehi, avete visto il mio papà? <br/> '''Granchio 2''' {{NDR|prova ad acchiappare Nemo}}: Preso! <br/> '''Nemo''': No! {{NDR|Nemo scappa via}} <br/> '''Granchio 2''': Ehi ehi! Torna subito qua! <br/> '''Granchio 1''': Te lo sei fatto scappare! {{NDR|lo colpisce in testa}} <br/> '''Granchio 1 e Granchio 2''': Ehi ehi ehi! {{NDR|si azzuffano}} *'''Nemo''' {{NDR|a Dory mentre cerca il suo papà}}: Dove ci troviamo?<br/>'''Dory''' {{NDR|legge il nome della città (Sydney)}}: Papà Papà Sydney. Sydney!?! {{NDR|tutto le ritorna alla mente e afferra Nemo per abbracciarlo}} Nemo!!! Sei Nemo!<br/>'''Nemo''': Sì, sì, sono Nemo.<br/>'''Dory''': Oh, sei Nemo... eri morto io ti ho visto... Eccoti qua, tu non sei morto... e tuo padre... tuo padre?!<br/>'''Nemo''': Mio padre? Conosci mio padre? Dov'è?<br/>'''Dory''': Di là, è andato di là, andiamo! *'''Dory''': Nemo è vivo! '''Marlin''': Dory Nemo! '''Nemo''': Papà! '''Marlin''': Nemo eccomi Nemo! 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('''Bombo''') ==Altri progetti== {{interprogetto}} {{Pixar}} [[Categoria:Film d'animazione Pixar]] [[Categoria:Film premi Oscar]] 8vwxjaeycld7n9grhrfghwmqp7jbu5r 1381940 1381936 2025-07-01T20:06:15Z Udiki 86035 Annullata la modifica [[Special:Diff/1381936|1381936]] di [[Special:Contributions/~2025-45664|~2025-45664]] ([[User talk:~2025-45664|discussione]]) 1381940 wikitext text/x-wiki {{Film |titoloitaliano=Alla ricerca di Nemo |immagine=Finding Nemo logo.svg |genere=animazione |regista=[[Andrew Stanton]] |soggetto=Andrew Stanton |sceneggiatore=Andrew Stanton, [[Bob Peterson (regista)|Bob Peterson]], [[David Reynolds]] |doppiatorioriginali= *[[Albert Brooks]]: Marlin *[[Ellen DeGeneres]]: Dory *[[Alexander Gould]]: Nemo *[[Willem Dafoe]]: Branchia ''(Gill)'' *[[Brad Garrett]]: Bombo ''(Bloat)'' *[[Allison Janney]]: Diva ''(Peach)'' *[[Austin Pendleton]]: GluGlù ''(Gurgle)'' *[[Stephen Root]]: BloBlò ''(Bubbles)'' *[[Vicki Lewis]]: Deb e Flo *[[Joe Ranft]]: Jacques *[[Geoffrey Rush]]: Amilcare ''(Nigel)'' *[[Andrew Stanton]]: Scorza ''(Crush)'' *[[Elizabeth Perkins]]: Coral *[[Nicholas Bird]]: Guizzo ''(Squirt)'' *[[Bob Peterson (regista)|Bob Peterson]]: maestro Ray ''(Mr. Ray)'' *[[Barry Humphries]]: Bruto ''(Bruce)'' *[[Eric Bana]]: Randa ''(Anchor)'' *[[Bruce Spence]]: Fiocco ''(Chum)'' *[[Bill Hunter (attore)|Bill Hunter]]: dentista *[[LuLu Ebeling]]: Darla *[[Jordan Ranft]]: Pulce ''(Tad)'' *[[Erica Beck]]: Perla ''(Pearl)'' *[[Erik Per Sullivan]]: Varenne ''(Sheldon)'' |doppiatoriitaliani=*[[Alex Polidori]]: Nemo *[[Luca Zingaretti]]: Marlin *[[Carla Signoris]]: Dory *[[Angelo Nicotra]]: Branchia *[[Massimo Corvo]]: Bombo *[[Silvia Pepitoni]]: Diva *[[Danilo De Girolamo]]: GluGlù *[[Gerolamo Alchieri]]: BloBlò *[[Giò Giò Rapattoni]]: Deb *[[Jacques Peyrac]]: Jacques *[[Pietro Ubaldi]]: Amilcare *[[Stefano Masciarelli]]: Scorza *[[Roberta Pellini]]: Coral *[[Furio Pergolani]]: Guizzo *[[Marco Mete]]: maestro Ray *[[Alessandro Rossi]]: [[Bruto (Nemo)|Bruto]] *[[Pasquale Anselmo]]: Randa *[[Luca Dal Fabbro]]: Fiocco *[[Dario Penne]]: dentista *[[Erica Necci]]: Darla *[[Manuel Meli]]: Pulce *[[Benedetta Manfredi]]: Perla *[[Mattia Nissolino]]: Varenne |note= *'''[[:Categoria:Film premi Oscar|Premio Oscar]] 2004''' come miglior film d'animazione. }} '''''Alla ricerca di Nemo''''', film d'animazione statunitense del 2003, regia di [[Andrew Stanton]]. ==[[Incipit]]== {{incipit film}} '''Marlin''': Wow, wow, wow!<br>'''Coral''': Sì, Marlin. Ho vi... ho visto. È bellissimo.<br>'''Marlin''': Allora, Coral? Quando hai detto che volevi la vista sull'oceano non credevi che avresti visto l'intero oceano, vero? Eh? Ah, sì... qui un pesce sì che può respirare. Tuo marito ti ha accontentata, sì o no?<br>'''Coral''': Mi ha accontentata.<br>'''Marlin''': E non è stato facile.<br>'''Coral''': Perché altri pesci pagliaccio facevano la fila per questo posto.<br>'''Marlin''': Ci puoi scommettere cara, lo volevano tutti, sai?<br>'''Coral''': Mmh. Sei stato bravo. E il quartiere è... stupendo. ==Frasi== {{cronologico}} *I [[Pesce pagliaccio|pesci pagliaccio]] non fanno ridere più degli altri! ('''Marlin''') *Io sono uno squalo buono, non un automa divoratore di pesci. Se voglio cambiare questa immagine di me, devo prima cambiare me stesso. I pesci sono amici, non cibo! ('''Bruto, Randa e Fiocco''') ==Dialoghi== {{cronologico}} *'''Dory''': Una barca? Ehi, io l'ho vista una barca! È passata di qui un attimo fa! È andata... di là! È andata da quella parte, seguimi!<br/>'''Marlin''' {{NDR|pensa che Dory stia scherzando e si arrabbia}}: Un momento! Aspetta un momento! Che cosa stai facendo? Me l'hai già detto da che parte è andata la barca!<br/>'''Dory''': Già detto? Oh no...<br/>'''Marlin''': E se questo vuole essere una specie di scherzo, non è divertente! E io me ne intendo! Sono un pesce pagliaccio!<br/>'''Dory''': No, non lo è. Lo so che non è divertente... mi dispiace tanto, ma io... soffro di perdita di [[memoria a breve termine]].<br/>'''Marlin''': Perdita di memoria a breve termine? Non ci posso credere!<br/>'''Dory''': No, è vero, dimentico le cose all'istante, tutti così in famiglia! Be', insomma... almeno credo che tutti... mmmmh. Che fine hanno fatto? Posso aiutarla? *'''Nemo''' {{NDR|è rimasto incastrato nel tubo del filtro e vede arrivare Branchia}}: Mi puoi aiutare?<br>'''Branchia''': No. Ci sei finito da solo e da solo ti tiri fuori.<br>'''Deb''': Ma... Branchia!<br>'''Branchia''' {{NDR|rivolto a Deb}}: Voglio vedere come se la cava, d'accordo? {{NDR|a Nemo}} Calmati. Prima devi agitare le pinne e poi la coda.<br>'''Nemo''': Non ce la faccio! 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Mi chiamo Nemo. *'''Dory''' {{NDR|dopo che la maschera del sub è caduta negli abissi, Marlin è molto triste, in quanto crede di non avere più possibilità di trovare Nemo}}: Non fare lo scorfano brontolone! Quando la vita si fa dura, sai che devi fare?<br/>'''Marlin''': No, non lo voglio sapere!<br/>'''Dory''': ''Zitto e nuota, | nuota e nuota, | zitto e nuota | e nuota e nuota. | E noi che si fa? | Nuotiam, nuotiam!'' *'''Dory''': Andiamo, fidati no?<br/>'''Marlin''': Fidarmi?<br/>'''Dory''': Sì, fidati! Gli amici fanno questo. *'''Nemo''': Quante volte hai tentato la fuga?<br/>'''Branchia''': Ah, ho perso il conto. I [[Pesce|pesci]] non sono fatti per vivere rinchiusi. L'[[acquario]] ti cambia dentro. * {{NDR|Marlin e Dory hanno visto una balena e Dory cerca di parlare in "balenese"}}<br/>'''Dory''': Nuu dubbiaaamo truuvaare suo fiiglio!<br/>'''Marlin''': Ehm, Dory... che cosa fai? Che cosa fai? Ma sei sicura di conoscere il balenese?<br/>'''Dory''': Ci puòòò indicaaare la straaadaaa?<br/>'''Marlin''': Dory! Chissà che cosa stai dicendo! {{NDR|la balena si muove allontanandosi}} Visto? Se ne va!<br/>'''Dory''': Torna quaaaa!! <br/> '''Marlin''': Non sta tornando indietro, forse l'hai offesa! <br/> '''Dory''': Provo un altro dialetto: {{NDR|emette dei versi incomprensibili simili a sbadigli}}<br/>'''Marlin''': Dory. Dory non sembri una balena.. Sembri un pesce... che sta per vomitare!<br/>'''Dory''': Bene, provo col megatterese.<br/>'''Marlin''': No, il megatterese no!<br/>'''Dory''': Muuuuuuau! Muaaaau! <br /> '''Marlin''': Ecco... ora sembri agonizzante. <br/> '''Dory''': Forse più forte? Muaaau!! Muaaau!!<br/>'''Marlin''' {{NDR|perde la pazienza}}: Falla finita! {{NDR|la balena intanto si avvicina dietro di loro}} <br/>'''Dory''': Troppo orchese? Sembravo un'orca, vero? <br /> '''Marlin''': Ma quale orca! Sembravi una cosa che non ho mai sentito! {{NDR|sospira, mentre Dory emette altri versi strani}} Meglio così, magari era affamata... <br/>'''Dory''': Niente paura, le balene non mangiano pesci, mangiano krill. {{NDR|un banco di krill nuota verso di loro, scappando dalla balena}} <br /> '''Banco di krill''': Scappiamo! <br/>'''Dory''': Oh, guarda, krill! {{NDR|la balena, ormai vicina a Marlin e Dory, apre la bocca, risucchiandoli}} <br/> '''Marlin''': Via, Dory! Presto! {{NDR|viene aspirato dalla balena assieme a Dory}} *'''Marlin''': Gli avevo promesso che non gli sarebbe capitato mai niente. {{NDR|a Nemo}}<br/>'''Dory''': Oh, è un po' bislacca come promessa!<br/>'''Marlin''': Perché?<br/>'''Dory''': Beh, non puoi fare in modo che non gli capiti mai niente: dovrebbe non fare mai niente! * {{NDR|Quando pare che Nemo sia morto}}<br/>'''Dory''': Ehi...<br/>'''Marlin''': Dory... se non era per te io non sarei mai neanche arrivato fin qui... perciò grazie...<br/>'''Dory''': Ehi aspetta un minuto! Ma dai aspetta! Dove vai?<br/>'''Marlin''': È finita Dory, siamo arrivati tardi... Nemo non c'è più... e io me ne torno a casa.<br/>'''Dory''': No! No, non puoi... Fermati! Non te ne andare, ti prego! Nessuno finora è rimasto così a lungo con me... e se tu te ne vai... Se tu te ne vai... Con te io mi ricordo le cose, è vero! Sta' a sentire: P. Sherman, quarantadue... eh... quaranta... due... Ah! Me lo ricordo, lo giuro! È qui, lo so perché... perché quando ti vedo, me lo sento... e quando... quando ti vedo io... mi sento a casa. Ti prego... non voglio perdere tutto questo... non voglio dimenticare...<br/>'''Marlin''': Mi dispiace, Dory... ma io sì. *'''Granchio 1''' {{NDR|mangiando le bollicine che escono da un tubo di scarico}}: Una manna dal cielo! <br/> '''Granchio 2''': Dolce nettare di vita, ah ah! <br/> '''Granchio 1''' {{NDR|a un terzo granchio}}: Ehi! Ehi! <br > '''Granchio 2''': Ehi ehi ehi! <br/> '''Granchio 1''': Questa è zona nostra! <br/> '''Granchio 2''': Vattene via! Smamma! <br/> '''Granchio 1''' {{NDR|a Marlin che passa lì vicino}}: Ehi ehi ehi! <br/> '''Granchio 2''': Ehi ehi ehi ehi! <br/> '''Granchio 1''': Sì, bravo bravo, nuota, nuota! Ecco! <br/> '''Granchio 2''': Ben detto, amico! {{NDR|Nemo esce dal tubo di scarico}} Oh! Oh! Questo è bello in carne! <br/> '''Nemo''': Ehi, avete visto il mio papà? <br/> '''Granchio 2''' {{NDR|prova ad acchiappare Nemo}}: Preso! <br/> '''Nemo''': No! {{NDR|Nemo scappa via}} <br/> '''Granchio 2''': Ehi ehi! Torna subito qua! <br/> '''Granchio 1''': Te lo sei fatto scappare! {{NDR|lo colpisce in testa}} <br/> '''Granchio 1 e Granchio 2''': Ehi ehi ehi! {{NDR|si azzuffano}} *'''Nemo''' {{NDR|a Dory mentre cerca il suo papà}}: Dove ci troviamo?<br/>'''Dory''' {{NDR|legge il nome della città (Sydney)}}: Papà Papà Sydney. Sydney!?! {{NDR|tutto le ritorna alla mente e afferra Nemo per abbracciarlo}} Nemo!!! Sei Nemo!<br/>'''Nemo''': Sì, sì, sono Nemo.<br/>'''Dory''': Oh, sei Nemo... eri morto io ti ho visto... Eccoti qua, tu non sei morto... e tuo padre... tuo padre?!<br/>'''Nemo''': Mio padre? Conosci mio padre? Dov'è?<br/>'''Dory''': Di là, è andato di là, andiamo! ==[[Explicit]]== {{explicit film}} E adesso? ('''Bombo''') ==Altri progetti== {{interprogetto}} {{Pixar}} [[Categoria:Film d'animazione Pixar]] [[Categoria:Film premi Oscar]] cfz9fcq1w9pkdm05ntyqo72u07143dr Islam 0 13339 1381959 1372281 2025-07-01T21:07:58Z ~2025-110542 103361 1381959 wikitext text/x-wiki {{voce tematica}} [[File:Prayer in Cairo 1865.jpg|miniatura|upright=1.4|''Preghiera a Il Cairo'' (J.-L. Gérôme, 1865)]] {{indicedx}} Citazioni sull''''Islam''' e i '''musulmani'''. ==Citazioni== *Abbiamo importato un mostro e questo mostro si chiama Islam. ([[Geert Wilders]]) *Anche l'islam esalta l'inattingibile gloria divina, un sole accecante che al massimo lascia un riflesso nella pozzanghera d'acqua che è l'uomo, per usare un'immagine di quella religione. Eppure, l'autentico approdo dell'orazione è l'intimità tra il fedele e il suo Dio, tant'è vero che la stessa spiritualità musulmana tende a questo abbraccio. ([[Gianfranco Ravasi]]) *Chiunque, conoscendo l'Antico e il Nuovo Testamento, legga il [[Corano]], vede con chiarezza ''il processo di riduzione della Divina Rivelazione che in esso s'è compiuto''. È impossibile non notare l'allontanamento da ciò che Dio ha detto di Se stesso, prima nell'Antico Testamento per mezzo dei profeti, e poi in modo definitivo nel Nuovo per mezzo del Suo Figlio. Tutta questa ricchezza dell'autorivelazione di Dio, che costituisce il patrimonio dell'Antico e del Nuovo Testamento, nell'islamismo è stata di fatto accantonata.<br>Al Dio del Corano vengono dati nomi tra i più belli conosciuti dal linguaggio umano, ma in definitiva è un Dio al di fuori del mondo, un Dio che è ''soltanto Maestà, mai Emmanuele'', Dio-con noi. ''L'islamismo non è una religione di redenzione''. Non vi è spazio in esso per la Croce e la Risurrezione. Viene menzionato Gesù, ma solo come profeta in preparazione dell'ultimo profeta, Maometto. È ricordata anche Maria, Sua Madre verginale, ma è completamente assente il dramma della redenzione. Perciò non soltanto la teologia, ma anche l'antropologia dell'Islam è molto distante da quella cristiana.<br>Tuttavia, ''la religiosità dei mussulmani merita rispetto''. Non si può non ammirare, per esempio, la loro ''fedeltà alla preghiera''. L'immagine del credente in Allah che, senza badare al tempo e al luogo, cade in ginocchio e si immerge nella preghiera, rimane un modello per i confessori del vero Dio, in particolare per quei cristiani che, disertando le loro meravigliose cattedrali, pregano poco o non pregano per niente. ([[Papa Giovanni Paolo II]]) *Ci sono musulmani di ogni tipo. L'idea di chiuderli in una sola identità è sbagliata. ([[Amartya Sen]]) *Da quando l'[[URSS]] non controlla più le spinte dal basso contro la ricchezza planetaria e alla loro testa si è posto l'Islam, la sopravvivenza del mondo ricco è in pericolo. ([[Emanuele Severino]]) *Dopo aver studiato moltissimo il [[Corano]], la convinzione a cui sono pervenuto è che nel complesso vi siano state nel mondo poche [[religione|religioni]] altrettanto letali per l'uomo di quella di [[Maometto]]. A quanto vedo, l'Islam è la causa principale della decadenza oggi così evidente nel mondo musulmano, e, benché sia meno assurdo del [[politeismo]] degli antichi, le sue tendenze sociali e politiche sono secondo me più pericolose. Per questo, rispetto al paganesimo, considero l'Islam una forma di decadenza anziché una forma di progresso. ([[Alexis de Tocqueville]]) *È superfluo dire che il vero significato dell'Islam è incompatibile con l'abuso maligno, demagogico o reazionario che viene fatto dei suoi principii. Tutte le manovre che si fondano su di un tale abuso (sfortunatamente la nostra stessa società è stata più volte vittima di tali manovre nel passato e nel presente) costituiscono l'opposto del vero spirito e del vero significato dell'Islam. ([[Mohammad Reza Pahlavi]]) *{{NDR|Sui [[fondamentalismo|fondamentalisti]] islamici}} Essi non ci danno pace e neppure noi dobbiamo dargliene. Non possiamo vivere sullo stesso pianeta, e sono contento, perché io non voglio viverci. Non voglio respirare la stessa aria di quegli psicopatici assassini, torturatori, stupratori e abusatori minorili. È questione di "o io o loro". Sono contento di ciò, perché so che saranno loro. È un obbligo e una responsabilità sconfiggerli, ma è anche un piacere. Non lo vedo affatto come un lavoro sporco. ([[Christopher Hitchens]]) *Gli [[Stati Uniti d'America|Stati Uniti]] non sono, e non saranno mai, in guerra contro l’Islam. ([[Barack Obama]]) *I Mussulmani ricordano con nostalgia la «democrazia dell'Islam», sotto i primi Califfi, e la loro sorprendente carriera di vittorie. ([[Jawaharlal Nehru]]) *I musulmani possono diventare dei veri francesi? Eccezionalmente sì, ma in generale no. Molti dogmi fondamentali dell'islam si oppongono ai nostri principi. Con alcuni, e penso ai musulmani liberali che hanno ormai perso la fede, ci sono accomodazioni possibili. Ma con altri, e mi riferisco a coloro che aspettano il [[Mahdi|Madhì]], non v'è nessuna possibilità di accordo. ([[Charles de Foucauld]]) *Il mondo islamico dispone di un fattore di mobilitazione ridivenuto irresistibile: il fanatismo religioso; o meglio il collante religioso come alimento della contrapposizione e resistenza contro l'Occidente. <br>Se oggi esso è, al di là degli eccessi retorici con cui se ne parla, il principale «pericolo» per la ''pax americana'', ciò dipende, in ultima analisi, dalla scelta – perseguita per mezzo secolo – di ''far fallire comunque la diffusione del «modello sovietico» nel mondo arabo-islamico'', di impedire la sua espansione oltre i confini dell'ormai laicizzata «Asia sovietica». ([[Luciano Canfora]]) *Il terrorismo è figlio della marcescenza di una religione come quella musulmana che negli ultimi decenni si è andata radicalizzando come vera e propria ideologia. E questo è l'Islam contro il quale dobbiamo capire di essere in guerra. ([[Toni Capuozzo]]) *Il vero vizio dell'Islam, la sua vera causa d'inferiorità politica non è nel suo domma, né nella sua morale, ma nella confusione dello spirituale col temporale, della legge religiosa colla civile. Il Corano essendo insieme Bibbia e codice, le parole del Profeta tenendo il posto del diritto, le leggi ed i costumi sono per sempre resi sacri dalla religione e da questo solo fatto deriva che la civiltà maomettana è necessariamente stazionaria. ([[Anatole Leroy-Beaulieu]]) *L'autentico Mussulmano è il vero rivoluzionario. L'Islam è la più grande rivoluzione nella storia della nostra nazione araba e dell'umanità. ([[Hafiz al-Asad]]) *L'Islam considera l'uomo quale egli è nella sua natura essenziale, e Dio quale Egli è nella sua assoluta realtà. Il punto di vista islamico è fondato sulla considerazione dell'Essere divino quale è di per se stesso, e non in quanto incarnato nella storia. ([[Hossein Nasr]]) *L'Islam è costruito su cinque [pilastri]: l'attestazione che non c'è divinità degna di essere adorata se non Allah e che Maometto è il Messaggero di Allah; l'esecuzione della preghiera; il versamento della zakā; il pellegrinaggio e il digiuno [durante il mese di] Ramadan. ([[Maometto]]) *L'Islam è un cancro terminale dell'Occidente, bisogna estirparlo prima che le metastasi si diffondano in Italia. ([[Daniela Santanchè]]) *L'islam è un'ideologia travestita da religione, l'hanno riconosciuto perfino persone illuminate di quel mondo. ([[Antonio Socci]]) *L'islam è una religione, come tutte le altre, con una serie di idee e di pratiche relative alla morale, all'etica, a Dio, al cosmo e alla morte. Ma allo stesso tempo potrebbe essere inserito in una classe completamente diversa, che include il [[comunismo]], la democrazia parlamentare, il [[fascismo]] e così via, poiché l'islam è ''anche'' un progetto sociale, un'idea di come dovrebbe essere gestita la [[politica]] e l'[[economia]], con un sistema legale, civile e penale tutto suo.<br/>Ma l'islam può anche essere inserito all'interno di un'altra classe ancora, che include la civiltà cinese, indiana, occidentale e così via, perché esiste un intero universo di manufatti culturali [...] che può essere definito propriamente islamico.<br/>O l'islam può essere visto come una storia mondiale parallela a tutte le altre, le quali si contaminano reciprocamente. Visto in questa luce, l'islam è una vasta narrazione che si dipana lungo i secoli, ancorata alla nascita di quella prima comunità alla Mecca e a Medina quattordici secoli fa. ([[Tamim Ansary]]) *L'Islam è una religione di pace, umanità e fratellanza. Che dice: è un preciso dovere quello di dare un'educazione a ogni bambino. ([[Malala Yousafzai]]) *L'Islam è uno dei fondamenti della cultura europea. Non potremmo nemmeno pensare a una vera Europa senza il contributo islamico. ([[Moni Ovadia]]) *L'Islam ebbe una grande cultura solo quando, nella loro cavalcata conquistatrice, i suoi Califfi incontrarono la cultura greca, quella egiziana e quella ebraica. Ma questo risale a Averroè e ad Avicenna, cioè a mille anni fa pressappoco. Da allora l'atteggiamento dell'Islam verso la cultura è sempre rimasto quello del famoso Califfo che, quando gli chiesero cosa dovevano fare della grande biblioteca di Alessandria, da lui conquistata, rispose: «Se tutti quei libri dicono ciò che dice il Corano, sono inutili. Se dicono cose diverse, sono dannosi. Nell'un caso e nell'altro, meglio bruciarli». [...] L'Islam è una religione di analfabeti, in cui la cultura è monopolio degli Ulema, che sanno solo di Corano e passano la vita a indagarne i misteri (che non ci sono). [...] I mussulmani colti sono quelli che escono dalle ''nostre'' università. ([[Indro Montanelli]]) *L'Islam in linea di principio è sempre una religione illuminata: sono gli individui che la interpretano in maniera letterale e irrazionale a farla apparire oggigiorno come foriera di violenza, guerra, terrore. Ma ai musulmani va comunque la responsabilità di non aver difeso la propria religione. Avrebbero dovuto reagire immediatamente quando si sono palesate persone che pretendevano di commettere attentati in nome dell'Islam. ([[Tahar Ben Jelloun]]) *L'Islam, senza sopravvalutare in alcun modo il lato debole e limitato della natura umana, non considera l'uomo come il portatore di una volontà pervertita ma come un essere essenzialmente teomorfico il quale, in quanto rappresentante di [[Dio]] sulla terra, è la teofania centrale dei nomi di Dio e delle sue qualità. ([[Hossein Nasr]]) *L'Islam, spesso lo si dimentica, è un'eresia del cristianesimo. ([[Paolo Prodi]]) *L'Islam vede la religione come un modo di vivere, un insieme di comportamenti, una legge, un ideale politico; mancano invece quasi del tutto quelle connotazioni strettamente sacerdotali e liturgiche, che appaiono essenziali alla nostra idea di religione. ([[Ambrogio Donini]]) *L'utopia retrospettiva nel pensiero islamico significa che frequentemente l'idea del futuro si è appiattita sul passato; si è preteso cioè di costruire il futuro ripetendo e riproducendo in modo identico ciò che è accaduto nel passato. ([[Massimo Campanini]]) *La Chiesa guarda anche con stima i musulmani che adorano l'unico Dio, vivente e sussistente, misericordioso e onnipotente, creatore del cielo e della terra, che ha parlato agli uomini. Essi cercano di sottomettersi con tutto il cuore ai decreti di Dio anche nascosti, come vi si è sottomesso anche Abramo, a cui la fede islamica volentieri si riferisce. Benché essi non riconoscano Gesù come Dio, lo venerano tuttavia come profeta; onorano la sua madre vergine, Maria, e talvolta pure la invocano con devozione. Inoltre attendono il giorno del giudizio, quando Dio retribuirà tutti gli uomini risuscitati. Così pure hanno in stima la vita morale e rendono culto a Dio, soprattutto con la preghiera, le elemosine e il digiuno. (''[[Nostra aetate]]'' *La distinzione fra potere e forza è anche evidente in una sfera del tutto diversa: quella della devozione religiosa, nelle sue molteplici sfumature. Ogni fedele sta costantemente in balìa della forza del dio e ne è a suo modo soddisfatto. […] Le religioni di questo tipo accentuano il concetto di predestinazione divina [...] l'Islam e il [[Calvinismo]] sono specialmente noti per questa tendenza. I loro fedeli anelano alla forza divina. ([[Elias Canetti]]) *Lei naturalmente saprà che è stato l'Islam a parlare per primo delle libertà delle donne, a dare loro prestigio, rispetto. Dice la Scrittura: se vuoi entrare in Paradiso, rispetta tua madre, poiché il Paradiso sta sotto i piedi di tua madre. Non dice mica rispetta tuo padre! L'Islam per primo ha dato alle donne parità di diritti. ([[Muhammad Zia-ul-Haq]]) *– Ma... Abitate in Islam?<br />– L'Islam non è un paese, è una Fede! (''[[Che bella giornata]]'') *Ma dai tempi di Maometto l'Islam fu una religione missionaria e conquistatrice, che mescolava l'ambito religioso con quello politico, che disprezzava i confini nazionali ed etnici, una religione la cui semplicità e assenza di misteri anticipava già quell'«unità dell'umanità» che l'Islam voleva instaurare con un'ostinata lotta. ([[Ernst Nolte]]) *Ma perché i musulmani non dovrebbero avere, per esempio, un posto dove andare a pregare? Ma che razza di [[cristiani]] siete, voi [[ciellini]]? Voi forse credevate di leggere il Vangelo e invece era il Corrierino dei Piccoli. ([[Adriano Celentano]]) *Maometto ha fatto calare dal cielo e messo nel [[Corano]] non soltanto dottrine religiose, bensì massime politiche, leggi civili e penali, teorie scientifiche. Il [[Vangelo]], invece, non parla che dei rapporti generali degli uomini con Dio e fra di loro. All'infuori di questo non insegna nulla e non obbliga a credere nulla. Già basta questa, tra infinite ragioni, per indicare che la prima di queste due [[religione|religioni]] non potrebbe reggere a lungo in tempi culturalmente [[illuminismo|illuminati]] e [[democrazia|democratici]], mentre la seconda è destinata a regnare in quelli come negli altri. ([[Alexis de Tocqueville]]) *Nell'Islam, forse più che in altre branche religiose di misticismo, la ricerca dell'unione assume la forma di un viaggio verso Dio; il Sufi parla dei diversi stadi come di 'stazioni' alle quali si perviene solo in virtù di un incessante sforzo. ([[Jean Campbell Cooper]]) *Nell'Islam religione e scienza si affrontano, ma inizialmente è la scienza che domina. La parola d'ordine è competizione: competizione tra le religioni, competizione tra gli Stati. ([[Claude Allègre]]) *Non c'è dubbio che l'Islam vuole governare il mondo. Quando i musulmani diventano una maggioranza in qualsiasi paese poi hanno l'obbligo religioso di governarlo. ([[Raymond Leo Burke]]) *Non c'è nessun popolo del mondo che anche nella propria religione sia più democratico dei musulmani. ([[Mohammad Ali Jinnah]]) *Non dimentichiamoci che quella musulmana, per esempio, non prevede il confronto pacifico con le altre religioni. [...] Far finta che sia una religione come ogni altra, con differenze solamente rituali o simboliche è profondamente sbagliato. ([[Toni Capuozzo]]) *Non esiste, a mio parere, nell'islam contemporaneo una filosofia pura à la Cartesio o à la Kant. La filosofia contemporanea in terra d'islam ha dovuto sempre fare i conti con l'islam, innanzitutto, cioè con una concezione della vita, del mondo... che, evidentemente, ha lasciato un'orma incancellabile. ([[Massimo Campanini]]) *Non si può dire che l'Islam è una religione di pace, perché l'Islam non significa pace. L'Islam significa sottomissione. Pertanto, il musulmano è colui che si sottomette. C'è posto per la violenza nell'Islam. C'è posto per il jihad nell'Islam. ([[Anjem Choudary]]) *Non sono stata picchiata per un principio religioso, ma per gelosia, da un uomo umiliato. Solo per questo. Coloro che si trincerano dietro l'Islam per giustificare un'azione del genere mentono; coloro che pensano sinceramente – e ce ne sono – che il Corano incoraggi tali pratiche, sbagliano. È una faccenda di mentalità maschile, niente di più. Il Profeta ha insegnato l'amore, non certo l'odio che oggi viene propagato da alcuni dei suoi zelatori. ([[Rania al Baz]]) *Non si incontra mai l'islam o una religione, bensì uomini e donne che appartengono a determinate tradizioni religiose e per i quali questa appartenenza è un aspetto di un'identità molteplice e non monolitica. ([[Enzo Bianchi]]) *{{NDR|Sulla sua esultanza con la maglia con scritto "I love Allah"}} Per replicare a chi insulta l'Islam con film ignobili. Prego cinque volte al giorno, faccio il Ramadan, non bevo, non fumo e rispetto tutti. L'Islam è tolleranza, però la Francia vieta il velo alle donne. Ma pure a Firenze, il mio amico El Hamdaoui è a disagio perché se sua moglie esce di casa velata la guardano male, e lui ha bisogno di sentirsi bene per dare il massimo. ([[Adel Taarabt]]) *Quelli i quali negano all'Islam ogni avvenire nella evoluzione politica dei tempi futuri, potrebbero ricevere un giorno qualche spiacevole smentita. [...] L'Islam è in movimento, e quantunque si muova con la sua caratteristica, direi quasi geologica, lentezza, tuttavia avanza nel suo cammino, e la sua stessa lentezza è manifestazione di forza, è sintomo di durevole tenacia. ([[Leone Caetani]]) *Se esiste una libertà di stampa che arriva a offendere i valori sacri dell'Islam, io sono contro questa libertà. ([[Ali Akbar Hashemi Rafsanjani]]) *Seguo l'islam con attenzione e ho dovuto rassegnarmi al fatto che ogni musulmano è obbligato a seguire la sharia : la legge del taglio della mano e della lapidazione. E ho scoperto che no, la sharia è immutabile, oggi come mille anni fa. Questo è in contrasto con i diritti delle donne, dei bambini, dei gay e di tutte le persone libere. Qualcuno mi smentisca e io cambierò idea. ([[Benjamin Carson]]) *Se la rapidità con cui una religione si estende fosse una prova della sua veracità, niuna sarebbe più vera di quella proclamata da Maometto, la quale in men di cento anni fece sventolare i vittoriosi suoi vessilli dalle rive del Gange a quelle del Garigliano. ([[Aurelio Bianchi-Giovini]]) *''Straniera in casa tua | ma a casa mia | sovrana del lamento. | Oriente, che cosa mi hai fatto? | Ti ho amato, ma mi hai portato solo vergogna. | Mi hai sfigurata come un esercito di cieche Shahrazad, | mi hai nutrita del desiderio delle stelle | nei rapidi istanti del fulmine... | ma tutto ciò da dietro un velo.'' ([[Amal al-Juburi]]) *Tutti amano la [[democrazia]], specialmente se li riguarda personalmente, ma l'islam non è l'opposto della democrazia; rappresenta semplicemente un universo di riferimento completamente diverso. All'interno di quell'universo può esistere la democrazia, la tirannia, e tutto quello che c'è nel mezzo. ([[Tamim Ansary]]) *Una religione che non ha attraversato la modernità. E il cui richiamo al trascendente è un lamento contro il potere del consumo che ormai domina nel mondo occidentale. ([[Paolo Prodi]]) ===[[Magdi Allam]]=== *Analizzando la sequenza e la durata delle dinastie politiche nel mondo musulmano, si nota come esse siano state tutte relativamente brevi, estinguendosi nell'arco di poche generazioni: perché la legittimità del loro potere era tanto fragile da venire sostituito da un altro. *La storia politica del mondo musulmano è intrisa di sangue, a iniziare dai primi califfi dell'islam: di essi uno soltanto, Abu Bakr, morì di morte naturale, gli altri tre furono ammazzati perché considerati dei tiranni. In realtà nelle sue strutture politiche il mondo musulmano ha sempre enfatizzato il pericolo di cadere nel disordine e dunque ha visto nella tirannia una minaccia permanente. *La violenza intrinseca nell'islam la cogliamo nei loghi dei gruppi islamici, dove compare ovunque il Corano abbinato a delle armi e a violente prescrizioni di Allah. ===[[Oriana Fallaci]]=== *Perché loro [i fondamentalisti islamici] hanno qualche cosa che noi non abbiamo ed è la passione. Hanno la fede e la passione. Nel male, in negativo, ma l'hanno. Noi non l'abbiamo più, l'abbiamo persa, la nostra forma di società ha inaridito l'animo, ha inaridito il cuore della gente. Perfino nei rapporti amorosi c'è meno passione. In quanto alla fede, nel nostro mondo è una parola quasi sconosciuta. Loro sono più stupidi di noi ma sono profondamente appassionati, dunque più vitali. Perfino la guerra, che è un atto di passione – passione in negativo, la ferocia, il sangue –, è diventata sterile, pulita. Questa mancanza di passione si riflette nella nostra vita quotidiana perché, al posto della passione, abbiamo il benessere, la comodità, il raziocinio. Tutto quello che siamo è frutto di raziocinio, non di passione. *Soprattutto non credo alla frode dell'Islam Moderato. Come protesto nel libro ''Oriana Fallaci intervista sé stessa'' e ne ''L'Apocalisse'', quale Islam Moderato?!? Quello dei mendaci imam che ogni tanto condannano per eccidio ma subito dopo aggiungono una litania di «ma», «però», «nondimeno»? È sufficiente cianciare sulla pace e sulla misericordia per essere considerati Mussulmani Moderati? È sufficiente portare giacche e pantaloni invece del ''djabalah'', blue jeans invece del burka o del chador, per venir definiti Mussulmani Moderati? È un Mussulmano Moderato uno che bastona la propria moglie o le proprie mogli e uccide la figlia se questa si innamora di un cristiano? Cari miei, l'Islam moderato è un'altra invenzione. Un'altra illusione fabbricata dall'ipocrisia, dalla furberia, dalla quislingheria o dalla Realpolitik di chi mente sapendo di mentire. L'Islam Moderato non esiste. E non esiste perché non esiste qualcosa che si chiama Islam Buono e Islam Cattivo.<br/>Esiste l'Islam e basta. E l'Islam è il Corano. Nient'altro che il Corano. E il Corano è il ''Mein Kampf'' di una religione che ha sempre mirato ad eliminare gli altri. Una religione che ha sempre mirato a eliminare gli altri. Una religione che si identifica con la politica, col governare. Che non concede una scheggia d'unghia al libero pensiero, alla libera scelta. Che vuole sostituire la democrazia con la madre di tutti i totalitarismi: la teocrazia. *Una religione che si identifica con la politica, col governare. Che non concede una scheggia d'unghia al libero pensiero, alla libera scelta. Che vuole sostituire la democrazia con la madre di tutti i totalitarismo: la teocrazia. Come ho scritto nel saggio "Il nemico che trattiamo da amico", è il Corano non mia zia Carolina che ci chiama «cani infedeli» cioè esseri inferiori poi dice che i cani infedeli puzzano come le scimmie e i cammelli e i maiali. È il Corano non mia zia Carolina che umilia le donne e predica la Guerra Santa, la Jihad. Leggetelo bene, quel "Mein Kampf", E qualunque sia la versione ne ricaverete le stesse conclusioni: tutto il male che i figli di Allah compiono contro di noi e contro sé stessi viene da quel libro. È scritto in quel libro. E se dire questo significa vilipendere l'Islam, Signor Giudice del mio Prossimo Processo, si accomodi pure. Mi condanni pure ad anni di prigione. In prigione continuerò a dire ciò che dico ora. E continuerò a ripetere: «Sveglia, Occidente, sveglia! Ci hanno dichiarato la guerra, siamo in guerra! E alla guerra bisogna combattere». ===[[Ruhollah Khomeyni]]=== [[File:عکسی از خمینی.JPG|thumb|[[Ruhollah Khomeyni]]]] *L'Islam dice: ogni bene esiste grazie alla spada e all'ombra della spada! Le persone non possono essere obbedienti se non con la spada! La spada è la chiave del Paradiso, che può essere aperto solo per i Santi guerrieri! *L'Islam ha precetti per ogni cosa che riguardi l'uomo e la società. Questi precetti vengono dall'Onnipotente e sono trasmessi all'uomo tramite il Suo Profeta e Messaggero. C'è da sorprendersi di fronte alla maestosità di questi comandamenti, i quali ricoprono ogni aspetto della vita, dal concepimento alla tomba! Non vi è argomento sul quale l'Islam non abbia espresso un giudizio. *L'Islam o è politica o non è nulla. *L'Islam rende obbligatorio per tutti i maschi adulti, a condizione che non siano disabili o incapaci, di prepararsi per la conquista di altri paesi in modo che le scritture dell'Islam siano obbedite in ogni paese del mondo. *L'Islam: tramite la conversione all'Islam, il corpo, la saliva, le secrezioni nasali e il sudore di un uomo o una donna non musulmani diventano automaticamente puri. *La fede e la giustizia islamica esigono che all'interno del mondo musulmano non si consenta la sopravvivenza di governi anti-islamici. L'instaurazione di un potere laico pubblico equivale all'opposizione attiva al progresso dell'ordine islamico. *La giustizia islamica si basa sulla semplicità e sulla facilità. Appiana tutti le rimostranze penali e civili nella maniera più conveniente,elementare e spedita possibile. Tutto ciò che richiede è che un giudice islamico, munito di calamo, inchiostro e due o tre esecutori, si rechi al villaggio, giunga al suo verdetto su qualsiasi tipo di caso, e che lo renda immediatamente esecutivo. Guardate all'attuale costo, in termini di tempo e denaro, nella società occidentale, con tutte quelle procedure giuridiche che permeano ogni processo in nome di principi alieni all'Islam! *Se le leggi punitive dell'Islam fossero applicate anche solo per un anno, tutte le devastanti ingiustizie e immoralità verrebbero estirpate. *Se vogliamo l'Islam, che bisogno c'è di aggiungere che vogliamo la democrazia? Sarebbe come dire che vogliamo l'Islam e che bisogna credere in Dio. *Un governo islamico non può essere totalitario o dispotico, bensì costituzionale e democratico. ===[[Irshad Manji]]=== [[File:Irshad Manji.jpg|thumb|[[Irshad Manji]]]] *La maggioranza di noi non è musulmana perché ci pensa, ma perché ci nasce. Siamo musulmani, punto e basta. *Noi musulmani schiacciavamo la dignità di chi aveva la pelle più scura della nostra e sfruttavamo senza pietà i neri africani. Adesso non ditemi, per favore, che era una durezza appresa dai coloni inglesi, perché allora sorge spontanea una domanda: per quale motivo non avevamo imparato anche a lasciare spazio all'iniziativa imprenditoriale dei neri, così come gli inglesi ne avevano lasciato alla nostra? *Perché siamo ostaggio di quanto accade tra israeliani e palestinesi? Come spiegare la persistente vena di antisemitismo che percorre l'Islam? Chi ci vuole veramente colonizzare: l'America o l'Arabia? Per quale ragione continuiamo a sprecare il talento e la ricchezza delle donne, che rappresentano il cinquanta per cento abbondante della creazione divina? Cosa ci rende tanto sicuri che gli omosessuali meritino il nostro ostracismo – se non addirittura la morte – quando, secondo il Corano, tutto ciò che Dio crea è «eccellente»? Certo, il Corano dice molte altre cose, ma che scusa abbiamo per prenderlo alla lettera, quando è tanto ambiguo e contraddittorio? *Quanti di noi sanno fino a che punto l'Islam è un «dono degli ebrei»? L'unità della creazione, l'intrinseca e spesso misteriosa giustizia divina, la nostra capacità innata di creature di Dio di scegliere il bene, il senso della nostra vita terrena, l'infinitezza di quella ultraterrena: queste e altre idee portanti del monoteismo sono pervenute ai musulmani tramite l'ebraismo. Per me fu una scoperto sconvolgente perché ne derivava che l'Islam non aveva alcuna necessità di alimentare l'antisemitismo. Anzi, semmai avevamo molti più motivi di esser grati agli ebrei che non di odiarli. *Se l'Islam è flessibile dovrebbe esserlo anche in senso migliorativo, non solo peggiorativo, giusto? *Se un maggior numero di noi sapesse che l'Islam è il prodotto di mescolanze e contaminazioni, e non uno stile di vita assolutamente originale, se comprendessimo cioè la natura ibrida della nostra cultura spirituale, saremmo più disposti ad accettare «l'altro»? ===[[Vittorio Messori]]=== *I musulmani convertirono a milioni i cristiani e cancellarono la fede in Gesù da interi paesi ma non riuscirono a convertire gli [[ebrei]]. *L'[[ebraismo]] – come è stato detto, seppure in modo un po' semplificato – è la [[religione]] della ''speranza''; il [[cristianesimo]] della ''carità''; l'islamismo della ''fede''. *Tutto intero l'Islàm, al di là di ogni scuola, non ha dimenticato un ''hadit'' di Maometto, un detto, cioè, tramandato dalla tradizione orale dei primi discepoli e considerato fonte di rivelazione accanto al Corano. Quell'''hadit'' ha conservato una parola del profeta dell'Islàm rivolta a Fatima {{NDR|sua figlia}}: «Tu sarai la padrona delle donne nel Paradiso, ''dopo'' [[Maria|Màryam]]». Una superiorità, dunque, nello stesso Cielo musulmano, di quella che i cristiani chiamano ''Regina Coeli''. [...] così che i pellegrini islamici, seppur non organizzati, non sono mai mancati a [[Fatima]] e ora vanno sempre crescendo. [...] È singolare che, in tanto parlare di ecumenismo, Maria è il «luogo» dove musulmani e cristiani (quelli, almeno, cattolici e quelli ortodossi) sono vicini più che ovunque altrove. ===[[Boualem Sansal]]=== *Come il [[cristianesimo]], l'islam ha un progetto planetario. I cristiani volevano cristianizzare tutti, compresi i cosiddetti "selvaggi", quelli che non erano nemmeno considerati esseri umani, che abitavano nelle foreste... Popolazioni che i missionari consideravano come "scimmie" eppure volevano evangelizzarli lo stesso. Per farli diventare umani. L'islam ha la stessa ambizione planetaria di fare regnare Allah sulla terra. *È una religione straordinaria o forse non è una religione, chissà se riuscirà dove la ragione per ora ha fallito. Ma è presto per dirlo, sono soltanto due secoli che Dio è morto, dobbiamo aspettare che sia stramorto per dire davvero che abbiamo imparato a vivere senza di lui, perché l'umanità nei millenni ha sempre vissuto all'ombra di qualche divinità. Il punto però è che oggi l'offerta dell'Islam ha un successo strepitoso e francamente poco comprensibile. *Il sistema islamico, come tutti i sistemi totalitari, afferra l'individuo come si fa in un computer, ne cancella la memoria per fargli il lavaggio del cervello e poi ci iscrive un nuovo software che controlla tutte le funzioni come se ne fosse il direttore spirituale. *L'islam è un'idea, la parola di Dio per i musulmani, che il sistema religioso ha socializzato attraverso la moschea, la scuola coranica e un codice giuridico (la sharia) fortemente vincolante. Spinta all'estremo, una tale organizzazione può diventare abominevole, ed è così che dinanzi all'islam moderato che non vuole forzare le coscienze si è sviluppato l'islamismo che impone senza alcuna discussione, col pretesto che Dio non tratta con le sue creature... *Nella sua guerra totale contro il mondo moderno, l'islam radicale ha dovuto adattare i suoi metodi all'ambiente, ha approfondito tutti i sistemi totalitari che sono esistiti nel XX secolo: lo stalinismo, il fascismo, il nazismo. L'islam radicale riduce a zero la capacità degli uomini di pensare, di decidere, di inventare. E li uccide nella loro responsabilità, nella loro famiglia, nella loro cultura, ne fa dei meri esecutori. ===[[Amir Taheri]]=== [[File:Amir Taheri (cropped).jpg|thumb|[[Amir Taheri]]]] *Gli schiavi formano un'ulteriore sottospecie nel sistema sociologico islamico. Ovviamente gli schiavi di religione musulmana sono superiori a quelli di diversa ubbidienza, e in entrambi i casi le donne sono considerate «un po' meno uguali», almeno secondo la giurisprudenza coranica. La schiavitù è stata ufficialmente bandita dagli stati musulmani. L'ultima ad intraprendere questo passo coraggioso è stata la Mauritania (1980), ma a tutt'oggi si calcola che vi sia una popolazione di schiavi ammontante a 250.000 individui, vale a dire il 10% del totale. Per tutto il XIX secolo, l'abolizione della schiavitù venne fieramente contrastata dai teologi islamici che la vedevano come una diretta violazione delle leggi divine. *L'intero sistema islamico consiste di cosiddetti ''Hodud'', o limiti che semplicemente non si devono oltrepassare. L'Islam non riconosce la libertà illimitata d'espressione. Chiamateli tabù, se volete, ma l'Islam considera una vasta gamma di soggetti come permanentemente chiusi. La maggior parte dei musulmani è pronta ad essere di mentalità aperta su molte cose, ma mai su qualsiasi cosa tocchi anche remotamente la loro fede. *Nella visione musulmana del mondo non c'è traccia di diritti fondamentali, almeno nell'accezione occidentale del termine, e soltanto una ristretta gerarchia di valori individuali e collettivi viene osservata. L'Islam respinge qualsiasi gerarchia di valori umani che sia basata su nozioni come razza, nazionalità o classe. Il nazionalsocialismo hitleriano, che si basava sull'asserita superiorità della razza ariana, sarebbe stato inconcepibile in Iran, e ugualmente inconcepibile sarebbe il sistema dell'apartheid come viene praticato in Sudafrica con l'appoggio della chiesa riformata olandese. Però ciò non toglie che l'Islam, respingendo così fermamente il concetto d'uguaglianza, non sia capace di sviluppare un suo proprio sistema segregazionista: infatti, sotto la legge coranica gli esseri umani vengono anzitutto divisi sulla base del sesso, e le donne non hanno gli stessi diritti dell'uomo. Gli studiosi islamici hanno scritto una quantità di volumi per dimostrare che la disparità tra uomini e donne non danneggia sostanzialmente gli interessi materiali e spirituali di queste ultime. Se ciò corrisponda o meno a verità, non è nostro compito discuterlo in questa sede; quello che ci preme invece sottolineare è il fatto che una Costituzione in cui venga stabilito che gli uomini e le donne sono uguali e che, di conseguenza, godono di uguali diritti ed opportunità, non può essere accettata dal mondo islamico. *Per i musulmani, la religione non è semplicemente parte della vita. È la vita, in realtà, che fa parte della religione. I musulmani non possono capire un concetto che non ha regole, che non ha limiti. La credenza occidentale nei diritti umani, che sembra non avere limiti, è estraneo alle tradizioni islamiche. *Poche culture tengono la parola scritta o stampata in così tanta riverenza come i musulmani, anche se la grande maggioranza è analfabeta. Quando un musulmano vuole vincere una discussione dice, «È scritto». *Oggi, per la prima volta, la mia fede - che è stata costruttrice di civiltà - s'impone come mera forza di terrore, di repressione e di distruzione. Il punto è che voi occidentali date voce solo alle tendenze peggiori. ==Voci correlate== *[[Corano]] *[[Fondamentalismo islamico]] *[[Maometto]] ==Altri progetti== {{interprogetto|w_preposizione=riguardante l'|preposizione=sull'}} [[Categoria:Fedi, tradizioni e movimenti religiosi]] [[Categoria:Islam| ]] r6mm9crhbzz8n1k7tum18wrsvytd86j 1382013 1381959 2025-07-02T08:19:29Z ~2025-110542 103361 1382013 wikitext text/x-wiki {{voce tematica}} [[File:Prayer in Cairo 1865.jpg|miniatura|upright=1.4|''Preghiera a Il Cairo'' (J.-L. Gérôme, 1865)]] {{indicedx}} Citazioni sull''''Islam''' e i '''musulmani'''. ==Citazioni== *Abbiamo importato un mostro e questo mostro si chiama Islam. ([[Geert Wilders]]) *Anche l'islam esalta l'inattingibile gloria divina, un sole accecante che al massimo lascia un riflesso nella pozzanghera d'acqua che è l'uomo, per usare un'immagine di quella religione. Eppure, l'autentico approdo dell'orazione è l'intimità tra il fedele e il suo Dio, tant'è vero che la stessa spiritualità musulmana tende a questo abbraccio. ([[Gianfranco Ravasi]]) *Chiunque, conoscendo l'Antico e il Nuovo Testamento, legga il [[Corano]], vede con chiarezza ''il processo di riduzione della Divina Rivelazione che in esso s'è compiuto''. È impossibile non notare l'allontanamento da ciò che Dio ha detto di Se stesso, prima nell'Antico Testamento per mezzo dei profeti, e poi in modo definitivo nel Nuovo per mezzo del Suo Figlio. Tutta questa ricchezza dell'autorivelazione di Dio, che costituisce il patrimonio dell'Antico e del Nuovo Testamento, nell'islamismo è stata di fatto accantonata.<br>Al Dio del Corano vengono dati nomi tra i più belli conosciuti dal linguaggio umano, ma in definitiva è un Dio al di fuori del mondo, un Dio che è ''soltanto Maestà, mai Emmanuele'', Dio-con noi. ''L'islamismo non è una religione di redenzione''. Non vi è spazio in esso per la Croce e la Risurrezione. Viene menzionato Gesù, ma solo come profeta in preparazione dell'ultimo profeta, Maometto. È ricordata anche Maria, Sua Madre verginale, ma è completamente assente il dramma della redenzione. Perciò non soltanto la teologia, ma anche l'antropologia dell'Islam è molto distante da quella cristiana.<br>Tuttavia, ''la religiosità dei mussulmani merita rispetto''. Non si può non ammirare, per esempio, la loro ''fedeltà alla preghiera''. L'immagine del credente in Allah che, senza badare al tempo e al luogo, cade in ginocchio e si immerge nella preghiera, rimane un modello per i confessori del vero Dio, in particolare per quei cristiani che, disertando le loro meravigliose cattedrali, pregano poco o non pregano per niente. ([[Papa Giovanni Paolo II]]) *Ci sono musulmani di ogni tipo. L'idea di chiuderli in una sola identità è sbagliata. ([[Amartya Sen]]) *Da quando l'[[URSS]] non controlla più le spinte dal basso contro la ricchezza planetaria e alla loro testa si è posto l'Islam, la sopravvivenza del mondo ricco è in pericolo. ([[Emanuele Severino]]) *Dopo aver studiato moltissimo il [[Corano]], la convinzione a cui sono pervenuto è che nel complesso vi siano state nel mondo poche [[religione|religioni]] altrettanto letali per l'uomo di quella di [[Maometto]]. A quanto vedo, l'Islam è la causa principale della decadenza oggi così evidente nel mondo musulmano, e, benché sia meno assurdo del [[politeismo]] degli antichi, le sue tendenze sociali e politiche sono secondo me più pericolose. Per questo, rispetto al paganesimo, considero l'Islam una forma di decadenza anziché una forma di progresso. ([[Alexis de Tocqueville]]) *È superfluo dire che il vero significato dell'Islam è incompatibile con l'abuso maligno, demagogico o reazionario che viene fatto dei suoi principii. Tutte le manovre che si fondano su di un tale abuso (sfortunatamente la nostra stessa società è stata più volte vittima di tali manovre nel passato e nel presente) costituiscono l'opposto del vero spirito e del vero significato dell'Islam. ([[Mohammad Reza Pahlavi]]) *{{NDR|Sui [[fondamentalismo|fondamentalisti]] islamici}} Essi non ci danno pace e neppure noi dobbiamo dargliene. Non possiamo vivere sullo stesso pianeta, e sono contento, perché io non voglio viverci. Non voglio respirare la stessa aria di quegli psicopatici assassini, torturatori, stupratori e abusatori minorili. È questione di "o io o loro". Sono contento di ciò, perché so che saranno loro. È un obbligo e una responsabilità sconfiggerli, ma è anche un piacere. Non lo vedo affatto come un lavoro sporco. ([[Christopher Hitchens]]) *Gli [[Stati Uniti d'America|Stati Uniti]] non sono, e non saranno mai, in guerra contro l’Islam. ([[Barack Obama]]) *I Mussulmani ricordano con nostalgia la «democrazia dell'Islam», sotto i primi Califfi, e la loro sorprendente carriera di vittorie. ([[Jawaharlal Nehru]]) *I musulmani possono diventare dei veri francesi? Eccezionalmente sì, ma in generale no. Molti dogmi fondamentali dell'islam si oppongono ai nostri principi. Con alcuni, e penso ai musulmani liberali che hanno ormai perso la fede, ci sono accomodazioni possibili. Ma con altri, e mi riferisco a coloro che aspettano il [[Mahdi|Madhì]], non v'è nessuna possibilità di accordo. ([[Charles de Foucauld]]) *Il mondo islamico dispone di un fattore di mobilitazione ridivenuto irresistibile: il fanatismo religioso; o meglio il collante religioso come alimento della contrapposizione e resistenza contro l'Occidente. <br>Se oggi esso è, al di là degli eccessi retorici con cui se ne parla, il principale «pericolo» per la ''pax americana'', ciò dipende, in ultima analisi, dalla scelta – perseguita per mezzo secolo – di ''far fallire comunque la diffusione del «modello sovietico» nel mondo arabo-islamico'', di impedire la sua espansione oltre i confini dell'ormai laicizzata «Asia sovietica». ([[Luciano Canfora]]) *Il terrorismo è figlio della marcescenza di una religione come quella musulmana che negli ultimi decenni si è andata radicalizzando come vera e propria ideologia. E questo è l'Islam contro il quale dobbiamo capire di essere in guerra. ([[Toni Capuozzo]]) *Il vero vizio dell'Islam, la sua vera causa d'inferiorità politica non è nel suo domma, né nella sua morale, ma nella confusione dello spirituale col temporale, della legge religiosa colla civile. Il Corano essendo insieme Bibbia e codice, le parole del Profeta tenendo il posto del diritto, le leggi ed i costumi sono per sempre resi sacri dalla religione e da questo solo fatto deriva che la civiltà maomettana è necessariamente stazionaria. ([[Anatole Leroy-Beaulieu]]) *L'autentico Mussulmano è il vero rivoluzionario. L'Islam è la più grande rivoluzione nella storia della nostra nazione araba e dell'umanità. ([[Hafiz al-Asad]]) *L'Islam considera l'uomo quale egli è nella sua natura essenziale, e Dio quale Egli è nella sua assoluta realtà. Il punto di vista islamico è fondato sulla considerazione dell'Essere divino quale è di per se stesso, e non in quanto incarnato nella storia. ([[Hossein Nasr]]) *L'Islam è costruito su cinque [pilastri]: l'attestazione che non c'è divinità degna di essere adorata se non Allah e che Maometto è il Messaggero di Allah; l'esecuzione della preghiera; il versamento della zakā; il pellegrinaggio e il digiuno [durante il mese di] Ramadan. ([[Maometto]]) *L'Islam è un cancro terminale dell'Occidente, bisogna estirparlo prima che le metastasi si diffondano in Italia. ([[Daniela Santanchè]]) *L'islam è un'ideologia travestita da religione, l'hanno riconosciuto perfino persone illuminate di quel mondo. ([[Antonio Socci]]) *L'islam è una religione, come tutte le altre, con una serie di idee e di pratiche relative alla morale, all'etica, a Dio, al cosmo e alla morte. Ma allo stesso tempo potrebbe essere inserito in una classe completamente diversa, che include il [[comunismo]], la democrazia parlamentare, il [[fascismo]] e così via, poiché l'islam è ''anche'' un progetto sociale, un'idea di come dovrebbe essere gestita la [[politica]] e l'[[economia]], con un sistema legale, civile e penale tutto suo.<br/>Ma l'islam può anche essere inserito all'interno di un'altra classe ancora, che include la civiltà cinese, indiana, occidentale e così via, perché esiste un intero universo di manufatti culturali [...] che può essere definito propriamente islamico.<br/>O l'islam può essere visto come una storia mondiale parallela a tutte le altre, le quali si contaminano reciprocamente. Visto in questa luce, l'islam è una vasta narrazione che si dipana lungo i secoli, ancorata alla nascita di quella prima comunità alla Mecca e a Medina quattordici secoli fa. ([[Tamim Ansary]]) *L'Islam è una religione di pace, umanità e fratellanza. Che dice: è un preciso dovere quello di dare un'educazione a ogni bambino. ([[Malala Yousafzai]]) *L'Islam è uno dei fondamenti della cultura europea. Non potremmo nemmeno pensare a una vera Europa senza il contributo islamico. ([[Moni Ovadia]]) *L'Islam ebbe una grande cultura solo quando, nella loro cavalcata conquistatrice, i suoi Califfi incontrarono la cultura greca, quella egiziana e quella ebraica. Ma questo risale a Averroè e ad Avicenna, cioè a mille anni fa pressappoco. Da allora l'atteggiamento dell'Islam verso la cultura è sempre rimasto quello del famoso Califfo che, quando gli chiesero cosa dovevano fare della grande biblioteca di Alessandria, da lui conquistata, rispose: «Se tutti quei libri dicono ciò che dice il Corano, sono inutili. Se dicono cose diverse, sono dannosi. Nell'un caso e nell'altro, meglio bruciarli». [...] L'Islam è una religione di analfabeti, in cui la cultura è monopolio degli Ulema, che sanno solo di Corano e passano la vita a indagarne i misteri (che non ci sono). Mi citi Alberoni un'opera d'arte e di pensiero islamica degli ultimi due o trecent'anni. I mussulmani colti sono quelli che escono dalle ''nostre'' università. ([[Indro Montanelli]]) *L'Islam in linea di principio è sempre una religione illuminata: sono gli individui che la interpretano in maniera letterale e irrazionale a farla apparire oggigiorno come foriera di violenza, guerra, terrore. Ma ai musulmani va comunque la responsabilità di non aver difeso la propria religione. Avrebbero dovuto reagire immediatamente quando si sono palesate persone che pretendevano di commettere attentati in nome dell'Islam. ([[Tahar Ben Jelloun]]) *L'Islam, senza sopravvalutare in alcun modo il lato debole e limitato della natura umana, non considera l'uomo come il portatore di una volontà pervertita ma come un essere essenzialmente teomorfico il quale, in quanto rappresentante di [[Dio]] sulla terra, è la teofania centrale dei nomi di Dio e delle sue qualità. ([[Hossein Nasr]]) *L'Islam, spesso lo si dimentica, è un'eresia del cristianesimo. ([[Paolo Prodi]]) *L'Islam vede la religione come un modo di vivere, un insieme di comportamenti, una legge, un ideale politico; mancano invece quasi del tutto quelle connotazioni strettamente sacerdotali e liturgiche, che appaiono essenziali alla nostra idea di religione. ([[Ambrogio Donini]]) *L'utopia retrospettiva nel pensiero islamico significa che frequentemente l'idea del futuro si è appiattita sul passato; si è preteso cioè di costruire il futuro ripetendo e riproducendo in modo identico ciò che è accaduto nel passato. ([[Massimo Campanini]]) *La Chiesa guarda anche con stima i musulmani che adorano l'unico Dio, vivente e sussistente, misericordioso e onnipotente, creatore del cielo e della terra, che ha parlato agli uomini. Essi cercano di sottomettersi con tutto il cuore ai decreti di Dio anche nascosti, come vi si è sottomesso anche Abramo, a cui la fede islamica volentieri si riferisce. Benché essi non riconoscano Gesù come Dio, lo venerano tuttavia come profeta; onorano la sua madre vergine, Maria, e talvolta pure la invocano con devozione. Inoltre attendono il giorno del giudizio, quando Dio retribuirà tutti gli uomini risuscitati. Così pure hanno in stima la vita morale e rendono culto a Dio, soprattutto con la preghiera, le elemosine e il digiuno. (''[[Nostra aetate]]'' *La distinzione fra potere e forza è anche evidente in una sfera del tutto diversa: quella della devozione religiosa, nelle sue molteplici sfumature. Ogni fedele sta costantemente in balìa della forza del dio e ne è a suo modo soddisfatto. […] Le religioni di questo tipo accentuano il concetto di predestinazione divina [...] l'Islam e il [[Calvinismo]] sono specialmente noti per questa tendenza. I loro fedeli anelano alla forza divina. ([[Elias Canetti]]) *Lei naturalmente saprà che è stato l'Islam a parlare per primo delle libertà delle donne, a dare loro prestigio, rispetto. Dice la Scrittura: se vuoi entrare in Paradiso, rispetta tua madre, poiché il Paradiso sta sotto i piedi di tua madre. Non dice mica rispetta tuo padre! L'Islam per primo ha dato alle donne parità di diritti. ([[Muhammad Zia-ul-Haq]]) *– Ma... Abitate in Islam?<br />– L'Islam non è un paese, è una Fede! (''[[Che bella giornata]]'') *Ma dai tempi di Maometto l'Islam fu una religione missionaria e conquistatrice, che mescolava l'ambito religioso con quello politico, che disprezzava i confini nazionali ed etnici, una religione la cui semplicità e assenza di misteri anticipava già quell'«unità dell'umanità» che l'Islam voleva instaurare con un'ostinata lotta. ([[Ernst Nolte]]) *Ma perché i musulmani non dovrebbero avere, per esempio, un posto dove andare a pregare? Ma che razza di [[cristiani]] siete, voi [[ciellini]]? Voi forse credevate di leggere il Vangelo e invece era il Corrierino dei Piccoli. ([[Adriano Celentano]]) *Maometto ha fatto calare dal cielo e messo nel [[Corano]] non soltanto dottrine religiose, bensì massime politiche, leggi civili e penali, teorie scientifiche. Il [[Vangelo]], invece, non parla che dei rapporti generali degli uomini con Dio e fra di loro. All'infuori di questo non insegna nulla e non obbliga a credere nulla. Già basta questa, tra infinite ragioni, per indicare che la prima di queste due [[religione|religioni]] non potrebbe reggere a lungo in tempi culturalmente [[illuminismo|illuminati]] e [[democrazia|democratici]], mentre la seconda è destinata a regnare in quelli come negli altri. ([[Alexis de Tocqueville]]) *Nell'Islam, forse più che in altre branche religiose di misticismo, la ricerca dell'unione assume la forma di un viaggio verso Dio; il Sufi parla dei diversi stadi come di 'stazioni' alle quali si perviene solo in virtù di un incessante sforzo. ([[Jean Campbell Cooper]]) *Nell'Islam religione e scienza si affrontano, ma inizialmente è la scienza che domina. La parola d'ordine è competizione: competizione tra le religioni, competizione tra gli Stati. ([[Claude Allègre]]) *Non c'è dubbio che l'Islam vuole governare il mondo. Quando i musulmani diventano una maggioranza in qualsiasi paese poi hanno l'obbligo religioso di governarlo. ([[Raymond Leo Burke]]) *Non c'è nessun popolo del mondo che anche nella propria religione sia più democratico dei musulmani. ([[Mohammad Ali Jinnah]]) *Non dimentichiamoci che quella musulmana, per esempio, non prevede il confronto pacifico con le altre religioni. [...] Far finta che sia una religione come ogni altra, con differenze solamente rituali o simboliche è profondamente sbagliato. ([[Toni Capuozzo]]) *Non esiste, a mio parere, nell'islam contemporaneo una filosofia pura à la Cartesio o à la Kant. La filosofia contemporanea in terra d'islam ha dovuto sempre fare i conti con l'islam, innanzitutto, cioè con una concezione della vita, del mondo... che, evidentemente, ha lasciato un'orma incancellabile. ([[Massimo Campanini]]) *Non si può dire che l'Islam è una religione di pace, perché l'Islam non significa pace. L'Islam significa sottomissione. Pertanto, il musulmano è colui che si sottomette. C'è posto per la violenza nell'Islam. C'è posto per il jihad nell'Islam. ([[Anjem Choudary]]) *Non sono stata picchiata per un principio religioso, ma per gelosia, da un uomo umiliato. Solo per questo. Coloro che si trincerano dietro l'Islam per giustificare un'azione del genere mentono; coloro che pensano sinceramente – e ce ne sono – che il Corano incoraggi tali pratiche, sbagliano. È una faccenda di mentalità maschile, niente di più. Il Profeta ha insegnato l'amore, non certo l'odio che oggi viene propagato da alcuni dei suoi zelatori. ([[Rania al Baz]]) *Non si incontra mai l'islam o una religione, bensì uomini e donne che appartengono a determinate tradizioni religiose e per i quali questa appartenenza è un aspetto di un'identità molteplice e non monolitica. ([[Enzo Bianchi]]) *{{NDR|Sulla sua esultanza con la maglia con scritto "I love Allah"}} Per replicare a chi insulta l'Islam con film ignobili. Prego cinque volte al giorno, faccio il Ramadan, non bevo, non fumo e rispetto tutti. L'Islam è tolleranza, però la Francia vieta il velo alle donne. Ma pure a Firenze, il mio amico El Hamdaoui è a disagio perché se sua moglie esce di casa velata la guardano male, e lui ha bisogno di sentirsi bene per dare il massimo. ([[Adel Taarabt]]) *Quelli i quali negano all'Islam ogni avvenire nella evoluzione politica dei tempi futuri, potrebbero ricevere un giorno qualche spiacevole smentita. [...] L'Islam è in movimento, e quantunque si muova con la sua caratteristica, direi quasi geologica, lentezza, tuttavia avanza nel suo cammino, e la sua stessa lentezza è manifestazione di forza, è sintomo di durevole tenacia. ([[Leone Caetani]]) *Se esiste una libertà di stampa che arriva a offendere i valori sacri dell'Islam, io sono contro questa libertà. ([[Ali Akbar Hashemi Rafsanjani]]) *Seguo l'islam con attenzione e ho dovuto rassegnarmi al fatto che ogni musulmano è obbligato a seguire la sharia : la legge del taglio della mano e della lapidazione. E ho scoperto che no, la sharia è immutabile, oggi come mille anni fa. Questo è in contrasto con i diritti delle donne, dei bambini, dei gay e di tutte le persone libere. Qualcuno mi smentisca e io cambierò idea. ([[Benjamin Carson]]) *Se la rapidità con cui una religione si estende fosse una prova della sua veracità, niuna sarebbe più vera di quella proclamata da Maometto, la quale in men di cento anni fece sventolare i vittoriosi suoi vessilli dalle rive del Gange a quelle del Garigliano. ([[Aurelio Bianchi-Giovini]]) *''Straniera in casa tua | ma a casa mia | sovrana del lamento. | Oriente, che cosa mi hai fatto? | Ti ho amato, ma mi hai portato solo vergogna. | Mi hai sfigurata come un esercito di cieche Shahrazad, | mi hai nutrita del desiderio delle stelle | nei rapidi istanti del fulmine... | ma tutto ciò da dietro un velo.'' ([[Amal al-Juburi]]) *Tutti amano la [[democrazia]], specialmente se li riguarda personalmente, ma l'islam non è l'opposto della democrazia; rappresenta semplicemente un universo di riferimento completamente diverso. All'interno di quell'universo può esistere la democrazia, la tirannia, e tutto quello che c'è nel mezzo. ([[Tamim Ansary]]) *Una religione che non ha attraversato la modernità. E il cui richiamo al trascendente è un lamento contro il potere del consumo che ormai domina nel mondo occidentale. ([[Paolo Prodi]]) ===[[Magdi Allam]]=== *Analizzando la sequenza e la durata delle dinastie politiche nel mondo musulmano, si nota come esse siano state tutte relativamente brevi, estinguendosi nell'arco di poche generazioni: perché la legittimità del loro potere era tanto fragile da venire sostituito da un altro. *La storia politica del mondo musulmano è intrisa di sangue, a iniziare dai primi califfi dell'islam: di essi uno soltanto, Abu Bakr, morì di morte naturale, gli altri tre furono ammazzati perché considerati dei tiranni. In realtà nelle sue strutture politiche il mondo musulmano ha sempre enfatizzato il pericolo di cadere nel disordine e dunque ha visto nella tirannia una minaccia permanente. *La violenza intrinseca nell'islam la cogliamo nei loghi dei gruppi islamici, dove compare ovunque il Corano abbinato a delle armi e a violente prescrizioni di Allah. ===[[Oriana Fallaci]]=== *Perché loro [i fondamentalisti islamici] hanno qualche cosa che noi non abbiamo ed è la passione. Hanno la fede e la passione. Nel male, in negativo, ma l'hanno. Noi non l'abbiamo più, l'abbiamo persa, la nostra forma di società ha inaridito l'animo, ha inaridito il cuore della gente. Perfino nei rapporti amorosi c'è meno passione. In quanto alla fede, nel nostro mondo è una parola quasi sconosciuta. Loro sono più stupidi di noi ma sono profondamente appassionati, dunque più vitali. Perfino la guerra, che è un atto di passione – passione in negativo, la ferocia, il sangue –, è diventata sterile, pulita. Questa mancanza di passione si riflette nella nostra vita quotidiana perché, al posto della passione, abbiamo il benessere, la comodità, il raziocinio. Tutto quello che siamo è frutto di raziocinio, non di passione. *Soprattutto non credo alla frode dell'Islam Moderato. Come protesto nel libro ''Oriana Fallaci intervista sé stessa'' e ne ''L'Apocalisse'', quale Islam Moderato?!? Quello dei mendaci imam che ogni tanto condannano per eccidio ma subito dopo aggiungono una litania di «ma», «però», «nondimeno»? È sufficiente cianciare sulla pace e sulla misericordia per essere considerati Mussulmani Moderati? È sufficiente portare giacche e pantaloni invece del ''djabalah'', blue jeans invece del burka o del chador, per venir definiti Mussulmani Moderati? È un Mussulmano Moderato uno che bastona la propria moglie o le proprie mogli e uccide la figlia se questa si innamora di un cristiano? Cari miei, l'Islam moderato è un'altra invenzione. Un'altra illusione fabbricata dall'ipocrisia, dalla furberia, dalla quislingheria o dalla Realpolitik di chi mente sapendo di mentire. L'Islam Moderato non esiste. E non esiste perché non esiste qualcosa che si chiama Islam Buono e Islam Cattivo.<br/>Esiste l'Islam e basta. E l'Islam è il Corano. Nient'altro che il Corano. E il Corano è il ''Mein Kampf'' di una religione che ha sempre mirato ad eliminare gli altri. Una religione che ha sempre mirato a eliminare gli altri. Una religione che si identifica con la politica, col governare. Che non concede una scheggia d'unghia al libero pensiero, alla libera scelta. Che vuole sostituire la democrazia con la madre di tutti i totalitarismi: la teocrazia. *Una religione che si identifica con la politica, col governare. Che non concede una scheggia d'unghia al libero pensiero, alla libera scelta. Che vuole sostituire la democrazia con la madre di tutti i totalitarismo: la teocrazia. Come ho scritto nel saggio "Il nemico che trattiamo da amico", è il Corano non mia zia Carolina che ci chiama «cani infedeli» cioè esseri inferiori poi dice che i cani infedeli puzzano come le scimmie e i cammelli e i maiali. È il Corano non mia zia Carolina che umilia le donne e predica la Guerra Santa, la Jihad. Leggetelo bene, quel "Mein Kampf", E qualunque sia la versione ne ricaverete le stesse conclusioni: tutto il male che i figli di Allah compiono contro di noi e contro sé stessi viene da quel libro. È scritto in quel libro. E se dire questo significa vilipendere l'Islam, Signor Giudice del mio Prossimo Processo, si accomodi pure. Mi condanni pure ad anni di prigione. In prigione continuerò a dire ciò che dico ora. E continuerò a ripetere: «Sveglia, Occidente, sveglia! Ci hanno dichiarato la guerra, siamo in guerra! E alla guerra bisogna combattere». ===[[Ruhollah Khomeyni]]=== [[File:عکسی از خمینی.JPG|thumb|[[Ruhollah Khomeyni]]]] *L'Islam dice: ogni bene esiste grazie alla spada e all'ombra della spada! Le persone non possono essere obbedienti se non con la spada! La spada è la chiave del Paradiso, che può essere aperto solo per i Santi guerrieri! *L'Islam ha precetti per ogni cosa che riguardi l'uomo e la società. Questi precetti vengono dall'Onnipotente e sono trasmessi all'uomo tramite il Suo Profeta e Messaggero. C'è da sorprendersi di fronte alla maestosità di questi comandamenti, i quali ricoprono ogni aspetto della vita, dal concepimento alla tomba! Non vi è argomento sul quale l'Islam non abbia espresso un giudizio. *L'Islam o è politica o non è nulla. *L'Islam rende obbligatorio per tutti i maschi adulti, a condizione che non siano disabili o incapaci, di prepararsi per la conquista di altri paesi in modo che le scritture dell'Islam siano obbedite in ogni paese del mondo. *L'Islam: tramite la conversione all'Islam, il corpo, la saliva, le secrezioni nasali e il sudore di un uomo o una donna non musulmani diventano automaticamente puri. *La fede e la giustizia islamica esigono che all'interno del mondo musulmano non si consenta la sopravvivenza di governi anti-islamici. L'instaurazione di un potere laico pubblico equivale all'opposizione attiva al progresso dell'ordine islamico. *La giustizia islamica si basa sulla semplicità e sulla facilità. Appiana tutti le rimostranze penali e civili nella maniera più conveniente,elementare e spedita possibile. Tutto ciò che richiede è che un giudice islamico, munito di calamo, inchiostro e due o tre esecutori, si rechi al villaggio, giunga al suo verdetto su qualsiasi tipo di caso, e che lo renda immediatamente esecutivo. Guardate all'attuale costo, in termini di tempo e denaro, nella società occidentale, con tutte quelle procedure giuridiche che permeano ogni processo in nome di principi alieni all'Islam! *Se le leggi punitive dell'Islam fossero applicate anche solo per un anno, tutte le devastanti ingiustizie e immoralità verrebbero estirpate. *Se vogliamo l'Islam, che bisogno c'è di aggiungere che vogliamo la democrazia? Sarebbe come dire che vogliamo l'Islam e che bisogna credere in Dio. *Un governo islamico non può essere totalitario o dispotico, bensì costituzionale e democratico. ===[[Irshad Manji]]=== [[File:Irshad Manji.jpg|thumb|[[Irshad Manji]]]] *La maggioranza di noi non è musulmana perché ci pensa, ma perché ci nasce. Siamo musulmani, punto e basta. *Noi musulmani schiacciavamo la dignità di chi aveva la pelle più scura della nostra e sfruttavamo senza pietà i neri africani. Adesso non ditemi, per favore, che era una durezza appresa dai coloni inglesi, perché allora sorge spontanea una domanda: per quale motivo non avevamo imparato anche a lasciare spazio all'iniziativa imprenditoriale dei neri, così come gli inglesi ne avevano lasciato alla nostra? *Perché siamo ostaggio di quanto accade tra israeliani e palestinesi? Come spiegare la persistente vena di antisemitismo che percorre l'Islam? Chi ci vuole veramente colonizzare: l'America o l'Arabia? Per quale ragione continuiamo a sprecare il talento e la ricchezza delle donne, che rappresentano il cinquanta per cento abbondante della creazione divina? Cosa ci rende tanto sicuri che gli omosessuali meritino il nostro ostracismo – se non addirittura la morte – quando, secondo il Corano, tutto ciò che Dio crea è «eccellente»? Certo, il Corano dice molte altre cose, ma che scusa abbiamo per prenderlo alla lettera, quando è tanto ambiguo e contraddittorio? *Quanti di noi sanno fino a che punto l'Islam è un «dono degli ebrei»? L'unità della creazione, l'intrinseca e spesso misteriosa giustizia divina, la nostra capacità innata di creature di Dio di scegliere il bene, il senso della nostra vita terrena, l'infinitezza di quella ultraterrena: queste e altre idee portanti del monoteismo sono pervenute ai musulmani tramite l'ebraismo. Per me fu una scoperto sconvolgente perché ne derivava che l'Islam non aveva alcuna necessità di alimentare l'antisemitismo. Anzi, semmai avevamo molti più motivi di esser grati agli ebrei che non di odiarli. *Se l'Islam è flessibile dovrebbe esserlo anche in senso migliorativo, non solo peggiorativo, giusto? *Se un maggior numero di noi sapesse che l'Islam è il prodotto di mescolanze e contaminazioni, e non uno stile di vita assolutamente originale, se comprendessimo cioè la natura ibrida della nostra cultura spirituale, saremmo più disposti ad accettare «l'altro»? ===[[Vittorio Messori]]=== *I musulmani convertirono a milioni i cristiani e cancellarono la fede in Gesù da interi paesi ma non riuscirono a convertire gli [[ebrei]]. *L'[[ebraismo]] – come è stato detto, seppure in modo un po' semplificato – è la [[religione]] della ''speranza''; il [[cristianesimo]] della ''carità''; l'islamismo della ''fede''. *Tutto intero l'Islàm, al di là di ogni scuola, non ha dimenticato un ''hadit'' di Maometto, un detto, cioè, tramandato dalla tradizione orale dei primi discepoli e considerato fonte di rivelazione accanto al Corano. Quell'''hadit'' ha conservato una parola del profeta dell'Islàm rivolta a Fatima {{NDR|sua figlia}}: «Tu sarai la padrona delle donne nel Paradiso, ''dopo'' [[Maria|Màryam]]». Una superiorità, dunque, nello stesso Cielo musulmano, di quella che i cristiani chiamano ''Regina Coeli''. [...] così che i pellegrini islamici, seppur non organizzati, non sono mai mancati a [[Fatima]] e ora vanno sempre crescendo. [...] È singolare che, in tanto parlare di ecumenismo, Maria è il «luogo» dove musulmani e cristiani (quelli, almeno, cattolici e quelli ortodossi) sono vicini più che ovunque altrove. ===[[Boualem Sansal]]=== *Come il [[cristianesimo]], l'islam ha un progetto planetario. I cristiani volevano cristianizzare tutti, compresi i cosiddetti "selvaggi", quelli che non erano nemmeno considerati esseri umani, che abitavano nelle foreste... Popolazioni che i missionari consideravano come "scimmie" eppure volevano evangelizzarli lo stesso. Per farli diventare umani. L'islam ha la stessa ambizione planetaria di fare regnare Allah sulla terra. *È una religione straordinaria o forse non è una religione, chissà se riuscirà dove la ragione per ora ha fallito. Ma è presto per dirlo, sono soltanto due secoli che Dio è morto, dobbiamo aspettare che sia stramorto per dire davvero che abbiamo imparato a vivere senza di lui, perché l'umanità nei millenni ha sempre vissuto all'ombra di qualche divinità. Il punto però è che oggi l'offerta dell'Islam ha un successo strepitoso e francamente poco comprensibile. *Il sistema islamico, come tutti i sistemi totalitari, afferra l'individuo come si fa in un computer, ne cancella la memoria per fargli il lavaggio del cervello e poi ci iscrive un nuovo software che controlla tutte le funzioni come se ne fosse il direttore spirituale. *L'islam è un'idea, la parola di Dio per i musulmani, che il sistema religioso ha socializzato attraverso la moschea, la scuola coranica e un codice giuridico (la sharia) fortemente vincolante. Spinta all'estremo, una tale organizzazione può diventare abominevole, ed è così che dinanzi all'islam moderato che non vuole forzare le coscienze si è sviluppato l'islamismo che impone senza alcuna discussione, col pretesto che Dio non tratta con le sue creature... *Nella sua guerra totale contro il mondo moderno, l'islam radicale ha dovuto adattare i suoi metodi all'ambiente, ha approfondito tutti i sistemi totalitari che sono esistiti nel XX secolo: lo stalinismo, il fascismo, il nazismo. L'islam radicale riduce a zero la capacità degli uomini di pensare, di decidere, di inventare. E li uccide nella loro responsabilità, nella loro famiglia, nella loro cultura, ne fa dei meri esecutori. ===[[Amir Taheri]]=== [[File:Amir Taheri (cropped).jpg|thumb|[[Amir Taheri]]]] *Gli schiavi formano un'ulteriore sottospecie nel sistema sociologico islamico. Ovviamente gli schiavi di religione musulmana sono superiori a quelli di diversa ubbidienza, e in entrambi i casi le donne sono considerate «un po' meno uguali», almeno secondo la giurisprudenza coranica. La schiavitù è stata ufficialmente bandita dagli stati musulmani. L'ultima ad intraprendere questo passo coraggioso è stata la Mauritania (1980), ma a tutt'oggi si calcola che vi sia una popolazione di schiavi ammontante a 250.000 individui, vale a dire il 10% del totale. Per tutto il XIX secolo, l'abolizione della schiavitù venne fieramente contrastata dai teologi islamici che la vedevano come una diretta violazione delle leggi divine. *L'intero sistema islamico consiste di cosiddetti ''Hodud'', o limiti che semplicemente non si devono oltrepassare. L'Islam non riconosce la libertà illimitata d'espressione. Chiamateli tabù, se volete, ma l'Islam considera una vasta gamma di soggetti come permanentemente chiusi. La maggior parte dei musulmani è pronta ad essere di mentalità aperta su molte cose, ma mai su qualsiasi cosa tocchi anche remotamente la loro fede. *Nella visione musulmana del mondo non c'è traccia di diritti fondamentali, almeno nell'accezione occidentale del termine, e soltanto una ristretta gerarchia di valori individuali e collettivi viene osservata. L'Islam respinge qualsiasi gerarchia di valori umani che sia basata su nozioni come razza, nazionalità o classe. Il nazionalsocialismo hitleriano, che si basava sull'asserita superiorità della razza ariana, sarebbe stato inconcepibile in Iran, e ugualmente inconcepibile sarebbe il sistema dell'apartheid come viene praticato in Sudafrica con l'appoggio della chiesa riformata olandese. Però ciò non toglie che l'Islam, respingendo così fermamente il concetto d'uguaglianza, non sia capace di sviluppare un suo proprio sistema segregazionista: infatti, sotto la legge coranica gli esseri umani vengono anzitutto divisi sulla base del sesso, e le donne non hanno gli stessi diritti dell'uomo. Gli studiosi islamici hanno scritto una quantità di volumi per dimostrare che la disparità tra uomini e donne non danneggia sostanzialmente gli interessi materiali e spirituali di queste ultime. Se ciò corrisponda o meno a verità, non è nostro compito discuterlo in questa sede; quello che ci preme invece sottolineare è il fatto che una Costituzione in cui venga stabilito che gli uomini e le donne sono uguali e che, di conseguenza, godono di uguali diritti ed opportunità, non può essere accettata dal mondo islamico. *Per i musulmani, la religione non è semplicemente parte della vita. È la vita, in realtà, che fa parte della religione. I musulmani non possono capire un concetto che non ha regole, che non ha limiti. La credenza occidentale nei diritti umani, che sembra non avere limiti, è estraneo alle tradizioni islamiche. *Poche culture tengono la parola scritta o stampata in così tanta riverenza come i musulmani, anche se la grande maggioranza è analfabeta. Quando un musulmano vuole vincere una discussione dice, «È scritto». *Oggi, per la prima volta, la mia fede - che è stata costruttrice di civiltà - s'impone come mera forza di terrore, di repressione e di distruzione. Il punto è che voi occidentali date voce solo alle tendenze peggiori. ==Voci correlate== *[[Corano]] *[[Fondamentalismo islamico]] *[[Maometto]] ==Altri progetti== {{interprogetto|w_preposizione=riguardante l'|preposizione=sull'}} [[Categoria:Fedi, tradizioni e movimenti religiosi]] [[Categoria:Islam| ]] mx0p9etspyqka44uiysg6aurq8pj7vq Leone 0 16017 1382036 1317536 2025-07-02T11:35:12Z Mariomassone 17056 1382036 wikitext text/x-wiki {{nota disambigua}} {{voce tematica}} [[File:011 The lion king Tryggve in the Serengeti National Park Photo by Giles Laurent.jpg|thumb|Un leone maschio]] Citazioni sul '''leone'''. ==Citazioni== *Anche il leone, quando sta consumando il suo pasto, è molto aggressivo, ma se non è morso dalla fame, e se ha già mangiato, è docilissimo. Quanto al carattere, non è affatto sospettoso, né ha timore di alcunché; è perfino molto giocoso e affettuoso nei confronti degli animali che sono stati allevati insieme a lui e che frequenta abitualmente. ([[Aristotele]]) *Attendo esseri più alti, più forti, più vittoriosi, più gai, che siano squadrati nel corpo e nell'anima: ''leoni ridenti'' devono venire! ([[Friedrich Nietzsche]]) *''Come per la sua preda | ruggisce il leone o il leoncello, | quando gli si raduna contro | tutta la schiera dei pastori, | e non teme le loro grida | né si preoccupa del loro chiasso, | così scenderà il Signore degli eserciti | per combattere sul monte Sion e sulla sua collina.'' (''[[Libro di Isaia]]'') *Consuma i suoi pasti con voracità e inghiotte molte cose per intero senza farle a pezzi. Poi rimane a digiuno per due o tre giorni, cosa che può fare perché si è rimpinzato oltre misura. [...] I suoi escrementi sono duri e secchi, come quelli del cane. Emette anche una flatulenza molto acre e la sua urina fa molto odore. Per questo motivo annusa gli alberi come fanno i cani. Come i cani, inoltre, urina sollevando la zampa. ([[Aristotele]]) *Dove c'è un [[circo]] c'è un leone! (''[[Madagascar 3 - Ricercati in Europa]]'') *Essendo adunque un Principe necessitato sapere bene usare la bestia, debbe di quella pigliare la [[volpe]] e il lione; perché il lione non si defende da' lacci, la volpe non si defende da' [[lupo|lupi]]. Bisogna adunque essere volpe a cognoscere i lacci, e lione a sbigottire i lupi. ([[Niccolò Machiavelli]]) *Forse è meglio essere uno sciacallo vivo che un leone morto, ma è meglio ancora essere un leone vivo. E di solito è anche più facile. ([[Robert Anson Heinlein]]) *''I leoncelli ruggiscono in cerca di preda | e chiedono a Dio il loro cibo. | Sorge il sole ed essi rientrano, | si accovacciano nelle loro tane.'' (''[[Salmi]]'') *I leoni quadrupedi si dice siano feroci soltanto sotto lo stimolo della fame; quelli bipedi sono tristi soltanto nel pericolo che la loro bramosia degli onori rimanga insoddisfatta. ([[Charles Dickens]]) *Il leone darebbe metà della sua vita per un pettine. ([[Ramón Gómez de la Serna]]) *''Il vitello e il leoncello pascoleranno insieme | e un fanciullo li guiderà.'' || [...] ''Il leone si ciberà di paglia, come il bue.'' (''[[Libro di Isaia]]'') *In una terra di predatori il leone non teme mai lo sciacallo. (''[[Dexter]]'') *La mattina dopo il re si alzò di buon'ora e sullo spuntar del giorno andò in fretta alla fossa dei leoni. Quando fu vicino, chiamò: "Daniele, servo del Dio vivente, il tuo Dio che tu servi con perseveranza ti ha potuto salvare dai leoni?". Daniele rispose: "Re, vivi per sempre. Il mio Dio ha mandato il suo angelo che ha chiuso le fauci dei leoni ed essi non mi hanno fatto alcun male, perché sono stato trovato innocente davanti a lui; ma neppure contro di te, o re, ho commesso alcun male". Il re fu pieno di gioia e comandò che Daniele fosse tirato fuori dalla fossa. Appena uscito, non si riscontrò in lui lesione alcuna, poiché egli aveva confidato nel suo Dio. Quindi, per ordine del re, fatti venire quegli uomini che avevano accusato Daniele, furono gettati nella fossa dei leoni insieme con i figli e le mogli. Non erano ancor giunti al fondo della fossa, che i leoni furono loro addosso e stritolarono tutte le loro ossa. (''[[Libro di Daniele]]'') *Maschio o femmina, la prole di un leone sarà sempre leone. (''[[Il cavaliere dalla pelle di leopardo]]'') *Non si taglia la criniera al leone mentre ruggisce, sul serio! (''[[Kim Possible (seconda stagione)|Kim Possible]]'') *Ogni mattina in [[Africa]], come sorge il sole, una [[gazzella]] si sveglia e sa che dovrà correre più del leone o verrà uccisa. Ogni mattina in Africa, come sorge il sole, un leone si sveglia e sa che dovrà correre più della gazzella o morirà di fame. Ogni mattina in Africa, come sorge il sole, non importa che tu sia leone o gazzella, l'importante è che cominci a correre.<ref>Questo aneddoto, col tempo, è diventato molto famoso nella cultura popolare probabilmente anche grazie ad uno spot della Gatorade del 1998, ad un poster motivazionale dal titolo ''The Essence of Survival'' (''L'essenza della sopravvivenza'') e al libro di [[Thomas Lauren Friedman]], ''The World Is Flat. A Brief History of the Twenty-First Century'' (''Il mondo è piatto. Breve Storia del Ventunesimo Secolo'') del 2005. In Italia l'aneddoto ha raggiunto una certa notorietà anche grazie a due sketch comici del trio [[Aldo, Giovanni & Giacomo]], riproposti nel film ''[[Così è la vita]]'' (1998) e nello spettacolo teatrale ''[[Tel chi el telùn]]'' (1999). In molti (Friedman per esempio), citando questo aneddoto, lo riportano come un [[proverbi africani|proverbio africano]] o comunque come una storia popolare africana. Stando invece ad altre fonti, questa citazione sarebbe tratta da un libro di [[Abe Gubegna]] del 1974. ''QuoteInvestigator'' invece, senza fare alcun accenno a Gubegna, scrive apertamente che la prima traccia dell'aneddoto risale al 1985, quando l'analista [[Dan Montano]] lo riportò nell'articolo ''Lions or gazelles?'', scritto per un magazine di economia. Montano tuttavia non specificò se il proverbio fosse di suo pugno o se lo avesse semplicemente riportato.</ref> *Per quanto siano grandi e possenti, i leoni ci rammentano delle bestiole che si raggomitolano sui nostri grembi e che fanno le fusa quando li accarezziamo. ([[Gregory Scott Paul]]) *Per quanto riguarda la sembianza di leone, bisogna ritenere che essa indichi il dominio, la forza, l'indomabilità e la somiglianza, nei limiti del possibile, all'arcano della divinità ineffabile. ([[Pseudo-Dionigi l'Areopagita]]) *Perché il leone dovrebbe fare posto ai babbuini? Solo perché i babbuini sono tanti? Mai! ([[Eugène Terre'Blanche]]) *Quando mai si pretenderebbe da un cigno una delle prove destinate al leone? In che modo un brano del destino di un pesce si inserirebbe nel mondo del pipistrello? Pertanto fin da bambino credo di aver pregato soltanto per la mia difficoltà, che mi fosse concessa la mia e non, per errore, quella del falegname, o del cocchiere, o del soldato, perché nella mia difficoltà voglio riconoscermi. ([[Rainer Maria Rilke]]) *Questo animale col suo tonante grido desta i sua figlioli, dopo il terzo giorno nati, aprendo a quelli tutti l'indormentati sensi: e tutte le fiere, che nella selva sono, fuggano. ([[Leonardo da Vinci]]) *Sansone scese con il padre e con la madre a Timna; quando furono giunti alle vigne di Timna, ecco un leone venirgli incontro ruggendo. Lo spirito del Signore lo investì e, senza niente in mano, squarciò il leone come si squarcia un capretto. [...] Dopo qualche tempo [...] uscì dalla strada per vedere la carcassa del leone: ecco nel corpo del leone c'era uno sciame d'api e il miele. [...] Sansone disse loro {{NDR|ai Filistei}}: "Voglio proporvi un indovinello [...]. ''Dal divoratore è uscito il cibo | e dal forte è uscito il dolce''". [...] Gli uomini della città, il settimo giorno, prima che tramontasse il sole, dissero a Sansone: "''Che c'è di più dolce del miele? | Che c'è di più forte del leone?''". (''[[Libro dei Giudici]]'') *Se le gazzelle avessero una fede e se il leone fosse il loro dio, potrebbero spontaneamente concedergli una di loro per placare la sua avidità. ([[Elias Canetti]]) *[...] se un leone è a capo di un esercito di leoni, la vittoria è assicurata. Se un leone si trova a capo di un esercito di asini, le probabilità sono cinquanta e cinquanta. Ma se un asino si trova a capo di un esercito di leoni, tanto vale rinunciare! ([[Aleksandr Ivanovič Lebed']]) *''Tre esseri hanno un portamento maestoso, | anzi quattro sono eleganti nel camminare: | il leone, il più forte degli animali, | che non indietreggia davanti a nessuno; | il gallo pettoruto e il caprone | e un re alla testa del suo popolo.'' (''[[Libro dei Proverbi]]'') *Una volta sentii allo zoo un bambino che diceva alla madre: "Il leone è cattivo". La madre, giustamente, gli rispose: "Il leone non è cattivo, è feroce". Gli animali dimostrano l'aggressività quando sono molestati. È la loro natura... non sono cattivi. Gli uomini sono cattivi. ([[Dario Argento]]) ===[[Alfred Edmund Brehm]]=== *Ad un tratto la terra treme - un leone ruggisce a breve distanza! Ora giustifica ben egli il suo nome di ''Esseb'', colui che mette sgomento, poiché un vero sgomento e la più grande costernazione si manifestano nella seriba. Le pecore, fuori di sé, vanno a dare del capo contro la siepe spinosa, le capre belano lamentevolmente, le vacche si ammucchiano confusamente, il camello per fuggire cerca d'infrangere la sua catena, e i cani più gagliardi che lottano colle iene e coi leopardi ululano lamentevolmente e si rifugiano angosciosamente implorando protezione dal padrone. [...] Con un poderoso salto quel forte supera il muro spinoso di due o tre metri per scegliersi una vittima. Un solo colpo della terribile zampa fa stramazzare una giovenca di due anni: le tremende mandibole rompono la colonna vertebrale dell'animale che tenta resistere. La belva azzanna con cupo brontolio la preda, i grandi occhi sfavillano della voluttà della vittoria e dell'ingordigia della rapina, la coda flagella l'aria. Un minuto abbandona l'animale spirante e di nuovo lo azzanna finché non si muova più. Allora s'avvia alla ritirata. *Il leone preferisce gli animali più grossi ai piccoli, sebbene non dispregi nemmeno questi, quando gli passano vicino. Si dice che talvolta si debba contentare di locuste. Tutti gli animali che vivono coll'uomo, le zebre selvatiche, e tutte le antilopi, ed il cinghiale, sono in ogni circostanza il suo principale cibo. *Non si può descrivere l'effetto prodotto dalla voce del re sopra i suoi sudditi. La iena che urlava tace all'istante, il leopardo smette di grugnire, le scimmie cominciano a brontolare forte e salgono piene di terrore sino ai più alti rami. Nel gregge belante regna un silenzio di morte; le antilopi si precipitano in sbrigliata fuga attraverso le boscaglie; il camello carico trema, non ubbidisce più al richiamo del suo conduttore, getta giù il carico, il cavaliere, e cerca la sua salvezza in una fuga frettolosa; il cavallo s'impenna, sbuffa, dilata le narici e si precipita indietro; il cane non avvezzo alla caccia guaisce e cerca un rifugio presso il padrone. [...] E l'uomo persino, che per la prima volta, nella notte della foresta vergine, ode rintonare quella voce, si domanda se sarà abbastanza audace per affrontare chi emette un simile rombo. Il medesimo senso d'angoscia prodotto dal ruggito del leone si impadronisce anche degli animali che hanno sentore della sua presenza per mezzo d'un altro senso, cioè lo fiutano senza vederlo: sanno tutti che l'avvicinarsi del leone per loro significa morte. ===[[Georges-Louis Leclerc de Buffon]]=== *I nostri lupi, e gli altri nostri animali carnivori, ben lungi d'essere suoi rivali, sarebbero appena degni d'essere i suoi provveditori. *L'esterno del leone corrisponde molto bene alle sue morali qualità: ha la figura maestosa, lo sguardo imperterrito, il portamento grave, e la voce terribile: il suo corpo non è tanto grande, come quello dell'Elefante, o del Rinoceronte; non brutto, come quello dell'Ippopotamo, o del Bue, non troppo raggruppato, come quello dell'Iena, o dell'Orso, non troppo allungato, né deforme per qualche ineguaglianza, come l'ha il Cammello; ma è anzi così ben composto, e ben proporzionato, che pare proprio il modello della forza unita all'agilità, tanto solido, quanto nervoso, non carico né di carne, né di grasso, che non contiene cosa superflua, in somma tutto nervo, e tutto muscoli. *Potrebbesi dire altresì, che il leone non è crudele, giacché non l'è mai, che per necessità, non facendo strage maggiore di quella, che può consumare, ed essendo in piena pace quand'è satollo, laddove la tigre, il lupo, e tanti altri animali di specie inferiore, come a dire, la volpe, la faina, la puzzola, il furetto ec., ammazzano unicamente pel piacere d'ammazzare, e par che le loro numerose stragi servan più a saziarne il feroce talento, che la fame. ===[[Louis Figuier]]=== *Il Leone sa tutto ciò che può temere dall'uomo; quindi lo tratta con rispetto, e non si arrischia ad aggredirlo che quando è alle strette, a meno che questo non l'abbia provocato sul serio. E, anche in quest'ultimo caso, si allontana talora dall'uomo che l'ha ferito. Numerose testimonianze attestano questo fatto. *L'audacia del Leone aumenta coi suoi bisogni. Allorché ha esaurito ogni mezzo facile di procurarsi il nutrimento, ed è affamato all'estremo, non ha più nessuna paura, va incontro ad ogni pericolo, per non morire d'inedia. *Se si deve badare soltanto all'impressione che produce sopra di noi l'aspetto del Leone, bisogna confessare che esso non ha usurpato il titolo di ''re degli animali'', che gli fu dato fin dai tempi più antichi. Porta alto il capo, e procede con tale lentezza che si potrebbe scambiare per gravità; la sua fisionomia tranquilla e dignitosa, dimostra che egli conosce la sua forza. La fitta e magnifica criniera che gli ombreggia il capo e il collo aggiunse ancora al suo aspetto un certo piglio maestoso che incute rispetto. ===[[Luke Hunter]]=== [[File:7 lions.jpg|thumb|Gruppo di leonesse]] *In habitat di savana aperti, uccidere una preda grande comporta diversi svantaggi: non la si può consumare rapidamente, è difficile da nascondere ed è alla mercé dei concorrenti. I Leoni si sono evoluti parallelamente a tre grandi tigri dai denti a sciabola e ad almeno due grandi specie di iene, tutti grandi carnivori che sarebbero stati in grado di imporsi su una Leonessa impegnata a difendere una preda da sola. In un ambiente così altamente competitivo, è meglio condividere il bottino con parenti disposti ad aiutare a difenderlo.<br>Ironia della sorte, la difesa di gruppo dei bottini di caccia comportò una nuova sfida per la Leonessa ancestrale: un gruppo di femmine rappresenta una risorsa estremamente attraente per i maschi e, proprio come le carcasse di grandi prede, in habitat aperti può richiamare attenzioni indesiderate. L'emergere della socialità nei Leoni, poi, aumentò anche il rischio di infanticidio. Unirsi in gruppi permise alle femmine di difendere meglio anche i cuccioli da maschi estranei. L'evoluzione del branco sembra dunque la risposta del Leone a una competizione serrata sui cuccioli e sulle prede catturate, e presumibilmente non si verificò in altri felidi perché non supportata dalla stessa combinazione di pressioni selettiva e opportunità ecologica. *La [[Tigre]] è il più grande felide esistente, benché con uno stretto margine: il Leone è infatti molto simile in tutte le misure e ha perfino un cranio mediamente più lungo, ma le Tigri più grandi sono leggermente più lunghe e pesanti rispetto ai Leoni più grandi. *Un Leone adulto è in grado di sopraffare da solo prede molto più grandi di lui, e in branco può uccidere praticamente tutto ciò che incontra; solo elefanti maschi sani e maturi sono invulnerabili alla sua predazione. Nella dieta dei Leoni sono stati registrati da insetti fino a carcasse di balene spiaggiate, ma le popolazioni non possono sopravvivere senza grandi erbivori del peso di 60-550 kg. ===[[Plutarco]]=== *Il leone cammina sempre tenendo le zampe strette verso l'interno e con gli artigli ritratti per non smussare le punte a furia di sfregarle e per non lasciare tracce visibili ai suoi inseguitori. Non è facile, infatti, trovare le impronte degli artigli del leone, e chi si imbatte in esse le trova piccole e confuse, e per questo motivo comincia a girare a vuoto e si perde. *Per il resto, i comportamenti dei leoni non sono da meno quanto a socialità. Gli esemplari più giovani, infatti, portano con sé, a caccia, i compagni che sono ormai divenuti lenti e anziani. Qualora questi dovessero soccombere alla fatica, si fermano e si mettono ad aspettare, mentre i più giovani continuano a cacciare. Se prendono una preda, allora li chiamano, emettendo un verso simile al muggito di un giovane toro. I leoni anziani lo sentono e avvicinandosi ai compagni consumano insieme la preda. *Quanto a forza e coraggio, [[leopardo|pantere]] e leonesse non sono in nulla da meno rispetto ai loro maschi. ===''[[Shāh-Nāmeh]]''=== *''Chi non anche è sazio | Del viver suo, non va contro a' leoni | Feroci e biechi.'' *''Dicono i saggi | Che ove a nutrir ti provi un leoncello, | Aspro compenso avrai quando la punta | Fuor metterà de' primi denti; e quando | Si leverà col suo robusto artiglio, | Con la sua forza, assalirà l'incauto | Che l'allevò.'' *''Se forte ed animoso | Diventa un leoncello, oh! non è questo | Meraviglia o stupore. Un sacerdote | Memore e saggio prendesi talvolta | Un leoncello, germe di leone, | Digiuno ancor di latte, e il mena poi | Alla gente nel mezzo. Oh! ma s'ei mette | I primi denti suoi, ratto fia vinto | Dal vigor suo tremendo. E ben che il latte | Ei non gustò de la materna poppa, | Alla natura del suo fero padre | Perfettamente egli farà ritorno.'' ===[[William Shakespeare]]=== *Il sangue e il coraggio s'infiammano di più a risvegliar un leone, che a dar la caccia a un timido [[daino]]. (''Enrico IV'', Hotspur, parte I, atto I, scena III) *Non son forse dei mostri quelli che fanno voce da leone, ma sanno solo agire da conigli? (''Troilo e Cressida'', Cressida, atto III, scena II) *Può ben dire la sua un leone, quando a dir la loro ci sono tanti [[asino|asini]] in giro. (''Sogno di una notte di mezza estate'', Demetrio: atto V, scena I) *Tu hai innato in te il vizio della pietà che meglio che ad un uomo s'addice ad un leone. (''Troilo e Cressida'', Troilo, atto V, scena III) ==Proverbi== *Non bisogna allevare in città un cucciolo di leone. ([[Proverbi greci antichi|Greco antico]]) ===[[Proverbi africani|Africani]]=== *Ciò che si dice vicino alla coda di un leone morto, non lo si dice quando il leone è vivo. ([[Proverbi ivoriani|ivoriano]]) *Colui che ha visto il leone ruggire non corre allo stesso modo di chi lo ha soltanto sentito. *È meglio essere l'ultimo fra i leoni che il primo fra gli [[sciacallo|sciacalli]]. *Quando il leone invecchia, persino le mosche osano attaccarlo. ([[Proverbi tanzaniani|tanzaniano]]) *Un piccolo leone è meglio di un paniere pieno di [[gatto|gatti]]. ===[[Proverbi italiani|Italiani]]=== *Chi piglia leone in assenza, teme la [[talpa]] in presenza. *È meglio un leone che mille [[Mosca (zoologia)|mosche]]. *Il [[merlo]] ingrassa in [[gabbia]], il leone muore di rabbia. ====[[Proverbi toscani|Toscani]]==== *Al leone sta bene la quartana. *Dove non basta la pelle del leone, bisogna attaccarvi quella della [[volpe]]. *È meglio esser capo di gatto che coda di leone. *Il leone ebbe bisogno del [[topo]]. *La [[capra]] non contrasta col leone. ==Note== <references /> ==Voci correlate== *[[Leonessa]] *[[Leone asiatico]] *[[Leone e leopardo]] *[[Tigre e leone]] ==Altri progetti== {{interprogetto|etichetta=''Panthera leo''|wikt|preposizione=sulla specie|wikt_etichetta=leone|w_preposizione=riguardante il|w_etichetta=leone}} [[Categoria:Fauna africana]] [[Categoria:Panterini]] oe777k57qioy3p6fi3nw09n8iq98im2 Corrado Carnevale 0 24321 1381957 1116629 2025-07-01T20:55:37Z ~2025-110542 103361 /* Citazioni su Corrado Carnevale */ Sistemo la citazione di Montanelli 1381957 wikitext text/x-wiki '''Corrado Carnevale''' (1930 – vivente), magistrato italiano. ==Citazioni di Corrado Carnevale== *A me [[Giovanni Falcone|Falcone]] non è mai piaciuto per la verità. (dall'intercettazione telefonica del 20 dicembre 1993<ref name=cors>Citato in ''[https://web.archive.org/web/20160101000000/http://archiviostorico.corriere.it/1995/gennaio/21/Falcone_fango_Carnevale_co_0_9501211957.shtml Su Falcone il fango di Carnevale]'', ''Corriere della Sera'', 21 gennaio 1995.</ref>) *{{NDR|Riferendosi a [[Giovanni Falcone]] e [[Paolo Borsellino]]}} Il Csm perché non va a vedere le istruttorie fatte dai due Dioscuri, per vederne il livello di professionalità? (dall'intercettazione telefonica del 20 dicembre 1993<ref name=cors/>) *I motivi per cui me ne sono andato non sono per la pressione di quel cretino di [[Giovanni Falcone|Falcone]], perché i morti li rispetto... certi morti no. (dall'intercettazione telefonica dell'8 marzo 1994<ref name=cors/>) *La [[Costituzione della Repubblica Italiana|Costituzione]] vuole il magistrato in toga e non in divisa [...]. Io sono un giudice e mi rifiuto di essere un combattente anche contro la mafia, il mio compito non è quello di lottare.<ref>Citato in ''[http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2001/06/30/il-supergiudice-sbotto-falcone-era-un.html E il supergiudice sbottò Falcone? Era un cretino]'', ''la Repubblica'', 30 giugno 2001.</ref> *{{NDR|Riferendosi al Ministro dell'Interno [[Antonio Brancaccio]]}} 'St'animale... è un delinquente. (dall'intercettazione telefonica del 9 marzo 1994<ref name=cors/>) ==Citazioni su Corrado Carnevale== *Carnevale [...] ha dichiarato in un'intervista [...] che la notte non ha bisogno di sonniferi perché, nei confronti della Legge, la sua coscienza è a posto. Ci crediamo senz'altro. Ma se si ponesse la stessa domanda nei confronti della Giustizia, mi domando se i suoi sonni sarebbero altrettanto tranquilli. E tuttavia ci rendiamo conto che questa domanda non se la porrà mai, e anzi gli sembrerà del tutto stravagante. Perché, per un magistrato italiano, la Legge con la Giustizia non ha nulla a che fare. ([[Indro Montanelli]]) *Gli dissi {{NDR|a [[Giovanni Falcone]]}} che i mafiosi erano preoccupati perché non c'era più Carnevale. Carnevale era la nostra roccaforte in Cassazione. È incredibile che faccia ancora il giudice. ([[Gaspare Mutolo]]) *{{NDR|Sulla condanna del giudice, poi ribaltata in seguito}} Un'esecuzione, una condanna ignobile, un momento di trionfo del neofascismo etico di sinistra. ([[Marco Pannella]]) ==Note== <references/> ==Altri progetti== {{Interprogetto}} {{DEFAULTSORT:Carnevale, Corrado}} [[Categoria:Magistrati italiani]] fzha6713andim11ly8xaheapl014n1e Adriano Tilgher 0 39936 1381904 1381848 2025-07-01T13:16:24Z Gaux 18878 /* Citazioni */ Friedrich Dessauer 1381904 wikitext text/x-wiki [[File:Adriano-tilgher filosofa.jpg|thumb|Adriano Tilgher]] '''Adriano Tilgher''' (1887 – 1941), filosofo e saggista italiano. ==Citazioni di Adriano Tilgher== *Fra i tanti [[Luigi Pirandello|Pirandello]] che vanno in giro da un pezzo al mondo della critica letteraria internazionale, zoppi, deformi, tutti testa e niente, strambalati, sgarbati, lunatici, nei quali io, per quanto mi sforzi, non riesco a riconoscermi per un minimo tratto.<ref>Citato in Domenico Vittorini, prefazione al ''Dramma di Pirandello''.</ref> *{{NDR|Nel 1860, a Napoli, dopo il Plebiscito}} I partigiani del ''Begriff''<ref>Gli hegeliani.</ref> essendo più giovani, avevano più spesso il di sopra in questi filosofici tornei<ref>Contro i giobertiani.</ref>. Onde divennero in breve il terrore dei proprietari di caffè delle Puglie e della Calabria, che al vederli avvicinarsi gridavano ai garzoni: ''Chiudite, ca stanno venenno 'e Begriffe!'' Nacque così il termine di Begriffo per indicare i fedeli e i fanatici del dio ''Begriff''.<ref>Citato in [[Giovanni Artieri]], ''Napoli, punto e basta?'', p. 257.</ref> *In Italia pare si voglia insistere a seguire la falsariga di qualche critico che ha creduto di scoprire nelle mie cose un contenuto filosofico, che non c'è, vi garantisco che non c'è.<ref>Citato in ''Il teatro di Pirandello'', introduzione pag. XXVI, VII ristampa Oscar Mondadori, gennaio 1976.</ref> *Io mostravo che tutto il mondo pirandelliano faceva centro intorno a una visione della Vita come forza travagliata da un'intera antinomia per la quale la Vita è, insieme, necessitata a darsi forma e, per uguale necessità, non può consistere in nessuna forma, ma deve passare di forma in forma. È la famosa, o famigerata, antitesi di Vita e Forma, ''problema centrale dell'arte pirandelliana''.<ref>Da ''Studi sul teatro contemporaneo'', 1922.</ref> *[[Étienne-Gabriel Morelly|Morelly]] pone come principio che l'interesse particolare, il «desiderio d'avere», l'avarizia è la fonte di tutti i mali sociali. A chi obietta che l'interesse personale è lo stimolante necessario dell'energia umana, Morelly risponde che l'uomo è un essere naturalmente attivo, che non ripugna affatto al lavoro in quanto tale, ma solo al lavoro monotono e prolungato. Sono le istituzioni arbitrarie le quali pretendono di fissare per alcuni uomini soltanto uno stato permanente di riposo detto prosperità, fortuna, lasciando agli altri in permanente retaggio il lavoro, la fatica, che generano la pigrizia e l'odio al lavoro. È la cattiva costituzione sociale che ha prodotto negli uni l'ozio e la mollezza, negli altri l'aborrimento dal lavoro forzato. Ma di per sé il lavoro non ha nulla di {{sic|repugnante}}, è, anzi, piacevole, attraente.<ref>Da ''[https://archive.org/details/TilgherHomoFaber/mode/1up Homo faber]'', Libreria di scienze e lettere, Roma, 1929, cap. XIII, pp. 94-95.</ref> *Nei regimi di [[libertà]], essendoci libertà di parola e di critica, è naturale che il pubblico se ne serva, più che per lodare, per criticare e lamentarsi: di qui l'apparenza che in quei regimi tutto vada male.<ref>Citato in Luigi Vicinanza, [https://napoli.repubblica.it/cronaca/2021/11/02/news/adriano_tilgher_un_libertario_da_ercolano-324761779/ ''Adriano Tilgher, un libertario da Ercolano''], ''repubblica.it'', 2 novembre 2021.</ref> *Temperamento pugnace e individualistico, «poeta maledetto» della filosofia, amatore di tutte le cause perdute, [[Giuseppe Rensi|Rensi]] è di quelli cui piace dire di no alla scuola dominante e di starsene coi vinti, salvo, quando siano divenuti vincitori, a piantarli in asso e a passare al campo opposto. Ove si dia alla parola idealista il senso che ha nel discorso comune e corrente, questo sedicente scettico e materialista è il filosofo più idealista che abbia oggi l'Italia. E poiché in Italia la scuola filosofica dominante, in teoria e in pratica, era ed è tutt'ora l'[[Idealismo (filosofia)|Idealismo]], Rensi ha detto di no all'Idealismo, e la sua negazione ha accompagnato fedelmente tutte le metamorfosi che l'Idealismo ha subìto da noi negli ultimi anni. Perciò non aveva tutti i torti chi, scherzando, chiamava Rensi il Bastian {{sic|Contraro}} della filosofia idealistica.<ref>Da ''[https://archive.org/details/tilgher-filosofi-moralisti-del-novecento/mode/1up Filosofi e moralisti del Novecento]'', Libreria di scienze e lettere, Roma, 1932, cap. XXVIII, p. 287.</ref> ==''Mistiche nuove e mistiche antiche''== ===[[Incipit]]=== Problema grosso e dibattutissimo quello dei rapporti fra [[magia]] e [[religione]] e della priorità cronologica di quella su questa o viceversa, da quando [[James George Frazer|James Frazer]] lo mise all'ordine del giorno. La soluzione di esso in un senso piuttosto che in un altro involge una visione affatto differente dell'uomo e della sua storia.<br>Le tesi di Frazer sono note. Secondo lui, a base della magia è una convinzione identica a quella che è a base della [[scienza]] moderna: la convinzione nell'uniformità del corso della natura. Come lo scienziato, così il mago, per raggiungere il risultato cui mira, non supplica né implora le potenze invisibili; ma agisce ed opera secondo regole strette e precise a cui egli è sicuro che le potenze invisibili saranno costrette ad ubbidire, così come lo scienziato è sicuro che, poste certe condizioni, le forze della natura ch'egli mette in movimento non potranno non agire come egli vuole. <!-- (cap. I, p. 15) --> ===Citazioni=== *Uno di questi fondatori di religione fu [[Auguste Comte|Augusto Comte]]. La religione ch'egli propose è la religione dell'umanità o [[positivismo]]: termini, per Comte, equivalenti.<br>Comte era profondamente persuaso di due cose: 1) che senza religione una società non può assolutamente vivere; 2) che nell'età della scienza l'umanità non può credere alle stesse cose cui ha creduto nelle antiche età teologali e metafisiche. Bisognava perciò mettere d'accordo ciò che l'uomo oggi pensa con quello che può credere. (cap. V, p. 39) *La religione dell'umanità {{NDR|di Comte}}, dopo aver vissuto di vita pallida e larvale, si può considerare oggi morta, anche praticamente. Qualche anno la, trovandomi a Parigi, ne andai a visitare i luoghi santi: l'apportamento di Comte e quello della sua ispiratrice [[Clotilde de Vaux]]<ref>[[w:Clotilde de Vaux|Clotilde de Vaux]] (1815-1846), scrittrice e poetessa francese.</ref>. E lì appresi, non senza malinconia, che la chiesa positivista non disponeva più nemmeno di un locale, e doveva contentarsi di un angolo di una stanza affittata in comune con altre religioni poco fortunate come lei. E forse all'ora in cui scrivo avrà dovuto rinunziare anche a quello. Le ragioni della sua stentata vita e precoce morte son chiare: da una parte, la sua pratica accaparra il fedele e non gli lascia il tempo di respirare (si pensi che Comte imponeva fino a cinque ore al giorno di preghiera); dall'altra, la coscienza che gli dà, che gli oggetti del suo culto sono miti senza realtà oggettiva, stronca alle radici l'impulso religioso, per essenza sua (checché Comte credesse in contrario) oggettivistico. È una religione troppo mitica per essere laica e, insieme, troppo intellettuale per essere religione. (cap. V, pp. 42-43) *{{NDR|[[Friedrich Dessauer]]}} Egli è un vero mistico della Tecnica. E se una qualche novità c’è nel suo libro, non è tanto per il concetto della Tecnica come continazione e prolungamento dell’opera divina, come Demiurgia (concetto già formulato con tutta la chiarezza possibile e desiderabile da tutta una serie di filosofi da Marsilio Ficino giù giù fino a Bergson, come si può leggere nel mio ''Homo Faber'') quanto piuttosto nella intensità emotiva con cui quel concetto è vissuto dal nostro Autore. Concetto, del resto, giustissimo. Con la Tecnica l’uomo si fa creatore di qualità, di forme, di processi, di realtà, che non erano dati dalla Natura. ''Eritis sicut Dii!'' (cap. VIII, p. 67) *Tra [[Comunismo]] e [[Cristianesimo]] il rapporto che corre è – come i più credono, come le Chiese organizzate affermano – quello di diametrale antitesi, di radicalissima opposizione? O – come alcuni gruppi di giovani cristiani all'estero sostengono – sotto la superficiale opposizione c'è un piano sul quale le due visioni del mondo e della vita possono intendersi e darsi la mano? Il problema è di capitalissima importanza, ma, per risolverlo bene, bisogna risalire alle fondazioni stesse metafisiche delle due dottrine. (cap. IX, p. 72) *Il Cristianesimo [...] comincia dove il Comunismo finisce, e viceversa. Il Cristianesimo va dall'individuo alla società; il Comunismo dalla società all'individuo. (cap. IX, p. 73) *È una delle più belle conquiste della critica storica del nostro tempo quella del significato che per la storia religiosa e morale dell'umanità d'Occidente ebbe la predicazione di [[Zarathustra|{{sic|Zaratustra}}]]. Fu infatti a contatto della religione di Zaratustra che la [[Ebraismo|religione ebraica]] anteriore all'esilio di Babilonia si trasformò nella religione messianica e apocalittica posteriore all'esilio, dalla quale sbocciò poi il Cristianesimo. Fu, a quel che pare, sotto l'influsso della religione di Zaratustra che la religione olimpica dei Greci s'impregnò di preoccupazioni morali ed entrò in una fermentazione dalla quale, ipotesi audace ma non avventata di qualche moderno, fiorì la tragedia greca di [[Eschilo]]. Per queste e per altre ragioni ancora, la critica storica moderna sempre più concorda nel riconoscere in Zaratustra uno dei più alti, originali e possenti creatori di valori religiosi, morali e civili. (cap. XIII, p. 104) ==''Studi sul teatro contemporaneo''== ===[[Incipit]]=== Che l'arte sia, a suo modo, armonizzazione, organizzazione, sintesi, e cioè creazione e attività, è un punto sul quale è oggi raggiunto l'accordo. Ma quanti hanno pensato a fondo e interiormente realizzato tutto ciò che la definizione omai, a furia di essere ripetuta, trita e banale, arte=creazione, attività contiene? Ben pochi di sicuro. Se arte è attività e creazione, cioè produzione di sintesi non preesistente all'atto della sua produzione, segue che tanto v'ha d'arte in un'opera che d'arte vuol essere detta, quanto di originalità o novità: ciò che in essa v'ha di nuovo, di non originale, di vecchio, d'imitato o ispirato, consciamente o inconsciamente, da altre opere d'arte, corrisponde a momenti non di creazione ma di recezione, non di attività ma di passività, e perciò non è arte. ===Citazioni=== *Dà forma artistica alla [[Vita]] del tuo tempo, al tuo [[presente]]; vivi come presente in atto ed esprimilo artisticamente; sperimenta la Vita come presente, come informe, come [[problema]] e trovane la soluzione; vivi e risolvi i problemi del tuo tempo. (pp. 12-13) *Ciò che fa [[artista]] l'artista non è lo sperimentare in sé i problemi come tali, ma il risolverli artisticamente. (p. 14) *Più un'[[opera d'arte]] è profonda originale intensa, e più nella parola liberatrice e chiarificatrice che essa pronuncia tendono a risolversi ed annullarsi idealmente le opere d'arte sue contemporanee di profondità e ampiezza minori. (p. 20) *Quali cose umane non sono esposte al pericolo della degenerazione? I [[Critico|critici]] dei critici vi porranno riparo. (p. 34) *Il valore dell'opera d'arte è tutto e solo nella sua forma, nella sua espressione, nel suo stile, e cioè nella peculiarità intensità profondità vastità della sintesi che la costituisce. (p. 34) *Niente diviene vecchio se non ciò che nacque vecchio. Ciò che nacque nuovo in eterno resta tale. (p. 34) *Il [[critico]] dovrebbe, per poter dare un giudizio definitivo, rifare il corso del mondo sino all'opera d'arte da giudicare, in due parole, essere uguale a Dio. (p. 39) *L'opera d'arte è una sintesi o un sistema di sintesi che nacquero vergini nuove originali: creazioni di rapporti non preesistenti come tali all'atto della loro creazione. Ma l'opera d'arte nata una volta entra nella circolazione del pensiero: è letta, studiata, imitata, copiata, ripetuta, sfruttata, saccheggiata. Con l'andare del tempo, le sintesiche la costituiscono come opera d'arte perdono l'aria di novità di originalità d'imprevisto che avevano nell'ora del loro primo apparire (pp. 40-41) *Secondo [[Benedetto Croce|Croce]], nessun sostanziale e intimo rapporto rilega l'opera d'arte al proprio tempo. In quanto prodotto di una personalità estetica, l'opera d'arte è fuori del suo tempo e di tutti i tempi. Non si può fare [[storia dell'arte]] perché, essendo fuori del tempo, l'arte è fuori della storia. La critica deve contentarsi di saggi sparsi, di monografie isolate, consacrate ciascuna a delineare le caratteristiche e la genesi di una personalità estetica. (p. 45) ==Citazioni su Adriano Tilgher== *Come una grida improvvisa della strada, un profumo repentino e dissolto o un'ombra o una luce sull'alto di un cornicione, o il trascorrere di certe velature sul paesaggio di Napoli primaverile, così il pensiero di Tilgher e le sue intuizioni nascono, balenano, scompaiono; lasciandoci dietro, spesso, qualche preziosa scoria di contraddizioni, di incongruenze, di idee sofferte o superate o, come diceva [[Benedetto Croce|Croce]] del modo di ragionare di [[Enrico De Nicola|Enrico de Nicola]], di idee consunte da una critica dall'interno, logorate dal loro stesso acido.<br>È proprio in questo che Tilgher ci appare un vero napoletano. ([[Giovanni Artieri]]) ==Note== <references /> ==Bibliografia== *Adriano Tilgher, ''[https://archive.org/details/TilgherMisticheNuove/mode/1up Mistiche nuove e mistiche antiche]'', G. Bardi Editore, Roma, 1946. *Adriano Tilgher, ''Studi sul teatro contemporaneo'', BiblioLife, LLC. ==Altri progetti== {{interprogetto}} {{DEFAULTSORT:Tilgher, Adriano}} [[Categoria:Critici teatrali italiani]] [[Categoria:Filosofi italiani]] [[Categoria:Saggisti italiani]] 59us24tpk9egi9ysqp69ty1cee4uhzk 1381905 1381904 2025-07-01T13:22:27Z Gaux 18878 /* Citazioni */ wlink 1381905 wikitext text/x-wiki [[File:Adriano-tilgher filosofa.jpg|thumb|Adriano Tilgher]] '''Adriano Tilgher''' (1887 – 1941), filosofo e saggista italiano. ==Citazioni di Adriano Tilgher== *Fra i tanti [[Luigi Pirandello|Pirandello]] che vanno in giro da un pezzo al mondo della critica letteraria internazionale, zoppi, deformi, tutti testa e niente, strambalati, sgarbati, lunatici, nei quali io, per quanto mi sforzi, non riesco a riconoscermi per un minimo tratto.<ref>Citato in Domenico Vittorini, prefazione al ''Dramma di Pirandello''.</ref> *{{NDR|Nel 1860, a Napoli, dopo il Plebiscito}} I partigiani del ''Begriff''<ref>Gli hegeliani.</ref> essendo più giovani, avevano più spesso il di sopra in questi filosofici tornei<ref>Contro i giobertiani.</ref>. Onde divennero in breve il terrore dei proprietari di caffè delle Puglie e della Calabria, che al vederli avvicinarsi gridavano ai garzoni: ''Chiudite, ca stanno venenno 'e Begriffe!'' Nacque così il termine di Begriffo per indicare i fedeli e i fanatici del dio ''Begriff''.<ref>Citato in [[Giovanni Artieri]], ''Napoli, punto e basta?'', p. 257.</ref> *In Italia pare si voglia insistere a seguire la falsariga di qualche critico che ha creduto di scoprire nelle mie cose un contenuto filosofico, che non c'è, vi garantisco che non c'è.<ref>Citato in ''Il teatro di Pirandello'', introduzione pag. XXVI, VII ristampa Oscar Mondadori, gennaio 1976.</ref> *Io mostravo che tutto il mondo pirandelliano faceva centro intorno a una visione della Vita come forza travagliata da un'intera antinomia per la quale la Vita è, insieme, necessitata a darsi forma e, per uguale necessità, non può consistere in nessuna forma, ma deve passare di forma in forma. È la famosa, o famigerata, antitesi di Vita e Forma, ''problema centrale dell'arte pirandelliana''.<ref>Da ''Studi sul teatro contemporaneo'', 1922.</ref> *[[Étienne-Gabriel Morelly|Morelly]] pone come principio che l'interesse particolare, il «desiderio d'avere», l'avarizia è la fonte di tutti i mali sociali. A chi obietta che l'interesse personale è lo stimolante necessario dell'energia umana, Morelly risponde che l'uomo è un essere naturalmente attivo, che non ripugna affatto al lavoro in quanto tale, ma solo al lavoro monotono e prolungato. Sono le istituzioni arbitrarie le quali pretendono di fissare per alcuni uomini soltanto uno stato permanente di riposo detto prosperità, fortuna, lasciando agli altri in permanente retaggio il lavoro, la fatica, che generano la pigrizia e l'odio al lavoro. È la cattiva costituzione sociale che ha prodotto negli uni l'ozio e la mollezza, negli altri l'aborrimento dal lavoro forzato. Ma di per sé il lavoro non ha nulla di {{sic|repugnante}}, è, anzi, piacevole, attraente.<ref>Da ''[https://archive.org/details/TilgherHomoFaber/mode/1up Homo faber]'', Libreria di scienze e lettere, Roma, 1929, cap. XIII, pp. 94-95.</ref> *Nei regimi di [[libertà]], essendoci libertà di parola e di critica, è naturale che il pubblico se ne serva, più che per lodare, per criticare e lamentarsi: di qui l'apparenza che in quei regimi tutto vada male.<ref>Citato in Luigi Vicinanza, [https://napoli.repubblica.it/cronaca/2021/11/02/news/adriano_tilgher_un_libertario_da_ercolano-324761779/ ''Adriano Tilgher, un libertario da Ercolano''], ''repubblica.it'', 2 novembre 2021.</ref> *Temperamento pugnace e individualistico, «poeta maledetto» della filosofia, amatore di tutte le cause perdute, [[Giuseppe Rensi|Rensi]] è di quelli cui piace dire di no alla scuola dominante e di starsene coi vinti, salvo, quando siano divenuti vincitori, a piantarli in asso e a passare al campo opposto. Ove si dia alla parola idealista il senso che ha nel discorso comune e corrente, questo sedicente scettico e materialista è il filosofo più idealista che abbia oggi l'Italia. E poiché in Italia la scuola filosofica dominante, in teoria e in pratica, era ed è tutt'ora l'[[Idealismo (filosofia)|Idealismo]], Rensi ha detto di no all'Idealismo, e la sua negazione ha accompagnato fedelmente tutte le metamorfosi che l'Idealismo ha subìto da noi negli ultimi anni. Perciò non aveva tutti i torti chi, scherzando, chiamava Rensi il Bastian {{sic|Contraro}} della filosofia idealistica.<ref>Da ''[https://archive.org/details/tilgher-filosofi-moralisti-del-novecento/mode/1up Filosofi e moralisti del Novecento]'', Libreria di scienze e lettere, Roma, 1932, cap. XXVIII, p. 287.</ref> ==''Mistiche nuove e mistiche antiche''== ===[[Incipit]]=== Problema grosso e dibattutissimo quello dei rapporti fra [[magia]] e [[religione]] e della priorità cronologica di quella su questa o viceversa, da quando [[James George Frazer|James Frazer]] lo mise all'ordine del giorno. La soluzione di esso in un senso piuttosto che in un altro involge una visione affatto differente dell'uomo e della sua storia.<br>Le tesi di Frazer sono note. Secondo lui, a base della magia è una convinzione identica a quella che è a base della [[scienza]] moderna: la convinzione nell'uniformità del corso della natura. Come lo scienziato, così il mago, per raggiungere il risultato cui mira, non supplica né implora le potenze invisibili; ma agisce ed opera secondo regole strette e precise a cui egli è sicuro che le potenze invisibili saranno costrette ad ubbidire, così come lo scienziato è sicuro che, poste certe condizioni, le forze della natura ch'egli mette in movimento non potranno non agire come egli vuole. <!-- (cap. I, p. 15) --> ===Citazioni=== *Uno di questi fondatori di religione fu [[Auguste Comte|Augusto Comte]]. La religione ch'egli propose è la religione dell'umanità o [[positivismo]]: termini, per Comte, equivalenti.<br>Comte era profondamente persuaso di due cose: 1) che senza religione una società non può assolutamente vivere; 2) che nell'età della scienza l'umanità non può credere alle stesse cose cui ha creduto nelle antiche età teologali e metafisiche. Bisognava perciò mettere d'accordo ciò che l'uomo oggi pensa con quello che può credere. (cap. V, p. 39) *La religione dell'umanità {{NDR|di Comte}}, dopo aver vissuto di vita pallida e larvale, si può considerare oggi morta, anche praticamente. Qualche anno la, trovandomi a Parigi, ne andai a visitare i luoghi santi: l'apportamento di Comte e quello della sua ispiratrice [[Clotilde de Vaux]]<ref>[[w:Clotilde de Vaux|Clotilde de Vaux]] (1815-1846), scrittrice e poetessa francese.</ref>. E lì appresi, non senza malinconia, che la chiesa positivista non disponeva più nemmeno di un locale, e doveva contentarsi di un angolo di una stanza affittata in comune con altre religioni poco fortunate come lei. E forse all'ora in cui scrivo avrà dovuto rinunziare anche a quello. Le ragioni della sua stentata vita e precoce morte son chiare: da una parte, la sua pratica accaparra il fedele e non gli lascia il tempo di respirare (si pensi che Comte imponeva fino a cinque ore al giorno di preghiera); dall'altra, la coscienza che gli dà, che gli oggetti del suo culto sono miti senza realtà oggettiva, stronca alle radici l'impulso religioso, per essenza sua (checché Comte credesse in contrario) oggettivistico. È una religione troppo mitica per essere laica e, insieme, troppo intellettuale per essere religione. (cap. V, pp. 42-43) *{{NDR|[[Friedrich Dessauer]]}} Egli è un vero mistico della [[Tecnica]]. E se una qualche novità c’è nel suo libro, non è tanto per il concetto della Tecnica come continuazione e prolungamento dell’opera divina, come Demiurgia (concetto già formulato con tutta la chiarezza possibile e desiderabile da tutta una serie di filosofi da [[Marsilio Ficino]] giù giù fino a [[Henri Bergson|Bergson]], come si può leggere nel mio ''Homo Faber'') quanto piuttosto nella intensità emotiva con cui quel concetto è vissuto dal nostro Autore. Concetto, del resto, giustissimo. Con la Tecnica l’uomo si fa creatore di qualità, di forme, di processi, di realtà, che non erano dati dalla Natura. ''Eritis sicut Dii!'' (cap. VIII, p. 67) *Tra [[Comunismo]] e [[Cristianesimo]] il rapporto che corre è – come i più credono, come le Chiese organizzate affermano – quello di diametrale antitesi, di radicalissima opposizione? O – come alcuni gruppi di giovani cristiani all'estero sostengono – sotto la superficiale opposizione c'è un piano sul quale le due visioni del mondo e della vita possono intendersi e darsi la mano? Il problema è di capitalissima importanza, ma, per risolverlo bene, bisogna risalire alle fondazioni stesse metafisiche delle due dottrine. (cap. IX, p. 72) *Il Cristianesimo [...] comincia dove il Comunismo finisce, e viceversa. Il Cristianesimo va dall'individuo alla società; il Comunismo dalla società all'individuo. (cap. IX, p. 73) *È una delle più belle conquiste della critica storica del nostro tempo quella del significato che per la storia religiosa e morale dell'umanità d'Occidente ebbe la predicazione di [[Zarathustra|{{sic|Zaratustra}}]]. Fu infatti a contatto della religione di Zaratustra che la [[Ebraismo|religione ebraica]] anteriore all'esilio di Babilonia si trasformò nella religione messianica e apocalittica posteriore all'esilio, dalla quale sbocciò poi il Cristianesimo. Fu, a quel che pare, sotto l'influsso della religione di Zaratustra che la religione olimpica dei Greci s'impregnò di preoccupazioni morali ed entrò in una fermentazione dalla quale, ipotesi audace ma non avventata di qualche moderno, fiorì la tragedia greca di [[Eschilo]]. Per queste e per altre ragioni ancora, la critica storica moderna sempre più concorda nel riconoscere in Zaratustra uno dei più alti, originali e possenti creatori di valori religiosi, morali e civili. (cap. XIII, p. 104) ==''Studi sul teatro contemporaneo''== ===[[Incipit]]=== Che l'arte sia, a suo modo, armonizzazione, organizzazione, sintesi, e cioè creazione e attività, è un punto sul quale è oggi raggiunto l'accordo. Ma quanti hanno pensato a fondo e interiormente realizzato tutto ciò che la definizione omai, a furia di essere ripetuta, trita e banale, arte=creazione, attività contiene? Ben pochi di sicuro. Se arte è attività e creazione, cioè produzione di sintesi non preesistente all'atto della sua produzione, segue che tanto v'ha d'arte in un'opera che d'arte vuol essere detta, quanto di originalità o novità: ciò che in essa v'ha di nuovo, di non originale, di vecchio, d'imitato o ispirato, consciamente o inconsciamente, da altre opere d'arte, corrisponde a momenti non di creazione ma di recezione, non di attività ma di passività, e perciò non è arte. ===Citazioni=== *Dà forma artistica alla [[Vita]] del tuo tempo, al tuo [[presente]]; vivi come presente in atto ed esprimilo artisticamente; sperimenta la Vita come presente, come informe, come [[problema]] e trovane la soluzione; vivi e risolvi i problemi del tuo tempo. (pp. 12-13) *Ciò che fa [[artista]] l'artista non è lo sperimentare in sé i problemi come tali, ma il risolverli artisticamente. (p. 14) *Più un'[[opera d'arte]] è profonda originale intensa, e più nella parola liberatrice e chiarificatrice che essa pronuncia tendono a risolversi ed annullarsi idealmente le opere d'arte sue contemporanee di profondità e ampiezza minori. (p. 20) *Quali cose umane non sono esposte al pericolo della degenerazione? I [[Critico|critici]] dei critici vi porranno riparo. (p. 34) *Il valore dell'opera d'arte è tutto e solo nella sua forma, nella sua espressione, nel suo stile, e cioè nella peculiarità intensità profondità vastità della sintesi che la costituisce. (p. 34) *Niente diviene vecchio se non ciò che nacque vecchio. Ciò che nacque nuovo in eterno resta tale. (p. 34) *Il [[critico]] dovrebbe, per poter dare un giudizio definitivo, rifare il corso del mondo sino all'opera d'arte da giudicare, in due parole, essere uguale a Dio. (p. 39) *L'opera d'arte è una sintesi o un sistema di sintesi che nacquero vergini nuove originali: creazioni di rapporti non preesistenti come tali all'atto della loro creazione. Ma l'opera d'arte nata una volta entra nella circolazione del pensiero: è letta, studiata, imitata, copiata, ripetuta, sfruttata, saccheggiata. Con l'andare del tempo, le sintesiche la costituiscono come opera d'arte perdono l'aria di novità di originalità d'imprevisto che avevano nell'ora del loro primo apparire (pp. 40-41) *Secondo [[Benedetto Croce|Croce]], nessun sostanziale e intimo rapporto rilega l'opera d'arte al proprio tempo. In quanto prodotto di una personalità estetica, l'opera d'arte è fuori del suo tempo e di tutti i tempi. Non si può fare [[storia dell'arte]] perché, essendo fuori del tempo, l'arte è fuori della storia. La critica deve contentarsi di saggi sparsi, di monografie isolate, consacrate ciascuna a delineare le caratteristiche e la genesi di una personalità estetica. (p. 45) ==Citazioni su Adriano Tilgher== *Come una grida improvvisa della strada, un profumo repentino e dissolto o un'ombra o una luce sull'alto di un cornicione, o il trascorrere di certe velature sul paesaggio di Napoli primaverile, così il pensiero di Tilgher e le sue intuizioni nascono, balenano, scompaiono; lasciandoci dietro, spesso, qualche preziosa scoria di contraddizioni, di incongruenze, di idee sofferte o superate o, come diceva [[Benedetto Croce|Croce]] del modo di ragionare di [[Enrico De Nicola|Enrico de Nicola]], di idee consunte da una critica dall'interno, logorate dal loro stesso acido.<br>È proprio in questo che Tilgher ci appare un vero napoletano. ([[Giovanni Artieri]]) ==Note== <references /> ==Bibliografia== *Adriano Tilgher, ''[https://archive.org/details/TilgherMisticheNuove/mode/1up Mistiche nuove e mistiche antiche]'', G. Bardi Editore, Roma, 1946. *Adriano Tilgher, ''Studi sul teatro contemporaneo'', BiblioLife, LLC. ==Altri progetti== {{interprogetto}} {{DEFAULTSORT:Tilgher, Adriano}} [[Categoria:Critici teatrali italiani]] [[Categoria:Filosofi italiani]] [[Categoria:Saggisti italiani]] 0q87nrd9ay58ppgfvjqzbcoakc63v8a 1381906 1381905 2025-07-01T13:23:43Z Gaux 18878 /* Citazioni */ accenti 1381906 wikitext text/x-wiki [[File:Adriano-tilgher filosofa.jpg|thumb|Adriano Tilgher]] '''Adriano Tilgher''' (1887 – 1941), filosofo e saggista italiano. ==Citazioni di Adriano Tilgher== *Fra i tanti [[Luigi Pirandello|Pirandello]] che vanno in giro da un pezzo al mondo della critica letteraria internazionale, zoppi, deformi, tutti testa e niente, strambalati, sgarbati, lunatici, nei quali io, per quanto mi sforzi, non riesco a riconoscermi per un minimo tratto.<ref>Citato in Domenico Vittorini, prefazione al ''Dramma di Pirandello''.</ref> *{{NDR|Nel 1860, a Napoli, dopo il Plebiscito}} I partigiani del ''Begriff''<ref>Gli hegeliani.</ref> essendo più giovani, avevano più spesso il di sopra in questi filosofici tornei<ref>Contro i giobertiani.</ref>. Onde divennero in breve il terrore dei proprietari di caffè delle Puglie e della Calabria, che al vederli avvicinarsi gridavano ai garzoni: ''Chiudite, ca stanno venenno 'e Begriffe!'' Nacque così il termine di Begriffo per indicare i fedeli e i fanatici del dio ''Begriff''.<ref>Citato in [[Giovanni Artieri]], ''Napoli, punto e basta?'', p. 257.</ref> *In Italia pare si voglia insistere a seguire la falsariga di qualche critico che ha creduto di scoprire nelle mie cose un contenuto filosofico, che non c'è, vi garantisco che non c'è.<ref>Citato in ''Il teatro di Pirandello'', introduzione pag. XXVI, VII ristampa Oscar Mondadori, gennaio 1976.</ref> *Io mostravo che tutto il mondo pirandelliano faceva centro intorno a una visione della Vita come forza travagliata da un'intera antinomia per la quale la Vita è, insieme, necessitata a darsi forma e, per uguale necessità, non può consistere in nessuna forma, ma deve passare di forma in forma. È la famosa, o famigerata, antitesi di Vita e Forma, ''problema centrale dell'arte pirandelliana''.<ref>Da ''Studi sul teatro contemporaneo'', 1922.</ref> *[[Étienne-Gabriel Morelly|Morelly]] pone come principio che l'interesse particolare, il «desiderio d'avere», l'avarizia è la fonte di tutti i mali sociali. A chi obietta che l'interesse personale è lo stimolante necessario dell'energia umana, Morelly risponde che l'uomo è un essere naturalmente attivo, che non ripugna affatto al lavoro in quanto tale, ma solo al lavoro monotono e prolungato. Sono le istituzioni arbitrarie le quali pretendono di fissare per alcuni uomini soltanto uno stato permanente di riposo detto prosperità, fortuna, lasciando agli altri in permanente retaggio il lavoro, la fatica, che generano la pigrizia e l'odio al lavoro. È la cattiva costituzione sociale che ha prodotto negli uni l'ozio e la mollezza, negli altri l'aborrimento dal lavoro forzato. Ma di per sé il lavoro non ha nulla di {{sic|repugnante}}, è, anzi, piacevole, attraente.<ref>Da ''[https://archive.org/details/TilgherHomoFaber/mode/1up Homo faber]'', Libreria di scienze e lettere, Roma, 1929, cap. XIII, pp. 94-95.</ref> *Nei regimi di [[libertà]], essendoci libertà di parola e di critica, è naturale che il pubblico se ne serva, più che per lodare, per criticare e lamentarsi: di qui l'apparenza che in quei regimi tutto vada male.<ref>Citato in Luigi Vicinanza, [https://napoli.repubblica.it/cronaca/2021/11/02/news/adriano_tilgher_un_libertario_da_ercolano-324761779/ ''Adriano Tilgher, un libertario da Ercolano''], ''repubblica.it'', 2 novembre 2021.</ref> *Temperamento pugnace e individualistico, «poeta maledetto» della filosofia, amatore di tutte le cause perdute, [[Giuseppe Rensi|Rensi]] è di quelli cui piace dire di no alla scuola dominante e di starsene coi vinti, salvo, quando siano divenuti vincitori, a piantarli in asso e a passare al campo opposto. Ove si dia alla parola idealista il senso che ha nel discorso comune e corrente, questo sedicente scettico e materialista è il filosofo più idealista che abbia oggi l'Italia. E poiché in Italia la scuola filosofica dominante, in teoria e in pratica, era ed è tutt'ora l'[[Idealismo (filosofia)|Idealismo]], Rensi ha detto di no all'Idealismo, e la sua negazione ha accompagnato fedelmente tutte le metamorfosi che l'Idealismo ha subìto da noi negli ultimi anni. Perciò non aveva tutti i torti chi, scherzando, chiamava Rensi il Bastian {{sic|Contraro}} della filosofia idealistica.<ref>Da ''[https://archive.org/details/tilgher-filosofi-moralisti-del-novecento/mode/1up Filosofi e moralisti del Novecento]'', Libreria di scienze e lettere, Roma, 1932, cap. XXVIII, p. 287.</ref> ==''Mistiche nuove e mistiche antiche''== ===[[Incipit]]=== Problema grosso e dibattutissimo quello dei rapporti fra [[magia]] e [[religione]] e della priorità cronologica di quella su questa o viceversa, da quando [[James George Frazer|James Frazer]] lo mise all'ordine del giorno. La soluzione di esso in un senso piuttosto che in un altro involge una visione affatto differente dell'uomo e della sua storia.<br>Le tesi di Frazer sono note. Secondo lui, a base della magia è una convinzione identica a quella che è a base della [[scienza]] moderna: la convinzione nell'uniformità del corso della natura. Come lo scienziato, così il mago, per raggiungere il risultato cui mira, non supplica né implora le potenze invisibili; ma agisce ed opera secondo regole strette e precise a cui egli è sicuro che le potenze invisibili saranno costrette ad ubbidire, così come lo scienziato è sicuro che, poste certe condizioni, le forze della natura ch'egli mette in movimento non potranno non agire come egli vuole. <!-- (cap. I, p. 15) --> ===Citazioni=== *Uno di questi fondatori di religione fu [[Auguste Comte|Augusto Comte]]. La religione ch'egli propose è la religione dell'umanità o [[positivismo]]: termini, per Comte, equivalenti.<br>Comte era profondamente persuaso di due cose: 1) che senza religione una società non può assolutamente vivere; 2) che nell'età della scienza l'umanità non può credere alle stesse cose cui ha creduto nelle antiche età teologali e metafisiche. Bisognava perciò mettere d'accordo ciò che l'uomo oggi pensa con quello che può credere. (cap. V, p. 39) *La religione dell'umanità {{NDR|di Comte}}, dopo aver vissuto di vita pallida e larvale, si può considerare oggi morta, anche praticamente. Qualche anno la, trovandomi a Parigi, ne andai a visitare i luoghi santi: l'apportamento di Comte e quello della sua ispiratrice [[Clotilde de Vaux]]<ref>[[w:Clotilde de Vaux|Clotilde de Vaux]] (1815-1846), scrittrice e poetessa francese.</ref>. E lì appresi, non senza malinconia, che la chiesa positivista non disponeva più nemmeno di un locale, e doveva contentarsi di un angolo di una stanza affittata in comune con altre religioni poco fortunate come lei. E forse all'ora in cui scrivo avrà dovuto rinunziare anche a quello. Le ragioni della sua stentata vita e precoce morte son chiare: da una parte, la sua pratica accaparra il fedele e non gli lascia il tempo di respirare (si pensi che Comte imponeva fino a cinque ore al giorno di preghiera); dall'altra, la coscienza che gli dà, che gli oggetti del suo culto sono miti senza realtà oggettiva, stronca alle radici l'impulso religioso, per essenza sua (checché Comte credesse in contrario) oggettivistico. È una religione troppo mitica per essere laica e, insieme, troppo intellettuale per essere religione. (cap. V, pp. 42-43) *{{NDR|[[Friedrich Dessauer]]}} Egli è un vero mistico della [[Tecnica]]. E se una qualche novità c'è nel suo libro, non è tanto per il concetto della Tecnica come continuazione e prolungamento dell'opera divina, come Demiurgia (concetto già formulato con tutta la chiarezza possibile e desiderabile da tutta una serie di filosofi da [[Marsilio Ficino]] giù giù fino a [[Henri Bergson|Bergson]], come si può leggere nel mio ''Homo Faber'') quanto piuttosto nella intensità emotiva con cui quel concetto è vissuto dal nostro Autore. Concetto, del resto, giustissimo. Con la Tecnica l'uomo si fa creatore di qualità, di forme, di processi, di realtà, che non erano dati dalla Natura. ''Eritis sicut Dii!'' (cap. VIII, p. 67) *Tra [[Comunismo]] e [[Cristianesimo]] il rapporto che corre è – come i più credono, come le Chiese organizzate affermano – quello di diametrale antitesi, di radicalissima opposizione? O – come alcuni gruppi di giovani cristiani all'estero sostengono – sotto la superficiale opposizione c'è un piano sul quale le due visioni del mondo e della vita possono intendersi e darsi la mano? Il problema è di capitalissima importanza, ma, per risolverlo bene, bisogna risalire alle fondazioni stesse metafisiche delle due dottrine. (cap. IX, p. 72) *Il Cristianesimo [...] comincia dove il Comunismo finisce, e viceversa. Il Cristianesimo va dall'individuo alla società; il Comunismo dalla società all'individuo. (cap. IX, p. 73) *È una delle più belle conquiste della critica storica del nostro tempo quella del significato che per la storia religiosa e morale dell'umanità d'Occidente ebbe la predicazione di [[Zarathustra|{{sic|Zaratustra}}]]. Fu infatti a contatto della religione di Zaratustra che la [[Ebraismo|religione ebraica]] anteriore all'esilio di Babilonia si trasformò nella religione messianica e apocalittica posteriore all'esilio, dalla quale sbocciò poi il Cristianesimo. Fu, a quel che pare, sotto l'influsso della religione di Zaratustra che la religione olimpica dei Greci s'impregnò di preoccupazioni morali ed entrò in una fermentazione dalla quale, ipotesi audace ma non avventata di qualche moderno, fiorì la tragedia greca di [[Eschilo]]. Per queste e per altre ragioni ancora, la critica storica moderna sempre più concorda nel riconoscere in Zaratustra uno dei più alti, originali e possenti creatori di valori religiosi, morali e civili. (cap. XIII, p. 104) ==''Studi sul teatro contemporaneo''== ===[[Incipit]]=== Che l'arte sia, a suo modo, armonizzazione, organizzazione, sintesi, e cioè creazione e attività, è un punto sul quale è oggi raggiunto l'accordo. Ma quanti hanno pensato a fondo e interiormente realizzato tutto ciò che la definizione omai, a furia di essere ripetuta, trita e banale, arte=creazione, attività contiene? Ben pochi di sicuro. Se arte è attività e creazione, cioè produzione di sintesi non preesistente all'atto della sua produzione, segue che tanto v'ha d'arte in un'opera che d'arte vuol essere detta, quanto di originalità o novità: ciò che in essa v'ha di nuovo, di non originale, di vecchio, d'imitato o ispirato, consciamente o inconsciamente, da altre opere d'arte, corrisponde a momenti non di creazione ma di recezione, non di attività ma di passività, e perciò non è arte. ===Citazioni=== *Dà forma artistica alla [[Vita]] del tuo tempo, al tuo [[presente]]; vivi come presente in atto ed esprimilo artisticamente; sperimenta la Vita come presente, come informe, come [[problema]] e trovane la soluzione; vivi e risolvi i problemi del tuo tempo. (pp. 12-13) *Ciò che fa [[artista]] l'artista non è lo sperimentare in sé i problemi come tali, ma il risolverli artisticamente. (p. 14) *Più un'[[opera d'arte]] è profonda originale intensa, e più nella parola liberatrice e chiarificatrice che essa pronuncia tendono a risolversi ed annullarsi idealmente le opere d'arte sue contemporanee di profondità e ampiezza minori. (p. 20) *Quali cose umane non sono esposte al pericolo della degenerazione? I [[Critico|critici]] dei critici vi porranno riparo. (p. 34) *Il valore dell'opera d'arte è tutto e solo nella sua forma, nella sua espressione, nel suo stile, e cioè nella peculiarità intensità profondità vastità della sintesi che la costituisce. (p. 34) *Niente diviene vecchio se non ciò che nacque vecchio. Ciò che nacque nuovo in eterno resta tale. (p. 34) *Il [[critico]] dovrebbe, per poter dare un giudizio definitivo, rifare il corso del mondo sino all'opera d'arte da giudicare, in due parole, essere uguale a Dio. (p. 39) *L'opera d'arte è una sintesi o un sistema di sintesi che nacquero vergini nuove originali: creazioni di rapporti non preesistenti come tali all'atto della loro creazione. Ma l'opera d'arte nata una volta entra nella circolazione del pensiero: è letta, studiata, imitata, copiata, ripetuta, sfruttata, saccheggiata. Con l'andare del tempo, le sintesiche la costituiscono come opera d'arte perdono l'aria di novità di originalità d'imprevisto che avevano nell'ora del loro primo apparire (pp. 40-41) *Secondo [[Benedetto Croce|Croce]], nessun sostanziale e intimo rapporto rilega l'opera d'arte al proprio tempo. In quanto prodotto di una personalità estetica, l'opera d'arte è fuori del suo tempo e di tutti i tempi. Non si può fare [[storia dell'arte]] perché, essendo fuori del tempo, l'arte è fuori della storia. La critica deve contentarsi di saggi sparsi, di monografie isolate, consacrate ciascuna a delineare le caratteristiche e la genesi di una personalità estetica. (p. 45) ==Citazioni su Adriano Tilgher== *Come una grida improvvisa della strada, un profumo repentino e dissolto o un'ombra o una luce sull'alto di un cornicione, o il trascorrere di certe velature sul paesaggio di Napoli primaverile, così il pensiero di Tilgher e le sue intuizioni nascono, balenano, scompaiono; lasciandoci dietro, spesso, qualche preziosa scoria di contraddizioni, di incongruenze, di idee sofferte o superate o, come diceva [[Benedetto Croce|Croce]] del modo di ragionare di [[Enrico De Nicola|Enrico de Nicola]], di idee consunte da una critica dall'interno, logorate dal loro stesso acido.<br>È proprio in questo che Tilgher ci appare un vero napoletano. ([[Giovanni Artieri]]) ==Note== <references /> ==Bibliografia== *Adriano Tilgher, ''[https://archive.org/details/TilgherMisticheNuove/mode/1up Mistiche nuove e mistiche antiche]'', G. Bardi Editore, Roma, 1946. *Adriano Tilgher, ''Studi sul teatro contemporaneo'', BiblioLife, LLC. ==Altri progetti== {{interprogetto}} {{DEFAULTSORT:Tilgher, Adriano}} [[Categoria:Critici teatrali italiani]] [[Categoria:Filosofi italiani]] [[Categoria:Saggisti italiani]] l7dg61kf193xg8jzg8z5vvnrp9rh7kh 1381907 1381906 2025-07-01T13:25:43Z Gaux 18878 /* Citazioni */ NDR 1381907 wikitext text/x-wiki [[File:Adriano-tilgher filosofa.jpg|thumb|Adriano Tilgher]] '''Adriano Tilgher''' (1887 – 1941), filosofo e saggista italiano. ==Citazioni di Adriano Tilgher== *Fra i tanti [[Luigi Pirandello|Pirandello]] che vanno in giro da un pezzo al mondo della critica letteraria internazionale, zoppi, deformi, tutti testa e niente, strambalati, sgarbati, lunatici, nei quali io, per quanto mi sforzi, non riesco a riconoscermi per un minimo tratto.<ref>Citato in Domenico Vittorini, prefazione al ''Dramma di Pirandello''.</ref> *{{NDR|Nel 1860, a Napoli, dopo il Plebiscito}} I partigiani del ''Begriff''<ref>Gli hegeliani.</ref> essendo più giovani, avevano più spesso il di sopra in questi filosofici tornei<ref>Contro i giobertiani.</ref>. Onde divennero in breve il terrore dei proprietari di caffè delle Puglie e della Calabria, che al vederli avvicinarsi gridavano ai garzoni: ''Chiudite, ca stanno venenno 'e Begriffe!'' Nacque così il termine di Begriffo per indicare i fedeli e i fanatici del dio ''Begriff''.<ref>Citato in [[Giovanni Artieri]], ''Napoli, punto e basta?'', p. 257.</ref> *In Italia pare si voglia insistere a seguire la falsariga di qualche critico che ha creduto di scoprire nelle mie cose un contenuto filosofico, che non c'è, vi garantisco che non c'è.<ref>Citato in ''Il teatro di Pirandello'', introduzione pag. XXVI, VII ristampa Oscar Mondadori, gennaio 1976.</ref> *Io mostravo che tutto il mondo pirandelliano faceva centro intorno a una visione della Vita come forza travagliata da un'intera antinomia per la quale la Vita è, insieme, necessitata a darsi forma e, per uguale necessità, non può consistere in nessuna forma, ma deve passare di forma in forma. È la famosa, o famigerata, antitesi di Vita e Forma, ''problema centrale dell'arte pirandelliana''.<ref>Da ''Studi sul teatro contemporaneo'', 1922.</ref> *[[Étienne-Gabriel Morelly|Morelly]] pone come principio che l'interesse particolare, il «desiderio d'avere», l'avarizia è la fonte di tutti i mali sociali. A chi obietta che l'interesse personale è lo stimolante necessario dell'energia umana, Morelly risponde che l'uomo è un essere naturalmente attivo, che non ripugna affatto al lavoro in quanto tale, ma solo al lavoro monotono e prolungato. Sono le istituzioni arbitrarie le quali pretendono di fissare per alcuni uomini soltanto uno stato permanente di riposo detto prosperità, fortuna, lasciando agli altri in permanente retaggio il lavoro, la fatica, che generano la pigrizia e l'odio al lavoro. È la cattiva costituzione sociale che ha prodotto negli uni l'ozio e la mollezza, negli altri l'aborrimento dal lavoro forzato. Ma di per sé il lavoro non ha nulla di {{sic|repugnante}}, è, anzi, piacevole, attraente.<ref>Da ''[https://archive.org/details/TilgherHomoFaber/mode/1up Homo faber]'', Libreria di scienze e lettere, Roma, 1929, cap. XIII, pp. 94-95.</ref> *Nei regimi di [[libertà]], essendoci libertà di parola e di critica, è naturale che il pubblico se ne serva, più che per lodare, per criticare e lamentarsi: di qui l'apparenza che in quei regimi tutto vada male.<ref>Citato in Luigi Vicinanza, [https://napoli.repubblica.it/cronaca/2021/11/02/news/adriano_tilgher_un_libertario_da_ercolano-324761779/ ''Adriano Tilgher, un libertario da Ercolano''], ''repubblica.it'', 2 novembre 2021.</ref> *Temperamento pugnace e individualistico, «poeta maledetto» della filosofia, amatore di tutte le cause perdute, [[Giuseppe Rensi|Rensi]] è di quelli cui piace dire di no alla scuola dominante e di starsene coi vinti, salvo, quando siano divenuti vincitori, a piantarli in asso e a passare al campo opposto. Ove si dia alla parola idealista il senso che ha nel discorso comune e corrente, questo sedicente scettico e materialista è il filosofo più idealista che abbia oggi l'Italia. E poiché in Italia la scuola filosofica dominante, in teoria e in pratica, era ed è tutt'ora l'[[Idealismo (filosofia)|Idealismo]], Rensi ha detto di no all'Idealismo, e la sua negazione ha accompagnato fedelmente tutte le metamorfosi che l'Idealismo ha subìto da noi negli ultimi anni. Perciò non aveva tutti i torti chi, scherzando, chiamava Rensi il Bastian {{sic|Contraro}} della filosofia idealistica.<ref>Da ''[https://archive.org/details/tilgher-filosofi-moralisti-del-novecento/mode/1up Filosofi e moralisti del Novecento]'', Libreria di scienze e lettere, Roma, 1932, cap. XXVIII, p. 287.</ref> ==''Mistiche nuove e mistiche antiche''== ===[[Incipit]]=== Problema grosso e dibattutissimo quello dei rapporti fra [[magia]] e [[religione]] e della priorità cronologica di quella su questa o viceversa, da quando [[James George Frazer|James Frazer]] lo mise all'ordine del giorno. La soluzione di esso in un senso piuttosto che in un altro involge una visione affatto differente dell'uomo e della sua storia.<br>Le tesi di Frazer sono note. Secondo lui, a base della magia è una convinzione identica a quella che è a base della [[scienza]] moderna: la convinzione nell'uniformità del corso della natura. Come lo scienziato, così il mago, per raggiungere il risultato cui mira, non supplica né implora le potenze invisibili; ma agisce ed opera secondo regole strette e precise a cui egli è sicuro che le potenze invisibili saranno costrette ad ubbidire, così come lo scienziato è sicuro che, poste certe condizioni, le forze della natura ch'egli mette in movimento non potranno non agire come egli vuole. <!-- (cap. I, p. 15) --> ===Citazioni=== *Uno di questi fondatori di religione fu [[Auguste Comte|Augusto Comte]]. La religione ch'egli propose è la religione dell'umanità o [[positivismo]]: termini, per Comte, equivalenti.<br>Comte era profondamente persuaso di due cose: 1) che senza religione una società non può assolutamente vivere; 2) che nell'età della scienza l'umanità non può credere alle stesse cose cui ha creduto nelle antiche età teologali e metafisiche. Bisognava perciò mettere d'accordo ciò che l'uomo oggi pensa con quello che può credere. (cap. V, p. 39) *La religione dell'umanità {{NDR|di Comte}}, dopo aver vissuto di vita pallida e larvale, si può considerare oggi morta, anche praticamente. Qualche anno la, trovandomi a Parigi, ne andai a visitare i luoghi santi: l'apportamento di Comte e quello della sua ispiratrice [[Clotilde de Vaux]]<ref>[[w:Clotilde de Vaux|Clotilde de Vaux]] (1815-1846), scrittrice e poetessa francese.</ref>. E lì appresi, non senza malinconia, che la chiesa positivista non disponeva più nemmeno di un locale, e doveva contentarsi di un angolo di una stanza affittata in comune con altre religioni poco fortunate come lei. E forse all'ora in cui scrivo avrà dovuto rinunziare anche a quello. Le ragioni della sua stentata vita e precoce morte son chiare: da una parte, la sua pratica accaparra il fedele e non gli lascia il tempo di respirare (si pensi che Comte imponeva fino a cinque ore al giorno di preghiera); dall'altra, la coscienza che gli dà, che gli oggetti del suo culto sono miti senza realtà oggettiva, stronca alle radici l'impulso religioso, per essenza sua (checché Comte credesse in contrario) oggettivistico. È una religione troppo mitica per essere laica e, insieme, troppo intellettuale per essere religione. (cap. V, pp. 42-43) *{{NDR|[[Friedrich Dessauer]]}} Egli è un vero mistico della [[Tecnica]]. E se una qualche novità c'è nel suo libro {{NDR|Filosofia della Tecnica''}}, non è tanto per il concetto della Tecnica come continuazione e prolungamento dell'opera divina, come Demiurgia (concetto già formulato con tutta la chiarezza possibile e desiderabile da tutta una serie di filosofi da [[Marsilio Ficino]] giù giù fino a [[Henri Bergson|Bergson]], come si può leggere nel mio ''Homo Faber'') quanto piuttosto nella intensità emotiva con cui quel concetto è vissuto dal nostro Autore. Concetto, del resto, giustissimo. Con la Tecnica l'uomo si fa creatore di qualità, di forme, di processi, di realtà, che non erano dati dalla Natura. ''Eritis sicut Dii!'' (cap. VIII, p. 67) *Tra [[Comunismo]] e [[Cristianesimo]] il rapporto che corre è – come i più credono, come le Chiese organizzate affermano – quello di diametrale antitesi, di radicalissima opposizione? O – come alcuni gruppi di giovani cristiani all'estero sostengono – sotto la superficiale opposizione c'è un piano sul quale le due visioni del mondo e della vita possono intendersi e darsi la mano? Il problema è di capitalissima importanza, ma, per risolverlo bene, bisogna risalire alle fondazioni stesse metafisiche delle due dottrine. (cap. IX, p. 72) *Il Cristianesimo [...] comincia dove il Comunismo finisce, e viceversa. Il Cristianesimo va dall'individuo alla società; il Comunismo dalla società all'individuo. (cap. IX, p. 73) *È una delle più belle conquiste della critica storica del nostro tempo quella del significato che per la storia religiosa e morale dell'umanità d'Occidente ebbe la predicazione di [[Zarathustra|{{sic|Zaratustra}}]]. Fu infatti a contatto della religione di Zaratustra che la [[Ebraismo|religione ebraica]] anteriore all'esilio di Babilonia si trasformò nella religione messianica e apocalittica posteriore all'esilio, dalla quale sbocciò poi il Cristianesimo. Fu, a quel che pare, sotto l'influsso della religione di Zaratustra che la religione olimpica dei Greci s'impregnò di preoccupazioni morali ed entrò in una fermentazione dalla quale, ipotesi audace ma non avventata di qualche moderno, fiorì la tragedia greca di [[Eschilo]]. Per queste e per altre ragioni ancora, la critica storica moderna sempre più concorda nel riconoscere in Zaratustra uno dei più alti, originali e possenti creatori di valori religiosi, morali e civili. (cap. XIII, p. 104) ==''Studi sul teatro contemporaneo''== ===[[Incipit]]=== Che l'arte sia, a suo modo, armonizzazione, organizzazione, sintesi, e cioè creazione e attività, è un punto sul quale è oggi raggiunto l'accordo. Ma quanti hanno pensato a fondo e interiormente realizzato tutto ciò che la definizione omai, a furia di essere ripetuta, trita e banale, arte=creazione, attività contiene? Ben pochi di sicuro. Se arte è attività e creazione, cioè produzione di sintesi non preesistente all'atto della sua produzione, segue che tanto v'ha d'arte in un'opera che d'arte vuol essere detta, quanto di originalità o novità: ciò che in essa v'ha di nuovo, di non originale, di vecchio, d'imitato o ispirato, consciamente o inconsciamente, da altre opere d'arte, corrisponde a momenti non di creazione ma di recezione, non di attività ma di passività, e perciò non è arte. ===Citazioni=== *Dà forma artistica alla [[Vita]] del tuo tempo, al tuo [[presente]]; vivi come presente in atto ed esprimilo artisticamente; sperimenta la Vita come presente, come informe, come [[problema]] e trovane la soluzione; vivi e risolvi i problemi del tuo tempo. (pp. 12-13) *Ciò che fa [[artista]] l'artista non è lo sperimentare in sé i problemi come tali, ma il risolverli artisticamente. (p. 14) *Più un'[[opera d'arte]] è profonda originale intensa, e più nella parola liberatrice e chiarificatrice che essa pronuncia tendono a risolversi ed annullarsi idealmente le opere d'arte sue contemporanee di profondità e ampiezza minori. (p. 20) *Quali cose umane non sono esposte al pericolo della degenerazione? I [[Critico|critici]] dei critici vi porranno riparo. (p. 34) *Il valore dell'opera d'arte è tutto e solo nella sua forma, nella sua espressione, nel suo stile, e cioè nella peculiarità intensità profondità vastità della sintesi che la costituisce. (p. 34) *Niente diviene vecchio se non ciò che nacque vecchio. Ciò che nacque nuovo in eterno resta tale. (p. 34) *Il [[critico]] dovrebbe, per poter dare un giudizio definitivo, rifare il corso del mondo sino all'opera d'arte da giudicare, in due parole, essere uguale a Dio. (p. 39) *L'opera d'arte è una sintesi o un sistema di sintesi che nacquero vergini nuove originali: creazioni di rapporti non preesistenti come tali all'atto della loro creazione. Ma l'opera d'arte nata una volta entra nella circolazione del pensiero: è letta, studiata, imitata, copiata, ripetuta, sfruttata, saccheggiata. Con l'andare del tempo, le sintesiche la costituiscono come opera d'arte perdono l'aria di novità di originalità d'imprevisto che avevano nell'ora del loro primo apparire (pp. 40-41) *Secondo [[Benedetto Croce|Croce]], nessun sostanziale e intimo rapporto rilega l'opera d'arte al proprio tempo. In quanto prodotto di una personalità estetica, l'opera d'arte è fuori del suo tempo e di tutti i tempi. Non si può fare [[storia dell'arte]] perché, essendo fuori del tempo, l'arte è fuori della storia. La critica deve contentarsi di saggi sparsi, di monografie isolate, consacrate ciascuna a delineare le caratteristiche e la genesi di una personalità estetica. (p. 45) ==Citazioni su Adriano Tilgher== *Come una grida improvvisa della strada, un profumo repentino e dissolto o un'ombra o una luce sull'alto di un cornicione, o il trascorrere di certe velature sul paesaggio di Napoli primaverile, così il pensiero di Tilgher e le sue intuizioni nascono, balenano, scompaiono; lasciandoci dietro, spesso, qualche preziosa scoria di contraddizioni, di incongruenze, di idee sofferte o superate o, come diceva [[Benedetto Croce|Croce]] del modo di ragionare di [[Enrico De Nicola|Enrico de Nicola]], di idee consunte da una critica dall'interno, logorate dal loro stesso acido.<br>È proprio in questo che Tilgher ci appare un vero napoletano. ([[Giovanni Artieri]]) ==Note== <references /> ==Bibliografia== *Adriano Tilgher, ''[https://archive.org/details/TilgherMisticheNuove/mode/1up Mistiche nuove e mistiche antiche]'', G. Bardi Editore, Roma, 1946. *Adriano Tilgher, ''Studi sul teatro contemporaneo'', BiblioLife, LLC. ==Altri progetti== {{interprogetto}} {{DEFAULTSORT:Tilgher, Adriano}} [[Categoria:Critici teatrali italiani]] [[Categoria:Filosofi italiani]] [[Categoria:Saggisti italiani]] iaaivgg1ckk1r5of4093kl2l9wk7nji 1381908 1381907 2025-07-01T13:26:57Z Gaux 18878 /* Citazioni */ typo 1381908 wikitext text/x-wiki [[File:Adriano-tilgher filosofa.jpg|thumb|Adriano Tilgher]] '''Adriano Tilgher''' (1887 – 1941), filosofo e saggista italiano. ==Citazioni di Adriano Tilgher== *Fra i tanti [[Luigi Pirandello|Pirandello]] che vanno in giro da un pezzo al mondo della critica letteraria internazionale, zoppi, deformi, tutti testa e niente, strambalati, sgarbati, lunatici, nei quali io, per quanto mi sforzi, non riesco a riconoscermi per un minimo tratto.<ref>Citato in Domenico Vittorini, prefazione al ''Dramma di Pirandello''.</ref> *{{NDR|Nel 1860, a Napoli, dopo il Plebiscito}} I partigiani del ''Begriff''<ref>Gli hegeliani.</ref> essendo più giovani, avevano più spesso il di sopra in questi filosofici tornei<ref>Contro i giobertiani.</ref>. Onde divennero in breve il terrore dei proprietari di caffè delle Puglie e della Calabria, che al vederli avvicinarsi gridavano ai garzoni: ''Chiudite, ca stanno venenno 'e Begriffe!'' Nacque così il termine di Begriffo per indicare i fedeli e i fanatici del dio ''Begriff''.<ref>Citato in [[Giovanni Artieri]], ''Napoli, punto e basta?'', p. 257.</ref> *In Italia pare si voglia insistere a seguire la falsariga di qualche critico che ha creduto di scoprire nelle mie cose un contenuto filosofico, che non c'è, vi garantisco che non c'è.<ref>Citato in ''Il teatro di Pirandello'', introduzione pag. XXVI, VII ristampa Oscar Mondadori, gennaio 1976.</ref> *Io mostravo che tutto il mondo pirandelliano faceva centro intorno a una visione della Vita come forza travagliata da un'intera antinomia per la quale la Vita è, insieme, necessitata a darsi forma e, per uguale necessità, non può consistere in nessuna forma, ma deve passare di forma in forma. È la famosa, o famigerata, antitesi di Vita e Forma, ''problema centrale dell'arte pirandelliana''.<ref>Da ''Studi sul teatro contemporaneo'', 1922.</ref> *[[Étienne-Gabriel Morelly|Morelly]] pone come principio che l'interesse particolare, il «desiderio d'avere», l'avarizia è la fonte di tutti i mali sociali. A chi obietta che l'interesse personale è lo stimolante necessario dell'energia umana, Morelly risponde che l'uomo è un essere naturalmente attivo, che non ripugna affatto al lavoro in quanto tale, ma solo al lavoro monotono e prolungato. Sono le istituzioni arbitrarie le quali pretendono di fissare per alcuni uomini soltanto uno stato permanente di riposo detto prosperità, fortuna, lasciando agli altri in permanente retaggio il lavoro, la fatica, che generano la pigrizia e l'odio al lavoro. È la cattiva costituzione sociale che ha prodotto negli uni l'ozio e la mollezza, negli altri l'aborrimento dal lavoro forzato. Ma di per sé il lavoro non ha nulla di {{sic|repugnante}}, è, anzi, piacevole, attraente.<ref>Da ''[https://archive.org/details/TilgherHomoFaber/mode/1up Homo faber]'', Libreria di scienze e lettere, Roma, 1929, cap. XIII, pp. 94-95.</ref> *Nei regimi di [[libertà]], essendoci libertà di parola e di critica, è naturale che il pubblico se ne serva, più che per lodare, per criticare e lamentarsi: di qui l'apparenza che in quei regimi tutto vada male.<ref>Citato in Luigi Vicinanza, [https://napoli.repubblica.it/cronaca/2021/11/02/news/adriano_tilgher_un_libertario_da_ercolano-324761779/ ''Adriano Tilgher, un libertario da Ercolano''], ''repubblica.it'', 2 novembre 2021.</ref> *Temperamento pugnace e individualistico, «poeta maledetto» della filosofia, amatore di tutte le cause perdute, [[Giuseppe Rensi|Rensi]] è di quelli cui piace dire di no alla scuola dominante e di starsene coi vinti, salvo, quando siano divenuti vincitori, a piantarli in asso e a passare al campo opposto. Ove si dia alla parola idealista il senso che ha nel discorso comune e corrente, questo sedicente scettico e materialista è il filosofo più idealista che abbia oggi l'Italia. E poiché in Italia la scuola filosofica dominante, in teoria e in pratica, era ed è tutt'ora l'[[Idealismo (filosofia)|Idealismo]], Rensi ha detto di no all'Idealismo, e la sua negazione ha accompagnato fedelmente tutte le metamorfosi che l'Idealismo ha subìto da noi negli ultimi anni. Perciò non aveva tutti i torti chi, scherzando, chiamava Rensi il Bastian {{sic|Contraro}} della filosofia idealistica.<ref>Da ''[https://archive.org/details/tilgher-filosofi-moralisti-del-novecento/mode/1up Filosofi e moralisti del Novecento]'', Libreria di scienze e lettere, Roma, 1932, cap. XXVIII, p. 287.</ref> ==''Mistiche nuove e mistiche antiche''== ===[[Incipit]]=== Problema grosso e dibattutissimo quello dei rapporti fra [[magia]] e [[religione]] e della priorità cronologica di quella su questa o viceversa, da quando [[James George Frazer|James Frazer]] lo mise all'ordine del giorno. La soluzione di esso in un senso piuttosto che in un altro involge una visione affatto differente dell'uomo e della sua storia.<br>Le tesi di Frazer sono note. Secondo lui, a base della magia è una convinzione identica a quella che è a base della [[scienza]] moderna: la convinzione nell'uniformità del corso della natura. Come lo scienziato, così il mago, per raggiungere il risultato cui mira, non supplica né implora le potenze invisibili; ma agisce ed opera secondo regole strette e precise a cui egli è sicuro che le potenze invisibili saranno costrette ad ubbidire, così come lo scienziato è sicuro che, poste certe condizioni, le forze della natura ch'egli mette in movimento non potranno non agire come egli vuole. <!-- (cap. I, p. 15) --> ===Citazioni=== *Uno di questi fondatori di religione fu [[Auguste Comte|Augusto Comte]]. La religione ch'egli propose è la religione dell'umanità o [[positivismo]]: termini, per Comte, equivalenti.<br>Comte era profondamente persuaso di due cose: 1) che senza religione una società non può assolutamente vivere; 2) che nell'età della scienza l'umanità non può credere alle stesse cose cui ha creduto nelle antiche età teologali e metafisiche. Bisognava perciò mettere d'accordo ciò che l'uomo oggi pensa con quello che può credere. (cap. V, p. 39) *La religione dell'umanità {{NDR|di Comte}}, dopo aver vissuto di vita pallida e larvale, si può considerare oggi morta, anche praticamente. Qualche anno la, trovandomi a Parigi, ne andai a visitare i luoghi santi: l'apportamento di Comte e quello della sua ispiratrice [[Clotilde de Vaux]]<ref>[[w:Clotilde de Vaux|Clotilde de Vaux]] (1815-1846), scrittrice e poetessa francese.</ref>. E lì appresi, non senza malinconia, che la chiesa positivista non disponeva più nemmeno di un locale, e doveva contentarsi di un angolo di una stanza affittata in comune con altre religioni poco fortunate come lei. E forse all'ora in cui scrivo avrà dovuto rinunziare anche a quello. Le ragioni della sua stentata vita e precoce morte son chiare: da una parte, la sua pratica accaparra il fedele e non gli lascia il tempo di respirare (si pensi che Comte imponeva fino a cinque ore al giorno di preghiera); dall'altra, la coscienza che gli dà, che gli oggetti del suo culto sono miti senza realtà oggettiva, stronca alle radici l'impulso religioso, per essenza sua (checché Comte credesse in contrario) oggettivistico. È una religione troppo mitica per essere laica e, insieme, troppo intellettuale per essere religione. (cap. V, pp. 42-43) *{{NDR|[[Friedrich Dessauer]]}} Egli è un vero mistico della [[Tecnica]]. E se una qualche novità c'è nel suo libro {{NDR|''Filosofia della Tecnica''}}, non è tanto per il concetto della Tecnica come continuazione e prolungamento dell'opera divina, come Demiurgia (concetto già formulato con tutta la chiarezza possibile e desiderabile da tutta una serie di filosofi da [[Marsilio Ficino]] giù giù fino a [[Henri Bergson|Bergson]], come si può leggere nel mio ''Homo Faber'') quanto piuttosto nella intensità emotiva con cui quel concetto è vissuto dal nostro Autore. Concetto, del resto, giustissimo. Con la Tecnica l'uomo si fa creatore di qualità, di forme, di processi, di realtà, che non erano dati dalla Natura. ''Eritis sicut Dii!'' (cap. VIII, p. 67) *Tra [[Comunismo]] e [[Cristianesimo]] il rapporto che corre è – come i più credono, come le Chiese organizzate affermano – quello di diametrale antitesi, di radicalissima opposizione? O – come alcuni gruppi di giovani cristiani all'estero sostengono – sotto la superficiale opposizione c'è un piano sul quale le due visioni del mondo e della vita possono intendersi e darsi la mano? Il problema è di capitalissima importanza, ma, per risolverlo bene, bisogna risalire alle fondazioni stesse metafisiche delle due dottrine. (cap. IX, p. 72) *Il Cristianesimo [...] comincia dove il Comunismo finisce, e viceversa. Il Cristianesimo va dall'individuo alla società; il Comunismo dalla società all'individuo. (cap. IX, p. 73) *È una delle più belle conquiste della critica storica del nostro tempo quella del significato che per la storia religiosa e morale dell'umanità d'Occidente ebbe la predicazione di [[Zarathustra|{{sic|Zaratustra}}]]. Fu infatti a contatto della religione di Zaratustra che la [[Ebraismo|religione ebraica]] anteriore all'esilio di Babilonia si trasformò nella religione messianica e apocalittica posteriore all'esilio, dalla quale sbocciò poi il Cristianesimo. Fu, a quel che pare, sotto l'influsso della religione di Zaratustra che la religione olimpica dei Greci s'impregnò di preoccupazioni morali ed entrò in una fermentazione dalla quale, ipotesi audace ma non avventata di qualche moderno, fiorì la tragedia greca di [[Eschilo]]. Per queste e per altre ragioni ancora, la critica storica moderna sempre più concorda nel riconoscere in Zaratustra uno dei più alti, originali e possenti creatori di valori religiosi, morali e civili. (cap. XIII, p. 104) ==''Studi sul teatro contemporaneo''== ===[[Incipit]]=== Che l'arte sia, a suo modo, armonizzazione, organizzazione, sintesi, e cioè creazione e attività, è un punto sul quale è oggi raggiunto l'accordo. Ma quanti hanno pensato a fondo e interiormente realizzato tutto ciò che la definizione omai, a furia di essere ripetuta, trita e banale, arte=creazione, attività contiene? Ben pochi di sicuro. Se arte è attività e creazione, cioè produzione di sintesi non preesistente all'atto della sua produzione, segue che tanto v'ha d'arte in un'opera che d'arte vuol essere detta, quanto di originalità o novità: ciò che in essa v'ha di nuovo, di non originale, di vecchio, d'imitato o ispirato, consciamente o inconsciamente, da altre opere d'arte, corrisponde a momenti non di creazione ma di recezione, non di attività ma di passività, e perciò non è arte. ===Citazioni=== *Dà forma artistica alla [[Vita]] del tuo tempo, al tuo [[presente]]; vivi come presente in atto ed esprimilo artisticamente; sperimenta la Vita come presente, come informe, come [[problema]] e trovane la soluzione; vivi e risolvi i problemi del tuo tempo. (pp. 12-13) *Ciò che fa [[artista]] l'artista non è lo sperimentare in sé i problemi come tali, ma il risolverli artisticamente. (p. 14) *Più un'[[opera d'arte]] è profonda originale intensa, e più nella parola liberatrice e chiarificatrice che essa pronuncia tendono a risolversi ed annullarsi idealmente le opere d'arte sue contemporanee di profondità e ampiezza minori. (p. 20) *Quali cose umane non sono esposte al pericolo della degenerazione? I [[Critico|critici]] dei critici vi porranno riparo. (p. 34) *Il valore dell'opera d'arte è tutto e solo nella sua forma, nella sua espressione, nel suo stile, e cioè nella peculiarità intensità profondità vastità della sintesi che la costituisce. (p. 34) *Niente diviene vecchio se non ciò che nacque vecchio. Ciò che nacque nuovo in eterno resta tale. (p. 34) *Il [[critico]] dovrebbe, per poter dare un giudizio definitivo, rifare il corso del mondo sino all'opera d'arte da giudicare, in due parole, essere uguale a Dio. (p. 39) *L'opera d'arte è una sintesi o un sistema di sintesi che nacquero vergini nuove originali: creazioni di rapporti non preesistenti come tali all'atto della loro creazione. Ma l'opera d'arte nata una volta entra nella circolazione del pensiero: è letta, studiata, imitata, copiata, ripetuta, sfruttata, saccheggiata. Con l'andare del tempo, le sintesiche la costituiscono come opera d'arte perdono l'aria di novità di originalità d'imprevisto che avevano nell'ora del loro primo apparire (pp. 40-41) *Secondo [[Benedetto Croce|Croce]], nessun sostanziale e intimo rapporto rilega l'opera d'arte al proprio tempo. In quanto prodotto di una personalità estetica, l'opera d'arte è fuori del suo tempo e di tutti i tempi. Non si può fare [[storia dell'arte]] perché, essendo fuori del tempo, l'arte è fuori della storia. La critica deve contentarsi di saggi sparsi, di monografie isolate, consacrate ciascuna a delineare le caratteristiche e la genesi di una personalità estetica. (p. 45) ==Citazioni su Adriano Tilgher== *Come una grida improvvisa della strada, un profumo repentino e dissolto o un'ombra o una luce sull'alto di un cornicione, o il trascorrere di certe velature sul paesaggio di Napoli primaverile, così il pensiero di Tilgher e le sue intuizioni nascono, balenano, scompaiono; lasciandoci dietro, spesso, qualche preziosa scoria di contraddizioni, di incongruenze, di idee sofferte o superate o, come diceva [[Benedetto Croce|Croce]] del modo di ragionare di [[Enrico De Nicola|Enrico de Nicola]], di idee consunte da una critica dall'interno, logorate dal loro stesso acido.<br>È proprio in questo che Tilgher ci appare un vero napoletano. ([[Giovanni Artieri]]) ==Note== <references /> ==Bibliografia== *Adriano Tilgher, ''[https://archive.org/details/TilgherMisticheNuove/mode/1up Mistiche nuove e mistiche antiche]'', G. Bardi Editore, Roma, 1946. *Adriano Tilgher, ''Studi sul teatro contemporaneo'', BiblioLife, LLC. ==Altri progetti== {{interprogetto}} {{DEFAULTSORT:Tilgher, Adriano}} [[Categoria:Critici teatrali italiani]] [[Categoria:Filosofi italiani]] [[Categoria:Saggisti italiani]] 475f1zdt56qvujv97vuxsygwnf4qxss 1381915 1381908 2025-07-01T13:53:02Z Gaux 18878 /* Citazioni */ wlink 1381915 wikitext text/x-wiki [[File:Adriano-tilgher filosofa.jpg|thumb|Adriano Tilgher]] '''Adriano Tilgher''' (1887 – 1941), filosofo e saggista italiano. ==Citazioni di Adriano Tilgher== *Fra i tanti [[Luigi Pirandello|Pirandello]] che vanno in giro da un pezzo al mondo della critica letteraria internazionale, zoppi, deformi, tutti testa e niente, strambalati, sgarbati, lunatici, nei quali io, per quanto mi sforzi, non riesco a riconoscermi per un minimo tratto.<ref>Citato in Domenico Vittorini, prefazione al ''Dramma di Pirandello''.</ref> *{{NDR|Nel 1860, a Napoli, dopo il Plebiscito}} I partigiani del ''Begriff''<ref>Gli hegeliani.</ref> essendo più giovani, avevano più spesso il di sopra in questi filosofici tornei<ref>Contro i giobertiani.</ref>. Onde divennero in breve il terrore dei proprietari di caffè delle Puglie e della Calabria, che al vederli avvicinarsi gridavano ai garzoni: ''Chiudite, ca stanno venenno 'e Begriffe!'' Nacque così il termine di Begriffo per indicare i fedeli e i fanatici del dio ''Begriff''.<ref>Citato in [[Giovanni Artieri]], ''Napoli, punto e basta?'', p. 257.</ref> *In Italia pare si voglia insistere a seguire la falsariga di qualche critico che ha creduto di scoprire nelle mie cose un contenuto filosofico, che non c'è, vi garantisco che non c'è.<ref>Citato in ''Il teatro di Pirandello'', introduzione pag. XXVI, VII ristampa Oscar Mondadori, gennaio 1976.</ref> *Io mostravo che tutto il mondo pirandelliano faceva centro intorno a una visione della Vita come forza travagliata da un'intera antinomia per la quale la Vita è, insieme, necessitata a darsi forma e, per uguale necessità, non può consistere in nessuna forma, ma deve passare di forma in forma. È la famosa, o famigerata, antitesi di Vita e Forma, ''problema centrale dell'arte pirandelliana''.<ref>Da ''Studi sul teatro contemporaneo'', 1922.</ref> *[[Étienne-Gabriel Morelly|Morelly]] pone come principio che l'interesse particolare, il «desiderio d'avere», l'avarizia è la fonte di tutti i mali sociali. A chi obietta che l'interesse personale è lo stimolante necessario dell'energia umana, Morelly risponde che l'uomo è un essere naturalmente attivo, che non ripugna affatto al lavoro in quanto tale, ma solo al lavoro monotono e prolungato. Sono le istituzioni arbitrarie le quali pretendono di fissare per alcuni uomini soltanto uno stato permanente di riposo detto prosperità, fortuna, lasciando agli altri in permanente retaggio il lavoro, la fatica, che generano la pigrizia e l'odio al lavoro. È la cattiva costituzione sociale che ha prodotto negli uni l'ozio e la mollezza, negli altri l'aborrimento dal lavoro forzato. Ma di per sé il lavoro non ha nulla di {{sic|repugnante}}, è, anzi, piacevole, attraente.<ref>Da ''[https://archive.org/details/TilgherHomoFaber/mode/1up Homo faber]'', Libreria di scienze e lettere, Roma, 1929, cap. XIII, pp. 94-95.</ref> *Nei regimi di [[libertà]], essendoci libertà di parola e di critica, è naturale che il pubblico se ne serva, più che per lodare, per criticare e lamentarsi: di qui l'apparenza che in quei regimi tutto vada male.<ref>Citato in Luigi Vicinanza, [https://napoli.repubblica.it/cronaca/2021/11/02/news/adriano_tilgher_un_libertario_da_ercolano-324761779/ ''Adriano Tilgher, un libertario da Ercolano''], ''repubblica.it'', 2 novembre 2021.</ref> *Temperamento pugnace e individualistico, «poeta maledetto» della filosofia, amatore di tutte le cause perdute, [[Giuseppe Rensi|Rensi]] è di quelli cui piace dire di no alla scuola dominante e di starsene coi vinti, salvo, quando siano divenuti vincitori, a piantarli in asso e a passare al campo opposto. Ove si dia alla parola idealista il senso che ha nel discorso comune e corrente, questo sedicente scettico e materialista è il filosofo più idealista che abbia oggi l'Italia. E poiché in Italia la scuola filosofica dominante, in teoria e in pratica, era ed è tutt'ora l'[[Idealismo (filosofia)|Idealismo]], Rensi ha detto di no all'Idealismo, e la sua negazione ha accompagnato fedelmente tutte le metamorfosi che l'Idealismo ha subìto da noi negli ultimi anni. Perciò non aveva tutti i torti chi, scherzando, chiamava Rensi il Bastian {{sic|Contraro}} della filosofia idealistica.<ref>Da ''[https://archive.org/details/tilgher-filosofi-moralisti-del-novecento/mode/1up Filosofi e moralisti del Novecento]'', Libreria di scienze e lettere, Roma, 1932, cap. XXVIII, p. 287.</ref> ==''Mistiche nuove e mistiche antiche''== ===[[Incipit]]=== Problema grosso e dibattutissimo quello dei rapporti fra [[magia]] e [[religione]] e della priorità cronologica di quella su questa o viceversa, da quando [[James George Frazer|James Frazer]] lo mise all'ordine del giorno. La soluzione di esso in un senso piuttosto che in un altro involge una visione affatto differente dell'uomo e della sua storia.<br>Le tesi di Frazer sono note. Secondo lui, a base della magia è una convinzione identica a quella che è a base della [[scienza]] moderna: la convinzione nell'uniformità del corso della natura. Come lo scienziato, così il mago, per raggiungere il risultato cui mira, non supplica né implora le potenze invisibili; ma agisce ed opera secondo regole strette e precise a cui egli è sicuro che le potenze invisibili saranno costrette ad ubbidire, così come lo scienziato è sicuro che, poste certe condizioni, le forze della natura ch'egli mette in movimento non potranno non agire come egli vuole. <!-- (cap. I, p. 15) --> ===Citazioni=== *Uno di questi fondatori di religione fu [[Auguste Comte|Augusto Comte]]. La religione ch'egli propose è la religione dell'umanità o [[positivismo]]: termini, per Comte, equivalenti.<br>Comte era profondamente persuaso di due cose: 1) che senza religione una società non può assolutamente vivere; 2) che nell'età della scienza l'umanità non può credere alle stesse cose cui ha creduto nelle antiche età teologali e metafisiche. Bisognava perciò mettere d'accordo ciò che l'uomo oggi pensa con quello che può credere. (cap. V, p. 39) *La religione dell'umanità {{NDR|di Comte}}, dopo aver vissuto di vita pallida e larvale, si può considerare oggi morta, anche praticamente. Qualche anno la, trovandomi a Parigi, ne andai a visitare i luoghi santi: l'apportamento di Comte e quello della sua ispiratrice [[Clotilde de Vaux]]<ref>[[w:Clotilde de Vaux|Clotilde de Vaux]] (1815-1846), scrittrice e poetessa francese.</ref>. E lì appresi, non senza malinconia, che la chiesa positivista non disponeva più nemmeno di un locale, e doveva contentarsi di un angolo di una stanza affittata in comune con altre religioni poco fortunate come lei. E forse all'ora in cui scrivo avrà dovuto rinunziare anche a quello. Le ragioni della sua stentata vita e precoce morte son chiare: da una parte, la sua pratica accaparra il fedele e non gli lascia il tempo di respirare (si pensi che Comte imponeva fino a cinque ore al giorno di preghiera); dall'altra, la coscienza che gli dà, che gli oggetti del suo culto sono miti senza realtà oggettiva, stronca alle radici l'impulso religioso, per essenza sua (checché Comte credesse in contrario) oggettivistico. È una religione troppo mitica per essere laica e, insieme, troppo intellettuale per essere religione. (cap. V, pp. 42-43) *{{NDR|[[Friedrich Dessauer]]}} Egli è un vero mistico della [[Tecnica]]. E se una qualche novità c'è nel suo libro {{NDR|''Filosofia della Tecnica''}}, non è tanto per il concetto della Tecnica come continuazione e prolungamento dell'opera divina, come Demiurgia (concetto già formulato con tutta la chiarezza possibile e desiderabile da tutta una serie di filosofi da [[Marsilio Ficino]] giù giù fino a [[Henri Bergson|Bergson]], come si può leggere nel mio ''Homo Faber'') quanto piuttosto nella intensità emotiva con cui quel concetto è vissuto dal nostro Autore. Concetto, del resto, giustissimo. Con la Tecnica l'uomo si fa creatore di qualità, di forme, di processi, di realtà, che non erano dati dalla [[Natura]]. ''Eritis sicut Dii!'' (cap. VIII, p. 67) *Tra [[Comunismo]] e [[Cristianesimo]] il rapporto che corre è – come i più credono, come le Chiese organizzate affermano – quello di diametrale antitesi, di radicalissima opposizione? O – come alcuni gruppi di giovani cristiani all'estero sostengono – sotto la superficiale opposizione c'è un piano sul quale le due visioni del mondo e della vita possono intendersi e darsi la mano? Il problema è di capitalissima importanza, ma, per risolverlo bene, bisogna risalire alle fondazioni stesse metafisiche delle due dottrine. (cap. IX, p. 72) *Il Cristianesimo [...] comincia dove il Comunismo finisce, e viceversa. Il Cristianesimo va dall'individuo alla società; il Comunismo dalla società all'individuo. (cap. IX, p. 73) *È una delle più belle conquiste della critica storica del nostro tempo quella del significato che per la storia religiosa e morale dell'umanità d'Occidente ebbe la predicazione di [[Zarathustra|{{sic|Zaratustra}}]]. Fu infatti a contatto della religione di Zaratustra che la [[Ebraismo|religione ebraica]] anteriore all'esilio di Babilonia si trasformò nella religione messianica e apocalittica posteriore all'esilio, dalla quale sbocciò poi il Cristianesimo. Fu, a quel che pare, sotto l'influsso della religione di Zaratustra che la religione olimpica dei Greci s'impregnò di preoccupazioni morali ed entrò in una fermentazione dalla quale, ipotesi audace ma non avventata di qualche moderno, fiorì la tragedia greca di [[Eschilo]]. Per queste e per altre ragioni ancora, la critica storica moderna sempre più concorda nel riconoscere in Zaratustra uno dei più alti, originali e possenti creatori di valori religiosi, morali e civili. (cap. XIII, p. 104) ==''Studi sul teatro contemporaneo''== ===[[Incipit]]=== Che l'arte sia, a suo modo, armonizzazione, organizzazione, sintesi, e cioè creazione e attività, è un punto sul quale è oggi raggiunto l'accordo. Ma quanti hanno pensato a fondo e interiormente realizzato tutto ciò che la definizione omai, a furia di essere ripetuta, trita e banale, arte=creazione, attività contiene? Ben pochi di sicuro. Se arte è attività e creazione, cioè produzione di sintesi non preesistente all'atto della sua produzione, segue che tanto v'ha d'arte in un'opera che d'arte vuol essere detta, quanto di originalità o novità: ciò che in essa v'ha di nuovo, di non originale, di vecchio, d'imitato o ispirato, consciamente o inconsciamente, da altre opere d'arte, corrisponde a momenti non di creazione ma di recezione, non di attività ma di passività, e perciò non è arte. ===Citazioni=== *Dà forma artistica alla [[Vita]] del tuo tempo, al tuo [[presente]]; vivi come presente in atto ed esprimilo artisticamente; sperimenta la Vita come presente, come informe, come [[problema]] e trovane la soluzione; vivi e risolvi i problemi del tuo tempo. (pp. 12-13) *Ciò che fa [[artista]] l'artista non è lo sperimentare in sé i problemi come tali, ma il risolverli artisticamente. (p. 14) *Più un'[[opera d'arte]] è profonda originale intensa, e più nella parola liberatrice e chiarificatrice che essa pronuncia tendono a risolversi ed annullarsi idealmente le opere d'arte sue contemporanee di profondità e ampiezza minori. (p. 20) *Quali cose umane non sono esposte al pericolo della degenerazione? I [[Critico|critici]] dei critici vi porranno riparo. (p. 34) *Il valore dell'opera d'arte è tutto e solo nella sua forma, nella sua espressione, nel suo stile, e cioè nella peculiarità intensità profondità vastità della sintesi che la costituisce. (p. 34) *Niente diviene vecchio se non ciò che nacque vecchio. Ciò che nacque nuovo in eterno resta tale. (p. 34) *Il [[critico]] dovrebbe, per poter dare un giudizio definitivo, rifare il corso del mondo sino all'opera d'arte da giudicare, in due parole, essere uguale a Dio. (p. 39) *L'opera d'arte è una sintesi o un sistema di sintesi che nacquero vergini nuove originali: creazioni di rapporti non preesistenti come tali all'atto della loro creazione. Ma l'opera d'arte nata una volta entra nella circolazione del pensiero: è letta, studiata, imitata, copiata, ripetuta, sfruttata, saccheggiata. Con l'andare del tempo, le sintesiche la costituiscono come opera d'arte perdono l'aria di novità di originalità d'imprevisto che avevano nell'ora del loro primo apparire (pp. 40-41) *Secondo [[Benedetto Croce|Croce]], nessun sostanziale e intimo rapporto rilega l'opera d'arte al proprio tempo. In quanto prodotto di una personalità estetica, l'opera d'arte è fuori del suo tempo e di tutti i tempi. Non si può fare [[storia dell'arte]] perché, essendo fuori del tempo, l'arte è fuori della storia. La critica deve contentarsi di saggi sparsi, di monografie isolate, consacrate ciascuna a delineare le caratteristiche e la genesi di una personalità estetica. (p. 45) ==Citazioni su Adriano Tilgher== *Come una grida improvvisa della strada, un profumo repentino e dissolto o un'ombra o una luce sull'alto di un cornicione, o il trascorrere di certe velature sul paesaggio di Napoli primaverile, così il pensiero di Tilgher e le sue intuizioni nascono, balenano, scompaiono; lasciandoci dietro, spesso, qualche preziosa scoria di contraddizioni, di incongruenze, di idee sofferte o superate o, come diceva [[Benedetto Croce|Croce]] del modo di ragionare di [[Enrico De Nicola|Enrico de Nicola]], di idee consunte da una critica dall'interno, logorate dal loro stesso acido.<br>È proprio in questo che Tilgher ci appare un vero napoletano. ([[Giovanni Artieri]]) ==Note== <references /> ==Bibliografia== *Adriano Tilgher, ''[https://archive.org/details/TilgherMisticheNuove/mode/1up Mistiche nuove e mistiche antiche]'', G. Bardi Editore, Roma, 1946. *Adriano Tilgher, ''Studi sul teatro contemporaneo'', BiblioLife, LLC. ==Altri progetti== {{interprogetto}} {{DEFAULTSORT:Tilgher, Adriano}} [[Categoria:Critici teatrali italiani]] [[Categoria:Filosofi italiani]] [[Categoria:Saggisti italiani]] or4fws53wy6xvfya6je1lz1sguehkwz 1381919 1381915 2025-07-01T14:14:49Z Gaux 18878 /* Citazioni */ il pensiero della morte 1381919 wikitext text/x-wiki [[File:Adriano-tilgher filosofa.jpg|thumb|Adriano Tilgher]] '''Adriano Tilgher''' (1887 – 1941), filosofo e saggista italiano. ==Citazioni di Adriano Tilgher== *Fra i tanti [[Luigi Pirandello|Pirandello]] che vanno in giro da un pezzo al mondo della critica letteraria internazionale, zoppi, deformi, tutti testa e niente, strambalati, sgarbati, lunatici, nei quali io, per quanto mi sforzi, non riesco a riconoscermi per un minimo tratto.<ref>Citato in Domenico Vittorini, prefazione al ''Dramma di Pirandello''.</ref> *{{NDR|Nel 1860, a Napoli, dopo il Plebiscito}} I partigiani del ''Begriff''<ref>Gli hegeliani.</ref> essendo più giovani, avevano più spesso il di sopra in questi filosofici tornei<ref>Contro i giobertiani.</ref>. Onde divennero in breve il terrore dei proprietari di caffè delle Puglie e della Calabria, che al vederli avvicinarsi gridavano ai garzoni: ''Chiudite, ca stanno venenno 'e Begriffe!'' Nacque così il termine di Begriffo per indicare i fedeli e i fanatici del dio ''Begriff''.<ref>Citato in [[Giovanni Artieri]], ''Napoli, punto e basta?'', p. 257.</ref> *In Italia pare si voglia insistere a seguire la falsariga di qualche critico che ha creduto di scoprire nelle mie cose un contenuto filosofico, che non c'è, vi garantisco che non c'è.<ref>Citato in ''Il teatro di Pirandello'', introduzione pag. XXVI, VII ristampa Oscar Mondadori, gennaio 1976.</ref> *Io mostravo che tutto il mondo pirandelliano faceva centro intorno a una visione della Vita come forza travagliata da un'intera antinomia per la quale la Vita è, insieme, necessitata a darsi forma e, per uguale necessità, non può consistere in nessuna forma, ma deve passare di forma in forma. È la famosa, o famigerata, antitesi di Vita e Forma, ''problema centrale dell'arte pirandelliana''.<ref>Da ''Studi sul teatro contemporaneo'', 1922.</ref> *[[Étienne-Gabriel Morelly|Morelly]] pone come principio che l'interesse particolare, il «desiderio d'avere», l'avarizia è la fonte di tutti i mali sociali. A chi obietta che l'interesse personale è lo stimolante necessario dell'energia umana, Morelly risponde che l'uomo è un essere naturalmente attivo, che non ripugna affatto al lavoro in quanto tale, ma solo al lavoro monotono e prolungato. Sono le istituzioni arbitrarie le quali pretendono di fissare per alcuni uomini soltanto uno stato permanente di riposo detto prosperità, fortuna, lasciando agli altri in permanente retaggio il lavoro, la fatica, che generano la pigrizia e l'odio al lavoro. È la cattiva costituzione sociale che ha prodotto negli uni l'ozio e la mollezza, negli altri l'aborrimento dal lavoro forzato. Ma di per sé il lavoro non ha nulla di {{sic|repugnante}}, è, anzi, piacevole, attraente.<ref>Da ''[https://archive.org/details/TilgherHomoFaber/mode/1up Homo faber]'', Libreria di scienze e lettere, Roma, 1929, cap. XIII, pp. 94-95.</ref> *Nei regimi di [[libertà]], essendoci libertà di parola e di critica, è naturale che il pubblico se ne serva, più che per lodare, per criticare e lamentarsi: di qui l'apparenza che in quei regimi tutto vada male.<ref>Citato in Luigi Vicinanza, [https://napoli.repubblica.it/cronaca/2021/11/02/news/adriano_tilgher_un_libertario_da_ercolano-324761779/ ''Adriano Tilgher, un libertario da Ercolano''], ''repubblica.it'', 2 novembre 2021.</ref> *Temperamento pugnace e individualistico, «poeta maledetto» della filosofia, amatore di tutte le cause perdute, [[Giuseppe Rensi|Rensi]] è di quelli cui piace dire di no alla scuola dominante e di starsene coi vinti, salvo, quando siano divenuti vincitori, a piantarli in asso e a passare al campo opposto. Ove si dia alla parola idealista il senso che ha nel discorso comune e corrente, questo sedicente scettico e materialista è il filosofo più idealista che abbia oggi l'Italia. E poiché in Italia la scuola filosofica dominante, in teoria e in pratica, era ed è tutt'ora l'[[Idealismo (filosofia)|Idealismo]], Rensi ha detto di no all'Idealismo, e la sua negazione ha accompagnato fedelmente tutte le metamorfosi che l'Idealismo ha subìto da noi negli ultimi anni. Perciò non aveva tutti i torti chi, scherzando, chiamava Rensi il Bastian {{sic|Contraro}} della filosofia idealistica.<ref>Da ''[https://archive.org/details/tilgher-filosofi-moralisti-del-novecento/mode/1up Filosofi e moralisti del Novecento]'', Libreria di scienze e lettere, Roma, 1932, cap. XXVIII, p. 287.</ref> ==''Mistiche nuove e mistiche antiche''== ===[[Incipit]]=== Problema grosso e dibattutissimo quello dei rapporti fra [[magia]] e [[religione]] e della priorità cronologica di quella su questa o viceversa, da quando [[James George Frazer|James Frazer]] lo mise all'ordine del giorno. La soluzione di esso in un senso piuttosto che in un altro involge una visione affatto differente dell'uomo e della sua storia.<br>Le tesi di Frazer sono note. Secondo lui, a base della magia è una convinzione identica a quella che è a base della [[scienza]] moderna: la convinzione nell'uniformità del corso della natura. Come lo scienziato, così il mago, per raggiungere il risultato cui mira, non supplica né implora le potenze invisibili; ma agisce ed opera secondo regole strette e precise a cui egli è sicuro che le potenze invisibili saranno costrette ad ubbidire, così come lo scienziato è sicuro che, poste certe condizioni, le forze della natura ch'egli mette in movimento non potranno non agire come egli vuole. <!-- (cap. I, p. 15) --> ===Citazioni=== *Uno di questi fondatori di religione fu [[Auguste Comte|Augusto Comte]]. La religione ch'egli propose è la religione dell'umanità o [[positivismo]]: termini, per Comte, equivalenti.<br>Comte era profondamente persuaso di due cose: 1) che senza religione una società non può assolutamente vivere; 2) che nell'età della scienza l'umanità non può credere alle stesse cose cui ha creduto nelle antiche età teologali e metafisiche. Bisognava perciò mettere d'accordo ciò che l'uomo oggi pensa con quello che può credere. (cap. V, p. 39) *La religione dell'umanità {{NDR|di Comte}}, dopo aver vissuto di vita pallida e larvale, si può considerare oggi morta, anche praticamente. Qualche anno la, trovandomi a Parigi, ne andai a visitare i luoghi santi: l'apportamento di Comte e quello della sua ispiratrice [[Clotilde de Vaux]]<ref>[[w:Clotilde de Vaux|Clotilde de Vaux]] (1815-1846), scrittrice e poetessa francese.</ref>. E lì appresi, non senza malinconia, che la chiesa positivista non disponeva più nemmeno di un locale, e doveva contentarsi di un angolo di una stanza affittata in comune con altre religioni poco fortunate come lei. E forse all'ora in cui scrivo avrà dovuto rinunziare anche a quello. Le ragioni della sua stentata vita e precoce morte son chiare: da una parte, la sua pratica accaparra il fedele e non gli lascia il tempo di respirare (si pensi che Comte imponeva fino a cinque ore al giorno di preghiera); dall'altra, la coscienza che gli dà, che gli oggetti del suo culto sono miti senza realtà oggettiva, stronca alle radici l'impulso religioso, per essenza sua (checché Comte credesse in contrario) oggettivistico. È una religione troppo mitica per essere laica e, insieme, troppo intellettuale per essere religione. (cap. V, pp. 42-43) *{{NDR|[[Friedrich Dessauer]]}} Egli è un vero mistico della [[Tecnica]]. E se una qualche novità c'è nel suo libro {{NDR|''Filosofia della Tecnica''}}, non è tanto per il concetto della Tecnica come continuazione e prolungamento dell'opera divina, come Demiurgia (concetto già formulato con tutta la chiarezza possibile e desiderabile da tutta una serie di filosofi da [[Marsilio Ficino]] giù giù fino a [[Henri Bergson|Bergson]], come si può leggere nel mio ''Homo Faber'') quanto piuttosto nella intensità emotiva con cui quel concetto è vissuto dal nostro Autore. Concetto, del resto, giustissimo. Con la Tecnica l'uomo si fa creatore di qualità, di forme, di processi, di realtà, che non erano dati dalla [[Natura]]. ''Eritis sicut Dii!'' (cap. VIII, p. 67) *Tra [[Comunismo]] e [[Cristianesimo]] il rapporto che corre è – come i più credono, come le Chiese organizzate affermano – quello di diametrale antitesi, di radicalissima opposizione? O – come alcuni gruppi di giovani cristiani all'estero sostengono – sotto la superficiale opposizione c'è un piano sul quale le due visioni del mondo e della vita possono intendersi e darsi la mano? Il problema è di capitalissima importanza, ma, per risolverlo bene, bisogna risalire alle fondazioni stesse metafisiche delle due dottrine. (cap. IX, p. 72) *Il Cristianesimo [...] comincia dove il Comunismo finisce, e viceversa. Il Cristianesimo va dall'individuo alla società; il Comunismo dalla società all'individuo. (cap. IX, p. 73) *È una delle più belle conquiste della critica storica del nostro tempo quella del significato che per la storia religiosa e morale dell'umanità d'Occidente ebbe la predicazione di [[Zarathustra|{{sic|Zaratustra}}]]. Fu infatti a contatto della religione di Zaratustra che la [[Ebraismo|religione ebraica]] anteriore all'esilio di Babilonia si trasformò nella religione messianica e apocalittica posteriore all'esilio, dalla quale sbocciò poi il Cristianesimo. Fu, a quel che pare, sotto l'influsso della religione di Zaratustra che la religione olimpica dei Greci s'impregnò di preoccupazioni morali ed entrò in una fermentazione dalla quale, ipotesi audace ma non avventata di qualche moderno, fiorì la tragedia greca di [[Eschilo]]. Per queste e per altre ragioni ancora, la critica storica moderna sempre più concorda nel riconoscere in Zaratustra uno dei più alti, originali e possenti creatori di valori religiosi, morali e civili. (cap. XIII, p. 104) *Se ci fu mai tempo in cui il pensiero della [[morte]] ebbe poco o nessun peso sulle preoccupazioni dei viventi, è certo il tempo in cui viviamo: questo è un fatto che nessuno contesta. Ma come e perché ci si è arrivati? (cap. XIX, p. 143) ==''Studi sul teatro contemporaneo''== ===[[Incipit]]=== Che l'arte sia, a suo modo, armonizzazione, organizzazione, sintesi, e cioè creazione e attività, è un punto sul quale è oggi raggiunto l'accordo. Ma quanti hanno pensato a fondo e interiormente realizzato tutto ciò che la definizione omai, a furia di essere ripetuta, trita e banale, arte=creazione, attività contiene? Ben pochi di sicuro. Se arte è attività e creazione, cioè produzione di sintesi non preesistente all'atto della sua produzione, segue che tanto v'ha d'arte in un'opera che d'arte vuol essere detta, quanto di originalità o novità: ciò che in essa v'ha di nuovo, di non originale, di vecchio, d'imitato o ispirato, consciamente o inconsciamente, da altre opere d'arte, corrisponde a momenti non di creazione ma di recezione, non di attività ma di passività, e perciò non è arte. ===Citazioni=== *Dà forma artistica alla [[Vita]] del tuo tempo, al tuo [[presente]]; vivi come presente in atto ed esprimilo artisticamente; sperimenta la Vita come presente, come informe, come [[problema]] e trovane la soluzione; vivi e risolvi i problemi del tuo tempo. (pp. 12-13) *Ciò che fa [[artista]] l'artista non è lo sperimentare in sé i problemi come tali, ma il risolverli artisticamente. (p. 14) *Più un'[[opera d'arte]] è profonda originale intensa, e più nella parola liberatrice e chiarificatrice che essa pronuncia tendono a risolversi ed annullarsi idealmente le opere d'arte sue contemporanee di profondità e ampiezza minori. (p. 20) *Quali cose umane non sono esposte al pericolo della degenerazione? I [[Critico|critici]] dei critici vi porranno riparo. (p. 34) *Il valore dell'opera d'arte è tutto e solo nella sua forma, nella sua espressione, nel suo stile, e cioè nella peculiarità intensità profondità vastità della sintesi che la costituisce. (p. 34) *Niente diviene vecchio se non ciò che nacque vecchio. Ciò che nacque nuovo in eterno resta tale. (p. 34) *Il [[critico]] dovrebbe, per poter dare un giudizio definitivo, rifare il corso del mondo sino all'opera d'arte da giudicare, in due parole, essere uguale a Dio. (p. 39) *L'opera d'arte è una sintesi o un sistema di sintesi che nacquero vergini nuove originali: creazioni di rapporti non preesistenti come tali all'atto della loro creazione. Ma l'opera d'arte nata una volta entra nella circolazione del pensiero: è letta, studiata, imitata, copiata, ripetuta, sfruttata, saccheggiata. Con l'andare del tempo, le sintesiche la costituiscono come opera d'arte perdono l'aria di novità di originalità d'imprevisto che avevano nell'ora del loro primo apparire (pp. 40-41) *Secondo [[Benedetto Croce|Croce]], nessun sostanziale e intimo rapporto rilega l'opera d'arte al proprio tempo. In quanto prodotto di una personalità estetica, l'opera d'arte è fuori del suo tempo e di tutti i tempi. Non si può fare [[storia dell'arte]] perché, essendo fuori del tempo, l'arte è fuori della storia. La critica deve contentarsi di saggi sparsi, di monografie isolate, consacrate ciascuna a delineare le caratteristiche e la genesi di una personalità estetica. (p. 45) ==Citazioni su Adriano Tilgher== *Come una grida improvvisa della strada, un profumo repentino e dissolto o un'ombra o una luce sull'alto di un cornicione, o il trascorrere di certe velature sul paesaggio di Napoli primaverile, così il pensiero di Tilgher e le sue intuizioni nascono, balenano, scompaiono; lasciandoci dietro, spesso, qualche preziosa scoria di contraddizioni, di incongruenze, di idee sofferte o superate o, come diceva [[Benedetto Croce|Croce]] del modo di ragionare di [[Enrico De Nicola|Enrico de Nicola]], di idee consunte da una critica dall'interno, logorate dal loro stesso acido.<br>È proprio in questo che Tilgher ci appare un vero napoletano. ([[Giovanni Artieri]]) ==Note== <references /> ==Bibliografia== *Adriano Tilgher, ''[https://archive.org/details/TilgherMisticheNuove/mode/1up Mistiche nuove e mistiche antiche]'', G. Bardi Editore, Roma, 1946. *Adriano Tilgher, ''Studi sul teatro contemporaneo'', BiblioLife, LLC. ==Altri progetti== {{interprogetto}} {{DEFAULTSORT:Tilgher, Adriano}} [[Categoria:Critici teatrali italiani]] [[Categoria:Filosofi italiani]] [[Categoria:Saggisti italiani]] 8p8v3u5hyb6x169qisz9jd0tlzb6z47 Wikiquote:Bar 4 56359 1382024 1381202 2025-07-02T10:12:00Z Dario Crespi (WMIT) 89142 /* Partecipa al sondaggio sulla strategia 2026-2030 di Wikimedia Italia */ nuova sezione 1382024 wikitext text/x-wiki {| class="noprint" width="100%" cellpadding="0" cellspacing="0" style="-moz-border-radius:.5em; border-radius:.5em; padding:0.5em; background-color:#FFFAF0; border:2px solid #FF9000;" |- |{{Bar}} |} '''Aggiornato''': {{#time:j F Y, H:i|{{REVISIONTIMESTAMP}} }} '''Utente''': {{REVISIONUSER}} __TOC__ __NEWSECTIONLINK__ == Ordine cronologico e intestazioni == Buongiorno a tutti,<br> da un po' di tempo si è creata un'incongruenza e vorrei cercare di risolverla attraverso una soluzione univoca, che stia bene alla maggioranza.<br> Prendendo come esempio [https://it.wikiquote.org/w/index.php?title=Francesca_Piccinini&oldid=1358493 questa voce], può accadere che utilizzando il [[Template:Int]], l'uso contestuale del [[Template:Cronologico]] possa portare a incongruenze: l'intervista del 2010 inserita in un template int potrà essere riportata visivamente dopo una del 2021 (non inserita nel template int), contraddicendo pertanto l'ordine cronologico.<br> Fermo restando che facendo un'adeguata selezione, le interviste da cui poter estrapolare più di tre citazioni si ridurrebbero notevolmente, le possibilità che mi vengono in mente sono: #lasciare le cose come sono e fregarsene della evidente contraddizione (evidentemente non l'opzione che personalmente prediligerei); #creare un nuovo template int che possa apparire "rientrato" così da interporsi '''tra''' le altre citazioni, ma non so se graficamente possa essere la soluzione più adeguata; #rendere semplicemente i due template mutuamente esclusivi e prediligere a quel punto l'ordine alfabetico per il resto delle citazioni; #raggruppare le citazioni con int e quelle senza int in due sezioni/sottosezioni diverse. Per favore vi pregherei di esprimere la vostra preferenze o alternativamente di fornire una nuova soluzione possibile. [[Utente:AssassinsCreed|AssassinsCreed]] ([[Discussioni utente:AssassinsCreed|scrivimi]]) 13:31, 6 gen 2025 (CET) ::Come scrivevo [https://it.wikiquote.org/w/index.php?title=Discussioni_utente:Danyele&diff=prev&oldid=1359505 qua], mi sembra che che negli ultimi anni sia diventata consuetudine usare il {{tl|cronologico}} senza problemi anche in presenza di sottosezioni: in tal caso il template indica non solo che le citazioni della sezione principale sono in ordine cronologico ma che anche le sottosezioni seguono un loro ordine cronologico. Può non essere la soluzione più ideale al mondo come coerenza ma credo che abbia una sua logica e un suo ordine e che rispetto alle alternative proposte sia la meno problematica. Ciò non significa che debba essere una soluzione obbligatoria, ma certamente non la vieterei, anche perché ormai si è molto diffusa, usata da alcuni degli utenti più attivi come Danyele e Mariomassone; è presente anche in [[Jawaharlal Nehru]] che è entrata in vetrina nel 2021, quindi si tratta di una prassi ben consolidata nel tempo. -- [[Utente:Spinoziano|Spinoziano]] ([[Discussioni utente:Spinoziano|msg]]) 15:09, 6 gen 2025 (CET) :::In [[Francesca Piccinini]] ho fatto una prova per semplificare il problema e al contempo eliminare la contraddizione. Ditemi se il testo del [[template:cronologico2]] va bene eventualmente o se lo cambiereste. Mi riferisco soprattutto a {{ping|Spinoziano}} e {{ping|Danyele}}, ma anche a chiunque altro voglia intervenire.--[[Utente:AssassinsCreed|AssassinsCreed]] ([[Discussioni utente:AssassinsCreed|scrivimi]]) 07:36, 9 gen 2025 (CET) ::::Può andar bene ma non starei a sostituirlo ovunque, per me anche col vecchio {{tl|cronologico}} si capisce (magari è una mia questione di abitudine) qual è il senso dell'indicazione anche in presenza di sottosezioni, inoltre la doppia frase del {{tl|cronologico2}} risulta un po' lunga (pur essendo già la più breve possibile) così da rischiare di frenare un po' la lettura; insomma al momento li terrei entrambi, non cercherei una sostituzione immediata ma renderei possibile a chi lo desidera utilizzare anche quello che hai creato tu.-- [[Utente:Spinoziano|Spinoziano]] ([[Discussioni utente:Spinoziano|msg]]) 10:50, 9 gen 2025 (CET) :::::Ci sarebbe un'altra soluzione, presente in parte nella voce di [[Indro Montanelli]]: inserire la dicitura "cronologico" nella sottosezione come testo nascosto, cioè <code><nowiki><!--cronologico--></nowiki></code>. [[Utente:Udiki|Udiki]] ([[Discussioni utente:Udiki|scrivimi]]) 14:04, 9 gen 2025 (CET) ::::::Sì, talvolta l'ho usato anch'io: in alcune sottosezioni o anche in voci brevi può essere utile per snellire ciò che sta davanti alle citazioni dando comunque un'indicazione utile a chi apre la voce in modifica.-- [[Utente:Spinoziano|Spinoziano]] ([[Discussioni utente:Spinoziano|msg]]) 14:56, 9 gen 2025 (CET) {{rientro}} ''Tutto cambi perché nulla cambi'', mi verrebbe da dire... reputo il [[Template:Cronologico2]] fastidiosamente pedante e verboso, dato che né più né meno si limita a segnalare quel che già fa, con molta più semplicità, il template classico: l'ordine cornologico di citazioni e sottosezioni. Non vedo chissà quale cambiamento, cosa che invece dovrebbe motivare la (eventuale) nuova prassi '''''[[Utente:Danyele|<span style="font-family:Times New Roman; color:black;">— dany</span>]][[Discussioni utente:Danyele|<span style="font-family:Times New Roman; color:grey;">ele</span>]]''''' 01:00, 10 gen 2025 (CET) :Che {{tl|Cronologico2}} sia un po' "barocco" potrebbe anche essere, ma è una proposta costruttiva per cercare di risolvere una questione che è fondata. La verità è che il problema non si porrebbe neppure se si facesse a meno di sottosezioni e ci si limitasse a inserire le citazioni con la fonte in nota, cioè l'alternativa già prevista in [[Aiuto:Fonti#Interviste]]. Se si volesse dare comunque una parvenza di raggruppamento, basterebbe staccarle così: :<code><nowiki>*</nowiki>Citazione.<ref>Fonte 1.</ref></code> :<code><nowiki>*</nowiki>Citazione.<ref name="fonte2">Fonte 2.</ref></code> :<code><nowiki>*</nowiki>Citazione.<ref name="fonte2"/></code> :<code><nowiki>*</nowiki>Citazione.<ref name="fonte2"/></code> :<code><nowiki>*</nowiki>Citazione.<ref>Fonte 3.</ref></code> :;Note :<references /> :Aggiungo che la necessità di avere almeno tre citazioni per formare la benedetta sottosezione spinge a inserire una terza citazione purchessia quando se ne vorrebbero mettere magari solo due veramente significative, la stessa forzatura in cui si incappa per sfuggire all'abbozzo di cui ho parlato sopra. Se si adottasse il layout di cui parlo, sarei favorevole a staccare anche gruppi di sole due citazioni. [[Utente:Udiki|Udiki]] ([[Discussioni utente:Udiki|scrivimi]]) 00:32, 11 gen 2025 (CET) ::Che si possa fare a meno di sottosezioni e limitarsi a inserire le citazioni con la fonte in nota anche quando ci sono tre o più citazioni tratte da una stessa fonte, fa bene {{ping|Udiki}} a ricordare che è una possibilità e che l'uso dell'{{tl|Int}} non è obbligatorio, dipende anche dal tipo di soggetto e dal tipo di cose che dice; il fatto di aggiungere una riga vuota in realtà non cambia molto a livello visivo, difatti spesso non mi accorgo di alcuni utenti che mettono una riga vuota fra ogni citazione se non quando apro in modifica, ma forse qui sopra si suggeriva un tecnicismo più complesso che non ho ben compreso. Il dubbio che il problema possa essere a monte, nell'uso eccessivo del template, e che per questo {{ping|Nemo_bis}} non fosse poi così diabolico a osteggiare il template Intervista2, appunto per il fatto che esso spinge a inserire citazioni non significative, non è infondato. Ma ormai ha preso piede, e certamente in molte voci è utile davvero; quello possiamo fare è tenerci più opzioni.-- [[Utente:Spinoziano|Spinoziano]] ([[Discussioni utente:Spinoziano|msg]]) 15:38, 13 gen 2025 (CET) :::Chiarisco: non una riga vuota, che non dà in effetti nessun risultato, ma due. Fa' la prova tu stesso, così ti rendi conto. [[Utente:Udiki|Udiki]] ([[Discussioni utente:Udiki|scrivimi]]) 15:47, 13 gen 2025 (CET) ::::Ah sì, facendo la prova mi sembra che crea uno spazio ancora più grosso di quello che appare nel tuo esempio, non so, a me questa cosa di aggiungere spazio non sembra risolutiva, come ho scritto poc'anzi resta possibile metterle di seguito anche senza aggiungere spazi.-- [[Utente:Spinoziano|Spinoziano]] ([[Discussioni utente:Spinoziano|msg]]) 15:58, 13 gen 2025 (CET) :::::Sì, infatti. Lo dicevo per chi magari proprio ci teneva a mantenere una parvenza di raggruppamento, casomai un monolite di testo apparisse brutto. Io non ci tengo molto. [[Utente:Udiki|Udiki]] ([[Discussioni utente:Udiki|scrivimi]]) 16:01, 13 gen 2025 (CET) :::Sono contento di essere stato assolto dalle accuse di diavoleria! :::Non ho particolari opinioni sulle varie proposte, penso anch'io che i vari stili possano convivere. Nell'esempio di [[Francesca Piccinini]], se si volesse evitare un nuovo template, mi sembra che non farebbe una grandissima differenza aggiungere altre 5 sezioni per le 7 citazioni al momento non raggruppate, o viceversa portare le 14 citazioni alla sezione principale e usare le note invece dell'{{tl|int}}. Il {{tl|cronologico}} era forse più ovvio nell'era in cui fu creato, perché spesso le fonti erano in linea e quindi nell'esempio sarebbe subito stato evidente che le citazioni dopo le prime due sono del 2015 e successivi. I limiti sul sottosezionamento non sono un dogma ma solo una convenzione per evitare l'eterna inflazione dell'uso di {{tl|int}}, che in alcuni casi può essere problematico (per esempio interviste ai politici dove il titolista si è inventato qualcosa che nell'intervista nemmeno c'è). [[Utente:Nemo_bis|Nemo]] 20:51, 13 gen 2025 (CET) ::::Capisco che il nuovo template sia un po' pesante, ma tra la pesantezza e l'errore direi che la prima è di gran lunga preferibile. ::::La soluzione proposta da {{ping|Udiki}} del <nowiki><!--cronologico--></nowiki> mi sembra ottima e più leggera eventualmente. ::::Quando poi lo stesso Udiki dice che il template int non è obbligatorio dice una sacrosanta verità, in particolare il passaggio "la necessità di avere almeno tre citazioni per formare la benedetta sottosezione spinge a inserire una terza citazione purchessia quando se ne vorrebbero mettere magari solo due veramente significative" è la sintesi del problema. La voce della Piccinini ne è un esempio clamoroso, essendo ricolma di citazioni al limite della significatività (nonostante abbia rimosso le peggiori in tal senso) e probabilmente il template int non ha aiutato. ::::Tirando le somme scarterei il mio template troppo pesante e terrei le due soluzioni di Udiki, ma sarei per '''non''' tollerare quella attualmente utilizzata, fermo restando che una selezione più accurata risolverebbe gran parte dei problemi.--[[Utente:AssassinsCreed|AssassinsCreed]] ([[Discussioni utente:AssassinsCreed|scrivimi]]) 08:48, 20 gen 2025 (CET) == Scorpori per voci tematiche == Segnalo [[Discussioni aiuto:Scorporo#Scorpori nelle tematiche]] per chiunque fosse interessato. [[Utente:AssassinsCreed|AssassinsCreed]] ([[Discussioni utente:AssassinsCreed|scrivimi]]) 09:40, 20 gen 2025 (CET) == Testate giornalistiche con autori anonimi == Se ''sistematicamente'' una testata giornalistica non inserisce per scelta editoriale i nomi degli autori degli articoli, che si può fare? Le citazioni non possono essere inserite nelle voci dei rispettivi autori, in tale situazione. Si può creare una voce sulla testata giornalistica e metterle lì? Ovviamente si parla di testate giornalistiche enciclopediche. È il caso p.es. di ''[[n+1]]'' (vedi [[w:n+1 (rivista italiana)|voce su Wikipedia]]), dove parrebbe che l'omissione sia sistematica; ed è anche il caso di ''The Economist'', per il quale si veda [[w:en:The_Economist#Tone_and_voice]]. Diverso è il caso di omissioni non sistematiche, pratica ricorrente generalmente in caso di giornalisti alle prime armi e quindi certo non enciclopedici. L'alternativa è inserire le citazioni nella pagina "[[Anonimo]]" oppure proibirle perché l'enciclopedicità non è accertabile, facendo eccezioni solo per articoli magari citati anche in altre fonti autorevoli. Io sarei incline a citare solo articoli riportati in fonti secondarie e a metterli nella pagina della rivista. [[Utente:Udiki|Udiki]] ([[Discussioni utente:Udiki|scrivimi]]) 21:10, 20 gen 2025 (CET) :Ed è anche il caso storico del "Time" magazine e altre testate americane. Si deve trattare di giornali enciclopedici. Unico dubbio è se la paternità dell'opera è ascrivibile alla redazione oppure al direttore della rivista. Sono favorevole a riportarle purchè siano abbastanza significative e riportino una fonte verificabile. Tra l'altro nel caso di ''n+1'' all'epoca la pagina era stata rivista da Quaro ex amministratore e Nemo quindi a meno che non abbiate cambiato qualcosa si dovrebbe poterle citare. <span style="border:3px outset;border-radius:8pt 0;padding:1px 5px;background:linear-gradient(6rad,#86c,#2b9)">[[User_Talk:Raoli|<span style="color:#FFF;text-decoration:inherit;font:1em Lucida Sans"> Raoli ✉</span>]]</span> 03:13, 21 gen 2025 (CET) ::Il fatto è che l'enciclopedicità della testata non implica quella dell'autore, perché non basta scrivere p.es. sul ''Corriere della sera'' per essere enciclopedici, ma [[w:Aiuto:Criteri_di_enciclopedicità/Biografie|occorre]] "aver pubblicato in varie occasioni articoli sulla prima pagina e/o dirigere un quotidiano o un periodico di rilevanza nazionale (anche on-line)". Penso che Quaro e Nemo non si siano posti il problema ma abbiano procrastinato. Vediamo che dicono gli altri. [[Utente:Udiki|Udiki]] ([[Discussioni utente:Udiki|scrivimi]]) 15:43, 21 gen 2025 (CET) :::Se le citazioni sono davvero significative e rilevanti (il criterio della fonte secondaria può essere un'ottima idea in tal senso) e i riferimenti bibliografici sono puntuali, secondo me si può creare senza problemi la voce di una testata e inserire le citazioni "anonime" magari con un bel template che specifica che vanno aggiunte solo quelle. Mi sembra un discorso vagamente simile a quanto già fatto in altri ambiti, tipo ''[[Crozza nel Paese delle Meraviglie]]''.--[[Utente:AssassinsCreed|AssassinsCreed]] ([[Discussioni utente:AssassinsCreed|scrivimi]]) 07:22, 22 gen 2025 (CET) ::::D'accordo sulla creazione di una testata solo qualora ci fossero citazioni davvero significative,--[[Utente:SirPsych0|SirPsych0]] ([[Discussioni utente:SirPsych0|scrivimi]]) 11:23, 22 gen 2025 (CET) == Save the date: itWikiCon 2025 si terrà dal 7 al 9 novembre 2025 a Catania == [[File:Logo ItWikiCon 2025 Catania SVG.svg|right|300px]] Il team di organizzazione dell’'''[[:meta:ItWikiCon/2025|itWikiCon 2025]]''' è felicissimo di annunciarvi che il convegno annuale della comunità italofona dei progetti Wikimedia si terrà '''a Catania da venerdì 7 a domenica 9 novembre.''' Non vediamo l’ora di accogliervi nella città etnea per tre giorni di incontri, discussioni e laboratori che copriranno vari temi legati a Wikipedia e agli altri progetti. La sede del convegno, [https://www.isola.catania.it/ Isola Catania], si trova nel centro storico della città, vicinissima a tanti palazzi storici, a [[:w:it:via Etnea|via Etnea]] con tutti i suoi servizi disponibili e al [[:w:it:Pescheria di Catania|famoso mercato del pesce]]. La città è raggiungibile in aereo, ma anche in treno dalla costa tirrenica e in pullman. Oltre al convegno, abbiamo previsto una settimana intera di attività per scoprire Catania e la Sicilia orientale. Le proposte di attività saranno aggiunte e migliorate nei prossimi mesi [[:meta:ItWikiCon/2025/Programma|sulla pagina dell’evento]]. Quindi segnate le date nel vostro calendario, in modo di essere liberi di prendere il tempo per esplorare Catania e i suoi dintorni! Nelle prossime settimane, vi comunicheremo le tappe importanti dell’organizzazione dell’evento: costruzione collaborativa del programma, borse di partecipazione e commissioni di volontari per supportare il team organizzativo. Aggiungeremo nuove informazioni sulla [[:meta:ItWikiCon/2025|pagina Meta dell’evento]], che vi invitiamo a seguire. Per qualsiasi domanda o suggerimento, non esitare a scrivere un messaggio sulla [[:meta:Talk:ItWikiCon/2025|pagina di discussione dell’evento]] o di contattarci a info(at)itwikicon.org. A presto, il team organizzativo itWikiCon 2025: [[Utente:GiovanniPen|GiovanniPen]], [[Utente:Auregann|Auregann]], [[Utente:Sannita|Sannita]] 15:39, 29 gen 2025 (CET) == Una citazione sulle Epigrafi == Ciao a tutti, nella nuova voce [[Margherita Guarducci]], nella prima citazione, c'è un frase sulle epigrafi (non è possibile coltivare con profitto gli studi storici...) che vorrei inserire nella [[Epigrafi|voce corrispondente]]. Questa voce, attualmente, è una "Raccolta di" epigrafi; pensavo di aggiungere, quindi, una seconda sezione, titolandola "Citazioni sulle" epigrafi. È corretto? Altre soluzioni? Grazie. [[Utente:Gaux|Gaux]] ([[Discussioni utente:Gaux|scrivimi]]) 17:17, 2 feb 2025 (CET) :È corretto, vedi [[Ultime parole#Citazioni sulle ultime parole]]. [[Utente:Udiki|Udiki]] ([[Discussioni utente:Udiki|scrivimi]]) 18:43, 2 feb 2025 (CET) ::OK. Grazie. [[Utente:Gaux|Gaux]] ([[Discussioni utente:Gaux|scrivimi]]) 19:08, 2 feb 2025 (CET) == Wikimania 2025: apertura borse di partecipazione di Wikimedia Italia == [[File:Wikimania logo.svg|right|100px]] Siamo molto lieti di comunicarvi che Wikimedia Italia ha aperto le '''borse per sostenere i costi di partecipazione a [[:wmania:2025:Wikimania|Wikimania 2025]]''', che si terrà a Nairobi, Kenya, dal 6 al 9 agosto.<br/>Vengono messe a disposizione 6 borse da 1.500 euro ciascuna. Può essere inviata richiesta di borsa '''entro il 5 marzo 2025'''. Tutte le richieste saranno poi valutate da una commissione appositamente costituita e gli esiti verranno pubblicati entro il 20 marzo 2025.<br/>Il bando completo si trova sul wiki di Wikimedia Italia: [[:wmit:Programma borse di partecipazione "Alessio Guidetti" per Wikimania 2025|Programma borse di partecipazione "Alessio Guidetti" per Wikimania 2025]], dove è presente il link al form da compilare per la richiesta. Siete tutti invitati a partecipare!<br/>Per qualsiasi dubbio non esitate a chiedere qui sotto (pingandomi) o a [https://it.wikipedia.org/wiki/Speciale:InviaEmail?wpTarget=Dario_Crespi_(WMIT) scrivermi] direttamente. Buona giornata. --[[Utente:Dario Crespi (WMIT)|Dario Crespi (WMIT)]] ([[Discussioni utente:Dario Crespi (WMIT)|scrivimi]]) 10:56, 5 feb 2025 (CET) == Wikimedia Italia: apertura sportello per progetti dei volontari 2025 == Ciao, siamo lieti di annunciarvi che è aperto lo '''sportello per progetti dei volontari 2025''' di Wikimedia Italia. Il bando ha lo scopo di finanziare i progetti dei volontari attivi nei progetti Wikimedia e OpenStreetMap, che siano legati agli scopi statutari di Wikimedia Italia. La dotazione dello sportello per l'anno 2025 è di 45.000 euro. Se avete delle proposte potete inviarle entro il: 28 febbraio (prima tranche), 30 aprile (seconda tranche) e 30 giugno (terza tranche). Dopo ogni deadline la commissione avrà 3 settimane per valutare i progetti, il supporto dei quali può variare dai 1.000 ai 10.000 EUR. Trovate tutti i dettagli e il template per presentare le proposte su Meta: '''[[:meta:Wikimedia Italia/Sportello per progetti dei volontari/2025|Wikimedia Italia/Sportello per progetti dei volontari/2025]]'''. Rimaniamo a disposizione per qualsiasi domanda. --[[Utente:Anisa Kuci (WMIT)|Anisa Kuci (WMIT)]] e [[Utente:Dario Crespi (WMIT)|Dario Crespi (WMIT)]] ([[Discussioni utente:Dario Crespi (WMIT)|scrivimi]]) 14:13, 7 feb 2025 (CET) == Christoph Martin Wieland == Ho inserito una citazione (sezione Citazioni su) nella voce [[Christoph Martin Wieland]]. Leggendo la voce, prima di togliere lo stub, ho notato l'incongruenza (tale mi pare) con la specifica sezione della prima frase ("Devo andare a Mannheim perché una volta nella vita voglio saziarmi di musica...). È forse una frase di Wieland inserita per errore nella sezione sbagliata? Dovrebbe essere corretta in tal senso? --[[Utente:Gaux|Gaux]] ([[Discussioni utente:Gaux|scrivimi]]) 16:58, 28 mar 2025 (CET) :@[[Utente:Gaux|Gaux]] {{fatto}} È così né può essere diversamente considerati vari elementi. [[Utente:Udiki|Udiki]] ([[Discussioni utente:Udiki|scrivimi]]) 23:54, 28 mar 2025 (CET) ::Ok! Grazie [[Utente:Gaux|Gaux]] ([[Discussioni utente:Gaux|scrivimi]]) 06:48, 29 mar 2025 (CET) == formattazione di un testo "spaziato" == Ciao a tutti, esiste una tag per formattare una parte di testo con spaziatura orizzontale doppia, per intenderci come questa: e s e m p i o.<br>In alternativa posso evidenziare il testo con spaziatura doppia utilizzando il corsivo o il sottolineato? Grazie. --[[Utente:Gaux|Gaux]] ([[Discussioni utente:Gaux|scrivimi]]) 18:02, 5 apr 2025 (CEST) :Una specie di tag esiste e viene utilizzato su Wikisource dal [[s:Template:Spaziato]] ma non capisco bene come riprodurlo senza template, magari possiamo importare il template. -- [[Utente:Spinoziano|Spinoziano]] ([[Discussioni utente:Spinoziano|msg]]) 09:53, 6 apr 2025 (CEST) ::@[[Utente:Gaux|Gaux]] <code><nowiki><span style="letter-spacing:5px">esempio</span></nowiki></code><br />Al posto di "5" metti quello che ti pare meglio. [[Utente:Udiki|Udiki]] ([[Discussioni utente:Udiki|scrivimi]]) 17:17, 6 apr 2025 (CEST) :::Grazie mille. Funziona perfettamente. vedi [[Ernst Troeltsch]], sezione: Incipit di ''Le dottrine sociali delle Chiese e dei gruppi cristiani''. [[Utente:Gaux|Gaux]] ([[Discussioni utente:Gaux|scrivimi]]) 17:52, 6 apr 2025 (CEST) ::::Grazie, ovviamente, anche a @[[Utente:Spinoziano|Spinoziano]]. --[[Utente:Gaux|Gaux]] ([[Discussioni utente:Gaux|scrivimi]]) 17:56, 6 apr 2025 (CEST) == Richiesta == Buongiorno, ho una domanda che vorrei porre agli amministratori di Wikiquote e che a quanto ho letto può essere posta qui: qual è il posto giusto (se c'è) per segnalare un comportamento che si ritiene scorretto e chiedere pareri a quel riguardo? [[Speciale:Contributi/&#126;2025-43313|&#126;2025-43313]] ([[Discussioni utente:&#126;2025-43313|discussione]]) 19:55, 10 apr 2025 (CEST) :Che comportamento e di chi? [[Utente:Udiki|Udiki]] ([[Discussioni utente:Udiki|scrivimi]]) 20:01, 10 apr 2025 (CEST) Il suo signor Udiki. Attenderò la risposta alla mia domanda, che se come immagino non mi verrà fornita da lei mi verrà fornita da altri utenti, poi domani chiederò il parere degli altri amministratori nella pagina indicata. Per ora le auguro buonanotte. [[Speciale:Contributi/&#126;2025-43313|&#126;2025-43313]] ([[Discussioni utente:&#126;2025-43313|discussione]]) 20:10, 10 apr 2025 (CEST) :Tu hai sempre ottenuto da me tutte le risposte alle tue poco sensate domande, quindi non hai ragione di dubitare che io risponda. Ma andiamo per ordine: prima di effettuare una segnalazione è obbligatorio chiedere chiarimenti, ma tu non lo hai fatto nonostante ti sia stato domandato da me poco sopra con espresso riferimento alla condotta di cui ti lagni e che tuttora resta un arcano; inoltre non sono ammesse segnalazioni improprie e non pertinenti; per tutto questo si veda [[w:Wikipedia:Utenti_problematici#Raccomandazioni]]. Ti ricordo anche che sei autore di una guerra di modifiche che consta di due annullamenti da parte tua di ripristini effettuati da due distinti amministratori e che un terzo amministratore ha ritenuto giusti. Mi sembrano tornati i tempi di Micheledisaveriosp... [[Utente:Udiki|Udiki]] ([[Discussioni utente:Udiki|scrivimi]]) 20:27, 10 apr 2025 (CEST) Buongiorno, non conoscendo ancora la pagina adatta dove scrivere lo chiedo agli amministratori che prima sono stati così gentili da occuparsi della mia richiesta di correzione, {{ping|Superchilum|Spinoziano}}: dove posso chiedere se determinati comportamenti sono conformi alle regole o meno? Non voglio segnalare un utente come "problematico", non voglio trovare una soluzione a qualche "conflitto": voglio capire se su Wikiquote comportarsi in un certo modo è consentito oppure no. Se lo chiedo è perché già suppongo che non lo sia e vorrei averne conferma, ma potrei benissimo sbagliarmi del tutto e se così fosse vorrei saperlo in modo da cambiare la mia opinione. Forse questa stessa pagina va bene per la mia domanda? [[Speciale:Contributi/&#126;2025-43313|&#126;2025-43313]] ([[Discussioni utente:&#126;2025-43313|discussione]]) 13:59, 11 apr 2025 (CEST) :Non puoi eludere il confronto con la persona che accusi, non si capisce ancora a che titolo. Se hai qualcosa da dire, dilla e abbi il coraggio di assumerti tutte le tue responsabilità fino in fondo e con tutte le conseguenze del caso; sennò vedi di smetterla perché la tua condotta è confusionaria, petulante e inconcludente già da un pezzo, né questa è una chat per darsi buon tempo. Le persone che cerchi maldestramente di coinvolgere non sono nate ieri e non prestano il fianco ad anonimi (forse neanche tanto tali) seminatori di zizzania. Ti ricordo che se stato tu, tra l'altro, a buttarla sul sarcastico e sul personale sin dal tuo primo commento, che peraltro seguiva due annullamenti di azioni compiute da amministratori e senza neppure uno straccio di motivazione nel campo oggetto della modifica... L'unica cosa sensata che puoi ancora fare è togliere il disturbo, tanto più che sulla questione di merito hai già avuto ripetutamente tutte le spiegazioni del caso. Il problematico qui sei tu e continuando su questa strada, che è sbagliata, non puoi ottenere nulla se non aggravare la mala parata. La cosa più probabile è che sarà tutto tristemente seppellito nell'indifferenza generale. Saluti, [[Utente:Udiki|Udiki]] ([[Discussioni utente:Udiki|scrivimi]]) 14:52, 11 apr 2025 (CEST) ::Su Wikiquote non esistono gli equivalenti né di [[:w:Wikipedia:Richieste di pareri]] né di [[:w:Wikipedia:Risoluzione dei conflitti]]. Probabilmente non c'è mai stata la necessità, è sempre bastata [[Wikiquote:Utenti problematici]], ma se la comunità lo ritiene necessario io sarei favorevole a una pagina tipo [[Wikiquote:Richieste di pareri]] per avere feedback senza aprire vere problematicità. --'''[[Utente:Superchilum|<span style="color:#209090;">Superchilum</span>]]'''<sup>([[Discussioni_utente:Superchilum|scrivimi]])</sup> 21:58, 14 apr 2025 (CEST) :::Lo si fa già informalmente, perché la community è piccola. Anche la pagina sui problematici non è stata quasi mai usata e nella metà dei casi si tratta di abusi di pagina di servizio opera di gente di passaggio giustamente cazziata, si veda [[Wikiquote:Utenti_problematici/Archivio#Doppia_Di|questo]] o [[Wikiquote:Utenti_problematici/Udiki|questo]] (nell'ultimo esempio, per la verità, il proponente stesso si è reso conto dell'insensatezza). Questo stesso thread rientra in questa ipotesi, una trollata. [[Utente:Udiki|Udiki]] ([[Discussioni utente:Udiki|scrivimi]]) 14:12, 15 apr 2025 (CEST) La ringrazio per la sua risposta. Per me sarebbe solamente un miglioramento l'aggiungere una pagina di questo tipo visto che manca, questo però è soltanto il parere di un singolo utente. In ogni caso, se fosse possibile li scriverei anche qui i comportamenti che vorrei sapere se sono conformi alle regole di Wikiquote o meno, così vedo se poterli assumerli a mia volta senza rischi o se essi sono deprecabili a prescindere da quale utente li assuma. [[Speciale:Contributi/&#126;2025-43313|&#126;2025-43313]] ([[Discussioni utente:&#126;2025-43313|discussione]]) 07:59, 16 apr 2025 (CEST) :Comincia a esaminare i tuoi. [[Utente:Udiki|Udiki]] ([[Discussioni utente:Udiki|scrivimi]]) 14:00, 16 apr 2025 (CEST) == Wikidata and Sister Projects: An online community event == ''(Apologies for posting in English)'' Hello everyone, I am excited to share news of an upcoming online event called '''[[d:Event:Wikidata_and_Sister_Projects|Wikidata and Sister Projects]]''' celebrating the different ways Wikidata can be used to support or enhance with another Wikimedia project. The event takes place over 4 days between '''May 29 - June 1st, 2025'''. We would like to invite speakers to present at this community event, to hear success stories, challenges, showcase tools or projects you may be working on, where Wikidata has been involved in Wikipedia, Commons, WikiSource and all other WM projects. If you are interested in attending, please [[d:Special:RegisterForEvent/1291|register here]]. If you would like to speak at the event, please fill out this Session Proposal template on the [[d:Event_talk:Wikidata_and_Sister_Projects|event talk page]], where you can also ask any questions you may have. I hope to see you at the event, in the audience or as a speaker, - [[Utente:MediaWiki message delivery|MediaWiki message delivery]] ([[Discussioni utente:MediaWiki message delivery|scrivimi]]) 11:18, 11 apr 2025 (CEST) <!-- Messaggio inviato da User:Danny Benjafield (WMDE)@metawiki usando l'elenco su https://meta.wikimedia.org/w/index.php?title=User:Danny_Benjafield_(WMDE)/MassMessage_Send_List&oldid=28525705 --> == Formattazione contesto citazioni == Salve,<br>mentre stavo riformattando le citazioni sulla voce di [[Volodymyr Zelens'kyj]] per essere coerente con le proposte sovrastanti ("Ordine cronologico e intestazioni"), ho notato questa forma di contestualizzazione delle fonti: *Citazione (intervistatore, luogo, data ecc.)<nowiki><ref></ref></nowiki> Mi è venuto in mente di dare alla parte in parentesi una propria riga, così: *Citazione :(intervistatore, luogo, data ecc.)<nowiki><ref></ref></nowiki> Personalmente lo trovo migliore per ragioni estetiche. Voi che ne dite? [[Utente:Mariomassone|Mariomassone]] ([[Discussioni utente:Mariomassone|scrivimi]]) 19:23, 22 apr 2025 (CEST) :Bisognerebbe semplicemente mettere tutto in nota, correggendo anche altri elementi. Esempio pratico:<br/><code>(Dal discorso d'inaugurazione, 20 maggio 2019)<nowiki><ref>Da ''[https://www.eastjournal.net/archives/98165 "Nella vita ho cercato di farvi ridere, ora farò di tutto perché non piangiate"]'', traduzione di ''Eastjourney.net'', 21 maggio 2019</ref></nowiki></code><br/>dovrebbe diventare<br/><code><nowiki><ref>Dal discorso d'inaugurazione, 20 maggio 2019; tradotto in ''[https://www.eastjournal.net/archives/98165 "Nella vita ho cercato di farvi ridere, ora farò di tutto perché non piangiate"]'', ''eastjourney.net'', 21 maggio 2019.</ref></nowiki></code><br/>"Tradotto in" si usa quando un testo è tradotto integralmente in una fonte secondaria; se invece c'è solo una parte, allora va bene "citato in". Se hai dubbi od obiezioni, chiedi. Comunque aspettiamo il parere di altri. Saluti, [[Utente:Udiki|Udiki]] ([[Discussioni utente:Udiki|scrivimi]]) 20:14, 22 apr 2025 (CEST) ::Diciamo che bisogna scegliere uno stile univoco. La fonte primaria o viene indicata sempre tra parentesi o sempre in nota, non si può fare un "fritto misto" come in quella voce. ::Piccolo consiglio: la fonte primaria non si indica come "Volodymyr Zelensky, ''Per l'Ucraina'', traduzione di Sergio Arecco, La nave di Teseo editore, Milano, 2022" ma "'''Da''' ''Per l'Ucraina'', traduzione di Sergio Arecco, La nave di Teseo editore, Milano, 2022"; va detto che i libri mal si sposano con l'ordine cronologico per loro stessa natura, quindi la migliore soluzione sarebbe quella di creare una sezione apposita dedicata al libro a patto di avere almeno tre citazioni significative; ::Se si opta per la fonte primaria tra parentesi e fonte secondaria in nota (soluzione poco usata comunque) l'attuale convenzione dovrebbe essere (se non vado errato, nel caso correggetemi pure, purtroppo in [[Aiuto:Fonti]] non trovo riscontro) con il da/dal in minuscolo e la nota prima della parentesi chiusa; ::Tirando le somme, a me la soluzione della fonte primaria tra parentesi e della secondaria in nota non è mai particolarmente piaciuta (e mi risulta essere poco usata), tuttaviae è contemplata dalle linee guida. La soluzione qui proposta in generale non trova grande campo di applicazione e sinceramente non incontra il mio gusto estetico.--[[Utente:AssassinsCreed|AssassinsCreed]] ([[Discussioni utente:AssassinsCreed|scrivimi]]) 08:47, 23 apr 2025 (CEST) :::@[[Utente:AssassinsCreed|AssassinsCreed]] Citare una fonte tra parentesi sembra essere un modo obsoleto, tipico degli inizi di Wikiquote in italiano; col passare del tempo si sono utilizzate sempre più le note.<br/>Non c'è una necessità di spezzare la fonte in due e citare quella primaria tra parentesi e quella secondaria in nota: [[Aiuto:Fonti#Libri altrui]], per esempio, le mette assieme separandole con il punto e virgola, così come nell'esempio che io ho fatto.<br/>A proposito: nel post precedente ho raccomandato di usare, nell'esempio che ho fatto e logicamente in altri casi simili, la formula "tradotto in" invece di "citato in": è corretta e necessaria? Le linee guida non dicono niente, però io l'ho vista in altre pagine. Avete deciso di usarla dopo qualche discussione in passato senza aggiornare poi le linee guida? Il criterio che io ho menzionato riguardo alle modalità di utilizzo di "tradotto in" è una mia ricostruzione; se è sbagliata, correggetemi. Peraltro vedo che in giro c'è anche "riportato in". Però, almeno nella pagina di Zelensky, potrebbe bastare il classico "citato in". [[Utente:Udiki|Udiki]] ([[Discussioni utente:Udiki|scrivimi]]) 14:34, 23 apr 2025 (CEST) ::::{{rientro}} {{ping|Udiki}} Sì, sì, ripeto è una soluzione praticamente desueta, utilizzata già raramente prima, praticamente mai negli ultimi anni. <br>Il "citato in" è omnicomprensivo e di gran lunga la forma più utilizzata (e indicata nelle pagine di aiuto). "Tradotto in" e "riportato in" sono forme minori su cui c'è abbastanza tolleranza, ma tenderei a privilegiare "citato in" per uniformità.<br>In questo caso può andare la forma "tradotto in", ma nel caso in cui fosse noto il nome del traduttore la forma migliore sarebbe sicuramente "<code><nowiki><ref>Dal discorso d'inaugurazione, 20 maggio 2019; citato in ''[https://www.eastjournal.net/archives/98165 "Nella vita ho cercato di farvi ridere, ora farò di tutto perché non piangiate"]'', traduzione di Pinco Pallino, ''eastjourney.net'', 21 maggio 2019.</ref></nowiki></code>".--[[Utente:AssassinsCreed|AssassinsCreed]] ([[Discussioni utente:AssassinsCreed|scrivimi]]) 15:50, 23 apr 2025 (CEST) == WikiOscar 2025 == Ciao! Anche quest'anno nei '''[https://it.wikipedia.org/wiki/Wikipedia:Scherzi_e_STUBidaggini/Wikioscar/2025 Wikioscar]''' che si tengono su Wikipedia in lingua italiana è presente un [https://it.wikipedia.org/wiki/Wikipedia:Scherzi_e_STUBidaggini/Wikioscar/2025#Wikicitazionista premio] per l'utente che non usa mai parole proprie. Potete votare il vostro utente preferito dal 1° al 7 maggio! [[Utente:Atlante|Atlante]] ([[Discussioni utente:Atlante|scrivimi]]) 22:22, 30 apr 2025 (CEST) == itWikiCon 2025: dal 7 al 9 novembre 2025 a Catania: prossimi passi == Ciao a tutti, come forse già sapete, la '''[[m:ItWikiCon/2025|ItWikiCon 2025]]''', il convegno annuale della comunità italofona dei progetti Wikimedia, si terrà '''a Catania da venerdì 7 a domenica 9 novembre'''. Per una panoramica generale, vi rimandiamo alla '''[[m:ItWikiCon/2025/Programma|sezione Programma]]''', che aggiorneremo regolarmente nei prossimi mesi e nella quale trovate già la '''scheda delle attività''', nonché alla [[m:ItWikiCon/2025/Informazioni|sezione Informazioni]]. In attesa dell’apertura ufficiale della fase di proposte prevista per il prossimo 3 giugno, la commissione Programma vorrebbe sondare i desideri delle comunità italofone in merito ai temi da trattare alla conferenza: quali sono gli argomenti più importanti da coprire, secondo voi? Che discussioni dobbiamo avere durante l’itWikiCon? '''Potete aggiungere dei temi o commentare quelli proposti dagli altri [[m:ItWikiCon/2025/Programma/Proposte/Temi|sulla pagina Temi]] da ora fino a inizio giugno'''. Infine, per chi ha la necessità di richiedere una borsa di partecipazione per coprire le spese di viaggio e alloggio, '''la fase di richieste di borse sarà aperta dal 17 giugno fino al 27 luglio'''. Si svolge un po’ prima rispetto alle ultime edizioni, per permettervi di organizzare il vostro viaggio a Catania nelle condizioni migliori, quindi segnatevi queste date per non perdervi la fase di richieste! Aggiungeremo regolarmente nuove informazioni sulla pagina Meta dell’evento, che vi invitiamo a seguire. Per qualsiasi domanda o suggerimento, non esitare a scrivere un messaggio sulla pagina di discussione dell’evento o di contattarci a info(at)itwikicon.org. A presto, Il team organizzatore itWikiCon 2025 e la commissione Programma, --[[Utente:Mastrocom|Mastrocom]] ([[Discussioni utente:Mastrocom|scrivimi]]) 11:22, 5 mag 2025 (CEST) == Changes to the way some users are granted the right to see temporary account IP addresses == Hello! This is the [[mediawikiwiki:Special:MyLanguage/Trust_and_Safety_Product|Trust and Safety Product]] team. We would like to share that we have decided to change the requirements for access to temporary account IP addresses. '''The impact on your community will be minimal'''. We are planning on implementing the change in the week of May 26 ([[phab:T393358|T393358]] + [[phab:T393360|T393360]] + [[phab:T390942|T390942]]). I will keep you updated about the details. We are only changing the rules for users who do not have extended rights (e.g. admins, bureaucrats, checkusers – [[foundation:Special:MyLanguage/Policy:Wikimedia_Access_to_Temporary_Account_IP_Addresses_Policy#requirements-for-access|see the policy for more examples]]) but their account is a minimum of 6 months old, and who have made a minimum of 300 edits on this wiki. They will lose access to IP addresses ([[phab:T393360|T393360]]), and to have it back, '''they will need to apply for the right. Admins or stewards will decide whether to grant it''' ([[phab:T390942|T390942]]). This will entail human manual work, but this method will be safer than if we continued to grant the rights automatically. We want to emphasize that fewer than five users who don't have extended rights have ever revealed a temporary account's IP addresses on your wiki. We made this decision based on what we heard from you, piloting wikis, particularly Romanian Wikipedians. We also consulted on options with Stewards, and had discussions on Meta-Wiki and about 20 Wikipedias with large communities. When we deploy temporary accounts to more wikis, we will evaluate the impact and may adjust our approach again. In addition, we'd like you to know that requirements for access to the [[mediawikiwiki:Special:MyLanguage/Trust_and_Safety_Product/IP_Info|IP Info]] feature will be identical with the ones for access to the temporary accounts' IP addresses (a user will either have full information or none). '''The rationale for the change''' We chose the current numerical thresholds and automatic granting before deploying temporary accounts on any wiki. However, it’s become clear to us that these requirements are quite low and it is still too easy for bad-faith actors to gain access to temporary account IP addresses. We want temporary accounts to meaningfully improve editor privacy, so we need to be more restrictive. Our goal is to more consistently limit IP address access to only those who need it. '''How will this work''' * When a user without extended rights needs to view temporary account IP addresses, they will need to file a request for being added to the "Temporary account IP viewers" group. They will file the request to admins (the local communities will be able to decide what that process will be) or stewards (for wikis without local admins). * The software will require that the user has at least 300 edits and the account since at least 6 months. Admins and stewards will not be able to grant temporary account IP access to accounts that do not meet that criteria. This is a minimum, and we encourage you to enforce higher thresholds. * The user reviewing the request will check if the user applying for the right meets requirements and that they have provided a valid justification. The right itself will be granted through Special:UserRights. * Users who grant requests for the right will also handle removal of the right. We would also like to clarify some details. For your convenience, we will also document some of it in [[mediawikiwiki:Trust_and_Safety_Product/Temporary_Accounts/FAQ|the project FAQ]]. {{Cassetto|Titolo=Access to IP addresses|overskriftsstil=background-color:#eee;|2 = * '''Separation of the new right''' (checkuser-temporary-account) out to a new group ([[metawiki:Meta:Temporary_account_IP_viewer|Temporary account IP viewers]]), as opposed to technically attaching it to any [[Special:ListGroupRights|existing group]] (like patroller). We have decided to do this for a few reasons: ** '''Having access to IP addresses carries risk'''. This right is similar to checkuser. IP addresses are considered personally identifiable information (a kind of [[:w:Dati personali|personal data]]). Outside actors who want to access IP addresses will now need to interact with users who have this right. Users with this right should be aware of this, and alert to the possibility of suspicious access requests. ** '''Good practices for privacy protection'''. Giving access to users who are trusted but do not need access to carry on their work is not in line with good practices for processing personal data. ** '''Removal of right'''. Access to IPs will be [[phab:T325658|logged]] ([https://it.wikiquote.org/wiki/Special:Log?type=checkuser-temporary-account example]). If any misuse of this right is detected, it can be taken away separately from any other permissions the user may hold. It would be difficult and sometimes also unreasonable to remove the rights unrelated to access to IP addresses. ** You may grant the new right to all users belonging to a certain existing group individually. These users must meet the criteria for Temporary account IP viewers, though. ** For clarity – all this does not affect administrators, bureaucrats, checkusers, stewards, and other groups mentioned in the [[foundation:Special:MyLanguage/Policy:Access_to_temporary_account_IP_addresses|global policy]]. * '''Activity requirement'''. With regards to users who would need to be granted access manually, the policy says that they "must edit or take a logged action to the local project at least once within a 365-day period". This requirement is not changing. }} {{Cassetto|Titolo=Process of granting the right|overskriftsstil=background-color:#eee;|2 = * '''Formality of granting the right'''. There is no need for discussions or votes like Request for Adminship. It does suffice if a single admin makes a decision using their own judgement. * '''Additional requirements for the users applying for the right'''. ** You have autonomy over the process for granting the right. You can adopt thresholds higher than 300 edits, or disallow the "non-admin+" users to have the right. The granting process can be as basic or elaborate as you deem appropriate. ** Which criteria admins should take when deciding whether to grant the right – how to tell whether a user needs access to IP addresses? There are no mandatory requirements beyond a minimum of 300 edits and a 6 month old account. You may introduce additional criteria related to trust to the user (such as no prior blocks or copyright violations) or experience in patrolling activities. * '''Additional burden on administrators'''. We understand the toil of having to grant and remove an additional right. This is indeed a downside. We think that it will only have to be a one-time effort to grant this right to a larger number of people. We are curious if you can find ways to limit this burden. }} '''Next steps on your side we would like to suggest''' * We are encouraging you to consider '''adopting a policy''' on granting and removing the right, if you think you need to add anything to the global policy. * We are encouraging you to '''start granting the right'''. Considering our data (up to a few non-functionaries have ever revealed temporary account IP addresses here), we believe you don't need to rush or spend a lot of time preparing for this before the change comes into force, though. * We would like to show you what level of wiki-bureaucracy seems sufficient from our point of view. [https://meta.wikimedia.org/w/index.php?oldid=28667152 In the sandbox], we have created a draft of what a page with requests for the flag could look like. Of course the final content of the page will depend on your community. We do not want to imply that we are instructing you on this matter. Let us know if you have any questions. Thank you! [[metawiki:User:NKohli_(WMF)|NKohli (WMF)]] and [[Utente:SGrabarczuk (WMF)|SGrabarczuk (WMF)]] ([[Discussioni utente:SGrabarczuk (WMF)|scrivimi]]) 04:32, 16 mag 2025 (CEST) == Trascrizione dialoghi fumetti == Attualmente sto riscrivendo ''[[Ken il guerriero]]'', e ho notato che nel manga ci sono alcuni dialoghi in cui un personaggio ha due nuvolette per accomodare una frase particolarmente lunga. Vedi un esempio [https://199xhokutonoken.wordpress.com/wp-content/uploads/2016/10/il-padre-di-hyoh-e-kenshiro.jpg?w=584 qui]. Se volessi essere fedele al testo, lo trascriverei così: *Mi hanno raccontato che tutti gli uomini della dinastia principale di Hokuto, compreso nostro padre... ...hanno vissuto per amore di una donna. Credo di non essere l'unico a trovare questa forma esteticamente sgradevole. Dato che i limiti di spazio delle nuvole non sono un problema qui, non si potrebbe semplicemente scartare i sei puntini? I risultati possibili sarebbero così: *Mi hanno raccontato che tutti gli uomini della dinastia principale di Hokuto, compreso nostro padre hanno vissuto per amore di una donna. Si potrebbe anche aggiungere una virgola: *Mi hanno raccontato che tutti gli uomini della dinastia principale di Hokuto, compreso nostro padre''',''' hanno vissuto per amore di una donna. Scusatemi in anticipo se questo è un tema già discusso. [[Utente:Mariomassone|Mariomassone]] ([[Discussioni utente:Mariomassone|scrivimi]]) 09:38, 20 mag 2025 (CEST) :Opterei per :*Mi hanno raccontato che tutti gli uomini della dinastia principale di Hokuto, compreso nostro padre... hanno vissuto per amore di una donna. :Cioè i puntini è giusto riportarli per fedeltà e perché servono a reggere la frase (tu stesso affermi che sennò sei tentato di sostituirli con una virgola) ma ripeterli è ridondante, bastano tre e non sei. -- [[Utente:Spinoziano|Spinoziano]] ([[Discussioni utente:Spinoziano|msg]]) 16:52, 21 mag 2025 (CEST) ::Concordo che in questo caso "spezzare" i puntini di sospensione sia sensato quando si abbiano balloon distinti, ma non particolarmente quando si deve riportare la citazione in un testo. Appoggio la proposta di Spinoziano, mantenere i puntini ma solo i canonici tre. D'altra parte, se hanno spezzato la frase in balloon diverse, vuol dire che nel testo c'era una pausa, ben riproducibile con i puntini. --'''[[Utente:Superchilum|<span style="color:#209090;">Superchilum</span>]]'''<sup>([[Discussioni_utente:Superchilum|scrivimi]])</sup> 22:01, 21 mag 2025 (CEST) == itWikiCon 2025: fase di proposte per il programma aperta fino al 15 luglio == Ciao a tutti, dichiariamo ufficialmente aperta la raccolta di proposte di sessioni per '''[[m:ItWikiCon/2025|ItWikiCon 2025]]''', il convegno annuale della comunità italofona dei progetti Wikimedia che si terrà '''a Catania da venerdì 7 a domenica 9 novembre'''. Il programma dell’evento è costruito dal basso grazie a presentazioni, discussioni e laboratori proposti dalla comunità e selezionati dalla commissione Programma. La fase di proposte è ora aperta '''fino al 15 luglio incluso'''. Seguendo le istruzioni '''[[m:ItWikiCon/2025/Programma/Proposte|sulla pagina Proposte]]''' potete presentare una o più proposte di sessioni, talk o workshop che vi piacerebbe tenere durante l’evento. L'itWikiCon è lo spazio di incontro dal vivo delle comunità dei vari progetti Wikimedia in italiano e nelle lingue regionali. Vi invitiamo a proporre sessioni che aiutano a rafforzare il senso di comunità e la voglia di contribuire ai progetti, ma anche a identificare dei problemi e individuare delle soluzioni. Daremo la priorità alle sessioni in cui tutti i partecipanti sono parte attiva, come ad esempio discussioni e laboratori. Se cercate ispirazione, alcune '''richieste di temi''' sono state fatte sulla [[m:ItWikiCon/2025/Programma/Proposte/Temi|relativa pagina]], a cui potete liberamente attingere per elaborare una proposta. Inoltre, per chi non se la sente di tenere una sessione, ma vorrebbe che durante la conferenza si parlasse di un argomento che gli sta a cuore, è possibile continuare ad aggiungere delle richieste di temi fino al 15 luglio. La selezione delle proposte avverrà durante l’estate e i relatori saranno confermati a fine agosto. Nel frattempo, la fase di '''[[m:ItWikiCon/2025/Borse|richieste di borse di partecipazione]] sarà aperta dal 17 giugno al 27 luglio''', quindi se considerate di proporre una sessione per il programma, ma avete bisogno di supporto economico per raggiungere Catania, vi invitiamo a farne richiesta entro le scadenze previste. Per qualsiasi domanda o suggerimento, non esitare a scrivere un messaggio sulla pagina di discussione dell’evento o di contattarci a info(at)itwikicon.org. A presto, Il team organizzatore itWikiCon 2025 e la commissione Programma,[[Utente:Mastrocom|Mastrocom]] ([[Discussioni utente:Mastrocom|scrivimi]]) 11:50, 3 giu 2025 (CEST) == itWikiCon 2025: fase di richiesta di borse aperta fino al 27 luglio == Ciao a tutti, '''[[m:ItWikiCon/2025|ItWikiCon 2025]]''', il convegno annuale della comunità italofona dei progetti Wikimedia che si terrà '''a Catania da venerdì 7 a domenica 9 novembre'''. Come ogni anno, gli organizzatori del convegno propongono un sistema di borse di partecipazione per rimborsare le spese di viaggio e alloggio di alcuni partecipanti, grazie al supporto economico di Wikimedia Italia e Wikimedia CH. Potete consultare il regolamento e le condizioni '''[[m:ItWikiCon/2025/Borse|sulla pagina dedicata alle borse]]''', e fare una richiesta di borsa tramite il form entro il 27 luglio. Dopo questa data, non sarà più possibile richiedere sostegno economico. I richiedenti riceveranno una risposta entro fine agosto. Le borse di quest'anno sono intitolate alla memoria di '''[[:it:Utente:Burgundo|Giovanni Augulino, in arte Burgundo]]''', utente e amministratore di Catania con all'attivo più di 196mila modifiche su Wikipedia, passato a miglior vita il 17 settembre 2022. Vi ricordiamo inoltre che la fase di '''[[m:ItWikiCon/2025/Programma/Proposte|proposte per il programma]]''' è aperta contemporaneamente e fino al 15 luglio. Non esitare a proporre una sessione, talk o workshop per il convegno entro questa scadenza. Per qualsiasi domanda o suggerimento, non esitare a scrivere un messaggio sulla pagina di discussione dell’evento o di contattarci a info@itwikicon.org. A presto, Il team organizzatore itWikiCon 2025 e la commissione Borse, [[Utente:Dario Crespi (WMIT)|Dario Crespi (WMIT)]] ([[Discussioni utente:Dario Crespi (WMIT)|scrivimi]]) 08:46, 17 giu 2025 (CEST) == Nomi animali == Ciao, ma su wikiquote, non è la norma usare i nomi volgari per gli animali piuttosto che quelli scientifici? Lo chiedo dopo aver visto questi spostamenti fatti su tre recenti voci create da me su certi serpenti europei: [https://it.wikiquote.org/w/index.php?title=Coronella_austriaca&diff=prev&oldid=1380502 ], [https://it.wikiquote.org/w/index.php?title=Zamenis_longissimus&diff=prev&oldid=1380498 ], [https://it.wikiquote.org/w/index.php?title=Hierophis_viridiflavus&diff=prev&oldid=1380494 ]. [[Utente:Mariomassone|Mariomassone]] ([[Discussioni utente:Mariomassone|scrivimi]]) 07:58, 21 giu 2025 (CEST) :Sì, è così. {{ping|Danyele}}, ripristino a com'era prima.-- [[Utente:Spinoziano|Spinoziano]] ([[Discussioni utente:Spinoziano|msg]]) 08:38, 21 giu 2025 (CEST) ::Se è così, perché nello spostamento dei namespace è prevista l'opzione "allineamento a Wikipedia"...? E dove posso consultare questa ''norma''? '''''[[Utente:Danyele|<span style="font-family:Times New Roman; color:black;">— dany</span>]][[Discussioni utente:Danyele|<span style="font-family:Times New Roman; color:grey;">ele</span>]]''''' 18:03, 21 giu 2025 (CEST) :::Ci sarà stata una discussione da qualche parte; anche Dread dice la stessa cosa [[Wikiquote:Bar/Archivio_2020-06--12#Disambiguazioni|qui]], alla fine; e poi la consuetudine è chiara, basta vedere le voci. È una deroga alla regola. Anche i nomi di piante seguono lo stesso criterio. [[Utente:Udiki|Udiki]] ([[Discussioni utente:Udiki|scrivimi]]) 19:33, 21 giu 2025 (CEST) ::::Allinearsi a Wikipedia ha senso in molti casi per praticità, ma per quanto riguarda i nomi di animali non siamo tenuti a seguire lo stesso rigore scientifico, perché le citazioni sono sempre sul delfino, sul cane, sulla mosca, non sulle specie in particolare :-) --'''[[Utente:Superchilum|<span style="color:#209090;">Superchilum</span>]]'''<sup>([[Discussioni_utente:Superchilum|scrivimi]])</sup> 12:42, 23 giu 2025 (CEST) == Richiesta di pareri sul caso di un utente bloccato == Segnalo [[Discussioni_Wikiquote:Utenti_problematici#Richiesta_di_pareri_sul_caso_di_un_utente_bloccato|richiesta di pareri sul caso di un utente bloccato]], aperta ai commenti di tutti, per valutare se aprire una procedura o mantenere il blocco. --'''[[Utente:Superchilum|<span style="color:#209090;">Superchilum</span>]]'''<sup>([[Discussioni_utente:Superchilum|scrivimi]])</sup> 12:39, 24 giu 2025 (CEST) == Partecipa al sondaggio sulla strategia 2026-2030 di Wikimedia Italia == Ciao, Wikimedia Italia sta avviando un percorso per definire la nuova strategia 2026–2030. Vogliamo costruire un piano condiviso, attento alle esperienze e ai bisogni delle nostre comunità: è per questo che '''abbiamo bisogno anche del vostro contributo'''. Vi invitiamo a compilare un '''breve questionario''' (circa 10 minuti), che tocca temi centrali per il futuro dell’associazione: priorità strategiche, progetti, comunicazione, raccolta fondi e molto altro. Link al sondaggio: https://survey.wikimedia.it/index.php/246216?lang=it '''Per favore, inviateci le vostre risposte entro il 20 luglio 2025''': dopo questa data il sondaggio verrà chiuso. Nei prossimi mesi, lavoreremo per trasformare le opinioni raccolte tramite il sondaggio in '''obiettivi concreti e sostenibili'''. Vi ringraziamo per il tempo che vorrete dedicare a questo questionario e per il vostro importante contributo nella definizione della nuova strategia. Per qualsiasi domanda, potete scrivere a '''info@wikimedia.it'''. Un cordiale saluto, [[Utente:Dario Crespi (WMIT)|Dario Crespi (WMIT)]] ([[Discussioni utente:Dario Crespi (WMIT)|scrivimi]]) 12:12, 2 lug 2025 (CEST) 7hp64cfu3vxcgtx1zpggjoba4sarnv6 Welcome to the NHK 0 65464 1381951 1251688 2025-07-01T20:28:15Z ~2025-109787 103363 /* Incipit */ this is an iamage of a room taken right after an earth quake! What do you expect? 1381951 wikitext text/x-wiki {{FictionTV |titoloitaliano=Welcome to the NHK |immagine=Welcome to the N.H.K.jpg |tipofiction=serie televisiva anime |titolooriginale=NHKにようこそ |paese=Giappone |anno=2006 |genere=sentimentale, psicologico |episodi=24 |regista=Yūsuke Yamamoto |sceneggiatore=[[Satoru Nishizono]] |ideatore=[[Tatsuhiko Takimoto]] |doppiatorioriginali= |doppiatoriitaliani= *[[Alessandro Rigotti]]: [[Tatsuhiro Satō]] *[[Iolanda Granato]]: [[Misaki Nakahara]] *[[Davide Garbolino]]: [[Kaoru Yamazaki]] *[[Francesca Bielli]]: [[Hitomi Kashiwa]] *[[Jenny De Cesarei]]: [[Megumi Kobayashi]] *[[Ruggero Andreozzi]]: Akira Jogasaki *[[Oliviero Corbetta]]: [[Minegishi]] |note= }} ''''' Welcome to the NHK''''', serie televisiva ''anime'' tratta dall'omonimo romanzo, scritto da [[Tatsuhiko Takimoto]] e illustrato in copertina da [[Yoshitoshi ABe]], trasposto anche in ''manga'' con disegni di Kendi Oiwa e testi dello stesso Takimoto. ==Citazioni tratte dalla serie== ===[[Incipit]]=== {{Incipit serie televisive}} Non c'è dubbio. Questo... è un [[Cospirazione|complotto]]! Ma certo. Io sono... sono caduto vittima... di un gigantesco... complotto! ('''Satō''') ===Episodio 1, ''Welcome To The Project!''=== *Ultimamente la mia testa ha qualcosa che non va. Sarà perché dormo sedici ore al giorno. ('''Satō''') *'''Satō''': Il novantanove per cento dei cosiddetti complotti o è frutto di paranoie o è stato inventato apposta, sì insomma, è una buffonata.<br />'''Hitomi''': Allora... nell'un per cento dei casi il complotto è reale. [[Immagine:Neko Wikipe-tan.svg|thumb|Una rappresentazione in stile otaku di una ragazza-gatta vestita da cameriera]] *'''Satō''': Tutto quanto è un complotto! [...] Ma certo! Io sono stato coinvolto in un autentico complotto che rientra in quell'un percento dei casi!<br />'''Mobili'''<ref name=mobili>Satō dialoga con i vari mobili e suppellettili presenti nella sua stanza: frigorifero, televisore, computer, condizionatore, bollitore dell'acqua, sedia.</ref>: Congratulazioni, Satō! Finalmente te ne sei accorto!<br />'''Satō''': Eh sì, già...<br />'''Mobili''': Nella vita tutto ti è andato storto perché sei caduto vittima di un complotto che ti voleva sigillato in casa.<br />'''Satō''': Ma chi ha ordito questo complotto?<br />'''Mobili''': [...] È l'NHK, lo so! Questo è un attacco della malvagia società segreta NHK!<br />'''Satō''': NHK? Ma certo! Era evidente, come ho fatto a non capirlo? Anime uguale [[otaku]]. E otaku uguale problemi di relazione. Un otaku tende a diventare un [[hikikomori]] barricato in casa. NHK<ref>NHK (acronimo di ''Nippon Hōsō Kyōkai'') è l'azienda statale radio-televisiva giapponese; cfr. l'[[w:NHK|omonima voce]] su Wikipedia.</ref> trasmette cartoni animati divertenti per accrescere le fila degli otaku e creare un esercito di NEET<ref>Acronimo dei termini inglesi "Not in Education, Employment or Training" usato per indicare le persone che non lavorano, studiano o si dedicano ad attività simili; cfr. l'[[w:NEET|omonima voce]] su Wikipedia.</ref>, di perdigiorno. Quindi NHK significa anche Nihon Hikikomori Kyokai. [...] Io sono colui che ha smascherato il complotto ordito dall'associazione giapponese hikikomori. Tatsuhiro Satō, ventidue anni. ===Episodio 3, ''Welcome to the Beautiful Girls!''=== *'''Satō''': Non è più tempo per stare chiusi in casa! Yamazaki, dimmi, come mi hai descritto poco fa?<br />'''Yamazaki''': Ecco... un uomo brutto, miserabile, sporco e inoltre... be', sì... un maniaco.<br />'''Satō''': Ecco, appunto, l'hai detto. Vorrà dire che comincerò a comportarmi esattamente da maniaco quale sono.<br />'''Yamazaki''': Cosa?<br />'''Satō''': Proprio così. Forza Yamazaki, scattami una bella fotografia. Scattala e poi mostramela.<br />'''Yamazaki''': E perché dovrei fare una cosa del genere? Non capisco, dove vuoi arrivare?<br />'''Satō''': Se non guardano in faccia la realtà, gli esseri umani non sono in grado di [[Cambiamento|cambiare]]. Quando avrò visto queste fotografie, potrò finalmente osservarmi dall'esterno, con obiettività, e allora riuscirò a provare disgusto nei confronti di me stesso. E questo dovrebbe darmi la forza che mi aiuterà a cambiare. Io... io voglio uscire da questo luogo tetro. Io voglio evadere!! ===Episodio 5, ''Welcome to the Counselling!''=== *'''Hitomi''': Nessuno ha delle colpe. E nonostante tutto, intorno a noi continuano ad accadere cose brutte. E tu sai perché?<br />'''Satō''': Perché è tutto un complotto.<br />'''Hitomi''': Esatto. Una diabolica organizzazione sta tramando un gigantesco complotto a nostro danno. *In quei giorni avremmo dovuto frequentarci come si deve... Non è stata una grande idea quella di passare il nostro tempo a giocare a carte. Se avessimo avuto una sana relazione, forse tu, Satō, non saresti finito a chiuderti in casa tutto il giorno... ('''Hitomi''') *Certo che oggi la vita è diventata proprio comoda... Basta entrare in un discount per trovare cibo, cosmetici e... perfino telefoni cellulari. Che peccato: tra le altre cose non vendono anche [[Relazione|rapporti umani]]. ('''Hitomi''') *Anche chi sta sempre chiuso in casa, se lo fa per uno scopo preciso non può essere chiamato hikikomori. ('''Satō''') ===Episodio 6, ''Welcome to the Classroom!''=== *Se non si riesce ad avere fiducia in se stessi, è sufficiente immaginare che l'interlocutore sia messo peggio di noi. ('''Misaki''') *Tutti all'inizio sono principianti. Tutti maturano passando per le critiche degli insegnanti o di chi ha più esperienza. Non sarà che tu sei una di quelle persone incapaci di accettare gli altri se non sono uguali o inferiori a te? Perché allora... se c'è uno che guarda il prossimo dall'alto in basso, quello sei tu, non certo io. ('''professore di ''game writing''''' a Satō) ===Episodio 7, ''Welcome to Moratorium!''=== *Io sono... un gran bugiardo! Dopo essere stato alla scuola di Yamazaki il mio stato di hikikomori è peggiorato ulteriormente. Non voglio vedere nessuno, non voglio neanche rispondere al cellulare, non voglio fare nulla, non me la sento di continuare a vivere, troppo faticoso decidere di morire, vorrei solo sparire! ('''Satō''') *'''Satō''': Anzitutto, decideremo il nome della società! Che ne dici di "Sayama Company", prendendo Sa di Satō e Yama di Yamazaki?!<br />'''Yamazaki''': A me sembra una società fondata da un fantomatico signor Sayama...<br />'''Satō''': Già, forse hai ragione. Usiamo dei termini occidentali... "Wonderful fantastic dreamy galgames company created by Yamazaki and Satō from M-H for the future"!!! Cosa ne dici, che te ne pare, eh?!<br />'''Yamazaki''' {{NDR|arrabbiatissimo}}: E chi se lo ricorda!!! ===Episodio 8, ''Welcome to Chinatown!''=== *'''Misaki''': Satō, tua madre è straordinaria.<br />'''Satō''': Tu dici?<br />'''Misaki''': Sì.<br />'''Satō''': A me non sembra. Direi che è normale.<br />'''Misaki''': Sarebbe normale, eh? In questo caso io sono proprio spacciata. Io non raggiungo nemmeno la normalità. ===Episodio 9, ''Welcome to Summer Days!''=== *[...] io ho più di vent'anni e la legge mi consente di bere tutto l'alcol che voglio. Ah ah ah, evviva la legge! ('''Yamazaki''') *Originariamente in [[Giappone]] l'amore non esisteva nemmeno. C'erano soltanto i matrimoni organizzati e furtive incursioni notturne. Noi l'amore l'abbiamo importato. ('''Yamazaki''') *{{NDR|Stringendo la mano di Misaki}} Però, in una trappola come questa, potrei anche cascarci. ('''Satō''') ===Episodio 10, ''Welcome to the Dark Side!''=== [[Immagine:Cats-1.jpg|thumb|Un gruppo di gatti affamati]] *'''Misaki''' {{NDR|mentre dà una scatoletta di cibo a un micio}}: [[Beatitudini dalle serie televisive|Beati]] i [[Gatto|gatti]], eh?<br />'''Satō''': Perché?<br />'''Misaki''': Perché loro sembrano calmi e tranquilli, sempre, ovunque, anche se sono da soli.<br />'''Satō''': I gatti sono piuttosto ingrati, sai? Anche se gli dai da mangiare, si dimenticano subito di te.<br />{{NDR|Pensando fra sé}} Che cosa antipatica mi è uscita! Eppure non avevo intenzione di dire una cosa simile.<br />'''Misaki''': Fa lo stesso.<br />'''Satō''': Eh?<br />'''Misaki''': Finché gli offrirò qualcosa che lui desidera avere, forse continuerà a ricordarsi di me per un po'.<br />{{NDR|Guardando il micio}} Miao! *Soffriamo perché ci sentiamo persone inutili. Provo compassione per te e il tuo tormento, ma camminiamo guardando in alto. Tu vai bene così come sei, è tutto a posto, perché hai dei sogni e non sei mai solo. Se continuerai a [[Cammino|camminare]] le strade si apriranno. Tutti fanno il tifo per te. Ti impegni talmente tanto che sembri risplendere. Grazie al pensiero positivo possiamo andare avanti. Noi cammineremo insieme verso il domani, il futuro sarà splendido. Perché siamo persone inutili. Siamo persone inutili. ('''Misaki''', leggendo) *Non devi mai abbassare la guardia con le [[Donna|donne]], Satō. Loro stanno sempre tramando qualcosa, sotto sotto. ('''Yamazaki''') *'''Satō''': Quella ragazza fa parte di un gruppo molto sospetto e mi sorvegliava sempre. Ma adesso... adesso io per lei sento...<br />'''Mobili'''<ref name=mobili />: Esatto, apri gli occhi: questo è un complotto, Satō, lo hai capito! Sì, è stata la Nihon Hikikomori Kyokai. Vogliono tenerti chiuso in casa per tutta la vita!<br />'''Satō''': Però, lei ha detto che devo provare a smettere di essere un hikikomori.<br />'''Mobili''': E questo è l'aspetto peggiore del complotto. Prima lei ti seduce a suon di paroline dolci, poi, quando sei preso dalla sua illusione amorosa... distrugge l'illusione stessa in un colpo solo! Sì, la distrugge! E il danno psicologico che subirai sarà irreversibile e a dir poco smisurato. Tu non riuscirai più a credere in nessuna donna al mondo, in nessun essere umano! Così alla fine non riuscirai a uscire di casa mai più. Ti resterà un solo rifugio. Continuare a rinchiuderti in casa. Sarai chiuso in casa per sempre. Chiuso in casa per sempre! Chiuso in casa per sempre! Chiuso in casa per sempre!<br />'''Satō''': Allora, che posso fare per salvarmi?<br />'''Mobili''': Puoi evitare di vederla. Se non la vedrai, non potrai innamorarti, e se non ti innamorerai... non potrai essere ferito. Noi ti avvertiamo: tu non dovrai incontrare mai più Misaki Nakahara. *È vero, sono in tempo a tornare indietro. Se dovessi innamorarmi ancora di più, e poi essere tradito, io non... ('''Satō''') ===Episodio 11, ''Welcome to the Conspiracy!''=== *'''Jogasaki''': Devi stare tranquilla, il viaggio che abbiamo programmato non corre alcun rischio. In fondo, Hitomi, ti ho dato la mia parola, lo sai che ci tengo.<br />'''Hitomi''': Dimmi una cosa: è a me che tieni, o ti riferivi alla parola data?<br />'''Jogasaki''': Mh, tengo molto a tutt'e due. *In quell'occasione forse sapevo qual era la cosa giusta da fare, però... non ho fatto proprio nulla. Ora ho capito. Quella notte ha rappresentato un vero bivio per me. Se allora avessi raccolto il coraggio e mi fossi fatto avanti... adesso io e lei... Forse non sarei diventato un hikikomori, e adesso la mia vita sarebbe come quella di tutti. Magari questa è la mia occasione per rifarmi una vita. ('''Satō''') *Io verrò con te, scegli tu: mi va bene tanto il paradiso quanto un girone dell'inferno. ('''Satō''' a Hitomi) ===Episodio 12, ''Welcome to the Offline Meeting!''=== *Sono le nove del mattino e senti come picchia il sole! Però, è quello che ci vuole per rimettere un po' in sesto questo cervello ammuffito che mi ritrovo. ('''Satō''') *'''Satō''': Ma lo sa, signor Minegishi, che lei è un personaggio? Possiede una barca e addirittura un'isola.<br />'''Minegishi''': Lo credi davvero?<br />'''Satō''': Mi dica, come si fa a ottenere tutto questo? Dato che lei ce l'ha fatta, mi può rivelare il segreto?<br />'''Minegishi''': E se te lo rivelassi, che cosa vorresti fare?<br />'''Satō''': Eh? Che cosa vorrei fare...?<br />'''Minegishi''': Hai ragione, in effetti io... ho ottenuto cose che una persona normale non potrebbe mai permettersi, ma per avere queste cose ho perso cose altrettanto importanti, come la felicità di tutti i giorni. Vuoi ancora conoscere il mio segreto?<br />'''Satō''': Eh... no, non si preoccupi. Guardi, non mi interessa affatto conoscerlo a tutti i costi. Devo andare, mi scusi! *All'epoca ero convinto che mantenere un atteggiamento [[Cinismo|cinico]] su tutto fosse fico. Cinico nello studio, nell'amore, nei rapporti con gli amici... ed ecco il risultato: sono un hikikomori. ('''Satō''') ===Episodio 13, ''Welcome to Heaven!''=== *'''Yamazaki''': Tu cosa intendi fare? Non so quali siano le tue intenzioni, ma di certo ti sei presa gioco di Satō. Non sarà che avevi già previsto anche questo epilogo?<br />'''Misaki''': Ma... come ti salta in mente? In realtà, io ho bisogno di Satō... perché lui, lui è il ragazzo che stavo cercando. {{NDR|pensando}} Satō è la persona che cercavo per me. A lui tengo molto. *'''Hitomi''': Satō... Non so perché, ma ero sicura che sarebbe andata così. Sapevo che eri tu il predestinato a starmi vicino fino all'ultimo. Se per caso dovessimo rinascere insieme la prossima volta, fammi ancora compagnia giocando a carte.<br />'''Satō''' {{NDR|pensando mentre abbraccia Hitomi}}: Senpai... La prossima volta starò con te tutta la vita. *Finché vivi, puoi fare un altro tentativo. ('''Nomura'''<ref name=Nomura>È il nome dell'ex studente universitario che partecipa all'''offline meeting''.</ref> a Minegishi) *Non è vero, Satō! Tu non sei un sassolino sul ciglio della strada, tu sei un essere umano. È così, sei fatto di carne e di sangue anche se sei un fallito... perché vedi, ho finalmente trovato un essere umano ancora... {{NDR|piangendo}} ancora più squallido e inutile di me, un hikikomori più miserabile di un cane randagio. Io ho bisogno di te, Satō, ho bisogno di te! Perciò... perciò tu... non puoi morire, Satō, non morire! ('''Misaki''') *Noi non abbiamo il diritto di farci coinvolgere in cose tanto grandi come un [[suicidio]]. Per quanto possiamo deprimerci e soffrire, alla fine torniamo sempre alla solita vita idiota di tutti i giorni. E se non dovessimo tornarci, sarebbe perché da idioti siamo morti da qualche parte. Una morte drammatica non è fatta per i tipi come noi. ('''Yamazaki''') ===Episodio 14, ''Welcome to Reality!''=== *Del resto è umano, quando le persone si fanno prendere da un'[[Fissazione|idea fissa]], alla fine non riescono più a liberarsene. E pensare che spesso la soluzione dei [[Problema|problemi]] è a portata di mano: l'abbiamo davanti agli occhi e non la vediamo. ('''Minegishi''') ===Episodio 15, ''Welcome to the Fantasy!''=== *Sono proprio le persone che evitano di impegnarsi a fondo e che non si mettono mai in gioco seriamente quelle che più spesso fantasticano di raggiungere un grande [[successo]] all'improvviso. Tuttavia, non ci si può aspettare che il mondo sia tanto generoso. Molte persone del passato ci hanno lasciato parole importanti. «Non vendere la pelle dell'orso prima di averlo ucciso». «Chi non lavora non mangia»<ref>Cfr. [[Paolo di Tarso]]: «Chi non vuol lavorare neppure mangi».</ref>. «Il grande successo nasce dalle piccole cose». «Persino un viaggio lungo mille miglia comincia... sempre facendo il primo passo»<ref>Cfr. [[Laozi]]: «Anche un viaggio di mille miglia inizia con un passo».</ref>. Inizia dal basso, con [[diligenza]]. ('''Misaki''', leggendo) ===Episodio 16, ''Welcome to the Game Over!''=== [[Immagine:Kicking Horse Rhapsody by Ryo FUKAsawa.jpg|thumb|Scorcio notturno di [[Akihabara]], con le vetrine dedicate ad alcuni videogiochi erotici]] *I sentimenti d'[[amore]] dopotutto sono esattamente come le reazioni chimiche. Se sono soddisfatte alcune condizioni, nascono indipendentemente dagli attori. Proprio così, anche se l'oggetto d'amore sono io. Satō, cercare di ottenere qualcosa dai [[Videogioco|giochi]] è controproducente. Gli unici che ci guadagnano sono quelli che stanno dalla parte della produzione. ('''Yamazaki''') ===Episodio 17, ''Welcome to Happiness!''=== *Non fai che invitarci a essere [[Serietà|seri]], sempre seri. Forse tu lo sei davvero. Ma se non riesci a rispettare i ritmi degli altri, il tuo è solo egoismo. ('''Satō''' a Megumi) *Gli [[Uomo|esseri umani]] hanno sempre bisogno di poter guardare qualcuno dall'alto in basso. Lo sai anche tu, vero? O togli o ti viene tolto, o disprezzi o sei disprezzato: è un gioco delle parti in cui la somma fa sempre zero. ('''Megumi''' a Satō) ===Episodio 19, ''Welcome to the Bluebird!''=== *'''Torotoro'''<ref>È il nome che il fratello di Megumi utilizza nel gioco online in cui incontra Satō.</ref>: Che cosa dovrei fare per [[Perfezionamento|migliorare]] la mia vita? In realtà l'ho già capito. Di quei libri per migliorare se stessi ne ho letti duecento. E potrei scriverne uno io. Perché io so già tutto.<br />'''SA10'''<ref>È il nome che Satō utilizza nel gioco online; in giapponese si pronuncia esattamente come il suo cognome.</ref>: E allora cosa aspetti?<br />'''Torotoro''': È che ho paura.<br />'''SA10''': Hai... paura?<br />'''Torotoro''': Ho paura di cambiare il mio stile di vita. Se lo facessi, temo che potrebbe accadermi qualcosa di inaspettato. *Come si suol dire, la necessità non ha regole. Se uno ha la pancia vuota, fa qualunque cosa, qualunque [[lavoro]]. ('''proprietario di ristorante''') ===Episodio 20, ''Welcome to a Winter Day!''=== *'''Hitomi''': Come si chiama quella [[stella]]?<br />'''Satō''': [...] il nome non ha importanza. Quel che conta è il lato romantico. Pensa, quella luce risale a centinaia di migliaia di anni fa.<br />'''Hitomi''': Senti... La nostra esistenza su questo pianeta, mi chiedo [[Senso della vita|quale significato]] potrà mai avere, visto che le vite degli uomini scompariranno in un decimillesimo del tempo che occorre a quella luce per arrivare fino a qui. *Se vieni picchiato in [[inverno]], le [[Ferita|ferite]] sono molto più dolorose. Sarà colpa del freddo. ('''Yamazaki''') ===Episodio 21, ''Welcome to a Reset!''=== *Questa [[Neve|nevicata]] che ricopre l'intera città riuscirà a nascondere anche la tua tristezza. ('''Satō''' a Yamazaki) *I [[dramma|drammi]] hanno un inizio, uno sviluppo e un epilogo: sono un'esplosione di sentimenti... che ha un termine. Le nostre vite, al contrario, si svolgono continuamente all'interno di una fitta nebbia di assoluta incertezza. ('''Yamazaki''') *Io credo che se si potesse dire che [[Problema dell'esistenza di Dio|Dio esiste]] sul serio, ne sarei di certo molto contenta. D'altra parte Dio esiste veramente? ('''Misaki''') ===Episodio 22, ''Welcome to God!''=== *'''Satō''': Ma tu sei [[felicità|felice]], non è vero?<br />'''Hitomi''': Proprio perché mi sento felice sono in ansia. *Satō, a te non pesa... vivere? Chissà perché io invece ne soffro. Potremmo diventare... amanti? ('''Hitomi''') [[Immagine:Creation of the Sun and Moon face detail2.JPG|thumb|Una rappresentazione [[Michelangelo Buonarroti|michelangiolesca]] di Dio]] *'''Misaki''': Questa sera vorrei tenere una lezione sulla natura di Dio. Osserva questo. In questo diagramma ho rappresentato la proporzione fra i motivi di dolore e di piacere della vita. Come si può vedere, i momenti piacevoli, quei momenti della vita in cui puoi dire «quanto sono felice» oppure «sono così contento di essere vivo» non arrivano al dieci per cento del totale. Quelli che credono nell'[[Problema dell'esistenza di Dio|esistenza di Dio]] dicono che il mondo sia stato creato da lui, ma allora è stato Dio a creare anche tutta la sofferenza di questo mondo. {{NDR|indicando il settore del grafico corrispondente ai motivi di dolore}} Il creatore di tutto questo, il responsabile dell'esistenza di un mondo tanto terribile non può essere benevolo con noi. Se esiste un Dio deve essere malvagio, non c'è alcun dubbio. [...] Considerata la sua natura malvagia Dio ci procura sofferenze di ogni tipo. Per esempio, Satō, è stato lui a farti diventare hikikomori. E poi, è stata un'altra cattiveria di Dio far sì che io ti vedessi uscire da quell'albergo insieme alla tua senpai.<br />'''Satō''': Ehi, guarda che io...<br />'''Misaki''': Perciò io, alla fine, ho capito qual è la cosa giusta da fare. È necessario eliminare Dio. Se questa essenza malvagia venisse eliminata il mondo diventerebbe un posto meraviglioso. Purtroppo però c'è un grosso problema: nessuno sa come trovarlo e quindi come eliminarlo. Può darsi che io abbia una scarsa immaginazione per cui non riesco a credere fermamente in Dio come invece fanno tutte quelle persone.<br />'''Satō''': Quali persone?<br />'''Misaki''': Quelle che partecipano alle riunioni con mia zia, quelle che vanno al tempio il primo dell'anno... Sarebbe tutto più facile per me se facesse qualche miracolo eclatante come quelli di cui parla la Bibbia. A quel punto penso che riuscirei a credere nella sua esistenza, e in quel caso... potrei accusarlo... di tutte le cose brutte... e io... {{NDR|piangendo}} riuscirei a convincermi che la colpa non è mia. ===Episodio 23, ''Welcome to Misaki!''=== *'''Misaki'''<ref>In giapponese ''misaki'' significa ''promontorio''. Il titolo ''Welcome to Misaki!'' presenta quindi un doppio significato, riferito all'ambientazione degli eventi di questo episodio e, soprattutto, del successivo.</ref> {{NDR|citando le [[ultime parole]] di persone famose}}: «Le patate delle feste sono buonissime».<br />'''Satō''': Ah, questo l'ha detto il maratoneta [[Kōkichi Tsuburaya|Tsuburaya]], vero?<br />'''Misaki''': Dindon, dindon! Risposta esatta! [...] Ma come hai fatto a indovinare, Satō?<br />'''Satō''': Questa è una frase piuttosto celebre, sai? Nell'elenco, oltre alle patate delle feste, c'è il vino, il sushi, le seppie e altre cose ancora, non è così?<br />'''Misaki''': Sì, sì, questa la sapevi, bene. Pare che il maratoneta Tsuburaya sia tornato dai genitori poco prima di morire, e poi si dice che abbia mangiato le patate delle feste insieme a suo padre e a sua madre. [...] Credo che a chiunque venga il desiderio di tornare nel paese natale prima di morire. *'''Misaki''' {{NDR|ripensando al suicidio della madre}}: Ancora oggi mi capita di sognarlo, sai? Anche se qualche volta ho la sensazione che tutta la mia vita sia un sogno. Chissà se le patate delle feste sono buone davvero...<br />'''Satō''': Chissà... *'''Misaki''': Avanti, firma! Altrimenti io... io... non ce la faccio più!<br />'''Satō''': Andrà tutto bene! Ce la farai di sicuro! Vedrai, Misaki. Strofinati il corpo al freddo con un asciugamano, ti passerà. Certe sciocchezze alla fine non ti verranno più in mente.<ref>Satō consiglia a Misaki di strofinarsi il corpo con un asciugamano bagnato in acqua fredda: è una pratica di idroterapia che procura una sensazione di rilassamento. Vedi la voce [[w:Idroterapia|Idroterapia]] su Wikipedia e, per informazioni più dettagliate, la voce [[w:en:Hydrotherapy|Hydrotherapy]] su en. Wikipedia.</ref> *'''Yamazaki''': Satō, ammettere a se stesso di essere una persona inutile non è una cosa tanto facile da fare, perciò sei sempre alla ricerca di qualcuno che sia ancora più inutile.<br />'''Megumi''': Se girate un po' su [[internet]], troverete un sacco di persone che si insultano. Quando qualcuno non trova una persona più inutile di lui nella vita reale, sfoga la sua frustrazione contro gli sconosciuti bollandoli come sfigati, in modo da sentirsi superiore almeno a loro.<br />'''Hitomi''': Che tristezza, vero? Calunniare e denigrare le altre persone diventa un modo per essere in pace con se stessi e diventa un'abitudine. Ma una cosa simile non può essere la vera salvezza. Anzi, al contrario, se avrai la forza di ammettere di essere una persona inutile, potresti sentirti meglio. *Domanda: quand'è che uno può continuare a starsene chiuso in casa? Risposta: quando gli vengono garantiti abbigliamento, vitto e alloggio. Finché ti viene concesso il minimo necessario per vivere, puoi permetterti di tapparti in casa per sempre. Ma quando il sostentamento non è più garantito, se non hai la forza di morire... ti tocca lavorare. ('''Satō''') *Le patate delle feste sono buone. Perciò, addio a tutti. ('''biglietto lasciato da Misaki''') ===Episodio 24, ''Welcome to the N.H.K.!''=== *Non gettare inutilmente la tua sola e unica vita. ('''cartello all'inizio della strada che conduce al promontorio''') *Se hai il coraggio di buttarti, hai anche il coraggio di rialzarti. ('''cartello sul promontorio''') *Io sono una pessima persona, che richiama l'infelicità. Nessuno al mondo ha bisogno di me... ma non volevo ammettere una cosa del genere, è per questo che avevo lavorato al progetto. Basterebbe una persona, se dimostrassi che anche una sola persona ha bisogno di me, allora quello che diceva il mio patrigno risulterebbe falso. Io vorrei continuare a vivere, però... questo progetto si è rivelato un fallimento. Persino uno come te, Satō, è capace di fare a meno di me. La mia esistenza non ha alcun senso. ('''Misaki''') *Lasciare un messaggio è importante. Senza un messaggio non si può capire se si è trattato di suicidio oppure no, e crei dei fastidi al prossimo. ('''Misaki''') *'''Satō''': Non farlo. Ti prego. Vivendo capitano anche cose belle. Non hai pensato che darai un dolore ai tuoi zii? E poi io... ho bisogno, ho bisogno di te, Misaki! Mi piaci, io ti amo, ti prego, non devi morire!<br />'''Misaki''': Dici cose divertenti, Satō, ma non funzionerà: io voglio morire! *'''Satō''' {{NDR|pensando}}: È come mi ha detto Misaki una volta: continuando a vivere non si può evitare di affrontare altri momenti difficili. Non ha senso. Vivere non ha senso. Meglio morire, però... {{NDR|rivolto a Misaki}} però... tu... però tu non devi, non devi mai dire che desideri morire!<br />'''Misaki''': Addio Satō, è il momento. {{NDR|si lascia cadere dalla balaustra}} *'''Satō''': Allora, i compiti?<br />'''Misaki''': Sì... {{NDR|porgendo il quaderno a Satō}} [...] Però è un po' umiliante che io mi faccia seguire nello studio proprio da te.<br />'''Satō''': Misaki, tu hai mollato il liceo, io ho abbandonato l'università: chiunque potrebbe dire chi di noi due è più preparato.<br />'''Misaki''': Tu dici? Comunque vedrai che passerò l'esame di ammissione e frequenterò un'università migliore della tua. ===[[Explicit]]=== {{Explicit serie televisive}} '''Misaki''': Sai, ho pensato anch'io a una mia versione dell'NHK. Grazie al tuo gesto, Satō, quel dio malvagio è stato debellato. Però questo non vuol dire che il male non possa tornare a tormentarci in futuro, perciò... {{NDR|mostra un nuovo contratto a Satō}}<br />'''Satō''': Un gruppo giapponese per lo scambio degli ostaggi?<br />'''Misaki''': Chi aderisce mette la propria vita nelle mani di un altro socio. Insomma, in altre parole, questo vuol dire che se tu decidessi di morire, morirei anch'io. Sai, un po' come le nazioni in possesso di armi nucleari durante la guerra fredda, che si scrutavano a vicenda, anche se volessimo morire non potremmo più farlo.<br />'''Satō''' {{NDR|pensando}}: Onestamente, questo non risolve affatto i nostri problemi. Anche in futuro vivremo momenti in cui bisbiglieremo: «Non ce la faccio più», esattamente come ora. Tuttavia... Sì, non ho idea di quanto potrà durare, ma finché riesco... continuerò così. ==Citazioni tratte dal manga== {{Fumetto |tipo=Manga |titolo=Welcome to the N.H.K. |immagine=Welcome to the NHK.jpg |dimensioneimmagine=<!--Per default settata a 285px--> |titolooriginale=NHK ni yōkoso! |paese=Giappone |linguaoriginale=giapponese |pubblicazione=2004 |pubblicazioneitaliana=2008 |genere=sentimentale, psicologico |autore=[[Tatsuhiko Takimoto]] |testi=Tatsuhiko Takimoto |testiitaliani=traduzione a cura della Kadokawa Shoten |disegni=Kendi Oiwa |editoreitaliano=Edizioni BD – Jpop |premi= }} ===[[Incipit]]=== {{Incipit fumetti}} In questo mondo... c'è una grande cospirazione... e io sono una vittima. Come? Non ci credete? ('''Satō''') ===Capitolo 1, ''Welcome To The Project!''=== *Se ti viene fame... se ti viene sete... basta che vai a comprare qualcosa... Ma da nessuna parte vendono le relazioni interpersonali! ('''Yamazaki''') ===Capitolo 4, ''Welcome To The Classroom!''=== *'''Misaki''': Sei ancora vergine, vero?<br />'''Satō''': Eh?!<br />'''Misaki''': Be', nessuna potrebbe starti vicino...<br />'''Satō''': Ma che... stai dicendo?! {{NDR|pensando}} Al liceo, con la senpai... quasi...<br />'''Misaki''': È ovvio! Gli hikikomori non possono avere la ragazza... e tu sei un hikikomori! *'''Professore''': Ehi! Ti stai dando da fare? {{NDR|Dopo che Satō ha nascosto il compito}} Che hai da nascondere? Continua così, dai! Se hai paura che gli altri possano vedere quello che produci... non potrai mai diventare un creativo...<br />'''Satō''': Lasciami in pace! Cioè... mi stai prendendo per il culo? Non puoi guardare la gente dall'alto solo perché sei più bravo!<br />'''Professore''': Certo che posso farlo... Tu accetti solo quelli che sono al tuo livello o inferiore, vero? Forse sei tu a guardare la gente dall'alto in basso... ===Capitolo 8, ''Welcome To The Vacation!''=== *Domanda: perché siamo hikikomori? Perché odiamo la gente... perché non abbiamo fiducia in noi stessi... A quanto pare sono tutte risposte giuste, ma non in modo assoluto... Un senpai del liceo diceva {{sic|"Siamo sempre alla ricerca di una logica<ref>Il manga riporta questa nota: «Il termine è "idea" e ha qui un un valore estetico (n.d.a).»</ref> invisibile che sia solo nostra e che non appartenga agli altri." "Per quanto possa essere dolorosa..." "...non possiamo fare a meno di non cercarla..." "Anche di fronte alla non esistenza, continuiamo a cercare la verità..."}} ('''Hitomi''', pensando) ===Capitolo 10, ''Welcome To The Heaven!''=== *'''Nomura'''<ref name=Nomura/>: Tutti noi abbiamo qualcuno che ci vuole bene! E tu? Ci sarà pur qualcuno... avrai una famiglia, no?!<br />'''Minegishi''': [[Famiglia]]... {{NDR|mostra una foto in cui è con la moglie e il figlio}} finito il denaro, addio l'amore... È tutto un'illusione, i soldi, la famiglia, la felicità... [...] Io... io non ce la faccio più, ma... ma ragazzi giovani come voi non devono morire... ===Capitolo 12, ''Welcome To The Locked Room!''=== [[Immagine:Flickr - Nic's events - London - 14-15 Dec 2007 - 034.jpg|thumb|Quanto costa crescere un figlio?]] *'''Misaki''': Satō... Sei disoccupato... e allora come fai a giocare senza tregua? Dove prendi i [[denaro|soldi]]?<br />'''Satō''': Ho chiesto la grana a casa...<br />'''Misaki''': Sai quanto ci vuole per mandare un figlio all'università?<br />'''Satō''': No... non saprei<br />'''Misaki''': Te lo calcolo... [...] in tutto fanno venti milioni di yen! Un sicario ci ammazzerebbe venti persone con questi soldi! E invece tu hai smesso di studiare e stai tutto il giorno davanti al computer... [...]<br />'''Satō''': Anche io lavorerò... un giorno!<br />'''Misaki''': Impossibile! Perché sei un hikikomori! Un hikikomori non è in grado di lavorare! Me lo hai dimostrato! Tu non vali niente! ===Capitolo 13, ''Welcome To The Blue Bird!''=== *Anche se mi sono laureata e ho cominciato a lavorare, ho accumulato tante esperienze... Però, Satō... ho incontrato delle persone che mi hanno fatto cambiare! Non mi faccio più influenzare dalle parole degli altri! Credo solo a quello che penso! Perché ognuno di noi ha delle grandi potenzialità! Vuoi incontrarli anche tu? Ti cambieranno la vita! ('''Megumi''') ===Capitolo 18, ''Welcome To The Trap!''=== *'''Hitomi''' {{NDR|vedendo Misaki scappare}}: Quella era una tua amica? [...] Avrà frainteso?<br />'''Satō''': Non ti preoccupare!<br />'''Hitomi''': Mi spiace... volevo assolutamente scusarmi per ieri... [...] Ok, vedo che è tutto a posto... Me ne vado... ma non devi perdere degli amici importanti per delle stupidaggini... ===Capitolo 20, ''Welcome To The Starry Sky!''=== *'''Misaki''' {{NDR|a Satō che vuole gettarsi da un dirupo}}: Perdonami! È tutta colpa mia! Perdonami!<br />'''Satō''': [...] Ascoltami tu! Ero un hikikomori! Davo troppa importanza al mio mondo e non riuscivo a uscire... è grazie a te, se ho messo il naso fuori casa! Avevo paura di farmi male! Paura di essere messo alla prova nell'amore, nel lavoro... scappavo da tutto! Tanto non potevo mettermi con la ragazza che mi piaceva! Tanto senza una laurea non avrei mai trovato un lavoro! Mi sono buttato a capofitto in una strada pericolosa! E quando mi sono guardato intorno avevo perso tutto! Ho toccato il fondo! Per la prima volta mi sono sentito senza speranza... però... Tu che sei in una situazione ben peggiore della mia... sei stata gentile con me... Ho deciso così! Morirò per te! Sicuramente... i miei genitori avranno stipulato un'assicurazione sulla mia vita! Quei soldi sono tuoi! [...]<br />'''Misaki''': Lascia stare il suicidio, non ci devi pensare! Perché tutte le cose che ti ho detto finora... erano delle bugie! ===Capitolo 25, ''Welcome To The Next Stage!''=== *Ma io non voglio lavorare... non voglio lavorare tutta la vita... capisci? Quelli che lavorano tutta la vita sono schiavi della società... cercavo un legame con le persone... finalmente sono tornato alla normalità. Già! Fin dall'inizio non c'è stata nessuna Misaki Nakahara! Non è mai esistita nessuna ragazza... che mi ha teso la mano per aiutarmi... [...] Anche nascendo un miliardo di volte, non ci sarà nessun angelo a salvarmi! ('''Satō''', dopo aver detto per telefono a Misaki che stava andando a un colloquio di lavoro) ===Capitolo 27, ''Welcome To The Self Destruction!''=== *Alla fine... ecco cosa significa essere un hikikomori. Praticamente... equivale a essere prigionieri di se stessi. ('''Satō''') ===Capitolo 30, ''Welcome To The Shuffle!''=== *Gli esseri umani hanno bisogno di speranze per vivere... pensare di poter diventare ricchi... pensare di poter diventare dei famosi creativi... credere nel paradiso... Ognuno fluttua nelle proprie allucinazioni e fantasie... dimenticando la dura [[realtà]]... Attribuendo valore al mondo a due dimensioni, ci si può liberare da quello in tre dimensioni... Identificando la realtà con il lavoro, ci si può liberare dalla famiglia. Ma io lo so. La vera realtà non esiste... È tutta una illusione senza senso. ('''Satō''') ===Capitolo 33, ''Welcome To The Kabuki-cho!''=== *Nel mondo ci sono un sacco di perdenti. Gente che non prende mai nulla sul serio... Sì, lo so. Quando qualcosa ti piace davvero, non importa se sbagli, non importa se dai fastidio agli altri... non importa nemmeno se crepi... Quello è "[[vivere]]" veramente! ('''Satō''') *Per quanto ci si senta felici, un volta raggiunta la vetta... tutto finisce subito. ('''Misaki''') ===Capitolo 34, ''Welcome To The Revolution Bomb!''=== *La realtà è come il gioco delle sedie! Non ci sono posti per tutti! ('''Yamazaki''') ===Capitolo 39, ''Welcome To The Attic!''=== *Se è stato [[Dio]] ad aver creato questo mondo... per quanto si ricerchi la salvezza... è colpa sua se non veniamo amati. Anche se tutti mi odiano... è per colpa sua. ('''Misaki''') *È brutto stare soli, vero? È brutto essere presi in giro, no? Io ti amerò... perciò, diventa mio prigioniero. E se, prima o poi, riuscirò a essere felice... ucciderò tale sentimento con tutte le mie forze. A quel punto... sarò triste... sarà il dolore più grande del mondo, giusto? Se sopporterò il dolore più grande del mondo, poi non avrò più paura. ('''Misaki''', abbracciando Satō) ===Capitolo 40, ''Welcome to the NHK!''=== *'''Satō''': Io non mi... lascerò più sconfiggere dalla cospirazione! Io sceglierò secondo la mia volontà! Ormai non mi interessa più il tuo carattere, il tuo aspetto, quello che pensi di me{{sic|...!}} Non me ne frega niente di niente! Questa volta, io, io... io mi innamorerò di te. Mi innamorerò di te... di mia volontà!<br />'''Misaki''': Ok...<br />'''Satō''' {{NDR|stupito}}: Io... penso di tornare di nuovo dalla mia famiglia e ricominciare da capo... lì diventerò di nuovo un... un creativo e guadagnerò dei soldi, quindi... Perciò... in qualche modo...<br />'''Misaki''': Ok! Ti aspetto! ===[[Explicit]]=== {{Explicit fumetti}} {{NDR|Riferito al dialogo di cui sopra}} Sei mesi dopo... non sapevo nemmeno se quella scena fosse accaduta sul serio. Sono sempre il solito freeter<ref>Termine utilizzato per indicare le persone che si accontentano di lavori precari.</ref> che vorrebbe fare il creativo... Gli altri... be', più o meno stanno tutti bene... Non mi lascerò certo sconfiggere! Perché io sono un vero guerriero che affronterà la cospirazione! ('''Satō''') ==Citazioni tratte dal romanzo== ===[[Incipit]]=== A questo mondo i [[Cospirazione|complotti]] esistono.<br />Tuttavia, anche se raccontati in maniera credibile, in oltre il 99% dei casi sono pure e semplici fantasie, oppure deliberate menzogne.<br />Prendiamo certi testi che si trovano in libreria, per esempio ''La grande cospirazione ebraica che ha distrutto l'economia giapponese!'' o ''La cospirazione della CIA per celare gli accordi segreti con gli alieni...'' nient'altro che noiose invenzioni.<br />Eppure... ===Citazioni=== *Noi esseri umani andiamo matti per i "complotti".<br />Complotto.<br />Una parola affascinante, dal suono dolce e malinconico.<br />Ora proviamo ad analizzare, per esempio, il processo che ha portato alla formulazione della "teoria della congiura ebraica".<br />Chi teorizza una cosa del genere cova in sé orribili complessi e risentimenti: "perché sono povero?", "perché la mia vita non può essere più agiata?", "perché non riesco a trovarmi una ragazza?". La sua psiche ed il suo corpo sono esposti continuamente alle pressioni provenienti sia dal mondo esterno che dal suo Io.<br /><br />Senza dimenticare il profondo rancore represso, l'inesauribile odio nei confronti della società, la rabbia.<br />All'origine di tutto questo risentimento, però, c'è solo un carattere debole. Se uno è povero è perché non ha la capacità di guadagnare; se non ha una ragazza, è perché non ha alcun tipo di attrattiva.<br />Purtroppo, accettare questa verità e prendere coscienza da soli delle proprie incapacità presuppone una consistente dose di coraggio, e nessun essere umano vuole confrontarsi con i propri difetti. (pp. 5-6) *Pur restando un caso estremamente raro, esiste un uomo che si è accorto di un vero "complotto". Uno che è stato testimone con i propri occhi di ciò che si sta subdolamente attuando in questo stesso istante.<br />E chi è quell'uomo?<br />Sono io. (pp. 6-7) *Era una notte triste e solitaria. L'avvento del nuovo millennio non mi dava alcuna speranza. Avevo mangiato la tradizionale zuppa di mochi, ma mi veniva da piangere lo stesso. Ero un ventiduenne disoccupato che aveva abbandonato gli studi e che sentiva dentro di sé solo il freddo tagliente dell'inverno.<br />Nella mia stanza, le pareti puzzavano di fumo, c'erano vestiti sparpagliati alla rinfusa sul pavimento e c'ero io, in mezzo a tutto quel sudiciume, che continuavo a sospirare «Aah...»<br />''Ma come ho fatto a ridurmi così?''<br />Non facevo che pensare a questo.<br />«Aah...» E piagnucolavo.<br />Se non mi sbrigo a cambiare qualcosa nella mia vita, diventerò un emarginato sociale. Resterò indietro, più indietro di quanto non lo sia già, dopo aver abbandonato gli studi a metà, come un fallito!<br />Devo cercarmi subito un lavoro e tornare in carreggiata.<br />''Però, proprio non ci riesco.<br />Ma perché? Perché no?''<br /><br />Facile. Perché io sono uno ''hikikomori''. (pp. 9-10) *Se si disputassero le "Olimpiadi mondiali di hikikomori", ho la presunzione di credere che otterrei ottimi risultati.<br />Contro qualunque tipo di hikikomori di qualunque Paese, sono certo che vincerei io.<br />Sia che si tratti degli hikikomori russi che si rifugiano nella vodka, o di quelli inglesi che si buttano sulle droghe, oppure di quelli americani che sparano a casaccio nei luoghi pubblici. (p. 11) *Un certo [[Tatsuhiko Shibusawa]] diceva: «L'illuminazione che si ottiene mediante l'apprendistato religioso, così come quella ottenuta grazie alle droghe, in fin dei conti non sono che la medesima cosa».<br />Se è così, allora io arriverò all'illuminazione grazie alla droga.<br />In questo modo, sfuggirò alla condizione di hikikomori. (p. 13) *Fuori è pieno di [[pericolo|pericoli]]. Le macchine sfrecciano ad alta velocità, il polline dei cedri svolazza e le strade sono infestate da aggressori occasionali.<br />Come posso lanciarmi verso un mondo tanto pericoloso? Può davvero andare tutto bene?<br />Ad essere sincero, sono molto spaventato.<br />Cioè, è impossibile.<br />Un essere inutile come me non potrebbe mai condurre una vita sociale normale.<br />Per esempio ieri, nonostante mi fossi svegliato dopo tanto tempo ad un'ora decente, ossia alle sette di mattina, sono rimasto disteso a letto fino a mezzogiorno, assorto nei miei pensieri.<br />Uno così non ha alcuna possibilità di avere una vita sociale normale.<br />Uno che chiude gli occhi pensando di fare un breve [[pennichella|riposino]] e finisce per dormire profondamente fino alle cinque di mattina, non ha alcuna speranza di avere una vita sociale normale [...]. Aah, meglio morire! (pp. 23-24) *''Addio.<br />Addio, signora del gruppo religioso.<br />Addio, Misaki dal parasole bianco.<br />Addio. Addio a tutti.<br />Io parto.<br />Ora chiuderò la porta dell'appartamento, darò le mandate, tirerò completamente anche le tende e partirò.''<br />Mi sono steso sul letto e ho smesso di respirare.<br />Mi sono tappato forte la bocca con entrambe le mani e ho trattenuto il respiro.<br />''Aah... [[Asfissia|soffoco]]. Soffoco.<br />Sto per morire. Ho già trattenuto il fiato per ben trenta secondi. Tra pochissimo muoio.''<br />E invece la mia ultima ora non si decideva ad arrivare. E questo perché l'aria mi filtrava attraverso il naso.<br />A questo mondo niente va come vogliamo. (pp. 33-34) *Terrorizzato da una vita senza futuro, spaventato da ansie immotivate, questa mia esistenza senza prospettive, mediocre e così stupida da far quasi ridere, è proseguita e prosegue ancora.<br />Ero circondato da paure senza forma.<br />Per questo mi ero rinchiuso in casa e mi ero messo a dormire. Avevo dormito tanto profondamente da stancarmene. Era passata la primavera, se n'era andata l'estate, era arrivato l'autunno, poi l'inverno.<br />E ancora l'ennesima, dolce, primavera.<br />Il tempo scorreva in avanti, invece io mi ero rinchiuso una volta per tutte e mi sentivo completamente perso. Il vento della sera era fresco, piacevole, ma nonostante questo, io ho continuato a dormire. (p. 52) *''La [[Canzoni dai libri|canzone]] dello hikikomori''<br />Parole e musica di Tatsuhiro Satō<br />''La camera da sei [[tatami]] continua a congelarsi, in questo appartamento monocolore.<br />La mia fuga è lontana, non riesco a vederla. Sedici ore al giorno a letto a dormire e svegliarmi.<br />Sotto l'ombra di quel kotatsu e lì intorno, uno scarafaggio si nasconde.<br />Mangio una volta, un solo pasto al giorno, e il mio peso diminuisce sempre di più.<br />E se anche a volte vado al [[konbini]], lo sguardo della gente mi terrorizza.<br />Mi vengono perfino i freddi sudori, devo pensare alle difficoltà della fuga.<br />La ricerca della cospirazione NHK mi porta solo illusioni.<br />Anche oggi il sole è calato e a fatica mi stendo sul mio letto umido.<br />Sono stanco, ho la testa pesante.<br />Aah, non ce la faccio più! Non ce la faccio più!'' (pp. 54-55) *Gli esseri umani sono animali dall'[[istinto]] frantumato [...]. Quegli animali [...], a causa di concetti moderni come "amore" e "affetto", hanno finito con il reprimere completamente i propri istinti. Ma, ovviamente, resta l'inganno. E per dissimulare quest'inganno, la razza umana ha dato vita a nuovi concetti. Per questo, più passa il tempo e più il mondo diventa complicato. Tuttavia, questa complessità non riesce a dissimulare alla perfezione tutte le varie contraddizioni scaturite dalla distruzione degli istinti,<br />E così, ciò che si genera è un disperato conflitto bipolare.<br />Parola e istinto.<br />Pensiero e corpo.<br />Ragione e desiderio sessuale.<br />Questi concetti antagonisti sono come due serpenti che si mordono la coda a vicenda. I due serpenti, per stabilire ognuno il proprio predominio, continuano costantemente ad ingaggiare violente battaglie. È per questo che si attorcigliano nelle loro spire. E più si attorcigliano e si contorcono, più noi soffriamo. (pp. 79-80) [[Immagine:Lolicon Sample.png|thumb|[[Tatsuhiro Satō|Satō]] e [[Kaoru Yamazaki|Yamazaki]] sono ossessionati da figure femminili in stile ''[[Vladimir Vladimirovič Nabokov#Lolita|Lolita]]'']] *Anche noi volevamo trascorrere una vita allegra e felice, sorridendo ogni giorno; una vita ordinaria, semplice. Ma ormai questo, a causa delle incomprensibili e tempestose onde del destino, per qualche ragione è diventato assolutamente impossibile. Perciò piangi! Dillo pure: «Come soffro!» Devi dire: «Lo giuro, io volevo diventare uno che aiuta la gente, volevo essere rispettato da tutti. Volevo vivere in armonia con tutti e invece adesso sono uno hikikomori ossessionato dalle bambine!» Avanti, piangi! Piangi! (p. 98) *«Mi chiedo che fine faremo.» ''Mi capita di essere tormentato da simili pensieri, ma in fin dei conti sono un fallito, uno hikikomori. Finché non toccherò il limite, ho deciso che continuerò a fuggire dalla realtà.'' (p. 111) *Lo stomaco mi faceva male costantemente. Mi sentivo messo alle strette, avevo quel senso di impazienza che non dà via di scampo, proprio come il giorno prima di un esame. Per uno come me, con una psiche tanto fragile, quella sensazione dava un forte senso di oppressione, con effetti davvero devastanti.<br />Tuttavia, come c'era scritto in un libro di [[Fëdor Dostoevskij|Dostoevskij]] o di chi per lui, dentro al dolore che ha superato ogni limite esiste realmente e contemporaneamente un innegabile piacere. In altre parole, quando lo [[stress]] supera un certo livello, chissà perché gli esseri umani vanno su di giri. Quanto si viene messi con le spalle al muro, al contrario, per assurdo, ci si sente esaltati. La tensione cresce. Ed è divertente. (p. 160) *Nella vita di un essere umano la proporzione tra i dolori e le gioie è sicuramente di nove a uno. L'altro giorno li ho provati a scrivere sul quaderno e li ho calcolati per bene. (p. 181) *Anche se esistesse questo Dio malvagio, noi, al contrario di quel che sembra, potremmo vivere sereni. E sai perché? Perché ci basterebbe addossare a lui tutta la colpa della nostra infelicità e starcene tranquilli. (p. 182) *Per uno hikikomori l'inverno è doloroso. Fa freddo, si gela, e io sono triste.<br />Per uno hikikomori anche la primavera è dolorosa. Sono tutti euforici e io sono invidioso.<br />L'estate, poi, è dolorosa da morire. (p. 187) *Io sono un ingordo, più di chiunque altro. Non la voglio una mezza felicità. E non mi serve nemmeno un fuocherello moderato. Io voglio una felicità che duri per sempre, ma è una cosa impossibile! Non lo so il perché, ma in questo mondo prima o poi sorge qualche ostacolo. Le cose importanti si infrangono in un lampo. Ho vissuto per ben ventidue anni. Una cosa così la so anch'io. Qualunque cosa si rompe. Perciò è meglio non aver bisogno di nulla fin dall'inizio. (p. 211) *Vivrò da solo e morirò da solo. Nonostante tutto, ho una speranza.<br />Si, ce l'ho una speranza.<br />Guarda, proprio qui vicino, c'è qualcosa che brilla pallido e dolce.<br />È il vero paese natio, quello che ti fa commuovere di nostalgia e tristezza. (p. 212) *Mi sono sentito triste e depresso, perché solo ora ero riuscito ad afferrare in pieno il significato di quel videogioco.<br />«Il guerriero che affronta il male».<br />Era esattamente quello a cui noi aspiravamo.<br />Volevamo combattere contro la malvagia organizzazione. Volevamo combattere i [[cattiveria|cattivi]]. Nel caso in cui fosse scoppiata una guerra, ci saremmo immediatamente arruolati nell'Esercito della Difesa e probabilmente avremmo fatto attacchi kamikaze. Di sicuro quello sì che era un modo di vivere che aveva un senso e un modo di morire da veri duri. Se per caso in questo mondo ci fossero stati cattivi, noi li avremmo combattuti. Li avremmo combattuti con i pugni alzati. Di quello ero certo.<br />''Ma i cattivi non esistono. Il mondo è pieno di complessità e non esistono cattivi che si riconoscono così, a occhio nudo. È una cosa penosa e drammatica.'' (p. 218) *''Anche io conosco la sua angoscia, anche se solo in minima parte. Certo, ne conosco soltanto la parte più superficiale, ma comunque, più o meno, la capisco.<br />Lei non ha più speranze. La sua sofferenza non si spegnerà mai.<br />Ma è un a cosa normale. Perché la sofferenza di Misaki è probabilmente quella che accomuna tutto il genere umano. È l'angoscia di cui è pieno il mondo.'' (p. 227) *''Sono convinto che la mia vita è esistita per questo momento. In un modo o nell'altro, io farò vivere questa ragazza. Credo che sia questo il mio compito. Se così non fosse non avrebbe senso. Tutta la mia vita non avrebbe significato nulla. Non avrebbe senso vivere e morire. Ecco perché ho capito. Ora comprendo tutto. Conosco tutto, ogni cosa si ricollega all'altra.<br />Devo salvare Misaki, che sta tremando di paura. La salverò in cambio della mia vita.'' (p. 237) *D'ora in avanti, ogni volta che intorno a te succede qualcosa di brutto, sta' pur certa che è colpa dell'NHK. È lei l'unica colpevole. Anche se... il nome NHK è assolutamente provvisorio. Tanto il nome non significa niente. Se non ti piace questo, chiamalo pure come vuoi. Puoi chiamarlo anche Satana. Va bene anche "Dio malvagio", tanto è lo stesso.<br />''Infatti. Il nome non è importante. È soltanto una combinazione di suoni. Un nemico immaginario che ci tormenta: ecco la vera essenza dell'NHK.'' (p. 240) ===[[Explicit]]=== [[Immagine:Rainbow over Bristol.jpg|thumb|L'arcobaleno in un cielo cupo]] ''In fin dei conti non abbiamo risolto proprio nulla.''<br />''Non è cambiato assolutamente niente.''<br />''Continuiamo a vivere guardando avanti?''<br />''Idiota!''<br />''Andrà tutto bene perché abbiamo sogni?''<br />''Ma quali sogni?!''<br />''Con molta probabilità, d'ora in avanti continuerò a vivere mormorando tutti i santi giorni:'' «Non ne posso più! Non ne posso più!»<br />''Ti sembra sensato? Oppure no?''<br />«...»<br />Per un attimo, mi sono fatto coinvolgere da questi pensieri, ma poi alla fine ho meso la firma sul contratto.<br />Dopo averlo riposto nella borsa, Misaki mi ha afferrato le spalle e mi ha tirato verso di sé.<br />I nostri occhi si sono incontrati a una distanza ravvicinata.<br />Poi ad alta voce lei ha dichiarato: «Benvenuto nell'NHK!»<br />Ho iniziato a ridere, incitato dall'espressione terribilmente eccitata del suo volto.<br />Mentre venivo preso da un attacco compulsivo di risate, ho pensato:<br />''Non so fino a quando la cosa potrà durare, ma cercherò di impegnarmi come posso.''<br /><br />''Alla fine, anche se non ho capito molto, ho preso una decisione.''<br />Era la nascita di Tatsuhiro Satō, il primo membro dell'associazione NHK. ==Citazioni su ''Welcome to the NHK''== *Ancora adesso, io non riesco a vedere questo romanzo in maniera oggettiva.<br />Ogni volta che lo rileggo mi viene una leggera confusione mentale. Sudo freddo.<br />Ogni volta che mi avvicino a qualche passaggio, mi viene voglia di scagliare fuori dalla finestra il computer in cui sono conservati tutti i capitoli. Leggendo altri punti, invece, mi scatta la voglia di andare a fare il monaco eremita su una sperduta montagna indiana.<br />Probabilmente tutto questo è dovuto al fatto che i temi affrontati nel libro sono ancora terribilmente attuali per me.<br />Non riesco a guardare con occhio distaccato frasi come «A quell'epoca eravamo giovani».<br />Perché per me è ancora un problema.<br />Comunque, ho provato a finirlo, scrivendo tutto quello che potevo.<br />Questo è quello che ne è venuto fuori.<br />E provo a rileggerlo, con la faccia rossa per la vergogna.<br />Quando sono di buon umore penso: «Fantastico! Sono un genio!», che quando sono depresso diventa: «Come ho fatto a scrivere una roba del genere? Faccio schifo! Voglio morire!» A parte tutto questo, però, credo di poter affermare davvero che ho scritto "tutto quello che potevo". ([[Tatsuhiko Takimoto]]) *Ci sono abbondanti elementi di Holden Caulfield<ref>Il protagonista del romanzo ''[[J.D. Salinger#Il giovane Holden|Il giovane Holden]].''</ref> e di Tyler Durden<ref>Uno dei personaggi del romanzo ''[[Fight Club (romanzo)|Fight Club]]''.</ref> in Satō e negli eventi che lo circondano per rendere questo romanzo una consistente lettura per chiunque sia interessato ai libri che esaminano la condizione umana.<ref group="fonte">''[...] there's enough Holden Caulfield, or even Tyler Durden, in Satou and the events that surround him to make this story a solid read for anyone interested in books that examine the human condition.'' (da ''[http://comics.ign.com/articles/831/831634p1.html Welcome to the N.H.K.: Move over, Holden Caulfield]'', ''IGN'', 30 ottobre 2007)</ref> (A.E. Sparrow) *{{NDR|Riferito al romanzo}} Consigliato non solo a chi è incuriosito dalla tematica affrontata ma anche a chi ha già letto il manga o ha visto la serie animata: questi si troveranno di fronte a un'opera più matura, solida, concentrata e diretta, priva di quei riempitivi e annacquamenti dovuti al passaggio a media con target ed esigenze differenti.<ref group="fonte" name=Addari>Da ''[http://www.mangaforever.net/44887/nhk-light-novel-recensione-anteprima Welcome to the NHK (Light Novel): Recensione in anteprima]'', ''MangaForever'', 27 ottobre 2011.</ref> (Roberto Addari) *{{NDR|Riferito alla grafica del manga}} È infinitamente piacevole guardare la varietà di espressioni scioccate, turbate e stressate di Satō quando affronta ognuno dei mali della società.<ref group="fonte">''It's endlessly entertaining to watch the parade of shocked, disturbed and stressed-out faces as Satou confronts each of society's ills.'' (da ''[http://www.animenewsnetwork.com/review/welcome-to-the-n.h.k./gn-3 Welcome to the N.H.K.]'', ''Anime News Network'', 12 agosto 2007)</ref> (Carlo Santos) *I dialoghi sono pieni di vigore e ingegno, con un tono lineare che trasmette slanci folli, insuccessi lacrimevoli e tutte le situazioni intermedie.<ref group="fonte">''the dialogue is full of vigor and wit, with a straightforward tone that conveys mad outbursts, tearful breakdowns, and everything in between.'' (da ''[http://www.animenewsnetwork.com/review/welcome-to-the-n.h.k./gn-3 Welcome to the N.H.K.]'', ''Anime News Network'', 12 agosto 2007)</ref> (Carlo Santos) *Nonostante il taglio (auto)ironico, che ben si sposa alla descrizione di situazioni sopra le righe aiutando a stemperare casi umani e temi piuttosto forti (si parla anche di suicidio, violenze domestiche e uso di stupefacenti), l'autore non sembra cercare più di tanto la simpatia o la commiserazione di chi legge verso il suo personaggio, che se non è apertamente condannato non è nemmeno giustificato come spesso accade in opere simili.<ref group="fonte" name=Addari/> (Roberto Addari) *Personalmente, credo che "Make Love, Not ''Warcraft''"<ref>Titolo dell'ottavo episodio della decima stagione di ''[[South Park]]''; un gioco di parole ottenuto unendo il motto degli hippie «Fate l'amore, non la guerra» con quello del videogioco ''Warcraft'' della Blizzard Entertainment.</ref> impallidisca di fronte al modo in cui è trattato il tema nella brillante serie anime ''Welcome to the NHK'' (2006), specialmente negli episodi "Welcome to the Fantasy!" e "Welcome to Game Over!"<ref group="fonte">''Personally, I feel that "Make Love, Not ''Warcraft''" pales next to the treatment of the theme in the brilliant anime series ''Welcome to the NHK'' (2006), particularly the episodes "Welcome to the Fantasy!" and "Welcome to Game Over!"'' (da ''After the New Wawe: Science Fiction Since 1980'', Nader Elhefnawy, 2011, [http://books.google.it/books?id=ztyLjzdvB6UC&pg=PA219 p. 219]. ISBN 1463644825)</ref> (Nader Elhefnawy) *{{NDR|Riferito alla sceneggiatura del manga}} Tra situazioni rocambolesche e gag assurde, mi sa che alla fine mi sono perso. Quello che è rimasto è un messaggio troppo diretto, che non è né comico né narrativo: "la [[volontà]] cambia le persone". I bei ricordi non svaniscono, ma sento di voler chinare il capo e scusarmi con tutti. Mi vergogno moltissimo. Eppure, voglio anche ringraziarvi... Probabilmente ho fallito e la responsabilità è mia. Se chiudo gli occhi, affiorano alla mia mente i sorrisi di Satō, Yamazaki e Misaki. Mi vengono in mente solo cose belle, che non dimenticherò. [...]<br />Mille grazie, davvero.<br />Se nei momenti liberi vi tornerà in mente questo manga, per me non ci potrà essere gioia più grande. ([[Tatsuhiko Takimoto]]) *''Welcome to the NHK'' è un vera gemma degli anime! [...] Quello che vediamo è un delicato racconto umano di un giovane uomo che fa i conti con la vita da adulti a Tokyo. [...] È più di un anime. È un film.<br />Non potrò mai raccomandare abbastanza questa serie. È forse il miglior anime che io abbia visto nel 2008.<ref group="fonte">''Welcome to the NHK is a true anime gem! [...] What we see is a delicately human tale of a young man coming to terms with adult life in Tokyo. [...] This is more than just anime. This is film.''<br />''I cannot recommend this series enough. It is perhaps the best anime I saw during 2008.'' (da ''[http://www.awn.com/articles/anime/anime-reviews-anime-sans-usual-suspects/page/2%2C1 Anime Reviews: Anime Sans the Usual Suspects]'', ''Animation World Network'', 15 gennaio 2009)</ref> (James Brusuelas) ==Note== <references /> ===Fonti=== <references group="fonte" /> ==Bibliografia== *Tatsuhiko Takimoto, ''Welcome to the NHK'', traduzione di Daniela Guarino, Edizioni BD, Milano, 2011. ISBN 978-88-6123-877-0 *Tatsuhiko Takimoto, Kendi Oiwa, ''Welcome to the NHK'', traduzione a cura della Kadokawa Shoten, Edizioni BD, collana ''Seinen manga'', Milano, ottobre 2008 – settembre 2009. Vol. 1, ISBN 978-88-6123-363-8; Vol. 2, ISBN 978-88-6123-382-9; Vol. 3, ISBN 978-88-6123-409-3; Vol. 4, ISBN 978-88-6123-436-9; Vol. 5, ISBN 978-88-6123-467-3; Vol. 6, ISBN 978-88-6123-506-9; Vol. 7, ISBN 978-88-6123-524-3; Vol. 8, ISBN 978-88-6123-547-2 ==Altri progetti== {{interprogetto|w=Welcome to the NHK|w2_etichetta=episodi di ''Welcome to the NHK''|w2=Episodi di Welcome to the NHK|w2_preposizione=riguardante gli}} {{Welcome to the NHK}} {{vetrina|15|maggio|2013|arg=serie televisive|arg2=fumetti|arg3=opere letterarie}} [[Categoria:Romanzi]] [[Categoria:Welcome to the NHK| ]] mcb39j19wamludcm13wi3lmuv5jshny Stirling Moss 0 80242 1381989 1239585 2025-07-02T00:11:28Z Danyele 19198 fix di stile 1381989 wikitext text/x-wiki [[File:Stirling Moss 2014 2 amk.jpg|thumb|Stirling Moss nel 2014]] '''Stirling Craufurd Moss''' (1929 – 2020), pilota automobilistico britannico. ==Citazioni di Stirling Moss== *È necessario rilassare i muscoli quando si può. Rilassare il [[cervello]] invece è fatale.<ref>Citato in [[Marco Pastonesi]] e [[Giorgio Terruzzi]], ''Palla lunga e pedalare'', Dalai Editore, 1992, p. 50. ISBN 88-8598-826-2</ref> *Per raggiungere qualche risultato in questo sport, bisogna essere preparati a sguazzare ai limiti del disastro.<ref>Citato in Marco Pastonesi e Giorgio Terruzzi, ''Palla lunga e pedalare'', Dalai Editore, 1992, p. 48. ISBN 88-8598-826-2</ref> *{{NDR|Sul perché si rifiutò di far squalificare il collega [[Mike Hawthorn]] che alla fine lo batté nella corsa al titolo mondiale per un punto}} Era l'unica cosa corretta da fare, questo è uno sport. E nello sport bisogna essere corretti fino in fondo.<ref>Dall'intervista di Gian Luca Pellegrini a ''Quattroruote - profili di eccellenza'', gennaio 2012; ripubblicato in ''[https://www.quattroruote.it/news/sport/2020/04/12/le_grandi_interviste_stirling_moss.html Stirling Moss: "Se non apprezzi più l'azzardo e il pericolo a ogni curva è l'ora di smettere"]'', ''quattroruote.it'', 12 aprile 2020.</ref> ==Note== <references /> ==Altri progetti== {{interprogetto}} {{DEFAULTSORT:Moss, Stirling}} [[Categoria:Piloti di Formula 1 britannici]] rqa6hs62tcjcslhk7z9zs2ksr1dptwh Ferrari 0 85323 1381965 1375461 2025-07-01T23:18:44Z Danyele 19198 /* Citazioni */ +1 1381965 wikitext text/x-wiki {{voce tematica}} [[File:2004 Ferrari 360 Spider F1 - Flickr - The Car Spy (11).jpg|thumb|Logo]] Citazioni sulla '''Ferrari'''. ==Citazioni== *C'è poco da dire: ci sono tanti costruttori molto bravi, ma alla fine i piloti vogliono correre con Ferrari, indipendentemente dall'aspetto tecnico. Rende tutto più speciale. ([[Alessandro Pier Guidi]]) *Che cos'è Ferrari? Molto più di un semplice costruttore d'auto o una squadra corse, questo è sicuro. È quasi una forza primordiale, rappresentata dal colore rosso, nonché uno dei loghi più immediatamente riconoscibili al mondo. E poi è una macchina ricca di storie da raccontare, un mezzo per trasmettere un ideale, un sentimento che racchiude in sé tutte quelle cose che ci entusiasmano nel profondo. ([[Jason Barlow]]) *Da amante delle auto è normalissimo essere emozionati nel correre per la Ferrari, soprattutto essendo un pilota italiano. Se chiunque chiedesse ad un bambino di disegnare un'automobile, senza dubbio il colore più utilizzato per colorarla sarebbe il rosso. La Ferrari va ben oltre l'aspetto automobilistico e il fatto di essere il brand più famoso al mondo. Ogni bambino appassionato di automobili sogna di guidarne una prima o poi. Avere la possibilità di lavorare per questa società, di correre con la Ferrari e salire su podi molto importanti con la tuta rossa è indubbiamente un valore aggiunto. Una vittoria già bellissima a livello emotivo come Le Mans vale ancora di più vestito di rosso rispetto se avessi la tuta di un altro colore. ([[Alessandro Pier Guidi]]) *Da bambino italiano, sono cresciuto vedendo il Rosso ovunque. ([[Antonio Giovinazzi]]) *Dentro c'è tutto quel sentimento che io chiamo italianità e modenesità. Vede, la Ferrari vende le sue vetture in tutto il mondo, ma facciamo tutto qui, a Maranello, sul territorio. Tagliare queste radici è impossibile. ([[Piero Ferrari]]) *È un'azienda di lusso in cui, contrariamente ad altre aziende di lusso, la tecnologia gioca un ruolo importante. ([[Benedetto Vigna]]) *{{NDR|Enzo Ferrari}} era solito dire che il giorno in cui un signore entrerà con l'assegno ed uscirà con la Ferrari, la Ferrari scomparirà. Bisogna coltivare sempre il sogno di possedere quest'auto. ([[Nicola Materazzi]]) *Essere un pilota Ferrari mi fa sentire fortunato. [...] Amo la passione degli italiani per la Ferrari. I tifosi si creano quell'atmosfera magica ricca di adrenalina che percepiamo benissimo, in particolare in griglia di partenza. ([[James Calado]]) *Ferrari dà un'opportunità incredibile di sperimentare, ogni nuova vettura, ogni nuovo progetto è un'opportunità di fare qualcosa di diverso, anche perché come sempre la forma segue la funzione, anche se con quel pizzico di creatività e quell'approccio artistico che è tipico di Ferrari e quindi vuol dire che ogni oggetto ha una sua identità. La forma deve riflettere un po' lo spirito del progetto stesso. ([[Flavio Manzoni]]) *Ferrari non è un'auto, è un sogno. ([[Benedetto Vigna]]) *Gli [[Oasis]] erano sicuramente come una cazzo di Ferrari: bellissimi da guardare, bellissimi da guidare e andavano fottutamente fuori controllo ogni tanto quando andavi troppo veloce. ([[Liam Gallagher]]) *Il sogno di ogni bambino è diventare un pilota Ferrari. I sacrifici fatti per arrivare a questo traguardo sono stati ripagati dalla gioia che provo ogni volta in cui indosso il casco. ([[Antonio Fuoco]]) *{{NDR|Nel 1998}} Io mi chiedo se non ci fosse stata la Fiat, la Ferrari avrebbe ancora questo grande consenso, questa grande simpatia, questa grande continuità, questo contatto con la gente? Dal punto di vista industriale produce 3200 vetture e le vende tutte. Hanno delle ordinazioni per 9 mesi. La gestione sportiva non vince un campionato da 19 anni, però la gente continua ad apprezzare tutto questo insieme. Bene allora, le Ferrari sono due, a mio avviso, bisogna essere onesti fino in fondo. C'è una Ferrari 47-77, consentitemi questa data. Poi l'uomo {{NDR|Enzo Ferrari}} va un po' in decadenza e la Fiat da molto distante se ne occupa. Lui gestisce questa sua capacità facendo sempre e soltanto le cose che lo stimolano per la gestione sportiva lasciando poi progressivamente il tutto nelle mani di coloro che oggi hanno posto quel mito, questo marchio, questa memoria in una posizione mondiale. ([[Romolo Tavoni]]) *La Ferrari, intesa nella sua interezza, è un impasto irriducibile di uomini e di tecnologia. ([[Leo Turrini]]) *La Ferrari è soprattutto questo: passione. ([[Miguel Molina (pilota automobilistico)|Miguel Molina]]) *La Ferrari non è solo una azienda. Non è solo un brand. Non è solo un titolo in borsa. Non è solo un elenco di ordini d'arrivo, si tratti di stupende vittorie o di ingloriose sconfitte. [...] No. La Ferrari è un sentimento. La Ferrari [...] è qualcosa che ti entra sotto la pelle e anche se fingi di essere diventato indifferente alle sorti sue, beh, sai benissimo che non è vero. E se la vedi perdere male ti dispiace e speri smetta di accadere. Io sono uno dei tanti che ha questa malattia. ([[Leo Turrini]]) *La passione delle persone che lavorano qui è palpabile, un posto così non me lo immaginavo, bellissimo! ([[Gordon Ramsay]]) *La tradizione delle berlinette con motore V12 in posizione anteriore risale agli albori della storia del Cavallino. Quando, per dirla con le parole dello stesso Enzo Ferrari, il carro trainava i buoi, non lo spingeva. Un riferimento al collocamento del motore in vettura che il Drake prediligeva davanti come da tradizione. Ci fu una parentesi attorno agli anni Ottanta in cui la Ferrari spostò il 12 cilindri dietro sulle proprie berlinette. Gli esempi più eclatanti furono la 512 BB e la 512 Testarossa. Venne fatto per dare una connotazione più sportiva alle berlinette. Ma nel 1996, con il lancio della 550 Maranello, il V12 tornò ad essere collocato davanti. Anche se questa scelta pose ai progettisti non pochi problemi di ingombri. Per quale motivo si tornò al passato, al motore anteriore, schema che sembrava superato dai tempi per le sportive? Perché il propulsore 12 cilindri, inserito nel vano anteriore liberava molto spazio in coda permettendo di creare sia un abitacolo più spazioso e confortevole per gli occupanti, sia un ampio vano di carico dietro i sedili per valigie ed oggetti. Queste scelte tecniche hanno permesso alla Ferrari pian piano di trasformare la coupé V12 a motore anteriore da berlinetta in granturismo. Cioè un'auto meno estrema e scomoda da guidare e più orientata al turismo veloce, ai lunghi viaggi. ([[Alberto Sabbatini]]) *Lavorare per il Commendatore è stata un'esperienza speciale e anche la vicinanza a quel genio di Forghieri lasciò il segno: quando lavori per la Ferrari, ti porti il Cavallino nel cuore per tutta la vita. ([[Daniele Audetto]]) *Le Ferrari rappresentano secondo me, con i loro pregi e anche i loro difetti, la più bella storia italiana e questo è capito e apprezzato in tutto il mondo. L'italianità è un valore, nel suo senso migliore, che tutti gli umani vorrebbero avere: la bellezza. ([[Leonardo Fioravanti (designer)|Leonardo Fioravanti]]) *Le persone mi chiedono spesso cosa significhi lavorare per la Ferrari e la risposta è netta: quando realizziamo un'automobile che ha il Cavallino Rampante sulla carrozzeria ne siamo particolarmente orgogliosi perché qui si lavora con un preciso obiettivo: raggiungere l'eccellenza assoluta. Sentiamo il dovere etico di non tradire la nostra storia. [...] la filosofia che si respira qui a Maranello impone sempre di pensare al futuro, non al passato: non possiamo esimerci dal creare auto che non siano null'altro che dei capolavori. Abbiamo la necessità di spostare continuamente in avanti quel limite. Di fare sempre meglio. Non dobbiamo accontentarci mai. È una sfida costante verso se stessi e il mondo. Per uno come me che, da bambino, immaginava automobili e guardava fuori dalla finestra, sognando cosa avrebbe fatto da grande, è una sensazione impagabile. ([[Flavio Manzoni]]) *Ogni giorno lavoro per raggiungere la perfezione e ottenere le tre stelle Michelin è stato davvero un sogno, ma il mio altro grande sogno si è realizzato quando ho guidato la mia prima Ferrari. ([[Gordon Ramsay]]) *– Questa è una Ferrari, è la migliore macchina nel panorama automobilistico di tutto il mondo.<br />– Se la ama tanto, perché non se la scopa? Perché la vende? (''[[Scent of a Woman - Profumo di donna]]'') *Tutte le mie Ferrari hanno avuto problemi alla frizione. Quando tu guidavi normalmente, tutto andava bene. Ma quando si andava forte, la frizione scivolava in accelerazione; semplicemente non era all'altezza del compito. [...] Sono andato a Maranello regolarmente per avere una frizione ricostruita o rinnovata, e ogni volta la vettura è stata portata via per diverse ore e non mi hanno permesso di guardarli ripararla. Il problema con la frizione non è mai guarito, così ho deciso di parlare con [[Enzo Ferrari]]. ([[Ferruccio Lamborghini]]) *Un giorno dico a Ferrari: "Commendatore, a Modena la Ferrari è per il 50% ammirata e per il 50% non la vede nessuno perché?" Lui risponde: "Perché il successo non dà emulazione, dà invidia". ([[Romolo Tavoni]]) ===[[Mario Donnini]]=== *Ce lo ha insegnato Enzo Ferrari: una Ferrari è di chi se la compra, ma la Ferrari è di tutti. *In Italia non si può non esser idealmente ferraristi, così come [[Benedetto Croce]] sosteneva che non si può non essere culturalmente cristiani. *La Ferrari è una Casa né migliore né peggiore delle altre, ma un pianeta particolare e splendente. Il solo dalle cui orbite hai vista piena su universi che motoristicamente guardano al paradiso dello Sport. ==Voci correlate== *[[Circuito di Fiorano]] *[[Enzo Ferrari]] *[[Scuderia Ferrari]] *[[Terra dei Motori]] ==Altri progetti== {{interprogetto|w_preposizione=riguardante la|preposizione=sulla}} [[Categoria:Aziende italiane]] [[Categoria:Case automobilistiche]] t35jxyf6id2szen5e7mmh506zupfanp Hikikomori 0 85575 1381952 876924 2025-07-01T20:28:38Z ~2025-109787 103363 this is an iamage of a room taken right after an earth quake! What do you expect? The use is insulting 1381952 wikitext text/x-wiki {{voce tematica}} Citazioni sugli '''hikikomori'''. ===''[[Welcome to the NHK]]''=== *All'epoca ero convinto che mantenere un atteggiamento [[cinismo|cinico]] su tutto fosse fico. Cinico nello studio, nell'amore, nei rapporti con gli amici... ed ecco il risultato: sono un hikikomori. *Alla fine... ecco cosa significa essere un hikikomori. Praticamente... equivale a essere prigionieri di se stessi. *Anche chi sta sempre chiuso in casa, se lo fa per uno scopo preciso non può essere chiamato hikikomori. *Anime uguale [[otaku]]. E otaku uguale problemi di relazione. Un otaku tende a diventare un hikikomori barricato in casa. *Domanda: quand'è che uno può continuare a starsene chiuso in casa? Risposta: quando gli vengono garantiti abbigliamento, vitto e alloggio. Finché ti viene concesso il minimo necessario per vivere, puoi permetterti di tapparti in casa per sempre. Ma quando il sostentamento non è più garantito, se non hai la forza di morire... ti tocca lavorare. *Domanda: perché siamo hikikomori? Perché odiamo la gente... perché non abbiamo fiducia in noi stessi... A quanto pare sono tutte risposte giuste, ma non in modo assoluto... *Per uno hikikomori l'inverno è doloroso. Fa freddo, si gela, e io sono triste.<br />Per uno hikikomori anche la primavera è dolorosa. Sono tutti euforici e io sono invidioso.<br />L'estate, poi, è dolorosa da morire. ==Altri progetti== {{interprogetto|preposizione=sugli}} [[Categoria:Cultura del Giappone]] [[Categoria:Sindromi psichiche]] smw0jyavwop2d55m80nyey7as6lwnv4 Discussione:Batman 1 90013 1381923 594014 2025-07-01T16:31:19Z ~2025-109396 103355 /* La leggenda di Batman */ Risposta 1381923 wikitext text/x-wiki == La leggenda di Batman == "Le origini di Batman non vennero approfondite fino al 1939, quando Kane realizzò una storia dove, sebbene costituita da appena due pagine, venivano sintetizzate la rapina e l'omicidio dei genitori, la promessa di un piccolo Bruce, e il pipistrello come ispirazione del costume". Visto quanto scritto su Wikipedia su "La leggenda di Batman" mi sembrava giusto inglobarlo in questa voce, invece di creare una voce nuova così piccola. Se avete suggerimenti migliori, potete aggiornare. --[[Utente:Kurtanglewwe1996|Kurtanglewwe1996]] ([[Discussioni utente:Kurtanglewwe1996|scrivimi]]) 18:27, 31 lug 2013 (CEST) :quindi le citazioni vengono dalla storia "La leggenda di Batman"? Così com'è ora non va bene, non si capisce la fonte. Forse ha casa ho un volume Rizzoli con quella storia, nel weekend controllo. Sennò puoi aggiungere le informazioni tu, da dove le ai prese? --'''[[Utente:Superchilum|<span style="color:#209090;">Superchilum</span>]]'''<sup>([[Discussioni_utente:Superchilum|scrivimi]])</sup> 15:55, 27 set 2013 (CEST) :lo so [[Speciale:Contributi/&#126;2025-109396|&#126;2025-109396]] ([[Discussioni utente:&#126;2025-109396|discussione]]) 18:31, 1 lug 2025 (CEST) La voce è presente anche su "Batman, I classici del fumetto di Repubblica n. 24, 2003." dove però non è scritto di chi è la traduzione. Se basta questa come fonte, tengo questa. --[[Utente:Kurtanglewwe1996|Kurtanglewwe1996]] ([[Discussioni utente:Kurtanglewwe1996|scrivimi]]) 11:37, 28 set 2013 (CEST) :ho guardato il volume dei Classici del Fumetto e ho inserito le informazioni sulle fonti. --'''[[Utente:Superchilum|<span style="color:#209090;">Superchilum</span>]]'''<sup>([[Discussioni_utente:Superchilum|scrivimi]])</sup> 10:31, 1 ott 2013 (CEST) 0baleax32tvhalemtq4lu2srmf1oliy 1381929 1381923 2025-07-01T16:53:27Z Udiki 86035 Annullata la modifica di [[Special:Contributions/~2025-109396|~2025-109396]] ([[User talk:~2025-109396|discussione]]), riportata alla versione precedente di [[User:Superchilum|Superchilum]] 594014 wikitext text/x-wiki == La leggenda di Batman == "Le origini di Batman non vennero approfondite fino al 1939, quando Kane realizzò una storia dove, sebbene costituita da appena due pagine, venivano sintetizzate la rapina e l'omicidio dei genitori, la promessa di un piccolo Bruce, e il pipistrello come ispirazione del costume". Visto quanto scritto su Wikipedia su "La leggenda di Batman" mi sembrava giusto inglobarlo in questa voce, invece di creare una voce nuova così piccola. Se avete suggerimenti migliori, potete aggiornare. --[[Utente:Kurtanglewwe1996|Kurtanglewwe1996]] ([[Discussioni utente:Kurtanglewwe1996|scrivimi]]) 18:27, 31 lug 2013 (CEST) :quindi le citazioni vengono dalla storia "La leggenda di Batman"? Così com'è ora non va bene, non si capisce la fonte. Forse ha casa ho un volume Rizzoli con quella storia, nel weekend controllo. Sennò puoi aggiungere le informazioni tu, da dove le ai prese? --'''[[Utente:Superchilum|<span style="color:#209090;">Superchilum</span>]]'''<sup>([[Discussioni_utente:Superchilum|scrivimi]])</sup> 15:55, 27 set 2013 (CEST) La voce è presente anche su "Batman, I classici del fumetto di Repubblica n. 24, 2003." dove però non è scritto di chi è la traduzione. Se basta questa come fonte, tengo questa. --[[Utente:Kurtanglewwe1996|Kurtanglewwe1996]] ([[Discussioni utente:Kurtanglewwe1996|scrivimi]]) 11:37, 28 set 2013 (CEST) :ho guardato il volume dei Classici del Fumetto e ho inserito le informazioni sulle fonti. --'''[[Utente:Superchilum|<span style="color:#209090;">Superchilum</span>]]'''<sup>([[Discussioni_utente:Superchilum|scrivimi]])</sup> 10:31, 1 ott 2013 (CEST) gae0kd7z3lmm1adtyygjpxfqz9hwwum Ganso 0 98333 1381933 652774 2025-07-01T17:12:43Z ~2025-109684 103356 1381933 wikitext text/x-wiki [[File:Ganso (cropped).jpg|thumb|Ganso]] '''Paulo Henrique Chagas de Lima''', meglio noto come '''Ganso''' (1989 – vivente), è un fuoriclasse brasiliano. ==Citazioni su Ganso== *Non corre e se di mestiere facesse il cacciatore di lumache rimarrebbe disoccupato a vita. ([[Franco Rossi]]) ==Altri progetti== {{interprogetto|w|commons=Category:Paulo Henrique Chagas de Lima}} {{stub}} [[Categoria:Calciatori brasiliani]] c15jm9vkvwtws9zx7m1abhh879kf9yc 1381938 1381933 2025-07-01T20:03:16Z Udiki 86035 Annullata la modifica di [[Special:Contributions/~2025-109684|~2025-109684]] ([[User talk:~2025-109684|discussione]]), riportata alla versione precedente di [[User:BRacco (bot)|BRacco (bot)]] 652774 wikitext text/x-wiki [[File:Ganso (cropped).jpg|thumb|Ganso]] '''Paulo Henrique Chagas de Lima''', meglio noto come '''Ganso''' (1989 – vivente), calciatore brasiliano. ==Citazioni su Ganso== *Non corre e se di mestiere facesse il cacciatore di lumache rimarrebbe disoccupato a vita. ([[Franco Rossi]]) ==Altri progetti== {{interprogetto|w|commons=Category:Paulo Henrique Chagas de Lima}} {{stub}} [[Categoria:Calciatori brasiliani]] mdg3jt3nbef4gggxnz20che9gq1prmu Paolo Salvati 0 101903 1382007 1061206 2025-07-02T07:43:32Z Spinoziano 2297 sistemazioni, ordine alfabetico 1382007 wikitext text/x-wiki [[File:Paolo Salvati - Pittore espressionista, ritrattista, restauratore italiano..JPG|thumb|Paolo Salvati]] '''Paolo Salvati''' (1939 – 2014), pittore italiano. ==Citazioni di Paolo Salvati== *È la stessa [[arte]] che non permette chiusure, dunque nessuna interruzione creativa e limitazione umana all'idea, cambiano scenari sociali, politici, nuovi passaggi concettuali, comunque una qualsiasi tipologia di società anche consumistica, globalizzata, è perdente contro la forza espressiva della cultura; si vive con l'arte del passato, si vive grazie all'arte del passato perché è un alimento della nostra fantasia, un supporto equilibrato, vissuto, a volte differente dal proprio percorso, ma necessario per una reale analisi comparativa, anche critica della propria opera.<ref name=salvati/> *Eroe! Perché nell'era Moderna è colui che compie uno straordinario atto di coraggio, che comporta il consapevole sacrificio di se stesso, all'unico scopo di proteggere il bene altrui o comune. Vivere di arte è già un atto di coraggio, si sacrifica tutto della propria vita, si tende a proteggere l'opera che esprime il messaggio intimo. L'opera compiuta è il dono che l'artista fa alla comunità mondiale attraverso la propria comunicazione personale, fruibile per tutti per il bene comune, troppo spesso mai ricompensata abbastanza e per tempo.<ref name=salvati2>Dall'[http://www.exibart.com/notizia.asp?IDNotizia=44578&IDCategoria=61, intervista inedita a Paolo Salvati, pittore affascinato da Turner ma anche liutaio, incisore e ritrattista "en plen air", in piazza Navona], ''exibart.com'', 5 febbraio 2015.</ref> *Il cavalletto si posizionava la mattina presto per ottenere il posto migliore, il cielo tra i campanili di Sant'Agnese in Agone era sempre il frammento e il piacevole dettaglio della mia libertà.<ref name=salvati2/> *Il [[colore]] è il mio vero ed unico amico, che mi consola senza mai rimproverarmi di nulla.<ref>Roma, febbraio 2003; citato in Pierandrea Saccardo, ''[http://www.artapartofculture.net/2015/02/22/paolo-salvati-opera-creativa-e-vita-da-espressionista-moderno/ Paolo Salvati. Opera creativa e vita da Espressionista Moderno]'', ''artapartofculture.net'', 22 febbraio 2015.</ref> *Il colore è il senso dell'Arte Moderna, il colore domina la lettura dell'Opera prima, geniale creazione visiva. Il test cromatico di Lüscher afferma che la preferenza al blu esprime il bisogno di quiete e serenità emotiva. Il blu è un colore che realmente racchiude l'attesa, la magia, il mistero della vita.<ref name=salvati3>Citato in Emma Moriconi, ''[http://www.ilgiornaleditalia.org/news/cultura/858192/L-espressionismo-immortale-di-Paolo-Salvati.html L'espressionismo immortale di Paolo Salvati]'', ''ilgiornaleditalia.org'', 15 settembre 2014.</ref> *Il ruolo dell'[[Artista]] è: entrare nel fondo nell'animo umano, attraverso differenti forme di espressione, nel mio caso coloristica, pongo all'attenzione di tutti la fede in una speranza, la mia è una fede Cattolica Cristiana, attraverso il superamento della sofferenza, trovo e metto in evidenza con il colore l'opera di Dio.<ref name=salvati/> *Io sono stato profondamente artista, certamente non un buon mercante del mio lavoro, questo perché ho sempre cercato di non sacrificare la mia opera, non ho mai svenduto la mia arte nemmeno per necessità.<ref>Roma, febbraio 2014; citato in Andrea De Liberis, ''[http://ww2.virtualnewspaper.it/giornaleditalia/books/150224giornaleditalia/index.html#/10/ Seconda parte dell'intervista a Paolo Salvati: l'artista è un eroe che "sacrifica tutto della propria vita"]'', ''ilgiornaleditalia.org'', 24 febbraio 2015.</ref> *Nella mia vita ho fatto tutto quello che dovevo fare, la mia famiglia, il mio lavoro, la mia opera.<ref>Roma, 16 giugno 2014; citato in Pierandrea Saccardo, ''[http://www.artapartofculture.net/2015/02/22/paolo-salvati-opera-creativa-e-vita-da-espressionista-moderno/ Paolo Salvati. Opera creativa e vita da Espressionista Moderno]'', ''artapartofculture.net'', 22 febbraio 2015.</ref> *Per dirla con [[Benedetto Croce]], l'arte è la trasfigurazione del sentimento, quindi concordo nel considerarla una istituzione lirica, aggiungo impalpabile, oggi come ieri sempre attuale.<ref name=salvati>Dall'intervista ''[http://www.finestresullarte.info/73n_intervista-a-paolo-salvati.php, "Si vive grazie all'Arte del passato"]'', ''finestresullarte.info'', 12 agosto 2013.</ref> *Tutti noi, da sempre, lottiamo con una pietra da superare. Essa rappresenta il peso dell'esistenza. E su di essa finiscono il pianto, il dolore e le fatiche, ma solo quando riusciremo a superarla, porteremo con noi la gioia, l'amore e il cuore in un mondo migliore.<ref>Citato in Antonio Pannullo, ''[http://www.secoloditalia.it/2015/06/anno-paolo-salvati-artista-strada-sempre-controcorrente/ Un anno senza Paolo Salvati, "artista di strada" sempre controcorrente]'', ''secoloditalia.it'', 24 giugno 2015.</ref> ==Note== <references /> ==Altri progetti== {{interprogetto}} {{DEFAULTSORT:Salvati, Paolo}} [[Categoria:Pittori italiani]] 7e6fn5s22is723u50mhapctgw3zpo4f Boris Nemcov 0 107757 1381999 1359728 2025-07-02T06:05:44Z Mariomassone 17056 /* Citazioni di Boris Nemcov */ 1381999 wikitext text/x-wiki [[File:Boris Nemtsov 2003 RussiaMeeting (cropped).JPG|thumb|Nemcov nel 2008]] '''Boris Efimovič Nemcov''' (1959 – 2015), politico russo. ==Citazioni di Boris Nemcov== {{cronologico}} *Abbiamo milioni di abbandoni scolastici precoci [...] ma il governo si preoccupa di insegnare ai bambini come ammazzare un uomo a duecento metri di distanza.<ref>Citato in ''[https://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2005/08/07/soldati-bambini-di-putin-la.html I soldati bambini di Putin - La guerra di Andrej baby-soldato della nuova Russia]'', ''La Repubblica'', 7 agosto 2005.</ref> *{{NDR|Sull'[[attentato terroristico all'aeroporto Domodedovo del 2011]]}} Molti accusano i servizi di sicurezza russi. Altri puntano il dito contro l'inadeguatezza del sistema di sicurezza aeroportuale. Tutto questo è certamente vero. Ma i motivi reali sono altri. Negli ultimi 11 anni in Russia è in rapida crescita il numero di atti terroristici. Dal 2000 al 2009 si registrano in media oltre 750 attacchi in un anno (nel 2000 sono stati 130). La realtà è che c'è un fallimento totale delle attività anti-terroristiche nel Paese. E il 100% della responsabilità di questo fallimento è di Vladimir Putin. Fu lui che nel 2000 salì al potere con lo slogan "staneremo i terroristi anche nel cesso". Fu lui a usare all'inizio della sua carriera gli atti di terrorismo per rafforzare il suo governo. Dopo l'attacco del 2002 al [[Crisi del teatro Dubrovka|teatro Nord Ost sulla Dubrovka]] ha introdotto la censura in televisione, e dopo la [[strage di Beslan]] ha abolito le elezioni del governatore. Abbiamo convinto la gente che per il bene della sicurezza occorra sacrificare la libertà. Bene, lo abbiamo fatto. Ma ora gli attacchi terroristici sono aumentati e il senso di sicurezza continua a diminuire...<ref>Citato in ''[https://tg24.sky.it/mondo/2011/01/25/mosca_domodedovo_attentato_cecenia_putin_accuse_medvedev_nicolai_lilin_boris_nemtsov_novaja_gazeta Mosca, "per la sicurezza abbiamo sacrificato la libertà"]'', ''tg24.sky.it'', 25 gennaio 2011.</ref> *{{NDR|Sulle [[proteste in Russia del 2011-2013]]}} [[Vladimir Putin|Putin]] ha due possibilità: o ammette di non essere il padrone del Paese, oppure continuare nel gioco duro e stringere ancora di più la morsa sull'opposizione.<ref name="esulta">Citato in [https://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2011/12/05/ex-vice-di-eltsin-esulta-per.html ''L'ex vice di Eltsin esulta. Per lui è l'inizio della fine''], ''La Repubblica'', 5 dicembre 2011.</ref> *La gente è stanca di tante cose. La [[Corruzione in Russia|corruzione]] è di livello africano. La disparità sociale è un insulto continuo verso i lavoratori. Poi scuola, sanità, pensioni. Un disastro. Se molti arrivano a rimpiangere l'Urss e votano ancora comunista ci sarà un motivo.<ref name="esulta"/> *[[Barack Obama|Obama]] crede nella [[libertà]] e nello stato di diritto. Putin nel [[denaro]], negli affari e nel [[potere]].<ref name = "liberale">Citazione del novembre 2010. Citato in [[Christian Caryl]], ''Foreign Policy''; tradotto in ''La carriera di un liberale'', ''Internazionale'', n. 1092, 6 marzo 2015, p. 22.</ref> *Non credo che il presidente {{NDR|[[Barack Obama]]}} o il congresso americano possano portare la [[democrazia]] in [[Russia sotto Vladimir Putin|Russia]]. È nostro compito farlo.<ref name = "liberale"/> *{{NDR|Dichiarazione sull'Ucraina del 2005, poi rivelatasi sbagliata}} [...] sono sicuro che da qui a cinque anni, il popolo ucraino vivrà meglio di quello russo. Senza avere gas né petrolio. Entro sette anni, l'Ucraina entrerà nell’Unione europea e tutti gli ucraini avranno un passaporto Schengen. E noi li invidieremo.<ref name="oppositore">Citato in Alfredo Ranavolo, ''[http://it.euronews.com/2015/03/02/nemtsov-da-icona-della-fase-liberale-russa-a-fiero-oppositore/ Nemtsov: da icona della fase liberale russa a fiero oppositore]'', ''Euronews.com'', 2 marzo 2015.</ref> *{{NDR|Dopo aver scontato 15 giorni di prigione a causa di una manifestazione svoltasi il 31 dicembre del 2010}} Perché mai dovrei lasciare il mio Paese? Amo la Russia. Che se ne vadano ladri e criminali.<ref name="oppositore"/> *Ogni volta che le telefono, mia madre mi rimprovera: "Quando la smetterai di parlare male di Putin? Guarda che quello ti ammazza!"<ref>Citato in Gwynne Dyer, ''[http://www.internazionale.it/opinione/gwynne-dyer/2015/03/02/chi-ha-ucciso-boris-nemtsov La paranoia uccide]'', ''Internazionale.it'', 2 marzo 2015.</ref> {{NDR|in una dichiarazione di poco antecedente al suo assassinio}} *Tre anni fa eravamo un opposizone. Oggi siamo non più che dissidenti. :''Three years ago, we were an opposition. Now we are no more than dissidents.''<ref>{{en}} Citato in ''[http://www.ft.com/cms/s/2/4ecd1a04-bd1d-11e4-b523-00144feab7de.html#axzz3Sxm3VBeu Russia: Left out in the cold]'', ''Financial Times.com'', 26 febbraio 2015.</ref> {{Int|1=''[https://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2000/03/28/il-voto-ha-cancellato-era-delle.html Il voto ha cancellato l'éra delle riforme]''|2=Intervista sulle [[elezioni presidenziali in Russia del 2000]], ''La Repubblica'', 28 marzo 2000.|h=4}} *Niente è chiaro sul programma di Putin e ancor meno si sa dei quadri dirigenti, la squadra che vuol mettere in piedi. Io vedo davanti al nuovo presidente troppe biforcazioni per poter stabilire quale direzione prenderà. Da un lato vedo che su di lui si sono fatte più pesanti le pressioni degli "oligarchi". Dall'altro c'è un gruppo di economisti liberali nell'attesa. Quindi la scelta è: o il capitalismo banditesco, coperto di una retorica patriottica, o, nonostante tutto, il mercato europeo. *La destra ha commesso molti errori. Non possiamo considerare Javlinskij come il candidato della destra. I nostri elettori ormai lo sanno. Qualunque cosa faccia, qualsiasi somma investa nella campagna elettorale, il suo risultato sarà sempre intorno al 5-7 per cento. Piuttosto avremmo noi dovuto trovare un candidato comune, come per esempio [[Anatolij Borisovič Čubajs|Cjubais]]. Sì, lo so, a prima vista la scelta sembra esotica. Ma io sono stato eletto a Nizhnij Novgorod, so come la pensa la gente nel paese. E posso dire che all'inizio davanti a una proposta del genere i leader politici ed economici provano una certa sorpresa, ma poi ammettono che è ragionevole. Ma noi non abbiamo avuto la forza di promuovere un nostro candidato e questo ha in un certo senso pre definito l'esito delle elezioni. *Io vivo da molti anni in Russia e ormai non temo più niente. Semplicemente trovo folle votare per una persona che non si sa cosa voglia fare della Russia. Penso che bisognerebbe scegliere il proprio futuro in modo cosciente. {{Int|Da [http://www.archiviolastampa.it/component/option,com_lastampa/task,search/mod,libera/action,viewer/Itemid,3/page,11/articleid,0213_01_2004_0329_0011_13637266/ ''Spero che la Russia segua la via ucraina'']|Intervista di Natalie Nougayrède sulla [[rivoluzione arancione]], ''La Stampa'', 28 novembre 2004.}} *Le elezioni sono state falsificate. Viktor Yanukovic non sarà mai un presidente legittimo. *{{NDR|«Lei come giudica l'atteggiamento di Putin dentro questa crisi?»}} La situazione è estremamente negativa, poiché Putin si trova accanto a personaggi come Lukashenko e Milosevic, i soli ad applaudire all'elezione di Yanukovic. *Il fatto è che la politica seguita da Putin porterà a un deterioramento dei rapporti tra Russia e Ucraina. Gli elettori di Kiev avevano, prima, l'opinione che Putin fosse leale. Ma dopo che ha riconosciuto i risultati ufficiali elettorali, la gente è delusa. *Le forze democratiche ucraine sono di esempio a quelle russe che sono state schiacciate e sono in crisi. L'esempio ucraino può suggerirci qualcosa. {{Int|Da [https://www.limesonline.com/cartaceo/ne-democrazia-ne-impero ''"Né democrazia né impero"'']|Intervista di Margherita Belgiojoso, ''Progetto Russia'', n°3, 2008.}} *{{NDR|«Qual è la sua valutazione degli otto anni di presidenza Putin?»}} Difficile dirlo in due parole. [...] Credo che questi siano stati otto anni di enormi possibilità per la Russia, possibilità di cui non abbiamo approfittato: abbiamo avuto autoritarismo senza modernizzazione. Da un lato, sono stati anni di grande crescita economica, ma anche di enorme aumento della corruzione. Sono stati anni di degradazione degli istituti democratici, dai tribunali al sistema pensionistico, dall’educazione alla salute e all’esercito. Putin dice che il più grande risultato del suo mandato è stato il raggiungimento della stabilità, ma sono convinto che si tratta piuttosto di stagnazione. E le due cose sono ben diverse. *{{NDR|«Perché secondo lei Putin ha preferito come successore Dmitrij Medvedev a Sergej Ivanov?»}} Perché Medvedev è legato a doppio filo a Gazprom. E tutto quanto il monopolio energetico russo ha concluso in questi anni è sotto la diretta responsabilità del suo presidente Dmitrij Medvedev. E i [[Cekismo|cekisti]], come tutti sanno, scelgono sempre persone su cui hanno vasto materiale ''kompromat'', ovvero chi è più facilmente ricattabile. *{{NDR|«Qual è oggi il rapporto tra centro e periferia?»}} Esattamente quello che c’era nell’antica Roma tra cittadini e schiavi. Mosca è la metropoli, e la Russia è la sua colonia. Quando Putin ha iniziato il suo mandato, la distribuzione delle risorse era paritaria. Oggi il 65% va a Mosca e solo il 35% è diretto alla provincia. Inoltre ricordiamo che nel 2000 tutti i governatori erano eletti dal popolo, mentre oggi sono nominati dalla capitale. La loro responsabilità è stata drasticamente ridotta, e oggi anche per le più piccole questioni è necessario contattare Mosca: tutto viene risolto soltanto nella capitale. *Putin vorrebbe che la Russia fosse un impero, ma la Russia oggi rappresenta circa il 2% del pil mondiale. Gli Stati Uniti contano per il 27%, la Cina per il 15%, l’Europa da sola pesa per più del 25%: che tipo di impero può contare su statistiche del genere? *La Russia oggi può scegliere di raddoppiare le pensioni, invece di costruire e foraggiare basi militari a Cuba e in Venezuela. La mentalità della nostra gente è che non importa se siamo poveri, l’importante è che ci temano. *{{NDR|«Perché la politica liberista in Russia ha fallito?»}} Perché l’eredità di trecento anni di schiavitù non è ancora superata. La nostra mentalità è storicamente quella degli schiavi. E poi perché la gente dalla mente più libera e indipendente è stata uccisa dai bolscevichi e da Stalin. L’intera genetica dei russi è cambiata. La Russia non ha sufficiente esperienza di liberismo. *A Putin piace essere capitalista, ma odia la libertà. Gli piace stare con Silvio Berlusconi in Sardegna, in Francia a sciare sulle Alpi, ma non ama la libertà. *A Putin sembra che tutti siano nemici, tranne la Cina. Ma la Russia non ha nemici, tranne forse la Cina. *La verità è che nessuno ha votato per Putin, basta guardare sul sito inguschetiya.ru, dove sono raccolte le firme di chi non ha votato Putin. Sono molti più di quanto le autorità non vogliano farci credere. {{Int|Da [https://core.ac.uk/download/pdf/83464565.pdf ''Putin. Corruzione'']|Mosca, 2011; tradotto in Francesca Finotto, ''"Per gli amici tutto, per gli altri l'abuso". Il rapporto Nemcov sulla corruzione nella Russia putiniana'' [tesi di laurea], Università degli Studi di Padova, anno accademico 2016-2017.}} *L'affermazione che in Russia c’è un livello di corruzione come quello africano da tempo non corrisponde totalmente alla realtà. In molti Paesi africani il livello di corruzione è più basso che in Russia. In Egitto centinaia di migliaia di cittadini indignati dalla corruzione del governo Mubarak sono scesi nelle strade delle città e hanno ottenuto le sue dimissioni. Inoltre, in Egitto il livello di corruzione è una volta e mezzo più basso che in Russia, e il Paese, sulla base di questo parametro, si colloca al 98° posto. *In tutta la sua storia, la Russia non aveva mai conosciuto un tale livello di ladrocinio e concussione. Spesso i difensori di Putin affermano che la corruzione dei "temerari anni Novanta" non era inferiore a quella attuale. Ma i fatti dicono il contrario. Se si fa riferimento ai dati ''Rosstat'' sulla quantità di reati legati alla corruzione, allora la dinamica appare evidente: c'è stata una crescita dai 2700 reati del 1990 ai 13.100 del 2009. *La corruzione in Russia ha smesso di essere un problema, ed è diventata un sistema. Con le sue metastasi ha paralizzato la vita economica e sociale del Paese. Il fatturato annuale della corruzione nel nostro Paese ha raggiunto i 300 miliardi di dollari: questo valore, confrontato con il bilancio annuale russo, costituisce il 25% del PIL. *Il sistema putiniano è caratterizzato dalla fusione diffusa a tutti i livelli e manifesta tra funzionari e business, dalla partecipazione di parenti, amici e conoscenti all'acquisizione dei fondi pubblici e della proprietà statale, dall'inamovibilità del potere e dalla chiusura del suo sistema di funzionamento. *La mancanza di controllo parlamentare sul potere esecutivo, moltiplicata per la mancanza di inchieste giornalistiche serie sulla pratica della corruzione, costituisce l'ambiente nutritivo per una corruzione illimitata. *La corruzione ha corroso e distrutto il sistema di tutela del diritto. La massima priorità di molti capi di polizia è l'arricchimento personale. La lotta al terrore e la sicurezza dei cittadini non rientrano fra le loro priorità. *La corruzione è rafforzata anche dal fondamentale principio putiniano di governo: "Per gli amici tutto, per gli altri l'abuso". Il rispetto della legge e l'equità non sono un dovere dei funzionari di Putin. Ciò che importa è la lealtà personale. "Se sei leale ruba, se non sei leale andrai in prigione" è un altro principio guida dell'attuale potere. *Siamo convinti che senza un potere centrale onesto il problema della corruzione non verrà risolto. Il pesce puzza dalla testa. E finché alla testa del Paese ci sarà una ''cleptocrazia'' orientata all'arricchimento personale non si riuscirà a risolvere questo problema. {{Int|Da [https://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2014/09/07/non-fidatevi-di-vladimir-il-suo-interesse-e-solo-prendersi-kiev14.html ''"Non fidatevi di Vladimir il suo interesse è solo prendersi Kiev"'']|''La Repubblica'', 7 settembre 2014.}} *L'obiettivo di Putin è smembrare l'Ucraina cercando di impedire che entri nella Ue, e soprattutto nella Nato. *Putin si vendica per la rivoluzione. Il popolo in piazza ha rovesciato il presidente ladro? Lui mostra che cose simili non si possono fare, vuole pervenire una rivoluzione analoga in Russia. *Putin pensa che l'Occidente sia molto titubante; che l'America abbia problemi in Siria e in Iraq, e che gli europei cercheranno di evitare a ogni costo un contrasto militare. Per cui continuerà, fino a che l'Occidente glielo permette: si fermerebbe solo con una stangata, sanzioni molto più dure o a un'aperta ribellione interna. {{Int|Da ''[http://www.memorialitalia.it/l%E2%80%99ultima-intervista-rilasciata-da-boris-nemcov-a-%E2%80%9Cecho-moskvy%E2%80%9D/ La rinascita di primavera: l’opposizione tornerà nel campo politico?]''|''Echo Moskvy'', 27 febbraio 2015; citato in ''Memorialitalia.it''}} *Secondo i sondaggi dell’opinione pubblica, davvero la maggioranza dei cittadini residenti in Crimea voleva stare con la Russia, è la verità. La questione è un’altra. La questione è che non bisogna agire secondo il desiderio di qualcuno, ma secondo la legge, e rispettare gli impegni internazionali. Putin, annettendo la Crimea, ha violato un’infinita quantità di impegni internazionali della Russia. E fondamentale è l’impegno previsto dal [[memorandum di Budapest]]. *Nel 1994 la Russia ha firmato che se l’Ucraina avesse cessato di essere una potenza nucleare, cioè avesse eliminato dal suo territorio le testate nucleari, la Russia si impegnava a rispettare la sua sovranità e integrità territoriale. Occupando la Crimea, Putin di fatto ha cancellato i nostri impegni, ha violato il sistema internazionale di non-proliferazione delle armi nucleari. Voglio sottolineare: con l’occupazione della Crimea Putin ha violato il sistema internazionale di non-proliferazione delle armi nucleari. È un crimine. *{{NDR|Vladimir Putin}} ha mentito, dicendo che là non c’erano truppe. Poi ha detto che le truppe c’erano. [...] L’annessione, naturalmente, era iniziata quando Janukovič era ancora presidente dell’Ucraina e si trovava nel territorio dell’Ucraina. Se avete visto la medaglia "Per la liberazione della Crimea", sulla medaglia è impresso: 20 febbraio dell’anno scorso (inizio dell’operazione). Ricordo che Janukovič fuggì da Sebastopoli la notte fra il 22 e il 23 febbraio. È tutto documentato. Cioè Putin cominciò a impadronirsi della Crimea quando Janukovič si trovava ancora in Ucraina ed era presidente. Cioè una cosa assolutamente allucinante. *Il fatto è che la crisi ha molte sfaccettature. Il motivo principale della crisi è l’aggressione, le sanzioni che l’hanno seguita, l’isolamento che l’ha seguita, il fatto che la Russia è rimasta priva sia di tecnologia avanzata. [...] La Russia non è in grado di estrarre e non estrae gas e petrolio dallo scisto bituminoso, anche se possediamo le maggiori riserve di scisto al mondo (la Russia è il numero uno) proprio perché alla Russia è vietata l’importazione di quelle tecnologie. È vietata l’importazione di tutta l’alta tecnologia. Cioè questo è un colpo terribile per il paese. Non ci sono investimenti, c’è stata una fuga di capitali pari a 150 miliardi, e tutto questo è conseguenza di quella follia chiamata "aggressione contro l’Ucraina". Perciò il motivo della crisi è, naturalmente, la guerra. *Noi riteniamo che per portare ordine nel paese e superare la crisi, siano indispensabili importantissime riforme politiche, e in particolare: è necessario che si svolgano elezioni oneste con la partecipazione, naturalmente, dell’opposizione, e con l’abolizione della censura; che si ponga fine a questa propaganda assolutamente squallida, falsa, che ha semplicemente addormentato e mangiato il cervello ai russi. *Quando Putin attacca un paese un tempo amico, naturalmente la patria è in pericolo. [...] Perciò in realtà è una cosa assolutamente realistica: aumentare le spese per la sanità, aumentare le spese per l’istruzione grazie alla riduzione delle spese militari. Io credo che nel complesso tutte queste richieste sono realistiche. Qui non c’è nulla che possa suscitare una reazione del tipo: è impossibile, è fantascienza. *Naturalmente quando il potere è concentrato nelle mani di una sola persona, e questa persona governa in eterno – tutto finisce in un’assoluta catastrofe, assoluta. *Quando ero ministro dei combustibili e dell’energia, il petrolio costava 10 dollari – 10! E nei miei sogni erotici sognavo che arrivasse a 20: 20, capite? Ora è a 60, e loro strillano come pazzi che tutto è crollato. Be’, è chiaro, hanno creato uno stato corrotto. È chiaro, una delle cause profonde della crisi è un modello economico estremamente inefficiente. Questo modello è basato sui monopoli, sulle imprese statali, sul dominio della burocrazia – una burocrazia avida, scarsamente professionale, di fatto assolutamente antipatriottica. Cioè proprio a loro si deve la fuga di 150 miliardi dal paese, proprio loro vogliono l’offshorizzazione della Russia, quando si proclamano patrioti e gridano “la Crimea è nostra!” Perciò, naturalmente, con un tale modello economico, basato sull’esportazione di materie prime, sulle imprese statali, la Russia non può andare avanti. *Il fatto è che la gente non crede che ci sia la reale minaccia di un Majdan, capisce che sono tutte frottole. E capiscono che tutto questo è artificiale, gonfiato e fasullo. E proprio perché è fasullo, dicono: Pagateci per fingere. Siamo disposti a giocare ai vostri giochi squallidi, bugiardi giochi fasulli. *{{NDR|Sull'''[[Inno della Federazione Russa]]''}} Il nostro paese è fatto in modo che abbiamo diversi simboli, che parlano di diverse cose. Per cui l’inno staliniano da me non lo avrete. Fra parentesi, sono stato uno dei pochi deputati che hanno votato categoricamente contro l’inno staliniano. Non solo, ho perfino organizzato una campagna per raccogliere firme contro l’inno staliniano. ==Citazioni su Boris Nemcov== *È sempre stato difficile ignorare Boris Nemtsov. Quando entrava in una stanza non si poteva fare a meno di notarlo. Questo studioso di fisica prestato alla politica era intelligente, battagliero, audace. ([[Christian Caryl]]) *Il nostro Parlamento non ha commemorato Nemtsov neppure con un minuto di raccoglimento (ed era membro del governo pochi anni fa) e il nostro Patriarca non ha detto nessuna parola in pubblico sull'assassinio scandaloso (e Nemtsov è stato insignito dalla chiesa alcuni anni fa). Che vergogna. ([[Ol'ga Aleksandrovna Sedakova]]) *{{NDR|A proposito dell'assassinio}} Lo scopo di chi ha commesso questo omicidio era probabilmente spaventare l'opposizione. Un assassinio politico spesso ha invece l'effetto opposto, proprio come è successo in questo caso. Quando la risposta ad una certa attività politica arriva dalle armi, la gente comincia a reagire, a muoversi, a realizzare l'ingiustizia e cominciano le proteste, proprio come è successo a [[Mosca]]. ([[Péter Balázs]]) *Per molti russi, l'opposizione di Nemtsov alla guerra in Ucraina ha fatto di lui un traditore, la cui morte è stata giustificata – di fatto, quasi pretesa – da ragioni di necessità nazionale. ([[Nina Lvovna Chruščёva]]) *Per noi ucraini, Boris resterà per sempre un patriota della [[Russia]] e un amico dell'[[Ucraina]]. Nella sua vita ha dimostrato che sono due cose compatibili, basta solo volerlo. ([[Petro Oleksijovyč Porošenko]]) ===[[Il'ja Jašin]]=== *Dal mio punto di vista, la pista di sangue che parte dal luogo della morte del mio compagno, conduce direttamente all'ufficio del leader della Cecenia: [[Ramzan Kadyrov]]. L'uomo che, secondo la versione delle indagini, ha premuto il grilletto, era comandante deputato del battaglione Nord, stabilito e strettamente controllato dal leader della Cecenia. Mi è difficile immaginare che abbia agito in maniera indipendente, senza istruzioni da parte della leadership. *Io credo sinceramente che creeremo un paese europeo moderno in Russia, qualcosa che Nemtsov sognava e per cui ha dato la vita. *L'assassinio di Boris Nemtsov è un atto terroristico. È un atto di dimostrazione politica con lo scopo di intimidire quella parte della società russa che è in disaccordo con la politica di Putin. *Nemtsov è stato spesso ironico riguardo le lotte del movimento democratico in Russia. Diceva che era una gara per dei posti in prigione. In realtà tutto si è rivelato essere ben più drammatico. Questa è una gara a chi riceve la prima pallottola. *Nessuno è paragonabile a lui [...]. Ma una delle ragioni per cui non mi sono alzato e non me ne sono andato è che non posso tradire la sua memoria. Ho bisogno di restare. *Putin ha negato più volte la presenza delle truppe russe nel Donbass e i russi hanno ciecamente creduto alle sue parole. Nemtsov sperava di rivelare la verità alla gente e di raccontargli di come i nostri soldati stiano morendo con i nostri fratelli ucraini. L'inizio di questa guerra è un vero crimine e Nemstov sognava che finisse. ===[[Garri Kasparov]]=== *Boris Nemtsov era un infaticabile militante e uno dei più esperti oppositori del governo di Putin, un ruolo che non era certo l'unico destino per lui possibile. Sindaco di successo a Nižnij Novgorod e abile membro del gabinetto e parlamentare, egli avrebbe potuto condurre una vita confortevole nella verticale del potere come una voce liberale di riforma puramente simbolica. Ma Boris non era fatto per lavorare per il regime di Putin. Aveva dei principi, eccome se ne aveva, e non poteva sopportare di vedere il nostro paese ripiombare negli abissi del totalitarismo. *La tragica ironia è che lui non voleva vedere un'altra rivoluzione. Tra i due ero io il radicale e continuavo a dirgli: "È tutto inutile, le elezioni, le piccole cose: non cambieranno questo regime con il voto. Ci sarà bisogno del sangue". *Se {{NDR|i leaders occidentali}} desideranno realmente onorare il mio impavido amico, allora dovranno dichiarare nei termini più netti che la Russia verrà trattata come il regime canaglia che è fino a quando Putin resterà al potere. Annullare la finta dei negoziati. Vendere armi all'Ucraina, che comporterebbe un prezzo politico insostenibile per l'aggressione di Putin. Dire a ogni oligarca russo che non vi sarà luogo sicuro per il suo denaro in Occidente finché egli continuerà a servire questo presidente. ===[[Aleksej Naval'nyj]]=== *Boris era uno dei politici più scomodi per il Cremlino, uno dei pochi che condannava la corruzione di Putin e del suo circolo ristretto. *L'assassinio di Nemcov fu un duro colpo per tutti e molti si spaventarono. Persino Yulia, che è una persona incredibilmente coraggiosa, in seguito mi disse di essersi sentita molto a disagio, quella notte, a casa da sola con i ragazzi. Aveva pensato: «Quindi è cominciata? Adesso uccidono gli oppositori? Faranno irruzione armati qui da noi?». Conoscevo Boris e rimasi inorridito come tutti, ma nemmeno in quel momento pensai che la mia vita fosse più a rischio di prima. *Non dimenticherò mai una conversazione che ebbi con Boris Nemcov dieci giorni prima che venisse assassinato. Eravamo in tre: Nemcov, un suo collega e io. Nemcov mi spiegò che ero in pericolo, che il Cremlino avrebbe potuto uccidermi perché ero un battitore libero, mentre lui era invulnerabile, perché si muoveva ''all'interno del sistema'': era stato vice primo ministro e, soprattutto, conosceva Putin personalmente e aveva lavorato con lui per anni. Tre giorni più tardi venni arrestato e appena una settimana dopo Nemcov cadde sotto colpi d'arma da fuoco a duecento metri dal Cremlino. A quel punto capii che tutte le discussioni su chi fosse in pericolo o al sicuro non avevano senso. Non possiamo sapere cosa accadrà. Là fuori c'è un pazzo di nome Vladimir Putin e, quando gli salta il ticchio, scrive un nome su un biglietto e ordina: «Uccidetelo». *Ritengo che Nemtsov sia stato ucciso dai servizi segreti o da un'organizzazione pro-governativa su ordine delle autorità politiche del Paese (incluso Putin). Queste organizzazioni si creano direttamente nelle riunioni del Cremlino e non come reazione a una richiesta non bene articolata. ===[[John Sweeney (giornalista)|John Sweeney]]=== *Gli hanno sparato ripetutamente alla schiena a circa un centinaio di metri dai muri del Cremlino, una delle zone più sorvegliate al mondo. Secondo la versione ufficiale, un camion della spazzatura ha oscurato le telecamere di sorveglianza del Cremlino, impedendo che il sicario o i sicari venissero ripresi. I lettori attenti lo avranno già capito, ma a scanso di equivoci: la versione ufficiale è solo un mucchio di sciocchezze. In quarant'anni e passa di esperienza come giornalista, in nessun altro posto sono stato fermato dagli ufficiali della polizia così di frequente come fuori dal Cremlino. Non puoi spostarsi di quattro metri senza che un poliziotto ti chieda di mostrargli il passaporto. La storia secondo cui Nemtsov è stato assassinato senza che le telecamere del Cremlino riprendessero prove fondamentali è assurda. *Nemtsov era un uomo straordinario, il più amabile, divertente e umano che abbia mai incontrato in Russia. Il suo brutale assassinio mi fece cadere in una profonda depressione. *Telegenico, carismatico, aperto al mondo e onesto, Nemtsov fu, per un certo periodo, l'erede designato di Eltsin. Il fatto che questo non sia mai accaduto fa parte del tragico declino e della caduta della Russia. ==Note== <references /> ==Altri progetti== {{interprogetto}} {{DEFAULTSORT:Nemcov, Boris Efimovic}} [[Categoria:Dissidenti russi]] [[Categoria:Politici russi]] 6vdl4z1vn2qxx2zjyalo1i1ckc1m6xj 1382028 1381999 2025-07-02T10:37:16Z Mariomassone 17056 /* Citazioni su Boris Nemcov */ 1382028 wikitext text/x-wiki [[File:Boris Nemtsov 2003 RussiaMeeting (cropped).JPG|thumb|Nemcov nel 2008]] '''Boris Efimovič Nemcov''' (1959 – 2015), politico russo. ==Citazioni di Boris Nemcov== {{cronologico}} *Abbiamo milioni di abbandoni scolastici precoci [...] ma il governo si preoccupa di insegnare ai bambini come ammazzare un uomo a duecento metri di distanza.<ref>Citato in ''[https://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2005/08/07/soldati-bambini-di-putin-la.html I soldati bambini di Putin - La guerra di Andrej baby-soldato della nuova Russia]'', ''La Repubblica'', 7 agosto 2005.</ref> *{{NDR|Sull'[[attentato terroristico all'aeroporto Domodedovo del 2011]]}} Molti accusano i servizi di sicurezza russi. Altri puntano il dito contro l'inadeguatezza del sistema di sicurezza aeroportuale. Tutto questo è certamente vero. Ma i motivi reali sono altri. Negli ultimi 11 anni in Russia è in rapida crescita il numero di atti terroristici. Dal 2000 al 2009 si registrano in media oltre 750 attacchi in un anno (nel 2000 sono stati 130). La realtà è che c'è un fallimento totale delle attività anti-terroristiche nel Paese. E il 100% della responsabilità di questo fallimento è di Vladimir Putin. Fu lui che nel 2000 salì al potere con lo slogan "staneremo i terroristi anche nel cesso". Fu lui a usare all'inizio della sua carriera gli atti di terrorismo per rafforzare il suo governo. Dopo l'attacco del 2002 al [[Crisi del teatro Dubrovka|teatro Nord Ost sulla Dubrovka]] ha introdotto la censura in televisione, e dopo la [[strage di Beslan]] ha abolito le elezioni del governatore. Abbiamo convinto la gente che per il bene della sicurezza occorra sacrificare la libertà. Bene, lo abbiamo fatto. Ma ora gli attacchi terroristici sono aumentati e il senso di sicurezza continua a diminuire...<ref>Citato in ''[https://tg24.sky.it/mondo/2011/01/25/mosca_domodedovo_attentato_cecenia_putin_accuse_medvedev_nicolai_lilin_boris_nemtsov_novaja_gazeta Mosca, "per la sicurezza abbiamo sacrificato la libertà"]'', ''tg24.sky.it'', 25 gennaio 2011.</ref> *{{NDR|Sulle [[proteste in Russia del 2011-2013]]}} [[Vladimir Putin|Putin]] ha due possibilità: o ammette di non essere il padrone del Paese, oppure continuare nel gioco duro e stringere ancora di più la morsa sull'opposizione.<ref name="esulta">Citato in [https://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2011/12/05/ex-vice-di-eltsin-esulta-per.html ''L'ex vice di Eltsin esulta. Per lui è l'inizio della fine''], ''La Repubblica'', 5 dicembre 2011.</ref> *La gente è stanca di tante cose. La [[Corruzione in Russia|corruzione]] è di livello africano. La disparità sociale è un insulto continuo verso i lavoratori. Poi scuola, sanità, pensioni. Un disastro. Se molti arrivano a rimpiangere l'Urss e votano ancora comunista ci sarà un motivo.<ref name="esulta"/> *[[Barack Obama|Obama]] crede nella [[libertà]] e nello stato di diritto. Putin nel [[denaro]], negli affari e nel [[potere]].<ref name = "liberale">Citazione del novembre 2010. Citato in [[Christian Caryl]], ''Foreign Policy''; tradotto in ''La carriera di un liberale'', ''Internazionale'', n. 1092, 6 marzo 2015, p. 22.</ref> *Non credo che il presidente {{NDR|[[Barack Obama]]}} o il congresso americano possano portare la [[democrazia]] in [[Russia sotto Vladimir Putin|Russia]]. È nostro compito farlo.<ref name = "liberale"/> *{{NDR|Dichiarazione sull'Ucraina del 2005, poi rivelatasi sbagliata}} [...] sono sicuro che da qui a cinque anni, il popolo ucraino vivrà meglio di quello russo. Senza avere gas né petrolio. Entro sette anni, l'Ucraina entrerà nell’Unione europea e tutti gli ucraini avranno un passaporto Schengen. E noi li invidieremo.<ref name="oppositore">Citato in Alfredo Ranavolo, ''[http://it.euronews.com/2015/03/02/nemtsov-da-icona-della-fase-liberale-russa-a-fiero-oppositore/ Nemtsov: da icona della fase liberale russa a fiero oppositore]'', ''Euronews.com'', 2 marzo 2015.</ref> *{{NDR|Dopo aver scontato 15 giorni di prigione a causa di una manifestazione svoltasi il 31 dicembre del 2010}} Perché mai dovrei lasciare il mio Paese? Amo la Russia. Che se ne vadano ladri e criminali.<ref name="oppositore"/> *Ogni volta che le telefono, mia madre mi rimprovera: "Quando la smetterai di parlare male di Putin? Guarda che quello ti ammazza!"<ref>Citato in Gwynne Dyer, ''[http://www.internazionale.it/opinione/gwynne-dyer/2015/03/02/chi-ha-ucciso-boris-nemtsov La paranoia uccide]'', ''Internazionale.it'', 2 marzo 2015.</ref> {{NDR|in una dichiarazione di poco antecedente al suo assassinio}} *Tre anni fa eravamo un opposizone. Oggi siamo non più che dissidenti. :''Three years ago, we were an opposition. Now we are no more than dissidents.''<ref>{{en}} Citato in ''[http://www.ft.com/cms/s/2/4ecd1a04-bd1d-11e4-b523-00144feab7de.html#axzz3Sxm3VBeu Russia: Left out in the cold]'', ''Financial Times.com'', 26 febbraio 2015.</ref> {{Int|1=''[https://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2000/03/28/il-voto-ha-cancellato-era-delle.html Il voto ha cancellato l'éra delle riforme]''|2=Intervista sulle [[elezioni presidenziali in Russia del 2000]], ''La Repubblica'', 28 marzo 2000.|h=4}} *Niente è chiaro sul programma di Putin e ancor meno si sa dei quadri dirigenti, la squadra che vuol mettere in piedi. Io vedo davanti al nuovo presidente troppe biforcazioni per poter stabilire quale direzione prenderà. Da un lato vedo che su di lui si sono fatte più pesanti le pressioni degli "oligarchi". Dall'altro c'è un gruppo di economisti liberali nell'attesa. Quindi la scelta è: o il capitalismo banditesco, coperto di una retorica patriottica, o, nonostante tutto, il mercato europeo. *La destra ha commesso molti errori. Non possiamo considerare Javlinskij come il candidato della destra. I nostri elettori ormai lo sanno. Qualunque cosa faccia, qualsiasi somma investa nella campagna elettorale, il suo risultato sarà sempre intorno al 5-7 per cento. Piuttosto avremmo noi dovuto trovare un candidato comune, come per esempio [[Anatolij Borisovič Čubajs|Cjubais]]. Sì, lo so, a prima vista la scelta sembra esotica. Ma io sono stato eletto a Nizhnij Novgorod, so come la pensa la gente nel paese. E posso dire che all'inizio davanti a una proposta del genere i leader politici ed economici provano una certa sorpresa, ma poi ammettono che è ragionevole. Ma noi non abbiamo avuto la forza di promuovere un nostro candidato e questo ha in un certo senso pre definito l'esito delle elezioni. *Io vivo da molti anni in Russia e ormai non temo più niente. Semplicemente trovo folle votare per una persona che non si sa cosa voglia fare della Russia. Penso che bisognerebbe scegliere il proprio futuro in modo cosciente. {{Int|Da [http://www.archiviolastampa.it/component/option,com_lastampa/task,search/mod,libera/action,viewer/Itemid,3/page,11/articleid,0213_01_2004_0329_0011_13637266/ ''Spero che la Russia segua la via ucraina'']|Intervista di Natalie Nougayrède sulla [[rivoluzione arancione]], ''La Stampa'', 28 novembre 2004.}} *Le elezioni sono state falsificate. Viktor Yanukovic non sarà mai un presidente legittimo. *{{NDR|«Lei come giudica l'atteggiamento di Putin dentro questa crisi?»}} La situazione è estremamente negativa, poiché Putin si trova accanto a personaggi come Lukashenko e Milosevic, i soli ad applaudire all'elezione di Yanukovic. *Il fatto è che la politica seguita da Putin porterà a un deterioramento dei rapporti tra Russia e Ucraina. Gli elettori di Kiev avevano, prima, l'opinione che Putin fosse leale. Ma dopo che ha riconosciuto i risultati ufficiali elettorali, la gente è delusa. *Le forze democratiche ucraine sono di esempio a quelle russe che sono state schiacciate e sono in crisi. L'esempio ucraino può suggerirci qualcosa. {{Int|Da [https://www.limesonline.com/cartaceo/ne-democrazia-ne-impero ''"Né democrazia né impero"'']|Intervista di Margherita Belgiojoso, ''Progetto Russia'', n°3, 2008.}} *{{NDR|«Qual è la sua valutazione degli otto anni di presidenza Putin?»}} Difficile dirlo in due parole. [...] Credo che questi siano stati otto anni di enormi possibilità per la Russia, possibilità di cui non abbiamo approfittato: abbiamo avuto autoritarismo senza modernizzazione. Da un lato, sono stati anni di grande crescita economica, ma anche di enorme aumento della corruzione. Sono stati anni di degradazione degli istituti democratici, dai tribunali al sistema pensionistico, dall’educazione alla salute e all’esercito. Putin dice che il più grande risultato del suo mandato è stato il raggiungimento della stabilità, ma sono convinto che si tratta piuttosto di stagnazione. E le due cose sono ben diverse. *{{NDR|«Perché secondo lei Putin ha preferito come successore Dmitrij Medvedev a Sergej Ivanov?»}} Perché Medvedev è legato a doppio filo a Gazprom. E tutto quanto il monopolio energetico russo ha concluso in questi anni è sotto la diretta responsabilità del suo presidente Dmitrij Medvedev. E i [[Cekismo|cekisti]], come tutti sanno, scelgono sempre persone su cui hanno vasto materiale ''kompromat'', ovvero chi è più facilmente ricattabile. *{{NDR|«Qual è oggi il rapporto tra centro e periferia?»}} Esattamente quello che c’era nell’antica Roma tra cittadini e schiavi. Mosca è la metropoli, e la Russia è la sua colonia. Quando Putin ha iniziato il suo mandato, la distribuzione delle risorse era paritaria. Oggi il 65% va a Mosca e solo il 35% è diretto alla provincia. Inoltre ricordiamo che nel 2000 tutti i governatori erano eletti dal popolo, mentre oggi sono nominati dalla capitale. La loro responsabilità è stata drasticamente ridotta, e oggi anche per le più piccole questioni è necessario contattare Mosca: tutto viene risolto soltanto nella capitale. *Putin vorrebbe che la Russia fosse un impero, ma la Russia oggi rappresenta circa il 2% del pil mondiale. Gli Stati Uniti contano per il 27%, la Cina per il 15%, l’Europa da sola pesa per più del 25%: che tipo di impero può contare su statistiche del genere? *La Russia oggi può scegliere di raddoppiare le pensioni, invece di costruire e foraggiare basi militari a Cuba e in Venezuela. La mentalità della nostra gente è che non importa se siamo poveri, l’importante è che ci temano. *{{NDR|«Perché la politica liberista in Russia ha fallito?»}} Perché l’eredità di trecento anni di schiavitù non è ancora superata. La nostra mentalità è storicamente quella degli schiavi. E poi perché la gente dalla mente più libera e indipendente è stata uccisa dai bolscevichi e da Stalin. L’intera genetica dei russi è cambiata. La Russia non ha sufficiente esperienza di liberismo. *A Putin piace essere capitalista, ma odia la libertà. Gli piace stare con Silvio Berlusconi in Sardegna, in Francia a sciare sulle Alpi, ma non ama la libertà. *A Putin sembra che tutti siano nemici, tranne la Cina. Ma la Russia non ha nemici, tranne forse la Cina. *La verità è che nessuno ha votato per Putin, basta guardare sul sito inguschetiya.ru, dove sono raccolte le firme di chi non ha votato Putin. Sono molti più di quanto le autorità non vogliano farci credere. {{Int|Da [https://core.ac.uk/download/pdf/83464565.pdf ''Putin. Corruzione'']|Mosca, 2011; tradotto in Francesca Finotto, ''"Per gli amici tutto, per gli altri l'abuso". Il rapporto Nemcov sulla corruzione nella Russia putiniana'' [tesi di laurea], Università degli Studi di Padova, anno accademico 2016-2017.}} *L'affermazione che in Russia c’è un livello di corruzione come quello africano da tempo non corrisponde totalmente alla realtà. In molti Paesi africani il livello di corruzione è più basso che in Russia. In Egitto centinaia di migliaia di cittadini indignati dalla corruzione del governo Mubarak sono scesi nelle strade delle città e hanno ottenuto le sue dimissioni. Inoltre, in Egitto il livello di corruzione è una volta e mezzo più basso che in Russia, e il Paese, sulla base di questo parametro, si colloca al 98° posto. *In tutta la sua storia, la Russia non aveva mai conosciuto un tale livello di ladrocinio e concussione. Spesso i difensori di Putin affermano che la corruzione dei "temerari anni Novanta" non era inferiore a quella attuale. Ma i fatti dicono il contrario. Se si fa riferimento ai dati ''Rosstat'' sulla quantità di reati legati alla corruzione, allora la dinamica appare evidente: c'è stata una crescita dai 2700 reati del 1990 ai 13.100 del 2009. *La corruzione in Russia ha smesso di essere un problema, ed è diventata un sistema. Con le sue metastasi ha paralizzato la vita economica e sociale del Paese. Il fatturato annuale della corruzione nel nostro Paese ha raggiunto i 300 miliardi di dollari: questo valore, confrontato con il bilancio annuale russo, costituisce il 25% del PIL. *Il sistema putiniano è caratterizzato dalla fusione diffusa a tutti i livelli e manifesta tra funzionari e business, dalla partecipazione di parenti, amici e conoscenti all'acquisizione dei fondi pubblici e della proprietà statale, dall'inamovibilità del potere e dalla chiusura del suo sistema di funzionamento. *La mancanza di controllo parlamentare sul potere esecutivo, moltiplicata per la mancanza di inchieste giornalistiche serie sulla pratica della corruzione, costituisce l'ambiente nutritivo per una corruzione illimitata. *La corruzione ha corroso e distrutto il sistema di tutela del diritto. La massima priorità di molti capi di polizia è l'arricchimento personale. La lotta al terrore e la sicurezza dei cittadini non rientrano fra le loro priorità. *La corruzione è rafforzata anche dal fondamentale principio putiniano di governo: "Per gli amici tutto, per gli altri l'abuso". Il rispetto della legge e l'equità non sono un dovere dei funzionari di Putin. Ciò che importa è la lealtà personale. "Se sei leale ruba, se non sei leale andrai in prigione" è un altro principio guida dell'attuale potere. *Siamo convinti che senza un potere centrale onesto il problema della corruzione non verrà risolto. Il pesce puzza dalla testa. E finché alla testa del Paese ci sarà una ''cleptocrazia'' orientata all'arricchimento personale non si riuscirà a risolvere questo problema. {{Int|Da [https://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2014/09/07/non-fidatevi-di-vladimir-il-suo-interesse-e-solo-prendersi-kiev14.html ''"Non fidatevi di Vladimir il suo interesse è solo prendersi Kiev"'']|''La Repubblica'', 7 settembre 2014.}} *L'obiettivo di Putin è smembrare l'Ucraina cercando di impedire che entri nella Ue, e soprattutto nella Nato. *Putin si vendica per la rivoluzione. Il popolo in piazza ha rovesciato il presidente ladro? Lui mostra che cose simili non si possono fare, vuole pervenire una rivoluzione analoga in Russia. *Putin pensa che l'Occidente sia molto titubante; che l'America abbia problemi in Siria e in Iraq, e che gli europei cercheranno di evitare a ogni costo un contrasto militare. Per cui continuerà, fino a che l'Occidente glielo permette: si fermerebbe solo con una stangata, sanzioni molto più dure o a un'aperta ribellione interna. {{Int|Da ''[http://www.memorialitalia.it/l%E2%80%99ultima-intervista-rilasciata-da-boris-nemcov-a-%E2%80%9Cecho-moskvy%E2%80%9D/ La rinascita di primavera: l’opposizione tornerà nel campo politico?]''|''Echo Moskvy'', 27 febbraio 2015; citato in ''Memorialitalia.it''}} *Secondo i sondaggi dell’opinione pubblica, davvero la maggioranza dei cittadini residenti in Crimea voleva stare con la Russia, è la verità. La questione è un’altra. La questione è che non bisogna agire secondo il desiderio di qualcuno, ma secondo la legge, e rispettare gli impegni internazionali. Putin, annettendo la Crimea, ha violato un’infinita quantità di impegni internazionali della Russia. E fondamentale è l’impegno previsto dal [[memorandum di Budapest]]. *Nel 1994 la Russia ha firmato che se l’Ucraina avesse cessato di essere una potenza nucleare, cioè avesse eliminato dal suo territorio le testate nucleari, la Russia si impegnava a rispettare la sua sovranità e integrità territoriale. Occupando la Crimea, Putin di fatto ha cancellato i nostri impegni, ha violato il sistema internazionale di non-proliferazione delle armi nucleari. Voglio sottolineare: con l’occupazione della Crimea Putin ha violato il sistema internazionale di non-proliferazione delle armi nucleari. È un crimine. *{{NDR|Vladimir Putin}} ha mentito, dicendo che là non c’erano truppe. Poi ha detto che le truppe c’erano. [...] L’annessione, naturalmente, era iniziata quando Janukovič era ancora presidente dell’Ucraina e si trovava nel territorio dell’Ucraina. Se avete visto la medaglia "Per la liberazione della Crimea", sulla medaglia è impresso: 20 febbraio dell’anno scorso (inizio dell’operazione). Ricordo che Janukovič fuggì da Sebastopoli la notte fra il 22 e il 23 febbraio. È tutto documentato. Cioè Putin cominciò a impadronirsi della Crimea quando Janukovič si trovava ancora in Ucraina ed era presidente. Cioè una cosa assolutamente allucinante. *Il fatto è che la crisi ha molte sfaccettature. Il motivo principale della crisi è l’aggressione, le sanzioni che l’hanno seguita, l’isolamento che l’ha seguita, il fatto che la Russia è rimasta priva sia di tecnologia avanzata. [...] La Russia non è in grado di estrarre e non estrae gas e petrolio dallo scisto bituminoso, anche se possediamo le maggiori riserve di scisto al mondo (la Russia è il numero uno) proprio perché alla Russia è vietata l’importazione di quelle tecnologie. È vietata l’importazione di tutta l’alta tecnologia. Cioè questo è un colpo terribile per il paese. Non ci sono investimenti, c’è stata una fuga di capitali pari a 150 miliardi, e tutto questo è conseguenza di quella follia chiamata "aggressione contro l’Ucraina". Perciò il motivo della crisi è, naturalmente, la guerra. *Noi riteniamo che per portare ordine nel paese e superare la crisi, siano indispensabili importantissime riforme politiche, e in particolare: è necessario che si svolgano elezioni oneste con la partecipazione, naturalmente, dell’opposizione, e con l’abolizione della censura; che si ponga fine a questa propaganda assolutamente squallida, falsa, che ha semplicemente addormentato e mangiato il cervello ai russi. *Quando Putin attacca un paese un tempo amico, naturalmente la patria è in pericolo. [...] Perciò in realtà è una cosa assolutamente realistica: aumentare le spese per la sanità, aumentare le spese per l’istruzione grazie alla riduzione delle spese militari. Io credo che nel complesso tutte queste richieste sono realistiche. Qui non c’è nulla che possa suscitare una reazione del tipo: è impossibile, è fantascienza. *Naturalmente quando il potere è concentrato nelle mani di una sola persona, e questa persona governa in eterno – tutto finisce in un’assoluta catastrofe, assoluta. *Quando ero ministro dei combustibili e dell’energia, il petrolio costava 10 dollari – 10! E nei miei sogni erotici sognavo che arrivasse a 20: 20, capite? Ora è a 60, e loro strillano come pazzi che tutto è crollato. Be’, è chiaro, hanno creato uno stato corrotto. È chiaro, una delle cause profonde della crisi è un modello economico estremamente inefficiente. Questo modello è basato sui monopoli, sulle imprese statali, sul dominio della burocrazia – una burocrazia avida, scarsamente professionale, di fatto assolutamente antipatriottica. Cioè proprio a loro si deve la fuga di 150 miliardi dal paese, proprio loro vogliono l’offshorizzazione della Russia, quando si proclamano patrioti e gridano “la Crimea è nostra!” Perciò, naturalmente, con un tale modello economico, basato sull’esportazione di materie prime, sulle imprese statali, la Russia non può andare avanti. *Il fatto è che la gente non crede che ci sia la reale minaccia di un Majdan, capisce che sono tutte frottole. E capiscono che tutto questo è artificiale, gonfiato e fasullo. E proprio perché è fasullo, dicono: Pagateci per fingere. Siamo disposti a giocare ai vostri giochi squallidi, bugiardi giochi fasulli. *{{NDR|Sull'''[[Inno della Federazione Russa]]''}} Il nostro paese è fatto in modo che abbiamo diversi simboli, che parlano di diverse cose. Per cui l’inno staliniano da me non lo avrete. Fra parentesi, sono stato uno dei pochi deputati che hanno votato categoricamente contro l’inno staliniano. Non solo, ho perfino organizzato una campagna per raccogliere firme contro l’inno staliniano. ==Citazioni su Boris Nemcov== *Boris Nemtsov è stato ucciso con un colpo di pistola perché amava andare a donne. Era un malato di figa e ha avuto la sfortuna di andare a letto con la moglie giovane e bella di un uomo d’affari georgiano molto legato alla criminalità organizzata di Mosca. Fai uno più uno e capisci che è strano siano stati i servizi segreti. ([[Nicolai Lilin]]) *È sempre stato difficile ignorare Boris Nemtsov. Quando entrava in una stanza non si poteva fare a meno di notarlo. Questo studioso di fisica prestato alla politica era intelligente, battagliero, audace. ([[Christian Caryl]]) *Il nostro Parlamento non ha commemorato Nemtsov neppure con un minuto di raccoglimento (ed era membro del governo pochi anni fa) e il nostro Patriarca non ha detto nessuna parola in pubblico sull'assassinio scandaloso (e Nemtsov è stato insignito dalla chiesa alcuni anni fa). Che vergogna. ([[Ol'ga Aleksandrovna Sedakova]]) *{{NDR|A proposito dell'assassinio}} Lo scopo di chi ha commesso questo omicidio era probabilmente spaventare l'opposizione. Un assassinio politico spesso ha invece l'effetto opposto, proprio come è successo in questo caso. Quando la risposta ad una certa attività politica arriva dalle armi, la gente comincia a reagire, a muoversi, a realizzare l'ingiustizia e cominciano le proteste, proprio come è successo a [[Mosca]]. ([[Péter Balázs]]) *Per molti russi, l'opposizione di Nemtsov alla guerra in Ucraina ha fatto di lui un traditore, la cui morte è stata giustificata – di fatto, quasi pretesa – da ragioni di necessità nazionale. ([[Nina Lvovna Chruščёva]]) *Per noi ucraini, Boris resterà per sempre un patriota della [[Russia]] e un amico dell'[[Ucraina]]. Nella sua vita ha dimostrato che sono due cose compatibili, basta solo volerlo. ([[Petro Oleksijovyč Porošenko]]) ===[[Il'ja Jašin]]=== *Dal mio punto di vista, la pista di sangue che parte dal luogo della morte del mio compagno, conduce direttamente all'ufficio del leader della Cecenia: [[Ramzan Kadyrov]]. L'uomo che, secondo la versione delle indagini, ha premuto il grilletto, era comandante deputato del battaglione Nord, stabilito e strettamente controllato dal leader della Cecenia. Mi è difficile immaginare che abbia agito in maniera indipendente, senza istruzioni da parte della leadership. *Io credo sinceramente che creeremo un paese europeo moderno in Russia, qualcosa che Nemtsov sognava e per cui ha dato la vita. *L'assassinio di Boris Nemtsov è un atto terroristico. È un atto di dimostrazione politica con lo scopo di intimidire quella parte della società russa che è in disaccordo con la politica di Putin. *Nemtsov è stato spesso ironico riguardo le lotte del movimento democratico in Russia. Diceva che era una gara per dei posti in prigione. In realtà tutto si è rivelato essere ben più drammatico. Questa è una gara a chi riceve la prima pallottola. *Nessuno è paragonabile a lui [...]. Ma una delle ragioni per cui non mi sono alzato e non me ne sono andato è che non posso tradire la sua memoria. Ho bisogno di restare. *Putin ha negato più volte la presenza delle truppe russe nel Donbass e i russi hanno ciecamente creduto alle sue parole. Nemtsov sperava di rivelare la verità alla gente e di raccontargli di come i nostri soldati stiano morendo con i nostri fratelli ucraini. L'inizio di questa guerra è un vero crimine e Nemstov sognava che finisse. ===[[Garri Kasparov]]=== *Boris Nemtsov era un infaticabile militante e uno dei più esperti oppositori del governo di Putin, un ruolo che non era certo l'unico destino per lui possibile. Sindaco di successo a Nižnij Novgorod e abile membro del gabinetto e parlamentare, egli avrebbe potuto condurre una vita confortevole nella verticale del potere come una voce liberale di riforma puramente simbolica. Ma Boris non era fatto per lavorare per il regime di Putin. Aveva dei principi, eccome se ne aveva, e non poteva sopportare di vedere il nostro paese ripiombare negli abissi del totalitarismo. *La tragica ironia è che lui non voleva vedere un'altra rivoluzione. Tra i due ero io il radicale e continuavo a dirgli: "È tutto inutile, le elezioni, le piccole cose: non cambieranno questo regime con il voto. Ci sarà bisogno del sangue". *Se {{NDR|i leaders occidentali}} desideranno realmente onorare il mio impavido amico, allora dovranno dichiarare nei termini più netti che la Russia verrà trattata come il regime canaglia che è fino a quando Putin resterà al potere. Annullare la finta dei negoziati. Vendere armi all'Ucraina, che comporterebbe un prezzo politico insostenibile per l'aggressione di Putin. Dire a ogni oligarca russo che non vi sarà luogo sicuro per il suo denaro in Occidente finché egli continuerà a servire questo presidente. ===[[Aleksej Naval'nyj]]=== *Boris era uno dei politici più scomodi per il Cremlino, uno dei pochi che condannava la corruzione di Putin e del suo circolo ristretto. *L'assassinio di Nemcov fu un duro colpo per tutti e molti si spaventarono. Persino Yulia, che è una persona incredibilmente coraggiosa, in seguito mi disse di essersi sentita molto a disagio, quella notte, a casa da sola con i ragazzi. Aveva pensato: «Quindi è cominciata? Adesso uccidono gli oppositori? Faranno irruzione armati qui da noi?». Conoscevo Boris e rimasi inorridito come tutti, ma nemmeno in quel momento pensai che la mia vita fosse più a rischio di prima. *Non dimenticherò mai una conversazione che ebbi con Boris Nemcov dieci giorni prima che venisse assassinato. Eravamo in tre: Nemcov, un suo collega e io. Nemcov mi spiegò che ero in pericolo, che il Cremlino avrebbe potuto uccidermi perché ero un battitore libero, mentre lui era invulnerabile, perché si muoveva ''all'interno del sistema'': era stato vice primo ministro e, soprattutto, conosceva Putin personalmente e aveva lavorato con lui per anni. Tre giorni più tardi venni arrestato e appena una settimana dopo Nemcov cadde sotto colpi d'arma da fuoco a duecento metri dal Cremlino. A quel punto capii che tutte le discussioni su chi fosse in pericolo o al sicuro non avevano senso. Non possiamo sapere cosa accadrà. Là fuori c'è un pazzo di nome Vladimir Putin e, quando gli salta il ticchio, scrive un nome su un biglietto e ordina: «Uccidetelo». *Ritengo che Nemtsov sia stato ucciso dai servizi segreti o da un'organizzazione pro-governativa su ordine delle autorità politiche del Paese (incluso Putin). Queste organizzazioni si creano direttamente nelle riunioni del Cremlino e non come reazione a una richiesta non bene articolata. ===[[John Sweeney (giornalista)|John Sweeney]]=== *Gli hanno sparato ripetutamente alla schiena a circa un centinaio di metri dai muri del Cremlino, una delle zone più sorvegliate al mondo. Secondo la versione ufficiale, un camion della spazzatura ha oscurato le telecamere di sorveglianza del Cremlino, impedendo che il sicario o i sicari venissero ripresi. I lettori attenti lo avranno già capito, ma a scanso di equivoci: la versione ufficiale è solo un mucchio di sciocchezze. In quarant'anni e passa di esperienza come giornalista, in nessun altro posto sono stato fermato dagli ufficiali della polizia così di frequente come fuori dal Cremlino. Non puoi spostarsi di quattro metri senza che un poliziotto ti chieda di mostrargli il passaporto. La storia secondo cui Nemtsov è stato assassinato senza che le telecamere del Cremlino riprendessero prove fondamentali è assurda. *Nemtsov era un uomo straordinario, il più amabile, divertente e umano che abbia mai incontrato in Russia. Il suo brutale assassinio mi fece cadere in una profonda depressione. *Telegenico, carismatico, aperto al mondo e onesto, Nemtsov fu, per un certo periodo, l'erede designato di Eltsin. Il fatto che questo non sia mai accaduto fa parte del tragico declino e della caduta della Russia. ==Note== <references /> ==Altri progetti== {{interprogetto}} {{DEFAULTSORT:Nemcov, Boris Efimovic}} [[Categoria:Dissidenti russi]] [[Categoria:Politici russi]] l1wub8qtu18fwowowcpct3ekjrvf7yr Enver Hoxha 0 134506 1381961 1371094 2025-07-01T21:24:59Z ~2025-110542 103361 /* Citazioni su Enver Hoxha */ 1381961 wikitext text/x-wiki [[File:Enver Hoxha (portret).jpg|thumb|Hoxha nel 1985]] '''Enver Hoxha''' (1908 – 1985), rivoluzionario, politico e dittatore albanese. ==Citazioni di Enver Hoxha== {{Int|Da ''[http://www.associazionestalin.it/hoxha_completo.pdf L'Albania resiste]''|Intervento alla conferenza di 81 partiti comunisti, Mosca, 16 novembre 1960, riportato da Associazione Stalin}} *Al mondo esiste ormai il campo socialista, con alla testa l'Unione Sovietica. Il movimento comunista nel suo complesso si è ampliato, rafforzato e temprato. I partiti comunisti e operai in tutto il mondo sono divenuti una forza colossale, che porta avanti l'umanità verso il socialismo, verso la pace. Come si rivela anche nel progetto di dichiarazione che è stato preparato, il nostro campo socialista è molto più forte del campo imperialista. Il socialismo si rafforza di giorno in giorno ed è in continua ascesa mentre l'imperialismo si indebolisce, si decompone. *L'imperialismo non deporrà le armi di sua propria volontà. Credere ad una possibilità del genere significa illudere se stessi e ingannare gli altri. Dobbiamo quindi opporre all'imperialismo la colossale forza economica, militare, morale, politica e ideologica del campo socialista e al tempo stesso le forze unite dei popoli del mondo intero al fine di sabotare in tutti i modi possibili la guerra che preparano gli imperialisti. Il partito del lavoro d'Albania non ha mai nascosto né mai nasconderà al proprio popolo questa situazione e la minaccia che gli imperialisti fanno pesare sull'umanità amante della pace. Vi possiamo assicurare che il popolo albanese che detesta la guerra, non si è affatto spaventato di questa giusta azione del suo partito. Non ha ceduto al pessimismo e neppure ha segnato il passo nell'edificazione del socialismo. Esso ha una chiara visione delle prospettive che lo attendono e lavora con piena fiducia, mantenendosi sempre vigile stringendo in una mano il piccone e nell'altra il fucile. *Tutti i popoli del mondo aspirano alla libertà, all'indipendenza, alla sovranità, alla giustizia sociale, alla cultura, alla pace, e si battono per esse. *Viviamo in un'epoca in cui si assiste al crollo totale del colonialismo, alla liquidazione di questo flagello che sopprimeva i popoli. Nuovi Stati stanno nascendo in Africa e in Asia. Paesi dove regnavano il capitale, la frusta e il fucile, scuotono il giogo della servitù e i popoli prendono il loro destino nelle proprie mani. Ciò si è realizzato e si realizza grazie alla lotta di questi popoli e all'appoggio morale che prestano loro L'Unione sovietica, la Cina popolare e gli altri paesi del campo socialista. Traditori del [[marxismo-leninismo]], agenti dell'imperialismo e intriganti del tipo di Josip Broz Tito si sforzano in mille modi, ordendo piani diabolici, di disorientare popoli e giovani Stati, al fine di staccarli dai loro alleati naturali, per legarli direttamente all'imperialismo americano. Dobbiamo tendere con tutte le nostre forze a sventare i piani di questi lacchè dell'imperialismo. *Guardiamo dritto in faccia i fatti. L'imperialismo mondiale, con a capo il suo reparto più aggressivo, l'imperialismo americano, orienta la propria economia verso la preparazione della guerra. Esso si sta armando fino ai denti. L'imperialismo americano sta dotando di ogni specie d'arma la Germania di Bonn, il Giappone e tutti i suoi alleati e satelliti. Esso ha organizzato e sta perfezionando le organizzazioni militari d'aggressione, ha creato e sta creando basi militari da ogni parte attorno al campo del socialismo. Esso accresce le sue scorte di armi nucleari, non consente a disarmare, non accetta di cessare gli esperimenti nucleari, lavora febbrilmente e nuove invenzioni di mezzi di sterminio di massa. E tutto questo, perché lo fa? Per andare a nozze No! Per scendere in guerra contro di noi, per distruggere il socialismo e il comunismo, per ridurre i popoli alla schiavitù. *Non dobbiamo fare alcuna concessione di principio al nemico ne farci alcuna illusione sull'imperialismo, giacché credendo di aggiustare le cose non faremmo che aggravarle. Il nemico, non soltanto si arma e prepara la guerra contro di noi, ma conduce inoltre una propaganda sfrenata per avvelenare gli animi e disorientare la gente. *Sarebbe assurdo pensare che la piccola Albania socialista possa staccarsi dal capo socialista e vivere al di fuori di questo campo, al di fuori della fratellanza dei nostri popoli socialisti. La sua appartenenza al campo socialista, l'Albania non l'ha ricevuta in dono da nessuno, ma sono il nostro stesso popolo e il Partito del Lavoro d'Albania che l'hanno conquistata con il sangue, con la loro fatica e il loro sudore, con i sacrifici che hanno fatto, con il sistema di governo che hanno instaurato e con la linea [[Marxismo-leninismo|marxista-leninista]] che seguono. Ma che nessuno pensi che l'Albania, essendo un piccolo paese, il Partito del lavoro d'Albania, essendo un piccolo Partito, debbano fare quel che piace a qualcuno se sono convinti che questo qualcuno sbaglia. *La Repubblica Popolare d'Albania non ha fornito assistenza economica ad alcuno fino ad ora, primo perché siamo poveri, e secondo perché nessuno ha bisogno del nostro aiuto economico. Però, nei giusti limiti, noi abbiamo compiuto e compiamo ogni sforzo per aiutare con le nostre esportazioni, per quel poco che ci è possibile i paesi amici e fratelli. *Noi poniamo la questione: perché la [[Cina]] comunista non dovrebbe avere la bomba atomica? Riteniamo che la debba avere, e quando la Cina disporrà della bomba atomica e di missili, vedremo allora quale sarà il linguaggio dell'imperialismo americano, vedremo se si continuerà a negare alla Cina i suoi diritti nell'arena internazionale, vedremo se gli imperialisti americani oseranno brandire le loro armi come fanno oggi. *Se l'Unione sovietica non possedesse la bomba atomica, l'imperialismo userebbe nei suoi confronti un altro linguaggio. Noi non saremo mai i primi ad impiegare le armi atomiche, noi siamo contro la guerra, siamo per la distruzione delle armi nucleari, ma abbiamo bisogno della bomba per difenderci. «La paura è il miglior guardiano delle vigne», dice un proverbio del nostro popolo. Gli imperialisti debbono temerci e anche temerci molto. *La libertà di cui oggi godiamo non ce l'ha regalata nessuno, ma ce la siamo conquistata col sangue. *Gli imperialisti americani e inglesi ci hanno accusato e ci accusano, noi albanesi, di «essere feroci e bellicosi». È comprensibile, perché il popolo albanese ha infranto i loro reiterati tentativi di asservirlo e ha annientato i loro agenti che hanno complottato contro il Partito del Lavoro d'Albania e il nostro regime di democrazia popolare... *Che l'Albania avanzi sulla via del socialismo e che essa faccia parte del campo del socialismo, non siete voi, compagno Krusciov, a deciderlo, ciò non dipende affatto dalla vostra volontà. Ma è il popolo albanese, con alla testa il suo Partito del Lavoro, che lo ha deciso con la sua lotta, e non vi è forza al mondo che possa farlo deviare da questa strada. *Voi compagno Krusciov, avete levato la mano contro il nostro piccolo popolo e il suo Partito, ma noi siamo convinti che il popolo sovietico che ha versato il proprio sangue anche per la libertà del nostro popolo, che il grande Partito di Lenin, non approveranno questo vostro modo di agire. Noi abbiamo piena fiducia nel [[marxismo-leninismo]], siamo certi che i partiti fratelli, che hanno inviato i loro rappresentanti a questa riunione, considereranno e giudicheranno questa questione con uno spirito di giustizia marxista-leninista. *Secondo noi, la controrivoluzione in Ungheria fu principalmente opera dei titini. Gli imperialisti americani avevano, in primo luogo in Tito e nei rinnegati di Belgrado, la migliore arma per scalzare la democrazia popolare in Ungheria. *Gli jugoslavi ci accusano di essere «sciovinisti, di ingerirci nei loro affari interni e di ricercare una rettifica delle nostre frontiere con la Jugoslavia». Molti nostri amici pensano e lasciano intendere che noi, comunisti albanesi, siamo inclini a questo. Noi dichiariamo a costoro che si sbagliano di grosso. Noi non siamo sciovinisti, non abbiamo domandato né domandiamo alcuna rettifica di frontiera. Ma ciò che chiediamo e chiederemo fino in fondo ai titini è di porre fine ai loro crimini di genocidio contro la popolazione albanesi del Kossovo e della Macedonia, di porre fine al terrore bianco contro gli albanesi del Kossovo, all'espulsione degli albanesi dai loro territori ed alla loro cacciata in massa in Turchia, noi domandiamo che, conformemente alla costituzione della Repubblica popolare federativa di Jugoslavia, la popolazione albanese si veda riconoscere i propri diritti. Tale atteggiamento è sciovinista o marxista? *Tutte le opere teoriche del compagno [[Stalin]] sono un'ardente testimonianza della sua fedeltà al maestro geniale, al grande Lenin e al leninismo. Stalin lottò per i diritti della classe operaia e dei lavoratori del mondo intero, lottò con grande coerenza fino in fondo per la libertà dei popoli dei nostri paesi a democrazia popolare. Non fosse che per questi aspetti, Stalin appartiene al mondo comunista intero e non soltanto ai comunisti sovietici; appartiene a tutti i lavoratori del mondo e non soltanto ai lavoratori sovietici. *Stalin ha commesso degli errori? Era inevitabile che un così lungo periodo, pieno di atti eroici, di sforzi, di lotte, di vittorie, comportasse anche degli errori, non solamente personali di Giuseppe Stalin, ma anche della direzione in quanto organo collegiale. Esiste un Partito o un dirigente che si possa considerare esente da ogni errore dal suo lavoro? *Il culto della personalità di Stalin doveva, certamente, essere superato. Ma si può dire, come si è detto, che Stalin era egli stesso artefice di tale culto della personalità? Il culto della personalità doveva sicuramente essere superato, ma per ottenere questo, era necessario e giusto che chiunque ne menzionasse il nome di Stalin fosse immediatamente messo all'indice, segnato a dito, che chiunque citasse Stalin fosse guardato di traverso? {{Int|Da ''[https://web.archive.org/web/20170622183550/http://www.bannedthought.net/Albania/ForeignSupport/Britain/AlbanianLife/AlbanianLife-32-1985.pdf An interview with Enver Hoxha]''|Intervista di Paul Milliez del dicembre 1984, riportato in "Albanian Life: Memorial Issue", ''Journal of the Albanian Society'', No. 2 1985, pp. 30-34}} *{{NDR|Riguardo i jugoslavi}} Sono estremamente ostili verso il nostro punto di vista, e dicono cose che nessuno può credere. Per esempio, dichiarano che noi desideriamo il collasso della Jugoslavia, sebbene noi non abbiamo mai immaginato né voluto tale cosa. Ci accusano inoltre d'aver provocato gli eventi svolti in [[Kosovo|Kosova]] nel 1981, ma ciò non è affatto vero. I responabili per gli eventi tragici in Kosova sono i jugoslavi stessi. :''They are extremely hostile to our viewpoint, and say things about us which no one can believe. For example, they claim that we desire the destabilisation of Yugoslavia, although we have never envisaged or said such a thing. They accuse us, further, of having provoked the events which occurred in Kosova in 1981, but this is not at all true. The people responsible for the tragic events in Kosova are the Yugoslavs themselves.'' *Io non sono che un membro del Partito del lavoro e servo solo il mio popolo. Ogni successo qui ha le sue origini dalle nostre proprie forze; tutto è stato realizzato dal popolo ed insieme ad esso. I nemici del nostro paese dicono che sono un dittatore, ma una persona da sola non può né agire né lavorare con la forza necessaria se non circondato da amici e compagni. :''I am only a member of the Party of Labour and I only serve my people. Every success achieved here has its origin in our own forces; everything has been realised with the people and in unity with it. The enemies of our country say that I am a dictator. But a single person can neither act nor work with the necessary strength without being surrounded by friends and comrades.'' *Ogni paese conduce la sua propria politica, salvaguardando così i suoi diritti. Ci sono però dei gruppi e degli individui all'estero che ci accusano d'aver distrutto le chiese e le moschee. A queste persone, diciamo che noi non c'immischiamo negli affari interni degli altri paesi, e non abbiamo alcun desiderio di farlo. Desideriamo allora che gli altri paesi non interferissero nei nostri affari. Per quanto riguarda la religione, non possiamo permettere che uno «stato» come il Vaticano, che dipende dall'imperialismo, s'insedia nel nostro paese e fra il nostro popolo. Dall'altra parte, non abbiamo costretto, né costringiamo, nessuno attraverso le misure amministrative di rinunciare alle sue credenze religiose. La religione è una questione di coscienza personale. Attualmente, il clero ortodosso greco rappresenta il gruppo più reazionario posto contro il nostro paese. Tenta di convincere tutti che i cristiani ortodossi fra di noi siano esclusivamente greci. Attacca persino Papandreou, obiettando contro la sua politica riguardo le relazioni con il nostro paese. Ma tutto andrà per bene, malgrado le minacce dei reazionari. :''Every country conducts its own policy, by means of which it defends its rights. However, there are abroad some circles and individuals who accuse us of having destroyed the churches and mosques. To these people we say: we do not involve ourselves in the internal affairs of other countries, nor wish to. We wish, therefore, that other countries would not meddle in our affairs. As far as religion is concerned, we cannot permit in our country, among our people, a "state" which assists foreigners like the Vatican, which is dependent on imperialism. On the other hand, we have not compelled, nor do we compel, anyone by administrative measures to renounce his religious views. Religion is a question of personal conscience. At the present time, the Greek Orthodox clergy represents the most reactionary circles directed against our country. It seeks to make people believe that all Orthodox Christians among us are Greeks. It ranges itself even against Papandreou, objecting to his policy in relations with our country. But everything will work out for the best, irrespective of the threats of the reactionaries.'' *I nostri nemici dichiarano che l'Albania è sola ed isolata, senza scambi con altri paesi. Ma noi facciamo scambi con tutti i paesi che li desiderano sulla base di vantaggio reciproco e della non-interferenza nei nostri affari interni. Per i jugoslavi, questo è anormale. Il nostro paese però non si è mai ridotto allo stato in cui si trova l'economia jugoslava; il nostro paese non si è mai appoggiato sui prestiti e i crediti stranieri, e rimarrà sempre così, al contrario di ciò che i jugoslavi hanno fatto e continuano a fare al loro paese. :''Our enemies say that Albania is alone, that it is isolated, that it has no commerce with other countries. But we have commercial exchanges with all countries which desire them on the basis of reciprocal advantage and noninterference in one another's internal affairs. For the Yugoslavs that is something abnormal. However, our economy has never been reduced to the state in which the Yugoslav economy finds itself; our country has never relied upon loans and credits from abroad. And so it will always be, unlike what the Yugoslavs have done and continue to do in their country.'' *{{NDR|Riguardo [[Stalin]]}} Era stato un uomo saggio e equilibrato. Combatté i nemici dell'Unione Sovietica e del comunismo. :''He was a wise and level-headed man. He fought the enemies of the Soviet Union and of communism.'' ==''L'"autogestione" jugoslava: teoria e pratica capitaliste''== ===Incipit=== L'anno scorso è uscito in Jugoslavia, accompagnato da una grande pubblicità, il libro dei principale «teorico» dei revisionismo titoista, Eduard Kardelj, intitolato «Indirizzi di sviluppo del sistema politico di autogestione socialista».<br/>Le idee antimarxiste di questo libro sono state poste a fondamento di tutti i lavori del II Congresso del partito revisionista jugoslavo, che i titoisti, al fine di mascherarne il carattere borghese, hanno battezzato «Lega dei Comunisti di Jugoslavia».<br/>I titoisti e il capitalismo internazionale, come rilevato al VII Congresso dei PLA, vantano il sistema di «autogestione» come «una via già pronta e sperimentata verso il socialismo» e se ne servono come di un'orma preferita nella lotta contro il socialismo, la rivoluzione e le lotte di liberazione.<br/>Tenendo presente il pericolo che rappresentano queste concezioni, ho ritenuto necessario esprimere alcune idee a proposito di questo libro. ===Citazioni=== *In Jugoslavia, come si sa, il capitalismo è stato pienamente instaurato, però questo capitalismo viene abilmente mascherato. La Jugoslavia sostiene di essere un paese socialista, ma di un tipo singolare che il mondo non avrebbe visto fino ad oggi! I titoisti si vantano pure che il loro Stato non ha niente in comune con il primo Stato socialista, uscito dalla Rivoluzione Socialista d'Ottobre e fondato da Lenin e Stalin sulla base della teoria scientifica di Marx ed Engels. (p. 2) *La Lotta di liberazione nazionale jugoslava, guidata dal Partito Comunista di Jugoslavia, si contraddistingue non solo per il valore e per il coraggio del popolo, ma anche per l'onestà degli autentici comunisti jugoslavi. Nel corso di questa lotta, tuttavia, nella direzione jugoslava cominciarono a manifestarsi tendenze sospette che facevano pensare, come apparve chiaramente più tardi, che per quel che concerne l'atteggiamento verso l'alleanza antifascista dell'Unione Sovietica, degli Stati Uniti e dell'Inghilterra, il gruppo titoista propendeva per gli Anglo-Americani. In quel periodo, noi avevamo costatato che la direzione titoista manteneva stretti legami con gli alleati occidentali, specie con gli inglesi, dai quali riceveva consistenti aiuti finanziari e militari. Nel medesimo tempo avevamo rilevato un ravvicinamento politico evidente fra Tito e Churchill ed i suoi emissari, in un momento in cui la lotta di liberazione nazionale jugoslava doveva essere strettamente collegata alla guerra di liberazione dell'Unione Sovietica, poiché la speranza della liberazione generale di tutti i popoli, per quel che riguarda il fattore esterno, era fondata appunto su questa guerra. (p. 3) *Essi si spacciavano per [[Marxismo-leninismo|marxisti-leninisti]]. All'inizio, anche noi pensavamo che fossero tali. Però, in realtà, non solamente dalla loro attività nel suo complesso, ma anche dai loro atteggiamenti concreti nei nostri confronti, abbiamo rilevato che molte delle loro prese di posizione erano incompatibili con la teoria scientifica del marxismo-leninismo. Abbiamo costatato che essi si allontanavano sempre più dall'esperienza dell'edificazione del socialismo nell'Unione Sovietica. (pp. 3-4) *Le concezioni di Tito e dei suoi compagni lasciavano intendere sin dall'inizio che questi non erano dei «marxisti duri», come la borghesia chiama i marxisti coerenti, ma dei «marxisti ragionevoli», che avrebbero strettamente collaborato con tutti gli uomini politici, vecchi e nuovi, borghesi e reazionari della Jugoslavia. (p. 4) *È un fatto incontestabile che i popoli di Jugoslavia si siano battuti. La Jugoslavia, così come l'Albania, ha fatto dei grandi sacrifici. I dirigenti antimarxisti jugoslavi hanno speculato su questa lotta, hanno sfruttato davanti all'opinione pubblica, interno ed esterno, l'apprezzamento che l'unione Sovietica faceva della Jugoslavia, che essa considerava una importante alleata sulla via [[Marxismo-leninismo|marxista-leninista]] del socialismo. (pp. 4-5) *Essi, come lo sappiamo, tentarono di imporci i loro punti di vista politici, ideologici, organizzativi e statali, antimarxisti. Essi giunsero al punto di fare ripugnanti tentativi per trasformare l'Albania in una repubblica della Federazione jugoslava. In questo loro turpe e fallito tentativo i titoisti urtarono contro la nostra decisa opposizione. (p. 5) *La teoria e la pratica dell'«autogestione» jugoslava sono una negazione palese degli insegnamenti del [[marxismo-leninismo]] e delle leggi generali dell'edificazione del socialismo. (p. 9) *La teoria [[Marxismo-leninismo|marxista-leninista]] c'insegna che il socialismo si edifica sia in città che nelle campagne non sulla base della proprietà capitalista statale, della cosiddetta proprietà amministrata da gruppi di operai, o della proprietà privata in forma aperta, ma solo sulla base della proprietà sociale socialista dei mezzi di produzione. (p. 11) *La libertà d'azione nelle imprese «autogestionarie» è falsa. In Jugoslavia l'operaio non dirige e non gode di quel diritti così pomposamente proclamati dall'«ideologo» Kardelj. Lo stesso Tito, nel discorso pronunciato di recente nell'attivo dirigente di Slovenia, volendo dimostrare che è un uomo realista e contrario alle ingiustizie del suo regime, ha detto che l'«autogestione» non impedisce l'aumento degli introiti di coloro che lavorano male a spese di coloro che lavorano bene, mentre i dirigenti delle fabbriche, che sono responsabili delle perdite, possono sfuggire alla loro responsabilità ricoprendo cariche importanti in altre fabbriche, senza temere rimproveri da nessuno per le colpe commesse. (p. 13) *Non vi può essere democrazia socialista per la classe operaia senza il suo Stato di dittatura del proletariato. Il [[marxismo-leninismo]] c'insegna che la negazione dello Stato di dittatura del proletariato è la negazione della democrazia stessa per le masse lavoratrici. (p. 14) *Tutto il paese si trova in una crisi continua e le vaste masse lavoratrici vivono nella povertà. Molti operai non hanno lavoro, vengono gettati sul lastrico oppure emigrano all'estero. Questa emigrazione economica, questo fenomeno capitalista, Tito l'ha non solamente riconosciuto, ma ha anche raccomandato di incoraggiarlo. In un paese socialista non può esistere la disoccupazione, e l'esempio più lampante in questa direzione è l'Albania. Intanto nei paesi capitalisti, di cui fa parte naturalmente anche la Jugoslavia, la disoccupazione esiste e si crea in tutti i settori. (p. 16) *In Jugoslavia non esistono organi del potere statale in quanto veri rappresentanti del popolo. Là esiste solo il sistema burocratico denominato «sistema di delega», che viene presentato come detentore del sistema del potere, ragion per cui non si procede all'elezione dei deputati agli organi del potere statale. (p. 18) *L ‘«unione» e la «fraternità» dei popoli, a proposito di cui si parla molto in Jugoslavia, non sono state mai poste sulle giuste fondamenta dell'eguaglianza economica, politica, sociale e culturale delle nazioni e delle nazionalità.</br>Senza realizzare l'eguaglianza in questi campi, non è possibile risolvere equamente la questione nazionale in Jugoslavia. Da quasi tre decenni il socialismo «autogestionario», oltre alla demagogia sulla «comunità autogestionaria delle nazioni e delle nazionalità di un tipo nuovo», non ha potuto fare niente per la realizzazione dei diritti sovrani delle diverse nazioni e nazionalità nelle repubbliche e nelle regioni della Jugoslavia, Così ad esempio la regione del Kossovo, la cui popolazione albanese è di circa tre volte più numerosa di quella della repubblica del Montenegro soffre di un'arretratezza economica, politica sociale e culturale molto accentuata rispetto alle altre regioni della Jugoslavia. Anche le grandi repubbliche presentano delle differenze inammissibili in tutti i campi, in paragone alle altre repubbliche. Questa situazione costituisce il punto più debole che scuote dalle sue Fondamenta la Federazione dei revisionisti jugoslavi. (p. 22) *In Jugoslavia non esistono più né il ruolo dominante della classe operaia, né il suo partito d'avanguardia, in quanto direzione dello Stato e della società. (p. 28) ==''Imperialismo e rivoluzione''== ===Incipit=== Il 7º Congresso del Partito del Lavoro d'Albania, analizzando l'odierna situazione internazionale e lo stato in cui si trova attualmente il movimento rivoluzionario mondiale, ha messo in luce quali pericoli rappresentino l'imperialismo e il revisionismo moderno per la rivoluzione e la liberazione dei popoli, ha sottolineato la necessità di condurre contro di essi una lotta spietata e di appoggiare attivamente il movimento marxistaleninista nel mondo.<br/>Queste questioni sono di grande importanza poiché la costruzione del socialismo, la lotta per il rafforzamento della dittatura del proletariato e per la difesa della patria, non possono essere dissociate dalla situazione internazionale e dal processo generale dello sviluppo mondiale. ===Citazioni=== *Noi chiediamo che [[Israele]] si ritiri dai territori arabi, che ai palestinesi vengano riconosciuti tutti i loro diritti nazionali, ma non siamo affatto del parere che si debba eliminare il popolo israeliano. (pp. 182-183) *La popolazione [[africa]]na è rimasta sottosviluppata dal punto di vista culturale ed economico, è andata via via diminuendo a causa delle guerre coloniali, della feroce persecuzione razziale. della vendita dei negri africani e del loro invio nelle metropoli, negli Stati Uniti d'America e in altri paesi, per lavorare come bestie nelle piantagioni di cotone e di altre colture, e come addetti ai lavori più pesanti dell'industria e dell'edilizia.</br>Per questi motivi i popoli africani hanno ancora davanti a sé una grande lotta da condurre. Essa è e sarà una lotta molto complessa, differente da un paese all'altro, in considerazione delle condizioni di [[sviluppo economico]], culturale e di istruzione, del grado di risveglio politico, della grande influenza che le diverse religioni, come la religione cristiana, la mussulmana, le vecchie fedi pagane ecc. esercitano sulle masse di questi popoli. (p. 189) *L'imperialismo inglese e l'imperialismo americano non hanno concesso nessuna libertà ai popoli africani. Siamo tutti testimoni di quello che avviene, ad esempio, nel Sudafrica. Vi dominano i razzisti bianchi, i capitalisti inglesi, gli sfruttatori, i quali opprimono ferocemente le popolazioni di colore di tale Stato in cui regna la legge della giungla. In numerosi altri paesi dell'Africa dominano i consorzi e i capitali degli Stati Uniti d'America, dell'Inghilterra, della Francia, del Belgio e degli altri vecchi colonizzatori e imperialisti, che si sono, fino ad un certo punto, indeboliti, ma che continuano a tenere in pugno le chiavi dell'economia di quei paesi. (p. 191) [[File:Mao Zedong and Enver Hoxha.jpg|thumb|Hoxha con [[Mao Tse-tung]]]] *Se si mettono a confronto gli insegnamenti di Marx, Engels, Lenin e Stalin sull'insurrezione armata rivoluzionaria con la teoria di [[Mao Tse-tung|Mao]] sulla «lotta di popolo», il carattere antimarxista, antileninista, antiscientifico di questa teoria appare chiaro. Gli insegnamenti [[Marxismo-leninismo|marxisti-leninisti]] riguardo l'insurrezione armata si basano sullo stretto collegamento della lotta nella città e nelle campagne sotto la direzione della classe operaia e del suo partito rivoluzionario.</br>La teoria maoista, essendo contraria al ruolo dirigente del proletariato nella rivoluzione, considera la campagna come unica base dell'insurrezione armata e trascura la lotta armata delle masse lavoratrici in città. Sostiene che la campagna deve accerchiare la città, considerata come la roccaforte della borghesia controrivoluzionaria. In questo modo si esprime la sfiducia verso la classe operaia, la negazione del suo ruolo egemone. (pp. 240-241) *La nozione dell'esistenza di tre mondi o la divisione del mondo in tre parti, si basa su di una visione razzista e metafisica del mondo in quanto prodotto del capitalismo mondiale e della reazione.</br>Tuttavia la tesi razzista che divide i paesi in tre livelli o in tre «mondi» non si basa semplicemente sul colore della pelle. Si tratta di una classificazione che si basa sul livello di [[sviluppo economico]] dei paesi e che mira a definire la «razza dei grandi signori», da una parte, e la «razza dei pària e della plebe» dall'altra, a creare una divisione statica e metafisica, conformemente agli interessi della borghesia capitalista. Questa tesi considera i diversi popoli e le diverse nazioni del mondo come un branco di pecore, come un'entità amorfa. (pp. 259-260) *Considerare il mondo diviso in tre parti, in «primo mondo», in «secondo mondo» e in «terzo mondo», come fanno i revisionisti cinesi e non con un'ottica di classe, vuol dire deviare dalla teoria [[Marxismo-leninismo|marxista-leninista]] della lotta di classe, negare la lotta del proletariato contro la borghesia per il passaggio da una società arretrata ad una società nuova, alla società socialista, e più tardi alla società senza classi, alla società comunista. Dividere il mondo in tre parti, significa ignorare le caratteristiche della nostra epoca, ostacolare la marcia del proletariato e dei popoli verso la rivoluzione e la liberazione nazionale, ostacolare la loro lotta contro l'imperialismo americano, contro il social- imperialismo sovietico, contro il capitale e la reazione in ogni paese e in ogni angolo del mondo. La teoria dei «tre mondi» predica la pace sociale, la conciliazione di classe, cerca di creare alleanze fra nemici irriducibili, fra il proletariato e la borghesia, fra gli oppressi e gli oppressori, fra i popoli e l'imperialismo. Si sforza di prolungare la vita al vecchio mondo, al mondo capitalista, e di mantenerlo in vita proprio cercando di estinguere la lotta di classe. (pp. 262-263) *Gli sforzi della Cina di entrare nel «terzo mondo» attraverso la sua politica e la sua ideologia, il cosiddetto maotsetungpensiero, non possono avere successo per il fatto che la sua ideologia e la sua linea politica sono un caos. La linea politica della Cina è confusa, è una linea pragmatica che vacilla e cambia a seconda delle congiunture e degli interessi del momento. (pp. 368-369) *La Cina non è legata da nessuna amicizia sincera e stretta con i paesi che le sono vicini, senza parlare poi dei paesi che sono più lontani. La politica cinese non è e non può essere giusta, dal momento che non è [[Marxismo-leninismo|marxista-leninista]]. Con una simile politica, essa non può essere in sincera amicizia con il Vietnam, la Corea, la Cambogia, il Laos, la Tailandia ecc. La Cina pretende di volere l'amicizia di questi paesi, ma in realtà fra essa e questi paesi esistono contrasti per questioni politiche, territoriali ed economiche. (p. 389) *Il «[[Maoismo|maotsetungpensiero]]» è una «teoria» priva dei tratti caratteristici del marxismo-leninismo. (p. 392) *{{NDR|Sulla [[rivoluzione culturale]]}} Questa rivoluzione, che aveva un marcato carattere politico, venne definita culturale. Per il nostro Partito questa denominazione non era esatta, poiché in realtà il movimento che si era scatenato in Cina era un movimento politico e non culturale. Ma l'essenziale era che questa «grande rivoluzione proletaria» non era guidata né dal partito, né dal proletariato. Questa grave situazione derivava dalle vecchie concezioni antimarxiste di Mao Tsetung, che sottovalutavano il ruolo guida del proletariato e sopravalutavano quello della gioventù nella rivoluzione. (p. 399) *Il corso degli avvenimenti ha dimostrato che la Grande Rivoluzione Culturale Proletaria non era né una rivoluzione, né grande, né culturale e soprattutto per nulla proletaria. Non era altro che un putsch di palazzo a livello pancinese per liquidare un pugno di reazionari che si erano impossessati del potere. (p. 401) *Il «maotsetungpensiero» è un amalgama di concezioni in cui vengono mescolate idee e tesi prese a prestito dal marxismo e vari principi filosofici, idealisti, pragmatisti e revisionisti. Esso ha le sue radici nell'antica filosofia cinese e nel passato politico, ideologico della Cina, nella sua pratica statale e militarista. (p. 405) *Mao Tsetung non ha organizzato il Partito Comunista Cinese sulla base dei principi di Marx, Engels, Lenin e Stalin. Non ha lavorato per farne un partito di tipo leninista, un partito bolscevico. Mao Tsetung era favorevole non ad un partito proletario di classe, ma ad un partito senza confini di classe. Egli ha utilizzato la parola d'ordine di dare un carattere di massa al partito per cancellare ogni linea di demarcazione fra il partito e la classe. Di conseguenza chiunque poteva entrare in questo partito o uscirne quando e come voleva. Riguardo a questa questione i punti di vista del «maotsetungpensiero» sono identici a quelli dei revisionisti jugoslavi e degli «eurocomunisti». (p. 407) *Nel Partito Comunista Cinese non è esistita e non esiste una vera unità marxista-leninista di pensiero e di azione. La lotta fra le frazioni, che è esistita sin dalla fondazione del Partito Comunista Cinese, ha fatto si che questo partito non adottasse una giusta linea marxista-leninista, non fosse guidato dal pensiero marxista-leninista. Le diverse tendenze che si manifestavano tra i principali dirigenti del partito erano a volte di sinistra, a volte opportuniste di destra, a volte centriste, arrivando fino alle concezioni apertamente anarchiche, scioviniste e razziste. (p. 408) *[[Zhou Enlai|Chou En-lai]] ha svolto, nel nuovo Stato cinese, un ruolo particolare. Economista e organizzatore capace, egli non è però mai stato un uomo politico marxista-leninista. Da tipico pragmatista qual era, egli ha saputo applicare le sue concezioni non marxiste e farle coesistere perfettamente con ogni gruppo al potere in Cina. (pp. 436-437) *Chou En-lai era un maestro nei compromessi senza principio. Ha sostenuto e denunciato nello stesso tempo Chiang Kai-shek, Kao Gang, Liu Shao-chi, Teng Hsiao-ping, Mao Tsetung, Lin Piao, «i quattro», ma non ha mai sostenuto Lenin e Stalin, il marxismo-leninismo. (p. 437) ===Explicit=== Il marxismo-leninismo è l'ideologia trionfante. Chi lo abbraccia, lo difende e lo sviluppa, è membro del glorioso esercito della rivoluzione, del grande e invincibile esercito degli autentici comunisti, che guidano il proletariato e tutti gli oppressi nella trasformazione del mondo, nella distruzione del capitalismo e nell'edificazione del mondo nuovo, il mondo socialista. ==''Riflessioni sulla Cina'', vol. I== ===Incipit=== I comunisti rivoluzionari di tutti i partiti comunisti e operai del mondo si aspettano che il Partito Comunista Cinese assuma apertamente e direttamente una posizione di condanna del revisionismo kruscioviano, che si sta diffondendo e sta provocando danni e che ha trovato solo un oppositore aperto: il Partito del Lavoro d'Albania. Tutti sono solidali con il nostro Partito, ne sostengono la giusta linea e ne ammirano il coraggio, tuttavia, giustamente, si aspettano che il Partito Comunista Cinese si pronunci apertamente. ===Citazioni=== *{{NDR|Su [[Nicolae Ceaușescu]]}} Da tutti riceve numerosi crediti: dagli americani, dalla Repubblica Federale Tedesca, dalla Francia, dalla Cina e chi più ne ha più ne metta! La Romania di Ceausescu è stata messa in vendita all'asta a credito. Questo si chiama «morte a credito». (''Ceausescu visiterà la Cina'', 23 maggio 1970) *Nicolae Ceausescu si vanta di questa politica antimarxista, revisionista, senza alcuno scrupolo di coscienza, si spaccia per autentico comunista, si fa passare per un grand'uomo del nostro tempo, per insigne diplomatico! Va ovunque, da Washington fino a Teheran, per celebrarvi i [[Celebrazione dei 2500 anni dell'Impero Persiano|mille anni dell'impero persiano]], per insignire di decorazioni lo [[Mohammad Reza Pahlavi|sciainscià]], assassino dei combattenti per la libertà e dei comunisti, e per farsi decorare da lui. (''Ceausescu visiterà la Cina'', 23 maggio 1970) *I revisionisti romeni sviluppano una politica interna ed estera chiaramente antimarxista. Essi si sono immersi nei debiti con gli Stati Uniti d'America, con la Germania Occidentale, con la Francia e con altri paesi capitalisti. Naturalmente, questi Stati accordano crediti solo quando pensano di poter trarre profitti economici e politici. In questo consiste la politica «indipendente» di Ceausescu. Indipendente nei confronti di chi? Nei confronti dei revisionisti sovietici che non possono accettare questa situazione. (''Noi non cacciamo la Patria nelle trappole revisioniste'', 7 luglio 1970) *Ceausescu è una carta non ancora bruciata in mano agli americani. (E chissà? Forse anche in mano ai sovietici). (''Noi non cacciamo la Patria nelle trappole revisioniste'', 7 luglio 1970) *Per i cinesi [[Kim Il-sung|Kim Il sung]] è ora divenuto un «grande dirigente». I cinesi s'entusiasmano facilmente. Kim II sung può avere attualmente alcune contraddizioni con i sovietici, che naturalmente vanno sfruttate, ma continua però a mantenere normali relazioni con i revisionisti sovietici e non c'è da stupirsi se egli sfrutta questo riavvicinamento con i cinesi contro i sovietici. (''Noi non cacciamo la Patria nelle trappole revisioniste'', 7 luglio 1970) *{{NDR|Su [[Nicolae Ceaușescu]]}} Un revisionista affermato, a un titino, a un filoamericano, che ha accolto con tante acclamazioni Nixon, che oggi pretende di essere in contrasto con i sovietici, ma che domani si unirà nuovamente ad essi, poiché è reazionario, senza principi. (''I cinesi e Ceausescu'', 2 giugno 1971) *È un po' difficile che Ceausescu e i suoi compagni abbattano l'imperialismo!! Se il mondo si attende una cosa simile dai vari Ceausescu, l'imperialismo vivrà decine di migliaia d'anni. (''I cinesi e Ceausescu'', 2 giugno 1971) *A [[Kim Il-sung|Kim Il sung]] piace l'appoggio cinese nei confronti del pericolo giapponese e indirettamente si rallegra dell'amicizia che si sviluppa tra Cina e Stati Uniti, però teme l'inasprimento dei rapporti fra Cina e Unione Sovietica. Perciò egli manovrerà e si adopererà per servire da anello di congiunzione fra Cina e Unione Sovietica per l'avvicinamento di questi due Stati revisionisti. Kim Il sung si trova in posizioni più vantaggiose rispetto a Ceausescu per fare il gioco dei sovietici con i cinesi, mentre Ceausescu è la carta degli americani nei riguardi dei cinesi. (''La Cina, il Vietnam, la Corea e la visita di Nixon a Pechino'', 28 luglio 1971) *L'India di [[Jawaharlal Nehru|Nehru]], benché mantenesse solo in apparenza una posizione di neutralità fra l'Unione Sovietica e gli Stati Uniti d'America e di ostilità verso la Cina, si manteneva su una posizione di «terza forza», e lo stesso Nehru ne era uno dei principali dirigenti. L'India mangiava in entrambe le greppie, approfittava sia dell'Unione Sovietica che degli Stati Uniti d'America, faceva parte del Commonwealth, ma, in apparenza, parteggiava di più per i sovietici. (''Il trattato sovietico-indiano e la Cina'', 13 agosto 1971) *Ajub Khan, [[Yahya Khan|Jahja Khan]], Aga Khan e tutti i diavoli non sono altro che reazionari al pari di Nehru e di sua figlia. Entrambe le parti opprimono barbaramente i loro popoli, che vivono in una indicibile miseria. (''Il trattato sovietico-indiano e la Cina'', 13 agosto 1971) ===Explicit=== Noi ci auguriamo che tutto sia corretto in modo giusto e per il meglio. Possiamo anche sbagliarci in queste analisi, ma non sarebbe marxista-leninista non farle, non metterci a riflettere e a trarne, anche noi, insegnamenti per nostro conto. Siamo stati e siamo costretti a fare le nostre analisi basandoci su quanto ci dicono i compagni cinesi, ai quali prestiamo fede, ma in uno spirito critico, marxistaleninista. ==''Riflessioni sulla Cina'', vol. II== *Si sa che sono stati Tito e i suoi soci Sukarno, Nehru e Nasser a lanciare l'idea del «mondo» dei [[Movimento dei paesi non allineati|paesi cosiddetti non allineati]], ma erano dei borghesi capitalisti essi stessi, i loro Stati e i loro partiti erano e sono legati agli imperialisti e ai socialimperialisti. (''Dichiarazioni antimarxiste di Chou En-lai'', 15 gennaio 1973) *Il generale [[Mobutu Sese Seko|Mobutu]] e la sua cricca sono reazionari, assassini di Lumumba e di altre persone progressiste del loro paese. (''Dichiarazioni antimarxiste di Chou En-lai'', 15 gennaio 1973) *Se in Ceausescu c'è un briciolo di antisovietismo, ciò è dovuto al fatto che costui è un avventuriero di tipo kruscioviano, titino, ecc., che ha assunto una posizione di prosseneta e il prosseneta vive senza essere molestato dai sovietici, anzi è molto probabile che si regga con il loro consenso e aiuto per i servigi che rende loro. Egli vive con i soldi degli Stati Uniti d'America, della Repubblica Federale Tedesca e di tutti coloro che lo pagano. Il regime di Ceausescu è il regime della corruzione, della bancarotta, della dittatura personale e familiare. (''Romania e Cina hanno la stessa linea'', 29 settembre 1975) *Si può vedere Ceausescu più fuori che in Romania. Che cosa fa all'estero? Compra e vende, stipula, fa e disfa accordi, riceve qualche versamento e, se qualcuno gliela dà, anche qualche decorazione. Ceausescu sta sostituendo Tito nelle losche trattative nei continenti. (''Romania e Cina hanno la stessa linea'', 29 settembre 1975) *La Romania sta conducendo «una grande politica» non solo in Europa e nel mondo, ma cerca anche di prendere in mano la bacchetta del direttore d'orchestra nella politica balcanica. Né più né meno il ''çaush''<ref>In turco, "sergente".</ref> cerca di diventare il ''bashçaush''<ref>In turco, "sergente maggiore".</ref> dei Balcani, predicando la riunione di tutti i dirigenti degli Stati balcanici con la partecipazione anche degli Stati Uniti d'America e dell'Italia. La «sorella minore latina», insieme alla sorella maggiore latina, ambedue note per la loro collaborazione durante il fascismo e la loro sottomissione all'imperialismo americano, sogna di portarci nell'ovile degli americani. (''Romania e Cina hanno la stessa linea'', 29 settembre 1975) *In che cosa consiste l'antisovietismo di Ceausescu? In nulla di importante. Non partecipa, per modo di dire, con le sue truppe alle manovre del Patto di Varsavia, ma vi partecipa con gli stati maggiori. La Romania fa parte del Patto di Varsavia e vi rimarrà. È inserita, testa e piedi, nel COMECON, ma si oppone talvolta e tira qualche calcio, ma calci nel COMECON ne tirano anche i bulgari che sono «culo e camicia» con i sovietici. Allora in che cosa si esprime l'antisovietismo dei dirigenti romeni? Forse nel fatto che non sono divenuti come i dirigenti bulgari?! Ma sono lì se non peggio. A volte i bulgari sono capaci di qualche «colpo» imprevisto, mentre i romeni non sono nemmeno capaci di simili «prodezze». (''Romania e Cina hanno la stessa linea'', 29 settembre 1975) *[[Mobutu Sese Seko|Mobutu]] non è che un mercenario, un reazionario capitalista; egli opprime il popolo congolese in stretta collaborazione con i neocolonialisti, che hanno ficcato i loro artigli nel Congo anzi tutto. (''Le manifestazioni dei partiti marxisti-leninisti e l'atteggiamento della Cina'', 28 aprile 1977) *{{NDR|Sulla [[Guerra dell'Ogaden]]}} Il conflitto fra questi due paesi africani è stato provocato dalle superpotenze, dagli interessi strategici ed economici dell'imperialismo americano e del socialimperialismo sovietico. Il socialimperialismo sovietico aiuta l'Etiopia, mentre gli Stati Uniti d'America aiutano la Somalia. La Cina doveva necessariamente aiutare la Somalia contro l'Etiopia ed è quello che sta facendo ora, ma con molta prudenza. Nonostante ciò questo crea di nuovo una contraddizione e smaschera la «grande» pretesa della Cina di essere, a suo dire, un aiuto per i piccoli popoli. (''Revisionismo ibrido'', 14 ottobre 1977) *{{NDR|Su [[Mohammad Reza Pahlavi]]}} Che grande vergogna per la Cina elogiare un bandito e figlio di bandito, che gli americani hanno fatto rientrare in Iran in aereo dall'esilio, dopo aver represso con i dollari e con i suoi agenti la rivolta di [[Mohammad Mossadeq|Mossadegh]] e soffocato nel sangue il movimento Tudeh! Questo tiranno oggi opprime senza pietà il popolo iraniano e gli succhia il sangue. In questo paese grandi masse non hanno lavoro, non hanno niente né da mangiare né da vestirsi, non hanno una capanna in cui ripararsi (senza parlare poi delle zone distrutte dai terremoti) mentre lo scià in persona e la sua cerchia intascano ogni anno miliardi di dollari! Questi sono i «grandi» e «sinceri» amici della Cina. (''Non possiamo moderare le parole contro il revisionismo cinese'', 27 novembre 1977) *Mao Tsetung aspirava a far tornare la Cina agli splendori dei secoli passati. In altre parole voleva fare della Cina, anche nell'epoca moderna, l'«Impero di Mezzo», come veniva chiamata ai tempi di Confucio e degli imperatori. Mao Tsetung, Liu Shaochi e Chou En-lai non si sono battuti per il trionfo del socialismo e del comunismo. Essi si sono adoperati per impedire le rivoluzioni proletarie in Asia ed attualmente nel mondo. (''Non possiamo moderare le parole contro il revisionismo cinese'', 27 novembre 1977) *Lo sciainscià si arma perché ha grandi piani: occupare l'Iraq e il Golfo Persico nonché sbarrare la via ad una evetuale invasione proveniente dal Caucaso o dal Mar Caspio. Non è forse il successore degli illustri imperatori dell'Impero Pesiano, di cui ha recentemente festeggiato i duemilacinquecento anni di vita con una spesa colossale?! Lo scià dell'Iran conduce una vita favolosa come al tempo di [[Hārūn al-Rashīd|Harun El Rascid]], mentre il popolo iraniano soffre come al tempo della schiavitù. (''Fosco panorama cinese'', 8 dicembre 1977) *In realtà che cosa fa la Cina? Applaude la Somalia, il presidente Mohammed Siad, per aver cacciato i sovietici dalla Somalia, e ha fatto bene, ma la Cina lo applaude proprio per essersi recato a Washington sottomettendo il suo paese al giogo dell'imperialismo americano. Ecco, questa è la politica della Cina. La Cina applaude anche Mobutu che è un traditore, un rinnegato, un agente, uno dei più grandi capitalisti d'Africa. D'altra parte essa è contro l'Angola, perché questa si trova sotto l'influenza dell'Unione Sovietica. Una tale politica è quindi reazionaria, non realistica. Vi sono anche altri Stati capitalisti sviluppati, che salvaguardano i loro interessi generali e che salvaguardano anche i loro interessi particolari, in contrasto con l'imperialismo sovietico e, se necessario, in contrasto anche con l'imperialismo americano. La Cina si sforza di occupare un posto fra i paesi del cosiddetto terzo mondo, ma vuole però occupare questo posto con niente in testa e niente in tasca, limitandosi ad applaudire un imperialismo e ad attaccare a parole l'altro imperialismo. Questo è dunque tutto quel che fa, perché, dal punto di vista economico, non è in grado di aiutare nessuno ed anzi ora non è in grado neppure di far onore ai suoi impegniufficiali ed ai suoi obblighi morali con diversi Stati, con i quali ha concluso contratti quando essa si spacciava per un paese socialista. (''Fosco panorama cinese'', 8 dicembre 1977) *Per quanto riguarda il «terzo mondo», Kim Il-sung pretende non solo di farne parte, ma, possibilmente, di esserne anche il leader. Inoltre egli pretende che in tutto il mondo si diffonda con grande velocità il pensiero «[[Juche|{{sic|ciucce}}]]», ossia il pensiero kimilsunghista. (''Perché Tito si reca in Cina'', 7 giugno 1977) ==''L'eurocomunismo è anticomunismo''== ===Incipit=== Al 9º Congresso del Partito Comunista Spagnolo, tenutosi nell'aprile del 1978, i revisionisti di Carrillo hanno dichiarato che il loro partito non è più marxista-leninista, ma un «partito marxistademocratico e rivoluzionario». «Considerare il leninismo come il marxismo del nostro tempo, ha dichiarato Carrillo, non è ammissibile». I dirigenti revisionisti francesi, nel corso del loro 23º congresso che si è tenuto nel maggio del 1979, hanno proposto di sopprimere dai documenti del Partito ogni riferimento al marxismo-leninismo e di impiegare in sua vece l'espressione «socialismo scientifico».<br/>Anche i revisionisti italiani al 15º Congresso del loro partito, tenutosi nell'aprile del 1979, hanno cancellato dallo Statuto del partito la norma che imponeva ai suoi aderenti di assimilare il marxismo-leninismo e di applicarne gli insegnamenti. «La formula «marxismo-leninismo» non esprime tutto il patrimonio della nostra eredità teorica e ideale», hanno detto i togliattiani. Ora chiunque può aderire al partito revisionista italiano, indipendentemente dall'ideologia a cui si attiene o che attua.<br/>In questo modo i revisionisti eurocomunisti hanno sanzionato sia formalmente che pubblicamente la loro rottura definitiva con il marxismoleninismo, il che in pratica avevano fatto da anni. Estremamente soddisfatta da questa rapida e completa trasformazione socialdemocratica di questi partiti, la propaganda borghese ha chiamato il 1979 «l'anno dell'eurocomunismo». ===Citazioni=== *La borghesia occidentale non nasconde il suo entusiasmo che ora, oltre ai socialdemocratici e ai fascisti, anche i revisionisti [[Eurocomunismo|eurocomunisti]] si sono allineati al loro fianco per attaccare, insieme, con tutte le armi, la rivoluzione, il [[marxismo-leninismo]]. (p. 4) *È passato più di un secolo da quando il comunismo è diventato il terrore della borghesia capitalista e dei latifondisti, degli imperialisti e degli opportunisti, dei rinnegati del [[marxismo-leninismo]]. Da più di cento anni il marxismo-leninismo sta facendo da guida ai proletari nelle battaglie per il rovesciamento del capitalismo e per il trionfo del socialismo. La sua vittoriosa bandiera ha sventolato per un lungo periodo in molti paesi; operai, contadini, intellettuali popolari, donne e giovani hanno goduto i frutti di quella vita libera, giusta, uguale e umana per cui si erano battuti Marx, Engels, Lenin e Stalin. Se il socialismo è stato rovesciato in Unione Sovietica e la controrivoluzione ha vinto in altri paesi, ciò non significa che il marxismo-leninismo sia stato sconfitto e che non sia più valido, come pretendono i borghesi e i revisionisti. (pp. 5-6) *L'epoca delle rivoluzioni proletarie è appena cominciata. L'avvento del socialismo rappresenta una necessità storica che deriva dallo sviluppo oggettivo della società. Ciò è inevitabile. (p. 6) *Per difendere il sistema capitalista, l'[[eurocomunismo]] cerca di erigere davanti alla rivoluzione una barricata di pruni e spine. Ma le fiamme della rivoluzione hanno rovesciato e distrutto non solo simili barricate, ma anche le fortezze erette dalla borghesia. (p. 7) *Non c'è biblioteca che possa contenere tutti i libri, le riviste, i giornali e le altre pubblicazioni che attaccano il [[marxismo-leninismo]]; non è possibile infatti calcolare né immaginare la intensità e l'ampiezza della propaganda anticomunista svolta dall'imperialismo. Malgrado ciò il marxismo-leninismo non è scomparso. Esso vive e fiorisce in quanto ideologia e in quanto realtà, materializzata nel sistema sociale socialista eretto secondo i suoi insegnamenti. (pp. 7-8) *La dottrina di Marx e di Lenin non è uno schema concepito nei gabinetti dei filosofi e degli uomini politici. Essa riflette le leggi oggettive della trasformazione della società. Pur non conoscendo Marx e Lenin, i lavoratori combattono per salvarsi dall'oppressione e dallo sfruttamento, per rovesciare padroni e tiranni, per vivere liberi e godere i frutti del loro lavoro. (p. 8) *Il Partito Comunista Italiano entrò nelle combinazioni politiche borghesi, facendo uno dopo l'altra concessioni senza principio. Alla vigilia della liberazione del paese esso disponeva di una grande forza politica e militare che non seppe o non volle utilizzare e depose volontariamente le armi di fronte alla borghesia. Esso rinunciò alla via rivoluzionaria e s'impegnò nella via parlamentare, che gradualmente lo trasformò da un partito della rivoluzione, in un partito borghese della classe operaia avente come obiettivo le riforme sociali. (p. 78) *Ai togliattiani andava a genio la linea revisionista di «destalinizzazione», essi applaudirono i kruscioviani che coprirono di fango Stalin e il bolscevismo, applaudirono la linea kruscioviana volta a distruggere le basi socialiste dello Stato sovietico, erano favorevoli alle riforme revisioniste e all'apertura verso gli Stati capitalisti, soprattutto verso gli Stati Uniti d'America. In quanto revisionisti, i togliattiani erano pienamente d'accordo con la coesistenza pacifica kruscioviana e con l'avvicinamento all'imperialismo. Questo era il loro vecchio sogno di collaborazione con la borghesia, sia sul piano nazionale che su quello internazionale. (p. 90) *L'eurocomunismo è una variante del revisionismo moderno, un mucchio di pseudoteorie che si contrappongono al marxismo-leninismo. Suo obiettivo è di impedire che la teoria scientifica di Marx, Engels, Lenin e Stalin rimanga quella che è, una potente ed infallibile arma nelle mani della classe operaia e degli autentici partiti marxistileninisti per distruggere dalle fondamenta il capitalismo, la sua struttura e la sua sovrastruttura, per assicurare l'instaurazione della dittatura del proletariato e l'edificazione della società nuova, socialista. (p. 108) *Per i revisionisti eurocomunisti, attualmente tutte le classi e tutti gli strati della società capitalista e in modo particolare l'intellighenzia sono diventati uguali al proletariato. Ad eccezione di un piccolo gruppo di capitalisti, secondo loro, tutti gli altri, senza distinzione, cercano di cambiare la società, di convertirla da società borghese in società socialista. E per fare questo cambiamento, secondo gli eurocomunisti, la vecchia società va riformata e non rovesciata. Essi immaginano con la fantasia che il potere dev'essere preso gradualmente attraverso le riforme, attraverso lo sviluppo della cultura e con una stretta collaborazione fra tutte le classi senza eccezione, sia di quelle che detengono il potere che di quelle che non lo detengono. (p. 116) *Berlinguer lavora con grande impegno, non attacca la costituzione borghese, neppure il potere della borghesia, non parla affatto della necessità di rovesciare questo potere e i suoi apparati, né di liquidare l'esercito repressivo italiano, ma al contrario sottoscrive dichiarazioni con i partiti della reazione al fine di rafforzare l'esercito, di mantenere le basi americane, di ampliare le competenze e di accrescere i fondi della polizia, di modo che questa abbia, in contrasto con la legge, il diritto di controllare tutto ciò che ritiene sospetto, persino di intercettare le conversazioni telefoniche e censurare la corrispondenza privata. (pp. 167-168) *La NATO è stata e rimane un'alleanza politica e militare del grande capitale americano ed europeo, creata per conservare innanzi tutto il sistema e le istituzioni capitalistiche in Europa, per impedire lo scoppio della rivoluzione e soffocarla con la violenza qualora dovesse progredire. Questa organizzazione controrivoluzionaria è, d'altra parte, una guardia armata del neocolonialismo nelle zone d'influenza delle potenze imperialiste e anche un'arma della loro espansione politica ed economica. Sperare di poter realizzare la trasformazione della società capitalistica dell'Europa Occidentale e la costruzione del socialismo con la NATO e le basi americane nel proprio paese, significa sognare ad occhi aperti. (p. 177) *Gli eurocomunisti non vogliono riconoscere l'esistenza di un grande problema nazionale, la questione del dominio americano in Europa Occidentale e quindi la necessità di liberarsene. Dalla fine della Seconda Guerra mondiale fino ad oggi, l'imperialismo americano ha legato questa parte dell'Europa con le più svariate catene — politiche, economiche, militari, culturali ecc. Senza rompere queste catene non ci possono essere né socialismo, e neppure quella democrazia borghese che gli eurocomunisti portano alle stelle. Il capitale americano è penetrato così profondamente in Europa, si è legato così bene con il capitale locale, che attualmente è difficile stabilire dove comincia l'uno e dove finisce l'altro. Gli eserciti europei sono talmente integrati nella NATO, dominata dagli americani, che praticamente non esistono più come forze indipendenti nazionali. Un'integrazione sempre più accentuata sta investendo il campo finanziario e monetario, la tecnologia, la cultura, ecc. (p. 178) *Il Partito Comunista Italiano non è di quei partiti che vanno alla rivoluzione. Esso non è stato e non è per l'instaurazione di una società socialista in Italia, né oggi, né domani, né mai. (p. 214) *Il [[Stato Imperiale dell'Iran|regime dei Pahlevi]] era uno dei più barbari, dei più sanguinari, dei più sfruttatori e dei più corrotti del mondo attuale. La crudele dittatura dei Pahlevi si basava sui feudatari, sui ricchi sfondati creati dal regime, sull'esercito reazionario e la sua casta dirigente, sulla [[SAVAK]] che, come lo stesso Scia la definiva, era uno «Stato dentro lo Stato». I Pahlevi, che dominavano con il terrore, erano soci dell'imperialismo americano e inglese e venduti ad essi, erano i gendarmi più armati del Golfo Persico agli ordini della CIA americana. (p. 284) ===Explicit=== Gli eurocomunisti hanno gettato via la bandiera del marxismo-leninismo, la bandiera della rivoluzione e della dittatura del proletariato. Essi predicano la pace di classe e inneggiano alla democrazia borghese. Ma con prediche ed inni le piaghe della società borghese non possono essere rimarginate e le sue contraddizioni non possono essere risolte. Ciò è stato ormai confermato dalla storia e i suoi insegnamenti non possono essere ignorati. Il proletariato, gli oppressi e gli sfruttati camminano in modo naturale verso la rivoluzione, verso la dittatura del proletariato e il socialismo. Sempre in modo naturale essi cercano anche la via che consente loro di appagare queste storiche aspirazioni, via che viene loro indicata dall'immortale teoria di Marx, Engels, Lenin e Stalin. Sta ai nuovi partiti comunisti marxisti-leninisti prendere nelle loro mani la direzione delle battaglie di classe che gli eurocomunisti hanno abbandonato, di assegnare al proletariato e alle masse quell'avanguardia militante e combattiva che essi cercano e accettano di avere come guida.<br/>Le situazioni non sono facili, ma ricordiamo le ottimistiche parole di Stalin secondo cui «non c'è fortezza che i comunisti non riescano ad espugnare». Questo ottimismo rivoluzionario scaturisce dalle stesse leggi oggettive di sviluppo della società. Il capitalismo è un sistema condannato dalla storia ad essere liquidato. Nulla, né l'accanita resistenza della borghesia, né il tradimento dei revisionisti moderni, potranno salvarlo dalla sua inevitabile fine. Il futuro appartiene al socialismo e al comunismo. ==''I Krusciovani''== ===Incipit=== Sono trascorsi ormai due decenni dal giorno in cui fu tenuta la Conferenza degli 81 partiti comunisti e operai del mondo, che è entrata e rimarrà nella storia come uno degli avvenimenti di maggior rilievo della lotta fra il marxismoleninismo e l'opportunismo. In questa conferenza il nostro Partito aprì il fuoco contro il gruppo revisionista di Krusciov che dominava in Unione Sovietica e che lottava in tutti i modi per sottomettere e coinvolgere nella via del tradimento tutto il movimento comunista internazionale, tutti i partiti comunisti e operai del mondo.<br/>Il nostro attacco aperto e conforme ai princìpi contro il revisionismo moderno kruscioviano alla Conferenza del novembre 1960 non era un'azione imprevista. Al contrario, era la continuazione logica degli atteggiamenti marxisti-leninisti che aveva sempre tenuto il Partito del Lavoro d'Albania, era il passaggio ad una fase nuova, superiore, della lotta che il nostro Partito stava conducendo da tempo per la difesa e l'applicazione coerente del marxismo-leninismo ===Citazioni=== *Krusciov era al corrente delle nostre riserve riguardo al 20º Congresso e alla politica da lui seguita con i titisti, con l'imperialismo ecc., ma la sua tattica consisteva nel non affrettarsi ad acutizzare la situazione con noi, albanesi. Egli sperava di trarre profitto dall'amicizia che noi nutrivamo per l'Unione Sovietica, per impadronirsi della fortezza albanese dall'interno e metterci nel sacco con sorrisi e minacce, con alcuni crediti, del resto assai ridotti, ed anche con pressioni e blocchi. (pp. 5-6) *Solo grazie alla linea [[Marxismo-leninismo|marxista-leninista]] del nostro Partito, l'Albania non è diventata e non diventerà mai un protettorato russo o di chicchessia. (pp. 7-8) *L'Unione Sovietica, sotto la direzione dei kruscioviani brezneviani, si è trasformata in una potenza imperialista mondiale e, al pari degli Stati Uniti d'America, mira a dominare il mondo. I tragici avvenimenti di Cecoslovacchia, il consolidamento del dominio del Cremlino sui paesi del Patto di Varsavia, l'intensificarsi della totale dipendenza di questi paesi da Mosca, il protendersi degli artigli del socialimperialismo sovietico sui paesi dell'Asia, dell'Africa e altrove, sono, tra l'altro, amare testimonianze della politica completamente reazionaria del socialimperialismo sovietico. (p. 9) *Il modo in cui fu annunciata la morte di Stalin ed organizzata la cerimonia dei suoi funerali suscitò in noi comunisti, nel popolo albanese ed in altri come noi, l'impressione che la sua morte fosse stata attesa con impazienza da parecchi membri del Presidium del Comitato Centrale del Partito Comunista dell'Unione Sovietica. (pp. 13-14) *Stalin era appena morto, la sua salma non era stata portata ancora nella sala in cui gli sarebbero stati resi gli ultimi omaggi, non era stato preparato nemmeno il programma per l'organizzazione degli omaggi e della cerimonia funebre, i comunisti e il popolo sovietico erano in lacrime per la grande perdita, e invece il vertice della direzione sovietica riteneva opportuno proprio quel giorno per procedere alla spartizione dei portafogli! (p. 14) *Krusciov ed i suoi complici adottarono un atteggiamento ipocrita davanti al feretro di Stalin, affrettandosi a terminare la cerimonia funebre e a chiudersi di nuovo al Cremlino, al fine di proseguire il processo di spartizione e di ripartizione delle cariche. (p. 16) *{{NDR|Su [[Nikita Sergeevič Chruščёv]]}} Parlava ad alta voce, gesticolando con le mani e la testa, muovendo gli occhi da tutte le parti senza fissarli mai su un punto; ogni tanto s'interrompeva, rivolgeva domande e poi, spesso senza aspettare la risposta, continuava a parlare saltando di palo in frasca. (p. 36) *Uno dei principali indirizzi della strategia e della tattica di Krusciov consisteva nell'impadronirsi completamente del potere politico e ideologico all'interno dell'Unione Sovietica, e nel mettere al suo servizio l'esercito sovietico e gli organi di Sicurezza dello Stato. (p. 41) *Ho l'impressione che nel [[Partito Comunista dell'Unione Sovietica]] si erano manifestati fin dall'anteguerra, ma in modo particolare dopo la guerra, i segni di una riprovevole apatia. Questo partito godeva di una grande reputazione, aveva anche conseguito grandi successi sulla sua via, ma nello stesso tempo aveva cominciato a perdere lo spirito rivoluzionario, era stato contagiato dal burocratismo e dalla routine. Le norme leniniste, gli insegnamenti di Lenin e di Stalin erano stati convertiti dagli ''aparatciki'' in formule e slogan rancidi e privi di valore per l'azione. L'Unione Sovietica era un grande paese, il popolo lavorava, produceva e creava. Si diceva che l'industria si sviluppasse ai ritmi richiesti, che l'agricoltura progredisse, ma questo sviluppo non era del livello auspicato. (p. 43) *Il grande rumore che i kruscioviani fecero sul cosiddetto culto di Stalin era in realtà un bluff. Non era stato Stalin, che era un uomo semplice, a coltivare questo culto, bensì tutta la melma revisionista ammassata al vertice del partito e dello Stato, che sfruttava tra l'altro anche il grande affetto dei popoli sovietici per Stalin, specie dopo la vittoria sul fascismo. (p. 49) *[[Ceausescu]], che sostituì [[Gheorghe Gheorghiu-Dej|Dej]], diede appena la mano ai membri della nostra delegazione. E noi ricambiammo con la stessa moneta questo nuovo revisionista, il quale, sin dal giorno in cui prese il potere, fece suo motto permanente la politica di compromesso con tutti i capi revisionisti e imperialisti, con Breznev, Tito, Mao, Nixon e tutta la reazione mondiale. (p. 226) *{{NDR|Su [[Nicolae Ceaușescu]]}} Quest'uomo, che era stato un piccolo lacchè di Dej, una volta preso il potere, smascherò completamente quest'ultimo e, consolidando le proprie posizioni, si affannò a diventare una personalità «mondiale» come Tito, di occupare il suo posto in virtù di una sedicente resistenza opposta alle pressioni camuffate dei sovietici. (p. 227) *Si diceva che Mao seguiva una linea «interessante» per l'edificazione del socialismo in Cina, collaborando con la borghesia locale e con altri partiti chiamati «democratici», «degli industriali» ecc., che il Partito Comunista permetteva e stimolava l'esistenza di imprese miste a capitale privato e statale, che venivano incoraggiati e rimunerati gli elementi delle classi ricche, i quali venivano designati perfino alla direzione delle imprese e delle province ecc., ecc. Tutto ciò era per noi incomprensibile, e per quanto ci lambiccassimo il cervello, non riuscivamo a trovare un argomento da poterlo considerare conforme al [[marxismo-leninismo]]. (p. 243) *Il 7 settembre giungemmo a Pyongyang. Ci accolsero bene, con una grande folla al suono dei gong, con fiori e ritratti di Kim Il-sung ad ogni passo. Bisognava cercare a lungo con lo sguardo per poter discernere in qualche angolo sperduto anche il ritratto di Lenin.</br>Ci fecero visitare Pyongyang, alcune altre città e villaggi della Corea dove il popolo ed anche i dirigenti del partito e dello Stato ci accolsero cordialmente. Durante il nostro soggiorno, Kim Il-sung si mostrò con noi affabile e premuroso. Il popolo coreano era appena uscito dalla sanguinosa guerra con gli aggressori americani ed ora si era lanciato all'attacco per ricostruire e sviluppare il paese. Era un popolo laborioso, pulito e ingegnoso, assetato di progresso e noi gli augurammo di cuore continui successi sulla via del socialismo.</br>Ma la vespa revisionista aveva già incominciato a piantarvi il suo velenoso pungiglione. (p. 246) *[[Mátyás Rákosi|Rakosi]] era una persona onesta, un vecchio comunista, un dirigente del Comintern. Aveva buone intenzioni, ma il suo lavoro veniva sabotato dall'interno e dall'esterno. Finché visse Stalin, tutto sembrava procedere bene, ma dopo la sua morte incominciarono ad apparire le debolezze in Ungheria. (p. 269) *{{NDR|Su [[János Kádár]]}} A dir il vero, non mi sembrò che avesse la stoffa di un ministro degli Interni. (p. 270) *Rakosi aveva un difetto, era espansivo e gonfiava i risultati del lavoro. Ma nonostante questo difetto, Matias, a mio avviso, aveva un buon cuore di comunista e la sua visione della linea di sviluppo del socialismo non era errata. Bisogna riconoscere che, a mio giudizio, l'Ungheria e la direzione di Rakosi erano divenute bersaglio della reazione internazionale appoggiata dal clero e dal potente ceto dei kulak e dei fascisti horthiani camuffati, del titismo jugoslavo con i suoi agenti capeggiati da Rajk, Kadar (mascherato) ed altri, e infine di Krusciov e dei kruscioviani, che non solo non gradivano Rakosi e quelli che lo sostenevano, ma lo odiavano perché era fedele a Stalin e al [[marxismo-leninismo]] e, all'occorrenza, con il peso della sua personalità, si opponeva a loro nelle riunioni congiunte. (p. 271) *Lo pseudocomunista, il kulak e traditore Imre Nagy, camuffato con la maschera del comunismo, divenne il portabandiera del titismo e della lotta contro Rakosi. Quest'ultimo, avvedutosi del pericolo che minacciava il partito e il paese, aveva preso misure contro Imre Nagy, cacciandolo dal partito verso la fine del 1955. Ma era troppo tardi. Il ragno della controrivoluzione aveva impigliato nella sua rete l'Ungheria e questa era in procinto di perdere la partita. (p. 283) *La sorte del governo Nagy era segnata. La controrivoluzione fu repressa e Imre Nagy si rifugiò nell'ambasciata di Tito. Era chiaro che egli era un agente di Tito e della reazione mondiale. Egli godeva anche dell'appoggio di Krusciov, al quale sfuggì di mano perché voleva andare ed effettivamente andò più lontano. (p. 295) ===Explicit=== Verrà il giorno in cui il popolo sovietico condannerà duramente i kruscioviani e circonderà nuovamente di rispetto e di amore il popolo albanese e il Partito del Lavoro d'Albania, così come ci voleva bene nei tempi migliori, perché il nostro popolo e il nostro Partito si sono battuti senza piegarsi contro i kruscioviani, che erano i nostri nemici comuni. ==''Con Stalin''== ===Incipit=== Il 21 dicembre di quest'anno si compiranno 100 anni dal giorno in cui nacque [[Iosif Stalin|Giuseppe Stalin]], l'uomo così caro al proletariato russo e internazionale e suo eminente dirigente, l'amico fedele del popolo albanese, l'amato amico dei popoli oppressi del mondo intero che lottano per la libertà, l'indipendenza, la democrazia e il socialismo.<br/>Tutta la vita di Stalin è stata caratterizzata da un'accanita e incessante lotta contro il capitalismo russo, contro il capitalismo mondiale, contro l'imperialismo, contro le correnti antimarxiste e antileniniste che si erano messe al servizio del capitale e della reazione mondiale. Sotto la guida di Lenin e al suo fianco, egli fu uno degli ispiratori e dirigenti della Grande Rivoluzione Socialista d'Ottobre, un indomabile militante del Partito Bolscevico. ===Citazioni=== *Dopo la creazione del nuovo potere, era necessario condurre una grande lotta, una lotta eroica, per migliorare la vita economica e culturale dei popoli affrancati dal giogo dello zarismo e dei capitali stranieri dell'Europa. In questa titanica lotta Stalin rimase incrollabile al fianco di Lenin, battendosi in prima linea. (p. 10) *Alla testa del Partito Bolscevico, egli seppe dirigere l'edificazione del socialismo in Unione Sovietica e fare della grande patria del proletariato russo e di tutti i popoli dell'Unione Sovietica un sostegno poderoso della rivoluzione mondiale. Egli dimostrò di essere un degno continuatore dell'opera di Marx, Engels e Lenin, e diede prove lampanti di essere un insigne [[Marxismo-leninismo|marxista-leninista]], lungimirante e risoluto. (p. 11) *Giuseppe Stalin sapeva che le vittorie potevano essere conseguite e difese solo a prezzo di sforzi, di sacrifici, a prezzo di sudore versato e con una mano ferrea. Non manifestò mai un ottimismo non fondato dopo le vittorie conseguite; nemmeno cadde mai nel pessimismo di fronte alle difficoltà da superare. Al contrario, Stalin si rivelò una personalità estremamente riflessiva e ponderata nei giudizi, nelle decisioni e nelle sue azioni. Essendo egli un grande uomo riuscì a guadagnarsi il cuore del partito e del popolo, a mobilitare le loro energie, a temprare i militanti nella battaglia e ad elevare il loro livello politico e ideologico per realizzare una grande opera, che non aveva precedenti. (p. 12) *No, Stalin non fu un tiranno, egli non fu un despota. Era un uomo attaccato ai princìpi, giusto, semplice e pieno di sollecitudine per gli uomini, per i quadri, per i suoi collaboratori. È per questa ragione che il suo Partito, i popoli dell'Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche e tutto il proletariato mondiale lo amavano molto. Così l'hanno conosciuto i milioni di comunisti e le insigni personalità rivoluzionarie e progressiste nel mondo. (p. 15) *Tutte le idee e le opere di Stalin, concepite e tradotte nella realtà viva, sono percorse in modo coerente da un filo rosso, dal pensiero rivoluzionario [[Marxismo-leninismo|marxista-leninista]]. Nelle opere di questo illustre marxista-leninista non si può riscontrare alcun errore di principio. Egli soppesava ogni sua azione tenendo presente gli interessi del proletariato, delle masse lavoratrici, gli interessi della rivoluzione, del socialismo e del comunismo, gli interessi delle lotte di liberazione nazionali e antimperialiste. Non si riscontra alcun eclettismo nelle sue idee teoriche e politiche, alcuna titubanza nelle sue azioni pratiche. Chi si fondava sull'amicizia sincera di Giuseppe Stalin era sicuro di vedere il suo popolo avanzare rapidamente verso un futuro luminoso. (p. 16) *I popoli sentivano le calunnie diffuse contro Stalin proprio da quei mostri che organizzavano le torture e i massacri in massa nella società capitalista, da coloro che erano la causa della fame, della povertà, della disoccupazione e di tante e tante altre sciagure, ed è per questo che non credevano a queste calunnie. (p. 17) *Le parole di Stalin erano parole d'oro, una bussola di orientamento per i proletari e i popoli del mondo. (p. 20) *La storia ha ormai fissato per sempre il ruolo determinante svolto dall'Unione Sovietica nella sconfitta totale della Germania hitleriana e nell'annientamento del fascismo in generale durante la Seconda Guerra mondiale. (p. 22) *Ogni tentativo diabolico dei revisionisti kruscioviani volto a dissociare Stalin dal Partito e dal popolo sovietici per quanto riguarda il ruolo decisivo dello Stato socialista in questa vittoria, si riduce in polvere di fronte alla realtà storica, che nessuna forza può contestare e offuscare e tanto meno cancellare. (pp. 22-23) *Gli innegabili meriti di Stalin sono stati costretti a riconoscerli perfino i capifila del capitalismo mondiale come Churchill, Roosevelt, Truman, Eden, Montgomery, Hopkins ed altri, indipendentemente dal fatto che questi non nascondevano la loro avversione alla politica e all'ideologia [[Marxismo-leninismo|marxista-leninista]] e alla persona stessa di Stalin. (p. 23) *I comunisti e il popolo albanesi avvertivano profondamente e da vicino (sebbene fossero molto lontani dall'Unione Sovietica) il grande ruolo di Stalin nei momenti più gravi che stava attraversando il nostro paese durante l'occupazione fascista italiana e tedesca, quando si decidevano le sorti della nostra patria, quando si decideva se rimanere nella schiavitù o vedere la libertà e la luce. Nei giorni più angosciosi della guerra, Stalin ci fu sempre vicino. Egli rafforzava le nostre speranze, ci illuminava la prospettiva, temprava i nostri cuori e la nostra volontà, accresceva la nostra fede nella vittoria. (pp. 24-25) *Dopo molteplici e pazienti sforzi per ricondurre il rinnegato Tito sulla giusta via, Stalin, il Partito Bolscevico e tutti i veri partiti comunisti del mondo, ormai convinti che egli era incorreggibile, decisero all'unanimità la sua denuncia e condanna. Apparve infatti chiaramente che l'operato di Tito giovava alla causa dell'imperialismo mondiale, perciò egli era sostenuto e appoggiato dall'imperialismo americano e dagli altri Stati capitalisti. (p. 26) *Nelle sue calunnie contro Stalin la banda di Nikita Krusciov fu incoraggiata e sostenuta dal rinnegato Josip Broz Tito, che si era già espresso apertamente in tal senso, e più tardi da Mao Tsetung e compari oltre che da altri revisionisti di ogni risma. In realtà, tutti costoro erano al servizio del capitalismo per distruggere dall'interno il socialismo in Unione Sovietica, per impedire la costruzione del socialismo in Jugoslavia e ostacolare l'edificazione del socialismo in Cina e nel mondo intero, ed è per questo che essi contrastarono Stalin, in cui vedevano l'uomo forte contro il quale, mentre era vivo, non poterono mai agire sottobanco. (p. 27) *[[Imre Nagy]], pur essendo un cospiratore, doveva essere sottoposto al giudizio del suo Stato e in nessun caso alla legge di un altro Stato o al giudizio di un tribunale straniero. Stalin non si abbassava mai a simili pratiche. (p. 36) *Breznev e compari si sbarazzarono di Krusciov per difendere la politica e l'ideologia revisionista dal discredito e dalla denuncia di cui erano oggetto a causa dei suoi comportamenti e delle sue azioni insensate, delle sue stravaganze e dei suoi gesti poco opportuni. Breznev non rinnegò assolutamente il krusciovismo, i rapporti e le decisioni del XX e del XXII Congresso, che sono un'incarnazione di questa corrente. Breznev però si mostrò molto ingrato verso Krusciov, che in precedenza aveva portato alle stelle, al punto che non gli trovò, alla sua morte, nemmeno un posticino nelle mura del Cremlino per deporvi le sue ceneri! (pp. 36-37) *Molti comunisti sovietici furono ingannati dalla demagogia del gruppo revisionista kruscioviano e credettero che dopo la morte di Stalin, l'Unione Sovietica sarebbe divenuta un paradiso, come strombazzavano allora i traditori revisionisti. Questi dichiararono pomposamente che il comunismo sarebbe stato instaurato in Unione Sovietica nel 1980! Ma in realtà che cosa accadde? Accadde precisamente il contrario, e non poteva essere diversamente. I revisionisti presero il potere non per far fiorire l'Unione Sovietica ma, come fecero effettivamente, per restaurarvi il capitalismo, per sottometterla economicamente al capitale mondiale, per concludere degli accordi segreti o palesi con l'imperialismo americano, per assoggettare, sotto il manto dei trattati militari ed economici, i popoli dei paesi a democrazia popolare, per mantenere questi Stati sotto il loro giogo e per crearsi degli sbocchi e delle zone d'influenza nel mondo. (pp. 38-39) *Tutti quelli che credono che il comunismo ha fatto «fiasco» sono e saranno sempre e immancabilmente delusi. Il tempo conferma ogni giorno di più che la nostra dottrina vive e rimane onnipotente. (p. 40) *Noi comunisti albanesi abbiamo attuato con successo gli insegnamenti di Stalin innanzi tutto per avere un Partito forte, un Partito d'acciaio sempre fedele al [[marxismo-leninismo]] e severo con i nemici di classe, ed abbiamo badato a preservare l'unità di pensiero e di azione nel Partito e a rafforzare l'unità fra Partito e popolo. (p. 40) *Il nostro Partito e il nostro popolo continueranno a marciare sulla via tracciata da Karl Marx, da Friedrich Engels, da Vladimir Ilich Lenin e da Giuseppe Stalin. Le generazioni future dell'Albania socialista seguiranno fedelmente la linea del loro amato Partito. (p. 41) *Le armi e l'esercito in Unione Sovietica non sono più in mano dei popoli sovietici, non servono più alla liberazione del proletariato mondiale, ma sono invece destinate ad opprimere i popoli sovietici e gli altri popoli. (pp. 44-45) *Voi dovete senza indugio riflettere profondamente sul vostro futuro e su quello dell'umanità. È suonata per voi l'ora di ridivenire quello che eravate al tempo di Lenin e Stalin, questi gloriosi militanti della rivoluzione proletaria; non dovete quindi più sopportare il giogo dei nemici della rivoluzione e dei popoli, dei nemici della libertà e dell'indipendenza degli Stati. Non dovete diventare gli strumenti di un imperialismo, che cerca di asservire i popoli, servendosi a tal fine del leninismo come di una maschera. (p. 47) *Sin dall'inizio egli creò intorno a noi un'atmosfera così amichevole che ben presto ci sentimmo liberati da quel senso di naturale emozione che provammo entrando nel suo studio, una grande sala con un tavolo da riunioni, vicino al quale c'era un altro tavolo da lavoro. Appena qualche minuto dopo lo scambio delle prime parole, eravamo così distesi che ci sembrava di conversare non con il grande Stalin, ma con un vecchio amico con il quale ci eravamo già intrattenuti parecchie volte. (p. 58) *Il rispetto di Stalin e il suo grande amore per il nostro popolo, l'interesse che manifestava per la storia e le usanze del popolo albanese, non si cancelleranno mai dalla mia memoria. (p. 82) *{{NDR|Sull'origine degli albanesi}} Esistono numerose teorie a tale proposito, ma la verità è che noi siamo di origine [[Illiria|illirica]]. Il nostro popolo discende quindi dagli Illiri. Esiste pure una tesi secondo cui il popolo albanese è il popolo più antico dei Balcani e che l'origine preomerica degli albanesi risale ai Pelasgi. (p. 83) *[...] sta di fatto [...] che molti albanesi sono stati costretti nel corso dei secoli, a causa della feroce occupazione ottomana, degli attacchi e delle feroci crociate dei sultani e dei pascià ottomani, ad abbandonare la loro patria per insediarsi in terra straniera, dove hanno costituito interi villaggi. È quel che è successo con le migliaia di albanesi che hanno stabilito la loro dimora nell'Italia meridionale sin dal sec. XV, in seguito alla morte del nostro Eroe nazionale, Skanderbeg; attualmente zone intere di questo paese sono abitate dagli arbëresh d'Italia, i quali, pur vivendo da quattro a cinque secoli in terra straniera, continuano a conservare la loro lingua e gli antichi costumi dei loro avi. Allo stesso modo molti arbëresh si sono stabiliti in Grecia, dove zone intere sono popolate da albanesi; altri sono andati a stabilirsi in Turchia, in Romania, in Bulgaria, in America e altrove. (pp. 84-85) *Gli albanesi che vivono in Jugoslavia [...] si sono distinti in tutti i tempi per il loro ardente patriottismo, per vigorosi legami con la madrepatria e i loro compatriotti. Si sono sempre opposti con forza ai febbrili tentativi espansionistici e di assimilazione dei reazionari granserbi e granslavi ed hanno conservato con ardore la loro identità albanese sotto ogni punto di vista. (p. 113) *La stragrande maggioranza del nostro popolo [...] è composta di albanesi; esiste anche una minoranza etnica greca (all'incirca 28 mila persone) e un numero irrilevante di macedoni (cinque piccoli villaggi in tutto), ma non vi sono né serbi né croati. (p. 126) *In Albania [...] vi sono tre religioni: musulmana, ortodossa e cattolica. La popolazione che professa queste tre confessioni religiose appartiene alla stessa nazione albanese, quindi anche la lingua usata è solo l'albanese, ad eccezione della minoranza etnica greca che parla la sua lingua madre. (p. 126) *Le gerarchie della chiesa cattolica fecero fin dall'inizio causa comune con gli invasori nazifascisti stranieri, mettendosi corpo ed anima al loro servizio e adoperandosi in tutti i modi per distruggere la nostra Lotta di Liberazione Nazionale, e perpetuare così la dominazione straniera. (p. 161) ===Explicit=== Stalin si alzò, strinse la mano a tutti e ci avviammo verso la porta. La sala era lunga e quando stavamo per uscire, Stalin ci chiamò:<br/>— Un momento, compagni! Abbracciatevi ora, compagno Hoxha e compagno Zakariadis!<br/>Noi ci abbracciammo.<br/>Quando fummo fuori, Mitcho Partsalidis aggiunse:<br/>— Stalin è un uomo eccezionale; si è comportato con noi come un padre. Ora tutto è chiaro.<br/>Così si concluse questo confronto davanti a Stalin. ==''Le superpotenze''== ===Incipit=== {{destra|'''Martedì<br/>2 giugno 1959'''}} {{maiuscoletto|Krusciov prosegue la sua visita nel sud.<br/>Peng Teh-Huai se ne va}} Siamo andati a vedere la piantagione di agrumi di Stjar. Abbiamo visitato Butrint.<br/>Mentre stavamo ammirando le bellezze di Butrint, Krusciov fece cenno a Malinovski di avvicinarsi e sentii che gli mormorava: «Guarda che posto meraviglioso! Qui si può costruire una base ideale per i nostri sommergibili... Da qui possiamo paralizzare qualsiasi azione e attaccare a nostra volta chicchessia».<br/>Rimasi sorpreso da quest'idea sua concepita «senza consultare i padroni di casa», come dice il nostro popolo. ===Citazioni=== *[[Josip Broz Tito|Tito]] serve alla borghesia da maschera per nascondere agli occhi dei popoli il suo vero volto di feroce capitalista sfruttatore e oppressore, la sua dipendenza dall'imperialismo americano. Tito serve quindi da ponte a tutti. Egli punta su tutte le carte. (''Perché Gromiko va da Tito?'', 17 aprile 1962) *{{NDR|Sulla [[Guerra del Vietnam]]}} Questa guerra dimostra ancora una volta che nessuna forza può fronteggiare la lotta popolare di liberazione. Di fronte allo spirito combattivo, al coraggio e alla capacità di un popolo che si batter per una giusta causa andranno sempre in frantumi le armi del nemico, per quanto potente esso sia e dotato delle armi più moderne, come lo sono gli Stati Uniti d'America. (''Stati Uniti e Unione Sovietica sacrificano gli interessi vitali dei popoli a vantaggio dei propri interessi'', 12 maggio 1972, p. 314) *La guerra contro il popolo vietnamita è la guerra degli americani. Questi si trovano in una situazione molto imbarazzante, poiché, oltre alla guerra, stanno perdendo anche l'«onore» che del resto non l'hanno mai avuto. (''Stati Uniti e Unione Sovietica sacrificano gli interessi vitali dei popoli a vantaggio dei propri interessi'', 12 maggio 1972, pp. 314-315) *La belva americana si dibatte nell'agonia vietnamita, vorrebbe uscire viva dalla trappola per poter dire al mondo che si è ritirata a testa alta e non con la coda fra le gambe. (''Stati Uniti e Unione Sovietica sacrificano gli interessi vitali dei popoli a vantaggio dei propri interessi'', 12 maggio 1972, p. 315) *{{NDR|Su [[Nicolae Ceaușescu]]}} È vero che egli strilla di essere minacciato dai sovietici, ma intanto non esce dal Patto di Varsavia. Ciò significa essere interamente nel gioco, facendo però mostra di esserlo solo a metà. (''Uno sguardo alla politica internazionale alla luce dei recenti avvenimenti drammatici per gli Stati Uniti d'America'', 21 aprile 1975, p. 411) *{{NDR|Sulla [[Guerra del Vietnam]]}} Questa guerra ha confermato la tesi leninista secondo cui il potere si conquista con le armi, attraverso la lotta. La belva va abbattuta con i proiettili ed anche l'imperialismo americano, il socialimperialismo sovietico e la borghesia reazionaria vanno combattuti con le armi. Per i popoli questa è l'unica via per assicurarsi la liberazione. (''Il Vietnam del Sud è stato liberato'', 30 aprile 1975, p. 416) *Ecco perché l'avvento alla testa del Vaticano di un nuovo papa è non solo un evento di grande rilevanza per la religione cristiana romana, ma assume anche un particolare significato politico. Il nuovo papa Woityla, che ha preso il nome di papa Giovanni Paolo II, seguirà una politica internazionale nello spirito della religione cristiana romana. Ci sono voluti quattro secoli per vedere al Vaticano un pontefice non italiano, e precisamente polacco. A mio avviso, l'elezione di questo papa a capo della Chiesa cattolica romana è opera della CIA, degli Stati Uniti, di Brzezinski, questo polacco che è il consigliere speciale del presidente americano per la sicurezza nazionale. (''Un papa polacco al Vaticano'', 22 ottobre 1978, p. 497) *{{NDR|Su [[Papa Giovanni Paolo II]]}} L'avvento di questo nuovo pontefice sarà certo importante per molti paesi d'Europa e del mondo; egli sosterrà l'imperialismo e si adopererà per ingannare il proletariato e i popoli. Quest'avvenimento avrà ripercussioni in Polonia, come pure in Cecoslovacchia, in Ungheria e in Francia, poiché la borghesia di questi paesi è contenta di vedere alla testa della Chiesa romana un cardinale non italiano. Dal canto loro, gli italiani, specie i democristiani e in generale tutta la borghesia di questo paese, tutti i partiti della borghesia e i cattolici, sono rimasti scioccati da quest'elezione, poiché l'attuale papa non è più un loro papa, il papa della Chiesa italiana, ma un papa di nazionalità polacca e al servizio degli Stati Uniti d'America... (''Un papa polacco al Vaticano'', 22 ottobre 1978, p. 498) *Com'è noto, in Afganistan ci sono molti movimenti insurrezionali guidati da patrioti ostili al giogo dei sovietici e dei loro agenti, ma questi patrioti vengono semplicemente considerati come musulmani e i loro movimenti patriottici antimperialisti come movimenti islamici. Questo è uno slogan di cui il capitalismo mondiale si serve comunemente per risuscitare le inimicizie religiose e le guerre di religione, per dare ai movimenti di liberazione nazionale un colorito medioevale. Certo, i combattenti afgani della libertà, che si sono sollevati per scuotere il giogo dell'imperialismo, del socialimperialismo e della monarchia, sono dei credenti. L'Afganistan è uno di quei paesi dove la religione è ancora viva e attiva. Ma la religione non è l'unico fattore che spinge i popoli di questi paesi ad impugnare le armi contro gli invasori. Naturalmente, essi non sono marxisti, ma sono patrioti che desiderano ardentemente liberare la loro patria, sono i rappresentanti della borghesia democratica. Non vogliono vivere sotto il giogo degli stranieri, a prescindere dal fatto che le loro idee sono ancora molto lontane dalle idee della rivoluzione democratico-borghese per poter concretizzarsi in profonde riforme nell'interesse dei loro popoli. (''Con il suo intervento nell'Afganistan l'Unione Sovietica realizza i suoi piani imperialistici'', 31 dicembre 1979, pp. 531-532) *{{NDR|Sulla [[Rivoluzione iraniana]]}} Naturalmente il rovesciamento dello [[Mohammad Reza Pahlavi|scià]] ha creato rilevanti problemi in Iran e fuori. L'aspetto positivo dell'insurrezione del popolo iraniano, a prescindere dall'identità di coloro che ne hanno preso la direzione, consiste nel fatto che questo movimento ha condotto al rovesciamento dello scià, di questo lacchè dell'imperialismo americano, rendendo così meno sicuro l'approvvigionamento degli Stati Uniti d'America di petrolio. Inoltre gli USA hanno subito un altro duro colpo politico: la loro ambasciata a Teheran è stata attaccata e occupata dal popolo e dagli studenti iraniani che mantengono ancora in ostaggio tutto il suo personale e che si sono impossessati anche di tutti i documenti che comprovano l'attività criminosa della CIA e dello scià. (''Panorama della situazione internazionale'', 13 febbraio 1980, p. 536) *Per gli imperialisti oppressori, le rivoluzioni dirette contro di loro e specialmente quelle dei popoli musulmani non hanno un carattere di liberazione nazionale e sociale, ma un carattere religioso. La religione islamica si confonde con il cristianesimo e il risveglio dei popoli che vogliono liberarsi dall'oppressione sociale viene considerato come un rigurgito della fede. (''Riflessioni sull'intervista concessa da Zbignew Brzezinski'', 28 febbraio 1980, p. 549) *I popoli del mondo conoscevano già la barbara politica degli USA come pure i loro feroci e rapaci metodi di dominio, ma in Iran li hanno visti ancora meglio in azione. Lo scià e la sua cricca, questi boia del popolo iraniano, sono stati gli strumenti degli imperialisti americani in Iran. Per interi decenni a far la legge in Iran sono stati dei banditi alleati ad altri banditi, assassini e sanguisughe interni ed esterni che, d'intesa fra loro, hanno massacrato il popolo iraniano, sono stati cioè il governo e l'amministrazione dello scià manipolati da Washington per mezzo dell'ambasciata americana a Teheran.<br/>Ma finalmente il popolo iraniano si è alzato nella rivoluzione e con la sua ramazza di ferro ha spazzato via lo scià dalla faccia della terra, ha arrestato e incarcerato tutte le spie dell'ambasciata americana che operavano sotto il manto del diplomatico. Da nove mesi questi sedicenti diplomatici di una grande potenza, che fa la legge nel mondo, sono in prigione. ''O tempora! O mores!'' Quello che sembrava inconcepibile qualche tempo fa, è successo ora non solo agli americani in Iran, ma anche ad altri in altri paesi. (''Si aggrava la grande crisi economica mondiale'', 1 luglio 1980, p. 572) *Colui che sostiene l'occupazione dell'Afganistan da parte dei socialimperialisti sovietici e la considera come un atto giusto e necessario, non è marxista, ma antimarxista. Anche coloro che, pur spacciandosi per [[Marxismo-leninismo|marxisti-leninisti]], cercano di «dimostrare» che non bisogna definire patrioti il popolo afgano, gli elementi della media e alta borghesia che hanno impugnato le armi e combattono gli invasori sovietici, non sono marxisti, ma antimarxisti. Colui che pensa ed agisce in tal modo non ha capito nulla dagli insegnamenti del marxismo-leninismo sulle alleanze, i fronti e le lotte di liberazione nazionale. E tanto meno possono essere considerati marxisti-leninisti il giudizio e l'azione di alcuni compagni «comunisti» all'estero che non vedono il lato antimperialista della lotta dei popoli arabi, del popolo iraniano, del mondo musulmano. (''Si aggrava la grande crisi economica mondiale'', 1 luglio 1980, pp. 578-579) *Come lo confermano le vicende dell'Iran, le masse popolari esplicano un ruolo notevole, determinante nell'adempimento della rivoluzione. In questo paese esse si sono messe alla testa della lotta e hanno rovesciato la monarchia feudale dei Pahlavi, assestando così duri colpi all'imperialismo. Tuttavia non possiamo affermare che il cieco fanatismo medievale degli ayatollah abbia assicurato la vittoria alle masse sia di aiuto a queste per portare avanti la loro lotta. (''Si aggrava la grande crisi economica mondiale'', 1 luglio 1980, p. 579) *È importante sottolineare che la [[Repubblica Socialista Federale di Jugoslavia|Jugoslavia titista]] non è più sull'orlo della voragine, ma è già dentro. I conflitti politici e nazionalisti tra i vari clan di questo paese sono evidenti e lo saranno ancor di più in avvenire. La crisi economica ha raggiunto la sua punta massima. La Jugoslavia è indebitata fino al collo, e i debiti non si possono assolvere contrattandone di nuovi. Essa è afflitta da una forte disoccupazione, l'inflazione è galoppante e i prezzi salgono vertiginosamente diventando inaccessibili agli operai comuni.</br>Il clan granserbo è potente, ma per motivi tattici è costretto a lasciare la gestione degli affari al clan croatosloveno che ha maggiori possibilità di stabilizzare la situazione attraverso un'apertura verso l'Occidente. Attualmente l'Occidente sta seguendo con grande preoccupazione il riavvicinamento dei granserbi all'Unione Sovietica.</br>La popolazione di Kosova e gli altri albanesi che vivono nei loro territori in Jugoslavia continuano ad essere oggetto di una feroce repressione. Intanto essi stanno intensificando la loro resistenza, si difendono in modo energico e si oppongono con risolutezza alle ingiustizie e al terrore dei granserbi, dei macedoni e dei montenegrini. La giusta resistenza degli albanesi di Kosova ha fatto di questa questione un preoccupante problema internazionale a disfavore della Jugoslavia. Nonostante ciò, proseguono il terrore e i tentativi di denazionalizzione degli albanesi. Ma i serbi non riusciranno mai a realizzare i loro disegni nefandi. (''Sulla situazione internazionale'', febbraio 1982, pp. 646-647) *Che vergogna per gli Stati Uniti d'America di pretendere che un piccolo paese e un piccolo popolo pacifico, com'è quello di Grenada, «minaccino gli interessi» di una delle superpotenze imperialiste del mondo! (''Gli Stati Uniti d'America occupano la piccola isola di Grenada'', 25 ottobre 1983, p. 651) *C'è chi dice che Cernenko è gravemente ammalato, altri pretendono che ha delle difficoltà nel respirare e parlare, e così via. Effettivamente, basta vederlo sul piccolo schermo per capire che riesce a malapena a reggersi in piedi e che è molto contratto. (''Che cosa sta succedendo in seno alla dirigenza sovietica?'', 19 giugno 1984, p. 666) *Benché siano pronti a piantarsi a vicenda il coltello nel cuore, gli imperialisti americani e i socialimperialisti sovietici non mancano di abbracciarsi «cordialmente» ogni volta che se ne presenta l'occasione. A tal fine essi fanno uso di qualsiasi mezzo, senza escludere l'espediente della religione e delle chiese. (''Le due superpotenze imperialiste e le loro chiese ortodosse'', 20 giugno 1984, p. 668) *Nulla impedisce alle due superpotenze di farsi largo a gomitate per soppiantarsi a vicenda persino quando milioni di persone sono vittime di una cattiva gestione degli affari nei loro paesi o di calamità naturali, com'è il caso dell'Etiopia dove, con il pretesto della carestia che minaccia la vita di parecchi milioni di persone di cui l'Unione Sovietica, il «grande alleato» di questo paese, non riesce a soddisfare le più urgenti necessità alimentari, altri Stati imperialisti e, in primo luogo, gli Stati Uniti d'America sono intervenuti per «soccorrerle» (''Panorama'', 30 dicembre 1984, p. 670) ===Explicit=== Le prospettive e le previsioni sono fosche. L'anno 1985 non annuncia alcuna schiarita per le superpotenze, anzi prevede un tempo nuvoloso accompagnato, in alcuni paesi, da piogge o nevicate, da venti violenti e uragani. ==Citazioni su Enver Hoxha== *– Che ci fate con tutti questi bunker?<br />– Il nostro dittatore, Enver Hoxha, aveva paura d'invasione dall'Italia. Così ha comprato dalla Cina comunista {{formatnum:600000}} bunker.<br />– Lo sai quante case facevate con tutto questo cemento?<br />– Sì, lo sappiamo, però Hoxha era un pazzo, un dittatore.<br />– Ma quale dittatore?! È la testa che vi manca, il cervello. Ma come cazzo morite di fame? Tutto questo terreno, tutto il petrolio che ci avete, l'acqua, il mare, questi attrezzamenti qui, questa agricoltura intensiva. Minimo minimo, sono...<br />– Trenta quintali a ettaro. (''[[Lamerica]]'') *Durante la dittatura di Enver Hoxha, i bisognosi potevano fare richiesta di una casa e il regime forniva i materiali e un progetto, ma poi ognuno si arrangiava, faceva da sé, pure se non aveva alcuna esperienza edilizia. Anche mia madre si costruì la casa da sola. ([[Ornela Vorpsi]]) *Enver Hoxha era un dittatore, la vita era grama sotto di lui, eppure ho la sensazione che il capitalismo stia producendo nuovi squilibri. Gli albanesi stanno accorgendosi che il toccasana occidentale ha delle controindicazioni. Oggi per fare un dollaro ci vogliono 100 Lek. ([[Gianni Amelio]]) *Enver Hoxha ha sempre coltivato la tesi che più un paese è lontano, più si dimostrerà amico. ([[Demetrio Volcic]]) *Hoxha non aveva dalla sua nulla, quando si presentò alla Conferenza: null'altro [...] che il proprio coraggio, spinto fino alla protervia. [...] I primi proseliti li fece solo sul finire della guerra, quando prese corpo un po' di resistenza, ma li fece in nome dell'Albania, non del comunismo. [...] Era un satrapo anche lui [...]. Ma non indulgeva alle debolezze e alle pacchiane ostentazioni dei Ceausescu e dei [[Kim Il-sung|Kim Il Sung]]. Esigeva l'obbedienza più assoluta, ma in pubblico si mostrava di rado, e la sua era l'unica giacchetta di comunista da ''nomenklatura'' che non grondasse medaglie fino all'ombelico. ([[Indro Montanelli]]) *Noi siamo usciti da cinquant'anni di regime che non era simile a niente nell'impero rosso. Perché mentre in tutti gli altri paesi comunisti non esistevano alternative politiche ma c'erano alternative culturali, sociali o religiose, nell'Albania di Enver Hoxha non c'era nessun tipo di alternativa. ([[Edi Rama]]) *– Questa donna è molto popolare in Albania. C'ha spinto per prima la busta di Enver Hoxha dal piedestallo....<br />– "Busto"..<br />– ... Il ''busto'' del nostro dittatore. (''[[Lamerica]]'') ===[[Ramiz Alia]]=== *Il compagno Enver Hoxha ci ha impartiti molti insegnamenti, e ci ha lasciato un'Albania forte e rigogliosa. Il nostro popolo è collegato strettamente col Partito. Ora, sarà il dovere di tutti di continuare la grande opera del Partito, la grande opera del compagno Enver. *Non ci sarà alcuna morte per il compagno Enver Hoxha. Solo il suo compleanno rimarrà. Gli uomini come lui non muoiono. C'è solo una data: 1908. Il resto non conta. *Riposa in pace, compagno Enver, poiché il popolo e il Partito, che ti stavano sempre nel cuore e nei pensieri, marceranno lungo il cammino per cui gli avete segnato. L'Albania fiorerà e prospererà come volevi! *Seguiremo fedelmente la via del compagno Enver! *Vivrà col Partito e il popolo eternamente. ===[[Nexhmije Hoxha]]=== *{{NDR|Durante il suo funerale}} Abbiamo un buon comando e un buon Partito. Tu l'hai temprato e ammaestrato, Enver. Ora sei andato ad unirti ai tuoi compagni di quando c'era la guerra. Avranno il loro comandante generale vicino, ma non gioiscono al tuo arrivo oggi. Hai combattuto per più di quarant'anni ed ora sei qui a riunirti ai tuoi compagni. Lunga vita al Partito! Dobbiamo avere un Partito forte! *Ancora oggi mi considero la donna più felice per avere avuto un marito ideale. È stato bellissimo. *Come diceva Enver, l'uomo muore, ma il Partito non muore mai. *{{NDR|Durante il suo funerale}} Enver, metto qui questa bandiera a nome del popolo del Kosovo che, insieme agli altri albanesi, hanno te nel loro cuore, proprio come tu avesti loro nel tuo. *In tutta la sua vita, il compagno Enver combatté e lavorò per rafforzare l'unione tra il Partito e il popolo. ===[[Fatos Lubonja]]=== *A quindici anni amavo ancora Enver Hoxha. Una volta lo vidi a un congresso della Gioventù comunista vestito di bianco, come un dio. Tutti lo applaudivano. Allora non conoscevo la vera realtà albanese, conoscevo solo la mia bella vita, di cui la tv italiana faceva parte: la vita ai tempi di Enver Hoxha. Mancava la coscienza di sapere cosa c'era intorno. Quando Enver Hoxha, come un dio, iniziò a parlare dalla tribuna, solo per un momento la mia grande fiducia e devozione si incrinò. *Credo che ci sia stata una sorta di schizofrenia nella mente di Hoxha: sapeva com'era l'Occidente, ma in qualche modo se ne dimenticò o fece di tutto per dimenticarsene, tant'è vero che, una volta preso il potere, non andò mai più all'estero. Alcuni suoi ministri ci andarono; lui no. *Enver Hoxha decideva tutto. Se proprio nasceva da qualcun altro un'idea, bisognava sottoporla al compagno Enver, perché era lui a prendere tutte le decisioni. Tutto quello che si faceva doveva passare da lui. Era lui che stabiliva la linea del partito e faceva i cosiddetti discorsi programmatici. Tutti gli altri non dovevano far altro che mettere in atto le idee del compagno Enver, o farne propaganda. *Per tornare a Hoxha, non l'ho mai sentito esprimere niente di profondo o di raffinato dal punto di vista ideologico. Esercitò duramente il potere, niente di più. ==Note== <references /> ==Bibliografia== *Enver Hoxha, ''L'"autogestione" jugoslava: teoria e pratiche capitaliste'', Istituto di studii Marxisti-Leninisti presso il Cc del Pla, Casa Editrice «8 Nëntori», Tirana, 1978. *Enver Hoxha, ''Imperialismo e rivoluzione'', Istituto di studii Marxisti-Leninisti presso il Cc del Pla, Casa Editrice «8 Nëntori», Tirana, 1979. *Enver Hoxha, ''Riflessioni sulla Cina'', vol. I, Istituto di studii Marxisti-Leninisti presso il Cc del Pla, Casa Editrice «8 Nëntori», Tirana, 1979. *Enver Hoxha, ''Riflessioni sulla Cina'', vol. II, Istituto di studii Marxisti-Leninisti presso il Cc del Pla, Casa Editrice «8 Nëntori», Tirana, 1979. *Enver Hoxha, ''I Krusciovani'', Istituto di studii Marxisti-Leninisti presso il Cc del Pla, Casa Editrice «8 Nëntori», Tirana, 1982, Roma, 1980. *Enver Hoxha, ''L'eurocomunismo è anticomunismo'', Istituto di studii Marxisti-Leninisti presso il Cc del Pla, Casa Editrice «8 Nëntori», Tirana, 1982, Roma, 1980. *Enver Hoxha, ''Con Stalin. Ricordi'', traduzione conforme alla pubblicazione in albanese della Casa Editrice «8 Nëntori», seconda edizione, Tirana, 1982, Roma, 1984. *Enver Hoxha, ''Le superpotenze'', Istituto di studii Marxisti-Leninisti presso il Cc del Pla, Casa Editrice «8 Nëntori», Tirana, 1986. ==Voci correlate== *[[Nexhmije Hoxha]], moglie *[[Repubblica Popolare Socialista d'Albania]] ==Altri progetti== {{interprogetto}} {{DEFAULTSORT:Hoxha, Enver}} [[Categoria:Comunisti in Albania]] [[Categoria:Personalità dell'ateismo]] [[Categoria:Personalità della guerra fredda]] [[Categoria:Personalità della seconda guerra mondiale]] [[Categoria:Politici albanesi]] [[Categoria:Rivoluzionari]] 2bq9pi52qhx5t0inxq2bwjxgckviga9 Tonino Accolla 0 135971 1381972 1340114 2025-07-01T23:31:22Z Danyele 19198 /* Film */ fix wl 1381972 wikitext text/x-wiki [[File:Tonino Accolla 2006.png|thumb|Tonino Accolla]] '''Tonino Accolla''' (1949 – 2013), doppiatore, direttore del doppiaggio, dialoghista e attore italiano. ==Citazioni di Tonino Accolla== *{{NDR|Sul personaggio di [[Homer Simpson]]}} Lui mi fa felice.<ref name=simpson>Da un'intervista per Sky TG 24, 2007. [https://www.youtube.com/watch?v=Db9OYFuNhyk Video] disponibile su ''YouTube.com''.</ref> *{{NDR|Su ''[[I Simpson]]''}} L'inizio di questa serie è stata abbastanza dura perché, come spesso succede, soprattutto in Italia, il punto di demarcazione fra follia e genialità è sempre... non si sa, no... preferiscono dire che sei pazzo.<ref name=simpson /> *{{NDR|Su ''I Simpson''}} Anche la stesura del testo, non è stato facile perché [...] il tipo di ironia è profonda, è alta, e quindi andare a scovare dentro questa forma prettamente americana poi, e con problemi [...] che spingevano verso l'America, no, non era facile da riproporre.<ref name=simpson /> ==Citazioni su Tonino Accolla== *È indubbio che Tonino Accolla regalò a [[Eddie Murphy]] una risata che Eddie Murphy in originale non ha, quindi ha dato una comicità a quel personaggio maggiore. Ha colorato ''[[I Simpson]]''. ([[Tony Sansone]]) *Tonino professionalmente era molto esigente. E anche umanamente. É stato faticosissimo. [...] {{NDR|Nel doppiaggio di ''[[Léon]]''}} lui mi ha aiutato naturalmente tantissimo, perché è tutto farina del suo sacco, perché lui ha tirato fuori tutto questo. Forse doveva agire in quel modo per tirarlo fuori, però... mi ha massacrata. Mi ha massacrata, e lui anche umanamente era una persona faticosa, nel senso che lui era molto incentrato su sé stesso, e quindi aveva i suoi ritmi, i suoi tempi, che non coincidevano con quelli di una bambina di quindici anni che andava a scuola. A me è capitato di andare avanti, di lavorare fino alle undici di sera, e il giorno dopo dover andare a scuola. E i turni fino alle undici non esistono. [...] Ma lui aveva cominciato più tardi per motivi suoi, e quindi poi voleva finire la scena, perché era giusto finirla, per carità, quindi si andava ad oltranza. Perdevi la cognizione del tempo, però poi il prodotto è fantastico, lui mi ha insegnato tantissimo, è grazie a lui se probabilmente io sono ancora qua. Era una scommessa, io non ho fatto il provino: avevano chiesto i provini, lui ha mandato solo il mio provino. Quindi, ha anche un po' "fregato": però questa cosa poi si sa, si è saputa. Lui ha detto: "No, è lei!". E io non facevo niente, non facevo ancora cose importanti, per cui lui ha avuto proprio... non dico un colpo di genio [...] nel senso, ha scommesso, ha voluto scommettere e ce l'ha fatta, ma perché lui era talmente geniale che avrebbe potuto scommettere, come ha scommesso su me, su qualcun altro e il prodotto sarebbe stato, comunque, così bello e positivo. ([[Valentina Mari]]) ==Note== <references /> ==Filmografia== ===Attore=== *''[[Tommaso d'Aquino (film)|Tommaso d'Aquino]]'' (1975) ===Doppiatore=== ====Film==== {{div col|strette}} *''[[La febbre del sabato sera]]'' (1977) *''[[I guerrieri della notte]]'' (1979) *''[[La cosa (film 1982)|La cosa]]'' (1982) *''[[Risky Business - Fuori i vecchi... i figli ballano]]'' (1983) *''[[Una poltrona per due]]'' (1983) *''[[Beverly Hills Cop - Un piedipiatti a Beverly Hills]]'' (1984) *''[[Dune (film)|Dune]]'' (1984) *''[[Indiana Jones e il tempio maledetto]]'' (1984) *''[[Breakfast Club]]'' (1985) *''[[King David]]'' (1985) *''[[Signori, il delitto è servito]]'' (1985) *''[[Voglia di vincere]]'' (1985) *''[[9 settimane e ½]]'' (1986) *''[[Una pazza giornata di vacanza]]'' (1986) *''[[Beverly Hills Cop II - Un piedipiatti a Beverly Hills II]]'' (1987) *''[[Il principe cerca moglie]]'' (1988) *''[[L'ultima tentazione di Cristo]]'' (1988) *''[[Una donna in carriera]]'' (1988) *''[[Una pallottola spuntata]]'' (1988) *''[[Enrico V (film 1989)|Enrico V]]'' (1989) *''[[Harry, ti presento Sally...]]'' (1989) *''[[Hellraiser II: Prigionieri dell'inferno]]'' (1989) *''[[Orchidea selvaggia (film 1989)|Orchidea selvaggia]]'' (1989) *''[[Turner e il casinaro]]'' (1989) *''[[Il silenzio degli innocenti]]'' (1991) *''[[Scappo dalla città - La vita, l'amore e le vacche]]'' (1991) *''[[1492 - La conquista del paradiso]]'' (1992) *''[[Alien³]]'' (1992) *''[[Fusi di testa - Wayne's World]]'' (1992) *''[[Fusi di testa 2 - Waynestock]]'' (1993) *''[[Hot Shots! 2]]'' (1993) *''[[Mrs. Doubtfire - Mammo per sempre]]'' (1993) ‎ *''[[Sister Act 2 - Più svitata che mai]]'' (1993) *''[[Bad Girls]]'' (1994) *''[[Beverly Hills Cop III - Un piedipiatti a Beverly Hills III]]'' (1994) *''[[Bufera in Paradiso]]'' (1994) *''[[Léon]]'' (1994) *''[[Speed (film 1994)|Speed]]'' (1994) *''[[True Lies]]'' (1994) *''[[Ace Ventura - Missione Africa]]'' (1995) *''[[Braveheart - Cuore impavido]]'' (1995) *''[[Nine Months - Imprevisti d'amore]]'' (1995) *''[[Vampiro a Brooklyn]]'' (1995) *''[[Independence Day]]'' (1996) *''[[Riccardo III - Un uomo, un re]]'' (1996) *''[[Romeo + Giulietta di William Shakespeare]]'' (1996) *''[[Alien - La clonazione]]'' (1997) *''[[Il quinto elemento]]'' (1997) *''[[Titanic (film 1997)|Titanic]]'' (1997) *''[[Il mio West]]'' (1998) *''[[La sottile linea rossa]]'' (1998) *''[[Tutti pazzi per Mary]]'' (1998) *''[[Bowfinger]]'' ‎(1999) *''[[Mickey occhi blu]]'' ‎(1999) *''[[Io, me & Irene]]'' (2000) *''[[Human Nature]]'' ‎(2001) *''[[Jay & Silent Bob... Fermate Hollywood!]]'' (2001) *''[[Wasabi]]'' ‎(2001) *''[[Le spie (film 2002)|Le spie]]'' (2002) *''[[Spider (film)|Spider]]'' (2002) *''[[L'ultimo samurai ]]'' (2003) *''[[Scary Movie 3]]'' (2003) *''[[Una settimana da Dio]]'' (2003) *''[[L'uomo senza sonno]]'' (2004) *''[[Palle al balzo - Dodgeball]]'' (2004) * ''[[V per Vendetta]]'' (2005) *''[[Il labirinto del fauno]]'' ‎(2006) *''[[La Pantera Rosa (film 2006)|La Pantera Rosa]]'' ‎(2006) *''[[14 anni vergine]]'' (2007) *''[[Immagina che]]'' ‎(2009) {{div col end}} ====Film d'animazione==== {{div col|strette}} *''[[Lupin III: Il castello di Cagliostro]]'' (1979) *''[[Basil l'investigatopo]]'' (1986) *''[[Tartarughe Ninja II - Il segreto di Ooze]]'' (1991) *''[[Tartarughe Ninja III]]'' ‎(1993) *''[[Il re leone]]'' ‎(1994) * ''[[Strange Days (film)|Strange Days]]'' (1995) *''[[Monsters & Co.]]'' (2001) *''[[Il re leone 3 - Hakuna Matata]]'' (2004) *''[[I Simpson - Il film]]'' ‎(2007) {{div col end}} ====Serie animate==== *''[[I Simpson]]'' (1989 - 2013) ====Serie televisive==== *''[[A.D. - Anno Domini]]'' (1985) ==Altri progetti== {{interprogetto}} {{DEFAULTSORT:Accola, Tonino}} [[Categoria:Attori italiani]] [[Categoria:Dialoghisti italiani]] [[Categoria:Direttori del doppiaggio italiani]] [[Categoria:Doppiatori italiani]] cnj8ygems1dl79b9yaixfdhtorsbbyr Luca Biagini 0 136767 1381973 1369824 2025-07-01T23:31:37Z Danyele 19198 /* Film */ fix wl 1381973 wikitext text/x-wiki '''Luca Biagini''' (1949 – vivente), attore e doppiatore italiano. ==Citazioni di Luca Biagini== *{{NDR|Sul personaggio di Edoardo Della Rocca in ''[[Centovetrine]]''}} Nonostante siano passati quasi dieci anni, molte persone si ricordano ancora del mio personaggio... Si vede che ho lasciato il segno! I cattivi spesso lasciano più di un segno...<ref>Da ''[https://www.tvsoap.it/2017/05/beautiful-intervista-luca-biagini-doppiatore-eric-forrester/ Beautiful: Tv Soap intervista Luca Biagini]'', ''tvsoap.it'', 4 maggio 2017.</ref> {{Int|Da ''[http://guide.supereva.it/doppiaggio_e_doppiatori/interventi/2006/08/264703.shtml Intervista esclusiva a Luca Biagini]''|Daniela Sgambelluri, ''supereva.it'', 26 agosto 2006.}} *Il doppiaggio che mi ha dato più soddisfazione in assoluto è quello di [[John Malkovich]] ne ''[[Le relazioni pericolose]]''. Del resto mi fanno sempre fare le parti del cattivo. Credo che dipenda dai tratti del volto. *Questa professione {{NDR|il [[doppiaggio]]}} richiede una molteplice professionalità: bisogna essere attori, saper cogliere emozioni e sentimenti, avere conoscenze tecniche. Purtroppo ci si accorge del valore del doppiaggio solo quando è mal riuscito. *È stato il grande [[Emilio Cigoli]] ad introdurmi in questo mondo. Erano i primi anni '80 e recitavo in una serie poliziesca in cui lui era direttore del doppiaggio. Finito di girare mi chiamò e mi propose di doppiare una parte, tra l'altro molto difficile. Io ero un po' intimorito. Lui mi disse: "Non si preoccupi. Le spiegherò tutto io". E così fu. È stato un maestro straordinario oltre ad essere un vero grande signore. ==Note== <references /> ==Filmografia== ===Attore=== *''[[Maria Goretti (film)|Maria Goretti]]'' (2003) *''[[Chiara e Francesco]]'' (2007) ===Doppiatore=== ====Film==== {{div col|strette}} *''[[Amadeus]]'' (1984) *''[[Scuola di polizia (film)|Scuola di polizia]]'' (1984) *''[[In compagnia dei lupi]]'' (1984) *''[[Scuola di polizia 2 - Prima missione]]'' (1985)‎ *''[[Aliens - Scontro finale]]'' (1986)‎ *''[[La storia fantastica]]'' (1987) *''[[Big]]'' (1988)‎ *''[[Le relazioni pericolose]]'' (1988)‎ *''[[Trappola di cristallo]]'' (1988) *''[[Una donna in carriera]]'' (1988) *''[[Batman (film 1989)|Batman]]'' (1989) *''[[Gremlins 2 - La nuova stirpe]]'' (1990) *''[[Gli occhi del delitto]]'' (1992) *''[[La mano sulla culla]]'' (1992) *''[[Le iene (film)|Le iene]]'' (1992) *''[[Dave - Presidente per un giorno]]'' (1993) *''[[Ed Wood (film)|Ed Wood]]'' (1994) *''[[Priscilla - La regina del deserto]]'' (1994) *''[[Copycat - 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Di persone che abbiano le idee chiare e prestigio come Fazio non ce ne sono tante. ([[Enrico Cisnetto]]) ==''Quale società civile per l’Italia di domani?''== *Il nostro Paese, come altri in Europa, vive una fase di transizione economica e sociale, di durata ed esiti ancora incerti. Le cause delle difficoltà sono in qualche misura connesse con fattori esterni, quali la globalizzazione finanziaria e anche l'instabilità economica di paesi dell'Europa centrale e orientale seguita alla cadura dei regimi socialisti; negli ultimi due anni hanno influito negativamente sul ciclo economico le crisi finanziarie dell'Asia e dell'America latina. (p. 41) *Il dualismo, caratteristica storica della nostra economia, che affonda le sue radici nel contesto culturale e ambientale e con esso si intreccia, si è di nuovo accentuato. Il divario tra il Centro-Nord e il Mezzogiorno era stato in parte avviato a correzione con gli efficaci interventi della prima politica meridionalistica, negli anni cinquanta e sessanta. (p. 43) *Qualora l'attività economica non rispetti i principi fondamentali di correttezza nei rapporti con i dipendenti, con le altre aziende, con il mercato, con i poteri pubblici, dall'esercizio di impresa non discende un benessere che si estende alla società; può derivarne una involuzione del sistema. (p. 50) ==Bibliografia== *Antonio Fazio, ''[https://preserver.beic.it/delivery/DeliveryManagerServlet?dps_pid=IE9066504&select_viewer=metsViewer&dps_file=FL9066548 Quale società civile per l’Italia di domani?], in ''Amministrazione pubblica'', anno III, n.11-12, ANFACI, Roma, 2000. ==Altri progetti== {{interprogetto}} {{s}} {{DEFAULTSORT:Fazio, Antonio}} [[Categoria:Economisti italiani]] 1osvy7sqkfrtfz2n4a0yr4bl03gbxp8 1382022 1382020 2025-07-02T09:49:03Z Marcella Medici (BEIC) 84396 /* Bibliografia */ 1382022 wikitext text/x-wiki [[Immagine:Antonio Fazio.jpg|miniatura|Antonio Fazio]] '''Antonio Fazio''' (1936 – vivente), economista italiano. ==Citazioni su Antonio Fazio== *Fazio è una delle poche persone che dice al Paese come stanno le cose. Signori, guardate che qui c'è il declino e rischiamo di andare tutti a ramengo. ([[Enrico Cisnetto]]) *Fazio è una personalità che potrebbe essere chiamata a gestire un passaggio politico delicato se la crisi di questo governo, e conseguentemente, di questo sistema, dovesse arrivare allo show down. Di persone che abbiano le idee chiare e prestigio come Fazio non ce ne sono tante. ([[Enrico Cisnetto]]) ==''Quale società civile per l’Italia di domani?''== *Il nostro Paese, come altri in Europa, vive una fase di transizione economica e sociale, di durata ed esiti ancora incerti. Le cause delle difficoltà sono in qualche misura connesse con fattori esterni, quali la globalizzazione finanziaria e anche l'instabilità economica di paesi dell'Europa centrale e orientale seguita alla cadura dei regimi socialisti; negli ultimi due anni hanno influito negativamente sul ciclo economico le crisi finanziarie dell'Asia e dell'America latina. (p. 41) *Il dualismo, caratteristica storica della nostra economia, che affonda le sue radici nel contesto culturale e ambientale e con esso si intreccia, si è di nuovo accentuato. Il divario tra il Centro-Nord e il Mezzogiorno era stato in parte avviato a correzione con gli efficaci interventi della prima politica meridionalistica, negli anni cinquanta e sessanta. (p. 43) *Qualora l'attività economica non rispetti i principi fondamentali di correttezza nei rapporti con i dipendenti, con le altre aziende, con il mercato, con i poteri pubblici, dall'esercizio di impresa non discende un benessere che si estende alla società; può derivarne una involuzione del sistema. (p. 50) ==Bibliografia== *Antonio Fazio, ''[https://preserver.beic.it/delivery/DeliveryManagerServlet?dps_pid=IE9066504&select_viewer=metsViewer&dps_file=FL9066548 Quale società civile per l’Italia di domani?]'', in ''Amministrazione pubblica'', anno III, n.11-12, ANFACI, Roma, 2000. ==Altri progetti== {{interprogetto}} {{s}} {{DEFAULTSORT:Fazio, Antonio}} [[Categoria:Economisti italiani]] 112g8qs8d76k2dvnw1v8lj7k5086jgi 1382023 1382022 2025-07-02T09:57:35Z Spinoziano (BEIC) 86405 sistemazioni 1382023 wikitext text/x-wiki [[Immagine:Antonio Fazio.jpg|miniatura|Antonio Fazio]] '''Antonio Fazio''' (1936 – vivente), economista italiano. ==''Quale società civile per l'Italia di domani?''== *Il nostro Paese, come altri in Europa, vive una fase di transizione economica e sociale, di durata ed esiti ancora incerti. Le cause delle difficoltà sono in qualche misura connesse con fattori esterni, quali la globalizzazione finanziaria e anche l'instabilità economica di paesi dell'Europa centrale e orientale seguita alla cadura dei regimi socialisti; negli ultimi due anni hanno influito negativamente sul ciclo economico le crisi finanziarie dell'Asia e dell'America latina. (p. 41) *Il dualismo, caratteristica storica della nostra economia, che affonda le sue radici nel contesto culturale e ambientale e con esso si intreccia, si è di nuovo accentuato. Il divario tra il Centro-Nord e il Mezzogiorno era stato in parte avviato a correzione con gli efficaci interventi della prima politica meridionalistica, negli anni cinquanta e sessanta. (p. 43) *Qualora l'attività economica non rispetti i principi fondamentali di correttezza nei rapporti con i dipendenti, con le altre aziende, con il mercato, con i poteri pubblici, dall'esercizio di impresa non discende un benessere che si estende alla società; può derivarne una involuzione del sistema. (p. 50) ==Citazioni su Antonio Fazio== *Fazio è una delle poche persone che dice al Paese come stanno le cose. Signori, guardate che qui c'è il declino e rischiamo di andare tutti a ramengo. ([[Enrico Cisnetto]]) *Fazio è una personalità che potrebbe essere chiamata a gestire un passaggio politico delicato se la crisi di questo governo, e conseguentemente, di questo sistema, dovesse arrivare allo show down. Di persone che abbiano le idee chiare e prestigio come Fazio non ce ne sono tante. ([[Enrico Cisnetto]]) ==Bibliografia== *Antonio Fazio, ''[https://preserver.beic.it/delivery/DeliveryManagerServlet?dps_pid=IE9066504&select_viewer=metsViewer&dps_file=FL9066547 Quale società civile per l'Italia di domani?]'', in ''Amministrazione pubblica'', anno III, nn. 11-12, ANFACI, Roma, 2000. ==Altri progetti== {{interprogetto}} {{DEFAULTSORT:Fazio, Antonio}} [[Categoria:Economisti italiani]] 998sghonak6ufi2wq5u547yye5gwe8b Template:Lingue/Dati 10 148341 1381963 1381878 2025-07-01T21:58:17Z ItwikiBot 66727 Bot: aggiornamento dati 1381963 wikitext text/x-wiki {{#switch:{{{1}}} |lingua1 = en |voci1 = 58965 |lingua2 = it |voci2 = 53234 |lingua3 = pl |voci3 = 30531 |lingua4 = ru |voci4 = 17278 |lingua5 = cs |voci5 = 14694 |lingua6 = et |voci6 = 13606 |lingua7 = pt |voci7 = 11942 |lingua8 = uk |voci8 = 11305 }} n2850i7lytpz5zeeo2emcy49ueup9fz Kingdom Hearts III 0 156291 1381917 1381533 2025-07-01T14:10:43Z ~2025-109578 103352 /* Dialoghi */ 1381917 wikitext text/x-wiki {{Videogioco |nomegioco = Kingdom Hearts III |nomeoriginale = キングダム ハーツIII |nometraslitterato = Kingudamu Hātsu III |immagine = |sviluppo = Square Enix |pubblicazione = Square Enix |ideazione = [[Tetsuya Nomura]] |anno = 2019 |genere = action RPG |tema = fantasy |piattaforma = PlayStation 4/Xbox One |serie = [[Kingdom Hearts (serie)|Kingdom Hearts]] |preceduto = [[Kingdom Hearts 0.2 Birth by Sleep -A fragmentary passage-]] |seguito = [[Kingdom Hearts Dark Road]] }} '''''Kingdom Hearts III''''', videogioco di ruolo del 2019. {{tagline|La battaglia definitiva è alle porte.}} ==Frasi== {{cronologico}} *Hai smarrito qualcuno? [...] È un dono così prezioso. Permettimi di aiutarti a ritrovarla. ('''Marluxia''') {{NDR|alla Madre Gothel, riferendosi a Rapunzel}} *Stranieri. Dall'esterno. Benvenuti. ('''Omini Verdi''') {{NDR|a Sora, Paperino e Pippo}} *Sono tutti giocattoli? Ecco perché abbiamo questo aspetto. ('''Sora''') *Wow! Che bei colori. C'è il blu {{NDR|Paperino}}, c'è il verde {{NDR|Pippo}}... Oooh, adoro il verde! E poi il nero {{NDR|Sora}}... Proprio come i miei bottoni. Oh? Brutta erba appuntita {{NDR|i cappelli di Sora}}. Ridammi il mio piede. ('''Olaf''') *Era... un pupazzo di neve? ('''Sora''') {{NDR|riferito a Olaf}} *Usa quella chiave per liberarmi, Sora, e ti faccio la mia promessa più solenne... tutto il potere del mare che desideri sarà tuo. ('''Tia Dalma/Calypso''') *Jack Sparrow... Ti sei perso? I prigionieri non possono stare sul ponte. Il tuo posto è in cella! ('''Davy Jones''') *Signore. Hai dimenticato? Sono un orrore senza cuore! ('''Davy Jones''') {{NDR|a Will}} *Che delusione. E così è tutto qui quello intendevano per "cuore". Eravamo a caccia della scatola sbagliata. ('''Vexen''') {{NDR|riferito al forziere di Davy Jones}} *Non impedirai che il mio giudizio si compia! ('''Davy Jones''') {{NDR|a Sora}} *Ci tira sul fondo! Fate presto, o c'è lo scrigno per noi! ('''Hector Barbossa''') *Niente di personale, Jack. Sono solo affari. ('''Cutler Beckett''') *Ciao. Io sono Baymax, il tuo operatore sanitario personale. ('''Baymax''') ==Dialoghi== {{cronologico}} *'''Yen Sid''': Per sconfiggere Xehanort, dobbiamo radunare i nostri alleati. Risvegliarli dal loro sono. Ne abbiamo già discusso, Sora. Sapevamo che l'esame per il Simbolo della maestria ti avrebbe dato il potere di risvegliarli. Tuttavia, l'oscurità si è quasi impossessata di te e la padronanza delle tue nuove abilità lascia molto a desiderare. Inoltre, Xehanort è quasi riuscito a fare di te il suo ricettacolo e al contempo ti ha privato di gran parte della forza che avevi guadagnato fino ad allora. Sospetto che tu te ne sia già accorto, vero? Ma innanzitutto devi ritrovare tutta la forza che hai perso. Forse non dovremmo aspettarci un recupero completo, ma è di vitale importanza che tu perfezioni un potere, il potere del risveglio, quello che non sei riuscito ad apprendere durante il tuo esame. C'è qualcuno che ha perso e poi ritrovato la sua forza, un vero eroe che devi andare a trovare. Forse potrà indirizzarti nella giusta direzione.<br />'''Sora''': D'accordo.<br />'''Paperino''': Maestro Yen Sid...<br />'''Pippo''': Può contare su di noi, ci prenderemo cura di Sora!<br />'''Yen Sid''': È esattamente ciò che desidero. Vi affido Sora.<br />'''Paperino''' {{NDR|a Sora}}: E non dimenticare, ti terremo d'occhio.<br />'''Pippo''': Oh, sarà così divertente!<br />'''Sora''': Non è una vacanza. Andiamo! *'''Hamm''': Sono nuovi?<br />'''Rex''': Un attimo! Ah... Ah... Hai un aspetto familiare! Lo so, lo so! Tu sei, oh, sei... oooh...<br />'''Hamm''': Yozora!<br />'''Sora''': Eh? Io mi chiamo Sora...<br />'''Buzz''' {{NDR|puntando la lampadina del suo lader sul petto di Sora}}: State indietro. Potrebbero essere alleati degli intrusi.<br />'''Rex''' {{NDR|abbracciandolo}}: Yozora!<br />'''Woody''': Calmati, Rex! Non li conosciamo.<br />'''Rex''': Ma possiamo fidarci di loro. Sono gli eroi più venduti del paese!<br />'''Hamm''': Sì, deve averli comprati la mamma di Andy.<br />'''Rex''': Hamm ha ragione. Avete visto con che facilità si sono liberati degli intrusi {{NDR|Heartless}}? Scommetto che sono qui per capire dove sono finiti i nostri amici e perché il laser di Buzz ha iniziato a laserare per davvero e tutte quelle altre cose strane! Del resto è quello che fanno gli eroi, no?<br />'''Buzz''': Non saltiamo a conclusioni affrettate. {{NDR|Woody riflette di quello che dice Rex}} Non farti fregare, Woody.<br />'''Woody''': E così siete... i nuovi giocattoli di Andy?<br />'''Sora, Paperino e Pippo''' {{NDR|confusi}}: Giocattoli?<br />'''Woody''': Avete proprio conciato per le feste quegli intrusi.<br />'''Pippo''': Quelli sono gli Heartless.<br />'''Paperino''': I cattivi!<br />'''Sora''': Combattiamo contro quegli "intrusi" da un po' di tempo.<br />'''Rex''': Lo sapevo!<br />'''Woody''': Bene. Allora non ho nessun problema con voi. Mi chiamo Woody. Qua la mano.<br />'''Sora''': Salve.<br />'''Buzz''': Ehi, un attimo.<br />'''Sora''': Mi chiamo Sora...<br />'''Rex''': Yozora!<br />'''Sora''': A dire il vero mi chiamo Sora...<br />'''Paperino''': E io sono Paperino.<br />'''Pippo''': Io sono Pippo.<br />'''Buzz''': E io sono... Buzz Lightyear.<br />'''Hamm''': Chiamatemi Hamm. È un vero onore.<br />'''Rex''': E io mi chiamo Rex! Sono un vostro grande fan. Dovete sapere che gioco al vostro gioco da mesi e sono arrivato al livello 47, ma quel boss Bahamut è troppo difficile. Io e Slinky non riusciamo a capire come batterlo. Come vorrei che Slinky e gli altri fossero qui, sarebbero così contenti di conoscervi! *'''Sora''' {{NDR|vedendo confuso e spaventato nel loro aspetto di mostri}}: Co... P-Paperino? Pippo? Perché sembrate dei mostri?<br />'''Paperino''': Lo sembri anche tu!<br />'''Pippo''': Be', mi avete spaventato.<br />'''Sora''' {{NDR|vedendo anche il suo aspetto di un mostro peloso}}: Davvero? È questo il modo di passare inosservati qui?<br />'''Paperino''': Così sembra. Finalmente te ne sei accorto.<br />'''Sora''': Potreste allontanarvi un po'? Mi fate venire i brividi.<br />'''Paperino''' {{NDR|irritato}}: Allontanati tu!<br />'''Pippo''': Dai, il nostro nuovo aspetto potrebbe essere divertente!<br />'''Sora''': Chissà che tizi strani vivono qui...<br />'''Pippo''' {{NDR|bisbigliando nell'orecchio di Paperino}}: Non pensavo che si sarebbe spaventato così tanto. {{NDR|ridono}}<br />'''Sora''' {{NDR|vede la scritta alla Monsters & Co}}: C'è scritto "Facciamo paura... ma con cura"?<br />'''Paperino''': Che strano.<br />'''Pippo''': Quella "cura" è un po' sospetta.<br />'''Sora''': Se somigliano a noi, potrebbero essere un problema. Dovremmo controllare. *'''Sora''' {{NDR|lui, Paperino e Pippo credono che quei due mostri fanno dal male la bambina}}: Oh, no!<br />'''Sulley''' {{NDR|voltandosi alle spalle, confuso}}: Chissà chi sono quei tizi.<br />'''Mike''': Cosa?! Attento, Sulley. Se vedono la B-A-M-B-I-N-A...<br />'''Sulley''': Tranquillo, non abbiamo niente da nascondere.<br />'''Mike''': Ma sei il capo! Devi dare l'esempio. {{NDR|a Sora, Paperino e Pippo}} Ragazzi! Ragazzi, non è come sembra. Ecco, vedete, quella bambina è saltata fuori dal nulla! Dobbiamo chiamare il CDA. Oh... È un... oh, sì, un codice 835!<br />'''Sora''' {{NDR|gli punta addosso il suo Keyblade}}: Stai cercando di spaventare quella bambina?<br />'''Mike''': Si! Anzi, no, no no! Non ci serve più l'energia delle urla. Basta spaventi.<br />'''Sulley''': Mike, calmati.<br />'''Pippo''': Calmati anche tu, Sora. Vedi? È contenta.<br />'''Sora''' {{NDR|si disarma felicemente, va davanti a Boo}}: Ciao. Mi chiamo Sora.<br />'''Boo''': Boo.<br />'''Sora''': Oh, è il tuo nome? Piacere di conoscerti, Boo.<br />'''Mike''': Un attimo! Voi non avete paura degli umani?<br />'''Boo''' {{NDR|puntato il dito verso a Paperino che ha di certo un occhio solo}}: Mike Wazowski.<br />'''Mike''': Dai, Boo! Sono io Mike Wazowski.<br />'''Boo''': Mike Wazowski.<br />'''Sulley''' {{NDR|ride}}: Beh, la somiglianza è evidente. Quell'occhio da orsotto-potto...<br />'''Paperino''': Che succede? Io mi chiamo Paperino!<br />'''Boo''': Mike Wazowski! {{NDR|si mette a correre giocare a Paperino, e loro si mettono a ridere divertiti}}<br />'''Pippo''': E io sono Pippo.<br />'''Sulley''': Beh, io mi chiamo Sulley. E questo è...<br />'''Sora''': Oh, lo sappiamo. Mike Wazowski, vero? *'''Sulley''': La Monsters & Co sfruttava la forza delle urla dei bambini umani per l'energia, ma ora usiamo le loro risate. Abbiamo scoperto che la risata è dieci volte più potente. E non l'avremmo mai capito senza Boo.<br />'''Sora''': Interessante.<br />'''Pippo''': Anche la nostra nave va a risate. Forse abbiamo qualcosa in comune.<br />'''Paperino''': Sora è una risata continua!<br />'''Sora''': Dai, non è vero. *'''Mike''': Fermi! Come abbiamo fatto a sbagliare strada?<br />'''Randall''': Non importa. Quello che conta è che quella è l'ultima strada che voi perdenti prenderete.<br />'''Sulley''': Randall?!<br />'''Sora''': Chi è?<br />'''Sulley''': Un farabutto che abbiamo cacciato perché raccoglieva urla con la forza. Era lo spaventatore di Boo.<br />'''Mike''': Come hai fatto a tornare? La porta che abbiamo usato è un mucchio di segatura!<br />'''Randall''': Già, e sono quasi diventato un portafoglio. Ma per fortuna, è arrivato un gentiluomo che ha riparato la porta per me {{NDR|riferito a Vanitas}}. E da oggi, sono il numero uno! In cima alla classica, baby.<br />'''Mike''' {{NDR|deridendolo}}: E tu saresti un grande raccoglitore di risate? Ma figuriamoci, Randall. Il migliore sono io!<br />'''Randall''': Chi ha parlato di accumulare risate? Sono a caccia di emozioni negative. {{NDR|riferendosi ai Nesciens}} E i miei nuovi amici hanno gentilmente invaso la fabbrica per recuperarle per me.<br />'''Sora''': Emozioni negative?<br />'''Paperino''' {{NDR|a Pippo}}: Sa tutto.<br />'''Pippo''': Sì, l'Organizzazione XIII lo sta aiutando.<br />'''Randall''': Le risate non sono sostenibili. Quando la piccola farà la sua ultima risata, sarete punto e capo. Ma l'energia negativa? In particolare la tristezza? Se riesci a spezzare il loro cuoricino, saranno tristi per sempre. E non avremo più problemi di energia. *'''Sora''' {{NDR|canticchiando}}: ''Yo oh, yo ho, una vita da pirata per me.''<br />'''Paperino''': Perché sei così felice?<br />'''Sora''': Perché siamo di nuovo dei pirati!<br />'''Pippo''': Sì, ti è sempre piaciuto questo mondo.<br />'''Sora''': Come non potrebbe? Certo è davvero un peccato non avere una nave più grande.<br />'''Paperino''': Hai idea di dove stiamo andando?<br />'''Sora''': E dove sennò? Alla fine del mondo!<br />'''Pippo''': Capitan Sora!<br />'''Sora''' {{NDR|imitando la voce rauca da capitano}}: Che cosa la cruccia, signor Pippo?<br />'''Pippo''': La fine del mondo!<br />'''Sora''': Sì!<br />'''Pippo''': Stiamo finendo il mare, signore!<br />'''Sora''': Sì! Stiamo finendo il mare. {{NDR|ride, ma poi guarda a Paperino preoccupati e confusi di quello che ha detto Pippo}}<br />'''Sora e Paperino''' {{NDR|molto spaventati}}: Finendo?! {{NDR|guardano terrorizzati dalle cascate che andranno fino allo Scrigno di Davy Jones}}<br />'''Sora''': Tutti a tribordo!<br />'''Pippo''': Ma non c'è tempo, capitano! *'''Jack Sparrow''': Saluti, Sora!<br />'''Sora''': Eh? Jack Sparrow?!<br />'''Jack Sparrow''': Capitan Jack Sparrow.<br />'''Pippo''' {{NDR|a Paperino}}: In persona! {{NDR|Paperino ride}}<br />'''Sora''': Ehi, Jack. Dove siamo?<br />'''Jack Sparrow''': Non ora. Nave in fuga!<br />'''Sora''': Eh?!<br />'''Jack Sparrow''': Aiutatemi a raggiungere la Perla prima che mi sfugga!<br />'''Sora''': Agli ordini, Capitano! *'''Joshamee Gibbs''': Jack!<br />'''Jack Sparrow''': Signor Gibbs!<br />'''Joshamee Gibbs''': Sì, Capitano.<br />'''Jack Sparrow''': Fate rapporto. E spero siate in grado di dar conto delle vostre azioni.<br />'''Joshamee Gibbs''': Signore?<br />'''Jack Sparrow''': C'è stata una progressiva e virulenta essenza di disciplina sul mio veliero. Come mai?<br />'''Joshamee Gibbs''': Signore, siete... Siete nello Scrigno di Davy Jones, Capitano.<br />'''Sora''': Lo Scrigno di Davy Jones?<br />'''Jack Sparrow''': Lo so. Lo so molto bene. Non credere che non lo sappia. Sono nello Scrigno di Davy Jones. Senza dubbio.<br />'''Hector Barbossa''': Jack Sparrow.<br />'''Sora''' {{NDR|vedendo colpito il vecchio pirata ancora vivo, e si prepara a difendersi con Paperino e Pippo}}: Barbossa!<br />'''Jack Sparrow''': Ah, Hector! Da quanto tempo, vero?<br />'''Hector Barbossa''': Sì, Isla de Muerta, mi pare? Mi hai sparato.<br />'''Jack Sparrow''': Non ero io. {{NDR|Sora, Paperino e Pippo lo guardano visibilmente stupiti e confusi}} *'''Will Turner''': Sora. Ci reincontriamo.<br />'''Elizabeth Swann''': È un piacere rivedervi.<br />'''Sora''': Oh! Will, Elizabeth! Hai... qualcosa di diverso?<br />'''Pippo''': Sì, hai un'aria così spavalda.<br />'''Elizabeth Swann''': Beh, ne ho viste di tutti i colori. Ma non avrei mai pensato di trovarvi qui.<br />'''Sora''': A proposito... Dov'è di preciso "qui"? Perché parlano tutti di uno scrigno?<br />'''Will Turner''': Lo Scrigno di Davy Jones. Jack non ha pagato un certo debito con Jones. E allora Jones ha mandato il Kraken a divorare Jack, e per questo è finito qui.<br />'''Sora''': Allora... lo scrigno di Davy Jones... Stai dicendo che siamo andati oltre...<br />'''Pippo''': Oltre la tomba?<br />'''Elizabeth Swann''': E siamo qui per strappare Jack al suo destino. *'''Sora''': Non ci capisco niente. Che sta succedendo?<br />'''Pippo''': Beh, mi sembra che questo Beckett di cui parlano voglia conquistare l'oceano.<br />'''Sora''': Oh.<br />'''Paperino''': Il mare è di tutti!<br />'''Sora''': Sì! No ai conquistatori.<br />'''Paperino''': Sì! *'''Sora''': Beh, abbiamo una destinazione, vero?<br />'''Pippo''': Non ne sono più così sicuro.<br />'''Paperino''': Jack sta solo improvvisando.<br />'''Tia Dalma''': Affidate il vostro destino a Jack Sparrow e presto incorrerete anche voi nell'ira di Davy Jones.<br />'''Sora''': Il tizio di cui ha parlato Will? Ma chi pensa di essere? E che cosa gli avrà mai fatto Jack?<br />'''Tia Dalma''': Sul serio? Non sapete chi è Davy Jones? E vi considerate lupi di mare?<br />'''Sora''': Mettiamola così... Arriviamo da un altro mare.<br />'''Tia Dalma''': Ma tu pensa. I destini di Jack e Davy Jones sono intrecciati. Jones sollevò l'adorata Perla dagli abissi e fece di Jack il suo capitano per 13 anni. In cambio, Jack promise la sua anima a Jones come pagamento. Ma passati i 13 anni, Jack non fece ritorno. Allora Jones inviò il Kraken a divorare Jack e trascinarlo negli abissi insieme alla Perla. Ma se Jones scoprirà che Jack ha barato, la sua punizione sarà ancora più severa. E anche per gli amici di Jack. {{NDR|il trio si mettono a tremare}}<br />'''Paperino''': Stai, uhm... parlando di noi?<br />'''Pippo''': Vuoi dire che il Kraken ci mangerà?<br />'''Sora''': Oh, il Kraken ha solo da provarci. Non ho paura!<br />'''Tia Dalma''': Nemmeno un po'? Sarebbe strano. La maggior parte degli uomini fuggirebbe sulla terraferma. Ma voi no. Ma Jack ha paura. Vuole liberarsi del suo debito con Davy Jones. Ecco perché ha bisogno della scatola.<br />'''Sora, Paperino e Pippo''': Scatola?!<br />'''Tia Dalma''': Uno scrigno... dove Davy Jones ha rinchiuso la parte di sé che soffre. Il dolore era insopportabile... ma non abbastanza da ucciderlo.<br />'''Sora''': E... qual era questa sua parte?<br />'''Tia Dalma''': Il suo cuore. *'''Vexen''' {{NDR|parlando di Davy Jones}}: Oh, come ci riesce? Una creatura priva di cuore che riesce comunque a esistere... Nemmeno le mie copie migliori possono tanto. Il segreto dev'essere in quella scatola. Devo sapere quali misteri contiene!<br />'''Luxord''': Ci è stato ordinato solo di recuperare la scatola. Metti a freno quella tua curiosità.<br />'''Vexen''': Sempre così miope. Perché l'Organizzazione mi avrebbe cercato subito dopo il mio ricompletamento, se non per riaffermare il mio intelletto superiore e investire nella mia ricerca? Ogni passo che compio è un passo in avanti per tutti noi.<br />'''Luxord''': Oh, davvero? E verso cosa ci staresti portando di preciso?<br />'''Vexen''': Luxord, noto un accenno di tradimento delle tue parole?<br />'''Luxord''': Cosa? Non essere assurdo. Ma che sia chiaro, io servo l'Organizzazione. Non condivido il tuo bisogno di accontentare Xemnas. È molto bravo a comandarti a bacchetta... lo è sempre stato.<br />'''Vexen''': Io desidero solo di essere libero di continuare la mia ricerca. Ansem il Saggio si rifiutò di coltivare i miei talenti. E così decisi di stare dalla parte di Xemnas... o meglio, di Xehanort. Tutto qui.<br />'''Luxord''': Capisco. E non t'interessa l'uso che fa della tua ricerca?<br />'''Vexen''': Per niente. Completare il contenitore umano perfetto è la mia unica preoccupazione.<br />'''Luxord''': È tutto molto bello a parole, ma conosco questo mondo meglio di te. Non intralciarmi, per cortesia.<br />'''Vexen''': Oh, ma certamente. {{NDR|riferito a Sora, Paperino e Pippo}} Con quegli scocciatori in giro, non riuscirei a concludere nulla.<br />'''Luxord''': So già cosa fare di quegli scocciatori. Allora potrai riprendere i tuoi studi noiosi.<br />'''Vexen''': Ah, che bravo che sei. Allora osserverò dall'oscurità. *'''Sora''': Grazie, Jack. Avresti potuto avvertirci.<br />'''Pippo''': Sì, è andato tutto sottosopra e soprasotto!<br />'''Sora''': Beh, almeno siamo tornati tra i vivi.<br />'''Paperino''': E meno male!<br />'''Jack Sparrow''': Niente paura. Tutto secondo i piani.<br />'''Hector Barbossa''': Ma non è una ragione per riposarsi.<br />'''Will Turner''': Una nave! {{NDR|indica una strana nave guidata da Luxord}}<br />'''Elizabeth Swann''': Non ne ho mai visto una simile. {{NDR|spuntano fuori gli Heartless Vapormosche}}<br />'''Sora''': Heartless! {{NDR|Tia Dalma lo vede sorridendo per il suo incoraggiamento, ma appare uno enorme, l'Avvoltoio Furioso che sta attaccando la Perla Nera}}<br />'''Joshamee Gibbs''': Attenzione!<br />'''Jack Sparrow''': Barbossa, ti sei alleato di nuovo con quei mostri?<br />'''Hector Barbossa''': Non insultare il mio onore. Perché mai dovrei allearmi con loro?<br />'''Jack Sparrow''': Ma ti alleasti con loro.<br />'''Elizabeth Swann''': Non potreste discuterne dopo? *'''Sora''': Ragazzi! State bene?<br />'''Will Turner''': Sora... Come sono felice di vederti! [...]<br />'''Elizabeth Swann''': Eravamo piuttosto preoccupati per voi.<br />'''Sora''' {{NDR|vedendo gli stessi granchi}}: Ma quelli sono...<br />'''Elizabeth Swann''': Sora?<br />'''Sora''': Dov'è Jack? E Tia Dalma?<br />'''Elizabeth Swann''': Purtroppo ti sei perso un po' di cose in tua assenza.<br />'''Will Turner''': Jack... È... È stato catturato da Cutler Beckett.<br />'''Elizabeth Swann''': Sì, e Beckett controlla Davy Jones e l'Olandese Volante.<br />'''Will Turner''': Barbossa pensava che avremmo potuto batterli se avessimo liberato Calypso, la dea del mare, che era Tia Dalma in realtà, in forma umana. {{NDR|vedono di nuovo i granchi di Calypso}} Ma non ha funzionato.<br />'''Hector Barbossa''': Già, Calypso è una dea volubile.<br />'''Pippo''': E ora?<br />'''Hector Barbossa''': Niente. Abbiamo perso anche l'ultima speranza. *'''Sora''': Non potete arrendervi ora. Possiamo combattere, insieme. Il mare appartiene a tutti!<br />'''Paperino''': L'avevo detto io. Smettila di copiare le mie espressioni!<br />'''Sora''': Oh? Davvero?<br />'''Pippo''': A volte mi entrano dall'orecchio e mi escono dall'altro.<br />'''Sora''': Aspetta... Davvero?<br />'''Paperino''': Sì! *'''Elizabeth Swann''': Non è finita. C'è ancora speranza per noi. Voi, ascoltatemi. Ascoltate! La Fratellanza ha gli occhi puntati qui, su di noi. Sull'Ammiraglia, la Perla Nera. Vedranno uomini liberi e libertà! Il nostro nemico vedrà il lampo dei nostri cannoni... e udirà il fragore delle nostre spade. E vedranno il coraggio dei nostri cuori mentre li sconfiggiamo. Signori... Su le bandiere!<br />'''Will Turner''': Su le bandiere!<br />'''Sora''': Su le bandiere! *'''Davy Jones''': Ah... l'amore. Che legame orribile. Eppure così facile da spezzare.<br />'''Sora''': Non è vero! Ho ancora molto da imparare sull'amore, ma so cosa significa condividere il mio cuore con gli altri. E non basterai a spezzare un legame simile.<br />'''Davy Jones''': Cosa può sapere un moccioso come te del cuore?<br />'''Jack Sparrow''': Il moccioso conosce il mondo più di quanto tu possa pensare.<br />'''Davy Jones''': E allora? Dimmi, William Turner, hai paura della morte?<br />'''Jack Sparrow''': E tu? [...] Dà alla testa... tenere la vita e la morte nel palmo della mano.<br />'''Davy Jones''': Sei un uomo crudele, Jack Sparrow.<br />'''Jack Sparrow''': La crudeltà è una questione di punti di vista.<br />'''Davy Jones''': Tu dici? {{NDR|comincia a infilzare Will, ma Sora, vedendo quella scena, gli salta addosso furiosamente, insieme con Paperino e Pippo}} *'''Joshamee Gibbs''': L'Olandese Volante deve avere un capitano. Appena sposati, ora lei e capitan Turner dovranno vivere in mondi diversi. Un giorno a riva. Dieci anni in mare. Un prezzo salato.<br />'''Sora''': Will...<br />'''Joshamee Gibbs''': La corazza vi attende, Vostra Altezza.<br />'''Hector Barbossa''': Signora Turner.<br />'''Paperino''': Elizabeth...<br />'''Pippo''': Riguardati.<br />'''Elizabeth Swann''': Jack... Grazie. {{NDR|sale sull'Olandese Volante con l'amato Will}}<br />'''Sora''': Un giorno non è abbastanza.<br />'''Jack Sparrow''': I cuori hanno sempre abbastanza tempo per dire la verità. Sora, tu lo sai meglio di chiunque altro. Basta un solo instante per creare un legame coi propri compari... I tuoi compari del cuore.<br />'''Sora''': C'è sempre abbastanza tempo. E io li troverò. *'''Pietro Gambadilegno''': Ne ho abbastanza di questa stupida caccia al tesoro. Ogni scatola che abbiamo trovato non era nient'altro che una fregatura!<br />'''Malefica''': Concordo. La nostra ricerca termina oggi.<br />'''Pietro Gambadilegno''': Come, cosa?<br />'''Malefica''': Non si puo' trovare l'introvabile. La scatola non esiste.<br />'''Pietro Gambadilegno''': Lo sapevo che era una presa in giro!<br />'''Malefica''': Zitto, Imbecille! Quello che intendevo è che la scatola non esiste, "ora"!<br />'''Pietro Gambadilegno''': Che cos'è, una specie di indovinello? Dove diavolo dovremmo cercarla!?<br />'''Malefica''': Luce e Oscurità sono destinate a scontrarsi. Una guerra dei Keyblade incombe su noi. Dobbiamo solo aspettare quel momento.Non importa chi vincerà, la scatola verrà rivelata.<br/ >'''Pietro Gambadilegno''': Va' bene, ma quand'è che arriverà il MIO momento!?<br />'''Malefica''': Lo avrai presto. Quando la scatola sarà in mio possesso, il nostro vero lavoro avrà inizio. *'''Ira''': Sei stato tu ad averci richiamati? {{NDR|si rivolge alla figura incapucciata davanti a lui}}<br />'''Uomo incappucciato''':Sì<br />{{NDR|Ira osserva il Keyblade Innomimata nella sua mano e la scatola nera}}<br />'''Ira''': Sei tu, Luxu? Sembri diverso... {{NDR|La figura si abbassa il cappuccio . Rivelando il volto di Xigbar}}<br />'''Luxu''': Non sentivo quel nome da molto tempo. In questi giorni mi chiamano "Xigbar". Ma hey, fate come preferite.<br />'''Invi''': Sei davvero tu?<br />'''Luxu''':Sì, ma tempo fa' ho dovuto abbandonare la mia vecchia forma. Cambiando carcasse una dopo l'altra. Ma sono sempre io, nonostante tutto<br />'''Aced''': Cosa è successo?? Perché siamo qui? Dimmelo!!<br />'''Luxu''': Avevo un compito da svolgere. E dopo tutti questi anni si è finalmente concluso.<br />'''Invi''': Quale compito?<br />{{NDR|In lontananza, Malefica e Pietro vengono visti di spalle mentre osservano Luxu e gli alti quattro veggenti. Prima di separarsi}}<br />'''Luxu''': Immagino che Ava non ce l'abbia fatta, dopotutto.{{NDR|Si guarda intorno, vedendo che Ava non è presente.}}<br />'''Gula''': Che vuoi dire?<br />'''Luxu''': Le dissi chiaramente, che cosa dovevo fare.<br />'''Gula''': Ed è per questo che decusdesti di escluderla?<br />'''Luxu''': Magari. Ava aveva la sua missione, e l'ha portata a termine.<br />'''Aced''': Ne ho avuto abbastanza! Luxu, qual'era il tuo compito!?'''<br />{{NDR|Luxu sorride brevemente, prima di abbassare lo sguardo verso la scatola nera ai suoi piedi}}<br />'''Luxu''': Spero vi piacciano le storie molto lunghe. ==Altri progetti== {{interprogetto}} {{Kingdom Hearts}} [[Categoria:Videogiochi di Kingdom Hearts]] akcs66t6af15bocts06hrxb6ougve88 1381918 1381917 2025-07-01T14:11:26Z ~2025-109578 103352 /* Dialoghi */ 1381918 wikitext text/x-wiki {{Videogioco |nomegioco = Kingdom Hearts III |nomeoriginale = キングダム ハーツIII |nometraslitterato = Kingudamu Hātsu III |immagine = |sviluppo = Square Enix |pubblicazione = Square Enix |ideazione = [[Tetsuya Nomura]] |anno = 2019 |genere = action RPG |tema = fantasy |piattaforma = PlayStation 4/Xbox One |serie = [[Kingdom Hearts (serie)|Kingdom Hearts]] |preceduto = [[Kingdom Hearts 0.2 Birth by Sleep -A fragmentary passage-]] |seguito = [[Kingdom Hearts Dark Road]] }} '''''Kingdom Hearts III''''', videogioco di ruolo del 2019. {{tagline|La battaglia definitiva è alle porte.}} ==Frasi== {{cronologico}} *Hai smarrito qualcuno? [...] È un dono così prezioso. Permettimi di aiutarti a ritrovarla. ('''Marluxia''') {{NDR|alla Madre Gothel, riferendosi a Rapunzel}} *Stranieri. Dall'esterno. Benvenuti. ('''Omini Verdi''') {{NDR|a Sora, Paperino e Pippo}} *Sono tutti giocattoli? Ecco perché abbiamo questo aspetto. ('''Sora''') *Wow! Che bei colori. C'è il blu {{NDR|Paperino}}, c'è il verde {{NDR|Pippo}}... Oooh, adoro il verde! E poi il nero {{NDR|Sora}}... Proprio come i miei bottoni. Oh? Brutta erba appuntita {{NDR|i cappelli di Sora}}. Ridammi il mio piede. ('''Olaf''') *Era... un pupazzo di neve? ('''Sora''') {{NDR|riferito a Olaf}} *Usa quella chiave per liberarmi, Sora, e ti faccio la mia promessa più solenne... tutto il potere del mare che desideri sarà tuo. ('''Tia Dalma/Calypso''') *Jack Sparrow... Ti sei perso? I prigionieri non possono stare sul ponte. Il tuo posto è in cella! ('''Davy Jones''') *Signore. Hai dimenticato? Sono un orrore senza cuore! ('''Davy Jones''') {{NDR|a Will}} *Che delusione. E così è tutto qui quello intendevano per "cuore". Eravamo a caccia della scatola sbagliata. ('''Vexen''') {{NDR|riferito al forziere di Davy Jones}} *Non impedirai che il mio giudizio si compia! ('''Davy Jones''') {{NDR|a Sora}} *Ci tira sul fondo! Fate presto, o c'è lo scrigno per noi! ('''Hector Barbossa''') *Niente di personale, Jack. Sono solo affari. ('''Cutler Beckett''') *Ciao. Io sono Baymax, il tuo operatore sanitario personale. ('''Baymax''') ==Dialoghi== {{cronologico}} *'''Yen Sid''': Per sconfiggere Xehanort, dobbiamo radunare i nostri alleati. Risvegliarli dal loro sono. Ne abbiamo già discusso, Sora. Sapevamo che l'esame per il Simbolo della maestria ti avrebbe dato il potere di risvegliarli. Tuttavia, l'oscurità si è quasi impossessata di te e la padronanza delle tue nuove abilità lascia molto a desiderare. Inoltre, Xehanort è quasi riuscito a fare di te il suo ricettacolo e al contempo ti ha privato di gran parte della forza che avevi guadagnato fino ad allora. Sospetto che tu te ne sia già accorto, vero? Ma innanzitutto devi ritrovare tutta la forza che hai perso. Forse non dovremmo aspettarci un recupero completo, ma è di vitale importanza che tu perfezioni un potere, il potere del risveglio, quello che non sei riuscito ad apprendere durante il tuo esame. C'è qualcuno che ha perso e poi ritrovato la sua forza, un vero eroe che devi andare a trovare. Forse potrà indirizzarti nella giusta direzione.<br />'''Sora''': D'accordo.<br />'''Paperino''': Maestro Yen Sid...<br />'''Pippo''': Può contare su di noi, ci prenderemo cura di Sora!<br />'''Yen Sid''': È esattamente ciò che desidero. Vi affido Sora.<br />'''Paperino''' {{NDR|a Sora}}: E non dimenticare, ti terremo d'occhio.<br />'''Pippo''': Oh, sarà così divertente!<br />'''Sora''': Non è una vacanza. Andiamo! *'''Hamm''': Sono nuovi?<br />'''Rex''': Un attimo! Ah... Ah... Hai un aspetto familiare! Lo so, lo so! Tu sei, oh, sei... oooh...<br />'''Hamm''': Yozora!<br />'''Sora''': Eh? Io mi chiamo Sora...<br />'''Buzz''' {{NDR|puntando la lampadina del suo lader sul petto di Sora}}: State indietro. Potrebbero essere alleati degli intrusi.<br />'''Rex''' {{NDR|abbracciandolo}}: Yozora!<br />'''Woody''': Calmati, Rex! Non li conosciamo.<br />'''Rex''': Ma possiamo fidarci di loro. Sono gli eroi più venduti del paese!<br />'''Hamm''': Sì, deve averli comprati la mamma di Andy.<br />'''Rex''': Hamm ha ragione. Avete visto con che facilità si sono liberati degli intrusi {{NDR|Heartless}}? Scommetto che sono qui per capire dove sono finiti i nostri amici e perché il laser di Buzz ha iniziato a laserare per davvero e tutte quelle altre cose strane! Del resto è quello che fanno gli eroi, no?<br />'''Buzz''': Non saltiamo a conclusioni affrettate. {{NDR|Woody riflette di quello che dice Rex}} Non farti fregare, Woody.<br />'''Woody''': E così siete... i nuovi giocattoli di Andy?<br />'''Sora, Paperino e Pippo''' {{NDR|confusi}}: Giocattoli?<br />'''Woody''': Avete proprio conciato per le feste quegli intrusi.<br />'''Pippo''': Quelli sono gli Heartless.<br />'''Paperino''': I cattivi!<br />'''Sora''': Combattiamo contro quegli "intrusi" da un po' di tempo.<br />'''Rex''': Lo sapevo!<br />'''Woody''': Bene. Allora non ho nessun problema con voi. Mi chiamo Woody. Qua la mano.<br />'''Sora''': Salve.<br />'''Buzz''': Ehi, un attimo.<br />'''Sora''': Mi chiamo Sora...<br />'''Rex''': Yozora!<br />'''Sora''': A dire il vero mi chiamo Sora...<br />'''Paperino''': E io sono Paperino.<br />'''Pippo''': Io sono Pippo.<br />'''Buzz''': E io sono... Buzz Lightyear.<br />'''Hamm''': Chiamatemi Hamm. È un vero onore.<br />'''Rex''': E io mi chiamo Rex! Sono un vostro grande fan. Dovete sapere che gioco al vostro gioco da mesi e sono arrivato al livello 47, ma quel boss Bahamut è troppo difficile. Io e Slinky non riusciamo a capire come batterlo. Come vorrei che Slinky e gli altri fossero qui, sarebbero così contenti di conoscervi! *'''Sora''' {{NDR|vedendo confuso e spaventato nel loro aspetto di mostri}}: Co... P-Paperino? Pippo? Perché sembrate dei mostri?<br />'''Paperino''': Lo sembri anche tu!<br />'''Pippo''': Be', mi avete spaventato.<br />'''Sora''' {{NDR|vedendo anche il suo aspetto di un mostro peloso}}: Davvero? È questo il modo di passare inosservati qui?<br />'''Paperino''': Così sembra. Finalmente te ne sei accorto.<br />'''Sora''': Potreste allontanarvi un po'? Mi fate venire i brividi.<br />'''Paperino''' {{NDR|irritato}}: Allontanati tu!<br />'''Pippo''': Dai, il nostro nuovo aspetto potrebbe essere divertente!<br />'''Sora''': Chissà che tizi strani vivono qui...<br />'''Pippo''' {{NDR|bisbigliando nell'orecchio di Paperino}}: Non pensavo che si sarebbe spaventato così tanto. {{NDR|ridono}}<br />'''Sora''' {{NDR|vede la scritta alla Monsters & Co}}: C'è scritto "Facciamo paura... ma con cura"?<br />'''Paperino''': Che strano.<br />'''Pippo''': Quella "cura" è un po' sospetta.<br />'''Sora''': Se somigliano a noi, potrebbero essere un problema. Dovremmo controllare. *'''Sora''' {{NDR|lui, Paperino e Pippo credono che quei due mostri fanno dal male la bambina}}: Oh, no!<br />'''Sulley''' {{NDR|voltandosi alle spalle, confuso}}: Chissà chi sono quei tizi.<br />'''Mike''': Cosa?! Attento, Sulley. Se vedono la B-A-M-B-I-N-A...<br />'''Sulley''': Tranquillo, non abbiamo niente da nascondere.<br />'''Mike''': Ma sei il capo! Devi dare l'esempio. {{NDR|a Sora, Paperino e Pippo}} Ragazzi! Ragazzi, non è come sembra. Ecco, vedete, quella bambina è saltata fuori dal nulla! Dobbiamo chiamare il CDA. Oh... È un... oh, sì, un codice 835!<br />'''Sora''' {{NDR|gli punta addosso il suo Keyblade}}: Stai cercando di spaventare quella bambina?<br />'''Mike''': Si! Anzi, no, no no! Non ci serve più l'energia delle urla. Basta spaventi.<br />'''Sulley''': Mike, calmati.<br />'''Pippo''': Calmati anche tu, Sora. Vedi? È contenta.<br />'''Sora''' {{NDR|si disarma felicemente, va davanti a Boo}}: Ciao. Mi chiamo Sora.<br />'''Boo''': Boo.<br />'''Sora''': Oh, è il tuo nome? Piacere di conoscerti, Boo.<br />'''Mike''': Un attimo! Voi non avete paura degli umani?<br />'''Boo''' {{NDR|puntato il dito verso a Paperino che ha di certo un occhio solo}}: Mike Wazowski.<br />'''Mike''': Dai, Boo! Sono io Mike Wazowski.<br />'''Boo''': Mike Wazowski.<br />'''Sulley''' {{NDR|ride}}: Beh, la somiglianza è evidente. Quell'occhio da orsotto-potto...<br />'''Paperino''': Che succede? Io mi chiamo Paperino!<br />'''Boo''': Mike Wazowski! {{NDR|si mette a correre giocare a Paperino, e loro si mettono a ridere divertiti}}<br />'''Pippo''': E io sono Pippo.<br />'''Sulley''': Beh, io mi chiamo Sulley. E questo è...<br />'''Sora''': Oh, lo sappiamo. Mike Wazowski, vero? *'''Sulley''': La Monsters & Co sfruttava la forza delle urla dei bambini umani per l'energia, ma ora usiamo le loro risate. Abbiamo scoperto che la risata è dieci volte più potente. E non l'avremmo mai capito senza Boo.<br />'''Sora''': Interessante.<br />'''Pippo''': Anche la nostra nave va a risate. Forse abbiamo qualcosa in comune.<br />'''Paperino''': Sora è una risata continua!<br />'''Sora''': Dai, non è vero. *'''Mike''': Fermi! Come abbiamo fatto a sbagliare strada?<br />'''Randall''': Non importa. Quello che conta è che quella è l'ultima strada che voi perdenti prenderete.<br />'''Sulley''': Randall?!<br />'''Sora''': Chi è?<br />'''Sulley''': Un farabutto che abbiamo cacciato perché raccoglieva urla con la forza. Era lo spaventatore di Boo.<br />'''Mike''': Come hai fatto a tornare? La porta che abbiamo usato è un mucchio di segatura!<br />'''Randall''': Già, e sono quasi diventato un portafoglio. Ma per fortuna, è arrivato un gentiluomo che ha riparato la porta per me {{NDR|riferito a Vanitas}}. E da oggi, sono il numero uno! In cima alla classica, baby.<br />'''Mike''' {{NDR|deridendolo}}: E tu saresti un grande raccoglitore di risate? Ma figuriamoci, Randall. Il migliore sono io!<br />'''Randall''': Chi ha parlato di accumulare risate? Sono a caccia di emozioni negative. {{NDR|riferendosi ai Nesciens}} E i miei nuovi amici hanno gentilmente invaso la fabbrica per recuperarle per me.<br />'''Sora''': Emozioni negative?<br />'''Paperino''' {{NDR|a Pippo}}: Sa tutto.<br />'''Pippo''': Sì, l'Organizzazione XIII lo sta aiutando.<br />'''Randall''': Le risate non sono sostenibili. Quando la piccola farà la sua ultima risata, sarete punto e capo. Ma l'energia negativa? In particolare la tristezza? Se riesci a spezzare il loro cuoricino, saranno tristi per sempre. E non avremo più problemi di energia. *'''Sora''' {{NDR|canticchiando}}: ''Yo oh, yo ho, una vita da pirata per me.''<br />'''Paperino''': Perché sei così felice?<br />'''Sora''': Perché siamo di nuovo dei pirati!<br />'''Pippo''': Sì, ti è sempre piaciuto questo mondo.<br />'''Sora''': Come non potrebbe? Certo è davvero un peccato non avere una nave più grande.<br />'''Paperino''': Hai idea di dove stiamo andando?<br />'''Sora''': E dove sennò? Alla fine del mondo!<br />'''Pippo''': Capitan Sora!<br />'''Sora''' {{NDR|imitando la voce rauca da capitano}}: Che cosa la cruccia, signor Pippo?<br />'''Pippo''': La fine del mondo!<br />'''Sora''': Sì!<br />'''Pippo''': Stiamo finendo il mare, signore!<br />'''Sora''': Sì! Stiamo finendo il mare. {{NDR|ride, ma poi guarda a Paperino preoccupati e confusi di quello che ha detto Pippo}}<br />'''Sora e Paperino''' {{NDR|molto spaventati}}: Finendo?! {{NDR|guardano terrorizzati dalle cascate che andranno fino allo Scrigno di Davy Jones}}<br />'''Sora''': Tutti a tribordo!<br />'''Pippo''': Ma non c'è tempo, capitano! *'''Jack Sparrow''': Saluti, Sora!<br />'''Sora''': Eh? Jack Sparrow?!<br />'''Jack Sparrow''': Capitan Jack Sparrow.<br />'''Pippo''' {{NDR|a Paperino}}: In persona! {{NDR|Paperino ride}}<br />'''Sora''': Ehi, Jack. Dove siamo?<br />'''Jack Sparrow''': Non ora. Nave in fuga!<br />'''Sora''': Eh?!<br />'''Jack Sparrow''': Aiutatemi a raggiungere la Perla prima che mi sfugga!<br />'''Sora''': Agli ordini, Capitano! *'''Joshamee Gibbs''': Jack!<br />'''Jack Sparrow''': Signor Gibbs!<br />'''Joshamee Gibbs''': Sì, Capitano.<br />'''Jack Sparrow''': Fate rapporto. E spero siate in grado di dar conto delle vostre azioni.<br />'''Joshamee Gibbs''': Signore?<br />'''Jack Sparrow''': C'è stata una progressiva e virulenta essenza di disciplina sul mio veliero. Come mai?<br />'''Joshamee Gibbs''': Signore, siete... Siete nello Scrigno di Davy Jones, Capitano.<br />'''Sora''': Lo Scrigno di Davy Jones?<br />'''Jack Sparrow''': Lo so. Lo so molto bene. Non credere che non lo sappia. Sono nello Scrigno di Davy Jones. Senza dubbio.<br />'''Hector Barbossa''': Jack Sparrow.<br />'''Sora''' {{NDR|vedendo colpito il vecchio pirata ancora vivo, e si prepara a difendersi con Paperino e Pippo}}: Barbossa!<br />'''Jack Sparrow''': Ah, Hector! Da quanto tempo, vero?<br />'''Hector Barbossa''': Sì, Isla de Muerta, mi pare? Mi hai sparato.<br />'''Jack Sparrow''': Non ero io. {{NDR|Sora, Paperino e Pippo lo guardano visibilmente stupiti e confusi}} *'''Will Turner''': Sora. Ci reincontriamo.<br />'''Elizabeth Swann''': È un piacere rivedervi.<br />'''Sora''': Oh! Will, Elizabeth! Hai... qualcosa di diverso?<br />'''Pippo''': Sì, hai un'aria così spavalda.<br />'''Elizabeth Swann''': Beh, ne ho viste di tutti i colori. Ma non avrei mai pensato di trovarvi qui.<br />'''Sora''': A proposito... Dov'è di preciso "qui"? Perché parlano tutti di uno scrigno?<br />'''Will Turner''': Lo Scrigno di Davy Jones. Jack non ha pagato un certo debito con Jones. E allora Jones ha mandato il Kraken a divorare Jack, e per questo è finito qui.<br />'''Sora''': Allora... lo scrigno di Davy Jones... Stai dicendo che siamo andati oltre...<br />'''Pippo''': Oltre la tomba?<br />'''Elizabeth Swann''': E siamo qui per strappare Jack al suo destino. *'''Sora''': Non ci capisco niente. Che sta succedendo?<br />'''Pippo''': Beh, mi sembra che questo Beckett di cui parlano voglia conquistare l'oceano.<br />'''Sora''': Oh.<br />'''Paperino''': Il mare è di tutti!<br />'''Sora''': Sì! No ai conquistatori.<br />'''Paperino''': Sì! *'''Sora''': Beh, abbiamo una destinazione, vero?<br />'''Pippo''': Non ne sono più così sicuro.<br />'''Paperino''': Jack sta solo improvvisando.<br />'''Tia Dalma''': Affidate il vostro destino a Jack Sparrow e presto incorrerete anche voi nell'ira di Davy Jones.<br />'''Sora''': Il tizio di cui ha parlato Will? Ma chi pensa di essere? E che cosa gli avrà mai fatto Jack?<br />'''Tia Dalma''': Sul serio? Non sapete chi è Davy Jones? E vi considerate lupi di mare?<br />'''Sora''': Mettiamola così... Arriviamo da un altro mare.<br />'''Tia Dalma''': Ma tu pensa. I destini di Jack e Davy Jones sono intrecciati. Jones sollevò l'adorata Perla dagli abissi e fece di Jack il suo capitano per 13 anni. In cambio, Jack promise la sua anima a Jones come pagamento. Ma passati i 13 anni, Jack non fece ritorno. Allora Jones inviò il Kraken a divorare Jack e trascinarlo negli abissi insieme alla Perla. Ma se Jones scoprirà che Jack ha barato, la sua punizione sarà ancora più severa. E anche per gli amici di Jack. {{NDR|il trio si mettono a tremare}}<br />'''Paperino''': Stai, uhm... parlando di noi?<br />'''Pippo''': Vuoi dire che il Kraken ci mangerà?<br />'''Sora''': Oh, il Kraken ha solo da provarci. Non ho paura!<br />'''Tia Dalma''': Nemmeno un po'? Sarebbe strano. La maggior parte degli uomini fuggirebbe sulla terraferma. Ma voi no. Ma Jack ha paura. Vuole liberarsi del suo debito con Davy Jones. Ecco perché ha bisogno della scatola.<br />'''Sora, Paperino e Pippo''': Scatola?!<br />'''Tia Dalma''': Uno scrigno... dove Davy Jones ha rinchiuso la parte di sé che soffre. Il dolore era insopportabile... ma non abbastanza da ucciderlo.<br />'''Sora''': E... qual era questa sua parte?<br />'''Tia Dalma''': Il suo cuore. *'''Vexen''' {{NDR|parlando di Davy Jones}}: Oh, come ci riesce? Una creatura priva di cuore che riesce comunque a esistere... Nemmeno le mie copie migliori possono tanto. Il segreto dev'essere in quella scatola. Devo sapere quali misteri contiene!<br />'''Luxord''': Ci è stato ordinato solo di recuperare la scatola. Metti a freno quella tua curiosità.<br />'''Vexen''': Sempre così miope. Perché l'Organizzazione mi avrebbe cercato subito dopo il mio ricompletamento, se non per riaffermare il mio intelletto superiore e investire nella mia ricerca? Ogni passo che compio è un passo in avanti per tutti noi.<br />'''Luxord''': Oh, davvero? E verso cosa ci staresti portando di preciso?<br />'''Vexen''': Luxord, noto un accenno di tradimento delle tue parole?<br />'''Luxord''': Cosa? Non essere assurdo. Ma che sia chiaro, io servo l'Organizzazione. Non condivido il tuo bisogno di accontentare Xemnas. È molto bravo a comandarti a bacchetta... lo è sempre stato.<br />'''Vexen''': Io desidero solo di essere libero di continuare la mia ricerca. Ansem il Saggio si rifiutò di coltivare i miei talenti. E così decisi di stare dalla parte di Xemnas... o meglio, di Xehanort. Tutto qui.<br />'''Luxord''': Capisco. E non t'interessa l'uso che fa della tua ricerca?<br />'''Vexen''': Per niente. Completare il contenitore umano perfetto è la mia unica preoccupazione.<br />'''Luxord''': È tutto molto bello a parole, ma conosco questo mondo meglio di te. Non intralciarmi, per cortesia.<br />'''Vexen''': Oh, ma certamente. {{NDR|riferito a Sora, Paperino e Pippo}} Con quegli scocciatori in giro, non riuscirei a concludere nulla.<br />'''Luxord''': So già cosa fare di quegli scocciatori. Allora potrai riprendere i tuoi studi noiosi.<br />'''Vexen''': Ah, che bravo che sei. Allora osserverò dall'oscurità. *'''Sora''': Grazie, Jack. Avresti potuto avvertirci.<br />'''Pippo''': Sì, è andato tutto sottosopra e soprasotto!<br />'''Sora''': Beh, almeno siamo tornati tra i vivi.<br />'''Paperino''': E meno male!<br />'''Jack Sparrow''': Niente paura. Tutto secondo i piani.<br />'''Hector Barbossa''': Ma non è una ragione per riposarsi.<br />'''Will Turner''': Una nave! {{NDR|indica una strana nave guidata da Luxord}}<br />'''Elizabeth Swann''': Non ne ho mai visto una simile. {{NDR|spuntano fuori gli Heartless Vapormosche}}<br />'''Sora''': Heartless! {{NDR|Tia Dalma lo vede sorridendo per il suo incoraggiamento, ma appare uno enorme, l'Avvoltoio Furioso che sta attaccando la Perla Nera}}<br />'''Joshamee Gibbs''': Attenzione!<br />'''Jack Sparrow''': Barbossa, ti sei alleato di nuovo con quei mostri?<br />'''Hector Barbossa''': Non insultare il mio onore. Perché mai dovrei allearmi con loro?<br />'''Jack Sparrow''': Ma ti alleasti con loro.<br />'''Elizabeth Swann''': Non potreste discuterne dopo? *'''Sora''': Ragazzi! State bene?<br />'''Will Turner''': Sora... Come sono felice di vederti! [...]<br />'''Elizabeth Swann''': Eravamo piuttosto preoccupati per voi.<br />'''Sora''' {{NDR|vedendo gli stessi granchi}}: Ma quelli sono...<br />'''Elizabeth Swann''': Sora?<br />'''Sora''': Dov'è Jack? E Tia Dalma?<br />'''Elizabeth Swann''': Purtroppo ti sei perso un po' di cose in tua assenza.<br />'''Will Turner''': Jack... È... È stato catturato da Cutler Beckett.<br />'''Elizabeth Swann''': Sì, e Beckett controlla Davy Jones e l'Olandese Volante.<br />'''Will Turner''': Barbossa pensava che avremmo potuto batterli se avessimo liberato Calypso, la dea del mare, che era Tia Dalma in realtà, in forma umana. {{NDR|vedono di nuovo i granchi di Calypso}} Ma non ha funzionato.<br />'''Hector Barbossa''': Già, Calypso è una dea volubile.<br />'''Pippo''': E ora?<br />'''Hector Barbossa''': Niente. Abbiamo perso anche l'ultima speranza. *'''Sora''': Non potete arrendervi ora. Possiamo combattere, insieme. Il mare appartiene a tutti!<br />'''Paperino''': L'avevo detto io. Smettila di copiare le mie espressioni!<br />'''Sora''': Oh? Davvero?<br />'''Pippo''': A volte mi entrano dall'orecchio e mi escono dall'altro.<br />'''Sora''': Aspetta... Davvero?<br />'''Paperino''': Sì! *'''Elizabeth Swann''': Non è finita. C'è ancora speranza per noi. Voi, ascoltatemi. Ascoltate! La Fratellanza ha gli occhi puntati qui, su di noi. Sull'Ammiraglia, la Perla Nera. Vedranno uomini liberi e libertà! Il nostro nemico vedrà il lampo dei nostri cannoni... e udirà il fragore delle nostre spade. E vedranno il coraggio dei nostri cuori mentre li sconfiggiamo. Signori... Su le bandiere!<br />'''Will Turner''': Su le bandiere!<br />'''Sora''': Su le bandiere! *'''Davy Jones''': Ah... l'amore. Che legame orribile. Eppure così facile da spezzare.<br />'''Sora''': Non è vero! Ho ancora molto da imparare sull'amore, ma so cosa significa condividere il mio cuore con gli altri. E non basterai a spezzare un legame simile.<br />'''Davy Jones''': Cosa può sapere un moccioso come te del cuore?<br />'''Jack Sparrow''': Il moccioso conosce il mondo più di quanto tu possa pensare.<br />'''Davy Jones''': E allora? Dimmi, William Turner, hai paura della morte?<br />'''Jack Sparrow''': E tu? [...] Dà alla testa... tenere la vita e la morte nel palmo della mano.<br />'''Davy Jones''': Sei un uomo crudele, Jack Sparrow.<br />'''Jack Sparrow''': La crudeltà è una questione di punti di vista.<br />'''Davy Jones''': Tu dici? {{NDR|comincia a infilzare Will, ma Sora, vedendo quella scena, gli salta addosso furiosamente, insieme con Paperino e Pippo}} *'''Joshamee Gibbs''': L'Olandese Volante deve avere un capitano. Appena sposati, ora lei e capitan Turner dovranno vivere in mondi diversi. Un giorno a riva. Dieci anni in mare. Un prezzo salato.<br />'''Sora''': Will...<br />'''Joshamee Gibbs''': La corazza vi attende, Vostra Altezza.<br />'''Hector Barbossa''': Signora Turner.<br />'''Paperino''': Elizabeth...<br />'''Pippo''': Riguardati.<br />'''Elizabeth Swann''': Jack... Grazie. {{NDR|sale sull'Olandese Volante con l'amato Will}}<br />'''Sora''': Un giorno non è abbastanza.<br />'''Jack Sparrow''': I cuori hanno sempre abbastanza tempo per dire la verità. Sora, tu lo sai meglio di chiunque altro. Basta un solo instante per creare un legame coi propri compari... I tuoi compari del cuore.<br />'''Sora''': C'è sempre abbastanza tempo. E io li troverò. *'''Pietro Gambadilegno''': Ne ho abbastanza di questa stupida caccia al tesoro. Ogni scatola che abbiamo trovato non era nient'altro che una fregatura!<br />'''Malefica''': Concordo. La nostra ricerca termina oggi.<br />'''Pietro Gambadilegno''': Come, cosa?<br />'''Malefica''': Non si puo' trovare l'introvabile. La scatola non esiste.<br />'''Pietro Gambadilegno''': Lo sapevo che era una presa in giro!<br />'''Malefica''': Zitto, Imbecille! Quello che intendevo è che la scatola non esiste, "ora"!<br />'''Pietro Gambadilegno''': Che cos'è, una specie di indovinello? Dove diavolo dovremmo cercarla!?<br />'''Malefica''': Luce e Oscurità sono destinate a scontrarsi. Una guerra dei Keyblade incombe su noi. Dobbiamo solo aspettare quel momento.Non importa chi vincerà, la scatola verrà rivelata.<br/ >'''Pietro Gambadilegno''': Va' bene, ma quand'è che arriverà il MIO momento!?<br />'''Malefica''': Lo avrai presto. Quando la scatola sarà in mio possesso, il nostro vero lavoro avrà inizio. *'''Ira''': Sei stato tu ad averci richiamati? {{NDR|si rivolge alla figura incapucciata davanti a lui}}<br />'''Uomo incappucciato''':Sì<br />{{NDR|Ira osserva il Keyblade Innomimata nella sua mano e la scatola nera}}<br />'''Ira''': Sei tu, Luxu? Sembri diverso... {{NDR|La figura si abbassa il cappuccio . Rivelando il volto di Xigbar}}<br />'''Luxu''': Non sentivo quel nome da molto tempo. In questi giorni mi chiamano "Xigbar". Ma hey, fate come preferite.<br />'''Invi''': Sei davvero tu?<br />'''Luxu''':Sì, ma tempo fa' ho dovuto abbandonare la mia vecchia forma. Cambiando carcasse una dopo l'altra. Ma sono sempre io, nonostante tutto<br />'''Aced''': Cosa è successo?? Perché siamo qui? Dimmelo!!<br />'''Luxu''': Avevo un compito da svolgere. E dopo tutti questi anni si è finalmente concluso.<br />'''Invi''': Quale compito?<br />{{NDR|In lontananza, Malefica e Pietro vengono visti di spalle mentre osservano Luxu e gli alti quattro veggenti. Prima di separarsi}}<br />'''Luxu''': Immagino che Ava non ce l'abbia fatta, dopotutto.{{NDR|Si guarda intorno, vedendo che Ava non è presente.}}<br />'''Gula''': Che vuoi dire?<br />'''Luxu''': Le dissi chiaramente, che cosa dovevo fare.<br />'''Gula''': Ed è per questo che decidesti di escluderla?<br />'''Luxu''': Magari. Ava aveva la sua missione, e l'ha portata a termine.<br />'''Aced''': Ne ho avuto abbastanza! Luxu, qual'era il tuo compito!?'''<br />{{NDR|Luxu sorride brevemente, prima di abbassare lo sguardo verso la scatola nera ai suoi piedi}}<br />'''Luxu''': Spero vi piacciano le storie molto lunghe. ==Altri progetti== {{interprogetto}} {{Kingdom Hearts}} [[Categoria:Videogiochi di Kingdom Hearts]] eitr7u5oijxsws6run3i66l39z45kvh 1381921 1381918 2025-07-01T14:45:41Z Udiki 86035 non sembrano imperdibili e di citazioni sembrano essercene già più che a sufficienza 1381921 wikitext text/x-wiki {{Videogioco |nomegioco = Kingdom Hearts III |nomeoriginale = キングダム ハーツIII |nometraslitterato = Kingudamu Hātsu III |immagine = |sviluppo = Square Enix |pubblicazione = Square Enix |ideazione = [[Tetsuya Nomura]] |anno = 2019 |genere = action RPG |tema = fantasy |piattaforma = PlayStation 4/Xbox One |serie = [[Kingdom Hearts (serie)|Kingdom Hearts]] |preceduto = [[Kingdom Hearts 0.2 Birth by Sleep -A fragmentary passage-]] |seguito = [[Kingdom Hearts Dark Road]] }} '''''Kingdom Hearts III''''', videogioco di ruolo del 2019. {{tagline|La battaglia definitiva è alle porte.}} ==Frasi== {{cronologico}} *Hai smarrito qualcuno? [...] È un dono così prezioso. Permettimi di aiutarti a ritrovarla. ('''Marluxia''') {{NDR|alla Madre Gothel, riferendosi a Rapunzel}} *Stranieri. Dall'esterno. Benvenuti. ('''Omini Verdi''') {{NDR|a Sora, Paperino e Pippo}} *Sono tutti giocattoli? Ecco perché abbiamo questo aspetto. ('''Sora''') *Wow! Che bei colori. C'è il blu {{NDR|Paperino}}, c'è il verde {{NDR|Pippo}}... Oooh, adoro il verde! E poi il nero {{NDR|Sora}}... Proprio come i miei bottoni. Oh? Brutta erba appuntita {{NDR|i cappelli di Sora}}. Ridammi il mio piede. ('''Olaf''') *Era... un pupazzo di neve? ('''Sora''') {{NDR|riferito a Olaf}} *Usa quella chiave per liberarmi, Sora, e ti faccio la mia promessa più solenne... tutto il potere del mare che desideri sarà tuo. ('''Tia Dalma/Calypso''') *Jack Sparrow... Ti sei perso? I prigionieri non possono stare sul ponte. Il tuo posto è in cella! ('''Davy Jones''') *Signore. Hai dimenticato? Sono un orrore senza cuore! ('''Davy Jones''') {{NDR|a Will}} *Che delusione. E così è tutto qui quello intendevano per "cuore". Eravamo a caccia della scatola sbagliata. ('''Vexen''') {{NDR|riferito al forziere di Davy Jones}} *Non impedirai che il mio giudizio si compia! ('''Davy Jones''') {{NDR|a Sora}} *Ci tira sul fondo! Fate presto, o c'è lo scrigno per noi! ('''Hector Barbossa''') *Niente di personale, Jack. Sono solo affari. ('''Cutler Beckett''') *Ciao. Io sono Baymax, il tuo operatore sanitario personale. ('''Baymax''') ==Dialoghi== {{cronologico}} *'''Yen Sid''': Per sconfiggere Xehanort, dobbiamo radunare i nostri alleati. Risvegliarli dal loro sono. Ne abbiamo già discusso, Sora. Sapevamo che l'esame per il Simbolo della maestria ti avrebbe dato il potere di risvegliarli. Tuttavia, l'oscurità si è quasi impossessata di te e la padronanza delle tue nuove abilità lascia molto a desiderare. Inoltre, Xehanort è quasi riuscito a fare di te il suo ricettacolo e al contempo ti ha privato di gran parte della forza che avevi guadagnato fino ad allora. Sospetto che tu te ne sia già accorto, vero? Ma innanzitutto devi ritrovare tutta la forza che hai perso. Forse non dovremmo aspettarci un recupero completo, ma è di vitale importanza che tu perfezioni un potere, il potere del risveglio, quello che non sei riuscito ad apprendere durante il tuo esame. C'è qualcuno che ha perso e poi ritrovato la sua forza, un vero eroe che devi andare a trovare. Forse potrà indirizzarti nella giusta direzione.<br />'''Sora''': D'accordo.<br />'''Paperino''': Maestro Yen Sid...<br />'''Pippo''': Può contare su di noi, ci prenderemo cura di Sora!<br />'''Yen Sid''': È esattamente ciò che desidero. Vi affido Sora.<br />'''Paperino''' {{NDR|a Sora}}: E non dimenticare, ti terremo d'occhio.<br />'''Pippo''': Oh, sarà così divertente!<br />'''Sora''': Non è una vacanza. Andiamo! *'''Hamm''': Sono nuovi?<br />'''Rex''': Un attimo! Ah... Ah... Hai un aspetto familiare! Lo so, lo so! Tu sei, oh, sei... oooh...<br />'''Hamm''': Yozora!<br />'''Sora''': Eh? Io mi chiamo Sora...<br />'''Buzz''' {{NDR|puntando la lampadina del suo lader sul petto di Sora}}: State indietro. Potrebbero essere alleati degli intrusi.<br />'''Rex''' {{NDR|abbracciandolo}}: Yozora!<br />'''Woody''': Calmati, Rex! Non li conosciamo.<br />'''Rex''': Ma possiamo fidarci di loro. Sono gli eroi più venduti del paese!<br />'''Hamm''': Sì, deve averli comprati la mamma di Andy.<br />'''Rex''': Hamm ha ragione. Avete visto con che facilità si sono liberati degli intrusi {{NDR|Heartless}}? Scommetto che sono qui per capire dove sono finiti i nostri amici e perché il laser di Buzz ha iniziato a laserare per davvero e tutte quelle altre cose strane! Del resto è quello che fanno gli eroi, no?<br />'''Buzz''': Non saltiamo a conclusioni affrettate. {{NDR|Woody riflette di quello che dice Rex}} Non farti fregare, Woody.<br />'''Woody''': E così siete... i nuovi giocattoli di Andy?<br />'''Sora, Paperino e Pippo''' {{NDR|confusi}}: Giocattoli?<br />'''Woody''': Avete proprio conciato per le feste quegli intrusi.<br />'''Pippo''': Quelli sono gli Heartless.<br />'''Paperino''': I cattivi!<br />'''Sora''': Combattiamo contro quegli "intrusi" da un po' di tempo.<br />'''Rex''': Lo sapevo!<br />'''Woody''': Bene. Allora non ho nessun problema con voi. Mi chiamo Woody. Qua la mano.<br />'''Sora''': Salve.<br />'''Buzz''': Ehi, un attimo.<br />'''Sora''': Mi chiamo Sora...<br />'''Rex''': Yozora!<br />'''Sora''': A dire il vero mi chiamo Sora...<br />'''Paperino''': E io sono Paperino.<br />'''Pippo''': Io sono Pippo.<br />'''Buzz''': E io sono... Buzz Lightyear.<br />'''Hamm''': Chiamatemi Hamm. È un vero onore.<br />'''Rex''': E io mi chiamo Rex! Sono un vostro grande fan. Dovete sapere che gioco al vostro gioco da mesi e sono arrivato al livello 47, ma quel boss Bahamut è troppo difficile. Io e Slinky non riusciamo a capire come batterlo. Come vorrei che Slinky e gli altri fossero qui, sarebbero così contenti di conoscervi! *'''Sora''' {{NDR|vedendo confuso e spaventato nel loro aspetto di mostri}}: Co... P-Paperino? Pippo? Perché sembrate dei mostri?<br />'''Paperino''': Lo sembri anche tu!<br />'''Pippo''': Be', mi avete spaventato.<br />'''Sora''' {{NDR|vedendo anche il suo aspetto di un mostro peloso}}: Davvero? È questo il modo di passare inosservati qui?<br />'''Paperino''': Così sembra. Finalmente te ne sei accorto.<br />'''Sora''': Potreste allontanarvi un po'? Mi fate venire i brividi.<br />'''Paperino''' {{NDR|irritato}}: Allontanati tu!<br />'''Pippo''': Dai, il nostro nuovo aspetto potrebbe essere divertente!<br />'''Sora''': Chissà che tizi strani vivono qui...<br />'''Pippo''' {{NDR|bisbigliando nell'orecchio di Paperino}}: Non pensavo che si sarebbe spaventato così tanto. {{NDR|ridono}}<br />'''Sora''' {{NDR|vede la scritta alla Monsters & Co}}: C'è scritto "Facciamo paura... ma con cura"?<br />'''Paperino''': Che strano.<br />'''Pippo''': Quella "cura" è un po' sospetta.<br />'''Sora''': Se somigliano a noi, potrebbero essere un problema. Dovremmo controllare. *'''Sora''' {{NDR|lui, Paperino e Pippo credono che quei due mostri fanno dal male la bambina}}: Oh, no!<br />'''Sulley''' {{NDR|voltandosi alle spalle, confuso}}: Chissà chi sono quei tizi.<br />'''Mike''': Cosa?! Attento, Sulley. Se vedono la B-A-M-B-I-N-A...<br />'''Sulley''': Tranquillo, non abbiamo niente da nascondere.<br />'''Mike''': Ma sei il capo! Devi dare l'esempio. {{NDR|a Sora, Paperino e Pippo}} Ragazzi! Ragazzi, non è come sembra. Ecco, vedete, quella bambina è saltata fuori dal nulla! Dobbiamo chiamare il CDA. Oh... È un... oh, sì, un codice 835!<br />'''Sora''' {{NDR|gli punta addosso il suo Keyblade}}: Stai cercando di spaventare quella bambina?<br />'''Mike''': Si! Anzi, no, no no! Non ci serve più l'energia delle urla. Basta spaventi.<br />'''Sulley''': Mike, calmati.<br />'''Pippo''': Calmati anche tu, Sora. Vedi? È contenta.<br />'''Sora''' {{NDR|si disarma felicemente, va davanti a Boo}}: Ciao. Mi chiamo Sora.<br />'''Boo''': Boo.<br />'''Sora''': Oh, è il tuo nome? Piacere di conoscerti, Boo.<br />'''Mike''': Un attimo! Voi non avete paura degli umani?<br />'''Boo''' {{NDR|puntato il dito verso a Paperino che ha di certo un occhio solo}}: Mike Wazowski.<br />'''Mike''': Dai, Boo! Sono io Mike Wazowski.<br />'''Boo''': Mike Wazowski.<br />'''Sulley''' {{NDR|ride}}: Beh, la somiglianza è evidente. Quell'occhio da orsotto-potto...<br />'''Paperino''': Che succede? Io mi chiamo Paperino!<br />'''Boo''': Mike Wazowski! {{NDR|si mette a correre giocare a Paperino, e loro si mettono a ridere divertiti}}<br />'''Pippo''': E io sono Pippo.<br />'''Sulley''': Beh, io mi chiamo Sulley. E questo è...<br />'''Sora''': Oh, lo sappiamo. Mike Wazowski, vero? *'''Sulley''': La Monsters & Co sfruttava la forza delle urla dei bambini umani per l'energia, ma ora usiamo le loro risate. Abbiamo scoperto che la risata è dieci volte più potente. E non l'avremmo mai capito senza Boo.<br />'''Sora''': Interessante.<br />'''Pippo''': Anche la nostra nave va a risate. Forse abbiamo qualcosa in comune.<br />'''Paperino''': Sora è una risata continua!<br />'''Sora''': Dai, non è vero. *'''Mike''': Fermi! Come abbiamo fatto a sbagliare strada?<br />'''Randall''': Non importa. Quello che conta è che quella è l'ultima strada che voi perdenti prenderete.<br />'''Sulley''': Randall?!<br />'''Sora''': Chi è?<br />'''Sulley''': Un farabutto che abbiamo cacciato perché raccoglieva urla con la forza. Era lo spaventatore di Boo.<br />'''Mike''': Come hai fatto a tornare? La porta che abbiamo usato è un mucchio di segatura!<br />'''Randall''': Già, e sono quasi diventato un portafoglio. Ma per fortuna, è arrivato un gentiluomo che ha riparato la porta per me {{NDR|riferito a Vanitas}}. E da oggi, sono il numero uno! In cima alla classica, baby.<br />'''Mike''' {{NDR|deridendolo}}: E tu saresti un grande raccoglitore di risate? Ma figuriamoci, Randall. Il migliore sono io!<br />'''Randall''': Chi ha parlato di accumulare risate? Sono a caccia di emozioni negative. {{NDR|riferendosi ai Nesciens}} E i miei nuovi amici hanno gentilmente invaso la fabbrica per recuperarle per me.<br />'''Sora''': Emozioni negative?<br />'''Paperino''' {{NDR|a Pippo}}: Sa tutto.<br />'''Pippo''': Sì, l'Organizzazione XIII lo sta aiutando.<br />'''Randall''': Le risate non sono sostenibili. Quando la piccola farà la sua ultima risata, sarete punto e capo. Ma l'energia negativa? In particolare la tristezza? Se riesci a spezzare il loro cuoricino, saranno tristi per sempre. E non avremo più problemi di energia. *'''Sora''' {{NDR|canticchiando}}: ''Yo oh, yo ho, una vita da pirata per me.''<br />'''Paperino''': Perché sei così felice?<br />'''Sora''': Perché siamo di nuovo dei pirati!<br />'''Pippo''': Sì, ti è sempre piaciuto questo mondo.<br />'''Sora''': Come non potrebbe? Certo è davvero un peccato non avere una nave più grande.<br />'''Paperino''': Hai idea di dove stiamo andando?<br />'''Sora''': E dove sennò? Alla fine del mondo!<br />'''Pippo''': Capitan Sora!<br />'''Sora''' {{NDR|imitando la voce rauca da capitano}}: Che cosa la cruccia, signor Pippo?<br />'''Pippo''': La fine del mondo!<br />'''Sora''': Sì!<br />'''Pippo''': Stiamo finendo il mare, signore!<br />'''Sora''': Sì! Stiamo finendo il mare. {{NDR|ride, ma poi guarda a Paperino preoccupati e confusi di quello che ha detto Pippo}}<br />'''Sora e Paperino''' {{NDR|molto spaventati}}: Finendo?! {{NDR|guardano terrorizzati dalle cascate che andranno fino allo Scrigno di Davy Jones}}<br />'''Sora''': Tutti a tribordo!<br />'''Pippo''': Ma non c'è tempo, capitano! *'''Jack Sparrow''': Saluti, Sora!<br />'''Sora''': Eh? Jack Sparrow?!<br />'''Jack Sparrow''': Capitan Jack Sparrow.<br />'''Pippo''' {{NDR|a Paperino}}: In persona! {{NDR|Paperino ride}}<br />'''Sora''': Ehi, Jack. Dove siamo?<br />'''Jack Sparrow''': Non ora. Nave in fuga!<br />'''Sora''': Eh?!<br />'''Jack Sparrow''': Aiutatemi a raggiungere la Perla prima che mi sfugga!<br />'''Sora''': Agli ordini, Capitano! *'''Joshamee Gibbs''': Jack!<br />'''Jack Sparrow''': Signor Gibbs!<br />'''Joshamee Gibbs''': Sì, Capitano.<br />'''Jack Sparrow''': Fate rapporto. E spero siate in grado di dar conto delle vostre azioni.<br />'''Joshamee Gibbs''': Signore?<br />'''Jack Sparrow''': C'è stata una progressiva e virulenta essenza di disciplina sul mio veliero. Come mai?<br />'''Joshamee Gibbs''': Signore, siete... Siete nello Scrigno di Davy Jones, Capitano.<br />'''Sora''': Lo Scrigno di Davy Jones?<br />'''Jack Sparrow''': Lo so. Lo so molto bene. Non credere che non lo sappia. Sono nello Scrigno di Davy Jones. Senza dubbio.<br />'''Hector Barbossa''': Jack Sparrow.<br />'''Sora''' {{NDR|vedendo colpito il vecchio pirata ancora vivo, e si prepara a difendersi con Paperino e Pippo}}: Barbossa!<br />'''Jack Sparrow''': Ah, Hector! Da quanto tempo, vero?<br />'''Hector Barbossa''': Sì, Isla de Muerta, mi pare? Mi hai sparato.<br />'''Jack Sparrow''': Non ero io. {{NDR|Sora, Paperino e Pippo lo guardano visibilmente stupiti e confusi}} *'''Will Turner''': Sora. Ci reincontriamo.<br />'''Elizabeth Swann''': È un piacere rivedervi.<br />'''Sora''': Oh! Will, Elizabeth! Hai... qualcosa di diverso?<br />'''Pippo''': Sì, hai un'aria così spavalda.<br />'''Elizabeth Swann''': Beh, ne ho viste di tutti i colori. Ma non avrei mai pensato di trovarvi qui.<br />'''Sora''': A proposito... Dov'è di preciso "qui"? Perché parlano tutti di uno scrigno?<br />'''Will Turner''': Lo Scrigno di Davy Jones. Jack non ha pagato un certo debito con Jones. E allora Jones ha mandato il Kraken a divorare Jack, e per questo è finito qui.<br />'''Sora''': Allora... lo scrigno di Davy Jones... Stai dicendo che siamo andati oltre...<br />'''Pippo''': Oltre la tomba?<br />'''Elizabeth Swann''': E siamo qui per strappare Jack al suo destino. *'''Sora''': Non ci capisco niente. Che sta succedendo?<br />'''Pippo''': Beh, mi sembra che questo Beckett di cui parlano voglia conquistare l'oceano.<br />'''Sora''': Oh.<br />'''Paperino''': Il mare è di tutti!<br />'''Sora''': Sì! No ai conquistatori.<br />'''Paperino''': Sì! *'''Sora''': Beh, abbiamo una destinazione, vero?<br />'''Pippo''': Non ne sono più così sicuro.<br />'''Paperino''': Jack sta solo improvvisando.<br />'''Tia Dalma''': Affidate il vostro destino a Jack Sparrow e presto incorrerete anche voi nell'ira di Davy Jones.<br />'''Sora''': Il tizio di cui ha parlato Will? Ma chi pensa di essere? E che cosa gli avrà mai fatto Jack?<br />'''Tia Dalma''': Sul serio? Non sapete chi è Davy Jones? E vi considerate lupi di mare?<br />'''Sora''': Mettiamola così... Arriviamo da un altro mare.<br />'''Tia Dalma''': Ma tu pensa. I destini di Jack e Davy Jones sono intrecciati. Jones sollevò l'adorata Perla dagli abissi e fece di Jack il suo capitano per 13 anni. In cambio, Jack promise la sua anima a Jones come pagamento. Ma passati i 13 anni, Jack non fece ritorno. Allora Jones inviò il Kraken a divorare Jack e trascinarlo negli abissi insieme alla Perla. Ma se Jones scoprirà che Jack ha barato, la sua punizione sarà ancora più severa. E anche per gli amici di Jack. {{NDR|il trio si mettono a tremare}}<br />'''Paperino''': Stai, uhm... parlando di noi?<br />'''Pippo''': Vuoi dire che il Kraken ci mangerà?<br />'''Sora''': Oh, il Kraken ha solo da provarci. Non ho paura!<br />'''Tia Dalma''': Nemmeno un po'? Sarebbe strano. La maggior parte degli uomini fuggirebbe sulla terraferma. Ma voi no. Ma Jack ha paura. Vuole liberarsi del suo debito con Davy Jones. Ecco perché ha bisogno della scatola.<br />'''Sora, Paperino e Pippo''': Scatola?!<br />'''Tia Dalma''': Uno scrigno... dove Davy Jones ha rinchiuso la parte di sé che soffre. Il dolore era insopportabile... ma non abbastanza da ucciderlo.<br />'''Sora''': E... qual era questa sua parte?<br />'''Tia Dalma''': Il suo cuore. *'''Vexen''' {{NDR|parlando di Davy Jones}}: Oh, come ci riesce? Una creatura priva di cuore che riesce comunque a esistere... Nemmeno le mie copie migliori possono tanto. Il segreto dev'essere in quella scatola. Devo sapere quali misteri contiene!<br />'''Luxord''': Ci è stato ordinato solo di recuperare la scatola. Metti a freno quella tua curiosità.<br />'''Vexen''': Sempre così miope. Perché l'Organizzazione mi avrebbe cercato subito dopo il mio ricompletamento, se non per riaffermare il mio intelletto superiore e investire nella mia ricerca? Ogni passo che compio è un passo in avanti per tutti noi.<br />'''Luxord''': Oh, davvero? E verso cosa ci staresti portando di preciso?<br />'''Vexen''': Luxord, noto un accenno di tradimento delle tue parole?<br />'''Luxord''': Cosa? Non essere assurdo. Ma che sia chiaro, io servo l'Organizzazione. Non condivido il tuo bisogno di accontentare Xemnas. È molto bravo a comandarti a bacchetta... lo è sempre stato.<br />'''Vexen''': Io desidero solo di essere libero di continuare la mia ricerca. Ansem il Saggio si rifiutò di coltivare i miei talenti. E così decisi di stare dalla parte di Xemnas... o meglio, di Xehanort. Tutto qui.<br />'''Luxord''': Capisco. E non t'interessa l'uso che fa della tua ricerca?<br />'''Vexen''': Per niente. Completare il contenitore umano perfetto è la mia unica preoccupazione.<br />'''Luxord''': È tutto molto bello a parole, ma conosco questo mondo meglio di te. Non intralciarmi, per cortesia.<br />'''Vexen''': Oh, ma certamente. {{NDR|riferito a Sora, Paperino e Pippo}} Con quegli scocciatori in giro, non riuscirei a concludere nulla.<br />'''Luxord''': So già cosa fare di quegli scocciatori. Allora potrai riprendere i tuoi studi noiosi.<br />'''Vexen''': Ah, che bravo che sei. Allora osserverò dall'oscurità. *'''Sora''': Grazie, Jack. Avresti potuto avvertirci.<br />'''Pippo''': Sì, è andato tutto sottosopra e soprasotto!<br />'''Sora''': Beh, almeno siamo tornati tra i vivi.<br />'''Paperino''': E meno male!<br />'''Jack Sparrow''': Niente paura. Tutto secondo i piani.<br />'''Hector Barbossa''': Ma non è una ragione per riposarsi.<br />'''Will Turner''': Una nave! {{NDR|indica una strana nave guidata da Luxord}}<br />'''Elizabeth Swann''': Non ne ho mai visto una simile. {{NDR|spuntano fuori gli Heartless Vapormosche}}<br />'''Sora''': Heartless! {{NDR|Tia Dalma lo vede sorridendo per il suo incoraggiamento, ma appare uno enorme, l'Avvoltoio Furioso che sta attaccando la Perla Nera}}<br />'''Joshamee Gibbs''': Attenzione!<br />'''Jack Sparrow''': Barbossa, ti sei alleato di nuovo con quei mostri?<br />'''Hector Barbossa''': Non insultare il mio onore. Perché mai dovrei allearmi con loro?<br />'''Jack Sparrow''': Ma ti alleasti con loro.<br />'''Elizabeth Swann''': Non potreste discuterne dopo? *'''Sora''': Ragazzi! State bene?<br />'''Will Turner''': Sora... Come sono felice di vederti! [...]<br />'''Elizabeth Swann''': Eravamo piuttosto preoccupati per voi.<br />'''Sora''' {{NDR|vedendo gli stessi granchi}}: Ma quelli sono...<br />'''Elizabeth Swann''': Sora?<br />'''Sora''': Dov'è Jack? E Tia Dalma?<br />'''Elizabeth Swann''': Purtroppo ti sei perso un po' di cose in tua assenza.<br />'''Will Turner''': Jack... È... È stato catturato da Cutler Beckett.<br />'''Elizabeth Swann''': Sì, e Beckett controlla Davy Jones e l'Olandese Volante.<br />'''Will Turner''': Barbossa pensava che avremmo potuto batterli se avessimo liberato Calypso, la dea del mare, che era Tia Dalma in realtà, in forma umana. {{NDR|vedono di nuovo i granchi di Calypso}} Ma non ha funzionato.<br />'''Hector Barbossa''': Già, Calypso è una dea volubile.<br />'''Pippo''': E ora?<br />'''Hector Barbossa''': Niente. Abbiamo perso anche l'ultima speranza. *'''Sora''': Non potete arrendervi ora. Possiamo combattere, insieme. Il mare appartiene a tutti!<br />'''Paperino''': L'avevo detto io. Smettila di copiare le mie espressioni!<br />'''Sora''': Oh? Davvero?<br />'''Pippo''': A volte mi entrano dall'orecchio e mi escono dall'altro.<br />'''Sora''': Aspetta... Davvero?<br />'''Paperino''': Sì! *'''Elizabeth Swann''': Non è finita. C'è ancora speranza per noi. Voi, ascoltatemi. Ascoltate! La Fratellanza ha gli occhi puntati qui, su di noi. Sull'Ammiraglia, la Perla Nera. Vedranno uomini liberi e libertà! Il nostro nemico vedrà il lampo dei nostri cannoni... e udirà il fragore delle nostre spade. E vedranno il coraggio dei nostri cuori mentre li sconfiggiamo. Signori... Su le bandiere!<br />'''Will Turner''': Su le bandiere!<br />'''Sora''': Su le bandiere! *'''Davy Jones''': Ah... l'amore. Che legame orribile. Eppure così facile da spezzare.<br />'''Sora''': Non è vero! Ho ancora molto da imparare sull'amore, ma so cosa significa condividere il mio cuore con gli altri. E non basterai a spezzare un legame simile.<br />'''Davy Jones''': Cosa può sapere un moccioso come te del cuore?<br />'''Jack Sparrow''': Il moccioso conosce il mondo più di quanto tu possa pensare.<br />'''Davy Jones''': E allora? Dimmi, William Turner, hai paura della morte?<br />'''Jack Sparrow''': E tu? [...] Dà alla testa... tenere la vita e la morte nel palmo della mano.<br />'''Davy Jones''': Sei un uomo crudele, Jack Sparrow.<br />'''Jack Sparrow''': La crudeltà è una questione di punti di vista.<br />'''Davy Jones''': Tu dici? {{NDR|comincia a infilzare Will, ma Sora, vedendo quella scena, gli salta addosso furiosamente, insieme con Paperino e Pippo}} *'''Joshamee Gibbs''': L'Olandese Volante deve avere un capitano. Appena sposati, ora lei e capitan Turner dovranno vivere in mondi diversi. Un giorno a riva. Dieci anni in mare. Un prezzo salato.<br />'''Sora''': Will...<br />'''Joshamee Gibbs''': La corazza vi attende, Vostra Altezza.<br />'''Hector Barbossa''': Signora Turner.<br />'''Paperino''': Elizabeth...<br />'''Pippo''': Riguardati.<br />'''Elizabeth Swann''': Jack... Grazie. {{NDR|sale sull'Olandese Volante con l'amato Will}}<br />'''Sora''': Un giorno non è abbastanza.<br />'''Jack Sparrow''': I cuori hanno sempre abbastanza tempo per dire la verità. Sora, tu lo sai meglio di chiunque altro. Basta un solo instante per creare un legame coi propri compari... I tuoi compari del cuore.<br />'''Sora''': C'è sempre abbastanza tempo. E io li troverò. ==Altri progetti== {{interprogetto}} {{Kingdom Hearts}} [[Categoria:Videogiochi di Kingdom Hearts]] 5u10pgymlo7l5zwugr9ytm3iryl9r29 It - Capitolo due 0 160958 1381932 1377102 2025-07-01T17:06:49Z ~2025-45664 102622 1381932 wikitext text/x-wiki {{Film |titolo italiano = It - Capitolo due |genere = horror |regista = [[Andrés Muschietti]] |soggetto = [[Stephen King]] ''(romanzo)'' |sceneggiatore = [[Gary Dauberman]] |attori = *[[Bill Skarsgård]]: [[It (personaggio)|Pennywise/It]] *[[James McAvoy]]: William "Bill" Denbrough *[[Jaeden Martell]]: William "Bill" Denbrough giovane *[[Jessica Chastain]]: Beverly "Bev" Marsh *[[Sophia Lillis]]: Beverly "Bev" Marsh giovane *[[Jay Ryan (attore)|Jay Ryan]]: Benjamin "Ben" Hanscom *[[Jeremy Ray Taylor]]: Benjamin "Ben" Hanscom giovane *[[Bill Hader]]: Richard "Richie" Tozier *[[Finn Wolfhard]]: Richard "Richie" Tozier giovane *[[Isaiah Mustafa]]: Michael "Mike" Hanlon *[[Chosen Jacobs]]: Michael "Mike" Hanlon giovane *[[James Ransone]]: Edward "Eddie" Kaspbrak *[[Jack Dylan Grazer]]: Edward "Eddie" Kaspbrak giovane *[[Andy Bean]]: Stanley "Stan" Uris *[[Wyatt Oleff]]: Stanley "Stan" Uris giovane *[[Jackson Robert Scott]]: George "Georgie" Denbrough *[[Joan Gregson]]: sig.ra Kersh *[[Javier Botet]]: lebbroso *[[Teach Grant]]: Henry Bowers *[[Nicholas Hamilton]]: Henry Bowers giovane *[[Jess Weixler]]: Audra Phillips *[[Will Beinbrink]]: Tom Rogan *[[Xavier Dolan]]: Adrian Mellon *[[Taylor Frey]]: Don Hagarty *[[Jake Weary]]: John "Webby" Garton *[[Stephen Bogaert]]: Alvin Marsh *[[Molly Atkinson]]: Myra / Sonia Kaspbrak *[[Ryan Kiera Armstrong]]: Victoria Fuller *[[Luke Roessler]]: Dean *[[Joe Bostick]]: sig. Keene *[[Juno Rinaldi]]: Gretta *[[Stephen King]]: negoziante |doppiatori italiani = *[[Emiliano Coltorti]]: Pennywise/It *[[Stefano Crescentini]]: William "Bill" Denbrough *[[Tommaso Di Giacomo]]: William "Bill" Denbrough giovane *[[Chiara Gioncardi]]: Beverly "Bev" Marsh *[[Ginevra Pucci]]: Beverly "Bev" Marsh giovane *[[Gianfranco Miranda]]: Benjamin "Ben" Hanscom *[[Alessandro Carloni (doppiatore)|Alessandro Carloni]]: Benjamin "Ben" Hanscom giovane *[[Edoardo Stoppacciaro]]: Richard "Richie" Tozier *[[Giulio Bartolomei]]: Richard "Richie" Tozier giovane *[[Nanni Baldini]]: Michael "Mike" Hanlon *[[Riccardo Suarez]]: Michael "Mike" Hanlon giovane *[[Stefano Brusa]]: Edward "Eddie" Kaspbrak *[[Gabriele Meoni]]: Edward "Eddie" Kaspbrak giovane *[[Paolo De Santis]]: Stanley "Stan" Uris *[[Luca Tesei]]: Stanley "Stan" Uris giovane *[[Alessio Aimone]]: George "Georgie" Denbrough *[[Graziella Polesinanti]]: sig.ra Kersh *[[Giovanni Petrucci (attore)|Giovanni Petrucci]]: lebbroso *[[Christian Iansante]]: Henry Bowers *[[Federico Campaiola]]: Henry Bowers giovane *[[Gemma Donati (doppiatrice)|Gemma Donati]]: Audra Phillips *[[Massimo Bitossi]]: Tom Rogan *[[Davide Albano]]: Adrian Mellon *[[Gabriele Vender]]: Don Hagarty *[[Davide Perino]]: John "Webby" Garton *[[Massimo Lodolo]]: Alvin Marsh *[[Antonella Alessandro]]: Myra / Sonia Kaspbrak *[[Leonardo Cococcia]]: Dean *[[Ambrogio Colombo]]: sig. Keene *[[Lucrezia Roma]]: Gretta *[[Pietro Biondi]]: negoziante }} '''''It - Capitolo due''''', film statunitense del 2019, regia di [[Andrés Muschietti]]. ==Frasi== {{cronologico}} *A volte quello che vorremmo fosse dimenticato, che abbiamo cercato di lasciare nel passato, non vuole restarci. A volte... torna a cercarti. ('''Mike Hanlon''') *La riunione del Club dei Perdenti è ufficialmente aperta. ('''Richie Tozier''') *Succede qualcosa quando si lascia la città. Più si ci allontana più tutto si sfoca. Ma io sono rimasto qui... Quindi sì, mi ricordo. Ricordo tutto di It. ('''Mike Hanlon''') *C'è un eco, qui a Derry, che rimbalza ogni ventisette anni... ('''Mike Hanlon''') *Vieni solo un po' più vicino, e al tre ti soffio via quella brutta macchia! ('''Pennywise/It''') *Sei ancora la sua bambina, Beverly? Lo sei?! ('''Mrs. Kersh/It''') *{{NDR|[[Ultime parole dai film|Ultime parole]] rivolto a Mike}} Saresti dovuto bruciare, Mike! Come quei drogati dei tuoi genitori! Li vedi grosso, allora?! Cotti a puntino?! Come dei cazzo di polli arrosto... {{NDR|Richie lo uccide con un ascia dietro la testa}} ('''Henry Bowers''') *{{NDR|Riferito a Pennywise/It}} La sua vera forma, eh? Speriamo che sia un volpino. ('''Richie Tozier''') *Tu hai mentito e io sono morto. Tu hai mentito e io sono morto! Tu hai mentito e io sono morto ('''Georgie Denbrough/It''') *Oh hai avuto successo! E hai fatto tanti addominali, ma nel profondo sei rimasto un piccolo grasso grasso grasso perdente. Che ha sempre saputo che sarebbe morto... da solo! ('''Pennywise/It''') *{{NDR|Rivolto a Pennywise/It}} Ehi, faccia da cazzo! Giochiamo a Obbligo o Verità? Ecco una verità: sei una schifosa puttana! Sì, esatto: balliamo! Yippee Ki-yay, pe- ('''Richie Tozier''') *Beep, beep, figlio di puttana! ('''Eddie Kaspbrak''') *Venite a giocare, Perdenti! ('''It''') * Riesco a percepire l'odore della vostra paura! ('''It''') ==Dialoghi== {{cronologico}} *'''Bev''': Aiuto!!<br>'''Bob Gray/It''': Oh, corri, Bev. Corri, corri! Non hai ancora cambiato niente, Beverly. Non hai ancora cambiato il loro futuro. {{NDR|truccandosi da Pennywise}} Tu... tu non hai ancora salvato nessuno di loro. Chiudi gli occhi, Bev.<br>'''Bev''': Vaffanculo!<br>'''Bob Gray/It''': Se veramente non ci credi... chiudi e poi vedi. *'''Pennywise/It''': Ti sono mancato, Richie?<br>'''Richie''': Cazzo!<br>'''Pennywise/It''': Perché tu mi sei mancato, sai? Non c'è più nessuno che vuole giocare con il clown, ormai. Dai gioca con me, ti piacerà. Che ne dici di ''Street Fighter''? Oh, sì: quello ti piace, eh? O preferisci "Obbligo o Verità"?<br>'''Richie''': Gesù! <br>'''Pennywise/It''': Oh, di sicuro non vorresti che qualcuno scegliesse verità, giusto Richie? Non vorresti che qualcuno scoprisse quello che stai nascondendo. {{NDR|[[Canzoni dai film|cantando]]}} ''So il tuo segreto! Il tuo piccolo sporco segreto! Oh, so il tuo segreto! Il tuo piccolo, sporco, segreto!'' Lo diciamo, Richie?<br>'''Richie''': Non succede veramente, non è reale! Non è reale, non sta succedendo, non è reale! <br>'''Pennywise/It''': Torna a giocare con me!! Torna a giocare con me, con il clown!!! *'''Bill''' {{NDR|notando un suo libro sulla cassa}}: Vuole che glielo autografi?<br>'''Negoziante''': Nah. Non mi è piaciuto il finale. *'''Giovane Bill''' {{NDR|avvicinandosi al tombino}}: Lo so che sei qua sotto, e so-so che... puoi sentirmi. C'è una cosa che devo sapere! T-tra tutti i bambini che avresti potuto prendere, perché G-G-G-Georgie? Dì qualcosa!!! Perché lui?! Perché lui perché lui perché lui?!?!<br>'''Pennywise/It''': Perché? Perché tu non eri lì con lui, Billy. *'''Pennywise/It''': Baciami, ciccione! Oh, nessuno vuole baciare il ciccione grassone, poverino!<br>'''Giovane Ben''': Vattene via!<BR>'''Pennywise/It''': Vuoi restare solo? Oh, tu sei sempre stato solo! <br>'''Giovane Ben''': Non è vero! Ho i miei amici! Bill, Eddie, Mike, Stanley, Richie, Beverly, sono i miei amici!!<br>'''Pennywise/It''': Oh, baciami come se fosse l'ultima volta! *'''Eddie''': Qualcuno vuole dire qualcosa?<br>'''Bill''': Richie l'ha detto in... m-m-modo migliore l'altra volta.<br>'''Richie''': Davvero? "Non voglio morire"?<br>'''Bill''': Non quello.<br>'''Richie''': "Dovevamo misurarci i piselli"?<br>'''Bill''': No. <br>'''Richie''': "Uccidiamo quel clown di merda"? {{NDR|Bill annuisce}} Uccidiamo quel clown di merda. *'''Mike''': Nel profondo lui ha strisciato e la fede lì ha cercato. Nel profondo lui ha strisciato e la fede lì ha cercato. <br /> '''Ben''': Ma sta bene? <br />'''Richie''': Mi sa che avremo dovuto chiedercelo prima... *'''Richie''': È stato un momento, va bene. Ma chi ha ucciso un clown psicopatico a tredici anni?<br>'''Eddie''': Io. <br>'''Richie''': Chi ha colpito Bowers togliendosi un coltello dalla faccia?<br>'''Eddie''': Sempre io.<br>'''Richie''': Chi ha sposato una donna dieci volte più pesante di lui?<br>'''Eddie''': Io! *'''Eddie''': Ehi, ragazzi: è andata? È andata? Ce l'abbiamo fatta? Abbiamo messo gli oggetti in quella cosa. Ha funzionato, no? È finita, allora?<br>'''Pennywise/It''': Boo!<br>'''Bev''': Cazzo!<br>'''Pennywise/It''': Oh, ha funzionato, Mikey? Ha funzionato? Dii a loro perché il tuo stupido piccolo rituale non ha funzionato. Dii a loro che è soltanto... come si dice, Eddie? Un "gazebo"?<br>'''Eddie''': Mike, ma di che diavolo parla?<br>'''Bill''': Mikey?<br>'''Pennywise/It''': Oh, Mikey, non hai fatto vedere a loro la quarta incisione, vero? Non volevi che sapessero cos'è successo davvero ai poveri Shokopewah? Gnam, gnam, gnam.<br>'''Bill''': Cazzo, Mikey, ci hai mentito ancora!? <br>'''Mike''': No, è che... loro... loro non pensavano davvero di poter uccidere It per questo non ha funzionato!<br>'''Richie''': Ci prendi per il culo, Mike!<br>'''Mike''': lo abbiamo ferito.<br>'''Richie''': Cazzo, vaffanculo, Mike!<br>'''Mike''': Avevamo bisogno... di qualcosa per recuperare la memoria! Di qualcosa per poter credere!<br>'''Richie''' {{NDR|It, si trasforma in ragno}}: Cazzo!<br>'''Bev''': I Pozzi Neri! Non guardate!<br>'''It''': Eh, eh, eh, eh. Per ventisette anni... vi ho sognato. Vi ho bramato. Oh, mi siete mancati. Eh, eh, eh, eh, eh, eh!<br>'''Ben''': Mike! Spostati! Vieni via da lì!<br>'''It''': ...aspettando questo, preciso, momento!<br>'''Bill''': Mike! Dobbiamo andare, presto! <br>'''Mike''': Mi dispiace ragazzi, mi dispiace mi dispiace.<br>'''It''': È tempo di galleggiare! '''Mike''': Mi dispiace. *'''Eddie''': L'ho quasi ucciso... It-Lebbroso... quando gli ho stretto la gola... Sentivo che stava soffocando... L'ho reso piccolo... Sembrava debole... Sembrava... Sembrava più debole.<br>'''Mike''': Lo Shokopewah! Gli esseri viventi devono rispettare la [[Regole dai film|legge]] della forma che abitano!<br>'''Bev''': [...] Il tunnel! Dovrà rendersi più piccolo se vuole passare per l'entrata della caverna, giusto? Quindi, se riusciamo a tornare lì, possiamo farlo rimpicciolire. Renderlo piccolo, abbastanza per ucciderlo! *'''Eddie''': Ehi, Richie? Devo dirti una cosa.<br>'''Richie''': Che devi dirmi?<br>'''Eddie''': Mi sono fatto tua madre. *'''It''': Beccati!<br>'''Bill''': No! Cazzo!<br>'''It''': Siete dei brutti, bambini, cattivi!<br>'''Ben''': Un piano B ce lo abbiamo? Che facciamo?<br>'''It''': Morite! Ecco che fate!<br>'''Ben''': Mike?<br>'''Mike''': Ci sono più modi per rendere qualcuno piccolo.<br>'''It''': Oh?<br>'''Bev''': Fargli pensare che lo è.<br>'''Bill''': Cosa?<br>'''Mike''': Fargli pensare che lo è!<br>'''It''': Oh, io sarei "piccolo"?!? Oh, oh, oh, oh! Io sono la Mangiatrice di Mondi.<br>'''Mike''': Per noi non lo sei! Sei solo un clown. <br>'''Bev''': Sei un fragile vecchietta!<br>'''It''': La Mangiatrice di Mondi!!!<br>'''Bev''': Uno stupido bambino!<br>'''Bill''': Ciarlatano!!<br>'''Ben''': Sai, sei un buffone! Sei solo un buffone!<br>'''Bev''': Sei un bullo di merda!!<br>'''Mike''': Sei solo un clown di merda!<br>'''It''': La Mangiatrice di Mondi!<br>'''Richie''': Uno stupido clown di merda!!!<br>'''Bill''': Clown!!!<br>'''Ben''': Stupido bullo!<br>'''Bill''': Vaffanculo, Pennywise!!!<br>'''Ben''': Un patetico clown!<br>'''Bev''': Sei un clown!! {{NDR|It inizia a indebolirsi}}<br>'''Bill e Ben''': Clown! Sei un clown!!<br>'''Mike''': Uno stupido bullo!<br>'''Bill''': Un Picasso!<br>'''Ben''': Un clown!<br>'''Bill''': Non ho più paura di te!<br>'''Ben''': Maledetta fottuta stupida mummia!!!<br>'''Mike''': Sei un clown!<br>'''Tutti''': Clown di merda!!!<br>'''Bill''': Clown!! Clown!!! Clown di merda!!<br>'''Tutti''': Clown!! Clown!!<br>'''Bev''': Sei un clown!<br>'''Bill''': Clown di merda!<br>'''Bev''': Sei un clown!<br>'''Mike''': Una stupida mummia!<br>'''Ben''': Un potente clown figlio di puttana!<br>'''It''' {{NDR|inizia a rimpicciolirsi debolmente}}: Io sono la Mangiatrice di Mondi!<br>'''Ben''': Clown! Clown!!<br>'''Mike''': Sei solo un clown!<br>'''Bill''': Clown!!<br>'''It''': La Mangiatrice di Mondi.<br>'''Bill e Ben''': Un clown!!<br>'''Tutti''': Clown!! Clown!! Clown!!<br>'''Mike''': Nessuno ha paura di te!<br>'''Richie''': Stupido bullo!! Non fai paura!<br>'''Bill''': Ciarlatano!!<br>'''Bill e Ben''': Clown!!<br>'''Bev''': Clown!<br>'''Tutti''': Clown!! Clown!!! Clown!!! Clown!!!<br>'''Ben''': Un clown!<br>'''Bev''': Clown...<br>'''Mike''': Un clown... con un cuore che batte spaventato. {{NDR|gli strappa il cuore dal suo piccolo ed esile corpo, e lui e gli altri e lo tengono tra le mani}}<br>'''It''' {{NDR|[[Ultime parole dai film|ultime parole]]}}: Guardatevi: siete grandi. Ne è passato di tempo. ==[[Explicit]]== {{explicit film}} {{NDR|In una [[Lettere dai film|lettera]]}} Cari perdenti so cosa vi sembrerà , ma questo non è il biglietto di un suicida. Probabilmente vi chiederete perché ho fatto quello che ho fatto. Perché sapevo di avere troppa paura di tornare. E se non fossimo stati insieme, se tutti noi vivi non fossimo stati uniti, sapevo che saremmo morti. Perciò ho fatto l'unica cosa logica. Mi sono tolto dall'elenco. Ha funzionato? Beh, se state leggendo, conoscete la risposta. Io ho vissuto sempre nella paura: paura di quello che sarebbe venuto dopo, paura di quello che mi lasciavo alle spalle. Voi non fatelo. Siate chi volete essere. Con orgoglio. E se trovate qualcuno che vale la pena di tenersi stretto, non lasciatelo mai e poi mai andare. Seguite il vostro sentiero. Dovunque vi porti. Pensate a questa lettera come a una promessa. Una promessa che vi chiedo di fare. A me. L'uno all'altro. Un giuramento. Vedete, la cosa bella di essere un perdente è che non hai niente da perdere. Perciò... siate sinceri. Siate coraggiosi. Siate forti. Credete... E non dimenticate mai. Noi siamo i perdenti e lo saremo sempre. ('''Stan Uris''') ==Altri progetti== {{interprogetto}} {{It (romanzo)}} [[Categoria:Film horror]] ahahf873swz79lixttpqd5pbxxrwm6f Patrick McGrath 0 161147 1381974 1192082 2025-07-01T23:31:48Z Danyele 19198 /* Filmografia */ fix wl 1381974 wikitext text/x-wiki [[File:Patrick McGrath at the Brooklyn Book Festival.jpg|thumb|Patrick McGrath nel 2008]] '''Patrick McGrath''' (1950 – vivente), scrittore inglese. ==[[Incipit]] di alcune opere== ===''Follia''=== Le storie d'amore catastrofiche contraddistinte da ossessione sessuale sono un mio interesse professionale ormai da molti anni.<ref name=incipit>Citato in Giacomo Papi, Federica Presutto, Riccardo Renzi, Antonio Stella, ''Incipit'', Skira, 2018. ISBN 9788857238937</ref> ===''L'odore''=== Nella mia casa c'era una stanza che per motivi personali ho sempre tenuto chiusa.<ref name=incipit/> ==Note== <references /> ==Filmografia== *''[[Spider (film)|Spider]]'' (2002) - sceneggiatura ==Altri progetti== {{interprogetto}} {{Stub}} {{DEFAULTSORT:McGrath, Patrick}} [[Categoria:Scrittori britannici]] qr1ewb8l7xqjr47vc0nag769lk4z07p Wikiquote:Pagine da cancellare/Archivio2020-2022 4 165269 1381937 1381808 2025-07-01T19:28:34Z Superchilum 630 /* Paolo Salvati */ 1381937 wikitext text/x-wiki {{Archivio}} == <S>[[Movimento per la decrescita felice]]</S> == Pagina cancellata su Wikipedia.--[[Utente:AssassinsCreed|AssassinsCreed]] ([[Discussioni utente:AssassinsCreed|scrivimi]]) 19:46, 6 gen 2020 (CET) :In wikipedia abbiamo [[w:Decrescita|Decrescita]]. Si potrebbe cancellare la pagina, creare [[Decrescita]] ed inserirvi la citazione. --[[Utente:Sun-crops|Sun-crops]] ([[Discussioni utente:Sun-crops|scrivimi]]) 16:03, 7 gen 2020 (CET) ::In effetti la voce su Wikipedia parla anche di quello, credo che possa andare.-- [[Utente:Spinoziano|Spinoziano]] ([[Discussioni utente:Spinoziano|msg]]) 17:06, 7 gen 2020 (CET) :::Concordo con "Decrescita".--[[Utente:DonatoD|DonatoD]] ([[Discussioni utente:DonatoD|scrivimi]]) 20:01, 7 gen 2020 (CET) ::::Ho sistemato. Ho lasciato il redirect, che ora c'è anche su Wikipedia.-- [[Utente:Spinoziano|Spinoziano]] ([[Discussioni utente:Spinoziano|msg]]) 17:12, 10 gen 2020 (CET) == [[Nazione napolitana]] == Voce che non ha un corrispettivo su wikipedia. Fatico a capire quale sia l'argomento della voce...--[[Utente:AssassinsCreed|AssassinsCreed]] ([[Discussioni utente:AssassinsCreed|scrivimi]]) 20:53, 6 gen 2020 (CET) :Questa è la sola "nazione napolitana" rintracciabile: [http://www.napolitania.net/na_nazio.html Napolitania], si tratta se ho ben compreso, di un movimento d'opinione filoborbonico ([[w:Neoborbonismo|Neoborbonismo]]) e/o di revisione della Storia del Regno di Napoli nell'epoca borbonica. Le citazioni in esame sono da riferirsi al [[Regno di Napoli]] e non al neoborbonismo, quindi la voce è da cancellare e le citazioni devono confluire nella voce Regno di Napoli. --[[Utente:Sun-crops|Sun-crops]] ([[Discussioni utente:Sun-crops|scrivimi]]) 15:54, 7 gen 2020 (CET) ::Effettivamente non sembra facile venirne a capo. Occorrerebbe uno storico... Il neoborbonismo dovrebbe però essere successivo all'epoca dei citanti. Cuoco ha scritto,mi pare, anche qualcosa sulla [[w:Repubblica Napoletana (1799)|Repubblica Napolitana]] ma non si capisce se la citazione presente nella voce in oggetto si riferisca a quest'ultima: ritengo di no. Ho infine trovato: [https://books.google.it/books?id=gK84vJkM1BAC&printsec=frontcover&hl=it#v=onepage&q&f=false questo].<br>--[[Utente:DonatoD|DonatoD]] ([[Discussioni utente:DonatoD|scrivimi]]) 20:47, 7 gen 2020 (CET) :::[[Utente:DonatoD|DonatoD]], e quindi? A tuo avviso la voce è da cancellare oppure no? -- [[Utente:Spinoziano|Spinoziano]] ([[Discussioni utente:Spinoziano|msg]]) 09:54, 27 giu 2020 (CEST) ::::Beh, non essendoci stato un intervento chiarificatore, cancellerei.--[[Utente:DonatoD|DonatoD]] ([[Discussioni utente:DonatoD|scrivimi]]) 21:43, 30 giu 2020 (CEST) :::::[[Utente:Sun-crops|Sun-crops]], possiamo procedere alla cancellazione, ma dicevi di spostare nel contempo le citazioni, allora fai tu, dato che sei esperto nell'argomento? Grazie,-- [[Utente:Spinoziano|Spinoziano]] ([[Discussioni utente:Spinoziano|msg]]) 09:11, 4 lug 2020 (CEST) ::::::[[Utente:Spinoziano|Spinoziano]] Ciao. Ho provveduto alla cancellazione e allo spostamento delle citazioni in [[Napoli]] come concordato. Buon fine settimana. Ciao. --[[Utente:Sun-crops|Sun-crops]] ([[Discussioni utente:Sun-crops|scrivimi]]) 12:15, 4 lug 2020 (CEST) == [[Storia dell'istruzione in Italia]] == Questa pagina non mi sembra in linea con i nostri standard, del resto alcune citazioni sono sull'[[Istruzione in Italia]], altre sulla [[Riforma Moratti]] e altre sulla [[Riforma Gelmini]], direi quindi di spostarle in tali pagine.--[[Utente:AssassinsCreed|AssassinsCreed]] ([[Discussioni utente:AssassinsCreed|scrivimi]]) 13:11, 11 gen 2020 (CET) : D'accordo. --[[Utente:Sun-crops|Sun-crops]] ([[Discussioni utente:Sun-crops|scrivimi]]) 16:07, 3 feb 2020 (CET) ::Totalmente d'accordo. --'''[[Utente:Superchilum|<span style="color:#209090;">Superchilum</span>]]'''<sup>([[Discussioni_utente:Superchilum|scrivimi]])</sup> 10:04, 25 feb 2020 (CET) :::{{fatto}} Create le varie voci e spostata a [[istruzione in Italia]].--[[Utente:AssassinsCreed|AssassinsCreed]] ([[Discussioni utente:AssassinsCreed|scrivimi]]) 06:15, 28 feb 2020 (CET) == [[Pseudomatematica]] == Contiene solo citazioni non pertinenti, non è ben chiaro il criterio di selezione.--[[Utente:AssassinsCreed|AssassinsCreed]] ([[Discussioni utente:AssassinsCreed|scrivimi]]) 07:04, 15 gen 2020 (CET) :{{cancellare}}--[[Utente:DonatoD|DonatoD]] ([[Discussioni utente:DonatoD|scrivimi]]) 20:52, 15 gen 2020 (CET) ::{{cancellare}} --[[Utente:Sun-crops|Sun-crops]] ([[Discussioni utente:Sun-crops|scrivimi]]) 21:31, 15 gen 2020 (CET) :::{{fatto}} -- [[Utente:Spinoziano|Spinoziano]] ([[Discussioni utente:Spinoziano|msg]]) 17:13, 16 gen 2020 (CET) == [[Sicilia libera]] == Voce eliminata su Wikipedia.--[[Utente:AssassinsCreed|AssassinsCreed]] ([[Discussioni utente:AssassinsCreed|scrivimi]]) 02:43, 18 gen 2020 (CET) :Da eliminare anche qui. Resta da valutare se le citazioni possono essere reinserite in altre voci tematiche. --[[Utente:Sun-crops|Sun-crops]] ([[Discussioni utente:Sun-crops|scrivimi]]) 16:06, 3 feb 2020 (CET) ::Idem. --'''[[Utente:Superchilum|<span style="color:#209090;">Superchilum</span>]]'''<sup>([[Discussioni_utente:Superchilum|scrivimi]])</sup> 10:04, 25 feb 2020 (CET) :::{{fatto}}--[[Utente:AssassinsCreed|AssassinsCreed]] ([[Discussioni utente:AssassinsCreed|scrivimi]]) 17:47, 26 feb 2020 (CET) == [[Relazioni internazionali del Kosovo]] == Voce che non ha senso di esistere su Wikiquote, le citazioni possono stare benissimo in [[Kosovo]].--[[Utente:AssassinsCreed|AssassinsCreed]] ([[Discussioni utente:AssassinsCreed|scrivimi]]) 16:13, 19 gen 2020 (CET) :Da cancellare. Bene l'inserimento in Kosovo. --[[Utente:Sun-crops|Sun-crops]] ([[Discussioni utente:Sun-crops|scrivimi]]) 15:53, 3 feb 2020 (CET) ::Concordo. --'''[[Utente:Superchilum|<span style="color:#209090;">Superchilum</span>]]'''<sup>([[Discussioni_utente:Superchilum|scrivimi]])</sup> 10:05, 25 feb 2020 (CET) :::{{fatto}}--[[Utente:AssassinsCreed|AssassinsCreed]] ([[Discussioni utente:AssassinsCreed|scrivimi]]) 17:47, 26 feb 2020 (CET) == [[Università di Lund]] == Unica citazione non significativa.--[[Utente:AssassinsCreed|AssassinsCreed]] ([[Discussioni utente:AssassinsCreed|scrivimi]]) 16:28, 19 gen 2020 (CET) :La citazione riporta: ''uno'' (quindi non il solo) dei pilastri ecc. Si può cancellare. --[[Utente:Sun-crops|Sun-crops]] ([[Discussioni utente:Sun-crops|scrivimi]]) 15:54, 3 feb 2020 (CET) ::Idem. --'''[[Utente:Superchilum|<span style="color:#209090;">Superchilum</span>]]'''<sup>([[Discussioni_utente:Superchilum|scrivimi]])</sup> 10:05, 25 feb 2020 (CET) :::{{fatto}}--[[Utente:AssassinsCreed|AssassinsCreed]] ([[Discussioni utente:AssassinsCreed|scrivimi]]) 17:47, 26 feb 2020 (CET) == <s>[[Caracas]]</s> == È composta da un'unica citazione, non pertinente né significativa in generale. È in tali condizioni da quando è stata creata, ben undici anni fa. Né lo strumento "puntano qui" né una ricerca libera danno citazioni utili per l'ampliamento. C'è una voce omologa in spagnolo e polacco, ma non ho visto nulla che si possa riprodurre qui. Stando così le cose, meglio cancellarla. Potrà essere ricreata se necessario, ma ricordo che in undici anni la necessità non si è sentita. Così certo non può stare. --[[Utente:Filippo Marchiali|Filippo Marchiali]] ([[Discussioni utente:Filippo Marchiali|scrivimi]]) 11:52, 3 feb 2020 (CET) :Sembra effettivamente da cancellare, Caracas è solo nominata, non c'è alcun riferimento specifico. Forse può essere inserita in [[puntualità]]. --[[Utente:Sun-crops|Sun-crops]] ([[Discussioni utente:Sun-crops|scrivimi]]) 15:51, 3 feb 2020 (CET) ::Ho aggiunto una citazione di Isabel Allende. --[[Utente:Sun-crops|Sun-crops]] ([[Discussioni utente:Sun-crops|scrivimi]]) 17:07, 3 feb 2020 (CET) :::Buona l'aggiunta. --[[Utente:Filippo Marchiali|Filippo Marchiali]] ([[Discussioni utente:Filippo Marchiali|scrivimi]]) 18:20, 3 feb 2020 (CET) {{Fatto}} la citazione non significativa è stata rimossa e ne sono state aggiunte due pertinenti, interrompo la procedura. --'''[[Utente:Superchilum|<span style="color:#209090;">Superchilum</span>]]'''<sup>([[Discussioni_utente:Superchilum|scrivimi]])</sup> 10:22, 25 feb 2020 (CET) :Concordo. --[[Utente:Filippo Marchiali|Filippo Marchiali]] ([[Discussioni utente:Filippo Marchiali|scrivimi]]) 13:18, 25 feb 2020 (CET) == [[Pierre Decourcelle]] == Tutte le citazioni sono senza fonte e sono abbastanza sicuro che appartengano in realtà a [[Adrien Decourcelle]], come dimostra la citazione sul baro.--[[Utente:AssassinsCreed|AssassinsCreed]] ([[Discussioni utente:AssassinsCreed|scrivimi]]) 03:54, 21 mar 2020 (CET) {{favorevole}} --'''[[Utente:Superchilum|<span style="color:#209090;">Superchilum</span>]]'''<sup>([[Discussioni_utente:Superchilum|scrivimi]])</sup> 10:35, 21 mar 2020 (CET) {{favorevole}} --[[Utente:Sun-crops|Sun-crops]] ([[Discussioni utente:Sun-crops|scrivimi]]) 03:34, 11 apr 2020 (CEST) :{{fatto}}--[[Utente:AssassinsCreed|AssassinsCreed]] ([[Discussioni utente:AssassinsCreed|scrivimi]]) 22:04, 12 apr 2020 (CEST) == [[Irène Fernandez]] == Enciclopedicità dubbia. Pochi riscontri online che permettano di valutarne la rilevanza. --'''[[Utente:Superchilum|<span style="color:#209090;">Superchilum</span>]]'''<sup>([[Discussioni_utente:Superchilum|scrivimi]])</sup> 10:39, 3 apr 2020 (CEST) :L'unica citazione è anche fuori standard (manca l'originale, e non c'è un numero di pagina), se non ci sono obiezioni possiamo procedere con la cancellazione.-- [[Utente:Spinoziano|Spinoziano]] ([[Discussioni utente:Spinoziano|msg]]) 11:01, 4 lug 2020 (CEST) :{{fatto}} -- [[Utente:Spinoziano|Spinoziano]] ([[Discussioni utente:Spinoziano|msg]]) 09:14, 11 lug 2020 (CEST) == [[Giovanni Impastato]] == Figura meritevole ma della quale non si ravvisano attualmente motivi di rilevanza enciclopedica. --'''[[Utente:Superchilum|<span style="color:#209090;">Superchilum</span>]]'''<sup>([[Discussioni_utente:Superchilum|scrivimi]])</sup> 16:50, 3 apr 2020 (CEST) :Su Wikipedia è stata [https://it.wikipedia.org/w/index.php?title=Giovanni_Impastato&action=edit&redlink=1 ripetutamente cancellata], ma se un giorno sarà enciclopedico di là lo sarà anche di qua. Per il momento ha scritto un solo libro con Piemme ed un altro come coautore per Stampa alternativa, se non ci sono obiezioni fondate possiamo procedere. -- [[Utente:Spinoziano|Spinoziano]] ([[Discussioni utente:Spinoziano|msg]]) 11:10, 4 lug 2020 (CEST) ::Sebbene siano belle citazioni, sono favorevole alla cancellazione per i motivi evidenziati da Spinoziano. --[[Utente:Sun-crops|Sun-crops]] ([[Discussioni utente:Sun-crops|scrivimi]]) 01:29, 8 lug 2020 (CEST) :::{{Ping|AnjaQantina|GryffindorD|DonatoD}} {{ping|Homer|Superchilum|Dread83}} {{ping|Ibisco}} Prego i collaboratori di esprimere un parere. Grazie. ::::: Temo non sia ''ancora'' enciclopedico. Concordo con i pareri precedenti. --[[Utente:Homer|Homer]] ([[Discussioni utente:Homer|scrivimi]]) 01:46, 8 lug 2020 (CEST) :::::: {{cancellare}} --'''<span style="letter-spacing:2px; font-size:11px;">[[Utente:Dread83|<span style="color:black;">DOPPIA•</span>]][[Discussioni utente:Dread83|<span style="color:darkblue;">DI</span>]]</span>''' 09:09, 8 lug 2020 (CEST) :::::::{{commento}} Però su Wikipedia la voce è stata cancellata 5 volte in immediata per C1 che non ha niente a che vedere con l'enciclopedicità. --[[Discussioni utente:GryffindorD|<span style="color:#007FFF">'''GryffindorD'''</span>]] 15:30, 8 lug 2020 (CEST) ::::::::{{cancellare}} non enciclopedico--[[Utente:DonatoD|DonatoD]] ([[Discussioni utente:DonatoD|scrivimi]]) 21:08, 8 lug 2020 (CEST) {{fatto}} --'''[[Utente:Superchilum|<span style="color:#209090;">Superchilum</span>]]'''<sup>([[Discussioni_utente:Superchilum|scrivimi]])</sup> 21:14, 9 lug 2020 (CEST) == [[Pachino]] == L'unica citazione presente non pare pertinente, località solo nominata.--[[Utente:AssassinsCreed|AssassinsCreed]] ([[Discussioni utente:AssassinsCreed|scrivimi]]) 01:25, 11 apr 2020 (CEST) :In effetti Pachino è appena nominata. --[[Utente:Sun-crops|Sun-crops]] ([[Discussioni utente:Sun-crops|scrivimi]]) 02:52, 11 apr 2020 (CEST) :{{favorevole}} --'''[[Utente:Superchilum|<span style="color:#209090;">Superchilum</span>]]'''<sup>([[Discussioni_utente:Superchilum|scrivimi]])</sup> 07:57, 11 apr 2020 (CEST) ::{{fatto}}--[[Utente:AssassinsCreed|AssassinsCreed]] ([[Discussioni utente:AssassinsCreed|scrivimi]]) 22:03, 12 apr 2020 (CEST) == <s>[[Isa Tutino Vercelloni]]</s> == Non sembrerebbe enciclopedica.--[[Utente:AssassinsCreed|AssassinsCreed]] ([[Discussioni utente:AssassinsCreed|scrivimi]]) 22:53, 18 apr 2020 (CEST) :Su Isa Tutino Vercelloni ho trovato questo [https://books.google.it/books?id=g2lFUePxGvkC&pg=PA112&dq=sedia+plia&hl=it&sa=X&ved=0ahUKEwiS8rHj7fLoAhXKOpoKHUYJCPsQ6AEIJzAA#v=onepage&q=sedia%20plia&f=false] e questo. [http://www.babalibri.it/catalogo/autore/isa-tutino-vercelloni] --[[Utente:Sun-crops|Sun-crops]] ([[Discussioni utente:Sun-crops|scrivimi]]) 23:06, 18 apr 2020 (CEST) ::{{favorevole}}--[[Utente:DonatoD|DonatoD]] ([[Discussioni utente:DonatoD|scrivimi]]) 20:23, 22 giu 2020 (CEST) :::È stata creata anche la tematica [[Sedia Plia (Piretti)]]. @[[Utente:Sun-crops|Sun-crops]], ma il tuo parere è che la voce su questa persona vada cancellata o sistemata? :) -- [[Utente:Spinoziano|Spinoziano]] ([[Discussioni utente:Spinoziano|msg]]) 09:49, 27 giu 2020 (CEST) :::{{ping|Spinoziano}} Sinceramente non so cosa pensare di questa voce. Chiedo un parere agli altri collaboratori. --[[Utente:Sun-crops|Sun-crops]] ([[Discussioni utente:Sun-crops|scrivimi]]) 16:34, 27 giu 2020 (CEST) ::::{{ping|AnjaQantina|Filippo Marchiali|Gaux}} {{ping|GryffindorD|Homer|Superchilum}} Gentili collaboratori, pensate che la voce in oggetto e tematica derivata sia enciclopedica o è da cancellare? Grazie. Saluti. --[[Utente:Sun-crops|Sun-crops]] ([[Discussioni utente:Sun-crops|scrivimi]]) 16:43, 27 giu 2020 (CEST) :::::{{favorevole}} --[[Utente:Gaux|Gaux]] ([[Discussioni utente:Gaux|scrivimi]]) 16:55, 27 giu 2020 (CEST) :::::::Qualunque <s>giornalista o scrittore</s> persona può avere un'opinione su un oggetto di design, quindi la citazione in sé non è enciclopedica (POV). La voce non è presente su Wikipedia. {{favorevole}} alla cancellazione. --[[Utente:AnjaQantina|AnjaQantina]] ([[Discussioni utente:AnjaQantina|scrivimi]]) 17:00, 27 giu 2020 (CEST) ::::::::{{Mantenere}} [https://opac.sbn.it/opacsbn/opaclib?db=solr_auth&resultForward=opac/iccu/full_auth.jsp&from=1&nentries=10&searchForm=opac/iccu/error.jsp&do_cmd=search_show_cmd&fname=none&sortquery=+BY+%40attrset+bib-1++%40attr+1%3D1003&sortlabel=Nome&saveparams=false&item:5019:VID::@frase@=SBLV209179 Scheda di autorità] nel SBN; fondatrice di Casa Vogue, [https://opac.sbn.it/opacsbn/opaclib?db=solr_iccu&resultForward=opac/iccu/brief.jsp&from=1&nentries=10&searchForm=opac/iccu/error.jsp&do_cmd=search_show_cmd&item:5032:BID=SBLV209179 pubblicazioni] rilevanti. --'''<span style="letter-spacing:2px; font-size:11px;">[[Utente:Dread83|<span style="color:black;">DOPPIA•</span>]][[Discussioni utente:Dread83|<span style="color:darkblue;">DI</span>]]</span>''' 17:02, 27 giu 2020 (CEST) :::::::::{{Mantenere}} Ha pubblicato per Mondadori, Longanesi, Skira, quindi come autrice ci starebbe. Il fatto che su WP manchi la voce di per sé non significa molto: forse nessuno a oggi ha pensato di crearla ma magari ci sarà in futuro e se anche là dovessero ritenerla "non enciclopedica" non vuol dire necessariamente che sia una valutazione lucida e assennata e che qui la si debba seguire pedissequamente, tanto più che ci sono necessità (e quindi sensibilità) differenti dovute al legame ancillare tra voci d'autori e tematiche. Il problema semmai è che la voce consta di una sola citazione avente per giunta a oggetto una sedia, ancorché sia un pezzo di design. ''Simul stabunt, simul cadent'': se la citazione non dovesse essere considerata valida allora anche la voce verrebbe travolta. Per me è questo il nocciolo della questione. Però vedo che in generale le voci sui pezzi di design sono ammesse e che la cadrega sta nientemeno che al MOMA. Quindi bisogna tenerla. --[[Utente:Filippo Marchiali|Filippo Marchiali]] ([[Discussioni utente:Filippo Marchiali|scrivimi]]) 19:00, 27 giu 2020 (CEST) ::::::::::{{Mantenere}} visto quanto riportato dagli altri (pubblicazioni, SBN ecc.). --'''[[Utente:Superchilum|<span style="color:#209090;">Superchilum</span>]]'''<sup>([[Discussioni_utente:Superchilum|scrivimi]])</sup> 23:00, 27 giu 2020 (CEST) :::::::::::{{mantenere}} --[[Discussioni utente:GryffindorD|<span style="color:#007FFF">'''GryffindorD'''</span>]] 00:12, 28 giu 2020 (CEST) ::::::::::::{{mantenere}} --[[Utente:Sun-crops|Sun-crops]] ([[Discussioni utente:Sun-crops|scrivimi]]) 15:56, 28 giu 2020 (CEST) :::::::::::::Alla luce degli ultimi interventi motivati possiamo mantenerla, annullo. -- [[Utente:Spinoziano|Spinoziano]] ([[Discussioni utente:Spinoziano|msg]]) 09:23, 4 lug 2020 (CEST) ==[[Indovinelli ercolani]]== Solo indovinelli senza fonte. --'''[[Utente:Superchilum|<span style="color:#209090;">Superchilum</span>]]'''<sup>([[Discussioni_utente:Superchilum|scrivimi]])</sup> 23:17, 18 apr 2020 (CEST) :Senza fonte e in dialetto siciliano ed Ercolano è in provincia di Napoli. Quindi... --[[Utente:Sun-crops|Sun-crops]] ([[Discussioni utente:Sun-crops|scrivimi]]) 23:25, 18 apr 2020 (CEST) ::Lo stesso vale per [[Proverbi ercolani]] e [[Scioglilingua ercolani]], senza fonte e in dialetto – apparentemente – siciliano. Non mi risulta esistente una Ercolano in Puglia o in Sicilia. --[[Utente:Sun-crops|Sun-crops]] ([[Discussioni utente:Sun-crops|scrivimi]]) 23:31, 18 apr 2020 (CEST) :::Grazie, aggiungo anche loro :-) --'''[[Utente:Superchilum|<span style="color:#209090;">Superchilum</span>]]'''<sup>([[Discussioni_utente:Superchilum|scrivimi]])</sup> 23:34, 18 apr 2020 (CEST) ::::{{cancellare}}--[[Utente:AssassinsCreed|AssassinsCreed]] ([[Discussioni utente:AssassinsCreed|scrivimi]]) 00:37, 19 apr 2020 (CEST) :::::{{fatto}}--[[Utente:AssassinsCreed|AssassinsCreed]] ([[Discussioni utente:AssassinsCreed|scrivimi]]) 22:23, 22 apr 2020 (CEST) ==[[Proverbi ercolani]]== Solo proverbi senza fonte, e di dubbia appartenenza (v. sopra). --'''[[Utente:Superchilum|<span style="color:#209090;">Superchilum</span>]]'''<sup>([[Discussioni_utente:Superchilum|scrivimi]])</sup> 23:34, 18 apr 2020 (CEST) :{{cancellare}}--[[Utente:AssassinsCreed|AssassinsCreed]] ([[Discussioni utente:AssassinsCreed|scrivimi]]) 00:37, 19 apr 2020 (CEST) :::{{cancellare}} --[[Utente:Sun-crops|Sun-crops]] ([[Discussioni utente:Sun-crops|scrivimi]]) 23:35, 22 apr 2020 (CEST) ::::{{fatto}}--[[Utente:AssassinsCreed|AssassinsCreed]] ([[Discussioni utente:AssassinsCreed|scrivimi]]) 13:41, 25 apr 2020 (CEST) ==[[Scioglilingua ercolani]]== Solo scioglilingua senza fonte, e di dubbia appartenenza (v. sopra). --'''[[Utente:Superchilum|<span style="color:#209090;">Superchilum</span>]]'''<sup>([[Discussioni_utente:Superchilum|scrivimi]])</sup> 23:34, 18 apr 2020 (CEST) :{{cancellare}}--[[Utente:AssassinsCreed|AssassinsCreed]] ([[Discussioni utente:AssassinsCreed|scrivimi]]) 00:38, 19 apr 2020 (CEST) :::{{cancellare}}--[[Utente:Sun-crops|Sun-crops]] ([[Discussioni utente:Sun-crops|scrivimi]]) 23:36, 22 apr 2020 (CEST) ::::{{fatto}}--[[Utente:AssassinsCreed|AssassinsCreed]] ([[Discussioni utente:AssassinsCreed|scrivimi]]) 13:41, 25 apr 2020 (CEST) == [[Antonio Servillo]] == Poche informazioni reperibili su di lui online. Direi non enciclopedico. --[[Utente:AssassinsCreed|AssassinsCreed]] ([[Discussioni utente:AssassinsCreed|scrivimi]]) 22:17, 22 apr 2020 (CEST) :D'accordo. --[[Utente:Sun-crops|Sun-crops]] ([[Discussioni utente:Sun-crops|scrivimi]]) 22:24, 22 apr 2020 (CEST) ::{{fatto}} -- [[Utente:Spinoziano|Spinoziano]] ([[Discussioni utente:Spinoziano|msg]]) 10:00, 2 giu 2020 (CEST) == [[Paolo Salvati]] == Voci pluricancellata su Wikipedia, tanto che attualmente risulta bloccata.--[[Utente:AssassinsCreed|AssassinsCreed]] ([[Discussioni utente:AssassinsCreed|scrivimi]]) 22:30, 22 apr 2020 (CEST) :Da cancellare. --[[Utente:Sun-crops|Sun-crops]] ([[Discussioni utente:Sun-crops|scrivimi]]) 23:34, 22 apr 2020 (CEST) :Da non cancellare. Risulta bloccata non vuol dire molto, mancava una bibliografia consolidata, ora le cose sono cambiate. --[[Utente:Mach280|Mach280]] ([[Discussioni utente:Mach280|scrivimi]]) 18:37, 23 apr 2020 (CEST) ::Segnalo che anche {{ping|Carlomartini86}}, che per un periodo si era occupato delle voci in campo artistico, [[Utente:Carlomartini86/Sandbox|qui]] ne aveva messo in dubbio l'enciclopedicità.--[[Utente:AssassinsCreed|AssassinsCreed]] ([[Discussioni utente:AssassinsCreed|scrivimi]]) 00:49, 24 apr 2020 (CEST) :<s>Non cancellare. Ho visionato la cronologia ma nel 2015 non c'era una diffusa e consolidata bibliografia sull'autore, oggi potete vedere [http://www.worldcat.org/identities/lccn-nb2018001995/ WorldCat, Publication Timeline: Salvati, Paolo 1939-2014], ci sono anche fonti nazionali di settore come [https://opac.lagallerianazionale.com/gnam-web/home;jsessionid=39514CFEFD176B6A791A0E1A1D727F29/search/result.html?jsonVal=%7B%22jsonVal%22%3A%7B%22startDate%22%3A%22%22%2C%22endDate%22%3A%22%22%2C%22fieldDate%22%3A%22dataNormal%22%2C%22_perPage%22%3A20%7D%7D&query=Paolo+Salvati Archivio bioiconografico del GNAM (Galleria Nazionale d'Arte Moderna e Contemporanea)], [http://www.quadriennalediroma.org/arbiq_web/index.php?sezione=archivi&id=111465&ricerca= Archivio Quadriennale] e fonti internazionali [https://arcade.nyarc.org/search/?searchscope=8&searchtype=o&searcharg=1039893453 MoMA Library: The folder may include announcements, clippings, press releases, brochures, reviews, invitations, small exhibition catalogs, and other ephemeral material.], sarà interessante anche lavorare sulla procedura di sblocco e miglioramento della voce in tema. --[[Utente:Wat0707|Wat0707]] ([[Discussioni Utente:Wat0707|scrivimi]]) 08:14, 24 apr 2020 (CEST)</s> :<s>Da non cancellare. Le citazioni sull'autore sono state rimosse, rimangono le sue citazioni che mi sembrano quelle più utili, concordo che la valutazione risale al 2015, la voce bloccata su questo autore andrà rivalutata, ho trovato documentazione recente in biblioteche internazionali come [https://alliance-primo.hosted.exlibrisgroup.com/permalink/f/kjtuig/CP71268273870001451 UW Libraries, University of Washington] in [https://cap.banq.qc.ca/search/N-EXPLORE-2c93d0cd-ee71-46be-956a-8f74a233e10a Bibliothèque et Archives nationales du Québec] e [https://ndlonline.ndl.go.jp/#!/detail/R300000001-I028788557-00 National Diet Library], [http://solo.bodleian.ox.ac.uk/permalink/f/ds4uo7/oxfaleph020814183 University of Oxford Library], mentre quelle più datate sono soprattutto in archivi italiani, qualcosa all'estero. --[[Utente:ArchiSalv01|ArchiSalv01]] ([[Discussioni utente:ArchiSalv01|scrivimi]]) 10:17, 24 apr 2020 (CEST)</s> Segnalo che, insospettito dall'attività di diverse utenze mai viste prima proprio sulla stessa voce, e dal comportamento molto simile, ho chiesto un responso a un check user che ha confermato che Wat0707 e ArchiSalv01 sono [[:w:WP:SP|sockpuppet]] di Mach280. Le due utenze sono state quindi bloccate da uno steward su tutti i progetti WMF, mentre ho bloccato Mach280 per una settimana qui su Wikiquote per tentativo illegittimo di alterazione del consenso. Favorevole a rimodulare la durata del blocco se ci fosse consenso in tal senso. --'''[[Utente:Superchilum|<span style="color:#209090;">Superchilum</span>]]'''<sup>([[Discussioni_utente:Superchilum|scrivimi]])</sup> 16:51, 25 apr 2020 (CEST) :{{ping|Superchilum}} Anche io mi ero parecchio insospettito, ma ti ringrazio di essere stato molto celere ed efficiente. Personalmente sarei anche per un blocco più lungo, l'unica preoccupazione dell'utente in questo progetto è la pagina in questione tanto da arrivare a provare ad alterare il consenso ed anche su Wikipedia la situazione non mi è sembrata diversa. :Per quanto riguarda la cancellazione segnalo [[w:Wikipedia:Pagine da cancellare/Paolo Salvati|questa]]. --[[Utente:AssassinsCreed|AssassinsCreed]] ([[Discussioni utente:AssassinsCreed|scrivimi]]) 20:01, 25 apr 2020 (CEST) ::{{fatto}} -- [[Utente:Spinoziano|Spinoziano]] ([[Discussioni utente:Spinoziano|msg]]) 10:03, 7 mag 2020 (CEST) :::Salve, è possibile valutare la riapertura della voce su Wikiquote di [[w:it:Paolo Salvati|Paolo Salvati]]? La voce era stata cancellata in passato, forse per errori fatti dai contributori e poche fonti, oggi sono cambaiti alcuni aspetti rilevanti e attineti alle regole. [[Utente:Maxxinelli01|Maxxinelli01]] ([[Discussioni utente:Maxxinelli01|scrivimi]]) 21:47, 29 giu 2025 (CEST) ::::{{ping|Superchilum}} la voce è stata da poco sbozzata da Mastrocom su Wikipedia, andrebbe o aperta una Pdc là e attendere l'esito, o ripristinarla qua, che ne pensi? Ora il soggetto è presente anche su Treccani.it, prima non lo era. -- [[Utente:Spinoziano|Spinoziano]] ([[Discussioni utente:Spinoziano|msg]]) 09:07, 30 giu 2025 (CEST) :::::{{ping|Spinoziano}} per quel che mi riguarda, la presenza su Treccani è sufficiente per poter creare una voce (se poi su Wikipedia verrà cancellata con procedura comunitaria valuteremo cosa fare qui). Ovviamente con citazioni rilevanti e fontate :) --'''[[Utente:Superchilum|<span style="color:#209090;">Superchilum</span>]]'''<sup>([[Discussioni_utente:Superchilum|scrivimi]])</sup> 21:28, 1 lug 2025 (CEST) == [[Marta Lock]] == Ha pubblicato solo per editori minori. Non enciclopedica.--[[Utente:AssassinsCreed|AssassinsCreed]] ([[Discussioni utente:AssassinsCreed|scrivimi]]) 22:53, 22 apr 2020 (CEST) :Non enciclopedica. --[[Utente:Sun-crops|Sun-crops]] ([[Discussioni utente:Sun-crops|scrivimi]]) 23:35, 22 apr 2020 (CEST) ::{{cancellare}} --'''[[Utente:Superchilum|<span style="color:#209090;">Superchilum</span>]]'''<sup>([[Discussioni_utente:Superchilum|scrivimi]])</sup> 09:05, 23 apr 2020 (CEST) :::{{fatto}}--[[Utente:AssassinsCreed|AssassinsCreed]] ([[Discussioni utente:AssassinsCreed|scrivimi]]) 13:41, 25 apr 2020 (CEST) == [[Marko Mlinarić]] == L'unica citazione presente è la classica frase di rito che avranno detto in almeno cento persone prima di lui...--[[Utente:AssassinsCreed|AssassinsCreed]] ([[Discussioni utente:AssassinsCreed|scrivimi]]) 00:59, 24 apr 2020 (CEST) :D'accordo. --[[Utente:Sun-crops|Sun-crops]] ([[Discussioni utente:Sun-crops|scrivimi]]) 22:50, 24 apr 2020 (CEST) ::{{fatto}} -- [[Utente:Spinoziano|Spinoziano]] ([[Discussioni utente:Spinoziano|msg]]) 10:00, 2 giu 2020 (CEST) == [[Carlo Pallavicino]] == Non credo sia enciclopedico. Consultando la [[w:Categoria:Procuratori sportivi italiani|Categoria:Procuratori sportivi italiani]] su wikipedia si scopre che sono tutti ex-sportivi (e quindi enciclopedici per qualcos'altro) eccezion fatta per [[Mino Raiola]] (che però ha ben altra rilevanza per mille motivi) e [[w:Andrea D'Amico|Andrea D'Amico]] (che presenta problematiche).--[[Utente:AssassinsCreed|AssassinsCreed]] ([[Discussioni utente:AssassinsCreed|scrivimi]]) 13:52, 25 apr 2020 (CEST) :Non enciclopedico per le ragioni evidenziate da Creed. --[[Utente:Sun-crops|Sun-crops]] ([[Discussioni utente:Sun-crops|scrivimi]]) 15:51, 25 apr 2020 (CEST) ::{{favorevole}} Non enciclopedico. --'''<span style="letter-spacing:2px; font-size:11px;">[[Utente:Dread83|<span style="color:black;">DOPPIA•</span>]][[Discussioni utente:Dread83|<span style="color:darkblue;">DI</span>]]</span>''' 00:22, 22 giu 2020 (CEST) :::{{ping|AnjaQantina|GryffindorD|DonatoD|}} {{ping|Superchilum|Spinoziano|Homer}} {{ping|Gaux}} Gentili collaboratori, cosa decidiamo per questa voce? --[[Utente:Sun-crops|Sun-crops]] ([[Discussioni utente:Sun-crops|scrivimi]]) 00:09, 25 giu 2020 (CEST) ::::{{cancellare}} anche per me. Cercando su Google qualcosa si trova ma non credo basti a renderlo enciclopedico. --[[Discussioni utente:GryffindorD|<span style="color:#007FFF">'''GryffindorD'''</span>]] 01:11, 25 giu 2020 (CEST) :::::{{cancellare}} Non terrei la voce su Wikiquote per un'unica intervista; inoltre non è presente su Wikipedia. --[[Utente:AnjaQantina|AnjaQantina]] ([[Discussioni utente:AnjaQantina|scrivimi]]) 09:03, 25 giu 2020 (CEST) ::::::{{cancellare}} Non mi sembra enciclopedico. --[[Utente:Homer|Homer]] ([[Discussioni utente:Homer|scrivimi]]) 10:11, 25 giu 2020 (CEST) :::::::{{fatto}} Consenso evidente; orfanizzata e cancellata. Grazie. --'''<span style="letter-spacing:2px; font-size:11px;">[[Utente:Dread83|<span style="color:black;">DOPPIA•</span>]][[Discussioni utente:Dread83|<span style="color:darkblue;">DI</span>]]</span>''' 10:29, 25 giu 2020 (CEST) == [[Marco Leonardi]] == Palesemente non enciclopedico, quasi da immediata.--[[Utente:AssassinsCreed|AssassinsCreed]] ([[Discussioni utente:AssassinsCreed|scrivimi]]) 00:50, 4 mag 2020 (CEST) :È certamente così. Chiaro dal primo momento. --[[Utente:Sun-crops|Sun-crops]] ([[Discussioni utente:Sun-crops|scrivimi]]) 00:54, 4 mag 2020 (CEST) ::Da valutare anche [[Flavio Felice]]. Ci viene in aiuto [https://www.store.rubbettinoeditore.it/flavio-felice] --[[Utente:Sun-crops|Sun-crops]] ([[Discussioni utente:Sun-crops|scrivimi]]) 01:05, 4 mag 2020 (CEST) {{favorevole}} --'''[[Utente:Superchilum|<span style="color:#209090;">Superchilum</span>]]'''<sup>([[Discussioni_utente:Superchilum|scrivimi]])</sup> 09:17, 4 mag 2020 (CEST) :{{fatto}} -- [[Utente:Spinoziano|Spinoziano]] ([[Discussioni utente:Spinoziano|msg]]) 10:03, 7 mag 2020 (CEST) == [[Alfredo Maiolese]] == La voce è priva di qualsiasi rilevanza enciclopedica.<br>--[[Utente:DonatoD|DonatoD]] ([[Discussioni utente:DonatoD|scrivimi]]) 17:43, 14 giu 2020 (CEST) :La proposta è stata fatta da altro utente: va da sé che avendola proposta io qui, sono favorevole.<br>--[[Utente:DonatoD|DonatoD]] ([[Discussioni utente:DonatoD|scrivimi]]) 17:44, 14 giu 2020 (CEST) ::{{favorevole}} Si veda anche [[Discussione:Alfredo Maiolese|pagina di discussione]]. --'''<span style="letter-spacing:2px; font-size:11px;">[[Utente:Dread83|<span style="color:black;">DOPPIA•</span>]][[Discussioni utente:Dread83|<span style="color:darkblue;">DI</span>]]</span>''' 00:03, 15 giu 2020 (CEST) :::{{favorevole}} alla cancellazione. --[[Utente:AnjaQantina|AnjaQantina]] ([[Discussioni utente:AnjaQantina|scrivimi]]) 09:06, 25 giu 2020 (CEST) == [[Sara Bell]] / [[Giorgia Roma]] / [[Giorgio Grandi]] == Non mi sembrano enciclopedici. L'unica fonte è un sito e cercando su Google non si trova nulla (se non l'intervista su quel sito). <del>Dei tre l'unico che aveva una voce su Wikipedia era Giorgio Grandi, [[w:Wikipedia:Pagine da cancellare/Giorgio Grandi|cancellata nel 2010]]</del>. <small>Era un altro Giorgio Grandi.</small> --[[Discussioni utente:GryffindorD|<span style="color:#007FFF">'''GryffindorD'''</span>]] 00:10, 22 giu 2020 (CEST) :{{favorevole}} Non enciclopedici. --'''<span style="letter-spacing:2px; font-size:11px;">[[Utente:Dread83|<span style="color:black;">DOPPIA•</span>]][[Discussioni utente:Dread83|<span style="color:darkblue;">DI</span>]]</span>''' 00:22, 22 giu 2020 (CEST) ::{{favorevole}} Non enciclopedici. --[[Utente:Sun-crops|Sun-crops]] ([[Discussioni utente:Sun-crops|scrivimi]]) 00:41, 22 giu 2020 (CEST) :::{{favorevole}} Come gli altri. --'''[[Utente:Superchilum|<span style="color:#209090;">Superchilum</span>]]'''<sup>([[Discussioni_utente:Superchilum|scrivimi]])</sup> 14:22, 23 giu 2020 (CEST) ::::{{fatto}} --[[Utente:Sun-crops|Sun-crops]] ([[Discussioni utente:Sun-crops|scrivimi]]) 00:11, 25 giu 2020 (CEST) == [[Elizabeth McGovern]] == {{Ping|AnjaQantina|GryffindorD|DonatoD}} {{ping|Homer|Superchilum|Spinoziano}} {{ping|Dread83}} Da cancellare. Citazione di un personaggio interpretato, non dell'attrice. La stessa fonte non è valida e Deborah dovrebbe essere un personaggio di ''C'era una volta in America'', non il titolo di un film. P. S. Bisognerebbe prendere una decisione anche per la discussione immediatamente precedente. --[[Utente:Sun-crops|Sun-crops]] ([[Discussioni utente:Sun-crops|scrivimi]]) 14:15, 23 giu 2020 (CEST) :Cancellato in immediata. Negli ultimi giorni c'è un troll o similare (o più di uno) nel range 2001:B07 ecc ecc (IPv6) che continua a creare voci inutili di questo tipo, o senza citazioni o con citazioni prese dai personaggi invece che dagli attori (ci ha avuto a che fare anche {{ping|Dread83}}). Si conferma da rollbackare a vista, al momento. --'''[[Utente:Superchilum|<span style="color:#209090;">Superchilum</span>]]'''<sup>([[Discussioni_utente:Superchilum|scrivimi]])</sup> 14:22, 23 giu 2020 (CEST) ::Su Wikipedia l'intero range (2001:b07:644e:fdc2::/64) è stato [https://it.wikipedia.org/w/index.php?title=Speciale:Registri&page=User%3A2001%3AB07%3A644E%3AFDC2%3A0%3A0%3A0%3A0%2F64&type=block bloccato per 6 mesi]. Sinceramente, non so perché in entrambi i progetti i doppiaggi attirino così tanti vandali... Per il momento, ho predisposto un filtro anti abusi per questi IP, con solo un avviso, ovvero un invito a evitare contributi non costruttivi. Vediamo se funziona. --'''<span style="letter-spacing:2px; font-size:11px;">[[Utente:Dread83|<span style="color:black;">DOPPIA•</span>]][[Discussioni utente:Dread83|<span style="color:darkblue;">DI</span>]]</span>''' 16:41, 27 giu 2020 (CEST) ==[[Craig Ferguson]]== *Voce da cancellare, credo in immediata. Fonte quanto meno anomala. --[[Utente:Sun-crops|Sun-crops]] ([[Discussioni utente:Sun-crops|scrivimi]]) 14:54, 19 lug 2020 (CEST) Da valutare anche [[Brenda Blethyn]]. Craig Ferguson lo cancello subito, è proprio senza fonte. --[[Utente:Sun-crops|Sun-crops]] ([[Discussioni utente:Sun-crops|scrivimi]]) 14:57, 19 lug 2020 (CEST) ==[[Epigrafi dai libri]]== Voce di un unico utente, a parte l'ultimo inserimento (probabilmente dello stesso utente da IP). La voce è fuori dagli standard perché non riportiamo generalmente epigrafi. Se si dovesse decidere di tenerla, ovviamente andranno adeguate le linee guida.<br>--[[Utente:DonatoD|DonatoD]] ([[Discussioni utente:DonatoD|scrivimi]]) 15:18, 22 lug 2020 (CEST) :Non poche citazioni sono belle e interessanti. Non sarei contrario al mantenimento della pagina, adeguando, chiaramente, se necessario, le linee guida. --[[Utente:Sun-crops|Sun-crops]] ([[Discussioni utente:Sun-crops|scrivimi]]) 23:49, 22 lug 2020 (CEST) ::Qualche anno fa questo tipo di raccolta era stata proposta da {{ping|Superchilum}} in [[Discussioni template:Raccolte dai media#Epigrafi]]. -- [[Utente:Spinoziano|Spinoziano]] ([[Discussioni utente:Spinoziano|msg]]) 09:03, 23 lug 2020 (CEST) :::In effetti le epigrafi le teniamo, sono [[Epigrafi|qui]]. Però sono le epigrafi incise su pietra/marmo/metallo ecc. Io proponevo di creare la raccolta su quelle. Queste sono invece quelle che in [[:w:Epigrafe (disambigua)]] vengono citate come un altro tipo di epigrafe, ovvero quelle poste prima dell'inizio dei libri, quindi c'è il rischio di confondersi. Queste sarebbero più che altro "Epigrafi (letteratura)". --'''[[Utente:Superchilum|<span style="color:#209090;">Superchilum</span>]]'''<sup>([[Discussioni_utente:Superchilum|scrivimi]])</sup> 18:39, 25 lug 2020 (CEST) Se non ci sono altre opinioni, io procederei alla cancellazione.<br>--[[Utente:DonatoD|DonatoD]] ([[Discussioni utente:DonatoD|scrivimi]]) 20:39, 3 ott 2020 (CEST) ==[[Primum non nocere]]== Voce da cancellare immediatamente, credo. --[[Utente:Sun-crops|Sun-crops]] ([[Discussioni utente:Sun-crops|scrivimi]]) 23:25, 22 lug 2020 (CEST) :Cancellata in immediata, solito IP 37.16.ecc che ultimamente continua ad aggiungere citazioni non significative e senza fonti. --'''[[Utente:Superchilum|<span style="color:#209090;">Superchilum</span>]]'''<sup>([[Discussioni_utente:Superchilum|scrivimi]])</sup> 08:52, 23 lug 2020 (CEST) ==[[Giulia Bevilacqua]]== Voce da cancellare, la fonte non è accettabile. --[[Utente:Sun-crops|Sun-crops]] ([[Discussioni utente:Sun-crops|scrivimi]]) 17:15, 26 lug 2020 (CEST) :Sarebbe da immediata, tuttavia visto che l'utente, un IP, sta proprio in questo momento inserendo e che molto probabilmente si tratta di qualcuno che opera sempre da IP, gli ho lasciato un messaggio nella speranza che si registri. Tempo un'ora e cancelliamo, direi.<br>--[[Utente:DonatoD|DonatoD]] ([[Discussioni utente:DonatoD|scrivimi]]) 17:17, 26 lug 2020 (CEST) ::O.K. --[[Utente:Sun-crops|Sun-crops]] ([[Discussioni utente:Sun-crops|scrivimi]]) 17:39, 26 lug 2020 (CEST) :::Cancellata. (È in atto un assalto di uno o più utenti con IP 2001:b07...: un'orda di cavallette).<br>--[[Utente:DonatoD|DonatoD]] ([[Discussioni utente:DonatoD|scrivimi]]) 18:12, 26 lug 2020 (CEST) == <s>[[Fabrizio Benedetti]]</s> == <del>Voce senza fonti</del><small>(la fonte è il libro)</small> e cancellata su Wikipedia ([[w:Fabrizio Benedetti]]) di recente per c4. --[[Discussioni utente:GryffindorD|<span style="color:#007FFF">'''GryffindorD'''</span>]] 12:34, 27 lug 2020 (CEST) :Noto però in un secondo momento che la voce è presente su [[w:en:Fabrizio Benedetti]] e su [[w:fr:Fabrizio Benedetti]]. --[[Discussioni utente:GryffindorD|<span style="color:#007FFF">'''GryffindorD'''</span>]] 14:16, 27 lug 2020 (CEST) ::{{mantenere}} Voce che appare enciclopedica. (''En passant'': è sempre buona norma apporre il template di cancellazione nella voce e avvisare l'utente che ha creato la voce dell'esistenza di questa discussione).<br>--[[Utente:DonatoD|DonatoD]] ([[Discussioni utente:DonatoD|scrivimi]]) 19:46, 27 lug 2020 (CEST) :::{{ping|DonatoD}} potresti aggiungere qualche informazione sull'enciclopedicità? --'''[[Utente:Superchilum|<span style="color:#209090;">Superchilum</span>]]'''<sup>([[Discussioni_utente:Superchilum|scrivimi]])</sup> 08:51, 28 lug 2020 (CEST) ::Su IBS: [https://www.ibs.it/libri/autori/fabrizio-benedetti?gclid=EAIaIQobChMIhLOIwYXw6gIVyu7tCh00rwSjEAAYASAAEgJslvD_BwE], vedo che ha pubblicato diversi libri: la maggior parte con Carocci, casa editrice universitaria e questo potrebbe far discutere, ma anche uno con Mondadori. Uno di questi è tradotto in inglese e edito da Oxford: [https://books.google.it/books?id=hUKXBAAAQBAJ&dq=Fabrizio+Benedetti+ibs&hl=it]. Insomma, da quello che capisco, sembra un neurologo importante sul tema dell'effetto placebo.<br>--[[Utente:DonatoD|DonatoD]] ([[Discussioni utente:DonatoD|scrivimi]]) 15:42, 28 lug 2020 (CEST) :::{{mantenere}} --[[Utente:Sun-crops|Sun-crops]] ([[Discussioni utente:Sun-crops|scrivimi]]) 01:30, 29 lug 2020 (CEST) ::::{{ping|Filippo Marchiali}} Puoi, per favore, dare anche il tuo parere? --[[Utente:Sun-crops|Sun-crops]] ([[Discussioni utente:Sun-crops|scrivimi]]) 01:39, 29 lug 2020 (CEST) :::::Avevo aperto la procedura di cancellazione non avendo visto le voci su en.wiki e fr.wiki ma basandomi sul c4 su it.wiki. Io non so in che stato era la voce su it però visto com'è su en e il commento di DonatoD propongo di chiudere con il mantenere. --[[Discussioni utente:GryffindorD|<span style="color:#007FFF">'''GryffindorD'''</span>]] 11:24, 16 set 2020 (CEST) ::::::Allora manteniamo. -- [[Utente:Spinoziano|Spinoziano]] ([[Discussioni utente:Spinoziano|msg]]) 09:55, 31 ott 2020 (CET) ==<s>[[Varvàra Dolgorouki]]</s>== Traggo da questo sito [https://www.auserbasilicata.it/2.0/wp-content/uploads/2013/02/titoli-1.pdf] la seguente scheda relativa al libro di questa autrice: "Stupenda descrizione della vita di una dama russa d'altri tempi. Nata nel 1885, Varvara Dolgorouki, figlioccia dell'imperatore Aleksandr Nikolaevic, discendente di una delle più illustri casate russe, che vanta parent stretti dello zar, è allevata in semplicità e trascorre la sua fanciullezza tra la casa di campagna e la capitale, fino alla sua presentazione in società nel 1902 e al matrimonio nel 1908. Col marito, alto esponente dell'esercito, fedele sino alla fine allo zar, è costretta a fuggire e a nascondersi all'arrivo dei bolscevichi sino alla sua fuga verso la Crimea e infine l'Italia. Da rilevare la sua amicizia con l'imperatrice madre e la zarina, da lei sempre difesa, anche nei rapporti con Rasputn, visto come l'unico rimedio alla malattia dello zarevic." La principessa Dolgorouki, ammiratissima da Cristina Campo, è figlia di [[w:Aleksandr Sergeevič Dolgorukov|Aleksandr Sergeevič Dolgorukov]]. Si tratta quindi di un'osservatrice privilegiata della vita sociale e politica dell'ultima fase della storia russa, in contatto, per la sua posizione di dama di corte ed esponente di una delle casate aristocratiche russe più prestigiose, con le maggiori personalità del suo tempo. Tutto questo, ne convengo, dovrebbe essere recepito in una voce di wikipedia e sottoposto al vaglio dei wikipediani. Ho pochissima esperienza di wikipedia, non ne padroneggio le convenzioni ed una voce puramente anagrafica certamente non convincerebbe. Per creare una voce solida, avrei bisogno di tempo ed energie da dedicare a letture, riletture e ricerche, ma sono piuttosto a corto di tempo e molto anche di "freschezza atletica" per così dire. Per cui mi rimetto a qualsiasi decisione da parte vostra. Un'eventuale cancellazione non sarebbe del resto necessariamente l'ultima parola. La voce potrebbe essere sempre creata in wikipedia, da me o da altri. --[[Utente:Sun-crops|Sun-crops]] ([[Discussioni utente:Sun-crops|scrivimi]]) 23:42, 30 lug 2020 (CEST) P. S Pubblicata da Rusconi in Italia e in Francia presso Editions France Empire: Dolgorouki Varvara, ''Au Temps Des Troika 1885 - 1919''. --[[Utente:Sun-crops|Sun-crops]] ([[Discussioni utente:Sun-crops|scrivimi]]) 23:47, 30 lug 2020 (CEST) Utile, credo, consultare questo documento a p. 2, [http://www.cemeteryrome.it/press/webnewsletter-it/n.6-2009.pdf] --[[Utente:Sun-crops|Sun-crops]] ([[Discussioni utente:Sun-crops|scrivimi]]) 23:51, 30 lug 2020 (CEST) :Per me la voce è da mantenere. Che Varvàra Dolgorouki sia autrice di valore, basti la parola di Cristina Campo. Posso però aggiungere un mio rammarico: che la gran dama russa abbia cominciato a scrivere in età troppo avanzata. Qualità letterarie a parte, il suo profilo familiare ne ha fatto la preziosa testimone di un'epoca caratterizzata dagli ultimi bagliori dell'aristocrazia della Russia zarista, una classe avvezza ad esercitare un immenso potere, e sovente con arbitrio assoluto, non sospettando che la Storia stava apparecchiando per essa il brusco trasloco dal Palazzo d'Inverno di Pietroburgo alle piazze dove i bolscevichi di Lenin processavano e giustiziavano i nemici del popolo.--[[Utente:Ibisco|Ibisco]] ([[Discussioni utente:Ibisco|scrivimi]]) 20:17, 15 ago 2020 (CEST) ::Ieri ho creato la voce [[w:Varvàra Dolgorouki|Varvàra Dolgorouki]] in Wikipedia. Non dovrebbero, pertanto, esserci più problemi a {{mantenere}} la voce in Wikiquote. --[[Utente:Ibisco|Ibisco]] ([[Discussioni utente:Ibisco|scrivimi]]) 09:53, 17 ago 2020 (CEST) :::Ok, va bene così.-- [[Utente:Spinoziano|Spinoziano]] ([[Discussioni utente:Spinoziano|msg]]) 10:04, 31 ott 2020 (CET) ==[[Tom Stafford]]== {{ping|Filippo Marchiali}} Nella fonte si legge: "Tom Stafford, Lecturer in Psychology and Cognitive Science at the University of Sheffield". L'autore non è enciclopedico. --[[Utente:Sun-crops|Sun-crops]] ([[Discussioni utente:Sun-crops|scrivimi]]) 23:31, 10 ago 2020 (CEST) :Ho già cancellato. L'attribuzione all'omonimo astronauta è falsa. --[[Utente:Sun-crops|Sun-crops]] ([[Discussioni utente:Sun-crops|scrivimi]]) 23:39, 10 ago 2020 (CEST) ::{{ping|Sun-crops}} Almeno il tempo di dargli un'occhiata... però vabbè. --[[Discussioni utente:GryffindorD|<span style="color:#007FFF">'''GryffindorD'''</span>]] 23:42, 10 ago 2020 (CEST) :::{{ping|GryffindorD}} Ciao, ho ripristinato per consentire a tutti di valutare. --[[Utente:Sun-crops|Sun-crops]] ([[Discussioni utente:Sun-crops|scrivimi]]) 23:50, 10 ago 2020 (CEST) ::::{{ping|Sun-crops}} gentilissimo come sempre, grazie! Comunque ho aggiunto un'altra citazione, per me {{mantenere}}. <small>Se la voce viene mantenuta va spostata a Thomas Stafford, come su Wikipedia</small> --[[Discussioni utente:GryffindorD|<span style="color:#007FFF">'''GryffindorD'''</span>]] 00:22, 11 ago 2020 (CEST) :::::{{ping|GryffindorD}} Ciao, grazie infinite per avere messo a posto la voce. Grazie a te la voce sarà mantenuta. È un piacere collaborare con te. Ciao. --[[Utente:Sun-crops|Sun-crops]] ([[Discussioni utente:Sun-crops|scrivimi]]) 00:51, 11 ago 2020 (CEST) ::::::{{ping|GryffindorD}} grazie per la sistemazione :-) potresti però trovare un'altra fonte più autorevole rispetto a quel tumblr? --'''[[Utente:Superchilum|<span style="color:#209090;">Superchilum</span>]]'''<sup>([[Discussioni_utente:Superchilum|scrivimi]])</sup> 21:43, 12 ago 2020 (CEST) :::::::{{ping|Superchilum}} avevo pensato, visto l'account, che andasse bene. Comunque ho aggiunto altre due fonti. --[[Discussioni utente:GryffindorD|<span style="color:#007FFF">'''GryffindorD'''</span>]] 00:14, 13 ago 2020 (CEST) ==<s>[[Val di Susa]]</s>== {{ping| Filippo Marchiali}} Si potrebbe tentare il recupero di questa voce, riportandola a norma, se si considera Maurizio Pagliassotti enciclopedico. Ha rilevanza enciclopedica questo autore che ha pubblicato un libro con Bollati Boringhieri, e due con Castelvecchi ? --[[Utente:Sun-crops|Sun-crops]] ([[Discussioni utente:Sun-crops|scrivimi]]) 14:47, 25 ago 2020 (CEST) :Candidato, non finalista, al Premio Estense 2020. --[[Utente:Sun-crops|Sun-crops]] ([[Discussioni utente:Sun-crops|scrivimi]]) 15:02, 25 ago 2020 (CEST) ::Segnalo che ho creato la voce [[Maurizio Pagliassotti]], ho anche aggiunto il collegamento a Wikidata con tre link di controllo d'autorità. Ovviamente se non si ritiene il soggetto enciclopedico la si cancella. --[[Discussioni utente:GryffindorD|<span style="color:#007FFF">'''GryffindorD'''</span>]] 16:43, 25 ago 2020 (CEST) :::Ringrazio GryffindorD. Sono favorevole a mantenere la voce. --[[Utente:Sun-crops|Sun-crops]] ([[Discussioni utente:Sun-crops|scrivimi]]) 23:03, 25 ago 2020 (CEST) :::: Grazie anche da parte mia - [[Utente:Cris77|Cris77]] ==<del>[[Tony Shalhoub]]</del>== La fonte utilizzata non è ammessa e, almeno per quanto mi riguarda, neppure visualizzabile. --[[Utente:Sun-crops|Sun-crops]] ([[Discussioni utente:Sun-crops|scrivimi]]) 16:11, 4 set 2020 (CEST) :{{+1}} Per visualizzarla si visualizza, sebbene inaffidabile. Secondo me era da immediata, nemmeno da passare di qua. --[[Utente:Homer|Homer]] ([[Discussioni utente:Homer|scrivimi]]) 16:17, 4 set 2020 (CEST) ::Effettivamente era da immediata. Ho provveduto a cancellarla ed ho bloccato per 20 giorni l'utente. Se si vuole aumentare il blocco o renderlo infinito non ho nulla in contrario. --[[Utente:Sun-crops|Sun-crops]] ([[Discussioni utente:Sun-crops|scrivimi]]) 17:15, 4 set 2020 (CEST) :::Ho ricreato la voce, è stata cancellata mentre la stavo sistemando, me ne sono accorto al momento di pubblicarla. Penso che adesso dovrebbe andar bene, se sì un amministratore potrebbe recuperare la cronologia della voce cancellata? --[[Discussioni utente:GryffindorD|<span style="color:#007FFF">'''GryffindorD'''</span>]] 17:18, 4 set 2020 (CEST) ::::Grazie infinite GryffindorD. Grazie. Ciao, --[[Utente:Sun-crops|Sun-crops]] ([[Discussioni utente:Sun-crops|scrivimi]]) 17:21, 4 set 2020 (CEST) ::::: Direi che non è necessario ripristinare, c'era ben poco di utile. --[[Utente:Homer|Homer]] ([[Discussioni utente:Homer|scrivimi]]) 17:52, 4 set 2020 (CEST) :::::: Concordo, va bene così. -- [[Utente:Spinoziano|Spinoziano]] ([[Discussioni utente:Spinoziano|msg]]) 16:03, 5 set 2020 (CEST) ==<del>[[Azra Nuhefendić]]</del>== Non enciclopedica.<br>--[[Utente:DonatoD|DonatoD]] ([[Discussioni utente:DonatoD|scrivimi]]) 20:13, 4 set 2020 (CEST) :[[Utente:DonatoD|DonatoD]] Non sono d'accordo sul carattere non enciclopedico di questa scrittrice e giornalista. I suoi pensieri sono importanti per capire le dinamiche dell'ex-Jugoslavia. --[[Utente:Cris77|Cris77]] ::Ho provato a creare uno stub su Wikipedia ([[w:Azra Nuhefendić]]). --[[Discussioni utente:GryffindorD|<span style="color:#007FFF">'''GryffindorD'''</span>]] 14:51, 5 set 2020 (CEST) :::Direi di mantenere la voce. --[[Utente:Sun-crops|Sun-crops]] ([[Discussioni utente:Sun-crops|scrivimi]]) 15:36, 5 set 2020 (CEST) ::::Sì, visto che è stata creata su Wikipedia annullo qua, se venisse cancellata di là ci adegueremo.-- [[Utente:Spinoziano|Spinoziano]] ([[Discussioni utente:Spinoziano|msg]]) 15:55, 5 set 2020 (CEST) ::::: Grazie [[Utente:Sun-crops|Sun-crops]]. Davvero non vedo perché eliminare la scheda di Azra Nuhefendić. Grazie anche a [[utente:GryffindorD|GryffindorD]] per aver creato una voce su wikipedia. -- [[Utente:Cris77|Cris77]] ==[[Ultime parole da Dragon Ball (Anime)]]== Francamente a me i commenti del redattore sembrano smisurati. Poiché qui siamo in Wikiquote ritengo che la voce sia da cancellare. Questa la mia opinione.<br>--[[Utente:DonatoD|DonatoD]] ([[Discussioni utente:DonatoD|scrivimi]]) 20:37, 3 ott 2020 (CEST) {{+1}} --[[Utente:Homer|Homer]] ([[Discussioni utente:Homer|scrivimi]]) 22:38, 3 ott 2020 (CEST) :Da cancellare perché esiste già [[Ultime parole da Dragon Ball]] e non c'è bisogno di suddividere in più pagine tra anime e altri media per un solo franchise.-- [[Utente:Spinoziano|Spinoziano]] ([[Discussioni utente:Spinoziano|msg]]) 11:18, 4 ott 2020 (CEST) {{fatto}} - resto perplesso sulla lunghezza dei commenti. Mah.<br>--[[Utente:DonatoD|DonatoD]] ([[Discussioni utente:DonatoD|scrivimi]]) 15:53, 4 ott 2020 (CEST) ==<del>[[Matilde di Hackeborn]]</del>== Voce da cancellare: non è una citazione della santa, la fonte è da valutare. --[[Utente:Sun-crops|Sun-crops]] ([[Discussioni utente:Sun-crops|scrivimi]]) 01:10, 6 ott 2020 (CEST) :Ho provato a sistemare la voce. --[[Discussioni utente:GryffindorD|<span style="color:#007FFF">'''GryffindorD'''</span>]] 21:39, 6 ott 2020 (CEST) ::Un grazie grandissimo a Gryffindor. La voce non è più da cancellare. --[[Utente:Sun-crops|Sun-crops]] ([[Discussioni utente:Sun-crops|scrivimi]]) 22:06, 6 ott 2020 (CEST) ==[[Carlo Di Pietro]]== La voce è da cancellare: nessuna rilevanza enciclopedica, forse anche promozionale. Io cancellerei anche subito. L'utente è quasi certamente, se non certamente, un utente più volte bloccato di infinito. Colgo l'occasione per chiedere un parere sulla fonte Radiospada di cui l'utente, operando con vari IP fa un massiccio ricorso. Ho sempre avuto più di una perplessità su questa fonte. --[[Utente:Sun-crops|Sun-crops]] ([[Discussioni utente:Sun-crops|scrivimi]]) 00:06, 23 ott 2020 (CEST) ::Chiedo scusa a tutti, ma prendo l'iniziativa di cancellare: questa è la citazione inserita: "Definendo ''ex cathedra'' una [[verità]] che in sé non è rivelata, per il fatto stesso il Sommo Pontefice definirebbe l’estensione della sua infallibilità a una verità di [queste] categorie. [...] In effetti, se la Chiesa è infallibile nella custodia del [[Deposito della fede]] strettamente detto, e dunque nella determinazione del vero senso dei dogmi rivelati, per il fatto stesso è infallibile nel giudicare il vero senso, l’intenzione e l’estensione della sua autorità e infallibilità, oppure, il che è lo stesso, nel giudicare le condizioni e gli oggetti sui quali di Diritto divino essa ha autorità e per cui le è stata promessa l’assistenza dello Spirito Santo. Infatti questa autorità e questa infallibilità sono un [[dogma]] rivelato. Citato da Carlo Di pietro, [https://www.radiospada.org/2014/06/tradizione-e-oggetti-di-magistero-brevi-cenni/ ''tradizioni e oggeti del Magistero (brevi cenni)''], ''Radiospada'', 7 giugno 2014." Se la si vuole ripristinare, nessuno deve certo chiedermi il permesso. Per me è da cancellare in immediata e lo faccio ora. Chiedo infinitamente scusa a tutti. --[[Utente:Sun-crops|Sun-crops]] ([[Discussioni utente:Sun-crops|scrivimi]]) 00:31, 23 ott 2020 (CEST) P. S. Aggiungo, dopo aver cancellato, che, imho, il contenuto di questa citazione <s>non dice in sostanza nulla che già non si sappia sul dogma dell'infallibilità del Pontefice</s>. il cui incipit è peraltro assolutamente oscuro, non dice in sostanza nulla che già non si sappia sul dogma dell'infallibilità del Pontefice --[[Utente:Sun-crops|Sun-crops]] ([[Discussioni utente:Sun-crops|scrivimi]]) 00:35, 23 ott 2020 (CEST) Ho cancellato anche la pagina di discussione relativa alla voce cancellata. Questo era il contenuto: "Forse la voce è già stata creata in passato, come sembrerebbe da questa copia vuota dell'Internet Archive, sebbene non apparisse alcun avviso in merito. Il soggetto della voce collabora a Radiospada e pubblica con Sugarco e Unilibro edizioni. Credo che abbia rilevanza nel progetto."<br>"La citazione fornisce un dettaglio del dogma dell'infallibilità, circa la capacità della Chiesa di autodeterminarne ambiti e portata. Saluti e buon lavoro, Micheledisaverio — Il precedente commento non firmato è stato inserito da 78.14.138.59 (discussioni · contributi), in data 21:59, 22 ott 2020‎." --[[Utente:Sun-crops|Sun-crops]] ([[Discussioni utente:Sun-crops|scrivimi]]) 00:41, 23 ott 2020 (CEST) P. S. Questa è una scheda dell'autore [https://www.sursumcorda.cloud/articoli/teologia-politica/865-carlo-di-pietro.html], che ha pubblicato diverse opere per Edizioni Radio Spada, come si può verificare facilmente in siti di vendita di libri. Se si ritiene di dover ripristinare la voce, non faccio opposizione alcuna, anche se resto della mia idea. Rinnovo cortesemente la domanda: come si deve considerare la fonte radiospada? Grazie. --[[Utente:Sun-crops|Sun-crops]] ([[Discussioni utente:Sun-crops|scrivimi]]) 00:56, 23 ott 2020 (CEST) :::Se a utilizzare questa fonte è un utente infinitato che sta evadendo il blocco, le citazioni sono da rimuovere (a meno che qualcuno non le abbia già risistemate con fonte primaria), altrimenti continuerà a inserirne; sta anche ricominciando a creare voci, ma se riconosciamo che è lui (ed è lui stesso che si è volutamente fatto riconoscere) è opportuno cancellarle, si è visto che non è affidabile. -- [[Utente:Spinoziano|Spinoziano]] ([[Discussioni utente:Spinoziano|msg]]) 11:11, 23 ott 2020 (CEST) ==<del>[[Vincenzo Ferdinandi]]</del>== Non ho rintracciato nessuna delle due citazioni attualmente presenti. Non ho cancellato in immediata perché il secondo sito appare in manutenzione.<br>--[[Utente:DonatoD|DonatoD]] ([[Discussioni utente:DonatoD|scrivimi]]) 20:39, 30 ott 2020 (CET) :La [https://i1.wp.com/moda.mam-e.it/wp-content/uploads/2020/10/Vincenzo-Ferdinandi-nel-suo-atelier-di-via-Veneto-con-l%E2%80%99attrice-Ann-Miller.jpg?w=800&ssl=1 prima], la [https://web.archive.org/web/20200919211835/https://www.dejavuteam.com/vincenzo-ferdinandi/ seconda] (se il sito non ritorna funzionante aggiungo il link archiviato). Per qualunque cosa pingatemi. --[[Discussioni utente:GryffindorD|<span style="color:#007FFF">'''GryffindorD'''</span>]] 01:11, 31 ott 2020 (CET) ::Le citazioni sono entrambe visibili nel primo link (la prima nell'immagine sopra la frase che inizia con "Con l’affermarsi del prèt-à-porter") e l'anonimo che ha creato la voce le aveva prese entrambe da lì, quindi il secondo sito è comunque superfluo.-- [[Utente:Spinoziano|Spinoziano]] ([[Discussioni utente:Spinoziano|msg]]) 10:30, 31 ott 2020 (CET) == [[Steven Umbrello]] == Voce di un filosofo (credo) di cui non si capisce l'enciclopedicità. Da una rapida ricerca su Google non ho trovato ''fonti terze e autorevoli'', è prensente una voce su [[w:en:Steven Umbrello|en.wiki]] ma anche lì di fonti valide non ne vedo. --[[Discussioni utente:GryffindorD|<span style="color:#007FFF">'''GryffindorD'''</span>]] 17:47, 9 nov 2020 (CET) :{{Cancellare}} Non sembra affatto enciclopedico. Un ricercatore come tanti. La Pedia in lingua inglese, come ho avuto modo di testare più volte, non è affidabile sull'enciclopedicità: macina tutto.<br>--[[Utente:DonatoD|DonatoD]] ([[Discussioni utente:DonatoD|scrivimi]]) 19:37, 10 nov 2020 (CET) ::{{Cancellare}} --[[Utente:Sun-crops|Sun-crops]] ([[Discussioni utente:Sun-crops|scrivimi]]) 00:21, 12 nov 2020 (CET) {{fatto}} Voce cancellata.<br>--[[Utente:DonatoD|DonatoD]] ([[Discussioni utente:DonatoD|scrivimi]]) 19:50, 14 nov 2020 (CET) ==[[Discussioni utente:JodyPlayfair]]== *Da cancellare: "crowdfunding culturale". --[[Utente:Sun-crops|Sun-crops]] ([[Discussioni utente:Sun-crops|scrivimi]]) 08:41, 12 nov 2020 (CET) :{{fatto}}, era spam.-- [[Utente:Spinoziano|Spinoziano]] ([[Discussioni utente:Spinoziano|msg]]) 16:14, 17 nov 2020 (CET) == [[Giuseppe Grillo]] == Voce di uno scrittore di cui non si trovano fonti, neanche sul libro. --[[Discussioni utente:GryffindorD|<span style="color:#007FFF">'''GryffindorD'''</span>]] 13:47, 15 nov 2020 (CET) :{{Cancellare}}--[[Utente:DonatoD|DonatoD]] ([[Discussioni utente:DonatoD|scrivimi]]) 16:17, 15 nov 2020 (CET) ::Trovato questo: [http://www.cityweeknapoli.it/2017/09/05/scrittori-sconosciuti-diario-un-reazionario-giuseppe-grillo-settima-puntata/], se non si tratta di un omonimo. O questo: [http://www406.regione.toscana.it/bancadati/spoglimusicali/cgi-bin/pagina.pl?RicFrmAutoreEsatta=Grillo%20Giuseppe&TipoPag=spogli&RicVM=autore&RicPag=71]; omonimo? Non sembrerebbe comunque di rilevanza enciclopedica. --[[Utente:Sun-crops|Sun-crops]] ([[Discussioni utente:Sun-crops|scrivimi]]) 19:40, 16 nov 2020 (CET) :::{{fatto}} -- [[Utente:Spinoziano|Spinoziano]] ([[Discussioni utente:Spinoziano|msg]]) 16:14, 17 nov 2020 (CET) ==[[Natale Ginelli]]== Pare abbia scritto un unico libro.<br>--[[Utente:DonatoD|DonatoD]] ([[Discussioni utente:DonatoD|scrivimi]]) 17:55, 15 nov 2020 (CET) :Non sembra di rilevanza enciclopedica. --[[Utente:Sun-crops|Sun-crops]] ([[Discussioni utente:Sun-crops|scrivimi]]) 19:32, 16 nov 2020 (CET) ::{{fatto}} -- [[Utente:Spinoziano|Spinoziano]] ([[Discussioni utente:Spinoziano|msg]]) 08:27, 21 mar 2021 (CET) ==<S>[[W. C. Handy]]</S>== Citazioni non reperibili nelle fonti indicate. Omesso l'inserimento del testo originale, come richiesto per le traduzioni non ufficiali. --[[Utente:Sun-crops|Sun-crops]] ([[Discussioni utente:Sun-crops|scrivimi]]) 19:28, 16 nov 2020 (CET) :Enciclopedico, ma allo stato attuale la voce è da cancellare.<br>--[[Utente:DonatoD|DonatoD]] ([[Discussioni utente:DonatoD|scrivimi]]) 19:44, 16 nov 2020 (CET) ::Allo stato della pubblicazione era da C3, ho provato a dargli una sistemata ma se non va bene cancellate pure. --[[Discussioni utente:GryffindorD|<span style="color:#007FFF">'''GryffindorD'''</span>]] 19:45, 16 nov 2020 (CET) :::Ancora una volta grazie, GryffindorD. --[[Utente:Sun-crops|Sun-crops]] ([[Discussioni utente:Sun-crops|scrivimi]]) 23:27, 16 nov 2020 (CET) == [[Rodolfo Ferrari]] == Voce di uno scrittore italiano (collegata su Wikidata a un omonimo). Cercando su Google non ho trovato nulla. --[[Discussioni utente:GryffindorD|<span style="color:#007FFF">'''GryffindorD'''</span>]] 23:39, 17 nov 2020 (CET) :Avrei trovato questo [https://books.google.it/books?id=GWkLAAAAQAAJ&dq=rodolfo%20ferrari&hl=it&pg=PA255#v=onepage&q=rodolfo%20ferrari&f=false], autore di ''Nastri azzurri'' e ''Due uova al tegame''; anche qui: un omonimo? Tutto resta comunque molto vago, oscuro. La voce wikipedia Roberto Ferrari direttore d'orchestra [https://books.google.it/books?id=grHwDQAAQBAJ&lpg=PT226&dq=rodolfo%20ferrari%20scrittore&hl=it&pg=PT226#v=onepage&q=rodolfo&f=false] è tutt'altra cosa, quindi almeno il link è erroneo. Potrei sbagliarmi, ma non sembra di rilevanza enciclopedica. --[[Utente:Sun-crops|Sun-crops]] ([[Discussioni utente:Sun-crops|scrivimi]]) 02:43, 18 nov 2020 (CET) P. S. A dire il vero ci sarebbe anche questo: [https://books.google.it/books?hl=it&id=ZDSjPn-uY3EC&dq=rodolfo+ferrari+Avventura+d%27un+giorno%3A+poesia&focus=searchwithinvolume&q=rodolfo+ferrari+] [https://www.google.com/search?biw=1152&bih=631&tbm=bks&ei=13y0X7CTILXD8gLC9LaIDw&q=rodolfo+ferrari+Avventura+d%27un+giorno%3A+poesia&oq=rodolfo+ferrari+Avventura+d%27un+giorno%3A+poesia&gs_l=psy-ab.12...13912.16668.0.18244.2.2.0.0.0.0.75.135.2.2.0....0...1c.1j2.64.psy-ab..0.0.0....0.suLewvQZE7U] ''Avventura d'un giorno'', ''Poesie'', SEI, Torino, 1965. A questo punto sinceramente sono molto in dubbio. Forse è enciclopedico? --[[Utente:Sun-crops|Sun-crops]] ([[Discussioni utente:Sun-crops|scrivimi]]) 02:51, 18 nov 2020 (CET) ::{{Cancellare}} Mi sembra poco per tenere la voce.<br>--[[Utente:DonatoD|DonatoD]] ([[Discussioni utente:DonatoD|scrivimi]]) 20:09, 18 nov 2020 (CET) :::{{fatto}} -- [[Utente:Spinoziano|Spinoziano]] ([[Discussioni utente:Spinoziano|msg]]) 08:27, 21 mar 2021 (CET) == [[Template:Progresso Progetto]] == Eliminerei questo template, usato in fondo alla [[pagina principale]], perché il numero delle voci viene già indicato in maniera chiara e precisa a metà homepage dove c'è scritto "Benvenuto in Wikiquote...". -- [[Utente:Spinoziano|Spinoziano]] ([[Discussioni utente:Spinoziano|msg]]) 09:33, 22 gen 2021 (CET) :{{cancellare}} concordo. --[[Discussioni utente:GryffindorD|<span style="color:#007FFF">'''GryffindorD'''</span>]] 11:59, 1 feb 2021 (CET) ::{{cancellare}}--[[Utente:DonatoD|DonatoD]] ([[Discussioni utente:DonatoD|scrivimi]]) 20:19, 4 feb 2021 (CET) :::{{fatto}}-- [[Utente:Spinoziano|Spinoziano]] ([[Discussioni utente:Spinoziano|msg]]) 10:07, 5 mar 2021 (CET) == [[Giovanni Morassutti]] == Voce di un attore cancellata su itwiki e al momento è anche bloccata per la creazione. I ruoli da attore sono secondari e anche su Google fonti autorevoli non se ne trovano. Su itwiki al momento non c'è consenso per creare la voce. C'è anche un'insistenza da parte di un utente, infatti non bisogna prendere per buoni gli progetti (come ho erroneamente fatto) perché da una rapida occhiata dietro la creazione delle voci c'è sempre la stessa persona. Come ad esempio [https://en.wikiquote.org/w/index.php?title=Giovanni_Morassutti&oldid=2564581 enwikiquote] (Utente:Sallustinus) e [https://en.wikipedia.org/w/index.php?title=Giovanni_Morassutti&oldid=853582373 enwiki] (Utente:Doratig), entrambi [[w:Speciale:LinkPermanente/118340425#Proposta nuova voce|sockpuppet dichiarati]]. --[[Discussioni utente:GryffindorD|<span style="color:#007FFF">'''GryffindorD'''</span>]] 23:54, 3 feb 2021 (CET) Per rispondere come richiesto da [[Utente:Sun-crops]]: ''I ruoli da attore sono secondari'':[https://cineuropa.org/en/filmography/381272/ Cineuropa], [https://tv.apple.com/us/person/giovanni-morassutti/umc.cpc.3jxx95r9p0m9bz2v7sd9c2wph ''Apple Tv''], [https://www.crew-united.com/en/Giovanni-Morassutti_482593.htmll ''Crew United(L sta per Lead=protagonista)''] ''su Google fonti autorevoli non se ne trovano'':Rimanendo in tema di citazioni:[https://mubi.com/cast/giovanni-morassutti Mubi], [https://www.quoteikon.com/giovanni-morassutti-quotes.html Quoteikon],[https://www.goodreads.com/author/quotes/19010963.Giovanni_Morassutti Goodreads],[https://libquotes.com/giovanni-morassutti Libquotes], [http://fixquotes.com/authors/giovanni-morassutti.htm Fixquotes], [https://www.quoteslyfe.com/blog/article/Best-Quotes-of-Giovanni-Morassutti-126 Quoteslife],[https://worldwitandwisdom.com/author/giovanni-morassutti/ Jonathan Choat's Compendium of World Wit & Wisdom],[https://www.knauit.com/author/giovanni-morassutti Knauit],[https://www.babelio.com/auteur/Giovanni-Morassutti/532996/citations Babelio], [https://cerealquotes.com/quotees/5cbd8716311e6c56220d9737/giovanni-morassutti Cereal Quotes], [https://www.thegoldenquotes.net/browse-quote-lists/best-quotes-from-giovanni-morassutti/ The Golden Quotes], [https://www.imdb.com/name/nm3466205/bio?ref_=nm_ql_dyk_1#quotes IMDb],[https://dev.quotes.wiki/author/giovanni_morassutti/ Curated quotes on Quotes Wiki], [https://www.thyquotes.com/giovanni-morassutti/ Thy Quotes]''dietro la creazione delle voci c'è sempre la stessa persona'': Per citare il progetto padre di Wikipedia:''"What is contributed is more important than who contributes it"(Ciò che si apporta è più importante di chi lo apporta)''. Ai fini del miglioramento di wikiquote in italiano propongo di prestare attenzione al [https://it.wikipedia.org/wiki/Wikipedia:Localismo ''localismo''] nel discutere la voce in oggetto. A disposizione--[[Utente:Albertulli|Albertulli]] ([[Discussioni utente:Albertulli|scrivimi]]) 13:36, 4 feb 2021 (CET) :Ma è precisamente ciò che si è apportato l'argomento della discussione: ha rilevanza enciclopedica Giovanni Morassutti?; è questa la domanda che è stata posta, con esito negativo, in wikipedia e che viene posta anche qui. O, forse, leggendo (magari erroneamente, è possibile) fra le righe dell'intervento che precede, per capirne di più, ci si deve interrogare anche su chi lo apporta? --[[Utente:Sun-crops|Sun-crops]] ([[Discussioni utente:Sun-crops|scrivimi]]) 14:38, 4 feb 2021 (CET) ::Albertulli: in che senso "localismo"?<br>--[[Utente:DonatoD|DonatoD]] ([[Discussioni utente:DonatoD|scrivimi]]) 20:25, 4 feb 2021 (CET) Ciao [[Utente:DonatoD|DonatoD]] ([[Discussioni utente:DonatoD|scrivimi]]), per localismo intendo non ritenere Wikipedia in lingua italiana, la Wikipedia dell'Italia. Wikipedia in Italiano come anche it.Wikiquote a mio parere dovrebbero tenere conto del valore enciclopedico di una voce in un'ottica globale. Nel caso di Morassutti, ad esempio, parlando esclusivamente della sua attivita´di attore, credo che i suoi crediti da protagonista, coprotagonista o ruoli secondari nel cinema e/o televisione non debbano essere considerati vincolati a un determinato luogo (Italia) e penso che il valore enciclopedico della voce sia dato anche dal fatto che Morassutti e´un attore preparato in uno specifica metodolgia attoriale (Method acting) di valenza enciclopedica e per questo fonte di interesse per chi si interessa a questo campo. In altre parole penso che sia da usare il buonsenso nella valutazione dell`enciclopedicita´della voce. Per rifuggire dal localismo, ad esempio, potrebbe essere utile, a mio modesto parere, cercare fonti non solamente su Google Italia ma cercare anche su Google US, dal momento che l´attore ha vissuto per diversi anni a New York o Google FR o Google ES per trovare altre fonti autorevoli come ad esempio [http://catalogo.bne.es/uhtbin/authoritybrowse.cgi?action=display&authority_id=XX6059976 questa] che lo descrive nel suo essere un attore che ha preso parte a diverse importanti produzioni del cinema indipendente . Basta cambiare le impostazioni dell'area geografica e della lingua [https://www.google.com/preferences?hl=it&prev=https://www.google.com/search?rlz%3D1C1CHBF_deDE925DE925%26ei%3DUGIcYLabI_LpxgPNxqmYCw%26q%3Dfrancia%2Bsigla%26oq%3Dfrancia%2Bsigla%26gs_lcp%3DCgZwc3ktYWIQAzIECAAQEzIECAAQEzIECAAQEzIICAAQFhAeEBMyCAgAEBYQHhATMggIABAWEB4QEzIICAAQFhAeEBMyCAgAEBYQHhATMgoIABAWEAoQHhATMggIABAWEB4QEzoKCC4QsAMQQxCTAjoHCC4QsAMQQzoHCC4QQxCTAjoECC4QQzoICAAQsQMQgwE6BAgAEEM6CwgAELEDEMcBEKMCOgUIABCxAzoICC4QsQMQgwE6BQguELEDOggILhCxAxCTAjoOCAAQsQMQgwEQxwEQrwE6AgguOgIIADoICAAQxwEQrwE6BAgAEAo6BQguEJMCOgQILhAKOgYIABAWEB46BAguEBNQ5oIBWO6VAWCWmQFoA3AAeAGAAeEBiAHUC5IBBTguNS4xmAEAoAEBqgEHZ3dzLXdpesgBCsABAQ%26sclient%3Dpsy-ab%26ved%3D0ahUKEwi2g6jZkdHuAhXytHEKHU1jCrMQ4dUDCA0%26uact%3D5%26safe%3Dimages qui] Rispetto a Wikipedia in italiano, pur rispettando e in parte condividendo i criteri che si e´data, ti confesso che rimango un po´perpesso nel vedere che la voce di un "italiano" venga considerata enciclopedica in 7 progetti Wikipedia ma non in quella del suo paese d`origine ma questa e´una mia pesonale considerazione non necessariamente pertinete in questa sede. Un cosa pero´la voglio dire rispetto alla voce su it.wikipedia: come scrivevo a [[Discussioni utente:GryffindorD|<span style="color:#007FFF">'''GryffindorD'''</span>]] la voce e´stata cancellata dopo 8 mesi senza alcun avviso ne proposta di cancellazione per aprire una discussione. A mio parere questo non e´stato fatto nel criterio delle linee guida. Mi sai per caso dire qualcosa in merito?Grazie --[[Utente:Albertulli|Albertulli]] ([[Discussioni utente:Albertulli|scrivimi]]) 22:54, 4 feb 2021 (CET) :In wikipedia risulta che questa voce è stata cancellata più volte con motivazioni che oltrepassano di molto la semplice questione di rilevanza enciclopedica. [https://it.wikipedia.org/wiki/Giovanni_Morassutti]. --[[Utente:Sun-crops|Sun-crops]] ([[Discussioni utente:Sun-crops|scrivimi]]) 23:56, 4 feb 2021 (CET) Esatto [[Utente:Sun-crops|Sun-crops]]. Mi riferisco alla cancellazione del 28 ago 2018 per violazione di WP:CSC. La cancellazzione e´stata immediata, senza avvisi ne proposta di cancellazione per aprire una discussione. Secondo voi una cancellazione fatta con questa modalita`rispetta le linee guida di itwikipedia ? Io non lo so perche´non ho mai cancellato niente.--[[Utente:Albertulli|Albertulli]] ([[Discussioni utente:Albertulli|scrivimi]]) 03:23, 5 feb 2021 (CET) :Ma alla cancellazione del 28 agosto ne è seguita un'altra, il 12 marzo 2019 per ''reiterati'' inserimenti promozionali a causa dei quali la voce è stata protetta. Quanto alla domanda: le decisioni di wikipedia vanno necessariamente discusse lì, ma in linea generale: se viene rilevata una violazione palese di WP:CSC o la creazione di una voce promozionale, l'amministratore non solo può, ma ha il dovere di cancellare immediatamente. Questo non preclude la possibilità di discuterne, come sta avvenendo in wikipedia per questa voce. --[[Utente:Sun-crops|Sun-crops]] ([[Discussioni utente:Sun-crops|scrivimi]]) 05:56, 5 feb 2021 (CET) Si il blocco della pagina e´avvenuto a seguito di una edit war tra me e l`amministratore che aveva cancellato la pagina il 12 Marzo 2018. Non ho chiesto lo sblocco in questi anni per non insistere. Vedremo gli esiti della discussione visti anche i progressi della carriera dell'attore a livello nazionale.(Presenza al concorso dei [https://www.daviddidonatello.it/motore-di-ricerca/cercavincitori2.php?idsoggetto=19332&vin= David di Donatello 2021], Mostra [https://www.cinematografo.it/news/questione-di-metodo/ Strasberg Legacy] su Google Arts & Culture) Grazie per la tua proposta a sistemare la sezione citazione su. Consigli di togliere quella del regista Vito Pagano ? La fonte originaria era all'interno di un'intervista su Fanpage.it ma al momento non piu´visibile perche´ immagino abbiano archiviato l'articolo. Cosa si fa in questi casi ? --[[Utente:Albertulli|Albertulli]] ([[Discussioni utente:Albertulli|scrivimi]]) 11:01, 5 feb 2021 (CET) :Per la sezione Citazioni su abbiamo: John Strasberg, sicuramente enciclopedico, il documentario "Personal Dream Space", Ernesto Pérez, (giornalista) e Vito Pagano, opera <s>ed</s> autori e regista di cui va valutata, come per ogni voce, la rilevanza enciclopedica. Se una fonte non è visibile è assai problematico indicarla. Quindi tranne che per Strasberg gli altri inserimenti vacillano molto e per ognuno andrebbe discussa la rilevanza enciclopedica. Ma sono comunque al momento tutti nulli. Faccio un solo esempio che vale per tutti, Strasberg: perché quell'inserimento sia valido occorre creare la voce John Strasberg, inserirvi la citazione con fonte, pubblicare la voce. Solo se si è fatto questo è poi possibile inserire validamente la citazione nella sezione citazioni su con il solo nome dell'autore ed il wikilink: ([[John Strasberg]]). Se manca il primo passaggio, il secondo è nullo, è come non avere inserito nulla. Questo vale per Strasberg come per tutti gli autori e il documentario citati nella sezione. Ma, tranne che per Strasberg, su ognuna delle voci create verrà senz'altro sollevata la questione della rilevanza ed è possibile che vengano annullate se non verranno prodotti argomenti che la provino. Del resto, imho, questo è attualmente un problema secondario, perché se la voce venisse annullata, qui, in wikiquote, cadrebbe anche la sezione delle citazioni su. Se però vuoi creare le relative voci, discutendo per ognuna come stiamo facendo per Giovanni Morassutti, col rischio (Strasberg escluso) altissimo, credo, di annullamento è una decisione che rimetto a te. --[[Utente:Sun-crops|Sun-crops]] ([[Discussioni utente:Sun-crops|scrivimi]]) 12:08, 5 feb 2021 (CET) ::Non essendo stato fornito alcun elemento consistente in senso opposto, il mio parere è che la voce Giovanni Morassutti non abbia rilevanza enciclopedica, e che inoltre sia una voce chiaramente promozionale. La voce potrebbe divenire enciclopedica in futuro, ora non è così, quindi è da cancellare. --[[Utente:Sun-crops|Sun-crops]] ([[Discussioni utente:Sun-crops|scrivimi]]) 17:35, 5 feb 2021 (CET) :::Chiedo per cortesia un parere a tutti i collaboratori: il testo di questa citazione di [[John Strasberg]]: "<s>Giovanni era molto serio quando studiava a New York e credo che abbia sofferto molto. Quando il mio lavoro ha davvero realmente valore la persona non impara solo a recitare, ma scopre se stessa e il proprio processo creativo e penso che a Giovanni sia successo proprio questo.</s>", "Giovanni era molto serio quando studiava a New York e credo che abbia sofferto molto. Quando il mio lavoro ha davvero realmente valore la persona non impara solo a recitare, ma scopre se stessa e il proprio processo creativo e penso che Giovanni sia uno di quelli ai quali è successo proprio questo." che è finora il solo elemento di un certo rilievo emerso, dice qualcosa che permette di considerare, in modo inequivocabile, come enciclopedicamente rilevante la voce Giovanni Morassutti? A mio personalissimo parere, no. Sono parole certo lusinghiere dette da un maestro, delle quali Morassutti può sentirsi a giusto titolo fiero, ma non permettono di concludere assolutamente nulla per quello che qui interessa. --[[Utente:Sun-crops|Sun-crops]] ([[Discussioni utente:Sun-crops|scrivimi]]) 19:26, 5 feb 2021 (CET) ::::Albertulli, okay, ho inteso cosa mi scrivi. I punti sono due: ogni progetto Wiki ha le sue regole, che si somigliano ma non dettano affatto legge l'una all'altra, nemmeno Wikipedia in lingua italiana a Wikiquote in lingua italiana; che una voce sia enciclopedica lo devono provare ''in primis'' le fonti, non i progetti. Certamente però se il progetto più affine al nostro, Wikipedia in italiano, ritiene la voce non enciclopedica questo depone a sfavore. I collegamenti che usi per provare che la voce in oggetto sia enciclopedica portano a pagine che non avvalorano la tua tesi. In altre parole anche se costui ha recitato in 20 o 200 film, questo non prova che sia enciclopedico (ha avuto ruoli di rilievo menzionati da fonti autorevoli?). Poi la prima pagina ''linkata'' fa riferimento a Wikipedia: e che facciamo qui, sosteniamo le fonti a vicenda?... Poi, di quale teatro è direttore il soggetto?<br>--[[Utente:DonatoD|DonatoD]] ([[Discussioni utente:DonatoD|scrivimi]]) 20:32, 5 feb 2021 (CET) Ciao [[Utente:DonatoD|DonatoD]] ([[Discussioni utente:DonatoD|scrivimi]]), il soggetto e´il fondatore e direttore artistico di [https://artsandculture.google.com/partner/art-aia-creatives-in-residence Art Aia - Creatives / In / Residence], una residenza per artisti internazionale e progetto no-profit di cui tra l'altro la voce ha subito cancellazione immediata senza avvisi o proposta di discussione nel 2018 su it.wikipedia.--[[Utente:Albertulli|Albertulli]] ([[Discussioni utente:Albertulli|scrivimi]]) 21:04, 5 feb 2021 (CET) :Ok, ho visto. Il punto è che non mi pare che ci siano fonti terze autorevoli che dichiarino una importanza, una rilevanza, né del soggetto né di questo teatro.<br>--[[Utente:DonatoD|DonatoD]] ([[Discussioni utente:DonatoD|scrivimi]]) 22:05, 5 feb 2021 (CET) Hai visto [https://www.artforum.com/artguide/art-aia-creatives-in-residence-20804/giovanni-morassutti-and-the-strasberg-legacy-on-google-arts-culture-190681 questa] preveniente da [https://it.wikipedia.org/wiki/Artforum Artforum]?--[[Utente:Albertulli|Albertulli]] ([[Discussioni utente:Albertulli|scrivimi]]) 22:35, 5 feb 2021 (CET) ::Advertising gabellato in discussione come fonte autorevole che andrebbe cancellato. --[[Utente:Sun-crops|Sun-crops]] ([[Discussioni utente:Sun-crops|scrivimi]]) 23:05, 5 feb 2021 (CET) Anche [https://www.youtube.com/watch?v=B_4F3vWBNe4 questa], a tuo parere, proveniente dalla [https://www.facebook.com/watch/?v=1059803151190669 Rai] si tratta di "Advertising gabellato"? --[[Utente:Albertulli|Albertulli]] ([[Discussioni utente:Albertulli|scrivimi]]) 23:29, 5 feb 2021 (CET) ::Sì, e preferisco non commentare oltre; solo questo, magari: i vapori Heidi-style, che si levano dal basso con stereotipa e monotona uniformità, sono riusciti malino, l'immagine trionfale, in stile celebrativo, vagamente agit-prop, che campeggia in primo piano è lievemente angosciante. Le faccio grazia del resto. Tutto mi porta a pensare che lei sia un assai intimo conoscente del Sig. Morassutti. Può, per favore, e mi scuso se oso tanto, chiedergli da parte mia che definizione darebbe di ''imprenditore'' culturale? ({{small|locuzione un po' Kitsch trovo...}}) E ancora: in cosa un ''imprenditore'' culturale si differenzia, se mai si differenzia, da un normale ''imprenditore''? Anche un editore è un imprenditore culturale e il "culturale" non fa cessare e neppure necessariamente "ingentilisce" la natura di imprenditore dell'imprenditore, che, essendo tale, ''deve'' per forza di cose ricercare un profitto. Capisco che non è la piacevole, comoda intervista-monologo Rai, e tutto sommato comprenderei il Sig. Morassutti se, per pathos delle distanze, non volesse degnarsi; però, mi dico, perché non tentare l'intervista, potrei essere fortunato. Il fatto è che un imprenditore è un imprenditore è un ''imprenditore'' così come Rose is a rose is a rose is a rose. – (e questo imprenditore ''culturale'', tramite Albertulli, si sta facendo una tonnellata di pubblicità . N'est-ce pas?) – Quello che sta succedendo in questa pagina è gravissimo, ogni discussione un assist per inserire messaggi promozionali. Non intendo prestarmi a questa operazione. Però, se mai Morassutti, tramite Albertulli, volesse rispondere al quesito, leggerò con grande interesse. --[[Utente:Sun-crops|Sun-crops]] ([[Discussioni utente:Sun-crops|scrivimi]]) 03:34, 6 feb 2021 (CET) :::{{fatto|}} Cancellata. Se un giorno verrà considerato enciclopedico sulla Wikipedia italiana, potrà essere ricreata anche qui, ma fino ad allora è inutile continuare a discuterne qua, evidentemente non c'è consenso da parte della comunità. -- [[Utente:Spinoziano|Spinoziano]] ([[Discussioni utente:Spinoziano|msg]]) 08:52, 6 feb 2021 (CET) ==<S>[[Ettore Cantoni]]</S>== Non mi risulta enciclopedico.<br>--[[Utente:DonatoD|DonatoD]] ([[Discussioni utente:DonatoD|scrivimi]]) 20:48, 3 mar 2021 (CET) *{{mantenere}}, ha una voce sulla [https://www.treccani.it/enciclopedia/ettore-cantoni/ Treccani]. --[[Discussioni utente:GryffindorD|<span style="color:#007FFF">'''GryffindorD'''</span>]] 12:34, 4 mar 2021 (CET) *Non voto perché non ho diritto ma do un parere come è civile che sia e come è sempre stato ammesso nell'universo Wiki in base ai princìpi di collaborazione e buon senso e nell'interesse del progetto. L'Autore è palesemente enciclopedico: c'è un articolo di Treccani ([https://www.treccani.it/enciclopedia/ettore-cantoni/ qui]) e anche dell'enciclopedia De Agostini ([https://www.sapere.it/enciclopedia/Cant%C3%B3ni%2C+%C3%88ttore.html qui]). C'è anche la pagina su Wikisource, dove c'è un lavoro in corso. È tuttora stampato da Sellerio ([https://sellerio.it/it/catalogo/Quasi-Una-Fantasia/Cantoni/1598 vedi]). Gli studiosi di letteratura se ne sono occupati; basta fare delle ricerche, anche solo su Google books. Il relativo articolo non è mai stato cancellato da Wikipedia, semplicemente non è stato ancora creato; ma Roma non è stata fatta in un giorno. Sono cose facilmente verificabili e che devono essere verificate prima di proporre le cancellazioni, naturalmente. Gli utenti esperti non possono non saperlo: infatti GryffindorD si è sùbito regolato così. Mettere la pagina in cancellazione è un'operazione infondata (come si è dimostrato) e come minimo superficiale. Curioso che l'amministratore che l'ha proposta come prima cosa ha pensato non alla cancellazione stessa, ma a fare [https://it.wikiquote.org/w/index.php?title=Ettore_Cantoni&diff=1132534&oldid=1132533 questo edit], segno che anche per lui la non-enciclopedicità non c'era. Quando poi io ho annullato quell'edit assurdo fornendo una spiegazione inoppugnabile per logica e corroborata dalla prassi ([https://it.wikiquote.org/w/index.php?title=Ettore_Cantoni&diff=1132537&oldid=1132534 vedi]), allora ha pensato alla cancellazione. Tale condotta non può onestamente non interpretarsi come una puerile ripicca. La buona fede si presume, certo, ma solo fino a prova contraria. Infatti la richiesta di cancellazione è immotivata e appoggiata a un mero punto di vista personale: «Non mi risulta enciclopedico». Sono ulteriori elementi che chi è chiamato a decidere le sorti dell'articolo deve tenere in conto, perché mostrano i motivi (fasulli) per cui si è arrivati a questo punto. L'obbiettivo è, come sempre, far crescere un progetto. Distruggere le voci senza ragione e per orgoglio e motivazioni personali è la più grave delle condotte problematiche. --[[Speciale:Contributi/87.20.90.157|87.20.90.157]] ([[User talk:87.20.90.157|msg]]) 13:56, 4 mar 2021 (CET) :{{mantenere}}, rivolgo però cortesemente un invito all'utente <s>di</s> ad evitare quanto più possibile argomenti <s>ad personam</s>, ad personam, specie se espressi, come in questo caso, con parole e valutazioni non corrette e assolutamente non condivisibili; è sempre più costruttivo mantenere la discussione su un piano oggettivo, sulle cose. --[[Utente:Sun-crops|Sun-crops]] ([[Discussioni utente:Sun-crops|scrivimi]]) 15:36, 4 mar 2021 (CET) ::La voce viene mantenuta.-- [[Utente:Spinoziano|Spinoziano]] ([[Discussioni utente:Spinoziano|msg]]) 09:44, 21 mar 2021 (CET) ==[[Waldemaro morgese]]== Da cancellare: la rilevanza enciclopedica di questa voce è molto dubbia, voce, imho, promozionale. --[[Utente:Sun-crops|Sun-crops]] ([[Discussioni utente:Sun-crops|scrivimi]]) 13:28, 18 mar 2021 (CET) :SOno registrato su Wikipedia da due giorni; la pagina su Wikipedia l'ho scritta su prove di Waldrek e sto attendendo di poterla trasformare in pagina di Wikipedia. Per gli incipit mi sono attenuto ad altri incipit da romanzi ospitati su Wikiquote, ad esempio la mia conterranea Gabriella Genisi. {{non firmato|Wadrek|17:51 18 mar 2021‎}} :{{Ping|Waldrek}} Non è un argomento dimostrativo poiché [[W:Gabriella Genisi|Gabriella Genisi]] è presente in wikipedia, e, almeno fino ad oggi, non è stata sollevata alcuna questione di rilevanza. Di conseguenza, alla data attuale, è ufficialmente enciclopedica. Mi permetto molto rispettosamente di insistere su un punto: come mai in wikipedia si è fatta solo una ''pagina utente'', che non è in alcun modo una pagina di prova, ma una pagina di presentazione ed invece qui si è immediatamente creata una pagina ufficiale? Se si è avuta tanta cautela lì, perché qui no. Anzi, no e anche sì. Poiché oltre ad una pagina ufficiale ce n'è un'altra di prova: [[Wikiquote:Pagina delle prove]]. Strano. Gentile utente, si faccia dare al più presto l'"attestato" di rilevanza enciclopedica in wikipedia – si può iniziare anche con un semplice stub – e con questo il problema è risolto anche qui (se e fino a che la rilevanza viene confermata, giacché i due progetti procedono congiuntamente). È in assoluto la cosa migliore da fare. --[[Utente:Sun-crops|Sun-crops]] ([[Discussioni utente:Sun-crops|scrivimi]]) 19:19, 18 mar 2021 (CET) Ok, procediamo così, Grazie. {{non firmato|Waldrek|19:02 18 mar 2021‎}} :La voce pare da cancellazione immediata, aspettiamo un giorno o due se l'utente vuole provare a crearla su Wikipedia, ma altrimenti procederemo con la cancellazione.-- [[Utente:Spinoziano|Spinoziano]] ([[Discussioni utente:Spinoziano|msg]]) 10:28, 19 mar 2021 (CET) ::{{Ping|Waldrek}} Sono d'accordo. --[[Utente:Sun-crops|Sun-crops]] ([[Discussioni utente:Sun-crops|scrivimi]]) 11:23, 19 mar 2021 (CET) :::{{Ping|Waldrek}} Potrei aver indotto in errore Waldrek: il mio "Sono d'accordo" è riferito all'intervento di Spinoziano, ciò significa che c'è un tempo ristrettissimo per evitare, del tutto temporaneamente, l'annullamento della voce; per mantenerla cioè sub condicione in attesa delle decisioni di wikipedia. La relativa voce non è stata ancora creata e sottoposta al vaglio dei wikipediani. Non resta molto tempo. --[[Utente:Sun-crops|Sun-crops]] ([[Discussioni utente:Sun-crops|scrivimi]]) 20:34, 19 mar 2021 (CET) ::::{{Ping|Waldrek}} Ormai siamo vicinissimi alla scadenza del tempo utile per mantenere la voce ({{small|direi anzi che tutto sommato il tempo è già scaduto}}). Come precisato due giorni fa, anche una voce stub in wikipedia andava bene per mantenerla qui fino alla decisione definitiva dei wikipediani. --[[Utente:Sun-crops|Sun-crops]] ([[Discussioni utente:Sun-crops|scrivimi]]) 23:57, 20 mar 2021 (CET) :::::{{fatto}} -- [[Utente:Spinoziano|Spinoziano]] ([[Discussioni utente:Spinoziano|msg]]) 08:27, 21 mar 2021 (CET) {{rientro}} {{Ping|Spinoziano}} OK, grazie. Non si poteva fare altrimenti. --[[Utente:Sun-crops|Sun-crops]] ([[Discussioni utente:Sun-crops|scrivimi]]) 10:05, 21 mar 2021 (CET) == <del>[[Domenico Mogavero]]</del> == L'unica citazione è poco significativa, poco chiara, legata a una polemica politica. -- [[Utente:Spinoziano|Spinoziano]] ([[Discussioni utente:Spinoziano|msg]]) 11:40, 3 apr 2021 (CEST) :Sì, avevo già rilevato l'anomalia della citazione in o.d.m. È bene quindi che {{ping|Gilldragon}} inserisca un'altra citazione chiara e significativa in sostituzione per evitare che la voce venga cancellata. --[[Utente:Sun-crops|Sun-crops]] ([[Discussioni utente:Sun-crops|scrivimi]]) 18:20, 3 apr 2021 (CEST) ::Ora la voce va bene. -- [[Utente:Spinoziano|Spinoziano]] ([[Discussioni utente:Spinoziano|msg]]) 08:47, 4 apr 2021 (CEST) == [[Mauro De Vincentiis]] == Come scritto da {{ping|Sun-crops}} nella pagina di discussione, non pare enciclopedico. Risulta abbia pubblicato solo con editori minori. -- [[Utente:Spinoziano|Spinoziano]] ([[Discussioni utente:Spinoziano|msg]]) 18:06, 11 apr 2021 (CEST) :{{ping|Spinoziano}} Confermo, non sembra affatto enciclopedico. --[[Utente:Sun-crops|Sun-crops]] ([[Discussioni utente:Sun-crops|scrivimi]]) 18:08, 11 apr 2021 (CEST) ::{{fatto}} -- [[Utente:Spinoziano|Spinoziano]] ([[Discussioni utente:Spinoziano|msg]]) 09:40, 2 giu 2021 (CEST) == [[Jean Carlyle Graham]] == Come scritto da {{ping|Sun-crops}} nella pagina di discussione "non è da escludere che per questa voce possa porsi un problema di rilevanza enciclopedica. [...] In ogni caso la voce non può rimanere in queste condizioni, l'attuale traduzione è inammissibile, non ho trovato citazioni con cui poterla mantenere e penso che non ci sia alternativa alla cancellazione." La voce è stata creata dall'anonimo già attivo da anni su Lierna e Lago di Como, purtroppo i suoi contributi sono quasi sempre da annullare. -- [[Utente:Spinoziano|Spinoziano]] ([[Discussioni utente:Spinoziano|msg]]) 09:40, 2 giu 2021 (CEST) :Questa voce andrà quindi cancellata, credo. --[[Utente:Sun-crops|Sun-crops]] ([[Discussioni utente:Sun-crops|scrivimi]]) 09:46, 2 giu 2021 (CEST) ::{{fatto}} -- [[Utente:Spinoziano|Spinoziano]] ([[Discussioni utente:Spinoziano|msg]]) 08:31, 21 giu 2021 (CEST) ==[[Christiana Visentin Gajoni]]== Come già evidenziato nella Discussione della voce, la rilevanza enciclopedica è dubbia e la voce potrebbe essere promozionale. {{cfr}} [https://fr.wikipedia.org/wiki/Christiana_Visentin_Gajoni] e [https://fr.wikipedia.org/w/index.php?title=Christiana_Visentin_Gajoni&action=history]. La voce è stata creata in fr.wikipédia il 20 giugno 2021 alle 19:44‎, dall'utente 2001:b07:646a:e886:d005:9ce0:f21:20ee --[[Utente:Sun-crops|Sun-crops]] ([[Discussioni utente:Sun-crops|scrivimi]]) 22:02, 27 giu 2021 (CEST) :{{cancellare}} --'''<span style="letter-spacing:2px; font-size:11px;">[[Utente:Dread83|<span style="color:black;">DOPPIA•</span>]][[Discussioni utente:Dread83|<span style="color:darkblue;">DI</span>]]</span>''' 22:11, 27 giu 2021 (CEST) ::{{fatto}} (conteneva una sola "[https://it.wikiquote.org/w/index.php?title=Alberto_Lattuada&diff=prev&oldid=1153228 citazione su]" mal inserita) Si tratta di un ip dinamico che già conosciamo; le sue voci sono anche cancellabili in immediata quando presentano gli stessi problemi rilevati in questa. -- [[Utente:Spinoziano|Spinoziano]] ([[Discussioni utente:Spinoziano|msg]]) 08:32, 28 giu 2021 (CEST) == <del>[[Sue Gardner]]</del> == L'unica frase presente non è abbastanza significativa, occorre qualcosa di più significativo.-- [[Utente:Spinoziano|Spinoziano]] ([[Discussioni utente:Spinoziano|msg]]) 13:46, 30 giu 2021 (CEST) :Grazie a chi ha sistemato! -- [[Utente:Spinoziano|Spinoziano]] ([[Discussioni utente:Spinoziano|msg]]) 08:13, 1 lug 2021 (CEST) == <del>[[Harvey Milk]]</del> == L'unica citazione non ha una fonte verificabile, e se non è una traduzione ufficiale occorre aggiungere il testo originale.-- [[Utente:Spinoziano|Spinoziano]] ([[Discussioni utente:Spinoziano|msg]]) 18:03, 30 giu 2021 (CEST) :Ho aggiunto il testo originale, con la vera fonte. Non è tratta da un'intervista, ma da un discorso; e ''That's What America Is'' è il titolo del discorso, non il periodico/la trasmissione che ha effettuato la fantomatica intervista. Una traduzione fedele (quella riportata dall'anonimo non lo è per niente) non la trovo, su Google Libri non c'è nulla. --'''<span style="letter-spacing:2px; font-size:11px;">[[Utente:Dread83|<span style="color:black;">DOPPIA•</span>]][[Discussioni utente:Dread83|<span style="color:darkblue;">DI</span>]]</span>''' 22:13, 30 giu 2021 (CEST) ::Grazie Dread 83, ero arrivato anche io a quello stesso link al testo originale per verificare la data. Purtroppo oggi sono indisposto e quindi mi è sfuggito che si trattava di un discorso. Sono d'accordo con te per la traduzione. Non ho fatto confronti perché ''wired.it'' è fonte autorevole, la traduzione ufficiale, ma effettivamente c'è qualcosa da mettere a punto. Grazie ancora. --[[Utente:Sun-crops|Sun-crops]] ([[Discussioni utente:Sun-crops|scrivimi]]) 22:23, 30 giu 2021 (CEST) :::Grazie a entrambi! -- [[Utente:Spinoziano|Spinoziano]] ([[Discussioni utente:Spinoziano|msg]]) 08:13, 1 lug 2021 (CEST) ==<del>[[Fernando José Monteiro Guimarães]]</del>== {{ping|Gilldragon}} Citazione assolutamente non significativa ed incomprensibile. Sull'esigenza di inserire citazioni significative l'utente ha già ricevuto in passato precise indicazioni. Voce da cancellazione immediata. L'utente è stato invitato in modo dettagliatamente argomentato ad apportare le necessarie modifiche, ha con certezza letto il relativo messaggio, ma non ha dato alcun riscontro. Riscontro sostenzialmente scarso, scarsissimo, pressoché nullo anche all'invito di regolarizzare la voce [[Paul Stamets]] per la quale si è dato sia in o.d.m. che in discussione <s>il modello</s> come modello operativo la voce [[Katia Serra]] per apportare le necessarie modifiche, ma la pagina non è stata nemmeno consultata; il fix apportato, infatti, è stato generico, affrettato, sommario, impreciso sia nell'indicazione del traduttore che della fonte, disatteso completamente <s>l'invito</s> l'invito, se letto in [[Discussione:Fernando José Monteiro Guimarães]], a regolarizzare il testo della citazione che aveva, per effetto di un'omissione non segnalata, un inizio completamente assurdo, disatteso ugalmente <s>la richiesta</s> l'invito certamente letto sia in discussione, sia nell'avviso che compariva nella voce, di inserire il minutaggio. --[[Utente:Sun-crops|Sun-crops]] ([[Discussioni utente:Sun-crops|scrivimi]]) 00:56, 20 lug 2021 (CEST) :{{cancellare}} Citazione priva di significatività. --'''<span style="letter-spacing:2px; font-size:11px;">[[Utente:Dread83|<span style="color:black;">DOPPIA•</span>]][[Discussioni utente:Dread83|<span style="color:darkblue;">DI</span>]]</span>''' 01:20, 20 lug 2021 (CEST) ::Grazie a pt.wikipédia ho inserito una citazione. Se va bene, la procedura si può arrestare. --[[Utente:Sun-crops|Sun-crops]] ([[Discussioni utente:Sun-crops|scrivimi]]) 18:16, 20 lug 2021 (CEST) :::Va bene, grazie, Sun.-- [[Utente:Spinoziano|Spinoziano]] ([[Discussioni utente:Spinoziano|msg]]) 09:00, 21 lug 2021 (CEST) == <del>[[Maaya Sakamoto]]</del> == La fonte dell'unica citazione, oltre a non essere facilmente verificabile, è poco chiara (è un articolo, un booklet o cosa?) e soprattutto manca il testo in lingua originale: su Wikiquote le traduzioni non ufficiali devono sempre essere accompagnate dall'originale.-- [[Utente:Spinoziano|Spinoziano]] ([[Discussioni utente:Spinoziano|msg]]) 14:55, 11 set 2021 (CEST) : Pingo {{Ping|TeenAngels1234}} che l'ha messa su WP.--[[Speciale:Contributi/93.22.132.146|93.22.132.146]] ([[User talk:93.22.132.146|msg]]) 23:06, 11 set 2021 (CEST) ::Non è possibile trasferire citazioni da wikipedia senza corredarle di fonti valide secondo i criteri di wikiquote; questo passaggio preliminare di ulteriore verifica e di ricerca e indicazione di una fonte valida è essenziale. Per la prima citazione ho trovato questa fonte [http://www.dummy-system.com/2013/04/23/intervista-a-maaya-sakamoto-su-evangelion-3-0/] che potrebbe andar bene. Per la seconda finora non ho trovato nulla. --[[Utente:Sun-crops|Sun-crops]] ([[Discussioni utente:Sun-crops|scrivimi]]) 23:57, 11 set 2021 (CEST) P. S. Alla luce di quanto detto sopra l'utente TeenAngels1234 in tutto questo discorso non c'entra nulla; diverso sarebbe se il medesimo inserimento nel medesimo modo l'avesse fatto lui. Ma non è così. Se però può dare una mano per le fonti di questa voce, o se comunque desidera intervenire è il benvenuto. --[[Utente:Sun-crops|Sun-crops]] ([[Discussioni utente:Sun-crops|scrivimi]]) 00:22, 12 set 2021 (CEST) ::: Devo essermi confuso con un altro utente allora...l'interfaccia desktop da mobile non è il massimo...comunque sempre meglio dell'interfaccia mobile.--[[Speciale:Contributi/93.22.132.146|93.22.132.146]] ([[User talk:93.22.132.146|msg]]) 00:27, 12 set 2021 (CEST) ::::L'aspetto essenziale è che degli inserimenti è "responsabile" solo ed esclusivamente chi li fa: in wikipedia chi li fa in wikipedia, in wikiquote chi li fa in wikiquote. Per questo non possono essere trasferite sic et simpliter citazioni inserite da altri utenti in wikipedia. Chi fa questo trasferimento ne è responsabile, l'inserimento è in toto un suo inserimento e deve essere fatto secondo i criteri vigenti in questo progetto. Non si può chiamare successivamente a risponderne o a dare spiegazioni chi ha operato in un altro progetto, per la semplicissima ragione che non è stato lui ad operare qui. Naturalmente, se di sua iniziativa, sponte sua, vuole intervenire è liberissimo di farlo. --[[Utente:Sun-crops|Sun-crops]] ([[Discussioni utente:Sun-crops|scrivimi]]) 00:41, 12 set 2021 (CEST) {{rientro}} A puro titolo di esempio, per comprendere la logica di tutto il discorso, si può confrontare la citazione in epigrafe alla voce di wikipedia <s>[[w:Macedonio Melloni|Macedonio Melloni]]</s> [[w:Dagherrotipia|Dagherrotipia]], e la [[Macedonio Melloni|medesima citazione]] inserita in questo progetto. --[[Utente:Sun-crops|Sun-crops]] ([[Discussioni utente:Sun-crops|scrivimi]]) 00:47, 12 set 2021 (CEST) C'è ancora un altro aspetto da tenere presente nel traghettare citazioni: ci ''potrebbero'' essere errori nel testo, nella fonte, nell'attribuzione; capita di correggerne qui, può capitare anche in wikipedia. --[[Utente:Sun-crops|Sun-crops]] ([[Discussioni utente:Sun-crops|scrivimi]]) 01:20, 12 set 2021 (CEST) :Ho sistemato la prima citazione con la fonte indicata da Sun, che va caldamente ringraziato, e ciò basta a salvare la voce, ma la fonte della seconda citazione resta da chiarire: è riportata una traduzione ufficiale italiana o una traduzione non ufficiale fatta dal giapponese? -- [[Utente:Spinoziano|Spinoziano]] ([[Discussioni utente:Spinoziano|msg]]) 08:34, 12 set 2021 (CEST) * Buongiorno. Allora. Entrambe le citazioni vengono dai pamphlet ufficiali giapponesi dei rispettivi lungometraggi. Entro stasera dovrei riuscire a recuperare il testo giapponese di ambedue :) <small>Nel caso mi scordi pingatemi</small>--[[Utente:TeenAngels1234|TeenAngels1234]] ([[Discussioni utente:TeenAngels1234|scrivimi]]) 12:39, 12 set 2021 (CEST) :Il testo originale della prima citazione è questo: "これだけのチームにポッと入ってくるわけですから、最初一は「受け入れてもらえるのかな?」と思ってました。最近の商品でも、以前からのキャラと同等に置かれているのを見て、「ずっといたみたいだな」って。新キャラだったことも、自分でもうっかり忘れてしまいそうなくらい溶け込ませていただいてるし". <br/>Invece quello della seconda è: ただ、どんな状況下で生きていたにしても、マリは根本的に楽天家で、くよくよ悩んだりはしません。もしかしたら悩みを抱えているのかもしれないけれど、外に出すタイプではないし、いつも楽しそうにしているところが [...] 裏表はなく全部表みたいな人として [...] どんなに切羽詰まったようなシーンでも、マリは物事が良い方向に向かっていると信じて、嬉しく思っているという、喜びのニュアンスを声に込めています。(cfr. [https://imgs.aixifan.com/Fnuu6pgH1TYLoVOCAyLp8O80iQv3 testo originale])--[[Utente:TeenAngels1234|TeenAngels1234]] ([[Discussioni utente:TeenAngels1234|scrivimi]]) 13:20, 12 set 2021 (CEST) :: {{ping|TeenAngels1234}} grazie mille e scusa il distutrbo.--[[Speciale:Contributi/109.13.5.94|109.13.5.94]] ([[User talk:109.13.5.94|msg]]) 18:13, 12 set 2021 (CEST) :::Figurarsi. Dimenticavo: le traduzioni sono amatoriali. La prima credo sia tratta proprio da Dummy System, la seconda è fatta da me.--[[Utente:TeenAngels1234|TeenAngels1234]] ([[Discussioni utente:TeenAngels1234|scrivimi]]) 12:31, 13 set 2021 (CEST) == <del>[[Antonio Rotta]]</del> == La voce non mi pare salvabile: la prima frase è poco significativa, idem la parte attinente della seconda, mentre le altre citazioni sono completamente fuori standard. Guardando il link nella voce dell'autore risulta che la trascrizione è stata fatta in maniera non fedele, si tratta di un già noto anonimo poco affidabile. -- [[Utente:Spinoziano|Spinoziano]] ([[Discussioni utente:Spinoziano|msg]]) 11:06, 19 nov 2021 (CET) :Concordo pienamente con la proposta di {{ping|Spinoziano}}, assolutamente giustificata, è tutto da annullare. Annullare e, aggiungo, bloccare l'utente. Questo notissimo anonimo, per molti versi un troll che "opera" in questo progetto da anni, il cui obiettivo è sostanzialmente ''divertirsi'' con modifiche improprie, con numeri trollistici e pagliacciate di vario genere non merita altro: annullamenti a vista e blocchi. Lo invito fermamente a non rilasciare più contributi, se la linea è questa. Vada a fare i suoi numeri altrove. Ciò premesso, ho esaminato la fonte e ''mi è parso'', con le necessarie profonde integrazioni e rettifiche, che almeno un inserimento si potrebbe salvare. L'utente semitroll non pensi con questo di poter delegare ad altri collaboratori quello che è suo inderogabile e indelegabile dovere fare: rilasciare contributi seri, conformi alle fonti e alle norme di wikiquote. Non creda quindi, se la voce dovesse essere mantenuta, di farla franca, a spese del tempo e delle energie altrui, ancora altre volte. --[[Utente:Sun-crops|Sun-crops]] ([[Discussioni utente:Sun-crops|scrivimi]]) 17:23, 19 nov 2021 (CET) ::{{cancellare}} --[[Utente:DonatoD|DonatoD]] ([[Discussioni utente:DonatoD|scrivimi]]) 19:15, 19 nov 2021 (CET) :::Grazie [[Utente:Sun-crops|Sun]]([[Santo|San]])-crops per aver sistemato, ho tolgo gli a capo visto l'utilizzo delle barre separatorie con corsivo per i versi (che [https://www.google.it/books/edition/Lezioni_di_storia_della_letteratura_ital/Hzs3AQAAMAAJ?hl=it&gbpv=1&dq=%22Combien+je+regrette+mon+bras+si+dodu.%22&pg=PA155&printsec=frontcover pare siano] di [[Pierre-Jean de Béranger|Béranger]]).-- [[Utente:Spinoziano|Spinoziano]] ([[Discussioni utente:Spinoziano|msg]]) 10:03, 20 nov 2021 (CET) ::::{{ping|Spinoziano}} Grazie a te, Spin. --[[Utente:Sun-crops|Sun-crops]] ([[Discussioni utente:Sun-crops|scrivimi]]) 10:14, 20 nov 2021 (CET) ==[[Pedro Fiori]]== Senza fonte del noto anonimo. --[[Utente:Sun-crops|Sun-crops]] ([[Discussioni utente:Sun-crops|scrivimi]]) 07:24, 21 nov 2021 (CET) :{{fatto}} [[Utente:Spinoziano|Spinoziano]] ([[Discussioni utente:Spinoziano|msg]]) 08:47, 21 nov 2021 (CET) ==[[Raffaele De Grada (scrittore)]]== Senza fonte del noto anonimo. --[[Utente:Sun-crops|Sun-crops]] ([[Discussioni utente:Sun-crops|scrivimi]]) 07:26, 21 nov 2021 (CET) :{{fatto}} [[Utente:Spinoziano|Spinoziano]] ([[Discussioni utente:Spinoziano|msg]]) 08:47, 21 nov 2021 (CET) ==[[Giorgio Seveso]]== SEnza fonte del noto anonimo. --[[Utente:Sun-crops|Sun-crops]] ([[Discussioni utente:Sun-crops|scrivimi]]) 07:32, 21 nov 2021 (CET) :{{fatto}} [[Utente:Spinoziano|Spinoziano]] ([[Discussioni utente:Spinoziano|msg]]) 08:47, 21 nov 2021 (CET) ==[[Umberto Pettinicchio]]== Senza fonte del noto anonimo. --[[Utente:Sun-crops|Sun-crops]] ([[Discussioni utente:Sun-crops|scrivimi]]) 07:36, 21 nov 2021 (CET) :{{fatto}} {{ping|Sun-crops}} Quando sono senza fonti cancelliamole in immediata (come è previsto che sia) altrimenti qui si intasa :) [[Utente:Spinoziano|Spinoziano]] ([[Discussioni utente:Spinoziano|msg]]) 08:47, 21 nov 2021 (CET) ::{{ping|Spinoziano}} Ok, Spin. --[[Utente:Sun-crops|Sun-crops]] ([[Discussioni utente:Sun-crops|scrivimi]]) 08:56, 21 nov 2021 (CET) ==<del>[[Brian Adams]]</del>== Redirect a pagina non esistente. Su wikiquote è un saggista e su wikipedia era un wrestler statunitense. --[[Utente:Laportoghese|Laportoghese]] ([[Discussioni utente:Laportoghese|scrivimi]]) 12:38, 26 gen 2022 (CET) :Non è un redirect, è una voce su un autore che non pare presente su Wikipedia, anche se in Wikidata è collegato erroneamente al wrestler. {{ping|DonatoD}} aveva [https://it.wikiquote.org/w/index.php?title=Brian_Adams&type=revision&diff=616176&oldid=616172 sistemato] la citazione e indicato alcuni link in [[Discussione:Brian Adams]].-- [[Utente:Spinoziano|Spinoziano]] ([[Discussioni utente:Spinoziano|msg]]) 13:18, 26 gen 2022 (CET) :Ho sistemato su Wikidata, creando [https://www.wikidata.org/wiki/Q110746149 un elemento], è presente sui principali database librari e quindi la voce può volendo essere mantenuta.-- [[Utente:Spinoziano|Spinoziano]] ([[Discussioni utente:Spinoziano|msg]]) 10:30, 30 gen 2022 (CET) ::Questa sezione è molto vecchia, non sono sicuro che sia da mantenere ma se non ci sono pareri archivio togliendo l'avviso.-- [[Utente:Spinoziano|Spinoziano]] ([[Discussioni utente:Spinoziano|msg]]) 12:09, 9 set 2022 (CEST) ==Categorie "Voci di TIPOVOCE"== Propongo la cancellazione di queste categorie: *[[:Categoria:Voci di FictionTV]] *[[:Categoria:Voci di Film]] *[[:Categoria:Voci di Fumetti]] *[[:Categoria:Voci di Personaggi]] *[[:Categoria:Voci di Videogiochi]] *[[:Categoria:Voci di raccolte]] Cosa sono? Ad esempio "Voci di Personaggi" contiene le voci contenenti il template {{tl|Personaggio}}, e idem le altre categorie. Direi che sono doppioni inutili: se mi interessa sapere quali sono i personaggi, vedo [[:Categoria:Personaggi immaginari]], se mi interessa sapere quali sono le voci contenente il template, vedo [[Speciale:PuntanoQui/Template:Personaggio|i "puntano qui" del template Personaggio]] (tanto più che verrà sviluppata [[:m:Community Wishlist Survey 2022/Miscellaneous/Get WhatLinksHere's lists in alphabetical order|la possibilità di mettere i "puntano qui" in ordine alfabetico]]). Idem ovviamente per le altre. --'''[[Utente:Superchilum|<span style="color:#209090;">Superchilum</span>]]'''<sup>([[Discussioni_utente:Superchilum|scrivimi]])</sup> 09:44, 1 mar 2022 (CET) :{{cancellare}} basta usare i ''puntano qui'' dei template. --[[Discussioni utente:GryffindorD|<span style="color:#007FFF">'''GryffindorD'''</span>]] 17:49, 29 mag 2022 (CEST) ::{{ping|Superchilum|GryffindorD}} Sono d'accordo, ma per procedere alla cancellazione di queste categorie si devono prima modificare i template per togliere queste categorizzazioni automatiche, giusto? -- [[Utente:Spinoziano|Spinoziano]] ([[Discussioni utente:Spinoziano|msg]]) 11:01, 6 giu 2022 (CEST) :::{{fatto}} --[[Discussioni utente:GryffindorD|<span style="color:#007FFF">'''GryffindorD'''</span>]] 13:20, 6 giu 2022 (CEST) ==[[Gildo Claps]]== {{ping|Potenza2021}} Solo per un eccesso di scrupolo non ho cancellato immediatamente. --[[Utente:Sun-crops|Sun-crops]] ([[Discussioni utente:Sun-crops|scrivimi]]) 17:01, 22 apr 2022 (CEST) :Cancellata! Da immediata direi! Non si capisce per cosa dovrebbe essere enciclopedico.--[[Utente:AssassinsCreed|AssassinsCreed]] ([[Discussioni utente:AssassinsCreed|scrivimi]]) 17:29, 22 apr 2022 (CEST) ::{{ping|AssassinsCreed}} Grazie infinite, Creed. Ciao. --[[Utente:Sun-crops|Sun-crops]] ([[Discussioni utente:Sun-crops|scrivimi]]) 17:41, 22 apr 2022 (CEST) == <del>[[Assunta Almirante]]</del> == Un personaggio assolutamente irrilevante, nonché francamente disgustoso. Avete letto le citazioni? Una che fa l'apologia del saluto romano e che incita a picchiare le persone? Ha una qualche profondità o rilievo enciclopedico, o una benché minima dignità morale? Certo che no. Propongo la cancellazione [[Utente:AndreaGMonaco|AndreaGMonaco]] ([[Discussioni utente:AndreaGMonaco|scrivimi]]) 09:16, 6 giu 2022 (CEST) :Buongiorno, AndreaGMonaco. L'uso del punto di vista neutrale è regola inderogabile anche in Wikiquote. Le citazioni contenute nelle voci di Wikiquote, tuttavia, non devono essere neutrali, perché riflettono necessariamente il punto di vista della persona citata. Per contribuire a Wikiquote, si va ben al di là delle proprie opinioni personali: per quelle, ci sono i forum, i blog e i siti web personali. Ti ringrazio. --'''<span style="letter-spacing:2px; font-size:11px;">[[Utente:Dread83|<span style="color:black;">DOPPIA•</span>]][[Discussioni utente:Dread83|<span style="color:darkblue;">DI</span>]]</span>''' 10:45, 6 giu 2022 (CEST) ::Annullata. -- [[Utente:Spinoziano|Spinoziano]] ([[Discussioni utente:Spinoziano|msg]]) 11:05, 6 giu 2022 (CEST) == [[:Categoria:Pagine categorizzate automaticamente]] == Pagina di servizio fuori standard molto generica che ad oggi faceva la stessa cosa che ora fa [[:Categoria:Errori di compilazione del template Interprogetto - collegamenti in disambigua]] (analoga a quella presente su it.wiki). Ora non serve più e si può farne a meno. --'''[[Utente:Superchilum|<span style="color:#209090;">Superchilum</span>]]'''<sup>([[Discussioni_utente:Superchilum|scrivimi]])</sup> 18:32, 25 giu 2022 (CEST) :{{fatto}} --[[Discussioni utente:GryffindorD|<span style="color:#007FFF">'''GryffindorD'''</span>]] 10:15, 5 lug 2022 (CEST) ==[[Paolo Ricci]]== Voce creata in evasione del blocco infinito, testo incomprensibile. --[[Utente:Sun-crops|Sun-crops]] ([[Discussioni utente:Sun-crops|scrivimi]]) 16:24, 25 lug 2022 (CEST) :{{fatto}}-- [[Utente:Spinoziano|Spinoziano]] ([[Discussioni utente:Spinoziano|msg]]) 17:02, 25 lug 2022 (CEST) ==[[Vincenzo Vicario]]== Voce creata in evasione del blocco infinito, autore di dubbia rilevanza enciclopedica, testo piuttosto insignificante. --[[Utente:Sun-crops|Sun-crops]] ([[Discussioni utente:Sun-crops|scrivimi]]) 16:35, 25 lug 2022 (CEST) :{{fatto}}-- [[Utente:Spinoziano|Spinoziano]] ([[Discussioni utente:Spinoziano|msg]]) 17:02, 25 lug 2022 (CEST) ==[[Enrico Giannelli]]== Voce creata in evasione del blocco infinito, testo della citazione non significativo. --[[Utente:Sun-crops|Sun-crops]] ([[Discussioni utente:Sun-crops|scrivimi]]) 16:38, 25 lug 2022 (CEST) :{{fatto}}-- [[Utente:Spinoziano|Spinoziano]] ([[Discussioni utente:Spinoziano|msg]]) 17:02, 25 lug 2022 (CEST) ==[[Pietro Barillà]]== Voce creata in evasione del blocco infinito, fonte non chiaramente indicata. --[[Utente:Sun-crops|Sun-crops]] ([[Discussioni utente:Sun-crops|scrivimi]]) 16:44, 25 lug 2022 (CEST) :{{fatto}}-- [[Utente:Spinoziano|Spinoziano]] ([[Discussioni utente:Spinoziano|msg]]) 17:02, 25 lug 2022 (CEST) ==[[Giovanni De Martino]]== Voce creata in evasione del blocco infinito, gran parte delle citazioni provengoo dalle voci precedenti, proposte per la cancellazione. --[[Utente:Sun-crops|Sun-crops]] ([[Discussioni utente:Sun-crops|scrivimi]]) 16:53, 25 lug 2022 (CEST) :{{fatto}}-- [[Utente:Spinoziano|Spinoziano]] ([[Discussioni utente:Spinoziano|msg]]) 17:02, 25 lug 2022 (CEST) == [[Ottavio Rosati]] == Un nuovo utente ne [https://it.wikiquote.org/w/index.php?title=Ottavio_Rosati&diff=prev&oldid=1226017 ha chiesto] la cancellazione immediata, in effetti è stata cancellata da Wikipedia: [[w:Wikipedia:Pagine da cancellare/Ottavio Rosati/2]], ma visto che la voce è ampia mi sembra giusto passare di qua.-- [[Utente:Spinoziano|Spinoziano]] ([[Discussioni utente:Spinoziano|msg]]) 17:49, 8 set 2022 (CEST) :{{cancellare}} Da immediata: rimossa da Wikipedia per la non rilevanza enciclopedica. --'''<span style="letter-spacing:2px; font-size:11px;">[[Utente:Dread83|<span style="color:black;">DOPPIA•</span>]][[Discussioni utente:Dread83|<span style="color:darkblue;">DI</span>]]</span>''' 23:02, 8 set 2022 (CEST) ::{{cancellare}} --[[Utente:Sun-crops|Sun-crops]] ([[Discussioni utente:Sun-crops|scrivimi]]) 23:23, 8 set 2022 (CEST) :::{{fatto}}-- [[Utente:Spinoziano|Spinoziano]] ([[Discussioni utente:Spinoziano|msg]]) 12:07, 9 set 2022 (CEST) ==[[Dionigi Cristian Lentini]]== *Voce cancellata in [https://it.wikipedia.org/wiki/Speciale:Registri?type=delete&user=&page=Dionigi+Cristian+Lentini&wpdate=&tagfilter=&wpfilters%5B%5D=newusers wikipedia]. --[[Utente:Sun-crops|Sun-crops]] ([[Discussioni utente:Sun-crops|scrivimi]]) 15:57, 9 set 2022 (CEST) :{{fatto}} Da immediata. --'''<span style="letter-spacing:2px; font-size:11px;">[[Utente:Dread83|<span style="color:black;">DOPPIA•</span>]][[Discussioni utente:Dread83|<span style="color:darkblue;">DI</span>]]</span>''' 19:30, 9 set 2022 (CEST) == [[Alessandro Mazzerelli]] == Non pare enciclopedico né come politico né come scrittore.-- [[Utente:Spinoziano|Spinoziano]] ([[Discussioni utente:Spinoziano|msg]]) 11:23, 17 ott 2022 (CEST) :{{ping|Spinoziano|Dread83}} Sono d'accordo, in più c'è questa autorevole recensione [https://www.avvenire.it/opinioni/pagine/leredit-di-don-lorenzo-milani-e-le-idee-sulla-verit-di-un-decalogo-appassi] su ''avvenire.it''. --[[Utente:Sun-crops|Sun-crops]] ([[Discussioni utente:Sun-crops|scrivimi]]) 15:38, 27 dic 2022 (CET) ::{{cancellare}} --'''<span style="letter-spacing:2px; font-size:11px;">[[Utente:Dread83|<span style="color:black;">DOPPIA•</span>]][[Discussioni utente:Dread83|<span style="color:darkblue;">DI</span>]]</span>''' 18:53, 27 dic 2022 (CET) :::{{fatto}} -- [[Utente:Spinoziano|Spinoziano]] ([[Discussioni utente:Spinoziano|msg]]) 10:45, 28 dic 2022 (CET) ==[[Ksenia Milicevic‎]]== La fonte linkata è la pagina di vendita di una casa editrice francese. Le citazioni inserite non sono riscontrabili né nella pagina immeditamente linkata, né negli estratti proposti in altre pagine della fonte. Se la traduzione è dell'utente, occorreva – come previsto in caso di traduzioni non ufficiali – inserire il testo originale, se invece è ufficiale, occoreva corredare le citazioni con la fonte italiana o in italiano. La voce non è wikificata, per esplicita ammissione dello stesso utente, che all'atto della creazione ha apposto l'avviso di wikificazione, con una procedura a dir poco insolita: io creo, voialtri wikificate. I motivi da me dettagliati che giustificavano il suo stesso avviso di wikificazione, sono stati rimossi dall'utente con un rollback secco, senza dare giustificazione alcuna nell'oggetto di modifica. Mancano sezioni fondamentali, neppure abbozzate nel wikitesto. Le citazioni inserite sono prive di fonte, la voce non rispetta i canoni fondamentali di wikiquote ed è quindi è da cancellare. --[[Utente:Sun-crops|Sun-crops]] ([[Discussioni utente:Sun-crops|scrivimi]]) 22:36, 26 dic 2022 (CET) :{{cancellare}} --'''<span style="letter-spacing:2px; font-size:11px;">[[Utente:Dread83|<span style="color:black;">DOPPIA•</span>]][[Discussioni utente:Dread83|<span style="color:darkblue;">DI</span>]]</span>''' 23:20, 26 dic 2022 (CET) ::{{fatto}} -- [[Utente:Spinoziano|Spinoziano]] ([[Discussioni utente:Spinoziano|msg]]) 10:45, 28 dic 2022 (CET) tb8x33fk3f0xmp1ig15lu73ztxvhn58 1382009 1381937 2025-07-02T07:44:51Z Spinoziano 2297 /* Paolo Salvati */ re 1382009 wikitext text/x-wiki {{Archivio}} == <S>[[Movimento per la decrescita felice]]</S> == Pagina cancellata su Wikipedia.--[[Utente:AssassinsCreed|AssassinsCreed]] ([[Discussioni utente:AssassinsCreed|scrivimi]]) 19:46, 6 gen 2020 (CET) :In wikipedia abbiamo [[w:Decrescita|Decrescita]]. Si potrebbe cancellare la pagina, creare [[Decrescita]] ed inserirvi la citazione. --[[Utente:Sun-crops|Sun-crops]] ([[Discussioni utente:Sun-crops|scrivimi]]) 16:03, 7 gen 2020 (CET) ::In effetti la voce su Wikipedia parla anche di quello, credo che possa andare.-- [[Utente:Spinoziano|Spinoziano]] ([[Discussioni utente:Spinoziano|msg]]) 17:06, 7 gen 2020 (CET) :::Concordo con "Decrescita".--[[Utente:DonatoD|DonatoD]] ([[Discussioni utente:DonatoD|scrivimi]]) 20:01, 7 gen 2020 (CET) ::::Ho sistemato. Ho lasciato il redirect, che ora c'è anche su Wikipedia.-- [[Utente:Spinoziano|Spinoziano]] ([[Discussioni utente:Spinoziano|msg]]) 17:12, 10 gen 2020 (CET) == [[Nazione napolitana]] == Voce che non ha un corrispettivo su wikipedia. Fatico a capire quale sia l'argomento della voce...--[[Utente:AssassinsCreed|AssassinsCreed]] ([[Discussioni utente:AssassinsCreed|scrivimi]]) 20:53, 6 gen 2020 (CET) :Questa è la sola "nazione napolitana" rintracciabile: [http://www.napolitania.net/na_nazio.html Napolitania], si tratta se ho ben compreso, di un movimento d'opinione filoborbonico ([[w:Neoborbonismo|Neoborbonismo]]) e/o di revisione della Storia del Regno di Napoli nell'epoca borbonica. Le citazioni in esame sono da riferirsi al [[Regno di Napoli]] e non al neoborbonismo, quindi la voce è da cancellare e le citazioni devono confluire nella voce Regno di Napoli. --[[Utente:Sun-crops|Sun-crops]] ([[Discussioni utente:Sun-crops|scrivimi]]) 15:54, 7 gen 2020 (CET) ::Effettivamente non sembra facile venirne a capo. Occorrerebbe uno storico... Il neoborbonismo dovrebbe però essere successivo all'epoca dei citanti. Cuoco ha scritto,mi pare, anche qualcosa sulla [[w:Repubblica Napoletana (1799)|Repubblica Napolitana]] ma non si capisce se la citazione presente nella voce in oggetto si riferisca a quest'ultima: ritengo di no. Ho infine trovato: [https://books.google.it/books?id=gK84vJkM1BAC&printsec=frontcover&hl=it#v=onepage&q&f=false questo].<br>--[[Utente:DonatoD|DonatoD]] ([[Discussioni utente:DonatoD|scrivimi]]) 20:47, 7 gen 2020 (CET) :::[[Utente:DonatoD|DonatoD]], e quindi? A tuo avviso la voce è da cancellare oppure no? -- [[Utente:Spinoziano|Spinoziano]] ([[Discussioni utente:Spinoziano|msg]]) 09:54, 27 giu 2020 (CEST) ::::Beh, non essendoci stato un intervento chiarificatore, cancellerei.--[[Utente:DonatoD|DonatoD]] ([[Discussioni utente:DonatoD|scrivimi]]) 21:43, 30 giu 2020 (CEST) :::::[[Utente:Sun-crops|Sun-crops]], possiamo procedere alla cancellazione, ma dicevi di spostare nel contempo le citazioni, allora fai tu, dato che sei esperto nell'argomento? Grazie,-- [[Utente:Spinoziano|Spinoziano]] ([[Discussioni utente:Spinoziano|msg]]) 09:11, 4 lug 2020 (CEST) ::::::[[Utente:Spinoziano|Spinoziano]] Ciao. Ho provveduto alla cancellazione e allo spostamento delle citazioni in [[Napoli]] come concordato. Buon fine settimana. Ciao. --[[Utente:Sun-crops|Sun-crops]] ([[Discussioni utente:Sun-crops|scrivimi]]) 12:15, 4 lug 2020 (CEST) == [[Storia dell'istruzione in Italia]] == Questa pagina non mi sembra in linea con i nostri standard, del resto alcune citazioni sono sull'[[Istruzione in Italia]], altre sulla [[Riforma Moratti]] e altre sulla [[Riforma Gelmini]], direi quindi di spostarle in tali pagine.--[[Utente:AssassinsCreed|AssassinsCreed]] ([[Discussioni utente:AssassinsCreed|scrivimi]]) 13:11, 11 gen 2020 (CET) : D'accordo. --[[Utente:Sun-crops|Sun-crops]] ([[Discussioni utente:Sun-crops|scrivimi]]) 16:07, 3 feb 2020 (CET) ::Totalmente d'accordo. --'''[[Utente:Superchilum|<span style="color:#209090;">Superchilum</span>]]'''<sup>([[Discussioni_utente:Superchilum|scrivimi]])</sup> 10:04, 25 feb 2020 (CET) :::{{fatto}} Create le varie voci e spostata a [[istruzione in Italia]].--[[Utente:AssassinsCreed|AssassinsCreed]] ([[Discussioni utente:AssassinsCreed|scrivimi]]) 06:15, 28 feb 2020 (CET) == [[Pseudomatematica]] == Contiene solo citazioni non pertinenti, non è ben chiaro il criterio di selezione.--[[Utente:AssassinsCreed|AssassinsCreed]] ([[Discussioni utente:AssassinsCreed|scrivimi]]) 07:04, 15 gen 2020 (CET) :{{cancellare}}--[[Utente:DonatoD|DonatoD]] ([[Discussioni utente:DonatoD|scrivimi]]) 20:52, 15 gen 2020 (CET) ::{{cancellare}} --[[Utente:Sun-crops|Sun-crops]] ([[Discussioni utente:Sun-crops|scrivimi]]) 21:31, 15 gen 2020 (CET) :::{{fatto}} -- [[Utente:Spinoziano|Spinoziano]] ([[Discussioni utente:Spinoziano|msg]]) 17:13, 16 gen 2020 (CET) == [[Sicilia libera]] == Voce eliminata su Wikipedia.--[[Utente:AssassinsCreed|AssassinsCreed]] ([[Discussioni utente:AssassinsCreed|scrivimi]]) 02:43, 18 gen 2020 (CET) :Da eliminare anche qui. Resta da valutare se le citazioni possono essere reinserite in altre voci tematiche. --[[Utente:Sun-crops|Sun-crops]] ([[Discussioni utente:Sun-crops|scrivimi]]) 16:06, 3 feb 2020 (CET) ::Idem. --'''[[Utente:Superchilum|<span style="color:#209090;">Superchilum</span>]]'''<sup>([[Discussioni_utente:Superchilum|scrivimi]])</sup> 10:04, 25 feb 2020 (CET) :::{{fatto}}--[[Utente:AssassinsCreed|AssassinsCreed]] ([[Discussioni utente:AssassinsCreed|scrivimi]]) 17:47, 26 feb 2020 (CET) == [[Relazioni internazionali del Kosovo]] == Voce che non ha senso di esistere su Wikiquote, le citazioni possono stare benissimo in [[Kosovo]].--[[Utente:AssassinsCreed|AssassinsCreed]] ([[Discussioni utente:AssassinsCreed|scrivimi]]) 16:13, 19 gen 2020 (CET) :Da cancellare. Bene l'inserimento in Kosovo. --[[Utente:Sun-crops|Sun-crops]] ([[Discussioni utente:Sun-crops|scrivimi]]) 15:53, 3 feb 2020 (CET) ::Concordo. --'''[[Utente:Superchilum|<span style="color:#209090;">Superchilum</span>]]'''<sup>([[Discussioni_utente:Superchilum|scrivimi]])</sup> 10:05, 25 feb 2020 (CET) :::{{fatto}}--[[Utente:AssassinsCreed|AssassinsCreed]] ([[Discussioni utente:AssassinsCreed|scrivimi]]) 17:47, 26 feb 2020 (CET) == [[Università di Lund]] == Unica citazione non significativa.--[[Utente:AssassinsCreed|AssassinsCreed]] ([[Discussioni utente:AssassinsCreed|scrivimi]]) 16:28, 19 gen 2020 (CET) :La citazione riporta: ''uno'' (quindi non il solo) dei pilastri ecc. Si può cancellare. --[[Utente:Sun-crops|Sun-crops]] ([[Discussioni utente:Sun-crops|scrivimi]]) 15:54, 3 feb 2020 (CET) ::Idem. --'''[[Utente:Superchilum|<span style="color:#209090;">Superchilum</span>]]'''<sup>([[Discussioni_utente:Superchilum|scrivimi]])</sup> 10:05, 25 feb 2020 (CET) :::{{fatto}}--[[Utente:AssassinsCreed|AssassinsCreed]] ([[Discussioni utente:AssassinsCreed|scrivimi]]) 17:47, 26 feb 2020 (CET) == <s>[[Caracas]]</s> == È composta da un'unica citazione, non pertinente né significativa in generale. È in tali condizioni da quando è stata creata, ben undici anni fa. Né lo strumento "puntano qui" né una ricerca libera danno citazioni utili per l'ampliamento. C'è una voce omologa in spagnolo e polacco, ma non ho visto nulla che si possa riprodurre qui. Stando così le cose, meglio cancellarla. Potrà essere ricreata se necessario, ma ricordo che in undici anni la necessità non si è sentita. Così certo non può stare. --[[Utente:Filippo Marchiali|Filippo Marchiali]] ([[Discussioni utente:Filippo Marchiali|scrivimi]]) 11:52, 3 feb 2020 (CET) :Sembra effettivamente da cancellare, Caracas è solo nominata, non c'è alcun riferimento specifico. Forse può essere inserita in [[puntualità]]. --[[Utente:Sun-crops|Sun-crops]] ([[Discussioni utente:Sun-crops|scrivimi]]) 15:51, 3 feb 2020 (CET) ::Ho aggiunto una citazione di Isabel Allende. --[[Utente:Sun-crops|Sun-crops]] ([[Discussioni utente:Sun-crops|scrivimi]]) 17:07, 3 feb 2020 (CET) :::Buona l'aggiunta. --[[Utente:Filippo Marchiali|Filippo Marchiali]] ([[Discussioni utente:Filippo Marchiali|scrivimi]]) 18:20, 3 feb 2020 (CET) {{Fatto}} la citazione non significativa è stata rimossa e ne sono state aggiunte due pertinenti, interrompo la procedura. --'''[[Utente:Superchilum|<span style="color:#209090;">Superchilum</span>]]'''<sup>([[Discussioni_utente:Superchilum|scrivimi]])</sup> 10:22, 25 feb 2020 (CET) :Concordo. --[[Utente:Filippo Marchiali|Filippo Marchiali]] ([[Discussioni utente:Filippo Marchiali|scrivimi]]) 13:18, 25 feb 2020 (CET) == [[Pierre Decourcelle]] == Tutte le citazioni sono senza fonte e sono abbastanza sicuro che appartengano in realtà a [[Adrien Decourcelle]], come dimostra la citazione sul baro.--[[Utente:AssassinsCreed|AssassinsCreed]] ([[Discussioni utente:AssassinsCreed|scrivimi]]) 03:54, 21 mar 2020 (CET) {{favorevole}} --'''[[Utente:Superchilum|<span style="color:#209090;">Superchilum</span>]]'''<sup>([[Discussioni_utente:Superchilum|scrivimi]])</sup> 10:35, 21 mar 2020 (CET) {{favorevole}} --[[Utente:Sun-crops|Sun-crops]] ([[Discussioni utente:Sun-crops|scrivimi]]) 03:34, 11 apr 2020 (CEST) :{{fatto}}--[[Utente:AssassinsCreed|AssassinsCreed]] ([[Discussioni utente:AssassinsCreed|scrivimi]]) 22:04, 12 apr 2020 (CEST) == [[Irène Fernandez]] == Enciclopedicità dubbia. Pochi riscontri online che permettano di valutarne la rilevanza. --'''[[Utente:Superchilum|<span style="color:#209090;">Superchilum</span>]]'''<sup>([[Discussioni_utente:Superchilum|scrivimi]])</sup> 10:39, 3 apr 2020 (CEST) :L'unica citazione è anche fuori standard (manca l'originale, e non c'è un numero di pagina), se non ci sono obiezioni possiamo procedere con la cancellazione.-- [[Utente:Spinoziano|Spinoziano]] ([[Discussioni utente:Spinoziano|msg]]) 11:01, 4 lug 2020 (CEST) :{{fatto}} -- [[Utente:Spinoziano|Spinoziano]] ([[Discussioni utente:Spinoziano|msg]]) 09:14, 11 lug 2020 (CEST) == [[Giovanni Impastato]] == Figura meritevole ma della quale non si ravvisano attualmente motivi di rilevanza enciclopedica. --'''[[Utente:Superchilum|<span style="color:#209090;">Superchilum</span>]]'''<sup>([[Discussioni_utente:Superchilum|scrivimi]])</sup> 16:50, 3 apr 2020 (CEST) :Su Wikipedia è stata [https://it.wikipedia.org/w/index.php?title=Giovanni_Impastato&action=edit&redlink=1 ripetutamente cancellata], ma se un giorno sarà enciclopedico di là lo sarà anche di qua. Per il momento ha scritto un solo libro con Piemme ed un altro come coautore per Stampa alternativa, se non ci sono obiezioni fondate possiamo procedere. -- [[Utente:Spinoziano|Spinoziano]] ([[Discussioni utente:Spinoziano|msg]]) 11:10, 4 lug 2020 (CEST) ::Sebbene siano belle citazioni, sono favorevole alla cancellazione per i motivi evidenziati da Spinoziano. --[[Utente:Sun-crops|Sun-crops]] ([[Discussioni utente:Sun-crops|scrivimi]]) 01:29, 8 lug 2020 (CEST) :::{{Ping|AnjaQantina|GryffindorD|DonatoD}} {{ping|Homer|Superchilum|Dread83}} {{ping|Ibisco}} Prego i collaboratori di esprimere un parere. Grazie. ::::: Temo non sia ''ancora'' enciclopedico. Concordo con i pareri precedenti. --[[Utente:Homer|Homer]] ([[Discussioni utente:Homer|scrivimi]]) 01:46, 8 lug 2020 (CEST) :::::: {{cancellare}} --'''<span style="letter-spacing:2px; font-size:11px;">[[Utente:Dread83|<span style="color:black;">DOPPIA•</span>]][[Discussioni utente:Dread83|<span style="color:darkblue;">DI</span>]]</span>''' 09:09, 8 lug 2020 (CEST) :::::::{{commento}} Però su Wikipedia la voce è stata cancellata 5 volte in immediata per C1 che non ha niente a che vedere con l'enciclopedicità. --[[Discussioni utente:GryffindorD|<span style="color:#007FFF">'''GryffindorD'''</span>]] 15:30, 8 lug 2020 (CEST) ::::::::{{cancellare}} non enciclopedico--[[Utente:DonatoD|DonatoD]] ([[Discussioni utente:DonatoD|scrivimi]]) 21:08, 8 lug 2020 (CEST) {{fatto}} --'''[[Utente:Superchilum|<span style="color:#209090;">Superchilum</span>]]'''<sup>([[Discussioni_utente:Superchilum|scrivimi]])</sup> 21:14, 9 lug 2020 (CEST) == [[Pachino]] == L'unica citazione presente non pare pertinente, località solo nominata.--[[Utente:AssassinsCreed|AssassinsCreed]] ([[Discussioni utente:AssassinsCreed|scrivimi]]) 01:25, 11 apr 2020 (CEST) :In effetti Pachino è appena nominata. --[[Utente:Sun-crops|Sun-crops]] ([[Discussioni utente:Sun-crops|scrivimi]]) 02:52, 11 apr 2020 (CEST) :{{favorevole}} --'''[[Utente:Superchilum|<span style="color:#209090;">Superchilum</span>]]'''<sup>([[Discussioni_utente:Superchilum|scrivimi]])</sup> 07:57, 11 apr 2020 (CEST) ::{{fatto}}--[[Utente:AssassinsCreed|AssassinsCreed]] ([[Discussioni utente:AssassinsCreed|scrivimi]]) 22:03, 12 apr 2020 (CEST) == <s>[[Isa Tutino Vercelloni]]</s> == Non sembrerebbe enciclopedica.--[[Utente:AssassinsCreed|AssassinsCreed]] ([[Discussioni utente:AssassinsCreed|scrivimi]]) 22:53, 18 apr 2020 (CEST) :Su Isa Tutino Vercelloni ho trovato questo [https://books.google.it/books?id=g2lFUePxGvkC&pg=PA112&dq=sedia+plia&hl=it&sa=X&ved=0ahUKEwiS8rHj7fLoAhXKOpoKHUYJCPsQ6AEIJzAA#v=onepage&q=sedia%20plia&f=false] e questo. [http://www.babalibri.it/catalogo/autore/isa-tutino-vercelloni] --[[Utente:Sun-crops|Sun-crops]] ([[Discussioni utente:Sun-crops|scrivimi]]) 23:06, 18 apr 2020 (CEST) ::{{favorevole}}--[[Utente:DonatoD|DonatoD]] ([[Discussioni utente:DonatoD|scrivimi]]) 20:23, 22 giu 2020 (CEST) :::È stata creata anche la tematica [[Sedia Plia (Piretti)]]. @[[Utente:Sun-crops|Sun-crops]], ma il tuo parere è che la voce su questa persona vada cancellata o sistemata? :) -- [[Utente:Spinoziano|Spinoziano]] ([[Discussioni utente:Spinoziano|msg]]) 09:49, 27 giu 2020 (CEST) :::{{ping|Spinoziano}} Sinceramente non so cosa pensare di questa voce. Chiedo un parere agli altri collaboratori. --[[Utente:Sun-crops|Sun-crops]] ([[Discussioni utente:Sun-crops|scrivimi]]) 16:34, 27 giu 2020 (CEST) ::::{{ping|AnjaQantina|Filippo Marchiali|Gaux}} {{ping|GryffindorD|Homer|Superchilum}} Gentili collaboratori, pensate che la voce in oggetto e tematica derivata sia enciclopedica o è da cancellare? Grazie. Saluti. --[[Utente:Sun-crops|Sun-crops]] ([[Discussioni utente:Sun-crops|scrivimi]]) 16:43, 27 giu 2020 (CEST) :::::{{favorevole}} --[[Utente:Gaux|Gaux]] ([[Discussioni utente:Gaux|scrivimi]]) 16:55, 27 giu 2020 (CEST) :::::::Qualunque <s>giornalista o scrittore</s> persona può avere un'opinione su un oggetto di design, quindi la citazione in sé non è enciclopedica (POV). La voce non è presente su Wikipedia. {{favorevole}} alla cancellazione. --[[Utente:AnjaQantina|AnjaQantina]] ([[Discussioni utente:AnjaQantina|scrivimi]]) 17:00, 27 giu 2020 (CEST) ::::::::{{Mantenere}} [https://opac.sbn.it/opacsbn/opaclib?db=solr_auth&resultForward=opac/iccu/full_auth.jsp&from=1&nentries=10&searchForm=opac/iccu/error.jsp&do_cmd=search_show_cmd&fname=none&sortquery=+BY+%40attrset+bib-1++%40attr+1%3D1003&sortlabel=Nome&saveparams=false&item:5019:VID::@frase@=SBLV209179 Scheda di autorità] nel SBN; fondatrice di Casa Vogue, [https://opac.sbn.it/opacsbn/opaclib?db=solr_iccu&resultForward=opac/iccu/brief.jsp&from=1&nentries=10&searchForm=opac/iccu/error.jsp&do_cmd=search_show_cmd&item:5032:BID=SBLV209179 pubblicazioni] rilevanti. --'''<span style="letter-spacing:2px; font-size:11px;">[[Utente:Dread83|<span style="color:black;">DOPPIA•</span>]][[Discussioni utente:Dread83|<span style="color:darkblue;">DI</span>]]</span>''' 17:02, 27 giu 2020 (CEST) :::::::::{{Mantenere}} Ha pubblicato per Mondadori, Longanesi, Skira, quindi come autrice ci starebbe. Il fatto che su WP manchi la voce di per sé non significa molto: forse nessuno a oggi ha pensato di crearla ma magari ci sarà in futuro e se anche là dovessero ritenerla "non enciclopedica" non vuol dire necessariamente che sia una valutazione lucida e assennata e che qui la si debba seguire pedissequamente, tanto più che ci sono necessità (e quindi sensibilità) differenti dovute al legame ancillare tra voci d'autori e tematiche. Il problema semmai è che la voce consta di una sola citazione avente per giunta a oggetto una sedia, ancorché sia un pezzo di design. ''Simul stabunt, simul cadent'': se la citazione non dovesse essere considerata valida allora anche la voce verrebbe travolta. Per me è questo il nocciolo della questione. Però vedo che in generale le voci sui pezzi di design sono ammesse e che la cadrega sta nientemeno che al MOMA. Quindi bisogna tenerla. --[[Utente:Filippo Marchiali|Filippo Marchiali]] ([[Discussioni utente:Filippo Marchiali|scrivimi]]) 19:00, 27 giu 2020 (CEST) ::::::::::{{Mantenere}} visto quanto riportato dagli altri (pubblicazioni, SBN ecc.). --'''[[Utente:Superchilum|<span style="color:#209090;">Superchilum</span>]]'''<sup>([[Discussioni_utente:Superchilum|scrivimi]])</sup> 23:00, 27 giu 2020 (CEST) :::::::::::{{mantenere}} --[[Discussioni utente:GryffindorD|<span style="color:#007FFF">'''GryffindorD'''</span>]] 00:12, 28 giu 2020 (CEST) ::::::::::::{{mantenere}} --[[Utente:Sun-crops|Sun-crops]] ([[Discussioni utente:Sun-crops|scrivimi]]) 15:56, 28 giu 2020 (CEST) :::::::::::::Alla luce degli ultimi interventi motivati possiamo mantenerla, annullo. -- [[Utente:Spinoziano|Spinoziano]] ([[Discussioni utente:Spinoziano|msg]]) 09:23, 4 lug 2020 (CEST) ==[[Indovinelli ercolani]]== Solo indovinelli senza fonte. --'''[[Utente:Superchilum|<span style="color:#209090;">Superchilum</span>]]'''<sup>([[Discussioni_utente:Superchilum|scrivimi]])</sup> 23:17, 18 apr 2020 (CEST) :Senza fonte e in dialetto siciliano ed Ercolano è in provincia di Napoli. Quindi... --[[Utente:Sun-crops|Sun-crops]] ([[Discussioni utente:Sun-crops|scrivimi]]) 23:25, 18 apr 2020 (CEST) ::Lo stesso vale per [[Proverbi ercolani]] e [[Scioglilingua ercolani]], senza fonte e in dialetto – apparentemente – siciliano. Non mi risulta esistente una Ercolano in Puglia o in Sicilia. --[[Utente:Sun-crops|Sun-crops]] ([[Discussioni utente:Sun-crops|scrivimi]]) 23:31, 18 apr 2020 (CEST) :::Grazie, aggiungo anche loro :-) --'''[[Utente:Superchilum|<span style="color:#209090;">Superchilum</span>]]'''<sup>([[Discussioni_utente:Superchilum|scrivimi]])</sup> 23:34, 18 apr 2020 (CEST) ::::{{cancellare}}--[[Utente:AssassinsCreed|AssassinsCreed]] ([[Discussioni utente:AssassinsCreed|scrivimi]]) 00:37, 19 apr 2020 (CEST) :::::{{fatto}}--[[Utente:AssassinsCreed|AssassinsCreed]] ([[Discussioni utente:AssassinsCreed|scrivimi]]) 22:23, 22 apr 2020 (CEST) ==[[Proverbi ercolani]]== Solo proverbi senza fonte, e di dubbia appartenenza (v. sopra). --'''[[Utente:Superchilum|<span style="color:#209090;">Superchilum</span>]]'''<sup>([[Discussioni_utente:Superchilum|scrivimi]])</sup> 23:34, 18 apr 2020 (CEST) :{{cancellare}}--[[Utente:AssassinsCreed|AssassinsCreed]] ([[Discussioni utente:AssassinsCreed|scrivimi]]) 00:37, 19 apr 2020 (CEST) :::{{cancellare}} --[[Utente:Sun-crops|Sun-crops]] ([[Discussioni utente:Sun-crops|scrivimi]]) 23:35, 22 apr 2020 (CEST) ::::{{fatto}}--[[Utente:AssassinsCreed|AssassinsCreed]] ([[Discussioni utente:AssassinsCreed|scrivimi]]) 13:41, 25 apr 2020 (CEST) ==[[Scioglilingua ercolani]]== Solo scioglilingua senza fonte, e di dubbia appartenenza (v. sopra). --'''[[Utente:Superchilum|<span style="color:#209090;">Superchilum</span>]]'''<sup>([[Discussioni_utente:Superchilum|scrivimi]])</sup> 23:34, 18 apr 2020 (CEST) :{{cancellare}}--[[Utente:AssassinsCreed|AssassinsCreed]] ([[Discussioni utente:AssassinsCreed|scrivimi]]) 00:38, 19 apr 2020 (CEST) :::{{cancellare}}--[[Utente:Sun-crops|Sun-crops]] ([[Discussioni utente:Sun-crops|scrivimi]]) 23:36, 22 apr 2020 (CEST) ::::{{fatto}}--[[Utente:AssassinsCreed|AssassinsCreed]] ([[Discussioni utente:AssassinsCreed|scrivimi]]) 13:41, 25 apr 2020 (CEST) == [[Antonio Servillo]] == Poche informazioni reperibili su di lui online. Direi non enciclopedico. --[[Utente:AssassinsCreed|AssassinsCreed]] ([[Discussioni utente:AssassinsCreed|scrivimi]]) 22:17, 22 apr 2020 (CEST) :D'accordo. --[[Utente:Sun-crops|Sun-crops]] ([[Discussioni utente:Sun-crops|scrivimi]]) 22:24, 22 apr 2020 (CEST) ::{{fatto}} -- [[Utente:Spinoziano|Spinoziano]] ([[Discussioni utente:Spinoziano|msg]]) 10:00, 2 giu 2020 (CEST) == [[Paolo Salvati]] == Voci pluricancellata su Wikipedia, tanto che attualmente risulta bloccata.--[[Utente:AssassinsCreed|AssassinsCreed]] ([[Discussioni utente:AssassinsCreed|scrivimi]]) 22:30, 22 apr 2020 (CEST) :Da cancellare. --[[Utente:Sun-crops|Sun-crops]] ([[Discussioni utente:Sun-crops|scrivimi]]) 23:34, 22 apr 2020 (CEST) :Da non cancellare. Risulta bloccata non vuol dire molto, mancava una bibliografia consolidata, ora le cose sono cambiate. --[[Utente:Mach280|Mach280]] ([[Discussioni utente:Mach280|scrivimi]]) 18:37, 23 apr 2020 (CEST) ::Segnalo che anche {{ping|Carlomartini86}}, che per un periodo si era occupato delle voci in campo artistico, [[Utente:Carlomartini86/Sandbox|qui]] ne aveva messo in dubbio l'enciclopedicità.--[[Utente:AssassinsCreed|AssassinsCreed]] ([[Discussioni utente:AssassinsCreed|scrivimi]]) 00:49, 24 apr 2020 (CEST) :<s>Non cancellare. Ho visionato la cronologia ma nel 2015 non c'era una diffusa e consolidata bibliografia sull'autore, oggi potete vedere [http://www.worldcat.org/identities/lccn-nb2018001995/ WorldCat, Publication Timeline: Salvati, Paolo 1939-2014], ci sono anche fonti nazionali di settore come [https://opac.lagallerianazionale.com/gnam-web/home;jsessionid=39514CFEFD176B6A791A0E1A1D727F29/search/result.html?jsonVal=%7B%22jsonVal%22%3A%7B%22startDate%22%3A%22%22%2C%22endDate%22%3A%22%22%2C%22fieldDate%22%3A%22dataNormal%22%2C%22_perPage%22%3A20%7D%7D&query=Paolo+Salvati Archivio bioiconografico del GNAM (Galleria Nazionale d'Arte Moderna e Contemporanea)], [http://www.quadriennalediroma.org/arbiq_web/index.php?sezione=archivi&id=111465&ricerca= Archivio Quadriennale] e fonti internazionali [https://arcade.nyarc.org/search/?searchscope=8&searchtype=o&searcharg=1039893453 MoMA Library: The folder may include announcements, clippings, press releases, brochures, reviews, invitations, small exhibition catalogs, and other ephemeral material.], sarà interessante anche lavorare sulla procedura di sblocco e miglioramento della voce in tema. --[[Utente:Wat0707|Wat0707]] ([[Discussioni Utente:Wat0707|scrivimi]]) 08:14, 24 apr 2020 (CEST)</s> :<s>Da non cancellare. Le citazioni sull'autore sono state rimosse, rimangono le sue citazioni che mi sembrano quelle più utili, concordo che la valutazione risale al 2015, la voce bloccata su questo autore andrà rivalutata, ho trovato documentazione recente in biblioteche internazionali come [https://alliance-primo.hosted.exlibrisgroup.com/permalink/f/kjtuig/CP71268273870001451 UW Libraries, University of Washington] in [https://cap.banq.qc.ca/search/N-EXPLORE-2c93d0cd-ee71-46be-956a-8f74a233e10a Bibliothèque et Archives nationales du Québec] e [https://ndlonline.ndl.go.jp/#!/detail/R300000001-I028788557-00 National Diet Library], [http://solo.bodleian.ox.ac.uk/permalink/f/ds4uo7/oxfaleph020814183 University of Oxford Library], mentre quelle più datate sono soprattutto in archivi italiani, qualcosa all'estero. --[[Utente:ArchiSalv01|ArchiSalv01]] ([[Discussioni utente:ArchiSalv01|scrivimi]]) 10:17, 24 apr 2020 (CEST)</s> Segnalo che, insospettito dall'attività di diverse utenze mai viste prima proprio sulla stessa voce, e dal comportamento molto simile, ho chiesto un responso a un check user che ha confermato che Wat0707 e ArchiSalv01 sono [[:w:WP:SP|sockpuppet]] di Mach280. Le due utenze sono state quindi bloccate da uno steward su tutti i progetti WMF, mentre ho bloccato Mach280 per una settimana qui su Wikiquote per tentativo illegittimo di alterazione del consenso. Favorevole a rimodulare la durata del blocco se ci fosse consenso in tal senso. --'''[[Utente:Superchilum|<span style="color:#209090;">Superchilum</span>]]'''<sup>([[Discussioni_utente:Superchilum|scrivimi]])</sup> 16:51, 25 apr 2020 (CEST) :{{ping|Superchilum}} Anche io mi ero parecchio insospettito, ma ti ringrazio di essere stato molto celere ed efficiente. Personalmente sarei anche per un blocco più lungo, l'unica preoccupazione dell'utente in questo progetto è la pagina in questione tanto da arrivare a provare ad alterare il consenso ed anche su Wikipedia la situazione non mi è sembrata diversa. :Per quanto riguarda la cancellazione segnalo [[w:Wikipedia:Pagine da cancellare/Paolo Salvati|questa]]. --[[Utente:AssassinsCreed|AssassinsCreed]] ([[Discussioni utente:AssassinsCreed|scrivimi]]) 20:01, 25 apr 2020 (CEST) ::{{fatto}} -- [[Utente:Spinoziano|Spinoziano]] ([[Discussioni utente:Spinoziano|msg]]) 10:03, 7 mag 2020 (CEST) :::Salve, è possibile valutare la riapertura della voce su Wikiquote di [[w:it:Paolo Salvati|Paolo Salvati]]? La voce era stata cancellata in passato, forse per errori fatti dai contributori e poche fonti, oggi sono cambaiti alcuni aspetti rilevanti e attineti alle regole. [[Utente:Maxxinelli01|Maxxinelli01]] ([[Discussioni utente:Maxxinelli01|scrivimi]]) 21:47, 29 giu 2025 (CEST) ::::{{ping|Superchilum}} la voce è stata da poco sbozzata da Mastrocom su Wikipedia, andrebbe o aperta una Pdc là e attendere l'esito, o ripristinarla qua, che ne pensi? Ora il soggetto è presente anche su Treccani.it, prima non lo era. -- [[Utente:Spinoziano|Spinoziano]] ([[Discussioni utente:Spinoziano|msg]]) 09:07, 30 giu 2025 (CEST) :::::{{ping|Spinoziano}} per quel che mi riguarda, la presenza su Treccani è sufficiente per poter creare una voce (se poi su Wikipedia verrà cancellata con procedura comunitaria valuteremo cosa fare qui). Ovviamente con citazioni rilevanti e fontate :) --'''[[Utente:Superchilum|<span style="color:#209090;">Superchilum</span>]]'''<sup>([[Discussioni_utente:Superchilum|scrivimi]])</sup> 21:28, 1 lug 2025 (CEST) ::::::{{ping|Maxxinelli01|Superchilum}} Fatto. -- [[Utente:Spinoziano|Spinoziano]] ([[Discussioni utente:Spinoziano|msg]]) 09:44, 2 lug 2025 (CEST) == [[Marta Lock]] == Ha pubblicato solo per editori minori. Non enciclopedica.--[[Utente:AssassinsCreed|AssassinsCreed]] ([[Discussioni utente:AssassinsCreed|scrivimi]]) 22:53, 22 apr 2020 (CEST) :Non enciclopedica. --[[Utente:Sun-crops|Sun-crops]] ([[Discussioni utente:Sun-crops|scrivimi]]) 23:35, 22 apr 2020 (CEST) ::{{cancellare}} --'''[[Utente:Superchilum|<span style="color:#209090;">Superchilum</span>]]'''<sup>([[Discussioni_utente:Superchilum|scrivimi]])</sup> 09:05, 23 apr 2020 (CEST) :::{{fatto}}--[[Utente:AssassinsCreed|AssassinsCreed]] ([[Discussioni utente:AssassinsCreed|scrivimi]]) 13:41, 25 apr 2020 (CEST) == [[Marko Mlinarić]] == L'unica citazione presente è la classica frase di rito che avranno detto in almeno cento persone prima di lui...--[[Utente:AssassinsCreed|AssassinsCreed]] ([[Discussioni utente:AssassinsCreed|scrivimi]]) 00:59, 24 apr 2020 (CEST) :D'accordo. --[[Utente:Sun-crops|Sun-crops]] ([[Discussioni utente:Sun-crops|scrivimi]]) 22:50, 24 apr 2020 (CEST) ::{{fatto}} -- [[Utente:Spinoziano|Spinoziano]] ([[Discussioni utente:Spinoziano|msg]]) 10:00, 2 giu 2020 (CEST) == [[Carlo Pallavicino]] == Non credo sia enciclopedico. Consultando la [[w:Categoria:Procuratori sportivi italiani|Categoria:Procuratori sportivi italiani]] su wikipedia si scopre che sono tutti ex-sportivi (e quindi enciclopedici per qualcos'altro) eccezion fatta per [[Mino Raiola]] (che però ha ben altra rilevanza per mille motivi) e [[w:Andrea D'Amico|Andrea D'Amico]] (che presenta problematiche).--[[Utente:AssassinsCreed|AssassinsCreed]] ([[Discussioni utente:AssassinsCreed|scrivimi]]) 13:52, 25 apr 2020 (CEST) :Non enciclopedico per le ragioni evidenziate da Creed. --[[Utente:Sun-crops|Sun-crops]] ([[Discussioni utente:Sun-crops|scrivimi]]) 15:51, 25 apr 2020 (CEST) ::{{favorevole}} Non enciclopedico. --'''<span style="letter-spacing:2px; font-size:11px;">[[Utente:Dread83|<span style="color:black;">DOPPIA•</span>]][[Discussioni utente:Dread83|<span style="color:darkblue;">DI</span>]]</span>''' 00:22, 22 giu 2020 (CEST) :::{{ping|AnjaQantina|GryffindorD|DonatoD|}} {{ping|Superchilum|Spinoziano|Homer}} {{ping|Gaux}} Gentili collaboratori, cosa decidiamo per questa voce? --[[Utente:Sun-crops|Sun-crops]] ([[Discussioni utente:Sun-crops|scrivimi]]) 00:09, 25 giu 2020 (CEST) ::::{{cancellare}} anche per me. Cercando su Google qualcosa si trova ma non credo basti a renderlo enciclopedico. --[[Discussioni utente:GryffindorD|<span style="color:#007FFF">'''GryffindorD'''</span>]] 01:11, 25 giu 2020 (CEST) :::::{{cancellare}} Non terrei la voce su Wikiquote per un'unica intervista; inoltre non è presente su Wikipedia. --[[Utente:AnjaQantina|AnjaQantina]] ([[Discussioni utente:AnjaQantina|scrivimi]]) 09:03, 25 giu 2020 (CEST) ::::::{{cancellare}} Non mi sembra enciclopedico. --[[Utente:Homer|Homer]] ([[Discussioni utente:Homer|scrivimi]]) 10:11, 25 giu 2020 (CEST) :::::::{{fatto}} Consenso evidente; orfanizzata e cancellata. Grazie. --'''<span style="letter-spacing:2px; font-size:11px;">[[Utente:Dread83|<span style="color:black;">DOPPIA•</span>]][[Discussioni utente:Dread83|<span style="color:darkblue;">DI</span>]]</span>''' 10:29, 25 giu 2020 (CEST) == [[Marco Leonardi]] == Palesemente non enciclopedico, quasi da immediata.--[[Utente:AssassinsCreed|AssassinsCreed]] ([[Discussioni utente:AssassinsCreed|scrivimi]]) 00:50, 4 mag 2020 (CEST) :È certamente così. Chiaro dal primo momento. --[[Utente:Sun-crops|Sun-crops]] ([[Discussioni utente:Sun-crops|scrivimi]]) 00:54, 4 mag 2020 (CEST) ::Da valutare anche [[Flavio Felice]]. Ci viene in aiuto [https://www.store.rubbettinoeditore.it/flavio-felice] --[[Utente:Sun-crops|Sun-crops]] ([[Discussioni utente:Sun-crops|scrivimi]]) 01:05, 4 mag 2020 (CEST) {{favorevole}} --'''[[Utente:Superchilum|<span style="color:#209090;">Superchilum</span>]]'''<sup>([[Discussioni_utente:Superchilum|scrivimi]])</sup> 09:17, 4 mag 2020 (CEST) :{{fatto}} -- [[Utente:Spinoziano|Spinoziano]] ([[Discussioni utente:Spinoziano|msg]]) 10:03, 7 mag 2020 (CEST) == [[Alfredo Maiolese]] == La voce è priva di qualsiasi rilevanza enciclopedica.<br>--[[Utente:DonatoD|DonatoD]] ([[Discussioni utente:DonatoD|scrivimi]]) 17:43, 14 giu 2020 (CEST) :La proposta è stata fatta da altro utente: va da sé che avendola proposta io qui, sono favorevole.<br>--[[Utente:DonatoD|DonatoD]] ([[Discussioni utente:DonatoD|scrivimi]]) 17:44, 14 giu 2020 (CEST) ::{{favorevole}} Si veda anche [[Discussione:Alfredo Maiolese|pagina di discussione]]. --'''<span style="letter-spacing:2px; font-size:11px;">[[Utente:Dread83|<span style="color:black;">DOPPIA•</span>]][[Discussioni utente:Dread83|<span style="color:darkblue;">DI</span>]]</span>''' 00:03, 15 giu 2020 (CEST) :::{{favorevole}} alla cancellazione. --[[Utente:AnjaQantina|AnjaQantina]] ([[Discussioni utente:AnjaQantina|scrivimi]]) 09:06, 25 giu 2020 (CEST) == [[Sara Bell]] / [[Giorgia Roma]] / [[Giorgio Grandi]] == Non mi sembrano enciclopedici. L'unica fonte è un sito e cercando su Google non si trova nulla (se non l'intervista su quel sito). <del>Dei tre l'unico che aveva una voce su Wikipedia era Giorgio Grandi, [[w:Wikipedia:Pagine da cancellare/Giorgio Grandi|cancellata nel 2010]]</del>. <small>Era un altro Giorgio Grandi.</small> --[[Discussioni utente:GryffindorD|<span style="color:#007FFF">'''GryffindorD'''</span>]] 00:10, 22 giu 2020 (CEST) :{{favorevole}} Non enciclopedici. --'''<span style="letter-spacing:2px; font-size:11px;">[[Utente:Dread83|<span style="color:black;">DOPPIA•</span>]][[Discussioni utente:Dread83|<span style="color:darkblue;">DI</span>]]</span>''' 00:22, 22 giu 2020 (CEST) ::{{favorevole}} Non enciclopedici. --[[Utente:Sun-crops|Sun-crops]] ([[Discussioni utente:Sun-crops|scrivimi]]) 00:41, 22 giu 2020 (CEST) :::{{favorevole}} Come gli altri. --'''[[Utente:Superchilum|<span style="color:#209090;">Superchilum</span>]]'''<sup>([[Discussioni_utente:Superchilum|scrivimi]])</sup> 14:22, 23 giu 2020 (CEST) ::::{{fatto}} --[[Utente:Sun-crops|Sun-crops]] ([[Discussioni utente:Sun-crops|scrivimi]]) 00:11, 25 giu 2020 (CEST) == [[Elizabeth McGovern]] == {{Ping|AnjaQantina|GryffindorD|DonatoD}} {{ping|Homer|Superchilum|Spinoziano}} {{ping|Dread83}} Da cancellare. Citazione di un personaggio interpretato, non dell'attrice. La stessa fonte non è valida e Deborah dovrebbe essere un personaggio di ''C'era una volta in America'', non il titolo di un film. P. S. Bisognerebbe prendere una decisione anche per la discussione immediatamente precedente. --[[Utente:Sun-crops|Sun-crops]] ([[Discussioni utente:Sun-crops|scrivimi]]) 14:15, 23 giu 2020 (CEST) :Cancellato in immediata. Negli ultimi giorni c'è un troll o similare (o più di uno) nel range 2001:B07 ecc ecc (IPv6) che continua a creare voci inutili di questo tipo, o senza citazioni o con citazioni prese dai personaggi invece che dagli attori (ci ha avuto a che fare anche {{ping|Dread83}}). Si conferma da rollbackare a vista, al momento. --'''[[Utente:Superchilum|<span style="color:#209090;">Superchilum</span>]]'''<sup>([[Discussioni_utente:Superchilum|scrivimi]])</sup> 14:22, 23 giu 2020 (CEST) ::Su Wikipedia l'intero range (2001:b07:644e:fdc2::/64) è stato [https://it.wikipedia.org/w/index.php?title=Speciale:Registri&page=User%3A2001%3AB07%3A644E%3AFDC2%3A0%3A0%3A0%3A0%2F64&type=block bloccato per 6 mesi]. Sinceramente, non so perché in entrambi i progetti i doppiaggi attirino così tanti vandali... Per il momento, ho predisposto un filtro anti abusi per questi IP, con solo un avviso, ovvero un invito a evitare contributi non costruttivi. Vediamo se funziona. --'''<span style="letter-spacing:2px; font-size:11px;">[[Utente:Dread83|<span style="color:black;">DOPPIA•</span>]][[Discussioni utente:Dread83|<span style="color:darkblue;">DI</span>]]</span>''' 16:41, 27 giu 2020 (CEST) ==[[Craig Ferguson]]== *Voce da cancellare, credo in immediata. Fonte quanto meno anomala. --[[Utente:Sun-crops|Sun-crops]] ([[Discussioni utente:Sun-crops|scrivimi]]) 14:54, 19 lug 2020 (CEST) Da valutare anche [[Brenda Blethyn]]. Craig Ferguson lo cancello subito, è proprio senza fonte. --[[Utente:Sun-crops|Sun-crops]] ([[Discussioni utente:Sun-crops|scrivimi]]) 14:57, 19 lug 2020 (CEST) ==[[Epigrafi dai libri]]== Voce di un unico utente, a parte l'ultimo inserimento (probabilmente dello stesso utente da IP). La voce è fuori dagli standard perché non riportiamo generalmente epigrafi. Se si dovesse decidere di tenerla, ovviamente andranno adeguate le linee guida.<br>--[[Utente:DonatoD|DonatoD]] ([[Discussioni utente:DonatoD|scrivimi]]) 15:18, 22 lug 2020 (CEST) :Non poche citazioni sono belle e interessanti. Non sarei contrario al mantenimento della pagina, adeguando, chiaramente, se necessario, le linee guida. --[[Utente:Sun-crops|Sun-crops]] ([[Discussioni utente:Sun-crops|scrivimi]]) 23:49, 22 lug 2020 (CEST) ::Qualche anno fa questo tipo di raccolta era stata proposta da {{ping|Superchilum}} in [[Discussioni template:Raccolte dai media#Epigrafi]]. -- [[Utente:Spinoziano|Spinoziano]] ([[Discussioni utente:Spinoziano|msg]]) 09:03, 23 lug 2020 (CEST) :::In effetti le epigrafi le teniamo, sono [[Epigrafi|qui]]. Però sono le epigrafi incise su pietra/marmo/metallo ecc. Io proponevo di creare la raccolta su quelle. Queste sono invece quelle che in [[:w:Epigrafe (disambigua)]] vengono citate come un altro tipo di epigrafe, ovvero quelle poste prima dell'inizio dei libri, quindi c'è il rischio di confondersi. Queste sarebbero più che altro "Epigrafi (letteratura)". --'''[[Utente:Superchilum|<span style="color:#209090;">Superchilum</span>]]'''<sup>([[Discussioni_utente:Superchilum|scrivimi]])</sup> 18:39, 25 lug 2020 (CEST) Se non ci sono altre opinioni, io procederei alla cancellazione.<br>--[[Utente:DonatoD|DonatoD]] ([[Discussioni utente:DonatoD|scrivimi]]) 20:39, 3 ott 2020 (CEST) ==[[Primum non nocere]]== Voce da cancellare immediatamente, credo. --[[Utente:Sun-crops|Sun-crops]] ([[Discussioni utente:Sun-crops|scrivimi]]) 23:25, 22 lug 2020 (CEST) :Cancellata in immediata, solito IP 37.16.ecc che ultimamente continua ad aggiungere citazioni non significative e senza fonti. --'''[[Utente:Superchilum|<span style="color:#209090;">Superchilum</span>]]'''<sup>([[Discussioni_utente:Superchilum|scrivimi]])</sup> 08:52, 23 lug 2020 (CEST) ==[[Giulia Bevilacqua]]== Voce da cancellare, la fonte non è accettabile. --[[Utente:Sun-crops|Sun-crops]] ([[Discussioni utente:Sun-crops|scrivimi]]) 17:15, 26 lug 2020 (CEST) :Sarebbe da immediata, tuttavia visto che l'utente, un IP, sta proprio in questo momento inserendo e che molto probabilmente si tratta di qualcuno che opera sempre da IP, gli ho lasciato un messaggio nella speranza che si registri. Tempo un'ora e cancelliamo, direi.<br>--[[Utente:DonatoD|DonatoD]] ([[Discussioni utente:DonatoD|scrivimi]]) 17:17, 26 lug 2020 (CEST) ::O.K. --[[Utente:Sun-crops|Sun-crops]] ([[Discussioni utente:Sun-crops|scrivimi]]) 17:39, 26 lug 2020 (CEST) :::Cancellata. (È in atto un assalto di uno o più utenti con IP 2001:b07...: un'orda di cavallette).<br>--[[Utente:DonatoD|DonatoD]] ([[Discussioni utente:DonatoD|scrivimi]]) 18:12, 26 lug 2020 (CEST) == <s>[[Fabrizio Benedetti]]</s> == <del>Voce senza fonti</del><small>(la fonte è il libro)</small> e cancellata su Wikipedia ([[w:Fabrizio Benedetti]]) di recente per c4. --[[Discussioni utente:GryffindorD|<span style="color:#007FFF">'''GryffindorD'''</span>]] 12:34, 27 lug 2020 (CEST) :Noto però in un secondo momento che la voce è presente su [[w:en:Fabrizio Benedetti]] e su [[w:fr:Fabrizio Benedetti]]. --[[Discussioni utente:GryffindorD|<span style="color:#007FFF">'''GryffindorD'''</span>]] 14:16, 27 lug 2020 (CEST) ::{{mantenere}} Voce che appare enciclopedica. (''En passant'': è sempre buona norma apporre il template di cancellazione nella voce e avvisare l'utente che ha creato la voce dell'esistenza di questa discussione).<br>--[[Utente:DonatoD|DonatoD]] ([[Discussioni utente:DonatoD|scrivimi]]) 19:46, 27 lug 2020 (CEST) :::{{ping|DonatoD}} potresti aggiungere qualche informazione sull'enciclopedicità? --'''[[Utente:Superchilum|<span style="color:#209090;">Superchilum</span>]]'''<sup>([[Discussioni_utente:Superchilum|scrivimi]])</sup> 08:51, 28 lug 2020 (CEST) ::Su IBS: [https://www.ibs.it/libri/autori/fabrizio-benedetti?gclid=EAIaIQobChMIhLOIwYXw6gIVyu7tCh00rwSjEAAYASAAEgJslvD_BwE], vedo che ha pubblicato diversi libri: la maggior parte con Carocci, casa editrice universitaria e questo potrebbe far discutere, ma anche uno con Mondadori. Uno di questi è tradotto in inglese e edito da Oxford: [https://books.google.it/books?id=hUKXBAAAQBAJ&dq=Fabrizio+Benedetti+ibs&hl=it]. Insomma, da quello che capisco, sembra un neurologo importante sul tema dell'effetto placebo.<br>--[[Utente:DonatoD|DonatoD]] ([[Discussioni utente:DonatoD|scrivimi]]) 15:42, 28 lug 2020 (CEST) :::{{mantenere}} --[[Utente:Sun-crops|Sun-crops]] ([[Discussioni utente:Sun-crops|scrivimi]]) 01:30, 29 lug 2020 (CEST) ::::{{ping|Filippo Marchiali}} Puoi, per favore, dare anche il tuo parere? --[[Utente:Sun-crops|Sun-crops]] ([[Discussioni utente:Sun-crops|scrivimi]]) 01:39, 29 lug 2020 (CEST) :::::Avevo aperto la procedura di cancellazione non avendo visto le voci su en.wiki e fr.wiki ma basandomi sul c4 su it.wiki. Io non so in che stato era la voce su it però visto com'è su en e il commento di DonatoD propongo di chiudere con il mantenere. --[[Discussioni utente:GryffindorD|<span style="color:#007FFF">'''GryffindorD'''</span>]] 11:24, 16 set 2020 (CEST) ::::::Allora manteniamo. -- [[Utente:Spinoziano|Spinoziano]] ([[Discussioni utente:Spinoziano|msg]]) 09:55, 31 ott 2020 (CET) ==<s>[[Varvàra Dolgorouki]]</s>== Traggo da questo sito [https://www.auserbasilicata.it/2.0/wp-content/uploads/2013/02/titoli-1.pdf] la seguente scheda relativa al libro di questa autrice: "Stupenda descrizione della vita di una dama russa d'altri tempi. Nata nel 1885, Varvara Dolgorouki, figlioccia dell'imperatore Aleksandr Nikolaevic, discendente di una delle più illustri casate russe, che vanta parent stretti dello zar, è allevata in semplicità e trascorre la sua fanciullezza tra la casa di campagna e la capitale, fino alla sua presentazione in società nel 1902 e al matrimonio nel 1908. Col marito, alto esponente dell'esercito, fedele sino alla fine allo zar, è costretta a fuggire e a nascondersi all'arrivo dei bolscevichi sino alla sua fuga verso la Crimea e infine l'Italia. Da rilevare la sua amicizia con l'imperatrice madre e la zarina, da lei sempre difesa, anche nei rapporti con Rasputn, visto come l'unico rimedio alla malattia dello zarevic." La principessa Dolgorouki, ammiratissima da Cristina Campo, è figlia di [[w:Aleksandr Sergeevič Dolgorukov|Aleksandr Sergeevič Dolgorukov]]. Si tratta quindi di un'osservatrice privilegiata della vita sociale e politica dell'ultima fase della storia russa, in contatto, per la sua posizione di dama di corte ed esponente di una delle casate aristocratiche russe più prestigiose, con le maggiori personalità del suo tempo. Tutto questo, ne convengo, dovrebbe essere recepito in una voce di wikipedia e sottoposto al vaglio dei wikipediani. Ho pochissima esperienza di wikipedia, non ne padroneggio le convenzioni ed una voce puramente anagrafica certamente non convincerebbe. Per creare una voce solida, avrei bisogno di tempo ed energie da dedicare a letture, riletture e ricerche, ma sono piuttosto a corto di tempo e molto anche di "freschezza atletica" per così dire. Per cui mi rimetto a qualsiasi decisione da parte vostra. Un'eventuale cancellazione non sarebbe del resto necessariamente l'ultima parola. La voce potrebbe essere sempre creata in wikipedia, da me o da altri. --[[Utente:Sun-crops|Sun-crops]] ([[Discussioni utente:Sun-crops|scrivimi]]) 23:42, 30 lug 2020 (CEST) P. S Pubblicata da Rusconi in Italia e in Francia presso Editions France Empire: Dolgorouki Varvara, ''Au Temps Des Troika 1885 - 1919''. --[[Utente:Sun-crops|Sun-crops]] ([[Discussioni utente:Sun-crops|scrivimi]]) 23:47, 30 lug 2020 (CEST) Utile, credo, consultare questo documento a p. 2, [http://www.cemeteryrome.it/press/webnewsletter-it/n.6-2009.pdf] --[[Utente:Sun-crops|Sun-crops]] ([[Discussioni utente:Sun-crops|scrivimi]]) 23:51, 30 lug 2020 (CEST) :Per me la voce è da mantenere. Che Varvàra Dolgorouki sia autrice di valore, basti la parola di Cristina Campo. Posso però aggiungere un mio rammarico: che la gran dama russa abbia cominciato a scrivere in età troppo avanzata. Qualità letterarie a parte, il suo profilo familiare ne ha fatto la preziosa testimone di un'epoca caratterizzata dagli ultimi bagliori dell'aristocrazia della Russia zarista, una classe avvezza ad esercitare un immenso potere, e sovente con arbitrio assoluto, non sospettando che la Storia stava apparecchiando per essa il brusco trasloco dal Palazzo d'Inverno di Pietroburgo alle piazze dove i bolscevichi di Lenin processavano e giustiziavano i nemici del popolo.--[[Utente:Ibisco|Ibisco]] ([[Discussioni utente:Ibisco|scrivimi]]) 20:17, 15 ago 2020 (CEST) ::Ieri ho creato la voce [[w:Varvàra Dolgorouki|Varvàra Dolgorouki]] in Wikipedia. Non dovrebbero, pertanto, esserci più problemi a {{mantenere}} la voce in Wikiquote. --[[Utente:Ibisco|Ibisco]] ([[Discussioni utente:Ibisco|scrivimi]]) 09:53, 17 ago 2020 (CEST) :::Ok, va bene così.-- [[Utente:Spinoziano|Spinoziano]] ([[Discussioni utente:Spinoziano|msg]]) 10:04, 31 ott 2020 (CET) ==[[Tom Stafford]]== {{ping|Filippo Marchiali}} Nella fonte si legge: "Tom Stafford, Lecturer in Psychology and Cognitive Science at the University of Sheffield". L'autore non è enciclopedico. --[[Utente:Sun-crops|Sun-crops]] ([[Discussioni utente:Sun-crops|scrivimi]]) 23:31, 10 ago 2020 (CEST) :Ho già cancellato. L'attribuzione all'omonimo astronauta è falsa. --[[Utente:Sun-crops|Sun-crops]] ([[Discussioni utente:Sun-crops|scrivimi]]) 23:39, 10 ago 2020 (CEST) ::{{ping|Sun-crops}} Almeno il tempo di dargli un'occhiata... però vabbè. --[[Discussioni utente:GryffindorD|<span style="color:#007FFF">'''GryffindorD'''</span>]] 23:42, 10 ago 2020 (CEST) :::{{ping|GryffindorD}} Ciao, ho ripristinato per consentire a tutti di valutare. --[[Utente:Sun-crops|Sun-crops]] ([[Discussioni utente:Sun-crops|scrivimi]]) 23:50, 10 ago 2020 (CEST) ::::{{ping|Sun-crops}} gentilissimo come sempre, grazie! Comunque ho aggiunto un'altra citazione, per me {{mantenere}}. <small>Se la voce viene mantenuta va spostata a Thomas Stafford, come su Wikipedia</small> --[[Discussioni utente:GryffindorD|<span style="color:#007FFF">'''GryffindorD'''</span>]] 00:22, 11 ago 2020 (CEST) :::::{{ping|GryffindorD}} Ciao, grazie infinite per avere messo a posto la voce. Grazie a te la voce sarà mantenuta. È un piacere collaborare con te. Ciao. --[[Utente:Sun-crops|Sun-crops]] ([[Discussioni utente:Sun-crops|scrivimi]]) 00:51, 11 ago 2020 (CEST) ::::::{{ping|GryffindorD}} grazie per la sistemazione :-) potresti però trovare un'altra fonte più autorevole rispetto a quel tumblr? --'''[[Utente:Superchilum|<span style="color:#209090;">Superchilum</span>]]'''<sup>([[Discussioni_utente:Superchilum|scrivimi]])</sup> 21:43, 12 ago 2020 (CEST) :::::::{{ping|Superchilum}} avevo pensato, visto l'account, che andasse bene. Comunque ho aggiunto altre due fonti. --[[Discussioni utente:GryffindorD|<span style="color:#007FFF">'''GryffindorD'''</span>]] 00:14, 13 ago 2020 (CEST) ==<s>[[Val di Susa]]</s>== {{ping| Filippo Marchiali}} Si potrebbe tentare il recupero di questa voce, riportandola a norma, se si considera Maurizio Pagliassotti enciclopedico. Ha rilevanza enciclopedica questo autore che ha pubblicato un libro con Bollati Boringhieri, e due con Castelvecchi ? --[[Utente:Sun-crops|Sun-crops]] ([[Discussioni utente:Sun-crops|scrivimi]]) 14:47, 25 ago 2020 (CEST) :Candidato, non finalista, al Premio Estense 2020. --[[Utente:Sun-crops|Sun-crops]] ([[Discussioni utente:Sun-crops|scrivimi]]) 15:02, 25 ago 2020 (CEST) ::Segnalo che ho creato la voce [[Maurizio Pagliassotti]], ho anche aggiunto il collegamento a Wikidata con tre link di controllo d'autorità. Ovviamente se non si ritiene il soggetto enciclopedico la si cancella. --[[Discussioni utente:GryffindorD|<span style="color:#007FFF">'''GryffindorD'''</span>]] 16:43, 25 ago 2020 (CEST) :::Ringrazio GryffindorD. Sono favorevole a mantenere la voce. --[[Utente:Sun-crops|Sun-crops]] ([[Discussioni utente:Sun-crops|scrivimi]]) 23:03, 25 ago 2020 (CEST) :::: Grazie anche da parte mia - [[Utente:Cris77|Cris77]] ==<del>[[Tony Shalhoub]]</del>== La fonte utilizzata non è ammessa e, almeno per quanto mi riguarda, neppure visualizzabile. --[[Utente:Sun-crops|Sun-crops]] ([[Discussioni utente:Sun-crops|scrivimi]]) 16:11, 4 set 2020 (CEST) :{{+1}} Per visualizzarla si visualizza, sebbene inaffidabile. Secondo me era da immediata, nemmeno da passare di qua. --[[Utente:Homer|Homer]] ([[Discussioni utente:Homer|scrivimi]]) 16:17, 4 set 2020 (CEST) ::Effettivamente era da immediata. Ho provveduto a cancellarla ed ho bloccato per 20 giorni l'utente. Se si vuole aumentare il blocco o renderlo infinito non ho nulla in contrario. --[[Utente:Sun-crops|Sun-crops]] ([[Discussioni utente:Sun-crops|scrivimi]]) 17:15, 4 set 2020 (CEST) :::Ho ricreato la voce, è stata cancellata mentre la stavo sistemando, me ne sono accorto al momento di pubblicarla. Penso che adesso dovrebbe andar bene, se sì un amministratore potrebbe recuperare la cronologia della voce cancellata? --[[Discussioni utente:GryffindorD|<span style="color:#007FFF">'''GryffindorD'''</span>]] 17:18, 4 set 2020 (CEST) ::::Grazie infinite GryffindorD. Grazie. Ciao, --[[Utente:Sun-crops|Sun-crops]] ([[Discussioni utente:Sun-crops|scrivimi]]) 17:21, 4 set 2020 (CEST) ::::: Direi che non è necessario ripristinare, c'era ben poco di utile. --[[Utente:Homer|Homer]] ([[Discussioni utente:Homer|scrivimi]]) 17:52, 4 set 2020 (CEST) :::::: Concordo, va bene così. -- [[Utente:Spinoziano|Spinoziano]] ([[Discussioni utente:Spinoziano|msg]]) 16:03, 5 set 2020 (CEST) ==<del>[[Azra Nuhefendić]]</del>== Non enciclopedica.<br>--[[Utente:DonatoD|DonatoD]] ([[Discussioni utente:DonatoD|scrivimi]]) 20:13, 4 set 2020 (CEST) :[[Utente:DonatoD|DonatoD]] Non sono d'accordo sul carattere non enciclopedico di questa scrittrice e giornalista. I suoi pensieri sono importanti per capire le dinamiche dell'ex-Jugoslavia. --[[Utente:Cris77|Cris77]] ::Ho provato a creare uno stub su Wikipedia ([[w:Azra Nuhefendić]]). --[[Discussioni utente:GryffindorD|<span style="color:#007FFF">'''GryffindorD'''</span>]] 14:51, 5 set 2020 (CEST) :::Direi di mantenere la voce. --[[Utente:Sun-crops|Sun-crops]] ([[Discussioni utente:Sun-crops|scrivimi]]) 15:36, 5 set 2020 (CEST) ::::Sì, visto che è stata creata su Wikipedia annullo qua, se venisse cancellata di là ci adegueremo.-- [[Utente:Spinoziano|Spinoziano]] ([[Discussioni utente:Spinoziano|msg]]) 15:55, 5 set 2020 (CEST) ::::: Grazie [[Utente:Sun-crops|Sun-crops]]. Davvero non vedo perché eliminare la scheda di Azra Nuhefendić. Grazie anche a [[utente:GryffindorD|GryffindorD]] per aver creato una voce su wikipedia. -- [[Utente:Cris77|Cris77]] ==[[Ultime parole da Dragon Ball (Anime)]]== Francamente a me i commenti del redattore sembrano smisurati. Poiché qui siamo in Wikiquote ritengo che la voce sia da cancellare. Questa la mia opinione.<br>--[[Utente:DonatoD|DonatoD]] ([[Discussioni utente:DonatoD|scrivimi]]) 20:37, 3 ott 2020 (CEST) {{+1}} --[[Utente:Homer|Homer]] ([[Discussioni utente:Homer|scrivimi]]) 22:38, 3 ott 2020 (CEST) :Da cancellare perché esiste già [[Ultime parole da Dragon Ball]] e non c'è bisogno di suddividere in più pagine tra anime e altri media per un solo franchise.-- [[Utente:Spinoziano|Spinoziano]] ([[Discussioni utente:Spinoziano|msg]]) 11:18, 4 ott 2020 (CEST) {{fatto}} - resto perplesso sulla lunghezza dei commenti. Mah.<br>--[[Utente:DonatoD|DonatoD]] ([[Discussioni utente:DonatoD|scrivimi]]) 15:53, 4 ott 2020 (CEST) ==<del>[[Matilde di Hackeborn]]</del>== Voce da cancellare: non è una citazione della santa, la fonte è da valutare. --[[Utente:Sun-crops|Sun-crops]] ([[Discussioni utente:Sun-crops|scrivimi]]) 01:10, 6 ott 2020 (CEST) :Ho provato a sistemare la voce. --[[Discussioni utente:GryffindorD|<span style="color:#007FFF">'''GryffindorD'''</span>]] 21:39, 6 ott 2020 (CEST) ::Un grazie grandissimo a Gryffindor. La voce non è più da cancellare. --[[Utente:Sun-crops|Sun-crops]] ([[Discussioni utente:Sun-crops|scrivimi]]) 22:06, 6 ott 2020 (CEST) ==[[Carlo Di Pietro]]== La voce è da cancellare: nessuna rilevanza enciclopedica, forse anche promozionale. Io cancellerei anche subito. L'utente è quasi certamente, se non certamente, un utente più volte bloccato di infinito. Colgo l'occasione per chiedere un parere sulla fonte Radiospada di cui l'utente, operando con vari IP fa un massiccio ricorso. Ho sempre avuto più di una perplessità su questa fonte. --[[Utente:Sun-crops|Sun-crops]] ([[Discussioni utente:Sun-crops|scrivimi]]) 00:06, 23 ott 2020 (CEST) ::Chiedo scusa a tutti, ma prendo l'iniziativa di cancellare: questa è la citazione inserita: "Definendo ''ex cathedra'' una [[verità]] che in sé non è rivelata, per il fatto stesso il Sommo Pontefice definirebbe l’estensione della sua infallibilità a una verità di [queste] categorie. [...] In effetti, se la Chiesa è infallibile nella custodia del [[Deposito della fede]] strettamente detto, e dunque nella determinazione del vero senso dei dogmi rivelati, per il fatto stesso è infallibile nel giudicare il vero senso, l’intenzione e l’estensione della sua autorità e infallibilità, oppure, il che è lo stesso, nel giudicare le condizioni e gli oggetti sui quali di Diritto divino essa ha autorità e per cui le è stata promessa l’assistenza dello Spirito Santo. Infatti questa autorità e questa infallibilità sono un [[dogma]] rivelato. Citato da Carlo Di pietro, [https://www.radiospada.org/2014/06/tradizione-e-oggetti-di-magistero-brevi-cenni/ ''tradizioni e oggeti del Magistero (brevi cenni)''], ''Radiospada'', 7 giugno 2014." Se la si vuole ripristinare, nessuno deve certo chiedermi il permesso. Per me è da cancellare in immediata e lo faccio ora. Chiedo infinitamente scusa a tutti. --[[Utente:Sun-crops|Sun-crops]] ([[Discussioni utente:Sun-crops|scrivimi]]) 00:31, 23 ott 2020 (CEST) P. S. Aggiungo, dopo aver cancellato, che, imho, il contenuto di questa citazione <s>non dice in sostanza nulla che già non si sappia sul dogma dell'infallibilità del Pontefice</s>. il cui incipit è peraltro assolutamente oscuro, non dice in sostanza nulla che già non si sappia sul dogma dell'infallibilità del Pontefice --[[Utente:Sun-crops|Sun-crops]] ([[Discussioni utente:Sun-crops|scrivimi]]) 00:35, 23 ott 2020 (CEST) Ho cancellato anche la pagina di discussione relativa alla voce cancellata. Questo era il contenuto: "Forse la voce è già stata creata in passato, come sembrerebbe da questa copia vuota dell'Internet Archive, sebbene non apparisse alcun avviso in merito. Il soggetto della voce collabora a Radiospada e pubblica con Sugarco e Unilibro edizioni. Credo che abbia rilevanza nel progetto."<br>"La citazione fornisce un dettaglio del dogma dell'infallibilità, circa la capacità della Chiesa di autodeterminarne ambiti e portata. Saluti e buon lavoro, Micheledisaverio — Il precedente commento non firmato è stato inserito da 78.14.138.59 (discussioni · contributi), in data 21:59, 22 ott 2020‎." --[[Utente:Sun-crops|Sun-crops]] ([[Discussioni utente:Sun-crops|scrivimi]]) 00:41, 23 ott 2020 (CEST) P. S. Questa è una scheda dell'autore [https://www.sursumcorda.cloud/articoli/teologia-politica/865-carlo-di-pietro.html], che ha pubblicato diverse opere per Edizioni Radio Spada, come si può verificare facilmente in siti di vendita di libri. Se si ritiene di dover ripristinare la voce, non faccio opposizione alcuna, anche se resto della mia idea. Rinnovo cortesemente la domanda: come si deve considerare la fonte radiospada? Grazie. --[[Utente:Sun-crops|Sun-crops]] ([[Discussioni utente:Sun-crops|scrivimi]]) 00:56, 23 ott 2020 (CEST) :::Se a utilizzare questa fonte è un utente infinitato che sta evadendo il blocco, le citazioni sono da rimuovere (a meno che qualcuno non le abbia già risistemate con fonte primaria), altrimenti continuerà a inserirne; sta anche ricominciando a creare voci, ma se riconosciamo che è lui (ed è lui stesso che si è volutamente fatto riconoscere) è opportuno cancellarle, si è visto che non è affidabile. -- [[Utente:Spinoziano|Spinoziano]] ([[Discussioni utente:Spinoziano|msg]]) 11:11, 23 ott 2020 (CEST) ==<del>[[Vincenzo Ferdinandi]]</del>== Non ho rintracciato nessuna delle due citazioni attualmente presenti. Non ho cancellato in immediata perché il secondo sito appare in manutenzione.<br>--[[Utente:DonatoD|DonatoD]] ([[Discussioni utente:DonatoD|scrivimi]]) 20:39, 30 ott 2020 (CET) :La [https://i1.wp.com/moda.mam-e.it/wp-content/uploads/2020/10/Vincenzo-Ferdinandi-nel-suo-atelier-di-via-Veneto-con-l%E2%80%99attrice-Ann-Miller.jpg?w=800&ssl=1 prima], la [https://web.archive.org/web/20200919211835/https://www.dejavuteam.com/vincenzo-ferdinandi/ seconda] (se il sito non ritorna funzionante aggiungo il link archiviato). Per qualunque cosa pingatemi. --[[Discussioni utente:GryffindorD|<span style="color:#007FFF">'''GryffindorD'''</span>]] 01:11, 31 ott 2020 (CET) ::Le citazioni sono entrambe visibili nel primo link (la prima nell'immagine sopra la frase che inizia con "Con l’affermarsi del prèt-à-porter") e l'anonimo che ha creato la voce le aveva prese entrambe da lì, quindi il secondo sito è comunque superfluo.-- [[Utente:Spinoziano|Spinoziano]] ([[Discussioni utente:Spinoziano|msg]]) 10:30, 31 ott 2020 (CET) == [[Steven Umbrello]] == Voce di un filosofo (credo) di cui non si capisce l'enciclopedicità. Da una rapida ricerca su Google non ho trovato ''fonti terze e autorevoli'', è prensente una voce su [[w:en:Steven Umbrello|en.wiki]] ma anche lì di fonti valide non ne vedo. --[[Discussioni utente:GryffindorD|<span style="color:#007FFF">'''GryffindorD'''</span>]] 17:47, 9 nov 2020 (CET) :{{Cancellare}} Non sembra affatto enciclopedico. Un ricercatore come tanti. La Pedia in lingua inglese, come ho avuto modo di testare più volte, non è affidabile sull'enciclopedicità: macina tutto.<br>--[[Utente:DonatoD|DonatoD]] ([[Discussioni utente:DonatoD|scrivimi]]) 19:37, 10 nov 2020 (CET) ::{{Cancellare}} --[[Utente:Sun-crops|Sun-crops]] ([[Discussioni utente:Sun-crops|scrivimi]]) 00:21, 12 nov 2020 (CET) {{fatto}} Voce cancellata.<br>--[[Utente:DonatoD|DonatoD]] ([[Discussioni utente:DonatoD|scrivimi]]) 19:50, 14 nov 2020 (CET) ==[[Discussioni utente:JodyPlayfair]]== *Da cancellare: "crowdfunding culturale". --[[Utente:Sun-crops|Sun-crops]] ([[Discussioni utente:Sun-crops|scrivimi]]) 08:41, 12 nov 2020 (CET) :{{fatto}}, era spam.-- [[Utente:Spinoziano|Spinoziano]] ([[Discussioni utente:Spinoziano|msg]]) 16:14, 17 nov 2020 (CET) == [[Giuseppe Grillo]] == Voce di uno scrittore di cui non si trovano fonti, neanche sul libro. --[[Discussioni utente:GryffindorD|<span style="color:#007FFF">'''GryffindorD'''</span>]] 13:47, 15 nov 2020 (CET) :{{Cancellare}}--[[Utente:DonatoD|DonatoD]] ([[Discussioni utente:DonatoD|scrivimi]]) 16:17, 15 nov 2020 (CET) ::Trovato questo: [http://www.cityweeknapoli.it/2017/09/05/scrittori-sconosciuti-diario-un-reazionario-giuseppe-grillo-settima-puntata/], se non si tratta di un omonimo. O questo: [http://www406.regione.toscana.it/bancadati/spoglimusicali/cgi-bin/pagina.pl?RicFrmAutoreEsatta=Grillo%20Giuseppe&TipoPag=spogli&RicVM=autore&RicPag=71]; omonimo? Non sembrerebbe comunque di rilevanza enciclopedica. --[[Utente:Sun-crops|Sun-crops]] ([[Discussioni utente:Sun-crops|scrivimi]]) 19:40, 16 nov 2020 (CET) :::{{fatto}} -- [[Utente:Spinoziano|Spinoziano]] ([[Discussioni utente:Spinoziano|msg]]) 16:14, 17 nov 2020 (CET) ==[[Natale Ginelli]]== Pare abbia scritto un unico libro.<br>--[[Utente:DonatoD|DonatoD]] ([[Discussioni utente:DonatoD|scrivimi]]) 17:55, 15 nov 2020 (CET) :Non sembra di rilevanza enciclopedica. --[[Utente:Sun-crops|Sun-crops]] ([[Discussioni utente:Sun-crops|scrivimi]]) 19:32, 16 nov 2020 (CET) ::{{fatto}} -- [[Utente:Spinoziano|Spinoziano]] ([[Discussioni utente:Spinoziano|msg]]) 08:27, 21 mar 2021 (CET) ==<S>[[W. C. Handy]]</S>== Citazioni non reperibili nelle fonti indicate. Omesso l'inserimento del testo originale, come richiesto per le traduzioni non ufficiali. --[[Utente:Sun-crops|Sun-crops]] ([[Discussioni utente:Sun-crops|scrivimi]]) 19:28, 16 nov 2020 (CET) :Enciclopedico, ma allo stato attuale la voce è da cancellare.<br>--[[Utente:DonatoD|DonatoD]] ([[Discussioni utente:DonatoD|scrivimi]]) 19:44, 16 nov 2020 (CET) ::Allo stato della pubblicazione era da C3, ho provato a dargli una sistemata ma se non va bene cancellate pure. --[[Discussioni utente:GryffindorD|<span style="color:#007FFF">'''GryffindorD'''</span>]] 19:45, 16 nov 2020 (CET) :::Ancora una volta grazie, GryffindorD. --[[Utente:Sun-crops|Sun-crops]] ([[Discussioni utente:Sun-crops|scrivimi]]) 23:27, 16 nov 2020 (CET) == [[Rodolfo Ferrari]] == Voce di uno scrittore italiano (collegata su Wikidata a un omonimo). Cercando su Google non ho trovato nulla. --[[Discussioni utente:GryffindorD|<span style="color:#007FFF">'''GryffindorD'''</span>]] 23:39, 17 nov 2020 (CET) :Avrei trovato questo [https://books.google.it/books?id=GWkLAAAAQAAJ&dq=rodolfo%20ferrari&hl=it&pg=PA255#v=onepage&q=rodolfo%20ferrari&f=false], autore di ''Nastri azzurri'' e ''Due uova al tegame''; anche qui: un omonimo? Tutto resta comunque molto vago, oscuro. La voce wikipedia Roberto Ferrari direttore d'orchestra [https://books.google.it/books?id=grHwDQAAQBAJ&lpg=PT226&dq=rodolfo%20ferrari%20scrittore&hl=it&pg=PT226#v=onepage&q=rodolfo&f=false] è tutt'altra cosa, quindi almeno il link è erroneo. Potrei sbagliarmi, ma non sembra di rilevanza enciclopedica. --[[Utente:Sun-crops|Sun-crops]] ([[Discussioni utente:Sun-crops|scrivimi]]) 02:43, 18 nov 2020 (CET) P. S. A dire il vero ci sarebbe anche questo: [https://books.google.it/books?hl=it&id=ZDSjPn-uY3EC&dq=rodolfo+ferrari+Avventura+d%27un+giorno%3A+poesia&focus=searchwithinvolume&q=rodolfo+ferrari+] [https://www.google.com/search?biw=1152&bih=631&tbm=bks&ei=13y0X7CTILXD8gLC9LaIDw&q=rodolfo+ferrari+Avventura+d%27un+giorno%3A+poesia&oq=rodolfo+ferrari+Avventura+d%27un+giorno%3A+poesia&gs_l=psy-ab.12...13912.16668.0.18244.2.2.0.0.0.0.75.135.2.2.0....0...1c.1j2.64.psy-ab..0.0.0....0.suLewvQZE7U] ''Avventura d'un giorno'', ''Poesie'', SEI, Torino, 1965. A questo punto sinceramente sono molto in dubbio. Forse è enciclopedico? --[[Utente:Sun-crops|Sun-crops]] ([[Discussioni utente:Sun-crops|scrivimi]]) 02:51, 18 nov 2020 (CET) ::{{Cancellare}} Mi sembra poco per tenere la voce.<br>--[[Utente:DonatoD|DonatoD]] ([[Discussioni utente:DonatoD|scrivimi]]) 20:09, 18 nov 2020 (CET) :::{{fatto}} -- [[Utente:Spinoziano|Spinoziano]] ([[Discussioni utente:Spinoziano|msg]]) 08:27, 21 mar 2021 (CET) == [[Template:Progresso Progetto]] == Eliminerei questo template, usato in fondo alla [[pagina principale]], perché il numero delle voci viene già indicato in maniera chiara e precisa a metà homepage dove c'è scritto "Benvenuto in Wikiquote...". -- [[Utente:Spinoziano|Spinoziano]] ([[Discussioni utente:Spinoziano|msg]]) 09:33, 22 gen 2021 (CET) :{{cancellare}} concordo. --[[Discussioni utente:GryffindorD|<span style="color:#007FFF">'''GryffindorD'''</span>]] 11:59, 1 feb 2021 (CET) ::{{cancellare}}--[[Utente:DonatoD|DonatoD]] ([[Discussioni utente:DonatoD|scrivimi]]) 20:19, 4 feb 2021 (CET) :::{{fatto}}-- [[Utente:Spinoziano|Spinoziano]] ([[Discussioni utente:Spinoziano|msg]]) 10:07, 5 mar 2021 (CET) == [[Giovanni Morassutti]] == Voce di un attore cancellata su itwiki e al momento è anche bloccata per la creazione. I ruoli da attore sono secondari e anche su Google fonti autorevoli non se ne trovano. Su itwiki al momento non c'è consenso per creare la voce. C'è anche un'insistenza da parte di un utente, infatti non bisogna prendere per buoni gli progetti (come ho erroneamente fatto) perché da una rapida occhiata dietro la creazione delle voci c'è sempre la stessa persona. Come ad esempio [https://en.wikiquote.org/w/index.php?title=Giovanni_Morassutti&oldid=2564581 enwikiquote] (Utente:Sallustinus) e [https://en.wikipedia.org/w/index.php?title=Giovanni_Morassutti&oldid=853582373 enwiki] (Utente:Doratig), entrambi [[w:Speciale:LinkPermanente/118340425#Proposta nuova voce|sockpuppet dichiarati]]. --[[Discussioni utente:GryffindorD|<span style="color:#007FFF">'''GryffindorD'''</span>]] 23:54, 3 feb 2021 (CET) Per rispondere come richiesto da [[Utente:Sun-crops]]: ''I ruoli da attore sono secondari'':[https://cineuropa.org/en/filmography/381272/ Cineuropa], [https://tv.apple.com/us/person/giovanni-morassutti/umc.cpc.3jxx95r9p0m9bz2v7sd9c2wph ''Apple Tv''], [https://www.crew-united.com/en/Giovanni-Morassutti_482593.htmll ''Crew United(L sta per Lead=protagonista)''] ''su Google fonti autorevoli non se ne trovano'':Rimanendo in tema di citazioni:[https://mubi.com/cast/giovanni-morassutti Mubi], [https://www.quoteikon.com/giovanni-morassutti-quotes.html Quoteikon],[https://www.goodreads.com/author/quotes/19010963.Giovanni_Morassutti Goodreads],[https://libquotes.com/giovanni-morassutti Libquotes], [http://fixquotes.com/authors/giovanni-morassutti.htm Fixquotes], [https://www.quoteslyfe.com/blog/article/Best-Quotes-of-Giovanni-Morassutti-126 Quoteslife],[https://worldwitandwisdom.com/author/giovanni-morassutti/ Jonathan Choat's Compendium of World Wit & Wisdom],[https://www.knauit.com/author/giovanni-morassutti Knauit],[https://www.babelio.com/auteur/Giovanni-Morassutti/532996/citations Babelio], [https://cerealquotes.com/quotees/5cbd8716311e6c56220d9737/giovanni-morassutti Cereal Quotes], [https://www.thegoldenquotes.net/browse-quote-lists/best-quotes-from-giovanni-morassutti/ The Golden Quotes], [https://www.imdb.com/name/nm3466205/bio?ref_=nm_ql_dyk_1#quotes IMDb],[https://dev.quotes.wiki/author/giovanni_morassutti/ Curated quotes on Quotes Wiki], [https://www.thyquotes.com/giovanni-morassutti/ Thy Quotes]''dietro la creazione delle voci c'è sempre la stessa persona'': Per citare il progetto padre di Wikipedia:''"What is contributed is more important than who contributes it"(Ciò che si apporta è più importante di chi lo apporta)''. Ai fini del miglioramento di wikiquote in italiano propongo di prestare attenzione al [https://it.wikipedia.org/wiki/Wikipedia:Localismo ''localismo''] nel discutere la voce in oggetto. A disposizione--[[Utente:Albertulli|Albertulli]] ([[Discussioni utente:Albertulli|scrivimi]]) 13:36, 4 feb 2021 (CET) :Ma è precisamente ciò che si è apportato l'argomento della discussione: ha rilevanza enciclopedica Giovanni Morassutti?; è questa la domanda che è stata posta, con esito negativo, in wikipedia e che viene posta anche qui. O, forse, leggendo (magari erroneamente, è possibile) fra le righe dell'intervento che precede, per capirne di più, ci si deve interrogare anche su chi lo apporta? --[[Utente:Sun-crops|Sun-crops]] ([[Discussioni utente:Sun-crops|scrivimi]]) 14:38, 4 feb 2021 (CET) ::Albertulli: in che senso "localismo"?<br>--[[Utente:DonatoD|DonatoD]] ([[Discussioni utente:DonatoD|scrivimi]]) 20:25, 4 feb 2021 (CET) Ciao [[Utente:DonatoD|DonatoD]] ([[Discussioni utente:DonatoD|scrivimi]]), per localismo intendo non ritenere Wikipedia in lingua italiana, la Wikipedia dell'Italia. Wikipedia in Italiano come anche it.Wikiquote a mio parere dovrebbero tenere conto del valore enciclopedico di una voce in un'ottica globale. Nel caso di Morassutti, ad esempio, parlando esclusivamente della sua attivita´di attore, credo che i suoi crediti da protagonista, coprotagonista o ruoli secondari nel cinema e/o televisione non debbano essere considerati vincolati a un determinato luogo (Italia) e penso che il valore enciclopedico della voce sia dato anche dal fatto che Morassutti e´un attore preparato in uno specifica metodolgia attoriale (Method acting) di valenza enciclopedica e per questo fonte di interesse per chi si interessa a questo campo. In altre parole penso che sia da usare il buonsenso nella valutazione dell`enciclopedicita´della voce. Per rifuggire dal localismo, ad esempio, potrebbe essere utile, a mio modesto parere, cercare fonti non solamente su Google Italia ma cercare anche su Google US, dal momento che l´attore ha vissuto per diversi anni a New York o Google FR o Google ES per trovare altre fonti autorevoli come ad esempio [http://catalogo.bne.es/uhtbin/authoritybrowse.cgi?action=display&authority_id=XX6059976 questa] che lo descrive nel suo essere un attore che ha preso parte a diverse importanti produzioni del cinema indipendente . Basta cambiare le impostazioni dell'area geografica e della lingua [https://www.google.com/preferences?hl=it&prev=https://www.google.com/search?rlz%3D1C1CHBF_deDE925DE925%26ei%3DUGIcYLabI_LpxgPNxqmYCw%26q%3Dfrancia%2Bsigla%26oq%3Dfrancia%2Bsigla%26gs_lcp%3DCgZwc3ktYWIQAzIECAAQEzIECAAQEzIECAAQEzIICAAQFhAeEBMyCAgAEBYQHhATMggIABAWEB4QEzIICAAQFhAeEBMyCAgAEBYQHhATMgoIABAWEAoQHhATMggIABAWEB4QEzoKCC4QsAMQQxCTAjoHCC4QsAMQQzoHCC4QQxCTAjoECC4QQzoICAAQsQMQgwE6BAgAEEM6CwgAELEDEMcBEKMCOgUIABCxAzoICC4QsQMQgwE6BQguELEDOggILhCxAxCTAjoOCAAQsQMQgwEQxwEQrwE6AgguOgIIADoICAAQxwEQrwE6BAgAEAo6BQguEJMCOgQILhAKOgYIABAWEB46BAguEBNQ5oIBWO6VAWCWmQFoA3AAeAGAAeEBiAHUC5IBBTguNS4xmAEAoAEBqgEHZ3dzLXdpesgBCsABAQ%26sclient%3Dpsy-ab%26ved%3D0ahUKEwi2g6jZkdHuAhXytHEKHU1jCrMQ4dUDCA0%26uact%3D5%26safe%3Dimages qui] Rispetto a Wikipedia in italiano, pur rispettando e in parte condividendo i criteri che si e´data, ti confesso che rimango un po´perpesso nel vedere che la voce di un "italiano" venga considerata enciclopedica in 7 progetti Wikipedia ma non in quella del suo paese d`origine ma questa e´una mia pesonale considerazione non necessariamente pertinete in questa sede. Un cosa pero´la voglio dire rispetto alla voce su it.wikipedia: come scrivevo a [[Discussioni utente:GryffindorD|<span style="color:#007FFF">'''GryffindorD'''</span>]] la voce e´stata cancellata dopo 8 mesi senza alcun avviso ne proposta di cancellazione per aprire una discussione. A mio parere questo non e´stato fatto nel criterio delle linee guida. Mi sai per caso dire qualcosa in merito?Grazie --[[Utente:Albertulli|Albertulli]] ([[Discussioni utente:Albertulli|scrivimi]]) 22:54, 4 feb 2021 (CET) :In wikipedia risulta che questa voce è stata cancellata più volte con motivazioni che oltrepassano di molto la semplice questione di rilevanza enciclopedica. [https://it.wikipedia.org/wiki/Giovanni_Morassutti]. --[[Utente:Sun-crops|Sun-crops]] ([[Discussioni utente:Sun-crops|scrivimi]]) 23:56, 4 feb 2021 (CET) Esatto [[Utente:Sun-crops|Sun-crops]]. Mi riferisco alla cancellazione del 28 ago 2018 per violazione di WP:CSC. La cancellazzione e´stata immediata, senza avvisi ne proposta di cancellazione per aprire una discussione. Secondo voi una cancellazione fatta con questa modalita`rispetta le linee guida di itwikipedia ? Io non lo so perche´non ho mai cancellato niente.--[[Utente:Albertulli|Albertulli]] ([[Discussioni utente:Albertulli|scrivimi]]) 03:23, 5 feb 2021 (CET) :Ma alla cancellazione del 28 agosto ne è seguita un'altra, il 12 marzo 2019 per ''reiterati'' inserimenti promozionali a causa dei quali la voce è stata protetta. Quanto alla domanda: le decisioni di wikipedia vanno necessariamente discusse lì, ma in linea generale: se viene rilevata una violazione palese di WP:CSC o la creazione di una voce promozionale, l'amministratore non solo può, ma ha il dovere di cancellare immediatamente. Questo non preclude la possibilità di discuterne, come sta avvenendo in wikipedia per questa voce. --[[Utente:Sun-crops|Sun-crops]] ([[Discussioni utente:Sun-crops|scrivimi]]) 05:56, 5 feb 2021 (CET) Si il blocco della pagina e´avvenuto a seguito di una edit war tra me e l`amministratore che aveva cancellato la pagina il 12 Marzo 2018. Non ho chiesto lo sblocco in questi anni per non insistere. Vedremo gli esiti della discussione visti anche i progressi della carriera dell'attore a livello nazionale.(Presenza al concorso dei [https://www.daviddidonatello.it/motore-di-ricerca/cercavincitori2.php?idsoggetto=19332&vin= David di Donatello 2021], Mostra [https://www.cinematografo.it/news/questione-di-metodo/ Strasberg Legacy] su Google Arts & Culture) Grazie per la tua proposta a sistemare la sezione citazione su. Consigli di togliere quella del regista Vito Pagano ? La fonte originaria era all'interno di un'intervista su Fanpage.it ma al momento non piu´visibile perche´ immagino abbiano archiviato l'articolo. Cosa si fa in questi casi ? --[[Utente:Albertulli|Albertulli]] ([[Discussioni utente:Albertulli|scrivimi]]) 11:01, 5 feb 2021 (CET) :Per la sezione Citazioni su abbiamo: John Strasberg, sicuramente enciclopedico, il documentario "Personal Dream Space", Ernesto Pérez, (giornalista) e Vito Pagano, opera <s>ed</s> autori e regista di cui va valutata, come per ogni voce, la rilevanza enciclopedica. Se una fonte non è visibile è assai problematico indicarla. Quindi tranne che per Strasberg gli altri inserimenti vacillano molto e per ognuno andrebbe discussa la rilevanza enciclopedica. Ma sono comunque al momento tutti nulli. Faccio un solo esempio che vale per tutti, Strasberg: perché quell'inserimento sia valido occorre creare la voce John Strasberg, inserirvi la citazione con fonte, pubblicare la voce. Solo se si è fatto questo è poi possibile inserire validamente la citazione nella sezione citazioni su con il solo nome dell'autore ed il wikilink: ([[John Strasberg]]). Se manca il primo passaggio, il secondo è nullo, è come non avere inserito nulla. Questo vale per Strasberg come per tutti gli autori e il documentario citati nella sezione. Ma, tranne che per Strasberg, su ognuna delle voci create verrà senz'altro sollevata la questione della rilevanza ed è possibile che vengano annullate se non verranno prodotti argomenti che la provino. Del resto, imho, questo è attualmente un problema secondario, perché se la voce venisse annullata, qui, in wikiquote, cadrebbe anche la sezione delle citazioni su. Se però vuoi creare le relative voci, discutendo per ognuna come stiamo facendo per Giovanni Morassutti, col rischio (Strasberg escluso) altissimo, credo, di annullamento è una decisione che rimetto a te. --[[Utente:Sun-crops|Sun-crops]] ([[Discussioni utente:Sun-crops|scrivimi]]) 12:08, 5 feb 2021 (CET) ::Non essendo stato fornito alcun elemento consistente in senso opposto, il mio parere è che la voce Giovanni Morassutti non abbia rilevanza enciclopedica, e che inoltre sia una voce chiaramente promozionale. La voce potrebbe divenire enciclopedica in futuro, ora non è così, quindi è da cancellare. --[[Utente:Sun-crops|Sun-crops]] ([[Discussioni utente:Sun-crops|scrivimi]]) 17:35, 5 feb 2021 (CET) :::Chiedo per cortesia un parere a tutti i collaboratori: il testo di questa citazione di [[John Strasberg]]: "<s>Giovanni era molto serio quando studiava a New York e credo che abbia sofferto molto. Quando il mio lavoro ha davvero realmente valore la persona non impara solo a recitare, ma scopre se stessa e il proprio processo creativo e penso che a Giovanni sia successo proprio questo.</s>", "Giovanni era molto serio quando studiava a New York e credo che abbia sofferto molto. Quando il mio lavoro ha davvero realmente valore la persona non impara solo a recitare, ma scopre se stessa e il proprio processo creativo e penso che Giovanni sia uno di quelli ai quali è successo proprio questo." che è finora il solo elemento di un certo rilievo emerso, dice qualcosa che permette di considerare, in modo inequivocabile, come enciclopedicamente rilevante la voce Giovanni Morassutti? A mio personalissimo parere, no. Sono parole certo lusinghiere dette da un maestro, delle quali Morassutti può sentirsi a giusto titolo fiero, ma non permettono di concludere assolutamente nulla per quello che qui interessa. --[[Utente:Sun-crops|Sun-crops]] ([[Discussioni utente:Sun-crops|scrivimi]]) 19:26, 5 feb 2021 (CET) ::::Albertulli, okay, ho inteso cosa mi scrivi. I punti sono due: ogni progetto Wiki ha le sue regole, che si somigliano ma non dettano affatto legge l'una all'altra, nemmeno Wikipedia in lingua italiana a Wikiquote in lingua italiana; che una voce sia enciclopedica lo devono provare ''in primis'' le fonti, non i progetti. Certamente però se il progetto più affine al nostro, Wikipedia in italiano, ritiene la voce non enciclopedica questo depone a sfavore. I collegamenti che usi per provare che la voce in oggetto sia enciclopedica portano a pagine che non avvalorano la tua tesi. In altre parole anche se costui ha recitato in 20 o 200 film, questo non prova che sia enciclopedico (ha avuto ruoli di rilievo menzionati da fonti autorevoli?). Poi la prima pagina ''linkata'' fa riferimento a Wikipedia: e che facciamo qui, sosteniamo le fonti a vicenda?... Poi, di quale teatro è direttore il soggetto?<br>--[[Utente:DonatoD|DonatoD]] ([[Discussioni utente:DonatoD|scrivimi]]) 20:32, 5 feb 2021 (CET) Ciao [[Utente:DonatoD|DonatoD]] ([[Discussioni utente:DonatoD|scrivimi]]), il soggetto e´il fondatore e direttore artistico di [https://artsandculture.google.com/partner/art-aia-creatives-in-residence Art Aia - Creatives / In / Residence], una residenza per artisti internazionale e progetto no-profit di cui tra l'altro la voce ha subito cancellazione immediata senza avvisi o proposta di discussione nel 2018 su it.wikipedia.--[[Utente:Albertulli|Albertulli]] ([[Discussioni utente:Albertulli|scrivimi]]) 21:04, 5 feb 2021 (CET) :Ok, ho visto. Il punto è che non mi pare che ci siano fonti terze autorevoli che dichiarino una importanza, una rilevanza, né del soggetto né di questo teatro.<br>--[[Utente:DonatoD|DonatoD]] ([[Discussioni utente:DonatoD|scrivimi]]) 22:05, 5 feb 2021 (CET) Hai visto [https://www.artforum.com/artguide/art-aia-creatives-in-residence-20804/giovanni-morassutti-and-the-strasberg-legacy-on-google-arts-culture-190681 questa] preveniente da [https://it.wikipedia.org/wiki/Artforum Artforum]?--[[Utente:Albertulli|Albertulli]] ([[Discussioni utente:Albertulli|scrivimi]]) 22:35, 5 feb 2021 (CET) ::Advertising gabellato in discussione come fonte autorevole che andrebbe cancellato. --[[Utente:Sun-crops|Sun-crops]] ([[Discussioni utente:Sun-crops|scrivimi]]) 23:05, 5 feb 2021 (CET) Anche [https://www.youtube.com/watch?v=B_4F3vWBNe4 questa], a tuo parere, proveniente dalla [https://www.facebook.com/watch/?v=1059803151190669 Rai] si tratta di "Advertising gabellato"? --[[Utente:Albertulli|Albertulli]] ([[Discussioni utente:Albertulli|scrivimi]]) 23:29, 5 feb 2021 (CET) ::Sì, e preferisco non commentare oltre; solo questo, magari: i vapori Heidi-style, che si levano dal basso con stereotipa e monotona uniformità, sono riusciti malino, l'immagine trionfale, in stile celebrativo, vagamente agit-prop, che campeggia in primo piano è lievemente angosciante. Le faccio grazia del resto. Tutto mi porta a pensare che lei sia un assai intimo conoscente del Sig. Morassutti. Può, per favore, e mi scuso se oso tanto, chiedergli da parte mia che definizione darebbe di ''imprenditore'' culturale? ({{small|locuzione un po' Kitsch trovo...}}) E ancora: in cosa un ''imprenditore'' culturale si differenzia, se mai si differenzia, da un normale ''imprenditore''? Anche un editore è un imprenditore culturale e il "culturale" non fa cessare e neppure necessariamente "ingentilisce" la natura di imprenditore dell'imprenditore, che, essendo tale, ''deve'' per forza di cose ricercare un profitto. Capisco che non è la piacevole, comoda intervista-monologo Rai, e tutto sommato comprenderei il Sig. Morassutti se, per pathos delle distanze, non volesse degnarsi; però, mi dico, perché non tentare l'intervista, potrei essere fortunato. Il fatto è che un imprenditore è un imprenditore è un ''imprenditore'' così come Rose is a rose is a rose is a rose. – (e questo imprenditore ''culturale'', tramite Albertulli, si sta facendo una tonnellata di pubblicità . N'est-ce pas?) – Quello che sta succedendo in questa pagina è gravissimo, ogni discussione un assist per inserire messaggi promozionali. Non intendo prestarmi a questa operazione. Però, se mai Morassutti, tramite Albertulli, volesse rispondere al quesito, leggerò con grande interesse. --[[Utente:Sun-crops|Sun-crops]] ([[Discussioni utente:Sun-crops|scrivimi]]) 03:34, 6 feb 2021 (CET) :::{{fatto|}} Cancellata. Se un giorno verrà considerato enciclopedico sulla Wikipedia italiana, potrà essere ricreata anche qui, ma fino ad allora è inutile continuare a discuterne qua, evidentemente non c'è consenso da parte della comunità. -- [[Utente:Spinoziano|Spinoziano]] ([[Discussioni utente:Spinoziano|msg]]) 08:52, 6 feb 2021 (CET) ==<S>[[Ettore Cantoni]]</S>== Non mi risulta enciclopedico.<br>--[[Utente:DonatoD|DonatoD]] ([[Discussioni utente:DonatoD|scrivimi]]) 20:48, 3 mar 2021 (CET) *{{mantenere}}, ha una voce sulla [https://www.treccani.it/enciclopedia/ettore-cantoni/ Treccani]. --[[Discussioni utente:GryffindorD|<span style="color:#007FFF">'''GryffindorD'''</span>]] 12:34, 4 mar 2021 (CET) *Non voto perché non ho diritto ma do un parere come è civile che sia e come è sempre stato ammesso nell'universo Wiki in base ai princìpi di collaborazione e buon senso e nell'interesse del progetto. L'Autore è palesemente enciclopedico: c'è un articolo di Treccani ([https://www.treccani.it/enciclopedia/ettore-cantoni/ qui]) e anche dell'enciclopedia De Agostini ([https://www.sapere.it/enciclopedia/Cant%C3%B3ni%2C+%C3%88ttore.html qui]). C'è anche la pagina su Wikisource, dove c'è un lavoro in corso. È tuttora stampato da Sellerio ([https://sellerio.it/it/catalogo/Quasi-Una-Fantasia/Cantoni/1598 vedi]). Gli studiosi di letteratura se ne sono occupati; basta fare delle ricerche, anche solo su Google books. Il relativo articolo non è mai stato cancellato da Wikipedia, semplicemente non è stato ancora creato; ma Roma non è stata fatta in un giorno. Sono cose facilmente verificabili e che devono essere verificate prima di proporre le cancellazioni, naturalmente. Gli utenti esperti non possono non saperlo: infatti GryffindorD si è sùbito regolato così. Mettere la pagina in cancellazione è un'operazione infondata (come si è dimostrato) e come minimo superficiale. Curioso che l'amministratore che l'ha proposta come prima cosa ha pensato non alla cancellazione stessa, ma a fare [https://it.wikiquote.org/w/index.php?title=Ettore_Cantoni&diff=1132534&oldid=1132533 questo edit], segno che anche per lui la non-enciclopedicità non c'era. Quando poi io ho annullato quell'edit assurdo fornendo una spiegazione inoppugnabile per logica e corroborata dalla prassi ([https://it.wikiquote.org/w/index.php?title=Ettore_Cantoni&diff=1132537&oldid=1132534 vedi]), allora ha pensato alla cancellazione. Tale condotta non può onestamente non interpretarsi come una puerile ripicca. La buona fede si presume, certo, ma solo fino a prova contraria. Infatti la richiesta di cancellazione è immotivata e appoggiata a un mero punto di vista personale: «Non mi risulta enciclopedico». Sono ulteriori elementi che chi è chiamato a decidere le sorti dell'articolo deve tenere in conto, perché mostrano i motivi (fasulli) per cui si è arrivati a questo punto. L'obbiettivo è, come sempre, far crescere un progetto. Distruggere le voci senza ragione e per orgoglio e motivazioni personali è la più grave delle condotte problematiche. --[[Speciale:Contributi/87.20.90.157|87.20.90.157]] ([[User talk:87.20.90.157|msg]]) 13:56, 4 mar 2021 (CET) :{{mantenere}}, rivolgo però cortesemente un invito all'utente <s>di</s> ad evitare quanto più possibile argomenti <s>ad personam</s>, ad personam, specie se espressi, come in questo caso, con parole e valutazioni non corrette e assolutamente non condivisibili; è sempre più costruttivo mantenere la discussione su un piano oggettivo, sulle cose. --[[Utente:Sun-crops|Sun-crops]] ([[Discussioni utente:Sun-crops|scrivimi]]) 15:36, 4 mar 2021 (CET) ::La voce viene mantenuta.-- [[Utente:Spinoziano|Spinoziano]] ([[Discussioni utente:Spinoziano|msg]]) 09:44, 21 mar 2021 (CET) ==[[Waldemaro morgese]]== Da cancellare: la rilevanza enciclopedica di questa voce è molto dubbia, voce, imho, promozionale. --[[Utente:Sun-crops|Sun-crops]] ([[Discussioni utente:Sun-crops|scrivimi]]) 13:28, 18 mar 2021 (CET) :SOno registrato su Wikipedia da due giorni; la pagina su Wikipedia l'ho scritta su prove di Waldrek e sto attendendo di poterla trasformare in pagina di Wikipedia. Per gli incipit mi sono attenuto ad altri incipit da romanzi ospitati su Wikiquote, ad esempio la mia conterranea Gabriella Genisi. {{non firmato|Wadrek|17:51 18 mar 2021‎}} :{{Ping|Waldrek}} Non è un argomento dimostrativo poiché [[W:Gabriella Genisi|Gabriella Genisi]] è presente in wikipedia, e, almeno fino ad oggi, non è stata sollevata alcuna questione di rilevanza. Di conseguenza, alla data attuale, è ufficialmente enciclopedica. Mi permetto molto rispettosamente di insistere su un punto: come mai in wikipedia si è fatta solo una ''pagina utente'', che non è in alcun modo una pagina di prova, ma una pagina di presentazione ed invece qui si è immediatamente creata una pagina ufficiale? Se si è avuta tanta cautela lì, perché qui no. Anzi, no e anche sì. Poiché oltre ad una pagina ufficiale ce n'è un'altra di prova: [[Wikiquote:Pagina delle prove]]. Strano. Gentile utente, si faccia dare al più presto l'"attestato" di rilevanza enciclopedica in wikipedia – si può iniziare anche con un semplice stub – e con questo il problema è risolto anche qui (se e fino a che la rilevanza viene confermata, giacché i due progetti procedono congiuntamente). È in assoluto la cosa migliore da fare. --[[Utente:Sun-crops|Sun-crops]] ([[Discussioni utente:Sun-crops|scrivimi]]) 19:19, 18 mar 2021 (CET) Ok, procediamo così, Grazie. {{non firmato|Waldrek|19:02 18 mar 2021‎}} :La voce pare da cancellazione immediata, aspettiamo un giorno o due se l'utente vuole provare a crearla su Wikipedia, ma altrimenti procederemo con la cancellazione.-- [[Utente:Spinoziano|Spinoziano]] ([[Discussioni utente:Spinoziano|msg]]) 10:28, 19 mar 2021 (CET) ::{{Ping|Waldrek}} Sono d'accordo. --[[Utente:Sun-crops|Sun-crops]] ([[Discussioni utente:Sun-crops|scrivimi]]) 11:23, 19 mar 2021 (CET) :::{{Ping|Waldrek}} Potrei aver indotto in errore Waldrek: il mio "Sono d'accordo" è riferito all'intervento di Spinoziano, ciò significa che c'è un tempo ristrettissimo per evitare, del tutto temporaneamente, l'annullamento della voce; per mantenerla cioè sub condicione in attesa delle decisioni di wikipedia. La relativa voce non è stata ancora creata e sottoposta al vaglio dei wikipediani. Non resta molto tempo. --[[Utente:Sun-crops|Sun-crops]] ([[Discussioni utente:Sun-crops|scrivimi]]) 20:34, 19 mar 2021 (CET) ::::{{Ping|Waldrek}} Ormai siamo vicinissimi alla scadenza del tempo utile per mantenere la voce ({{small|direi anzi che tutto sommato il tempo è già scaduto}}). Come precisato due giorni fa, anche una voce stub in wikipedia andava bene per mantenerla qui fino alla decisione definitiva dei wikipediani. --[[Utente:Sun-crops|Sun-crops]] ([[Discussioni utente:Sun-crops|scrivimi]]) 23:57, 20 mar 2021 (CET) :::::{{fatto}} -- [[Utente:Spinoziano|Spinoziano]] ([[Discussioni utente:Spinoziano|msg]]) 08:27, 21 mar 2021 (CET) {{rientro}} {{Ping|Spinoziano}} OK, grazie. Non si poteva fare altrimenti. --[[Utente:Sun-crops|Sun-crops]] ([[Discussioni utente:Sun-crops|scrivimi]]) 10:05, 21 mar 2021 (CET) == <del>[[Domenico Mogavero]]</del> == L'unica citazione è poco significativa, poco chiara, legata a una polemica politica. -- [[Utente:Spinoziano|Spinoziano]] ([[Discussioni utente:Spinoziano|msg]]) 11:40, 3 apr 2021 (CEST) :Sì, avevo già rilevato l'anomalia della citazione in o.d.m. È bene quindi che {{ping|Gilldragon}} inserisca un'altra citazione chiara e significativa in sostituzione per evitare che la voce venga cancellata. --[[Utente:Sun-crops|Sun-crops]] ([[Discussioni utente:Sun-crops|scrivimi]]) 18:20, 3 apr 2021 (CEST) ::Ora la voce va bene. -- [[Utente:Spinoziano|Spinoziano]] ([[Discussioni utente:Spinoziano|msg]]) 08:47, 4 apr 2021 (CEST) == [[Mauro De Vincentiis]] == Come scritto da {{ping|Sun-crops}} nella pagina di discussione, non pare enciclopedico. Risulta abbia pubblicato solo con editori minori. -- [[Utente:Spinoziano|Spinoziano]] ([[Discussioni utente:Spinoziano|msg]]) 18:06, 11 apr 2021 (CEST) :{{ping|Spinoziano}} Confermo, non sembra affatto enciclopedico. --[[Utente:Sun-crops|Sun-crops]] ([[Discussioni utente:Sun-crops|scrivimi]]) 18:08, 11 apr 2021 (CEST) ::{{fatto}} -- [[Utente:Spinoziano|Spinoziano]] ([[Discussioni utente:Spinoziano|msg]]) 09:40, 2 giu 2021 (CEST) == [[Jean Carlyle Graham]] == Come scritto da {{ping|Sun-crops}} nella pagina di discussione "non è da escludere che per questa voce possa porsi un problema di rilevanza enciclopedica. [...] In ogni caso la voce non può rimanere in queste condizioni, l'attuale traduzione è inammissibile, non ho trovato citazioni con cui poterla mantenere e penso che non ci sia alternativa alla cancellazione." La voce è stata creata dall'anonimo già attivo da anni su Lierna e Lago di Como, purtroppo i suoi contributi sono quasi sempre da annullare. -- [[Utente:Spinoziano|Spinoziano]] ([[Discussioni utente:Spinoziano|msg]]) 09:40, 2 giu 2021 (CEST) :Questa voce andrà quindi cancellata, credo. --[[Utente:Sun-crops|Sun-crops]] ([[Discussioni utente:Sun-crops|scrivimi]]) 09:46, 2 giu 2021 (CEST) ::{{fatto}} -- [[Utente:Spinoziano|Spinoziano]] ([[Discussioni utente:Spinoziano|msg]]) 08:31, 21 giu 2021 (CEST) ==[[Christiana Visentin Gajoni]]== Come già evidenziato nella Discussione della voce, la rilevanza enciclopedica è dubbia e la voce potrebbe essere promozionale. {{cfr}} [https://fr.wikipedia.org/wiki/Christiana_Visentin_Gajoni] e [https://fr.wikipedia.org/w/index.php?title=Christiana_Visentin_Gajoni&action=history]. La voce è stata creata in fr.wikipédia il 20 giugno 2021 alle 19:44‎, dall'utente 2001:b07:646a:e886:d005:9ce0:f21:20ee --[[Utente:Sun-crops|Sun-crops]] ([[Discussioni utente:Sun-crops|scrivimi]]) 22:02, 27 giu 2021 (CEST) :{{cancellare}} --'''<span style="letter-spacing:2px; font-size:11px;">[[Utente:Dread83|<span style="color:black;">DOPPIA•</span>]][[Discussioni utente:Dread83|<span style="color:darkblue;">DI</span>]]</span>''' 22:11, 27 giu 2021 (CEST) ::{{fatto}} (conteneva una sola "[https://it.wikiquote.org/w/index.php?title=Alberto_Lattuada&diff=prev&oldid=1153228 citazione su]" mal inserita) Si tratta di un ip dinamico che già conosciamo; le sue voci sono anche cancellabili in immediata quando presentano gli stessi problemi rilevati in questa. -- [[Utente:Spinoziano|Spinoziano]] ([[Discussioni utente:Spinoziano|msg]]) 08:32, 28 giu 2021 (CEST) == <del>[[Sue Gardner]]</del> == L'unica frase presente non è abbastanza significativa, occorre qualcosa di più significativo.-- [[Utente:Spinoziano|Spinoziano]] ([[Discussioni utente:Spinoziano|msg]]) 13:46, 30 giu 2021 (CEST) :Grazie a chi ha sistemato! -- [[Utente:Spinoziano|Spinoziano]] ([[Discussioni utente:Spinoziano|msg]]) 08:13, 1 lug 2021 (CEST) == <del>[[Harvey Milk]]</del> == L'unica citazione non ha una fonte verificabile, e se non è una traduzione ufficiale occorre aggiungere il testo originale.-- [[Utente:Spinoziano|Spinoziano]] ([[Discussioni utente:Spinoziano|msg]]) 18:03, 30 giu 2021 (CEST) :Ho aggiunto il testo originale, con la vera fonte. Non è tratta da un'intervista, ma da un discorso; e ''That's What America Is'' è il titolo del discorso, non il periodico/la trasmissione che ha effettuato la fantomatica intervista. Una traduzione fedele (quella riportata dall'anonimo non lo è per niente) non la trovo, su Google Libri non c'è nulla. --'''<span style="letter-spacing:2px; font-size:11px;">[[Utente:Dread83|<span style="color:black;">DOPPIA•</span>]][[Discussioni utente:Dread83|<span style="color:darkblue;">DI</span>]]</span>''' 22:13, 30 giu 2021 (CEST) ::Grazie Dread 83, ero arrivato anche io a quello stesso link al testo originale per verificare la data. Purtroppo oggi sono indisposto e quindi mi è sfuggito che si trattava di un discorso. Sono d'accordo con te per la traduzione. Non ho fatto confronti perché ''wired.it'' è fonte autorevole, la traduzione ufficiale, ma effettivamente c'è qualcosa da mettere a punto. Grazie ancora. --[[Utente:Sun-crops|Sun-crops]] ([[Discussioni utente:Sun-crops|scrivimi]]) 22:23, 30 giu 2021 (CEST) :::Grazie a entrambi! -- [[Utente:Spinoziano|Spinoziano]] ([[Discussioni utente:Spinoziano|msg]]) 08:13, 1 lug 2021 (CEST) ==<del>[[Fernando José Monteiro Guimarães]]</del>== {{ping|Gilldragon}} Citazione assolutamente non significativa ed incomprensibile. Sull'esigenza di inserire citazioni significative l'utente ha già ricevuto in passato precise indicazioni. Voce da cancellazione immediata. L'utente è stato invitato in modo dettagliatamente argomentato ad apportare le necessarie modifiche, ha con certezza letto il relativo messaggio, ma non ha dato alcun riscontro. Riscontro sostenzialmente scarso, scarsissimo, pressoché nullo anche all'invito di regolarizzare la voce [[Paul Stamets]] per la quale si è dato sia in o.d.m. che in discussione <s>il modello</s> come modello operativo la voce [[Katia Serra]] per apportare le necessarie modifiche, ma la pagina non è stata nemmeno consultata; il fix apportato, infatti, è stato generico, affrettato, sommario, impreciso sia nell'indicazione del traduttore che della fonte, disatteso completamente <s>l'invito</s> l'invito, se letto in [[Discussione:Fernando José Monteiro Guimarães]], a regolarizzare il testo della citazione che aveva, per effetto di un'omissione non segnalata, un inizio completamente assurdo, disatteso ugalmente <s>la richiesta</s> l'invito certamente letto sia in discussione, sia nell'avviso che compariva nella voce, di inserire il minutaggio. --[[Utente:Sun-crops|Sun-crops]] ([[Discussioni utente:Sun-crops|scrivimi]]) 00:56, 20 lug 2021 (CEST) :{{cancellare}} Citazione priva di significatività. --'''<span style="letter-spacing:2px; font-size:11px;">[[Utente:Dread83|<span style="color:black;">DOPPIA•</span>]][[Discussioni utente:Dread83|<span style="color:darkblue;">DI</span>]]</span>''' 01:20, 20 lug 2021 (CEST) ::Grazie a pt.wikipédia ho inserito una citazione. Se va bene, la procedura si può arrestare. --[[Utente:Sun-crops|Sun-crops]] ([[Discussioni utente:Sun-crops|scrivimi]]) 18:16, 20 lug 2021 (CEST) :::Va bene, grazie, Sun.-- [[Utente:Spinoziano|Spinoziano]] ([[Discussioni utente:Spinoziano|msg]]) 09:00, 21 lug 2021 (CEST) == <del>[[Maaya Sakamoto]]</del> == La fonte dell'unica citazione, oltre a non essere facilmente verificabile, è poco chiara (è un articolo, un booklet o cosa?) e soprattutto manca il testo in lingua originale: su Wikiquote le traduzioni non ufficiali devono sempre essere accompagnate dall'originale.-- [[Utente:Spinoziano|Spinoziano]] ([[Discussioni utente:Spinoziano|msg]]) 14:55, 11 set 2021 (CEST) : Pingo {{Ping|TeenAngels1234}} che l'ha messa su WP.--[[Speciale:Contributi/93.22.132.146|93.22.132.146]] ([[User talk:93.22.132.146|msg]]) 23:06, 11 set 2021 (CEST) ::Non è possibile trasferire citazioni da wikipedia senza corredarle di fonti valide secondo i criteri di wikiquote; questo passaggio preliminare di ulteriore verifica e di ricerca e indicazione di una fonte valida è essenziale. Per la prima citazione ho trovato questa fonte [http://www.dummy-system.com/2013/04/23/intervista-a-maaya-sakamoto-su-evangelion-3-0/] che potrebbe andar bene. Per la seconda finora non ho trovato nulla. --[[Utente:Sun-crops|Sun-crops]] ([[Discussioni utente:Sun-crops|scrivimi]]) 23:57, 11 set 2021 (CEST) P. S. Alla luce di quanto detto sopra l'utente TeenAngels1234 in tutto questo discorso non c'entra nulla; diverso sarebbe se il medesimo inserimento nel medesimo modo l'avesse fatto lui. Ma non è così. Se però può dare una mano per le fonti di questa voce, o se comunque desidera intervenire è il benvenuto. --[[Utente:Sun-crops|Sun-crops]] ([[Discussioni utente:Sun-crops|scrivimi]]) 00:22, 12 set 2021 (CEST) ::: Devo essermi confuso con un altro utente allora...l'interfaccia desktop da mobile non è il massimo...comunque sempre meglio dell'interfaccia mobile.--[[Speciale:Contributi/93.22.132.146|93.22.132.146]] ([[User talk:93.22.132.146|msg]]) 00:27, 12 set 2021 (CEST) ::::L'aspetto essenziale è che degli inserimenti è "responsabile" solo ed esclusivamente chi li fa: in wikipedia chi li fa in wikipedia, in wikiquote chi li fa in wikiquote. Per questo non possono essere trasferite sic et simpliter citazioni inserite da altri utenti in wikipedia. Chi fa questo trasferimento ne è responsabile, l'inserimento è in toto un suo inserimento e deve essere fatto secondo i criteri vigenti in questo progetto. Non si può chiamare successivamente a risponderne o a dare spiegazioni chi ha operato in un altro progetto, per la semplicissima ragione che non è stato lui ad operare qui. Naturalmente, se di sua iniziativa, sponte sua, vuole intervenire è liberissimo di farlo. --[[Utente:Sun-crops|Sun-crops]] ([[Discussioni utente:Sun-crops|scrivimi]]) 00:41, 12 set 2021 (CEST) {{rientro}} A puro titolo di esempio, per comprendere la logica di tutto il discorso, si può confrontare la citazione in epigrafe alla voce di wikipedia <s>[[w:Macedonio Melloni|Macedonio Melloni]]</s> [[w:Dagherrotipia|Dagherrotipia]], e la [[Macedonio Melloni|medesima citazione]] inserita in questo progetto. --[[Utente:Sun-crops|Sun-crops]] ([[Discussioni utente:Sun-crops|scrivimi]]) 00:47, 12 set 2021 (CEST) C'è ancora un altro aspetto da tenere presente nel traghettare citazioni: ci ''potrebbero'' essere errori nel testo, nella fonte, nell'attribuzione; capita di correggerne qui, può capitare anche in wikipedia. --[[Utente:Sun-crops|Sun-crops]] ([[Discussioni utente:Sun-crops|scrivimi]]) 01:20, 12 set 2021 (CEST) :Ho sistemato la prima citazione con la fonte indicata da Sun, che va caldamente ringraziato, e ciò basta a salvare la voce, ma la fonte della seconda citazione resta da chiarire: è riportata una traduzione ufficiale italiana o una traduzione non ufficiale fatta dal giapponese? -- [[Utente:Spinoziano|Spinoziano]] ([[Discussioni utente:Spinoziano|msg]]) 08:34, 12 set 2021 (CEST) * Buongiorno. Allora. Entrambe le citazioni vengono dai pamphlet ufficiali giapponesi dei rispettivi lungometraggi. Entro stasera dovrei riuscire a recuperare il testo giapponese di ambedue :) <small>Nel caso mi scordi pingatemi</small>--[[Utente:TeenAngels1234|TeenAngels1234]] ([[Discussioni utente:TeenAngels1234|scrivimi]]) 12:39, 12 set 2021 (CEST) :Il testo originale della prima citazione è questo: "これだけのチームにポッと入ってくるわけですから、最初一は「受け入れてもらえるのかな?」と思ってました。最近の商品でも、以前からのキャラと同等に置かれているのを見て、「ずっといたみたいだな」って。新キャラだったことも、自分でもうっかり忘れてしまいそうなくらい溶け込ませていただいてるし". <br/>Invece quello della seconda è: ただ、どんな状況下で生きていたにしても、マリは根本的に楽天家で、くよくよ悩んだりはしません。もしかしたら悩みを抱えているのかもしれないけれど、外に出すタイプではないし、いつも楽しそうにしているところが [...] 裏表はなく全部表みたいな人として [...] どんなに切羽詰まったようなシーンでも、マリは物事が良い方向に向かっていると信じて、嬉しく思っているという、喜びのニュアンスを声に込めています。(cfr. [https://imgs.aixifan.com/Fnuu6pgH1TYLoVOCAyLp8O80iQv3 testo originale])--[[Utente:TeenAngels1234|TeenAngels1234]] ([[Discussioni utente:TeenAngels1234|scrivimi]]) 13:20, 12 set 2021 (CEST) :: {{ping|TeenAngels1234}} grazie mille e scusa il distutrbo.--[[Speciale:Contributi/109.13.5.94|109.13.5.94]] ([[User talk:109.13.5.94|msg]]) 18:13, 12 set 2021 (CEST) :::Figurarsi. Dimenticavo: le traduzioni sono amatoriali. La prima credo sia tratta proprio da Dummy System, la seconda è fatta da me.--[[Utente:TeenAngels1234|TeenAngels1234]] ([[Discussioni utente:TeenAngels1234|scrivimi]]) 12:31, 13 set 2021 (CEST) == <del>[[Antonio Rotta]]</del> == La voce non mi pare salvabile: la prima frase è poco significativa, idem la parte attinente della seconda, mentre le altre citazioni sono completamente fuori standard. Guardando il link nella voce dell'autore risulta che la trascrizione è stata fatta in maniera non fedele, si tratta di un già noto anonimo poco affidabile. -- [[Utente:Spinoziano|Spinoziano]] ([[Discussioni utente:Spinoziano|msg]]) 11:06, 19 nov 2021 (CET) :Concordo pienamente con la proposta di {{ping|Spinoziano}}, assolutamente giustificata, è tutto da annullare. Annullare e, aggiungo, bloccare l'utente. Questo notissimo anonimo, per molti versi un troll che "opera" in questo progetto da anni, il cui obiettivo è sostanzialmente ''divertirsi'' con modifiche improprie, con numeri trollistici e pagliacciate di vario genere non merita altro: annullamenti a vista e blocchi. Lo invito fermamente a non rilasciare più contributi, se la linea è questa. Vada a fare i suoi numeri altrove. Ciò premesso, ho esaminato la fonte e ''mi è parso'', con le necessarie profonde integrazioni e rettifiche, che almeno un inserimento si potrebbe salvare. L'utente semitroll non pensi con questo di poter delegare ad altri collaboratori quello che è suo inderogabile e indelegabile dovere fare: rilasciare contributi seri, conformi alle fonti e alle norme di wikiquote. Non creda quindi, se la voce dovesse essere mantenuta, di farla franca, a spese del tempo e delle energie altrui, ancora altre volte. --[[Utente:Sun-crops|Sun-crops]] ([[Discussioni utente:Sun-crops|scrivimi]]) 17:23, 19 nov 2021 (CET) ::{{cancellare}} --[[Utente:DonatoD|DonatoD]] ([[Discussioni utente:DonatoD|scrivimi]]) 19:15, 19 nov 2021 (CET) :::Grazie [[Utente:Sun-crops|Sun]]([[Santo|San]])-crops per aver sistemato, ho tolgo gli a capo visto l'utilizzo delle barre separatorie con corsivo per i versi (che [https://www.google.it/books/edition/Lezioni_di_storia_della_letteratura_ital/Hzs3AQAAMAAJ?hl=it&gbpv=1&dq=%22Combien+je+regrette+mon+bras+si+dodu.%22&pg=PA155&printsec=frontcover pare siano] di [[Pierre-Jean de Béranger|Béranger]]).-- [[Utente:Spinoziano|Spinoziano]] ([[Discussioni utente:Spinoziano|msg]]) 10:03, 20 nov 2021 (CET) ::::{{ping|Spinoziano}} Grazie a te, Spin. --[[Utente:Sun-crops|Sun-crops]] ([[Discussioni utente:Sun-crops|scrivimi]]) 10:14, 20 nov 2021 (CET) ==[[Pedro Fiori]]== Senza fonte del noto anonimo. --[[Utente:Sun-crops|Sun-crops]] ([[Discussioni utente:Sun-crops|scrivimi]]) 07:24, 21 nov 2021 (CET) :{{fatto}} [[Utente:Spinoziano|Spinoziano]] ([[Discussioni utente:Spinoziano|msg]]) 08:47, 21 nov 2021 (CET) ==[[Raffaele De Grada (scrittore)]]== Senza fonte del noto anonimo. --[[Utente:Sun-crops|Sun-crops]] ([[Discussioni utente:Sun-crops|scrivimi]]) 07:26, 21 nov 2021 (CET) :{{fatto}} [[Utente:Spinoziano|Spinoziano]] ([[Discussioni utente:Spinoziano|msg]]) 08:47, 21 nov 2021 (CET) ==[[Giorgio Seveso]]== SEnza fonte del noto anonimo. --[[Utente:Sun-crops|Sun-crops]] ([[Discussioni utente:Sun-crops|scrivimi]]) 07:32, 21 nov 2021 (CET) :{{fatto}} [[Utente:Spinoziano|Spinoziano]] ([[Discussioni utente:Spinoziano|msg]]) 08:47, 21 nov 2021 (CET) ==[[Umberto Pettinicchio]]== Senza fonte del noto anonimo. --[[Utente:Sun-crops|Sun-crops]] ([[Discussioni utente:Sun-crops|scrivimi]]) 07:36, 21 nov 2021 (CET) :{{fatto}} {{ping|Sun-crops}} Quando sono senza fonti cancelliamole in immediata (come è previsto che sia) altrimenti qui si intasa :) [[Utente:Spinoziano|Spinoziano]] ([[Discussioni utente:Spinoziano|msg]]) 08:47, 21 nov 2021 (CET) ::{{ping|Spinoziano}} Ok, Spin. --[[Utente:Sun-crops|Sun-crops]] ([[Discussioni utente:Sun-crops|scrivimi]]) 08:56, 21 nov 2021 (CET) ==<del>[[Brian Adams]]</del>== Redirect a pagina non esistente. Su wikiquote è un saggista e su wikipedia era un wrestler statunitense. --[[Utente:Laportoghese|Laportoghese]] ([[Discussioni utente:Laportoghese|scrivimi]]) 12:38, 26 gen 2022 (CET) :Non è un redirect, è una voce su un autore che non pare presente su Wikipedia, anche se in Wikidata è collegato erroneamente al wrestler. {{ping|DonatoD}} aveva [https://it.wikiquote.org/w/index.php?title=Brian_Adams&type=revision&diff=616176&oldid=616172 sistemato] la citazione e indicato alcuni link in [[Discussione:Brian Adams]].-- [[Utente:Spinoziano|Spinoziano]] ([[Discussioni utente:Spinoziano|msg]]) 13:18, 26 gen 2022 (CET) :Ho sistemato su Wikidata, creando [https://www.wikidata.org/wiki/Q110746149 un elemento], è presente sui principali database librari e quindi la voce può volendo essere mantenuta.-- [[Utente:Spinoziano|Spinoziano]] ([[Discussioni utente:Spinoziano|msg]]) 10:30, 30 gen 2022 (CET) ::Questa sezione è molto vecchia, non sono sicuro che sia da mantenere ma se non ci sono pareri archivio togliendo l'avviso.-- [[Utente:Spinoziano|Spinoziano]] ([[Discussioni utente:Spinoziano|msg]]) 12:09, 9 set 2022 (CEST) ==Categorie "Voci di TIPOVOCE"== Propongo la cancellazione di queste categorie: *[[:Categoria:Voci di FictionTV]] *[[:Categoria:Voci di Film]] *[[:Categoria:Voci di Fumetti]] *[[:Categoria:Voci di Personaggi]] *[[:Categoria:Voci di Videogiochi]] *[[:Categoria:Voci di raccolte]] Cosa sono? Ad esempio "Voci di Personaggi" contiene le voci contenenti il template {{tl|Personaggio}}, e idem le altre categorie. Direi che sono doppioni inutili: se mi interessa sapere quali sono i personaggi, vedo [[:Categoria:Personaggi immaginari]], se mi interessa sapere quali sono le voci contenente il template, vedo [[Speciale:PuntanoQui/Template:Personaggio|i "puntano qui" del template Personaggio]] (tanto più che verrà sviluppata [[:m:Community Wishlist Survey 2022/Miscellaneous/Get WhatLinksHere's lists in alphabetical order|la possibilità di mettere i "puntano qui" in ordine alfabetico]]). Idem ovviamente per le altre. --'''[[Utente:Superchilum|<span style="color:#209090;">Superchilum</span>]]'''<sup>([[Discussioni_utente:Superchilum|scrivimi]])</sup> 09:44, 1 mar 2022 (CET) :{{cancellare}} basta usare i ''puntano qui'' dei template. --[[Discussioni utente:GryffindorD|<span style="color:#007FFF">'''GryffindorD'''</span>]] 17:49, 29 mag 2022 (CEST) ::{{ping|Superchilum|GryffindorD}} Sono d'accordo, ma per procedere alla cancellazione di queste categorie si devono prima modificare i template per togliere queste categorizzazioni automatiche, giusto? -- [[Utente:Spinoziano|Spinoziano]] ([[Discussioni utente:Spinoziano|msg]]) 11:01, 6 giu 2022 (CEST) :::{{fatto}} --[[Discussioni utente:GryffindorD|<span style="color:#007FFF">'''GryffindorD'''</span>]] 13:20, 6 giu 2022 (CEST) ==[[Gildo Claps]]== {{ping|Potenza2021}} Solo per un eccesso di scrupolo non ho cancellato immediatamente. --[[Utente:Sun-crops|Sun-crops]] ([[Discussioni utente:Sun-crops|scrivimi]]) 17:01, 22 apr 2022 (CEST) :Cancellata! Da immediata direi! Non si capisce per cosa dovrebbe essere enciclopedico.--[[Utente:AssassinsCreed|AssassinsCreed]] ([[Discussioni utente:AssassinsCreed|scrivimi]]) 17:29, 22 apr 2022 (CEST) ::{{ping|AssassinsCreed}} Grazie infinite, Creed. Ciao. --[[Utente:Sun-crops|Sun-crops]] ([[Discussioni utente:Sun-crops|scrivimi]]) 17:41, 22 apr 2022 (CEST) == <del>[[Assunta Almirante]]</del> == Un personaggio assolutamente irrilevante, nonché francamente disgustoso. Avete letto le citazioni? Una che fa l'apologia del saluto romano e che incita a picchiare le persone? Ha una qualche profondità o rilievo enciclopedico, o una benché minima dignità morale? Certo che no. Propongo la cancellazione [[Utente:AndreaGMonaco|AndreaGMonaco]] ([[Discussioni utente:AndreaGMonaco|scrivimi]]) 09:16, 6 giu 2022 (CEST) :Buongiorno, AndreaGMonaco. L'uso del punto di vista neutrale è regola inderogabile anche in Wikiquote. Le citazioni contenute nelle voci di Wikiquote, tuttavia, non devono essere neutrali, perché riflettono necessariamente il punto di vista della persona citata. Per contribuire a Wikiquote, si va ben al di là delle proprie opinioni personali: per quelle, ci sono i forum, i blog e i siti web personali. Ti ringrazio. --'''<span style="letter-spacing:2px; font-size:11px;">[[Utente:Dread83|<span style="color:black;">DOPPIA•</span>]][[Discussioni utente:Dread83|<span style="color:darkblue;">DI</span>]]</span>''' 10:45, 6 giu 2022 (CEST) ::Annullata. -- [[Utente:Spinoziano|Spinoziano]] ([[Discussioni utente:Spinoziano|msg]]) 11:05, 6 giu 2022 (CEST) == [[:Categoria:Pagine categorizzate automaticamente]] == Pagina di servizio fuori standard molto generica che ad oggi faceva la stessa cosa che ora fa [[:Categoria:Errori di compilazione del template Interprogetto - collegamenti in disambigua]] (analoga a quella presente su it.wiki). Ora non serve più e si può farne a meno. --'''[[Utente:Superchilum|<span style="color:#209090;">Superchilum</span>]]'''<sup>([[Discussioni_utente:Superchilum|scrivimi]])</sup> 18:32, 25 giu 2022 (CEST) :{{fatto}} --[[Discussioni utente:GryffindorD|<span style="color:#007FFF">'''GryffindorD'''</span>]] 10:15, 5 lug 2022 (CEST) ==[[Paolo Ricci]]== Voce creata in evasione del blocco infinito, testo incomprensibile. --[[Utente:Sun-crops|Sun-crops]] ([[Discussioni utente:Sun-crops|scrivimi]]) 16:24, 25 lug 2022 (CEST) :{{fatto}}-- [[Utente:Spinoziano|Spinoziano]] ([[Discussioni utente:Spinoziano|msg]]) 17:02, 25 lug 2022 (CEST) ==[[Vincenzo Vicario]]== Voce creata in evasione del blocco infinito, autore di dubbia rilevanza enciclopedica, testo piuttosto insignificante. --[[Utente:Sun-crops|Sun-crops]] ([[Discussioni utente:Sun-crops|scrivimi]]) 16:35, 25 lug 2022 (CEST) :{{fatto}}-- [[Utente:Spinoziano|Spinoziano]] ([[Discussioni utente:Spinoziano|msg]]) 17:02, 25 lug 2022 (CEST) ==[[Enrico Giannelli]]== Voce creata in evasione del blocco infinito, testo della citazione non significativo. --[[Utente:Sun-crops|Sun-crops]] ([[Discussioni utente:Sun-crops|scrivimi]]) 16:38, 25 lug 2022 (CEST) :{{fatto}}-- [[Utente:Spinoziano|Spinoziano]] ([[Discussioni utente:Spinoziano|msg]]) 17:02, 25 lug 2022 (CEST) ==[[Pietro Barillà]]== Voce creata in evasione del blocco infinito, fonte non chiaramente indicata. --[[Utente:Sun-crops|Sun-crops]] ([[Discussioni utente:Sun-crops|scrivimi]]) 16:44, 25 lug 2022 (CEST) :{{fatto}}-- [[Utente:Spinoziano|Spinoziano]] ([[Discussioni utente:Spinoziano|msg]]) 17:02, 25 lug 2022 (CEST) ==[[Giovanni De Martino]]== Voce creata in evasione del blocco infinito, gran parte delle citazioni provengoo dalle voci precedenti, proposte per la cancellazione. --[[Utente:Sun-crops|Sun-crops]] ([[Discussioni utente:Sun-crops|scrivimi]]) 16:53, 25 lug 2022 (CEST) :{{fatto}}-- [[Utente:Spinoziano|Spinoziano]] ([[Discussioni utente:Spinoziano|msg]]) 17:02, 25 lug 2022 (CEST) == [[Ottavio Rosati]] == Un nuovo utente ne [https://it.wikiquote.org/w/index.php?title=Ottavio_Rosati&diff=prev&oldid=1226017 ha chiesto] la cancellazione immediata, in effetti è stata cancellata da Wikipedia: [[w:Wikipedia:Pagine da cancellare/Ottavio Rosati/2]], ma visto che la voce è ampia mi sembra giusto passare di qua.-- [[Utente:Spinoziano|Spinoziano]] ([[Discussioni utente:Spinoziano|msg]]) 17:49, 8 set 2022 (CEST) :{{cancellare}} Da immediata: rimossa da Wikipedia per la non rilevanza enciclopedica. --'''<span style="letter-spacing:2px; font-size:11px;">[[Utente:Dread83|<span style="color:black;">DOPPIA•</span>]][[Discussioni utente:Dread83|<span style="color:darkblue;">DI</span>]]</span>''' 23:02, 8 set 2022 (CEST) ::{{cancellare}} --[[Utente:Sun-crops|Sun-crops]] ([[Discussioni utente:Sun-crops|scrivimi]]) 23:23, 8 set 2022 (CEST) :::{{fatto}}-- [[Utente:Spinoziano|Spinoziano]] ([[Discussioni utente:Spinoziano|msg]]) 12:07, 9 set 2022 (CEST) ==[[Dionigi Cristian Lentini]]== *Voce cancellata in [https://it.wikipedia.org/wiki/Speciale:Registri?type=delete&user=&page=Dionigi+Cristian+Lentini&wpdate=&tagfilter=&wpfilters%5B%5D=newusers wikipedia]. --[[Utente:Sun-crops|Sun-crops]] ([[Discussioni utente:Sun-crops|scrivimi]]) 15:57, 9 set 2022 (CEST) :{{fatto}} Da immediata. --'''<span style="letter-spacing:2px; font-size:11px;">[[Utente:Dread83|<span style="color:black;">DOPPIA•</span>]][[Discussioni utente:Dread83|<span style="color:darkblue;">DI</span>]]</span>''' 19:30, 9 set 2022 (CEST) == [[Alessandro Mazzerelli]] == Non pare enciclopedico né come politico né come scrittore.-- [[Utente:Spinoziano|Spinoziano]] ([[Discussioni utente:Spinoziano|msg]]) 11:23, 17 ott 2022 (CEST) :{{ping|Spinoziano|Dread83}} Sono d'accordo, in più c'è questa autorevole recensione [https://www.avvenire.it/opinioni/pagine/leredit-di-don-lorenzo-milani-e-le-idee-sulla-verit-di-un-decalogo-appassi] su ''avvenire.it''. --[[Utente:Sun-crops|Sun-crops]] ([[Discussioni utente:Sun-crops|scrivimi]]) 15:38, 27 dic 2022 (CET) ::{{cancellare}} --'''<span style="letter-spacing:2px; font-size:11px;">[[Utente:Dread83|<span style="color:black;">DOPPIA•</span>]][[Discussioni utente:Dread83|<span style="color:darkblue;">DI</span>]]</span>''' 18:53, 27 dic 2022 (CET) :::{{fatto}} -- [[Utente:Spinoziano|Spinoziano]] ([[Discussioni utente:Spinoziano|msg]]) 10:45, 28 dic 2022 (CET) ==[[Ksenia Milicevic‎]]== La fonte linkata è la pagina di vendita di una casa editrice francese. Le citazioni inserite non sono riscontrabili né nella pagina immeditamente linkata, né negli estratti proposti in altre pagine della fonte. Se la traduzione è dell'utente, occorreva – come previsto in caso di traduzioni non ufficiali – inserire il testo originale, se invece è ufficiale, occoreva corredare le citazioni con la fonte italiana o in italiano. La voce non è wikificata, per esplicita ammissione dello stesso utente, che all'atto della creazione ha apposto l'avviso di wikificazione, con una procedura a dir poco insolita: io creo, voialtri wikificate. I motivi da me dettagliati che giustificavano il suo stesso avviso di wikificazione, sono stati rimossi dall'utente con un rollback secco, senza dare giustificazione alcuna nell'oggetto di modifica. Mancano sezioni fondamentali, neppure abbozzate nel wikitesto. Le citazioni inserite sono prive di fonte, la voce non rispetta i canoni fondamentali di wikiquote ed è quindi è da cancellare. --[[Utente:Sun-crops|Sun-crops]] ([[Discussioni utente:Sun-crops|scrivimi]]) 22:36, 26 dic 2022 (CET) :{{cancellare}} --'''<span style="letter-spacing:2px; font-size:11px;">[[Utente:Dread83|<span style="color:black;">DOPPIA•</span>]][[Discussioni utente:Dread83|<span style="color:darkblue;">DI</span>]]</span>''' 23:20, 26 dic 2022 (CET) ::{{fatto}} -- [[Utente:Spinoziano|Spinoziano]] ([[Discussioni utente:Spinoziano|msg]]) 10:45, 28 dic 2022 (CET) 35t10aa84p4m486rsawx7rdjf3iwm6z Ralph Fiennes 0 172098 1381976 1366304 2025-07-01T23:35:25Z Danyele 19198 fix di stile 1381976 wikitext text/x-wiki [[File:Ralph Fiennes 2024.jpg|thumb|Ralph Fiennes nel 2024]] '''Ralph Nathaniel Twisleton-Wykeham-Fiennes''' (1962 - vivente), attore, doppiatore, regista e produttore cinematografico britannico con cittadinanza serba. {{Int|''[https://the-talks.com/interview/ralph-fiennes/ Ralph Fiennes: "One's vanity is always there"]''|{{en}} Intervista di Kaleem Aftab, ''the-talks.com'', 16 gennaio 2019.|h=2}} *Adoro stare nella sala prove ... Il luogo in cui mi sento più felice è con il regista e il gruppo di attori giusti in una sala prove dove non c'è pubblico e stai solo provando. :''I love being in the rehearsal room… Where I feel happiest is with the right director and group of actors in a rehearsal room where there’s no audience and you’re just trying things.'' *Ho fatto un film chiamato ''Sunshine'' con lui {{NDR|[[István Szábo]]}}, e ha un approccio molto classico. Ricordo che mi disse che sentiva che il primo piano era l'elemento chiave, che il cinema parla del primo piano sul volto umano, che pensieri e sentimenti nascono sul volto per la prima volta. :''I did a film called Sunshine with him, and he has a very classical approach. I remember him saying to me that he felt that the close-up was the key element, that cinema is about the close-up on the human face, that thoughts and feelings are born on the face for the first time.'' *Mentre la vita va avanti, accetti di più, sei più grato, quando arriva una buona sceneggiatura sei molto elettrizzato in un modo che forse non eri quando eri giovane. :''As life goes on, you’re more accepting, you’re more grateful, when a good script comes along you’re very thrilled in a way that perhaps you weren’t when you were young.'' ==Citazioni su Ralph Fiennes== *– Oddio, quel Ralph Fiennes! Sarei disposta a dare via il mio primogenito per lui!<br>– {{NDR|Tra sé e sé}} Spero che Fiennes non la incontri mai... (''[[Seinfeld (ottava stagione)|Seinfeld ]]'') ==Filmografia== {{div col}} *''[[Cime tempestose (film 1992)|Cime tempestose]]'' (1992) *''[[Schindler's List - La lista di Schindler]]'' (1993) *''[[Strange Days (film)|Strange Days]]'' (1995) *''[[Il paziente inglese]]'' (1996) *''[[Il principe d'Egitto]]'' (1998) – voce *''[[Sunshine (film 1999)|Sunshine]]'' (1999) *''[[Red Dragon]]'' (2002) *''[[Spider (film)|Spider]]'' (2002) *''[[Harry Potter e il calice di fuoco]]'' (2005) *''[[Harry Potter e l'Ordine della Fenice]]'' (2007) *''[[In Bruges - La coscienza dell'assassino]]'' (2008) *''[[The Hurt Locker]]'' (2008) *''[[Harry Potter e i Doni della Morte - Parte 1]]'' (2010) *''[[Scontro tra titani]]'' (2010) *''[[Harry Potter e i Doni della Morte - Parte 2]]'' (2011) *''[[Skyfall]]'' (2012) *''[[Grand Budapest Hotel]]'' (2014) *''[[Spectre (film)|Spectre]]'' (2015) *''[[LEGO Batman - Il film]]'' (2017) – voce *''[[Conclave (film)|Conclave]]'' (2024) {{div col end}} ==Altri progetti== {{interprogetto}} {{DEFAULTSORT:Fiennes, Ralph}} [[Categoria:Attori britannici]] [[Categoria:Doppiatori britannici]] [[Categoria:Produttori cinematografici britannici]] [[Categoria:Registi britannici]] hj6082i9584vb5b2362qxevcg6phgy7 Dnepr 0 175085 1381995 1273273 2025-07-02T04:17:01Z Traiano91 70758 1381995 wikitext text/x-wiki {{voce tematica}} [[File:Dniepr river in Kyiv.jpg|thumb|Il fiume Dnepr a [[Kiev]].]] Citazioni sul '''Dnepr''' o '''Dnipro''' o '''Nipro''', in italiano anche '''Boristene''', quarto fiume d'Europa dopo il [[Volga]], il [[Danubio]] e l'Ural. *[[Kiev]], la culla della Russia, così pittorescamente situata sull'alta sponda del fiume Dnieper, nel quale [...] il granduca o piuttosto il principe Vladìmir, nipote della "più saggia di tutte le donne", la principessa Olga, battezzò il suo popolo nel 989. ([[Varvàra Dolgorouki]]) * ''Quando morirò, mi interrino | Sull'alta collina | Fra la steppa della mia | Bella Ucraina. | Che si vedano i campi, | Il Dniepr con le rive, | Che si oda il muggito | Del fiume stizzito.'' ([[Taras Hryhorovyč Ševčenko]]) ==Altri progetti== {{interprogetto|preposizione=sul|w_preposizione=riguardante il}} {{s}} [[Categoria:Fiumi]] ld3fkk30texhwf56ruplkhvta01yd36 Marzia Ubaldi 0 175755 1381977 1370425 2025-07-01T23:36:15Z Danyele 19198 fix 1381977 wikitext text/x-wiki '''Marzia Ubaldi''' (1938 – 2023), attrice, cantante e doppiatrice italiana. ==Citazioni di Marzia Ubaldi== *[…] ho smesso di fare teatro un po' di anni fa perché mi ero un po' stancata di portare le valigie.<ref name=Sgambelluri>Dall'intervista di Daniela Sgambelluri, ''[http://guide.supereva.it/doppiaggio_e_doppiatori/interventi/2007/09/306889.shtml Judi Dench & Marzia Ubaldi]'', ''guide.supereva.it'', settembre 2009.</ref> *Secondo me prima di tutto bisogna imparare a recitare… la dizione è una cosa importantissima… perché non puoi andare a doppiare un film di Shakespeare non di [[William Shakespeare|Shakespeare]], un film su Shakespeare parlando romanesco o napoletano o ternano o milanese, e quindi prima bisogna imparare a parlare italiano, poi bisogna imparare a recitare, dopo si può fare anche del doppiaggio buono, del doppiaggio ben fatto, non dico artistico perché è una parola troppo grossa però insomma del doppiaggio serio.<ref name=Sgambelluri /> *Vedo uno tzunami di follia che avanza inesorabile: donne uccise come fossero inutili, giovani bulli che minacciano i loro insegnanti, gli stessi bulli che costringono ragazzini e ragazzine al suicidio, bande di bambini che rubano, aggrediscono, uccidono. È un'orribile violenta anarchia che sta invadendo il mondo e le menti degli esseri umani, segno di un malessere insostenibile che può portare solo al caos totale.<ref>Dall'intervista di Giulia Farneti, ''[https://www.restoalsud.it/in-evidenza/marzia-ubaldi-in-questo-nostro-amore-80/ Marzia Ubaldi in "Questo nostro amore 80"]'', ''restoalsud.it'', 5 gennaio 2018.</ref> ==Note== <references /> ==Filmografia== ===Attrice=== *''[[Elisa di Rivombrosa]]'' (2003 - 2005) *''[[I predatori]]'' (2020) ===Doppiaggio=== ====Film==== {{div col|strette}} *''[[La calunnia]]'' (1936) *''[[I diavoli]]'' (1971) *''[[Nicola e Alessandra]]'' (1971) *''[[Anna Karenina (film 1997)|Anna Karenina]]'' (1997) *''[[1997: fuga da New York]]'' (1981) *''[[Amici, complici, amanti]]'' (1988) *''[[Spider (film)|Spider]]'' (2002) *''[[Mamma, ho riperso l'aereo: mi sono smarrito a New York]]'' (1992) *''[[Sliver]]'' (1993) *''[[Ragione e sentimento (film)|Ragione e sentimento]]'' (1995) *''[[Il club delle prime mogli]]'' (1996) *''[[Soldato Jane]]'' (1997) *''[[Shakespeare in Love]]'' (1998) *''[[Chocolat]]'' (2000) *''[[Gosford Park]]'' (2001) *''[[The Shipping News - Ombre dal profondo]]'' (2001) *''[[L'importanza di chiamarsi Ernest]]'' (2002) *''[[Anything Else]]'' (2003) *''[[Quel mostro di suocera]]'' (2005) *''[[L'amore ai tempi del colera]]'' (2007) *''[[Nine (film)|Nine]]'' (2009) *''[[J. Edgar]]'' (2011) *''[[Molto forte, incredibilmente vicino]]'' (2011) *''[[Vizio di forma (film)|Vizio di forma]]'' (2014) *''[[Magic in the Moonlight]]'' (2014) {{div col end}} ====Film d'animazione==== *''[[Pom Poko]]'' (1994) *''[[Princess Mononoke]]'' (1997) *''[[A Christmas Carol]]'' (2009) ====Serie televisive==== *''[[La signora in giallo]]'' (1984 – 1996) *''[[Mosè (miniserie televisiva 1995)|Mosè]]'' (1995) *''[[Sansone e Dalila (miniserie televisiva)|Sansone e Dalila]]'' (1996) ==Altri progetti== {{interprogetto}} {{DEFAULTSORT:Ubaldi, Marzia}} [[Categoria:Attori italiani]] [[Categoria:Cantanti italiani]] [[Categoria:Doppiatori italiani]] 8tdfafsrlsdu0nkroq04jzekwjgbkcv 1381978 1381977 2025-07-01T23:36:58Z Danyele 19198 +immagine 1381978 wikitext text/x-wiki [[File:Ubaldi in La Coscienza di Zeno (cropped).jpg|thumb|Marzia Ubaldi nel 1966]] '''Marzia Ubaldi''' (1938 – 2023), attrice, cantante e doppiatrice italiana. ==Citazioni di Marzia Ubaldi== *[…] ho smesso di fare teatro un po' di anni fa perché mi ero un po' stancata di portare le valigie.<ref name=Sgambelluri>Dall'intervista di Daniela Sgambelluri, ''[http://guide.supereva.it/doppiaggio_e_doppiatori/interventi/2007/09/306889.shtml Judi Dench & Marzia Ubaldi]'', ''guide.supereva.it'', settembre 2009.</ref> *Secondo me prima di tutto bisogna imparare a recitare… la dizione è una cosa importantissima… perché non puoi andare a doppiare un film di Shakespeare non di [[William Shakespeare|Shakespeare]], un film su Shakespeare parlando romanesco o napoletano o ternano o milanese, e quindi prima bisogna imparare a parlare italiano, poi bisogna imparare a recitare, dopo si può fare anche del doppiaggio buono, del doppiaggio ben fatto, non dico artistico perché è una parola troppo grossa però insomma del doppiaggio serio.<ref name=Sgambelluri /> *Vedo uno tzunami di follia che avanza inesorabile: donne uccise come fossero inutili, giovani bulli che minacciano i loro insegnanti, gli stessi bulli che costringono ragazzini e ragazzine al suicidio, bande di bambini che rubano, aggrediscono, uccidono. È un'orribile violenta anarchia che sta invadendo il mondo e le menti degli esseri umani, segno di un malessere insostenibile che può portare solo al caos totale.<ref>Dall'intervista di Giulia Farneti, ''[https://www.restoalsud.it/in-evidenza/marzia-ubaldi-in-questo-nostro-amore-80/ Marzia Ubaldi in "Questo nostro amore 80"]'', ''restoalsud.it'', 5 gennaio 2018.</ref> ==Note== <references /> ==Filmografia== ===Attrice=== *''[[Elisa di Rivombrosa]]'' (2003 - 2005) *''[[I predatori]]'' (2020) ===Doppiaggio=== ====Film==== {{div col|strette}} *''[[La calunnia]]'' (1936) *''[[I diavoli]]'' (1971) *''[[Nicola e Alessandra]]'' (1971) *''[[Anna Karenina (film 1997)|Anna Karenina]]'' (1997) *''[[1997: fuga da New York]]'' (1981) *''[[Amici, complici, amanti]]'' (1988) *''[[Spider (film)|Spider]]'' (2002) *''[[Mamma, ho riperso l'aereo: mi sono smarrito a New York]]'' (1992) *''[[Sliver]]'' (1993) *''[[Ragione e sentimento (film)|Ragione e sentimento]]'' (1995) *''[[Il club delle prime mogli]]'' (1996) *''[[Soldato Jane]]'' (1997) *''[[Shakespeare in Love]]'' (1998) *''[[Chocolat]]'' (2000) *''[[Gosford Park]]'' (2001) *''[[The Shipping News - Ombre dal profondo]]'' (2001) *''[[L'importanza di chiamarsi Ernest]]'' (2002) *''[[Anything Else]]'' (2003) *''[[Quel mostro di suocera]]'' (2005) *''[[L'amore ai tempi del colera]]'' (2007) *''[[Nine (film)|Nine]]'' (2009) *''[[J. Edgar]]'' (2011) *''[[Molto forte, incredibilmente vicino]]'' (2011) *''[[Vizio di forma (film)|Vizio di forma]]'' (2014) *''[[Magic in the Moonlight]]'' (2014) {{div col end}} ====Film d'animazione==== *''[[Pom Poko]]'' (1994) *''[[Princess Mononoke]]'' (1997) *''[[A Christmas Carol]]'' (2009) ====Serie televisive==== *''[[La signora in giallo]]'' (1984 – 1996) *''[[Mosè (miniserie televisiva 1995)|Mosè]]'' (1995) *''[[Sansone e Dalila (miniserie televisiva)|Sansone e Dalila]]'' (1996) ==Altri progetti== {{interprogetto}} {{DEFAULTSORT:Ubaldi, Marzia}} [[Categoria:Attori italiani]] [[Categoria:Cantanti italiani]] [[Categoria:Doppiatori italiani]] mwq12uggkr0hen2f05mywcz2uia7xwv 1381979 1381978 2025-07-01T23:37:37Z Danyele 19198 non enciclopedica come cantante 1381979 wikitext text/x-wiki [[File:Ubaldi in La Coscienza di Zeno (cropped).jpg|thumb|Marzia Ubaldi nel 1966]] '''Marzia Ubaldi''' (1938 – 2023), attrice e doppiatrice italiana. ==Citazioni di Marzia Ubaldi== *[…] ho smesso di fare teatro un po' di anni fa perché mi ero un po' stancata di portare le valigie.<ref name=Sgambelluri>Dall'intervista di Daniela Sgambelluri, ''[http://guide.supereva.it/doppiaggio_e_doppiatori/interventi/2007/09/306889.shtml Judi Dench & Marzia Ubaldi]'', ''guide.supereva.it'', settembre 2009.</ref> *Secondo me prima di tutto bisogna imparare a recitare… la dizione è una cosa importantissima… perché non puoi andare a doppiare un film di Shakespeare non di [[William Shakespeare|Shakespeare]], un film su Shakespeare parlando romanesco o napoletano o ternano o milanese, e quindi prima bisogna imparare a parlare italiano, poi bisogna imparare a recitare, dopo si può fare anche del doppiaggio buono, del doppiaggio ben fatto, non dico artistico perché è una parola troppo grossa però insomma del doppiaggio serio.<ref name=Sgambelluri /> *Vedo uno tzunami di follia che avanza inesorabile: donne uccise come fossero inutili, giovani bulli che minacciano i loro insegnanti, gli stessi bulli che costringono ragazzini e ragazzine al suicidio, bande di bambini che rubano, aggrediscono, uccidono. È un'orribile violenta anarchia che sta invadendo il mondo e le menti degli esseri umani, segno di un malessere insostenibile che può portare solo al caos totale.<ref>Dall'intervista di Giulia Farneti, ''[https://www.restoalsud.it/in-evidenza/marzia-ubaldi-in-questo-nostro-amore-80/ Marzia Ubaldi in "Questo nostro amore 80"]'', ''restoalsud.it'', 5 gennaio 2018.</ref> ==Note== <references /> ==Filmografia== ===Attrice=== *''[[Elisa di Rivombrosa]]'' (2003 - 2005) *''[[I predatori]]'' (2020) ===Doppiaggio=== ====Film==== {{div col|strette}} *''[[La calunnia]]'' (1936) *''[[I diavoli]]'' (1971) *''[[Nicola e Alessandra]]'' (1971) *''[[Anna Karenina (film 1997)|Anna Karenina]]'' (1997) *''[[1997: fuga da New York]]'' (1981) *''[[Amici, complici, amanti]]'' (1988) *''[[Spider (film)|Spider]]'' (2002) *''[[Mamma, ho riperso l'aereo: mi sono smarrito a New York]]'' (1992) *''[[Sliver]]'' (1993) *''[[Ragione e sentimento (film)|Ragione e sentimento]]'' (1995) *''[[Il club delle prime mogli]]'' (1996) *''[[Soldato Jane]]'' (1997) *''[[Shakespeare in Love]]'' (1998) *''[[Chocolat]]'' (2000) *''[[Gosford Park]]'' (2001) *''[[The Shipping News - Ombre dal profondo]]'' (2001) *''[[L'importanza di chiamarsi Ernest]]'' (2002) *''[[Anything Else]]'' (2003) *''[[Quel mostro di suocera]]'' (2005) *''[[L'amore ai tempi del colera]]'' (2007) *''[[Nine (film)|Nine]]'' (2009) *''[[J. 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[...] Nessuno avrebbe potuto resistere alla "Sirena" delle Madonie; per la bellezza e le difficoltà del tracciato, ma anche per il calore e l'entusiasmo che gli oltre 600.000 appassionati, assiepati lungo i 72 chilometri del percorso, attribuivano a tutti i concorrenti. (nessuna manifestazione sportiva al mondo ha mai registrato un affluenza di pubblico così numeroso). ([[Sandro Munari]]) *{{NDR|Sulla partecipazione di [[Eliška Junková]] all'edizione del 1928}} La sua tenacia e determinazione erano notevoli. Per questo evento si è recata in Sicilia con una governante e un'auto come quella con cui avrebbe gareggiato, un mese intero prima della gara. Ha iniziato lentamente, un giro un giorno, due giri il successivo e così via – deve aver fatto trenta o quaranta giri in quella macchina. Conosceva il percorso meglio di chiunque altro. Ha davvero battuto la sua Bugatti; era un'auto molto usata il giorno della gara, ma naturalmente aveva pensato in anticipo e il team Bugatti arrivò con la nuova macchina che aveva ordinato, una T35B dipinta di nero e giallo e disposta per essere consegnata sul campo. Era pronta con il suo piano. Nei primi giri di gara ha iniziato a spaventare gli altri piloti – essere battuti da una donna allora era impensabile – ed è rimasta in testa fino all'ultimo giro. Ciò che non aveva considerato in tutti i suoi accurati calcoli pre-gara, e che non poteva prevedere, era che problemi meccanici avrebbero potuto interferire con il suo piano. Quando lo fecero, fu costretta a ritirarsi. Tuttavia, è arrivata quinta – uno spettacolo fantastico. Nessuno dei presenti a quella Targa Florio, ha mai dimenticato quella formidabile Signora. ([[René Dreyfus]]) *La Targa Florio per me ha rappresentato l'ingresso di una certa Sicilia nella società; intanto, faceva conoscere agli schizzinosi panormiti la miseria profonda della giogaia delle Madonie a poche decine di chilometri da Palermo. E Florio testardamente negava il progresso rifiutando gli ingaggi ai piloti. Doveva essere un onore ed un piacere partecipare alla sua Targa. ([[Vladimiro Caminiti]]) ===[[Vincenzo Consolo]]=== *Al luogo del TRAGUARDO - XIIª TARGA FLORIO erano transenne, palchi, tribune con pinnate pennoni gonfaloni bandiere impavesate, reclami di BENZINA SUPERIORE LAMPO, PNEUS PIRELLI, ISOTTA FRASCHINI, CEIRANO, MARSALA FLORIO, SECURITAS, VEEDOL, ANSALDO... Ogni luogo era già affollato di gente venuta d'ogni dove, soprattutto dalla capitale, persone civili, ricche, noblesse di Palermo che significava della Sicilia, bellissime signore in grandi paglie chapeaux-jardins velo sulla faccia, con ombrellini che tenevano con grazia tra le dita come il gambo d'un fiore di tela e taffetà, signori con baschi pagliette bastoncini, e in strane divise militari, la rinomata banda di Petralia Soprana bianca e sfavillante negli ori bottoni alamari, negli ottoni dei piatti delle trombe. Ma c'era anche, sparso per i clivi, per lo spiazzo, il popolino basso, villani delle contrade, dei paesi intorno, Scillato Tremonzelli Borragine [[Aliminusa]] Sciara... *«Non è fiera o festa di santo, è qualcosa al di fuori del lunario, un convegno di gente per la corsa dei carri che dalla costa, da Campofelice, Bonfornello vanno su per la Cerda, Sclàfani, Caltavuturo... C'è un grande apparecchio di palchi e c'è pure lo spiazzo del mercato» disse Gandolfo Allegra al figlio Stefano, e il suo occhio baluginava alla fiamma del lume al pari della lama del trincetto. «Targa Florio si chiama.» *{{NDR|Sulla gara del 1921}} Un'automobile, con scoppi, con stridori, con rimbombi, girando e girirando su per i tornanti, si presentò infine là davanti in una nuvola di polvere, di fumo, con due uomini dentro in giacconi di pelle e mascherati che salutavano festanti con la mano. [...] «Sailer!» urlavano dalle tribune, al passaggio delle vetture. «Masetti! Campari! Landi! Ceirano!...» Le signore agitavano per saluto e complimenti ombrellini ventagli e fazzoletti. ==Voci correlate== *[[Mille Miglia]] ==Altri progetti== {{interprogetto|w_preposizione=riguardante la|preposizione=sulla}} [[Categoria:Targa Florio]] dbej5r8lj93kvbrfajr64bolgc0lfx0 1381988 1381985 2025-07-02T00:08:22Z Danyele 19198 /* Voci correlate */ +1 1381988 wikitext text/x-wiki {{Voce tematica}} [[File:Giulio Masetti in his Fiat at the 1921 Targa Florio (3).jpg|thumb|Il traguardo della XII Targa Florio (1921) tagliato dal vincitore, il conte [[Giulio Masetti]], con la Fiat S57-14B.]] Citazioni sulla '''Targa Florio''', corsa automobilistica su strada disputata in Sicilia. ==Citazioni== *L'alone di gloria e fascino sportivo che ancora oggi circondano questa mitica competizione, è così forte da aver attirato sul tracciato delle Madonie, tantissimi appassionati e soprattutto i grandi "manici" dell'automobilismo. [...] Nessuno avrebbe potuto resistere alla "Sirena" delle Madonie; per la bellezza e le difficoltà del tracciato, ma anche per il calore e l'entusiasmo che gli oltre 600.000 appassionati, assiepati lungo i 72 chilometri del percorso, attribuivano a tutti i concorrenti. (nessuna manifestazione sportiva al mondo ha mai registrato un affluenza di pubblico così numeroso). ([[Sandro Munari]]) *{{NDR|Sulla partecipazione di [[Eliška Junková]] all'edizione del 1928}} La sua tenacia e determinazione erano notevoli. Per questo evento si è recata in Sicilia con una governante e un'auto come quella con cui avrebbe gareggiato, un mese intero prima della gara. Ha iniziato lentamente, un giro un giorno, due giri il successivo e così via – deve aver fatto trenta o quaranta giri in quella macchina. Conosceva il percorso meglio di chiunque altro. Ha davvero battuto la sua Bugatti; era un'auto molto usata il giorno della gara, ma naturalmente aveva pensato in anticipo e il team Bugatti arrivò con la nuova macchina che aveva ordinato, una T35B dipinta di nero e giallo e disposta per essere consegnata sul campo. Era pronta con il suo piano. Nei primi giri di gara ha iniziato a spaventare gli altri piloti – essere battuti da una donna allora era impensabile – ed è rimasta in testa fino all'ultimo giro. Ciò che non aveva considerato in tutti i suoi accurati calcoli pre-gara, e che non poteva prevedere, era che problemi meccanici avrebbero potuto interferire con il suo piano. Quando lo fecero, fu costretta a ritirarsi. Tuttavia, è arrivata quinta – uno spettacolo fantastico. Nessuno dei presenti a quella Targa Florio, ha mai dimenticato quella formidabile Signora. ([[René Dreyfus]]) *La Targa Florio per me ha rappresentato l'ingresso di una certa Sicilia nella società; intanto, faceva conoscere agli schizzinosi panormiti la miseria profonda della giogaia delle Madonie a poche decine di chilometri da Palermo. E Florio testardamente negava il progresso rifiutando gli ingaggi ai piloti. Doveva essere un onore ed un piacere partecipare alla sua Targa. ([[Vladimiro Caminiti]]) ===[[Vincenzo Consolo]]=== *Al luogo del TRAGUARDO - XIIª TARGA FLORIO erano transenne, palchi, tribune con pinnate pennoni gonfaloni bandiere impavesate, reclami di BENZINA SUPERIORE LAMPO, PNEUS PIRELLI, ISOTTA FRASCHINI, CEIRANO, MARSALA FLORIO, SECURITAS, VEEDOL, ANSALDO... Ogni luogo era già affollato di gente venuta d'ogni dove, soprattutto dalla capitale, persone civili, ricche, noblesse di Palermo che significava della Sicilia, bellissime signore in grandi paglie chapeaux-jardins velo sulla faccia, con ombrellini che tenevano con grazia tra le dita come il gambo d'un fiore di tela e taffetà, signori con baschi pagliette bastoncini, e in strane divise militari, la rinomata banda di Petralia Soprana bianca e sfavillante negli ori bottoni alamari, negli ottoni dei piatti delle trombe. Ma c'era anche, sparso per i clivi, per lo spiazzo, il popolino basso, villani delle contrade, dei paesi intorno, Scillato Tremonzelli Borragine [[Aliminusa]] Sciara... *«Non è fiera o festa di santo, è qualcosa al di fuori del lunario, un convegno di gente per la corsa dei carri che dalla costa, da Campofelice, Bonfornello vanno su per la Cerda, Sclàfani, Caltavuturo... C'è un grande apparecchio di palchi e c'è pure lo spiazzo del mercato» disse Gandolfo Allegra al figlio Stefano, e il suo occhio baluginava alla fiamma del lume al pari della lama del trincetto. «Targa Florio si chiama.» *{{NDR|Sulla gara del 1921}} Un'automobile, con scoppi, con stridori, con rimbombi, girando e girirando su per i tornanti, si presentò infine là davanti in una nuvola di polvere, di fumo, con due uomini dentro in giacconi di pelle e mascherati che salutavano festanti con la mano. [...] «Sailer!» urlavano dalle tribune, al passaggio delle vetture. «Masetti! Campari! Landi! Ceirano!...» Le signore agitavano per saluto e complimenti ombrellini ventagli e fazzoletti. ==Voci correlate== *[[Carrera Panamericana]] *[[Mille Miglia]] ==Altri progetti== {{interprogetto|w_preposizione=riguardante la|preposizione=sulla}} [[Categoria:Targa Florio]] 2assxbc783rv29ynmr8ziceuhdduo0l Mille Miglia 0 178282 1381987 1272578 2025-07-02T00:08:04Z Danyele 19198 fix di stile / +1 voce correlata / fix categorizzazione 1381987 wikitext text/x-wiki {{Voce tematica}} [[File:1927 Mille Miglia Alfa RLSS Marinoni.jpg|thumb|Attilio Marinoni alla guida dell'Alfa Romeo RLSS alla Mille Miglia 1927]] Citazioni sulla '''Mille Miglia''', competizione automobilistica stradale di granfondo disputata in Italia in 24 edizioni tra il 1927 e il 1957. *La corsa più bella del mondo. ([[Enzo Ferrari]]) *Un museo viaggiante unico e affascinante, allestito in una straordinaria cornice di pubblico festante. ([[Enzo Ferrari]]) ==Voci correlate== *[[Carrera Panamericana]] *[[Targa Florio]] ==Altri progetti== {{interprogetto|w_preposizione=riguardante la|preposizione=sulla}} [[Categoria:Competizioni sportive]] [[Categoria:Sport in Italia]] 2ihshtn8c7p203kx5qrhefkbv6eq6qe Gabriel Byrne 0 179685 1381975 1181463 2025-07-01T23:32:17Z Danyele 19198 /* Filmografia */ fix wl 1381975 wikitext text/x-wiki [[Immagine:Gabriel_Byrne_2010.jpg|miniatura|Gabriel Byrne nel 2010]] '''Gabriel James Byrne''' (1950 – vivente), attore e produttore cinematografico irlandese. ==Citazioni di Gabriel Byrne== *Dal 1945, gli Stati Uniti hanno intrapreso 75 diversi interventi militari per far cadere dei regimi legittimi. Eppure la cosa importante è che la Russia ha interferito nelle elezioni americane? Gli americani hanno interferito in ogni elezione in tutto il mondo. :''Since 1945, the US has embarked on 75 different military interventions toppling legitimate regimes. And yet the big thing is that Russia interfered in the American election? The Americans have interfered in every election around the world.''<ref>{{en}} Citato in Catherine Shoard, ''[https://www.theguardian.com/film/2020/nov/08/gabriel-byrne-its-an-obscenity-to-tell-innocent-children-theyre-going-to-hell Gabriel Byrne: 'There’s a shame about men speaking out. A sense that if you were abused, it was your fault']'', ''theguardian.com'', 8 novembre 2020.</ref> *[[Dublino]] mi ha preparato per Hollywood. Ero così pronto. Niente a Hollywood mi ha sorpreso o scioccato dopo Dublino. Ero pronto per le stron*ate. Ero pronto per le pugnalate alle spalle. Ero pronto per il rifiuto. Dublino era più feroce di Hollywood. Non ho mai litigato a Hollywood. Il "Che ca*o stai guardando?" Nessuno l'ha mai detto a Hollywood. :''Dublin prepared me for Hollywood. I was so ready. Nothing in Hollywood surprised or shocked me after Dublin. I was ready for bullsh*t. I was ready for back-stabbing. I was ready for rejection. Dublin was more vicious in its way than Hollywood. I never got into a fight in Hollywood. ‘What the f**k are you looking at?’ Nobody ever said that in Hollywood.''<ref>{{en}}Citato in Donald Clarke, ''[https://www.irishtimes.com/culture/books/gabriel-byrne-dublin-prepared-me-for-hollywood-i-was-ready-for-the-bulls-t-1.4402303 Gabriel Byrne: ‘Dublin prepared me for Hollywood. I was ready for the bulls**t’]'', ''irishtimes.com'', 14 novembre 2020.</ref> *Ho demoni con cui lotto... non li sconfiggerò mai ma cerco di tenerli a bada. :''I have demons I wrestle with... I'll never defeat them but I try to keep them at bay.''<ref>{{en}} Citato in Barry Egan, ''[https://www.independent.ie/entertainment/movies/i-have-demons-i-wrestle-with-ill-never-defeat-them-but-i-try-to-keep-them-at-bay-gabriel-byrne-on-turning-70-39210953.html Gabriel Byrne on turning 70]'', ''independent.ie'', 17 maggio 2020.</ref> ==Note== <references/> ==Filmografia== *''[[Excalibur]]'' (1981) *''[[Crocevia della morte]]'' (1990) *''[[Nome in codice: Nina]]'' (1993) *''[[I soliti sospetti]]'' (1995) *''[[La maschera di ferro (film 1998)|La maschera di ferro]]'' (1998) *''[[La spada magica - Alla ricerca di Camelot]]'' (1998) - doppiaggio *''[[Nemico pubblico (film 1998)|Nemico pubblico]]'' (1998) *''[[Canone inverso]]'' (2000) *''[[Spider (film)|Spider]]'' (2002) *''[[In Treatment]]'' (2008 – 2010) *''[[Vikings]]'' (2013) ==Altri progetti== {{interprogetto}} {{DEFAULTSORT:Byrne, Gabriel}} [[Categoria:Attori irlandesi]] [[Categoria:produttori cinematografici irlandesi]] 7uue5k073j7uvfg54eib28bnbcrk1ob Rivoluzione ungherese del 1956 0 182602 1381998 1287669 2025-07-02T05:54:55Z Mariomassone 17056 /* Citazioni */ 1381998 wikitext text/x-wiki {{voce tematica}} [[File:Szétlőtt harckocsi a Móricz Zsigmond körtéren.jpg|thumb|Un carro armato sovietico T-34/85 distrutto a Budapest]] Citazioni sulla '''rivoluzione ungherese del 1956'''. ==Citazioni== *Che cosa sia stato in Ungheria il 1956 che io non chiamai mai controrivoluzione ma che ancora adesso non mi sento di definire rivoluzione nazionale è un problema che non considero ancora risolto né dagli storici né dai politici. ([[Gian Carlo Pajetta]]) *È evidente che il governo magiaro non è un governo libero, ma un governo che è stato imposto con la forza. Se nel corso di dieci anni non è stato possibile convertire il popolo ungherese alle idee sovietiche, ciò sta a dimostrare che siamo di fronte a un fallimento. Io non ho dubbi sul fatto che il popolo ungherese è destinato a trionfare in questa sua lotta per la libertà. ([[Jawaharlal Nehru]]) *I tre esponenti comunisti romeni che parteciparono a quell'incontro segreto del 1956 con Nikita Kruscev e Georgy Malenkov, incitarono unanimamente a un pronto e deciso intervento militare contro il governo di Imre Nagy. Seppi più tardi da [[Gheorghe Gheorghiu-Dej|Gheorghiu-Dej]] che [[Nicolae Ceaușescu|Ceausescu]] aveva sostenuto calorosamente l'intervento militare, e che aveva reso noto con enfasi che la Romania aveva già cominciato a fornire armi e informazioni alle forze di sicurezza ungheresi di alcune delle zone di frontiera tra i due paesi, a fini di autodifesa contro il «virus controrivoluzionario». Da parte loro, Kruscev e Malenkov dissero ripetutamente che non bisognava internazionalizzare la crisi ungherese coinvolgendo altre truppe oltre quelle sovietiche che già stazionavano in Ungheria in applicazione degli accordi di Potsdam. ([[Ion Mihai Pacepa]]) *Il motivo per cui divampò coinvolgendo tutta la popolazione è semplicissimo: gl'intellettuali e gli studenti che la capeggiavano erano i figli degli operai e dei contadini che la traducevano in sollevazione del popolo. Lo erano non in senso ideale ed astratto, ma in senso anagrafico [...]. E questo fu, per i comunisti, la vera beffa. Essi avevano abolito le classi, e ora questo creava una unanimità di partecipazione, quale credo che nessun'altra rivoluzione abbia mai avuto. E come poteva non essere socialista? [...] L'unica cosa che non si può è che i «quadri» del Pci [...] non avessero visto, né udito, né capito come oggi vorrebbero farci credere per avallare la tesi dell'«errore». [...] L'unico che, in mezzo a tanti contorcimenti e frullati di parole, ha avuto l'onestà di riconoscerlo è stato Pajetta, sempre lui. «Io non mi pento di nulla», ha detto «schierandoci con gl'insorti e condannando la repressione sovietica, avremmo spaccato il Pci; per questo accettammo e approvammo.» Alla buon'ora. ([[Indro Montanelli]]) *{{NDR|[[Vittorio Mangili]]}} Ne ha combinate di tutti i colori. Ha fatto perfino il portaordini dei patrioti, a bordo di una delle loro automobili di collegamento. ([[Indro Montanelli]]) *Per i più piccini. Un topo, caduto in una trappola, si dibatteva furiosamente: «Niente equivoci,» disse il topo a quelli che stavano a guardarlo «io non mi batto contro la trappola, che va benissimo, ma per la cattiva qualità del formaggio». Questa la tesi che i comunisti ci hanno offerto per spiegare la rivoluzione ungherese, informandoci che hanno già provveduto a migliorare la qualità del formaggio e a rinforzare la trappola. ([[Ennio Flaiano]]) *Per quanto riguarda i partiti comunisti occidentali, fu un disastro. Furono tutti favorevoli all'intervento sovietico, ma furono costretti ad affrontare una grave fase di crisi. Il partito comunista italiano perse figure di spicco, di fatto o di diritto, tra i quali Giuseppe Di Vittorio, Celeste Negarville (che era un dirigente storico del Pci dalla fondazione, torinese di origine operaia, ossia la crème de la crème dell’identità del partito comunista) e Antonio Giolitti, nipote di Giovanni Giolitti. Tre personaggi piuttosto importanti, tutti e tre assolutamente in disaccordo con Togliatti che, tuttavia, non subì conseguenze elettorali per questo, ma sicuramente ne ebbe in termini identitari. ([[Federigo Argentieri]]) *Secondo noi, la controrivoluzione in Ungheria fu principalmente opera dei titini. Gli imperialisti americani avevano, in primo luogo in [[Josip Broz Tito|Tito]] e nei rinnegati di Belgrado, la migliore arma per scalzare la democrazia popolare in Ungheria. ([[Enver Hoxha]]) *Sessant'anni fa, il 23 ottobre 1956, l'Ungheria intera, compresi moltissimi comunisti, si ribellò unita contro la dittatura. Oggi manca quel coraggio. ([[Ágnes Heller]]) ===[[Nikita Sergeevič Chruščёv]]=== *Agli attivisti del partito e in particolare ai membri della polizia politica veniva data la caccia per le strade. I comitati di partito e le organizzazioni della polizia politica venivano fatti a pezzi. Si assassinava la gente impiccandola per i piedi ai lampioni. Si commettevano atrocità di ogni genere. In un primo tempo al movimento controrivoluzionario parteciparono soprattutto ragazzi. Erano bene armati perché avevano saccheggiato magazzini militari e depositi di munizioni. Poi ad essi si unirono reparti militari e nelle strade di Budapest cominciarono gli scontri. Alcuni reparti militari si impadronirono di pezzi d'artiglieria, per lo più cannoni antiaerei, e aprirono il fuoco sulla città. A Budapest cominciarono a tornare gli emigrati politici che erano stati costretti a fuggire dopo la sconfitta di Hitler e l'instaurazione del regime socialista. I paesi della NATO cominciavano già a mettere il naso nella faccenda. Versavano olio sul fuoco della guerra civile nella speranza che fosse rovesciato il governo rivoluzionario, liquidate le conquiste della rivoluzione e restaurato il capitalismo. *Aiutando il popolo ungherese a schiacciare l'insurrezione controrivoluzionaria impedimmo al nemico di incrinare l'unità dell'intero campo socialista, messa a dura prova durante gli avvenimenti d'Ungheria. Sapevamo che aiutando l'Ungheria a reprimere l'insurrezione e a liquidare il più rapidamente possibile le sue conseguenze aiutavamo anche tutti gli altri paesi del campo socialista. L'aiuto che prestammo al popolo ungherese per soffocare la controrivoluzione fu unanimemente approvato dai lavoratori dei paesi socialisti e dai progressisti di tutto il mondo. *Dinanzi a noi stava una scelta cruciale: dovevamo far rientrare le nostre truppe nella capitale e schiacciare la rivolta, o dovevamo stare a vedere se le forze progressiste ungheresi sarebbero riuscite a liberarsi da sole sventando la controrivoluzione? Se decidevamo per quest'ultima linea di condotta, c'era il pericolo di un temporaneo prevalere della controrivoluzione, il che avrebbe provocato lo spargimento di molto sangue proletario. Inoltre, se la controrivoluzione avesse vinto e la NATO avesse messo radici nel cuore del campo socialista, una seria minaccia si sarebbe profilata per la Cecoslovacchia, la Jugoslavia e la Romania, per non parlare dell'Unione Sovietica. ===[[Milovan Gilas]]=== *I cambiamenti che hanno avuto luogo in Polonia significano il trionfo del comunismo nazionale - cosa che, in forma diversa, abbiamo già visto prodursi in Jugoslavia. Il sollevamento d'Ungheria è di tutt'altro significato: è un fenomeno nuovo che, forse, non riveste significato meno grande della Rivoluzione francese o della Rivoluzione russa. *L'esperienza jugoslava sembra provare che il comunismo nazionale è incapace di trascendere le frontiere del comunismo, in modo da istituire delle riforme capaci di trasformare uno Stato comunista e di condurlo gradualmente verso la libertà. Questa esperienza sembra dimostrare che il comunismo nazionale non può non fare nient'altro che rompere con Mosca e, seguendo modalità e stile nazionale propri, costruire in fondo un sistema comunista identico al modello. Cionostante, nulla sarebbe più falso che ritenere che l'esperienza jugoslavia possa essere ripetuta in qualunque paese dell'Europa dell'Est. *Nessuno può predire con esattezza dove si fermerà Mosca. Per il momento, l'Urss fa il doppio gioco: riconosce a fior di labbra il comunismo nazionale, ma ne mina le fondamenta, non potendo rinunciare alla sua egemonia imperialista. Naturalmente, essa in modo menzognero intitola il suo intervento e le sue pressioni come «aiuto» al comunismo e «misure di sicurezza» verso le nazioni soggette. Ma ciò non è che secondario per Mosca. La sua politica nei confronti delle nazioni comuniste riflette chiaramente una volontà di resistere al crollo dell'impero russo, di mantenere il ruolo dirigente del comunismo sovietico - questa volontà è perfettamente dimostrata dai mezzi di cui fa uso per servirsi del comunismo nazionale come di una maschera per il suo espansionismo imperialista. *Se la rivoluzione ungherese avesse potuto non solo instaurare un regime democratico, ma anche preservare la nazionalizzazione dell'industria pesante e del credito, avrebbe esercitato una terribile influenza su tutti i paesi comunisti, compresa l'Urss. Avrebbe dimostrato non solo che il totalitarismo non è necessario per proteggere la classe operaia dallo sfruttamento (vale a dire per «costruire il socialismo») ma anche che non è che una scusa che permette lo sfruttamento della classe operaia da parte della burocrazia e di una nuova classe dirigente. Mosca, dunque, ha combattuto la rivoluzione ungherese, tanto per ragioni riguardanti la politica estera, che altre riguardanti la politica interna. Proprio come la rivolta jugoslava aveva rivelato l'imperialismo esercitato da Mosca verso i paesi comunisti, così la rivoluzione ungherese rivela che il regime sovietico, a casa sua, altro non è che una dominazione totalitaria esercitata da una nuova classe di sfruttatori, la burocrazia del partito. ===[[Paolo Guzzanti]]=== *Coloro che erano adolescenti nel 1956 furono marchiati a fuoco per quel che videro (la televisione in Italia era ancora una straordinaria novità) seguendo la disperata ed eroica sorte della rivoluzione ungherese, schiacciata nel sangue dall'Armata Rossa anche a causa di un intervento molto deciso del segretario comunista Palmiro Togliatti in un momento in cui il Politburo del partito comunista sovietico era diviso sul da farsi. Ma Togliatti, ex numero due del Komintern, fu deciso e determinante nella volontà di intervenire militarmente: la rivolta di Budapest di operai e studenti andava classificata come fascista e spazzata via con i carri armati. In Italia gli uomini della sinistra, non solo socialisti, favorevoli alla repressione sovietica a Budapest furono da allora chiamati "carristi". Ma chi era giovane nel 1956 fu obbligato a fare i conti con quelle giornate e quelle emozioni così violente e così chiare: si poteva essere comunisti, volere il socialismo e chiedere l'intervento dei carri armati contro studenti e operai? *L'Ungheria segnò la [...] mia generazione come il morso di un cane rabbioso, e quella rabbia contro il comunismo russo non ci abbandonò mai perché mai ci abbandonarono le immagini dei combattenti in impermeabile e cappello floscio, il bavero alzato, il mitra a tracolla, la sigaretta fra le labbra come tanti Humphrey Bogart nelle strade di Budapest, rispondere al fuoco dei carri armati russi fra i tram rovesciati, e morire un dopo l'altro. *La rivolta fu repressa nel sangue dai carri armati sovietici sotto l'occhio della televisione che portava per la prima volta le immagini della strage nelle case di tutto il mondo. Abbiamo saputo in seguito che, essendo Krusciov molto esitante, la decisione di invadere e reprimere fu presa per l'insistenza del segretario del Pci italiano Palmiro Togliatti e di quello comunista cinese, Mao Zedong. Da allora in Italia con il termine "carristi" furono indicati tutti coloro che approvavano l'intervento dei carri armati russi. I carri armati non invadevano mai ma venivano in soccorso del comunismo sovietico attaccato da oscure forze reazionarie sempre in combutta con gli Stati Uniti e la Cia per una provocazione della Nato. ===[[János Kádár]]=== *Conoscevamo meglio di ogni altro le forze contro cui dovevamo lottare. Queste forze non volevano solo rovesciare l'ordine sociale esistente in Ungheria. La loro vittoria avrebbe forse potuto significare, a breve scadenza, una guerra con i paesi vicini. Bisogna vedere la situazione in tutti i suoi aspetti. Nei paesi vicini vivono gruppi etnici e si trovano dei territori che erano appartenut alla Ungheria in un passato più o meno lontano. I controrivoluzionari non avevano solo delle rivendicazioni verso dei paesi lontani, ma anche verso questi paesi confinanti. Sarebbe così potuta nascere una di quelle guerre che ora si usa definire conflitti localizzati. *Desidero [...] rilevare che gli organi statali hanno arrestato almeno 2500 persone che potevano cadere sotto la legge marziale. Di queste, solo 200, meno di un decimo, sono state deferite alla Corte marziale. Della quarantina che sono state condannate a morte ne sono state giustiziate poco più di venti. Noi non pensiamo che tutti coloro che per timore, stupidità o rancore si sono rifiutati di consegnare le armi nel periodo prefisso debbano venire condannati alle pene più severe. *Nei giorni in cui la controrivoluzione stava per prevalere, gli occidentali promisero o fecero intendere che avrebbero inviato grandi aiuti alla Ungheria. Poi la situazione cambiò e naturalmente cambiarono anche le promesse di aiuto. *Nel periodo più critico, dal 23 ottobre al 10 novembre dello scorso anno, erano presenti in Ungheria circa 800 giornalisti stranieri, oltre a tutte le rappresentanza diplomatiche. Non è avvenuto nulla che tutti noi abbiano visto o saputo, non c'era niente da esaminare o da osservare. *Sebbene in occidente si sia sempre pensato che dopo la sconfitta della controrivoluzione sarebbe seguita una reppressione in massa, ciò non è avvenuto. A nessuno è stata e sarà attribuita la responsabilità di avere partecipato in quel periodo a qualche sfilata o manifestazione, purché non abbia commesso dei gravi fatti controrivoluzionari. ===[[Imre Nagy]]=== *Diversi decreti governativi hanno suscitato il dolore e la vergogna del popolo ungherese, hanno eccitato le passioni ed hanno fatto scorrere il sangue di migliaia di persone. Uno di questi decreti è stato quello che proclamava la legge marziale nei confronti dei combattenti della libertà, l'altro quello che chiedeva l'intervento delle truppe sovietiche. Consci di tutte le nostre responsabilità, noi dichiariamo dinanzi alla storia che il presidente del Consiglio Nagy non era al correnti di questi due decreti e non li ha firmati. *È chiaro che che gli elementi controrivoluzionari si sono sforzati di profittare anche di questa insurrezione, contro il popolo e contro la democrazia popolare. È inconfutabile anche il fatto che questo movimento è stato generato da un possente sforzo per la democrazia e la giustizia, che ha unito tutto il popolo. Questo movimento si è posto come fine la conquista dell'indipendenza e della sovranità del nostro popolo. *Popolo ungherese! Nella scorsa settimana, si sono diffusi, con una tragica velocità, sanguinosi avvenimenti, in conseguenza dei tragici errori e dei delitti dell'ultimo decennio. Essi hanno trovato il loro epilogo negli avvenimenti di cui siamo stati testimoni coi nostri propri occhi. Nell'ultimo millennio circa, il destino non ha risparmiato il nostro popolo da duri colpi, ma scosse simili a quelle che abbiamo vissuto questi giorni, la nostra patria forse non le aveva mai viste. ==Altri progetti== {{interprogetto|w_preposizione=riguardante la|preposizione=sulla}} [[Categoria:Eventi degli anni 1950]] [[Categoria:Guerra fredda]] [[Categoria:Rivoluzioni|Ungherese]] [[Categoria:Ungheria]] emyjs9f2bfs031j9q0vaoflt726usc7 Wikiquote:GLAM/BEIC/Voci 4 185964 1382008 1381892 2025-07-02T07:44:16Z Marcella Medici (BEIC) 84396 1382008 wikitext text/x-wiki ==Voci create nell'ambito del progetto BEIC== {{vedi anche|w:Progetto:GLAM/BEIC}} Elenco delle voci create su Wikiquote nell'ambito del [[w:Progetto:GLAM/BEIC|progetto BEIC]], a partire da materiale messo a disposizione dalla [[w:Biblioteca europea di informazione e cultura|Fondazione BEIC]]. Totali: '''406 voci'''<!--, di cui 1 in inglese, 1 in spagnolo, 1 in francese e 1 in latino-->. {{div col}} ===Persone=== #[[Paolo Monti]] - <small>2014-09-30</small> #[[Giambattista Vasco]] - <small>2021-08-18</small> #[[Stefano da San Gregorio]] - <small>2021-08-29</small> #[[Christoph Scheiner]] - <small>2021-08-30</small> #[[Gian Rinaldo Carli]] - <small>2021-09-01</small> #[[Vittorio Saraceno]] - <small>2021-09-05</small> #[[Federico Sanvitale]] - <small>2021-09-06</small> #[[Antonio Sangiovanni]] - <small>2021-09-09</small> #[[Francesco Ricci (matematico)]] - <small>2021-09-11</small> #[[Charles-Joseph Mathon de la Cour]] - <small>2021-09-11</small> #[[Filippo Antonio Revelli]] - <small>2021-09-14</small> #[[Onofrio Puglisi]] - <small>2021-09-22</small> #[[Bartolomeo Pollastri]] - <small>2021-09-23</small> #[[Giovanni Battista Pisani]] - <small>2021-09-27</small> #[[Giovanni Giacomo Pierantoni]] - <small>2021-09-27</small> #[[Italo Zannier]] - <small>2021-09-29</small> #[[Auguste Marmont‎]] - 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<small>2021-10-25</small> #[[Girolamo Manfredi]] - <small>2021-10-25</small> #[[Gabriele Capodilista]] - <small>2021-10-25</small> #[[Lorenzo Spirito Gualtieri]] - <small>2021-10-26</small> #[[Guglielmo da Saliceto]] - <small>2021-10-26</small> #[[Jacopo da Cessole]] - <small>2021-10-26</small> #[[Antonio Matani]] - <small>2021-10-26</small> #[[Carlo Matteucci]] - <small>2021-10-26</small> #[[Pedro de Medina]] - <small>2021-10-26</small> #[[Friedrich Accum]] - <small>2021-10-27</small> #[[George Biddell Airy]] - <small>2021-10-27</small> #[[Joachim d'Alencé]] - <small>2021-10-27</small> #[[Carlo Amoretti]] - <small>2021-10-27</small> #[[Giovanni Antonelli (astronomo)]] - <small>2021-10-27</small> #[[Torbern Olof Bergman]] - <small>2021-10-27</small> #[[Belsazar Hacquet]] - <small>2021-10-27</small> #[[George Atwood]] - <small>2021-10-27</small> #[[Friederich Münter]] - <small>2021-10-27</small> #[[Franz Schott]] - <small>2021-10-28</small> #[[Lazzaro Spallanzani]] - <small>2021-10-28</small> #[[Isaac Abrabanel]] - <small>2021-10-28</small> #[[Giason Denores]] - <small>2021-10-29</small> #[[Juan de Jarava]] - <small>2021-10-29</small> #[[Alessandro Pascoli]] - <small>2021-10-29</small> #[[Euforbo]] - <small>2021-11-02</small> #[[Zaccaria Scolastico]] - <small>2021-11-02</small> #[[Battista Fregoso (1450-1505)]] - <small>2021-11-02</small> #[[Ugo Benci]] - <small>2021-11-04</small> #[[Jacopo Filippo Foresti]] - <small>2021-11-04</small> #[[Feo Belcari]] - <small>2021-11-08</small> #[[Pompeo Baldasseroni]] - <small>2021-11-08</small> #[[Sallustio Bandini]] - <small>2021-11-08</small> #[[Lodovico Bianchini]] - <small>2021-11-09</small> #[[Vladislav Iosifovič Bortkevič]] - <small>2021-11-09</small> #[[Richard Cantillon]] - <small>2021-11-09</small> #[[John Bates Clark]] - <small>2021-11-09</small> #[[Salvatore Cognetti de Martiis]] - <small>2021-11-09</small> #[[Girolamo Francesco Cristiani]] - <small>2021-11-10</small> #[[Alfons Dopsch]] - <small>2021-11-10</small> #[[Ruggero Giuseppe Boscovich]] - <small>2021-11-10</small> #[[Pietro Antonio Cataldi]] - <small>2021-11-10</small> #[[Ambrogio Contarini]] - <small>2021-11-10</small> #[[Giovanni Tavelli]] - <small>2021-11-10</small> #[[Giovanni Colombini]] - <small>2021-11-10</small> #[[Giovanni Pagnini]] - <small>2021-11-10</small> #[[Rhazes]] - <small>2021-11-15</small> #[[Antonio Pace]] - <small>2021-11-19</small> #[[Joseph-François Marie]] - <small>2021-11-29</small> #[[Alessandro Marchetti (matematico)]] - <small>2021-12-01</small> #[[Giambattista Magistrini]] - <small>2021-12-01</small> #[[Agostino Maccari]] - <small>2021-12-10</small> #[[Antonio Ludeña]] - <small>2021-12-12</small> #[[Doroteo Alimari]] - <small>2022-01-13</small> #[[Alessandro Canobbio]] - <small>2022-01-13</small> #[[Camillo Leonardi]] - <small>2022-01-21</small> #[[Ascanio Centorio Degli Ortensi]] - <small>2022-01-28</small> #[[Domenico Griminelli]] - <small>2022-02-02</small> #[[Guglielmo Gargiolli]] - <small>2022-02-03</small> #[[Giovanni Battista Gallicciolli]] - <small>2022-02-04</small> #[[Guglielmo Grataroli]] - <small>2022-02-04</small> #[[Donato Calvi]] - <small>2022-02-04</small> #[[Flegomene]] - <small>2022-02-07</small> #[[Francesco Fuoco]] - <small>2022-02-19</small> #[[Francesco dal Sole]] - <small>2022-03-03</small> #[[Nicolao Colletti]] - <small>2022-03-12</small> #[[Cristoforo Clavio]] - <small>2022-03-17</small> #[[Jacques Peletier du Mans]] - <small>2022-03-17</small> #[[Pietro Apiano]] - <small>2022-03-18</small> #[[Francesco Cigalini]] - <small>2022-03-18</small> #[[Scipione Chiaramonti]] - <small>2022-03-23</small> #[[Antonio Brognoli]] - <small>2022-03-26</small> #[[Giuseppe Davia]] - <small>2022-03-30</small> #[[Francesco Vandelli (astronomo)]] - <small>2022-03-30</small> #[[Giuseppe Vergani]] - <small>2022-04-01</small> #[[Giovanni Camilla]] - <small>2022-04-04</small> #[[Pompeo Colonna (scrittore)]] - <small>2022-04-07</small> #[[Luigi Castiglioni (botanico)]] - <small>2022-04-07</small> #[[Guidobaldo Del Monte]] - <small>2022-04-08</small> #[[Federico Commandino]] - <small>2022-04-08</small> #[[Teone di Alessandria]] - <small>2022-04-09</small> #[[Francesco Maria II Della Rovere]] - <small>2022-04-11</small> #[[Pappo di Alessandria]] - <small>2022-04-12</small> #[[Sereno di Antinopoli]] - <small>2022-04-13</small> #[[Eutocio]] - <small>2022-04-13</small> #[[Alonso de Fuentes]] - <small>2022-04-15</small> #[[Francesco Zantedeschi]] - <small>2022-04-19</small> #[[Famiano Michelini]] - <small>2022-04-26</small> #[[Gregorio Bressani]] - <small>2022-05-02</small> #[[Francesco Eschinardi]] - <small>2022-05-13</small> #[[Andrea Zambelli (economista)]] - <small>2022-05-27</small> #[[Francesco Ginanni]] - <small>2022-07-25</small> #[[Elia Lombardini]] - <small>2022-08-22</small> #[[Leone Ebreo]] - <small>2022-11-18</small> #[[Jacopo Belgrado]] - <small>2022-12-29</small> #[[Jean-Baptiste Biot]] - <small>2022-12-29</small> #[[Vannoccio Biringuccio]] - <small>2022-12-29</small> #[[Luigi Valentino Brugnatelli]] - <small>2022-12-29</small> #[[Giovanni Nicolò Doglioni]] - <small>2022-12-29</small> #[[Paolo Silvio Boccone]] - <small>2022-12-30</small> #[[Bernardino Zendrini]] - <small>2023-01-10</small> #[[Eustachio Zanotti]] - <small>2023-01-10</small> #[[Leonardo Ximenes]] - <small>2023-01-10</small> #[[Jacques Charles François Sturm]] - <small>2023-01-10</small> #[[Sebastiano Serlio]] - <small>2023-01-10</small> #[[Lorenzo Selva]] - <small>2023-01-12</small> #[[Alexandre Savérien]] - <small>2023-01-12</small> #[[Girolamo Saladini]] - <small>2023-01-12</small> #[[Giovenale Sacchi]] - <small>2023-01-17</small> #[[Orazio Ricasoli Rucellai]] - <small>2023-01-18</small> #[[Guglielmo Libri Carucci dalla Sommaja]] - <small>2023-01-19</small> #[[John Claudius Loudon]] - <small>2023-01-19</small> #[[Antonio Dragoni]] - <small>2023-03-16</small> #[[Ugo Panziera]] - <small>2023-03-25</small> #[[Pacifico da Cerano]] - <small>2023-04-03</small> #[[Giuseppe Maria Figatelli]] - <small>2023-04-14</small> #[[Santo Brasca]] - <small>2023-06-19</small> #[[Pietro Martini]] - <small>2023-06-23</small> #[[Anselm Desing]] - <small>2023-06-26</small> #[[Gaspare Luigi Cassola]] - <small>2023-06-27</small> #[[Luigi Abello]] - <small>2023-07-03</small> #[[Giovanni Bracesco]] - <small>2023-07-06</small> #[[Domenico Michelessi]] - <small>2023-07-12</small> #[[Jabir ibn Hayyan]] - <small>2023-07-13</small> #[[Alessandro Capra]] - <small>2023-07-20</small> #[[Francesco Bruni (giurista medievale)]] - <small>2023-07-27</small> #[[Bartolomeo Dusi]] - <small>2023-08-01</small> #[[Giovanni Battista Venturi]] - <small>2023-09-14</small> #[[Vera Zamagni]] - <small>2023-10-01</small> #[[Isabella Moro]] - <small>2023-10-01</small> #[[Mary Boddington]] - <small>2023-10-07</small> #[[Paola Malanotte Rizzoli]] - <small>2023-10-10</small> #[[Giuseppe Unicorno]] - <small>2023-10-18</small> #[[Antonio Berga]] - <small>2023-11-06</small> #[[Gabriella Uluhogian]] - <small>2023-11-20</small> #[[Giovanni Paolo Gallucci]] - <small>2023-12-01</small> #[[Angelo Felice Capelli]] - <small>2023-12-05</small> #[[Giuseppe Del Papa]] - <small>2024-01-16</small> #[[Sébastien Leclerc]] - <small>2024-01-17</small> #[[Henry Dunning Macleod]] - <small>2024-01-23</small> #[[Niccolò Carletti]] - <small>2024-01-23</small> #[[Antonio Vassalli Eandi]] - <small>2024-01-23</small> #[[Ludovico degli Arrighi]] - <small>2024-01-24</small> #[[Giuseppe Asclepi]] - <small>2024-01-24</small> #[[Giuseppe Cassella]] - <small>2024-01-24</small> #[[Paolo Orsi]] - <small>2024-01-24</small> #[[Luigi Ferri (filosofo)]] - <small>2024-01-24</small> #[[Scipione Capece]] - <small>2024-02-06</small> #[[Cherubino da Spoleto]] - <small>2024-02-19</small> #[[Antonia Giannotti]] - <small>2024-02-26</small> #[[Antonio Abetti]] - <small>2024-02-27</small> #[[Giovan Battista Nani]] - <small>2024-02-28</small> #[[Nicolò di Nale]] - <small>2024-02-28</small> #[[Tolomeo I]] - <small>2024-03-04</small> #[[Erofilo]] - <small>2024-03-04</small> #[[Giuseppe Grippa]] - <small>2024-03-05</small> #[[Giovanni Battista Zanchi]] - <small>2024-03-06</small> #[[Cosimo de' Medici]] - <small>2024-03-18</small> #[[Piero il Gottoso]] - <small>2024-03-18</small> #[[Giovanni Drei]] - <small>2024-03-25</small> #[[Galasso Alghisi]] - <small>2024-03-29</small> #[[Domenico Cocoli]] - <small>2024-04-08</small> #[[Ercole Corazzi]] - <small>2024-04-15</small> #[[Carlo Lambardi]] - <small>2024-04-15</small> #[[Domenico Manzoni]] - <small>2024-04-18</small> #[[Giuseppe Maria Bonomi]] - <small>2024-04-30</small> #[[Benedetto Di Falco]] - <small>2024-05-30</small> #[[Giovanni Fantuzzi (storico)]] - <small>2024-06-03</small> #[[Antonio Lupicini]] - <small>2024-06-10</small> #[[Luigi Lilio]] - <small>2024-06-10</small> #[[Tommaso Maria Gabrini]] - <small>2024-06-13</small> #[[Bernardo Giambullari]] - <small>2024-06-18</small> #[[Gaetano Marzagaglia]] - <small>2024-06-19</small> #[[Giorgio Gemisto Pletone]] - <small>2024-06-24</small> #[[Elena Dragaš]] - <small>2024-06-24</small> #[[Giuseppe Gatti (archeologo)]] - <small>2024-07-30</small> #[[Luigi Melegari]] - <small>2024-08-01</small> #[[Girolamo Borro]] - <small>2024-08-27</small> #[[Luis Collado de Lebrija]] - <small>2024-09-02</small> #[[Francesco Paolo Bozzelli]] - <small>2024-09-04</small> #[[Raffaele Ala]] - <small>2024-09-09</small> #[[Francesco Barberino Benici]] - <small>2024-09-27</small> #[[Antonio Lepschy]] - <small>2024-10-01</small> #[[Guglielmo Cavallo]] - <small>2024-10-01</small> #[[Oddone Longo]] - <small>2024-10-02</small> #[[Giovanni Aldini]] - <small>2024-10-02</small> #[[Jacopo Riccati]] - <small>2024-10-09</small> #[[Giovanni Maria Della Torre]] - <small>2024-10-10</small> #[[Giovanni Brunetti]] - <small>2024-10-11</small> #[[Iacopo Cicognini]] - <small>2024-10-14</small> #[[Domenico Guglielmini]] - <small>2024-10-15</small> #[[Gaspare Capone]] - <small>2024-10-29</small> #[[Teofilo Bruni]] - <small>2024-10-29</small> #[[Gaetano Gaspare Uttini]] - <small>2024-10-29</small> #[[Angelo Pietra]] - <small>2024-11-11</small> #[[Giuseppe Ricca Salerno]] - <small>2024-11-13</small> #[[Giovanni Battista Mazzini]] - <small>2024-11-14</small> #[[Leopoldo Maggi]] - <small>2024-11-14</small> #[[Lorenzo Bellini]] - <small>2024-11-14</small> #[[Giovanni Battista De Toni]] - <small>2024-11-29</small> #[[Generoso Calenzio]] - <small>2024-12-03</small> #[[Girolamo Seripando]] - <small>2024-12-03</small> #[[Giacomo Venturoli]] - <small>2025-01-02</small> #[[Lodovico delle Colombe]] - <small>2025-01-03</small> #[[Cornelio Ghirardelli]] - <small>2025-01-07</small> #[[Pacifico Barilari]] - <small>2025-01-10</small> #[[Francesco Feliciano]] - <small>2025-01-10</small> #[[Angelo Salmoiraghi]] - <small>2025-01-14</small> #[[Ottaviano Fabrizio Mossotti]] - <small>2025-01-14</small> #[[Michele Araldi]] - <small>2025-01-14</small> #[[Cornelio Malvasia]] - <small>2025-01-21</small> #[[Paolo Beni (gesuita)]] - <small>2025-01-28</small> #[[Luca Danesi]] - <small>2025-01-28</small> #[[Onorio Longhi]] - <small>2025-01-28</small> #[[Antonio Cermisone]] - <small>2025-01-29</small> #[[Alessandro Papacino D'Antoni]] - <small>2025-02-13</small> #[[Angelo Querini]] - <small>2025-02-18</small> #[[Tommaso Temanza]] - <small>2025-02-18</small> #[[William Kingdon Clifford]] - <small>2025-02-25</small> #[[Girolamo Cortinovis]] - <small>2025-02-25</small> #[[William Watson (scienziato)]] - <small>2025-02-25</small> #[[Jean Antoine Nollet]] - <small>2025-02-26</small> #[[Jan Palfijn]] - <small>2025-02-26</small> #[[Michele de Jorio]] - <small>2025-03-11</small> #[[Cesare Cipolletti]] - <small>2025-03-12</small> #[[Giovanni Carmignani]] - <small>2025-03-12</small> #[[Saverio Mattei]] - <small>2025-03-12</small> #[[Salvatore Barzilai]] - <small>2025-03-12</small> #[[Francesco Baglietto]] - <small>2025-03-12</small> #[[Giovanni Ambrogio Bertrandi]] - <small>2025-03-13</small> #[[Ersilia Caetani Lovatelli]] - <small>2025-03-13</small> #[[Giuseppe Palmieri (economista)]] - <small>2025-03-18</small> #[[Marsilio Cagnati]] - <small>2025-03-21</small> #[[Enrico Cimbali]] - <small>2025-03-25</small> #[[Enea Arnaldi]] - <small>2025-03-26</small> #[[Ferdinando Arrivabene]] - <small>2025-03-26</small> #[[Andrea Balletti]] - <small>2025-03-26</small> #[[Filippo Cavolini]] - <small>2025-03-26</small> #[[Amedeo Avogadro]] - <small>2025-03-28</small> #[[Gabriele Rosa]] - <small>2025-04-08</small> #[[Umberto D'Ancona]] - <small>2025-04-10</small> #[[Carlo Fea]] - <small>2025-04-11</small> #[[Pietro Quaroni]] - <small>2025-04-29</small> #[[Apollinare Calderini]] - <small>2025-05-05</small> #[[Giovanni Simonetta]] - <small>2025-05-07</small> #[[Felice Barnabei]] - <small>2025-05-07</small> #[[Gabriele Busca]] - <small>2025-05-21</small> #[[Gaetano Emanuele Bava di San Paolo]] - <small>2025-05-21</small> #[[Giuseppe Avanzini]] - <small>2025-05-21</small> #[[Francesco Soave]] - <small>2025-05-21</small> #[[Simone Stratico]] - <small>2025-05-21</small> #[[Jacopo Durandi]] - <small>2025-05-21</small> #[[Giovanni Antonio Giobert]] - <small>2025-05-21</small> #[[Pietro Moscati]] - <small>2025-05-22</small> #[[Aldo Ferrabino]] - <small>2025-05-22</small> #[[Piero Giacosa]] - <small>2025-05-27</small> #[[Abramo Massalongo]] - <small>2025-05-27</small> #[[Benjamin Martin]] - <small>2025-06-03</small> #[[Johann Heinrich Lambert]] - <small>2025-06-03</small> #[[Nicolaus de Béguelin]] - <small>2025-06-03</small> #[[John Hunter]] - <small>2025-06-03</small> #[[Louis-Bernard Guyton-Morveau]] - <small>2025-06-03</small> #[[Johann Georg Sulzer]] - <small>2025-06-03</small> #[[Maurizio Roffredi]] - <small>2025-06-04</small> #[[Giovanni Pietro Maria Dana]] - <small>2025-06-04</small> #[[William Hewson]] - <small>2025-06-04</small> #[[Antoine Portal]] - <small>2025-06-04</small> #[[Giovanni Battista Palletta]] - <small>2025-06-04</small> #[[Vincenzo Malacarne]] - <small>2025-06-05</small> #[[Giovanni Andrea Dalla Croce]] - <small>2025-06-05</small> #[[Samuel-Auguste Tissot]] - <small>2025-06-05</small> #[[Conrad Gessner]] - <small>2025-06-05</small> #[[Willem 's Gravesande]] - <small>2025-06-05</small> #[[Gioacchino Pessuti]] - <small>2025-06-17</small> #[[Federigo Sclopis di Salerano]] - <small>2025-06-18</small> #[[Costanzo Gazzera]] - <small>2025-06-18</small> #[[Domenico Capellina]] - <small>2025-06-18</small> #[[Domenico Casimiro Promis]] - <small>2025-06-18</small> #[[Carlo Merkel]] - <small>2025-06-18</small> #[[Giacinto Carena]] - <small>2025-06-18</small> #[[Giovanni Claudio Fromond]] - <small>2025-07-01</small> #[[Serafino Ricci]] - <small>2025-07-01</small> #[[Alberto Ablondi]] - <small>2025-07-02</small> ===Tematiche=== #[[Moneta]] - <small>2021-08-18</small> #[[Proposizione (logica)]] - <small>2021-09-14</small> #[[Mercurio (astrologia)]] - <small>2021-09-23</small> #[[Pellicola per negativi]] - <small>2021-10-01</small> #[[Fotografo]] - <small>2021-10-04</small> #[[Palma]] - <small>2021-10-21</small> #[[Casuario]] - <small>2021-10-21</small> #[[Sferoide]] - <small>2021-10-28</small> #[[Teoria e pratica]] - <small>2021-10-28</small> #[[Scienza delle finanze]] - <small>2021-11-08</small> #[[Ragion di Stato]] - <small>2021-11-09</small> #[[Economia monetaria]] - <small>2021-11-10</small> #[[Numero perfetto]] - <small>2021-11-10</small> #[[Oggetto celeste]] - <small>2021-11-10</small> #[[Stelle fisse]] - <small>2021-11-15</small> #[[Sfericità della Terra]] - <small>2021-11-15</small> #[[Sfere celesti]] - <small>2021-11-15</small> #[[Seno di Abramo]] - <small>2021-12-10</small> #[[Regola del tre (matematica)]] - <small>2022-04-01</small> #[[Cosmografia]] - <small>2022-04-04</small> #[[Pineta di Ravenna]] - <small>2022-07-25</small> #[[Canale di Suez]] - <small>2022-08-22</small> #[[Ottica]] - <small>2023-01-16</small> #[[Simonia]] - <small>2023-05-02</small> #[[Eclettismo]] - <small>2023-05-02</small> #[[Maccabei]] - <small>2023-05-04</small> #[[Palla (sport)]] - <small>2023-05-12</small> #[[Solfeggio]] - <small>2023-08-02</small> #[[Tarantismo]] - <small>2023-08-08</small> #[[Tarantola]] - <small>2023-08-08</small> #[[Lenticchia d'acqua]] - <small>2023-10-01</small> #[[Lenticchia di palude]] - <small>2023-10-01</small> #[[Oceanografia]] - <small>2023-10-10</small> #[[Associazione (psicologia)]] - <small>2024-01-30</small> #[[Museo (Alessandria)]] - <small>2024-03-04</small> #[[Fortezza]] - <small>2024-03-08</small> #[[Animosità]] - <small>2024-03-13</small> #[[Traci]] - <small>2024-06-25</small> #[[Finanza pubblica]] - <small>2024-11-14</small> #[[Tufo]] - <small>2024-11-14</small> #[[Seghedino]] - <small>2025-01-10</small> #[[Nervo]] - <small>2025-02-28</small> #[[Valore (economia)]] - <small>2025-03-13</small> #[[Induzione elettrostatica]] - <small>2025-04-08</small> #[[Salmonide]] - <small>2025-04-11</small> #[[Basalto]] - <small>2025-04-23</small> #[[Pomice]] - <small>2025-04-24</small> #[[Feldspato]] - <small>2025-04-24</small> #[[Grotta del Cane]] - <small>2025-04-28</small> #[[Pisciarelli (area idrotermale)]] - <small>2025-04-28</small> #[[Zeolite]] - <small>2025-05-15</small> #[[Vulcano (vulcano)]] - <small>2025-06-12</small> #[[Vulcanello]] - <small>2025-06-12</small> #[[Isola di Panarea]] - <small>2025-06-12</small> #[[Isola di Basiluzzo]] - <small>2025-06-12</small> #[[Isola di Salina]] - <small>2025-06-17</small> #[[Isola di Stromboli]] - <small>2025-06-17</small> #[[Stromboli (vulcano)]] - <small>2025-06-17</small> #[[Canneto (Lipari)]] - <small>2025-06-19</small> #[[Teatro romano di Verona]] - <small>2025-07-01</small> ===Raccolte=== #[[So di non sapere]] - <small>2022-05-04</small> #[[Credi dalle poesie]] - <small>2022-09-13</small> #[[Voti dalle poesie]] - <small>2022-09-13</small> ===Opere=== #[[I viaggi di Mandeville]] - <small>2021-11-08</small> #[[Algurisimo]] - <small>2021-11-10</small> ===In altre lingue=== #[[:en:Paolo Monti]] - <small>2021-09-29</small> #[[:es:Paolo Monti]] - <small>2021-09-30</small> #[[:fr:Paolo Monti]] - <small>2021-09-30</small> #[[:la:Athanasius Kircherus]] - <small>2021-10-13</small> {{div col end}} h84qsdv66371u9h8sngchhve4zdsvb0 1382027 1382008 2025-07-02T10:21:23Z Marcella Medici (BEIC) 84396 1382027 wikitext text/x-wiki ==Voci create nell'ambito del progetto BEIC== {{vedi anche|w:Progetto:GLAM/BEIC}} Elenco delle voci create su Wikiquote nell'ambito del [[w:Progetto:GLAM/BEIC|progetto BEIC]], a partire da materiale messo a disposizione dalla [[w:Biblioteca europea di informazione e cultura|Fondazione BEIC]]. Totali: '''407 voci'''<!--, di cui 1 in inglese, 1 in spagnolo, 1 in francese e 1 in latino-->. {{div col}} ===Persone=== #[[Paolo Monti]] - <small>2014-09-30</small> #[[Giambattista Vasco]] - <small>2021-08-18</small> #[[Stefano da San Gregorio]] - <small>2021-08-29</small> #[[Christoph Scheiner]] - <small>2021-08-30</small> #[[Gian Rinaldo Carli]] - <small>2021-09-01</small> #[[Vittorio Saraceno]] - <small>2021-09-05</small> #[[Federico Sanvitale]] - <small>2021-09-06</small> #[[Antonio Sangiovanni]] - <small>2021-09-09</small> #[[Francesco Ricci (matematico)]] - <small>2021-09-11</small> #[[Charles-Joseph Mathon de la Cour]] - <small>2021-09-11</small> #[[Filippo Antonio Revelli]] - <small>2021-09-14</small> #[[Onofrio Puglisi]] - <small>2021-09-22</small> #[[Bartolomeo Pollastri]] - <small>2021-09-23</small> #[[Giovanni Battista Pisani]] - <small>2021-09-27</small> #[[Giovanni Giacomo Pierantoni]] - <small>2021-09-27</small> #[[Italo Zannier]] - <small>2021-09-29</small> #[[Auguste Marmont‎]] - <small>2021-10-11</small> #[[Giovanni Biagio Amico‎]] - <small>2021-10-11</small> #[[Stefano degli Angeli]] - <small>2021-10-12</small> #[[Benedetto degli Alessandri]] - <small>2021-10-14</small> #[[Angelo da Vallombrosa]] - <small>2021-10-14</small> #[[Domenico Benivieni]] - <small>2021-10-14</small> #[[Pietro di Fabrizio Accolti]] - <small>2021-10-15</small> #[[Antonio Adamucci]] - <small>2021-10-15</small> #[[Bernardino Baldi]] - <small>2021-10-15</small> #[[Cosimo Bartoli]] - <small>2021-10-15</small> #[[Giusto Bellavitis]] - <small>2021-10-15</small> #[[Silvio Belli]] - <small>2021-10-15</small> #[[Abū-Ṭālib Ḫān]] - <small>2021-10-15</small> #[[Antonio Maria Bordoni]] - <small>2021-10-18</small> #[[Francesco Saverio Brunetti]] - <small>2021-10-18</small> #[[Filippo Calandri]] - <small>2021-10-18</small> #[[Stanislao Canovai]] - <small>2021-10-18</small> #[[Sigismondo Alberghetti]] - <small>2021-10-18</small> #[[Giuseppe Antonio Alberti]] - <small>2021-10-18</small> #[[Giuseppe Averani]] - <small>2021-10-18</small> #[[Giovanni Maria Bonardo]] - <small>2021-10-18</small> #[[Lorenzo Camerano]] - <small>2021-10-19</small> #[[Giuseppe Campani]] - <small>2021-10-19</small> #[[Domenico Martinelli]] - <small>2021-10-20</small> #[[Luigi Ferdinando Marsili]] - <small>2021-10-20</small> #[[Angelo Marchetti]] - <small>2021-10-20</small> #[[Carlo Antonio Manzini]] - <small>2021-10-20</small> #[[Antonio Maria Lorgna]] - <small>2021-10-20</small> #[[Bernardo Pulci]] - <small>2021-10-21</small> #[[Gustavo Bucchia]] - <small>2021-10-22</small> #[[Serafino Calindri]] - <small>2021-10-22</small> #[[Roberto Valturio]] - <small>2021-10-22</small> #[[Niccolò da Osimo]] - <small>2021-10-22</small> #[[Alberto Pappiani]] - <small>2021-10-25</small> #[[Raimondo da Capua]] - <small>2021-10-25</small> #[[Giordano Ruffo]] - <small>2021-10-25</small> #[[Panfilo Sasso]] - <small>2021-10-25</small> #[[Schiavo di Bari]] - <small>2021-10-25</small> #[[Serafino de' Cimminelli]] - <small>2021-10-25</small> #[[Giorgio Summaripa]] - 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<small>2024-01-16</small> #[[Sébastien Leclerc]] - <small>2024-01-17</small> #[[Henry Dunning Macleod]] - <small>2024-01-23</small> #[[Niccolò Carletti]] - <small>2024-01-23</small> #[[Antonio Vassalli Eandi]] - <small>2024-01-23</small> #[[Ludovico degli Arrighi]] - <small>2024-01-24</small> #[[Giuseppe Asclepi]] - <small>2024-01-24</small> #[[Giuseppe Cassella]] - <small>2024-01-24</small> #[[Paolo Orsi]] - <small>2024-01-24</small> #[[Luigi Ferri (filosofo)]] - <small>2024-01-24</small> #[[Scipione Capece]] - <small>2024-02-06</small> #[[Cherubino da Spoleto]] - <small>2024-02-19</small> #[[Antonia Giannotti]] - <small>2024-02-26</small> #[[Antonio Abetti]] - <small>2024-02-27</small> #[[Giovan Battista Nani]] - <small>2024-02-28</small> #[[Nicolò di Nale]] - <small>2024-02-28</small> #[[Tolomeo I]] - <small>2024-03-04</small> #[[Erofilo]] - <small>2024-03-04</small> #[[Giuseppe Grippa]] - <small>2024-03-05</small> #[[Giovanni Battista Zanchi]] - <small>2024-03-06</small> #[[Cosimo de' Medici]] - <small>2024-03-18</small> #[[Piero il Gottoso]] - <small>2024-03-18</small> #[[Giovanni Drei]] - <small>2024-03-25</small> #[[Galasso Alghisi]] - <small>2024-03-29</small> #[[Domenico Cocoli]] - <small>2024-04-08</small> #[[Ercole Corazzi]] - <small>2024-04-15</small> #[[Carlo Lambardi]] - <small>2024-04-15</small> #[[Domenico Manzoni]] - <small>2024-04-18</small> #[[Giuseppe Maria Bonomi]] - <small>2024-04-30</small> #[[Benedetto Di Falco]] - <small>2024-05-30</small> #[[Giovanni Fantuzzi (storico)]] - <small>2024-06-03</small> #[[Antonio Lupicini]] - <small>2024-06-10</small> #[[Luigi Lilio]] - <small>2024-06-10</small> #[[Tommaso Maria Gabrini]] - <small>2024-06-13</small> #[[Bernardo Giambullari]] - <small>2024-06-18</small> #[[Gaetano Marzagaglia]] - <small>2024-06-19</small> #[[Giorgio Gemisto Pletone]] - <small>2024-06-24</small> #[[Elena Dragaš]] - <small>2024-06-24</small> #[[Giuseppe Gatti (archeologo)]] - <small>2024-07-30</small> #[[Luigi Melegari]] - <small>2024-08-01</small> #[[Girolamo Borro]] - <small>2024-08-27</small> #[[Luis Collado de Lebrija]] - <small>2024-09-02</small> #[[Francesco Paolo Bozzelli]] - <small>2024-09-04</small> #[[Raffaele Ala]] - <small>2024-09-09</small> #[[Francesco Barberino Benici]] - <small>2024-09-27</small> #[[Antonio Lepschy]] - <small>2024-10-01</small> #[[Guglielmo Cavallo]] - <small>2024-10-01</small> #[[Oddone Longo]] - <small>2024-10-02</small> #[[Giovanni Aldini]] - <small>2024-10-02</small> #[[Jacopo Riccati]] - <small>2024-10-09</small> #[[Giovanni Maria Della Torre]] - <small>2024-10-10</small> #[[Giovanni Brunetti]] - <small>2024-10-11</small> #[[Iacopo Cicognini]] - <small>2024-10-14</small> #[[Domenico Guglielmini]] - <small>2024-10-15</small> #[[Gaspare Capone]] - <small>2024-10-29</small> #[[Teofilo Bruni]] - <small>2024-10-29</small> #[[Gaetano Gaspare Uttini]] - <small>2024-10-29</small> #[[Angelo Pietra]] - <small>2024-11-11</small> #[[Giuseppe Ricca Salerno]] - <small>2024-11-13</small> #[[Giovanni Battista Mazzini]] - <small>2024-11-14</small> #[[Leopoldo Maggi]] - <small>2024-11-14</small> #[[Lorenzo Bellini]] - <small>2024-11-14</small> #[[Giovanni Battista De Toni]] - <small>2024-11-29</small> #[[Generoso Calenzio]] - <small>2024-12-03</small> #[[Girolamo Seripando]] - <small>2024-12-03</small> #[[Giacomo Venturoli]] - <small>2025-01-02</small> #[[Lodovico delle Colombe]] - <small>2025-01-03</small> #[[Cornelio Ghirardelli]] - <small>2025-01-07</small> #[[Pacifico Barilari]] - <small>2025-01-10</small> #[[Francesco Feliciano]] - <small>2025-01-10</small> #[[Angelo Salmoiraghi]] - <small>2025-01-14</small> #[[Ottaviano Fabrizio Mossotti]] - <small>2025-01-14</small> #[[Michele Araldi]] - <small>2025-01-14</small> #[[Cornelio Malvasia]] - <small>2025-01-21</small> #[[Paolo Beni (gesuita)]] - <small>2025-01-28</small> #[[Luca Danesi]] - <small>2025-01-28</small> #[[Onorio Longhi]] - <small>2025-01-28</small> #[[Antonio Cermisone]] - <small>2025-01-29</small> #[[Alessandro Papacino D'Antoni]] - <small>2025-02-13</small> #[[Angelo Querini]] - <small>2025-02-18</small> #[[Tommaso Temanza]] - <small>2025-02-18</small> #[[William Kingdon Clifford]] - <small>2025-02-25</small> #[[Girolamo Cortinovis]] - <small>2025-02-25</small> #[[William Watson (scienziato)]] - <small>2025-02-25</small> #[[Jean Antoine Nollet]] - <small>2025-02-26</small> #[[Jan Palfijn]] - <small>2025-02-26</small> #[[Michele de Jorio]] - <small>2025-03-11</small> #[[Cesare Cipolletti]] - <small>2025-03-12</small> #[[Giovanni Carmignani]] - <small>2025-03-12</small> #[[Saverio Mattei]] - <small>2025-03-12</small> #[[Salvatore Barzilai]] - <small>2025-03-12</small> #[[Francesco Baglietto]] - <small>2025-03-12</small> #[[Giovanni Ambrogio Bertrandi]] - <small>2025-03-13</small> #[[Ersilia Caetani Lovatelli]] - <small>2025-03-13</small> #[[Giuseppe Palmieri (economista)]] - <small>2025-03-18</small> #[[Marsilio Cagnati]] - <small>2025-03-21</small> #[[Enrico Cimbali]] - <small>2025-03-25</small> #[[Enea Arnaldi]] - <small>2025-03-26</small> #[[Ferdinando Arrivabene]] - <small>2025-03-26</small> #[[Andrea Balletti]] - <small>2025-03-26</small> #[[Filippo Cavolini]] - <small>2025-03-26</small> #[[Amedeo Avogadro]] - <small>2025-03-28</small> #[[Gabriele Rosa]] - <small>2025-04-08</small> #[[Umberto D'Ancona]] - <small>2025-04-10</small> #[[Carlo Fea]] - <small>2025-04-11</small> #[[Pietro Quaroni]] - <small>2025-04-29</small> #[[Apollinare Calderini]] - <small>2025-05-05</small> #[[Giovanni Simonetta]] - <small>2025-05-07</small> #[[Felice Barnabei]] - <small>2025-05-07</small> #[[Gabriele Busca]] - <small>2025-05-21</small> #[[Gaetano Emanuele Bava di San Paolo]] - <small>2025-05-21</small> #[[Giuseppe Avanzini]] - <small>2025-05-21</small> #[[Francesco Soave]] - <small>2025-05-21</small> #[[Simone Stratico]] - <small>2025-05-21</small> #[[Jacopo Durandi]] - <small>2025-05-21</small> #[[Giovanni Antonio Giobert]] - <small>2025-05-21</small> #[[Pietro Moscati]] - <small>2025-05-22</small> #[[Aldo Ferrabino]] - <small>2025-05-22</small> #[[Piero Giacosa]] - <small>2025-05-27</small> #[[Abramo Massalongo]] - <small>2025-05-27</small> #[[Benjamin Martin]] - <small>2025-06-03</small> #[[Johann Heinrich Lambert]] - <small>2025-06-03</small> #[[Nicolaus de Béguelin]] - <small>2025-06-03</small> #[[John Hunter]] - <small>2025-06-03</small> #[[Louis-Bernard Guyton-Morveau]] - <small>2025-06-03</small> #[[Johann Georg Sulzer]] - <small>2025-06-03</small> #[[Maurizio Roffredi]] - <small>2025-06-04</small> #[[Giovanni Pietro Maria Dana]] - <small>2025-06-04</small> #[[William Hewson]] - <small>2025-06-04</small> #[[Antoine Portal]] - <small>2025-06-04</small> #[[Giovanni Battista Palletta]] - <small>2025-06-04</small> #[[Vincenzo Malacarne]] - <small>2025-06-05</small> #[[Giovanni Andrea Dalla Croce]] - <small>2025-06-05</small> #[[Samuel-Auguste Tissot]] - <small>2025-06-05</small> #[[Conrad Gessner]] - <small>2025-06-05</small> #[[Willem 's Gravesande]] - <small>2025-06-05</small> #[[Gioacchino Pessuti]] - <small>2025-06-17</small> #[[Federigo Sclopis di Salerano]] - <small>2025-06-18</small> #[[Costanzo Gazzera]] - <small>2025-06-18</small> #[[Domenico Capellina]] - <small>2025-06-18</small> #[[Domenico Casimiro Promis]] - <small>2025-06-18</small> #[[Carlo Merkel]] - <small>2025-06-18</small> #[[Giacinto Carena]] - <small>2025-06-18</small> #[[Giovanni Claudio Fromond]] - <small>2025-07-01</small> #[[Serafino Ricci]] - <small>2025-07-01</small> #[[Alberto Ablondi]] - <small>2025-07-02</small> #[[Mario Morcone]] - <small>2025-07-02</small> ===Tematiche=== #[[Moneta]] - <small>2021-08-18</small> #[[Proposizione (logica)]] - <small>2021-09-14</small> #[[Mercurio (astrologia)]] - <small>2021-09-23</small> #[[Pellicola per negativi]] - <small>2021-10-01</small> #[[Fotografo]] - <small>2021-10-04</small> #[[Palma]] - <small>2021-10-21</small> #[[Casuario]] - <small>2021-10-21</small> #[[Sferoide]] - <small>2021-10-28</small> #[[Teoria e pratica]] - <small>2021-10-28</small> #[[Scienza delle finanze]] - <small>2021-11-08</small> #[[Ragion di Stato]] - <small>2021-11-09</small> #[[Economia monetaria]] - <small>2021-11-10</small> #[[Numero perfetto]] - <small>2021-11-10</small> #[[Oggetto celeste]] - <small>2021-11-10</small> #[[Stelle fisse]] - <small>2021-11-15</small> #[[Sfericità della Terra]] - <small>2021-11-15</small> #[[Sfere celesti]] - <small>2021-11-15</small> #[[Seno di Abramo]] - <small>2021-12-10</small> #[[Regola del tre (matematica)]] - <small>2022-04-01</small> #[[Cosmografia]] - <small>2022-04-04</small> #[[Pineta di Ravenna]] - <small>2022-07-25</small> #[[Canale di Suez]] - <small>2022-08-22</small> #[[Ottica]] - <small>2023-01-16</small> #[[Simonia]] - <small>2023-05-02</small> #[[Eclettismo]] - <small>2023-05-02</small> #[[Maccabei]] - <small>2023-05-04</small> #[[Palla (sport)]] - <small>2023-05-12</small> #[[Solfeggio]] - <small>2023-08-02</small> #[[Tarantismo]] - <small>2023-08-08</small> #[[Tarantola]] - <small>2023-08-08</small> #[[Lenticchia d'acqua]] - <small>2023-10-01</small> #[[Lenticchia di palude]] - <small>2023-10-01</small> #[[Oceanografia]] - <small>2023-10-10</small> #[[Associazione (psicologia)]] - <small>2024-01-30</small> #[[Museo (Alessandria)]] - <small>2024-03-04</small> #[[Fortezza]] - <small>2024-03-08</small> #[[Animosità]] - <small>2024-03-13</small> #[[Traci]] - <small>2024-06-25</small> #[[Finanza pubblica]] - <small>2024-11-14</small> #[[Tufo]] - <small>2024-11-14</small> #[[Seghedino]] - <small>2025-01-10</small> #[[Nervo]] - <small>2025-02-28</small> #[[Valore (economia)]] - <small>2025-03-13</small> #[[Induzione elettrostatica]] - <small>2025-04-08</small> #[[Salmonide]] - <small>2025-04-11</small> #[[Basalto]] - <small>2025-04-23</small> #[[Pomice]] - <small>2025-04-24</small> #[[Feldspato]] - <small>2025-04-24</small> #[[Grotta del Cane]] - <small>2025-04-28</small> #[[Pisciarelli (area idrotermale)]] - <small>2025-04-28</small> #[[Zeolite]] - <small>2025-05-15</small> #[[Vulcano (vulcano)]] - <small>2025-06-12</small> #[[Vulcanello]] - <small>2025-06-12</small> #[[Isola di Panarea]] - <small>2025-06-12</small> #[[Isola di Basiluzzo]] - <small>2025-06-12</small> #[[Isola di Salina]] - <small>2025-06-17</small> #[[Isola di Stromboli]] - <small>2025-06-17</small> #[[Stromboli (vulcano)]] - <small>2025-06-17</small> #[[Canneto (Lipari)]] - <small>2025-06-19</small> #[[Teatro romano di Verona]] - <small>2025-07-01</small> ===Raccolte=== #[[So di non sapere]] - <small>2022-05-04</small> #[[Credi dalle poesie]] - <small>2022-09-13</small> #[[Voti dalle poesie]] - <small>2022-09-13</small> ===Opere=== #[[I viaggi di Mandeville]] - <small>2021-11-08</small> #[[Algurisimo]] - <small>2021-11-10</small> ===In altre lingue=== #[[:en:Paolo Monti]] - <small>2021-09-29</small> #[[:es:Paolo Monti]] - <small>2021-09-30</small> #[[:fr:Paolo Monti]] - <small>2021-09-30</small> #[[:la:Athanasius Kircherus]] - <small>2021-10-13</small> {{div col end}} iqa85j2g3hdjremndhs4pgc81u9c8hv 1382030 1382027 2025-07-02T10:39:07Z Marcella Medici (BEIC) 84396 1382030 wikitext text/x-wiki ==Voci create nell'ambito del progetto BEIC== {{vedi anche|w:Progetto:GLAM/BEIC}} Elenco delle voci create su Wikiquote nell'ambito del [[w:Progetto:GLAM/BEIC|progetto BEIC]], a partire da materiale messo a disposizione dalla [[w:Biblioteca europea di informazione e cultura|Fondazione BEIC]]. Totali: '''408 voci'''<!--, di cui 1 in inglese, 1 in spagnolo, 1 in francese e 1 in latino-->. {{div col}} ===Persone=== #[[Paolo Monti]] - <small>2014-09-30</small> #[[Giambattista Vasco]] - <small>2021-08-18</small> #[[Stefano da San Gregorio]] - <small>2021-08-29</small> #[[Christoph Scheiner]] - <small>2021-08-30</small> #[[Gian Rinaldo Carli]] - <small>2021-09-01</small> #[[Vittorio Saraceno]] - <small>2021-09-05</small> #[[Federico Sanvitale]] - <small>2021-09-06</small> #[[Antonio Sangiovanni]] - <small>2021-09-09</small> #[[Francesco Ricci (matematico)]] - <small>2021-09-11</small> #[[Charles-Joseph Mathon de la Cour]] - <small>2021-09-11</small> #[[Filippo Antonio Revelli]] - <small>2021-09-14</small> #[[Onofrio Puglisi]] - <small>2021-09-22</small> #[[Bartolomeo Pollastri]] - <small>2021-09-23</small> #[[Giovanni Battista Pisani]] - <small>2021-09-27</small> #[[Giovanni Giacomo Pierantoni]] - <small>2021-09-27</small> #[[Italo Zannier]] - <small>2021-09-29</small> #[[Auguste Marmont‎]] - <small>2021-10-11</small> #[[Giovanni Biagio Amico‎]] - <small>2021-10-11</small> #[[Stefano degli Angeli]] - <small>2021-10-12</small> #[[Benedetto degli Alessandri]] - <small>2021-10-14</small> #[[Angelo da Vallombrosa]] - <small>2021-10-14</small> #[[Domenico Benivieni]] - <small>2021-10-14</small> #[[Pietro di Fabrizio Accolti]] - <small>2021-10-15</small> #[[Antonio Adamucci]] - <small>2021-10-15</small> #[[Bernardino Baldi]] - <small>2021-10-15</small> #[[Cosimo Bartoli]] - <small>2021-10-15</small> #[[Giusto Bellavitis]] - <small>2021-10-15</small> #[[Silvio Belli]] - <small>2021-10-15</small> #[[Abū-Ṭālib Ḫān]] - <small>2021-10-15</small> #[[Antonio Maria Bordoni]] - <small>2021-10-18</small> #[[Francesco Saverio Brunetti]] - <small>2021-10-18</small> #[[Filippo Calandri]] - <small>2021-10-18</small> #[[Stanislao Canovai]] - <small>2021-10-18</small> #[[Sigismondo Alberghetti]] - <small>2021-10-18</small> #[[Giuseppe Antonio Alberti]] - <small>2021-10-18</small> #[[Giuseppe Averani]] - <small>2021-10-18</small> #[[Giovanni Maria Bonardo]] - <small>2021-10-18</small> #[[Lorenzo Camerano]] - <small>2021-10-19</small> #[[Giuseppe Campani]] - <small>2021-10-19</small> #[[Domenico Martinelli]] - <small>2021-10-20</small> #[[Luigi Ferdinando Marsili]] - <small>2021-10-20</small> #[[Angelo Marchetti]] - <small>2021-10-20</small> #[[Carlo Antonio Manzini]] - <small>2021-10-20</small> #[[Antonio Maria Lorgna]] - <small>2021-10-20</small> #[[Bernardo Pulci]] - <small>2021-10-21</small> #[[Gustavo Bucchia]] - <small>2021-10-22</small> #[[Serafino Calindri]] - <small>2021-10-22</small> #[[Roberto Valturio]] - <small>2021-10-22</small> #[[Niccolò da Osimo]] - <small>2021-10-22</small> #[[Alberto Pappiani]] - <small>2021-10-25</small> #[[Raimondo da Capua]] - <small>2021-10-25</small> #[[Giordano Ruffo]] - <small>2021-10-25</small> #[[Panfilo Sasso]] - <small>2021-10-25</small> #[[Schiavo di Bari]] - <small>2021-10-25</small> #[[Serafino de' Cimminelli]] - <small>2021-10-25</small> #[[Giorgio Summaripa]] - <small>2021-10-25</small> #[[Girolamo Manfredi]] - <small>2021-10-25</small> #[[Gabriele Capodilista]] - <small>2021-10-25</small> #[[Lorenzo Spirito Gualtieri]] - <small>2021-10-26</small> #[[Guglielmo da Saliceto]] - <small>2021-10-26</small> #[[Jacopo da Cessole]] - <small>2021-10-26</small> #[[Antonio Matani]] - <small>2021-10-26</small> #[[Carlo Matteucci]] - <small>2021-10-26</small> #[[Pedro de Medina]] - <small>2021-10-26</small> #[[Friedrich Accum]] - <small>2021-10-27</small> #[[George Biddell Airy]] - <small>2021-10-27</small> #[[Joachim d'Alencé]] - <small>2021-10-27</small> #[[Carlo Amoretti]] - <small>2021-10-27</small> #[[Giovanni Antonelli (astronomo)]] - <small>2021-10-27</small> #[[Torbern Olof Bergman]] - <small>2021-10-27</small> #[[Belsazar Hacquet]] - <small>2021-10-27</small> #[[George Atwood]] - <small>2021-10-27</small> #[[Friederich Münter]] - <small>2021-10-27</small> #[[Franz Schott]] - <small>2021-10-28</small> #[[Lazzaro Spallanzani]] - <small>2021-10-28</small> #[[Isaac Abrabanel]] - <small>2021-10-28</small> #[[Giason Denores]] - <small>2021-10-29</small> #[[Juan de Jarava]] - <small>2021-10-29</small> #[[Alessandro Pascoli]] - <small>2021-10-29</small> #[[Euforbo]] - <small>2021-11-02</small> #[[Zaccaria Scolastico]] - <small>2021-11-02</small> #[[Battista Fregoso (1450-1505)]] - <small>2021-11-02</small> #[[Ugo Benci]] - <small>2021-11-04</small> #[[Jacopo Filippo Foresti]] - <small>2021-11-04</small> #[[Feo Belcari]] - <small>2021-11-08</small> #[[Pompeo Baldasseroni]] - <small>2021-11-08</small> #[[Sallustio Bandini]] - <small>2021-11-08</small> #[[Lodovico Bianchini]] - <small>2021-11-09</small> #[[Vladislav Iosifovič Bortkevič]] - <small>2021-11-09</small> #[[Richard Cantillon]] - <small>2021-11-09</small> #[[John Bates Clark]] - <small>2021-11-09</small> #[[Salvatore Cognetti de Martiis]] - <small>2021-11-09</small> #[[Girolamo Francesco Cristiani]] - <small>2021-11-10</small> #[[Alfons Dopsch]] - <small>2021-11-10</small> #[[Ruggero Giuseppe Boscovich]] - <small>2021-11-10</small> #[[Pietro Antonio Cataldi]] - <small>2021-11-10</small> #[[Ambrogio Contarini]] - <small>2021-11-10</small> #[[Giovanni Tavelli]] - <small>2021-11-10</small> #[[Giovanni Colombini]] - <small>2021-11-10</small> #[[Giovanni Pagnini]] - <small>2021-11-10</small> #[[Rhazes]] - <small>2021-11-15</small> #[[Antonio Pace]] - <small>2021-11-19</small> #[[Joseph-François Marie]] - <small>2021-11-29</small> #[[Alessandro Marchetti (matematico)]] - <small>2021-12-01</small> #[[Giambattista Magistrini]] - <small>2021-12-01</small> #[[Agostino Maccari]] - <small>2021-12-10</small> #[[Antonio Ludeña]] - <small>2021-12-12</small> #[[Doroteo Alimari]] - <small>2022-01-13</small> #[[Alessandro Canobbio]] - <small>2022-01-13</small> #[[Camillo Leonardi]] - <small>2022-01-21</small> #[[Ascanio Centorio Degli Ortensi]] - <small>2022-01-28</small> #[[Domenico Griminelli]] - <small>2022-02-02</small> #[[Guglielmo Gargiolli]] - <small>2022-02-03</small> #[[Giovanni Battista Gallicciolli]] - <small>2022-02-04</small> #[[Guglielmo Grataroli]] - <small>2022-02-04</small> #[[Donato Calvi]] - <small>2022-02-04</small> #[[Flegomene]] - <small>2022-02-07</small> #[[Francesco Fuoco]] - <small>2022-02-19</small> #[[Francesco dal Sole]] - <small>2022-03-03</small> #[[Nicolao Colletti]] - <small>2022-03-12</small> #[[Cristoforo Clavio]] - <small>2022-03-17</small> #[[Jacques Peletier du Mans]] - <small>2022-03-17</small> #[[Pietro Apiano]] - <small>2022-03-18</small> #[[Francesco Cigalini]] - <small>2022-03-18</small> #[[Scipione Chiaramonti]] - <small>2022-03-23</small> #[[Antonio Brognoli]] - <small>2022-03-26</small> #[[Giuseppe Davia]] - <small>2022-03-30</small> #[[Francesco Vandelli (astronomo)]] - <small>2022-03-30</small> #[[Giuseppe Vergani]] - <small>2022-04-01</small> #[[Giovanni Camilla]] - <small>2022-04-04</small> #[[Pompeo Colonna (scrittore)]] - <small>2022-04-07</small> #[[Luigi Castiglioni (botanico)]] - <small>2022-04-07</small> #[[Guidobaldo Del Monte]] - <small>2022-04-08</small> #[[Federico Commandino]] - <small>2022-04-08</small> #[[Teone di Alessandria]] - <small>2022-04-09</small> #[[Francesco Maria II Della Rovere]] - <small>2022-04-11</small> #[[Pappo di Alessandria]] - <small>2022-04-12</small> #[[Sereno di Antinopoli]] - <small>2022-04-13</small> #[[Eutocio]] - <small>2022-04-13</small> #[[Alonso de Fuentes]] - <small>2022-04-15</small> #[[Francesco Zantedeschi]] - <small>2022-04-19</small> #[[Famiano Michelini]] - <small>2022-04-26</small> #[[Gregorio Bressani]] - <small>2022-05-02</small> #[[Francesco Eschinardi]] - <small>2022-05-13</small> #[[Andrea Zambelli (economista)]] - <small>2022-05-27</small> #[[Francesco Ginanni]] - <small>2022-07-25</small> #[[Elia Lombardini]] - <small>2022-08-22</small> #[[Leone Ebreo]] - <small>2022-11-18</small> #[[Jacopo Belgrado]] - <small>2022-12-29</small> #[[Jean-Baptiste Biot]] - <small>2022-12-29</small> #[[Vannoccio Biringuccio]] - <small>2022-12-29</small> #[[Luigi Valentino Brugnatelli]] - <small>2022-12-29</small> #[[Giovanni Nicolò Doglioni]] - <small>2022-12-29</small> #[[Paolo Silvio Boccone]] - <small>2022-12-30</small> #[[Bernardino Zendrini]] - <small>2023-01-10</small> #[[Eustachio Zanotti]] - <small>2023-01-10</small> #[[Leonardo Ximenes]] - <small>2023-01-10</small> #[[Jacques Charles François Sturm]] - <small>2023-01-10</small> #[[Sebastiano Serlio]] - <small>2023-01-10</small> #[[Lorenzo Selva]] - <small>2023-01-12</small> #[[Alexandre Savérien]] - <small>2023-01-12</small> #[[Girolamo Saladini]] - <small>2023-01-12</small> #[[Giovenale Sacchi]] - <small>2023-01-17</small> #[[Orazio Ricasoli Rucellai]] - <small>2023-01-18</small> #[[Guglielmo Libri Carucci dalla Sommaja]] - <small>2023-01-19</small> #[[John Claudius Loudon]] - <small>2023-01-19</small> #[[Antonio Dragoni]] - <small>2023-03-16</small> #[[Ugo Panziera]] - <small>2023-03-25</small> #[[Pacifico da Cerano]] - <small>2023-04-03</small> #[[Giuseppe Maria Figatelli]] - <small>2023-04-14</small> #[[Santo Brasca]] - <small>2023-06-19</small> #[[Pietro Martini]] - <small>2023-06-23</small> #[[Anselm Desing]] - <small>2023-06-26</small> #[[Gaspare Luigi Cassola]] - <small>2023-06-27</small> #[[Luigi Abello]] - <small>2023-07-03</small> #[[Giovanni Bracesco]] - <small>2023-07-06</small> #[[Domenico Michelessi]] - <small>2023-07-12</small> #[[Jabir ibn Hayyan]] - <small>2023-07-13</small> #[[Alessandro Capra]] - <small>2023-07-20</small> #[[Francesco Bruni (giurista medievale)]] - <small>2023-07-27</small> #[[Bartolomeo Dusi]] - <small>2023-08-01</small> #[[Giovanni Battista Venturi]] - <small>2023-09-14</small> #[[Vera Zamagni]] - <small>2023-10-01</small> #[[Isabella Moro]] - <small>2023-10-01</small> #[[Mary Boddington]] - <small>2023-10-07</small> #[[Paola Malanotte Rizzoli]] - <small>2023-10-10</small> #[[Giuseppe Unicorno]] - <small>2023-10-18</small> #[[Antonio Berga]] - <small>2023-11-06</small> #[[Gabriella Uluhogian]] - <small>2023-11-20</small> #[[Giovanni Paolo Gallucci]] - <small>2023-12-01</small> #[[Angelo Felice Capelli]] - <small>2023-12-05</small> #[[Giuseppe Del Papa]] - <small>2024-01-16</small> #[[Sébastien Leclerc]] - <small>2024-01-17</small> #[[Henry Dunning Macleod]] - <small>2024-01-23</small> #[[Niccolò Carletti]] - <small>2024-01-23</small> #[[Antonio Vassalli Eandi]] - <small>2024-01-23</small> #[[Ludovico degli Arrighi]] - <small>2024-01-24</small> #[[Giuseppe Asclepi]] - <small>2024-01-24</small> #[[Giuseppe Cassella]] - <small>2024-01-24</small> #[[Paolo Orsi]] - <small>2024-01-24</small> #[[Luigi Ferri (filosofo)]] - <small>2024-01-24</small> #[[Scipione Capece]] - <small>2024-02-06</small> #[[Cherubino da Spoleto]] - <small>2024-02-19</small> #[[Antonia Giannotti]] - <small>2024-02-26</small> #[[Antonio Abetti]] - <small>2024-02-27</small> #[[Giovan Battista Nani]] - <small>2024-02-28</small> #[[Nicolò di Nale]] - <small>2024-02-28</small> #[[Tolomeo I]] - <small>2024-03-04</small> #[[Erofilo]] - <small>2024-03-04</small> #[[Giuseppe Grippa]] - <small>2024-03-05</small> #[[Giovanni Battista Zanchi]] - <small>2024-03-06</small> #[[Cosimo de' Medici]] - <small>2024-03-18</small> #[[Piero il Gottoso]] - <small>2024-03-18</small> #[[Giovanni Drei]] - <small>2024-03-25</small> #[[Galasso Alghisi]] - <small>2024-03-29</small> #[[Domenico Cocoli]] - <small>2024-04-08</small> #[[Ercole Corazzi]] - <small>2024-04-15</small> #[[Carlo Lambardi]] - <small>2024-04-15</small> #[[Domenico Manzoni]] - <small>2024-04-18</small> #[[Giuseppe Maria Bonomi]] - <small>2024-04-30</small> #[[Benedetto Di Falco]] - <small>2024-05-30</small> #[[Giovanni Fantuzzi (storico)]] - <small>2024-06-03</small> #[[Antonio Lupicini]] - <small>2024-06-10</small> #[[Luigi Lilio]] - <small>2024-06-10</small> #[[Tommaso Maria Gabrini]] - <small>2024-06-13</small> #[[Bernardo Giambullari]] - <small>2024-06-18</small> #[[Gaetano Marzagaglia]] - <small>2024-06-19</small> #[[Giorgio Gemisto Pletone]] - <small>2024-06-24</small> #[[Elena Dragaš]] - <small>2024-06-24</small> #[[Giuseppe Gatti (archeologo)]] - <small>2024-07-30</small> #[[Luigi Melegari]] - <small>2024-08-01</small> #[[Girolamo Borro]] - <small>2024-08-27</small> #[[Luis Collado de Lebrija]] - <small>2024-09-02</small> #[[Francesco Paolo Bozzelli]] - <small>2024-09-04</small> #[[Raffaele Ala]] - <small>2024-09-09</small> #[[Francesco Barberino Benici]] - <small>2024-09-27</small> #[[Antonio Lepschy]] - <small>2024-10-01</small> #[[Guglielmo Cavallo]] - <small>2024-10-01</small> #[[Oddone Longo]] - <small>2024-10-02</small> #[[Giovanni Aldini]] - <small>2024-10-02</small> #[[Jacopo Riccati]] - <small>2024-10-09</small> #[[Giovanni Maria Della Torre]] - <small>2024-10-10</small> #[[Giovanni Brunetti]] - <small>2024-10-11</small> #[[Iacopo Cicognini]] - <small>2024-10-14</small> #[[Domenico Guglielmini]] - <small>2024-10-15</small> #[[Gaspare Capone]] - <small>2024-10-29</small> #[[Teofilo Bruni]] - <small>2024-10-29</small> #[[Gaetano Gaspare Uttini]] - <small>2024-10-29</small> #[[Angelo Pietra]] - <small>2024-11-11</small> #[[Giuseppe Ricca Salerno]] - <small>2024-11-13</small> #[[Giovanni Battista Mazzini]] - <small>2024-11-14</small> #[[Leopoldo Maggi]] - <small>2024-11-14</small> #[[Lorenzo Bellini]] - <small>2024-11-14</small> #[[Giovanni Battista De Toni]] - <small>2024-11-29</small> #[[Generoso Calenzio]] - <small>2024-12-03</small> #[[Girolamo Seripando]] - <small>2024-12-03</small> #[[Giacomo Venturoli]] - <small>2025-01-02</small> #[[Lodovico delle Colombe]] - <small>2025-01-03</small> #[[Cornelio Ghirardelli]] - <small>2025-01-07</small> #[[Pacifico Barilari]] - <small>2025-01-10</small> #[[Francesco Feliciano]] - <small>2025-01-10</small> #[[Angelo Salmoiraghi]] - <small>2025-01-14</small> #[[Ottaviano Fabrizio Mossotti]] - <small>2025-01-14</small> #[[Michele Araldi]] - <small>2025-01-14</small> #[[Cornelio Malvasia]] - <small>2025-01-21</small> #[[Paolo Beni (gesuita)]] - <small>2025-01-28</small> #[[Luca Danesi]] - <small>2025-01-28</small> #[[Onorio Longhi]] - <small>2025-01-28</small> #[[Antonio Cermisone]] - <small>2025-01-29</small> #[[Alessandro Papacino D'Antoni]] - <small>2025-02-13</small> #[[Angelo Querini]] - <small>2025-02-18</small> #[[Tommaso Temanza]] - <small>2025-02-18</small> #[[William Kingdon Clifford]] - <small>2025-02-25</small> #[[Girolamo Cortinovis]] - <small>2025-02-25</small> #[[William Watson (scienziato)]] - <small>2025-02-25</small> #[[Jean Antoine Nollet]] - <small>2025-02-26</small> #[[Jan Palfijn]] - <small>2025-02-26</small> #[[Michele de Jorio]] - <small>2025-03-11</small> #[[Cesare Cipolletti]] - <small>2025-03-12</small> #[[Giovanni Carmignani]] - <small>2025-03-12</small> #[[Saverio Mattei]] - <small>2025-03-12</small> #[[Salvatore Barzilai]] - <small>2025-03-12</small> #[[Francesco Baglietto]] - <small>2025-03-12</small> #[[Giovanni Ambrogio Bertrandi]] - <small>2025-03-13</small> #[[Ersilia Caetani Lovatelli]] - <small>2025-03-13</small> #[[Giuseppe Palmieri (economista)]] - <small>2025-03-18</small> #[[Marsilio Cagnati]] - <small>2025-03-21</small> #[[Enrico Cimbali]] - <small>2025-03-25</small> #[[Enea Arnaldi]] - <small>2025-03-26</small> #[[Ferdinando Arrivabene]] - <small>2025-03-26</small> #[[Andrea Balletti]] - <small>2025-03-26</small> #[[Filippo Cavolini]] - <small>2025-03-26</small> #[[Amedeo Avogadro]] - <small>2025-03-28</small> #[[Gabriele Rosa]] - <small>2025-04-08</small> #[[Umberto D'Ancona]] - <small>2025-04-10</small> #[[Carlo Fea]] - <small>2025-04-11</small> #[[Pietro Quaroni]] - <small>2025-04-29</small> #[[Apollinare Calderini]] - <small>2025-05-05</small> #[[Giovanni Simonetta]] - <small>2025-05-07</small> #[[Felice Barnabei]] - <small>2025-05-07</small> #[[Gabriele Busca]] - <small>2025-05-21</small> #[[Gaetano Emanuele Bava di San Paolo]] - <small>2025-05-21</small> #[[Giuseppe Avanzini]] - <small>2025-05-21</small> #[[Francesco Soave]] - <small>2025-05-21</small> #[[Simone Stratico]] - <small>2025-05-21</small> #[[Jacopo Durandi]] - <small>2025-05-21</small> #[[Giovanni Antonio Giobert]] - <small>2025-05-21</small> #[[Pietro Moscati]] - <small>2025-05-22</small> #[[Aldo Ferrabino]] - <small>2025-05-22</small> #[[Piero Giacosa]] - <small>2025-05-27</small> #[[Abramo Massalongo]] - <small>2025-05-27</small> #[[Benjamin Martin]] - <small>2025-06-03</small> #[[Johann Heinrich Lambert]] - <small>2025-06-03</small> #[[Nicolaus de Béguelin]] - <small>2025-06-03</small> #[[John Hunter]] - <small>2025-06-03</small> #[[Louis-Bernard Guyton-Morveau]] - <small>2025-06-03</small> #[[Johann Georg Sulzer]] - <small>2025-06-03</small> #[[Maurizio Roffredi]] - <small>2025-06-04</small> #[[Giovanni Pietro Maria Dana]] - <small>2025-06-04</small> #[[William Hewson]] - <small>2025-06-04</small> #[[Antoine Portal]] - <small>2025-06-04</small> #[[Giovanni Battista Palletta]] - <small>2025-06-04</small> #[[Vincenzo Malacarne]] - <small>2025-06-05</small> #[[Giovanni Andrea Dalla Croce]] - <small>2025-06-05</small> #[[Samuel-Auguste Tissot]] - <small>2025-06-05</small> #[[Conrad Gessner]] - <small>2025-06-05</small> #[[Willem 's Gravesande]] - <small>2025-06-05</small> #[[Gioacchino Pessuti]] - <small>2025-06-17</small> #[[Federigo Sclopis di Salerano]] - <small>2025-06-18</small> #[[Costanzo Gazzera]] - <small>2025-06-18</small> #[[Domenico Capellina]] - <small>2025-06-18</small> #[[Domenico Casimiro Promis]] - <small>2025-06-18</small> #[[Carlo Merkel]] - <small>2025-06-18</small> #[[Giacinto Carena]] - <small>2025-06-18</small> #[[Giovanni Claudio Fromond]] - <small>2025-07-01</small> #[[Serafino Ricci]] - <small>2025-07-01</small> #[[Alberto Ablondi]] - <small>2025-07-02</small> #[[Mario Morcone]] - <small>2025-07-02</small> #[[Bartolomeo Gastaldi]] - <small>2025-07-02</small> ===Tematiche=== #[[Moneta]] - <small>2021-08-18</small> #[[Proposizione (logica)]] - <small>2021-09-14</small> #[[Mercurio (astrologia)]] - <small>2021-09-23</small> #[[Pellicola per negativi]] - <small>2021-10-01</small> #[[Fotografo]] - <small>2021-10-04</small> #[[Palma]] - <small>2021-10-21</small> #[[Casuario]] - <small>2021-10-21</small> #[[Sferoide]] - <small>2021-10-28</small> #[[Teoria e pratica]] - <small>2021-10-28</small> #[[Scienza delle finanze]] - <small>2021-11-08</small> #[[Ragion di Stato]] - <small>2021-11-09</small> #[[Economia monetaria]] - <small>2021-11-10</small> #[[Numero perfetto]] - <small>2021-11-10</small> #[[Oggetto celeste]] - <small>2021-11-10</small> #[[Stelle fisse]] - <small>2021-11-15</small> #[[Sfericità della Terra]] - <small>2021-11-15</small> #[[Sfere celesti]] - <small>2021-11-15</small> #[[Seno di Abramo]] - <small>2021-12-10</small> #[[Regola del tre (matematica)]] - <small>2022-04-01</small> #[[Cosmografia]] - <small>2022-04-04</small> #[[Pineta di Ravenna]] - <small>2022-07-25</small> #[[Canale di Suez]] - <small>2022-08-22</small> #[[Ottica]] - <small>2023-01-16</small> #[[Simonia]] - <small>2023-05-02</small> #[[Eclettismo]] - <small>2023-05-02</small> #[[Maccabei]] - <small>2023-05-04</small> #[[Palla (sport)]] - <small>2023-05-12</small> #[[Solfeggio]] - <small>2023-08-02</small> #[[Tarantismo]] - <small>2023-08-08</small> #[[Tarantola]] - <small>2023-08-08</small> #[[Lenticchia d'acqua]] - <small>2023-10-01</small> #[[Lenticchia di palude]] - 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Partire dal foglio bianco come molti pensano, in realtà significa poco o nulla. All'inizio si è sempre un po' visionari, per carità, perchè non si può dimenticare il fascino della dimensione del sogno. Ma, allo stesso tempo, bisogna essere anche un po' pragmatici perché se poi quel sogno rimane solo un sogno... La forma deve materializzare l'essenza del progetto, avere la capacità di comunicare con il suo linguaggio formale il significato del progetto stesso, le caratteristiche più importanti. A mio modo di vedere, non c'è design se non c'è innovazione. Ma serve grandissimo rigore nel fondere forma e funzione. Dietro ogni scelta c'è sempre un elemento razionale che va interpretato con l'anima artistica. Qualsiasi progetto [...] parte da obiettivi precisi, che siano performance, peso, efficienza aerodinamica, consumi... ([[Flavio Manzoni]]) *{{NDR|Nel 2023}} È importante stabilire una definizione chiara del termine "designer" e in particolare di "car designer". Da anni ricordo che "design" in inglese significa "progetto" o "disegno" inteso come progetto piuttosto che come opera d'arte. Questo perché a partire dagli anni '70 il termine "design" è stato sostituito intenzionalmente (per non dire astutamente) con "stile", soprattutto nel settore automobilistico, tanto che tutti sono diventati "designer", mentre molti non possono essere paragonati agli stilisti di un tempo, capaci di "misurare lo stile", il primo passo per qualificarsi come designer. Ciò che è estremamente raro oggi nei cosiddetti "designer" è la capacità di creare, ovvero di concepire, filtrare e realizzare la propria creatività. Invece, molti sanno solo schizzare e dipingere, ma non sanno creare. Non voglio essere riduttivo con la parola "solo", ma sarebbe onesto ammetterlo. ([[Enrico Fumia]]) *I designer di automobili amano antropomorfizzare le loro opere. Tigri, ghepardi, squali e persino velocisti olimpici ai blocchi di partenza vengono spesso citati come fonte di ispirazione nel linguaggio stilistico del settore. A quanto pare, abbiamo bisogno di queste pietre di paragone visive per dare un senso a ciò che stiamo guardando. Il che rende interessante il concetto di "volto" di un'auto e in particolare il ruolo svolto dai gruppi ottici. Sono gli equivalenti degli occhi? Sono qualcosa che tendiamo a dare per scontato, ma senza di loro saremmo persi, a prescindere dal ruolo che svolgono nel plasmare la nostra risposta emotiva. ([[Jason Barlow]]) *Il progetto non è cosa che nasce dal­la mente del progettista come Ate­na è scaturita dal cervello di Giove. Il progettista è una pedina nel grande gioco dell'evoluzione scientifica e tec­nica che determina il progresso. Le sue idee non sorgono dal nulla; si allacciano sempre a studi, o progetti, o realizza­zioni compiute in precedenza da altri, o da lui stesso. Perciò ogni nuovo model­lo racchiude in sé qualcosa di affine, o comune, a modelli precedenti. Li colle­ga un filo talvolta tanto esile da essere impercettibile, talvolta molto evidente. ([[Dante Giacosa]]) *L'auto come macchina ideata dall'uomo per spostarsi più rapidamente si è tanto perfezionata da trasformarsi in una casa mobile. Il progettista di automobili è para­gonabile a un architetto. È quindi naturale che in fatto di automobili si parli spesso di estetica e di stile. [...] Lo stile è per l'automobile un mezzo efficace per suscitare secondo la moda una reazione estetica favorevole in un contesto di concorrenza commerciale. Un'auto­mobile può anche essere brutta, ma esteticamente valida nel momento in cui vie­ne presentata al pubblico e lanciata sul mercato. La sua vita non sarà però di lunga durata, perché la reazione estetica cambia nel tempo. Molti ricorderanno le grosse vetture americane del 1960 che si ornavano di grandi pinne sui parafanghi poste­riori, tanto brutte quanto inutili, caricature di ispirazione aeronautica, espressione di una estetica decadente. Ancora oggi c'è chi ha gusto per il rombo provocato dallo scarico dei motori, e chi si entusiasma per forme da fantascienza, ma si tratta di reazioni estetiche di breve durata. Solo la bellezza è immutabile. [...] Nell'automobile come in tutte le opere dell'ingegneria e della scienza la si ottiene con l'ostinato perfezionamento di ogni parte, armonicamente con il tutto, secondo il principio supremo dell'economia. Economia come scienza, come arte di giusta distribuzione delle parti nel tutto, del giusto rapporto fra i valori energetici come fra i valori intrinseci ed estetici. ([[Dante Giacosa]]) *Per quanto riguarda il mio gusto, la mia sensibilità, trovo che le vetture degli anni '60 abbiano rappresentato degli archetipi di stile impareggiabili. Sono vetture dalle forme sensuali, di una bellezza quasi romantica, ma anche prorompente, molto morbida; vetture che hanno trovato nella semplicità e nella plasticità delle forme la loro cifra stilistica principale. Un altro periodo che mi ha molto affascinato è quello degli anni '70, che ha visto la nascita delle cosiddette "Dream Car". Queste macchine, che traggono ispirazione dalla fantascienza, più utopie che auto vere e proprie, prefiguravano il futuro. Molte di esse erano ispirate all'aerospace, durante la cosiddetta "Space Age". [...] sembrano delle astronavi, oggetti fortemente ispirati anche al product design dell'epoca. ([[Flavio Manzoni]]) *{{NDR|Nel 2003, sul futuro dello stile automobilistico}} Sembra che la traccia sia già netta: le auto di domani in gran parte saranno dolci da guidare e rotonde da ammirare. Tranne poche eccezioni, i più suggeriscono il rifiuto degli spigoli salvo che per una loro presenza furbetta proprio per accentuare l'armonia morbida dell'insieme. La ruga come il neo, insomma, per attirare l'attenzione e far apprezzare tutto il resto. ([[Carlo Cavicchi]]) *{{NDR|«Come ci si può distinguere nel mondo dell'auto e del design [...]?»}} Sicuramente allontanandosi dalla costa. Navigare sotto costa è facile, non è rischioso, ma quando vuoi scoprire delle cose nuove ti devi allontanare. Nel mio piccolo, il suggerimento che posso dare è cercare di fare qualcosa di originale, di unico, anche di sbagliato, ma provando a fare qualcosa che abbia una sua unicità. Tutto questo senza fare una banalità ovviamente. Bisogna studiare, disegnare, creare qualcosa e metterla in dubbio una, due tre o anche quattro volte. Occorre studiare la cultura dell'automobile, del design. {{NDR|«Bisogna coltivare la cultura del dubbio quindi...»}} Assolutamente. Noi {{NDR|in Pagani}} lo facciamo con tutti i progetti. Quando ne completiamo uno ed è pronto per andare in produzione, noi lo mettiamo interamente in dubbio. Ci dedichiamo un anno in più di lavoro [...] {{NDR|«Non si fa l'approvazione del progetto, ma la messa in dubbio...»}} Sì. Quando hai fatto due progetti, dopo aver analizzato bene quello più fresco ed essere ritornato al primo, solo allora puoi sentirti più tranquillo. ([[Horacio Pagani]]) *Uno dei miei pallini è accertarmi che il design dell'auto sia identico al concept iniziale. Secondo me, è l'unico modo per vendere un sogno diventato realtà. ([[Luca de Meo]]) ===[[Leonardo Fioravanti (designer)|Leonardo Fioravanti]]=== *{{NDR|«Qual è, se c'è, il periodo automobilistico che più le piace e perché, dal punto di vista del design?»}} Direi senza dubbio gli anni Sessanta e anche i decenni seguenti. Per i progettisti quegli anni rappresentarono una specie di rivincita della Bellezza, con la B maiuscola, dopo gli orrori della guerra. Non penso sia un caso che le auto di maggior valore, sul mercato delle "storiche", appartengano a quel periodo. *{{NDR|Nel 2023, «le piace la strada che ha preso il design automobilistico nella grande produzione negli ultimi dieci anni?»}} La risposta si ha esaminando attentamente le parti frontali di tutte le marche: tutte hanno tre buchi, con i due laterali spesso finti! *Le automobili sono delle belle cose tridimensionali e, quindi, almeno per noi disegnatori di automobili, la prima cosa da cui partiamo sono le posizioni delle parti meccaniche e delle persone a bordo. Ma, siccome questi oggetti si muovono longitudinalmente lungo delle strade, la prima cosa che vediamo, spesso, è la vista laterale. Questo profilo laterale non è solo una questione estetica ma ha un impatto significativo anche sul design funzionale. È qui che entrano in gioco considerazioni di ergonomia, sicurezza e, soprattutto, aerodinamica. Come appassionato di aerodinamica, trovo che la forma laterale di un'automobile sia cruciale. L'aerodinamica, o la scienza che studia il movimento dell'aria attorno ai corpi in movimento, incide profondamente sull'efficienza del veicolo, sul consumo di carburante, sulla stabilità ad alta velocità e sul rumore prodotto. La vista laterale di un'auto rappresenta come l'aria interagisce con la carrozzeria, creando resistenza o facilitando il flusso. *{{NDR|Nel 2025}} Molte automobili sembrano tutte uguali, spesso brutte e senza funzioni vere. Un esempio lampante sono le griglie frontali [...]: spesso sono fintamente aperte, con dietro nulla, solo per dare l'illusione di un design sportivo o aerodinamico. Poi ci sono gli "scavi" nelle portiere che imitano i prototipi da corsa... Quelle scanalature non hanno una funzione reale; sono solo estetiche, scimmiottano i veri elementi funzionali delle auto da corsa. E poi, c'è l'aspetto ancora più tremendo nei paraurti posteriori: spesso si vedono due piccole alette nere che pretendono di creare un effetto suolo, mentre chi conosce bene l'aerodinamica sa che l'effetto suolo inizia dalla parte anteriore e si estende fino al posteriore. È il contrario della bellezza, dove l'estetica non parte da una funzione vera ma da un'illusione. ===[[Marcello Gandini]]=== *Adesso i prototipi presentati sono tutti finti, non sono neppure prodotti nei materiali giusti. Talvolta fatti in vetroresina, sono semplicemente dei modelli, perfettamente fatti, ben finiti, ma trovo inutile spendere dei soldi così. Invece una volta erano delle automobili e bisognava che funzionassero. *{{NDR|«Dicono che sei più interessato all'architettura, alla costruzione e alla sostanza meccanica dei veicoli. Puoi separare il design dalla sostanza meccanica?»}} Credo non si possa. In effetti, è forse uno degli aspetti più importanti del design. La forma più eccitante segue sempre la funzione. *Ho avuto un certo successo facendo un progettino, relativo alla riduzione della superficie degli stabilimenti per la costruzione di automobili. Lo scopo dello studio era quello di ridurre il numero degli operai, degli orari di lavoro, del costo degli stabilimenti, sia di costruzione che di gestione: in breve vuol dire ridurre le dimensioni. [...] Per fare tutto ciò bisogna, principalmente, cambiare l'automobile. In certi stabilimenti si cerca, con i robot, di migliorare la produzione e di ridurre i costi... e qualcosa si ottiene. La mia visione era più drastica. L'ambizione del mio progetto era di ridurre tantissimo la dimensione degli stabilimenti. Per costruire un'automobile bisogna: comprare un terreno, costruire uno stabilimento, si deve attrezzare all'interno con tutti gli impianti... poi ci sono i costi di gestione... la somma di tutte le spese deve essere suddivisa per il numero delle automobili prodotte dall'impianto. Se si dimezza lo stabilimento, da subito si dimezzano le spese. *Ho costruito la mia identità di designer, in particolare per ciò che riguarda l'ambito delle supercar che ho creato per Lamborghini, su un concetto unico: ogni nuovo modello doveva essere completamente diverso rispetto al precedente. Il coraggio, la capacità di creare rottura senza attaccarsi al successo dell'auto precedente, la sicurezza nel non voler cedere all'abitudine sono stati l'essenza stessa del mio lavoro. È chiaro che mercati e marketing sono cambiati molto da allora, ma per quanto mi riguarda me stesso ripetere un modello del passato rappresenta, secondo me, la negazione dei principi fondanti del mio DNA di car designer. *Io l'automobile l'ho vissuta marginalmente fin da bambino. È stata un sogno come lo era il tappeto volante, o come potrebbe essere la possibilità di spostamenti volando come l'Araba Fenice, ritrovandosi in qualunque posto senza fatica. *L'automobile ferma è un'altra cosa. Le vetture vanno viste in movimento. Nella mia vita ho fatto una quantità enorme di modelli, di studi, per alcune case produttrici come la Renault o la Volkswagen, e ricordo che tutte le volte, per ciascuno di questi modelli, il giorno che la dovevamo caricare sul camion, anche spinta a mano, faceva subito un'altra impressione: nel bene e a volte anche nel male. {{NDR|«Il movimento cambia la visuale?»}} Il movimento, anche se lentissimo cambia il punto di visuale. Il moto cambia la forma della macchina, contemporaneamente si vedono le parti nascoste e le parti visibili cambiano forma. Si percepisce completamente il volume della vettura, come in un ologramma. Certe volte anche in peggio! La fotografia di una vettura è ben difficile che dia l'idea della linea, perché è un'immagine fissa e può ingannare. La macchina ha bisogno di essere vista nel suo volume. *L'automobile non è una cosa artistica, ma è comunque un'attività della mente... anche della mente inconscia del bambino. Da piccolo sognavo le macchine e c'è qualcosa che mi ha accompagnato negli anni. Personalmente non mi sono mai spaventato nel fare una cosa nuova o diversa, la paura del foglio bianco non l'ho mai avuta, anzi ho sempre amato il foglio bianco. Potrei partire integralmente da zero, meccanica, carrozzeria, metodo di costruzione. Il foglio bianco è stimolante. *{{NDR|«Non considera l'auto un'opera d’arte?»}} Personalmente no, però ha in comune con l'arte quella di generare emozioni, come si diceva prima sulla bellezza. A mio avviso, in ogni caso, è una cosa molto diversa. Ha qualche parentela con la scultura. Le automobili hanno le stesse esigenze di una scultura, quella di dare delle emozioni e poi il fatto di essere tridimensionale. Anche la scultura, se lei prende, il David e gli gira intorno, ha la sensazione di un qualcosa di vivo, di una persona. *{{NDR|«Lei vive nei dintorni di Torino, una regione che forse più di qualsiasi altra al mondo ha plasmato la storia dello styling automobilistico. Cosa [...] hanno reso il torinese epicentro d'innovazione progettuale e industriale in Italia e nel mondo?»}} Sembra un paradosso ma quest'innovazione industriale dipendeva in gran parte dalla presenza di tradizioni artigianali altamente qualificate. Nell'ambito dell'automobilismo, in particolare, si è beneficiato del gran numero di scoccai e battilastra bravissimi, gente che per tradizione lavorava le scocche in legno delle carrozze, e che nel dopoguerra si è trovata senza lavoro. A Torino c'era questa grandissima facilità di fare modelli di prototipi, e con la facilità d'esecuzione viene fuori la domanda. Di conseguenza c'è stata per molti la possibilità d'inserirsi nel settore come stilisti, come disegnatori; specialmente qui a Torino, fino a dopo la guerra, lo stilista vero e proprio non c'era. Fino a quel momento, stilista era il cliente stesso, nel senso che il tizio che voleva la Ferrari carrozzata fuoriserie, o la Lancia carrozzata in modo particolare andava dallo scoccaio e cercava di spiegare cosa voleva. [...] Erano artigiani abilissimi, prendevano il telaio e poi tiravano su il filo di ferro che simulava le linee della carrozzeria. A quel punto il cliente diceva: "Mah, la vorrei un po' più lunga". Questo, allora, era lo stilista. La mia prima auto è stata fatta così, tirando su questi fili di ferro da un carrozziere oscuro, uno che più che altro faceva riparazioni. Si batteva l'alluminio e, servendosi solo di questi fili di ferro, si formavano le lamiere. Dopodiché venivano tolti e si facevano strutture per reggere i pannelli della carrozzeria. [...] Allora non c'era disegno. Al massimo un bozzetto. *{{NDR|«Un'auto economica può essere attraente quanto una costosa?»}} Sì, può essere. L'aspetto o il design devono essere relativi a ciò che rappresenta un'auto. ===[[Roberto Giolito]]=== *I concetti chiave da cui partire quando si parla, oggi, di design automobilistico (e non solo), sono: innovazione, identità e usabilità. Il primo perché le automobili rappresentano da sempre la possibilità di rendere l'innovazione tecnologica alla portata di tutti. Ad esse è connessa un'aspettativa di progresso e modernità. Nel corso della mia carriera, in particolare, mi sono sempre occupato di vetture che coniugassero la sperimentazione con il concetto di ''work cars''. Poi c'è l'identità, qualunque essa sia, che dà corpo e sostanza alla riconoscibilità di un prodotto, lasciando intravedere il "ceppo" di origine: altrimenti si corre il rischio di perdersi ed essere costretti a fare marcia indietro. Infine, è diventato sempre più centrale il concetto di usabilità, che significa studiare i comportamenti delle persone e creare prodotti che, meglio di quelli esistenti, si adattino alla vita in continua evoluzione. In quest'ottica, si potrebbe estendere al campo delle automobili la pratica di generare "versioni beta", nell'accezione utilizzata dagli sviluppatori di software, per sondare i mix giusti e tarare i contenuti sulle esigenze reali delle persone. *Il mio approccio al design è stato sempre basato sulla decostruzione: mi piaceva esplodere il disegno e capire cosa c'era sotto la superficie, con l'obiettivo di rappresentare la vera essenza dell'auto, fino alle ossature. Mi interessava capire come funzionasse la vettura e come sarebbe stato possibile realizzarla. Guardavo con interesse ai diversi approcci nel disegno, come quelli basati sulla scultura, ma alla fine ho trovato la mia strada nella realizzazione pratica di maquette abitabili essenziali e facili da costruire, fatte di tondino di ferro, spinto dalla voglia di creare qualcosa di concreto e sperimentabile. Durante il mio lavoro, ho adottato un approccio basato sulla destrutturazione riverente. La mia idea è sempre stata quella di fare di più con meno. Ma questo lo puoi fare solo quando il contesto te lo consente. *Il progetto di un nuovo modello di automobile è il risultato di un lavoro complesso che vede coinvolte professionalità diverse. Un iter metodologico articolato che ha inizio sin dalle prime fasi di impostazione e non si esaurisce nemmeno nell'assemblaggio finale sulle linee di produzione. *Il successo di un'automobile è il risultato di una scommessa vinta, di un lampo d'intuizione stilistica mediato dagli studi sulle nuove tendenze del gusto e sulle emergenti necessità della clientela. Nasce, insomma, da una ricetta che viene messa alla prova dal giudice più severo: il tempo. *Non si disegna un'auto solo con i dati di mercato, ci vogliono confronti e passi indietro. *{{NDR|Nel 2019}} Trovandomi spesso coinvolto nello studio dei trend del momento e nell'analisi degli scenari futuri, ritengo che la tendenza che ha maggiormente condizionato il design automobilistico negli ultimi vent'anni sia stata la valorizzazione dell'identità del marchio. Non sto parlando di un fenomeno retrò, a cui attribuisco poco valore, in quanto riutilizza stilemi già visti. Parlo invece della creazione di un vero e proprio linguaggio stilistico, capace di donare un'identità alle vetture di una determinata casa automobilistica. Negli ultimi vent'anni si è coltivato sempre di più il Dna aziendale; e se prima questo fenomeno riguardava quasi esclusivamente le mascherine delle auto, ora coinvolge l'intero design degli esterni e, soprattutto, degli interni. *Una volta era prassi comune andare in galleria del vento e definire i dettagli della carrozzeria, utilizzando dei fili di lana attaccati a una canna da pesca. Se il filo di lana esposto al getto d'aria rimaneva "sdraiato" sul tetto puntado verso la zona posteriore della vettura, significava che i flussi filavano lisci e aderenti alla carrozzeria. Al contrario, se "impazziva" e puntava verso l'altro rivelava delle turbolenze. Senza le tecnologie moderne era impossibile disegnare le forme complesse e gli "scalini" che tanto aiutano ad "addomesticare" i flussi d'aria, come invece avviene oggi. Ma c'è un rovescio della medaglia; il disegno della vettura dipende molto dai software di simulazione ed è lasciato ai progettisti e ai designer l'arduo compito di riproporre questi risultati aerodinamici con linee più semplici e pulite, un po' come quelle di un tempo che a volte rimpiangiamo. Forse in un futuro prossimo lo sviluppo della meccatronica permetterà alle superfici della carrozzeria di modificarsi in base alle velocità; a quel punto sarà possibile tornare a linee più semplici, ma allo stesso tempo efficaci anche ad andature elevate. ===[[Giorgetto Giugiaro]]=== *{{NDR|«Come si progetta un'automobile?»}} È un processo graduale e articolato. Il punto di partenza è il posizionamento dell'auto: occorre comprendere e condividere l'architettura e il target a cui si riferisce, per poi analizzare tutti gli aspetti di packaging, abitabilità, telaio, ingombri meccanici. Lo spazio e la funzione vengono prima della forma e dello stile. *I giapponesi e gli europei hanno stuzzicato la creatività degli statunitensi, che si sono evoluti sia come qualità sia come forme. Tuttavia nel gusto europeo c'è la storia, che deriva da una lontana attività artigianale. La cultura dominante, più calma e riflessiva, resta la nostra: trasmettere tecnologia con la forma. L'ideale è una miscela ben equilibrata. *Io dico sempre che un bravo designer deve essere anche un po' ingegnere. Deve cioè possedere un bagaglio minimo di conoscenze che gli permetta di supportare, anche nel processo produttivo, le soluzioni estetiche e progettuali che ha in mente. È una conoscenza che ho potuto apprendere dalla mia esperienza in Fiat e che ho continuato a coltivare negli anni; mi ha consentito di vincere la resistenza di più di un ingegnere soprattutto verso soluzioni inedite, che però poi si sono rivelate vincenti e sono divenute uno standard di produzione. Se non avessi avuto la certezza che la mia idea poteva essere realizzata, probabilmente avrei dovuto abbandonarla e sarebbe stato un peccato. *{{NDR|«Quanto contano la forma, il tatto e l'utilizzo dei materiali nella progettazione di una macchina?»}} La forma incide moltissimo nella scelta di un prodotto. L'elemento visivo è il più immediato e deve appagare attraverso proporzioni e linee che ne caratterizzano l'esterno. I materiali e quindi gli interni devono saper comunicare il più possibile i valori del brand o del modello: pensiamo per esempio alle pelli, ai tessuti, alle superfici in cui entriamo in relazione quando utilizziamo questo prodotto. *{{NDR|«Quanto incidono sul design le nuove leggi votate alla sicurezza?»}} Le norme [...] mirano, giustamente, a tutelare non soltanto gli occupanti della vettura, ma anche i pedoni, ciclisti e motociclisti. Si pretende massima sicurezza in caso d'impatto. Tutto questo incide ovviamente sul modo di concepire all'origine un modello: c'è la necessità di studiare frontali diversi, con paraurti alti e predisposti per assorbire il più possibile l'urto e soprattutto non proiettare il pedone contro il parabrezza. Non è difficile fare queste modifiche, però bisogna renderle belle: la difficoltà è proprio conservare l'equilibrio dell'armonia d'insieme. Del resto [...] le norme sulla sicurezza hanno già imposto altri mille vincoli agli stilisti. Bisogna adeguarsi, le vetture di oggi sono certamente molto più sicure. *[...] nel processo di concezione, sempre più attento e volto al raggiungimento di un alto standard di qualità del prodotto, non si può trascurare la parte forse meno "nobile" di un'autovettura ma senza dubbio la parte anche più "visibile". Quando siamo incolonnati, bloccati nel traffico cittadino, è la linea del posteriore e non quella dell'anteriore dell'auto che abbiamo tempo e modo di valutare. Certo, al momento dell'acquisto continuano ad essere il segno grafico del "muso" e la marca ad avere una maggiore forza attraente, ma è giusto investire tempo, energie e risorse da dedicare a ricerche per la personalizzazione anche della parte retrostante in egual misura rispetto a quanto normalmente e tradizionalmente si faccia per il frontale. *Non è l'uomo che si deve adattare alla vettura, ma la macchina. Tenendo ovviamente conto dei problemi tecnici, economici e commerciali, penso sia soprattutto importante considerare i movimenti strutturali dell'uomo: salire, scendere, sedersi. Vorrei cambiare le misure dell'auto, un oggetto la cui forma non è fissa ma in evoluzione. *Se si esagera nella ricerca di soluzioni avveniristiche, talvolta si perde la misura del buon gusto. Qualcuno può restarne incantato, ad altri può non piacere. L'avanguardismo esagerato divide. ===[[Alejandro Mesonero-Romanos]]=== *L'unica cosa che io dico ai designer è di non essere ossessionati dall'idea di lavorare su un'[[auto elettrica]]. È una vettura con una struttura diversa, nient'altro. Dobbiamo ancora trasmettere emozioni, doppiamo ancora veicolare gli stessi valori, tutto quello che ci fa amare il design. *Nel design, tutto il nostro lavoro inizia da una semplice idea, un'intuizione su cui è poi necessario lavorare in profondità per "addomesticarla" e renderla realtà, con la forma di un'auto di successo. *Oggi disegnare macchine sta diventando sempre più difficile per gli aspetti legislativi, per le regolamentazioni, per le omologazioni, per i vincoli finanziari e tecnici. E quindi diventa un po' come la Formula 1 dove ogni anno si ha una regolamentazione più dura e ogni anno le auto vanno un po' più veloci. Questa per me è la vera sfida, il vero stimolo. *Se mostriamo un'auto e non c'è quell'effetto "wow", vuol dire che abbiamo sbagliato qualcosa. ==Voci correlate== *[[Automobile]] *[[Automobile in stile rétro]] *[[Design]] ==Altri progetti== {{interprogetto|preposizione=sulla}} [[Categoria:Automobili| ]] [[Categoria:Disegno industriale| ]] 30nzv6yvj2q4cntubi460c8zceeinrv Nicolai Lilin 0 192320 1382033 1381860 2025-07-02T11:04:03Z Mariomassone 17056 /* 2010 */ 1382033 wikitext text/x-wiki [[File:Nicolai Lilin.jpg|thumb|Lilin nel 2011]] '''Nicolai Lilin''' (1980 – vivente), pseudonimo di '''Nicolai Verjbitkii''', scrittore italiano di origine moldava. ==Citazioni di Nicolai Lilin== ===2009=== *Non capisco il motivo {{NDR|di rifiutare un invito a presentare ''Educazione siberiana'' in CasaPound Italia}}. Rifiutare e negare alla gente partecipazione alla manifestazione culturale [...] è come negare a un umano soccorso medico, perché lui politicamente non è corretto. Un simile comportamento è contro la mia etica e la mia morale.<ref group="fonte" name="casapound">Citato in ''[https://www.ariannaeditrice.it/articolo.php?id_articolo=27767 Nicolai Lilin a CasaPound]'', ''ariannaeditrice.it'', 11 settembre 2009.</ref> *Ho amici di destra e sinistra [...]. Mi trovo bene con loro, perché non li vedo come dichiarati politicamente, ma come persone, come gente che pensa e condivide alcune idee con me. Ricordo anche che è impossibile essere tutti uguali, io da bambino ho vissuto l'alba dell'impero che cercava di far diventare tutti uguali. E vi posso dire in tutta sincerità che l'unica cosa che faceva diventare tutti uguali nell'Urss era solo il colore del sangue con il quale hanno sporcato la coscienza sociale.<ref group="fonte" name="casapound"/> *Cazzo, te lo dico io, amico mio [...]. Tutti quei maledetti soldi provengono dagli ebrei ricchi, cazzo. Te lo dico, cazzo, questa è una fottuta cospirazione. E la [[seconda guerra mondiale]] è stata iniziata dai ricchi, fottuti ebrei, non lo sapevi? Te lo dico esattamente, quelle puttane non hanno risparmiato la loro tribù, e solo per diventare ancora più ricche! [...] Hai sentito parlare di questo club Bilderberg, eh? Porca miseria, il mio amico mi ha spiegato tutto di loro. Amico mio, conosci forse [[Licio Gelli|Licio, cazzo, Gelli]], [[P2]]? Non lo conosci? [...] Quando sono arrivato, ero un ignorante, ma lui mi ha aperto gli occhi. :''Я, друг, тебе точно, нах, говорю'' [...]. ''Все, бля, деньги, нах, у богатых жидов. Я тебе говорю, нах, это, бля, заговор. И Вторую мировую богатые, бля, жиды развязали, ты не знал? Точно говорю, они, суки, своего племени не пожалели, только чтоб еще богаче стать!'' [...] ''Ты вот слыхал про такой Бильдербергский клуб, а? Во-во. Мне друг мой пиздато все про них объяснил. Друг мой, знаешь, может, Личо, бля, Джелли, пи-два, ты не в курсе?'' [...] ''Я, когда приехал, был на этот счет дурак дураком, но он мне глаза-то приоткрыл.''<ref group="fonte">Citato in [[Aleksandr Garros]], ''[https://snob.ru/selected/entry/7841/ Непереводимая игра слов]'', ''Snob.ru'', 20 ottobre 2009.</ref> {{Int|Da ''[https://www.repubblica.it/2009/04/sezioni/esteri/saviano-siberia/saviano-siberia/saviano-siberia.html Il ragazzo guerriero della mafia siberiana]''|Intervista di Roberto Saviano, ''La Repubblica'', 3 aprile 2009.|h=4}} *Volevo raccontare storie che rischiavano di perdersi, che conoscono in pochi, e renderle storie di molti. Le storie della mia gente, distrutta dal capitalismo di oggi, gente che aveva regole sacre, che viveva con dei valori. *Mio nonno in tutta la sua vita non ha mai portato soldi addosso, li tenevano in posti lontani dai luoghi della vita. I soldi sono sempre stati considerati sporchi. *Quando ero piccolo e uscii dalla Moldavia con mia madre, alla dogana un ufficiale vide che ero nato in Transnistria e, seppure fossi un bambino, mi fissò negli occhi e disse, "Delinquente!!!". Bastava venire da lì. *Mi hanno insegnato a dire la verità sempre. Spesso i poliziotti russi quando arrestavano degli Urka li riprendevano mentre li interrogavano. Quando dicevano sei un criminale loro dovevano rispondere si, se rispondevano no era una condanna a morte tra tutti gli Urka. Un Urka non mente mai. *Sono un criminale onesto [...]. Nelle mie zone tutti chiedono il pizzo, per qualsiasi cosa bisogna pagare. È lecito aspettarsi una richiesta di tangente per documenti, viaggi, permessi, per tutto ciò che nel mondo occidentale, in un mondo che si dice civile, dovrebbe essere dovuto. *In Russia e in Moldavia tutto è corruzione, politica, burocrazia, tanta prostituzione, racket, droga. Paesi marci. Mio nonno diceva spesso: credo che non esista né inferno né paradiso, semplicemente se ti comporti male rinasci in Russia. *Una volta mio nonno mi ha raccontato che fu arrestato un pedofilo, uno di quelli a cui piacevano molto le bambine piccole e anche i bambini. Gli Urka quando fu arrestato lo trattarono con rispetto. Andarono da lui, gli diedero una corda fatta con le lenzuola e gli dissero: "Hai cinque ore per impiccarti, se non lo fai ognuno di noi prenderà un pezzo di te e lo strapperà". *Raccontare i tatuaggi è disonesto. I tatuaggi sono un linguaggio muto, ci si tatua proprio per evitare di parlare. Solo un siberiano può capire. Chi racconta uccide la tradizione, e rischia di essere ucciso. *Il film di Cronenberg {{NDR|''[[La promessa dell'assassino]]''}} è tutta una farsa. Il tatuaggio siberiano è morto con i siberiani. È una menzogna, dal film sembra quasi che tutti gli affiliati russi si tatuino, ma non è così. Quei tatuaggi li hanno solo alcuni, come per esempio Seme Nero. *Io ho ucciso Roberto, ho ucciso un bel po' di persone. Ma non sento dolore, o meglio sento che ero costretto a farlo, ero un militare in Cecenia, e dovevo sparare. Ho ucciso e ho sentito la morte tante volte vicina a me. Ma anche su questo la mia gente mi ha insegnato a capire la morte, a conoscerla e a non sentirla come qualcosa di strano. Qui nessuno vuole morire. Io se voglio la vita so che devo volere anche la morte. {{Int|Da ''[https://cafebabel.com/it/article/leducazione-siberiana-di-nicolai-lilin-5ae00581f723b35a145dea97/ L'educazione siberiana di Nicolai Lilin]''|Intervista di Giacomo Rosso, ''Cafebabel.com'', 7 luglio 2009.|h=4}} *[...] la comunità siberiana in cui sono cresciuto proveniva da una molto più antica che aveva già sviluppato un sistema di autocontrollo e che si opponeva a qualsiasi forma di potere. Non soltanto al socialismo, si opposero al regime dello Zar e alla sua schiavitù. [...] Alla fine degli anni Ottanta già sapevo che la comunità stava morendo. Quando ho iniziato a scrivere mi sono reso conto che la tradizione li ha aiutati a sopravvivere, ma non ha potuto salvarli. *Non esiste più nessuna comunità {{NDR|siberiana}}. Sono io, mio fratello, e forse qualcun altro. Il problema è che anche in Siberia non è rimasto niente. Il nucleo di questa comunità è stato deportato in Transnistria e lì non è sopravvissuto. La comunità che descrivo nel libro era composta da 40 famiglie. Si può dire che la tradizione è stata un appoggio, ma in certe situazioni è impossibile per una comunità sradicata sopravvivere. *L’unica cosa certa sulla [[Russia]] è che sarà sempre immersa nel caos. È normale. Questo è il suo stato storico. In Russia non esiste, e non ci sarà mai, un governo democratico. Solo una dittatura può riuscire a gestire un territorio simile e tutte le popolazioni che lo abitano. *Veramente ora mi considero italiano a tutti gli effetti. Ho la cittadinanza italiana, sarebbe sbagliato e scorretto definirmi russo. Anche se ultimamente ho ricevuto parecchi attacchi da parte dei miei ex concittadini russi. *Ho molti amici bulgari e conosco la situazione bulgara abbastanza bene. Fa piacere vedere come l’Ue dia la possibilità di svilupparsi negli anni futuri. Ho parlato con i giovani bulgari, e la loro mentalità è diversa dai giovani russi. Loro non pensano soltanto a guadagnare il più possibile, ma a contribuire alla società e allo sviluppo della democrazia perché viaggiano, vedono il mondo e l’Europa occidentale. Loro vedono cosa significano i diritti per i giovani, che cosa significa Erasmus e vedono come le persone possono tranquillamente integrarsi in altri paesi e studiare e lavorare. {{Int|Da ''[https://canali.kataweb.it/ilmiolibro-articoli-e-recensioni/2009/07/13/nicolai-lilin-il-linguaggio-del-corpo/?h&#610 Nicolai Lilin, il linguaggio del corpo]''|Intervista di Fiammetta Cucurnia, ''Ilmiolibro.it'', 13 luglio 2009.|h=4}} *Io volevo solo raccontare in un romanzo la Russia di mia madre, che ha lavorato tanto e alla fine è dovuta fuggire da casa, in Italia [...]. E il mondo di mio padre, che è vivo per miracolo e non ha più niente. Una delle tante vittime dello sporco gioco di potere che si è svolto in Transnistria. Oggi sta ad Atene, fa mille lavori, il macellaio o il cameriere, è un uomo solo, che ha lasciato alle sue spalle un intero mondo perduto. *C’è chi dice che sono balle, che è tutto inventato, che in Transnistria non è mai stato deportato nessun siberiano. A me non interessa. Io non sono uno storico, non ho fatto ricerche d’archivio. Ho scritto un romanzo, con quello che ho visto e che so. Gli urca non furono deportati? La mia bisnonna, che a 23 anni rimase sola con sette figlioli, ricordava che li avevano portati via tutti insieme col treno fino alla frontiera. Furono costretti ad attraversare il fiume e fu detto loro : "Le armi sono pronte, chi torna indietro è morto". A casa lo raccontava sempre. Ma fuori aveva paura. Quando io ero piccolo, lavorava in ospedale, faceva l’infermiera. E si faceva passare per ebrea, per non dire chi era. Questa è la nostra storia. *Non ho filtrato il ricordo attraverso il mio spirito critico di oggi. Ho voluto riprodurre la realtà così come è arrivata a me, attraverso la mia percezione di bambino, prima, e di ragazzo di sedici, diciotto anni, poi. Piccole storie di uomini e donne che non si trovano nelle enciclopedie. Mia madre, leggendo il libro, ogni tanto diceva: “Nicolai, ma guarda che qui hai sbagliato, la cosa non era esattamente così...”. Io la bloccavo subito : “Mamma, io la ricordo come l’ho scritta”. {{Int|Da ''[https://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2009/12/16/lilin-vita-blindata-faccio-il-tatuatore-in.html Lilin, vita blindata Faccio il tatuatore in clandestinità]''|Intervista di Maurizio Crosetti, ''La Repubblica'', 16 dicembre 2009.|h=4}} *Io scrivo della resistenza del popolo siberiano deportato e quasi sterminato dai comunisti. Sono apolitico, racconto solo quello che ho visto e vissuto, ma qualcuno che ancora sogna il comunismo nero mi preferirebbe morto. E se fossi rimasto al paese, già lo sarei. Ecco perché io, mia moglie e mia figlia di quattro anni dormiamo con il kalashnikov accanto al cuscino. *Il tatuatore, da noi, è una specie di sacerdote e conosce la vita di tutti, i segreti, le cose più profonde. *I Carabinieri sono molto preoccupati, e la mia famiglia di più. Su Facebook mi hanno scritto cose tremende, alcune assurde - un tizio che assicura di avere pagato sicari della mafia russa per eliminarmi - altre più credibili. *Uso le bacchette, come si fa in Siberia. La tradizione è fondamentale, tatuare è un rito. *La storia di un uomo si legge in senso circolare, cominciando dalle mani, come un antico geroglifico. La pelle parla. E non si deve mai chiedere a voce cosa c' è scritto, in Siberia è ritenuta un' offesa grave. Solo chi conosce il nostro alfabeto può saperlo, e sempre meno persone sono in grado di farlo perché anche da noi la tradizione si sta perdendo, tutto è minacciato dal consumismo, i ragazzi si rimbambiscono di videogiochi che invece andrebbero vietati per legge. *Mai studiato {{NDR|l'italiano}}, l'ho imparato a contatto con la gente, leggendo libri per bambini e guardando i cartoni animati. Ma ora riesco persino ad affrontare Dante. {{Int|Da ''[https://lespresso.it/c/idee/2009/12/28/il-coltello-e-la-penna/15875 Il coltello e la penna]''|''Lespresso.it'', 29 dicembre 2009.|h=4}} *Sono nato in Transnistria, un posto lontano dalla Siberia, la terra che da bambino ho imparato ad amare più di ogni cosa, perche mi insegnavano che quella era la mia vera Patria. Il fatto di avere un sentimento profondo per qualcosa che non ho mai visto mi ha spinto a creare un mondo tutto mio, nel quale la Siberia era il paese dei sogni. Un immenso tappeto dei boschi selvaggi e ricchi, fiumi larghi e potenti, uomini puri e giusti, che vivono nell'armonia con la natura, seguendo le antiche regole donate loro da Dio in persona. Quando all'età di dieci anni ho fatto il primo viaggio in Siberia, accompagnato da mio zio Vitalii, ho scoperto che creare mondi immaginari basati sui racconti degli adulti non rende felici. Il "magnifico bosco siberiano" era pieno di moscerini che ci mangiavano vivi, gli spazi erano talmente vasti che per raggiungere la casetta del fratello maggiore di mio nonno dovevamo attraversare quasi mille chilometri, muovendoci a nord della stazione più vicina della Transiberiana. I fiumi erano belli, ma l'acqua era gelida e faceva paura per come correva veloce. Abbiamo incontrato tanti cacciatori locali, la vera gente del posto, che si rivolgevano a noi da cinquanta metri di distanza, urlando poche frasi: non gli piaceva avvicinarsi di più agli sconosciuti, avevano un'idea dello spazio privato molto dilatata e questo loro spazio era troppo grande per me. Alla fine, quando siamo arrivati alla casa del nonno (noi in Russia chiamiamo tutti i vecchi della famiglia "nonni"), quello ci ha salutati e non ci ha nemmeno invitato ad entrare. Ci sono volute due notti - che abbiamo trascorso in una specie di magazzino della legna - perché si decidesse a farci entrare in casa sua. In quel momento ho capito che ogni essere umano, con ogni nuova esperienza della vita, è sempre costretto a cambiare qualcosa dentro se stesso. Abbandonare certe idee, rifiutare qualche piacere, imparare nuove cose, insomma, cercare di essere attivo e pronto per realizzarsi nella nuova realtà. Partendo dalla mia infanzia, dal mio viaggio in Siberia, ho dovuto adattarmi a tante situazioni diverse e, mio malgrado, spesso estreme. *Mi muovevo per l'Europa, fermandomi in luoghi dei quali avevo solo sentito vaghi racconti, e scoprivo che erano abitati da persone come me, gente semplice con le loro tradizioni e abitudini. Ho incontrato gente buona, persone oneste e semplici, ma ho avuto a che fare anche con la malvagità, con uomini distrutti dentro. In Olanda quando non sapevo dove dormire sono stato accolto da un gruppo di studenti; in Danimarca ho vissuto con due lesbiche, imparando a disegnare ritratti da una di loro; in Germania mi sono fidanzato con una nazista, una ragazza bellissima, che era fiera di essere nipote di un ufficiale delle SS e dalla quale sono dovuto scappare dopo qualche mese di convivenza. In Inghilterra la sera del mio arrivo sono finito in mezzo a una rissa: ne ho prese ma ne ho anche date. A un certo punto nella mischia è sbucato un coltello e io l'ho usato. Ma ho capito che dovevo andarmene immediatamente, per non sfidare il destino era meglio lasciare il regno della pioggia e degli hooligans. In Irlanda sono finito prima a Derry, poi più al nord, in un borgo dove c'erano solo un pub, uno spaccio, due magazzini di pesce e l'oceano freddo e agitato. Mi sono fidanzato con una ragazza del posto, e presto ho scoperto che nella sua famiglia c'era un'antica tradizione di resistenza al regime inglese: due cugini uccisi nel Bloody Sunday, un fratello maggiore morto in un carcere britannico perché era terrorista e ogni tanto sparava contro i militari nei posti di blocco; padre e madre con un passato turbolento nell'Ira, e nelle serate al pub mi ha insegnato a cantare "The rifles of the Ira". *Quando i miei amici mi hanno consigliato di cominciare a scrivere, ho preso quel suggerimento con impegno. Mi sono detto: "Se non avrò una fortuna, almeno mi divertirò". Così, per puro divertimento ho scritto "L'educazione siberiana". Per ricordare le cose passate, per rivivere momenti della mia infanzia, che io, nonostante la mia giovane età, spesso vedo molto lontana. Così oggi spesso sento che mi chiamano "lo scrittore". E sorrido, perché penso che nel gergo criminale russo si chiama così chi è molto abile con il coltello. Sorrido perché ormai sono lontano da quegli anni, da quel mondo, dal carcere e dalla guerra. Sorrido perché ho il mio impegno di scrivere per raccontare la vita che cambia attraverso mille storie. Qualche volta scrivo con la rabbia, altre addolcito dall'amore, qualche volta sono ipnotizzato dalla calma, un'altra agitato dal caos. Ma il risultato finale sono le parole che trasmettono a tante persone i miei sentimenti, ciò che vivo e i ricordi di quello che sono stato. ===2010=== {{Int|Da ''[https://ilmiolibro.kataweb.it/articolo/news/1065/nicolai-lilinla-guerra-di-un-cecchinocome-nessuno-ve-la-racconta/ Nicolai Lilin. La guerra di un cecchino come nessuno ve la racconta]''|Intervista di [[Fiammetta Cucurnia]], ''ilmiolibro.kataweb.it'', 23 aprile 2010.|h=4}} *{{NDR|Su ''Caduta libera''}} Ho cambiato nomi, riferimenti ai battaglioni e ai luoghi, ma in quelle pagine c'è solo ciò che ho vissuto. Ho scritto quello che più mi ha colpito, concentrandolo nel racconto. E mi hanno colpito cose molto brutte. *Io, quando sono arrivato a un tot di vittime, mi sono fermato: non voglio più sapere quanti obiettivi colpiti ho sulla coscienza. Non voglio che questa cosa mi domini, e diventi un azzardo. Sapevo di essere un professionista, magari non geniale, comunque di buon livello. Ma non uccidevo per collezionare vittime. Volevo fare bene il mio lavoro. Proteggevo al meglio la vita mia e dei miei compagni. E ne avevo in cambio il loro rispetto. *Non stiamo parlando di sniper, quelli che in Bosnia colpivano i civili, nelle case, in città. Io non l’ho mai fatto. Non mi è nemmeno mai capitato: io andavo in prima linea e cercavo di eliminare il nemico che stava per ucciderci. *Per noi i nemici erano tutti arabi. Il che non significa che lo fossero davvero. Magari erano afgani, o cinesi, o del Baltico. O, forse, ceceni. C’era un reparto della marina che chiamava i nemici ''Teletubbies''. E lo scriveva perfino nei rapporti. Il fatto è che nella prima guerra, i ceceni si battevano per l’indipendenza. Nella seconda guerra le cose erano diverse. Caos. Nessuno pensava più al motivo per cui ci trovavamo lì. C’erano perfino formazioni militari composte da soli ceceni che combattevano dalla nostra parte, il famoso battaglione Est, usato contro il terrorismo. E poi, i mercenari. Di tutti i tipi, arabi, cinesi, somali, dall’Europa dell’Est. Quando c’è una guerra, questa gente, seguendo propri canali ormai rodati, si raduna. Alcuni, come gli afgani, erano ignoranti. Altri, erano superpreparati e superarmati, come gli arabi. Professionisti capaci, con formazione militare di stampo americano. Parlare con i prigionieri era proibito, ma qualche volta mi è capitato... *Il capitano Nosov veniva dall’Afghanistan, da troppi anni aveva conosciuto solo guerra. Io lo ringrazierò sempre, perché gli devo la vita. Ma non era più un civile. E tollerava come naturali tutte le violenze della guerra, anche quelle del nemico. {{Int|Da ''[https://web.archive.org/web/20100609092737/http://www.nicolaililin.com/?p&#61201 La pace è una bugia che vogliamo sentirci dire]''|Intervista di Francesca Fradelloni, ''nicolaililin.com'', 10 maggio 2010.|h=4}} *[[Anna Stepanovna Politkovskaja|Anna Politkovskaja]] è un caso. La Russia non è mai andata contro corrente. È un Paese degradato, invivibile, antidemocratico. E la colpa non è di Putin. La responsabilità è di noi russi. Non siamo abituati a vivere liberi, siamo contenti se c'è chi decide per noi, non ci curiamo della corruzione dei potenti perché se potessimo faremmo lo stesso. I russi proteggono questa oligarchia organizzata. *Non sono un pacifista, non credo nella pace, non esiste. Se ti guardi intorno vedi solo conflitti e ingiustizie. Non parlatemi di pace, ho raccolto pezzi di ragazzi da terra, non parlate di pace al palestinese a cui hanno fatto saltare la casa con i suoi figli dentro o alla donna afgana. Dopo la seconda guerra siamo entrati a far parte di una battaglia continua e globale. La parola pace è uno straccio. *È criminale uno Stato che non è capace di difendere i cittadini. Siamo criminali noi cittadini quando sosteniamo un sistema che non tutela più i più deboli. {{Int|Da ''[https://storiedikatia.blogspot.com/2010/06/nicolai-lilin-una-scrittura-al-di-la.html Nicolai Lilin, al di là del bene e del male]''|Intervista di Katia Ippaso, ''storiedikatia.blogspot.com'', 4 giugno 2010.|h=4}} *Quando mio zio è andato in galera, sono andato a casa sua che era piena di libri. In realtà cercavo libri di storia, invece ho incontrato i romanzi di Bulgakov. In una notte ho letto Il maestro e Margherita... avevo dieci anni. Ecco, da allora ogni anno rileggo ritualmente tutte le opere di Bulgakov. Da quattro anni le rileggo in italiano. E’ un modo per conoscere le sfumature e il pensiero che c’è dietro la lingua italiana. Sono anche un appassionato di Dante Alighieri. Quando ho mal di testa, metto sù un disco d’opera lirica (in genere il Don Giovanni o Il barbiere di Siviglia) poi smonto le armi e mi metto sulla poltrona a leggere Dante. *Io rispetto solo le persone oneste. Se poi queste persone sono etero, gay, donne, uomini, fascisti, comunisti, non importa. La cosa che conta è che abbiano rispetto di se stessi e degli altri. *Io non credo che esistano il bene e il male: sono stati inventati per spaventare la gente. Come esseri umani abbiamo tutti i sentimenti dentro di noi e scegliamo ogni volta la possibilità del bene e del male. Anche il nazista più efferato magari prima di compiere un’atrocità ha accarezzato un bambino o fatto l’amore. *Non avrei mai pensato di arrivare in Italia, anche perché nella mia fantasia l’Italia era un paese d’arte e bellezza, ed io che ero sporco e ignorante non avrei mai potuto viverci…Ci sono arrivato nel 2003, per raggiungere mia madre che, come tutte le madri russe (e come ogni madre meridionale) si era inventata una malattia solo per vedermi. A quel punto ho capito che questa sarebbe stata la mia terra. Ho costruito la mia casa mattone per mattone. Mi sono sposato. Ho fatto una figlia. Sono cittadino italiano. Se scoppia una guerra, andò a morire per questo paese. E’ l’unico posto in cui mi sento a casa. Credo che l’Italia e gli italiani mi abbiano dato quello che non mi aveva mai dato nessuno finora, nemmeno la mia famiglia. *Ho un editor che lavora sulla correzione grammaticale. Vede, io racconto le storie come se la raccontassi ad un mio caro amico. Le scrivo senza fermarmi, senza rispettare le strutture sintattiche e grammaticali (non ho mai frequentato non solo la scuola, ma neanche la scuola Holden, che fra l’altro continua a snobbarmi). Quando ho finito di scrivere la storia che ho in mente, non rileggo neanche una pagina e spedisco tutto in casa editrice. *Io vivo una vita abbastanza tranquilla rispetto a molte altre, ma ho il sostegno dell’esercito e dei carabinieri. Giro con la mia pistola . E a casa ho delle armi. Ma non è vero, come hanno scritto, che dormo con la pistola. Io dormo con mia figlia. Preferisco comunque non approfondire la questione. *{{NDR|«Scatenando un certo clamore (silenzioso), lei è andato di recente a fare una visita a Casa Pound. Che impressione ne ha ricavato?»}} Sono stato molto criticato per questo mio gesto, sia dal mio editore che da mia moglie... Io cerco sempre di capire l’altro. Mi considero apolitico (semplicemente perché in quanto scrittore non reputo di dovermi occupare di politica), ma naturalmente ho le mie idee sull’Italia e la politica. Non riesco a capire perché qualcuno mi abbia dato del fascista. Sono andato dieci volte in centri sociali, nove volte erano centri sociali di sinistra e nessuno ha detto niente. L’ultima volta sono andato a Casa Pound e la cosa è stata giudicata scandalosa... Ho ascoltato i loro discorsi e mi è sembrato che esprimessero bisogni simili a quelli di tanti ragazzi di sinistra. {{Int|Da ''[https://www.dn.pt/arquivo/diario-de-noticias/o-adeus-as-armas-de-nicolai-lilin-escritor.html O adeus às armas de Nicolai Lilin escritor]''|Intervista di ''dn.pt'', 22 giugno 2010.|h=4}} *Non mi piace che la gente sia troppo gentile, non ci credo. :''Não gosto de demasiada bondade nas pessoas, não acredito nisso.'' *La storia di mio nonno e di questi uomini e donne espulsi dalla loro terra non è una storia finita, è una lezione di vita che mi accompagna. Il passato non è qualcosa da buttare via, è lì che troviamo l'essenza di ciò che siamo oggi. :''A história do meu avô e destes homens e mulheres expulsos da sua terra não é uma história acabada, é uma lição de vida, que permanece em mim. O passado não é uma coisa para deitar fora, é lá que vamos buscar o essencial do que somos hoje.'' *{{NDR|Su ''[[Educazione siberiana (romanzo)|Educazione siberiana]]''}} È la mia storia, non ho inventato niente, non so inventare. Il mio libro ha avuto successo, ma questo non fa di me uno scrittore. :''É a minha história, não inventei nada, não sei inventar. O meu livro teve sucesso, mas isso não faz de mim um escritor.'' {{Int|Da ''[https://ilnichilista.wordpress.com/2010/08/08/lilin-il-vero-nemico-siamo-noi-stessi/ Lilin: "Il vero nemico siamo noi stessi"]''|Intervista di Fabio Chiusi, ''ilnichilista.wordpress.com'', 8 agosto 2010.|h=4}} *In qualche modo ho sconfitto l’odio ideologico contro tutta la comunità islamica che veniva imposta dall’esercito. È così che ho capito che da parte islamica non c’era alcuna ideologia: quelli con cui abbiamo combattuto erano tutti mercenari. Al punto di barattare la possibilità di uscire dalle montagne in cui erano asserragliati in cambio di loro stessi camerati. Per me tradire un camerata russo con cui ho fatto spalla a spalla anni di guerra equivale al suicidio. Per loro invece era normale, perché credevano solo nel denaro. *Io portavo l’uniforme militare anche dopo il congedo per distinguermi dai tanti giovani che volevano vivere il sogno americano, consumare a ogni costo, senza rendersi conto che non significa nulla. Per me portare vestiti civili era sporcarmi il corpo. *Nosov, come mio nonno durante l’infanzia, rimane ancora oggi un riferimento importantissimo, anche se è caduto: era un militare di grandissimo valore, grazie al quale siamo sopravvissuti noi stupidi ragazzi di 18 anni. Per noi rappresentava una saggezza totale. E poi ci ha trasmesso uno spirito di cameratismo unico, indispensabile. [...] Nosov era nostro padre, la nostra famiglia. Lui stesso rifiutava la sua famiglia. *Il carcere, forse perché avevo 12 anni o perché ero ben protetto, l’ho accettato come parte del gioco. Quindi non l’ho patito tanto, anche perché non ho subito abusi. Quello che mi ha spaventato è stato scoprire quanto violento, stupido e brutale può essere un uomo, soprattutto con se stesso – perché per me un adulto che violenta un ragazzino fa innanzitutto un crimine contro la sua stessa anima, si cancella dagli occhi di Dio per sempre. *La guerra per me è stato il primo confronto con la vita reale. È lì che ho iniziato a interessarmi di politica. Prima mi limitavo a fidarmi di mio nonno: «Chi fa politica è maledetto da Dio». Quando poi l’esperienza è finita è stato difficile tornare al punto di partenza, perché ormai ero un’altra persona, vedevo il mondo con occhi diversi. *{{NDR|«Hai ricevuto anche minacce di morte?»}} Sì, ma ricevo anche un grande sostegno dei servizi di sicurezza italiani. E poi non riusciranno a impaurirmi, perché per me è un discorso di dignità, aprire gli occhi ai miei concittadini italiani su ciò che accade nei paesi dell’Est e sulla minaccia che da lì potrebbe provenire per l’Italia. Bisogna essere pronti anche moralmente di fronte a queste situazioni, imparare a non sottovalutarle. {{Int|Da ''[https://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2010/08/12/la-guerra-infinita-di-nicolai-lilin.fi_006la.html La guerra infinita di Nicolai Lilin]''|Intervista di Fulvio Paloscia, ''La Repubblica'', 12 agosto 2010.|h=4}} *In guerra mi facevano più impressione i vivi dei morti. [...] La guerra ti fa accettare tutto, si pensa solo a non pensare, a far sopravvivere il corpo senza valutare cosa accadrà domani. La società in cui vivo si comporta nello stesso modo, senza l'attenuante del conflitto. Mi sembrano zombie. Allora meglio morti del tutto, che morti viventi. *Io non vivo la pace, non so cosa sia. Sono sempre in guerra, dietro ogni cosa che mi circonda vedo il tentativo di gente disonesta che vuole sfruttare e sottomettere il prossimo *L'eroismo è un gesto normalissimo che, nella società di oggi, diventa rivendicazione estrema dell'esistere. Sono eroi i lavoratori che cercano di sfamare le loro famiglie senza tutele del governo, il napoletano che non cade negli artigli della camorra ma sceglie la fatica dell'onestà. La donna che cresce un figlio da sola. *Uno stato, la politica non possono imporre una morale. La morale comune non è un sistema stabilito dai potenti, ma nasce dal contributo dato da ogni singolo uomo. Per questo non esiste più. *Il pentimento c'è se uccido una persona investendola con l'auto perché sono ubriaco, i miei genitori mi coprono e io mi sento in colpa. Da cecchino, dovevo assolvere ai miei compiti. Liquidare terroristi internazionali, i mercenari. Era la morte dei civili ad addolorarmi. Ma io non ho mai colpito civili. *Ho paura della pace che oggi abbiamoa condizioni più pesanti della guerra. Sarebbe tutto più facile se ci ammazzassimo tra di noi e ricominciassimo da zero. La nostra pace ci costa molta più vita e risorse di qualsiasi guerra che sia mai stata fatta. {{Int|Da ''[https://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2010/09/07/quella-verita-dietro-la-guerra-che-non.html Quella verità dietro la guerra che non si riesce a comprendere]''|''La Repubblica'', 12 agosto 2010.|h=4}} *Trattando il tema della guerra di solito siamo abituati a difendere una delle parti partecipanti. [...] Questa forma di visione della guerra ci porta lontano dalla realtà, ci rende deboli davanti ai numerosi tentativi di strumentalizzazione e ci lascia senza un approccio vero e cosciente con il resto del mondo, con la storia. *Mi ricordo, fin dai tempi dell'Unione Sovietica, la macchina della propaganda comunista, i libri di storia, i film che raccontavano le eroiche imprese dell'Armata Rossa sui fronti della Seconda Guerra Mondiale, lo spirito d'acciaio e la convinzione di essere dalla parte giusta, che apparteneva alla maggior parte dei cittadini lobotomizzati e il confronto con i racconti di mio nonno Nicolai, che la guerra l'aveva fatta a piedi da Stalingrado fino a Berlino, racconti strappati nei momenti di riflessione, condivisi per la necessità di liberare qualche fantasma del passato, pieni di contraddizioni e drammaticità, ma anche di semplici e pure osservazioni di un uomo che aveva vissuto oltre la follia e non aveva più nessun interesse ideologico. Nei racconti di mio nonno i nazisti non apparivano come demoni arrivati dall'inferno, ma come semplici uomini, soldati costretti a combattere per i potenti del loro paese, con i quali spesso si poteva anche fare uno scambio di cibo, e verso i quali si provava un senso di pena, anche se erano dalla parte del nemico. *Quando la guerra in Cecenia era finita, non sono mancate le solite speculazioni e strumentalizzazioni cresciute attorno a quell'evento triste e drammatico, distruggendo le società coinvolte nel conflitto come il cancro che distrugge una vita. Si parlava molto sulle questioni fasulle, inventate per distogliere l'attenzione dell'opinione pubblica dai veri problemi. Ho visto eroi inventati al momento e i loro avversari, altrettanto frutto di fantasie, mandare avanti un teatrino geopolitico conveniente per molti potenti della situazione. Pochi si sono interessati alla verità, perché non era cosi bella e comoda, non era facile da digerire, non portava profitti. {{Int|Da ''[https://web.archive.org/web/20100906092215/http://www.lemonde.fr/idees/article/2010/09/03/nicolai-lilin-les-russes-ont-un-probleme-avec-la-liberte_1406335_3232.html Nicolaï Lilin : "Les Russes ont un problème avec la liberté"]''|Intervista di Josyane Savigneau, ''Lemonde.fr'', 3 settembre 2010.|h=4}} *{{NDR|«Chi sono gli urca?»}}<br>Non lo so esattamente. Mio nonno mi ha detto che era una nazione, sono nato in Transnistria. Sono cresciuto tra queste persone che furono esiliate durante il periodo stalinista, dalla Siberia alla Transnistria. Ho provato a ricreare tutto questo, ma non so se è tutto vero, perché non sono riuscito a trovare un archivio. "Urca" è quasi un insulto oggi in Russia, significa subito criminale comune, di bassa classe. :''{{NDR|«Qui sont les Urkas ?»}}''<br>''Je ne le sais pas exactement. Mon grand-père me disait que c'était une nation, je suis né en Transnistrie. J'ai grandi parmi ces gens qui ont été exilés pendant la période stalinienne, de Sibérie en Transnistrie. J'ai essayé de recréer tout cela, mais je ne sais pas si tout est vrai, car je n'ai pas trouvé d'archives. "Urkas" est presque une insulte aujourd'hui en Russie, cela signifie immédiatement criminel de droit commun, de bas étage.'' *{{NDR|«Perché hai scritto in italiano, rifiutando la tua lingua madre?»}}<br>[...] ho deciso di scrivere in italiano, perché amo l'Italia, la sua cultura, da ora in poi è il mio Paese. Non credo che avrei potuto spiegare certe cose in russo. In italiano mi sento più libero. Ed è la lingua in cui sogno, quindi sono italiano. :''{{NDR|«Pourquoi avoir écrit en italien ? Par refus de votre langue maternelle ?»}}''<br>[...]''j'ai décidé d'écrire en italien, parce que j'aime l'Italie, sa culture, c'est mon pays désormais. Je crois que je n'aurais pas pu expliquer certaines choses en russe. En italien, je me sens plus libre. Et c'est la langue dans laquelle je rêve, donc je suis italien.'' *Le persone di cui parlo erano anche combattenti della resistenza politica, a loro non piaceva il comunismo e ne hanno pagato il prezzo. Mio nonno è stato ucciso da un agente del KGB, anche uno dei miei zii. Certamente erano delinquenti. Ad esempio, hanno rapinato una banca. Ma mai crimini contro le persone. :''Les gens dont je parle étaient aussi des résistants politiques, ils n'aimaient pas le communisme et ils en ont payé le prix. Mon grand-père a été tué par un agent du KGB, un de mes oncles aussi. Certes, ils ont été délinquants. Par exemple, ils ont braqué une banque. Mais jamais des crimes contre des personnes.'' *Sono stato condannato una volta, a 12 anni, a un anno e mezzo di prigione, ma ci sono rimasto solo nove mesi. Era un centro per minori dai 12 ai 17 anni. Sì, è stato difficile. Ma questa è un'altra cosa banale. A quel tempo, in Transnistria, tutti andavano in prigione. :''J'ai été condamné une fois, à 12 ans, à un an et demi de prison, mais je ne suis resté que neuf mois. C'était un centre pour mineurs âgé de 12 à 17 ans. Oui, c'était dur. Mais voilà encore une chose banale. A cette époque, en Transnistrie, tout le monde allait en prison.'' *Non parlo delle ragazze {{NDR|in ''Educazione siberiana''}} ma non parlo nemmeno della scuola. Ciò non significa che non esistesse, ma non era il mio argomento. E ho scritto ciò che mi è rimasto nella memoria. Non c'erano ragazze, litigavamo tra di noi e pensavamo che se ci fossero state ragazze sarebbe stato ancora peggio, avrebbero seminato discordia. :''Je ne parle pas des filles mais je ne parle pas non plus de l'école. Cela ne signifie pas que tout cela n'existait pas, mais ce n'était pas mon sujet. Et j'ai écrit ce qui était resté dans ma mémoire. Il n'y avait pas de filles, on se battait entre nous et on pensait que s'il y avait des filles, ce serait encore pire, elles sèmeraient la zizanie.'' *{{NDR|«Come vedi la Russia oggi?»}}<br>Come un grande paese. Tuttavia, non credo che il problema principale della Russia fosse il comunismo. Il problema della Russia è la mentalità delle persone, è la Russia stessa. La Russia è sempre stata un Paese problematico, difficile da governare, qualunque sia il governo. La corruzione c'è sempre stata. I russi sono molto egoisti.<br>Anche oggi ci sono schiavi in ​​questo paese. I russi hanno, nella loro mente, un problema con la libertà. La società post-comunista produce gente ricca, come si vede qui in Francia, ma è una percentuale minima. E alcuni sono criminali. Gli uomini d’affari, gli oligarchi, sono una vera preoccupazione in questa nuova società. :''{{NDR|«Comment voyez-vous la Russie aujourd'hui ?»}}''<br>''Comme un grand pays. Toutefois, je ne crois pas que le grand problème de la Russie ait été le communisme. Le problème de la Russie c'est la mentalité des gens, c'est la Russie. La Russie a toujours été un pays à problèmes, difficile à gouverner. Quel que soit le gouvernement. La corruption a toujours été là. Les Russes sont très égoïstes.<br>Encore aujourd'hui, il y a des esclaves dans ce pays. Les Russes ont, dans leur tête, un problème avec la liberté. La société postcommuniste produit des riches, que vous voyez ici, en France, mais c'est un pourcentage minime. Et certains sont des criminels. Les hommes d'affaires, les oligarques, sont un réel souci dans cette nouvelle société.'' {{Int|Da ''[https://www.milanonera.com/interviste-nicolai-lilin/ Intervista a Nicolai Lilin]''|Intervista di Francesca Colletti, ''Milanonera.com'', 20 settembre 2010.|h=4}} *{{NDR|Su ''Caduta libera''}} Volevo raccontare come ci si sente a vivere una guerra, a fare la guerra, a subirla, a studiarla, a goderla, insomma a provare tutte le emozioni che ogni essere umano prova stando nel bel mezzo di un conflitto armato. Ero molto deluso da come nel nostro mondo viene presentata e raccontata la guerra; a volte attraverso il velo di ideologie, interessi, strumentalizzazioni, e alla fine viene vista dalla gente sempre come qualcosa di grottesco, al di fuori della società umana, un evento che molti credono essere creato e mandato avanti da qualche forza estranea a noi, lontana dalla visione abitudinaria dell’etica e della morale. Invece bisogna capire che la guerra è necessariamente organizzata e fatta da uomini in carne e ossa, umani come tutti gli altri. *Non sono mai stato sulla scena del [[Prima guerra cecena|primo conflitto Ceceno]], ma è stato un conflitto molto contraddittorio, studiato a tavolino da imprenditori, oligarchi e politici corrotti e pieno di intrighi, corruzioni, interessi economici che andavano al di là di quelli politici, territoriali, religiosi o nazionali. Molti militari che ho conosciuto, che avevano partecipato al primo conflitto, lo chiamavano “il teatrino”. *{{NDR|Sulla [[seconda guerra cecena]]}} Il secondo conflitto è stato un fulmine senza pietà scaricato sul terrorismo islamico internazionale. Siamo entrati ufficialmente in guerra alla fine di agosto nel territorio occupato dalle formazioni terroristiche e l’abbiamo preso sotto controllo totale a dicembre, liberando una difficile regione che si estende tra le montagne del Caucaso. A quel punto gli scontri diretti sono finiti e il nostro lavoro era limitato ad operazioni preventive e di routine di mantenimento dell’ordine e legalità della Federazione Russa sul territorio. *[[Anna Stepanovna Politkovskaja|Politkovskaya]], pace all’anima sua, era una brava giornalista, ma tendeva ad imputare troppe colpe alle persone che non meritano di portare tutto il peso della guerra sulle loro spalle. *I militari sono esseri umani che fanno il loro duro e ingrato lavoro, vivendo situazioni estreme, nelle quali spesso il cervello umano cede, e a quel punto chiunque, anche il più devoto moralista e pacifista, diventa capace di compiere le atrocità più incomprensibili che esistano. *In guerra, nelle situazioni estreme, l’animo umano passa attraverso una sorta di purificazione, impara ad essere vero e semplice, per questo noi veterani abbiamo problemi a convivere con il mondo per il quale abbiamo sacrificato i nostri anni migliori, le nostre forze e molti di noi anche le proprie vite. *Trovo che sarebbe più onesto se gli umani di oggi facessero finta che la guerra non esistesse, la ignorassero completamente, continuando tranquillamente a divertirsi, a godere dei diritti, a studiare e a lavorare, anziché partecipare alle manifestazioni inutili a sostegno della cosiddetta "pace" – termine che ha perso senso oggi, nella situazione attuale in cui si trova il mondo. *Io ho partecipato all’operazione antiterroristica e perciò combattevo contro i terroristi islamici. Per me una persona nel momento esatto in cui diventa terrorista perde ogni possibilità di essere trattato come un essere umano, non ha appartenenze razziali o religiose, lui è un nemico pericoloso e deve essere liquidato fisicamente il più presto possibile. Mio nonno, che ha fatto la seconda guerra mondiale ed era un cacciatore siberiano con una grande esperienza, una volta parlando con me del fatto di uccidere, ha detto: "Se ti capita di uccidere un essere umano, fai attenzione a non diventare dipendente, perché la caccia all’uomo è tra le più belle che esistano". *Non lo nego, ho lavorato nelle agenzie di sicurezza privata per qualche anno, perché a diciotto anni ho imparato fare il mestiere di soldato e non avevo tante alternative nel mondo civile, che una volta tornato dalla guerra mi ha chiuso in faccia tutte le porte. Spesso il lavoro di contractor viene molto malvisto nella società pacifica, per me sono persone che fanno un impegno utile e legale, non mi sento di parlarne male. *{{NDR|Su ''[[Educazione siberiana (film)|Educazione siberiana]]''}} Sì, ho partecipato alla scrittura della sceneggiatura, ma non l’abbiamo ancora finita. Io sono molto tranquillo per il destino del mio film, perché è nelle mani di Gabriele Salvatores e della casa produttice Cattleya, persone sensibili e cari amici, con i quali abbiamo stabilito un bel modo di lavorare. Credo che sarà un bel film, fedele alla storia originale. {{Int|Da ''[https://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2010/10/20/inizio-di-un-periodo-caldo.html È l'inizio di un periodo caldo, il Paese è pronto ad esplodere]''|Intervista di Pietro Del Re, ''La Repubblica'', 20 ottobre 2010.|h=4}} *{{NDR|Sull'[[attentato al parlamento ceceno del 2010]]}} Non so se quanto accaduto a Grozny sia un vile atto di terrorismo o piuttosto una valorosa operazione della resistenza antirussa [...]. Ma di una cosa sono certo: l'attacco al Parlamento è la prova della disperazione dei ceceni e l'inizio di una nuova fase di caos. *{{NDR|Sulla [[Cecenia]]}} Diciamo che la sfortuna di quella terra è il suo valore geopolitico, quindi economico e strategico, sia per il passaggio degli oleodotti sia perché rappresenta un punto di frattura tra Islam e mondo cristiano. La Cecenia è perciò ambita da tutte le nazioni potenti che la circondano. In primo luogo, dalla Russia. *[...] da generazioni i ceceni nascono in guerra, ricevono un'educazione di guerra e muoiono in guerra. Ciò ha reso quel popolo disabituato al vivere civile e democratico. Oggi, come già otto secoli fa, i ceceni sono governati con metodi disumani, con la guerra e con il terrore. *Chi crede che [[Ramzan Kadyrov|Kadyrov]] abbia raggiunto la pace si sbaglia. I ceceni sono stanchi di essere oppressi dai russi tramite quel fantoccio. Pochi mesi fa, una decina persone imbottite di esplosivo s'è fatta saltare in aria nella casa natale di Kadyrov, per manifestare l'odio contro di lui. Quello che sta accadendo adesso mi ricorda una fase di pre-conflitto. {{Int|Da ''[https://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2010/10/21/favoreuna-legge-necessaria.html A favore/Una legge è necessaria]''|''La Repubblica'', 21 ottobre 2010.|h=4}} *{{NDR|Sul [[negazionismo dell'Olocausto]]}} Negare l'esistenza dell'Olocausto è un crimine, così come lo è stato lo stesso sterminio. Chi cerca di nascondere la storia delle vite umane perse nelle barbarie dei regimi totalitari, non fa nient'altro che uccidere per la seconda volta. Non possiamo permettere queste offese contro la storia, contro la memoria, contro la dignità delle persone morte, persone che non potranno mai rispondere, usate come monete di scambio gettate con disprezzo sul bancone della politica. *Con grande tristezza ricordo come in Unione Sovietica si taceva sui crimini che accadevano nei Gulag, dove i boia del comunismo totalitario, proprio come i loro rivali nazisti, eliminavano un'intera classe sociale, politica, culturale ed intellettuale, semplicemente perché non abbracciava le idee del partito. La negazione di ogni crimine contro la libertà di ogni essere umano è nient'altro che la morte della democrazia, l'uccisione del pensiero libero, della cultura. *Negando la Shoah diamo la possibilità a futuri tiranni, speculatori della politica e della propaganda, di avere potere sulla nostra libertà e di privare della speranza del domani le generazioni future. Oggi noi dobbiamo essere forti e decisi, dobbiamo fermare chi impugna le armi dell'infamia e dell'inganno e sostenere la legge contro il negazionismo. {{Int|Da ''[https://web.archive.org/web/20110821165808/http://www.nicolaililin.com/?p&#61465 Se vuoi la pace comprendi la guerra]''|Intervista di Marco Crosetto per Wu Magazine, ''nicolaililin.com'', novembre 2010.|h=4}} *Mio nonno mi raccontava una storia secondo cui i lupi siberiani a volte cadevano in momenti di pazzia collettiva. Per assenza di cibo o per ingrandimento eccessivo del branco, gli animali cominciavano a uccidere i propri genitori e fratelli. A quel punto arrivava un lupo dagli occhi verdi che, guardando il branco, riusciva a far tornare la ragione. Credo che anche tra gli uomini succeda la stessa cosa, e [[Roberto Saviano|Roberto]] è come il lupo della favola di mio nonno. Ti aiuta a non impazzire, per ragionare sulla direzione giusta della vita. Io rispetto il suo impegno. Però tra me e Saviano esiste una grande differenza: lui denuncia l’attualità, io invece scrivo romanzi basati sulle mie memorie personali. *In Cecenia, mi capitava spesso di dividere l’ultimo pacchetto di razione con i civili in fuga. Per noi era normale. *Non ho commesso atti criminali, non ho ucciso nessuno per capriccio o per interesse personale. Ero un cecchino di un’unità operativa e le azioni che intraprendevo non erano riconducibili alla semplice voglia di sopravvivere. Noi contribuivamo alla protezione della società dal terrorismo islamico. Ti sbagli se pensi che per due anni tra montagne e città occupate da mercenari e terroristi agivamo spinti solo dalla voglia di sopravvivere. Ognuno di noi credeva in quello che faceva. Non è stato semplice, perché sapevamo che la guerra era sporca e piena di contrarietà, che c’erano in ballo interessi economici e comandanti corrotti. Ma allo stesso tempo sapevamo che dietro tutto c’era una società pacifica fatta di persone. *Accusare me e i miei libri di assenza di verità, per il solo fatto che si tratta di romanzi, è assolutamente inutile. Ho scritto una storia usando come base narrativa le mie esperienze, e trovo che sia molto maleducato chiedermi di precisare cosa c’è di vero e cosa no. *[...] molti russi, ucraini, moldavi, rumeni e persone dell’est mi sostengono e mi ringraziano per aver scritto storie che, nei paesi dell’ex bocci sovietico, solitamente non si raccontano. {{Int|Da ''[https://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2010/11/09/giornalisti-massacrati-nel-silenzio-della-russia.html I giornalisti massacrati nel silenzio della Russia - Il regime colpisce i giornalisti ma i russi guardano altrove]''|''La Repubblica'', 9 novembre 2010.|h=4}} *{{NDR|Su [[Oleg Kašin]]}} A Mosca un altro giornalista è caduto vittima del potere politico corrotto e repressivo, a causa della sua devozione per la giustizia e libertà, per le sue idee moderate e democratiche. Altro sangue, altra rabbia, un'altra giovane vita frantumata, consumata dall'ignoranza e dalla mancanza del coraggio dell'opinione pubblica russa, che purtroppo con sempre maggiore evidenza si trasforma nella folla obbediente ed esaltata davanti agli spettacoli offerti in abbondanza dall'attuale regime politico corrotto e repressivo, che mette in evidenza sempre di più la sua terribile matrice dittatoriale, formata nei tempi della tirannia sovietica. Manca solo che riprendano le esecuzioni sulle piazze, così amate dai cittadini nei tempi passati. *Quando mi è giunta la notizia dell'aggressione che Oleg Kashin ha ha subìto sotto casa, della brutalità e cattiveria con cui è stato assalito, mi sono sentito un'altra volta indignato, offeso, umiliato. Proprio così come mi ero sentito quando, quasi dieci anni fa, nella sua redazione a Mosca è saltato in aria, colpito da un pacco-bomba, il giovane giornalista Dimitri Holodov, che stava conducendo un'inchiesta sulla corruzione del governo. O come quando è stata assassinata nell'ascensore di casa sua Anna Politkovskaja, per le sue indagini che riguardavano la corruzione nell'esercito russo e gli abusi sui civili nell'operazione antiterroristica in Cecenia. *Questa triste e terribile lista di morti nel nome della verità e libertà della parola può continuare ancora a lungo, perché sono molti i casi di giornalisti assassinati, minacciati, perseguitati dal regime condotto dai personaggi che risalgono ai vertici dei servizi segreti dei tempi dell'Urss. In questo delirio di prepotenza e ingiustizia operata dalla politica e dall'amministrazione, che somigliano sempre più ad un'associazione a delinquere, senza onore né regole comportamentali, quello che colpisce di più è la completa assenza della voce del popolo russo, la mancanza di sostegno dell'opinione pubblica per chi ogni giorno affronta il pericolo e rischia la vita per il diritto del popolo di essere informato. ===2011=== {{Int|Da ''[https://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2011/01/25/dinamica-strana-dubbi-sulla-pista-caucasica.html Dinamica strana, dubbi sulla pista caucasica]''|Intervista di Rosalba Castelletti, ''La Repubblica'', 25 gennaio 2011.|h=4}} *{{NDR|Sull'[[attentato terroristico all'aeroporto Domodedovo del 2011]]}} I ceceni hanno gran dimestichezza con gli esplosivi. Quando preparano un ordigno, usano cariche potenti per provocare il più alto numero di vittime possibile. Solo così possono scuotere l'opinione pubblica. È successo a Beslan come al teatro Dubrovka. Non è accaduto invece né a marzo, quando non è stata neppure danneggiata la struttura della metro, né stavolta. Anche se è brutto dirlo visto che ci sono stati comunque oltre 30 morti. *{{NDR|«Se non il terrorismo ceceno, chi ci sarebbe dietro a questi attentati?»}} Terzi che vogliono provocare instabilità in Russia magari fomentando gli stessi esponenti del mondo islamico. [...] Potrebbe trattarsi ad esempio di esponenti dell'oligarchia russa che si trovano all'estero. Terminato il servizio militare, ho lavorato come guardia di sicurezza privata per un oligarca all'opposizione che non faceva mistero di avere rapporti con i terroristi ceceni. *{{NDR|Su Vladimir Putin}} È [...] possibile che dietro agli attentati ci sia lui o persone vicine a lui. {{NDR|«Che interesse avrebbe?»}} Dimostrare all'opinione pubblica che Medvedev è incapace di garantire la sicurezza per ripresentarsi come l'uomo forte. {{Int|Da ''[https://artslife.com/2011/03/01/intervista-a-nicolai-lilin/ Intervista a Nicolai Lilin]''|Intervista di Dejanira Bada, ''Artslife.com'', 1 marzo 2011.|h=4}} *Sono nato in un paese molto degradato. Quando ero piccolo non avevamo neanche il bagno in casa e dovevamo andare fuori anche a -20. Le persone da noi apprezzavano cose come il gas e la luce, quello era il lusso. Ma non perché la comunità fosse povera, era una decisione degli anziani che influenzava la nostra vita. I nostri vecchi vivevano in un modo scettico, e la povertà veniva portata come una bandiera, una cosa di cui andare fieri. Per esempio ricordo un episodio in cui, a casa della mia famiglia, irruppe la polizia. Iniziarono a rompere tutto e ad un certo punto, spaccando il muro, trovarono dei lingotti d’oro da mezzo chilo, ed erano talmente tanti che mia madre si mise a piangere incredula, perchè nostro papà li aveva messi lì dentro senza dire niente. Probabilmente aveva svaligiato un furgone, ma queste cose non si raccontavano in casa. Insomma, potevamo permetterci di stare meglio ma era una scelta apparire così, una sorta di onestà. *Da piccolo passavo tanto tempo con un anziano, un vecchio medico molto educato che è stato in carcere trent’anni durante la dittatura di Stalin soltanto per aver nascosto una famiglia ebrea. Lui mi ha insegnato ad ascoltare l’opera, a leggere poesie e romanzi, ad ascoltare la [[lingua italiana]]. Lui leggeva la Divina Commedia in lingua originale e grazie a lui l’Italia mi è entrata nel cuore, perchè l’ho sempre vista come culla della cultura internazionale. *Sono nato in un posto dove c’erano tantissime persone tatuate, ma da piccolo non capivo questa importanza, anche perché la tradizione del tatuaggio siberiano esclude la parola, è una cosa che esiste ma non si spiega il perché e che cosa voglia dire. Da piccolo andavo a sbattere contro mio padre, mio nonno, i miei zii che erano tutti tatuati, ma se chiedevi spiegazioni prendevi le sberle, perché per loro era un’offesa chiedere. Poi ho tentato di entrare in questo mondo chiedendo spiegazioni ai vecchi ai quali facevo piccoli favori. Pensa che ad oggi, quando torno al mio paese, vengo deriso, perché sono tatuato e perché è tutto cambiato. Per loro, oramai, sono un pagliaccio, uno stupido che vive in occidente ma che fa finta di essere ancora legato al passato dei nostri vecchi, coloro che, secondo i giovani d’oggi, ci hanno fatto vivere e vedere la povertà come valore. Insomma, sta arrivando la globalizzazione anche da noi ed è una cosa brutta. Io da piccolo invece ho iniziato a studiare questa tradizione dei tatuaggi ed ho capito che era una cosa molto importante. *A me la politica non interessa, davvero, però non posso sopportare le persone che diventano cattive e che vogliono il potere a tutti i costi, perché solo Dio ha il potere del mondo, un Dio che ognuno può interpretare come vuole, invece noi umani dobbiamo stare al nostro posto, non rompere le palle agli altri e controllare bene quello che abbiamo sotto i piedi. Questa più o meno è la mia idea politica o esistenziale. *Da dove vengo io questo mi hanno insegnato, rimanere sempre degno di me stesso e coerente. Si può anche cambiare idea, magari perchè ci si è informati meglio, allora si può cambiare opinione. Anche ammettere i propri sbagli è una questione di dignità. Molte persone invece la dignità non ce l’hanno, oppure è stata levata loro dal consumismo e sostituita con telefoni, auto, cellulari, con beni che li portano a considerare la cosa più importante non tanto la propria vita, quanto la possibilità di consumare all’interno della propria vita. La gente non teme di morire, ma di non poter andare più al cinema! *Una volta mi hanno sparato dritto al cuore – ho ancora una cicatrice orribile anche se avevo il giubbotto antiproiettile – con un fucile AK-47. Mi è andata bene perchè il ragazzo che mi ha sparato aveva finito le cartucce, se mi avesse scaricato addosso il caricatore non sarei qui ora. Lì ho visto la fine, sicuro che sarei morto, i miei ultimi pensieri prima di svenire sono stati: “Ok è andata, è finita, pazienza” e mi sono steso contro il muro. Poi però mi sono risvegliato e una volta sveglio mi sono sentito davvero rinato, è stato come nascere per la seconda volta. *Un’altra volta invece, sempre durante la guerra in Cecenia, ci hanno colpito con un lanciagranate ed hanno fatto rovesciare il convoglio in cui mi trovavo. In quel momento stavo dormendo e il colpo è stato talmente violento che due dei nostri autisti sono subito morti. Io invece sono solo diventato sordo dall’orecchio sinistro. Ricordo che quando c’è stata l’esplosione ero in uno stato di dormiveglia in cui ho pensato di nuovo: “Ok, stavolta è finita davvero” e invece no, sono svenuto e sono rinato di nuovo! {{Int|Da ''[https://web.archive.org/web/20110806033111/http://www.nicolaililin.com:80/?p&#61772 A Grozny io ho combattuto, c'è ancora dolore nell'anima]''|''Nicolaililin.com'', 30 marzo 2011.|h=4}} *La prima volta che entrai nella città di Grozny era il settembre del 1999. [...] Io a quel tempo ero all’inizio del secondo anno del mio servizio militare obbligatorio che svolgevo nel reparto speciale di ricognizione e sabotaggio presso il Direttorato Principale d’Esplorazione (GRU in russo). La guerra che dovevo combattere era brutta e difficile, come lo è ogni guerra in questo mondo. I terroristi, per giustificare l’impegno di enormi somme di denaro provenienti dai paesi arabi, combattevano senza risparmiarsi, in gioco c’erano troppi soldi, troppi poteri e tutto il mondo del fondamentalismo islamico aveva tante aspettative su di loro per l’interesse strategico nel controllo della regione della Cecenia per le sue risorse naturali e per il passaggio verso il territorio del Caucaso. I terroristi erano ben organizzati e perfettamente preparati sia per la difesa che per azioni di guerra partigiana. Noi gli davamo la caccia tra le montagne e nelle città, in una lotta molto crudele, perché nessuna delle due parti era intenzionata a mollare. *Dopo due anni e tre mesi di servizio sono stato congedato e tornando a casa ho lasciato un paese in fiamme, oltre qualsiasi immaginabile soglia di povertà, senza infrastrutture fondamentali necessarie per l’esistenza di qualsiasi società umana. [...] Tutto questo accadeva per via della totale assenza di impegno da parte dell’amministrazione della Federazione Russa, interessata solamente a soddisfare le proprie ambizioni politiche e territoriali. *Sono contento che il paese a cui mi legano ricordi forti e contraddittori finalmente ha ripreso la sua vita, anche se tra mille difficoltà. Sebbene sia ancora lontano dallo standard di uno stato democratico, voglio pensare che il primo passo verso una vita pacifica e un futuro degno e onesto sia stato fatto. {{Int|Da ''[https://www.gliamantideilibri.it/intervista-a-nicolai-lilin/ A tu per tu con... Nicolai Lilin]''|Intervista di Serena Langini, ''gliamantideilibri.it'', 8 aprile 2011.|h=4}} *La società dove sono nato io aveva tante diverse particolarità; era una società di resistenti politici, quindi persone che colpivano atti illegali per motivi ideologici. Quindi erano diffamati, chiamati criminali dagli altri e in alcuni momenti sono anche stati costretti a comportarsi come tali. Però all’interno esistevano ovviamente le loro regole. Ad esempio, nella mia comunità non si facevano i crimini contro un individuo, non si rubava, non si scippava, non si spacciava la droga, non si gestiva la prostituzione. Tutti i crimini si compivano contro il potere; il che voleva dire che si uccidevano persone al servizio del potere: poliziotti, militari..sovietici. E dall’altra parte eseguivano rapine alle banche e dei furgoni portavalori perché nell’Unione Sovietica tutto questo era proprietà dello Stato, il privato non esisteva nell’Unione Sovietica. Tant’è vero che quando è crollata l’Unione Sovietica, la nostra comunità ha smesso di esistere. *Il concetto di criminale nasce con lo Stato, che può essere uno stato giusto, come il nostro italiano, una democrazia. Però qui la criminalità è diversa, sono degli stronzi, che a volte sono in contatto col nostro governo, sono mafiosi e fanno crimini contro di noi per guadagnare soldi, non hanno un movente ideologico, gli interssano solo i soldi. Questa gente andrebbe eliminata, perché chi commette crimini contro il proprio popolo avendo come movente i soldi non cambierà mai idea. Come con Hitler, o costretti al suicidio o eliminati, perché vogliono solo il potere. *Adesso anche in Russia è pieno di questi tatuaggi. All’inizio del secolo, quando i comunisti hanno avvicinato al loro giro i criminali più “moderni”, hanno creato caste, come la più grande, Seme Nero, creata dal kgb. Questi sfruttano i loro tatuaggi, hanno una grande tradizione di cui parlano tutti, i giornalisti americani vanno e li filmano nelle carceri, ma in realtà dietro non c’è nessun significato, lo usano come una divisa militare coi gradi e le medagliette. *Qua in Italia, i nostri 18enni, oltre a spacciare cocaina a Napoli, oltre a fare cazzate in Sicilia, lavorare dai loro genitori e allevare maiali in Piemonte, non sanno fare. Si ammazzano in macchina, fanno casino, sono contro tutto, sono individualisti, consumatori come nessuno in Europa. Consumiamo in modo vergognoso noi. [...] Il problema principale in Italia è che ci sono troppe lobby dei vecchi; in Italia è tutto gestito dai vecchi, anche la cultura, l’arte, il cinema, la tv…e un giovane, anche se bravo e creativo, non entra... *L’educazione militare, di questi tempi, è molto importante, è come un movimento che unisce. Voi immaginate un’unica categoria di persone che al Nord non fanno parte della Lega sono gli Alpini. Perché gli Alpini, quando hanno fatto il militare, erano tutti insieme, hanno imparato il cameratismo, condividevano con ragazzi di Trapani, di Roma, della Puglia, e quindi hanno rispetto e lo sanno che l’unione fa la forza. Invece chi vuole dividere gioca sull’ignoranza delle persone e sulla mancanza di momenti che ci uniscono. *[...] ho visto 5 conflitti, son stato nei servizi privati. Faccio consulenze alla polizia e ai carabinieri. {{Int|Da ''[https://web.archive.org/web/20111127134323/http://www.nicolaililin.com/?p&#61838 Scritto col sangue]''|Intervista di Raffaele Panizza per ''Panorama'', ''nicolaililin.com'', 18 maggio 2011.|h=4}} *{{NDR|«Alcuni detrattori ritengono inverosimile che lei, cittadino moldavo, sia stato chiamato alla leva dalla Russia.»}}<br>La cosa è semplice: mio nonno era siberiano e io avevo il doppio passaporto. Per molti ragazzi, poi, l’esercito era un’opportunità. A bender, la mia città, c’era un ufficio della 14ma armata. Chi sostiene il contrario dimostra ignoranza. *Avevo un arsenale. Durante la guerra in Cecenia il mio reparto era autorizzato a sequestrare tutte le armi che trovava. Mi ero organizzato con i corrieri e facevo spedire tutto a casa. Al ritorno ho trovato un capitale: fucili svizzeri che valevano più di una Mercedes, cannocchiali militari che gli arabi erano disposti a pagare una fortuna. Dopo ho lavorato per una società di sicurezza privata, finché sono stato chiamato da un’agenzia israeliana. Mi occupavo di logistica: se un cliente doveva attraversare una zona pericolosa dell’Afghanistan, io andavo sul posto e parlavo coi capitribù, spiegando perché era conveniente per loro non ammazzare il mio cliente. Se non si convincevano, li pagavo. Sono stato in tutto il Medio Oriente. *Io mi occupavo del satanismo inconsapevole, di gente che agisce per conto del male senza saperlo. Persone manovrate da adoratori del demonio. Una realtà enorme e sconosciuta, alla quale il Vaticano dedica grande attenzione. *Da piccolo, ogni volta che dimostravo un segno di debolezza, mio padre mi picchiava. *Sono cresciuto in una società dove Cristianesimo e omicidio erano tenuti assieme senza contraddizioni. Mi sento male se dico una bugia, ma per le vite che ho portato via no, sono in pace. È il complesso dei templari: ammazzavano la gente, ma dentro un codice. L’ho fatto anch’io, ma dentro uno scontro di civiltà. {{Int|Da ''[https://ricerca.gelocal.it/ilpiccolo/archivio/ilpiccolo/2011/05/20/PR_47_01.html Nicolai Lilin racconta la sua sporca guerra combattuta in Cecenia]''|Intervista di Alessandro Mezzena Lona, ''Il piccolo'', 20 maggio 2011.|h=4}} *{{NDR|Su ''Il respiro del buio''}} Questa volta ho deciso di comportarmi da vero romanziere: mescolerò alla realtà che ho vissuto più finzione, più letteratura. Così smetteranno di criticarmi. Di dirmi che non posso aver vissuto storie così estreme. *[...] quando sono uscito dall’esercito russo mi sono trovato senza una storia, senza documenti. Ovviamente, sul foglio di congedo non potevano scrivere che in Cecenia facevamo la guerra illegale. Che ci comportavamo come i terroristi. In Russia queste cose non le sanno, non le dice nessuno. Meno che meno i giornalisti. E così mi sono trovato a dovermi inventare un futuro. *{{NDR|«In Italia si è occupato anche dei satanisti?»}} Siccome mi sono sempre occupato di sicurezza, una società privata di volontariato legata al Vaticano mi ha infiltrato per due anni all’interno di alcuni gruppi satanisti. In quell’ambiente ho scoperto un grande traffico pedofilo tra la Russia e l’Europa. Ho fatto denunce contro parecchie persone, ma il problema è che sono molto coperti. [...] Posso dire che ho denunciato l’esistenza di una rete pedofila a Monaco di Baviera. La denuncia non ha mai avuto seguito. Del resto, un film porno con la partecipazione di un minore, girato in poche copie, può costare da 50 a 70 mila euro. Ho scoperto cose davvero schifose.<br>{{NDR|«Perché ne parla solo adesso?»}}<br>Mi sentivo vulnerabile. E poi, speravo di continuare a lavorare in questo ambiente. Ma dopo l’uscita dei due romanzi la mia faccia è davvero troppo riconoscibile. In più, adesso ho una figlia di cinque anni. Però non smetterò mai di raccontare a tutti che i pedofili sono ricchi e potenti. Non solo in Italia: in Belgio ci sono associazioni pro-pedofili che li aiutano a nascondersi. {{Int|Da ''[https://www.independent.co.uk/arts-entertainment/books/features/when-does-a-soldier-s-memoir-count-as-fact-and-when-as-fiction-2335945.html When does a soldier's "memoir" count as fact, and when as fiction?]''|Intervista di Oliver Bullough su ''Caduta libera'', ''independent.co.uk'', 12 agosto 2011.|h=4}} *Questa non è la mia storia. Questa è la storia di un mio compagno che ha combattuto con me [...]. Ho scritto la storia di un compagno che purtroppo è stato ucciso in guerra. Mi ha detto che è andata così e la cosa mi ha interessato. Veniva da una famiglia povera, era un ragazzo di villaggio, e la sua storia mi piaceva molto. :''That is not my story. That is the story of one of my comrades who fought with me'' [...]. ''I wrote the story of a comrade who was sadly killed in the war. He told me that that was how it happened and it interested me. He was from a poor family, a village boy, and I liked his story very much.'' *Quando ho scritto il libro non volevo che fosse considerato storico. Primo perché non potrei scrivere un libro di memorie, perché non sono importante o qualcosa del genere. Se fossi Mozart o la Regina Elisabetta, potrebbero scrivere un libro di memorie, ma non sono nessuno [...] Non so come chiamarlo. Non è un libro di memorie. È un romanzo basato su eventi realmente accaduti. :''When I wrote the book I did not want it to be considered as historical. First because I could not write a memoir, because I am not important or something. If I was Mozart or Queen Elizabeth, they could write a memoir, but I am no one'' [...]. ''I do not know what to call it. It is not a memoir. It is a novel based on real events.'' *Tutti gli eventi nelle città, beh, personalmente ho combattuto molto poco nelle città, a dire il vero. Per esperienza personale, sono stato molto poco in città. Ero a Groznyj quando è stato ripreso ma ci hanno rimandati via molto presto. :''All the events in towns, well, I personally fought very little in towns, to be honest. From my own experience, I was very little in towns. I was in Grozny when it was taken back but they sent us out again very quickly.'' *Ho usato molte storie per creare alcuni fatti nel mio libro, alcuni racconti di guerra in città. Forse in alcune di queste storie che ho scritto le ho colorate un po', forse ho esagerato, ma questo era appositamente per mostrare l'orrore della guerra urbana. Onestamente per quanto riguarda il fatto dei 13 colonnelli {{NDR|caduti in una battaglia urbana}}, non ricordo. :''I used a lot of stories to create a few facts in my book, a few tales of war in the city. Maybe in some of these stories I wrote I coloured them up a bit, maybe I exaggerated, but this was specially to show the horror of urban war. Honestly as far as the fact about 13 colonels, I do not remember.'' *{{NDR|«Quindi quanto del libro è effettivamente vero?»}} È difficile da dire. Le storie più importanti, in particolare quando scrivo di come si sente una persona in guerra, questa è la mia esperienza. Poi ci sono un sacco di storie di soldati che potrebbero essere, non so, vere o meno perché in guerra non controlli quello che ti dice il tuo compagno. :''{{NDR|«So how much of the book actually is true?»}} It is hard to say. The most important stories, particularly when I write about how a person feels in war, that is my experience. Then there are a lot of stories from soldiers that could be, I don't know, true or otherwise because in a war, you don't check what your comrade tells you.'' {{Int|Da ''[https://ojs.unito.it/index.php/spaziofilosofico/article/view/8694 Nicolai Lilin: Violenza utile?]''|Intervista di Giorgio Cattaneo, ''Spazio filosofico'', vol. I, 3, pp. 305-309, 30 settembre 2011.|h=4}} *Mia figlia ha solo cinque anni e ha già imparato a smontare e rimontare la pistola: gliel'ho insegnato perché penso che potrebbe sempre esserle utile, un giorno. *Non avessi avuto alle mie spalle la "scuola" di Bender probabilmente nel mattatoio del Caucaso non sarei sopravvissuto: se non sei addestrato fin da piccolo al dolore, a dare e ricevere dolore, di fronte a una mattanza come quella cecena il tuo cervello scoppia. Anche il mio ci è andato vicinissimo: ero cecchino, tiratore scelto, e avevo il "privilegio" di guardare negli occhi, col mirino ottico, i nemici a cui avrei sparato. Nei primi mesi li contavo. Quando sono arrivato a cinquanta, ho smesso: per non impazzire. *Stalin mandava in Siberia dissidenti e intere popolazioni, ma Mosca trovò utile sradicare i ribelli siberiani spedendoli nel caldo torrido dell’estremo sud, a due passi da Odessa e dal Mar Nero *A Bender, da piccolo, tra i miei amici ero l’unico a dar retta alle vecchie storie degli anziani [...]. Mi piaceva il mondo di cui parlavano, duro e spietato, ma con un’etica. Mai colpire donne e bambini, mai fare del male a qualcuno senza un valido motivo. E addirittura, venerazione per i disabili: li chiamavano "voluti da Dio", erano considerati medium inconsapevoli, ambasciatori dell’invisibile. *{{NDR|Sulla presenza di immagini religiose sui suoi tattuagi}} È un retaggio culturale che risale agli Efei, antico popolo pre-russo: volevano avvicinare i pellegrini per derubarli; non disponendo di croci e altri monili religiosi, cominciarono a tatuarseli sulla pelle. *Quando sono tornato a Bender dopo la guerra ci sono rimasto pochissimo [...], perché non c’era quasi più nessuno: tutti morti, o in galera o scappati chissà dove. *A un certo punto per salvarmi sono praticamente scappato: in Siberia, dal fratello di mio nonno. Un vecchio che si era ritirato nella foresta e viveva di caccia sulle rive del fiume Lena perché del mondo non ne voleva più sapere. Immaginavo che solo lui mi avrebbe potuto aiutare a ritrovare un po’ di pace,e così è stato. Aveva combattuto nella Seconda Guerra Mondiale, a Stalingrado. Vedendomi ridotto a uno straccio, mi ha detto: anch’io ero conciato così e allora pensavo che non mi sarei mai più ripreso, invece ho imparato che il tempo pian piano ci guarisce. E poi, ha aggiunto, domandati perché sei sopravvissuto: un motivo c’è sicuramentee un giorno lo scoprirai. *Da piccolo ho lottato, ho ferito coetanei a coltellate. Era "giusto", perché ero stato provocato. Poi ho imparato a tatuare: disegnavo e tatuavo pistole e coltelli, sulla pelle di uomini che avevano ucciso e volevano ricordarlo, a se stessi e agli altri. Ormai anch’io giravo sempre armato, a Bender. Ma tutto questo non è niente, rispetto alla violenza della guerra: ti prendono, ti caricano su un camion e poi ti mandano in prima linea. Per prima cosa ti fanno raccogliere i morti del giorno prima e ti obbligano a pranzare in mezzo ai cadaveri massacrati. Poi tocca a te. Devi prepararti a sparare, a uccidere: per non essere ucciso. E questa, di gran lunga, è la peggiore delle violenze: la costrizione. Devi mettere a tacere la tua voce interiore, altrimenti finisci al manicomio. Diventi una macchina di morte. Dopo due anni di Cecenia, ero conciato così male che, al momento del congedo, un ufficiale mi ha chiesto di restare nelle forze speciali: mi ha detto che, dopo quello che mi era toccato vivere, non sarei mai più riuscito a tornare alla vita di prima, tra le cosiddette persone normali. Bruciato per sempre. Si sbagliava, ma ad uscire da quel tunnel ho impiegato anni. *[...] di guerriglieri ceceni ne abbiamo incontrati davvero pochissimi: era pieno di afghani, sauditi e giordani, mercenari. Di giorno i generali di Eltsin ci mandavano al macello a Grozny, mentre la notte trafficavano con la benzina alle nostre spalle. E molti dei nemici abbattuti erano dotati del migliore armamento russo. Un imbroglio sanguinoso e colossale, per far sparire una montagna di soldi e arricchire gli oligarchi decisi a svendere la Russia agli americani. E noi in prima linea, a farci ammazzare. E a sparare ai "terroristi", mirando alla testa. {{Int|Da ''[https://www.kommersant.ru/doc/1781738 "Мои рассказы такие дерзкие"]''|Intervista di [[Elena Černenko (giornalista)|Elena Černenko]], ''Kommersant.ru'', 3 ottobre 2011.|h=4}} *I miei racconti sono arrivati ​​al direttore dell'associazione letteraria e quando mi ha chiamato alle due del mattino piangeva. Ha detto: le mie storie sono così audaci e lo hanno toccato così tanto che vorrebbe mostrarle a un editore serio. Due settimane dopo ho ricevuto una telefonata dalla più grande casa editrice italiana, Einaudi. :''Мои рассказы попали к директору литературной ассоциации, и когда он позвонил мне в два часа ночи, он плакал. Он сказал: мои рассказы такие дерзкие и они так сильно его затронули, что он хотел бы показать их серьезному издателю. через две недели мне позвонили из самого большого издательства в Италии Einaudi.'' *{{NDR|Sul ruolo di Kuzja in ''[[Educazione siberiana (film)|Educazione siberiana]]''}} Abbiamo considerato due possibili attori per questo ruolo. Il secondo è Anthony Hopkins. Ma penso che Malkovich sia più adatto. Hopkins ha un aspetto e un temperamento più occidentali. E quello di Malkovich è più orientale. E a questo particolare livello mi ricorda di più il nonno Kuzja. :''Мы рассматривали двух возможных актеров на эту роль. Второй — Энтони Хопкинс. Но мне кажется, что Малкович лучше подходит. У Хопкинса более западная внешность и темперамент. А у Малковича — более восточная. И на таком частном уровне он мне больше напоминает дедушку Кузю.'' *{{NDR|«Qui ho tra le mani la versione tedesca del libro, e qui sulla copertina c'è scritto: "Nicolai Lilin, urca siberiano ereditario..."»}} Purtroppo non ho alcuna influenza su come viene presentato il mio libro. In Italia scrivono la stessa cosa in copertina, perché devono in qualche modo vendere questo libro e in qualche modo farmi conoscere alla gente. Ma questa non è un'autobiografia. Anche se questo libro si basa sulla mia esperienza, su ciò che io stesso ho vissuto.<br>Sono cresciuto in una famiglia povera e problematica. Gli anziani si sentirono espulsi dalla Siberia. Quando ero piccolo, pensavo, che razza di sciocco esilierebbe la gente dalla Siberia al sud? :''{{NDR|«Вот у меня в руках немецкая версия книги, и тут на обложке написано: "Николай Лилин, потомственный сибирский урка...»}} К сожалению, я не влияю на то, как представляют мою книгу. В Италии на обложке пишут примерно то же самое, они ведь должны как-то эту книгу продавать и как-то представлять меня людям. Но это не автобиография. Хотя эта книга базируется на моем опыте, на том, что я сам пережил.'' *{{NDR|«Ma come poteva Stalin mandare qualcuno a Bendery negli anni '30, se a quel tempo era territorio rumeno?»}} Non è chiaro cosa ci fosse. Questa parte del libro, che è collegata al reinsediamento... o, diciamo, al "presunto reinsediamento", l'ho scritta o, per meglio dire, ricreata questa storia, utilizzando alcuni ricordi degli anziani. Alcuni furono espulsi, altri fuggirono lì a causa delle persecuzioni dei comunisti. E l'editore ha scritto che questa è un'autobiografia. :''{{NDR|«Но все же, как мог Сталин в 30-е выслать кого-то в Бендеры, если в то время это была румынская территория?»}} Непонятно, что там было. Эту часть книги, которая связана с переселением... или, скажем, с "якобы переселением", я написал или, лучше сказать, воссоздал эту историю, используя некоторые воспоминания стариков. Кого-то выслали, кто-то сам туда бежал от преследования коммунистов. А издатель написал, что это автобиография.'' *{{NDR|«È vero che sei stato in prigione più volte?»}} No, anche questa è una sciocchezza. I traduttori non capiscono cosa siano la detenzione, l’indagine e il processo. Glielo ho spiegato più tardi, ma purtroppo l'hanno già scritto nel libro. Ho avuto un articolo solo una volta, in Transnistria, quando ero minorenne, ho passato nove mesi in prigione. Una volta sono stato indagato in Russia. :''{{NDR|«То, что ты несколько раз в тюрьме сидел, это правда?»}} Нет, это тоже ерунда. Переводчики не понимают, что такое задержание, следствие и суд. Я им потом объяснил, но, к сожалению, они уже это в книжке написали. У меня только один раз была статья, в Приднестровье, по малолетке, я девять месяцев провел в тюрьме. Еще в России один раз был под следствием.'' *In Israele, ho lavorato sotto contratto in un servizio di sicurezza privato. In Occidente, le società di sicurezza private assumono professionisti. Diciamo che un gruppo di specialisti israeliani viene in Afghanistan e, per una certa somma di denaro da parte dell'ONU o del governo americano, effettua una certa operazione militare. L'ho fatto finché la mia gamba destra non è stata strappata da una mina in Iraq. {{NDR|«Oh, quindi sei stato anche in Iraq e Afghanistan?»}} Sì, ma non ne parlo, mica sono scemo. :''В Израиле я работал по контракту в службе частной безопасности. На Западе частные охранные предприятия берут на службу профессионалов. Скажем, в Афганистан приезжает группа израильских специалистов и за определенную сумму денег от ООН или американского правительства совершает определенную военную операцию. Я этим и занимался, пока мне в Ираке миной не разорвало правую ногу. {{NDR|«А, так ты еще в Ираке и Афганистане был?»}} Да, но я об этом не буду рассказывать, я что, дурак, что ли.'' {{Int|Da ''[https://web.archive.org/web/20160402192813/http://www.unmercoledidascrittori.it/?p&#61514 Intervista con Nicolai Lilin]''|Intervista di Paolo Ciampi, ''unmercoledidascrittori.it'', 12 ottobre 2011.|h=4}} *[...] noi eravamo i bambini di quarta generazione di immigrati, immigrati non per loro volontà, perché erano stati deportati dalla Siberia alla Transnistria. Siamo cresciuti in un posto che non era casa nostra, un posto ostile che non era la nostra patria, assolutamente. *La Siberia [...] era un paradiso, un posto di cui ci raccontavano da piccoli, dove c’erano boschi enormi. Ogni bambino aveva a casa i nonni che raccontavano di questi boschi e dei fiumi. Ma ci sono tante cose che non quadrano tra la mia Siberia immaginaria e quella reale. Nel mio libro parlo solo di una parte, quella dove viveva lo zio di mio padre, a Nord Ovest della Jacuzia. *Questo nome l’ho scelto proprio per definire la confusione in cui sono cresciuto. L'"educazione siberiana" in realtà è qualcosa che non è mai esistito perché ognuno vedeva le cose a suo modo. I miei vecchi la vedevano al loro modo, io la vivevo in un’altra maniera, poi c’era la gente che vedeva tutto questo da lontano e ci prendeva in giro perché per il resto della città noi eravamo un branco di tradizionalisti ignoranti, e per alcuni versi avevano ragione. *I vecchi che ho conosciuto mi raccontavano che la nostra stirpe derivava da un antico popolo che abitava nel sud della Siberia. A quel tempo c’erano tantissimi popoli nomadi e questi popoli avevano una mentalità molto tribale che molti di noi sentono ancora come propria. Assaltavano tutte le carovane commerciali che passavano non tanto per arricchirsi ma perché a loro dava fastidio il commercio, dava fastidio il denaro. Credevano che ognuno fosse legato alla terra dov’era nato e che dovesse vivere lì, comportarsi onestamente, rispettare gli altri e se stessi, e vivere con quello che gli dà Dio: boschi, fiumi, animali.<br>Si sono scontrati con i primi sistemi governativi; non erano solo anti-comunisti, prima erano stati contro lo zar. Dava loro fastidio qualsiasi sistema politico perché il sistema politico tende a portare il suo diritto, il suo modo di vedere e di gestire le cose e a loro non piaceva perché loro non avevano bisogno di niente. *I nostri nonni, i nostri siberiani dicevano “noi siamo criminali perché il governo ci ha definiti criminali, perché al governo non piace quello che facciamo, però noi siamo diversi da tutti gli altri criminali. Noi non derubiamo la gente per strada, noi non violentiamo le donne; contro le singole persone noi non facciamo niente. Perché la libertà di una persona singola per noi è una cosa sacra. Noi rapiniamo banche perché le banche sono proprietà del governo e ammazziamo i poliziotti, perché loro sono i cani del governo. Ma questo per noi non è un atto criminale, Questo è un dovere di ogni persona libera. Se loro vogliono definirci criminali noi lo accettiamo. Ma aggiungiamo che noi siamo criminali onesti perché abbiamo il nostro codice, il nostro comportamento, la nostra morale”. *Avere delle regole è normale, umano. Questa comunità però ne aveva alcune molto estreme, proprio perché era consapevole di essere estremista. Non passava giorni senza che mio nonno mi dicesse che loro erano gente cattiva, che erano degli assassini. A volte mi accarezzava e mi diceva che con quella mano poteva amare me e uccidere un’altra persona. *Quando sono stato congedato dall’esercito mi ricordo che nel primo mese mi spostavo dalla sala alla cucina con il kalashnikov. Ho provato a lasciarlo in cucina e andare in sala ma senza di lui mi sentivo male. Ovviamente è una forma di malattia. *Sono cresciuto con un nonno che aveva una stanza piena di fucili, pistole e altro e all’età di 13 anni andavamo a pesca con le bombe a mano. Questa era la nostra realtà, qua i bambini giocano con il Lego, noi giocavamo con le bombe a mano. *Il tatuaggio tradizionale siberiano è un codice segreto, nato in epoca pre-russa e pre-cristiana. I primi briganti nomadi della foresta, si tatuavano per potersi riconoscere, lungo le grandi strade della Siberia dove assaltavano i convogli provenienti dalla Cina e dall’India. I tatuaggi quindi erano un modo per non farsi assalire da “colleghi”, e un modo muto per rendersi fratelli. Quando si diffuse il Cristianesimo, il tatuaggio criminale siberiano adottò i simboli della nuova religione. *La tradizione del tatuaggio è nata proprio per evitare di usare le parole: tra siberiani era ritenuto disonesto parlare. Tutto è legato al concetto di umiltà perché parlare di sé equivale a vantarsi, quindi per raccontare le proprie storie si usavano i tatuaggi, che sono quindi una sorta di alfabeto da decodificare. Non si chiede però a qualcuno di spiegarci cosa vogliono dire i suoi tatuaggi; non si racconta il significato dei tatuaggi. *In Russia ci sono tante società criminali, alcune moderne, altre che hanno una storia di qualche secolo. Seme Nero attualmente è la comunità più grande e più potente nel mondo criminale russo, è stata creata dai comunisti all’inizio del secolo scorso per controllare i detenuti nelle prigioni. Oggi fa parte del sistema di controllo e potere in Russia chiamato ‘Santa Trinità’. In esso rientrano elementi del governo corrotto, la parte vecchia dei servizi segreti russi, ex Kgb e criminali che rappresentano Seme Nero. *Nel 2003 mia madre era in Italia e io in Russia. Lei mi fece credere di essere molto malata, così io arrivai di corsa, ma al mio arrivo ho scoperto che invece aveva inventato tutto per farmi venire, solo per vedermi.<br>A quel punto ho capito che questa sarebbe stata la mia terra. Ho costruito la mia casa mattone per mattone. Mi sono sposato. Ho fatto una figlia. Sono cittadino italiano. Se scoppia una guerra, andrò a morire per questo paese. L’Italia è la mia patria, la rispetto e l’adoro. *Ho imparato l’italiano nella strada, vivendo la vita, non sono mai andato ad una scuola di lingua.<br>Ma la mia relazione con la lingua italiana risale già alla mia infanzia. Quando ero piccolo, un medico, amico di famiglia, un rappresentante dell’intellighenzia, mi leggeva Dante in italiano, io non capivo nulla però mi ricordo che mi emozionava. *{{NDR|«La decisione di andare, lo scorso settembre, a presentare il tuo libro a Casa Pound, un centro sociale di estrema destra a Roma, ti ha esposto alle critiche di molti. Perché ci sei andato?»}} Perché mi hanno invitato.<br>Sono stato molto criticato per questo mio gesto, sia dal mio editore che da mia moglie, ma io cerco sempre di capire l’altro. Mi considero apolitico perché in quanto scrittore non reputo di dovermi occupare di politica, ma naturalmente ho le mie idee sull’Italia e la politica. *Non riesco a capire perché qualcuno mi abbia dato del fascista. Sono andato dieci volte in centri sociali, nove volte erano centri sociali di sinistra e nessuno ha detto niente. L’ultima volta sono andato a Casa Pound e la cosa è stata giudicata scandalosa. Ho ascoltato i loro discorsi e mi è sembrato che esprimessero bisogni simili a quelli di tanti ragazzi di sinistra. Ho visto la stessa strumentalizzazione da parte di chi sa come usarli. Ragazzi che non sanno comunicare e si fanno la guerra tra loro quando dovrebbero fare la guerra al consumismo. {{Int|Da ''[https://www.repubblica.it/dal-quotidiano/reportage/2011/12/12/news/cos_la_generazione_internet_ha_risvegliato_il_popolo_russo-26456891/ Così la Generazione Internet ha risvegliato il popolo russo]''|Sulle [[proteste in Russia del 2011-2013]], ''repubblica.it'', 12 dicembre 2011.|h=4}} *Negli undici anni del potere totalitario esercitato da Vladimir Putin le recenti notizie che arrivano dalla Russia sono forse le più importanti e positive sia per la vita interna socio-politica del paese, sia per la sua immagine nel quadro internazionale. La reazione immediata del popolo ai brogli elettorali esercitati dal potere corrotto del Cremlino. [...] L'accaduto a Mosca segna un nuovo percorso etico e morale della società post sovietica: finalmente i cittadini si sono indignati e hanno avuto il coraggio e la capacità di organizzarsi e rivendicare il proprio diritto al voto. *In Occidente pochi capiscono fino in fondo che la Russia nel corso di tutta la sua storia ha vissuto in un clima di schiavitù e terrore: prima quello della monarchia, poi quello comunista, poi il recente pseudo-democratico, il risultato è stato sempre lo stesso: generazioni di schiavi, prigionieri, militari contro la propria volontà, tantissimi esuli ed emigranti. Gente costretta a combattere le guerre, trasformata dalla propria classe dirigente in una massa di ladri e bugiardi, e se qualcuno mostrava di essere all'altezza di un ragionamento intellettuale, veniva soppresso, come gli intellettuali anti monarchici impiccati nel 1825 a seguito della Rivolta di Dicembre. E come moltissimi altri intellettuali divenuti prigionieri del Gulag ai tempi di Stalin e perseguitati fino all'ultimo anno di Urss. Persone coraggiose e oneste come Anna Politkovskaya, uccise dai boia del regime putiniano negli anni della loro tirannia. *L'importanza di questo periodo storico è troppo evidente e sulla scena sono apparsi i rappresentanti di una classe di cittadini che prima sembravano invisibili: trentenni che hanno avuto la possibilità di "temprare" le proprie convinzioni politiche negli scenari apocalittici del crollo dell'Urss, paese in cui sono nati e cresciuti, allevati dall'ideologia sovietica che ai loro tempi ormai sembrava rappresentare l'ombra di un impero cadavere. Hanno passato l'adolescenza costretti ad inserirsi in una società corrotta, criminalizzata alla maniera hollywoodiana, hanno conosciuto le guerre civili post sovietiche, e ora hanno raggiunto l'età in cui si tirano le prime somme del proprio vissuto, in cui gli uomini si prendono la responsabilità per qualcosa che supera il limite etico di un singolo individuo. Scoprendo sulla propria pelle l'importanza di un cambiamento, questi nuovi cittadini russi usano una nuova forma d'informazione, sono popolo del web, sono in collegamento tra loro mediante la rete, non si fanno imbrogliare dalla propaganda governativa, usano i canali alternativi per informarsi e non ci mettono molto ad organizzarsi. Loro senza dubbio costituiscono il blocco più forte e importante della massa che ha manifestato la denuncia al sistema governativo, alla corruzione politica, alle ingiustizie e prepotenze dello Stato. {{Int|Da ''[https://archivio.unita.news/assets/main/2011/12/12/page_032.pdf L'aria nuova di Mosca]''|Intervista di Marina Mastroluca sulle [[proteste in Russia del 2011-2013]], ''L'Unità'', 12 dicembre 2011.|h=4}} *Il solo fatto che Putin abbia perso le elezioni - e dico perso tra virgolette, perché ha sempre intorno al 50% - mi riempie di gioia. Perché la Russia è un Paese basato sulla corruzione e sul controllo dei servizi segreti, dove i cittadini sono trattati come schiavi. E ora qualcosa si sta muovendo. *In Russia la gente ha creduto per anni alle favole che sentiva raccontare. Ha creduto al pericolo del terrorismo, ha creduto che i ceceni fossero criminali e che questo piccolo uomo fosse in grado da solo di garantire sicurezza, salvare le città, mantenere l'ordine. Putin in realtà non è che il risultato di un compromesso tra servizi segreti e oligarchi, per evitare una guerra civile e spartirsi quello che c'era da spartire. *È un piccolo uomo, uno che ha sempre bisogno di dimostrare il contrario e per questo si fa fotografare con le tigri, o a torso nudo o con un fucile da cecchino. Non è nemmeno il meglio che possano esprimere i servizi segreti, è semmai un loro fallimento. *{{NDR|Le proteste}} vogliono dire che il popolo russo ha ripreso coscienza, le persone non hanno più paura perché sono disperate. Attenzione però a dire che Putin è l'obiettivo, perché non è così. È il sistema di potere nel suo insieme: i russi hanno capito che vivono in un Paese corrotto e vogliono seguire invece una via democratica. *Quello che temo è un ritorno del terrorismo. Putin ha in mano la parte peggiore dei servizi segreti, la più corrotta, l'[[Fsb]], che è stato il vero braccio armato degli oligarchi. Ci ricordiamo tutti come Putin è arrivato al potere, con le [[Bombe nei palazzi in Russia|bombe nei condomini delle città russe]]. Sono loro i veri terroristi. Temo quindi nuovi attentati. Poi si darà la colpa ad altri, forse si farà una nuova guerra. Non in Cecenia, stavolta magari in Inguscezia o Daghestan. *Questo non è un movimento pilotato dagli Usa. Il nastro {{NDR|bianco}} è solo un modo per riconoscersi, come facevo anch'io con i miei compagni durante le operazioni di combattimento in guerra, per evitare il fuoco amico. ===2012=== {{Int|Da ''[https://archivio.unita.news/assets/main/2012/03/03/page_033.pdf «Qui ci vorrebbe un Gramsci russo»]''|Intervista di Marina Mastroluca sulle [[elezioni presidenziali in Russia del 2012]], ''L'Unità'', 3 marzo 2012.|h=4}} *Non credo in un grande cambiamento. È impensabile che un apparato corrotto come è quello attuale lasci uno spazio aperto ad una politica diversa. Sarà solo peggio. *Il popolo russo è povero, messo in ginocchio da un potere corrotto che finge la democrazia, ma pratica la dittatura. E quella post-sovietica è una dittatura neo-capitalista. I russi hanno paura della loro ombra: sceglieranno l'uomo forte, che garantisce sicurezza. Visto quante allusioni sessuali nella campagna elettorale? L'idea è che il popolo-mucca segua il leader-toro. *{{NDR|Sulle [[proteste in Russia del 2011-2013]]}} Le proteste sono state grandi. Ma ho visto, tra tanta gente per bene, anche chi non avrei voluto vedere. Gruppi neonazisti, ultrà sportivi, organizzazioni estremistiche di sinistra. E anche personaggi pubblici alla Nemtsov o persino Kassianov, ex premier di Putin, che hanno sfruttato le proteste ma che non hanno lo spessore per promuovere un vero cambiamento. *Il sistema dei brogli è talmente forte che anche chi lo gestisce non potrà più fermarlo. Le sole elezioni vere in Russia ci sono state con Gorbaciov, l'unica persona che potrebbe ancora cambiare la Russia. *Ci servirebbe un Gramsci russo. E invece le nuove generazioni sono state rovinate dalla cultura hollywoodiana, cresciute con i film in cui i russi erano sempre i cattivi. Abbiamo interiorizzato una mancanza di dignità. {{Int|Da ''[https://www.barbadillo.it/803-nicolai-lilin-la-russia-oltre-il-paradigma-democratico-e-occidentalista/ Nicolai Lilin, la Russia oltre il "paradigma democratico" e occidentalista]''|Intervista di Antonio Rapisarda, ''Barbadillo.it'', 30 maggio 2012.|h=4}} *{{NDR|Sulle [[proteste in Russia del 2011-2013]]}} Io l’ho detto e scritto più volte, che tutto in Russia rimane così com’è. Nonostante la stampa, il giornalismo internazionale cerchino di accendere i riflettori, più di quello che meritano, sulle manifestazioni di dissenso. Sono state poche, e quasi tutte insignificanti. Perché San Pietroburgo e Mosca, che sono le città dove si manifesta di più il sentimento critico a Putin, non rappresentano di certo la Russia. È vero, sono città importanti, ma non danno il senso del grosso del paese. *Gli anni del comunismo non hanno fatto per nulla bene: la socializzazione forzata non ha funzionato. Ha trasformato il popolo in un branco di ladri e bugiardi. *{{NDR|Su [[Vladimir Putin]]}} A me lui non piace. Non fosse altro perché ha lavorato per il Kgb, che ritengo la più importante tra le organizzazioni a delinquere. E quindi avere una persona del genere in un paese che rappresenta la sesta parte del mondo a me non suscita nessun tipo di entusiasmo. Però, dall’altro lato, sono consapevole, facendo poche approfondite analisi, che lui è l’unica persona, l’unico politico che può oggi condurre il paese. *{{NDR|Sulla [[corruzione in Russia]]}} Sono abituati alla corruzione. Ecco, come facciamo a spiegare che la corruzione è un male a una popolazione abituata a pagare l’infermiere di un ospedale per avere una prestazione? Lì sono abituati a pagare per gli attestati scolastici del proprio figlio, per farlo entrare all’università, oppure per non fargli fare il servizio militare: che è uno dei fondamenti di un paese civile, sviluppa nei cittadini il senso di appartenenza al proprio paese. Ecco, quando i cittadini di una nazione pagano per “non contribuire” al servizio di un paese è il massimo: io a persone del genere toglierei il passaporto, toglierei i diritti. *La cosa che mi stupisce oggi [...] è vedere come – rispettivamente – sia cresciuto il neonazismo e una forma di nostalgia del comunismo in un paese che ha subito l’invasione nazista e la dittatura comunista. Insomma, è un paese caotico, con grandi problemi, che non ha ancora imparato a gestire *Speravo nei giovani. Sono un interessante terreno politico da coltivare. Anche perché molti di questi sono persone che hanno visto i prodotti del comunismo, ma anche l’incapacità dei vecchi sistemi di inserire le regole del capitalismo e della globalizzazione. Queste persone sono consapevoli che c’è un’alternativa: ma – è questo il loro problema – nessuno di loro ha la possibilità di un sviluppare un discorso con l’attuale classe dirigente in modo così da arrivare a un accordo, a una tregua. Anche se a noi non piacciono queste espressioni perché sembrano l’anticamera di un complotto, di un segreto, in Russia le persone devono fare questo: cercare un interlocutore e definire il futuro. Anche perché Putin non potrà fare lo zar della Russia per sempre. *Io, per fortuna, non ho mai lottato contro l’imperialismo. Però sono cresciuto con la base educativa, con le suggestioni culturali, di persone che l’hanno affrontato. Mio nonno era anticomunista e nella mia famiglia ci sono stati anche dei martiri che hanno combattuto contro l’imperialismo sovietico. *Noi non possiamo trattare tutti con la categoria che rappresenta noi stessi. A me, ad esempio, il modello americano non piace: mangiano male, non sono ben formati. L’unica cosa positiva che hanno? La libertà di possedere le armi. Solo che non la sanno utilizzare e si ammazzano come cani. *In Irlanda fino a qualche tempo non si poteva portare nemmeno un coltello con la punta. Una legge, questa, che proveniva direttamente dall’imperialismo britannico. Ma che cosa hanno da insegnare i britannici? I loro giovani sono quasi tutti alcolizzati, non sanno come sfogarsi, hanno aperto le porte al terrorismo islamico, sono coinvolti in tutte le guerre. E che fanno? Intervengono con leggi razziste arrivando a vietare anche i coltelli da cucina. {{Int|Da ''[https://www.panorama.it/cultura/nicolai-lilin-una-dose-di-saggezza-siberiana-per-guardare-la-crisi Nicolai Lilin, una dose di saggezza siberiana per guardare la crisi]''|Intervista di Tommaso della Longa, ''Panorama.it'', 19 giugno 2012.|h=4}} *Io so che non si possono mettere a paragone periodi storici così diversi, ma quello che vedo oggi in Italia mi ricorda drammaticamente la falsità e il declino dell'Unione sovietica. *Hanno visto nella Russia una facile preda: nel popolo c'era una sorta di inquietudine creata ad arte, i russi sono andati da questi Savonarola di turno come Eltsin, magari pagati da qualcuno all'esterno del Paese, e la gente si accorgeva improvvisamente di vivere male. Da lì il passo verso la distruzione è stata breve. *La classe politica è la proiezione di quello che gli permettiamo di fare. Io sono preoccupato perché ho già vissuto sulla mia pelle momenti molto simili a quello che viviamo oggi ed è finita molto male. Ero nelle strade della mia città a raccogliere munizioni dai corpi dei morti. Non lo dimenticherò mai e non voglio che succeda più una cosa del genere. {{Int|Da ''[https://web.archive.org/web/20130202124053/http://www.nicolaililin.com/?p&#611272 La legge bavaglio in Russia]''|''nicolaililin.com'', 14 luglio 2012.|h=4}} *Il 10 luglio 2012, la "Duma", il parlamento russo, ha approvato la legge sull'informazione, che tra le altre funzionalità dovrebbe dare semaforo verde agli specialisti degli "organi competenti" per bloccare i siti internet che non corrispondono agli standard della censura statale. Il cavallo di battaglia del Cremlino è l'improvvisa voglia dei politici russi di combattere contro la pedofilia (con la quale molti di loro hanno guadagnato patrimoni cominciando dal lontano 1991, quando per via delle tangenti ricevute hanno abbassato da 16 fino a 12 l'età in cui il cittadino russo veniva considerato responsabile per la propria vita sessuale, dando così il via alla corsa di produzione di materiali di carattere pedofilo venduti in occidente). *[...] ricordiamo che la rete era l'ultimo mezzo in cui si poteva comunicare liberamente e reperire informazioni senza essere condizionati, in quanto tutte le agenzie d'informazione che agiscono in Russia sono pilotate da diverse forze politiche e per questo non possono essere considerate affidabili, quindi il pluralismo giornalistico in Russia non è mai esistito [...]. *{{NDR|Su [[Arkadij Babčenko]]}} È attivista delle manifestazioni anti-regime, combattente per la Russia nei due conflitti Ceceni, uno dei pochi uomini onesti nonché tra i migliori giornalisti di guerra mai esistito in Russia, e per via della sua estrema trasparenza ha deciso di lasciare il suo lavoro in uno dei quotidiani "oppositori" di punta (quello per cui scriveva la defunta e celeberrima Politkovskaya) per passare all'informazione sul web, motivando questa scelta con il fatto che anche nell'ambito di opposizione il giornalismo non è trasparente. {{Int|Da ''[https://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2012/11/30/tatuaggi-siberiani.html Tatuaggi Siberiani]''|Intervista di Fulvio Paloscia, ''repubblica.it'', 30 novembre 2012.|h=4}} *{{NDR|Su ''Storie sulla pelle''}} Qui il tatuaggio è la metafora dell' evoluzione del mondo moderno che ha condizionato le azioni degli umani privandole della loro unicità. Da carta di identità attraverso una complessa simbologia che può essere interpretata solo da eletti, è diventato un' espressione consumistica. Il problema è che abbiamo accettato questa trasformazione come la conseguenza di passaggi culturali inevitabili *Ogni persona che tatuo diventa come un familiare, perché nella tradizione del mio popolo il tatuaggio è un codice di comunicazione privata in cui riconoscersi totalmente. *In realtà la mia storia è un inganno. Uso il mio vissuto come un pretesto per costruire un universo umano. Anzi, credo proprio che la particolarità della mia scrittura sia quella di osservare la vita e raccontarla senza prendere posizioni. Come faceva mio nonno nelle sue narrazioni, e sulla cui oralità ho modellato la mia scrittura semplice e diretta ===2013=== {{Int|Da ''[https://www.panorama.it/lifestyle/nicolai-lilin-paranoie-format Nicolai Lilin: "Le mie paranoie, un format di successo]''|Intervista di Raffaele Panizza, ''panorama.it'', 19 gennaio 2013.|h=4}} *Io possiedo due licenze per il porto d'armi e alcuni fucili, e da frequentatore del poligono m'è capitato di dovere disarmare gente inetta: ricordo un tizio cui s'era inceppata la pistola e tentava di sbloccarla rivolgendola verso di me, col colpo in canna. *Avevo una fidanzata in Texas, il cui padre possedeva 30 fucili d'assalto. Sa dove li teneva? In giardino, nella casetta degli attrezzi. Qualsiasi pazzo avrebbe potuto prenderli e uccidere. Ecco perché succedono le stragi. *Nel 2003, in Afghanistan, ho arrestato un terrorista islamico con 8 chili di esplosivo nello zaino. *{{NDR|«Il suo ricordo più terribile di quegli anni?»}} In Iraq, dove agivano contractor assoldati da un colosso americano delle costruzioni, specializzato in impianti petroliferi. Erano nazisti, con le svastiche appiccicate alle uniformi. Scendevano in città e sparavano ai civili, falciandoli con la mitragliatrice. *{{NDR|«Le capita ancora di vivere paranoie da vita militare?»}} Sempre. Per scendere o salire dall'auto uso modalità operative. Camminando per strada scruto i tetti, in cerca di canne di fucile. Gli psicologi, purtroppo, non sono riusciti a guarirmi. *{{NDR|«Le è mai capitato di spaventarsi e assalire qualcuno?»}} È successo dopo l'uscita di ''Educazione siberiana''. M'ero appena comprato una casa in campagna e mi stavo rilassando sul divano, quando vedo due tizi avvicinarsi alla porta e infilare le chiavi nella serratura. Mi alzo, prendo la pistola e spingo forte la porta, facendoli cadere a terra. Chi siete? Dove sono le armi? Urlo, puntandogli l'arma in faccia. Erano due agenti di Tecnocasa convinti che la villa fosse ancora vuota. {{Int|Da ''[https://www.oggi.it/people/vip-e-star/2013/01/25/nicolai-lilin-perche-ho-detto-si-a-salvatores/ Nicolai Lilin: «Perché ho detto sì a Salvatores»]''|Intervista di ''oggi.it'', 25 gennaio 2013.|h=4}} *{{NDR|Su ''[[Educazione siberiana (film)|Educazione siberiana]]''}} All’inizio ero scettico e non credevo possibile ridurre il libro in un film. Certo che il libro fosse appetibile per il cinema se ne accorsero molto presto, già un mese prima che uscisse nelle librerie. Da quel momento ho ricevuto otto proposte da parte di altrettanti registi, ma a tutte ho detto di no, trattavo il mio libro come qualcosa di inviolabile, di sacrale. Con il tempo ho cambiato prospettiva e quando si è fatto avanti Salvatores ho accettato. Apprezzo il suo stile asciutto, la capacità di raccontare storie semplici e umane, senza per forza eccedere in virtuosismi inutili o trovate fini a se stesse. *{{NDR|Su [[Gabriele Salvatores]]}} È stato uno dei pochi a capire che il libro non è basato su una banale storia di criminali, ma al centro c’è la scomparsa di un vecchio mondo, sotto l’onda impetuosa e distruttiva di un nuovo mondo. Il resto sono solo circostanze, avvenimenti, che fanno da sostegno alla storia. I lettori del libro ci si ritroveranno molto. *Ho avuto modo di apprezzare il lavoro della scenografa Rita Ribassini, che ha lavorato duramente con una squadra di professionisti che hanno messo l’anima in questo progetto. Il risultato è stato davvero incredibile. E per essere precisi, non è stata ricostruita la Transnistria, ma è stato costruito una specie di non-luogo funzionale al racconto, anche se poi al suo interno ci sono parecchie immagini che rimandano a quel tempo. *Vivo talmente dentro il mio mondo chiuso che a volte mi sembra di non essere connesso alla realtà che mi circonda. {{Int|Da ''[https://www.huffingtonpost.it/2013/02/02/intervista-a-nicolai-lilin-ho-vissuto-il-male-delleducazione-siberiana-e-nella-costituzione-italiana-ho-trovato-il-bene-_n_2606526.html Intervista a Nicolai Lilin: "Ho vissuto il male dell'educazione siberiana e nella Costituzione italiana ho trovato il bene"]''|Intervista di Luca Ferrari, ''huffingtonpost.it'', 9 febbraio 2013.|h=4}} *{{NDR|Sulla [[Lega Nord]]}} Secondo me da queste persone, attraverso il sistema legale, deve essere ritirata la cittadinanza italiana per tutta la vita. *Per la bandiera italiana, per la questione italiana, per i miei cittadini italiani, io ammazzerò chiunque e farò la guerra fino alla vittoria o fino alla morte. *Io ho preso la pistola nella mia mano quando avevo cinque anni. *{{NDR|«Sei daccordo al matrimonio tra due persone dello stesso sesso?»}} Certo. Secondo me dovevamo andare verso questa direzione già tanto tempo fa. Cittadino è un'entità che lavora e contribuisce e crede nei valori. Se un omosessuale, una persona che crede nella bandiera italiana, crede nei valori di questo paese, crede nella Costituzione e contribuisce, è mio fratello e ha il diritto di fare tutto quello che hanno il diritto di fare tutti i cittadini di questo paese. *{{NDR|«Tra Monti, Bersani, Ingroia, Grillo e Berlusconi, chi secondo te potrebbe governare al meglio questo paese?»}} Io politicamente non sostengo nessuna di queste persone. [...] Non mi da fiducia nessuno. [...] Io sogno per l'Italia un uomo onesto, intellettuale e un grande conoscitore del proprio popolo. Mi piacerebbe avere una persona simile a quello che era in Unione Sovietica Gorbačëv. Io vorrei un leader politico come lui oggi in Italia, ma non c'è. *Io il signor [[Gérard Depardieu|Depardieu]] lo rispetto molto per le sue esibizioni artistiche e per quello che lui ha fatto per cinematografo, però quello che lui adesso ha fatto, operazione che lui ha fatto con la Russia, è un operazione infame, perché è impossibile che una persona oggi nel 2013 sfrutta un paese dittatoriale dove milioni di persone vivono sottomessi da un potere militare, dove in Cecenia gente continua a morire ogni giorno ammazzati dalle forze di polizia corrotti, trafficanti, criminali, assassini dove il capo del paese è un ex agente della KGB e che ha le mani sporche di sangue fino ai gomiti che si chiama Putin ovviamente, lo sappiamo tutti chi è, e noi adesso abbiamo questo qua, questo pagliaccio Depardieu che vuole far vedere a tutto il mondo che la Russia è un paese giusto. {{Int|Da ''[https://www.balcanicaucaso.org/aree/Transnistria/Educazione-siberiana-in-uscita-il-film-130358 Educazione siberiana, in uscita il film]''|Intervista di Bernardo Venturi, ''balcanicaucaso.org'', 11 febbraio 2013.|h=4}} *{{NDR|Su [[Michail Gorbačëv]]}} Lui è stato il migliore, ma molti russi non l’hanno capito. *In Transnistria ho ancora una piccola parte della famiglia, sono rimasti solo due anziani. La parte attiva della mia famiglia è migrata in diverse parti del mondo. Io, mia madre e mio fratello siamo qua, mio padre ha avuto tre attentati in Transnistria ed è scappato in Grecia; un’altra parte della famiglia è vicino a Mosca. Con il regime della Transnistria non ho mai avuto buone relazioni. Ho fatto una serie di attività di monitoraggio su traffici e corruzione della polizia e non mi vogliono più. *Il regime {{NDR|transnistriano}} è corrotto e autoritario, non potrà mai cambiare davvero ed essere democratico finché ci sarà la presenza della XIV Armata, l’esercito di occupazione russo. *Sono arrivato in Cecenia nel 1998, un anno prima dell’inizio della seconda guerra cecena. In quel periodo il nostro rapporto con la popolazione cecena era molto buono. Ci vedevano come un limite al terrorismo e alla presenza dell’estremismo jihadista. Poi con la guerra è tutto cambiato. I russi hanno usato metodi assurdi, come rastrellamenti e bombardamenti. Chiunque in quel periodo aveva un’arma in casa e questo non voleva dire che fosse un terrorista. Bombardare le montagne poi è strategicamente inutile. Chi, bombardando e per uccidere un terrorista, uccide 120 civili è lui stesso un terrorista. Se fossi stato ceceno in quegli anni sarei salito anch’io in montagna per combattere. *Oggi mi impegno su alcune cose, come la lotta alla pedofilia... ci sono dei traffici internazionali, anche dalla Russia, molto preoccupanti. Però è molto diverso dalla guerra. Oggi non combatterei mai una guerra offensiva. Se vivessi durante la seconda guerra mondiale, non sosterrei l’espansionismo fascista, andrei sulle montagne a combattere con i partigiani. *{{NDR|Su ''[[Educazione siberiana (film)|Educazione siberiana]]''}} Ho rifiutato varie proposte, alcune da Hollywood, per esempio da Scorsese, prima di accettare di lavorare con Cattleya . Ho deciso di lavorare con loro perché mi volevano coinvolgere nella realizzazione del film, ritenevano la mia presenza sul set indispensabile. Ho chiesto di lavorare con Salvatores perché lo ritengo il migliore. Gabriele ha accettato, gli è piaciuto moltissimo il libro. *Il consumismo post-sovietico era una cosa impressionante. Ha cambiato anche la criminalità, togliendoci l’etica, rendendola più feroce e spietata. I modelli occidentali si sono mostrati come inganni e questo ha portato disillusione e violenza. {{Int|Da ''[https://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2013/02/28/lilin-salvatores.html Lilin & Salvatores]''|''repubblica.it'', 28 febbraio 2013.|h=4}} *Secondo me il successo di Educazione siberiana è legato al fatto che l'ho scritto senza prendere le parti di nessuno, ma semplicemente utilizzando la voce di un ragazzo. Questo raccontare una realtà attraverso i sentimenti, senza tecnicismi, ha aiutato le persone a sentirla sulla propria pelle. E per me questa è una cosa davvero rivoluzionaria. Nella comunicazione letteraria è importante stare dalla parte dei sentimenti e non da quella dei meccanismi, altrimenti diventi scrittore politico. E quando in mezzo c'è la politica sporchi tutto. Io per esempio sono stato sempre colpito da giovane dagli autori di fantascienza americani degli anni Cinquanta, da Asimova Bradbury, perché è attraverso queste letture non dichiaratamente politiche - allora vietate nel mio Paese - che ho scoperto cosa accadeva nel mondo, a cominciare dalla guerra nel Vietnam. Grazie a questi libri, che in Russia si chiamavano "stracci", ed erano vietati, capimmo che il capitalismo non era tutto cattivo e che, di là dalla Cortina di ferro, c'erano persone che condividevano i nostri stessi valori. Su questo ho costruito la mia comunicazione letteraria. Poi, se c'è qualcuno che vede qualcosa di politico in quello che scrivo ben venga, ma il mio primo obiettivo è comunicare. Se vogliamo dire che ogni comunicazione è politica va bene, ma io non voglio assolutamente essere politico. E in questo momento sono anche apartitico. *Il film {{NDR|''[[Educazione siberiana (film)|Educazione siberiana]]''}} comunque finisce con il personaggio che lascia la Transnistria e spiega alla madre la sua voglia di cambiamento, cosa che a mia madre io non sono mai riuscito a spiegare. Ma questo perché veramente conservo un bambino dentro di me, che non mi abbandona. Il film è stato costruito usando il libro come base, ma la linea narrativa è completamente diversa. Ha una sua vita, e chi ha letto il libro riconoscerà molti personaggi, molte situazioni ma inseriti in una storia parallelae indipendente. Certo, quando mi è stato consegnata la prima stesura del soggetto, mi sono sentito smarrito. Per me, digiuno di cinema, è stata una sorta di sindrome delle prime nozze, quando la sposina non si toglieva i vestiti perché si vergognava di fronte al marito sconosciuto. Io mi sono spaventato non per il contenuto, ma perché mi sono reso conto della grandezza di quanto mi stava accadendo *Io ero uno dei pochi che, parlando russo, potevo comunicare con loro, e a un certo punto mi avvicinano questi due personaggi, dall' aspetto chiaramente delinquenziale, e mi chiedono "Sei tu che hai scritto il libro? Grazie a te ci hanno trasferito in un albergo bellissimo dove ci danno anche la colazione la mattina. Speriamo duri tanto". {{Int|Da ''[https://archivio.teatrostabiletorino.it/archivi/media/collectiveaccess/images/3/6/9/8951_ca_object_representations_media_36917_original.pdf Nicolai Lilin. Leggetemi come Asimov, scoprirete un altro mondo]''|Intervista di Michele Segreto, ''teatrostabiletorino.it'', marzo-aprile 2013.|h=4}} *In gioventù ho letto molti romanzi su mondi lontani, inventati e fantascientifici e, forse perché si costruivano su ambientazioni palesemente inesistenti, mi risultava semplice capire le metafore a cui alludevano. Il mio consiglio quindi è di leggere i miei romanzi come leggereste Asimov, per andare oltre la superficialità e capire il significato che volevo trasmettere quando li ho scritti. *Facevo parte di un’associazione culturale piemontese e scrivevo i miei racconti su un blog letto da una piccola nicchia di pubblico, e molte persone con cui lavoravo si complimentavano con me per le storie di cui parlavo e il tipo di narrazione. Ma se non fosse stato per un amico, che mi chiese se poteva far leggere i miei racconti a un editore, tutto sarebbe rimasto circoscritto al mio piccolo ambiente. Successivamente mi è giunta una telefonata del capo del settore della narrativa di Einaudi che mi faceva presente che per la casa editrice i miei testi avevano un grande interesse letterario. Così ho cominciato a scrivere per l’editoria. [...] Einaudi infatti aveva attuato una strategia particolare, spedendo cinquemila bozze rilegate del mio romanzo in giro per il mondo prima della pubblicazione. Per questo già un mese prima dell’uscita del libro alcune persone lo avevano letto e ne parlavano. Il caso più noto è stato quello di Roberto Saviano, che mi intervistò per La "Repubblica". Questa operazione mi portò quasi subito otto proposte cinematografiche. Pur sentendomi lusingato da tutte queste attenzioni, ero in una fase in cui non avevo nemmeno certezze su come sarebbe stata accolta la pubblicazione dalla critica e le rifiutai tutte, per il mio impulso a rimanere con i piedi per terra. Si può dire che avevo seguito il proverbio russo "è meglio avere poco, ma in pugno". *{{NDR|Su ''[[Educazione siberiana (film)|Educazione siberiana]]''}} Riflettendoci su, avevo capito che i miei timori erano legati soprattutto alle tematiche trattate nel libro, che sono facilmente fraintendibili senza una giusta chiave di lettura. Questa mia sensazione si è poi rivelata spesso veritiera, dato che molti hanno estrapolato di me solo l'immagine di un ex criminale siberiano capace di uccidere. Finché c'era il rischio di questo fraintendimento nulla poteva smuovermi dal blocco e per questo motivo sono arrivato a rifiutare anche le offerte delle grandi industrie cinematografiche statunitensi. Nemmeno l'interessamento di un grande regista come Martin Scorsese è riuscito a smuovermi, nonostante fossi personalmente certo che i suoi film sono sempre dei capolavori. Superai l'impasse con la decisione che avrei accettato di trasporre il libro su pellicola solo con chi sarebbe stato disposto a coinvolgermi direttamente nella messa in opera. Ho espresso la mia richiesta direttamente alla casa editrice, che si è occupata di contattare le industrie cinematografiche. Cattleya, oltre ad assicurarmi la collaborazione sinergica nel film, mi ha dato la possibilità di scegliere il regista con cui mi sentivo più in sintonia. Da lì è nata la mia proposta di coinvolgere Gabriele Salvatores. *{{NDR|Su [[Gabriele Salvatores]]}} Grazie alla formazione di Salvatores negli ambienti di sinistra e le sue dirette esperienze nei paesi dell'Est, lui ha capito esattamente la prospettiva degli antieroi che si trovano nel passaggio tra due sistemi, tra la distruzione dei valori passati e l'assenza di appigli per costruire il futuro. Con lui è stato più semplice lavorare in sintonia, mentre molti altri registi continuavano a vedere Educazione Siberiana solo come una violenta epopea sulla mafia criminale russa, confondendo le circostanze in cui i racconti avvenivano con l'anima della storia. *{{NDR|Su [[John Malkovich]]}} Quando si lavora con una persona come lui si capisce cosa vuol dire essere un attore professionista. La sua serietà, la curiosità e il coinvolgimento per le storie che deve interpretare danno il vero valore aggiunto alla scena. *Lo spettacolo teatrale è un'altra avventura in cui sono stato catapultato per caso, coinvolto da persone a cui era molto piaciuto il mio romanzo. Ho scritto la drammaturgia direttamente con il regista e anche in questo caso abbiamo creato una storia parallela ispirata alle situazioni del libro. Come nel film poi, ho partecipato attivamente sia nella ricostruzione degli elementi e delle armi che menziono in Educazione Siberiana, sia nei costumi e nei movimenti più adatti alle scene. Questa esperienza mi ha insegnato una tipologia narrativa ancora differente sia dal film che dal libro. {{Int|Da ''[https://inchiostroindelebile.wordpress.com/2013/03/07/nicolai-lilin-educazione-e-tatuaggi/ Nicolai Lilin: educazione e tatuaggi]''|Intervista di Sara Bauducco, ''inchiostroindelebile.wordpress.com'', 7 marzo 2013.|h=4}} *In quest’ultimo libro ho usato il tatuaggio come filo conduttore per creare una serie di racconti e parlare di alcuni personaggi. In ogni caso ''Storie sulla pelle'' può esser letto anche da chi non ha letto ''Educazione siberiana'', è un libro più letterario, costruito e ricercato. *Anche se l’uomo si è evoluto continua a voler rappresentare ciò che vive perché l’immagine dia l’illusione che il momento resti eterno. Ma anche le icone che sembrano vivere più a lungo possono distruggersi domani perché nulla è eterno. Questa volontà di fregare la morte mi ha incuriosito molto fin da piccolo. Sacro e profano si fondono, molti criminali – intendo per il modo di pensare – hanno cercato di avvicinarsi a quello che è l’eterno. Per me, che conosco le leggi della fisica quantistica, l’eterno è l’assoluto; per mio nonno l’assoluto era Dio creatore e lui chiedeva a persone che facevano icone di rappresentarlo. *Stavo scrivendo 6 progetti poi ho capito che era troppo, così ho indicato ognuno su un bigliettino e ho tirato a sorte per sapere quale continuare: ora mi sto concentrando su quello. Sono un narratore e i temi non mi mancano. Non ho mai scritto un libro di cui non sono soddisfatto. Per me un libro è una storia conclusa, che rileggo sempre prima di consegnare al mio editore. Solo il primo libro non l’ho riletto ma perché ce l’avevo dentro. Poi, quando lo consegno passo ad altro. {{Int|Da ''[https://www.panorama.it/cultura/nicolai-lilin-educazione-siberiana-intervista Nicolai Lilin: "Educazione Siberiana ha il pathos universale di una tragedia greca"]''|Intervista di Michele De Feudis, ''panorama.it'', 13 marzo 2013.|h=4}} *La definizione di "criminale onesto" è un ossimoro, incarna la visione del mondo di un cittadino orgoglioso, che non accetta le malversazioni dai prepotenti nascosti sotto le vesti legalitarie dello Stato o con la maschera dei politici corrotti. *La comunità che ho descritto non esiste più. I vecchi Urka sono morti, i giovani sono stati ammansiti dal sogno occidentale, dalle mollezze di costumi estranei alla loro cultura. *{{NDR|Sulla Russia}} È un paese difficile da governare perché sterminato territorialmente. E c'è un netto distacco tra intellettuali e popolo. *{{NDR|Su [[Ėduard Limonov]]}} È un estremista. Ha fondato un movimento fascio-comunista, il partito nazionalbolscevico. Le sue idee sono pazzesche e purtroppo molti intellettuali lo seguono. {{Int|Da ''[https://www.targatocn.it/2013/04/05/sommario/agricoltura/leggi-notizia/argomenti/attualita/articolo/lilin-autore-di-educazione-siberiana-si-rivela-a-targatocn-litalia-un-paese-di-compromessi-c.html Lilin, autore di "Educazione siberiana", si rivela a TargatoCn: "L'Italia? Un paese di compromessi che ha perso il contatto con la realtà"]''|Intervista di Nicolò Bo, ''targatocn.it'', 5 aprile 2013.|h=4}} *La mia esperienza in Italia è molto semplice: sono arrivato in qualità di extracomunitario come tanti altri per ricongiungermi a mia madre e poi sono dovuto rimanere. Il mio trasferimento in Italia non è stato programmato. *Se qualcuno vuole pensare che dietro a chi ha scritto il libro {{NDR|''Educazione siberiana''}} ci sia un ghostwriter, che lo pensi pure. A me importa, piuttosto, che costui abbia comprato il libro. *[...] io pago le tasse, mentre vedo, invece, che ci sono molti italiani che si sottraggono a questo dovere. Non riesco proprio a concepirlo: se la società decide che per il suo bene sono necessari determinati sacrifici, bisogna farli, tutti insieme. *{{NDR|«Perché la scelta della Lituania (con molti attori lituani!) per rappresentare la sua Transnistria [in ''[[Educazione siberiana (film)|Educazione siberiana]]'']?»}} Primo, perché ci è stato vietato di girare in Transnistria, essendo un paese molto chiuso e compromesso. Hanno letteralmente paura dell’Occidente. È un paese dove regna l’illegalità. Ho provato a mettermi in contatto con il Ministero della Cultura, ma da lì non si degnano nemmeno di risponderti. È come chiedere di fare un film in Venezuela o Cuba. La Lituania è invece un paese europeo che alletta per le abbondanti sovvenzioni e poi, da una parte è ancora riconoscibile lo stampo sovietico, dall’altra è già nel cuore dell’Europa. Comunque è la produzione che ha deciso, io non avevo voce in capitolo. Le voci per cui "Nicolai Lilin ha vietato di girare in Russia" sono fantasie dei giornalisti per creare un fantomatico scoop. *L’Italia è un paese di compromessi. Tutti si mettono d’accordo con tutti e tutto apparentemente va bene. Ma in realtà ci sono tantissimi problemi. Ci riteniamo democratici e poi creiamo campi di concentramento in Sicilia, dove stipiamo ragazzi africani e li facciamo morire come topi. Come li consideriamo, quindi? Umani? Criceti? Come dobbiamo trattarli? Poi abbiamo la politica, da mani nei capelli: da una parte mummie, dall’altra il circo bulgaro, senza nessuna coerenza. Serve qualcuno che veda chiaro e che racconti le cose come stanno realmente. Gli italiani hanno perso il contatto con la realtà. Pensano di vivere nei film di Hollywood: case da sogno, attori bellissimi. Non è questa la vera faccia della quotidianità. Andate a vedere le situazioni ai margini. Non è tutto Sanremo, qui. Purtroppo l’italiano medio non ha voglia di aprire gli occhi davanti a questi problemi macroscopici. La colpa sarà in parte anche dei politici, ma principalmente è degli elettori. {{Int|Da ''[https://www.ilgiornale.it/news/interni/adesso-i-tatuaggi-ve-li-disegno-sulle-magliette-925509.html "Adesso i tatuaggi ve li disegno sulle magliette"]''|Intervista di Daniela Fedi, ''ilgiornale.it'', 10 giugno 2013.|h=4}} *In generale penso che nella moda ci sia tantissimo spazio per le storie e la fantasia. In quella italiana, poi, c'è più ricerca e rigore che in qualsiasi altra. Non è la prima volta che mi chiedono di realizzare qualcosa nel settore, ma stavolta ho capito di poter fare di più. Ho preparato tre storie universali valide sia per le donne che per gli uomini: l'amore, il viaggio, l'opposizione a tutte le dittature. Ciascuno le interpreterà a modo suo traducendo i simboli come meglio crede, ma tutti noi viviamo queste situazioni: siamo uniti dai nostri destini diversi. Quel che ci rende umani, una grande specie dominante, è proprio l'essere uguali nella diversità. *{{NDR|«Qualcuno dirà che l'ha fatto per soldi, non pensa?»}} Si accomodino, non è la prima e non sarà l'ultima volta che mi attiro delle critiche. Sono stati molto coraggiosi i titolari di Happiness perchè fare questo progetto è come fare una dichiarazione pubblica di libertà mentale. *Il mio Paese è governato da militari e questo genera sempre intolleranza e squilibrio. È la cosa che temo di più perché in Cecenia e in molte altre situazioni della mia vita ho visto a cosa può portare la mancanza di equilibrio, un orrore senza fine. {{Int|Da ''[https://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2013/06/18/larte-del-tatuaggio-sul-tessuto-per-le.html L'arte del tatuaggio sul tessuto per le mie grandi storie universali]''|''repubblica.it'', 18 giugno 2013.|h=4}} *Quando realizzo un tatuaggio per una persona reale, non ho la possibilità di usare la fantasia, devo rimanere fedele alle storie della vita di ogni singolo individuo e questo mi spinge a cercare supporti alternativi, che permettano l'uso dell'immaginazione. *Ho scelto tre concetti che personalmente trovo profondamente intimi per ogni singolo umano, ma allo stesso tempo presenti in ognuno di noi. Uno è l'amore: siamo tutti innamorati di qualcuno o di qualcosa, siamo animati dalla passione e questo trasforma la nostra realtà quotidiana, modula la nostra vita.<br>Un altro concetto è il viaggio, siamo tutti sempre alla ricerca di qualcosa, spinti dalla curiosità, viaggiamo dentro noi stessi, esplorando attraverso la nostra natura quella dell'universo, ci misuriamo con il mondo. Il terzo concetto è la resistenza a tutte le forme di dittatura, prima di tutto all'ignoranza e all'intolleranza che ci circondano, su questi pilasti si basano tutte le forme di estremismi e di dittature che esistono. Quest'ultimo è il tema che mi interessa di più, in particolare in questo momento di cambiamenti globali, in cui l'importanza dell'integrità umana e l'apertura mentale di ogni individuo coinvolto nel percorso della storia universale rappresenta un elemento indispensabile del meccanismo esistenziale. {{Int|Da ''[https://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2013/07/11/lilin-si-da-tv-cinema-dopo-mankind.html Lilin si dà a tv e cinema. Dopo Mankind farò un film]''|''repubblica.it'', 11 luglio 2013.|h=4}} *Rulli e Petraglia sono stati per me due maestri: mi hanno introdotto alla magia e ai meccanismi del cinema. Sarei arrogante se dicessi che so già scrivere una sceneggiatura, ma sto lavorando in gruppo su alcuni progetti, per fine anno spero che maturi l' ossatura di un film. *{{NDR|Su ''Mankind''}} Per non fare i soliti "lanci" nel vuoto, spesso adottati in tv, la rete mi ha chiesto di approfondire alcuni temi legati all' attualità. Il documentario è spezzato da alcuni interventi, ci riferiamo a situazioni che viviamo oggi. Non ci sono veri e propri ospiti, ma nella puntata in cui parliamo dell' evoluzione delle armi, diamo la parola a un esperto di addestramento militare. Forse Mankind risente di un' impostazione americana, dove c' è il mito delle armi (tutti le tengono in casa), mentre in Italia l' approccio è diverso. *{{NDR|Su ''Mankind''}} Si parte dalla nascita dell'uomo. Si vede come sia riuscito a progredire, passando dalla caccia all' agricoltura. Si pone grande attenzione allo sviluppo economico, al commercio e alla geopolitica. Si parla delle rivoluzioni, ma non delle guerre mondiali, già abbondantemente trattate. Più che sulle ideologie e i capi di Stato ci si sofferma su persone comuni che hanno fatto grandi scoperteo che si sono battute per i diritti umani. {{Int|Da ''[https://www.stefanoguerriniarchivio.it/nicolai-lilin-e-la-sua-capsule-collection-di-t-shirt-per-happiness-la-mia-intervista-allautore-di-educazione-siberiana/ Nicolai Lilin e la sua Capsule Collection di T-shirt per Happiness. La mia intervista all'autore di "Educazione siberiana"]''|Intervista di Stefano Guerrini, ''stefanoguerriniarchivio.it'', 31 luglio 2013.|h=4}} *Da tempo il mondo della moda mi proponeva collaborazioni, ma fino ad oggi nessuna mi aveva convinto. Poi un giorno è arrivata la proposta di Yuri Scarpellini, fondatore di Happiness, con cui ci siamo intesi da subito poiché era sinceramente affascinato dall’idea del significato celato nei simboli e nei tatuaggi della mia tradizione. Non mi ha mai chiesto il significato dei disegni, così come vuole l’etica della mia tradizione, e mi ha lasciato totalmente libero di sviluppare il progetto come volevo. *Ho pensato ai giovani. Ho modo di dialogare spesso con loro, anche tramite i social network. Mi sembrano una generazione intelligente, curiosa, attenta e combattiva e ho voluto raccontarli attraverso questi disegni. *Come sa io ho un passato da militare, dove la moda non esiste perché tutto è uniformato. I capi di abbigliamento che prediligo sono quelli pratici, ma da quando vivo in Italia ho avuto modo di avvicinarmi al mondo della moda e di apprezzare lo stile classico degli abiti da uomo. Recentemente ho anche vissuto un’esperienza televisiva con lunghe prove abiti a cui non mi ero mai sottoposto. Poi, beh, nel mio guardaroba personale l’accessorio di punta rimane sempre la fondina. {{Int|Da ''[https://www.metropolitano.it/la-pelle-che-parla/ La pelle che parla]''|Intervista di ''metropolitano.it'', 10 settembre 2013.|h=4}} *La cultura criminale siberiana era già in decadenza quando ero bambino: era una mentalità chiusa, legata regole rigide che però portavano anche una serie di valori positivi come la correttezza, il rispetto dei deboli, delle autorità (criminali, ovviamente), la religione, la discrezione e l’educazione. Dall’altro lato, vi era l’odio profondo contro la polizia, contro il regime comunista e contro i diversi. Erano soprattutto i nostri anziani a tramandare le nostre leggi e i nostri costumi, mentre già la generazione di mio padre se ne stava allontanando. *La cultura di mio nonno si è estinta perché era imperfetta, estremamente rigida anche nei confronti di sé stessa. Era un mondo in cui l’intolleranza era portata all’estremo, quasi alla superstizione: basti pensare che mio nonno era terrorizzato dai gay, perché era credeva che l’omosessualità potesse essere trasmessa attraverso lo sguardo. *Cresciuti sotto il regime, i nostri anziani vivevano per sopravvivere. Con la fine del comunismo però è finita anche la cultura criminale siberiana: i valori dei nostri nonni non potevano vincere contro il consumismo moderno. *Il nostro tatuaggio non è mai stato geloso: anche al tempo dei nostri vecchi, nessuna regola proibiva di dare i nostri segni a chi non era siberiano, a patto che ad eseguire il tatuaggio fosse un kol’sik. Ad ogni modo, le antiche regole sono quasi dimenticate e non c’è nessuno che le faccia rispettare. Con il mio lavoro cerco di far sopravvivere la nostra arte alla dispersione della nostra cultura. *{{NDR|«È vero che hai ricevuto delle minacce, a seguito della pubblicazione dei tuoi romanzi?»}} Sì, ma non da parte di Seme Nero: magari non gli starò simpatico per quello che ho scritto nei miei romanzi, ma di fatto non hanno motivo di odiarmi al punto da farmi del male. Non sono uno di loro e non ho mai fatto finta di esserlo. Piuttosto, ho avuto problemi con alcuni mitomani italiani, nostalgici della vecchia Unione Sovietica, che mi hanno minacciato per la mia condanna del regime comunista. {{Int|Da ''[https://www.today.it/cronaca/nicolai-lilin-negozio-tatuaggi-solesino-padova.html Educazione siberiana sulla pelle: Nicolai Lilin e il "marchiaturificio"]''|Intervista di Francois Turatto, ''today.it'', 9 ottobre 2013.|h=4}} *[...] io sono molto legato al Veneto, mi sento anche un po’ Veneto in quanto ho gli stessi modi. Una somiglianza di etica e di morale. Provengo da un posto molto povero, dove la gente si rimboccava le maniche e lavorava sodo e aveva la mentalità molto simile ai veneti, quindi mi trovo molto bene qua. *Quello che vogliamo fare nel nostro laboratorio non è ripristinare la cultura siberiana – che si è quasi estinta – ma è influenzare la tendenza dei tatuaggi moderni con le regole del tatuaggio antico. Portare un po’ di senso e di significato in una cultura moderna che ormai è troppo estetica. *[...] il tatuatore non è importante perché tatua fisicamente il corpo, ma perché conosce e interpreta i simboli. {{Int|Da ''[https://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2013/10/15/gang-latinos-tatuaggi-codici.html Gang - Latinos - Tatuaggi , codici e omicidi così gli affiliati scalano il potere]''|''repubblica.it'', 15 ottobre 2013.|h=4}} *Otto anni fa mi sono trovato coinvolto in un progetto di monitoraggio delle sette sataniche a Torino. Uno dei miei incarichi era quello di analizzare i graffiti della città. Nei pressi della prefettura mi sono imbattuto in una serie di scritte con l'acronimo "Ms13", accompagnate da disegni di mani che facevano il segno delle corna. Ipotizzando un collegamento col tema del satanismo ho approfondito attraverso i miei contatti. Mi rispose un agente dell' Fbi che aveva passato più di dieci anni sotto copertura nelle gang di Los Angeles, con: «Complimenti, la Mara Salvatrucha è arrivata anche da voi». *Quando si parla di Ms13 bisogna essere consapevoli che rappresentano il corpo armato dei trafficanti messicani e che oltre a commettere omicidi e atti di violenza per conto dei boss della "Eme", la loro funzionalità è quella di "colonizzatori" di nuovi territori, che i criminali messicani invadono con lo spaccio di droga. *La gang Ms13 ha un rigido codice di comportamento, una gestione gerarchica, un sofisticato sistema di riconoscimento e una serie di linguaggi nascosti che spaziano tra tatuaggi, capi di abbigliamento, uso del linguaggio dei gesti, modi di tagliare i capelli, sagomare le sopracciglia, creare cicatrici di forme particolari in punti visibili del corpo. Ogni iniziato ha dei tatuaggi specifici, come i tre punti che rappresentano le tappe della vita di un mara: l' ospedale in cui si nasce, il carcere in cui si finisce e il cimitero in cui si va dopo la morte. Altri tatuaggi tipici sono le lettere MS in carattere gotico abbinate al numero 13. *La progressiva crescita in Italia delle gang di Ms13 è un segnale preoccupante. Può significare che stiano testando il nostro territorio per conto della criminalità messicana. Una volta inseriti nell' ambiente criminale locale e stabiliti sul territorio, potrebbero essere potenziati da chi è esperto nel traffico e dalle cellule violente dei killer. Il passo successivo è quello di organizzare il traffico diretto di armi e droga senza rendere conto alle comunità criminali locali. Questo è il modo in cui hanno agito durante la loro migrazione sul territorio degli Stati Uniti. Per una città come Milano, dove il traffico di stupefacenti è controllato dalle famiglie di origine calabrese, questo può significare una guerra tra fazioni criminali. Guerra che, come tutte le guerre, non porterà niente di buono né a coloro che la faranno né a coloro che saranno costretti a subirla. {{Int|Da ''[https://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2013/10/30/lilin-passeggiando-tra-maestri-russi-ora-serve.html Lilin, passeggiando tra i maestri russi Ora serve una rivoluzione delle idee]''|Intervista di Fulvio Paloscia, ''repubblica.it'', 30 ottobre 2013.|h=4}} *[...] sono rammaricato per come stanno andando le cose con Putin, le sue leggi omofobe, la censura, la pedofilia come sistema criminale per guadagnare denaro. La corruzione di stampo occidentale ha preso il sopravvento, per questo Berlusconi e Putin sono così amici, e si somigliano pure: ambedue oggetto di plastiche facciali per sembrare sempre giovani, ma solo Satana non invecchia mai. Sono demoni. *Non ho più fegato per vivere in un Paese così, dove l'unica soluzione ormai è il suicidio. Non amo essere sottomesso ad un Re. Sia Putin o Berlusconi. *Ci vuole una nuova rivoluzione. Non armata, ma delle idee. Un risveglio degli intellettuali che ribalti tutto attraverso la cultura. {{Int|Da ''[http://www.corrierespettacolo.it/educazione-siberiana-intervista-a-nicolai-lilin/ "Educazione siberiana": intervista a Nicolai Lilin]''|Intervista di Mariagiovanna Grifi, ''Corrierespettacolo.it'', 16 novembre 2013.|h=4}} *{{NDR|Su ''Educazione siberiana''}} Io ho scritto un romanzo, non un saggio storico, anche se ho fatto riferimento a un momento epocale della storia. Non è facile, e neanche opportuno, cercare di distinguere la realtà dal romanzo. Chi cerca di esaltare o di negare la verità del mio libro è comunque un "maleducato". Sta a me scrittore affermare se quello che ho scritto è fondato sull’esperienza vissuta o meno. *In Italia tutto deve essere uguale a qualcosa di più grande e importante, è la legge del conformismo: nel mondo consumistico vendere idee diverse è difficile, c’è bisogno di fondarle su un sottosuolo di base uguale ad altri. *{{NDR|Su ''[[Educazione siberiana (film)|Educazione siberina]]''}} Ho avuto molte proposte, anche più importanti di Salvatores, e magari avrei potuto guadagnare più soldi, ma avrebbero sicuramente stravolto il mio libro, lo avrebbero trasformato in uno ''splatter'' pieno di sangue e criminali russi. Ho preferito una persona sensibile, con cui poter lavorare anche di persona (fondamentale il fatto che Salvatores era a Milano, vicino a me). {{Int|Da ''[https://www.cafeboheme.cz/nicolai-lilin-tra-linchiostro-della-penna-e-quello-dei-tatuaggi/ Nicolai Lilin, tra l’inchiostro della penna e quello dei tatuaggi]''|Intervista di Mauro Ruggiero, ''Cafeboheme.cz'', 18 dicembre 2013.|h=4}} *Ho visto che in Italia la guerra viene considerata o come una cosa completamente da condannare, ma da condannare in modo generico, anche molto ipocrita, perché si condanna una cosa che non si conosce, oppure, dall’altra parte, molti la considerano invece un show, un divertimento, grazie ai film dove quando si uccide si ride, si scherza, oppure ai videogiochi dove dalla mattina alla sera ci si ammazza. Tra l’altro videogiochi molto realistici, che fanno paura… Si fa tutto questo, però, senza il dolore vero, senza vedere cosa accade dopo, perché quando nel videogioco si spara, il nemico cade a terra poi scompare, ma nella vita poi vedi anche la gente che arriva, la madre che piange… Per questo volevo raccontare la guerra così com’è veramente, per condividere questa esperienza con le persone che non conosco. *Non voglio certo difenderlo, sarei l’ultima persona a poter difendere il regime in Unione Sovietica, sarei un ipocrita, visto che nella mia famiglia sono morte 17 persone per mano dei sovietici… Però quando succedeva questo casino, quando è arrivata questa libertà e c’erano manifestazioni, carrarmati in piazza, gente… Io vedevo mio nonno che era triste e preoccupato. Allora io andai da lui e gli dissi: "Nonno, tu che li hai odiati per tutta la vita i comunisti, adesso che stanno crollando, che è questione di settimane e saranno finiti, come mai non sei contento?" E lui mi ha detto: "Nicolai io sono triste per te e per le generazioni che verranno dopo, perché non si distrugge una casa prima di averne costruita un’altra nuova". Diceva che anche se loro erano i nostri nemici e se noi non eravamo d’accordo con loro politicamente, non era giusto distruggere quello che avevano creato, il sistema sociale che loro hanno creato, senza avere almeno un’alternativa o un’ipotesi di alternativa. E io lì ho capito che comunque vada le regole servono, anche se a volte non ci piacciono. *È molto difficile per me parlare della Russia in termini analitici perché è il mio paese. È come se a te chiedessero se tua mamma è buona o cattiva… Nessuno risponderebbe che sua mamma è cattiva, assolutamente, anzi, risponderebbe che sua mamma è la migliore di tutte. Io adoro questo paese. Ovviamente sono molto preoccupato per le situazioni che ha vissuto in passato e che ancora dovrà vivere perché, come hai detto tu, la Russia è un paese enorme. Quando noi diciamo che la Russia è grande non lo diciamo tanto per dirlo, la Russia è veramente un paese grande: né Hitler né Napoleone sono riusciti a conquistarla e si sono resi conto di questa grandezza. Ci sono una serie di situazioni che questo paese sta attraversando oggi, a cui dobbiamo unire la sua complessità storica… Penso ad esempio alla corruzione, anche se questa non è solo una specificità russa, sulla corruzione italiana, ad esempio, si potrebbero scrivere saggi; è una cosa che colpisce a livello globale tutte le nazioni. *La Russia è un paese che, secondo me, potrebbe funzionare molto bene se la classe media, intellettuale, la borghesia che c’è -poca ma c’è- troverà un equilibrato accordo ed una unione con il popolo. Altrimenti ci saranno sempre questi sbalzi che poi portano a disastri com’ è stata la Rivoluzione di Ottobre che è stata la rivoluzione del popolo e però poi il popolo ha sterminato tutte le altre persone. La borghesia russa, quella che si è salvata, lo ha fatto grazie agli ebrei che hanno organizzato le navi per l’America per quelli che sono riusciti a scappare. Poi ci sono stati questi 70 anni di oblio totale; generazioni di umani che hanno sofferto e soffriranno ancora. Perciò io credo che la Russia debba necessariamente trovare un equilibrio sociale. *[...] io sono apolitico totalmente. Mi è capitato spesso, anche per un’azione che feci, quando tempo fa andai a presentare un libro a Casa Pound a Roma – al tempo non sapevo neanche bene cosa fosse Casa Pound- di essere considerato di destra. Ma io andai lì perché ci andarono anche altri intellettuali, anche di sinistra, c’era un ex brigatista… Però si vede che loro hanno un po’ manipolato la mia partecipazione e quindi in rete per un po’ di tempo mi davano del fascista, che per me è una cosa stranissima. Io ho origini ebraiche e quindi non posso proprio essere di destra, anche perché avevo una bisnonna ebrea che è stata nei campi. Anche se volessi essere un nazista non potrei per la memoria di mia nonna a cui volevo tantissimo bene. Mi piacciono le idee del tradizionalismo, ma non di quello estremo. Mi piacciono le regole, ma non regole per le quali una persona debba per forza morire. Se le regole devono essere intese come quelle applicate nel Terzo Reich, allora meglio nessuna regola. Non scherziamo! *Io sono nato nel 1980, avevo 7 anni quando nel 1987 cominciarono i primi turbamenti di pre-caduta sovietica, erano tempi a dir poco violenti, soprattutto dove io sono nato, un posto molto problematico. Arrivò l’eroina, cominciarono i primi tossicodipendenti, interi quartieri di periferia cadevano nella tossicodipendenza, vedevi questi zombie camminare per strada, io poi all’epoca ero un ragazzo e, come del resto anche adesso, mi piaceva farmi trasportare dalla fantasia e lasciarmi impressionare dalle cose, leggevo molti libri di fantascienza e quando vedevo questi tossici pensavo che fossero veramente degli zombie, dei morti viventi. Molti dei miei amici, dopo la caduta del comunismo, hanno iniziato ad avvicinarsi a nove dieci anni a quelli che spacciavano la droga, portavano loro i messaggi, allora quelli in cambio gli davano qualcosa, gli facevano sniffare l’eroina… È la morte questa! *Ricordo che con i miei amici andavamo in discoteca, ma non per ballare. Ci andavamo per picchiare quelli che ballavano. Eravamo ignoranti, tutti indottrinati con queste regole di strada secondo cui chi va in discoteca e balla è un bastardo, finocchio, omosessuale. C’era questo odio insensato nei confronti degli omosessuali che io ancora oggi non riesco a capire, però c’era, ed era terribile. Poi, stranamente, veri omosessuali in quel posto lì non ce n’erano neanche, non li abbiamo mai visti, li inventavamo! Era una cosa veramente allucinante, eravamo una generazione turbata. Noi andavamo in discoteca per picchiare quelli che ballavano, il nostro divertimento era aspettare chi si divertiva, aspettavamo lì sotto un muro quattro ore, fino all’una di notte la gente che ballava e ci riempivamo di odio ascoltando quella musica… Poi in realtà tutti avremmo voluto andare dentro a ballare, però nessuno voleva ammetterlo, altrimenti sarebbe stato considerato “ricchione”. Io volevo ballare… si vede che ero un “ricchione”… che ne so! Quando poi all’una di notte la gente usciva, in pochi minuti gli saltavamo addosso, li picchiavamo e poi scappavamo a casa ridendo, e questo era il nostro metodo di liberazione: correre all’una di notte per strada, tirando le pietre e sperando che gli sbirri non ci prendessero. Poi, ad un certo punto, io ho iniziato a tirare fuori le regole che avevo imparato dai vecchi, e ho capito che stavamo facendo delle cose non giuste e fui allontanato da alcuni miei amici perché mi dicevano che ero come un vecchio che gli stava rovinando il “bellissimo divertimento!”. *Io ho un fratello più piccolo, che è musulmano, è diventato musulmano, si è convertito un anno e mezzo fa, ha sposato una ragazza del Dagestan, quindi io in famiglia ho una ragazza imparentata con i ceceni, ma la religione quando è vera e sincera è un bene perché è un aiuto in più, ma quando diventa uno strumento trasforma gli uomini e li distruggi, per questo io credo servano equilibrio, ma soprattutto serva intelligenza personale. *Sono stato sposato una volta con un’italiana, adesso convivo con un’altra che sta aspettando un’altra bambina e quindi diventerò per la seconda volta papà. Sono veramente per le italiane, soprattutto le donne meridionali, le donne del Sud, così passionali, gelose… Hanno un carattere particolarissimo, profondo, che deriva credo dalle donne romane, da come erano le donne nell’antica Roma. *Per me è molto importante vivere in una società che non abbia nel suo passato dei buchi neri, e invece in Italia ci son ancora troppi buchi neri: la strage di Piazza Fontana, Ustica…. Tutto questo genera classi politiche che continuano ad avere una necessità di nascondere e che quindi, per quanto possano essere onesti questi politici, per quanto appaiano buoni, quando arrivano poi lì continuano a comportarsi come i loro predecessori. Da italiano io voto perché devo dare il mio voto, so che votare è una necessità, il cittadino deve votare così come il soldato deve combattere, perché se non combatti allora ti ammazzano, un cittadino deve esprimerne il proprio voto e perciò non è giusto quando qualcuno dice che non bisogna votare e che è meglio stare a casa, però io voto piangendo, te lo giuro! Mi vengono veramente le lacrime, io so che andando a votare sto andando a divorare il futuro dei miei figli perché non ho una persona che mi rappresenti veramente, perché tutti loro, i politici, comunque sono dei ladri, bugiardi, speculatori, qualcuno di più qualcuno meno, qualcuno più simpatico qualche altro più antipatico, qualcuno tende di più ai fascisti qualche altro ai comunisti, comunque sono tutti bugiardi e questa è una parte dell’Italia che mi turba. *Guarda: a quelli che dicono che gli italiani sono razzisti io gli spaccherei la faccia, gli farei ingoiare i denti a forza di botte! Io sono arrivato in Italia ed ero un perfetto nessuno. Ero un extracomunitario come tanti. Sono riuscito a realizzarmi, a scrivere i libri solo perché la gente non è indifferente, perché la gente ha comprato il libro, ha detto: “Ma chi è quello lì? Andiamo a leggere… Ma guarda che storia interessante!” Nessuno mi ha mai detto:” Schifoso negro, ebreo, comunista, russo…” Io ho incontrato sempre gente buona che mi ha aiutato. In Italia non ho mai trovato nessuno che mi rinfacciasse qualcosa. Certo, ci sono delle pecore nere… Ma guarda a Lampedusa cosa succede: la gente aiuta i rifugiati, è commovente. Vorrei davvero vedere se gli austriaci o i tedeschi sarebbero in grado di accogliere così, in quel modo. A Lampedusa la gente, nonostante la carenza di strutture si porta questi rifugiati a casa, gli dà da mangiare, li riscalda. Questa è l’umanità vera. Io sono felice per questo di far parte di questo popolo, gli italiani. È per questo che non sono andato via. Se fosse invece solo per la situazione politica sarei già emigrato. *La Russia è un paese dove la gente è buona, infatti somigliamo molto agli italiani, è per questo che mi sono trovato bene qui. In Russia non ti lasciano solo, senza un piatto caldo. I russi per natura sono molto ospitali, l’ospite è sacro. *In assoluto il mio autore preferito, di cui rileggo sempre tutti i suoi libri ogni anno, come un rito, una ritualità spirituale, è Bulgakov. Poi: Turgenev, Čechov, Tolstoj che per me sta vicino a Dio e a Dante. Mi piace immaginarli tutti e tre lì insieme da qualche parte. Secondo me Dio è stato un po’ Dante e un po’ Tolstoj. Li ha illuminati da lassù e ne ha fatto un po’ la presenza divina sulla terra. Un po’ come Buddha, Krishna… E poi tra i poeti mi piacciono Esenin, Mandel’štam, Blok e tanti, tanti altri. ===2014=== *Il nuovo “democratico” governo ucraino sta preparando dei campi di concentramento in cui intende rinchiudere tutti i cittadini del Sud-Est che verranno individuati come terroristi. Spaventa la modalità di selezione di tali criminali, poiché secondo le affermazioni rilasciate alla stampa dal ministro della difesa ucraino Michail Koval, gli abitanti del Donbass saranno “raccolti” in questi “campi di filtraggio” dove, dopo aver separato le donne, gli uomini e i bambini, alcuni “specialisti” dell’esercito ucraino decideranno chi di loro è un terrorista e chi no. Non si parla però di processo. Le basi legali e i metodi con cui intendono operare i militari in queste strutture fanno venire in mente i tristemente famosi campi di sterminio nazisti o i GULAG sovietici.<ref group="fonte">Da ''[https://web.archive.org/web/20140716082839/http://lilin.blogautore.espresso.repubblica.it/2014/06/29/ucraina-campi-di-concentramento-finanziati-dallue/ Ucraina: campi di concentramento finanziati dall'UE]'', ''Espresso.repubblica.it'', 29 giugno 2014.</ref> {{Int|Da ''[https://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2014/02/25/il-giusto-il-ribelle.html Il giusto & il ribelle]''|''La Repubblica'', 25 febbraio 2014.|h=4}} *[[Roberto Saviano|Roberto]] è stato tra i più entusiasti sostenitori del mio romanzo, molte cose che ho raggiunto nella vita le devo a lui, mi ha aperto tante porte, dal giornalismo al teatro. *Giuseppe lesse il libro su suo suggerimento, e mi chiese i diritti. Accettai, a patto di creare insieme una storia nuova, indipendente dal romanzo, ma che ne rispettasse i valori. Soprattutto il rapporto tra giovani e anziani. Oggi la società se ne disfa, li mette in casa di riposo, invece la condivisione delle loro esperienze è il dono più importante che un giovane può avere. Io sono cresciuto con gli anziani del mio villaggio, e quello che mi spaventa di più per le mie due figlie, Elena e Ada, appena nata, è che oggi mancano i maestri, buoni o cattivi che siano. I ragazzi sono lasciati soli. *A scuola ci preparavano a un mondo sovietico, a casa trovavamo il consumismo e il capitalismo post- sovietico, marcio e corrotto. Una giungla che ha spazzato via le leggi dei nostri nonni, i "criminali onesti". *Quando sono arrivato in Italia ero molto ingenuo, non conoscevo le dinamiche del mondo letterario. Diedi l'esclusiva del romanzo a Saviano perché fu il primo a interessarsene, si scatenarono invidie e ripicche. Un noto giornalista, che non nominerò, commissionò a una collega russa un articolo per screditarmi, e tutti a citarlo, senza verificare. Sa perché adesso le polemiche sono finite? Marco Deambrogio, lo scrittore viaggiatore, è andato in Transnistria dai miei nonni, e lo ha raccontato in un suo libro. Tutto qui. {{Int|Da ''[https://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2014/03/24/quella-scheggia-di-terra-orfana-dellurss-dove.html Quella scheggia di terra orfana dell'Urss dove si compravano le atomiche sottocosto]''|''La Repubblica'', 24 marzo 2014.|h=4}} *Molti russi di nazionalità si sono ritrovati cittadini di nuovi paesi appena formati, separati con nuova frontiera da quella che da sempre consideravano la loro patria. In alcuni casi i cittadini di nazionalità russa si sono rifiutati di aderire alla vita politico-sociale dei nuovi Stati, proclamando l'indipendenza e rimanendo fedeli al potere e alla struttura statale di Mosca. La Transnistria rientra tra questi Stati. *{{NDR|Sulla [[Transnistria]]}} Questo paese da anni è un buco nero di operazioni illecite. Proprio in Transnistria dopo la guerra di separazione dalla Moldavia nel 1992 si è creato uno dei più grandi mercati di armi di tutta l'ex Urss, e non si tratta solo di qualche pistola come abbiamo visto in una delle allegre inchieste delle Iene di qualche anno fa. In quel piccolo lembo di terra chiunque può comprare armi di distruzione di massa spendendo somme ridicole. *La culla del traffico delle armi è la 14ma armata russa, stanzia- ta in Transnistria dall'epoca sovietica, quando era destinata ad essere il magazzino e la fabbrica di armi per un'ipotetica guerra contro l'Occidente. Ma la guerra non c'è stata e le armi si sono accumulate nei numerosi magazzini se non addirittura a cielo aperto. L'Unione Sovietica è morta in decadenza, nella regione è scoppiata una sanguinosa guerra civile e quell'enorme potenziale bellico è finito nelle mani dei militari russi, sottopagati e con poche prospettive per il futuro. *Il riconoscimento da parte della Russia dell'indipendenza della Transnistria o anche la sua unione con la Moldova porterebbe ad una pace che i suoi cittadini aspettano da anni. Ma entrambe le opzioni sono compromesse. La colpa è dei potenti personaggi politici che si trovano in costante contatto con il mondo illegale. L'indipendenza della Transnistria l'immediata applicazione di leggi che non possono andare in conflitto con quelle internazionali, significa la possibilità di aprirsi al mondo, di avviare le relazioni con altri paesi. Questo spaventa solo chi opera contro la legge, contro la trasparenza e l'apertura tra i paesi, chi guadagna armando i poteri oscuri, chi fa affari con il terrorismo. {{Int|Da ''[https://web.archive.org/web/20150705122420/http://www.nicolaililin.it/it/maidan-lultimo-golpe-degli-usa-in-fallimento/ Maidan, «l'ultimo golpe degli Usa in fallimento»]''|Intervista di Giovanni Mari, ''Il Secolo XIX'', 28 giugno 2014.|h=4}} *{{NDR|Sul [[conflitto russo-ucraino]]}} È un conflitto tra potenze mondiali. Il primo esercito in campo, invisibile, è quello degli Stati Uniti. Una potenza in fase di fallimento che si sta muovendo da anni su decine di fronti per mascherare e per cercare di placare la sua inesorabile crisi economica. Ovviamente, quella americana non è una guerra militare, ma del tutto politica. Il problema, per loro, è che non ne potranno più uscire vincitori. *Dico ciò che so e ciò che so è sicuro. Io sono stato coinvolto in cinque guerre, in prima linea, nonostante abbia appena 34 anni. Quando voi ragazzi occidentali ancora vi dilettavate con qualche ragazza sui sedili posteriori di un'auto io ero già in Cecenia a uccidere i terroristi. *La storia degli Stati Uniti è stata la storia di una serie di interventi e di aggressioni militari, diretti o indiretti, guerre vere o fasulle. Tutto per favorire gli interessi privati di gruppi economici privati. Un tipico stile anglosassone, per altro, non hanno inventato nulla. Conquistano territori, intervengono nei fatti altrui, solo per accaparrarsi soldi, alleati, affari. *Ogni volta che sento qualcuno che parla di rivoluzione, di primavere, di riscatti… io lo metterei in carcere. Cosa c’è di più legale e onesto di un governo legittimo in un mondo assediato dalle multinazionali globali? Non avete visto come sono finite le primavere arabe e le operazioni per la libertà in Iraq? Gli americani stanno perdendo ovunque, i popoli stanno rialzando la testa. *{{NDR|«Chi c’era dietro quelle barricate?»}} C’erano delle falangi ben organizzate, addestrate in due campi in Polonia, in un campo in Ungheria e un altro in Germania. Sostenuti dall’esercito di Kiev post-golpe, che ha bombardato i civili, dato fuoco a villaggi. Tutto per seguire il disegno degli Usa di rompere il nascente asse tra la Russia e l’Europa, tra il popolo russo e il popolo europeo. *Subito dopo il crollo del Muro, gruppi fuori controllo, organizzati da spie americane lo hanno abbattuto e hanno insediato il fantoccio Eltsin, che ha smantellato lo Stato per regalarlo ai nuovi oligarchi complici del sistema occidentale. E non potevano fare altro, gli americani, visto che già era chiaro l’imminente crollo del dollaro. Da quel momento hanno avuto paura dell’asse russo-europeo, hanno cominciato a temere la Cina. E si sono attrezzati per muovere le loro solite guerre invisibili. Pensate se questo vasto continente dall’Europa alla Russia al Kazakistan all’India alla Cina si potesse unire. Pensate l’Italia che boom potrebbe avere, venderemmo la nostra moda, i nostri prodotti, i nostri libri. Potremmo fare a meno degli americani e gli americani non possono sopportarlo. Così hanno cominciato brutali operazioni, le stesse che oggi, però, non sono più in grado di gestire. Stanno perdendo ovunque, anche qui. *Lo sviluppo è qui, la Russia sta crescendo e l’Europa ha tutto l’interesse a fare un patto con loro, liberandosi dal giogo delle multinazionali private americane. Io parlo da cittadino italiano, da patriota italiano. La nostra economia, quella vera, non ha bisogno di questo sistema ormai al fallimento. Deve liberarsi dalla morsa americana e di Bruxelles. {{Int|Da ''[https://www.casadelsole.org/file/Intervista_Nicolai_Lilin_anteprima_Raccontami_N_60.pdf Intervista a Nicolai Lilin]''|Intervista di ''Casadelsole.org'', luglio 2014.|h=4}} *{{NDR|Sulla [[Transnistria]]}} Oggi è un protettorato russo la cui indipendenza non sarà mai riconosciuta. Non saprei dire se questo sia giusto o no. Ufficialmente dovrebbe far parte della Moldavia però il problema è che oggi ci sono molte persone in ambito russo soprattutto politico interessate a mantenere il potere su queste terre. *In Occidente il tatuatore è un signore che sta in un negozio e realizza tatuaggi per le persone che desiderano averne sulla pelle. Io non faccio questo tipo di attività. Per me il tatuaggio è una cosa ben diversa. Per i miei antenati essere un tatuatore era paragonabile ad essere un sacerdote, un prete; quindi tutta un’altra cosa. Io continuo a svolgere la mia attività in forma privata senza mischiare la mia arte e la mia tradizione con quello che è il tatuaggio moderno. *[...] sono cresciuto in un posto dove c’erano parecchie persone con diverse forme di disabilità, anche se da noi la parola disabile non è ben vista, perché si crede che le persone che qui in Occidente vengono definite disabili, abbiamo alcune abilità che noi non abbiamo. Quindi le consideriamo persone scelte da Dio per portare dentro i loro corpi il concentrato del loro spirito che gli permette di essere più vicine a Dio. E questa forma di convivenza con queste persone ovviamente cambiava l’approccio con quello che era il loro stato fisico o mentale. Per cui cerco di non usare la parola disabile proprio perché credo profondamente che in realtà siamo più disabili noi rispetto a quello che portano dentro questi umani. {{Int|Da ''[https://web.archive.org/web/20141220053846/http://lilin.blogautore.espresso.repubblica.it/2014/07/04/estremismo-inutile/#more-80 L'estremismo ucraino di casa nostra]''|''Espresso.repubblica.it'', 4 luglio 2014.|h=4}} *Ho cercato un filo logico tra i messaggi pieni di odio, di ignoranza geopolitica, di ottusa propaganda, di violenza e di guerra. E’ stato inquietante prendere consapevolezza che dietro quelle parole xenofobe e violente non ci sono soltanto ucraini manipolati e accecati dalla propaganda razzista, ma sopratutto cittadini italiani, gente nata e cresciuta in un Paese che non vede la guerra da quasi settant’anni. Il Paese la cui Costituzione ripudia la guerra come metodo politico. *Ho trovato diversi messaggi di richieste di aiuti finanziari da parte delle organizzazioni paramilitari di estremisti ucraini e anche alcune foto di documenti che confermavano la spedizione dei soldi dall’Italia all’Ucraina, con tanto di lettere di ringraziamento da parte delle “centurie”, bande armate che da mesi tengono nel terrore l’Ucraina. Ho trovato dei video nei quali i giornalisti russi sono ripresi mentre i razzisti ucraini li torturano e massacrano. Sono commentati con frasi di odio e violenza. In uno dei messaggi c’è una fotocomposizione con due giornalisti russi e l’invito ad agire contro di loro. Non posso credere che questo livello di odio e di assurda esaltazione di estremismo sia possibile oggi in Italia. *Ormai mi sto abituando al fatto che gli unici argomenti con cui operano gli estremisti ucraini e i loro sostenitori sono le offese, le diffamazioni e le minacce. Evidentemente il violento golpe che ha distrutto l’Ucraina e al quale hanno partecipato diversi concittadini italiani ha contagiato con una febbre di onnipotenza le menti di molte persone. Però qui in Italia non abbiamo bisogno di rivolte che getterebbero il paese in una guerra fratricida. Non abbiamo bisogno di altri pretesti per seminare odio, intolleranza, xenofobia e razzismo. Abbiamo bisogno di pace e di ripresa economica, di uomini onesti nella politica e nell’economia. Per questo trovo che l’attività di una banda di esaltati estremisti ucraini qui in Italia sia semplicemente fuori luogo. E completamente inutile. {{Int|Da ''[https://www.barbadillo.it/25746-intervista-nicolai-lilin-ucraina-tradizione-comunita/ L’intervista. Nicolai Lilin: "In Ucraina c'è stato un golpe. Ripartire da tradizione e comunità"]''|Intervista di Mario De Fazio sulla [[rivoluzione ucraina del 2014]], ''Barbadillo.it'', 5 luglio 2014.|h=4}} *Ciò che dico viene sostenuto da larga parte della sesta parte del mondo, la Russia. Cose che vengono taciute dai nostri media occidentali, in gran parte corrotti e strumentalizzati. In Ucraina è avvenuto un colpo di Stato, illegale, violento, organizzato da forze esterne. Non rappresenta assolutamente la volontà del popolo ucraino. Se tutto il popolo fosse stato d’accordo non ci sarebbe stata la secessione della Crimea e la guerra civile che c’è adesso. *Non dubito che tanti ragazzi di [[Maidan]] volevano il bene della loro patria. Ma sono stati strumentalizzati: Lenin chiamava persone del genere "utili idioti". Possono avere tutte i buoni propositi che vogliono ma ammazzano persone civili e partecipano a uno scempio sulla propria terra. Combattono cittadini della loro stessa terra ed è la cosa peggiore che c'è. Un uomo, un guerriero, deve difendere la propria terra dagli esterni, loro si sono messi insieme a gente venuta da fuori, da Washington, per insegnare i nuovi valori, e si sono fatti strumentalizzare e uccidono i loro fratelli, gente che crede nello stesso Dio. Lavorando, in questo modo, per chi crede in McDonald’s e Shell. *L’Ucraina aveva già la possibilità di essere indipendente, con Janukovyc. È vero che era costretto ad accettare alcune posizioni russe, e bisogna dire che era un oligarca. Ma rispecchiava bene il popolo ucraino. Ciò che è avvenuto adesso, la rivoluzioni populista, è dovuto al lavoro di agenzie esterne, che hanno strumentalizzato il populismo creando una guerra. {{Int|Da ''[https://web.archive.org/web/20141219205756/http://lilin.blogautore.espresso.repubblica.it/2014/07/05/simboli-nazisti-ufficializzati-in-ucraina-a-livello-statale/#more-108 Simboli nazisti ufficializzati in Ucraina a livello statale]''|''Espresso.repubblica.it'', 5 luglio 2014.|h=4}} *Gli uomini del potere di Kiev [...] si abbandonano di gusto alla nostalgia per i tempi in cui i loro antenati “patrioti” e “difensori dell’integrità nazionale” collaboravano con Hitler, sterminando centinaia di migliaia di civili ebrei, ucraini, russi, polacchi, bielorussi. La propaganda del nazismo è diventata l’apoteosi del nuovo regime portato al potere con il golpe di Maidan. *Lo stemma del battaglione Azov riporta fedelmente un simbolo germanico che si chiama Wosfsangel, che sarebbe “dente di lupo”. Questo simbolo ha le origine runiche ed era adottato da numerose unità militari della Germania nazista. E nonostante i crimini compiuti dal nazismo condannato da tutta l’umanità, nessuno qui da noi, nell’Europa moderna, si scandalizza se nell’Ucraina golpista vengono usati i simboli nazisti, prima dai delinquenti violenti di Maidan e poi un’unità dell’esercito regolare. Qual è la prossima tappa? Lo sterminio dei propri cittadini che non acconsentono al potere del golpe, la censura, gli assassini dei giornalisti? O, scusate, che distratto, sta già accadendo! Persino il nostro connazionale, il giornalista Andrea Rochelli e il suo collega russo sono stati barbaramente uccisi dai nazisti dell’esercito di Kiev. E nessuno qui ha dato spazio a questa tragedia, nessuno ha raccontato la storia di Andrea, nessuno ha parlato della sua famiglia, nessuno ha condiviso con la sua nazione il momento dell’addio, dei suoi funerali. Che vergogna… *Giocando con l’ideologia nazista gli ucraini e i loro sostenitori europei e americani non si rendono contro che stanno giocando con il fuoco. Contagiati dalla febbre della nostalgia, i politici e molti cittadini ucraini dimenticano che si tratta di un sentimento molto pericoloso, che a volte può fare dei brutti scherzi, può portare verso le situazioni che si ritorcono contro. {{Int|Da ''[https://web.archive.org/web/20141220053836/http://lilin.blogautore.espresso.repubblica.it/2014/07/09/quando-la-democrazia-si-sposa-con-il-nazismo/#more-125 Quando la democrazia si sposa con il nazismo]''|''Espresso.repubblica.it'', 9 luglio 2014.|h=4}} *Oggi a Milano ho incontrato un amico. Ci siamo fermati a chiacchierare del più e del meno e tra i vari argomenti siamo finiti a parlare di ciò che accade in Ucraina. Essendo omosessuale il mio amico mi ha detto di essere contento del golpe di Stato, perché secondo lui ora con il nuovo governo nel Paese ci sarà più libertà per gli omosessuali e in generale per l’individuo, valore che da sempre costituisce il cavallo di battaglia del mondo occidentale. [...] Parlando con lui ho capito il motivo per cui gran parte dei politici europei spiegano all’opinione pubblica dei nostri paesi perché approvano il colpo di stato in Ucraina avvenuto lo scorso inverno. Si tratta dello stesso motivo per cui dopo la Seconda Guerra Mondiale la società occidentale ha giustificato ogni passo compiuto verso l’espansionismo militare ed economico, ovvero, la necessità di portare democrazia e libertà in quei paesi che, secondo la visione degli occidentali, soffrono per la mancanza di questi diritti fondamentali. Ovviamente la democrazia è solo un pretesto. *{{NDR|Su [[Petro Oleksijovyč Porošenko]]}} Al posto del presidente oligarca è arrivato un oligarca peggiore, di cui si sa che negli anni della sua carriera politica spiava per conto degli americani. *[...] per spiegare al mio amico che la condizione di vita degli omosessuali ucraini non è migliorata, ma probabilmente peggiorata con l’arrivo al potere dei neonazisti, gli ho mostrato un video di qualche giorno fa, in cui una di queste bande di neonazisti ucraini assalta un night club di Kiev, gestito e frequentato prevalentemente da omosessuali. Alcuni sono stati feriti, bruciati con una serie di ordigni esplosivi fatti in casa e lanciati all’interno del locale dai “portatori della democrazia” ucraini. {{Int|Da ''[https://web.archive.org/web/20141220053909/http://lilin.blogautore.espresso.repubblica.it/2014/07/18/limpero-delle-balle/#more-137 L'Impero delle Balle]''|''Espresso.repubblica.it'', 18 luglio 2014.|h=4}} *Accusare qualcuno di abbattere un Boeing a colpi di fionda è possibile: oggi tutto lo è nell’Ucraina “democratica” e “libera” nata dopo Maidan. Per farlo, basta seguire gli interessi delle lobby americane controllate dall’intelligence statunitense. Se gli Stati Uniti sono riusciti a rifilare al mondo intero, cittadini americani compresi, le storielle delle Torri Gemelle abbattute dagli arabi e del Pentagono colpito da un aereo di linea – che avrebbe lasciato un buco di soli cinque metri -, perché i nazisti ucraini non possono attribuire l’abbattimento di un Boeing ai minatori e ai contadini del Donbas in rivolta contro il governo golpista di Kiev? *[...] diverse agenzie di stampa occidentali hanno divulgato alla velocità della luce un’informazione approssimativa, non verificata e hanno accusato prontamente dell’abbattimento del velivolo quei ribelli filorussi che tentano solo di difendere la popolazione civile del Donbas dall’aggressione del governo anticostituzionale di Kiev. Trovo vergognosa la reazione di molti giornalisti occidentali che ormai senza alcuna etica professionale fabbricano “notizie” a suon di frusta dei loro padroni, tutti azionisti privati. *La responsabilità dell’abbattimento di un aereo di linea che viaggia a 10.000 metri non può essere attribuita a qualcuno sulla base di una fantomatica registrazione vocale apparsa in rete, una registrazione che perfino un adolescente alla tastiera sarebbe capace di fabbricare. *[...] non escludo che dell’abbattimento siano colpevoli proprio gli uomini di Kiev, visto che in questo momento sono spalleggiati dalle stesse strutture che hanno organizzato il disastro datato 11 settembre. Allora raccontavano a tutto il mondo favole sui terroristi arabi, speculavano sulle immagini delle torri che crollavano giù con dinamiche che assomigliavano a quelle di una demolizione controllata: quelle teorie che non si reggevano in piedi già allora sono state smentite poi dai migliori specialisti del settore. *Oggi gli esperti di bugie e complotti che siedono in poltrona a Washington fanno di tutto per dipingere la Russia come un mostro, fanno di tutto per scatenare una guerra terribile tra Ucraina e Russia, e questo non solo per fare soldi, ma anche per spaccare l’asse nascente dell’economia euroasiatica. Gli Stati Uniti, con un tale debito pubblico, non possono far altro per salvare la pelle e cercare di mantenere il loro dominio economico e militare sull’Europa. La politica fallimentare americana, che minaccia di cancellare tradizioni e radici di molte nazioni, che priva miliardi di persone della loro identità trasformandole in schiavi indifesi del neo feudalesimo, sta diffondendo nel mondo, sotto bandiera a stelle e strisce, un devastante neoliberismo a suon di bombe. *Per evitare altre morti e spegnere il fuoco di questa guerra civile, l’Ucraina deve smettere di esistere come Stato. Il governo, le forze dell’ordine e l’esercito che si sono macchiati di crimini contro l’umanità devono essere arrestati e processati in quanto responsabili. La NATO dovrebbe essere sciolta immediatamente, visto che il blocco dei paesi del Patto di Varsavia non esiste da più di due decenni. Servirebbe un intervento militare dell’ONU per disarmare le due parti coinvolte in questa guerra. I criminali nazisti di Kiev, i loro collaboratori e consiglieri di Washington dovrebbero essere portati davanti al tribunale internazionale dell’Aja ed essere giudicati con tutta la severità che la legge consente. Solo così e solo allora da quel paese martoriato cominceranno ad arrivare notizie vere, coerenti: solo allora il mondo potrà respirare liberamente. {{Int|Da ''[https://web.archive.org/web/20141220054039/http://lilin.blogautore.espresso.repubblica.it/2014/07/23/chi-ha-abbattuto-laereo-malese/#more-143 Chi ha abbattuto l’aereo malese?]''|''Espresso.repubblica.it'', 23 luglio 2014.|h=4}} *Secondo le informazioni ormai pubbliche e autorevolmente affermate, l’aereo può essere stato colpito sia dagli ucraini che da ribelli filo-russi. *[...] è possibile che il missile sia stato scagliato contro un aereo militare ucraino, molto più piccolo: un jet che ha usato il Boeing come una sorta di scudo – come fa intendere Mosca – o che più semplicemente si trovava in zona senza essersi accorto di volare sulla rotta percorsa dagli aerei di linea. *[...] se la degenerazione del conflitto civile diventasse il pretesto per un intervento americano, con o senza il cappello della Nato, rischieremmo di vedere trasformare un territorio nel cuore dell’Europa in uno scempio bellico senza più speranza di pace, come è già accaduto in Iraq, Libia e Afghanistan. {{Int|Da ''[https://www.sulromanzo.it/blog/intervista-a-nicolai-lilin-il-serpente-di-dio-e-il-potere-della-lettura-e-della-diversita Intervista a Nicolai Lilin: "Il serpente di Dio" e il potere della lettura e della diversità]''|Intervista di Matteo Bolzonella, ''Sulromanzo.it'', 4 agosto 2014.|h=4}} *{{NDR|Su ''Il serpente di Dio''}} Il romanzo nasce qui in Italia, meno di un anno fa: è una sorta di mia reazione alla situazione geopolitica che si sta vivendo. Vivo con dolore il fatto che oggi le diversità vengano sfruttate da diverse fazioni politiche o geopolitiche come delle armi per manipolare le società. Quella diversità che dovrebbe essere la nostra ricchezza, una delle poche cose che aiuta a conoscere veramente il mondo e a rispecchiarsi in esso, oggi viene riproposta spesso, anche da parte dei mass media, come un elemento di cui dobbiamo avere per forza paura e che dobbiamo fronteggiare con molta attenzione, quasi con sospetto: “Se uno è diverso da me, è uno di cui io non devo e non posso fidarmi”; ecco, questo non va bene. Io sono nato in [[Unione Sovietica]] e ho il ricordo di un Paese bellissimo, con 183 etnie che vivevano in pace e armonia, senza mai aver avuto sospetti di questo tipo. In modo particolare non sentivamo questa inevitabile divisione tra mondo islamico e mondo cristiano che oggi viviamo, di cui mi dispiace molto. Il mio fratello minore, Dimitri, si è convertito all’Islam e si è sposato con una bellissima ragazza di Daghestan, paese russo con una maggioranza di etnie di religione musulmana. La mia famiglia vive con molta serenità questa situazione ma spesso dall’esterno, anche da alcuni miei amici, questa differenza è stata vista male: tantissimi vedono la scelta di mio fratello come una cosa molto estrema. Il mio romanzo si basa sul valore della diversità nella religione: i protagonisti sono due ragazzi, uno cristiano e uno musulmano che, nonostante la differenza culturale e religiosa, riescono a sviluppare un rapporto fraterno, come viene suggerito dalla loro stessa comunità, quella caucasica. E il [[Caucaso]] è storicamente luogo di una convivenza tra comunità non solo pacifica, ma anche fraterna. *In Russia una cosa che mi ha aiutato moltissimo e che forma la base della mia espressione narrativa è la narrazione orale, su cui si è formata la cultura siberiana nella quale io sono cresciuto. Mio nonno mi raccontava tantissime fiabe e questo per me è stato fondamentale. D’altra parte ho avuto anche un’educazione sovietica: nelle scuole russe si leggeva molto, moltissimo, tanti classici, russi e stranieri e questo mi ha aiutato ovviamente a elaborare una forma espressiva tutta mia ma che si basa sui libri che ho letto. *{{NDR|Su [[Gabriele Salvatores]]}} Io amo quest’uomo, a mio avviso è uno dei più importanti e talentuosi registi italiani che hanno fatto la storia del cinema italiano. *{{NDR|Su ''[[Educazione siberiana (film)|Educazione siberiana]]''}} Il film è sicuramente bellissimo ma già dall’inizio si capisce di trovarsi davanti a una storia parallela: non è un tentativo di ripetere il libro sullo schermo, ma ricrearne la storia prendendone spunto. {{Int|Da ''[https://web.archive.org/web/20141220054041/http://lilin.blogautore.espresso.repubblica.it/2014/08/12/quando-il-male-sorride/#more-162 Quando il male sorride]''|''Espresso.repubblica.it'', 12 agosto 2014.|h=4}} *{{NDR|Sulla seconda guerra cecena}} [...] a quei tempi {{NDR|i ceceni possedevano}} apparecchiature di rilevamento molto efficaci fornite dall’esercito americano, fornite tramite i loro alleati georgiani che alimentavano il terrorismo wahhabita in Caucaso. *Una volta, nel corso di una missione particolarmente dura, la squadra della quale io facevo parte non e’riuscita a ritornare al punto di evacuazione per il tempo stabilito e per questo abbiamo dovuto fare ritorno alla base a piedi. Ci abbiamo messo due giorni per aggirare vari gruppi dei wahhabiti, eravamo nel bel mezzo di un territorio controllato da loro. All’arrivo ci siamo seduti tutti insieme con il nostro comandante e con il nostro maresciallo, bevendo zuppa calda, abbiamo raccontato nei particolari la nostra avventura. Alla fine il nostro vice capo gruppo, un giovane sergente maggiore, si è lamentato di come le circostanze operative diventassero sempre più difficili, di come i wahhabiti si accorgessero della nostra presenza sempre più spesso, della loro accuratezza negli spostamenti, di come avessero imparato ad evitare le nostre trappole. Leonid Vladimirovich aveva risposto con una frase che io non dimenticherò mai: “Quando la guerra si fa dura e vi pare sentire la risata del diavolo, dovete rispondergli con una risata più forte”. *La guerra che il governo golpista Ucraino compie contro il proprio popolo non ha alcun senso e tutte le sue vittime sono sulla coscienza di quegli oligarchi criminali ed estremisti, che con l’aiuto di USA e UE, si sono improvvisati politici dopo aver rovesciato un governo legittimo, facendo sprofondare il Paese in un conflitto sanguinario, la cui fine, ho paura, non vedremo molto presto. Tutti sono vittime dell’attuale amministrazione che illegalmente occupa incarichi governativi in Ucraina ed agisce in maniera anticostituzionale. I civili innocenti massacrati nel corso dei bombardamenti ad opera dell’esercito ucraino o durante le rappresaglie degli squadristi neonazisti, armati e pagati da oligarchi corrotti, i ribelli che difendono la popolazione del Sud-Est ucraino, i sostenitori estremisti di Kiev giustiziati nelle azioni di rappresaglia improvvisate da ribelli, i soldati dell’esercito regolare ucraino, i volontari esaltati della guardia nazionale, i neonazisti dei vari “battaglioni” che di militare non hanno niente e somigliano a bande di criminali strutturate attorno a uomini di potere corrotti: tutto questo graverà sulla coscienza di chi alimenta politiche espansionistiche e su quella di chi si offre come servo al padrone e che opera con metodi da grilletto facile. *Sono passati circa tre mesi da quando l’esercito regolare ucraino ha cominciato a compiere massacri quotidiani contro i civili del Donbass utilizzando aviazione e artiglieria. In questo modo il governo golpista di Kiev sperava terrorizzare la popolazione e placare la resistenza di chi rimaneva fedele alla Costituzione e alla Legalità, stuprate e dissacrate dopo il colpo di stato armato avvenuto per mano delle falangi estremiste a Maidan. La resistenza non ha mollato. Allora i “democratici” di Kiev, incitati dai “consulenti” della NATO, sono passati all’utilizzo di armi ancora più terrificanti: fosforo bianco, proiettili dalle testate termobariche, missili non guidati Grad, bombe a grappolo. Questo aumento della brutalità bellica ha incrementato il numero di vittime soprattutto ed esclusivamente tra i civili. Ma la popolazione del Donbass, martoriata e terrorizzata, non smette di sostenere i suoi ribelli. *L’abbattimento dell’aereo malese e’ stato una manna dal cielo per il governo golpista. Ma non sono riusciti a sfruttare adeguatamente nemmeno questo drammatico episodio, perché non hanno il totale controllo del paese, perché la loro propaganda è debole e inefficiente, in quanto sfrutta un bacino di pubblico in gran parte poco preparato e malinformato, e opera con materiali considerati incoerenti, che vengono divulgati con dei modi persistenti e violenti per qualsiasi persona normale di cultura media. Incolpare la Russia dell’abbattimento dell’aereo è stato un fallimento totale. Non e’ servito a capire chi ha abbattuto realmente quell’aereo, ma soprattutto ha insospettito tutto il mondo. Non sono serviti nemmeno gli interventi dei politici statunitensi e del presidente Obama che strillava come un indemoniato incolpando i russi, con prove che avrebbe potuto fabbricare qualsiasi ragazzino abile con Photoshop. Per ora i russi sono stati gli unici a fornire le prove che riguardano quella tragedia e gli Stati Uniti si sono chiusi in un imbarazzante silenzio. Quindi nemmeno l’abbattimento del Boeing malese e’ riuscito a risanare la situazione dei golpisti e giustificare a livello internazionale l’intervento della NATO, che non vede l’ora di invadere l’Ucraina e alimentare un lungo conflitto contro la Russia. Questo dovrebbe distruggere per sempre la prospettiva della creazione di un asse economico euro-asiatico, una degna e logica alternativa al dominio statunitense, che sprofonda sempre di più nella crisi e costringe gli europei ad allontanarsi dai diritti civili, come quelli per la casa, per il lavoro, per la sanità. *Il fascino della propaganda dell’Impero di fast-food e’molto forte. Molti ucraini hanno perso la testa abbagliati dalle promesse americane, pensando che li aspetti una vita come quella delle serie TV statunitensi. Non gli importa che gli USA non sono certo un esempio di paradiso sociale: cinquanta milioni di americani non hanno diritto alla sanità, senza parlare degli analfabeti, della criminalità e del sistema giudiziario che diventa un modo per togliere dalla circolazione quella classe di cittadini che non rientra nello schema di vita degli ultra liberisti. L’esaltazione degli ucraini per il sistema americano mi appare come la metafora di uno schiavo che scappa da un padrone e si nasconde nella casa dell’altro, motivando il suo gesto con il fatto che il vecchio padrone lo picchiava con un bastone di legno e quello nuovo lo farà con un bastone d’oro. Proprio per questo gli ucraini pro golpisti si spingono verso crimini sempre peggiori contro i propri concittadini che non condividono la loro visione socio-politica. *Sono d’accordo con la volontà di un popolo di auto determinarsi e liberarsi dalle influenze geo-politiche non desiderate e se la stragrande maggioranza degli ucraini veramente non vuole più avere a che fare con Russia, comprendo e approvo tale decisione. Ma come fanno a non accorgersi che in questa situazione il loro sentimento anti russo è stato manipolato e sfruttato da un potere altrettanto corrotto, che distrugge il loro paese trasformandolo in una pedina, in un campo di battaglia? Stanno strappando legami storici, stravolgendo l’identità nazionale, riportano in vita dall’abisso dei secoli mostri che si erano macchiati dei crimini peggiori. Non capisco come possano ancora quegli ignoranti sostenitori del colpo di Stato di Maidan esaltare la morte delle donne e dei bambini della loro stessa nazione, commentando con dei motti pieni di insulti il presidente di un altro paese. È come se un mio vicino che mi odia, e non può fare niente di concreto contro di me, passasse il suo tempo a massacrare di botte i suoi figli e sua moglie sotto le finestre di casa mia, urlando per tutta la via che io sono un mostro, un violento, aggressore e dittatore. {{Int|Da ''[https://messaggeroveneto.gelocal.it/tempo-libero/2014/09/02/news/nicolai-lilin-la-casta-fa-politica-criminale-1.9858294 Nicolai Lilin: «La casta? Fa politica criminale»]''|Intervista di ''messaggeroveneto.gelocal.it'', 2 settembre 2014.|h=4}} *Siamo romanzieri, non teniamo diari. E quando ci accusano d’inventarci stralci di esistenze, straparlano. È un paradosso. Avremo o no la licenza di fantasticare? *Guardi, avendo dato l’esclusiva dell’uscita a Roberto Saviano e a ''Repubblica'', un altro quotidiano nazionale, ''La Stampa'', si è vendicato inventandosi un pezzo vergognoso pieno di falsità. Un riuscitissimo esperimento di disinformazione. Un blogger sconosciuto, ed ecco il secondo caso, per farsi un po’ di nome in giro usò la stessa tattica. Terza corsa su ''Il Fatto'', che tra l’altro mi offrì una collaborazione dopo aver pubblicato le solite allucinazioni. Per quanto mi riguarda è un giornaletto scolastico. Mia madre mi chiamò offrendosi addirittura di rilasciare un’intervista per confermare con foto e prove quanto raccontai nel libro. Le dissi di lasciar perdere. La faccia io ce l’ho messa. Anche al ''Chiambretti Night''. Facile incontrare invidie e russofobi, mica tanto strano. Il razzismo proprio dei liberisti di sinistra, cresciuto nella Gran Bretagna coloniale, è una piaga diffusa. Se la coscienza è pulita vai avanti e non ti curi *{{NDR|Sull'Italia}} Un Paese in difficoltà. E disgregato, seppure unito soltanto 150 anni fa. La politica ha un atteggiamento criminale. Non soltanto ruba a man bassa, ma non si preoccupa minimamente di guarire ’sta terra malandata. A far lievitare i danni ci si mette pure l’atteggiamento filo-americano. Fuori gli States con le loro basi e i loro missili e su le maniche per lavorare seriamente. *Impariamo dalla Russia, un groviglio di svariate declinazioni di cristianesimo, islamismo, buddhismo, paganesimo, persino. Eppure, nessun contrasto violento; si è stabilizzato un sentimento di pacifica convivenza, ognuno nel rispetto dell’altro. {{Int|Da ''[https://www.giornalelavoce.it/news/dai-comuni/93332/ivrea-nicolai-lilin-educazione-siberiana-alla-festa-dell-unita-una-militante-pd-lo-attacca.html IVREA. Nicolai Lilin ("Educazione siberiana") alla Festa dell'Unità. Una militante Pd lo attacca]''|Intervento durante la Festa dell’Unità, ''giornalelavoce.it'', 22 settembre 2014.|h=4}} *[...] l’Ucraina è Russia, e non a caso la prima capitale dell’Unione Sovietica fu proprio Kiev. *[...] voi non sapete niente, voi votate e basta. L’Ucraina è solo una pedina, anche insignificante, dell’America, la quale teme che l’Europa si giri verso la Russia, canale anche verso la Cina, paesi in espansione. *Sono cresciuto in Unione Sovietica. Eravamo poveri, ma non avevamo i pidocchi a scuola. Qui ho mandato mia figlia, purtroppo, in una scuola statale, e per tre mesi mi ha portato i pidocchi. Questa è la vostra democrazia. La vostra democrazia è mettere gli anziani negli ospizi. La democrazia schiavizza. Voi dovete ascoltare i vostri anziani (tranne Napolitano), la loro saggezza. Il Nazionalismo vero, come diceva mio nonno che era siberiano, significa amare il proprio paese, e rispettare gli altri. *A 12 anni ho vissuto la guerra civile. Nell’89 sono iniziate le tensioni. Si diceva che fossero causate dal Nazionalismo moldavo. Poi si è scoperto che era gente rumena, mercenari. Voi non avete ancora imparato. Perché quello che fa Renzi con Obama (fare sanzioni, bombardamenti di cui nessuno parla, pagare neonazisti per uccidere gente che non viene messa in tv come il giornalista americano) è un atto criminale. Voi votate dei criminali. {{Int|Da ''[https://www.gqitalia.it/news/2014/12/11/lilin-e-la-disinformazione-te-lo-spiego-io-cosa-succede-in-ucraina Lilin e la disinformazione: "Te lo spiego io cosa succede in Ucraina"]''|Intervista di Angelo Pannofino, ''gqitalia.it'', 11 dicembre 2014.|h=4}} *I giornali italiani dicono che l'esercito russo ha invaso l'Ucraina, ma dove? Non c'è un solo soldato con la divisa dell'esercito russo. Dalla Russia sono sicuramente arrivati dei volontari, ma ci mancherebbe: noi russi andiamo ad aiutare i nostri fratelli in qualunque parte del mondo, ma lo facciamo da privati. Da privati. *Putin ha un pessima reputazione perché gli italiani hanno sempre avuto della Russia una visione creata da persone che sostengono il blocco atlantista. *[...] quando parliamo di disinformazione la [[Anna Stepanovna Politkovskaja|Politkovskaja]] è un esempio perfetto: lei è diventata una sorta di martire della libertà che gli occidentali spingono di brutto. Spesso qui leggo una frase stupida: “Putin ha ucciso la Politkovskaja”. Punto. Come si fa a essere credibili se si scrivono cose del genere? Putin non ha ucciso nessuno. E il KGB non ha ucciso nessuno. Anche perché non esiste più il KGB ma altre strutture, come l'FSB, che è solo un'ala dell'ex KGB, quella politica: considera che solo l'FSB conta tre milioni e cinquecentomila agenti effettivi. Sai cosa vuol dire una cifra del genere? Vuol dire che non c'è niente che possa fermarli, né la CIA né il Mossad. Come si fa a pensare che una struttura così possa mandare due agenti a sparare in pancia alla Politkovskaja mentre sale a casa sua con i sacchi della spesa? Neanche i criminali ormai fanno cose del genere in Russia: hanno più gusto e più pietà *{{NDR|«[...] qual è la tua idea sull'omicidio della Politkovskaja?»}} Non è un'idea, è un fatto documentato: ci sono due delinquenti wahabiti (perché in Caucaso tutto viene dal wahhabismo), terroristi pagati dagli americani, che lo hanno fatto perché lei indagava sul legame tra alcuni militari russi e alcune fazioni wahabite. Il problema principale della Politkovskaja è che lei è comparsa sulla scena mediatica grazie al signor Berezovsky, che l'ha fatta diventare la “sua” giornalista: in poche parole l'ha comprata. [...] è questo il problema della Politkovskaja: i suoi legami con Berezovsky. La sua visione era molto facile: la guerra cecena? La colpa è dei russi. Ma io l'ho fatta la guerra in Cecenia, e non è affatto così. {{Int|Da ''[https://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2014/12/28/traduco-confessioni-in-una-lingua-misteriosa32.html Traduco confessioni in una lingua misteriosa]''|''La Repubblica'', 28 dicembre 2014.|h=4}} *Ho a mia disposizione una vasta gamma di simboli, paragonabile a una sorta di alfabeto. Ogni simbolo, così come ogni lettera dell'alfabeto, non ha nessun significato singolarmente, ma può assumerne diversi a seconda di come viene inserito nel disegno completo e posizionato rispetto agli altri simboli e anche a seconda della parte del corpo in cui viene tatuato, proprio come le lettere dell'alfabeto, che compongono parole diverse a seconda dell'ordine in cui sono disposte, parole che poi diventano frasi, che a loro volta si trasformano in storie. La parte più importante nel processo è quella legata al passaggio dell'informazione dalla persona che intende tatuarsi al tatuatore. Si crea qualcosa che sta a metà tra una confessione sacra e una complicità quasi intima. *Spesso le storie che mi affidano sono così personali e profonde che mi rendo conto di essere l'unico a conoscerle, molti non raccontano le loro esperienze più estreme nemmeno ai propri cari. In alcuni casi le persone fanno fatica persino a trasformare le proprie memorie in parole, ci mettono molto a dare forma linguistica alle proprie paure, agli incubi del passato. *Iniettare l'inchiostro sotto la pelle è un processo che richiede una certa abilità e conoscenza della materia, ma io la vedo come una semplice conclusione di qualcosa di molto più profondo, faticoso ed emozionante. Per questo, mentre tatuo una storia provo già nostalgia per quei simboli, per i particolari di quella vita che ho conosciuto e interpretato nel tatuaggio che vado eseguendo, e dentro di me sento il bisogno di affrontare nuovi segreti. ===2015=== {{Int|Da ''[https://lespresso.it/c/archivio/2015/1/5/nicolai-lilin-non-cediamo-alla-tentazione-della-vendetta/41887 Nicolai Lilin: "Non cediamo alla tentazione della vendetta"]''|''Lespresso.it'', 5 gennaio 2015.|h=4}} *[...] il 1989 è stato segnato da due eventi che hanno condizionato la mia esistenza: la nascita del mio adorato fratello Dimitri e l’entrata nella mia collezione di un pezzo importantissimo, una Luger P08 prodotta nel lontano 1917. Nelle strade del mio quartiere, tra i ragazzini giravano molte armi da fuoco, soprattutto modelli storici tirati fuori dai nascondigli dei nonni: venivano barattate in cambio di colombi, cuccioli di cane o qualche piccolo oggetto di gioielleria sottratto ai genitori. A nove anni possedevo una discreta collezione di pistole. Avevo due rivoltelle tipo Nagant, di cui una rarissima di produzione svedese dalle munizioni introvabili; una Mauser C96 - quella che usa Corto Maltese nei fumetti di Hugo Pratt - che non funzionava per qualche guasto meccanico mai scoperto; diverse Tokarev, una delle quali recuperata sul terreno di una battaglia della seconda guerra mondiale e semicorrosa dalla ruggine. C’era pure una Walther P38 tedesca, con il nome del militare che l’aveva usata durante il conflitto inciso sul carrello. *Di giorno portavo la pistola ovunque: a scuola e persino al fiume, il luogo dei nostri giochi. La sera, prima di andare a dormire, la smontavo e pulivo con cura, accarezzando la struttura metallica con il panno bagnato d’olio. Con quella Luger riuscivo a sparare molto preciso. Era facile da controllare, un vantaggio perché io ero più piccolo e più magro dei miei amici e quindi faticavo a colpire i bersagli con le altre pistole. Ora invece era tutto cambiato: staccavo il collo delle bottiglie a dieci metri di distanza. Anche i ragazzi più grandi avevano notato la mia abilità, alcuni autorevoli delinquentelli del quartiere si erano complimentati e ciò rappresentava una sorta di promozione nella gerarchia della strada. Credevo di essere diventato qualcuno grazie a quel pezzo di ferro. Non mi rendevo conto che gli amici mi consideravano insopportabile, perché sembravo ubriaco di onnipotenza e facevo di tutto per provocare il destino. E il destino non si è fatto attendere. *Ero da poco tornato da scuola e sono andato nel fondo del giardino per tirare due colpi con la mia Luger. Tra uno sparo e l’altro sono stato distratto dalla sarabanda che proveniva dal cortile. Era un misto tra il lamento di un bambino, il ruggito di un leone, il bramito di orso e il ringhio del cane. Un verso incredibilmente lungo e potente, tanto da apparire irreale. Sono corso verso casa e mi sono trovato davanti una scena incredibile: tutto era coperto di piume, con brandelli di cuscini che volavano in aria e in mezzo a questa nuvola bianca c’era Buyan che stava sbranando l’ultimo pezzo di stoffa. Ho guardato quel cane e dentro di me si è scatenata l’ira. Anche lui mi ha fissato, come per studiarmi, poi è scattato. Senza rendermene conto ho puntato la Luger e premuto il grilletto. L’animale nello stesso istante si è accasciato, come se un essere invisibile gli avesse inferto una botta sul capo. Mi sono avvicinato al corpo ancora caldo, sentivo le ginocchia tremare. Ho osservato immobile quello che avevo provocato, poi ho messo la sicura alla Luger, ma non ho fatto in tempo a infilarla in tasca perché è apparso mio nonno Boris. Teneva tra le mani uno dei giovani colombi che addestrava. Mi ha fissato con disapprovazione: «Perché hai sparato a quell’animale?» {{Int|Da ''[https://www.vita.it/nicolai-lilin-islam-la-convivenza-si-impara-sul-caucaso/ Nicolai Lilin: «Islam? La convivenza si impara sul Caucaso»]''|Intervista di Elena Bagalà, ''vita.it'', 16 gennaio 2015.|h=4}} *{{NDR|Sul [[Caucaso]]}} Sono zone in cui la vita ha altri ritmi rispetto alla società moderna come noi la intendiamo, la gente è ancora molto legata alla natura e porta avanti gli antichi valori che gli sono stati tramandati [...]. La comunità cristiana consegna un oggetto, affinché venga custodito, alla comunità musulmana e viceversa. È uno scambio di oggetti tra comunità, un sigillo che celebra il patto di lealtà che al giorno d’oggi è ancora ritenuto estremamente importante. *{{NDR|Su ''Il serpente di Dio''}} Un elemento fondamentale nel mio libro, non a caso, è il grande sentimento di amicizia che lega i due protagonisti, due ragazzi, uno cristiano e l’altro musulmano. *La società moderna è affetta da due grandi mali, l’individualismo e la massificazione, sono due derive che rendono l’uomo un possibile schiavo di ideologie false, ci fanno credere che per sopravvivere l’unica via sia quella tracciata dall’odio e dall’intolleranza quando invece l’uomo, mosso dalla curiosità, scopre che esiste anche la via della conoscenza, la base su cui poi si instaurano le relazioni tra le persone. {{Int|Da ''[https://web.archive.org/web/20151015022849/http://lilin.blogautore.espresso.repubblica.it/2015/01/16/la-chiesa-dellodio/ La chiesa dell'odio]''|''Espresso.repubblica.it'', 16 gennaio 2015.|h=4}} *Oggi, seguendo i media ucraini si percepisce un'atmosfera simile a quella che dominava la società cristiana cattolica ai tempi delle crociate. C'è un obiettivo universale, prostrato, non definito, che viene imposto alle masse come una missione sacra che ogni patriota e uomo onesto è obbligato a compiere. Ovviamente questo obiettivo è la guerra che in questo caso dimostra una chiara declinazione masochista, perché anche se nella propaganda si parla sempre di guerra contro la Russia, in realtà la si fa contro il proprio popolo nel Donbass. *A Firenze e a Prato, nelle chiese ucraine i parroci hanno organizzato una colletta per acquistare una termocamera che permette di individuare, in condizioni di bassa visibilità, sopratutto di notte, gli obiettivi vivi che emanano il calore corporeo. Sul volantino distribuito in chiesa è disegnata la scena del videogioco di guerra che si chiama "Battelfield", si nota un soldato in fiamme che avanza con uno sguardo severo, accompagnato da un carro armato. Questi sono i valori cristiani dei neo nazisti ucraini: la violenza, la guerra, la distruzione. I parroci e la comunità ucraina in Italia non hanno dato nessuna spiegazione, non hanno espresso le loro scuse agli italiani e ai credenti che hanno chiesto spiegazioni per un comportamento così offensivo nei confronti di chiunque reputi la religione un rifugio per lo spirito e non una piattaforma di guerra. *Se le autorità italiane, se i nostri politici, se l'opinione pubblica nazionale continuano con il loro tacito consenso al dilagare della propaganda dell'odio e del neo nazismo ucraino qui in Italia, non mi sorprende che un giorno questo odio si realizzerà con delle azioni violente. Azioni di cui non ne abbiamo nessun bisogno qui in Italia, specialmente dopo quel sangue che abbiamo visto scorrere a Parigi. {{Int|Da ''[https://web.archive.org/web/20150918164302/http://lilin.blogautore.espresso.repubblica.it/2015/02/03/laltra-faccia-della-democrazia-ucraina-il-terrorismo-ceceno-made-in-usa/ L'altra faccia della democrazia ucraina: il terrorismo Ceceno made in USA]''|''Espresso.repubblica.it'', 3 febbraio 2015.|h=4}} *Per favi capire meglio chi era Isa Munaev, ricordo solo che era ricercato in Russia per aver commesso crimini contro l'umanità durante la guerra in Cecenia. Aveva trovato rifugio in Europa, così come altri membri di Al-Qaeda, protetti e mantenuti dalle strutture non governative al soldo di oligarchi ultra-liberisti come George Soros. *Quando nei miei libri dedicati alla guerra in Cecenia spiegavo che gli Stati Uniti hanno creato il terrorismo islamico nel Caucaso per destabilizzare la Russia, alcuni esponenti della politica atlantista "democraticamente" mi avevano accusato di, per dirla in modo pacato, non essere credibile. Oggi, a distanza di pochi anni dall'uscita del mio libro "Caduta Libera" che parla della guerra in Cecenia, tutti noi assistiamo ad una guerra molto simile, che si svolge nel cuore dell'Europa. Di nuovo di fronte a noi si apre uno spettacolo osceno: la morte, la disperazione, il dolore e tanta, tantissima rabbia. *I neonazisti di vari paesi europei, i terroristi wahhabiti ceceni che si trovano da anni in esilio in Occidente, gli Stati Uniti d'America con il premio Nobel per la pace in testa e tra gli altri anche il nostro premier Renzi con il suo fedele PD (loro governano l'Italia, sono quindi responsabili di aver mandato in Ucraina i veicoli da guerra con i quali i terroristi atlantisti ammazzeranno sempre più civili) conducono il genocidio del popolo ucraino, cercando di coinvolgere la Russia nella guerra e con questo salvare dall'inevitabile crollo l'ormai da decenni marcia e speculativa economia statunitense. Tutto come è avvenuto in Cecenia: una parte del popolo per mezzo di propaganda e i soldi rivolta contro i propri fratelli, con provocazioni e terrorismo scatena una guerra feroce e dietro a questo terribile conflitto si stanno svolgendo le trattative commerciali tra le più significative sul pianeta. {{Int|Da ''[https://web.archive.org/web/20240523143217/https://www.paesesera.toscana.it/17144-2/ Un cuore siberiano, intervista a Nicolai Lilin]''|Intervista di Barbara Caputo, ''paesesera.toscana.it'', 19 dicembre 2015.|h=4}} *Prima di essere operativo nell'esercito russo, abbiamo eseguito una serie di passaggi, allenandoci nelle montagne, e imparando a comportarci come i terroristi ceceni. Abbiamo anche compiuto la pulizia dei luoghi di attentati terroristici. Ho capito poi che era utile a comprendere che queste persone non erano umane ed era facile annientarle. Quando ho assistito al mio primo attentato a un asilo, uno degli ordigni per fortuna non è esploso. Mi hanno portato la testa di un terrorista, tutta bianca e con gli occhi neri. Ho capito il pericolo delle idee che può trasformare un giovane in questo. Ho visto anche persone che impazzivano davanti ai miei occhi, come un padre a cui hanno spiegato che la moglie e il bambino erano stati ammazzati. Gran parte dei quadri Isis sono reduci ceceni. Considerando i fatti tristi accaduti a Parigi non ho dormito la notte. Quello che mi ha stupito è che non una tra tutto queste persone abbia resistito sparando. Io non riesco a vivere come un bersaglio mobile. L'unica cosa che mi può salvare è una pistola allacciata a una cintura. *Il primo ricordo forte che ho di mia nonna è che nella borsa portava una Luger P08. Era un calibro difficile da trovare. Mia nonna era gobba, ebrea. Mio nonno era cristiano ortodosso e non voleva che diventassi ebreo. La nonna era finita nel campo di sterminio e 13-14 anni, le avevano sterminato la famiglie. Era finita in un reparto in cui le ragazze erano usate come donne di piacere, e un tedesco la vestiva da bambola e le diceva di non muoversi. Mia nonna sapeva accontentarlo e lui ha cominciato a fidarsi di lei e a farla uscire dal campo. Ma lei seguendo le istruzioni che le aveva dato un uomo lo ha colpito con un punteruolo e ucciso. È stata ritrovata da un polacco, è stata sua amante per un certo periodo e poi ha ucciso anche lui. In seguito ha incontrato mio nonno, che era un delinquente, in un lager sovietico. Mia nonna rubava al mercato, per lei era una sorta di vendetta delle ingiustizie della vita. Era critica verso il sionismo ma mandava terreno fertile nei kibbutz. ===2016=== {{Int|Da ''[https://www.mangialibri.com/interviste/intervista-nicolai-lilin Intervista di Nicolai Lilin]''|Intervista di Alessandra Farinola, ''Mangialibri.com'', 2016.|h=4}} *Io con le bambine ho un rapporto abbastanza diretto e credo che ai bambini non bisogna raccontare le bugie. In qualche modo cerco sempre di raccontare la verità, la realtà, quando è necessario magari la abbellisco con qualche giro di parole, soprattutto per aiutarle a crearsi da subito una opinione vera su quello che è il mondo, sulle loro radici. Quando racconto di mio nonno, il loro bisnonno, uso termini abbastanza semplici, spiego che si tratta di persone che erano banditi, criminali, che agivano contro la legalità. Poi cerco di spiegare anche le condizioni, le circostanze politiche e sociali. Perché spesso una persona diventa un criminale non per cattiveria ma perché cerca di difendere la propria libertà, la propria visone della politica, della società, dell'economia, cerca di difendere la propria famiglia. Nelle varie dittature che susseguirono nella storia della Russia molti russi son dovuti diventare fuorilegge per resistere. Le bambine sanno benissimo che il loro bisnonno era un criminale, e che anche il loro nonno, mio padre, che è ancora vivo e ogni tanto ci viene a trovare, è stato in carcere, lo sanno che anche lui ha un passato. Anche io quando parlo della guerra racconto in modo diretto che cosa è la guerra e cerco di spiegare perché il loro papà è stato in guerra. Cerco di essere più onesto possibile perché ho visto con la mia esperienza, osservando il mondo e le persone, che ai bambini non bisogna raccontare cose che li portano troppo lontani dalla realtà. *Ho smesso di tatuarmi perché non c'è nessun tatuatore che io conosca qui in Occidente che avrebbe potuto farlo. Per me. La possibilità e la capacità di eseguire tecnicamente un tatuaggio nella visione del tatuaggio siberiano, nella nostra visione, è la parte meno significativa perché saper tatuare fisicamente, saper incidere sulla pelle è una cosa tecnica che non ha molta rilevanza. La cosa più importante è saper interpretare i simboli, creare la narrazione simbolica, quindi conoscere molto bene la tradizione siberiana legata ai simboli, saper trasmettere le parole e saperle trasformare in immagini che codificano la vita delle persone, nell'informazione che in qualche modo ha a che fare con la vita di qualcuno. Purtroppo in questi anni i vecchi sono morti, quelli dai quali ancora si poteva andare a tatuarsi abitano in Russia. I giovani sono sempre meno interessati a seguire la tradizione dei vecchi perché la tradizione è anche una disciplina e quindi durante il periodo di studi, quando un giovane apprendista impara quello che il vecchio maestro deve trasmettere, uno deve anche seguire una serie di regole legate alla disciplina e non tanti giovani sono disposti a farlo. Per questo quelli che conoscono come me la tradizione sono pochissimi. *Del significato dei simboli non si parla perché la tradizione nostra è chiusa a chi non è stato abilitato dai maestri. Proprio perché il segreto dei simboli viene conservato per evitare che le persone non addette all'interpretazione del tatuaggio siberiano si impossessino del significato. *In Siberia abbiamo una delle mummie tatuate più antiche trovate al mondo. Si chiama Principessa di Altai o Ukoka, una giovane donna di circa ventisei anni, non una vera principessa ma apparteneva ad una famiglia nobile, ad un grande clan siberiano. È stata trovata nella sua tomba perfettamente conservata. Ha addosso tatuaggi molto importanti e risale a circa 3000 anni fa. Gli studiosi dibattono ancora sulla datazione precisa, di fatto è un importante simbolo dell'antichità della nostra tradizione che poi si è evoluta, arricchita, si è adattata in certo modo ai cambiamenti storici, ai domini di diversi sistemi politici, alle dittature, diventando addirittura quasi fuorilegge, anche se spesso è condivisa non solo da fuorilegge. *Le cose più importanti le apprendiamo durante i primi tre anni di vita, ormai lo dicono tutti gli studi, ma anche mio nonno e mia nonna, senza essere studiosi ma semplici cacciatori e contadini siberiani, dicevano che l'uomo diventa quello che è durante i primi tre anni e per questo era importante raccontare le fiabe ai bambini anche se sembrano non capire, perché nelle fiabe ci sono le basi, gli insegnamenti che poi formano una persona. *Io sono rimasto per una serie di motivi, uno dei quali familiare. In Italia da molti anni c'era mia madre che era stata costretta a fuggire dal nostro Paese perché era sposata con un uomo, mio padre, al quale il nuovo regime dava la caccia. Perché ai tempi in cui arrivarono i trafficanti di droga e i rappresentanti della nuova criminalità che ha preso il potere con l'arrivo del consumismo, l'apertura delle frontiere e il crollo dell'Unione Sovietica, mio padre era tra quelli rimasti fedeli alle vecchie regole sociali anche dei fuorilegge, era uno di quelli che non accettarono la criminalità e gli affari criminali che erano concentrati sull'arricchimento di una sola persona, quindi droga, sequestro di persona, crimini che nel nuovo mondo erano diventati modi semplici per guadagnare soldi in fretta. Ha combattuto diverse volte contro queste cose, contro i trafficanti di droga, io stesso ho fatto parte di quella generazione di giovani che sono rimasti accanto ai vecchi. *La prima persona che ho ucciso era un trentenne zingaro che spacciava eroina nel mio quartiere. Io avevo quattordici anni, ho cercato di contrastarlo e fargli lasciare il quartiere ma lui mi ha picchiato. Allora sono andato da mio nonno e gli ho raccontato tutto; lui mi ha caricato un revolver, me lo ha dato e mi ha detto di sparargli alle ginocchia. Il primo colpo l'ho sparato alle ginocchia ma il secondo è andato male e gli ho preso il fegato e lui è morto. Era una guerra e mio padre faceva cose ben peggiori. Faceva parte di quelli che facevano rappresaglie, ha subito tre attentati pesantissimi, in uno c'ero anch'io in macchina quando ci hanno sparato addosso. Una vera e propria guerra. Poi mio padre è dovuto andar via dal paese perché la guerra è stata persa, la corruzione e il potere dei trafficanti e della droga ha vinto. Infatti si è unito alla polizia, alla politica, al potere corrotto e il nostro paese è stato occupato da questa gente. Mia madre trovandosi in questa situazione, sposata ad un uomo che per anni si è opposto a questo sistema, è dovuta fuggire perché troppo spesso venivano poliziotti corrotti per le perquisizioni, a minacciarci per sapere dove mio padre si nascondeva, dove erano i suoi soldi. Io stesso più volte sono stato portato nel bosco, mi hanno puntato una pistola alla testa per cercare di avere informazioni. Poi sono andato via anch'io e ho fatto le mie esperienze. Alla fine degli anni '90 il paese era una festa di avvoltoi, io sono andato via a combattere nell'esercito e il pericolo della guerra cecena mi ha salvato da quel pericolo. Quando son tornato dalla guerra ho cercato di ricostruirmi una vita. Sono venuto a trovare mia madre in Italia e mi sono accorto che lei aveva bisogno di riformare la famiglia. Le donne russe sono così e in questo sono molto simili agli italiani, hanno un legame tradizionale. Sono rimasto accanto a lei ma se non mi fosse piaciuta l'Italia non sarei rimasto. *Quando vivevo in Siberia c'erano i lupi che sono straordinari, mio nonno era cacciatore e mi ha insegnato tanto su di loro. Sono organizzati in branco in modo da proteggere i più piccoli e i vecchi. I primi che sono il futuro, che procureranno cibo agli anziani, e gli altri perché lo hanno meritato e trasmettono esperienze, per esempio insegnano a combattere e a cacciare ai più giovani. *Scrivo romanzi, non ho l'arroganza di scrivere una autobiografia perché non sono nessuno, non sono un grande che ha cambiato il mondo e che ha meritato di diffondere le sue esperienze. Io scrivo romanzi che restano tali. Per essere onesto con i miei lettori nelle interviste e negli incontri con loro spiego che quello che scrivo non è frutto di fantasia ma di esperienza vissute. Lo faccio per far capire soprattutto che non sono un genio perché per scrivere un romanzo come Educazione siberiana e inventarsi un mondo come quello che racconto dovrei esserlo e aver vinto almeno un Pulitzer! Queste accuse sono nate in una sola occasione, all'epoca di quel romanzo. Una tale giornalista [[Anna Zafesova]] de "La Stampa" ha scritto un articolo nel quale diceva che era stata in Transnistria e non ha trovato né la mafia siberiana né il mio quartiere, quello di cui parlo. Ma ha trovato qualcuno che mi conosce e le ha detto che tutto quello che avevo detto non era vero, addirittura che io ero un poliziotto. L'allerta me l'ha data mia madre che aveva letto l'articolo e mi ha avvisato. Io allora ho scritto un articolo in risposta nel quale ho spiegato cose sul mio conto, ho ribadito che il mio quartiere esiste. Probabilmente lei ha scritto un articolo senza uscire di casa, magari mettendosi in contatto con qualcuno o facendo qualche googlata. [...] Lei ha scritto un articolo per screditarmi ma c'era anche un motivo di invidia editoriale. Quando sono uscito con Educazione siberiana per Einaudi l'esclusiva era stata data a "la Repubblica". Allora a "La Stampa" c'era tale [[Cesare Martinetti]] che credeva di essere un grande esperto di Russia perché ci aveva vissuto a lungo come inviato, lui è rimasto male che l'esclusiva fosse andata ad un rivale. Mi ha anche fatto una intervista a sorpresa, era una chiacchierata e non mi aveva detto che l'avrebbe pubblicata, scrivendo anche cose non corrette e mettendo anche a rischio l'esclusiva stabilita. Il libro però ha venduto moltissimo e lui non era soddisfatto della piccola vendetta così ha incaricato la sua giornalista e amica di scrivere l'articolo. Pensavano di danneggiare me e il mio libro ma io ho continuato ad avere successo, perché non possono impedire a me di scrivere e ai miei lettori di apprezzare i miei libri. {{Int|Da ''[https://www.linkiesta.it/2016/03/nicolai-lilin-ogni-religione-e-una-burocrazia-che-uccide-la-virtu/ Nicolai Lilin: "Ogni religione è una burocrazia che uccide la virtù"]''|Intervista di Dario Ronzoni, ''Linkiesta.it'', 26 marzo 2016.|h=4}} *{{NDR|«Capiamoci subito. Lei è credente?»}} Sì. Nel senso che non sono religioso, ma credente. La religione è un sistema creato sulla fede, una burocrazia, un ufficio. La fede ha a che vedere con lo spirito, che è in ogni uomo, una forza interiore, un mistero che agisce sempre, che trova e dà spiegazione a tutto. *L’ateismo è una religione. Affermare di non credere a niente è come dire di credere a qualcosa. In questo, sono un gruppo, una setta. Il problema è quando non c’è la fede: perché i riti, il culto, la religione non contano granché se manca la speranza, cioè la consapevolezza che esiste qualcosa che collega l’uomo a un mistero più grande. *Quando ero in Cecenia per il servizio militare obbligatorio mi capitava di sentire spesso bisogno di ritrovarmi, di raccogliermi tra me e me. Avevo bisogno di un luogo sacro dove pregare, e allora, una volta, una moschea. Era mezza distrutta. Quando entrai, arrivò il funzionario. Mi scusai, non sono musulmano, ma lui sorrise. Meglio uno che ha vera fede che migliaia di musulmani che vengono per senso del dovere, rispose. Chi ha fede si riconosce. Dovrebbe essere così. {{Int|Da ''[https://www.rsi.ch/news/mondo/cronaca/Lilin-Transnistria-un-non-luogo-398197.html Lilin: "Transnistria, un non luogo"]''|Intervista di Joe Pieracci, ''Rsi.ch'', 26 luglio 2016.|h=4}} *In questi giorni sono sommerso di richieste da parte dei quotidiani italiani, mi chiedono di scrivere sulla [[Transnistria]]; ma per me è molto difficile rispondere. [...] Io sono scappato, oggi sono un occidentale. E preferisco non prendere posizione *Non è vero che la Russia minaccia la Transnistria perché, questo paese, esiste grazie alla presenza delle truppe della Federazione russa... dai tempi dell’Unione sovietica non se ne sono mai andati. [...] Semmai, ad essere minacciate, sono la Moldavia o l’Ucraina occidentale. *{{NDR|La [[Transnistria]]}} è una regione trasformata da alcuni generali russi in un non luogo, dove poter trafficare e guadagnare. *Mi auguro che questa splendida terra non finisca travolta da una sanguinosa guerra fratricida, ma ho paura che i russi facciano lo sbaglio di mettere sotto assedio militare l’intera Ucraina. E a quel punto la Transnistria sparirà. Sarà un’altra Beirut. *Siamo tutti fratelli in quella zona e io non saprei come sparare ad un moldavo perché gli voglio bene: è mio fratello. {{Int|Da ''[https://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2016/08/17/tattoo-al-sole-uno-spot-sulla-pelle30.html Tattoo al sole uno spot sulla pelle]''|''repubblica.it'', 26 luglio 2016.|h=4}} *Ogni estate italiani e turisti mettono in mostra i propri corpi, inconsapevolmente tessendo un complicato e a volte assurdo ornamento socio-culturale direttamente sulle spiagge. Molto spesso è come trasformarsi in una pagina di Facebook, cercando di impressionare con colori e disegni. La pelle dell'uomo moderno non comunica con un senso logico. E più la discesa nella spirale di questo consumismo delle immagini diventa violenta, più caos trasmettono i corpi. *Cinquemila anni fa i miei antenati siberiani per raccontare il destino di una persona usavano un complicato codice simbolico che infondeva nei tatuaggi l'esperienza vissuta. Gli antichi egizi mescolavano inchiostro e polvere d'oro per tracciare sui corpi dei nobili i segni del potere divino che avrebbero dovuto proteggere loro nel regno dei morti. Vichinghi e altri popoli nordeuropei sfoggiavano incisioni complesse che contenevano più informazioni di un codice a barre. Allora regnava la logica, seppur primordiale; oggi domina l'estetica. Meno abbiamo da dire, meno cultura rappresentiamo, più diventiamo neutri e omogenizzati, più cerchiamo di rappresentarci attraverso marchi prevedibili, vuoti ma quasi sempre giganteschi. È un'epoca delle cose macro, dove la grandezza spesso determina la qualità. La macchina più grossa, la barca più lunga, il tatuaggio più ampio e possibilmente colorato nel modo più chiassoso: il ricercato simbolismo della scienza araldica si è così trasformato in una brutta imitazione della iconografia pubblicitaria. *Solo Bob Marley sembra resistere alle stagioni e alle generazioni. Invece mi imbatto sempre più spesso nei tatuaggi che chiamo "pavonici": disegni enormi, più o meno tribali, che a volte si sviluppano su intere parti del corpo. Sono ornamenti, che non comunicano nulla, ma vogliono solo impressionare gli spettatori: sono spot. Ci sono quelli giapponesi, utilizzati senza avere la minima idea dei significati originali. Geishe accanto al Buddha, demoni che cercano di azzannare capre sacre. Ma si tratta di peccati veniali. {{Int|Da ''[https://www.periscopionline.it/in-esclusiva-quattro-chiacchiere-con-nicolai-lilin-autore-di-educazione-siberiana-oggi-il-male-si-chiama-consumismo-103924.html Intervista a Nicolai Lilin. L'autore di "Educazione siberiana": "Oggi il male si chiama consumismo"]''|Intervista di Liliana Cerqueni, ''Periscopionline.it'', 26 settembre 2016.|h=4}} *{{NDR|Sulla [[Siberia]]}} È un Paese molto grande e c’è tutto. È conosciuto purtroppo in Occidente attraverso "I Racconti di Kolyma" di Verlam Tichonovič Šalamov e "Arcipelago Gulag" di Aleksandr Solženicyn, però è una terra molto ricca di tradizioni dure, un grande territorio dove si incontrano Oriente e Occidente e quindi questo ci dà una capacità di prospettiva molto ampia. In Siberia c’è tutto, soprattutto una natura che domina l’uomo. A tutto ciò sono legate le tradizioni sciamaniche e anche la visione della vita dei siberiani stessi. *L’Italia oggi è un Paese multiculturale e trovo che la cosa bella sia l’apertura delle persone e la semplicità con cui la gente ti viene incontro. Penso che la mia esperienza letteraria ne sia un esempio in questo senso, perché la curiosità degli italiani nei confronti di un russo che racconta storie legate a ciò che è accaduto in Unione Sovietica e alle tradizioni ancestrali che stanno nelle radici di quel Paese è stato possibile solo perché le persone sono aperte alla curiosità nei confronti di questi temi. La curiosità è un atteggiamento molto positivo perché permette agli individui di scoprire il mondo, di viaggiare anche semplicemente con la fantasia, con la mente. *Nel nostro mondo moderno, quello che stiamo vivendo è il fenomeno della globalizzazione e quindi spesso le antiche tradizioni, gli antichi modi di vivere il mondo e di misurarsi con esso come era per i nostri antenati stanno sbiadendo o scomparendo. Questo è un male e la colpa sta nella forza che la globalizzazione esercita sulle nostre vite, sta soprattutto nel consumismo. *Nel mio ultimo libro {{NDR|''Spy story love story''}} ho voluto raccontare gli anni Novanta in Russia, il crollo dell’Unione Sovietica e quello che è successo dopo di esso. Ho voluto raccontare questa realtà attraverso le storie umane, storie semplici; ho voluto esplorare storie diverse, entrare nelle dinamiche umane più profonde per poterle rappresentare meglio. Ci sono anche gli aspetti sentimentali che forse i miei lettori non si attendevano, ma hanno reagito bene, stanno accogliendo molto bene anche questo libro. ===2017=== {{Int|Dalla prefazione di ''Putinfobia''|[[Giulietto Chiesa]], Casale Monferrato, Piemme, 2016, pp. 8-12, ISBN 978-88-566-5453-0|h=4}} *All'epoca dell'URSS tutta questa moltitudine di culture, religioni, idee, abitudini e colori conviveva fianco a fianco senza particolari problemi. Non c'erano frontiere, confini fisici, mentali o geografici che ci dividessero, l'unione era siglata anche all'interno delle famiglie. La mia famiglia è un classico esempio della cellula sociale transnistriana. Ci sono russi provenienti da diverse parti, tra cui siberiani, quelli della Russia centrale e anche un bisnonno katzap. Polacchi, tedeschi, ebrei, moldavi, un bisnonno generale nell'esercito cosacco e un altro mercante cinese (probabilmente il motivo per cui mio fratello minore Dimitri ha gli occhi a mandorla come un cinese). *La politica dell'Occidente, che con tutte le forze cercava di frantumare il multiculturalismo ereditato dal regime sovietico per poter manovrare meglio le piccole regioni staccate dal grande polo legato al Cremlino, da subito ha sfruttato la propaganda russofoba come l'elemento principale su cui poter costruire i nazionalismi locali. Così, da un giorno all'altro, alcuni dei nostri vicini moldavi hanno cominciato a odiarci. *Tutte le malefatte del regime sovietico, tutte le sue eredità negative, i democratici e i nazionalisti moldavi le attribuivano apertamente alla razza russa e a tutti i non moldavi che "occupavano" la loro terra. In aclcune zone della Moldavia vennero oscurati i canali radio e televisivi russi, i principali giornali del Paese gareggiavano nel delirio nazionalista, gli intellettuali si abbandonavano alle vergognose performance xenofobiche, le masse di persone affamate e confuse, ex cittadini sovietici che avevano perso tutto con il crollo dell'URSS, si radunavano nelle piazze, abbindolati dalla propaganda nazionalista che indicava la via per sfogare la loro rabbia: odiare i russi. *Io, un dodicenne, ero per strada con i miei amici, a girare con le nostre biciclette, con i kalashnikov appesi al collo, a schivare i colpi dei cecchini, raccogliendo le munizioni dai cadaveri, sfilando loro le armi e altro materiale che poteva servire ai vivi per combattere. Cercavamo di aiutare i nostri padri a resistere contro gli invasori. La mia vicina Tania, una ragazza ventunenne che era al settimo mese di gravidanza, è stata uccisa nel cortile di casa sua, colpita da un'altra ragazza, una venticinquenne cecchina mercenaria proveniente dall'Estonia, che fu catturata da alcuni nostri miliziani e gettata dal tetto del palazzo dove aveva organizzato la sua posizione di tiro. *Attualmente la propaganda della fobia ha subito una notevole evoluzione. Per poter odiare russi, serbi, siriani, iracheni, cristiani o musulmani non serve più essere soltanto le vittime del disagio sociale, l'eredità di qualche regime demolito. Le nuove carte da giocare sono legate al conflitto dell'identità, ai contrasti dei valori, all'interpretazione sempre più astratta del concetto della democrazia. Oggi non sono importanti soltanto le piazze. Per sentirsi addosso il brivido della giustizia universale, per strizzare nella mano la propria verità preconfezionata basta essere collegati a internet, basta seguire i principali canali d'informazione, basta avere un cellulare intelligente con delle giuste applicazioni e la vostra opinione sarà presa con cura e trasformata in una pesante e spietata palla di metallo con cui gli interessati potranno demolire le strutture che gli impediscono di modulare il mondo a loro piacimento. È il mondo dei politici corrotti, degli oligarchi della sporca finanza, degli avventurieri della democrazia di distruzione di massa, delle lobby delle armi, dei farmaci, delle costruzioni, dell'energia. {{Int|Da ''[https://www.ilgiornale.it/news/mondo/attentato-san-pietroburgo-versione-nicolai-lilin-1382542.html San Pietroburgo, Lilin: "Il perbenismo occidentale crea immagini false dell'islamismo"]''|Intervista di Elena Barlozzari, ''Ilgiornale.it'', 4 aprile 2017.|h=4}} *{{NDR|Sull'[[attentato di San Pietroburgo del 2017]]}} [...] è stato confermato che si tratta di una pista collegata allo Stato islamico. Bisogna tenere presente che, dalla Federazione Russa, numerosi foreign fighter sono partiti per combattere tra le file dell’organizzazione guidata da al Baghdadi. Questi personaggi, quando fanno ritorno ai propri paesi d’origine, continuano a portare avanti la jihad. Ma la Russia è un paese pronto ad affrontare queste realtà con cui, ormai, si confronta da più di 20 anni. *I servizi russi lavorano molto bene. Non mi riferisco solo al campo del monitoraggio, ma anche e soprattutto all’attività di infiltrazione. Grazie alla loro natura multinazionale, infatti, gli agenti riescono a smantellare le cellule islamiste dal di dentro. *Basta con la solita marchetta al perbenismo occidentale che vuole creare un’immagine falsa del terrorismo islamico. Non esistono lupi solitari, le persone sono sempre collegate a livello ideologico, fanno riferimento a dei modelli precisi e sono motivate dalla comunità di riferimento. *La strategia della tensione è un metodo usato nei paesi con una forte connotazione democratica. La Russia contemporanea, invece, è un paese autoritario, imperiale, non ha nessun bisogno di usare il terrorismo. Escludo questa pista anche perché, attualmente, i sondaggi dicono chiaramente che l’81% dei russi si fida di Putin e le proteste degli ultimi giorni, a differenza della raffigurazione fatta dalla stampa occidentale, hanno in realtà coinvolto ben pochi manifestanti. A Mosca, ad esempio, su 15milioni di abitanti effettivi più qualche milione di abitanti illegali, sono scese in piazza qualche centinaia di persone. *Di sicuro, però, l’attività di Navalny è ben vista dai terroristi del Califfato caucasico che hanno sempre garantito una sorta di “immunità” a chi affronta Putin in piazza. {{Int|Da ''[https://www.linkiesta.it/2017/05/nicolai-lilin-e-in-mezzo-allinferno-che-ho-imparato-lonesta-oggi-nient/ Nicolai Lilin: "È in mezzo all'Inferno che ho imparato l'onestà, oggi niente viene preso sul serio"]''|Intervista di Grazia Sambruna, ''Linkiesta.it'', 18 maggio 2017.|h=4}} *Dopo aver vissuto tutto questo, potrei dire che la cosa più negativa che possa esistere per un essere umano sia l’assenza di libertà, l’inconsapevole tortura di condurre un’esistenza basata sullo schiavismo o su ideologie schiaviste. Dal punto di vista etico, culturale ed economico non ne siamo certo privi nella nostra società attuale. Pensa ai giovani, oggi, schiavi di sostanze, videogiochi o delle realtà estremiste. Fa tutto parte dello stesso vuoto. *A 12 anni sono entrato in un carcere minorile di massima sicurezza. {{NDR|«Cosa avevi fatto?»}} Tentato omicidio. Una banale rissa per strada. Ai tempi giravamo sempre con armi da taglio ed è andata a finire che ho accoltellato una persona. {{NDR|«Chi era?»}} Un tossico molto più grande di me che voleva far pagare il pizzo a me e ai miei amici per aver attraversato il parco dove lui si bucava. Noi non avevamo intenzione di dargli dei soldi per questo. Lui ha cominciato a picchiarci con la bottiglia di champagne che aveva in mano. Sai, le bottiglie si spaccano solo nei film. Nella vita reale è il tuo cranio che si rompe, non il vetro. Dopo una serie di bottigliate in testa l’ho accoltellato, dovevo difendermi. *Facevo parte del corpo antiterrorismo presso i servizi segreti, la GRU. Ho fatto due anni e tre mesi di guerra cecena. *La prima volta che mi hanno sparato ero nel mio quartiere. Avevo quasi 15 anni. [...] In Transistria, dove abitavo con la mia famiglia, dopo la guerra civile era iniziata una specie di lotta per il potere tra criminali. Mio padre si era guadagnato un ruolo in quell’ambiente perché lui rapinava le banche. Era specializzato in furgoni portavalori. Aveva un’etica, però: non si mischiava con il narcotraffico e non uccideva persone durante le rapine. Lui e i suoi erano contro i nuovi criminali, collusi con stato e polizia, quelli che avevano portato la droga da noi. Per questo motivo ha subito tre attentati, a uno ho assistito anche io ed è stato lì che mi hanno sparato per la prima volta. A quel punto, per evitare ulteriori minacce alla famiglia, mio padre si è rifugiato in Grecia, mia madre in Italia. Io sono rimasto coi miei nonni. *Credo che la Blue Whale sia una di quelle storture che possono sciaguratamente nascere nei grandi Paesi come la Russia o gli Stati Uniti. In generale, si tratta di un fenomeno legato alla mancanza di cultura. Non è una frase fatta o una risposta semplicistica: questi ragazzi hanno un buco nero dentro e non sanno come riempirlo. *La vita di strada ti inquadra, ti insegna come stare al mondo in modo onesto. Anche perché se non sei onesto, ti fanno a pezzi. Oggi sembra che nulla venga preso sul serio, i ragazzi bestemmiano e insultano le propri madri per scherzo, come fossero cose divertenti. Lo stesso bullismo è un’altra brutta espressione dei nostri tempi. *Nel nostro Paese era praticamente impossibile essere bulli. C’era un pezzo di merda che ha indotto un ragazzo a suicidarsi perché si pensava fosse gay e probabilmente lo era. Con un mio amico abbiamo aspettato questo tizio sotto casa, di sera. Gli ho rotto gambe e braccia a bastonate. Da noi potevi provare a fare il bullo, certo. Solo che non duravi tanto. *Attualmente ne vige {{NDR|una legge in Russia}} che vieta la diffusione e la propaganda di materiali pornografici, sia di natura etero che omosessuale, ai minori di 14 anni. All’estero questa legge viene spesso travisata, la stampa tende a prendere i casi singoli per mostrare una situazione piuttosto lontana dalla realtà. *Immaginare un gay pride in Russia non è possibile, ora come ora. C’è un terribile retaggio storico che è durato settant’anni, come ti dicevo, basato sul rifiuto e sulla paura. Verrà il tempo, di certo la Russia ha bisogno di compiere il proprio ciclo evolutivo ma non è questo il momento. Sarà un processo lungo, magari anche un secolo, ma di certo non può e non deve essere forzato. Semplicemente perché sarebbe controproducente. {{Int|Da ''[https://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2017/07/16/fiabe-e-tatuaggi-larte-di-scrivere-per-nicolai-lilin-e-psicanalisiBari10.html Fiabe e tatuaggi l'arte di scrivere per Nicolai Lilin "È psicanalisi"]''|Intervista di Antonella Gaeta, ''repubblica.it'', 16 luglio 2017.|h=4}} *A otto anni mi sono tatuato da solo, un primo esperimento su me stesso come fanno tanti. [...] Non posso svelarlo, è sulle gambe comunque. Dopo questa prima volta ho cominciato a frequentare un vecchio tatuatore. Per i primi anni non ti insegnano a tatuare ma a stare al mondo, ti osservano e non ti passano la tradizione se non sei degno di portarla con onore, è una selezione naturale. [...] Avevo vent'anni l'ultima volta che mi sono tatuato, ora ne ho 37, da 17 anni non lo faccio più. *Nel '92 abbiamo avuto la guerra civile per l'indipendenza della Transnistria, ci ripenso come a un momento divertente: avevo 12 anni e per la prima volta potevo imbracciare un'arma, gli adulti ci usavano come baby intelligence, ci trattavano da grandi, quindi rivivo tutto come un'avventura. *Ho tanti clienti psicologi che mi dicono che quello che faccio lo faceva Freud, solo che lui non tatuava. {{Int|Da ''[https://www.repubblica.it/cultura/2017/07/27/news/nicolai_lilin_ora_vi_educhero_io_con_i_tatuaggi_siberiani_-171306178/ Nicolai Lilin: "Ora vi educo con i tatuaggi siberiani"]''|Intervista di Giulia Santerini, ''repubblica.it'', 27 luglio 2017.|h=4}} *Questo serpente al braccio è il demonio che devo domare ogni giorno. Me l'ha tatuato a forza il mio maestro quando avevo 14 anni. Avevo accoltellato un ragazzo alle spalle. Lui è rimasto paralizzato tutta la vita, a me è restato il demone tatuato con la bacchetta, quasi in rilievo, per farmi più male. Una macchia che mi ricorda il più grosso errore della mia vita. *Cos'è un criminale? Uno che va contro la giustizia? Ma quale giustizia? I partigiani e chi ha lottato contro i regimi comunisti non erano dei fuorilegge? Per gli Urca anche Gesù era un criminale onesto, a loro piace quando il vangelo dice che era venuto per portare la spada. Era un rivoluzionario. *Ogni vita può essere interessante. Per me un operaio che viene sfruttato da un padrone e vuole più libertà e giustizia è un criminale onesto. *Se un tatuaggio non ha un senso per te è ovvio che col tempo può stufare, diventare pesante. E lo cancelli: è un'offesa a Dio. *Vedi molti calciatori con la tartaruga maori al braccio. Ma è un simbolo di fertilità femminile! [...] Non li tatuerò mai. È inaccettabile che ci siano 22 miliardari in campo pagati per giocare a calcio mentre altri fanno la fame. Da noi era un gioco per bambini in piazza. *[...] a Sparta avevano il culto del corpo, utilizzavano una tunica speciale per evitare le cicatrici dopo gli scontri col coltello, figurati se si sarebbero mai fatti tatuare *C'è chi si tatua la lacrima e non sa che è nata a Marsiglia, dove gli uomini erano così poveri che facevano prostituire le loro donne per sfamare i bambini. E le piangevano. In Sud America poi la lacrima è usata per gli assassini. Ma cosa c'entrano queste storie con ragazzi di una società benestante?! *{{NDR|Un'allievo}} Aveva addosso la frase di Escobar "O argento o piombo". Io vengo dalla delinquenza di strada e ho fatto il carcere, ma chi vende droga lo combattevamo, sapevamo che ci voleva schiavi della sua schifezza. Il primo uomo che ho ammazzato con la pistola è stato uno spacciatore zingaro. Che senso ha che uno studente si tatui quella roba?! {{Int|Da ''[http://www.futurodaunavita.sm/intervista-nicolai-lilin/ Spie, tatuaggi, armi e poesia – Intervista a Nicolai Lilin]''|Intervista di Angela Venturini, ''Futurodaunavita.sm'', 2 agosto 2017.|h=4}} *Nella nostra cultura della [[caccia]] è così: si uccide solo per poter mangiare. Si uccide ma la bestia va rispettata, non la uccidi per divertimento ma perché sai che lei ti da la vita. È molto diverso da quello che oggi è la caccia... andavano più uomini insieme, ammazzavano un animale, poi dicevano la preghiera e la lavoravano al momento, ne lasciavano una parte al bosco e una parte se la portavano addosso perché una delle regole regole più importanti è che non bisogna cacciare più di quello che puoi portare addosso. Se uccidi un [[alce]] ma sei da solo sei una persona stupida: non riuscirai a portare a casa niente e la mangeranno i [[Lupo|lupi]] e questo creerà uno squilibrio nel bosco, perché un lupo che mangia un alce ammazzata da te non uccide poi un animale malato e quindi si rovina l'ambiente naturale. Questa era la nostra educazione. *Ricordo il momento in cui mio nonno regalandomi il [[coltello]] mi disse: "L'armatura rende un uomo cavaliere del re, ma il semplice coltello rende un uomo cavaliere del popolo." Mi emozionò molto perché sentii di appartenere ad un mondo di persone degne, che avevano un loro codice, non come i delinquenti comuni, quelli che facevano male alla gente semplice, derubando i poveri pari a sé stessi. *Quella siberiana è una delle tradizioni più antiche al mondo: la più antica mummia tatuata mai ritrovata ce l'abbiamo noi, ha cinquemila anni, si chiama Principessa Ukok e ha addosso simboli molto complessi che parlano di una cultura già molto antica e molto ricca. Poi questa tradizione si è evoluta. Anche Gengis Khan, che proveniva da dal nord della Mongolia che in realtà era la Siberia, aveva addosso il simbolo del suo clan, il pesce, e questo ci fa capire come il tatuaggio fosse un segno di riconoscimento essenziale, una specie di carta d'identità, che poi piano piano si è trasformato in un linguaggio capace di nascondere tutto quello che riguarda la persona, sia il vissuto che gli aspetti più intimi. *Dell’utilizzo di mine provenienti da San Marino sono venuto a conoscenza proprio mentre combattevo in Cecenia, tramite un nostro ufficiale di collegamento dei servizi russi, che come altre persone legate al reparto analitico aveva molte informazioni. Negli anni successivi ho approfondito la questione ed scoperto da ex agenti dei servizi italiani che aziende di San Marino facevano da intermediari nella vendita, quindi non le producevano direttamente. *Ogni popolo ha una propria concezione dell'[[amore]]. Voi italiani e sammarinesi siete bellissimi, avete una visione dell'amore molto romantica e legata alla passione. Noi in Russia abbiamo una visione un po' diversa, più drammatica: la nostra storia d'amore non deve per forza andare bene e lo vediamo anche nei nostri grandi classici come Dostoevskij, Tolstoj ecc . Da noi l'amore è soprattutto quel sentimento che arriva da Dio, è un dono che l'uomo riceve in un certo particolare momento della propria vita e gli può fare bene o gli può fare male. *L’ultima volta ci sono stato nel 2009. L’Ho trovata cambiata e quel che ho visto non mi è piaciuto. Amo il mio paese, amo le mie persone, i vicini, gli amici, anche gli sconosciuti ma credo che l’arrivo della globalizzazione non ci abbia fatto bene... ne abbiamo preso solo il peggio, forse perché eravamo un po’ ingenui e forse perché un po’ ci conveniva. E non posso non criticare il fatto che dopo 15 anni il mio paese è governato ancora da una persona che proviene dall’ambito militare. Ho un grande rispetto per Putin però si poteva cercare uno sbocco diverso, ma ho capito che culturalmente non siamo ancora pronti. *[...] qui in Italia ho ricevuto minacce da integralisti islamici che mi hanno messo anche una bomba – fatta male, ma comunque una bomba – sotto la macchina, a Torino, e quindi fino a poco tempo fa giravo armato. Stava diventando una sorta di malattia psicologica da cui adesso cerco di liberarmi. {{Int|Da ''[https://giocopulito.it/russia-esclusa-dalle-olimpiadi-nicolai-lilin-uno-schiaffo-alla-democrazia-vendetta-dei-potenti/ Russia esclusa dalle Olimpiadi, Nicolai Lilin: "Uno schiaffo alla Democrazia, una vendetta dei potenti"]''|Intervista di ''giocopulito.it'', 11 dicembre 2017.|h=4}} *{{NDR|Sull'esclusione della Russia nei [[XXIII Giochi olimpici invernali]]}} La Russia corrisponde a un sesto delle terre emerse, è stata messa in atto un’azione castrante nei confronti delle Olimpiadi perché i giochi olimpici senza la Russia saranno una barzelletta. Ma ancora di più saranno uno schiaffo alla democrazia, al pluralismo e all’unità di tutti i popoli che si ritrovano nello spirito olimpico. *Questo è un pretesto per far apparire la Russia, davanti a tutto il mondo civile, come un Paese canaglia, risvegliando i fantasmi della Guerra fredda. È un modo per umiliare la Russia e i suoi cittadini. Tra l’altro non capisco ancora su quali prove reali di basi questa fandonia. A me sembra una presa di posizione, le argomentazioni mi sembrano deboli e non abbiamo ancora visto prove incontrovertibili. *Il mondo occidentale dimostra che non vuole la Russia come partner ma vuole la Russia come schiava. *{{NDR|«E chi sarebbe, secondo te, il grande burattinaio?»}} È molto semplice, sai. [...] Parliamo di oligarchi veri e propri. Il campione di questo club di oligarchi è Soros che organizza rivoluzioni e spinge progetti globali. In Italia l’abbiamo accolto con tutti gli onori ma forse sarebbe stato meglio trattarlo come un criminale quale è. Ecco persone come lui sicuramente hanno agganci con il CIO e hanno tutti gli strumenti per manipolare queste persone. *Io da parte mia, così come altri intellettuali e amici, sono disgustato da questa operazione di russofobia e boicotterò i giochi. Io non le guarderò e non le farò guardare ai miei figli. *La Russia, grazie a Dio, non è più l’Unione sovietica e quindi non impone a nessuno comportamenti contrari alla propria volontà. *[...] in Italia non c’è un Governo indipendente, l’Italia è un Paese politicamente e militarmente occupato da “terroristi” della moneta unica, del pensiero unico e del globalismo. ===2018=== {{Int|Da ''[https://www.repubblica.it/spettacoli/people/2018/02/13/news/nicolai_lilin-188735406/ "Il marchio ribelle" di Nicolai Lilin: "Le nuove generazioni di criminali senza regole"]''|Intervista di Luca Valtorta, ''Repubblica.it'', 13 febbraio 2018.|h=4}} *{{NDR|Su [[John Malkovich]] in ''[[Educazione siberiana (film)|Educazione siberiana]]''}} Ho lavorato con lui. L'ho tatuato... per finta. Io sul set ho diretto anche tutto il lavoro di riproduzione dei tatuaggi. Volevo fossero il più credibili possibile per cui per ogni personaggio ne ho creato di originali: circa trecento. Tutti i giorni in cui John recitava ci svegliavamo alle cinque del mattino perché bisognava mettere in atto il processo di riportare sul suo corpo i finti tatuaggi con una pellicola particolare che veniva applicata e poi lavorata. Così abbiamo parlato molto: lui mi chiedeva di mio nonno per cercare di entrare nel ruolo. *{{NDR|Su John Malkovich in ''Educazione siberiana''}} Lui odia il trucco e non vuole essere truccato ma nel film il nonno a un certo punto doveva apparire molto invecchiato e tutti erano preoccupati e si chiedevano come avrebbe fatto. Lui a un certo punto si ammalò: aveva la febbre altissima. Quel giorno si fece portare sul set dal suo manager che doveva sostenerlo perché non riusciva a camminare, andò da Gabriele e disse: 'Mi volevi vecchio, sono diventato vecchio: gira! Sembrava avere trent'anni di più!'". *[[Roberto Saviano|Roberto]] si occupa di una realtà molto concreta e contemporanea, infatti è costretto ad andare in giro con la scorta. Io di un mondo che non c'è più: quello dei vecchi criminali che avevano una loro etica. *[...] il mio libro sulla Cecenia {{NDR|''Caduta libera''}} è molto più romanzato rispetto agli altri per il semplice motivo che non volevo che si potessero scoprire i nomi dei reparti, dei soldati con cui combattevo: alcuni dei miei commilitoni sono ancora oggi in servizio. In Russia su queste cose non si scherza e io non vorrei far loro qualche torto: abbiamo firmato tutti le dichiarazioni di non divulgazione dei particolari delle azioni in cui ci siamo trovati. Non è che abbia paura di essere avvelenato col plutonio, non sono così importante e non ho grandi segreti da rivelare, voglio però essere coerente. *Io sono rimasto colpito molto negativamente dalla guerra. L'avevo già vista in Transnitria. Una prova che ha preceduto tutti gli altri conflitti di quella regione, orchestrata per mandare via i russi che abitavano lì da sei generazioni. E non era l'esercito moldavo che ci attaccava ma mercenari assassini reclutati da tutte le parti del mondo. Poi sono andato con l'esercito russo in Cecenia. Me ne sono andato perché ho sentito dentro di me il male: paura, morte, sangue, sporco per due anni. *Sarò ingenuo ma consideravo il lavoro dell'agenzia di sicurezza un modo per emendarmi dalla guerra. Un lavoro di mediazione: devi trovare il leader di un gruppo armato locale, convincerlo che bisogna sedersi al tavolo delle trattative o negoziare la liberazione di un ostaggio. Dopo l'Iraq però queste agenzie sono diventate incontrollabili e hanno fatto un danno peggiore di quanto facesse l'esercito: vedi Blackwater e altre agenzie che si sono comportate in maniera vergognosa. Io in Israele ho fatto tre contratti e non ho visto niente di brutto, gli israeliani cercavano sempre di portare la situazione verso una soluzione pacifica, la forza veniva usata solo come ultima istanza. *Un effettivo americano vicino a me è saltato su una mina e una scheggia mi ha colpito alla gamba destra. Devo ringraziare l'efficienza israeliana perché se mi avessero operato gli americani probabilmente non avrei più la gamba: hanno personale medico eccezionale. *[...] mi sembra che l'accoglienza non valga per tutti: sulla Russia per esempio, spesso e volentieri c'è chiusura totale. Però la signora Laura Boldrini ha incontrato in veste istituzionale un individuo che si chiama Andrij Parubij che è stato il capo dell'SNPU, l'organizzazione paramilitare neonazista più potente d'Ucraina e poi presidente del Parlamento. Non si tratta di neonazisti come quelli che conosciamo noi in Europa, estremisti pericolosi sì ma in maniera limitata: fanno scaramucce con i Centri Sociali, con gli immigrati, cose così. Qui stiamo parlando di un'organizzazione di persone armate fino ai denti che programma uno sterminio sistematico di quelli che considerano nemici politici. *Quando è avvenuto l'attentato in Spagna dell'Isis ho ribattuto a un tweet di [[Laura Boldrini]] che ritenevo ipocrita perché l'Isis è alleato con questi neonazisti ucraini: c'è un battaglione dell'Isis composto da terroristi ceceni che dal 2015 si è spostato dalla Siria in Ucraina ed è integrato nell'esercito ucraino che opera nel Donbass insieme a battaglioni neonazisti finanziati dagli oligarchi: succedono cose terribili lì di cui non parla nessuno qui. Hanno appena trovato una nuova fossa comune... Un mio carissimo amico scrittore che si chiamava Oles Buzina, assieme ad Arkadij Babchenko, un giornalista di Novaya Gazeta che ha anche collaborato con Anna Politkovskaja autore di Memorie di un soldato, già nel 2010 mi raccontavano di questa rinascita del neonazismo. Adesso Oles è stato ucciso dai neonazisti. Per questo mi sono arrabbiato con Laura Boldrini. Le ho anche scritto tre lettere a cui non ha mai risposto. *Io vorrei un politico che fosse un umanista o comunque chiunque ma non un militare perché il militare è estrema ratio. Però molti russi hanno paura di tornare negli anni Novanta e la presenza di una figura forte come Putin è un'ancora di salvezza. E io li capisco. Hanno paura dell'arrivo di un intellettuale come Mikhail Gorbaciov che per loro è colui che ha lasciato distruggere il paese. Anche se io invece penso che lui sia stato uno dei nostri più grandi leader. La sua unica colpa è stata di essere un visionario della politica mentre la gente voleva tutto in fretta e non l'ha più supportato. *[[Ėduard Limonov|Limonov]] per me è un personaggio che rappresenta il caos del crollo dell'Unione Sovietica: è autocelebrativo e contraddittorio. Ha creato questa cosa dei nazionalbolscevichi: io non li posso vedere. Recluta estremisti che cercano la soluzione facile a problemi difficili dando la colpa di tutto a una categoria, gli omosessuali, gli immigrati, gli ebrei. [...] Dai suoi si fa chiamare "duce", "vost". Ho anche due amici che lo seguono: dei veri imbecilli. Punta sul nazionalismo russo: è il peggior conservatorismo tinto da un patriottismo che neanche loro riescono a spiegare. {{Int|Da ''[https://www.labottegadihamlin.it/2018/12/29/intervista-a-nicolai-lilin/ Un siberiano a Milano: intervista a Nicolai Lilin]''|Intervista di Steve Fortunato, ''Labottegadihamlin.it'', 29 dicembre 2018.|h=4}} *Ho capito che la guerra è un fallimento. È il simbolo del fallimento umano. Terminato il servizio militare ho sentito il bisogno di tornare in Siberia, alla vita povera. *La presenza divina agisce attraverso tante forme e mezzi diversi, anche attraverso persone che commettono delle atrocità. Dio nei suoi scenari investe anche sui mostri. *[[Multiculturalismo]] significa rispettare il nostro prossimo senza chiedersi perché. *Sono convinto che se ci fosse l’[[anarchia]] totale le persone sarebbero organizzate meglio di quanto lo siano in uno Stato. *Vengo da una famiglia di criminali e lo spirito di contrabbandiere mi appartiene per formazione mentale. E in letteratura questa propensione trova uno sbocco naturale e si realizza facilmente. *Sicuramente quanto ho vissuto in guerra mi ha reso più consapevole verso i meccanismi che regolano il mondo, meno ingenuo, meno idealista, più anarchico. *Ho partecipato alla [[Guerra di Transnistria|guerra nel '92]] che mi ha cambiato, mi ha fatto sentire adulto, con nuove responsabilità ma al tempo stesso è stata una liberazione. *Ancora oggi sono rimasto quello che guarda dritto negli occhi gli altri. La gente rimane imbarazzata, ma per me parlare senza guardare negli occhi le persone significa mancanza di rispetto. *Mantengo l’impostazione classica russa nel descrivere approfonditamente scene e particolari che costituiscono i pilastri della letteratura russa. Una impostazione che è attuale ed è presente anche tuttora, addirittura nelle comunicazioni private quotidiane. Le e-mail che mi mandano miei amici russi, sono lunghissime, ricche di particolari, sono dei veri e propri racconti, delle piccole storie. È un modo di raccontare di chi vive in un paese di grandi dimensioni e grandi distanze, dove governa la nostalgia per non poter vedere più spesso persone lontane. La [[lingua italiana]] mi ha insegnato ad approfondire concetti che in russo sono decori linguistici, senza importanza. Mi ha dato modo di inserire elementi espressivi, dando una forma di ossimori. *Gli individui si ricoprono il corpo di disegni senza conoscerne il significato. Tra i calciatori c'è la moda di farsi tatuare la Tartaruga [[Māori|Maori]], senza sapere che si portano addosso il simbolo della fertilità femminile che veniva tatuato sul corpo delle ragazze Maori alla prima mestruazione. A questo proposito mi viene in mente un proverbio siberiano che dice "Quando il cervello non pensa il corpo soffre". ===2019=== {{Int|Da ''[https://www.ilgiornale.it/news/cronache/i-fondi-russi-lega-lilin-russofobia-atto-1725870.html I fondi russi per la Lega, Lilin: "Russofobia in atto"]''|Intervista di ''Adnkronos'', citato in ''Ilgiornale.it'', 13 luglio 2019.|h=4}} *{{NDR|Sui presunti fondi russi alla Lega}} Mi sembra che non ci sia nulla di sostanzioso, nessun fondamento serio. L'ennesimo scandalo costruito ad arte da politica e media. *La sinistra accusa la Lega di prendere i soldi da Mosca, e quando era il Partito Comunista ad incassare? *{{NDR|Su [[Gianluca Savoini]]}} Una persona corretta [...], aperta, di ampie vedute politiche ed interessato a rafforzare il dialogo tra Italia-Russia. Ho partecipato ad eventi culturali con lui e abbiamo solo parlato di cultura, niente politica. *Per me è sempre doloroso leggere notizie in cui i russi escono dipinti come il male [...]: prima lo eravamo perché comunisti, oggi perché competitor nello scenario geopolitico: c'è una russofobia in atto. Viviamo come gli ebrei nella Germania nazista prima che scoppiasse un vero e proprio odio razziale. Viviamo l'inizio di questo odio. Ed è veramente triste. {{Int|Da ''[https://themillennial.it/news/nicolai-lilin-intervista/ Intervista fiume a Nicolai Lilin: dal Russiagate a Licio Gelli al carabiniere ucciso a Roma]''|Intervista di Ray Banhoff, ''Themillennial.it'', 31 luglio 2019.|h=4}} *Salvini è solo l'ennesimo politico. Io sono uno scrittore, un uomo di cultura, apro ponti. La politica invece apre casini. Mio nonno viveva in una parte di foresta talmente selvaggia che dovevi possedere un branco di cani, almeno 35, per sopravvivere ai lupi. A quindici anni mi azzardai a parlargli di politica e mi disse: Nicolai, i politici sono come questi cani, dipendono tutti da un bastone.. il mio! *{{NDR|Su [[Licio Gelli]]}} Lui aveva letto ''Educazione siberiana'' e ha voluto incontrarmi. Io, da scrittore, tendo la mano a ogni mio lettore. Lui è stato un tipo che di sicuro ha combinato dei grossi casini, ma le chiacchierate che mi ha concesso mi hanno spalancato un mondo. [...] mi ha raccontato ad esempio di quando tornava dagli Usa con dei voli privati carichi di dollari in contanti per combattere il comunismo e li dava alla Democrazia Cristiana. *{{NDR|Su [[Russiagate]]}} Io ci sono andato, a cercarli, gli hacker che avrebbero influenzato le elezioni americane, sono stato nelle aziende citate negli articoli e non ho trovato un bel niente. Non c'è nessun hacker russo a mio avviso. Chi sta dietro queste storie credo sia semplicemente poco informato. *Io [[Gianluca Savoini|Savoini]] lo conosco, lo descrivano come un orco nero e quando ho letto mi son chiesto: ma è lo stesso Savoini che conosco io? Mi pare tutto esagerato. *Uccidere con il coltello è molto più semplice di quello che si pensa. Sono cresciuto in strada, ho visto gente morire per il coltello quando avevo solo 11 anni. So quello che dico. *Ho ucciso delle persone e oggi ti dico chiaramente che se dovessi scegliere tra farmi derubare o sparare, mi farei derubare. Se proprio la vita dei miei figli fosse in pericolo prendo un coltello da cucina e sgozzo il malcapitato. Non farei nemmeno in tempo a prendere le pistole dalle casseforti. Qui siamo mica negli USA dove danno il porto d’armi a chiunque e la gente tiene le armi a cazzo. Ho mezza famiglia laggiù e ti assicuro che nel sud ho visto armi semi automatiche tenute a fianco degli attrezzi da giardino. Chiunque può rompere un lucchettino del genere e fare una strage. *{{NDR|Su [[Donald Trump]]}} Cazzo, è il primo presidente che va in Korea! Ma ti rendi conto che passo diplomatico enorme? E tutti a trattarlo come uno scemo. Lui lo sa che il mondo è cambiato e che il dollaro non è più quello di una volta. Ora ci sono i cinesi e tutto è più complesso. *L’idea sulla Cina me la sono fatta a un meeting, c’era la presentazione di un tè cinese, tutto molto minimale, nel loro stile. C’erano degli inglesi. Quando qualcuno osò chiedere al cinese qualcosa sulla sua azienda, lui rispose: la nostra azienda ha migliaia di anni. E fu il silenzio. Si cagarono tutti sotto. Sono un popolo antichissimo: questo dà loro una statura enorme. *Mia figlia è venuta da me preoccupata per la faccenda della Russia chiedendomi: papà ma siamo cattivi noi Russi? Come quando si parlava di Igor il Russo, che poi non era russo e non si chiamava Igor, ma è stato descritto così. Vige ancora l’immaginario da guerra fredda del russo con la mascella quadrata che beve e ammazza tutti. {{Int|Da ''[https://www.teleambiente.it/incendisiberia_nicolai_lilin_non_ancora_finita/ Incendi in Siberia, Nicolai Lilin: “Non è ancora finita”]''|Intervista di Gianluca Vergine sugli [[incendi in Siberia del 2019]], ''Labottegadihamlin.it'', 17 settembre 2019.|h=4}} *Il problema principale è appunto il disboscamento selvaggio irregolare e spesso anche illegale delle zone boschive. A questo si aggiunge anche il cambiamento climatico che non aiuta, come i venti irregolari e il clima molto secco. C’è stata poca acqua, poche piogge in questo mese; si è arrivati così alla tragedia, alla catastrofe ambientale delle dimensioni che abbiamo visto quest’estate. *Nella più grande regione della Siberia, quella di Krasnoyarsk, che tra l’altro è la stessa regione da cui proviene la mia famiglia, abbiamo un personaggio come Alexander Uss. Quest’uomo è diventato famoso in Russia per la sua frase “spegnere il fuoco nelle foreste è inutile così come inutile lottare contro la neve d’inverno” aggiungendo inoltre che spegnere il fuoco nelle foreste è “economicamente sconveniente”. Questa seconda frase è ancora più criminale e pericolosa. *Cosa fanno queste persone: loro arrivano d’inverno, tagliano gli alberi, li puliscono sul posto con grandi macchinari mobili capaci di separare il tronco dai rami direttamente in loco; poi verso primavera, ai primi di maggio, danno fuoco a tutto, lasciando che la zona bruci. Tutto questo per coprire le tracce, in modo da poter dire in seguito che la foresta non è stata disboscata ma bruciata. *Io stesso ho pubblicato dei video con orsi e volpi che fermano le macchine lungo le strade chiedendo cibo agli autisti: è una cosa veramente allucinante, bisogna non avere un cuore per non commuoversi davanti a queste immagini. Ecco, il governatore Uss e persone simili a lui delle amministrazioni locali siberiane hanno deciso di risolvere questo problema sterminando questi animali, con squadre apposite di cacciatori. *La foresta della Siberia è andata in fumo per via di speculazioni esagerate e criminali, speculazioni sul bosco e sulla natura, create dall’uomo ma dovute al sistema consumistico in cui viviamo. Quando noi andiamo a comprare un mobile che costa 90 centesimi siamo contenti dell’esistenza di un negozio del genere che ci fa risparmiare dei soldi, ma dobbiamo capire che noi in questa maniera stiamo sostenendo questo sistema consumistico, che stiamo distruggendo il nostro pianeta. *Dobbiamo scegliere cosa è più importante: consumare ora o sopravvivere e regalare ai nostri figli un futuro migliore? *Fino a quando ci sarà il consumismo l’Africa sarà messa a fuoco dalle compagnie private, dalle multinazionali, l’Amazzonia e la Siberia saranno devastate da chi taglia i boschi illegalmente e noi ci avvicineremo sempre di più all’Apocalisse. ===2020=== {{Int|Da ''[https://www.writerofficina.com/NicolaiLilin.asp Nicolai Lilin, L'Autore di Educazione Siberiana]''|Intervista di Abel Wakaam, ''Writerofficina.com'', 2020.|h=4}} *Mio nonno ha passato complessivamente nelle carceri quarantacinque anni, l'ultima sua condanna la stava scontando quando sono nato negli anni ottanta del secolo scorso. *La storia d'amore che si vede nel film {{NDR|''[[Educazione siberiana (film)|Educazione siberiana]]''}} non c'era nel libro ed è stata totalmente inventata dagli sceneggiatori per dare alla pellicola una dinamicità più spinta rispetto a quella del libro, che era difficile da adattare alla necessità visive. Nella vita reale non c'era quindi mai stato nessun amore romantico. Però la ragazza che nel film si chiama Ksenia esisteva veramente, era una ragazzina autistica alla quale tutti noi, ragazzi del quartiere, volevamo bene e la trattavamo come se fosse la nostra sorellina. Alla fine è stata violentata da alcuni estranei, subendo traumi psichici e fisici che la portarono verso la morte. Nel libro ho descritto questa storia in modo abbastanza fedele alla realtà, mentre nel film è stata modificata per poterla adattare al linguaggio cinematografico. *In fondo {{NDR|gli urca}} erano i seguaci delle idee di Cristo, anche se, essendo improntate sulla violenza, non erano così allineate con i Suoi insegnamenti. Erano gli ortodossi della criminalità e, così facendo, fermavano il progresso; per questo sono scomparsi. *{{NDR|«Se potessi cambiare qualcosa nella tua adolescenza, cosa cambieresti?»}} Io non cambierei niente, perché non sarei diventato quello che sono oggi. {{Int|Da ''[https://www.ilgiornale.it/news/mondo/intervista-lilin-putin-1896673.html Nicolai Lilin: "Ecco perché i russi vogliono uno zar"]''|Intervista di Matteo Carnieletto, ''Ilgiornale.it'', 16 ottobre 2020.|h=4}} *Ancora oggi, [[Grigorij Efimovič Rasputin|Rasputin]] viene considerato la parte sincera - nera, ma allo stesso tempo più vicina a Dio - della Russia. È l'anima contradditoria e ambigua dello spirito russo: di umili origini, riuscì ad entrare nel palazzo dello zar. Senza dubbio era ambiguo. Ma era un vero russo. *{{NDR|Su [[Vladimir Putin]]}} Da giovane, e anche nei primi anni della sua presidenza, parlava spesso di portare in Russia il modello di democrazia occidentale. Un progetto che ha presto accantonato perché, da vero russo, ha sentito quella corda intima che c'è nella nostra cultura: la richiesta di autoritarismo. [...] Abbiamo ereditato dai bizantini l'idea che siamo la terza Roma e che non ce ne sarà una quarta. Il popolo vuole lo zar e Putin lo ha capito. *I servizi segreti, nel suo percorso politico, non sono stati decisivi, ma indispensabili. Putin non è stato scelto da Sobčak perché era del [[Komitet gosudarstvennoj bezopasnosti|Kgb]], ma perché era uno del Kgb con certe peculiarità. Aveva un'incredibile capacità nel creare contatti. *Putin parla con gli [[Oligarchi russi|oligarchi]] e non può fare altrimenti. In Russia, si può arrivare al potere solo in due modi: ottenendo l'appoggio delle famiglie degli oligarchi oppure facendo come i comunisti, massacrando, giustamente o ingiustamente, milioni di persone. *È come se gli oligarchi avessero preso in affitto il Paese: a loro non interessa la politica estera o interna della Russia. A loro interessano solamente gli affari. *Alcuni ritengono che Putin voglia ricostruire l'Unione sovietica, ma non è così. Lui non è un sognatore come Gorbačëv (che infatti si è fatto abbindolare da tutti). Putin non è un sognatore, è molto freddo e logico. La sua visione geopolitica si rifà soprattutto agli interessi del sistema economico che lui mantiene e dal quale è mantenuto. *Putin ha sbagliato nel condurre una politica interna che ha allontanato la Russia dal binario della democrazia del modello occidentale. Ha scelto la via dell'impero e abbiamo visto com'è finita. Da una parte c'è una setta di ortodossi che l'ha proclamato santo e dipinge icone con la faccia di Putin. Credono infatti che sia stato mandato dal cielo per combattere l'Anticristo. Dall'altra ci sono quelli che dicono che ha rovinato tutto. Io non credo a nessuno dei due. Io ritengo che all'epoca in cui Putin è diventato presidente si dovesse prendere una decisione. Era un momento difficile però lui l'ha fatto. *Putin è una cartuccia sparata, non cambierà più. L'unico modo per la Russia di salvarsi, se lui davvero la ama, è quello di cominciare a preparare qualche sostituto, più giovane e più energico. E, soprattutto, meno legato agli olicarchi. *Solženitsyn è molto criticato dai sostenitori di Putin perché vedono in lui un traditore della patria che lavorava per gli americani. In Russia, infatti, molti negano ancora il sistema gulag. Per me però è facile parlare dei gulag perché mio nonno li ha vissuti e mi ha raccontato com'era vivere lì dentro. *Solženitsyn è una figura emblematica, facile sia da appoggiare sia da odiare. Ha poche sfumature perché scriveva cose concrete. Reali. Chi sostiene il regime comunista lo odia, chi invece ama la democrazia lo rispetta. {{Int|Da ''[https://www.ilgiornale.it/news/cultura/coronavirus-nicolai-lilin-cos-hanno-generato-terrore-nel-1896674.html#google_vignette Coronavirus, Nicolai Lilin: "Così hanno generato il terrore nel popolo"]''|Intervista di Andrea Indini, ''Ilgiornale.it'', 19 ottobre 2020.|h=4}} *Diversi anni fa, a margine di una trasmissione di Michele Santoro durante la quale si parlava dell'acquisto degli F35, un politico di sinistra mi aveva confidato che aveva promosso la riduzione dei fondi al sistema sanitario perché lo reputava obsoleto, inutile e dannoso. Si era addirittura vantato di aver tolto al sistema sanitario nazionale una grande quantità di soldi. Oggi paghiamo gli effetti di una politica del genere. *L'emergenza è stata gestita in modo sbagliato soprattutto dal punto di vista etico. Non ricordo altre situazioni in cui il terrore sia stato diffuso in modo così ampio. In tv vediamo politici esprimersi in modo sguaiato contro gli stessi cittadini che li mantengono. In una democrazia non dovrebbero pronunciare parole che generano panico e che offendono. In una situazione del genere come fai ad osservare la normalità di certi processi? È impossibile: tutto diventa selvaggio, tutto è permesso. È normale chiudere le persone nelle case ed è normale fare le multe. Un governo serio avrebbe piuttosto azzerato le tasse. No, loro fanno le multe... e tutto questo è giocare sul terrore. *Quando ho fatto il servizio militare nelle squadre di sabotaggio e catturavo i terroristi islamici, adottavamo una pratica di preparazione agli interrogatori che mi ha sempre turbato. [...] Prima di tutto gli toglievamo i pantaloni e le mutande. Poi con le sue calze faceva una sorta di tappo che gli infilavamo in bocca. [...] All'inizio non riuscivo a capirne il senso. Poi lo ho chiesto al nostro capitano. [...] Mi ha spiegato che questa pratica era stato studiata da alcuni psicologi e che serviva a privare il prigioniero della propria dignità e, quindi, azzerarlo. Così, quando lo portavamo davanti a chi lo avrebbe interrogato, il terrorista si metteva subito a parlare. Non bisognava più far tanta fatica a cavargli fuori le informazioni. ===2021=== {{Int|Da ''[https://mowmag.com/culture/nicolai-lilin-putin-un-dittatore-ma-ce-ne-sono-in-tutti-i-paesi Nicolai Lilin: "Putin? Un dittatore, ma ce ne sono in tutti i Paesi"]''|Intervista di Marco Ciotola, ''Mowmag.com'', 25 gennaio 2021.|h=4}} *{{NDR|«[...] se dovessi rispondere alla domanda secca: [Putin] è un dittatore o no, cosa diresti?»}} Sicuramente lo è secondo il concetto di dittatura all’interno della visione della politica moderna. Ma noi oggi viviamo, in tutti i Paesi, dei sistemi dittatoriali. In Italia viviamo una dittatura; adesso abbiamo un sistema politico apparentemente democratico, ma in realtà siamo sotto la dittatura di sistemi economici e finanziari, che sono sistemi molto complessi. Io credo che da nessuna parte, nel mondo civile, la società incida sulle decisioni politiche dei propri Paesi. Le masse sono tagliate fuori, ora governano le oligarchie, in alcuni Paesi mascherate meglio in altri meno, in alcuni Paesi con un’organizzazione migliore, in altri peggiore; in ogni caso, la politica umana si è esaurita. Dopo una serie di giri e di conquiste sociali nel passato, alla fine siamo tornati tutti alle dittature: quindi sì, Putin fa parte della politica moderna, e come tutti i politici moderni è un dittatore. *Navalny ha cominciato la sua carriera attaccando duramente la corruzione del sistema amministrativo russo, cosa che sa fare molto bene. Ma mentre all’inizio non si poneva come un politico, raggiunto un certo successo ha cominciato a tirar fuori il discorso elezioni. Per me resta comunque un blogger, una voce libera, che attacca duramente la corruzione. Ma a livello politico lo vedo molto debole, e soprattutto vedo possibilità che sia una pedina manovrata da qualcuno che noi non vediamo, e questo rappresenta l’aspetto più preoccupante. Perché in Russia – dove c’è già un leader circondato da oligarchie nascoste nell’ombra, che sfruttano il Paese da tantissimi anni, portano via i soldi, hanno rovinato l’ambiente e fatto enormi danni – noi sappiamo che l’arrivo di un altro modello simile non conviene. Quindi di Navalny non sono per niente entusiasta come politico, non lo metto affatto sul piedistallo come fanno molti altri. Ma, soprattutto, di Navalny ricordo le prime apparizioni politiche nell’ambito del neonazismo, e questa è un elemento che non potrò mai dimenticare e che mi distanzia molto da lui. *{{NDR|Sull'avvelenamento di Naval'nyj}} Ma guarda, in tutta sincerità ti dico che la Russia è un Paese dove la vita umana vale purtroppo molto poco, quindi uccidere un avversario non è complicato e lo si fa a tutti i livelli e in tutti gli ambiti, a partire dalle liti familiari. Capita molto più spesso che altrove che, alla morte dei genitori, uno degli eredi assoldi un killer per uccidere i suoi fratelli... *Io non credo nel giornalismo occidentale: in Occidente c’è una grave crisi del giornalismo, perché molti giornalisti sono venduti o persone che lavorano solo per i soldi. Giornalisti onesti in Italia ne abbiamo pochissimi, gli altri o non hanno la possibilità di dire quello che pensano o agiscono sulla base di un accordo, un "patto con il diavolo", e diffondono notizie false. *Secondo me dobbiamo sviluppare una nuova forma di gestione della società, diversa dalla politica di oggi. È per questo che io... come dire... credo alla fantascienza: sono utopista, anarchico, ma di certo non mi affido a questi orticelli, a questi fortini che finiscono sempre per incularsi tra loro. *Ma sai che il nostro Paese, tra i più ricchi di risorse naturali al mondo, è tra i più poveri a livello sociale? L’unica bella città è Mosca, tutto il resto della Russia fa schifo; il 40% delle case non ha ancora l’acqua calda, i bagni sono fuori casa. Riusciamo a capire cosa vuol dire andare in un bagno all’esterno a dicembre, con meno 20 o meno 30 gradi? Se tu vedi come oggi vivono i villaggi siberiani, tipo uno di quelli da cui proviene la mia famiglia, capirai che è come si viveva in Italia nell’800. È questa la verità; e noi abbiamo un leader che si permette di dichiarare pubblicamente che sta lavorando alla conquista di Marte... ma chi cazzo se ne frega di Marte?! Fai vivere bene la gente in Siberia, costruisci nuove case, smettila di mandare gas in Europa e concedilo ai tuoi cittadini... {{Int|Da ''[https://ilmanifesto.it/educazione-siberiana-e-socialista-2 Educazione siberiana e socialista]''|Intervista di Fabrizio Rostelli, ''ilmanifesto.it'', 13 aprile 2021.|h=4}} *L’Unione Sovietica fu unificata attraverso il sacrificio ed il sangue, sono morti milioni di persone. Mio nonno, anche se era anticomunista, diceva sempre che la più grande impresa compiuta dai comunisti fu quella di aver unito l’Unione Sovietica e che bisognava tenerla unita perché era il nostro Paese. Era bello stare tutti insieme, avere una valuta, una costituzione, potersi muovere liberamente…perché un ragazzino che nasceva in un villaggio di montagna del Daghestan ma voleva diventare un ingegnere aeronautico, poteva andare a Mosca, il governo gli dava questa possibilità e lui poteva diventare un ingegnere, magari un nuovo Mikojan. Quando tutto crollò, la Transnistria divenne quel pezzo che tutti vogliono, il profitto era talmente grande che faceva gola a tutti. In questo modo, nel 1992, la guerra arrivò da noi. *Se leggi Wikipedia sembra che i moldavi tentarono di riannettere la Transnistria che nel frattempo si era proclamata indipendente. È una mezza verità. I moldavi prima di tutto non volevano uscire dall’Unione Sovietica, uscirono perché alcuni politici corrotti, pagati dagli oligarchi occidentali, sfasciarono l’URSS. Da noi arrivò un esercito di mercenari a pagamento provenienti da tutto il mondo: ungheresi, tedeschi, gente dei Paesi baltici. Se la guerra durò solo due mesi è proprio perché la gran parte del popolo moldavo era contraria e non voleva invaderci. Il numero più grande di vittime ci fu durante i primi giorni, quando la gente fu semplicemente massacrata mentre, spaventata, cercava di tornare a casa. La prima resistenza, quella più consistente, fu popolare. Noi ragazzini percorrevamo le strade con le biciclette e raccoglievamo munizioni, toglievamo ai morti le armi e altre cose utili. Seguivamo i movimenti dei mezzi militari e li comunicavamo ai grandi. Capitava anche di sparare con il kalashnikov in conflitti a fuoco. In quel periodo la gente del mio palazzo abitava a casa mia perché avevamo l’acqua del pozzo e diverse scorte di cibi in scatola. Negli appartamenti non c’era luce, né gas, staccarono anche l’acqua in tutta la città perché i mercenari avevano cercato di avvelenarla. C’erano poi diversi anziani che avevano bisogno di medicine; nel nostro cortile avevamo un piccolo lagher di rifugiati. *In Cecenia ho fatto fuori un po’ di persone che avevano passaporti americani. *La mia era una famiglia criminale, mio nonno rapinava le banche e mio padre i furgoni blindati ed entrambi hanno avuto una discreta esperienza carceraria. In guerra mio nonno era stato un cecchino, come quasi tutti i cacciatori siberiani; era nello stesso convoglio che aveva portato il grande Vasilij Zajcev a Stalingrado. *{{NDR|Sulla [[seconda guerra cecena]]}} Un giorno riuscimmo ad uccidere un cecchino nemico molto abile; utilizzava un fucile austriaco fatto a mano e cartucce svizzere. Quando mi misi a calcolare quanti soldi costava un operatore del genere, capii che servivano 100mila euro solo di armi e munizioni. Capisci che il terrorismo islamico non è un movimento rivoluzionario che si basa sulla fede, è una mafia. Le grandi famiglie saudite pagarono e crearono dei gruppi terroristici chiamandoli con il proprio nome, per vantarsi di fronte ai loro simili sostenendo di aver fatto qualcosa di importante per l’Islam nel mondo. Questi mercenari guadagnavano per loro l’onore, come ai tempi delle crociate. *{{NDR|«Hai letto dei neonazisti che hanno manifestato contro Poroschenko?»}} Sì ma queste sono operazioni che si pagano, lo fa anche Putin in Russia. Pagano le manifestazioni degli oppositori per pulirsi la faccia di fronte all’Occidente, come per dire: i nazisti sono contro di me, quindi io non sono nazista. *Sono un internazionalista e voglio abbattere i confini, non capisco per quale motivo il continente euroasiatico non debba essere unito. Questo muro lo vuole chi considera l’Europa come suddita e consumatrice dei propri prodotti, cioè gli Stati Uniti. Se la Lega agisce da ariete per abbattere questa barriera sono disposto a votarla. Una volta che non c’è più il muro, posso soffermarmi a guardare tutte le questioni etiche. Che altro posso fare? *Di giorno ci raccontavano quanto era grande il nostro Paese e di sera guardavi i film e ti rendevi conto di far parte di un popolo di antieroi perché quel simpatico Rambo ammazzava i tuoi connazionali, tutti ubriachi e con i denti storti. La mia generazione è stata decimata da questa bomba culturale. {{Int|Da ''[https://mowmag.com/sport/lilin-educazione-siberiana-tra-calcio-e-politica-grazie-allo-sheriff-il-mondo-ha-conosciuto-la-transnistria Ma cos'è lo Sheriff e che storia ha? Lo scrittore Nicolai Lilin racconta questa strana terra (e squadra) moldava]''|Intervista di Filippo Ciapini, ''Mowmag.com'', 19 ottobre 2021.|h=4}} *Siamo un paese che vive sotto un pesante embargo da molto tempo, la comunità internazionale fa finta di non vederci e ci tratta come pericolosi terroristi. *Non rientriamo nel programma geopolitico degli Stati Uniti. La Transnistria non è voluta da loro e veniamo trattati come gli ultimi. Noi siamo indipendenti, abbiamo una frontiera fisica, c’è l’esercito, ci sono le strutture, il governo, il popolo, hanno la loro moneta e pagano le tasse. È una cosa oscena perché poi sento la gente dire che dobbiamo aiutare gli africani e chi per loro... *L'occidente ha un’ideologia profondamente marcia e ipocrita. Opera con doppi standard. Perché l’africano sì e altri no? Peraltro questi ultimi non chiedono nessun tipo di aiuto, vogliono soltanto essere indipendenti. Mia figlia non può visitare la Transnistria e le nostre origini perché dobbiamo ottenere mille permessi nemmeno fossimo in guerra. *La Transnistria è in Europa, è molto prima della Russia, confina con la Romania che fa parte dell’Unione Europea. Questa è la tragedia. Adesso finalmente si inizia a parlare senza termini dispregiativi. Poi sento di dire che il governo laggiù è corrotto, dove non lo è? Parliamoci chiaro, i politici di oggi sono dei pezzi di merda. Il popolo non è cattivo, la cultura esiste. *C’è stata una feroce guerra con i moldavi dove, pur perdendola, hanno massacrato due intere città. Intervenne la 14esima armata russa che separò le fazioni e fece il garante di pace e tuttora lo è. Quando nel 1992 la Transnistria è rimasta tagliata fuori da tutto hanno dovuto ricreare un paese da zero. La Sheriff erano tutti rappresentanti di forza (esercito, kgb e militari) e come modello hanno fatto una simbiosi simile a quello cinese, dove c’è un partito che controlla il mercato libero. Era un holding che agiva sugli interessi della Nazione. Quando dicono “ahhh ma questi sono dei mafiosi” è totalmente sbagliato. Questi sono al potere perché all’epoca non c’era nessuna alternativa. Questo era un paese in fiamme e anno dopo anno hanno costruito il loro impero, le strutture, hanno ridato la vita a una situazione drammatica. *Il popolo moldavo sono fratelli, ho un sacco di amici, amo i poeti e la letteratura, l’arte. Noi abbiamo molti punti in comune che ci legano e quei pochi che ci hanno visti separati nel 1992 non meritano di esistere. *Vorrei solo che un giorno la Transnistria torni a unirsi alla Moldavia, rimanendo un paese con le proprie regole. *I moldavi sani di mente capiscono che la Transnistria è un entità legata anche alla loro cultura. *{{NDR|Sulla [[pandemia di COVID-19 in Italia]]}} Sono di un pensiero abbastanza rispettoso nei confronti del vaccino, nella mia famiglia qualcuno se lo è fatto, però io non sono per l’obbligo. Se una persona non si sente di iniettarsi qualcosa che non è ancora stato sperimentato, ha diritto a non farlo. *{{NDR|Sul [[Green Pass]]}} Ovviamente totalmente contrario. Non ha niente a che fare con la gestione della malattia. È un modo velato di imporre i limiti dei cittadini sfruttando l’emergenza. Noi sappiamo che anche le persone vaccinate possono ammalarsi e trasmettere il Covid. Hanno diviso la società in due parti e hanno limitato la mia vita da cittadino. Se mi sono vaccinato posso andare alla Scala altrimenti no. Non va bene, anche se ho il Green Pass posso infettare le altre persone. Questo è un dato di fatto, è una vergogna dei politici che stanno giocando su queste cose. Siamo di fronte a un cambiamento del rapporto sociale. È una cazzata. {{Int|Da ''[https://mowmag.com/lifestyle/nicolai-lilin-il-colore-dei-tatuaggi-era-il-nero-della-fuliggine-fuoco-sottopelle-ora-l-estetica-conta-piu-del-senso Nicolai Lilin: "Il colore dei tatuaggi era il nero della fuliggine, fuoco sottopelle. Ora l'estetica conta più del senso"]''|Intervista di Cosimo Curatola, ''Mowmag.com'', 18 dicembre 2021.|h=4}} *Il [[tatuaggio]] moderno è commerciale, non c’entra niente con quello che faccio io. Io faccio un rituale sciamanico, il tatuaggio è nato dal fatto che gli uomini primitivi cercavano di inserire sottopelle i residui del fuoco, ovvero la fuliggine, perché credevano che il fuoco conservasse un potere magico. All’epoca il fuoco era il massimo della tecnologia, una rappresentazione divina. La fuliggine si trasformava in inchiostro e veniva messo sottopelle, a volte dove una persona aveva qualche dolore. I tatuaggi erano anche curativi. *Io detesto le ''tattoo convention'' e tutte queste situazioni in cui il tatuaggio diventa merce. Per me è rituale, religione, un rito ancestrale molto importante. Chi viene a tatuarsi da me viene per questo. E sa che nessun altro può farlo così. *La brutalità dei nostri tempi, la pochezza dei nostri tempi, è che l’estetica ha preso il sopravvento sul senso. Tanta gente si ricopre di cose belle esteticamente ma non saprà mai spiegarne il significato. *Tanti tatuatori che fanno bianco e nero usano il colore bianco per la gamma dei grigi. Io sono molto rigido su questo, utilizzo solo nero. Quando ho bisogno di diluire ed avere una scala di grigi scelgo l’acqua di rose che è quella più adatta, anche se la verità è che si potrebbe fare con un’acqua qualunque. Basta evitare quella del rubinetto perché può contenere calcare e non va bene durante la guarigione. *Io tatuo tutti purché mi raccontino le loro storie. Io tatuo chi è disposto ad aprirsi con me, mi racconti la tua storia e io in base alla storia creo un disegno. Funziona così. *Io in realtà non la voglio neanche la tomba. Mi piace sapere che ci sono persone che vengono sepolte sotto un albero, vorrei una roba del genere. Poi magari i nipoti si arrampicheranno sull’albero, ci pisceranno sopra e si ricorderanno del nonno. ===2022=== {{Int|Da ''[https://www.ansa.it/sito/notizie/politica/2022/02/24/nicolai-lilin-la-colpa-e-di-tutti-biden-un-guerrafondaio_00a31605-e6c0-4983-8d86-7c7990e6ca0f.html Nicolai Lilin, la colpa è di tutti, Biden un guerrafondaio]''|Intervista di Mauretta Capuano sull'[[invasione russa dell'Ucraina del 2022]], ''Ansa.it'', 25 febbraio 2022.|h=4}} *La colpa è di tutti, degli Stati Uniti d'America, di Biden in primis che è un guerrafondaio, una persona veramente sgradevole, un politico poco lungimirante e provocatorio. *Spero che non duri a lungo, ma da come si muove l'esercito russo, hanno già circondato l'Ucraina, i punti nevralgici vengono presi abbastanza in fretta, dovrebbe essere così. Per fortuna non trovano la resistenza perché per la gran parte degli ucraini combattere per questo governo e politicanti non è importante. I militari si arrendono in massa, i civili stanno nelle case e aspettano la fine. *Noi dobbiamo liberarci dall'influenza statunitense. L'America deve capire che la sua egemonia è finita. Adesso c'è il dragone cinese, i russi e la vecchia Europa deve essere lasciata in pace. {{Int|Da ''[https://www.teleambiente.it/nicolai_lilin_russia_ucraina_intervista/ Guerra in Ucraina, Nicolai Lilin: "Putin sbaglia, ma l’Occidente deve cambiare visione"]''|Intervista di Enrico Chillè sull'[[invasione russa dell'Ucraina del 2022]], ''Teleambiente.it'', 4 marzo 2022.|h=4}} *L’Occidente ha la colpa di interpretare il mondo con una superiorità ingiustificata, noi occidentali ci crediamo superiori e ci rapportiamo agli altri in modo errato. Poi usiamo i doppi standard: siamo capaci di manifestare vicinanza ai bambini colpiti in un Paese e ignoriamo altri bambini colpiti dalla guerra in un altro Paese, solo perché lì la guerra la facciamo noi o i nostri partner. *Quando parliamo di Putin, dobbiamo essere chiari: è un dittatore autoritario che da oltre 20 anni è al potere, è lontano dall’ideale politico occidentale. Per lui, e per chi lo sostiene, un cambio di presidenza ogni quattro anni è un segno di debolezza politica. *Voglio ricordare un mio caro amico, intellettuale ucraino: Oles Buzina, grande antropologo e patriota, una persona libera che non era d’accordo con alcuni meccanismi poco democratici che vide dopo il 2014. I neonazisti, vicini a Poroshenko, gli hanno sparato in testa sulla porta di casa. E ci sono battaglioni neonazisti che sono stati integrati nell’esercito ucraino come se niente fosse, hanno ancora le mostrine delle divisioni delle SS. *I russi temono l’Occidente, hanno visto cosa ha fatto in Iraq, in Afghanistan, in Siria e nel Nord Africa e sanno che gli Stati Uniti sono il Paese che ha bombardato più Paesi al mondo dalla Seconda guerra mondiale a oggi. Purtroppo, questa differenza di posizioni viene sfruttata dalla politica, che gioca sui contrasti ideologici e sulla paura. *La Russia è uno dei Paesi più corrotti al mondo ed è sotto gli occhi di tutti. Il flusso di denaro dalla Russia ha fatto comodo a lungo all’Occidente, ora le sanzioni hanno stravolto il mercato tra l’Europa e la Russia. La situazione attuale fa comodo soprattutto agli Stati Uniti, che stanno realizzando il loro progetto di mantenere l’egemonia economica e militare in Europa. Per loro la Russia è un pericolo, non è un partner e lo vorrebbero come un vassallo. George Bush Sr. ed Helmut Kohl dettavano la linea a Gorbaciov, loro vorrebbero tornare a quella epoca. Vladimir Putin invece non vuole essere un vassallo e questo a loro non va bene. Anche qui, se pensiamo che gli oligarchi possano rovesciare Putin, sbagliamo la nostra visione: da occidentali, pensiamo erroneamente che la Russia sia un Paese europeo. La simbologia è tutto, l’aquila bicefala rappresenta la natura della Russia, che da un lato guarda all’Occidente e dall’altro guarda all’Asia. *Per come la vedo io, l’Italia dovrebbe allontanarsi dalla Nato e sviluppare una autonomia energetica investendo nell’eolico e nel fotovoltaico, per fortuna vento e sole qui non mancano. Poi dovremo anche ripensare la nostra tendenza al consumo sfrenato. Se non compreremo più il gas russo, ci sarà un contraccolpo per Mosca, ma ci sono già Paesi come la Cina che lo stanno facendo al posto nostro. {{Int|Da ''[https://themillennial.it/news/opinioni/intervista-nicolai-lilin-guerra-russia-ucraina/ Putin, Russia, Ucraina e russofobia. Intervista a Nicolai Lilin]''|Intervista di Giacomo Zamboni sull'[[invasione russa dell'Ucraina del 2022]], ''Themillennial.it'', 6 marzo 2022.|h=4}} *Il conflitto attuale ha il suo inizio dai massacri che l’esercito ucraino con l’aiuto delle milizie nazionalistiche ha compiuto verso le popolazioni filorusse delle regioni del Donbass, territori industriali, dove c’è da sempre una forte identità del movimento operaio. Secondo l’Osce questi eventi hanno provocato tra i 14mila e 16mila morti. La Russia si è sentita isolata e minacciata, nel colpevole silenzio dell’Occidente, fino ad arrivare al tragico momento attuale. *In [[Siberia]] ancora oggi ci sono persone che vivono senza gas nelle case. È una società più brutale, primitiva, sono quindi molto più influenzabili dalla propaganda. I discorsi di Putin hanno un linguaggio diretto alle persone delle periferie, usa spesso lo slang di strada e il gergo criminale. Sono riferimenti culturali che vengono dall’infanzia vissuta nell’allora Lenigrado in mezzo alla criminalità giovanile. La sua vera forza deriva dalla Russia profonda. *Nella comunità russa italiana c'è forte preoccupazione, paura di esser licenziati perché russi, paura per i bambini che vengono discriminati, paura per le proprie attività lavorative perché boicottate. Vi sembra normale che mia figlia tornata a casa da scuola mi chieda preoccupata se è vero che "noi russi siamo cattivi?". Mia figlia non sa neanche chi sia Putin. *I miei pensieri sono tutti per i civili che stanno soffrendo per una guerra crudele; se mi chiedi però di fare una valutazione geopolitica non posso non notare che è da qualche anno che il mondo va sempre di più verso oriente, verso la Cina. Gli Stati Uniti non hanno più l’egemonia di un tempo, credo sia poco saggio forzare la mano con la Russia di Putin. Siamo a un cambio totale della politica mondiale, l’Ucraina è purtroppo una moneta di scambio. {{Int|Da ''[https://www.ilgiornale.it/news/politica/reclute-spedite-guerra-cieca-me-2021052.html Lilin: "Reclute spedite in guerra alla cieca, come me"]''|Intervista di Matteo Sacchi sull'[[invasione russa dell'Ucraina del 2022]], ''Ilgiornale.it'', 26 marzo 2022.|h=4}} *Questo conflitto è anche un modo di addestrare a prezzo di altissime perdite un gran numero di personale. Alla fine hanno fatto così anche con la Cecenia. Mandano i giovani con una percentuale di soldati esperti che gli insegnino il mestiere... Spietato ma funzionale. *{{NDR|Su [[Vladimir Putin]]}} Il modello a cui si rifà è un modello imperiale, messianico, il suo modello è [[Alessandro III di Russia|Alessandro III]]. Forse all'inizio ha pensato di avvicinarsi alle democrazie occidentali, non certo a un vero Stato liberale, ma si muoveva in quel senso. Poi ha prevalso l'idea di tornare all'Impero, si è trasformato quasi in un personaggio shakespeariano *Sono moltissimi quelli che non la penseranno come Putin. E i più dovranno pernsarlo in silenzio. Ma non si può pensare che Putin cada per una rivoluzione, i russi hanno già provato le rivoluzioni e temono più di tutto il caos. Se ci sarà un cambiamento partirà all'interno del sistema. *{{NDR|Sugli [[oligarchi russi]]}} Non sono come i capitalisti occidentali, Non sono come [[Elon Musk]] che è per molti versi un oligarca ma deve i soldi a se stesso. Putin li usa come portafogli per mettere dei soldi. Il portafoglio si rompe? Tu lo cambi. {{Int|Da ''[https://www.lavocedinewyork.com/arts/libri/2022/03/28/parla-lo-scrittore-russo-nicolai-lilin-autore-di-putin-lultimo-zar/ Parla lo scrittore russo Nicolai Lilin, autore di "Putin, l'ultimo zar"]''|Intervista di Federica Sabiu, ''Lavocedinewyork.com'', 28 marzo 2022.|h=4}} *{{NDR|Su [[Vladimir Putin]]}} In lui c’è stato un cambiamento incline anche verso il male, il potere non ha migliorato quest’uomo, sicuramente lo ha danneggiato dal punto di vista umano. *Diciamo che sono diventato in maniera accidentale uno scrittore, anche se non avevo, a dire il vero, l’ambizione di fare questo lavoro. *{{NDR|«Quali autori ti hanno formato maggiormente?»}} Sono figlio della letteratura russa, quindi comincerei con Tolstòj, Tolstoyevski, Pasternak ecc. , sono gli autori che per me sono stati illuminanti, quelli che hanno formato il mio modo di pensare, il mio modo di esprimermi, in qualche modo hanno influenzato anche la mia scrittura. *A me personalmente non piacciono i premi letterari perché non si può definire un libro meglio dell’altro, tutti i libri sono diversi in quanto sono i prodotti delle idee e delle espressioni di persone differenti e non si può dire che una persona si esprima meglio dell’altra. *Sicuramente lo scrittore che mi ha formato come narratore e Nikolaj Gogol, il grande scrittore russo che ha creato il vero romanzo russo, la novella russa.<br>Lui per me è stato fondamentale perché ha plasmato la mia espressione umana e letteraria, il suo libro più bello a mio avviso si intitola "le anime morte". *Noi in [[Siberia]] abbiamo una delle più antiche tradizioni di tatuaggi al mondo dove in poche parole il tatuaggio è un modo codificato di raccontare l’esperienza di vita di una persona, una specie di curriculum che le viene scritto sulla pelle. {{Int|Da ''[https://www.ilbullone.org/2022/04/22/nicolai-lilin-educazione-alla-guerra-in-ucraina/ Nicolai Lilin educazione alla guerra in Ucraina]''|Intervista di Paolo Massimo Guerzoni, ''Ilbullone'', 22 aprile 2022.|h=4}} *Quando qualcuno ci dice che dobbiamo odiare una persona in base alla sua appartenenza, è solo perché è interessato a sfruttare, manipolare una situazione e poi dopo ci distruggerà. *Fin dall’asilo la propaganda ti inculca l’idea che un uomo deve servire la propria patria, e così inizi inconsciamente a identificarti come un difensore del Paese. Esiste anche una festività, il 23 febbraio, in cui questo ruolo viene celebrato. A scuola studiavamo un manuale per imparare le tecniche militari. Allo stesso modo, già in addestramento non credevo a quello che ci raccontavano. Conosco bene l’Islam, mio fratello è musulmano, ma loro strumentalizzavano il racconto, per portarci a odiare, a giustificare la guerra. *{{NDR|Su [[Gino Strada]]}} Lui era contro la guerra, perché l’ha vissuta. E anche io sono così. *Il problema è che ci sono persone che pensano ancora che la guerra risolva le cose. La guerra è una cattiva madre. Ci sono persone che ci guadagnano con la guerra. Ho vissuto 5 conflitti e posso dire che le guerre finiscono tutte con un accordo. Per evitare i massacri usiamo la diplomazia, non le armi! *Siamo in guerra ora, ma questo va avanti da anni. Perché non abbiamo iniziato a muoverci prima a livello diplomatico? Perché ci vuole volontà e la capacità di applicare potere su scala internazionale. La tragedia dell’Europa è che non abbiamo politici forti, né indipendenza. Non parlo solo della dipendenza energetica dalla Russia, ma anche culturale, dall’egemonia statunitense. Siamo tra incudine e martello. {{Int|Da ''[https://archive.org/details/Piccolo_2022-09-17/page/30/mode/2up?q#61nicolai+lilin Nicolai Lilin: «Vi dico io chi è Vladimir Putin male necessario dei russi»]''|Intervista di Gabriele Giuga, ''Il piccolo'', 17 settembre 2022.|h=4}} *{{NDR|Su [[Omar Monestier]]}} Ci legava un rapporto fraterno [...] era una persona che condivideva con me le intimità della sua vita, in base alle quali io creavo i suoi tatuaggi. *Era chiaro a tutti gli analisti che la Nato, spingendo sull'Ucraina sia con finanziamenti che con ideologie e armi avrebbe provocato un'aggressione militare della Russia con l'obiettivo di Stati Uniti e Gran Bretagna di dividere l'Ucraina dalla Russia, esercitare la propria egemonia militare e finanziaria in Europa, con l'unico risultato però, di spingere la Russia verso la Cina, un grandissimo errore. *[...] i russi seguono l'idea di un revanscismo russo, e in molti sono spaventati dal pericolo di ritornare al crollo dell'immoralità della Russia di Yeltsin degli anni '90. Quindi per loro Putin è sì un male, ma necessario. *Se [...] al posto di Putin andasse quel folle di Medvedev, non avrebbe scrupoli a radere al suolo l'intera Ucraina, o a usare l'atomica. *I ceceni [...] hanno dei conti in sospeso con gli ucraini che risalgono alla prima guerra cecena del 1991. Soprattutto con l'organizzazione Una-Unso, gruppo di nazionalisti nazisti ucraini, integrati nel sistema di governo ucraino, glorificati per le loro crudeltà, stupri, torture come se fossero eroi. I ceceni di Kadyrov hanno sete di vendetta per quei crimini. Lo stesso Kadyrov ha perso per mano degli ucraini il padre e molti parenti e tra i ceceni vige la legge del clan, quando qualcuno muore si giura vendetta fino alla 13esima generazione. {{Int|Da ''[https://mowmag.com/attualita/nicolai-lilin-l-ucraina-un-paese-nazista-peggio-della-russa-ne-ho-parlato-dopo-una-fake-news-di-saviano Nicolai Lilin: "L'Ucraina? Un Paese nazista peggio della Russia. Ne ho parlato dopo una fake news di Saviano"]''|Intervista di Riccardo Canaletti, ''Mowmag.com'', 24 novembre 2022.|h=4}} *Sai qual è il problema del nostro mainstream? Così come nella mentalità nazista – perché in Ucraina ci sono i nazisti, è questo il problema – se tu non la pensi come loro automaticamente accetti il punto di vista dei loro rivali. E i rivali dei nazisti sono sempre stati i russi. Quindi chi sostiene il nazismo, come alcuni giornalisti o il PD, foraggiandolo in Ucraina, poi diffonde russofobia. *Io non sono filorusso, io sono russo. Sono russo etnicamente. Come cazzo fai a dare del filorusso a un russo? Questi sono degli imbecilli totali, capisci? Anche accusando le persone non sono coerenti. Come fa un russo a essere filorusso? È chiaro. Uno può essere filoputiniano magari, questo è un altro discorso, ma non filorusso. *Io ho sempre aiutato le persone. Ho cominciato a casa mia già nel 2014, quando per la prima volta sono andato in Donbass. Avrei dato una mano a chiunque fosse arrivato, ma non è un motivo di vanto. Per me è una cosa normalissima e io non ne parlo mai. Queste persone vengono da diverse situazioni, aiuto sia quelli che vengono dal Donbass che quelli che vengono dall’Ucraina occidentale, indipendentemente dalle idee politiche. *L’Occidente è la culla dei fottuti colonialisti anglosassoni, degli speculatori e banchieri, dei guerrafondai. Ormai il mondo non crede più alle balle della democrazia occidentale. Il mondo intero è contro l’Occidente ormai. *{{NDR|Su [[Adriano Sofri]]}} Guarda, è un segno del fallimento della cultura di un Paese quando un terrorista fa il processo a uno scrittore. Poi Sofri saprà tutto delle vicende dei suoi anni di attivismo in Italia, ma cosa vuole saperne di Ucraina? [...] Io sono sicuro che una persona come quel Sofri non può avere alcuna certezza, perché quella persona dubito fortemente sia mai stata in Ucraina. *Per quanto autoritario possa essere, il regime di Putin è meno peggio di quello ucraino, è una certezza storiografica. Nella Russia di Putin gli oppositori non vengono bruciati vivi nelle case dei sindacati. In Russia in un anno non uccidono 75 persone tra oppositori e giornalisti, come avvenuto nel 2014 in Ucraina. In Russia non sono vietati i partiti politici. Persino Navalny comunque esiste, anche se poi va in galera, il suo partito, come altri, c'è. In Russia non c’è questa tendenza a massacrare interi gruppi. *[...] Boris Nemtsov è stato ucciso con un colpo di pistola perché amava andare a donne. Era un malato di figa e ha avuto la sfortuna di andare a letto con la moglie giovane e bella di un uomo d’affari georgiano molto legato alla criminalità organizzata di Mosca. Fai uno più uno e capisci che è strano siano stati i servizi segreti. *Il Commedy Club, KVN, che sarebbe il "club dei goliardi studenti", è da dove viene Zelensky, e lì sanno tutti che l’attuale presidente è un ragazzo che adora la cocaina. È stato messo lì perché facilmente ricattabile, tutto qui. *[...] i polacchi hanno creato l’identità ucraina. Sono state due le fasi che hanno trasformato i territori diversi in un unico Paese. La base era il popolo malorosso, ma era un modo di chiamare diverse minoranze che abitavano la zona. I polacchi hanno trasformato la visione identitaria di questi malorossi convincendoli di essere più vicini ai valori austroungarici che non a quelli russi. Che in parte era anche vero, perché era un popolo complesso che abitava ai confini dell’Impero e subiva molte pressioni. L’identitarismo ucraino è nato da questo impegno degli intellettuali polacchi per creare degli alleati in quei territori. Questa è stata la prima fase, che non si è conclusa bene per i polacchi, visto che già nella Seconda Guerra Mondiale gli ucraini massacravano i polacchi. Ovviamente, direi. Se crei un mostro, prima o poi il mostro ti uccide. È la base della cultura umana. *Prima di questa data {{NDR|1917}} nel lessico non esisteva l’Ucraina come concetto geopolitico. Questo concetto è stato introdotto e sviluppato da Lenin, Stalin e Kaganovič, tre personaggi che unirono dei territori presi dall’Impero austroungarico come la Galicja, la Polonia, e la Bucovina dalla Romania (devi sapere che c’è una parte di popolazione che abita in Ucraina che in realtà è rumena; quando la Romania dice di voler riprendere quei territori, ha ragione). L’obiettivo comunista era di inglobare nell’Unione dei territori il più possibile in modo unitario. L’Ucraina è stato un progetto sovietico e per questo motivo, quando è crollata l’URSS, la prima cosa che è successa è stata la totale crisi identitaria. Il Paese si è spaccato tra tutti i popoli diversi, tra i nazisti e nazionalisti, gli ucraini russofoni, gli ucraini della zona vicina alla Romania, quelli che stavano vicino ai confini con la Polonia che si son sentiti sempre più polacchi che non ucraini. ===2023=== La figuraccia più esplicita rimane quella della "lesbica da combattimento" messa dagli anglosassoni al posto del presidente moldavo, la odiosissima [[Maia Sandu]], colei che governa uno dei più poveri paesi d'Europa avendo la cittadinanza statunitense e possedendo la villa sull'oceano a California, dove si reca ogni fine settimana con uno jet privato per passare il tempo con la sua fidanzata. Questa figura costruita "ad hoc" per portare la Moldova nella guerra contro la Russia, trasformando il paese nel cimitero, seguendo il modello ucraino, non ha permesso al Primo Ministro ungherese Viktor Orban di baciarle la mano durante il vertice di Chisinau.<br>Insomma, una figura politica senza alcun valore e una persona priva di educazione di base. Uno schifo.<ref group="fonte">Da ''[https://t.me/nicolaililin/5834 Telegram]'', 5 giugno 2023.</ref> {{Int|Da ''[https://mowmag.com/attualita/lo-scrittore-lilin-la-guerra-in-ucraina-finira-quando-lo-decideranno-gli-stati-uniti Lo scrittore Lilin: "La guerra in Ucraina finirà quando lo decideranno gli Stati Uniti"]''|Intervista di Alessio Mannino, ''mowmag.com'', 22 febbraio 2023.|h=4}} *L’Occidente, soprattutto quello anglosassone, ha avuto ed ha una propulsione politica violenta e predatoria nei confronti del resto del mondo: colonizzare, imporre le proprie regole, fomentare rivoluzioni, spodestare leader sgraditi. In Russia invece l’impulso politico fondamentale è all’autosufficienza, non essere dipendenti da nessuno, ed essere in grado di difendere la propria indipendenza. *Per noi, giustamente, l’Ucraina è un Paese come gli altri. Per i russi, invece, è una parte della Russia. L’Ucraina è diventata Ucraina grazie ai comunisti che nel 1917, con Lenin, Stalin e Kaganovic, in quattro e quattr’otto hanno creato questa entità prima inesistente, mettendo insieme diverse regioni dell’Impero Russo, chiamandola così e promuovendo un’identità ucraina perché a loro serviva come una vetrina per il mondo, soprattutto occidentale. Volevano dimostrare, in particolare Lenin, grande teorico della rivoluzione internazionale, che per convincere i compagni degli altri Paesi ad appoggiare e unirsi all’Unione Sovietica, bisognava creare realtà nazionali attorno alla Russia. Il messaggio era: avete visto? Sono Stati indipendenti ma sono con noi, perché sono comunisti. È questo il senso storico dell’esistenza dell’Ucraina. Da quando però non c’è più il comunismo e non c’è più l’Urss, i russi si chiedono: e mo’ quando ce la riportiamo a casa? *Putin è sicuramente un conservatore. Ma un conservatore non liberale, anzi anti-liberale. Ciò che rappresenta il movimento liberale, o neo-liberale, è respinto dalla gran parte dei russi, e non piace neanche a molti qui in Europa. Quando parla di degenerazione e crisi spirituale europea parla di fenomeni dei quali l’apice è, per stare all’Italia, il Festival di Sanremo, o in generale ai meccanismi di potere che hanno perso il legame con la vita reale del popolo. Per questo il grave problema occidentale è la totale assenza di identità. Noi non abbiamo più crisi d’identità, quella l’abbiamo già passata. Noi un’identità non ce l’abbiamo proprio, ci siamo trasformati in stomaci ambulanti. Siamo solo dei consumatori, e ci meritiamo politici come la nostra premier che, dopo essersi insediata da soli pochi mesi, si permette di definire “propaganda” le parole di un leader di Stato che è al potere da più di vent’anni. *La Meloni ha tradito completamente i suoi elettori. Lei inizialmente sosteneva Putin, poi è arrivata al potere e ha dovuto fare una giravolta a 360 gradi, e direi anche a 90 gradi di fronte all’America, e così ora abbiamo una che svolge il suo incarico negli interessi dei poteri forti. {{Int|Da ''[https://www.2duerighe.com/duetti/155374-ucraina-russia-intervista-nicola-lilin.html L'Ucraina al microscopio: intervista a Nicolai Lilin]''|Intervista di Lorenzo Bruno e Damiano Rossi, ''2duerighe.com'', 22 maggio 2023.|h=4}} *L'identità ucraina in quanto tale si è affermata solo nel momento in cui la Polonia [...] è arrivato alla propria conclusione per colpa delle tensioni interne. [...] In quel momento, per volontà dei polacchi che cercavano di instaurare dei presupposti per contrastare la Russia, è stato avviato un forte processo ideologico in un'area nuova che era russofona, slava, con l'obiettivo di essere più occidentali dei russi. E lì che nasce, in una situazione totalmente lontana dalle dinamiche odierne, quella che era l'identità ucraina, perché prima nasce l'identità culturale, poi l'identità geopolitica. *La nascita dell'Ucraina come entità geopolitica, cioè un Paese con i propri confini risale invece al 1917 ed è totalmente attribuibile ai bolscevichi. I grandi creatori dell'Ucraina sono stati Lenin, Kaganovič e Stalin, poi dopo i bolscevichi in Ucraina. Serviva per i loro interessi, per la loro visione anti-imperiale russa, mentre a Stalin per le sue mire geopolitiche perché a ognuno che costruisce grande impero servono sempre territori molto vasti di frontiera. Un territorio di frontiera ti permette una serie di manovre strategiche sia nel caso di una politica aggressiva che offensiva. Quindi l'Ucraina serviva a Stalin. *La classe dirigente ucraina era talmente potente che con la morte di Stalin, gran parte della storia sovietica è stata guidata, dominata da leader provenienti dal partito comunista ucraino.<br>Il primo russo che è arrivato al potere, dopo questi lunghi decenni del dominio della classe dirigente ucraina è stato Andropov, lui tra l'altro è arrivato cercando di riparare enormi danni che hanno causato questi regimi corrotti dei rappresentanti del Partito comunista ucraino. Prima Kruscev e dopo Breznev il cui regime ha addirittura fatto l'invasione dell'Afghanistan. E quindi Andropov fu il primo russo che arrivato al potere cercò di risolvere la situazione poi non è riuscito perché alla fine ormai tutto era un disastro. *Uno dei motori della identità ucraina è quella di contrapporsi a Mosca e spesso odiare Mosca. Questo processo ha inoltre comportato l'aggiunta a questo nucleo territoriale occidentale della Malorussia che potremmo definire il corpo centrale dell'Ucraina, una terra popolata dei cosacchi di Zaporižžja che prima hanno stretto rapporti con i russi e lo zar poi hanno strizzato l'occhio ai polacchi. Infine c'è stata la conquista turca e il potere ottomano. *Il problema dell'Ucraina è stata la creazione di un grande Paese composto da realtà differenti però costretti tutti ad assumere un unico volto, un'unica identità e questo è stato un grande sbaglio. Il partito comunista ha attuato questa politica in quanto avevano un enorme Paese composto da realtà composite e dunque avevano necessità di sostenere una visione unitaria e meno articolata etnicamente. *Doveva essere gestita in modo tale da poter rispettare la differenza dei cittadini, rispettare i loro diritti all'interno di un'unica Costituzione. L'Ucraina poteva essere veramente, tranquillamente la Svizzera dell'Est Europa. Potevano vivere solo grazie alla gestione dei rapporti tra grandi imperi; invece, è mancata la lungimiranza della politica ucraina. *Quelli che sono arrivati nel 91' a governare l'Ucraina erano in realtà membri del partito comunista ucraino, questa è la grande presa in giro. L'Ucraina credeva di essersi liberata dell'Unione Sovietica, ma se guardate nomi e cognomi della classe dirigente dell'Ucraina del 1991, sono gli stessi del partito comunista. *L'unica cosa per ora chiara è che la guerra è lunga e sarà lunga perché così come vengono adesso attuate le strategie militari si capisce che questa non è una guerra per una vittoria veloce. Non è la blitzkrieg del quale stavamo parlando prima. Questa è una tipica guerra dove il territorio viene sfruttato da entrambi i paesi come un territorio di scontro per misurare la capacità produttiva, la capacità economica dei rispettivi Paesi, delle rispettive strutture. Quindi stanno misurando la capacità delle alleanze, chi degli alleati rimane con chi e chi dimostrerà più debolezze. La Russia è sempre più vicina alla Cina. Recentemente hanno dichiarato che con la Russia hanno firmato persino accordi militari per eventuali rifornimenti di armi. *Per quanto la sua posizione sembra abbastanza libera, noi sappiamo che Wagner è la parte illegale e clandestina dei servizi segreti militari russi. La storia del gruppo Wagner. Chi sono stati i suoi fondatori, come loro agiscono, il loro rapporto con il governo russo, i loro interessi, il loro modo di operare, ma soprattutto gli elementi principali, la loro provenienza, tutto indica il fatto che questa unità privata militare fa parte della struttura clandestina dei servizi. *In Russia non c'è oligarchia. In Russia ci sono uomini vergognosamente ricchi ai quali l'unica autorità del Paese che Vladimir Putin permette di gestire sono alcuni settori ed affari. *In Russia gli oligarchi non ci sono, in Russia gli oligarchi sono stati ammazzati fisicamente oppure costretti attraverso torture, prigioni e altri metodi poco democratici da Vladimir Putin e dal suo potere ad abbandonare il territorio di quel paese. In Russia, ad esempio, c'era l'oligarca [[Boris Abramovič Berezovskij|Berezovsky]], che ha organizzato la prima guerra cecena che ha portato il terrorismo nel Caucaso, che gestiva traffico di droga, traffico di esseri umani, che gestiva un enorme patrimonio speculativo in Russia. Lui voleva diventare presidente. Questa era la sua ambizione. Lui lo scriveva nei suoi diari. Lui pensava nel 2002 diventare presidente russo. Però poi è arrivato questo giovane del KGB, Putin, che nessuno conosceva e lo ha fatto fuori. *Quando hanno trovato il corpo di Berezovsky a Londra, sul suo cadavere c'erano i segni di due corde e la gente ancora oggi si domanda come ci si può impiccare per ben due volte. È chiaro che lo avevano impiccato i servizi segreti e nemmeno la MI6, i servizi inglesi sono riusciti a proteggerlo. Per questo motivo gli oligarchi in Russia non ci sono. In Russia c'è un regime autoritario. {{Int|Da ''[https://mowmag.com/attualita/lilin-su-gaza-e-palestina-israele-vincera-contro-hamas-ma-perdera-la-guerra-col-mondo-arabo-e-ha-lasciato-che-gli-attentati-accadessero-come-l-11-settembre Lilin su Gaza e Palestina: "Israele vincerà contro Hamas, ma perderà la guerra col mondo arabo. E ha lasciato che gli attentati accadessero, come l'11 settembre"]''|Intervista di Roberto Vivaldelli, ''mowmag.com'', 11 ottobre 2023.|h=4}} *Il 7 ottobre in Israele è una sorta di 11 settembre. *{{NDR|Sugli [[attentati dell'11 settembre 2001]]}} Ciò che io ho notato all’epoca di strano è che negli Usa era emersa una voluta mancata di connessioni tra i servizi di sicurezza del Paese, proprio in quel momento. Possiamo ipotizzare che fu fatto di proposito per mettere in atto il Patriot Act e inaugurare la Guerra al Terrore, oppure possiamo pensare a una negligenza. Possiamo fare più ipotesi, ma è chiaro ed evidente che sono mancate le connessioni tra i servizi del Paese. Negli Stati Uniti qualcuno ha voluto questo, ne sono convinto. *Un servizio così efficiente come Mossad, che è uno dei servizi con più connessioni a livello mondiale, che ha occhi e orecchie ovunque, non avrebbe preso sul serio le comunicazioni ufficiali da parte dei colleghi egiziani? Suvvia. Ma secondo voi non hanno fatto almeno un approfondimento? Secondo me sono balle. Quando gli egiziani hanno comunicato la possibilità di un imminente attacco di Hamas, questa comunicazione è stata "bloccata" da qualcuno. *A mio avviso c’è stato lo zampino di qualcuno, molto legato alle oligarchie anglosassoni, che in questo momento sono disperate, e hanno bisogno per forza di accendere una serie di focolai a livello internazionale. *Adesso loro vinceranno la guerra, distruggeranno Hamas e riprenderanno quei territori. Ma a lungo andare sarà una sconfitta per Israele e il mondo vedrà la brutalità degli israeliani, e non solo quella dei palestinesi. Arriverà il momento nel quale Israele avrà un confronto diretto con il mondo arabo. È già così, perché sul confine con il Libano si spara. Ma se tutti i Paesi circostanti inizieranno ad avere un atteggiamento di ostilità, per Israele sarà la fine e non supererà il 2030. ===2024=== *A quanto pare nella nostra società occidentale non si può più nemmeno nominare i gay senza il loro consenso e approvazione, che sono diventati una specie di ubermensch intoccabili e superiori ai comuni mortali.<ref group="fonte" name="insta.22.01.2024">''[https://www.instagram.com/nicolaililin/p/C2aadY8L2Ax/?img_index=1 Instagram.com]'', 22 gennaio 2024.</ref> *I rappresentanti del movimento LGBT qui in Occidente predicano la pace, la libertà, la tolleranza, l’inclusivitá e il multiculturalismo, tutti i valori che personalmente sostengo, apprezzo e rispetto. Ma allo stesso tempo sempre i membri del movimento LGBT occidentale sostengono il nazismo in Ucraina, sostengono la NATO, un’organizzazione criminale e guerrafondaia, hanno formato un intero battaglione dei nazisti gay che combattano in Ucraina, si chiamano “Unicorn”, hanno persino una toppa da riconoscimento e usano i colori della bandiera simbolo LGBT.<ref group="fonte" name="insta.22.01.2024"/> *{{NDR|Sull'[[attentato al Crocus City Hall]]}} Una cosa molto strana è che [...] le ambasciate statunitense e britannica l'otto marzo hanno condiviso un avvertimento ai loro cittadini che si trovavano in Russia, dicendo di non frequentare luoghi pubblici per probabile pericolo di terrorismo. Quindi ora si parla di un probabile coinvolgimento della Cia, di oligarchia anglosassone e per questo attentato terroristico si dice che è molto probabile che dietro ci siano le solite forze che cercano di mettere in difficoltà la Russia.<ref group="fonte">Citato in ''[https://mowmag.com/attualita/attentato-a-mosca-lilin-rivela-isis-c-entra-la-cia-e-dice-chi-sono-i-veri-nemici-della-russia Attentato a Mosca, Lilin rivela: "Isis? C'entra la Cia...". E dice chi sono i veri nemici della Russia]'', ''mowmag.com'', 23 marzo 2024.</ref> *Io non voglio augurare assolutamente nessun male, io spero che queste persone {{NDR|Stefania Battistini e Simone Traini}} vivranno per la vita fino alla vecchiaia. Spero che questa gente potrà anche riflettere sugli errori che sono stati fatti, però io so benissimo come funziona in Russia, so benissimo chi sono i russi e come loro agiscono quando si arrabbiano, quando vengono colpiti, diciamo, nel cuore loro, reagiscono abbastanza duramente. E quindi, il mio sincero augurio a questi giornalisti italiani che hanno fatto questo lavoro di propaganda filo nazista è di stare molto attenti, stare molto attenti. Non accettate il tè dalla gente sconosciuta. Fate attenzione al bar. Fate attenzione dove mangiate. Fate attenzione alle nuove amicizie, perché può darsi che contro di voi stanno già lavorando gli agenti operativi del GRU, che sono i servizi segreti militari, e se loro veramente hanno preso un incarico, state certi che in un anno, due anni, tre anni, cinque anni, comunque vi troveranno e vi faranno a pezzi.<ref group="fonte">Citato in ''[https://www.open.online/2024/08/18/nicolai-lilin-giornalisti-rai-battistini-traini-polonio-te-video/ L’avvertimento di Nicolai Lilin ai giornalisti Rai Battistini e Traini: «Vi siete scavati la fossa da soli». E cita il polonio nel tè]'', ''open.online'', 18 agosto 2024.</ref> {{Int|Da ''[https://mowmag.com/attualita/lilin-navalny-nazista-xenofobo-l-intervista-a-putin-di-carlson-ha-cambiato-il-mondo-e-la-guerra-in-ucraina-non-finira-finche-la-russia-e-lo-scrittore-ne-ha-anche-per-renzi-di-maio-biden-e-berlusconi Lilin: “Navalny? Nazista xenofobo. L'intervista a Putin di Carlson? Ha cambiato il mondo.]''|Intervista di Diana Mihaylova, ''mowmag.com'', 16 febbraio 2024.|h=4}} *{{NDR|«Accidenti, quindi tu consideri il crollo dell’Occidente come un dato certo?»}} Sì, al 100%. Ormai sta già avvenendo, solo che ci stiamo abituando e quindi trasformiamo in normalità quelli che sono in realtà gravi segnali di collasso. Io vivo nel mondo arabo ora. *Il giornalismo e la stampa italiana [...] sono tutti delle puttane del regime, mi spiace ma è così. [...] quando parliamo dei giornali italiani, parliamo di carta straccia. Un lavoro intellettuale in Italia non esiste più, non esiste più coerenza. Quando leggi qualcosa sulla stampa italiana, questa non può essere credibile, punto e basta. E chi in Italia, fra gli analisti e i giornalisti, dice che Tucker Carlson è uno burattino del Cremlino, è un idiota totale. *Tu sai qual è il motivo per il quale l’Occidente odia Putin? [...] L’Occidente è un sistema oligarchico, un potere dei pochi. [...] L’oligarchia è quando una persona estremamente ricca usa i suoi soldi per modificare la politica in base ai propri interessi fino a creare la degenerazione di uno Stato: questo è l’Occidente di oggi. Oggi il governo italiano, quello francese, quello tedesco – Orban è l’unico che si salva – e tutto il resto dei Paesi d’Europa sono zerbini degli oligarchi e fanno solo gli interessi delle élite, che trasformano le masse in consumatori, in una nuova forma più grave del capitalismo. Invece Putin è la rappresentazione più pura di un sistema autoritario, ma è una persona che arriva al potere sostenuto dalla maggioranza assoluta dei cittadini: dall’87%. Non esiste un altro Paese con una percentuale simile. *Io lavoro con le notizie, sul mio canale Telegram privato; quindi, ho della gente che mi paga per essere informata. Se la gente paga per avere delle notizie coerenti, vuol dire che molti cittadini non sono d’accordo con quello che i media italiani raccontano e non c’è da sorprendersi, perché la stampa italiana racconta un sacco di balle; continua a farlo. La stampa russa è sempre basata su una linea propagandistica. Non dobbiamo pensare che in Italia sono propagandisti e in Russia raccontino tutta la verità. Anche lì c’è propaganda, ma c’è una differenza: i giornalisti russi non si allontanano dalla verità oggettiva, quello che invece gli occidentali hanno iniziato a fare un bel po’ di tempo fa. *[...] questa guerra ha già ricevuto un sacco di armi, un sacco di aiuti commerciali, ma comunque, l’Occidente non vincerà mai, perché la Russia ha infinite risorse. Ciò che sta facendo l’Occidente in Ucraina è solo prolungare un’agonia perché su di essa, dal punto di vista economico e geopolitico, un piccolo ristretto gruppo di persone in Occidente, guadagna un sacco di soldi. *Quando vediamo le manifestazioni in Russia, sono tutte cavolate. Io sono andato a verificare personalmente e tutti questi movimenti antiputiniani è sono fuffa creata dall’Occidente. {{NDR|«Quindi secondo te nella popolazione non è presente alcun malcontento?»}} Ma quale malcontento, sono contentissimi! La maggioranza dei russi è contenta e anzi, vogliono sostenere di più questa politica. Quando parliamo di manifestazioni dei russi che non vogliono fare la guerra, sono tutte balle. I russi vogliono fare la guerra e vogliono sconfiggere il nazismo. *L’Occidente ha trasformato Alexei Navalny nell’ennesimo simbolo di libertà, come fosse un “Santo protettore” dei valori democratici, schiacciato da Vladimir Putin; ma per me Navalny rimane sempre quello che era sin dagli inizi della sua carriera: un nazista, xenofobo e genio della comunicazione, che per anni ha lavorato per gli oligarchi russi. Per me lui non era un politico, ma un prodotto mediatico in grado di offrirsi al miglior offerente. *[...] si è mai visto la Russia fare guerre coloniali o per allargare il proprio territorio? [...] I russi non vogliono invadere nessuno. L’unica cosa per cui sono capaci di fare la guerra è per assicurare la sicurezza sui propri confini. Per questo motivo Putin ha mosso l’esercito in Ucraina, perché dal 1998 in Ucraina si svolgono attività militari della NATO che minacciano i confini della Russia. È un’idiozia dire che Putin vuole invadere Polonia e Paesi Baltici. Putin vuole stare tranquillo, non vuole avere la pistola puntata in faccia dalla NATO. *Berlusconi non era uno statista, era un uomo d’affari. In effetti in Russia era molto rispettato perché lui rappresentava gli interessi non degli Stati Uniti d’America, ma i suoi interessi personali. *[...] la guerra non sarà breve, sarà lunga, ma la vittoria sarà della Russia per un semplice motivo: siamo nel pieno del cambiamento dell’ordine mondiale. L’Occidente non potrà più estendere il proprio dominio e la propria supremazia su una parte del mondo. *L’Occidente ha una bellezza, un enorme bagaglio culturale, una grandissima potenzialità, però deve liberarsi dall’egemonia anglosassone. {{Int|Da ''[https://www.huffingtonpost.it/dossier/elezioni-europee-2024/2024/05/02/news/putin_ha_le_sue_ragioni_gli_oligarchi_filoatlantisti_sostengono_il_nazismo_ucraino_cronache_dal_mondo_di_nicolai_lilin_-15783478/ "Putin ha le sue ragioni, gli oligarchi filoatlantisti sostengono il nazismo ucraino". Cronache dal mondo di Nicolai Lilin, candidato di Santoro]''|Intervista di Alfonso Raimo, ''huffingtonpost.it'', 2 maggio 2024.|h=4}} *Il mio unico impegno è bloccare ogni tipo di sostegno alla guerra. Non ho altro interessi politici. Non sono mai stato interessato seriamente a nessun tipo di programma politico. Anche se durante la mia vita sono stato avvicinato da tanti partiti. Qualcuno è arrivato a offrirmi anche dei soldi. *I miei valori sono di sinistra, ma non come si definisce in Italia la sinistra. Non sono uno che si rispecchia in una ideologia all’interno del sistema italiano. So bene che in Italia qualcuno dice che io sia fascista, perché citano qualche frase decontestualizzata, o qualche mia vecchia posizione. Ma la verità è che io sono il prodotto del sistema sovietico, nel bene e nel male. *Secondo me Putin è il crocevia di due spinte epocali: il regime sovietico nella sua fase esaltata e in dissoluzione e l’occidente corrotto e capitalista. Dopo di che Putin ha le sue ragioni. *{{NDR|«La principale ragione addotta da Putin è l’espansione della Nato oltre le zone tradizionali di influenza.»}} Ed ha ragione. È la realtà oggettiva di quello che ha vissuto l’ex Urss dopo il suo crollo. Ho incontrato 4 volte Gorbacev e posso testimoniare che era un suo grande cruccio. Lui diceva: “So di essere odiato dai russi e di essere amato dagli occidentali”, perché non era riuscito a garantire che la Nato allungasse le sue mire. Era mortificato, si sentiva responsabile. *A dire il vero da parte russa hanno dato segnali di disponibilità a negoziare, siamo noi occidentali che non abbiamo voluto coglierli. [...] Perché noi europei seguiamo la linea guerrafondaia degli oligarchi anglosassoni, filoatlantisti. Sono fanatici della guerra, gente che se ne frega della vita delle altre persone e sostenitori del nazismo. *I massacri li ho visti io coi miei occhi. I nazisti ucraini sono sostenuti dall’occidente, anche dai nostri rappresentanti politici, dal Pd, e dalla destra. Non ha importanza il potere politico. Sono sottomessi agli interessi degli oligarchi anglosassoni. *{{NDR|Su [[Volodymyr Zelens'kyj]]}} Nonostante il fatto che sia di famiglia ebraica, e che il nonno abbia servito nell’esercito sovietico, sostiene il nazismo per soldi, per motivi economici. *{{NDR|Sull'[[attentato al Crocus City Hall]]}} È stato l’Isis in collaborazione con i nazisti ucraini. [...] Ma la regia è della Cia. *È il bello del Pd: sostengono i nazisti in Ucraina, ma danno a me del fascista perché sono andato a Casapound. *Boldrini mi ha denunciato. Io la accusai di aver ricevuto a Montecitorio [[Andrij Parubij|Andri Parubi]]. E lo rifarei. Quando avevo 12 anni, Andri Parubi entrò nella mia città a Bender in Transnistria, a capo di alcune bande naziste che uccisero tra gli altri mio zio e la mia cuginetta Tatiana. Negli anni successivi Parubi fondò anche un’organizzazione che si chiamava Partito nazionalsocialista ucraino. A Boldrini ho semplicemente detto che è ipocrita inneggiare all’Anpi, al 25 aprile e al primo maggio, se poi ospiti Andri Paurbi. Ma lei invece di rispondere alle mie lettere per chiarirci in un incontro, mi ha denunciato. {{Int|Da ''[https://www.ticinolive.ch/2024/06/11/nicolai-lilin-le-favole-fuorilegge-educare-popoli-rialzare-la-testa/ Russia, Europa, Politica, Cultura: Nicolai Lilin e L'Educazione dei Fuorilegge]''|Intervista di Chantal Fantuzzi, ''ticinolive.ch'', 11 giugno 2024.|h=4}} *I giovani della destra italiana [...] hanno compiuto uno sviluppo positivo, sono stati in grado di capire il senso dei macchinari di potere di propugnare l’uscita dell’Italia dall’UE e l’indipendenza dell’Italia stessa e, a differenza dei giovani della sinistra, non sono vittime di una vuota retorica. Sono stati capaci di vedere gli effetti negativi della globalizzazione. Molti di loro hanno compreso l’azione invasiva della NATO e auspicano l’uscita dell’Italia dalla NATO stessa, comprendendone il danno che questa sta apportando ai paesi poveri. *Xenia {{NDR|in ''Educazione siberiana''}} è un personaggio reale al 95%, per la quale mi sono ispirato a una persona che ho realmente conosciuto, dalla quale ero molto affascinato e alla quale ero legato sin dall’infanzia. Come tutte le persone prive di stabilità mentale, lei era pura. *La Russia è una demente splendida. Bella, aperta, sincera, ma incapace di realizzare la propria partecipazione a un mondo moderno, è fuori da qualsiasi contesto in cui possa esistere, poiché nessun contesto sarebbe compatibile con la lealtà e l’onestà della Russia stessa. ===2025=== *{{NDR|Su uno sketch<ref>''La copertina di Luca e Paolo del 25/02/2025'', [https://youtu.be/6wE4W3BrD1k?si=14GnM4Os8wl0R3F7&t=120 video] disponibile su ''Youtube.com''.</ref> di [[Luca e Paolo]]}} Io non guardo la tv italiana. Io ho lavorato nella tv italiana, per questo non la guardo. Io questo porcile schifoso veramente lo brucerei col lanciafiamme. [...] Vincenzo mi ha mandato uno spezzone di questi due, non so come chiamarli, che non fanno né ridere né piangere. Sono dei personaggi patetici. Luca e Paolo si chiamano questi due ignoranti. Hanno preso in giro quello che ha fatto Vincenzo, la raccolta firme, tra l'altro in maniera molto limitante e stupida. Ripeto, io comprendo tutto, scherzi, satira, è bellissimo, io spesso prendo in giro anche sui miei social, soprattutto i potenti di questo mondo, ma quando io vedo due annoiati, inutili, dal punto di vista intellettuale limitanti personaggi, strapagati, estremamente pagati rispetto all'impegno che loro realmente fanno, questi personaggi deridono una persona che riporta le informazioni reali della guerra. Io quando vedo queste cose non so, mi è venuta la voglia di sfondare il cranio a uno e all'altro. Io lo dico onestamente, sono una persona che è nata per strada, ho vissuto per strada, ho fatto le visse, quindi ancora oggi, anche se ho promesso a mia mamma di non ammazzare più nessuno, comunque ancora oggi ho del sangue che mi va in testa quando vedo certe cose, dico "Cristo Santo lo troverei davanti, gli sfonderei il cranio e gli farei ingoiare i denti a questo qua". Proprio perché è proprio la mancanza di dignità, sapete cosa vuol dire? Persone indegne, persone che affrontano delle questioni in maniera qualunquista. Questo è il male della nostra Italia. Il male dell'Italia è che abbiamo poche persone come Vincenzo e Andrea e abbiamo troppi nulla facenti, profumatamente pagati come quei due idioti nei quali avevo appena parlato.<ref group="fonte">Citato in ''[https://www.open.online/2025/03/11/filorusso-nicolai-lilin-contro-comici-luca-paolo-sfonderei-cranio-farei-ingoiare-denti-video/ Il filorusso Nicolai Lilin contro i comici Luca e Paolo: «Gli sfonderei il cranio e gli farei ingoiare i denti»]'', ''open.online'', 11 marzo 2025.</ref> ==''Educazione siberiana''== {{Vedi anche|Educazione siberiana (romanzo)}} ==''Putin – L'ultimo zar''== ===Incipit=== Sta accadendo per davvero: la guerra è tornata prepotentemente e insopportabilmente vicino a noi. Dentro l'Europa? Appena fuori dall'Europa, sotto il naso di un paese che sogna gli antichi fasti? È proprio questo uno dei motivi del contendere. Stavolta, la guerra, non è più un'idea da salotto. Non una possibilità, o una minaccia velata; è una realtà che entra nelle nostre case, nelle immagini strazianti che arrivano: missili che colpiscono palazzi in cui vivono uomini, donne e bambini. Sparatorie in strada, esplosioni nelle città, abitanti che al suono delle sirene si riversano, come formiche impazzite, nelle cantine, nei rifugi improvvisati, nelle fermate della metropolitana, nei vagoni fermi. Centinaia di morti, non solo tra i soldati, sangue sulle strade, code ai confini con la Polonia per grandi esodi di massa. Professionisti, operai, universitari che corrono ad arruolarsi per difendere il loro paese. File di carri armati, file di molotov pronte, file di trincee fisiche e immaginarie, file di persone davanti ai negozi, file di volontari pronti a dare il sangue per i feriti. Poi il coprifuoco e il silenzio totale. Il silenzio della paura. Il rumore della guerra. La guerra della Russia di Putin contro l'Ucraina di Zelenskij. ===Citazioni=== *Putin è un serpente, è un meditativo, non si fida delle persone, prende le sue decisioni da solo. Prende le informazioni che gli servono da chi gli è attorno. Ma ultimamente, a causa del sistema obsoleto della burocrazia che gli è vicina, l'informazione viene filtrata in modo ambiguo. (p. 6) *{{NDR|Sulla [[guerra del Donbass]]}} Da otto anni non si affrontano le questioni di fondo della vita delle persone oppresse nel Donbass (circa 14.000 morti), che sono a maggioranza russa. L'Occidente si comporta in maniera ipocrita, mostrando le immagini dei civili morti per l'attacco russo all'Ucraina. Negli anni precedenti, però, è stato miope e inattivo nella guerra nel Donbass. (p. 8) *Le mancanze del governo ucraino appaiono evidenti. Dopo l'indipendenza non c'è stato un rinnovamento della classe politica. La nomenklatura ha cambiato semplicemente abito. È passata dal comunismo a uno status di neo-oligarchia che ha approfittato delle ricchezze ucraine senza preoccuparsi del benessere del paese. (p. 9) *''Con il suo nome, in Russia, è designato uno dei più lunghi e dinamici periodi della storia contemporanea. Putin è santificato da milioni che vedono in lui il messia sceso in Terra con il compito di portare rimedio ai mali del mondo, mentre altri milioni lo detestano e lo temono come se fosse un tizzone d'inferno. Di certo, è stato il primo uomo politico dopo Stalin a meritare, presso il popolo russo, la nomea di "zar". E quando ti chiamano in questo modo nel paese più vasto del mondo, dove l'intera dinastia regnante è stata affogata nel sangue e che per settant'anni è stato poi dominato dalla rigida dottrina comunista bolscevica, questa semplice parola di tre lettere assume una tale dimensione mastodontica, che solo a pensarla viene un capogiro.'' (p. 15) *In quasi tutti i suoi discorsi pubblici, parlando ai russi con quella sua aria familiare, con quel suo lessico intriso del gergo di strada che arriva dritto al cuore di ogni cittadino, Putin espone infaticabilmente la propria visione della democrazia; oppure, da abile oratore, dipinge per i propri interlocutori magnifiche visioni di quella forma di democrazia alla quale, secondo lui, si ispira la Russia moderna nel proprio percorso storico. Ciò che conta per Putin è chiamarla sempre e comunque "democrazia": che poi nei fatti si tratti di una sua versione piuttosto autoritaria... be', non è detto che questo dispiaccia ai suoi cittadini. (p. 19) *Ovviamente, nell'[[Unione Sovietica|URSS]] non esistevano ufficialmente i ceti sociali, perché il comunismo non ne riconosceva soltanto uno: il proletariato. Ma nella realtà quotidiana le cose andavano diversamente: qualcuno stava meglio degli altri, i più ricchi cercavano la compagnia dei propri simili, frequentavano i locali più cari e raffinati, si potevano permettere anche una certa apertura culturale, mentre i lavoratori semplici, quelli che sgobbavano nelle fabbriche per uno stipendio medio, vivevano nel loro mondo. Nonostante l'ideologia, insomma, anche durante il periodo sovietico il reddito era uno dei criteri che definivano la posizione dell'individuo nella società. Tuttavia, se non altro, lo stato cercava di organizzare la vita dei cittadini in modo da evitare la formazione di ghetti, perciò era normale che nello stesso stabile abitassero il direttore della fabbrica e i suoi lavoratori. (pp. 21-22) *Putin non è una persona finita per caso ai vertici della politica, non è un miracolo da [[Boris Nikolaevič El'cin|Eltzin]], da [[Boris Abramovič Berezovskij|Berezovskij]] o da altri oligarchi. È arrivato alla sua posizione facendosi strada con i denti, i pugni e i gomiti, passando sulle teste e calpestando senza pietà gli avversari sconfitti, rispettando negli altri la forza e la lealtà, disprezzando la debolezza e il tradimento, come può fare solo chi ha imparato egregiamente gli insegnamenti che offre la strada. (p. 46) *Ma se le discipline di lotta tradizionali, e specialmente le arti marziali provenienti dall'Oriente, si fondano su una solida integrazione tra l'aspetto comportamentale, la filosofia, l'etica e la morale, il [[sambo]] sotto questi aspetti era decisamente carente e non poteva nemmeno rifarsi a qualche nobile tradizione, a radici affondate in qualche cultura millenaria e che rimandassero a correnti religiose, artistiche, letterarie o filosofiche. Si trattava di uno sport bello e molto efficace, certo, ma gli mancava quell'elemento ancestrale e romantico che tanta presa ha sui giovani e sui loro animi sensibili e affamati di scoperte. Diciamo che praticando il sambo i ragazzi potevano acquisire una preparazione atletica e un orientamento che risultavano preziosi a chi poi (o contemporaneamente) si dedicava a un'arte più ricercata come appunto il [[judo]]. (p. 54) *Bisogna sapere che all'epoca di Eltzin, uomo debole fisicamente quanto moralmente, per ottenere una concessione di vendita di una fabbrica statale, o il permesso di aprire una nuova miniera sul territorio nazionale o di svendere sottobanco le centinaia di migliaia di tonnellate di petrolio, metalli preziosi e altre ricchezze accumulate dall'URSS nel corso di decenni, era sufficiente presentarsi armati di racchetta da tennis a uno dei suoi appuntamenti sportivi e lasciarsi sconfiggere da quel lento e scoordinato individuo che per qualche motivo credeva di essere un tennista talentuoso. Tra gli oligarchi circolava la battuta secondo cui, per avere successo negli affari in Russia, la cosa più difficile era perdere a tennis con "l'alcolizzato", come era soprannominato (da tutto il paese!) il presidente. (p. 55) *Mentre circa il settanta per cento delle abitazioni era carente di acqua potabile, i sovietici si concentravano sulla conquista dello spazio e inviavano la più grande nave rompighiaccio al mondo a propulsione nucleare a esplorare l'Artico. Nella zona degli Urali e in quella dell'immensa Siberia non esistevano strade decenti, ma enormi quantità di denaro pubblico venivano spese in ricerche e tecnologiche finalizzate allo sbarco sulla Luna. Il novantacinque per cento del budget del paese era destinato all'industria bellica, tecnologie nucleari comprese. Tutte le grandi opere, a cominciare dalle grandi autostrade che tra enormi difficoltà verso la metà degli anni Settanta collegarono decentemente le regioni di quell'enorme territorio, per finire con le centrali idroelettriche, termoelettriche e nucleari, furono realizzate in larga misura grazie all'impiego di forza lavoro gratuita: quella dei militari, degli studenti volontari e dei detenuti nelle strutture di rieducazione. (pp. 59-60) *{{NDR|Sulla [[dissoluzione dell'Unione Sovietica]]}} Improvvisamente la componente ideologica era svanita, come se non fosse mai esistita, e le masse si trovarono non solo senza leader capaci di indicare una strada e garantire i più basilari diritti sociali, ma anche, e d'improvviso, senza l'intero sistema che per tutti aveva rappresentato l'unico modello di vita possibile. La corsa al modello occidentale, interpretato, copiato e applicato con frenesia senza comprenderne la complessità, come se si trattasse semplicemente di cambiare il colore alle pareti di casa, creò i presupposti per una crisi tale da far pesare le sue conseguenze negative ancora oggi, a distanza di trent'anni. Il senso d'idiozia che scosse il paese socialista si racchiude benissimo nella metafora che circolava tra le masse, una sorta di perfetto slogan del suicidio collettivo in atto: «L'acqua della fontanella sovietica è gratuita e di tutti, però la Coca-Cola ha lo zucchero e le bollicine». (pp. 91-92) *{{NDR|Sul [[putsch di agosto]]}} In quei giorni, le emittenti televisive e radiofoniche smisero di dare notizie. Tutti i canali trasmettevano solo programmi culturali: in tv mandavano in loop il balletto, in radio si ascoltavano opere e musica classica. «Ha vinto Chaikovskij!» scherzava la gente... (p. 103) *{{NDR|Sulla [[guerra di Transnistria]]}} La guerra civile nella mia [[Transnistria]], nel 1992, fu il primo conflitto armato su scala militare, il cui obiettivo era una vera e propria pulizia etnica ai danni dei russi, di chi culturalmente apparteneva al mondo russo e di tutti coloro che erano rimasti fedeli alle idee del mondo sovietico. Anch'io vidi montare quell'odio. I miei ricordi d'infanzia sono quelli di una scuola (e di una comunità) multietnica; noi bambini non avremmo mai chiesto a un nostro compagno: «Di che razza sei?». Non ci passava proprio per la mente. Anzi: avere amici di altre etnie, tanto più se di altre religioni, era un valore aggiunto, perché alle tue feste comandate si aggiungevano le loro, e quindi c'erano più occasioni per fare baldoria. Per i ragazzi era divertente. Poi cominciarono i pregiudizi antirussi e in Moldavia prese piede un partito nazionalista, ben sovvenzionato dall'Occidente. Volevano entrare nella NATO, pensavano che con l'aiuto degli Stati Uniti il paese sarebbe diventato una specie di paradiso fiscale: fantasie del genere. Ma soprattutto tanti moldavi, giustamente stanchi della vita condotta negli ultimi anni sotto il regime sovietico, davano la colpa delle loro miserie ai russi. Successe la stessa cosa in diverse piccole repubbliche e regioni etniche (Cecenia, Kazakistan, Turkmenistan, Uzbekistan, Ossezia, Armenia...): l'odio nei confronti del "sistema" si trasformò in nazionalismo, sfogo naturale per coloro che così potevano dare una spiegazione al disastro che stavano attraversando. (pp. 121-122) *{{NDR|Sul [[disastro di Černobyl']]}} Il popolo sovietico per generazioni ha sgobbato disperatamente, vivendo la sua misera vita escluso dal resto del mondo, mentre il Comitato centrale destinava quote enormi del bilancio alle spese militari. La retorica comunista spiegava ai cittadini che dovevano stringere i denti, lavorare sodo e resistere nelle difficoltà perché avevamo bisogno di costruire sistemi sofisticati per difenderci dai missili statunitensi ed evitare l'apocalisse nucleare sul nostro territorio, ma alla fine l'apocalisse l'ha causata un gruppo di imbecilli altolocati. (p. 124) *Eltzin era arrivato al potere sull'onda dell'euforia che accompagnava il crollo dell'URSS, e i cittadini si attendevano da lui il benessere e la miracolosa trasformazione della società in qualcosa di simile al modello occidentale. Ma il brusco crollo dell'economia aveva spazzato via quella classe media sovietica che nonostante tutto conduceva una vita relativamente agiata, e trasformato la maggior parte dei cittadini in miserabili, esposti alle minacce del nuovo mondo, privi delle sicurezze sociali alle quali l'URSS li aveva abituati, indifesi di fronte alle speculazioni delle nuove élite politiche ed economiche che razziavano il paese. Il contrasto tra la miseria delle masse e l'osceno arricchimento degli oligarchi che si comportavano come feudatari medievali, abbassò drasticamente la popolarità del presidente Eltzin, dei suoi programmi politici e del suo concetto di democrazia. Il popolo voleva un cambiamento, e in varie parti del paese pericolose tendenze estremiste mandavano segnali preoccupanti. (pp. 134-135) *{{NDR|Sulla [[seconda guerra cecena]]}} A differenza della [[prima guerra cecena]] di pochi anni precedente, poco popolare e spesso duramente criticata dai russi, il secondo conflitto godette di un grande consenso. La lotta contro il terrorismo fu, lo si può dire con certezza, il primo progetto a livello nazionale a dare a Putin un'incredibile popolarità, trasformandolo in un idolo di fronte alla schiacciante maggioranza degli elettori. (p. 141) *Putin non era un grande riformatore, non lo è mai stato. Sfruttò con abilità quel che nel paese era già stato fatto prima di lui, creando però una nuova (e, dal punto di vista politico, curiosa e contraddittoria) simbiosi tra il capitalismo, l'economia liberale d'ispirazione occidentale, e l'impronta autoritaria dello "stato forte". I mali del paese, dunque, migrarono semplicemente nel nuovo secolo: in primis l'oligarchia con le sue ovvie conseguenze quali la corruzione, il cinismo delle élite finanziarie che distruggevano la morale (e il morale del popolo), l'assenza di libertà primarie come quella di parola, schiacciata sotto il peso dei mass media soggiogati alle regole del mercato. Certo, non si può incolpare Putin per non aver cambiato il sistema: sarebbe come pretendere che una persona cambi lo sgabello sul quale sta in piedi, con le mani legate e la corda al collo. Putin, per quanto autoritario e forte possa apparire, è pur sempre legato a un certo tipo di economia che non potrà mai rivoluzionare, perché ciò metterebbe in difficoltà lui e il potere che rappresenta. (p. 161) *Un'altra grave mancanza è che Putin non ha mai davvero provato a risolvere il problema della [[Corruzione in Russia|corruzione]]. Durante il primo periodo della sua presidenza era ovvio che le priorità fossero diverse: bisognava sconfiggere il terrorismo in Cecenia, impostare il lavoro del governo per realizzare i programmi di politica interna ed estera, affrontare i problemi ereditati dal precedente governo, che in meno di dieci anni aveva sepolto il paese. Però, con il passare degli anni, mentre i problemi interni venivano risolti e sembrava che nulla più impedisse al presidente di iniziare un programma di lotta contro i politici e gli amministratori corrotti, Putin aveva sempre qualcosa di più importante da fare. Forse le ragioni di questa "distrazione" sono nascoste nel suo passato, o forse il presidente teme di svegliare un vespaio pericoloso persino per lui. (p. 164) *La corruzione, indubbiamente, sarà tra i fattori principali con cui gli storici futuri descriveranno il periodo del "[[putinismo]]". I nostri discendenti ci ricorderanno come una società soggiogata da una lobby di oligarchi e governata da politici in simbiosi con la finanza corrotta. La cosa più preoccupante è che ormai tutto ciò viene percepito come normale. (p. 166) *La [[prima guerra cecena]] fu una dura prova, e la dimostrazione che la macchina bellica del grande paese non era in grado di risolvere nemmeno una situazione locale. Una struttura ingombrante, mal organizzata, con enormi problemi logistici e corrotta fino al midollo: così si presentava l'esercito russo in quei primi anni Novanta. (p. 168) *La [[Chiesa ortodossa russa]] ha una lunga storia di rapporti con lo stato repressivo sovietico, tanto che i rappresentanti di altre Chiese ortodosse la considerano una deviazione infamante. (p. 172) *Il patriarca [[Cirillo I|Kirill]], persona di grande cultura, con la spiritualità cristiana ha poco a che fare, tant'è vero che nel giro di pochi anni dalla nomina cominciò a comportarsi pubblicamente come uno degli oligarchi della cerchia del presidente, spesso mostrando con piacere ai giornalisti i suoi lussuosi orologi e lasciandosi fotografare mentre scorrazza in mare sulla sua barca di lusso. Comunque, i rapporti tra lui e Putin negli ultimi anni sono peggiorati, in parte perché appunto Kirill non si comporta come un "papa russo" e in parte perché i suoi appetiti sono aumentati eccessivamente, e le sue continue richieste di ogni genere al governo hanno talmente infastidito i "piani alti" che persino uno dei più fidati uomini di Putin, Dmitrij Medvedev, quando era ancora premier, proibì ai propri collaboratori di rispondere alle sue telefonate. (p. 173) *L'unica cosa importante che le élite al governo in Russia sembrano non capire è che non si può proporre per due decenni lo stesso identico programma solo perché questo, vent'anni fa, era popolare. Sembra che il tempo non scorra, all'interno delle prestigiose mura del Cremlino: le persone che lavorano in quel luogo sembrano non cambiare, non evolvere, non accorgersi che il pasese che governano (così come il resto del mondo) è mutato radicalmente. Le masse sono stanche dei rendiconti in stile nordcoreano che arrivano dalle faraoniche riunioni del partito Russia Unita, non ne possono più dei notiziari impostati sulla linea editoriale "lui, sempre lui". La gente non riesce a capire perché di nuovo, come durante gli anni dell'URSS, si debba vivere sotto la costante pressione ideologica che insegna che il resto del mondo è nemico, che tutti ci odiano perché siamo il paese più ricco e più bello al mondo – stranamente, però, pur esportando gas a migliaia di chilometri di distanza, abbiamo ancora il settanta per cento delle case e delle infrastrutture in Siberia (patria di quel gas) che si scaldono con la legna. (p. 179) *Amata da tutto il paese, negli ultimi anni [[Valentina Tereškova|Tereshkova]] si è avvicinata al partito di Putin, Russia Unita, con il quale è stata eletta a deputato. In realtà, la sua attività è pari a zero: è solo una delle figure storiche dell'URSS "acquistate" dal potere per essere impiegate nella propaganda. Prima del suo discorso alla Duma, l'unica volta in cui l'ex cosmonauta si era esposta pubblicamente fu all'inaugurazione di un ponte nei pressi della città di Yaroslavl', peraltro crollato miseramente dopo pochi mesi. (p. 183) *Il fatto è che, a differenza degli oppositori del passato, come [[Boris Nemcov|Boris Nemtzov]], che aveva tutte le doti del politico, [[Aleksej Naval'nyj|Aleksey Navalny]] è invece un uomo lontano dalla politica seriamente strutturata e non è in grado di rappresentare un modello alternativo al governo in carica. È senz'altro un bravo comunicatore, che abilmente sfrutta la rete e denuncia coraggiosamente alcuni scandalosi casi di corruzione all'interno dell'apparato governativo. A volte riesce a stuzzicare qualche pezzo grosso, suscitandone l'ira, ma il suo lessico politico è costruito in gran parte su concetti fondamentalmente populisti, riduttivi dal punto di vista intellettuale, limitati soprattutto per quello che riguarda le implicazioni relative agli aspetti amministrativi. La sua visione è poi totalmente carente di linee guida nella politica estera, nemmeno un accenno. E la politica estera, per un paese come la Russia, specialmente nell'attuale situazione geopoilitica, è di importanza vitale, per non dire assoluta. (p. 195) ===Explicit=== ''Siamo entrati nel nuovo secolo ancora troppo giovani, ma già con un enorme bagaglio di esperienze alle spalle. L'inizio della presidenza di Vladimir Putin per molti di noi ha coinciso con il momento in cui dovevamo decidere cosa fare della nostra vita. La sua figura e la sua retorica politica per molti di noi rappresentavano l'unico reale modello di comportamento politico, l'unica speranza per un futuro migliore. Negli anni abbiamo imparato a rispettarlo, abbiamo cercato di capirlo e soprattutto abbiamo creduto ciecamente nella sua visione del futuro, nella sua voglia di migliorare la vita della nostra patria.<br>Però. Però sono passati vent'anni, oggi siamo quarantenni, abbiamo famiglie, viviamo le nostre quotidianità spesso banali, a volte complicate, e la linea politica di Putin rimane sempre la stessa, immutabile, disperatamente stagnante mentre il mondo attorno cambia drasticamente, ogni giorno sempre di più.<br>E a volte, quando guardo i notiziari della tv russa, mentre la conduttrice con voce angelica racconta dell'ennesimo missile nucleare che abbiamo costruito, ancora una volta più potente e più distruttivo di quelli degli altri paesi, ennesima dimostrazione della nostra supremazia, i miei occhi leggono il testo del messaggio che scorre nella striscia in basso sullo schermo: dice che un bambino in qualche regione sperduta della nostra grande patria sta morendo di una terribile malattia che la nostra medicina non è in grado di affrontare, quindi viene richiesto un aiuto, un sms, per portare quel bambino negli Stati Uniti, oppure in Germania, dove potrà essere curato. E allora sento qualcosa rompersi dentro di me, come se in quel momento, e ogni volta, prendessi coscienza di appartenere a una generazione di persone usate, derise e tradite dai rappresentanti del potere che governa la loro patria.'' ==Citazioni su Nicolai Lilin== *Abbiamo pensato a lungo se denunciarlo o meno. Ma in realtà la cosa che più mi ha fatto impressione di quella storia è che nessun politico ha mostrato solidarietà nei nostri confronti, né in pubblico né in privato. Come se perfino in quel momento ci volesse chissà quale forza o coraggio. L'episodio ci ha spinto anche a interrogarci sul nostro lavoro, perché non capisci bene. Ma quando stai così sulle balle, credo voglia dire che hai fatto quello che andava fatto. ([[Luca Bizzarri]]) *Cosa hanno in comune [[Cecilia Parodi|Parodi]] e Lilin? Hanno scritto libri [...], hanno dimestichezza e conoscenza del peso delle parole, hanno usato espressioni con gratuita cattiveria e irreparabile serietà.<br>A prima vista, Parodi e Lilin sono aggressivi e turpiloquenti ma non sembrano appartenere alla schiera degli squadristi da tastiera, dei persecutori anonimi [...]. Gli insulti rappresentano un fenomeno deplorevole e maleodorante, ma sono convinto che i peggiori siano proprio quelli di coloro che si credono «scrittori»: intrisi di odio nutrito dalla loro immaginazione e dal loro ego, vengono scelti con insospettabile volgarità e pronunciati con cognizione di causa. ([[Aldo Grasso]]) *Di errori Nicolai Lilin ne ha collezionato parecchi. Nel 2014 aveva pubblicato un lungo articolo che partiva dalla fotografia di una bandiera ucraina con a fianco una bandiera nazista. In breve tempo si scoprì che quell'immagine era un frame di un film. Sempre nel 2014 lo scrittore era convinto di avere trovato una confessione eccezionale: un pilota ucraino avrebbe dichiarato di avere sparato sul Boeing della Malaysia Airlines abbattuto sull'Ucraina. Solo che la fonte di Lilin era un articolo di un giornale satirico. Nelle ultime settimane Lilin ha scritto molto anche sulla vedova dell'oppositore di Putin, Navalny, lasciando intendere una vedovanza "allegra" sulla linea della propaganda di Putin. ([[Giulio Cavalli]]) *Gli scrittori russi contemporanei sono periferici rispetto all'interesse del lettore occidentale. A dire il vero, è la Russia a essere percepita come una noiosa periferia, anche se molto estesa. Emblematico è il fenomeno dello scrittore Nikolaj Lilin, le cui opere sono accolte trionfalmente in Occidente. Ma la Cecenia e le galere siberiane che racconta mi ricordano le avventure del [[barone di Münchhausen]], capace di mirabolanti frottole: ma tutti, o quasi tutti, gli credono. [...] Ma siamo impazziti? La Russia sarà pure un Paese selvaggio, ma da noi è impossibile immaginare il romanzo di uno scrittore contemporaneo tedesco che racconti di come, nei boschi presso Berlino, si nasconda un reparto di ex SS, che insieme ai figli e ai nipoti, sulle note di Wagner e battendo il tamburo, rapinano i treni in transito. Ed è altrettanto impossibile immaginare che i lettori russi ci caschino e gli editori scrivano in copertina: «Ecco i figli del lupo della steppa, è più forte del Faust di Goethe». Oppure proviamo a immaginare che in Russia arrivi uno scrittore francese di 22 anni e cominci a raccontare di essere stato tiratore scelto in Algeria o guastatore in Iraq, dove è riuscito a catturare uno dei figli di Saddam, e adesso scrive un libro in cui i commandos francesi mangiano rane e compiono prodezze straordinarie. E che gli pubblichino le sue storie dicendo «Finalmente un autore degno di Dumas e di Saint-Exupéry». ([[Zachar Prilepin]]) *Il mio obiettivo non era smascherare un abile personaggio che ha capito molto rapidamente cosa chiedeva il pubblico, ma parlare di noi. Del nostro establishment culturale e mediatico, della superficialità e dell'ignoranza, che rendono anche l'intelligenzia facile preda di fake news (termine all’epoca ancora sconosciuto). ([[Anna Zafesova]]) *L'autore insiste che il libro {{NDR|''Caduta libera''}} è basato sulla sua esperienza personale di combattente in Cecenia. Nell'intervista a ''Ogonëk'' ha detto di aver partecipato alla seconda guerra cecena, ma si è rifiutato di dare dettagli. E le fonti del Ministero della Difesa affermano che in Cecenia non c'è mai stato un soldato di nome Lilin o Veržbickij. ([[Elena Černenko (giornalista)|Elena Černenko]]) *Le parole di Nicolai Lilin in cui nella pratica si trova a minacciare di nostri i nostri giornalisti, tra l’altro con modi e toni mafiosi, sono a dir poco vergognose. [...] Ma vergognoso è anche il fatto che questo personaggio sia stato invitato per anni in importanti salotti televisivi a parlare della guerra russa in Ucraina, e che abbia avuto così tanto spazio per inquinare il dibattito pubblico nel nostro Paese. ([[Federica Onori]]) *Lilin [...] non è solo uno scrittore. Nicolai Lilin, infatti, è candidato alle Europee 2024 nella lista Pace Terra Dignità di Michele Santoro. Forse questo è il danno più grave: prestare il fianco con falsità a chi da tempo si sforza di tratteggiare come macchiettistici coloro che credono nella pace come obiettivo politico. Così Lilin alla fine riesce a essere il migliore alleato di coloro che Santoro vorrebbe (politicamente) combattere. ([[Giulio Cavalli]]) ===[[Paolo Bianchi]]=== *Come dire: la mafia è una schifezza, ma se è siberiana e te la racconta un muscoloso e scaltro giovanotto tatuato, è un po' meno schifezza.<br>E poi dicono che il crimine non paga. *«Io non parlo più in russo con nessuno, a parte mia madre e i miei amici intimi», dichiara Lilin, come a voler prendere le distanze da una parte delle sue radici. «Noi combattevamo contro il comunismo e i suoi residui, e contro una polizia corrotta, in uno stato marcio e corrotto». Quel «noi» si riferisce alla sua comunità, dominata da leggi tutte proprie, ancestrali degni di uno studio etnologico, se non altro perché di studi etnico-geografici sulla Transnistria non ce ne sono. *Se dobbiamo credere a Nicolai, abbiamo di fronte, in lui, un pluriomicida e una belva assetata di sangue, però, per virtù antropologica e per provenienza etnica, «onesta» e perciò buona e degna di vendere molte copie del suo libro. *Se ho dato dello "sbudellatore" a Lilin è solo perché, avendo letto il suo libro, venduto come autobiografico, ci ho trovato delle scene in cui lui accoltella con violenza i suoi avversari. Se non è vero, allora il libro non è autobiografico. Tertium non datur. [...] dovrebbe forse comportarsi in modo meno strafottente. In una democrazia, alla quale lui evidentemente non è abituato, si accetta civilmente il contraddittorio. *Se Nico avesse commesso tutto quello che racconta, sarebbe un soggetto ad alta pericolosità sociale, invece oggi è un cittadino italiano, vive a Cuneo ed esercita l'inquietante professione di tatuatore. Ma guai a dubitare della sua parola. *Venendo al dunque, cioè alle critiche che gli abbiamo sommessamente rivolto, il tatuatore siberiano (che però è cresciuto a tremila chilometri dalla Siberia) si è reso conto che la sua credibilità di delinquente rischiava d'indebolirsi e ha assunto quello che nelle intenzioni forse voleva essere un atteggiamento da criminale incallito, ma che è sembrato più lo scatto di nervi di un teppistello colto sul fatto. ===[[Sandrone Dazieri]]=== {{cronologico}} *Nicolai Lilin è scappato dall'Italia perché, dice lui, accusato di essere una spia di Putin. Considerando le balle che ha raccontato da quando è arrivato in Italia, probabilmente non è vero niente, a parte la fuga. Se sei una spia, non ti ritirano il passaporto, ti portano via. Ma chissà. *Lilin lo conobbi anni fa dopo la pubblicazione di ''Educazione Siberiana'', mi raccontò di essere amico di [[Licio Gelli]] e di andare in giro armato perché aveva tanti nemici. Il libro era molto interessante, ma conteneva una serie di balle evidenti sia sulla storia della Russia, sia sulla sua vita. Metà della mia famiglia è russa e quindi ho fonti dirette, ma ero stupefatto che tutti gli credessero. Poco dopo scrisse un pezzo per l'Espresso, dove spiegava di essere un ex cecchino e di aver ricevuto offerte da gruppi mercenari di alto livello per andare a combattere da qualche parte. Era talmente una vaccata che mi aspettavo gli tirassero le uova. No. Il mondo della cultura cominciò ad acclamarlo con un eroe, un pensatore, un filosofo. Guardate con chi faceva dibattiti, chi lo presentava, chi lo incensava. Era come vivere in un mondo parallelo dove, soprattutto, chi lo amava di più era la sinistra. Partecipava a dibattiti sulla democrazia, sulla guerra, sul mondo intero, faceva mostre di tatuaggi "siberiani" con le sponsorizzazioni istituzionali. Ogni volta che parlavo di lui venivo accusato di spargere merda su "uno più famoso di te" oppure di essermi fatto abbindolare da amici e parenti russi, che evidentemente ce l'avevano con uno che diceva la verità sul regime putiniano. *Con il tempo i suoi libri cominciarono a vendere meno e divenne un propagandista delle peggior balle pro Putin. Pensavo che qualcuno che gli aveva dato lustro e visibilità avrebbe fatto autocritica. Invece no. Persone di sinistra che conoscevo molto bene decisero di candidarsi con lui perché "pacifista" e ancora una volta mi sembrò assurdo. Come una puntata di ''Black Mirror''. Ma come era possibile che si alleassero con uno che pubblicava fotomontaggi con il presidente ucraino che tirava cocaina, in cui scriveva che la moglie di Navalny si divertiva con gli amanti mentre lui moriva? Che insultava gli omosessuali nascosti nell'esercito ucraino? Non lo so, non riesco a capirlo nemmeno ora. Va bè, la storia non è finita, visto che sono di oggi le sue velate minacce al polonio per i giornalisti che parlano male dello Zar. Spero solo che, adesso che è latitante, non se ne faccia un martire del libero pensiero. E spero anche chi lo incensava adesso non lo insulti. Eh no, certe cose vanno fatte quando è difficile, non quando conviene. Ma siamo in Italia. Chi la spara più grossa vince sempre. ===[[Aleksandr Garros]]=== *Giovane, con la testa rasata da skinhead e la barba elegante da festaiolo di Montparnasse, con occhi acuti e vispi, abbondantemente ricoperto di tatuaggi (alle sue dita ci sono tatuaggi di precedenti penali assortiti che basterebbero per tutti gli scagnozzi del [[Aslan Usojan|Nonno Hassan]]), sul suo collo c'è un libro aperto sullo sfondo di una croce con lo slogan "Non aver paura, non chiedere, non credere". [...] E poi una svolta sconcertante nella giungla delle teorie del complotto, nel cuore del dietro le quinte del mondo: a [[Licio Gelli]], il leggendario capo della loggia massonica P-2, di cui è presumibilmente amico, al Gruppo Bilderberg, in cui c'è tutto il male del mondo e allo stesso tempo tutti i suoi colpi di scena irreali in ogni senso della biografia. *Innanzitutto so tutto quello che gli è successo, o meglio, quello che non gli è successo. Perché bisogna essere un vero somaro siberiano per non riconoscere subito questo tipo: Chlestakov,<ref name=chlestakov/> Chlestakov-upgrade. *Intercetta qualsiasi gruppo di celebrità come un missile terra-aria che segue una traccia termica. È pervasivo ed efficace, come un Terminator liquido. [...] Non capisco molto degli ultimi modelli di Chlestakov,<ref name=chlestakov>In riferimento al protagonista de ''[[Nikolaj Vasil'evič Gogol'#L'ispettore generale|L'ispettore generale]]'' di [[Nikolaj Vasil'evič Gogol']].</ref> ma lo so: dicono sempre ciò di cui il pubblico ha bisogno. Sono camaleonti ideali: non assumono il colore del loro ambiente, ma la forma delle paure e dei sogni segreti... *La biografia di Lilin contiene il quadruplo degli eventi che dovrebbe contenere. Da bambino toglieva i giubbotti antiproiettile ai moldavi uccisi in Transnistria. Si è offerto volontario per partecipare alla seconda guerra cecena. Andò in carcere per la prima volta a tredici anni. Viene dalla Siberia, e tutti i suoi antenati maschi erano ragazzacci, al confronto dei quali Al Capone era un boy scout, e la Camorra e Cosa Nostra dovrebbero, dice lui, succhiarglielo senza chinarsi. *Mi piacerebbe leggere il suo libro di racconti autobiografici, ma è un peccato che esista solo in italiano. È un personaggio meraviglioso e familiare. Lui, ovviamente, è Chlestakov,<ref name=chlestakov/> Chlestakov-upgrade, un figlio della nuova Russia - con i suoi tempi duri, con la sua guerra e il suo carcere, con il suo amico Licio Gelli e con le minacce degli islamisti, a causa delle quali, si scopre, non gira per l'Italia disarmato. *Un'affascinante menzogna che risale al [[Falso Dmitrij]] e ai figli del [[Pëtr Petrovič Šmidt|tenente Schmidt]], che erano disponibili a raccontare agli editori e ai critici europei sulla Russia tutto ciò che era piccante, scioccante e terribilmente eccitante, tutto ciò che segretamente desideravano, ma che non osavano sperare. ==Note== <references/> ===Fonti=== <references group="fonte" /> ==Bibliografia== *Nicolai Lilin, ''Educazione siberiana'', Einaudi, 2009, ISBN 978-88-06-20256-9 *Nicolai Lilin, ''Putin – L'ultimo zar. {{small|Da San Pietroburgo all'Ucraina}}'', Piemme, 2022, ISBN 978-88-5544-733-1 ==Altri progetti== {{interprogetto}} {{DEFAULTSORT:Lilin, Nicolai}} [[Categoria:Scrittori italiani]] 34a2851er0d7qbhbrnwk5x5a0d8swtq 1382035 1382033 2025-07-02T11:17:45Z Mariomassone 17056 /* 2010 */ 1382035 wikitext text/x-wiki [[File:Nicolai Lilin.jpg|thumb|Lilin nel 2011]] '''Nicolai Lilin''' (1980 – vivente), pseudonimo di '''Nicolai Verjbitkii''', scrittore italiano di origine moldava. ==Citazioni di Nicolai Lilin== ===2009=== *Non capisco il motivo {{NDR|di rifiutare un invito a presentare ''Educazione siberiana'' in CasaPound Italia}}. Rifiutare e negare alla gente partecipazione alla manifestazione culturale [...] è come negare a un umano soccorso medico, perché lui politicamente non è corretto. Un simile comportamento è contro la mia etica e la mia morale.<ref group="fonte" name="casapound">Citato in ''[https://www.ariannaeditrice.it/articolo.php?id_articolo=27767 Nicolai Lilin a CasaPound]'', ''ariannaeditrice.it'', 11 settembre 2009.</ref> *Ho amici di destra e sinistra [...]. Mi trovo bene con loro, perché non li vedo come dichiarati politicamente, ma come persone, come gente che pensa e condivide alcune idee con me. Ricordo anche che è impossibile essere tutti uguali, io da bambino ho vissuto l'alba dell'impero che cercava di far diventare tutti uguali. E vi posso dire in tutta sincerità che l'unica cosa che faceva diventare tutti uguali nell'Urss era solo il colore del sangue con il quale hanno sporcato la coscienza sociale.<ref group="fonte" name="casapound"/> *Cazzo, te lo dico io, amico mio [...]. Tutti quei maledetti soldi provengono dagli ebrei ricchi, cazzo. Te lo dico, cazzo, questa è una fottuta cospirazione. E la [[seconda guerra mondiale]] è stata iniziata dai ricchi, fottuti ebrei, non lo sapevi? Te lo dico esattamente, quelle puttane non hanno risparmiato la loro tribù, e solo per diventare ancora più ricche! [...] Hai sentito parlare di questo club Bilderberg, eh? Porca miseria, il mio amico mi ha spiegato tutto di loro. Amico mio, conosci forse [[Licio Gelli|Licio, cazzo, Gelli]], [[P2]]? Non lo conosci? [...] Quando sono arrivato, ero un ignorante, ma lui mi ha aperto gli occhi. :''Я, друг, тебе точно, нах, говорю'' [...]. ''Все, бля, деньги, нах, у богатых жидов. Я тебе говорю, нах, это, бля, заговор. И Вторую мировую богатые, бля, жиды развязали, ты не знал? Точно говорю, они, суки, своего племени не пожалели, только чтоб еще богаче стать!'' [...] ''Ты вот слыхал про такой Бильдербергский клуб, а? Во-во. Мне друг мой пиздато все про них объяснил. Друг мой, знаешь, может, Личо, бля, Джелли, пи-два, ты не в курсе?'' [...] ''Я, когда приехал, был на этот счет дурак дураком, но он мне глаза-то приоткрыл.''<ref group="fonte">Citato in [[Aleksandr Garros]], ''[https://snob.ru/selected/entry/7841/ Непереводимая игра слов]'', ''Snob.ru'', 20 ottobre 2009.</ref> {{Int|Da ''[https://www.repubblica.it/2009/04/sezioni/esteri/saviano-siberia/saviano-siberia/saviano-siberia.html Il ragazzo guerriero della mafia siberiana]''|Intervista di Roberto Saviano, ''La Repubblica'', 3 aprile 2009.|h=4}} *Volevo raccontare storie che rischiavano di perdersi, che conoscono in pochi, e renderle storie di molti. Le storie della mia gente, distrutta dal capitalismo di oggi, gente che aveva regole sacre, che viveva con dei valori. *Mio nonno in tutta la sua vita non ha mai portato soldi addosso, li tenevano in posti lontani dai luoghi della vita. I soldi sono sempre stati considerati sporchi. *Quando ero piccolo e uscii dalla Moldavia con mia madre, alla dogana un ufficiale vide che ero nato in Transnistria e, seppure fossi un bambino, mi fissò negli occhi e disse, "Delinquente!!!". Bastava venire da lì. *Mi hanno insegnato a dire la verità sempre. Spesso i poliziotti russi quando arrestavano degli Urka li riprendevano mentre li interrogavano. Quando dicevano sei un criminale loro dovevano rispondere si, se rispondevano no era una condanna a morte tra tutti gli Urka. Un Urka non mente mai. *Sono un criminale onesto [...]. Nelle mie zone tutti chiedono il pizzo, per qualsiasi cosa bisogna pagare. È lecito aspettarsi una richiesta di tangente per documenti, viaggi, permessi, per tutto ciò che nel mondo occidentale, in un mondo che si dice civile, dovrebbe essere dovuto. *In Russia e in Moldavia tutto è corruzione, politica, burocrazia, tanta prostituzione, racket, droga. Paesi marci. Mio nonno diceva spesso: credo che non esista né inferno né paradiso, semplicemente se ti comporti male rinasci in Russia. *Una volta mio nonno mi ha raccontato che fu arrestato un pedofilo, uno di quelli a cui piacevano molto le bambine piccole e anche i bambini. Gli Urka quando fu arrestato lo trattarono con rispetto. Andarono da lui, gli diedero una corda fatta con le lenzuola e gli dissero: "Hai cinque ore per impiccarti, se non lo fai ognuno di noi prenderà un pezzo di te e lo strapperà". *Raccontare i tatuaggi è disonesto. I tatuaggi sono un linguaggio muto, ci si tatua proprio per evitare di parlare. Solo un siberiano può capire. Chi racconta uccide la tradizione, e rischia di essere ucciso. *Il film di Cronenberg {{NDR|''[[La promessa dell'assassino]]''}} è tutta una farsa. Il tatuaggio siberiano è morto con i siberiani. È una menzogna, dal film sembra quasi che tutti gli affiliati russi si tatuino, ma non è così. Quei tatuaggi li hanno solo alcuni, come per esempio Seme Nero. *Io ho ucciso Roberto, ho ucciso un bel po' di persone. Ma non sento dolore, o meglio sento che ero costretto a farlo, ero un militare in Cecenia, e dovevo sparare. Ho ucciso e ho sentito la morte tante volte vicina a me. Ma anche su questo la mia gente mi ha insegnato a capire la morte, a conoscerla e a non sentirla come qualcosa di strano. Qui nessuno vuole morire. Io se voglio la vita so che devo volere anche la morte. {{Int|Da ''[https://cafebabel.com/it/article/leducazione-siberiana-di-nicolai-lilin-5ae00581f723b35a145dea97/ L'educazione siberiana di Nicolai Lilin]''|Intervista di Giacomo Rosso, ''Cafebabel.com'', 7 luglio 2009.|h=4}} *[...] la comunità siberiana in cui sono cresciuto proveniva da una molto più antica che aveva già sviluppato un sistema di autocontrollo e che si opponeva a qualsiasi forma di potere. Non soltanto al socialismo, si opposero al regime dello Zar e alla sua schiavitù. [...] Alla fine degli anni Ottanta già sapevo che la comunità stava morendo. Quando ho iniziato a scrivere mi sono reso conto che la tradizione li ha aiutati a sopravvivere, ma non ha potuto salvarli. *Non esiste più nessuna comunità {{NDR|siberiana}}. Sono io, mio fratello, e forse qualcun altro. Il problema è che anche in Siberia non è rimasto niente. Il nucleo di questa comunità è stato deportato in Transnistria e lì non è sopravvissuto. La comunità che descrivo nel libro era composta da 40 famiglie. Si può dire che la tradizione è stata un appoggio, ma in certe situazioni è impossibile per una comunità sradicata sopravvivere. *L’unica cosa certa sulla [[Russia]] è che sarà sempre immersa nel caos. È normale. Questo è il suo stato storico. In Russia non esiste, e non ci sarà mai, un governo democratico. Solo una dittatura può riuscire a gestire un territorio simile e tutte le popolazioni che lo abitano. *Veramente ora mi considero italiano a tutti gli effetti. Ho la cittadinanza italiana, sarebbe sbagliato e scorretto definirmi russo. Anche se ultimamente ho ricevuto parecchi attacchi da parte dei miei ex concittadini russi. *Ho molti amici bulgari e conosco la situazione bulgara abbastanza bene. Fa piacere vedere come l’Ue dia la possibilità di svilupparsi negli anni futuri. Ho parlato con i giovani bulgari, e la loro mentalità è diversa dai giovani russi. Loro non pensano soltanto a guadagnare il più possibile, ma a contribuire alla società e allo sviluppo della democrazia perché viaggiano, vedono il mondo e l’Europa occidentale. Loro vedono cosa significano i diritti per i giovani, che cosa significa Erasmus e vedono come le persone possono tranquillamente integrarsi in altri paesi e studiare e lavorare. {{Int|Da ''[https://canali.kataweb.it/ilmiolibro-articoli-e-recensioni/2009/07/13/nicolai-lilin-il-linguaggio-del-corpo/?h&#610 Nicolai Lilin, il linguaggio del corpo]''|Intervista di Fiammetta Cucurnia, ''Ilmiolibro.it'', 13 luglio 2009.|h=4}} *Io volevo solo raccontare in un romanzo la Russia di mia madre, che ha lavorato tanto e alla fine è dovuta fuggire da casa, in Italia [...]. E il mondo di mio padre, che è vivo per miracolo e non ha più niente. Una delle tante vittime dello sporco gioco di potere che si è svolto in Transnistria. Oggi sta ad Atene, fa mille lavori, il macellaio o il cameriere, è un uomo solo, che ha lasciato alle sue spalle un intero mondo perduto. *C’è chi dice che sono balle, che è tutto inventato, che in Transnistria non è mai stato deportato nessun siberiano. A me non interessa. Io non sono uno storico, non ho fatto ricerche d’archivio. Ho scritto un romanzo, con quello che ho visto e che so. Gli urca non furono deportati? La mia bisnonna, che a 23 anni rimase sola con sette figlioli, ricordava che li avevano portati via tutti insieme col treno fino alla frontiera. Furono costretti ad attraversare il fiume e fu detto loro : "Le armi sono pronte, chi torna indietro è morto". A casa lo raccontava sempre. Ma fuori aveva paura. Quando io ero piccolo, lavorava in ospedale, faceva l’infermiera. E si faceva passare per ebrea, per non dire chi era. Questa è la nostra storia. *Non ho filtrato il ricordo attraverso il mio spirito critico di oggi. Ho voluto riprodurre la realtà così come è arrivata a me, attraverso la mia percezione di bambino, prima, e di ragazzo di sedici, diciotto anni, poi. Piccole storie di uomini e donne che non si trovano nelle enciclopedie. Mia madre, leggendo il libro, ogni tanto diceva: “Nicolai, ma guarda che qui hai sbagliato, la cosa non era esattamente così...”. Io la bloccavo subito : “Mamma, io la ricordo come l’ho scritta”. {{Int|Da ''[https://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2009/12/16/lilin-vita-blindata-faccio-il-tatuatore-in.html Lilin, vita blindata Faccio il tatuatore in clandestinità]''|Intervista di Maurizio Crosetti, ''La Repubblica'', 16 dicembre 2009.|h=4}} *Io scrivo della resistenza del popolo siberiano deportato e quasi sterminato dai comunisti. Sono apolitico, racconto solo quello che ho visto e vissuto, ma qualcuno che ancora sogna il comunismo nero mi preferirebbe morto. E se fossi rimasto al paese, già lo sarei. Ecco perché io, mia moglie e mia figlia di quattro anni dormiamo con il kalashnikov accanto al cuscino. *Il tatuatore, da noi, è una specie di sacerdote e conosce la vita di tutti, i segreti, le cose più profonde. *I Carabinieri sono molto preoccupati, e la mia famiglia di più. Su Facebook mi hanno scritto cose tremende, alcune assurde - un tizio che assicura di avere pagato sicari della mafia russa per eliminarmi - altre più credibili. *Uso le bacchette, come si fa in Siberia. La tradizione è fondamentale, tatuare è un rito. *La storia di un uomo si legge in senso circolare, cominciando dalle mani, come un antico geroglifico. La pelle parla. E non si deve mai chiedere a voce cosa c' è scritto, in Siberia è ritenuta un' offesa grave. Solo chi conosce il nostro alfabeto può saperlo, e sempre meno persone sono in grado di farlo perché anche da noi la tradizione si sta perdendo, tutto è minacciato dal consumismo, i ragazzi si rimbambiscono di videogiochi che invece andrebbero vietati per legge. *Mai studiato {{NDR|l'italiano}}, l'ho imparato a contatto con la gente, leggendo libri per bambini e guardando i cartoni animati. Ma ora riesco persino ad affrontare Dante. {{Int|Da ''[https://lespresso.it/c/idee/2009/12/28/il-coltello-e-la-penna/15875 Il coltello e la penna]''|''Lespresso.it'', 29 dicembre 2009.|h=4}} *Sono nato in Transnistria, un posto lontano dalla Siberia, la terra che da bambino ho imparato ad amare più di ogni cosa, perche mi insegnavano che quella era la mia vera Patria. Il fatto di avere un sentimento profondo per qualcosa che non ho mai visto mi ha spinto a creare un mondo tutto mio, nel quale la Siberia era il paese dei sogni. Un immenso tappeto dei boschi selvaggi e ricchi, fiumi larghi e potenti, uomini puri e giusti, che vivono nell'armonia con la natura, seguendo le antiche regole donate loro da Dio in persona. Quando all'età di dieci anni ho fatto il primo viaggio in Siberia, accompagnato da mio zio Vitalii, ho scoperto che creare mondi immaginari basati sui racconti degli adulti non rende felici. Il "magnifico bosco siberiano" era pieno di moscerini che ci mangiavano vivi, gli spazi erano talmente vasti che per raggiungere la casetta del fratello maggiore di mio nonno dovevamo attraversare quasi mille chilometri, muovendoci a nord della stazione più vicina della Transiberiana. I fiumi erano belli, ma l'acqua era gelida e faceva paura per come correva veloce. Abbiamo incontrato tanti cacciatori locali, la vera gente del posto, che si rivolgevano a noi da cinquanta metri di distanza, urlando poche frasi: non gli piaceva avvicinarsi di più agli sconosciuti, avevano un'idea dello spazio privato molto dilatata e questo loro spazio era troppo grande per me. Alla fine, quando siamo arrivati alla casa del nonno (noi in Russia chiamiamo tutti i vecchi della famiglia "nonni"), quello ci ha salutati e non ci ha nemmeno invitato ad entrare. Ci sono volute due notti - che abbiamo trascorso in una specie di magazzino della legna - perché si decidesse a farci entrare in casa sua. In quel momento ho capito che ogni essere umano, con ogni nuova esperienza della vita, è sempre costretto a cambiare qualcosa dentro se stesso. Abbandonare certe idee, rifiutare qualche piacere, imparare nuove cose, insomma, cercare di essere attivo e pronto per realizzarsi nella nuova realtà. Partendo dalla mia infanzia, dal mio viaggio in Siberia, ho dovuto adattarmi a tante situazioni diverse e, mio malgrado, spesso estreme. *Mi muovevo per l'Europa, fermandomi in luoghi dei quali avevo solo sentito vaghi racconti, e scoprivo che erano abitati da persone come me, gente semplice con le loro tradizioni e abitudini. Ho incontrato gente buona, persone oneste e semplici, ma ho avuto a che fare anche con la malvagità, con uomini distrutti dentro. In Olanda quando non sapevo dove dormire sono stato accolto da un gruppo di studenti; in Danimarca ho vissuto con due lesbiche, imparando a disegnare ritratti da una di loro; in Germania mi sono fidanzato con una nazista, una ragazza bellissima, che era fiera di essere nipote di un ufficiale delle SS e dalla quale sono dovuto scappare dopo qualche mese di convivenza. In Inghilterra la sera del mio arrivo sono finito in mezzo a una rissa: ne ho prese ma ne ho anche date. A un certo punto nella mischia è sbucato un coltello e io l'ho usato. Ma ho capito che dovevo andarmene immediatamente, per non sfidare il destino era meglio lasciare il regno della pioggia e degli hooligans. In Irlanda sono finito prima a Derry, poi più al nord, in un borgo dove c'erano solo un pub, uno spaccio, due magazzini di pesce e l'oceano freddo e agitato. Mi sono fidanzato con una ragazza del posto, e presto ho scoperto che nella sua famiglia c'era un'antica tradizione di resistenza al regime inglese: due cugini uccisi nel Bloody Sunday, un fratello maggiore morto in un carcere britannico perché era terrorista e ogni tanto sparava contro i militari nei posti di blocco; padre e madre con un passato turbolento nell'Ira, e nelle serate al pub mi ha insegnato a cantare "The rifles of the Ira". *Quando i miei amici mi hanno consigliato di cominciare a scrivere, ho preso quel suggerimento con impegno. Mi sono detto: "Se non avrò una fortuna, almeno mi divertirò". Così, per puro divertimento ho scritto "L'educazione siberiana". Per ricordare le cose passate, per rivivere momenti della mia infanzia, che io, nonostante la mia giovane età, spesso vedo molto lontana. Così oggi spesso sento che mi chiamano "lo scrittore". E sorrido, perché penso che nel gergo criminale russo si chiama così chi è molto abile con il coltello. Sorrido perché ormai sono lontano da quegli anni, da quel mondo, dal carcere e dalla guerra. Sorrido perché ho il mio impegno di scrivere per raccontare la vita che cambia attraverso mille storie. Qualche volta scrivo con la rabbia, altre addolcito dall'amore, qualche volta sono ipnotizzato dalla calma, un'altra agitato dal caos. Ma il risultato finale sono le parole che trasmettono a tante persone i miei sentimenti, ciò che vivo e i ricordi di quello che sono stato. ===2010=== {{Int|Da ''[https://ilmiolibro.kataweb.it/articolo/news/1065/nicolai-lilinla-guerra-di-un-cecchinocome-nessuno-ve-la-racconta/ Nicolai Lilin. La guerra di un cecchino come nessuno ve la racconta]''|Intervista di [[Fiammetta Cucurnia]], ''ilmiolibro.kataweb.it'', 23 aprile 2010.|h=4}} *{{NDR|Su ''Caduta libera''}} Ho cambiato nomi, riferimenti ai battaglioni e ai luoghi, ma in quelle pagine c'è solo ciò che ho vissuto. Ho scritto quello che più mi ha colpito, concentrandolo nel racconto. E mi hanno colpito cose molto brutte. *Io, quando sono arrivato a un tot di vittime, mi sono fermato: non voglio più sapere quanti obiettivi colpiti ho sulla coscienza. Non voglio che questa cosa mi domini, e diventi un azzardo. Sapevo di essere un professionista, magari non geniale, comunque di buon livello. Ma non uccidevo per collezionare vittime. Volevo fare bene il mio lavoro. Proteggevo al meglio la vita mia e dei miei compagni. E ne avevo in cambio il loro rispetto. *Non stiamo parlando di sniper, quelli che in Bosnia colpivano i civili, nelle case, in città. Io non l’ho mai fatto. Non mi è nemmeno mai capitato: io andavo in prima linea e cercavo di eliminare il nemico che stava per ucciderci. *Per noi i nemici erano tutti arabi. Il che non significa che lo fossero davvero. Magari erano afgani, o cinesi, o del Baltico. O, forse, ceceni. C’era un reparto della marina che chiamava i nemici ''Teletubbies''. E lo scriveva perfino nei rapporti. Il fatto è che nella prima guerra, i ceceni si battevano per l’indipendenza. Nella seconda guerra le cose erano diverse. Caos. Nessuno pensava più al motivo per cui ci trovavamo lì. C’erano perfino formazioni militari composte da soli ceceni che combattevano dalla nostra parte, il famoso battaglione Est, usato contro il terrorismo. E poi, i mercenari. Di tutti i tipi, arabi, cinesi, somali, dall’Europa dell’Est. Quando c’è una guerra, questa gente, seguendo propri canali ormai rodati, si raduna. Alcuni, come gli afgani, erano ignoranti. Altri, erano superpreparati e superarmati, come gli arabi. Professionisti capaci, con formazione militare di stampo americano. Parlare con i prigionieri era proibito, ma qualche volta mi è capitato... *Il capitano Nosov veniva dall’Afghanistan, da troppi anni aveva conosciuto solo guerra. Io lo ringrazierò sempre, perché gli devo la vita. Ma non era più un civile. E tollerava come naturali tutte le violenze della guerra, anche quelle del nemico. {{Int|Da ''[https://web.archive.org/web/20100609092737/http://www.nicolaililin.com/?p&#61201 La pace è una bugia che vogliamo sentirci dire]''|Intervista di Francesca Fradelloni, ''nicolaililin.com'', 10 maggio 2010.|h=4}} *[[Anna Stepanovna Politkovskaja|Anna Politkovskaja]] è un caso. La Russia non è mai andata contro corrente. È un Paese degradato, invivibile, antidemocratico. E la colpa non è di Putin. La responsabilità è di noi russi. Non siamo abituati a vivere liberi, siamo contenti se c'è chi decide per noi, non ci curiamo della corruzione dei potenti perché se potessimo faremmo lo stesso. I russi proteggono questa oligarchia organizzata. *Non sono un pacifista, non credo nella pace, non esiste. Se ti guardi intorno vedi solo conflitti e ingiustizie. Non parlatemi di pace, ho raccolto pezzi di ragazzi da terra, non parlate di pace al palestinese a cui hanno fatto saltare la casa con i suoi figli dentro o alla donna afgana. Dopo la seconda guerra siamo entrati a far parte di una battaglia continua e globale. La parola pace è uno straccio. *È criminale uno Stato che non è capace di difendere i cittadini. Siamo criminali noi cittadini quando sosteniamo un sistema che non tutela più i più deboli. {{Int|Da ''[https://storiedikatia.blogspot.com/2010/06/nicolai-lilin-una-scrittura-al-di-la.html Nicolai Lilin, al di là del bene e del male]''|Intervista di Katia Ippaso, ''storiedikatia.blogspot.com'', 4 giugno 2010.|h=4}} *Quando mio zio è andato in galera, sono andato a casa sua che era piena di libri. In realtà cercavo libri di storia, invece ho incontrato i romanzi di Bulgakov. In una notte ho letto Il maestro e Margherita... avevo dieci anni. Ecco, da allora ogni anno rileggo ritualmente tutte le opere di Bulgakov. Da quattro anni le rileggo in italiano. E’ un modo per conoscere le sfumature e il pensiero che c’è dietro la lingua italiana. Sono anche un appassionato di Dante Alighieri. Quando ho mal di testa, metto sù un disco d’opera lirica (in genere il Don Giovanni o Il barbiere di Siviglia) poi smonto le armi e mi metto sulla poltrona a leggere Dante. *Io rispetto solo le persone oneste. Se poi queste persone sono etero, gay, donne, uomini, fascisti, comunisti, non importa. La cosa che conta è che abbiano rispetto di se stessi e degli altri. *Io non credo che esistano il bene e il male: sono stati inventati per spaventare la gente. Come esseri umani abbiamo tutti i sentimenti dentro di noi e scegliamo ogni volta la possibilità del bene e del male. Anche il nazista più efferato magari prima di compiere un’atrocità ha accarezzato un bambino o fatto l’amore. *Non avrei mai pensato di arrivare in Italia, anche perché nella mia fantasia l’Italia era un paese d’arte e bellezza, ed io che ero sporco e ignorante non avrei mai potuto viverci…Ci sono arrivato nel 2003, per raggiungere mia madre che, come tutte le madri russe (e come ogni madre meridionale) si era inventata una malattia solo per vedermi. A quel punto ho capito che questa sarebbe stata la mia terra. Ho costruito la mia casa mattone per mattone. Mi sono sposato. Ho fatto una figlia. Sono cittadino italiano. Se scoppia una guerra, andò a morire per questo paese. E’ l’unico posto in cui mi sento a casa. Credo che l’Italia e gli italiani mi abbiano dato quello che non mi aveva mai dato nessuno finora, nemmeno la mia famiglia. *Ho un editor che lavora sulla correzione grammaticale. Vede, io racconto le storie come se la raccontassi ad un mio caro amico. Le scrivo senza fermarmi, senza rispettare le strutture sintattiche e grammaticali (non ho mai frequentato non solo la scuola, ma neanche la scuola Holden, che fra l’altro continua a snobbarmi). Quando ho finito di scrivere la storia che ho in mente, non rileggo neanche una pagina e spedisco tutto in casa editrice. *Io vivo una vita abbastanza tranquilla rispetto a molte altre, ma ho il sostegno dell’esercito e dei carabinieri. Giro con la mia pistola . E a casa ho delle armi. Ma non è vero, come hanno scritto, che dormo con la pistola. Io dormo con mia figlia. Preferisco comunque non approfondire la questione. *{{NDR|«Scatenando un certo clamore (silenzioso), lei è andato di recente a fare una visita a Casa Pound. Che impressione ne ha ricavato?»}} Sono stato molto criticato per questo mio gesto, sia dal mio editore che da mia moglie... Io cerco sempre di capire l’altro. Mi considero apolitico (semplicemente perché in quanto scrittore non reputo di dovermi occupare di politica), ma naturalmente ho le mie idee sull’Italia e la politica. Non riesco a capire perché qualcuno mi abbia dato del fascista. Sono andato dieci volte in centri sociali, nove volte erano centri sociali di sinistra e nessuno ha detto niente. L’ultima volta sono andato a Casa Pound e la cosa è stata giudicata scandalosa... Ho ascoltato i loro discorsi e mi è sembrato che esprimessero bisogni simili a quelli di tanti ragazzi di sinistra. {{Int|Da ''[https://www.dn.pt/arquivo/diario-de-noticias/o-adeus-as-armas-de-nicolai-lilin-escritor.html O adeus às armas de Nicolai Lilin escritor]''|Intervista di ''dn.pt'', 22 giugno 2010.|h=4}} *Non mi piace che la gente sia troppo gentile, non ci credo. :''Não gosto de demasiada bondade nas pessoas, não acredito nisso.'' *La storia di mio nonno e di questi uomini e donne espulsi dalla loro terra non è una storia finita, è una lezione di vita che mi accompagna. Il passato non è qualcosa da buttare via, è lì che troviamo l'essenza di ciò che siamo oggi. :''A história do meu avô e destes homens e mulheres expulsos da sua terra não é uma história acabada, é uma lição de vida, que permanece em mim. O passado não é uma coisa para deitar fora, é lá que vamos buscar o essencial do que somos hoje.'' *{{NDR|Su ''[[Educazione siberiana (romanzo)|Educazione siberiana]]''}} È la mia storia, non ho inventato niente, non so inventare. Il mio libro ha avuto successo, ma questo non fa di me uno scrittore. :''É a minha história, não inventei nada, não sei inventar. O meu livro teve sucesso, mas isso não faz de mim um escritor.'' {{Int|Da ''[https://www.publico.pt/2010/06/23/culturaipsilon/noticia/o-sobrevivente-da-gomorra-siberiana-259651 O sobrevivente da Gomorra siberiana]''|Intervista di Raquel Ribeiro, ''publico.pt'', 23 giugno 2010.|h=4}} *{{NDR|Su ''[[Educazione siberiana (romanzo)|Educazione siberiana]]''}} È un romanzo basato su eventi reali, sulle mie esperienze personali e su quelle degli amici. Né è un libro di attualità o sulla mafia. Non denuncio nulla, uso semplicemente i miei ricordi per raccontare agli amici, in modo ironico o persino molto violento, com'è stato crescere in questa situazione. :''É um romance baseado em factos reais, nas minhas experiências pessoais e nas experiências de amigos. Também não é um livro sobre a actualidade, ou sobre a máfia. Não denuncio nada, apenas uso as minhas memórias para contar aos meus amigos, de maneira irónica ou até mesmo muito violenta, como foi crescer nesta situação.'' *Gli Urca non rispettano il denaro né i potenti; combattono solo per la libertà. Sono estremamente violenti. La violenza è nel loro sangue. Provenivano da una comunità di cacciatori in Siberia e per loro uccidere una persona è come fumare una sigaretta. Ma non ucciderebbero mai qualcuno senza una vera ragione. Lo capisco quando parlo con loro. Questi codici morali erano molto importanti perché riflettevano i loro valori: rispettavano solo le persone, non i potenti; rispettavano solo la libertà. Non commettevano mai un crimine contro una singola persona, ma contro lo Stato. E non diranno mai di commettere crimini, ma di essere resistenza politica. Queste persone cercavano di sopravvivere lottando contro il comunismo, commettendo crimini contro il sistema. Rapinando banche, ad esempio, perché nell'Unione Sovietica le banche erano di proprietà dello Stato. :''Os Urcas não respeitam o dinheiro nem os poderosos, lutam apenas pela liberdade. São de uma violência extrema. A violência têm-na no sangue. Vinham de uma comunidade de caçadores da Sibéria e, para eles, matar uma pessoa é como fumar um cigarro. Mas nunca matariam alguém sem que tivessem um verdadeiro motivo. Percebo-o quando falo com eles. Estes códigos morais eram muito importantes porque reflectem os seus valores: respeitam apenas as pessoas, não os poderosos, respeitam apenas a liberdade. Nunca cometem um crime contra uma pessoa só, mas contra o Estado. E nunca dirão que cometem crimes, mas que fazem resistência política. Estas pessoas tentavam sobreviver lutando contra o comunismo, cometendo crimes contra o sistema. Roubando bancos, por exemplo, porque na União Soviética os bancos eram propriedade do Estado.'' *Il sogno americano ha distrutto tutto. E, in fondo, è una bugia: non è possibile costruire il sogno americano in Russia. La gente dice: il capitalismo sta finalmente arrivando. Ma non è vero, perché non viviamo in un sistema democratico, il capitalismo ha bisogno di una base democratica per essere equo. Qui non c'è capitalismo, c'è un nuovo feudalesimo, come volete chiamarlo. È un feudalesimo con nuove tecnologie. :''O sonho americano destruiu tudo. E, no fundo, é uma mentira: não é possível construir o sonho americano na Rússia. As pessoas dizem: finalmente vem o capitalismo. Mas não é verdade, porque não vivemos num sistema democrático, o capitalismo precisa de uma base democrática para ser justo. Aqui não há capitalismo, há um novo feudalismo, como lhe quiser chamar. É um feudalismo com novas tecnologias.'' *{{NDR|Sulla [[guerra di Transnistria]]}} Mi resi conto subito che nel mio Paese la guerra era stata organizzata per creare opportunità per le forze russe di entrare e controllare il Paese, perché non volevano perdere il controllo del territorio. I veri nemici non erano i moldavi, ma i russi, perché avevano organizzato questa guerra e avevano preso il controllo del territorio. :''Rapidamente percebi que, no meu país, a guerra era organizada para criar possibilidades de as forças russas entrarem e controlarem o país, porque não queriam perder o controlo do território. Os verdadeiros inimigos não eram os moldavos, mas os russos porque eles organizaram esta guerra e vieram controlar a terra.'' *Non ho mai partecipato ai crimini, né ho fatto parte di una società criminale. :''Nunca participei nos crimes, nem pertenci a uma sociedade criminal.'' {{Int|Da ''[https://ilnichilista.wordpress.com/2010/08/08/lilin-il-vero-nemico-siamo-noi-stessi/ Lilin: "Il vero nemico siamo noi stessi"]''|Intervista di Fabio Chiusi, ''ilnichilista.wordpress.com'', 8 agosto 2010.|h=4}} *In qualche modo ho sconfitto l’odio ideologico contro tutta la comunità islamica che veniva imposta dall’esercito. È così che ho capito che da parte islamica non c’era alcuna ideologia: quelli con cui abbiamo combattuto erano tutti mercenari. Al punto di barattare la possibilità di uscire dalle montagne in cui erano asserragliati in cambio di loro stessi camerati. Per me tradire un camerata russo con cui ho fatto spalla a spalla anni di guerra equivale al suicidio. Per loro invece era normale, perché credevano solo nel denaro. *Io portavo l’uniforme militare anche dopo il congedo per distinguermi dai tanti giovani che volevano vivere il sogno americano, consumare a ogni costo, senza rendersi conto che non significa nulla. Per me portare vestiti civili era sporcarmi il corpo. *Nosov, come mio nonno durante l’infanzia, rimane ancora oggi un riferimento importantissimo, anche se è caduto: era un militare di grandissimo valore, grazie al quale siamo sopravvissuti noi stupidi ragazzi di 18 anni. Per noi rappresentava una saggezza totale. E poi ci ha trasmesso uno spirito di cameratismo unico, indispensabile. [...] Nosov era nostro padre, la nostra famiglia. Lui stesso rifiutava la sua famiglia. *Il carcere, forse perché avevo 12 anni o perché ero ben protetto, l’ho accettato come parte del gioco. Quindi non l’ho patito tanto, anche perché non ho subito abusi. Quello che mi ha spaventato è stato scoprire quanto violento, stupido e brutale può essere un uomo, soprattutto con se stesso – perché per me un adulto che violenta un ragazzino fa innanzitutto un crimine contro la sua stessa anima, si cancella dagli occhi di Dio per sempre. *La guerra per me è stato il primo confronto con la vita reale. È lì che ho iniziato a interessarmi di politica. Prima mi limitavo a fidarmi di mio nonno: «Chi fa politica è maledetto da Dio». Quando poi l’esperienza è finita è stato difficile tornare al punto di partenza, perché ormai ero un’altra persona, vedevo il mondo con occhi diversi. *{{NDR|«Hai ricevuto anche minacce di morte?»}} Sì, ma ricevo anche un grande sostegno dei servizi di sicurezza italiani. E poi non riusciranno a impaurirmi, perché per me è un discorso di dignità, aprire gli occhi ai miei concittadini italiani su ciò che accade nei paesi dell’Est e sulla minaccia che da lì potrebbe provenire per l’Italia. Bisogna essere pronti anche moralmente di fronte a queste situazioni, imparare a non sottovalutarle. {{Int|Da ''[https://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2010/08/12/la-guerra-infinita-di-nicolai-lilin.fi_006la.html La guerra infinita di Nicolai Lilin]''|Intervista di Fulvio Paloscia, ''La Repubblica'', 12 agosto 2010.|h=4}} *In guerra mi facevano più impressione i vivi dei morti. [...] La guerra ti fa accettare tutto, si pensa solo a non pensare, a far sopravvivere il corpo senza valutare cosa accadrà domani. La società in cui vivo si comporta nello stesso modo, senza l'attenuante del conflitto. Mi sembrano zombie. Allora meglio morti del tutto, che morti viventi. *Io non vivo la pace, non so cosa sia. Sono sempre in guerra, dietro ogni cosa che mi circonda vedo il tentativo di gente disonesta che vuole sfruttare e sottomettere il prossimo *L'eroismo è un gesto normalissimo che, nella società di oggi, diventa rivendicazione estrema dell'esistere. Sono eroi i lavoratori che cercano di sfamare le loro famiglie senza tutele del governo, il napoletano che non cade negli artigli della camorra ma sceglie la fatica dell'onestà. La donna che cresce un figlio da sola. *Uno stato, la politica non possono imporre una morale. La morale comune non è un sistema stabilito dai potenti, ma nasce dal contributo dato da ogni singolo uomo. Per questo non esiste più. *Il pentimento c'è se uccido una persona investendola con l'auto perché sono ubriaco, i miei genitori mi coprono e io mi sento in colpa. Da cecchino, dovevo assolvere ai miei compiti. Liquidare terroristi internazionali, i mercenari. Era la morte dei civili ad addolorarmi. Ma io non ho mai colpito civili. *Ho paura della pace che oggi abbiamoa condizioni più pesanti della guerra. Sarebbe tutto più facile se ci ammazzassimo tra di noi e ricominciassimo da zero. La nostra pace ci costa molta più vita e risorse di qualsiasi guerra che sia mai stata fatta. {{Int|Da ''[https://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2010/09/07/quella-verita-dietro-la-guerra-che-non.html Quella verità dietro la guerra che non si riesce a comprendere]''|''La Repubblica'', 12 agosto 2010.|h=4}} *Trattando il tema della guerra di solito siamo abituati a difendere una delle parti partecipanti. [...] Questa forma di visione della guerra ci porta lontano dalla realtà, ci rende deboli davanti ai numerosi tentativi di strumentalizzazione e ci lascia senza un approccio vero e cosciente con il resto del mondo, con la storia. *Mi ricordo, fin dai tempi dell'Unione Sovietica, la macchina della propaganda comunista, i libri di storia, i film che raccontavano le eroiche imprese dell'Armata Rossa sui fronti della Seconda Guerra Mondiale, lo spirito d'acciaio e la convinzione di essere dalla parte giusta, che apparteneva alla maggior parte dei cittadini lobotomizzati e il confronto con i racconti di mio nonno Nicolai, che la guerra l'aveva fatta a piedi da Stalingrado fino a Berlino, racconti strappati nei momenti di riflessione, condivisi per la necessità di liberare qualche fantasma del passato, pieni di contraddizioni e drammaticità, ma anche di semplici e pure osservazioni di un uomo che aveva vissuto oltre la follia e non aveva più nessun interesse ideologico. Nei racconti di mio nonno i nazisti non apparivano come demoni arrivati dall'inferno, ma come semplici uomini, soldati costretti a combattere per i potenti del loro paese, con i quali spesso si poteva anche fare uno scambio di cibo, e verso i quali si provava un senso di pena, anche se erano dalla parte del nemico. *Quando la guerra in Cecenia era finita, non sono mancate le solite speculazioni e strumentalizzazioni cresciute attorno a quell'evento triste e drammatico, distruggendo le società coinvolte nel conflitto come il cancro che distrugge una vita. Si parlava molto sulle questioni fasulle, inventate per distogliere l'attenzione dell'opinione pubblica dai veri problemi. Ho visto eroi inventati al momento e i loro avversari, altrettanto frutto di fantasie, mandare avanti un teatrino geopolitico conveniente per molti potenti della situazione. Pochi si sono interessati alla verità, perché non era cosi bella e comoda, non era facile da digerire, non portava profitti. {{Int|Da ''[https://web.archive.org/web/20100906092215/http://www.lemonde.fr/idees/article/2010/09/03/nicolai-lilin-les-russes-ont-un-probleme-avec-la-liberte_1406335_3232.html Nicolaï Lilin : "Les Russes ont un problème avec la liberté"]''|Intervista di Josyane Savigneau, ''Lemonde.fr'', 3 settembre 2010.|h=4}} *{{NDR|«Chi sono gli urca?»}}<br>Non lo so esattamente. Mio nonno mi ha detto che era una nazione, sono nato in Transnistria. Sono cresciuto tra queste persone che furono esiliate durante il periodo stalinista, dalla Siberia alla Transnistria. Ho provato a ricreare tutto questo, ma non so se è tutto vero, perché non sono riuscito a trovare un archivio. "Urca" è quasi un insulto oggi in Russia, significa subito criminale comune, di bassa classe. :''{{NDR|«Qui sont les Urkas ?»}}''<br>''Je ne le sais pas exactement. Mon grand-père me disait que c'était une nation, je suis né en Transnistrie. J'ai grandi parmi ces gens qui ont été exilés pendant la période stalinienne, de Sibérie en Transnistrie. J'ai essayé de recréer tout cela, mais je ne sais pas si tout est vrai, car je n'ai pas trouvé d'archives. "Urkas" est presque une insulte aujourd'hui en Russie, cela signifie immédiatement criminel de droit commun, de bas étage.'' *{{NDR|«Perché hai scritto in italiano, rifiutando la tua lingua madre?»}}<br>[...] ho deciso di scrivere in italiano, perché amo l'Italia, la sua cultura, da ora in poi è il mio Paese. Non credo che avrei potuto spiegare certe cose in russo. In italiano mi sento più libero. Ed è la lingua in cui sogno, quindi sono italiano. :''{{NDR|«Pourquoi avoir écrit en italien ? Par refus de votre langue maternelle ?»}}''<br>[...]''j'ai décidé d'écrire en italien, parce que j'aime l'Italie, sa culture, c'est mon pays désormais. Je crois que je n'aurais pas pu expliquer certaines choses en russe. En italien, je me sens plus libre. Et c'est la langue dans laquelle je rêve, donc je suis italien.'' *Le persone di cui parlo erano anche combattenti della resistenza politica, a loro non piaceva il comunismo e ne hanno pagato il prezzo. Mio nonno è stato ucciso da un agente del KGB, anche uno dei miei zii. Certamente erano delinquenti. Ad esempio, hanno rapinato una banca. Ma mai crimini contro le persone. :''Les gens dont je parle étaient aussi des résistants politiques, ils n'aimaient pas le communisme et ils en ont payé le prix. Mon grand-père a été tué par un agent du KGB, un de mes oncles aussi. Certes, ils ont été délinquants. Par exemple, ils ont braqué une banque. Mais jamais des crimes contre des personnes.'' *Sono stato condannato una volta, a 12 anni, a un anno e mezzo di prigione, ma ci sono rimasto solo nove mesi. Era un centro per minori dai 12 ai 17 anni. Sì, è stato difficile. Ma questa è un'altra cosa banale. A quel tempo, in Transnistria, tutti andavano in prigione. :''J'ai été condamné une fois, à 12 ans, à un an et demi de prison, mais je ne suis resté que neuf mois. C'était un centre pour mineurs âgé de 12 à 17 ans. Oui, c'était dur. Mais voilà encore une chose banale. A cette époque, en Transnistrie, tout le monde allait en prison.'' *Non parlo delle ragazze {{NDR|in ''Educazione siberiana''}} ma non parlo nemmeno della scuola. Ciò non significa che non esistesse, ma non era il mio argomento. E ho scritto ciò che mi è rimasto nella memoria. Non c'erano ragazze, litigavamo tra di noi e pensavamo che se ci fossero state ragazze sarebbe stato ancora peggio, avrebbero seminato discordia. :''Je ne parle pas des filles mais je ne parle pas non plus de l'école. Cela ne signifie pas que tout cela n'existait pas, mais ce n'était pas mon sujet. Et j'ai écrit ce qui était resté dans ma mémoire. Il n'y avait pas de filles, on se battait entre nous et on pensait que s'il y avait des filles, ce serait encore pire, elles sèmeraient la zizanie.'' *{{NDR|«Come vedi la Russia oggi?»}}<br>Come un grande paese. Tuttavia, non credo che il problema principale della Russia fosse il comunismo. Il problema della Russia è la mentalità delle persone, è la Russia stessa. La Russia è sempre stata un Paese problematico, difficile da governare, qualunque sia il governo. La corruzione c'è sempre stata. I russi sono molto egoisti.<br>Anche oggi ci sono schiavi in ​​questo paese. I russi hanno, nella loro mente, un problema con la libertà. La società post-comunista produce gente ricca, come si vede qui in Francia, ma è una percentuale minima. E alcuni sono criminali. Gli uomini d’affari, gli oligarchi, sono una vera preoccupazione in questa nuova società. :''{{NDR|«Comment voyez-vous la Russie aujourd'hui ?»}}''<br>''Comme un grand pays. Toutefois, je ne crois pas que le grand problème de la Russie ait été le communisme. Le problème de la Russie c'est la mentalité des gens, c'est la Russie. La Russie a toujours été un pays à problèmes, difficile à gouverner. Quel que soit le gouvernement. La corruption a toujours été là. Les Russes sont très égoïstes.<br>Encore aujourd'hui, il y a des esclaves dans ce pays. Les Russes ont, dans leur tête, un problème avec la liberté. La société postcommuniste produit des riches, que vous voyez ici, en France, mais c'est un pourcentage minime. Et certains sont des criminels. Les hommes d'affaires, les oligarques, sont un réel souci dans cette nouvelle société.'' {{Int|Da ''[https://www.milanonera.com/interviste-nicolai-lilin/ Intervista a Nicolai Lilin]''|Intervista di Francesca Colletti, ''Milanonera.com'', 20 settembre 2010.|h=4}} *{{NDR|Su ''Caduta libera''}} Volevo raccontare come ci si sente a vivere una guerra, a fare la guerra, a subirla, a studiarla, a goderla, insomma a provare tutte le emozioni che ogni essere umano prova stando nel bel mezzo di un conflitto armato. Ero molto deluso da come nel nostro mondo viene presentata e raccontata la guerra; a volte attraverso il velo di ideologie, interessi, strumentalizzazioni, e alla fine viene vista dalla gente sempre come qualcosa di grottesco, al di fuori della società umana, un evento che molti credono essere creato e mandato avanti da qualche forza estranea a noi, lontana dalla visione abitudinaria dell’etica e della morale. Invece bisogna capire che la guerra è necessariamente organizzata e fatta da uomini in carne e ossa, umani come tutti gli altri. *Non sono mai stato sulla scena del [[Prima guerra cecena|primo conflitto Ceceno]], ma è stato un conflitto molto contraddittorio, studiato a tavolino da imprenditori, oligarchi e politici corrotti e pieno di intrighi, corruzioni, interessi economici che andavano al di là di quelli politici, territoriali, religiosi o nazionali. Molti militari che ho conosciuto, che avevano partecipato al primo conflitto, lo chiamavano “il teatrino”. *{{NDR|Sulla [[seconda guerra cecena]]}} Il secondo conflitto è stato un fulmine senza pietà scaricato sul terrorismo islamico internazionale. Siamo entrati ufficialmente in guerra alla fine di agosto nel territorio occupato dalle formazioni terroristiche e l’abbiamo preso sotto controllo totale a dicembre, liberando una difficile regione che si estende tra le montagne del Caucaso. A quel punto gli scontri diretti sono finiti e il nostro lavoro era limitato ad operazioni preventive e di routine di mantenimento dell’ordine e legalità della Federazione Russa sul territorio. *[[Anna Stepanovna Politkovskaja|Politkovskaya]], pace all’anima sua, era una brava giornalista, ma tendeva ad imputare troppe colpe alle persone che non meritano di portare tutto il peso della guerra sulle loro spalle. *I militari sono esseri umani che fanno il loro duro e ingrato lavoro, vivendo situazioni estreme, nelle quali spesso il cervello umano cede, e a quel punto chiunque, anche il più devoto moralista e pacifista, diventa capace di compiere le atrocità più incomprensibili che esistano. *In guerra, nelle situazioni estreme, l’animo umano passa attraverso una sorta di purificazione, impara ad essere vero e semplice, per questo noi veterani abbiamo problemi a convivere con il mondo per il quale abbiamo sacrificato i nostri anni migliori, le nostre forze e molti di noi anche le proprie vite. *Trovo che sarebbe più onesto se gli umani di oggi facessero finta che la guerra non esistesse, la ignorassero completamente, continuando tranquillamente a divertirsi, a godere dei diritti, a studiare e a lavorare, anziché partecipare alle manifestazioni inutili a sostegno della cosiddetta "pace" – termine che ha perso senso oggi, nella situazione attuale in cui si trova il mondo. *Io ho partecipato all’operazione antiterroristica e perciò combattevo contro i terroristi islamici. Per me una persona nel momento esatto in cui diventa terrorista perde ogni possibilità di essere trattato come un essere umano, non ha appartenenze razziali o religiose, lui è un nemico pericoloso e deve essere liquidato fisicamente il più presto possibile. Mio nonno, che ha fatto la seconda guerra mondiale ed era un cacciatore siberiano con una grande esperienza, una volta parlando con me del fatto di uccidere, ha detto: "Se ti capita di uccidere un essere umano, fai attenzione a non diventare dipendente, perché la caccia all’uomo è tra le più belle che esistano". *Non lo nego, ho lavorato nelle agenzie di sicurezza privata per qualche anno, perché a diciotto anni ho imparato fare il mestiere di soldato e non avevo tante alternative nel mondo civile, che una volta tornato dalla guerra mi ha chiuso in faccia tutte le porte. Spesso il lavoro di contractor viene molto malvisto nella società pacifica, per me sono persone che fanno un impegno utile e legale, non mi sento di parlarne male. *{{NDR|Su ''[[Educazione siberiana (film)|Educazione siberiana]]''}} Sì, ho partecipato alla scrittura della sceneggiatura, ma non l’abbiamo ancora finita. Io sono molto tranquillo per il destino del mio film, perché è nelle mani di Gabriele Salvatores e della casa produttice Cattleya, persone sensibili e cari amici, con i quali abbiamo stabilito un bel modo di lavorare. Credo che sarà un bel film, fedele alla storia originale. {{Int|Da ''[https://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2010/10/20/inizio-di-un-periodo-caldo.html È l'inizio di un periodo caldo, il Paese è pronto ad esplodere]''|Intervista di Pietro Del Re, ''La Repubblica'', 20 ottobre 2010.|h=4}} *{{NDR|Sull'[[attentato al parlamento ceceno del 2010]]}} Non so se quanto accaduto a Grozny sia un vile atto di terrorismo o piuttosto una valorosa operazione della resistenza antirussa [...]. Ma di una cosa sono certo: l'attacco al Parlamento è la prova della disperazione dei ceceni e l'inizio di una nuova fase di caos. *{{NDR|Sulla [[Cecenia]]}} Diciamo che la sfortuna di quella terra è il suo valore geopolitico, quindi economico e strategico, sia per il passaggio degli oleodotti sia perché rappresenta un punto di frattura tra Islam e mondo cristiano. La Cecenia è perciò ambita da tutte le nazioni potenti che la circondano. In primo luogo, dalla Russia. *[...] da generazioni i ceceni nascono in guerra, ricevono un'educazione di guerra e muoiono in guerra. Ciò ha reso quel popolo disabituato al vivere civile e democratico. Oggi, come già otto secoli fa, i ceceni sono governati con metodi disumani, con la guerra e con il terrore. *Chi crede che [[Ramzan Kadyrov|Kadyrov]] abbia raggiunto la pace si sbaglia. I ceceni sono stanchi di essere oppressi dai russi tramite quel fantoccio. Pochi mesi fa, una decina persone imbottite di esplosivo s'è fatta saltare in aria nella casa natale di Kadyrov, per manifestare l'odio contro di lui. Quello che sta accadendo adesso mi ricorda una fase di pre-conflitto. {{Int|Da ''[https://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2010/10/21/favoreuna-legge-necessaria.html A favore/Una legge è necessaria]''|''La Repubblica'', 21 ottobre 2010.|h=4}} *{{NDR|Sul [[negazionismo dell'Olocausto]]}} Negare l'esistenza dell'Olocausto è un crimine, così come lo è stato lo stesso sterminio. Chi cerca di nascondere la storia delle vite umane perse nelle barbarie dei regimi totalitari, non fa nient'altro che uccidere per la seconda volta. Non possiamo permettere queste offese contro la storia, contro la memoria, contro la dignità delle persone morte, persone che non potranno mai rispondere, usate come monete di scambio gettate con disprezzo sul bancone della politica. *Con grande tristezza ricordo come in Unione Sovietica si taceva sui crimini che accadevano nei Gulag, dove i boia del comunismo totalitario, proprio come i loro rivali nazisti, eliminavano un'intera classe sociale, politica, culturale ed intellettuale, semplicemente perché non abbracciava le idee del partito. La negazione di ogni crimine contro la libertà di ogni essere umano è nient'altro che la morte della democrazia, l'uccisione del pensiero libero, della cultura. *Negando la Shoah diamo la possibilità a futuri tiranni, speculatori della politica e della propaganda, di avere potere sulla nostra libertà e di privare della speranza del domani le generazioni future. Oggi noi dobbiamo essere forti e decisi, dobbiamo fermare chi impugna le armi dell'infamia e dell'inganno e sostenere la legge contro il negazionismo. {{Int|Da ''[https://web.archive.org/web/20110821165808/http://www.nicolaililin.com/?p&#61465 Se vuoi la pace comprendi la guerra]''|Intervista di Marco Crosetto per Wu Magazine, ''nicolaililin.com'', novembre 2010.|h=4}} *Mio nonno mi raccontava una storia secondo cui i lupi siberiani a volte cadevano in momenti di pazzia collettiva. Per assenza di cibo o per ingrandimento eccessivo del branco, gli animali cominciavano a uccidere i propri genitori e fratelli. A quel punto arrivava un lupo dagli occhi verdi che, guardando il branco, riusciva a far tornare la ragione. Credo che anche tra gli uomini succeda la stessa cosa, e [[Roberto Saviano|Roberto]] è come il lupo della favola di mio nonno. Ti aiuta a non impazzire, per ragionare sulla direzione giusta della vita. Io rispetto il suo impegno. Però tra me e Saviano esiste una grande differenza: lui denuncia l’attualità, io invece scrivo romanzi basati sulle mie memorie personali. *In Cecenia, mi capitava spesso di dividere l’ultimo pacchetto di razione con i civili in fuga. Per noi era normale. *Non ho commesso atti criminali, non ho ucciso nessuno per capriccio o per interesse personale. Ero un cecchino di un’unità operativa e le azioni che intraprendevo non erano riconducibili alla semplice voglia di sopravvivere. Noi contribuivamo alla protezione della società dal terrorismo islamico. Ti sbagli se pensi che per due anni tra montagne e città occupate da mercenari e terroristi agivamo spinti solo dalla voglia di sopravvivere. Ognuno di noi credeva in quello che faceva. Non è stato semplice, perché sapevamo che la guerra era sporca e piena di contrarietà, che c’erano in ballo interessi economici e comandanti corrotti. Ma allo stesso tempo sapevamo che dietro tutto c’era una società pacifica fatta di persone. *Accusare me e i miei libri di assenza di verità, per il solo fatto che si tratta di romanzi, è assolutamente inutile. Ho scritto una storia usando come base narrativa le mie esperienze, e trovo che sia molto maleducato chiedermi di precisare cosa c’è di vero e cosa no. *[...] molti russi, ucraini, moldavi, rumeni e persone dell’est mi sostengono e mi ringraziano per aver scritto storie che, nei paesi dell’ex bocci sovietico, solitamente non si raccontano. {{Int|Da ''[https://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2010/11/09/giornalisti-massacrati-nel-silenzio-della-russia.html I giornalisti massacrati nel silenzio della Russia - Il regime colpisce i giornalisti ma i russi guardano altrove]''|''La Repubblica'', 9 novembre 2010.|h=4}} *{{NDR|Su [[Oleg Kašin]]}} A Mosca un altro giornalista è caduto vittima del potere politico corrotto e repressivo, a causa della sua devozione per la giustizia e libertà, per le sue idee moderate e democratiche. Altro sangue, altra rabbia, un'altra giovane vita frantumata, consumata dall'ignoranza e dalla mancanza del coraggio dell'opinione pubblica russa, che purtroppo con sempre maggiore evidenza si trasforma nella folla obbediente ed esaltata davanti agli spettacoli offerti in abbondanza dall'attuale regime politico corrotto e repressivo, che mette in evidenza sempre di più la sua terribile matrice dittatoriale, formata nei tempi della tirannia sovietica. Manca solo che riprendano le esecuzioni sulle piazze, così amate dai cittadini nei tempi passati. *Quando mi è giunta la notizia dell'aggressione che Oleg Kashin ha ha subìto sotto casa, della brutalità e cattiveria con cui è stato assalito, mi sono sentito un'altra volta indignato, offeso, umiliato. Proprio così come mi ero sentito quando, quasi dieci anni fa, nella sua redazione a Mosca è saltato in aria, colpito da un pacco-bomba, il giovane giornalista Dimitri Holodov, che stava conducendo un'inchiesta sulla corruzione del governo. O come quando è stata assassinata nell'ascensore di casa sua Anna Politkovskaja, per le sue indagini che riguardavano la corruzione nell'esercito russo e gli abusi sui civili nell'operazione antiterroristica in Cecenia. *Questa triste e terribile lista di morti nel nome della verità e libertà della parola può continuare ancora a lungo, perché sono molti i casi di giornalisti assassinati, minacciati, perseguitati dal regime condotto dai personaggi che risalgono ai vertici dei servizi segreti dei tempi dell'Urss. In questo delirio di prepotenza e ingiustizia operata dalla politica e dall'amministrazione, che somigliano sempre più ad un'associazione a delinquere, senza onore né regole comportamentali, quello che colpisce di più è la completa assenza della voce del popolo russo, la mancanza di sostegno dell'opinione pubblica per chi ogni giorno affronta il pericolo e rischia la vita per il diritto del popolo di essere informato. ===2011=== {{Int|Da ''[https://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2011/01/25/dinamica-strana-dubbi-sulla-pista-caucasica.html Dinamica strana, dubbi sulla pista caucasica]''|Intervista di Rosalba Castelletti, ''La Repubblica'', 25 gennaio 2011.|h=4}} *{{NDR|Sull'[[attentato terroristico all'aeroporto Domodedovo del 2011]]}} I ceceni hanno gran dimestichezza con gli esplosivi. Quando preparano un ordigno, usano cariche potenti per provocare il più alto numero di vittime possibile. Solo così possono scuotere l'opinione pubblica. È successo a Beslan come al teatro Dubrovka. Non è accaduto invece né a marzo, quando non è stata neppure danneggiata la struttura della metro, né stavolta. Anche se è brutto dirlo visto che ci sono stati comunque oltre 30 morti. *{{NDR|«Se non il terrorismo ceceno, chi ci sarebbe dietro a questi attentati?»}} Terzi che vogliono provocare instabilità in Russia magari fomentando gli stessi esponenti del mondo islamico. [...] Potrebbe trattarsi ad esempio di esponenti dell'oligarchia russa che si trovano all'estero. Terminato il servizio militare, ho lavorato come guardia di sicurezza privata per un oligarca all'opposizione che non faceva mistero di avere rapporti con i terroristi ceceni. *{{NDR|Su Vladimir Putin}} È [...] possibile che dietro agli attentati ci sia lui o persone vicine a lui. {{NDR|«Che interesse avrebbe?»}} Dimostrare all'opinione pubblica che Medvedev è incapace di garantire la sicurezza per ripresentarsi come l'uomo forte. {{Int|Da ''[https://artslife.com/2011/03/01/intervista-a-nicolai-lilin/ Intervista a Nicolai Lilin]''|Intervista di Dejanira Bada, ''Artslife.com'', 1 marzo 2011.|h=4}} *Sono nato in un paese molto degradato. Quando ero piccolo non avevamo neanche il bagno in casa e dovevamo andare fuori anche a -20. Le persone da noi apprezzavano cose come il gas e la luce, quello era il lusso. Ma non perché la comunità fosse povera, era una decisione degli anziani che influenzava la nostra vita. I nostri vecchi vivevano in un modo scettico, e la povertà veniva portata come una bandiera, una cosa di cui andare fieri. Per esempio ricordo un episodio in cui, a casa della mia famiglia, irruppe la polizia. Iniziarono a rompere tutto e ad un certo punto, spaccando il muro, trovarono dei lingotti d’oro da mezzo chilo, ed erano talmente tanti che mia madre si mise a piangere incredula, perchè nostro papà li aveva messi lì dentro senza dire niente. Probabilmente aveva svaligiato un furgone, ma queste cose non si raccontavano in casa. Insomma, potevamo permetterci di stare meglio ma era una scelta apparire così, una sorta di onestà. *Da piccolo passavo tanto tempo con un anziano, un vecchio medico molto educato che è stato in carcere trent’anni durante la dittatura di Stalin soltanto per aver nascosto una famiglia ebrea. Lui mi ha insegnato ad ascoltare l’opera, a leggere poesie e romanzi, ad ascoltare la [[lingua italiana]]. Lui leggeva la Divina Commedia in lingua originale e grazie a lui l’Italia mi è entrata nel cuore, perchè l’ho sempre vista come culla della cultura internazionale. *Sono nato in un posto dove c’erano tantissime persone tatuate, ma da piccolo non capivo questa importanza, anche perché la tradizione del tatuaggio siberiano esclude la parola, è una cosa che esiste ma non si spiega il perché e che cosa voglia dire. Da piccolo andavo a sbattere contro mio padre, mio nonno, i miei zii che erano tutti tatuati, ma se chiedevi spiegazioni prendevi le sberle, perché per loro era un’offesa chiedere. Poi ho tentato di entrare in questo mondo chiedendo spiegazioni ai vecchi ai quali facevo piccoli favori. Pensa che ad oggi, quando torno al mio paese, vengo deriso, perché sono tatuato e perché è tutto cambiato. Per loro, oramai, sono un pagliaccio, uno stupido che vive in occidente ma che fa finta di essere ancora legato al passato dei nostri vecchi, coloro che, secondo i giovani d’oggi, ci hanno fatto vivere e vedere la povertà come valore. Insomma, sta arrivando la globalizzazione anche da noi ed è una cosa brutta. Io da piccolo invece ho iniziato a studiare questa tradizione dei tatuaggi ed ho capito che era una cosa molto importante. *A me la politica non interessa, davvero, però non posso sopportare le persone che diventano cattive e che vogliono il potere a tutti i costi, perché solo Dio ha il potere del mondo, un Dio che ognuno può interpretare come vuole, invece noi umani dobbiamo stare al nostro posto, non rompere le palle agli altri e controllare bene quello che abbiamo sotto i piedi. Questa più o meno è la mia idea politica o esistenziale. *Da dove vengo io questo mi hanno insegnato, rimanere sempre degno di me stesso e coerente. Si può anche cambiare idea, magari perchè ci si è informati meglio, allora si può cambiare opinione. Anche ammettere i propri sbagli è una questione di dignità. Molte persone invece la dignità non ce l’hanno, oppure è stata levata loro dal consumismo e sostituita con telefoni, auto, cellulari, con beni che li portano a considerare la cosa più importante non tanto la propria vita, quanto la possibilità di consumare all’interno della propria vita. La gente non teme di morire, ma di non poter andare più al cinema! *Una volta mi hanno sparato dritto al cuore – ho ancora una cicatrice orribile anche se avevo il giubbotto antiproiettile – con un fucile AK-47. Mi è andata bene perchè il ragazzo che mi ha sparato aveva finito le cartucce, se mi avesse scaricato addosso il caricatore non sarei qui ora. Lì ho visto la fine, sicuro che sarei morto, i miei ultimi pensieri prima di svenire sono stati: “Ok è andata, è finita, pazienza” e mi sono steso contro il muro. Poi però mi sono risvegliato e una volta sveglio mi sono sentito davvero rinato, è stato come nascere per la seconda volta. *Un’altra volta invece, sempre durante la guerra in Cecenia, ci hanno colpito con un lanciagranate ed hanno fatto rovesciare il convoglio in cui mi trovavo. In quel momento stavo dormendo e il colpo è stato talmente violento che due dei nostri autisti sono subito morti. Io invece sono solo diventato sordo dall’orecchio sinistro. Ricordo che quando c’è stata l’esplosione ero in uno stato di dormiveglia in cui ho pensato di nuovo: “Ok, stavolta è finita davvero” e invece no, sono svenuto e sono rinato di nuovo! {{Int|Da ''[https://web.archive.org/web/20110806033111/http://www.nicolaililin.com:80/?p&#61772 A Grozny io ho combattuto, c'è ancora dolore nell'anima]''|''Nicolaililin.com'', 30 marzo 2011.|h=4}} *La prima volta che entrai nella città di Grozny era il settembre del 1999. [...] Io a quel tempo ero all’inizio del secondo anno del mio servizio militare obbligatorio che svolgevo nel reparto speciale di ricognizione e sabotaggio presso il Direttorato Principale d’Esplorazione (GRU in russo). La guerra che dovevo combattere era brutta e difficile, come lo è ogni guerra in questo mondo. I terroristi, per giustificare l’impegno di enormi somme di denaro provenienti dai paesi arabi, combattevano senza risparmiarsi, in gioco c’erano troppi soldi, troppi poteri e tutto il mondo del fondamentalismo islamico aveva tante aspettative su di loro per l’interesse strategico nel controllo della regione della Cecenia per le sue risorse naturali e per il passaggio verso il territorio del Caucaso. I terroristi erano ben organizzati e perfettamente preparati sia per la difesa che per azioni di guerra partigiana. Noi gli davamo la caccia tra le montagne e nelle città, in una lotta molto crudele, perché nessuna delle due parti era intenzionata a mollare. *Dopo due anni e tre mesi di servizio sono stato congedato e tornando a casa ho lasciato un paese in fiamme, oltre qualsiasi immaginabile soglia di povertà, senza infrastrutture fondamentali necessarie per l’esistenza di qualsiasi società umana. [...] Tutto questo accadeva per via della totale assenza di impegno da parte dell’amministrazione della Federazione Russa, interessata solamente a soddisfare le proprie ambizioni politiche e territoriali. *Sono contento che il paese a cui mi legano ricordi forti e contraddittori finalmente ha ripreso la sua vita, anche se tra mille difficoltà. Sebbene sia ancora lontano dallo standard di uno stato democratico, voglio pensare che il primo passo verso una vita pacifica e un futuro degno e onesto sia stato fatto. {{Int|Da ''[https://www.gliamantideilibri.it/intervista-a-nicolai-lilin/ A tu per tu con... Nicolai Lilin]''|Intervista di Serena Langini, ''gliamantideilibri.it'', 8 aprile 2011.|h=4}} *La società dove sono nato io aveva tante diverse particolarità; era una società di resistenti politici, quindi persone che colpivano atti illegali per motivi ideologici. Quindi erano diffamati, chiamati criminali dagli altri e in alcuni momenti sono anche stati costretti a comportarsi come tali. Però all’interno esistevano ovviamente le loro regole. Ad esempio, nella mia comunità non si facevano i crimini contro un individuo, non si rubava, non si scippava, non si spacciava la droga, non si gestiva la prostituzione. Tutti i crimini si compivano contro il potere; il che voleva dire che si uccidevano persone al servizio del potere: poliziotti, militari..sovietici. E dall’altra parte eseguivano rapine alle banche e dei furgoni portavalori perché nell’Unione Sovietica tutto questo era proprietà dello Stato, il privato non esisteva nell’Unione Sovietica. Tant’è vero che quando è crollata l’Unione Sovietica, la nostra comunità ha smesso di esistere. *Il concetto di criminale nasce con lo Stato, che può essere uno stato giusto, come il nostro italiano, una democrazia. Però qui la criminalità è diversa, sono degli stronzi, che a volte sono in contatto col nostro governo, sono mafiosi e fanno crimini contro di noi per guadagnare soldi, non hanno un movente ideologico, gli interssano solo i soldi. Questa gente andrebbe eliminata, perché chi commette crimini contro il proprio popolo avendo come movente i soldi non cambierà mai idea. Come con Hitler, o costretti al suicidio o eliminati, perché vogliono solo il potere. *Adesso anche in Russia è pieno di questi tatuaggi. All’inizio del secolo, quando i comunisti hanno avvicinato al loro giro i criminali più “moderni”, hanno creato caste, come la più grande, Seme Nero, creata dal kgb. Questi sfruttano i loro tatuaggi, hanno una grande tradizione di cui parlano tutti, i giornalisti americani vanno e li filmano nelle carceri, ma in realtà dietro non c’è nessun significato, lo usano come una divisa militare coi gradi e le medagliette. *Qua in Italia, i nostri 18enni, oltre a spacciare cocaina a Napoli, oltre a fare cazzate in Sicilia, lavorare dai loro genitori e allevare maiali in Piemonte, non sanno fare. Si ammazzano in macchina, fanno casino, sono contro tutto, sono individualisti, consumatori come nessuno in Europa. Consumiamo in modo vergognoso noi. [...] Il problema principale in Italia è che ci sono troppe lobby dei vecchi; in Italia è tutto gestito dai vecchi, anche la cultura, l’arte, il cinema, la tv…e un giovane, anche se bravo e creativo, non entra... *L’educazione militare, di questi tempi, è molto importante, è come un movimento che unisce. Voi immaginate un’unica categoria di persone che al Nord non fanno parte della Lega sono gli Alpini. Perché gli Alpini, quando hanno fatto il militare, erano tutti insieme, hanno imparato il cameratismo, condividevano con ragazzi di Trapani, di Roma, della Puglia, e quindi hanno rispetto e lo sanno che l’unione fa la forza. Invece chi vuole dividere gioca sull’ignoranza delle persone e sulla mancanza di momenti che ci uniscono. *[...] ho visto 5 conflitti, son stato nei servizi privati. Faccio consulenze alla polizia e ai carabinieri. {{Int|Da ''[https://web.archive.org/web/20111127134323/http://www.nicolaililin.com/?p&#61838 Scritto col sangue]''|Intervista di Raffaele Panizza per ''Panorama'', ''nicolaililin.com'', 18 maggio 2011.|h=4}} *{{NDR|«Alcuni detrattori ritengono inverosimile che lei, cittadino moldavo, sia stato chiamato alla leva dalla Russia.»}}<br>La cosa è semplice: mio nonno era siberiano e io avevo il doppio passaporto. Per molti ragazzi, poi, l’esercito era un’opportunità. A bender, la mia città, c’era un ufficio della 14ma armata. Chi sostiene il contrario dimostra ignoranza. *Avevo un arsenale. Durante la guerra in Cecenia il mio reparto era autorizzato a sequestrare tutte le armi che trovava. Mi ero organizzato con i corrieri e facevo spedire tutto a casa. Al ritorno ho trovato un capitale: fucili svizzeri che valevano più di una Mercedes, cannocchiali militari che gli arabi erano disposti a pagare una fortuna. Dopo ho lavorato per una società di sicurezza privata, finché sono stato chiamato da un’agenzia israeliana. Mi occupavo di logistica: se un cliente doveva attraversare una zona pericolosa dell’Afghanistan, io andavo sul posto e parlavo coi capitribù, spiegando perché era conveniente per loro non ammazzare il mio cliente. Se non si convincevano, li pagavo. Sono stato in tutto il Medio Oriente. *Io mi occupavo del satanismo inconsapevole, di gente che agisce per conto del male senza saperlo. Persone manovrate da adoratori del demonio. Una realtà enorme e sconosciuta, alla quale il Vaticano dedica grande attenzione. *Da piccolo, ogni volta che dimostravo un segno di debolezza, mio padre mi picchiava. *Sono cresciuto in una società dove Cristianesimo e omicidio erano tenuti assieme senza contraddizioni. Mi sento male se dico una bugia, ma per le vite che ho portato via no, sono in pace. È il complesso dei templari: ammazzavano la gente, ma dentro un codice. L’ho fatto anch’io, ma dentro uno scontro di civiltà. {{Int|Da ''[https://ricerca.gelocal.it/ilpiccolo/archivio/ilpiccolo/2011/05/20/PR_47_01.html Nicolai Lilin racconta la sua sporca guerra combattuta in Cecenia]''|Intervista di Alessandro Mezzena Lona, ''Il piccolo'', 20 maggio 2011.|h=4}} *{{NDR|Su ''Il respiro del buio''}} Questa volta ho deciso di comportarmi da vero romanziere: mescolerò alla realtà che ho vissuto più finzione, più letteratura. Così smetteranno di criticarmi. Di dirmi che non posso aver vissuto storie così estreme. *[...] quando sono uscito dall’esercito russo mi sono trovato senza una storia, senza documenti. Ovviamente, sul foglio di congedo non potevano scrivere che in Cecenia facevamo la guerra illegale. Che ci comportavamo come i terroristi. In Russia queste cose non le sanno, non le dice nessuno. Meno che meno i giornalisti. E così mi sono trovato a dovermi inventare un futuro. *{{NDR|«In Italia si è occupato anche dei satanisti?»}} Siccome mi sono sempre occupato di sicurezza, una società privata di volontariato legata al Vaticano mi ha infiltrato per due anni all’interno di alcuni gruppi satanisti. In quell’ambiente ho scoperto un grande traffico pedofilo tra la Russia e l’Europa. Ho fatto denunce contro parecchie persone, ma il problema è che sono molto coperti. [...] Posso dire che ho denunciato l’esistenza di una rete pedofila a Monaco di Baviera. La denuncia non ha mai avuto seguito. Del resto, un film porno con la partecipazione di un minore, girato in poche copie, può costare da 50 a 70 mila euro. Ho scoperto cose davvero schifose.<br>{{NDR|«Perché ne parla solo adesso?»}}<br>Mi sentivo vulnerabile. E poi, speravo di continuare a lavorare in questo ambiente. Ma dopo l’uscita dei due romanzi la mia faccia è davvero troppo riconoscibile. In più, adesso ho una figlia di cinque anni. Però non smetterò mai di raccontare a tutti che i pedofili sono ricchi e potenti. Non solo in Italia: in Belgio ci sono associazioni pro-pedofili che li aiutano a nascondersi. {{Int|Da ''[https://www.independent.co.uk/arts-entertainment/books/features/when-does-a-soldier-s-memoir-count-as-fact-and-when-as-fiction-2335945.html When does a soldier's "memoir" count as fact, and when as fiction?]''|Intervista di Oliver Bullough su ''Caduta libera'', ''independent.co.uk'', 12 agosto 2011.|h=4}} *Questa non è la mia storia. Questa è la storia di un mio compagno che ha combattuto con me [...]. Ho scritto la storia di un compagno che purtroppo è stato ucciso in guerra. Mi ha detto che è andata così e la cosa mi ha interessato. Veniva da una famiglia povera, era un ragazzo di villaggio, e la sua storia mi piaceva molto. :''That is not my story. That is the story of one of my comrades who fought with me'' [...]. ''I wrote the story of a comrade who was sadly killed in the war. He told me that that was how it happened and it interested me. He was from a poor family, a village boy, and I liked his story very much.'' *Quando ho scritto il libro non volevo che fosse considerato storico. Primo perché non potrei scrivere un libro di memorie, perché non sono importante o qualcosa del genere. Se fossi Mozart o la Regina Elisabetta, potrebbero scrivere un libro di memorie, ma non sono nessuno [...] Non so come chiamarlo. Non è un libro di memorie. È un romanzo basato su eventi realmente accaduti. :''When I wrote the book I did not want it to be considered as historical. First because I could not write a memoir, because I am not important or something. If I was Mozart or Queen Elizabeth, they could write a memoir, but I am no one'' [...]. ''I do not know what to call it. It is not a memoir. It is a novel based on real events.'' *Tutti gli eventi nelle città, beh, personalmente ho combattuto molto poco nelle città, a dire il vero. Per esperienza personale, sono stato molto poco in città. Ero a Groznyj quando è stato ripreso ma ci hanno rimandati via molto presto. :''All the events in towns, well, I personally fought very little in towns, to be honest. From my own experience, I was very little in towns. I was in Grozny when it was taken back but they sent us out again very quickly.'' *Ho usato molte storie per creare alcuni fatti nel mio libro, alcuni racconti di guerra in città. Forse in alcune di queste storie che ho scritto le ho colorate un po', forse ho esagerato, ma questo era appositamente per mostrare l'orrore della guerra urbana. Onestamente per quanto riguarda il fatto dei 13 colonnelli {{NDR|caduti in una battaglia urbana}}, non ricordo. :''I used a lot of stories to create a few facts in my book, a few tales of war in the city. Maybe in some of these stories I wrote I coloured them up a bit, maybe I exaggerated, but this was specially to show the horror of urban war. Honestly as far as the fact about 13 colonels, I do not remember.'' *{{NDR|«Quindi quanto del libro è effettivamente vero?»}} È difficile da dire. Le storie più importanti, in particolare quando scrivo di come si sente una persona in guerra, questa è la mia esperienza. Poi ci sono un sacco di storie di soldati che potrebbero essere, non so, vere o meno perché in guerra non controlli quello che ti dice il tuo compagno. :''{{NDR|«So how much of the book actually is true?»}} It is hard to say. The most important stories, particularly when I write about how a person feels in war, that is my experience. Then there are a lot of stories from soldiers that could be, I don't know, true or otherwise because in a war, you don't check what your comrade tells you.'' {{Int|Da ''[https://ojs.unito.it/index.php/spaziofilosofico/article/view/8694 Nicolai Lilin: Violenza utile?]''|Intervista di Giorgio Cattaneo, ''Spazio filosofico'', vol. I, 3, pp. 305-309, 30 settembre 2011.|h=4}} *Mia figlia ha solo cinque anni e ha già imparato a smontare e rimontare la pistola: gliel'ho insegnato perché penso che potrebbe sempre esserle utile, un giorno. *Non avessi avuto alle mie spalle la "scuola" di Bender probabilmente nel mattatoio del Caucaso non sarei sopravvissuto: se non sei addestrato fin da piccolo al dolore, a dare e ricevere dolore, di fronte a una mattanza come quella cecena il tuo cervello scoppia. Anche il mio ci è andato vicinissimo: ero cecchino, tiratore scelto, e avevo il "privilegio" di guardare negli occhi, col mirino ottico, i nemici a cui avrei sparato. Nei primi mesi li contavo. Quando sono arrivato a cinquanta, ho smesso: per non impazzire. *Stalin mandava in Siberia dissidenti e intere popolazioni, ma Mosca trovò utile sradicare i ribelli siberiani spedendoli nel caldo torrido dell’estremo sud, a due passi da Odessa e dal Mar Nero *A Bender, da piccolo, tra i miei amici ero l’unico a dar retta alle vecchie storie degli anziani [...]. Mi piaceva il mondo di cui parlavano, duro e spietato, ma con un’etica. Mai colpire donne e bambini, mai fare del male a qualcuno senza un valido motivo. E addirittura, venerazione per i disabili: li chiamavano "voluti da Dio", erano considerati medium inconsapevoli, ambasciatori dell’invisibile. *{{NDR|Sulla presenza di immagini religiose sui suoi tattuagi}} È un retaggio culturale che risale agli Efei, antico popolo pre-russo: volevano avvicinare i pellegrini per derubarli; non disponendo di croci e altri monili religiosi, cominciarono a tatuarseli sulla pelle. *Quando sono tornato a Bender dopo la guerra ci sono rimasto pochissimo [...], perché non c’era quasi più nessuno: tutti morti, o in galera o scappati chissà dove. *A un certo punto per salvarmi sono praticamente scappato: in Siberia, dal fratello di mio nonno. Un vecchio che si era ritirato nella foresta e viveva di caccia sulle rive del fiume Lena perché del mondo non ne voleva più sapere. Immaginavo che solo lui mi avrebbe potuto aiutare a ritrovare un po’ di pace,e così è stato. Aveva combattuto nella Seconda Guerra Mondiale, a Stalingrado. Vedendomi ridotto a uno straccio, mi ha detto: anch’io ero conciato così e allora pensavo che non mi sarei mai più ripreso, invece ho imparato che il tempo pian piano ci guarisce. E poi, ha aggiunto, domandati perché sei sopravvissuto: un motivo c’è sicuramentee un giorno lo scoprirai. *Da piccolo ho lottato, ho ferito coetanei a coltellate. Era "giusto", perché ero stato provocato. Poi ho imparato a tatuare: disegnavo e tatuavo pistole e coltelli, sulla pelle di uomini che avevano ucciso e volevano ricordarlo, a se stessi e agli altri. Ormai anch’io giravo sempre armato, a Bender. Ma tutto questo non è niente, rispetto alla violenza della guerra: ti prendono, ti caricano su un camion e poi ti mandano in prima linea. Per prima cosa ti fanno raccogliere i morti del giorno prima e ti obbligano a pranzare in mezzo ai cadaveri massacrati. Poi tocca a te. Devi prepararti a sparare, a uccidere: per non essere ucciso. E questa, di gran lunga, è la peggiore delle violenze: la costrizione. Devi mettere a tacere la tua voce interiore, altrimenti finisci al manicomio. Diventi una macchina di morte. Dopo due anni di Cecenia, ero conciato così male che, al momento del congedo, un ufficiale mi ha chiesto di restare nelle forze speciali: mi ha detto che, dopo quello che mi era toccato vivere, non sarei mai più riuscito a tornare alla vita di prima, tra le cosiddette persone normali. Bruciato per sempre. Si sbagliava, ma ad uscire da quel tunnel ho impiegato anni. *[...] di guerriglieri ceceni ne abbiamo incontrati davvero pochissimi: era pieno di afghani, sauditi e giordani, mercenari. Di giorno i generali di Eltsin ci mandavano al macello a Grozny, mentre la notte trafficavano con la benzina alle nostre spalle. E molti dei nemici abbattuti erano dotati del migliore armamento russo. Un imbroglio sanguinoso e colossale, per far sparire una montagna di soldi e arricchire gli oligarchi decisi a svendere la Russia agli americani. E noi in prima linea, a farci ammazzare. E a sparare ai "terroristi", mirando alla testa. {{Int|Da ''[https://www.kommersant.ru/doc/1781738 "Мои рассказы такие дерзкие"]''|Intervista di [[Elena Černenko (giornalista)|Elena Černenko]], ''Kommersant.ru'', 3 ottobre 2011.|h=4}} *I miei racconti sono arrivati ​​al direttore dell'associazione letteraria e quando mi ha chiamato alle due del mattino piangeva. Ha detto: le mie storie sono così audaci e lo hanno toccato così tanto che vorrebbe mostrarle a un editore serio. Due settimane dopo ho ricevuto una telefonata dalla più grande casa editrice italiana, Einaudi. :''Мои рассказы попали к директору литературной ассоциации, и когда он позвонил мне в два часа ночи, он плакал. Он сказал: мои рассказы такие дерзкие и они так сильно его затронули, что он хотел бы показать их серьезному издателю. через две недели мне позвонили из самого большого издательства в Италии Einaudi.'' *{{NDR|Sul ruolo di Kuzja in ''[[Educazione siberiana (film)|Educazione siberiana]]''}} Abbiamo considerato due possibili attori per questo ruolo. Il secondo è Anthony Hopkins. Ma penso che Malkovich sia più adatto. Hopkins ha un aspetto e un temperamento più occidentali. E quello di Malkovich è più orientale. E a questo particolare livello mi ricorda di più il nonno Kuzja. :''Мы рассматривали двух возможных актеров на эту роль. Второй — Энтони Хопкинс. Но мне кажется, что Малкович лучше подходит. У Хопкинса более западная внешность и темперамент. А у Малковича — более восточная. И на таком частном уровне он мне больше напоминает дедушку Кузю.'' *{{NDR|«Qui ho tra le mani la versione tedesca del libro, e qui sulla copertina c'è scritto: "Nicolai Lilin, urca siberiano ereditario..."»}} Purtroppo non ho alcuna influenza su come viene presentato il mio libro. In Italia scrivono la stessa cosa in copertina, perché devono in qualche modo vendere questo libro e in qualche modo farmi conoscere alla gente. Ma questa non è un'autobiografia. Anche se questo libro si basa sulla mia esperienza, su ciò che io stesso ho vissuto.<br>Sono cresciuto in una famiglia povera e problematica. Gli anziani si sentirono espulsi dalla Siberia. Quando ero piccolo, pensavo, che razza di sciocco esilierebbe la gente dalla Siberia al sud? :''{{NDR|«Вот у меня в руках немецкая версия книги, и тут на обложке написано: "Николай Лилин, потомственный сибирский урка...»}} К сожалению, я не влияю на то, как представляют мою книгу. В Италии на обложке пишут примерно то же самое, они ведь должны как-то эту книгу продавать и как-то представлять меня людям. Но это не автобиография. Хотя эта книга базируется на моем опыте, на том, что я сам пережил.'' *{{NDR|«Ma come poteva Stalin mandare qualcuno a Bendery negli anni '30, se a quel tempo era territorio rumeno?»}} Non è chiaro cosa ci fosse. Questa parte del libro, che è collegata al reinsediamento... o, diciamo, al "presunto reinsediamento", l'ho scritta o, per meglio dire, ricreata questa storia, utilizzando alcuni ricordi degli anziani. Alcuni furono espulsi, altri fuggirono lì a causa delle persecuzioni dei comunisti. E l'editore ha scritto che questa è un'autobiografia. :''{{NDR|«Но все же, как мог Сталин в 30-е выслать кого-то в Бендеры, если в то время это была румынская территория?»}} Непонятно, что там было. Эту часть книги, которая связана с переселением... или, скажем, с "якобы переселением", я написал или, лучше сказать, воссоздал эту историю, используя некоторые воспоминания стариков. Кого-то выслали, кто-то сам туда бежал от преследования коммунистов. А издатель написал, что это автобиография.'' *{{NDR|«È vero che sei stato in prigione più volte?»}} No, anche questa è una sciocchezza. I traduttori non capiscono cosa siano la detenzione, l’indagine e il processo. Glielo ho spiegato più tardi, ma purtroppo l'hanno già scritto nel libro. Ho avuto un articolo solo una volta, in Transnistria, quando ero minorenne, ho passato nove mesi in prigione. Una volta sono stato indagato in Russia. :''{{NDR|«То, что ты несколько раз в тюрьме сидел, это правда?»}} Нет, это тоже ерунда. Переводчики не понимают, что такое задержание, следствие и суд. Я им потом объяснил, но, к сожалению, они уже это в книжке написали. У меня только один раз была статья, в Приднестровье, по малолетке, я девять месяцев провел в тюрьме. Еще в России один раз был под следствием.'' *In Israele, ho lavorato sotto contratto in un servizio di sicurezza privato. In Occidente, le società di sicurezza private assumono professionisti. Diciamo che un gruppo di specialisti israeliani viene in Afghanistan e, per una certa somma di denaro da parte dell'ONU o del governo americano, effettua una certa operazione militare. L'ho fatto finché la mia gamba destra non è stata strappata da una mina in Iraq. {{NDR|«Oh, quindi sei stato anche in Iraq e Afghanistan?»}} Sì, ma non ne parlo, mica sono scemo. :''В Израиле я работал по контракту в службе частной безопасности. На Западе частные охранные предприятия берут на службу профессионалов. Скажем, в Афганистан приезжает группа израильских специалистов и за определенную сумму денег от ООН или американского правительства совершает определенную военную операцию. Я этим и занимался, пока мне в Ираке миной не разорвало правую ногу. {{NDR|«А, так ты еще в Ираке и Афганистане был?»}} Да, но я об этом не буду рассказывать, я что, дурак, что ли.'' {{Int|Da ''[https://web.archive.org/web/20160402192813/http://www.unmercoledidascrittori.it/?p&#61514 Intervista con Nicolai Lilin]''|Intervista di Paolo Ciampi, ''unmercoledidascrittori.it'', 12 ottobre 2011.|h=4}} *[...] noi eravamo i bambini di quarta generazione di immigrati, immigrati non per loro volontà, perché erano stati deportati dalla Siberia alla Transnistria. Siamo cresciuti in un posto che non era casa nostra, un posto ostile che non era la nostra patria, assolutamente. *La Siberia [...] era un paradiso, un posto di cui ci raccontavano da piccoli, dove c’erano boschi enormi. Ogni bambino aveva a casa i nonni che raccontavano di questi boschi e dei fiumi. Ma ci sono tante cose che non quadrano tra la mia Siberia immaginaria e quella reale. Nel mio libro parlo solo di una parte, quella dove viveva lo zio di mio padre, a Nord Ovest della Jacuzia. *Questo nome l’ho scelto proprio per definire la confusione in cui sono cresciuto. L'"educazione siberiana" in realtà è qualcosa che non è mai esistito perché ognuno vedeva le cose a suo modo. I miei vecchi la vedevano al loro modo, io la vivevo in un’altra maniera, poi c’era la gente che vedeva tutto questo da lontano e ci prendeva in giro perché per il resto della città noi eravamo un branco di tradizionalisti ignoranti, e per alcuni versi avevano ragione. *I vecchi che ho conosciuto mi raccontavano che la nostra stirpe derivava da un antico popolo che abitava nel sud della Siberia. A quel tempo c’erano tantissimi popoli nomadi e questi popoli avevano una mentalità molto tribale che molti di noi sentono ancora come propria. Assaltavano tutte le carovane commerciali che passavano non tanto per arricchirsi ma perché a loro dava fastidio il commercio, dava fastidio il denaro. Credevano che ognuno fosse legato alla terra dov’era nato e che dovesse vivere lì, comportarsi onestamente, rispettare gli altri e se stessi, e vivere con quello che gli dà Dio: boschi, fiumi, animali.<br>Si sono scontrati con i primi sistemi governativi; non erano solo anti-comunisti, prima erano stati contro lo zar. Dava loro fastidio qualsiasi sistema politico perché il sistema politico tende a portare il suo diritto, il suo modo di vedere e di gestire le cose e a loro non piaceva perché loro non avevano bisogno di niente. *I nostri nonni, i nostri siberiani dicevano “noi siamo criminali perché il governo ci ha definiti criminali, perché al governo non piace quello che facciamo, però noi siamo diversi da tutti gli altri criminali. Noi non derubiamo la gente per strada, noi non violentiamo le donne; contro le singole persone noi non facciamo niente. Perché la libertà di una persona singola per noi è una cosa sacra. Noi rapiniamo banche perché le banche sono proprietà del governo e ammazziamo i poliziotti, perché loro sono i cani del governo. Ma questo per noi non è un atto criminale, Questo è un dovere di ogni persona libera. Se loro vogliono definirci criminali noi lo accettiamo. Ma aggiungiamo che noi siamo criminali onesti perché abbiamo il nostro codice, il nostro comportamento, la nostra morale”. *Avere delle regole è normale, umano. Questa comunità però ne aveva alcune molto estreme, proprio perché era consapevole di essere estremista. Non passava giorni senza che mio nonno mi dicesse che loro erano gente cattiva, che erano degli assassini. A volte mi accarezzava e mi diceva che con quella mano poteva amare me e uccidere un’altra persona. *Quando sono stato congedato dall’esercito mi ricordo che nel primo mese mi spostavo dalla sala alla cucina con il kalashnikov. Ho provato a lasciarlo in cucina e andare in sala ma senza di lui mi sentivo male. Ovviamente è una forma di malattia. *Sono cresciuto con un nonno che aveva una stanza piena di fucili, pistole e altro e all’età di 13 anni andavamo a pesca con le bombe a mano. Questa era la nostra realtà, qua i bambini giocano con il Lego, noi giocavamo con le bombe a mano. *Il tatuaggio tradizionale siberiano è un codice segreto, nato in epoca pre-russa e pre-cristiana. I primi briganti nomadi della foresta, si tatuavano per potersi riconoscere, lungo le grandi strade della Siberia dove assaltavano i convogli provenienti dalla Cina e dall’India. I tatuaggi quindi erano un modo per non farsi assalire da “colleghi”, e un modo muto per rendersi fratelli. Quando si diffuse il Cristianesimo, il tatuaggio criminale siberiano adottò i simboli della nuova religione. *La tradizione del tatuaggio è nata proprio per evitare di usare le parole: tra siberiani era ritenuto disonesto parlare. Tutto è legato al concetto di umiltà perché parlare di sé equivale a vantarsi, quindi per raccontare le proprie storie si usavano i tatuaggi, che sono quindi una sorta di alfabeto da decodificare. Non si chiede però a qualcuno di spiegarci cosa vogliono dire i suoi tatuaggi; non si racconta il significato dei tatuaggi. *In Russia ci sono tante società criminali, alcune moderne, altre che hanno una storia di qualche secolo. Seme Nero attualmente è la comunità più grande e più potente nel mondo criminale russo, è stata creata dai comunisti all’inizio del secolo scorso per controllare i detenuti nelle prigioni. Oggi fa parte del sistema di controllo e potere in Russia chiamato ‘Santa Trinità’. In esso rientrano elementi del governo corrotto, la parte vecchia dei servizi segreti russi, ex Kgb e criminali che rappresentano Seme Nero. *Nel 2003 mia madre era in Italia e io in Russia. Lei mi fece credere di essere molto malata, così io arrivai di corsa, ma al mio arrivo ho scoperto che invece aveva inventato tutto per farmi venire, solo per vedermi.<br>A quel punto ho capito che questa sarebbe stata la mia terra. Ho costruito la mia casa mattone per mattone. Mi sono sposato. Ho fatto una figlia. Sono cittadino italiano. Se scoppia una guerra, andrò a morire per questo paese. L’Italia è la mia patria, la rispetto e l’adoro. *Ho imparato l’italiano nella strada, vivendo la vita, non sono mai andato ad una scuola di lingua.<br>Ma la mia relazione con la lingua italiana risale già alla mia infanzia. Quando ero piccolo, un medico, amico di famiglia, un rappresentante dell’intellighenzia, mi leggeva Dante in italiano, io non capivo nulla però mi ricordo che mi emozionava. *{{NDR|«La decisione di andare, lo scorso settembre, a presentare il tuo libro a Casa Pound, un centro sociale di estrema destra a Roma, ti ha esposto alle critiche di molti. Perché ci sei andato?»}} Perché mi hanno invitato.<br>Sono stato molto criticato per questo mio gesto, sia dal mio editore che da mia moglie, ma io cerco sempre di capire l’altro. Mi considero apolitico perché in quanto scrittore non reputo di dovermi occupare di politica, ma naturalmente ho le mie idee sull’Italia e la politica. *Non riesco a capire perché qualcuno mi abbia dato del fascista. Sono andato dieci volte in centri sociali, nove volte erano centri sociali di sinistra e nessuno ha detto niente. L’ultima volta sono andato a Casa Pound e la cosa è stata giudicata scandalosa. Ho ascoltato i loro discorsi e mi è sembrato che esprimessero bisogni simili a quelli di tanti ragazzi di sinistra. Ho visto la stessa strumentalizzazione da parte di chi sa come usarli. Ragazzi che non sanno comunicare e si fanno la guerra tra loro quando dovrebbero fare la guerra al consumismo. {{Int|Da ''[https://www.repubblica.it/dal-quotidiano/reportage/2011/12/12/news/cos_la_generazione_internet_ha_risvegliato_il_popolo_russo-26456891/ Così la Generazione Internet ha risvegliato il popolo russo]''|Sulle [[proteste in Russia del 2011-2013]], ''repubblica.it'', 12 dicembre 2011.|h=4}} *Negli undici anni del potere totalitario esercitato da Vladimir Putin le recenti notizie che arrivano dalla Russia sono forse le più importanti e positive sia per la vita interna socio-politica del paese, sia per la sua immagine nel quadro internazionale. La reazione immediata del popolo ai brogli elettorali esercitati dal potere corrotto del Cremlino. [...] L'accaduto a Mosca segna un nuovo percorso etico e morale della società post sovietica: finalmente i cittadini si sono indignati e hanno avuto il coraggio e la capacità di organizzarsi e rivendicare il proprio diritto al voto. *In Occidente pochi capiscono fino in fondo che la Russia nel corso di tutta la sua storia ha vissuto in un clima di schiavitù e terrore: prima quello della monarchia, poi quello comunista, poi il recente pseudo-democratico, il risultato è stato sempre lo stesso: generazioni di schiavi, prigionieri, militari contro la propria volontà, tantissimi esuli ed emigranti. Gente costretta a combattere le guerre, trasformata dalla propria classe dirigente in una massa di ladri e bugiardi, e se qualcuno mostrava di essere all'altezza di un ragionamento intellettuale, veniva soppresso, come gli intellettuali anti monarchici impiccati nel 1825 a seguito della Rivolta di Dicembre. E come moltissimi altri intellettuali divenuti prigionieri del Gulag ai tempi di Stalin e perseguitati fino all'ultimo anno di Urss. Persone coraggiose e oneste come Anna Politkovskaya, uccise dai boia del regime putiniano negli anni della loro tirannia. *L'importanza di questo periodo storico è troppo evidente e sulla scena sono apparsi i rappresentanti di una classe di cittadini che prima sembravano invisibili: trentenni che hanno avuto la possibilità di "temprare" le proprie convinzioni politiche negli scenari apocalittici del crollo dell'Urss, paese in cui sono nati e cresciuti, allevati dall'ideologia sovietica che ai loro tempi ormai sembrava rappresentare l'ombra di un impero cadavere. Hanno passato l'adolescenza costretti ad inserirsi in una società corrotta, criminalizzata alla maniera hollywoodiana, hanno conosciuto le guerre civili post sovietiche, e ora hanno raggiunto l'età in cui si tirano le prime somme del proprio vissuto, in cui gli uomini si prendono la responsabilità per qualcosa che supera il limite etico di un singolo individuo. Scoprendo sulla propria pelle l'importanza di un cambiamento, questi nuovi cittadini russi usano una nuova forma d'informazione, sono popolo del web, sono in collegamento tra loro mediante la rete, non si fanno imbrogliare dalla propaganda governativa, usano i canali alternativi per informarsi e non ci mettono molto ad organizzarsi. Loro senza dubbio costituiscono il blocco più forte e importante della massa che ha manifestato la denuncia al sistema governativo, alla corruzione politica, alle ingiustizie e prepotenze dello Stato. {{Int|Da ''[https://archivio.unita.news/assets/main/2011/12/12/page_032.pdf L'aria nuova di Mosca]''|Intervista di Marina Mastroluca sulle [[proteste in Russia del 2011-2013]], ''L'Unità'', 12 dicembre 2011.|h=4}} *Il solo fatto che Putin abbia perso le elezioni - e dico perso tra virgolette, perché ha sempre intorno al 50% - mi riempie di gioia. Perché la Russia è un Paese basato sulla corruzione e sul controllo dei servizi segreti, dove i cittadini sono trattati come schiavi. E ora qualcosa si sta muovendo. *In Russia la gente ha creduto per anni alle favole che sentiva raccontare. Ha creduto al pericolo del terrorismo, ha creduto che i ceceni fossero criminali e che questo piccolo uomo fosse in grado da solo di garantire sicurezza, salvare le città, mantenere l'ordine. Putin in realtà non è che il risultato di un compromesso tra servizi segreti e oligarchi, per evitare una guerra civile e spartirsi quello che c'era da spartire. *È un piccolo uomo, uno che ha sempre bisogno di dimostrare il contrario e per questo si fa fotografare con le tigri, o a torso nudo o con un fucile da cecchino. Non è nemmeno il meglio che possano esprimere i servizi segreti, è semmai un loro fallimento. *{{NDR|Le proteste}} vogliono dire che il popolo russo ha ripreso coscienza, le persone non hanno più paura perché sono disperate. Attenzione però a dire che Putin è l'obiettivo, perché non è così. È il sistema di potere nel suo insieme: i russi hanno capito che vivono in un Paese corrotto e vogliono seguire invece una via democratica. *Quello che temo è un ritorno del terrorismo. Putin ha in mano la parte peggiore dei servizi segreti, la più corrotta, l'[[Fsb]], che è stato il vero braccio armato degli oligarchi. Ci ricordiamo tutti come Putin è arrivato al potere, con le [[Bombe nei palazzi in Russia|bombe nei condomini delle città russe]]. Sono loro i veri terroristi. Temo quindi nuovi attentati. Poi si darà la colpa ad altri, forse si farà una nuova guerra. Non in Cecenia, stavolta magari in Inguscezia o Daghestan. *Questo non è un movimento pilotato dagli Usa. Il nastro {{NDR|bianco}} è solo un modo per riconoscersi, come facevo anch'io con i miei compagni durante le operazioni di combattimento in guerra, per evitare il fuoco amico. ===2012=== {{Int|Da ''[https://archivio.unita.news/assets/main/2012/03/03/page_033.pdf «Qui ci vorrebbe un Gramsci russo»]''|Intervista di Marina Mastroluca sulle [[elezioni presidenziali in Russia del 2012]], ''L'Unità'', 3 marzo 2012.|h=4}} *Non credo in un grande cambiamento. È impensabile che un apparato corrotto come è quello attuale lasci uno spazio aperto ad una politica diversa. Sarà solo peggio. *Il popolo russo è povero, messo in ginocchio da un potere corrotto che finge la democrazia, ma pratica la dittatura. E quella post-sovietica è una dittatura neo-capitalista. I russi hanno paura della loro ombra: sceglieranno l'uomo forte, che garantisce sicurezza. Visto quante allusioni sessuali nella campagna elettorale? L'idea è che il popolo-mucca segua il leader-toro. *{{NDR|Sulle [[proteste in Russia del 2011-2013]]}} Le proteste sono state grandi. Ma ho visto, tra tanta gente per bene, anche chi non avrei voluto vedere. Gruppi neonazisti, ultrà sportivi, organizzazioni estremistiche di sinistra. E anche personaggi pubblici alla Nemtsov o persino Kassianov, ex premier di Putin, che hanno sfruttato le proteste ma che non hanno lo spessore per promuovere un vero cambiamento. *Il sistema dei brogli è talmente forte che anche chi lo gestisce non potrà più fermarlo. Le sole elezioni vere in Russia ci sono state con Gorbaciov, l'unica persona che potrebbe ancora cambiare la Russia. *Ci servirebbe un Gramsci russo. E invece le nuove generazioni sono state rovinate dalla cultura hollywoodiana, cresciute con i film in cui i russi erano sempre i cattivi. Abbiamo interiorizzato una mancanza di dignità. {{Int|Da ''[https://www.barbadillo.it/803-nicolai-lilin-la-russia-oltre-il-paradigma-democratico-e-occidentalista/ Nicolai Lilin, la Russia oltre il "paradigma democratico" e occidentalista]''|Intervista di Antonio Rapisarda, ''Barbadillo.it'', 30 maggio 2012.|h=4}} *{{NDR|Sulle [[proteste in Russia del 2011-2013]]}} Io l’ho detto e scritto più volte, che tutto in Russia rimane così com’è. Nonostante la stampa, il giornalismo internazionale cerchino di accendere i riflettori, più di quello che meritano, sulle manifestazioni di dissenso. Sono state poche, e quasi tutte insignificanti. Perché San Pietroburgo e Mosca, che sono le città dove si manifesta di più il sentimento critico a Putin, non rappresentano di certo la Russia. È vero, sono città importanti, ma non danno il senso del grosso del paese. *Gli anni del comunismo non hanno fatto per nulla bene: la socializzazione forzata non ha funzionato. Ha trasformato il popolo in un branco di ladri e bugiardi. *{{NDR|Su [[Vladimir Putin]]}} A me lui non piace. Non fosse altro perché ha lavorato per il Kgb, che ritengo la più importante tra le organizzazioni a delinquere. E quindi avere una persona del genere in un paese che rappresenta la sesta parte del mondo a me non suscita nessun tipo di entusiasmo. Però, dall’altro lato, sono consapevole, facendo poche approfondite analisi, che lui è l’unica persona, l’unico politico che può oggi condurre il paese. *{{NDR|Sulla [[corruzione in Russia]]}} Sono abituati alla corruzione. Ecco, come facciamo a spiegare che la corruzione è un male a una popolazione abituata a pagare l’infermiere di un ospedale per avere una prestazione? Lì sono abituati a pagare per gli attestati scolastici del proprio figlio, per farlo entrare all’università, oppure per non fargli fare il servizio militare: che è uno dei fondamenti di un paese civile, sviluppa nei cittadini il senso di appartenenza al proprio paese. Ecco, quando i cittadini di una nazione pagano per “non contribuire” al servizio di un paese è il massimo: io a persone del genere toglierei il passaporto, toglierei i diritti. *La cosa che mi stupisce oggi [...] è vedere come – rispettivamente – sia cresciuto il neonazismo e una forma di nostalgia del comunismo in un paese che ha subito l’invasione nazista e la dittatura comunista. Insomma, è un paese caotico, con grandi problemi, che non ha ancora imparato a gestire *Speravo nei giovani. Sono un interessante terreno politico da coltivare. Anche perché molti di questi sono persone che hanno visto i prodotti del comunismo, ma anche l’incapacità dei vecchi sistemi di inserire le regole del capitalismo e della globalizzazione. Queste persone sono consapevoli che c’è un’alternativa: ma – è questo il loro problema – nessuno di loro ha la possibilità di un sviluppare un discorso con l’attuale classe dirigente in modo così da arrivare a un accordo, a una tregua. Anche se a noi non piacciono queste espressioni perché sembrano l’anticamera di un complotto, di un segreto, in Russia le persone devono fare questo: cercare un interlocutore e definire il futuro. Anche perché Putin non potrà fare lo zar della Russia per sempre. *Io, per fortuna, non ho mai lottato contro l’imperialismo. Però sono cresciuto con la base educativa, con le suggestioni culturali, di persone che l’hanno affrontato. Mio nonno era anticomunista e nella mia famiglia ci sono stati anche dei martiri che hanno combattuto contro l’imperialismo sovietico. *Noi non possiamo trattare tutti con la categoria che rappresenta noi stessi. A me, ad esempio, il modello americano non piace: mangiano male, non sono ben formati. L’unica cosa positiva che hanno? La libertà di possedere le armi. Solo che non la sanno utilizzare e si ammazzano come cani. *In Irlanda fino a qualche tempo non si poteva portare nemmeno un coltello con la punta. Una legge, questa, che proveniva direttamente dall’imperialismo britannico. Ma che cosa hanno da insegnare i britannici? I loro giovani sono quasi tutti alcolizzati, non sanno come sfogarsi, hanno aperto le porte al terrorismo islamico, sono coinvolti in tutte le guerre. E che fanno? Intervengono con leggi razziste arrivando a vietare anche i coltelli da cucina. {{Int|Da ''[https://www.panorama.it/cultura/nicolai-lilin-una-dose-di-saggezza-siberiana-per-guardare-la-crisi Nicolai Lilin, una dose di saggezza siberiana per guardare la crisi]''|Intervista di Tommaso della Longa, ''Panorama.it'', 19 giugno 2012.|h=4}} *Io so che non si possono mettere a paragone periodi storici così diversi, ma quello che vedo oggi in Italia mi ricorda drammaticamente la falsità e il declino dell'Unione sovietica. *Hanno visto nella Russia una facile preda: nel popolo c'era una sorta di inquietudine creata ad arte, i russi sono andati da questi Savonarola di turno come Eltsin, magari pagati da qualcuno all'esterno del Paese, e la gente si accorgeva improvvisamente di vivere male. Da lì il passo verso la distruzione è stata breve. *La classe politica è la proiezione di quello che gli permettiamo di fare. Io sono preoccupato perché ho già vissuto sulla mia pelle momenti molto simili a quello che viviamo oggi ed è finita molto male. Ero nelle strade della mia città a raccogliere munizioni dai corpi dei morti. Non lo dimenticherò mai e non voglio che succeda più una cosa del genere. {{Int|Da ''[https://web.archive.org/web/20130202124053/http://www.nicolaililin.com/?p&#611272 La legge bavaglio in Russia]''|''nicolaililin.com'', 14 luglio 2012.|h=4}} *Il 10 luglio 2012, la "Duma", il parlamento russo, ha approvato la legge sull'informazione, che tra le altre funzionalità dovrebbe dare semaforo verde agli specialisti degli "organi competenti" per bloccare i siti internet che non corrispondono agli standard della censura statale. Il cavallo di battaglia del Cremlino è l'improvvisa voglia dei politici russi di combattere contro la pedofilia (con la quale molti di loro hanno guadagnato patrimoni cominciando dal lontano 1991, quando per via delle tangenti ricevute hanno abbassato da 16 fino a 12 l'età in cui il cittadino russo veniva considerato responsabile per la propria vita sessuale, dando così il via alla corsa di produzione di materiali di carattere pedofilo venduti in occidente). *[...] ricordiamo che la rete era l'ultimo mezzo in cui si poteva comunicare liberamente e reperire informazioni senza essere condizionati, in quanto tutte le agenzie d'informazione che agiscono in Russia sono pilotate da diverse forze politiche e per questo non possono essere considerate affidabili, quindi il pluralismo giornalistico in Russia non è mai esistito [...]. *{{NDR|Su [[Arkadij Babčenko]]}} È attivista delle manifestazioni anti-regime, combattente per la Russia nei due conflitti Ceceni, uno dei pochi uomini onesti nonché tra i migliori giornalisti di guerra mai esistito in Russia, e per via della sua estrema trasparenza ha deciso di lasciare il suo lavoro in uno dei quotidiani "oppositori" di punta (quello per cui scriveva la defunta e celeberrima Politkovskaya) per passare all'informazione sul web, motivando questa scelta con il fatto che anche nell'ambito di opposizione il giornalismo non è trasparente. {{Int|Da ''[https://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2012/11/30/tatuaggi-siberiani.html Tatuaggi Siberiani]''|Intervista di Fulvio Paloscia, ''repubblica.it'', 30 novembre 2012.|h=4}} *{{NDR|Su ''Storie sulla pelle''}} Qui il tatuaggio è la metafora dell' evoluzione del mondo moderno che ha condizionato le azioni degli umani privandole della loro unicità. Da carta di identità attraverso una complessa simbologia che può essere interpretata solo da eletti, è diventato un' espressione consumistica. Il problema è che abbiamo accettato questa trasformazione come la conseguenza di passaggi culturali inevitabili *Ogni persona che tatuo diventa come un familiare, perché nella tradizione del mio popolo il tatuaggio è un codice di comunicazione privata in cui riconoscersi totalmente. *In realtà la mia storia è un inganno. Uso il mio vissuto come un pretesto per costruire un universo umano. Anzi, credo proprio che la particolarità della mia scrittura sia quella di osservare la vita e raccontarla senza prendere posizioni. Come faceva mio nonno nelle sue narrazioni, e sulla cui oralità ho modellato la mia scrittura semplice e diretta ===2013=== {{Int|Da ''[https://www.panorama.it/lifestyle/nicolai-lilin-paranoie-format Nicolai Lilin: "Le mie paranoie, un format di successo]''|Intervista di Raffaele Panizza, ''panorama.it'', 19 gennaio 2013.|h=4}} *Io possiedo due licenze per il porto d'armi e alcuni fucili, e da frequentatore del poligono m'è capitato di dovere disarmare gente inetta: ricordo un tizio cui s'era inceppata la pistola e tentava di sbloccarla rivolgendola verso di me, col colpo in canna. *Avevo una fidanzata in Texas, il cui padre possedeva 30 fucili d'assalto. Sa dove li teneva? In giardino, nella casetta degli attrezzi. Qualsiasi pazzo avrebbe potuto prenderli e uccidere. Ecco perché succedono le stragi. *Nel 2003, in Afghanistan, ho arrestato un terrorista islamico con 8 chili di esplosivo nello zaino. *{{NDR|«Il suo ricordo più terribile di quegli anni?»}} In Iraq, dove agivano contractor assoldati da un colosso americano delle costruzioni, specializzato in impianti petroliferi. Erano nazisti, con le svastiche appiccicate alle uniformi. Scendevano in città e sparavano ai civili, falciandoli con la mitragliatrice. *{{NDR|«Le capita ancora di vivere paranoie da vita militare?»}} Sempre. Per scendere o salire dall'auto uso modalità operative. Camminando per strada scruto i tetti, in cerca di canne di fucile. Gli psicologi, purtroppo, non sono riusciti a guarirmi. *{{NDR|«Le è mai capitato di spaventarsi e assalire qualcuno?»}} È successo dopo l'uscita di ''Educazione siberiana''. M'ero appena comprato una casa in campagna e mi stavo rilassando sul divano, quando vedo due tizi avvicinarsi alla porta e infilare le chiavi nella serratura. Mi alzo, prendo la pistola e spingo forte la porta, facendoli cadere a terra. Chi siete? Dove sono le armi? Urlo, puntandogli l'arma in faccia. Erano due agenti di Tecnocasa convinti che la villa fosse ancora vuota. {{Int|Da ''[https://www.oggi.it/people/vip-e-star/2013/01/25/nicolai-lilin-perche-ho-detto-si-a-salvatores/ Nicolai Lilin: «Perché ho detto sì a Salvatores»]''|Intervista di ''oggi.it'', 25 gennaio 2013.|h=4}} *{{NDR|Su ''[[Educazione siberiana (film)|Educazione siberiana]]''}} All’inizio ero scettico e non credevo possibile ridurre il libro in un film. Certo che il libro fosse appetibile per il cinema se ne accorsero molto presto, già un mese prima che uscisse nelle librerie. Da quel momento ho ricevuto otto proposte da parte di altrettanti registi, ma a tutte ho detto di no, trattavo il mio libro come qualcosa di inviolabile, di sacrale. Con il tempo ho cambiato prospettiva e quando si è fatto avanti Salvatores ho accettato. Apprezzo il suo stile asciutto, la capacità di raccontare storie semplici e umane, senza per forza eccedere in virtuosismi inutili o trovate fini a se stesse. *{{NDR|Su [[Gabriele Salvatores]]}} È stato uno dei pochi a capire che il libro non è basato su una banale storia di criminali, ma al centro c’è la scomparsa di un vecchio mondo, sotto l’onda impetuosa e distruttiva di un nuovo mondo. Il resto sono solo circostanze, avvenimenti, che fanno da sostegno alla storia. I lettori del libro ci si ritroveranno molto. *Ho avuto modo di apprezzare il lavoro della scenografa Rita Ribassini, che ha lavorato duramente con una squadra di professionisti che hanno messo l’anima in questo progetto. Il risultato è stato davvero incredibile. E per essere precisi, non è stata ricostruita la Transnistria, ma è stato costruito una specie di non-luogo funzionale al racconto, anche se poi al suo interno ci sono parecchie immagini che rimandano a quel tempo. *Vivo talmente dentro il mio mondo chiuso che a volte mi sembra di non essere connesso alla realtà che mi circonda. {{Int|Da ''[https://www.huffingtonpost.it/2013/02/02/intervista-a-nicolai-lilin-ho-vissuto-il-male-delleducazione-siberiana-e-nella-costituzione-italiana-ho-trovato-il-bene-_n_2606526.html Intervista a Nicolai Lilin: "Ho vissuto il male dell'educazione siberiana e nella Costituzione italiana ho trovato il bene"]''|Intervista di Luca Ferrari, ''huffingtonpost.it'', 9 febbraio 2013.|h=4}} *{{NDR|Sulla [[Lega Nord]]}} Secondo me da queste persone, attraverso il sistema legale, deve essere ritirata la cittadinanza italiana per tutta la vita. *Per la bandiera italiana, per la questione italiana, per i miei cittadini italiani, io ammazzerò chiunque e farò la guerra fino alla vittoria o fino alla morte. *Io ho preso la pistola nella mia mano quando avevo cinque anni. *{{NDR|«Sei daccordo al matrimonio tra due persone dello stesso sesso?»}} Certo. Secondo me dovevamo andare verso questa direzione già tanto tempo fa. Cittadino è un'entità che lavora e contribuisce e crede nei valori. Se un omosessuale, una persona che crede nella bandiera italiana, crede nei valori di questo paese, crede nella Costituzione e contribuisce, è mio fratello e ha il diritto di fare tutto quello che hanno il diritto di fare tutti i cittadini di questo paese. *{{NDR|«Tra Monti, Bersani, Ingroia, Grillo e Berlusconi, chi secondo te potrebbe governare al meglio questo paese?»}} Io politicamente non sostengo nessuna di queste persone. [...] Non mi da fiducia nessuno. [...] Io sogno per l'Italia un uomo onesto, intellettuale e un grande conoscitore del proprio popolo. Mi piacerebbe avere una persona simile a quello che era in Unione Sovietica Gorbačëv. Io vorrei un leader politico come lui oggi in Italia, ma non c'è. *Io il signor [[Gérard Depardieu|Depardieu]] lo rispetto molto per le sue esibizioni artistiche e per quello che lui ha fatto per cinematografo, però quello che lui adesso ha fatto, operazione che lui ha fatto con la Russia, è un operazione infame, perché è impossibile che una persona oggi nel 2013 sfrutta un paese dittatoriale dove milioni di persone vivono sottomessi da un potere militare, dove in Cecenia gente continua a morire ogni giorno ammazzati dalle forze di polizia corrotti, trafficanti, criminali, assassini dove il capo del paese è un ex agente della KGB e che ha le mani sporche di sangue fino ai gomiti che si chiama Putin ovviamente, lo sappiamo tutti chi è, e noi adesso abbiamo questo qua, questo pagliaccio Depardieu che vuole far vedere a tutto il mondo che la Russia è un paese giusto. {{Int|Da ''[https://www.balcanicaucaso.org/aree/Transnistria/Educazione-siberiana-in-uscita-il-film-130358 Educazione siberiana, in uscita il film]''|Intervista di Bernardo Venturi, ''balcanicaucaso.org'', 11 febbraio 2013.|h=4}} *{{NDR|Su [[Michail Gorbačëv]]}} Lui è stato il migliore, ma molti russi non l’hanno capito. *In Transnistria ho ancora una piccola parte della famiglia, sono rimasti solo due anziani. La parte attiva della mia famiglia è migrata in diverse parti del mondo. Io, mia madre e mio fratello siamo qua, mio padre ha avuto tre attentati in Transnistria ed è scappato in Grecia; un’altra parte della famiglia è vicino a Mosca. Con il regime della Transnistria non ho mai avuto buone relazioni. Ho fatto una serie di attività di monitoraggio su traffici e corruzione della polizia e non mi vogliono più. *Il regime {{NDR|transnistriano}} è corrotto e autoritario, non potrà mai cambiare davvero ed essere democratico finché ci sarà la presenza della XIV Armata, l’esercito di occupazione russo. *Sono arrivato in Cecenia nel 1998, un anno prima dell’inizio della seconda guerra cecena. In quel periodo il nostro rapporto con la popolazione cecena era molto buono. Ci vedevano come un limite al terrorismo e alla presenza dell’estremismo jihadista. Poi con la guerra è tutto cambiato. I russi hanno usato metodi assurdi, come rastrellamenti e bombardamenti. Chiunque in quel periodo aveva un’arma in casa e questo non voleva dire che fosse un terrorista. Bombardare le montagne poi è strategicamente inutile. Chi, bombardando e per uccidere un terrorista, uccide 120 civili è lui stesso un terrorista. Se fossi stato ceceno in quegli anni sarei salito anch’io in montagna per combattere. *Oggi mi impegno su alcune cose, come la lotta alla pedofilia... ci sono dei traffici internazionali, anche dalla Russia, molto preoccupanti. Però è molto diverso dalla guerra. Oggi non combatterei mai una guerra offensiva. Se vivessi durante la seconda guerra mondiale, non sosterrei l’espansionismo fascista, andrei sulle montagne a combattere con i partigiani. *{{NDR|Su ''[[Educazione siberiana (film)|Educazione siberiana]]''}} Ho rifiutato varie proposte, alcune da Hollywood, per esempio da Scorsese, prima di accettare di lavorare con Cattleya . Ho deciso di lavorare con loro perché mi volevano coinvolgere nella realizzazione del film, ritenevano la mia presenza sul set indispensabile. Ho chiesto di lavorare con Salvatores perché lo ritengo il migliore. Gabriele ha accettato, gli è piaciuto moltissimo il libro. *Il consumismo post-sovietico era una cosa impressionante. Ha cambiato anche la criminalità, togliendoci l’etica, rendendola più feroce e spietata. I modelli occidentali si sono mostrati come inganni e questo ha portato disillusione e violenza. {{Int|Da ''[https://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2013/02/28/lilin-salvatores.html Lilin & Salvatores]''|''repubblica.it'', 28 febbraio 2013.|h=4}} *Secondo me il successo di Educazione siberiana è legato al fatto che l'ho scritto senza prendere le parti di nessuno, ma semplicemente utilizzando la voce di un ragazzo. Questo raccontare una realtà attraverso i sentimenti, senza tecnicismi, ha aiutato le persone a sentirla sulla propria pelle. E per me questa è una cosa davvero rivoluzionaria. Nella comunicazione letteraria è importante stare dalla parte dei sentimenti e non da quella dei meccanismi, altrimenti diventi scrittore politico. E quando in mezzo c'è la politica sporchi tutto. Io per esempio sono stato sempre colpito da giovane dagli autori di fantascienza americani degli anni Cinquanta, da Asimova Bradbury, perché è attraverso queste letture non dichiaratamente politiche - allora vietate nel mio Paese - che ho scoperto cosa accadeva nel mondo, a cominciare dalla guerra nel Vietnam. Grazie a questi libri, che in Russia si chiamavano "stracci", ed erano vietati, capimmo che il capitalismo non era tutto cattivo e che, di là dalla Cortina di ferro, c'erano persone che condividevano i nostri stessi valori. Su questo ho costruito la mia comunicazione letteraria. Poi, se c'è qualcuno che vede qualcosa di politico in quello che scrivo ben venga, ma il mio primo obiettivo è comunicare. Se vogliamo dire che ogni comunicazione è politica va bene, ma io non voglio assolutamente essere politico. E in questo momento sono anche apartitico. *Il film {{NDR|''[[Educazione siberiana (film)|Educazione siberiana]]''}} comunque finisce con il personaggio che lascia la Transnistria e spiega alla madre la sua voglia di cambiamento, cosa che a mia madre io non sono mai riuscito a spiegare. Ma questo perché veramente conservo un bambino dentro di me, che non mi abbandona. Il film è stato costruito usando il libro come base, ma la linea narrativa è completamente diversa. Ha una sua vita, e chi ha letto il libro riconoscerà molti personaggi, molte situazioni ma inseriti in una storia parallelae indipendente. Certo, quando mi è stato consegnata la prima stesura del soggetto, mi sono sentito smarrito. Per me, digiuno di cinema, è stata una sorta di sindrome delle prime nozze, quando la sposina non si toglieva i vestiti perché si vergognava di fronte al marito sconosciuto. Io mi sono spaventato non per il contenuto, ma perché mi sono reso conto della grandezza di quanto mi stava accadendo *Io ero uno dei pochi che, parlando russo, potevo comunicare con loro, e a un certo punto mi avvicinano questi due personaggi, dall' aspetto chiaramente delinquenziale, e mi chiedono "Sei tu che hai scritto il libro? Grazie a te ci hanno trasferito in un albergo bellissimo dove ci danno anche la colazione la mattina. Speriamo duri tanto". {{Int|Da ''[https://archivio.teatrostabiletorino.it/archivi/media/collectiveaccess/images/3/6/9/8951_ca_object_representations_media_36917_original.pdf Nicolai Lilin. Leggetemi come Asimov, scoprirete un altro mondo]''|Intervista di Michele Segreto, ''teatrostabiletorino.it'', marzo-aprile 2013.|h=4}} *In gioventù ho letto molti romanzi su mondi lontani, inventati e fantascientifici e, forse perché si costruivano su ambientazioni palesemente inesistenti, mi risultava semplice capire le metafore a cui alludevano. Il mio consiglio quindi è di leggere i miei romanzi come leggereste Asimov, per andare oltre la superficialità e capire il significato che volevo trasmettere quando li ho scritti. *Facevo parte di un’associazione culturale piemontese e scrivevo i miei racconti su un blog letto da una piccola nicchia di pubblico, e molte persone con cui lavoravo si complimentavano con me per le storie di cui parlavo e il tipo di narrazione. Ma se non fosse stato per un amico, che mi chiese se poteva far leggere i miei racconti a un editore, tutto sarebbe rimasto circoscritto al mio piccolo ambiente. Successivamente mi è giunta una telefonata del capo del settore della narrativa di Einaudi che mi faceva presente che per la casa editrice i miei testi avevano un grande interesse letterario. Così ho cominciato a scrivere per l’editoria. [...] Einaudi infatti aveva attuato una strategia particolare, spedendo cinquemila bozze rilegate del mio romanzo in giro per il mondo prima della pubblicazione. Per questo già un mese prima dell’uscita del libro alcune persone lo avevano letto e ne parlavano. Il caso più noto è stato quello di Roberto Saviano, che mi intervistò per La "Repubblica". Questa operazione mi portò quasi subito otto proposte cinematografiche. Pur sentendomi lusingato da tutte queste attenzioni, ero in una fase in cui non avevo nemmeno certezze su come sarebbe stata accolta la pubblicazione dalla critica e le rifiutai tutte, per il mio impulso a rimanere con i piedi per terra. Si può dire che avevo seguito il proverbio russo "è meglio avere poco, ma in pugno". *{{NDR|Su ''[[Educazione siberiana (film)|Educazione siberiana]]''}} Riflettendoci su, avevo capito che i miei timori erano legati soprattutto alle tematiche trattate nel libro, che sono facilmente fraintendibili senza una giusta chiave di lettura. Questa mia sensazione si è poi rivelata spesso veritiera, dato che molti hanno estrapolato di me solo l'immagine di un ex criminale siberiano capace di uccidere. Finché c'era il rischio di questo fraintendimento nulla poteva smuovermi dal blocco e per questo motivo sono arrivato a rifiutare anche le offerte delle grandi industrie cinematografiche statunitensi. Nemmeno l'interessamento di un grande regista come Martin Scorsese è riuscito a smuovermi, nonostante fossi personalmente certo che i suoi film sono sempre dei capolavori. Superai l'impasse con la decisione che avrei accettato di trasporre il libro su pellicola solo con chi sarebbe stato disposto a coinvolgermi direttamente nella messa in opera. Ho espresso la mia richiesta direttamente alla casa editrice, che si è occupata di contattare le industrie cinematografiche. Cattleya, oltre ad assicurarmi la collaborazione sinergica nel film, mi ha dato la possibilità di scegliere il regista con cui mi sentivo più in sintonia. Da lì è nata la mia proposta di coinvolgere Gabriele Salvatores. *{{NDR|Su [[Gabriele Salvatores]]}} Grazie alla formazione di Salvatores negli ambienti di sinistra e le sue dirette esperienze nei paesi dell'Est, lui ha capito esattamente la prospettiva degli antieroi che si trovano nel passaggio tra due sistemi, tra la distruzione dei valori passati e l'assenza di appigli per costruire il futuro. Con lui è stato più semplice lavorare in sintonia, mentre molti altri registi continuavano a vedere Educazione Siberiana solo come una violenta epopea sulla mafia criminale russa, confondendo le circostanze in cui i racconti avvenivano con l'anima della storia. *{{NDR|Su [[John Malkovich]]}} Quando si lavora con una persona come lui si capisce cosa vuol dire essere un attore professionista. La sua serietà, la curiosità e il coinvolgimento per le storie che deve interpretare danno il vero valore aggiunto alla scena. *Lo spettacolo teatrale è un'altra avventura in cui sono stato catapultato per caso, coinvolto da persone a cui era molto piaciuto il mio romanzo. Ho scritto la drammaturgia direttamente con il regista e anche in questo caso abbiamo creato una storia parallela ispirata alle situazioni del libro. Come nel film poi, ho partecipato attivamente sia nella ricostruzione degli elementi e delle armi che menziono in Educazione Siberiana, sia nei costumi e nei movimenti più adatti alle scene. Questa esperienza mi ha insegnato una tipologia narrativa ancora differente sia dal film che dal libro. {{Int|Da ''[https://inchiostroindelebile.wordpress.com/2013/03/07/nicolai-lilin-educazione-e-tatuaggi/ Nicolai Lilin: educazione e tatuaggi]''|Intervista di Sara Bauducco, ''inchiostroindelebile.wordpress.com'', 7 marzo 2013.|h=4}} *In quest’ultimo libro ho usato il tatuaggio come filo conduttore per creare una serie di racconti e parlare di alcuni personaggi. In ogni caso ''Storie sulla pelle'' può esser letto anche da chi non ha letto ''Educazione siberiana'', è un libro più letterario, costruito e ricercato. *Anche se l’uomo si è evoluto continua a voler rappresentare ciò che vive perché l’immagine dia l’illusione che il momento resti eterno. Ma anche le icone che sembrano vivere più a lungo possono distruggersi domani perché nulla è eterno. Questa volontà di fregare la morte mi ha incuriosito molto fin da piccolo. Sacro e profano si fondono, molti criminali – intendo per il modo di pensare – hanno cercato di avvicinarsi a quello che è l’eterno. Per me, che conosco le leggi della fisica quantistica, l’eterno è l’assoluto; per mio nonno l’assoluto era Dio creatore e lui chiedeva a persone che facevano icone di rappresentarlo. *Stavo scrivendo 6 progetti poi ho capito che era troppo, così ho indicato ognuno su un bigliettino e ho tirato a sorte per sapere quale continuare: ora mi sto concentrando su quello. Sono un narratore e i temi non mi mancano. Non ho mai scritto un libro di cui non sono soddisfatto. Per me un libro è una storia conclusa, che rileggo sempre prima di consegnare al mio editore. Solo il primo libro non l’ho riletto ma perché ce l’avevo dentro. Poi, quando lo consegno passo ad altro. {{Int|Da ''[https://www.panorama.it/cultura/nicolai-lilin-educazione-siberiana-intervista Nicolai Lilin: "Educazione Siberiana ha il pathos universale di una tragedia greca"]''|Intervista di Michele De Feudis, ''panorama.it'', 13 marzo 2013.|h=4}} *La definizione di "criminale onesto" è un ossimoro, incarna la visione del mondo di un cittadino orgoglioso, che non accetta le malversazioni dai prepotenti nascosti sotto le vesti legalitarie dello Stato o con la maschera dei politici corrotti. *La comunità che ho descritto non esiste più. I vecchi Urka sono morti, i giovani sono stati ammansiti dal sogno occidentale, dalle mollezze di costumi estranei alla loro cultura. *{{NDR|Sulla Russia}} È un paese difficile da governare perché sterminato territorialmente. E c'è un netto distacco tra intellettuali e popolo. *{{NDR|Su [[Ėduard Limonov]]}} È un estremista. Ha fondato un movimento fascio-comunista, il partito nazionalbolscevico. Le sue idee sono pazzesche e purtroppo molti intellettuali lo seguono. {{Int|Da ''[https://www.targatocn.it/2013/04/05/sommario/agricoltura/leggi-notizia/argomenti/attualita/articolo/lilin-autore-di-educazione-siberiana-si-rivela-a-targatocn-litalia-un-paese-di-compromessi-c.html Lilin, autore di "Educazione siberiana", si rivela a TargatoCn: "L'Italia? Un paese di compromessi che ha perso il contatto con la realtà"]''|Intervista di Nicolò Bo, ''targatocn.it'', 5 aprile 2013.|h=4}} *La mia esperienza in Italia è molto semplice: sono arrivato in qualità di extracomunitario come tanti altri per ricongiungermi a mia madre e poi sono dovuto rimanere. Il mio trasferimento in Italia non è stato programmato. *Se qualcuno vuole pensare che dietro a chi ha scritto il libro {{NDR|''Educazione siberiana''}} ci sia un ghostwriter, che lo pensi pure. A me importa, piuttosto, che costui abbia comprato il libro. *[...] io pago le tasse, mentre vedo, invece, che ci sono molti italiani che si sottraggono a questo dovere. Non riesco proprio a concepirlo: se la società decide che per il suo bene sono necessari determinati sacrifici, bisogna farli, tutti insieme. *{{NDR|«Perché la scelta della Lituania (con molti attori lituani!) per rappresentare la sua Transnistria [in ''[[Educazione siberiana (film)|Educazione siberiana]]'']?»}} Primo, perché ci è stato vietato di girare in Transnistria, essendo un paese molto chiuso e compromesso. Hanno letteralmente paura dell’Occidente. È un paese dove regna l’illegalità. Ho provato a mettermi in contatto con il Ministero della Cultura, ma da lì non si degnano nemmeno di risponderti. È come chiedere di fare un film in Venezuela o Cuba. La Lituania è invece un paese europeo che alletta per le abbondanti sovvenzioni e poi, da una parte è ancora riconoscibile lo stampo sovietico, dall’altra è già nel cuore dell’Europa. Comunque è la produzione che ha deciso, io non avevo voce in capitolo. Le voci per cui "Nicolai Lilin ha vietato di girare in Russia" sono fantasie dei giornalisti per creare un fantomatico scoop. *L’Italia è un paese di compromessi. Tutti si mettono d’accordo con tutti e tutto apparentemente va bene. Ma in realtà ci sono tantissimi problemi. Ci riteniamo democratici e poi creiamo campi di concentramento in Sicilia, dove stipiamo ragazzi africani e li facciamo morire come topi. Come li consideriamo, quindi? Umani? Criceti? Come dobbiamo trattarli? Poi abbiamo la politica, da mani nei capelli: da una parte mummie, dall’altra il circo bulgaro, senza nessuna coerenza. Serve qualcuno che veda chiaro e che racconti le cose come stanno realmente. Gli italiani hanno perso il contatto con la realtà. Pensano di vivere nei film di Hollywood: case da sogno, attori bellissimi. Non è questa la vera faccia della quotidianità. Andate a vedere le situazioni ai margini. Non è tutto Sanremo, qui. Purtroppo l’italiano medio non ha voglia di aprire gli occhi davanti a questi problemi macroscopici. La colpa sarà in parte anche dei politici, ma principalmente è degli elettori. {{Int|Da ''[https://www.ilgiornale.it/news/interni/adesso-i-tatuaggi-ve-li-disegno-sulle-magliette-925509.html "Adesso i tatuaggi ve li disegno sulle magliette"]''|Intervista di Daniela Fedi, ''ilgiornale.it'', 10 giugno 2013.|h=4}} *In generale penso che nella moda ci sia tantissimo spazio per le storie e la fantasia. In quella italiana, poi, c'è più ricerca e rigore che in qualsiasi altra. Non è la prima volta che mi chiedono di realizzare qualcosa nel settore, ma stavolta ho capito di poter fare di più. Ho preparato tre storie universali valide sia per le donne che per gli uomini: l'amore, il viaggio, l'opposizione a tutte le dittature. Ciascuno le interpreterà a modo suo traducendo i simboli come meglio crede, ma tutti noi viviamo queste situazioni: siamo uniti dai nostri destini diversi. Quel che ci rende umani, una grande specie dominante, è proprio l'essere uguali nella diversità. *{{NDR|«Qualcuno dirà che l'ha fatto per soldi, non pensa?»}} Si accomodino, non è la prima e non sarà l'ultima volta che mi attiro delle critiche. Sono stati molto coraggiosi i titolari di Happiness perchè fare questo progetto è come fare una dichiarazione pubblica di libertà mentale. *Il mio Paese è governato da militari e questo genera sempre intolleranza e squilibrio. È la cosa che temo di più perché in Cecenia e in molte altre situazioni della mia vita ho visto a cosa può portare la mancanza di equilibrio, un orrore senza fine. {{Int|Da ''[https://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2013/06/18/larte-del-tatuaggio-sul-tessuto-per-le.html L'arte del tatuaggio sul tessuto per le mie grandi storie universali]''|''repubblica.it'', 18 giugno 2013.|h=4}} *Quando realizzo un tatuaggio per una persona reale, non ho la possibilità di usare la fantasia, devo rimanere fedele alle storie della vita di ogni singolo individuo e questo mi spinge a cercare supporti alternativi, che permettano l'uso dell'immaginazione. *Ho scelto tre concetti che personalmente trovo profondamente intimi per ogni singolo umano, ma allo stesso tempo presenti in ognuno di noi. Uno è l'amore: siamo tutti innamorati di qualcuno o di qualcosa, siamo animati dalla passione e questo trasforma la nostra realtà quotidiana, modula la nostra vita.<br>Un altro concetto è il viaggio, siamo tutti sempre alla ricerca di qualcosa, spinti dalla curiosità, viaggiamo dentro noi stessi, esplorando attraverso la nostra natura quella dell'universo, ci misuriamo con il mondo. Il terzo concetto è la resistenza a tutte le forme di dittatura, prima di tutto all'ignoranza e all'intolleranza che ci circondano, su questi pilasti si basano tutte le forme di estremismi e di dittature che esistono. Quest'ultimo è il tema che mi interessa di più, in particolare in questo momento di cambiamenti globali, in cui l'importanza dell'integrità umana e l'apertura mentale di ogni individuo coinvolto nel percorso della storia universale rappresenta un elemento indispensabile del meccanismo esistenziale. {{Int|Da ''[https://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2013/07/11/lilin-si-da-tv-cinema-dopo-mankind.html Lilin si dà a tv e cinema. Dopo Mankind farò un film]''|''repubblica.it'', 11 luglio 2013.|h=4}} *Rulli e Petraglia sono stati per me due maestri: mi hanno introdotto alla magia e ai meccanismi del cinema. Sarei arrogante se dicessi che so già scrivere una sceneggiatura, ma sto lavorando in gruppo su alcuni progetti, per fine anno spero che maturi l' ossatura di un film. *{{NDR|Su ''Mankind''}} Per non fare i soliti "lanci" nel vuoto, spesso adottati in tv, la rete mi ha chiesto di approfondire alcuni temi legati all' attualità. Il documentario è spezzato da alcuni interventi, ci riferiamo a situazioni che viviamo oggi. Non ci sono veri e propri ospiti, ma nella puntata in cui parliamo dell' evoluzione delle armi, diamo la parola a un esperto di addestramento militare. Forse Mankind risente di un' impostazione americana, dove c' è il mito delle armi (tutti le tengono in casa), mentre in Italia l' approccio è diverso. *{{NDR|Su ''Mankind''}} Si parte dalla nascita dell'uomo. Si vede come sia riuscito a progredire, passando dalla caccia all' agricoltura. Si pone grande attenzione allo sviluppo economico, al commercio e alla geopolitica. Si parla delle rivoluzioni, ma non delle guerre mondiali, già abbondantemente trattate. Più che sulle ideologie e i capi di Stato ci si sofferma su persone comuni che hanno fatto grandi scoperteo che si sono battute per i diritti umani. {{Int|Da ''[https://www.stefanoguerriniarchivio.it/nicolai-lilin-e-la-sua-capsule-collection-di-t-shirt-per-happiness-la-mia-intervista-allautore-di-educazione-siberiana/ Nicolai Lilin e la sua Capsule Collection di T-shirt per Happiness. La mia intervista all'autore di "Educazione siberiana"]''|Intervista di Stefano Guerrini, ''stefanoguerriniarchivio.it'', 31 luglio 2013.|h=4}} *Da tempo il mondo della moda mi proponeva collaborazioni, ma fino ad oggi nessuna mi aveva convinto. Poi un giorno è arrivata la proposta di Yuri Scarpellini, fondatore di Happiness, con cui ci siamo intesi da subito poiché era sinceramente affascinato dall’idea del significato celato nei simboli e nei tatuaggi della mia tradizione. Non mi ha mai chiesto il significato dei disegni, così come vuole l’etica della mia tradizione, e mi ha lasciato totalmente libero di sviluppare il progetto come volevo. *Ho pensato ai giovani. Ho modo di dialogare spesso con loro, anche tramite i social network. Mi sembrano una generazione intelligente, curiosa, attenta e combattiva e ho voluto raccontarli attraverso questi disegni. *Come sa io ho un passato da militare, dove la moda non esiste perché tutto è uniformato. I capi di abbigliamento che prediligo sono quelli pratici, ma da quando vivo in Italia ho avuto modo di avvicinarmi al mondo della moda e di apprezzare lo stile classico degli abiti da uomo. Recentemente ho anche vissuto un’esperienza televisiva con lunghe prove abiti a cui non mi ero mai sottoposto. Poi, beh, nel mio guardaroba personale l’accessorio di punta rimane sempre la fondina. {{Int|Da ''[https://www.metropolitano.it/la-pelle-che-parla/ La pelle che parla]''|Intervista di ''metropolitano.it'', 10 settembre 2013.|h=4}} *La cultura criminale siberiana era già in decadenza quando ero bambino: era una mentalità chiusa, legata regole rigide che però portavano anche una serie di valori positivi come la correttezza, il rispetto dei deboli, delle autorità (criminali, ovviamente), la religione, la discrezione e l’educazione. Dall’altro lato, vi era l’odio profondo contro la polizia, contro il regime comunista e contro i diversi. Erano soprattutto i nostri anziani a tramandare le nostre leggi e i nostri costumi, mentre già la generazione di mio padre se ne stava allontanando. *La cultura di mio nonno si è estinta perché era imperfetta, estremamente rigida anche nei confronti di sé stessa. Era un mondo in cui l’intolleranza era portata all’estremo, quasi alla superstizione: basti pensare che mio nonno era terrorizzato dai gay, perché era credeva che l’omosessualità potesse essere trasmessa attraverso lo sguardo. *Cresciuti sotto il regime, i nostri anziani vivevano per sopravvivere. Con la fine del comunismo però è finita anche la cultura criminale siberiana: i valori dei nostri nonni non potevano vincere contro il consumismo moderno. *Il nostro tatuaggio non è mai stato geloso: anche al tempo dei nostri vecchi, nessuna regola proibiva di dare i nostri segni a chi non era siberiano, a patto che ad eseguire il tatuaggio fosse un kol’sik. Ad ogni modo, le antiche regole sono quasi dimenticate e non c’è nessuno che le faccia rispettare. Con il mio lavoro cerco di far sopravvivere la nostra arte alla dispersione della nostra cultura. *{{NDR|«È vero che hai ricevuto delle minacce, a seguito della pubblicazione dei tuoi romanzi?»}} Sì, ma non da parte di Seme Nero: magari non gli starò simpatico per quello che ho scritto nei miei romanzi, ma di fatto non hanno motivo di odiarmi al punto da farmi del male. Non sono uno di loro e non ho mai fatto finta di esserlo. Piuttosto, ho avuto problemi con alcuni mitomani italiani, nostalgici della vecchia Unione Sovietica, che mi hanno minacciato per la mia condanna del regime comunista. {{Int|Da ''[https://www.today.it/cronaca/nicolai-lilin-negozio-tatuaggi-solesino-padova.html Educazione siberiana sulla pelle: Nicolai Lilin e il "marchiaturificio"]''|Intervista di Francois Turatto, ''today.it'', 9 ottobre 2013.|h=4}} *[...] io sono molto legato al Veneto, mi sento anche un po’ Veneto in quanto ho gli stessi modi. Una somiglianza di etica e di morale. Provengo da un posto molto povero, dove la gente si rimboccava le maniche e lavorava sodo e aveva la mentalità molto simile ai veneti, quindi mi trovo molto bene qua. *Quello che vogliamo fare nel nostro laboratorio non è ripristinare la cultura siberiana – che si è quasi estinta – ma è influenzare la tendenza dei tatuaggi moderni con le regole del tatuaggio antico. Portare un po’ di senso e di significato in una cultura moderna che ormai è troppo estetica. *[...] il tatuatore non è importante perché tatua fisicamente il corpo, ma perché conosce e interpreta i simboli. {{Int|Da ''[https://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2013/10/15/gang-latinos-tatuaggi-codici.html Gang - Latinos - Tatuaggi , codici e omicidi così gli affiliati scalano il potere]''|''repubblica.it'', 15 ottobre 2013.|h=4}} *Otto anni fa mi sono trovato coinvolto in un progetto di monitoraggio delle sette sataniche a Torino. Uno dei miei incarichi era quello di analizzare i graffiti della città. Nei pressi della prefettura mi sono imbattuto in una serie di scritte con l'acronimo "Ms13", accompagnate da disegni di mani che facevano il segno delle corna. Ipotizzando un collegamento col tema del satanismo ho approfondito attraverso i miei contatti. Mi rispose un agente dell' Fbi che aveva passato più di dieci anni sotto copertura nelle gang di Los Angeles, con: «Complimenti, la Mara Salvatrucha è arrivata anche da voi». *Quando si parla di Ms13 bisogna essere consapevoli che rappresentano il corpo armato dei trafficanti messicani e che oltre a commettere omicidi e atti di violenza per conto dei boss della "Eme", la loro funzionalità è quella di "colonizzatori" di nuovi territori, che i criminali messicani invadono con lo spaccio di droga. *La gang Ms13 ha un rigido codice di comportamento, una gestione gerarchica, un sofisticato sistema di riconoscimento e una serie di linguaggi nascosti che spaziano tra tatuaggi, capi di abbigliamento, uso del linguaggio dei gesti, modi di tagliare i capelli, sagomare le sopracciglia, creare cicatrici di forme particolari in punti visibili del corpo. Ogni iniziato ha dei tatuaggi specifici, come i tre punti che rappresentano le tappe della vita di un mara: l' ospedale in cui si nasce, il carcere in cui si finisce e il cimitero in cui si va dopo la morte. Altri tatuaggi tipici sono le lettere MS in carattere gotico abbinate al numero 13. *La progressiva crescita in Italia delle gang di Ms13 è un segnale preoccupante. Può significare che stiano testando il nostro territorio per conto della criminalità messicana. Una volta inseriti nell' ambiente criminale locale e stabiliti sul territorio, potrebbero essere potenziati da chi è esperto nel traffico e dalle cellule violente dei killer. Il passo successivo è quello di organizzare il traffico diretto di armi e droga senza rendere conto alle comunità criminali locali. Questo è il modo in cui hanno agito durante la loro migrazione sul territorio degli Stati Uniti. Per una città come Milano, dove il traffico di stupefacenti è controllato dalle famiglie di origine calabrese, questo può significare una guerra tra fazioni criminali. Guerra che, come tutte le guerre, non porterà niente di buono né a coloro che la faranno né a coloro che saranno costretti a subirla. {{Int|Da ''[https://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2013/10/30/lilin-passeggiando-tra-maestri-russi-ora-serve.html Lilin, passeggiando tra i maestri russi Ora serve una rivoluzione delle idee]''|Intervista di Fulvio Paloscia, ''repubblica.it'', 30 ottobre 2013.|h=4}} *[...] sono rammaricato per come stanno andando le cose con Putin, le sue leggi omofobe, la censura, la pedofilia come sistema criminale per guadagnare denaro. La corruzione di stampo occidentale ha preso il sopravvento, per questo Berlusconi e Putin sono così amici, e si somigliano pure: ambedue oggetto di plastiche facciali per sembrare sempre giovani, ma solo Satana non invecchia mai. Sono demoni. *Non ho più fegato per vivere in un Paese così, dove l'unica soluzione ormai è il suicidio. Non amo essere sottomesso ad un Re. Sia Putin o Berlusconi. *Ci vuole una nuova rivoluzione. Non armata, ma delle idee. Un risveglio degli intellettuali che ribalti tutto attraverso la cultura. {{Int|Da ''[http://www.corrierespettacolo.it/educazione-siberiana-intervista-a-nicolai-lilin/ "Educazione siberiana": intervista a Nicolai Lilin]''|Intervista di Mariagiovanna Grifi, ''Corrierespettacolo.it'', 16 novembre 2013.|h=4}} *{{NDR|Su ''Educazione siberiana''}} Io ho scritto un romanzo, non un saggio storico, anche se ho fatto riferimento a un momento epocale della storia. Non è facile, e neanche opportuno, cercare di distinguere la realtà dal romanzo. Chi cerca di esaltare o di negare la verità del mio libro è comunque un "maleducato". Sta a me scrittore affermare se quello che ho scritto è fondato sull’esperienza vissuta o meno. *In Italia tutto deve essere uguale a qualcosa di più grande e importante, è la legge del conformismo: nel mondo consumistico vendere idee diverse è difficile, c’è bisogno di fondarle su un sottosuolo di base uguale ad altri. *{{NDR|Su ''[[Educazione siberiana (film)|Educazione siberina]]''}} Ho avuto molte proposte, anche più importanti di Salvatores, e magari avrei potuto guadagnare più soldi, ma avrebbero sicuramente stravolto il mio libro, lo avrebbero trasformato in uno ''splatter'' pieno di sangue e criminali russi. Ho preferito una persona sensibile, con cui poter lavorare anche di persona (fondamentale il fatto che Salvatores era a Milano, vicino a me). {{Int|Da ''[https://www.cafeboheme.cz/nicolai-lilin-tra-linchiostro-della-penna-e-quello-dei-tatuaggi/ Nicolai Lilin, tra l’inchiostro della penna e quello dei tatuaggi]''|Intervista di Mauro Ruggiero, ''Cafeboheme.cz'', 18 dicembre 2013.|h=4}} *Ho visto che in Italia la guerra viene considerata o come una cosa completamente da condannare, ma da condannare in modo generico, anche molto ipocrita, perché si condanna una cosa che non si conosce, oppure, dall’altra parte, molti la considerano invece un show, un divertimento, grazie ai film dove quando si uccide si ride, si scherza, oppure ai videogiochi dove dalla mattina alla sera ci si ammazza. Tra l’altro videogiochi molto realistici, che fanno paura… Si fa tutto questo, però, senza il dolore vero, senza vedere cosa accade dopo, perché quando nel videogioco si spara, il nemico cade a terra poi scompare, ma nella vita poi vedi anche la gente che arriva, la madre che piange… Per questo volevo raccontare la guerra così com’è veramente, per condividere questa esperienza con le persone che non conosco. *Non voglio certo difenderlo, sarei l’ultima persona a poter difendere il regime in Unione Sovietica, sarei un ipocrita, visto che nella mia famiglia sono morte 17 persone per mano dei sovietici… Però quando succedeva questo casino, quando è arrivata questa libertà e c’erano manifestazioni, carrarmati in piazza, gente… Io vedevo mio nonno che era triste e preoccupato. Allora io andai da lui e gli dissi: "Nonno, tu che li hai odiati per tutta la vita i comunisti, adesso che stanno crollando, che è questione di settimane e saranno finiti, come mai non sei contento?" E lui mi ha detto: "Nicolai io sono triste per te e per le generazioni che verranno dopo, perché non si distrugge una casa prima di averne costruita un’altra nuova". Diceva che anche se loro erano i nostri nemici e se noi non eravamo d’accordo con loro politicamente, non era giusto distruggere quello che avevano creato, il sistema sociale che loro hanno creato, senza avere almeno un’alternativa o un’ipotesi di alternativa. E io lì ho capito che comunque vada le regole servono, anche se a volte non ci piacciono. *È molto difficile per me parlare della Russia in termini analitici perché è il mio paese. È come se a te chiedessero se tua mamma è buona o cattiva… Nessuno risponderebbe che sua mamma è cattiva, assolutamente, anzi, risponderebbe che sua mamma è la migliore di tutte. Io adoro questo paese. Ovviamente sono molto preoccupato per le situazioni che ha vissuto in passato e che ancora dovrà vivere perché, come hai detto tu, la Russia è un paese enorme. Quando noi diciamo che la Russia è grande non lo diciamo tanto per dirlo, la Russia è veramente un paese grande: né Hitler né Napoleone sono riusciti a conquistarla e si sono resi conto di questa grandezza. Ci sono una serie di situazioni che questo paese sta attraversando oggi, a cui dobbiamo unire la sua complessità storica… Penso ad esempio alla corruzione, anche se questa non è solo una specificità russa, sulla corruzione italiana, ad esempio, si potrebbero scrivere saggi; è una cosa che colpisce a livello globale tutte le nazioni. *La Russia è un paese che, secondo me, potrebbe funzionare molto bene se la classe media, intellettuale, la borghesia che c’è -poca ma c’è- troverà un equilibrato accordo ed una unione con il popolo. Altrimenti ci saranno sempre questi sbalzi che poi portano a disastri com’ è stata la Rivoluzione di Ottobre che è stata la rivoluzione del popolo e però poi il popolo ha sterminato tutte le altre persone. La borghesia russa, quella che si è salvata, lo ha fatto grazie agli ebrei che hanno organizzato le navi per l’America per quelli che sono riusciti a scappare. Poi ci sono stati questi 70 anni di oblio totale; generazioni di umani che hanno sofferto e soffriranno ancora. Perciò io credo che la Russia debba necessariamente trovare un equilibrio sociale. *[...] io sono apolitico totalmente. Mi è capitato spesso, anche per un’azione che feci, quando tempo fa andai a presentare un libro a Casa Pound a Roma – al tempo non sapevo neanche bene cosa fosse Casa Pound- di essere considerato di destra. Ma io andai lì perché ci andarono anche altri intellettuali, anche di sinistra, c’era un ex brigatista… Però si vede che loro hanno un po’ manipolato la mia partecipazione e quindi in rete per un po’ di tempo mi davano del fascista, che per me è una cosa stranissima. Io ho origini ebraiche e quindi non posso proprio essere di destra, anche perché avevo una bisnonna ebrea che è stata nei campi. Anche se volessi essere un nazista non potrei per la memoria di mia nonna a cui volevo tantissimo bene. Mi piacciono le idee del tradizionalismo, ma non di quello estremo. Mi piacciono le regole, ma non regole per le quali una persona debba per forza morire. Se le regole devono essere intese come quelle applicate nel Terzo Reich, allora meglio nessuna regola. Non scherziamo! *Io sono nato nel 1980, avevo 7 anni quando nel 1987 cominciarono i primi turbamenti di pre-caduta sovietica, erano tempi a dir poco violenti, soprattutto dove io sono nato, un posto molto problematico. Arrivò l’eroina, cominciarono i primi tossicodipendenti, interi quartieri di periferia cadevano nella tossicodipendenza, vedevi questi zombie camminare per strada, io poi all’epoca ero un ragazzo e, come del resto anche adesso, mi piaceva farmi trasportare dalla fantasia e lasciarmi impressionare dalle cose, leggevo molti libri di fantascienza e quando vedevo questi tossici pensavo che fossero veramente degli zombie, dei morti viventi. Molti dei miei amici, dopo la caduta del comunismo, hanno iniziato ad avvicinarsi a nove dieci anni a quelli che spacciavano la droga, portavano loro i messaggi, allora quelli in cambio gli davano qualcosa, gli facevano sniffare l’eroina… È la morte questa! *Ricordo che con i miei amici andavamo in discoteca, ma non per ballare. Ci andavamo per picchiare quelli che ballavano. Eravamo ignoranti, tutti indottrinati con queste regole di strada secondo cui chi va in discoteca e balla è un bastardo, finocchio, omosessuale. C’era questo odio insensato nei confronti degli omosessuali che io ancora oggi non riesco a capire, però c’era, ed era terribile. Poi, stranamente, veri omosessuali in quel posto lì non ce n’erano neanche, non li abbiamo mai visti, li inventavamo! Era una cosa veramente allucinante, eravamo una generazione turbata. Noi andavamo in discoteca per picchiare quelli che ballavano, il nostro divertimento era aspettare chi si divertiva, aspettavamo lì sotto un muro quattro ore, fino all’una di notte la gente che ballava e ci riempivamo di odio ascoltando quella musica… Poi in realtà tutti avremmo voluto andare dentro a ballare, però nessuno voleva ammetterlo, altrimenti sarebbe stato considerato “ricchione”. Io volevo ballare… si vede che ero un “ricchione”… che ne so! Quando poi all’una di notte la gente usciva, in pochi minuti gli saltavamo addosso, li picchiavamo e poi scappavamo a casa ridendo, e questo era il nostro metodo di liberazione: correre all’una di notte per strada, tirando le pietre e sperando che gli sbirri non ci prendessero. Poi, ad un certo punto, io ho iniziato a tirare fuori le regole che avevo imparato dai vecchi, e ho capito che stavamo facendo delle cose non giuste e fui allontanato da alcuni miei amici perché mi dicevano che ero come un vecchio che gli stava rovinando il “bellissimo divertimento!”. *Io ho un fratello più piccolo, che è musulmano, è diventato musulmano, si è convertito un anno e mezzo fa, ha sposato una ragazza del Dagestan, quindi io in famiglia ho una ragazza imparentata con i ceceni, ma la religione quando è vera e sincera è un bene perché è un aiuto in più, ma quando diventa uno strumento trasforma gli uomini e li distruggi, per questo io credo servano equilibrio, ma soprattutto serva intelligenza personale. *Sono stato sposato una volta con un’italiana, adesso convivo con un’altra che sta aspettando un’altra bambina e quindi diventerò per la seconda volta papà. Sono veramente per le italiane, soprattutto le donne meridionali, le donne del Sud, così passionali, gelose… Hanno un carattere particolarissimo, profondo, che deriva credo dalle donne romane, da come erano le donne nell’antica Roma. *Per me è molto importante vivere in una società che non abbia nel suo passato dei buchi neri, e invece in Italia ci son ancora troppi buchi neri: la strage di Piazza Fontana, Ustica…. Tutto questo genera classi politiche che continuano ad avere una necessità di nascondere e che quindi, per quanto possano essere onesti questi politici, per quanto appaiano buoni, quando arrivano poi lì continuano a comportarsi come i loro predecessori. Da italiano io voto perché devo dare il mio voto, so che votare è una necessità, il cittadino deve votare così come il soldato deve combattere, perché se non combatti allora ti ammazzano, un cittadino deve esprimerne il proprio voto e perciò non è giusto quando qualcuno dice che non bisogna votare e che è meglio stare a casa, però io voto piangendo, te lo giuro! Mi vengono veramente le lacrime, io so che andando a votare sto andando a divorare il futuro dei miei figli perché non ho una persona che mi rappresenti veramente, perché tutti loro, i politici, comunque sono dei ladri, bugiardi, speculatori, qualcuno di più qualcuno meno, qualcuno più simpatico qualche altro più antipatico, qualcuno tende di più ai fascisti qualche altro ai comunisti, comunque sono tutti bugiardi e questa è una parte dell’Italia che mi turba. *Guarda: a quelli che dicono che gli italiani sono razzisti io gli spaccherei la faccia, gli farei ingoiare i denti a forza di botte! Io sono arrivato in Italia ed ero un perfetto nessuno. Ero un extracomunitario come tanti. Sono riuscito a realizzarmi, a scrivere i libri solo perché la gente non è indifferente, perché la gente ha comprato il libro, ha detto: “Ma chi è quello lì? Andiamo a leggere… Ma guarda che storia interessante!” Nessuno mi ha mai detto:” Schifoso negro, ebreo, comunista, russo…” Io ho incontrato sempre gente buona che mi ha aiutato. In Italia non ho mai trovato nessuno che mi rinfacciasse qualcosa. Certo, ci sono delle pecore nere… Ma guarda a Lampedusa cosa succede: la gente aiuta i rifugiati, è commovente. Vorrei davvero vedere se gli austriaci o i tedeschi sarebbero in grado di accogliere così, in quel modo. A Lampedusa la gente, nonostante la carenza di strutture si porta questi rifugiati a casa, gli dà da mangiare, li riscalda. Questa è l’umanità vera. Io sono felice per questo di far parte di questo popolo, gli italiani. È per questo che non sono andato via. Se fosse invece solo per la situazione politica sarei già emigrato. *La Russia è un paese dove la gente è buona, infatti somigliamo molto agli italiani, è per questo che mi sono trovato bene qui. In Russia non ti lasciano solo, senza un piatto caldo. I russi per natura sono molto ospitali, l’ospite è sacro. *In assoluto il mio autore preferito, di cui rileggo sempre tutti i suoi libri ogni anno, come un rito, una ritualità spirituale, è Bulgakov. Poi: Turgenev, Čechov, Tolstoj che per me sta vicino a Dio e a Dante. Mi piace immaginarli tutti e tre lì insieme da qualche parte. Secondo me Dio è stato un po’ Dante e un po’ Tolstoj. Li ha illuminati da lassù e ne ha fatto un po’ la presenza divina sulla terra. Un po’ come Buddha, Krishna… E poi tra i poeti mi piacciono Esenin, Mandel’štam, Blok e tanti, tanti altri. ===2014=== *Il nuovo “democratico” governo ucraino sta preparando dei campi di concentramento in cui intende rinchiudere tutti i cittadini del Sud-Est che verranno individuati come terroristi. Spaventa la modalità di selezione di tali criminali, poiché secondo le affermazioni rilasciate alla stampa dal ministro della difesa ucraino Michail Koval, gli abitanti del Donbass saranno “raccolti” in questi “campi di filtraggio” dove, dopo aver separato le donne, gli uomini e i bambini, alcuni “specialisti” dell’esercito ucraino decideranno chi di loro è un terrorista e chi no. Non si parla però di processo. Le basi legali e i metodi con cui intendono operare i militari in queste strutture fanno venire in mente i tristemente famosi campi di sterminio nazisti o i GULAG sovietici.<ref group="fonte">Da ''[https://web.archive.org/web/20140716082839/http://lilin.blogautore.espresso.repubblica.it/2014/06/29/ucraina-campi-di-concentramento-finanziati-dallue/ Ucraina: campi di concentramento finanziati dall'UE]'', ''Espresso.repubblica.it'', 29 giugno 2014.</ref> {{Int|Da ''[https://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2014/02/25/il-giusto-il-ribelle.html Il giusto & il ribelle]''|''La Repubblica'', 25 febbraio 2014.|h=4}} *[[Roberto Saviano|Roberto]] è stato tra i più entusiasti sostenitori del mio romanzo, molte cose che ho raggiunto nella vita le devo a lui, mi ha aperto tante porte, dal giornalismo al teatro. *Giuseppe lesse il libro su suo suggerimento, e mi chiese i diritti. Accettai, a patto di creare insieme una storia nuova, indipendente dal romanzo, ma che ne rispettasse i valori. Soprattutto il rapporto tra giovani e anziani. Oggi la società se ne disfa, li mette in casa di riposo, invece la condivisione delle loro esperienze è il dono più importante che un giovane può avere. Io sono cresciuto con gli anziani del mio villaggio, e quello che mi spaventa di più per le mie due figlie, Elena e Ada, appena nata, è che oggi mancano i maestri, buoni o cattivi che siano. I ragazzi sono lasciati soli. *A scuola ci preparavano a un mondo sovietico, a casa trovavamo il consumismo e il capitalismo post- sovietico, marcio e corrotto. Una giungla che ha spazzato via le leggi dei nostri nonni, i "criminali onesti". *Quando sono arrivato in Italia ero molto ingenuo, non conoscevo le dinamiche del mondo letterario. Diedi l'esclusiva del romanzo a Saviano perché fu il primo a interessarsene, si scatenarono invidie e ripicche. Un noto giornalista, che non nominerò, commissionò a una collega russa un articolo per screditarmi, e tutti a citarlo, senza verificare. Sa perché adesso le polemiche sono finite? Marco Deambrogio, lo scrittore viaggiatore, è andato in Transnistria dai miei nonni, e lo ha raccontato in un suo libro. Tutto qui. {{Int|Da ''[https://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2014/03/24/quella-scheggia-di-terra-orfana-dellurss-dove.html Quella scheggia di terra orfana dell'Urss dove si compravano le atomiche sottocosto]''|''La Repubblica'', 24 marzo 2014.|h=4}} *Molti russi di nazionalità si sono ritrovati cittadini di nuovi paesi appena formati, separati con nuova frontiera da quella che da sempre consideravano la loro patria. In alcuni casi i cittadini di nazionalità russa si sono rifiutati di aderire alla vita politico-sociale dei nuovi Stati, proclamando l'indipendenza e rimanendo fedeli al potere e alla struttura statale di Mosca. La Transnistria rientra tra questi Stati. *{{NDR|Sulla [[Transnistria]]}} Questo paese da anni è un buco nero di operazioni illecite. Proprio in Transnistria dopo la guerra di separazione dalla Moldavia nel 1992 si è creato uno dei più grandi mercati di armi di tutta l'ex Urss, e non si tratta solo di qualche pistola come abbiamo visto in una delle allegre inchieste delle Iene di qualche anno fa. In quel piccolo lembo di terra chiunque può comprare armi di distruzione di massa spendendo somme ridicole. *La culla del traffico delle armi è la 14ma armata russa, stanzia- ta in Transnistria dall'epoca sovietica, quando era destinata ad essere il magazzino e la fabbrica di armi per un'ipotetica guerra contro l'Occidente. Ma la guerra non c'è stata e le armi si sono accumulate nei numerosi magazzini se non addirittura a cielo aperto. L'Unione Sovietica è morta in decadenza, nella regione è scoppiata una sanguinosa guerra civile e quell'enorme potenziale bellico è finito nelle mani dei militari russi, sottopagati e con poche prospettive per il futuro. *Il riconoscimento da parte della Russia dell'indipendenza della Transnistria o anche la sua unione con la Moldova porterebbe ad una pace che i suoi cittadini aspettano da anni. Ma entrambe le opzioni sono compromesse. La colpa è dei potenti personaggi politici che si trovano in costante contatto con il mondo illegale. L'indipendenza della Transnistria l'immediata applicazione di leggi che non possono andare in conflitto con quelle internazionali, significa la possibilità di aprirsi al mondo, di avviare le relazioni con altri paesi. Questo spaventa solo chi opera contro la legge, contro la trasparenza e l'apertura tra i paesi, chi guadagna armando i poteri oscuri, chi fa affari con il terrorismo. {{Int|Da ''[https://web.archive.org/web/20150705122420/http://www.nicolaililin.it/it/maidan-lultimo-golpe-degli-usa-in-fallimento/ Maidan, «l'ultimo golpe degli Usa in fallimento»]''|Intervista di Giovanni Mari, ''Il Secolo XIX'', 28 giugno 2014.|h=4}} *{{NDR|Sul [[conflitto russo-ucraino]]}} È un conflitto tra potenze mondiali. Il primo esercito in campo, invisibile, è quello degli Stati Uniti. Una potenza in fase di fallimento che si sta muovendo da anni su decine di fronti per mascherare e per cercare di placare la sua inesorabile crisi economica. Ovviamente, quella americana non è una guerra militare, ma del tutto politica. Il problema, per loro, è che non ne potranno più uscire vincitori. *Dico ciò che so e ciò che so è sicuro. Io sono stato coinvolto in cinque guerre, in prima linea, nonostante abbia appena 34 anni. Quando voi ragazzi occidentali ancora vi dilettavate con qualche ragazza sui sedili posteriori di un'auto io ero già in Cecenia a uccidere i terroristi. *La storia degli Stati Uniti è stata la storia di una serie di interventi e di aggressioni militari, diretti o indiretti, guerre vere o fasulle. Tutto per favorire gli interessi privati di gruppi economici privati. Un tipico stile anglosassone, per altro, non hanno inventato nulla. Conquistano territori, intervengono nei fatti altrui, solo per accaparrarsi soldi, alleati, affari. *Ogni volta che sento qualcuno che parla di rivoluzione, di primavere, di riscatti… io lo metterei in carcere. Cosa c’è di più legale e onesto di un governo legittimo in un mondo assediato dalle multinazionali globali? Non avete visto come sono finite le primavere arabe e le operazioni per la libertà in Iraq? Gli americani stanno perdendo ovunque, i popoli stanno rialzando la testa. *{{NDR|«Chi c’era dietro quelle barricate?»}} C’erano delle falangi ben organizzate, addestrate in due campi in Polonia, in un campo in Ungheria e un altro in Germania. Sostenuti dall’esercito di Kiev post-golpe, che ha bombardato i civili, dato fuoco a villaggi. Tutto per seguire il disegno degli Usa di rompere il nascente asse tra la Russia e l’Europa, tra il popolo russo e il popolo europeo. *Subito dopo il crollo del Muro, gruppi fuori controllo, organizzati da spie americane lo hanno abbattuto e hanno insediato il fantoccio Eltsin, che ha smantellato lo Stato per regalarlo ai nuovi oligarchi complici del sistema occidentale. E non potevano fare altro, gli americani, visto che già era chiaro l’imminente crollo del dollaro. Da quel momento hanno avuto paura dell’asse russo-europeo, hanno cominciato a temere la Cina. E si sono attrezzati per muovere le loro solite guerre invisibili. Pensate se questo vasto continente dall’Europa alla Russia al Kazakistan all’India alla Cina si potesse unire. Pensate l’Italia che boom potrebbe avere, venderemmo la nostra moda, i nostri prodotti, i nostri libri. Potremmo fare a meno degli americani e gli americani non possono sopportarlo. Così hanno cominciato brutali operazioni, le stesse che oggi, però, non sono più in grado di gestire. Stanno perdendo ovunque, anche qui. *Lo sviluppo è qui, la Russia sta crescendo e l’Europa ha tutto l’interesse a fare un patto con loro, liberandosi dal giogo delle multinazionali private americane. Io parlo da cittadino italiano, da patriota italiano. La nostra economia, quella vera, non ha bisogno di questo sistema ormai al fallimento. Deve liberarsi dalla morsa americana e di Bruxelles. {{Int|Da ''[https://www.casadelsole.org/file/Intervista_Nicolai_Lilin_anteprima_Raccontami_N_60.pdf Intervista a Nicolai Lilin]''|Intervista di ''Casadelsole.org'', luglio 2014.|h=4}} *{{NDR|Sulla [[Transnistria]]}} Oggi è un protettorato russo la cui indipendenza non sarà mai riconosciuta. Non saprei dire se questo sia giusto o no. Ufficialmente dovrebbe far parte della Moldavia però il problema è che oggi ci sono molte persone in ambito russo soprattutto politico interessate a mantenere il potere su queste terre. *In Occidente il tatuatore è un signore che sta in un negozio e realizza tatuaggi per le persone che desiderano averne sulla pelle. Io non faccio questo tipo di attività. Per me il tatuaggio è una cosa ben diversa. Per i miei antenati essere un tatuatore era paragonabile ad essere un sacerdote, un prete; quindi tutta un’altra cosa. Io continuo a svolgere la mia attività in forma privata senza mischiare la mia arte e la mia tradizione con quello che è il tatuaggio moderno. *[...] sono cresciuto in un posto dove c’erano parecchie persone con diverse forme di disabilità, anche se da noi la parola disabile non è ben vista, perché si crede che le persone che qui in Occidente vengono definite disabili, abbiamo alcune abilità che noi non abbiamo. Quindi le consideriamo persone scelte da Dio per portare dentro i loro corpi il concentrato del loro spirito che gli permette di essere più vicine a Dio. E questa forma di convivenza con queste persone ovviamente cambiava l’approccio con quello che era il loro stato fisico o mentale. Per cui cerco di non usare la parola disabile proprio perché credo profondamente che in realtà siamo più disabili noi rispetto a quello che portano dentro questi umani. {{Int|Da ''[https://web.archive.org/web/20141220053846/http://lilin.blogautore.espresso.repubblica.it/2014/07/04/estremismo-inutile/#more-80 L'estremismo ucraino di casa nostra]''|''Espresso.repubblica.it'', 4 luglio 2014.|h=4}} *Ho cercato un filo logico tra i messaggi pieni di odio, di ignoranza geopolitica, di ottusa propaganda, di violenza e di guerra. E’ stato inquietante prendere consapevolezza che dietro quelle parole xenofobe e violente non ci sono soltanto ucraini manipolati e accecati dalla propaganda razzista, ma sopratutto cittadini italiani, gente nata e cresciuta in un Paese che non vede la guerra da quasi settant’anni. Il Paese la cui Costituzione ripudia la guerra come metodo politico. *Ho trovato diversi messaggi di richieste di aiuti finanziari da parte delle organizzazioni paramilitari di estremisti ucraini e anche alcune foto di documenti che confermavano la spedizione dei soldi dall’Italia all’Ucraina, con tanto di lettere di ringraziamento da parte delle “centurie”, bande armate che da mesi tengono nel terrore l’Ucraina. Ho trovato dei video nei quali i giornalisti russi sono ripresi mentre i razzisti ucraini li torturano e massacrano. Sono commentati con frasi di odio e violenza. In uno dei messaggi c’è una fotocomposizione con due giornalisti russi e l’invito ad agire contro di loro. Non posso credere che questo livello di odio e di assurda esaltazione di estremismo sia possibile oggi in Italia. *Ormai mi sto abituando al fatto che gli unici argomenti con cui operano gli estremisti ucraini e i loro sostenitori sono le offese, le diffamazioni e le minacce. Evidentemente il violento golpe che ha distrutto l’Ucraina e al quale hanno partecipato diversi concittadini italiani ha contagiato con una febbre di onnipotenza le menti di molte persone. Però qui in Italia non abbiamo bisogno di rivolte che getterebbero il paese in una guerra fratricida. Non abbiamo bisogno di altri pretesti per seminare odio, intolleranza, xenofobia e razzismo. Abbiamo bisogno di pace e di ripresa economica, di uomini onesti nella politica e nell’economia. Per questo trovo che l’attività di una banda di esaltati estremisti ucraini qui in Italia sia semplicemente fuori luogo. E completamente inutile. {{Int|Da ''[https://www.barbadillo.it/25746-intervista-nicolai-lilin-ucraina-tradizione-comunita/ L’intervista. Nicolai Lilin: "In Ucraina c'è stato un golpe. Ripartire da tradizione e comunità"]''|Intervista di Mario De Fazio sulla [[rivoluzione ucraina del 2014]], ''Barbadillo.it'', 5 luglio 2014.|h=4}} *Ciò che dico viene sostenuto da larga parte della sesta parte del mondo, la Russia. Cose che vengono taciute dai nostri media occidentali, in gran parte corrotti e strumentalizzati. In Ucraina è avvenuto un colpo di Stato, illegale, violento, organizzato da forze esterne. Non rappresenta assolutamente la volontà del popolo ucraino. Se tutto il popolo fosse stato d’accordo non ci sarebbe stata la secessione della Crimea e la guerra civile che c’è adesso. *Non dubito che tanti ragazzi di [[Maidan]] volevano il bene della loro patria. Ma sono stati strumentalizzati: Lenin chiamava persone del genere "utili idioti". Possono avere tutte i buoni propositi che vogliono ma ammazzano persone civili e partecipano a uno scempio sulla propria terra. Combattono cittadini della loro stessa terra ed è la cosa peggiore che c'è. Un uomo, un guerriero, deve difendere la propria terra dagli esterni, loro si sono messi insieme a gente venuta da fuori, da Washington, per insegnare i nuovi valori, e si sono fatti strumentalizzare e uccidono i loro fratelli, gente che crede nello stesso Dio. Lavorando, in questo modo, per chi crede in McDonald’s e Shell. *L’Ucraina aveva già la possibilità di essere indipendente, con Janukovyc. È vero che era costretto ad accettare alcune posizioni russe, e bisogna dire che era un oligarca. Ma rispecchiava bene il popolo ucraino. Ciò che è avvenuto adesso, la rivoluzioni populista, è dovuto al lavoro di agenzie esterne, che hanno strumentalizzato il populismo creando una guerra. {{Int|Da ''[https://web.archive.org/web/20141219205756/http://lilin.blogautore.espresso.repubblica.it/2014/07/05/simboli-nazisti-ufficializzati-in-ucraina-a-livello-statale/#more-108 Simboli nazisti ufficializzati in Ucraina a livello statale]''|''Espresso.repubblica.it'', 5 luglio 2014.|h=4}} *Gli uomini del potere di Kiev [...] si abbandonano di gusto alla nostalgia per i tempi in cui i loro antenati “patrioti” e “difensori dell’integrità nazionale” collaboravano con Hitler, sterminando centinaia di migliaia di civili ebrei, ucraini, russi, polacchi, bielorussi. La propaganda del nazismo è diventata l’apoteosi del nuovo regime portato al potere con il golpe di Maidan. *Lo stemma del battaglione Azov riporta fedelmente un simbolo germanico che si chiama Wosfsangel, che sarebbe “dente di lupo”. Questo simbolo ha le origine runiche ed era adottato da numerose unità militari della Germania nazista. E nonostante i crimini compiuti dal nazismo condannato da tutta l’umanità, nessuno qui da noi, nell’Europa moderna, si scandalizza se nell’Ucraina golpista vengono usati i simboli nazisti, prima dai delinquenti violenti di Maidan e poi un’unità dell’esercito regolare. Qual è la prossima tappa? Lo sterminio dei propri cittadini che non acconsentono al potere del golpe, la censura, gli assassini dei giornalisti? O, scusate, che distratto, sta già accadendo! Persino il nostro connazionale, il giornalista Andrea Rochelli e il suo collega russo sono stati barbaramente uccisi dai nazisti dell’esercito di Kiev. E nessuno qui ha dato spazio a questa tragedia, nessuno ha raccontato la storia di Andrea, nessuno ha parlato della sua famiglia, nessuno ha condiviso con la sua nazione il momento dell’addio, dei suoi funerali. Che vergogna… *Giocando con l’ideologia nazista gli ucraini e i loro sostenitori europei e americani non si rendono contro che stanno giocando con il fuoco. Contagiati dalla febbre della nostalgia, i politici e molti cittadini ucraini dimenticano che si tratta di un sentimento molto pericoloso, che a volte può fare dei brutti scherzi, può portare verso le situazioni che si ritorcono contro. {{Int|Da ''[https://web.archive.org/web/20141220053836/http://lilin.blogautore.espresso.repubblica.it/2014/07/09/quando-la-democrazia-si-sposa-con-il-nazismo/#more-125 Quando la democrazia si sposa con il nazismo]''|''Espresso.repubblica.it'', 9 luglio 2014.|h=4}} *Oggi a Milano ho incontrato un amico. Ci siamo fermati a chiacchierare del più e del meno e tra i vari argomenti siamo finiti a parlare di ciò che accade in Ucraina. Essendo omosessuale il mio amico mi ha detto di essere contento del golpe di Stato, perché secondo lui ora con il nuovo governo nel Paese ci sarà più libertà per gli omosessuali e in generale per l’individuo, valore che da sempre costituisce il cavallo di battaglia del mondo occidentale. [...] Parlando con lui ho capito il motivo per cui gran parte dei politici europei spiegano all’opinione pubblica dei nostri paesi perché approvano il colpo di stato in Ucraina avvenuto lo scorso inverno. Si tratta dello stesso motivo per cui dopo la Seconda Guerra Mondiale la società occidentale ha giustificato ogni passo compiuto verso l’espansionismo militare ed economico, ovvero, la necessità di portare democrazia e libertà in quei paesi che, secondo la visione degli occidentali, soffrono per la mancanza di questi diritti fondamentali. Ovviamente la democrazia è solo un pretesto. *{{NDR|Su [[Petro Oleksijovyč Porošenko]]}} Al posto del presidente oligarca è arrivato un oligarca peggiore, di cui si sa che negli anni della sua carriera politica spiava per conto degli americani. *[...] per spiegare al mio amico che la condizione di vita degli omosessuali ucraini non è migliorata, ma probabilmente peggiorata con l’arrivo al potere dei neonazisti, gli ho mostrato un video di qualche giorno fa, in cui una di queste bande di neonazisti ucraini assalta un night club di Kiev, gestito e frequentato prevalentemente da omosessuali. Alcuni sono stati feriti, bruciati con una serie di ordigni esplosivi fatti in casa e lanciati all’interno del locale dai “portatori della democrazia” ucraini. {{Int|Da ''[https://web.archive.org/web/20141220053909/http://lilin.blogautore.espresso.repubblica.it/2014/07/18/limpero-delle-balle/#more-137 L'Impero delle Balle]''|''Espresso.repubblica.it'', 18 luglio 2014.|h=4}} *Accusare qualcuno di abbattere un Boeing a colpi di fionda è possibile: oggi tutto lo è nell’Ucraina “democratica” e “libera” nata dopo Maidan. Per farlo, basta seguire gli interessi delle lobby americane controllate dall’intelligence statunitense. Se gli Stati Uniti sono riusciti a rifilare al mondo intero, cittadini americani compresi, le storielle delle Torri Gemelle abbattute dagli arabi e del Pentagono colpito da un aereo di linea – che avrebbe lasciato un buco di soli cinque metri -, perché i nazisti ucraini non possono attribuire l’abbattimento di un Boeing ai minatori e ai contadini del Donbas in rivolta contro il governo golpista di Kiev? *[...] diverse agenzie di stampa occidentali hanno divulgato alla velocità della luce un’informazione approssimativa, non verificata e hanno accusato prontamente dell’abbattimento del velivolo quei ribelli filorussi che tentano solo di difendere la popolazione civile del Donbas dall’aggressione del governo anticostituzionale di Kiev. Trovo vergognosa la reazione di molti giornalisti occidentali che ormai senza alcuna etica professionale fabbricano “notizie” a suon di frusta dei loro padroni, tutti azionisti privati. *La responsabilità dell’abbattimento di un aereo di linea che viaggia a 10.000 metri non può essere attribuita a qualcuno sulla base di una fantomatica registrazione vocale apparsa in rete, una registrazione che perfino un adolescente alla tastiera sarebbe capace di fabbricare. *[...] non escludo che dell’abbattimento siano colpevoli proprio gli uomini di Kiev, visto che in questo momento sono spalleggiati dalle stesse strutture che hanno organizzato il disastro datato 11 settembre. Allora raccontavano a tutto il mondo favole sui terroristi arabi, speculavano sulle immagini delle torri che crollavano giù con dinamiche che assomigliavano a quelle di una demolizione controllata: quelle teorie che non si reggevano in piedi già allora sono state smentite poi dai migliori specialisti del settore. *Oggi gli esperti di bugie e complotti che siedono in poltrona a Washington fanno di tutto per dipingere la Russia come un mostro, fanno di tutto per scatenare una guerra terribile tra Ucraina e Russia, e questo non solo per fare soldi, ma anche per spaccare l’asse nascente dell’economia euroasiatica. Gli Stati Uniti, con un tale debito pubblico, non possono far altro per salvare la pelle e cercare di mantenere il loro dominio economico e militare sull’Europa. La politica fallimentare americana, che minaccia di cancellare tradizioni e radici di molte nazioni, che priva miliardi di persone della loro identità trasformandole in schiavi indifesi del neo feudalesimo, sta diffondendo nel mondo, sotto bandiera a stelle e strisce, un devastante neoliberismo a suon di bombe. *Per evitare altre morti e spegnere il fuoco di questa guerra civile, l’Ucraina deve smettere di esistere come Stato. Il governo, le forze dell’ordine e l’esercito che si sono macchiati di crimini contro l’umanità devono essere arrestati e processati in quanto responsabili. La NATO dovrebbe essere sciolta immediatamente, visto che il blocco dei paesi del Patto di Varsavia non esiste da più di due decenni. Servirebbe un intervento militare dell’ONU per disarmare le due parti coinvolte in questa guerra. I criminali nazisti di Kiev, i loro collaboratori e consiglieri di Washington dovrebbero essere portati davanti al tribunale internazionale dell’Aja ed essere giudicati con tutta la severità che la legge consente. Solo così e solo allora da quel paese martoriato cominceranno ad arrivare notizie vere, coerenti: solo allora il mondo potrà respirare liberamente. {{Int|Da ''[https://web.archive.org/web/20141220054039/http://lilin.blogautore.espresso.repubblica.it/2014/07/23/chi-ha-abbattuto-laereo-malese/#more-143 Chi ha abbattuto l’aereo malese?]''|''Espresso.repubblica.it'', 23 luglio 2014.|h=4}} *Secondo le informazioni ormai pubbliche e autorevolmente affermate, l’aereo può essere stato colpito sia dagli ucraini che da ribelli filo-russi. *[...] è possibile che il missile sia stato scagliato contro un aereo militare ucraino, molto più piccolo: un jet che ha usato il Boeing come una sorta di scudo – come fa intendere Mosca – o che più semplicemente si trovava in zona senza essersi accorto di volare sulla rotta percorsa dagli aerei di linea. *[...] se la degenerazione del conflitto civile diventasse il pretesto per un intervento americano, con o senza il cappello della Nato, rischieremmo di vedere trasformare un territorio nel cuore dell’Europa in uno scempio bellico senza più speranza di pace, come è già accaduto in Iraq, Libia e Afghanistan. {{Int|Da ''[https://www.sulromanzo.it/blog/intervista-a-nicolai-lilin-il-serpente-di-dio-e-il-potere-della-lettura-e-della-diversita Intervista a Nicolai Lilin: "Il serpente di Dio" e il potere della lettura e della diversità]''|Intervista di Matteo Bolzonella, ''Sulromanzo.it'', 4 agosto 2014.|h=4}} *{{NDR|Su ''Il serpente di Dio''}} Il romanzo nasce qui in Italia, meno di un anno fa: è una sorta di mia reazione alla situazione geopolitica che si sta vivendo. Vivo con dolore il fatto che oggi le diversità vengano sfruttate da diverse fazioni politiche o geopolitiche come delle armi per manipolare le società. Quella diversità che dovrebbe essere la nostra ricchezza, una delle poche cose che aiuta a conoscere veramente il mondo e a rispecchiarsi in esso, oggi viene riproposta spesso, anche da parte dei mass media, come un elemento di cui dobbiamo avere per forza paura e che dobbiamo fronteggiare con molta attenzione, quasi con sospetto: “Se uno è diverso da me, è uno di cui io non devo e non posso fidarmi”; ecco, questo non va bene. Io sono nato in [[Unione Sovietica]] e ho il ricordo di un Paese bellissimo, con 183 etnie che vivevano in pace e armonia, senza mai aver avuto sospetti di questo tipo. In modo particolare non sentivamo questa inevitabile divisione tra mondo islamico e mondo cristiano che oggi viviamo, di cui mi dispiace molto. Il mio fratello minore, Dimitri, si è convertito all’Islam e si è sposato con una bellissima ragazza di Daghestan, paese russo con una maggioranza di etnie di religione musulmana. La mia famiglia vive con molta serenità questa situazione ma spesso dall’esterno, anche da alcuni miei amici, questa differenza è stata vista male: tantissimi vedono la scelta di mio fratello come una cosa molto estrema. Il mio romanzo si basa sul valore della diversità nella religione: i protagonisti sono due ragazzi, uno cristiano e uno musulmano che, nonostante la differenza culturale e religiosa, riescono a sviluppare un rapporto fraterno, come viene suggerito dalla loro stessa comunità, quella caucasica. E il [[Caucaso]] è storicamente luogo di una convivenza tra comunità non solo pacifica, ma anche fraterna. *In Russia una cosa che mi ha aiutato moltissimo e che forma la base della mia espressione narrativa è la narrazione orale, su cui si è formata la cultura siberiana nella quale io sono cresciuto. Mio nonno mi raccontava tantissime fiabe e questo per me è stato fondamentale. D’altra parte ho avuto anche un’educazione sovietica: nelle scuole russe si leggeva molto, moltissimo, tanti classici, russi e stranieri e questo mi ha aiutato ovviamente a elaborare una forma espressiva tutta mia ma che si basa sui libri che ho letto. *{{NDR|Su [[Gabriele Salvatores]]}} Io amo quest’uomo, a mio avviso è uno dei più importanti e talentuosi registi italiani che hanno fatto la storia del cinema italiano. *{{NDR|Su ''[[Educazione siberiana (film)|Educazione siberiana]]''}} Il film è sicuramente bellissimo ma già dall’inizio si capisce di trovarsi davanti a una storia parallela: non è un tentativo di ripetere il libro sullo schermo, ma ricrearne la storia prendendone spunto. {{Int|Da ''[https://web.archive.org/web/20141220054041/http://lilin.blogautore.espresso.repubblica.it/2014/08/12/quando-il-male-sorride/#more-162 Quando il male sorride]''|''Espresso.repubblica.it'', 12 agosto 2014.|h=4}} *{{NDR|Sulla seconda guerra cecena}} [...] a quei tempi {{NDR|i ceceni possedevano}} apparecchiature di rilevamento molto efficaci fornite dall’esercito americano, fornite tramite i loro alleati georgiani che alimentavano il terrorismo wahhabita in Caucaso. *Una volta, nel corso di una missione particolarmente dura, la squadra della quale io facevo parte non e’riuscita a ritornare al punto di evacuazione per il tempo stabilito e per questo abbiamo dovuto fare ritorno alla base a piedi. Ci abbiamo messo due giorni per aggirare vari gruppi dei wahhabiti, eravamo nel bel mezzo di un territorio controllato da loro. All’arrivo ci siamo seduti tutti insieme con il nostro comandante e con il nostro maresciallo, bevendo zuppa calda, abbiamo raccontato nei particolari la nostra avventura. Alla fine il nostro vice capo gruppo, un giovane sergente maggiore, si è lamentato di come le circostanze operative diventassero sempre più difficili, di come i wahhabiti si accorgessero della nostra presenza sempre più spesso, della loro accuratezza negli spostamenti, di come avessero imparato ad evitare le nostre trappole. Leonid Vladimirovich aveva risposto con una frase che io non dimenticherò mai: “Quando la guerra si fa dura e vi pare sentire la risata del diavolo, dovete rispondergli con una risata più forte”. *La guerra che il governo golpista Ucraino compie contro il proprio popolo non ha alcun senso e tutte le sue vittime sono sulla coscienza di quegli oligarchi criminali ed estremisti, che con l’aiuto di USA e UE, si sono improvvisati politici dopo aver rovesciato un governo legittimo, facendo sprofondare il Paese in un conflitto sanguinario, la cui fine, ho paura, non vedremo molto presto. Tutti sono vittime dell’attuale amministrazione che illegalmente occupa incarichi governativi in Ucraina ed agisce in maniera anticostituzionale. I civili innocenti massacrati nel corso dei bombardamenti ad opera dell’esercito ucraino o durante le rappresaglie degli squadristi neonazisti, armati e pagati da oligarchi corrotti, i ribelli che difendono la popolazione del Sud-Est ucraino, i sostenitori estremisti di Kiev giustiziati nelle azioni di rappresaglia improvvisate da ribelli, i soldati dell’esercito regolare ucraino, i volontari esaltati della guardia nazionale, i neonazisti dei vari “battaglioni” che di militare non hanno niente e somigliano a bande di criminali strutturate attorno a uomini di potere corrotti: tutto questo graverà sulla coscienza di chi alimenta politiche espansionistiche e su quella di chi si offre come servo al padrone e che opera con metodi da grilletto facile. *Sono passati circa tre mesi da quando l’esercito regolare ucraino ha cominciato a compiere massacri quotidiani contro i civili del Donbass utilizzando aviazione e artiglieria. In questo modo il governo golpista di Kiev sperava terrorizzare la popolazione e placare la resistenza di chi rimaneva fedele alla Costituzione e alla Legalità, stuprate e dissacrate dopo il colpo di stato armato avvenuto per mano delle falangi estremiste a Maidan. La resistenza non ha mollato. Allora i “democratici” di Kiev, incitati dai “consulenti” della NATO, sono passati all’utilizzo di armi ancora più terrificanti: fosforo bianco, proiettili dalle testate termobariche, missili non guidati Grad, bombe a grappolo. Questo aumento della brutalità bellica ha incrementato il numero di vittime soprattutto ed esclusivamente tra i civili. Ma la popolazione del Donbass, martoriata e terrorizzata, non smette di sostenere i suoi ribelli. *L’abbattimento dell’aereo malese e’ stato una manna dal cielo per il governo golpista. Ma non sono riusciti a sfruttare adeguatamente nemmeno questo drammatico episodio, perché non hanno il totale controllo del paese, perché la loro propaganda è debole e inefficiente, in quanto sfrutta un bacino di pubblico in gran parte poco preparato e malinformato, e opera con materiali considerati incoerenti, che vengono divulgati con dei modi persistenti e violenti per qualsiasi persona normale di cultura media. Incolpare la Russia dell’abbattimento dell’aereo è stato un fallimento totale. Non e’ servito a capire chi ha abbattuto realmente quell’aereo, ma soprattutto ha insospettito tutto il mondo. Non sono serviti nemmeno gli interventi dei politici statunitensi e del presidente Obama che strillava come un indemoniato incolpando i russi, con prove che avrebbe potuto fabbricare qualsiasi ragazzino abile con Photoshop. Per ora i russi sono stati gli unici a fornire le prove che riguardano quella tragedia e gli Stati Uniti si sono chiusi in un imbarazzante silenzio. Quindi nemmeno l’abbattimento del Boeing malese e’ riuscito a risanare la situazione dei golpisti e giustificare a livello internazionale l’intervento della NATO, che non vede l’ora di invadere l’Ucraina e alimentare un lungo conflitto contro la Russia. Questo dovrebbe distruggere per sempre la prospettiva della creazione di un asse economico euro-asiatico, una degna e logica alternativa al dominio statunitense, che sprofonda sempre di più nella crisi e costringe gli europei ad allontanarsi dai diritti civili, come quelli per la casa, per il lavoro, per la sanità. *Il fascino della propaganda dell’Impero di fast-food e’molto forte. Molti ucraini hanno perso la testa abbagliati dalle promesse americane, pensando che li aspetti una vita come quella delle serie TV statunitensi. Non gli importa che gli USA non sono certo un esempio di paradiso sociale: cinquanta milioni di americani non hanno diritto alla sanità, senza parlare degli analfabeti, della criminalità e del sistema giudiziario che diventa un modo per togliere dalla circolazione quella classe di cittadini che non rientra nello schema di vita degli ultra liberisti. L’esaltazione degli ucraini per il sistema americano mi appare come la metafora di uno schiavo che scappa da un padrone e si nasconde nella casa dell’altro, motivando il suo gesto con il fatto che il vecchio padrone lo picchiava con un bastone di legno e quello nuovo lo farà con un bastone d’oro. Proprio per questo gli ucraini pro golpisti si spingono verso crimini sempre peggiori contro i propri concittadini che non condividono la loro visione socio-politica. *Sono d’accordo con la volontà di un popolo di auto determinarsi e liberarsi dalle influenze geo-politiche non desiderate e se la stragrande maggioranza degli ucraini veramente non vuole più avere a che fare con Russia, comprendo e approvo tale decisione. Ma come fanno a non accorgersi che in questa situazione il loro sentimento anti russo è stato manipolato e sfruttato da un potere altrettanto corrotto, che distrugge il loro paese trasformandolo in una pedina, in un campo di battaglia? Stanno strappando legami storici, stravolgendo l’identità nazionale, riportano in vita dall’abisso dei secoli mostri che si erano macchiati dei crimini peggiori. Non capisco come possano ancora quegli ignoranti sostenitori del colpo di Stato di Maidan esaltare la morte delle donne e dei bambini della loro stessa nazione, commentando con dei motti pieni di insulti il presidente di un altro paese. È come se un mio vicino che mi odia, e non può fare niente di concreto contro di me, passasse il suo tempo a massacrare di botte i suoi figli e sua moglie sotto le finestre di casa mia, urlando per tutta la via che io sono un mostro, un violento, aggressore e dittatore. {{Int|Da ''[https://messaggeroveneto.gelocal.it/tempo-libero/2014/09/02/news/nicolai-lilin-la-casta-fa-politica-criminale-1.9858294 Nicolai Lilin: «La casta? Fa politica criminale»]''|Intervista di ''messaggeroveneto.gelocal.it'', 2 settembre 2014.|h=4}} *Siamo romanzieri, non teniamo diari. E quando ci accusano d’inventarci stralci di esistenze, straparlano. È un paradosso. Avremo o no la licenza di fantasticare? *Guardi, avendo dato l’esclusiva dell’uscita a Roberto Saviano e a ''Repubblica'', un altro quotidiano nazionale, ''La Stampa'', si è vendicato inventandosi un pezzo vergognoso pieno di falsità. Un riuscitissimo esperimento di disinformazione. Un blogger sconosciuto, ed ecco il secondo caso, per farsi un po’ di nome in giro usò la stessa tattica. Terza corsa su ''Il Fatto'', che tra l’altro mi offrì una collaborazione dopo aver pubblicato le solite allucinazioni. Per quanto mi riguarda è un giornaletto scolastico. Mia madre mi chiamò offrendosi addirittura di rilasciare un’intervista per confermare con foto e prove quanto raccontai nel libro. Le dissi di lasciar perdere. La faccia io ce l’ho messa. Anche al ''Chiambretti Night''. Facile incontrare invidie e russofobi, mica tanto strano. Il razzismo proprio dei liberisti di sinistra, cresciuto nella Gran Bretagna coloniale, è una piaga diffusa. Se la coscienza è pulita vai avanti e non ti curi *{{NDR|Sull'Italia}} Un Paese in difficoltà. E disgregato, seppure unito soltanto 150 anni fa. La politica ha un atteggiamento criminale. Non soltanto ruba a man bassa, ma non si preoccupa minimamente di guarire ’sta terra malandata. A far lievitare i danni ci si mette pure l’atteggiamento filo-americano. Fuori gli States con le loro basi e i loro missili e su le maniche per lavorare seriamente. *Impariamo dalla Russia, un groviglio di svariate declinazioni di cristianesimo, islamismo, buddhismo, paganesimo, persino. Eppure, nessun contrasto violento; si è stabilizzato un sentimento di pacifica convivenza, ognuno nel rispetto dell’altro. {{Int|Da ''[https://www.giornalelavoce.it/news/dai-comuni/93332/ivrea-nicolai-lilin-educazione-siberiana-alla-festa-dell-unita-una-militante-pd-lo-attacca.html IVREA. Nicolai Lilin ("Educazione siberiana") alla Festa dell'Unità. Una militante Pd lo attacca]''|Intervento durante la Festa dell’Unità, ''giornalelavoce.it'', 22 settembre 2014.|h=4}} *[...] l’Ucraina è Russia, e non a caso la prima capitale dell’Unione Sovietica fu proprio Kiev. *[...] voi non sapete niente, voi votate e basta. L’Ucraina è solo una pedina, anche insignificante, dell’America, la quale teme che l’Europa si giri verso la Russia, canale anche verso la Cina, paesi in espansione. *Sono cresciuto in Unione Sovietica. Eravamo poveri, ma non avevamo i pidocchi a scuola. Qui ho mandato mia figlia, purtroppo, in una scuola statale, e per tre mesi mi ha portato i pidocchi. Questa è la vostra democrazia. La vostra democrazia è mettere gli anziani negli ospizi. La democrazia schiavizza. Voi dovete ascoltare i vostri anziani (tranne Napolitano), la loro saggezza. Il Nazionalismo vero, come diceva mio nonno che era siberiano, significa amare il proprio paese, e rispettare gli altri. *A 12 anni ho vissuto la guerra civile. Nell’89 sono iniziate le tensioni. Si diceva che fossero causate dal Nazionalismo moldavo. Poi si è scoperto che era gente rumena, mercenari. Voi non avete ancora imparato. Perché quello che fa Renzi con Obama (fare sanzioni, bombardamenti di cui nessuno parla, pagare neonazisti per uccidere gente che non viene messa in tv come il giornalista americano) è un atto criminale. Voi votate dei criminali. {{Int|Da ''[https://www.gqitalia.it/news/2014/12/11/lilin-e-la-disinformazione-te-lo-spiego-io-cosa-succede-in-ucraina Lilin e la disinformazione: "Te lo spiego io cosa succede in Ucraina"]''|Intervista di Angelo Pannofino, ''gqitalia.it'', 11 dicembre 2014.|h=4}} *I giornali italiani dicono che l'esercito russo ha invaso l'Ucraina, ma dove? Non c'è un solo soldato con la divisa dell'esercito russo. Dalla Russia sono sicuramente arrivati dei volontari, ma ci mancherebbe: noi russi andiamo ad aiutare i nostri fratelli in qualunque parte del mondo, ma lo facciamo da privati. Da privati. *Putin ha un pessima reputazione perché gli italiani hanno sempre avuto della Russia una visione creata da persone che sostengono il blocco atlantista. *[...] quando parliamo di disinformazione la [[Anna Stepanovna Politkovskaja|Politkovskaja]] è un esempio perfetto: lei è diventata una sorta di martire della libertà che gli occidentali spingono di brutto. Spesso qui leggo una frase stupida: “Putin ha ucciso la Politkovskaja”. Punto. Come si fa a essere credibili se si scrivono cose del genere? Putin non ha ucciso nessuno. E il KGB non ha ucciso nessuno. Anche perché non esiste più il KGB ma altre strutture, come l'FSB, che è solo un'ala dell'ex KGB, quella politica: considera che solo l'FSB conta tre milioni e cinquecentomila agenti effettivi. Sai cosa vuol dire una cifra del genere? Vuol dire che non c'è niente che possa fermarli, né la CIA né il Mossad. Come si fa a pensare che una struttura così possa mandare due agenti a sparare in pancia alla Politkovskaja mentre sale a casa sua con i sacchi della spesa? Neanche i criminali ormai fanno cose del genere in Russia: hanno più gusto e più pietà *{{NDR|«[...] qual è la tua idea sull'omicidio della Politkovskaja?»}} Non è un'idea, è un fatto documentato: ci sono due delinquenti wahabiti (perché in Caucaso tutto viene dal wahhabismo), terroristi pagati dagli americani, che lo hanno fatto perché lei indagava sul legame tra alcuni militari russi e alcune fazioni wahabite. Il problema principale della Politkovskaja è che lei è comparsa sulla scena mediatica grazie al signor Berezovsky, che l'ha fatta diventare la “sua” giornalista: in poche parole l'ha comprata. [...] è questo il problema della Politkovskaja: i suoi legami con Berezovsky. La sua visione era molto facile: la guerra cecena? La colpa è dei russi. Ma io l'ho fatta la guerra in Cecenia, e non è affatto così. {{Int|Da ''[https://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2014/12/28/traduco-confessioni-in-una-lingua-misteriosa32.html Traduco confessioni in una lingua misteriosa]''|''La Repubblica'', 28 dicembre 2014.|h=4}} *Ho a mia disposizione una vasta gamma di simboli, paragonabile a una sorta di alfabeto. Ogni simbolo, così come ogni lettera dell'alfabeto, non ha nessun significato singolarmente, ma può assumerne diversi a seconda di come viene inserito nel disegno completo e posizionato rispetto agli altri simboli e anche a seconda della parte del corpo in cui viene tatuato, proprio come le lettere dell'alfabeto, che compongono parole diverse a seconda dell'ordine in cui sono disposte, parole che poi diventano frasi, che a loro volta si trasformano in storie. La parte più importante nel processo è quella legata al passaggio dell'informazione dalla persona che intende tatuarsi al tatuatore. Si crea qualcosa che sta a metà tra una confessione sacra e una complicità quasi intima. *Spesso le storie che mi affidano sono così personali e profonde che mi rendo conto di essere l'unico a conoscerle, molti non raccontano le loro esperienze più estreme nemmeno ai propri cari. In alcuni casi le persone fanno fatica persino a trasformare le proprie memorie in parole, ci mettono molto a dare forma linguistica alle proprie paure, agli incubi del passato. *Iniettare l'inchiostro sotto la pelle è un processo che richiede una certa abilità e conoscenza della materia, ma io la vedo come una semplice conclusione di qualcosa di molto più profondo, faticoso ed emozionante. Per questo, mentre tatuo una storia provo già nostalgia per quei simboli, per i particolari di quella vita che ho conosciuto e interpretato nel tatuaggio che vado eseguendo, e dentro di me sento il bisogno di affrontare nuovi segreti. ===2015=== {{Int|Da ''[https://lespresso.it/c/archivio/2015/1/5/nicolai-lilin-non-cediamo-alla-tentazione-della-vendetta/41887 Nicolai Lilin: "Non cediamo alla tentazione della vendetta"]''|''Lespresso.it'', 5 gennaio 2015.|h=4}} *[...] il 1989 è stato segnato da due eventi che hanno condizionato la mia esistenza: la nascita del mio adorato fratello Dimitri e l’entrata nella mia collezione di un pezzo importantissimo, una Luger P08 prodotta nel lontano 1917. Nelle strade del mio quartiere, tra i ragazzini giravano molte armi da fuoco, soprattutto modelli storici tirati fuori dai nascondigli dei nonni: venivano barattate in cambio di colombi, cuccioli di cane o qualche piccolo oggetto di gioielleria sottratto ai genitori. A nove anni possedevo una discreta collezione di pistole. Avevo due rivoltelle tipo Nagant, di cui una rarissima di produzione svedese dalle munizioni introvabili; una Mauser C96 - quella che usa Corto Maltese nei fumetti di Hugo Pratt - che non funzionava per qualche guasto meccanico mai scoperto; diverse Tokarev, una delle quali recuperata sul terreno di una battaglia della seconda guerra mondiale e semicorrosa dalla ruggine. C’era pure una Walther P38 tedesca, con il nome del militare che l’aveva usata durante il conflitto inciso sul carrello. *Di giorno portavo la pistola ovunque: a scuola e persino al fiume, il luogo dei nostri giochi. La sera, prima di andare a dormire, la smontavo e pulivo con cura, accarezzando la struttura metallica con il panno bagnato d’olio. Con quella Luger riuscivo a sparare molto preciso. Era facile da controllare, un vantaggio perché io ero più piccolo e più magro dei miei amici e quindi faticavo a colpire i bersagli con le altre pistole. Ora invece era tutto cambiato: staccavo il collo delle bottiglie a dieci metri di distanza. Anche i ragazzi più grandi avevano notato la mia abilità, alcuni autorevoli delinquentelli del quartiere si erano complimentati e ciò rappresentava una sorta di promozione nella gerarchia della strada. Credevo di essere diventato qualcuno grazie a quel pezzo di ferro. Non mi rendevo conto che gli amici mi consideravano insopportabile, perché sembravo ubriaco di onnipotenza e facevo di tutto per provocare il destino. E il destino non si è fatto attendere. *Ero da poco tornato da scuola e sono andato nel fondo del giardino per tirare due colpi con la mia Luger. Tra uno sparo e l’altro sono stato distratto dalla sarabanda che proveniva dal cortile. Era un misto tra il lamento di un bambino, il ruggito di un leone, il bramito di orso e il ringhio del cane. Un verso incredibilmente lungo e potente, tanto da apparire irreale. Sono corso verso casa e mi sono trovato davanti una scena incredibile: tutto era coperto di piume, con brandelli di cuscini che volavano in aria e in mezzo a questa nuvola bianca c’era Buyan che stava sbranando l’ultimo pezzo di stoffa. Ho guardato quel cane e dentro di me si è scatenata l’ira. Anche lui mi ha fissato, come per studiarmi, poi è scattato. Senza rendermene conto ho puntato la Luger e premuto il grilletto. L’animale nello stesso istante si è accasciato, come se un essere invisibile gli avesse inferto una botta sul capo. Mi sono avvicinato al corpo ancora caldo, sentivo le ginocchia tremare. Ho osservato immobile quello che avevo provocato, poi ho messo la sicura alla Luger, ma non ho fatto in tempo a infilarla in tasca perché è apparso mio nonno Boris. Teneva tra le mani uno dei giovani colombi che addestrava. Mi ha fissato con disapprovazione: «Perché hai sparato a quell’animale?» {{Int|Da ''[https://www.vita.it/nicolai-lilin-islam-la-convivenza-si-impara-sul-caucaso/ Nicolai Lilin: «Islam? La convivenza si impara sul Caucaso»]''|Intervista di Elena Bagalà, ''vita.it'', 16 gennaio 2015.|h=4}} *{{NDR|Sul [[Caucaso]]}} Sono zone in cui la vita ha altri ritmi rispetto alla società moderna come noi la intendiamo, la gente è ancora molto legata alla natura e porta avanti gli antichi valori che gli sono stati tramandati [...]. La comunità cristiana consegna un oggetto, affinché venga custodito, alla comunità musulmana e viceversa. È uno scambio di oggetti tra comunità, un sigillo che celebra il patto di lealtà che al giorno d’oggi è ancora ritenuto estremamente importante. *{{NDR|Su ''Il serpente di Dio''}} Un elemento fondamentale nel mio libro, non a caso, è il grande sentimento di amicizia che lega i due protagonisti, due ragazzi, uno cristiano e l’altro musulmano. *La società moderna è affetta da due grandi mali, l’individualismo e la massificazione, sono due derive che rendono l’uomo un possibile schiavo di ideologie false, ci fanno credere che per sopravvivere l’unica via sia quella tracciata dall’odio e dall’intolleranza quando invece l’uomo, mosso dalla curiosità, scopre che esiste anche la via della conoscenza, la base su cui poi si instaurano le relazioni tra le persone. {{Int|Da ''[https://web.archive.org/web/20151015022849/http://lilin.blogautore.espresso.repubblica.it/2015/01/16/la-chiesa-dellodio/ La chiesa dell'odio]''|''Espresso.repubblica.it'', 16 gennaio 2015.|h=4}} *Oggi, seguendo i media ucraini si percepisce un'atmosfera simile a quella che dominava la società cristiana cattolica ai tempi delle crociate. C'è un obiettivo universale, prostrato, non definito, che viene imposto alle masse come una missione sacra che ogni patriota e uomo onesto è obbligato a compiere. Ovviamente questo obiettivo è la guerra che in questo caso dimostra una chiara declinazione masochista, perché anche se nella propaganda si parla sempre di guerra contro la Russia, in realtà la si fa contro il proprio popolo nel Donbass. *A Firenze e a Prato, nelle chiese ucraine i parroci hanno organizzato una colletta per acquistare una termocamera che permette di individuare, in condizioni di bassa visibilità, sopratutto di notte, gli obiettivi vivi che emanano il calore corporeo. Sul volantino distribuito in chiesa è disegnata la scena del videogioco di guerra che si chiama "Battelfield", si nota un soldato in fiamme che avanza con uno sguardo severo, accompagnato da un carro armato. Questi sono i valori cristiani dei neo nazisti ucraini: la violenza, la guerra, la distruzione. I parroci e la comunità ucraina in Italia non hanno dato nessuna spiegazione, non hanno espresso le loro scuse agli italiani e ai credenti che hanno chiesto spiegazioni per un comportamento così offensivo nei confronti di chiunque reputi la religione un rifugio per lo spirito e non una piattaforma di guerra. *Se le autorità italiane, se i nostri politici, se l'opinione pubblica nazionale continuano con il loro tacito consenso al dilagare della propaganda dell'odio e del neo nazismo ucraino qui in Italia, non mi sorprende che un giorno questo odio si realizzerà con delle azioni violente. Azioni di cui non ne abbiamo nessun bisogno qui in Italia, specialmente dopo quel sangue che abbiamo visto scorrere a Parigi. {{Int|Da ''[https://web.archive.org/web/20150918164302/http://lilin.blogautore.espresso.repubblica.it/2015/02/03/laltra-faccia-della-democrazia-ucraina-il-terrorismo-ceceno-made-in-usa/ L'altra faccia della democrazia ucraina: il terrorismo Ceceno made in USA]''|''Espresso.repubblica.it'', 3 febbraio 2015.|h=4}} *Per favi capire meglio chi era Isa Munaev, ricordo solo che era ricercato in Russia per aver commesso crimini contro l'umanità durante la guerra in Cecenia. Aveva trovato rifugio in Europa, così come altri membri di Al-Qaeda, protetti e mantenuti dalle strutture non governative al soldo di oligarchi ultra-liberisti come George Soros. *Quando nei miei libri dedicati alla guerra in Cecenia spiegavo che gli Stati Uniti hanno creato il terrorismo islamico nel Caucaso per destabilizzare la Russia, alcuni esponenti della politica atlantista "democraticamente" mi avevano accusato di, per dirla in modo pacato, non essere credibile. Oggi, a distanza di pochi anni dall'uscita del mio libro "Caduta Libera" che parla della guerra in Cecenia, tutti noi assistiamo ad una guerra molto simile, che si svolge nel cuore dell'Europa. Di nuovo di fronte a noi si apre uno spettacolo osceno: la morte, la disperazione, il dolore e tanta, tantissima rabbia. *I neonazisti di vari paesi europei, i terroristi wahhabiti ceceni che si trovano da anni in esilio in Occidente, gli Stati Uniti d'America con il premio Nobel per la pace in testa e tra gli altri anche il nostro premier Renzi con il suo fedele PD (loro governano l'Italia, sono quindi responsabili di aver mandato in Ucraina i veicoli da guerra con i quali i terroristi atlantisti ammazzeranno sempre più civili) conducono il genocidio del popolo ucraino, cercando di coinvolgere la Russia nella guerra e con questo salvare dall'inevitabile crollo l'ormai da decenni marcia e speculativa economia statunitense. Tutto come è avvenuto in Cecenia: una parte del popolo per mezzo di propaganda e i soldi rivolta contro i propri fratelli, con provocazioni e terrorismo scatena una guerra feroce e dietro a questo terribile conflitto si stanno svolgendo le trattative commerciali tra le più significative sul pianeta. {{Int|Da ''[https://web.archive.org/web/20240523143217/https://www.paesesera.toscana.it/17144-2/ Un cuore siberiano, intervista a Nicolai Lilin]''|Intervista di Barbara Caputo, ''paesesera.toscana.it'', 19 dicembre 2015.|h=4}} *Prima di essere operativo nell'esercito russo, abbiamo eseguito una serie di passaggi, allenandoci nelle montagne, e imparando a comportarci come i terroristi ceceni. Abbiamo anche compiuto la pulizia dei luoghi di attentati terroristici. Ho capito poi che era utile a comprendere che queste persone non erano umane ed era facile annientarle. Quando ho assistito al mio primo attentato a un asilo, uno degli ordigni per fortuna non è esploso. Mi hanno portato la testa di un terrorista, tutta bianca e con gli occhi neri. Ho capito il pericolo delle idee che può trasformare un giovane in questo. Ho visto anche persone che impazzivano davanti ai miei occhi, come un padre a cui hanno spiegato che la moglie e il bambino erano stati ammazzati. Gran parte dei quadri Isis sono reduci ceceni. Considerando i fatti tristi accaduti a Parigi non ho dormito la notte. Quello che mi ha stupito è che non una tra tutto queste persone abbia resistito sparando. Io non riesco a vivere come un bersaglio mobile. L'unica cosa che mi può salvare è una pistola allacciata a una cintura. *Il primo ricordo forte che ho di mia nonna è che nella borsa portava una Luger P08. Era un calibro difficile da trovare. Mia nonna era gobba, ebrea. Mio nonno era cristiano ortodosso e non voleva che diventassi ebreo. La nonna era finita nel campo di sterminio e 13-14 anni, le avevano sterminato la famiglie. Era finita in un reparto in cui le ragazze erano usate come donne di piacere, e un tedesco la vestiva da bambola e le diceva di non muoversi. Mia nonna sapeva accontentarlo e lui ha cominciato a fidarsi di lei e a farla uscire dal campo. Ma lei seguendo le istruzioni che le aveva dato un uomo lo ha colpito con un punteruolo e ucciso. È stata ritrovata da un polacco, è stata sua amante per un certo periodo e poi ha ucciso anche lui. In seguito ha incontrato mio nonno, che era un delinquente, in un lager sovietico. Mia nonna rubava al mercato, per lei era una sorta di vendetta delle ingiustizie della vita. Era critica verso il sionismo ma mandava terreno fertile nei kibbutz. ===2016=== {{Int|Da ''[https://www.mangialibri.com/interviste/intervista-nicolai-lilin Intervista di Nicolai Lilin]''|Intervista di Alessandra Farinola, ''Mangialibri.com'', 2016.|h=4}} *Io con le bambine ho un rapporto abbastanza diretto e credo che ai bambini non bisogna raccontare le bugie. In qualche modo cerco sempre di raccontare la verità, la realtà, quando è necessario magari la abbellisco con qualche giro di parole, soprattutto per aiutarle a crearsi da subito una opinione vera su quello che è il mondo, sulle loro radici. Quando racconto di mio nonno, il loro bisnonno, uso termini abbastanza semplici, spiego che si tratta di persone che erano banditi, criminali, che agivano contro la legalità. Poi cerco di spiegare anche le condizioni, le circostanze politiche e sociali. Perché spesso una persona diventa un criminale non per cattiveria ma perché cerca di difendere la propria libertà, la propria visone della politica, della società, dell'economia, cerca di difendere la propria famiglia. Nelle varie dittature che susseguirono nella storia della Russia molti russi son dovuti diventare fuorilegge per resistere. Le bambine sanno benissimo che il loro bisnonno era un criminale, e che anche il loro nonno, mio padre, che è ancora vivo e ogni tanto ci viene a trovare, è stato in carcere, lo sanno che anche lui ha un passato. Anche io quando parlo della guerra racconto in modo diretto che cosa è la guerra e cerco di spiegare perché il loro papà è stato in guerra. Cerco di essere più onesto possibile perché ho visto con la mia esperienza, osservando il mondo e le persone, che ai bambini non bisogna raccontare cose che li portano troppo lontani dalla realtà. *Ho smesso di tatuarmi perché non c'è nessun tatuatore che io conosca qui in Occidente che avrebbe potuto farlo. Per me. La possibilità e la capacità di eseguire tecnicamente un tatuaggio nella visione del tatuaggio siberiano, nella nostra visione, è la parte meno significativa perché saper tatuare fisicamente, saper incidere sulla pelle è una cosa tecnica che non ha molta rilevanza. La cosa più importante è saper interpretare i simboli, creare la narrazione simbolica, quindi conoscere molto bene la tradizione siberiana legata ai simboli, saper trasmettere le parole e saperle trasformare in immagini che codificano la vita delle persone, nell'informazione che in qualche modo ha a che fare con la vita di qualcuno. Purtroppo in questi anni i vecchi sono morti, quelli dai quali ancora si poteva andare a tatuarsi abitano in Russia. I giovani sono sempre meno interessati a seguire la tradizione dei vecchi perché la tradizione è anche una disciplina e quindi durante il periodo di studi, quando un giovane apprendista impara quello che il vecchio maestro deve trasmettere, uno deve anche seguire una serie di regole legate alla disciplina e non tanti giovani sono disposti a farlo. Per questo quelli che conoscono come me la tradizione sono pochissimi. *Del significato dei simboli non si parla perché la tradizione nostra è chiusa a chi non è stato abilitato dai maestri. Proprio perché il segreto dei simboli viene conservato per evitare che le persone non addette all'interpretazione del tatuaggio siberiano si impossessino del significato. *In Siberia abbiamo una delle mummie tatuate più antiche trovate al mondo. Si chiama Principessa di Altai o Ukoka, una giovane donna di circa ventisei anni, non una vera principessa ma apparteneva ad una famiglia nobile, ad un grande clan siberiano. È stata trovata nella sua tomba perfettamente conservata. Ha addosso tatuaggi molto importanti e risale a circa 3000 anni fa. Gli studiosi dibattono ancora sulla datazione precisa, di fatto è un importante simbolo dell'antichità della nostra tradizione che poi si è evoluta, arricchita, si è adattata in certo modo ai cambiamenti storici, ai domini di diversi sistemi politici, alle dittature, diventando addirittura quasi fuorilegge, anche se spesso è condivisa non solo da fuorilegge. *Le cose più importanti le apprendiamo durante i primi tre anni di vita, ormai lo dicono tutti gli studi, ma anche mio nonno e mia nonna, senza essere studiosi ma semplici cacciatori e contadini siberiani, dicevano che l'uomo diventa quello che è durante i primi tre anni e per questo era importante raccontare le fiabe ai bambini anche se sembrano non capire, perché nelle fiabe ci sono le basi, gli insegnamenti che poi formano una persona. *Io sono rimasto per una serie di motivi, uno dei quali familiare. In Italia da molti anni c'era mia madre che era stata costretta a fuggire dal nostro Paese perché era sposata con un uomo, mio padre, al quale il nuovo regime dava la caccia. Perché ai tempi in cui arrivarono i trafficanti di droga e i rappresentanti della nuova criminalità che ha preso il potere con l'arrivo del consumismo, l'apertura delle frontiere e il crollo dell'Unione Sovietica, mio padre era tra quelli rimasti fedeli alle vecchie regole sociali anche dei fuorilegge, era uno di quelli che non accettarono la criminalità e gli affari criminali che erano concentrati sull'arricchimento di una sola persona, quindi droga, sequestro di persona, crimini che nel nuovo mondo erano diventati modi semplici per guadagnare soldi in fretta. Ha combattuto diverse volte contro queste cose, contro i trafficanti di droga, io stesso ho fatto parte di quella generazione di giovani che sono rimasti accanto ai vecchi. *La prima persona che ho ucciso era un trentenne zingaro che spacciava eroina nel mio quartiere. Io avevo quattordici anni, ho cercato di contrastarlo e fargli lasciare il quartiere ma lui mi ha picchiato. Allora sono andato da mio nonno e gli ho raccontato tutto; lui mi ha caricato un revolver, me lo ha dato e mi ha detto di sparargli alle ginocchia. Il primo colpo l'ho sparato alle ginocchia ma il secondo è andato male e gli ho preso il fegato e lui è morto. Era una guerra e mio padre faceva cose ben peggiori. Faceva parte di quelli che facevano rappresaglie, ha subito tre attentati pesantissimi, in uno c'ero anch'io in macchina quando ci hanno sparato addosso. Una vera e propria guerra. Poi mio padre è dovuto andar via dal paese perché la guerra è stata persa, la corruzione e il potere dei trafficanti e della droga ha vinto. Infatti si è unito alla polizia, alla politica, al potere corrotto e il nostro paese è stato occupato da questa gente. Mia madre trovandosi in questa situazione, sposata ad un uomo che per anni si è opposto a questo sistema, è dovuta fuggire perché troppo spesso venivano poliziotti corrotti per le perquisizioni, a minacciarci per sapere dove mio padre si nascondeva, dove erano i suoi soldi. Io stesso più volte sono stato portato nel bosco, mi hanno puntato una pistola alla testa per cercare di avere informazioni. Poi sono andato via anch'io e ho fatto le mie esperienze. Alla fine degli anni '90 il paese era una festa di avvoltoi, io sono andato via a combattere nell'esercito e il pericolo della guerra cecena mi ha salvato da quel pericolo. Quando son tornato dalla guerra ho cercato di ricostruirmi una vita. Sono venuto a trovare mia madre in Italia e mi sono accorto che lei aveva bisogno di riformare la famiglia. Le donne russe sono così e in questo sono molto simili agli italiani, hanno un legame tradizionale. Sono rimasto accanto a lei ma se non mi fosse piaciuta l'Italia non sarei rimasto. *Quando vivevo in Siberia c'erano i lupi che sono straordinari, mio nonno era cacciatore e mi ha insegnato tanto su di loro. Sono organizzati in branco in modo da proteggere i più piccoli e i vecchi. I primi che sono il futuro, che procureranno cibo agli anziani, e gli altri perché lo hanno meritato e trasmettono esperienze, per esempio insegnano a combattere e a cacciare ai più giovani. *Scrivo romanzi, non ho l'arroganza di scrivere una autobiografia perché non sono nessuno, non sono un grande che ha cambiato il mondo e che ha meritato di diffondere le sue esperienze. Io scrivo romanzi che restano tali. Per essere onesto con i miei lettori nelle interviste e negli incontri con loro spiego che quello che scrivo non è frutto di fantasia ma di esperienza vissute. Lo faccio per far capire soprattutto che non sono un genio perché per scrivere un romanzo come Educazione siberiana e inventarsi un mondo come quello che racconto dovrei esserlo e aver vinto almeno un Pulitzer! Queste accuse sono nate in una sola occasione, all'epoca di quel romanzo. Una tale giornalista [[Anna Zafesova]] de "La Stampa" ha scritto un articolo nel quale diceva che era stata in Transnistria e non ha trovato né la mafia siberiana né il mio quartiere, quello di cui parlo. Ma ha trovato qualcuno che mi conosce e le ha detto che tutto quello che avevo detto non era vero, addirittura che io ero un poliziotto. L'allerta me l'ha data mia madre che aveva letto l'articolo e mi ha avvisato. Io allora ho scritto un articolo in risposta nel quale ho spiegato cose sul mio conto, ho ribadito che il mio quartiere esiste. Probabilmente lei ha scritto un articolo senza uscire di casa, magari mettendosi in contatto con qualcuno o facendo qualche googlata. [...] Lei ha scritto un articolo per screditarmi ma c'era anche un motivo di invidia editoriale. Quando sono uscito con Educazione siberiana per Einaudi l'esclusiva era stata data a "la Repubblica". Allora a "La Stampa" c'era tale [[Cesare Martinetti]] che credeva di essere un grande esperto di Russia perché ci aveva vissuto a lungo come inviato, lui è rimasto male che l'esclusiva fosse andata ad un rivale. Mi ha anche fatto una intervista a sorpresa, era una chiacchierata e non mi aveva detto che l'avrebbe pubblicata, scrivendo anche cose non corrette e mettendo anche a rischio l'esclusiva stabilita. Il libro però ha venduto moltissimo e lui non era soddisfatto della piccola vendetta così ha incaricato la sua giornalista e amica di scrivere l'articolo. Pensavano di danneggiare me e il mio libro ma io ho continuato ad avere successo, perché non possono impedire a me di scrivere e ai miei lettori di apprezzare i miei libri. {{Int|Da ''[https://www.linkiesta.it/2016/03/nicolai-lilin-ogni-religione-e-una-burocrazia-che-uccide-la-virtu/ Nicolai Lilin: "Ogni religione è una burocrazia che uccide la virtù"]''|Intervista di Dario Ronzoni, ''Linkiesta.it'', 26 marzo 2016.|h=4}} *{{NDR|«Capiamoci subito. Lei è credente?»}} Sì. Nel senso che non sono religioso, ma credente. La religione è un sistema creato sulla fede, una burocrazia, un ufficio. La fede ha a che vedere con lo spirito, che è in ogni uomo, una forza interiore, un mistero che agisce sempre, che trova e dà spiegazione a tutto. *L’ateismo è una religione. Affermare di non credere a niente è come dire di credere a qualcosa. In questo, sono un gruppo, una setta. Il problema è quando non c’è la fede: perché i riti, il culto, la religione non contano granché se manca la speranza, cioè la consapevolezza che esiste qualcosa che collega l’uomo a un mistero più grande. *Quando ero in Cecenia per il servizio militare obbligatorio mi capitava di sentire spesso bisogno di ritrovarmi, di raccogliermi tra me e me. Avevo bisogno di un luogo sacro dove pregare, e allora, una volta, una moschea. Era mezza distrutta. Quando entrai, arrivò il funzionario. Mi scusai, non sono musulmano, ma lui sorrise. Meglio uno che ha vera fede che migliaia di musulmani che vengono per senso del dovere, rispose. Chi ha fede si riconosce. Dovrebbe essere così. {{Int|Da ''[https://www.rsi.ch/news/mondo/cronaca/Lilin-Transnistria-un-non-luogo-398197.html Lilin: "Transnistria, un non luogo"]''|Intervista di Joe Pieracci, ''Rsi.ch'', 26 luglio 2016.|h=4}} *In questi giorni sono sommerso di richieste da parte dei quotidiani italiani, mi chiedono di scrivere sulla [[Transnistria]]; ma per me è molto difficile rispondere. [...] Io sono scappato, oggi sono un occidentale. E preferisco non prendere posizione *Non è vero che la Russia minaccia la Transnistria perché, questo paese, esiste grazie alla presenza delle truppe della Federazione russa... dai tempi dell’Unione sovietica non se ne sono mai andati. [...] Semmai, ad essere minacciate, sono la Moldavia o l’Ucraina occidentale. *{{NDR|La [[Transnistria]]}} è una regione trasformata da alcuni generali russi in un non luogo, dove poter trafficare e guadagnare. *Mi auguro che questa splendida terra non finisca travolta da una sanguinosa guerra fratricida, ma ho paura che i russi facciano lo sbaglio di mettere sotto assedio militare l’intera Ucraina. E a quel punto la Transnistria sparirà. Sarà un’altra Beirut. *Siamo tutti fratelli in quella zona e io non saprei come sparare ad un moldavo perché gli voglio bene: è mio fratello. {{Int|Da ''[https://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2016/08/17/tattoo-al-sole-uno-spot-sulla-pelle30.html Tattoo al sole uno spot sulla pelle]''|''repubblica.it'', 26 luglio 2016.|h=4}} *Ogni estate italiani e turisti mettono in mostra i propri corpi, inconsapevolmente tessendo un complicato e a volte assurdo ornamento socio-culturale direttamente sulle spiagge. Molto spesso è come trasformarsi in una pagina di Facebook, cercando di impressionare con colori e disegni. La pelle dell'uomo moderno non comunica con un senso logico. E più la discesa nella spirale di questo consumismo delle immagini diventa violenta, più caos trasmettono i corpi. *Cinquemila anni fa i miei antenati siberiani per raccontare il destino di una persona usavano un complicato codice simbolico che infondeva nei tatuaggi l'esperienza vissuta. Gli antichi egizi mescolavano inchiostro e polvere d'oro per tracciare sui corpi dei nobili i segni del potere divino che avrebbero dovuto proteggere loro nel regno dei morti. Vichinghi e altri popoli nordeuropei sfoggiavano incisioni complesse che contenevano più informazioni di un codice a barre. Allora regnava la logica, seppur primordiale; oggi domina l'estetica. Meno abbiamo da dire, meno cultura rappresentiamo, più diventiamo neutri e omogenizzati, più cerchiamo di rappresentarci attraverso marchi prevedibili, vuoti ma quasi sempre giganteschi. È un'epoca delle cose macro, dove la grandezza spesso determina la qualità. La macchina più grossa, la barca più lunga, il tatuaggio più ampio e possibilmente colorato nel modo più chiassoso: il ricercato simbolismo della scienza araldica si è così trasformato in una brutta imitazione della iconografia pubblicitaria. *Solo Bob Marley sembra resistere alle stagioni e alle generazioni. Invece mi imbatto sempre più spesso nei tatuaggi che chiamo "pavonici": disegni enormi, più o meno tribali, che a volte si sviluppano su intere parti del corpo. Sono ornamenti, che non comunicano nulla, ma vogliono solo impressionare gli spettatori: sono spot. Ci sono quelli giapponesi, utilizzati senza avere la minima idea dei significati originali. Geishe accanto al Buddha, demoni che cercano di azzannare capre sacre. Ma si tratta di peccati veniali. {{Int|Da ''[https://www.periscopionline.it/in-esclusiva-quattro-chiacchiere-con-nicolai-lilin-autore-di-educazione-siberiana-oggi-il-male-si-chiama-consumismo-103924.html Intervista a Nicolai Lilin. L'autore di "Educazione siberiana": "Oggi il male si chiama consumismo"]''|Intervista di Liliana Cerqueni, ''Periscopionline.it'', 26 settembre 2016.|h=4}} *{{NDR|Sulla [[Siberia]]}} È un Paese molto grande e c’è tutto. È conosciuto purtroppo in Occidente attraverso "I Racconti di Kolyma" di Verlam Tichonovič Šalamov e "Arcipelago Gulag" di Aleksandr Solženicyn, però è una terra molto ricca di tradizioni dure, un grande territorio dove si incontrano Oriente e Occidente e quindi questo ci dà una capacità di prospettiva molto ampia. In Siberia c’è tutto, soprattutto una natura che domina l’uomo. A tutto ciò sono legate le tradizioni sciamaniche e anche la visione della vita dei siberiani stessi. *L’Italia oggi è un Paese multiculturale e trovo che la cosa bella sia l’apertura delle persone e la semplicità con cui la gente ti viene incontro. Penso che la mia esperienza letteraria ne sia un esempio in questo senso, perché la curiosità degli italiani nei confronti di un russo che racconta storie legate a ciò che è accaduto in Unione Sovietica e alle tradizioni ancestrali che stanno nelle radici di quel Paese è stato possibile solo perché le persone sono aperte alla curiosità nei confronti di questi temi. La curiosità è un atteggiamento molto positivo perché permette agli individui di scoprire il mondo, di viaggiare anche semplicemente con la fantasia, con la mente. *Nel nostro mondo moderno, quello che stiamo vivendo è il fenomeno della globalizzazione e quindi spesso le antiche tradizioni, gli antichi modi di vivere il mondo e di misurarsi con esso come era per i nostri antenati stanno sbiadendo o scomparendo. Questo è un male e la colpa sta nella forza che la globalizzazione esercita sulle nostre vite, sta soprattutto nel consumismo. *Nel mio ultimo libro {{NDR|''Spy story love story''}} ho voluto raccontare gli anni Novanta in Russia, il crollo dell’Unione Sovietica e quello che è successo dopo di esso. Ho voluto raccontare questa realtà attraverso le storie umane, storie semplici; ho voluto esplorare storie diverse, entrare nelle dinamiche umane più profonde per poterle rappresentare meglio. Ci sono anche gli aspetti sentimentali che forse i miei lettori non si attendevano, ma hanno reagito bene, stanno accogliendo molto bene anche questo libro. ===2017=== {{Int|Dalla prefazione di ''Putinfobia''|[[Giulietto Chiesa]], Casale Monferrato, Piemme, 2016, pp. 8-12, ISBN 978-88-566-5453-0|h=4}} *All'epoca dell'URSS tutta questa moltitudine di culture, religioni, idee, abitudini e colori conviveva fianco a fianco senza particolari problemi. Non c'erano frontiere, confini fisici, mentali o geografici che ci dividessero, l'unione era siglata anche all'interno delle famiglie. La mia famiglia è un classico esempio della cellula sociale transnistriana. Ci sono russi provenienti da diverse parti, tra cui siberiani, quelli della Russia centrale e anche un bisnonno katzap. Polacchi, tedeschi, ebrei, moldavi, un bisnonno generale nell'esercito cosacco e un altro mercante cinese (probabilmente il motivo per cui mio fratello minore Dimitri ha gli occhi a mandorla come un cinese). *La politica dell'Occidente, che con tutte le forze cercava di frantumare il multiculturalismo ereditato dal regime sovietico per poter manovrare meglio le piccole regioni staccate dal grande polo legato al Cremlino, da subito ha sfruttato la propaganda russofoba come l'elemento principale su cui poter costruire i nazionalismi locali. Così, da un giorno all'altro, alcuni dei nostri vicini moldavi hanno cominciato a odiarci. *Tutte le malefatte del regime sovietico, tutte le sue eredità negative, i democratici e i nazionalisti moldavi le attribuivano apertamente alla razza russa e a tutti i non moldavi che "occupavano" la loro terra. In aclcune zone della Moldavia vennero oscurati i canali radio e televisivi russi, i principali giornali del Paese gareggiavano nel delirio nazionalista, gli intellettuali si abbandonavano alle vergognose performance xenofobiche, le masse di persone affamate e confuse, ex cittadini sovietici che avevano perso tutto con il crollo dell'URSS, si radunavano nelle piazze, abbindolati dalla propaganda nazionalista che indicava la via per sfogare la loro rabbia: odiare i russi. *Io, un dodicenne, ero per strada con i miei amici, a girare con le nostre biciclette, con i kalashnikov appesi al collo, a schivare i colpi dei cecchini, raccogliendo le munizioni dai cadaveri, sfilando loro le armi e altro materiale che poteva servire ai vivi per combattere. Cercavamo di aiutare i nostri padri a resistere contro gli invasori. La mia vicina Tania, una ragazza ventunenne che era al settimo mese di gravidanza, è stata uccisa nel cortile di casa sua, colpita da un'altra ragazza, una venticinquenne cecchina mercenaria proveniente dall'Estonia, che fu catturata da alcuni nostri miliziani e gettata dal tetto del palazzo dove aveva organizzato la sua posizione di tiro. *Attualmente la propaganda della fobia ha subito una notevole evoluzione. Per poter odiare russi, serbi, siriani, iracheni, cristiani o musulmani non serve più essere soltanto le vittime del disagio sociale, l'eredità di qualche regime demolito. Le nuove carte da giocare sono legate al conflitto dell'identità, ai contrasti dei valori, all'interpretazione sempre più astratta del concetto della democrazia. Oggi non sono importanti soltanto le piazze. Per sentirsi addosso il brivido della giustizia universale, per strizzare nella mano la propria verità preconfezionata basta essere collegati a internet, basta seguire i principali canali d'informazione, basta avere un cellulare intelligente con delle giuste applicazioni e la vostra opinione sarà presa con cura e trasformata in una pesante e spietata palla di metallo con cui gli interessati potranno demolire le strutture che gli impediscono di modulare il mondo a loro piacimento. È il mondo dei politici corrotti, degli oligarchi della sporca finanza, degli avventurieri della democrazia di distruzione di massa, delle lobby delle armi, dei farmaci, delle costruzioni, dell'energia. {{Int|Da ''[https://www.ilgiornale.it/news/mondo/attentato-san-pietroburgo-versione-nicolai-lilin-1382542.html San Pietroburgo, Lilin: "Il perbenismo occidentale crea immagini false dell'islamismo"]''|Intervista di Elena Barlozzari, ''Ilgiornale.it'', 4 aprile 2017.|h=4}} *{{NDR|Sull'[[attentato di San Pietroburgo del 2017]]}} [...] è stato confermato che si tratta di una pista collegata allo Stato islamico. Bisogna tenere presente che, dalla Federazione Russa, numerosi foreign fighter sono partiti per combattere tra le file dell’organizzazione guidata da al Baghdadi. Questi personaggi, quando fanno ritorno ai propri paesi d’origine, continuano a portare avanti la jihad. Ma la Russia è un paese pronto ad affrontare queste realtà con cui, ormai, si confronta da più di 20 anni. *I servizi russi lavorano molto bene. Non mi riferisco solo al campo del monitoraggio, ma anche e soprattutto all’attività di infiltrazione. Grazie alla loro natura multinazionale, infatti, gli agenti riescono a smantellare le cellule islamiste dal di dentro. *Basta con la solita marchetta al perbenismo occidentale che vuole creare un’immagine falsa del terrorismo islamico. Non esistono lupi solitari, le persone sono sempre collegate a livello ideologico, fanno riferimento a dei modelli precisi e sono motivate dalla comunità di riferimento. *La strategia della tensione è un metodo usato nei paesi con una forte connotazione democratica. La Russia contemporanea, invece, è un paese autoritario, imperiale, non ha nessun bisogno di usare il terrorismo. Escludo questa pista anche perché, attualmente, i sondaggi dicono chiaramente che l’81% dei russi si fida di Putin e le proteste degli ultimi giorni, a differenza della raffigurazione fatta dalla stampa occidentale, hanno in realtà coinvolto ben pochi manifestanti. A Mosca, ad esempio, su 15milioni di abitanti effettivi più qualche milione di abitanti illegali, sono scese in piazza qualche centinaia di persone. *Di sicuro, però, l’attività di Navalny è ben vista dai terroristi del Califfato caucasico che hanno sempre garantito una sorta di “immunità” a chi affronta Putin in piazza. {{Int|Da ''[https://www.linkiesta.it/2017/05/nicolai-lilin-e-in-mezzo-allinferno-che-ho-imparato-lonesta-oggi-nient/ Nicolai Lilin: "È in mezzo all'Inferno che ho imparato l'onestà, oggi niente viene preso sul serio"]''|Intervista di Grazia Sambruna, ''Linkiesta.it'', 18 maggio 2017.|h=4}} *Dopo aver vissuto tutto questo, potrei dire che la cosa più negativa che possa esistere per un essere umano sia l’assenza di libertà, l’inconsapevole tortura di condurre un’esistenza basata sullo schiavismo o su ideologie schiaviste. Dal punto di vista etico, culturale ed economico non ne siamo certo privi nella nostra società attuale. Pensa ai giovani, oggi, schiavi di sostanze, videogiochi o delle realtà estremiste. Fa tutto parte dello stesso vuoto. *A 12 anni sono entrato in un carcere minorile di massima sicurezza. {{NDR|«Cosa avevi fatto?»}} Tentato omicidio. Una banale rissa per strada. Ai tempi giravamo sempre con armi da taglio ed è andata a finire che ho accoltellato una persona. {{NDR|«Chi era?»}} Un tossico molto più grande di me che voleva far pagare il pizzo a me e ai miei amici per aver attraversato il parco dove lui si bucava. Noi non avevamo intenzione di dargli dei soldi per questo. Lui ha cominciato a picchiarci con la bottiglia di champagne che aveva in mano. Sai, le bottiglie si spaccano solo nei film. Nella vita reale è il tuo cranio che si rompe, non il vetro. Dopo una serie di bottigliate in testa l’ho accoltellato, dovevo difendermi. *Facevo parte del corpo antiterrorismo presso i servizi segreti, la GRU. Ho fatto due anni e tre mesi di guerra cecena. *La prima volta che mi hanno sparato ero nel mio quartiere. Avevo quasi 15 anni. [...] In Transistria, dove abitavo con la mia famiglia, dopo la guerra civile era iniziata una specie di lotta per il potere tra criminali. Mio padre si era guadagnato un ruolo in quell’ambiente perché lui rapinava le banche. Era specializzato in furgoni portavalori. Aveva un’etica, però: non si mischiava con il narcotraffico e non uccideva persone durante le rapine. Lui e i suoi erano contro i nuovi criminali, collusi con stato e polizia, quelli che avevano portato la droga da noi. Per questo motivo ha subito tre attentati, a uno ho assistito anche io ed è stato lì che mi hanno sparato per la prima volta. A quel punto, per evitare ulteriori minacce alla famiglia, mio padre si è rifugiato in Grecia, mia madre in Italia. Io sono rimasto coi miei nonni. *Credo che la Blue Whale sia una di quelle storture che possono sciaguratamente nascere nei grandi Paesi come la Russia o gli Stati Uniti. In generale, si tratta di un fenomeno legato alla mancanza di cultura. Non è una frase fatta o una risposta semplicistica: questi ragazzi hanno un buco nero dentro e non sanno come riempirlo. *La vita di strada ti inquadra, ti insegna come stare al mondo in modo onesto. Anche perché se non sei onesto, ti fanno a pezzi. Oggi sembra che nulla venga preso sul serio, i ragazzi bestemmiano e insultano le propri madri per scherzo, come fossero cose divertenti. Lo stesso bullismo è un’altra brutta espressione dei nostri tempi. *Nel nostro Paese era praticamente impossibile essere bulli. C’era un pezzo di merda che ha indotto un ragazzo a suicidarsi perché si pensava fosse gay e probabilmente lo era. Con un mio amico abbiamo aspettato questo tizio sotto casa, di sera. Gli ho rotto gambe e braccia a bastonate. Da noi potevi provare a fare il bullo, certo. Solo che non duravi tanto. *Attualmente ne vige {{NDR|una legge in Russia}} che vieta la diffusione e la propaganda di materiali pornografici, sia di natura etero che omosessuale, ai minori di 14 anni. All’estero questa legge viene spesso travisata, la stampa tende a prendere i casi singoli per mostrare una situazione piuttosto lontana dalla realtà. *Immaginare un gay pride in Russia non è possibile, ora come ora. C’è un terribile retaggio storico che è durato settant’anni, come ti dicevo, basato sul rifiuto e sulla paura. Verrà il tempo, di certo la Russia ha bisogno di compiere il proprio ciclo evolutivo ma non è questo il momento. Sarà un processo lungo, magari anche un secolo, ma di certo non può e non deve essere forzato. Semplicemente perché sarebbe controproducente. {{Int|Da ''[https://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2017/07/16/fiabe-e-tatuaggi-larte-di-scrivere-per-nicolai-lilin-e-psicanalisiBari10.html Fiabe e tatuaggi l'arte di scrivere per Nicolai Lilin "È psicanalisi"]''|Intervista di Antonella Gaeta, ''repubblica.it'', 16 luglio 2017.|h=4}} *A otto anni mi sono tatuato da solo, un primo esperimento su me stesso come fanno tanti. [...] Non posso svelarlo, è sulle gambe comunque. Dopo questa prima volta ho cominciato a frequentare un vecchio tatuatore. Per i primi anni non ti insegnano a tatuare ma a stare al mondo, ti osservano e non ti passano la tradizione se non sei degno di portarla con onore, è una selezione naturale. [...] Avevo vent'anni l'ultima volta che mi sono tatuato, ora ne ho 37, da 17 anni non lo faccio più. *Nel '92 abbiamo avuto la guerra civile per l'indipendenza della Transnistria, ci ripenso come a un momento divertente: avevo 12 anni e per la prima volta potevo imbracciare un'arma, gli adulti ci usavano come baby intelligence, ci trattavano da grandi, quindi rivivo tutto come un'avventura. *Ho tanti clienti psicologi che mi dicono che quello che faccio lo faceva Freud, solo che lui non tatuava. {{Int|Da ''[https://www.repubblica.it/cultura/2017/07/27/news/nicolai_lilin_ora_vi_educhero_io_con_i_tatuaggi_siberiani_-171306178/ Nicolai Lilin: "Ora vi educo con i tatuaggi siberiani"]''|Intervista di Giulia Santerini, ''repubblica.it'', 27 luglio 2017.|h=4}} *Questo serpente al braccio è il demonio che devo domare ogni giorno. Me l'ha tatuato a forza il mio maestro quando avevo 14 anni. Avevo accoltellato un ragazzo alle spalle. Lui è rimasto paralizzato tutta la vita, a me è restato il demone tatuato con la bacchetta, quasi in rilievo, per farmi più male. Una macchia che mi ricorda il più grosso errore della mia vita. *Cos'è un criminale? Uno che va contro la giustizia? Ma quale giustizia? I partigiani e chi ha lottato contro i regimi comunisti non erano dei fuorilegge? Per gli Urca anche Gesù era un criminale onesto, a loro piace quando il vangelo dice che era venuto per portare la spada. Era un rivoluzionario. *Ogni vita può essere interessante. Per me un operaio che viene sfruttato da un padrone e vuole più libertà e giustizia è un criminale onesto. *Se un tatuaggio non ha un senso per te è ovvio che col tempo può stufare, diventare pesante. E lo cancelli: è un'offesa a Dio. *Vedi molti calciatori con la tartaruga maori al braccio. Ma è un simbolo di fertilità femminile! [...] Non li tatuerò mai. È inaccettabile che ci siano 22 miliardari in campo pagati per giocare a calcio mentre altri fanno la fame. Da noi era un gioco per bambini in piazza. *[...] a Sparta avevano il culto del corpo, utilizzavano una tunica speciale per evitare le cicatrici dopo gli scontri col coltello, figurati se si sarebbero mai fatti tatuare *C'è chi si tatua la lacrima e non sa che è nata a Marsiglia, dove gli uomini erano così poveri che facevano prostituire le loro donne per sfamare i bambini. E le piangevano. In Sud America poi la lacrima è usata per gli assassini. Ma cosa c'entrano queste storie con ragazzi di una società benestante?! *{{NDR|Un'allievo}} Aveva addosso la frase di Escobar "O argento o piombo". Io vengo dalla delinquenza di strada e ho fatto il carcere, ma chi vende droga lo combattevamo, sapevamo che ci voleva schiavi della sua schifezza. Il primo uomo che ho ammazzato con la pistola è stato uno spacciatore zingaro. Che senso ha che uno studente si tatui quella roba?! {{Int|Da ''[http://www.futurodaunavita.sm/intervista-nicolai-lilin/ Spie, tatuaggi, armi e poesia – Intervista a Nicolai Lilin]''|Intervista di Angela Venturini, ''Futurodaunavita.sm'', 2 agosto 2017.|h=4}} *Nella nostra cultura della [[caccia]] è così: si uccide solo per poter mangiare. Si uccide ma la bestia va rispettata, non la uccidi per divertimento ma perché sai che lei ti da la vita. È molto diverso da quello che oggi è la caccia... andavano più uomini insieme, ammazzavano un animale, poi dicevano la preghiera e la lavoravano al momento, ne lasciavano una parte al bosco e una parte se la portavano addosso perché una delle regole regole più importanti è che non bisogna cacciare più di quello che puoi portare addosso. Se uccidi un [[alce]] ma sei da solo sei una persona stupida: non riuscirai a portare a casa niente e la mangeranno i [[Lupo|lupi]] e questo creerà uno squilibrio nel bosco, perché un lupo che mangia un alce ammazzata da te non uccide poi un animale malato e quindi si rovina l'ambiente naturale. Questa era la nostra educazione. *Ricordo il momento in cui mio nonno regalandomi il [[coltello]] mi disse: "L'armatura rende un uomo cavaliere del re, ma il semplice coltello rende un uomo cavaliere del popolo." Mi emozionò molto perché sentii di appartenere ad un mondo di persone degne, che avevano un loro codice, non come i delinquenti comuni, quelli che facevano male alla gente semplice, derubando i poveri pari a sé stessi. *Quella siberiana è una delle tradizioni più antiche al mondo: la più antica mummia tatuata mai ritrovata ce l'abbiamo noi, ha cinquemila anni, si chiama Principessa Ukok e ha addosso simboli molto complessi che parlano di una cultura già molto antica e molto ricca. Poi questa tradizione si è evoluta. Anche Gengis Khan, che proveniva da dal nord della Mongolia che in realtà era la Siberia, aveva addosso il simbolo del suo clan, il pesce, e questo ci fa capire come il tatuaggio fosse un segno di riconoscimento essenziale, una specie di carta d'identità, che poi piano piano si è trasformato in un linguaggio capace di nascondere tutto quello che riguarda la persona, sia il vissuto che gli aspetti più intimi. *Dell’utilizzo di mine provenienti da San Marino sono venuto a conoscenza proprio mentre combattevo in Cecenia, tramite un nostro ufficiale di collegamento dei servizi russi, che come altre persone legate al reparto analitico aveva molte informazioni. Negli anni successivi ho approfondito la questione ed scoperto da ex agenti dei servizi italiani che aziende di San Marino facevano da intermediari nella vendita, quindi non le producevano direttamente. *Ogni popolo ha una propria concezione dell'[[amore]]. Voi italiani e sammarinesi siete bellissimi, avete una visione dell'amore molto romantica e legata alla passione. Noi in Russia abbiamo una visione un po' diversa, più drammatica: la nostra storia d'amore non deve per forza andare bene e lo vediamo anche nei nostri grandi classici come Dostoevskij, Tolstoj ecc . Da noi l'amore è soprattutto quel sentimento che arriva da Dio, è un dono che l'uomo riceve in un certo particolare momento della propria vita e gli può fare bene o gli può fare male. *L’ultima volta ci sono stato nel 2009. L’Ho trovata cambiata e quel che ho visto non mi è piaciuto. Amo il mio paese, amo le mie persone, i vicini, gli amici, anche gli sconosciuti ma credo che l’arrivo della globalizzazione non ci abbia fatto bene... ne abbiamo preso solo il peggio, forse perché eravamo un po’ ingenui e forse perché un po’ ci conveniva. E non posso non criticare il fatto che dopo 15 anni il mio paese è governato ancora da una persona che proviene dall’ambito militare. Ho un grande rispetto per Putin però si poteva cercare uno sbocco diverso, ma ho capito che culturalmente non siamo ancora pronti. *[...] qui in Italia ho ricevuto minacce da integralisti islamici che mi hanno messo anche una bomba – fatta male, ma comunque una bomba – sotto la macchina, a Torino, e quindi fino a poco tempo fa giravo armato. Stava diventando una sorta di malattia psicologica da cui adesso cerco di liberarmi. {{Int|Da ''[https://giocopulito.it/russia-esclusa-dalle-olimpiadi-nicolai-lilin-uno-schiaffo-alla-democrazia-vendetta-dei-potenti/ Russia esclusa dalle Olimpiadi, Nicolai Lilin: "Uno schiaffo alla Democrazia, una vendetta dei potenti"]''|Intervista di ''giocopulito.it'', 11 dicembre 2017.|h=4}} *{{NDR|Sull'esclusione della Russia nei [[XXIII Giochi olimpici invernali]]}} La Russia corrisponde a un sesto delle terre emerse, è stata messa in atto un’azione castrante nei confronti delle Olimpiadi perché i giochi olimpici senza la Russia saranno una barzelletta. Ma ancora di più saranno uno schiaffo alla democrazia, al pluralismo e all’unità di tutti i popoli che si ritrovano nello spirito olimpico. *Questo è un pretesto per far apparire la Russia, davanti a tutto il mondo civile, come un Paese canaglia, risvegliando i fantasmi della Guerra fredda. È un modo per umiliare la Russia e i suoi cittadini. Tra l’altro non capisco ancora su quali prove reali di basi questa fandonia. A me sembra una presa di posizione, le argomentazioni mi sembrano deboli e non abbiamo ancora visto prove incontrovertibili. *Il mondo occidentale dimostra che non vuole la Russia come partner ma vuole la Russia come schiava. *{{NDR|«E chi sarebbe, secondo te, il grande burattinaio?»}} È molto semplice, sai. [...] Parliamo di oligarchi veri e propri. Il campione di questo club di oligarchi è Soros che organizza rivoluzioni e spinge progetti globali. In Italia l’abbiamo accolto con tutti gli onori ma forse sarebbe stato meglio trattarlo come un criminale quale è. Ecco persone come lui sicuramente hanno agganci con il CIO e hanno tutti gli strumenti per manipolare queste persone. *Io da parte mia, così come altri intellettuali e amici, sono disgustato da questa operazione di russofobia e boicotterò i giochi. Io non le guarderò e non le farò guardare ai miei figli. *La Russia, grazie a Dio, non è più l’Unione sovietica e quindi non impone a nessuno comportamenti contrari alla propria volontà. *[...] in Italia non c’è un Governo indipendente, l’Italia è un Paese politicamente e militarmente occupato da “terroristi” della moneta unica, del pensiero unico e del globalismo. ===2018=== {{Int|Da ''[https://www.repubblica.it/spettacoli/people/2018/02/13/news/nicolai_lilin-188735406/ "Il marchio ribelle" di Nicolai Lilin: "Le nuove generazioni di criminali senza regole"]''|Intervista di Luca Valtorta, ''Repubblica.it'', 13 febbraio 2018.|h=4}} *{{NDR|Su [[John Malkovich]] in ''[[Educazione siberiana (film)|Educazione siberiana]]''}} Ho lavorato con lui. L'ho tatuato... per finta. Io sul set ho diretto anche tutto il lavoro di riproduzione dei tatuaggi. Volevo fossero il più credibili possibile per cui per ogni personaggio ne ho creato di originali: circa trecento. Tutti i giorni in cui John recitava ci svegliavamo alle cinque del mattino perché bisognava mettere in atto il processo di riportare sul suo corpo i finti tatuaggi con una pellicola particolare che veniva applicata e poi lavorata. Così abbiamo parlato molto: lui mi chiedeva di mio nonno per cercare di entrare nel ruolo. *{{NDR|Su John Malkovich in ''Educazione siberiana''}} Lui odia il trucco e non vuole essere truccato ma nel film il nonno a un certo punto doveva apparire molto invecchiato e tutti erano preoccupati e si chiedevano come avrebbe fatto. Lui a un certo punto si ammalò: aveva la febbre altissima. Quel giorno si fece portare sul set dal suo manager che doveva sostenerlo perché non riusciva a camminare, andò da Gabriele e disse: 'Mi volevi vecchio, sono diventato vecchio: gira! Sembrava avere trent'anni di più!'". *[[Roberto Saviano|Roberto]] si occupa di una realtà molto concreta e contemporanea, infatti è costretto ad andare in giro con la scorta. Io di un mondo che non c'è più: quello dei vecchi criminali che avevano una loro etica. *[...] il mio libro sulla Cecenia {{NDR|''Caduta libera''}} è molto più romanzato rispetto agli altri per il semplice motivo che non volevo che si potessero scoprire i nomi dei reparti, dei soldati con cui combattevo: alcuni dei miei commilitoni sono ancora oggi in servizio. In Russia su queste cose non si scherza e io non vorrei far loro qualche torto: abbiamo firmato tutti le dichiarazioni di non divulgazione dei particolari delle azioni in cui ci siamo trovati. Non è che abbia paura di essere avvelenato col plutonio, non sono così importante e non ho grandi segreti da rivelare, voglio però essere coerente. *Io sono rimasto colpito molto negativamente dalla guerra. L'avevo già vista in Transnitria. Una prova che ha preceduto tutti gli altri conflitti di quella regione, orchestrata per mandare via i russi che abitavano lì da sei generazioni. E non era l'esercito moldavo che ci attaccava ma mercenari assassini reclutati da tutte le parti del mondo. Poi sono andato con l'esercito russo in Cecenia. Me ne sono andato perché ho sentito dentro di me il male: paura, morte, sangue, sporco per due anni. *Sarò ingenuo ma consideravo il lavoro dell'agenzia di sicurezza un modo per emendarmi dalla guerra. Un lavoro di mediazione: devi trovare il leader di un gruppo armato locale, convincerlo che bisogna sedersi al tavolo delle trattative o negoziare la liberazione di un ostaggio. Dopo l'Iraq però queste agenzie sono diventate incontrollabili e hanno fatto un danno peggiore di quanto facesse l'esercito: vedi Blackwater e altre agenzie che si sono comportate in maniera vergognosa. Io in Israele ho fatto tre contratti e non ho visto niente di brutto, gli israeliani cercavano sempre di portare la situazione verso una soluzione pacifica, la forza veniva usata solo come ultima istanza. *Un effettivo americano vicino a me è saltato su una mina e una scheggia mi ha colpito alla gamba destra. Devo ringraziare l'efficienza israeliana perché se mi avessero operato gli americani probabilmente non avrei più la gamba: hanno personale medico eccezionale. *[...] mi sembra che l'accoglienza non valga per tutti: sulla Russia per esempio, spesso e volentieri c'è chiusura totale. Però la signora Laura Boldrini ha incontrato in veste istituzionale un individuo che si chiama Andrij Parubij che è stato il capo dell'SNPU, l'organizzazione paramilitare neonazista più potente d'Ucraina e poi presidente del Parlamento. Non si tratta di neonazisti come quelli che conosciamo noi in Europa, estremisti pericolosi sì ma in maniera limitata: fanno scaramucce con i Centri Sociali, con gli immigrati, cose così. Qui stiamo parlando di un'organizzazione di persone armate fino ai denti che programma uno sterminio sistematico di quelli che considerano nemici politici. *Quando è avvenuto l'attentato in Spagna dell'Isis ho ribattuto a un tweet di [[Laura Boldrini]] che ritenevo ipocrita perché l'Isis è alleato con questi neonazisti ucraini: c'è un battaglione dell'Isis composto da terroristi ceceni che dal 2015 si è spostato dalla Siria in Ucraina ed è integrato nell'esercito ucraino che opera nel Donbass insieme a battaglioni neonazisti finanziati dagli oligarchi: succedono cose terribili lì di cui non parla nessuno qui. Hanno appena trovato una nuova fossa comune... Un mio carissimo amico scrittore che si chiamava Oles Buzina, assieme ad Arkadij Babchenko, un giornalista di Novaya Gazeta che ha anche collaborato con Anna Politkovskaja autore di Memorie di un soldato, già nel 2010 mi raccontavano di questa rinascita del neonazismo. Adesso Oles è stato ucciso dai neonazisti. Per questo mi sono arrabbiato con Laura Boldrini. Le ho anche scritto tre lettere a cui non ha mai risposto. *Io vorrei un politico che fosse un umanista o comunque chiunque ma non un militare perché il militare è estrema ratio. Però molti russi hanno paura di tornare negli anni Novanta e la presenza di una figura forte come Putin è un'ancora di salvezza. E io li capisco. Hanno paura dell'arrivo di un intellettuale come Mikhail Gorbaciov che per loro è colui che ha lasciato distruggere il paese. Anche se io invece penso che lui sia stato uno dei nostri più grandi leader. La sua unica colpa è stata di essere un visionario della politica mentre la gente voleva tutto in fretta e non l'ha più supportato. *[[Ėduard Limonov|Limonov]] per me è un personaggio che rappresenta il caos del crollo dell'Unione Sovietica: è autocelebrativo e contraddittorio. Ha creato questa cosa dei nazionalbolscevichi: io non li posso vedere. Recluta estremisti che cercano la soluzione facile a problemi difficili dando la colpa di tutto a una categoria, gli omosessuali, gli immigrati, gli ebrei. [...] Dai suoi si fa chiamare "duce", "vost". Ho anche due amici che lo seguono: dei veri imbecilli. Punta sul nazionalismo russo: è il peggior conservatorismo tinto da un patriottismo che neanche loro riescono a spiegare. {{Int|Da ''[https://www.labottegadihamlin.it/2018/12/29/intervista-a-nicolai-lilin/ Un siberiano a Milano: intervista a Nicolai Lilin]''|Intervista di Steve Fortunato, ''Labottegadihamlin.it'', 29 dicembre 2018.|h=4}} *Ho capito che la guerra è un fallimento. È il simbolo del fallimento umano. Terminato il servizio militare ho sentito il bisogno di tornare in Siberia, alla vita povera. *La presenza divina agisce attraverso tante forme e mezzi diversi, anche attraverso persone che commettono delle atrocità. Dio nei suoi scenari investe anche sui mostri. *[[Multiculturalismo]] significa rispettare il nostro prossimo senza chiedersi perché. *Sono convinto che se ci fosse l’[[anarchia]] totale le persone sarebbero organizzate meglio di quanto lo siano in uno Stato. *Vengo da una famiglia di criminali e lo spirito di contrabbandiere mi appartiene per formazione mentale. E in letteratura questa propensione trova uno sbocco naturale e si realizza facilmente. *Sicuramente quanto ho vissuto in guerra mi ha reso più consapevole verso i meccanismi che regolano il mondo, meno ingenuo, meno idealista, più anarchico. *Ho partecipato alla [[Guerra di Transnistria|guerra nel '92]] che mi ha cambiato, mi ha fatto sentire adulto, con nuove responsabilità ma al tempo stesso è stata una liberazione. *Ancora oggi sono rimasto quello che guarda dritto negli occhi gli altri. La gente rimane imbarazzata, ma per me parlare senza guardare negli occhi le persone significa mancanza di rispetto. *Mantengo l’impostazione classica russa nel descrivere approfonditamente scene e particolari che costituiscono i pilastri della letteratura russa. Una impostazione che è attuale ed è presente anche tuttora, addirittura nelle comunicazioni private quotidiane. Le e-mail che mi mandano miei amici russi, sono lunghissime, ricche di particolari, sono dei veri e propri racconti, delle piccole storie. È un modo di raccontare di chi vive in un paese di grandi dimensioni e grandi distanze, dove governa la nostalgia per non poter vedere più spesso persone lontane. La [[lingua italiana]] mi ha insegnato ad approfondire concetti che in russo sono decori linguistici, senza importanza. Mi ha dato modo di inserire elementi espressivi, dando una forma di ossimori. *Gli individui si ricoprono il corpo di disegni senza conoscerne il significato. Tra i calciatori c'è la moda di farsi tatuare la Tartaruga [[Māori|Maori]], senza sapere che si portano addosso il simbolo della fertilità femminile che veniva tatuato sul corpo delle ragazze Maori alla prima mestruazione. A questo proposito mi viene in mente un proverbio siberiano che dice "Quando il cervello non pensa il corpo soffre". ===2019=== {{Int|Da ''[https://www.ilgiornale.it/news/cronache/i-fondi-russi-lega-lilin-russofobia-atto-1725870.html I fondi russi per la Lega, Lilin: "Russofobia in atto"]''|Intervista di ''Adnkronos'', citato in ''Ilgiornale.it'', 13 luglio 2019.|h=4}} *{{NDR|Sui presunti fondi russi alla Lega}} Mi sembra che non ci sia nulla di sostanzioso, nessun fondamento serio. L'ennesimo scandalo costruito ad arte da politica e media. *La sinistra accusa la Lega di prendere i soldi da Mosca, e quando era il Partito Comunista ad incassare? *{{NDR|Su [[Gianluca Savoini]]}} Una persona corretta [...], aperta, di ampie vedute politiche ed interessato a rafforzare il dialogo tra Italia-Russia. Ho partecipato ad eventi culturali con lui e abbiamo solo parlato di cultura, niente politica. *Per me è sempre doloroso leggere notizie in cui i russi escono dipinti come il male [...]: prima lo eravamo perché comunisti, oggi perché competitor nello scenario geopolitico: c'è una russofobia in atto. Viviamo come gli ebrei nella Germania nazista prima che scoppiasse un vero e proprio odio razziale. Viviamo l'inizio di questo odio. Ed è veramente triste. {{Int|Da ''[https://themillennial.it/news/nicolai-lilin-intervista/ Intervista fiume a Nicolai Lilin: dal Russiagate a Licio Gelli al carabiniere ucciso a Roma]''|Intervista di Ray Banhoff, ''Themillennial.it'', 31 luglio 2019.|h=4}} *Salvini è solo l'ennesimo politico. Io sono uno scrittore, un uomo di cultura, apro ponti. La politica invece apre casini. Mio nonno viveva in una parte di foresta talmente selvaggia che dovevi possedere un branco di cani, almeno 35, per sopravvivere ai lupi. A quindici anni mi azzardai a parlargli di politica e mi disse: Nicolai, i politici sono come questi cani, dipendono tutti da un bastone.. il mio! *{{NDR|Su [[Licio Gelli]]}} Lui aveva letto ''Educazione siberiana'' e ha voluto incontrarmi. Io, da scrittore, tendo la mano a ogni mio lettore. Lui è stato un tipo che di sicuro ha combinato dei grossi casini, ma le chiacchierate che mi ha concesso mi hanno spalancato un mondo. [...] mi ha raccontato ad esempio di quando tornava dagli Usa con dei voli privati carichi di dollari in contanti per combattere il comunismo e li dava alla Democrazia Cristiana. *{{NDR|Su [[Russiagate]]}} Io ci sono andato, a cercarli, gli hacker che avrebbero influenzato le elezioni americane, sono stato nelle aziende citate negli articoli e non ho trovato un bel niente. Non c'è nessun hacker russo a mio avviso. Chi sta dietro queste storie credo sia semplicemente poco informato. *Io [[Gianluca Savoini|Savoini]] lo conosco, lo descrivano come un orco nero e quando ho letto mi son chiesto: ma è lo stesso Savoini che conosco io? Mi pare tutto esagerato. *Uccidere con il coltello è molto più semplice di quello che si pensa. Sono cresciuto in strada, ho visto gente morire per il coltello quando avevo solo 11 anni. So quello che dico. *Ho ucciso delle persone e oggi ti dico chiaramente che se dovessi scegliere tra farmi derubare o sparare, mi farei derubare. Se proprio la vita dei miei figli fosse in pericolo prendo un coltello da cucina e sgozzo il malcapitato. Non farei nemmeno in tempo a prendere le pistole dalle casseforti. Qui siamo mica negli USA dove danno il porto d’armi a chiunque e la gente tiene le armi a cazzo. Ho mezza famiglia laggiù e ti assicuro che nel sud ho visto armi semi automatiche tenute a fianco degli attrezzi da giardino. Chiunque può rompere un lucchettino del genere e fare una strage. *{{NDR|Su [[Donald Trump]]}} Cazzo, è il primo presidente che va in Korea! Ma ti rendi conto che passo diplomatico enorme? E tutti a trattarlo come uno scemo. Lui lo sa che il mondo è cambiato e che il dollaro non è più quello di una volta. Ora ci sono i cinesi e tutto è più complesso. *L’idea sulla Cina me la sono fatta a un meeting, c’era la presentazione di un tè cinese, tutto molto minimale, nel loro stile. C’erano degli inglesi. Quando qualcuno osò chiedere al cinese qualcosa sulla sua azienda, lui rispose: la nostra azienda ha migliaia di anni. E fu il silenzio. Si cagarono tutti sotto. Sono un popolo antichissimo: questo dà loro una statura enorme. *Mia figlia è venuta da me preoccupata per la faccenda della Russia chiedendomi: papà ma siamo cattivi noi Russi? Come quando si parlava di Igor il Russo, che poi non era russo e non si chiamava Igor, ma è stato descritto così. Vige ancora l’immaginario da guerra fredda del russo con la mascella quadrata che beve e ammazza tutti. {{Int|Da ''[https://www.teleambiente.it/incendisiberia_nicolai_lilin_non_ancora_finita/ Incendi in Siberia, Nicolai Lilin: “Non è ancora finita”]''|Intervista di Gianluca Vergine sugli [[incendi in Siberia del 2019]], ''Labottegadihamlin.it'', 17 settembre 2019.|h=4}} *Il problema principale è appunto il disboscamento selvaggio irregolare e spesso anche illegale delle zone boschive. A questo si aggiunge anche il cambiamento climatico che non aiuta, come i venti irregolari e il clima molto secco. C’è stata poca acqua, poche piogge in questo mese; si è arrivati così alla tragedia, alla catastrofe ambientale delle dimensioni che abbiamo visto quest’estate. *Nella più grande regione della Siberia, quella di Krasnoyarsk, che tra l’altro è la stessa regione da cui proviene la mia famiglia, abbiamo un personaggio come Alexander Uss. Quest’uomo è diventato famoso in Russia per la sua frase “spegnere il fuoco nelle foreste è inutile così come inutile lottare contro la neve d’inverno” aggiungendo inoltre che spegnere il fuoco nelle foreste è “economicamente sconveniente”. Questa seconda frase è ancora più criminale e pericolosa. *Cosa fanno queste persone: loro arrivano d’inverno, tagliano gli alberi, li puliscono sul posto con grandi macchinari mobili capaci di separare il tronco dai rami direttamente in loco; poi verso primavera, ai primi di maggio, danno fuoco a tutto, lasciando che la zona bruci. Tutto questo per coprire le tracce, in modo da poter dire in seguito che la foresta non è stata disboscata ma bruciata. *Io stesso ho pubblicato dei video con orsi e volpi che fermano le macchine lungo le strade chiedendo cibo agli autisti: è una cosa veramente allucinante, bisogna non avere un cuore per non commuoversi davanti a queste immagini. Ecco, il governatore Uss e persone simili a lui delle amministrazioni locali siberiane hanno deciso di risolvere questo problema sterminando questi animali, con squadre apposite di cacciatori. *La foresta della Siberia è andata in fumo per via di speculazioni esagerate e criminali, speculazioni sul bosco e sulla natura, create dall’uomo ma dovute al sistema consumistico in cui viviamo. Quando noi andiamo a comprare un mobile che costa 90 centesimi siamo contenti dell’esistenza di un negozio del genere che ci fa risparmiare dei soldi, ma dobbiamo capire che noi in questa maniera stiamo sostenendo questo sistema consumistico, che stiamo distruggendo il nostro pianeta. *Dobbiamo scegliere cosa è più importante: consumare ora o sopravvivere e regalare ai nostri figli un futuro migliore? *Fino a quando ci sarà il consumismo l’Africa sarà messa a fuoco dalle compagnie private, dalle multinazionali, l’Amazzonia e la Siberia saranno devastate da chi taglia i boschi illegalmente e noi ci avvicineremo sempre di più all’Apocalisse. ===2020=== {{Int|Da ''[https://www.writerofficina.com/NicolaiLilin.asp Nicolai Lilin, L'Autore di Educazione Siberiana]''|Intervista di Abel Wakaam, ''Writerofficina.com'', 2020.|h=4}} *Mio nonno ha passato complessivamente nelle carceri quarantacinque anni, l'ultima sua condanna la stava scontando quando sono nato negli anni ottanta del secolo scorso. *La storia d'amore che si vede nel film {{NDR|''[[Educazione siberiana (film)|Educazione siberiana]]''}} non c'era nel libro ed è stata totalmente inventata dagli sceneggiatori per dare alla pellicola una dinamicità più spinta rispetto a quella del libro, che era difficile da adattare alla necessità visive. Nella vita reale non c'era quindi mai stato nessun amore romantico. Però la ragazza che nel film si chiama Ksenia esisteva veramente, era una ragazzina autistica alla quale tutti noi, ragazzi del quartiere, volevamo bene e la trattavamo come se fosse la nostra sorellina. Alla fine è stata violentata da alcuni estranei, subendo traumi psichici e fisici che la portarono verso la morte. Nel libro ho descritto questa storia in modo abbastanza fedele alla realtà, mentre nel film è stata modificata per poterla adattare al linguaggio cinematografico. *In fondo {{NDR|gli urca}} erano i seguaci delle idee di Cristo, anche se, essendo improntate sulla violenza, non erano così allineate con i Suoi insegnamenti. Erano gli ortodossi della criminalità e, così facendo, fermavano il progresso; per questo sono scomparsi. *{{NDR|«Se potessi cambiare qualcosa nella tua adolescenza, cosa cambieresti?»}} Io non cambierei niente, perché non sarei diventato quello che sono oggi. {{Int|Da ''[https://www.ilgiornale.it/news/mondo/intervista-lilin-putin-1896673.html Nicolai Lilin: "Ecco perché i russi vogliono uno zar"]''|Intervista di Matteo Carnieletto, ''Ilgiornale.it'', 16 ottobre 2020.|h=4}} *Ancora oggi, [[Grigorij Efimovič Rasputin|Rasputin]] viene considerato la parte sincera - nera, ma allo stesso tempo più vicina a Dio - della Russia. È l'anima contradditoria e ambigua dello spirito russo: di umili origini, riuscì ad entrare nel palazzo dello zar. Senza dubbio era ambiguo. Ma era un vero russo. *{{NDR|Su [[Vladimir Putin]]}} Da giovane, e anche nei primi anni della sua presidenza, parlava spesso di portare in Russia il modello di democrazia occidentale. Un progetto che ha presto accantonato perché, da vero russo, ha sentito quella corda intima che c'è nella nostra cultura: la richiesta di autoritarismo. [...] Abbiamo ereditato dai bizantini l'idea che siamo la terza Roma e che non ce ne sarà una quarta. Il popolo vuole lo zar e Putin lo ha capito. *I servizi segreti, nel suo percorso politico, non sono stati decisivi, ma indispensabili. Putin non è stato scelto da Sobčak perché era del [[Komitet gosudarstvennoj bezopasnosti|Kgb]], ma perché era uno del Kgb con certe peculiarità. Aveva un'incredibile capacità nel creare contatti. *Putin parla con gli [[Oligarchi russi|oligarchi]] e non può fare altrimenti. In Russia, si può arrivare al potere solo in due modi: ottenendo l'appoggio delle famiglie degli oligarchi oppure facendo come i comunisti, massacrando, giustamente o ingiustamente, milioni di persone. *È come se gli oligarchi avessero preso in affitto il Paese: a loro non interessa la politica estera o interna della Russia. A loro interessano solamente gli affari. *Alcuni ritengono che Putin voglia ricostruire l'Unione sovietica, ma non è così. Lui non è un sognatore come Gorbačëv (che infatti si è fatto abbindolare da tutti). Putin non è un sognatore, è molto freddo e logico. La sua visione geopolitica si rifà soprattutto agli interessi del sistema economico che lui mantiene e dal quale è mantenuto. *Putin ha sbagliato nel condurre una politica interna che ha allontanato la Russia dal binario della democrazia del modello occidentale. Ha scelto la via dell'impero e abbiamo visto com'è finita. Da una parte c'è una setta di ortodossi che l'ha proclamato santo e dipinge icone con la faccia di Putin. Credono infatti che sia stato mandato dal cielo per combattere l'Anticristo. Dall'altra ci sono quelli che dicono che ha rovinato tutto. Io non credo a nessuno dei due. Io ritengo che all'epoca in cui Putin è diventato presidente si dovesse prendere una decisione. Era un momento difficile però lui l'ha fatto. *Putin è una cartuccia sparata, non cambierà più. L'unico modo per la Russia di salvarsi, se lui davvero la ama, è quello di cominciare a preparare qualche sostituto, più giovane e più energico. E, soprattutto, meno legato agli olicarchi. *Solženitsyn è molto criticato dai sostenitori di Putin perché vedono in lui un traditore della patria che lavorava per gli americani. In Russia, infatti, molti negano ancora il sistema gulag. Per me però è facile parlare dei gulag perché mio nonno li ha vissuti e mi ha raccontato com'era vivere lì dentro. *Solženitsyn è una figura emblematica, facile sia da appoggiare sia da odiare. Ha poche sfumature perché scriveva cose concrete. Reali. Chi sostiene il regime comunista lo odia, chi invece ama la democrazia lo rispetta. {{Int|Da ''[https://www.ilgiornale.it/news/cultura/coronavirus-nicolai-lilin-cos-hanno-generato-terrore-nel-1896674.html#google_vignette Coronavirus, Nicolai Lilin: "Così hanno generato il terrore nel popolo"]''|Intervista di Andrea Indini, ''Ilgiornale.it'', 19 ottobre 2020.|h=4}} *Diversi anni fa, a margine di una trasmissione di Michele Santoro durante la quale si parlava dell'acquisto degli F35, un politico di sinistra mi aveva confidato che aveva promosso la riduzione dei fondi al sistema sanitario perché lo reputava obsoleto, inutile e dannoso. Si era addirittura vantato di aver tolto al sistema sanitario nazionale una grande quantità di soldi. Oggi paghiamo gli effetti di una politica del genere. *L'emergenza è stata gestita in modo sbagliato soprattutto dal punto di vista etico. Non ricordo altre situazioni in cui il terrore sia stato diffuso in modo così ampio. In tv vediamo politici esprimersi in modo sguaiato contro gli stessi cittadini che li mantengono. In una democrazia non dovrebbero pronunciare parole che generano panico e che offendono. In una situazione del genere come fai ad osservare la normalità di certi processi? È impossibile: tutto diventa selvaggio, tutto è permesso. È normale chiudere le persone nelle case ed è normale fare le multe. Un governo serio avrebbe piuttosto azzerato le tasse. No, loro fanno le multe... e tutto questo è giocare sul terrore. *Quando ho fatto il servizio militare nelle squadre di sabotaggio e catturavo i terroristi islamici, adottavamo una pratica di preparazione agli interrogatori che mi ha sempre turbato. [...] Prima di tutto gli toglievamo i pantaloni e le mutande. Poi con le sue calze faceva una sorta di tappo che gli infilavamo in bocca. [...] All'inizio non riuscivo a capirne il senso. Poi lo ho chiesto al nostro capitano. [...] Mi ha spiegato che questa pratica era stato studiata da alcuni psicologi e che serviva a privare il prigioniero della propria dignità e, quindi, azzerarlo. Così, quando lo portavamo davanti a chi lo avrebbe interrogato, il terrorista si metteva subito a parlare. Non bisognava più far tanta fatica a cavargli fuori le informazioni. ===2021=== {{Int|Da ''[https://mowmag.com/culture/nicolai-lilin-putin-un-dittatore-ma-ce-ne-sono-in-tutti-i-paesi Nicolai Lilin: "Putin? Un dittatore, ma ce ne sono in tutti i Paesi"]''|Intervista di Marco Ciotola, ''Mowmag.com'', 25 gennaio 2021.|h=4}} *{{NDR|«[...] se dovessi rispondere alla domanda secca: [Putin] è un dittatore o no, cosa diresti?»}} Sicuramente lo è secondo il concetto di dittatura all’interno della visione della politica moderna. Ma noi oggi viviamo, in tutti i Paesi, dei sistemi dittatoriali. In Italia viviamo una dittatura; adesso abbiamo un sistema politico apparentemente democratico, ma in realtà siamo sotto la dittatura di sistemi economici e finanziari, che sono sistemi molto complessi. Io credo che da nessuna parte, nel mondo civile, la società incida sulle decisioni politiche dei propri Paesi. Le masse sono tagliate fuori, ora governano le oligarchie, in alcuni Paesi mascherate meglio in altri meno, in alcuni Paesi con un’organizzazione migliore, in altri peggiore; in ogni caso, la politica umana si è esaurita. Dopo una serie di giri e di conquiste sociali nel passato, alla fine siamo tornati tutti alle dittature: quindi sì, Putin fa parte della politica moderna, e come tutti i politici moderni è un dittatore. *Navalny ha cominciato la sua carriera attaccando duramente la corruzione del sistema amministrativo russo, cosa che sa fare molto bene. Ma mentre all’inizio non si poneva come un politico, raggiunto un certo successo ha cominciato a tirar fuori il discorso elezioni. Per me resta comunque un blogger, una voce libera, che attacca duramente la corruzione. Ma a livello politico lo vedo molto debole, e soprattutto vedo possibilità che sia una pedina manovrata da qualcuno che noi non vediamo, e questo rappresenta l’aspetto più preoccupante. Perché in Russia – dove c’è già un leader circondato da oligarchie nascoste nell’ombra, che sfruttano il Paese da tantissimi anni, portano via i soldi, hanno rovinato l’ambiente e fatto enormi danni – noi sappiamo che l’arrivo di un altro modello simile non conviene. Quindi di Navalny non sono per niente entusiasta come politico, non lo metto affatto sul piedistallo come fanno molti altri. Ma, soprattutto, di Navalny ricordo le prime apparizioni politiche nell’ambito del neonazismo, e questa è un elemento che non potrò mai dimenticare e che mi distanzia molto da lui. *{{NDR|Sull'avvelenamento di Naval'nyj}} Ma guarda, in tutta sincerità ti dico che la Russia è un Paese dove la vita umana vale purtroppo molto poco, quindi uccidere un avversario non è complicato e lo si fa a tutti i livelli e in tutti gli ambiti, a partire dalle liti familiari. Capita molto più spesso che altrove che, alla morte dei genitori, uno degli eredi assoldi un killer per uccidere i suoi fratelli... *Io non credo nel giornalismo occidentale: in Occidente c’è una grave crisi del giornalismo, perché molti giornalisti sono venduti o persone che lavorano solo per i soldi. Giornalisti onesti in Italia ne abbiamo pochissimi, gli altri o non hanno la possibilità di dire quello che pensano o agiscono sulla base di un accordo, un "patto con il diavolo", e diffondono notizie false. *Secondo me dobbiamo sviluppare una nuova forma di gestione della società, diversa dalla politica di oggi. È per questo che io... come dire... credo alla fantascienza: sono utopista, anarchico, ma di certo non mi affido a questi orticelli, a questi fortini che finiscono sempre per incularsi tra loro. *Ma sai che il nostro Paese, tra i più ricchi di risorse naturali al mondo, è tra i più poveri a livello sociale? L’unica bella città è Mosca, tutto il resto della Russia fa schifo; il 40% delle case non ha ancora l’acqua calda, i bagni sono fuori casa. Riusciamo a capire cosa vuol dire andare in un bagno all’esterno a dicembre, con meno 20 o meno 30 gradi? Se tu vedi come oggi vivono i villaggi siberiani, tipo uno di quelli da cui proviene la mia famiglia, capirai che è come si viveva in Italia nell’800. È questa la verità; e noi abbiamo un leader che si permette di dichiarare pubblicamente che sta lavorando alla conquista di Marte... ma chi cazzo se ne frega di Marte?! Fai vivere bene la gente in Siberia, costruisci nuove case, smettila di mandare gas in Europa e concedilo ai tuoi cittadini... {{Int|Da ''[https://ilmanifesto.it/educazione-siberiana-e-socialista-2 Educazione siberiana e socialista]''|Intervista di Fabrizio Rostelli, ''ilmanifesto.it'', 13 aprile 2021.|h=4}} *L’Unione Sovietica fu unificata attraverso il sacrificio ed il sangue, sono morti milioni di persone. Mio nonno, anche se era anticomunista, diceva sempre che la più grande impresa compiuta dai comunisti fu quella di aver unito l’Unione Sovietica e che bisognava tenerla unita perché era il nostro Paese. Era bello stare tutti insieme, avere una valuta, una costituzione, potersi muovere liberamente…perché un ragazzino che nasceva in un villaggio di montagna del Daghestan ma voleva diventare un ingegnere aeronautico, poteva andare a Mosca, il governo gli dava questa possibilità e lui poteva diventare un ingegnere, magari un nuovo Mikojan. Quando tutto crollò, la Transnistria divenne quel pezzo che tutti vogliono, il profitto era talmente grande che faceva gola a tutti. In questo modo, nel 1992, la guerra arrivò da noi. *Se leggi Wikipedia sembra che i moldavi tentarono di riannettere la Transnistria che nel frattempo si era proclamata indipendente. È una mezza verità. I moldavi prima di tutto non volevano uscire dall’Unione Sovietica, uscirono perché alcuni politici corrotti, pagati dagli oligarchi occidentali, sfasciarono l’URSS. Da noi arrivò un esercito di mercenari a pagamento provenienti da tutto il mondo: ungheresi, tedeschi, gente dei Paesi baltici. Se la guerra durò solo due mesi è proprio perché la gran parte del popolo moldavo era contraria e non voleva invaderci. Il numero più grande di vittime ci fu durante i primi giorni, quando la gente fu semplicemente massacrata mentre, spaventata, cercava di tornare a casa. La prima resistenza, quella più consistente, fu popolare. Noi ragazzini percorrevamo le strade con le biciclette e raccoglievamo munizioni, toglievamo ai morti le armi e altre cose utili. Seguivamo i movimenti dei mezzi militari e li comunicavamo ai grandi. Capitava anche di sparare con il kalashnikov in conflitti a fuoco. In quel periodo la gente del mio palazzo abitava a casa mia perché avevamo l’acqua del pozzo e diverse scorte di cibi in scatola. Negli appartamenti non c’era luce, né gas, staccarono anche l’acqua in tutta la città perché i mercenari avevano cercato di avvelenarla. C’erano poi diversi anziani che avevano bisogno di medicine; nel nostro cortile avevamo un piccolo lagher di rifugiati. *In Cecenia ho fatto fuori un po’ di persone che avevano passaporti americani. *La mia era una famiglia criminale, mio nonno rapinava le banche e mio padre i furgoni blindati ed entrambi hanno avuto una discreta esperienza carceraria. In guerra mio nonno era stato un cecchino, come quasi tutti i cacciatori siberiani; era nello stesso convoglio che aveva portato il grande Vasilij Zajcev a Stalingrado. *{{NDR|Sulla [[seconda guerra cecena]]}} Un giorno riuscimmo ad uccidere un cecchino nemico molto abile; utilizzava un fucile austriaco fatto a mano e cartucce svizzere. Quando mi misi a calcolare quanti soldi costava un operatore del genere, capii che servivano 100mila euro solo di armi e munizioni. Capisci che il terrorismo islamico non è un movimento rivoluzionario che si basa sulla fede, è una mafia. Le grandi famiglie saudite pagarono e crearono dei gruppi terroristici chiamandoli con il proprio nome, per vantarsi di fronte ai loro simili sostenendo di aver fatto qualcosa di importante per l’Islam nel mondo. Questi mercenari guadagnavano per loro l’onore, come ai tempi delle crociate. *{{NDR|«Hai letto dei neonazisti che hanno manifestato contro Poroschenko?»}} Sì ma queste sono operazioni che si pagano, lo fa anche Putin in Russia. Pagano le manifestazioni degli oppositori per pulirsi la faccia di fronte all’Occidente, come per dire: i nazisti sono contro di me, quindi io non sono nazista. *Sono un internazionalista e voglio abbattere i confini, non capisco per quale motivo il continente euroasiatico non debba essere unito. Questo muro lo vuole chi considera l’Europa come suddita e consumatrice dei propri prodotti, cioè gli Stati Uniti. Se la Lega agisce da ariete per abbattere questa barriera sono disposto a votarla. Una volta che non c’è più il muro, posso soffermarmi a guardare tutte le questioni etiche. Che altro posso fare? *Di giorno ci raccontavano quanto era grande il nostro Paese e di sera guardavi i film e ti rendevi conto di far parte di un popolo di antieroi perché quel simpatico Rambo ammazzava i tuoi connazionali, tutti ubriachi e con i denti storti. La mia generazione è stata decimata da questa bomba culturale. {{Int|Da ''[https://mowmag.com/sport/lilin-educazione-siberiana-tra-calcio-e-politica-grazie-allo-sheriff-il-mondo-ha-conosciuto-la-transnistria Ma cos'è lo Sheriff e che storia ha? Lo scrittore Nicolai Lilin racconta questa strana terra (e squadra) moldava]''|Intervista di Filippo Ciapini, ''Mowmag.com'', 19 ottobre 2021.|h=4}} *Siamo un paese che vive sotto un pesante embargo da molto tempo, la comunità internazionale fa finta di non vederci e ci tratta come pericolosi terroristi. *Non rientriamo nel programma geopolitico degli Stati Uniti. La Transnistria non è voluta da loro e veniamo trattati come gli ultimi. Noi siamo indipendenti, abbiamo una frontiera fisica, c’è l’esercito, ci sono le strutture, il governo, il popolo, hanno la loro moneta e pagano le tasse. È una cosa oscena perché poi sento la gente dire che dobbiamo aiutare gli africani e chi per loro... *L'occidente ha un’ideologia profondamente marcia e ipocrita. Opera con doppi standard. Perché l’africano sì e altri no? Peraltro questi ultimi non chiedono nessun tipo di aiuto, vogliono soltanto essere indipendenti. Mia figlia non può visitare la Transnistria e le nostre origini perché dobbiamo ottenere mille permessi nemmeno fossimo in guerra. *La Transnistria è in Europa, è molto prima della Russia, confina con la Romania che fa parte dell’Unione Europea. Questa è la tragedia. Adesso finalmente si inizia a parlare senza termini dispregiativi. Poi sento di dire che il governo laggiù è corrotto, dove non lo è? Parliamoci chiaro, i politici di oggi sono dei pezzi di merda. Il popolo non è cattivo, la cultura esiste. *C’è stata una feroce guerra con i moldavi dove, pur perdendola, hanno massacrato due intere città. Intervenne la 14esima armata russa che separò le fazioni e fece il garante di pace e tuttora lo è. Quando nel 1992 la Transnistria è rimasta tagliata fuori da tutto hanno dovuto ricreare un paese da zero. La Sheriff erano tutti rappresentanti di forza (esercito, kgb e militari) e come modello hanno fatto una simbiosi simile a quello cinese, dove c’è un partito che controlla il mercato libero. Era un holding che agiva sugli interessi della Nazione. Quando dicono “ahhh ma questi sono dei mafiosi” è totalmente sbagliato. Questi sono al potere perché all’epoca non c’era nessuna alternativa. Questo era un paese in fiamme e anno dopo anno hanno costruito il loro impero, le strutture, hanno ridato la vita a una situazione drammatica. *Il popolo moldavo sono fratelli, ho un sacco di amici, amo i poeti e la letteratura, l’arte. Noi abbiamo molti punti in comune che ci legano e quei pochi che ci hanno visti separati nel 1992 non meritano di esistere. *Vorrei solo che un giorno la Transnistria torni a unirsi alla Moldavia, rimanendo un paese con le proprie regole. *I moldavi sani di mente capiscono che la Transnistria è un entità legata anche alla loro cultura. *{{NDR|Sulla [[pandemia di COVID-19 in Italia]]}} Sono di un pensiero abbastanza rispettoso nei confronti del vaccino, nella mia famiglia qualcuno se lo è fatto, però io non sono per l’obbligo. Se una persona non si sente di iniettarsi qualcosa che non è ancora stato sperimentato, ha diritto a non farlo. *{{NDR|Sul [[Green Pass]]}} Ovviamente totalmente contrario. Non ha niente a che fare con la gestione della malattia. È un modo velato di imporre i limiti dei cittadini sfruttando l’emergenza. Noi sappiamo che anche le persone vaccinate possono ammalarsi e trasmettere il Covid. Hanno diviso la società in due parti e hanno limitato la mia vita da cittadino. Se mi sono vaccinato posso andare alla Scala altrimenti no. Non va bene, anche se ho il Green Pass posso infettare le altre persone. Questo è un dato di fatto, è una vergogna dei politici che stanno giocando su queste cose. Siamo di fronte a un cambiamento del rapporto sociale. È una cazzata. {{Int|Da ''[https://mowmag.com/lifestyle/nicolai-lilin-il-colore-dei-tatuaggi-era-il-nero-della-fuliggine-fuoco-sottopelle-ora-l-estetica-conta-piu-del-senso Nicolai Lilin: "Il colore dei tatuaggi era il nero della fuliggine, fuoco sottopelle. Ora l'estetica conta più del senso"]''|Intervista di Cosimo Curatola, ''Mowmag.com'', 18 dicembre 2021.|h=4}} *Il [[tatuaggio]] moderno è commerciale, non c’entra niente con quello che faccio io. Io faccio un rituale sciamanico, il tatuaggio è nato dal fatto che gli uomini primitivi cercavano di inserire sottopelle i residui del fuoco, ovvero la fuliggine, perché credevano che il fuoco conservasse un potere magico. All’epoca il fuoco era il massimo della tecnologia, una rappresentazione divina. La fuliggine si trasformava in inchiostro e veniva messo sottopelle, a volte dove una persona aveva qualche dolore. I tatuaggi erano anche curativi. *Io detesto le ''tattoo convention'' e tutte queste situazioni in cui il tatuaggio diventa merce. Per me è rituale, religione, un rito ancestrale molto importante. Chi viene a tatuarsi da me viene per questo. E sa che nessun altro può farlo così. *La brutalità dei nostri tempi, la pochezza dei nostri tempi, è che l’estetica ha preso il sopravvento sul senso. Tanta gente si ricopre di cose belle esteticamente ma non saprà mai spiegarne il significato. *Tanti tatuatori che fanno bianco e nero usano il colore bianco per la gamma dei grigi. Io sono molto rigido su questo, utilizzo solo nero. Quando ho bisogno di diluire ed avere una scala di grigi scelgo l’acqua di rose che è quella più adatta, anche se la verità è che si potrebbe fare con un’acqua qualunque. Basta evitare quella del rubinetto perché può contenere calcare e non va bene durante la guarigione. *Io tatuo tutti purché mi raccontino le loro storie. Io tatuo chi è disposto ad aprirsi con me, mi racconti la tua storia e io in base alla storia creo un disegno. Funziona così. *Io in realtà non la voglio neanche la tomba. Mi piace sapere che ci sono persone che vengono sepolte sotto un albero, vorrei una roba del genere. Poi magari i nipoti si arrampicheranno sull’albero, ci pisceranno sopra e si ricorderanno del nonno. ===2022=== {{Int|Da ''[https://www.ansa.it/sito/notizie/politica/2022/02/24/nicolai-lilin-la-colpa-e-di-tutti-biden-un-guerrafondaio_00a31605-e6c0-4983-8d86-7c7990e6ca0f.html Nicolai Lilin, la colpa è di tutti, Biden un guerrafondaio]''|Intervista di Mauretta Capuano sull'[[invasione russa dell'Ucraina del 2022]], ''Ansa.it'', 25 febbraio 2022.|h=4}} *La colpa è di tutti, degli Stati Uniti d'America, di Biden in primis che è un guerrafondaio, una persona veramente sgradevole, un politico poco lungimirante e provocatorio. *Spero che non duri a lungo, ma da come si muove l'esercito russo, hanno già circondato l'Ucraina, i punti nevralgici vengono presi abbastanza in fretta, dovrebbe essere così. Per fortuna non trovano la resistenza perché per la gran parte degli ucraini combattere per questo governo e politicanti non è importante. I militari si arrendono in massa, i civili stanno nelle case e aspettano la fine. *Noi dobbiamo liberarci dall'influenza statunitense. L'America deve capire che la sua egemonia è finita. Adesso c'è il dragone cinese, i russi e la vecchia Europa deve essere lasciata in pace. {{Int|Da ''[https://www.teleambiente.it/nicolai_lilin_russia_ucraina_intervista/ Guerra in Ucraina, Nicolai Lilin: "Putin sbaglia, ma l’Occidente deve cambiare visione"]''|Intervista di Enrico Chillè sull'[[invasione russa dell'Ucraina del 2022]], ''Teleambiente.it'', 4 marzo 2022.|h=4}} *L’Occidente ha la colpa di interpretare il mondo con una superiorità ingiustificata, noi occidentali ci crediamo superiori e ci rapportiamo agli altri in modo errato. Poi usiamo i doppi standard: siamo capaci di manifestare vicinanza ai bambini colpiti in un Paese e ignoriamo altri bambini colpiti dalla guerra in un altro Paese, solo perché lì la guerra la facciamo noi o i nostri partner. *Quando parliamo di Putin, dobbiamo essere chiari: è un dittatore autoritario che da oltre 20 anni è al potere, è lontano dall’ideale politico occidentale. Per lui, e per chi lo sostiene, un cambio di presidenza ogni quattro anni è un segno di debolezza politica. *Voglio ricordare un mio caro amico, intellettuale ucraino: Oles Buzina, grande antropologo e patriota, una persona libera che non era d’accordo con alcuni meccanismi poco democratici che vide dopo il 2014. I neonazisti, vicini a Poroshenko, gli hanno sparato in testa sulla porta di casa. E ci sono battaglioni neonazisti che sono stati integrati nell’esercito ucraino come se niente fosse, hanno ancora le mostrine delle divisioni delle SS. *I russi temono l’Occidente, hanno visto cosa ha fatto in Iraq, in Afghanistan, in Siria e nel Nord Africa e sanno che gli Stati Uniti sono il Paese che ha bombardato più Paesi al mondo dalla Seconda guerra mondiale a oggi. Purtroppo, questa differenza di posizioni viene sfruttata dalla politica, che gioca sui contrasti ideologici e sulla paura. *La Russia è uno dei Paesi più corrotti al mondo ed è sotto gli occhi di tutti. Il flusso di denaro dalla Russia ha fatto comodo a lungo all’Occidente, ora le sanzioni hanno stravolto il mercato tra l’Europa e la Russia. La situazione attuale fa comodo soprattutto agli Stati Uniti, che stanno realizzando il loro progetto di mantenere l’egemonia economica e militare in Europa. Per loro la Russia è un pericolo, non è un partner e lo vorrebbero come un vassallo. George Bush Sr. ed Helmut Kohl dettavano la linea a Gorbaciov, loro vorrebbero tornare a quella epoca. Vladimir Putin invece non vuole essere un vassallo e questo a loro non va bene. Anche qui, se pensiamo che gli oligarchi possano rovesciare Putin, sbagliamo la nostra visione: da occidentali, pensiamo erroneamente che la Russia sia un Paese europeo. La simbologia è tutto, l’aquila bicefala rappresenta la natura della Russia, che da un lato guarda all’Occidente e dall’altro guarda all’Asia. *Per come la vedo io, l’Italia dovrebbe allontanarsi dalla Nato e sviluppare una autonomia energetica investendo nell’eolico e nel fotovoltaico, per fortuna vento e sole qui non mancano. Poi dovremo anche ripensare la nostra tendenza al consumo sfrenato. Se non compreremo più il gas russo, ci sarà un contraccolpo per Mosca, ma ci sono già Paesi come la Cina che lo stanno facendo al posto nostro. {{Int|Da ''[https://themillennial.it/news/opinioni/intervista-nicolai-lilin-guerra-russia-ucraina/ Putin, Russia, Ucraina e russofobia. Intervista a Nicolai Lilin]''|Intervista di Giacomo Zamboni sull'[[invasione russa dell'Ucraina del 2022]], ''Themillennial.it'', 6 marzo 2022.|h=4}} *Il conflitto attuale ha il suo inizio dai massacri che l’esercito ucraino con l’aiuto delle milizie nazionalistiche ha compiuto verso le popolazioni filorusse delle regioni del Donbass, territori industriali, dove c’è da sempre una forte identità del movimento operaio. Secondo l’Osce questi eventi hanno provocato tra i 14mila e 16mila morti. La Russia si è sentita isolata e minacciata, nel colpevole silenzio dell’Occidente, fino ad arrivare al tragico momento attuale. *In [[Siberia]] ancora oggi ci sono persone che vivono senza gas nelle case. È una società più brutale, primitiva, sono quindi molto più influenzabili dalla propaganda. I discorsi di Putin hanno un linguaggio diretto alle persone delle periferie, usa spesso lo slang di strada e il gergo criminale. Sono riferimenti culturali che vengono dall’infanzia vissuta nell’allora Lenigrado in mezzo alla criminalità giovanile. La sua vera forza deriva dalla Russia profonda. *Nella comunità russa italiana c'è forte preoccupazione, paura di esser licenziati perché russi, paura per i bambini che vengono discriminati, paura per le proprie attività lavorative perché boicottate. Vi sembra normale che mia figlia tornata a casa da scuola mi chieda preoccupata se è vero che "noi russi siamo cattivi?". Mia figlia non sa neanche chi sia Putin. *I miei pensieri sono tutti per i civili che stanno soffrendo per una guerra crudele; se mi chiedi però di fare una valutazione geopolitica non posso non notare che è da qualche anno che il mondo va sempre di più verso oriente, verso la Cina. Gli Stati Uniti non hanno più l’egemonia di un tempo, credo sia poco saggio forzare la mano con la Russia di Putin. Siamo a un cambio totale della politica mondiale, l’Ucraina è purtroppo una moneta di scambio. {{Int|Da ''[https://www.ilgiornale.it/news/politica/reclute-spedite-guerra-cieca-me-2021052.html Lilin: "Reclute spedite in guerra alla cieca, come me"]''|Intervista di Matteo Sacchi sull'[[invasione russa dell'Ucraina del 2022]], ''Ilgiornale.it'', 26 marzo 2022.|h=4}} *Questo conflitto è anche un modo di addestrare a prezzo di altissime perdite un gran numero di personale. Alla fine hanno fatto così anche con la Cecenia. Mandano i giovani con una percentuale di soldati esperti che gli insegnino il mestiere... Spietato ma funzionale. *{{NDR|Su [[Vladimir Putin]]}} Il modello a cui si rifà è un modello imperiale, messianico, il suo modello è [[Alessandro III di Russia|Alessandro III]]. Forse all'inizio ha pensato di avvicinarsi alle democrazie occidentali, non certo a un vero Stato liberale, ma si muoveva in quel senso. Poi ha prevalso l'idea di tornare all'Impero, si è trasformato quasi in un personaggio shakespeariano *Sono moltissimi quelli che non la penseranno come Putin. E i più dovranno pernsarlo in silenzio. Ma non si può pensare che Putin cada per una rivoluzione, i russi hanno già provato le rivoluzioni e temono più di tutto il caos. Se ci sarà un cambiamento partirà all'interno del sistema. *{{NDR|Sugli [[oligarchi russi]]}} Non sono come i capitalisti occidentali, Non sono come [[Elon Musk]] che è per molti versi un oligarca ma deve i soldi a se stesso. Putin li usa come portafogli per mettere dei soldi. Il portafoglio si rompe? Tu lo cambi. {{Int|Da ''[https://www.lavocedinewyork.com/arts/libri/2022/03/28/parla-lo-scrittore-russo-nicolai-lilin-autore-di-putin-lultimo-zar/ Parla lo scrittore russo Nicolai Lilin, autore di "Putin, l'ultimo zar"]''|Intervista di Federica Sabiu, ''Lavocedinewyork.com'', 28 marzo 2022.|h=4}} *{{NDR|Su [[Vladimir Putin]]}} In lui c’è stato un cambiamento incline anche verso il male, il potere non ha migliorato quest’uomo, sicuramente lo ha danneggiato dal punto di vista umano. *Diciamo che sono diventato in maniera accidentale uno scrittore, anche se non avevo, a dire il vero, l’ambizione di fare questo lavoro. *{{NDR|«Quali autori ti hanno formato maggiormente?»}} Sono figlio della letteratura russa, quindi comincerei con Tolstòj, Tolstoyevski, Pasternak ecc. , sono gli autori che per me sono stati illuminanti, quelli che hanno formato il mio modo di pensare, il mio modo di esprimermi, in qualche modo hanno influenzato anche la mia scrittura. *A me personalmente non piacciono i premi letterari perché non si può definire un libro meglio dell’altro, tutti i libri sono diversi in quanto sono i prodotti delle idee e delle espressioni di persone differenti e non si può dire che una persona si esprima meglio dell’altra. *Sicuramente lo scrittore che mi ha formato come narratore e Nikolaj Gogol, il grande scrittore russo che ha creato il vero romanzo russo, la novella russa.<br>Lui per me è stato fondamentale perché ha plasmato la mia espressione umana e letteraria, il suo libro più bello a mio avviso si intitola "le anime morte". *Noi in [[Siberia]] abbiamo una delle più antiche tradizioni di tatuaggi al mondo dove in poche parole il tatuaggio è un modo codificato di raccontare l’esperienza di vita di una persona, una specie di curriculum che le viene scritto sulla pelle. {{Int|Da ''[https://www.ilbullone.org/2022/04/22/nicolai-lilin-educazione-alla-guerra-in-ucraina/ Nicolai Lilin educazione alla guerra in Ucraina]''|Intervista di Paolo Massimo Guerzoni, ''Ilbullone'', 22 aprile 2022.|h=4}} *Quando qualcuno ci dice che dobbiamo odiare una persona in base alla sua appartenenza, è solo perché è interessato a sfruttare, manipolare una situazione e poi dopo ci distruggerà. *Fin dall’asilo la propaganda ti inculca l’idea che un uomo deve servire la propria patria, e così inizi inconsciamente a identificarti come un difensore del Paese. Esiste anche una festività, il 23 febbraio, in cui questo ruolo viene celebrato. A scuola studiavamo un manuale per imparare le tecniche militari. Allo stesso modo, già in addestramento non credevo a quello che ci raccontavano. Conosco bene l’Islam, mio fratello è musulmano, ma loro strumentalizzavano il racconto, per portarci a odiare, a giustificare la guerra. *{{NDR|Su [[Gino Strada]]}} Lui era contro la guerra, perché l’ha vissuta. E anche io sono così. *Il problema è che ci sono persone che pensano ancora che la guerra risolva le cose. La guerra è una cattiva madre. Ci sono persone che ci guadagnano con la guerra. Ho vissuto 5 conflitti e posso dire che le guerre finiscono tutte con un accordo. Per evitare i massacri usiamo la diplomazia, non le armi! *Siamo in guerra ora, ma questo va avanti da anni. Perché non abbiamo iniziato a muoverci prima a livello diplomatico? Perché ci vuole volontà e la capacità di applicare potere su scala internazionale. La tragedia dell’Europa è che non abbiamo politici forti, né indipendenza. Non parlo solo della dipendenza energetica dalla Russia, ma anche culturale, dall’egemonia statunitense. Siamo tra incudine e martello. {{Int|Da ''[https://archive.org/details/Piccolo_2022-09-17/page/30/mode/2up?q#61nicolai+lilin Nicolai Lilin: «Vi dico io chi è Vladimir Putin male necessario dei russi»]''|Intervista di Gabriele Giuga, ''Il piccolo'', 17 settembre 2022.|h=4}} *{{NDR|Su [[Omar Monestier]]}} Ci legava un rapporto fraterno [...] era una persona che condivideva con me le intimità della sua vita, in base alle quali io creavo i suoi tatuaggi. *Era chiaro a tutti gli analisti che la Nato, spingendo sull'Ucraina sia con finanziamenti che con ideologie e armi avrebbe provocato un'aggressione militare della Russia con l'obiettivo di Stati Uniti e Gran Bretagna di dividere l'Ucraina dalla Russia, esercitare la propria egemonia militare e finanziaria in Europa, con l'unico risultato però, di spingere la Russia verso la Cina, un grandissimo errore. *[...] i russi seguono l'idea di un revanscismo russo, e in molti sono spaventati dal pericolo di ritornare al crollo dell'immoralità della Russia di Yeltsin degli anni '90. Quindi per loro Putin è sì un male, ma necessario. *Se [...] al posto di Putin andasse quel folle di Medvedev, non avrebbe scrupoli a radere al suolo l'intera Ucraina, o a usare l'atomica. *I ceceni [...] hanno dei conti in sospeso con gli ucraini che risalgono alla prima guerra cecena del 1991. Soprattutto con l'organizzazione Una-Unso, gruppo di nazionalisti nazisti ucraini, integrati nel sistema di governo ucraino, glorificati per le loro crudeltà, stupri, torture come se fossero eroi. I ceceni di Kadyrov hanno sete di vendetta per quei crimini. Lo stesso Kadyrov ha perso per mano degli ucraini il padre e molti parenti e tra i ceceni vige la legge del clan, quando qualcuno muore si giura vendetta fino alla 13esima generazione. {{Int|Da ''[https://mowmag.com/attualita/nicolai-lilin-l-ucraina-un-paese-nazista-peggio-della-russa-ne-ho-parlato-dopo-una-fake-news-di-saviano Nicolai Lilin: "L'Ucraina? Un Paese nazista peggio della Russia. Ne ho parlato dopo una fake news di Saviano"]''|Intervista di Riccardo Canaletti, ''Mowmag.com'', 24 novembre 2022.|h=4}} *Sai qual è il problema del nostro mainstream? Così come nella mentalità nazista – perché in Ucraina ci sono i nazisti, è questo il problema – se tu non la pensi come loro automaticamente accetti il punto di vista dei loro rivali. E i rivali dei nazisti sono sempre stati i russi. Quindi chi sostiene il nazismo, come alcuni giornalisti o il PD, foraggiandolo in Ucraina, poi diffonde russofobia. *Io non sono filorusso, io sono russo. Sono russo etnicamente. Come cazzo fai a dare del filorusso a un russo? Questi sono degli imbecilli totali, capisci? Anche accusando le persone non sono coerenti. Come fa un russo a essere filorusso? È chiaro. Uno può essere filoputiniano magari, questo è un altro discorso, ma non filorusso. *Io ho sempre aiutato le persone. Ho cominciato a casa mia già nel 2014, quando per la prima volta sono andato in Donbass. Avrei dato una mano a chiunque fosse arrivato, ma non è un motivo di vanto. Per me è una cosa normalissima e io non ne parlo mai. Queste persone vengono da diverse situazioni, aiuto sia quelli che vengono dal Donbass che quelli che vengono dall’Ucraina occidentale, indipendentemente dalle idee politiche. *L’Occidente è la culla dei fottuti colonialisti anglosassoni, degli speculatori e banchieri, dei guerrafondai. Ormai il mondo non crede più alle balle della democrazia occidentale. Il mondo intero è contro l’Occidente ormai. *{{NDR|Su [[Adriano Sofri]]}} Guarda, è un segno del fallimento della cultura di un Paese quando un terrorista fa il processo a uno scrittore. Poi Sofri saprà tutto delle vicende dei suoi anni di attivismo in Italia, ma cosa vuole saperne di Ucraina? [...] Io sono sicuro che una persona come quel Sofri non può avere alcuna certezza, perché quella persona dubito fortemente sia mai stata in Ucraina. *Per quanto autoritario possa essere, il regime di Putin è meno peggio di quello ucraino, è una certezza storiografica. Nella Russia di Putin gli oppositori non vengono bruciati vivi nelle case dei sindacati. In Russia in un anno non uccidono 75 persone tra oppositori e giornalisti, come avvenuto nel 2014 in Ucraina. In Russia non sono vietati i partiti politici. Persino Navalny comunque esiste, anche se poi va in galera, il suo partito, come altri, c'è. In Russia non c’è questa tendenza a massacrare interi gruppi. *[...] Boris Nemtsov è stato ucciso con un colpo di pistola perché amava andare a donne. Era un malato di figa e ha avuto la sfortuna di andare a letto con la moglie giovane e bella di un uomo d’affari georgiano molto legato alla criminalità organizzata di Mosca. Fai uno più uno e capisci che è strano siano stati i servizi segreti. *Il Commedy Club, KVN, che sarebbe il "club dei goliardi studenti", è da dove viene Zelensky, e lì sanno tutti che l’attuale presidente è un ragazzo che adora la cocaina. È stato messo lì perché facilmente ricattabile, tutto qui. *[...] i polacchi hanno creato l’identità ucraina. Sono state due le fasi che hanno trasformato i territori diversi in un unico Paese. La base era il popolo malorosso, ma era un modo di chiamare diverse minoranze che abitavano la zona. I polacchi hanno trasformato la visione identitaria di questi malorossi convincendoli di essere più vicini ai valori austroungarici che non a quelli russi. Che in parte era anche vero, perché era un popolo complesso che abitava ai confini dell’Impero e subiva molte pressioni. L’identitarismo ucraino è nato da questo impegno degli intellettuali polacchi per creare degli alleati in quei territori. Questa è stata la prima fase, che non si è conclusa bene per i polacchi, visto che già nella Seconda Guerra Mondiale gli ucraini massacravano i polacchi. Ovviamente, direi. Se crei un mostro, prima o poi il mostro ti uccide. È la base della cultura umana. *Prima di questa data {{NDR|1917}} nel lessico non esisteva l’Ucraina come concetto geopolitico. Questo concetto è stato introdotto e sviluppato da Lenin, Stalin e Kaganovič, tre personaggi che unirono dei territori presi dall’Impero austroungarico come la Galicja, la Polonia, e la Bucovina dalla Romania (devi sapere che c’è una parte di popolazione che abita in Ucraina che in realtà è rumena; quando la Romania dice di voler riprendere quei territori, ha ragione). L’obiettivo comunista era di inglobare nell’Unione dei territori il più possibile in modo unitario. L’Ucraina è stato un progetto sovietico e per questo motivo, quando è crollata l’URSS, la prima cosa che è successa è stata la totale crisi identitaria. Il Paese si è spaccato tra tutti i popoli diversi, tra i nazisti e nazionalisti, gli ucraini russofoni, gli ucraini della zona vicina alla Romania, quelli che stavano vicino ai confini con la Polonia che si son sentiti sempre più polacchi che non ucraini. ===2023=== La figuraccia più esplicita rimane quella della "lesbica da combattimento" messa dagli anglosassoni al posto del presidente moldavo, la odiosissima [[Maia Sandu]], colei che governa uno dei più poveri paesi d'Europa avendo la cittadinanza statunitense e possedendo la villa sull'oceano a California, dove si reca ogni fine settimana con uno jet privato per passare il tempo con la sua fidanzata. Questa figura costruita "ad hoc" per portare la Moldova nella guerra contro la Russia, trasformando il paese nel cimitero, seguendo il modello ucraino, non ha permesso al Primo Ministro ungherese Viktor Orban di baciarle la mano durante il vertice di Chisinau.<br>Insomma, una figura politica senza alcun valore e una persona priva di educazione di base. Uno schifo.<ref group="fonte">Da ''[https://t.me/nicolaililin/5834 Telegram]'', 5 giugno 2023.</ref> {{Int|Da ''[https://mowmag.com/attualita/lo-scrittore-lilin-la-guerra-in-ucraina-finira-quando-lo-decideranno-gli-stati-uniti Lo scrittore Lilin: "La guerra in Ucraina finirà quando lo decideranno gli Stati Uniti"]''|Intervista di Alessio Mannino, ''mowmag.com'', 22 febbraio 2023.|h=4}} *L’Occidente, soprattutto quello anglosassone, ha avuto ed ha una propulsione politica violenta e predatoria nei confronti del resto del mondo: colonizzare, imporre le proprie regole, fomentare rivoluzioni, spodestare leader sgraditi. In Russia invece l’impulso politico fondamentale è all’autosufficienza, non essere dipendenti da nessuno, ed essere in grado di difendere la propria indipendenza. *Per noi, giustamente, l’Ucraina è un Paese come gli altri. Per i russi, invece, è una parte della Russia. L’Ucraina è diventata Ucraina grazie ai comunisti che nel 1917, con Lenin, Stalin e Kaganovic, in quattro e quattr’otto hanno creato questa entità prima inesistente, mettendo insieme diverse regioni dell’Impero Russo, chiamandola così e promuovendo un’identità ucraina perché a loro serviva come una vetrina per il mondo, soprattutto occidentale. Volevano dimostrare, in particolare Lenin, grande teorico della rivoluzione internazionale, che per convincere i compagni degli altri Paesi ad appoggiare e unirsi all’Unione Sovietica, bisognava creare realtà nazionali attorno alla Russia. Il messaggio era: avete visto? Sono Stati indipendenti ma sono con noi, perché sono comunisti. È questo il senso storico dell’esistenza dell’Ucraina. Da quando però non c’è più il comunismo e non c’è più l’Urss, i russi si chiedono: e mo’ quando ce la riportiamo a casa? *Putin è sicuramente un conservatore. Ma un conservatore non liberale, anzi anti-liberale. Ciò che rappresenta il movimento liberale, o neo-liberale, è respinto dalla gran parte dei russi, e non piace neanche a molti qui in Europa. Quando parla di degenerazione e crisi spirituale europea parla di fenomeni dei quali l’apice è, per stare all’Italia, il Festival di Sanremo, o in generale ai meccanismi di potere che hanno perso il legame con la vita reale del popolo. Per questo il grave problema occidentale è la totale assenza di identità. Noi non abbiamo più crisi d’identità, quella l’abbiamo già passata. Noi un’identità non ce l’abbiamo proprio, ci siamo trasformati in stomaci ambulanti. Siamo solo dei consumatori, e ci meritiamo politici come la nostra premier che, dopo essersi insediata da soli pochi mesi, si permette di definire “propaganda” le parole di un leader di Stato che è al potere da più di vent’anni. *La Meloni ha tradito completamente i suoi elettori. Lei inizialmente sosteneva Putin, poi è arrivata al potere e ha dovuto fare una giravolta a 360 gradi, e direi anche a 90 gradi di fronte all’America, e così ora abbiamo una che svolge il suo incarico negli interessi dei poteri forti. {{Int|Da ''[https://www.2duerighe.com/duetti/155374-ucraina-russia-intervista-nicola-lilin.html L'Ucraina al microscopio: intervista a Nicolai Lilin]''|Intervista di Lorenzo Bruno e Damiano Rossi, ''2duerighe.com'', 22 maggio 2023.|h=4}} *L'identità ucraina in quanto tale si è affermata solo nel momento in cui la Polonia [...] è arrivato alla propria conclusione per colpa delle tensioni interne. [...] In quel momento, per volontà dei polacchi che cercavano di instaurare dei presupposti per contrastare la Russia, è stato avviato un forte processo ideologico in un'area nuova che era russofona, slava, con l'obiettivo di essere più occidentali dei russi. E lì che nasce, in una situazione totalmente lontana dalle dinamiche odierne, quella che era l'identità ucraina, perché prima nasce l'identità culturale, poi l'identità geopolitica. *La nascita dell'Ucraina come entità geopolitica, cioè un Paese con i propri confini risale invece al 1917 ed è totalmente attribuibile ai bolscevichi. I grandi creatori dell'Ucraina sono stati Lenin, Kaganovič e Stalin, poi dopo i bolscevichi in Ucraina. Serviva per i loro interessi, per la loro visione anti-imperiale russa, mentre a Stalin per le sue mire geopolitiche perché a ognuno che costruisce grande impero servono sempre territori molto vasti di frontiera. Un territorio di frontiera ti permette una serie di manovre strategiche sia nel caso di una politica aggressiva che offensiva. Quindi l'Ucraina serviva a Stalin. *La classe dirigente ucraina era talmente potente che con la morte di Stalin, gran parte della storia sovietica è stata guidata, dominata da leader provenienti dal partito comunista ucraino.<br>Il primo russo che è arrivato al potere, dopo questi lunghi decenni del dominio della classe dirigente ucraina è stato Andropov, lui tra l'altro è arrivato cercando di riparare enormi danni che hanno causato questi regimi corrotti dei rappresentanti del Partito comunista ucraino. Prima Kruscev e dopo Breznev il cui regime ha addirittura fatto l'invasione dell'Afghanistan. E quindi Andropov fu il primo russo che arrivato al potere cercò di risolvere la situazione poi non è riuscito perché alla fine ormai tutto era un disastro. *Uno dei motori della identità ucraina è quella di contrapporsi a Mosca e spesso odiare Mosca. Questo processo ha inoltre comportato l'aggiunta a questo nucleo territoriale occidentale della Malorussia che potremmo definire il corpo centrale dell'Ucraina, una terra popolata dei cosacchi di Zaporižžja che prima hanno stretto rapporti con i russi e lo zar poi hanno strizzato l'occhio ai polacchi. Infine c'è stata la conquista turca e il potere ottomano. *Il problema dell'Ucraina è stata la creazione di un grande Paese composto da realtà differenti però costretti tutti ad assumere un unico volto, un'unica identità e questo è stato un grande sbaglio. Il partito comunista ha attuato questa politica in quanto avevano un enorme Paese composto da realtà composite e dunque avevano necessità di sostenere una visione unitaria e meno articolata etnicamente. *Doveva essere gestita in modo tale da poter rispettare la differenza dei cittadini, rispettare i loro diritti all'interno di un'unica Costituzione. L'Ucraina poteva essere veramente, tranquillamente la Svizzera dell'Est Europa. Potevano vivere solo grazie alla gestione dei rapporti tra grandi imperi; invece, è mancata la lungimiranza della politica ucraina. *Quelli che sono arrivati nel 91' a governare l'Ucraina erano in realtà membri del partito comunista ucraino, questa è la grande presa in giro. L'Ucraina credeva di essersi liberata dell'Unione Sovietica, ma se guardate nomi e cognomi della classe dirigente dell'Ucraina del 1991, sono gli stessi del partito comunista. *L'unica cosa per ora chiara è che la guerra è lunga e sarà lunga perché così come vengono adesso attuate le strategie militari si capisce che questa non è una guerra per una vittoria veloce. Non è la blitzkrieg del quale stavamo parlando prima. Questa è una tipica guerra dove il territorio viene sfruttato da entrambi i paesi come un territorio di scontro per misurare la capacità produttiva, la capacità economica dei rispettivi Paesi, delle rispettive strutture. Quindi stanno misurando la capacità delle alleanze, chi degli alleati rimane con chi e chi dimostrerà più debolezze. La Russia è sempre più vicina alla Cina. Recentemente hanno dichiarato che con la Russia hanno firmato persino accordi militari per eventuali rifornimenti di armi. *Per quanto la sua posizione sembra abbastanza libera, noi sappiamo che Wagner è la parte illegale e clandestina dei servizi segreti militari russi. La storia del gruppo Wagner. Chi sono stati i suoi fondatori, come loro agiscono, il loro rapporto con il governo russo, i loro interessi, il loro modo di operare, ma soprattutto gli elementi principali, la loro provenienza, tutto indica il fatto che questa unità privata militare fa parte della struttura clandestina dei servizi. *In Russia non c'è oligarchia. In Russia ci sono uomini vergognosamente ricchi ai quali l'unica autorità del Paese che Vladimir Putin permette di gestire sono alcuni settori ed affari. *In Russia gli oligarchi non ci sono, in Russia gli oligarchi sono stati ammazzati fisicamente oppure costretti attraverso torture, prigioni e altri metodi poco democratici da Vladimir Putin e dal suo potere ad abbandonare il territorio di quel paese. In Russia, ad esempio, c'era l'oligarca [[Boris Abramovič Berezovskij|Berezovsky]], che ha organizzato la prima guerra cecena che ha portato il terrorismo nel Caucaso, che gestiva traffico di droga, traffico di esseri umani, che gestiva un enorme patrimonio speculativo in Russia. Lui voleva diventare presidente. Questa era la sua ambizione. Lui lo scriveva nei suoi diari. Lui pensava nel 2002 diventare presidente russo. Però poi è arrivato questo giovane del KGB, Putin, che nessuno conosceva e lo ha fatto fuori. *Quando hanno trovato il corpo di Berezovsky a Londra, sul suo cadavere c'erano i segni di due corde e la gente ancora oggi si domanda come ci si può impiccare per ben due volte. È chiaro che lo avevano impiccato i servizi segreti e nemmeno la MI6, i servizi inglesi sono riusciti a proteggerlo. Per questo motivo gli oligarchi in Russia non ci sono. In Russia c'è un regime autoritario. {{Int|Da ''[https://mowmag.com/attualita/lilin-su-gaza-e-palestina-israele-vincera-contro-hamas-ma-perdera-la-guerra-col-mondo-arabo-e-ha-lasciato-che-gli-attentati-accadessero-come-l-11-settembre Lilin su Gaza e Palestina: "Israele vincerà contro Hamas, ma perderà la guerra col mondo arabo. E ha lasciato che gli attentati accadessero, come l'11 settembre"]''|Intervista di Roberto Vivaldelli, ''mowmag.com'', 11 ottobre 2023.|h=4}} *Il 7 ottobre in Israele è una sorta di 11 settembre. *{{NDR|Sugli [[attentati dell'11 settembre 2001]]}} Ciò che io ho notato all’epoca di strano è che negli Usa era emersa una voluta mancata di connessioni tra i servizi di sicurezza del Paese, proprio in quel momento. Possiamo ipotizzare che fu fatto di proposito per mettere in atto il Patriot Act e inaugurare la Guerra al Terrore, oppure possiamo pensare a una negligenza. Possiamo fare più ipotesi, ma è chiaro ed evidente che sono mancate le connessioni tra i servizi del Paese. Negli Stati Uniti qualcuno ha voluto questo, ne sono convinto. *Un servizio così efficiente come Mossad, che è uno dei servizi con più connessioni a livello mondiale, che ha occhi e orecchie ovunque, non avrebbe preso sul serio le comunicazioni ufficiali da parte dei colleghi egiziani? Suvvia. Ma secondo voi non hanno fatto almeno un approfondimento? Secondo me sono balle. Quando gli egiziani hanno comunicato la possibilità di un imminente attacco di Hamas, questa comunicazione è stata "bloccata" da qualcuno. *A mio avviso c’è stato lo zampino di qualcuno, molto legato alle oligarchie anglosassoni, che in questo momento sono disperate, e hanno bisogno per forza di accendere una serie di focolai a livello internazionale. *Adesso loro vinceranno la guerra, distruggeranno Hamas e riprenderanno quei territori. Ma a lungo andare sarà una sconfitta per Israele e il mondo vedrà la brutalità degli israeliani, e non solo quella dei palestinesi. Arriverà il momento nel quale Israele avrà un confronto diretto con il mondo arabo. È già così, perché sul confine con il Libano si spara. Ma se tutti i Paesi circostanti inizieranno ad avere un atteggiamento di ostilità, per Israele sarà la fine e non supererà il 2030. ===2024=== *A quanto pare nella nostra società occidentale non si può più nemmeno nominare i gay senza il loro consenso e approvazione, che sono diventati una specie di ubermensch intoccabili e superiori ai comuni mortali.<ref group="fonte" name="insta.22.01.2024">''[https://www.instagram.com/nicolaililin/p/C2aadY8L2Ax/?img_index=1 Instagram.com]'', 22 gennaio 2024.</ref> *I rappresentanti del movimento LGBT qui in Occidente predicano la pace, la libertà, la tolleranza, l’inclusivitá e il multiculturalismo, tutti i valori che personalmente sostengo, apprezzo e rispetto. Ma allo stesso tempo sempre i membri del movimento LGBT occidentale sostengono il nazismo in Ucraina, sostengono la NATO, un’organizzazione criminale e guerrafondaia, hanno formato un intero battaglione dei nazisti gay che combattano in Ucraina, si chiamano “Unicorn”, hanno persino una toppa da riconoscimento e usano i colori della bandiera simbolo LGBT.<ref group="fonte" name="insta.22.01.2024"/> *{{NDR|Sull'[[attentato al Crocus City Hall]]}} Una cosa molto strana è che [...] le ambasciate statunitense e britannica l'otto marzo hanno condiviso un avvertimento ai loro cittadini che si trovavano in Russia, dicendo di non frequentare luoghi pubblici per probabile pericolo di terrorismo. Quindi ora si parla di un probabile coinvolgimento della Cia, di oligarchia anglosassone e per questo attentato terroristico si dice che è molto probabile che dietro ci siano le solite forze che cercano di mettere in difficoltà la Russia.<ref group="fonte">Citato in ''[https://mowmag.com/attualita/attentato-a-mosca-lilin-rivela-isis-c-entra-la-cia-e-dice-chi-sono-i-veri-nemici-della-russia Attentato a Mosca, Lilin rivela: "Isis? C'entra la Cia...". E dice chi sono i veri nemici della Russia]'', ''mowmag.com'', 23 marzo 2024.</ref> *Io non voglio augurare assolutamente nessun male, io spero che queste persone {{NDR|Stefania Battistini e Simone Traini}} vivranno per la vita fino alla vecchiaia. Spero che questa gente potrà anche riflettere sugli errori che sono stati fatti, però io so benissimo come funziona in Russia, so benissimo chi sono i russi e come loro agiscono quando si arrabbiano, quando vengono colpiti, diciamo, nel cuore loro, reagiscono abbastanza duramente. E quindi, il mio sincero augurio a questi giornalisti italiani che hanno fatto questo lavoro di propaganda filo nazista è di stare molto attenti, stare molto attenti. Non accettate il tè dalla gente sconosciuta. Fate attenzione al bar. Fate attenzione dove mangiate. Fate attenzione alle nuove amicizie, perché può darsi che contro di voi stanno già lavorando gli agenti operativi del GRU, che sono i servizi segreti militari, e se loro veramente hanno preso un incarico, state certi che in un anno, due anni, tre anni, cinque anni, comunque vi troveranno e vi faranno a pezzi.<ref group="fonte">Citato in ''[https://www.open.online/2024/08/18/nicolai-lilin-giornalisti-rai-battistini-traini-polonio-te-video/ L’avvertimento di Nicolai Lilin ai giornalisti Rai Battistini e Traini: «Vi siete scavati la fossa da soli». E cita il polonio nel tè]'', ''open.online'', 18 agosto 2024.</ref> {{Int|Da ''[https://mowmag.com/attualita/lilin-navalny-nazista-xenofobo-l-intervista-a-putin-di-carlson-ha-cambiato-il-mondo-e-la-guerra-in-ucraina-non-finira-finche-la-russia-e-lo-scrittore-ne-ha-anche-per-renzi-di-maio-biden-e-berlusconi Lilin: “Navalny? Nazista xenofobo. L'intervista a Putin di Carlson? Ha cambiato il mondo.]''|Intervista di Diana Mihaylova, ''mowmag.com'', 16 febbraio 2024.|h=4}} *{{NDR|«Accidenti, quindi tu consideri il crollo dell’Occidente come un dato certo?»}} Sì, al 100%. Ormai sta già avvenendo, solo che ci stiamo abituando e quindi trasformiamo in normalità quelli che sono in realtà gravi segnali di collasso. Io vivo nel mondo arabo ora. *Il giornalismo e la stampa italiana [...] sono tutti delle puttane del regime, mi spiace ma è così. [...] quando parliamo dei giornali italiani, parliamo di carta straccia. Un lavoro intellettuale in Italia non esiste più, non esiste più coerenza. Quando leggi qualcosa sulla stampa italiana, questa non può essere credibile, punto e basta. E chi in Italia, fra gli analisti e i giornalisti, dice che Tucker Carlson è uno burattino del Cremlino, è un idiota totale. *Tu sai qual è il motivo per il quale l’Occidente odia Putin? [...] L’Occidente è un sistema oligarchico, un potere dei pochi. [...] L’oligarchia è quando una persona estremamente ricca usa i suoi soldi per modificare la politica in base ai propri interessi fino a creare la degenerazione di uno Stato: questo è l’Occidente di oggi. Oggi il governo italiano, quello francese, quello tedesco – Orban è l’unico che si salva – e tutto il resto dei Paesi d’Europa sono zerbini degli oligarchi e fanno solo gli interessi delle élite, che trasformano le masse in consumatori, in una nuova forma più grave del capitalismo. Invece Putin è la rappresentazione più pura di un sistema autoritario, ma è una persona che arriva al potere sostenuto dalla maggioranza assoluta dei cittadini: dall’87%. Non esiste un altro Paese con una percentuale simile. *Io lavoro con le notizie, sul mio canale Telegram privato; quindi, ho della gente che mi paga per essere informata. Se la gente paga per avere delle notizie coerenti, vuol dire che molti cittadini non sono d’accordo con quello che i media italiani raccontano e non c’è da sorprendersi, perché la stampa italiana racconta un sacco di balle; continua a farlo. La stampa russa è sempre basata su una linea propagandistica. Non dobbiamo pensare che in Italia sono propagandisti e in Russia raccontino tutta la verità. Anche lì c’è propaganda, ma c’è una differenza: i giornalisti russi non si allontanano dalla verità oggettiva, quello che invece gli occidentali hanno iniziato a fare un bel po’ di tempo fa. *[...] questa guerra ha già ricevuto un sacco di armi, un sacco di aiuti commerciali, ma comunque, l’Occidente non vincerà mai, perché la Russia ha infinite risorse. Ciò che sta facendo l’Occidente in Ucraina è solo prolungare un’agonia perché su di essa, dal punto di vista economico e geopolitico, un piccolo ristretto gruppo di persone in Occidente, guadagna un sacco di soldi. *Quando vediamo le manifestazioni in Russia, sono tutte cavolate. Io sono andato a verificare personalmente e tutti questi movimenti antiputiniani è sono fuffa creata dall’Occidente. {{NDR|«Quindi secondo te nella popolazione non è presente alcun malcontento?»}} Ma quale malcontento, sono contentissimi! La maggioranza dei russi è contenta e anzi, vogliono sostenere di più questa politica. Quando parliamo di manifestazioni dei russi che non vogliono fare la guerra, sono tutte balle. I russi vogliono fare la guerra e vogliono sconfiggere il nazismo. *L’Occidente ha trasformato Alexei Navalny nell’ennesimo simbolo di libertà, come fosse un “Santo protettore” dei valori democratici, schiacciato da Vladimir Putin; ma per me Navalny rimane sempre quello che era sin dagli inizi della sua carriera: un nazista, xenofobo e genio della comunicazione, che per anni ha lavorato per gli oligarchi russi. Per me lui non era un politico, ma un prodotto mediatico in grado di offrirsi al miglior offerente. *[...] si è mai visto la Russia fare guerre coloniali o per allargare il proprio territorio? [...] I russi non vogliono invadere nessuno. L’unica cosa per cui sono capaci di fare la guerra è per assicurare la sicurezza sui propri confini. Per questo motivo Putin ha mosso l’esercito in Ucraina, perché dal 1998 in Ucraina si svolgono attività militari della NATO che minacciano i confini della Russia. È un’idiozia dire che Putin vuole invadere Polonia e Paesi Baltici. Putin vuole stare tranquillo, non vuole avere la pistola puntata in faccia dalla NATO. *Berlusconi non era uno statista, era un uomo d’affari. In effetti in Russia era molto rispettato perché lui rappresentava gli interessi non degli Stati Uniti d’America, ma i suoi interessi personali. *[...] la guerra non sarà breve, sarà lunga, ma la vittoria sarà della Russia per un semplice motivo: siamo nel pieno del cambiamento dell’ordine mondiale. L’Occidente non potrà più estendere il proprio dominio e la propria supremazia su una parte del mondo. *L’Occidente ha una bellezza, un enorme bagaglio culturale, una grandissima potenzialità, però deve liberarsi dall’egemonia anglosassone. {{Int|Da ''[https://www.huffingtonpost.it/dossier/elezioni-europee-2024/2024/05/02/news/putin_ha_le_sue_ragioni_gli_oligarchi_filoatlantisti_sostengono_il_nazismo_ucraino_cronache_dal_mondo_di_nicolai_lilin_-15783478/ "Putin ha le sue ragioni, gli oligarchi filoatlantisti sostengono il nazismo ucraino". Cronache dal mondo di Nicolai Lilin, candidato di Santoro]''|Intervista di Alfonso Raimo, ''huffingtonpost.it'', 2 maggio 2024.|h=4}} *Il mio unico impegno è bloccare ogni tipo di sostegno alla guerra. Non ho altro interessi politici. Non sono mai stato interessato seriamente a nessun tipo di programma politico. Anche se durante la mia vita sono stato avvicinato da tanti partiti. Qualcuno è arrivato a offrirmi anche dei soldi. *I miei valori sono di sinistra, ma non come si definisce in Italia la sinistra. Non sono uno che si rispecchia in una ideologia all’interno del sistema italiano. So bene che in Italia qualcuno dice che io sia fascista, perché citano qualche frase decontestualizzata, o qualche mia vecchia posizione. Ma la verità è che io sono il prodotto del sistema sovietico, nel bene e nel male. *Secondo me Putin è il crocevia di due spinte epocali: il regime sovietico nella sua fase esaltata e in dissoluzione e l’occidente corrotto e capitalista. Dopo di che Putin ha le sue ragioni. *{{NDR|«La principale ragione addotta da Putin è l’espansione della Nato oltre le zone tradizionali di influenza.»}} Ed ha ragione. È la realtà oggettiva di quello che ha vissuto l’ex Urss dopo il suo crollo. Ho incontrato 4 volte Gorbacev e posso testimoniare che era un suo grande cruccio. Lui diceva: “So di essere odiato dai russi e di essere amato dagli occidentali”, perché non era riuscito a garantire che la Nato allungasse le sue mire. Era mortificato, si sentiva responsabile. *A dire il vero da parte russa hanno dato segnali di disponibilità a negoziare, siamo noi occidentali che non abbiamo voluto coglierli. [...] Perché noi europei seguiamo la linea guerrafondaia degli oligarchi anglosassoni, filoatlantisti. Sono fanatici della guerra, gente che se ne frega della vita delle altre persone e sostenitori del nazismo. *I massacri li ho visti io coi miei occhi. I nazisti ucraini sono sostenuti dall’occidente, anche dai nostri rappresentanti politici, dal Pd, e dalla destra. Non ha importanza il potere politico. Sono sottomessi agli interessi degli oligarchi anglosassoni. *{{NDR|Su [[Volodymyr Zelens'kyj]]}} Nonostante il fatto che sia di famiglia ebraica, e che il nonno abbia servito nell’esercito sovietico, sostiene il nazismo per soldi, per motivi economici. *{{NDR|Sull'[[attentato al Crocus City Hall]]}} È stato l’Isis in collaborazione con i nazisti ucraini. [...] Ma la regia è della Cia. *È il bello del Pd: sostengono i nazisti in Ucraina, ma danno a me del fascista perché sono andato a Casapound. *Boldrini mi ha denunciato. Io la accusai di aver ricevuto a Montecitorio [[Andrij Parubij|Andri Parubi]]. E lo rifarei. Quando avevo 12 anni, Andri Parubi entrò nella mia città a Bender in Transnistria, a capo di alcune bande naziste che uccisero tra gli altri mio zio e la mia cuginetta Tatiana. Negli anni successivi Parubi fondò anche un’organizzazione che si chiamava Partito nazionalsocialista ucraino. A Boldrini ho semplicemente detto che è ipocrita inneggiare all’Anpi, al 25 aprile e al primo maggio, se poi ospiti Andri Paurbi. Ma lei invece di rispondere alle mie lettere per chiarirci in un incontro, mi ha denunciato. {{Int|Da ''[https://www.ticinolive.ch/2024/06/11/nicolai-lilin-le-favole-fuorilegge-educare-popoli-rialzare-la-testa/ Russia, Europa, Politica, Cultura: Nicolai Lilin e L'Educazione dei Fuorilegge]''|Intervista di Chantal Fantuzzi, ''ticinolive.ch'', 11 giugno 2024.|h=4}} *I giovani della destra italiana [...] hanno compiuto uno sviluppo positivo, sono stati in grado di capire il senso dei macchinari di potere di propugnare l’uscita dell’Italia dall’UE e l’indipendenza dell’Italia stessa e, a differenza dei giovani della sinistra, non sono vittime di una vuota retorica. Sono stati capaci di vedere gli effetti negativi della globalizzazione. Molti di loro hanno compreso l’azione invasiva della NATO e auspicano l’uscita dell’Italia dalla NATO stessa, comprendendone il danno che questa sta apportando ai paesi poveri. *Xenia {{NDR|in ''Educazione siberiana''}} è un personaggio reale al 95%, per la quale mi sono ispirato a una persona che ho realmente conosciuto, dalla quale ero molto affascinato e alla quale ero legato sin dall’infanzia. Come tutte le persone prive di stabilità mentale, lei era pura. *La Russia è una demente splendida. Bella, aperta, sincera, ma incapace di realizzare la propria partecipazione a un mondo moderno, è fuori da qualsiasi contesto in cui possa esistere, poiché nessun contesto sarebbe compatibile con la lealtà e l’onestà della Russia stessa. ===2025=== *{{NDR|Su uno sketch<ref>''La copertina di Luca e Paolo del 25/02/2025'', [https://youtu.be/6wE4W3BrD1k?si=14GnM4Os8wl0R3F7&t=120 video] disponibile su ''Youtube.com''.</ref> di [[Luca e Paolo]]}} Io non guardo la tv italiana. Io ho lavorato nella tv italiana, per questo non la guardo. Io questo porcile schifoso veramente lo brucerei col lanciafiamme. [...] Vincenzo mi ha mandato uno spezzone di questi due, non so come chiamarli, che non fanno né ridere né piangere. Sono dei personaggi patetici. Luca e Paolo si chiamano questi due ignoranti. Hanno preso in giro quello che ha fatto Vincenzo, la raccolta firme, tra l'altro in maniera molto limitante e stupida. Ripeto, io comprendo tutto, scherzi, satira, è bellissimo, io spesso prendo in giro anche sui miei social, soprattutto i potenti di questo mondo, ma quando io vedo due annoiati, inutili, dal punto di vista intellettuale limitanti personaggi, strapagati, estremamente pagati rispetto all'impegno che loro realmente fanno, questi personaggi deridono una persona che riporta le informazioni reali della guerra. Io quando vedo queste cose non so, mi è venuta la voglia di sfondare il cranio a uno e all'altro. Io lo dico onestamente, sono una persona che è nata per strada, ho vissuto per strada, ho fatto le visse, quindi ancora oggi, anche se ho promesso a mia mamma di non ammazzare più nessuno, comunque ancora oggi ho del sangue che mi va in testa quando vedo certe cose, dico "Cristo Santo lo troverei davanti, gli sfonderei il cranio e gli farei ingoiare i denti a questo qua". Proprio perché è proprio la mancanza di dignità, sapete cosa vuol dire? Persone indegne, persone che affrontano delle questioni in maniera qualunquista. Questo è il male della nostra Italia. Il male dell'Italia è che abbiamo poche persone come Vincenzo e Andrea e abbiamo troppi nulla facenti, profumatamente pagati come quei due idioti nei quali avevo appena parlato.<ref group="fonte">Citato in ''[https://www.open.online/2025/03/11/filorusso-nicolai-lilin-contro-comici-luca-paolo-sfonderei-cranio-farei-ingoiare-denti-video/ Il filorusso Nicolai Lilin contro i comici Luca e Paolo: «Gli sfonderei il cranio e gli farei ingoiare i denti»]'', ''open.online'', 11 marzo 2025.</ref> ==''Educazione siberiana''== {{Vedi anche|Educazione siberiana (romanzo)}} ==''Putin – L'ultimo zar''== ===Incipit=== Sta accadendo per davvero: la guerra è tornata prepotentemente e insopportabilmente vicino a noi. Dentro l'Europa? Appena fuori dall'Europa, sotto il naso di un paese che sogna gli antichi fasti? È proprio questo uno dei motivi del contendere. Stavolta, la guerra, non è più un'idea da salotto. Non una possibilità, o una minaccia velata; è una realtà che entra nelle nostre case, nelle immagini strazianti che arrivano: missili che colpiscono palazzi in cui vivono uomini, donne e bambini. Sparatorie in strada, esplosioni nelle città, abitanti che al suono delle sirene si riversano, come formiche impazzite, nelle cantine, nei rifugi improvvisati, nelle fermate della metropolitana, nei vagoni fermi. Centinaia di morti, non solo tra i soldati, sangue sulle strade, code ai confini con la Polonia per grandi esodi di massa. Professionisti, operai, universitari che corrono ad arruolarsi per difendere il loro paese. File di carri armati, file di molotov pronte, file di trincee fisiche e immaginarie, file di persone davanti ai negozi, file di volontari pronti a dare il sangue per i feriti. Poi il coprifuoco e il silenzio totale. Il silenzio della paura. Il rumore della guerra. La guerra della Russia di Putin contro l'Ucraina di Zelenskij. ===Citazioni=== *Putin è un serpente, è un meditativo, non si fida delle persone, prende le sue decisioni da solo. Prende le informazioni che gli servono da chi gli è attorno. Ma ultimamente, a causa del sistema obsoleto della burocrazia che gli è vicina, l'informazione viene filtrata in modo ambiguo. (p. 6) *{{NDR|Sulla [[guerra del Donbass]]}} Da otto anni non si affrontano le questioni di fondo della vita delle persone oppresse nel Donbass (circa 14.000 morti), che sono a maggioranza russa. L'Occidente si comporta in maniera ipocrita, mostrando le immagini dei civili morti per l'attacco russo all'Ucraina. Negli anni precedenti, però, è stato miope e inattivo nella guerra nel Donbass. (p. 8) *Le mancanze del governo ucraino appaiono evidenti. Dopo l'indipendenza non c'è stato un rinnovamento della classe politica. La nomenklatura ha cambiato semplicemente abito. È passata dal comunismo a uno status di neo-oligarchia che ha approfittato delle ricchezze ucraine senza preoccuparsi del benessere del paese. (p. 9) *''Con il suo nome, in Russia, è designato uno dei più lunghi e dinamici periodi della storia contemporanea. Putin è santificato da milioni che vedono in lui il messia sceso in Terra con il compito di portare rimedio ai mali del mondo, mentre altri milioni lo detestano e lo temono come se fosse un tizzone d'inferno. Di certo, è stato il primo uomo politico dopo Stalin a meritare, presso il popolo russo, la nomea di "zar". E quando ti chiamano in questo modo nel paese più vasto del mondo, dove l'intera dinastia regnante è stata affogata nel sangue e che per settant'anni è stato poi dominato dalla rigida dottrina comunista bolscevica, questa semplice parola di tre lettere assume una tale dimensione mastodontica, che solo a pensarla viene un capogiro.'' (p. 15) *In quasi tutti i suoi discorsi pubblici, parlando ai russi con quella sua aria familiare, con quel suo lessico intriso del gergo di strada che arriva dritto al cuore di ogni cittadino, Putin espone infaticabilmente la propria visione della democrazia; oppure, da abile oratore, dipinge per i propri interlocutori magnifiche visioni di quella forma di democrazia alla quale, secondo lui, si ispira la Russia moderna nel proprio percorso storico. Ciò che conta per Putin è chiamarla sempre e comunque "democrazia": che poi nei fatti si tratti di una sua versione piuttosto autoritaria... be', non è detto che questo dispiaccia ai suoi cittadini. (p. 19) *Ovviamente, nell'[[Unione Sovietica|URSS]] non esistevano ufficialmente i ceti sociali, perché il comunismo non ne riconosceva soltanto uno: il proletariato. Ma nella realtà quotidiana le cose andavano diversamente: qualcuno stava meglio degli altri, i più ricchi cercavano la compagnia dei propri simili, frequentavano i locali più cari e raffinati, si potevano permettere anche una certa apertura culturale, mentre i lavoratori semplici, quelli che sgobbavano nelle fabbriche per uno stipendio medio, vivevano nel loro mondo. Nonostante l'ideologia, insomma, anche durante il periodo sovietico il reddito era uno dei criteri che definivano la posizione dell'individuo nella società. Tuttavia, se non altro, lo stato cercava di organizzare la vita dei cittadini in modo da evitare la formazione di ghetti, perciò era normale che nello stesso stabile abitassero il direttore della fabbrica e i suoi lavoratori. (pp. 21-22) *Putin non è una persona finita per caso ai vertici della politica, non è un miracolo da [[Boris Nikolaevič El'cin|Eltzin]], da [[Boris Abramovič Berezovskij|Berezovskij]] o da altri oligarchi. È arrivato alla sua posizione facendosi strada con i denti, i pugni e i gomiti, passando sulle teste e calpestando senza pietà gli avversari sconfitti, rispettando negli altri la forza e la lealtà, disprezzando la debolezza e il tradimento, come può fare solo chi ha imparato egregiamente gli insegnamenti che offre la strada. (p. 46) *Ma se le discipline di lotta tradizionali, e specialmente le arti marziali provenienti dall'Oriente, si fondano su una solida integrazione tra l'aspetto comportamentale, la filosofia, l'etica e la morale, il [[sambo]] sotto questi aspetti era decisamente carente e non poteva nemmeno rifarsi a qualche nobile tradizione, a radici affondate in qualche cultura millenaria e che rimandassero a correnti religiose, artistiche, letterarie o filosofiche. Si trattava di uno sport bello e molto efficace, certo, ma gli mancava quell'elemento ancestrale e romantico che tanta presa ha sui giovani e sui loro animi sensibili e affamati di scoperte. Diciamo che praticando il sambo i ragazzi potevano acquisire una preparazione atletica e un orientamento che risultavano preziosi a chi poi (o contemporaneamente) si dedicava a un'arte più ricercata come appunto il [[judo]]. (p. 54) *Bisogna sapere che all'epoca di Eltzin, uomo debole fisicamente quanto moralmente, per ottenere una concessione di vendita di una fabbrica statale, o il permesso di aprire una nuova miniera sul territorio nazionale o di svendere sottobanco le centinaia di migliaia di tonnellate di petrolio, metalli preziosi e altre ricchezze accumulate dall'URSS nel corso di decenni, era sufficiente presentarsi armati di racchetta da tennis a uno dei suoi appuntamenti sportivi e lasciarsi sconfiggere da quel lento e scoordinato individuo che per qualche motivo credeva di essere un tennista talentuoso. Tra gli oligarchi circolava la battuta secondo cui, per avere successo negli affari in Russia, la cosa più difficile era perdere a tennis con "l'alcolizzato", come era soprannominato (da tutto il paese!) il presidente. (p. 55) *Mentre circa il settanta per cento delle abitazioni era carente di acqua potabile, i sovietici si concentravano sulla conquista dello spazio e inviavano la più grande nave rompighiaccio al mondo a propulsione nucleare a esplorare l'Artico. Nella zona degli Urali e in quella dell'immensa Siberia non esistevano strade decenti, ma enormi quantità di denaro pubblico venivano spese in ricerche e tecnologiche finalizzate allo sbarco sulla Luna. Il novantacinque per cento del budget del paese era destinato all'industria bellica, tecnologie nucleari comprese. Tutte le grandi opere, a cominciare dalle grandi autostrade che tra enormi difficoltà verso la metà degli anni Settanta collegarono decentemente le regioni di quell'enorme territorio, per finire con le centrali idroelettriche, termoelettriche e nucleari, furono realizzate in larga misura grazie all'impiego di forza lavoro gratuita: quella dei militari, degli studenti volontari e dei detenuti nelle strutture di rieducazione. (pp. 59-60) *{{NDR|Sulla [[dissoluzione dell'Unione Sovietica]]}} Improvvisamente la componente ideologica era svanita, come se non fosse mai esistita, e le masse si trovarono non solo senza leader capaci di indicare una strada e garantire i più basilari diritti sociali, ma anche, e d'improvviso, senza l'intero sistema che per tutti aveva rappresentato l'unico modello di vita possibile. La corsa al modello occidentale, interpretato, copiato e applicato con frenesia senza comprenderne la complessità, come se si trattasse semplicemente di cambiare il colore alle pareti di casa, creò i presupposti per una crisi tale da far pesare le sue conseguenze negative ancora oggi, a distanza di trent'anni. Il senso d'idiozia che scosse il paese socialista si racchiude benissimo nella metafora che circolava tra le masse, una sorta di perfetto slogan del suicidio collettivo in atto: «L'acqua della fontanella sovietica è gratuita e di tutti, però la Coca-Cola ha lo zucchero e le bollicine». (pp. 91-92) *{{NDR|Sul [[putsch di agosto]]}} In quei giorni, le emittenti televisive e radiofoniche smisero di dare notizie. Tutti i canali trasmettevano solo programmi culturali: in tv mandavano in loop il balletto, in radio si ascoltavano opere e musica classica. «Ha vinto Chaikovskij!» scherzava la gente... (p. 103) *{{NDR|Sulla [[guerra di Transnistria]]}} La guerra civile nella mia [[Transnistria]], nel 1992, fu il primo conflitto armato su scala militare, il cui obiettivo era una vera e propria pulizia etnica ai danni dei russi, di chi culturalmente apparteneva al mondo russo e di tutti coloro che erano rimasti fedeli alle idee del mondo sovietico. Anch'io vidi montare quell'odio. I miei ricordi d'infanzia sono quelli di una scuola (e di una comunità) multietnica; noi bambini non avremmo mai chiesto a un nostro compagno: «Di che razza sei?». Non ci passava proprio per la mente. Anzi: avere amici di altre etnie, tanto più se di altre religioni, era un valore aggiunto, perché alle tue feste comandate si aggiungevano le loro, e quindi c'erano più occasioni per fare baldoria. Per i ragazzi era divertente. Poi cominciarono i pregiudizi antirussi e in Moldavia prese piede un partito nazionalista, ben sovvenzionato dall'Occidente. Volevano entrare nella NATO, pensavano che con l'aiuto degli Stati Uniti il paese sarebbe diventato una specie di paradiso fiscale: fantasie del genere. Ma soprattutto tanti moldavi, giustamente stanchi della vita condotta negli ultimi anni sotto il regime sovietico, davano la colpa delle loro miserie ai russi. Successe la stessa cosa in diverse piccole repubbliche e regioni etniche (Cecenia, Kazakistan, Turkmenistan, Uzbekistan, Ossezia, Armenia...): l'odio nei confronti del "sistema" si trasformò in nazionalismo, sfogo naturale per coloro che così potevano dare una spiegazione al disastro che stavano attraversando. (pp. 121-122) *{{NDR|Sul [[disastro di Černobyl']]}} Il popolo sovietico per generazioni ha sgobbato disperatamente, vivendo la sua misera vita escluso dal resto del mondo, mentre il Comitato centrale destinava quote enormi del bilancio alle spese militari. La retorica comunista spiegava ai cittadini che dovevano stringere i denti, lavorare sodo e resistere nelle difficoltà perché avevamo bisogno di costruire sistemi sofisticati per difenderci dai missili statunitensi ed evitare l'apocalisse nucleare sul nostro territorio, ma alla fine l'apocalisse l'ha causata un gruppo di imbecilli altolocati. (p. 124) *Eltzin era arrivato al potere sull'onda dell'euforia che accompagnava il crollo dell'URSS, e i cittadini si attendevano da lui il benessere e la miracolosa trasformazione della società in qualcosa di simile al modello occidentale. Ma il brusco crollo dell'economia aveva spazzato via quella classe media sovietica che nonostante tutto conduceva una vita relativamente agiata, e trasformato la maggior parte dei cittadini in miserabili, esposti alle minacce del nuovo mondo, privi delle sicurezze sociali alle quali l'URSS li aveva abituati, indifesi di fronte alle speculazioni delle nuove élite politiche ed economiche che razziavano il paese. Il contrasto tra la miseria delle masse e l'osceno arricchimento degli oligarchi che si comportavano come feudatari medievali, abbassò drasticamente la popolarità del presidente Eltzin, dei suoi programmi politici e del suo concetto di democrazia. Il popolo voleva un cambiamento, e in varie parti del paese pericolose tendenze estremiste mandavano segnali preoccupanti. (pp. 134-135) *{{NDR|Sulla [[seconda guerra cecena]]}} A differenza della [[prima guerra cecena]] di pochi anni precedente, poco popolare e spesso duramente criticata dai russi, il secondo conflitto godette di un grande consenso. La lotta contro il terrorismo fu, lo si può dire con certezza, il primo progetto a livello nazionale a dare a Putin un'incredibile popolarità, trasformandolo in un idolo di fronte alla schiacciante maggioranza degli elettori. (p. 141) *Putin non era un grande riformatore, non lo è mai stato. Sfruttò con abilità quel che nel paese era già stato fatto prima di lui, creando però una nuova (e, dal punto di vista politico, curiosa e contraddittoria) simbiosi tra il capitalismo, l'economia liberale d'ispirazione occidentale, e l'impronta autoritaria dello "stato forte". I mali del paese, dunque, migrarono semplicemente nel nuovo secolo: in primis l'oligarchia con le sue ovvie conseguenze quali la corruzione, il cinismo delle élite finanziarie che distruggevano la morale (e il morale del popolo), l'assenza di libertà primarie come quella di parola, schiacciata sotto il peso dei mass media soggiogati alle regole del mercato. Certo, non si può incolpare Putin per non aver cambiato il sistema: sarebbe come pretendere che una persona cambi lo sgabello sul quale sta in piedi, con le mani legate e la corda al collo. Putin, per quanto autoritario e forte possa apparire, è pur sempre legato a un certo tipo di economia che non potrà mai rivoluzionare, perché ciò metterebbe in difficoltà lui e il potere che rappresenta. (p. 161) *Un'altra grave mancanza è che Putin non ha mai davvero provato a risolvere il problema della [[Corruzione in Russia|corruzione]]. Durante il primo periodo della sua presidenza era ovvio che le priorità fossero diverse: bisognava sconfiggere il terrorismo in Cecenia, impostare il lavoro del governo per realizzare i programmi di politica interna ed estera, affrontare i problemi ereditati dal precedente governo, che in meno di dieci anni aveva sepolto il paese. Però, con il passare degli anni, mentre i problemi interni venivano risolti e sembrava che nulla più impedisse al presidente di iniziare un programma di lotta contro i politici e gli amministratori corrotti, Putin aveva sempre qualcosa di più importante da fare. Forse le ragioni di questa "distrazione" sono nascoste nel suo passato, o forse il presidente teme di svegliare un vespaio pericoloso persino per lui. (p. 164) *La corruzione, indubbiamente, sarà tra i fattori principali con cui gli storici futuri descriveranno il periodo del "[[putinismo]]". I nostri discendenti ci ricorderanno come una società soggiogata da una lobby di oligarchi e governata da politici in simbiosi con la finanza corrotta. La cosa più preoccupante è che ormai tutto ciò viene percepito come normale. (p. 166) *La [[prima guerra cecena]] fu una dura prova, e la dimostrazione che la macchina bellica del grande paese non era in grado di risolvere nemmeno una situazione locale. Una struttura ingombrante, mal organizzata, con enormi problemi logistici e corrotta fino al midollo: così si presentava l'esercito russo in quei primi anni Novanta. (p. 168) *La [[Chiesa ortodossa russa]] ha una lunga storia di rapporti con lo stato repressivo sovietico, tanto che i rappresentanti di altre Chiese ortodosse la considerano una deviazione infamante. (p. 172) *Il patriarca [[Cirillo I|Kirill]], persona di grande cultura, con la spiritualità cristiana ha poco a che fare, tant'è vero che nel giro di pochi anni dalla nomina cominciò a comportarsi pubblicamente come uno degli oligarchi della cerchia del presidente, spesso mostrando con piacere ai giornalisti i suoi lussuosi orologi e lasciandosi fotografare mentre scorrazza in mare sulla sua barca di lusso. Comunque, i rapporti tra lui e Putin negli ultimi anni sono peggiorati, in parte perché appunto Kirill non si comporta come un "papa russo" e in parte perché i suoi appetiti sono aumentati eccessivamente, e le sue continue richieste di ogni genere al governo hanno talmente infastidito i "piani alti" che persino uno dei più fidati uomini di Putin, Dmitrij Medvedev, quando era ancora premier, proibì ai propri collaboratori di rispondere alle sue telefonate. (p. 173) *L'unica cosa importante che le élite al governo in Russia sembrano non capire è che non si può proporre per due decenni lo stesso identico programma solo perché questo, vent'anni fa, era popolare. Sembra che il tempo non scorra, all'interno delle prestigiose mura del Cremlino: le persone che lavorano in quel luogo sembrano non cambiare, non evolvere, non accorgersi che il pasese che governano (così come il resto del mondo) è mutato radicalmente. Le masse sono stanche dei rendiconti in stile nordcoreano che arrivano dalle faraoniche riunioni del partito Russia Unita, non ne possono più dei notiziari impostati sulla linea editoriale "lui, sempre lui". La gente non riesce a capire perché di nuovo, come durante gli anni dell'URSS, si debba vivere sotto la costante pressione ideologica che insegna che il resto del mondo è nemico, che tutti ci odiano perché siamo il paese più ricco e più bello al mondo – stranamente, però, pur esportando gas a migliaia di chilometri di distanza, abbiamo ancora il settanta per cento delle case e delle infrastrutture in Siberia (patria di quel gas) che si scaldono con la legna. (p. 179) *Amata da tutto il paese, negli ultimi anni [[Valentina Tereškova|Tereshkova]] si è avvicinata al partito di Putin, Russia Unita, con il quale è stata eletta a deputato. In realtà, la sua attività è pari a zero: è solo una delle figure storiche dell'URSS "acquistate" dal potere per essere impiegate nella propaganda. Prima del suo discorso alla Duma, l'unica volta in cui l'ex cosmonauta si era esposta pubblicamente fu all'inaugurazione di un ponte nei pressi della città di Yaroslavl', peraltro crollato miseramente dopo pochi mesi. (p. 183) *Il fatto è che, a differenza degli oppositori del passato, come [[Boris Nemcov|Boris Nemtzov]], che aveva tutte le doti del politico, [[Aleksej Naval'nyj|Aleksey Navalny]] è invece un uomo lontano dalla politica seriamente strutturata e non è in grado di rappresentare un modello alternativo al governo in carica. È senz'altro un bravo comunicatore, che abilmente sfrutta la rete e denuncia coraggiosamente alcuni scandalosi casi di corruzione all'interno dell'apparato governativo. A volte riesce a stuzzicare qualche pezzo grosso, suscitandone l'ira, ma il suo lessico politico è costruito in gran parte su concetti fondamentalmente populisti, riduttivi dal punto di vista intellettuale, limitati soprattutto per quello che riguarda le implicazioni relative agli aspetti amministrativi. La sua visione è poi totalmente carente di linee guida nella politica estera, nemmeno un accenno. E la politica estera, per un paese come la Russia, specialmente nell'attuale situazione geopoilitica, è di importanza vitale, per non dire assoluta. (p. 195) ===Explicit=== ''Siamo entrati nel nuovo secolo ancora troppo giovani, ma già con un enorme bagaglio di esperienze alle spalle. L'inizio della presidenza di Vladimir Putin per molti di noi ha coinciso con il momento in cui dovevamo decidere cosa fare della nostra vita. La sua figura e la sua retorica politica per molti di noi rappresentavano l'unico reale modello di comportamento politico, l'unica speranza per un futuro migliore. Negli anni abbiamo imparato a rispettarlo, abbiamo cercato di capirlo e soprattutto abbiamo creduto ciecamente nella sua visione del futuro, nella sua voglia di migliorare la vita della nostra patria.<br>Però. Però sono passati vent'anni, oggi siamo quarantenni, abbiamo famiglie, viviamo le nostre quotidianità spesso banali, a volte complicate, e la linea politica di Putin rimane sempre la stessa, immutabile, disperatamente stagnante mentre il mondo attorno cambia drasticamente, ogni giorno sempre di più.<br>E a volte, quando guardo i notiziari della tv russa, mentre la conduttrice con voce angelica racconta dell'ennesimo missile nucleare che abbiamo costruito, ancora una volta più potente e più distruttivo di quelli degli altri paesi, ennesima dimostrazione della nostra supremazia, i miei occhi leggono il testo del messaggio che scorre nella striscia in basso sullo schermo: dice che un bambino in qualche regione sperduta della nostra grande patria sta morendo di una terribile malattia che la nostra medicina non è in grado di affrontare, quindi viene richiesto un aiuto, un sms, per portare quel bambino negli Stati Uniti, oppure in Germania, dove potrà essere curato. E allora sento qualcosa rompersi dentro di me, come se in quel momento, e ogni volta, prendessi coscienza di appartenere a una generazione di persone usate, derise e tradite dai rappresentanti del potere che governa la loro patria.'' ==Citazioni su Nicolai Lilin== *Abbiamo pensato a lungo se denunciarlo o meno. Ma in realtà la cosa che più mi ha fatto impressione di quella storia è che nessun politico ha mostrato solidarietà nei nostri confronti, né in pubblico né in privato. Come se perfino in quel momento ci volesse chissà quale forza o coraggio. L'episodio ci ha spinto anche a interrogarci sul nostro lavoro, perché non capisci bene. Ma quando stai così sulle balle, credo voglia dire che hai fatto quello che andava fatto. ([[Luca Bizzarri]]) *Cosa hanno in comune [[Cecilia Parodi|Parodi]] e Lilin? Hanno scritto libri [...], hanno dimestichezza e conoscenza del peso delle parole, hanno usato espressioni con gratuita cattiveria e irreparabile serietà.<br>A prima vista, Parodi e Lilin sono aggressivi e turpiloquenti ma non sembrano appartenere alla schiera degli squadristi da tastiera, dei persecutori anonimi [...]. Gli insulti rappresentano un fenomeno deplorevole e maleodorante, ma sono convinto che i peggiori siano proprio quelli di coloro che si credono «scrittori»: intrisi di odio nutrito dalla loro immaginazione e dal loro ego, vengono scelti con insospettabile volgarità e pronunciati con cognizione di causa. ([[Aldo Grasso]]) *Di errori Nicolai Lilin ne ha collezionato parecchi. Nel 2014 aveva pubblicato un lungo articolo che partiva dalla fotografia di una bandiera ucraina con a fianco una bandiera nazista. In breve tempo si scoprì che quell'immagine era un frame di un film. Sempre nel 2014 lo scrittore era convinto di avere trovato una confessione eccezionale: un pilota ucraino avrebbe dichiarato di avere sparato sul Boeing della Malaysia Airlines abbattuto sull'Ucraina. Solo che la fonte di Lilin era un articolo di un giornale satirico. Nelle ultime settimane Lilin ha scritto molto anche sulla vedova dell'oppositore di Putin, Navalny, lasciando intendere una vedovanza "allegra" sulla linea della propaganda di Putin. ([[Giulio Cavalli]]) *Gli scrittori russi contemporanei sono periferici rispetto all'interesse del lettore occidentale. A dire il vero, è la Russia a essere percepita come una noiosa periferia, anche se molto estesa. Emblematico è il fenomeno dello scrittore Nikolaj Lilin, le cui opere sono accolte trionfalmente in Occidente. Ma la Cecenia e le galere siberiane che racconta mi ricordano le avventure del [[barone di Münchhausen]], capace di mirabolanti frottole: ma tutti, o quasi tutti, gli credono. [...] Ma siamo impazziti? La Russia sarà pure un Paese selvaggio, ma da noi è impossibile immaginare il romanzo di uno scrittore contemporaneo tedesco che racconti di come, nei boschi presso Berlino, si nasconda un reparto di ex SS, che insieme ai figli e ai nipoti, sulle note di Wagner e battendo il tamburo, rapinano i treni in transito. Ed è altrettanto impossibile immaginare che i lettori russi ci caschino e gli editori scrivano in copertina: «Ecco i figli del lupo della steppa, è più forte del Faust di Goethe». Oppure proviamo a immaginare che in Russia arrivi uno scrittore francese di 22 anni e cominci a raccontare di essere stato tiratore scelto in Algeria o guastatore in Iraq, dove è riuscito a catturare uno dei figli di Saddam, e adesso scrive un libro in cui i commandos francesi mangiano rane e compiono prodezze straordinarie. E che gli pubblichino le sue storie dicendo «Finalmente un autore degno di Dumas e di Saint-Exupéry». ([[Zachar Prilepin]]) *Il mio obiettivo non era smascherare un abile personaggio che ha capito molto rapidamente cosa chiedeva il pubblico, ma parlare di noi. Del nostro establishment culturale e mediatico, della superficialità e dell'ignoranza, che rendono anche l'intelligenzia facile preda di fake news (termine all’epoca ancora sconosciuto). ([[Anna Zafesova]]) *L'autore insiste che il libro {{NDR|''Caduta libera''}} è basato sulla sua esperienza personale di combattente in Cecenia. Nell'intervista a ''Ogonëk'' ha detto di aver partecipato alla seconda guerra cecena, ma si è rifiutato di dare dettagli. E le fonti del Ministero della Difesa affermano che in Cecenia non c'è mai stato un soldato di nome Lilin o Veržbickij. ([[Elena Černenko (giornalista)|Elena Černenko]]) *Le parole di Nicolai Lilin in cui nella pratica si trova a minacciare di nostri i nostri giornalisti, tra l’altro con modi e toni mafiosi, sono a dir poco vergognose. [...] Ma vergognoso è anche il fatto che questo personaggio sia stato invitato per anni in importanti salotti televisivi a parlare della guerra russa in Ucraina, e che abbia avuto così tanto spazio per inquinare il dibattito pubblico nel nostro Paese. ([[Federica Onori]]) *Lilin [...] non è solo uno scrittore. Nicolai Lilin, infatti, è candidato alle Europee 2024 nella lista Pace Terra Dignità di Michele Santoro. Forse questo è il danno più grave: prestare il fianco con falsità a chi da tempo si sforza di tratteggiare come macchiettistici coloro che credono nella pace come obiettivo politico. Così Lilin alla fine riesce a essere il migliore alleato di coloro che Santoro vorrebbe (politicamente) combattere. ([[Giulio Cavalli]]) ===[[Paolo Bianchi]]=== *Come dire: la mafia è una schifezza, ma se è siberiana e te la racconta un muscoloso e scaltro giovanotto tatuato, è un po' meno schifezza.<br>E poi dicono che il crimine non paga. *«Io non parlo più in russo con nessuno, a parte mia madre e i miei amici intimi», dichiara Lilin, come a voler prendere le distanze da una parte delle sue radici. «Noi combattevamo contro il comunismo e i suoi residui, e contro una polizia corrotta, in uno stato marcio e corrotto». Quel «noi» si riferisce alla sua comunità, dominata da leggi tutte proprie, ancestrali degni di uno studio etnologico, se non altro perché di studi etnico-geografici sulla Transnistria non ce ne sono. *Se dobbiamo credere a Nicolai, abbiamo di fronte, in lui, un pluriomicida e una belva assetata di sangue, però, per virtù antropologica e per provenienza etnica, «onesta» e perciò buona e degna di vendere molte copie del suo libro. *Se ho dato dello "sbudellatore" a Lilin è solo perché, avendo letto il suo libro, venduto come autobiografico, ci ho trovato delle scene in cui lui accoltella con violenza i suoi avversari. Se non è vero, allora il libro non è autobiografico. Tertium non datur. [...] dovrebbe forse comportarsi in modo meno strafottente. In una democrazia, alla quale lui evidentemente non è abituato, si accetta civilmente il contraddittorio. *Se Nico avesse commesso tutto quello che racconta, sarebbe un soggetto ad alta pericolosità sociale, invece oggi è un cittadino italiano, vive a Cuneo ed esercita l'inquietante professione di tatuatore. Ma guai a dubitare della sua parola. *Venendo al dunque, cioè alle critiche che gli abbiamo sommessamente rivolto, il tatuatore siberiano (che però è cresciuto a tremila chilometri dalla Siberia) si è reso conto che la sua credibilità di delinquente rischiava d'indebolirsi e ha assunto quello che nelle intenzioni forse voleva essere un atteggiamento da criminale incallito, ma che è sembrato più lo scatto di nervi di un teppistello colto sul fatto. ===[[Sandrone Dazieri]]=== {{cronologico}} *Nicolai Lilin è scappato dall'Italia perché, dice lui, accusato di essere una spia di Putin. Considerando le balle che ha raccontato da quando è arrivato in Italia, probabilmente non è vero niente, a parte la fuga. Se sei una spia, non ti ritirano il passaporto, ti portano via. Ma chissà. *Lilin lo conobbi anni fa dopo la pubblicazione di ''Educazione Siberiana'', mi raccontò di essere amico di [[Licio Gelli]] e di andare in giro armato perché aveva tanti nemici. Il libro era molto interessante, ma conteneva una serie di balle evidenti sia sulla storia della Russia, sia sulla sua vita. Metà della mia famiglia è russa e quindi ho fonti dirette, ma ero stupefatto che tutti gli credessero. Poco dopo scrisse un pezzo per l'Espresso, dove spiegava di essere un ex cecchino e di aver ricevuto offerte da gruppi mercenari di alto livello per andare a combattere da qualche parte. Era talmente una vaccata che mi aspettavo gli tirassero le uova. No. Il mondo della cultura cominciò ad acclamarlo con un eroe, un pensatore, un filosofo. Guardate con chi faceva dibattiti, chi lo presentava, chi lo incensava. Era come vivere in un mondo parallelo dove, soprattutto, chi lo amava di più era la sinistra. Partecipava a dibattiti sulla democrazia, sulla guerra, sul mondo intero, faceva mostre di tatuaggi "siberiani" con le sponsorizzazioni istituzionali. Ogni volta che parlavo di lui venivo accusato di spargere merda su "uno più famoso di te" oppure di essermi fatto abbindolare da amici e parenti russi, che evidentemente ce l'avevano con uno che diceva la verità sul regime putiniano. *Con il tempo i suoi libri cominciarono a vendere meno e divenne un propagandista delle peggior balle pro Putin. Pensavo che qualcuno che gli aveva dato lustro e visibilità avrebbe fatto autocritica. Invece no. Persone di sinistra che conoscevo molto bene decisero di candidarsi con lui perché "pacifista" e ancora una volta mi sembrò assurdo. Come una puntata di ''Black Mirror''. Ma come era possibile che si alleassero con uno che pubblicava fotomontaggi con il presidente ucraino che tirava cocaina, in cui scriveva che la moglie di Navalny si divertiva con gli amanti mentre lui moriva? Che insultava gli omosessuali nascosti nell'esercito ucraino? Non lo so, non riesco a capirlo nemmeno ora. Va bè, la storia non è finita, visto che sono di oggi le sue velate minacce al polonio per i giornalisti che parlano male dello Zar. Spero solo che, adesso che è latitante, non se ne faccia un martire del libero pensiero. E spero anche chi lo incensava adesso non lo insulti. Eh no, certe cose vanno fatte quando è difficile, non quando conviene. Ma siamo in Italia. Chi la spara più grossa vince sempre. ===[[Aleksandr Garros]]=== *Giovane, con la testa rasata da skinhead e la barba elegante da festaiolo di Montparnasse, con occhi acuti e vispi, abbondantemente ricoperto di tatuaggi (alle sue dita ci sono tatuaggi di precedenti penali assortiti che basterebbero per tutti gli scagnozzi del [[Aslan Usojan|Nonno Hassan]]), sul suo collo c'è un libro aperto sullo sfondo di una croce con lo slogan "Non aver paura, non chiedere, non credere". [...] E poi una svolta sconcertante nella giungla delle teorie del complotto, nel cuore del dietro le quinte del mondo: a [[Licio Gelli]], il leggendario capo della loggia massonica P-2, di cui è presumibilmente amico, al Gruppo Bilderberg, in cui c'è tutto il male del mondo e allo stesso tempo tutti i suoi colpi di scena irreali in ogni senso della biografia. *Innanzitutto so tutto quello che gli è successo, o meglio, quello che non gli è successo. Perché bisogna essere un vero somaro siberiano per non riconoscere subito questo tipo: Chlestakov,<ref name=chlestakov/> Chlestakov-upgrade. *Intercetta qualsiasi gruppo di celebrità come un missile terra-aria che segue una traccia termica. È pervasivo ed efficace, come un Terminator liquido. [...] Non capisco molto degli ultimi modelli di Chlestakov,<ref name=chlestakov>In riferimento al protagonista de ''[[Nikolaj Vasil'evič Gogol'#L'ispettore generale|L'ispettore generale]]'' di [[Nikolaj Vasil'evič Gogol']].</ref> ma lo so: dicono sempre ciò di cui il pubblico ha bisogno. Sono camaleonti ideali: non assumono il colore del loro ambiente, ma la forma delle paure e dei sogni segreti... *La biografia di Lilin contiene il quadruplo degli eventi che dovrebbe contenere. Da bambino toglieva i giubbotti antiproiettile ai moldavi uccisi in Transnistria. Si è offerto volontario per partecipare alla seconda guerra cecena. Andò in carcere per la prima volta a tredici anni. Viene dalla Siberia, e tutti i suoi antenati maschi erano ragazzacci, al confronto dei quali Al Capone era un boy scout, e la Camorra e Cosa Nostra dovrebbero, dice lui, succhiarglielo senza chinarsi. *Mi piacerebbe leggere il suo libro di racconti autobiografici, ma è un peccato che esista solo in italiano. È un personaggio meraviglioso e familiare. Lui, ovviamente, è Chlestakov,<ref name=chlestakov/> Chlestakov-upgrade, un figlio della nuova Russia - con i suoi tempi duri, con la sua guerra e il suo carcere, con il suo amico Licio Gelli e con le minacce degli islamisti, a causa delle quali, si scopre, non gira per l'Italia disarmato. *Un'affascinante menzogna che risale al [[Falso Dmitrij]] e ai figli del [[Pëtr Petrovič Šmidt|tenente Schmidt]], che erano disponibili a raccontare agli editori e ai critici europei sulla Russia tutto ciò che era piccante, scioccante e terribilmente eccitante, tutto ciò che segretamente desideravano, ma che non osavano sperare. ==Note== <references/> ===Fonti=== <references group="fonte" /> ==Bibliografia== *Nicolai Lilin, ''Educazione siberiana'', Einaudi, 2009, ISBN 978-88-06-20256-9 *Nicolai Lilin, ''Putin – L'ultimo zar. {{small|Da San Pietroburgo all'Ucraina}}'', Piemme, 2022, ISBN 978-88-5544-733-1 ==Altri progetti== {{interprogetto}} {{DEFAULTSORT:Lilin, Nicolai}} [[Categoria:Scrittori italiani]] 2bj90knubqqrqjk2o7ainy8a1cdn5bm Spider-Man: No Way Home 0 192745 1382019 1360778 2025-07-02T09:30:57Z ~2025-114594 103369 1382019 wikitext text/x-wiki {{Film |titolo italiano = Spider-Man: No Way Home |genere = azione/avventura/fantascienza |regista = [[Jon Watts]] |soggetto = [[Stan Lee]], [[Steve Ditko]] <small>(personaggio)</small> |sceneggiatore = [[Chris McKenna (sceneggiatore)|Chris McKenna]], [[Erik Sommers]] |attori = * [[Tom Holland (attore)|Tom Holland]]: Peter "Uno" Parker / Spider-Man * [[Zendaya]]: Michelle "MJ" Jones-Watson * [[Benedict Cumberbatch]]: Dr. Stephen Strange * [[Jacob Batalon]]: Ned Leeds * [[Jon Favreau]]: Harold "Happy" Hogan * [[Jamie Foxx]]: Max Dillon / Electro * [[Willem Dafoe]]: Norman Osborn / Goblin * [[Alfred Molina]]: Otto Octavius / Dottor Octopus * [[Benedict Wong]]: Wong * [[Tony Revolori]]: Eugene "Flash" Thompson * [[Marisa Tomei]]: May Parker * [[Andrew Garfield]]: Peter "Tre" Parker / Amazing Spider-Man * [[Tobey Maguire]]: Peter "Due" Parker / Amichevole Spider-Man di quartiere |doppiatori italiani = * [[Alex Polidori]]: Peter "Uno" Parker / Spider-Man * [[Emanuela Ionica]]: Michelle "MJ" Jones-Watson * [[Francesco Bulckaen]]: Dr. Stephen Strange * [[Francesco Ferri]]: Ned Leeds * [[Enrico Chirico]]: Harold "Happy" Hogan * [[Franco Mannella]]: Max Dillon / Electro * [[Francesco Pannofino]]: Norman Osborn / Goblin * [[Massimo Lodolo]]: Otto Octavius / Dottor Octopus * [[Carlo Cosolo]]: Wong * [[Mattia Nissolino]]: Eugene "Flash" Thompson * [[Barbara De Bortoli]]: May Parker * [[Lorenzo De Angelis]]: Peter "Tre" Parker / Amazing Spider-Man * [[Marco Vivio]]: Peter "Due" Parker / Amichevole Spider-Man di quartiere |fotografo = [[Mauro Fiore]] |montatore = [[Jeffrey Ford]], [[Leigh Folsom Boyd]] |effetti speciali = [[Kelly Port]], [[Chris Waegner]], [[Scott Edelstein]], [[Dan Sudick]] |musicista = [[Michael Giacchino]] |scenografo = [[Rosemary Brandenburg]], [[Emmanuelle Hoessly]] |costumista = [[Sanja Milkovic Hays]] }} '''''Spider-Man: No Way Home''''', film statunitense del 2021 con [[Tom Holland (attore)|Tom Holland]], [[Tobey Maguire]], [[Andrew Garfield]], [[Benedict Cumberbatch]], [[Zendaya]], [[Jacob Batalon]], [[Willem Dafoe]], [[Alfred Molina]] e [[Jamie Foxx]], regia di [[Jon Watts]]. ==Frasi== *{{NDR|A MJ}} Da quando sono stato morso da quel ragno, ho avuto solo una settimana in cui la mia vita mi è sembrata normale. O quasi normale, direi. E... è stato quando tu l'hai scoperto. Perché tutte quelle persone nella mia vita che volevo che lo sapessero, lo sapevano. Ed era perfetto. Ma ora lo sanno tutti e... sono la persona più famosa di tutto il mondo. E sono ancora al verde. ('''Peter Parker''') *{{NDR|A Peter}} Aspettati una delusione, così non sarai mai veramente deluso. ('''Michelle Jones''') *{{NDR|Rivolto a Peter, parlando del Goblin}} Norman Osborn. Brillante scienziato. Ricerca militare. Ma era avido, dissennato. ('''Dottor Octopus''') *Il chip dietro al collo di Doc era progettato per proteggere il suo cervello dal sistema di IA che controlla questi tentacoli. Ma se guardi qui... Il chip è danneggiato, perciò invece di controllare lui i tentacoli, ora sono i tentacoli che controllano lui. Forse questo spiega perché lui è eternamente infelice. ('''Peter Parker/Spider-Man''') *{{NDR|Rivolto a Spider-Man}} Abbastanza forte per avere tutto... Troppo debole per prenderlo! ('''Goblin''') *{{NDR|Mentre strangola Spider-Man}} La tua debolezza, Peter, è la [[Moralità|moralità]]! Ti soffoca! Lo percepisci? {{NDR|May colpisce un anti-siero nel colletto per curare Norman, ma sfortunatamente non ha effetto}} Non ha funzionato! Norman aveva ragione! L'ha presa da te, quella patetica... malattia! Tu volevi aggiustarmi. [...] Ora ti aggiusto io, Peter. ('''Goblin''') *Tragedia. Come altro chiamarla? Cos'altro corre dire? I danni. La distruzione. Lo avete visto con i vostri occhi. Quand'è che la gente si sveglierà e capirà che, ovunque vada Spider-Man, conseguono caos e calamità? Qualunque cosa Spider-Man tocchi va in rovina. E noi, gli innocenti, restiamo a raccoglierne i pezzi. J. Jonah Jameson per voi. Buona notte e che Dio ci protegga. ('''J. Jonah Jameson''') *{{NDR|Rivolto a MJ e Ned}} Non ho un documento d'identità con me, lo sai? Sennò l'[[Anonimato|anonimato]] del supereroe finirebbe. ('''Peter "Tre" Parker/Amazing Spider-Man''') *Andrai in battaglia vestito da giovane pastorello fico o hai la tuta? {{NDR|Peter-Due gli mostra la sua tuta di Spider-Man nascosta nel vestito}} Bene. ('''Peter "Tre" Parker/Amazing Spider-Man''') *{{NDR|[[Ultime parole dal Marvel Cinematic Universe|Ultime parole]] rivolto a Peter, riferendosi a May}} Lei era lì per causa tua! Io l'avrò pure colpita, ma tu... Tu sei quello che l'ha uccisa! ('''Goblin''') *A poche settimane dal disastro della Statua della Libertà, i seguaci di Spider-Man seguitano a sostenere che il vile vigilante sia un eroe! Ma se fosse un eroe, si toglierebbe la maschera e ci direbbe di chi è veramente, perché solo un codardo cela la propria identità. Solo un codardo nasconde le proprie vere intenzioni. Siatene certi, signore e signori, il sottoscritto scoprirà quelle intenzioni, con le buone e le cattive! ('''J. Jonah Jameson''') == Dialoghi == :'''Norman''': È un bel trucchetto... il tuo senso ragnesco. :'''Dottor Octopus''': Norman! :'''Goblin''': Norman è in anno sabbatico, tesoro. :'''Electro''': Che cavolo...? :'''Peter''': Goblin... :'''Gobllin''': "Niente più metà oscura!" Tu pensi davvero che io te l'avrei permesso? Che ti avrei lasciato portare via il mio potere solo perché non vedi quello che il ''vero'' potere può darti? :'''Peter''': Non mi conosci. :'''Goblin''': Ah no!? Ho visto come lei ti ha intrappolato, combattendo per la sua sacra missione morale! Non ci servi tu per salvarci... non ci serve di essere riparati! Queste non sono maledizioni... sono doni! :'''Dottor Octopus''': Norman, no... :'''Goblin''': Silenzio, tirapiedi! :'''Peter''': Non sai di cosa stai parlando... :'''Goblin''': Ti ho osservato ''profondamente'' attraverso gli occhi codardi di Norman! Che lotti, per avere tutto quello che vuoi... mentre il mondo cerca di farti scegliere! Gli dèi non devono scegliere... noi prendiamo. ==[[Explicit]]== {{Explicit film}} {{NDR|Nella scena finale dopo i titoli di coda, che narra dopo gli eventi di ''[[Venom - La furia di Carnage]]''}}<br />'''Eddie Brock''' {{NDR|al barista spagnolo, parlando degli Avengers}}: Okay. Okay, okay, credo di aver capito. Stai dicendo che in questo posto, ci... ci sono tantissime... superpersone.<br />'''Venom''': Te l'ho stavi per dirlo da ore!<br />'''Eddie Brock''': Va bene. Dimmelo di nuovo. Scusa, sono idiota. {{NDR|si riferisce ad Iron Man}} C'era un miliardario che ha un armatura di latta che poteva volare. Giusto? {{NDR|il barista fa il segno della croce per [[Avengers: Endgame|la morte di Iron Man]]}} Mmh. Okay, e c'era un uomo verde molto arrabbiato.<br />'''Barista''': Hulk.<br />'''Eddie Brock''': Hulk!<br />'''Venom''': E dicevi che il Protettore Letale era un nome di merda!<br />'''Eddie Brock''': Sì, perché lo è. Allora parlami di nuovo dell'alieno viola che ama le gemme. {{NDR|si riferisce a Thanos e il Guanto dell'Infinito}} Perché sai una cosa, ''amigo'': gli alieni non amano le gemme.<br />'''Venom''': Eddie, per favore!<br />'''Eddie Brock''': No, loro non amano le gemme! Sai che amano gli alieni? Mangiare cervelli! Perché questo che fanno! Va bene?<br />'''Barista''': ''Señor'', li ha fatti sparire la mia famiglia, per cinque anni.<br />'''Eddie Brock''': Cinque anni? Sono tanti. Insomma, forse... forse dovrei andare a New York a parlare con questo... Spider-Man.<br />'''Venom''': Eddie! Siamo sbronzi! {{NDR|rutta}} Facciamo il bagno nudi!<br />'''Eddie Brock''': Non faremo il bagno nudi.<br />'''Barista''': ''Señor'', deve pagare il conto.<br />'''Venom''' {{NDR|succede nuovamente le stesso incantesimo del Dottor Strange nei loro corpi}}: Ma che succede? No! No! Siamo appena arrivati! Non di nuovo! {{NDR|Eddie e Venom svaniscono anche loro per ritornare nel loro universo natale}}<br />'''Barista''': Ecco, è sparito. Non ha pagato il conto, niente mancia, niente. {{NDR|sul balcone del bar si vede ancora il pezzo del simbionte nero che si muove}} ==Note== <references/> ==Voci correlate== *[[Uomo Ragno]] *[[Spider-Man (film)]] *[[Spider-Man 2]] *[[Spider-Man 3]] *[[The Amazing Spider-Man (film)]] *[[The Amazing Spider-Man 2 - Il potere di Electro]] *[[Spider-Man: Homecoming]] *[[Spider-Man: Far from Home]] ==Altri progetti== {{interprogetto}} {{Spider-Man}} {{Marvel Cinematic Universe}} {{Sony Pictures Universe of Marvel Characters}} [[Categoria:Film dell'Uomo Ragno]] 170rov73qt9utgvu3ip5m8nyme8xr2q Taras Hryhorovyč Ševčenko 0 194377 1381994 1281570 2025-07-02T04:12:00Z Traiano91 70758 /* Citazioni di Taras Hryhorovyč Ševčenko */ 1381994 wikitext text/x-wiki '''Taras Hryhorovyč Ševčenko''' (1814 – 1861), scrittore, poeta, umanista e pittore ucraino. ==Citazioni di Taras Hryhorovyč Ševčenko== * ''Quando morirò, mi interrino | Sull'alta collina | Fra la steppa della mia | Bella Ucraina. | Che si vedano i campi, | Il [[Dnepr|Dniepr]] con le rive, | Che si oda il muggito | Del fiume stizzito.''<ref>T. G. Ševčenko, ''"Il Testamento" delle lingue dei popoli del mondo'', Кyiv, «Naukova dumka», 1989</ref> *[...] ''Guardo, | sospesa come in cielo sta – | nostra, santa, [[Kiev]] la Grande. | Sacra meraviglia, risplendono | le chiese del Signore, quasi con | Dio stesso chiacchierando.''<ref>Da ''Varnàk'' (1848). Citato in [[Tamara Hundorova]], [https://shron1.chtyvo.org.ua/Hundorova_Tamara/Kiev_tra_romanzo_e_romanza_la_desacralizzazione_del_topos_cittadino_it.pdf?PHPSESSID=12f8onr86tglvagln05hl8re77 ''Kiev tra romanzo e romanza:'' {{small|''la desacralizzazione del ''topos'' cittadino''}}], traduzione di Giovanna Brogi Bercoff e Marjana Prokopovič, in ''Kiev e Leopoli: {{small|il testo culturale}}'', a cura di Maria Grazia Bartolini e Giovanna Brogi Bercoff, Firenze University Press, Firenze, 2007, p. 189. ISBN 978-88-8453-665-5. Riportato in ''chtyvo.org''.</ref> ==Note== <references /> ==Altri progetti== {{interprogetto}} {{s}} {{DEFAULTSORT:Taras Hryhorovyč, Ševčenko}} [[Categoria:Pittori ucraini]] [[Categoria:Poeti ucraini]] [[Categoria:Scrittori ucraini]] 2mq8yn5o040qk8w65r8lv6mm54mmgo2 1381996 1381994 2025-07-02T04:17:47Z Traiano91 70758 /* Citazioni di Taras Hryhorovyč Ševčenko */ 1381996 wikitext text/x-wiki '''Taras Hryhorovyč Ševčenko''' (1814 – 1861), scrittore, poeta, umanista e pittore ucraino. ==Citazioni di Taras Hryhorovyč Ševčenko== * ''Quando morirò, mi interrino | Sull'alta collina | Fra la steppa della mia | Bella Ucraina. | Che si vedano i campi, | Il [[Dnepr|Dniepr]] con le rive, | Che si oda il muggito | Del fiume stizzito.''<ref>T. G. Ševčenko, ''"Il Testamento" delle lingue dei popoli del mondo'', Кyiv, «Naukova dumka», 1989, traduzione di Evgen Kračevič</ref> *[...] ''Guardo, | sospesa come in cielo sta – | nostra, santa, [[Kiev]] la Grande. | Sacra meraviglia, risplendono | le chiese del Signore, quasi con | Dio stesso chiacchierando.''<ref>Da ''Varnàk'' (1848). Citato in [[Tamara Hundorova]], [https://shron1.chtyvo.org.ua/Hundorova_Tamara/Kiev_tra_romanzo_e_romanza_la_desacralizzazione_del_topos_cittadino_it.pdf?PHPSESSID=12f8onr86tglvagln05hl8re77 ''Kiev tra romanzo e romanza:'' {{small|''la desacralizzazione del ''topos'' cittadino''}}], traduzione di Giovanna Brogi Bercoff e Marjana Prokopovič, in ''Kiev e Leopoli: {{small|il testo culturale}}'', a cura di Maria Grazia Bartolini e Giovanna Brogi Bercoff, Firenze University Press, Firenze, 2007, p. 189. ISBN 978-88-8453-665-5. Riportato in ''chtyvo.org''.</ref> ==Note== <references /> ==Altri progetti== {{interprogetto}} {{s}} {{DEFAULTSORT:Taras Hryhorovyč, Ševčenko}} [[Categoria:Pittori ucraini]] [[Categoria:Poeti ucraini]] [[Categoria:Scrittori ucraini]] kq1bd07g67wqm2igogmborehpgu4car Coupé 0 197044 1381981 1380515 2025-07-01T23:42:40Z Danyele 19198 +voci correlate 1381981 wikitext text/x-wiki {{voce tematica}} [[File:Fiat coupé 16 V (7319187496).jpg|thumb|Un Fiat Coupé]] Citazioni sul '''coupé'''. *{{NDR|Nel 2013, sulla crisi del coupé}} [...] è proprio questa concezione di vettura ad essere uscita dagli schemi mentali dei nuovi automobilisti, che a parole sognano bolidi accessibili, ma nell'intimo privilegiano altre necessità. Se oggi si vendono soltanto SUV oppure, in minor quantità, le piccole monovolume, significa che a vincere sono esigenze pratiche. L'acquisto di un'auto comporta un impegnativo investimento di denaro ed è finita l'epoca del piacere emozionale che non è più la prima motivazione d'acquisto e nemmeno la seconda e probabilmente nemmeno la terza. I più avanti nell'età sognano sempre un ritorno delle Gta, delle Fulvia Coupé, delle Clio Williams, ma al dunque sono poi i primi a orientarsi su altri modelli, meno fascinosi ma più coerenti con gli odierni stili di vita. Un peccato, perché se uno si fa un giretto su una GT86 o su una BRZ poi non vorrebbe più scendere in quanto, anche andando pianissimo, si riscopre il gusto dell'adrenalina alle stelle. Però s'è definitivamente chiusa una porta, e probabilmente i costruttori non ci cascheranno più. Il tempo delle coupé dal prezzo abbordabile pare proprio finito. ([[Carlo Cavicchi]]) ==Voci correlate== *[[Spider]] ==Altri progetti== {{interprogetto|wikt|w_preposizione=riguardante il|preposizione=sul}} {{S}} [[Categoria:Tipi di automobili]] ezc6l8t793ycmytwqx23gp84vbal6ma Discussioni utente:Green Snake-Frog 3 198714 1381954 1239930 2025-07-01T20:33:38Z Malarz pl 102398 Malarz pl ha spostato la pagina [[Discussioni utente:Pawelchwaszcz]] a [[Discussioni utente:Green Snake-Frog]]: Pagina spostata automaticamente durante la rinomina dell'utente "[[Special:CentralAuth/Pawelchwaszcz|Pawelchwaszcz]]" a "[[Special:CentralAuth/Green Snake-Frog|Green Snake-Frog]]" 1239930 wikitext text/x-wiki {{Benvenuto2|nome={{PAGENAME}}|firma=[[Utente:Homer|Homer]] ([[Discussioni utente:Homer|scrivimi]]) 23:29, 23 nov 2022 (CET)}} m79rcy3hz9n0y5dy96xpw7xh24wj8nk Ferrari 640 F1 0 201722 1381967 1326169 2025-07-01T23:22:23Z Danyele 19198 de-stub / fix di stile 1381967 wikitext text/x-wiki {{Voce tematica}} [[File:Nigel Mansell Ferrari F1 (16032819141).jpg|thumb|upright=1.5|Ferrari 640 F1 (1989)]] Citazioni sulla '''Ferrari 640 F1'''. *È stata la prima a dotarsi di una delle più grandi innovazioni del motorsport: il cambio semiautomatico. Una frizione tradizionale era necessaria solo alla partenza e durante i pit stop, mentre il cosiddetto cambio tramite palette permetteva al pilota di mantenere le mani sul volante e di concentrarsi sulla traiettoria ottimale. [...] L'innovazione [...] avrebbe cambiato completamente la storia della F1. [...] Ma Ferrari era più avanti di quanto pensasse la maggior parte degli osservatori. Merito del grande [[Mauro Forghieri]] [...]. Arriviamo alla fine degli anni Settanta, con i motori turbo, il nuovo paradigma e le migliori menti della F1 che cercavano un modo per aggirare l'inevitabile ritardo. Forghieri pensava che una trasmissione semi-automatica potesse risolvere il problema e ne montò un prototipo su una [[Ferrari 312 T4|Ferrari 312 T]] del 1979. [...] [[Gilles Villeneuve]] in persona lo testò sulla pista di [[Circuito di Fiorano|Fiorano]] [...] dove pare abbia completato 100 giri senza problemi. C'era un solo problema: non gli piaceva. [...] furono i preparativi per l'era post-turbo che doveva iniziare nel 1989 a rilanciare il progetto. Non è chiaro se il nuovo direttore tecnico della Ferrari, [[John Barnard]], fosse a conoscenza degli sforzi del suo predecessore. Ma quando iniziò a lavorare per la Scuderia [...] il cambio semiautomatico rientrava nella sua filosofia. Perché? Perché un motore aspirato doveva operare all'interno di una banda di potenza più stretta rispetto a un motore turbo, richiedendo più cambi di marcia. Barnard e il suo team volevano eliminare il leveraggio del cambio nel tentativo di ottimizzare la nuova generazione di telai, verso una maggiore efficienza aerodinamica e un taglio più affusolato. ([[Jason Barlow]]) *La stagione è stata condizionata da diversi ritiri, da suddividere tra problemi al cambio e altri tecnici. Questo era dovuto in particolare dal direttore tecnico che in quel periodo era John Barnard, bravo a curare estremamente la parte aerodinamica, un pochino meno la tenuta dei materiali meccanici che stavano sotto a questa aerodinamica molto estremizzata. [...] Io avevo una cultura, che mi sono fatto in tanti anni di motorsport, dell'affidabilità. Questa per me era un punto fermo mentre quando sono arrivato in Ferrari era qualcosa da rivedere assolutamente. Avevamo una macchina molto avanzata tecnologicamente ma carente come affidabilità. Praticamente il mio primo anno in Ferrari è stato dedicato al lavoro su questo aspetto. ([[Cesare Fiorio]]) *Quella disegnata da Barnard. Quella di Mansell e Berger. Quella, come si scriveva allora, dotata di cambio elettroattuato. Una rivoluzione! L'idea, alcuni lo ricorderanno, veniva da un cassetto di Mauro Forghieri. In un certo senso, la Rossa del 1989 fu l'ultimo regalo di Furia al Cavallino. Aggiungo che quella vettura segnò, senza più repliche!, l'innovazione Ferrari poi da tutti copiata, in fretta e furia (appunto). [...] ci vedevo l'estrema testimonianza di una genialità italiana, anzi, se posso permettermi, modenese. ([[Leo Turrini]]) ==Voci correlate== *[[Gerhard Berger]] *[[Nigel Mansell]] *[[Scuderia Ferrari]] *[[Vettura di Formula 1]] ==Altri progetti== {{interprogetto|w_preposizione=riguardante la|preposizione=sulla}} [[Categoria:Automobili]] at0a5qy0tcwt5y6tdlgsgxfsuv0i30j Ferrari F40 0 205122 1381968 1364420 2025-07-01T23:28:34Z Danyele 19198 +4 / fix di stile 1381968 wikitext text/x-wiki {{Voce tematica}} [[File:Ferrari F40 7.jpg|thumb|upright=1.5|Ferrari F40 (1987)]] Citazioni sulla '''Ferrari F40'''. ==Citazioni== *Era il 21 luglio [...] quando in una afosa mattinata fu presentata la Ferrari F40. La prima vera supercar dell'era moderna. Un'auto importantissima per quello che ha significato. Prima di tutto fu la prima Ferrari celebrativa: la volle [[Enzo Ferrari]] in persona per omaggiare i quarant'anni dalla fondazione dell'azienda, nata nel 1947. Ma [...] è anche l'ultima vera Ferrari nata sotto la direzione e la volontà del grande costruttore di Maranello, che sarebbe morto un anno dopo [...]. La F40 è un'automobile figlia ancora dei quei tempi in cui le auto sportive erano dure e pure. [...] fu anche la macchina che inaugurò la moda delle supercar a prezzi mozzafiato. D'altronde eravamo nei lussuriosi anni '80, e la F40 costruita in tiratura limitata (mille esemplari previsti diventati poi 1311), era ambita da tanti nuovi ricchi. Talmente esclusiva che, venduta in origine da Maranello a 374 milioni di lire dell'epoca, nelle aste andò facilmente sopra il miliardo. Ferrari usava la F40 persino come benefit/cambio merce per pagare lo stipendio ai suoi piloti di F1 dell'epoca (Mansell, Prost) ed abbassare l'importo dovuto in contanti. ([[Alberto Sabbatini]]) *Ho guidato la F40 qui a Maranello. È stato veramente bello. È una macchina davvero speciale, sembra un go-kart con una potenza incredibile. È profondamente diversa, con un volante molto semplice, ma è pur sempre una vera Ferrari. ([[James Calado]]) *Negli Anni '80 in Formula Uno dominava il motore turbo e la Ferrari era all'avanguardia nello sviluppo dei propulsori sovralimentati. Così fu deciso che la supercar pensata per celebrare i 40 anni del Cavallino doveva sfoggiare quella tecnologia [...]. La F40 fu il frutto dell'evoluzione estrema di un modello precedente, la 288 GTO, la prima berlinetta turbo di Maranello. [...] [[Nicola Materazzi]], il responsabile tecnico del progetto [...] ricorse alla tecnologia più avanzata che Maranello potesse offrire. Soltanto per il telaio si optò per una tecnologia tradizionale: il classico traliccio in tubi, di tradizione Ferrari. [...] Si ricorse invece a vetroresina e kevlar [...] per realizzare porte e cofani [...]. Seguendo alla lettera la regola numero uno delle corse: ogni chilo di troppo è dannoso perché penalizza le prestazioni. Per questo motivo l'interno [...] è molto spartano: i sedili erano due gusci ricoperti di stoffa rossa, cruscotto ridotto al necessario, niente autoradio, persino i vetri furono sacrificati per finestrini di plastica con feritoia scorrevole come sulle auto da corsa. Unica concessione al comfort: l'aria condizionata perché il motore appena dietro l'abitacolo con gli enormi scambiatori di calore del turbo sovrastanti, scaldava più di una stufa. Per l'aerodinamica [...] l'ing. Materazzi prese ad esempio le forme dei prototipi [[gruppo B]], le GT da corsa dell'epoca. Il muso divenne quasi a cuneo con i fari incastonati all'interno, ampio labbro deportante anteriore, un'enorme ala posteriore fissa per tenere giù il retrotreno perché la potenza era spaventosa per l'epoca. Il motore V8 2 litri turbo della GTO fu portato a 3 litri, mantenendo le bancate a 90° e si ottennero la bellezza di 478 cavalli. Al confronto con le hypercar di oggi da mille cavalli sembrano ben poca cosa, ma quei 478 cavalli erano peggio di altrettanti muli: scalciavano nella schiena come pazzi se non sapevi dosare il gas. E nel 1987 non c'erano software che addolcissero l'erogazione della coppia per rendere più "guidabile" un motore scorbutico come il turbo che soffriva di ritardi alla risposta. [...] [[Michele Alboreto]] [...] raccontò di come, durante un collaudo stradale, semplicemente sgasando da fermo al semaforo, avesse praticamente ustionato un ciclista dietro di lui per via della sfiammata in rilascio dallo scarico del turbo! ([[Alberto Sabbatini]]) ===[[Jason Barlow]]=== {{cronologico}} *Parlando di spoiler, forse il migliore di tutti è quello che impreziosisce la carrozzeria della Ferrari F40, anche perché è parte integrante della sua estetica. In effetti, la F40 è praticamente un unico grande dispositivo aerodinamico, il simbolo delle auto ad alte prestazioni degli anni Ottanta, e sicuramente una delle Ferrari più estreme mai realizzate. [...] fu sviluppata in poco più di un anno e con una singolarità di intenti davvero appropriata, visto che si trattava dell'ultima Ferrari realizzata sotto la supervisione di Enzo. * Quella di Enzo Ferrari è stata un'uscita di scena col botto. Certo, da un uomo con una vita così travolgente, a cavallo tra due secoli leggendari, che ha rivestito un ruolo cruciale nell'ascesa dell'automobile, c'era da aspettarsi come ultimo regalo una delle Rosse più straordinarie della storia. La F40 era infatti un prodigio anche per una casa automobilistica di alto livello come Ferrari: una vettura dalla velocità e dalla potenza esplosive, che incarnava tutte le caratteristiche proprie di Ferrari, inclusa una certa irruenza. *La F40 è nata per celebrare i primi vertiginosi quarant'anni di attività della Casa di Maranello. Ferrari intendeva produrne 400 esemplari, ma alla fine ne realizzò oltre 1300. Fu progettata in meno di un anno da un team di sviluppo a cui Enzo Ferrari aveva lasciato un'eccezionale libertà di manovra. Prese forma, così, un'auto estremamente singolare per profilo e destinazione, che vide la tecnologia turbo spostarsi dalla pista alla strada. Una visione originale è senz'altro uno dei tratti distintivi delle auto grandiose. *Il motore biturbo della F40, l'intensità di accelerazione mozzafiato e la totale assenza di controllo di trazione o assistenza in frenata danno vita a un'esperienza di guida estremamente avvincente ma anche irrequieta. Basta salire a bordo per sentirsi in soggezione: i pannelli delle porte sono nudi, il cruscotto è minimale e non ci sono tappetini. [...] basta premere il pulsante di avvio per sentire il rombo esplosivo del motore. Se da ferma evoca già il sound delle auto da corsa, non appena parte trasporta il conducente in un universo fantastico. [...] Accelera con una violenza cosmica e il suo motore biturbo sprigiona un fruscio che fa sentire sulla cresta dell'onda. In un mondo sempre più virtuale, la F40 è una scossa che ci riporta alla realtà. ==Voci correlate== *[[Ferrari]] *[[Ferrari 288 GTO]] *[[Ferrari F50]] ==Altri progetti== {{interprogetto|w_preposizione=riguardante la|preposizione=sulla}} [[Categoria:Automobili]] hp3cvkhl5uffuc94y9e6wtzzxonqtam Andreas Umland 0 208559 1382031 1323164 2025-07-02T10:55:12Z Mariomassone 17056 1382031 wikitext text/x-wiki [[File:Umland Andreas.jpg|thumb|Umland nel 2017]] '''Andreas Umland''' (1967 – vivente), politologo tedesco. ==Citazioni di Andreas Umland== {{cronologico}} {{Int|Da ''[https://www.huffingtonpost.it/blog/2022/09/26/news/ucraina_il_pluralismo_alla_prova_della_guerra_conversazione_con_andreas_umland_di_n_pianciola-10292828/ Ucraina, il pluralismo alla prova della guerra]''|Conversazione con Niccolò Pianciola, ''huffingtonpost.it'', 26 settembre 2022.}} *Tra gli accademici tedeschi sono quello che ha lavorato più a lungo in Ucraina, in tutto 17 anni, mentre i miei colleghi di solito rimangono per 4-5 anni e poi se ne vanno. *Dopo la [[Rivoluzione ucraina del 2014|Rivoluzione della dignità]] ci fu un impulso verso la democratizzazione del sistema politico per l'impegno della società civile ucraina, che è diventata molto più influente ed è stata in grado di far pressione su Petro Porošenko, l'oligarca eletto presidente nel 2014. Con l'Unione Europea, e anche il Fondo Monetario Internazionale, si è creato il classico modello a "sandwich" in cui la società civile dal basso e le organizzazioni internazionali dall'esterno spingono i governi a fare le riforme. Molte nuove leggi sono state promulgate, a partire da quelle contro la corruzione, mentre sono state create istituzioni quali l'Ufficio anticorruzione e la Procura contro la corruzione. Questi sono stati tra i maggiori risultati dell'Euromaidan: il potenziamento della società civile e l'allontanamento del sistema politico ucraino dal modello di corruzione sistemica largamente presente nello spazio post-sovietico. *Il colpo maggiore contro le entità pro-russe in Ucraina non è stato portato da Porošenko, ma da [[Volodymyr Zelens'kyj]]. Questo è un paradosso perché Zelens'kyj è un russofono con un retroterra familiare ebraico, ed era una colomba pronta a negoziare con Putin, non certo un accanito nazionalista ucraino. Era stata eletto nel 2019 su una piattaforma chiaramente non nazionalista. Ha vinto con il distacco maggiore nella storia delle elezioni presidenziali in Ucraina, con il 73% dei voti. Nessuno aveva raggiunto percentuali simili in passato. Dopo essere stato eletto ha cercato di arrivare a un accordo con Putin, ma si è ben presto reso conto che era impossibile. È a questo punto che è diventato ancora più falco di Porošenko. *Ad essere onesti, penso che in sostanza Zelens'kyj non avesse davvero capito la situazione del conflitto con la Russia. Inizialmente credeva che il problema fosse Porošenko che – vuoi per i suoi interessi economici, vuoi per il suo nazionalismo ucraino, vuoi per l'influenza dell'Occidente, o per altre ragioni – non riusciva a chiudere il conflitto e ad arrivare a un qualche compromesso. Durante la campagna elettorale del 2019 Zelens'kyj era stato ambiguo. La sua posizione sui rapporti con la Russia per certi aspetti era più simile alle posizioni di Janukovič e del vecchio Partito delle Regioni, che a quelle di Porošenko. Poi, quando è diventato presidente e ha provato a trattare con Putin, si è accorto che il problema non era Porošenko, ma era proprio Putin, che non era interessato a una vera trattativa. *Nello spettro politico occidentale il partito di Zelens'kyj, al Parlamento europeo diciamo, sarebbe da qualche parte tra il blocco liberale, il blocco verde e i socialdemocratici. Zelens'kyj ha fatto delle dichiarazioni progressiste sulle minoranze sessuali. Sua moglie ha preso posizioni femministe. "Servitore del popolo" in uno dei paesi dell'Unione Europea sarebbe considerato un partito di centro-sinistra. *La questione del matrimonio omosessuale è un tabù in Ucraina. Ma Zelens'kyj ha avuto un confronto pubblico sulla questione dichiarando che ognuno è libero di vivere la propria vita e che le minoranze sessuali dovrebbero avere gli stessi diritti delle altre persone. *Il [[reggimento Azov]] è ormai diventato una formazione armata deideologizzata controllata dal Ministero dell'interno dell'Ucraina, e ha integrato personale e volontari che non avevano un passato o un presente di militanza politica. Ci sono probabilmente ancora al suo interno combattenti con idee di estrema destra, ma ormai è una pura formazione militare. Del resto, l'affinità tra l'estrema destra e le forze armate non è qualcosa di specifico all'Ucraina. In Germania, ad esempio, abbiamo scandali ricorrenti su reti di estrema destra nella Bundeswehr, nonostante un monitoraggio molto stretto della questione. Bisogna anche ricordare che il battaglione Azov originario, quello del 2014, è solo uno dei trentasei (se non ricordo male) battaglioni che si sono formati in quei mesi per contrastare l'aggressione russa. Qualcuno è stato creato da gruppi di estrema destra, ma anche questi non arruolavano necessariamente militanti. Altri sono stati formati da gruppi con convinzioni politiche completamente diverse, persino liberali, altri ancora erano fin dall'inizio totalmente deideologizzati. L'obiettivo di queste formazioni era combattere contro l'invasione, non di essere il braccio armato di un movimento politico. *{{NDR|Sull'[[holodomor]]}} Anche se non si accetta di identificarlo come genocidio, in ogni caso la responsabilità politica di Stalin e del regime comunista in questa immane tragedia è chiara. Per gran parte degli ucraini questa è la questione centrale quando si parla del periodo comunista, non tanto l'ideologia marxista-leninista. Oltre a provocare la carestia, il regime comunista sotto Stalin sterminò buona parte dell'élite culturale ucraina e tentò di distruggere la Chiesa greco-cattolica ucraina. Nel discorso ufficiale ucraino degli ultimi anni, il comunismo è soprattutto ricordato come un'ideologia anti-ucraina. *L'estrema destra in Ucraina vede certamente [[Stepan Bandera|Bandera]] come uno dei loro padri politici, ma l'estrema destra nel paese è molto debole, e la popolarità della figura di Bandera va molto al di là della destra. La ragione è che, sebbene Bandera fosse di estrema destra e – almeno per un periodo della sua vita – un fascista, in Ucraina oggi non è visto principalmente come tale. È considerato un combattente per l'indipendenza dell'Ucraina che morì per questo. Fu ucciso a Monaco di Baviera nel 1959 dal KGB – la stessa organizzazione nella quale si è formato Putin. Nel discorso pubblico la sua figura è quella di un liberatore, anche se naturalmente non avrebbe instaurato un regime liberale se fosse andato al potere. Del resto, i suoi rapporti con l'occupante tedesco durante la Seconda guerra mondiale erano stati conflittuali. Due dei suoi fratelli furono uccisi ad Auschwitz (apparentemente da compagni di prigionia). Un altro fratello morì durante l'occupazione tedesca in circostanze non chiare. Lo stesso Stepan Bandera è stato a lungo rinchiuso nel campo di concentramento di Sachsenhausen vicino a Berlino. Queste sono le cose che sono enfatizzate dalla memoria pubblica in Ucraina: una memoria selettiva, non una visione storica oggettiva. È un fenomeno che vediamo in molti Paesi, dove le pagine buie delle biografie degli eroi nazionali sono dimenticate o taciute. *Certamente il fenomeno degli "oligarchi", ovvero imprenditori che accumulano peso economico, potere politico e influenza mediatica in un contesto di corruzione sistemica, è uno dei grandi problemi del sistema politico ucraino, o per lo meno lo è stato fino a tempi molto recenti. Ma il sistema è rimasto sempre pluralistico. Non c'era un clan oligarchico che controllava l'intero sistema politico. *Anche senza l'influenza dell'Occidente (il G7 adesso forse è la struttura di coordinamento più importante) non credo che l'Ucraina potrà diventare una dittatura dopo la guerra, anche se al momento c'è chiaramente un sistema politico e amministrativo semplificato, in cui i media, i partiti, i ministeri, la società civile stanno lavorando insieme nella stessa direzione. Se combatti una guerra la questione è come vincerla. Ora tutto il sistema statale lavora al servizio dell'esercito, in modo che possa funzionare e resistere all'invasore. *Prima dell'attacco russo del febbraio 2022 c'era qualche discussione {{NDR|sull'accettare l'autorità russa sulla Crimea e il Donbass in cambio della pace}}. Ma dopo i crimini a Buča e a Irpin – e adesso abbiamo nuovi casi a Izjum e nell'oblast' di Cherson con fosse comuni con centinaia di vittime – è diventato impossibile per i rappresentanti ucraini sostenere qualsiasi posizione di compromesso. All'inizio della guerra si poteva ipotizzare che questi crimini potessero essere stati commessi dall'esercito russo nella regione di Kyiv dopo la sconfitta del tentativo di conquistare la città, come atti di crudeltà e frustrazione legati a una situazione specifica. Ma adesso abbiamo sempre più prove di altri casi di crimini di guerra compiuti anche in altre regioni. Ora è diventato impossibile per qualsiasi politico ucraino suggerire un compromesso del genere. Perché non si tratterebbe solo di cedere parti del territorio ucraino, ma soprattutto di consegnare cittadini ucraini a un regime terrorista che uccide, deporta, tortura. *Da una parte c'è un nazionalismo che combatte per l'indipendenza dell'Ucraina e che oggi è del tutto tollerante nei confronti delle minoranze: ebrei, tatari, e così via. Ad esempio, in passato c'è stata persino collaborazione tra il partito di estrema destra Settore Destro e organizzazioni ebraiche e dei tatari di Crimea. La maggioranza dei nazionalisti ucraini sono favorevoli all'Unione Europea e alla democrazia liberale. Dall'altra parte c'è il nazionalismo russo, che è imperiale, non accetta gli attuali confini della Federazione Russa e cerca di espandere il suo territorio: attraverso il controllo informale nelle cosiddette "repubbliche popolari", o attraverso l'annessione diretta come in Crimea, o attraverso l'assoggettamento di fatto come in Bielorussia, che ormai è uno stato cliente della Russia. Il nazionalismo russo odierno è imperiale, irredentista, revisionista, espansionista. Qualche gruppo di nazionalisti russi è chiaramente fascista. In Ucraina non esistono posizioni politiche espansioniste. *Il russo non è stato affatto proibito naturalmente, ma il suo ruolo nella società è stato ridimensionato. Fino al 2014 le politiche culturali ucraine erano estremamente liberali. Le persone potevano fare l'intero ciclo scolastico dalle primarie alle secondarie con lezioni in russo, ungherese, o romeno. Nel 2014 lo stato ucraino ha imparato che questo approccio liberale è stato controproducente, perché la presenza della lingua e cultura russe sono state usate per giustificare l'aggressione. La Russia ha politicizzato la questione linguistica. È allora che sono state promulgate una nuova legge sull'istruzione e una sulla lingua che privilegiano la lingua ucraina. {{Int|Da ''[https://www.affarinternazionali.it/perche-lucraina-deve-risorgere/ Perché l’Ucraina deve risorgere]''|''affarinternazionali.it'', 12 gennaio 2023.}} {{NDR|Sull'[[invasione russa dell'Ucraina del 2022]]}} *Kyiv deve essere adeguatamente equipaggiata non solo per la durata degli attuali combattimenti, ma anche per il successivo interregno tra l'inizio del cessate il fuoco con Mosca e la successiva adesione dell'Ucraina all'Ue e alla Nato. Armi pesanti, organi di sicurezza funzionanti e garanzie internazionali sono necessari per porre fine alla guerra in corso e per prevenire la prossima. Anche dopo l'adesione alla Nato e all'Ue, l'Ucraina rimarrà uno Stato in prima linea. Questo finché la Russia continuerà a nutrire ambizioni revansciste. Per anni o addirittura decenni, sarà necessaria un'Ucraina ben armata, parte integrante a livello internazionale e socio-economicamente vitale per proteggere il confine orientale dell'Europa. *L'assistenza militare e civile all'Ucraina non è solo una questione di solidarietà internazionale, ma anche di sicurezza nazionale per i Paesi che la sostengono. I portavoce dei governi nazionali e delle organizzazioni internazionali dovrebbero spiegare più spesso perché e come il loro sostegno rende più sicura non solo l'Ucraina, ma anche l'Europa e il mondo intero. Gli aiuti all'Ucraina hanno un impatto positivo sulla fiducia globale nel diritto, nelle organizzazioni e nella sicurezza internazionali. *Dal 2014, Mosca sovverte dimostrativamente la logica del Trattato di non proliferazione nucleare. Da quasi nove anni, uno Stato ufficialmente dotato di armi nucleari, la Russia, attacca uno Stato non dotato di armi nucleari, l'Ucraina, e lo terrorizza. In questo modo, il Cremlino sta minando la giustificazione del divieto del Trattato di non proliferazione nucleare di costruire e commerciare con armi nucleari per tutti gli Stati firmatari ad eccezione dei cinque membri permanenti del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, tra cui la Russia. *Una ricostruzione risoluta dell'Ucraina che ricordi il Piano Marshall ha implicazioni di sicurezza che vanno oltre l'Europa orientale. La sua attuazione mostrerà agli attori potenzialmente espansionistici di tutto il mondo che l'aggressione militare non solo non raggiungerà i loro obiettivi. Le risposte internazionali agli attacchi contro gli Stati vulnerabili non avranno solo esiti negativi per l'aggressore, ma possono anche avere effetti positivi per le nazioni attaccate. Un effetto paradossale dell'aggressione sarà quello di rafforzare piuttosto che indebolire la posizione geopolitica della vittima. Anche lo stato interno del Paese attaccato sarà parzialmente migliorato, e non solo peggiorato, da un attacco militare contro di esso. *Il destino dell'Ucraina dovrebbe insegnare ai futuri potenziali aggressori e alle loro potenziali vittime tre semplici lezioni: (a) Non esiste il potere del più forte (b) Le regole internazionali vengono rispettate (c) Gli Stati potenti proteggono quelli più piccoli. In questo modo si rafforzano il diritto internazionale e l'organizzazione internazionale. Un conseguente aumento della sicurezza globale e della fiducia interstatale è nell'interesse di tutti. {{Int|Da ''[https://www.huffingtonpost.it/guest/memorial-italia/2023/02/13/news/la_guerra_russa_in_ucraina_sta_smantellando_lordine_mondiale_di_a_umland-11329872/ La guerra russa in Ucraina sta smantellando l'ordine mondiale]''|''huffingtonpost.it'', 23 febbraio 2023.}} {{NDR|Sull'[[invasione russa dell'Ucraina del 2022]]}} *La continua ingenuità dello pseudo-realismo occidentale non solo mina le basi normative su cui si fondano il consenso interno e la cooperazione internazionale degli Stati occidentali, ma travisa anche la realtà geografica e il ruolo geopolitico dell'Ucraina per l'Europa e il mondo. Il destino dello Stato ucraino e dei suoi cittadini ha implicazioni che vanno ben al di là dei suoi confini, e interessano l'intero continente europeo e il sistema internazionale in generale. *Cosa accadrà alla sicurezza mondiale, se la Russia continuerà l'assalto militare allo Stato ucraino per molti altri mesi o addirittura anni? Anche i realisti riconoscono che ciò comporta una spiacevole svalutazione del diritto internazionale in generale e dell'ordine di sicurezza europeo in particolare, ma tali ripercussioni negative sono spesso viste come un danno collaterale sopportabile di una parziale acquiescenza alla Russia. *I cosiddetti Memorandum di Budapest contenevano garanzie di sicurezza da parte di Washington, Londra e Mosca. Le tre grandi potenze promettevano di rispettare la sovranità e i confini dei tre Stati ex-sovietici ora privi di armi nucleari, e di astenersi dall'esercitare pressioni politiche, economiche e militari su di essi. [...] Dal 2014, se non prima, la Russia ha violato questo importante trattato, firmato dall'allora rappresentante permanente di Mosca alle Nazioni Unite Sergej Lavrov, nei modi più eclatanti. Oggi la Russia sta punendo il disarmo nucleare volontario dell'Ucraina con una pioggia di decine di migliaia di granate, bombe, razzi e missili che distruggono non solo gli edifici e le infrastrutture militari ma anche quelle civili, uccidendo, mutilando e traumatizzando gli ucraini ogni giorno. Il fatto che Mosca stia sovvertendo la logica del regime di non proliferazione nucleare dovrebbe preoccupare non solo gli ucraini, ma anche le altre nazioni. *La prosecuzione degli scambi commerciali con la Russia e il sostegno solo parziale o assente all'Ucraina suggeriscono ai Paesi militarmente deboli che, di fatto, il principio della forza bruta regola ancora le relazioni internazionali. La conclusione che le nazioni prive di un ombrello nucleare possono trarre, ora o in futuro, è la seguente: "Non possiamo fare affidamento né sul diritto internazionale e sulla comunità umana in generale, né sulla logica del TNP e dei suoi fondatori. Pertanto, dobbiamo procurarci la bomba". *Oltre al Trattato di non proliferazione nucleare, anche altri accordi e organizzazioni internazionali vengono minati. Non solo l'integrità di vari regimi di sicurezza transcontinentali più ristretti, come l'OSCE, è messa in discussione, ma anche le Nazioni Unite e i suoi vari organi e agenzie sono sotto pressione a causa della feroce aggressione della Russia all'Ucraina. In particolare, il Consiglio di Sicurezza e il diritto di veto dei suoi membri permanenti, tra cui la Russia, sembrano ormai assurdi. Parti del sistema delle Nazioni Unite e di altre organizzazioni internazionali vengono intenzionalmente strumentalizzate per scopi neo-imperiali da uno dei suoi garanti ufficiali. *La Russia continua a smantellare sia l'ordine di sicurezza europeo, sia il diritto internazionale e la legittimità delle organizzazioni sovranazionali che dovrebbero farlo rispettare. Nel farlo, il Cremlino sfrutta i privilegi formali e materiali della Russia, come i diritti speciali di Mosca nell'ambito dell'ONU e del TNP, o il possesso del suo arsenale nucleare e il controllo di alcune rotte commerciali. Allo stesso tempo, l'aggressività retorica dei rappresentanti della diplomazia e del governo russi nei confronti dell'Ucraina continua senza sosta. Il numero sempre crescente di atrocità commesse dall'esercito russo in Ucraina sta creando non solo indignazione morale, ma il carattere genocida dell'attacco russo all'Ucraina ha implicazioni più ampie e di più lungo periodo. L'approccio terroristico del Cremlino sovverte la lettera e lo spirito di decine di trattati e di atti fondativi di organismi internazionali a cui Mosca partecipa e di cui è in parte cofondatrice. {{Int|Da ''[https://www.affarinternazionali.it/diffidenze-storiche-kyiv-negoziati-russia/ Le diffidenze storiche di Kyiv sui negoziati con la Russia]''|''affarinternazionali.it'', 13 luglio 2023.}} {{NDR|Sull'[[invasione russa dell'Ucraina del 2022]]}} *Dal punto di vista ucraino, l'attuale guerra della Russia contro l'Ucraina è troppo tipica e troppo straordinaria per essere conclusa semplicemente con un negoziato. Ciò che è tipico della guerra in Russia è che si inserisce in un lungo modello storico e regionale di comportamento russo nelle sue aree di confine. La cosa straordinaria della guerra è che non riguarda solo il territorio ucraino. Stranamente, dal punto di vista di Mosca, l'Ucraina riguarda anche l'identità russa. Sia la sua tipicità che la sua eccezionalità – cioè la sua continuazione di una patologia più ampia e di un significato peculiare per la stessa Russia – significano che una pace precoce e stabile con Mosca non è fattibile. *A differenza di molti osservatori esterni, la maggior parte dei politici, degli esperti e dei diplomatici ucraini e dell'Europa centro-orientale non vedono solo l'attuale guerra russo-ucraina come l'ossessione di Putin. Invece, questa guerra è percepita dalle élite dell'Europa centrale e orientale e del Caucaso meridionale, e in una certa misura dell'Asia centrale, come solo l'ultimo capitolo di una lunga serie di conquiste militari convenzionali e ibride russe che coprono secoli. Gli ucraini e altri popoli precedentemente soggetti agli imperi russi – moscoviti, zaristi, sovietici e post-sovietici – hanno sperimentato incursioni simili con giustificazioni a volte simili. Nel febbraio 2022, molti osservatori esterni furono sconcertati dall'affermazione di Putin che l'attacco su larga scala di Mosca allo stato ucraino – con il suo presidente ebreo – era guidato dalla preoccupazione russa per il fascismo di Kyiv e mirava a "denazificare" l'Ucraina. Al contrario, molti europei orientali e centrali conoscevano già le affermazioni russe che i loro governi o anche intere élite sono fascisti. *{{NDR|Sulla [[guerra di Transnistria]]}} Il comandante della 14ª Armata dell'epoca, il leggendario e ormai defunto generale russo [[Aleksandr Ivanovič Lebed'|Aleksandr Lebed]], giustificò l'intervento illegale delle sue truppe in un paese straniero con un'affermazione che prevenne la menzogna di Putin del 2022. Lebed disse a una conferenza stampa nel 1992 che il nuovo governo della giovane Repubblica di Moldavia a Chişinău si stava comportando peggio degli uomini delle SS tedesche 50 anni prima. L'intervento militare aperto delle truppe regolari russe di Lebed portò ad una divisione permanente in Moldavia. *La maggior parte del nazionalismo russo tradizionale non riconosce l'identità e la cultura ucraina come veramente e indipendentemente nazionale. Considera le tradizioni ucraine e la lingua ucraina come folclore locale, non uguale e subalterno alla nazionalità russa e all'alta cultura. Questo evidente disprezzo ha le sue radici non solo e non tanto nell'arroganza di Mosca. Piuttosto, è un'espressione di un complesso di inferiorità russa verso gli ucraini come il più vecchio, più cristiano ortodosso, più chiaramente definito, e più distintamente europeo slavo orientale "Stato fratello". *Un cessate il fuoco e un accordo negoziato con Mosca sarebbero auspicabili in linea di principio per i cittadini dell'Ucraina e per il governo ucraino. Tuttavia, le considerazioni strategiche e l'esperienza storica non suggeriscono a Kyiv un cessate il fuoco precoce basato sulla fiducia elementare. Dal momento che la fine della guerra oggi servirebbe solo lo scopo del Cremlino di preparare l'esercito russo, l'economia e la popolazione per un successivo nuovo attacco, un accordo di pace oggi sarebbe un autogol per Kyiv. {{Int|Da ''[https://www.affarinternazionali.it/il-filo-rosso-che-lega-lestremismo-di-dugin-ai-piani-del-cremlino/ Il filo rosso che lega l'estremismo di Dugin ai piani del Cremlino]''|''affarinternazionali.it'', 9 novembre 2023.}} {{NDR|Su [[Aleksandr Gel'evič Dugin]]}} *Le sue opinioni politiche spaziano dalla teoria della civiltà di [[Samuel Huntington]] al satanismo di [[Aleister Crowley]], dal sindacalismo di estrema sinistra al tradizionalismo di estrema destra, dai principi arci-reazionari alle idee radicali anticonformiste. *Negli anni '90, Dugin si è presentato apertamente come fascista, ripetutamente elogiando i rappresentanti del nazionalsocialismo tedesco e dei suoi alleati. Recentemente, tuttavia, Dugin si è astenuto dall'esprimere pubblicamente simpatia per il fascismo storico europeo, presentandosi, invece, come "antifascista". *In realtà, le affermazioni filosofiche e le idee politiche di Dugin non sono altro che traduzioni o riformulazioni russe di vari discorsi filosofici anti-razionali e anti-individualisti che non fanno parte della tradizione russa. [...] I destinatari che non hanno familiarità con i concetti esaltati dei modelli di ruolo di Dugin del periodo pre, inter e post-bellico potrebbero percepirlo come un filosofo russo originale ma ciò che egli proclama come la sua teoria "neo-eurasiatica" o "quarta" non è altro che il frutto di alcuni teorici e filosofi controversi e marginali dell'odiato Occidente. *Dugin e i suoi seguaci hanno contribuito ad avvelenare sempre più il discorso pubblico e intellettuale russo con idee manichee, cospirologiche ed escatologiche: le loro storie sulla secolare inimicizia dell'Occidente contro la Russia, sull'inevitabile battaglia finale tra le potenze tradizionali terrestri e quelle liberali marittime, sull'infiltrazione della società russa da parte di potenze straniere e affini, hanno contribuito alla radicalizzazione del regime e delle politiche di Putin. In questo, Dugin e i suoi seguaci sono stati sostenuti da decine di altri scrittori e commentatori russi reazionari, fascisti, razzisti e ultranazionalisti. {{Int|Da ''[https://www.affarinternazionali.it/il-putinismo-dopo-putin-un-futuro-incerto/ Cosa succederà al Putinismo dopo Putin]''|''affarinternazionali.it'', 23 novembre 2023.}} *Il fattore di rischio più ovvio e immediato per il governo di Putin è la guerra russo-ucraina. Se persa, la legittimità e il regime di Putin saranno messi a dura prova e potrebbero crollare. L'acquisizione rapida e in gran parte non violenta della Crimea è stato il punto più alto del suo governo. Al contrario, una perdita prolungata e sanguinosa della preziosa penisola diventerebbe il suo nadir e la sua possibile fine. *Il regime potrebbe degradare verso un regime ancora più centralizzato e sempre più neostalinista oppure potrebbe tornare alla proto-democrazia della tarda presidenza Eltsin. *È vero che sia la Russia zarista che quella sovietica hanno trasferito più volte il potere a un nuovo leader in contesti autoritari o totalitari, anche altri regimi post-sovietici sono riusciti a cambiare i loro leader mantenendo i loro sistemi autocratici e un'elevata continuità delle élite. Tuttavia, queste precedenti transizioni russe o di altri Paesi post-sovietici possono essere diverse da quella futura russa. *Sotto Putin, il comportamento dello Stato russo è diventato caratterizzato da arbitrarietà e illimitatezza. Alcune parti interessate potrebbero vedere la questione della successione come una questione esistenziale e di conseguenza spingere i loro candidati con vendetta. *Se Putin dovesse improvvisamente lasciare o morire, il Primo Ministro russo, attualmente Mikhail Mishustin, diventerebbe Presidente ad interim, secondo la Costituzione. Considerato l'esempio dell'avanzamento di Putin da Primo Ministro a Presidente in carica e poi a pieno titolo nel 1999-2000, Mishustin potrebbe improvvisamente diventare un peso massimo della politica. Tuttavia, Mishustin non è né un silovik ("uomo di forza", cioè con un passato in un servizio armato) ben collegato, né una figura pubblica prolifica. La sua mancanza di potere domestico e il suo continuo basso profilo sono, si sospetta, le ragioni per cui ha ottenuto e mantiene il suo incarico. I possibili futuri Primi Ministri sotto Putin potrebbero avere qualità simili. *Normalmente, in una situazione del genere, si consiglierebbe di lasciare che sia il popolo a decidere. Tuttavia, da oltre due decenni in Russia il voto popolare non è più democratico. Le "elezioni" di Putin sono state concepite per produrre una conferma nazionale del leader predeterminato, piuttosto che per consentire una competizione libera ed equa tra partiti politici indipendenti. Il vincitore di un'elezione presidenziale russa viene scelto in anticipo e non attraverso il voto. Organizzare improvvisamente elezioni a livello nazionale con un risultato indeterminato sarebbe in contraddizione con i modelli di comportamento radicati per oltre due decenni da migliaia di funzionari pubblici, funzionari di partito, operatori dei media e agenti di polizia. Potrebbe essere del tutto impossibile condurre delle vere elezioni per i vari burocrati nazionali, regionali e locali incaricati di organizzarle senza una preparazione preliminare insieme a un aiuto esterno. {{Int|Da ''[https://www.huffingtonpost.it/guest/memorial-italia/2024/03/06/news/la_diplomazia_sei_ostacoli_a_una_pace_negoziata_tra_ucraina_e_russia-15305409/ La diplomazia disarmata. Sei ostacoli a una pace negoziata tra Ucraina e Russia]''|''huffingtonpost.it'', 6 marzo 2024.}} *Sono almeno sei gli elementi che impediscono un compromesso tra Kyiv e Mosca: le Costituzioni dei due Paesi, i rispettivi fronti interni, le peculiari esigenze della Crimea e il suo ruolo per la Russia, nonché la memoria storica dell'Europa centro-orientale. Ognuno di questi ostacoli a una tregua rapida è di per sé significativo e il loro impatto combinato sui decisori a Kyiv e a Mosca è notevole. *La Russia post-sovietica ha cominciato molto presto a creare e sostenere movimenti separatisti, scatenando o alimentando guerre civili e istituendo cosiddette "repubbliche" o "repubbliche popolari" nello spazio che considera il proprio cortile di casa. Dieci anni fa però, Mosca è andata oltre a questa strategia informale per distruggere gli stati indipendenti nati con la fine del suo impero. Nel marzo 2014 ha formalmente annesso la Crimea, diventata così parte ufficiale della sua cosiddetta federazione. Nel settembre 2022 ha ripetuto questa mossa, inconsueta, dichiarando l'annessione di quattro regioni del sud-est dell'Ucraina e modificando la legislazione russa per incorporarle pienamente. Di conseguenza, la Costituzione russa rivendica adesso cinque regioni ucraine e ci sono decine di atti giuridici di livello inferiore come leggi, decreti e risoluzioni che fanno lo stesso. *I territori in questione non appartenevano infatti alla Moscovia, spesso invocata come stato russo primordiale, ma sono stati colonizzati in epoche successive dall'impero zarista e da quello sovietico. Eppure, le pretese, illegali e avulse dalla storia, che Mosca avanza su queste cinque regioni ucraine sono ora parte integrante della legge fondamentale russa, della legislazione federale e della struttura dello stato. Ciò ha avuto già profondi effetti psicologici e materiali sulla vita economica, sociale, culturale e privata di chi subisce l'occupazione russa, soprattutto in Crimea. *[...] gli oltranzisti ucraini e quelli russi non sono paragonabili né sul piano normativo né su quello politico. Come le rivendicazioni territoriali inscritte nelle Costituzioni di entrambi i Paesi, i due gruppi sono profondamente diversi sotto molti aspetti: morali, storici, culturali. Da un lato, in Ucraina i cittadini più intransigenti reclamano semplicemente il ripristino della legalità, dell'ordine e della giustizia. [...] Dall'altro lato, in Russia ci sono diversi tipi di oltranzisti che insistono sulla necessità di mantenere, almeno in parte, le conquiste territoriali e politiche frutto dell'intervento militare cominciato nel 2014. I più radicali, tra cui Vladimir Putin, ritengono che l'espansione territoriale finora raggiunta sia insufficiente e considerano russe alcune regioni non ancora annesse illegalmente, come Odessa e Mykolaïv. Secondo questa visione, la non appartenenza dello stato ucraino all'UE e alla NATO deve essere permanente e la sua sovranità va limitata sotto molti altri aspetti, dalla lingua alle politiche di difesa. È anche vero, però, che in Russia i gruppi sociali oltranzisti sono più piccoli e meno radicati rispetto a quelli in Ucraina. Se in futuro l'opinione pubblica russa potrebbe accettare la perdita di gran parte dei relativi guadagni ottenuti con la guerra, è molto più improbabile che la popolazione ucraina tolleri la perdita ufficiale di territori e/o di sovranità. *Come ha illustrato la ribellione di Prigožin nell'estate 2023, la prospettiva di disordini sociali sul fronte interno è motivo di preoccupazione anche per la leadership russa. La rivolta armata guidata da Prigožin, è bene ricordarlo, era motivata dalla convinzione che a Mosca mancasse lo spirito guerriero, non quello pacifista. Data la precarietà della situazione politica in entrambi i Paesi, è improbabile che Kyiv o Mosca possano fare concessioni tali da raggiungere un cessate-il-fuoco duraturo, per non parlare di un accordo di pace. *Nella sua storia, la Crimea è stata legata amministrativamente al territorio dell'odierna Federazione Russa per soli trentadue anni, dal 1922 al 1954. In precedenza, era stata connessa al territorio dell'odierna Ucraina continentale meridionale attraverso il khanato di Crimea (fino al 1783) e il governatorato della Tauride dell'impero dei Romanov (1802-1917). Dopo un breve periodo come parte della cosiddetta Repubblica Socialista Federativa Sovietica Russa è stata legata tramite la Repubblica Sovietica Ucraina (1954-1991) e l'Ucraina indipendente (dal 1991) al territorio dell'odierno stato ucraino nei suoi confini internazionalmente riconosciuti. *Il carattere russo della Crimea è in parte una finzione storica e in parte il risultato di spietati programmi di ingegneria demografica condotti dai regimi in epoca pre-sovietica, sovietica e post-sovietica. Negli ultimi 240 anni San Pietroburgo e Mosca hanno ridotto radicalmente il numero di tatari di Crimea che vivono sulla penisola: nel 1785 erano l'84% della popolazione, oggi, secondo statistiche ufficiali russe, sono il 12%. Gli zar, i bolscevichi e Vladimir Putin hanno messo in atto violente repressioni, deportazioni ed espulsioni per cacciare, definitivamente, centinaia di migliaia di tatari di Crimea dalle loro terre d'origine. *Dagli anni Quaranta del secolo scorso la maggioranza {{NDR|della popolazione della Crimea}} è di etnia russa. Ciò è stato possibile solo dopo che su ordine di Stalin quasi tutti gli indigeni sono stati brutalmente deportati nella parte asiatica dell'Unione Sovietica. Deportazione durante la quale molti di loro morirono. La dominanza etnica e demografica della Russia, ottenuta per mezzo di un orrendo crimine di massa, dura da meno di 80 anni. *La storia nazionale ucraina, così come quella di altre nazioni dell'Europa centro-orientale, suggerisce che la Russia non rispetterà un accordo raggiunto per vie diplomatiche invece che con una vittoria militare. Negli ultimi trent'anni l'Ucraina indipendente ha firmato centinaia di accordi con la Russia, la validità della maggior parte dei quali oggi è nulla. *Da trent'anni la Moldova è uno dei paesi più poveri d'Europa, nonché uno stato perennemente al collasso. Il destino della Moldova, il successo dell'esperimento russo in Transnistria e la reazione dell'Occidente hanno fornito al Cremlino elementi preziosi, che hanno informato le azioni e la strategia della Russia in Georgia nel 2008 e in Ucraina nel 2014. La Transnistria è diventata un modello a tal punto che nella primavera 2014 alcuni funzionari piazzati da Mosca nel cosiddetto governo dello pseudo-stato con capitale Tiraspol sono stati trasferiti nel Donbas, dove hanno contribuito a creare le cosiddette "repubbliche popolari" di Donec'k e Luhans'k, poi annesse dalla Russia nel 2022. *In futuro ci sarà spazio per i negoziati, ma non finché Kyiv non potrà trarne beneficio in virtù di cambiamenti sia sul fronte sia a Mosca. Un accordo firmato prima che l'Ucraina abbia ottenuto almeno un vantaggio militare significativo, e quindi una posizione negoziale di forza, sarebbe probabilmente una farsa. Invece che porre fine alla guerra, al massimo la rimanderebbe. *Alla luce del comportamento della Russia nello spazio post-sovietico negli ultimi trent'anni, la pace potrà essere raggiunta solo attraverso una deterrenza militare plausibile, che eviti una nuova escalation. Fornire a Kyiv un adeguato supporto militare è quindi la strategia giusta sotto tre profili diversi. Innanzitutto, contribuirà da subito a gettare le basi per negoziati sostanziali. In secondo luogo, permetterà di raggiungere un accordo sostenibile tra Kyiv e Mosca, al contrario degli Accordi di Minsk. Infine, garantirà una pace duratura. {{Int|Da ''[https://www.linkiesta.it/2024/11/putin-fascismo-russia-ruscismo/ Ruscismo. Il putinismo non è tecnicamente fascismo, ma forse è anche più pericoloso]''|''linkiesta.it'', 12 novembre 2024.}} *[...] sono numerosi parallelismi tra la retorica e le azioni politiche interne ed estere della Russia di Putin, da un lato, e l’Italia di Benito Mussolini e la Germania di Adolf Hitler, dall’altro. Una serie di somiglianze politiche, sociali, ideologiche e istituzionali si è accumulata, spaziando dalle caratteristiche sempre più dittatoriali e, in alcuni aspetti, totalitarie del regime russo, ai tratti revanscisti e sempre più genocidi del comportamento estero del Cremlino. *La politica interna ed estera russa di oggi presenta numerose somiglianze con quella dell’Italia fascista e della Germania nazista. Pertanto, l’uso del termine fascismo per spiegare analogicamente ed etichettare metaforicamente il carattere del regime di Putin svolge una funzione illuminante per i dibattiti politici nei mass media, nella società civile, nell’educazione civica e nel discorso pubblico. In vista di alcuni riferimenti dimostrativi di Putin e del suo entourage al proto- o pro-fascismo storico russo, come le idee di Ilyin, sembra euristicamente utile parlare oggi di fascismo russo. *Sarebbe eccessivo equiparare l’ucrainofobia russa con l’antisemitismo biologico e eliminazionista dei nazisti. La guerra irredentista di Mosca cerca “solo” di distruggere la nazione ucraina come entità autoconsapevole e società civile indipendente; il Cremlino non mira a sterminare fisicamente tutti gli ucraini, come fecero i nazisti con gli ebrei. Tuttavia, l’agenda russa va oltre la “mera” espulsione, molestia, deportazione, rieducazione e lavaggio del cervello dei residenti ucraini. Comprende anche l’espropriazione, il terrore, la prigionia, la tortura e l’omicidio di quegli ucraini (e alcuni russi) che si oppongono con parole e/o fatti all’espansione militare russa, al regno del terrore politico e al dominio culturale in Ucraina. *I fascisti spesso fanno riferimento a un’ipotetica Età dell’Oro nella storia remota della loro nazione e usano idee e simboli di questo passato mitizzato. Tuttavia, non cercano di preservare o restaurare un’era passata, ma di creare una nuova comunità nazionale. I fascisti sono estremisti di destra, ma sono rivoluzionari piuttosto che ultraconservatori o reazionari. Oggi, molti comparativisti sarebbero cauti nell’applicare il termine fascismo al putinismo, poiché quest’ultimo cerca di restaurare gli imperi zarista e sovietico piuttosto che creare un nuovo stato e popolo russo. *[...] la politica russa nei territori ucraini occupati potrebbe essere caratterizzata come quasi fascista in senso più diretto. La campagna di russificazione spietata che lo stato russo sta conducendo nelle parti occupate dell’Ucraina, attraverso il terrore mirato, la rieducazione forzata e gli incentivi materiali, mira a realizzare una profonda trasformazione socioculturale di queste aree. Sebbene tali politiche irredentiste, colonizzatrici e omogeneizzatrici non siano considerate fasciste in quanto tali nella ricerca comparata sull’imperialismo, gli strumenti usati dal Cremlino per attuare la sua politica in Ucraina e i risultati che cerca di ottenere sono in qualche modo simili a quelli delle rivoluzioni domestiche fasciste, come quelle che ebbero luogo o furono tentate nell’Italia di Mussolini e nella Germania di Hitler. *Anche se le campagne di omogeneizzazione della popolazione sono state comuni nella storia e non sono esclusive del fascismo, la politica di russificazione in Ucraina è simile alle classiche politiche fasciste domestiche e di occupazione, per cui gli obiettivi trasformativi di Mosca riguardo ai “fratelli” ucraini della Russia potrebbero essere considerati quasi fascisti. *Per essere chiari, non esiste un equivalente russo delle camere a gas naziste, così come non esisteva un equivalente italo-fascista di questo crimine tedesco. Ma come dobbiamo classificare le intenzioni di Mosca dietro i massacri di Bucha o Mariupol nel 2022, l’esplosione della diga di Kakhovka nel 2023, la deportazione di migliaia di bambini non accompagnati, la tortura di massa dei prigionieri di guerra ucraini o i raid aerei russi sui civili ucraini? Questi crimini non sono semplici danni collaterali delle operazioni militari, né sono variazioni ordinarie della politica neocoloniale, come avviene in tutti i regimi di occupazione. Una classificazione prudente dell’ideologia dietro la guerra di sterminio della Russia come illiberale, conservatrice, o tradizionalista sembra insufficiente. *Gli interventi militari della Russia in Georgia nel 2008, in Ucraina nel 2014 e in Siria nel 2015 non sono stati solo successi in sé. Hanno avuto anche un effetto stabilizzante sul dominio di Putin all’interno della politica interna rudimentale della Russia e nella società conformista. Non riprovare lo stesso trucco all’inizio del 2022, quando i tassi di popolarità di Putin erano nuovamente in relativo calo, sarebbe stato alquanto irrazionale dati gli esiti positivi di politica estera e interna che Putin aveva ottenuto dalle sue precedenti avventure militari. ==Altri progetti== {{interprogetto}} {{DEFAULTSORT:Umland, Andreas}} [[Categoria:Politologi]] [[Categoria:Tedeschi]] 76sbi17k15jmd1ma4uozznjcsl2ayjt Oscar Piastri 0 217189 1381993 1363699 2025-07-02T00:39:17Z CommonsDelinker 1592 Rimuovo l'immagine "Oscar_Piastri.png", cancellata in Commons da [[commons:User:EugeneZelenko|EugeneZelenko]] perché Copyright violation; see [[:c:Commons:Licensing|]] ([[:c:COM:CSD#F1|F1]]): Promo/press photo. 1381993 wikitext text/x-wiki '''Oscar Jack Piastri''' (2001 – vivente), pilota automobilistico australiano. {{Int|''[https://www.formulapassion.it/interviste/f1-oscar-piastri-mclaren-aiutano-tutti F1 / Oscar Piastri: "In McLaren tutti si aiutano e si divertono"]''|Intervista di Carlo Platella, ''formulapassion.it'', 11 agosto 2023.|h=2}} *Da bambino mi piaceva praticare ogni tipo di sport. In famiglia le auto sono sempre piaciute [...]. Mio nonno paterno era un meccanico, mentre mio padre ha un'impresa nell'industria dell'auto. Direi che il mio interesse era già predisposto e quando sono cresciuto ho iniziato a guardare le corse anch'io. Un giorno poi mio padre mi ha comprato un go-kart, ma già prima, quando avevo sei anni, gareggiavo con le automobiline radiocomandate. Al tempo era più un hobby che altro, ma pian piano è diventato sempre più grande. *Da noi [...] c'è il [[campionato Supercars]], che è la nostra principale forma di motorsport. Guardare quello in Australia è come guardare la Formula 1 per gli europei. *La serie ''[[Formula 1: Drive to Survive|Drive to Survive]]'' ha dato un'enorme spinta alla Formula 1, attirando nuovi tifosi tra cui anche quelli più giovani. Sotto certi aspetti, comprendono meglio cosa accade nelle nostre vite. Forse sono meno ferrati sull'attività in pista, che però è ugualmente importante. Se hai una serie televisiva e poi la realtà non è altrettanto esaltante, non funziona. C'è bisogno di un equilibrio: la teatralità crea sempre eccitazione, a tutte le età. *{{NDR|«[...] vorresti correre fin quando ne avrai la possibilità oppure [...] sperimentare qualcosa di diverso?»}} Saprò quando sarà il momento giusto per fermarmi o per continuare. Sin dagli inizi, facciamo tutto questo perché ci piace. Quando cominci a desiderare di essere altrove, magari quello è il momento di andare via. Hai una sola possibilità di fare questo lavoro. [...] Se uno potesse finire la carriera alle proprie condizioni, sarebbe sempre il modo migliore per andarsene. ==Citazioni su Oscar Piastri== *Velocissimo e talentuosissimo [...], ma ombroso, ghiaccio, mai empatico, quasi per niente uomo squadra e terribilmente discontinuo. Se si alza bene, ciao a tutti, se si alza male, si perde. [...] Con un'aggravante. Quella di apparire anaffettivo, distante, solo, scostato dal team. ([[Mario Donnini]]) == Altri progetti == {{interprogetto}} {{DEFAULTSORT:Piastri, Oscar}} [[Categoria:Piloti di Formula 1 australiani]] mqch2b5sohw9gawdec0wpubd1wq60b1 Educazione siberiana (romanzo) 0 217966 1382034 1378122 2025-07-02T11:04:44Z Mariomassone 17056 /* Nicolai Lilin */ 1382034 wikitext text/x-wiki '''''Educazione siberiana''''', romanzo di [[Nicolai Lilin]] del 2009. ==[[Incipit]]== Lo so che non andrebbe fatto, ma ho la tentazione d'iniziare dalla fine.<br>Ad esempio, da quel giorno in cui correvamo tra le stanze di un edificio distrutto sparando al nemico da distanza così ravvicinata che potevamo quasi toccarlo con la mano.<br>Eravamo sfiniti. I paracadutisti si davano i turni, noi sabotatori invece non dormivamo da tre giorni. Andavamo avanti come le onde dell'acqua, per non dare al nemico la possibilità di riposare, di eseguire le manovre, di organizzarsi contro di noi. Combattevamo sempre, sempre.<br>Quel giorno sono finito all'ultimo piano dell'edificio con Scarpa, per cercare di eliminare l'ultimo mitra pesante. Abbiamo lanciato due bombe a mano.<br>Nella polvere che scendeva dal tetto non si vedeva niente, e ci siamo trovati davanti quattro nemici che come noi giravano come gattini ciechi nella nuvola grigia, sporca, che puzzava di macerie e di esplosivo bruciato.<br>Da così vicino, lì in Cecenia, non avevo mai sparato a nessuno.<br>Intanto al primo piano il nostro Capitano aveva preso un prigioniero e steso otto nemici, tutto da solo. ==Citazioni== *Beh, a partire dalla mia nascita, io forse per abitudine ho continuato a procurare vari dispiaceri e togliere parecchie possibilità di vita allegra ai miei genitori (anzi, a mia mamma, perché mio padre in realtà se ne fregava di tutto, faceva la sua vita da criminale, rapinava banche e stava tanto tempo in galera). Non mi ricordo nemmeno quante ne ho combinate, da piccolo. Ma è naturale, sono cresciuto in un quartiere malfamato, proprio nel posto dove negli anni Trenta si sono sistemati i criminali espulsi dalla Siberia. La mia vita era lì, a Bender, con i criminali, e il nostro criminalissimo quartiere era come una grande famiglia. (p. 9) *Le armi a casa nostra, come in tutte le case siberiane, erano tenute in posti ben precisi. Le pistole chiamate «proprie», cioè quelle che i criminali siberiani portano sempre con sé, quelle che usano ogni giorno, vengono postate nell'«angolo rosso», dove sono appese le icone di famiglia, le foto dei parenti morti e di tutti coloro che stanno scontando una condanna in prigione. Sotto le icone e le foto c'è una specie di mensola, coperta con un pezzo di stoffa rosso, sulla quale di solito ci sono una decina di crocefissi siberiani. Quando un criminale entra in casa va subito nell'angolo rosso, si toglie la pistola e la posa sulla mensola, dopo si fa il segno della croce e mette un crocefisso sopra la pistola. Questa è un'antica tradizione che assicura che nelle case siberiane le armi non vengano utilizzate: se questo avvenisse, in quella casa non si potrebbe più vivere. Il crocefisso è una specie di sigillo, che si rimuove solo quando il criminale esce di casa. (p. 10) *Nella comunità siberiana s'impara a uccidere da piccoli. La nostra filosofia di vita ha un rapporto stretto con la morte, ai bambini viene insegnato che il rischio e la morte sono cose legate all'esistenza, e quindi togliere la vita a qualcuno o morire è una cosa normale, se c'è un motivo valido. Insegnare a morire è impossibile, perché una volta fatto l'affare non c'e ritorno, e dall'aldilà non ha ancora telefonato nessuno per raccontare come si sta. Però insegnare a convivere con la minaccia della morte, a «tentare» il destino, non è difficile. Molte fiabe siberiane parlano dello scontro mortale tra criminali e rappresentanti del governo, dei rischi che si corrono ogni giorno con dignità e onestà, della fortuna di quelli che alla fine hanno preso il bottino e sono rimasti vivi, e della «buona memoria» per quelli che sono morti senza mollare gli amici in difficoltà. Attraverso queste fiabe i bambini percepiscono i valori che danno senso alla vita dei criminali siberiani: rispetto, coraggio, amicizia, dedizione. Verso i cinque-sei anni i bambini siberiani dimostrano una determinazione e una serietà invidiabili anche per gli adulti di altre comunità. È su basi così solide che si costruisce l'educazione a uccidere, ad agire fisicamente contro un essere vivente. (p. 20) *Verso i dieci anni il bambino è a tutti gli effetti inserito nel clan dei minori, che collabora attivamente con i criminali della comunità siberiana. Lì ha la possibilità di affrontare per la prima volta tante diverse situazioni della vita criminale. I più grandi insegnano ai più piccoli come comportarsi; tra le risse e i conflitti e la gestione dei rapporti con i minori delle altre comunità, ogni ragazzo si fa le ossa. (p. 21) *Spesso a tredici-quattordici anni i minori siberiani hanno già precedenti penali e quindi esperienza del carcere minorile: un'esperienza che è molto importante, anzi fondamentale, per la formazione del carattere e della visione del mondo individuale. A quest'età molti siberiani hanno già alle spalle traffici criminali, un omicidio o almeno un tentato omicidio. E tutti sono capaci di comunicare all'interno della comunità criminale, di seguire, trasmettere e salvaguardare le basi e i principî della legge criminale siberiana. (p. 21) *La picca, così viene chiamata la storica arma dei criminali siberiani, è un coltello a scatto con una lama lunga e sottile, ed è legato a molte usanze e cerimonie tradizionali della nostra comunità criminale.<br>Una picca non si può comprare o avere per propria volontà, si deve meritare.<br>Ogni criminale giovane può ricevere in regalo una picca da un criminale adulto, purché non sia un parente.<br>Una volta regalata, la picca diventa una specie di personale simbolo di culto, come la croce nella comunità cristiana.<br>La picca ha anche poteri magici: moltissimi.<br>Quando qualcuno è malato e soprattutto soffre, gli mettono sotto il materasso una picca aperta, con la lama di fuori, così secondo le credenze la lama taglia il dolore e lo assorbe come una spugna. Inoltre, quando un nemico viene colpito da quella lama, il dolore raccolto sgorga dentro la ferita, facendolo soffrire ancora di più.<br>Il cordone ombelicale dei neonati viene tagliato con una picca, che prima però è stata lasciata aperta per una notte nel posto dove dormono i gatti.<br>A suggellare patti importanti fra due persone – tregue, amicizie o fratellanze – i criminali s'incidono la mano con la stessa picca, che poi viene conservata da una terza persona, una specie di testimone del loro patto: chi tradirà la tregua verrà ammazzato con quella picca.<br>Quando un criminale muore, la sua picca viene rotta da qualcuno dei suoi amici: una parte, la lama, si mette nella tomba, di solito sotto la testa del morto, il manico invece lo conservano i parenti stretti. Quando è necessari comunicare con il morto, chiedergli un consiglio o un miracolo, i parenti tirano fuori il manico e lo mettono nell'angolo rosso, sotto le icone. Così il morto diventa una specie di ponte diretto tra i vivi e Dio in persona.<br>Una picca conserva i suoi poteri solo se si trova nelle mani di un criminale siberiano che la usa rispettando le regole della comunità criminale; se una persona indegna si appropria di una picca non sua, quella gli porterà sfortuna: da qui il nostro modo di dire «rovinare qualcosa come la picca rovina un cattivo padrone».<br>Quando un criminale è in pericolo, la sua picca lo può avvertire in molti modi: la lama scatta improvvisamente da sola, o diventa calda, o vibra; qualcuno ritiene che sia persino in grado di emettere un fischio.<br>Se una picca si rompe, significa che da qualche parte c'è un morto che non trova pace e allora si fanno offerte alle icone o si ricordano nelle preghiere parenti e amici morti, si visitano i cimiteri, si i morti parlando di loro in famiglia, raccontando di loro soprattutto ai bambini.<br>Per tutte queste ragioni, alla parola «picca» mi si sono accesi gli occhi. Possederne una significa essere premiati dagli adulti, avere qualcosa che ti lega per sempre al loro mondo. (pp. 28-29) *Nonno Kuzja mi ha insegnato le vecchie regole di comportamento criminale, che nei tempi moderni aveva visto cambiare sotto i suoi occhi. Era preoccupato, perché diceva che tutto comincia sempre dalle piccole cose che sembrano poco importanti, e alla fine si arriva alla totale perdita della propria identità. (p. 32) *Nonno Kuzja odiava tutto ciò che era americano perché, come tutti i criminali siberiani, si opponeva a quello che rappresentava il potere nel mondo. Quando sentiva parlare di gente fuggita in America, di tanti ebrei che negli anni Ottanta avevano fatto una grandiosa fuga dall'Urss, diceva stupito:<br>– Ma come mai vanno tutti in America dicendo che cercano la libertà? I nostri antenati si sono rifugiati nel bosco, in Siberia, mica sono andati in America. E poi perché fuggire dal regime sovietico per finire in quello americano? Sarebbe come se un uccello scappato dalla gabbia andasse volontariamente a vivere in un'altra gabbia...<br>Per questi motivi, a Fiume Basso era vietato usare qualsiasi cosa americana. Le macchine americane, che circolavano liberamente per tutta la città, non potevano entrare nel nostro quartiere, e così erano banditi i capi di abbigliamento, gli elettrodomestici o qualsiasi altro oggetto «made in Usa». Per me personalmente quest'aspetto era abbastanza doloroso, dato che io avevo un debole per i jeans: mi piacevano, ma non li potevo mettere. Ascoltavo di nascosto la musica americana, mi piaceva il blues, il rock e il metal, ma rischiavo di grosso a tenere in casa i dischi e le cassette; quando mio padre faceva ispezione nei miei nascondigli e li trovava scatenava un inferno, mi picchiava e mi obbligava a rompere tutte le registrazioni con le mie mani davanti a lui e al nonno, e poi per una settimana di seguito ogni sera dovevo suonare con la fisarmonica per un'ora a lui e agli altri membri della famiglia le melodie russe, e cantare le canzoni popolari o criminali russe.<br>Io non ero affascinato dalla politica americana, solo dalla musica e dai libri di qualche scrittore. Una volta, scegliendo il momento giusto, ho provato a spiegarlo a nonno Kuzja: speravo che lui con i suoi poteri potesse intercedere per me e ottenere il permesso di farmi ascoltare la musica e leggere i libri americani senza dovermi nascondere dai miei famigliari. Mi ha guardato come se l'avessi tradito e ha detto:<br>– Figliolo, lo sai perché quando c'è la peste la gente brucia tutto ciò che apparteneva ai malati?<br>Io ho fatto un gesto negativo con la testa. Ma già immaginavo dove voleva andare a parare.<br>Lui ha fatto un triste sospiro e ha concluso:<br>–Il contagio, Nicolai, il contagio. (pp. 36-37) *Da giovane nonno Kuzja aveva fatto parte di una banda di Urca guidata da un famoso criminale che si chiamava «Croce», un uomo di vecchia fede siberiana che si era opposto prima al potere dello zar e dopo a quello dei comunisti. In Siberia – mi spiegava nonno Kuzja – nessun criminale ha mai sostenuto una forza politica, vivevano tutti seguendo solamente le loro leggi e combattendo qualsiasi potere governativo. La Siberia ha da sempre fatto gola ai russi perché è una terra molto ricca di risorse naturali: oltre agli animali da pelliccia, che in Russia erano considerato un tesoro nazionale, la Siberia aveva tanto oro, diamanti, carbone; più tardi hanno scoperto pure petrolio e gas. Tutti i governi hanno tentato di sfruttare il più possibile la regione, naturalmente senza fare i conti con la popolazione. I russi arrivavano, diceva nonno Kuzja, costruivano le loro città in mezzo al bosco, scavano la terra, e si portavano via i tesori con i treni e le navi.<br>I criminali siberiani, che erano rapinatori esperti i cui avi avevano assaltato per centinaia di anni le carovane mercantili provenienti dalla Cina e dall'India, non avevano avuto nessuna difficoltà ad assaltare anche quelle russe.<br>In quegli anni tra gli Urca siberiani esisteva una filosofia, un modo per intendere la realtà, che si chiamava «Grande patto». Era una specie di piano generale che permetteva a tutti i criminali di esercitare una resistenza attiva contro il governo rapinando in continuazione i treni e i vari mezzi di trasporto. Secondo la vecchia legge criminale, una banda non poteva compiere più di una rapina ogni sei mesi: così si teneva alta la qualità dell'attività criminale, perché è chiaro che se un gruppo ha solo una possibilità per rapinare una carovana, deve prepararsi bene e andare sul sicuro, evitando mosse sbagliate. La gente ci teneva a organizzare bene il colpo, altrimenti doveva stare mezzo anno senza mangiare. Il Grande patto ha eliminato questa regola, consentendo alle bande di compiere rapine in continuazione, perché lo scopo non era quello di arricchirsi, ma di cacciare fuori dalla Siberia gli invasori russi. Vecchi criminali si sono uniti ai nuovi, formando bande molto grandi. Le più famose erano quelle di Angelo, di Tigre e di Taiga. (pp. 55-56) *Dopo il 1992, quando le forze militari della Moldavia hanno cercato di occupare il territorio della Transnistria, la nostra città è stata abbandonata da tutti, siamo rimasti soli con noi stessi, come in realtà eravamo da sempre. Tutti i criminali armati hanno opposto resistenza ai militari moldavi, e dopo tre mesi di battaglie li hanno cacciati via.<br>Quando il pericolo dello scontro diretto era ormai passato, la Madre Russia ci ha mandato i cosiddetti «aiuti»: la quattordicesima armata, guidata dal carismatico [[Aleksandr Ivanovič Lebed'|generale Lebed']]. Quelli, una volta arrivati nella nostra città che era ormai libera da qualche giorno, hanno applicato la politica della gestione militare: coprifuoco, perquisizioni in casa, arresti ed eliminazione della gente scomoda. In quel periodo molto spesso il fiume portava a riva i corpi delle persone fucilate, le mani legate dietro la schiena con il filo di ferro e sul corpo segni di torture. Io stesso ho ripescato personalmente quattro cadaveri di persone giustiziate, quindi posso confermare con tutta la mia giovane autorità che le fucilazioni da parte dei militari russi erano una realtà molto praticata in Transnistria. (p. 61) *I siberiani hanno rinunciato a qualsiasi contatto con il resto della società, e verso il 1998 erano completamente isolati, non collaboravano con nessuno e non sostenevano nessuno. (p. 61) *Nonno Kuzja era stato tra i primi siberiani ad arrivare in Transnistria. Raccontava quel trasferimento con dolore, e si vedeva che dentro di lui aveva tanti sentimenti bui, legati a quel tempo. [...] Nella Russia di adesso non si sa quasi niente dell'esilio dei siberiani in Transnistria, qualcuno ricorda i tempi della collettivizzazione comunista, quando per il Paese passavano i treni pieni di povera gente che veniva spostata da una parte all'altra per ragioni note solo al governo.<br>Nonno Kuzja diceva che i comunisti avevano pensato di separare gli Urca dalle loro famiglie in modo da far morire la nostra comunità, invece, per ironia del destino, forse l'avevano salvata.<br>Dalla Transnistria tanti giovani sono andati in Siberia, per partecipare a modo loro alla guerra contro i comunisti: rapinavano i treni, le navi, i magazzini militari e creavano tante difficoltà ai comunisti. Sistematicamente tornavano in Transnistria a leccarsi le ferite, o per stare un po' con la famiglia e gli amici. Nonostante tutto, questa terra è diventata una seconda patria a cui i criminali siberiani hanno legato le loro vite. (pp. 63-66) *Ogni comunità ha una sua tradizione del tatuaggio, simbologia e schemi diversi, secondo i quali i segni vengono posizionati sul corpo e alla fine letti e tradotti. La più antica cultura del tatuaggio è quella siberiana, perché sono stati proprio gli antenati dei criminali siberiani a tramandare la tradizione di tatuare i simboli in maniera codificata, nascosta. Poi questa cultura è stata copiata da altre comunità e si è diffusa nelle prigioni di tutto il Paese, trasformando i significati principali dei tatuaggi e il modo in cui vengono eseguiti e tradotti. I tatuaggi della casta criminale più potente in Russia, chiamata Seme nero, sono interamente copiati dalla tradizione degli Urca, ma hanno significati diversi. Le immagini possono essere uguali, ma solo una persona capace di leggere un corpo può «raccontare» con precisione quello che nascondono e spiegare perché sono diverse.<br>A differenza delle altre comunità, i siberiani fanno tatuaggi solamente a mano, usando vari tipi di bacchette. I tatuaggi fatti con le macchinette o in altri modi non vengono considerati degni.<br>La tradizione del tatuaggio degli Urca siberiani ha un processo lungo quanto la vita di un criminale. Si cominciano a tatuare alcuni segni all'età di dodici anni, e solo dopo essere passati attraverso varie esperienze e periodi della vita queste cose si possono raccontare con i tatuaggi, codificati e nascosti in un quadro che negli anni diventa sempre più completo. Ecco perché nella comunità criminale siberiana non esistono persone giovani che hanno tatuaggi grandi e completi come nelle altre comunità; in Siberia la schiena e il petto vengono tatuati per ultimi, quando il criminale raggiunge i quaranta-cinquanta anni, e lo schema principale somiglia alla struttura di una spirale che partendo dalle estremità, cioè dalle mani e dai piedi, arriva al centro del corpo.<br>Per leggere i corpi con tatuaggi così complessi bisogna avere molta esperienza e conoscere perfettamente la tradizione del tatuaggio; per questo nella comunità criminale siberiana la figura del tatuatore ha un posto speciale: è come un sacerdote autorizzato da tutti gli altri a operare in nome loro. (pp. 73-74) *Nella comunità siberiana tutti i beni materiali, specialmente i soldi, vengono disprezzati: per questo non vengono neanche nominati. Se i siberiani parlano di soldi, li chiamano «quelli» o «spazzatura», «cavolfiore», «limoni», oppure dicono solo le cifre, pronunciano i numeri. I siberiani non tengono i soldi in casa perché si dice che portano male in famiglia, distruggono la felicità e «spaventano» la fortuna. Li tengono vicino a casa, in giardino, in qualche nascondiglio particolare, magari in una costruzione per animali domestici. (p. 83) *I tatuatori non compiono crimini e non partecipano a nessun affare criminale: questo si spiega in due modi, perché dedicano tutto il loro tempo al lavoro e perché all'epoca dell'Urss tatuare era ritenuto un crimine in sé, e per questa attività si andava in galera. (p. 83) *Nel '92 in Transnistria c'è stata una guerra. Dopo la caduta dell'Urss, la Transnistria è rimasta fuori dalla federazione russa e non apparteneva più a nessuno. I Paesi più vicini come la Moldavia e l'Ucraina avevano delle mire su di lei. Ma gli ucraini avevano già le loro difficoltà, per via dell'alto tasso di corruzione nel governo e nelle strutture dirigenti. I moldavi, nonostante la situazione disastrosa del Paese – assoluta povertà se non miseria di un popolo prevalentemente contadino – hanno fatto un patto con i rumeni, e usando la forza militare hanno cercato di occupare il territorio transnistriano. Secondo l'accordo, la Transnistria sarebbe stata divisa in maniera particolare: il governo moldavo avrebbe controllato il territorio, lasciando agli industriali rumeni il compito di gestire le numerose fabbriche dove si producevano gli armamenti, costruite dai russi ai tempi dell'Urss e dopo rimaste completamente sotto il controllo dei criminali, che avevano trasformato il territorio transnistriano in un vero e proprio supermercato di armi.<br>Così i moldavi senza nessun preavviso sono passati all'azione: i loro carri armati sono entrati nelle città di Bender e Dubăsari, che si trovano sulla parte destra del fiume Dnestr', ai confini con la Moldavia. Il 22 giugno a Bender, e cioè nella nostra città, è penetrata una divisione di carri armati moldavi che ha fatto copertura a dieci brigate militari, tra cui una di fanteria, una di fanteria speciale e due gruppi di militari rumeni. Gli abitanti di Bender hanno formato delle squadre di difesa, tanto di armi ne avevano in abbondanza. È scoppiata una breve ma molto sanguinosa guerra che è durata un'estate, dopo di che i criminali della Transnistria hanno buttato i militari fuori dalla loro terra. Poi, hanno cominciato a occupare il territorio moldavo. A quel punto l'Ucraina, per paura che i criminali vincendo la guerra portassero disordine pure sul loro territorio, ha chiesto alla Russia d'intervenire. La Russia, riconoscendo gli abitanti della Transnistria come suoi cittadini, si è presentata con un'armata per «assistere al processo di pace». Ha instaurato un regime militare, ha rinforzato i distretti di polizia, ha dichiarato la Transnistria «zona di estremo pericolo». I militari russi pattugliavano le strade con macchine blindate, imponevano il coprifuoco dalle otto di sera alle sette di mattina. Tanta gente ha cominciato a sparire nel nulla, nel fiume venivano trovati i corpi dei morti torturati. Un periodo che mio nonno chiamava «ritorno agli anni Trenta», e che è durato per molto tempo. Mio zio Sergeij è stato ammazzato dalle guardie in galera, molte persone per salvarsi hanno dovuto abbandonare la loro terra e rifugiarsi in diverse parti del mondo. (pp. 97-98) *Quando arrivavano i poliziotti, di solito gli bloccavamo la strada, ci mettevamo seduti o sdraiati davanti alle loro macchine costringendoli a fermarsi. Quelli uscivano e ci spostavano a calci nel sedere o tirandoci per le orecchie, noi facevamo la lotta con loro. Di solito sceglievamo il più giovane e ci buttavamo addosso a lui in tanti, qualcuno lo picchiava, qualcuno si attaccava a un braccio mordendolo, un altro si aggrappava alla schiena e gli portava via il cappello, un altro ancora gli strappava i bottoni della divisa o gli tirava fuori la pistola dalla fondina. Andavamo avanti così finché lo sbirro non andava in esaurimento, o finché i suoi colleghi non cominciavano a picchiare sul serio. (pp. 101-102) *Un messaggio a voce si chiama «soffietto». Quando un criminale adulto vuole fare un soffietto chiama un minorenne qualsiasi, anche suo figlio, e gli dice il contenuto del messaggio in lingua criminale ''fenja'', che proviene dall'antica lingua degli antenati dei criminali siberiani, il popolo degli Efei. I messaggi detti a voce sono sempre corti e hanno un significato concreto, vengono usati nei rapporti quotidiani, per questioni poco complicate. (p. 103) *I nostri vecchi ci avevano insegnato bene.<br>Come prima cosa, bisognava rispettare tutti gli esseri viventi, categoria in cui non rientravano i poliziotti, la gente legata al governo, i bancari, gli usurai e tutti coloro che avevano tra la le mani il potere del denaro e sfruttavano le persone semplici.<br>Poi bisognava credere in Dio e in Suo Figlio Gesù, e amare e rispettare gli altri modi di credere in Dio diversi dal nostro. Ma la Chiesa e la religione non dovevano mai essere considerate una struttura. Mio nonno diceva che Dio non ha creato i preti, ma solamente uomini liberi, e che comunque esistono anche preti buoni: in quel caso non è peccato andare nei luoghi dove loro svolgono la loro attività, ma è senz'altro peccato pensare che davanti a Dio i preti abbiano più potere di altri uomini.<br>Infine, non dovevamo fare agli altri quello che non volevamo fosse fatto a noi: ma se un giorno eravamo obbligati a farlo, doveva esserci un buon motivo.<br>Uno dei vecchi con cui parlavo tanto di queste cose, voglio dire della nostra filosofia di vita e della nostra primitiva ignoranza, diceva che secondo lui il nostro mondo era pieno di persone che seguivano strade sbagliate, e che dopo aver fatto un passo falso si allontanavano sempre più dalla retta via. Lui era dell'idea che in molti casi era inutile cercare di farli ritornare sulla strada giusta, perché erano troppo lontani, e l'unica cosa che rimaneva da fare era sospendere la loro esistenza, «toglierli dalla strada».<br>– Uno che è ricco e potente, – diceva il vecchio, – camminando sulla sua strada sbagliata rovina tante vite, mette nei guai tante persone che in qualche maniera dipendono da lui. L'unico modo per far tornare tutto al suo posto è ucciderlo, e così distruggere il potere che ha costruito sul denaro.<br>Io ribattevo:<br>– E se anche l'omicidio di questa persona fosse un passo falso? Non sarebbe meglio evitare di avere contatti con lui e basta?<br>Il vecchio mi guardava stupito, e rispondeva con tale convinzione che mi girava la testa:<br>– Ragazzo, chi ti credi di essere, Gesù Cristo? Soltanto Lui può fare miracoli, noi dobbiamo solo servire Nostro Signore... E quale servizio migliore di togliere dalla faccia del mondo i figli di Satana?<br>Era troppo buono, quel vecchio. (pp. 110-111) *Le nostre bottigliette partivano in una maniera spettacolare, mi sembrava di sentirle fischiare come pallottole: quando le vedevo attraversare il muro del distretto – e sentivo le piccole esplosioni seguite dalle grida degli sbirri e dai primi segni di fumo nero, che come fantastici draghi si alzavano in aria – mi veniva da piangere tanto ero contento e felice. (p. 133) *Il Seme nero nel mondo fuorilegge era una casta giovane ma potente, che aveva saputo far leva sulla filosofia del sacrificio personale. Apparivano come uomini puri e perfetti, che dedicavano la vita al benessere della gente in prigione. Avevano il culto della prigione: la chiamavano familiarmente «casa», «chiesa» o «madre», ed erano felici di finirci dentro anche per tutta la vita, mentre tutte le altre caste, tra cui anche quella degli Urca siberiani, disprezzavano la prigione e sopportavano la detenzione come si sopporta una disgrazia.<br>Grazie all'arruolamento nelle sue file di cani e porci, il Seme nero era diventata la casta più numerosa nel mondo fuorilegge russo: ma per una persona saggia e buona che potevi incontrare fra di loro, ti toccava conoscerne altre venti ignoranti e sadiche, che si davano arie e facevano i prepotenti in ogni situazione. Per questo molti rifiutavano di condividere le loro idee.<br>Poi c'era un'altra particolarissima casta: il Seme rosso, gente che collaborava con gli sbirri e che credeva nelle balle raccontate dalle amministrazioni delle prigioni, come il «recupero della personalità». Venivano chiamati «cornuti», «rossi», «compagni», ''sucha'', ''padla'' – nomi molto dispregiativi nella comunità criminale.<br>Tutti quelli che si trovavano in mezzo erano detti Seme grigio: cioè, neutrali. Erano contro gli sbirri e condividevano le regole della vita criminale, ma non avevano le responsabilità e soprattutto la filosofia di Seme nero, non volevano certo stare tutta la vita in prigione.<br>Quelli di Seme nero erano obbligati a rinnegare i parenti, non potevano avere né casa né famiglia. Come tutti gli altri criminali avevano il culto della madre, ma molti di loro non rispettavano le loro madri, anzi le trattavano male. Quante povere donne ho conosciuto con dei figli che, mentre stavano dentro, si dicevano l'un l'altro in maniera teatrale che l'unica cosa che gli mancava davvero era la mamma, mamma di qua e mamma di là, tante belle parole, e poi quando uscivano si presentavano a casa solamente per sfruttarla, a volte derubarla, perché così dice la loro regola: «Ogni ''Blatnyj'' – cioè ogni membro di Seme nero – deve portare via tutto dalla propria casa, solo così dimostra di essere onesto fino in fondo...» Una pazzia, madri e padri derubati, minacciati e a volte persino uccisi. Una vita corta e violenta, come la definivano loro stessi: «Vino, carte, donne e poi caschi pure il mondo...», senza nessun impegno morale o sociale. Tutta la loro esistenza si trasforma in uno spettacolo continuo in cui devono mostrare sempre e solo i lati negativi e primitivi della loro natura. (pp. 140-141) *Gli Urca e i cosacchi erano da sempre in sintonia, andavano d'accordo: entrambi rispettavano le vecchie tradizioni, amavano la patria e la loro terra e credevano nell'indipendenza da qualsiasi forma di potere. Entrambi sono stati perseguitati da vari governi russi in epoche diverse, per la loro voglia di libertà. Solo che gli Urca erano più estremisti, e avevano una particolare struttura gerarchica. I cosacchi invece si definivano un esercito libero e quindi avevano una struttura paramilitare; in tempo di pace si occupavano per lo più di allevamento di bestiame. (p. 163) *Quando avevamo una decina d'anni, siamo andati al cinema a vedere un film che si chiamava ''Lo scudo e la spada''. Il protagonista, un agente segreto sovietico, si esibiva in varie scene d'azione, sparando ai nemici capitalisti con la sua silenziosa pistola e facendo un sacco d'acrobazie. Quello rischiava la vita come se stesse facendo una cosa normale, di routine, per combattere l'ingiustizia nei Paesi della Nato. Era una specie di risposta nostrana ai tanti film americani e inglesi sulla guerra fredda, dove di solito i sovietici apparivano come stupide e incapaci scimmie che giocavano con la bomba atomica e volevano distruggere il mondo. Noi, nonostante il divieto dei nostri vecchi, eravamo andati a vederlo nell'unico cinema della città (non c'era ancora il secondo cinema, destinato a durare pochissimo, distrutto nella guerra del '92: proprio lì dentro si piazzeranno i militari rumeni, e i nostri padri per ucciderli faranno saltare in aria di notte tutto il complesso, insieme al ristorante e alla gelateria). Bene, in quel film a un certo punto il protagonista saltava dal tetto di un palazzo altissimo usando un grande ombrello al posto del paracadute, per poi atterrare comodamente e senza danni. In poche parole, faceva quello che ha sempre fatto Mary Poppins. (pp. 167-168) *[...] da noi un «gallo», cioè un omosessuale, è un reietto: se non lo ammazzano gli tolgono la possibilità di ogni contatto con la gente, ma soprattutto gli vietano di toccare oggetti di culto come la croce, il coltello, le icone. (p. 169) *Dopo i magazzini alimentari cominciavano finalmente le prime case del quartiere Ferrovia. Un quartiere che apparteneva al Seme nero, dove c'erano regole diverse dalle nostre. Dovevamo comportarci bene, altrimenti potevamo anche non uscirne vivi.<br>I ragazzi di lì erano molto crudeli, cercavano di guadagnarsi il rispetto degli altri con la violenza più estrema. Il potere tra i minorenni aveva un valore simbolico, alcuni potevano comandare su altri, ma nessuno di loro veniva considerato dai criminali adulti. Così, è chiaro, i ragazzi non vedevano l'ora di crescere, e per farlo più in fretta molti diventavano perfetti imbecilli, sadici e ingiusti. Nelle loro mani le regole criminali venivano deformate fino a diventare assurde, perdevano di senso, ridotte a puri pretesti. Ad esempio, loro non portavano niente di rosso, lo definivano il colore dei comunisti: se qualcuno si metteva qualcosa di rosso quelli di Seme nero potevano arrivare a torturarlo. Ovvio, nessuno di quelli nati lì, sapendo questa regola, metteva mai qualcosa di rosso, ma se ce l'avevi con uno bastava nascondergli in tasca un fazzoletto rosso e gridare forte che era un comunista. Il malcapitato veniva subito perquisito, e se il fazzoletto saltava fuori nessuno più ascoltava le sue ragioni, per tutti era già una persona fuori dal mondo. (p. 171) *[...] portare gli occhiali per i siberiani è come sedersi volontariamente su una sedia a rotelle, è un segno di debolezza, una sconfitta personale. Anche se non vedi bene non devi mai metterti gli occhiali, per conservare la tua dignità e il tuo aspetto sano. (p. 184) *Passando sopra il corpo del nemico e stringendo il suo coltello nella mano sinistra, sono andato incontro a Geka, che da terra cercava di evitare i colpi di un bastone impugnato da un ragazzo robusto. Geka si appoggiava sul braccio destro e con quello sinistro cercava di parare il parabile. Ho sorpreso il suo aggressore alle spalle e gli ho affondato la lama della picca nella coscia.<br>La lama del mio coltello era bella lunga ed entrava bene dentro la carne, era l'ideale per disattivare le persone, perché penetrava senza problemi nei muscoli fino a toccare le ossa. (p. 190) *Noi siberiani avevamo fatto amicizia con la famiglia armena. Gli armeni li conoscevamo da sempre, tra le nostre comunità esisteva un buon rapporto e ci somigliavamo in molte cose. Avevamo fatto un patto con loro: nel caso scoppiasse un grosso casino ci saremmo sostenuti a vicenda. Così il potere delle nostre comunità era aumentato.<br>Festeggiavamo i compleanni e altre feste insieme, a volte ci dividevamo persino i pacchi che arrivavano da casa. Se a qualcuno serviva urgentemente qualcosa, che so, una medicina o dell'inchiostro per tatuaggi, ci aiutavamo senza fare tanti discorsi.<br>Eravamo buoni amici con gli armeni, ma anche con i bielorussi, brava gente, e pure con i ragazzi che venivano dal Don, della comunità dei cosacchi: erano un po' militareschi ma avevano un gran cuore, ed erano tutti molto coraggiosi.<br>Invece avevamo grane con gli ucraini: alcuni di loro erano nazionalisti e odiavano i russi, e per qualche strano motivo anche tutti quelli che non condividevano questo sentimento finivano per sostenerli. Con gli ucraini poi le cose sono decisamente peggiorate dopo che un siberiano di un'altra cella ha ammazzato uno dei loro. Insomma, tra le nostre comunità è nato un vero odio.<br>Ci tenevamo lontani dalla gente della Georgia, erano tutti sostenitori di Seme nero. Ognuno di loro voleva a tutti i costi diventare un'autorità, inventava mille modi per farsi rispettare dagli altri, faceva una specie di campagna elettorale criminale per guadagnare voti. I georgiani che ho conosciuto lì non sapevano niente della vera amicizia o della fratellanza, vivevano insieme odiandosi l'un l'altro e cercando di fregare tutti, renderli loro schiavi, sfruttando le leggi criminali e trasformandole come faceva comodo a loro. Solo così avevano qualche speranza di diventare capi, e di essere rispettati dai criminali adulti della casta Seme nero. (pp. 219-220) *Secondo la tradizione siberiana, l'omosessualità è una malattia infettiva molto grave, perché distrugge l'anima umana; noi quindi siamo cresciuti nel completo odio verso gli omosessuali. Questa malattia, che da noi non ha un nome preciso e si chiama solamente «male di carne», si trasmette attraverso lo sguardo, quindi un criminale siberiano non guarderà mai negli occhi un omosessuale. Nelle prigioni per gli adulti, nei posti dove la maggioranza dei detenuti è di fede ortodossa siberiana, gli omosessuali vengono costretti a suicidarsi, perché non possono condividere gli stessi spazi con gli altri. Come dice il proverbio siberiano: «I malati di carne non dormono sotto le icone».<br>Io non ho mai capito fino in fondo la questione dell'odio verso gli omosessuali, ma siccome sono stato educato così, stavo col branco. Con il passare degli anni ho avuto tanti amici omosessuali, persone con cui collaboravo, facevo affari, e ho avuto un buon rapporto con molti di loro, mi erano simpatici, mi piacevano come persone. Eppure fino a oggi non sono riuscito a farmi passare la brutta abitudine di dire finocchio o frocio a qualcuno quando lo voglio insultare, anche se subito dopo mi pento, anzi mi vergogno. È l'educazione siberiana che parla per me. (pp. 220-221) *Molto spesso anche alcune guardie violentavano i minorenni, di solito succedeva nelle docce. La doccia si poteva fare una volta alla settimana se ti trovavi in regime comune, mentre in regime speciale, dov'ero io, una volta al mese. Noi ci arrangiavamo con le bottiglie di plastica, facendo la doccia sopra il gabinetto, dato che avevamo sempre acqua calda in abbondanza. Quando andavamo nel blocco delle docce sembrava un'operazione militare: camminavamo tutti vicini, se avevamo deboli e malati li mettevamo in mezzo e li tenevamo sempre sotto controllo, ci muovevamo come un plotone di soldati. (p. 221) *Con quel ragazzo che solo un momento prima volevo massacrare di botte, siamo passati da una cabina all'altra, nascondendoci, avvicinandoci sempre di più al posto da dove arrivava quel suono. Ho sentito male per il panorama che si è aperto davanti ai nostri occhi: un grosso guardiano di mezza età con i pantaloni abbassati, la testa in alto e gli occhi chiusi, stava letteralmente inculando un ragazzo piccolo e magro, che piangeva piano e non tentava neanche di scappare dalla presa del violentatore, che lo teneva fermo con una mano sul collo e l'altra sul fianco.<br>Il rumore che avevamo sentito era quello del mazzo di chiavi agganciato alla cintura dei pantaloni calati dello sbirro pedofilo: le chiavi sfregavano a terra a ogni suo movimento. (p. 222) *C'era uno sbirro vecchio e schifoso: aveva fatto per tutta la vita la guardia nelle carceri per adulti, e dopo aver studiato psichiatria infantile aveva chiesto trasferimento nel carcere minorile. Aveva molto potere nella nostra prigione, anche se era un semplice guardiano faceva concorrenza al direttore, perché era legato a persone che gestivano una nuova attività arrivata dall'estero con la democrazia, come una forma di vita libera. Queste persone erano produttori di film porno pedofili e costringevano i minorenni a prostituirsi, ad avere rapporti sessuali con stranieri, gente che arrivava dall'Europa e dagli Usa, gente che aveva tanti soldi e quindi ragazzi venivano prelevati a una cert'ora dalle celle e tornavano il giorno dopo con borse piene di cibo e di cazzate varie, tipo riviste patinate, matite da disegno e altre cose che nessuno in carcere si sognava. Ai compagni di cella era proibito toccarli e maltrattarli, erano intoccabili, nessuno osava muovere un dito contro di loro, perché tutti sapevano: quei ragazzi erano le puttane del vecchio guardiano. Lui lo chiamavamo «Coccodrillo Žena», come il personaggio di un cartone animato sovietico. Le puttane invece le chiamavamo con nomi di donne. (pp. 222-223) *Sono cresciuto con i malati mentali e ho imparato da loro molte cose, così sono arrivato alla conclusione che hanno dentro una purezza naturale, qualcosa che non si può sentire se non si è liberati completamente dal peso terrestre. (p. 237) *Tra il Seme nero e noi esisteva da sempre una specie di tensione, loro si definivano i padroni del mondo criminale ed erano molto presenti sia in galera che fuori, ma le basi della loro tradizione criminale, gran parte delle regole e persino i tatuaggi, erano copiati da noi Urca.<br>La loro casta era cresciuta all'inizio del secolo, sfruttando un momento di grande debolezza sociale del Paese, pieno di gente disperata, vagabondi e criminali di basso livello contenti di andare in galera solamente per avere la possibilità di mangiare gratis e dormire sotto un tetto. A poco a poco erano diventati una comunità potente, però con tanti difetti, come riconoscevano persino molte autorità di Seme nero. (p. 254) *L'insulto viene considerato da tutte le comunità un errore tipico della gente debole e poco intelligente, priva di dignità criminale. Per noi siberiani ogni tipo di insulto è un reato, in altre comunità si fanno anche delle distinzioni, ma in generale un insulto è la via più diretta per la lama del coltello. (p. 275) *L'insulto è approvato se ti è scappato per ragioni personali e in forma non grave: se ad esempio ha chiamato «stronzo» uno che ha fatto un danno alla tua proprietà. Se invece hai offeso il nome di sua madre, molto facilmente ti faranno saltare sulla lama.<br>Sono perdonati gli insulti fatti in stato di furia o di disperazione, quando qualcuno è accecato da un forte dolore, tipo se gli muore la madre o il padre o un amico molto vicino. In questo caso non si parla neanche di giustizia, si dice «era fuori di sé» e la cosa finisce lì.<br>L'insulto però non è approvato quando si litiga per motivi di gioco d'azzardo o affari criminali, o per amore, o per relazioni d'amicizia: in quei casi l'uso di parolacce e frasi offensive può portare alla morte sicura.<br>Ma l'insulto più grave in assoluto è quello chiamato ''baklanka'', quando viene offeso un gruppo o una comunità intera. Non ci sono spiegazioni che tengano: ti meriti la morte o l'abbassamento, cioè il trasferimento definitivo nella comunità dei contagiati, come quelli che vivevano nel quartiere Bam.<br>Così fin da piccoli noi abbiamo imparato a «filtrare le parole», ad avere sempre il controllo di quello che ci usciva di bocca, per non commettere, neanche involontariamente, un errore. Perché secondo la regola siberiana, la parola volata via non può più tornare indietro. (pp. 275-276) *Gli ucraini bevevano tanto, come tutto il resto della popolazione sovietica, certo, ma loro in maniera particolarmente smodata, senza il filtro della tradizione e senza l'ombra di una moralità. In Siberia l'alcol si beve seguendo regole ragionevoli per non danneggiare in modo irreparabile la propria salute: per questo la vodka siberiana è fatta solamente di grano, ed è purificata dal latte, che trattiene i residui della lavorazione, in modo che il prodotto finale abbia una purezza perfetta. Inoltre la vodka dev'essere bevuta solamente mangiando (in Siberia si mangia tanto e i piatti sono molto conditi, perché si bruciano parecchi grassi per resistere al freddo e conservare le vitamine durante l'inverno): se si mangiano i piatti giusti, si può arrivare a consumare un litro di vodka a persona senza problemi. Invece in Ucraina bevono vodka di diverse qualità, estraggono l'alcol dalle patate o dalla zucca, e le sostanze zuccherine rendono subito ubriachi. I siberiani non si ubriacano mai troppo, non svengono e non vomitano, gli ucraini invece si ubriacano fino a perdere i sensi, e ci mettono anche due giorni a riprendersi da una sbornia. (pp. 284-285) *I figli maschi degli ucraini infatti avevano una brutta reputazione di mammoni, e di persone incapaci di fare qualcosa di utile per sé o per gli altri. A Bender nessuno si fidava di loro perché avevano l'abitudine di raccontare un sacco di bugie per farsi belli, ma lo facevano con tale goffaggine che nessuno poteva cascarci: ci limitavamo a trattarli come dei poveri scemi. Alcuni di loro hanno persino tentato di prosperare inventandosi delle leggi inesistenti: ad esempio che un fratello poteva costringere la sorella a prostituirsi. Lo sfruttamento della prostituzione era da sempre considerato un reato indegno di un criminale: la gente processata per quel tipo di crimine veniva ammazzata in galera; spesso anche anche in libertà, a dire il vero, ma era raro che uscissero vivi dalla prigione. Gli ucraini non capivano nemmeno questo fatto, giravano per i quartieri della città cercando inutilmente di entrare nei locali: tutte le porte per loro erano sempre chiuse, dato che i soldi che volevano spendere erano guadagnati in maniera indegna. Loro tiravano avanti senza chiedersi niente, creando un distacco sempre più profondo tra la loro comunità e il resto della città. (p. 285) *Prugna ha ucciso tante persone; la sparo grossa, ma credo che forse si è salvato proprio per questo. Forse in quel modo, nonostante il gravissimo trauma infantile, è riuscito a restare sano di mente dando sfogo alla sua rabbia.<br>È stato in tante galere e ha vissuto tanto tempo anche da uomo libero, facendo sempre l'esecutore criminale. Ha sposato una brava donna, ha avuto tre figli e due figlie. Sulla mano destra, dove gli avevano rotto le dita, portava tatuato un teschi con il cappello da poliziotto. Sulla fronte una scritta, «''Az vozdam''», che in antica lingua russa significa «Mi vendicherò».<br>Non so se si è vendicato, ma non ha fatto altro che uccidere poliziotti. Aveva una collezione sterminata di distintivi degli agenti di polizia e delle forze dell'ordine che aveva fatto fuori in tutta la sua carriera: li teneva su un grande comò, nell'angolo rosso di casa sua, sotto le icone, dove c'era anche la foto della sua famiglia con una candela sempre accesa davanti.<br>L'ho vista coi miei occhi, quella collezione. Era impressionante. Tantissimi distintivi di tutte le epoche, dagli anni Cinquanta fino alla metà degli anni Ottanta, alcuni sporchi di sangue, altri bucati dalle pallottole. C'erano proprio tutti: poliziotti dei distretti delle varie città della Russia, gruppi speciali di lotta contro la criminalità organizzata, agenti del Kgb, polizia penitenziaria, agenti della Procura.<br>Prugna diceva che erano più di dodicimila, e che non sempre però era riuscito a recuperarli. (pp. 302-303) *Io sparavo senza pensarci tanto sopra, così com'ero abituato, con la tecnica macedone, chiamata così perché gli antichi macedoni sapevano usare bene due spade contemporaneamente. Non prendevo la mira, sparavo dentro la macchina, nei posti dove c'erano le persone, e le vedevo morire, muoversi nelle loro ultime convulsioni, perdere la vita. (p. 317) *Si diceva che dietro tutta la faccenda del complotto ci fossero i poliziotti, interessati a indebolire la comunità criminale della nostra città. Sarebbero riusciti a farlo poi cinque anni dopo, mettendo tanti giovani criminali contro i vecchi, e innescando una guerra sanguinosa che ha dato inizio alla fine della nostra comunità, che infatti oggi non esiste più nella forma in cui esisteva ai tempi di questa storia. (p. 320) *Nonno Kuzja è morto di vecchiaia tre anni dopo, e la sua morte – insieme ad altri avvenimenti – ha provocato un terremoto nella comunità siberiana. Molti criminali di vecchia fede, scontenti del regime militare e poliziesco instauratosi nel Paese, hanno lasciato la Transnistria e sono tornati in Siberia, oppure sono immigrati in luoghi lontani. (p. 320) *Quando ho compiuto diciotto anni, ero fuori dal mio Paese. Studiavo educazione fisica in una scuola sportiva, stavo cercando di crearmi un futuro diverso, fuori dalla comunità criminale. [...] Il consumismo russo post-sovietico era una cosa impressionante, per uno come me. La gente si lasciava affogare nei detersivi di marca e nei dentifrici, tutti bevevano per forza solo bevande provenienti dall'estero e le donne si spalmavano addosso una quantità industriale di creme francesi, pubblicizzate ogni giorno in televisione, credendo che le avrebbero fatte diventare come le modelle degli spot. (pp. 325-326) *Facevo yoga, ero magro e flessibile, gli esercizi mi riuscivano bene e tutti erano contenti di me. Un mio maestro di lotta mi aveva consigliato di provare a seguire le lezioni di yoga che teneva un insegnante in Ucraina, uno che aveva studiato molti anni in India. E così andavo spesso in Ucraina per dei corsi di perfezionamento, e ogni anno d'estate insieme a un gruppo della mia sezione sportiva andavo per un mese e mezzo in India.<br>A diciotto anni stavo per ottenere il diploma da istruttore di yoga, ma non mi piaceva come erano gestite le cose nella mia scuola, spesso litigavo con l'insegnante, che mi diceva che ero un ribelle e non mi buttava fuori solo perché tanti ragazzi erano dalla mia parte. [...] Sognavo di aprire una mia scuola sportiva e di insegnare yoga alla gente della mia città. (p. 326) ==[[Explicit]]== – Stai tranquillo, Nicolai, qui sei più al sicuro che con loro... Riposati, che tra un paio di giorni ti accompagneranno al treno che ti porta in Russia, nella brigata a cui sei destinato... Ti hanno già detto dove ti mandano?<br>– Il Colonnello ha detto che mi mandano nei sabotatori... – ho risposto con la voce sfinita.<br>Lui ha fatto una pausa e poi ha chiesto con agitazione:<br>– I sabotatori? Cristo Santo, ma che male gli hai fatto? Cos'hai combinato per meritarti questo?<br>– Ho ricevuto una educazione siberiana, – ho risposto mentre lui chiudeva la porta. ==Citazioni su ''Educazione siberiana''== ===[[Paolo Bianchi]]=== *«Ero un criminale, è vero», ha dichiarato Lilin in molte occasioni, anche in pubblici incontri cui abbiamo assistito. «Ma un criminale onesto». E su questo ossimoro si è innescato l'interesse, anche mediatico, verso un libro che non convince del tutto proprio perché vanta troppe pretese. *Il romanzo sembra ''I ragazzi della via Pal'' in versione splatter, con i coltelli al posto delle fionde e gli sbudellamenti all'ordine del giorno. *Un libro che non è una provocazione, non è uno scandalo, è un libro che vale poco. Su questo credo che concordino in tanti. Oltretutto, gli autori di letteratura italiana contemporanea si trovano spesso senza niente da dire, ma con la necessità di dirlo a intervalli regolari, magari anche più di una volta all'anno. E vivono crisi di depressione e afasia. E la depressione la fanno venire ai (pochi) lettori. Chi, alla casa editrice Einaudi, ha deciso di pubblicare (è uscito poco più di un mese fa) il romanzo ''Educazione siberiana'' di Nicolai Lilin deve aver pensato a tutto questo. ===[[Elena Černenko (giornalista)|Elena Černenko]]=== {{cronologico}} *"Non hai letto il libro di Nikolai Lilin ''Educazione siberiana''? – mi chiedeva la primavera scorsa un giornalista tedesco mio amico. – Impossibile! È un bestseller mondiale, tradotto in 40 lingue, in Europa l'autore è già definito "il nuovo simbolo della letteratura russa". Ma non sono riuscita a trovare l'opera reclamizzata dal collega in nessuna libreria di Mosca. In russo non è uscita. *Sulla copertina si dice che si tratta di un'autobiografia, e che Nikolai Lilin è "erede degli urka siberiani". [...] A giudicare dalla quantità di recensioni positive al libro di Nikolai Lilin apparse nei media europei e americani, nei lettori occidentali non è sorto alcun dubbio sull’attendibilità dei fatti da lui esposti. *I recensori non si sono lasciati turbare [...] dal fatto che fino al 1940 Bender si chiamava Tighina ed era parte della Romania, per cui Stalin semplicemente non poteva deportarvi nessuno, tanto più che all'epoca la gente veniva deportata ''in'' Siberia e non ''dalla'' Siberia. *Se si uniscono i dati del libro di Lilin, delle sue interviste sulla stampa occidentali e dei suoi interventi alle fiere librarie, prima dei 23 anni l'autore ha fatto in tempo a: finire due volte in carcere in Transnistria ed essere processato in Russia, militare per tre anni come cecchino in Cecenia e un altro paio d'anni in Israele, Iraq e Afghanistan. A 24 anni ha fatto il pescatore su una nave in Irlanda, poi si è trasferito in Italia, dove si è sposato, ha aperto un salone di tatuaggi, ha scritto un bestseller e per poco non è diventato vittima di un attentato con motivazioni politiche. *Ho chiesto a Nikolai Lilin-Veržbickij che cosa pensa dei commenti dei suoi ex amici {{NDR|sul libro}}. Lui ritiene che siano invidiosi: "Si sentono offesi e inferiori. Io sono riuscito ad andarmene e a ottenere qualcosa, e loro no." Però chiacchierando con me – a differenza che nelle interviste ai giornalisti occidentali – ha sottolineato ripetutamente che il suo libro non è un'autobiografia e che a collocarla come tale sono i suoi editori occidentali. Mentre lui non c'entra niente. ===[[Nicolai Lilin]]=== {{cronologico}} *Volevo raccontare storie che rischiavano di perdersi, che conoscono in pochi, e renderle storie di molti. Le storie della mia gente, distrutta dal capitalismo di oggi, gente che aveva regole sacre, che viveva con dei valori. (3 aprile 2009) *Non esiste più nessuna comunità {{NDR|siberiana}}. Sono io, mio fratello, e forse qualcun altro. Il problema è che anche in Siberia non è rimasto niente. Il nucleo di questa comunità è stato deportato in Transnistria e lì non è sopravvissuto. La comunità che descrivo nel libro era composta da 40 famiglie. Si può dire che la tradizione è stata un appoggio, ma in certe situazioni è impossibile per una comunità sradicata sopravvivere. (7 luglio 2009) *Io volevo solo raccontare in un romanzo la Russia di mia madre, che ha lavorato tanto e alla fine è dovuta fuggire da casa, in Italia [...]. E il mondo di mio padre, che è vivo per miracolo e non ha più niente. Una delle tante vittime dello sporco gioco di potere che si è svolto in Transnistria. Oggi sta ad Atene, fa mille lavori, il macellaio o il cameriere, è un uomo solo, che ha lasciato alle sue spalle un intero mondo perduto. (13 luglio 2009) *C’è chi dice che sono balle, che è tutto inventato, che in Transnistria non è mai stato deportato nessun siberiano. A me non interessa. Io non sono uno storico, non ho fatto ricerche d’archivio. Ho scritto un romanzo, con quello che ho visto e che so. Gli urca non furono deportati? La mia bisnonna, che a 23 anni rimase sola con sette figlioli, ricordava che li avevano portati via tutti insieme col treno fino alla frontiera. Furono costretti ad attraversare il fiume e fu detto loro : "Le armi sono pronte, chi torna indietro è morto". A casa lo raccontava sempre. Ma fuori aveva paura. Quando io ero piccolo, lavorava in ospedale, faceva l’infermiera. E si faceva passare per ebrea, per non dire chi era. Questa è la nostra storia. (13 luglio 2009) *Non ho filtrato il ricordo attraverso il mio spirito critico di oggi. Ho voluto riprodurre la realtà così come è arrivata a me, attraverso la mia percezione di bambino, prima, e di ragazzo di sedici, diciotto anni, poi. Piccole storie di uomini e donne che non si trovano nelle enciclopedie. Mia madre, leggendo il libro, ogni tanto diceva: “Nicolai, ma guarda che qui hai sbagliato, la cosa non era esattamente così...”. Io la bloccavo subito : “Mamma, io la ricordo come l’ho scritta”. (13 luglio 2009) *Quando i miei amici mi hanno consigliato di cominciare a scrivere, ho preso quel suggerimento con impegno. Mi sono detto: "Se non avrò una fortuna, almeno mi divertirò". Così, per puro divertimento ho scritto "L'educazione siberiana". Per ricordare le cose passate, per rivivere momenti della mia infanzia, che io, nonostante la mia giovane età, spesso vedo molto lontana. Così oggi spesso sento che mi chiamano "lo scrittore". E sorrido, perché penso che nel gergo criminale russo si chiama così chi è molto abile con il coltello. (29 dicembre 2009) *È la mia storia, non ho inventato niente, non so inventare. (22 giugno 2010) *{{NDR|«Chi sono gli urca?»}}<br>Non lo so esattamente. Mio nonno mi ha detto che era una nazione, sono nato in Transnistria. Sono cresciuto tra queste persone che furono esiliate durante il periodo stalinista, dalla Siberia alla Transnistria. Ho provato a ricreare tutto questo, ma non so se è tutto vero, perché non sono riuscito a trovare un archivio. "Urca" è quasi un insulto oggi in Russia, significa subito criminale comune, di bassa classe. (3 settembre 2010) *Non parlo delle ragazze ma non parlo nemmeno della scuola. Ciò non significa che non esistesse, ma non era il mio argomento. E ho scritto ciò che mi è rimasto nella memoria. Non c'erano ragazze, litigavamo tra di noi e pensavamo che se ci fossero state ragazze sarebbe stato ancora peggio, avrebbero seminato discordia. (3 settembre 2010) *I miei racconti sono arrivati ​​al direttore dell'associazione letteraria e quando mi ha chiamato alle due del mattino piangeva. Ha detto: le mie storie sono così audaci e lo hanno toccato così tanto che vorrebbe mostrarle a un editore serio. Due settimane dopo ho ricevuto una telefonata dalla più grande casa editrice italiana, Einaudi. (3 ottobre 2011) *{{NDR|«Qui ho tra le mani la versione tedesca del libro, e qui sulla copertina c'è scritto: "Nicolai Lilin, urca siberiano ereditario..."»}}<br>Purtroppo non ho alcuna influenza su come viene presentato il mio libro. In Italia scrivono la stessa cosa in copertina, perché devono in qualche modo vendere questo libro e in qualche modo farmi conoscere alla gente. Ma questa non è un'autobiografia. Anche se questo libro si basa sulla mia esperienza, su ciò che io stesso ho vissuto. (3 ottobre 2011) *{{NDR|«Ma come poteva Stalin mandare qualcuno a Bendery negli anni '30, se a quel tempo era territorio rumeno?»}}<br>Non è chiaro cosa ci fosse. Questa parte del libro, che è collegata al reinsediamento... o, diciamo, al "presunto reinsediamento", l'ho scritta o, per meglio dire, ricreata questa storia, utilizzando alcuni ricordi degli anziani. Alcuni furono espulsi, altri fuggirono lì a causa delle persecuzioni dei comunisti. E l'editore ha scritto che questa è un'autobiografia. (3 ottobre 2011) *La Siberia [...] era un paradiso, un posto di cui ci raccontavano da piccoli, dove c’erano boschi enormi. Ogni bambino aveva a casa i nonni che raccontavano di questi boschi e dei fiumi. Ma ci sono tante cose che non quadrano tra la mia Siberia immaginaria e quella reale. Nel mio libro parlo solo di una parte, quella dove viveva lo zio di mio padre, a Nord Ovest della Jacuzia. (12 ottobre 2011) *Secondo me il successo di Educazione siberiana è legato al fatto che l'ho scritto senza prendere le parti di nessuno, ma semplicemente utilizzando la voce di un ragazzo. Questo raccontare una realtà attraverso i sentimenti, senza tecnicismi, ha aiutato le persone a sentirla sulla propria pelle. E per me questa è una cosa davvero rivoluzionaria. Nella comunicazione letteraria è importante stare dalla parte dei sentimenti e non da quella dei meccanismi, altrimenti diventi scrittore politico. E quando in mezzo c'è la politica sporchi tutto. Io per esempio sono stato sempre colpito da giovane dagli autori di fantascienza americani degli anni Cinquanta, da Asimova Bradbury, perché è attraverso queste letture non dichiaratamente politiche - allora vietate nel mio Paese - che ho scoperto cosa accadeva nel mondo, a cominciare dalla guerra nel Vietnam. Grazie a questi libri, che in Russia si chiamavano "stracci", ed erano vietati, capimmo che il capitalismo non era tutto cattivo e che, di là dalla Cortina di ferro, c'erano persone che condividevano i nostri stessi valori. Su questo ho costruito la mia comunicazione letteraria. Poi, se c'è qualcuno che vede qualcosa di politico in quello che scrivo ben venga, ma il mio primo obiettivo è comunicare. Se vogliamo dire che ogni comunicazione è politica va bene, ma io non voglio assolutamente essere politico. E in questo momento sono anche apartitico. (28 febbraio 2013) *Se qualcuno vuole pensare che dietro a chi ha scritto il libro ci sia un ghostwriter, che lo pensi pure. A me importa, piuttosto, che costui abbia comprato il libro. (5 aprile 2013) *Io ho scritto un romanzo, non un saggio storico, anche se ho fatto riferimento a un momento epocale della storia. Non è facile, e neanche opportuno, cercare di distinguere la realtà dal romanzo. Chi cerca di esaltare o di negare la verità del mio libro è comunque un "maleducato". Sta a me scrittore affermare se quello che ho scritto è fondato sull’esperienza vissuta o meno. (16 novembre 2013) *Xenia è un personaggio reale al 95%, per la quale mi sono ispirato a una persona che ho realmente conosciuto, dalla quale ero molto affascinato e alla quale ero legato sin dall'infanzia. Come tutte le persone prive di stabilità mentale, lei era pura. (11 giugno 2024) ===[[Donald Rayfield]]=== {{cronologico}} *Se preferiresti ''[[Pulp Fiction]]'' e ''[[Le iene (film)|Le iene]]'' senza il loro ingegnoso umorismo e struttura, allora questo potrebbe essere il libro che fa per te. *La modalità narrativa del libro è strana: a volte, sembra che un antropologo descriva le tradizioni di un'etnia siberiana finora sconosciuta che combina la criminalità assolutamente spietata con la puntigliosità religiosa dei Fratelli esclusivi, le loro tradizioni incarnate in un nonno Kuzja che guida il giovane eroe e i suoi amici su quando, chi, come e con quale arma mutilare e uccidere. Altre volte, autore e lettore si crogiolano in una pornografia di violenza. *Se queste "memorie" fossero credibili, potrebbero avere un certo valore (e servire come pretesto per invadere la Transnistria come piaga purulenta della criminalità). Ma la credulità crolla nelle prime pagine, e non solo perché la cronologia è un completo disastro. Lo sfondo delle "memorie" (nelle interviste alla televisione italiana Lilin ha cominciato a definire ''Educazione siberiana'' una "favola autobiografica") è la deportazione da parte di Stalin negli anni '30 di un gruppo di ladri siberiani intollerabilmente attivi e anticomunisti verso ovest, verso Bender sul fiume Dnestr, dove fiorirono negli anni '90. Di solito, Stalin fucilava queste persone o le mandava 1.600 miglia più vicino al Polo Nord: questa sarebbe l'unica deportazione registrata di Stalin dalla Siberia all'Europa, tanto più incredibile perché Bender fu dal 1918 al 1940 in Romania. *I diritti di traduzione di questo libro sono stati venduti in tutto il mondo, ma non in russo, rumeno, ucraino o in qualsiasi lingua che gli abitanti di Bender e Tiraspol possano leggere. Lilin lo spiega come precauzione contro la vendetta per aver rivelato i segreti della lingua, dei tatuaggi e del codice degli urca siberiani. Tesi di dottorato e archivi Internet, invece, raccontano tutto sul simbolismo dei tatuaggi criminali russi, mentre le credenze dei dissidenti ortodossi e dei "ladri nella legge" vengono descritte da oltre un secolo (ma mai prima d'ora confuse come sono in questo libro, dove i revolver usati per uccidere sono conservati sotto le icone). *Nicolai Lilin (se questo è il suo vero nome) ha ovviamente incontrato il mondo criminale, ma commette errori grossolani – sostenendo che ''fenja'', il gergo criminale originato dagli ''ofenja'', venditori ambulanti russi, è una lingua aborigena siberiana. *Questo libro si legge come il delirio di un vaneggiatore [...]. Il successo di ''Educazione siberiana'' implica che l'editoria italiana sprofonda nello stesso pozzo nero della televisione italiana. Si può solo sperare che i lettori britannici non siano così ingenui. ===[[Roberto Saviano]]=== {{cronologico}} *Per leggere questo libro bisogna prepararsi a dimenticare le categorie di bene e di male così come le percepiamo, lasciar perdere i sentimenti come li abbiamo costruiti dentro la nostra anima. Bisogna star lì leggere e basta. *Non ci si aspetti un libro sulla mafia russa, né un trattato sul crimine, né alleanze tra clan, imperi economici, faide e sparatorie. È il contrario. È un romanzo che racconta di un popolo scomparso, di una tradizione guerriera che Nicolai conservava dentro di sé e che non riusciva più a tacere. *In ''Educazione Siberiana'' ci sono pagine di arresti e retate in cui la polizia non riesce a rivolgere la parola a nessun siberiano. Ogni Urka ha sempre al proprio fianco una donna che faccia da tramite. Lilin racconta che dalle sue parti si dice che chi non ha voglia di lavorare e non ha il coraggio di delinquere fa il poliziotto. Nelle comunità criminali degli Urka, diversamente da quanto accade in Italia, esistono regole talmente forti da fermare il business, vincolare il potere. ===[[Federico Varese]]=== {{cronologico}} *La veridicità degli elementi fondamentali della storia è stata strenuamente difesa da Lilin e accettata da molti critici; eppure molti lettori potrebbero avere la sensazione di essere finiti nell'era hayboriana inventata da Robert Ervin Howard, tra personaggi del calibro di Conan il barbaro e i signori della guerra Vanir. *Il libro si presenta come una "scioccante esposizione di uno straordinario mondo criminale", anche se una nota strategicamente posizionata (assente nell'edizione italiana) avverte il lettore che "certi episodi sono ricreazioni fantasiose, e quegli episodi [non specificati] non sono destinati a ritrarre fatti realmente accaduti". Durante un'intervista alla televisione italiana, Lilin ha ripetutamente minacciato un giornalista che metteva in dubbio la sua storia. A rischio di espormi all'ira dell'ultimo discendente dei criminali siberiani, oso dire che gli urca non sono mai esistiti, almeno non come li descrive l'autore. *Di fronte a evidenti inesattezze e contraddizioni, Lilin ha ribattuto che queste accuse equivalgono ad accusare [[Anna Frank]] di aver calcolato male il numero dei pali elettrici a Bergen-Belsen. Lascio al lettore il giudizio sull'adeguatezza e sulla sensibilità del confronto. *Lilin attinge alla vasta letteratura sulla vita carceraria e sul mondo criminale russo per creare una setta la cui presunta origine "siberiana" è fantastica e le cui tradizioni, pratiche e linguaggio provengono da ben note confraternite criminali carcerarie sovietiche e post-sovietiche. [...]. Le furiose reazioni di Lilin a coloro che mettono in dubbio le sue credenziali criminali possono essere meglio spiegate dal fatto che alcuni elementi del libro riflettono la sua esperienza, mentre la maggior parte del resto è ampiamente noto in Russia ai lettori dei racconti polizieschi quasi immaginari di Valerij Karyšev e agli spettatori della serie televisiva carceraria ''Zona''. ===[[Anna Zafesova]]=== *Bendery è una città piccola, 80 mila abitanti dove tutti si conoscono. Conoscono anche Nicolai (anche se all'epoca portava un altro cognome), si ricordano i suoi genitori e il nonno Boris, «grande persona, ha lavorato fino all'ultimo», dice un coetaneo dello scrittore. Si frequentavano quando erano ventenni, è stato anche a casa sua: «Non c'erano icone, né armi, nessun oggetto "siberiano". Lui era uno curioso, leggeva molto». Nulla di criminale? «Mai sentito che fosse stato in galera, anzi si diceva che a un certo punto si fosse arruolato nella polizia». *Che cosa vuol dire siberiana? Tutto e niente. Ha visto sull'atlante quanto è grande la Siberia? E poi non esiste un'etnia siberiana, ma solo delle minoranze autoctone che con questo libro non c'entrano niente. *Diciamo che l'infanzia che lui racconta, in un contesto di povertà ed emarginazione, è anche credibile. Così come è probabile che conducesse allo sbocco naturale della prigione. Anche una certa realtà di bande giovanili è possibile. È la parte sulla mafia che non convince. [...] Rappresentanti della mafia russa ne ho conosciuti. Chi è un killer non va certo a raccontarlo in giro. *Secondo Lilin, gli Urca sarebbero una minoranza etnica «discendente degli antichi Efei» che viveva di caccia e rapina e che dalla Siberia venne deportata in Transnistria negli anni '30, quando era parte della Romania (sarebbe stata annessa all'Urss nel 1940, nella spartizione dell'Europa tra Stalin e Hitler). Così i comunisti avrebbero popolato «l'impero romeno», come lo chiama lo scrittore, di criminali russi sconfiggendo le cosche locali. «Assurdo», ride Pavel Polian, storico russo che da 25 anni studia le deportazioni di comunismo e nazismo: «Si deportava in Siberia, ma non dalla Siberia, meno che mai in Moldova. E gli Efei non sono mai esistiti». *Secondo Lilin l'esistenza stessa degli Urca era un segreto del regime. Una comunità quasi estinta, che aveva lasciato un segno profondo, vincendo da sola la guerra del 1992, quando la Moldova in preda a bollenti spiriti postsovietici ha invaso la provincia separatista. In ''Educazione siberiana'' si narra del trionfo dei «siberiani», riusciti a far esplodere uno dei due cinema di Bendery pieno di militari. Marian Bozhesku, ricercatore ucraino autore di ''Transnistria 1989-1992'', lo studio più esaustivo sul conflitto, dice di non averne mai sentito parlare. «Per noi il ricordo della guerra è ancora vivissimo, abbiamo combattuto disperatamente, dire che sono stati i criminali a vincerla è ridicolo», s'indigna Denis Poronok, che ha la stessa età di Lilin, 31 anni, e contesta la «versione di Nicolai»: «Il cinema esploso è una fiaba, e nel '92 a Bendery c'erano quattro sale, non due». ==Filmografia== *''[[Educazione siberiana (film)|Educazione siberiana]]'' ==Bibliografia== *Nicolai Lilin, ''Educazione siberiana'', Einaudi, 2009, ISBN 978-88-06-20256-9 ==Altri progetti== {{interprogetto}} [[Categoria:Romanzi]] rbnug1iyh7ruczeetqqtyq3t6d6w1e6 Discussioni utente:È Multiverso 3 219828 1381903 2025-07-01T13:10:19Z Homer 215 Benvenuto/a su Wikiquote, aforismi e citazioni in libertà! 1381903 wikitext text/x-wiki {{Benvenuto2|nome={{PAGENAME}}|firma=[[Utente:Homer|Homer]] ([[Discussioni utente:Homer|scrivimi]]) 15:10, 1 lug 2025 (CEST)}} gcj1ncgmtzrr10liw7hov6sd2dxyory Friedrich Dessauer 0 219829 1381909 2025-07-01T13:34:26Z Gaux 18878 Friedrich Dessauer 1381909 wikitext text/x-wiki '''Friedrich Dessauer''' (1881 – 1963), filosofo, fisico e giornalista tedesco. ==Citazioni su Friedrich Dessauer== *Egli è un vero mistico della [[Tecnica]]. E se una qualche novità c'è nel suo libro {{NDR|''Filosofia della Tecnica''}}, non è tanto per il concetto della Tecnica come continuazione e prolungamento dell'opera divina, come Demiurgia (concetto già formulato con tutta la chiarezza possibile e desiderabile da tutta una serie di filosofi da [[Marsilio Ficino]] giù giù fino a [[Henri Bergson|Bergson]], come si può leggere nel mio ''Homo Faber'') quanto piuttosto nella intensità emotiva con cui quel concetto è vissuto dal nostro Autore. Concetto, del resto, giustissimo. Con la Tecnica l'uomo si fa creatore di qualità, di forme, di processi, di realtà, che non erano dati dalla Natura. ''Eritis sicut Dii!'' ([[Adriano Tilgher]]) ==Altri progetti== {{interprogetto}} {{s}} {{DEFAULTSORT:Dessauer, Friedrich}} [[Categoria:Filosofi tedeschi]] [[Categoria:Fisici tedeschi]] [[Categoria:Giornalisti tedeschi]] 6ud8t0zytmaz9txss2cd4d7b8f0p85r 1381910 1381909 2025-07-01T13:45:38Z Gaux 18878 /* Citazioni su Friedrich Dessauer */ nota 1381910 wikitext text/x-wiki '''Friedrich Dessauer''' (1881 – 1963), filosofo, fisico e giornalista tedesco. ==Citazioni su Friedrich Dessauer== *Egli è un vero mistico della [[Tecnica]]. 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E se una qualche novità c'è nel suo libro {{NDR|''Filosofia della Tecnica''}}, non è tanto per il concetto della Tecnica come continuazione e prolungamento dell'opera divina, come Demiurgia (concetto già formulato con tutta la chiarezza possibile e desiderabile da tutta una serie di filosofi da [[Marsilio Ficino]] giù giù fino a [[Henri Bergson|Bergson]], come si può leggere nel mio ''Homo Faber'') quanto piuttosto nella intensità emotiva con cui quel concetto è vissuto dal nostro Autore. Concetto, del resto, giustissimo. Con la Tecnica l'uomo si fa creatore di qualità, di forme, di processi, di realtà, che non erano dati dalla [[Natura]]. ''Eritis sicut Dii!''<ref> Locuzione latina ''Eritis sicut Deus'' (''Sarete come Dio''), Genesi, 3,5.</ref> ([[Adriano Tilgher]]) ==Note== <references /> ==Altri progetti== {{interprogetto}} {{s}} {{DEFAULTSORT:Dessauer, Friedrich}} [[Categoria:Filosofi tedeschi]] [[Categoria:Fisici tedeschi]] [[Categoria:Giornalisti tedeschi]] 3woctn8tqwkf8zknjd6g2zsde3vni7e Discussioni utente:~2025-110542 3 219834 1381948 2025-07-01T20:15:15Z Udiki 86035 /* Montanelli */ nuova sezione 1381948 wikitext text/x-wiki == Montanelli == Buonasera, gli estratti dagli articoli su Meir e Ben Gurion paiono andare oltre il diritto di corta citazione. Sarebbe il caso di tagliare qualcosa. [[Utente:Udiki|Udiki]] ([[Discussioni utente:Udiki|scrivimi]]) 22:15, 1 lug 2025 (CEST) 0yxwlcf244itysqle31yknr4dcfrbks Discussioni utente:Pawelchwaszcz 3 219835 1381955 2025-07-01T20:33:38Z Malarz pl 102398 Malarz pl ha spostato la pagina [[Discussioni utente:Pawelchwaszcz]] a [[Discussioni utente:Green Snake-Frog]]: Pagina spostata automaticamente durante la rinomina dell'utente "[[Special:CentralAuth/Pawelchwaszcz|Pawelchwaszcz]]" a "[[Special:CentralAuth/Green Snake-Frog|Green Snake-Frog]]" 1381955 wikitext text/x-wiki #RINVIA [[Discussioni utente:Green Snake-Frog]] 4zu1wqaid4s6cypfy3l2bfd8tlof8ne Jason Barlow 0 219836 1381964 2025-07-01T23:17:03Z Danyele 19198 Creata pagina con "[[File:Got horsepower? Jason Barlow (5) (cropped).jpg|thumb|Jason Barlow nel 2015]] '''Jason Barlow''' (... – vivente), giornalista sportivo britannico. ==Citazioni di Jason Barlow== *Che cos'è [[Ferrari]]? Molto più di un semplice costruttore d'auto o una squadra corse, questo è sicuro. È quasi una forza primordiale, rappresentata dal colore rosso, nonché uno dei loghi più immediatamente riconoscibili al mondo. E poi è una macchina ricca di storie da raccontar..." 1381964 wikitext text/x-wiki [[File:Got horsepower? Jason Barlow (5) (cropped).jpg|thumb|Jason Barlow nel 2015]] '''Jason Barlow''' (... – vivente), giornalista sportivo britannico. ==Citazioni di Jason Barlow== *Che cos'è [[Ferrari]]? Molto più di un semplice costruttore d'auto o una squadra corse, questo è sicuro. È quasi una forza primordiale, rappresentata dal colore rosso, nonché uno dei loghi più immediatamente riconoscibili al mondo. E poi è una macchina ricca di storie da raccontare, un mezzo per trasmettere un ideale, un sentimento che racchiude in sé tutte quelle cose che ci entusiasmano nel profondo.<ref>Da ''The Official Ferrari Magazine'' nº 62; ripubblicato in ''[https://www.ferrari.com/it-IT/magazine/articles/70-years-of-energy-dealerships-across-america Settant'anni di pura energia]'', ''ferrari.com'', 23 aprile 2024.</ref> *[...] fu la [[Ferrari 365 Daytona|365 GTB4]] del 1968 – conosciuta come Daytona – che accelerò l'evoluzione dell'idea della Ferrari GT a motore anteriore, sia negli esterni che negli interni. Qui tutti gli strumenti erano disposti in un unico cupolotto davanti al guidatore, otto in tutto. La ventilazione, un tempo una preoccupazione secondaria, era gestita da una serie di cursori verticali. I sedili presentavano inserti in colori a contrasto e persino i pannelli delle portiere erano sorprendentemente futuristici.<ref>Da ''[https://www.ferrari.com/it-IT/magazine/articles/great-ferrari-innovations-the-cockpit Le grandi innovazioni di Ferrari: l'abitacolo]'', ''ferrari.com'', 26 aprile 2022.</ref> *I [[Progettazione di automobili|designer di automobili]] amano antropomorfizzare le loro opere. Tigri, ghepardi, squali e persino velocisti olimpici ai blocchi di partenza vengono spesso citati come fonte di ispirazione nel linguaggio stilistico del settore. A quanto pare, abbiamo bisogno di queste pietre di paragone visive per dare un senso a ciò che stiamo guardando. Il che rende interessante il concetto di "volto" di un'auto e in particolare il ruolo svolto dai gruppi ottici. Sono gli equivalenti degli occhi? Sono qualcosa che tendiamo a dare per scontato, ma senza di loro saremmo persi, a prescindere dal ruolo che svolgono nel plasmare la nostra risposta emotiva.<ref>Da ''[https://www.ferrari.com/it-IT/magazine/articles/great-ferrari-innovations-headlights Le grandi innovazioni Ferrari: Un percorso illuminato]'', ''ferrari.com'', 30 agosto 2022.</ref> *Il primo spoiler, così come lo conosciamo oggi, apparve sulla [...] [[Ferrari 250 GTO|250 GTO]], con la "O" che sta per "omologata" per ricordare il percorso seguito per la sua progettazione. [...] Giotto Bizzarrini guidò lo sviluppo della vettura, rielaborando inizialmente una 250 GT in un prototipo che chiamò Papera. Alla fine del 1961, però, lasciò la Casa di Maranello ed [[Enzo Ferrari]] incaricò [[Sergio Scaglietti]] di completare i lavori, insieme a un giovane [...] [[Mauro Forghieri]]. [...] Sebbene mancante sulle vetture presentate ai media il 24 febbraio 1962, la parte posteriore della GTO si sarebbe presto evoluta fino a includere una coda "di Kamm", secondo i principi stabiliti da Wunibald Kamm. [...] tagliare in modo netto la coda non solo manteneva il flusso d'aria e riduceva al minimo la resistenza, ma diminuiva anche la portanza creando una zona di bassa pressione. [...] i risultati parlavano da soli: l'auto dominò le corse automobilistiche, riportando successi nella [[Targa Florio]], nel Tour de France e a [[24 Ore di Le Mans|Le Mans]]. Era tanto funzionale quanto bella.<ref name="spoiler">Da ''[https://www.ferrari.com/it-IT/magazine/articles/great-ferrari-innovations-aerodynamics Le grandi innovazioni di Ferrari: l'aerodinamica]'', ''ferrari.com'', 30 giugno 2022.</ref> *{{NDR|Sulla [[Ferrari 640 F1]]}} [...] è stata la prima a dotarsi di una delle più grandi innovazioni del motorsport: il cambio semiautomatico. Una frizione tradizionale era necessaria solo alla partenza e durante i pit stop, mentre il cosiddetto cambio tramite palette permetteva al pilota di mantenere le mani sul volante e di concentrarsi sulla traiettoria ottimale. [...] L'innovazione [...] avrebbe cambiato completamente la storia della F1. [...] Ma Ferrari era più avanti di quanto pensasse la maggior parte degli osservatori. Merito del grande Mauro Forghieri [...]. Arriviamo alla fine degli anni Settanta, con i motori turbo, il nuovo paradigma e le migliori menti della F1 che cercavano un modo per aggirare l'inevitabile ritardo. Forghieri pensava che una trasmissione semi-automatica potesse risolvere il problema e ne montò un prototipo su una [[Ferrari 312 T4|Ferrari 312 T]] del 1979. [...] [[Gilles Villeneuve]] in persona lo testò sulla pista di [[Circuito di Fiorano|Fiorano]] [...] dove pare abbia completato 100 giri senza problemi. C'era un solo problema: non gli piaceva. [...] furono i preparativi per l'era post-turbo che doveva iniziare nel 1989 a rilanciare il progetto. Non è chiaro se il nuovo direttore tecnico della Ferrari, [[John Barnard]], fosse a conoscenza degli sforzi del suo predecessore. Ma quando iniziò a lavorare per la Scuderia [...] il cambio semiautomatico rientrava nella sua filosofia. Perché? Perché un motore aspirato doveva operare all'interno di una banda di potenza più stretta rispetto a un motore turbo, richiedendo più cambi di marcia. Barnard e il suo team volevano eliminare il leveraggio del cambio nel tentativo di ottimizzare la nuova generazione di telai, verso una maggiore efficienza aerodinamica e un taglio più affusolato.<ref>Da ''[https://www.ferrari.com/it-IT/magazine/articles/great-ferrari-innovations-the-f1-semi-automatic-gearbox Le grandi innovazioni Ferrari: il cambio semiautomatico della F1]'', ''ferrari.com'', 4 febbraio 2022.</ref> *Parlando di spoiler, forse il migliore di tutti è quello che impreziosisce la carrozzeria della [[Ferrari F40]], anche perché è parte integrante della sua estetica. In effetti, la F40 è praticamente un unico grande dispositivo aerodinamico, il simbolo delle auto ad alte prestazioni degli anni Ottanta, e sicuramente una delle Ferrari più estreme mai realizzate. [...] fu sviluppata in poco più di un anno e con una singolarità di intenti davvero appropriata, visto che si trattava dell'ultima Ferrari realizzata sotto la supervisione di Enzo.<ref name="spoiler"/> *{{NDR|Sulla [[Carrera Panamericana]]}} Parliamo di una gara incredibilmente pericolosa, che fu disputata per la prima volta nel 1950 per celebrare il completamento del tratto messicano da nord a sud della Pan-American Highway, lungo 3.500 km. Inizialmente, attirò un gruppo eterogeneo di concorrenti dilettanti, ma ben presto le grandi berline americane furono sfidate dalle più agili auto sportive europee, e l'elenco dei piloti divenne un vero e proprio "who's who" delle corse automobilistiche. [...] il percorso si snodava lungo le montagne centrali del Messico, si inerpicava oltre i 3.000 metri per poi scendere nuovamente; era disseminato di oltre 3.000 curve: sbagliarne l'ingresso o l'uscita significava andare incontro a un tragico destino.<ref>Da ''[https://www.ferrari.com/it-IT/magazine/articles/Maglioli-ferrari-375-plus Un eroe vittorioso]'', ''ferrari.com'', 30 maggio 2024.</ref> *[[David Piper|Piper]] si faceva notare [...] per un [...] motivo: le sue auto da corsa erano tutte verdi. Potremmo dire che si tratta semplicemente di un colore, eppure vedere la sua 250 LM o la 330 P3/4 in quello che ora è noto come "Piper green", è ancora un colpo al cuore, abituati come siamo a vedere le Ferrari verniciate di rosso. Il verde divenne il suo colore distintivo quando l'ex sponsor Esso non poté più sostenerlo a causa della [[Crisi di Suez]] – che portò a una carenza di petrolio anche nel Regno Unito. Così passò al verde BP.<ref>Da ''[https://www.ferrari.com/it-IT/magazine/articles/the-man-who-raced-in-green Il pilota che correva in verde]'', ''ferrari.com'', 24 novembre 2022.</ref> *Qual è l'etimologia del termine [[Spider]]? A volte scritto con una "y", a volte no, è strettamente associato ai marchi italiani e indica una vettura cabriolet. Questo nonostante l'assenza della lettera "y" nell'alfabeto italiano. Ad ogni modo, la nomenclatura è antecedente alla vettura stessa e affonda le sue radici nello "spider phaeton", un tipo di carrozza alleggerita trainata da cavalli utilizzata per attività sportive o da esposizione più che come mezzo di trasporto, e che offriva solo una protezione rudimentale dagli elementi. Gli osservatori notarono che questi veicoli avevano un aspetto piuttosto "ragnesco" con le loro ruote filiformi... L'espressione rimase e si diffuse, mentre le auto diventarono sempre più innovative e lussuose.<ref>Da ''[https://www.ferrari.com/it-IT/magazine/articles/great-ferrari-innovations-the-retractable-roof Le grandi innovazioni di Ferrari: il tetto retrattile]'', ''ferrari.com'', 26 maggio 2022.</ref> {{Int|''[https://www.ferrari.com/it-IT/magazine/articles/lasting-legacy-the-ferrari-f40 Un'eredità intramontabile: la Ferrari F40]''|''ferrari.com'', 5 marzo 2024.}} *Quella di [[Enzo Ferrari]] è stata un'uscita di scena col botto. Certo, da un uomo con una vita così travolgente, a cavallo tra due secoli leggendari, che ha rivestito un ruolo cruciale nell'ascesa dell'automobile, c'era da aspettarsi come ultimo regalo una delle Rosse più straordinarie della storia. La [[Ferrari F40|F40]] era infatti un prodigio anche per una casa automobilistica di alto livello come Ferrari: una vettura dalla velocità e dalla potenza esplosive, che incarnava tutte le caratteristiche proprie di Ferrari, inclusa una certa irruenza. *La F40 è nata per celebrare i primi vertiginosi quarant'anni di attività della Casa di Maranello. Ferrari intendeva produrne 400 esemplari, ma alla fine ne realizzò oltre 1300. Fu progettata in meno di un anno da un team di sviluppo a cui Enzo Ferrari aveva lasciato un'eccezionale libertà di manovra. Prese forma, così, un'auto estremamente singolare per profilo e destinazione, che vide la tecnologia turbo spostarsi dalla pista alla strada. Una visione originale è senz'altro uno dei tratti distintivi delle auto grandiose. *[...] il motore biturbo della F40, l'intensità di accelerazione mozzafiato e la totale assenza di controllo di trazione o assistenza in frenata danno vita a un'esperienza di guida estremamente avvincente ma anche irrequieta. Basta salire a bordo per sentirsi in soggezione: i pannelli delle porte sono nudi, il cruscotto è minimale e non ci sono tappetini. [...] basta premere il pulsante di avvio per sentire il rombo esplosivo del motore. Se da ferma evoca già il sound delle auto da corsa, non appena parte trasporta il conducente in un universo fantastico. [...] Accelera con una violenza cosmica e il suo motore biturbo sprigiona un fruscio che fa sentire sulla cresta dell'onda. In un mondo sempre più virtuale, la F40 è una scossa che ci riporta alla realtà. ==Note== <references /> ==Altri progetti== {{interprogetto|w=Jason Barlow|w_site=en}} {{DEFAULTSORT:Barlow, Jason}} [[Categoria:Giornalisti sportivi britannici]] porycfl1isbmdcmuue9attbwtkb40n5 1381991 1381964 2025-07-02T00:15:49Z Danyele 19198 /* Citazioni di Jason Barlow */ fix ordine alfabetico 1381991 wikitext text/x-wiki [[File:Got horsepower? Jason Barlow (5) (cropped).jpg|thumb|Jason Barlow nel 2015]] '''Jason Barlow''' (... – vivente), giornalista sportivo britannico. ==Citazioni di Jason Barlow== *Che cos'è [[Ferrari]]? Molto più di un semplice costruttore d'auto o una squadra corse, questo è sicuro. È quasi una forza primordiale, rappresentata dal colore rosso, nonché uno dei loghi più immediatamente riconoscibili al mondo. E poi è una macchina ricca di storie da raccontare, un mezzo per trasmettere un ideale, un sentimento che racchiude in sé tutte quelle cose che ci entusiasmano nel profondo.<ref>Da ''The Official Ferrari Magazine'' nº 62; ripubblicato in ''[https://www.ferrari.com/it-IT/magazine/articles/70-years-of-energy-dealerships-across-america Settant'anni di pura energia]'', ''ferrari.com'', 23 aprile 2024.</ref> *{{NDR|Sulla [[Ferrari 640 F1]]}} [...] è stata la prima a dotarsi di una delle più grandi innovazioni del motorsport: il cambio semiautomatico. Una frizione tradizionale era necessaria solo alla partenza e durante i pit stop, mentre il cosiddetto cambio tramite palette permetteva al pilota di mantenere le mani sul volante e di concentrarsi sulla traiettoria ottimale. [...] L'innovazione [...] avrebbe cambiato completamente la storia della F1. [...] Ma Ferrari era più avanti di quanto pensasse la maggior parte degli osservatori. Merito del grande Mauro Forghieri [...]. Arriviamo alla fine degli anni Settanta, con i motori turbo, il nuovo paradigma e le migliori menti della F1 che cercavano un modo per aggirare l'inevitabile ritardo. Forghieri pensava che una trasmissione semi-automatica potesse risolvere il problema e ne montò un prototipo su una [[Ferrari 312 T4|Ferrari 312 T]] del 1979. [...] [[Gilles Villeneuve]] in persona lo testò sulla pista di [[Circuito di Fiorano|Fiorano]] [...] dove pare abbia completato 100 giri senza problemi. C'era un solo problema: non gli piaceva. [...] furono i preparativi per l'era post-turbo che doveva iniziare nel 1989 a rilanciare il progetto. Non è chiaro se il nuovo direttore tecnico della Ferrari, [[John Barnard]], fosse a conoscenza degli sforzi del suo predecessore. Ma quando iniziò a lavorare per la Scuderia [...] il cambio semiautomatico rientrava nella sua filosofia. Perché? Perché un motore aspirato doveva operare all'interno di una banda di potenza più stretta rispetto a un motore turbo, richiedendo più cambi di marcia. Barnard e il suo team volevano eliminare il leveraggio del cambio nel tentativo di ottimizzare la nuova generazione di telai, verso una maggiore efficienza aerodinamica e un taglio più affusolato.<ref>Da ''[https://www.ferrari.com/it-IT/magazine/articles/great-ferrari-innovations-the-f1-semi-automatic-gearbox Le grandi innovazioni Ferrari: il cambio semiautomatico della F1]'', ''ferrari.com'', 4 febbraio 2022.</ref> *[...] fu la [[Ferrari 365 Daytona|365 GTB4]] del 1968 – conosciuta come Daytona – che accelerò l'evoluzione dell'idea della Ferrari GT a motore anteriore, sia negli esterni che negli interni. Qui tutti gli strumenti erano disposti in un unico cupolotto davanti al guidatore, otto in tutto. La ventilazione, un tempo una preoccupazione secondaria, era gestita da una serie di cursori verticali. I sedili presentavano inserti in colori a contrasto e persino i pannelli delle portiere erano sorprendentemente futuristici.<ref>Da ''[https://www.ferrari.com/it-IT/magazine/articles/great-ferrari-innovations-the-cockpit Le grandi innovazioni di Ferrari: l'abitacolo]'', ''ferrari.com'', 26 aprile 2022.</ref> *I [[Progettazione di automobili|designer di automobili]] amano antropomorfizzare le loro opere. Tigri, ghepardi, squali e persino velocisti olimpici ai blocchi di partenza vengono spesso citati come fonte di ispirazione nel linguaggio stilistico del settore. A quanto pare, abbiamo bisogno di queste pietre di paragone visive per dare un senso a ciò che stiamo guardando. Il che rende interessante il concetto di "volto" di un'auto e in particolare il ruolo svolto dai gruppi ottici. Sono gli equivalenti degli occhi? Sono qualcosa che tendiamo a dare per scontato, ma senza di loro saremmo persi, a prescindere dal ruolo che svolgono nel plasmare la nostra risposta emotiva.<ref>Da ''[https://www.ferrari.com/it-IT/magazine/articles/great-ferrari-innovations-headlights Le grandi innovazioni Ferrari: Un percorso illuminato]'', ''ferrari.com'', 30 agosto 2022.</ref> *Il primo spoiler, così come lo conosciamo oggi, apparve sulla [...] [[Ferrari 250 GTO|250 GTO]], con la "O" che sta per "omologata" per ricordare il percorso seguito per la sua progettazione. [...] Giotto Bizzarrini guidò lo sviluppo della vettura, rielaborando inizialmente una 250 GT in un prototipo che chiamò Papera. Alla fine del 1961, però, lasciò la Casa di Maranello ed [[Enzo Ferrari]] incaricò [[Sergio Scaglietti]] di completare i lavori, insieme a un giovane [...] [[Mauro Forghieri]]. [...] Sebbene mancante sulle vetture presentate ai media il 24 febbraio 1962, la parte posteriore della GTO si sarebbe presto evoluta fino a includere una coda "di Kamm", secondo i principi stabiliti da Wunibald Kamm. [...] tagliare in modo netto la coda non solo manteneva il flusso d'aria e riduceva al minimo la resistenza, ma diminuiva anche la portanza creando una zona di bassa pressione. [...] i risultati parlavano da soli: l'auto dominò le corse automobilistiche, riportando successi nella [[Targa Florio]], nel Tour de France e a [[24 Ore di Le Mans|Le Mans]]. Era tanto funzionale quanto bella.<ref name="spoiler">Da ''[https://www.ferrari.com/it-IT/magazine/articles/great-ferrari-innovations-aerodynamics Le grandi innovazioni di Ferrari: l'aerodinamica]'', ''ferrari.com'', 30 giugno 2022.</ref> *Parlando di spoiler, forse il migliore di tutti è quello che impreziosisce la carrozzeria della [[Ferrari F40]], anche perché è parte integrante della sua estetica. In effetti, la F40 è praticamente un unico grande dispositivo aerodinamico, il simbolo delle auto ad alte prestazioni degli anni Ottanta, e sicuramente una delle Ferrari più estreme mai realizzate. [...] fu sviluppata in poco più di un anno e con una singolarità di intenti davvero appropriata, visto che si trattava dell'ultima Ferrari realizzata sotto la supervisione di Enzo.<ref name="spoiler"/> *{{NDR|Sulla [[Carrera Panamericana]]}} Parliamo di una gara incredibilmente pericolosa, che fu disputata per la prima volta nel 1950 per celebrare il completamento del tratto messicano da nord a sud della Pan-American Highway, lungo 3.500 km. Inizialmente, attirò un gruppo eterogeneo di concorrenti dilettanti, ma ben presto le grandi berline americane furono sfidate dalle più agili auto sportive europee, e l'elenco dei piloti divenne un vero e proprio "who's who" delle corse automobilistiche. [...] il percorso si snodava lungo le montagne centrali del Messico, si inerpicava oltre i 3.000 metri per poi scendere nuovamente; era disseminato di oltre 3.000 curve: sbagliarne l'ingresso o l'uscita significava andare incontro a un tragico destino.<ref>Da ''[https://www.ferrari.com/it-IT/magazine/articles/Maglioli-ferrari-375-plus Un eroe vittorioso]'', ''ferrari.com'', 30 maggio 2024.</ref> *[[David Piper|Piper]] si faceva notare [...] per un [...] motivo: le sue auto da corsa erano tutte verdi. Potremmo dire che si tratta semplicemente di un colore, eppure vedere la sua 250 LM o la 330 P3/4 in quello che ora è noto come "Piper green", è ancora un colpo al cuore, abituati come siamo a vedere le Ferrari verniciate di rosso. Il verde divenne il suo colore distintivo quando l'ex sponsor Esso non poté più sostenerlo a causa della [[Crisi di Suez]] – che portò a una carenza di petrolio anche nel Regno Unito. Così passò al verde BP.<ref>Da ''[https://www.ferrari.com/it-IT/magazine/articles/the-man-who-raced-in-green Il pilota che correva in verde]'', ''ferrari.com'', 24 novembre 2022.</ref> *Qual è l'etimologia del termine [[Spider]]? A volte scritto con una "y", a volte no, è strettamente associato ai marchi italiani e indica una vettura cabriolet. Questo nonostante l'assenza della lettera "y" nell'alfabeto italiano. Ad ogni modo, la nomenclatura è antecedente alla vettura stessa e affonda le sue radici nello "spider phaeton", un tipo di carrozza alleggerita trainata da cavalli utilizzata per attività sportive o da esposizione più che come mezzo di trasporto, e che offriva solo una protezione rudimentale dagli elementi. Gli osservatori notarono che questi veicoli avevano un aspetto piuttosto "ragnesco" con le loro ruote filiformi... L'espressione rimase e si diffuse, mentre le auto diventarono sempre più innovative e lussuose.<ref>Da ''[https://www.ferrari.com/it-IT/magazine/articles/great-ferrari-innovations-the-retractable-roof Le grandi innovazioni di Ferrari: il tetto retrattile]'', ''ferrari.com'', 26 maggio 2022.</ref> {{Int|''[https://www.ferrari.com/it-IT/magazine/articles/lasting-legacy-the-ferrari-f40 Un'eredità intramontabile: la Ferrari F40]''|''ferrari.com'', 5 marzo 2024.}} *Quella di [[Enzo Ferrari]] è stata un'uscita di scena col botto. Certo, da un uomo con una vita così travolgente, a cavallo tra due secoli leggendari, che ha rivestito un ruolo cruciale nell'ascesa dell'automobile, c'era da aspettarsi come ultimo regalo una delle Rosse più straordinarie della storia. La [[Ferrari F40|F40]] era infatti un prodigio anche per una casa automobilistica di alto livello come Ferrari: una vettura dalla velocità e dalla potenza esplosive, che incarnava tutte le caratteristiche proprie di Ferrari, inclusa una certa irruenza. *La F40 è nata per celebrare i primi vertiginosi quarant'anni di attività della Casa di Maranello. Ferrari intendeva produrne 400 esemplari, ma alla fine ne realizzò oltre 1300. Fu progettata in meno di un anno da un team di sviluppo a cui Enzo Ferrari aveva lasciato un'eccezionale libertà di manovra. Prese forma, così, un'auto estremamente singolare per profilo e destinazione, che vide la tecnologia turbo spostarsi dalla pista alla strada. Una visione originale è senz'altro uno dei tratti distintivi delle auto grandiose. *[...] il motore biturbo della F40, l'intensità di accelerazione mozzafiato e la totale assenza di controllo di trazione o assistenza in frenata danno vita a un'esperienza di guida estremamente avvincente ma anche irrequieta. Basta salire a bordo per sentirsi in soggezione: i pannelli delle porte sono nudi, il cruscotto è minimale e non ci sono tappetini. [...] basta premere il pulsante di avvio per sentire il rombo esplosivo del motore. Se da ferma evoca già il sound delle auto da corsa, non appena parte trasporta il conducente in un universo fantastico. [...] Accelera con una violenza cosmica e il suo motore biturbo sprigiona un fruscio che fa sentire sulla cresta dell'onda. In un mondo sempre più virtuale, la F40 è una scossa che ci riporta alla realtà. ==Note== <references /> ==Altri progetti== {{interprogetto|w=Jason Barlow|w_site=en}} {{DEFAULTSORT:Barlow, Jason}} [[Categoria:Giornalisti sportivi britannici]] dkntk0qeb02o6pp8ymn1ga25ful6cca Spider 0 219837 1381970 2025-07-01T23:30:23Z Danyele 19198 Danyele ha spostato la pagina [[Spider]] a [[Spider (film)]]: Allineamento a Wikipedia 1381970 wikitext text/x-wiki #RINVIA [[Spider (film)]] fkessjgz9mf4ahvbb36wnhikbezzeva 1381980 1381970 2025-07-01T23:42:09Z Danyele 19198 nuova voce, dal namespace allineato a Wikipedia 1381980 wikitext text/x-wiki {{voce tematica}} [[File:1928 Alfa Romeo 6C 1500 Sport Zagato Spyder - fvr.jpg|thumb|Un'Alfa Romeo 6C 1500 Sport Spider Zagato del 1928]] Citazioni sullo '''''spider''''' o '''''spyder'''''. *Qual è l'etimologia del termine Spider? A volte scritto con una "y", a volte no, è strettamente associato ai marchi italiani e indica una vettura cabriolet. Questo nonostante l'assenza della lettera "y" nell'alfabeto italiano. Ad ogni modo, la nomenclatura è antecedente alla vettura stessa e affonda le sue radici nello "spider phaeton", un tipo di carrozza alleggerita trainata da cavalli utilizzata per attività sportive o da esposizione più che come mezzo di trasporto, e che offriva solo una protezione rudimentale dagli elementi. Gli osservatori notarono che questi veicoli avevano un aspetto piuttosto "ragnesco" con le loro ruote filiformi... L'espressione rimase e si diffuse, mentre le auto diventarono sempre più innovative e lussuose. ([[Jason Barlow]]) ==Voci correlate== *[[Coupé]] ==Altri progetti== {{interprogetto|wikt|w_preposizione=riguardante lo|preposizione=sullo}} {{S}} [[Categoria:Tipi di automobili]] 2f72p44kue5dkphmdojnxmmf9kx9lcl 1381982 1381980 2025-07-01T23:51:28Z Danyele 19198 +1 1381982 wikitext text/x-wiki {{voce tematica}} [[File:1928 Alfa Romeo 6C 1500 Sport Zagato Spyder - fvr.jpg|thumb|Un'Alfa Romeo 6C 1500 Sport Spider Zagato del 1928]] Citazioni sullo '''''spider''''' o '''''spyder'''''. *''Noi ce ne andiamo con la spider su, su e giù per la Via Aurelia, tra la campagna e il mare blu.'' (''[[Thegiornalisti#Vecchio|Vecchio]]'') *Qual è l'etimologia del termine Spider? A volte scritto con una "y", a volte no, è strettamente associato ai marchi italiani e indica una vettura cabriolet. Questo nonostante l'assenza della lettera "y" nell'alfabeto italiano. Ad ogni modo, la nomenclatura è antecedente alla vettura stessa e affonda le sue radici nello "spider phaeton", un tipo di carrozza alleggerita trainata da cavalli utilizzata per attività sportive o da esposizione più che come mezzo di trasporto, e che offriva solo una protezione rudimentale dagli elementi. Gli osservatori notarono che questi veicoli avevano un aspetto piuttosto "ragnesco" con le loro ruote filiformi... L'espressione rimase e si diffuse, mentre le auto diventarono sempre più innovative e lussuose. ([[Jason Barlow]]) ==Voci correlate== *[[Coupé]] ==Altri progetti== {{interprogetto|wikt|w_preposizione=riguardante lo|preposizione=sullo}} {{S}} [[Categoria:Tipi di automobili]] pq3ghslz713oamd8e8q4fi7ea0i6b0o Ferrari 365 Daytona 0 219838 1381983 2025-07-01T23:55:39Z Danyele 19198 Creata pagina con "{{Voce tematica}} [[File:1973 Ferrari Daytona 365 GTB4 Blue LC22.jpg|thumb|Ferrari 365 GTB/4 (1973)]] Citazioni sulla '''Ferrari 365 GTB/4''' e '''GTS/4''', soprannominata '''Daytona'''. *Fu la 365 GTB4 del 1968 – conosciuta come Daytona – che accelerò l'evoluzione dell'idea della Ferrari GT a motore anteriore, sia negli esterni che negli interni. Qui tutti gli strumenti erano disposti in un unico cupolotto davanti al guidatore, otto in tutto. La ventilazione, un t..." 1381983 wikitext text/x-wiki {{Voce tematica}} [[File:1973 Ferrari Daytona 365 GTB4 Blue LC22.jpg|thumb|Ferrari 365 GTB/4 (1973)]] Citazioni sulla '''Ferrari 365 GTB/4''' e '''GTS/4''', soprannominata '''Daytona'''. *Fu la 365 GTB4 del 1968 – conosciuta come Daytona – che accelerò l'evoluzione dell'idea della Ferrari GT a motore anteriore, sia negli esterni che negli interni. Qui tutti gli strumenti erano disposti in un unico cupolotto davanti al guidatore, otto in tutto. La ventilazione, un tempo una preoccupazione secondaria, era gestita da una serie di cursori verticali. I sedili presentavano inserti in colori a contrasto e persino i pannelli delle portiere erano sorprendentemente futuristici. ([[Jason Barlow]]) ==Voci correlate== *[[Ferrari]] ==Altri progetti== {{interprogetto|w_preposizione=riguardante la|preposizione=sulla}} {{S}} [[Categoria:Automobili]] hg4w4c4qgd7q3zd43zfr8l3695qezax Ferrari 250 GTO 0 219839 1381984 2025-07-01T23:59:16Z Danyele 19198 Creata pagina con "{{Voce tematica}} [[File:1962 Ferrari 250 GTO 34 2.jpg|thumb|Ferrari 250 GTO (1962)]] Citazioni sulla '''Ferrari 250 GTO'''. *Il primo spoiler, così come lo conosciamo oggi, apparve sulla [...] 250 GTO, con la "O" che sta per "omologata" per ricordare il percorso seguito per la sua progettazione. [...] Giotto Bizzarrini guidò lo sviluppo della vettura, rielaborando inizialmente una 250 GT in un prototipo che chiamò Papera. Alla fine del 1961, però, lasciò la Casa d..." 1381984 wikitext text/x-wiki {{Voce tematica}} [[File:1962 Ferrari 250 GTO 34 2.jpg|thumb|Ferrari 250 GTO (1962)]] Citazioni sulla '''Ferrari 250 GTO'''. *Il primo spoiler, così come lo conosciamo oggi, apparve sulla [...] 250 GTO, con la "O" che sta per "omologata" per ricordare il percorso seguito per la sua progettazione. [...] Giotto Bizzarrini guidò lo sviluppo della vettura, rielaborando inizialmente una 250 GT in un prototipo che chiamò Papera. Alla fine del 1961, però, lasciò la Casa di Maranello ed [[Enzo Ferrari]] incaricò [[Sergio Scaglietti]] di completare i lavori, insieme a un giovane [...] [[Mauro Forghieri]]. [...] Sebbene mancante sulle vetture presentate ai media il 24 febbraio 1962, la parte posteriore della GTO si sarebbe presto evoluta fino a includere una coda "di Kamm", secondo i principi stabiliti da Wunibald Kamm. [...] tagliare in modo netto la coda non solo manteneva il flusso d'aria e riduceva al minimo la resistenza, ma diminuiva anche la portanza creando una zona di bassa pressione. [...] i risultati parlavano da soli: l'auto dominò le corse automobilistiche, riportando successi nella [[Targa Florio]], nel Tour de France e a [[24 Ore di Le Mans|Le Mans]]. Era tanto funzionale quanto bella. ([[Jason Barlow]]) ==Voci correlate== *[[Ferrari]] ==Altri progetti== {{interprogetto|w_preposizione=riguardante la|preposizione=sulla}} {{S}} [[Categoria:Automobili]] 64qrbflq3vwglo5wu1bx3q8yku6oli9 Carrera Panamericana 0 219840 1381986 2025-07-02T00:06:07Z Danyele 19198 Creata pagina con "{{Voce tematica}} [[File:Fangio y en el Lancia D24, ganadores de la IV Carrera Panamericana.png|thumb|La vittoria di [[Juan Manuel Fangio]] alla IV Carrera Panamericana su Lancia D24, 22 ottobre 1953.]] Citazioni sulla '''Carrera Panamericana'''. *Parliamo di una gara incredibilmente pericolosa, che fu disputata per la prima volta nel 1950 per celebrare il completamento del tratto messicano da nord a sud della Pan-American Highway, lungo 3.500 km. Inizialmente, attirò..." 1381986 wikitext text/x-wiki {{Voce tematica}} [[File:Fangio y en el Lancia D24, ganadores de la IV Carrera Panamericana.png|thumb|La vittoria di [[Juan Manuel Fangio]] alla IV Carrera Panamericana su Lancia D24, 22 ottobre 1953.]] Citazioni sulla '''Carrera Panamericana'''. *Parliamo di una gara incredibilmente pericolosa, che fu disputata per la prima volta nel 1950 per celebrare il completamento del tratto messicano da nord a sud della Pan-American Highway, lungo 3.500 km. Inizialmente, attirò un gruppo eterogeneo di concorrenti dilettanti, ma ben presto le grandi berline americane furono sfidate dalle più agili auto sportive europee, e l'elenco dei piloti divenne un vero e proprio "who's who" delle corse automobilistiche. [...] il percorso si snodava lungo le montagne centrali del Messico, si inerpicava oltre i 3.000 metri per poi scendere nuovamente; era disseminato di oltre 3.000 curve: sbagliarne l'ingresso o l'uscita significava andare incontro a un tragico destino. ([[Jason Barlow]]) ==Voci correlate== *[[Mille Miglia]] *[[Targa Florio]] ==Altri progetti== {{interprogetto|w_preposizione=riguardante la|preposizione=sulla}} {{S}} [[Categoria:Competizioni sportive]] [[Categoria:Eventi degli anni 1950]] [[Categoria:Sport in Messico]] odcawe0zdr642fkztp48blsdoheb15l David Piper 0 219841 1381990 2025-07-02T00:13:38Z Danyele 19198 Creata pagina con "[[File:David Piper.JPG|thumb|David Piper nel 2011]] '''David Ruff Piper''' (1930 – vivente), pilota automobilistico britannico. ==Citazioni su David Piper== *Piper si faceva notare [...] per un [...] motivo: le sue auto da corsa erano tutte verdi. Potremmo dire che si tratta semplicemente di un colore, eppure vedere la sua 250 LM o la 330 P3/4 in quello che ora è noto come "Piper green", è ancora un colpo al cuore, abituati come siamo a vedere le Ferrari verniciate..." 1381990 wikitext text/x-wiki [[File:David Piper.JPG|thumb|David Piper nel 2011]] '''David Ruff Piper''' (1930 – vivente), pilota automobilistico britannico. ==Citazioni su David Piper== *Piper si faceva notare [...] per un [...] motivo: le sue auto da corsa erano tutte verdi. Potremmo dire che si tratta semplicemente di un colore, eppure vedere la sua 250 LM o la 330 P3/4 in quello che ora è noto come "Piper green", è ancora un colpo al cuore, abituati come siamo a vedere le Ferrari verniciate di rosso. Il verde divenne il suo colore distintivo quando l'ex sponsor Esso non poté più sostenerlo a causa della [[Crisi di Suez]] – che portò a una carenza di petrolio anche nel Regno Unito. Così passò al verde BP. ([[Jason Barlow]]) ==Altri progetti== {{interprogetto}} {{S}} {{DEFAULTSORT:Piper, David}} [[Categoria:Piloti di Formula 1 britannici]] szv59tkmfclj2es85ds9axbswoomer4 Discussioni utente:Kelly zhrm 3 219842 1382003 2025-07-02T07:35:40Z Homer 215 Benvenuto/a su Wikiquote, aforismi e citazioni in libertà! 1382003 wikitext text/x-wiki {{Benvenuto2|nome={{PAGENAME}}|firma=[[Utente:Homer|Homer]] ([[Discussioni utente:Homer|scrivimi]]) 09:35, 2 lug 2025 (CEST)}} anfqxinpcvxovv4nlh6f39jhxd6q05x Alberto Ablondi 0 219843 1382004 2025-07-02T07:42:22Z ~2025-113938 103367 creazione voce 1382004 wikitext text/x-wiki [[File:Profilo.ablondi.jpg|miniatura|Mons. Alberto Ablondi]] '''Alberto Ablondi''' (1924 – 2010), vescovo italiano. ==''L'evoluzione dei diritti umani nella comunità internazionale (1948-1998)''== *A questo punto ritengo opportuno il richiamo all'azione della Chiesa per il riconoscimento dei valori alla Comunità internazionale. Cito la “Costituzione pastorale sulla Chiesa nel mondo contemporaneo” al n. 9: “cresce pertanto la persuasione che il genere umano non solo può e deve sempre più rafforzare il suo dominio sul creato, ma che gli compete inoltre di instaurare un ordine politico, sociale ed economico che sempre più e sempre meglio serva all'uomo e aiuti singoli e gruppi ad affermare e sviluppare la propria dignità”. (p. 33) *Quali le conseguenze di questo emergere dei valori comunitare internazionali nella proclamazione e nella difesa del diritto? È evidente che con una simile impostazione universalistica e sovranazionale, la tutela dei diritti umani prescinde ormai dalla cittadinanza: a differenza del passato (prima della seconda guerra mondiale), quando lo Stato poteva intervenire in altri Stati solo per difendere un proprio cittadino. (p. 34) *Non solo, proprio la Chiesa, che è stata tante volte ispirante e promovente di fronte al diritto, deve essere sempre scrupolosamente rispettosa dei diritti umani, anche all'interno di se stessa. (p. 36) ==Bibliografia== *Alberto Ablondi, ''[https://preserver.beic.it/delivery/DeliveryManagerServlet?dps_pid=IE9066968&select_viewer=metsViewer&dps_file=FL9067001 L'evoluzione dei diritti umani nella comunità internazionale (1948-1998)]'', in ''Amministrazione pubblica'', anno I, n. 4, ANFACI, Roma, 1998. ==Altri progetti== {{interprogetto}} {{DEFAULTSORT:Ablondi, Alberto}} [[Categoria:Vescovi cattolici italiani]] psk7grpciuzk4x303wat5rrkkw16y38 1382005 1382004 2025-07-02T07:43:18Z Marcella Medici (BEIC) 84396 creazione voce 1382005 wikitext text/x-wiki [[File:Profilo.ablondi.jpg|miniatura|Mons. Alberto Ablondi]] '''Alberto Ablondi''' (1924 – 2010), vescovo italiano. ==''L'evoluzione dei diritti umani nella comunità internazionale (1948-1998)''== *A questo punto ritengo opportuno il richiamo all'azione della Chiesa per il riconoscimento dei valori alla Comunità internazionale. Cito la “Costituzione pastorale sulla Chiesa nel mondo contemporaneo” al n. 9: “cresce pertanto la persuasione che il genere umano non solo può e deve sempre più rafforzare il suo dominio sul creato, ma che gli compete inoltre di instaurare un ordine politico, sociale ed economico che sempre più e sempre meglio serva all'uomo e aiuti singoli e gruppi ad affermare e sviluppare la propria dignità”. (p. 33) *Quali le conseguenze di questo emergere dei valori comunitare internazionali nella proclamazione e nella difesa del diritto? È evidente che con una simile impostazione universalistica e sovranazionale, la tutela dei diritti umani prescinde ormai dalla cittadinanza: a differenza del passato (prima della seconda guerra mondiale), quando lo Stato poteva intervenire in altri Stati solo per difendere un proprio cittadino. (p. 34) *Non solo, proprio la Chiesa, che è stata tante volte ispirante e promovente di fronte al diritto, deve essere sempre scrupolosamente rispettosa dei diritti umani, anche all'interno di se stessa. (p. 36) ==Bibliografia== *Alberto Ablondi, ''[https://preserver.beic.it/delivery/DeliveryManagerServlet?dps_pid=IE9066968&select_viewer=metsViewer&dps_file=FL9067001 L'evoluzione dei diritti umani nella comunità internazionale (1948-1998)]'', in ''Amministrazione pubblica'', anno I, n. 4, ANFACI, Roma, 1998. {{DEFAULTSORT:Ablondi, Alberto}} [[Categoria:Vescovi cattolici italiani]] 2l8i4bwkdmtfg5hkkkk30aquyh27v6j 1382006 1382005 2025-07-02T07:43:28Z Marcella Medici (BEIC) 84396 1382006 wikitext text/x-wiki [[File:Profilo.ablondi.jpg|miniatura|Mons. Alberto Ablondi]] '''Alberto Ablondi''' (1924 – 2010), vescovo italiano. ==''L'evoluzione dei diritti umani nella comunità internazionale (1948-1998)''== *A questo punto ritengo opportuno il richiamo all'azione della Chiesa per il riconoscimento dei valori alla Comunità internazionale. Cito la “Costituzione pastorale sulla Chiesa nel mondo contemporaneo” al n. 9: “cresce pertanto la persuasione che il genere umano non solo può e deve sempre più rafforzare il suo dominio sul creato, ma che gli compete inoltre di instaurare un ordine politico, sociale ed economico che sempre più e sempre meglio serva all'uomo e aiuti singoli e gruppi ad affermare e sviluppare la propria dignità”. (p. 33) *Quali le conseguenze di questo emergere dei valori comunitare internazionali nella proclamazione e nella difesa del diritto? È evidente che con una simile impostazione universalistica e sovranazionale, la tutela dei diritti umani prescinde ormai dalla cittadinanza: a differenza del passato (prima della seconda guerra mondiale), quando lo Stato poteva intervenire in altri Stati solo per difendere un proprio cittadino. (p. 34) *Non solo, proprio la Chiesa, che è stata tante volte ispirante e promovente di fronte al diritto, deve essere sempre scrupolosamente rispettosa dei diritti umani, anche all'interno di se stessa. (p. 36) ==Bibliografia== *Alberto Ablondi, ''[https://preserver.beic.it/delivery/DeliveryManagerServlet?dps_pid=IE9066968&select_viewer=metsViewer&dps_file=FL9067001 L'evoluzione dei diritti umani nella comunità internazionale (1948-1998)]'', in ''Amministrazione pubblica'', anno I, n. 4, ANFACI, Roma, 1998. ==Altri progetti== {{interprogetto}} {{DEFAULTSORT:Ablondi, Alberto}} [[Categoria:Vescovi cattolici italiani]] psk7grpciuzk4x303wat5rrkkw16y38 1382011 1382006 2025-07-02T08:15:35Z Spinoziano (BEIC) 86405 1382011 wikitext text/x-wiki [[File:Profilo.ablondi.jpg|miniatura|Alberto Ablondi]] '''Alberto Ablondi''' (1924 – 2010), vescovo italiano. ==''L'evoluzione dei diritti umani nella comunità internazionale (1948-1998)''== *A questo punto ritengo opportuno il richiamo all'azione della Chiesa per il riconoscimento dei valori alla Comunità internazionale. Cito la "Costituzione pastorale sulla Chiesa nel mondo contemporaneo" al n. 9: "cresce pertanto la persuasione che il genere umano non solo può e deve sempre più rafforzare il suo dominio sul creato, ma che gli compete inoltre di instaurare un ordine politico, sociale ed economico che sempre più e sempre meglio serva all'uomo e aiuti singoli e gruppi ad affermare e sviluppare la propria dignità". (p. 33) *Quali le conseguenze di questo emergere dei valori comunitari internazionali nella proclamazione e nella difesa del diritto? È evidente che con una simile impostazione universalistica e sovranazionale, la tutela dei diritti umani prescinde ormai dalla cittadinanza: a differenza del passato (prima della seconda guerra mondiale), quando lo Stato poteva intervenire in altri Stati solo per difendere un proprio cittadino. (p. 34) *Non solo, proprio la Chiesa, che è stata tante volte ispirante e promovente di fronte al diritto, deve essere sempre scrupolosamente rispettosa dei diritti umani, anche all'interno di se stessa. (p. 36) ==Bibliografia== *Alberto Ablondi, ''[https://preserver.beic.it/delivery/DeliveryManagerServlet?dps_pid=IE9066968&select_viewer=metsViewer&dps_file=FL9067001 L'evoluzione dei diritti umani nella comunità internazionale (1948-1998)]'', in ''Amministrazione pubblica'', anno I, n. 4, ANFACI, Roma, 1998. ==Altri progetti== {{interprogetto}} {{DEFAULTSORT:Ablondi, Alberto}} [[Categoria:Vescovi italiani]] odetu783901ovaldcbu30fth64z4ne7 Discussioni utente:Frengo97 3 219844 1382010 2025-07-02T08:15:25Z Homer 215 Benvenuto/a su Wikiquote, aforismi e citazioni in libertà! 1382010 wikitext text/x-wiki {{Benvenuto2|nome={{PAGENAME}}|firma=[[Utente:Homer|Homer]] ([[Discussioni utente:Homer|scrivimi]]) 10:15, 2 lug 2025 (CEST)}} 8esqh83wnvntosi90mrvfnc6af8y9yr Discussioni utente:Alessio Ferrario 23 3 219845 1382018 2025-07-02T09:15:36Z Homer 215 Benvenuto/a su Wikiquote, aforismi e citazioni in libertà! 1382018 wikitext text/x-wiki {{Benvenuto2|nome={{PAGENAME}}|firma=[[Utente:Homer|Homer]] ([[Discussioni utente:Homer|scrivimi]]) 11:15, 2 lug 2025 (CEST)}} ezj1uyat4doqb78f43cut6rg90pl7pj Discussioni utente:Robyfell 3 219846 1382021 2025-07-02T09:45:15Z Homer 215 Benvenuto/a su Wikiquote, aforismi e citazioni in libertà! 1382021 wikitext text/x-wiki {{Benvenuto2|nome={{PAGENAME}}|firma=[[Utente:Homer|Homer]] ([[Discussioni utente:Homer|scrivimi]]) 11:45, 2 lug 2025 (CEST)}} oc14zx4hv7extif4v0eiqlayenjzu1g Mario Morcone 0 219847 1382025 2025-07-02T10:20:01Z Marcella Medici (BEIC) 84396 creazione voce 1382025 wikitext text/x-wiki '''Mario Morcone''' (1952– ), prefetto e politico italiano. ==''Amministrazione pubblica e società civile nel ristabilimento della pace''== *Le certezze giuridiche, l'obbiettività nelle procedure e nelle decisioni, la fiducia nel ricorso alla giustizia, le basilari previsioni normative sull'uguaglianza dei cittadini e sulle loro prerogative essenziali: questo patrimonio viene messo in crisi e distrutto dagli eventi bellici. (p. 56) *Un percorso complesso e difficile come quello della rinascita di una moderna e solidale società civile in un paese sconvolto, fino a pochi mesi fa, dalla guerra, non può prescindere, accanto a interventi pianificati e di carattere istituzionale, anche da quei fermenti spontanei, talvolta disordinati, ma vivi ed autentici, che sono caratteristici e costituiscono la ricchezza del pianeta volontariato. (p. 58) *La scommessa che la comunità internazionale sta affrontando in Kosovo sarà vinta solo quando sarannno stati interiorizzati i valori della legalità, della multietnicità e della tolleranza e quando il sistema istituzionale avrà trovato il suo equilibrio proprio attraverso l'applicazione di quei valori. (p. 60) ==Bibliografia== *Mario Morcone, ''[https://preserver.beic.it/delivery/DeliveryManagerServlet?dps_pid=IE9066504&select_viewer=metsViewer&dps_file=FL9066561 Amministrazione pubblica e società civile nel ristabilimento della pace]'', in ''Amministrazione pubblica'', anno III, n.11-12. ANFACI, Roma, 2000. ==Altri progetti== {{interprogetto}} {{DEFAULTSORT:}} [[Categoria:Politici italiani]] tv2ypcpspgj5x4c1a360dkq1ubnm3yd 1382037 1382025 2025-07-02T11:55:47Z Spinoziano (BEIC) 86405 piccole sistemazioni 1382037 wikitext text/x-wiki '''Mario Morcone''' (1952 – vivente), prefetto e politico italiano. ==''Amministrazione pubblica e società civile nel ristabilimento della pace''== *Le certezze giuridiche, l'obbiettività nelle procedure e nelle decisioni, la fiducia nel ricorso alla giustizia, le basilari previsioni normative sull'uguaglianza dei cittadini e sulle loro prerogative essenziali: tutto questo patrimonio viene messo in crisi e distrutto dagli eventi [[Guerra|bellici]]. (p. 56) *Un percorso complesso e difficile come quello della rinascita di una moderna e solidale società civile in un paese sconvolto, fino a pochi mesi fa, dalla guerra, non può prescindere, accanto a interventi pianificati e di carattere istituzionale, anche da quei fermenti spontanei, talvolta disordinati, ma vivi ed autentici, che sono caratteristici e costituiscono la ricchezza del pianeta volontariato. (p. 58) *La scommessa che la comunità internazionale sta affrontando in [[Kosovo]] sarà vinta solo quando sarannno stati interiorizzati i valori della legalità, della multietnicità e della tolleranza e quando il sistema istituzionale avrà trovato il suo equilibrio proprio attraverso l'applicazione di quei valori. (p. 60) ==Bibliografia== *Mario Morcone, ''[https://preserver.beic.it/delivery/DeliveryManagerServlet?dps_pid=IE9066504&select_viewer=metsViewer&dps_file=FL9066561 Amministrazione pubblica e società civile nel ristabilimento della pace]'', in ''Amministrazione pubblica'', anno III, nn. 11-12, ANFACI, Roma, 2000. ==Altri progetti== {{interprogetto}} {{DEFAULTSORT:Morcone, Mario}} [[Categoria:Prefetti italiani]] [[Categoria:Politici italiani]] p36nkl3jnhuwaiewuhbppy6rq1wy86z Discussioni utente:StarG3389435 3 219848 1382026 2025-07-02T10:20:13Z Homer 215 Benvenuto/a su Wikiquote, aforismi e citazioni in libertà! 1382026 wikitext text/x-wiki {{Benvenuto2|nome={{PAGENAME}}|firma=[[Utente:Homer|Homer]] ([[Discussioni utente:Homer|scrivimi]]) 12:20, 2 lug 2025 (CEST)}} nadjkf82ppntsyydfohyzvbw5l11tbz Bartolomeo Gastaldi 0 219849 1382029 2025-07-02T10:38:01Z Marcella Medici (BEIC) 84396 creazione voce 1382029 wikitext text/x-wiki [[File:Bartolomeo Gastaldi.jpg|miniatura|Bartolomeo Gastaldi]] '''Bartolomeo Gastaldi''' (1818 – 1879), geologo italiano. ==''Su alcuni fossili paleozoici delle Alpi marittime e dell'Apennino ligure''== *La valle del Po è la più breve di quelle fra le valli alpine piemontesi che si estendono, si prolungano sino alla linea di dipluvio; essa termina in alto colla gran parete che collega il Mon-Viso col Granero, parete che, formata intieramente di ''pietra verde'', è tagliata dal colle della Traversetta. (p. 113) *Nelle Alpi piemontesi abbiamo quarziti nel gneiss centrale, ne abbiamo nella zona delle ''pietre-verdi'' e ne abbiamo altre più intimamente collegate coi terreni antracitiferi ossia colla zona paleozoica. (p. 113) *Oggidì sono cinque i giacimenti di antracite scoperti sul nostro versante alpino e sull'Appennino ligure ed in nessuno di esse si trovarono ancora impronte vegetali. Questo fatto merita di essere particolarmente notato, e per altra parte io non saprei spiegarlo. (p. 120) ==Bibliografia== *Bartolomeo Gastaldi, ''[https://preserver.beic.it/delivery/DeliveryManagerServlet?dps_pid=IE8474749&select_viewer=metsViewer&dps_file=FL8475408 Su alcuni fossili paleozoici delle Alpi marittime e dell'Apennino ligure], in ''Atti della Reale Accademia dei Lincei. Memorie della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali.'' Anno 274, serie III, volume I, dispensa I, Salviucci, Roma, 1877. ==Altri progetti== {{interprogetto}} {{DEFAULTSORT:Gastaldi, Bartolomeo}} [[Categoria:Geologi italiani]] nqeu6ffmpuph0hrongfpbqo2wsqx0h0 Discussioni utente:Vincenzo Amoruso 3 219850 1382032 2025-07-02T11:00:40Z Homer 215 Benvenuto/a su Wikiquote, aforismi e citazioni in libertà! 1382032 wikitext text/x-wiki {{Benvenuto2|nome={{PAGENAME}}|firma=[[Utente:Homer|Homer]] ([[Discussioni utente:Homer|scrivimi]]) 13:00, 2 lug 2025 (CEST)}} 0i1e3mx8hvwlwqu81ogg04f47kstjvk